La bambina - The child

di ZephyrSelyne
(/viewuser.php?uid=196704)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** chapter one ***
Capitolo 3: *** chapter two ***



Capitolo 1
*** Prologue ***









La Bambina

 

 

 

Uno strano incontro

 

Bella, Jacob e Renesmee andarono a cacciare, come ogni settimana.
Erano passati ormai sei mesi da quando i Volturi avevano tentato di giustiziarli, senza successo.
La loro vita era perfetta, proprio come Bella aveva voluto.
Nessie era crescita molto, fisicamente sembrava una bambina di sette anni. Non andava a scuola, perché la sua continua crescita avrebbe destato sospetti.
Comunque, Bella si era completamente tranquillizzata da quando aveva incontrato Nahuel: tutte le paure di vederla invecchiare in fretta erano sparite come se non fossero mai esistite.
Però avrebbe tanto voluto per la sua piccola una compagna di giochi, che, ovviamente, non potevano permettersi. Per fortuna Renesmee era felice così com'era: amava la sua famiglia, il suo Jacob, il nonnino ed era soddisfatta così.
Non le mancava mai niente, ed era diventata proprio quella che Alice aveva definito "vampiraccia viziata". Quindi, toccava i suoi genitori ad insegnarle il rispetto e l'umiltà, senza fatica perché la loro bambina era molto brava ad imparare ed era di indole tenera.
Come al solito, Renesmee precedeva la madre e Jacob, correndo, inebriata dal vento che le scompigliava i capelli.
«Cos'è che ti preoccupa?» chiese Jacob, lanciando un'occhiata alla ragazza. Non si era ancora trasformato: aspettava sempre l'avvistamento della preda prescelta dalla piccola Cullen.
«Niente...» disse lei.
«Avanti, Bells, sai benissimo che sei una pessima bugiarda» sorrise il ragazzo.
Bella non riuscì a non ricambiare. Il suo migliore amico sapeva sempre leggerle dentro, anche dopo la Trasformazione.
«Niente, è solo... mi piacerebbe che Nessie avesse qualcuno della sua età, o per lo meno, una bambina con cui giocare. Sai, è sempre circondata da adulti» confidò Bella.
Jacob si fece comprensivo. Quel cruccio disturbava anche lui da un po' di tempo. Aveva tentato di risolverlo parlando con Quil: gli aveva chiesto se si poteva organizzare un incontro tra Claire e Nessie, ma l'amico, imbarazzatissimo, declinò la proposta, troppo ansioso e diffidente nei confronti della piccola semimortale.
«Ma lei è felice, no? E' questo che conta...» tentò di dire. Si interruppe perché vide Renesmee in lontanaza.
Strano. Era immobile, ferma come una statua.
L'istinto materno di Bella le diceva che la sua bambina era sconvolta. In meno di un secondo era accanto a lei.
«Che c'è tesoro?...» non riuscì a finire la domanda che vide cosa aveva paralizzato la piccola.
Si trovavano in una piccola radura nella quale, al centro, vi era una grande quercia.
Alla base del tronco c'era qualcuno.
Una bambina.



________________________________________________________________
Ciao a tutti! 
Questa storia era già stata postata precedentemente, ma gli errori e la scarsa ispirazione mi hanno portato a eliminarla!
Ora che ho corretto tutto e ho trovato il corso di questo racconto, voglio ricondividerlo con voi :DD.

Se siete arrivati fin qui, vi ringrazio tantissimo! 
Un bacio,

Selyne

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** chapter one ***









Primo impatto

 

 

 

Doveva avere sui nove anni. Massimo undici.
Era distesa per terra, quasi nuda: indossava solamente delle mutandine, sporche di sangue.
Il suo corpo era pieno di lividi e le sue gambe erano aperte, in una posa innaturale.
Ma ciò che lasciò senza fiato i tre era la sua estrema bellezza.
Jacob e Bella avevano sempre pensato che non ci fosse bimba più bella di Nessie.
Quella lì, nonostante fosse piena di contusioni, sporca di sangue rappresso e di terra, la superava: era tre volte più bella.
Aveva capelli lunghi, del color del rubino, la pelle bianca come l'avorio e teneva gli occhi chiusi.
Sembrava morta e Bella dovette ricordarsi più volte che udiva il suo cuore battere. Molto lentamente, ma batteva.
«È viva?» sussurrò Jacob, talmente impressionato da non riuscire a parlare più forte.
«Sì, è viva» sussurrò di rimando. Poi, noto la sua bambina.
«Jake, porta via immediatamente Nessie, ha già visto abbastanza. Poi, chiama Carlisle e Edward. Muoviti!» ordinò.
Jacob ubbidì subito: prese in braccio una Renesmee sconvolta e se la strinse forte a sè. Non l'aveva mai vista così spaventata.
Nessie nascose il volto nell'ampio torace del ragazzo, stringendosi forte a lui. Così, Jacob corse a tutta velocità verso casa Cullen.
Bella, con lentezza umana, si avvicinò. Si accucciò di fronte a quella creatura.
Provò una forte compassione, quando notò che aveva il viso rigato di lacrime.
Ma che cos'era? Di sicuro non era umana.
No. Bella lo sentiva dall'odore.
Era strano... buonissimo, sì, ma strano.
La vampira indossava una giacca in jeans che si sfilò di dosso per coprire la bambina.
Si rialzò, non avendo il coraggio di fare altro.
Il suo lato materno le suggeriva di prendere in brccio quella piccola cretura e di stringersela, per proteggerla da qualsiasi altro male.
Non lo ritenne saggio. Poteva essere pericolosa, nonostante le apparenze.
Quante volte Edward le aveva ripetuto di non fidarsi di qualsiasi creatura che non fosse umana?
Per un attimo, provò sgomento al pensiero di aver lasciato esposta sua figlia...
Quell'essere avrebbe potuto alzarsi e ferirla, se non ucciderla...
Un ringhio si formò nella gola della vampira al solo pensiero.
Ma, osservandola meglio e con più attenzione, quel ringhio sfumò, sostituito da un senso di imbarazzo.
Insomma, sembrava così, piccola e indifesa... così vittima!
I lividi, il sangue e le gambe ferite testimoniavano la sofferenza provata dalla creatura.
No, non può essere pericolosa” si disse fra sé, accucciandosi di nuovo e avvicinandosi per un osservazione più dettagliata.
Il suo istinto le diceva che era innocua. Decise di ascoltarlo e di fidarsi. Dopotutto, si era fidata di se stessa quando aveva conosciuto Edward e questo le intimava di stargli lontana...
Non riuscì a trattenersi: accarezzò il viso di quell'essere, con estrema delicatezza.
La guancia era morbida e perfettamente liscia, molto somigliante a quella di Nessie.
Si pentì subito di quel gesto: la bambina fu attraversata da brividi e i suoi occhi, lentamente, si aprirono.
Bella rimase senza fiato: non aveva mai visto occhi così verdi. Avevano tante sfumature di quel colore.
La creatura stava prendendo conoscenza. Si guardò intorno, disorientata, e quando notò Bella, sgranò gli occhi e un espressione di paura si fece spazio nel suo viso.
«Ti prego... ti prego, non farmi del male! Ti scongiuro!» supplicò con una vocina flebile.
Tentò di allontanarsi, ma le gambe spezzate le procurarono una forte fitta di dolore, perciò con una smorfia si immobilizzò.
Bella ritrovò la voce: «Tranquilla, non ti farò del male. Sono qui per aiutarti» la rassicurò lei.
Ma la bambina la guardava con un misto di paura e diffidenza.
Non si fidava, dopo tutto quello che aveva passato.
Bella sentì un movimento alle sue spalle.
Carlisle, Edward e Jasper erano arrivati, insieme a Jacob che li aveva guidati.
Edward si mise subito accanto a Bella, la quale si raddrizzò.
Carlisle si avvicinò alla piccola.
Non riuscì a nascondere la sorpresa e la pena che gli provocava guardarla.
«Stammi lontano!» gli intimò la bambina, sempre con voce flebile.
«Tranquilla, piccola, non ti farò del male. Al contrario, sono qui per far sparire ogni dolore che stai provando.Vedi questo?», mostrò la sua borsa in cui vi era un kit di pronto soccorso, «qui ho tutto il necessario per farti star meglio. Prometto che farò il possibile per non farti soffrire più».
Quando si accucciò, tutti sentirono che il cuore della bambina batteva più forte.
«Jazz? Potresti rilassarla, per favore?» disse Bella con voce soffocata dalla pena che provava.
Quale mostro aveva potuto fare tutto questo a una creatura così piccola?
Tutta la diffidenza provata prima era sparita completamente.
Edward le cinse una spalla per rassicurarla, ma anche lui era nervoso e molto teso: sua moglie lo percepiva dalla sua rigidità e immobilità.
Jasper inviò un'ondata di calma e tranquillità serena che sortì l'effetto desiderato: la bambina si rilassò e il suo viso si fece meno rigido.
Ma i suoi occhi erano ancora vigili, attenti e pieni di paura.
Carlisle tastò il ventre, il torace e la schiena con tocchi delicati. Poi, scese giù fino alle gambe.
«Sono spezzate in tre punti...» mormorò. Tirò fuori delle stecche e qualche rotolo di fasciature.
Poi, il medico si fermò di colpo. «Mmm» fece, dubbioso.
«Cosa c'è?» chiese Bella senza riuscire a reprimere la preoccupazione nella voce.
«Non è umana, e la morfina non farebbe effetto...» rispose Edward.
«Senti, piccola, dovrò tirare per rimettere a posto le ossa. Non vorrei farlo, ma devo perché potrebbero ricrescere male. Se senti troppo male smetto, d'accordo?».
La bambina annuì, ma era terrorizzata.
Carlisle prese la gamba destra e tirò, cercando di fare tutto con estrema delicatezza.
La bambina sbuffò di dolore, ma non emise un lamento.
Stringeva forte i denti, però.
Bella provò l'impulso di spingere via Carlisle e mettersi a coccolarla e a proteggerla, ma questa volta mise a freno il suo lato materno.
Dopo aver sistemato per bene le ossa, Carlisle prese le stecche e fasciò il tutto.
«Questo è provvisorio, poiché bisognerà sicuramente lavarla...» disse. Poi controllò se avesse ferite e, durante la perquisizione, lo sguardo cadde sulle mutandine macchiate di sangue proprio in prossimità della vagina.
Edward si irrigidì e i suoi muscoli si contrassero, Jasper sgranò gli occhi sconvolto mentre Carlisle mantenne la calma.
«Cosa c'è?» chiese di nuovo Bella in tono ansioso.
«È stata...» tentò di dire Edward ma la sua voce si troncò.
«Violentata» finì Jasper.
Si sentì uno scoppio che fece trasalire la bambina seguiti da passi che si stavano allontanando di corsa: era Jacob che si era trasformato. Non sopportava più la compassione che gli procurava la vista di quella bambina, perciò fuggì. Gli venivano in mente pensieri orribili su Renesme, perciò ebbe il bisogno fisico ed emotivo di andare da lei.
Bella sgranò gli occhi.
Non ci poteva credere... non voleva neanche pensare a una cosa così orribile.
Carlisle medicò un taglio vicino alla gola e uno molto profondo su un braccio. Quando concluse, disse: «Bene, adesso ti prendo in braccio e ti porto a casa nostra. Posso?» chiese prima di agire.
La piccola riflettè molto, anche se ci mise solo qualche momento.
Aveva paura verso i vampiri, ma questi le sembravano diversi e così gentili.
Anche i loro occhi erano dolci, di un colore che ispirava calore, non sete famelica.
Perciò annuì.
Non servì altro a Carlisle: la prese in braccio, lentamente, facendo estrema attenzione alle gambe.
«Andiamo» fece ai suoi famigliari.

____________________________________________________________________________________________

Eccomi di nuovo! Dato che avevo il capitolo pronto, ho pensato di pubblicarlo subito :).
Se avete commenti, critiche, impressioni da communicarmi, recensite ^_^

Un bacio,

Selyne

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** chapter two ***


Nota dell'autrice: Scusate tanto per il ritardo imperdonabile, ma i doveri scolastici non mi lasciano molto tempo! Comunque, in questo capitolo abbiamo un tuffo nel recente passato della nostra piccola... Scommetto che vi susciterà molte domade (i poteri rilassanti tipo quelli di Jasper ecc...). Se volete delle risposte, chiedete :).
Godetevi la lettura!
 






Capitolo tre - Il limite

a few days ago





Era l'alba e io passeggiavo nei boschi, senza una meta precisa. Mi ero già nutrita di un bellissimo e giovane cervo, quindi mi lasciavo trasportare dall'ebrezza causata dalla sazietà.
Sapevo che ad una certa ora sarei dovuta ritornare indietro, ma per il momento, volevo allontanarmi il più possibile dalle mie sofferenze. Avevo bisogno di un momento in cui potevo pensare liberamente, come ogni bambina di dieci anni.
Mi piaceva andare nel paesino situato ai piedi di grandissime montagne di cui ignoravo il nome. Non mi veniva insegnato nulla, né la geografia né la storia. Non sapevo nemmeno leggere o scrivere e nessuno si era mai degnato di insegnarmelo.
Comunque, arrivai a destinazione. Da due anni avevo preso l'abitudine di osservare gli umani: nascosta nell'angolo più buio, guardavo ogni istante di preparazione della loro giornata.
Tantissime volte mi ero ritrovata a invidiare quei bambini, circondati da tanto affetto e serenità, ciò che a me era del tutto sconosciuto.
Con estremo silenzio, mi arrampicai nell'abitazione che più preferivo. Vi abitavano cinque umani: una mamma, un papà, due bambini maschi e una piccola femmina.
Era la famiglia più allegra che io avessi mai visto, perciò mi aveva colpito.
Ero arrivata appena in tempo per assistere al risveglio della piccola Mary. Era davvero tenera ed emanava un odore davvero appetitoso. Non mi sarei mai azzardata neanche a sfiorarla: ero quella che i miei familiari chiamavano "rammollita" perché non volevo bere sangue umano, mettendo fine a delle vite innocenti.
Quando ero davvero tentata, richiamavo sempre alla mente il volto di Mary, e riuscivo a resistere a tutti i miei istinti.
La bambina in questione si svegliò e corse nella camera dei due fratelli maggiori. Questi l'accolsero con gioia e insieme, si diressero dai genitori ancora addormentati.
Quel giorno ero troppo amareggiata per assistere a tutti quei abbracci e bacini che, immagivavo, dovevano essere davvero dolci.
Vedere come quell'umana veniva trattata dai fratelli, mi aveva resa triste e particolarmente invidiosa: i miei, di fratelli, non facevano altro che procurarmi lividi e ferite.
Lasciai la presa dalla grondaia e saltai verso l'asfalto. Le strade erano ancora deserte, perciò potevo permettermi di farmi vedere.
Comunque, per precauzione, corsi con velocità tale da risultare invisibile all'occhio umano.
Corsi più in fretta che potei, prima che qualcuno potesse notare la mia lontananza. 
Se mi avessero scoperto, quella sarebbe diventata la mia ultima gita e mi avrebbero aspettato giorni al buio nella cantina blindata.
Ci riuscii: raggiunsi la grotta in cui avevo abbandonato il cadavere del cervo, appena in tempo. 
Due vampiri fecero la loro comparsa.
<< Ecco dov'eri, sacco di pulci >> mi disse sprezzante Asmus, uno dei fedeli servitori Vampiri di mio padre.
Io non risposi. Mi sedetti su una roccia, strappando con un bastone tutto il muschio che riuscivo a vedere. Era una mia bizzarra e inspiegabile abitudine.
L'altro vampiro, Nilan, entrò nella caverna, forse attirato dalla preda cacciata da me.
<< Bleah, che schifo. Non so come fa a nutrirsi di questa roba. Sono disgustato >> si lamentò.
Guadagnai un'occhiata sprezzante da Asmus.
<< Non so proprio come puoi essere figlia del Signore, ma sono cose che non mi riguardano. Su, vieni qui, piccola bastarda. Sei stata fuori abbastanza >>.
Reprimendo a stento un sospiro, scesi dalla roccia, ubbidiente. Quando Nilan fu uscito, partimmo alla volta della sontuosa dimora di colui che era mio padre. 
Correndo dietro ai due vampiri, prestai attenzione a ciò che dicevano.
<< Oggi sarà una giornata importante >> diceva eccitato Nilan, << verrà il grande Caius. Dobbiamo preparargli una calda e succulenta accoglienza. So già dove trovare delle prede che fanno al caso nostro >>.
<< Non è il momento di discuterne, Nilan. Più tardi avremo tutto il tempo >> disse Asmus, riservandomi un'occhiata ostile.
Non ci feci caso: la mia mente era rimasta ancorata alle parole di Nilan. Il grande Caius qui, oggi? 
Ciò significava solo guai. E prede portate vive, rinchiuse nei luoghi in cui dovevo abitare. Così assistevo alle loro ultime ore, ai singhiozzi impauriti che mi stringevano il cuore in una morsa di pietà e impotenza.
Il mio compito era quello di calmarli e rassicurarli, ma non ci riuscivo mai: come si porteva tranquillizzare una creatura coscente del fatto che non avrebbe più rivisto ciò che gli è caro?
La maggior parte delle vittime era costituito da giovani donne. Talvolta vi erano anche degli uomini, per somma gioia delle amanti del Signore.
Superammo il cancello elegante e attraversammo il sontuoso giardino. Era meraviglioso, ma non mi incantava più di tanto: apparteneva a crudeli e sanguinari vampiri, che odiavo con tutta me stessa.
Mi stavo dirigendo verso l'ingresso principale quando fui bloccata da Asmus, che mi stratonò verso di lui facendomi cadere.
<< Non osare posare i tuoi sudici piedi nell'ingresso appena lucidato, piccolo sacco di merda >> mi ringhiò stringendomi forte il braccio. Sentì le ossa scricchiolare, per la pressione.
Avevo gli occhi lucidi e stringevo i denti per non dargli la soddisfazione di vedermi piangere. Non l'avevo mai fatto e non avevo intenzione di cominciare.
Proprio quando il mio osso stette per cedere, Asmus mi scaraventò verso l'entrata secondaria, quella dei servitori Umani.
Atterrai sui miei piedi, con una posa che ritenni dignitosa. Poi, senza neanche girarmi a guardare la reazione del vampiro odioso, corsi verso la mia stanza. Durante il tragitto non fui notata da nessuno.
Dopo aver percorso, il più velocemente possibile, tutti gli alloggi sotteranei dei servitori Umani, scesi ulteriori scale, quelle che portavano alle cantine. E proprio lì, avevo un posto per me.
Aprii la porta e la chiusi alle mie spalle.
Era una stanza che ritenevo spoglia ed essenziale per dormire. Era dipinta di rosa ma tutta la muffa copriva quel colore in più punti. 
Nell'angolo più lontano vi era una brandina con una copertina pulita. Ai piedi del letto c'era un baule contenente qualche vestito rattoppato e sgualcito.
Ma l'oggetto che avevo più caro era il pianoforte a muro. L'unico oggetto della stanza che mi era stato concesso per regalo dopo che avevo eseguito un lavoro eccellente, due anni fa. 
Ecco dove viveva la figlia del grande e potente Mareus, il vampiro più temuto e rispettato di tutti i tempi.
Ero la sua unica figlia biologica, ma lui preferiva i suoi figli acquisiti. 
Mi aveva rinnegato per colpa del tradimento di mia madre, che aveva tentato di fuggire, invano. Aveva ottenuto la morte e un pessimo futuro per me, la sua adorata figlia, la ragione per cui aveva cercato di fare l'impossibile.
Era morta supplicando per il mio destino, ma mio padre fu spietato e volle eseguire la sanzione fino alla fine.
Così, ero trattata come un oggetto privo di valore da qualunque abitante dell'immensa villa. 
Sospirai. Mi faceva sempre male pensare alle mie pessime condizioni di vita. Quindi per distrarmi, mi diressi verso la mia unica valvola di sfogo: il pianoforte.
Mi ci sedetti davanti e cominciai a suonare. Ben presto chiusi gli occhi e lasciai che le mie dita scorressero su quei tasti.
Eseguii un brano di mia invenzione che mi ricordava il suono di voce di mia madre, Meriana.
Quando suonavo, perdevo la nozione del tempo. Ero così presa dalla musica, che quasi non sentii bussare alla porta.
Smisi immediatamente, provocando cosi una stonatura alla fine della melodia.
<< Haley, sono io, Trevor >> sentii.
Mi affrettai ad aprire. Trevor, uno dei servitori più umili, era l'unico che non usava la violenza con me, perché comprendeva cosa volesse dire essere maltrattati.
Era l'unica figura amica che avevo qui dentro.
I suoi genitori erano stati un pasto di mio padre due anni fa. Lui era stato risparmiato perché non era abbastanza buono, perciò divenne uno schiavo che lavorava da mattina presto a notte fonda.
Molte volte riuscivo ad aiutralo nelle sue commissioni, essendo più forte e più veloce, ma quando venivo scoperta, ci punivano entrambi.
<< Cosa c'è? >> chiesi.
<< E' arrivato un carico molto corposo. Vogliono che te ne occupi subito, nell'attesa che arrivi il grande ospite >> rispose il ragazzino Umano.
Non potevo far altro che ubbidire. << Fammi strada >> dissi piano, abbassando la testa, avvilita.
Trevor mi accarezzò i capelli, come per incoraggiarmi, poi si voltò e si avviò per il corridoio.
Durante il tragitto rimanemmo in silenzio. Arrivammo fino all'entrata delle cantine.
Prima ancora di arrivarci, fui investita da una moltitudine di profumi e sentii molte voci parlare in tono spaventato.
Asmus cercava di placare la folla con il suo fascino, ma vi erano anche delle bambine, troppo piccole per abboccare e troppo perspicaci per non capire il pericolo.
Quando mi vide, gli si dipinse un espressione di sollievo.
<< Ce ne hai messo di tempo >> sibilò piano, in modo impercettibile agli umani.
Io non risposi e mi concentrai per calmare e rilassare le prede. Scese piano, piano, un relativo silenzio. Si udivano ancora i respiri, e i cuori caldi e palpitanti.
<< Seguitemi, prego. Con me siete al sicuro >> dissi in tono tranquillo.
Mi incamminai verso le cantine. Asmus mi precedette in modo da poter aprire tutte le porte al mio passaggio.
Finalmente giungemmo a dieci stanze, arredate in modo confortevole alla vista umana.
La folla di gente si riversò e ognuno scelse il luogo che gli faceva più comodo.
Solo una piccola figura rimase in disparte. Era piccola, solo una bambina, sui cinque anni.
<< Entra piccolina, su >> disse Asmus in tono fin troppo dolce. La piccola ubbidì. Quando mi passò accanto, ebbi un tuffo al cuore. 
Quel odore, quei capelli ricci e neri... io gli avevo già visti. Era Mary, la bambina del paesino vicino.
Non poteva essere. Lei non poteva morire, così, sola. Che ne sarebbe stato dei suoi genitori? E i fratelli? resterebbero distrutti dalla sua scomparsa.
<< Non hai sentito quello che ho detto, bastarda che non sei altro? Togliti dalla porta che devo chiudere! >> ringhiò Asmus.
Ma io rimasi ferma ad osservare sconcertata e inorridita Mary che entrava e si sedeva su dei morbidi cuscini. Si guardava intorno, smarrita, con un'espressione di preoccupazione dipinta in volto. Era l'unica a non essere caduta in mio potere.
Feci per andare da lei ma fui fermata dalle mani veloci di Asmus.
<< Dove credi di andare? >> disse rabbioso, stratonandomi un'altra volta.
Mi divincolai. 
<< Lasciami stare! Ho detto, lasciami! Non posso lasciare quella bambina lì dentro >> gridai.
Asmus seguì il mio sguardo.
<< Quella rimarrà proprio lì. Non hai sentito che delizia? Sarà riservata personalmente a Caius come antipasto >> disse il servitore, con una nota di rammarico perché desiderava tanto assaggiarla.
Ero disgustata. Prima ancora che avessi potuto fare qualcosa, Asmus mi scaraventò via, lontano dalla porta cosicché potè chiuderla bene.
<< Asmus, lasciami prendere quella bambina, ti prego >> supplicai, rialzandomi e avvicinandomi ancora.
<< Ma oggi vuoi proprio farmi arrabbiare, eh? Sparisci prima che ti faccia pentire di essere nata! Hai già mangiato per oggi! Fatti bastare quella carogna per i prossimi sette giorni! >> ringhiò, spazientito.
Fui stupita per quelle parole. Capii che Asmus credeva che volessi cibarmi della bambina. Per fortuna ignorava le mie reali intenzioni.
Ammutolii. Non volevo assolutamente far arrabbiare Asmus. Avevo già imparato la lezione a mie spese.
Non potei fare altro che ritornare in camera mia spintonando ogni Servo Umano che incontravo.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1694123