Hortum Septentriones di neme_ (/viewuser.php?uid=105600)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Zero. E gira, gira, gira... ***
Capitolo 2: *** Uno. Tu, complice. Lei, astro. Noi, cercatori ***
Capitolo 3: *** Due. Lo diceva anche Louis Armstrong ***
Capitolo 4: *** Tre. Brividi. Non di freddo. Non di paura ***
Capitolo 5: *** Quattro. Quella stella che ci guida ***
Capitolo 6: *** Cinque. Non riuscire a fermarsi ***
Capitolo 7: *** Sei. Fuoco di ghiaccio ***
Capitolo 8: *** Sette. A nord. Sempre più a nord. Sempre più su ***
Capitolo 9: *** Otto. Lei ci muove. Si muove ***
Capitolo 10: *** Nove. La ruota della fortuna ***
Capitolo 11: *** Dieci. Quando l'orologio si inceppa ***
Capitolo 12: *** Undici. Prova ***
Capitolo 1 *** Zero. E gira, gira, gira... ***
Angolino:
non faccio in
tempo a finire
una raccolta che subito comincio una nuova storia. Non se sia un bene
o un male, comunque. Ciao ciao ciao! In realtà sto scrivendo
questa
storia senza essere uscita del tutto dal tunnel di “Dieci
volte
tanto”, tant'è che anche questa storia
è crossover. Tra Bleach e
D.Gray-man (se ci scappa magari qualche altro anime, comunque per il
momento sono Bleach e D.Gray-man) con la differenza che stavolta
è
AU, contemporanea e molto, molto strana. Ho iniziato a scrivere con
il presupposto di fare una cosa “assurda” e un po'
nostalgica.
Per farla breve, tutti i personaggi che verranno coinvolti si
addentrano in un particolare giardino, particolare per molti motivi.
Anzitutto, ha delle regole da rispettare, ha un manifesto con una
presentazione enigmatica che verrà mostrata ad ogni inizio
capitolo.
Le regole verranno invece aggiunte ad ogni capitolo, come una sorta
di riepilogo, per ricordarvi di dove ci troviamo e di non
sorprendervi dunque troppo per le assurdità che potreste
incontrare
-risatina- comunque è un posto quasi magico. Di quelli che,
quando
ci entri, ti dici “questa è la mia seconda
casa!”. A me è
capitato solo una volta entrando in un locale che si chiama Crossover
e che si trova a Roma. Era piccolino ma c'era un sacco di gente e io
mi sentivo parte di loro pur non conoscendoli. Inconsciamente forse
ho messo questo ricordo nel giardino che sarà al centro di
molti
avvenimenti, ho come un senso di nostalgia che non so spiegare.
Meglio passare ai personaggi protagonisti, ah ah.
Come
sa chi ha letto “Dieci volte tanto” o letto le mie
note d'autore,
amo il LaviRuki e questa storia non farà eccezione.
Sarà la coppia
principale della storia. Altri personaggi ed eventuali pairing
richiedono un po' di riflessione e poi mi piace sorprendervi, quindi
a parte il LaviRuki non anticipo niente -si sente molto cattiva-
comunque, compariranno un po' tutti, sia di Bleach che di D.Gray-man,
e tutti in qualche modo saranno legati grazie al giardino. In questa
storia, Lavi è uno scrittore di successo, Rukia un'attrice
-ma la
vedrete nel capitolo successivo- e si instaurerà un rapporto
più
che strano, ma per qualche motivo questa storia già mi sta
prendendo
all'inverosimile quindi ce la metterò tutta per renderli al
meglio.
Tutti i personaggi che compariranno avranno il loro spazio, questo
posso assicurarlo, per cui invece di perder tempo a selezionare
personaggi tanto vale mettere “un po' tutti”, ah
ah. E per
sicurezza mettiamo OOC tra gli avvertimenti, visto che già
Lavi
fumatore è una cosa che non gli si vedrebbe, e probabilmente
scriverò molte cose che faranno sforare i personaggi, per
cui meglio
avvisare di eventuali incongruenze. E niente, io la metto, visto che
quella gaia ragazza di Meg ha
dato l'okay e io del suo parere mi fido -a proposito, consiglio di
leggere la sua long crossover, la sua e quella di Angy!-
la metto. Spero che anche voi che leggerete vi divertirete come me
che sto scrivendo questa stranissima fan fiction, e di leggere presto
i vostri commenti riguardo!
P.s.:
nel corso della storia si presenteranno diversi momenti... ehm...
erotici. Cercherò di non scendere troppo nel dettaglio,
comunque,
perciò non scandalizzatevi troppo -risatina- come vi ho
già detto,
questa storia è “assurda”...
Spero
che questo prologo e il primo capitolo vi possano piacere!
[crossover][Bleach/D.Gray-man][LaviRuki][Crack
pairing het e yaoi nel corso della
storia][Introspettivo][Lime][AU][Slice of life][Lime][Eventuale OOC]
Hortum
Septentriones
Zero
E
gira, gira, gira...
«
Questo è un giardino, di come se ne trovano in qualunque
viale.
Ogni
giorno uomini e donne organizzano un mercato, di come se ne trovano
in qualunque viale.
Ogni
giorno uomini e donne passeggiano in questo giardino, di come se ne
incontrano in qualunque viale.
Ogni
giorno qualcuno si perde e arriva qui, oppure ci viene di sua
spontanea volontà.
Questo
giardino è una casa. Per chi? Voi che venite lo sapete.
Per
chiunque è alla ricerca. Di cosa? Voi che venite lo sapete.
Per
chiunque.
Hortum
septentriones »
Non
c'è niente di più ammaliante della percezione del
proprio essere.
Non ha niente a che vedere con il conoscere il proprio nome e
riconoscersi in un corpo, è piuttosto lo scorgere di
qualcosa che si
muove, gira, gira, gira e non può essere governato in alcun
modo. È
la consapevolezza di essere soggetti ad un qualcosa che è
stato
creato dall'io stesso ma che non si riesce a governare e dunque non
resta altra scelta che lasciarlo agire, percorrere quell'esistenza
effimera. È ciò che permette di dire
“io esisto, qualcosa dentro
di me si muove”. Ma che cosa?
Per
anni l'uomo ha cercato di dare una risposta a questo. Coscienza,
inconscio, ha molti nomi che indicano quell'ignota forza che muove
l'essere umano e lo rende affascinante, unico nel suo genere.
Può
essere chiamato anche istinto, perché no. Ma in seguito la
domanda
verte su cosa spinga
questo dono a muoversi. A questo non si è ancora giunti ad
una
conclusione.
Ma
Lavi lo sa, pressapoco. È la natura
stessa che governa
questa forza dal medesimo significato. Non
occorrono altre spiegazioni, sono superflue, perché la
bellezza
autentica non si può descrivere con umili parole messe in
croce. La
bellezza la si comprende da soli e la si accetta per così
com'è, è
questo il segreto.
La
sua natura, ad esempio, gli impone di scrivere, ovunque, con
qualunque cosa. Scrivi, Lavi, scrivi, questo gli dice e lui non
può
in nessun modo fermarsi, non può che accontentare quella
natura che
è dentro di lui e che deve soddisfare e che gira, gira,
gira. Lui si
è reso conto di questa trottola impazzita nella sua massa di
carne e
ossa, pertanto gli è stato facile trovare un modo per
accontentarla
ed essere sereno, assaporare fino all'ultima goccia quella bellezza
austera.
Ed
è contenta, eccome se lo è. Per Lavi non
c'è niente di meglio. Il
suo inconscio è pieno di stimoli e anche passeggiando per le
strade
tinte di foglie rosse, arancioni, marroni, giallo ocra, di fronte a
vetrine di negozi vecchi di vent'anni, quando legge la scritta
“best
seller” accanto al titolo del suo ultimo libro, sente il
bisogno di
soddisfare ancora una volta i suoi stimoli. Torna a scrivere,
Lavi, ne voglio ancora. Per questo non dà tregua
al suo editore,
non solo nello scrivere libri che vendono migliaia di copie sotto
falso nome. È un uomo che si dedica a molteplici
attività, mosso da
quell'incontrollabile voglia di sentirsi soddisfatto e non gli basta
mai.
È
uno scrittore, Lavi, e il proprio lavoro gli piace da morire, non
potrebbe smettere in alcun modo. Adora l'odore della carta e quel
“tak-tak” insistente della macchina da scrivere o
della tastiera
del computer. Ama leggere le opere di tutti, conoscere i pensieri
altrui e scorgere quella natura che lo controlla e sentirsi simile a
qualcuno che non conosce. Fratello suo. Per questo,
non riesce
a smettere di fare questo lavoro.
E
non può impedire le proprie gambe di attraversare le strade,
i viali
tinti di rosso, giallo ocra, arancio, marrone, guardare coi propri
occhi che il suo ultimo libro ha venduto bene e poi dirigersi
là, di
fronte al cancello sempre aperto, protetto da larghe colonne semplici
e ormai crepate, troneggiate da dei leoni scrutatori, vigili, e da
quel manifesto un po' stropicciato e provato dalle giornate di
pioggia che porta di tanto in tanto novembre e ti dà il
benvenuto.
Hortum
septentriones
E
riesce a vederla, poco lontano, dove comincia il verde del prato
puntellato di foglie rosse. Un'enorme piattaforma circolare su cui
poggia una stella a dieci punte, un pentacolo sopra l'altro in parole
povere, magnifica, imponente, il simbolo per eccellenza del cosmo che
gira, gira, gira ogni ora, resterebbe anche tutto il giorno a vederla
in movimento ma no, ci ripensa, Lavi, e volge lo sguardo alle
bancarelle già affollate, c'è mercato anche oggi,
c'è gente anche
oggi, qualcuno si è perso, qualcuno ci è andato
apposta come lui a
trovare cosa ancora non lo sa ma la troverà. Prima o dopo.
Perché
la sua natura reclama soddisfazione, ancora una volta, e lui non
può
fermarla. Non la vuole fermare.
È
proprio per persone come lui che esiste quel posto. E gira, gira,
gira...
|
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Capitolo 2 *** Uno. Tu, complice. Lei, astro. Noi, cercatori ***
Angolino:
il nome
d'arte che Rukia usa,
Mai Shirafune, è tratto dal terzo attacco di Sode no
Shirayuki: san
no mai,
shirafune.
Mi è sembrato un nome d'arte adatto a lei. Deak invece era
il nome
che Lavi usava durante la sua quarantottesima registrazione, prima di
unirsi all'Ordine Oscuro. Buona lettura!
Hortum
septentriones
Uno
Tu,
complice
Lei,
astro
Noi,
cercatori
«
Questo è un giardino, di come se ne trovano in qualunque
viale.
Ogni
giorno uomini e donne organizzano un mercato, di come se ne trovano
in qualunque viale.
Ogni
giorno uomini e donne passeggiano in questo giardino, di come se ne
incontrano in qualunque viale.
Ogni
giorno qualcuno si perde e arriva qui, oppure ci viene di sua
spontanea volontà.
Questo
giardino è una casa. Per chi? Voi che venite lo sapete.
Per
chiunque è alla ricerca. Di cosa? Voi che venite lo sapete.
Per
chiunque.
Hortum
septentriones »
«
Nessuno chiederà informazioni su di te, a meno che la tua
natura non
lo voglia.
Tutto
ciò che accade nel giardino resta nel giardino. »
Rukia
soffia debolmente sulle mani, la bocca si intravvede appena dalla
sciarpa in chiffon nera e stropicciata. È ormai una prassi
per lei
camminare sulle strade ciottolate del viale che pare infinito, in
qualunque momento senta il bisogno di farlo. Fra le tante
qualità di
quel posto c'è la sicurezza di trovarlo sempre disponibile,
aperto a
tutti, a qualunque ora rintoccata da quel singolare orologio a forma
di stella. È facile capire perché si chiami
“Hortum
Septentriones”, il giardino della stella polare. Non
è dovuto
solamente a quell'astro roteante o al verde che quasi inghiotte la
ghiaia, ma in particolar modo per il compito implicito che ha il
luogo. Lo si può tranquillamente considerare un punto di
riferimento, come lo era stata la vera stella polare, altrimenti
nota come Polaris, per i naviganti. È il classico posto dove
trovi
bancarelle, artisti di strada, gente che acquista, curiosi, ma
già
all'ingresso, di fronte ai cancelli sempre aperti per poter
accogliere chiunque, ci si rende facilmente conto di ciò che
realmente rappresenta. Una presentazione veloce, perfino un po'
criptica, e di seguito delle rassicurazioni e delle regole. Se ci si
vuole addentrare nel giardino, bisogna prestare moltissima attenzione
a ciò che recita il manifesto. Rukia non ha più
bisogno di
leggerlo, ricorda perfettamente tutto quanto ed è grata a
chi ha
creato quel posto, unico nel suo genere, dove può camminare
senza
preoccuparsi delle conseguenze delle proprie azioni. È
lì che fa
compere, non in negozi all'ultima moda, lì incontra persone
che non
le fanno pesare il proprio status sociale. Il solo posto dove si
sente qualcosa di diverso. Il che è
paradossale, vista la sua
professione.
Colui
che ha creato questo giardino era di certo singolare, anche bizzarro
se vogliamo, ma lei non ci bada, ne ha viste di cose strane e non le
dispiace. In qualche modo si sente a casa,
probabilmente anche
il fondatore di quel luogo era alla ricerca di una casa e,
possibilmente, di non viverci da solo. E chissà quale
soddisfazione,
nel vedere tutta quella gente passeggiare da mattina a sera, fino a
notte fonda e magari fino al mattino seguente. Feste, balli, ritrovi,
incontri fugaci, giochi di sguardi, l'Hortum Septentriones amplifica
con estrema facilità e naturalezza tutto questo e le cuce su
misura
per l'anima vagante che si è addentrata in lui. Ti permette
di fare
incontri straordinari. Non importa cosa cerchi, lì lo
troverai
sicuramente, perché sarai tu a crearlo, così
recita uno degli
avvertimenti del manifesto. Grazie alle bancarelle che si trovano in
ogni angolo si può trovare qualunque vestito o accessorio,
ci sono
bar e ristoranti ovunque dove puoi mangiare ciò che
desideri, anche
la cosa più stravagante, poi panchine, fontane, addirittura
piccolissime locande per fermarsi una notte. E si possono trovare
anche le persone. Certo, come in tutti i casi, dipende dalle
circostanze. Chi vuole essere trovato, comunque, ne ha la
possibilità, attraverso un registro che si trova a
metà strada.
Chiunque può scrivere il proprio nome -o anche uno
pseudonimo, a
propria discrezione- con affianco l'indirizzo, il numero di telefono,
l'e-mail, oppure la locanda, il bar, la panchina su cui si è
diretti
e non importa se non li raggiunge nessuno, quelli che scrivono
lì
sopra aspettano e dalle facce che hanno all'uscita si direbbero
soddisfatti. Per alcuni potrebbe sembrare un modo antiquato e
squallido di trovare l'anima gemella, fuori moda visto che ormai si
vive nella società della tecnologia. Ma Rukia lo sa, lo
percepisce,
lì si cerca qualcosa di diverso, esattamente cosa non
riuscirebbe a
spiegarlo ma quel registro raccoglie molto di più di nomi e
cognomi.
Raggruppa anime, cercatori che
si affidano ad un astro
roteante e tra loro sono tutti complici.
Solamente
l'Hortum Septentriones può compiere un prodigio simile,
Rukia ne è
sicura ed è per questo che si dirige sempre là,
quando ha tempo.
È
vero, in quel giardino si sente tranquilla e al riparo ma la sua
natura, quel qualcosa che si muove dentro di lei e gira, gira, gira,
la spinge ad essere previdente in ogni caso. Cerca di coprirsi come
può, non solo per il freddo di fine novembre -e pensare che
le
foglie rosse sulla strada sembrano così calde, che contrasto
meraviglioso- ma anche perché vuole evitare di essere
riconosciuta.
Non dubita del fatto che in quel posto girino brave persone, ormai
conosce la “clientela” e sono tutti
insospettabilmente onesti,
anche chi cerca ad ogni costo di apparire il contrario. Ma è
l'abitudine, la sua natura che non riesce a
governare e non ci
tiene affatto a litigarci. Sa che perderebbe.
Dunque
l'asseconda e si dirige ad un piccolo banchetto di accessori, rimane
affascinata da qualche cintura, ci sono fibbie di ogni forma, oh,
quella ha la forma di una coccinella, che carina, forse comprandola
porterà davvero fortuna. I venditori dinanzi a lei la
guardano e le
sorridono, le danno il buongiorno e le rendono noto che può
fare con
calma, non c'è fretta, guarda pure e se ti piace qualcosa
comprala
che i prezzi sono più che accessibili, altrimenti pazienza,
ci
saranno altre occasioni. Non si disturbano tra loro, non chiedono
niente di nessuno a meno che non scorgano uno spiraglio. C'è
quieto
vivere, ciò che Rukia ama di più. Sorride
considerandosi fortunata
nell'aver scovato un portafogli bianco, finemente decorato, costa
poco, sì, lo prende. Allunga la mano per raggiungere il
futuro
acquisto e sovrasta il braccio di un'altra persona che sta per
afferrare un oggetto dalla parte opposta alla sua, una semplice
cintura nera con un altrettanto semplice fibbia a forma di teschio.
Istintivamente i due si guardano. Rukia è costretta ad
alzare il
capo per guardare in faccia lo sconosciuto dedito agli acquisti come
lei ma c'è una zazzera di capelli rosso sangue a coprire
parte del
volto, insieme ad una sciarpa blu che scopre appena degli orecchini.
Le labbra di quella persona si piegano subito in un sorriso cordiale
e con una voce giovanile le rivolgono la parola.
«
Sa, stavo giusto pensando di comprare anche il portafogli. »
Di
primo acchito si sarebbe scusata con lui e ceduto l'oggetto,
sentendosi quasi una ladra, ma la sua voce non serba rancore,
è
calda, pacata, socievole, sì. In quel giardino lo sono un
po' tutti,
basta desiderarlo.
«
Al contrario, io non avrei mai acquistato quella cintura. »
risponde
Rukia con un sorriso stretto.
«
Immaginavo. E poi non le donerebbe, ma credo che di questo ne sia
consapevole anche da sola. »
Lei
annuisce e porge il portafogli al commerciante, aspettando che glielo
impacchetti. Lui aspetta con calma il proprio turno, cintura alla
mano, e intanto pesca dalla tasca del giubbotto nero lungo fino alle
cosce un pacchetto da cui estrae una sigaretta. Se l'accende in tutta
calma e Rukia non smette per un attimo di osservare quell'azione
banale che fanno tutti i fumatori, ma è affascinata dalle
mani di
quel tale. Aveva letto su una rivista di cui non ricorda il titolo
che le mani possono essere classificate in quattro categorie, a
seconda dell'elemento, terra, fuoco, aria, acqua. Coglie l'occasione
per testare quella teoria e osserva le dita piuttosto lunghe, anche
se curve sullo zippo riesce a distinguerle bene, e i palmi sono
altrettanto grandi, forse qualche millimetro di più delle
dita. Le
unghie sono normali, curate, non v'è traccia alcuna di
scheggiature
di sorta, si nota subito che non se le mangiucchia e non sono troppo
lunghe. Nel complesso, sono piacevoli alla vista, attraenti,
qualità
rara nelle mani di un uomo, o almeno, di quelli che Rukia incontra
negli ultimi tempi. Delle belle mani, insomma. Che appartengano alla
tipologia del fuoco? Palmo grande e dita poco poco più
piccole,
potrebbe essere. Rukia non è sicura, non si sbilancia.
«
Ne vuole una? » fraintende gli sguardi di lei e con
ingenuità si
assicura di non essere stato scortese nei confronti di una signora,
ma lei scuote il capo.
«
La ringrazio, ma non fumo. »
Gli
consegnano il pacchetto contenente la cintura appena comprata ma non
si allontana dalla propria postazione. « Non mi pare di
averla mai
vista qui. »
«
Eppure vengo tutti i giorni. Anche se il discorso potrei rigirarlo a
lei. »
«
Bè, in fondo questo giardino è parecchio grande.
Anche io sono un
“cliente fisso”. » volge lo sguardo alle
spalle della ragazza,
schiocca la bocca, dà l'aria di essere investigativo. Ha
atteggiamenti, volendo esagerare, eccentrici. «
C'è molta
gente oggi attorno al registro. » nota.
«
Sì, ha ragione. Forse supera il centinaio di nomi.
»
Lui
sorride divertito. « Tra ieri e oggi sono stati scritti
più di
duecentotrenta nomi. La maggior parte sono falsi. »
«
Come fa a saperlo? »
«
Lo sfoglio sempre e si capisce a colpo d'occhio quali sono stati
creati ad arte. Forse lo capisco perché ne uso uno falso
anch'io,
seppur non per firmare là sopra. Non è mia
abitudine farlo. »
Il
suo chiacchierare, la sua voce calda, sciolta, per qualche strano
motivo le sa di già sentito. « Che coincidenza. Lo
stesso per me. »
«
Non scrivere sul registro o utilizzare un nome falso? »
«
Tutte e due le cose. Ma preferisco usare il termine “nome
d'arte”.
»
«
Che coincidenza. » il sorriso si allarga, si storce per
qualche
breve istante per poter trattenere la sigaretta e lasciar fuoriuscire
quell'alone di fumo che scompare subito nell'aria fredda di fine
novembre. « Lo stesso per me. »
Hortum
Septentriones, così si chiama il giardino. Se vuoi fare
incontri
fuori dall'ordinario o cercare qualcuno in particolare -non sai bene
nemmeno tu chi esattamente ma sicuramente c'è e la troverai-
è lì
che devi dirigerti e fermarti a parlare. Per com'è fatta,
Rukia non
scambierebbe due chiacchiere con un perfetto sconosciuto dai capelli
che ricordano il sangue, non a casa, non a lavoro, non in una strada
normale. No, fuori di lì no. Fuori da quel giardino ci sono
tante,
troppe cose a cui pensare e non c'è tempo per concedersi una
tranquilla, banale ricerca di ciò che si desidera. In
verità è
giunta ad un punto in cui non riesce nemmeno a capire cosa voglia
davvero. Se non andasse in quel giardino per ricordarsene,
probabilmente impazzirebbe. Anche se la ricerca è ardua, non
ha
ancora compreso, ma per fortuna non si stanca di cercare. Coglie
volentieri ogni segnale, e chissà che quella zazzera rossa
non la
aiuti in ciò che cerca la sua natura, quella forza
misteriosa che
vuole essere soddisfatta.
«
“Dopotutto cosa sono i nomi, se non lettere raggruppate per
formare
un concetto comune e non proprio?” » adesso la voce
di quel
ragazzo sembra distante ma fa scattare una molla in Rukia che
trasale, capisce, capisce perfettamente.
«
“E l'uomo, la rappresentazione stessa della
banalità, si aggrappa
a quelle astratte lettere riunite per non sentirsi del tutto
insignificante, affannandosi nella sabbia mobile da lui stesso
costruita. Così si disse Harriet, di fronte all'ennesima
distesa dei
nessuno”. » entrambi si guardano, sorpresi a
vicenda. Lui è
piacevolmente sorpreso, lei è
sì felice ma la sua
espressione non riesce a comunicarlo appieno. « Credevo di
essere
l'unica a conoscerlo a memoria. »
«
Questa cosa le fa onore. E se mi permette, le devo fare i miei
complimenti. La sua voce è carismatica, fantastica. Mi ha
permesso
di riconoscerla. »
Se
si fosse trovata accanto una certa persona si sarebbe vista costretta
a scappare a gambe levate. Ma adesso è sola, il suo agente
non c'è,
lei è con qualcuno che l'ha riconosciuta e non è
minimamente
spaventata da questo. Perché nel giardino della stella
polare non
puoi assolutamente avere paura, è matematicamente
impossibile. È il
punto di riferimento di cercatori come lei che si rivolgono al
quell'astro roteante aspettando di trovare, con occhi profondi e
lontani, il proprio complice, sia esso materiale o umano o
qualcos'altro che solo la natura che muove l'essere umano conosce.
«
Lei sa chi sono? »
«
Non vorrei sbagliarmi, ma lei somiglia molto all'attrice Mai
Shirafune. »
«
È un nome d'arte. » Rukia sorride. Non ha mai
incontrato nessuno
che scavasse nella sua persona con così tanta naturalezza,
senza
risultare troppo sconveniente, sicuro di sé, favorito da
quella
stella che gira, gira, gira.
«
Molto bello. Ho visto tutti i suoi film, possiede una
capacità
interpretativa straordinaria. Personalmente trovo che abbia raggiunto
il suo massimo con il ruolo di Kirio in “Eternal
Madness”. Senza
nulla togliere a tutti gli altri ruoli, ovviamente. »
«
Grazie... » è la prima volta che si sente dire un
complimento
diverso dai consueti “sei fantastica”,
“eccezionale”, nemmeno
i critici delle più importanti riviste cinematografiche sono
mai
riusciti a trovarle un ruolo in cui fosse spiccata particolarmente.
L'hanno definita “poliedrica, espressiva, in grado di
interpretare
qualsiasi ruolo le venga affidato, riesce ad esaltare anche il minimo
particolare che rende ogni suo personaggio memorabile”.
Naturalmente le faceva piacere, per un'attrice era la cosa
più
auspicabile ma non sentiva il “merito” totalmente
suo, né dei
corsi di recitazione che la portavano a stare sveglia fino alle
quattro del mattino. In sintesi, era la sua natura,
che le ordinava di essere tutto e niente. “Non puoi fare
questo?
Allora sarà il tuo personaggio a farlo”.
Poteva
vedere in questa scelta di intraprendere la carriera cinematografica
la voglia di fare una vita da diva, certo, era una scusa che
accontentava tutti, a chi non piacerebbe. Ma la sua natura, che non
poteva controllare od opporcisi in alcun modo, reclamava altro.
Voleva altre vite,
fugaci, che non avrebbe tenuto per sempre ma tanto meglio, se no sai
che noia, e facevano sbandare Rukia di qua e di là, come una
trottola impazzita, interpretando prima la ragazza della porta
accanto che fa innamorare lo sventurato protagonista di turno, poi
un'assassina, una detective, una regina, una studentessa con gli
occhiali a fondo di bottiglia, una dark lady, una donna qualunque
purché non fosse lei.
La sua natura era affamata di tutto e mangiava velocemente,
reclamando ogni giorno cose diverse e arrivando a farle venire il
dubbio. “Quale personaggio desidera entrare in questo
giardino?”
ma poi Rukia scuoteva il capo e si ricredeva. Almeno un lusso la sua
natura glielo concedeva. Di andare lì dentro con le sue
gambe,
lasciandole quel che
rimaneva del proprio io per non impazzire in mezzo a tante
sconosciute di cui aveva assunto il ruolo.
«
In effetti non dovrebbe sorprendermi che un'ottima attrice come lei
riesca a ricordare così bene le parole di un libro. Per lei
sarà
come leggere un copione, giusto? »
«
Più o meno. Diciamo che quando leggo qualcosa che mi piace,
vorrei
che fosse un copione, avere un ruolo in quella storia. Ci sono molti
libri che meriterebbero una trasposizione cinematografica. »
«
Non ha tutti i torti. »
«
“Perché in quella fatiscente sala da cinema di
cento posti solo
Harriet piangeva senza ritegno? È una domanda che nessuno si
pose,
poiché nessuno badò a lei, celata nel semibuio
del cinema. Lei non
esisteva per gli altri spettatori e coloro che lei avrebbe definito
degli stolti non avevano alcuna importanza, non di fronte alla
bellezza suprema dell'arte”. »
Lui
sorride, si allontana di qualche passo per raggiungere un posacenere
-non avrebbe mai deturpato quello splendido giardino con un
mozzicone- e si volta ammirato, la segue senza timore, la sua natura
d'improvviso è come impazzita. « “Cosa
potevano capire loro dello
splendore costituito dall'unione di lettura, musica, suggestione,
quale opera poteva sollecitare i cinque sensi se non il cinema? E lei
lo avvertiva, sentiva nell'aria il profumo di quella bellezza
suprema, si leccò le labbra constatando come avesse un
sapore
agrodolce, come le lacrime che solcavano il viso, le gonfiavano gli
occhi ammaliati da quel miraggio, perché di questo doveva
trattarsi,
miraggio che cantava, così soave, trascinandola nel baratro
come
farebbe una sirena. E fu quando Harriet avvertì anche i
brividi
lungo le braccia che comprese quanto la bellezza fosse terrificante,
insopprimibile”. »
Rukia
non si trova in un set cinematografico, non sta lavorando, è
un
giorno di riposo come un altro in un luogo che rende le cose
più
paradossali delle ordinarie amministrazioni. È stato proprio
come
recitare, e senza che nessuno glielo abbia imposto, perché
lo voleva
lei, la sua natura, soddisfare quella voglia di poter fare una
propria trasposizione di quel che voleva lei. E aveva i brividi,
trattenuti a stento nel cappotto e nei jeans, manifestazioni del suo
io, istinto, inconscio, come lo si vuole chiamare, della sua frenesia
di fronte ad un caso che, per fortuna o no, è capitato a lei.
«
Ma lei è... Deak? »
«
Così mi firmo sui libri. Non solo gli attori usano nomi
d'arte, no?
» i suoi sorrisi, man mano che il discorso continua, si fanno
più
audaci e accattivanti, la zazzera rossa di capelli si muove ad ogni
cenno del capo e lasciano intravvedere la benda nera che non deturpa
il suo viso, come se fosse un comunissimo accessorio, non lo rende
per niente un disabile, un “meno dotato rispetto agli
altri”. E
l'altro occhio scoperto non mostra alcun segno di affaticamento,
anche se svolge il gravoso compito di lavorare per due.
«
È un onore che una persona come lei abbia visto i film in
cui ho
recitato. »
«
Semmai sono io a dovermi sentire lusingato. »
«
“Harriet” è il mio libro preferito.
»
«
Davvero? Lo terrò a mente. Chissà, forse ne
faranno un film. »
«
Le piacerebbe? »
«
Solo sei lei avesse la parte di Harriet. »
«
Ma è bionda. »
«
In “La memoria bussa tre volte” aveva i capelli
castani se non
ricordo male, non vedo perché non dovrebbe diventare bionda.
Però,
se mi consente, la preferisco mora com'è adesso. »
Deak, non è il
suo vero nome. Rukia è tentata di chiedere quale sia il suo
nome ma
si trova nell'Hortum Septentriones, mica in un viale qualunque, e
lì
ci sono delle regole da rispettare, implicite o meno. La più
importante è scritta sul manifesto all'entrata, recita
“nessuno
qui è obbligato a dire il vero nome”
e dopotutto nemmeno lei gli ha rivelato il suo, è giusto
così. Fa
parte di quelle regole che la fanno sentire a proprio agio, protetta
dal mondo circostante.
Deak,
conoscerlo di persona è stato l'avvenimento più
bizzarro ma le
lascia una piacevole sensazione addosso. Si tratta di incontrare per
puro caso un artista che si addentra in quel viale magari con gli
stessi pensieri che ha lei. Non ha mai contemplato l'idea di poterlo
incontrare, questo passare da un estremo all'altro un po' la spiazza
ma non si può lamentare. È un po' diverso da come
lo immaginava,
molto meno “cupo”. E di certo lo pensava
più anziano, con mani
rugose e unghie trascurate, mica quelle che gli vedeva addosso,
così
piacevoli alla vista. A occhio e croce, poi, deve avere vent'anni o
poco più.
Lui
guarda affascinato l'orologio, la stella polare che gira, gira, gira,
scandisce il tempo, gli fa rendere conto che è rimasto
più del
dovuto con quella donna, gli capita di rado, specie con le donne di
solito ha incontri abbastanza fugaci ma non importa, non gli
dispiace.
«
Temo di averle fatto perdere tempo. »
«
Si figuri. Qui è impossibile perdere tempo. »
«
Già, ha ragione. »
«
Però, mi dispiace ma... » Rukia afferra il
cellulare, poi si gira e
guarda anche lei la stella che segna l'ora, come se non si fidasse
del proprio telefono. « Devo andare. Il lavoro, sa...
»
«
Certo, capisco. Allora buon lavoro. »
«
Anche a lei. Spero di rivederla presto. »
«
Oh, tanto mi trova sempre qua, se non sono a casa a scrivere.
» si
sorridono ancora una volta, lei prende la propria strada e fa per
uscire, lasciandolo là. Non si volta per vederlo, non deve
assicurarsi di nulla. Sa bene che lo troverà in quel
giardino, che
solo all'apparenza è come gli altri, in realtà
raccoglie anime,
nature che girano, girano, girano, cercatori, tutti complici tra
loro, tutti in cerca di un contatto, quale esattamente non si sa, ma
quando avvertiranno quel brivido
lo capiranno e non importa quanto ci vorrà, lo sguardo
sarà sempre
ottimista, almeno lì dentro, perché lì
è sicuro che troverai ciò
che cerchi. Perché lo crei tu.
Rukia
torna a nascondersi nella sciarpa mentre, davanti ai cancelli,
sorpassa un'eccentrica figura dallo sguardo felino color cielo,
capelli sparati in ogni direzione dello stesso colore, accompagnato
da un'altra persona ben mimetizzata tra cappotto scuro, cappello e
sciarpa. Forse sono degli ignari che si sono persi e sono capitati
lì
per caso. Oppure, con più probabilità, sono
cercatori, come lei,
che puntano decisi a nord, verso la stella.
|
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Capitolo 3 *** Due. Lo diceva anche Louis Armstrong ***
Angolino:
eccoci qui
con il secondo
capitolo. I nuovi personaggi introdotti sono: Grimmjow, Ichigo,
Shinji, Kanda e Tyki. Sia per Shinji che per Kanda ci sarà
occasione
di approfondire la loro psicologia, speriamo di riuscirci bene! A
quanto pare la mia cattiveria stavolta si è riversata su
Ichigo.
Insomma, lui diventa shinigami perché per fortuna o per
sfiga vede i
fantasmi, no? Allora mi sono detta “potrei sfruttare questa
cosa”
e mi sono documentata su un po' di malattie. Alla fine la scelta
è
ricaduta su quello che leggerete, spero che vi piaccia! In fondo a
modo suo lo rende affascinante, no? -risatina- Per quanto riguarda
Lavi, il rapporto che andrà crearsi con Rukia in questa fan
fiction
sarà un po' strano, molto particolare. Anche se non saprei
spiegarlo
bene, ah ah...
Piccola
nota: milleseicento yen equivalgono a circa sedici euro, mentre
milletrecento yen a trentacinque euro circa.
Voglio
ringraziare di cuore per le recensioni, stupende, lasciate da
matechan, zombiecch, M e g a m i e
KayeJ, grazie
infinite! Ringrazio di cuore matechan e
Haily per aver
inserito la fan fiction tra le preferite! E ringrazio infinitamente
KayeJ, S h a i l a e
zombiecch per averla
inserita nelle seguite! Approfitto per ringraziare Deeryl e KayeJ per avermi recentemente aggiunta tra gli autori preferiti! Grazie davvero! Spero che questa storia piaccia sempre di
più, aspetto con ansia i commenti di tutti!
Hortum
Septentriones
Due
Lo
diceva anche Louis Armstrong
«
Questo è un giardino, di come se ne trovano in qualunque
viale.
Ogni
giorno uomini e donne organizzano un mercato, di come se ne trovano
in qualunque viale.
Ogni
giorno uomini e donne passeggiano in questo giardino, di come se ne
incontrano in qualunque viale.
Ogni
giorno qualcuno si perde e arriva qui, oppure ci viene di sua
spontanea volontà.
Questo
giardino è una casa. Per chi? Voi che venite lo sapete.
Per
chiunque è alla ricerca. Di cosa? Voi che venite lo sapete.
Per
chiunque.
Hortum
septentriones »
«
Nessuno chiederà informazioni su di te, a meno che la tua
natura non
lo voglia.
Tutto
ciò che accade nel giardino resta nel giardino.
Nessuno
è obbligato a rivelare il proprio nome.
Non
è necessario sapere esattamente cosa si sta cercando.
Qualunque
cosa sia, qui la si troverà.
Sicuramente.
»
Molte
persone si mostrano refrattarie di fronte ai mesi fra ottobre e
febbraio. In particolare novembre, è un mese che raramente
riscuote
simpatia. È l'ultimo mese dell'autunno, il più
freddo della
stagione, non è altro che l'anticipazione dell'inverno,
paragonabile
ad un presagio di morte, gelo. Poeti e scrittori lo
descrivono
come il mese più triste, forse perché comincia il
letargo, anche
per l'uomo che è pur sempre un animale, anche se evoluto.
A
Grimmjow però non importa. Per lui la parola
“letargo” non
esiste sul vocabolario, “è per gli sfigati
perditempo”. Non
concepisce l'idea che qualcuno possa ritirarsi per un po' di freddo o
qualche foglia che cade. A lui piace anche quell'atmosfera, il fatto
che alle cinque del pomeriggio sia già buio. Novembre non
gli può
certo impedire di incamminarsi verso l'Hortum Septentriones, e
nemmeno dicembre lo può frenare, neanche la pioggia, la
neve, il
traffico, i malumori che spingerebbero qualsiasi persona a rintanarsi
nel letto caldo e aspettare, come un impotente, che tutto passi. No,
le cose per Grimmjow vanno affrontate di petto, la sua natura
detta così, nella fiduciosa convinzione della
teoria riguardante
la legge del più forte. A conti fatti, l'uomo non
è altro che un
animale più evoluto -anche se su questo punto avrebbe
parecchie cose
da ridire- e non può ribellarsi alla legge suprema della
natura.
Influisce su tutti quanti, l'istinto è il re assoluto e
coloro i
quali non riescono ad accettarlo utilizzano scappatoie vigliacche
come l'andare in letargo, con la copertina magari. Grimmjow non
è
così, lui l'istinto lo ha accolto a braccia aperte e trova
che sia
stupendo muoversi secondo i suoi desideri. Si sente vivo e
realizzato. Aveva sempre creduto che sarebbe stato impossibile
provare un piacere simile da qualche altra parte, ma quel giardino
era diventato presto l'eccezione che confermava la regola.
Probabilmente perché anche quella stella si muove grazie
alla forza
dell'istinto, della natura, regnante supremo di ogni cosa. Non
è un
castello, ha l'aria di un giardino come un altro, ma Grimmjow
lì
dentro si sente comunque un re e non può fare a meno di
andarci ogni
volta che può, restandoci anche una notte intera.
Stavolta
è venuto in compagnia, una sagoma diffidente e ben coperta,
i
capelli di uno scintillante arancione si scorgono appena ma
è il suo
sguardo, corrucciato, dubbioso che cattura l'attenzione di qualcuno
perché si vede che è la prima volta che quegli
occhi vedono il
giardino. Gli è stato assicurato che non si
pentirà di esserci
venuto ma a lui sembra un banale mercato, che perdita di tempo,
avrebbe fatto meglio a starsene a casa e invece no, alla fine aveva
detto di sì, accidenti a lui che è
così arrendevole certe volte,
non lo vorrebbe ma chissà perché a volte succede.
Non
si separa troppo da Grimmjow che cammina a passo sicuro, mani
insaccate nel giubbotto di pelle, sembra sapere esattamente dove
dirigersi. Non si ferma neanche un secondo ad ammirare qualche
oggetto in vendita o ad invitare a bere il proprio compagno, sembra
avere fretta nonostante lì le cose si possano fare in tutta
calma.
Ma non può farci nulla, lui agisce di pancia. Volendo essere
più
corretti, trova che quel modo di agire sia l'unico sensato. Trova
inutile spaccarsi la testa su cose che non si riuscirebbero a
comprendere nemmeno dopo cent'anni, men che meno straziarsi il cuore,
per cosa poi, piccolezze. Tutto si digerisce, per alcune cose ci
vuole un po' di tempo ma ci si riesce alla fine. Lo diceva anche
Louis Armstrong. “Se prendi la vita come viene, non
solo stai
meglio ma sei anche più felice”. Ecco,
pensare a quel
musicista gli ricorda chi sta cercando, c'è voluto poco ma
di questo
non è sorpreso, dopotutto si trova all'Hortum Septentriones.
Chiunque abbia creato quel poco è un genio, secondo lui. Un
uomo che
agisce di pancia, esattamente come lui, un suo simile, uno che
accetta la natura e magari la coccola con amore come fa lui,
assecondandola come può. Gli fa piacere constatare di non
essere il
solo a trovare in quella semplice filosofia di vita la perfezione, il
benessere, la vita stessa che Grimmjow ama dal più profondo
del
proprio io e lo investe in pieno, ma allo stesso tempo gli fa sentire
una specie di buco allo stomaco che deve essere riempito, non importa
come, fallo e basta, Grimmjow. È un vuoto dal sapore dolce e
lo fa
muovere secondo i propri desideri, lui che si sente un re in quello
spazio.
Prosegue
ancora per un po', Ichigo al proprio fianco, fino a giungere ad una
bancarella che conosce bene perché è tra le
più piccole che ci
siano in circolazione. E poi lì è dove incontra
spesso un tipo che
molti troverebbero strano, démodé. Lui invece lo
trova simpatico e
notevolmente più sveglio di diverse persone. E quel gusto
retrò che
emana fa parte di lui, lo ha accettato volentieri, lo diverte,
addirittura lo affascina. E poi, ha sempre dei bei pensierini per
lui. Non può non trovarlo simpatico.
«
Ehi, Grimmjow. » sorride cordiale, con uno sguardo a tratti
malizioso, il movimento della sua bocca permette per un piccolo
momento di vedere uno sfavillante piercing sulla lingua. «
Oggi sei venuto prima del solito, eh. »
«
Fortuna che tu stai sempre qua. » il sorriso del ragazzo
biondo di
fronte a lui viene ricambiato con sincerità, sorriso che
viene
subito sostituito da uno sguardo interrogativo, notando la chioma
arancione accanto all'amico.
«
Con chi ho il piacere? »
«
Si chiama Ichigo, è la prima volta che viene qui. Ti ho
già parlato
di lui, ricordi? Per quel problema... è per lui che prendo
la roba.
»
«
Oh, ma certo. Affari anche oggi? »
Fanno
un discorso facilmente fraintendibile, ma non c'è nulla di
male in
ciò che dicono. Grimmjow non è uno spacciatore,
né un drogato.
Escludendo la canapa con la quale era entrato in contatto alle
superiori -e c'è da precisare che fu in rarissimi casi, non
trovandola poi granché- non aveva mai toccato altro in vita
sua, né
si era concesso totalmente all'alcol od a qualche altra porcheria.
Niente di tutto questo sarebbe servito a riempire quel buco allo
stomaco che lo tormentava con un'insistenza irresistibile, come una
ragazza bellissima che ti fa le moine. Inoltre lui in discorsi simili
non ci vuole nemmeno entrare, non sono affari suoi. Purché
Ichigo
non ci si metta in mezzo, ma su quel punto può stare
tranquillo.
Anche lui è intelligente, sa tenersene alla larga. E in ogni
caso,
ciò di cui ha bisogno quel ragazzo è un farmaco,
e non di quelli
che si trovano in tutte le farmacie. Sono poche le medicine al mondo
in grado di contenere la sua porfiria, un termine che risulta
sconosciuto, fa storcere il naso, allora per essere più
chiari tanto
vale usare il termine “vampirismo”. No, Ichigo non
è un vampiro.
La sua è una malattia del sangue ereditaria -sembra che sua
madre,
deceduta prematuramente, fosse affetta dalla stessa malattia, ma non
per questo le serba rancore- che gli ha portato una grave anemia,
un'intolleranza ai raggi ultravioletti, l'alterazione degli enzimi
che hanno dato vita a canini poco più acuminati degli altri.
Niente
a che vedere coi mostri che animano leggende e racconti dell'orrore,
lui è un essere umano un po' più sfortunato degli
altri che ha
bisogno di un raro, nonché costosissimo, farmaco per placare
quella
natura non desiderata e fargli venire ustioni su tutto il corpo per
essersi esposto ai raggi UV, evitare nausee, vomiti e tutto
ciò che
la porfiria porta. Ichigo passa ogni secondo della sua vita in
compagnia di un ospite indesiderato, solo in questo si sente un po'
un vampiro da romanzo, magari il buono della situazione che non
riesce ad accettare la nuova condizione, la propria natura.
Per Ichigo è difficile perché si sente limitato.
A lui non
dispiacerebbe, ad esempio, andare al mare, non mettersi la crema
solare e stare sotto il sole per tutto il pomeriggio senza temere
insolite ustioni, e soprattutto, una banale, piatta, tranquilla vita
umana. La porfiria è una malattia particolare e pochi sanno
che
influisce non poco anche sul sistema nervoso. L'esempio lampante
risiede nel fatto che Ichigo non si rende conto realmente di
ciò che
accade intorno a lui, non riesce a distinguere la realtà
dall'immaginazione o forse, nel suo caso, è più
corretto dire
allucinazione. Lui vede cose che preferirebbe non vedere, sin da
bambino. Grimmjow spesso lo ha sorpreso a parlare al muro o al vuoto,
si è sentito innumerevoli volte in imbarazzo quando doveva
rispondergli che no, non c'era nessuno accanto a lui. Quel ragazzo ha
le allucinazioni dovute alla porfiria e non se ne rende conto,
perché
la sua natura è in uno stato talmente confusionale che non
è
nemmeno paragonabile ad una trottola che si limita a reclamare un po'
di soddisfazione. La coscienza, o io, di Ichigo fa vivere quel
ragazzo con una cosa di cui si potrebbe volentieri fare a meno. La
natura, a volte, è davvero mostruosa. Per questo Grimmjow
non riesce
a staccargli gli occhi di dosso un momento, sia per le visioni che
possono capitare in ogni momento e allora vai a sapere cosa potrebbe
combinare -non è certo un ritardato ma l'esperienza l'ha
portato a
far capire che le sue allucinazioni non sono da sottovalutare- e poi
gli fa una gran pena. È un sentimento che lui non vorrebbe
provare
ed è l'unico momento in cui litiga con il proprio essere.
Non
vorrebbe provare autentica pietà, in fondo non è
affar suo ed una
questione simile non dovrebbe riguardarlo. Ma la sua natura parla
diversamente e lei governa perfino lui che si sente un re. Gli impone
di aiutarlo, di stargli accanto, di andare da Shinji, questo tipo
biondo particolare, a prendere quel famoso medicinale a prezzi
più
convenienti, non è spaccio né contrabbando,
cioè, forse un po' lo
è, ma è solo un gesto folle di una natura che per
sentirsi
soddisfatta vuole improvvisarsi salvatore
di
quel povero ragazzo. Una cosa, se vogliamo, meschina. Eppure Grimmjow
non riesce ad opporcisi. Vuole pensare che ciò che sta
facendo per
lui sia dettato da un più irreale senso di amicizia,
affetto. Vuole
pensare che la sua natura sia molto più umana di quanto non
sembri,
che per una volta ignori la legge del più forte. Ma
è ancora nel
dubbio, e di certo non troverà una risposta scavando in
quell'io
alquanto arrogante. Può soltanto obbedire, con qualsiasi
mezzo.
Shinji
per fortuna è un amico, lo aiuta come può.
Nessuno sa come faccia
ma ha contatti ovunque e per lui è più semplice
procurarsi “la
roba”. Forse quel suo modo di fare
démodé, sempre in giacca e
cravatta e in vena di canticchiare motivetti jazz, gli
facilità i
metodi di persuasione, chissà.
«
Quante ne hai? » chiede Grimmjow, attento a non farsi vedere,
anche
se non sta facendo niente di male, in fondo, e poi si trova in un
posto quale l'Hortum Septentriones, grazie a Dio c'è, che
gli
permette di trovare ciò che cerca senza preoccuparsi troppo
delle
conseguenze delle proprie azioni.
«
Due confezioni da sei. Ti basteranno per due mesi. »
«
Quant'è? »
«
Facciamo milleseicento yen. »
«
Giuro che mi sdebiterò in qualche modo. » gli
è grato dal
profondo, grazie a Shinji, Grimmjow può soddisfare la sua
natura a
prezzi scontatissimi, considerando che quella roba, oltre ad essere
introvabile, di norma costa intorno ai tremilacinquecento yen a
confezione. Grazie a Shinji, che è un vero amico di come non
capitano più, il suo orgoglio, ecco, possiamo chiamarlo
anche così,
non si sentirà un totale ribrezzo per non aver aiutato
Ichigo. Quel
ragazzo ha bisogno d'aiuto e Grimmjow, o meglio, il suo orgoglio, la
sua natura,
ha bisogno di sentirsi indispensabile per qualcuno così,
anche se
per poco magari, il buco allo stomaco si chiude. È proprio
vero, la
natura a volte è davvero ingiusta.
Porge
la scatola al compagno ma Ichigo mantiene le braccia incrociate.
Anzi, a dire il vero, non lo degna di grande attenzione, è
voltato
dall'altra parte e digrigna al vuoto che cosa vuole da lui con un
linguaggio non proprio educato. Prima ancora che Shinji possa dire
qualcosa, Grimmjow lo avverte del fatto che non ce l'ha con lui.
«
Vede i fantasmi. » gli dice. Usare la frase “ha le
allucinazioni”
potrebbe indisporre Ichigo, che non riesce nemmeno a distinguere cosa
sia reale e cosa non lo sia. Shinji però annuisce con un
sorriso,
non è sorpreso, conosce la malattia e sa dunque come porsi.
In un
certo senso è anche affascinato. Lui ama osservare chi
è così
diverso da lui, lo trova addirittura molto più umano di
molte
persone. È ammirevole il fatto che abbia il coraggio di
uscire di
casa, parlare al vento e continuare a comportarsi come se nulla
fosse. Non che desideri una vita come quella, non sia mai, ma ammira
chi trova il modo di conviverci. Forse lui non ce la farebbe mai,
aggiunge per cautela la parola “forse”
perché si sa, non si può
mai sapere e la natura può giocare sempre brutti scherzi e
convincere a fare anche cose che non si vorrebbero fare. Il che
è
paradossale: in quanto natura, ti porterà a fare sempre
quello
che vuoi
nel profondo, anche se all'apparenza non vuoi, non riesci ad
ammetterlo.
«
Dato che ci siamo, perché non ci facciamo un giro?
» l'amico biondo
indica la bancarella dietro di lui. È una delle sue
preferite,
nonché particolari, sia per gli articoli venduti, che per la
gestione. C'è un solo ragazzo e fa tutto con calma, anzi, se
gli si
mette fretta si irrita. In una strada normale non riuscirebbe a
vendere un'inezia, ma nell'Hortum Septentriones è invece
apprezzato
da molti proprio per quell'inclinazione che contrasta perfettamente
con ciò che vende. Shinji trova che sia il banchetto
più bello, non
può fare a meno di starlo a guardare per minuti, anche ore
se fosse
per lui. Quelle statuette di vetro sono tra le cose più
belle che
abbia mai visto e sono tutte fatte a mano, è questa la cosa
che lo
colpisce, riuscire ad intravvedere ciò che sente quel
ragazzo
taciturno. Solamente un'occhiata veloce, senza rivelarsi troppo,
persino in quell'ambiente nel quale in teoria si poteva svelare di
tutto, quel ragazzo giovane, dai tratti delicati, rimaneva in bilico,
senza curarsi troppo degli altri. Emana un'aria strana senza dubbio.
Uno dei motivi per cui Shinji ci si avvicinava. Impiccione,
sì,
probabile. All'Hortum Septentriones però, semplicemente un
cercatore
di cosa ancora non lo sa con esattezza.
«
Buongiorno, Kanda. Bella giornata, vero? »
«
Tsk. » risponde sempre così Kanda, sorride
raramente e non è
propenso a dilungarsi in conversazioni futili con chicchessia. Sembra
che a lui interessi solo fare piccole sculture di vetro e venderle,
non è dato sapere cosa gli passi per la testa eccezion fatta
per la
necessità di guadagnare qualcosa. Condotta questa che
può
facilmente far innervosire chiunque, ma basta cambiare il punto di
vista e in un attimo Kanda diventa la persona più discreta
che si
possa incontrare. Usando altri termini, “sa farsi gli affari
propri”, qualità rara. Il perché si
trovi in quel giardino, però,
con il carattere che ha, rimane un mistero. Che affascina molti,
indubbiamente.
Kanda
non mostra alcun cenno di sorpresa nel vedere Ichigo che si guarda
attorno stizzito, con al fianco Grimmjow che gli raccomanda di non
allontanarsi. Non sopporta essere trattato così, specie da
quell'avventato. Non è un ragazzino, è ben
cosciente della sua
condizione, sa badare a sé stesso e sa anche districarsi da
solo di
ogni eventuale impedimento, come quelle persone che ogni tanto
compaiono accanto a lui e gli parlano di cose incomprensibili, non lo
lasciano stare un secondo, chiedono aiuto per qualcosa che non
comprende, non c'è pace nemmeno in quel giardino. Vuole fare
altro,
Ichigo, lì ci sono tante bancarelle, bar, è come
se il mondo fosse
nelle sue mani, può distrarsi in qualche modo.
Tale
diversivo si presenta subito, non ci sperava, ma eccolo lì,
poco
lontano. E d'improvviso lui, che voleva fare qualcos'altro piuttosto
che restare incollato a Grimmjow, non riesce a muoversi, nemmeno a
parlare. C'è una donna, una sua coetanea a prima vista, che
fa
compere con un sorriso ingenuo a poca distanza da lui. Presa
com'è
dagli acquisti non può notarlo, non lui, che cerca di
coprirsi bene
dai raggi del sole fino al collo. Ha dei capelli così lunghi
ed è
appagante osservarne i riflessi che mutano ad ogni movimento. E non
ha una sola cosa fuori posto, è modesta, ordinata, non le
interessa
mettersi in mostra, rivolge sorrisi a chiunque la fermi, anche se
magari non lo conosce, sembra felice e per Ichigo è come se
riuscisse a respirare quella freschezza, è buona, molto
meglio dei
farmaci che usa prendere per quella dannata malattia. Vorrebbe
avvicinarsi a lei, chiederle il nome e come sta, se può
offrirle
qualcosa. Ma non ci riesce, è bloccato nel senso
più stretto del
termine. Ichigo odia profondamente la sua natura che fa sempre tutto
tranne quello che vuole lui e si impone con la forza, o fai
così o
ti faccio stare male sul serio, e può farlo in qualsiasi
momento.
Perché sia capitata proprio a lui questa sciagura
è una domanda
senza replica che accentua la frustrazione. La sua natura vuole
vederlo inginocchiato, farlo cedere. Ma lui non è fesso e
soprattutto è forte. Può resistere. Anche se non
in quel caso. Per
stavolta batte in ritirata ma la guerra con se stesso non è
finita,
piuttosto riesce a ricavarne qualcosa di buono con cui leccarsi
meglio le ferite dovute a quell'occasione persa ed alla ragazza che
va via, per la sua strada, senza rivolgere lo sguardo neppure una
volta nella sua direzione. Grimmjow diceva che lì qualunque
cosa
cerchi la troverai. Anche Ichigo l'ha trovato, seppur non fosse
conscio di ciò che cercava. Arrivare a pensare che la natura
avesse
architettato tutto gli pare esagerato in un primo momento ma,
effettivamente, non è del tutto impossibile. Un minimo di
pietà
deve pur averla. Così gli ha reso noto, al pari di un
fulmine a ciel
sereno, cosa vuole davvero e che lì, in quel giardino,
può
trovarlo. Natura ingiusta, sì. Ma come si suol dire, non
tutti i
mali vengono per nuocere.
«
Grimmjow. » gli si rivolge con voce decisa e accenna un
sorriso
carico di ottimismo e di vitalità rinnovata. Purtroppo non
serve a
fargli riacquistare colore alle guance, il pallore dovuto all'anemia
ormai lo piega, ma è raro vederlo comunque così
sereno, lui che ha
sempre un'espressione corrucciata. «
Voglio tornare qui domani. E comprare una statuetta di vetro.
» dice
così perché se non si fossero dilungati a parlare
lì davanti con
Shinji, lui non avrebbe mai avuto modo di osservarla con
così tanta
tranquillità. Quel posto è davvero speciale come
dicono. E poi,
quelle statuette sono davvero belle, ci ripensa su e non gli
dispiacerebbe davvero averne una. Oppure comprarne due, così
una la
tiene per sé e l'altra la regala a quella ragazza dal viso
gentile,
il volto di chi non si spaventerebbe nel vederlo, scambiandolo per un
banale vampiro. La faccia di chi lo tratterebbe come sua pari, senza
offese e battute. Una persona con quel viso non potrebbe mai farlo.
~
Ore 12.15 ~
A
Lavi piace scrivere davanti alla finestra aperta, con accanto un
orologio da taschino. È un oggetto tramandato da generazioni
all'interno della sua famiglia a cui non si può rinunciare.
È stato
testimone di ogni tipo d'evento, ha assistito a matrimoni, nascite,
litigi, segreti, guerre, confidenze, ed è stato accanto al
proprio
possessore fino all'ultimo, scandendone con precisione maniacale gli
ultimi secondi di vita. Anche lui non verrà risparmiato da
questa
tradizione e ne è felice. Quel ticchettio leggero lo
accompagna con
dolcezza durante il lavoro, pensarlo accanto anche alla morte lo
rasserena. Gli piace l'idea di morire accanto ad una cosa che, per
quanti anni passeranno, non cambierà mai. È il
fascino esercitato
dalle cose immutabili, condizione che l'uomo non raggiungerà
mai.
Non
manca mai nemmeno il bicchiere di vetro ricolmo di caffè,
fino
all'orlo. Non si prende molta cura di servirsi su graziosi tazzine,
né di risparmiare il corpo dalla caffeina. No, sarebbe come
rinunciare ad andare all'Hortun Septentriones, o lasciarsi scappare
una sensuale danza condotta da una splendida donna, facendo
dimenticare così tutti i dispiaceri.
Inoltre
Lavi non ha mai occasione di svuotare in tutta calma quel
caffè del
tutto privo di zucchero. Non c'è un'ora precisa per cui
può tirare
un sospiro di sollievo e concedersi un intero bicchiere. Il motivo
è
presto detto, con un suono al campanello seguito da un sospiro, una
stiracchiata, delle mani che afferrano il primo cardigan pescato dal
confusionario cassetto, miracolo che riesca a trovare qualcosa in
quel caos. Non ha mai tempo di riordinare, dice. E poi quello non
è
disordine. È soltanto il suo mondo, la sua natura lo
manifesta così.
Piena di cose che girano, girano e girano.
Apre
la porta e non si sorprende nel trovarsi davanti un uomo ben vestito
e sorridente. Entra subito in casa senza chiedere il permesso ed
è
l'unico che non sgrida lo scrittore per il disordine, al contrario.
Piace anche a lui. Hanno in realtà diverse cose in comune,
il fatto
che sia il suo editore forse non è un caso.
«
Sono passato anche stamattina ma non c'eri. » gli dice senza
rancore.
«
Ero in giro. Cosa c'è? »
«
Oh, caffè! » si appropria del bicchiere senza
rimorsi e beve, tutto
quanto. Inutile ribadire che è roba che non gli appartiene,
Lavi si
è rassegnato all'idea che dovrà farsene un altro.
Nota che l'altro
braccio del proprio editore è occupato da quelli che
sembrano
manoscritti. Altro lavoro, suppone, ma si sbaglia.
«
Sono venuto a chiederti come vanno le recensioni per
“Kichiro”. »
«
Ne ho pronte tre e ho quasi finito l'ultima. » risponde con
svogliatezza, guardando dalla finestra. Lavi è un uomo che
non
riesce a stare fermo tanto a lungo, sia in senso fisico che
cerebrale. Volendo fare diversi esempi, in camera ha anche un sacco
che di tanto in tanto prende a pugni e qualche peso per tenersi
allenato. In alternativa cammina, cammina, quasi sempre arriva in un
certo giardino, ma sono dettagli trascurabili. Fare lo scrittore gli
piace, assolutamente, ma tra una cosa e l'altra si occupa anche di
fare recensioni riguardo nuovi libri in uscita o consulenza per gli
esordienti su riviste come quella citata prima dall'editore. Si
occupa volentieri di fare ricerche approfondite sul campo letterario
o storico o filosofico o di qualsiasi altra cosa per una consulenza
per qualche libero professionista, gli è anche stato offerto
di
occuparsi dell'editoriale di un'altra prestigiosa rivista ma
è
ancora in trattative e di questo ne dovrebbe discutere più
approfonditamente con il proprio editor. E riesce comunque a scrivere
i suoi libri che vendono, piacciono. È perché lui
non riesce a
stare fermo un attimo. La sua natura è insaziabile, ha fame,
se non
fa qualcosa immediatamente per calmarla finirà per divorarlo
dall'interno. Ma è un'ansia, quella che gli procura,
piacevole,
estasiante. È bello essere vivi, si dice spesso. Anche se
manca
sempre qualcosa, ma è questo il bello, affannarsi a cercarla
e non
stancarsi mai, non stare mai fermi.
«
Allora prendo le tre che hai fatto e l'altra me la dai con calma. Ti
ricordo che la prossima settimana ci sarà la festa per
l'anniversario della casa editrice, vedi di esserci. »
«
Con un regalino? »
«
Uno smocking andrà più che bene, guercino.
» gli risponde con uno
sguardo ammiccante. « Poi
parleremo di qualche idea per il tuo prossimo libro. Se hai
già in
mente qualcosa e riesci a svilupparla velocemente, possiamo
pubblicarla già per la prossima primavera. »
«
È il tuo modo gentile per ordinarmi di sbrigarmi, Tyki?
»
«
Va bene, va bene, ne parleremo. Allora io vado. »
«
Sì, grazie per essere venuto. E figurati per il
caffè, è stato un
piacere. »
Tyki,
il suo editore, in tutta risposta gli fa un sorriso, un occhiolino,
ed esce di corsa con altri fogli per le mani. È una persona
a posto
e Lavi lo sente un po' suo simile. Forse si sarebbero attirati come
una calamita anche all'Hortum Septentriones, trovandosi subito in
sincronia e gridando “lavoriamo insieme”. Una
dinamica d'incontro
simile a quella che ha avuto con niente meno che Mai Shirafune. Non
è
il suo vero nome ma poco importa. Quando l'aveva avvertita vicino a
lui l'aveva subito riconosciuta, un viso come quello non si dimentica
e a prescindere Lavi ha buona memoria. Solo che ci aveva giocato un
po', per vedere le reazioni di quella donna, un'attrice e parecchio
ammirata. Pensava che si sarebbe trovato un'isterica che senza mezzi
termini gli avrebbe gridato di lasciarla in pace, invece era rimasto
piacevolmente sorpreso. Ripensandoci, doveva per forza essere diversa
dalle dive scorbutiche, per addentrarsi lì dentro. Ed era
affascinante, ammaliante, e la pelle, la sua pelle, così
chiara e
all'apparenza così liscia, gli era venuta voglia di toccarla
per
poter dire con certezza “allora è vero che tutte
le attrici hanno
una pelle simile” ma non l'aveva fatto. Perché
sapeva che non era
ciò che la sua natura realmente voleva. Se l'avesse fatto
subito,
quel brivido che sentiva sempre sarebbe scomparso subito e non
voleva. Non con una persona del genere, non un'attrice qualunque, ma
una donna minuta, elegante, che gli aveva sorriso ed esternato la
propria stima senza arrossire. Interessante, sì. Davvero
tanto.
Un'attrazione inspiegabile ma piacevole.
Vuole
rivederla, Lavi, ma non ha fretta, non ha bisogno di precipitarsi di
nuovo al giardino. Lei adesso è in chissà quale
set cinematografico
oppure ospite di qualche trasmissione o a leggere un copione, per cui
sarebbe inutile incontrarla nuovamente là oggi. Oppure,
c'è la
possibilità che abbia avuto un impegno alquanto sbrigativo e
che ora
sia a casa a leggere il libro che preferisce, scritto da lui.
“Harriet”. Che nostalgia, quel titolo. Il fatto che
sia proprio
quello lo rende ancor più frenetico e desideroso di
incontrarla di
nuovo e chiederle perché, cosa l'ha colpita, cosa nei suoi
scritti
la spinge ad imparare a memoria ogni frase, battuta, descrizione. Ma
c'è tempo, non c'è fretta. Sa che la
rivedrà di nuovo.
Lì,
dove la stella gira, gira e gira e fa trovare tutto ciò che
desideri. Qualunque cosa sia.
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