Non so bene perché ma questa storia mi si è praticamente scritta da sola, non appena ho letto il titolo… anche se tutte le volte che la rileggo avr ei voglia di prendere Roy a randellate finché non gli venga la buona idea di aprire gli occhi e accorgersi di una certa donna, che guarda caso è anche il suo miglior tenente… Una di queste volte, lo farò sul serio.

 

 

 

1. Military personnel  (Personale militare)

 

 

Mentre lui si passava la mano tra i capelli per l’ennesima, disperata volta, gli avrebbe detto volentieri di lasciar perdere: se c’era qualcosa di indomito e ribelle al mondo, quel qualc osa erano i capelli di Roy Mustang. Erano la sua caratteristica e forse proprio una di quelle che lo rendevano tanto affascinante.

Gli avrebbe chiesto di non esagerare con la colonia.

Gli avrebbe consigliato di comprare qualcosa di diverso da un mazzo i margherite, considerando che era Dice mbre e le poverine si stavano congelando, su quella scrivania.

Gli avrebbe intimato di cambiarsi quella orribile crav atta nera che gli dava un’aria troppo seria, quasi da funerale.

Gli avrebbe detto che in qualsiasi modo avesse deciso di vestirsi, in divisa o meno, sarebbe rimasto l’uomo più affascinante nell’arco di 100 chilometri, sempre.

Lo avrebbe pregato di lasciar perdere la prenotazione in quell’assurdo e costoso ristorante: con un uomo del genere, a qualsia si donna sarebbe venuta voglia di saltare la cena e passare direttamente al dessert. A casa sua.

Ma soprattutto, lo avrebbe implorato di non uscire con quella donna, l’ennesima tra tante, stupenda ma inutile, appariscente ma vuota, sorridente ma falsa, che non era lei.

Che non sarebbe mai stata lei.

Invece gli augurò una buona serata, scattando sull’attenti e cercando di portare con sé quel sorriso appena abbozzato che le rivolgeva sempre prima di congedarsi.

Gli disse solo “Buonanotte, Colonnello.” .

Perché Riza Hawkeye era un soldato, il suo soldato, il suo tenente. Non la sua donna.

Solo una tra i tanti militari, del suo personale.

 

 

 

 

2. Gunshot   (Colpo di pistola)

 

 

Aprì la porta cercando di non provocare il minimo scricchiolio. Tentò di distinguere il profilo dei mobili che così bene conosceva, nell’oscurità diradata solo dalla luce morbida della luna, che filtrava tra le persiane semi chiuse.

A tentoni, raggiunse la camera da letto, trattenendo il respiro per paura di poter svegliare la figura accoccolata sotto le coperte.

Lentamente, molto lentamente, si sfilò gli stivali e cercando l’armadio nel buio, cominciò a sbottonare la divisa. Ma durante il tragitto qualcosa di duro, forse la gamba del letto, colpì il suo alluce scalzo, facendogli vedere tutte le stelle dell’universo e anche qualche pianeta. Come se non bastasse, mentre saltellava maledicendo silenziosamente una qualsiasi potenza superiore, ebbe la sfortuna di pestare la coda di Black Hayate, il quale non solo si svegliò, lacerando il silenzio con i suoi latrati, ma gli morse addirittura il piede, non avendolo riconosciuto, nello stordimento del dolore. Il rumore di uno sparo mise fine a quel baccano, mentre il proiettile, passatogli a pochi centimetri dalla tempia, si conficcava nel muro, dietro la sua test a.

“Ti sembra l’ora di rincasare? Sono le due e mezza… e hai pure svegliato Hayate!”

Deglutendo alzò gli occhi sulla donna ormai sve glia e dritta davanti a lui, i capelli dorati disordinatamente sciolti sulle spalle, la pistola in mano e gli occhi scintillanti nel buio, come quelli di un falco.

Tanto bella quanto micidiale, non poté trattenersi del riconoscere.

Riuscì a balbettare qualcosa su dei documenti che non era riuscito a firmare in tempo, e sulla presunta incompetenza di Havoc e Breda, prima che un secondo sparo riecheggiasse nella stanza, questa volta facendogli passare il proiettile direttamente fra le gambe.

Fu quello il momento in cui il Furer Roy Mustang capì che se voleva conservare un po’ del suo orgoglio, nonché l’integrità della sua mascolinità, quella notte avrebbe dormito sul divano.

 

003. Battlefield   (Campo di battaglia)

 

 

“E’ molto semplice: le pedine si muovono una casella alla volta, sempre in avanti, tranne quando hanno la possibilità di ‘mangiare’. In questo caso, si spostano esclusivamente in obliquo, sempre di una casella.”

Riza annuì, concentrandosi ancora un volta sulla scacchiera.

Non amava quel gioco, per il semplice motivo che non ne conosceva le regole. E per Riza Hawkeye le regole erano fondamentali.

“La torre si muove solo orizzontalmente e verticalmente, per un numero a piacere di caselle, avanti o indietro. Stesso discorso per quanto riguarda l’alfiere, con la differenza che questo pezzo può spostarsi solo sul colore in cui si trova dall’inizio della partita, per cui in obliquo.”

Si era accertata che il colonnello avesse realmente finito di firmare la pila di documenti della giornata (senza incenerirla e nasconderla sotto il tappeto, come amava fare), prima di cedere alle sue insistenti richieste.

Di solito era Falman ad offrirsi al martirio di quelle sfide, ma quel pomeriggio era fuori per una commissione e al colonnello era venuto a mancare il suo rivale preferito. Breda e Havoc erano di pattuglia, in giro per la città (traduzione: dietro una qualsiasi cosa che avesse anche la vaga forma di una gonna o di un panino) e Fuery si era offerto di portare Black Hayate dal veterinario.

In poche parole, Riza non aveva avuto scelta.

“Il cavallo è un po’ più complicato… Si muove tre caselle alla volta: due avanti e una laterale, oppure una avanti e due di lato, a piacere. E’ uno dei pezzi che preferisco perché è impossibile sapere dove colpirà, fino all’ultimo secondo prima della mossa: totalmente imprevedibile…”

A nulla erano valse le sue proteste. Il colonnello le aveva liquidate candidamente una ad una, mentre disponeva i suoi pezzi sulla scacchiera.

Certo, Roy Mustang si stava rivelando un ottimo insegnante, paziente e chiaro nelle spiegazioni…

“Ora veniamo ai pezzi più importanti: questa è la regina. E’ la più pericolosa, nonostante l’aria così… ‘femminile’… Può spostarsi in qualunque direzione desideri, per il numero di caselle che ritenga opportuno. Quando si muove, colpisce. E per il malcapitato sono guai…”

Mentre giocherellava con il pezzo suddetto, accarezzandolo quasi, con le dita guantate, le rivolse un sorriso sornione.

“Mi ricorda un po’ lei, tenente…“

Riza non riuscì ad impedire al suo viso di assumere una sfumatura pericolosamente scarlatta.

Prese in mano l’ultimo pezzo rimastole ancora sconosciuto, una scusa per abbassare lo sguardo.

“E questo?”

“Questo è il re. E’ il più importante, perché è lui a determinare la sconfitta o la vittoria. L’obiettivo, negli scacchi, è circondare il re avversario. Non ucciderlo, badi: solo circondarlo, rendergli impossibile ogni mossa, impedirgli ogni via di fuga. Sistemato il re, non importa quale sia lo stato dello schieramento sul campo: la partita termina immediatamente.”

“Capisco.”

Quando il comandante è eliminato, la truppa è dispersa, senza più ordini o direttive. Esattamente come un esercito vero. Un chiarissimo, efficace e spietato concetto.

“Il re può essere circondato e bloccato da qualsiasi pezzo, pedine incluse. In questo senso, ogni pezzo è fondamentale nella manovra di accerchiamento, nonostante le caratteristiche così diverse di ognuno. Per questo stesso motivo, sarebbe opportuno limitare al minimo i sacrifici…”

Ancora una volta, Riza annuì, mentre rigirava tra le dita il re nero.

Roy glielo tolse di mano, facendola sussultare, e come lei si soffermò sulle forme del legno scuro, scolpito ad arte, studiandone le linee severe e dignitose.

“Per il resto, il re è inutile. Può andare dove vuole, ma esattamente come una pedina, avanzando  una sola casella alla volta. E’ lento, è goffo e inutile nelle situazioni di emergenza. Bloccato, legato. Inutile. Per questo si tende a lasciarlo al suo posto di comando, al sicuro, sul bordo della scacchiera, protetto a costo della vita, fino alla fine della battaglia. Solo.

Lo si lascia ad aspettare e a guardare, senza che possa fare nulla di concreto per il suo esercito.”

Il colonnello strinse la piccola scultura di legno tra le dita, solo un attimo, prima di riporla al suo posto, sulla sua casella.

“E’ buffo, no? E’ il pezzo più potente, ma anche il più indifeso. Manda avanti gli altri e osserva le conseguenze delle sue decisioni, senza poter intervenire in tempo se qualcosa non va come aveva sperato: imperdonabile…”

Riza sorrise, un sorriso un po’ amaro, per il modo in cui il suo superiore si stava immedesimando. Quietamente imitò Roy nel sistemare la sua metà della scacchiera, ricoprendola con il suo schieramento bianco.

“Non è così.” Sussurrò appena, già assorta sulla prima mossa che il colonnello, molto cavallerescamente, le aveva lasciato.

“Senza il re, la truppa non avrebbe un obiettivo, uno scopo. Le guerre non sono fatte dai singolo uomini, ma da gruppi uniti dietro un ideale. E questo ideale è la lealtà. Senza di questa, non ci sarebbe nulla per cui sacrificarsi. E morire inutilmente, è la paura più grande di un soldato…”

Sollevò lo sguardo, fissando le iridi ambrate su quelle scure del suo comandante.

“La strategia e la guida sono compiti del re. Ai soldati rimane solo la dimostrazione del loro amore, io credo…”

Roy rimase momentaneamente basito, gli occhi spalancati e un’aria curiosamente sorpresa dipinta in viso. Un’espressione un po’ buffa, per un ufficiale…

Osservò il suo tenente per qualche secondo, per poi aprire i suoi lineamenti in uno dei suoi sorrisi più belli e veri.

“Lo sa, tenente? E’ da una vita che gioco a scacchi… ma non avevo mai considerato questa sua possibile interpretazione del gioco. Una visione molto romantica, non c’è che dire, ma anche…”

Il sorriso si incrinò leggermente, una questione di sfumature quasi invisibili a occhio nudo.

“… triste…”

Riza osservò preoccupata il suo colonnello, osservò l’uomo e il re.

Comprese per la prima volta il suo scomodo punto di vista, quello di chi può solo accettare la lealtà degli altri senza poter dimostrare la sua. Ricevere senza poter dare in cambio. Era davvero qualcosa di profondamente triste…

“Io credo, signore, che la lealtà non stia unicamente nel sacrificio. La lealtà si può dimostrare in tanti modi diversi, e non necessariamente offrire la propria vita è l’espressione più grande di tale sentimento…Il sacrificio è più un eccezione inevitabile, che una regola. Tuttavia…”

Riza appoggiò un indice sottile dietro la pedina bianca alla sua sinistra, spingendola avanti e dando finalmente inizio alla partita.

“Tuttavia sapere che il proprio re nutra tali preoccupazioni anche solo per l’ultima delle sue pedine, è un motivo più che valido per continuare a seguirlo ciecamente e affidarsi completamente a lui.”

“Ma noi siamo esseri umani, tenente, non pezzi di legno schierati.”

La interruppe lui, mentre ignorava volontariamente la pedina bianca per passare oltre, senza mangiarla. Sfortunatamente per lui, la donna se ne accorse.

“Non sia così tenero con me solo perché sono una principiante, colonnello! Mi tratti esattamente come tratterebbe Falman, se fosse al mio posto, per favore…”

“Non mi è possibile, tenente, mi dispiace…” le sussurrò piano, sorridendo in un modo che Riza avrebbe definito molto dolce, se non si fosse trattato di un suo diretto superiore.

“Esattamente come stavo dicendo, noi siamo esseri umani. E come tali soggetti a sentimenti diversi. Per noi c’è dell’altro oltre la scacchiera, oltre il campo di battaglia: un’altra vita, altri luoghi, altre persone, che il nostro cuore ritiene più o meno importanti, più o meno sacrificabili…”

Dolce e penetrante. Erano le uniche parole di senso compiuto che riempirono la sua mente, quando lui sostenne per secondi eterni il suo sguardo.

“Non potrei mai trattarla nella stessa maniera in cui tratto gli altri miei subordinati, tenente… a meno che…”

Il solito ghigno malizioso che lo contraddistingueva, si riappropriò dei suoi lineamenti in un batter d’occhio.

“Tenente, se vincessi io, potrei azzardarmi ad invitarla a cena, questa sera?”

Riza Hawkeye non amava perdere. O almeno così credeva…

 

 

Snif…grasie a tutti per i commenti che avete lasciato… vi assicuro che in un’impresa come questa sono davvero d’aiuto! Non so se ce la farò a scrivere i capitoli nel loro ordine naturale… ma ci proverò!!!

Dunque dunque, questo capitolo è una Royai nel senso che parla della nostra coppia di beniamini, anche se indirettamente… Mi spiace, ma con  questo titolo ne ho lette così tante, diciamo, a tema “macabro”, che mi è venuta una vera e propria allergia! Per cui, non vi preoccupate… per ora! (hua hua hua…)

 

 

4. Grave (Tomba)

 

 

“Ciao…”

“Oh, ecco a voi il nuovo, meraviglioso e insuperabile Furer: Roy Mustang! Applausi, prego…”

“Eddai, basta…”

“Bè? Che è quella faccia? Se non ti conoscessi, direi quasi che tu non abbia mezza voglia di guidare questo paese… che c’è? Non vogliono approvare la tua riforma sulle minigonne?”

“Ma finiscila, un  buona volta… Razza di idiota, sei sempre il solito!”

“Già, e a quanto pare non cambierò mai, vero? Immutabile… mi piace questa parola.”

“E… com’è?”

“Cosa?”

“Intendo…”

“Ah. Niente di che. Una noia mortale. E il clima è un po’ troppo monotono, a mio modesto parere…”

“Capisco.”

“Già. Non evadere le mie domande, Mustang! Avanti, qual è il problema? Sei arrivato dove volevi, in cima… cosa vuoi ancora, stavolta?”

“Lo sai…”

“Non si può. Non mi deludere così, Flame Alchemist: pensavo che tu tra tutti lo avessi capito. Ci sono delle regole…”

“Le regole sono fatte per essere trasgredite…”

“Non questa, Roy. Mi dispiace.”

“Anche a me.”

“Non me la stai raccontando giusta, ad ogni modo. Pensi di darla a bere a me? Hai sbagliato persona, caro il mio Furer!”

“hai ragione. Ma non è facile da dire…”

“Prova. Ti ascolto.”

“Vorrei chiederti un consiglio, a dire la verità…”

“Questa è bella! Dannazione, come vorrei poterlo dire a tutti! Per una volta che chiedi l’aiuto di qualcuno…”

“Ok, ho capito: me ne vado.”

“Torna qui, razza di cretino! Stavo scherzando! Dai, continua, prima che anche tu faccia la muffa…”

“Se tu dovessi… Cioè, quando hai chiesto la mano di tua moglie… metti caso che fosse stata nell’esercito, ecco, e che fosse stata una tua subordinata…”

“Tu, porre le domande in modo chiaro e intelligente, mai, vero?”

“Senti, faccio del mio meglio! E’ che la cosa p complicata…”

“Ma dove, Roy? Dove è complicata? E’ la cosa più semplice. L’amore è sempre la cosa più semplice. Sembra che tu sia l’unico a non averlo capito. Datti una svegliata! Comunque io ho chiesto a Gracia  di sposarmi urlandoglielo praticamente in faccia, una volta sceso dal treno che da Ishbah mi aveva riportato a casa… non te lo ricordi? C’eri anche tu.”

“Ah, già… eh eh…”

“Hey, era una proposta in piena regola! Persino originale, se proprio lo vuoi sapere. Passerà alla storia come la proposta di matrimonio più rumorosa di tutti i tempi!”

“Già, degna di te, non c’è che dire…”

“Vedi di darti da fare anche tu, va bene? Sorprendila, Roy: toglile letteralmente il respiro, falle spalancare gli occhi e urlare di gioia. E’ la cosa più bella che puoi fare per lei. E per te,per non dimenticarlo mai, quel momento. Fatti venire qualche idea, Flame Alchemist!”

“Ci proverò, ci proverò… Ah, Maes?”

“Mhn?”

“Grazie: mi hai sostenuto fino a qui… mi è rimasta solo quest’ultima cosa da fare, quest’ultimo desiderio. Dio, Maes!E da così tanto che…! lMa tu lo sai, no? Lo hai sempre saputo… Sì.”

Un leggero alito di vento improvviso, lo fece rabbrividire. Risa, una risata vera, finalmente. Liberatoria.

“Sì. Penso di riuscire a lasciarti andare, adesso. Adesso sì. Grazie.”

Per la prima volta dopo tanto tempo, la fredda lapide bianca, circondata dal verde, rimase muta.

 

 

Ok, con questo titolo ho avuto SERI prob lemi. Tutta questione di traduzione, purtroppo. In pratica secondo il mio fidato ma limitato dizionario di giapponese questa parola ha un doppio significato (da cui il gioco di parole): “arma” e “impassibilità”. Però la traduzione in inglese che ho trovato su un atro sito, dava la parola “Fine” che vuol dire anche “grazia”, “eleganza”… Per cui, dopo questo bel minestrone linguistico, chiedo scusa se di conseguenza anche la mia fic è un po’ incasinata…

 

 

005. Heiki& Heiki (Weapon and fine)

 

 

Una pistola era un arnese che incuteva sempre un certo timore reverenziale, persino quando era riposte nella fondina, come un belva feroce addormentata placidamente.

I meccanismi complicati e micidialmente efficienti, generavano in ogni luogo e situazione una paura primitiva, per tutto ciò che in un attimo fulminante può fare male, molto male. Persino togliere la vita.

Ma lei sembrava non rendersene conto, o forse a causa dell’abitudine aveva sviluppato con l’oggetto in questione una familiarità particolare pari solo a quella creatasi con il suo cane.

Lei, con le dita sottili e pallide che stringevano con sicurezza il calcio della pistola, e il dito leggero pronto a scattare, fermo e sicuro, come se fosse stato anch’esso uno degli ingranaggi.

La velocità con la quale era capace di smontare completamente e pulire quell’aggeggio, lo lasciava sempre a bocca aperta, distraendolo dai suoi documenti in attesa di essere visionati.

Un ‘click’ improvviso, la vista della canna scura della pistola già rimontata, puntata minacciosamente verso la sua fronte,  e la distrazione fu bruscamente interrotta.

Con gli occhi assentemente vaganti per il foglio però, li colonnello non poté fare a meno di continuare a distrarsi, a fantasticare su cosa quelle mani così precise sapessero fare, oltre a premere un grilletto sei volte in un decimo di secondo, e maneggiare con grazia un tale strumento di morte.

Una distrazione da uomo, che lei stessa non avrebbe saputo come fermare, perché era nei suoi pensieri, al sicuro dietro le impenetrabili pareti del suo cranio. Dentro la sua mente, nei momenti di noia o di sconforto, sempre.

A ricordargli che c’era dell’altro, un’altra Riza, un altro paio di mani, capaci anche di accarezzare, toccare, sfiorare ogni angolo del suo essere, nonostante lei stessa non se ne rendesse conto.

La sua fantasia preferita, che lo faceva sorridere, così, all’improvviso.

E lo spingeva a desiderare, una volta di più, di essere quella pistola.

 

Un chiarimento veloce veloce. Questa fic si colloca nel volume 10 del fumetto, dopo che Roy si è arrabbiato co=n Riza per essersi rassegnata alla sua morte durante il combattimento con Lust, tanto da desiderare la morte, per lui… Secondo me, questo episodio è tra quelli fondamentali nella loro relazione: se Roy non avesse tenuto tanto a lei, non l’avrebbe rimproverata… lo ha fatto anche per proteggerla da se stessa, e dalla grandezza di quel sentimento di cui lui stesso cominciava ad essere cosciente… mah, bando alle congetture e ai miei viaggi mentali! Buona lettura!

 

 

006. Death (Morte)

 

 

Il colonnello riposava nel letto vicino, finalmente addormentato, mentre Havoc fumava la sua decima sigaretta, con lo sguardo perso nel vuoto.

Riza non se la sentì di rimproverarlo per quella sua brutta abitudine, vietata oltretutto nell’ospedale, non se la sentì di negargli ciò che in quel momento era l’unica consolazione dopo la disgrazia.

Inoltre sentiva in qualche modo che la sua autorità sarebbe sembrata fuori luogo, dopo i rimproveri rabbiosi del colonnello.

“Tenente…”

Il sussurro del suo sottoposto la riportò alla realtà, destandola dal torpore che il silenzio e la quiete stavano creando.

“Tenente, lei teme la morte?”

Rimase sorpresa, non tanto per la domanda, ma per il fatto che fosse proprio uno come Havoc a porla. Si corresse amaramente: l’Havoc davanti a lei non era più quello di prima… non sarebbe tornato ad esserlo per molto tempo, forse mai più.

“Non pensa che invece sia una liberazione, quando non rimane più nulla?”

Riza abbassò il capo. Sapeva cosa avrebbe dovuto rispondere, per il bene stesso del suo soldato.

Ma , semplicemente, non poteva farlo.

Non poteva, quando lei stessa sia era arresa a un simile pensiero, a un simile desiderio, meno di un giorno prima. Se non ci fosse stato Alphonse, se non si fosse impuntato nel volerla tirare fuori viva da quel luogo, a tutti i costi, lei si sarebbe arresa.

Si era arresa.

Prima l’incredulità, poi la rabbia cieca, che era diventata un’ira disperata. Aveva sparato tutti i colpi che aveva con se, una pistola dopo l’altra, un proiettile dopo l’altro, inutile.

Inutile il tentativo di uccidere quell’essere, inutile il suo tentativo di alleviare ciò che di lì a poco si ra trasformato in dolore.

Non pensava di poterne provare tanto, tutto in una volta. Straziante, lancinante dolore.

Una piaga nell’anima, come se gliela stessero strappando via a forza, a morsi. Divorata, da quel dolore, divisa in due, in tre, in mille pezzi.

Non pensava, non credeva che una come lei…

Poi era venuta l’apatia, la resa. Le lacrime.

Lei, che aveva pianto solo per il funerale di suo padre. Lei, che non si permetteva mai un simile lusso. Lei che non pensava di esserne ancora capace…

E Havoc aveva ragione, era una sensazione di liberazione, subito dopo il male, subito dopo le urla, la polvere, il rumore assordante del suo cuore impazzito. Subito dopo l’ultimo pensiero razionale che le diceva in tutta la sua crudeltà che non era rimasto più nulla per cui valesse la pena proseguire. Non senza di lui.

Un improvviso e dolcissimo disinteresse per tutto.

“Lasciami qui!” aveva urlato ad Alphonse. Povero bambino… così attaccato alla vita, così pieno di cose, di sogni e... Ma lei era vuota.

Lasciami qui con lui…

Voleva solo scivolare via, con lui. passare oltre quel confine così spietato e labile… così crudele…

No, se avesse temuto la morte, non avrebbe accettato di consacrare se stessa come scudo vivente di un uomo solo, se l’avesse temuta dal profondo dell’anima non avrebbe sparato tutti quei colpi inutili, piangendo, urlando, crollando miseramente… se avesse temuto la morte non le si sarebbe arresa così completamente. Tuttavia…

“Sì, temo la morte...” confessò, mentre con la coda dell’occhio osservava l’alzarsi e abbassarsi regolare del petto di quell’uomo addormentato, dietro di lei.

“…ma non la mia.”

 

 

L’idea originale era di fare uno skatch comico, ma mi sono resa conto presto che l’immagine “Riza-che-rincorre-Roy-sventolando-una-pistola” si vede un po’ troppo spesso (e inoltre l’avevo già almeno in parte trattata, in Gunshot). Per cui, rimaneva solo questa opzione. Non è il massimo dell’originalità, ma questo episodio particolare è uno dei punti della loro relazione che mi sarebbe piaciuto approfondire. Tornerà fuori sicuramente, magari immaginando situazioni diverse: in questa mi interessava soprattutto descrivere la lenta crescita “sentimentale” di Roy. Spero di esserci riuscita… Buona lettura! P.S:IN QUESTO CAPITOLO SI MENZIONANO SITUAZIONI INEDITE QUI IN ITALIA!

 

 

007. Crime and punishment (Crimine e punizione)

 

 

Doveva saperlo.

Doveva capirlo prima, che sarebbe stato scoperto.

Se aveva potuto farlo Maes a suo tempo, per uno come King Bradley era stato sicuramente un gioco da ragazzi. Era così lampante, lo era diventato prima che avesse avuto il tempo di fare qualcosa, prima che avesse potuto impedirsi un simile lusso, una simile distrazione.

O forse, semplicemente, non aveva voluto fermarsi.

Era così… piacevole. Così piacevole che vi si era abbandonato, senza esitazioni, senza dubbi.

Che male c’è? aveva pensato. Che male possono fare, degli innocui  pensieri?

Era stato stupido. Avrebbe dovuto saperlo, che quei pensieri si sarebbero rivelati nocivi, a lungo andare. Stupido, sì: si era dato dello stupido, ormai così tante volte…

Stupido per non essersi posto un freno, un limite da non oltrepassare. Ma come avrebbe potuto?

Un simile legame…

Non si era trattato di un’ebbrezza improvvisa, una vampata di calore tanto intensa quanto breve, passeggera. No. Era un pensiero, persistente, discreto ma tenace.

Gli era cresciuto dentro, poco a poco, l’aveva sottovalutato – imperdonabile! – l’aveva ignorato, e senza rendersene conto aveva cominciato ad apprezzare quella presenza, ad accarezzarla soprappensiero nei momenti di noia. Aveva cominciato a gioire segretamente di quelle vicinanza più profonda, di quelle piccole dimostrazioni, quel modo diverso di osservarla, di parlarle, di sorriderle, anche di nascosto, anche solo nelle sue fantasie.

Piccole cose. Piccoli indizi, piccole colpe che si aggiungevano ogni volta al fardello del suo crimine, fino a renderlo così grande, così insopportabile, da non poterlo più tenere nascosto.

Era vietato, era sbagliato, era la sua vera, forse la sua unica debolezza.

Il Furer non aveva dovuto fare altro che guardare un po’ più da vicino, per accorgersene.

“Il tenente Hawkeye è stata promossa a mia assistente, con effetti immediati. ”

Doveva saperlo. Ma se ne era reso conto troppo tardi, quando ormai non poteva più tornare indietro, quando quell’onda che lo trascinava alla deriva era diventata ingovernabile, non più riducibile a banale pensiero, a mera voglia. Ecco la sua colpa.

E non aveva calcolato che la pena per il suo crimine potesse colpire anche lei. Lei, innocente in quanto oggetto di quel desiderio, senza neanche saperlo.

Non poteva perdonarsi che fosse successo.

Per questo le aveva detto “Mi dispiace”, mentre lei usciva da quell’ufficio, la scatola con le sue ultime cose tra le braccia e gli occhi più irrequieti del solito.

Ma quel sorriso che gli aveva rivolto, segreto e fuggevole, da sopra la spalla, non lo avrebbe scordato mai più.

Perché in un attimo, aveva capito di non essere il solo colpevole.

Una parentesi breve di quotidianità, dopo l’episodio 51. Della serie: “Come rendere piacevole fare la spesa”…

 

 

008. Store-lined streets (Strade di mercato)

 

 

Non aveva voluto saperne, di usare il bastone.

“Mi fa sembrare vecchio!” aveva protestato con tutte le sue forze , impuntandosi come un bambino. Per questo, da quando era riuscito ad alzarsi da quel letto sfatto, gli aveva afferrato il braccio senza più lasciarlo andare.

La cosa non sembrava disturbarlo, dopo tutto… meglio così.

Anche perché senza quel supporto discreto e fedele, sarebbe crollato faccia a terra al primo passo.

Camminavano ormai da un’ora, schivando di tanto in tanto il trotterellare insistente di Black Hayate e la folla che li schiacciava come tra due muri, non appena la strada si stringeva.

Il frigorifero ormai definitivamente vuoto del colonnello, era un esempio di desolazione  che Riza non aveva potuto sopportare oltre, ma quando gli aveva comunicato che sarebbe uscita per fare rifornimento, lui aveva cominciato a dare segno di impazienza e irrequietezza. Aveva voglia di tornare all’aria aperta, dopo quasi due settimane di convalescenza, troppo poche secondo il suo tenente, ma comunque difficilmente sopportabili.

E il solo, la gente, l’aria fresca che cominciava a scaldarsi mentre la chiesa vicina suonava le undici, avevano davvero fatto miracoli, questo Riza doveva riconoscerlo.

Ma per sicurezza, continuava a tenerlo a braccetto, a sorreggerlo, a prevenire ed evitare il minimo passo falso, anche il più piccolo segno di stanchezza.

Inaspettatamente, si rese conto che lui per primo non si vergognava di quella sua debolezza, lui per primo le sorrideva, zoppicando con naturalezza in mezzo alla gente, lui per primo accettava quell’aiuto che lo teneva in piedi. Non solo, ne era in qualche modo orgoglioso e gratificato.

“Dunque… penso che il pane posa bastare fino a dopodomani. Però la carne non possiamo prenderla tutta in una volta, o andrà a male. Ne prenderò un altro po’ domani, prima di venire da lei.” Disse lei, sbirciando la lista stropicciata scritta a matita che teneva in bilico sul sacchetto ormai pieno di mercanzia.

“Non disturbarti, tenente. Ho passato anche intere settimane a digiuno, non sarà certo un pasto saltato a darmi il colpo di grazia!”

“Con tutto il rispetto, colonnello: non se ne parla proprio! Deve mangiare, soprattutto adesso che è in convalescenza… a proposito, c’è qualcosa in particolare che le piacerebbe avere per pranzo, oggi?”

“Pensi di imboccarmi come l’altra volta?”

“Si, se è l’unico modo per accertarsi che lei mangi!”

“D’accordo, d’accordo…”

Cominciò a guardarsi intorno, storcendo il naso davanti ai cespi di insalata e alle casse di verdura esposte sui marciapiede, all’ombra dei tendoni.

“Tutto, tranne quella roba…”

Troppo tardi. Se c’era qualcosa su cui Riza non transigeva, era il consumo di vitamine.

“E’ un bel quartiere, questo.” La sentì commentare, mentre sceglieva le mele migliori dal banco della frutta.

“In poche stradine si può trovare tutto ciò di cui si ha bisogno o che si desidera: cibo, oggetti per la casa, vestiti…”

Al colonnello non era sfuggito lo sguardo languido che la sua sottoposta aveva rivolto ad un elegante vestito di seta blu, nella vetrina della boutique all’angolo. Decise di non dimenticarsene, per poter sfruttare al meglio in futuro, quel genere di informazione…

Riza si chinò per osservare meglio uno dei frutti rossi e lucidi tra le sue dita, precludendosi la vista del sorriso dolce e silenzioso, comparso all’improvviso sul viso di lui, alle sue spalle.

“Già. Proprio tutto quello che si può desiderare…”

 

 

 

“Quante cose che non sai di me…

Quante cose che non puoi sapere!”

                                 Elisa&Liga

 

Mi sono sempre chiesta come Riza avesse reagito all’arrivo di quello sconosciuto a casa sua, nella sua vita, nella sua famiglia…mi sono accorta a posteriori che la situazione che si è creata, potrebbe essere l’antenato dell’indisposizione di Roy per le letture noiose… ATTENZIONE! IN QUESTO CAPITOLO SI MENZIONANO SITUAZIONI ANCORA INEDITE QUI IN ITALIA!

Buona lettura!

 

 

009. Unknown past: before we know each other

(Passato sconosciuto: prima che ci conoscessimo)

 

 

La biblioteca era solo una delle tante stanza della villa, prima che arrivasse quel ragazzo. Non era una lettrice assidua e costante, le parole stampate e tutti quei i cerchi arzigogolati la lasciavano indifferente,m con grande dispiacere di suo padre, che già aveva fatto dei progetti su di lei, fin dal giorno della sua nascita. Progetti falliti, tanto che io vecchio Hawkeye aveva accettato di buon grado l’intrusione nella sua vita e nella sua casa di un completo estraneo, come allievo.

Riza lo vedeva di rado, solo in occasione dei pasti, consumati in fretta e immerso sempre in discussioni incomprensibili  con suo padre. Non era che una ragazzina, allora. Ripensandoci a posteriori, era lampante che fosse gelosa di quell’estraneo che con tanta facilità si era introdotto tra lei e suo padre e gli parlava, riuscendo – ma come? -  ad attirarne l’attenzione.

Forse proprio per questo primo abbozzo di odio, aveva cominciato a seguirlo, ad osservare ogni sua mossa. Non sempre le era possibile: aveva la scuola, e l’occhi intransigente di suo padre la seguiva con particolare intensità, quando lui era nei paraggi. Di cosa avesse paura, poi., Riza non riusciva proprio a capirlo…

Grazie a i suoi pedinamenti però, era riuscita a scoprire che il ragazzo si rifugiava nella biblioteca per svolgere i compiti lasciatogli dal suo maestro in tutta tranquillità, puntualmente seduto sulla sedia di legno scuro – quella della mamma! – la schiena ricurva e lo sguardo assorto sugli spessi fogli, impilati davanti al suo viso, quasi a nasconderne i tratti.

Riza decise allora di riconciliarsi con la carta stampata.

Non poteva certo leggere i volumi di alchimia del padre: se ne sarebbe accorto e avrebbe mal interpretato quello che era solo un falso interesse. In poche parole, l’avrebbe scoperta, senza contare che avrebbe completamente frainteso la situazione… e Riza non sapeva quale delle due opzioni fosse la peggiore.

Fu in quel periodo che scoprì i vecchi romanzi rosa di sua madre. Non sapeva di quella sua passione, del resto il vecchio non parlava mai di lei, figurarsi dei suoi gusti letterari!

Dovevano rappresentare solo una copertura per seguire meglio i movimenti dell’intruso, ma quei libricini rosa confetto, stucchevoli nella copertina e nel contenuto, diventarono poi un piacevole passatempo, una brutta abitudine – ai suoi occhi di donna intransigente -  che nemmeno da adulta avrebbe saputo interrompere.

Grazie a quel suo piccolo stratagemma riuscì ad eludere la sorveglianza del genitore più volte, senza mai destare il benché minimo sospetto. D’altra parte non sarebbe successo comunque: da molto ormai quell’uomo sembrava non vederla nemmeno, una presenza invisibile…

Cominciò dunque con la sua osservazione dell’intruso: era un ragazzo della sua età, forse di qualche anno più grande, due o tre al massimo. I capelli corvini e ribelli, gli occhi ugualmente scuri, le mani grandi. Sembrava anch’esso non accorgersi della sua presenza, immerso tra le carte e le pergamene.

Le diede l’impressione di essere uno studente diligente e disciplinato.

Dovette ricredersi quando un giorno, lo sentì russare rumorosamente, la guancia tra le braccia, appoggiato a un volume polveroso.

La situazione era imbarazzante, non sapeva se svegliarlo prima dell’arrivo di suo padre, e rompere così le ostilità nei suoi confronti, oppure ignorarlo.

Optò per una terza opzione.

Si avvicinò, per guardarlo più da vicino: nonostante la sua presenza quasi costante nella biblioteca, non aveva mai avuto occasione di osservarlo da una distanza inferiore ai due o tre metri. D’altronde, era un possibile rivale: doveva tenere le distanze.

Ma quella volta fu diverso.

Il suo corpo si mosse da solo, cogliendo l’occasione senza pensare.

“E’ indifeso” si diceva, per convincersi ad andare avanti; “Ha abbassato la guardia: non può fuggire…”

Fuggire da cosa? Non lo sapeva nemmeno lei.

Sapeva che non si sarebbe mai azzardata a colpirlo, nonostante la gelosia, l’ira e l’astio che aveva covato dentro di se per quel breve periodo: avrebbe solo peggiorato la situazione.

Ma gli si avvicinò comunque.

“E’ cari-…”

Zittì la stupida vocina, dentro la sua mente, che si era azzardata a esprimere un commento così frivolo, prima che si spingesse troppo oltre.

Rimase in silenzi, a guardare, senza riuscire a decidersi sul da farsi ma cercando di imprimere nella memoria quanto più poteva vedere di lui, come se il fatto di averlo sorpreso in un momento così intimo e privato, la ponesse in una posizione di superiorità.

Si annoiò ben presto di quel gioco stupido: non le era mai piaciuto il detto “Guardare e non toccare”. E quei capelli sembravano così morbidi…

Suo padre entrò nel momento esatto in cui allungava la mano.

“Roy!”

Già. Roy. Aveva chiamato lui. Aveva visto solo lui.

Lei, per quanto ne sapeva, era come se non esistesse più.

Si raddrizzò da scatto, raccogliendo il romanzo caduto sulla moquette, e uscì, quasi di corsa, senza voltarsi, mentre il ragazzo si svegliava di soprassalto, spalancando gli occhi.

Quello non era “Roy”: quello era solo e ancora una volta “l’Intruso”. Non sarebbe mai stato altro, per lei.

Ciò che non notò, fu proprio lo sguardo del suo rivale, che per la prima volta riuscì a dare un nome a quella presenza costante e discreta, quella silenziosa compagna di letture su cui non aveva mai avuto il coraggio di posare lo sguardo.

Era la figlia del maestro, solo questo era riuscito ad intuire, dalle loro brevi e rare conversazioni. Ma il vecchio non l’aveva mai chiamata per nome. Non davanti a lui.

Ripeté quel suono tra sé e sé, dopo la ramanzina del maestro, ancora una volta solo, nel buio opprimente della biblioteca.

“Riza…” ripeté, per non dimenticare.

“Riza.”

 

 

 

 

 

 

 

 

Ne approfitto per chieder scusa per il mancato avviso spoiler nello scorso capitolo. Cercherò di rimediare!  Vi giuro, non ci ho proprio pensato… scusate la mia testolina vuota e persa! A proposito del titolo, io ho interpretato “conoscersi” proprio nel senso di avere un qualche contatto o conversazione. Per Riza, in quel periodo Roy era solo un individuo di cui sapeva solo il nome, e che le era piombato in casa e nella vita, da  un giorno all’altro… io poi il più elle volte scrivo di getto, senza pensare troppo, seguendo le intuizioni che il titolo suggerisce sul momento…

Ah, dimenticavo! IN QUESTO CAPITOLO FORSE C’è UN PICCOLO SPOILER, una frase che Roy dice a Riza quando la prende nella sua squadra. Questa volta mi sono ricordata, meno male…

 

Questa è proprio corta corta… Come uno sparo al cuore! Bam!

 

 

010. Promise (Promessa)

 

 

La serata era serena, non una nuvola in cielo, a coprire la luna, finalmente sovrana.

Le strade erano già deserte, ad eccezione dei soliti due barboni che ormai conosceva come i suoi vicini di casa.

Il colonnello aveva insistito tanto, per riaccompagnarla a casa, testardo come il moccioso che era, che aveva dovuto cedere. D’altra parte era soprattutto colpa sua, se avevano fatto così tardi, per firmare quei dannati rapporti…

 “Colonnello, io sarei arrivata…”

La luce del lampione danzava morbidamente sui loro visi, creando curiosi giochi di ombre sulla loro pelle. Una di queste, notò Roy, generata da una ciocca dei suoi capelli, le scendeva lungo la guancia, dall’angolo esterno dell’occhio, fino al mento, come l’impronta lasciata da una lacrima.

Allungò la mano, per sfiorare quella linea più scura.

Riza sentì il calore, ancora prima del contatto. Si scansò velocemente.

“Mi ha fatto promettere, colonnello!”

Lui aggrottò la fronte, confuso.

“Mi ha fatto promettere di spararle, se fosse uscito dal sentiero. Me lo ha chiesto lei. E non può farlo proprio ora. Non così, non ora.”

Roy ritrasse la mano, mentre gli angoli della bocca si incurvavano in una smorfia che avrebbe voluto essere un sorriso.

“Buonanotte, tenente.”

“Buonanotte, signore.”

 

 

 

La domanda dietro tutto questo è: ma siamo sicuri che Roy voglia davvero che la sua Riza indossi una minigonna in una caserma??? Secondo me, no…

 

 

011. Liar (Bugiardo)

 

 

“Signore, chiedo il permesso di parlare liberamente!”

“Permesso accordato, tenente Havoc.”

“Signore, lei è un bugiardo!!!”

Il neo Furer Roy Mustang si chiese cosa mai avesse fatto o detto, per meritarsi un simile, disonorevole appellativo. Il tenente Havoc strinse i pugni e volse uno sguardo stizzito verso il suo superiore, mentre deglutendo si decideva a proseguire il discorso.

“Lei aveva detto che non appena avesse raggiunto il vertice dell’esercito, avrebbe imposto l’uso della minigonna a tutto il personale femminile…”

“E’ quello che ho fatto, Havoc.”

“Sì, ma solo per un giorno!”

L’unico occhio visibile del Furer si ridusse a una fessura infuocata, mentre l’uomo ricordava con orrore gli sguardi fin troppo espliciti del suo esercito, letteralmente inchiodati alla gambe di Riza, finalmente libere - fin troppo, per i suoi gusti… - di mostrare la loro bellezza.

 “Credimi, Havoc: è stato meglio così… è stato meglio per tutti!”

Le mani guantate sembravano muoversi per conto loro, facendo crepitare scintille che rimbalzavano per tutta la scrivania. Prima di afferrare l’estintore per scongiurare il pericolo di incendio, Havoc capì: meglio un Flame Alchemist bugiardo, che un Flame Alchemist pazzo di gelosia…

 

 

Se Roy Mustang non fosse il solito, stupido, imprudente, megalomane e sbruffone che è…

…non sarebbe Roy Mustang!  

P.S: Continuo a non farne una giusta, con gli spoler: mi dispieceeeee!!! :”(

 

 

 

012. Proof (Prova)

 

 

Non erano soldati per niente: erano stati prudenti.

Nessuno sapeva, nessuno poteva aver intuito, neanche lontanamente.

D’altra parte sarebbe stato difficile anche solo immaginare che quei due, in quel momento intenti rispettivamente a sparare e a schivare i colpi di una pistola per tutto l’ufficio, potessero avere una relazione totalmente diversa da quella tra ufficiale e subordinata, fuori delle mura di quella centrale.

Questo perché Roy Mustang e Riza Hawkeye erano dei professionisti.

Non un indizio, non una traccia di quel legame particolare si erano manifestati: nessun comportamento diverso dal solito, nessuno sguardo languido, nessun contatto sospetto, al di fuoari dell’ordinario.

I nomignoli affettuosi erano stati banditi, i doppi sensi maliziosi assolutamente vietati, le mani rigorosamente al loro posto (regola che valeva principalmente per Roy…).

Per non destare inutili sospetti, l’agenda del colonnello continuava a traboccare di appuntamenti galanti, si riempiva con regolarità di nuovi nomi femminili, di numeri di telefono e messaggi sdolcinati incorniciati talvolta da tracce profumate di rossetto.

Black Hayate aveva subito un ulteriore addestramento per non ripetere in ufficio l’abitudine di accoccolarsi sulle ginocchia di Roy, cosa che invece faceva abitualmente a casa, ogni volta che l’uomo si sedeva sul divano.

Il risultato di tanto penare, era sorprendente: nemmeno una prova che potesse rivelare il loro rapporto clandestino, il loro ritrovarsi coperti dalla notte, l’intrufolarsi in casa dell’uno o dell’altra travestiti da fattorini, idraulici o postini.

Nulla, assolutamente nulla.

A parte forse, il sorriso appena impercettibile, ma che in sincronia si posava su entrambi i loro visi, alla fine della giornata.

“Ancora un appuntamento con una balla donna, colonnello?”

“Già….”

“Come si chiama? Magari la conosco…”

Non c’erano prove. E Roy amava giocare col fuoco…

Riza trattenne il respiro, mentre il suo amante le sfiorava casualmente la spalla nel prendere il suo cappotto.

“Si chiama Elizabeth…”

013. Betrayal (Tradimento)

 

 

Si poteva chiamare Tradimento?

Certo, era punito con la corte marziale, come uno dei più gravi atti di insubordinazione.

Era un segreto rischioso, complicato da nascondere, perennemente instabile, labile come ogni rapporto appeso a un filo.

Ma nonostante il marchi disonorevole, il nome minaccioso di tale peccato, Roy non poteva più rinunciarvi, non poteva più farne a meno.

Non ora.

Ora che l’aveva tra le sue mani, ora che non sapeva più come lasciarla andare, ora che il ricordo della dura giornata in ufficio sfumava via, scacciato dalle sue carezze, Roy Mustang si accorgeva per la prima volta di quanto fosse dolce tradire.

E avrebbe tradito dieci, cento, mille volte! Solo per un bacio di Riza, uno sguardo di Riza, un sorriso di Riza, una carezza di Riza, un sospiro di Riza.

Solo per poter sentire quel profumo delicato avvolgerlo, per provare il tocco impercettibile dei suoi capelli, per assaggiare il sapore della sua pelle, per averla, sempre, solo sua, solo Riza.

Solo per questo si sarebbe macchiato di un tale misfatto.

Ancora, e ancora, e ancora, e ancora…

Rispondo velocemente a qualche commento:

x Shatzy: L’idea di fondo dl capitolo 13 era che loro due stessero già insieme, nonostante questo fosse considerato un tradimento verso l’esercito… e direi che i desideri di Roy si stiano avverando concretamente, non solo nei suoi pensieri! ;P

x mintgirl: “faccio sempre un casino con gli spoiler” si riferiva a quello  che ho combinato nel capitolo prima.  Il capitolo 12 non è uno spoiler… purtroppo! E’ il parto della mia mente sconclusionata che vorrebbe vederli insieme a tutti i costi… speriamo che il sogno si avveri!

Grazie comunque a tutti per i commenti e  le recensioni: date la forza per andare avanti! Smack!!!

 

Mi sono accorta solo adesso di una cosa: tecnicamente parlando, questo capito potrebbe essere il “naturale” proseguimento di Betrayal… mmm…si vede che ero” in the mood”…

Tornando al capitolo in questione, mi sono ispirata a un libro che leggevo da piccola, si chiamava L’occhi del Lupo… anche se… ehm… qui, la situazione è totalmente diversa…

Insomma, se il rating è giallo, ci sarà pure un motivo!!! Uomo avvisato…

 

 

014. Covered eyes

 

 

Voleva guardarla, ora che era finalmente sua, una Riza che aveva solo sognato. Voleva guardarla, ubriacarsi della sua vista, saziarsi di quella pelle tiepida, di quei capelli che si spargevano sul cuscino e che scivolavano pigramente sulle sue guance, al minimo movimento.

Voleva perdere l’orientamento, naufragare tra le sue braccia, e non tornare mai più indietro. Mai, mai ,mai, mai…

Non aveva mai provato nulla di simile, una così indefinibile, esasperante urgenza.

Ma era in difficoltà.

Perché un occhio solo non poteva sopportare tutta quella bellezza, non poteva spaziare con la vista su quel paradiso terrestre tanto cercato. Non sapeva dove posare lo sguardo, non voleva perdere nulla, negarsi neanche una parte di lei.

L’irritazione trapelò dai suoi gesti confusi, talmente visibile che lei se ne accorse, le bastò osservare pochi attimi il suo amante per capire.

E davanti il suo sguardo stupito, Riza chiuse gli occhi. entrambi. Poi, le sue dita sottili coprirono il suo occhio destro, quello sano, trascinandolo nel buio.

Fu un leggero senso di paura, veloce come il lampo, già passato.

Poi furono solo le sue mani su di lui, un sospiro contro il suo collo, un altro ancora, mentre Riza gli prendeva la mano, la guidava lungo le sue curve morbide, scolpendo la fisionomia di una terra a lui sconosciuta, ma che proprio lui riusciva ora a vedere, impressa, indelebile nel fondo della sua mente.

“Mi senti?”, chiedeva lei, il respiro sempre più affannoso che si infrangeva sul suo orecchio.

“Mi vedi, ora?”

Con ogni angolo di sé, con ogni cellula del suo corpo, ogni singolo atomo del suo essere.

Questo voleva dirle, ma non riuscì più ad articolare le parole, a costruire una frase di senso compiuto per risponderle.

E c’era solo lei, nient’altro che lei, non sentiva più lo spazio attorno a sé, il contatto delle lenzuola, il caldo della stanza, i rumori della strada, l’abbaiare di Hayate dalla cucina.

C’era solo lei, e non aveva bisogno di vedere per saperlo. Solo lei, le sue mani, il suo corpo, lei come nessun’altra mai, lei, solo lei, il suo respiro nella sua bocca, contro il suo, nel suo, insieme, nel buio, mentre l’ebbrezza e l’euforia sfumavano tra i suoi lamenti.

Solo allora, riaprirono gli occhi.

 

Episodio 51. Penso non ci sia bisogno di dire altro.

 

 

015. The scent of blood (L’odore del sangue)

 

 

Un passo, un’altro, sempre più veloce. Senza sapere perchè stava correndo.

Il suo stesso nome le rimbombava in testa, tra i battiti del suo cuore, come se la stesse chiamando.

Riza, bum, Riza, bum, Riza…

Ma lui era Roy Mustang, dannazione! Era sopravvissuto a Ishbar, a Scar, al crollo delle sue speranze e dei suoi progetti, a un intero sistema corrotto. Sarebbe sopravvissuto anche a un Homunculus come il Furer. Era Roy Mustang, dannazione!

E allora perché stava correndo?

Mentre le sembrava di respirare piombo liquido, mentre sentiva la bocca impastata, secca, il sapore ferroso del sangue era così forte da farle venire la nausea.

Per questo aveva scelto le armi da fuoco: per non sentirlo mai più, troppo distante, dall’alto delle sue postazioni, per sentire qualsiasi cosa.

Ma conosceva quell’odore, amaro e dolce allo stesso tempo, acre come le esalazioni del fiori che marciscono, soffocante, pesante.

Riempiva i polmoni, e a nulla serviva più respirare, perché l’atto di succhiare dentro l’aria e risputarla fuori, faceva quasi male, come rigettare ogni volta una parte della propria anima.

Conosceva quell’odore, e l’aveva riconosciuto, l’aveva avvertito, insieme a quello del fuoco, del legno bruciato, il suo odore, l’odore della polvere da sparo, ma anche quello del ferro, del grasso degli ingranaggi cigolanti di un corpo mezzo umano e mezzo artificiale, mezzo micidiale.

Aveva sentito quell’odore, che le impregnava la pelle, si mescolava con il suo sudore, con il sangue, il suo, che le scorreva dalla ferita sulla spalla.

L’aveva sentito e aveva paura, aveva terrore di quello che avrebbe trovato.

L’aveva sentito ancora prima di sparare, ancora prima di superare con un salto l’ammasso di ferraglia morente sul selciato, ancora prima di vedere.

“Colonnello!”

Nulla.

“Colonnello!”

Solo quello.

“Roy Mustang!”

Sul suo corpo esanime, tutt’attorno, tra le sue mani, mentre lo scuoteva.

Solo quel colore così squillante da sembrare dipinto.

“Nghhh…hah…”

Solo quell’odore. Mescolato al sapore salato delle sue lacrime.

 

 

Dunque la parola Royai nasce dall’unione dei due nomi : Roy+Hawkeye=3DRoyeye (a volte si trova scritto anche così) che però si trascrive Royai, seguendo la pronuncia. Oltretutto la parola Ai in giapponese significa amore, per cui… ^ ^

 

Questo l’ho proprio scritto d’impeto, ci avrò messo cinque minuti. Ogni tanto capita e bisogna cogliere l’occasione. Riza è una donna e un cecchino. Mi sono sempre chiesta dove finisce l’una e inizia l’altro. Spero questo brevissimo capitolo possa rispondere.

 

 

016. Unreachable with a voice (Irraggiungibile con la voce)

 

 

Una donna normale avrebbe urlato. Sì, lo aveva visto fare tante volte, nei film, ma anche nella realtà. Era il primo istinto, naturale, a un pericolo, anche se a essere in pericolo era qualcun altro.

Ma nel suo caso non sarebbe servito.

Così distante, così nascosta.

Ma c’era, e vegliava.

E sì, aveva voglia di urlare, ogni volta.

Ogni volta che il nemico lo assaliva alle spalle, ogni volta che un ombra si avvicinava troppo alla sua persona, ogni volta che qualcuno lo sfiorava sul campo di battaglia.

Tutti erano nemici, allora, tutti erano possibili pericoli, possibili obiettivi.

E voleva urlare, con tutto il fiato, voleva allungare la mano, protendersi verso di lui, fargli da scudo, piangendo, come le belle donne nei film, le eroine, quelle che si prendono la pallottola al posto dell’amato.

Ma lei era lì. Lontana.

C’era, vegliava, sempre. Il dito sul grilletto pronto, fermo, lucidamente micidiale.

Perché se con la voce non poteva raggiungerlo, ci avrebbe pensato la sua vista, a proteggerlo.

Mi sembra ci sia uno spoiler piccolo piccolo (a proposito di una certa bruciatura…)  e quindi del passato di Riza e Roy… Ma sono veramente due righe. Buona lettura!

 

 

017. Scars

 

 

Dicevano che il corpo era la casa dell’anima, l’involucro esterno che porta su di se i ricordi, i segni delle esperienze più terrene e materiali. Lo aveva sentito tante volte, quel luogo comune, un po’ religioso, troppo forse. Ma mai come in quel momento aveva provato un profondo desiderio di essere segnata per sempre da quelle mani, desiderio di un’impronta vivida, un segno di appartenenza, o anche solo qualcosa di tangibile a cui appendere un ricordo così bello.

La nostra storia è scritta su di noi…

Prima che l’ebbrezza annullasse il corso logico dei suoi pensieri, si ricordò di quella frase da cioccolatini: non sapeva se fosse vero, ma sicuramente la vita di un soldato era scritta nelle sue cicatrici.

Seguì con un dito la linea bianca frastagliata e irregolare che gli attraversava il fianco sinistro. Lui sospirò, chiudendo gli occhi, come se proprio quella fosse la carezza più intima, che arrivava a toccargli l’anima.

La pelle in quel punto era più chiara, morbida, si disperdeva in sottili striature confuse, come le venature di una foglia. Continuò a muovere adagio le sue dita, seguendo tutti quei sentieri impervi, e quando, chinandosi su di lui, le ciocche dei suoi capelli sciolti lo sfiorarono, lui rise sommessamente, per il solletico.

Assentemente, la sua mano scivolò lungo la schiena di lei, lungo la bruciatura che lui stesso le aveva causato, accarezzando la pelle diafana e più sensibile. La sentì tremare, sotto la sua mano, in un unico e lunghissimo brivido.

Ridiscesa dalla vertigine, lei continuò la sua esplorazione, senza fretta. Riconobbe i segni  più vecchi, ormai spariti del tutto, ma nonostante ciò, ancora visibili. Questo, questo taglio strano era stato a casa di suo padre. Glielo aveva detto di non arrampicarsi sul melo del giardino… avrebbe potuto prenderseli anche da sola, quei frutti! E questa bruciatura sul polso, se la ricordava bene, risaliva a quando i suoi studi sulla padronanza del fuoco erano ancora pressoché nulli, tanto che si era quasi dato fuoco da solo…

Lui riconobbe a sua volta,  ciò che rimaneva delle ferite più recenti, come quella sassata che l’aveva colpita sulla tempia. Accarezzò con un bacio, l’impercettibile increspatura, sulla sua fronte.

Si conoscevano a memoria, conoscevano già i loro corpi ancora prima di poterli toccare, di poterli assaporare. Ed era bello trovare dei segni comuni, tra le mappe delle loro vite, riconoscersi  in ogni angolo, in ogni piega, in ogni centimetro.

Ma c’era dell’altro. Sapere che era proprio sotto quei segni ormai guariti, che si nascondevano le vere cicatrici, le vere ferite, sempre aperte, sempre.

La strinse a sé, affondando il viso nel suo seno morbido e tiepido, mentre il naso di lei si perdeva tra i suoi capelli scompigliati. Sapevano di lui, come ogni altra cosa, le ricordavano dell’uomo che era stato, non dell’ufficiale che era.

Un uomo fragile, come lei, ferito, come lei, che mentre le accarezzava ancora un volta la schiena, sapeva ricordare, sapeva riconoscere in ogni traccia un po’ di sé, un po’ di loro,  e nelle cui cicatrici, era certa di poter sempre trovare una se stessa che persino lei, a volte, dimenticava di essere mai stata.

 

Passaggi veloci dal volume 10 all’episodio 51. Chissà se Roy sembra verosimile, in questo suo flusso di coscienza… Mah…mi saprete poi dire.

 

 

018. “I don’t want to realize”(Non voglio capire)

 

 

Ancora non me lo so spiegare. Oppure, non voglio.

Era così… non-lei!

Non so… solo, sentire quei singhiozzi tra gli spari, mi aveva dato quasi fastidio, me lo ricordo ancora. Quella debolezza non era da lei, non poteva essere lei, tutto qui.

Sarebbe stato uno smacco per la mia reputazione di profondo conoscitore dell’animo femminile. Avrebbe significato che non avevo capito nulla della donna con cui ho passato più ore della mia vita di soldato. Che dico? Persino della mia vita da non-soldato!

Perchè lei c’era, c’era già prima, prima di tutto. Prima dell’alchimia, prima dell’esame dell’esercito, prima di Ishbar.

Semplicemente, lei c’è sempre stata. E a quanto pare, ci sarà ancora…

Ma sentirla piangere mi aveva dato fastidio.

Soprattutto, sapere che la causa di quella debolezza ero io.

Se dovessi definirlo ora, penso di aver provato qualcosa di simile a un attacco di panico.

Vederla così ha fatto crollare tutte le mie certezze, tutto quello in cui pensavo di avere il pieno controllo: se persino lei, il mio tenente, la persona più fredda e razionale del mio plotone si era abbandonata alla morte, a me, a me cosa restava?

Un pensiero lancinante e affilato, come gli artigli di quella donna: mi ha fatto male, ma è durato solo un attimo. Forse, per il fatto di essere caduto tante volte, di aver perso me stesso tante volte, ho imparato a rialzarmi in fretta…

Ma anche dopo, quell’immagine di lei, così diversa, non ha voluto saperne di lasciarmi.

Non che ne ricavassi un qualche gratificazione, vedere quanto tenesse a me, questo mai! L’ho già detto, era più il fastidio che l’orgoglio. Per questo, l’ho rimproverata così duramente, dopo.

Però, in qualche modo, quell’episodio mi ha fatto prendere coscienza di alcune cose.

Per esempio, ho capito che Riza Hawkeye è un essere umano, prima di un soldato. A quanto pare, lo stavo dimenticando: a prova di ciò, il mio stupore nel vederla piangere.

Inoltre, ho capito che la disperazione è l’unico sentimento in cui non sappiamo porci un freno, in cui non sappiamo mantenere il controllo e il sangue freddo che la divisa ci richiede. Sembra una cosa stupida, ma saperlo cambia la prospettiva della cose: se sai che la tua morte può danneggiare tanto chi ti sta vicino, forse riconsideri il valore della tua vita…

Per quanto mi riguarda, è un insegnamento che non ha prezzo.

E ho capito anche un’altra cosa. Ma questa, molto, molto dopo i fatti di quella notte.

Come quella vota, lei stava piangendo.

A quanto pare, le sue lacrime hanno qualche effetto illuminante, in me…

Comunque sia, solo dopo quella volta ho capito quello che avrei dovuto capire già da molto tempo.

Ci sono arrivato piuttosto lentamente, e forse è per questo che non ho potuto fare nulla per porre un rimedio a tale situazione.

O magari, come mi ha fatto notare lei stessa, poco tempo fa, mi sono deliberatamente rifiutato di capire. Non sono ancora riuscito a trovare una risposta.

In ogni caso, quella notte, ho capito la cosa più importante, la più incredibile, se ripenso al mio stesso stupore nel realizzare un simile concetto.

Ho capito che in quelle lacrime, nelle mani che stringevano convulsamente i lembi della mia giacca insanguinata, in quel viso bagnato appoggiato sulla mia spalla e scosso dai singhiozzi… ebbene, in tutto ciò, c’era dell’altro, oltre a una profonda lealtà.

E nel realizzarlo, mi sono sentito stranamente sollevato, e ancora più stranamente arrabbiato a morte con me stesso. Per non aver capito prima. Per aver sprecato tanto tempo prezioso, senza gustarlo a dovere.

Lei era lì, c’era sempre stata ma era come se non me ne fossi mai accorto prima, come se avessi dato per scontata la sua presenza.

Quando le ho confessato tutto questo, l’altra sera, lei ha riso. Ha riso di gusto.

Mi ha detto che le sembrava buffo che solo adesso avessi cominciato a vedere, a vedere realmente intorno a me, adesso che la mia vista era stata notevolmente penalizzata.

L’ho trovato buffo anch’io. Anche perché, se la pensiamo in termini di alchimia, il concetto di scambio equivalente calza a pennello.

Perdi una cosa per riceverne un’altra, di cui magari non conoscevi neanche l’esistenza. O peggio, che avevi sempre negato, anche a te stesso.

E la cosa strana, è che il prezzo che ho dovuto pagare mi sembra infinitamente piccolo, in confronto a ciò che ho ricevuto. Mi sembra di aver ricevuto una grazia, senza realmente meritarla.

Non voglio capire perché sia successo.

Perché se mi soffermo a pensare non posso fare altro che aver paura che qualcuno, un giorno, venga a riscuotere il debito.

 

 

 

Può sembrare strano, ma nemmeno io sapevo bene dove sarei andata a parare con questo capitolo, mentre iniziavo a scrivere… poi, l’illuminazione. E un sorrisino diabolico mi si è stampato in faccia… hua hua hua… Roy mi odierà a vita!

 

 

019. Things one cannot understand (Cose che non si possono comprendere)

 

 

Ci sono cose che non si possono comprendere.

Come la sensazione di placida euforia che il tenente Hawkeye diffondeva per tutto l’ufficio, tanto da essersi messa addirittura a canticchiare sommessamente, mentre preparava i rapporti da firmare del Furer.

Oppure, il suo camminare, o meglio scivolare tranquillo da una stanza all’altra, come se non toccasse quasi terra. Il perfetto esempio di un essere in pace con se stesso e il mondo intero.

“Ma che ha?”

Roy aveva alzato le spalle, mentre sistemava la fede matrimoniale che gli dava fastidio, impigliandosi continuamente nella stoffa del guanto bianco.

Havoc, sapendone quanto prima, aveva abbandonato l’ufficio borbottando tra sé e sé.

Ci sono cose che semplicemente non si possono comprendere.

Nemmeno Riza aveva capito subito come mai sentisse il bisogno di divorare una mela dopo l’altra, dozzine in una mattinata. Per poi rifugiarsi in bagno in preda ad improvvisi attacchi di nausea che lasciavano perplesso e preoccupato persino Roy.

Ci sono cose che semplicemente non si possono comprendere, soprattutto se si è uomini.

Forse era questo il motivo degli sguardi complici che Shieska e Maria Ross lanciavano a Riza, ogni volta che la incrociavano, alla pausa pranzo.

Ci sono cose che semplicemente non si possono comprendere, soprattutto se i è uomini, per cui non resta che spiegarle a voce.

Per questo Riza aveva chiesto a suo marito di aspettarla nel suo ufficio, prima di smontare dal turno.

Probabilmente pensava che la sua reazione sarebbe stata più contenuta, a causa del luogo dove si trovavano…

E poi, la sapeva: ci sono cose che non si possono comprendere.

Certo, due righe nette su un bastoncino, messo in bella mostra sulla sua scrivania di Furer, aiutano.

Ma certe cose, sono davvero, davvero difficili da comprendere…

“Roy? Ohmmioddio… Roy!? Havoc! Chiama un medico: il Furer è svenuto…”

O forse no?

Ok, diciamo che non avevo voglia di fare un altro capitolo tragico, con questo titolo: ne ho già letti troppi, e oggi non ho voglia di pensare a cose tristi. Per cui è venuta fuori questa robina qui… più la rileggo più mi sembra veramente stupida…speriamo bene…

 

 

020. “Murderer”(Assassino)

 

 

“Assassino”

Tutto di lei urlava quella parola.

Gli occhi ridotti a due fessure, le labbra strette, le nocche bianche delle sue mani strette attorno a quel pezzo di tessuto fradicio.

“Assassino”

Aveva visto, aveva visto di cosa era stato capace.

Tra tutte le persone che aveva conosciuto, tra tutti quelli che gli avevano sempre urlato in faccia quella verità, il suo grido silenzioso, senza voce, era in più assordante, il più insopportabile.

“Assassino”

Aveva ancora quel piccolo cadavere tra le mani guantate, fumante, ridotto armai a un mero ricordo di ciò che era stato prima.

Riza sospirò, mantenendo però intatto tutto il suo sdegno, mentre lasciava la presa della tendina di plastica, per tornare sotto la doccia.

“Roy… era un innocuo ragno! Non c’era bisogno di…”

“E tu allora perché ti sei messa ad urlare?”

“Non ho urlato! Ho solo… mi ha preso di sorpresa, ecco tutto… Non lo avevo visto.”
“Questo non è da te, tenente…”

“Non cambiare discorso! Ti ripeto che non c’era bisogno di fare una cosa simile.”

“Ma lo sai, quanto odio i ragni, Riza!”

Contenendo un’espressione di schifo, Roy buttò ciò che rimaneva dell’insetto sfortunato nel lavandino, e lasciò che l’acqua lo trascinasse via.

“… Ma odio ancora di più l’idea che un qualsiasi essere vivente, al di fuori di me, possa vederti così…” concluse mentalmente, mentre  riponeva i guanti nell’armadietto bianco e raggiungeva la sua donna sotto la doccia.

021. Confession (Confessione)

 

 

La luce oltre la finestra era ancora accesa, nonostante l’ora tarda. Si decise, non aveva più scuse per tirarsi indietro. Certe cose non si possono trascinare dietro per troppo tempo. Come in battaglia, i morti e i moribondi andavano lasciati indietro senza rimpianti.

E quel rapporto era morto.

La porta si era aperta subito. Forse anche lei sapeva, e aspettava.

Meglio, sarebbe stato più facile e indolore. Più o meno.

“Ti devo parlare.”

“Lo so.”

“Mi fai entrare?”

“No, è meglio di no… Scusami.”

“Fa’ niente, è meglio per tutti e due…Sai già cosa voglio dirti, vero?”

“Sì, solo…”

“Solo?”

La donna si tormentò una ciocca bionda, abbassando lo sguardo.

“Solo… non capisco perché. Non è durato molto, lo so… ma io, non…”

“Non è colpa tua,credimi.”

Una confessione. In fonde, gliela doveva.

“E’ che c’è un’altra donna, nella mia vita.”

Ecco, l’aveva ferita. A morte. Ma gliel’aveva chiesto lei, no? Era quello che voleva, no? Farsi talmente male da avere una scusa per odiare, per dimenticare più facilmente il rimpianto.

Ah, le donne…

“Capisco.”

No, che non capiva. Nessuno poteva, in fondo.

“Allora, ciao.”

“Ciao. E scusami.”

“Non importa. Basta che te ne vai…”

Non era mai facile, tutte le volte . Ma cominciava a farci l’abitudine.

Mentre ripercorreva il vialetto, ripensò a quella frase. Era la scusa migliore, lo aveva appurato con l’esperienza, tante di quelle volte… che non era più del tutto sicuro che si trattasse davvero di una scusa. Una mezza verità.

Un’altra, nella sua vita, c’era eccome.

Ma non nel senso che in ogni confessione dava ad intendere. Era la sottile arte del sottinteso, del non detto, nulla di più…

Rientrò nell’auto parcheggiata lì davanti, sbattendo la portiera. Il tenente Hawkeye si voltò appena, nel vederlo soprapensiero.

“Qualche problema, signore?”

Era stranamente di buon umore…

“No, tenente. Tutto a posto. Possiamo andare.”

Forse., pensò Roy, mentre osservava il riflesso della sua sottoposta, nello specchietto retrovisore.

Forse la sua era stata davvero una confessione.

Più di quanto avesse voluto.

 

 

 

P.S: Dite la verità…pensavate che stesse mollando Riza, eh? ^ ^

 

Chiedo scusa per lo scorso capitolo, non volevo far prendere degli infarti a nessuno (o forse si? Hu hu hu…). Tuttavia su 100 fic, prima o poi una un po’ amarognola dovrà pure capitare, è inevitabile… mi sento male persino io all’idea, ma è così! Detto questo, torniamo a noi…

 

Non riesco proprio a vedere Roy come credente… anche perché come alchimista, è un uomo di scienza. Tuttavia, quando anche la sua stessa scienza gli ha dimostrato di non poter migliorare il mondo, quel po’ di fede necessari per andare avanti, gliela può dare solo una persona…

 

 

022. God (Dio)

 

 

Dov’era Dio?

Dov’era l’Essere Superiore, mentre l’uomo riusciva a sterminare un’intera popolazione, semplicemente schioccando le dita?

Dov’era quell’infinita creatura di Bontà, Pace e Fratellanza, mentre quell’inferno sembrava non finire mai?

L’odore pungente dei corpi carbonizzati penetrava fin nelle ossa, il colore del sangue aveva reso la terra purpurea e melmosa. Pesante e arida come il ferro. Spietata terra abbandonata da Dio.

L’Eden era una favola lontana, la preghiera e i riti, la Pietra filosofale dei preti e degli sciocchi.

Dov’era la vita eterna in mezzo a quella valle di morte?

Dov’era l’Amore, il Futuro, la Speranza, mentre quel bambino – il centesimo – cadeva a terra, senza madre, senza padre, senza più identità?

Un bambino, Dio!

Dov’era lui, dov’era Dio mentre uomini uccidevano altri uomini, diventando bestie e sognando di essere Dei?

Dov’era la Consolazione degli Afflitti, l’appiglio dei disperati e dei diseredati, il Perdono?

Non poteva esserci grazia, nell’Apocalisse, per tutti quegli assassini come lui, quelle belve come lui, quegli uomini perduti come lui.

Ma lui dov’era, mentre lasciava che tutto questo avvenisse? Dov’era Dio? Dove?

“Roy! Roy… shh… è passato, Roy…”

Aprì gli occhi, spalancandoli nel buio della stanza. Lei gli passò una mano tra i capelli madidi di sudore, mentre cercava di sciogliere il groviglio di lenzuola che lo legava.

Il cuscino giaceva in un angolo, caduto chissà quando, nel corso della notte.

“Roy…”

Poteva vedere negli occhi di lei, la stessa paura, la stessa preoccupazione di sempre. Ma anche l’amarezza per lo stesso ricordo, lo stesso sogno.

“Scusa.” rantolò, tra un respiro affannoso e l’altro.

“Ti ho svegliato…”

“Non importa. Non importa…”

Si strinse a lui, affondando il viso nell’incavo caldo tra la su spalla e il collo.

“Dormi, ora. E’ passato.”

“Non passerà mai…”

Era quasi un singhiozzo, una verità che ostruiva la gola e strozzava le parole.

“Shh… ci vuole tempo, Roy. Andrà sempre meglio, finché non sparirà del tutto.”

“Come fai a-…”

Sollevando il viso, Riza appoggiò due dita sulla sua bocca, l’altra mano ancora affondata tra le sue ciocche scure. Adorava quel gesto: aveva la capacità di calmarlo all’istante, di scacciare qualsiasi preoccupazione e mitigare i dolori più profondi.

“Ne sono sicura perché ci credo. Credo nel futuro, credo in te e credo in noi.”

Roy baciò quelle dita, ancora abbandonate sulle sue labbra, mentre chiudeva gli occhi.

Dov’era Dio? Proprio lì.

 

 

 

 

La tradizione vorrebbe che una frase del genere fosse detta da Riza, ma… ormai mi conoscete, no?

 

 

023. Someone I wanto to protect(Qualcuno che voglio proteggere)

 

 

Solo ora comincio a capire.

Comincio improvvisamente a spiegarmi tante cose, tante frasi, tanti sguardi preoccupati, tanti momenti particolari…

E’ incredibile come un piccolissimo concentrato di vita riesca a cambiare tanto la vita di due persone. Prima, la commozione, non sapevo cosa fosse, e la pioggia, quella che tanto odiavo vedere scorrere sul mio viso, poteva solo esprimere dolore.

E invece, quel pianto improvviso, nel corridoio dell’ospedale…

Vedo le cose da una diversa prospettiva, ora. Vedo diversamente tutto ciò che mi sta intorno, a cominciare da lei.

Lei, che è sempre rimasta dietro, a guardarmi le spalle silenziosamente, lei che, ora lo so, non ero mai arrivato a comprendere fino in fondo.

Ora sì, ora penso di riuscirci.

Penso di poter capire la paura quasi costante, il continuo stato di agitazione e allerta nel salvaguardare qualcosa di fragile e debole, che non può difendersi da solo, e che la più piccola cosa, la più piccola distrazione può distruggere.

Penso di poter capire, quando tengo quel piccolo corpicino tra le mie mani - che mi sembrano ora così grandi! – e ho paura di poterlo ferire, inavvertitamente, di costituire io stesso un pericolo.

Lei ride, quando mi vede così, impacciato e timoroso. Dice che adora l’addolcirsi della mia espressione, quando sento il calore di quella piccola vita contro la mia spalla.

Così piccolo, così fragile, e soffice, e delicato… tanto che mi sorprendo a controllare persino il respiro, per paura di disturbare il suo sonno.

E sento che devo proteggerlo, devo. Sempre.

Come lei ha fatto per me, per tutti questi anni.

Sento di dover restituire ciò che fino ad adesso mi è stato dato, così incondizionatamente da farmi piangere di tenerezza. Perché comincio finalmente a capire, ora sì, cosa significhi avere qualcuno da proteggere.

Povero Roy… deve essere dura per un donnaiolo libertino come lui, trattenersi in questo modo!

 

 

024. Not there (Non qui)

 

 

Non qui, non ora, non davanti agli altri.

Un incantesimo che conosceva ormai alla perfezione, e che non falliva mai.

Quando si lasciava andare, quando non poteva trattenersi dall’allungare una mano verso la sua nuca, esposta come un invito, curva sui documenti da visionare. O quando la stessa mano scivolava casualmente sul suo ginocchio, in macchina, facendo sbandare impercettibilmente la sua guida sicura. Per questo gli aveva imposto di sedersi sempre dietro…

E c’erano sempre quelle due parole, appena sussurrate, a fermarlo: “Non qui.”

In due misere sillabe, tutta la sua frustrazione.

Non qui, non nell’ufficio, non in strada, nemmeno davanti alla porta di casa.

Dove sorridersi maliziosamente era imprudente, dove abbracciarsi era un impulso da tenere a freno, dove tentare di baciarla e accarezzare i suoi capelli era un bisogno insoddisfatto, represso brutalmente. Non si poteva fare, “non qui”, non in quella lista così precisa di luoghi, di situazioni, di momenti prestabiliti. Ormai lo sapeva.

Sapeva che se avesse provato a toccarla, a sfiorarle appena la vita, o la nuca, mentre nessuno guardava, lei avrebbe semplicemente scostato la sua mano senza dare nell’occhio, sussurrando piano, ancora una volta: “Non qui.”

Ma da sopra la spalla, la testa leggermente reclinata, gli avrebbe lanciato un sorriso carico di promesse, che con il suo messaggio denso e palpabile, valeva pienamente il tentativo.

 

Niente da fare, non me la sento di scrivere cose tristi, oggi… e questa, vi assicuro, NON è una cosa triste, nel modo più assoluto!!! ;P

 

 

025. ‘So I’m crying’(Per questo sto piangendo)

 

 

E’ perché non può essere vero. Sarebbe troppo bello.

Perché non avrei mai creduto di poter realizzare anche questa assurda ambizione, questo utopico sogno che non ho mai raccontato a nessuno, perché persino a me sembrava qualcosa di irrealizzabile, di troppo lontano.

E forse è per questo che sta piovendo.

Perché sei così bella nel tuo vestito bianco, con quegli occhi che brillano da sotto il velo, e i capelli sciolti, intrecciati come spighe di grano, in sottili e sfuggevoli arabeschi.

Perché non riesco ancora a convincermi che non sto più sognando.

E mentre percorri lentamente questi pochi metri di tappeto rosso che ci separano, accompagnata dal generale, sento che piove e non vuole smettere.

Perché sento che quando alzerò quel velo sul tuo capo, quando quell’anello sarà finalmente sul tuo dito, quando il prete dirà quella frase così obsoleta…. sarai anche tu inondata di questa pioggia stupida e bellissima, che non so proprio come fermare.

Speriamo che valga il detto ‘Sposa bagnata, sposa fortunata’…

Com’è che non mi è risultato per niente difficile, elencare i difetti di Roy?

 

 

026.Cureless (Inguaribile)

 

 

Era un inguaribile idiota.

Su questo, non c’era il minimo dubbio.

Un’inguaribile scansafatiche, quando si accasciava sulla sua poltrona, slogandosi la mascella in uno sbadiglio interminabile, lasciando una montagna di rapporti ancora da firmare ad accumularsi, giorno dopo giorno, dopo giorno…

Un inguaribile donnaiolo, con la sua agenda sempre affollata di appuntamenti.

Un inguaribile sbruffone vanitoso, con quell’aria da “tanto-non-avrete-mai-la-mia-classe” perennemente stampata in faccia; un’inguaribile irresponsabile, che rendeva il compito di proteggerlo una vera e propria scommessa con la fortuna.

Un’inguaribile ambizioso, ma questo, forse, era il meno.

Era e sempre sarebbe rimasto, inguaribilmente, un bambino. Un capriccioso bambino viziato, di nove anni… no, di due anni! Perché anche un moccioso avrebbe avuto più giudizio.

Era un perfetto, inguaribile Roy Mustang.

E a Riza erano sempre piaciute, le imprese disperate.

 

 

 

 

Questa è proprio corta… ma con questo titolo non mi veniva in mente nient’altro. Mi sa tanto che le mele compariranno spesso in queste fic, chissà perché…

 

 

027. Dependency (Dipendenza)

 

 

Il grande pomo scarlatto e lucido, sembrava chiamarlo con insistenza dalla scrivania. Come sempre.

Un morso, e un altro ancora.

Poi, il torsolo da ripulire, perché non si spreca nulla.

E lei che guardava, controllava, dalla porta socchiusa, che consumasse la sua dose giornaliera di frutta. Perché senza di lei, e quelle sue piccole attenzioni, si sarebbe persino dimenticato di mangiare correttamente.

Anche se di recente, il sapore dolciastro e la polpa soda che si scioglieva sulla lingua, cominciavano quasi a non dargli più noia. Come le sue occhiate insistenti, dalla fessura dello stipite.

Era difficile dire se si stesse assuefando alle mele o a lei.

 

Gira e prilla torno sempre a questo bellissimo episodio… il numero 51!!!

Nonostante il titolo, non sono proprio riuscita a fare una fic triste… anche perché sto andando avanti (ormai sono alla 48) e vi garantisco che una bella scorta di themes allegri ci servirà per il futuro…

Questa volta mi è venuta fuori una cosina bella lunga… ma l’attimo mi ha catturato, e se non era per l’interruzione di mia sorella andavo avanti all’infinito! Buona lettura!

P.S.: a me le recensioni fanno solo piacere… un ENORME piacere, perché è sempre bello vedere che il proprio lavoro viene in qualche modo apprezzato… spero di continuare a non deludervi, tutti/e quanti/e, e nel caso non l’abbia già fatto, vi ringrazio infinitamente dal profondo del cuore per il sostegno sempre presente (che in un progetto pachidermico come questo, non guasta mai, ve lo assicuro… ^^”)!

 

 

028. Pain & wounds (Dolore e ferite)

 

 

“Ahi… ahi ahi ahi! Ma insomma, tenente: pensavo fossi più delicata, visto come tratti amorevolmente le tue pistole!”

“Stia fermo! Se continua a dimenarsi, per forza che- COSA?!”

Un ‘click’, la sicura scattò quasi da sola, e Roy valutò velocemente la mossa migliore per salvare quel po’ di pellaccia che gli rimaneva.

“Scusa, è il dolore che mi fa straparlare… non farci caso.”

La pistola tornò nella fondina e Riza riprese il lavoro lasciato in sospeso, silenziosamente.

Non era vero che le mancasse la delicatezza: la maggior parte delle ferite gliele aveva medicate durante il sonno, senza nemmeno svegliarlo. Questo Roy, non poteva saperlo. Ma lei decise che le scuse potevano bastare.

“Hawkeye… il tuo braccio come va?”

Si stupì che se ne fosse ricordato. O meglio, non riusciva a spiegarsi come lo avesse saputo, visto che in quel momento aveva perso i sensi.

“Era solo un graffio. E’ già guarito.”

“Ne sei sicura? Le ferite non medicate, anche poco gravi, possono portare dei seri problemi. Non vanno sottovalutate.”

“Senti chi parla…” le scappò, insieme a un mezzo sorriso.

“Touché”

“Scusi, non volevo essere irrispettosa…”

“Riza, non mi sono offeso, stai tranquilla.”

Ma notò la sfumatura purpurea che improvvisamente le invase il viso, e sorrise dell’innocenza di quella donna.

“E tu? Ti sei offesa?”

“Per… per cosa?”

“Perchè ti ho chiamato per nome.”

“No. No, mi fa… piacere…”

La voce si era abbassata, ridotta quasi ad un sussurro, senza che lei se ne rendesse conto.

“Spero solo che non sia il dolore a farla parlare così…”

Le sue mani lavoravano veloci, cambiando le fasciature, disinfettando, senza premere troppo sulle lingue di carne viva e il rosso del sangue ancora troppo fresco.

C’era una strana esalazione di medicamenti, nella stanza, misto all’odore di chiuso, tanto da rendere l’atmosfera irrespirabile.

“Non sei costretta a stare qui. Puoi andartene quando vuoi.”

“Non posso.”

“Perché? Hi paura che mi lasci morire?”

I suoi movimenti si fermarono improvvisamente, congelati e immobili.

“No. E’solo che…”

Raccolse le mani in grembo, sospirando. Quando sollevò lo sguardo, Roy seppe che stava per parlargli liberamente, da pari.

“Signore, lei pensa sempre troppo agli altri, prima che a se stesso. Lo ha sempre fatto, non pretendo di cambiare questa sua attitudine proprio ora… ma vorrei solo farle capire quanto la cosa mi preoccupi, ogni volta, perché un simile comportamento, alla lunga diventa autodistruttivo…”

Fece una piccola pausa, cercando le parole più adatte, guardandosi attorno.

“Ci sono delle ferite… delle ferite che tardano più delle altre a rimarginarsi. E’ un dolore diverso, più… sottile. E per questo tipo di ferite, la cura migliore… è non rimanere da soli.”

Roy sorrise, ma era un sorriso amaro.

“Rimane il fatto che non devi sentirti obbligata a-…”

“Lo sto facendo di mia spontanea volontà. La smetta di pensare che la segui solo per dovere!”

Questo sì, attirò la sua attenzione. E lei maledisse le parole che erano riuscite a sfuggire alla censura del suo cervello razionale.

“Scusi, intendevo…”

“Non importa. Posso interpretare come voglio?”

Fu il turno di Riza, di spalancare gli occhi in stato confusionale.

“… se vuole…”

“Grazie.”

Il silenzio si intrufolò di nuovo tra loro, rotto solo dai guaiti di Hayate, di tanto in tanto.

“Penso che sia l’ora della pappa, per qualcuno…” sospirò Riza, mentre si alzava, raccogliendo le bende e i medicinali, sparsi sul letto.

“E io?” piagnucolò Roy, che si era già ben immedesimato nella parte del paziente moribondo.

“Lei, se proprio ha fame, può terminare la porzione di carne che oggi non ha voluto finire, … L’ho insegnato anche ad Hayate: se prima non finisce quello che ha nella ciotola, non riceverà altro.”

“Mi stai mettendo sullo stesso piano di un cane?!?”

Lei si limitò a soffocare una risata tra le labbra, visibilmente più rilassata.

Mentre il tenente cercava la scatola di croccantini nella borsa di plastica vicino alla porta, Roy allungò di nascosto una polpetta al cane, chiamandolo con due fischi silenziosi.

“Signore, non ci provi nemmeno!”

Hayate si rifugiò sotto il letto, mentre la padrona lo rincorreva, per togliergli il cibo proibito di bocca. Lui rise così tanto da sentire le costole tirare e fare male. Riza se ne accorse, e mise subito fine agli scherzi.

“Gliel’avevo detto, di stare tranquillo…”

“Non ti preoccupare, non è niente. E’ un dolore… buono, no? Avevi ragione: a stare insieme a te, certe ferite non fanno male…”

Si schiarì la voce, improvvisamente conscio di quello che aveva detto. Non era una delle sue battute maliziose e studiate. Era stata una frase così spontanea, da coglierlo di sorpresa.

“Volevo dire…”

Riza sorrise, scombussolando ancora di più i suoi pensieri.

Non si era schernita, non aveva protestato.

“Posso interpretare come voglio?” gli fece il verso.

Ma sotto sotto, era una domanda sincera.

“Certo.”

 

 

 

 

 

 

 

 

Rispostine veloce x Shatzy (nonché richiesta di un consiglio a tutti): per la 49 ho dovuto mettermi in meditazione, ho fatto una fatica!!! Alla fine però mi è venuta fuori una cosina molto spoiler, riferita al film (Conqueror of Slombala). Mi è venuto però un dubbio: in Italia non è ancora uscito, magari fare una fic su un episodio così poco diffuso non è il massimo… tra l’altro, anche un altro Theme mi è venuto incentrato sul’inizio del film… In ogni caso io sono riuscita a vederlo su you tube (anche se era in jap sottotitolato in inglese) e ho trovato degli ottimi riassunti su FMA Planet. Com (che non rivelano niente sul finale).

Che dite, se po’ fa’???

 

 

029. Existence (Esistenza)

 

 

Era da quando aveva ripreso conoscenza, che se lo chiedeva. E quella domanda, a forza di rimbalzargli da una parte all’altra del cervello, cominciava a fare male.

Però il profumo della mela appena sbucciata sembrava esserci davvero, e il ticchettio delle unghie di Black Hayate sul legno lucido del pavimento, risuonava ogni volta che il cane si alzava per sgranchirsi le zampe, povera bestiola…

Ma non poteva dirlo con certezza: con tutti i farmaci con cui l’avevano imbottito, per sopportare meglio il dolore, delle visioni così nitide come quella, non erano poi tanto inusuali…

“Dai, smettila di fare quella faccia…”

Lei interruppe il suo meticoloso movimento, abbassando la mela e il coltello.

“Il piano era semplicemente perfetto. E’ stata colpa mia, che non ho fatto in tempo a…”

Allungò la mano, perché quello era il momento. Il momento di sapere.

“No, non c’è nulla di perfetto. Questo mondo è imperfetto. Ma è per questo è anche così bello…”

Con un sospiro di sollievo, lasciò che la ciocca bionda e morbida tra le dita gli solleticasse la punta dell’indice, dandogli la risposta: era davvero lì.

 

 

030. Conversation (Conversazione)

 

 

“Buongiorno, signore.”

“Buongiorno. Dormito bene?”

“Sì, signore.”

“Bene.”

Quattro secondi di conversazione. Tutti i giorni, le stesse quattro frasi, come un rituale propiziatorio, prima di mettersi al lavoro.

“Buongiorno, signore.”

“Buongiorno. Dormito bene?”

La risposta non poteva essere diversa. Sarebbe stato inappropriato… Era sempre “Sì, signore.”, per non turbare la certezza di quella conversazione, che sembrava contare tanto.

“Sì, signore.”

 “Bene.”

C’era una specie di sollievo rassegnato, nella sua risposta. Come a dire che non andava bene, che nulla andava, a dire il vero, per il verso giusto… Ma bisognava comunque accontentarsi, perché poteva andare peggio, perché, in fondo, avevano superato la notte. Doveva bastare, non c’era la certezza che potesse accadere di nuovo.

E quel “bene” strano in bocca, le lasciava una punta di malinconia amara, difficile da lavar via.

“Buongiorno, signore.”

“Buongiorno. Dormito bene?”

Che gli importava? La domanda restava lì, ma non chiedeva davvero niente. Che poteva importargli, di sentire quel “sì”, quando lo conosceva ormai a memoria?

Tardò a rispondere, uno, due secondi. E sì, forse gli importava davvero, perché il suo sguardo già la cercava, aspettava una risposta con impazienza, e si chiedeva perché non volesse arrivare.

“No, signore.”

Ovviamente era sorpreso. Impensierito, anche. Ma sotto sotto, sollevato per il cambiamento di copione inaspettato.

“E… come mai?”

“Black Hayate ha abbaiato tutta la notte: doveva esserci un gatto, in giro per i tetti, non so… e stamattina si è intrufolato di nuovo sotto le coperte. Alle quattro e dieci, capisce? Le quattro e dieci! E poi, il lavandino del bagno perde: quella dannata goccia non mi ha dato pace. Ma non ho tempo di chiamare l’idraulico. E non ho preso il caffè, perché ieri ho dimenticato di comprarlo…”

Decise di ignorare lo sguardo curiosamente ironico del suo superiore: passato lo smarrimento iniziale, si stava sicuramente divertendo, a sentirla parlare così a ruota libera.

Forse pensava che non fosse capace di mettere in fila più di tre frasi?

Pensava che non avesse il diritto di sfogarsi? Che non ne sentisse il bisogno?

“Nottata movimentata… Sei sicura di non volere andare a riposarti? Ti posso far sostituire per un’ora o due…”

“Non è necessario, grazie. E lei, come ha dormito?”

Glielo voleva chiedere, davvero. Tutte le volte. Ma quel “bene” chiudeva sempre quel teatrino troppo presto e irrevocabilmente. Sperava solo non lo ripetesse proprio ora…

“Non molto bene. Vecchi incubi…”

“Io faccio un po’ di coccole a Black Hayate, prima di andare a letto. In qualche modo, accarezzarlo, mi aiuta a rilassarmi. Quando non è agitato lui…”

Il colonnello sbirciò in direzione del cucciolo, che si trastullava allegramente con un foglio caduto a terra, mosso dalle correnti d’aria.

“Sembra una buona terapia: magari potrei fare un salto a provare, stasera… sempre che la mia intrusione non ti disturbi… In cambio potrei provare a riparare il rubinetto.”

“Non mi disturba affatto.”

Dopo pochi secondi, l’unico rumore di fondo nel silenzio fu il raspare della stilografica sui fogli da firmare, e gli scatti regolari e leggeri degli ingranaggi di una pistola, smontati e ripuliti.

Era stata breve, era stata anche un po’ stupida, come conversazione.

Accarezzare un cucciolo per dormire meglio?!? Ma come le era venuto in mente?

Ma in fondo, pensò Riza, era stata, per la prima volta, un vera conversazione.

Stupidi deliri di una che in cucina non sa nemmeno da che parte si comincia, non ci fate caso…

 

 

031. Home-cooking(Cucina in casa)

 

 

“Che stai preparando?”

L’inusuale odore di carne e spezie aveva invaso la casa, si era intrufolato sotto la porta di ingresso, chiamandola, mentre saliva la scale.

“Allora?”

“Vedrai…”

E le riempì un bicchiere di sidro, caldo, scostandola delicatamente dai fornelli.

Era strano, vederlo cucinare. Buffo.

Aveva sempre pensato che non ne fosse capace. Colpa dei pregiudizi maschilisti, che ponevano la “virilità” inversamente proporzionale alla destrezza in cucina.

E dato che Roy Mustang era un uomo, in tutti i sensi… beh, culinariamente parlando, non avrebbe dovuto saper maneggiare neanche un colino. E invece…

“Non vuoi proprio dirmi in cosa ti sei cimentato?”

“Un po’ di fiducia, per il tuo superiore, su! Vedrai… perché non vai a stenderti un attimo? Sarai stanca morta, no?”

Capì che le stava chiedendo molto galantemente di togliersi dalle scatole…

“Agli ordini. Chiamami, quando è pronto… qualsiasi cosa sia!”

“Vedrai, vedrai…”

Fece il bagno al cane. Due volte.

Stirò una dozzina di sue camicie, riordinò la camera da letto, che da quando ospitava un inquilino in più, era in perenne stato di caos. Non poteva riposarsi: i pregiudizi erano duri a morire, e comunque non sarebbe stato prudente lasciare la sua preziosa cucina, in totale balia di un Flame Alchemist in piena fase creativa…

Quando si accorse che erano già passate due ore e mezza, cominciò a preoccuparsi.

“Roy? Va tutto bene, lì dentro?”

Si affacciò nella cucina e il fumo nero che usciva dal forno, le diede la risposta. Roy contemplava pensieroso un ammasso scuro e carbonizzato, abbandonato dentro una pirofila incrostata.

“Che… uhm… che cosa dovrebbe essere, tesoro?”

“Riso alla cantonese e ravioli di carne!” disse lui, più a se stesso che a lei, mentre sollevava la cornetta del telefono.

“A me sembra più un… un ‘qualcosa’ bruciato…”

“Vedrai…”

E compose il numero del Take Away cinese, in fondo alla strada.

032. Shirt (Maglia)

 

 

Il collo alto, fasciante e nera.

Comoda e versatile come pochi capi d’abbigliamento sapevano essere.

L’ideale da indossare in servizio. E lei era in servizio.

Ma era proprio in quei momenti che odiava tanto quella maglia.

Perché la nascondeva, la mimetizzava nel buio dell’angolo dove aspettava e osservava.

Non era bello stare a guardare, in una sala da ballo, fare finta di non esserci. Invisibile.

Ma una calibro 9 non si poteva nascondere in una scollatura.

Per cui, quella maglia era la scelta più indicata, per il suo lavoro. Anche in quella sala da ballo, mentre le altre si mostravano, sfilavano con grazia nei loro abiti eleganti e mozzafiato.

E lei lì, confusa nella tappezzeria, con la sua maglia nera e la sua divisa spessa.

Certo, le piaceva quando le mani di lui ne sollevavano i lembi, in fondo, intrufolandosi tra le curve dei suoi seni, facendola scivolare sopra la sua testa, per abbandonarla sul pavimento.

Ma avrebbe voluto vedere quello sguardo estasiato anche fuori dalla loro stanza, fuori, altri sguardi oltre al suo, improvvisamente geloso.

Essere bella, mostrare di esserlo, anche lì, in quella sala: essere degna di dargli il braccio e scivolare sulle piastrelle lucide, al fianco di un uomo orgoglioso di tanta bellezza.

Sollevò lo sguardo e lo vide. Aveva smesso di parlare con la bella – quella vera – di turno. Guardava lei, mentre si avvicinava. Qualcosa di molto simile allo guardo che lei conosceva, ma più discreto.

“Andiamocene via.”

“Ma è il ballo degli ufficiali! E’ un’ottima occasione per conoscere le persone giuste…”

Ma lui non ascoltava più, mentre prendeva dalle mani del cameriere i loro cappotti.

“Lo so. Ma tu non ti stai divertendo. E io ho in mente molti altri modi di passare una notte come questa…”

Tanto non sarebbe riuscita a fargli cambiare idea. E l’immagine di quella maglia sul pavimento, era un bello scorcio di ciò che la aspettava.

Dopo un’overdose di themes al limite del comico, ce ne stava uno un po’ più malinconico… Non me ne volete. Buona lettura!

 

 

033. A walk (Una passeggiata)

 

 

Aveva cominciato poco dopo la morte di Huges.

Prima, non usciva mai durante i temporali: si limitava ad osservare la pioggia da dietro il vetro della finestra, al caldo, con uno sguardo truce da bambino in castigo.

Odiava la pioggia, le stava lontano il più possibile, un’indisponenza quasi felina, antica come il mondo.

Riza sopportò l’ennesimo brivido freddo che le attraversò la schiena. La divisa, ormai fradicia, le si cominciava ad appiccicare addosso, rendendo il suo passo più pesante e irregolare, ma non poteva permettersi di rallentare.

I capelli dovevano essere un disastro, ma con un ombrello sarebbe stata troppo visibile: si sarebbe accorto di lei. Forse già sapeva di essere seguito, in quella passeggiata sotto la pioggia.

Chi non lo conosceva le aveva detto di non preoccuparsi: l’acqua schiariva le idee, purificava i pensieri e rigenerava il corpo. Era normale che il colonnello volesse staccare da tutto e da tutti, a volte, per abbandonarsi alla furia dell’atmosfera.

Ma lei conosceva Roy Mustang, forse anche più di se stessa.

E aveva compreso subito la natura suicida di quelle camminate.

Diversamente dagli altri,  per lui la pioggia significava solo morte: sotto l’acqua era per la prima volta un uomo normale, forse anche più debole degli altri. Indifeso, esposto volontariamente a qualsiasi attacco, anche il più banale.

Ogni passo era una sfida alla morte, ogni goccia di pioggia, una condanna.

Se Scar o un qualsiasi altro nemico fosse apparso ora, non avrebbe avuto scampo.

Lo sapeva, cercava questa vulnerabilità, per dimostrare la sua disperazione.

Per questo Riza lo seguiva, tutte le volte: sotto la pioggia, trenta passi dietro di lui, senza ombrello né sosta. Era suo dovere proteggerlo.

Anche da se stesso.

ATTENZIONE SPOILER DEL MANGA (anche ce non ricordo più di che volume…)!

Questa strana telefonata è arrivata alla centrale operativa poco dopo il trasferimento del tenente Hawkeye, di Breda, Falman e Fuery… e forse non tutti i messaggi sono in codice...

P.S: vediamo se riuscite a capire di cosa o chi stanno parlando…

 

 

034. Telephone (Al telefono)

 

 

“Pronto?”

“Signor Roy, da quanto tempo!”

“Elizabeth! Mi fa piacere sentirti...”

“Scusi se la disturbo, ma volevo avere sue notizie… Così ho deciso di chiamarla. Ho fatto bene?”

“Certo! Non sai quanto. Sentire anche solo la tua voce fa passare più piacevolmente il tempo… così potrò passare il resto della giornata ad immaginarti…”

“Oh, signor Roy! Così mi fa arrossire!”

“Mi piacerebbe vederti, allora: devi essere bellissima…”

“Su, la smetta! Altrimenti metto giù!”

“Va bene, mi tratterrò. Che mi racconti di bello? In negozio, tutto bene?”

“Sì, anche se Kate e le altre si sono trasferite…”

“Davvero?”

“Già. Problemi familiari. Si sono dovute trasferire… Kate mi ha telefonato ieri: è andata a stare al sud, e adesso si occupa di telecomunicazioni per un’azienda, o qualcosa di simile: è sempre stata brava, quando si trattava di riparare marchingegni complicati…”

“Già, ricordo… ho qualche collega laggiù, che potrebbe avere bisogno di un’esperta come lei, ne terrò conto… Salutamela.”

“Riferirò. Bredina è andata all’ovest, mentre Vanessa al nord. Non era molto contenta, ma almeno si ricongiungerà con una parente di un suo conoscente… almeno, così mi ha detto, prima di partire.”

“Ho capito. E tu? Mandi avanti la baracca da sola?

“No, ma il vecchio padrone dell’attività se n’è andato, anche lui.”

“E chi ha rilevato l’attività?”

“Un suo vecchio amico. Non mi sta proprio simpatico. Sembra una persona per bene, ma cominciano a venir fuori cosette sul suo conto, che non mi piacciono per niente...”

“Del tipo?”

“Mah, non so… per esempio, che ha un figlio di cui non si sa molto: ha molti lati oscuri… ma sa come si dice: tale padre…”

“Capisco. Ma almeno ti tratta bene, questo tipo?”

“Sì, per ora non ho di che lamentarmi: non ho quasi nulla da fare. A volte ho l’impressione che non si fidi di me.. Anche se sono diventata praticamente la sua segretaria!”

“Mi dispiace…”

“E di cosa? Posso tenerlo d’occhio meglio. E’ un tale impiastro con i fornitori! Lascia in giro tutte le ricevute e tocca sempre a me rimetterle a posto. Che non si lamenti, poi, se leggo o vedo cose che non dovrei!”

“Eh, già. Me lo ricordo bene, quanto se curiosa… E quel vecchio cane con i due automail, che fine ha fatto? E’ ancora lì con te?”

“No, mi dispiace. E’ scappato, non so dove sia adesso… anzi, signor Roy, e lo vede mi telefoni: mi farebbe piacere sapere come sta!”

“Ed io? Non ti farebbe piacere se ti telefonassi per dirti come sto io?”

“Le sue chiamate mi fanno sempre piacere, lo sa… può chiamare quando vuole: io ci sarò sempre per lei.”

“Grazie, Elizabeth. Non sai quanto sia importante per me, sentirlo…”

“E lei, signor Roy? Sempre indietro con il lavoro?”

“Ehi, sono un normale essere umano! Non come quel mostro del tuo titolare!”

“Su, moderi i termini: se ci sentisse…”

“Scusa, non ci avevo pensato… comunque sto bene, non ti devi preoccupare per me. Capito?”

“Ci proverò.”

“…”

“…”

“Elizabeth?”

“Sì?”

“Ti senti sola, ora che non è rimasto nessuno?”

“…”

“Eli-“

“No. No, va tutto bene. E poi, se mi sento sola, posso sempre chiamarla, no?”

“Sempre. Dico davvero: sempre, per qualsiasi cosa.”

“Grazie. E lei, non si sente solo?”

“A volte. Ma dopo un po’ passa, basta pensare ai ricordi belli. Tipo quelli dove ci sei tu…”

“Signor Roy!”

“Che c’è di male? Non vuoi che ti pensi?”

“… no… no, voglio dire… Mi pensi pure, se le fa piacere…”

“Perché, tu non mi pensi mai?”

“… a volte…”

“Allora va tutto bene. A pensarsi, le distanze sembrano meno grandi.”

“Non siamo poi così distanti… potrei sempre fare un salto a trovarla”

“Non penso sia una buona idea: se il tuo nuovo capo ti scoprisse, sarebbero guai.”

“E’ vero.”

“Elizabeth?”

“Mhm?”

“Hai dei rimpianti?”

“Per cosa?”

“Per il negozio, per non essertene andata anche tu… per tutto quello che hai fatto in questi anni.”

“No, signor Roy. Non ne ho. Neanche uno. E non li avrò mai, di questo può stare certo.”

“E come mai?”

“Perché quando ho iniziato questo lavoro, ho fatto una promessa, e ho promesso anche a me stessa che sarei andata avanti, qualsiasi cosa fosse successa, senza arrendermi. Per cui, non posso mollare proprio ora, anche se le cose si stanno mettendo male.”

“Sei ottimista…”

“Sì. Non so come, ma lo sono. Sa, in tutto questo tempo, non so più quante volte mi è stata data l’opportunità di scappare via da tutto. Ma sono sempre rimasta, l’ho scelto io. E non torno indietro.”

“Bene. Proverò anch’io ad essere ottimista, dunque. Mi hai contagiato persino per telefono, Elizabeth!”

“Mi fa piacere. Allora…la lascio tornare ai suoi doveri, signor Roy.”

“Noooo… di già?”

“Su, non trascuri i suoi compiti!”

“Va bena, va bene… ma tu promettimi che richiamerai!”

“Lo farò. Arrivederci, signor Roy.”

“Hai promesso, mi raccomando…”

“…”

“Elizabeth, aspetta.”

“Sì?”

“… volevo dirti che mi manchi…davvero.”

“Ah… anche lei… mi manca, signor Roy…”

“Senti, ti prego, smettila di chiamarmi ‘signore’! Non ti sembra che ci conosciamo ormai da abbastanza tempo, per finirla con le formalità?”

“… sì, lo penso anch’io… allora…”

“Allora… ciao Elizabeth. Stai attenta e riguardati…”

“Anche le-… anche tu. Ciao, Roy…”

 

 

 

 

Ok, il capitolo precedente non era molto chiaro… Si parlava di Breda, Havoc, Falman e Fuery (Riguardatevi la striscia comica nel vol. 10, quella sui nomi in codice ;P), il cane con i due automail era Fullmetal e il nuovo capo King Bradley. C’è bisogno di dire chi è Elizabeth?

 

Preparatevi, che questo capitolo farà scendere qualche lacrimuccia…

Ah, già: è leggermente SPOILER, nel senso che è ambientato tra la fine dell’anime e l’OAV. Quello che volevo esprimere era il fatto che entrambi hanno sempre provato le stesse cose l’uno per l’altra, senza mai riuscire a comunicare realmente. Per questo, mi è sembrato che delle lettere mai inviate esprimessero bene questo concetto. Le ho dovute riscrivere almeno tre volte, perché non riuscivo mai a rendere bene l’essenza dei personaggi. Alla fine le ho scritte prima in inglese perché mi suonavano più naturali, e poi le ho ri-tradotte in italiano (ma continuo a pensare che in inglese rendano meglio…). So’ strana, non ci fate caso…

 

 

 

035. Letter (Lettera)

 

 

Non so da dove cominciare…

Sembra davvero che sia passato così tanto tempo, dall’ultima volta che ti ho guardata raccoglierti i capelli, e sorridermi, da dietro la spalla.

Era un gesto così naturale, che avevo dimenticato di chiudere la bocca e assumere almeno un’espressione intelligente. Mi hai sempre fatto questo effetto: mi incantavi, incatenavi il mio sguardo e la mia attenzione su di te, come un’improvvisa visione.

Mi sono sempre chiesto se tu fossi veramente lì… ed era così.

Tu eri lì, con la tua risata dolce, il tuo modo di muoverti unico, calmo e serio, le tue dita affilate, la tua personale filosofia su quante mele al giorno dovessi mangiare, per tenermi lontano dal dottore.

Ci penso, qualche volta, a tutte quelle piccole cose che mi facevano sentire così felice, nel breve periodo che abbiamo passato insieme. Mi piace rivederle così, sottoforma di ricordi.

Fa un po’ male, perché sono umano e agli esseri umani capita, a volte, di avere dei rimpianti, ma va bene così. Mi fanno sentire come se potessi rimanere sempre lì, almeno nella tua memoria.

Riza, mi dispiace. Davvero.

Non volevo partire, lasciarti, in nessun modo. Ma ho dovuto.

Non potevo continuare a sorridere a andare avanti con la mia vita, come se non fosse successo nulla. C’è stata così tanta morte, così tanto dolore da sanare… e non potevo lasciartelo redimere da sola. Era – è ancora – troppo, anche per una come te.

Non vorrei mai essere io, a farti crollare, con il peso del mio fardello. E’ qualcosa che devo portare da solo.

Forse, quando troverò un modo per togliermelo di dosso, di essere davvero libero, ritornerò. Forse.

Sapevo che non l’avresti accettato, che avresti pianto, lo so, e mi fa ancora male. Ma anche questo fa parte della mia espiazione, è qualcosa che devo sopportare, per il mio bene.

Riza, a volte sento davvero di amarti. Sono i momenti peggiori in assoluto. Momenti in cui non posso trattenere la pioggia dal traboccare, momenti in cui la voglia di tornare si fa più forte.

Ma poi penso a te, al dolore che sarei solo in grado di darti, ancora, e ancora, come ho sempre fatto.

E sono così stanco di farti soffrire…

Per questo non invierò questa lettera. No.

Come l’altra dozzina che ho già scritto, in tutti questi mesi.

Continuerò ad andare avanti così, come se tu potessi capirmi, sentirmi, da dove sei, attraverso un legame non detto e non scritto.

Ci proverò, lo giuro, continuerò a provarci. E un giorno, ce la farò. E riuscirò a mandarti tutte queste lettere.

Ti amo

Roy

 

 

Sai una cosa? Sono stanca.

Stanca di chiedermi tutti questi ‘Perché’ e questi ‘E se’ senza risposta.

Non posso sopportarlo. Non più.

Ero così appagata da questa strana ‘cosa’ che stavi costruendo tra noi… Sì, tu.

Sei stato tu, il primo a cominciare. E io ero così piena di speranze, per una volta, così felice…

Già, ero felice. Non ero mai stata così felice, prima. Non così tanto.

Era una felicità così violenta, che ho pianto, a volte. Perché era così bella, e così spaventosa…

Come se avesse potuto finire presto, da un momento all’altro, un piccolo germoglio effimero come un fiore. Ed è finita, sì. Ma non so perché, non so come…

Sono stanca, Roy, stanca di controllare la strada, di cercare ogni piccola traccia di te nell’ufficio, di vedermi così bloccata, congelata, così sola, così incompleta…

Avevo bisogno di te. Non hai mai capito quanto, o non saresti mai partito.. E non sai quanto ho bisogno di te, ora.

Ti conosco, Roy. So che ti sei sempre fatto carico egoisticamente di tutte le responsabilità, di tutte le colpe, di tutto. Ed ero io, quella che avrebbe dovuto proteggerti…

Ho fallito. Perché non sono stata in grado di proteggerti da te stesso, il più temibile nemico che hai mai avuto. Così autodistruttivo, così cieco, così testardo…

Ma eri tu, anche questo: era una parte di te, che non avrei potuto cambiare, come non avrei potuto cambiarti nella tua interezza, nel tuo essere te stesso. E non lo avrei fatto, non ci avrei mai provato, lo sai. Perché ti amavo per come eri. Ti amo ancora, anche se non so cosa sei diventato, dopo tutti questi mesi.

Sono stanca, oh, così stanca… ma poco tempo fa ho capito che non avrei mai potuto permettermi di tagliare via questo legame, di dimenticare.

Non riuscirei ad impedirmi di amarti, di aspettarti. Non posso. Tutto qui.

Per cui, continuerò a scrivere, e ad aspettare, e a scrivere ancora, senza un luogo dove mandare tutto questo amore scritto e ripetuto.

Lo terrò con me, proprio qui, dove potrai sempre trovarlo.

Sperando che verrai a cercarlo, un giorno.

Riza

Mi sono dimenticata una cosa, per quanto riguarda il theme “Letter”: per chi sa l’inglese, vi consiglio di andare a leggere una fic che si chiama Frost Tonight, su Fanfiction.net. Vi garantisco che merita: è dolcissima fino alle lacrime, tutte le volte che la leggo, mi metto  a piangere… :”

 

Mi dovevo ancora riprendere dalla depressione del capitolo precedente, così mi sono ributtata in qualcosa di comico: il cosiddetto istinto animale, è davvero qualcosa che dovremmo cominciare ad assecondare più spesso…

 

 

036. Dog (Cane)

 

 

Havoc accese la diciassettesima sigaretta della giornata, proprio mentre Hayate ricominciava ad abbaiare furiosamente.

“Jean, il rapporto sul caso Scar, lo sto aspettando da tre giorni…”

“E’ già pronto, capo.”

Il colonnello Mustang sfogliò velocemente il fascicolo, ignorando i latrati del cucciolo. Si ritirò poi nel suo ufficio, richiudendo la porta dietro di sé. Solo allora Black Hayate ritornò quieto.

“Ma che ha, quel cane? E’ da ieri che continua con questa solfa…”

Fuery si strinse nelle spalle, mentre finiva di compilare una pila di moduli.

“Sarà la primavera…”

“Ohi ohi… Stagione dell’Amore?”

“Non credo: non lo ha mai fatto, prima…”

Falman provò a scuotere la scatola dei croccantini davanti al naso del cucciolo, che lo ignorò candidamente.

“Beh, fame non ne ha… per cui ha già mangiato.”

“Scherzi? Ovvio, che aveva già mangiato: il tenente è un orologio svizzero, quando si tratta dei suoi pasti! Piuttosto, quand’è stata l’ultima volta che l’hai portato a spasso, Fuery?”

“Ma se siamo appena tornati! Non può ancora avere bisogno…”

Un rumore dall’ufficio del colonnello, e la cagnara ricominciò. Breda si prese la testa tra le mani.

“Non mi interessa, che cavolo abbia: fatelo tacere, o sento che esploderò!”

“Calmo, calmo… Hayate, cuccia! Ma dov’è, il tenente, quando serve?”

Come evocata, Riza fece la sua apparizione e il cane si acquietò all’istante, iniziando addirittura a scodinzolare. Brada invece scelse proprio quel momento, per mettersi a dare di matto.

“Tenente, la prego! Porti via quella bestia: mi sta facendo impazzire!”

In risposta, un proiettile gli sfiorò pericolosamente l’orecchio sinistro, andando a conficcarsi nel muro.

“Il suo nome è Black Hayate, sottotenente Breda, non ‘quella bestia’. Non me lo fare ripetere ancora, per il tuo bene…”

Con un gesto fluido e veloce, la pistola tornò nella fondina, e la donna entrò come niente fosse nell’ufficio del colonnello. Approfittando della confusione generale, Hayate si posizionò davanti alla porta appena richiusa, ringhiando e guaendo sommessamente.

“Non capisco… Cosa può essere successo?”

Havoc spense la sigaretta, spazientito, solo per riaccendersene subito un’altra.

“Forse il tenente lo ha messo in punizione per qualcosa… che ne so? Magari ha fatto i suoi bisogni in casa…”

“Non credo. Non hai visto come scodinzolava quando Hawkeye è entrata?”

“E se fosse gelosia?”

Tutti gli sguardi si catalizzarono sul maresciallo Falman, n attesa del proseguimento del responso.

“Voglio dire, quando il proprio padrone si vede con una persona, questa diventa come un rivale, per un cucciolo come Hayate. E’ una specie di istinto di protezione: ha paura che il tenente preferisca qualcun altro a lui. E poi, non avete notato che comincia ad agitarsi solo quando sente o vede il colonnello?”

“Un momento: questo vorrebbe dire che lui e il tenente Hawkeye…”

Havoc non si curò della cenere che cominciava a crollargli dalla sigaretta sui fogli sparsi della scrivania. Fuery e Breda si guardarono come se avessero visto un marziano. Falman restò impassibile, come sempre.

Il silenzio imbarazzato e teso si prolungò per qualche secondo, prima di disfarsi miseramente in una risata collettiva. Havoc scosse il mozzicone consumato nel posacenere, mentre accarezzava il muso del cucciolo, ancora davanti alla porta in attesa.

“Vato, tu guardi troppi documentari sugli animali…”

 

Dunque, ecco aperta una nuova discussione linguistica. La traduzione più spontanea di ‘Match’ dovrebbe essere ‘sfida’… ma spulciando il mio dizionario di inglese ho scoperto che ha anche un altro significato, che calza ancora più perfettamente alla nostra amata coppietta…

 

 

037. Match (Fiammifero)

 

 

“No, non di nuovo!”

Riza contò fino a dieci molto lentamente, prima di esplodere:”Hayateeee!!!”

Il cucciolo le scodinzolò ingenuamente tra i piedi, senza sapere cosa lo aspettava.

Afferrandolo per la collottola, Riza gli spinse il muso dentro la credenza aperta e completamente sottosopra.

“Quante volte ti ho detto che non devi frugare qui dentro? Guarda cosa hai combinato…”

Gli assestò uno scappellotto sulla testa, non troppo forte, in fondo si trattava ancora di un cucciolo… Sì, un cucciolo pestifero, che per la decima volta in una settimana le metteva a soqquadro la cucina!

Si appuntò mentalmente di chiamare il falegname: quell’anta della credenza aveva un lato sbrecciato e in rilievo, che evidentemente il cane riusciva facilmente ad aprire… ma per cercare cosa, poi? I suoi croccantini erano sullo scaffale più alto, questo doveva saperlo, ormai!

Mentre rimetteva tutto a posto, passò in rassegna i vari oggetti, giusto per controllare che non mancasse nulla: carta assorbente, guanti di lattice, detersivi, stracci per la pulizia, fiammiferi… Fiammiferi? Dove? Eppure dovevano essere lì… ma sì, ricordava di averne comprata una confezione giusto l’altro giorno, per accendere i fornelli!

Un momento: ne aveva comprato un’altra scatola anche la settimana scorsa… Dov’era finita?

E, cosa più importante, come avrebbe fatto adesso, ad accendere il fuoco per preparare la cena?

Sorridendo, si rese conto quanto fosse stupida quella domanda. Essere la compagna del Flame Alchemist doveva pur servire a qualcosa, no?

“Roy, potresti venire a…”

Come se non stesse aspettando altro, Roy Mustang irruppe nella cucina, già infilandosi i suoi guanti candidi.

“Posso esserti utile?” fece, tutto gongolante.

Un po’ sconcertata, Riza gli indicò i fornelli, che uno ‘snap’ veloce dopo erano già pronti per svolgere il loro dovere.

“Come facevi a sapere…?”

“Cosa?”

“… nulla…”

Ma mentre appoggiava le fettine di carne sulla superficie scura della padella, Riza si mise a pensare.

E continuò, non appena ebbe finito di tagliare le verdure. La tavola era già pronta, e lei era ancora assorta nei suoi ragionamenti, persino mentre riempiva i piatti e versava il vino. E a forza di tanto arrovellarsi, la soluzione alla fine arrivò.

Roy, attirato dal profumino che cominciava ad invadere la casa, si era già seduto, posate in mano ed espressione famelica, quando notò lo sguardo severo e divertito allo stesso tempo che la sua compagna gli rivolgeva.

“Che… che c’è?”

“Roy… hai notato che Hayate si comporta in modo strano, ultimamente?”

“No… perché? Che ha fatto?”

“Mah, sai… non fa che mettermi sottosopra la credenza, rubare piccole cose e nasconderle…”

Roy cominciò a giocherellare con la carne nel piatto, come se fosse nervoso per qualcosa, tentando di sviare il discorso.

 “Ma tu guarda…”

“E non è tutto: da quando ha cominciato con questa sua brutta abitudine, mi sono sparite almeno tre scatole di fiammiferi! Chissà cosa se ne fa un cane, di quella roba…”

“Beh, di che ti preoccupi? Non hai bisogno di quegli stupidi bastoncini scomodi, quando ci sono qua io…”

Riza sorrise in modo strano, quasi si stesse… prendendo gioco di lui?

 “Già: è esattamente quello a cui stavo pensando…”

Fu in quel momento, che Roy Mustang capì di essere stato scoperto.

 

Mhmmm…considerazioni sulla persona di Roy Mustang. Forse il titolo migliore sarebbe stato “Lussuria”…

 

 

038. Mischief (Malizia)

 

 

C’era un motivo, per cui Roy Mustang era così popolare tra il pubblico femminile.

Non era solo una questione di aspetto. Certo, era un gran bell’uomo, valorizzato ancora di più dalla quella divisa dignitosa, portata con una naturalezza tale, che avresti detto ci fosse nato dentro.

In più, aveva il cosiddetto fascino, quella forma di bellezza più intensa ma discreta, palpabile quasi, forse data da quell’aria leggermente tormentata che gli si era appiccicata addosso, dopo Ishbal.

Ma non era solo quello, no.

Non sapeva se esistesse una parola in grado di descrivere lo strano brillare acquoso dei suoi occhi neri, o il modo languido in cui inclinava la testa, il mento appoggiato alla mano, per guardarla con le palpebre socchiuse.

E capiva benissimo, come nessuna donna potesse resistergli, quando si passava una mano tra i capelli, prima di calcarsi il cappello sul capo e lanciare uno dei suoi sguardi intensi da sotto la visiera. O quando guardava fuori dalla finestra, assente o forse solo un po’ ubriaco, con il bicchiere mezzo pieno tra le dita, le spalle appoggiate allo schienale della sedia, e la divisa leggermente slacciata sul collo.

C’era da saltargli addosso.

Ma c’era dell’altro, che non aveva considerato, a fare del suo colonnello l’uomo più affascinante che avesse mai incontrato: se ne era resa conto quando, prendendola di sorpresa, le aveva posato sul naso gli occhiali di Fuery, in ospedale.

“Mhmm… davvero niente male…”

Il mento tra l’indice e il pollice guantati, gli occhi socchiusi e quel sorriso maledetto, un po’ storto: Malizia.

Roy Mustang era un concentrato di malizia.

A guardare un po’ più attentamente in quei gesti sensuali, vi si avrebbe potuto leggere come su un libro stampato, i pensieri non proprio leciti che gli stavano attraversando la mente.

Era quello, di sicuro, l’effetto che generava sulle altre: la sensazione di non poter nascondersi da quello sguardo sornione che spogliava, letteralmente, il sentirsi nuda davanti a lui, o per lo meno nei suoi pensieri. E lo sapeva, glielo leggeva in faccia, che la stava immaginando così: nulla addosso, tranne quegli occhiali.

“Basta, con gli scherzi…”

Già, meglio finirla lì. Prima che il suo viso diventasse paonazzo, segnando la sua vittoria.

E questo, Riza non poteva permetterselo.

 

Se fossi nei panni di Riza, non sarei così attaccata al dovere…

 

 

039. Sly person(Persona scorretta)

 

 

Non lo aveva sentito arrivare. Altrimenti non gli avrebbe permesso di sollevarla di peso, spargendo l’ordinata pila di documenti per tutta la stanza e ignorando le sue proteste.

“In amore e in guerra, tutto è lecito.”

“Sa benissimo, che non è così, signore…E poi ci sono delle regole che…”

“Le regole sono fatte per essere infrante. Più e più volte.”

“Sì, ma in questo ufficio le abbiamo ‘infrante’ un po’ troppo spesso…”

Si era distratta più del necessario, considerò Riza, dal momento che si ritrovò chissà come seduta sulla scrivania, mentre un paio di mani le accarezzavano le gambe. Certo, distrarsi era più che naturale, con il colonnello più affascinante dei tutto il quartier generale che le mordeva delicatamente l’orecchio…

“Signore…”

“Roy. Quante volte te lo devo dire? Siamo soli, non c’è alcun bisogno di essere formali.”

“Sicuro?”

“Certo, Riza.”

Estrasse così velocemente la pistola, che lui non se ne accorse se non quando se la ritrovò puntata alla tempia. La dispiaceva porre fine all’idillio, non sapeva nemmeno quanto. Ma…

“Molto bene, Roy. Mettiamo le cose su questo piano: non avrai nulla né ora né stasera, se tutti questi fogli sparsi non saranno firmati e consegnati in ordine entro due ore. Tutto chiaro?”

“Questo è giocare sporco! Donna scorretta…”

“Lo hai detto tu, Roy…”

Si lisciò diligentemente la divisa, mentre l’uomo ritornava ai suoi compiti sbuffando.

“…In amore e in guerra, tutto è lecito.”

 

 

 

Storiellina un po’ strana… ogni tanto parto per la tangente e non mi ferma più nessuno… mi sta pure venendo un’ossessione per le mele. Mi devo preoccupare?

 

 

040. Halves (Metà)

 

 

“Se ognuno di noi mangerà una metà di questo frutto, ci ritroveremo sempre, perché una e una sola è la metà che combacerà alla perfezione con la mia metà…”

Era una bella storiella, l’unica che gli fosse rimasta, di tutte quelle che gli raccontava sua madre.

Gli piaceva, anche se era un maschio, e non smetteva mai di chiederla, notte dopo notte.

“Ma Roy, ancora la storia della mela?”

“L’ultima volta, ti prego…”

“C’era una principessa, in un regno molto lontano…”

Già, doveva essere bellissima, la principessa: se la immaginava alta, gli occhi chiari e i capelli color del grano, appoggiata alla finestra, mentre guardava il suo sposo partire per le crociate, per un viaggio così pericoloso dal quale avrebbe potuto non fare ritorno.

“Ma un giorno, poco prima della partenza, mentre i due passeggiavano per il giardino, scambiandosi promesse d’amore, uno strano frutto catturò la loro attenzione…”

A lui non piaceva la frutta. Proprio no.

Ma forse era il modo in cui sua madre gli descriveva sempre quel pomo rosso sangue, lucido e brillante, che lo affascinava tanto.

“Era una sfera così perfetta che la principessa la raccolse, e il principe la tagliò in due parti perfettamente uguali. Poi disse alla sua amata…”

Eccola, la sua frase preferita: gli piaceva l’immagine che si creava nella sua testa di bambino, quella di un principe stanco e perduto, che continuava a girare per il mondo, in cerca della parte mancante della sua mela.

“…perché una e una sola è la metà che combacerà alla perfezione con la mia metà, facendomi intero, facendomi uno.”

E la mela, sigillo di quella promessa così dolce e piena d’amore, arrossì ancora di più, assumendo la forma di un cuore.

“Tenente, la finisci tutta quella mela?”

 

 

 

Questo theme ha messo alla dura prova la mia mente un po’ fusa… ma alla fine, come dice il mio Roy immaginario, si trova sempre un modo intelligente di usare anche le cose apparentemente più stupide!

P.S. x Cowgirlsara: Il paragone con la panna e le fragole mi ha fatto letteralmente morire… stavo per cadere dalla sedia per le risate (e quant’è vero!)!!! ^///^

 

 

041. Coat (Cappotto)

 

 

“Accidenti! Proprio adesso, doveva cominciare?”

Le sottili gocce di pioggia si depositavano come minuscoli coriandoli argentati sui suoi capelli neri, nonostante cercasse in tutti i modi di scrollarsele di dosso.

Lei non aveva questo tipo di paranoie, a proposito dell’acqua. La pioggia non le aveva mia dato problemi, di nessun tipo: poteva accettare di bagnarsi un po’, non era la fine del mondo.

Lei era il tenente Hawkeye: lei andava avanti, proseguiva impassibile e incurante di qualsiasi sconvolgimento atmosferico. E lui lo sapeva.

Ma nonostante ciò, il colonnello si tolse il cappotto e lo alzò sulle loro teste, facendosi più vicino. La sorpresa la lasciò momentaneamente imbambolata. La destò sentire le gocce d’acqua sulle sue ciocche nere, solleticarle leggermente il viso: solo uno come Roy Mustang sarebbe riuscito ad essere così inopportuno persino con le mani occupate.

“Roy… c’è gente...”

“Non ci vedrà nessuno” disse lui sottovoce, mentre abbassava l’ampio capo scuro fino a toccarle i capelli, e avvolgendolo leggermente ai lati. Involontariamente, Riza gli cinse la schiena con un braccio, stringendosi a lui ancora un po’.

“Vedi?” le sorrise Roy, in uno dei suoi ghigni maliziosi che gli venivano così bene.

Le stampò un altro bacio bagnato sul collo, facendola sorridere nella resa, al sicuro dietro il paravento improvvisato.

“Si trova sempre un modo intelligente di usare anche queste stupide divise…”

 

 

Hu hu… ci stiamo avvicinando sempre più ai miei themes preferiti… A proposito, vi avviso subito fin da ora che a luglio starò via, purtroppo un posto senza computer a portata di mano (acc…) per cui dopo il theme 50 mi prenderò una piccola pausa di un mesetto. I themes successivi sono in gran parte già pronti, prometto di riprendere col solito ritmo ad agosto, appena tornata.

 

 

042. Day off (Giorno libero)

 

 

Non era il tipo da prendersi molti giorni liberi. Una volta aveva controllato quante ferie si fosse presa, nell’ultimo mese: sapeva già di trovare il suo fascicolo totalmente vuoto a riguardo.

“Proteggere lei, colonnello, è un lavoro a tempo pieno.” amava ripetere, come scusa.

Se voleva farlo sentire in colpa, ci riusciva  sempre perfettamente.

Tanto che la aveva praticamente costretta a starsene a casa almeno un giorno alla settimana.

Non immaginava che ben 24 ore senza averla intorno, potessero rivelarsi una tortura al limite della sopportazione.

Così, di tanto in tanto, cercava di far coincidere il loro giorni di riposo, nella speranza di alleviare il malumore e il senso di mancanza, ormai così familiare. Stava diventando un’abitudine: gironzolare per la città, pregando segretamente di incontrarla, per quello che amava definire ‘puro caso’.

“To’, tenente! Anche tu fai la spesa qui? Tutti i giorni? Ma che coincidenza… io ho appena scoperto che qui i prezzi sono migliori… Sì, penso ci tornerò spesso.”

E ripassava mentalmente tutte le possibili varianti di quell’incontro fuori dall’ordinario, perché era fuori dal loro ambiente di lavoro. Si rese conto che erano passati anni dall’ultima volta che l’aveva vista in borghese, non in servizio. E la cosa gli mancava, quasi quanto gli mancava la sua presenza in quell’ufficio così grande.

“Ops, mi scusi signorina… tenente Hawkeye! Che ci fai da queste parti? Sì, anch’io oggi ho deciso di prendermi una vacanza. Ma guarda che ore sono! Posso offrirti il pranzo?”

Ma ogni volta se ne tornava al suo appartamento col morale a terra, peggio che dopo aver firmato una pila di rapporti, tenuto sottotiro dal tenente. E gli sarebbe bastata, la vista della sua pistola, per farlo gioire all’improvviso (e farlo successivamente scappare alla stessa velocità).

Ma alla fine di ogni pellegrinazione, di ogni vagare a vuoto per tutta Central City, non un’ombra né del tenente, né tanto meno della sua pistola. Peccato.

Roba da non dormirci la notte, per la delusione…

 

 

Aspettò che la porta dell’appartamento si richiudesse dietro di lui, prima di lasciarsi sfuggire un sospiro. Un altro giorno libero sprecato.

No, ‘sprecato’ non era la parola giusta. Nulla era sprecato, quando si trattava del colonnello: né il tempo, né le energie, né la voglia.

Era stato un ennesimo giorno svolto diversamente da come lo aveva programmato, ecco.

Solo, cominciava a sperare che i loro giorni di riposo non coincidessero più così frequentemente…

Questo perché Roy Mustang era da proteggere, dentro e fuori da quel dannato ufficio. Era la regola.

E non era proprio riposante, seguirlo per tutta la città, dalle nove di mattina alle dieci di sera.

Un giorno, si decise, gli avrebbe chiesto il motivo di tutti quei giri senza meta apparente, come se fosse alla disperata ricerca di qualcosa o qualcuno che non sapeva dove trovare. Sì, era una domanda più che lecita, avrebbe potuto fargliela.

Ma avrebbe anche dovuto ammettere di non essersi presa quel giorno libero alla settimana che le spettava, e che lui tanto si era prodigato a procurarle.

Si sarebbe arrabbiato ma, cosa più grave, si sarebbe sentito responsabile. E un Roy Mustang con i sensi di colpa, non era esattamente ciò che si poteva definire una piacevole compagnia…

No, non gliel’avrebbe chiesto. Alla fine, era la cosa migliore.

Magari era solo alla ricerca di una ‘piacevole compagnia’ nel vero senso della parola, meglio se bella, profumata e formosa…

Mise la sicura alla nove millimetri e la ripose nella fondina, mentre girava l’angolo e prendeva la strada di casa.

 

 

 

 

 

Non ho scritto quasi nulla su Ishbar. Sono ricordi un po’ troppo malinconici, ma rappresentano (penso) il legame più importante per loro, l’inizio del loro aggrapparsi l’un l’altro. Questo theme mi ha fatto letteralmente uscire di testa, ma alla fine sono riuscita a dargli il taglio che volevo… forse. AVVISO SPOILER VOL.15!!!

 

 

043. Wind (Vento)

 

 

L’afa non voleva saperne di attenuarsi, nonostante l’ora tarda della sera. Nuvole di polvere rossa impregnavano l’aria, si attaccavano ai vestiti e alla pelle, confondendosi con le luci roventi del tramonto.

L’uomo si era già seduto sul solito masso piatto, oltre il sottile schermo di roccia, ad ovest del campo. Con lei dietro, a guardargli le spalle da possibili attacchi a sorpresa, da quel cucuzzolo sulla destra che sembrava fatto apposta per il suo compito quotidiano.

Sempre lì, lei e il suo fucile, a chiedersi cosa mai ci trovasse il maggiore, in quella veduta desolata, alla fine delle battaglie di giorni sempre uguali.

Ma quella sera, attraverso la lente del mirino sempre puntato, lo vide alzare un braccio e sventolare la mano verso di lei, dandole le spalle. Un saluto, un cenno.

Si decise a raggiungerlo.

“Sapevo che eri lì, Hawkeye.”

“Mi dispiace. Ero troppo visibile…”

“Affatto. Non ti ho visto: sapevo che c’eri. Tutto qui.”

Persino i rumori del campo militare sembravano lontani mille miglia, come se quell’aria pesante e putrida bloccasse anche i suoni.

“Siediti, Hawkeye.”

Una goccia di sudore le tagliò la fronte, tagliando con una linea più chiara il suo viso nero e impolverato. Si sedette al suo fianco.

“Maggiore, perché viene sempre qui?”

“Sta arrivando…”

“Chi-…”

La folata fece morire le parole, superflue.

La sensazione dell’aria fresca sulla pelle accaldata sembrava così nuova, che si chiese se fosse mai esistito qualcosa come il vento, nei suoi ricordi. Quasi non si accorse della pressione via via più forte di una mano sulla sua.

Si volse verso il maggiore, con gli occhi e la bocca aperti, euforici, l’abbozzo di un sorriso che da tempo non visitava i suoi lineamenti. Ma lui se ne stava con gli occhi serrati, stringendo sempre più saldamente la sua mano tra le sue dita, non più coperte dai guanti sporchi.

Forse stava volando via su quella corrente, immaginando di essere altrove.

Se chiudeva gli occhi, poteva vederlo anche lei, un qualsiasi luogo, lontano da lì, lontano da tutto e tutti ma non lontano da lui, da quella mano che era l’ultimo legame che li teneva ancorati a terra.

Ma Dio! Quanto avrebbe voluto partire, andare via, aggrapparsi a quella brezza strana che non veniva da nessuna parte e non andava da nessuna parte, ma sollevava la polvere dalle loro anime, li travolgeva e li riempiva, loro, miseri gusci vuoti e secchi, con occhi senza più lacrime.

Durò solo una manciata di minuti. Poi, il vento cessò, vagabondando altrove, lasciandoli di nuovo nel caldo soffocante del deserto, la bocca piena di sabbia e gli occhi pesanti.

“Non arriva fino al campo. Questo rilievo roccioso non lascia passare nulla. Nulla.”

Lui si alzò, tirandola su con sé, perché le gambe si erano fatte deboli, e la testa così vuota che non bilanciava più l’equilibrio.

“Torniamo.”

Ripresero il sentiero diroccato, traballando sui sassi che chiocciavano come pezzi di vetro e ceramica. L’aria, di nuovo pesante e spessa, come una cortina di tessuto grezzo.

Non lasciò la sua mano, finché non arrivarono al campo.

Chiedo per l’ennesima (ormai ho perso il conto) volta perdono per il mancato avviso spoiler dello scorso capitolo! Ogni tanto (diciamo pure quasi sempre) mi dimentico a che punto siamo arrivati con il fumetto italiano… Chiedo ancora scusa!

 

Venendo al theme in questione, mi sono accorta che l’immagine di Riza che gli accarezza i capelli ricorre un po’ troppo spesso nelle mie fic,  per cui ho deciso di… ribaltare i ruoli! Vediamo un po’ cosa potrebbe succedere…

 

 

044. Hair (Capelli)

 

 

Dopo aver sopportato i suoi sbuffi scocciati davanti allo specchio, per una mezz’ora abbondante, l’esasperazione sarebbe venuta a chiunque. E lui non ne era immune, contrariamente a quanto si potesse pensare.

“Avanti, lascia provare me!”

L’espressione stranita che lei gli rivolse non aveva prezzo. Sperò di non dimenticarla mai.

“Signore, con tutto il rispetto, non penso che lei possa saperne molto sulle acconciature…”

“Cosa ti fa credere che non sia pratico con questo genere di cose, tenente?”

“Mmm… magari il fatto che lei è un uomo? O devo cominciare a dubitare anche di questo?”

“Farò finta di non aver sentito…”

In effetti, non sapeva nemmeno lui come la cosa gli stesse riuscendo così bene. Forse per il fatto di averla osservata fissare quella crocchia sulla nuca, giorno dopo giorno, aveva interiorizzato quella sequenza sempre uguale di gesti.

Arrotolare, torcere, girare verso l’alto il ciuffo rimanente, fissare con il fermacapelli.

Facile, dopotutto.

Ma quel giorno i suoi capelli sembravano essere nel bel mezzo di un ammutinamento.

Una ciocca scivolò rovinosamente di lato, al che Riza non si curò nemmeno di trattenere una risata.

“Ehi, sto facendo del mio meglio!”

“Scusi… è che le stava venendo piuttosto bene, nonostante… E’ sicuro di non essere…?”

“Hawkeye, un’altra parola sulla mia presunta sessualità, e farò in modo che possa verificare di persona!”

Se voleva zittirla, aveva scelto la strada più breve. E poi era così carina, con il viso completamente paonazzo e lo sguardo basso…

Si distrasse un po’ troppo in apprezzamenti, tanto che anche al secondo tentativo, l’acconciatura crollò miseramente, con il fermaglio che le penzolava sulla spalla.

Il sospirò che le rotolò sul collo, facendole venire i brividi, sapeva di sconfitta e amarezza.

“Non sono così bravo come pensavo…”
“Grazie per aver provato. Dev’essere l’umidità: di solito riesco a sistemarli in poco tempo.”

Aggiunse il suo sguardo a quello già truce per natura del colonnello, in direzione dei nuvolosi scuri all’orizzonte, fuori dalla finestra.

“Che farai, ora?”

Riza guardò il suo superiore come se quella appena posta fosse la domanda più stupida del mondo.

“Li terrò sciolti.” ammise, sospirando.

“Ah, sì?”

Se c’era un’espressione simile a quella di un bambino che vede realizzato il suo più grande desiderio, quell’espressione si trovava ora sul viso di Roy Mustang.

“Se me lo dicevi prima, non avrei neanche provato! Ah, guarda che pasticcio! Alla fine, mi sa che ho peggiorato le cose: hai i capelli tutti ingarbugliati…”

Come se niente fosse passò entrambe le mani tra le ciocche lunghe, cercando di disfare tutti i nodi che lui stesso aveva creato.

Riza si trattenne, nei limiti del possibile: non era decoroso mettersi a fare le fusa davanti al proprio superiore… e farlo davanti a Roy Mustang sarebbe stato anche pericoloso!

Ma in qualche modo, le piaceva la sensazione delle sue dita tra i capelli, che le massaggiavano impercettibilmente la nuca allo stesso tempo.

Era una specie di trance, quella in cui cadde. Si accorse solo al destarsi dal torpore, che i suoi capelli erano ora raccolti in un lunga treccia.

“Ecco, così non ti daranno fastidio.”

Senza aggiungere altro, il colonnello tornò alla sua scrivania e riprese quietamente a firmare la sua pila quotidiana di documenti. Sentiva chiaramente che se avesse continuato ad accarezzare quei capelli morbidi, sarebbe inevitabilmente andato oltre. Troppo oltre.

“Grazie…”

Appoggiando il mento alla mano, lui si dilettò segretamente del profumo del suo balsamo rimastogli sulla punta delle dita. Alzò appena lo sguardo, fissando la sua sottoposta attraverso le palpebre lievemente abbassate, come se stesse ammirando un quadro appena finito.

Stava bene, con la treccia. Molto più di un nanetto collerico di sua conoscenza.

Se non altro ora, alla spiacevole vista di Fullmetal, avrebbe sovrapposto quell’immagine molto, molto più gradevole, che stava registrando nel fondo della sua mente, proprio in quel momento.

“Di niente. Grazie a te.”

 

 

 

 

Ok,  questo capitolo non è molto romantico (il prossimo theme lo sarà davveeeeero, lo prometto, hu hu! ^^)… però l’alternativa era una miriade di varianti di un quadretto molto dolce ma poco originale, e allora mi sono buttata, così per cambiare un po’!  Speriamo bene…

 

 

045. Awakening (Risveglio)

 

 

Con una mano si strofinò gli occhi, ancora mezzi chiusi, l’altra se la passò tra i capelli in disordine, mentre l’altra mano le scivolava pigramente lungo lo stomaco.

Capì che qualcosa non quadrava quando si ricordò, improvvisamente lucida, di non avere tre mani.

E subito, si spiegarono anche quello strano sbuffo di calore a intermittenza contro il suo collo, e la presenza ormai ovvia che premeva lungo la sua schiena.

Non era saggio voltarsi, un movimento brusco avrebbe svegliato l’intruso e non sapeva come avrebbe reagito a quella strana scoperta.

Cercò di fare mente locale e ricompose i pezzi sconclusionati della serata precedente.

Niente: tabula rasa. Appena qualche fotogramma di una notte al bar con il colonnello e gli altri ragazzi, poi nient’altro.

Dalla condizione attuale di quel risveglio, dedusse facilmente la parte mancante. Si maledisse silenziosamente per aver accettato che il colonnello le offrisse da bere.

Rimaneva solo un dubbio: oltre a lei, quella sera, c’erano solo Falman, Fuery, Breda e Havoc.

Falman era astemio.

Fuery era ancora un bambino, e in quanto tale, non ancora moralmente corrotto.

Breda reggeva l’alcol meglio di un marinaio irlandese.

Havoc… Ohssantocielo, fa che non sia Havoc!

Un grugnito contro la sua nuca, un movimento impercettibile dietro di sè.

Riza trattenne il respiro. Cosa che fece anche l’individuo alle sue spalle, probabilmente accorgendosi della situazione.

Improvvisamente, Riza si accorse di aver tralasciato un importante soggetto dalla lista dei sospetti.

Ma il colonnello non poteva reggere così poco l’alcol. O meglio, il colonnello non poteva non sapere quanto poco lo reggesse lei.

Il colonnello non poteva essere così stupido da non prevedere le conseguenze della mancanza di freni inibitori che quelle birre di troppo avevano creato.

Il colonnello non poteva essere così irresponsabile da mettere alla prova tutto quello che aveva costruito per una notte con il suo tenente.

Il colonnello non poteva essere…

…

Sì. Conoscendo il colonnello in questione, poteva essere benissimo.

Il materasso beccheggiò leggermente, l’improvviso muoversi della mano ancora sul suo stomaco le fece il solletico. Soffocando una risata si voltò, a pochi centimetri dal sorriso sollevato dell’uomo alle sue spalle.

“Hnm….’giorno…”

Riza ebbe la sua risposta. Insieme a un bacio sul collo, e la certezza che la parte mancante della serata, gliela avrebbe fatta ricordare lui più tardi…

 

 

Questo theme rientra nella categoria “Haawwwwww!!!!”  ^///^

Vado particolarmente fiera di questo capitolo. E’ uno dei pochi che, nonostante le varie riletture, non ho mai sentito il bisogno di correggere o cambiare.

Adoro fare questi themes, letteralmente: lo adoroooo!!! Vi avviso che il baby Mustang apparirà ancora (e spesso), perché l’idea mi piace troppo…

 

 

046. Sleepless night(Notte senza riposo)

 

 

I lamenti erano ricominciati, puntuali come sempre.

Roy rotolò su un lato, spiando la sveglia con un occhio mezzo chiuso. Le due e mezza di mattina: preciso come un orologio svizzero, quel bambino…

“Tocca a te…” sentì sussurrare, vicino a sé.

“No. Sono andato io, l’ultima volta. Tocca a te.”

Dalla stanza vicina, i gemiti aumentarono di intensità.

“Roy, domani è il tuo giorno di riposo. Io invece mi devo svegliare alla solita ora. Ti prego…”

Con un sospiro, l’uomo cercò a tentoni le ciabatte, rabbrividendo al contatto dei suoi piedi nudi con il pavimento gelido. Aspettò qualche secondo che la leggera vertigine del sonno interrotto bruscamente passasse, poi barcollando e appoggiandosi al muro, raggiunse la culla da cui dilagavano singhiozzi e pianti.

“Tu vuoi proprio farmi morire…” sussurrò, mentre sollevava tra le sue braccia il piccolo fagotto urlante, cullandolo dolcemente. Il piccolo si calmò appena, stringendo i pugnetti paonazzi e appoggiando il viso contro il suo petto.

“Mi dispiace: niente pappa, lì. Non sono mica tua madre! Ti toccherà aspettare domani mattina…”

Raccolse il ciuccio, perso tra le coperte durante la notte, e lo avvicinò alla bocca del neonato, che cominciò a succhiare avidamente.

Roy lo guardò attaccarsi a quel pezzo di gomma morbida, come se fosse la cosa più bella e importante del mondo, scorrendo placidamente l’indice lungo la guancia paffuta e ancora umida di lacrime. Si sedette sul divano, aspettando che il bambino tra le sue braccia, si decidesse a riaddormentarsi.

“Su… che papà vuole tornare a letto. Fai la nanna, da bravo… Per favore…”

Non si accorse dell’affievolirsi della sua stessa voce, o del suo capo ormai ciondolante, né del respiro nuovamente profondo e regolare del piccolo che teneva stretto.

Riza li trovò così, la mattina dopo, entrambi saldamente aggrappati l’uno all’altro. Ci mancava solo Black Hayate accucciato lì vicino, per completare il quadretto idilliaco…

Cercando di non svegliare nessuno dei due, sciolse lentamente la presa di suo marito, prelevando delicatamente il neonato dalle sue braccia.

“Grazie, tesoro…”

Lui grugnì appena, quando lo baciò piano sulla fronte, sussurrò qualcosa di incomprensibile e lasciò crollare definitivamente il capo sui cuscini.

X Mame. Ma allora non sono l’unica ad aver fatto qualche pensierino su Havoc!!! Povera stella: bisogna trovargli l più presto una fidanzata, a quel ragazzo…

 

Su quasi 50 Royai, non ho mai fatto dire a nessuno dei due quelle famigerate due paroline…Bisogna rimediare!

 

 

047. In the dead of the night (Nel cuore della notte)

 

 

Il fragile equilibrio di calore che si era creato sotto le coperte, fu improvvisamente turbato dai suoi movimenti. Sentì un paio di braccia avvolgerla, poi un bacio, uno solo, appena sotto l’orecchio.

Ancora mezza addormentata si voltò verso il suo amante, senza aprire gli occhi, cercando il suo viso con la punta del naso.

“Non riesci a dormire?” biascicò, la voce ancora impastata tra il sonno e la veglia.

In risposta, l’umida traccia di un altro bacio scivolò sulla tempia, sulla guancia, poi sulla sua bocca, ma senza toccarla.

“Ti amo.”

Questo, la fece svegliare del tutto.

Lo aveva sussurrato così piano, che non era del tutto sicura di averlo davvero sentito.

Non era tanto ciò che aveva detto, ad averla turbata, ma il come l’aveva detto. Così, nel cuore della notte, di punto in bianco. Semplicemente: “Ti amo.”

“Perché?”

Se c’era una risposta veramente stupida da dare, lo aveva appena fatto.

Sentì una risata sommessa contro la guancia, un piccolo sbuffo di calore nel calore, ormai diffuso su tutto il suo viso.

“Non c’è un motivo. Non si ama per un motivo. E’ così e basta.”

“No, intendevo… perché me lo stai dicendo proprio ora?”

Con una mano si fece strada tra le lenzuola, per cercare a tentoni l’interruttore della luce. Uno strano presentimento le dettava il bisogno di osservare l’espressione sul suo viso, di controllare che tutto andasse davvero bene. Lui, la afferrò prima che potesse far emergere il braccio dalle coperte.

“Riza, va tutto bene. Non volevo farti preoccupare, davvero: va tutto bene, non sono impazzito.”

“Sì, ma…”

“Riza. Riza.”

Sussurrò il suo nome come una ninna nanna, mentre le accarezzava la schiena.

“Volevo solo dirtelo. Non l’ho mai fatto, ci ho pensato tutta a notte e… volevo solo che lo sapessi.”

Sentì tutta la tensione dissolversi, fuggire insieme a un sospiro, infrangersi contro il suo petto.

“Grazie.”

Aspetto che si fosse addormentato, prima di rispondere piano: “Anch’io.”

Ma lui aveva inteso.

 

Risposta per Shatzy: Eh sì… ‘Grazie’ lo dice lei… felice perché glielo abbia finalmente detto! ^^

Risposta per YuYu@17 e _mame_: sì, a dire il vero mi piace molto anche Havoc… non ti dico come ho pianto quando perde l’uso delle gambe… è un bravo ragazzo ed è anche carino (anche se concordo con roy, nel dire che non raggiungerà mai i suoi livelli--- @  ç  @). Spero di vederlo nuovamente in piedi (in tutti i sensi) e che il colonnello gli lasci trovare una ragazza, senza soffiargliela (visto che lui dovrebbe accontentarsi di Riza, no?)…che ne dite di Shietzka? ^^”

 

Venendo a noi… (ohssantocielo! Sta venendo più lungo il commento del capitolo!!!)

Dire che questo theme è corto sarebbe un eufemismo (Shatzy perdonami…) ma nonostante tutto, la cosa è voluta. Volevo rendere un vero e proprio frammento della loro vita insieme, apparentemente breve e insignificante, ma molto importante, almeno per uno dei due…

 

 

048. Side of face (Un lato del viso)

 

 

“Posso dormire a destra?”

Riza non si oppose: per lei, in quel letto matrimoniale anche troppo grande, stare da un lato o dall’altro era indifferente.

Si chiese però, cosa avesse mai potuto far nascere in lui una simile richiesta.

La risposta era semplice, ma Roy si rifiutò di dirgliela, persino in futuro: avendola dalla parte  dell’occhio cieco, il lato del viso coperto dalla benda nera, non riusciva a vederla.

E si sentiva solo.

Ho una domandina tecnica: il theme 092 (Happiness) ha il punto interrogativo? Perché in alcuni siti l’ho trovato tradotto “happiness?” invece che “happiness”… ditemi voi, quale titolo uso?

 

Avviso SPOILER (evvai! Stavolta mi sono ricordata…)! Questa fic è una ‘What if’ ambientata all’inizio dell’OAV.  Shatzy, spero di aver fatto un buon lavoro, con il tuo theme preferito!

 

 

049. Cold hands (Mani fredde)

 

 

Era sorpreso di trovarla lì.

Poteva vederlo da quel singolo occhio spalancato e nero, nel bianco della neve, tutt’intorno.

“Breda e Havoc sono dei traditori…”

“Perché mi hanno detto che eri qui? Penso che siano degli amici, invece…”

Non aspettò che le aprisse la porta della piccola stazione, per entrare. Dentro la temperatura non era così diversa dall’esterno. Lo vide chinarsi sul camino.

“Non guardare.”

Dandole le spalle, accese il fuoco. Anche senza vedere, Riza indovinò il ritmico sfregare di un fiammifero umido sulla pietra del pavimento.

Lui alimentò la piccola fiamma formatasi con qualche foglio, rapporti non firmati, pensò lei, ma non disse nulla ad alta voce.

“Perché sei venuta?”

Si strinse ancora di più nel cappotto imbottito: c’era tanto gelo, in quella stanza. E non era solo per l’aria fredda del nord che si infilava in ogni fessura…

“Perché me lo chiedi, se lo sai già?”

Avvicinare le mani intirizzite al fuoco, non sembrava funzionare.

“Dammi.”

Lui prese a sfregarle tra le sue, stranamente tiepide. Lo lasciò fare.

Non le dispiaceva, come primo contatto, dopo tanto tempo…

Approfittò del fatto che la sua concentrazione fosse tutta sulle sue dita gelide, per osservare meglio l’uomo che le sedeva davanti.

Non era cambiato molto: i capelli , forse un po’ più lunghi, più ribelli. Non portava più i suoi guanti bianchi. Ma aveva la mani stranamente calde, nonostante tutto.

E lei? Chissà come la stava vedendo lui, ora… chissà se l’aveva trovata diversa, se aveva ritrovato subito in lei ciò di cui si era innamorato, tempo prima. Così tanto tempo prima…

“Roy…”

“Non dovevi venire.”

Lei ritrasse le mani, il tepore così faticosamente creato svanì in un lampo.

Di nuovo il gelo, dappertutto.

“Forse. Ma ora sono qui.”

Perché non la guardava? Perché non sollevava lo sguardo? Perché non le diceva che gli era mancata, che l’amava ancora, che sarebbe tornato? Non era forse più vero?

Le mani ricominciarono a tremare. Non le sentiva più. Non sentiva più nulla.

Le infilò sotto la maglia, a contatto con la pelle ancora calda della pancia, cosa che le procurò non pochi brividi. Le raggiunsero le sue mani, all’improvviso, mentre il suo capo si abbassava lentamente, fino ad appoggiare la fronte alla sua spalla.

“Non dovevi venire.”

“Ma volevo farlo, Roy. Te ne sei andato senza dire nulla: ero così arrabbiata che ti avrei sparato, non sai quanto avrei voluto! Anche quando ho saputo che eri qui, anche quando sono partita…”

“E adesso?”

“Anche adesso, sì. Sempre. Appena riesco a muovere le dita…”

Non capiva come mai la sua voce fosse così tremolante. Un altro effetto del freddo, senza dubbio.

Lui ricominciò con la sua litania, ma anche la sua voce a tratti mancava di decisione.

“Non dovevi venire…”

“Non mi sembra che la mia presenza ti dispiaccia, in questo momento…” considerò Riza, sentendo le sue mani salire lungo il petto, scivolando da sotto il tessuto.

“Anche per questo, non dovevi venire…”

Lei rise. Prima uno sbuffo leggero, contro la sua tempia. Poi la risata, sommessa, più convinta, ora sicura, sempre più forte.

E rise anche lui, con il naso ingarbugliato tra i suoi capelli umidi di neve sciolta, rideva tirandola a sé, baciandole il collo, asciugandosi gli occhi di nascosto con le ciocche bionde e morbide.

Era passato così tanto tempo… sembrava ne fosse passato così tanto: mesi simili ad ere geologiche, giorni infiniti, tutti della stessa tonalità di grigio freddo e anonimo.

Era arrivata con il gelo nel cuore, gli occhi vuoti, le mani inerti e rigide.

“Roy…”

“Shh… Non piangere: ti si congeleranno le lacrime.”

“Non sto piangendo!”

“Certo, certo… Fammi vedere le mani.”

Il passaggio improvviso dal freddo al caldo aveva reso le nocche paonazze, leggermente spellate. Mentre lui le sfregava ancora tra le sue dita callose, sentì i polpastrelli formicolare.

“Come vanno?”

“Sono un po’ intorpidite…”

Lui se le portò alla bocca, scaldandole con il respiro e piccoli baci sulla punta delle dita.

“Ti stavi congelando, lo sai?”

“Non importa.”

“Come avresti fatto dopo, a spararmi?”

Non rispose. Tanto la pistola doveva già essere fuori uso, per la temperatura troppo bassa. Ci avrebbe perso una giornata intera, al suo ritorno, per riparare gli ingranaggi bloccati…

Pazienza. Anche senza armi, lo avrebbe rincorso e preso a pugni, se fosse stato necessario.

“Riza, quanto pensi di rimanere?”

“Non lo so. Ho un sacco di ferie arretrate… in effetti non ci ho pensato. Non sapevo neanche come avresti reagito al mio arrivo, se mi avresti voluto qui...”

I geloni cominciavano a sparire dalle sue mani. Lui vi affondò il viso, sbirciando verso di lei, attraverso le sue dita sottili.

“Rimani.” Sussurrò con la bocca che le sfiorava i palmi ora caldi. “Rimani qui, con me. Rimani.”

Fuori, il vento ululava tra i picchi innevati. Dentro, non si udiva alcun suono.

Solo il fruscio dei suoi capelli biondi, nel lento annuire.

 

 

 

 

non ho parole: per ricordarmi di mettere l'avviso spoiler, dovrò cominciare a darmi delle botte in testa finchè non capisco! Scosa Shatzy, grazie per avermelo ricordato! AVVISO SPOILER VOLUME 15!!! Allora, inizio con una risposta per**ari** (attenzione, do’ qualche anticipazione: CHI NON VUOLE ROVINARSI LA SORPRESA, NON LEGGA QUESTA RISPOSTA!): All’inizio del film (Non l’oav, come mi ha fatto giustamente notare Shatzy… ^^”), Roy ha deciso di non usare più l’alchimia (di conseguenza, neanche i suoi guanti) e perciò, non essendo più un  alchimista, è diventato un semplice caporale, trasferito al nord. Quando Breda e Havoc scoprono dove si trova vanno a cercarlo per convincerlo a tornare, ma vedendolo in quelle “condizioni”, preferiscono lasciar perdere e di non riferire la loro scoperta nemmeno a Riza… E’ un riassunto un po’ bislacco, ma spero ti sia utile! ^^  P.S.: Se vuoi vedere il film, ho scoperto che si può vedere anche su You tube, diviso in circa dieci parti!

 

Tornando a noi… Mah… I titoli più stupidi sembrano sempre i più semplici da fare e invece…

Mi sono inventata un altro bel flashback della loro adolescenza insieme: mi piace architettare queste scene. E’ come guardare la loro relazione con il senno di poi, dicendo ‘ Visto? Già a quell’età erano legati…’

 

Eccoci, qua! Questo è l’ultimo theme della prima metà. Sono davvero contenta (e sorpresa) di essere arrivata fin qui. Lo devo soprattutto al vostro sostegno e partecipazione. Per cui, sicuramente l’ho già detto ma lo ripeto: grazie di cuore a tutti, per gli apprezzamenti, le critiche e i consigli. La seconda parte dei themes arriverà puntuale ad agosto, appena torno dalle vacanze e ho finito con la maturità (se Dio vuole! P.S.: Fatemi gli auguri!!!).

Buone vacanze a tutti!

Bacioni

 

 

050. Fingertips (In punta di dita)

 

 

Non avevano cucchiai. Se li erano scordati, nella fretta di lasciare la cucina indisturbati con il loro prezioso bottino tra le mani.

E ora se ne stavano lì, ad ammirare il barattolo lucido e chiuso ermeticamente, invitante e proibito, senza poter assaggiare nemmeno un po’ del suo contenuto.

Riza - lo vedeva bene - aveva gli occhi lucidi. Sentì anche lui il magone salirgli dalla gola: non poteva sopportare di vederla piangere, nemmeno a quell’epoca.

Il tappo di plastica si aprì con un ‘pop’ che la fece sussultare. Gli puntò addosso quei due occhi enormi e interrogativi che tanto gli piacevano, spiando le sue mosse.

Lui immerse la punta dell’indice della polpa rossa e soffice, se lo portò alla bocca e succhiò, concentrato nella degustazione, con un aria da vero intenditore.

Riza non si decideva: le avevano sempre insegnato che era una brutta cosa mangiare con le dita, fin da quando era piccola. Stufo di aspettarla, Roy le prese la mano, intingendo le sue dita sottili e bianche nella marmellata.

Con un sospiro rassegnato, anche lei finalmente si leccò la punta delle dita, accompagnata dal sorriso di trionfo del suo complice.

“Buona.”

Sì, era buona. Una marmellata di mele così buona, non si trovava quasi più. Ne aveva sentite tante, di quelle del supermercato o del fruttivendolo all’angolo della strada, ma nessuna era come quella.

Ed era strano trovarsela lì, sulla scrivania, ad esalare il suo aroma nonostante fosse ancora sigillata nel contenitore di vetro, come appena fatta.

Dall’altra parte dell’ufficio, il suo sorriso era lo stesso di tanti anni prima.

Riza svitò il coperchio con una cura e una lentezza maniacale, prima di affondare senza esitazione la punta delle dita nella confettura profumata.

 

 

 

 

 

 

 

 

Un saluto a tutti!!! Ebbene sono tornata!!! Mi sono concessa un giorno per leggermi tutte le novità Royai e divorarle come niente. Faccio i complimenti a _mame_, Ilune willowleaf, CowgirlSara e Winry4ever: ho praticamente passato il pomeriggio a leggermi i capitoli che mi ero persa, ero un po’ in arretrato dopo un mese (e anche un po’ in crisi d’astinenza…) e non ho proprio trovato il tempo per lasciare delle recensione entusiaste come avrei voluto. Bravissime comunque! Le vostre fic hanno riacceso in me la fiamma (mai spenta, ovvio! Ma solo un po’ intorpidita dall’astinenza e dalla lontananza da tv, fumetto e computer! Sì’ è stato un luuuungo mese…) della Royai! Ed ora a noi, con la seconda parte dei 100 themes! Ormai ho finito di scriverli, più o meno tutti: le idee ci sono, a parte qualche titolo che mi lascia ancora perplessa… Questo, per esempio, l’ho riscritto di getto meno di un’ora fa, la soluzione che avevo scelto precedentemente non mi sembrava un gran chè come originalità…Questa è un po’ più leggera: diciamo che la prima parte è terminata in sordina, e allo stesso modo si ricomincia! Buona lettura!

 

 

051. Embracing from the back(Abbraccio da dietro)

 

 

“Please,

Don’t stand so close to me…”

                             Sting

 

 

Mentre il braccio si allungava lentamente verso la scrivania, Roy perse per la decima volta della mattinata la poca concentrazione che quotidianamente concedeva alle scartoffie.

L’indice proteso ma rilassato, il polso leggermente piegato: sembrava quasi un affresco rinascimentale, mentre la punta curata del dito sorvolava di pochi millimetri il punto del foglio dove la sua firma di colonnello mancava.

L'altra mano, appoggiata sulla sua spalla, creava sotto di sé un incavo di calore quasi insopportabile.

Ed era disarmante, il modo in cui lei continuava a piegarsi in avanti, totalmente inconsapevole di cosa il profumo discreto del suo sapone stava provocando dentro di lui, o di come il suo seno stesse pericolosamente sfiorando la sua schiena.

Ricordarsi il proprio nome, sembrò all’improvviso un’impresa impossibile, per il colonnello Mustang. Con uno sforzo immane tracciò il suo sgorbio tremolante sull’ultimo rapporto, trattenendo a stento la penna tra le dita.

Con un sospiro di sollievo o forse solo di sfinimento, il tenente si raddrizzò, sollevando in un unico gesto la pila di fogli compilati, dalla scrivania del superiore.

“Signore, la prossima volta potrebbe cercare di firmare un po’ meglio? Questa calligrafia non sembra nemmeno la sua…”

“Mi dispiace…”

La mancanza improvvisa del tepore di quel corpo dietro di sé fece rabbrividire l’uomo, mentre la penna gli cadeva finalmente di mano e rotolava sul pavimento di marmo.

Ancora una volta Riza si appoggiò alla sua spalla soprapensiero, nel raccoglierla. Mentre riponeva l’oggetto sul lucido ripiano di mogano davanti al colonnello, quella mano non si era mossa, e ad essa si era aggiunta la pressione del suo fianco, che sembrava combaciare così bene con la curva della sua schiena…

“Colonnello, si sente bene? E’ così pallido…”

Roy Mustang preferì sorvolare sulla questione, anche per un fatto di incolumità personale.

“Nulla di grave, Hawkeye: sono gli effetti collaterali di tutta questa burocrazia…”

 

Altri 100 themes??? Dove? Dove? DOVE???sarò sincera, comincio ad aver paura ad arrivare alla fine… e dopo? Starò un giorno intero a contemplare il muro della mia camera in balia di un tremendo senso di vuoto, lo sento… Shatzy, ti prego, se li trovi da qualche parte, dimmi qualcosa! Per me,scrivere  questi themes sta diventando una droga!

Torniamo a noi. Ho paura che questo capitolo mi sia venuto un po’ OOC… Mah, mi saprete dire…

 

 

052. Hair clip (Fermacapelli)

 

 

“Dannazione…”

Raramente si lasciava andare, persino nei momenti di rabbia o esasperazione. E quando succedeva, bisognava stare particolarmente attenti alla propria incolumità…

Ma la curiosità era tanta, sapere cosa avesse scatenato a tal punto le sue ire, era qualcosa per cui valeva la pena rischiare.

“Qualche problema, tenente?”

“Affatto. Ma se non torna a firmare i suoi documenti, ne avrà lei colonnello. E tanti.”

Un uomo saggio, avrebbe recepito il messaggio e avrebbe agito di conseguenza.

“Hai perso qualcosa?”

“Colonnello, il suo acume mi stupisce ogni volta: lo ha capito dal fatto che sto vagando a quattro zampe per l’ufficio o dal fatto che sono da dieci minuti sotto la scrivania?”

Un uomo saggio avrebbe capito all’istante che non era giornata per le domande stupide.

“Perché ti tieni una mano alle testa? Ti sei fatta male?”

Decisamente, Roy Mustang non era un uomo saggio.

Riza scattò in piedi, lasciando ricadere libere le ciocche di capelli che teneva raccolte con le dita.

“Bé? Dov’è finito il tuo fermaglio?”

Oltre che poco saggio, era evidentemente anche stupido. Ci voleva proprio la pazienza del tenente Hawkeye, per non strozzarlo seduta stante.

“Signore, faccia uno sforzo: non ho il fermaglio e sto girando per l’ufficio da un quarto d’ora..”

“Lo hai perso?”

Sia lodato il cielo…

“Come hai fatto a non accorgertene?”

“Prima, durante la pausa pranzo, mi sono appisolata un attimo: l’avevo appoggiato sulla scrivania, e deve essere caduto…”

Roy Mustang si guardò attorno, come se l’oggetto tanto a lungo cercato dalla vista telescopica del suo tenente, potesse manifestarsi miracolosamente sotto i suoi occhi.

Il sorriso maligno che stava lentamente emergendo sul suo viso, non prometteva niente di buono.

“Se lo trovo, cosa vinco?”

Ecco, appunto…

“Prego?”

“Scambio equivalente, Hawkeye: se lo ritrovo, cosa mi dai in cambio?”

Riza non era sicura di trovarsi davanti il famoso Flame Alchemist, il colonnello Mustang, il valoroso ufficiale dell’esercito. Al momento sembrava più il moccioso di nove anni della sua vicina di casa. Inoltre, la distanza tra i loro visi, stava diventando un po’ troppo scarsa, per i suoi gusti… Arrossendo, si ritrasse il più possibile, indietreggiando contro il muro.

“Ripensandoci adesso… credo di averlo dimenticato a casa. Sì, deve essere andata così: penso che andrò a…”

“Non è possibile: lo avevi, questa mattina. Vediamo… a cosa può equivalere, un fermacapelli?”

Una pallottola in fronte? suggerì lei, ma solo dietro la sicura e impenetrabile barriera dei suoi pensieri.

“Signore, penso che dovrebbe tornare ai suoi documenti…”

“Andiamo, tenente! Lascia che sia io, ad aiutarti, per una volta…”

Riza decise che sul significato della parola “aiutare”, avrebbe ragionato un’altra volta.

Al momento, c’era ben altro a cui pensare.

“Allora? Un invito a cena? Un giro per il centro della città? Anche una serata al cinema, non sarebbe male…”

“Un bacio.”

Roy non era sicuro di aver sentito bene.

In effetti, era impossibile che Riza Hawkeye, il suo tenente, il suo “soldato perfetto”, avesse detto proprio…

“Un bacio” ripeté lei.

Sapeva quanto il colonnello amasse scherzare col fuoco. E lei non era certo una fiammata facile da trattare: in un modo o nell’altro, si finiva sempre per scottarsi.

Voleva sfidarla? Bene. Sfida accettata.

“D’accordo, allora. Un bacio. Ho un limite di tempo?”

“Un’ora. Può andare bene?”

“Sarà un gioco da ragazzi…”

Anche perché ritrovare un oggetto che aveva tenuto in tasca durante tutta la conversazione, non avrebbe potuto definirsi altrimenti.

“Non te ne pentire, dopo, Hawkeye…”

Riza non rispose.

Passò una decina di minuti a gironzolare per la stanza, chinandosi di tanto in tanto, per fingere di controllare sotto i mobili. Approfittando di un attimo di distrazione del tenente, tirò fuori il fermacapelli dalla tasca. Stava per dare inizio alla commedia, quando sentì un pensiero fuori luogo attraversargli il cervello.

Stringendo il pezzo di plastica e metallo tra le dita, si chiese più volte, cosa diavolo lo stesse trattenendo dal proseguire col suo piano.

Un bacio. Certo, aveva avuto intenzione di includere anche quella possibilità, tra le sue proposte di premio. Ma lei lo aveva preceduto. Lei si era fatta avanti, si era scoperta.

Un bacio… Un bacio di Riza.

Riza, che non guardava il colonnello, mentre cercava il suo fermaglio.

Qualcosa dentro di lei, le suggeriva di starsene buona, ad aspettare e sperare. Ma sperare cosa? Che lo trovasse, oppure no? Che perdesse la sfida o che la vincesse, prendendosi quello che gli spettava?

Perciò non guardava: immobile ad aspettare, involontariamente trattenendo il respiro.

“Niente da fare: rinuncio.”

Era delusione, la sottile lamina che le chiudeva la gola?

“Così presto?”

“Se non lo hai trovato tu, con i tuoi occhi di falco…”

Riza sorrise per il complimento, mentre faceva un ultimo giro perlustrativo.

“Colonnello!” esplose poi, all’improvviso, indicando la scrivania sotto la quale Roy era rimasto acquattato per tanto tempo: incastrato tra la gamba del tavolo e il muro, c’era il suo fermacapelli.

“Ecco perché non lo trovavamo!”

“Ma guarda! E dire che lì avevo guardato così bene…”

Nel momento esatto in cui lei si raccoglieva finalmente le ciocche bionde nella solita acconciatura sbrigativa, Roy cercò disperatamente il motivo valido che l’aveva spinto ad abbandonare il suo piano prima della gratificante fine.

Non era andato fino in fondo, non aveva avuto il cuore di farlo: di imbrogliare con un trucco da casanova così scontato proprio il suo sottoposto, il suo tenente. No, la sua Riza…

Le sue labbra a contatto con la sua fronte, in un tocco così fresco e inaspettato, quasi lo fecero sobbalzare.

“E’ il premio di consolazione. Per aver comunque tentato…” si giustificò lei, ritornando alle sue mansioni e al suo naturale cipiglio severo.

Il momento di leggerezza e svago, era inesorabilmente giunto al termine.

Mentre tornava alle sue carte, Roy decise che, trucchetti scorretti o meno, il tenente avrebbe perso molte altre volte, il suo fermaglio…

 

 

 

Che dire? Rischio di diventare ripetitiva, ma ringrazio ancora tutti/e per le recensioni calorose! Come si fa a non voler scrivere per l’eternità, se si è accolti da tanto affetto? Ok, scusate la smielata (che però era sincera ^^) e veniamo ai themes. Shatzy, ho letto gli altri 100 themes… mi sa proprio che sono già (purtroppo o per fortuna?) sulla lista delle cose da fare! ^^ Anche se ho visto che alcuni sono doppioni o comunque molto simili alla serie che sto facendo, quindi magari non li farò tutti… vedremo, intanto cercherò di finire questi!  I 30 a cui ti riferivi forse sono i “30 kisses”. Li ho visti e scaricati, ma sono un po’ più complicati, perché obbligatoriamente in ogni capitolo ci va un bacio… e la cosa non mi sconfinferava più di tanto visto che stiamo parlando di Royai. In compenso ho trovato qualche altra lista di drabbles (ma non ricordo dove! Testina mia…) come il “7 snogs” (non chiedetemi cosa vuol dire) o (ancora più carine) le “15R”! (15 titoli con le iniziali della nostra coppia)…

Ugh! Sto diventando una drabble-dipendente…

Torniamo a noi, che è meglio…In questa fic volevo fissare uno dei tanti piccoli impercettibili gesti di Riza, e il titolo mi è sembrato al posto giusto nel momento giusto.

 

 

 

053. Sigh (Sospiro)

 

 

Dentro l’aria. Trattenuta. Cinque secondi.

Fuori l’aria, fuori, a lungo.

Il petto che si abbassa. Lentamente.

Lo stesso sospiro di sempre, soddisfatto e tranquillo.

Dopo aver ricevuto i suoi documenti finalmente firmati, dopo aver  mangiato una mela, dopo aver fatto l’amore.

Quei cinque secondi o più di aria, di tempo che si ferma, di contemplazione della sua pace.

Ma allora perché quel sospiro, mentre leggeva il rapporto appena arrivato dalla sezione affari interni? E non diceva nulla, mentre appoggiava il foglio sulla sua scrivania, con la calma di sempre.

Scattò sull’attenti. La tradì una piccola increspatura sull’angolo destro della bocca, un sorriso nascosto, mentre lui leggeva le prime righe.

E Roy capì che quel sospiro era stato l’unica espressione di gioia che si era concessa, dentro le mura opprimenti dell’edificio militare.

E si trattenne dal saltale addosso, dal baciarla, dall’abbracciarla lì, dove si trovava, ballare per l’ufficio tenendola in braccio, e urlare e baciarla ancora.

Anche lui, si limitò a sospirare.

Pazienza.

Ci sarebbe stato tutto il tempo, a casa, per festeggiare a dovere il nuovo Furer di Amestris.

 

Shatzy, grazie per il link: ti dico già che le R15 me le sono già segnate sull’agenda… per le altre liste, ci sono alcuni titoli che si ripetono oppure intraducibili (che vorrà dire “Schmer”???), per cui magari farò un altro listone da 100, mischiandoli tra di loro… ci penserò al momento debito. ^^

Dunque, questo titolo è stato un po’ ostico da decifrare…

Stando alla mia limitata (spero non per molto) conoscenza della lingua giapponese, il suffisso “sama” dovrebbe essere un appellativo divino, del tipo “Oh mio grande” in questo caso “bambino”…Io, più che un verso di adorazione, l’ho inteso più come un’invocazione per sfinimento, e mi sono concentrata di più sul termine “bambino” (l’unico di cui fossi davvero sicura del significato)…

Boh, io ci ho provato: scusatemi e se sono uscita dal seminato, non è stato volontariamente.

Ah, già! Penso sia la prima volta che vedrete il pargoletto cresciuto… e con un nome! Non indovinate già qual è? Hu hu…

 

 

054. Oh Child-Sama! (Oh Grande-Bambino!)

 

 

“Mphn!”

Il soffice mucchio di fieno in cui caddero, li avvolse in un fruscio assordante, persistente come un’eco ad ogni minimo movimento. Ormai i suoi capelli pieni di fili dorati, sembravano biondi come quelli di lei. Sarebbe stato un lungo lavoro, cercare di toglierli tutti, dopo…

Il soffice calore del suo seno tra le dita gli fece distogliere l’attenzione da pensieri al limite del futile. Era particolarmente ironico che avessero dovuto ricorrere ad un fine settimana dagli Elric, per trovare qualche momento di intimità.

Il caos di Central City, il lavoro, le responsabilità… ultimamente gli impegni erano stati troppi, e il tempo da dedicare a loro stessi troppo poco.

Per questo, dopo averla colta di sorpresa, sentì la donna sotto di sé rilassarsi, senza opporre resistenza ai suoi baci voraci e alla sua fame di carezze.

Si cercavano con uguale foga, nascosti nel granaio deserto di quella casa immersa nella campagna. Perduti com’erano in quel ritrovarsi idilliaco, non si accorsero dell’arrivo di una nuova presenza, inopportuna come poche cose al mondo sapevano essere.

“Che state facendo?”

Colta nuovamente alla sprovvista, Riza quasi si soffocò con la paglia sotto la quale si erano seppelliti. Suo marito fu più pronto di lei nel trovare una risposta adeguata all’età di chi aveva appena formulato la domanda.

“La mamma è caduta. La stavo aiutando ad alzarsi…”

Due occhi scettici analizzarono accuratamente la scena, prima di emettere il verdetto.

“Non è vero! La stavi baciando…”

“Nah… Era solo una respirazione bocca a bocca…”

“No.”

“Sì.”

“No!”

“Sì!”

“AIUTATEMI AD USCIRE DI QUI!!!” esplose una Riza paonazza in viso, riemergendo a fatica dal cumulo di fieno disordinato.

Il piccolo battè il padre in velocità e si precipitò ad abbracciarla, gli occhi spalancati e annegati nella più sincera preoccupazione.

“Ti sei fatta male, mamma?”

Riza sorrise intenerita, mentre stringeva a sua volta il Roy in miniatura che quel bambino stava diventando. No, dubbi sulla paternità non potevano essercene. Sperava solo che il piccolo non avesse preso anche il carattere dal padre, o il mondo avrebbe avuto seri problemi…

“Non ti preoccupare, Maes: la mamma non si è fatta nulla.”

“Nemmeno io, se la cosa interessa a qualcuno...” borbottò il Roy originale, immusonito per la totale mancanza di attenzioni che gli era riservata.

Riservò alla peste disturbatrice uno dei suoi migliori sguardi infiammabili, senza ottenere alcun risultato se non un’ ulteriore sensazione di essere ignorato.

Sentì la temperatura alzarsi oltre i limiti di guardia, nel guardare impotente l’espressione beata sul viso del piccolo, i suoi occhi da gatto socchiusi al tocco leggero della mano materna: e pensare che quell’espressione poteva ora essere sul suo, di viso, se solo…

“Maes, la prossima settimana sei in punizione!”

“Cosa??? E perché?”

“Perché sì!”

“Non puoi!”

“E invece sì.”

“Ti farò arrestare!”

“Cosa difficile, dal momento che sono il capo dell’esercito…”

“ORA BASTA, TUTTI E DUE!!!” urlò Riza, per la seconda volta nell’arco di pochi minuti. Gran brutto segno, per chi avesse esperienza delle sue sfuriate.

“Maes, se continui, la punizione la prendi davvero!”

“Ma è lui che…”

“SILENZIO! E tu…” continuò, rivolgendosi ora al marito. Roy capì al volo che quegli occhi ambrati ridotti a due fessure minacciose, non presagivano niente di buono.

“Non ho bisogno di finire la frase, vero?”

L’immagine di innumerevoli notti di esilio sul divano, era abbastanza esplicita.

“Sissignora!”

E tanti cari saluti al momento idilliaco.

Mentre padre e figlio si rincorrevano per tutta l’aia (forse non esattamente per gioco…) Winry si affacciò dal suo studio, ancora con il cacciavite in mano, appena in tempo per intercettare il lamento rabbioso di Riza intenta a scrollarsi di dosso la paglia rimasta.

“Che ti è successo? Il bambino ti dà problemi?”

Riza sospirò, ringraziando una volta di più per aver lasciato la sua calibro nove nella valigia, al secondo piano della casa.

“Quale dei due?”

 

Diciamo la verità: non mi si sono aperte davanti molte alternative con questo titolo. Le varianti andavano dal funerale di Huges a un attacco di pianto per la nascita del primogenito. Non mi venivano in mente motivi più validi per far scoppiare Roy in lacrime (a parte il matrimonio, ma l’ho già scritto, quindi…)… a parte questa situazione. A mio parere è il momento più bello e significativo della loro relazione (per ora),  l’attimo in cui alcune carte si scoprono, e qualche sospetto viene a entrambi. Forse più di un sospetto, visto il modo in cui Roy reagisce…

Il pianto, lo vedo molto come un altro aspetto della rabbia, dell’ impotenza, per non aver potuto far nulla per evitare che un simile attaccamento nascesse.

Comunque, ho deciso di giocare il capitolo sull’ambiguità di quel pianto. Per come è fatto Roy Mustang, mi è sembrata la cosa migliore…

 

 

055. Infectious crying (Pianto contagioso)

 

 

“Smettila…”

Quella grande quantità d’acqua, troppa, tutta in una volta, gli dava fastidio. Quasi quanto le parole che aveva sentito pochi minuti prima, che continuavano a rimbombare da un muro all’altro.

O forse solo nella sua testa.

“Lasciami qui, Alphonse.. Lasciami qui…”

Doveva ricordarsi di ringraziare ancora qual ragazzino. Odiava essere in debito, specialmente con un’armatura, ma…

“Smettila, Hawkeye! Sono vivo… no?”

Lo era, nonostante la camicia zuppa di sangue e il respiro affannoso. Non aveva alcun motivo di continuare a piangere, forse lo sapeva anche lei, mentre annuiva ad ogni suo rimprovero, senza però poter fare nulla per obbedire.

E non sapeva se fosse un pianto di sollievo, o di una paura, un terrore non ancora passato del tutto… no, lei non era il tipo da lasciarsi andare così, da sciogliersi per così poco…

Perché la sua insignificante vita era poco.

A differenza di quella di lei.

Un brivido gli attraversò la schiena, ripensando a quella donna che si avvicinava, sempre di più, alla sua figura decisa afflosciata, inginocchiata, crollata, arresa…

Avrebbe voluto urlarle di rialzarsi, insultarla per la sua stupidità, sgridarla, scuoterla fino a farla rinsavire. Decise di farlo, non appena il suo corpo fosse stato in grado di compiere un singolo movimento senza patire le pene dell’inferno. Perché non poteva permettersi che altre persone si sacrificassero così per lui.

Non più. Non lei.

Era sbagliato, era pericoloso,  e non avrebbe potuto più perdonarselo.

E nonostante tutto, le lacrime continuavano a cadere, rotolando dal viso di Riza e infrangendosi sul suo.

Tanto da sembrare che anche lui…

Non so voi, ma appena letto questo titolo, mi si è appiccicato in testa il solito pattern “Riza= abile” e “Roy=maldestro”. Però… c’è un però, o meglio, un eccezione…

P.S: Non so se questa Riza mi è venuta molto IC. Però ho pensato che certe incertezze “femminili” debbano per forza venire anche a lei, prima o poi…

 

 

056. Skillful & clumsy (Abile e maldestro)

 

 

Conosco bene le mie capacità.

So sparare in corsa, in caduta, al buio e nelle peggiori condizioni atmosferiche.

So maneggiare venti diversi tipi di pistola, e usarne due alla volta.

Conosco le caratteristiche tecniche di mitragliatrici, fucili a lunga gittata e di precisione, kalashnikov, cannoni, persino bazooka.

Una granata impiega tre secondi ad esplodere, un fumogeno ne richiede cinque, una bomba a mano tradizionale, sette.

Posso individuare un bersaglio fino a settecento metri di distanza senza cannocchiale, e decidere se colpirlo nei punti vitali o meno.

Posso smontare e rimontare una qualsiasi arma da fuoco in meno di un minuto.

Riesco a passare inosservata persino in un luogo deserto, come questo ufficio.

Conosco bene le mie capacità e i miei limiti.

E il mio essere donna, non è uno di essi, non lo è mai stato.

Fino ad ora.

Conosco bene le mie capacitò, per questo sto fissando quel rossetto troppo acceso da almeno un ora.

L’ennesimo regalo inutile e inopportuno da una cosiddetta amica, con il suo messaggio intrinseco e letale: “Usalo… ne hai bisogno” sembra dire quel cilindro laccato e intonso, lucido nella sua confezione di metallo nero.

Quanto spreco, per un grumo di pasta colorata!

Conosco bene i miei limiti, e questo genere di cose è uno di essi.

Il tappo si apre facilmente con uno scatto rumoroso – solo per questo, è già un oggetto inadatto al mio lavoro – mentre ruoto il fondo per esporre il contenuto scarlatto.

Traccio una striscia colorata sul dorso della mano, per saggiarne la consistenza.

E’ un bel colore, glielo concedo: sanguigno.

In effetti, potrei. Dovrei.

Superare anche quest’ultima mia incapacità, questa stupida debolezza, questa mancanza.

Il cilindro morbido è fresco, a contatto con le mie labbra, ma mi fermo subito.

Non ho specchi a portata di mano, ma  l’ampia vetrata della finestra  sembra fare al caso mio.

Cerco di ricordare i movimenti di mia madre, davanti alla superficie riflettente del suo armadio, l’immagine si perde sfocata, nella bruma dei ricordi troppo lontani.

“Si può sapere cosa stai facendo?”

Avevo dimenticato della sua capacità di apparire sempre nei momenti meno opportuni…

“Niente.”

Ma la mia bocca rossa è troppo vistosa ora, per non essere notata, persino dal suo unico occhio.

“Devi sfregare le labbra l’una contro l’altra...” dice sollevandomi il mento con due dita, per studiarmi meglio.

Mi sento stupida: farmi spiegare una cosa del genere da un uomo…

Posso vederlo ridere, sotto quel suo solito ghigno storto e sornione.

“Chi è il fortunato?”

“Cosa?”

“Sì, per chi ti stai truccando… o meglio: per chi stai tentando di truccarti?”

“Deve esserci per forza qualcuno?”

“No. E’ solo che di solito, una donna si trucca per attirare l’attenzione di qualcuno in particolare…”

“Non è il mio caso.” Ma la velocità con cui ho risposto, fa sembrare questa frase una mezza verità. “Volevo solo imparare: non ne sono capace…”

La sua risata scoppia all’improvviso, ma il sorriso che la segue è ben diverso dalle sue smorfie maliziose: si apre in una dolcezza morbida che gli ho visto mostrare solo una volta, in tutta la mia vita…

“Non è obbligatorio, sapersi truccare. Soprattutto per te, che non ne hai bisogno.”

“Ma…”

Ma è una cosa che non so fare. E’ una mancanza, è una capacità che ho dimenticato di acquisire e che mi rende… incompleta.

Sono stata chiamata tante volte il “soldato perfetto”, ma ora voglio rendere perfetta anche la parte di me che ho trascurato per così tanto tempo…

“Riza, è normale non saper fare certe cose, avere delle debolezze, dei lati negativi o goffi. E’… umano. E poi, te l’ho già detto l’altra volta: le cose imperfette sono le più belle…”

Il contatto del suo pollice sulla mia bocca, mentre cancella il colore sgarbato, è molto più piacevole di quello del rossetto.

E il sapore leggermente salato delle sue labbra, supera entrambe le cose.

 

 

 

 

 

Questa volta l’originalità non ha prevalso. All’inizio volevo mettere Riza nella posizione della finta dormiente… ma ho pensato che addormentarsi (o farsi credere addormentata) sul lavoro non sarebbe stato accettabile per una guardia del corpo che si rispetti. Così mi è toccato invertire gli ruoli… chissà.

Mi sono accorta a posteriori che questo capitolo potrebbe essere la trasposizione al tempo presente di Unknown past… Chissà, magari in quella biblioteca Roy ha capito che fingere di dormire è l’unico modo per avere Riza  così vicina (oppure è lei ad aver qualche problema di relazione con chiunque non stia dormendo!)…

 

 

057. Feigning sleep (Fingendo di dormire)

 

 

Viveva di quei momenti.

Quando lei gli accarezzava i capelli, affondando le dita in quella massa morbida e ribelle, cercando in qualche modo inconsciamente di darle una forma quantomeno più ordinata.

Viveva per quella sempre immutata successione di gesti: le dita si spostavano dalla sua nuca, seguendo la linea della mascella, fino al mento, un tragitto che ormai conosceva a memoria.

Non sapeva cosa avrebbe dato per poter vedere l’espressione creatasi sul suo viso, in quel momento, durante quelle manovre. Ma doveva tenere gli occhi chiusi. In ogni caso.

Il suo indice si fermò, come sempre, sfiorando appena il profilo delle labbra, per pochi ma interminabili secondi.

Roy assaporò la sensazione, la ragione per cui si svegliava la mattina e si trascinava fino a quella scrivania, la ragione per cui aveva imparato a fingere di dormire, a regolare il respiro per non insospettirla, a controllare il movimento fintamente inconscio delle palpebre e gli spasmi improvvisi del sonno.

Aspettò pazientemente che il solito sparo a cinque centimetri dalla sua spalla lo riportasse ai documenti ancora da firmare, abbandonati sulla scrivania. Aspettò che il tenente avesse finito di rimproverarlo e fosse uscito dalla stanza sbuffando.

Aspettò che l’unico momento piacevole della mattinata fosse definitivamente sfumato via, prima di permettersi di sorridere.

 

 

 

Sigh: scrittrice bisognosa di conforto… ieri hanno dato l’episodio della morte di Huges… sono scoppiata in lacrime tanto per cambiare! A volte mi chiedo perché debba farmi del male da sola…

Meraviglio sa la scena dell “pioggia”, e non smetterò mai di fare i complimenti al doppiatore di Roy: la voce incrinata dal pianto è… è… semplicemente la sua!

A proposito, qualcuno sa come si chiama la musica che si sente durante la scena del funerale? Mi piacerebbe molto saperlo: l’altro giorno ho trovato su emule “Tsuisou”, quella della fine dell’anime (stupeeeeeeenda…sigh!) e volevo cercare anche quella 8e magari provarla a suonare, visto che è tutta pianoforte…). Grasie.

Ma veniamo a noi…

Ve l’avevo detto che il pargoletto sarebbe tornato fuori! A me queste scene fanno venire una tenerezza… anche solo immaginarle.

 

 

058. Before falling asleep (Prima di addormentarsi)

 

 

Sentirla cantare era ancora qualcosa di strano, una sensazione nuova, in qualche modo.

Ma ciò che non finiva mai di sconcertarlo, era l’espressione dolcissima che Riza assumeva ogni volta che aveva in braccio quella piccola creatura.

Era così… materna.

Per questo amava guardarla, mentre allattava, amava guardare quella cosina morbida e rosea attaccarsi con avidità al seno, amava la ninnananna che lei cantava, seduta sul divano dopo la poppata, per far addormentare il bambino ancora nelle sue braccia.

A volte Roy si sorprendeva nel provare per il suo stesso figlio una leggera invidia. Invidia di quelle coccole, di quelle carezze così dolci e tenere, da far venire le farfalle nello stomaco.

E non poteva trattenersi dal poggiare la testa sul grembo di Riza, mentre lei cantava, la vibrazione della sua voce che si diffondeva per tutto il corpo come un ronzio sommesso e profondo.

Chiuse gli occhi, sospirando.

Riza gli accarezzo i capelli, prima di appoggiare la schiena affaticata al cuscino dietro di lei. Accomodò la posizione del bambino contro la spalla, mentre adagiava un bacio impercettibile sulla fronte liscia del nuovo nato.

“Il tuo papà si addormenta sempre prima di te…”

 

 

Chiedo scusa se non ho rispettato i miei standard, ma sono andata a prendere un po’ di pioggia in quel di Cesenatico. Ho i funghi che crescono tra i capelli: comincio a pensarla come Roy, sulla pioggia, specie sulla pioggia negli unici due giorni in cui si va alla ricerca del binomio mare-sole…

Già che ci sono, due rispostine:

MoMozzia: in realtà sono di Bologna… c’è qualcuno dei dintorni, per caso?

Ilune: Cip ensavo l’altro giorno, al tipo di padre che potrebbe essere Roy… ma mi sono resa conto che le cose cambiano a seconda del pargoletto… Con la versione maschile, beh avete visto come la penso: si andrebbe a instaurare un po’ di sana competizione tra padre e figlio per le attenzioni della dama di casa (cosa tra l’altro che i bambini fanno sul serio…). Se avesse avuto una femmina, sì, io penso che la foto nel taschino sarebbe stata un classico! ^^

 

Ok, ci do un taglio e vi lascio al capitolo…

Rileggendo i volumi del manga, mi sono accorta di una cosa: la nostra Riza sembra essere affezionata a una coppia di oggetti, che porta sempre. Non mi meraviglierei, se significassero davvero qualcosa, non solo nella mia fantasia (sospiro sognante)…

Ma sarebbe bello se ci avessi azzeccato, no?

 

 

059. Gift (Dono)

 

 

Due anelli uguali, uno per ciascuno.

No, sarebbero stati troppo visibili ed espliciti.

Inoltre per lui sarebbe stato imprudente, portare una striscia di metallo proprio sotto i suoi guanti infiammabili.

Una collana? Troppo scomoda. Ci aveva pensato a lungo, però. Un ciondolo a forma di “R”: nessuno avrebbe potuto sapere che quella lettera stava per “Roy”, oltre che per “Riza”…

Ma lei non era il tipo da portare simili oggettini da adolescenti. Sarebbe risultata innaturale, non-lei, con quel gioiello frivolo addosso.

Riza era pratica, Riza era funzionale.

Riza era Riza.

Unica, preziosa, ma discreta.

Non voleva regalarle una gemma appariscente, da rinchiudere nel portagioie, e da portare solo nelle occasioni speciali, o nell’intimità del loro appartamento.

Qualsiasi cosa avesse trovato, voleva vederglielo addosso, ogni giorno, a ricordarle e a ricordargli che nonostante tutto, erano legati.

Per questo cercava qualcosa che potesse portare anche lui.

Due articoli gemelli, coppia inseparabile, richiamo l’uno dell’altro.

Fu davanti al decimo gioielliere che visitava, che l’illuminazione arrivò.

Ammiccavano, timidamente lucenti, dall’angolo più nascosto della vetrina: erano due, erano uguali, erano insospettabili. Rise di sé, per non averci pensato prima.

 

“Per te.”

“Cos’è?”

Le aprì il pacchetto, senza tante cerimonie. Le piccole perle pallide, brillavano languidamente nella luce soffusa, raccogliendo i morbidi riflessi rosati della loro pelle.

Senza darle il tempo di dire niente, baciò delicatamente ciascun lobo, prima di appuntarvi gli orecchini.

Si ritrasse, per ammirare il risultato finale, ridendo compiaciuto del suo viso paonazzo.

“Uno per me e uno per te. Ma dovrò chiederti di portarli tu, entrambi. Te la senti?”

Riza sfiorò appena una delle perle con la punta delle dita: così piccole… ma la loro presenza bastava a dimostrare silenziosamente quello che agli occhi degli altri era nascosto.

Mentre la guardava sorridere e asciugarsi furtivamente una lacrima, Roy si accorse che anch’essa era come una perla, la sua perla: piccola, pura e poco vistosa.

 

Ehm… come dire, grazie per esservi preoccupate per la mia assenza… MA QUI TOCCO DAVVERO FERRO!!! A parte gli scherzi, un saluto alla mia concittadina (io ho appena finito la maturità, ero al linguistico del Copernico… ah, che bello usare il passato!). ^^

 

Sarò breve e concisa. Episodio 37: un mucchio di risate e uno spunto inaspettato…

 

 

060. At the window (Alla finestra)

 

 

Il cielo lanoso non prometteva niente di buono, ma era l’unico punto su cui posare l’attenzione per sfuggire alla noia di un pomeriggio pieno di burocrazia.

Certo, passare dal bianco dei documenti ancora intonsi al grigio minaccioso delle nuvole, non era un granché come cambiamento, ma per distrarsi si fa quel che si può.

Solo quando il suo sguardo scivolò inavvertitamente giù, sfracellandosi sul cortile lastricato sotto la finestra, trovò finalmente qualcosa di più interessante da guardare che non una promessa di pioggia.

Incurante dell’aria fredda, sedeva sotto l’unica quercia centenaria del piccolo spiazzo erboso, raccogliendo e rilanciando più volte il rametto che Black Hayate riportava continuamente. Sempre composta e rigida, sempre lei, sempre e comunque Riza.

Ma un occhio esperto come il suo, abituato ad interpretare le variazioni impercettibili del suo umore, aveva notato subito la piccola virgola d’ombra sull’angolo delle labbra. Un’increspatura minuscola ed enigmatica, un gioco di sfumature quasi invisibile… eppure era lì.

Ed era bello stare a guardare quel sorriso che riusciva ad evadere dalla prigione della sua bocca rigorosa, del tutto inconsciamente, mentre il compagno di giochi saltellava per l’erba inseguendo una falena.

La rarità del momento lo rendeva speciale e il colonnello, la fronte appoggiata al vetro della finestra, si perse nella scena che gli si era aperta davanti con una naturalezza e una discrezione tale da lasciargli le gambe molli e lo sguardo ipnotizzato.

Per questo, l’entrata improvvisa di Fuery nell’ufficio lo colse del tutto impreparato.

“Signore sono arrivati dei documenti che…”

Per non farsi trovare in flagrante oziosità, Roy afferrò il primo oggetto che trovò a portata di mano, cosa che risultò poi essere uno strofinaccio abbandonato lì da qualche inserviente disordinato.

 

Dal rapporto di Fuery: alle 11.30, il colonnello comincia improvvisamente a pulire i vetri... Li firmerà o no, questi documenti?

 

 

Questa è un po’ strana…Però con questo titolo, il riferimento agli appuntamenti del colonnello era quasi d’obbligo! Vediamo se riuscite a capire qual è il codice. Vi giuro che è veramente semplice semplice… Buona lettura!

 

 

061. Diary/ Journal (Agenda)

 

 

“Havoc, gli appuntamenti di domani?”

Il sottotenente si apprestò a controllare l’agenda del superiore, diventando sempre più paonazzo, man mano che proseguiva con la lettura.

“Rachel. Ore 09.00, Ingrid alle 12.00… Zoe, ore 21.00, Alexis alle ore 00.00…”

Ingoiò un nodo di bile, imitato dagli altri colleghi, mentre leggeva l’ultima nota, segnata tra parentesi, a bordo pagina.”

“Da me…”

Roy Mustang continuò a prepararsi come se nulla fosse, infilandosi il cappotto e rimirandosi un’ultima volta nello specchio con nonchalance.

Fuori, la neve riempiva di bianco ogni spazio lasciato libero dall’oscurità incalzante della sera, creando un mondo simile ad un film in bianco e nero.

“Hawkeye, hai annotato tutto?”

Dalla sua scrivania, Riza trattenne a stento un sorriso, mentre rispondeva: “Sì, signore.”

L’uomo salutò la truppa con un cenno veloce e richiuse la porta alle sue spalle. Solo allora l’invidia collettiva ebbe libero sfogo.

“Ma come fa??? Quattro donne al giorno… QUATTRO! Io a malapena ne trovo quattro in UN ANNO!!!”

“Io dico che è tutta scena…”

“E poi, con che faccia tosta sbandiera la sua vita privata! Dico bene, tenente?”

Riza non rispose. Scrollò le spalle, la mente impegnata in ben altro. Per esempio, a decifrare il messaggio in codice appena ricevuto, cosa che non richiese più di qualche secondo.

“Riza, 9 Dicembre, ore 21.00, da me”

Doveva sbrigarsi, se voleva riuscire a prepararsi in tempo, per l’appuntamento.

Raccolse le sue cose, lasciando i colleghi con un palmo di naso. Le dispiaceva leggermente ingannare in modo così subdolo i suoi subordinati…

Ma in quella relazione clandestina, avevano bisogno di un codice segreto, anche banale, per comunicare senza destare inutili sospetti.

E l’agenda sempre affollata di nomi e numeri del colonnello, faceva proprio al caso loro.

A mali estremi…

 

 

 

 

 

La soluzione è questa (unite le iniziali e i primi due numeri di ogni orario):

Rachel, 09.00             

Ingrid, 12.00

Zoe, 21.00

Alexis, 00.00 ( da me)       per cui RIZA, O9/12, ORE 21.00, DA ME

… scusate il delirio…

 

 

Come al solito ringrazio tutte/i (forse è il caso di toglierlo definitivamente il maschile… che dite?) per le calorose recensioni. Nello scorso capitolo non avevo specificato chi fosse il malcapitato incapace di trovarsi una ragazza in un anno… com’è che avete pensato tutte ad Havoc? ^^ (Comunque, sì. Il poveretto era lui… quanto sono cattiva, povero ragazzo! Prima o poi gliela faccio trovare, una tipa adatta a lui, non uno scartino del colonnello!)

Per quanto riguarda “At the window”: Shatzy, puoi anche non crederci, ma mentre scrivevo “virgola d’ombra” ho pensato giusto a te. Sarà perché mi piacciono molto i particolari inaspettati in una narrazione, per questo cerco sempre di inventarmene qualcuno mio. Sono veramente felice che la cosa sia apprezzata! ^^

 

Ma veniamo a noi: Non ce l’ho fatta, a non andare su qualcosa di leggero, ultimamente sono rimasta molto sul comico… ma è meglio, fidatevi.

Bisogna fare la scorta di buonumore, per i tempi futuri, e ve lo dico fin da subito, per tempi futuri intendo già il prossimo capitolo…

Coooomunque: “Una ragione per discutere” diceva il titolo.

Gelosia? Nah… con tutte le donne con cui è uscito il nostro Roy, non mi sembrava un buon movente… E poi Riza non è certo una che perde la pazienza facilmente!

A parte, forse, se per un malaugurato caso…

 

 

062. A reason to quarrel (Una ragione per discutere)

 

 

“ROY MUSTANG!”

Black Hayate aveva avvertito il pericolo, esattamente venti secondi e tre decimi prima dell’urlo, sfruttando l’innata capacità animale di percepire in anticipo le catastrofi naturali. L’eco continuò a ronzare qualche secondo sulla superficie metallica dell’armatura di Al, stordendo irreparabilmente l’ennesimo gattino rifugiatovisi dentro.

Ma nemmeno gli uomini erano impreparati: avevano ormai capito che c’era un correlazione precisa tra il modo in cui il tenente si rivolgeva al suo superiore e il grado della sua arrabbiatura, cosa che aveva reso loro possibile stillare una perfetta “scala tellurica” della sua ira.

Havoc sbirciò sul foglio nascosto accuratamente sotto la sua scorta personale di sigarette:

 

Grado 1-2: “Signor Furer!/ Signore!” = Normale amministrazione.

Grado 3: “Furer Mustang!” = Arrabbiatura leggera: evitare i proiettili vaganti.

Grado 4: “Roy!” = Pericolo: Rimanere a debita distanza per almeno tre ore successive allo sfogo.

Grado 5: “ROY MUSTANG!” = Allarma Allarme ALLARME! Cercare il rifugio atomico più vicino e murarcisi dentro!

 

“Uh-oh…” disse solo, sbiancando completamente. Gli altri capirono al volo.

Non avendo mai sperimentato direttamente l’ultimo caso, l’intero reparto non era certo preparato al cataclisma, tanto più che le esercitazioni di fuga anti incendio non erano state eseguite di recente, poiché ritenute inutili (visto che la più probabile fonte di accensione di suddetti incendi era seduta pochi metri dalle loro scrivanie).

In assenza di uscite di emergenza, i sei uomini si ritrovarono così incastrati in contemporanea tra gli stipiti della porta. Il fatto che uno di essi fosse un’armatura gigante, non aiutava.

“Largo, largo, LARGO!”

Con orrore videro il loro superiore in ritirata, venire verso di loro.

Ritrovarsi sulla stessa traiettoria del bersaglio principale, era esattamente l’unica cosa che volevano evitare. Incominciò allora la disperata ricerca di un qualsiasi rifugio, sebbene fosse palese la sua inutilità. Solo in arrabbiature di grado 4, la distanza minima di sicurezza dal tenente infuriata, era almeno di due isolati…

In balia del terrore, Breda dimenticò la sua fobia per i cani e andò a nascondersi nell’armadio dove Black Hayate si era precedentemente rintanato. Fuery e Havoc fecero a pugni per riuscire ad entrare entrambi nello stretto sgabuzzino. Falman si appiattì nell’angolo più lontano della stanza, dietro all’enorme pianta finta.

Ed entrò nell’armatura di suo fratello, il quale si raggomitolò contro la parete facendo finta di essere davvero una decorazione inanimata.

Roy Mustang cominciò a sudare freddo.

Era con le spalle al muro, solo e indifeso, davanti alla furia devastatrice della sua consorte, evidentemente vedova e uxoricida entro breve.

“Tesoro, calmati…”

“Non chiamarmi ‘Tesoro’!”

“Riza…”

“Niente ‘Riza’!”

“Oh, onnipotente, eccellente, stupefacente mogliettina mia…”

“ROY MUSTANG!”

Poteva già vedere il necrologio, sul giornale dell’indomani: “Roy Mustang, la cui carica di Furer e di marito, fu la più breve della storia”…

Cercò con lo sguardo i suoi “fedeli” sottoposti, ma trovò solo occhiate consolatrici che gli auguravano una morte veloce e poco dolorosa.

“Roy Mustang! Tu… Tu sei… sei…”

Era uno spettacolo, vedere il tenente Hawkeye mantenere la sua espressione pressoché impassibile, ma allo stesso tempo non riuscire a trattenere il tremore alle mani e i pugni serrati nella rabbia.

Come un’eruzione vulcanica: bellissima.

Quando non ti sorprende mentre stai passeggiando nel cratere…

Nessuno capì come il furer fosse riuscito ad evitare i sette proiettili esplosi dalla calibro nove mentre scivolava fuori dall’ufficio, con il tenente dietro.

Il rumore di una nuova scarica di spari, si perse gradatamente lungo il corridoio previdentemente sgomberato dalla presenza umana, mentre i militari rimasti nella stanza poterono finalmente tirare un sospiro di sollievo e ringraziare i propri santi.

“Ma che diavolo ha combinato stavolta, quel piromane imbecille?” sbraitò Ed, uscendo a fatica dall’armatura del fratello.

Affacciandosi dai loro rispettivi rifugi, tutti gli uomini presenti sbirciarono dalla porta, verso la scrivania del loro superiore: arrossirono all’istante alla vista dell’oggetto che aveva scatenato quel putiferio.

Appoggiata sulla pila di scatoloni appena arrivati dalla sartoria militare, c’era una minigonna blu.

 

 

 

P.S: Le mie orecchie radar hanno captato qualcosa su un fandom/sito Royai in arrivo… _mame_ se ci sei batti un colpo! No, scherzi a parte, dicci qualcosa quando il progetto va in porto, ok? Ah, un grazie enorme dal mio animo di fan girl!!! ^^

Sono felicissima che lo scorso capitolo vi abbia divertito. Volevo farlo più comico possibile (avete ragione: con la squadra al completo, sarebbe stato impossibile non riuscirci), in previsione di questo theme, totalmente diverso. Mi si è srotolato sul foglio mentre ascoltavo un brano per pianoforte che si chiama “Any other name” di Thomas Newman. Se vi capita ascoltatelo, perché è la colonna sonora ideale del racconto (Sigh…).

Prima che cominciate a lanciarmi anatemi e maledizioni a distanza, sappiate che il mio povero cuore si è strappato, spezzato, distrutto, sbriciolato, incenerito e polverizzato più volte mentre scrivevo questo ingrato capitolo. Mi ha fatto talmente male, che non vorrò ripetere l’esperienza, per cui, fic come questa non ce ne saranno più, lo prometto sulla testa di… di… di Havoc (no, povera stella…)!

Non volevo non volevo NON VOLEVO SCRIVERLO, lo giuro lo giuuuuroooo!!! MI hanno costretto, è colpa loro, io non volevo nemmeno pensarla una cosa del genere, ma mi hanno costretto, mi hanno minacciato… io… io… NON VOLEVO!!!

Vorrei non aver mai scritto nulla del genere… lo vorrei tanto…Scusatemi…

Per chi vuole comunque leggere, prima di cominciare a strapparsi i capelli sappia che: è un WHAT IF, per cui tutto questo NON SUCCEDERà, capito??? (O almeno spero. Non vorrei essere diventata veggente proprio ora…Si sa, l’animo sadico degli autori non conosce confini.)

E’ solo un finale alternativo della situazione dei volumi 12-13,  parto della mia assurda mente malata… @ @

P.S: “Seat” si traduce con “posto” nel senso di “posto a sedere” o più precisamente “posto assegnato”.

 

 

“Lascia il pianto
Dove il sole lo riscalderà
Nel momento
In cui alla vita ti richiamerà

E’ per te
Che sorriderai

E’ per te…”

           L’Aura

 

 

063. A special seat (Un posto speciale)

 

 

Era incredibile quanta folla si fosse raccolta, solo per vedere una cosa del genere.

La piazza d’armi era piena di gente, in divisa e non, in piedi, in trepidante attesa.

Il Furer aveva promesso un grande spettacolo, e sarebbe stato così. Davanti al quartier generale era stata allestita una gradinata ripida e circolare, coperta da drappi rosso sangue di velluto, con lo stemma militare ricamato al centro, proprio sopra la tribuna d’onore.

Riza non c’era, là sotto, al riparo dal sole arido e spietato di mezzogiorno.

Riza era là, tra la folla, in prima fila, sorretta a malapena da Fuery e Breda.

Da quando quell’ordine era arrivato, era come se il suo corpo si fosse afflosciato, lentamente, disossato e svuotato. Come se avesse dimenticato di essere il tenente Hawkeye, di essere una donna, un essere umano capace di muoversi, respirare, vivere.

Lo sguardo fisso su quella figura dritta, al centro della piazza. Nitida, maestosa.

I capelli scuri che brillavano quasi nella luce del sole, il rosso del sangue così vivo sulla camicia sbottonata, che sembrava di essere lì, a due passi, di poterlo toccare…

Non poteva essere lui. Era lì, vicino a lei, fino alla sera prima. Le aveva detto di scappare se non l’avesse visto tornare, di mettersi in salvo. Aveva risposto no, aveva disubbidito. Ma lui l’aveva lasciata con un sorriso, e quel saluto disinvolto.

Ed era ritornato: dio, quanto si era sentita sollevata, nel vederlo arrivare, superare il cancello del quartier generale, di corsa. Era lì, gli aveva parlato, era vicino a lei, così vicino, anche quando il generale degli affari interni, comparso all’improvviso, aveva cominciato a leggere il mandato di arresto. Come in quel momento.

“Roy Mustang, sei stato giudicato da questa corte, colpevole di alto tradimento nei confronti del Furer, dell’esercito e della nostra gloriosa nazione intera. Per questo si stato condannato a morte tramite fucilazione, nella giornata di oggi…”

Il plotone di esecuzione, da un lato, all’ombra della gradinata, aspettava, rigido e pronto.

Riza non aveva distolto lo sguardo da quell’uomo ammanettato, solo davanti alla sua fine, nella luce accecante del sole. Non si era scomposta, né messa sull’attenti, nemmeno quando King Bradley era apparso davanti a lei. Non aveva fatto nulla.

Nulla.

“Tenente Hawkeye: in qualità di mia assistente, ti ho riservato un posto speciale, per goderti lo spettacolo… Seguimi.”

Non seppe mai dove trovò la volontà necessaria per muovere le gambe, prima un passo, poi l’altro, lo sguardo vuoto ma fisso, sempre lì, sempre su di lui. Come se ogni secondo di vita, og= ni respiro, ogni sguardo, potesse essere l’ultimo. Voleva imprimere bene nella memoria, l’ultima immagine di Roy Mustang, l’ultima immagine dell’uomo dritto e fiero che si ergeva, solo, nel caos, senza guardarla, senza cercarla neanche una volta.

“Tenente Hawkeye.”

Un cenno, e il plotone abbassò i fucili, mentre King Bradley le porgeva una pistola.

Riza Hawkeye si risvegliò, di colpo, in quel momento esatto. Un’espressione di orrore le deformava i tratti delicati, mentre l’uomo parlava.

“Il tuo posto è qui, sulla scena: sarai tu a sparare.”

Un urlo.

Ma non era la sua voce. Era troppo diversa, troppo disperata per essere la sua voce.

Non se ne curò, perché guardava altrove. Non degnò più della minima attenzione la pistola, non si curò delle urla imperiose e irate del Furer, del plotone nuovamente schierato.

Non si curò delle grida disperate di Roy, che la insultava, la pregava, la implorava, la scongiurava di andarsene, di tornare indietro, di premere quel grilletto, di lasciarlo lì, di lasciarlo lì per carità Riza non ti avvicinare, ma lei non sentiva, non sentiva più, Riza, non vedeva più chiaramente attraverso la superficie vetrosa delle sue lacrime, Riza, stupida Riza, che correva con le braccia tese in avanti, correva per raggiungerlo, Riza, Riza vai via Riza e anche lui piangeva, poteva sentirlo piangere dentro di sé per l’impotenza, la rabbiosa impotenza mentre il Furer dava il segnale e il suono secco e assordante rimbombava come il tuono e lei era già così vicina così vicina che poteva quasi toccarlo questa volta sì mancava così poco che…

La folla trattenne il respiro per un interminabile secondo, risucchiando tutta l’aria incandescente.

“Stu…pido…” rantolò appena, mentre lo vedeva cadere, si sentiva cadere – così lentamente – come cadono le foglie, sopra di lui. Gli occhi spalancati, fermi, come i suoi, nei suoi. Vitrei.

“Il mio… posto… è s-sempre… vicino…a t-…”

Prima del colpo di grazia, inseguì una lacrima sulla guancia dell’uomo, fino all’angolo destro del suo sorriso.

 

Chiedo ancora perdono per il capitolo precedente… lo giuro, non lo faccio più più più… sono stata talmente male, che un secondo round darebbe A ME il colpo di grazia! Comunque la dinamica è: il Furer da a lei l’ordine di sparare, ma Riza si rifiuta e corre vero Roy. A questo punto il Furer da lo stesso l’ordine di sparare al plotone, che uccide (non fatemelo più dire, mai più!) entrambi…

Per farmi perdonare, torno un po’ sul romantico (anche se breve)… bè, sì dai, per me è romantica qualsiasi cosa coinvolga entrambi, per cui…

Insomma, cosa stavano facendo ‘sti due in macchina, nel mezzo della campagna, lo lascio decidere a voi…usate l’immaginazione! ^^”

P.S: Shatzy mi diresti il titolo della 64 che hai letto in inglese? Me curiosa… baci.

 

 

064. The scenery from a car seat (Panorama dal sedile di un auto)

 

 

Quel profumo era dappertutto, dentro e fuori il suo stesso corpo, nei suoi pensieri. Sempre.

Riempiva l’abitacolo, diffondendosi nel calore che si era creato in così poco tempo e che ora cominciava a scivolare via, dai finestrini socchiusi.

Tutt’intorno all’auto, campagna, a perdita d’occhio.

Ammirò la curva morbida e pallida che gli ostruiva la vista completa di quella natura, riempiendo dolcemente il panorama attorno a sé, confondendosi tra le colline, laggiù in fondo.

Fece scivolare la mano lungo la  schiena di lei, che si abbassava e si alzava seguendo il ritmo dei suoi stessi respiri. Con le dita portò una ciocca dorata sopra i suoi occhi, coprendo con una rete fine e dorata l’unico spazio della sua visuale lasciato libero dalla spalla nuda della donna che riposava sopra di lui.

Lasciò che i raggi del sole che tramontava e il sonno che già cominciava a offuscargli la vista facessero il resto, mescolando insieme tutti quegli attimi di perfezione in un unico scenario che gli scioglieva qualcosa dentro.

Perfetto. Era il panorama perfetto.

Shatzy, grazie mille per il link. L’idea dell’auto era carina, ho riso dall’inizio alla fine perché sospettavo che andasse a finire così.. ma quello che mi è piaciuto di più, di quella raccolta… OHMMIODDIO, quanto era stupendo “Until that day”!!! Mi sono scesi i lacrimoni (di gioia, si intende), davvero, mi sono squagliata… io quel theme devo ancora scriverlo (lo voglio lasciare proprio per ultimo), avevo una mezza idea di fare qualcosa di simile, ma ora non mi azzardo, perché non riuscirei a fare nulla di così toccante che possa reggere il confronto (e poi il plagio sarebbe meglio evitarlo…)! Mamma mia, che bello…(Tra parentesi, quando hai detto che avevo saltato un theme mi è venuto un colpo apoplettico… Sto cominciando a rimuovere anch'io,quel theme...)

 

Eh… siamo già al 65… vi avviso che ormai mi sono rimasti più o meno una decina di themes da fare e ricopiare al computer, per cui, tempo un mesetto e rimarrà solo da postare. Ho già deciso che dopo i 100 themes mi butterò sulle 15R (giusto perché sono i LORO themes per eccellenza) poi, chissà, le altre liste di drabbles sono già appese in bacheca, quando mi viene un’idea carina la segno a bordo pagina. Ma credo che sarà una raccolta occasionale, senza un ordine prestabilito, prendendo un po’ da una lista e un po’ dall’altra, per evitare le ripetizioni. E poi volevo aspettare che la storia proseguisse, per avere qualche spunto nuovo (Acc… è da un mese che aspetto i manga scans in inglese del volume 17… ma me le fanno sudare, accidenti!). Vabbè, intanto mi impegno a finire questa raccolta! ^^

Per quanto riguarda il capitolo di oggi, lo ammetto, ho barato un po’. Il fatto è che in inglese “glass” significa sia vetro che bicchiere, per cui… perché non unire le due cose? Giusto per sperimentare qualcosa di nuovo, è venuto fuori un capitolo un po’ strano, un po’ come il precedente. Se dovessi trovare un aggettivo, lo descriverei… sensoriale.

Mah…

P.S: Mi sono accorta di essere cattivissima, con le pretendenti di turno di Roy… che sia gelosa anch’io? (Probabile…)

 

 

065. The you reflected in the glass (La te stessa riflessa nel vetro)

 

 

Vide il suo riflesso sul cristallo del bicchiere, quando la donna semisconosciuta davanti a sé, propose un brindisi alla “bella serata”.

Era al suo posto, come sempre.

Forse un po’ più visibile del solito, un po’ più accigliata del solito.

Ma sembrava fissarlo negli occhi, da quel riflesso, come se non si trattasse di un’illusione ottica e lo stesse effettivamente guardando.

Come se sapesse.

“Pensi di berlo, quel vino, o vuoi continuare a fissarlo ancora un po’?”

Inclinò leggermente il calice, sorpreso di come le deformazioni esercitate dalla superficie liquida in movimento, non scalfissero assolutamente la bellezza dei suoi lineamenti severi.

“E’ un bel colore: discreto ma tenace, preciso…”

La mora procace dall’altra parte del tavolo rise, chissà per quale esilarante parte della frase.

Roy lanciò un ultimo sguardo alla Riza che galleggiava nel rosso del vino, prima di portare il bicchiere alle labbra.

Deglutì a piccoli sorsi, come se con quel gesto potesse bere Riza, gustarla di nascosto, chiedendosi se i suoi baci avessero davvero il sapore fruttato dal leggero retrogusto amaro, che stuzzicava la sua lingua.

Ma sulle labbra, sentì solo la fredda risposta della superficie di vetro, che silenziosa dominava.

Eh sì, la scelta degli aggettivi del vino non è stata casuale… ^^ giusto, non l’ho specificato: Riza è lì per scortarlo, come sempre… persino ad un appuntamento! Me la sono immaginata magari seduta qualche tavolo più in là, con gli occhiali di Fuery, in borghese a fare il suo lavoro, o meglio, le sue ore di straordinari (perchè con Roy sono sempre straordinari…). Sì, quell’ “affettivamente” era un errore, ma l’ho già corretto ( grazie Shatzy, per avermelo fatto notare). ^^

Con i 15R ho già iniziato (non ho saputo resistere): ho ricopiato oggi Real e Run… ma più che altro perché erano versioni di theme di questa raccolta che per una ragione o per l’altra non combaciavano bene con i titoli originali e sembravano invece essere fatti apposta per questi altri themes… ma penso che finita questa raccolta me la prenderò un po’ più comoda: perdonatemi, ma appena inizierà l’università e gli impegni vari, non credo riuscirò a portare avanti il mio ritmo giornaliero (anche se lo vorrei tanto, credetemi!).

Aiuto, mi sto dilungando in chiacchiere! Ultima risposta per Shiatzy: HO TROVATO IL CAPITOLO 74 IN ITALIANO!!!!!! E’ SUCCESSO IERI PER CASO MENTRE LEGGEVO QUALCHE POST SU FMA PLANET (sai volevo vedere se riuscivo a capire quando avrebbero pubblicato gli scans in inglese… non ce la facevo più ad aspettare!!!) QUANDO UNA RAGAZZA HA SCRITTO QUESTO LINK, DICENDO CHE C’ERA TUTTO IL CAPITOLO IN ITALIANO. Ti scrivo il link: http://blackenoir.forumfree.net/?t=19472550&p=171513040

Vallo a leggere perché è STUPENDOOOOOOO!!!!!!!!! (E a proposito del codice di “Journal”… ci avevo azzeccato!!!)

 

Vi avviso subito che per questo capitolo ho scelto la dolcezza a discapito dell’originalità. Non ho potuto farne a meno, mi dispiace. Non ho avuto il cuore di fare una cosa tristissima: dopo l’amarezza dello scorso theme (per non parlare del 63…) mi ci voleva una dose di miele piuttosto consistente. Per cui… il pargoletto IS BACK! (O meglio, c’è ma non si vede…) ^^

 

 

066. The pounding of a heart (Il battito di un cuore)

 

 

“Hai paura?”

Cominciava a diventare alquanto fastidioso, con quelle domande.

Se era già così ansioso dopo appena quattro mesi, Riza preferiva non immaginare nemmeno che livelli avrebbe raggiunto, all’ultimo mese.

Per non parlare di quando il momento fatidico sarebbe arrivato…

Un brivido le attraversò la schiena, mentre rispondeva con l’ennesimo “No” palesemente bugiardo.

Se aveva paura lui del parto, che era un uomo, figurarsi la diretta interessata. Ma non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, e questo lui lo sapeva.

Ed era affascinato da come riuscisse a nascondere bene la verità, dietro la naturalezza dei suoi gesti quotidiani. Lui, al contrario, traspirava agitazione da tutti i pori.

“Sei davvero sicura di volere questo?”

Riza abbandonò la mela che stava sbucciando sul tavolino davanti al divano, sbuffando. Lui protese le mani in avanti, come per afferrarla nel caso avesse perso l’equilibrio. Era una reazione che cominciava a diventare automatica, dal tanto ripeterla. Come se non sapesse che il suo corpo, nonostante la trasformazione che stava subendo, non aveva perso nulla della sua naturale agilità.

Giusto un leggero incedere a papera, una scusa qualsiasi per prenderla in giro, di tanto in tanto.

“Roy, smettila! O i dubbi me li farai venire davvero!”

Le sorrise colpevole, mentre si sedeva vicino a lei, facendola sobbalzare tra i cuscini.

“Hai ragione. Ma non posso farci nulla. E’ una cosa troppo… strana, troppo nuova. Non sono sicuro di potercela fare…”

Riza rischiò di mandare di traverso il boccone di frutta che stava masticando. Il furer Roy Mustang, terrorizzato da un bambino non ancora nato? C’era che avrebbe pagato per vederlo in quel momento di debolezza… primo tra tutti, Ed.

Tuttavia, poteva arrivare a comprendere la sua paura. Perché era la stessa che la prendeva, di tanto in tanto. Ma dalla sua, aveva l’innato istinto materno, ad addolcire qualsiasi incertezza.

Si girò leggermente sul divano, volgendo al marito la schiena e le spalle affaticate, in attesa del massaggio che lui non le negava mai. Stava diventando particolarmente bravo, nell’operazione, tanto che Riza cominciava a meditare di sfruttare questa sua nuova capacità, anche dopo il parto.

Il contatto delle sue mani calde e del suo respiro tranquillo contro la nuca, fecero fuggire un sospiro dalle sue labbra.

“Perché non dovresti farcela?”

“Non lo so. Mi sembra solo di non meritare un simile… dono.”

Le sue mani persero momentaneamente il ritmo che avevano trovato.

“E’… un bambino, Riza. Io… che diritto ho, proprio io, di creare una vita così, dal nulla? Io, che nella vita non ho fatto altro che distruggere… e uccidere… e…”

Non era la prima volta che si apriva con lei. Forse sua moglie era davvero l’unica persona, oltre a  Huges, ad aver mai avuto la possibilità di intravedere i suoi veri pensieri, i suoi veri sentimenti, dietro la maschera distaccata e cinica che si era costruito.

Il secondo essere umano in grado di farlo, sarebbe venuto alla luce entro cinque mesi, giorno più giorno meno…

“Roy…”

Si scostò dalla sua presa, per guardarlo negli occhi. Gli prese la mano, appoggiandosela sulla pancia appena prominente.

“Cosa senti?”

Lui sorrise maliziosamente, spostando le dita un po’ più in alto del necessario.

“Sento un paio di cose che mi piacciono molto…”

Era senza speranze. Forse aveva davvero ragione a preoccuparsi, dopotutto…

Lei gli prese il viso tra le mani, portandolo verso il suo ventre, fino a far toccare il suo orecchio con la superficie liscia e tesa della sua pelle scoperta.

“Cosa senti?”

L’uomo si concentrò un attimo, cercando di respirare il minimo indispensabile, per non turbare con rumori indiscreti qualsiasi cosa lei stesse tentando di fargli sentire.

Il nulla, per ora. Solo il calore della sua pelle, il profumo del suo sapone, l’odore dell’ammorbidente alla vaniglia dei suoi vestiti, il lento sollevarsi e abbassarsi della sua pancia e del suo viso con essa...

Poi, ad un tratto…

Sapeva che non poteva essere il battito di quel cuore, ancora in formazione. Forse era solo un’eco di quello di lei, che rimbombava, si trasmetteva e dava vita a quel germoglio nuovo, placido ma deciso nel suo intento. Ma nella sua dubbia origine, era un segno di presenza inequivocabile.

“Lui c’è già…” la sentì mormorare, a pochi centimetri dal suo viso.

“E’ qui, non lo vedi… ma c’è, lo posso sentire…”

Guidò la sua mano sulla rotondità della sua pancia, in una carezza che non era per sé, e che sperava potesse raggiungere quella piccola vita che stava crescendo al suo interno.

“Roy, vorrei che anche tu potessi sentirlo come lo sento io. C’è, è un essere umano, perché lo è già. E il solo fatto che lui esiste è la prova che tu puoi farcela. Perché lo hai già creato, lo hai già fatto. Lo abbiamo già fatto, insieme. Non ci resta che andare avanti, aspettarlo e accoglierlo, quando sarà il momento.”

Roy sorrise, e depositò un bacio delicato sul suo ombelico.

In un singolo misero attimo, si chiese cosa mai lo avesse spinto a studiare l’alchimia e i suoi segreti, quando la trasformazione più vera e più inspiegabilmente miracolosa, stava avendo luogo proprio sotto i suoi occhi.

Ed era fiero, per una volta nella sua vita, di aver contribuito almeno in parte alla creazione più dolce, che nessuna alchimia avrebbe saputo mai eguagliare.

 

Angolino delle risposte

Shatzy: Oups! Mi sono sbagliata: non ho scritto Run, ma Road… o meglio, Run l’ho scritto proprio ieri sera (solita illuminazione stroncante) dopo avermi messo in seria crisi. A dire il vero ho riciclato una vecchia idea che mi era venuta per l’86, che però non mi sembrava combaciare alla perfezione… poi, rileggendo la lista delle 15R, ho notato che sembrava scritta apposta per Run, così… Beh, a tempo debito mi saprai dire! ^^

A proposito, ce l’hai fatta con il link? L’unica cosa da fare a questo punto è accedere alla pagina non direttamente: prova a passare dalla main page del sito (http://blackenoir.forumfree.net) se usi google digitando “blackenoir” è proprio il primo sito che appare... Se proprio non ce la fai, piuttosto te la mando per email, so bene cosa vuol dire essere in disperata attesa!!! ^^

Io gli altri capitoli li ho solo in inglese (li trovavo si FMA Planet.com) ma a questo punto darò un’occhiata a quel sito un po’ più spesso, visto che lì li hanno già tradotti.

 _mame_: Eh alla fine ho scelto scienze politiche (dopo essere stata a lungo tentata dall’accademia militare ^^)… questo perché è l’unica strada possibile per arrivare a fare la scuola di giornalismo: è il mio vero obiettivo... un po’ alla Roy! Visto che scrivere mi piace molto (ed è anche l’unica cosa che mi piace che può essere trasformata in qualcosa di pratico e lavorativo), mi butto in questa direzione. Poi, sono sempre in tempo a cambiare idea, chissà… fino a qualche mese fa volevo fare il commissario! Que sara sara…

Speriamo bene, si inizia il 24 settembre…E’ un po’ come entrare in un mondo nuovo!  ^^”

 

 

Scendendo dall’angolino delle chiacchiere…

E qua mi sono sbizzarrita! Già, perché Roy Mustang è il re delle scappatoie: le scappatoie dal lavoro, dai documenti da firmare, dalle donne che puntualmente molla, dai proiettili del tenente…

E in effetti, un punto debole nella strategia di King Bradley c’è, non trovate anche voi? ^^

 

 

067. Quirks (Scappatoie)

 

 

C’era ancora il sapore dolciastro del sidro appena bevuto, nella sua bocca, a rendere quel bacio ancora più invitante.

E quel divano logoro, sembrava non aver mai assistito a tanto movimento.

Riza afferrò la mano raminga che dal suo stomaco tentava di scendere verso zone ancora chiuse al pubblico.

Possibile che non si rendesse conto dei rischi?

Una simile scelta, proprio in quel momento, voleva dire confermare i sospetti di King Bradley. Sospetti peraltro fondati, vista la piega che stava prendendo la serata…

La mano tornò all’attacco, senza che le sue difese potessero – o volessero – fare nulla per fermarla. D’altronde, il suo motto non era forse “non mollare mai”?

“Mustang, asp-…”

Fu un altro bacio a zittirla.

Non che la cosa le dispiacesse più di tanto, comunque.

Un ulteriore e sinistro scricchiolio del divano, ormai agli sgoccioli, lo fece desistere, almeno momentaneamente.

“Sono due mesi che siamo a Central City, e non hai ancora comprato gli arredi nuovi?”

Riza sospirò sollevata per la tregua concessale.

“Anche casa sua è ancora un ammasso di scatoloni, signore. E poi, mi tengo pronta, in caso di altri trasferimenti...”

Come quello appena annunciato, attivo dall’indomani.

Il velato riferimento, fece cadere sulle loro teste un silenzio innaturale e pesante.

Tutti gli sforzi, i sogni, le aspettative e i sacrifici… era bastato disperdere la squadra compatta che avevano faticosamente formato, per azzerare tutto.

In una sola notte, tutto era finito, tutto era cambiato. In peggio.

La sua nuova e scomoda posizione di assistente, o meglio, di ostaggio del Furer, ne era il tragico epilogo.

Chissà come, però, lui era riuscito come sempre a trovare persino in quella situazione a dir poco disastrosa, un risvolto positivo.

“Smettila di darmi del Lei! Non sono più un tuo diretto superiore, e tu non sei più una mia sottoposta: la cosa apre nuove e allettanti prospettive…”

Per un momento, Riza temette che le sue guance andassero in auto combustione.

“E poi…” le sussurrò piano, in un orecchio, mentre l’altra sua mano, finita chissà come sul suo ginocchio, risaliva in una lentezza esasperante, sollevando i lembi della gonna.

“…fatta la legge, trovato l’inganno…”

Riza si arrese. Scelta condivisa anche dal divano, che crollò su se stesso rovinosamente.

La risata di lui si diffuse come un balsamo benefico per tutta la stanza, rischiarando i tempi bui che si apprestavano ad attraversare.

Riza osservò il suo ex colonnello alla disperata ricerca d’aria, tra baci e risate, improvvisamente coscia della strana ironia della sorte.

Mai avrebbe detto che la sua capacità di trovare scappatoie, si sarebbe rivelata un’utile virtù…

 

Shatzy: Di nulla Shatzy, mi spiace non aver ricevuto l’email (non avevo digitato correttamente l’indirizzo quando mi sono iscritta, ecco perché non è arrivata…), anche perché dopo, l’ansia stava cominciando  a salire anche a me! O o” Sempre su blackenoir ho sentito dire che ci sono in italiano anche i capitoli 72 e 73, gli altri invece non li hanno tradotti perché tanto usciranno tra poco (altra attesa, sigh…).

_mame_: Polizia??? Sappi che hai tutto il mio appoggio XD!!! Io ho rinunciato perché ho capito che era solo una passione, e non avevo le caratteristiche e le capacità giuste… Per dire, adoro i romanzi gialli e i film polizieschi, ma io sarei una frana nella vita reale! E in affetti sì, il rimpianto per quel certo colonnello c’è (sospiro)…Eh, il fascino della divisa non tramonta mai! (Anche se a essere sincera, nel mio cuore ci sono i carabinieri ^^”…)

 

A proposito degli improperi per ‘Brad’ (troppo forte il nomignolo! D’ora in poi l’ho ribattezzato XD)… mi sa che anche questo capitolo ne provocherà tanti! ^^ Stesso episodio, ma con risvolti diversi (inversi, mi verrebbe da dire…)

Premetto che le song fic non mi vanno eccessivamente a genio (con molte eccezioni, però). Soprattutto quelle dove la musica e il testo non si sa bene dove siano (nella testa dei personaggi? Solo davanti agli occhi del lettore?). Per non parlare quelle dove uno dei personaggi si mette a cantare… (parliamone: fatta eccezione per Riza che canta la ninna nanna al pupo… ma voi ve lo vedete – o ve lo sentite – Roy mustang che gorgheggia???)

Ribadisco: ho trovato fic che mi hanno fatto ricredere su questi due punti, grazie alla bravura degli autori. Ma visto che a tale bravura io no arrivo, ho ripiegato sull’unico genere di song fic che mi è mai andata a genio: una canzone ascoltata da un personaggio. Con relative riflessioni.

E mi sembra che questa canzone in particolare sia stata scritta apposta per la nostra coppia preferita… che ne dite? ^^

P.S: Sono stata indecisa per un po’ tra quella che poi ho scelto e “Malinconia” di Carboni… ma alla fine ho deciso di riservare a quest’ultima una posizione di citazione, perché l’altra mi sembrava troppo azzeccata…mi saprete dire se ho fatto bene o no! ^^

Ah già: AVVISO SPOILER VOLUME… BOH? Mi sembra il 15, ma non ne sono sicura… VABBé, E’ COMUNQUE UNO SPOILER, SOPRATTUTTO LA PRIMA PARTE!

 

 

“Sembra quasi la felicità sembra quasi l’anima che va
il sogno che si mischia alla realtà
puoi scambiarla per tristezza ma è solo l’anima che sa
che anche il dolore passerà
e si ferma un attimo a consolare il pianto
di un amore ferito che non vuole morire mai…”

                                      Luca Carboni, “Malinconia”

 

068. Song (Canzone)

 

 

“E’ il colonnello!”

“Roy-saaaan!”

L’uomo che entrava a passo deciso nel locale non sembrava affatto un militare, mentre accettava di buon grado gli abbracci civettuoli delle donne presenti.

“Ti trovo bene, Vanessa… Buonasera, Madame Christmas,”

La matrona pesantemente truccata, gli sorrise piuttosto burberamente da dietro il bancone, facendo tremolare la cenere della sigaretta in bilico tra le sue labbra rosse.

“E’ un po’ che non ti si vede in giro, piccolo Roy… tutto bene?”

Il colonnello si accasciò stancamente su uno sgabello, sospirando.

“Nah… niente va bene. Sono venuto qui per sollevarmi un po’ il morale…”

La risata della donna era roca e grassa quasi quanto lei.

“Non dovresti andare a divertirti con la tua Elizabeth?”

Tasto dolente, a quanto pare. La testa di Roy toccò quasi il bancone, in un nuovo e pesante sospiro.

“Elizabeth è stata presa da un altro uomo…”

Solo le signorine presenti sembrarono gioire della cosa. Madame le zittì con un’occhiata severa, senza dire nulla.

“A dire il vero…” si riprese Roy. “Sono venuto qui per chiederle un favore.”

La donna prese il foglietto che il colonnello le porgeva, sapendo esattamente cosa fare.

“Ho capito…”

 

 

Le ragazze erano impegnate quasi tutte con i clienti. A Roy non restò che ordinare da bere, nonostante fosse ancora in servizio.

“Cerca di non esagerare, allora.” Lo ammonì Madame.

Roy le rivolse un sorriso amaro, un po’ storto. Aveva avuto sempre qualcuno, a ricordargli quali fossero i limiti da non oltrepassare.

“Dopotutto, la mia guardia del corpo ben armata, non ci sarà più…”

Senza quella sottospecie di coscienza onnipresente, sarebbe stata dura.

 

Ah… succede anche a me.

E’ uno dei miei limiti:

io per un niente vado giù.

Se ripenso mi dà i brividi.

Me lo dicevi anche tu…

 

Nell’angolo della sala, un cantante da quattro soldi aveva cominciato il suo spettacolo, sciogliendosi le dita sul pianoforte sgangherato. La musica, un po’ malinconica, non era certo adatta a quel luogo di svago e piacere, ma le ragazze ascoltavano la melodia con occhi sognanti, mentre sorridevano dolcemente ai loro accompagnatori.

 

Ti ho mandata via.

Sento l’odore della città.

Non faccio niente, resto chiuso qua: ecco un altro dei miei limiti.

Io non sapevo dirti che solo pensarti mi dà i brividi,

anche a uno stronzo come me.

Come me…

 

“Che è, ‘sta lagna?” grugnì, sentendo l’ennesima fitta della giornata, in un punto impreciso del petto, a cui non voleva dare un nome.

Madame non sembrava essere del suo stesso parere.

“Non ti piace? Secondo me invece, gli amori tragici e tormentati, sono sempre i più belli…”

“Ti ho messo in mezzo a parecchi problemi…”

Roy bevve tutto d’un fiato ciò che rimaneva nel suo bicchiere. Per un attimo, parve che non avesse più tanta voglia di scherzare.

 

Ma non pensarmi più

Ti ho detto di mirare…

 

Non poteva farci nulla, ma la sua mente sembrava tendere pericolosamente all’autolesionismo. Non avrebbe potuto spiegare altrimenti il motivo per cui i suoi pensieri tornassero sempre ai ricordi della giornata appena trascorsa. Una giornata da dimenticare.

“Potrei aver fatto un errore nella scelta di chi seguire.”

L’aveva detto con un sorriso, uno dei pochi, rari e bellissimi sorrisi che solo lei sapeva fare.

“Se pensi di esserti sbagliata, spara e uccidimi. E’ la promessa che ci siamo fatti quel giorno.”

“E’ ancora entro i miei livelli di tolleranza, signore…”

 

L’amore spacca il cuore

Spara spara spara, amore!

Tu non pensarci più:

che cosa vuoi aspettare?

L’amore spacca il cuore

Spara spara spara dritto qui…

Qui…

 

Li aveva oltrepassati invece, quei limiti.

E quello era il risultato.

 

So chi sono io

So come sono fatto io, ma non riesco a sciogliermi.

Ed è per questo che sono qui

E tu lontana dei chilometri…

 

L’unico posto dove non voleva vederla… e lei era lì.

Non c’era modo di cambiare le cose.

Invece di finirlo con il colpo di grazia, il suo nemico aveva deciso di giocare con lui, come un gatto fa con il topo. E sì, si sentiva tanto un piccolo animaletto in trappola, in quel momento…

Si sentiva da schifo.

Lei, lui, l’altro… sembrava la trama di una soap da quattro soldi, ma il solo pensiero gli muoveva il fuoco dentro, gli bruciava le viscere e quel cuore rattoppato che pensava di aver dimenticato da qualche parte, lungo la strada.

Tese il bicchiere desolatamente vuoto a madame, in cerca di conforto.

 

Ma non pensarmi più!

Ti ho detto di mirare…

L’amore spacca il cuore

Spara spara spara, amore!

 

Sì, meglio sarebbe stato che lei gli avesse sparato prima. Prima di tutto quello sfacelo, da cui non sapeva né come uscire, né come tirare fuori lei indenne.

“Ci incontreremo ancora.” aveva detto lei.

“Ci incontreremo ancora.” le aveva risposto.

Perché non c’era bisogno di dire altro. Non c’era bisogno di dire altro, quando tutto era così dannatamente chiaro, tanto da far male.

E mentre la guardava uscire da quell’ufficio, con le sue ultime cose in mano, lei non si era voltata.

Aveva fermato i suoi passi per un interminabile secondo, l’aveva sentita sospirare, abbassando impercettibilmente il capo.

 

Tu non pensarmi più!       

Ti ho detto di mirare…

 

La sua nuca reclinata sembrava invocare una prima e ultima carezza, in una muta e straziante preghiera.

“Non muoia, signore…”

 

La fitta fu tanto forte nel ricordo quanto nella realtà, da farlo rantolare, un lamento subito camuffato in un colpo di tosse.

“Che hai, piccolo Roy? Stai male?”

“Niente. E’ solo un malore passeggero…”

 

L’amore spacca il cuore

Spara spara spara dritto qui!

 

“Passerà. Deve passare…”

 

Spara spara spara, amore…

 

O anche senza la sua pistola, sarebbe stato il colpo di grazia.

 

 

 

P.S: La canzone è “Spaccacuore” di Bersani, anche se la versione che preferisco è la cover fatta da poco della Pausini. ^^

_mame_ & Shatzy: Propostone. Quando il sito pro Rizey è finito, ne apriamo uno pro-divise, please? XD

Ok, torniamo con i piedi per terra…Ah, già, quasi dimenticavo! Shatzy se su Blackenoir riesci ad aprire i capitoli 72 e 73, invece di scaricarli (anch’io ci ho provato ma non me li legge per un errore…) puoi salvare le immagini una ad una. E’ un lavoro un po’ lungo, ma direi che ne vale la pena, no? ^^ Anche se, devo dirti la verità, le traduzioni non sono proprio fedelissime… la scena al telefono, tradotta così mi ha lasciato un po’ delusa, la versione in inglese al contrario mi ha proprio sciolto il cuore… In un prossimo capitolo (Hidden feelings) ho cercato di tradurla il più fedelmente possibile, poi mi dirai se ho ragione, ok? ^^

Dunque, questo capitolo mi ha lasciato per un bel po’ in sospeso: non sapevo proprio cosa inventarmi! (a dire il vero, mi venivano in mente solo certe scene… insomma, con una domanda così, a voi che viene in mente ?!?  ^//////////^)

Poi però, ho trovato una soluzione, diciamo… intermedia (eh sì… per i lemon, ci affidiamo e te, _mame_: a costo di affondare nello sconforto, mi tocca accasciarmi alla Roy… io sono inutile, in quel campo…), ma devo dire di essere molto, molto soddisfatta del risultato finale… certo che qui si passa da un episodio all’altro, da un periodo all’altro con dei balzi temporali da mal di testa: se c’è qualcosa che manca in questa raccolta è proprio l’ordine cronologico! ^^ Chissà, in un lontano futuro potrei anche mettere in ordine tutti i capitoli (lavoraaaaccio!)…

 

 

069. Are you satisfied? (Sei soddisfatto?)

 

 

L’ufficio era troppo grande.

La poltrona di pelle nera intarsiata in pesanti motivi, era adatta ad un patriarca ultracentenario, non ad un aitante neo trentenne.

La scrivania era in ombra, troppo lontana dalla finestra, dal sole, dall’aria, dalle possibili distrazioni. Certo, il divanetto da sala d’attesa era bruttino, ma poteva tornare utile…

La massiccia porta blindata cigolava come il sinistro ingresso di un castello scozzese, facendolo sussultare,ogni volta che veniva aperta con notevole fatica.

E avrebbe voluto sostituire ai due energumeni piantati ad ambo i lati dell’entrata, un paio di graziose segretarie…

Ma in un certo senso, era felice di essere lì.

Passò la punta dell’indice sulla superficie lucida della scrivania, ritirando il dito guantato intonso.

Misurò passeggiando la distanza da una parete all’altra, appoggiò il cappello della divisa da cerimonia sull’attaccapanni dietro la porta, rimirando il risultato con la testa inclinata.

Riza lasciò che l’ex colonnello si ambientasse nel nuovo habitat, preparandosi ai lavori di svecchiamento che sicuramente il suo superiore avrebbe avviato, per rendere quel posto un po’ più vivibile e familiare. Il rumore della folla che defluiva dal cortile dopo la celebrazione della nomina, arrivava attutito dalle le pareti spesse.

“Dammi una mano.” La esortò lui, sollevando un bordo della scrivania, e aspettando che lei facesse lo stesso dall’altra parte.

Spostarono il pesante tavolo di mogano di qualche centimetro, prima di fermarsi, esausti.

Forse quei due gorilla all’ingresso, non erano lì solo per fare da tappezzeria…

Quando il mobile fu esattamente dove lo voleva, e le due guardie furono tornate alle loro postazioni, Roy si concentrò sulla poltrona, sedendovicisi con un balzo, e saggiandone la resistenza, abbandonando la schiena all’indietro: un po’ brutta, ma morbida e confortevole.

“Può andare…”

Ruotò la sua postazione con le mani in grembo, fino a che il suo tenente non entrò interamente nel suo campo visivo.

La guardò con un indecifrabile sorriso, per qualche secondo, in attesa.

“Che ne dici?”

“E’ un ufficio, signore…”

“Sai che le pareti sono insonorizzate? Bisognerebbe provare se è vero…”

Decise di ignorare quel commento audace e le sue pericolose conseguenze, se non altro per non arrossire più di quanto non avesse già fatto.

“Le ricordo che come Furer, dovrebbe evitare certi comportamenti.”

“Ti sbagli: proprio perché sono Furer, ora…” ma non finì la frase, soffocandola in una risata sommessa. L’idea del suo nome associato a quella carica altisonante, scatenava ancora in lui improvvisi attacchi di ilarità, come se si trattasse di una strana barzelletta, uno scherzo impossibile.

Si alzò sospirando, avvicinandosi a lei.

“Riposo, tenente.” Ordinò, sorridendo. “Andiamo, Hawkeye! Sarai stanca: sei rimasta in piedi al mio fianco durante tutta la cerimonia…”

“Non si preoccupi per me. Anche lei è rimasto sull’attenti per più di quattro ore, dovrebbe riposare…”

“Allora siamo in due.”

Il neo furer si sedette sul piccolo divano, incastrato in un angolo della stanza, invitando la donna a prendere posto vicino a lui.

Entrambi si appoggiarono allo schienale morbido sospirando, mentre tutta la tensione della giornata scivolava via, almeno in parte, lasciando solo una sensazione residua di leggera incredulità, giusto in fondo allo stomaco.

L’ansia riaffiorò solo momentaneamente, quando Riza si accorse che quello che credeva essere un poggiatesta, era invece il braccio di lui, proteso lungo il bordo dello schienale, fin dietro le sue spalle. Ma a quanto pare, Roy sembrava non dare la minima importanza alla cosa…

Lei approfittò di quel momento di sconcerto per guardare il viso dell’uomo, completamente abbandonato con a testa all’indietro, i capelli che cominciavano già a scappare disordinatamente in ogni direzione, gli occhi chiusi e il respiro di nuovo regolare.

Come se non fosse successo nulla, come se quella fosse stata un’ennesima giornata di scartoffie noiose e pigrizia sonnacchiosa. Come se non avesse appena raggiunto lo scopo di danti anni di lavoro e sacrifici.

“Sei soddisfatto?” sussurrò appena, lasciando da parte il Lei rispettoso di sempre: era una domanda troppo personale, da amica, non da tenente. Tutto qui.

Lui, non rispose subito.

Si limitò a schiudere un occhio e puntarne l’iride nera su di lei, un leggero sorriso sull’angolo delle labbra.

“Non lo so…”

“COSA?!?”

Non voleva scattare così, non le era mai successo. Ma tanta indifferenza per un risultato come quello, la irritava più di ogni altra cosa.

Lo conosceva, sapeva dell’ambizione abnorme di quell’uomo, della sua naturale inclinazione a desiderare sempre qualcosa in più, non solo per se stesso.

Ma questa volta, aveva davvero esagerato: era il capo di una nazione! Cosa poteva volere di più?

“Non lo so ancora…”

Ripeté lui, visibilmente divertito dal suo sconcerto, mentre faceva scivolare la testa verso di lei, impercettibilmente.

Quando Riza se ne accorse, la distanza tra i loro visi era troppo poca per poter rimediare in qualche modo. Sempre che qualcuno avesse davvero voluto rimediare…

Fu strano.

Un secondo prima erano in un ufficio abitato fino a qualche mese prima  da un essere mostruoso e malvagio, la cui austerità impregnava ancora le pareti, e subito dopo c’era solo il calore umido delle sue labbra, il braccio che dallo schienale, era arrivato chissà come a circondarle la vita, la mano ancora guantata che tracciava con esasperante lentezza il profilo della  sua guancia.

E d’un tratto, la luce che filtrava a fatica dalle pesanti tende drappeggiate, sembrò rivestire di un tono delicato e penetrante l’intera stanza, smussandone gli angoli severi, rendendola più morbida alla vista. Rendendola un po’ più sua, un po’ più loro.

L’ormai perenne ghigno malizioso ritornò ad impossessarsi della sua bocca, non appena fu libera dalla sua. Di sicuro, stava pensando alle pareti insonorizzate, non c’erano speranze.

“Ecco. Ora cominciamo a ragionare…”

 

 

Yeeee! Ecco un'altra per il sito, grande Ilune!!! Contenta _mame_? Nuooo, non mollare ora, nuoooo!!! (me very very sad and disperate…) Io purtroppo non capisco un acca di computer, non o quanto potrò esservi utile: solo per imparare a convertire i file word in html sono diventata scema… in compenso ho tantissime immagini Royai (alcune anche solo di uno o dell’altra). Se volete dare un occhio, ho un album su Photobucket sotto il nome Pearls88…non so, se servono per il layout (parolone tecnico solo per darmi un po’ di arie ^^)… Ah già, correzione dell’ultimo minuto: ho riscritto Premonition perché non me gustava mucho, e la scena della telefonata alla fine l’ho messa lì… In Hidden feelings, ci sarà il dopo-telefonata ( Risata diabolica ;D )… P.S: Non ti preoccupare Ilune, con il death romanticismo ho chiuso definitivamente, anche per il bene delle MIE coronarie...

 

Venendo a noi…

Sembra quasi una specie di scherzo stupido, che un capitolo come questo segua direttamente “Are you satisfied?”… Come se dal finale fossimo tornati indietro velocemente, all’inizio.  A quando anche solo pensare un lieto fine, sembrava una ridicola eresia…(niente da fare: oggi sono molto in *malinconic mood*…)

 

 

070. Giddiness (Vertigine)

 

 

Non era un bevitore incallito. Non ancora, almeno.

Ma quello stordimento vacuo e felice, lo cercava volontariamente, abbastanza da deformare i contorni crudeli della realtà e rendere la vita temporaneamente migliore.

Abbastanza da richiedere il suo sostegno per camminare, ma non troppo, per poter godere appieno della sua vicinanza eccezionale, e amplificare le sensazioni di quell’attimo.

Abbastanza da poter sognare ad occhi aperti senza vergogna o paura.

Facendo finta di credere che sia tutto uno stupido delirio, e non una disperata verità.

“Ti amo, Hawkeye…”

“Sì, certo… me lo ripeta domani, da sobrio, signore.”

“Lo farò. Lo farò…”

Ma sapevano entrambi, che non l’avrebbe fatto. Non potevano permettersi anche quel lusso, non ancora.

“Ti sposerò, e andremo a  vivere in una casa enorme, in campagna. Dei bambini… ti piacciono i bambini, Riza?”

“Sì, molto.”

“Allora ne avremo quanti ne vuoi. Anche sette!”

Riza sorrise lasciando andare la tensione formale e costante che la contraddistingueva. Sorrise per quel gioco abituale, sempre uguale e caro, quasi un appuntamento settimanale con la fantasia.

Solo il numero della prole, sembrava aumentare di volta in volta…

“Sette?”

“Sì, sette. Come i nani. Ma i nostri, saranno alti e forti, perché prenderanno da me e da te. Forse, più da te. E Hayate, anche lui verrà con noi, con la sua cucciolata, la sua famiglia. Anche lui…”

Riza osservò l’uomo appoggiato alla sua spalla, mentre agitava una mano davanti a sé, come per disegnare nell’aria ciò che descriveva, per mostrarlo anche a lei. E ogni volta aggiungeva qualche particolare, piccoli tocchi di colore in più, come un pittore intento a rendere sempre migliore la sua opera già perfetta.

“Vedi? Una casa grande. Ci sarà posto per tutti… tranne che per Acciaio, ovvio. I campi a perdita d’occhio, uno steccato bianco, l’edera sui muri… Nessun rapporto da firmare…”

“Ho sempre pensato che volesse diventare Furer, signore. Non un contadino…”

“E allora? Sarò un Furer a domicilio, contadino per hobby… Cambierò le cose, vedrai. Tante cose… Il paese, la democrazia, quella stupida regola… Ci vorrà un po’… ma sapremo aspettare. Poi ci sposeremo, e cercheremo quella casa. La costruirò io: con l’alchimia, è un attimo… Riza… Riza, non ti piacerebbe?”

Mentre adagiava il suo superiore sul letto, a Riza sembrò quasi di poterlo vedere, quel suo sogno dettato dall’alcol, ma così reale, così desiderabile… e così tremendamente lontano.

“Non ti piacerebbe… Riza?” bofonchiò lui un’ultima volta, prima di arrendersi alla sonnolenza, ancora in divisa tra le lenzuola sfatte.

Lei sospirò, sfinita, sentendolo finalmente russare placidamente. Gli tolse gli stivali e la giacca con cautela, e si sedette sulla poltrona davanti al letto, preparandosi alla notte di veglia e alle spiegazioni di routine dell’indomani.

“Non sa quanto, signore. Non sa quanto…”

 

 

 

Brusca riscrittura dell’ultimo secondo. All’inizio avevo scritto qualcosa sull’ingresso di Roy al quartier generale, prima di scoprire la verità su Brad, ma poi mi sembrava una cosina un po’ troppo anonima e insignificante… insomma, poi era rimasta fuori la scena al telefono, e quella merita una fic a parte, no? ^^ (oltretutto, vi siete mai chieste come mai gli venga in mente di chiamare Riza?)

Non ho utilizzato il capitolo 72 che ho trovato su Blackenoir, perché la traduzione non mi sembrava così fedele, e non rendeva bene l’atmosfera (so’ pignola, che ci volete fare?)… insomma, ho preso gli scan in inglese che avevo già e sono partita da quelli. Anche se devo dire che il risultato di una traduzione non è mai di pari bellezza con l’originale. Sarà una questione di suono, o… non lo so spiegare. Tra l’altro ci sono un sacco di fic in inglese che mi piacerebbe farvi leggere, ma non mi azzardo a riscriverle in italiano (un po’ perché non so come fare a ottenere i permessi dalle autrici) perché la sento un po’ come una violenza al testo…

Vi dico subito che la continuazione naturale di questo capitolo sarà Hidden feelings … Ormai so già come finirà la cosa nel capitolo 74… ma rimango dell’idea che quella sera, Roy non sia rimasto con le mani in mano e quel senso di disagio che l’autrice è riuscita a fissare in un’unica meravigliosa immagine… Acc, sto anticipando troppo!

A proposito di anticipazioni… AVVISO SPOILER CAPITOLO 72 (ormai ho perso il conto, non so più a quale volume corrisponda, il sedici forse… Shatzy help! Però hai visto che mi sono ricordata dell’avviso anche stavolta? Merito tuo… ^^)

 

 

“I call and there’s no reply

Like a phantom cry

One year too far away from me.

You’ve never known how much you meant to me…”

                                                    Steve Conte “No reply”

 

 

071. Premonition (Premonizione)

 

 

Fiori, ovunque.

L’abitacolo cominciava a diventare saturo di quel profumo, tanto forte da stordire.

Iris, calle, camelie, gardenie, anemoni rossi come il sangue, un ramo di gelsomino e uno di fiori di pesco, rose a non finire… Quando il primo squillo si amplifica nel suo orecchio, si chiede perché in un momento simile gli sia venuta in mente lei.

E mentre conta uno ad uno i lamenti metallici del telefono, ancora più strana è quella sensazione sgradevole, ruvida e ingombrante, in mezzo al petto, come un sasso incastrato tra le costole.

E chiede senza volerlo, a mezza voce, rispondi, perché se lo dice a se stresso è sicuro che anche lei possa sentirlo, rispondi.

“…Pronto…”

Pronto. Ho la macchina piena di fiori e ho pensato a te. Ho pensato che non ti vedo da quasi due giorni, ho pensato che non sei lontana ma è come se ci fosse l’oceano in mezzo alle strade della città, un fossato profondo attorno alle mura del quartier generale, il filo spinato nel mio petto.

“Buonasera, signorina. E’ il suo fioraio preferito, che le fa una chiamata di cortesia…”

“Io NON HO un fioraio preferito…”

Riza non sarebbe Riza, senza la sua incapacità fisica di stare agli scherzi.

“Già, scusa. E’ che sono diventato profondamente grato a qualcuno e ho comperato una tonnellata di fiori… Pensi di potermi fare un favore, e venire a prenderne qualcuno?”

Mentre sente la cornetta scivolare tra le dita umide, il silenzio dall’altra parte del filo gli gela le ultime parole in gola.

“Che c’è? E successo qualcosa?”

“No, niente…”

C’è qualcosa, e non è un’interferenza quel crepitio traballante nel suo niente, quella pausa lasciata a metà, mentre quei puntini sospesi prendono lentamente la forma di un interrogativo.

E all’improvviso vorrebbe essere lì, poterla guardare in faccia mentre le chiede ancora:

“Sicura?”

Un'altra pausa, un altro silenzio, un altro concerto di ronzii meccanici, schiocchi improvvisi della linea precaria e disturbata.

“Va tutto bene, signore. Mi dispiace, però: non ho nessun vaso o recipiente qui.”

E’ la Riza che respinge discretamente, con una gentilezza che fa quasi male. La Riza di sempre.

Ma per un attimo non lo è stata, per un attimo quell’oscillazione appena incerta che ha lasciato in sospeso la frase, gli ha lasciato intendere che c’era dell’altro da dire.

Dimmi come stai, come stai davvero. Dimmi se ti manco, se anche per te la vita intorno ha perso almeno un po’ di colore, se quando guardi quella sedia vuota, occupata da un altro, il pezzo di realtà mancante ha la mia forma…

E rimane senza parole, per un momento fatale, a chiedersi perché quel grumo duro nel petto non voglia andare via, non voglia sciogliersi, ostinato e fastidioso: è lei, è a casa, sta bene…

Domani andrà in quell’ufficio, dopodomani ancora, a meno di tre metri dall’uomo che non è un uomo, a firmare i rapporti al posto suo, a svegliarlo quando si addormenta sulle scartoffie, ad aspettarlo alla fine della giornata, tendendogli la giacca e aprendo la porta con uno strano sorriso tra le labbra, mentre fuori piove…

“Ho apprezzato la sua chiamata, Colonnello…”

Lui si arrovella, rovista tra le parole che gli salgono su per la gola, alla ricerca di quel qualcosa che sente di dover dire, prima di abbassare la cornetta che stringe tra le dita.

Ma il suono meccanico e ripetitivo che sostituisce già la sua voce è freddo, ghiaccio al confronto, gelido come il vuoto lasciato da quello che manca e non sa spiegare.

Rimane a fissare la superficie bucherellata del microfono, cercando di guardarvi dentro, infilarsi nel filo stretto, arrivare fino a lei, come il profumo delle piante si insinua sottile, da sotto le portiere dell’auto.

La macchina è piena di fiori. E un rododendro rosso risalta sgarbatamente, come una macchia sinistra su una coperta multicolore.

 

 

 

 

P.S: Premetto che la fic “Il linguaggio dei fiori”  di RizafromKeron è una delle mie preferite, e mi ha colpito molto. E visto che nel fumetto, i fiori ci sono sul serio mi sono detta: perché non giocare un po’ sulla cosa?

Il riferimento al rododendro, nel finale non è casuale. Il significato di questo fiore (almeno secondo un librino usurato trovato in casa) è Pericolo. Anche i fiori citati nell’incipit hanno un senso… ma visto che la cosa non è decisiva per la comprensione del capitolo, penso che ve lo lascerò scoprire da sole! ^^ Baci

 

 

Risposte:

 

Eleanor89: il 73 lo trovi su FMA Planet, ma è in inglese. Sennò c’è in italiano insieme al 74 su un sito che si chiama Blackenoir! E l’ultimo merita davvero, te lo garantisco...^^

Shatzy: Sui fiori ci ha quasi azzeccato. Secondo il mio librino Iris significa messaggio, la calla raffinatezza appunto, la camelia era quella che preferivo, simboleggia un sacrificio in nome dell’amore (^///^), la gardenia significa anche sincerità (mi è sembrata un po’ ironica, vista la situazione, ma ci stava), l’anemone è come hai detto tu, abbandono ma come speranza e attesa,il gelsomino è il mio fiore preferito (e secondo me la titubanza nel loro rapporto c’è), il fiore di pesco è esattamente come hai detto: amore immortale. Le rose erano d’obbligo, qualunque fosse stato il colore (gialle di gelosia incluse)… Le citazioni musicali, d’ora in poi le metterò quasi sempre, questo perché quando scrivo la musica è un’indispensabile fonte di ispirazione, non posso farne più a meno. ^^  Per le fic in inglese proverò a fare come hai detto tu. Intanto mi piacerebbe tradurre Frost tonight, che rimane e rimarrà sempre la mia preferita. Poi c’è una lemon molto particolare in tre atti (si atti: è un opera d’arte e le opere d’arte si dividono in atti!) che me la rileggo quasi ogni sera, perché mette in pace col mondo…Vado, contatto, traduco e torno! ^^

_mame_: Ultra-sweet in prossimo arrivo, il theme 75, tanto per cominciare. Ma per ora rimaniamo ancora un po’ sulle tristologie, mi dispiace… Beh, no dai: questo theme non mi sembra rientri nella categoria…^^

 

Non appena ho letto il titolo ho pensato al mestiere di Riza. Poi, in un altro impulso creativo, mi è tornata in mente la gelosia di Roy. Mentre ero indecisa su come conciliare le due cose, Hayate si è messo ad abbaiare dalla tv. Gli devo una scatola di croccantini.

 

 

“Se fossi mia ti legherei

un laccio al cuore che ti faccia male

quando te ne vai.

Se fossi mia ti legherei,

ma ho un laccio al cuore e non ci sei…”

                               M. Zarrillo “Una rosa blu”

 

 

072. Drawing a boundary line (Disegnando una linea di confine)

 

 

Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque.

Conta mentalmente, misurando i passi e calcolando un avanzo di circa cinquanta centimetri.

La perfetta circonferenza, con il colonnello come centro, si estende attorno a lui, un suo personale quanto atipico cerchio alchemico invisibile agli occhi.

Non ci sono formule, né strani simboli arzigogolati su di esso, perché la linea mentale che traccia attorno alla sua persona, in strada, in ufficio, in un qualsiasi altro luogo, serve a proteggerlo.

Cinque metri di diametro, di rifugio, cinque metri entro i quali chiunque gli si avvicini non è altro che un possibile obiettivo della sua mira infallibile. Uomo o donna che sia…

Con quegli strani esseri immortali ancora in giro, non è più così sicura dell’efficacia del suo sistema. Ma quasi automaticamente, quel cerchio si abbozza sempre attorno a lui, comprimendosi su se stesso negli umidi giorni di pioggia, come nelle missioni più pericolose.

Una sorta di amuleto, uno scudo di aria, parole e pensieri, che lo avvolge al suo posto, senza che lui possa intuire nulla di quella presenza.

Ciò che lei non sa, è che anche attorno alla sua persona, è dispiegato un involucro simile, giusto un po’ più esteso.

Ed è lui, stavolta, a disegnarle un confine attorno, osservando con sguardi incendiari il malcapitato essere umano di sesso maschile a cui capiti anche solo inavvertitamente oltrepassare i limiti prestabiliti.

E ogni volta che i due perimetri si intersecano, senza che nessuno dei due se ne renda minimamente conto, creano ghirigori fluidi, segni e parole, che forse hanno un significato, forse no, forse non esiste una traduzione fedele, per quegli ideogrammi sconosciuti.

A Black Hayate non resta che saltellare da un steccato incorporeo all’altro, da una linea all’altra, guardando con i suoi curiosi occhi di cucciolo gli inspiegabili e buffi comportamenti umani.

Rinuncia a capirli, guaendo confuso, e gioisce del fatto che a lui basti alzare una zampa contro un albero, per marcare il territorio.

Risposte

Elanor89: sono contenta che tu abbia trovato le scans! Il 72 e il 74 secondo me sono i capitoli migliori (per ora), io non mi stanco mai di rileggerli… non potevano mancare alla raccolta! ^^

_mame_: Eh sì, puoi proprio dire di aver brevettato un nuovo termine da aggiungere al nostro dizionario Royai-Italiano (dopo Brad, ovvio ^^)!

Shatzy: Wow… Royai per eccellenza?!?Oo  *me che diventa paonazza e sprofonda nel pavimento*

Ringrazio come sempre per le belle parole… ma devo dire che ormai scrivere Royai per me è diventato un bisogno fisico, una dipendenza paragonabile solo a quella di riza per le mele ^^. E poi il loro rapporto ha così tante sfaccettature che persino 100 themes non sembrano bastare, per descriverle correttamente tutte…

Per le immagini, non sapevo di averne anche di doujinshi, anche perché io sono alla DISPERATA (e per sicurezza sottolineo ancora di più disperata) ricerca di materiale del genere (anche perché ho letto alcune recensioni molto promettenti) ma non riesco a trovarne se non a pagamento su ebay… Le immagini che ho le ho prese da altri album come il mio, ed erano già sfuse, per cui non saprei da quale raccolta vengano… se sai qualcosa (anche dove possa trovare qualche buon doujin) illuminami, per favore! ^^

 

Dunque, torniamo a noi.

Premetto: ho adorato la fic di _mame_ (“Train in rain”… per chi non l’avesse letta, faccio un po’ di pubblicità occulta, perché è bellissima!!!) e anche per non commettere plagio ho sviluppato una mia personale e diversa idea, a proposito della loro separazione, alla fine dell’anime. L’avete già potuta intravedere in “Letter” e “Cold hands”… diciamo che questo capitolo anticipa quegli episodi, e si colloca esattamente prima del film.

Scusatemi, ma un po’ di tristologia (sempre per citare _mame_) ci deve entrare per forza, in questa raccolta (Eh già, non mi è bastata la batosta di Special seat – chi? cosa?di che stiamo parlando? -  sono un po’ masochista)… ma sappiate che scrivere questo capitolo mi ha fatto stare un po’ male.

Molto male, a dire il vero…

 

 

“There’s just one thing that I need to say

Before I close my eyes and walk away.

There’s just one thing that I need to face

Before I walk away against my will.

The memory of this

 still reminds me of you:

Don’t forget me…”

 

 

073. Parting  (Separazione)

 

 

La stoffa bianca crepitò tra le fiamme del camino, annerendosi progressivamente ai bordi e diffondendo un sottile aroma acre di benzina e gas.

Guardò bruciare i suoi guanti, finché non ne rimase che cenere, poi si alzò: il segnale di inizio.

Le ferite facevano ancora male, ma non così tanto da fermare i suoi piani.

La piccola borsa con l’essenziale per quel viaggio era già pronta, vicino alla porta, il documento per il trasferimento del caporale Roy Mustang, piegato accuratamente e riposto nella tasca del suo cappotto. Era rimasto lì tutta la settimana, ma non aveva trovato alla fine il coraggio per tirarlo fuori, per spiegarle tutto.

Non avrebbe saputo rispondere ai suoi occhi spalancati nel dolore di quella domanda, che spontaneamente le sarebbe affiorata sulle labbra.

Chiuse senza fretta la giacca della sua nuova divisa, indugiando con studiata lentezza su ogni bottone, il tempo necessario per soffermare lo sguardo su ogni piccolo particolare di quello che per circa tre mesi era stato il suo ricovero.

Il divano usurato, la cuccia di Hayate sotto il comò del soggiorno, la cucina con il ventilatore rotto e uno sportello della credenza cigolante. Il calore affettuoso di quell’insieme imperfetto, il suo inestimabile valore…

Era pronto.

Ma inconsciamente, i suoi piedi si mossero verso la camera da letto, senza che la voce urlante nella sua testa potesse fermarli. Si bloccò esattamente sulla porta, con un ultimo e disperato sforzo.

Perché sapeva che se fosse entrato in quella stanza un’ultima volta, non sarebbe più stato capace di partire.

La curva dei suoi fianchi drappeggiava morbidamente il lenzuolo che copriva il suo corpo, vibrando ad ogni suo respiro.

Poteva ancora vedere l’avvallamento lasciato dalla sua figura qualche attimo prima, di fianco a lei, poteva sentirne il calore. Il punto esatto del cuscino dive la sua testa si era adagiata, tra i suoi capelli biondi, l’impronta della sua mano sulle pieghe della coperta, attorno alla sua vita.

Forse era proprio quel calore residuo, a darle l’impressione che fosse ancora lì, a non turbare il suo sonno. Non poteva dirlo.

Ma sapeva che partendo, lasciava una parte di sé in quel piccolo appartamento, su quella metà del letto, in numerosi piccoli dettagli, sparpagliati per la stanza.

E quella amputazione improvvisa lo lacerava dentro, e faceva male, forse più delle innumerevoli ferite della sua convalescenza.

Lottò qualche minuto contro le sue gambe che , paralizzate, non volevano tornare indietro, verso l’uscita. Mentre muoveva i blocchi di cemento pesante che i suoi piedi erano diventati, verso la porta, sentiva se stesso gridare, pregare per un ultimo bacio, un’ultima carezza, un ultimo sguardo.

La maniglia si abbassò in un cigolio infinito, un lamento che sembrava diffondersi direttamente dal suo petto. Un rumore leggero dall’altra stanza lo riempì di un improvviso terrore, spingendolo fuori da quella casa, definitivamente.

Solo allora sentì qualcosa di caldo e umido sotto la benda nera.

La goccia trasparente, sul pavimento davanti a sé, raccolse il suo riflesso deformato, mentre si allontanava lungo la strada.

Risposte:

Elanor89: Grazie mille, l’ho letto e mi è sembrato carino (anche se in alcuni punti mi ha fatto venire un magone…) speriamo che l’autrice lo finisca, perché mi ha fatto venire la curiosità…

Siyah: Non me ne parlare, anch’io ne ho trovati praticamente solo di tentai, ma ero alla ricerca di qualcosa meno volgare, tra l’altro quelli che ho intravisto io non avevano neanche una storia o dei disegni particolarmente belli… uffa uffa uffa, e dire che ci sono dei lavori così belli in giro, lo so… che rabbia!

Shatzy: io ho trovato qualche recensione su “PANIKKU! A doujinshi collection” (puoi cercarlo con google, è il terzo sito che appare), ma sono solo, appunto, recensioni e immagini delle copertine: ti fanno venire un voglino matto di leggerli ma ovviamente non si può (e lì puntualmente mi mangio le mani e chiedo in ginocchio perché, PERCHE’ non sono nata in Giappone?!?). Su FMA Planet li avevo visti ma ovviamente… me li scarica in un formato (rar, mi sembra) che non so come cavolo aprireeee!!! *me disperata che si strappa i capelli*

 

Ah, buone notizie! Ho avuto il permesso dalle autrici di “Frost tonight”  e di un’altra fic che si chiama “Remenber to breathe” per le traduzioni! ^^  Per cui ora mi metto al lavoro e, finita la raccolta le posto… o magari dopo le 15R … adesso vedo come sono messa, ma sono già sulla lista delle cose da fare. L’autrice dell’altra fic in tre atti (che per la cronaca si chiama “a commentary on the theory of the blue goddess”, non chiedetemi cosa sta a dire, perché non ne ho idea…) invece non mi ha ancora fatto sapere nulla, spero che la mail si arrivata… vedremo! ^^

 

Ma veniamo al capitolo: E’ stata dura. Un'altra tristologia non l’avrei retta, per cui…

La Royai è un pelino sottintesa: la scena si basa su una probabile breve conversazione tra Riza e Lan Fan, dopo la lotta con King Bradley. Questo perché ho notato una certa similitudine di intenti nella missione di queste due donne di due paesi totalmente diversi e lontani, che non dovrebbero avere niente in comune, ma che in realtà condividono lo stesso silenzioso obiettivo.

(Eh… dopo il volume 13 – meraviglioso volume – bisognerebbe aprire una parentesi a parte pro Ling-Lan Fan… e poi, mi sa tanto che il motto preferito dell’autrice sia “dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”, non trovate anche voi? ^^)

 

 

074. Great distance (Grande distanza)

 

 

Non poté fare a meno di tremare. Era una ragazzina forte: non aveva urlato neanche una volta mentre i ferri gelidi e taglienti del dottor Knox lavoravano su ciò che rimaneva del suo braccio.

Ma era, appunto, una ragazzina.

E mentre teneva ferme le sue spalle scosse dagli spasmi di dolore, non poté fare a meno di chiedersi cosa la avesse spinta ad abbandonare il suo paese, a farle attraversare miglia e miglia di deserto per approdare in una terra crudele e maledetta, lontana da casa, dalla famiglia, dagli affetti.

Quel ragazzo, al quale si rivolgevano tutti con grande deferenza, la aveva raccontato lo scontro a grandi linee, elogiando e criticando allo stesso tempo la coraggiosa iniziativa della sua amica.

Sì, aveva detto proprio ‘amica’. Avrebbe potuto chiamarla ‘seguace’ o anche ‘servitrice’, in fondo era quello che era: una sua subalterna. Ma aveva parlato di lei con parole diverse, mostrando l’attaccamento e la gratitudine, insieme alla preoccupazione che lo assillava, durante tutto il tragitto in auto. Al pensiero di quel ragazzo, si sovrappose senza volerlo l’immagine di un altro uomo di sua conoscenza…

“Perché sei qui? Perché fai tutto questo?” si decise a domandarle, più che altro per distrarla dalle fitte dolorose che le sfiguravano il viso.

Era una domanda stupida. Lei stessa ne conosceva la risposta, perché era diventata la sua vita.

Ma non disdegnò riascoltarla dalla bocca di una ragazzina di un paese lontano, dall’altra parte del mondo, stupendosi di come invece i sentimenti alla base di quelle parole fossero gli stessi.

“Perché c’è una persona che devo proteggere, anche a costo della mia vita…”

Lesse nei suoi occhi allungati la sua stessa determinazione, lo stesso sentimento enorme e indefinito, che non mancava di sorprenderla e spaventarla, ogni giorno di più.

Anche lei dovette intravedere qualcosa di simile nel suo sguardo color del miele, perché sorrise, con uno sforzo disumano, confermò quella complicità possibile solo tra chi condivide un intento, un desiderio, un amore più grande di sé, più grande di tutto il resto.

E di colpo, quel paese oltre l’arido mare di sabbia, non sembrava più così lontano.

 

 

Risposte:

_mame_: grazie del suggerimento, il programma l’ho scaricato… peccato che i file che volevo aprire sono danneggiati, quindi non me li apre neanche lui! (non c’è limite alla sfiga, doveva essere destino…). Di “Hate me hte me not”, penso di avere la copertina (è un immagine con queto titolo, boh…) non mi sembrava così male come disegni, ma se lo dici tu, mi fido (anche perché non saprei proprio dove trovare il dj)

Shatzy: Sto finendo di tradurre Frost tonight, mi manca qualche ritocco e qualche parola sconosciuta, ma per il resto sarà pronta a breve. Dei 15R ne ho fatti solo tre al momento, mi ci voglio concentrare bene, per cui aspettao di finire questa raccolta… non che mi manchi molto: praticamente mi manca l’ultimo theme (è ancora una nebulosa informe), poi voglio riscrivere Kiss che non mi convince, e completare Surprise attack… Ma quello che mi preoccupa è il n.100! Oo

Non so proprio cosa inventarmi…

 

Vabbè, per consolarmi (e consolarvi) ecco il theme al miele, come promesso. Questo perché per me è miele qualsiasi cosa abbia a che fare con un certo bambino…^^

E poi diciamolo: quando i bambini raggiungono l’età delle domande, ci vuole tutta la pazienza di Riza per non sopprimerli direttamente. Oltretutto, le domande di Maes non sono proprio tra le più semplici a cui  rispondere…

 

 

075. Why? (Perché?)

 

 

“Mamma, perché io non posso usare la tua pistola?”

Riza riassettò la coperte del lettino per la decima volta, per poi vederle nuovamente scalciate ai suoi piedi meno di due minuti dopo.

Rinunciò, sconfitta: se non aveva sonno in quel momento, non ne avrebbe avuto per un bel pezzo. Tanto valeva starlo a sentire. Dopo tutto era in quella fase. Quella delle catene di domande senza fine. Sperava solo di non cadere addormentata prima di lui…

“Perché è una cosa pericolosa, per un bambino.”

“E perché tu la usi, se è una cosa pericolosa?”

Sorrise a suo figlio, ricordandosi di una domanda simile, fattale da una ragazzina, tanti anni prima.

Decise di dare la stessa risposta, quella che era stata – e per certi versi era ancora – la sua filosofia di vita.

“Perché c’è qualcuno che devo proteggere. Sono stata io a deciderlo. Premo il grilletto della mia pistola, per una persona che deve essere protetta e rimanere in vita.”

“E perché devi proteggere questa persona?”

A questo, allora non avrebbe saputo rispondere sinceramente. Forse perché all’epoca non sapeva ancora quale fosse, la verità.

“Perché amo questa persona, e proteggere chi si ama è un istinto naturale.”

“E perché è un istinto naturale?”

“Perché se vuoi tanto bene a qualcuno, come lo voglio io al tuo papà, non vuoi che gli succeda nulla di brutto.”

Il bambino si immerse in una profonda riflessione, mentre Riza si preparava a una nuova e inevitabile serie di Perché a cui rispondere.

“E perché nessuno protegge te, mamma?”

La donna rise tra sé e sé, immaginando la faccia di suo marito, se solo avesse sentito quella conversazione. Ma dalla cucina, arrivava solo la voce della radio accesa e lo scrosciare dell’acqua del secchiaio, sui piatti sporchi.

“Il papà mi protegge sempre: quando ho bisogno non mi lascia mai da sola, si preoccupa per me e mi aiuta… e lo fa anche con te.”

“Non è vero: papà mi fa i dispetti…non mi vuole bene.”

“Non dire così: papà ti vuole tanto bene, solo che non te lo dice perché si vergogna… e i dispetti te li fa perché a volte ritorna piccolo, anche più piccolo di te. Devi avere pazienza…”

L’espressione dubbiosa del piccolo si sfaldò improvvisamente in uno sbadiglio: era al limite.

Ma prima di infilarsi sotto le coperte, abbracciò la madre, affondando il nasino tra i suoi capelli, respirando il suo odore di pulito. Riza si stupì, come sempre, della sua somiglianza con il padre, persino in quelle piccole abitudini.

“Mamma… anch’io ti voglio proteggere. Ma come faccio, se non ho la pistola?”

“Ci sono modi diversi per proteggere chi si ama, non è necessario usare sempre un’arma… Per esempio, se adesso ti addormentassi subito senza fare storie, mi proteggeresti dalla stanchezza. Capito?”

Non fece in tempo a finire la frase, che dalle coperte tirate su fino al mento, sbucavano solo gli occhi scuri, ormai semichiusi. Ma un attimo prima che Riza spegnesse la luce, il bambino la chiamò ancora.

“Mamma…”

“Dimmi.”

“Se devi proteggere papà, perché a volte lo rincorri con la pistola?”

Questa volta, la sonora risata di Roy giunse distinta e cristallina dal soggiorno, sovrastando i rumori della radio accesa.

Riza premette l’interruttore, nascondendo nel buio la sfumatura paonazza sul suo viso.

“Questa domanda, falla a tuo padre, domani mattina…”

 

 

 

Risposte:

Roy Mustang sei uno gnocco: Tralasciando il fatto che concordo con il tuo nick XD, beh di motivi ce ne sono sempre, al lavoro e non… Scherzo, in questo capitolo non mi riferivo ad un motivo particolare, sono rimasta sul generico. Ciau! ^^

_mame_: Più che eterno Peter Pan, Roy è un eterno poppante! XD Il fatto è che lo trovo adorabile quando fa il bambino…

Shatzy: Guarda, non me lo dire…. L’ispirazione per il capitolo mi è venuta da mio cugino, che di anni ne ha otto ed è arrivato (un po' in ritardo) proprio a quella fase lì! A volte avrei voglia di avere una pistola come Riza… Eh eh, mi sa che a Roy la mattina dopo toccheranno domando come “papà ma da dove vengono i bambini?” XD

_mame_ & Shatzy: Posso farvi una domanda io? Ma questi dj che avete nominato… DOVE LI AVETE TROVATI???Io ho provato a fare un ricerca con google usando i titolo ma non è venuto fuori niente, e mo’ mi avete fatto veire la curiosità! ^^

 

Ah, vi avviso che il numero 100… L’HO FINITO IEEERIIIIIIIIII!!!!!! (speriamo bene, alla fine qualcosa mi sono inventata…). Ufficialmente quindi la raccolta l’ho completata tutta, non resta che fare del gran copia e incolla per postare il tutto… ^^

Aiuto, mi sento svuotata… Oo

 

Per quanto riguarda il capitolo di oggi…

D’accordo, ho usato una stratagemma linguistico per rigirare la frittata a mio favore. Ma l’ho fatto per il bene dell’originalità! E poi è vero, ‘you’ in inglese si traduce sia con ‘tu’ che con ‘voi’, per cui alla fine non ho fatto niente di male (Oh my God, adoro l’inglese!)

A dire il vero, ponderavo già da un po’ di far riapparire una nostra vecchia conoscenza, che come ho potuto constatare è sempre gradita (beh… forse Roy è di un altro parere…).

Ho provato ad immedesimarmi, ma non essendo un padre di famiglia con un lavoro militare di ufficio, e la foto della figlioletta sempre nel taschino, non posso assicurare nulla…^^

 

 

076. Watching over you (Vegliando su di voi)

 

 

Dovreste vedervi da qui.

L’intera umanità, a dire il vero, sembra un frettoloso branco di formiche arriviste e spietate. Ma allo stesso tempo profondamente ridicole.

Ma dovreste vedervi da qui, dico sul serio. Perché se l’umanità è comica, voi siete disperatamente esilaranti! Al punto che ogni tanto, arrivo a chiedermi se facciate apposta o meno…

Tu, con la tua aria da casanova, le tue ambizioni, le tue movenze provocanti e presuntuose. Lei con il suo quieto passare inosservata, discreta e vigile.

Quando si dice che gli opposti si attraggono…

E, ve lo dico in tutta sincerità, siete buffi all’inverosimile, nel vostro disperato quanto inutile tentativo di nascondere la verità sotto il tappeto.

Non offendetevi, vi prego… è che qui, non ci sono molti altri passatempi che stare a guardare i programmi che offre quotidianamente la vita reale.

E poi, a dire il vero, vi tenevo d’occhio già da prima.

Ma sì, quante volte ti avrò detto di trovarti una moglie? Sebbene il mio tono fosse scherzoso, i miei erano consigli sinceri e sentiti. Quello che non ho mai aggiunto, è che avresti dovuto cercarla tra quelle quattro mura militari… Escludendo Havoc e gli altri non era difficile individuarla, no?

Ma in fondo hai ragione, non sei solo tu il caso disperato, tra voi due.

Anche lei, ci mette il suo impegno per complicare le cose ancora di più. Ma vi divertite? Vi divertite a crearvi problemi, dubbi, indecisioni, trappole sentimentali e strade senza uscita, in cui poi vi ritrovate bloccati e soli?

Siete due pazzi, ecco cosa. Perché basterebbe poco, per ritrovarsi, nel labirinto che vi siete costruiti attorno. Basterebbe chiamarsi, a gran voce, ammettere di aver bisogno l’uno dell’altro per venirne fuori, perché è così, avete bisogno l’uno dell’altro per poter continuare a vivere.

E’ in questo modo, che le migliori commedie diventano le più strazianti tragedie.

Pensa a Romeo e Giulietta. Dai, lo so che la letteratura non è il tuo forte, ma è Shakespeare, e che diamine! Romeo e Giulietta: divertenti e deliziosi trastulli amorosi nell’incipit, avances, doppi sensi più o meno espliciti… ma quando scoprono di aver fatto sul serio senza essersene resi conto, cercano di fare marcia indietro, provano a negare l’amore che li lega, poi usano stratagemmi, intermediari, matrimoni segreti, finte morti… e guarda come è andata a finire!

Non per portare sfiga, comunque…

Ma sì, in fondo siete voi, siete fatti così: testardi, coraggiosi, sempre pronti al sacrificio. E’ questo che vi frega, sempre. Ed è questo che fa male: sento una fitta al petto, tutte le volte che vi spingete via, vi allontanate a vicenda, con a scusa di obiettivi più grandi di voi, di cose più importanti di voi.

Non ve ne rendete conto, ma in questo modo vi imolate entrambi, martiri stupidi e ciechi dei vostri stessi sogni ambiziosi, delle vostre promesse assurde, degli obblighi pesanti che vi siete caricati sulle spalle, in tutti questi anni di silenzio e bugie.

Aprite gli occhi, prima che ve lei apra la morte – paradosso dei paradossi. Perchè non si torna più indietro, e dopo rimangono solo i rimpianti.

Io, fortunatamente non ne ho quasi nessuno, a parte il tempo mancato con la mia stupenda famiglia. E forse anche il fatto di non avervi spinto con più forza l’uno nelle braccia dell’altra, di non aver insistito abbastanza.

Ma ormai è tardi, dovrete cavarvela da soli, come sempre pretendete di agire.

D’accordo. Io continuerò a vigilare da qui, magari con qualche apparizione da zombie o sogno rivelatore, di tanto in tanto…

Continuerò almeno a pregare, questo sì, anche se non so bene chi, affinché i vostri due Io diventino un Noi per cui valga la pena scommettere il destino di questa nazione.

Inutile dire che ho puntato su di voi, come tanti altri, già da molto tempo.

E so di non poter perdere.

 

Risposte:

 

Shatzy: Guarda, penso che Roy sia un personaggio meraviglioso, complesso proprio perché riesce a racchiudere in sé le tragedie più profonde ma anche la comicità più spassosa… per cui, non penso che tu sia sadica… o se anche fosse saremmo in due (hua hua…)! ^^ Per quanto riguarda i dj, ho letto sia Over and Over che Bust a move. Quest’ultimo sì, in effetti è un po’ hentai, ma certe scenette sono spassose, anche solo gli scarabocchi della copertina quando Riza lo prende a pugni, lui fa gli occhioni da cucciolo e lei gli ricompone il naso sbuffando… ^^ troppo carini!

P.S: Ci credi se ti dico che ieri a pranzo ho proposto un brindisi per il termine della raccolta? I miei sono stati davvero tentati di chiamare la neuro, però… ^^” Comunque è vero: il lavoro non mi manca (per fortuna, sennò vado in crisi d’ astinenza! XD ).

 

_mame_: Alla fine sono riuscita a scaricare i dj, ma devo dire che su Hate me, Hate me not, non ci troviamo d’accordo. A parte che è quello meno hentai che ho trovato, e sì, i disegni sono un po’ diversi e strani… ma nel suo insieme mi è sembrato un bel lavoro, un po’ più profondo (acc… mi devo mettere a studiare seriamente il Jap, anche solo per capire cosa diamine dicono!). E poi ci sono certi disegni del loro bacio, o l’abbraccio finale che sono da favola  O ç O *me che sbava*

 

Cowgirlsara: Prego…^^ A mia volta ringrazio per le belle parole. Non ti preoccupare, anch’io sono più una lettrice che una recensitrice (oddio, ma esiste, ‘sta parola??? Oo), e poi immagino che recensire 100 racconti sia quasi faticoso quanto scriverli (che ne dite, Shatzy e _mame_? ^^).

 

Vi aspetta un periodo piuttosto allegro (a parte il 79…), di tristologie se ne riparla più avanti (sorry, _mame_ !  -_-  ). Questo capitolo si è praticamente scritto da solo, inoltre Havoc e gli altri richiedevano a gran voce di fare un’altra apparizione…

Esistono certe regole da rispettare, regole non scritte ma concordate e condivise tacitamente da tutti gli uomini della squadra. Regole che un “esterno” come Ed, non può sapere…

(Kyaaa!!! Alla faccia delle RoyxEd… scusate, ci voleva… ^^)

 

 

077. Implicit rules (Regole implicite)

 

 

“Dov’è quell’idiota piromane?”

Dal modo in cui Ed sbraitava e dall’appellativo usato, era abbastanza chiaro si stesse riferendo a un certo colonnello.

Havoc indicò la porta dietro di sé, senza alzare lo sguardo dal documento che stava visionando.

Ma mentre il ragazzino si dirigeva a grandi passi verso l’ufficio chiuso, lo fermò sbarrandogli la strada.

“Il colonnello è occupato…”

“A dormire, forse. E va bene! Allora dove posso trovare il tenente Hawkeye?”

“Occupata anche lei…”

“Com’è che quei due sono sempre occupati contemporaneamente?”

Non gli piacque per niente il sorrisino malizioso che spuntò persino sul viso innocente di Fuery.

Havoc spense il mozzicone consumato nel portacenere, soffiando l’ultima nuvoletta di fumo puzzolente dal naso, la bocca troppo occupata a dar vita al ghigno di uno che la sapeva lunga.

“Ti faccio un disegnino?”

Ed non poté fare a meno di arrossire, anche se una simile reazione non si addiceva ad un alchimista di stato, seppur giovanissimo.

“Lo sapete… e non fate niente?”

“Regola numero uno...” decantò Falman dal suo angolo.

“Mai impicciarsi dei fatti di un superiore. Specie se il superiore in questione è il colonnello Mustang...”

“Non ci posso credere!” sbraitò il fagiolino. “E quello sarebbe il futuro Furer? Uno che appena può si imbosca con…”

“Regola numero due” lo interruppe Havoc, fulminandolo con un’occhiataccia.

“Ciò che si sente in questo ufficio, rimane in questo ufficio. Ancora meglio se non esce proprio dalla parete dei denti…”

Incredulo e ancora più infuriato di prima, Ed puntò verso la porta sbarrata.

“Adesso mi sente, quel pervertito! Voglio proprio vedere che faccia farà, una volta beccato in flagrante…”

Non riuscì fare nemmeno un passo, che Breda lo aveva già sollevato da terra, prendendolo per le spalle. Havoc si accese la ventiduesima sigaretta della mattinata, mentre rideva dei disperati quanto comici tentativi del piccoletto di liberarsi.

“Regola numero tre: quando quella porta è chiusa – con il tenente dentro, si intende – è molto saggio non aprirla per nessun motivo. E’ una questione di incolumità personale, ovvio. E anche una misura anti-incendio e anti-sparatoria, se riesci ad afferrare il concetto…”

Da come aveva smesso di sbraitare, Ed aveva afferrato il concetto.

Improvvisamente un rumore strano – una specie di lamento soffocato, seguito da quella che sembrava essere una risata col silenziatore - arrivò alle orecchie della truppa, trapassando le sottili pareti dell’ufficio e della porta blindata.

E questa volta, l’alchimista non era l’unico ad essere imbarazzato. Sebbene ormai tutti avessero intuito a grandi linee cosa stava succedendo oltre quella porta, nessuno ci teneva eccessivamente ad approfondire i dettagli.

“Cos’è stato?”

“Regola numero…” ricominciò Havoc, riprendendo la cantilena da dove l’aveva lasciata.

“Lascia perdere.” Tagliò corto Ed, rabbrividendo per un immagine inopportuna che gli aveva appena attraversato il cervello.

“Preferisco non saperlo…”

 

 

 

Risposta collettiva: A mio modesto parere la crescita a Ed si è già bloccata… se entrava nell’ufficio, come minimo si accorciava ancora di più…(hu hu risata malefica…) ^^”

Più che capitoloi divertenti, per un po’ saranno comunque leggeri almeno fino allì’83 (nulla di tragico/tristologo, a parte il prossimo, ehm…)

 

Ho notato solo da poco che qualcun altro ha già scritto una fic sul gioco della bottiglia. Spero non sia plagio, l’ho riletta più e più volte per evitare il disastro ma devo dire di averla trovata sostanzialmente diversa: insomma, la mia non è incentrata su Havoc. Spero possa bastare, come spiegazione, a mia difesa… ^^”

 

 

“Even if the pride you hold over your head is a mistake

Even if the ideal you paint crumbles

Even if everything here turns to lies and wears you down

I'll definitely be here”

                     Tobira no mukou e (Beyond the door)

 

 

078. Ideals and truth  (Ideali e verità)

 

 

“Ahi ahi… Roy, tocca a te! Verità o penitenza?”

La bottiglia vuota di birra cominciava a segnarsi, a forza di girare sul legno scheggiato del tavolo da bar, ma Huges sembrava non curarsene.

Roy Mustang si chiese per la ventiduesima volta perché diavolo avesse accettato di partecipare a quello stupido gioco, prima di rispondere:

“Penitenza.”

“Allora ti becchi un bel bacio da Havoc…”

“Okay, verità! VERITA’! Forza, spara e non fare la carogna, Huges…”

Cominciava a non sopportare più i sorriseti dei suoi sottoposti, euforici nel vedere il loro superiore messo in difficoltà da un gioco da pigiama party…

“Dunque… ce l’ho: quale sarebbe la prima cosa che faresti, una volta diventato Furer?”

Tutti in quella compagnia, sapevano dei suoi progetti, ma Roy non si trattenne dal lanciare all’amico un’occhiata gelida di rimprovero: non erano soli, e quel bar era molto frequentato dai dipendenti del vicino quartier generale.

“La pace nel mondo.” Rispose comunque, imitando la voce smielata delle miss.

“Avanti, Roy! Hai detto ‘verità’!”

“E va bene! Farei usare la minigonna a tutto il personale femminile.”

Havoc e Breda cominciarono a sbavare, ma Huges non sembrava convinto.

“Ti va un po’ troppo di scherzare, stasera… se me ne spari un’altra passi direttamente alla penitenza… e il bacio te lo prendi dal maggiore Armstrong!”

Il colonnello impallidì, nonostante il colorito paonazzo che una rapida successione di alcolici avevano provocato.

“Uhm…”

Fissò il fondo di whisky del suo bicchiere, alla ricerca di una risposta che in cuor suo conosceva fin troppo bene.

“Abolirei la regola di fraternizzazione...”

“Che roba è?” grugnì Breda, ingozzandosi di salatini per combattere la sbornia imminente.

“E’ quella legge che impedisce a due militari di avere una relazione…” commentò uno sghignazzante Havoc, facendo l’occhiolino al compagno di bevute.

Huges scoppiò a ridere.

“Roy, se volevi uscire con me, dovevi chiedermelo prima che mi sposassi!”

“Chiudi quella fogna, Huges!”

L’amico, sorridendo come un pazzo, si stiracchiò appoggiandosi allo schienale della sedia sgangherata, lanciando al contempo un’impercettibile occhiata al tenente Hawkeye, come sempre in quieta attesa sulla porta della bettola.

I suoi occhi socchiusi e il ghigno astuto, sembravano urlare con inequivocabile chiarezza: “Pensavi che non me ne fossi accorto?”.

Roy buttò giù con un ultimo sorso, il rimanente pressoché nullo del suo bicchiere, costringendosi ad ignorare l’amico.

Havoc e Breda fecero finta di non avere né occhi né orecchie.

Tutti i suoi amici e colleghi lo sostenevano perché ammiravano e condividevano la nobiltà dei suoi ideali.

Ma anche perché avevano intravisto la verità nuda, nascosta dietro di essi.