Mr and Mrs Smythe

di Fiby_Elle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Di Warbles, Ispanici e Cerbiatti spauriti ***
Capitolo 3: *** Di WWF e Giovani Marmotte ***
Capitolo 4: *** Di verità scomode e biscottini ***
Capitolo 5: *** Di Masterchef e strane sensazioni ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Mr and Mrs Smythe

Prologo

Emma Pillsbury si era sempre definita una donna molto paziente.

Insomma, se non avesse avuto neanche un briciolo di tolleranza in più degli altri, col cavolo che sarebbe riuscita a togliere tutte le macchiette invisibili delle già immacolate palline di Natale o che avrebbe, infine, trionfato su quella goccia di cioccolato finita per chissà quale castigo divino sul suo golfino blu.

Sissignore , Emma poteva orgogliosamente affermare che la calma e, volendo esagerare, il sangue freddo, erano di sicuro le sue qualità più speciali.

Erano…

Almeno finchè Sebastian Smythe e Santana Lopez non si erano accomodati sulle poltroncine colorate del suo ufficio al Mc Kingley High School.

Sospirò sconfortata, roteando gli occhi dall’uno all’altro e cercando dentro di sé la forza di non scappare fuori dalla porta come un’invasata.

Già separati quei due erano diabolici, insieme erano praticamente da manicomio criminale!

Emma dovette ingerire una quantità davvero esagerata di pillole, prima di tornare, per l’ennesima volta, a rivolgersi alla versione femminile di Satana e quella meno mostruosa di Belzebù.

“Allora… adesso ricapitoliamo, d’accordo? Senza urlare, senza prendersi a capelli, con calma e mantenendo una distanza di sicurezza… ok?”

I due si limitarono a scrollare le spalle ed  arricciare sdegnosamente le labbra.

Chissà se si accorgevano di avere gli stessi identici modi di fare, alle volte…

“Tu sei Sebastian Smythe e sei uno studente della Dalton, giusto?” cominciò la donna, rivolgendosi al ragazzo sbracato sulla sedia e con la testa appoggiata su tre dita di una mano.

Quello roteò gli occhi chiari al cielo, prima di rispondere in modo saccente: “Che sono della Dalton lo ha capito dalla divisa che portiamo solo noi in tutta l’Ohio o è lei che ha delle doti intuitive particolarmente sviluppate?”

Emma fece finta di non sentire e si rivolse alla ragazza con le gambe e le braccia incrociate.

Non riusciva a guardarla negli occhi, sembravano due dardi infuocati!

“E tu sei Santana Lopez, di questa scuola, il Mc Kingley, giusto anche questo?”

“Mi sta prendendo in giro, per caso? Sono in questo carcere minorile da un po’ di anni, se non l’ha notato! Eppure con quegli occhi strabuzzanti che si ritrova, proprio la vista, non dovrebbe essere questo gran problema!”

La signorina Pillsbury si maledì interiormente per aver deciso di venire a lavorare quella mattina.

Fu costretta ad una veloce sessione di training autogeno, prima di continuare.

“Tu, Sebastian, sei gay…”

“Sto puntando a scoparmi gli uomini etero di Lima, visto che quelli gay me li sono fatti già tutti!” rispose il ragazzo, ghignando.

“Tranne Blaine Anderson…” esclamò zuccherosa Santana, con un sorriso così radioso da sembrare abbagliante.

Sebastian accusò il colpo, ma non si trattene dal lanciare alla rivale una fugace occhiata assassina.

Emma constatò che per uno come Smythe, narcisista ed egocentrico fino al midollo, quella sconfitta poteva essere considerata il peggior
sacrilegio della sua esistenza.

“Già…” fece soltanto, ma la donna capì che per la sua incolumità mentale e per le fondamenta di quella scuola era il caso davvero di cambiare argomento.

“E tu… tu Santana sei lesbica, dico bene?”

“A meno che lei non consideri Brittany Pierce un uomo, e le faccio notare che ha anche più seno di lei, direi di sì, sono lesbica! Ma…
seriamente, ha mai pensato di fare qualcosa per il suo problema? Non mi sorprenderebbe se il professor Shou fosse un assiduo frequentatore di TETTE AL VENTO.COM, vista la poca sostanza che si ritrova tra le mani!”

Emma guardò demoralizzata la sua seconda scarsa e si appuntò mentalmente di farsi un giro di controllo sul computer di Will alla prima occasione.

Cioè… non di controllo… preventivo, ecco…

“Quindi hai avuto una storia con Brittany Pierce, ok…” riprese la psicologa, giusto per ritrovare il filo e scacciare quei pensieri  malsani dalla testa.

“Solo con Brittany…” proruppe d’un tratto Sebastian, con una faccia da prendere volentieri a schiaffi.

Santana si voltò verso di lui lentamente, sul viso un’espressione talmente serafica e controllata da risultare inquietante.

“Grazie a Dio non siamo tutti delle vacche in calore come te, Smythe!”

“Grazie a Dio non sono tutte delle bacchettone frigide come te, Lopez, il mondo etero e lesbico si sarebbe già suicidato da un pezzo, sennò!”

“Hai ragione, uccellino, se non ci fossi io a soddisfare tutti quanti, chi lo farebbe? Tu col tuo culo ossuto e la faccia a banana?”

 “Io almeno non sfogo la mia frustrazione sessuale sugli altri come una zitella in menopausa…  passo le mie giornate a scopare e i risultati
sul mio umore si vedono!“

“Ah! Quindi che tu sia simpatico come una colica renale è dovuto al fatto che ti scopi qualsiasi cosa si muova! Ormai è ufficiale, necessiti di una castrazione!”

“ Ti ritroveresti il mondo gay in rivolta fuori la porta di casa, te lo assicuro…”

“Ma se su Facebook hanno fondato il gruppo: spiegate a Sebastian Smythe che fare un pompino, non è addentare una bistecca!”

“Allegato alla pagina twitter di: dite a Santana Lopez che al mondo non ce l’ha solo lei e che se se la tira un altro po’, finirà per rompersi!”

“Brutto…”

Santana e Sebastian si alzarono dalle sedie così rapidamente che il collo della povera signorina Pillsbury emise uno schiocco davvero sinistro nel passare dal dondolarsi dall’uno all’altro sfidante, fino alla posizione eretta in cui si trovava ora.

I due ragazzi si fissavano, in piedi davanti alla sua scrivania, due sguardi di fuoco già dai colori contrastanti, ghiaccio gelido e catrame bollente, così vicini tra loro e furibondi, da far pensare che due cose in quel momento sarebbero potute succedere, solo due.

O si sarebbero azzannati, nel vero senso della parola.

O si sarebbero sciolti in un bacio divorante, sempre nel vero senso della parola.

Ma la seconda ipotesi era impossibile date le premesse sulla reciproca sessualità che erano appena state pronunciate, no?

Emma cercò a tentoni il suo flacone di pillole nel cassetto, prima di esprimersi e mettere fine a quel principio di rissa.

“Ma… se tu sei sicuro di essere gay… e tu sei sicura di essere lesbica… si può sapere quale è il vostro problema?”

I due studenti si girarono verso la psicologa, guardandola entrambi in un misto di confusione e imbarazzo.  

Balbettarono qualcosa, addossando le voci l’uno all’altra, per la prima volta senza trovare le parole giuste, finchè Santana non si schiarì la voce e con un gesto teatrale delle mani, Sebastian non le concesse di parlare anche per lui.

Emma li squadrò, sempre più perplessa…

“Il problema è che ogni volta che io e il figlio illegittimo di Timon, del duo Timon e Pumbha, ci incontriamo succedono due cose…”

“…”

“O ci scanniamo…”

E Sebastian spostò il colletto mostrando un graffio profondo che partiva dalla clavicola e finiva poco vicino al mento.

Santana si soffiò fiera le unghie lunghe come gli artigli di una iena.

“Oppure?” farfugliò la  signorina Pillsbury, non proprio sicura di volerlo sapere davvero.

L’ispanica e l’Usignolo si lanciarono un’occhiata d’imbarazzo ed intesa .

“O finiamo a letto, a scopare come due puttane…”

Emma Pilsbury ingurgitò tutto il flacone delle pillole, prima di scappare fuori dalla porta, urlando.
  

Smooth Criminal ha mietuto più vittime del previsto, lo so, ma non ce l’ho fatta a resistere alla tentazione di scrivere una cosina leggera, leggera su di loro.
Spero vi piaccia! Alla prossima!  

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Capitolo 2
*** Di Warbles, Ispanici e Cerbiatti spauriti ***


Di Warblers, Ispanici e cerbiatti spauriti…
 

Sebastian Smythe e Santana Lopez rimasero ad osservare la signorina Pillsbury e le sue turbe mentali con un’espressione a dir poco perplessa, che comprendeva, oltre al ritmico e incredulo sbattere delle loro palpebre, perfino uno scettico, altero sopracciglio all’insù.

La povera malcapitata psicologa era infatti ritornata nel suo ufficio dopo un lungo quarto d’ora –lasso di tempo entro al quale Sebastian aveva cercato di staccare un’extension a Santana e quella gli aveva quasi ficcato una biro nella mano- con una tazza fumante di camomilla e
una pezzolina bagnata che si era poi adagiata sulla fronte non appena si era riseduta.

Dai suoi grandi occhi sbarrati e il labbro tremulo, i due ragazzi capirono che la donna doveva aver fatto uno sforzo enorme a decidere di ritornare nella camera, senza neanche un rastrello o una mazza da baseball per difendersi dalla loro furia.

“Io lo avevo detto di andare dal consulente della Dalton…” proruppe d’un tratto Sebastian, sprezzante.

Santana non si degnò neanche di guardarlo quando minacciosamente rispose: “Alla prossima parola che dici, Smythe, giuro che prendo questa lampada e te la infilo nel culo…”

Emma spostò il suppellettile verso di sé, visibilmente terrorizzata.

Era proprio il caso di riprendere in mano la situazione.

“Ok… va bene… calma, sangue freddo e ricominciamo da dove eravamo rimasti… dove eramo rimasti?”

“Al fatto che io e la sorella volgare di Snooki, direttamente dal Jersey Show, quando ci vediamo finiamo sempre per insultarci, scopare… o entrambe le cose contemporaneamente!”

La signorina Pillsbury quasi soffocò con la sua camomilla alle parole del Warbler.

La imbarazzava sempre da morire parlare di “sesso”, non c’era niente da fare!

“Il che è un problema visto che alla checca qui presente dovrebbe piacere il caz…”

“Ok! Ok! Ora basta!”

Sebastian e Santana rimasero impietriti, le bocche che disegnavano delle “o” perfette, davanti alla… collera? Dio, non riuscivano neanche ad associarla quella parola ad Emma Pillsbury, la consulente-barra-cerbiatto spaurito del Mc Kingley!

Eppure la poveretta era proprio lì, in piedi, dall’altro capo della scrivania, con un dito puntato e due occhi iniettati di sangue.

Inconsapevolmente entrambi pensarono a qualche battuta sull’esaurimento nervoso, ma dalla piccola vena pulsante che faceva capolino
tra i capelli rossi della donna, capirono che forse non era il caso.

Si sedettero invece in maniera più composta sulle sedie e si ripromisero di limitare il sarcasmo almeno per il prossimo quarto d’ora.

“Allora…” ricominciò la psicologa, risedendosi compiaciuta per il silenzio eroicamente conquistato – tendenzialmente quella poteva essere considerata una vittoria da Guinness, visti i soggetti contro la quale era stata conquistata.

“Tu sei lesbica e tu sei gay, questo ormai lo abbiamo assodato! Quindi… perché non partiamo dall’inizio, vi va?

Il Warbler e l’Ispanica si lanciarono un’occhiata incerta.

“Lei che intende per inizio, scusi?” chiese per primo il ragazzo, dubbioso.

“Intendo semplicemente come è cominciato tutto questo… la vostra storia insieme, insomma…”

Sebastian e Santana si guardarono nuovamente, stavolta disgustati.

“Ehi! Ehi! Freni la fantasia, sorella di Bambi, non c’è nessuna… storia… bleah! Vomito soltanto a dirlo! Tra me e l’assistente di Satana!”

“Ma voi mi avete appena detto…”

“Abbiamo parlato di sesso, non d’idillio amoroso!” si intromise la Cheerios.

“Perché insomma, ammettiamolo, sarebbe impossibile qualsiasi altro tipo di rapporto con una così!”

“Ripeti un po’ uccellino!”

“Sei acida come uno yogurt scaduto, Lopez, convivere con te per più di quarantotto ora porterebbe chiunque ad accarezzare il suicidio!”

“Oh! Quindi due giorni con me e ti levi di torno da solo… che hai da fare nel weekend, Seby?”

“Ma voi due riuscite a dire una parola che non sia un insulto implicito rivolto all’altro?”

I due ragazzi si acquietarono, ma le reciproche espressioni arcigne fecero capire ad Emma che entrambi rimanevano sul piede di guerra.

Guardò l’orologio a pendolo sulla parete, erano già le tre del pomeriggio, ma le probabilità che il colloquio si risolvesse in maniera rapida, erano praticamente inesistenti.

A quell’ora se ne sarebbe volentieri stata a guardare qualche telenovela strappalacrime sul divano di casa, piuttosto che in compagnia di quei due criminali sociopatici, tuttavia era il suo lavoro mettere ordine nel caso, aveva voluto la bicicletta e adesso era costretta a pedalare.

Sospirò sconfortata, prima di riprendere il filo del discorso.

“Comunque sia… ci sarà stata una scintilla! Qualcosa che avrà portato alla vostra… interazione! No?”

Né Sebastian né Santana trovarono il coraggio di rispondere.

Era più che evidente la loro antipatia reciproca, entrambi avrebbero messo la mano sul fuoco riguardo al proprio orientamento sessuale, eppure era innegabile che qualcosa dentro di loro dovesse succedere per portarli a rotolarsi tra le lenzuola o a divorarsi con la bocca su una qualsiasi superficie solida!

Già, ma cosa?

Non poteva essere solo un fatto fisico, di bellezza in generale: Sebastian trovava più attraente il culo di Blaine tanto quanto Santana la pelle nivea di Brittany, perciò…

No, era più qualcosa che scattava, una specie di limite oltre al quale i due giovani si annullavano, si perdevano e per non sgretolarsi, si aggrappavano l’uno alla’altra.

Il problema era capire perché tutto ciò succedeva… e soprattutto perché succedeva a loro!

“Suvvia, ragazzi! Quando è stata la prima volta che vi siete sentiti vicini, che vi si è acceso qualcosa, dentro, come… un fuoco!”

Sebastian e Santana si osservarono imbarazzati, facendosi sempre più piccoli nelle rispettive sedie.

Se lo ricordavano perfettamente il giorno in cui tutto era iniziato, il perché o la cosa che li aveva spinti fino a quel punto poteva anche essere ignota, ma il dove, il come e il quando no, quelli erano impressi nelle reciproche menti.

Adesso che potevano farci caso con calma, che potevano ripercorrere gli eventi con oggettività e liberi dalla rabbia o dalla passione, la prima cosa che saltava fuori  dall’intera vicenda, non era tanto la sua assurdità, quanto più l’incontrollabile e spaventosa casualità degli eventi che l’avevano resa possibile.

Perché cosa, se non il gioco del caso, aveva spinto Santana, la sera delle Regionali, nel corridoio deserto del Mc Kingley?

O aveva fatto sì, che tra tutti, tra tanti, ella s’imbattesse, guarda un po’, proprio nel giovane Smythe?

Sì, in effetti era partito tutto da lì, dall’aula canto, dalla reciproca sorpresa d’incontrarsi e da quel pericoloso, irriverente sguardo di sfida.

Emma fu costretta ad una stridula risata isterica per stemperare la tensione.

“Allora… chi vuole cominciare?”
 
Dei dell’Olimpo!
Ma quanti siete a seguire questa storia?!
Sono felicissima! *___*
Nel prossimo capitolo il primo “avvicinamento” dei nostri protagonisti.
Bye bye <3



 

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Capitolo 3
*** Di WWF e Giovani Marmotte ***


Nota iniziale che DOVETE LEGGERE e NON FAR FINTA DI NON VEDERE! Questo capitolo è un po’… hot! Avevo messo il raiting arancione perché pensavo di riuscirmi a contenere nelle descrizioni… e invece mi sono lasciate prendere bellamente la mano! Non penso di essere entrata proprio nel dettaglissimo, però insomma… quindi ditemi voi! È il caso che io passi a raiting rosso? Ci vediamo giù!
 
Di WWF e Giovani Marmotte

Santana Lopez camminava a passo spedito per i corridoi deserti del Mc Kingley, armeggiando febbrilmente con il cellulare e facendo risuonare i suoi tacchi in un ritmo lento e calibrato.

Brittany, quella mattina, aveva lasciato nell’aula canto il suo unicorno portafortuna e senza di esso non avrebbe mai accettato di esibirsi con le Nuove Direzioni, situazione davvero difficile  visto e considerato che tra meno di un’ora sarebbero dovuti salire su un palco a vincere le Regionali…

O a fare il culo a quegli sfigati della Dalton, dipendeva un po’ dai punti di vista.

Era impaziente di veder crollare sotto i propri occhi soprattutto quel damerino di Sebastian Smythe, non aveva dimenticato la loro sfida e in particolar modo il colpo basso della granita: lo avrebbe distrutto, oh sì, da quel fatidico giorno, Santana non aveva fatto altro che pensare a lui e al modo migliore per fargli pentire di essere nato!

Nessuno si metteva contro Santana Lopez, nessuno.

Il cellulare vibrò all’improvviso, distogliendola dai suoi pensieri;  aprì il led e guardò rapidamente il display: Kurt!

“Qual è il problema adesso, porcellana?”

“Brittany ha insistito perché ti chiamassi e ti dicessi di far presto o il povero Pegaso morirà per aver perso tutta la sua magia…”

“Pegaso?”

“È il nome dell’unicorno, Santana.”

“Dille che sto correndo a salvarlo… ma poi perché ci sto andando io?”

“Perché lei non sa aprire una porta chiusa a chiave!”

“Giusto, lo aveva dimenticato…”

Santana riagganciò senza neanche lasciare a Kurt il tempo di parlare e ripose il telefono nella borsetta, visto che il suo vestito non aveva le tasche. Stava giusto sistemando qualche piega sulla gonna a ruota, quando svoltò di fronte alla porta dell’aula di canto dove solo qualche ora prima aveva provato fino allo sfinimento insieme ai suoi compagni del Glee Club.

Fece per girare la chiave nella toppa, ma con sua grande sorpresa notò che essa era già stata spostata.

La ragazza pensò semplicemente che il professor Schuester avesse dimenticato di chiudere bene in mezzo al trambusto generale, quindi entrò senz’altro indugio se non una leggera scrollata di spalle.

Quando accese le luci tuttavia, le venne quasi un colpo nel momento in cui si accorse di una figura alta e snella, appoggiata contro il muro, dall’altro lato della stanza.

“Ma che diavolo…” non finì la frase.

Non la finì perché i suoi occhi scuri entrarono in collisione con un paio di iridi più chiare, inconfondibili.

Quelle di Sebastian Smythe.

Oh sì, non c’era dubbio alcuno! Santana avrebbe riconosciuto ovunque quel sorrisetto beffardo e quella faccio da schiaffi, la divisa da
principino e i capelli cotonati alla Marlon Brando, ma… che cosa stava facendo lì, dannazione? E perché aveva quell’espressione languida, soddisfatta sul viso?

Il Warbler, dal suo canto, non spiccicò una parola e solo dopo qualche istante di sorpresa, cominciò a fissarla, sornione, leccandosi le labbra di tanto in tanto, con una malizia e una lentezza calcolata a dir poco oscene.

D’un tratto, senza mai, mai distogliere lo sguardo da quello di Santana, l’intero corpo di Sebastian vibrò, schiudendosi in un roco, bollente gemito.

Un brivido percorse la schiena della ragazza, che avanzò di un passo, confusa, cercando di mettere meglio a fuoco la figura che le si stagliava davanti.

“Oh mio Dio…”

Non riuscì davvero a trattenerla quella esclamazione.

Coperto dalla sua visuale a causa del pianoforte, inginocchiato davanti alle gambe di quello stronzetto, stava un ragazzino dai capelli scuri che lavorava avidamente nelle zone basse del capitano degli Usignoli e sembrava non essersi minimamente accorto della presenza di
Santana.

Gli occhi della ragazza divennero di fuoco.

Quel maledetto, infame, bastardo di uno Smythe si stava facendo fare un pompino!

Un pompino nella sua aula canto!


Santana serrò i pugni, visibilmente adirata e incrociò le braccia al petto, con un’espressione insieme superba e omicida.

Un altro al posto suo, sarebbe corso dalla madre a piangere, ma Sebastian Smythe non fece una piega, anzi, guardò l’avversaria ancora
più intensamente, e, sciogliendo la bocca in un sorriso serafico, intrecciò le sue dita tra i capelli del proprio giocattolo e lo spinse ad aumentare il ritmo, forzandolo un po’ nei gesti.

La silenziosa sfida trovò tregua solo dopo lunghi minuti di piacere, quando il ragazzo si sciolse in una serie di gemiti volutamente più alti che accarezzarono le orecchie di Santana come velluto e involontariamente le fecero venire la pelle d’oca.

La ragazza tuttavia non si scompose e con una risata sommessa, batté le mani in un applauso.

“Complimenti, Smythe! Miagoli sempre così come una puttana quando vieni?”

Santana vide chiaramente il ragazzino inginocchiato sussultare, rendersi conto della sua presenza e scappar via dall’aula, imbarazzato, senza neanche sistemarsi la patta aperta.

Sebastian non lo degnò di uno sguardo, mentre si rificcava la camicia nei pantaloni e inchiodava Santana coi suoi occhi chiari, ancora liquidi dal piacere.

Quanto avrebbe voluto prenderlo a calci…

“Dì un po’ Lopez, piaciuto il teatrino? Non ti facevo una guardona…”

“Spero tu abbia lasciato il tuo numero a quel bambino. Avrai bisogno di un lavoretto extra e tanti, tanti clienti, quando vi faremo mangiare la polvere sul palco, stasera!”

Sebastian avanzò sinuoso come un felino fino al pianoforte a coda.

“Non dirmi che tu e le Giovani Marmotte sperate ancora di poter vincere…” disse, ridendo.

Santana sfilò verso di lui, fermandosi a pochi passi di distanza.

“Io non spero, Smythe, io SO! È per questo che ho già contattato il WWF per conservare a te e al tuo pollame un’intera area protetta! Sarete l’attrazione principale del parco! Vi farò visita ogni domenica con un po’ di gustoso concime, non temere.”

Sebastian si avvicinò all’avversaria ancora di più, senza mai tradire la sua espressione angelica.

“Santana…” era la prima volta che la chiamava per nome e il tono con cui scandì le sillabe sembrò avere, a tratti, qualcosa di erotico, perfino “L’unica possibilità che avevano le Nuove Direzioni di vincere si chiamava Blaine Anderson ed è seduto in tribuna con un occhio fuori uso…”

Santana ripetè il gesto del ragazzo, arrivandogli ad un palmo da quell’insopportabile nasino alla francese, quasi ringhiando.

“Non ricordarmi per colpa di chi!”

“Senza di lui chi vi rimane nella piccola banda Bassotti, eh? Te lo dico io: quel balenottero arenato che inciampa sui proprio piedi, quello con un furetto sulla testa e il cervello nei coglioni, la negra obesa che somiglia tremendamente alla mia donna delle pulizie, la vacca bionda che si è fatta ingravidare e la coppia asiatica male assortita… davvero, cazzo, ma siete sicuri che non siano fratelli? Forse l’unico che si salva è il biondino, secondo me fa dei pompini da urlo con quella bocca enorme…”

Santana si impettì contro Sebastian, le mani strette a pugno tremanti dalla collera.

“Non dire un’altra parola, Smythe… per il tuo bene…”

“Ho mancato qualcuno, non è vero? Ah sì! Ma come ho potuto dimenticarmi di loro: l’ermafrodita tutto zucchero e cannella, il rapper
paraplegico, il dislessico irlandese e, dulcis in fundo, quella schizzata bionda che ti sei scopata per tipo un anno… seriamente, ma come diavolo hai fatto?”

La ragazza non ci pensò neanche.

Nel momento stesso in cui la risata di Sebastian si librò irriverente nell’aria, il suo pugno lo colpì in pieno viso, facendogli girare la faccia.

Solo lei poteva essere cattiva con i suoi amici. Solo lei poteva sbattere loro in faccia la verità a suon di insulti. Solo lei poteva permettersi di parlare di Brittany!

“Sei un proprio un pezzo di merda, Smythe…” scandì, ancora presa dalla foga.

Sebastian restò intontito per qualche secondo, lasciando che un silenzio pensate, scandito dagli ansiti di Santana, invadesse la stanza;
quando girò la faccia, tenendosi tra le dita la mascella dolorante, il suo sguardo fece arretrare involontariamente di un passo la ragazza.

Gli occhi di Sebastian non erano ghiaccio, erano stalattiti pronte a uccidere.

“Tu! Tu hai dato un pugno a me! A me!”

Non riusciva neanche a parlare per la rabbia.

“Oh no, Smythe… non uno soltanto…” fece Santana, caricando di nuovo il colpo, pronta a picchiare.

Questa volta Sebastian fu più veloce, parò il colpo con la mano e caricandola per i fianchi, spinse Santana contro il muro, inchiodandola tra
sé e la parete e fermandole i polsi ai lati della testa.

“Non farlo mai più…” le sussurrò, minaccioso.

“Scusami, Seby, scusami tanto… mamma non ha avuto il tempo di insegnarmi che le femminucce non si toccano neanche coi petali di un fiore…” fece quella, tagliente, decisa a non darla vinta a lui, lui che le stava facendo battere il cuore così dannatamente forte, da sentirselo in gola.

“IO non sono fatina Hummel, Lopez! IO ti faccio male!” istigò maggiormente Sebastian, sbattendo la mano contro la superficie fredda e dura dietro di lei.

“Provaci, vediamo che succede…”

Fu un attimo.

Nel momento stesso in cui si accorsero di essere troppo vicini, di aver superato da un pezzo la distanza di sicurezza, di poter indovinare tutte le sfumature di colore degli occhi dell’uno e avere proprio lì, sulla lingua, il profumo dell’altro, le loro labbra si scontrarono in un bacio che somigliava in tutto a un morso, ad una specie di attacco brutale.

Si divorarono più che baciarsi, Santana con le dita intrecciate nei capelli di Sebastian, sentiva chiaramente il sapore del suo sangue in bocca e le sue unghie corte ficcate a forza nella carne della sua gamba ormai attorcigliata ai fianchi ossuti di lui. Quando il Warbler scese sul collo, trattenendo tra i denti, a lungo, la sua pelle tesa, la ragazza non riuscì a trattenere un gemito basso.

Lo sentì sorridere contro il lobo dell’orecchio.

“Per così poco…”

Santana non ci vide più. Non gli avrebbe lasciato il comando, non si sarebbe arresa per nessuna ragione al mondo, mai! Quel bastardo pensava di farla sciogliere con quattro moine? Pensava di poterla piegare usando il suo stesso piacere?  Bhè si sbagliava, non aveva capito niente!

Facendo perno alle parete con le braccia, la ragazza spinse via Sebastian, che indietreggiò fino alle sedie, dove venne spinto a sedersi subito dopo, da lei che gli si era già disposta a cavalcioni sopra e lo guardava diritto negli occhi, con uno sguardo che era sfida e malizia, minaccia erotica. Santana si lasciò appena scappare un sorriso di gloria, mentre occupava le labbra dell’avversario con un nuovo bacio che mandò una scarica elettrica al corpo intero di Sebastian, il quale la afferrò per la nuca in quella che, per un attimo, apparve una pesante, selvaggia carezza. 

Santana non si limitò a levargli la giacca di dosso, la strappò quasi, rigirandosi la sua cravatta tra le mani, mentre con le unghie gli rigava la pelle che a mano a mano veniva scoperta dalla camicia ad ogni bottone saltato.

Tra poco sarebbe stato in scena con gli Usignoli, come voleva farlo esibire quella puttana, nudo per caso?

Sebastian aprì le labbra per mostrare il suo disappunto, ma il respiro gli si mozzò in gola, all’improvviso, facendolo inarcare leggermente all’indietro.

La ragazza aveva la mano sul cavolo dei suoi pantaloni, accompagnando ogni singolo movimento con un sensuale strusciare del corpo, quasi ballasse su di lui al ritmo dei suoi sospiri trattenuti, ma mal celati.

Il volto dell’ispanica era una maschera scintillante di vanagloria.

“Ma che brava, ti ricordi come si gioca…” scandì beffardo il Warbler, scivolando intanto sulle gambe lisce da sotto al vestito e trascinandola ancora più addosso a sé, su di sé, roteando insieme a lei il bacino.

Santana avvertì chiaramente il frutto dei suoi gesti contro la coscia, ma torturando il collo di Sebastian riuscì a reprimere il gemito.

“Stai facendo le fusa…” gli sussurrò quindi all’orecchio, morbida e sfrontata come un fiore autunnale.

Sebastian ghignò appena contro la sua pelle, mentre strofinava la sua guancia ruvida su quella di lei più vellutata e con le dita cadeva lentamente oltre al solco pronunciato delle sue anche, percorrendo solo col pollice la stoffa dell’intimo già bagnato.

La ragazza non emise un fiato, eppure tremò come una foglia tra le sue braccia.

“Stai fremendo, bambolina… non vedi l’ora di scopare con me!” le fece, spavaldo, aumentando la cadenza della sua carezze e portandosi con lei fronte a fronte, per non perdersi neanche un gesto, neanche un frammento della sua schiacciante vittoria.

“Devi fare un corso accelerato di anatomia, uccellino, non sono maschio e non mi chiamo Blaine Anderson: non ho gli attributi adatti per soddisfarti…” rispose Santana tra gli ansiti, decisa a non demordere, a non ammettere la sconfitta.

Sebastian non ci vide più. Aveva la risposta pronta sulla punta della lingua, la battuta adatta per risponderle a tono, ma sapeva che ciò non l’avrebbe scalfita, non l’avrebbe distrutta o umiliata come invece lui avrebbe tanto voluto, così agì all’improvviso, prendendo l’avversaria completamente alla sprovvista e traendola in trappola, in inganno come un gatto col topo.

Assicuratosi le sue gambe intorno ai fianchi, il Warbler si alzò senza preavviso dalla sedia, sollevando con lui Santana che cominciò a dimenarsi e ad urlare, colta completamente alla sprovvista. Nonostante il peso non fosse eccessivo, il ragazzo ringraziò che la strada per la sua meta non fosse troppo lunga, altrimenti quelle unghiacce maledette gli avrebbero di sicuro lasciato solchi lungo la schiena!

Sebastian arrivò fino al pianoforte a coda, dove depositò poco gentilmente il suo fardello e con un sorriso lupesco, criminale, coinvolse Santana in una nuova lotta di baci ed effusioni, ansiti ormai espliciti e scontri di bacini sempre più eccitanti.

D’un tratto spinse la ragazza giù, per stendersi e nel frattempo che quella lo teneva ancorato a sé con morsi languidi sulla clavicola e sulle sterno, si slacciò i pantaloni e si liberò della cintura.

Non la preparò, non la spogliò neppure, si limitò a sfilarle l’intimo, indossare un preservativo e a spingersi in lei lentamente, ma con una violenza appena trattenuta che portò Santana a sussultare dal dolore, ma anche a tendersi dal piacere.

L’atto non fu romantico, non fu dolce, non fu per niente delicato, fu sporco e bagnato come una sveltina a ben vedere, tuttavia lento ed erotico come una danza orientale.

Gli ansiti, i gemiti crescevano senza un freno, la porta era lì, aperta, avrebbe potuto vederli chiunque, ma questo non faceva che rendere il gioco più accattivante.

Non ci furono baci, non ci furono carezze, solo spinte sempre più energiche e unghie conficcate quasi a far male, uno sguardo a tratti talmente intimo ed inteso in quel frangente, da far arrossire, prendere il cuore e lanciarlo alle stelle.

L’uno cercava il piacere dell’altro per dimostrargli la sua debolezza, la sua sconfitta, il suo essere vulnerabile come argilla nelle altrui mani.

Santana fece di tutto, di tutto per trattenere l’orgasmo, non mostrare all’avversario il fianco venendo per prima, ma il ragazzo dovette intuire il pensiero, perché i suoi occhi divennero Antartide e le sue spinte energiche vennero accompagnate da lappate dolcissime lungo il mento e
il collo teso.

La ragazza non riuscì più a contenersi.

Intrecciando le sue dita alle ciocche sudate di Sebastian e inarcandosi all’indietro fino a sollevare il busto dalla superficie lucida del pianoforte, Santana venne con il fiato spezzato e una serie infinita di singhiozzi arrendevoli.

Il Warbler ebbe appena il tempo di sorridere il suo trionfo, quando i muscoli della ragazza si serrarono di colpo intorno alla sua erezione ormai al limite, una morsa calda e bagnata che lo fece fremere e capitolare nel piacere più fatico e appagante della sua vita.

Sebastian cercò di tenersi sulle braccia, ma tremante, crollò ugualmente sulla ragazza, portando la fronte all’altezza della sua.

Il fiato gli bruciava in gola come un bicchiere di vecchio scotch.

“Chi è che non vedeva l’ora di scopare?” sussurrò nel silenzio Santana, sforzando la voce per tenere a bada il fiatone.

Sebastian ridacchiò contro la sua guancia, mentre si sfilava via con uno schiocco e buttava via il preservativo usato.

“Miagoli sempre così come una puttana, quando vieni, Lopez?” le fece il verso, copiandole la battuta.

Quella lo spinse via indignata, sgusciò dalla sua presa e si alzò per ricomporsi, dandogli le spalle.

Sentì chiaramente il rumore della zip e della cintura che venivano sistemati, intervallato dal suono cristallino della risata del ragazzo, segno di soddisfazione e di vittoria.

Se solo avesse avuto la forza di sollevare il pianoforte, Santana non avrebbe avuto remore a scaraventarglielo sui denti!

“Non montarti la testa, fiorellino, è stato un attimo, sesso occasionale. Oltretutto dopo che i giudici avranno decretato la nostra vittoria, io e te non avremmo più motivo per rivolgerci la parola…” affermò Santana, con le braccia incrociate e un cipiglio irriverente.

Sebastian recuperò la sua giacca e con la camicia ancora aperta sul petto, avanzò verso di lei, spavaldo.

La superò di poco, giusto per esserle spalla e spalla, le labbra attaccate al suo orecchio.

“Devi prima vincere, bambolina… e ti assicuro che non sarà facile…”

Il Warbler abbandonò la stanza, lasciandola sola, insieme ai suoi brividi.

Quando lo rivide quella sera, Sebastian era sul palco, a dare spettacolo con i suoi compagni e “Glad you came”.

Santana avrebbe voluto dare solo una sbirciata all’esibizione della concorrenza, ma finì per rimanere finchè sugli Usignoli non calò il sipario.

Sebastian non fece altro che guardarla, coi suoi occhi magnetici e la sua faccia da sberle, per tutto il tempo della canzone.

Nel tentativo di trattenersi, anche lei infine, si ritrovò a sorridere.

Quel bastardo di Sebastian Smythe si stava esibendo con le sue mutandine rosse, intrecciate al polso.

“Che pezzo di merda…”
 


“Alla fine ci siamo esibiti anche noi, dopodiché i giudici hanno decretato come vincitore…”

“Signorina Pillsbury, ma si sente bene?” intervenne dubbioso Sebastian, rivolgendosi alla consulente.

Emma stava diritta e immobile come un palo sulla sua sedia e sembrava che gli occhi le stessero per uscire dalle orbite.

Non sbatteva nemmeno le palpebre… faceva spavento.

“Questa non è una psicologa, Lopez, questa ha bisogno di una psicologa!” disse sussurrando, alla coetanea.

Quella non ebbe il coraggio di contraddirlo.

“V… vi… vi avevo… c… chi...chiesto… i… il vostro primo… incontro… n… non… la… la descrizione… di un film…p… po…p… p…p…”

“Porno!” la aiutò, Sebastian.

“Que… quello lì!”

Emma si liberò dal suo stato di trans e cominciò a respirare lentamente, come se stesse partorendo.

Oh mio Dio! Quei due lo avevano fatto sul pianoforte! Il pianoforte che aveva toccato Will! Will che poi aveva toccato lei! E la loro casa! E i loro
vestiti! E il loro cibo!

Aveva praticamente ovunque tracce di liquidi adolescenziali, quindi!

Dovette trattenere un conato di vomito!

Rapidamente cacciò da quello che per Santana e Sebastian era ormai “il cassetto delle meraviglie”, il suo kit di pronto intervento e
cominciò a pulirsi e disinfettarsi le mani, cellula per cellula!

“Ma… ma voi non fate altro? Insomma, davvero passate il tempo a… a…”

“Scopare!” l’aiutò di nuovo lo studente della Dalton, che sembra divertirsi un mondo a scandalizzarla con quelle parolacce.

“Scambiarvi liquidi corporei!” affermò perentoria la Pillsbury, ben sapendo che le sue povere orecchie non avrebbero retto altre sconcerie!

I due ragazzi la guardarono interdetti.

“Oh su... è mai possibile che in tre mesi non abbiate mai intavolato un discorso voi due?”

Santana e Sebastian parvero pensarci un po’ su.

“Gli insulti e i gemiti valgono come discorso?” fece Santana, turbata.

Emma quasi cadde dalla sedia per lo sconforto.

“Certo che no! Veramente voi due non fate niente altro che… quello?! Non siete mai usciti insieme, ad esempio?”

“Siamo andati al cinema! Lì non abbiamo fatto sesso!” disse trionfante Sebastian.

“Dici quando siamo andati a vedere Mission Impossible? Guarda che lì ci siamo chiusi a fare una sveltina nel bagno, a metà film!” disse
Santana, con disinvoltura.

“Quella volta! Ma quando siamo andati a vedere In Time, non è successo niente!”

“Lo chiami niente? Ti ho fatto un pompino in sala!”

“Giusto… lo avevo dimenticato… signorina Pillsbury? Signorina Pillsbury? Vuole che chiami un medico?”

“O uno psichiatra!” affermò Santana, osservando scettica lo stato terrificante della donna dall’altro lato della scrivania.

Emma si dondolava sulla proprio sedia, le mani premute sulle orecchie, gli occhi pieni di lacrime.

“NONANDRòMAIPIùALCINEMA-NONANDRòMAIPIùALCINEMA-NONANDRòMAIPIùALCINEMA-NONANDRòMAIPIùALCINEMA…”
 


Cucciolotti miei! Siete usciti abbastanza incolumi o avete fatto la fine della povera Emma? Ci tenevo molto a questa scena ed è stata un bel parto devo dire la verità! Mi scocciava partire da Smooth Criminal, sarebbe stato banale e poco realistico, non penso proprio che due orgogliosi e superbi come loro si lascino andare subito, la prima volta che si guardano in faccia! Perciò il loro primo incontro di passione l’ho immaginato così, un po’ come una resa ed una lotta da parte di entrambi! Per parlare di sentimenti vi rendete conto che è ancora presto, vero?
Nel prossimo capitolo la “volta” che è più piaciuta a Sebastian! Vi aspetto ;)
Le risposte ai commenti dello scorso capitolo arriveranno stasera a causa di costumi da carnevale da realizzare… non ne parliamo!
Baci <3

 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Di verità scomode e biscottini ***




Di verità scomode e biscottini
 

L’orologio a pendolo, fissato alla parete, continuava a ticchettare nervosamente.

Santana e Sebastian riempivano il silenzio coi propri sbuffi e le proprie lamentele, lanciandosi di tanto in tanto sguardi torvi e minacce bieche come due leoni in una gabbia, troppo orgogliosi e superbi per accettare la reciproca supremazia.

Emma, dal suo canto, aveva deciso ormai da un pezzo di ignorare i continui battibecchi dei due e così se ne stava mollemente sbracata sulla sua poltroncina d’ufficio, intenta a guardare il soffitto, sistemandosi sulla fronte, saltuariamente, una pezzolina bagnata.

Soffiò un paio di volte sull’orlo della tazza piena di tisana bollente, dopodiché la sorseggiò, prendendosi tutto il tempo del mondo, sempre più incurante delle battutine sarcastiche provenienti dall’altro lato della scrivania. La vuotò lentamente fino all’ultima goccia, assaporò sulla lingua il gusto caldo e ruvido delle erbe calmanti e solo dopo aver raccolto fino all’ultimo granello di zucchero, lasciando sul tavolo la tazza più pulita di quando l’aveva scelta, tornò a rivolgersi ai due ragazzi.

Lo scatto brusco con il quale la signorina voltò il capo verso di loro, fu già da annoverare tra le migliori scene di film horror, ma niente poté battere l’inquietante sguardo risoluto con cui questa volta cominciò a fissarli.

Santana e Sebastian si guardarono dubbiosi, per la prima volta d’accordo su una qualsiasi cosa.

“Posso farvi una domanda?” proruppe l’assistente, assottigliando gli occhi con fare indagatore.

I due annuirono all’unisono.

“Ma voi, esattamente, perché siete qui?”

Ok.

Tutto ciò era veramente ridicolo.

“A questo punto, me lo chiedo anch’io!” fu la risposta di Santana, accompagnata da uno schiaffo frustrato contro la fronte.

Sebastian, invece, arricciò le labbra sottili in una smorfia minacciosa e sporgendosi un po’ dalla sedia, poggiando i gomiti sul ripiano immacolato della scrivania, prese a parlare lentamente, come si stesse rivolgendo ad una scimmia particolarmente stupida.

“Sono ore che cerchiamo di spiegarglielo, maledizione!” sbottò irritato.

“Forse è andata in overdose di pillole e qualche neurone ha ceduto!” ipotizzò Santana, senza preoccuparsi minimamente di avere un po’ di tatto nei confronti di chi la ascoltava.

Contro ogni aspettativa però, Emma non sembrò dar peso a nessuno di quei commenti al veleno e continuò a squadrarli col suo sorrisetto ambiguo, un po’ saccente, simile a quello degli adulti quando da piccolo ti rispondevano: “non sono cose per te”.

“Vi ho fatto una domanda semplice,” ripeté, tranquilla “perché- siete- qui?”

A quel punto il primo a cedere fu lo stesso Sebastian, arreso ormai all’idea di dover passare il pomeriggio in quella bettola di scuola pubblica insieme al suo peggior nemico e una consulente psicopatica. Sollevò gli occhi smeraldo al cielo, invocò il nome di dio Brian Kinney affinché gli desse la pazienza necessaria, martellò un paio di volte la fronte contro lo spigolo freddo della scrivania e proprio da quella stramba posizione, cominciò a ripetere la storia dall’inizio, trascinandosi dietro svogliatamente le parole.

E dire che se non fosse stato per le minacce della sociopatica che aveva a fianco, a quest’ora poteva starsene allo Scandals a scolarsi una birra… o magari chiuso in bagno a scoparsi il nuovo barista, visto il culo favoloso che si ritrovava.

“Io sono gay. Santana è lesbica.”

“Perfetto. Visto che siete certi di questo punto, qual è il vostro problema?”

Sebastian si concesse un’ulteriore botta contro la superficie del tavolo. Magari se continuava di questo passo, si instupidiva quanto la rossa e riusciva pure a sopravvivere a quella cazzo di seduta analitica.

“Vuoi una mano, Smythe?” intervenne Santana, riferendosi naturalmente non alla domanda, ma alla possibilità di rompergli il cranio.

Il ragazzo decise di ignorarla e rispondere alla donna.

“Va bene signorina Pillsbury, adesso glielo ripeto di nuovo, cercando di non andare nei dettagli e turbarla più del dovuto… può darsi che così riacquisti un po’ di sanità mentale! Il problema è che a me piace il pene, Satana è un'amante della vagina, ma ogni volta che ci vediamo noi…”

“Vedi è questo che io non capisco, Sebastian. Continuate a ripetere ‘ogni volta che ci vediamo’, come se fosse costretti a farlo ogni giorno.”

Il ragazzo alzò di scatto il capo dalla scrivania e fissò la signorina Pillsbury con due occhi sbarrati e perplessi, simili a quelli di una lepre davanti ai fari di una monovolume.

“In… in che senso?” domandò e lanciando un’occhiata di sbieco verso Santana la trovò esattamente nella sua stessa situazione.

La signorina Pillsbury si schiarì la voce e incrociò le dita davanti a sé.

“Voi due non frequentate la stessa scuola. Non uscite negli stessi posti, a parte qualche incontro saltuario al Lima Bean. Non vivete nemmeno nella stessa città, eppure dal modo in cui ne state parlando, è come se voi dovesse vedervi per forza, quando potreste benissimo… non farlo!”

Fu la volta di Santana e Sebastian restare lì a fissare il vuoto, inebetiti e incapaci di proferire una sola parola.

“Voi due non vi sopportate, vi augurate la morte a vicenda ogni due parole… non avete motivo per vedervi ogni giorno, no?”

I due ragazzi riuscirono a trovare la forza di girare il capo, guardarsi ad occhi spalancati e tornare a rivolgersi alla consulente, sempre più sorridente visto il miracoloso silenzio che era riuscita ad ottenere dalle belve.

Roba da andarne fieri una vita intera.

“Ma… ma… questo non cambia il fatto che noi… noi non dovremmo andare a letto insieme! Io sono lesbica e lui…”

“Gay! Ho capito, Santana. Ma è possibile che sia solo questo il problema?”

La Cheerios sollevò superbamente un sopracciglio, incuriosita dalle parole della signorina Pillsbury, ma soprattutto sorpresa che qualsiasi cosa le frullasse per la testa, le conferisse addirittura il coraggio di interromperla.

“Non capisco dove vuoi arrivare, Tippete…” intervenne Sebastian, per permettere alla donna di continuare.

Quella non se lo fece ripetere due volte.

“Voglio arrivare al fatto, Sebastian, che secondo me tu e Santana dovreste smetterla di nascondervi dietro al vostro orientamento sessuale.”

“Cosa?!” proruppero all’unisono gli studenti, indignati.

Emma si affrettò a spiegare meglio le cose.

“Se non potete fare a meno di saltarvi addosso ogni volta che siete a distanza ravvicinata, è impossibile negare che tra di voi non ci sia una qualche sorta di attrattiva, mi sbaglio? Siete due persone, mi sembra, molto libere riguardo al sesso; è evidente che quella volta in sala prove voi vi siate lasciati trascinare dalla passione, ma… succede! Siete giovani, avete gli ormoni in subbuglio! Poteva rimanere… l’errore di una sera, una resa dei conti, invece voi l’avete volutamente trasformata in qualcosa di più!”

A questo punto la consulente si sporse in avanti col busto, in modo da poter osservare più attentamente i volti estatici dei due ragazzi dall’altro lato della scrivania.

 “Io penso che voi stiate ponendo la questione sul piano sessuale, focalizzando l’attenzione sulla vostra omosessualità, perché in fondo sapete benissimo che il problema è differente. La domanda è: perché continuate a cercarvi?”

Santana e Sebastian rimasero pietrificati sul posto, incapaci di muovere un solo muscolo ad eccezione delle palpebre.

Le parole della signorina Pillsbury risuonavano nelle loro povere orecchie, minacciose e angoscianti come i rintocchi di un campanile allo scoccare della mezzanotte; per la prima volta nel corso della loro esistenza nessuno dei due aveva la battuta pronta, la risposta sarcastica adatta a rispondere a quella domanda, a ben guardare, così semplice.

Già, perché continuavano a cercarsi?

Si odiavano. Rifiutavano –per quanto possibile- un qualsiasi tipo di attrazione nei confronti dell’uno e dell’altra, eppure il pensiero di dividersi, di non vedersi mai più e di rimanere lontani, lo avrebbero negato fino alla morte, ma li faceva impazzire.

Come era potuta accadere una cosa del genere?

Perché non riuscivano a fare a meno di scannarsi, tanto quanto di saltarsi addosso?

Di sbieco, si scambiarono un’occhiata timorosa.

Ad ammetterlo, non lo avrebbero fatto nemmeno sotto tortura, ma nel profondo, tutte quelle domande facevano a entrambi una paura incredibile.

“È lei che mi chiama!” fu il primo ad intervenire Sebastian, parlando con un tono di voce accusatorio simile a quello dei bambini quando vogliono far ricadere su un compagno la colpa di una marachella.

Naturalmente Santana non lasciò correre e incrociate le braccia al petto, arricciando le labbra “Io ti chiamo perché tu mi mandi messaggi!” proruppe indignata, disegnando sul viso una brutta smorfia.

La tregua era finita.

“Sei stata tu la prima a mandarmi un messaggio dopo quella sera! Sei stata tu la prima a chiedere di rivederci!”

“Ovvio! Ti eri rubato le mie mutandine rosse portafortuna!”

“Ma se sono tutte identiche!”

“Dettagli! Fatto sta che io alla Dalton ero venuta innocentemente, sei tu che mi sei saltato addosso!”

“Grazie tante! Ci sei venuta nuda! Altro che innocentemente, volevi farti scop…”

“Smettetela di raccontarvi bugie!” si affrettò a interromperli la consulente, prima che la situazione degenerasse nuovamente in un’escalation di volgarità. Grazie al cielo la frase appena pronunciata fu abbastanza d’impatto da far sì che l’attenzione dei duellanti si focalizzasse su di lei e abbandonassero la battaglia.

Osservò rispettivamente l’una e l’altro ragazzo, ma questa volte non poté impedirsi di sorridere intenerita di fronte all’evidente difficoltà in cui sembravano trovarsi.

Era più forte di loro, purtroppo: quando solo si cominciava a parlare di sentimenti, entrambi si chiudevano a riccio, scattando sulla difensiva.

“Andiamo ragazzi, credete davvero che la causa di tutto questo siano solo un paio di messaggini e una semplice attrazione fisica? Il telefono si può spegnere e gli ormoni possono essere sfogati in tante altre maniere…”

Santana e Sebastian deviarono come la peste lo sguardo troppo materno della signorina Pillsbury, ma non riuscendo a sostenere a pieno il peso di quelle verità così invadenti, caddero con gli occhi al suolo, fissi sul pavimento lucidissimo dell’ufficio della consulente.

Un silenzio carico di imbarazzo e aspettativa avvolse la stanza e i suoi abitanti, rendendo l’atmosfera ancora più tesa.

Nessuno dei due studenti trovava il coraggio di spiccicare una parola, entrambi avvertivano su di sé la morsa opprimente di quella realtà così difficile e allora cercavano inconsciamente di prolungare l’attesa, quasi potesse durare all’infinito e impedir loro di affrontare la verità.

Fu Sebastian il primo a cedere sotto il peso asfissiante di quella tensione; cercando di mascherare il disagio, l’usignolo accavallò le gambe lunghe e toniche e come stesse parlando a se stesso, spostando lo sguardo, ma deviandolo ugualmente verso un punto imprecisato della scrivania, poggiò il mento su una mano e sussurrò flebilmente: “Ma allora cosa ci sta succedendo?”

Emma si rilassò sulla poltroncina e rovistato in un cassetto, cacciò fuori una scatola di biscottini che aprì innanzi a loro, sistemandoli ordinatamente su un piccolo piattino di ceramica.

“Facciamo un gioco…” cominciò, sorridente.

Santana e Sebastian le lanciarono un’occhiata sospettosa.

“Sebastian, voglio che tu mi racconti di quella volta in cui ti sei sentito emotivamente vicino a Santana…”
 



 

Sì, siete tranquillamente autorizzati a picchiarmi, lanciarmi pomodori, venirmi a trovare con una accetta e farmi fuori… magari in quel caso, aspettate almeno che vi pubblichi tutti gli altri capitoli, così saprete come finisce la storia.

Mr and Mrs Smythe sono tornati gente, avete capito bene e visto che la storia è già scritta e concluse sul mio computer, per la vostra gioia (un po’ meno per quella di Emma!) non vi lasceranno più.

Il capitolo è di passaggio per permettere a tutti voi di andarvi a rileggere un po’ gli eventi e poter seguire al meglio il corso della fan fiction! Con ogni probabilità l’aggiornamento arriverà tra le serate di domenica e lunedì, quindi tenete d’occhio Efp!

Cosa ne pensate di questo capitolo? I nostri idoli stanno cominciando a parlare dei propri sentimenti e per la prima volta è la nostra signorina Pillsbury a traumatizzare Santana e Sebastian e non il contrario.

Come ve la immaginate questa famosa “volta emotiva di Sebastian”?

Ci vediamo nel weekend! Un bacio <3
 


 

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Capitolo 5
*** Di Masterchef e strane sensazioni ***


Di Masterchef e strane sensazioni
 


Sebastian chiuse la cerniera del suo borsone, lo sistemò su una spalla, in modo da non avvertirne eccessivamente il peso, dopodiché saluto gli ultimi compagni attardati negli spogliatoi, prima di raggiungere le porte della palestra.

Dannazione! Non c’era un solo muscolo del proprio corpo che non stesse chiedendo pietà al dolore, se la dignità non lo avesse trattenuto, a quell’ora sarebbe già corso in infermeria per farsi dare una barella ed evitare il tortuoso tragitto che lo divideva dai dormitori.

E dire che il giorno dopo, in quanto capitano, avrebbe dovuto guidare la sua squadra di lacrosse alla vittoria di una delle più importanti partite del campionato… si chiese come avrebbe fatto anche soltanto a camminare, visto il bruciore lancinante che avvertiva alla base della schiena.

Represse un brutto gemito di dolore e affrettò il passo –per quanto possibile- lungo l’androne centrale.

Di male in peggio.

La Dalton era affollatissima a quell’ora di sera. La maggior parte degli studenti aveva appena concluso le attività extra curricolari e si preparava alla cena, mentre i più diligenti si attardavano accanto alle porte della biblioteca con la speranza di recuperare quell’unico, maledetto volume, sul quale avrebbero perso la testa, con ogni probabilità, tutta la notte.

Sebastian cercò con ogni mezzo di evitare i corpi impazziti degli altri studenti, ma quelli puntualmente gli finivano addosso, peggiorando lo stato dei suoi muscoli indolenziti e guadagnandosi imprecazioni da far impallidire Gordon Ramsay. All’ennesima collisione, il ragazzo inveì verso il cielo e abbandonò definitivamente l’idea di arrivare incolume –e soprattutto il più in fretta possibile- fino alla propria camera.

Con uno scatto felino, si rifugiò quindi nella sala prove dei suoi Warblers, nella speranza di poter tornare a muoversi non appena il traffico di formiche avesse smesso di brulicare.  

Poggiò il borsone a terra, proprio accanto ai suoi piedi e subito si premurò di chiudere la porta dietro la schiena, in modo da potersi beare, almeno per qualche secondo, del pacifico silenzio che già stava avvolgendo le sue membra. Purtroppo per lui, però, nel medesimo istante in cui anche soltanto pensò di poter tirare un sospiro di sollievo, un’immagine misteriosa lo rubò alla sua quiete, occupandogli la visuale e attirando tutta la sua curiosità.

I Warblers -di cui Sebastian non aveva neanche avvertito la presenza, fino a quel momento-se ne stavano accalcati intorno ad una delle poltroncine da capitano, con lo sguardo rivolto verso il centro del cerchio e chiacchierando l’un con l’altro, molto concitati.

Sebastian avanzò verso di loro perplesso, dato che non ricordava fosse mai stata indetta una riunione e la sua confusione non migliorò di certo, quando tra le teste dei suoi Usignoli poté scorgere finalmente ciò che tanto rapiva la loro attenzione.

Trent Nixon singhiozzava disperato sulle gambe di Thad, seduto sul bracciolo; il suo volto paffuto era rigato da brutti lacrimoni e il suo corpo se ne stava quasi del tutto ricoperto da una montagna di fazzolettini, umidicci e appallottolati.

Sebastian aggrottò le sopracciglia e avvicinatosi a Jeff, poco distante, lo chiamò con un cenno del capo per farsi spiegare cosa diavolo stesse succedendo.

“Si può sapere cosa gli prende? Penso di non aver mai assistito a una scena così pietosa…” fece Sebastian, col suo rinomatissimo tatto.

Jeff scrollò le spalle.

“Nessuno lo sa. È da un’ora che va avanti così. E ogni tanto delira… frasi senza soggetto…”

“Ha detto che sono pingue e giallognolo come Winnie The Pooh! Mi ha chiesto se avessi visto in giro Pimpi oppure Ih-Oh!”

“Ecco appunto…”

Trent soffiò il naso rosso in una delle sue diecimila salviettine e tornò a piagnucolare più forte di prima.

“Avanti Trent, perché non provi a spiegarti meglio, così potremmo darti una mano…” provò Thad, donandogli un sorriso sincero e un paio di amichevoli pacche sulla spalla.

L’usignolo sembrò rincuorarsi un pochino e cercò di calmare i singhiozzi, per poter parlare correttamente.

“Era… era una strega! Era mora… e vestita di rosso! Si aggirava per i dormitori e faceva tanta, tanta paura!”

Ecco, bastarono quelle semplici parole per far venire a Sebastian tutta la voglia di buttarsi sotto a un treno.

C’era una sola persona al mondo che rispecchiasse tale descrizione.

Sola una a parte la sposa di Satana!

“Aspetta, ma stai parlando di una donna?” chiese Flint, quasi divertito, totalmente ignaro di quanto fossero veritiere le parole e il terrore di Trent.

Quella non era una donna qualsiasi: quella era la reincarnazione di Medusa!

C’era già da ritenersi fortunati se Trent si reggesse ancora sulle proprie gambe o lo shock di guardarla negli occhi, non gli avesse sottratto l’uso della parola.

“Fammi indovinare, era una studentessa della scuola pubblica, vero Trent?” domandò rassegnato, giusto per avere una conferma definitiva.

L’usignolo annuì febbrilmente e “Oddio sì! E cercava te!” urlò, tornando a piangere, ma questa volta nascondendo il viso tra le dita paffute.

Sebastian, invece, recuperò al volo la sua borsa e si affrettò con uno sbuffo fuori dalla sala coro.

Ormai imboccata l’area dei dormitori, era ancora indeciso se fermarsi a frignare come Trent o cadere volontariamente giù dalle scale, giusto per auto causarsi un coma.

 


“Alla buon ora!”

Sebastian chiuse con uno scatto brusco la porta alle sue spalle e lanciò sul letto il borsone con l’attrezzatura da lacrosse, prima di rivolgersi alla sua ospite indesiderata.

Santana Lopez –canotta bianca e skinny aderenti come una seconda pelle, tacchi affilati come coltelli e giubbotto di pelle, da biker, rosso sangue- ondeggiò i lunghi capelli corvini e si aprì in un sorriso malizioso, salutandolo dal basso della poltroncina, su cui se ne stava mollemente seduta.

Un’altra persona -pensò inevitabilmente Sebastian - avrebbe chiamato la sicurezza o come minimo si sarebbe spaventata del fatto che qualcuno potesse entrare così nella propria camera, pur non avendo mai ricevuto uno straccio di chiave; nella realtà, tuttavia, il giovane Warblers non si sorprese neanche un po’ che la ragazza avesse già trovato il modo di forzare la sua serratura, ben conoscendo le sue origini e l’inevitabile vena criminale che da sempre la distingueva.

Spostò il peso da una gamba all’altra e la osservò con un cipiglio superbo, arricciando le labbra.

“Hai fatto piangere Trent!” la accusò.

Santana accavallò le gambe flessuose.

“Non è colpa mia se qualcuno dei tuoi usignoli somiglia più ad una quaglia farcita! Sei il capitano, dovrebbe essere compito tuo metterli a stecchetto!”

“Mi dispiace Lopez, ma è la vita! Qualcuno è destinato a permettersi il cibo…” e indicò la Dalton con un movimento rotatorio del dito “Qualcuno è destinato alla fame nera!” concluse, puntando questa volta l’indice sottile verso la ragazza.

Santana non si scompose, anzi sorrise, mentre scuoteva il capo lievemente e aggiustava le piccole increspature della sua canotta.

Sebastian ricacciò indietro il pensiero, ma il contrasto tra la sua pelle e quello del tessuto, così teso intorno alla curva abbandonante del seno, lo incantarono per un vergognoso, interminabile minuto.

“Dio! Già ti vedo ordinare una di quelle brodaglie francesi e tirartela neanche fossi Joe Bastianich!”

“Io ho un palato raffinato, Lima Heights!”

“Non ne dubito, deve essersi affinato parecchio a furia di spingerti roba giù, fino alla gola!”

Sebastian alzò gli occhi al cielo, ma ben consapevole che una sua risposta avrebbe scatenato la solita serie infinita di battute al veleno, per questa volta decise di lasciar perdere ed ignorare Santana fin quando non se ne fosse andata. Non aveva né la forza né il tempo di dedicarsi ai suoi sbalzi d’umore, così cominciò a svuotare la sua borsa da palestra e scegliere la roba da buttare in lavatrice, dandole addirittura le spalle.

Sentì gli occhi della ragazza sulla propria pelle, ma continuò ugualmente la sua revisione dei calzini.

“Qualsiasi cosa tu abbia da dire, dilla in fretta, perché come vedi, ho da fare!”

“Non hai la servitù per questi lavoretti sporchi, Smythe? Puoi addirittura avvicinarti ad un pantaloncino lercio di fango senza avere una crisi?”

Sebastian afferrò al volo la sua canotta umida di sudore e la lanciò all’improvviso contro la ragazza, che squittì schifata. La afferrò con la punta delle dita e la buttò a terra, lontano dalla sua vista e dal suo corpo, il tutto mentre uccideva con lo sguardo un Sebastian che sghignazzava soddisfatto.

“Stai tranquillo, uccellino!” ringhiò, cominciando a giocherellare con le proprie unghie, finalmente un po’ più corte dell’ultima volta che il ragazzo ricordava.

Era passata una settimana dal loro ultimo incontro e ancora i graffi sulla sua schiena facevano fatica a rimarginarsi…

“Sono venuta soltanto a dirti che questa è l’ultima volta che mi vedi! Quella cosa tra me e te che è successa nella nostra sala prove…”

“E un paio di volte alla Dalton, una decina a casa tua, negli spogliatoi della bettola che voi chiamate scuola, nei bagni dello Scandals, sulla lavatrice di casa Duval…”

“Non era sulla poltrona d’ufficio di suo padre?”

“Quella era casa di Wes! E no, ancora non mi parla per la storia del preservativo che abbiamo lasciato lì!”

“Abbiamo?!”

“Non lo avrei lasciato per terra se tu mi avessi dato il tempo di buttarlo, prima di saltarmi addosso di nuovo!”

“Se la memoria non mi inganna non mi sembra che tu mi abbia allontanato. Anzi, mi pare tu abbia talmente apprezzato l’arte della mia bocca da aver svegliato la signora al piano superiore e averle fatto credere di essere nel pieno di un’invasione tedesca! A proposito, è tornata a casa o è ancora in ospedale?”

Sebastian, che aveva cercato in tutti i modi di non prestare troppa attenzione alla ragazza, affondò le mani con poca grazia tra le pieghe della malcapitata maglietta con su scritto il suo cognome e il suo numero da giocatore e prese a stropicciarla e stringerla tra le dita, immaginando il collo di quella gallina al posto della soffice stoffa.

Con un sorriso di una sincerità disarmante si voltò verso di lei.

“Stavi dicendo che è l’ultima volta che ci vediamo! Perfetto! Addio! Bon voyage!”

“Sì, è l’ultima volta! Tanto, come prevedibile, vi abbiamo battuti alle Regionali e il prossimo anno io comincerò la mia brillante carriera newyorkese, quindi… sì! A mai più rivederci!”

“Capirai vero, se aspetto cinque minuti prima di organizzare una festa nazionale? Ho da fare una lavatrice!”

E dicendo questo Sebastian prese a camminare avanti e indietro per la stanza, afferrando un cestino e raccattando tra le sedie o nei vari angoli della sua stracolma e immensa cabina armadio, alcuni vestiti da mettere a lavare insieme alla divisa.

Non voleva farsi vedere da Santana, altrimenti quell’arpia avrebbe sicuramente notato l’ombra più scura che i suoi occhi avevano assunto dopo le sue parole. In effetti, non si era mai soffermato sul particolare che, tolti i loro incontri/sveltine casuali, non avrebbe più avuto modo di vederla o avere a che fare con lei. Una parte di sé stava gioendo e ballando la ola, certo, ma un’altra, più profonda e sincera, un po’ era dispiaciuta da quella nuova eventualità.

Dopotutto stare con Santana non era così male, era divertente, ormai quando guardava la tv era diventato una specie di rito pensare a lei e segnarsi gli insulti migliori, in modo da poterli utilizzare o lasciarglieli semplicemente sentire, dopo essersi rotolati tra le lenzuola.

Preso dalle sue elucubrazioni, si accorse a stento che la ragazza non aveva lasciato la camera come si sarebbe aspettato, così quando la vide ancora seduta sul suo divanetto, armata di uno sguardo crucciato, non poté che posare la sua cesta colorata su un mobile e spalancare le braccia.

“Che c’è? Perché mi guardi come se fossi verde?”

Santana non parve cogliere la battuta, anzi, stranamente abbassò gli occhi scuri verso il pavimento, a contemplare le sue scarpe alte.

“Devi esserti fatto scopare proprio per bene, se cammini in quel modo. Strano… almeno nel sesso, ho sempre pensato non fossi tipo a cui piace stare sotto…”

Sebastian inclinò il capo, incuriosito.

“Ma di che diavolo stai parlando?”

“Del fatto che ti muovi storto come una scimmia, Smythe! Chissà mai perché!” e detto questo si alzò di scatto, sempre osservando il pavimento e incamminandosi verso l’uscita.

Se mai avesse dovuto spiegare a qualcuno il perché di quel gesto, Sebastian ancora adesso non avrebbe saputo da che parte cominciare. L’unica cosa certa fu che quella sera, senza sapere né come né perché, il suo corpo si frappose fra la porta e i passi di Santana; quella Santana che non voleva avere più nulla a che fare con lui, ma non appena aveva avuto anche soltanto il dubbio che fosse andato a letto con un altro uomo, si era turbata; la stessa Santana che lo insultava e lo faceva imbestialire, ma anche sorridere, quando lo provocava; la stessa Santana che adesso lo guardava intensamente negli occhi, sorpresa come lui da quell’azione e dalle sue intenzioni.

Rimasero immobili per un’infinita manciata di secondi, una di fronte all’altro, prima che qualcuno trovasse il coraggio di spiccicare una parola.

“Gli allenamenti di lacrosse.”

“Che cosa?”

“Gli allenamenti di lacrosse, è per questo che cammino così! Quell’imbecille di Mark mi è venuto addosso e adesso penso di avere tutta la schiena bloccata.”

 “Non eri tenuto a darmi nessuna spiegazione.”

“E tu non dovresti essere gelosa…”

E Santana a quel punto avrebbe dovuto contraddire quell’assurda insinuazione.

E, in effetti, aprì le labbra, col suo solito cipiglio battagliero, ma poi dovette accadere qualcosa dentro di lei, qualcosa che Sebastian non afferrò in pieno, ma qualsiasi cosa fosse impedì alle sue parole di uscir fuori e la fece sciogliere, abbandonare un po’ le sue difese, tanto che ad un tratto, dal nulla, cominciò a ridere, di una risata leggera però, dolce come acqua, scuotendo la testa e lasciando che alcune ciocche scure le ricadessero sul volto.

Sebastian restò a osservarla in silenzio, quasi incantato e non mosse un muscolo, forse nemmeno le palpebre, almeno finché non si accorse di essersi avvicinato a lei, senza rendersene conto. Sollevò la mano lentamente, come costasse tutta la fatica del mondo, afferrò una manciata di quei fili dispettosi, che ormai le nascondevano buona parte del sorriso e li sistemò dietro l’orecchio, in modo da potersi beare a pieno di quella fila di denti bianchi.

Occhi negli occhi, rimasero immobili, a respirare il profumo l’uno dell’altra, per un tempo incalcolabile.

Poi Santana si ritrasse, dandogli le spalle.

 “Spogliati e sdraiati sul letto.” ordinò perentoria, mentre toglieva il giaccone e le scarpe, appoggiandole accanto alla stessa poltroncina dove prima stava seduta.

Sebastian alzò gli occhi al cielo e “Poi mi chiedono perché sono diventato gay!” imprecò, cominciando tuttavia a slacciarsi la cintura. “Voi donne siete così lunatiche! Pensate A, dite B, volete C! Fino a qualche secondo fa non volevi avere più niente a che fare con me e adesso eccoci di nuovo qui a ricominciare d’acc…”

“Ok, ok, ok! Risparmiaci i tuoi isterismi da mestruata, dolcezza e limitati a eseguire gli ordini!” lo interruppe immediatamente la ragazza, dopodiché prese a gironzolare per la sua stanza, rovistare nei cassetti e mettere a soqquadro tutta la roba. Riemerso dalla stoffa della maglietta, Sebastian la vide dirigersi a passo di marcia verso la porta del bagno e a giudicare dai rumori per niente promettenti, ripassò mentalmente il numero di quella garbata signora delle pulizie che era solita inviargli sua madre, almeno una volta al mese, giusto per impicciarsi degli affari suoi.

Aspettò pazientemente seduto sul letto, vestito ormai dei soli boxer, finché la Cheerios non parve riemergere dall’oltretomba, con una misteriosa boccetta tra le mani.

“Su! Che fai ancora lì? Sdraiati sulla pancia!” affermò autoritaria, come fossero ovvie ormai le sue intenzioni.

Ma Sebastian continuava a non capire, soprattutto dopo aver riconosciuto nel flacone trasparente la confezione di olio per la pelle Johnson Baby che utilizzava ogni mattina, dopo la doccia.

Un brivido di terrore, arcuato in particolar modo dalle parole per niente confortanti della ragazza, gli rizzò i capelli sulla nuca.

Che Pocahontas volesse sperimentare qualche pratica sessuale su di lui e magari sodomizzarlo, facilitando il lavoro col suo amatissimo olio per bambini?

Arretrò terrorizzato fino a cozzare con le spalle al letto, guadagnandosi un’occhiataccia da Santana.

“Che diavolo ti prende, adesso?”

“Stai lontana da me! Non mi piacciono questi giochetti di ruolo!”

“Non eri della stessa opinione quando ti ho mostrato il mio vestito da inferimiera…”

“Non mi piacciono i giochetti di ruolo che… prevedono un lubrificante in mani altrui, ecco!”

“Lubrificante?”

“E a che cavolo ti servirebbe l’olio, altrimenti?”

Santana guardò in ordine prima il flaconcino che aveva in mano e poi quell’idiota di Sebastian, il quale continuava ad arretrare lontano da lei, arrampicandosi quasi sul muro neanche fosse l’uomo ragno.

Le servirono trenta secondi buoni per impedirsi di saltargli al collo e magari rendere realtà le sue paure insensate, ma alla fine scelse semplicemente di braccarlo sul letto, reprimere i suoi patetici tentativi di ribellione e costringerlo con la guancia sul cuscino bianco, come lei gli aveva ordinato.

Naturalmente Sebastian continuò ad agitarsi come un’anguilla e a mugolare neanche avesse cinque anni, tuttavia i suoi capricci cessarono immediatamente, non appena avvertì i rivoli profumati dell’olio colare sulle proprie spalle.

Fu solo allora che sentì Santana sistemarsi a cavalcioni sul suo sedere, abbassargli di pochi centimetri l’elastico dei boxer e cominciare a lavorare sui suoi muscoli indolenziti, coccolando e accarezzando la sua pelle chiara.

Cercò di trattenersi, ma si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.

Lima Heights non solo gli stava facendo un massaggio di sua sponte, ma era anche dannatamente brava.

“Conti di farmi rilassare e spezzarmi il collo appena abbasso la guardia?” sussurrò, mordendosi le labbra a sangue per impedire ad un altro gemito di sfuggire via.

 “Per una volta che decido di fare la brava, sei pregato di non provocarmi, Smythe.” e detto questo, puntellò una ad una le sue vertebre sporgenti, provocandogli una nota di dolore e di piacere insieme.

Continuò ad occuparsi di lui in silenzio, muovendosi sapientemente tra i punti più dolenti e portando con sé la dolcezza e l’odore delicato dell’olio, il quale veniva assorbito dalla pelle morbida di Sebastian, non appena le mani di Santana scorrevano su di lui.

Strinse tra le dita la consistenza ruvida della nuca e ne sciolse i nervi tesi con movimenti circolari, passò poi alle scapole, dove esercitò una leggera pressione dei palmi, per poi seguire naturalmente la curva della colonna, fino a centrare coi pollici quei deliziosi buchetti di venere che adornavano la sua schiena.

Una volta lì, sfregò con decisione i polpastrelli fino al coccige, provocandogli un altro sospiro di piacere.

“Dai versetti che fai, devo dedurre che sono brava…” disse Santana, prendendolo in giro e allungandosi sul suo corpo, fin quasi a combaciarvi perfettamente.

Il leggero contatto coi suoi seni gli fece venire la pelle d’oca.

“Dove hai imparato?” si affrettò a chiedere Sebastian, soprattutto per stemperare quel velo di eccitazione che sembrava volersi far strada dentro di lui.

Santana tornò al suo posto, mentre cospargeva la sua pelle di altro olio.

“Sono un’esperta di dolori muscolari. La coach Silvester ci ha sempre massacrate agli allenamenti, perciò o ci improvvisavamo massaggiatrici oppure potevamo tenerci i nostri dolori, fino allo strappo. Dio, hai un sacco di nodi qui…” spiegò e forzando un po’ le dita alla base del collo prese a scioglierli uno per uno, finendo con l’essere costretta, molte volte, a fargli scrocchiare le ossa.

Ad un scatto un po’ più brusco, Sebastian sussultò per l’improvvisa fitta di dolore e strinse tra le dita lunghe la federa del cuscino, lasciandosi andare a un solo piccolo, sibilo di fastidio. Pensò di riuscire a resistere ai movimenti successivi, invece Santana applicò tutta una serie di manovre dolorose, le quali lo facevano sentire benissimo dopo, ma sul momento gli causavano delle fitte quasi insopportabili.

Affondò il volto nella morbidezza del cuscino, per impedirsi di urlare come avrebbe voluto.

All’ennesima spinta, quando ormai Sebastian sembrava essere sul punto di strappar via la malcapitata federa con la sola forza dei denti, qualcosa di estremamente delicato si posò sulla sua pelle, distraendolo per un attimo dal dolore e donandogli una piacevole sensazione di frescura.

Santana, coi soliti capelli troppo lunghi a solleticare la base della schiena, posò dei piccoli baci lungo tutto il dorso del giovane Warblers, risalendo delicatamente fino alla nuca, dove virò verso l’orecchio nel quale mormorò leggera: “Adesso passa, passa tutto, te lo prometto…”

E, in effetti, ci furono altre mosse vigorose, sul bacino e lungo le anche, ma Sebastian non sentì dolore questa volta, non ne sentì neanche un briciolo, perché non appena quello anche solo si avvicinava ai suoi muscoli ormai quasi distesi, Santana era lì a scacciarlo via con baci sempre più umidi e carezze sempre più delicate

Ben presto, l’aria pastosa si riempì di sospiri e gemiti malcelati, mentre il massaggio giungeva al suo termine, trasformandosi lentamente in un languido fruscio di pelli, ghirigori immaginari che la ragazza si divertiva a disegnare sul dorso quasi opalescente dell’usignolo sotto di lei.

Quando Sebastian diede segno di volersi muovere, Santana non si oppose, sebbene cercò di prolungare il più possibile il contatto con la pelle morbida e bollente. Lasciò che si girasse supino, disteso di schiena tra le sue gambe, ma non appena tentò di alzarsi dal letto, per evitare il contatto troppo diretto con le sue iridi smeraldo, il ragazzo impedì ogni suo movimento, riportandola sul suo bacino, nella stessa posizione di prima.

La tenne stretta per le cosce magre, imprigionate nel tessuto aderente degli skinny, cercò i suoi occhi di brace in quella cascata di fili neri e per trovarli ripeté il gesto precedente, riportando all’ordine qualche ciocca dispettosa.

Restarono incollati così, a studiarsi in quel silenzio pastoso, mentre i cuori perdevano battiti e i pensieri divenivano pericolosi.

Poteva essere incredibile, ma in realtà solo in quel momento, in quel preciso, insignificante istante, Santana e Sebastian si resero conto, per la prima volta da quando si erano conosciuti, quanta voglia e quanto forza si celasse dietro il loro legame.

Era più semplice far fare tutto alla passione, lasciare che ella li guidasse e li rapisse, li travolgesse all’improvviso senza bisogno di parole o spiegazioni, ma adesso che invece erano lì, immobili, a studiarsi l’un con l’altro, come sull’orlo di un burrone, a volersi disperatamente, ma con la paura di quelle assurde sensazioni, tutto sembrava diverso, quasi spaventoso.

La mano di Sebastian si spostò lungo il fianco di Santana, intrufolandosi sotto il tessuto della canotta.

La sentì tremare sotto il suo tocco.

 “Cosa stiamo facendo?”

“Non lo so…”

E le sue mani scorsero delicate fino ai seni, sotto le ascelle e lungo le braccia toniche per sfilare finalmente l’indumento, che venne abbandonato al suolo.

Sebastian ebbe giusto il tempo di ammirare il contrasto tra il pizzo nero e la pelle d’ebano, quando Santana si sporse verso di lui, per impegnare le sue labbra in un bacio.

Fu morbido, lento, lontano dalle solite lotte cui erano abituati, eppure altrettanto bello, forse addirittura più intenso vista la consapevolezza che si celava dietro i loro movimenti. Le dita della ragazza scorsero come serpenti lungo tutto il torace dell’usignolo, si chiusero gentilmente tra il collo e il mento e ne guidarono la direzione con dolcezza per approfondire il contatto e arrivare a lambire coi denti la gola tesa.

Sebastian ne approfittò per sbottonarle i jeans e intrufolarsi oltre l’orlo ricamato che lo divideva dalla morbidezza dei glutei, ma non appena riuscì ad arrivare alla meta agognata, il corpo di Santana ebbe un fremito, il quale fece collidere profondamente i loro bacini.

Il gemito sublime che si lasciò scappare il ragazzo, la fece sorridere e col puro intento di torturarlo, si sollevò sopra di lui e ripeté all’infinito quella carezza lenta.

In preda al piacere, dovuto soprattutto alla maggior frizione creata dalla stoffa ruvida che quei benedetti skinny parevano creare, Sebastian inarcò il collo, affondando la testa oltre il cuscino e tentò di sollevarsi a sedere per raggiungere la strega e baciarle via quel sorrisetto vittorioso.

Non appena fece per alzarsi, però, un dolore lancinante lo costrinse di nuovo sul materasso mozzandogli il fiato.

Che Santana avesse cercato veramente di ucciderlo prima?

La vide sgusciar via ai piedi del letto e armeggiare coi pantaloni, fino a sfilarseli con una carezza lunghe le gambe toniche.

“Non devi fare sforzi eccessivi, devi stare a riposo fino a domani mattina…” spiegò, mentre scivolava di nuovo su di lui, tra le sue gambe e sul suo bacino, questa volta con troppi pochi strati di stoffa a dividere la loro pelle.

Quasi poté sentire distintamente l’eccitazione umida della ragazza, poggiata sulla propria lunghezza e grugnì frustrato all’idea di dover restare immobile.

In quel momento aveva soltanto voglia di prenderla e farla sua tutta la notte, fino allo sfinimento, fino all’alba. Dover rimanere così, fermo e buono, addirittura alla completa mercé e ai capricci di Santana, non solo lo facevano imbestialire, ma soprattutto lo mettevano estremamente a disagio.

La ragazza aveva ragione prima: Sebastian odiava affidarsi agli altri, non avere il comando della situazione, sentirsi completamente in balia dei desideri altrui. Guardò la Cheerios e deglutì a vuoto, cercando di non far trasparire il proprio nervosismo per quella situazione.

“Questo non è proprio riposarsi…” mormorò, senza guardarla negli occhi.

Santana gli afferrò il mento come fosse un bambino e riportò gli occhi nei suoi.

“Rilassati…” disse semplicemente e così prese ad occuparsi del suo corpo, vezzeggiandolo e lusingandolo con baci lievissimi e carezze quasi impalpabili.

Modellò il suo torace tra le dita e scese giù lungo il busto, seguendo la linea degli addominali. Lasciò un morso leggero tra le grinze dell’ombelico, assaggiò la consistenza dell’anca fino ad incontrare l’elastico dei boxer, i quali vennero sfilati con un unico strappo fluido, lungo le gambe. Si prese cura della sua erezione bollente, allo stesso modo in cui aveva fatto con tutto il resto del corpo, sorridendo come al solito dalla sua cascata di capelli, ma stuzzicando il suo piacere in modo passionale e dolce, diverso dal vigore che solitamente guidava tutti i suoi movimenti.

Sebastian puntellò i talloni sul materasso e fece forza su se stesso per impedirsi di inarcare la schiena. L’aria era pregna ormai dei suoi gemiti e quasi strappò le povere lenzuola chiuse a pugno nelle sue mani, tanto era la voglia di alzarsi, mandare a quel paese il lacrosse e il dolore e attirare la ragazza a sé per un altro bacio.

Non l’aveva mai vista così, così dolce, così attenta e per un attimo non poté non sentirsi orgoglioso, intuendo quanto raramente e in pochissime occasioni ella avesse voluto mostrare quel lato del suo carattere.

Perso in queste elucubrazioni, non si accorse dei suoi spostamenti, così se la ritrovò di nuovo a cavalcioni su di sé, all’improvviso, senza aver il tempo di prepararsi psicologicamente alla visione mozza fiato che poteva essere Santana completamente nuda.

Strinse le sue gambe toniche, il pallore delle loro cuti che faceva botte e poi sembrava amalgamarsi proprio come loro; la aiutò a sistemarsi su di sé ed accogliere la sua erezione, mentre il respiro diveniva più lento e il sangue correva nelle vene velocemente, simile a una maratona.

Santana si mosse lenta, venendo incontro ai movimenti cauti del Warblers e accogliendoli dentro di sé senza fretta, ma rendendoli più profondi e vigorosi. Inseguirono il piacere l’un dell’altro senza impeti, senza lotte; Sebastian aprì gli occhi e trovò Santana di una bellezza selvaggia, sconvolgente, nello stesso momento in cui ella andava a raggiungere le sue mani ancora strette alle sue cosce e ci infilava in mezzo le dita, ancorandosi ad esse.

Fu diverso da tutto ciò che avevano provato l’un per l’altro fino a quel momento e forse proprio per questo l’orgasmo li colse impreparati, lasciandoli smarriti e toccando le corde più profonde delle loro emozioni, tanto da lasciare che brividi intensi, come di freddo, si librassero lungo i loro corpi tiepidi, facendoli sussultare.

Santana si affrettò a scostare il proprio peso dal bacino di Sebastian, tuttavia quest’ultimo le impedì di sgusciare fuori dal letto e la costrinse invece, a distendersi accanto a lui, sul materasso.

Occhi negli occhi, si osservarono a lungo, in completo silenzio, prima di addormentarsi.
 
 



Allora mie prodi, ecco finalmente sui vostri schermi la volta in cui il nostro Sebastian si è sentito più emotivamente vicino a Santana!

Come l’avete trovata? Vi sareste mai aspettati una cosa del genere? Fatemelo sapere sono molto curiosa!


Ho notato che le vostre recensioni si sono dimezzate, mentre i lettori sono raddoppiati in maniera vertiginosa, spero che non sia perché non mi avete ancora perdonato il mio periodo lontano dalla Sebtana o… che almeno questo capitolo sia riuscito d assolvermi definitivamente.

Ci vediamo come al solito il prossimo weekend tra domenica e lunedì!

Un bacione



 

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