Is That Alright?

di Sophie Hatter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Is That Alright? ***
Capitolo 2: *** Is That Alright? (parte II) ***



Capitolo 1
*** Is That Alright? ***


Nota: è nel giro di qualche giorno che ho deciso di cancellare e ripubblicare questa fanfiction, dopo averla riveduta e corretta adeguatamente. L’ho ripresa qualche tempo fa e mi sono accorta di quanti piccoli dettagli ne volessi perfezionare, di quanto desiderassi riadattarla al mio stile attuale. Per cui, ripubblico questo lavoro dopo averlo revisionato ed esserne un po’ più soddisfatta. Le recensioni che avevo ricevuto per la vecchia versione mi avevano fatto molto piacere, tant’è che le ho conservate per ricordo, perciò ringrazio di cuore chi aveva commentato. Intanto, preciso che per questa song-fic la canzone citata nel testo è Nine Crimes di Damien Rice.

Finito lo sproloquio, vi auguro buona lettura.


 

 

 

Is That Alright?

 

 

 

James Potter marciò a passo spedito verso il dormitorio di Grifondoro attraversando i corridoi con ampie e nervose falcate, senza voltarsi una sola volta, senza fermarsi a controllare se gli altri riuscivano a tenere il passo.

Non gliene importava un accidenti di niente.

In quel momento avrebbe soltanto voluto prendere a calci ogni cosa, in modo forsennato, bloccando ogni pensiero razionale per non dover avvertire qualche stupido rimorso. Era tutto sbagliato, tutto storto, tutto inutile. Il grido martellante della sua coscienza continuava a rinfacciargli quanto si fosse dimostrato irrimediabilmente idiota ed infantile. Ed era assurdo. Si trattava di Snivellus. Si era accanito ferocemente contro di lui, per consolarsi nel conforto di una valvola di sfogo. E si sentiva in colpa per averlo fatto.

Incredibile.

 

 

Leave me out with the waste
This is not what I do
It's the wrong kind of place
To be thinking of you
It's the wrong time
For somebody new
It's a small crime
And I've got no excuse

 

 

“Avanti, James, adesso smettila di comportarti come un bambino”.

Uno scatto d’ira gli percorse il corpo fino alla punta delle dita.

“Smettila tu di dirmi cosa devo fare, Sirius” sibilò, voltandosi appena. Scaricò l’impeto della sua occhiata fulminante su uno dei gradini. Non voleva prendersela anche con il suo migliore amico, rischiando di coinvolgere tutti quanti all’interno di un circolo vizioso a cui era stato lui a dare inizio, e che non sapeva fino a quando avrebbe continuato a divorargli le viscere.

“Stai prendendo tutta questa storia troppo sul serio, dovresti semplicemente cercare di rilassarti” gli disse Sirius, sfoggiando quel suo tono rassicurante con cui di solito riusciva a tranquillizzarlo in un attimo, inducendolo ad affrontare la vita con meno irruenza. Ma in quella situazione, per James era davvero troppo difficile sforzarsi di seguire il suo consiglio.

Lasciò che la vista gli si appannasse, perdendosi nel vuoto. Non gli interessava vedere dove andava. Per quello che gli importava, poteva anche finire a sfracellarsi contro una parete. Forse il dolore e l’umiliazione per aver compiuto l’ennesima idiozia gli avrebbero dato modo di allontanare la rabbia che aveva in corpo in quel momento, e che riusciva a scaricare soltanto impiegando tutte le sue energie per allungare la gamba e muovere un passo dopo l’altro.

“James, accidenti, mi vuoi ascoltare?!”

Sirius aveva già perso la pazienza. Si sentì afferrare con violenza per una spalla, un gesto secco lo costrinse a voltarsi. Incrociò lo sguardo del suo migliore amico solo per un breve secondo, dopodiché fissò gli occhi a terra, tentando di incenerire una crepa nel pavimento. Era sicuramente più utile e costruttivo che dare retta a lui, in circostanze simili.

“Si può sapere che diavolo ti succede?”

Dal suo tono di voce, ora, traspariva una chiara irritazione. James contrasse il volto in una smorfia, assumendo la sua tipica espressione da strafottente che tutti detestavano. Le labbra tirate, strette, la fronte corrugata, lo sguardo ritorto. Sentiva di potersi far odiare tranquillamente da tutti, e ne andava fiero. Era quello che voleva, che lo lasciassero in pace almeno per una volta.

La pressante attesa di una sua risposta da parte di Sirius cominciava ad infastidirlo. Avrebbe voluto reagire con violenza e andarsi a rinchiudere in qualche posto dove nessuno avrebbe potuto trovarlo. Ma capì che il modo più semplice per risolvere la questione era dargli quello che voleva e poi sparire indisturbato, senza che nessuno dovesse più sentirsi in dovere di esigere qualcosa da lui.

“Che cosa credi che mi succeda? Mi sono solamente stufato”.

“Non me la bevo, non hai mai raggiunto questi livelli”.

“Stai cercando di difendere Snivellus, per caso?” replicò James. Sollevò lo sguardo, e fissò Sirius diritto negli occhi con aria di sfida.

“Non dire assurdità. Mi sto preoccupando per te, non per Snivellus, razza di imbecille” si sentì rispondere. La durezza del tono di Sirius e la pesantezza dell'insulto che aveva osato rivolgergli furono per James come uno schiaffo in pieno volto. Eccone un altro che si divertiva ad umiliarlo. Era stanco di tutto questo.

“Scusami,” rimarcò, in tono decisamente ironico, “ma non riesco proprio a capire perché ti preoccupi così tanto”.

Con uno strattone tentò di divincolarsi dalla presa di Sirius. Sentì il rumore secco di uno strappo alla camicia, ma la mano che lo tratteneva si avvolse intorno al mantello e strinse con forza.

“Su, Padfoot, lascialo stare--” tentò di intervenire Remus, con il chiaro tono di voce di chi sta cercando di ripristinare la calma, ma Sirius non gli diede retta e intensificò la stretta.

“Sembravi fuori di testa, accidenti! È mai possibile che una sola frase pronunciata da quella stupida ragazzina riesca a ridurti così?”

I muscoli di James si irrigidirono, mentre un groppo gli serrava improvvisamente la gola. Guardava ancora Sirius negli occhi. Le sue parole si erano trasformate in un altro schiaffo; poteva quasi sentire la guancia bruciargli. Non un briciolo del suo orgoglio riusciva ad emergere da quel mare di rabbia. Era più forte di lui, non riusciva davvero a dare la colpa a lei. Lei non c’entrava niente. Non era in torto. Non si era messa a sputare sentenze solo per il semplice gusto di vederlo reagire negativamente, non sentiva l’impellente bisogno di provocare qualcuno per trarne un piacere personale e nemmeno nutriva la necessità di trasformare la sua vita in una farsa per mantenere la faccia davanti a tutti. Quelle cose sul suo conto le aveva dette perché le pensava davvero, e prendere atto di una simile verità gli stava costando la lucidità mentale.

 

 

Is that alright?
Give my gun away when it's loaded
Is that alright?
If you don't shoot it how am I supposed to hold it
Is that alright?
Give my gun away when it's loaded
Is that alright, yeah, with you?

 

 

James distolse gli occhi dal volto di Sirius, reclinando il capo in direzione di un punto imprecisato alle spalle dell’amico. Rinunciò ad attingere la forza necessaria a risalire da quel baratro sforzandosi di notare l’apprensione aleggiante sul volto di Remus e Peter, perché per quanto sapesse che si stavano soltanto preoccupando per lui si rendeva conto che l’appoggio dei suoi amici non gli era sufficiente a riprendersi, in quel momento. Non voleva discuterne; aborriva anche solo l’idea di provare ad ammettere quanto gli bruciava. Finché si trattava di dissimulare il suo malessere svagandosi con Snivellus non c’erano problemi. Ma non poteva tollerare di spogliarsi di ogni dignità davanti a loro, per quanto fossero le persone che lo conoscevano meglio al mondo. E loro, dannazione, non potevano essere così perversi da volergli fare ammettere a tutti i costi che l’aver scoperto quale tipo di considerazione nutrisse Lily Evans nei suoi confronti l’aveva gettato in un abisso senza fondo.

Capì che l’unico modo per essere lasciato in pace era tentare di tranquillizzarli.

“Non ti scaldare, mi passerà. È stato solo un momento. Evita di prendertela a male più di me”.

Sentì lo sprezzante sguardo di rimprovero di Sirius inchiodarlo a terra. Ma lui voleva andarsene. Non voleva più sopportare tutta quella pressione che gravava continuamente sulle sue spalle, o avrebbe sicuramente finito per esplodere. E Sirius, Remus e Peter non si meritavano di essere trasformati nelle prossime vittime dei suoi sfoghi rabbiosi.

“Proprio non ti capisco” gli disse Padfoot, con un distacco che lo ferì. Il groppo alla gola di James si fece più stretto.

“Bene, ti consiglio di fare un altro tentativo mentre non sarò nei paraggi” rispose.

La discussione era da considerarsi chiusa. Si divincolò di nuovo, e stavolta riuscì a liberarsi. Sirius aveva ceduto, allentando la stretta. La vittoria era sua, e per celebrarla aveva bisogno della più completa solitudine.

James salì gli ultimi gradini della scala a chiocciola di corsa, senza voltarsi indietro. Raggiunse la sua stanza, afferrò il Mantello dell’Invisibilità con un gesto rapido e secco, se lo calò sul volto e si diresse di nuovo verso il buco del ritratto, oltrepassando i suoi compagni con un fruscio appena percettibile.

 

***

 

Dopo circa un’ora trascorsa lì dentro, James si accorse di aver completamente perso il senso del tempo.

Il freddo gli percuoteva le ossa, eppure la sua ostinazione gli impediva di alzarsi e abbandonare quell’angolo per trovare rifugio in un posto più riscaldato. Quello era l'unico e solo luogo in cui davvero poteva sperare di avere pace; a quell’ora non ci si avvicinava anima viva. Erano tutti intenti a festeggiare la fine di un altro esame, e nessuno pensava a scrivere stupide lettere, né tantomeno a girovagare fino lassù per il puro piacere di farlo. Era solo, e solo sarebbe rimasto.

Continuava a sbattere con violenza il pugno chiuso contro la parete scabra. Ormai la sua mano era piena di graffi e di sangue, ma il dolore non lo sentiva più. Prendere a pugni un muro era l'unica cosa che riusciva a fargli sbollire efficacemente la rabbia: gli impediva di distruggere con troppa facilità oggetti che non gli avrebbero procurato nessuna sofferenza fisica al momento dell’urto, mentre lui aveva bisogno di distogliere l’attenzione dalla sua collera concentrandosi su qualche dettaglio esterno, come ad esempio una mano scorticata. Faceva abbastanza male da fargli sbollire tutto quanto, dopo un po’. Buttare giù le pareti di Hogwarts invece era evidentemente impossibile, anche se quel suo periodico rituale lo conduceva lì piuttosto di frequente, e la forza che ci metteva non era poi così trascurabile.

Sospirò e chiuse gli occhi, lentamente. Sentì svanire l'ultimo impeto di violenza, e la sua mano smise di colpire il muro. Era finita, ora, era notte fonda e la rabbia era passata. O almeno, ne aveva abbastanza di riversarsi all'esterno.

Provò a ripensarci, per verificare se l’effetto era del tutto svanito. Lily Evans, l’unica ragazza al mondo che fosse mai riuscita a renderlo talmente succube da farlo vergognare di se stesso, pensava che lui fosse soltanto un ridicolo sbruffone.

Sentì un peso sul petto, una specie di enorme macigno che gli affaticava il respiro.

Forse quello era il dolore.

Tentò di rallentare il respiro, dosando la quantità d’aria che gli usciva dai polmoni con una concentrazione esasperante. Il tremito gli scese alle mani, e per calmarlo le strinse spasmodicamente intorno ai lembi del mantello. Era diventato una creatura insignificante, di cui nessuno si curava, reso invisibile per sua stessa volontà. Spesso non capiva se davvero desiderava essere lasciato solo perché in quei momenti non avrebbe potuto tollerare nemmeno la muta presenza di un amico, o se agiva così per necessità. Perché dopo la rabbia subentrava il tormento, e con il tormento la debolezza. E nessuno avrebbe mai dovuto vederlo ridotto in quello stato. Aveva un onore, una dignità da mantenere. Era il più rinomato Cacciatore della squadra di Quidditch di Grifondoro, e la sua faccia la conoscevano tutti. Era un ruolo difficile da sostenere, che spesso finiva per disgustarlo, perché non gli concedeva mai nemmeno un attimo di respiro. Era costretto a sforzarsi di piacere alla gente ogni istante della sua misera esistenza, sostanzialmente per una sua scelta; avrebbe potuto infischiarsene di ciò che pensavano gli altri, ma lui voleva essere il migliore, qualcuno che anche Lily potesse adorare.

Forse era per quello che Sirius era così preoccupato: perché il giorno dopo tutti avrebbero cominciato a mormorare con malcelata discrezione riguardo al suo terribile scatto d’ira, smontando pezzo per pezzo la sua perfetta immagine davanti all’intera scuola. Magari i Serpeverde avrebbero tentato di farlo buttare fuori dalla squadra, accusandolo di essere un soggetto violento e pericoloso. L’aspetto ironico della questione era che in quel momento non gliene importava assolutamente nulla. Avrebbero anche potuto espellerlo dalla squadra di Quidditch, da Hogwarts stessa, non sarebbe cambiato niente, Lily Evans non avrebbe mai mutato opinione riguardo a lui. E lui, per anni e anni, nella sua cieca stupidità non si era mai reso conto del fatto che i suoi disperati tentativi di farsi notare da lei le erano risultati solamente ridicoli e deplorevoli.

Era un misero ragazzino fallito, ecco la verità. Detestava compatirsi, atteggiarsi da vittima, suscitare la pietà altrui anche solo involontariamente, ma in quel momento non riusciva davvero a farne a meno. Gli serviva per dare un senso a tutto quello che era successo, al fatto che continuasse ad andargli male ogni cosa, al fatto che ogni mattina si svegliava sperando che la giornata si sarebbe rivelata più serena della precedente, e invece c'era sempre un qualche fattore esterno che interveniva a turbare il suo equilibrio già di per sé precario. Un equilibrio che si reggeva sull’illusione che Lily Evans un giorno gli avrebbe parlato gentilmente e sarebbe rimasta colpita da lui. Quell’illusione ormai non poteva più permettersi di coltivarla.

E faceva male constatarlo.

Faceva davvero male.

 

***

 

Fu il secco cigolio dei cardini a svegliare James di soprassalto. Aveva chiuso gli occhi dopo aver riflettuto sulla possibilità di concedersi una pausa dai suoi pensieri assillanti, ma anche quella, evidentemente, non era stata una mossa molto ben studiata. Qualcuno era entrato nella Guferia.

I battiti gli si bloccarono di colpo mentre guardava giù e si rendeva conto di chi avesse appena compiuto il suo ingresso lì dentro. L’avrebbe riconosciuta ovunque, purtroppo possedeva un’attenzione e una capacità di osservazione fin troppo acute. Riconosceva le movenze quasi nervose nella loro sistematica misura, la tonalità rosso cupo dei capelli, le fattezze delle mani che si protendevano a richiamare il gufo, il modo in cui reclinava la testa da un lato. Si maledisse silenziosamente. Non aveva previsto che avrebbe potuto succedere, e se non l’aveva previsto l’unica strada che gli si profilava davanti era piombare nel panico.

Per fortuna finì presto. Lily stava per andarsene. L’ennesimo brivido di freddo gli percorse la schiena, e un’idea folle gli balzò alla mente. Decise di assecondarla, considerato che ormai non aveva più nulla da perdere. Scivolò giù dalla nicchia in cui si era rifugiato, muovendosi il più silenziosamente possibile, attraversò la Guferia e bloccò la porta con una mano poco prima che si richiudesse alle spalle della Evans, scivolò fuori e la seguì giù per le scale, in punta di piedi. Trattenne il respiro, chiedendosi perché sentisse sempre il bisogno di essere così autolesionista. Lei era lì, a pochi passi di distanza, e lui le stava alle spalle, percorrendo i suoi stessi passi, impiegando tutte le sue energie per non farsi nemmeno sentire, senza sapere esattamente perché lo stesse facendo. Non aveva nemmeno la possibilità di soffermarsi ad analizzare quello che gli stava passando per la testa in quel momento, era un carico eccessivo e troppo vario, e forse faticava a realizzare che in ogni caso, dopo quello che era successo quel pomeriggio, niente sarebbe stato più come prima tra loro due.

Gli accadde in un solo istante di inciampare inavvertitamente in un gradino storto e di perdere l’equilibrio un momento prima che i suoi riflessi potessero scattare, scivolò e tentò di arrestare la caduta annaspando con un braccio e aggrappandosi al muro, pestò un orlo del mantello e per poco non cadde in avanti, sentendoselo strappare violentemente via dal capo.

“Potter!”

 

 

Leave me out with the waste
This is not what I do
It's the wrong kind of place
To be cheating on you
It's the wrong time
she's pulling me through
It's a small crime
And I've got no excuse

 

 

Il tuffo al cuore gli fece quasi uscire gli occhi dalle orbite. James fissò Lily, terrorizzato, sentendosi sprofondare. E ora, che accidenti le raccontava per giustificare la situazione?

A che cosa valeva la sua tanto decantata intelligenza quando finiva per cacciarsi in pasticci del genere?

“Scusa, Evans” disse, impacciato, raccogliendo rapidamente il mantello e avvolgendolo fino a poterlo confinare in una tasca dei pantaloni.

“Scusa in che senso? Da dove diavolo salti fuori?” gli domandò, con veemenza.

La sua rabbia lo investiva senza pietà, e lui cominciava a sentirsi male. Era la prima volta che si rivolgevano di nuovo la parola dopo l’incidente di quel pomeriggio, e sembrava così assurdo che proprio in un’occasione del genere la sorte gli avesse riserbato di dover fare una figura così pessima.

“Ero... nei paraggi, ecco. Non scandalizzarti”.

“Guarda dove ti trovi, Potter. L'unico posto da cui puoi provenire è la Guferia, e io ci ho appena messo piede”.

Non aveva il coraggio di guardarla se non di sfuggita. Il cuore gli batteva troppo veloce per poter essere sicuro di riuscire a mantenere il controllo su se stesso.

“Hai bisogno di analizzare la dinamica dei fatti fin nei minimi dettagli prima di essere soddisfatta?” replicò, sfoggiando un leggero sarcasmo.

“Oh, certo, perdonami, è evidente che tu non ti preoccupi mai quando qualcuno ti compare di colpo alle spalle. Vivi in un mondo troppo avventuroso per trovarla una cosa un po’ fuori dal normale” gli rispose lei, sullo stesso tono. James sospirò e inarcò le sopracciglia, imponendosi di rinunciare a litigare.

“Potevo benissimo esserci anch'io nella Guferia” le disse, come se fosse ovvio.

“In tal caso sai nasconderti fin troppo bene” commentò lei, scettica.

“Ha importanza, per caso?”

Stava reagendo con scontrosità, se n’era reso conto. Ma era meglio così. Era meglio che lei non sapesse né capisse mai per nessuna ragione quanto quello che era successo l'avesse emotivamente distrutto.

“E va bene, tieniti i tuoi misteri, non mi interessa” cedette lei, facendo un gesto spazientito con la mano e avviandosi giù per le scale. James rimase fermo a fissarle la schiena per qualche secondo, poi pensò che forse sarebbe stato meglio se fosse tornato al dormitorio, nonostante tutto.

“E adesso che cosa vuoi?” lo attaccò Lily, voltandosi con freddezza verso di lui e  squadrandolo da capo a piedi. Lui trattenne di nuovo il respiro, anche se in quel momento non ce n’era bisogno. Si diede mentalmente dello stupido. Era davvero impossibile non riuscire a notare il traboccante disprezzo che traspariva dai suoi occhi.

“C'è solo un modo per scendere dalla torre” rispose, a voce fioca, stringendosi nelle spalle.

“Potresti usare la scopa e volare giù dalla finestra, dato che sei tanto bravo” replicò lei, tagliente. Voleva ancora fargliela pagare, era evidente. Ma ormai la sua reputazione era rovinata, e a lui non importava più nulla. Farsi insultare ancora per un po’ non avrebbe cambiato le cose.

Storse la bocca, corrugò la fronte e, non trovando le parole adatte per risponderle né una qualsiasi argomentazione sensata per controbattere, prese a scendere velocemente i pochi gradini che li separavano, fino a giungerle di fianco e a superarla. Forse nel farlo aveva sfiorato l’orlo del suo mantello.

“Che cos’hai fatto?” lo bloccò improvvisamente lei, qualche gradino più avanti.

“Come?” domandò, voltandosi di riflesso per guardarla.

“Alla mano, Potter”.

Come diavolo aveva fatto ad accorgersene?

Decise che non aveva alcuna intenzione di provare a farsi compatire.

“Che te ne importa” disse, in tono piatto, poi atterrò sul pianerottolo saltando l’ultimo gradino e continuò a camminare. Lei teneva il passo. Non gli si avvicinava troppo, quasi sicuramente preferiva mantenere le distanze, e ormai James aveva smesso di credere che giocasse soltanto a fare la reticente perché le piaceva essere corteggiata. Però non riuscì a lasciarla indietro di troppo. Gli stava comunque alle costole, intravedeva il balenio dei riflessi delle torce sui suoi capelli.

 


Is that alright?
Give my gun away when it's loaded
Is that alright?
If you don't shoot it how am I supposed to hold it
Is that alright?
Give my gun away when it's loaded
Is that alright
Is that alright with you?


 

Nessuno diceva una parola. Era come doveva essere. Lui ferito e deluso, lei disgustata. Lei, l’unica da cui avesse mai voluto qualcosa. L’unica che non avrebbe mai desiderato rivolgergli la parola per più dello stretto necessario.

La vita era davvero contorta nella sua perfidia, alle volte.

“Come sta Piton?” la sentì chiedere, dopo un po’. Una sorda risata gli crebbe nelle orecchie.

“Come non approveresti che stia, probabilmente” replicò, fissando lo sguardo sul fondo del corridoio. Ancora poco, e quella tortura avrebbe avuto fine. Non ne poteva più. Il cuore gli faceva male, e l’umiliazione lo schiacciava sotto i suoi piedi fracassandogli le costole una per una, senza pietà.

“Il modo in cui vi siete comportati, sono cose da bambini” disse lei, in tono cupamente amaro.

“Già, probabile” rispose, scrollando le spalle con finta indifferenza.

Non capiva perché sentisse il dovere di rimproverarlo. Come se non ne fosse già abbastanza cosciente. Come se fosse davvero solo un bambino che non era in grado di comprendere che cosa fosse giusto fare e che cosa no. Come se ancora non fosse riuscito a capire il significato del suo disprezzo verso di lui.

Faceva male. Tutto questo, faceva male. Avere a fianco Lily Evans, e continuare a ripetersi che mai e poi mai avrebbe potuto ottenere qualcosa da lei in virtù dei suoi patetici sentimenti. Che era tutto vano e inutile. Che erano incompatibili, e che a quel dato di fatto non c’era rimedio.

Avrebbe dovuto imparare a rassegnarsi. Fare come faceva Sirius, trovare subito un nuovo passatempo per distrarsi. O come faceva Remus, accettare la realtà dei fatti con filosofico pragmatismo. O come faceva Peter, avere l’umiltà di ammettere che stava da cani e appoggiarsi ai suoi amici per ricevere un po’ di conforto. La verità era anche quella: che i suoi compagni erano molto più svegli e intelligenti di lui, che invece si era fissato su un unico obiettivo che non avrebbe mai potuto raggiungere. E ora, si ritrovava solo in mezzo alle macerie.

Sentì che Lily gli si fermava a fianco, una volta giunti in sala comune. Da una parte il suo dormitorio, dall'altra quello delle ragazze. Il momento che forse non avrebbe mai voluto veder arrivare. L’emblema di quello che significava il loro rapporto: l’inevitabile necessità di intraprendere due strade diametralmente opposte. Qualcosa che non aveva significato, e che evidentemente mai ne avrebbe avuto.

Doveva imparare a convivere con quella consapevolezza.

“Buonanotte, Evans” mormorò, stentoreamente. Le parole gli uscirono a fatica, con voce roca. Ma era inevitabile. Doveva perderla, di nuovo, per l'ennesima volta. E non poteva fermarsi ad attendere una sua risposta. La lasciò lì, immobile, probabilmente in preda a provare un ardente disprezzo nei suoi confronti, sentendo che non poteva esserci altro da aggiungere. Si voltò a guardarla soltanto di sfuggita, mentre saliva la scala a chiocciola sulla destra. I loro sguardi si incrociarono per un solo istante. Dopo, anche lei smise di soffermarsi su stupidi dettagli, e corse su, verso il dormitorio, mentre l'imbarazzo si ergeva a dividerli come ennesima barriera. Il battito di James si placò lievemente, e una strana sensazione di malessere e spossatezza lo invase. Capì che aveva bisogno di dormire, e di provare a dimenticare. Forse avrebbe sognato qualcosa di confortante, e al risveglio, per quei pochi istanti di ingenua inconsapevolezza, avrebbe creduto fermamente che fosse tutto vero, e che la giornata non gli avrebbe posto problemi da affrontare.

 

 

Nota di fine fanfiction: giusto per precisare, questa shot si conclude davvero qui. Ricordo che qualcuno me l’aveva chiesto, all’epoca, ma per me questo rappresenta un preludio a sé stante. Tutte le mie fanfiction che hanno come protagonisti i Malandrini e Lily si legano tra di loro, ma quanto precede Between You And The Giant Squid ha sostanzialmente carattere malinconico, e in questo, personalmente, ci sguazzo con piacere. Per me la maturazione di James parte da qui, e quindi mi è sembrato opportuno mostrare la profondità del suo sconforto.

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Capitolo 2
*** Is That Alright? (parte II) ***


Nota di inizio: quella che vi presento è un'altra one shot, sempre incentrata sulla coppia Lily/James, di nuovo dal punto di vista di James

 Nota di inizio: è passato tanto tempo da quando ho scritto questa storia, e rileggendola dopo tutto questo tempo mi sono accorta che non mi soddisfaceva più, né esprimeva nel modo migliore quello che intendevo trasmettere. Essendo per indole ultraperfezionista, ho deciso di radere al suolo tutto e riscriverla completamente; nuovo stile, nuovi punti di vista, qualche aggiunta alla trama. È vero che si tratta di un episodio piuttosto transitorio nella mia sottospecie di saga su Lily e James, ma ha comunque una sua importanza. Come per la shot precedente, sono molto grata a chi a suo tempo mi lasciò delle recensioni, che ho conservato per ricordo; spero che in questa nuova veste la storia possa risultare ancora più gradevole.

Buona lettura

Jane

 

 

Non era certo anomalo che qualcuno degli studenti in procinto di salire sull’Espresso per Hogwarts fosse irrequieto, il primo di settembre. In genere accadeva soprattutto ai ragazzini undicenni che si apprestavano a frequentare il primo anno; ma era normale sentirsi eccitati all’idea di fare ritorno alla scuola di magia. Certo, vedere James così nervoso era piuttosto insolito, per me e gli altri: la sua iperattività congenita era rinomata, ma in quel momento Prongs era incupito, non allegramente impaziente come d’abitudine. Continuava a spettinarsi i capelli, e il secondo dopo sembrava dannarsi per averlo fatto. Non facevo fatica a comprendere il perché; Lily gli aveva chiaramente detto di detestare quel suo gesto, ma se potevo esser certo di qualcosa era che in questo momento James non lo stava facendo per darsi delle arie. Era un tic nervoso, un’azione inconscia che non riusciva ad evitare; il suo modo di muoversi e di comportarsi era ormai sfuggito al suo controllo razionale, e lui non poteva fare nulla per evitarlo.

Mi lasciai sfuggire un sorriso, che cercai di nascondere per non fargli pensare che stessi ridendo di lui; mi faceva semplicemente tenerezza il modo in cui si comportava, perché ero piuttosto sicuro di conoscerne la ragione.

“Ricordati che ti ho addestrato per tutta l’estate, vedi di non farmi fare la figura del fallito” gli sussurrò Sirius all’orecchio, simulando alla perfezione un tono vagamente minaccioso. James fece una smorfia, stringendosi nelle spalle.

“Ho come la sensazione che dovrai rassegnarti a fare questa fine, invece” replicò, imbronciato. Sirius non gli dava tregua un solo attimo: era assillante, invadente e fastidioso come una mosca, ma io sapevo che agiva a fin di bene. Questo, per James, era il momento di maggior vulnerabilità, e se avesse ceduto all’agitazione e allo sconforto pessimistico che da un paio di mesi avevano preso possesso della sua psiche, non ci sarebbe stato più nulla da fare.

“Ah, non dire sciocchezze” gli rispose Sirius, dandogli uno spintone che per poco non lo fece cadere addosso al carrello delle valigie. A titolo di ringraziamento gli toccò un’occhiata fulminante. L’attimo dopo James si voltò a guardarmi, beccandomi in pieno mentre ancora sorridevo e scuotevo la testa.

“Ti prego, di’ qualcosa, difendimi, non ce la faccio più” mi supplicò, disperato. Il mio sorriso si allargò.

“Non so quanto il mio intervento potrebbe esserti utile, Prongs, considerato che Sirius non mi ascolta mai” risposi pacatamente, indirizzando a Sirius un sorriso di consapevolezza. In risposta lui roteò gli occhi, storcendo la bocca, come faceva sempre quando non approvava.

“Se non gli stessi con il fiato sul collo costantemente, questo rammollito sarebbe già corso a stendere un tappeto rosso sulla scalinata in attesa della Evans, e nel frattempo si sarebbe disteso sulla banchina per permetterle di salire agevolmente sul treno”.

L’espressione sarcastica che brillava negli occhi di Sirius non mi fu per niente d’aiuto e, incapace di trattenermi, scoppiai a ridere insieme a lui. Fu più forte di me, e a differenza di quel pazzo di Padfoot cercai di trattenermi, ma non riuscii ad impedire a James di incrociare le braccia con aria seccata.

“Adesso cucitevi la bocca, tutti e due” ci disse, a denti stretti, guardandoci storto.

“Oh, avanti, Prongs, non prendertela così a male. Lo sai bene che siamo tuoi amici, e gli amici che cosa ci stanno a fare vicino a te se non per sfruttare ogni singola occasione di divertirsi alle tue spalle?”

Soffocai la risata, cercando di guardare Peter, anziché Sirius. Forse questo avrebbe placato la mia ilarità improvvisa.

“Hai un concetto piuttosto particolare di amicizia, Pads” osservò lui.

“Ma no, Wormtail, pensaci bene: se io non fossi suo amico e l’avessi preso in giro in questo modo, mi avrebbe già riempito di botte.”

“Volete stare zitti, dannazione?”

Io, Sirius e Peter ci voltammo contemporaneamente verso James. Lo sguardo gli si era pietrificato, le pupille dilatate. Seguii la direzione del suo sguardo e compresi immediatamente, senza bisogno di spiegazioni; sapevo bene che per Prongs era difficile controllarsi quando Lily era nei paraggi, e in quel momento, dopo che per due mesi non aveva avuto neppure una volta la possibilità di vederla, era comprensibile che fosse agitato.

Ovviamente, Sirius non era d’accordo con tutto questo. Era determinato a dimostrarsi intransigente nei confronti di ogni segno di cedimento da parte di James; per questo lo afferrò per le spalle senza preavviso e lo voltò verso di lui. James lo respinse con un gesto di stizza.

“Scusami, non sei altrettanto bello da guardare”.

Fece per girarsi di nuovo verso Lily, ma Sirius gli afferrò la testa tra le mani e gliela riportò di fronte a lui con un gesto secco.

“Aspiri per caso a rompermi l’osso del collo?” gli chiese Prongs, e io e Peter ci scambiammo uno sguardo fintamente preoccupato. Sirius rispose con una smorfia.

“Magnifico, mi fa davvero piacere constatare che hai già rimosso tutto quello che ho inutilmente cercato di insegnarti quest’estate invece di comportarmi da bravo studente modello e mettermi a fare i compiti delle vacanze, per una volta”.

James, tutt’ad un tratto, sembrò quasi sentirsi in colpa. Padfoot riusciva sempre a ricondurlo ai suoi ordini, con i suoi subdoli giochetti psicologici.

“Non ho una memoria così pessima, se proprio ci tieni a saperlo” borbottò, a fatica. Un sorrisetto di esultanza cominciò a dipingersi sul volto di Sirius.

“Benissimo, e sentiamo, che cosa ti avevo detto riguardo ad una situazione di questo tipo?”

James inarcò un sopracciglio, cercando di scacciare l’imbarazzo. Dondolava nervosamente una gamba, continuando a infilare le mani in tasca e a estrarle dopo qualche secondo per sistemarsi il maglione, allentare il colletto della camicia, grattarsi una tempia.

“Di far finta che non ci sia nessuna Lily Evans” rispose, a mezza voce, chinando lo sguardo.

“In realtà, ti avevo anche suggerito di dimenticarti completamente il suo nome, di scacciare la sua immagine dalla tua testa, e di ignorare perfino il fatto che ha una nuova amica niente male”.

Lanciai un’occhiata scettica alla ragazza Corvonero che stava chiacchierando con Lily, a diversi passi da noi. Quello era il periodo in cui Sirius si sentiva lanciato, con le ragazze.

“Non la vedo da due mesi, non è giusto, non è possibile che tu abbia il diritto di guardare quanto vuoi e io no” protestò James, giustamente. Sirius chiuse gli occhi, scuotendo la testa. Poi fissò di nuovo lo sguardo su di lui. I suoi occhi lampeggiarono, e le sue mani lo afferrarono di nuovo per le spalle.

“Senti. Qual è stato l’insegnamento fondamentale che ho cercato di trasmetterti, quello che ti ho ripetuto fino ad avere la nausea? È che le devi sembrare indifferente. Capisci cosa vuol dire indifferente, o sei davvero così idiota come vuoi far credere di essere?”

“Sì, sì, lo capisco”.

Povero Prongs. Mi dispiaceva sinceramente per lui. Chissà che razza di vacanze infernali aveva trascorso; come se non bastasse, ora Sirius non gli concedeva un attimo di respiro.

“Benissimo, e allora, se lo capisci, comprenderai anche che sembrare indifferente significa ignorarla, far finta che lei non esista, smettere di rincorrerla per i corridoi, di guardarti sempre intorno per accertarti che lei stia guardando te, di incantarti a fissarla durante le lezioni, di scrivere il suo nome su un foglio, di appostarti davanti al bagno delle ragazze, in sostanza, di non concentrare tutte le tue attenzioni e le tue energie su di lei”.

“Sì, sì, lo so. Meglio il Quidditch”.

“Bene, vedo che qualcosa allora l’hai davvero imparata, testa di legno”.

James strinse le labbra e fissò lo sguardo ai suoi piedi, sul pavimento. Probabilmente, messo in soggezione da Sirius, stava cercando di convincersi che fosse più interessante di Lily Evans.

“Hanno aperto i vagoni” osservai.

“Bene, allora andiamo a sederci” rispose Sirius, afferrando James per le spalle e trascinandoselo dietro, fingendo di dimostrarsi protettivo. Scossi la testa, sorridendo, mentre anche io e Peter ci apprestavamo a seguirli.

Che ne pensavo io di tutta quella faccenda? Mi dispiaceva che James avesse sofferto, chiaro, durante gli ultimi giorni di scuola prima dell’estate ero stato diretto testimone del suo stato d’animo e Sirius non aveva mai mancato di sottolineare, nelle lettere che mi aveva spedito, tutte le volte che era caduto in depressione ripensando a quanto era successo con Lily. Però, ora, vedevo chiaramente che James stava facendo uno sforzo, cosa assolutamente non da lui; le uniche volte vita mia in cui avessi mai visto James impegnarsi seriamente in qualcosa erano state quando avevano deciso di diventare Animagi e quando si trattava di battere Serpeverde a Quidditch. In un modo o nell’altro avrebbe dovuto risollevarsi da quella delusione, e non era detto che questo non avrebbe finito per giovare alla sua tempra morale.

 

***

 

“A dopo, Moony!” salutai, giulivo, mentre Remus si dirigeva verso la carrozza dei Prefetti. Mi sentivo elettrizzato per via dell’imminente ritorno a Hogwarts, perché durante l’estate io e James avevamo avuto un’idea assolutamente grandiosa: disegnare una mappa del castello, una mappa magica ovviamente. Qualcosa che avrebbe racchiuso tutti i nostri segreti e che sarebbe stato soltanto nostro.

Mi voltai verso James e lo vidi che guardava fisso il punto in cui Remus era appena scomparso, senza emettere un suono né degnare della benché minima attenzione me o Peter. Wormy scambiò un’occhiata con me stringendosi nelle spalle, e a quel punto io decisi di armarmi dell’ennesima dose di pazienza e di trascinare via James con l’uso della forza.

“Non invidiarlo” gli dissi, camminando in fretta e voltandomi soltanto per assicurarmi che Peter stesse al passo. Il mio migliore amico assunse un’espressione di disappunto, e io esibii un ghigno che non mi preoccupai certo di nascondere. Mi sembrava di leggergli nella mente in quel momento, e di potergli rispondere forte e chiaro: sì, James, davvero ti conosco così bene.

“Ma figurati. Non passerei mai tutto il mio viaggio in quello scomparto nemmeno se fosse la Evans ad invitarmi” replicò lui, tentando di risultare credibile. Scambiai con Peter una smorfia scettica.

“La prossima volta cerca di essere più convincente” commentai. Era necessaria più enfasi, più credibilità, più spontaneità…

“Comunque stai facendo progressi, James. È già qualcosa” lo incoraggiò Peter, e io sorrisi, lasciando correre. Per una volta, potevo anche lasciare che James ricevesse lusinghe e non bastonate.

“Grazie, Pete, tu sì che mi capisci” rispose lui, con un tono da povero martire che mi fece sentire come se lo stessi tenendo al guinzaglio e trascinando al patibolo. Ridicolo. James doveva assolutamente riacquistare la sua spina dorsale, per il suo solo e unico bene. Perché se c’era una cosa di cui ero convinto, era che Prongs dovesse riprendersi. Era inutile e stupido star male per una donna, e per quanto la nostra estate insieme fosse stata fantastica non erano mancate le occasioni in cui aveva messo il muso e gli erano quasi spuntate le lacrime, prima fra tutte quella in cui avevamo ricevuto i risultati dei G.U.F.O. e io, senza pensarci, gli avevo battuto una pacca sulla spalla facendogli notare che in Difesa contro le Arti Oscure aveva superato se stesso, guadagnandosi un Eccezionale. E ci stava ricascando, in questo momento. I segnali erano chiari: sguardo perso nel vuoto, espressione funerea, evidente incapacità di distogliere la mente da pensieri nocivi. Non volevo vedere il mio migliore amico in quello stato. Per questo avevo cercato di fargli capire che la cosa migliore era far finta di essere indifferente alla Evans: a furia di sforzarsi avrebbe finito per crederci davvero, e avrebbe smesso di pensare a tutte le idiozie che lei gli aveva vomitato addosso.

“Dobbiamo per forza finire in fondo al treno come ogni volta?” chiese, a un certo punto.

“Se non vogliamo andare a far compagnia a Snivellus…” stava dicendo Peter, rabbrividendo per l’orrore, quando nel momento più sbagliato possibile spuntò la Evans da uno degli scomparti. Si stava sistemando il colletto della camicia. Precisa e in ordine, impeccabilmente bacchettona come al solito. Stavo per aprir bocca e borbottare qualcosa, ma poi decisi masochisticamente di verificare se James avesse effettivamente compiuto dei progressi.

“Ciao, Potter” lo salutò infine lei, quando quel qualcosa che era calato su di noi come una cappa di fumo smise di inebetire i loro riflessi. Trascurai il fatto che io e Peter dovevamo essere diventati invisibili, e tenni gli occhi puntati sulla nuca di James.

“Ciao, Evans” rispose, con un cenno del capo. Si spostò leggermente sulla destra per far sì che entrambi riuscissero a passare, riprese a camminare e continuò a muovere le gambe, imperterrito, senza sfoderare uno solo dei suoi classici gesti di repertorio con cui normalmente tentava di attirare la sua attenzione. Incredibile.

“Dicevi, Pete?”

Wormtail gli si mise a fianco e cominciarono a chiacchierare di qualcosa di banale, e io cominciai a rilassarmi, lasciando che un sorriso soddisfatto mi invadesse il viso da un orecchio all’altro. Ce l’aveva fatta, contrariamente ad ogni mia previsione: aveva mantenuto il controllo e aveva tirato dritto, non si era fermato a parlarle per chiederle come aveva trascorso l’estate e neppure si era spettinato i capelli, cosa che, a dispetto di tutte le volte che gli aveva sentito dire che non voleva più farlo in vita sua, era diventata la sua mania ossessivo-compulsiva più gettonata all’incirca dall’inizio di agosto.

Giunti all’ultimo scomparto del treno, spalancai la porta e mi stravaccai su uno dei sedili.

“Grandioso!” si complimentò Peter, una volta fuori dalla portata di orecchie indiscrete. James sorrise, illuminandosi in volto, come un bambino, e mi guardò. Io mi ero cancellato il sorriso ultragongolante dalla faccia, ovviamente; non potevo dargli la soddisfazione necessaria a sentirsi fiero di se stesso fin da ora, col rischio che poi finisse per adagiarsi sugli allori e ricominciare con la solfa estiva. Perciò mi limitai a sfoggiare un lieve ghigno obliquo e ad annuire.

“Sì, sei andato quasi bene” commentai. James sospirò di disappunto e mi lanciò un’occhiata esasperata.

“Pretendi troppo” mi rispose, con aria critica.

“Pretendere troppo sarebbe chiederti di farla finita con la Evans, amico” obiettai, e ancora una volta mi ritrovai a percepire nettamente i suoi pensieri: lo sapeva, che quello era pretendere troppo. Ma io mi divertivo a farglielo pesare un po’.

“Non ce n’è bisogno. James riuscirà a farle capire che cosa si è persa, dicendo che gli preferisce una Piovra Gigante” sentenziò Peter, sorridendo e battendogli una mano sulla spalla. Prongs lo guardò con riconoscenza.

“Chi lo sa, magari le Piovre Giganti hanno doti che io non ho” rispose poi, ridendo, quasi timidamente. Io lo fissai interdetto. James che faceva dell’autoironia? Credevo fosse una di quelle cose che non avrei mai, mai e poi mai sentito in vita mia. James era sempre stato terribilmente vanitoso, impegnato al massimo per dare agli altri quella che riteneva fosse la migliore immagine di sé; altro che il sottoscritto, che non si preoccupava di farsi vedere in pigiama da tutta la Sala Grande o che si pettinava soltanto quando ne aveva voglia. Certo, James non si pettinava mai, ma lui lo faceva apposta, perché riteneva che non pettinarsi gli desse un’aria da ribelle fascinoso. Io lo prendevo in giro dicendogli che sembrava un manico di scopa al contrario, dotato di gambe e braccia, e lui non mi aveva mai fatto la grazia di ridere a questa mia battuta.

E adesso, ironizzava su una delle parti di quel discorso che più gli avevano roso le viscere durante l’estate.

C’era qualcosa che mi sfuggiva.

“Toglimi una curiosità. Ti stai impegnando per sparare queste stronzate?”

Lui mi guardò seriamente per un attimo, poi il suo volto si contorse in una smorfia e scoppiò inevitabilmente a ridere.

“Sicuro” mi disse, cercando di ricomporsi ma riuscendoci in maniera paurosamente pietosa. Sospirai, rassegnato. Forse con un po’ di esercizio avrebbe cominciato a risultargli naturale.

 

***

 

La cena nella Sala Grande era come quella di tutti gli anni. Abbondante, fino a far scoppiare. E carica di quell’effetto straniante che mi causava una sonnolenza sufficiente ad addormentarmi di colpo, immerso com’ero nei miei pensieri.

Tant’è vero che Sirius doveva continuamente darmi una scossa per tenermi sveglio e farmi partecipare attivamente alla conversazione.

Quest’anno però era peggio. Le mie riflessioni sul sesto anno di scuola rischiavano di assumere una prospettiva quasi deprimente. Non coltivavo più quell’illusione ingenua e infantile che fino all’anno scorso mi spingeva a sporgermi periodicamente oltre la tavolata per cercare di individuare una persona ben precisa, immersa come al solito in una delle sue fitte conversazioni con il suo gruppo di amiche. Cominciai a domandarmi com’era possibile che non mi fossi mai accorto di quanto lei non badasse alla mia presenza. Eravamo arrivati ad incrociare gli sguardi un paio di volte, e lo scambio di occasionali battute al vetriolo era, come sempre, all’ordine del giorno, ma niente di più. E io ero riuscito a nutrirmi di questo, ad alimentare i miei fantasmagorici castelli in aria aggrappandomi ad appigli così sporadici. Era semplicemente assurdo. Mi comportavo davvero come un bambino. Non avevo poi così tante ragioni di lamentarmi se Sirius mi trattava peggio di sua madre: evidentemente ne avevo ancora bisogno, nonostante avessi ormai sedici anni suonati.

Quest’anno sarebbero cambiate molte più cose. Ma prima di tutto, sarei cambiato io. Non potevo arrivare ad acquistare la smisurata fiducia in se stesso di Sirius o la calma padronanza di sé che possedeva Remus o l’ottimismo volenteroso tipico di Peter, ma potevo migliorarmi. In fondo, tutti i bambini crescono, una volta a contatto con il mondo. Cadono, si rialzano e continuano per la loro strada, lamentandosi anche meno di quanto avessi fatto io.

Era questione di impegno. Qualcosa che, ad essere veramente onesti, non ero abituato a concepire. A scuola non avevo mai dovuto faticare: dicevano che ero intelligente, che avevo un'ottima memoria, di fatto in quanto a risultati ero sempre stato uno dei migliori. Il Quidditch non mi aveva mai presentato dei problemi. Era un'abilità naturale, la mia, che non mi faceva avvertire il minimo sforzo quando giocavo. Mi concentravo sulla Pluffa senza avere bisogno di costringermi a farlo, la passavo ai compagni e la scagliavo in porta sempre al momento giusto, come se si trattasse di una passeggiata. Forse l'unico assaggio di impegno mai provato nella mia vita l'avevo avuto quando io, Sirius e Peter ci eravamo dati da fare per diventare Animagi. Ma per Lily, non avevo mai creduto che ne avrei avuto bisogno. Ero convinto che prima o poi anche lei si sarebbe lasciata vincere con facilità, per una pura questione di attrazione reciproca. Tutti gli altri mi ammiravano incondizionatamente, e questo era diventato un'abitudine, un fattore del tutto scontato.

Ma ormai ne avevo preso atto.

Avevo trascorso un’estate d’inferno, con Sirius che cercava continuamente di farmi la paternale, e io che desideravo soltanto rinchiudermi nella mia pietosa sofferenza e lasciare che tutto il resto andasse alla deriva, svuotando la mia vita di ogni significato. Avevo toccato ogni fondo di precipizio possibile, e mi ero scorticato le mani fino a sanguinare nel tentativo di risalire. Ma mi era servito di lezione. Ora sapevo che non potevo arrendermi di fronte alla realtà dei fatti, e accettare in silenzio l’evidente disprezzo di Lily. Era più forte di me, anche se non riuscivo a darmi una motivazione sensata per tutto quello che stavo facendo.

Mi ero sempre ingegnato per escogitare il modo migliore di esibirmi davanti a Lily, di lasciarla a bocca aperta, di impressionarla, ma avevo solamente ottenuto l’effetto contrario. Soltanto dopo avevo capito che quello non ero io. Era soltanto la mia parte più stupida, quella che vedeva in un paio di ridicole esibizioni il punto di massima realizzazione, la mia dimostrazione di bravura più estrema.

Nessuno ne aveva bisogno. Tantomeno io. Volevo soltanto essere me stesso, e smetterla di temere che se l’avessi fatto Lily non mi avrebbe trovato abbastanza interessante.

 

***

 

“Proprio non capisco perché devi essere così crudele. Ti ho chiesto di copiare solo un compito, accidenti!” esclamò Sirius, furioso. Avevo quasi paura: sembrava che dovesse esplodere da un momento all’altro, ed essendo lui uno dei miei migliori amici conoscevo fin troppo bene gli effetti devastanti della sua rabbia.

“Che casualmente è proprio quello più difficile che ci sia stato assegnato” osservò Remus, con il sorrisetto tipico di chi non ci casca. Ammiravo decisamente la sua capacità di far fronte a Sirius quando era così imbufalito; gli riusciva decisamente meglio di quanto riuscisse a chiunque altro.

“Senti, lo sai cosa ho dovuto passare per cercare di tirar su di morale questa zucca vuota, davvero non ne ho avuto il tempo…” supplicò Sirius, quasi sul punto di inginocchiarsi. Io mi sforzai con tutto me stesso di trattenere una risatina impellente.

“Già, il tuo è stato davvero un impegno notevole” lo canzonò Remus, con divertito distacco. James incrociò il mio sguardo e mi sorrise con complicità, prima di tornare ad immergersi nel libro di Artimanzia; mi resi conto improvvisamente che anch’io avrei dovuto studiare, sarebbe stato meglio se volevo evitarmi l’ennesimo rimbrotto da parte della McGranitt, ma seguire quel battibecco d’inizio anno era diventato irresistibile.

“Non eravamo amici, di grazia?” chiese Sirius, cominciando a stizzirsi sul serio. Remus inarcò un sopracciglio, alzando appena lo sguardo dal foglio di pergamena che aveva sulle ginocchia.

“Se non sbaglio, il tuo concetto di amicizia consisteva nel ridersi alle spalle con il vantaggio di non ricevere una punizione per questo”.

Io e James ci guardammo di nuovo e scoppiammo sonoramente a ridere, incapaci di trattenerci, mentre Sirius alzava gli occhi al cielo a pugni stretti e labbra serrate, con l’aria di chi si sta trattenendo dall’impulso di compiere un omicidio. Mi fece piacere notare che James sembrava essere finalmente riuscito a distrarsi e a ritrovare un po’ di serenità. Era rimasto incredibilmente pensieroso per tutta la cena, e mi era dispiaciuto, ma tutte le volte che avevo cercato di fargli notare qualcosa di positivo riguardo alla Evans lui aveva semplicemente sospirato. Evidentemente gli faceva proprio male parlarne, e avevo pensato che fosse più giusto lasciarlo solo con i suoi pensieri.

Ovviamente non era giusto che James fosse stato maltrattato dalla Evans. Non se lo meritava. James era una brava persona, una delle migliori che io conoscessi, ed era il mio migliore amico; potevo quindi affermare con sicurezza che non si pavoneggiava per niente, e che non era uno stupido pallone gonfiato. Però lui ci era rimasto male per quello che lei gli aveva detto, e quindi, se ora voleva dimostrarle quanto valeva realmente, io sarei stato dalla sua parte, in tutto e per tutto.

E fintanto che Sirius persisteva nel privarlo di ogni minima consolazione, il mio appoggio non gli avrebbe fatto altro che bene.

“Bene bene, guarda chi arriva” disse a un certo punto Padfoot, a mezza voce, lanciando a James un’occhiata eloquente. Lo guardai con comprensione, riuscendo quasi a sentire il balzo che il cuore gli fece nel petto mentre allungava l’occhio per riuscire ad osservare il gruppo di ragazze che era appena entrato in sala comune. In quel momento, per Prongs, le altre avrebbero anche potuto non esistere, probabilmente.

Osservai Sirius, carico di attesa, per verificare quale sarebbe stata la sua prossima mossa, e notai che era ritornato incredibilmente calmo, rispetto a poco fa. Fissava James con uno sguardo severo molto simile a quello che mia madre mi puntava addosso quando mi beccava sul punto di fare qualcosa che non avrei dovuto fare, e di scatto spostai gli occhi su James. Anche lui di colpo sembrò ritrovare la pace interiore, si lasciò sfuggire un sospiro e chinò di nuovo la testa sul libro di Artimanzia, scuotendola appena; poi riprese in mano la piuma e la fece scorrere sulle pagine, assumendo un’espressione molto concentrata, che credevo gli avrei visto in volto soltanto quando giocava la finale di Quidditch.

Sorrisi, ammirato per la sua bravura nel far finta di nulla. Io non ci sarei mai riuscito.

Ovviamente, la Evans era in mezzo a quel gruppo di ragazze. C’erano tutte, quelle del nostro anno, e probabilmente se ne stavano andando a dormire; queste, di solito, erano le occasioni in cui James entrava in fibrillazione e non c’era verso di distrarlo, ma l’episodio dei G.U.F.O. doveva averlo davvero segnato, perché ora stava riuscendo a comportarsi come se tutto fosse normale e ad ignorare la presenza della Evans in maniera magistrale. Questo è il mio migliore amico. E io ero convintissimo che ce l’avrebbe fatta.

Un coro di “ciao” e “buonanotte” si levò dalle ragazze, e la Evans vi si unì con distaccata cortesia. Nonostante questo, James non alzò gli occhi dal libro. Fece soltanto un lieve e quasi distratto gesto con la mano, immergendosi a fondo nei suoi pensieri, come per isolarsi dal resto del mondo. Non riuscii a trattenermi dal gettargli un’occhiata raggiante per il suo successo, anche se non mi avrebbe notato, incollato com’era a quelle pagine. L’Artimanzia doveva evidentemente avere qualcosa di interessante, per quanto io ancora non fossi riuscito a coglierlo.

Prongs sollevò lo sguardo qualche secondo dopo, quando ormai le ragazze stavano salendo le scale dirette al dormitorio, perdendosi nelle loro chiacchiere. Gettò a Lily una muta occhiata di sfuggita, e mi sembrò di colpo più serio e più grave del solito. Lei aveva un’aria pensierosa, per chissà quale motivo; di certo io non la conoscevo abbastanza per poterlo dire, e perfino James si era spesso lamentato del fatto che le donne – con ogni riferimento voluto – nella maggior parte dei casi fossero talmente impenetrabili da far perdere la testa.

Ma questi discorsi sembravano essere storia vecchia, ormai. James si chinò di nuovo sul libro, e mentre lo osservavo di sottecchi notai che quasi sorrideva. Mi sforzai di trattenermi fino a quando le ragazze non furono entrate nel dormitorio dalla prima all’ultima, poi lanciai un gridolino di gioia e scossi il braccio di James, esultando.

“Sei stato grande!” gli dissi, e gli si illuminò il volto. Poi lui guardò verso Sirius, che fino all’ultimo mantenne in sospeso il suo giudizio, mentre un’espressione enigmatica gli aleggiava sul volto.

“Sì, più o meno era questo che intendevo” disse infine, ma con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro e uno sfavillio nello sguardo che non potevano celare quanto in realtà anche lui fosse orgoglioso per il successo di James.

“D’accordo, ma ora non montarti la testa” gli rispose lui, ridendo. Mi sentii grande, come se di colpo fossimo tutti pronti ad affrontare il sesto anno, con tutte le sue difficoltà: le carte in tavola avrebbero potuto cambiare, e io ero pienamente fiducioso in James.

 

 

 

 

Nota: ho voluto fare un esperimento. Un esperimento piuttosto grosso, ma ci terrei a sapere se mi è riuscito, non avendo mai provato a dar voce ai Malandrini al completo; per me non ci sono soltanto Lily e James, ci sono anche Sirius, Remus e Peter, e mi interessava dar voce anche a loro. Mi auguro che la storia sia piaciuta, e annuncio: sto preparando un’altra shot inedita per questa raccolta, che spero di poter completare il più presto possibile. Alla prossima!

 

Aggiungo le risposte alle recensioni per la scorsa shot, non so per quale motivo mi sono andate perse nella formattazione. Eccole qui:

x potterina_88_: sei stata brava nel coglierlo, mostrare James in un modo diverso dal solito era sicuramente uno dei miei obiettivi principali. Non credo che quell’episodio sia stato solamente “il peggior ricordo di Piton”, ma anche suo, in un certo senso: i suoi sentimenti ne sono rimasti feriti, ma poi è giunto tutto il resto e la sofferenza l’ha fatto crescere, come si vede qui. Ti ringrazio moltissimo per i complimenti e per aver commentato ^^

x Eowyn88: innanzitutto grazie per i commenti assidui che rivolgi sempre alle mie fanfic, sappi che ne sono onoratissima… coincidenza davvero, comunque ^^ ti ringrazio molto per i tuoi complimenti, l’unica cosa è che sul finale della scorsa shot non mi sembra proprio di aver tagliato nulla, ho anche ricontrollato ^^ ma non c’è problema. Un bacione e a presto!

x parisienne: anche a te va il mio grazie per la tua assiduità, non credo di meritarmelo così tanto, però mi fa un immenso piacere ugualmente ^^ il mio segreto? Mah… genericamente parlando, penso che sia davvero molto difficile che esistano persone e personaggi piatti e bidimensionali. E poi, alla mia vena masochistica piace indagare nel dolore X°D scherzi a parte, provare a dare una spiegazione soddisfacente alla domanda “ma come è possibile che due Lily e James come li abbiamo visti nella scena del Pensatoio abbiano poi finito per sposarsi?” per me è stata una sfida, e posso soltanto sperare di esserci riuscita almeno un pochino. Un bacione, a presto!

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