Hortum Septentriones

di neme_
(/viewuser.php?uid=105600)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Zero. E gira, gira, gira... ***
Capitolo 2: *** Uno. Tu, complice. Lei, astro. Noi, cercatori ***
Capitolo 3: *** Due. Lo diceva anche Louis Armstrong ***
Capitolo 4: *** Tre. Brividi. Non di freddo. Non di paura ***
Capitolo 5: *** Quattro. Quella stella che ci guida ***
Capitolo 6: *** Cinque. Non riuscire a fermarsi ***
Capitolo 7: *** Sei. Fuoco di ghiaccio ***
Capitolo 8: *** Sette. A nord. Sempre più a nord. Sempre più su ***
Capitolo 9: *** Otto. Lei ci muove. Si muove ***
Capitolo 10: *** Nove. La ruota della fortuna ***
Capitolo 11: *** Dieci. Quando l'orologio si inceppa ***
Capitolo 12: *** Undici. Prova ***



Capitolo 1
*** Zero. E gira, gira, gira... ***


Angolino: non faccio in tempo a finire una raccolta che subito comincio una nuova storia. Non se sia un bene o un male, comunque. Ciao ciao ciao! In realtà sto scrivendo questa storia senza essere uscita del tutto dal tunnel di “Dieci volte tanto”, tant'è che anche questa storia è crossover. Tra Bleach e D.Gray-man (se ci scappa magari qualche altro anime, comunque per il momento sono Bleach e D.Gray-man) con la differenza che stavolta è AU, contemporanea e molto, molto strana. Ho iniziato a scrivere con il presupposto di fare una cosa “assurda” e un po' nostalgica. Per farla breve, tutti i personaggi che verranno coinvolti si addentrano in un particolare giardino, particolare per molti motivi. Anzitutto, ha delle regole da rispettare, ha un manifesto con una presentazione enigmatica che verrà mostrata ad ogni inizio capitolo. Le regole verranno invece aggiunte ad ogni capitolo, come una sorta di riepilogo, per ricordarvi di dove ci troviamo e di non sorprendervi dunque troppo per le assurdità che potreste incontrare -risatina- comunque è un posto quasi magico. Di quelli che, quando ci entri, ti dici “questa è la mia seconda casa!”. A me è capitato solo una volta entrando in un locale che si chiama Crossover e che si trova a Roma. Era piccolino ma c'era un sacco di gente e io mi sentivo parte di loro pur non conoscendoli. Inconsciamente forse ho messo questo ricordo nel giardino che sarà al centro di molti avvenimenti, ho come un senso di nostalgia che non so spiegare. Meglio passare ai personaggi protagonisti, ah ah.
Come sa chi ha letto “Dieci volte tanto” o letto le mie note d'autore, amo il LaviRuki e questa storia non farà eccezione. Sarà la coppia principale della storia. Altri personaggi ed eventuali pairing richiedono un po' di riflessione e poi mi piace sorprendervi, quindi a parte il LaviRuki non anticipo niente -si sente molto cattiva- comunque, compariranno un po' tutti, sia di Bleach che di D.Gray-man, e tutti in qualche modo saranno legati grazie al giardino. In questa storia, Lavi è uno scrittore di successo, Rukia un'attrice -ma la vedrete nel capitolo successivo- e si instaurerà un rapporto più che strano, ma per qualche motivo questa storia già mi sta prendendo all'inverosimile quindi ce la metterò tutta per renderli al meglio. Tutti i personaggi che compariranno avranno il loro spazio, questo posso assicurarlo, per cui invece di perder tempo a selezionare personaggi tanto vale mettere “un po' tutti”, ah ah. E per sicurezza mettiamo OOC tra gli avvertimenti, visto che già Lavi fumatore è una cosa che non gli si vedrebbe, e probabilmente scriverò molte cose che faranno sforare i personaggi, per cui meglio avvisare di eventuali incongruenze. E niente, io la metto, visto che quella gaia ragazza di
Meg ha dato l'okay e io del suo parere mi fido -a proposito, consiglio di leggere la sua long crossover, la sua e quella di Angy!- la metto. Spero che anche voi che leggerete vi divertirete come me che sto scrivendo questa stranissima fan fiction, e di leggere presto i vostri commenti riguardo!
P.s.: nel corso della storia si presenteranno diversi momenti... ehm... erotici. Cercherò di non scendere troppo nel dettaglio, comunque, perciò non scandalizzatevi troppo -risatina- come vi ho già detto, questa storia è “assurda”...
Spero che questo prologo e il primo capitolo vi possano piacere!





[crossover][Bleach/D.Gray-man][LaviRuki][Crack pairing het e yaoi nel corso della storia][Introspettivo][Lime][AU][Slice of life][Lime][Eventuale OOC]





Hortum Septentriones





Zero





E gira, gira, gira...





« Questo è un giardino, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne organizzano un mercato, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne passeggiano in questo giardino, di come se ne incontrano in qualunque viale.
Ogni giorno qualcuno si perde e arriva qui, oppure ci viene di sua spontanea volontà.
Questo giardino è una casa. Per chi? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque è alla ricerca. Di cosa? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque.


Hortum septentriones »





Non c'è niente di più ammaliante della percezione del proprio essere. Non ha niente a che vedere con il conoscere il proprio nome e riconoscersi in un corpo, è piuttosto lo scorgere di qualcosa che si muove, gira, gira, gira e non può essere governato in alcun modo. È la consapevolezza di essere soggetti ad un qualcosa che è stato creato dall'io stesso ma che non si riesce a governare e dunque non resta altra scelta che lasciarlo agire, percorrere quell'esistenza effimera. È ciò che permette di dire “io esisto, qualcosa dentro di me si muove”. Ma che cosa?

Per anni l'uomo ha cercato di dare una risposta a questo. Coscienza, inconscio, ha molti nomi che indicano quell'ignota forza che muove l'essere umano e lo rende affascinante, unico nel suo genere. Può essere chiamato anche istinto, perché no. Ma in seguito la domanda verte su cosa spinga questo dono a muoversi. A questo non si è ancora giunti ad una conclusione.

Ma Lavi lo sa, pressapoco. È la natura stessa che governa questa forza dal medesimo significato. Non occorrono altre spiegazioni, sono superflue, perché la bellezza autentica non si può descrivere con umili parole messe in croce. La bellezza la si comprende da soli e la si accetta per così com'è, è questo il segreto.

La sua natura, ad esempio, gli impone di scrivere, ovunque, con qualunque cosa. Scrivi, Lavi, scrivi, questo gli dice e lui non può in nessun modo fermarsi, non può che accontentare quella natura che è dentro di lui e che deve soddisfare e che gira, gira, gira. Lui si è reso conto di questa trottola impazzita nella sua massa di carne e ossa, pertanto gli è stato facile trovare un modo per accontentarla ed essere sereno, assaporare fino all'ultima goccia quella bellezza austera.

Ed è contenta, eccome se lo è. Per Lavi non c'è niente di meglio. Il suo inconscio è pieno di stimoli e anche passeggiando per le strade tinte di foglie rosse, arancioni, marroni, giallo ocra, di fronte a vetrine di negozi vecchi di vent'anni, quando legge la scritta “best seller” accanto al titolo del suo ultimo libro, sente il bisogno di soddisfare ancora una volta i suoi stimoli. Torna a scrivere, Lavi, ne voglio ancora. Per questo non dà tregua al suo editore, non solo nello scrivere libri che vendono migliaia di copie sotto falso nome. È un uomo che si dedica a molteplici attività, mosso da quell'incontrollabile voglia di sentirsi soddisfatto e non gli basta mai.

È uno scrittore, Lavi, e il proprio lavoro gli piace da morire, non potrebbe smettere in alcun modo. Adora l'odore della carta e quel “tak-tak” insistente della macchina da scrivere o della tastiera del computer. Ama leggere le opere di tutti, conoscere i pensieri altrui e scorgere quella natura che lo controlla e sentirsi simile a qualcuno che non conosce. Fratello suo. Per questo, non riesce a smettere di fare questo lavoro.

E non può impedire le proprie gambe di attraversare le strade, i viali tinti di rosso, giallo ocra, arancio, marrone, guardare coi propri occhi che il suo ultimo libro ha venduto bene e poi dirigersi là, di fronte al cancello sempre aperto, protetto da larghe colonne semplici e ormai crepate, troneggiate da dei leoni scrutatori, vigili, e da quel manifesto un po' stropicciato e provato dalle giornate di pioggia che porta di tanto in tanto novembre e ti dà il benvenuto.


Hortum septentriones


E riesce a vederla, poco lontano, dove comincia il verde del prato puntellato di foglie rosse. Un'enorme piattaforma circolare su cui poggia una stella a dieci punte, un pentacolo sopra l'altro in parole povere, magnifica, imponente, il simbolo per eccellenza del cosmo che gira, gira, gira ogni ora, resterebbe anche tutto il giorno a vederla in movimento ma no, ci ripensa, Lavi, e volge lo sguardo alle bancarelle già affollate, c'è mercato anche oggi, c'è gente anche oggi, qualcuno si è perso, qualcuno ci è andato apposta come lui a trovare cosa ancora non lo sa ma la troverà. Prima o dopo.

Perché la sua natura reclama soddisfazione, ancora una volta, e lui non può fermarla. Non la vuole fermare.

È proprio per persone come lui che esiste quel posto. E gira, gira, gira...

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Uno. Tu, complice. Lei, astro. Noi, cercatori ***


Angolino: il nome d'arte che Rukia usa, Mai Shirafune, è tratto dal terzo attacco di Sode no Shirayuki: san no mai, shirafune. Mi è sembrato un nome d'arte adatto a lei. Deak invece era il nome che Lavi usava durante la sua quarantottesima registrazione, prima di unirsi all'Ordine Oscuro. Buona lettura!





Hortum septentriones





Uno





Tu, complice
Lei, astro
Noi, cercatori





« Questo è un giardino, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne organizzano un mercato, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne passeggiano in questo giardino, di come se ne incontrano in qualunque viale.
Ogni giorno qualcuno si perde e arriva qui, oppure ci viene di sua spontanea volontà.
Questo giardino è una casa. Per chi? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque è alla ricerca. Di cosa? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque.


Hortum septentriones »





« Nessuno chiederà informazioni su di te, a meno che la tua natura non lo voglia.

Tutto ciò che accade nel giardino resta nel giardino. »





Rukia soffia debolmente sulle mani, la bocca si intravvede appena dalla sciarpa in chiffon nera e stropicciata. È ormai una prassi per lei camminare sulle strade ciottolate del viale che pare infinito, in qualunque momento senta il bisogno di farlo. Fra le tante qualità di quel posto c'è la sicurezza di trovarlo sempre disponibile, aperto a tutti, a qualunque ora rintoccata da quel singolare orologio a forma di stella. È facile capire perché si chiami “Hortum Septentriones”, il giardino della stella polare. Non è dovuto solamente a quell'astro roteante o al verde che quasi inghiotte la ghiaia, ma in particolar modo per il compito implicito che ha il luogo. Lo si può tranquillamente considerare un punto di riferimento, come lo era stata la vera stella polare, altrimenti nota come Polaris, per i naviganti. È il classico posto dove trovi bancarelle, artisti di strada, gente che acquista, curiosi, ma già all'ingresso, di fronte ai cancelli sempre aperti per poter accogliere chiunque, ci si rende facilmente conto di ciò che realmente rappresenta. Una presentazione veloce, perfino un po' criptica, e di seguito delle rassicurazioni e delle regole. Se ci si vuole addentrare nel giardino, bisogna prestare moltissima attenzione a ciò che recita il manifesto. Rukia non ha più bisogno di leggerlo, ricorda perfettamente tutto quanto ed è grata a chi ha creato quel posto, unico nel suo genere, dove può camminare senza preoccuparsi delle conseguenze delle proprie azioni. È lì che fa compere, non in negozi all'ultima moda, lì incontra persone che non le fanno pesare il proprio status sociale. Il solo posto dove si sente qualcosa di diverso. Il che è paradossale, vista la sua professione.

Colui che ha creato questo giardino era di certo singolare, anche bizzarro se vogliamo, ma lei non ci bada, ne ha viste di cose strane e non le dispiace. In qualche modo si sente a casa, probabilmente anche il fondatore di quel luogo era alla ricerca di una casa e, possibilmente, di non viverci da solo. E chissà quale soddisfazione, nel vedere tutta quella gente passeggiare da mattina a sera, fino a notte fonda e magari fino al mattino seguente. Feste, balli, ritrovi, incontri fugaci, giochi di sguardi, l'Hortum Septentriones amplifica con estrema facilità e naturalezza tutto questo e le cuce su misura per l'anima vagante che si è addentrata in lui. Ti permette di fare incontri straordinari. Non importa cosa cerchi, lì lo troverai sicuramente, perché sarai tu a crearlo, così recita uno degli avvertimenti del manifesto. Grazie alle bancarelle che si trovano in ogni angolo si può trovare qualunque vestito o accessorio, ci sono bar e ristoranti ovunque dove puoi mangiare ciò che desideri, anche la cosa più stravagante, poi panchine, fontane, addirittura piccolissime locande per fermarsi una notte. E si possono trovare anche le persone. Certo, come in tutti i casi, dipende dalle circostanze. Chi vuole essere trovato, comunque, ne ha la possibilità, attraverso un registro che si trova a metà strada. Chiunque può scrivere il proprio nome -o anche uno pseudonimo, a propria discrezione- con affianco l'indirizzo, il numero di telefono, l'e-mail, oppure la locanda, il bar, la panchina su cui si è diretti e non importa se non li raggiunge nessuno, quelli che scrivono lì sopra aspettano e dalle facce che hanno all'uscita si direbbero soddisfatti. Per alcuni potrebbe sembrare un modo antiquato e squallido di trovare l'anima gemella, fuori moda visto che ormai si vive nella società della tecnologia. Ma Rukia lo sa, lo percepisce, lì si cerca qualcosa di diverso, esattamente cosa non riuscirebbe a spiegarlo ma quel registro raccoglie molto di più di nomi e cognomi. Raggruppa anime, cercatori che si affidano ad un astro roteante e tra loro sono tutti complici. Solamente l'Hortum Septentriones può compiere un prodigio simile, Rukia ne è sicura ed è per questo che si dirige sempre là, quando ha tempo.

È vero, in quel giardino si sente tranquilla e al riparo ma la sua natura, quel qualcosa che si muove dentro di lei e gira, gira, gira, la spinge ad essere previdente in ogni caso. Cerca di coprirsi come può, non solo per il freddo di fine novembre -e pensare che le foglie rosse sulla strada sembrano così calde, che contrasto meraviglioso- ma anche perché vuole evitare di essere riconosciuta. Non dubita del fatto che in quel posto girino brave persone, ormai conosce la “clientela” e sono tutti insospettabilmente onesti, anche chi cerca ad ogni costo di apparire il contrario. Ma è l'abitudine, la sua natura che non riesce a governare e non ci tiene affatto a litigarci. Sa che perderebbe.

Dunque l'asseconda e si dirige ad un piccolo banchetto di accessori, rimane affascinata da qualche cintura, ci sono fibbie di ogni forma, oh, quella ha la forma di una coccinella, che carina, forse comprandola porterà davvero fortuna. I venditori dinanzi a lei la guardano e le sorridono, le danno il buongiorno e le rendono noto che può fare con calma, non c'è fretta, guarda pure e se ti piace qualcosa comprala che i prezzi sono più che accessibili, altrimenti pazienza, ci saranno altre occasioni. Non si disturbano tra loro, non chiedono niente di nessuno a meno che non scorgano uno spiraglio. C'è quieto vivere, ciò che Rukia ama di più. Sorride considerandosi fortunata nell'aver scovato un portafogli bianco, finemente decorato, costa poco, sì, lo prende. Allunga la mano per raggiungere il futuro acquisto e sovrasta il braccio di un'altra persona che sta per afferrare un oggetto dalla parte opposta alla sua, una semplice cintura nera con un altrettanto semplice fibbia a forma di teschio. Istintivamente i due si guardano. Rukia è costretta ad alzare il capo per guardare in faccia lo sconosciuto dedito agli acquisti come lei ma c'è una zazzera di capelli rosso sangue a coprire parte del volto, insieme ad una sciarpa blu che scopre appena degli orecchini. Le labbra di quella persona si piegano subito in un sorriso cordiale e con una voce giovanile le rivolgono la parola.

« Sa, stavo giusto pensando di comprare anche il portafogli. »

Di primo acchito si sarebbe scusata con lui e ceduto l'oggetto, sentendosi quasi una ladra, ma la sua voce non serba rancore, è calda, pacata, socievole, sì. In quel giardino lo sono un po' tutti, basta desiderarlo.

« Al contrario, io non avrei mai acquistato quella cintura. » risponde Rukia con un sorriso stretto.

« Immaginavo. E poi non le donerebbe, ma credo che di questo ne sia consapevole anche da sola. »

Lei annuisce e porge il portafogli al commerciante, aspettando che glielo impacchetti. Lui aspetta con calma il proprio turno, cintura alla mano, e intanto pesca dalla tasca del giubbotto nero lungo fino alle cosce un pacchetto da cui estrae una sigaretta. Se l'accende in tutta calma e Rukia non smette per un attimo di osservare quell'azione banale che fanno tutti i fumatori, ma è affascinata dalle mani di quel tale. Aveva letto su una rivista di cui non ricorda il titolo che le mani possono essere classificate in quattro categorie, a seconda dell'elemento, terra, fuoco, aria, acqua. Coglie l'occasione per testare quella teoria e osserva le dita piuttosto lunghe, anche se curve sullo zippo riesce a distinguerle bene, e i palmi sono altrettanto grandi, forse qualche millimetro di più delle dita. Le unghie sono normali, curate, non v'è traccia alcuna di scheggiature di sorta, si nota subito che non se le mangiucchia e non sono troppo lunghe. Nel complesso, sono piacevoli alla vista, attraenti, qualità rara nelle mani di un uomo, o almeno, di quelli che Rukia incontra negli ultimi tempi. Delle belle mani, insomma. Che appartengano alla tipologia del fuoco? Palmo grande e dita poco poco più piccole, potrebbe essere. Rukia non è sicura, non si sbilancia.

« Ne vuole una? » fraintende gli sguardi di lei e con ingenuità si assicura di non essere stato scortese nei confronti di una signora, ma lei scuote il capo.

« La ringrazio, ma non fumo. »

Gli consegnano il pacchetto contenente la cintura appena comprata ma non si allontana dalla propria postazione. « Non mi pare di averla mai vista qui. »

« Eppure vengo tutti i giorni. Anche se il discorso potrei rigirarlo a lei. »

« Bè, in fondo questo giardino è parecchio grande. Anche io sono un “cliente fisso”. » volge lo sguardo alle spalle della ragazza, schiocca la bocca, dà l'aria di essere investigativo. Ha atteggiamenti, volendo esagerare, eccentrici. « C'è molta gente oggi attorno al registro. » nota.

« Sì, ha ragione. Forse supera il centinaio di nomi. »

Lui sorride divertito. « Tra ieri e oggi sono stati scritti più di duecentotrenta nomi. La maggior parte sono falsi. »

« Come fa a saperlo? »

« Lo sfoglio sempre e si capisce a colpo d'occhio quali sono stati creati ad arte. Forse lo capisco perché ne uso uno falso anch'io, seppur non per firmare là sopra. Non è mia abitudine farlo. »

Il suo chiacchierare, la sua voce calda, sciolta, per qualche strano motivo le sa di già sentito. « Che coincidenza. Lo stesso per me. »

« Non scrivere sul registro o utilizzare un nome falso? »

« Tutte e due le cose. Ma preferisco usare il termine “nome d'arte”. »

« Che coincidenza. » il sorriso si allarga, si storce per qualche breve istante per poter trattenere la sigaretta e lasciar fuoriuscire quell'alone di fumo che scompare subito nell'aria fredda di fine novembre. « Lo stesso per me. »

Hortum Septentriones, così si chiama il giardino. Se vuoi fare incontri fuori dall'ordinario o cercare qualcuno in particolare -non sai bene nemmeno tu chi esattamente ma sicuramente c'è e la troverai- è lì che devi dirigerti e fermarti a parlare. Per com'è fatta, Rukia non scambierebbe due chiacchiere con un perfetto sconosciuto dai capelli che ricordano il sangue, non a casa, non a lavoro, non in una strada normale. No, fuori di lì no. Fuori da quel giardino ci sono tante, troppe cose a cui pensare e non c'è tempo per concedersi una tranquilla, banale ricerca di ciò che si desidera. In verità è giunta ad un punto in cui non riesce nemmeno a capire cosa voglia davvero. Se non andasse in quel giardino per ricordarsene, probabilmente impazzirebbe. Anche se la ricerca è ardua, non ha ancora compreso, ma per fortuna non si stanca di cercare. Coglie volentieri ogni segnale, e chissà che quella zazzera rossa non la aiuti in ciò che cerca la sua natura, quella forza misteriosa che vuole essere soddisfatta.

« “Dopotutto cosa sono i nomi, se non lettere raggruppate per formare un concetto comune e non proprio?” » adesso la voce di quel ragazzo sembra distante ma fa scattare una molla in Rukia che trasale, capisce, capisce perfettamente.

« “E l'uomo, la rappresentazione stessa della banalità, si aggrappa a quelle astratte lettere riunite per non sentirsi del tutto insignificante, affannandosi nella sabbia mobile da lui stesso costruita. Così si disse Harriet, di fronte all'ennesima distesa dei nessuno”. » entrambi si guardano, sorpresi a vicenda. Lui è piacevolmente sorpreso, lei è sì felice ma la sua espressione non riesce a comunicarlo appieno. « Credevo di essere l'unica a conoscerlo a memoria. »

« Questa cosa le fa onore. E se mi permette, le devo fare i miei complimenti. La sua voce è carismatica, fantastica. Mi ha permesso di riconoscerla. »

Se si fosse trovata accanto una certa persona si sarebbe vista costretta a scappare a gambe levate. Ma adesso è sola, il suo agente non c'è, lei è con qualcuno che l'ha riconosciuta e non è minimamente spaventata da questo. Perché nel giardino della stella polare non puoi assolutamente avere paura, è matematicamente impossibile. È il punto di riferimento di cercatori come lei che si rivolgono al quell'astro roteante aspettando di trovare, con occhi profondi e lontani, il proprio complice, sia esso materiale o umano o qualcos'altro che solo la natura che muove l'essere umano conosce.

« Lei sa chi sono? »

« Non vorrei sbagliarmi, ma lei somiglia molto all'attrice Mai Shirafune. »

« È un nome d'arte. » Rukia sorride. Non ha mai incontrato nessuno che scavasse nella sua persona con così tanta naturalezza, senza risultare troppo sconveniente, sicuro di sé, favorito da quella stella che gira, gira, gira.

« Molto bello. Ho visto tutti i suoi film, possiede una capacità interpretativa straordinaria. Personalmente trovo che abbia raggiunto il suo massimo con il ruolo di Kirio in “Eternal Madness”. Senza nulla togliere a tutti gli altri ruoli, ovviamente. »

« Grazie... » è la prima volta che si sente dire un complimento diverso dai consueti “sei fantastica”, “eccezionale”, nemmeno i critici delle più importanti riviste cinematografiche sono mai riusciti a trovarle un ruolo in cui fosse spiccata particolarmente. L'hanno definita “poliedrica, espressiva, in grado di interpretare qualsiasi ruolo le venga affidato, riesce ad esaltare anche il minimo particolare che rende ogni suo personaggio memorabile”. Naturalmente le faceva piacere, per un'attrice era la cosa più auspicabile ma non sentiva il “merito” totalmente suo, né dei corsi di recitazione che la portavano a stare sveglia fino alle quattro del mattino. In sintesi, era la sua natura, che le ordinava di essere tutto e niente. “Non puoi fare questo? Allora sarà il tuo personaggio a farlo”.

Poteva vedere in questa scelta di intraprendere la carriera cinematografica la voglia di fare una vita da diva, certo, era una scusa che accontentava tutti, a chi non piacerebbe. Ma la sua natura, che non poteva controllare od opporcisi in alcun modo, reclamava altro. Voleva altre vite, fugaci, che non avrebbe tenuto per sempre ma tanto meglio, se no sai che noia, e facevano sbandare Rukia di qua e di là, come una trottola impazzita, interpretando prima la ragazza della porta accanto che fa innamorare lo sventurato protagonista di turno, poi un'assassina, una detective, una regina, una studentessa con gli occhiali a fondo di bottiglia, una dark lady, una donna qualunque purché non fosse lei. La sua natura era affamata di tutto e mangiava velocemente, reclamando ogni giorno cose diverse e arrivando a farle venire il dubbio. “Quale personaggio desidera entrare in questo giardino?” ma poi Rukia scuoteva il capo e si ricredeva. Almeno un lusso la sua natura glielo concedeva. Di andare lì dentro con le sue gambe, lasciandole quel che rimaneva del proprio io per non impazzire in mezzo a tante sconosciute di cui aveva assunto il ruolo.

« In effetti non dovrebbe sorprendermi che un'ottima attrice come lei riesca a ricordare così bene le parole di un libro. Per lei sarà come leggere un copione, giusto? »

« Più o meno. Diciamo che quando leggo qualcosa che mi piace, vorrei che fosse un copione, avere un ruolo in quella storia. Ci sono molti libri che meriterebbero una trasposizione cinematografica. »

« Non ha tutti i torti. »

« “Perché in quella fatiscente sala da cinema di cento posti solo Harriet piangeva senza ritegno? È una domanda che nessuno si pose, poiché nessuno badò a lei, celata nel semibuio del cinema. Lei non esisteva per gli altri spettatori e coloro che lei avrebbe definito degli stolti non avevano alcuna importanza, non di fronte alla bellezza suprema dell'arte”. »

Lui sorride, si allontana di qualche passo per raggiungere un posacenere -non avrebbe mai deturpato quello splendido giardino con un mozzicone- e si volta ammirato, la segue senza timore, la sua natura d'improvviso è come impazzita. « “Cosa potevano capire loro dello splendore costituito dall'unione di lettura, musica, suggestione, quale opera poteva sollecitare i cinque sensi se non il cinema? E lei lo avvertiva, sentiva nell'aria il profumo di quella bellezza suprema, si leccò le labbra constatando come avesse un sapore agrodolce, come le lacrime che solcavano il viso, le gonfiavano gli occhi ammaliati da quel miraggio, perché di questo doveva trattarsi, miraggio che cantava, così soave, trascinandola nel baratro come farebbe una sirena. E fu quando Harriet avvertì anche i brividi lungo le braccia che comprese quanto la bellezza fosse terrificante, insopprimibile”. »

Rukia non si trova in un set cinematografico, non sta lavorando, è un giorno di riposo come un altro in un luogo che rende le cose più paradossali delle ordinarie amministrazioni. È stato proprio come recitare, e senza che nessuno glielo abbia imposto, perché lo voleva lei, la sua natura, soddisfare quella voglia di poter fare una propria trasposizione di quel che voleva lei. E aveva i brividi, trattenuti a stento nel cappotto e nei jeans, manifestazioni del suo io, istinto, inconscio, come lo si vuole chiamare, della sua frenesia di fronte ad un caso che, per fortuna o no, è capitato a lei.

« Ma lei è... Deak? »

« Così mi firmo sui libri. Non solo gli attori usano nomi d'arte, no? » i suoi sorrisi, man mano che il discorso continua, si fanno più audaci e accattivanti, la zazzera rossa di capelli si muove ad ogni cenno del capo e lasciano intravvedere la benda nera che non deturpa il suo viso, come se fosse un comunissimo accessorio, non lo rende per niente un disabile, un “meno dotato rispetto agli altri”. E l'altro occhio scoperto non mostra alcun segno di affaticamento, anche se svolge il gravoso compito di lavorare per due.

« È un onore che una persona come lei abbia visto i film in cui ho recitato. »

« Semmai sono io a dovermi sentire lusingato. »

« “Harriet” è il mio libro preferito. »

« Davvero? Lo terrò a mente. Chissà, forse ne faranno un film. »

« Le piacerebbe? »

« Solo sei lei avesse la parte di Harriet. »

« Ma è bionda. »

« In “La memoria bussa tre volte” aveva i capelli castani se non ricordo male, non vedo perché non dovrebbe diventare bionda. Però, se mi consente, la preferisco mora com'è adesso. » Deak, non è il suo vero nome. Rukia è tentata di chiedere quale sia il suo nome ma si trova nell'Hortum Septentriones, mica in un viale qualunque, e lì ci sono delle regole da rispettare, implicite o meno. La più importante è scritta sul manifesto all'entrata, recita “nessuno qui è obbligato a dire il vero nome” e dopotutto nemmeno lei gli ha rivelato il suo, è giusto così. Fa parte di quelle regole che la fanno sentire a proprio agio, protetta dal mondo circostante.

Deak, conoscerlo di persona è stato l'avvenimento più bizzarro ma le lascia una piacevole sensazione addosso. Si tratta di incontrare per puro caso un artista che si addentra in quel viale magari con gli stessi pensieri che ha lei. Non ha mai contemplato l'idea di poterlo incontrare, questo passare da un estremo all'altro un po' la spiazza ma non si può lamentare. È un po' diverso da come lo immaginava, molto meno “cupo”. E di certo lo pensava più anziano, con mani rugose e unghie trascurate, mica quelle che gli vedeva addosso, così piacevoli alla vista. A occhio e croce, poi, deve avere vent'anni o poco più.

Lui guarda affascinato l'orologio, la stella polare che gira, gira, gira, scandisce il tempo, gli fa rendere conto che è rimasto più del dovuto con quella donna, gli capita di rado, specie con le donne di solito ha incontri abbastanza fugaci ma non importa, non gli dispiace.

« Temo di averle fatto perdere tempo. »

« Si figuri. Qui è impossibile perdere tempo. »

« Già, ha ragione. »

« Però, mi dispiace ma... » Rukia afferra il cellulare, poi si gira e guarda anche lei la stella che segna l'ora, come se non si fidasse del proprio telefono. « Devo andare. Il lavoro, sa... »

« Certo, capisco. Allora buon lavoro. »

« Anche a lei. Spero di rivederla presto. »

« Oh, tanto mi trova sempre qua, se non sono a casa a scrivere. » si sorridono ancora una volta, lei prende la propria strada e fa per uscire, lasciandolo là. Non si volta per vederlo, non deve assicurarsi di nulla. Sa bene che lo troverà in quel giardino, che solo all'apparenza è come gli altri, in realtà raccoglie anime, nature che girano, girano, girano, cercatori, tutti complici tra loro, tutti in cerca di un contatto, quale esattamente non si sa, ma quando avvertiranno quel brivido lo capiranno e non importa quanto ci vorrà, lo sguardo sarà sempre ottimista, almeno lì dentro, perché lì è sicuro che troverai ciò che cerchi. Perché lo crei tu.

Rukia torna a nascondersi nella sciarpa mentre, davanti ai cancelli, sorpassa un'eccentrica figura dallo sguardo felino color cielo, capelli sparati in ogni direzione dello stesso colore, accompagnato da un'altra persona ben mimetizzata tra cappotto scuro, cappello e sciarpa. Forse sono degli ignari che si sono persi e sono capitati lì per caso. Oppure, con più probabilità, sono cercatori, come lei, che puntano decisi a nord, verso la stella.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Due. Lo diceva anche Louis Armstrong ***


Angolino: eccoci qui con il secondo capitolo. I nuovi personaggi introdotti sono: Grimmjow, Ichigo, Shinji, Kanda e Tyki. Sia per Shinji che per Kanda ci sarà occasione di approfondire la loro psicologia, speriamo di riuscirci bene! A quanto pare la mia cattiveria stavolta si è riversata su Ichigo. Insomma, lui diventa shinigami perché per fortuna o per sfiga vede i fantasmi, no? Allora mi sono detta “potrei sfruttare questa cosa” e mi sono documentata su un po' di malattie. Alla fine la scelta è ricaduta su quello che leggerete, spero che vi piaccia! In fondo a modo suo lo rende affascinante, no? -risatina- Per quanto riguarda Lavi, il rapporto che andrà crearsi con Rukia in questa fan fiction sarà un po' strano, molto particolare. Anche se non saprei spiegarlo bene, ah ah...
Piccola nota: milleseicento yen equivalgono a circa sedici euro, mentre milletrecento yen a trentacinque euro circa.
Voglio ringraziare di cuore per le recensioni, stupende, lasciate da
matechan, zombiecch, M e g a m i e KayeJ, grazie infinite! Ringrazio di cuore matechan e Haily per aver inserito la fan fiction tra le preferite! E ringrazio infinitamente KayeJ, S h a i l a e zombiecch per averla inserita nelle seguite! Approfitto per ringraziare Deeryl e KayeJ per avermi recentemente aggiunta tra gli autori preferiti! Grazie davvero! Spero che questa storia piaccia sempre di più, aspetto con ansia i commenti di tutti!





Hortum Septentriones





Due





Lo diceva anche Louis Armstrong





« Questo è un giardino, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne organizzano un mercato, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne passeggiano in questo giardino, di come se ne incontrano in qualunque viale.
Ogni giorno qualcuno si perde e arriva qui, oppure ci viene di sua spontanea volontà.
Questo giardino è una casa. Per chi? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque è alla ricerca. Di cosa? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque.

Hortum septentriones »


« Nessuno chiederà informazioni su di te, a meno che la tua natura non lo voglia.
Tutto ciò che accade nel giardino resta nel giardino.


Nessuno è obbligato a rivelare il proprio nome.
Non è necessario sapere esattamente cosa si sta cercando.
Qualunque cosa sia, qui la si troverà.
Sicuramente. »





Molte persone si mostrano refrattarie di fronte ai mesi fra ottobre e febbraio. In particolare novembre, è un mese che raramente riscuote simpatia. È l'ultimo mese dell'autunno, il più freddo della stagione, non è altro che l'anticipazione dell'inverno, paragonabile ad un presagio di morte, gelo. Poeti e scrittori lo descrivono come il mese più triste, forse perché comincia il letargo, anche per l'uomo che è pur sempre un animale, anche se evoluto.

A Grimmjow però non importa. Per lui la parola “letargo” non esiste sul vocabolario, “è per gli sfigati perditempo”. Non concepisce l'idea che qualcuno possa ritirarsi per un po' di freddo o qualche foglia che cade. A lui piace anche quell'atmosfera, il fatto che alle cinque del pomeriggio sia già buio. Novembre non gli può certo impedire di incamminarsi verso l'Hortum Septentriones, e nemmeno dicembre lo può frenare, neanche la pioggia, la neve, il traffico, i malumori che spingerebbero qualsiasi persona a rintanarsi nel letto caldo e aspettare, come un impotente, che tutto passi. No, le cose per Grimmjow vanno affrontate di petto, la sua natura detta così, nella fiduciosa convinzione della teoria riguardante la legge del più forte. A conti fatti, l'uomo non è altro che un animale più evoluto -anche se su questo punto avrebbe parecchie cose da ridire- e non può ribellarsi alla legge suprema della natura. Influisce su tutti quanti, l'istinto è il re assoluto e coloro i quali non riescono ad accettarlo utilizzano scappatoie vigliacche come l'andare in letargo, con la copertina magari. Grimmjow non è così, lui l'istinto lo ha accolto a braccia aperte e trova che sia stupendo muoversi secondo i suoi desideri. Si sente vivo e realizzato. Aveva sempre creduto che sarebbe stato impossibile provare un piacere simile da qualche altra parte, ma quel giardino era diventato presto l'eccezione che confermava la regola. Probabilmente perché anche quella stella si muove grazie alla forza dell'istinto, della natura, regnante supremo di ogni cosa. Non è un castello, ha l'aria di un giardino come un altro, ma Grimmjow lì dentro si sente comunque un re e non può fare a meno di andarci ogni volta che può, restandoci anche una notte intera.

Stavolta è venuto in compagnia, una sagoma diffidente e ben coperta, i capelli di uno scintillante arancione si scorgono appena ma è il suo sguardo, corrucciato, dubbioso che cattura l'attenzione di qualcuno perché si vede che è la prima volta che quegli occhi vedono il giardino. Gli è stato assicurato che non si pentirà di esserci venuto ma a lui sembra un banale mercato, che perdita di tempo, avrebbe fatto meglio a starsene a casa e invece no, alla fine aveva detto di sì, accidenti a lui che è così arrendevole certe volte, non lo vorrebbe ma chissà perché a volte succede.

Non si separa troppo da Grimmjow che cammina a passo sicuro, mani insaccate nel giubbotto di pelle, sembra sapere esattamente dove dirigersi. Non si ferma neanche un secondo ad ammirare qualche oggetto in vendita o ad invitare a bere il proprio compagno, sembra avere fretta nonostante lì le cose si possano fare in tutta calma. Ma non può farci nulla, lui agisce di pancia. Volendo essere più corretti, trova che quel modo di agire sia l'unico sensato. Trova inutile spaccarsi la testa su cose che non si riuscirebbero a comprendere nemmeno dopo cent'anni, men che meno straziarsi il cuore, per cosa poi, piccolezze. Tutto si digerisce, per alcune cose ci vuole un po' di tempo ma ci si riesce alla fine. Lo diceva anche Louis Armstrong. “Se prendi la vita come viene, non solo stai meglio ma sei anche più felice”. Ecco, pensare a quel musicista gli ricorda chi sta cercando, c'è voluto poco ma di questo non è sorpreso, dopotutto si trova all'Hortum Septentriones. Chiunque abbia creato quel poco è un genio, secondo lui. Un uomo che agisce di pancia, esattamente come lui, un suo simile, uno che accetta la natura e magari la coccola con amore come fa lui, assecondandola come può. Gli fa piacere constatare di non essere il solo a trovare in quella semplice filosofia di vita la perfezione, il benessere, la vita stessa che Grimmjow ama dal più profondo del proprio io e lo investe in pieno, ma allo stesso tempo gli fa sentire una specie di buco allo stomaco che deve essere riempito, non importa come, fallo e basta, Grimmjow. È un vuoto dal sapore dolce e lo fa muovere secondo i propri desideri, lui che si sente un re in quello spazio.

Prosegue ancora per un po', Ichigo al proprio fianco, fino a giungere ad una bancarella che conosce bene perché è tra le più piccole che ci siano in circolazione. E poi lì è dove incontra spesso un tipo che molti troverebbero strano, démodé. Lui invece lo trova simpatico e notevolmente più sveglio di diverse persone. E quel gusto retrò che emana fa parte di lui, lo ha accettato volentieri, lo diverte, addirittura lo affascina. E poi, ha sempre dei bei pensierini per lui. Non può non trovarlo simpatico.

« Ehi, Grimmjow. » sorride cordiale, con uno sguardo a tratti malizioso, il movimento della sua bocca permette per un piccolo momento di vedere uno sfavillante piercing sulla lingua. « Oggi sei venuto prima del solito, eh. »

« Fortuna che tu stai sempre qua. » il sorriso del ragazzo biondo di fronte a lui viene ricambiato con sincerità, sorriso che viene subito sostituito da uno sguardo interrogativo, notando la chioma arancione accanto all'amico.

« Con chi ho il piacere? »

« Si chiama Ichigo, è la prima volta che viene qui. Ti ho già parlato di lui, ricordi? Per quel problema... è per lui che prendo la roba. »

« Oh, ma certo. Affari anche oggi? »

Fanno un discorso facilmente fraintendibile, ma non c'è nulla di male in ciò che dicono. Grimmjow non è uno spacciatore, né un drogato. Escludendo la canapa con la quale era entrato in contatto alle superiori -e c'è da precisare che fu in rarissimi casi, non trovandola poi granché- non aveva mai toccato altro in vita sua, né si era concesso totalmente all'alcol od a qualche altra porcheria. Niente di tutto questo sarebbe servito a riempire quel buco allo stomaco che lo tormentava con un'insistenza irresistibile, come una ragazza bellissima che ti fa le moine. Inoltre lui in discorsi simili non ci vuole nemmeno entrare, non sono affari suoi. Purché Ichigo non ci si metta in mezzo, ma su quel punto può stare tranquillo. Anche lui è intelligente, sa tenersene alla larga. E in ogni caso, ciò di cui ha bisogno quel ragazzo è un farmaco, e non di quelli che si trovano in tutte le farmacie. Sono poche le medicine al mondo in grado di contenere la sua porfiria, un termine che risulta sconosciuto, fa storcere il naso, allora per essere più chiari tanto vale usare il termine “vampirismo”. No, Ichigo non è un vampiro. La sua è una malattia del sangue ereditaria -sembra che sua madre, deceduta prematuramente, fosse affetta dalla stessa malattia, ma non per questo le serba rancore- che gli ha portato una grave anemia, un'intolleranza ai raggi ultravioletti, l'alterazione degli enzimi che hanno dato vita a canini poco più acuminati degli altri. Niente a che vedere coi mostri che animano leggende e racconti dell'orrore, lui è un essere umano un po' più sfortunato degli altri che ha bisogno di un raro, nonché costosissimo, farmaco per placare quella natura non desiderata e fargli venire ustioni su tutto il corpo per essersi esposto ai raggi UV, evitare nausee, vomiti e tutto ciò che la porfiria porta. Ichigo passa ogni secondo della sua vita in compagnia di un ospite indesiderato, solo in questo si sente un po' un vampiro da romanzo, magari il buono della situazione che non riesce ad accettare la nuova condizione, la propria natura. Per Ichigo è difficile perché si sente limitato. A lui non dispiacerebbe, ad esempio, andare al mare, non mettersi la crema solare e stare sotto il sole per tutto il pomeriggio senza temere insolite ustioni, e soprattutto, una banale, piatta, tranquilla vita umana. La porfiria è una malattia particolare e pochi sanno che influisce non poco anche sul sistema nervoso. L'esempio lampante risiede nel fatto che Ichigo non si rende conto realmente di ciò che accade intorno a lui, non riesce a distinguere la realtà dall'immaginazione o forse, nel suo caso, è più corretto dire allucinazione. Lui vede cose che preferirebbe non vedere, sin da bambino. Grimmjow spesso lo ha sorpreso a parlare al muro o al vuoto, si è sentito innumerevoli volte in imbarazzo quando doveva rispondergli che no, non c'era nessuno accanto a lui. Quel ragazzo ha le allucinazioni dovute alla porfiria e non se ne rende conto, perché la sua natura è in uno stato talmente confusionale che non è nemmeno paragonabile ad una trottola che si limita a reclamare un po' di soddisfazione. La coscienza, o io, di Ichigo fa vivere quel ragazzo con una cosa di cui si potrebbe volentieri fare a meno. La natura, a volte, è davvero mostruosa. Per questo Grimmjow non riesce a staccargli gli occhi di dosso un momento, sia per le visioni che possono capitare in ogni momento e allora vai a sapere cosa potrebbe combinare -non è certo un ritardato ma l'esperienza l'ha portato a far capire che le sue allucinazioni non sono da sottovalutare- e poi gli fa una gran pena. È un sentimento che lui non vorrebbe provare ed è l'unico momento in cui litiga con il proprio essere. Non vorrebbe provare autentica pietà, in fondo non è affar suo ed una questione simile non dovrebbe riguardarlo. Ma la sua natura parla diversamente e lei governa perfino lui che si sente un re. Gli impone di aiutarlo, di stargli accanto, di andare da Shinji, questo tipo biondo particolare, a prendere quel famoso medicinale a prezzi più convenienti, non è spaccio né contrabbando, cioè, forse un po' lo è, ma è solo un gesto folle di una natura che per sentirsi soddisfatta vuole improvvisarsi salvatore di quel povero ragazzo. Una cosa, se vogliamo, meschina. Eppure Grimmjow non riesce ad opporcisi. Vuole pensare che ciò che sta facendo per lui sia dettato da un più irreale senso di amicizia, affetto. Vuole pensare che la sua natura sia molto più umana di quanto non sembri, che per una volta ignori la legge del più forte. Ma è ancora nel dubbio, e di certo non troverà una risposta scavando in quell'io alquanto arrogante. Può soltanto obbedire, con qualsiasi mezzo.

Shinji per fortuna è un amico, lo aiuta come può. Nessuno sa come faccia ma ha contatti ovunque e per lui è più semplice procurarsi “la roba”. Forse quel suo modo di fare démodé, sempre in giacca e cravatta e in vena di canticchiare motivetti jazz, gli facilità i metodi di persuasione, chissà.

« Quante ne hai? » chiede Grimmjow, attento a non farsi vedere, anche se non sta facendo niente di male, in fondo, e poi si trova in un posto quale l'Hortum Septentriones, grazie a Dio c'è, che gli permette di trovare ciò che cerca senza preoccuparsi troppo delle conseguenze delle proprie azioni.

« Due confezioni da sei. Ti basteranno per due mesi. »

« Quant'è? »

« Facciamo milleseicento yen. »

« Giuro che mi sdebiterò in qualche modo. » gli è grato dal profondo, grazie a Shinji, Grimmjow può soddisfare la sua natura a prezzi scontatissimi, considerando che quella roba, oltre ad essere introvabile, di norma costa intorno ai tremilacinquecento yen a confezione. Grazie a Shinji, che è un vero amico di come non capitano più, il suo orgoglio, ecco, possiamo chiamarlo anche così, non si sentirà un totale ribrezzo per non aver aiutato Ichigo. Quel ragazzo ha bisogno d'aiuto e Grimmjow, o meglio, il suo orgoglio, la sua natura, ha bisogno di sentirsi indispensabile per qualcuno così, anche se per poco magari, il buco allo stomaco si chiude. È proprio vero, la natura a volte è davvero ingiusta.

Porge la scatola al compagno ma Ichigo mantiene le braccia incrociate. Anzi, a dire il vero, non lo degna di grande attenzione, è voltato dall'altra parte e digrigna al vuoto che cosa vuole da lui con un linguaggio non proprio educato. Prima ancora che Shinji possa dire qualcosa, Grimmjow lo avverte del fatto che non ce l'ha con lui.

« Vede i fantasmi. » gli dice. Usare la frase “ha le allucinazioni” potrebbe indisporre Ichigo, che non riesce nemmeno a distinguere cosa sia reale e cosa non lo sia. Shinji però annuisce con un sorriso, non è sorpreso, conosce la malattia e sa dunque come porsi. In un certo senso è anche affascinato. Lui ama osservare chi è così diverso da lui, lo trova addirittura molto più umano di molte persone. È ammirevole il fatto che abbia il coraggio di uscire di casa, parlare al vento e continuare a comportarsi come se nulla fosse. Non che desideri una vita come quella, non sia mai, ma ammira chi trova il modo di conviverci. Forse lui non ce la farebbe mai, aggiunge per cautela la parola “forse” perché si sa, non si può mai sapere e la natura può giocare sempre brutti scherzi e convincere a fare anche cose che non si vorrebbero fare. Il che è paradossale: in quanto natura, ti porterà a fare sempre quello che vuoi nel profondo, anche se all'apparenza non vuoi, non riesci ad ammetterlo.

« Dato che ci siamo, perché non ci facciamo un giro? » l'amico biondo indica la bancarella dietro di lui. È una delle sue preferite, nonché particolari, sia per gli articoli venduti, che per la gestione. C'è un solo ragazzo e fa tutto con calma, anzi, se gli si mette fretta si irrita. In una strada normale non riuscirebbe a vendere un'inezia, ma nell'Hortum Septentriones è invece apprezzato da molti proprio per quell'inclinazione che contrasta perfettamente con ciò che vende. Shinji trova che sia il banchetto più bello, non può fare a meno di starlo a guardare per minuti, anche ore se fosse per lui. Quelle statuette di vetro sono tra le cose più belle che abbia mai visto e sono tutte fatte a mano, è questa la cosa che lo colpisce, riuscire ad intravvedere ciò che sente quel ragazzo taciturno. Solamente un'occhiata veloce, senza rivelarsi troppo, persino in quell'ambiente nel quale in teoria si poteva svelare di tutto, quel ragazzo giovane, dai tratti delicati, rimaneva in bilico, senza curarsi troppo degli altri. Emana un'aria strana senza dubbio. Uno dei motivi per cui Shinji ci si avvicinava. Impiccione, sì, probabile. All'Hortum Septentriones però, semplicemente un cercatore di cosa ancora non lo sa con esattezza.

« Buongiorno, Kanda. Bella giornata, vero? »

« Tsk. » risponde sempre così Kanda, sorride raramente e non è propenso a dilungarsi in conversazioni futili con chicchessia. Sembra che a lui interessi solo fare piccole sculture di vetro e venderle, non è dato sapere cosa gli passi per la testa eccezion fatta per la necessità di guadagnare qualcosa. Condotta questa che può facilmente far innervosire chiunque, ma basta cambiare il punto di vista e in un attimo Kanda diventa la persona più discreta che si possa incontrare. Usando altri termini, “sa farsi gli affari propri”, qualità rara. Il perché si trovi in quel giardino, però, con il carattere che ha, rimane un mistero. Che affascina molti, indubbiamente.

Kanda non mostra alcun cenno di sorpresa nel vedere Ichigo che si guarda attorno stizzito, con al fianco Grimmjow che gli raccomanda di non allontanarsi. Non sopporta essere trattato così, specie da quell'avventato. Non è un ragazzino, è ben cosciente della sua condizione, sa badare a sé stesso e sa anche districarsi da solo di ogni eventuale impedimento, come quelle persone che ogni tanto compaiono accanto a lui e gli parlano di cose incomprensibili, non lo lasciano stare un secondo, chiedono aiuto per qualcosa che non comprende, non c'è pace nemmeno in quel giardino. Vuole fare altro, Ichigo, lì ci sono tante bancarelle, bar, è come se il mondo fosse nelle sue mani, può distrarsi in qualche modo.

Tale diversivo si presenta subito, non ci sperava, ma eccolo lì, poco lontano. E d'improvviso lui, che voleva fare qualcos'altro piuttosto che restare incollato a Grimmjow, non riesce a muoversi, nemmeno a parlare. C'è una donna, una sua coetanea a prima vista, che fa compere con un sorriso ingenuo a poca distanza da lui. Presa com'è dagli acquisti non può notarlo, non lui, che cerca di coprirsi bene dai raggi del sole fino al collo. Ha dei capelli così lunghi ed è appagante osservarne i riflessi che mutano ad ogni movimento. E non ha una sola cosa fuori posto, è modesta, ordinata, non le interessa mettersi in mostra, rivolge sorrisi a chiunque la fermi, anche se magari non lo conosce, sembra felice e per Ichigo è come se riuscisse a respirare quella freschezza, è buona, molto meglio dei farmaci che usa prendere per quella dannata malattia. Vorrebbe avvicinarsi a lei, chiederle il nome e come sta, se può offrirle qualcosa. Ma non ci riesce, è bloccato nel senso più stretto del termine. Ichigo odia profondamente la sua natura che fa sempre tutto tranne quello che vuole lui e si impone con la forza, o fai così o ti faccio stare male sul serio, e può farlo in qualsiasi momento. Perché sia capitata proprio a lui questa sciagura è una domanda senza replica che accentua la frustrazione. La sua natura vuole vederlo inginocchiato, farlo cedere. Ma lui non è fesso e soprattutto è forte. Può resistere. Anche se non in quel caso. Per stavolta batte in ritirata ma la guerra con se stesso non è finita, piuttosto riesce a ricavarne qualcosa di buono con cui leccarsi meglio le ferite dovute a quell'occasione persa ed alla ragazza che va via, per la sua strada, senza rivolgere lo sguardo neppure una volta nella sua direzione. Grimmjow diceva che lì qualunque cosa cerchi la troverai. Anche Ichigo l'ha trovato, seppur non fosse conscio di ciò che cercava. Arrivare a pensare che la natura avesse architettato tutto gli pare esagerato in un primo momento ma, effettivamente, non è del tutto impossibile. Un minimo di pietà deve pur averla. Così gli ha reso noto, al pari di un fulmine a ciel sereno, cosa vuole davvero e che lì, in quel giardino, può trovarlo. Natura ingiusta, sì. Ma come si suol dire, non tutti i mali vengono per nuocere.

« Grimmjow. » gli si rivolge con voce decisa e accenna un sorriso carico di ottimismo e di vitalità rinnovata. Purtroppo non serve a fargli riacquistare colore alle guance, il pallore dovuto all'anemia ormai lo piega, ma è raro vederlo comunque così sereno, lui che ha sempre un'espressione corrucciata. « Voglio tornare qui domani. E comprare una statuetta di vetro. » dice così perché se non si fossero dilungati a parlare lì davanti con Shinji, lui non avrebbe mai avuto modo di osservarla con così tanta tranquillità. Quel posto è davvero speciale come dicono. E poi, quelle statuette sono davvero belle, ci ripensa su e non gli dispiacerebbe davvero averne una. Oppure comprarne due, così una la tiene per sé e l'altra la regala a quella ragazza dal viso gentile, il volto di chi non si spaventerebbe nel vederlo, scambiandolo per un banale vampiro. La faccia di chi lo tratterebbe come sua pari, senza offese e battute. Una persona con quel viso non potrebbe mai farlo.


~ Ore 12.15 ~


A Lavi piace scrivere davanti alla finestra aperta, con accanto un orologio da taschino. È un oggetto tramandato da generazioni all'interno della sua famiglia a cui non si può rinunciare. È stato testimone di ogni tipo d'evento, ha assistito a matrimoni, nascite, litigi, segreti, guerre, confidenze, ed è stato accanto al proprio possessore fino all'ultimo, scandendone con precisione maniacale gli ultimi secondi di vita. Anche lui non verrà risparmiato da questa tradizione e ne è felice. Quel ticchettio leggero lo accompagna con dolcezza durante il lavoro, pensarlo accanto anche alla morte lo rasserena. Gli piace l'idea di morire accanto ad una cosa che, per quanti anni passeranno, non cambierà mai. È il fascino esercitato dalle cose immutabili, condizione che l'uomo non raggiungerà mai.

Non manca mai nemmeno il bicchiere di vetro ricolmo di caffè, fino all'orlo. Non si prende molta cura di servirsi su graziosi tazzine, né di risparmiare il corpo dalla caffeina. No, sarebbe come rinunciare ad andare all'Hortun Septentriones, o lasciarsi scappare una sensuale danza condotta da una splendida donna, facendo dimenticare così tutti i dispiaceri.

Inoltre Lavi non ha mai occasione di svuotare in tutta calma quel caffè del tutto privo di zucchero. Non c'è un'ora precisa per cui può tirare un sospiro di sollievo e concedersi un intero bicchiere. Il motivo è presto detto, con un suono al campanello seguito da un sospiro, una stiracchiata, delle mani che afferrano il primo cardigan pescato dal confusionario cassetto, miracolo che riesca a trovare qualcosa in quel caos. Non ha mai tempo di riordinare, dice. E poi quello non è disordine. È soltanto il suo mondo, la sua natura lo manifesta così. Piena di cose che girano, girano e girano.

Apre la porta e non si sorprende nel trovarsi davanti un uomo ben vestito e sorridente. Entra subito in casa senza chiedere il permesso ed è l'unico che non sgrida lo scrittore per il disordine, al contrario. Piace anche a lui. Hanno in realtà diverse cose in comune, il fatto che sia il suo editore forse non è un caso.

« Sono passato anche stamattina ma non c'eri. » gli dice senza rancore.

« Ero in giro. Cosa c'è? »

« Oh, caffè! » si appropria del bicchiere senza rimorsi e beve, tutto quanto. Inutile ribadire che è roba che non gli appartiene, Lavi si è rassegnato all'idea che dovrà farsene un altro. Nota che l'altro braccio del proprio editore è occupato da quelli che sembrano manoscritti. Altro lavoro, suppone, ma si sbaglia.

« Sono venuto a chiederti come vanno le recensioni per “Kichiro”. »

« Ne ho pronte tre e ho quasi finito l'ultima. » risponde con svogliatezza, guardando dalla finestra. Lavi è un uomo che non riesce a stare fermo tanto a lungo, sia in senso fisico che cerebrale. Volendo fare diversi esempi, in camera ha anche un sacco che di tanto in tanto prende a pugni e qualche peso per tenersi allenato. In alternativa cammina, cammina, quasi sempre arriva in un certo giardino, ma sono dettagli trascurabili. Fare lo scrittore gli piace, assolutamente, ma tra una cosa e l'altra si occupa anche di fare recensioni riguardo nuovi libri in uscita o consulenza per gli esordienti su riviste come quella citata prima dall'editore. Si occupa volentieri di fare ricerche approfondite sul campo letterario o storico o filosofico o di qualsiasi altra cosa per una consulenza per qualche libero professionista, gli è anche stato offerto di occuparsi dell'editoriale di un'altra prestigiosa rivista ma è ancora in trattative e di questo ne dovrebbe discutere più approfonditamente con il proprio editor. E riesce comunque a scrivere i suoi libri che vendono, piacciono. È perché lui non riesce a stare fermo un attimo. La sua natura è insaziabile, ha fame, se non fa qualcosa immediatamente per calmarla finirà per divorarlo dall'interno. Ma è un'ansia, quella che gli procura, piacevole, estasiante. È bello essere vivi, si dice spesso. Anche se manca sempre qualcosa, ma è questo il bello, affannarsi a cercarla e non stancarsi mai, non stare mai fermi.

« Allora prendo le tre che hai fatto e l'altra me la dai con calma. Ti ricordo che la prossima settimana ci sarà la festa per l'anniversario della casa editrice, vedi di esserci. »

« Con un regalino? »

« Uno smocking andrà più che bene, guercino. » gli risponde con uno sguardo ammiccante. « Poi parleremo di qualche idea per il tuo prossimo libro. Se hai già in mente qualcosa e riesci a svilupparla velocemente, possiamo pubblicarla già per la prossima primavera. »

« È il tuo modo gentile per ordinarmi di sbrigarmi, Tyki? »

« Va bene, va bene, ne parleremo. Allora io vado. »

« Sì, grazie per essere venuto. E figurati per il caffè, è stato un piacere. »

Tyki, il suo editore, in tutta risposta gli fa un sorriso, un occhiolino, ed esce di corsa con altri fogli per le mani. È una persona a posto e Lavi lo sente un po' suo simile. Forse si sarebbero attirati come una calamita anche all'Hortum Septentriones, trovandosi subito in sincronia e gridando “lavoriamo insieme”. Una dinamica d'incontro simile a quella che ha avuto con niente meno che Mai Shirafune. Non è il suo vero nome ma poco importa. Quando l'aveva avvertita vicino a lui l'aveva subito riconosciuta, un viso come quello non si dimentica e a prescindere Lavi ha buona memoria. Solo che ci aveva giocato un po', per vedere le reazioni di quella donna, un'attrice e parecchio ammirata. Pensava che si sarebbe trovato un'isterica che senza mezzi termini gli avrebbe gridato di lasciarla in pace, invece era rimasto piacevolmente sorpreso. Ripensandoci, doveva per forza essere diversa dalle dive scorbutiche, per addentrarsi lì dentro. Ed era affascinante, ammaliante, e la pelle, la sua pelle, così chiara e all'apparenza così liscia, gli era venuta voglia di toccarla per poter dire con certezza “allora è vero che tutte le attrici hanno una pelle simile” ma non l'aveva fatto. Perché sapeva che non era ciò che la sua natura realmente voleva. Se l'avesse fatto subito, quel brivido che sentiva sempre sarebbe scomparso subito e non voleva. Non con una persona del genere, non un'attrice qualunque, ma una donna minuta, elegante, che gli aveva sorriso ed esternato la propria stima senza arrossire. Interessante, sì. Davvero tanto. Un'attrazione inspiegabile ma piacevole.

Vuole rivederla, Lavi, ma non ha fretta, non ha bisogno di precipitarsi di nuovo al giardino. Lei adesso è in chissà quale set cinematografico oppure ospite di qualche trasmissione o a leggere un copione, per cui sarebbe inutile incontrarla nuovamente là oggi. Oppure, c'è la possibilità che abbia avuto un impegno alquanto sbrigativo e che ora sia a casa a leggere il libro che preferisce, scritto da lui. “Harriet”. Che nostalgia, quel titolo. Il fatto che sia proprio quello lo rende ancor più frenetico e desideroso di incontrarla di nuovo e chiederle perché, cosa l'ha colpita, cosa nei suoi scritti la spinge ad imparare a memoria ogni frase, battuta, descrizione. Ma c'è tempo, non c'è fretta. Sa che la rivedrà di nuovo.

Lì, dove la stella gira, gira e gira e fa trovare tutto ciò che desideri. Qualunque cosa sia.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Tre. Brividi. Non di freddo. Non di paura ***


Angolino; ed eccoci qua al terzo capitolo, in cui compaiono Orihime e Linalee. Per la prima è importantissimo il concetto di casa a causa della sua storia che cercherò di approfondire, per Linalee... eh, ci sarà occasione anche per lei. Orihime cotta di Kanda? Chissà. -risata- Comunque, sia Linalee che Orihime verranno coinvolte in parecchie cose, aspettate e vedrete!
E passiamo a Lavi e Rukia. Per Rukia ho cercato di spiegare il perché sia un'attrice ma temo che sia poco comprensibile, ugh. Spero di rifarmi nei prossimi capitoli. A proposito, in questa storia ha il feticismo delle mani, ah ah. Comunque, spero di rendere la storia di questi due emozionante ed “inusuale” abbastanza da potervi intrigare. Mi sto divertendo un mondo a scrivere questa storia, ah ah!
Rinnovo i ringraziamenti a
matechan e Haily per aver inserito la storia tra le preferite, e KayeJ, Ookami san, S h a i l a, Sidan e zombiecch per averla inserita tra le seguite! Ringrazio infinitamente Sidan, Haily, Ookami san, zombiecch, matechan, KayeJ, M e g a m i e matechan per le splendide recensioni che mi hanno lasciato! Ringrazio tutti coloro che leggeranno e vorranno lasciare un segno del proprio passaggio o apprezzeranno! Buona lettura!




Hortum Septentriones





Tre





Brividi
Non di freddo
Non di paura





« Questo è un giardino, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne organizzano un mercato, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne passeggiano in questo giardino, di come se ne incontrano in qualunque viale.
Ogni giorno qualcuno si perde e arriva qui, oppure ci viene di sua spontanea volontà.
Questo giardino è una casa. Per chi? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque è alla ricerca. Di cosa? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque.


Hortum septentriones »





« Nessuno chiederà informazioni su di te, a meno che la tua natura non lo voglia.
Tutto ciò che accade nel giardino resta nel giardino.


Nessuno è obbligato a rivelare il proprio nome.
Non è necessario sapere esattamente cosa si sta cercando.
Qualunque cosa sia, qui la si troverà.
Sicuramente.


I brividi che sentite non sono dettati dalla paura.
La vostra natura lo sa perfettamente. »





Si tende spesso a trascurare il concetto di casa, quello vero. Non è un ambiente chiuso nel quale sono raggruppati tutti gli effetti personali, il letto, no. Casa è dove ti senti protetto, unicamente tu, non ha niente a che vedere con posti chiusi circondati da finestre, quella è una considerazione congeniale della stessa. Ovunque uno si trovi, se si sente in pace con se stesso, allora è a casa. Può essere un palazzo come una panchina o una strada o una spiaggia. Oppure lo stesso ammasso di carne ed ossa che compone l'essere umano e gli dona un cuore che pulsa, un cervello che ha impulsi, una coscienza che agisce. Quella è la casa più bella, fatta su misura per il proprio io. Orihime è giunta a questa conclusione molto tempo fa. Solo adesso comincia a sentirsi realmente a casa, con se stessa, lontana da quegli inconvenienti che l'hanno accompagnata per sedici anni di vita. Ora è diverso, finalmente è lontana da tutto questo e si ritiene anche più fortunata di quanto avesse pronosticato perché di case ne ha trovate ben due. Una è nel dormitorio femminile in cui si è trasferita, con la sua stanza arredata appositamente per realizzare le sue piccole fantasie -lusso che non si era mai potuta concedere- l'altra è in un giardino che dista cinque minuti a piedi. Per essere più precisi, Orihime porta casa sua in quello spiazzo senza creare problemi a nessuno. Non avrebbe mai pensato né sperato di trovare un prodigio simile. Si chiede spesso chi abbia avuto l'idea, lo vorrebbe conoscere e potergli dire “anch'io la penso come lei”, perché chiunque abbia fondato l'Hortum Septentriones dev'essere un uomo, o una donna, molto simile a lei, in cerca di una vera casa, quell'immagine utopistica che molti trascurano ma che, quando la si trova, ci si sente bene, in pace con se stessi e pronti a condividere quel benessere con qualcuno. Intorno a lei ci sono tante persone che forse la pensano allo stesso modo. Anzi, dev'essere per forza così, perché lì tutti sono a casa e il vicinato è amichevole, discreto, misterioso se vogliamo. È l'inconscio l'inquilino esclusivo e si svela solo al momento più opportuno, un lusso che Orihime non si è mai potuta concedere. Ora è diverso, ha una nuova vita e non vede l'ora, sente i brividi ma non per il freddo, né per la paura. La sua natura è emozionata di fronte alla novità e la spinge a proseguire lungo quel viale, fra i mercatini, augurandole di trovare ciò che cerca e di rendere così la casa più bella e accogliente. La sua natura è molto ottimista, sorride e ciò si riflette nel viso della ragazza e nei suoi movimenti scattanti, saltella rendendosi quasi una bambina in gita scolastica. Ha voglia di cantare e di gridare che la vita è bellissima, Orihime, ma la sua natura possiede anche uno spiccato senso del pudore e allora si limita a sorridere mossa da quel brivido carico di fiducia. Verso chi non lo sa ancora, ma è andata all'Hortum Septentriones apposta per rispondere a questo e anche se la ricerca sta tirando per le lunghe lei ne è felice, perché ogni giorno che passa lì dentro non è mai sprecato. È bello, come la nuova vita che le è stata offerta.

Ultimamente si avvicina spesso al registro. Non è altro che un quaderno a righe, periodicamente viene sostituito per permettere a tutti di poterci scrivere sopra. Orihime non sa chi lo cambi, in verità non lo sa nessuno, così è facile arrivare a pensare che il quaderno in realtà non abbia una fine e si appresti a contenere tutte le anime che lo sporcano d'inchiostro. Non è una cosa che si vede in un normale mercato, né è paragonabile alle classiche liste agli ingressi dei night club. Il funzionamento di quel registro è noto a tutti e se capita di spiegarlo lo si fa con toni altisonanti, oppure attraverso il manifesto, ai cancelli. Chiunque, volendo, può trascrivere il proprio nome per essere trovato da chi considera il proprio “pezzo mancante” o la “meta” della propria ricerca. Orihime non capisce pienamente come lo scrivere su dei fogli possa far avvicinare due persone che non si rivolgono la parola, ma ne è oltremodo affascinata. In qualche modo, quelle persone si riconoscono, capiscono e si incontrano. È possibile rilasciare un nome falso, a propria discrezione, e aggiungere un numero di telefono o l'e-mail, oppure un punto preciso dell'Hortum Septentriones per essere raggiunto. Molti potrebbero facilmente pensare ai classici incontri che si farebbero online, ma lei lo sente, è diverso. In quel posto spesso le persone non si parlano. Prima si guardano, anche di sfuggita, poi magari scrivono, si incontrano e solo una volta fuori dal giardino mettono alla prova il risultato della ricerca. Perché tutti coloro che percorrono quel viale sanno che all'infuori ogni percezione cambia radicalmente. Il giardino della stella polare non altera le sensazione, semplicemente le fa esplodere e offre posto solo per quelle. Dà spazio a cose che là fuori non hanno un posto fisso. Per questo la vera prova spesso consiste nell'affrontare la vita fuori, contro quel senso di soffocamento che può portare due cercatori velocemente alla pazzia.

Orihime ha spesso sentito storie legate a quel registro. Alcuni non hanno retto la differenza e sono tornati per cercare una via alternativa. Altri hanno instaurato amicizie sincere e durature ed altri ancora sono andati oltre. Quel giardino riunisce metà, di qualunque tipo si tratti. Anche lei vorrebbe incontrare una persona con la quale sentirsi istantaneamente un tutt'uno e poter stare con lei, qualsiasi legame si venga a creare, dentro e fuori di lì. Condividere, anzi, costruire una nuova casa, un lusso che non ha mai avuto. Per questo ogni tanto sfoglia il registro ed è pure tentata di impugnare la penna e scrivere, ma alla fine non lo fa, guarda e basta, legge nomi che non conosce, alcuni sono falsi, ci sono numeri di telefono, vie, strani caratteri. E trova tutti loro speciali, anche se non li conosce, perché cercatori come lei, pieni di speranza, con il cuore in gola per la vita che quel posto offre, con così tanto spazio per quei brividi che provoca la natura di ciascuno di loro.

Si sarebbe accontentata di una casa semplice, Orihime, ma è molto meglio di quanto avesse potuto sperare. Si chiede che tipo sia il fondatore di quel luogo. Sicuramente la pensa come lei, vede le stesse cose che vede lei o addirittura sta camminando accanto a lei. La ragazza questo non può saperlo, ma non ha importanza, è contenta anche così. Le piace pensare che quella persona sia dovunque, al sicuro, nella propria casa.

Se c'è una cosa che Rukia ama, quella è l'abitudine. Non potrebbe fare a meno di quelle cose che si ripetono ogni giorno, senza cambiare mai, inespugnabili di fronte alla forza del tempo. Per una come lei, abituata ad assecondare il proprio essere che gira vorticosamente, ciò rappresenta un contrasto intrigante. Non saprebbe davvero rinunciare al suo cornetto accompagnato da cappuccino e succo di frutta, stesso discorso aveva valenza per la doccia prima di cena, il pettinarsi appena sveglia, il dirigersi sempre e comunque all'Hortum Septentriones. Quelle abitudini immutabili sono ciò che la tengono ancora legata al proprio inconscio, che non la fanno impazzire dopo tutti i ruoli che ha interpretato. Anche ripensare a come le fosse venuta voglia di intraprendere quella professione fa parte delle sue amate consuetudini. Le piace ricordare suo fratello, raffinato, amante del cinema, collezionista di ogni genere di lungometraggio, e fu guardando film su film con lui tutte le sere che aveva sentito quei brividi, di chi ha trovato quel che cercava da tempo. Rukia si accorse, col tempo, di come desiderasse giocare con innumerevoli personalità, essere diversa per qualche secondo ma di non possedere mai nessun carattere. Per lei è come fare compere, tornare a casa e provare tutti i vestiti di fronte allo specchio. Vuole dimostrare di essere brava a essere di tutto, quasi voglia dare uno schiaffo morale a chi le diceva che era troppo “impostata”. Non si riconosce in quell'aggettivo, ma proprio qui si svela la sua natura, votata alla recitazione. Lei è sicura di non essere come la definiscono, ma allora per quale ragione la ritengono tale? Perché per molto tempo l'hanno ritenuta altezzosa, viziata? Non si era mai accorta di indossare una maschera che mostrasse dei lati non proprio bellissimi. E solo sforzandosi al massimo, immedesimandosi in tutti quanti incontrasse, assaporando ogni sfumatura delle personalità -o maschere, a propria discrezione- capì come fosse facile regalare milioni di sensazioni diverse, volendo o no.

Le piace provare ad essere chiunque per capirne il punto di vista e poter in qualche modo essere in pace con se stessa. Volendo fare un discorso più egoista, le piace prendersi gioco di chi le ha affibbiato aggettivi che non le appartengono, costringendola ad indossare una maschera che non aveva mai richiesto. Bene, allora: se proprio devo portare una maschera, che sia scelta da me. E no, non è essere viziati. Quando si tratta di soddisfare la propria natura, quella trottola impazzita, nessuno lo è. Il suo io ha fame di brividi e di novità effimere, che passano subito, altalenandosi a quelle abitudini a cui non sa rinunciare perché altrimenti impazzirebbe in mezzo a tante maschere che prende in prestito. Rukia è molto attenta quando si tratta di questo. Perdere la propria individualità significherebbe sconfitta totale, accontentare gli stolti che, per qualche motivo, hanno avuto certe considerazioni di lei, buone o cattive, sarcastiche o compassionevoli, di qualunque tipo si fossero trattate, non la rispecchiano mai totalmente né le chiedono un parere a riguardo. Lei non è egoista, o viziata, anche se già questa affermazione di per sé può far intendere il contrario. Cosa dire del mondo che le ha affidato una maschera senza nemmeno chiederle il permesso?

Sembra che Rukia abbia deciso di essere un'attrice per vendetta. Forse è così. Forse, perché la sua natura gira così forte che risulta addirittura sfuggente ed elude alcuni quesiti fondamentali. Vendetta, fama, brivido, quel che sia. Purché non impazzisca, purché riesca ancora a sedersi al tavolino di quel bar appena fuori l'Hortum Septentriones e non mancare nemmeno oggi la sua abitudine costituita da cornetto, cappuccino e succo di frutta, prima di addentrarsi nel giardino.

Un'altra sua abitudine risiede nel guardare, senza nessuna vergogna, chiunque attraversi i cancelli prima di lei e provare ad indovinarne i pensieri. Una sorta di spettacolo improvvisato nella sua mente, volendo fare un paragone azzardato, si esercita nella recitazione impersonando il primo che le capiti davanti agli occhi. Ne guarda con attenzione fisionomia, portamento, gesti e ne estrapola frasi di senso compiuto mettendoci la giusta enfasi. In diversi casi si rivela un passatempo molto divertente ma al tempo stesso indiscreto perché fa lo stesso gioco di tutti gli altri. Fa indossare maschere a gente che non conosce, lasciandosi andare alle astratte sensazioni. Si sente un po' in colpa quando si sorprende a farlo ma la sua natura sovrasta facilmente quel sentimento. È un circolo vizioso dal quale nessun uomo viene fuori. Tutto sta ad arrendersi al fatto che è impossibile combattere contro una cosa tanto immensa.

Prende un sorso di succo di frutta mentre vede passare l'ennesimo sconosciuto e poi si volta, sorpresa da una voce ed un leggero tocco alle spalle. Lui le sorride e invece di fare un inchino od un cenno del capo, saluta agitando la mano, come farebbe un ragazzino. Dopotutto è giovane, forse ha un paio d'anni in meno in lei. Non si direbbe mai che un giovane del genere possa scrivere alcuni tra i suoi libri preferiti.

« È bello incontrarla di nuovo, Mai. » le dice sorridente. Anche lei risponde al saluto allo stesso modo.

« Avrei detto “che coincidenza”. »

« Io non credo alle fatalità. Specie dopo essere stato là. » indica con la testa il giardino a pochi passi. « Anche se siamo fuori mantiene la sua influenza, non crede anche lei? »

« In un certo senso. »

« Posso sedermi con lei? »

« Prego. Ordino qualcosa per lei? »

Si siede, lasciando che i capelli rosso sangue gli cadano sul viso, costringendolo a ritirarseli alla rinfusa. La benda che cela con sfacciataggine l'occhio destro è sempre nera ma stavolta un filo passa sul naso e gli segna la guancia. Rukia, guardandolo, ha la sensazione che lo renda più “duro”, non sa bene come spiegarlo. Lo trova più malizioso, non sa perché, ma è affascinata dal fatto che a quel ragazzo basti poco per alterare le percezioni in pochi secondi. Emana la stessa sensazione che prova quando legge i suoi libri. È piacevole per lei sapere di conoscere già la sua natura, attraverso quegli scritti, e soprattutto che lui non si sia coperto dietro frasi fatte. Rukia comprende che lui non scrive per fama o soldi, né per superbia, dimostrare di essere bravo più di tutti in qualcosa, lo fa semplicemente perché lo vuole fare ed è soddisfatto solo così. Anche la sua natura è affamata, lei lo capisce ed è lieta di questo.

« La ringrazio ma non prendo niente. Ho già preso il caffè a casa. »

« Io preferisco il cappuccino. »

« Con tanto zucchero, immagino. »

« Senza esagerare. »

« Già. Equilibrio prima di tutto, dico bene? »

« Percepisco del sarcasmo. »

« No, preferirei definirla “ammirazione”. Lei, come dire, mostra assoluta calma nei gesti, nelle parole, in ogni cosa. L'ho notato subito, guardando i suoi film. Anche quando ha lavorato in “Descent”, ricopriva il ruolo di una donna piena di squilibri mentali, imprevedibile, esplosiva. Eppure riesce a far risaltare la tranquillità con cui riesce ad immedesimarsi nei ruoli. Il suo è un equilibrio che raramente l'uomo raggiunge. È straordinario. »

« Al contrario, nei suoi lavori un equilibrio non c'è, Deak. »

Lui sorride, l'occhio verde la scruta a fondo. « Perché non mi piace imporre qualcosa. La tranquillità è qualcosa che si trova da sé, questo vale anche per i miei personaggi. Voglio che loro riescano a trovarlo per conto proprio, senza la mia guida, così possono crescere. Non sarebbe normale se raggiungessero già tale grado di perfezione, no? E poi lascio che siano i lettori a giudicare se questo equilibrio è stato raggiunto o no. Altrimenti non sarebbe divertente. »

« Parla dei suoi personaggi come se fossero delle persone vere. »

« Non è così anche per lei? »

« Ad essere sincera, non proprio. Mi dispiace. »

« Va bene così. »

Da quando ha incontrato Deak, l'unica cosa che vede sul suo volto è il sorriso. È insolito, ora che ci fa caso. È sì gentile, affabile, sembra davvero felice di parlare con lei, ma c'è anche dell'altro. Malizia, la voglia di insinuarsi in qualcosa più grande di loro. Rukia riesce a vedere la natura di quell'uomo traboccare dalle sue labbra, insaziabile. Molto simile alla sua, è quasi inquietante, anche se lo dimostra in un modo diverso, più sfacciato, senza vergogna, né equilibrio. Che si diverte a indossare tante maschere attraverso i protagonisti dei suoi libri ma non se ne appropria mai. Hanno modi diversi di affrontarle, ma vivono situazioni medesime. Entrambi cercano, si affannano, senza stancarsi mai.

Le mani di Deak si appoggiano al suo mento, poi salgono a sfiorare le labbra, pare impaziente. Ecco, le mani cercano di placare quella natura incontrollabile che gira, gira, gira in totale assenza di equilibrio. Le stesse mani che gli aveva visto, dalle dita lunghe e affusolate, ben curate, piacevoli alla vista, e poi si cercano nuovamente una sigaretta, scattanti. Non può fare a meno di guardarle, Rukia. È pronta a giurare di non vedere da tempo delle mani così insolite, affascinanti.

« Stava per entrare oppure è appena uscita? » le chiede all'improvviso, una volta accesa la sigaretta.

« Sono appena arrivata. »

« So di sembrare sfacciato, ma le va di entrare con me? Fare una passeggiata insieme. »

Rivolge uno sguardo ai cancelli poco distanti prima di rispondere. È lì dove tutto è iniziato, la ricerca, la consapevolezza che lì di maschere non ce ne sono, come non esistono coincidenze, solo fatti, desideri, nature di tutti quanti. Non è una casualità, sicuramente l'incontro con quell'uomo ha a che fare con la ricerca atta a soddisfare il proprio io affamato. E questo le fa venire in mente di nuovo quel libro che tanto ama, lo rievoca all'istante, senza paura di sembrare ossessionata.

« “Non più sfacciato di un bacio sotto la pioggia, o di uno sguardo furtivo. Harriet pensava che la definizione di sfacciato non doveva esistere in alcun vocabolario, poiché senza quel senso di iniziativa, gli uomini avrebbero perso ogni gusto della vita, del brivido. Cosa ci poteva essere di sfacciato nella bellezza della vita?” »

« “Sfacciato, era davvero una parola dal suono sinistro. Sentenziare che assecondare i propri desideri era sfacciato, era come dire che fare l'amore era peccato”. » un sorriso, ancora uno, parzialmente nascosto dalla sigaretta stretta attorno alle labbra. « Lei è una persona davvero sorprendente, Mai. »

« Vale lo stesso per lei, Deak. »

« Allora, vogliamo andare? » le porge la mano, insieme cominciamo ad incamminarsi. Si sentono bene, avvertono quei brividi dettati dalle rispettive nature, sembrano impazzite, altro che girare, sembrano esplodere. Rukia ha potuto sfiorare quelle mani e non hanno tradito le aspettative, sono belle anche da toccare. E Deak ha potuto toccare la pelle di un'attrice come lei, è davvero liscia, allora veramente tutte le attrici hanno una pelle del genere, ma la cosa che gli provoca i brividi lungo le braccia e la schiena è il fatto che quella pelle sia di Mai Shirafune, elegante, equilibrata, caratteristica che ammira molto. Di sicuro Harriet, la protagonista immaginaria dell'omonimo romanzo, avrebbe una pelle simile.

Si accontentano di quel tocco lieve e sfuggente e cominciano a camminare, parlare di tante cose, sorpassano il maestoso orologio a forma di stella che gira, gira, gira, più lento delle trottole che hanno nel corpo, sono incontrollabili. Entrambi però non possono far altro che lasciar fare e assecondare i propri istinti. Fa parte della ricerca, della soddisfazione, che solo l'Hortum Septentriones può dare.

È così che sorpassano anche Orihime, senza notarla. È appena tornata dal suo consueto giro ed ora sta sfogliando il registro. Non riesce a togliersi dalla testa il volto dai tratti delicati, quasi femminei, del venditore di statuette di vetro. Sono bellissime, si ferma sempre a guardarle e quando può anche vedere lui all'opera. È un ragazzo che non tollera molto gli sguardi troppo indiscreti così spesso la ragazza lo fissa di rimando, facendo finta di essere presa di più dalle statuette, ma no, è lo sguardo cristallino di lui a colpirla, così assorto. Vuole sapere cosa trasmette in quegli oggetti inanimati finemente decorati. E vuole parlare con lui, vedere se sente le stesse cose che sente lei. L'affascina, l'attira, è strano, non si è mai sentita così. Si sente simile a lui e vuole accertarsene, nonostante il carattere scostante di lui faccia pensare il contrario. E lei è timida, molto, ancora non riesce a rivolgergli la parola e chiedergli il nome, quando si decide c'è sempre qualche altro cliente e non se la sente di farlo davanti agli altri.

Allora sfoglia il registro nella vana speranza di trovarlo. Non sa come si chiami e nemmeno con quale criterio spera di trovarlo. Si basa semplicemente sul brivido che in quel momento non sente. I nomi che ha incrociato non le evocano niente per cui non può essere lui. O forse ha solamente messo i piedi per terra e si rende conto che è impossibile cercare un nome scritto là sopra senza nessuno indizio.

Si guarda attorno, vede una persona piccola di statura, capelli scuri, è sicura di averla già vista da qualche parte. Sgrana gli occhi, non può essere, quella è l'attrice Mai Shirafune, è proprio lei. Non avrebbe mai pensato che anche lei fosse il tipo da girovagare in un posto del genere, che bella sensazione scoprirlo. Vorrebbe chiederle un autografo, sempre se non disturba, ovviamente. È a pochi passi da lei, basta un po' di coraggio, non è come parlare con quel misterioso venditore di statuette di vetro, sarà più facile. Così comincia a camminare, poi corre, con la scarpa slacciata, presa dalla foga non presta attenzione a dove mette i piedi ed inciampa. Si sente tirare la manica ma cade comunque, niente da fare. L'impatto con la strada ciottolata la porta a tenersi il ginocchio, mentre una mano si china verso di lei. C'è una ragazza, più che preoccupata sembra sorpresa. Porta con sé un enorme borsa.

« Ti sei fatta male? »

« No, sto bene. Mi scusi tanto, correvo senza guardare e... »

« Non devi mica scusarti con me, però cerca di stare attenta, rischi di farti seriamente male su una strada come questa. E poi non darmi del lei, non sono così vecchia, sai? »

A guardarla effettivamente sembrerebbe una sua coetanea. D'improvviso Orihime sente i brividi, la pelle d'oca che prova quando si sente a casa. È disorientata, chi è mai quella ragazza che la fa sentire così tranquilla e al sicuro? Non la conosce nemmeno, ma tant'è, sente di potersi fidare di lei. È da ingenui, ne è consapevole, ma è così. È a casa.

« Grazie dell'aiuto. Io mi chiamo Orihime Inoue. »

« Io sono Linalee Lee. Sicura che sia tutto a posto? Prima ti stavi tenendo il ginocchio. »

« Oh, sì. Sicuramente mi verrà un bel livido, ma ci sono abituata, cado in continuazione, eh eh! » si accorge che ha perso di vista Mai Shirafune, peccato. Ma non tutti i mali vengono per nuocere, ora sa che quell'attrice così bella e brava fa parte del giardino, quindi ci saranno altre occasioni. E poi, se non si fosse messa a correre per raggiungerla non avrebbe incontrato una persona che, a colpo d'occhio, l'avrebbe fatta sentire a casa. La sua natura sta saltando di gioia, come se avesse trovato un tassello del puzzle per la felicità.

« Sarà meglio dargli un'occhiata e metterci dell'acqua fredda o del ghiaccio. Sediamoci su una panchina, va bene? »

« Non vorrei disturbare... »

« Disturbare nel giardino della stella polare? » la nuova conoscenza ride. « È impossibile. »

Esatto. Perché Orihime e quella ragazza, Linalee, si trovano a casa. Come si fa a provare fastidio stando a casa, il luogo più sicuro del mondo?

Nessuna delle due si è resa conto di essere rimasta su quella panchina per più di un'ora a parlare. Il problema del ginocchio è stato accantonato subito dopo. Hanno parlato e addirittura si sono promesse di rincontrarsi lì dentro.

Orihime è davvero felice. Avere degli amici, una vera casa, una natura così scalpitante, tutti lussi che non si era mai potuta concedere. Trova che la vita sia davvero bella e nonostante il ginocchio le faccia un po' male, vorrebbe saltare di gioia. O tornare a quella bancarella che ama tanto e vedere come la sua felicità si rifletta perfettamente in quelle bellissime statuette di vetro, realizzate da un altrettanto bellissimo ragazzo ancora senza nome. Ma spera per poco.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Quattro. Quella stella che ci guida ***


Angolino: salve a tutti, eccoci al quarto capitolo di questa stranissima storia. Qui compare anche Allen, Renji è accennato ma tranquilli, avrà il suo spazio anche lui. Shinji, da qui potrete intuire che ha un ruolo molto particolare nella storia, trovo che gli si adatti, visto il tipo. Ma lascio che siate voi a giudicare, nell'intanto mi diverto con un Ichigo un po' tanto OOC che si impaccia di fronte ad Orihime. Ecco, anche con lei ci sarà parecchio da divertirsi. Oddio, in realtà un po' con tutti, qui si stanno rivelando un sacco di ruoli scandalosamente bellissimi e divertenti, è incredibilmente assurdo!
Comunque spero che vi piaccia. Vi sto anche mettendo la pulce nell'orecchio su chi abbia fondato questo posto, ah ah. Chissà se lo saprete mai. -ghigna-
Ringrazio infinitamente
KayeJ, matechan, Haily, Sidan, M e g a m i, zombiecch, Ookami san per le splendide recensioni che mi hanno lasciato! Ringrazio di cuore AriCastle66, M e g a m i, matechan e Haily per aver inserito la storia tra le preferite, e ringrazio di cuore KayeJ, M e g a m i, S h a i l a, Ookami san, Sidan e zombiecch per averla inserita tra le seguite! Ringrazio tutti coloro che leggeranno e apprezzeranno e chi vorrà lasciare un commento! Grazie di cuore e buona lettura!





Hortum Septentriones





Quattro





Quella stella che ci guida





« Questo è un giardino, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne organizzano un mercato, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne passeggiano in questo giardino, di come se ne incontrano in qualunque viale.
Ogni giorno qualcuno si perde e arriva qui, oppure ci viene di sua spontanea volontà.
Questo giardino è una casa. Per chi? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque è alla ricerca. Di cosa? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque.


Hortum septentriones »





« Nessuno chiederà informazioni su di te, a meno che la tua natura non lo voglia.
Tutto ciò che accade nel giardino resta nel giardino.


Nessuno è obbligato a rivelare il proprio nome.
Non è necessario sapere esattamente cosa si sta cercando.
Qualunque cosa sia, qui la si troverà.
Sicuramente.


I brividi che sentite non sono dettati dalla paura.
La vostra natura lo sa perfettamente.


È possibile organizzare particolari eventi quali concerti o feste.
Qualora lo si desideri, è possibile alloggiare per una o più notti nelle locande.
Non vi è alcun obbligo di rilasciare i veri dati personali o documenti.
Il pagamento varia a seconda delle locande.
O, per meglio dire, a seconda della natura dei rispettivi gestori. »





Shinji richiede sempre il servizio in camera quando si ferma a dormire all'Hortum Septentriones. È un uomo a cui piace fare le cose con calma e trova che la colazione sia il momento migliore della giornata, perciò tende a creare quell'atmosfera familiare e accogliente anche quando non si trova a casa propria. Il giardino offre una tranquillità maggiore, in un certo senso è meglio del proprio appartamento nel quale, fra i tanti dispiaceri, c'è il non poter ascoltare musica in pace, il suo amato jazz, in quel quartiere troppo affollato, ricolmo di rumori che irritano solamente. No, se potesse, Shinji si trasferirebbe in pianta stabile in quel giardino.

È stato uno dei primi frequentatori. Ricorda bene il formicolio che lo aveva assalito di fronte ai cancelli, davanti al manifesto che lo tentava e quella stella che girava, ipnotizzante. Aveva notato alcune bancarelle e per curiosità si era addentrato, per scoprire che quel posto occupava banchi di musica jazz da far invidia a qualunque centro specializzato, e non solo, si potevano trovare libri, cibo, gli oggetti più disparati, anime che cercavano un posto in cui stare in pace, come lui.

Aveva perso le speranze su quel punto. Sul fatto di essere in pace con se stesso e con il resto del mondo. Aveva affrontato innumerevoli traslochi, nei luoghi più disparati, senza trovare nessun posto che soddisfacesse le sue esigenze. Qui no perché è troppo caldo, troppo chiuso, troppo sporco, troppo stretto, troppo buio, troppo spoglio, troppo caro. Aveva in programma un ennesimo trasloco ma poi era comparso l'Hortum Septentriones. Benedizione.

Quel posto gli offre l'opportunità di trovare la calma a cui tanto aspira a prezzi vantaggiosi, spesso nulli. Lui si dirige lì e cammina, compra, osserva, parla, che siano incontri occasionali o meno sono sempre fortuiti, ognuna delle persone con cui conversa ha il suo singolo valore. Quando la stanchezza si fa sentire di più, allora chiede una camera in una delle locande che mette a disposizione il posto. Sono molto piccole, ci sono sei, dieci stanze al massimo in ciascuna di esse, ma lui può giurare che siano altrettante volte meglio di qualsiasi hotel di lusso. Funzionano come dei normali alberghi, almeno all'apparenza. Tu entri e chiedi una camera, scegli se pagare subito o in un altro momento, loro ti danno la chiave e ti augurano buona permanenza. Ma nell'Hortum Septentriones la somiglianza si riduce solo a questo.

Innanzitutto non vi sono camere singole, doppie o triple. Non sono presenti letti a dire il vero, anche se questo può variare a seconda della locanda. Quella in cui va sempre Shinji ha stanze ricoperte da tappeti e cuscini. Solo al centro della camera pende una tenda di colore scuro, al cui interno si trovano molti più cuscini. La zona letto si riduce a quella, con qualche coperta, ma lui l'adora proprio per questo. È particolare. Anche la gestione dei bagni è diversa da quella dei normali alberghi. C'è solo una vasca all'interno della stanza, su un piano sopraelevato per separare le zone. Se poi vuole andare alla toilette, deve andare in fondo al corridoio, uscendo così dalla camera. Una disposizione strana che però lui trova fin troppo efficace. Usa dire sempre “un conto è pisciare, un altro stare nella vasca senza pensare a niente”. Per questo si ferma spesso in quell'hotel, anche per il fatto che riesce a vedere le cose in un'altra prospettiva nel senso più stretto del termine. Gli piace sdraiarsi per terra, con i piedi sul soppalco del bagno e la testa sul pavimento e guardare il mondo capovolto. Sarebbe divertente se il mondo si capovolgesse secondo i suoi desideri, la destra al posto della sinistra, il sopra al posto del sotto, l'avanti al posto del dietro, e tutti che restano confusi, senza sapere dove sbattere la testa, rimanendo così l'unico a proprio agio, nel suo mondo, un mondo che si capovolge come la sua natura, senza fermarsi mai, è divertente, è bellissimo. D'altronde, lui è sempre stato un tipo controcorrente. “Fare le cose al contrario è la mia specialità”, capacità che però non tutti apprezzano, quasi nessuno. Non là fuori. In quel giardino però sì, lo apprezzano tutti, lo rispettano, anche perché è uno dei primi frequentatori e sa molte cose su quel posto.

Per esempio, lui è l'unico a conoscere l'identità del fondatore dell'Hortum Septentriones. Ma la sua natura gli dice di agire al contrario, fai finta di non saperlo, è più divertente vedere la gente rimane sbigottita a chiedersi “ma come, questo gira dalla notte dei tempi e non sa chi è?” poverini, non li reggono i capovolgimenti.

Lui però sì. E non gli è mai venuta la nausea per questo.


Il tintinnio delle monete è secco, vuoto. Allen si sente un automa quando conta l'incasso della giornata, capita che perda il conto e debba fare tutto da capo. I soldi, maledetti, tormento e delizia ma soprattutto tormento, il ragazzo si chiede sempre chi ha deciso che fossero necessari dei fogli stampati e delle monete per poter vivere dignitosamente. Per quanto si dica che i soldi non fanno la felicità, resta lì, inerme, a capo chino tutto intento a contare, con quel tintinnio che trapana la sua mente. È da quando è nato che non fa che destreggiarsi con i soldi e lo trova disgustoso, un ragazzo di sedici anni dovrebbe condurre una vita serena e senza pensieri, facendosi cullare ancora un po' dai genitori, stesso discorso per un bambino. Allen giura che, se mai un giorno dovesse avere dei bambini, non li obbligherà mai a fare cose così noiose, nonché umilianti. Fosse per lui getterebbe in una fontana tutto il guadagno ma non può, deve pur mangiare, e poi quel denaro non gli spetta del tutto. Ha sulle spalle delle responsabilità che deve e vuole onorare, la consapevolezza di aver fatto bene il proprio dovere compensa la tristezza del suono delle monete che cadono a terra, con quel suono sordo e molesto. I soldi non fanno la felicità, così si dice. Allen è convinto che chi l'abbia detto sia un uomo facoltoso, un grande ipocrita. Vorrebbe tanto vederlo al proprio posto.

Fortunatamente però i problemi economici non lo rendono del tutto pazzo, da quando ha messo piede in quell'atipico giardino. Sui normali marciapiedi si sente un autentico fallito, mentre in quel giardino la vita di strada sembra la cosa più bella del mondo. Quel che poi è sempre stato. Allen aveva quasi completamente dimenticato il fascino di una vita senza catene, votata all'arte pura, poterla esprimere liberamente aspettandosi in cambio solo un po' di attenzione, neanche denaro. A lui è sempre piaciuto l'attività dei circensi, è un ottimo giocoliere, sa fare il clown, gli piace far sorridere le persone per strada, senza conoscerle. Ma fuori dal giardino le risate erano dovute solo alla propria condizione. Non è considerato un artista, ma un poveraccio e basta che ha pure una mano deforme, nasconderla con i guanti non serve a nulla. La vita di strada che tanto amava si stava rivelando un inferno e ci sarebbe morto sicuramente, sepolto dalle derisioni, dal non essere compreso, pieno di cinismo sul fatto che è vero, l'arte non serve a niente. Se non fosse stato per Renji, un collega di lavoro, se vogliamo, che lo ha trascinato all'Hortum Septentriones, si sarebbe ritrovato a fare un lavoro mortificante ed alienante come il normalissimo impiegato. Quel giardino è stata una vera e propria liberazione. Riesce ad esprimere sé stesso, la sua arte, sorride, diverte, ci sono un sacco di persone che lo guardano e sono felici, restano a fissarlo. Si sente bene Allen, ormai si può dire che lavora al giardino con Renji. È bellissima la vita lì dentro, è felice. È Allen, non un pagliaccio qualunque senza nome con una mano deformata. La sua natura trabocca di appagamento. Vorrebbe ringraziare di cuore chi ha creato quel posto.

Lui non sa chi sia il fondatore. Ha chiesto più volte a Renji ma nemmeno lui sa dire qualcosa e a tal proposito lo ha avvertito. La curiosità uccide, è meglio non saperlo, dopotutto cosa importa? Eppure Allen ultimamente è pervaso anche da quel desiderio di conoscere un'anima come la sua, un po' da artista. Così comincia a chiedere in giro quando non lavora, quando non ha la faccia pitturata di bianco con un nasone rosso. Ma nessuno sa dirgli qualcosa. C'è anche chi semplicemente non vuole parlare. Uno di questi è Kanda, Allen è sicuro che lui sappia qualcosa ma si stizzisce come chiede qualcosa e gli risponde sempre “se non sei venuto per comprare puoi anche andartene”. Lo trova a tratti maleducato ma alla fine è sempre Allen a sentirsi in colpa. La sua natura è troppo piena di senso di responsabilità.

Ma ecco, si apre uno spiraglio. È un giorno come tanti, stavolta non si è avvicinato al banco di Kanda per porgli domande, vuole solo guardare perché fa delle statuette di vetro davvero belle. Si guarda bene dal fissarlo anche solo di sfuggita nonostante gli occhi del giovane venditore lo scrutino con attenzione.

È un tipo particolare, con cui non si sa bene come approcciarsi. Quando prende l'iniziativa spiazza completamente l'interlocutore, è come essere sotto ipnosi ed essere svegliati bruscamente.

« Shinji Hirako forse lo sa. »

Allen lo conosce di fama, sa che è uno dei primi frequentatori e che conosce quel posto meglio delle proprie tasche. L'ha visto varie volte, è un uomo molto elegante, dai vestiti sempre impeccabili, i capelli biondi e uno scintillante piercing sulla lingua, è facile riconoscerlo. Eppure non si precipita a cercarlo.

Improvvisamente ha paura.

Sa che sapere l'identità dell'uomo, o della donna, che ha creato il giardino della stella polare può letteralmente cambiargli la vita, e non solo a lui. Il non riuscire a prevedere cosa esattamente cambierebbe lo disorienta. La pulsante curiosità diventa subito timore nel momento in cui gli viene offerto su un piatto d'argento la possibilità di sapere.

È volubile, Allen, come tutti gli esseri umani. La sua natura, alla fine, non differisce da quella di tutti quanti, anche se è un artista. In fin dei conti, in quanto uomo, desidera sempre ciò che non ha. Gli dispiace constatarlo, ma il suo io fa da padrone e si diverte a farlo sentire in colpa.

Al richiamo di Renji torna al lavoro, a capo chino, disorientato. Dà le spalle a Kanda senza salutarlo, il quale lo scruta senza particolari espressioni. Un po' lo capisce, sia chiaro. Ma lo trova comunque stupido.


~ Ore 21.35 ~


La sera è il momento che Grimmjow preferisce all'Hortum Septentriones. Quasi ogni notte vengono organizzati i più svariati eventi, serate particolari, concerti, anche feste in maschera e fuochi artificiali. Questa sera c'è un concerto e non se lo vuole perdere, come tutte le notti. C'è anche Ichigo con lui. È strano, è la prima volta che insiste per tornare al giardino. Per quanto gli chieda cosa gli sia successo, l'altro si chiude a riccio e dice solo che ha voglia di tornarci. La cosa lo spiazza ma dopotutto ne è contento ed ha la scusa perfetta per tornare in quel posto che tanto adora. Sorseggia dell'ottima birra, incontra diverse persone che nemmeno conosce ma ci parla, tranquillamente, sa che gli si presentano con dei nomi falsi molto spesso ma la cosa non lo turba minimamente. Può persino distogliere un momento l'attenzione da Ichigo per osservare gli altri, spudoratamente. Poco distante da lui vede una chioma rossa che riconosce subito, è quello che si fa chiamare Deak.

In realtà si chiama Lavi, lo sa benissimo. Ci sono giorni in cui stanno seduti davanti ad una birra e parlano senza smettere per tutta la giornata anche, ed altri in cui, come ora, quasi si ignorano. Si scambiano un veloce sguardo eloquente e basta. Lavi è in compagnia di qualcun altro stasera, molto più basso di lui, per cui Grimmjow, semplicemente, decide di non invadere i suoi spazi, così come Lavi lascia in pace lui perché lo vede in compagnia di un'altra persona. Hanno un modo molto insolito di comunicare ma entrambi sono ben soddisfatti del rapporto che hanno. Silenzioso, istintivo. Perfettamente adatto alle rispettive nature.

Il concerto è ormai cominciato e Ichigo si tiene le tempie. La musica è troppo forte e c'è troppa gente, non è abituato ad essere circondato da una marmaglia simile. Dice a Grimmjow che va a prendere da bere e non è necessario che lo accompagni, sa cavarsela da solo, è forte.

Sa badare perfettamente alle ombre che gli compaiono accanto. Lui le ha sempre viste ma da quando è morta sua madre lo tormentano a più non posso, è un ossessione. Le scaccia via con prepotenza anche perché non vuole che infastidiscano gli altri spettatori che hanno sguardi straniti. Ichigo non capisce che quelle che vede non sono altro che elucubrazioni mentali, niente di diverso dalle allucinazione e che gli sguardi sono rivolti a lui, al suo gridare di andarsene costante, alla sua pelle fin troppo bianca, finché non inciampa. È convinto che il fantasma dietro di lui l'abbia spinto. Ichigo non capisce, non sa distinguere la realtà da quel che proietta la sua natura.

Si sente afferrare la spalla ed è pronto a gridare di essere lasciato in pace, non vuole fantasmi intorno a lui, non stanotte. Eppure è fin troppo palpabile per essere uno spirito. L'ha già vista.

È lei, quella ragazza che faceva compere per affari suoi. Riesce a vedere il suo viso e no, non è quello di un fantasma. Ha guance rosate, un bel colorito, sente anche il suo respiro e il suo sguardo è vivace. Ha degli enormi occhi castani che lo guardano preoccupata e gli chiedono se si sia fatto male.

« Sto bene. »

« Meno male. » sorride, è gentile. Non lo guarda senza chiedersi a cosa sia dovuto il pallore e fissa i canini poco più appuntiti rispetto alla norma senza mostrare sgomento. A tu per tu, è una persona normale che parla con un'altra persona normale. Ichigo non si è mai sentito normale in vita sua, eppure lì dentro, davanti a lei, è diverso. Sente qualcosa dentro di sé che gira all'improvviso, impazzita. È felicità, lo sa benissimo, talmente tanta da ignorare i fantasmi intorno a lui.

« Allora ciao. » fa per voltarsi, con un sorriso. Vorrebbe fermarla, in una maniera un po' impacciata lo fa.

« Grazie... per avermi aiutato. »

Sguardi, timidi, lo capiscono. In un posto dove non c'è spazio per le insicurezze, loro mostrano la massima cautela nel parlarsi. « Non c'è di che. »

« Stavo prendendo da bere. Posso ringraziarti offrendo qualcosa, se vuoi. »

« Oh, mi dispiace, ma devo andare via subito. »

« Ah, capisco. Ci vediamo allora. »

« Sì. Grazie. »

Non capisce per cosa lo stia ringraziando, ne cosa voglia dire “ci vediamo allora”. Come spera di rivederla se non le ha chiesto neanche il nome? Eppure glielo ha detto, come se qualcosa, dentro di lui, fosse sicuro del fatto che l'avrebbe rivista in un modo o nell'altro.

Orihime scappa via rossa in viso. Ha aiutato quel ragazzo eppure è stata lei a ringraziarlo. Ci mette un po' a decifrare quel che sta farfugliando la propria natura, è grata all'attenzione, piccolissima, che lui ha avuto nei suoi riguardi offrendole da bere. Per ringraziarla. Una cosa che nessuno aveva mai fatto.

Ed è un ragazzo strano, dalla pelle bianchissima, lo sguardo spaesato, come se non si rendesse conto di dove si trovi. Come se avesse bisogno d'aiuto. Orihime sa riconoscere le persone che hanno bisogno d'aiuto, ma non ha la presunzione per credere di poterle aiutare.

Nell'indecisione ci prova e, di tanto in tanto, viene anche ringraziata. La vita è davvero meravigliosa.


~ Ore 23.45 ~


Rukia vede Deak andare via, dopo il concerto. La tentazione di restare non riesce a vincere alla natura di quell'uomo che sembra volersi divertire, lasciandola lì all'ultimo secondo con un sorriso. Più che assistere al concerto, hanno parlato e sorseggiato qualcosa, guardandosi. Ogni pretesto per Rukia era buono per fissare le mani di lui. Quando tenevano un bicchiere o una sigaretta, quando la prendeva sottobraccio, quando la allontanava dalla ressa di persone attorno a loro, fino ad appartarsi poco lontano per ascoltare la musica senza ritrovarsi in mezzo ad una guerra di spinte. Ha prese salde, ha mani calde, e così belle. E non le mette mai in tasca, né a braccia conserte, non le copre, come se avesse capito che le piace guardarle e le concede quel lusso. Percepisce un vago senso di gratitudine verso quell'uomo. E qualcos'altro che non sa definire. O meglio, ha paura di definirlo, però non può fare a meno di provarlo, perché la sua natura, costantemente alla ricerca, ha captato qualche segnale. E deve assolutamente scoprire cosa sia.

Lavi si allontana la sigaretta dalla bocca e si lecca le labbra. Come una Cenerentola è andato via, lasciando Mai Shirafune là. È un po' dispiaciuto perché avrebbe voluto parlare anche tutta la notte con lei ma sente tanti, troppi brividi. Quella brusca interruzione gli rende le cose più interessanti e rende palese ciò che sente. Attrazione.

A piccoli passi intende avvicinarsi a lei, gustarsi poco a poco quel brivido che fa girare vorticosamente il suo inconscio, finché non esplode. Fissa per qualche secondo la stella, ormai davanti ai cancelli, e sorride. È profondamente grato a quell'astro che l'ha guidato fino a quell'attrice dalla pelle particolare e dotata di una personalità atipica, tutta da scoprire. Dal sapore sicuramente insolito che lui vuole gustarsi a pieno.

Nasconde il sorriso nella sciarpa e si incammina verso casa, senza guardare in faccia nessuno. Si accorge solo di Shinji, appostato fuori dai cancelli. Si guardano e si sorridono senza dirsi una parola, poi ognuno prende le proprie strade. L'Hortum Septentriones offre anche incontri così, fugaci ma profondi. Guidati da quella stella che continua a girare, ininterrottamente.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Cinque. Non riuscire a fermarsi ***


Angolino: salve a tutti! Come ve la passate? Io muoio di caldo, odio il caldo, sudano le mani e non si riesce a disegnare, che tedio. Beati i personaggi di questa storia invece, a sguazzare per il freddo dicembre. Comunque, finalmente trovo il tempo di aggiornare anche se di corsa, comunque. Qui Lavi e Rukia sono strani forti. Eh, conigli, mi farete morire un giorno, tanto vi amo insieme... e nel prossimo avremo i momentini osè, che bello! -che maniaca sono- comunque temo di averli resi un po' OOC, chiedo venia, anche se ho messo l'avvertimento. Uhm, bè, passiamo oltre. Kanda lascia intuire che pure lui, come Shinji, la sappia parecchio lunga sul posto. Mi sa che insieme ne combineranno un po' -oddio, fanno molto Izaya di Durarara!! o_o- e Orihime e Linalee, avrei voluto dire qualcosa di più ma sarà per il prossimo capitolo, dove anche Grimmjow andrà alla ribalta con special guests. O meglio, spero di riuscirici. Nel frattempo grazie a tutti coloro che seguono e recensiscono, in particolare AriCastle66, M e g a m i, matechan, Ookami san, zombiecch e Haily per averla inserita tra le preferite! Ringrazio di cuore KayeJ, Kumiko Walker, M e g a m i, matechan, S h a i l a, Sidan, Tiamath e zombiecch per averla messa tra le seguite e Ookami san, Haily, Sidan, M e g a m i, zombiecch, matechan e KayeJ per le splendide recensioni che mi hanno lasciato finora! Inoltre ringrazio chi mi ha aggiunto recentemente tra gli autori preferiti come a d e s, zombiecch e... oddio, non ricordo bene. ò_ò
Grazie a tutti, spero che vi piaccia e buona lettura!
P.s.: so che il fatto che Lavi e Rukia si bacino già al quinto capitolo sa di troppa fretta, ma il fatto è che devono succedere molte cose e non voglio dilungarmi troppo con giorni di frequentazione. Scusatemi, è una questione di spazio. Spero che vi piaccia comunque!





Hortum Septentriones





Cinque





Non riuscire a fermarsi





« Questo è un giardino, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne organizzano un mercato, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne passeggiano in questo giardino, di come se ne incontrano in qualunque viale.
Ogni giorno qualcuno si perde e arriva qui, oppure ci viene di sua spontanea volontà.
Questo giardino è una casa. Per chi? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque è alla ricerca. Di cosa? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque.


Hortum septentriones »





« Nessuno chiederà informazioni su di te, a meno che la tua natura non lo voglia.
Tutto ciò che accade nel giardino resta nel giardino.


Nessuno è obbligato a rivelare il proprio nome.
Non è necessario sapere esattamente cosa si sta cercando.
Qualunque cosa sia, qui la si troverà.
Sicuramente.


I brividi che sentite non sono dettati dalla paura.
La vostra natura lo sa perfettamente.


È possibile organizzare particolari eventi quali concerti o feste.
Qualora lo si desideri, è possibile alloggiare per una o più notti nelle locande.
Non vi è alcun obbligo di rilasciare i veri dati personali o documenti.
Il pagamento varia a seconda delle locande.
O, per meglio dire, a seconda della natura dei rispettivi gestori.


Qualunque cosa succeda, mai chiedersi se sia giusta o sbagliata.
Il giardino non conosce queste sottigliezze. »





Ha dato vita ad un'insolita abitudine, Orihime. Se prima visitava il giardino due, tre volte la settimana, ora si ferma pressoché tutti i giorni, tanto da essere riconosciuta dai passanti. Tutti la notano con la sua inconfondibile borsa comprata proprio ad una delle bancarelle dell'Hortum Septentriones, su cui sono stati ricamati minuziosamente dei motivi floreali, molto colorata, se n'è innamorata subito e adesso l'accompagna anche a scuola, ci conserva libri, quaderni, penne, tutto ciò che le serve per poter studiare su una panchina indisturbata. Da quando ha sentito che il verde facilita la concentrazione ha colto la palla al balzo e si reca al giardino perfino per studiare e può affermare che è vero, è bellissimo studiare all'aperto in quel giardino immacolato, non c'è nemmeno uno straccio di fazzoletto gettato a terra, mozziconi di sigaretta, lattine vuote. È sì una delle regole principali quella di non sporcare -il buon senso e l'educazione dopotutto non si mettono in discussione- ma Orihime ha la netta sensazione che ci sia dell'altro, qualcosa di più potente. È fermamente convinta che quel posto abbia un potere superiore a chiunque altro e che grazie a ciò riesce a mantenersi puro, nonostante la moltitudine di gente che accoglie. È uno dei motivi per cui Orihime non sa rinunciare a qualche passeggiata, quella dello studio facilitato dal verde delle piante è solo una scusa, ne è ben conscia. Non ha mai utilizzato scusanti in vita sua ma stranamente non se ne vergogna, così come non si fa problemi ad ammettere che ormai è dipendente dall'Hortum Septentriones. È una droga che non fa male e non uccide, anzi, le ha ridato nuova vita e le ha permesso d'incontrare Linalee. Ha circa la sua stessa età, è una studentessa anche lei ed è bellissima, sembra una modella, poi è gentile, la trova perfetta. È davvero felice di essere diventata sua amica e anche oggi devono incontrarsi. Non sta nella pelle, è strano, ne è consapevole, ma non può fare a meno di provarlo. Orihime non può non apprezzare ogni piccola cosa bella che le offre la vita.

Linalee si appoggia ad un lampione per potersi sistemare le scarpe col tacco appena indossate, anche se in tutta onestà è un'azione inutile dopo essere rimasta mezz'ora di fronte allo specchio di un bagno pubblico messo a disposizione dal giardino. Eppure non può farne a meno, Linalee, è un gesto meccanico, ciò che la rende conscia di esistere al mondo. La sua passione per le scarpe viene facilmente fraintesa con la banale e classica ossessione per lo shopping e questo la infastidisce un po' ma al tempo stesso la fa sentire addirittura privilegiata. Aveva letto da qualche parte che i piedi sono di estrema importanza poiché sorreggono il peso dell'essere umano, sono la forza per eccellenza. Trova ammirevole come un vecchio, ad esempio, riesca ancora ad avanzare passo per passo, ed un bambino che impara a camminare non fa testo per lei, è la bellezza suprema. Per questo cerca di riservare la massima cura per i propri piedi, comprando scarpette col tacco graziose, come se volesse premiarli del lavoro che fanno ogni giorno. Il suo inconscio la spinge ad essere amorevole anche per le più piccole cose, per lei è indispensabile prendersi cura di qualcosa o di qualcuno. Non è certo un caso se la sua stanza è sempre perfettamente in ordine, la sistema ogni giorno divertendosi e non perché qualcuno l'ha obbligata a farlo minacciandola di non farla uscire per un certo periodo. Lo fa perché la sua natura vuole curarsi delle più piccole cose. Quando poi si tratta di persone, esseri umani come lei, il tutto viene addirittura esasperato. Per lei proteggere è una missione e non esagera minimamente nel pensarlo. Vorrebbe aiutare cento, mille persone ad andare avanti qualora i piedi non lo permettessero più.

Anche per questo istintivamente aveva aiutato Orihime quando l'aveva vista cadere e si era premurata di controllare se si fosse procurata dei lividi o dei graffi. L'io di Linalee non può tollerare che qualcuno cadda di fronte ai suoi occhi senza poter fare niente. Avrebbe volentieri offerto le proprie scarpe a quella ragazza ma per fortuna non si era fatta nulla di grave e successivamente è diventata pure sua amica. Un'altra persona con la quale poter condividere i passi nel corso della vita, per lei è il massimo.

La nota, come ormai di consuetudine, sulla panchina intenta ad annotare appunti sulla propria agendina. Appena i rispettivi sguardi si incrociano, Orihime abbandona seduta stante lo studio e offre all'altra un posto accanto a sé con un largo sorriso.

« Ciao, Linalee! »

« Stavi studiando? »

« Sì, ma non c'è problema. Tanto ho il test la settimana prossima, posso studiare con calma al dormitorio stasera. »

Dopo i convenevoli si avvia l'abitudine che, inconsciamente, hanno intrapreso entrambe. Non è certo un caso se scelgono di sedersi sempre sulla panchina di fronte alla fontana più bella, poiché a tutte e due piace ascoltare lo scrosciare dell'acqua, fluido e senza intoppi. Restano in silenzio per diverso tempo, finché all'improvviso una delle due non trova un argomento, anche il più banale, su cui discutere. Orihime non ha mai avuto il lusso di poter conversare animatamente con qualcuno senza essere presa in giro. Aveva cominciato a temere che non fosse interessante come persone e dunque non degna di poter vivere in società. Si era sempre sentita rifiutata senza un'apparente ragione, per cui si era convinta del fatto che fosse sbagliata e basta. Come schiacciare un insetto, può anche non averti fatto nulla di male ma hai l'impulso di schiacciarlo perché qualcosa che, attenzione, non è la tua natura, ti dice che è sbagliato lasciarlo in vita.

Poi è comparso l'Hortum Septentriones nella sua vita e con esso l'amore per qualunque cosa. Qui nessuno viene messo da parte e perfino una come lei può permettersi degli amici. Perciò ne approfitta, assaporandone il gusto fino all'ultima goccia.


~ Ore 18.40 ~


Kanda sistema con cura la statuetta appena realizzata, in attesa di qualche curioso pronto ad acquistare. Non va propriamente pazzo per questo genere di lavori in cui è costretto ad avere contatti con una moltitudine di gente, volendo essere proprio sinceri alla maggior parte dei clienti vorrebbe rispondere a suon di parolacce ma si trattiene per quella fastidiosa etica professionale -anche se non sempre ci riesce- così si è arreso all'evidenza. Rimasto senza tetto e senza denaro ha dovuto improvvisare e, dal momento che sapeva lavorare con il vetro, tanto valeva approfittarne.

Ma Kanda tende a celare molte cose di sé. Adotta una condotta drastica e di poche parole, fatta di distanze e sguardi glaciali, quasi mai saluta per primo e nemmeno concede domande di circostanza quali “come stai, tutto bene?”. Può tranquillamente essere definito un misantropo, lui, ma ecco che lascia di stucco con quelle sculture di vetro. Realizza anche decorazioni per lampade, posacenere, bicchieri, gli basta poco per creare dal nulla ciò che tutti coloro i quali entrano nel giardino chiamano “arte”. Sono svariate forme delicate e il cartello che recita la frase “non toccare, materiale fragile” è superflua perché nessuno osa farlo, ammirano tutti quanti estasiati e spesso non resistono alla tentazione di avere quella vaga, distante dolcezza per loro. Le statuette di vetro comunicano per lui, non sono altro che frammenti della sua natura che si manifestano dal suo corpo. Dicono che lui in realtà è molto più calmo e posato di quanto non faccia credere, è distante, sì, ma anche dolce e non riesce ad esternarlo se non così, come solo un artista può fare. Dopotutto l'ideogramma di Yu, il suo nome di battesimo, può essere composto da “dolce” come da “distanza”, “piacevole”. Non gli piace il fatto che il suo nome abbia la presunzione di descriverlo per cui lo nasconde, facendosi chiamare semplicemente Kanda e lavorando in tutta tranquillità. Chi vuole cogliere la sua essenza ben venga, se no pazienza. Sta bene anche così, in quel giardino dove ha ricamato il proprio spazio e si è costruito la sua nuova casa. Kanda è l'unico che vive ventiquattro ore su ventiquattro lì dentro. Il fondatore gli ha concesso quella grazia a patto che continuasse a realizzare statue di vetro sempre più belle e non gli costa niente accontentarlo. Si trova in un posto dove esprimere tutto se stesso è la prassi, d'altronde, e poi non aveva più un posto dove vivere.

Così i giorni scorrono lentamente, ormai dicembre è arrivato, c'è aria di neve e le facce di molti passanti non riescono a distinguersi a causa delle sciarpe, dei cappelli o dei cappucci che proteggono. Considerato il clima per lui è più faticoso lavorare senza che le mani risentano troppo -e i guanti non sono poi così comodi- ma non lo dà a vedere ed anzi, decide di approfittarne esponendo l'unico pezzo che non metterà mai in vendita. È la scultura più grande che abbia mai realizzato, di solito i suoi lavori non superano la grandezza di un palmo della mano, questa invece è alta poco più di cinquanta centimetri. Rappresenta una donna vestita con abiti di epoca vittoriana che stringe per mano un bambino con un eccentrico fregio sul naso. Ha deciso di chiamare quest'opera Alma e una volta completata il pensiero di venderla lo ha irritato non poco. Si è reso conto che ciò che crea è frutto di un'esternazione del proprio inconscio e non se la sente di svendere la sua natura fino a tal punto. Più la guarda e più pensa che sia la sua anima sdoppiata o il riflesso di qualcosa d'importante che non riesce ad esprimere se non con la parola “Alma”. È come se Alma fosse lui e avesse deciso di manifestarsi totalmente per farsi ammirare e lui non ha potuto fermarlo, il che è ironico, visto quanto è introverso. Tant'è, alla fine ha ceduto ed in fondo è soddisfatto così. Guarda quella statua e sorride, si sente bene.


~ Ore 21.50 ~


È appena arrivata e si accorge che si sta tenendo una festa nei pressi del pub più grande dell'Hortum Septentriones, così Rukia si dirige lì a passo svelto con un sorriso. C'è molta gente che lei non ha mai visto prima, devono essere arrivati dei nuovi clienti. È buio, i visi si riconoscono solo ad un attento esame sotto le luci fioche. Tira un sospiro di sollievo, le piace quell'atmosfera d'intimità che si va a creare nonostante il fragore della festa. Ordina un cocktail e si mescola alla folla, lasciandosi trasportare dai violinisti che si stanno esibendo con tanto di canti e balli. Nessuno lancia monetine e non c'è un cappello steso a terra per raccogliere fondi, lì non si tengono mai manifestazioni a scopo di lucro, si canta e si balla per intrattenere, ormai è sera, le bancarelle sono chiuse da un pezzo e tutti devono distrarsi. E lo fanno, lo fanno molto bene, Rukia non scorge una singola faccia depressa.

Sente però la mancanza di un sorriso in particolare. Sono diversi giorni che non lo incontra, sicuramente è molto occupato con il lavoro e ormai il tempo per divertirsi così si è drasticamente diminuito, o forse non ha più piacere a conversare con lei, anche se ha fatto sembrare il contrario, sempre così felice di vederla. Rukia scuote il capo e ride ironicamente. Quando la sua natura comincia a giocare scherzi come quelli la situazione tende sempre a diventare paradossale. Si è accorta che prova per quello scrittore un'attrazione atipica e la beffa con fantasie d'ogni sorta, belle o brutte che siano, fino a spingerla a buttarsi più a capofitto nel lavoro. Quando la sua personalità rischia di inghiottirla, Rukia si consola andando a cercare un altro da interpretare, purché non sia il suo.

Termina il suo cocktail, entra nel pub appositamente per lasciarlo al bancone ed esce per avvicinarsi ai violinisti. Tiene il tempo con loro e batte le mani, tutti attorno a lei ballano, sono travolgenti, vorrebbe farlo anche lei.

Tutto ad un tratto si sente afferrare la mano ed ha un sussulto. Inizialmente avrebbe gridato contrariata di non essere presa in quel modo da sconosciuti ma poi riconosce quelle dita lunghe ed un po' ruvide, sente le unghie curate, non può non riconoscerle. È da tanto che non sfiora mani del genere e non si dimentica nessun particolare di ciò che comunicano. Ardore, curiosità, voglia di roteare senza fermarsi. Esattamente come lei.

« Vorrebbe ballare con me? » a quella domanda Rukia ricambia il sorriso e fa cenno di sì, senza timore. Il vortice che si sente dentro è inarrestabile e sa che per placarlo non può fare altro che assecondarlo.

E allora girano, girano, girano, danzano senza sosta, ridono e si divertono, mescolati alla folla. Nessuno bada a loro e loro non si curano certo di ciò che succede nei dintorni. Ballano per diverso tempo, girano e girano ma non sentono male ai piedi, né giramenti di testa. Si avvicinano, al contrario, come due calamite, rischiando di farsi sgambetti a vicenda, le mani si intrecciano di continuo e l'ultima cosa che desidera lei e si separarsene. Lui sembra accorgersi di questo suo desiderio e l'accontenta, anzi, va oltre, usa quelle mani dalle dita lunghe e affusolate che Rukia tanto ama per afferrare le sue e baciargliele, senza vergogna, intrecciandole di più.

« Era da un po' di giorni che non ci vedevamo. » le dice poi, tranquillamente.

« Ha ragione. »

« Sembrava sorpresa di rivedermi. »

« Pensavo che fosse molto occupato con il lavoro. »

« Ho iniziato a scrivere un nuovo libro, in effetti. »

Continuano a ballare, sempre vicini, senza staccarsi le mani, accompagnati dal suono dei violini e dalle voci degli spettatori.

« Davvero? E di cosa tratterà? »

« Mi perdoni, ma per scaramanzia non uso parlare anticipatamente dei miei lavori. »

« La capisco. »

« E lei, piuttosto? So che tra pochi giorni uscirà nelle sale il suo nuovo film. »

« Andrà a vederlo? »

« Sicuramente. Sono tentato di chiederle di accompagnarmi, ma forse non è il tipo d'attrice che va a rivedersi dopo le riprese. »

« Invece sono proprio quel tipo. Mi piace riguardarmi da un altro punto di vista, perché in fondo quella sullo schermo ha solo la mia faccia, non il mio carattere. »

« Degno di un'attrice. »

« Perciò verrei volentieri con lei a vedere il nuovo film in cui ho recitato. »

« Mi ricordi di regalarle una copia del mio prossimo libro quando verrà pubblicato. »

« Non ce n'è bisogno. Ma avrei una richiesta da farle, se mi è consentito. »

È tutto orecchie, la danza sta rallentando il ritmo e le loro mani, ancora giunte, vengono alzate da lei che sorride in una maniera che lui definirebbe seducente. È affascinato da quelle piccole accortezze che rendono quella donna più appetitosa del dovuto.

« Continui ad aver cura delle sue mani. Non vorrei che a furia di scrivere si rovinino. »

Per lui è del tutto impulsivo, nonché invitante, accarezzarle il viso, ogni centimetro, fino a sfiorarle le labbra e constatare con gusto rinnovato che le piacciono davvero perché le bacia senza mostrare un minimo d'imbarazzo. Lascia che se le goda così, per un po', prova un pungente senso di benessere nel vederla così assorta in quell'azione. È totalmente rapito dalla situazione che quel ballo roteante ha portato, si avvicina a lei, la stringe a sé, sussurra con cautela per non rovinare quel momento.

« Cosa la spinge a fare tutto questo, Mai? »

Si dilunga parecchio nel dare la risposta, onestamente non vorrebbe essere interrotta da quel gesto attraente. Poter assaggiare quelle dita di fuoco non fanno che stuzzicare ancora di più la sua natura sempre più affamata ora che hanno sentito quel gusto così squisito. Ma la risposta arriva, intervallata comunque dall'impercettibile lingua che sfiora le mani.

« “Se lo era domandato per così tanto tempo, quando la risposta era proprio davanti ai suoi occhi”. »

Lui sorride a sua volta, sfiorandole ancora il viso, facendosi più vicino, respira lievemente sulle sue labbra.

« “A Harriet non rimase altro da fare che contemplare la nuova verità che si era tanto affannata a cercare”. »

« “Verità, ma quale? Per cosa si era affannata tanto per tutto questo tempo?” »

« “Era già pronta a sentirsi scaraventare giù, nell'oblio più profondo, proprio come Lucifero che tentò di superare Dio. ” »

« “« Che io vada all'Inferno allora, che la mia anima venga logorata dalle fiamme, che mi venga riservata la condanna appropriata. Oh, come mi pento di aver distolto così ingenuamente lo sguardo da questa verità che cercavo così disperatamente , che egoista sono a volerla tenere per me. »” »

« “Egoismo, il peccato più dolce e devastante, di cui Harriet era diventata vittima più che consapevole”. » fa una breve risatina, lui. « Eccezionale, Mai. »

Il sorriso di Rukia non è sparito per un singolo istante, anche mentre pronuncia delle parole tutte nuove che lui interpreta come musica, semplice e gradevole.

« Il mio nome è Rukia. »

Un sorriso, ancora un altro, ancora labbra che sfiorano mani. « Io mi chiamo Lavi. »

Baciare quelle dita di fuoco è stato per lei bello, indubbio. Poter udire il suo nome con la sua voce altrettanto, potersi presentare così, a nudo, ha enfatizzato il piacere, sì, ma quelle labbra che ora mordono le sue, egoiste come non mai, dolci e devastanti, proprio così, che belle. Lingue che girano, impazzite, al pari della stella che li ha fatti incontrare e mandato in tilt i propri istinti gridando all'unisono “sei forse tu ciò che cercavo?”.

Ma non è ancora finito, il bacio dura a lungo, i denti mordicchiano, gli sguardi si incrociano per qualche secondo, lei si è dovuta alzare sulle punte per poterlo raggiungere ma per un piacere simile è una fatica ben spesa. Non vuole fermarlo, non finché dentro si sente una trottola simile e la cosa più bella è che non sono i caratteri che ha preso in prestito per lavorare, è lei, Rukia, che si sta godendo un simile momento. Ha una natura egoista, come tutti, che la spinge a desiderarlo, sempre più affamata.

E no, non è ancora finito. Entrambi vogliono approfondire quel bacio, quel qualcosa che hanno creato, spinti dalla stella, vogliono andare sempre più a nord ma si rendono anche conto che ci vuole altro. In quanto cercatori non possono non desiderare altre sensazioni, stavolta da provare insieme. Lavi si sente così appagato ora, pieno di passione dentro, già in astinenza da sapore di Rukia, che bel suono, che belle labbra. Da bravo egoista qual è la vuole tenere tutta per sé e scriverci sopra un libro di cui si farebbe lettore esclusivo, tutte le notti.

« Quando la potrò rivedere? » le chiede Lavi, affamato come non mai.

« Tra poco. Mi venga a cercare. Dopotutto questo posto è fatto apposta, no? » gli sfiora le mani ancora una volta, si volta, gli sorride, si separa dalla festa che li ha accompagnati fino a quel momento. Lavi non la segue, ha capito cosa intende per cercare. La vede trafficare con il registro e andarsene subito. Aspetta che sparisca dalla sua vista per andare a controllare cosa ha scritto, a passo svelto, e sorride quando legge il nome e il luogo di ritrovo, una locanda che conosce benissimo, ci è già stato.


Harriet, Snowdrop Inn


Lavi corre, si precipita alla locanda, si sente un formicolio dentro, il suo inconscio che grida, impaziente ed insaziabile sotto la guida di quella stella che ora sembra girare più velocemente. No, non oggi, che per stanotte il tempo si fermi, Rukia, non Harriet, mi sta aspettando.

Che sciocco, si ritrova a pensare. Che il tempo scorra più in fretta o meno, lei continuerà ad aspettarlo per poter assaporare ancora le sue mani, e tutto il resto.

Lavi si lecca le labbra per un momento, sia per combattere il freddo, sia per non dimenticare ciò che quel bacio ha portato. Anche se per lui scordare una cosa del genere è impossibile.

Non si accorge di Kanda che, affacciato alla finestra della sua casa alquanto piccola, lo osserva e fa un piccolo sospiro, di chi vede realizzarsi le proprie previsioni. Poi rivolge lo sguardo alla stella, visibile anche in lontananza.

Ha un potere così imponente che perfino lui non può che rimanerne affascinato.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Sei. Fuoco di ghiaccio ***


Angolino: salve. Eccoci al nuovo capitolo. Il titolo è un rimando al LaviRuki. Lei in Bleach ha una spada che controlla il ghiaccio, lui in D.Gray-man usa principalmente il potere del fuoco, così... certo che in questa storia sono stranissimi. Come tutti, del resto. Vorrei approfondire il rapporto tra Grimmjow e Ichigo. Mi piacciono tanto in coppia, per cui vorrei riuscire a renderli in questo rapporto ambiguo che hanno qui. Nel prossimo conto di approfondire anche Renji e Allen, e pure Tyki. So bene che fare le cose di corsa non fa bene, ma... vabbè, lo scopriremo solo vivendo -ah ah- Chissà poi perché vedo bene anche Lavi in questa amicizia singolare con Grimmjow. Accidenti, sono strana forte! Poi più aumentano le “regole”, più mi sembrano assurde. Spero che vi piaccia comunque il capitolo!
Ringrazio infinitamente
Kumiko Walker, KayeJ, Haily, Ookami san, Sidan, Angy Valentine, zombiecch, M e g a m i e matechan per le splendide recensioni che mi hanno lasciato! Ringrazio moltissimo Angy Valentine, AriCastle66, M e g a m i, matechan, Ookami san, zombiecch e Haily per aver inserito la storia tra le preferite! E ringrazio di cuore Arsenico, HaChiElriC, KayeJ, Kumiko Walker, M e g a m i, matechan, S h a i l a, Sidan, Tiamath e zombiecch per averla inserita tra le seguite! Ringrazio tutti coloro che leggono e apprezzano, spero che vi piaccia e attendo con ansia i vostri pareri! Buona lettura!






Hortum Septentriones





Sei





Fuoco di ghiaccio





« Questo è un giardino, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne organizzano un mercato, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne passeggiano in questo giardino, di come se ne incontrano in qualunque viale.
Ogni giorno qualcuno si perde e arriva qui, oppure ci viene di sua spontanea volontà.
Questo giardino è una casa. Per chi? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque è alla ricerca. Di cosa? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque.

Hortum septentriones »


« Nessuno chiederà informazioni su di te, a meno che la tua natura non lo voglia.
Tutto ciò che accade nel giardino resta nel giardino.


Nessuno è obbligato a rivelare il proprio nome.
Non è necessario sapere esattamente cosa si sta cercando.
Qualunque cosa sia, qui la si troverà.
Sicuramente.


I brividi che sentite non sono dettati dalla paura.
La vostra natura lo sa perfettamente.


È possibile organizzare particolari eventi quali concerti o feste.
Qualora lo si desideri, è possibile alloggiare per una o più notti nelle locande.
Non vi è alcun obbligo di rilasciare i veri dati personali o documenti.
Il pagamento varia a seconda delle locande.
O, per meglio dire, a seconda della natura dei rispettivi gestori.


Qualunque cosa succeda, mai chiedersi se sia giusta o sbagliata.
Il giardino non conosce queste sottigliezze.


Il giardino esiste per voi cercatori.
Qualsiasi modifica venga apportata, viene fatta per il vostro benessere.
Siamo certi che le vostre nature rimarranno soddisfatte.
Loro sanno cosa vogliono. »





C'è la luna piena e Renji non vuole perdersela. Certo, potrebbe unirsi alla festa che si sta tenendo nel giardino, fare qualche esibizione e guadagnare dei soldi, ma c'è la luna piena e non vuole perdersela. Inoltre Allen sta dormendo da un pezzo e non vuole svegliarlo, ha avuto una giornata abbastanza dura. Anche se ha notato che da un po' di tempo riesce ad affrontare meglio la situazione da artista di strada. È come se avesse ritrovato la passione, ciò che gli faceva rendere quel lavoro affascinante. Ogni volta che vede Allen, Renji si sente gratificato. È stato lui a trascinarlo in quel giardino, e come avrebbe potuto non farlo? Il mondo là fuori stava portando il suo amico allo sfinimento. Gli stava facendo dimenticare la felicità che si prova nell'essere totalmente liberi, con il cielo come tetto e la strada come casa. Non che Renji dorma sui marciapiedi. Ma di suo non possiede nulla se non le sue capacità che ha saputo sfruttare per guadagnare qualche soldo. Gli piaceva l'idea di non appartenere a nessuno. Gli piaceva.

Poi ha messo piede nell'Hortum Septentriones. E ha iniziato a lavorare soltanto lì, dormendo in una delle locande messe a disposizione. Paga ogni giorno utilizzando parte dei guadagni suoi e di Allen ed è felice così. Di certo, pensa, se non esistesse un posto come quello avrebbe continuato a girovagare per strada senza legarsi a nient'altro. Quello è l'unico posto al mondo dove può lavorare, conoscere gente, vivere e ammirare la luna, la sua amata luna piena e giocare con lei in tutta tranquillità. Quando la luna fa da spettatrice Renji ci mette il massimo dell'impegno. Adesso è tutto concentrato a fare l'equilibrista su una ringhiera ed ha un sorriso enorme stampato sul viso. Ha sempre pensato che la luna lo protegga, subisce il suo fascino in maniera inspiegabile. Non può mai mancare il suo appuntamento con lei e, quando gli va, le parla anche, totalmente rapito. Spesso si sorprende a guardarla con nostalgia, come se avesse dimenticato qualcosa di importante lassù e non avesse i mezzi per riprendersela. O forse è lui a possedere dentro di sé un frammento di luna e la distanza è tale da rendere il tutto più nostalgico del solito. È una cosa del suo inconscio che non riesce a spiegarsi bene, come può una cosa come la luna avere una tale influenza su di lui? Si è perfino reso conto che di giorno è ben diverso dal solito. Impulsivo, quello sempre, anche un po' timido, a vederlo non si direbbe ma lui lo è, tantissimo, e lo nasconde con modi di fare un po' burberi ma la facciata non regge molto, quando è con una ragazza si mostra molto più malleabile. Ma di notte, davanti alla luna piena, cambia totalmente e non è certo un licantropo. L'impulso cede il posto alla soggezione e la timidezza che tende a nascondere diventa sottomissione totale. La luna è suprema, lui lo sa e non può che aspirare ad essere come lei. Le rivolge lo sguardo e ulula a stento perché la sua natura possa raggiungere quella bellezza, cercando di rifletterla nel suo lavoro. A giudicare dai guadagni che fa sembra che ci stia riuscendo ma lui lo sa, non è neanche a metà strada. Ma non se ne dispiace più di tanto, è questo il bello, si dice. Avere qualcosa su cui puntare. E per sua fortuna il suo obiettivo non sparisce, la luna è sempre là.

Continua a fare qualche acrobazia in piena notte senza timore, lasciando che i capelli rossi lunghi fino alla schiena sfiorino il terreno. Crede di essere solo ma sente dei passi in lontananza, si fanno sempre più vicini, hanno parecchia fretta. Smette di fare i suoi esercizi -se così li si possono definire- per dare un'occhiata e vede un uomo che corre a perdifiato, dai capelli rossi come i suoi. Resta sbigottito, parla ad alta voce, sicuro che lui non possa sentirlo.

« Ma quello non è Deak? » lo conosce, ha avuto occasione di leggere alcuni suoi libri e ricorda di aver visto una sua foto sul retro della copertina. Lo riconoscerebbe tra mille. Vorrebbe avvicinarlo e complimentarsi con lui, i suoi libri gli sono piaciuti parecchio. Gli riconosce un vero talento, di quelli che nascono una volta ogni dieci o vent'anni. Non si tratta solo di saper mettere in fila due parole di senso compiuto, quel Deak ha la straordinaria capacità di farti sentire “fratello suo”. I personaggi che si muovono nei suoi romanzi hanno sempre una qualche caratteristica che ti porta addirittura a pensare che tu e Deak vi conosciate e che ti abbia usato come modello quando non è così. È di certo una grande capacità di immedesimazione questa. Come artista di strada sarebbe eccezionale.

Vorrebbe parlargli ma vede che ha molta fretta, verso una locanda. Così decide di lasciarlo fare. Ora sa che è un frequentatore del giardino e ride al pensiero. Non poteva aspettarsi niente di diverso da uno come Deak e adesso ha la certezza di rivederlo un'altra volta. Ci saranno altre occasioni. Torna a fare i suoi esercizi con un sorriso e ringrazia la luna.

Lavi non si fa scrupoli ad entrare nella locanda. Saluta con un caloroso sorriso il proprietario. Nota che sta leggendo un suo libro ma questo non lo imbarazza. L'uomo, di circa cinque o sei anni più grande di lui, accantona ciò che sta leggendo e ricambia il saluto.

« Buonasera, Deak. » non conosce il suo vero nome e non è interessato a chiederglielo. Va bene così.

« Ciao, Kaien. » gli stringe la mano. Quando parla con lui si sente un po' un ragazzino e lo dimostra nei gesti, nei sorrisi. Il proprietario di quella locanda gli trasmette un vago senso di protezione e familiarità. Ne è indubbiamente affascinato, per questo ogni volta che può si ferma a pernottare lì. Resta volentieri a parlare con lui e non nega che grazie ai discorsi che fanno spesso riesce a ricavare idee per dei manoscritti. Ma quella sera non ha occasione di chiacchierare. Anzi, ha una certa fretta. Non perde tempo.

« Devo sapere qual è la stanza di una donna che si è presentata qui come Harriet. »

« Harriet? Come la protagonista del tuo libro? » Lavi annuisce. È uno dei primi che ha scritto, forse per questo ci è particolarmente affezionato ma non pensava che anche i lettori lo avrebbero apprezzato a tal punto. Pensava che sarebbe finito presto nel dimenticatoio. Gli fa piacere vedere che invece rimane ancora ben vivido nella memoria. Il fatto che anche Rukia, proprio lei, lo preferisca fra tutti, lo lusinga.

« In effetti, poco fa è entrata una donna con quel nome, ma non credo che sia suo. » è intuitivo, Kaien, ma anche discreto. Non si chiede mai perché i suoi clienti si presentino con un falso nome. « Ecco. Stanza numero nove. Ti sta aspettando? »

« Sì. »

« Allora l'avviso? »

« Ti ha chiesto di essere avvisata? »

« Uhm, no. »

« Allora non farlo. »

« D'accordo. In effetti, si è solo presentata e non ha scucito un'altra parola. Come se non volesse farsi riconoscere. Bè, affar vostro. Vi auguro una buona permanenza. »

Ovvio che non voglia farsi riconoscere, è pur sempre un personaggio in vista. Sotto questo aspetto pare molto più previdente di lui, che non si preoccupa di uscire di casa conciato per bene allo scopo di non farsi riconoscere. A lui piace essere fermato da sconosciuti e chiacchierare, non si può mai sapere che scatti la molla della sua natura e che cominci a girare. Ma fuori dal giardino succede raramente, Tyki è uno di quei casi. Lavi si chiede se le cose sarebbero andate diversamente se avesse incontrato Rukia in un bar qualunque. Ci pensa su intensamente mentre sale le scale e si dirige verso la stanza numero nove, dove lei lo sta aspettando. Scuote la testa e sorride. Se ha percepito i brividi guardando i suoi film, di certo quella trottola nel corpo sarebbe impazzita in qualunque caso. Il fatto che l'abbia incontrata all'Hortum Septentriones rappresenta semplicemente un caso fortuito, se ne convince sempre di più. Su una strada qualunque forse non si sarebbero avvicinati in quel modo così presto ma non gli dispiace. Nel giardino della stella polare si sono potuti presentare senza timore. Lei si chiama Rukia. È un bel nome, pensa. Molto diverso da Mai, ma gli piace comunque.

Apre la porta senza bussare. Sente che ogni tipo di barriera è superflua lì dentro. Si chiude subito la porta alle spalle e la vede, di fronte a lui. Ha le braccia conserte, guarda verso la finestra, ma ciò che lo colpisce è l'abbigliamento, diverso da quello di prima. Indossa una semplice maglietta a righe orizzontali bianca e nera, lunga fino alle cosce. Le calze nere salgono fin sopra il ginocchio e non ha accessori particolari. Si è cambiata velocemente per lui, perché sa che quel tipo di vestiario gli farà ricordare inevitabilmente una cosa.

Si volta verso di lui e sorride. Resta ferma, a braccia incrociate, ad aspettare un suo cenno.

Lavi ricambia il sorriso. « Si è vestita come Harriet. »

« È vestita così nel capitolo che preferisco. » inoltre quella maglietta dai colori semplici contrasta con l'arredamento della stanza. Non c'è un letto, solo cuscini colorati e dalle diverse fantasie, tappeti, tende, lampadari che pendono pericolosamente sulle loro teste, Lavi volendo potrebbe toccarli facilmente. A pochi passi, su un soppalco, c'è una vasca da bagno già pronta, con l'acqua fino all'orlo. C'è anche un vassoio con alcuni dolci, una bottiglia di champagne e due bicchieri. Il fatto che abbia preparato tutto per lui gli fa impazzire del tutto la trottola che ha dentro.

« Il capitolo in cui incontra il suo amico d'infanzia quell'unica volta in cui possono concedersi. » continua Rukia. Ha già riempito un bicchiere e lo offre a Lavi che accetta di buon grado. « Fanno l'amore eppure non sono innamorati. È straordinario il modo in cui riesce a delineare i rapporti fra loro nonostante la situazione. Quando l'ho letto sono rimasta di stucco, lo confesso. All'epoca non avevo mai contemplato l'idea che due amici potessero concedersi a vicenda anche i rispettivi corpi. »

« Forse la mia opinione sulla sessualità è leggermente diversa da quella degli altri esseri umani. » non ha ancora preso un sorso di champagne. Osserva affascinato Rukia versarsi il proprio bicchiere. « Personalmente, non vedo cosa ci sia di male in due persone che fanno sesso senza amarsi, che siano sconosciuti o amici. Noi siamo nati con questo impulso e, forse per ingiustizia, in certi casi diventa fin troppo pungente. Non soddisfarlo per una discutibile etica morale è ingiusto. Non penso che il sesso possa deteriorare rapporti sinceri. Tutto sta ad essere consapevoli di ciò che dice la nostra natura. »

« E la natura di Harriet in quel frangente le diceva di farlo senza pensare alle conseguenze delle proprie azioni? »

« Possiamo definirlo, quello, uno dei primi passi verso la consapevolezza di se stessa. Quando ci si rende conto di ciò che si vuole realmente, svaniscono di colpo anche molte preoccupazioni. Rendersi conto di avere un desiderio così forte, che sia ottenere un lavoro, un grande amore o una semplice nottata di follie, non può che rendere l'essere umano felice. Senza questi input, la natura non è altro che un involucro vuoto. Boicottare ogni qualsivoglia desiderio è come pugnalarsi, a parer mio. Ovviamente questo discorso lo si potrebbe ampliare ad argomentazioni più approfondite e spinose, se vogliamo, come il bene e il male, l'uccidere o fare del bene, e via discorrendo. Ma non cambia il fatto che tutto sia comunque soggetto alla consapevolezza della propria esistenza. »

« È affascinante sentire un discorso simile da lei. »

« La ringrazio. A cosa brindiamo? » allude ai bicchieri ancora pieni, stretti tra le mani.

« Alla consapevolezza. Le suona bene? »

« Lo trovo perfetto. »

Si avvicinano i bicchieri a vicenda e fanno un lungo sorso. Non riescono a non guardarsi a vicenda durante quel gesto, e anche dopo. Lavi ha rischiato di far cadere il bicchiere perché non ha guardato dove metteva le mani. Prima ha potuto toccare la sua pelle e l'ha adorata. Le sue dita vogliono già tornare a sfiorarla. Vuole sentirla presentarsi di nuovo. Non come Mai, ma come Rukia.

Per Rukia sapere di avere di fronte Lavi, lui, non Deak, le dà un inspiegabile senso di benessere. Ammette che le due facce in qualche modo coesistono. È pur sempre colui che ha scritto il suo libro preferito e ha potuto ascoltare cosa pensa al riguardo con le sue orecchie dalla sua voce. Ha potuto osservare in prima persona le sue mani, non stanno ferme un secondo, si ritrova spesso a gesticolare ma forse non se ne rende conto. A lei però piace perché così ha la scusa perfetta per poterle ammirare. Sono belle anche da toccare, quelle mani. Lavi, Deak, in fin dei conti non sono diversi, non come lei. Tra Mai e Rukia ci sono anni luce di differenza.

Si siedono ai piedi della vasca, lui si toglie cappotto e sciarpa. Una volta liberato da quegli impicci tornano ad avvicinarsi e sì, anche baciarsi, senza pensare a nulla che non sia ciò che vogliono le loro nature. In quel momento gridano cose confuse, a stento ci si riesce a stare appresso. Qualunque cosa dicano, sicuramente li stanno spingendo a baciarsi, ancora e ancora. Lavi non perde occasione di sfiorarle le gambe, su quell'unico spazio dove è rimasta scoperta un po' di pelle, senza dimenticarsi del suo viso, ovviamente. Toccare quella pelle lo fa sentire appagato e, forse non se ne rende conto, ma rendono lei felice. Essere toccata da quelle mani è ciò che più desidera la sua natura. Si è immedesimata in Harriet, da brava attrice, forse troppo. Si è resa conto di desiderare ardentemente una cosa e ha deciso di ottenerla, incurante di ciò che potrebbe comportare quell'ingenuo desiderio. Ma Lavi ha ragione. Sono scomparse molte preoccupazioni nell'istante in cui lo ha baciato. Quindi, che male c'è nel continuare?

« Le dispiace se fumo? » avvicina la mano al cappotto, ha un tono pieno di cortesia. Lei scuote il capo e in tutta calma si accende la sua sigaretta. Non si perde nemmeno un secondo i movimenti della mano e si è fermata per qualche secondo anche sulle labbra che stringono la sigaretta.

Questo non impedisce allo scrittore di tornare a strapparle dei baci. Si accarezzano a vicenda con insistenza e ha dovuto posare la sigaretta sul soppalco per potersi far sfilare il maglione senza rischiare bruciature. Lei invece rimane vestita così com'è, Lavi ha già avuto modo di verificare che sotto non indossa né gonne, né pantaloncini, solo la biancheria, ma aspetta che sia lei a togliersela. Difatti si accomoda meglio a bordo vasca, continua a fumare e la osserva, con un sorriso, mentre si toglie quell'indumento e nient'altro, mentre lui rimane mezzo nudo. Non ha niente da obiettare quando si vede afferrare la testa. Lo sposta all'indietro con gentilezza e subito le ciocche rosse si inumidiscono a contatto con l'acqua.

« Vuole rivivere quella scena, Rukia? »

« Harriet durante il rapporto si taglia accidentalmente e qualche goccia del suo sangue sporca l'acqua. Io non voglio che si ferisca, ma il colore dei suoi capelli ricordano molto il sangue. Spero che non si offenda. »

« Affatto. È grazie al sangue che viviamo. Non mi dispiace il paragone. »

« Ho pensato che ricreare quest'atmosfera sarebbe stato l'ideale per tutti e due. »

« Ha senza dubbio il suo fascino. Ma, se posso permettermi, non voglio che sia Harriet a concedersi a me. Io voglio Rukia. »

Lei sorride, si sente lusingata davvero. Lo bacia di nuovo e lascia che la mano che non tiene la sigaretta scenda con disinvoltura tra le sue gambe. Ha delle mani meravigliose quell'uomo, un po' ruvide al tocco ma proprio per questo piacevoli. Hanno dita lunghe e affusolate e sentirsele addosso le manda corpo e mente in stato quasi confusionale. Ciò che si muove dentro di lei crolla con il corpo di Rukia, ormai soggetta ai tocchi di Lavi. Non sta pensando minimamente a ciò che quell'ambiguo rapporto porterà. Si trova in un posto, dopotutto, in cui non può far altro che assecondare la propria natura e per ironia della sorte vuole proprio quell'uomo.

« Stia pure tranquillo. Ho i vestiti di Harriet, ma sono senza dubbio Rukia. Una donna qualunque che voleva vedere i suoi capelli affogare. »

« Spero che sia una visione soddisfacente. »

« Quanto le sue mani che si stanno facendo sempre più impazienti. »

« Allora non mi faccia attendere oltre. » l'invito è chiaro.

Rukia lo accontenta, ma non subito. A Lavi la cosa sembra non dispiacere. Dopotutto restare a toccarla ancora un po', mentre la sigaretta si consuma, rimane una cosa piacevole oltre ogni immaginazione. E vederla così assorta dal momento, dalle sue mani, lo fanno sentire addirittura importante. Gli viene da chiedersi se con altri uomini abbia provato una cosa del genere e spera di no. Le sembra davvero felice, come se fosse soddisfatta solo di lui. Improvvisamente ciò che si muove dentro di lui, oltre a desiderare il suo corpo, vuole essere indispensabile. Sente un attaccamento verso quella persona che rappresenta una totale novità, per lui. Si sente incredibilmente attratto da lei. Adesso non è al cinema e non sta guardando nessun lungometraggio a luci rosse. Ha davanti Rukia, non Mai. E gli piace, gli piace molto. È bello vedere quale persona interessante e piacevole si nasconda dietro tutti quei ruoli presi in prestito. Si sente simile a lei. Forse per questo non se ne vuole separare.

È strano cedere così presto alla voglia di averla, se ne rende conto. Fino a pochissimo tempo fa se ne stava ancora a casa a guardare i suoi film. Eppure, ora che ci pensa, non si è mai ritrovato a masturbarsi davanti allo schermo pensando a lei. Si rendeva perfettamente conto che il carattere che vedeva non era suo, c'era solo la faccia di Rukia. Ora vede tutto di lei. E, senza vergogna, pensa che si toccherebbe volentieri adesso, pensando a lei.

Ma non c'è alcun bisogno di arrivare a tanto. Il semplice toccarsi non è certo paragonabile al corpo di quella donna che si muove sopra di lui, e se la prende comoda, sono movimenti profondi, non si lascia sfuggire niente. Lavi ha ancora i capelli affondati nell'acqua, ci trova delle carezze estasianti, perfette per un momento simile. Sente le sue mani strette con forza.

Un'ora, un minuto. Non sa quanto tempo stia passando e non gli interessa nemmeno. Il tempo in quel luogo è puramente relativo. Non sa definire con certezza in quale momento ha deciso di alzare finalmente la testa, lasciare che le spalle si bagnassero, che le gocce d'acqua cadessero sulla fronte e sul petto. La guarda, lei lo asciuga con dei baci, in un attimo si sistema sopra di lei e riprendono a fare l'amore, con l'acqua che di tanto in tanto ricade anche su Rukia. Fanno l'amore senza pensare a cosa stia succedendo fuori.

Non immaginano, ad esempio, che Kanda si è svegliato di malumore. E chi non lo sarebbe a quell'ora di notte? Inizialmente voleva ignorare il campanello, si era rigirato tra le coperte con un grugnito. Solo quando hanno cominciato a bussare con insistenza si è deciso ad alzarsi, prendere di corsa una vestaglia ed aprire per dirgliene quattro. Non ha neanche il tempo di legarsi i capelli e i ciuffi che in quel momento gli ricadono davanti servono solo ad irritarlo di più. Sa inoltre che solo ad una persona verrebbe in mente di disturbarlo a quell'ora, e infatti. Biondo. Con quello sguardo del cavolo che gli sembra una presa in giro e quel piercing alla lingua che luccica su riflesso di non sa che cosa e lo sta accecando.

« Yo, Kanda. » Shinji gli rivolge uno dei suoi sorrisi soliti, quelli che Yu ha imparato a conoscere e li definisce irritanti. Sono poche le cose che trova vagamente sopportabili. L'unica cosa che sopporta di Shinji, è che non va a scocciarlo tutti i giorni. Il fatto che si sia presentato a quell'ora un po' lo preoccupa. Passino la mattina e il pomeriggio, al massimo il tramonto, ma a quell'ora di notte non fa mai improvvisate. A meno che non sia accaduto, o stia per accadere, qualcosa di importante. O pericoloso. O tutte e due le cose.

« Perché non mi offri un caffè? » l'altro si mette comodo, come fosse casa sua. Kanda come al solito non tradisce le aspettative, è ordinato. Ma l'arredamento è anche molto povero. Se non fosse per le sculture qua e là, Shinji direbbe che è una casa davvero triste.

Il padrone di quella modesta casa schiocca la lingua, fa una smorfia, si rende conto di aver bisogno anche lui di carica. Opta per un tè e, dato che non vuole perdere tempo, usa la macchinetta per fare il caffè a Shinji. Non si spreca mai troppo per gli altri. Anzi, è già tanto che offra un caffè, seppur fatto con una macchinetta del cavolo comprata in un negozio dell'usato perché costava poco.

Shinji fa le cose al contrario anche quando prende il caffè. Raccomanda a Kanda, come del resto ogni volta, di mettere prima lo zucchero, un cucchiaino, e poi il caffè. Sa bene che sono poche le persone che lo fanno. Prima si mette il caffè e poi lo zucchero, ma a lui piace fare così. Perché, molto più semplicemente, è in grado di dimenticarsene velocemente. Se non mettesse lo zucchero prima, si scorderebbe di metterlo poi e di bere un caffè completamente amaro non ne vuole sapere. Gli viene il cattivo umore per tutta la giornata.

L'altro non dice una parola. Aspetta che l'ospite inaspettato ed indesiderato finisca la sua tazzina mentre lui si dedica al tè in tutta calma. È un tipo a cui piace il silenzio, Kanda. I piccoli, quasi impercettibili rumori che sembrano di poco conto, a lui piacciono molto.

« Mi manda il boss. Ha una richiesta da farti. »

Posano entrambi le tazze. Si guardano negli occhi. Il biondo sorride, ma non per beffarsi di qualcuno. Non si riesce a definirlo, per cui sorgono domande spontanee.

« Di che cosa si tratta? »

« Vuole cambiare l'orologio. »

« Sta scherzando? Fa parte della storia del giardino. Cambiare la stella è come demolire questo posto. »

« Allora usiamo il termine “rinnovare”. Ormai quella stella, per quanto ci si possa affezionare, è troppo vecchia. Comincia ad essere pericolante e non vuole far correre rischi ai frequentatori. »

« Cos'ha a che fare questo con me? »

« Il boss vuole che tu realizzi la più grande scultura di vetro che tu abbia mai realizzato. Ti affida il nuovo orologio dell'Hortum Septentriones. Vuole che sia interamente di vetro, lascia a te la decisione del design, purché sia grande quanto l'orologio attuale e che mantenga la forma di stella a dieci punte. Ti lascia carta bianca su eventuali decorazioni e accorgimenti. Sei tu l'artista, dopotutto. »

« Ma cos'è, scemo? Mette via una scultura di ottone pericolante per metterne una di vetro? Se si dovesse rompere, altro che feriti. » non è preoccupato per la collettività, Kanda. Non si sente così generoso. Ma ci sono tante ragioni per cui non vuole accettare il lavoro. In primis, perché è contento di quello che ha e del suo lavoro. Inoltre, realizzare una scultura di quelle dimensioni lo distoglierebbe troppo dal lavoro quotidiano, richiedendo un dispendio di forze e risorse eccessivo. Infine, se dovesse rompersi, considerando il materiale fragile, non se lo perdonerebbe mai.

« Di questo non devi preoccuparti. Apporterà le dovute precauzioni perché nessuno si avvicini troppo alla tua opera né rischi di romperla. Sarà protetta anche dalla pioggia, dai temporali, dalla neve, dai venti troppo forti. Lo sai che tipo è il capo. Quando si tratta di te, usa la massima cura. Le tue sculture sono marchi di garanzia per lui ormai. Fanno parte del giardino quasi quanto il manifesto e la stella, per questo ti affida questo incarico. »

« E se rifiutassi? »

« Certamente sarebbe un problema, ma il boss è ottimista. Come me. E poi, perché non dovresti accontentarlo? Ti ha dato questa casa e la possibilità di lavorare, senza preoccuparti d'affitto e bollette. Mi pare una ragione più che sufficiente, no? »

« Ha una scadenza, questo lavoro? Non voglio mettere il mio banco in secondo piano per un'opera del genere. »

« Se tu ci dedicassi tutto il tuo tempo libero, quanto tempo impiegheresti? »

Kanda ci pensa su. Approssimativamente riesce a dare una data. « Se lo faccio tutti i giorni, in ogni momento che sono libero... direi tre mesi. »

« Bene. Allora lo vuole entro marzo. Certo, non che tu debba spaccarti la schiena, ci tiene alla tua salute. Se di tanto in tanto vuoi dei momenti per te, puoi concederteli tranquillamente. »

« Non ho ancora detto che accetto il lavoro. »

« Hai detto “ancora” però. Ottimo segno. » sorride, Shinji, è il sorriso di chi sa di aver già vinto. Yu non lo sopporta, soprattutto perché su molte cose ha ragione. Il “boss”, come lo chiama lui, è stato un benefattore. Gli ha dato casa e lavoro e gli permette di vivere normalmente nel posto che forse preferisce di più al mondo. Ma ha una brutta sensazione, Kanda. Forse si sente solo sotto pressione e il suo orgoglio non lo vuole ammettere. Pensa anche che se lo facesse, sarebbe un'ottima pubblicità per il proprio banchetto, ma poi sbuffa. Se si fosse trattato di una statua normale un discorso simile l'avrebbe fatto, ma adesso si parla della stella, del simbolo per eccellenza del giardino. Praticamente metterebbe la faccia su quel lavoro. Sarebbe disposto a tanto per un uomo del genere?

Ci pensa a lungo. Rivolge uno sguardo ad Alma, la sua statua preferita. L'unica che non metterebbe mai in vendita, solo esposta. Chissà perché poi la lascia sotto gli occhi di tutti durante il lavoro, lui che è notoriamente geloso delle proprie cose. Eppure non può farne a meno, vuole che tutti la guardino. La sua natura gli ordina di fare così. E anche adesso, gli dice che è ora di fare altro. Noia? Forse. Non cambia il fatto che Yu non riesce a resistergli. Lui che è notoriamente un tipo molto, troppo controllato.

« D'accordo. Accetto il lavoro. » dice alla fine. « Digli però che non lo aggiornerò giorno per giorno sul progetto. Manterrò la grandezza ma per quanto riguarda la forma voglio libertà assoluta. Rimarrà una stella, ma come dico io. »

« Non ci si poteva aspettare niente di diverso da te, Kanda. » dice Shinji con un sorriso. « Tuttavia, tornerò volentieri a scroccare caffè da te. A proposito, mi verseresti un'altra tazza? »


~ Ore 07.05 ~


Quando Grimmjow si sveglia, la prima cosa che fa è guardarsi allo specchio. Non per vedere se ha brufoli, occhiaie o altro, solo per constatare di essere vivo. Gli piace sorridere davanti al proprio riflesso e dirgli “sono ancora vivo, ben ti sta”. Non ha neanche paura d'invecchiare. Grimmjow ama la vita ed ogni giorno non può che essere felice di essere al mondo, di sapere di esistere e di riuscire a farcela, in un modo o nell'altro.

Poi si volta, vede Ichigo, ancora dormiente, accanto a lui. Ed anche quella è una vittoria. Riesce a badare a lui nonostante le complicazioni che porta la porfiria. In parte il merito va anche a Shinji che gli passa volentieri le medicine a prezzi scontatissimi ma, insomma, è lui a tenerlo a bada. È lui che lavora, fa la spesa per entrambi, lo chiama quasi con ossessione al telefono per assicurarsi che non sia rimasto coinvolto in un incidente o abbia attaccato briga con qualcuno. Capita spesso che Ichigo scateni delle risse, ma non lo fa di proposito. È per via delle allucinazioni provocate dalla porfiria. Risponde male al vuoto credendo di parlare con qualcuno, magari vicino ad un passante che pensa di essersi beccato degli insulti ingiusti e da lì scatta la rissa. Per Ichigo è dannatamente facile finire nei guai senza volerlo. Lo guarda più volte e non sa dire cosa prova per lui. Non si sente il suo tutore, un padre od un fratello maggiore, solitamente tipi così li lascerebbe al loro destino. E allora, perché con Ichigo si preoccupa a tal punto?

Forse perché quel ragazzo un po' tanto sfortunato è l'unico che lo vede come una sorta di guida. Se ripensa alle dinamiche del loro primo incontro gli viene effettivamente da chiedersi chi avesse bisogno di chi all'epoca. Forse tutti e due avevano solamente bisogno di appoggiarsi a qualcuno. Solo che la cosa è sfuggita di mano. Dentro di sé Grimmjow sente il bisogno opprimente di averlo vicino per sentirsi ancora importante, lui che di solito se ne va sempre per fatti suoi. Ci ha pensato, molto spesso. Di mollarlo da qualche parte. Ma poi, per qualche motivo, lo tiene stretto a sé. È geloso di lui, in una maniera quasi patologica. Se pensa che qualcun altro possa occuparsi di lui gli sale il nervoso. È convinto che nessuno potrà mai sostituirlo e questo lo sa anche Ichigo, ecco perché resta con lui. Lo sa, no?

Sono ormai giorni che gli chiede con insistenza di tornare al giardino. Inizialmente era contento, sapeva che quel posto gli sarebbe piaciuto, era una notizia grandiosa. Addirittura, è riuscito a stringere altre amicizie. Eppure ci sono giorni in cui Ichigo non si sente contento, lo guarda un po' demoralizzato e gli chiede di tornare il giorno dopo. Come se aspettasse qualcuno che non si è fatto vivo.

Quando succede, Grimmjow se lo chiede sempre. Chi cazzo si aspetta di vedere?

Inutile chiederglielo, non risponderebbe mai. Forse è una delle tante visioni. Ma è strano. Non sarebbe così ossessiva. Non avrebbe quella faccia delusa.

Allora se lo chiede. Ichigo, io non ti basto più?

Non ci vuole nemmeno pensare. Si è preso cura di lui per mesi, gli è stato col fiato sul collo sempre, l'ha protetto, l'ha mantenuto, e così lo ringrazia? Distraendosi con fantasie a lui ignote? No, pensa Grimmjow. Il suo orgoglio non lo accetta. Si sente un re e sapere che qualche sconosciuto potrebbe soffiargli il posto lo manda in bestia.

Nel momento in cui Ichigo si sveglia e gli sente mormorare “Grimmjow...”, si rasserena. È lui che chiama, lui che cerca. Sospira e torna a sorridere. Deve ancora nascere l'essere umano in grado di stare con Ichigo senza impazzire. Fino ad allora, sarà lui il suo re. È un ruolo troppo prezioso per il suo ego. Non vuole perderlo. È una di quelle cose che lo fa sentire vivo e che gli do una ragione per andare avanti, svegliarsi ogni mattina, guardare lo specchio e fargli le smorfie. “Alla faccia tua, come vedi sono sempre qua e ce la faccio benissimo”. Anche se bada a quel ragazzo tanto sfortunato.

Dice ad Ichigo di mangiare quello che vuole per colazione, in frigorifero ci sono degli avanzi. Lui si allontana, in modo da non perderlo d'occhio comunque, ed afferra il telefono per comporre velocemente un numero. È un'altra cosa che fa ogni mattina. Tanto, a qualunque ora chiami, lui è sempre disponibile.


~ Ore 07.17 ~


Il fumo scompare subito, mescolandosi nell'arredamento atipico della stanza numero nove. È lì, sdraiato per terra, da circa un'ora ed è già la seconda sigaretta che si accende. Inizia ad esagerare, se ne rende conto. Gli fa male, lo sa benissimo, ormai lo scrivono pure sul pacchetto. “Il fumo uccide”. Sì, lo sanno tutti. Eppure, che strano, ciò non serve a smettere. “Tanto prima o poi moriremo comunque”, così si sente dire e, in tutta onestà, lo pensa anche lui. È una frase che farebbe incazzare chiunque, ne è ben conscio. Sarebbe come dire che è inutile mettersi la cintura di sicurezza in macchina, tanto moriremo comunque. L'essere umano è proprio strano, pensa Lavi. Si fa continuamente del male ma quando è a tanto così dal restarci secco prende ogni precauzione possibile. E lui non fa eccezione. Ormai ricorda vagamente il giorno in cui ha preso in bocca la prima sigaretta. Forse aveva sedici anni, forse diciassette, era estate, comunque, verso agosto, il suo mese di nascita, ecco perché non ricorda se aveva già compiuto gli anni o no. Gliel'avevano offerta e lui, ingenuamente, aveva accettato. Senza pensare a niente.

Era iniziato così il percorso che avranno fatto gran parte dei fumatori. Cominci con una ogni tanto. Poi diventa una alla settimana. Una ogni tre giorni. Una ogni due. E senza che te ne rendi conto, esaurisci un intero pacchetto in una giornata. Ci pensa e ci ripensa, Lavi, ma anche percorrendo tutta la sua vita, non riesce a smettere di fumare. Anche il solo stringere quella piccola sigaretta a sé lo rilassa. Quando, per esempio, finisce di scrivere, o dopo il caffè -sempre se Tyki non se lo è già bevuto prima- la sigaretta è d'obbligo. Ha un sapore più, come dire, incisivo. Fa male, lo sa perfettamente. Ma non riesce a smettere e non ci mette nemmeno la buona volontà. Non ce la fa proprio. Lo aveva proposto a Tyki, anche lui accanito fumatore. Ma eccoli lì, con le loro sigarette. L'essere umano è proprio incomprensibile.

Rukia dorme accanto a lui con la coperta avvolta fin sulle spalle. Erano troppo stanchi per rivestirsi. Se ripensa al rapporto durato fino a poche ore fa, quasi si eccita di nuovo. Ora che la guarda, si sente soddisfatto. Non vede l'ora che si svegli per poter parlare con lei, solo parlare, guardarla e parlare, accarezzarle quella pelle liscia e parlare. È bello parlare con lei, quanto farci l'amore. Spera che quella non sia l'unica volta, ma è fiducioso ed ottimista di suo, Lavi. Si sente attratto da lei e sente che la cosa è reciproca.

Viene distratto dalla visione a causa della vibrazione al cellulare. Sul tappeto è più simile al ronzio di una zanzara, ma ciò lo sprona ad afferrarlo al volo. Legge il nome di Grimmjow Jaegerjaques sul display, con la cornetta che si abbassa e si rialza aspettando un suo cenno. Accenna un sorriso e risponde, dirigendosi davanti alla finestra senza far troppo rumore. Parla sottovoce per non rischiare di svegliare Rukia. « Sì, pronto? »

« Dove sei? » a sentirlo, si sarà sicuramente appena svegliato. Un classico.

« Al giardino. Mi sono fermato da Kaien stanotte. »

« Sei da solo? »

« Adesso no. »

« Chi c'è? »

Non devono fare discorsi di chissà quale segretezza, che ci sia o meno altra gente accanto a Lavi non fa differenza. Grimmjow lo vuole sapere e basta, e Lavi non ha nessun motivo di tenere dei segreti con lui. Dopo Tyki, è una delle persone con cui si sente più in sintonia. A volte, quando si incrociano all'Hortum Septentriones, si ignorano. Poi si rivedono e si raccontano a vicenda vita, morte e miracoli di ciò che succede attorno a loro. Trova che quel ragazzo dalla tintura di capelli ambigua sia una delle persone più intelligenti che abbia mai incontrato. Proprio così, intelligenti.

È il classico tipo che prima fa e poi pensa. Agisce di pancia, come se avesse un buco allo stomaco da riempire di corsa. Ma proprio questo lo distingue dalla triste massa che spesso circonda Lavi. Grimmjow è perfettamente cosciente di avere qualcosa dentro di sé che lo manovra secondo i propri desideri e l'asseconda. Capisce al volo cosa lo rende felice e cosa no e sa che non si può resistere. Non ci sono leggi morali o costrizioni che tengano. Ha una mentalità affascinante, che supera i classici e discutibili concetti di bene e male. La sua morale lo porta ad essere una spanna sopra agli altri, gli conferisce carisma e fascino e Lavi non riesce ad essere indifferente di fronte ad una cosa del genere. Grimmjow sarebbe il protagonista perfetto per un suo romanzo. Non può che ammirarlo.

« Si chiama Rukia. » risponde solamente. Se dicesse Mai Shirafune comprometterebbe la sua riservatezza, anche se Grimmjow non è il tipo che ricorda i nomi di tutti gli attori che incrocia sullo schermo. Lui non legge nemmeno i titoli di coda o le locandine del film, ad esempio. Se il titolo ispira, magari se lo guarda. Perché agisce di pancia, lui.

« Te la sei fatta? » non usa nemmeno mezzi termini. Spesso fa esclamazioni che fanno sorridere Lavi. Non lo trova volgare, solo sé stesso. Non si fa influenzare da galatei o buone maniere, parla come gli viene e, per quanto ciò vada contro le buone maniere, Lavi lo accetta senza problemi. Perché sa che non può fare a meno di comportarsi così. È più forte di lui. Non può fargliene una colpa.

« Devo dire che non mi capitavano da tempo incontri così stimolanti. »

« Cioè, gli intellettuali che incontri alle gran serate non ti soddisfano? »

« La definizione di intellettuale è alquanto soggettiva, non credi? »

« Diciamo di sì. Quando ci vediamo? »

« Mi va bene anche subito. Puoi portare Ichigo, se vuoi. Sai che non mi dà fastidio. »

« Lo farei, ma sai com'è fatto. Si sente a disagio ad incontrare persone come te. Dice che non gli ispiri fiducia. Ho provato a fargli leggere un tuo libro, ma dice che non riesce a leggere più di due pagine. »

« Non deve sentirsi in imbarazzo se non è un mio ammiratore. Non mi offendo. »

« Si tratta pur sempre di lui. »

« Ti aspetto allora. Con o senza Ichigo. »

« E quella Rukia? »

« Immagino che se ne andrà subito. »

Grimmjow chiude la comunicazione poco dopo, sorridente. Ichigo sta ancora mangiando e lo sente parlare da solo, sta insultando qualcuno. Incredibile ma vero, è addirittura divertente.

Lavi ha detto che può portarselo appresso senza problemi ma, sinceramente, nemmeno lui ha granché voglia di farglielo incontrare. Ichigo non digerisce granché i libri di Lavi e, anche se lui dice che non è un problema, lui pensa che sia imbarazzante. O forse, semplicemente, è geloso, come al solito. Anche del rapporto che ha con Lavi. È mostruosamente intelligente quell'uomo, fa quasi paura. Ha un'etica del tutto diversa da quella degli altri e questo lo attira come una calamita. La sua vicinanza non può che affascinarlo, si sente affine a lui e non sa spiegarsi bene perché. Soprattutto quando, banalmente, gli offre una sigaretta. Gli sorride in una maniera che difficilmente riesce ad interpretare. È un sorriso complice quello che gli si stampa sul viso e lo guarda come se lo stesse coinvolgendo in qualche grossa azione. È anche parecchio chiacchierone ma a lui piace starlo a sentire. Gli piace vedere quando si interrompe per pochi secondi per prendere una boccata di fumo e poi riprende a parlare come se nulla fosse senza perdere il filo del discorso. Si trova d'accordo con lui su tante cose e hanno entrambi un'interpretazione singolare della discrezione. Si confidano a vicenda ogni sorta di cosa ma spesso, al giardino, si ignorano completamente. Non perché si vergognino della rispettiva conoscenza, ma semplicemente perché sanno scegliere bene i momenti in cui poter stare in compagnia e parlare, finalmente, scoprire a vicenda quanto i rispettivi io siano alla costante ricerca di qualcosa, come una sigaretta da condividere o un'argomentazione di poco conto che, poi, sfocia sempre in qualcosa di più grande. E riesce a starci appresso, Grimmjow. Molti a vederlo lo prendono per un rozzo che non leggerebbe mai i libri di Lavi. Lui non si offende per quelle frasi, tanto chi se ne frega di cosa dice la gente. Lui ha letto tutti i suoi libri, li apprezza davvero. Gli piace notare che qualcuno affamato come lui c'è ancora. E vuole tenersi stretto conoscenze del genere, anche se sa che Lavi, come lui, ha dentro di sé qualcosa che si muove e che non vuole essere incatenato. Devono continuare a girare.


~ Ore 07.32 ~


Rukia si è rivestita velocemente e si è separata da Lavi dopo una lunga serie di baci. Hanno parlato poco a causa di questo e lui ha un impegno, per cui rimandano ad un'altra occasione. Le ha chiesto con un tono quasi apprensivo quando la può rivedere di nuovo. Si sono promessi a vicenda di rincontrarsi lì e di organizzare nuovamente un incontro come quello. Per lei è strano. Ha fatto l'amore con lui, hanno superato una sottile quanto delicata barriera eppure si danno ancora del lei. Forse non smetteranno mai di farlo ma non le dispiace.

È la prima ad uscire dalla stanza, si copre per bene e gli sorride un'ultima volta, prima di voltarsi. Lui è appoggiato davanti allo stipite della porta, rivestito, e sorride a sua volta. Solo quando la vede in prossimità delle scale la ferma.

« Stasera ha degli impegni? »

« No. »

« Vorrei invitarla a cena. C'è un ristorante molto carino che sono sicuro le piacerà. »

« Fuori dal giardino? »

« Ha paura, Rukia? »

« No. Non ho paura. »

« Non ha bisogno di mentire. Non a me. Conosco bene quella sensazione. Lei teme che fuori da qui i rapporti tra noi possano cambiare e magari peggiorare, dico bene? »

« Posso intuire che anche lei l'abbia pensato? »

« Sì. Ma voglio portarla a cena fuori comunque. Mi consideri pure pazzo, ma sono sicuro che anche fuori da qui l'attrazione che sento per lei non può cambiare. »

Rukia resta a fissarlo per un po'. Le emozioni che ha provato durante tutta la notte non possono lasciarla indifferente. Non riesce a dimenticare niente di quell'uomo, soprattutto le sue mani. L'hanno stretta per tutto il tempo, abbracciata e accarezzata, anche mentre dormivano. Prova ad immaginarle in un posto lontano dall'Hortum, magari ad un ristorante sconosciuto ma molto carino, che stringono le sue a propria volta. No, si dice. L'effetto di quelle mani non cambia, in qualunque posto si trovino.

« Forse siamo entrambi pazzi, Lavi. »

Lui sorride. « Mi scriva l'indirizzo. Passerò a prenderla alle sette. »

Escono insieme dalla locanda ma lui resta fermo davanti alla porta ad aspettare Grimmjow, è questione di pochi minuti prima che arrivi. Rukia prende invece la propria strada e, prima di superare il cancello, guarda con un sorriso l'orologio. Continua a girare, fa un piccolo cigolio che le piace. È un rumore che non sentirebbe mai se quell'affare fosse esposto da un'altra parte. Fa parte del giardino, dopotutto, e non è un essere umano. Non è mutabile come loro.

Non bada a Kanda, a pochissimi passi dalla stella. Sta appuntando su dei fogli tutto ciò che può servirgli per il lavoro. Il fondatore si è già premurato di fornirgli le misure esatte ma andare sul posto a controllare non può che fargli bene. Però, innegabile, un po' si sente schiacciato da quella maestosità e dall'idea che deve fare qualcosa di altrettanto grande.

Guarda l'orologio per una quantità quasi infinita di minuti. Poi sorride.
Sente il sapore della sfida. E la sua natura non può proprio perdere.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Sette. A nord. Sempre più a nord. Sempre più su ***


Angolino: innanzitutto chiedo immensamente perdono per il ritardo. Quando si torna dalle vacanze ritornare alla quotidianità è sempre un po' un trauma, poi adesso ho un, diciamo, problemone da risolvere, ma non potevo non continuare a scrivere. Ringrazio tutti voi che avete aspettato pazientemente, cioè, chi è interessato a questa storia almeno, ah ah. Rinnovo i miei infiniti ringraziamenti a KaeyJ, Haily, zombiecch, M e g a m i, Angy Valentine, matechan, Sidan, Kumiko Walker e Ookami san per le splendide recensioni che mi hanno lasciato finora! Ringrazio di cuore Angy Valentine, AriCastle66, jeanny991, M e g a m i, matechan, Ookami san, zombiecch e Haily per aver inserito la storia tra le preferite! Ringrazio JennyMatt per averla messa nelle ricordate e ringrazio di cuore Arsenico, HaChiElriC, KayeJ, Kumiko Walker, M e g a m i, matechan, S h a i l a, Sidan, Tiamath e zombiecch per averla messa nelle seguite! Grazie infinite a tutti coloro che leggono e apprezzano!
P.s.: Ichigo qui rasenta la tenerezza(!)





Hortum Septentriones






Sette






A nord
Sempre più a nord
Sempre più su






« Questo è un giardino, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne organizzano un mercato, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne passeggiano in questo giardino, di come se ne incontrano in qualunque viale.
Ogni giorno qualcuno si perde e arriva qui, oppure ci viene di sua spontanea volontà.
Questo giardino è una casa. Per chi? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque è alla ricerca. Di cosa? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque.


Hortum septentriones »





« Nessuno chiederà informazioni su di te, a meno che la tua natura non lo voglia.
Tutto ciò che accade nel giardino resta nel giardino.


Nessuno è obbligato a rivelare il proprio nome.
Non è necessario sapere esattamente cosa si sta cercando.
Qualunque cosa sia, qui la si troverà.
Sicuramente.


I brividi che sentite non sono dettati dalla paura.
La vostra natura lo sa perfettamente.


È possibile organizzare particolari eventi quali concerti o feste.
Qualora lo si desideri, è possibile alloggiare per una o più notti nelle locande.
Non vi è alcun obbligo di rilasciare i veri dati personali o documenti.
Il pagamento varia a seconda delle locande.
O, per meglio dire, a seconda della natura dei rispettivi gestori.


Qualunque cosa succeda, mai chiedersi se sia giusta o sbagliata.
Il giardino non conosce queste sottigliezze.


Il giardino esiste per voi cercatori.
Qualsiasi modifica venga apportata, viene fatta per il vostro benessere.
Siamo certi che le vostre nature rimarranno soddisfatte.
Loro sanno cosa vogliono.


È presente un registro su cui è possibile rilasciare i propri recapiti.
Potete scrivere il vostro vero nome o uno pseudonimo, a libera scelta.
Il giardino si assume ogni responsabilità sulle conseguenze di ciò che lascerete trascritto.
Solo all'interno di esso, però.
Dopotutto non si smette mai di girare. »






Shinji è appena uscito dal lussuoso appartamento da un pezzo e cammina per le strade poco affollate con passo lento. Tira su il colletto del cappotto maldestramente coperto dalla sciarpa bianca per proteggersi dal freddo sempre più acuto di dicembre. Il mese è iniziato da poco ma si possono già notare agrifogli e decorazioni tipicamente natalizie appese su porte di casa e negozi, o cartelloni pubblicitari che invitano gentilmente -o subdolamente- i passanti a svuotare in fretta i portafogli per regali a parenti di rito. Shinji guarda tutto questo sorridendo, pensa che lui è salvo da questo lavaggio del cervello applicato da media e produttori, perché lui non ha nessuno a cui fare regali. Per essere precisi, conosce persone che fortunatamente non danno credito a queste trovate commerciali. Anche il fondatore del giardino è una persona così, sia a lui che a Shinji basta una tazza di caffè per stare sereni, e fare una capatina al giardino. Nessuno lo sa, nessuno lo nota, ma “il boss”, come lo chiama il biondo, ci passeggia spesso nel suo regno e passa facilmente inosservato, è capitato un sacco di volte. Chissà come si diverte.

Ha passato circa due ore a casa sua, quella che si definisce una vera e propria villa, completa di ampio giardino ed ogni comodità immaginabile. Come abbia fatto a procurarsi soldi tali da poter vivere più che dignitosamente, Shinji non lo sa esattamente. È un uomo che si è occupato di molte cose nel corso della vita ed ha ricavato fortuna tramite molti sbocchi. Tranne col giardino. Nessuno paga per entrare all'Hortum Septentriones, non l'ha fondato a scopo di lucro. L'ha fatto perché lo voleva e basta, voleva una seconda casa da condividere con un numero illimitato di cercatori, come lui. Perché è uno che non si stanca mai di cercare, il boss.

Hanno parlato a lungo sull'incarico affidato a Yu Kanda. Il fondatore si è detto soddisfatto ed è fiducioso riguardo le capacità di colui che definisce un vero “genio dell'arte”. Non manca mai di riempirlo di complimenti e spesso si lascia scappare una frase che lascia interdetto il biondo.

« Lui stesso sembra fatto di vetro, non trovi anche tu? »

Dopo questa frase solitamente Shinji sorride e annuisce anche se, in cuor suo, non è totalmente d'accordo. O forse hanno semplicemente considerazioni diverse circa quel ragazzo. Perché, in effetti, in qualunque modo lo si guardi, Kanda non sembra un essere umano. Se non fosse animato da quella voglia di realizzare sculture di vetro, desiderio tipico di un uomo qualunque, direbbe proprio che non è umano.

Forse il boss fa similitudini del genere per via della sua professione. È un bel giovane, ha dei bei tratti, neppure una singola imperfezione sul viso, perfetto come dovrebbe essere una statuetta di vetro, forse è per quello. Lo notano tutti, certo. Ma Shinji ha sempre pensato, guardandolo, che somigliasse di più ad una bambola. Non di porcellana o di pezza, una bambola e basta, perfetta, sì, ma che ha bisogno della spinta di qualcuno per potersi muovere. Forse è solo suggestione, ma quando lo guarda gli viene il sospetto che lui non sia proprio capace di esternare qualsivoglia emozione senza l'appoggio di qualcuno. Non lo ritiene un parassita o uno sfigato, solo una bambola. Perfetta, ma mancante di qualcosa. Forse è questo che spinge Kanda a viverci, in quel giardino. Probabilmente è alla ricerca della chiave che permette di azionare la molla delle sue emozioni e poterle così vivere tutte indipendentemente, senza doversi affidare più a statuette di vetro, per quanto ben fatte siano.

Potrebbe anche sbagliarsi, ovviamente, ma Shinji erra di rado su certe cose. E poi, qual è il problema? Basta cambiare punto di vista e lui è un asso anche in questo. È proprio per questo che adora osservare le persone e, perché no, studiarle approfonditamente, perché ti spingono sempre, in ogni caso, a cambiare visione delle cose per poter essere comprese. Grimmjow, ad esempio, è l'esempio perfetto. Potrebbe essere uno sciocco, volgare piccolo bastardo che fa il saputello, ma ecco che capovolgi la visione delle cose e voilà, potrebbe essere un ragazzo come tanti che ha avuto esperienze tali da indurirgli il carattere, riuscendo pure a prendersi cura di qualcuno più sfortunato di lui. Eh, sì, pensa Shinj. La natura dell'essere umano è la cosa più affascinante che possa esistere.

Dopo la visita al boss non manca mai una passeggiata veloce all'Hortum Septentriones, per vedere che aria tira. Sembra sempre la stessa ma no, lui lo sa perfettamente, non lo è. Mai. I giorni sono tutti uguali tra loro, è l'uomo, con la sua natura volubile e vorticosa, a dar loro dei significati diversi. Ecco, proprio adesso, ecco che spunta una nuova cosa diversa, speriamo che sia anche divertente. Un ragazzino lo guarda con timore e rispetto, arrossisce d'imbarazzo addirittura, tentato di rivolgergli la parola. Lo ha incrociato diverse volte ma è uno che si tiene informato su qualunque cosa, Shinji. E poi un ragazzino di circa quindici anni dai capelli bianchi lo devi ricordare per forza.

Si chiama Allen Walker. Un giovane straniero giunto là non si sa bene in che modo, questo non ha potuto verificarlo. Fa l'artista di strada in compagnia di Renji e da un po' di tempo ha fatto del giardino la propria roccaforte, trovando ogni giorno il modo per assicurarsi cibo ed altri beni di prima necessità. Quando lo vede è spesso truccato in modo da nascondere la cicatrice sull'occhio sinistro, tutto di bianco, con un bel naso finto tinto di rosso e delle fantasie dipinte sulle guance. Un clown. Shinji ama i pagliacci. Come si fa ad odiare qualcuno in grado di farti ridere con così poco dimenticandoti dei problemi piccoli o grandi che ti tormentano? Allen, inoltre, ha talento anche come acrobata e giocoliere. Chissà perché non si trova in un grande circo, ma poco importa. Le attrazioni più belle se le accaparra sempre il giardino, niente di più naturale.

Renji è acrobata come lui ma è anche uno specialista dei giochi di prestigio col fuoco. È molto diverso dal collega ma talentuoso allo stesso modo e lavorano bene in coppia. Poi Renji si diletta spesso in numeri con altri due fedeli compagni che non sono dotati di parola: una scimmia ed un serpente. Eppure si comportano proprio come fossero persone vere. Quante volte ha visto quella scimmietta mangiare accanto al padrone, magari fregandogli il panino grazie alla coda prensile? Il serpente, poi, per quanto sia pericoloso, non lo ha mai visto attaccarlo, non ha mai tentato di stritolarlo o avvelenarlo. Sta lì, sulla sua spalla, quasi gli faccia le coccole. Shinji lo invidia molto.

Se si vuole continuare a parlare di animali, Allen ha un cane che lo accompagna nei suoi numeri. È piuttosto vecchio ma riesce a svolgere i suoi compiti in maniera eccellente, ed è la creatura più mansueta che si sia mai vista. L'ha visto innumerevoli volte accarezzare la mano deforme di Allen, quella sinistra che copre con un guanto, come per consolarlo o premiarlo per la dura giornata di lavoro. Amici animali, niente di più classico, vero e splendido.

Comunque, questa volta è solo Allen a colpirlo. Lo guarda con imbarazzo, forse gli vuole parlare ma si vergogna, discreto com'è, così Shinji si avvicina per lui, sorridente. Il ragazzo svaga fingendo di prepararsi per i numeri da presentare allo spettacolo, ma il biondo non demorde e saluta anche Renji, con un cenno del capo.

« Allen Walker, esatto? » sfila la mano dalla tasca, aspettando una stretta di cortesia. Gli porge appositamente la sinistra benché il galateo normalmente consigli la destra, ma lui porge la sinistra. Vuole che sia quella mano deforme a stringerlo, sentire cosa prova toccandolo.

Il ragazzo lo fissa titubante, ma poi si sfila il guanto. Questione di galateo, che obbliga di toglierlo quando ci si deve presentare e lui è uno che ci tiene al bon ton, per quanto schifo gli faccia la mano. Eppure Shinji lo sorprende. Non si inorridisce alla visione e, in tutta onestà, non resta nemmeno a fissargli la mano, tornando ai suoi occhi. La stretta è salda. Il biondo ci pensa e ci ripensa. Bè, sì, non è paragonabile ad una mano normale, ma la cosa non lo tange. Non ha provato niente di che, se non che la stretta del giovane sia piuttosto forte. È deciso, il ragazzo. Ottima cosa.

« Sì, signore. » Allen gli sorride. « Lei è Shinji... Hirako, giusto? » nonostante sia straniero ha una buona pronuncia. Chissà da quanti anni girovaga per quelle strade.

« Mi conosci, dunque. Come quasi tutti qui, del resto. Cosa offrite per lo spettacolo di oggi? »

« Oh, Renji ha inventato un nuovo numero con il serpente, signore. Saremmo onorati di mostrarglielo insieme agli altri frequentatori. »

« Sarà uno spettacolo edificante, sicuramente. Spero di non essere così impegnato da poter essere in mezzo al pubblico. E tu cosa prepari? »

« Ancora non lo so, ho così tante idee per la testa... immagino che improvviserò, come sempre. È il bello di questo lavoro. »

« E per me? Cos'hai preparato? »

« Signore? » Allen sbatte le palpebre più volte, spaesato.

« Mi guardavi come se volessi chiedermi qualcosa, prima. E questo è un paese libero, chiedimi pure quello che vuoi. »

Allen trasale e suda freddo. Se ne è accorto, accidenti. Però, ripensandoci, è l'occasione che aspettava da tempo. Può fargli tutte le domande che vuole. Si dice di lasciar da parte la timidezza -o paura?- e tuffarsi. In fondo, è come fare un numero sul trampolino, no? Un bel respiro e poi un bel tuffo.

« Signor Hirako... lei frequenta da molto questo posto, vero? »

« Sì, diciamo pure così. »

« Quindi conosce più o meno tutte le persone che lo frequentano? »

« Dipende da chi cerchi. »

Allen rabbrividisce, ancora una volta. Ha la netta sensazione che quell'uomo abbia già capito, sin dall'inizio, cosa vuole chiedergli. Legge nel pensiero, oppure Allen semplicemente non è capace di nascondere le proprie emozioni.

« Ecco... so che sembrerò sfacciato, ma volevo chiederle se... per caso... lei sapesse dirmi qualcosa su... »

« Allen. »

Renji lo ferma prontamente, posando una mano sulla sua spalla. La scimmietta, che fino a pochi secondi prima giocherellava coi capelli rossi del padrone, improvvisamente inizia a pizzicare qua e là il volto di Allen, per dispetto, per gioco, o forse perché è in una specie di sincronia col padrone e quindi vuole fermarlo anche lui.

« Non è necessario. » dice solamente.

Shinji ridacchia, infila le mani in tasca e fa una smorfia che permette di mostrare un piercing che trafora la sua lingua. La fa schioccare più volte, ad ogni riflesso quel minuscolo oggetti si illumina, Allen lo trova quasi inquietante, come se stessero cercando di ipnotizzarlo. Ma Shinji Hirako non ha bisogno di simili sotterfugi.

« Parole sante, Renji Abarai. » dice sorridente. « Certe domande sono spinose. Un po' come se chiedessi a voi di svelarmi un trucco. »

Allen Walker si è fatto così sfuggire un'occasione d'oro, forse l'ultima. Ci pensa, ci ripensa, e sa che con ogni probabilità domande simili non potrà più farne. Renji lo sgrida più volte, lo aveva avvertito, inutile sapere qualcosa su chi ha fondato a quel posto, pochissimi sanno e chi sa tiene la bocca chiusa perché è la regola. E ai perché dell'amico, lui risponde sempre che è così e basta, non può sapere tutto e quello avrà i suoi buoni motivi per non farsi vedere. Ma poi, cosa importava? A Renji bastava la consapevolezza che un posto del genere esisteva. Per Allen non era così, ma si sarebbe abituato in fretta all'idea.

L'albino però in cuor suo non si arrende. Prima o poi, ci spera. Accadrà. Lui vuole sapere, e delle conseguenze non gliene importa poi tanto. Non quando queste contrastano con la sua natura che adesso si è fissata con quell'uomo verso cui deve molta riconoscenza. Cosa c'è di male?, si dice. Perciò, solo momentaneamente, concede una tregua e torna al lavoro.


~ Ore 20.02 ~


Si guarda intorno più volte, Rukia, e grazie all'accoglienza che ricevono capisce che Lavi è un cliente abituale di quel ristorante. Ai camerieri ha detto solo “il solito tavolo, per favore” e subito sono stati accompagnati verso il tavolino più in fondo alla sala, quasi all'angolo e parzialmente nascosto da una pianta. Non c'è molta gente, nota. Forse è un locale esclusivo o forse, siccome hanno deciso di cenare in mezzo alla settimana, non c'è molta affluenza. In ogni caso, nonostante tutto c'è un gran vociare.

« Lei viene spesso qui? » chiede al ragazzo, seduto di fronte a lei.

« Cucinano bene. E poi ormai qui mi conoscono, sono “uno di famiglia”. Di solito le riunioni col mio editor le faccio qui. » le porge il menù. Lui non lo sfoglia nemmeno, sa già cosa ordinare, ma così ha la scusa perfetta per osservarla. La trova bella, incantevole. Indossa pochi gioielli e per nulla appariscenti, ma forse proprio per questo spicca di più. Si diverte a vederla assorta nel menù, indecisa su cosa scegliere, ma a lui non chiede consiglio. Non ne ha bisogno, è indipendente. Una caratteristica che Lavi adora. Gli piace conoscere gente nuova, socializzare, instaurare rapporti, ma di farsi imbrigliare da qualcuno no, piuttosto la morte. Ci tiene a restare comunque un singolo individuo in grado di badare a se stesso. Anche Rukia è così, lo ha capito dalla prima volta che l'ha incontrata. Sono molto più simili di quanto non sembrassero.

Lavi ancora si chiede come mai sia già giunto ad un simile rapporto con lei. Non sa bene come definire quell'attrazione, fatto sta che la vuole. E questo va contro il suo voler essere indipendente. O magari no. Più ci pensa e meno ci capisce, per cui tanto vale lasciare che le cose maturino da sole. Non ha paura di cosa potrà accadere. Finché può osservare Rukia in quel modo, gli va bene tutto.

« È un bel posto. La ringrazio per avermi portata qui. » però c'è un'atmosfera diversa, lo capisce benissimo. Non è come trovarsi al giardino. Certo, l'attrazione per quell'uomo resta, ma improvvisamente Rukia si fa prendere dai dubbi, dai perché. A cosa è dovuta quell'attrazione? Perché lo ha baciato, perché è andata a letto con lui? È strano, non si era posta domande simili quando era là dentro. Ed ancora più strano è che, anche chiedendoselo, l'unica risposta che riesce a trovarsi è “però mi affascina”. Il loro è un rapporto atipico, che a lungo andare rischia di sfuggire dalle loro mani. Eppure le piace. In fondo, fortunatamente, le mani di Lavi sono sempre le stesse, dovunque vada. Sono meravigliose e non perdono occasione di cercare le sue, di accarezzarla. Avrà sicuramente notato il suo debole per quelle mani e l'accontenta come può, è gentile. E anche passionale, anche questo ha avuto modo di appurarlo. E intelligente. Affascinante. È curiosa di scoprire anche i suoi difetti, perché sicuramente li ha. È felice di constatare come voglia sapere tutto, tutto di quella persona, anche se attualmente si trovano in un posto lontano dal giardino, pieno di chiasso, voci insistenti richiamano i loro nomi, bisbigliano “ma io quello l'ho già visto”, li avranno riconosciuti. Ma pazienza. Se Lavi non batte ciglio e non mostra nessun segno di fastidio, perché dovrebbe farlo anche lei.


~ Ore 20.19 ~


È una giornata di quelle no, si dice Tyki. Avrebbe dovuto dare retta a quella vocina che nella sua testa aveva detto “non uscire di casa, chi te lo fa fare” e invece. Aveva già rischiato di scivolare dalle scale, poi era arrivato in ritardo alla casa editrice per la consegna di alcuni manoscritti, per essere puntuale ad una riunione non aveva pranzato, si era dimenticato le sigarette a casa, un cameriere stava per versargli addosso tre tazze di caffè, il direttore responsabile come al solito era in vena di battibeccare ma era stata dura sopportarlo, ed infine era andato a sbattere contro un paio di persone. Per essere corretti, quella che si sta apprestando a soccorrere, facendogli perdere altro tempo, è la quarta. Non ne azzecca una, Tyki Mikk.

Scopre però, con gran stupore misto a piacere, che si tratta di una ragazza piuttosto giovane, molto carina e dalle forme gentili, nel complesso un piacere alla vista. La ragazza si scusa ripetutamente ma d'improvviso lui la vede con filosofia. Non tutti i mali vengono per nuocere.

« Sono mortificata! »

« Figurati. Oggi non faccio che sbattere in continuazione. »

« Mi scusi davvero ma sono mostruosamente in ritardo. » Orihime fissa il cellulare che segna l'ora e trova che il tempo scorra troppo velocemente. Accidenti a lei che non è stata attenta, con la faccia buttata nei libri, e accidenti allo studio, cioè, sì, è importante, ma alla fine le ha fatto perdere la cognizione del tempo. Ed è in ritardo adesso, e quando è in ritardo le gaffe si fanno vive, come se volessero fare dispetti. Accidenti a lei, allo studio e al suo essere tremendamente goffa.

« Porca miseria, anch'io sono in ritardo! » Tyki si china subito a terra per raccogliere le scartoffie sparpagliate a causa dell'incontro-scontro, scartoffie importanti, da consegnare alla casa editrice prima che chiuda. Quando Tyki è stressato ha il vizio di lamentarsi a voce alta e poco importa se la ragazza, per sdebitarsi, lo aiuta nella raccolta.

« Che diavolo, almeno Lavi è puntuale con le consegne. Vorrei proprio sapere perché tutti gli altri se la prendono così comoda, che poi si lamentano con me. E poi almeno lui ha sempre il caffè pronto e oggi non sono riuscito a prenderne nemmeno una tazza. Cavolo, cavolo e ancora cavolo. Non vedo l'ora di farmi un bel bagno... »

Orihime lo guarda incuriosita. Lo trova persino buffo, in quelle vesti così formali e chic, da vero lord, ha modi di fare molto più “plebei”. E poi è anche colpa sua che gli sta facendo perdere tempo prezioso, per cui è suo dovere ravvivargli la serata, nel suo piccolo.

« Signore, se è sotto stress perché non viene al giardino? »

« Ah? »

« Si chiama “Hortum Septentriones” ed è un posto magnifico. Lì dimentica tutti i dispiaceri. Io sto andando proprio là. Appena ha tempo, ci faccia un salto, sono sicura che le piacerà. Lì può prendere tutto il caffè che vuole e farsi anche un bel bagno. »

« Ti ringrazio ma credo che passerò. Non ho proprio tempo per fare scampagnate. »

« Ma lì non ci si va mica per delle scampagnate. »

« Non ti seguo, signorina. »

« È un po' come... vediamo... il mondo di Alice! »

« Allora non fa per me. »

« Non dica così. Quel posto fa per tutti. »

Certo che ne ha di fantasia, questa qui, si ritrova a pensare. A vedere il suo faccino così innocente quasi gli dispiace dirgli ancora di no. Perciò le dice che sì, forse un giorno ci passa, che poi a quella ragazza non dovrebbe importare più di tanto. E comunque sono in ritardo tutti e due, volendo restare in tema, sembrano il Bianconiglio, per cui si separano dopo un “grazie” stentato. È dura la vita di un editor, Tyki lo sa, in fondo non gli dispiace muoversi con frenesia, ma oggi è una giornata di quelle no, proprio. Anzi, facciamo “nì”, perché una ragazza tanto carina quanto goffa gli ha ravvivato la serata.


~ Ore 20.33 ~


Orihime è in ritardo. Per ingannare il tempo, Linalee si mette a curiosare tra le bancarelle che stanno chiudendo. Ha notato come il ragazzo delle statuette di vetro se la prenda sempre comoda quando chiude il proprio banco, ma stavolta è diverso. Sembra abbia fretta di andare da un'altra parte. Ovviamente Linalee non può immaginare che Kanda ha improvvisamente una mole di lavoro considerevole, ma le piace vederlo così indaffarato, o motivato. Le statuette che realizza sono molto belle ma non ha mai voluto comprarne nessuno. Ha sempre sentito che a loro mancasse qualcosa e solo dopo molto tempo ha capito cosa: l'emozione. In quelle statue manca l'emozione. Solo in una di esse, l'unica che il ragazzo non ha messo in vendita, quella statua piuttosto grande che raffigura una donna che tiene per mano un bambino, solo quella la trova talmente emozionale da farle venire i brividi. Ma non l'avrebbe comprata comunque, anche se l'avesse messa in vendita.

Kanda sembra una bambola ai suoi occhi. Totalmente diverso da Orihime, per esempio, che sprigiona energia e vita da ogni poro. È una ragazza si pasticciona, sognatrice, idealista, tutti aggettivi che lei esaspera col suo modo di fare, ma proprio per questo vera, molto più vera di molte ragazze che ha incontrato, vuote, senz'anima, maligne dentro, senza motivazioni e con un insensato spirito di competizione verso di lei. A scuola Linalee è molto ammirata, ha ottimi voti e si rende sempre disponibile, ma questo per qualche motivo suscita gelosie e anche astio. Le fanno continuamente dispetti, a scuola. Una volta le hanno distrutto le scarpe che amava di più, regalo del fratello a cui tiene anche più della sua stessa vita. Questi episodi la rendono simile a Orihime, e anche lei ne ha passate. Le ha raccontato di quando, alle elementari, quando viveva da tutt'altra parte, alcune compagne più grandi le avessero tagliato i capelli semplicemente perché “il colore non piaceva”. Se solo fossero state insieme sin dall'inizio, si dice spesso Linalee. Adesso si sente finalmente bene perché ha trovato un'amica vera, simile, piena di vitalità ma anche fragile e la vuole proteggere. E non è un desiderio a senso unico, entrambe sanno di esistere per aiutarsi a vicenda. E tutto questo grazie a quel giardino.

Linalee ha anche notato che Orihime è molto affascinata dal ragazzo delle statuette di vetro ma a questo non ci arriva proprio a capire perché. L'appoggia dal momento che comunque è una sua amica e se le piace, pazienza, ma, insomma, è tutto il contrario di lei. Sembra una bambola e sembra non avere emozioni. Forse la sua amica è riuscita a scorgerci qualcosa di più, chissà. Vorrebbe conoscere il suo segreto.

E forse non è l'unica a volerlo. Si accorge in un secondo momento di non essere più da sola. Kanda ribadisce che sta chiudendo e che non c'è niente da vedere, ma l'altro risponde che vuole restare, la luce fioca dei lampioni illumina debolmente il suo viso pallido incorniciato dai capelli spinosi e arancioni, come l'alba. Si volta verso Linalee, e le sorride. Come se già la conoscesse.

« Sono molto belle queste statuette, vero? »

La ragazza arrossisce senza motivo. « Sì... »

« Ho notato che sei qui da un po'. » aggiunge, mettendo le mani avanti. « Scusami, non ti stavo spiando. È che non è prudente per una ragazza restare sola troppo a lungo, di notte. »

« Sto aspettando un'amica, arriverà tra qualche minuto. Grazie per il pensiero, comunque. »

Oh, Ichigo lo sa chi sta aspettando. Fa il finto tonto e avvicina quella ragazza apposta perché così, con la scusa, vede anche Orihime. Senza Grimmjow accanto si sente quasi un pesce fuor d'acqua. È andato al giardino da solo, coi propri piedi, e al compagno ha detto che andava solo a fare quattro passi “in giro”. Ci sono momenti in cui desidera fare tutto per conto suo ma, quando si ritrova solo, come ora, si sente sperduto. È andato là sperando di trovare una risposta, anche se è nuovo del posto, e in effetti si sente già meglio, perfino coraggioso, fino ad avvicinare quella ragazza che di paura non sembra averne proprio per niente e non sembra impressionata dalla sua pelle pallida o dai canini. Però, a conti fatti, è da solo. E quando è da solo è più difficile tenere a bada i fantasmi intorno a lui che adesso gli stanno suggerendo cose non molto cortesi, oppure lo infastidiscono gridando aiuto quando lui non può proprio fare niente. Per quanto ancora la sua natura resterà bloccata tra due fuochi in questo modo?

« Io mi chiamo Linalee Lee. » dice lei, interrompendo il silenzio. Gli porge la mano.

Lui sorride e risponde alla stretta con una presa non troppo salda. Ha la mano fredda, se ne rende conto. Ma d'altra parte è dicembre. « Ichigo Kurosaki. »

« È davvero un bel nome. »

« … grazie. » fa un bel sospiro. Con le donne non ci sa proprio fare, ma deve fare progressi, anche da solo. Approfittane ora che Grimmjow non c'è. « Anche il tuo, Lin... »

« Linalee! » Orihime ha il fiatone ma le sorride e l'amica sorride a sua volta. Le dice che non era il caso di correre così, avrebbe aspettato senza problemi. Tanto aveva anche compagnia -visto che Kanda, purtroppo, non è molto propenso a parlare se non per vendere i propri pezzi- per cui la tranquillizza e le propone di sedersi.

« Ah, già che ci siamo perché non ti siedi anche tu con... » si volta per invitare anche quel ragazzo ma, in un attimo, non c'è più. Sparito, scomparso, come un fantasma o un vampiro. Linalee sgrana gli occhi più volte, si guarda attorno, ma non scorge nessun ombra, a parte quella di Kanda che traffica con le ultime cose prima di chiudere. Orihime, dietro di lei, fa capolino e alterna lo sguardo tra la strada ciottolata e l'amica.

« C'era un ragazzo fino a poco fa, ma... dev'essere andato via, che strano... senza salutare... »

« Eh? Un ragazzo? E chi? »

« Un tipo gentile... bè, pazienza. » in cuor suo però un po' le dispiace. Avrebbe voluto parlare con lui ancora un po'. Teme addirittura che qualcosa, nel suo comportamento, lo abbia spaventato o indispettito. Insomma, le aveva detto di averla notata, tutta sola, sembrava propenso a tenerle compagnia, era preoccupato per lei, così sembrava. Ma forse ha capito male, forse si è solo lasciata andare a qualche fantasticheria di troppo. Come una ragazzetta qualsiasi in vena di sognare il grande amore. La ragazza scuote il capo, scendendo alla realtà, anche se il pensiero di dove possa essersi cacciato rimane persistente nella sua mente. È quasi tentata di lasciare il suo nome e il suo recapito sul registro, magari lui va a darci un'occhiata. Ma alla fine va con Orihime alla solita panchina. Per com'è fatta, Linalee non ce la farebbe mai, a fare una cosa così “espansiva”, non ancora.

Non sa che Ichigo la tiene d'occhio, ancora. Si è dileguato subito, come ha visto la ragazza dai lunghi capelli castani, quella stessa che l'aveva aiutato qualche sera prima. Quella volta era a tanto così da avvicinarla, invitarla a conoscerla, ricorda bene come dentro di lui qualcosa fosse scattato, allora come adesso. Eppure non ce l'ha fatta. Non ha retto all'emozione e si è improvvisato un fuggiasco pure parecchio maleducato, per aver avvicinato la sua amica senza nemmeno salutarla. Riscende drasticamente alla realtà, Ichigo. Vuole conoscere quella persona, lo vuole da matti, ma da solo, con le proprie forze, non ci riesce. Torna a casa sconsolato, dandosi del cretino, e per una volta lascia che i fantasmi intorno a lui lo insultino a dovere perché hanno ragione su tutta la linea.

Quando vede Grimmjow, sdraiato a letto, stanco per la dura giornata di lavoro, prova pure un po' d'invidia. Lui è sempre così sicuro di sé, indipendente. Riesce a fare tutto da solo e si accolla pure le sue grane senza che nessuno gli chieda niente. A Ichigo dà enormemente fastidio essere di peso a qualcuno, ma non vuole nemmeno rinunciare alla presenza di Grimmjow. Ha bisogno di lui, ma con quale faccia glielo chiede?

Sospira. È davvero un caso disperato. Tanto vale arrendersi alla realtà dei fatti e mettersi a dormire, anche se non è così tardi.

Grimmjow aspetta un po' prima di alzarsi. Si è accorto benissimo che Ichigo è rientrato ma solo quando è sicuro che stia davvero dormendo profondamente si alza e gli sistema meglio la coperta sulla spalle. Sorride, felice che sia tornato a casa. È giusto che ogni tanto cerchi di fare le cose per conto proprio, purché non vada troppo lontano. Dopotutto, è sotto la sua responsabilità e ancora non se la sente di farsi “soffiare il posto”, da chiunque. Quel ragazzo non è come lui, una cosa che tutto sommato lo rende felice. Lo rende importante ed indispensabile, e per il suo ego non c'è niente di meglio.


~ Ore 22.58 ~


Alla fine lo hanno fatto di nuovo. Sono usciti dal ristorante da poco più di un'oretta. Non volevano che tutto finisse lì, dopo il conto che ha voluto saldare lui, tutto quanto. Non volevano chiuderla così, non dopo tutte quelle carezze che le aveva concesso la sua mano, e quel bacio audace sulla stessa. Non dopo i sorrisi, i discorsi che ormai erano soliti fare. Non dopo averla baciata, fuori dalla porta, con la scusa di sistemarle la sciarpa. Ci ha messo poco ad invitarla a casa sua, senza preoccuparsi del suo consueto disordine, Rukia non se n'è preoccupata più di tanto. Ci ha messo poco a trascinarla in camera, gettarla sul letto, spogliarla.

Anche fuori dal giardino, Lavi continua a sentirsi enormemente attratto da lei. E lo stesso vale per Rukia. Ha dato un'occhiata veloce al suo appartamento, caotico, pieno di libri, manoscritti, colorato e dotato di un certo gusto particolare, originale. Ha notato alcune copie di libri, gli stessi che ha comprato e adorato lei. Ma sono state occhiate durate pochi secondi. È difficile resistere alle tentazioni, soprattutto se scaturite da quel ragazzo che adesso sovrasta il suo corpo, ansima, la tocca ovunque.

Rukia è felice, felice come non mai. Di poter stare con lui in quel modo ovunque si trovi, anche fuori dal giardino. Lo stringe a sé quasi soffocandolo, non vuole farlo andare via, anche perché lui non ne ha la minima intenzione. Non si separa da lei un solo istante, anche quando squilla il cellulare. Digrigna a denti stretti, irritato per quel suono che lo disturba proprio in quel momento. È tentato di ignorarlo, ma poi, leggendo il nome di Tyki sul display, risponde, cercando di simulare la voce più calma che può sfoderare in quella circostanza.

« Pronto...? » assume un tono che possa far intendere che quello è un pessimo momento per telefonare.

« Sei un gran bastardo. »

« Che...? »

« Ecco dove te ne andavi a bighellonare, maledetto. Volevi tenerti questa meraviglia tutta per te, vero? »

Guarda per un attimo Rukia. No, è evidente che non sta parlando di lei. « Ma che cosa stai... »

« Il giardino, guercino! Ci sono passato giusto per curiosità, ma è proprio fantastico come dicono! »

« E chi te l'avrebbe detto? » dà un bacio sulla fronte di Rukia imperlata di sudore e sorride. Non distoglie l'attenzione da lei nemmeno per un secondo.

« Questa me la paghi, eh! Oh, adesso vado che sta per iniziare una specie di festa e c'è birra gratis per tutti! » gli chiude il telefono in faccia senza salutare e lasciando Lavi, la sua gallina dalle uova d'oro, interdetto e confuso. L'unica cosa che ha capito è che si trova all'Hortum Septentriones. Non gli ha mai parlato di quel posto perché non ce n'è mai stata occasione ma è felice che si trovi in quel posto, e come potrebbe non esserlo? È davvero una splendida serata, anche se non si trova lì con lui.

Rukia avvolge le braccia intorno al suo collo e accenna un sorriso. « Ci sono problemi, Lavi? »

Adora che lo chiami per nome. E in quel momento è una cosa che lo eccita molto. « Affatto. Non si preoccupi. Piuttosto, dove eravamo rimasti...? »

E riprendono a farlo da dove hanno interrotto. Il loro viaggio, dopotutto, è appena iniziato.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Otto. Lei ci muove. Si muove ***


Angolino: buonasera! Quanto tempo, eh? Perdonatemi per il ritardo con l'aggiornamento, ho avuto un problema parecchio antipatico. Ma eccomi qui, con un capitolo, uhm, diciamo un po' criptico. Bè, questa storia è criptica, per cui. Devo dire però che mi piace far dannare Ichigo così. Rasenta troppo la tenerezza, mi fa sbandare qua e là. E si preannunciano situazioni ancor più confusionarie, con trottole che qua girano e non si fermano mai. Lavi e Rukia sono gli esempi perfetti, e scusate, forse sono troppo fissata con loro, ma li amo. Amo il LaviRuki. Amo scrivere di loro nelle situazioni più disparate. E, oooh, Kanda ha un colloquio prolungato con qualcuno che non sia Shinji o il fondatore del giardino! -prima o poi saprete chi è , promesso- E Grimmjow... lui è il re che agisce di pancia, che vogliamo farci. Gli vogliamo bene proprio per questo. E tranquilli, non ho dimenticato personaggi come Allen, Renji, Tyki, Shinji o Linalee. C'è occasione per tutti in questa storia, tanto non siamo ancora alla fine!
Piccola nota: il bucaneve non è un fiore scelto a caso. È il fiore simbolo della tredicesima compagnia in Bleach, e significa speranza -se non ricordo male, eh-
E ora i consueti ringraziamenti. Un grazie di cuore a
KayeJ, Ookami san, Haily, Sidan, M e g a m i, zombiecch, matechan, Kumiko Walker e Angy Valentine per le splendide recensioni che mi hanno lasciato finora! Quello che mi scrivete mi rende felicissima, davvero! Ringrazio di cuore Angy Valentine, AriCastle66, jeanny991, M e g a m i, matechan, Ookami san, zombiecch e Haily per aver aggiunto la storia tra le preferite, JennyMatt per averla inserita nelle ricordate e Arsenico, HaChiElriC, KayeJ, Kumiko Walker, M e g a m i, matechan, S h a i l a, Sidan, Tiamath e zombiecch per averla messa nelle seguite! Ringrazio di cuore tutti quelli che leggono e apprezzano quello che faccio! Ringrazio infinitamente chi mi ha aggiunta tra gli autori preferiti: a d e s, AgelessIce, Akisan, Angy Valentine, Athanate, bebouska, Blastvampire, Deeryl, dragon ball z, Dragon Girl31, Edhelwen, Eyes green, FediHime, Giuu, Gleach4615, HaChiElriC, Hime89, Himpm, I r i s, JennyMatt, Jolien, KayeJ, Kia chan 93, Kuchiki Chan, Kumiko Walker, LadyCharlotte, LadyWolf_, M e g a m i, marty 3, matechan, Mela94, NicknameNonNoioso, Ookami san, Rose1487, S h a i l a, Saphirblue, Seminy 53, shooting star, Sky Writer, Tsunaz, Ucha, Valentyn, zombiecch, Haily, _hicchan, Miyuki987. Grazie a tutti voi e a tutti buona lettura!





Hortum Septentriones






Otto






Lei ci muove

Si muove






« Questo è un giardino, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne organizzano un mercato, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne passeggiano in questo giardino, di come se ne incontrano in qualunque viale.
Ogni giorno qualcuno si perde e arriva qui, oppure ci viene di sua spontanea volontà.
Questo giardino è una casa. Per chi? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque è alla ricerca. Di cosa? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque.

Hortum septentriones »




« Nessuno chiederà informazioni su di te, a meno che la tua natura non lo voglia.
Tutto ciò che accade nel giardino resta nel giardino.

Nessuno è obbligato a rivelare il proprio nome.
Non è necessario sapere esattamente cosa si sta cercando.
Qualunque cosa sia, qui la si troverà.
Sicuramente.

I brividi che sentite non sono dettati dalla paura.
La vostra natura lo sa perfettamente.

È possibile organizzare particolari eventi quali concerti o feste.
Qualora lo si desideri, è possibile alloggiare per una o più notti nelle locande.
Non vi è alcun obbligo di rilasciare i veri dati personali o documenti.
Il pagamento varia a seconda delle locande.
O, per meglio dire, a seconda della natura dei rispettivi gestori.

Qualunque cosa succeda, mai chiedersi se sia giusta o sbagliata.
Il giardino non conosce queste sottigliezze.

Il giardino esiste per voi cercatori.
Qualsiasi modifica venga apportata, viene fatta per il vostro benessere.
Siamo certi che le vostre nature rimarranno soddisfatte.
Loro sanno cosa vogliono.

È presente un registro su cui è possibile rilasciare i propri recapiti.

Potete scrivere il vostro vero nome o uno pseudonimo, a libera scelta.
Il giardino si assume ogni responsabilità sulle conseguenze di ciò che lascerete trascritto.
Solo all'interno di esso, però.
Dopotutto non si smette mai di girare.

Non c'è niente di male nel voler sapere.
L'importante è essere coscienti che a volte la troppa conoscenza uccide.
A vostro rischio e pericolo. »






Lavi non si è mai svegliato con la musica. Di solito, in seguito al suo sguardo disorientato nella sua stanza circondata da libri che dice “sono sveglio non sono sveglio sto sognando non sto sognando è casa mia non è casa mia”, ci sono i rumori del traffico mattutino. Ha scelto di vivere in un posto dove il silenzio non è una prerogativa. Vive in un appartamento situato all'ultimo piano di un palazzo risalente al secondo dopoguerra, lo ricorda bene perché l'agente immobiliare ha sottolineato di continuo, mentre la mostrava, la sua età per far capire quanto nonostante gli anni, fosse ancora in ottimo stato. Certo, dipende dai punti di vista questo. Non tutti trovano apprezzabile un portone in legno di noce provato dal tempo. Sì, ha delle increspature che sono belle da guardare, ma col tempo perde colore, diventa rossiccio, si fa vedere vecchio e rovinato e chi si fida di una porta rovinata? A Lavi invece non dispiace quel colore; a dirla tutta, gli piace vedere come le cose cambino nel tempo, per poi constatare che, sotto sotto, non cambia niente. Ma non era certo un discorso da fare all'agente immobiliare così preso nel suo lavoro, era anche divertente vederlo all'opera, forse non aveva mai incontrato un cliente che non si intestardisse con l'idea del “sì, d'accordo, però sta di fatto che la porta è vecchia e una porta vecchia è più facile da sfondare e se poi entrano i ladri io come faccio?”. La gente, pensa Lavi, fa troppo affidamento al fatto che le cose materiali, create dall'uomo, quelle che vengono definite senz'anima, non possano anche loro invecchiare. Una porta, agli occhi della maggior parte delle persone, è solo una porta. Non importa se è stata costruita con il legno di un albero, ergo di un essere vivente. Ma comunque sia, è convinto che anche gli oggetti abbiamo un'anima, un qualcosa da raccontare. Dopotutto, sono create dall'uomo.

Un'altra cosa su cui l'agente immobiliare aveva rimarcato molto era “la bellezza dell'unione tra passato e futuro, i quali danno origine al presente migliore per l'inquilino”. Paroloni per enfatizzare la presenza di un ascensore in quel palazzo così vecchio, senza però trascurare il buon gusto degli anni quaranta con il suo design. Forse quell'uomo si impegnava tanto con le parole per via della professione di Lavi, col risultato che lo faceva solo sorridere di più.

Sull'appartamento, giunti al quinto piano e varcata la soglia di una porta stavolta in legno di quercia laccata di verde scuro, al contrario non fu necessario dare molte delucidazioni. Al momento della visita, erano presenti i mobili indispensabili. Vi erano sei stanze in tutto, anzi, cinque, dal momento che cucina e sala erano state unite. Lavi aveva fatto giusto un giro veloce, durato nemmeno due minuti, e proprio quando l'agente immobiliare stava per elencare i pregi di quell'appartamento, lo aveva zittito con il solo cenno di una mano, fino a quel momento nascosta nella tasca del cappotto. Aveva sorriso a quel perfetto sconosciuto e gli aveva detto. « Vorrei dare un'occhiata al contratto. E avere le chiavi della mia nuova casa, se è possibile averle subito. »

Una casa di circa sessant'anni, con mobili posizionati lì quel tanto per renderla vagamente confortevole, pieni di polvere e malcelata trascuratezza, carta da parati che cominciava a perdere pezzi spontaneamente, ruggine e muffa coperta alla buona, in un centro perennemente frequentato soprattutto di mattina con un traffico che pochi gradiscono volendo concedersi quei fatidici e illusori minuti in più per dormire la mattina, non è la scelta che farebbero tutti. Eppure Lavi l'ha voluta subito, apportando in seguito le modifiche necessarie, come il piccolo muro divisorio tra cucina e sala, la drastica scomparsa dello studio per ampliare il bagno e metterci una lavatrice, togliere completamente la carta da parati e riverniciare ogni singola parete personalmente per dare colori caldi che preferiva lui, per completare con i mobili comprati per l'occasione e la cucina nuova, e i libri, talmente numerosi che alcuni erano poggiati per terra, o pericolosamente sugli scaffali sopra il letto, sul tavolo della cucina dove lavora, accanto al computer portatile e alla macchina da scrivere. Molti trovano quella casa ancor più confusionaria e meno abitabile di prima, troppo angusta, troppo disordinata, troppi libri. Ma a Lavi piace molto, casa sua. Perché è un po' come se, comprandola e rimodernandola, avesse creato una cosa simile all'Hortum Septentriones. Sa bene che non sarà mai paragonabile, neanche lontanamente, con quel posto che tanto adora e che tanto gli ha portato. Come la musica, quella stessa che sente ora che si sveglia, si passa una mano sull'occhio, dà un'occhiata all'orologio sul comodino che segna le otto e tredici. Anche a quell'ora il traffico è animato e se si concentra riesce a sentirlo, fissando tra le fessure delle tende bianche. Ma che la musica coprisse del tutto quei rumori che lui non disdegna, non trovandoci nessun fastidio, non era mai capitato. Si infila velocemente dei pantaloni di un pigiama qualunque, blu, e una vestaglia grigiastra, avvicinandosi alla fonte di quella melodia. Non può chiamarlo rumore, nemmeno suono, non sembra una ninna nanna, non è un canticchiare. È solo la voce di Mai Shirafune. No, non è nemmeno lei, almeno in parte. È Rukia. Indossa anche lei una vestaglia prestata dal padrone di casa, ma le sue dimensioni tradiscono la differenza sostanziale di corporatura che corre tra i due. La vestaglia che Lavi le ha prestato le sta così grande che ha dovuto fare un bel nodo per tenerlo su, e si porta appresso un piccolo strascico ed è quasi impossibile intravvedere cosa porta sotto. Rukia indossa uno dei suoi abiti e prepara la colazione nella sua cucina, cantando. Lavi non può che guardarla, senza rendersi conto si aver infilato le mani nelle tasche e di essersi poggiato alla parete divisoria, composta da una ventina di grandi piastrelle di vetro. L'attrice si accorge di lui soltanto quando si volta per mettere in tavola, apparecchiata apposta per l'occasione -tutto ciò che Lavi usa per il lavoro è stato momentaneamente accantonato sul pavimento- con tanto di piccolo vasetto di fiori, un piatto di uova. Gli rivolge un sorriso, di quelli poco accentuati, che lui ha imparato sin da subito ad apprezzare, forse troppo.

« Buongiorno, Lavi. A cosa è dovuto quello sguardo indagatore? »

Il sorriso viene ricambiato. « Converrà con me col fatto che fa un certo effetto vedere qualcun altro cucinare in casa propria. »

« Vuole che smetta? »

« La prego, non mi metta in bocca parole che neanche penso. La trovo una delle cose più belle che si possano vedere. »

« Tutti vorrebbero la colazione servita senza muovere un dito. »

« Parliamo per enigmi, oggi? Sa perfettamente che cosa intendevo. » decide di muovere dei passi, le sue dita che disegnano i contorni delle cuciture della vestaglia che ora è addosso a lei, le loro labbra che si sfiorano, ma non vanno oltre, producono solamente un lievissimo schiocco accondiscendente. « Dove ha trovato i fiori? »

« Bucaneve. Splendidi per questo periodo dell'anno, non trova? Poco fa sono andata da un fiorista ben fornito, qui vicino. »

« Mi ha lasciato dormire mentre andava a comprare dei fiori? »

« In tutta onestà, stavo rischiando di dimenticarmene. Sono rimasta a fissarla più del consentito. »

« È un po' imbarazzante. »

« Per me non lo è. »

Sorride solamente, a quella risposta. Le accarezza il viso, sfiora nuovamente le sue labbra, entrambi decidono di dare inizio alla colazione. Si siedono in modo che le loro mani possano sfiorarsi e che le loro labbra possano unirsi senza esporsi troppo, in modo che le loro narici possano percepire bene il profumo dei bucaneve.

« Sa che l'avrei accompagnata volentieri dal fiorista. » dice Lavi mentre si versa il caffè. E per fortuna almeno in quel caso Tyki non verrà a scroccarlo. A quell'ora è impossibile.

« Non volevo disturbarla per niente. Oramai so che lascia le chiavi sul tavolino del salotto. » Rukia nota il sorrisetto che si è appena formato sul viso di lui, dopo aver preso alcuni piccoli sorsi di caffè. « Forse ho preso fin troppo alla lettera l'espressione “faccia come se fosse a casa sua”. Gli ospiti si prendono troppe libertà. »

« È già la quinta volta che è mia ospite. Può prendersi tutte le libertà che vuole. Se così non fosse, non le permetterei mai di toccare arbitrariamente i miei libri. »

« Mi lusinga. »

« Posso permettermi una considerazione sfacciata? »

« A casa propria non si è mai sfacciati. »

« Trovo che sia davvero splendido riuscire ad avere con lei un rapporto simile anche fuori dal giardino. »

« Che tipo di rapporto? »

« Domanda interessante. Le potrei rispondere che è simile al rapporto che ha Harriet col suo amico d'infanzia, ma sento che non è così. Non siamo nemmeno amanti, e un po' lontani dall'essere amici. Noi siamo... due pescatori che hanno fatto una buona pesca. »

Rukia arriccia le labbra, non appare convinta, le viene da sorridere ma per rispetto non lo esterna. « È la prima volta che non sa bene cosa dire, vero? »

« Le chiedo scusa. »

« Posso prendermi la libertà di essere Harriet, solo per questo istante? »

« Non ha bisogno di chiedermelo. »

« Se io fossi Harriet, e mi trovassi in una simile situazione, considererei quella persona un amante. »

« Non le pare una definizione fin troppo riduttiva? »

« Possiamo approfondirla quanto vogliamo. »

E non ha torto. L'esempio del pescatore non ha convinto nemmeno lui, ad essere sincero, quella di amante gli sembra fuori luogo. Ma in che altro modo la si potrebbe definire quella, volendo usare altri termini riduttivi, relazione? A conti fatti, trovarsela in casa per la quinta volta non è una bazzecola e non si era mai posto il problema, va benissimo così. La sua sfacciataggine l'ha portato a chiedersi, per la prima volta, a cosa potrà veramente portare quell'attrazione che sente, se ci sarà un futuro oppure no. Pensare a lontani giorni seguenti senza quella figura minuta un po' lo spaventa, ma al contempo lo rasserena. È forse quello che chiamano amore? Si sta innamorando di un'attrice che fino a poche settimane prima neanche osava sognare di incontrare? Al giardino queste domande non se le era minimamente fatte, ma ora eccolo, preso dai crucci che ti regala il mondo al di fuori di esso. Il manifesto avverte chiaramente di prestare attenzione alle differenze che si possono incontrare nei due diversi mondi, perché di questo si tratta. Giardino è solo un altro modo per definire mondo, in questo caso.

Rukia si intrufola con disinvoltura nella sua mano, ma non c'è solo il contatto della sua pelle chiara. Lavi intravede una sigaretta insidiatasi furtivamente tra le sue dita. L'altra si china per baciargli la mano e gli sorride.

« La prenda. Per quanto faccia male, immagino che al momento sia l'unica cosa che la rilassi. Questa conversazione l'ha turbata, me ne dispiaccio. »

Scuota immediatamente il capo. Le labbra vanno a posarsi sul collo scoperto, sente il solleticare dei suoi capelli a caschetto, il suo profumo, i lievi brividi che la pervadono. Si lascia andare anche coi denti, mordicchiando in modo da non lasciare segni su quella pelle così chiara, così bella, impossibile da rovinare anche volendo. Risale fino al suo orecchio, gli basta un bisbiglio.

« La cosa che davvero mi turba è vederla dispiacersi per me. Se le va bene, allora saremo gli amanti Lavi e Rukia. Dimentichi ciò che è stato detto alcuni secondi fa. »

« Dimenticare... lo farà anche lei? » fissa con un sorriso il rosso dei suoi capelli, non rendendosi conto che le sue mani sono andate a sfiorare la vestaglia, lasciandogli scoperta la spalla.

« Dimenticare che cosa? »

« Ciò che è stato detto alcuni secondi fa. »

« Perché, cosa ci siamo detti alcuni secondi fa? »

Sorride. È un uomo che sa farla sorridere con estrema facilità. Aveva pensato, per qualche tempo, che solo al giardino esistessero uomini simili, di aver avuto un miraggio, o vissuto un lungo sogno. Ma quell'uomo le parla anche fuori di lì con lo stesso tono e la stessa cortesia, la desidera alla stessa maniera e continua a stuzzicarla col suo atteggiamento. È un miraggio così tangibile che l'idea di averlo per sé, di essere sua amante, la fa sentire una regina, altro che attrice famosa. Forse sono ancora nel giardino e non lo sanno.

« È già eccitato, Lavi. »

« “Lo toccava in maniera tanto insistente, eppure si sorprese nel vedere come si era già fatto trasportare”. »

« “Erano quei gesti che a volte risultano incontrollabili, quando la mente vuole una cosa e il corpo risponde al contrario. Era quello che le avrebbe detto diversa gente”. »

« “Ipocrita”. »

« “Com'è possibile riuscire a perdere così totalmente la padronanza del corpo?” »

« “Ne restiamo sempre padroni, ma si ha paura di rendersene conto, quando ci si accorge di fare una cosa sbagliata. Quando la morale ordina secondo qualcun altro”. »

« “Ipocriti, tutti quanti. Harriet lo sapeva bene. « Un tocco così dolce non può uccidere la morale di nessuno.»” »

« R-Rukia... » la vestaglia ormai lenta, i pantaloni percepiti sempre più come un fastidio per le mani di lei che massaggiano con dolcezza, mani che tolgono impicci, accarezzano seno, spalle, viso, braccia che trascinano quel corpo leggero ma così incisivo sulle sue carni. « Non smetta... »

« Però se mi siedo su di lei sarà più complicato, Lavi. »

« Vuole che ci sistemiamo sul pavimento? »

« No... le sue gambe sono così comode. »

Di complicato quella posizione non rendeva niente. Al contrario, per lui in tal modo era più facile carezzare con le labbra il suo seno, ormai scoperto. « Gli amanti... in fondo, ha un suono affascinante. »

« Ma -aah... la sua sigaretta... »

« Fumare dopo aver fatto l'amore ha un sapore cento volte migliore. Rukia... riesce a cantare quella canzone mentre lo facciamo? Ha una così bella voce... »


Si asciuga il sudore dalla fronte imperlata da tempo, benché sia perfettamente cosciente del fatto che, entro pochi minuti, si ritroverà a dover fronteggiare quelle fastidiose gocce che ricadono sugli occhi, sulle tempie, sul naso. Kanda si concede qualche attimo di pausa, approfittandone per abbassare il riscaldamento fin troppo insostenibile per lui, e per osservare con occhio critico il lavoro svolto finora. Lo soddisfa, a conti fatti. Lui che in principio non voleva per nessuna ragione invischiarsi in un affare simile, si è scoperto interessato a tal punto che è persino avanti col lavoro. Di questo passo, pensa, concluderà il tutto prima di marzo. Guarda la scultura a cui sta lavorando, che non è un lavoro da poco: è del nuovo orologio dell'Hortum Septentriones che si parla, commissionato da nientemeno che il fondatore, in un certo qual modo, suo benefattore. Dopo l'opera che ha battezzato come “Alma”, è il lavoro che lo rende più contento. Sa bene che, quando verrà finalmente esposta, l'autore resterà anonimo e non ci saranno dunque applausi o complimenti di sorta per lui, ma anche per questo ne è felice. Gli piace pensare alle facce dei frequentatori quando varcheranno i cancelli, sorprese, ovviamente, ammirate -perché lui crede molto nelle proprie capacità- e curiose, con quel dubbio quasi soffocante su chi abbia realizzato una cosa del genere. Ammette senza problemi che gli piace l'idea di beffarsi delle loro espressioni. Forse per un semplice senso di superiorità, forse è solo quella soddisfazione raggiunta dopo un'estenuante lavoro. Del resto, gli sguardi ammirati li riceve sempre, attraverso le statuette che espone. Probabilmente è l'idea che lui, soltanto lui, abbia avuto il privilegio di realizzare quello che sarà un vero e proprio punto di riferimento per molti, forse è questo che lo fa sentire così, come raramente succede.

Kanda fa spallucce. Tenta di scrollarsi quelle sensazioni ingovernabili per non essere distratto, sebbene sia una cosa quasi impossibile. Odia e ama sentirsi così. Immaginava una vita normale, composta da lui, pochi vestiti ma buoni, una casetta modesta e il suo lavoro. Nessuna grande ambizione, perché “chi troppo vuole nulla stringe”. Nessun vizio, perché “chi si accontenta, gode”. Un momento, ripensandoci, magari la soba tutti i giorni a ogni pasto potrebbe anche concederlo, in fondo “l'unico modo per sconfiggere una tentazione è cedere ad essa”. Nessun grande amore, poiché porta complicazioni. E poi “in amor vince chi fugge” e Kanda è proprio il tipo che di fronte a sentimenti così effimeri e astratti, scappa. Proprio così. Non ci sono altri modi per definirlo. Ha paura di amare, perché sente di non esserne capace. Forse è meglio dire “aveva”. Perché più si trova nel giardino, più sente quel brivido. Qualcosa, o qualcuno, gli dice di rischiare. Sarà quel qualcosa che gira dentro di lui, sarà Alma, e chi lo sa. Sta di fatto che lo manipola come vuole, e lui odia e ama questo fattore. Ma del resto, non può che essere così.

Si affaccia per un attimo alla finestra, per controllare l'ora segnata dall'ormai ex-orologio -solo lui e Shinji sanno che è “ex”- e nota che è ora di tornare al banco. Sistema le poche cianfrusaglie indispensabili ed esce, raggiungendo dopo pochi passi il proprio banchetto. Ci mette pochissimi minuti a preparare il tutto, gran parte delle statuette sono già sistemate, protette da alcune teche. Il Natale passato da appena due giorni è stato particolarmente freddo, con qualche grado al di sotto dello zero, per cui quelle protezioni sono il minimo indispensabile. Vede molta gente passeggiare appena riconoscibile, gli sembrano tanti sosia. La moda di quell'anno ha consigliato di indossare giubbotti imbottiti dai colori accesi, “per rendere l'inverno più colorato”, e niente rosso o verde, fa troppo albero di Natale. Meglio il giallo, o l'azzurro, o il color miele. Moda o meno, l'importante è coprirsi, se c'è un po' di colore, tanto meglio.

C'è una ragazza che non sfoggia colori particolari, tranne ai capelli. Ricordano il colore dell'alba, azzarda Kanda, dopo tutta una serie di similitudini. Non è la prima volta che vede quella ragazza al suo banco. Spesso, come in questa occasione, si apposta là prima dell'apertura, e non appena si accorge che la sta guardando si rivolge da un'altra parte. Sembra quasi che abbia paura di lui, ma poi si avvicina e ammira le sue opere, sebbene non le compri mai. Poi fissa lui. Se ne accorge benissimo, all'inizio gli ha dato molto fastidio ma non è mai riuscito a rimproverarla per questo. Non per timore di perdere un cliente, ma perché proprio non ci riesce. Dev'essere colpa dei suoi occhi, pensa, talmente grandi rispetto ai suoi, da sembrare addirittura più forti.

Arriva il momento in cui finalmente si avvicina, quando il banco delle statuette di vetro è ufficialmente aperto. Puntualissima, si avvicina a piccoli passi che tradiscono la sua impazienza. Visita la sua bancarella talmente tante volte che riconosce al primo sguardo le nuove creazioni e avvicina il naso pericolosamente alle teche, poi ci poggia pure la mano sopra, come se volesse constatare che sono vere. Ha notato subito una statuetta a forma di fiore di loto. È bellissima, pensa Orihime, sorride piena di ammirazione. Il loto, che bel fiore, incontaminato e immortale.

« Costa duemilatrecento yen. »

« C-come? » le ha parlato. Per la prima volta le ha parlato. Non le sembra vero.

« Il fiore di loto. Costa duemilatrecento yen. »

« Ah, i-io... ecco... non ho un soldo adesso... »

« Mettiti le mani in tasca allora. Inutile toccare una cosa che non potrai avere. » allude alle sue mani piccoline e rovinate dal freddo, un po' raggrinzite, sicuramente gelide, pallidissime. Il tono della sua voce tradisce l'ostilità che vuole ostentare. Sembra addirittura premuroso.

« M-mi scusi. »

« Di che cosa? »

« Vengo sempre qui ma non compro mai niente. »

« Non obbligo nessuno a comprare. »

« Sono... sono davvero bellissime. » non riceve nessuna risposta, solo uno sguardo. L'ha fissata più a lungo del previsto, ha potuto vedere così bene i suoi occhi. Hanno una tonalità di blu atipica per un giapponese, sembrano gli abissi dei mari. Orihime ama il mare, se sapesse nuotare bene passerebbe le ore nei fondali marini a esplorare quello che con ogni probabilità celano quegli occhi. « Lei ha un grande talento. »

« Dammi del tu. »

« E... “tu” hai un nome? »

« Come tutti. Come te. »

« Io... io mi chiamo Orihime Inoue. »

« Con quali caratteri si scrive? »

« Con quelli di “tessuto” e “principessa”. »

« Come la principessa del Tanabata. »

« Forse troppo imponente per un essere umano. »

« È sempre meglio avere un nome imponente. »

« Il tuo come... come si scrive? »

« Con gli ideogrammi di “campo” e “riso”. Come la prefettura. »

« Kanda. »

« Esatto. »

« Ma è il tuo cognome, non il nome. »

« Te lo dirò quando comprerai una statuetta. »

La ragazza sorride. Lui non si scompone più di tanto e si appresta a servire un altro cliente intenzionato a comprare davvero, ma Orihime sorride, si copre la bocca con la mano per non farsi vedere, ma lo fa di gran gusto. Quella che le ha fatto è stata una promessa, le piace vederla così, dev'essere per forza così. Ne era certa, non è affatto un ragazzo terribile, al contrario. Si promette di comprare qualcosa, sia per contribuire al suo bisogno di mangiare, sia perché una promessa va mantenuta. Lui le ha dato un'occasione e non deve sprecarla. Dentro di sé, la trottola è talmente vorticosa da farle male al petto, da farle tremare braccia e gambe. Sa come si chiama, ha visto i suoi occhi senza dover ricorrere al riflesso del vetro, gli ha parlato, si è fatta aprire uno spiraglio. Non credeva di poter raggiungere un risultato simile con le sole forze. È merito di Linalee, la quale grazie alla sua amicizia le ha fatto acquisire più fiducia in se stessa, è merito dell'Hortum Septentriones che le ha permesso di incontrarla. “Casa nuova, vita nuova”, e quella di Orihime si sta rivelando meravigliosa oltre ogni aspettativa.

Dall'altro lato, però, c'è chi si sente crollare il mondo addosso.

Ichigo si cala ancor più giù il cappuccio sugli occhi. È più pallido del solito e adesso sente un gran mal di testa, oltre ad una fitta al petto che lo devasta. La sua natura gli dà dell'idiota perché se ne sta ad osservare, come un incapace, quella ragazza tanto gentile e carina che ride con un altro ragazzo. Non è la sua fidanzata, no, per cui non ha nessun motivo e nemmeno diritto di essere geloso. Ma doveva essere più veloce e soprattutto, per una volta, evitare di prestare attenzione ai fantasmi intorno a lui e guardare meglio lei. Sa bene che lo scontro avuto con lei quella sera, quando le aveva maldestramente offerto da bere, non significa molto, un incontro troppo fugace per restare impresso, a parte l'aspetto vampiresco che ha. Ichigo non si fa troppe illusioni per natura, ma proprio adesso si rende conto di quanto è stato stupido e di quanto la sua natura sia incoerente. Non sa niente di niente della vita e non può fare altro che affidarsi a Grimmjow.

D'altra parte, però, il fatto che ha dovuto affrontare per tutta la vita una malattia fastidiosa come la porfiria, lo ha aiutato a capire che non ci si può arrendere al primo ostacolo. In fondo, sta solo parlando con quel ragazzo, non è ancora detta l'ultima parola. Ichigo può sempre presentarsi là e intrufolarsi nei discorsi, anche sorprendere, perché ha sentito tutto. Sa come si chiama, potrebbe chiamarla a sorpresa. Ha il nome di una principessa, che bello.

Ma rinuncia. Non è riuscito a fare niente fino a quel momento, l'altra volta è scappato a gambe levate, non riuscirebbe a dirle alcunché. Si guarda attorno e un fantasma, un uomo basso per la sua cinquantina, gli suggerisce la soluzione, indica col dito rugoso e quasi trasparente un libro aperto. È il registro messo a disposizione di tutti. È vero, perché non ci ha pensato prima? Ha osservato Orihime tante volte e sa che lo sfoglia sempre. Ed ha anche l'aria di una che coglie sempre i sassolini che vede lanciare.

Approfitta della distrazione di Grimmjow, sta chiacchierando con un certo Tyki, appena conosciuto. Non bada a lui, perfetto. Si avvicina a passo quasi felpato, impugna la penna nera, trema per il freddo e l'emozione. Si blocca di colpa. Gli torna in mente il viso di Orihime che di fronte a quel ragazzo delle statuette di vetro sorride come non fa con quasi nessuno. A lui un sorriso del genere non l'ha rivolto. Quel ragazzo si chiama Kanda.

Kanda

Ci ripensa, scarabocchia seduta stante per coprire l'errore madornale. Non può, va contro i suoi ideali spacciarsi per un altro, non vuole ingannarla. Ed eccola, ecco la sua natura che invece agisce come vuole, ignorando candidamente le sue volontà. Gli fa tremare talmente tanto la mano che lo costringe a far cadere la penna a terra e, nel raccoglierla, dà una testata al leggio. Non gliene va dritta una, che speranze può avere con lei? Chi potrebbe mai accettare uno come lui? I fantasmi intorno a lui lo deridono e gli dicono di scrivere questo o quel nome, ne approfittano per suggerire nomignoli poco simpatici.

« State zitti! Voi non siete nessuno per dirmi cosa devo o non devo fare! »

« Tu hai bisogno di noi, Ichigo. »

« No! Piantatela! »

« Senza di noi, senza Grimmjow, non sai neanche chi sei. »

« Non è vero, io lo so chi sono! So chi sono! Io sono... » la sua mano calca talmente tanto che rovina il foglio. Scrive caratteri tremolanti ma molto grandi, che superano le due righe della pagina. Ma quello che scrive non è il suo nome, non proprio almeno. E non è nemmeno quello di Kanda o di Grimmjow. Lui sa chi è, o almeno crede.

Hichi

Ci ripensa, si rende conto della gaffe, no, no, così non va. Invita tutti i fantasmi di stare zitti, lo infastidiscono e basta. Gli gira la testa così tanto che ora anche il mondo intorno a lui gira, si capovolge. È tutto al contrario, anche il suo nome adesso.

Ogihci

No. No, non è neanche questo. Lui sa chi è, lo sa. Grimmjow lo chiama sempre, anche senza di lui sa perfettamente riconoscersi. Quando si guarda allo specchio, sa chiamarsi. All'amica di Orihime non ci ha messo niente a presentarsi. Un foglio è solo un foglio, scrivi, scrivi questo, Ichigo, scrivi quello, sbrigati.

Quello che viene alla fine, come risultato, è un disastro.

Hichi Ogihci Ichigo Kurosaki

Scarabocchia ulteriormente sul nome di Kanda per non farsi beccare quando lei lo vedrà. Perché lo vedrà, sicuramente. Leggerà il suo nome e la sua e-mail, la memorizzerà, lo cercherà. Deve farlo. Altrimenti Ichigo non sarà più lui, non saprà più chi è. Deve farsi chiamare da qualcuno.

« Ichigo. »

La voce che lo chiama però è sempre la stessa. Grimmjow, chiuso nel suo chiodo di pelle con cappello in coordinato, lo guarda con un sopracciglio inarcato. Rare volte si mostra davvero preoccupato per lui in maniera così palese e quella è una delle rare volte. Gli è grato per quello, per tutto, in realtà. Grimmjow si prende cura di lui senza aspettarsi nulla in cambio, se non la sua presenza. Grimmjow lavora per dargli da mangiare, lo tiene lontano dai pericoli che però in qualche modo lo trovano sempre, ma non può mica fare tutto. È un essere umano che fa troppo. Lo chiama, e questo è uno sforzo enorme.

« Grimmjow. »

« Sì, sono io. Non posso staccarti gli occhi di dosso un momento che sparisci. »

Quello che segue è un gesto che Ichigo non fa mai. Non davanti a tutti. Lo sente tremare, di sicuro ha troppo freddo. Ma non si spiega comunque l'abbraccio che gli dà così, davanti a tutti. L'altro si guarda attorno disorientato, quei gesti plateali non li ama particolarmente. Non sembra che tutti lo stiano guardando. A parte lei.

« Possibile che a pochi passi da Ichigo ci sia sempre quella là? Ma chi è? E che hai da guardare? Sta male, non lo vedi? Prima che arrivassi tu questi problemi non li avevamo. Io curavo Ichigo, solo io, andava benissimo così, tu che cazzo vuoi? »

Vuole pensare che in qualche modo il giardino lo stia mettendo alla prova. Questa considerazione lo porta a giorni indietro, quando si trovava in quel posto con Lavi. Erano seduti ad un tavolino isolato del bar Shihoin, che prende il nome dalla gestrice del locale, una bella donna, esotica. Il suo locale si affaccia alla fontana preferita di Grimmjow: un enorme vasca ovale, con al centro quello che sembra un leone cavalcato da un angelo guerriero. È bellissima e il marmo usurato non gli fa perdere minimamente fascino, anzi, gli dà un'aria più rude che lui adora. Si riflette un po' nel leone raffigurato su quella fontana. In generale, Grimmjow ama i felini. Lavi non ha animali preferiti, ma apprezza anche lui il paesaggio di quel locale, il più grande del giardino, all'interno fatto di parquet in legno di ciliegio e tetti con aperture apposite per gli alberi ormai cresciuti al suo interno. Ci crescono gli alberi, là dentro, e i tavolini sono attaccati ai tronchi, che ridere. Sia dentro che fuori, sei a contatto diretto con la natura. Natura. Forse è per questo che gli piace.

L'ultima volta che è stato là con Lavi, ricorda perfettamente che sorseggiavano lui rhum e Lavi vodka. Entrambi si erano appostati fuori per poter fumare in tutta tranquillità e ammiravano la fontana in piena funzione.

« Chissà chi l'ha realizzata. » chiede Lavi.

« Chiunque sia stato, è un genio. Questo posto ne è pieno zeppo. »

« E tu? »

« E chi lo sa. Guarda il leone com'è bello. Sembra vero. Sembra che stia per assaltare la sua preda da un momento all'altro. »

« Mi auguro di non essere la sua vittima, allora. »

« A mio dire invece sarebbe stupendo morire azzannato da un animale così bello. Se lo merita proprio l'appellativo di re degli animali. »

« Attento, Grimmjow. O ti ritroverai sgozzato davvero da un leone. Certe parole il giardino le sente fin troppo bene e magari ti mette pure alla prova. »

« Non ho paura. Anch'io sono un re. »

« Allora alla vostra salute, altezza. »

Lavi lo sapeva, lo aveva messo in guardia e non gli aveva dato peso. Idiota. Ma visto che si era imprigionato con le sue stesse mani, doveva uscirne da solo in ogni caso. Grimmjow sa prendersi le sue responsabilità, altrimenti ciò che si muove dentro di lui, anzi, ciò che lo muove, rischia di gonfiarsi a tal punto da scoppiare e poi gli va a lacerare quel buco alla pancia che sente di continuo, che deve essere riempito. Deve farlo per Ichigo ma, più egoisticamente, per lui. Per il suo trono.

« Falli stare zitti. »

« Chi, Ichigo? »

« Tutti. Tutti quanti. Parlano troppo. Mi dicono di scrivere cose che non mi appartengono. Sono ovunque, mi dicono che non sono nessuno. Che devo scrivere chi vogliono che io sia. »

Grimmjow capisce che sta parlando delle sue allucinazioni. Ha imparato che la cosa migliore non è scuoterlo e dirgli che non c'è nessun fantasma, almeno per il momento. Ricambia l'abbraccio, o meglio, posa le mani sulle sue spalle per dargli qualche pacca e lo asseconda. Ha bisogno di questo.

« Dì loro che ti chiami Ichigo e basta. Dai, è tutto a posto. Andiamo a casa. »

« Sì. »

« Andiamo a casa. »

Prendono la loro strada senza sguardi di troppo, così credono. Grimmjow è combattuto perché per l'ennesima volta Ichigo è riuscito a eludere la sua sorveglianza e stava per immischiarsi nell'ennesimo casino. Ma deve rialzarsi, per lui e per se stesso. Altrimenti perde il trono e non se lo può proprio permettere.

Non sa che Orihime lo ha notato, mentre si trascinava Ichigo troppo preso dalle allucinazioni dovute alla porfiria. Voleva offrire il suo aiuto, ma quando li ha visti andarsene ha pensato che non fosse più necessario. Ci pensa bene e sì, ricorda il ragazzo dai capelli arancioni e i canini somiglianti a quelli di un vampiro, pallido, dall'aria stanca e corrucciata, come se ce l'avesse con qualcuno. L'ha visto scrivere qualcosa sul registro. Vuole farsi trovare da qualcuno. Kanda è impegnato nel suo lavoro e non può più parlarle, va bene anche così. Si avvicina con sguardi curiosi al quaderno. Legge i caratteri e improvvisamente ha un sussulto. Ha già sentito quel nome, glielo ha detto Linalee, proprio lei, quel giorno che era arrivata in ritardo e le aveva raccontato che davanti alla bancarella di Kanda aveva incontrato un ragazzo di nome Ichigo Kurosaki che si era preoccupato vedendola da sola. È quello stesso ragazzo con cui si è scontrata e che in seguito le aveva offerto da bere. Da come scrive, da come lo ha visto accanto all'altro ragazzo dai capelli azzurri parzialmente coperti dal cappello nero -insieme al chiodo di pelle e ai jeans neri, con anfibi dello stesso colore, e lo sguardo chiarissimo e dal taglio felino, sembrava tutto fuorché un uomo. Somigliava di più ad una pantera, ecco come la pensa lei- capisce ha bisogno d'aiuto e lo sta chiedendo. Ha lasciato il suo indirizzo e-mail. Orihime non si sofferma a pensarci ulteriormente, afferra il proprio cellulare dalla tasca della gonna e memorizza quanto sta leggendo. Quel ragazzo ha bisogno d'aiuto e lei può darglielo. Lo ha visto nei suoi occhi, è disorientato, come se non si rendesse conto di dove si trovi. Lei può aiutarlo e, una volta dato l'aiuto necessario, farlo conoscere a Linalee, ai suoi amici, dargli una vita allegra, la stessa che sta avendo lei. Così non si sentirà inutile. Un pensiero un po' egoista, deve ammettere che è così. Ma la sua natura non può fare altrimenti, vuole essere forte, Orihime, e per farlo può solo aiutare il prossimo. Rendere felice qualcuno è così bello, lei ne è la prima testimonianza. Kanda l'ha resa felice aprendole solo un piccolissimo spiraglio, Linalee l'ha resa felice coi suoi sorrisi e la sua amicizia. Anche lei vuole pensare di essere in grado di fare la stessa cosa.

Si volta verso il banco delle statuette ma in seguito si dirige verso l'uscita del giardino. Sorride e bisbiglia delle parole che Kanda forse non sentirà mai, non da lei, perché va bene rendere felice qualcuno, ma quanta timidezza bisogna accantonare per farlo.

« Tu porti fortuna, Kanda. »


~ Ore 17.02 ~


Rukia dà un'occhiata al manifesto del cancello che conosce a memoria, ma le piace guardarlo. Sicuramente, Lavi fa la stessa cosa, o forse no, ma non ha importanza. Il bianco della carta è quasi in simbiosi col suo cappotto, lungo fino alle caviglie. L'unica cosa colorata che Rukia indossa in quel momento sono le scarpe, color violetto. Il bianco sta bene con tutto, è il colore della neve e lei ama la neve. Si posa così dolcemente sul mondo, anche quando ci sono tempeste. Ha un aspetto così elegante che non risulta mai volgare. La neve è la cosa più elegante che possa esistere al mondo, pensa. Dopo le mani di Lavi, magari. Anche le sue mani sono dolci, eleganti e mai volgari, ma suadenti come poche. Il suo amante. Deve ancora abituarsi a questa definizione, sa che non descrive appieno la loro situazione. Ma l'importante, e di questo ne è cosciente anche lui, è che la loro frequentazione continui su quell'andazzo. Il mondo fuori non li spaventa. Così come è cominciata nel giardino, continuerà fuori. Possono farcela benissimo.

Quando si volta incrocia lo sguardo di una ragazza dai lunghi capelli castani, lisci, ha un corpo molto maturo nascosto goffamente dai vestiti molto più colorati dei suoi. Ha gli occhi dello stesso colore, grandi, innocenti, vivi come non mai. Si incrociano per pochissimi secondi, giusto il tempo per Orihime di arrossire, rendersi conto di avere davanti un'attrice famosa, Mai Shirafune, è bellissima anche dal vivo, che brava, che bella, e scappare via. Dopo tutto quello che ha passato tra statue di vetro e registri, un autografo non riesce a chiederlo. Ha paura di disturbarla.

Quella paura non le sta molto simpatica. La blocca nelle cose più importanti. Spera che la prossima volta con Kanda non sia così e che riesca a comprare qualcosa da lui. Spera che la sua paura non la faccia fallire nel suo tentativo di essere migliore, come quell'attrice così bella ed elegante. Come vorrebbe essere come lei.

Non sa che anche Rukia ha paura. Per esempio, ha paura che i bucaneve portati a Lavi si appassiscano in fretta. Scuote la testa. Che sciocca, pensa. Lavi non può farli appassire.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Nove. La ruota della fortuna ***


Angolino: come dire, non ho parole per scusarmi. Faccio sempre più tardi con l'aggiornamento. Avrei aggiornato prima, ma mettiamoci due settimane e anche più di lavoro per scuola -per almeno sei mesi non voglio più sentir parlare di antico Egitto e fantascienza!- a questo aggiungiamoci il caaaro, nooobile fratello maggiore che monopolizza il computer per vedere film su film su film su film su film. Così, ho poche occasioni di stare a scrivere per più di una mezz'oretta, anzi, mi sono ridotta a completare questo alle cinque del mattino... però alla fine ce l'ho fatta. Per un attimo mi sono stranita, perché si comincia ad ingranare un'aria diversa, ma allo stesso tempo mi sono divertita, perché in questo capitolo si marca l'influenza che il giardino mantiene anche nella vita di tutti i giorni, lontano da lui. I frequentatori restano segnati, per cui è inevitabile. Mi piace la naturalezza con cui avviene.
Qui viene menzionato Ulquiorra, un tipo che a Lavi risulta abbastanza indigesto. Non riesco ad immaginare un'amicizia o una “quiete convivenza” tra il primo, così, come dire... indifferente a tutto, con uno che straripa di vita da ogni poro come Lavi. Tra loro c'è proprio una mentalità di fondo completamente diversa, e va bene che gli opposti si attraggono, ma a tutto c'è un limite -ah ah- Bè, chi vivrà vedrà, come si suol dire. A proposito, compare anche Link. È carino, vero? *-*
Spero che questo capitolo vi piaccia, mi sto impegnando moltissimo per tutti, e anche per il fantomatico boss del giardino, sto cercando di giocarmi bene il mistero attorno alla sua personalità, con indizi sparsi qua e là e sul perché alcuni abbiano paura a sapere chi sia. E poi nel prossimo voglio dare più risalto a Linalee, e a Kanda che qui non compare per niente, perciò aspettatemi, eh! Aspetto con ansia i vostri commenti, se leggerete e apprezzerete, ne sarò molto felice!

Ringrazio in particolar modo HaChiElriC, Ookami san, Haily, zombiecch, Kumiko Walker, Sidan, KayeJ, M e g a m i, matechan e Angy Valentine per le meravigliose recensioni che mi hanno lasciato!
Ringrazio di cuore
Angy Valentine, AriCastle66, jeanny991, M e g a m i, matechan, Ookami san e Haily per aver aggiunto la storia tra le preferite! Ringrazio moltissimo JennyMatt e zombiecch per averla messa nelle ricordate, e ringrazio infinitamente Arsenico, HaChiElriC, KayeJ, Kumiko Walker, M e g a m i, matechan, S h a i l a, Sidan, Tiamath e zombiecch per averla messa nelle seguite!






Hortum Septentriones






Nove






La ruota della fortuna






« Questo è un giardino, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne organizzano un mercato, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne passeggiano in questo giardino, di come se ne incontrano in qualunque viale.
Ogni giorno qualcuno si perde e arriva qui, oppure ci viene di sua spontanea volontà.
Questo giardino è una casa. Per chi? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque è alla ricerca. Di cosa? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque.


Hortum septentriones »





« Nessuno chiederà informazioni su di te, a meno che la tua natura non lo voglia.
Tutto ciò che accade nel giardino resta nel giardino.


Nessuno è obbligato a rivelare il proprio nome.
Non è necessario sapere esattamente cosa si sta cercando.
Qualunque cosa sia, qui la si troverà.
Sicuramente.


I brividi che sentite non sono dettati dalla paura.
La vostra natura lo sa perfettamente.


È possibile organizzare particolari eventi quali concerti o feste.
Qualora lo si desideri, è possibile alloggiare per una o più notti nelle locande.
Non vi è alcun obbligo di rilasciare i veri dati personali o documenti.
Il pagamento varia a seconda delle locande.
O, per meglio dire, a seconda della natura dei rispettivi gestori.


Qualunque cosa succeda, mai chiedersi se sia giusta o sbagliata.
Il giardino non conosce queste sottigliezze.


Il giardino esiste per voi cercatori.
Qualsiasi modifica venga apportata, viene fatta per il vostro benessere.
Siamo certi che le vostre nature rimarranno soddisfatte.
Loro sanno cosa vogliono.


È presente un registro su cui è possibile rilasciare i propri recapiti.
Potete scrivere il vostro vero nome o uno pseudonimo, a libera scelta.
Il giardino si assume ogni responsabilità sulle conseguenze di ciò che lascerete trascritto.
Solo all'interno di esso, però.
Dopotutto non si smette mai di girare.


Non c'è niente di male nel voler sapere.
L'importante è essere coscienti che a volte la troppa conoscenza uccide.
A vostro rischio e pericolo.


I precedenti dei frequentatori non hanno alcuna importanza nel giardino.
Appartengono al mondo che lasciate fuori.
Sebbene a volte le due cose si incontrino.»






È la prima volta che Renji si sveglia con una lieve irritazione. Non ha niente a che vedere con il suo lavoro, tuttalpiù è la cosa che lo distrae e lo diverte maggiormente. La scimmia, sua compagna di lavoro, sembra aver intuito che per il padrone non è giornata e si guarda bene dal fargli i soliti dispetti, come il rubargli la colazione. Rimane accucciata accanto al serpente, ancora nel mondo dei sogni. Chissà poi se sogna, un serpente, e cosa.

Renji è appena risalito in camera con una tazza di caffellatte di dimensioni considerevoli. Il caffè non gli piace molto, troppo amaro per i suoi gusti, preferisce alleggerirlo con il latte, senza zucchero però, altrimenti si sente appesantire troppo lo stomaco e fatica ad ingranare. A vederlo, non si direbbe mai che detesti le cose amare e piccanti. Allen, al contrario, mangia di tutto, in quantità esorbitanti che sconcertano sempre il collega, ma ha imparato a conviverci. Quello con cui proprio non riesce a stare, è la curiosità di Allen che si fa sempre più spinosa. Negli ultimi tempi fa domande in giro, avvicina anche gente che non conosce per avere qualche indizio sull'identità del fondatore dell'Hortum Septentriones. Non va bene. È pericoloso.

Lo guarda, addormentato, rannicchiato sulla coperta che, da quel che ricorda, ha sempre avuto. Non lo ha mai visto dormire con le coperte messe a disposizione dalla locanda nella quale hanno preso ad abitare, dal momento che ormai lavorano a tempo pieno nel giardino. Una coperta di un tessuto troppo leggero per proteggerlo dal rigido inverno, ma così colorata che, accanto alla chioma bianca di Allen, gli dona un'aura più innocente e allegra, quello che un comune ragazzino di sedici anni dovrebbe essere. Forse è per un semplice dato anagrafico -è più grande di lui di cinque anni- che lo rende così fraterno nei suoi confronti, e vorrebbe metterlo in guardia. Non va bene chiedere troppo del fondatore. Non capisce nemmeno per quale motivo gli interessi tanto, in fondo campano benissimo anche senza saperlo. A Renji questo desiderio non è mai passato nemmeno per l'anticamera del cervello. Non ha la benché minima voglia di incontrarlo e ringraziarlo per aver creato quel posto, per quale motivo dovrebbe farlo, poi. Il solo fatto che lui si sia stabilito là dovrebbe essere un ringraziamento più che sufficiente, sicuramente è così che la pensa quell'uomo senza nome e senza faccia. Osa dire che è meglio che rimanga senza un volto a cui essere associato. Se riuscisse a riconoscerlo in un corpo materiale, lo umanizzerebbe e non vuole questo. Una personalità simile non può essere in alcun modo relegata ad un ruolo tanto semplice.

Certo, qualcuno avrà pur avuto l'idea, un essere umano come lui, che contraddizione. Però non vuole sapere chi sia stato, altrimenti andrebbe vanificato ogni pensiero, ogni considerazione circa quel posto. Non sarebbe più il giardino, ma soltanto un giardino, come tanti. Allen a questo non ci è arrivato ed è arrivato il momento di farglielo capire, con un discorso serio, responsabile e adulto. Facile a parole. Renji sa che forse non riuscirà nell'impresa come spera. Si fa coraggio con il caffellatte, ma solo in quel momento capisce che, forse, avrebbe dovuto metterci un po' di zucchero. Nel frattempo, la scimmia gli si avvicina, afferra saldamente i pantaloni sgualciti e lo tira a sé, guardandolo come se gli stesse chiedendo che cosa gli passi per la testa. Il padrone gli rivolge uno sguardo veloce, accenna un sorriso. Beata te, pensa, che non hai di questi problemi.

È la prima volta che decidono di lavorare all'interno del giardino. Tyki ha appena ordinato un caffè, felice e tranquillo, e anche Lavi ha fatto la stessa cosa. Per la prima volta prendono un caffè insieme, per la prima volta Tyki non gli ruba il caffè appena preparato. E il sapore sembra più buono, che scoperta per lo scrittore. Chissà perché non ci ha pensato prima, a portarlo lì. Di colpo la sua convinzione di separare lavoro e piacere si è sgonfiata come una bolla di sapone, e non è difficile comprendere il perché. Lavi ama il suo lavoro, è sempre stato così, l'idea stessa di separare la carriera dalla vita privata era una follia. Si sente idiota, per aver avuto pensieri del genere.

« Il caffè è davvero squisito, qui. » Tyki, dopo il primo sorso, si prende qualche secondo di più per inebriare il proprio olfatto, ponendo la tazza sotto le narici. Ne ordinerebbe altri cento.

« Più del mio? » l'altro non riesce a trattenere una risatina. A volte il suo editore sembrava un tale bambino. Le sue espressioni erano davvero esilaranti, spesso, in particolar modo quando mette gli occhiali, grandi e vecchi, rovinati, a fondo di bottiglia, gli danno un'aria così confusionaria e tranquilla, caratteristiche che non gli appartengono. Tyki in verità è scaltro, malizioso, quasi evanescente. Molte volte è come se niente lo toccasse. Ha un alone particolare che attira Lavi come una calamita, per questo non riesce a smettere di lavorare con lui. Si diverte a nasconderlo maldestramente -oppure anche no- con quegli occhiali. Ma, poiché lui lo conosce bene, in sua presenza non li indossa mai, inutile nascondersi o prendere in giro. Eppure, quando lo vede con quella tazzina stretta tra le mani, ad annusare l'odore di caffè fumate, si sente addirittura stranito. Gli occhiali ci sarebbero stati bene, in un'occasione simile.

Poi torna tutto, più o meno, come sempre. Tyki ripone la tazza sull'apposito piattino, si fa spazio, facendo attenzione a non urtare o far cadere bicchieri e piattini, e posa sul tavolo delle scartoffie che Lavi conosce molto bene. Prima di cominciare, però, l'editore si concede una battutina accompagnata da un occhiolino.

« Il tuo caffè è ciò che mi dà un senso alla vita, guercino. »

« Bugiardo. »

« Parliamo di cose serie, piuttosto. Non mi aspettavo che completassi il manoscritto così velocemente. »

« Mi ha preso più del previsto. Non vedevo l'ora di terminarlo e fartelo leggere. Gli hai dato un'occhiata? » il rosso alterna lo sguardo tra Tyki e la caffettiera che ha appena preso, pronta a versargli un'altra dose di caffeina. Addenta una fetta di torta, leccando voracemente la panna che rischia di cadere dal cucchiaino e sporcare il caffè. Sia mai che mescoli ciò che lo aiuta a svegliarsi del tutto con qualsiasi cosa.

« L'ho letto senza riuscire a fermarmi. Davvero un ottimo lavoro, guercino. Sarà un nuovo best seller. »

« Grazie. »

« Non serve nemmeno aspettare marzo, a questo punto. Prima lo pubblichiamo, e meglio è. Sarà una bella sorpresa per i lettori che aspettano i tuoi lavori. Ultimamente sono tutti presi da quel... come si chiama... ah, “Insane wars”. »

Lavi beve tutto d'un fiato il proprio caffè, dopodiché svia lo sguardo dall'editore, e amico, e si accende in fretta una sigaretta. Non è una novità che reagisca così e Tyki lo capisce, per cui lo lascia fare, gli fa anche la cortesia di usare il proprio accendino e di avvicinarglielo, per accendere la sigaretta. Ha cambiato marca, nota. « L'autore si chiama Ulquiorra Schiffer, dico bene? »

« Proprio lui, è il primo romanzo che pubblica. Per essere un esordiente, ha raggiunto livelli di vendite incredibili. Hai letto il suo libro? »

« L'ho restituito alla libreria subito dopo. Non volevo pensare di aver sprecato i miei soldi con roba tanto inutile. »

« Eppure va forte, che mistero, eh. » anche Tyki segue il suo esempio e si accende una sigaretta. L'allontana di continuo dalle labbra per gustarsi il caffè e si ritrova presto a doverne ordinare dell'altro. Hanno circa la stessa idea su quel libro che attualmente fa discutere, ma come ne parla il suo scrittore preferito, il suo “asso nella manica”, come ama definirlo, è il massimo. Solitamente è gentile, quel ragazzo che scrive con lo pseudonimo di Deak, però, quando l'irritazione ha la meglio, dà il meglio di sé con battute sarcastiche, pungenti, alle volte ciniche, caratteristiche che nei suoi libri non si incontrano quasi mai.

« Il libro è senza dubbio scritto bene, sa mettere in fila un paio di parole, ma non comunica niente di sé. Ci sono persone che si lasciano vivere, lui si lascia scrivere, se vogliamo dirla così. » risponde Lavi, mentre si rigira la sigaretta tra le dita. « Viviamo in una società dove regna lo scontento generale per qualunque cosa e tutti sembrano ansiosi di sottolineare di continuo cosa non va in questo mondo, e che vivere non porta da nessuna parte. In altre parole, questo Ulquiorra ha capito che è il momento giusto di farsi portavoce dei disillusi o presunti tali. Non capisco proprio che cosa abbia voluto dire col suo libro. Non c'è nessun interesse, se non quello di insultare l'essere umano. La vediamo in modo totalmente diverso. Per quanto il mondo e le persone possano incontrare delle crisi, la vita resta una cosa meravigliosa, secondo me. »

« Si lascia scrivere, eh? Ed è per questo che non lo sopporti? »

« Non tollero che sminuisca in questo modo le persone. Si diverte a far notare che le azioni dell'uomo sono inutili e che lui sembra essere l'unico ad averlo notato. Non ha la minima idea di che cosa voglia dire vivere davvero. » deve ammetterlo, non si è mai sentito così irritato nel leggere un romanzo. Dopo averlo letto si è insultato, per quella cosa che gira, dentro di lui, che lo muove, lo fa agire. Forse quel ragazzo che non conosce neanche si rende conto di avere una cosa tanto meravigliosa dentro di sé. Non lo odia, piuttosto lo compatisce, e gli risulta incredibile pensare che altre persone si sentano così. Alcune persone si rivelano davvero, immensamente tristi. Niente a che vedere con Rukia, che trabocca di spirito, come lui, e continuano a girare ininterrottamente. È pronto a scommettere che nemmeno lei abbia apprezzato quel romanzo, non potrebbe essere altrimenti. Loro sono più che felici di vivere, perché sanno che, semplicemente, non si può fare altrimenti, non ci si può ribellare a questa volontà, per cui, piuttosto che fartela nemica, assecondala. E non c'è niente di meglio.

Tyki ridacchia divertito, di fronte a lui. La sigaretta gli sembra più buona di prima, grazie allo sfogo di Lavi che ha alleggerito la situazione. Adora conversare con lui e lavorarci. « Forse, se venisse in un giardino come questo, cambierebbe idea. » propone, simulando ingenuità.

« Secondo me invece si sentirebbe male, ad entrare qui. Il giardino è troppo pieno di vita, per uno come lui. »

« Sarà divertente sopraffarlo nelle vendite. »

« Non è detto che sarà così, no? »

« Che ti prende? Sei sempre stato ottimista. »

« Non voglio scrivere pensando di dover battere qualcuno. Voglio scrivere e basta. »

« Capisco. » Tyki non chiede ulteriori spiegazioni, ha compreso perfettamente, sa come la pensa Lavi, ed è grazie a questa mentalità che riesce a mantenersi scrivendo, senza fare nient'altro. Basta guardarsi intorno, per vedere quante persone ammirano i suoi lavori, restano contagiati dal suo amore per la vita. Una cosa che salta subito all'occhio, nei romanzi di Lavi, è che lui non impone nulla a nessuno. Si limita a lanciare qualche sassolino, dove capita, e che i personaggi parlino con i lettori, tirando poi le somme. Certamente molto diverso da Ulquiorra, e molto più divertente,a detta sua. « Parliamo d'altro, ho una grande notizia per te. »

« Cos'è, sei il classico tipo che inizia i discorsi con “una notizia buona ed una cattiva”? » chiede Lavi divertito, riportandosi la sigaretta alla bocca e aspirando ampiamente.

« Ma questa è una notizia grandiosa. » si prende qualche attimo, per far aumentare la suspence, sorride, non riesce a controllarsi. « Ci è giunta la proposta di produrre un film tratto da un tuo libro. »

Lavi spalanca l'occhio. Rimane anche a bocca aperta, ma prima di farlo prende la sigaretta e la spegne con cautela nel posacenere accanto alla tazza di caffè. Rimane a fissare l'editore per lunghi attimi, in seguito si guarda intorno, convinto di scorgere una telecamera nascosta e un simpaticone che gli gridi “questa è una candid camera!”. Tyki sorride e sorride, ma non dice niente, e la sua espressione è troppo coinvolta perché possa essere falsa. Cerca di mettersi più composto che può sulla sedia, Lavi, però non si cura della voce che potrebbe tradire l'emozione.

« Prego? » chiede, incredulo.

« Un film, un film! Con attori, regista, produttori eccetera. E con la scritta enorme “tratto dal libro di Deak” sui titoli di testa! »

« Ma... quando...? »

« Non più di una settimana fa, ma ho preferito aspettare per dirtelo. Di solito, per rimangiarsi la parola ci mettono tre giorni. »

« E chi è il regista? »

« Tiedoll, un vero artista nel campo. Ha assicurato che non stravolgerà il tuo libro, come fanno molti registi. Allora, non sei contento? »

« Sì... certo che lo sono! Un film... non pensavo di arrivare a tal punto! »

« I tuoi lavori diventano sempre best seller, naturale che venga voglia di farci dei film. »

« E da quale libro vogliono trarlo? »

« “Harriet”. Lo abbiamo pubblicato due anni e mezzo fa, ma rimane ancora molto popolare. Non esagero se dico che, forse, è il tuo libro più famoso. Nei retro di copertina di ogni tuo libro scrivono sempre “dallo scrittore di Harriet”, per cui lo conoscono tutti, anche chi non è un tuo ammiratore. E poi è una bella storia. »

Lavi ha perso gran parte del discorso. Dopo aver sentito “Harriet”, la sua mente ha cominciato a vagare per fatti suoi. Non c'è bisogno di nascondere che ha subito pensato a Rukia, e che il suo istinto gli dice di chiamarla e urlare contento che avrebbero fatto un film proprio sul suo libro preferito. Sarebbe stata felicissima, sicuramente. Dentro di sé, quella cosa simile a una trottola esplode di felicità e gli fa amare ancora di più la vita, il suo lavoro, il suo scrivere senza sosta che gli ha permesso di incontrare Rukia e di intrecciare con lei quella relazione così particolare, ma di cui, ormai, a fatica riesce a farne a meno. Addirittura, si prende cura maniacalmente dei bucaneve che l'attrice ha acquistato per lui, in occasione di quella colazione che non dimenticherà, come potrebbe. Uno dei momenti in cui si era reso conto, una volta per tutte, che l'Hortum Septentriones non era solamente un posto in cui rilassarsi, era davvero una stella polare per ignari naviganti come lui. D'altra parte c'è anche un dubbio; se la ricerca si limitava soltanto ad una donna da avere accanto. Rukia non merita un ruolo così infimo e secondario, e lui non è tipo da aspettative così mediocri, eppure, quella relazione continua a trascinarsela e a tenersela stretta, a prendersi cura dei suoi fiori e a sperare di vederla sorridere e giocare con lui, e ballare, girare, come avevano cominciato. Che il giardino lo stesse mettendo alla prova?

« … insomma, sarà sensazionale. » conclude Tyki, il quale gesticola a più non posso con un sorriso a trentadue denti. Lavi è riuscito a seguire almeno quest'ultima parte, e annuisce di rimando. Qualunque sia il suo rapporto con Rukia, quella rimane un'ottima notizia.

« Ovviamente potrai assistere alle riprese e collaborare, dare appunti o altro. Hanno già selezionato diversi attori, per Harriet pensavano di farla interpretare a Rangiku Matsumoto. »

« Matsumoto...? »

« Ha vinto diversi premi, sia come attrice protagonista che non, ha talento. Inoltre è una bellissima donna. »

« Ma è totalmente diversa dalla mia protagonista. Harriet è una donna molto più semplice. Intendiamoci, Matsumoto mi piace, è una brava attrice... ma non farebbe risaltare Harriet. »

« Rifletti. Con lei non ci sarebbe nemmeno bisogno di abusare di trucco e costumi. È bionda, come Harriet, basta cambiarle pettinatura e il gioco è fatto. Inoltre, ha forme spettacolari. »

« Appunto, non è la mia Harriet. Non mi basta che sia bionda e bella, voglio una persona che sappia capire il mio personaggio, anzi, voglio una persona che si faccia possedere da lei. Matsumoto questa qualità non ce l'ha. Lei tende a far spiccare qualcosa di sé in ogni personaggio che fa, che ti porta a dire “sì, è proprio Rangiku”, e a quel punto il film non si intitolerebbe più “Harriet”, ma “Rangiku”. Voglio qualcuno che renda memorabile il personaggio di Harriet, non l'attrice che la interpreta. »

« D'accordo, d'accordo. Ti viene in mente qualcun altro, allora? »

« Mai Shirafune. » lo dice di getto, non ci pensa su due volte. Lo ha capito quando l'ha vista alla locanda vestita come lei, quando ha riprodotto la scena, quando l'ha posseduta lì, nella camera di una locanda del giardino, che lei sarebbe stata perfetta. Lei sarebbe più che felice di annullare la propria personalità per Harriet, lei può capirla, perché ama quel libro. Che buffo, pensa Lavi. Se non avesse un rapporto così particolare ed intimo con lei, giungerebbe alla stessa conclusione? Ci pensa su, forse è stato troppo frettoloso, forse a smuoverlo è solo il sentimento che prova per lei. Ancora più buffo, riconoscere che prova per lei qualcosa, ma non sa come definirlo. Torna al discorso avuto con lei a colazione, davanti ai bucaneve e ad una tavola ben apparecchiata. Non sono amanti, non sono amici, non sono fidanzati. Sa solo che la vuole, e quando non riesce a resistere arriva a fare l'amore con lei anche su una sedia, dopo la colazione. La porta a cena fuori come se fosse un'amica, la invita a ballare come se fosse una dama da corteggiare, la bacia, l'abbraccia, la ricopre di attenzioni come se fosse una fidanzata. Ma non può relegarla a questi ruoli. Lei è solo Rukia, e lui solo Lavi. Qualunque tipo di rapporto sia, il loro. E di certo, avrebbe continuato ad ammirarla come attrice in ogni caso. L'ha adorata sin dal suo primo film e non si è mai perso una sua partecipazione cinematografica, anche con ruoli molto marginali, non si è mai perso una sua intervista, premiazione, comparsa a qualche programma. È sempre stato un suo ammiratore, che ora sia anche il suo amante, amico, fidanzato, non cambia niente, perché lui rimane Lavi, e lei resta Rukia, l'unica che può valorizzare la sua protagonista. Dopotutto, lui è l'autore, si ritiene in grado di riconoscere chi può interpretarla bene e chi no.

« Mai... sei sicuro? Harriet è piuttosto complesso come personaggio, senza contare che fisicamente è molto diversa. » Tyki appare perplesso. Non immagina minimamente che Lavi la conosce molto bene -si sono sempre guardati bene dal far trapelare qualcosa alla collettività, essendo personaggi in vista- e non può dunque sapere che certe cose le può affermare in totale sicurezza, anche se mosso da sentimenti che non sa definire. Il giardino lo sta sicuramente mettendo alla prova, ma è pronto ad affrontarlo, finché dentro di sé qualcosa continuerà a muoversi.

« Credimi, lei è perfetta. La interpreterebbe alla perfezione. Lo penseresti anche tu, se ricordassi tutti i ruoli che ha fatto. »

« Sì, me li ricordo. Ha fatto un po' di tutto. Ricordo che molti sono rimasti colpiti da questa sua capacità di passare da un ruolo all'altro in maniera così naturale. »

« Esatto. Invece, se ci pensi bene, a Rangiku Matsumoto danno più o meno sempre gli stessi ruoli, con caratteristiche comuni di fondo. Certo, sono convinto anch'io che riuscirebbe bene a fare altro... ma sento che non sarà con Harriet che spiccherà. Penso che Mai Shirafune sia molto più adatta. »

« Mi dispiace, guercino, ma non posso accontentarti così facilmente, anche se sei l'autore. Dovremo fare dei provini. »

« Voglio essere presente, quando li faranno. » è la soluzione ottimale. In tal modo, Rukia farà vedere a tutti di cosa è capace. Del resto, non è sua intenzione raccomandarla e sa che lei si sentirebbe offesa per una cosa del genere. Sente di conoscerla bene. Una cosa che lo spiazza, ma lo rende felice. Se il buongiorno si vede dal mattino, per Lavi è davvero splendido.

Per qualcuno il buongiorno non è ancora arrivato. Grimmjow vive i giorni di riposo come un premio da gustarsi fino in fondo, soprattutto la mattina, in cui ha occasione di dormire qualche ora in più senza preoccuparsi di niente. Nessuna sveglia che suona, nessuna preoccupazione di ritardi di sorta, niente pensieri su cosa mettersi per andare al lavoro, il niente totale, il dolce far niente, bellissimo e accogliente. Lo abbraccia teneramente nel mondo dei sogni, avvolto nelle coperte stropicciate in maniera quasi indecorosa, visto come si agita nel sonno. Cambia ancora una volta posa, stende il braccio alla sua destra, la bocca è lievemente schiusa. Ichigo lo osserva attento, gli tira su le coperte in silenzio e con cautela, in modo che non prenda freddo. È l'unico gesto di premura che può concedergli, una volta tanto, a lui che si affanna per mantenerlo lontano dai guai. Grimmjow riposa, finalmente, e Ichigo lo lascia tranquillo per ricambiare di tutta la fatica che fa per lui. I fantasmi intorno a lui, straordinariamente, lo lasciano in pace quella mattina, così si dedica in tutta calma alla colazione, composta semplicemente da cereali e succo d'arancia. Per la fretta, spesso, i cereali li prende a manciate, senza affogarli nel latte, e li mangia così, davanti alla dispensa, mentre il succo lo beve direttamente dalla bottiglia. Stavolta però è diverso, è giorno di riposo, e può mettersi comodamente a tavola. È piccola, con sole quattro sedie, e nella cucina dà l'aria di essere un oggetto ingombrante, dista a pochi passi dalla televisione e dal frigorifero, con accanto fornello e dispense, cigolanti. Grimmjow dice sempre che appena ha cinque minuti di tempo, le riparerà, ma Ichigo non se la sente di disturbarlo durante il suo giorno di riposo, e poi gli piace quel cigolio, lo allontana per qualche secondo dai suoi fantasmi. Ha bisogno di rumori forti, e materiali, per potersi distrarre.

Per dare colore alla tavola ha una tovaglietta a quadri, colorata di blu e verde, si intona bene con la sua ciotola preferita, bianca con l'imponente scritta rossa che recita “I hate Mondays”. Una volta era la preferita di Grimmjow, ma ormai non ha più tempo per servirsi la colazione su scodelle e ciotole, riesce appena a riempirsi un bicchiere di plastica di succo, e se lo beve mentre esce di casa a passo veloce, rischiando di inciampare per le scale -l'ascensore, a detta sua, è lentissimo- così è diventata di Ichigo. Vi getta dentro i cereali con un sorriso, riempie a sufficienza di latte scremato, si riempie il bicchiere di vetro di succo d'arancia ed eccolo lì, pronto per dedicarsi alla colazione, cucchiaio alla mano. Prova estremamente piacevole lo scrocchiare dei cereali tra i suoi denti, hanno il sapore del cioccolato, l'unica cosa che mangia volentieri.

Una sera Grimmjow l'ha portato al cinema, a vedere “La fabbrica di cioccolato”. Ricorda benissimo che c'erano poche persone, il che era un peccato. Ormai, tutti li guardano su internet, comodamente seduti in camera propria, togliendosi il piacere di andare a vedere un film sul grande schermo, con una qualità sonora migliore, solo perché non vogliono spendere soldi. In tutta onestà, a Ichigo non importa molto se sia giusto o sbagliato darsi alla pirateria su internet, solo, trova migliore vedere un film così, e magari anche comprarsi il DVD apposito, così lo ha sempre a portata di mano, e fa un'enorme differenza vedere un film in DVD, con scene extra e speciali, piuttosto che la qualità scarsa che spesso offre il web. In ogni caso, quando vide quel film gli sembrò di vivere un sogno. Aveva visto un gigantesco mondo fatto di cioccolato, amato da tutti ma il cui accesso era stato concesso a pochi, fortunati bambini, nonché speciali, tramite la vincita di un biglietto d'oro. Erano in cinque, ricorda, e il quinto che ebbe la fortuna di vincere era un bambino povero, ma normale, con una famiglia amorevole, di buon cuore, senza troppe aspettative. Quando lo vide vincere, fu contento per lui e lo invidiò, perché poteva avere tutto il cioccolato che voleva e, soprattutto, era normale. Non aveva fantasmi di sorta da affrontare, non doveva combattere con un perfetto sconosciuto che bussava continuamente alla sua porta. Meglio essere poveri che così, si dice sempre Ichigo.

Poi però ripensa al proprietario di quella fabbrica, Willy Wonka, se non ricorda male, un tipo che più strano di così, si muore. Era rimasto di stucco, a vederlo, ma gli era rimasto impresso, simpatico. Grimmjow gli aveva detto, un po' snobbandolo, che un posto del genere poteva crearlo solo un tizio strano. Allora essere strani è un bene, si era detto. Allora, forse, lui non era un caso disperato. Ed anche il creatore di quel giardino in cui il suo convivente andava sempre, ed ora anche lui, deve essere altrettanto strano, e strana deve essere anche quella ragazza che ha incontrato. Ma allora è un bene o no, che lui sia fatto così? I fantasmi non tardano a farsi sentire con le loro opinioni fuori luogo e seccanti, rovinandogli la colazione.

« E zitti. Willy Wonka non si fa mai questi problemi. » già, ma lui non è mica il padrone di una fabbrica di cioccolato. Un tipo come quello, può permettersi tutte le stranezze che vuole, lui no di certo. Risultare normale è un'impresa titanica, per lui, e ormai si sta lentamente rassegnando al fatto che non riuscirà mai ad esserlo, che sarà destinato a convivere con una cosa che decide per lui.

Mentre sgranocchia tranquillamente i suoi cereali, avverte un ronzio molesto accanto al fornello. Ha abbandonato il cellulare lì, vibra così tanto che si muove come una mosca che non riesce a volare, rischia di cadere, copre quasi interamente la suoneria. Ichigo lo prende in fretta e furia e si affaccia alla camera da letto, nella quale Grimmjow sta bofonchiando qualcosa ma è ancora intento a sonnecchiare. Meno male, non si è svegliato.

Gli è appena arrivata una e-mail, nota, mittente sconosciuto. Non del tutto, in realtà. La riconosce a colpo d'occhio e allo stesso tempo gli viene un colpo al cuore, in senso buono. Emozione.

« Buongiorno.
Chiedo scusa per l'ora, forse stai dormendo. Mi chiamo Orihime Inoue. Forse ti ricordi di me, ci siamo incontrati all'Hortum Septentriones, durante una festa. Ti ho visto mentre scrivevi sul registro, così ho pensato di contattarti.
Io non sono un asso nel capire le persone, non sono brava in molte cose, in realtà. Perciò, può anche essere che abbia sbagliato, a pensare che tu avessi bisogno d'aiuto, anche solo di parlare. Però spero comunque che possiamo diventare amici, anche se adesso starai pensando “chi è questa pazza che mi contatta all'improvviso?”, ah ah! (^///^'')
Io vivo qui dall'inizio dell'anno scorso, per frequentare la scuola. Alloggio in un dormitorio femminile, e nel tempo libero faccio un salto al giardino. Sono contenta che ci siano così tante persone diverse, ma anche simili a me. Ho potuto conoscere persone speciali e straordinarie, spero che sia lo stesso anche per te! (*-*)
Tu vai all'università? O forse sei un artista? Sai, quando ti ho visto la prima volta, mi sei sembrato un disegnatore, o un musicista. Hai gli occhi di chi ha una grande fantasia. Scusami se mi permetto, a volte non mi rendo conto di quello che dico e faccio un sacco di figuracce. (XP)
Spero di sentirti presto, e di poter avere un nuovo amico. (:3)
A presto. Magari ci rivediamo al giardino! (^-^)
»

L'ha fatto davvero. Orihime non solo si è fatta avanti, ma si è anche ricordata della prima volta in cui l'ha incontrato. Aveva pensato a tutte le soluzioni possibili, dopo aver avuto il coraggio di lasciare il proprio recapito telefonico e di e-mail, che lo avrebbe preso per pazzo ed evitato, magari, mai che si mostrasse così gentile nei suoi confronti, spensierata, pronta a trattarlo come una persona normale, riconoscendo che ha bisogno d'aiuto. È pronta ad offrirgli la sua amicizia, con i pro e i contro. Quella ragazza non ha la minima idea di che cosa voglia dire davvero avere a che fare con lui, solo Grimmjow lo sa. Ma lui sta dormendo, ed è il suo giorno di riposo. Perciò, tanto vale approfittarne. Può farcela benissimo da solo. Ripensandoci, è arrivato fino a questo punto completamente da solo e il risultato lo fa sentire invincibile, si sente pronto a tutto. Riesce ad ignorare i fantasmi che sono aumentati, riuniti a cerchio ad impicciarsi dei fatti suoi, gridandone di cotte e di crude verso la ragazza, ma sono così rarefatti e trasparenti che riesce ad ignorarli, e le sue dita, quasi senza rendersene perfettamente conto, cominciano a pigiare frettolosamente i tasti del cellulare. Rilegge parecchie volte il messaggio, per assicurarsi che non vi siano errori madornali, e spedisce il messaggio, ansioso.

« Buongiorno.
Non preoccuparti per l'orario, stavo giusto facendo colazione. Io mi chiamo Ichigo Kurosaki. Ah, è vero, l'hai letto nel registro. Ho fatto un mucchio di pastrocchi là sopra.
Mi farebbe piacere essere tuo amico. Non ho molte occasioni di uscire, ma quel giardino mi interessa molto. È un bel posto, mi piacerebbe tornarci.
Comunque non sono un artista né un musicista, in realtà non so suonare nessuno strumento. Non so fare parecchie cose, ad essere sincero. Non vado nemmeno all'università, ho solo sedici anni.
Mi ha fatto piacere leggere il tuo messaggio. Grazie.
»

Nel frattempo, per ingannare l'attesa della risposta, semmai arriverà, rilegge ciò che gli ha spedito lei. Usa molto le faccine, sembra una bambina, ammira l'innocenza delle sue parole e invidia la sua spontaneità, e coraggio, perché ce ne vuole per avvicinarsi ad uno come lui. Ma lei lo ha fatto, c'è una speranza. Buttarla sarebbe l'errore più grande della sua vita, e poco importa se Grimmjow avrà da ridire. Può farcela da solo, deve farcela.

La risposta arriva pochissimi minuti dopo, lasciandolo di stucco, ma felice. Quando l'aveva vista al giardino, con la sua amica, era scappato a gambe levate, ma per telefono riusciva a fare un discorso di senso compiuto senza intoppi, un enorme progresso.

« Sedici anni? Ma allora abbiamo la stessa età! Incredibile, sembri più grande! (:O)

Anch'io sto facendo colazione! Oggi la mia scuola è chiusa per festa, per cui posso prendermela comoda. Sono già alla seconda tazza di cereali, con pane tostato, marmellata, burro e patate dolci. A te cosa piace mangiare, Kurosaki? »

Sorride, Ichigo, non smette di farlo nemmeno per un attimo. Spedisce e riceve, non si cura del tempo che passa.per la prima volta, sente di aver fatto la cosa giusta, di aver assecondato finalmente un suo desiderio. È bello vedere quando le cose vanno proprio come vorresti, senza nessuno che stia a dirti cosa è giusto e cosa è sbagliato. Per una volta, la sua natura lo asseconda, è meraviglioso.

« Vediamo... mi piace molto la cioccolata, e il pesce saltato con senape peperoncino. Per il resto, una cosa vale l'altra, per colazione ho preso dei cereali con succo d'arancia. Che scuola frequenti? »

« Hai gusti molto semplici, vedo. Comunque, io frequento un liceo pubblico molto piccolo, che dista a sei fermate di treno dal mio dormitorio. Ci danno un gran da fare con lo studio, ma non mi lamento. E tu? »

« Scuola pubblica anche per me, un po' malandata e noiosa, ma se non altro riesco ad avere buoni voti. Purtroppo non riesco ad andarci tutti i giorni, perciò spesso mi ritrovo con una marea di appunti da studiare e a dover fare test di recupero. »

« Perché? Non ti piace andare a scuola? ('-') »

« Mi è indifferente, onestamente. »

« Peccato. Nella mia ti divertiresti di sicuro. (ùwu)
Senti, cosa ti piace fare?
»

« Mi piace il cinema. E leggere, soprattutto Shakespeare. »

« Quindi ti piace anche Romeo e Giulietta? »

« Sì, anche Romeo e Giulietta. »

« … che bello. Romantico e bello. Sei gentile come pensavo, Kurosaki. (*^-^*) »

Gentile. Di tutte le cose che si era sentito dire, quella è stata proprio una novità. Nemmeno lui si è mai riconosciuto in questo aggettivo, tuttalpiù, se faceva saltar fuori che è un fan di Shakespeare, gli avrebbero detto che è roba da femminucce. Orihime, forse perché femmina, questi problemi non se li pone. Ma in ogni caso, lo trova gentile, pensava che lo fosse, e gli ha scritto che è bello avere una passione simile. Apprezza la sua persona, nonostante la conosca ancora troppo poco. Ichigo si sente fortunato. Non è proprio la fabbrica di cioccolato, ma è pur sempre un mondo fantastico dal quale non vorrebbe più andar via. Ha compreso, ormai, che quella magia gliel'ha data il giardino. Vuole tornarci al più presto, magari da solo, incontrare Orihime e farsi lunghe passeggiate, parlando dei propri interessi a voce, a tu per tu, incrociando i suoi occhi senza scappare. Ma non è sicuro di farcela senza che Grimmjow lo venga a sapere. Anzi: è giusto che lui non lo sappia? Cambierebbe qualcosa, lo ostacolerebbe? Ha paura, per la prima volta, del suo coinquilino. Tutto quello che fa è per lui, lo sa bene, ma fino a che punto può giovare alla sua indipendenza? E Orihime, come si troverebbe con lui?

Forse è meglio lasciar correre le cose, pensa Ichigo. Fintanto che sono solo messaggi, può ancora scamparla, e dubita di riuscire a trovarla nuovamente da sola, al giardino. Con Grimmjow, in qualche modo risolverà. Si sente invincibile, ora che ha parlato con quella ragazza. Sente che la sua natura finalmente girerà come vuole lui, e che persino i fantasmi collaboreranno. La ruota della fortuna comincia a girare, finalmente, sente di potersi concedere un umore ottimista. Effettivamente, pensandoci, Ichigo non si è mai sentito molto ottimista. Fortunato, quello sì, per aver incontrato Grimmjow, ma mai una volta si è detto “andrà tutto bene”. L'unica cosa che si dice ogni giorno è “non voglio perdere ciò che ho. Voglio la forza per poter ricambiare quello che possiedo”. Come Grimmjow, che merita un giorno di riposo. Come Orihime, che gli porge la guancia così, spontaneamente.

Quando Shinji esce dall'alloggio di Kanda, avverte una fame non indifferente. A parte il caffè non gli può scroccare altro, e di certo quel ragazzo non è il tipo da sognarsi di offrire qualcosa. Ha fame, ma non solo a livello fisico. Da un paio di giorni, nota, c'è un'aria strana, lo percepisce nell'odore, nel tatto, in tutto. Kanda procede naturalmente e a passo deciso con il lavoro, ma già questo fattore lo mette in allarme. È insolitamente interessato all'incarico, improvvisamente è come se fosse animato da una strana voglia di fare, lui che sembra una bambola, o come dice il fondatore del giardino, fatto di vetro, come le statue che crea. Il boss stesso ha preso l'abitudine di chiamarlo di frequente, anche solo per fare quattro chiacchiere. Sembra che si senta solo e che soltanto Shinji può fargli compagnia. Il mondo si è capovolto senza che lui ne sapesse niente e questo lo spiazza. Odia che le cose cambino senza la sua volontà, lo irrita. È preoccupato, ma si guarda bene dal farlo notare, altrimenti, se qualche frequentatore lo vedesse, si metterebbe in allarme e magari, nel peggiore dei casi, abbandonerebbe il posto. Non vuole rischiare di far diminuire la clientela per suoi presentimenti e malumori. Forse è solo un periodo, presto la ruota della fortuna girerà nuovamente a suo favore. O forse no.

E lui che pensava di poter capovolgere tutto a proprio piacimento, come Dio. Una presunzione che gli sta costando caro, adesso lo sa. Schiocca la lingua più e più volte, per distrarsi. Qualcosa sta cambiando e lui non può farci niente. Nemmeno traslocare per l'ennesima volta è servito. Ormai è abituato a cambiare casa, ma finalmente sembra comprendere che il suo continuo spostarsi non è che una fuga dal suo essere semplicemente umano che non può fare tutto. Tant'è che va a rifugiarsi ogni volta che può nel giardino.

Un'altra cosa che lo irrita, anche se lievemente, è la curiosità che mostra quel ragazzo chiamato Allen Walker. Ormai si è impuntato con l'intenzione di sapere chi è il boss, e non ha minimamente idea del pericolo che corre. Non sa che è importante che quella persona resti dietro le quinte. Non immagina quanto la gente che frequenta il posto viva d'immaginazione su quella figura a cui sentono di dovere tanto, anche Shinji. È un'ingenuità che lui non ha e che in parte invidia. Stare così vicino ai piani alti è un'arma a doppio taglio e la prova evidente è quell'avvertire prima del tempo, con brividi fastidiosi lungo le braccia, che qualcosa sta cambiando e che non può farci niente. Certo, è nella natura dell'uomo, nella sua, e deve sottostarci, ma quando gli intenti sono discutibili, diventa opprimente. Dovrebbe berci una tazza di tè su, scrollarsi le spalle e darsi una calmata. In fondo, non è la fine del mondo. La vita dell'uomo non è che una piccolezza, va e viene, bisogna viverla e basta, senza pensieri, come dicevano in quel famoso film animato, “hakuna matata”. Shinji scuote la testa. Come se per l'uomo fosse possibile arrivare a tale perfezione. Se non hai niente di cui crucciarti, cosa vivi a fare? La perfezione non è che un peso, l'uomo non ci arriva, la sua natura sì, ed ecco che lo accontenta con fardelli stupidi, al confronto. Ogni tanto gli fa anche sgambetti, perché è divertente, chi non riderebbe di fronte ad una bella caduta, succede sempre così.

Eccolo, l'essere umano chiamato Shinji Hirako, che si ritrova a rispondere, anche senza volerlo, alla natura umana. Sta pensando in continuazione a presentimenti e considerazioni che gli danno solo grattacapi. Si appesantisce la vita senza nessun motivo. Ma del resto, non può farci niente, ne hanno bisogno tutti, altrimenti risulterebbe fin troppo chiaro che vivere è davvero, troppo semplice, una leggerezza per loro insostenibile. Niente a che vedere col perdere il lavoro o un grande amore. Gli è successo anche questo, in effetti.

Lei si chiamava Momo. Era un'impiegata semplice e modesta, timida e insicura, ma lui la trovava molto carina. Non avevano molte occasioni per incontrarsi, ma quando accadeva tutto veniva organizzato alla perfezione, una cenetta semplice a casa di uno o dell'altro, un regalino per farsi perdonare la lunga attesa, come una collana o un semplice fiore -a Momo piacevano molto le margherite, semplici come lei- una passeggiata, un film, un goccio in compagnia di amici, seduti su comodi divani di un pub appartato, e quando si era in vena di chiudere in grande stile, si finiva sotto le coperte a fare l'amore, dolcemente come piaceva a lei e senza fretta. Ma mai, mai una volta che dormissero assieme. La cosa non era sembrata un problema, ma Shinji è pronto a scommettere che è stata un'aggravante. Era sempre lui a rifiutare di restare a letto con lei, abbracciarla mentre dormiva e svegliarla il giorno dopo per invitarla a colazione. Sentiva, semplicemente, di non essere pronto, a suo dire era come una preparazione alla convivenza o al matrimonio, una specie di gabbia, ben arredata e confortevole, ma sempre una gabbia. Lui è un uomo che capovolge tutto e si sente stretto velocemente in uno spazio che non sia il giardino della stella polare, mentre Momo aveva il bisogno impellente di legarsi per la vita con qualcuno. Obiettivi diversi che come unica soluzione trovarono la prevedibile separazione, nonostante tutti dicessero che assieme erano perfetti, ma come si sbagliavano. Sorprendente il fatto che era stata proprio lei a prendere la fatidica decisione, lei, così timida e piena di premure, che detesta sentirsi abbandonata, lo aveva lasciato. “Ti ho amato davvero, Hirako. Ma ho capito che non sarai l'unico della mia vita”. Quando gli aveva imbastito il discorso che segnava la fine di quella relazione durata ben cinque anni, Shinji si era sentito deriso. Lui stesso sentiva di non amarla più, e non ebbe nulla in contrario sul porre fine alla storia che aveva assunto i tratti di una farsa. Ma quanto lo aveva infastidito, la frase “ti ho amato davvero”, perché non l'aveva percepita come vera. Altrimenti, non avrebbe continuato a chiamarlo per cognome, a distanza di cinque anni di relazione. Anche il non sentire mai un “Shinji” da parte sua lo aveva spinto a riconsiderare ciò che effettivamente provava per lei. Se ci ripensa, non riesce a spiegarsi come abbia potuto restare incollato ad una persona per tutto questo tempo, lui che cambia casa in continuazione, lui che si diverte a cambiare le carte in tavola, capovolte. Ma, già, è stato proprio subito dopo la fine di quella storia che ha cominciato ad addentrarsi nel giardino. Camminava tranquillamente per le strade, gongolando nel vestito nuovo appena acquistato, il posto gli si era parato di fronte come un'oasi nel deserto. Era un chiaro messaggio del suo io che lo aveva trascinato lì. “Tu non sei completo, Shinji. Non puoi continuare a rigirarti qua e là. Però, qui dentro, hai una speranza per colmare quel vuoto che senti”, sembrava dirgli questo. E aveva ragione. La ricerca non ha ancora avuto fine, e forse non l'avrà mai. Di certo, non si concluderà con un nuovo amore, non si sente il tipo, ma chi può dirlo fino in fondo? Tanto, ormai, tutto comincia a capovolgersi senza metterlo al corrente. Vorrebbe essere nei panni dell'orologio dell'Hortum Septentriones, che sta lì e gira, gira e basta, fa da guida e tanti saluti. Però ora quell'orologio deve cambiare, deve cedere il posto al nuovo lavoro firmato Kanda, improvvisamente animato di qualcosa, di semplice natura che gira, gira, gira. Cambierà qualcosa anche lui? Tutti questi pensieri gli hanno fatto venire il mal di testa. Ormai prossimo ai cancelli che separano il giardino dal resto del mondo, torna sui suoi passi e corre alla sua locanda preferita, richiede la solita camera, ci si chiude dentro e si sdraia al solito posto, a testa in giù. Ne ha decisamente bisogno.

La sala è nel semibuio, intervallata da luci e scatti. Le voci che aleggiano sembrano eco lontani, e le persone, semplici ombre. Rukia si concede un sonoro sospiro e si massaggia una spalla, avvertendo addosso molta stanchezza. Non sta ferma dalle sette del mattino e più che mai in questi giorni sente il bisogno di dormire un po' di più. Alle sue spalle, un ragazzo biondo e vestito in maniera molto formale, quasi da gentleman, le porge un bicchierino di tè caldo, preso da quella macchinetta all'entrata vecchia e per niente affidabile. Ma le ha fatto la gentilezza di procurarglielo, per cui Rukia lo sorseggia dopo averlo ringraziato, per rispetto nei suoi confronti.

« Ottimo lavoro, signorina Kuchiki. » il tono della sua voce non fa trasparire alcuna emozione.

« Grazie, Link. » l'attrice butta l'occhio sullo studio cinematografico, che ora le sembra povero e infimo. Quando non è presa a lavorare, vedere quel posto le dà un forte senso di desolazione. Niente a che vedere con il giardino, niente di lontanamente paragonabile alla casa di Lavi, talmente piena da scoppiare di vita e di odore di libri. Certamente è strano, pensa, ritrovarsi a pensare a lui così intensamente. La loro non può essere definita una relazione normale, ed entrambi sono consapevoli che non possono sbandierarlo ai quattro venti, non perché lei sia una famosa attrice e lui un autore di best seller. Il motivo è che, se ciò venisse esposto alla luce del Sole, gran parte di quell'ammaliante senso di complicità svanirebbe. Amano vivere i loro baci, le loro attenzioni, le loro colazioni e le loro conversazioni in segreto, solo loro due, non deve esserci spazio per il resto del mondo. Per questo, quando si ritrovano ad andare a cena fuori, non si abbandonano a moltissimi gesti eclatanti, al massimo una stretta di mano, una carezza alle mani talmente veloce e fievole da risultare una cosa piccolissima rispetto agli sguardi che si scambiano e che nessuno può interpretare. Difatti, sui giornali, sui siti di gossip, in televisione, non è mai stata fatta notizia di un loro possibile coinvolgimento sentimentale, nonostante siano stati visti assieme. Non danno motivo di parlarne. Quando ha avuto tempo di adocchiare un articolo, su una rivista, l'unica cosa che aveva visto era una foto scattata da chissà chi, forse un principiante, e il giornalista che si era aspettato chissà quale scoop, con delusione aveva soltanto concesso due righe ad una “giornata di riposo per l'attrice Mai Shirafune, qui intenta a chiacchierare con il noto scrittore Deak”. Non osa pensare allo scandalo mediatico che seguirebbe, se venissero a galla il loro coinvolgimento fisico ma soprattutto mentale, di un livello infinitamente superiore al semplice innamoramento. Ha paura di pensarlo. Non vuole rovinare tutto per colpa dei rispettivi mestieri.

« Link, puoi farmi la cortesia di fare in modo che abbia la giornata libera, domani? Necessito di riposo. » si volta appena per incrociare lo sguardo stretto e severo del ragazzo tanto più giovane di lei, ma preparato, cortese ed efficiente come pochi.

Lui scatta subito, annuisce convinto, sembra un soldato ben addestrato, fa addirittura tenerezza. Rukia lo trova molto divertente, in particolare indovinare cosa pensi nel profondo una personalità rigida come la sua. « Nessun problema, signorina Kuchiki. Se lo desidera, posso organizzare i suoi impegni in modo che abbia anche l'intero fine settimana libero. »

« Sei un manager attento e scrupoloso, Link, ma non spingerti oltre le tue possibilità, non è necessario. Fa' soltanto ciò che ti si richiede. Se avessi il fine settimana libero, i miei impegni si accumulerebbero durante la settimana e ciò mi causerebbe maggiore stanchezza. » un bravissimo agente, abile come pochi, ma un po' scarso di fantasia, forse per questo è più difficile tirare a indovinare i suoi pensieri. Magari è solo una facciata, quella che mostra, avrà senza dubbio i suoi interessi e la sua voglia di svagare. Rukia non lo biasima di certo. Le fa addirittura tenerezza, per quello che si impone di essere.

« Come desidera, signorina Kuchiki. A proposito, c'è una questione lavorativa di cui vorrei parlarle ora che ha un momento. »

« Dimmi tutto. » accavalla le gambe nel mentre, avvertendo così un leggero dolore ai piedi. Le scarpe che le hanno fatto indossare per le riprese non sono il massimo.

« Mi hanno chiamato i collaboratori del regista Froi Tiedoll, i quali intercedono per conto di altre persone influenti che desiderano proporle la parte per un nuovo film. »

« Tiedoll? Ho già lavorato con lui, sarà un piacere. Di che film si tratta? »

« Tratto da un libro, signorina. Chiedono se è disponibile a partecipare a dei provini. »

« Il titolo sarebbe? »

« “Harriet”, signorina Kuchiki. Tratto dall'omonimo romanzo di Deak. »

Rukia cerca in tutti i modi di nascondere la sorprese, l'emozione, il batticuore, come se fosse una ragazzina inesperta alle prese con le prime cotte. Non riesce quasi a crederci. Ama così tanto quel libro, quante volte ha sperato che ne traessero un film, non importa chi avrebbe interpretato la protagonista, purché lo si facesse. Ora le danno l'occasione di essere Harriet e di farsi vedere così da tutti. Sicuramente Lavi lo sapeva, si aspetterà di trovarla lì, pronta, a recitare quella parte che lui conosce bene e che ha visto in prima persona, all'Hortum Septentriones, in quello scenario con la vasca da bagno che aveva riprodotto fedelmente. Ma lei è pronta per farsi carico di un compito simile?

Se accettasse così di slancio la parte, forse darebbe adito a varie voci su una presunta macchinazione per farle avere la parte, amicizie con Deak, e via discorrendo, quando la situazione è molto più semplice. Lavi, non Deak, è una persona con la quale sta percorrendo una strada vorticosa diretta a nord, verso un enorme stella che gira senza sosta, e più del suo modo di porsi, del suo carattere, delle sue mani, ama i suoi libri, adora Harriet, quante volte ha desiderato essere lei. Un'occasione che non vuole proprio buttare. Si sente incredibilmente fortunata, la stella del giardino continua a portarle fortuna, a lei e a Lavi, che si ritrovano ad incrociarsi più del dovuto anche involontariamente. Lui sicuramente si aspetta che faccia un figurone, che abbia la parte ad occhi chiusi, con la sua capacità interpretativa. Non vuole deluderlo, e per rispetto nei suoi confronti, del suo lavoro e di quel, se vogliamo definirlo in tal modo, sentimento che provano, accetta con un posato cenno del capo la proposta. Chiede espressamente a Link di segnarlo come impegno più importante, perché lavorare con Tiedoll è sempre un piacere. Ma lavorare in un film tratto da un libro di Lavi è ancora più piacevole. Essere Harriet è il massimo. Avrà quella parte, si promette, e riempirà Lavi d'orgoglio, sarà il suo modo di ricaricare la trottola dentro di lui per farla girare ancora, e ancora, in modo che torni sempre, comunque da lei, a cercarla come se fosse “quel pezzo mancante”, la meta della sua ricerca.

L'Hortum Septentriones mantiene la sua influenza anche a chilometri di distanza. È una magia, quella, talmente luminosa da abbagliare, riducendo quelle piccole anime a cercare ad occhi chiusi, ma pieni di speranza, perché sono guidati da una stella fortunata. Che odora di libri, è fatta di vetro, regala identità fittizie da smascherare, diverte con giochi di prestigio, si capovolge, inciampa a volte, ma che procede sempre, inesorabilmente verso nord.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Dieci. Quando l'orologio si inceppa ***


Angolino: ed eccoci qua. Stavolta non ho molto da dire, cioè, è più facile leggerlo che commentarlo(?). Però posso fare qualche anticipazione! D'ora in poi la mia (in)sanità mentale peggiorerà, perché tra i provini per il film, e il minestrone GrimmIchiHimeLinaKandaPincoPancoPancoPinco riserverà parecchie sorprese. Specie Grimmjow, che mica può stare all'angolo ad osservare. E quando Kanda si smuove, le cose diventano così facili di colpo! Ah, già, farò del mio meglio per concedere qualche parola in più al boss. In fondo, cambiano l'orologio, mica roba da poco. Mi scuso, a proposito, per le continue ripetizioni sul verbo incepparsi, e su altri eventuali errori. Cercherò di rimediare.
Ringrazio, per le splendide recensioni,
Haily, HaChiElriC, Sidan, Angy_Valentine, KayeJ, zombiecch, Ookami san, Kumiko_Walker, M e g a m i, matechan! Grazie di cuore per riuscire a dedicare parte del vostro tempo per un commento!
Ringrazio di cuore
Angy_Valentine, AriCastle66, jeanny991, M e g a m i, matechan, Ookami san e Haily per aver inserito la storia nelle preferite!
Ringrazio moltissimo
JeannyMatt e zombiecch per averla messa nelle ricordate e Arsenico, HaChiElriC, KayeJ, Kumiko_Walker, M e g a m i, matechan, S h a i l a, Sidan, Tiamath e zombiecch per averla messa nelle seguite! Grazie di cuore a tutti coloro che leggono e apprezzano, e buona lettura! Aspetto i vostri commenti!





Hortum Septentriones






Dieci






Quando l'orologio si inceppa






« Questo è un giardino, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne organizzano un mercato, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne passeggiano in questo giardino, di come se ne incontrano in qualunque viale.
Ogni giorno qualcuno si perde e arriva qui, oppure ci viene di sua spontanea volontà.
Questo giardino è una casa. Per chi? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque è alla ricerca. Di cosa? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque.


Hortum septentriones »





« Nessuno chiederà informazioni su di te, a meno che la tua natura non lo voglia.
Tutto ciò che accade nel giardino resta nel giardino.


Nessuno è obbligato a rivelare il proprio nome.
Non è necessario sapere esattamente cosa si sta cercando.
Qualunque cosa sia, qui la si troverà.
Sicuramente.


I brividi che sentite non sono dettati dalla paura.
La vostra natura lo sa perfettamente.


È possibile organizzare particolari eventi quali concerti o feste.
Qualora lo si desideri, è possibile alloggiare per una o più notti nelle locande.
Non vi è alcun obbligo di rilasciare i veri dati personali o documenti.
Il pagamento varia a seconda delle locande.
O, per meglio dire, a seconda della natura dei rispettivi gestori.


Qualunque cosa succeda, mai chiedersi se sia giusta o sbagliata.
Il giardino non conosce queste sottigliezze.


Il giardino esiste per voi cercatori.
Qualsiasi modifica venga apportata, viene fatta per il vostro benessere.
Siamo certi che le vostre nature rimarranno soddisfatte.
Loro sanno cosa vogliono.


È presente un registro su cui è possibile rilasciare i propri recapiti.
Potete scrivere il vostro vero nome o uno pseudonimo, a libera scelta.
Il giardino si assume ogni responsabilità sulle conseguenze di ciò che lascerete trascritto.
Solo all'interno di esso, però.
Dopotutto non si smette mai di girare.


Non c'è niente di male nel voler sapere.
L'importante è essere coscienti che a volte la troppa conoscenza uccide.
A vostro rischio e pericolo.


I precedenti dei visitatori non hanno alcuna importanza.
Non nel giardino.
Quelli appartengono al mondo che lasciate fuori.


Si invitano i visitatori a non fare totale affidamento al giardino,
e alla sua stella. Può capitare che si inceppi.
Ma possono sempre aiutarlo a ripartire.
Un aiuto, uno sprono, prima o poi, ne hanno bisogno tutti. »






Lavi ferma il passo deciso appena oltrepassa i cancelli e si trova al cospetto dell'imponente orologio dell'Hortum Septentriones. Soffia forte sulle mani, tira il colletto del cappotto nero, a doppio petto, per proteggere il collo, per una volta scoperto dalla sciarpa lunghissima che è solito portare. Non sentiva particolarmente freddo, prima di uscire, ma gennaio non tarda a farsi riconoscere. La neve cade con dolcezza sulle sue spalle, sulla ghiaia, sull'orologio, su ogni cosa, in piccolissimi fiocchi che si sciolgono all'istante. Nonostante tutto, è un inverno gentile, quello che sente.

Rivolge lo sguardo all'orologio e avverte una strana sensazione, può definirlo un presentimento vago, come quando senti i brividi e ti dici “sta per succedere qualcosa”, ma non sai cosa sia, e poi, che importanza può avere? Succede sempre qualcosa, ogni giorno, in ogni parte del mondo, che tu te ne accorga o meno, non fa differenza.

Si chiede se le persone attorno a lui provino la stessa cosa quando vengono assalite da quei brividi. È un tremore che quasi spaventa, perché improvvisamente qualcosa si blocca e la prima spinta non basta a far ripartire il tutto. Nota che l'orologio gira con più scatti, come se avesse milioni di sassolini sul cammino. Sono fatti così, i brividi dell'essere umano, anche quando sono dettati dal freddo. Ogni cosa si fa assalire da un qualcosa di sconosciuto che impedisce di andare avanti, e si prova quasi vergogna a chiedere aiuto. Tutti vivono su un equilibrio precario, anche quell'enorme macchinario che risente del tempo, proprio come un bambino che nasce, cresce, invecchia. Troppo riduttivo classificare gli oggetti come “inanimati”. Risentono del tempo come tutti, hanno i brividi anche loro e si inceppano. Lavi soffre per questa insofferenza.

Torna sui suoi passi, e si dirige a passo veloce verso il bar dove è solito incontrarsi con Grimmjow. Lo vede in lontananza, mani insaccate nel giubbotto nero, e un cappuccio blu tirato sui capelli. Si vede rivolgere un veloce cenno del capo, quando viene visto, e si scambiano un veloce sorriso. Poi viene invitato ad entrare, per prendere qualcosa di caldo.

C'è molta gente, quella mattina, con lo scopo comune di bere qualcosa in un posto che non sia casa propria, ma ugualmente caldo e accogliente, sperando di colmare il vuoto interiore che ognuno sente. La clientela del giardino è aumentata, notano entrambi. Ormai ben pochi riescono a sopravvivere ignorando quella trottola forsennata. Anche se capita che si inceppi anche lei. L'accoglienza che ricevono è la solita, fatta di discrezione e movimenti leggeri, per accompagnarli ad un tavolino per due persone, a ridosso da un muro laccato di vernice verde foresta e foto incorniciate che ritraggono persone comuni intente nell'altrettanto comune azione di prendere un tè, un caffè, un dolce, o di passeggiare. Il vociare dei clienti attorno a loro appare subito lontano, mentre ordinano un caffè e un tè.

Mentre Lavi si toglie il cappotto e lo adagia sulla sedia, Grimmjow rimane con le mani in tasca, e schiocca la lingua rumorosamente. Non è giornata per lui, intuisce lo scrittore.

«Oggi non lavori?» gli chiede, con un sorriso incoraggiante. Di solito funziona, lo contagia.

Sul viso dell'altro si dipinge un sorriso sghembo e autoironico. «Mi sono dato malato.»

«Come mai?»

«Tanto non avrei fatto molto comunque. L'officina campa lo stesso se manco un giorno. Tanto, per quello che mi pagano...»

«Potresti sempre licenziarti e trovarti qualcos'altro.»

«Forse mi sono espresso male. Mi piace stare in officina, non mi pagano moltissimo, ma almeno riesco a campare. Solo che oggi non mi va. Mi sono svegliato e... bè, prendere un caffè da solo oggi non era il massimo.»

Lavi nota subito la piccola differenza nel tono di voce. «E Ichigo?»

«Ha detto che andava a scuola, ma si è dimenticato fin troppi libri per i miei gusti. Ultimamente è strano. È contento.»

«T'infastidisce pensare che sia contento per una cosa che non hai fatto tu?»

«M'infastidisce pensare che lui non mi dica perché è contento, tutto qua. Sono presuntuoso a volerlo sapere?»

Il discorso viene interrotto brevemente nel momento in cui si vedono servire caffè e tè. Nessuno dei due perde tempo, mentre Grimmjow si avvicina la tazzina al naso per pregustarsi la caffeina, Lavi riempie la propria tazza d'acqua calda e ci butta dentro la bustina di té, riemergendola ad intervalli di pochi secondi. Anche lui si pregusta la colazione e guarda con innocente desiderio i biscottini serviti sul piattino, insieme a due fette di limone.

«Mettila così. A volte è bello vivere col dubbio.»

«Per quelli come te, forse. Voi artisti ci campate con questi misteri.»

«Definirmi artista è un po' esagerato. Tra i due, il vero artista sei tu.»

«Oh, andiamo.» accenna una risatina e sorseggia il caffè, bevendolo tutto d'un fiato. Chiude per pochissimi secondi gli occhi, cercando di immaginare un piacere più ammaliante di una tazza di caffè in compagnia di una persona interessante che non si limita a sentire quello che dici, ma fa tesoro di ogni frase che pronunci, anche se non rientra nel suo punto di vista. Ma dopotutto Lavi è uno scrittore; per lui è importante ascoltare. Lo lusinga notare che abbia scelto di ascoltare lui, invece dei tanti suoi colleghi.

«Dico sul serio. Tu vivi nella maniera più autentica. Chiunque può svegliarsi la mattina, andare al lavoro e preoccuparsi del proprio coinquilino, perdendo il conto dei giorni che passano. Tu, al contrario, ti svegli la mattina, contento di essere ancora vivo, trovi due minuti per apprezzare del vero caffè, vai al lavoro non perché ci devi andare e basta, ma perché la tua natura non concepisce lo stare a girarsi i pollici o fare quei lavori che portano guadagno ma che non lasciano niente, e nemmeno quelli nei quali puoi dare il massimo, ma senza avere la possibilità di essere gratificato. Non rinunci alla tua dignità e cogli le vere cose belle della vita, che solo la tua natura sa capire a colpo d'occhio, tu l'assecondi e basta. Questo è un agire da artista.»

«E tu che cosa sei? Non sei come me?»

Lo scrittore fa cadere un paio di gocce di limone, affoga un cucchiaino di zucchero e mescola con calma. Sorride, per lui, al contrario dell'amico, è una buona giornata, anche se si sente incepparsi a causa di quei brividi, ma da tempo si è ormai rassegnato al fatto che anche quelli fanno parte del gioco, e che bisogna assecondarli.

«È innegabile che ti senta un po' simile a me. Però il fatto che io sia uno scrittore non mi include automaticamente nella lista degli artisti. Io scrivo libri e basta.»

«Libri e basta? Un “libro e basta” è quello che quando l'hai finito dici “ah, sì, bella lettura”, lo rimetti sullo scaffale e non lo ripeschi più, nemmeno per ingannare la noia di aver letto tutto. Lo sai come sono fatto, non sono il tipo che si ferma in libreria per più di cinque minuti e al cinema non sta a cercare di capire un film che tutti riempiono di fronzoli. Sono uno di quelli che si fa colpire a pelle e si fa scavare a fondo in un istante. Forse è perché tu sei riuscito a far questo che vado tanto d'accordo con te, che ti senta simile a me e che ti faccia considerare artista.»

«Allora posso cullarmi in questa certezza? Io sono come te, dunque sono un artista?» nasconde il sorriso lusingato nella tazza di tè fumante, poi ci inzuppa mezzo biscotto al cioccolato.

«Non c'è niente di male. Piuttosto, anche tu mi sembri parecchio contento.» prende anche lui un biscotto senza chiedergli il permesso, sa che con lui non serve. Aspetta con calma che Lavi mandi giù tutto e si pulisca le dita leccandosele.

«Faranno un film su “Harriet”.»

Grimmjow spalanca gli occhi, e subito gli rivolge un sorriso estasiato. Come se non fosse mai stato di malumore per un ragazzo sfortunato che tutto ad un tratto lo sta tenendo fuori dalla sua vita. «Scherzi?»

«Domani assisterò ai provini per la parte della protagonista.» gli rivolge un occhiolino.

«Porca puttana! Complimenti! Spero solo che non lo stravolgano. Capita con fin troppi film.»

«Penso che li farò dannare un bel po'.»

«Andrò a vederlo comunque, poco ma sicuro. Mi porto pure Ichigo.»

«Ma lui odia i miei libri.» addenta un altro biscotto.

«Non si è mai sforzato di leggerlo veramente. Magari con il film va meglio. Ho scoperto che è più interessato alle pellicole, che ai libri. E a qualcos'altro che io non riesco a sapere cos'è.»

«Dagli tempo, è in una situazione particolare.»

«Pensavo che nutrisse più fiducia in me.» Lavi lo guarda con un misto di stupore e malinconia. Solo lui sa quanto Grimmjow si sia impegnato per non far mancare niente a Ichigo, che vive in un mondo tutto suo, controvoglia. Sicuramente quel ragazzo sogna una vita senza allucinazioni che lui scambia per fantasmi e senza aver paura di sentirsi male, di soffrire troppo i raggi del sole, di non farsi dire continuamente “come sei pallido, ma mangi come si deve?”. Se Ichigo si tiene distante, avrà sicuramente le sue ragioni, ma è proprio questo che Grimmjow non sopporta, perché in realtà lui, che sembra un re, uno che non deve chiedere mai, teme la solitudine. Che razza di re è, uno che governa da solo, uno che non ha nessuno da guidare? Grimmjow capisce bene, come un artista che vive con naturalezza farebbe, che è Ichigo che gli riempie un po' quel buco allo stomaco. Grimmjow odia incepparsi, perché comprende che le prime spinte che dà non sono sufficienti a ripartire. Lavi vorrebbe aiutarlo, davvero, ma sa che non può prendere il posto di Ichigo. Spera per lui che il giardino riesca ad aiutarlo a ripartire. Tanto anche l'orologio comincia ad incepparsi. Due anime inceppate si aiutano meglio di chiunque altro.

Linalee passeggia da sola lungo i viali ciottolati del giardino. Le scarpe col tacco, che solitamente indossa sempre con orgoglio e disinvoltura, questa volta le procurano un po' di male. Mentre vede le bancarelle, le persone, stagliarsi accanto e davanti a lei, riepiloga tutta la sua vita precedente. Vorrebbe dimenticarla, ma è obbligata ad affrontarla, di tanto in tanto, e convincersi che quella non era lei, che la vera Linalee sia nata nel momento in cui ha messo piede nel giardino. Ripensa ai suo primi anni di vita, a parecchi chilometri di distanza, chiusa in un villino con altre tre persone; sua madre, suo padre e suo fratello maggiore, Komui. I loro genitori non erano mai a casa, per lavoro, ma era sicura che ci fossero anche altri motivi legati ad un'evasione che entrambi volevano vivere per poche ore, non sopportando l'abitudine di una famiglia. Quando le cose si fanno troppo facili, l'uomo raramente è contento.

Cercavano di farsi perdonare le rispettive mancanze alla figlia con regali. I più gettonati erano le scarpe, graziose come dovevano essere quelle di una signorina, mentre suo fratello preparava la cena, le raccontava una favola per addormentarsi e le teneva la mano finché non si addormentava. Tuttavia Komui, troppo giovane all'epoca per potersi improvvisare genitore, combinava sempre qualche pasticcio casalingo. Più volte i pasti si rovinavano o si bruciavano e dovevano adattarsi con cibi precotti, ma accanto a lui avevano comunque un buon sapore. Un documentario non era affatto noioso se c'era suo fratello a commentare o a spiegarle ciò che non capiva. Un vestito diventato magicamente di un altro colore a causa di un miscuglio disattento nella lavatrice diventava per lei un accessorio con cui ricordare quei momenti e ravvivare il proprio guardaroba senza spendere. Tutto questo i suoi genitori non potevano saperlo, e come tutti gli adulti, vedono nei bambini esseri talmente innocui e fantasiosi da non poter trovare la solitudine un nemico rimpiazzato da un compagno immaginario, e di rallegrarli viziandoli. Linalee ha sempre nutrito un disprezzo di fondo per suo padre e sua madre, che invece di colmarle un vuoto le hanno instillato un'ossessione, quella per le scarpe.

I suoi primi tacchi li aveva indossati a tredici anni, dopo l'improvvisa morte di suo fratello. Le aveva insegnato alla buona come cucinare, lavare, stirare e occupare il tempo da sola, ma lei non riusciva ad abituarsi. Cucina decisamente meglio di lui, ma allora i suoi piatti rimanevano sempre insipidi. Non aveva più guardato un programma in televisione e i vestiti preferiva affidarli ad una lavanderia, così poteva andare indisturbata nei negozi a spendere tutto nelle scarpe. Per un'adolescente i regali non bastano più di tanto, darle dei soldi le dà l'illusione di essere indipendente e libera da un'ombra, che cammina sotto i propri piedi e ci si accorge della sua presenza solo grazie a strani giochi di luce che la rendono mostruosamente più grande, o la fanno trovare accanto, e spaventano con il loro constatare che ci sono sempre. Comprare delle scarpe con il tacco aveva dato a Linalee l'illusione di essersi tolta il loro peso, si sentiva più leggera e i piedi davvero contenti. Era stata lei ad accontentarli comprando quello che preferiva. Ebbe la sensazione che suo fratello la stesse accarezzando.

Ormai di paia di scarpe ne aveva a dozzine, quasi tutte con il tacco. Non trovava altro modo per sfogarsi e colmare un desiderio dettato da uno sconosciuto che albergava dentro di lei, e che non era l'ombra dei genitori. Ormai le scarpe che acquistava erano dotate di vita propria. L'avevano spinta a staccarsi dai genitori e di trasferirsi per frequentare una città nuova, una scuola differente, un dormitorio con persone, credeva, simili a lei. L'avevano spinta verso il giardino. Loro sapevano già cosa cercava Linalee e adesso continuano ad accompagnarla nella sua ricerca, e il riepilogo sulla propria vita non è più così pesante, grazie ai piedi coccolati da insani acquisti, ad un giardino pieno di anime come lei, ad Orihime, una ragazza come lei in tutto e per tutto, che tenta di riempirsi di una vita che a loro è mancata. Chissà chi era stata Linalee, in quella vita precedente.

Incrocia il banco delle statuette di vetro, il ragazzo che le realizza è intento a impacchettare qualcosa per una coppia, mano nella mano, felice e innamorata. La sua espressione però non presenta nessun segno di tenerezza nei confronti di amori tanto semplici, e dice un “grazie” stentato. Orihime parla sempre di lui, ne è rimasta affascinata come pochi, e Linalee non può che essere d'accordo con lei, almeno dal punto di vista fisico. È un ragazzo, ma dotato di lineamenti tanto delicati, e di capelli così lunghi, curati e ordinati, che alla lontana è facile scambiarlo per una donna. Veste in maniera così formale e anche monotona che è difficile dire cosa gli piaccia e se gli piaccia davvero. Sembra che la sua unica ragione di vita sia realizzare statuette. Sono davvero belle, ne ha già acquistata una. Ma si chiede da cosa esattamente la sua amica sia affascinata. Forse parlando con lui lo capirà, pensa. Così gli si avvicina, lui la osserva di rimando ma non si scompone, se ne frega, o almeno così lei interpreta il suo repentino abbassamento di sguardo.

Per vari momenti ci sono silenzi. Al contrario della sua amica, Linalee non fa finta di guardare le statuette e di dedicarsi allo shopping. Fissa lui e cerca di incrociare i suoi occhi blu oltremare per carpire quel qualcosa che Orihime ha notato. Lui però non si lascia guardare, e lo fa con una naturalezza tale da spaventare e indietreggiare al suo cospetto.

Capita che Kanda sorprenda, quando è di buonumore. Quel giorno è decisamente di buonumore, perché ha completato l'orologio finalmente, e funziona che è una meraviglia. Nulla paragonato ad Alma, pensa, perché con Alma non può esserci confronto alcuno. Quella statua è praticamente lui, il pezzo mancante, bellissimo e fragile, ma immortale. L'orologio, invece, l'ha realizzato secondo la natura del fondatore, per quanto ha potuto conoscere di lui. In questo caso, si è limitato ad estrapolare la natura di quell'uomo che nessuno, eccezion fatta per lui e Shinji, conoscono. Potrebbe rivelarsi un errore, perché le domande sul fondatore sono tabù e un'esposizione sì indiretta ma al contempo palese potrebbe svelare molte cose. Però Shinji, vedendo l'opera completata, si è detto più che soddisfatto, ed è sicuro che il boss apprezzerà. Invece di abbondare coi complimenti ironici, come di consuetudine, è rimasto zitto ad ammirare e a farsi cogliere da brividi che non aveva mai avuto in vita sua. Avrebbe anche pianto, forse, poiché lui conosce davvero intimamente il fondatore e ha dunque capito a fondo quel ritratto tanto atipico che gli è stato fatto. In ogni caso, il lavoro è piaciuto e si è concluso nel migliore dei modi, Kanda non può che esserne contento. E quando è felice, sorprende.

«Non c'è la tua amica oggi?»

Linalee alza la testa di scatto, sorpresa dalla domanda. Non ha lo sguardo di chi si preoccupa per qualcuno. Ad ogni modo, felice che le abbia rivolto la parola, risponde. «Ci vediamo stasera, qui, per vedere gli artisti di strada.»

«Ah.»

«Tu non ci vieni?»

«Non mi interessa.»

«Sei sempre inchiodato qua? È un peccato. Il giardino bisogna viverlo.»

«Guarda che già ci vivo.»

La ragazza inarca un sopracciglio. Lui le indica un piccolo appartamento poco distante, modesto, e la guarda come se la stesse prendendo in giro. «Io vivo là.»

«Oh. Ehm...» arrossisce, spera non troppo, si porta una mano sulla bocca in segno di profonda vergogna. «Scusa... non sapevo che...»

«È così strano?»

«Bè, sì... perché vivi qui? Non hai un posto dove stare?»

«È questo il mio posto.»

«... anche per me.» accenna un sorriso, rincuorata dal fatto che anche lui viva appieno quel posto e che lo percepisca come una necessità primordiale. «E per Orihime.»

«La tua amica?»

«Sì. Io sono Linalee.»

«Kanda.»

Il ragazzo si vede allungare la mano, un gesto spontaneo che sul momento lo spiazza, come il sorriso che accompagna lei. La mano è tesa come se una bambina si aspettasse una caramella per premio. Resta lì, sorridente, e non si muove di un millimetro. Si trova costretto a rispondere al saluto, e afferra lentamente la mano. La stretta diventa subito salda, e anche la sua, per non avere nulla da invidiargli.

Il sorriso si allarga e Linalee, poco prima di tornare a passeggiare per far contenti i propri piedi, adornati con quelle belle scarpe col tacco, riformula l'invito in una forma più cortese. «Stasera vieni comunque. Non ci sono solo gli artisti di strada e casa tua, sai? Orihime sarà contenta di vederti, e, bè, anch'io. Se poi non vuoi, non importa, ma facci un pensierino. Questo è il posto di un sacco di gente.»


~ Ore 22.00 ~


Ichigo è felice e al tempo stesso no. La felicità è dettata dalla corrispondenza con Orihime che si è prolungata per alcuni giorni, fino a giungere ad una svolta decisiva, importante, fondamentale per uno come lui che sogna di essere normale. Non sa ancora da dove abbia tirato fuori il coraggio, se ci ripensa, ma è riuscito a combinare un incontro con lei, utilizzando una banale scusa, come farebbero i ragazzi della sua età. Finalmente respira la normalità.

«Stasera ci sono gli artisti di strada al giardino.»

«Già, me l'ha detto Linalee. Io vado a vederli con lei.»

«Ah, capisco. Peccato.»

«Perché, non ti piacciono?»

«No, mi piacciono, è questo il punto. Sono stato battuto sul tempo. Avrei voluto... invitarti ad andare a vederli.»

«Oh... che pensiero carino, Kurosaki! >V<
Bè, ma puoi venire lo stesso, no? Così parliamo senza cellulari in mezzo.»

Più che un invito, è stato un salvataggio in extremis, ma gli è andata di lusso comunque. Per ore è stato ore davanti allo specchio per scegliere cosa indossare, se Grimmjow lo avesse visto, gli avrebbe riso in faccia. Ma vuole fare bella figura con lei, così ha deciso di rinunciare a cappelli e cappucci, di scoprire un po' di pelle chiara, di sorridere senza vergognarsi di mostrare i canini, e se quegli spiriti fastidiosi attorno a lui chiacchierano, li ignorerà senza tanti complimenti. Ne varrà la pena, senza dubbio.

Ma ecco, dunque, la nota dolente: Grimmjow. C'è anche lui, interessato allo spettacolo, e sa che allontanarsi da lui sarà difficoltoso. Il guaio è che, proprio ora che si avvicina il momento decisivo, non sa cosa fare, se rinunciare alle cure di chi c'è sempre stato e ci sarà, o buttarsi a capofitto nelle braccia di una donna che non lo conosce appieno, sebbene abbia espresso il desiderio di farlo. Proprio come un parassita, si tira indietro fino all'ultimo. Si sente di peso per Grimmjow ma senza di lui si sente completamente indifeso, poiché lui lo completa. Non può dimenticare di punto in bianco ciò che li ha legati e gli sforzi per andare avanti. Una figura con la sua stessa faccia, molto più pallida però e con un sorriso malizioso, gli intima di darsi una mossa a decidere. Tra i tanti fantasmi che vede, è certamente il più fastidioso. Gli dà continuamente dell'incompetente, del debole, che si atteggia a re quando nel suo destino è scritto che sarà sempre il destriero che lo porta in groppa.

Ichigo non ci sta. Lui esiste, ora se ne rende conto, perché nel proprio essere sente una cosa che si muove, gira senza sosta ed è animato da desideri innocui, normali, umani. Non è un fantasma, merita di vivere, farsi coccolare quando serve e farsi trascinare dal girotondo quando non riesce a resistere. Fa un respiro profondo grazie al quale il fantasma si arrende, sempre sorridente, fiducioso di altre occasioni future, e si fa da parte. Poi tira la manica del giacchetto di Grimmjow.

«Vado a prendere da bere.»

Non gli dà il tempo di ribattere che sguscia subito nella folla, passa davanti a Renji e Allen, intenti a lavorare con il sottofondo dei soldi buttati nel cappello -un suono che all'albino piace molto- si avvicina di sfuggita ad un bar ma resta davanti all'entrata. Si guarda attorno nervoso, si porta le mani tra i capelli, controlla che non ci sia niente di spiegazzato.

La vede spuntare fuori all'improvviso. È bellissima, nel suo giubbotto bianco, con un cappotto in finta pelliccia, nei suoi blue jeans racchiusi in stivaletti bassi con altra finta pelliccia, dai toni pastello. Lo saluta con un cenno della mano, un sorriso, sembra così felice di vederlo. Si scosta dalla fronte alcuni ciuffi di capelli, lunghissimi e di un colore brillante, soprattutto al buio. In sua compagnia c'è un'altra ragazza, Ichigo la riconosce. L'ha incontrata di fronte alla bancarella di Kanda, avvicinandola per capire qualcosa di Orihime. Si era comportato da vile quella volta, se ne vergogna ancora, e sa una parte gli dispiace non riuscire a stare solo con quella persona, dall'altra è contento, perché ha modo di riscattarsi e scusarsi nei confronti dell'altra.

Linalee ha un sussulto non appena lo vede. Si ricorda benissimo di lui. Un ragazzo dai lineamenti rudi, ma belli a suo dire, anche troppo, e con uno sguardo gentile. Le rivolge un sorriso tenue e un po' timido. Spera di non arrossire.

«Kurosaki, lei è la mia amica...»

«Linalee Lee. Mi ricordo di lei.» un altro sorriso, e la ragazza è pronta a giurare di avere il cuore prossimo all'esplosione. È come se non capisse più nulla all'improvviso. Il viso di quel ragazzo le ricorda qualcosa di lontano, affetti dimenticati che avrebbe voluto, le attenzioni di suo fratello, le prime scarpe acquistate per conto proprio. Trova incredibile come le sia bastato vedere che si ricorda tanto bene di lei per farla tornare innocente, spensierata, allegra.

«Vi conoscete?» Orihime è piacevolmente sorpresa. Si rivolge alla sua amica senza nemmeno immaginare il groviglio che la sua natura affronta in quel preciso istante.

«Sì...» dice sbrigativa lei. Gesticola troppo per i suoi gusti, ed evita di far intendere che è imbarazzata. «Da Kanda, cioè, davanti al suo banco, io ero là e per caso c'era anche lui, ehm...»

«Ichigo Kurosaki.» conclude lui. In realtà lei il nome lo ricordava benissimo, ma l'emozione l'ha beffata e l'ha fatta passare per una smemorata.

«Ichigo, sì, certo, ecco... Ichigo.»

«Che bello!» Orihime batte le mani e prende sottobraccio i compagni. Il ragazzo viene colto alla sprovvista di fronte a quei gesti che solitamente espone solo a Grimmjow, ma nel momento esatto in cui inspira l'odore della ragazza, si dimentica volentieri del resto. Anche Linalee ha un buon profumo, pensa. Si preannuncia una serata felice, finalmente.

«Andiamo a bere qualcosa tutti insieme?»

Entrambi accettano l'invito. Entrano nel bar subito davanti, semi deserto dal momento che sono tutti fuori ad assistere allo spettacolo. Si erano visti con l'intenzione di vederlo, ma tutti e tre, ne sono consapevoli, hanno deciso di assecondare qualcos'altro. Ci sono pochissimi clienti seduti attorno a tavolini e divanetti, e due di loro, appostati accanto all'entrata, rivolgendo lo sguardo di tanto in tanto sulla finestra, cattura l'attenzione di Orihime, che con discrezione li indica.

«Quella è Mai Shirafune! L'ho vista diverse volte qui! È bellissima, vero?»

«Dici l'attrice?» l'amica presta più attenzione e qualche momento dopo le dà ragione. «Oddio, è proprio lei!»

«Quanto vorrei chiederle un autografo, ma mi vergogno da morire...»

«Posso chiederlo io, se vuoi.»

Non si accorgono di Rukia che li ha notati, ha visto come l'hanno guardata, e sorride divertita a Lavi, il quale assiste alla scena addirittura intenerito. È curioso vedere come le persone possano idealizzare tanto una persona da vergognarsi di rivolgerle la parola. Lui, essendo scrittore, vive la situazione in maniera leggermente diversa. Le persone che ricordano un viso ritratto nel retro della copertina di un libro sono inferiori rispetto a chi ricorda la protagonista di un film, ma quelle volte in cui viene riconosciuto, o si presenta come l'autore di un proprio titolo, assiste a rossori e balbuzie davvero buffi. Fosse per lui, risparmierebbe a quei ragazzi l'imbarazzo e le figuracce e andrebbe personalmente a porgere un autografo di Rukia. Ma lei non si muove di un passo, dedicando la propria attenzione alle sue mani, e capisce che non è il momento adatto, forse più tardi. E guardandola, non può che dar loro ragione; la trova incantevole, e la bellezza attira ma ha anche qualcosa che incute timore, in un'altalena devastante di sensazioni. È come innamorarsi e dire rassegnati “è troppo bello per me”.

Linalee ha avuto la sensazione di cadere, una vertigine spaventosa, ma non per lo stesso motivo di Lavi. Se un tacco si rompe e si inciampa su di esso, dev'essere questo che si prova. Il modo con cui Ichigo si è esposto per Orihime in qualche modo la inceppa e non sa come ripartire. Lo guarda e si domanda se non sia di troppo, in quel quadretto. Però vuole conversare con lui e conoscerlo comunque, è questo che le detta la natura, e se le scarpe si rovinano, basta riacquistarne di nuove. E poi non vuole essere tanto sciocca da provare invidia per una cortesia. Dopotutto, lui si è ricordato di lei. Qualcosa deve avergli lasciato.

«Non ci pensare, Kurosaki. Grazie del pensiero, ma sai che imbarazzo! Piuttosto, il ragazzo che è con lei... sono sicura di averlo già visto da qualche parte...»

«Aspetta, ora che ci penso, ho visto una sua foto sul giornale stamattina, ed era anche in TV... ah, ma certo, Deak! Lo hanno intervistato perché fanno un film tratto dal suo libro.»

«L'autore di Harriet?» domanda Ichigo, stavolta guardando Linalee. Subito ha la sensazione di aver ripreso l'equilibrio, e ciò la sprona per esporsi.

«Sì, proprio quello! Ti piace?»

«Grimmjow...» si corregge subito, per non dare l'idea di essere un parassita. «Un mio amico ha tutti i suoi libri, ma io non riesco a leggere più di due pagine. Non so dire se mi annoia o se lo trovo troppo difficile. Forse la seconda, perché una cosa difficile annoia presto.»

«Ah... capisco.»

«A me piace, l'ho letto appena uscito in libreria. Sono così contenta che ne facciano anche il film! Sarà senz'altro bellissimo! Andiamo a vederlo tutti insieme, Kurosaki?»

Ci sono momenti in cui l'orologio sembra rotto e bisogna cambiarlo, quando si è solamente inceppato ed ha bisogno di più tempo per ripartire. Grimmjow si sente un tale groppo alla gola, all'orgoglio, che stenta a riconoscersi. Orologio, orgoglio, suoni troppo simili per non farci paragoni. Non si era sentito minimamente in colpa nel ritrovarsi a seguire Ichigo, per controllare che non facesse pazzie, ovviamente. Oggi la sua natura si è inceppata troppe volte, e proprio quando stava per rassegnarsi ad essere contento per quel ragazzo, compare la causa di tutti i problemi. Quella lì non si è fatta gli affari propri e ha trascinato Ichigo in un mondo che non gli appartiene, che non può vivere con colori normali, ha bisogno che lui gli dia la tavolozza giusta per disegnare. E non solo lo trascina dove vuole, lo invita al cinema per vedere un film a cui tiene. Ichigo non ha mai letto con impegno i libri di Lavi e aveva pensato che il cinema fosse l'occasione migliore per sentirselo più vicino ed indispensabile, fargli capire che in Deak, come lo conosceva lui, non c'era niente di terribile e al momento opportuno farglielo conoscere, e poi chissà, avrebbero passato le giornate insieme a bere qualcosa. Ed invece quella lì stava cercando di soffiargli il posto, la sua natura di re, colui che guida gli altri, non lo tollera. E quell'altra che accidenti vuole, per guardare il ragazzo in quella maniera attenta?

Sente di dover fare qualcosa, ma l'inceppo dura più a lungo del previsto. Ha bisogno di una spinta, ma quella di solito gliela dà proprio Ichigo con il suo cercare aiuto da lui. Si accorge di Lavi, in dolce compagnia, ma non lo saluta, non ha tempo e modo di badare a lui e l'altro fa lo stesso. Entrambi sanno rispettare i propri tempi e spazi, tra loro funziona così. Però si aiutano, quando le circostanze lo permettono, anche indirettamente.

«Rukia, può dirmi che ore sono?»

«Uhm? Le dieci e venticinque.»

A Grimmjow basta sentirlo per riprendersi; è tardi. Deve muoversi. Muove il primo passo e in quel momento qualcuno lo supera. Un viso noto a molti, che si mostrano sorpresi nel vederlo in un luogo diverso dalla solita bancarella sulla quale espone i propri pezzi. È diretto verso i il trio di Orihime, gli sta dando le spalle e non può accorgersi di lui. Linalee invece lo nota e fa per salutarlo, non viene ricambiata però. Kanda si dirige dritto al bancone del bar e fa l'ordine. Adesso l'angolazione è giusta, sembra fatta apposta. Lei lo vede e si inceppa nel farlo. Ha in mente molte cose da dirgli ma non riesce a dar loro voce. Allora si avvicina, con la scusa di ordinare.

Non sa che in questo modo blocca Ichigo, che in questo modo si sente sostituito e tradito. Poi pensa che invece di correre a lamentarsi da Grimmjow sarebbe meglio agire e riprendersela, ma non riesce a fare alcunché, non vedendo il capo della ragazza che si volta a destra, e i loro sguardi si incrociano. Lui ostenta un'espressione di superiorità e questo gli fa sperare che lei scappi via intimorita. Ma non avviene niente di tutto questo.

«Che ci fai qui?» gli viene chiesto.

Lui sorride. Quando è di buonumore, Kanda sa anche sorridere, ed oggi è decisamente una giornata buona.

«Ciao, Orihime.»

«C-ciao...»

Al ragazzo viene porto un cocktail e, dopo aver pagato, si volta, guardando con noncuranza la marmaglia che vede attorno. Lei esplora con lo sguardo a sua volta, in cerca d'aiuto. Aveva tante cose da dirgli, ma ora, non sa neanche spiegarsi perché, non riesce a dire alcunché. Ichigo guarda la scena come disorientato. Quasi si spaventa quando sente la mano di Linalee posarsi sul suo braccio. Anche lei non riesce a nascondere l'improvviso vuoto che sente. Gli rivolge un sorriso amaro, solo lui può comprenderlo.

«Andiamo da loro.» ha capito, evidentemente, che lui tiene alla presenza della sua amica. Un po' la ferisce, questo, perché sperava in un interesse reciproco, ma è chiaro che non è lei la persona che cerca. Il manifesto del giardino avverte distintamente su questo punto. Non sempre si raggiunge la meta al primo colpo. Ma è possibile cogliere il fallimento per ripartire, cosa che fanno i due. Quando non si è da soli, è più facile far ripartire un oggetto difettoso.

In quel momento Kanda si stacca dal bancone, e alla domanda su dove stia andando, con un malcelato perché, non risponde. Si limita a dare un'occhiata parzialmente nascosta dalla frangia, Orihime lo interpreta come un “ci vediamo”. Sicuramente si sbaglia, ma per una volta vuole cullarsi nelle illusioni di qualsiasi sedicenne.

Oramai non può sentire le parole del ragazzo, stavolta rivolte alla sua amica. Nemmeno Ichigo ci fa caso, ha riacquistato quel poco di sicurezza che ha per sorridere e dedicarsi alla birra che hanno ordinato per lui. È bello farsi guidare dall'istinto ogni tanto, si dice.

Linalee decide di distrarsi focalizzandosi su Kanda. «Mi fa davvero piacere vedere che hai deciso di venire. Perché non ti fermi con noi? Sono persone per bene.»

«Ho da fare.» le risponde, poi si sporge di poco su di lui con fare indagatore. «Sei proprio strana, tu.»

«Come?»

«Perché non ti metti delle scarpe da ginnastica o delle ballerine, di tanto in tanto? Se vai avanti così, perdi l'equilibrio e cadi.»

La ragazza rimane come pietrificata, o forse, in questo caso, è meglio dire che è diventata di vetro. Perché ha avuto la sensazione di essere una di quelle statuette bellissime che realizza lui, e di essere stata scrutata dentro. Lui ha visto benissimo quanto precario sia il suo equilibrio, dal momento che dentro ha un turbinio di cose che rischiano di farla sbandare. Lui l'ha capito al primo sguardo. Vorrebbe piangere per la felicità.

«Sto bene così.» gli dice, seppur non ne sia pienamente convinta sul momento.

«Non è poi così male avere i piedi per terra.»

Riesce a leggerle dentro con una facilità inquietante. Le viene da piangere per quanto sta vivendo, era da tanto tempo che non si sentiva compresa a tal punto. Qualche lacrima effettivamente le scappa, e se ne rende conto, lui è sbalordito, si calma subito, certo, ma è evidente che non sa come comportarsi di fronte alle lacrime di una donna. Vorrebbe suggerirle di lasciare un po' a riposo quei piedi piccoli e all'apparenza fragili, ma ha l'impressione che così peggiorerebbe la situazione e non sa cos'altro dire. Per qualche secondo, non si parlano, e a volte è proprio di questo che ha bisogno l'essere umano, del totale silenzio, per poter respirare come si deve.

«Ci vediamo.» così chiude il discorso. Non sa se seguirà il suo consiglio e, onestamente, nemmeno lo dovrebbe riguardare. Tuttavia, vivendo in un posto come l'Hortum Septentriones, si è reso conto di essere anche lui soggetto ad una strana forza dominante, che ha molti nomi quali istinto, natura, ego, inconscio. In fondo, è un essere umano anche lui, e non è totalmente indifferente a questa dolce padrona. C'è anche da dire che più di chiunque altro, non sopporta le persone che restano indietro per piccolezze, non sono che un peso, e lui delle persone che non riescono ad avanzare non se ne fa niente.

Linalee si sente più tranquilla ora, purificata. Sorseggia gli alcolici che le passano senza preoccupazioni, ride, scherza, abbraccia Orihime, parla con Ichigo, si diverte in loro compagnia. Si sente ancora funambola, ma riesce a viverla meglio, cogliendo il brivido come un'occasione e non come un ostacolo che le impedisce di avanzare. Quanto vorrebbe che le persone incontrassero un uomo come Kanda, il quale è riuscito a guardarla dentro con tanta semplicità. Si domanda come ci possa essere riuscito. Non può sapere che quel ragazzo ha creato un orologio da un materiale delicato, ma che non si inceppa mai, di fronte a niente.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Undici. Prova ***


Angolino: sono davvero, infinitamente spiacente per il ritardo di questo aggiornamento. Ho avuto problemi con il caricabatterie del portatile e ho dovuto farlo cambiare due volte. E infatti avrei aggiornato molto tempo fa, se non fosse stato per questo problema. Ma eccoci qui, alla fine! Spero che non vi siate dimenticati di me, perché a me EFP è mancato tanto, come mi è mancato tanto aggiornare questa storia a cui tengo molto! Spero che ve la passiate bene, nonostante il freddo. In questo capitolo mi sono dilungata parecchio nei provini per il film di Harriet, anche se l'esito era scontato. Sì, sapevamo tutti dall'inizio che la parte sarebbe andata a Rukia, contribuisce all'ambiguità del rapporto tra lei e Lavi, sempre più complicato da spiegare. Tant'è che Lavi, non riuscendo a spiegare cosa prova per lei -e usare il termine “amore” è, per come è strutturata questa storia, addirittura pericoloso, onestamente 'sti due manco sanno dire se sono innamorati o no e alla fine sono io che mi rincoglionisco a scrivere, benedetti conigli che non siete altro- che decide di utilizzare il nome di Rukia. Che ha effettivamente un'assonanza con “luce”, Kubo ha dichiarato da qualche parte che Rukia sarebbe una “giapponesizzazione” di Lucia. Ho voluto specificare qui questi particolari perché magari il dialogo tra i due a fine capitolo poteva lasciare qualche perplessità. E veniamo a Grimmjow, che adesso si mette a fare l'attore, però non ha nessuna esperienza e per il carattere che ha mi sa che qualcuno si metterà le mani nei capelli. Però, anche se mi è venuta all'improvviso, è un'idea che mi ispira. Soprattutto perché dovrà recitare con Rukia una scena alquanto “piccante”. Intendiamoci, la GrimmRuki non mi interessa minimamente, ma per il cinema -e per le strane fantasie di Lavi quando si tratta di lavoro!- escono anche strampalate come queste. Tanto è solo un film! XD E Shinji. Non so perché, ma in questa storia trovo che risalti fin troppo bene, e sono contenta per come l'ho fatto muovere in questo capitolo. È bello vedere che i personaggi riescono ad avvicinarsi di un altro passo verso l'equilibrio. Kanda, invece, si gode il riposo dopo il lavoro, ma nel prossimo capitolo ci sarà un nuovo giardino, un nuovo orologio, che sicuramente porterà svolte anche ai frequentatori, Allen, Renji, Orihime, Linalee. Spero che il capitolo vi piaccia. Buona lettura e fatemi sapere cosa ne pensate! Un grazie di cuore, ovviamente, a chi ha recensito, a chi ha aggiunto la storia nelle preferite e nelle seguite, e a chi mi ha aggiunta tra gli autori preferiti, al prossimo capitolo ringrazio tutti uno per uno, con più calma!






Hortum Septentriones






Undici






Prova






« Questo è un giardino, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne organizzano un mercato, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne passeggiano in questo giardino, di come se ne incontrano in qualunque viale.
Ogni giorno qualcuno si perde e arriva qui, oppure ci viene di sua spontanea volontà.
Questo giardino è una casa. Per chi? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque è alla ricerca. Di cosa? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque.


Hortum septentriones »





« Nessuno chiederà informazioni su di te, a meno che la tua natura non lo voglia.
Tutto ciò che accade nel giardino resta nel giardino.


Nessuno è obbligato a rivelare il proprio nome.
Non è necessario sapere esattamente cosa si sta cercando.
Qualunque cosa sia, qui la si troverà.
Sicuramente.


I brividi che sentite non sono dettati dalla paura.
La vostra natura lo sa perfettamente.


È possibile organizzare particolari eventi quali concerti o feste.
Qualora lo si desideri, è possibile alloggiare per una o più notti nelle locande.
Non vi è alcun obbligo di rilasciare i veri dati personali o documenti.
Il pagamento varia a seconda delle locande.
O, per meglio dire, a seconda della natura dei rispettivi gestori.


Qualunque cosa succeda, mai chiedersi se sia giusta o sbagliata.
Il giardino non conosce queste sottigliezze.


Il giardino esiste per voi cercatori.
Qualsiasi modifica venga apportata, viene fatta per il vostro benessere.
Siamo certi che le vostre nature rimarranno soddisfatte.
Loro sanno cosa vogliono.


È presente un registro su cui è possibile rilasciare i propri recapiti.
Potete scrivere il vostro vero nome o uno pseudonimo, a libera scelta.
Il giardino si assume ogni responsabilità sulle conseguenze di ciò che lascerete trascritto.
Solo all'interno di esso, però.
Dopotutto non si smette mai di girare.


Non c'è niente di male nel voler sapere.
L'importante è essere coscienti che a volte la troppa conoscenza uccide.
A vostro rischio e pericolo.


I precedenti dei visitatori non hanno alcuna importanza.
Non nel giardino.
Quelli appartengono al mondo che lasciate fuori.


Si invitano i visitatori a non fare totale affidamento al giardino,
e alla sua stella. Può capitare che si inceppi.
Ma possono sempre aiutarlo a ripartire.
Un aiuto, uno sprono, prima o poi, ne hanno bisogno tutti.


Non vi sono orari di apertura e chiusura del giardino,
né vi sono restrizioni o discriminazioni per accedervi.
Il giardino tiene a sottolineare questo particolare all'apparenza scontato. »






Per la quarta volta fa scivolare tra le dita le banconote, ma oramai non conta più. Sa quanto ha ricevuto ma non è questo che gli importa. A Kanda, del proprio compenso, non importa niente, fosse stato per lui non si sarebbe neanche fatto pagare. Il fondatore dell'Hortum Septentriones ha però insistito tanto, tramite Shinji, di retribuire il suo lavoro. Proprio il biondo ora gli sorride, all'entrata, ammirando assieme a lui il grande cambiamento: l'orologio è stato finalmente sostituito. Kanda ha superato se stesso in questo lavoro, lavorando nei minimi dettagli. Ha mantenuto la grandezza originaria del vecchio orologio, senza sbagliare di un centimetro, e mantenendo la forma di stella a dieci punte, come gli era stato richiesto. Ma, lo si nota al primo sguardo, è ben diversa, di una forma più elegante e ricercata, decorazioni che simbolizzano l'importanza avuta per questa straordinaria commissione, persino le lancette celano un lavoro ricercato che gli avranno portato via diverse ore di riposo. Un lavoro paragonabile a quello di Alma, seppur il valore “affettivo" sia del tutto diverso. Alma è un tipo di ricercatezza leggermente diverso, quello della semplicità, mentre l'orologio, la stella di riferimento di tutti i frequentatori del giardino, richiedeva maestosità, imponenza, accoglienza, anche. Alma racchiude l'intimità del ragazzo, l'orologio quel piccolissimo senso di familiarità verso chi, come lui, tiene a quel posto. Perché Kanda ormai fa parte del giardino e, di conseguenza, di tutte le persone che ne fanno parte. Verso Shinji, che con i suoi sorrisetti e frasi ironiche ha fatto da mediatore per tutto il tempo. Verso i clienti che comprano con entusiasmo le sue statuette di vetro. Verso il fondatore che gli dato tanto in cambio della sua capacità, e proverbiale pazienza, di fare del vetro un'arte attraverso cui esprimere, comunicare, unire. Una cosa di cui Kanda non si riteneva capace. Forse, il merito va a quel posto che gli fa da casa, e che non fa discriminazioni d'alcun tipo, spingendo una moltitudine di gente diversa ad incontrarsi, a scoprirsi simile, anzi, uguale. Come una famiglia, come una madre che dà il bentornato a casa ai propri figli. Per uno come Kanda, questo tipo di “normalità” è del tutto nuovo, ma ormai ci è dentro fino al collo. Ha scoperto all'improvviso di essere come tutti. Animato da quella forza senza nome, tipicamente umana, che lo spinge a cercare qualcosa che gli manca, perché ormai le statuette di vetro non bastano più. Alma, per quanto sia speciale, non è altro che un'esternazione di questo bisogno, un messaggio. “C'è qualcuno, in questo mondo, disposto ad essere Alma?”.

Rimette i soldi in tasca. Per quanto sia una bella cifra, non sa che farsene di quel premio. Incredibile, comincia a capire che ha un'altra, impellente necessità, oltre che fare statuette e portare soldi a casa per mangiare.

Se non fosse per il suo orgoglio talmente pronunciato, ringrazierebbe il boss, come lo chiama Shinji. E non solo lui.


~ Ore 11.24 ~


Lavi è un tipo di persona che trova facilmente dei motivi per cui essere felice. Il fatto di essere vivo, ad esempio, per quanto scontato sembri secondo molte persone, è già una ragione sufficiente. L'odore del caffè è un'altra di quelle cose, perché è così incisivo che, sul momento, quasi ti manda in un insolito stato di estasi, un effimero viaggio verso una dimensione mai visitata ma, in qualche modo, familiare. I libri, la massima forma di gioia per lui, rendendoli la sua ragione di vita, il suo pane quotidiano. Grazie a loro, i viaggi sono più prolungati, e trova innegabile che l'odore della carta stampata sia altrettanto afrodisiaco. Lo rende felice parlare, confrontarsi con gli altri, osservare le reazioni di chi ha attorno, studiare le persone, perché è curioso di natura. Per lui, la felicità è sinonimo di curiosità; chi non è curioso non riesce a trovare stimoli, non viene pervaso dall'impulso di indagare su qualcosa, di affrontare l'ignoto. Essere curiosi è per lui l'ingrediente base della felicità, entusiasmarsi per ogni cosa imparata e farne tesoro non può che rallegrare, anche in situazioni che sembrano suggerire il contrario. Forse ciò è dovuto al suo essere semplicemente ottimista, alcuni direbbero addirittura che è una visione troppo sempliciotta della vita. Eppure, ne è felice.

Il suo essere tanto curioso è uno dei motivi che l'ha spinto a partecipare alle riprese del film “Harriet”, tratto dal suo omonimo romanzo. Tyki gli ha presentato tutti i membri dello staff, gli ha presentato Froi Tiedoll, il regista, uno dei più rinomati nel suo campo, ed ha potuto constatare di persona il modo in cui lavora, affascinante e stimolante. Non trascura niente e nessuno, Tiedoll, e ha nei confronti dello scrittore la massima considerazione. Ha richiesto espressamente di visionare gli storyboard preparati per tutte le scene, se ci fosse qualcosa da modificare, se soddisfacesse i suoi gusti. Lavi sfoglia il tutto con un piccolo tremore, è elettrizzante per lui vedere la propria storia disegnata su carta. La figura di Harriet è indefinita perché non sanno ancora a chi assegnare la parte, sono sole bozze, possono esserci cambiamenti in qualunque momento, ma tenevano molto a mostrarglieli in via straordinaria. Se Lavi prova a immaginarsi Rukia, in quei disegni, gli sembra funzionare tutto ancora meglio, ma non può sbilanciarsi per non compromettere i provini che avverranno a breve. Si limita a riempire di complimenti tutti quanti.

Ha avuto modo di osservare qualche attrice, all'entrata degli studi, candidate al ruolo di Harriet. Alcuni visi sono molto più noti rispetto ad altri, sicuramente c'è anche qualche principiante. Rangiku Matsumoto l'ha riconosciuta subito, seduta ai primi posti, dicono che sia stata una delle prime ad arrivare. L'ha vista studiarsi minuziosamente il copione, non ha lasciato trasparire nessuna nota di nervosismo, solo una vaga eccitazione all'idea di interpretare un ruolo molto diverso dai soliti. Le altre parlottavano, ripetevano battute a voce alta, telefonavano ad amici e parenti per avere incoraggiamento. Di Rukia, nessuna traccia. Innegabile che abbia voluto vederla in mezzo a quelle ragazze, per osservare la sua espressione. Si chiede se sia più impaurita all'idea di affrontare un provino, o elettrizzata. Non gli resta che aspettarla, vederla varcare quella soglia e sentirla presentarsi in maniera molto formale. Può vederla lavorare di persona. Una delle tante cose che rendono Lavi felice.


~ Ore 11.35 ~


Rukia si toglie gli occhiali da sole nel momento in cui varca la soglia degli studi cinematografici che ospitano i provini per l'assegnazione della parte di Harriet, protagonista dell'omonimo film tratto dal romanzo di Deak. Howard Link, suo manager da quando ha iniziato la carriera di attrice, l'accompagna fedelmente e con garbo ad una postazione libera. È arrivata leggermente in ritardo, a causa del traffico cittadino, ma il suo manager si assume tutta la responsabilità, come in quasi ogni cosa che fa, e cerca di riscattarsi in qualsiasi modo, portandole un caffè, per esempio. È un atteggiamento, a dire della donna, anche buffo e divertente. Sembra uno studente delle elementari smanioso di prendere bei voti per rallegrare i genitori. È un bene che una persona tanto responsabile ed efficiente le faccia da manager.

Diverse sue colleghe la guardano con timore e rispetto, per via della sua carriera. Alcune di loro non le ha mai viste, intuisce che siano delle novizie nel mondo del cinema, e quindi, probabilmente, la vedono come un modello. Altre la salutano, felice di vederla come loro, in balia di giudizi di perfetti sconosciuti. Rangiku Matsumoto si è precipitata da lei, le sorride estasiata, attacca bottone facilmente e trova sempre argomenti su cui parlare, instancabilmente.

«Che coincidenza trovarti qui!»

«Già.» Rukia la scruta con attenzione. È bella, davvero, come se ne vedono poche in giro. Ricorda che, su una rivista, è stata eletta una delle attrici più belle e avvenenti, come dar torto. Ha visto ogni film nei quali ha recitato e, nonostante i modi diversi di lavorare, ammira il suo modo di fare disinvolto, come se non si sforzasse per niente a prendere in prestito identità altrui. Per lei dev'essere un divertimento, mentre Rukia la vede come una necessità, un bisogno insopprimibile di essere qualcun altro, di tanto in tanto, perché a volte la propria persona, il proprio carattere, diventa pesante da sostenere. Forse una personalità del genere piacerà molto ai produttori e al regista Tiedoll, e le assegneranno la parte. E a questo punto il carattere di Rukia, non di Mai Shirafune o di qualche personaggio da lei interpretato, diventa fin troppo competitivo. Diventa presuntuosa, se ne accorge benissimo ma la sua natura non può nascondere questo sentimento. Vuole quella parte e vuole che Lavi la veda in quella veste. Per una volta, vuole sentire i complimenti di una sola persona. Il perché è complicato da spiegare; non sa nemmeno come definire il rapporto che ha con quell'uomo. Fidanzati no, affatto. Amici neanche. Amanti, forse. Ma un amante non lo si considera certo in questo modo, collocandolo, addirittura, al centro di un obiettivo da raggiungere. La sua natura non riesce a fare diversamente. Ipotizzare che sia spinta da un sentimento come l'amore la disorienta. È forse innamorata di quell'uomo? A tal punto? L'idea un po' la spaventa. Dipendere fino a tanto da qualcuno è per lei quanto di meno auspicabile, poiché in questo modo il suo essere attrice la divorerebbe. Recitare per un film è una cosa diversa, naturalmente, immedesimarsi negli altri è divertente e stimolante, ma un compagno accanto per chissà quanto tempo la costringerebbe per forza di cose a correggere certi atteggiamenti, a cambiare, a indossare maschere ovunque, se necessario. Per Rukia, l'amore, il rapporto di condivisione tra due persone tanto intimo, è simile a un palcoscenico dove è impossibile essere totalmente se stessi. Non crede alle dicerie romantiche su “un uomo davvero innamorato accetta tutto di te, i pregi ma soprattutto i difetti”. È una menzogna, si dice. I difetti si possono sopportare, fino a un certo punto, ma accettare no, è fuori discussione. A lungo andare, ci si ritroverà costretti a modificare dei tratti distintivi della propria natura, e basta già questa affermazione a spiegare tutto. Se esistesse davvero un uomo simile, sarebbe bello. Ma la realtà è ben diversa da un film. Persino il giardino non può arrivare a tanto. Eppure, per Lavi sente di provare qualcosa di simile, che non sa come definire esattamente. Amore? Passione? Semplice infatuazione? E lui, cosa ne pensa?

Discuterne con lui le fa paura. Potrebbe rovinare tutto, l'attrazione, la complicità, l'intimità raggiunta con lui. Le cose funzionano benissimo anche così. Non è necessario tirare troppo la corda. Meglio concentrarsi sul provino.

Al contrario delle sue colleghe, non ripassa il copione e continua a conversare con Rangiku. L'altra è felicissima di partecipare, spera di ottenere la parte, come tutte, ovviamente.

«Darebbe una bella svolta alla mia carriera, non ho mai interpretato ruoli simili. Ho letto il libro, naturalmente, in vista del provino. Chissà che tipo è chi lo ha scritto.»

«Tu chi pensi che sia?»

«A giudicare dal libro, secondo me è un po' uno spirito ribelle. Harriet è un personaggio strano, sembra che viva senza nessuna regola specifica, se non quella di cercare la felicità. Bè, quella la cercano un po' tutti, ma da come è scritto il libro, sembra essere indispensabile, il che è una cosa bella. Ma Harriet, ecco... ha modi strani di cercare questa felicità.»

«Che vuoi dire?»

«Per esempio quando è al cinema e si mette a piangere. Per chi lavora nel mondo dello spettacolo come noi è senza dubbio bello vedere che c'è gente tanto sensibile su questo punto, ma per come la vedo io, è incredibile. Sembra un'utopia. “Non di solo pane vive l'uomo”, hai presente? Ecco cosa intendo. Essere felici solo di una cosa a me sembra impossibile. Devo ammettere che non capisco pienamente la protagonista, ma farò del mio meglio. Mi interessa molto un ruolo del genere, sarebbe bello interpretare una persona simile.»

Rukia annuisce di rimando. In parte capisce cosa intende e in parte non è d'accordo. Lei si è emozionata moltissimo quando ha letto la scena del cinema, è pronta a giurare di aver avuto le lacrime agli occhi, al momento della lettura. Vivere in prima persona un'esperienza simile sarebbe un onore. Ed è pronta a scommettere che anche Lavi si senta così quando, al cinema, vede un film che lo colpisce così nel profondo. Ha una spiccata sensibilità per certe cose, ha notato. È stata a casa sua pochi giorni fa e ha visto che i bucaneve sono ancora lì, tenuto in ottimo stato e in bella mostra. Vive in una casa disordinata e caotica, ma le cose belle vengono trattate come meritano, con riguardo. Apprezza molto questo suo lato.

Rangiku viene chiamata prima di lei. È appena uscita dalla sala dei provini una donna, sicuramente più giovane di lei, delusa. Tutte le altre accorrono per consolarla, il provino è andato evidentemente male, la parte non le è stata assegnata, ma stando a quanto racconta, non si sono accontentati di dirle “le faremo sapere”. A quanto pare, Lavi è una persona che non si fa problemi a mostrare il proprio dissenso, anche se ciò significa ferire qualcuno. Rukia non ha paura di questo, sa da tempo cosa lo scrittore pensa di lei. È, piuttosto, curiosa di vedere la sua espressione, quando se la troverà davanti a recitare, e cosa potrà dire. Cerca di nascondere un sorriso divertito. Non vuole godere della disfatta di quella povera ragazza, né sente il sapore di una vittoria. È solo divertita da lui, che non si smentisce mai. È stimolante come la prima volta che l'ha incontrato, al giardino, e si sono messi alla prova citando un libro che conoscono a memoria per ovvi motivi, per poi scoprirsi, man mano, laddove non c'è spazio per maschere, dove cercare la felicità non è utopia.

Fanno uscire Rangiku dopo un'ora e mezza, al suo posto entra un'altra veterana. Non si riesce a capire come sia andata, dalla sua espressione, e lei non si sbottona. Non con tutte. Sorride a Rukia, sedendosi accanto a lei.

«Com'è andata?» le chiede, seriamente curiosa.

«Temo che non sia andata come speravo. Tutti gli altri erano abbastanza soddisfatti, ma... sai che c'è anche Deak, l'autore di “Harriet”, a vedere i provini?»

«Sì, l'avevo intuito.»

«Ecco, lui non sembrava molto convinto. Mi ha fatto un sacco di domande su cosa penso della protagonista e del libro in generale, su cosa penso sia la recitazione, su cosa voglio comunicare, sul perché voglia questa parte. Io ho risposto che mi hanno chiamata proponendomi di partecipare e ho accettato perché mi è sembrato stimolante, un ottimo ruolo. Insomma, del provino di per sé non ha parlato molto, mi fissava peggio di un avvoltoio, ma non ha detto niente a riguardo. Visto che lui è l'autore, ovviamente lo tengono in gran considerazione, quindi mi sa che non mi prenderanno. Ma tutto sommato, mi è andata meglio di altre... ad alcune ragazze che si sono presentate prima di me, le ha fatte nere.»

«Immagino che per il film tratto dal suo libro sia molto pignolo.»

«Spero che non ti torturi psicologicamente. Ormai sei l'ultima, e le altre se ne stanno andando, ma io resto ad aspettare qui. Voglio sapere subito come ti andrà.»

Parla senza rancore, con una complicità inusuale per chi si conosce appena, eppure ha davvero voglia di fare il tifo per lei. Non è minimamente mossa da spirito di rivalità, anzi la incoraggia a dare il meglio di sé. Forse, in cuor suo, Rangiku spera che Rukia si aggiudichi quel ruolo perché lo merita meglio delle colleghe che ha appena visto, troppo inesperte o inadeguate a una parte simile. Quando viene chiamata, le dà una leggera spinta, augurandole di tutto cuore buona fortuna. Non è affatto una cattiva persona. Chissà, magari sarebbero ottime amiche, all'infuori dei set cinematografici, ma Rukia adesso ha altro per la testa.

Appena varcata la soglia, incrocia subito il suo sguardo. Le ha sorriso, seppur in maniera flebile. È seduto accanto a Froi Tiedoll, il regista, dietro un'ampia scrivania. La sala è completamente bianca, altri collaboratori siedono attorno, una sedia, poco distante, aspetta solo lei. Posa la borsa per terra e si accomoda, attendendo un cenno. Di colpo, il nervosismo arriva, e Lavi non può aiutarla più di tanto, se non parlando.

«Buongiorno, signorina Shirafune. La ringrazio di aver accettato di venire qui.»

«Grazie a lei per avermi dato questa occasione.»

«So che ha già avuto modo di collaborare con il maestro Tiedoll.»

«Sì, ho molti bei ricordi legati a lui e ai suoi film. Mi ha insegnato molte cose che ancora oggi mi aiutano nella mia carriera di attrice. Spero che anche stavolta potremo dare vita ad una solida collaborazione.» Tiedoll sorride compiaciuto, felice di rivederla e di constatare che il piacere di aver lavorato insieme è corrisposto.

«Mi scusi se vado subito al sodo, ma le andrebbe di cominciare subito con il provino?»

«Sono qui per questo.»

«Avrà avuto modo di studiare il copione, giusto? Le chiedo di interpretare per un momento Harriet, alla scena della caffetteria. Dia pure un'occhiata allo storyboard, per farsi un'idea della scenografia.»

Cala un silenzio innaturale mentre sfoglia le bozze delle scene, e durante la pausa che precede il provino. La sala è vuota, non può che immaginarsi i vari mobili che compongono una caffetteria e regolarsi di conseguenza. Deve sparire tutto di lei, in quel momento. La sua borsa, ora, è come se non ci fosse, e non è più un'affermata attrice dai capelli neri, a caschetto, ma una ragazza bionda, dai modi di fare ambigui per la società in cui vive, alla costante ricerca di qualcosa che la completi. Conosce bene quella scena, ha letto il libro chissà quante volte. Gli assistenti di Tiedoll si improvvisano comparse, lui supervisiona il tutto, dà il via, mentre Lavi tace e osserva, senza staccarle gli occhi di dosso un minuto. Mai Shirafune non c'è più. Harriet ha preso vita davanti ai suoi occhi, e questo gli provoca un'emozione indescrivibile.

Lo intuisce da ogni singolo movimento. Il modo in cui accavalla le gambe è completamente diverso, e nel libro ha solo fatto descrizioni sommarie riguardo il modo di sedersi della sua protagonista. Il modo di parlare, di sorridere, di guardare. Guardando i film nei quali aveva recitato aveva già capito il suo metodo di approccio nei confronti delle parti assegnate, ma vederlo dal vivo è, per lui, molto diverso. È come se la vedesse recitare per la prima volta. Prova un gran desiderio di alzarsi ed applaudire, ma si contiene, lui deve solo guardare e dare un'opinione quando gli viene richiesto, al massimo fare domande alle attrici. Tuttavia, in cuor suo, vorrebbe già assegnarle la parte. Perché è brava, Rukia. Oppure, probabilmente, è di parte perché per lei prova qualcosa di diverso dalla semplice ammirazione. Innamorato, forse. Ma ha paura di ammetterlo e anche di provare un simile sentimento. Inoltre, non vuole procurare problemi a Rukia a causa di questa situazione che si è andata a creare tra loro. Conosce bene i comportamenti dei malpensanti e delle malelingue. È sempre ben attento a non farsi riconoscere quando la incontra, tranne all'Hortum Septentriones, dal momento che in quel posto non si pongono domande su chi incontra chi, solitamente sono presi da altri pensieri. Il mondo dello spettacolo sa essere fin troppo spietato, e non vuole certo essere lui la fonte della sua rovina. Perché la ammira davvero come attrice. E ne è anche innamorato, probabilmente.

Il provino prosegue per altri dieci minuti, finché chiedono all'attrice di sedersi. Tiedoll continua a tenere le redini del colloquio, con un sorriso. Conosce Mai Shirafune da parecchio, sa come lavora ed è felice di notare che in lei niente cambia, nel lavoro. Rivolge uno sguardo allo scrittore, facendogli cenno che dovrà parlargli, in seguito.

«Ora dovremmo porle delle domande, signorina. La prego di rispondere in totale onestà.»

«Sì.»

«Cosa pensa di Harriet come personaggio, dei suoi comportamenti?»

Non è un problema per lei rispondere. Sorride, non si sofferma ad osservare Lavi più di tanto, sul momento. «Penso che lei sia un po' parte di tutti. La sua ambizione è trovare la felicità, ma allo stesso tempo, non vuole trovarla, non subito, perché è proprio la ricerca ciò che la rende felice. Nel corso della storia matura con il lettore, alcuni restano un po' indietro, magari, ma fa parte del percorso dell'essere umano, non tutti sono uguali, naturalmente. Lei vive secondo canoni puramente personali, facendo scelte che possono far storcere il naso e lasciare perplessi, ma vive pienamente le emozioni e ciò che la circonda. Il rapporto col suo amico d'infanzia, ad esempio. Si ritrovano in un'unica occasione nella quale cedono ad una passione inusuale per due amici; un comportamento che potrebbe addirittura disgustare qualcuno. Ma loro sanno cosa cercano e sanno cosa e chi seguire per raggiungerlo. Per come la vedo io, Harriet è una persona che impara a crescere e maturare come tutti, fino a diventare una Donna. Leggendo il libro, mi sono sentita una sua amica, una madre, seguirla nel suo viaggio mi ha permesso di comprendere sentimenti che mai avevo contemplato prima e mi ha anche resa fiera, nel leggere la conclusione del libro. Si percepisce il suo cambiamento, agli occhi di qualcuno potrebbe ancora mancare quel qualcosa che la faccia arrivare alla perfezione, ma in cuor suo ormai si sente una donna finalmente matura, la quale non ha più bisogno di consensi per poter andare avanti.»

Tiedoll annuisce soddisfatto, non aspettandosi niente di diverso. Avendo già lavorato con lei in passato, sa che ha una notevole capacità di riuscire a pensare come gli altri, di prenderne davvero il posto e di parlare per qualcun altro, quando il lavoro lo richiede. Si volta verso i propri collaboratori, chiedendo se qualcuno ha altre domande da porre, si rivolge anche a Deak. Lui però si stringe lievemente nelle spalle, storce le labbra, come se non fosse contento. In realtà gli viene da sorridere e sicuramente a lei non è sfuggito il sorriso che aveva fino a poco prima. L'unica cosa che si decide a chiedere non è una domanda sul libro e sui personaggi, come ha fatto con altre sue colleghe. Chiede un minuto contato di improvvisazione. È curioso di vedere come se la cava quando non ha copioni da rispettare. Lei annuisce con un sorriso che lui conosce fin troppo bene, divertito, lo stesso che fa quando si ritrovano da soli, al giardino, e le fa un complimento, o quando si accorge che vorrebbe baciarla e nient'altro.


~ Ore 12.30 ~


Le strade della città gli sembrano sempre più grigie, rispetto al giardino. Guarda le vetrine, incrocia qualche sorriso, nota del quieto vivere, ma Shinji non sembra convinto. Si guarda attorno come se si sentisse osservato. Percorre quella strada diverse volte, è una scorciatoia per la casa del fondatore dell'Hortun Septentriones. Oggi si ferma a pranzo da lui. Il boss, come gli piace chiamarlo, muore dalla voglia di sentire se ci sono novità al giardino, se i frequentatori stanno bene. Li sente un po' come se fossero figli suoi, una cosa che lo intenerisce. E lui dev'essere il prediletto, se ha il permesso di incontrarlo di persona e parlarci a quattro occhi. C'è anche Kanda, a dire il vero, ma lui non sa bene come definirlo. Gli sembra diverso rispetto a quando lo aveva conosciuto, poco ma sicuro, non più una bambola. Anche le statue che realizza gli sembrano differenti, più belle, forse complete. Merito del giardino, indubbiamente, per uno che ci vive dentro ventiquattro ore su ventiquattro dev'essere un salto di qualità non da poco. Se davvero i frequentatori sono i figli del fondatore, Kanda dev'essere quello disciplinato, che porta sempre i compiti fatti, non parla a voce troppo alta, non provoca guai, mentre Shinji è più simile alla mina vagante. Ha cambiato casa, tanto per cambiare. Adesso vive in una palazzina a pochi metri dal giardino, così può vederlo ogni volta che vuole e gli sembrerà di viverci, in un certo senso. Spera che grazie a questo sistema eviterà di traslocare un'altra volta, inizia ad essere stufo di questi continui cambiamenti. Vorrebbe trovare un posto dove non sente la necessità di capovolgere niente, e oltre all'Hortum, non ha trovato altro. È ora che si stacchi un po' dall'ala protettiva di quel posto e del boss. Casa sua gli piace molto, ad esempio, ma non può di certo andare a vivere là. Una volta non restava a pensarci più di tanto. Dev'essere cambiato, maturato, in un certo senso. Ma non sa quanto durerà questa situazione, e i tempi troppo prolungati non gli sono mai piaciuti.

Sospira, cammina a passo sciolto, quasi si faccia trasportare da qualcun altro. Hanno aperto un nuovo negozio, nota, le vetrine espongono gioielli non troppo costosi, di quelli fatti con materiale semplice che chiunque potrebbe usare nella vita di tutti i giorni, e accessoria in generale. Guarda le vetrine e subito pensa a lei.

A Momo piacevano molto i fermagli.

All'inizio della loro relazione le faceva spesso regali. Momo poteva vantare, grazie a lui, una vastissima collezione di fermagli. Aveva un sorriso modesto, ma davvero felice, quando si ritrovava per le mani il regalo tutto impacchettato. Col tempo i regali si erano fatti più rari, ma sempre importanti, fatti quando meno se lo aspettava, così non si viziava troppo, anche se era un aggettivo comunque molto lontano da lei. Vedere quegli oggetti ora gli provocano uno strano magone, non può essere nostalgia, no. Dev'essere colpa del lungo periodo di ragazzo libero, l'astinenza, direbbe qualcuno. Non è il piacere sessuale che cerca, Shinji. Vuole semplicemente smetterla di capovolgere tutto, non così tanto spesso, almeno. Sa che è stato proprio questo lato del suo carattere la causa della rottura con Momo. Cinque anni passati così, per chi non è abituato, è dura da sopportare, e infatti la storia non ha visto un lieto fine. Ricorda bene la dinamica, di fronte a casa sua. Dopo avergli comunicato come stavano le cose, non gli chiese niente, andandosene a passo veloce, quasi volesse scappare. Pianse anche, una volta voltatasi. Sul momento, Shinji non riuscì a capirla. Era stata lei a lasciarlo, dunque perché piangere? Perché essere tristi, quando si decide di chiudere una relazione? Quando lo fai, è perché non ami più quella persona, e quindi di colpo perdi la sintonia, non riesci più a vivere in simbiosi con lui, non hai più quel qualcosa che colmava i difetti dell'altro. Non c'è più alcuna ragione di piangere per un'altra persona. Quel giorno non indossava fermagli.

Cinque anni racchiusi in un oggetto piccolissimo a portata di tutti. Sembra uno strano scherzo del destino.

Come lo è vedere proprio quella persona uscire proprio da quel negozio. Per un'istante è come impietrito, non sa se voltarsi e fare finta di non conoscerla o sbracciarsi in saluti. Tiene le mani salde nella tasca e la guarda, sempre con lo stesso viso. Non piange, stavolta, ed ha un pacchetto tra le mani, è pronto a scommettere che abbia acquistato un fermaglio. Ne indossa uno anche oggi e, sorpresa, è uno di quelli che lui le ha regalato, come se ci fosse ancora un legame tra loro. I loro sguardi si incrociano, ma Momo stavolta non piange. Si sorprende, invece, infine sorride.

«Hirako...?»

Annuisce, lui, ormai non ha più vie di fuga. Non può semplicemente voltarsi ed andarsene, ma non ha nemmeno voglia di tornare a quei cinque anni di relazione che, a lungo andare, lo hanno fatto sentire intrappolato. Non la ama, se ne rende conto. Meglio solo, pensa, puoi fare quel che vuoi. Quella ragazza si era fatta delle aspettative troppo grandi per lui, voleva costruisce una vita salda in cui non è possibile girare le cose a proprio piacimento. Shinji non è ancora pronto per una cosa del genere, lui che ha fatto l'ennesimo trasloco.

«Quanto tempo. Come stai?»

«Bene. Ho appena traslocato, ma mi sono già sistemato abbastanza bene. Tu come te la passi?»

«Sto bene. Oggi volevo approfittarne per fare un po' di compere, è l'unico giorno libero che ho dal lavoro. È un bene che questo negozio abbia aperto, altrimenti avrei continuato a fare acquisti su internet. Preferisco respirare aria buona mentre compro qualcosa. Sai, mi hanno promossa a segretaria del presidente della società.»

«Congratulazioni. E per il resto? Come va?»

Una domanda che poteva evitare. Poteva intuirlo da solo, ma quell'incontro gli ha sconvolto i sensi. È la prima volta che tutto si capovolge senza la sua volontà, ed è una cosa che lo spiazza, lo innervosisce addirittura, la vede come una debolezza. Lui è uno che li nota, i particolari, anche se sono piccoli, era questo a permettergli di fare sempre centro, coi regali di Momo. Lui avrebbe notato a colpo d'occhio l'anello al dito.

«Tra due mesi mi sposo.»

Alla fine, lei pianta radici, senza di lui. Riesce ad andare avanti. Le lacrime che le vide quando lo lasciò gli sembrano lontane, ora, come se fossero state soltanto frutto di un sogno. Ha un viso sereno, adesso, per nulla paragonabile a quello che aveva quando si vedeva un regalo per le mani. Sa bene perché. Momo aspettava ormai da tempo di indossare un anello di fidanzamento e di annunciare ad amici e parenti le nozze. Può immaginare quanto sia contenta e che tipo di cerimonia sarà, semplice e modesta com'è sempre stata lei, si concederà un lusso enorme solamente per il vestito da sposa, ora che fa la segretaria potrà permettersi un abito da regina. Chissà chi è il futuro marito, ma Shinji non le chiede il nome. Non è tanto stupido da essere geloso di qualcuno che non conosce, con lei è finita molto tempo fa. Non se la sente di vantarsi dei suoi successi e della sua vita, come farebbe, con ogni probabilità, qualunque ex, per riscattarsi dall'abbandono subito. Tuttavia lui non ha voglia di prendere in giro nessuno, né di girare tutto a suo favore, tanto non ci riuscirebbe. Però, saperla così serena gli provoca altre sensazioni fino a quel momento troppo astratte. Sente un vago senso di pace, a guardare una persona tanto tranquilla. È giusto che abbia una sua vita. Momo alla fine si sposa davvero, il suo grande sogno, quello di diventare una brava moglie e una brava madre, si realizza. Lui non è stato in grado di aiutarla a realizzarlo, ma, adesso lo sa, è contento del fatto che sia riuscita a tirare avanti comunque e a trovare qualcuno disposto a dedicarle davvero tutto se stesso. Shinji, purtroppo, ancora non riesce ad fermare quell'atipica forza che ha dentro con una vita fatta di ritmi regolari e prevedibili. Ma non significa che non abbia provato mai niente nei suoi confronti. Ed il sorriso di Momo, adesso, che gli chiede come gli vada la vita, con la semplicità che le è sempre stata tipica, gli fa capire che anche lei, nonostante come sia andata tra loro, ricorda senza rancore la loro relazione. Sono stati cinque anni importanti che non intendono buttare, perché li ha aiutati, a modo loro. Momo si sposa, lui continua la sua vita di confidente del fondatore, e adesso non gli pesa più il suo continuo traslocare. Lo farà quando ne sentirà la necessità, non è un problema. Anche quello è un capovolgersi continuo in cui è abituato a vivere, che lo rende lui, Shinji Hirako.

Si salutano dopo una veloce conversazione. Lei ha molto da fare per l'imminente matrimonio, lui rischia di fare tardi per il pranzo, e se tarda, il boss è capace anche di non fargli mangiare i suoi dolci preferiti. Non hanno mai menzionato qualche particolare sulla loro relazione, ma si può dire definitivamente chiusa. Non si è mai sentito chiamare per nome da lei, ma non è più così importante. Si è definitivamente sciolto da lei e dai suoi ricordi. Momo può indossare tutti i fermagli che vuole, regalati da lui, se le fa piacere, la cosa non lo ferisce. Adesso sono solo oggetti graziosi che le piace indossare, non sarà certo un pericolo per le nozze che ha sempre sognato. E lui ormai non ha più bisogno di dirle niente, di farle pagare nulla, di rimpiangere, di ricevere risposte che non servono o di darle certezze troppo lontane perché possano contare ancora qualcosa.

Ti ho amato davvero, Momo.

Finalmente anche lui sa cosa ha provato per lei in cinque anni, con chiarezza. Ed il fatto che tutto questo sia successo al di fuori del giardino, gli fa ben sperare in un prossimo grado di maturità. Il “papà” sarà contento, quando glielo racconterà.


~ Ore 13.00 ~


Rangiku ha aspettato davvero. Appena vede la porta aprirsi, si precipita a chiedere come sia andata. Rukia si sente leggermente a disagio, quella donna si comporta come se fosse una sua grande amica, eppure non la conosce, se non per qualche saluto di circostanza quando è capitato. Resta sulle sue nei primi momenti, poi piega le labbra in un sorriso eloquente: ce l'ha fatta. Interpreterà Harriet nell'omonimo film diretto da Froi Tiedoll, tratto dal romanzo di Deak. Potrà vestire i suoi panni per un intero lungometraggio. Quando è le stato comunicato, Lavi ha mantenuto un certo distacco, ha sì applaudito come tutti ma non si è lasciato andare ad ovazioni eclatanti. A lei era bastato il suo sorriso sghembo, per capire quanto era felice della cosa, e ha apprezzato molto il fatto che lui non si sia minimamente intromesso nella scelta, lasciando parlare gli altri. Le avevano accennato che lui aveva fatto il suo nome per i provini, ma durante gli stessi non ha mai lasciato intendere una preferenza assoluta. Ha osservato le altre scrupolosamente e non ha trascurato nessuna. Anzi, comunica a Rangiku che per il film le verrà assegnata comunque una parte, dunque lavoreranno insieme. Si lascia andare alla gioia di quella donna tanto splendida ed esuberante, molto diversa da lei, un corpo da mozzare il fiato, un atteggiamento che le procura corteggiatori da ogni parte, una carriera luminosa e stimolante che rende la sua vita completa. Pensarla come amica e confidente dopotutto non dispiace a Rukia.

Decidono di prendere un caffè insieme e si dirigono insieme verso l'uscita degli studi, una volta indossati i cappotti. La porta della sala provini è rimasta aperta e lo vede, mentre conversa con Tiedoll, totalmente immerso nel lavoro che deve fare. Lo osserva con attenzione, lo ha fatto infinite volte, mentre lui dormiva, mentre facevano l'amore, mentre parlavano. Lavi non mette mai le mani in tasca ed anche stavolta sono libere, si muovono nell'aria come dotate di vita propria, le trova incantevoli. Indossa, stavolta, guanti che lasciano scoperte solo quelle dita di fuoco, lunghe e un po' ruvide al tocco, maestre nel toccarla e perfettamente a loro agio sul suo corpo, come se avessero aspettato, per tutta la vita, di toccare esclusivamente lei. Guarda Lavi, guarda anche il suo viso, il suo occhio verde, i suoi capelli rosso sangue, la sua statura importante per la sua età, e pensa che, nel profondo, un sentimento simile all'amore c'è. Aggiunge un “forse” per non sbilanciarsi, sarebbe troppo pericoloso altrimenti. Ma lei e Harriet sono simili, in questo senso. Per entrambe, la bellezza dell'amore, sentimento tanto astratto, è proprio questo, il non riuscire a definirlo, il seguirlo e basta, come detta la loro natura, la quale non ha bisogno di spiegazioni, sa e agisce.

Si volta per caso, lui, incrocia il suo sguardo di sfuggita, un attimo sufficiente a ricambiare il sorriso. Si vedranno dopo, al giardino. E anche in quel caso, non avranno bisogno di parlare o di citare romanzi.

Il film è appena agli inizi, ma Lavi si rende conto di quanto sia faticoso realizzarne uno. A confronto, scrivere libri è poca cosa. Ci sono problemi, gli viene detto, quei classici contrattempi imprevedibili che inizialmente spiazzano e confondono circa la strada da percorrere.

«Abbiamo assegnato quasi tutte le parti, tranne una, cioè l'amico d'infanzia di Harriet. L'attore a cui avevamo proposto la parte, l'ha rifiutata.»

«E immagino che non abbiate pensato a nessun'altra alternativa.»

«Purtroppo è così. E in cuor mio, non vorrei omettere niente del suo libro, non voglio ritrovarmi a dover eliminare una scena solo perché manca un attore. Ma non riesco a pensare a nessun altro per quella parte. Forse dovremmo organizzare dei provini anche per loro, anche se questo ritarderebbe un po' le riprese.»

«Credo che non sarà necessario.» Lavi sorride maliziosamente e con determinazione. «Per questi provini non ho voluto interferire più di tanto, limitandomi -e, devo ammettere, anche divertendomi, mi perdoni- a far capire ad alcune attrici smaniose che non possono fare tutto. Diciamo che oggi sono venuto per pura curiosità e per semplice constatazione dei fatti. Lei, Tiedoll, che ha già lavorato con Mai Shirafune, sa che tipo di attrice è.»

«E non mi ha deluso nemmeno stavolta. Ammetto che era già mia intenzione proporle la parte, senza fare provini, ma lei mi ha preceduto, signor Deak, facendo il suo nome. I miei collaboratori però avevano proposto anche Rangiku Matsumoto, e ci siamo trovati a organizzare questi incontri per accontentare tutti. Sono contento che la signorina Matsumoto lavorerà con noi, ma tornare a collaborare con Mai Shirafune mi rende felice, soprattutto per un'opera come questa.»

«Anch'io sono un ammiratore della recitazione di Mai, e sono anche convinto che Matsumoto, nonostante non sarà la protagonista, farà un lavoro che soddisferà tutti. Per questa parte che è fonte di problemi adesso, però, le chiedo di accontentare il mio “capriccio”. Ho in mente la persona perfetta ma, in questo caso, dovete essere disposti a darmi completa fiducia.»

«Da come parla, sembra che mi stia proponendo una persona che non ha esperienza nel mondo del cinema.»

«Già. Ma mi creda, è ciò che fa al caso nostro. Lo incontri, parli con lui, gli faccia girare qualche scena. Capirà anche lei che cosa intendo.»


~ Ore 14.40 ~


Ichigo non è in casa. Dopo la scuola, ha pranzato velocemente ed è corso fuori, dicendo che faceva una passeggiata. Sicuramente va a incontrarsi con quella ragazza dai capelli lunghi e lo sguardo innocente. La classica “brava ragazza della porta accanto”, che ridere. A Grimmjow rode, questo agire lontano dai suoi occhi. Il fatto che gli nasconda i propri pensieri, adesso, lo ferisce nell'orgoglio. Ichigo non ha mai avuto bisogno di nascondergli nulla, sapendo che lui c'è sempre, solo lui è costantemente presente nella sua vita, l'unico in grado di aiutarlo. Questa nuova presenza, ormai diventata ossessiva nei suoi pensieri, per giorni gli ha fatto venire alla mente idee assurde e meschine, deve ammettere. Per esempio, rubare il cellulare di Ichigo e scriverle spacciandosi per lui, o sorprenderla per strada, al giardino, e metterle in chiaro che non deve impicciarsi, che è lui ad occuparsi di quel ragazzo tanto sfortunato. Ma una cosa simile al giardino non potrebbe mai farla, non è tanto stupido da rovinare la bellezza dell'atmosfera di quel posto. Né è tanto infame da fare le cose all'oscuro del suo coinquilino. Almeno lui, certe cose, non le fa. Ichigo dovrebbe imparare a fare altrettanto. Non capisce proprio di cosa abbia paura. Ammette di non essere il massimo della compagnia in alcuni argomenti, ma non si sarebbe di certo tirato indietro se Ichigo gli avesse detto, onestamente, “ho incontrato una ragazza che mi interessa. Come mi comporto con lei?”. Non è un Cupido, e forse avrebbe fatto comunque fatica ad accettare la cosa, ma stando così le cose, è impossibile accettarlo. Non vuole rischiare di perdere una persona che contribuisce a farlo sentire re, anche senza troni, anche se è un semplice meccanico che lavora in un'officina di seconda mano a riparare macchine come un automa. Non è ricco, tutt'altro, non ha corone, non fa gite a cavallo, non organizza battute di caccia per ridere con gli amici -e l'idea della caccia lo disgusta di per sé, volendo essere onesti- non si affaccia ad un balcone facendo grandi discorsi al popolo. Ma si sente comunque un re, Grimmjow, anzi, è così che vede un re. Non un riccone che fa leggi a caso e si gode la vita nel suo palazzo, ma una persona che si fa coraggio e si prende la responsabilità di essere un punto di riferimento per qualcuno. Lui ce l'ha, la forza per andare avanti, se qualcuno non riesce più a seguirlo, trova sempre una qualche maniera per non lasciarlo indietro. Ichigo, al contrario, no, non può ancora farcela da solo. Ma invece di un re, è andato a cercarsi una regina. E Grimmjow non riesce a trovare una soluzione, cosa che lo fa arrabbiare ancora di più.

Il telefonino gli dà una piccola pausa. Sul display illuminato leggere un numero che non conosce, fa spallucce e risponde un po' annoiato.

«Pronto?»

«Parlo con Grimmjow Jaegerjaques?»

«Sì, chi parla?»

«Tyki Mikk. Ci siamo incontrati al giardino della stella polare, ricordi?»

«Certo. Sei l'editor di Lavi. Fammi indovinare, ti ha dato lui il mio numero, giusto?»

«Sì. Vorrebbe vederti.»

«E non può chiamarmi direttamente lui?»

«C'è di mezzo il lavoro ed è meglio se te lo spiego io. Lavi, a volte, quando si entusiasma troppo non si cura neanche di farsi capire nel discorso.»

«D'accordo, ma quindi?»

«Ti devo fare una domanda, tu rispondimi sinceramente.» si prende una piccola pausa prima di riprendere a parlare. Grimmjow intuisce da sé che c'è qualcosa di diverso nell'aria, si sente vagamente agitato, o euforico. Dipende da come si vuole vedere la cosa. «Ti piacerebbe fare l'attore?»

Il ragazzo sgrana gli occhi incredulo. Di tutte le domande strane che si è sentito rivolgere, quella le batte proprio tutte. «Che?»

«Recitare in un film. Ti piacerebbe?»

«Non ho mai recitato da nessuna parte, io.»

«Ma a te piacerebbe l'idea di farlo?»

«Bò. Forse. Ma che ne so, non ci ho mai neanche pensato. E poi ho già un lavoro, mica posso mollare l'officina così di colpo per fare un film.»

«Di quello eventualmente me ne occupo io. Adesso pensa solo a quello che vorresti fare. Sai che faranno il film di Harriet, no?»

«Sì, Lavi me lo aveva accennato.» nel frattempo si passa il cellulare all'altro orecchio, aprendo con la mano libera il frigorifero, alla vana ricerca di qualcosa da mangiare. Ha improvvisamente bisogno di zuccheri.

«Hai letto il libro, vero?»

«Certo.»

«Hai presente la scena con l'amico d'infanzia di Harriet? Manca un attore e Lavi ha pensato a te.»

«E perché?»

«Dice che saresti l'ideale.»

«Digli che rifiuto. Io non ho mai recitato in vita mia.»

«Scusa, mi sono espresso male. Lavi pretende che tu sia presente nel film.»

«Devo farlo per forza?»

«Vedi il lato positivo. Potresti scoprire che ti piace davvero, fare l'attore.»

Sta per dire di nuovo che no, non intende minimamente farlo, ma si blocca di colpo. Ora che ci pensa, Ichigo è un appassionato di pellicole. Dopo “La fabbrica di cioccolato” non si è più fermato. Aveva già in mente di portarlo a vedere il film di Harriet, appena uscito, dal momento che i libri di Lavi non li legge volentieri, con un film poteva andare diversamente. Poi si era messa in mezzo quella ragazza, con la proposta di andare a vederlo insieme, ma adesso Grimmjow vede tutto in una luce diversa. Se recita in quel film, Ichigo lo guarderà senz'altro, e si ricorderà chi è, la persona che lo ha sempre aiutato. Dovrà recitare una parte, dunque niente di più diverso dalla propria personalità, eppure è pronto a scommettere che sarà proprio questo a colpire Ichigo. Effettivamente, potrebbe essere la svolta che cercava da tempo, per riprendersi il proprio ruolo. Sarà una bella lezione morale, per quel ragazzo tanto sfortunato e, bisogna dirlo, alle volte ingenuo.

«Accetto.»


~ Ore 15.04 ~


«Rukia.»

«Sì?»

«Non so come definirlo.»

«La capisco.»

«Non c'è soluzione, vero?»

«Chissà.»

«Rukia. Che cosa significa, “Rukia”?»

«Ha un'assonanza con “luce”.»

«Allora lo potrei definire così, che ne dice?»

«... mi renderebbe davvero felice, Lavi.»

«Rukia, Rukia, Rukia.»

«...»

«Non è necessario che dica qualcosa per ricambiare, va bene anche così.»

«Ma...»

«Rukia. Va bene anche così. Noi lo sappiamo già.»

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1081191