SIN CITY di iusip (/viewuser.php?uid=10452)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 (V.M.18) ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 (V.M.18) ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Grattacieli enormi la circondavano.
Vetro.
Acciaio.
Cemento.
Gente.
Talmente tanta gente che aveva l’impressione di soffocare.
Centinaia di macchine, che sembravano quasi uscite direttamente dai quadri futuristi che tanto le piacevano.
Rumore.
In una parola, New York.
Sfavillante e cupa, dove tutto agli occhi appare vero, ma niente è come sembra.
Meta irraggiungibile di chi desidera lasciarsi il passato alle spalle, perché a New York non conta ciò che sei, ma ciò che appari.
E lei sembrava una ragazzina di circa 16 anni, che passeggiava tranquilla per la 34° Avenue, guardandosi attorno smarrita.
Piccola e innocente agli occhi della gente.
Se solo avessero saputo…
Quella città la spaventava, e con tutto quello che aveva passato nella sua giovane vita, non era facile spaventare un tipo come lei.
Tutti la chiamavano maschiaccio, a scuola.
I più bastardi, la chiamavano “la figlia della puttana.”
Pensò a sua madre.
Chissà che stava facendo.
Chissà se aveva almeno fatto finta di cercarla, o se, molto più realisticamente, se la stava spassando con uno dei suoi mille uomini diversi, entrambi totalmente fatti di cocaina o crack.
Rabbrividì, pensando alla notte precedente.
Ricordava ancora lo sguardo lascivo di quel figlio di puttana su di sé, i suoi occhi dalle pupille dilatate, il suo alito che puzzava di alcool, le sue mani che pizzicavano la sua pelle giovane.
Un violento conato la scosse.
Non doveva pensare al passato.
Non più.
Era a New York, adesso, e qui di certo si sarebbe potuta rifare una vita, lontana dall’indifferenza di sua madre e dalle insidie degli uomini che se la scopavano.
Lontana dalla droga, lontana dal quartiere malfamato in cui era nata, in una squallida cella di un carcere femminile.
E, come non mancava di ricordarle sua madre, doveva perfino ringraziarla per non aver abortito.
Chiuse gli occhi, sedendosi sul marciapiede, mentre la gente continuava a sfilarle davanti agli occhi.
Avrebbe potuto passare ore ed ore ad osservare quelle persone, quegli uomini con il completo gessato e la ventiquattrore in mano, così professionali ed arrivati, con moglie e figli a casa e amante in ufficio.
Oppure quelle donne, così eleganti nei loro bei vestiti, bellissime confezioni che contenevano il nulla assoluto.
E ragazzine come lei, mano nella mano con i loro fidanzatini.
Loro ancora sognavano il principe azzurro, probabilmente.
Mentre lei aveva capito subito tutto, della vita e degli uomini.
E la considerazione che aveva di questi ultimi era pari a zero.
Per un breve periodo aveva creduto anche lei nell’amore, prima che il ragazzo che lei amava cercasse di portarsela a letto dopo due giorni che uscivano assieme.
Adesso la sola parola “amore” la faceva ridere, e la facevano ridere tutte le persone che si autodefinivano innamorate, quando invece erano solo stupidamente cieche e deboli.
La solitudine non le faceva paura.
Anzi, la confortava.
Il silenzio della notte la rassicurava.
Quando le urla di sua madre e dei suoi uomini nella stanza accanto alla sua si placavano, lei poteva finalmente sognare di essere nata in un’altra famiglia, da un’altra madre che non la usasse soltanto per procurarsi la sua dose giornaliera.
Una madre che la amasse e che la proteggesse dalle brutalità della vita.
Ma presto anche i suoi sogni si erano dovuti infrangere nello scontro con una realtà che faceva di tutto per abbatterla, per indebolire le sue labili difese di bambina.
Se non fosse stato per la sua sorellina, avrebbe gettato le armi anni prima.
Ma il solo sapere Sayuri alla mercè di quella donna che nessuna delle due poteva chiamare madre, le dava la forza per andare avanti.
Erano mesi che architettava la sua fuga.
Sarebbe diventata qualcuno, a New York, e poi sarebbe andata a riprendersi sua sorella per portarla con sé.
Ce la doveva fare, a tutti i costi.
Non tanto per sé stessa, tanto per quella bambina che non aveva nemmeno il suo stesso padre, ma che subito era diventata una sorta di figlia, per lei.
Questo la fece sorridere.
A 16 anni, si sentiva madre, lei che non ne aveva mai avuta una.
Si alzò.
Ogni secondo era prezioso.
Per oggi non poteva fare niente, doveva soltanto pensare a racimolare qualche spicciolo per poter comprare almeno un po’ di pane.
Si mescolò alla folla, guardando attentamente le persone che la circondavano.
Doveva scegliere bene la sua vittima, prima di agire.
Poi lo vide.
Un uomo sulla trentina, forse più giovane, con una cartella di pelle nera in mano.
Il portafoglio era chiaramente visibile nella tasca posteriore degli eleganti pantaloni neri che indossava.
Quasi sicuramente si trattava di un avvocato.
Aveva la puzza sotto il naso tipica della categoria.
Si avvicinò furtivamente all’uomo.
Si guardò rapidamente attorno, nessuno la stava osservando.
Ognuno pensava ai suoi problemi, nessuno badava ad una ragazzina sola.
La gente sola era la norma, in una città come New York.
Rapidamente, come le aveva insegnato sua madre fin da quando aveva 3 anni, con un gesto preciso sfilò il portafoglio dalla tasca dell’uomo.
Si girò per allontanarsi, calma.
Ma improvvisamente, il suo polso si ritrovò stretto in una morsa d’acciaio.
Il suo cuore batteva all’impazzata.
Tutto doveva andare liscio.
Nessun intoppo era permesso.
Si voltò.
L’uomo che aveva derubato la stava guardando.
E quando incontrò quegli occhi azzurri taglienti, Kaori comprese che aveva appena commesso l’errore più grande della sua vita.
PS: Scusate se per ora non inserisco il titolo, ma questa storia è nata improvvisamente nella mia mente e non so nemmeno io che piega prenderà, quindi per adesso preferisco aspettare un altro pò, prima di scegliere un titolo...fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando!!Baci...Fly 87
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
10 anni dopo
Seduto su quella che ormai non era più la sua scrivania, Ryo Saeba osservava la sterminata città che lo aveva accolto, attraverso la finestra di quello che ormai non era più il suo ufficio.
Nonostante fossero già otto anni che viveva in quella metropoli, non era ancora riuscito a dominare del tutto quella insensata angoscia che provava quando la osservava in tutta la sua inquietante frenesia.
A volte, nelle sue fantasticherie, aveva avuto la sensazione che New York fosse una cosa viva, un'entità a se stante, una volontà aliena e sotterranea, qualcosa che avrebbe continuato a funzionare anche se di colpo tutti gli esseri umani fossero spariti.
Le luci avrebbero continuato ad accendersi e spegnersi, la Subway a girare e i taxi a percorrere le strade anche quando non ci sarebbe stato più nessuno all'angolo di una strada ad alzare una mano per fermarne uno.
Guardò il quadrante dell’orologio d’oro al suo polso, aspirando le ultime boccate di fumo dalla sua Marlboro, spegnendo poi la sigaretta nell’elegante posacenere di cristallo che si trovava su tutte le scrivanie del Dipartimento, e che molto presto non avrebbe più potuto utilizzare.
Erano quasi le tre.
Ancora una volta guardò fuori dalla finestra, ma si ritrovò a fissare il suo volto riflesso, come se il vetro fosse di colpo diventato opaco, impedendogli di attraversarlo con lo sguardo.
Capelli in disordine, camicia stropicciata, cravatta allentata, e due borse violacee sotto gli occhi.
Lui, che con le donne si vantava sempre di dimostrare meno della sua effettiva età, in quel momento non sembrava avere 31 anni, bensì una decina in più.
Che aspetto ha un uomo che in un solo giorno ha perso tutto?
Il suo orologio emise un breve e acuto segnale.
Erano le tre.
Il funerale del suo migliore amico sarebbe cominciato a breve.
Quello che avrebbe potuto essere il suo funerale.
Il destino è avaro, non concede mai niente per niente.
Il destino gli aveva salvato la vita, ma la aveva sottratta a quello che era diventato un fratello, per lui.
E adesso una donna vestita in nero stava piangendo sulla sua tomba.
E lui non aveva nemmeno le palle per andare a consolarla.
Cosa dirle, del resto?
Cosa dire alla vedova dell’uomo che è morto non solo al tuo posto, ma anche per colpa tua?
Il rimorso lo dilaniava.
Erano tre giorni che non dormiva, precisamente dalla notte in cui era successo tutto.
E in tre giorni aveva fumato più sigarette di quante ne avesse fumate in tutta la sua vita.
E da oggi, era ufficialmente un disoccupato.
Insomma, aveva decisamente conosciuto giorni migliori.
Un errore.
Un solo errore, e la sua promettente carriera da agente segreto della DEA era finita.
La porta dell’ufficio si aprì e si richiuse con violenza.
La voce di quello che era stato il suo capo per otto anni lo apostrofò duramente.
“Che cazzo ci fai ancora qui, Saeba?”
Si accesa un’altra sigaretta, senza rispondere, senza nemmeno voltarsi.
Sapeva benissimo che il suo atteggiamento avrebbe fatto imbestialire l’altro uomo.
Ma questa volta, non sapeva davvero cosa dire.
In due falcate, il suo superiore lo raggiunse, fece il giro della scrivania e si piazzò davanti a lui.
Aveva il volto arrossato, le vene sul suo collo erano in rilievo e pulsavano.
Dopo la morte di Makimura, la tensione e il nervosismo serpeggiavano tra gli uomini del Dipartimento.
Il tenente Martini era particolarmente affezionato a Hideyuki, come tutti del resto.
Ryo sapeva che sarebbe bastato un niente a far scattare il suo capo.
E far finta di non aver sentito le parole – peraltro urlate – di un suo superiore, era molto più grave di un semplice “niente”.
Martini gli afferrò la camicia con rabbia, scuotendolo.
“Non mi senti quando parlo? Che cazzo ci fai ancora qui? Ti avevo dato due giorni per imballare le tue cose e non farti mai più vedere in questo palazzo. Il mio ultimatum è scaduto 27 ore fa, Saeba. Alza il culo e che Dio ti perdoni per i tuoi errori, ragazzo, perché io non ti perdonerò.”
La sua voce si ruppe, e Ryo si rese conto che il tenente era pericolosamente vicino alle lacrime.
Si alzò, afferrò lo scatolone in cui aveva riposto i suoi pochi effetti personali, e si avviò verso la porta.
“Il distintivo e la pistola, Saeba.”
Questa volta, la voce del suo capo era ferma e dura.
“Sono nel cassetto della mia scrivania. Conosco benissimo la procedura, tenente.”
“Che strano, dopo gli ultimi fatti non lo avrei detto.”
Ryo si irrigidì.
Quello era stato un colpo basso, ma era la verità.
Senza voltarsi, senza salutare, lasciò l’ufficio.
Scese nel garage e con il telecomando aprì le portiere della sua Bmw nera senza contrassegni.
Appoggiò la scatola di cartone sul sedile del passeggero e mise in moto.
Dopo una ventina di minuti, era a casa sua.
Sua moglie non era ancora tornata.
Bene.
Non aveva nessuna voglia di vederla, adesso.
Tra lui e Reika le cose stavano andando a puttane.
Erano sposati da nemmeno 5 anni, ma già sperava di non trovarla a casa, quando tornava dal lavoro.
Evidentemente, c’era qualcosa che non andava, tra loro.
Non si parlavano più, si limitavano soltanto al sesso, ma nemmeno quello era tanto entusiasmante.
Si accontentavano anche a letto, entrambi.
Lui sfogava le sue tensioni, lei mandava avanti l’illusione di essere ancora bella e desiderabile.
Eppure non aveva mai tradito sua moglie, nonostante le donne disposte ad una notte di sesso con lui senza complicazioni sentimentali non gli mancassero.
Aveva giurato davanti a Dio di non farlo, e poteva anche sembrare un cinico bastardo, ma non era un blasfemo.
Si tolse la camicia e la cravatta, gettandoli disordinatamente sul divano.
Sapeva che Reika gli avrebbe fatto un cazziatone, al suo ritorno, ma al momento questo era l’ultimo dei suoi problemi.
Si versò un abbondante bicchiere di whisky, appoggiandosi alla spalliera del divano.
La testa gli scoppiava.
Mise una mano in tasca, facendo tintinnare le sue monetine porta fortuna, che in realtà di fortuna gliene avevano portata ben poca, ultimamente.
Ma quel semplice gesto lo rilassava.
Chiuse gli occhi, e il volto di Makimura gli balenò davanti.
Era così nitido che avrebbe potuto toccarlo, se solo avesse allungato una mano.
I suoi occhi buoni e ingenui, i suoi occhiali, la sua voce calma.
Erano acqua e fuoco, lui e Hideyuki.
Lui era irrequieto, incostante, sregolato.
Makimura era tutto l’opposto, preciso, disponibile, un po’ idealista.
Ma si compensavano, in qualche modo.
Si rispettavano.
Si volevano bene.
Lo conosceva da almeno 20 anni, da quando lavoravano ancora al Dipartimento di Polizia di Shinjuku, dove erano strapazzati ogni giorno dalla loro “capa”, come la chiamavano loro.
Pensò a Saeko.
Aveva avuto una breve relazione con lei, ma era stato ugualmente felicissimo, quando lei e Makimura avevano deciso di sposarsi.
Le aveva fatto da testimone il giorno del loro matrimonio.
E ora la lasciava sola il giorno del funerale di suo marito.
Saeko avrebbe compreso il motivo della sua assenza al funerale, lui lo sapeva, ma si sentiva ugualmente uno stronzo.
Anche perché non aveva ancora avuto il coraggio di confessarle la sua parte di responsabilità nella morte di Hideyuki, quella maledetta sera di 3 giorni prima.
Il suo capo aveva ragione.
Non aveva rispettato la procedura, decidendo di fare di testa sua come al solito.
Fino a quel momento, le sue improvvisate avevano sempre avuto successo.
Ma arriva il momento in cui la vita ti fa pagare il conto, e il suo era un conto salato.
E adesso Makimura era morto, e quel bastardo che gli aveva sparato era in libertà grazie al suo avvocato.
Fabian McKinsley e Mark Duvall.
Il primo era un trafficante di droga, che loro della DEA cercavano di incastrare da un paio di anni ma senza successo.
Il secondo era un importante e famoso avvocato di New York, implicato in traffico di stupefacenti e sfruttamento della prostituzione, ma talmente ricco e potente da avere il culo parato per qualsiasi reato. A quanto sembrava, persino il sindaco di New York era una marionetta nelle sue mani.
Il primo aveva ucciso Hideyuki.
Il secondo aveva permesso a McKinsley di farla franca.
Dopo la morte del suo amico, Ryo Saeba viveva soltanto per la vendetta.
E quei due l’avrebbero pagata, e anche molto cara.
Avrebbe ucciso McKinsley.
E avrebbe sottratto a Duvall la cosa più preziosa che possedesse: sua moglie.
Kaori Duvall.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Mark Duvall osservò sua moglie stesa sul letto, nuda, addormentata.
Gli piaceva sempre soffermarsi a guardarla dopo che avevano fatto l’amore, perché ciò gli dava una sensazione di potere e di supremazia.
Kaori era sua.
Ce l’aveva in pugno.
Ultimamente sentiva che c’era qualcosa di strano, in lei.
Gli era persino balenata per la mente l’idea che lei potesse avere un amante.
Ma questo era praticamente impossibile, perché sua moglie usciva di casa solo per andare in chiesa o al mercato, ma era costantemente pedinata dal suo autista personale, Bob.
Un omone di due metri, un armadio che avrebbe spaventato qualsiasi uomo che tenesse alla propria vita.
E poi sua moglie non l’avrebbe mai tradito.
Mark non era uno stupido.
Sapeva che Kaori non lo amava, la qual cosa non lo toccava minimamente.
Nemmeno lui la amava.
La desiderava, se la scopava, ma di certo non la amava.
Lui amava soltanto sé stesso e il suo lavoro di avvocato, perchè anche con i suoi clienti provava la stessa sensazione di comando e di potere: la loro vita, così come quella di Kaori, era nelle sue mani.
E loro gli sarebbero stati riconoscenti a vita, altrimenti lui li avrebbe uccisi.
Funzionava così, era una sorta di patto che stipulavano al momento della sentenza di non colpevolezza.
Lui li scagionava, loro dovevano mettersi a sua disposizione, per tutta la vita.
E chi non lo aveva fatto, chi gli aveva rifiutato un favore…beh, non era ancora su questa terra per poterlo raccontare.
Sua moglie non l’amava, così come non lo amavano i suoi clienti, ma non l’avrebbe mai tradito.
Kaori non era una stupida, e soprattutto teneva alla sua sorellina più che alla sua stessa vita.
E sapeva benissimo che, se lui avesse deciso di vendicarsi, le avrebbe sottratto la persona che lei amava di più : Sayuri.
Indossò la camicia, ripensando a come si era trasformata sua moglie in soli 10 anni.
L’aveva incontrata che era poco più di una bambina, anche se il termine “incontrata” mal si addiceva al maldestro tentativo di Kaori di derubarlo.
Sorrise, beffardo.
Aveva derubato un sacco di gente, lui, sottraendo denaro, potere, risucchiando anche la loro vita privata, ma non aveva mai permesso a nessuno di sottrarre qualcosa a lui.
Nemmeno se si trattava di un banale portafoglio, che peraltro valeva da solo il triplo dei pochi dollari che conteneva.
Se non fosse stata così bella, probabilmente la piccola non avrebbe fatto una brutta fine.
Uomini, donne, bambini, faceva lo stesso.
Se si erano permessi di fargli uno sgarro, avrebbero dovuto pagare.
La pietà non faceva parte della sua indole, era soltanto uno sciocco sentimento romantico, per lui.
Ma lui di donne ne aveva conosciute tante nella sua vita, e aveva imparato a riconoscere il potenziale nascosto dietro ognuna di loro.
Ci sono donne che nemmeno con quintali di trucco arrivano ad essere belle quanto altre donne con il viso pulito.
E lui aveva riconosciuto subito la potenziale bellezza che si nascondeva dietro quegli abiti laceri e sporchi, quei corti capelli rossi da maschiaccio, e quel giovane viso pallido e scavato.
L’aveva portata con sé, dipingendosi come il suo salvatore, lavorando a poco a poco la materia grezza che aveva a disposizione.
E dopo 10 anni, poteva vantarsi di avere al suo fianco una delle donne più belle di New York.
Era cresciuta, Kaori.
Il suo corpo si era fatto più adulto, le gambe affusolate, il seno prosperoso.
Duvall cominciò ad eccitarsi.
Se non fosse dovuto andare in tribunale per l’arringa finale di un processo, probabilmente avrebbe svegliato sua moglie per farla nuovamente sua.
I suoi capelli, lucidi e curati, avevano dei naturali riflessi ramati che facevano gola a tutti gli uomini e invidia a tutte le donne dell’alta società newyorkese.
L’aveva rivestita dei più begli abiti degli stilisti italiani più conosciuti, Cavalli, Armani, Valentino.
Le aveva regalato collane e bracciali d’oro.
L’aveva resa una regina, e lei era la sua carta vincente per quelle odiose serate mondane alle quali era invitato e a cui doveva partecipare.
Ogni volta che sua moglie lo accompagnava, percepiva chiaramente le occhiate invidiose degli altri uomini, che avrebbero ucciso pur di dormire una notte con lei.
Paradossalmente, quegli sguardi non gli davano fastidio, ma confermavano la sua supremazia.
Era ricco, bello, potente e aveva una moglie disposta a fare tutto per lui.
Anche quando avevano dei diverbi, gli bastava giocarsi la carta Sayuri e sua moglie abbassava subito la cresta.
Aveva aspettato che lei compisse 18 anni, poi aveva deciso di sposarla.
Lei aveva accettato, con l’unica richiesta che trovasse a New York una sistemazione per sua sorella.
A dirla tutta, di Sayuri non gli era mai fottuto granchè, ma era un piccolo prezzo da pagare per portarsi a letto sua sorella maggiore.
E così aveva fatto delle ricerche per rintracciarla, e aveva mandato uno dei suoi scagnozzi a prenderla in Giappone.
Kaori voleva che la sorellina vivesse nella stessa casa con loro, ma lui era stato inflessibile.
Non voleva quella piccola peste fra i piedi, anche perché detestava il suo carattere irrequieto e altezzoso di sedicenne.
E così in un solo colpo si era ritrovato ad avere Kaori, che ogni notte scaldava il suo letto, mentre aveva spedito Sayuri in un collegio gestito da suore.
Sua moglie si era opposta fino allo sfinimento, ma alla fine lui aveva minacciato di rispedirla in Giappone, e lei era diventata un docile agnellino.
Infilò i pantaloni, la cravatta e la giacca.
Poi si sporse sul letto e baciò sua moglie sul collo.
Lei aprì gli occhi.
“Mi raccomando, amore, fatti trovare pronta per quando tornerò dal processo. Sarà questione di un paio di ore al massimo, ce li ho già in pugno, quelli dell’accusa. Stasera siamo stati invitati dal sindaco. Per l’occasione ti ho comprato un vestito nuovo, è sulla poltrona.”
Kaori abbassò il capo.
“Va bene, Mark.”
Benissimo.
Gli piaceva da morire quando si sottometteva a lui.
Ancora una volta, l’eccitazione lo scosse.
Afferrò il volto di sua moglie, baciandola sulle labbra senza delicatezza.
Lei non poteva fare niente per opporsi, e questo lo eccitò ancora di più.
Si slacciò i pantaloni, intrappolandola sotto di sé.
Questione di pochi minuti, un paio di poderose spinte, e lui si stava già rialzando la cerniera.
Si risistemò giacca e cravatta.
“Stasera devi essere la più bella e la più sensuale, se capisci cosa intendo. Sarò l’invidia di tutti gli uomini presenti.”
Poi, senza voltarsi, lasciò la stanza.
Stancamente, Kaori si alzò.
Se non fosse stato per Sayuri…
Si infilò nella doccia, sotto il getto d’acqua bollente.
Una lacrima silenziosa sfuggì al suo controllo, mischiandosi con i rivoletti d’acqua che le bagnavano il viso.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Ryo Saeba sorseggiava lentamente la sua birra, appoggiato alla ringhiera della terrazza di casa sua, da cui si poteva ammirare New York in tutto il suo malefico splendore.
Aspettava.
Aspettava la reazione dell’uomo che gli stava di fronte, anche lui una birra stretta in una mano, una sigaretta appena accesa nell’altra.
“Tu, amico, ti sei decisamente ammattito.”
Mick Angel era costernato.
Conosceva Saeba da otto anni, precisamente da quando il giapponese era stato trasferito al Dipartimento di New York, nell’ufficio accanto al suo.
Non erano andati subito d’accordo.
Anzi, si erano cordialmente odiati per un paio di anni.
Entrambi troppo playboy, troppo infantili, egocentrici e presuntuosi per comprendersi a vicenda.
Poi però erano cambiati, erano cresciuti in un certo senso: Ryo aveva conosciuto Reika e lui si era fidanzato con Kazue.
Erano diventati amici a poco a poco, senza nemmeno accorgersene.
Avevano imparato a conoscersi, a capirsi con un solo sguardo.
A rispettarsi.
Ryo era l’unico che aveva compreso fino in fondo il suo senso di sconfitta e frustrazione, quando aveva dovuto lasciare il Dipartimento dopo l’incidente alla mano.
Era l’unico che gli era stato accanto, senza commiserarlo né compatirlo come invece avevano fatto tutti gli altri.
Mick Angel conosceva Ryo Saeba.
E sapeva che Fabian McKinsley non l’avrebbe passata liscia, dopo aver ucciso Hideyuki.
Soprattutto dopo che a causa sua Ryo aveva dovuto lasciare il suo lavoro.
Ma pensava che il suo amico si sarebbe limitato ad uccidere McKinsley.
Un bel lavoretto pulito, un buco in fronte e nessuno sarebbe mai risalito a lui.
Invece la richiesta di Ryo lo aveva spiazzato.
Intendeva rapire una donna con la sua complicità.
E non una donna qualsiasi, bensì la moglie di Mark Duvall.
L’uomo più potente e ricco di tutta la città.
“Tu, amico, ti sei decisamente ammattito.”
Ryo si aspettava una reazione del genere da parte di Mick.
Il suo amico era sempre stato il più razionale, fra i due.
Ma lui avrebbe fatto quello che doveva fare, con o senza di lui.
“Mick…io devo farlo. Devo farlo per Hideyuki.”
“Sono sicuro che Hideyuki non avrebbe mai voluto che ne andasse di mezzo una donna.”
“Ma alla donna non succederà niente. Sarà soltanto un’esca per attirare Duvall nella mia trappola, in modo che quel figlio di puttana abbia finalmente la fine che meritano quelli come lui.”
“Ryo…se tu farai una cosa del genere, Duvall ti troverà, anche se dovesse spostare mari e monti per riuscirci. E quando ti troverà, ti ucciderà, amico. Sai benissimo quanto Duvall tenga a sua moglie. È una bellissima donna, e anche se probabilmente se la scopa soltanto, sarebbe uno sfregio imperdonabile per lui, se lei venisse rapita e tenuta in ostaggio da un uomo come te.”
“Io questa Kaori Duvall non l’ho mai nemmeno vista, Mick. Te lo ripeto: non le torcerò un capello. Ma tu devi aiutarmi, amico. Mi rimane solo la vendetta.”
Mick guardò l’altro uomo stupito.
In tanti anni che si conoscevano, non aveva mai visto quell’espressione di totale indifferenza sul volto dell’altro uomo.
Era vero.
Ryo Saeba viveva soltanto per la vendetta, ormai.
“Te lo ripeto per l’ultima volta, Saeba. Se rapisci quella donna, firmerai la tua condanna a morte.”
“Sai una cosa, Mick? Ora come ora, non me ne fotte niente.”
“Pensa a tua moglie, Ryo. Reika non merita questo.”
Mick finì di bere la sua birra, aspettando una risposta da parte di Ryo.
Ma l’altro uomo rimase in silenzio.
Mick aveva ragione.
Non doveva essere così egoista.
Aveva un moglie, e quindi delle responsabilità.
Anche se non amava più Reika – era inutile continuare a negarlo anche a sé stesso – aveva dei doveri nei suoi confronti.
Mick gli passò la sigaretta.
Aspirò un paio di boccate prima di gettarla per terra e spegnerla con la punta delle sue poco professionali Converse nere.
L’uomo biondo gli diede una pacca sulla spalla, avviandosi verso le scale.
“Makimura è morto, Ryo. E qualsiasi cosa tu faccia, niente potrà farlo tornare in vita. Non metterti in guai più grossi di quelli nei quali già sei, amico.”
Poi cominciò a scendere, e dopo qualche minuto Ryo vide il suo amico attraversare la strada e rientrare in casa sua, dove probabilmente lo stava aspettando Kazue.
Reika, invece, non era ancora tornata dal lavoro.
Ultimamente rientrava sempre più tardi.
Forse anche lei cercava di buttarsi nel lavoro per distrarsi, piuttosto che stare con lui.
La cosa non lo feriva più di tanto.
Lo faceva spesso anche lui.
Certo, questo avveniva prima che lui perdesse il lavoro e il suo migliore amico in un solo colpo.
Ryo Saeba rientrò in casa, cercando di non pensare alla vendetta e al suo piano per rapire la moglie di Duvall.
Si fece una doccia, poi ingoiò un paio di Aspirine e si mise a letto.
Sua moglie rientrò poco dopo, sistemandosi sotto alle lenzuola accanto a lui, ma Ryo fece finta di essere già addormentato.
Il vestito che le aveva comprato Mark era molto bello, ma talmente corto e scollato da renderla più simile ad una cortigiana, che non alla la moglie di uno dei più importanti avvocati di New York.
Kaori osservò la sua immagine riflessa nel grande specchio che si trovava nella sua camera da letto.
L’abito nero le arrivava un palmo sopra alle ginocchia, l’ampia scollatura copriva a mala pena il suo seno.
Si sentiva davvero una puttana.
In momenti come quelli, Kaori odiava sua marito.
Mark sapeva che lei non sopportava essere al centro dell’attenzione, e che non si sentiva a suo agio inguainata in quegli abitini così striminziti e volgari.
Ma voleva che tutti guardassero sua moglie e sapessero che lui era l’unico a poter fare di lei quello che voleva.
Era un oggetto, per lui, da esibire con orgoglio con il fine specifico di essere invidiato.
Non faceva mancare niente di materiale né a lei né a sua sorella, ma lei in cambio aveva sacrificato la sua dignità di donna, il suo pudore, la sua innocenza.
“Ti ammiri in tutto il tuo splendore?”
La voce del marito la fece sobbalzare.
Persa nelle sue riflessioni, non l’aveva sentito rientrare.
Mark Duvall osservò sua moglie.
Quel vestito sembrava cucito apposta per lei.
Modellava le sue forme alla perfezione…si complimentò con sé stesso per l’ottima scelta, non poteva regalarle abito migliore.
Kaori non rispose, si limitò a sorridere debolmente, anche se il sorriso si fermò alla superficie delle sue labbra, senza coinvolgere i suoi occhi.
C’era ben poco da sorridere, dopo quello che le era successo.
Forse la cosa peggiore che possa capitare ad una donna.
E suo marito non ne sapeva niente, non poteva nemmeno immaginarlo, e continuava a parlarle di processi e abiti e ricevimenti, senza rispettare nemmeno il suo dolore.
Si mise le eleganti scarpe nere con il tacco, poi indossò lo spolverino.
Mark la abbracciò da dietro, baciandola sul collo, lasciandole un segno rossastro, ulteriore marchio del fatto che lei gli appartenesse.
Poi la prese sottobraccio, guidandola verso la Mercedes, dove li aspettava il loro autista personale.
Osservando fugacemente il suo riflesso nel vetro oscurato della vettura, Kaori pensò che quella sarebbe stata una lunga notte.
Grazie per i commenti. Fatemi sempre sapere cosa ne pensate, mi raccomando!! Per Aleptos: in che senso, "strana"? ^.^ Baci
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Capitolo 5 (V.M.18) ***
Girovagava per la città da almeno un paio di ore.
Non aveva niente da fare, ormai.
Non aveva più un lavoro.
Non aveva più una moglie.
Guidava per il semplice piacere di farlo, senza una meta precisa.
Guidava perché guidare lo rilassava e gli impediva di pensare ad altro.
L’insegna luminosa di un hotel decrepito attrasse la sua attenzione.
Pensandoci bene, non aveva più nemmeno una casa.
Doveva trovarsi un posto in cui passare la notte, e qualsiasi albergo che avesse una camera libera andava bene.
Accese la freccia e accostò lungo il ciglio della strada.
Visto da vicino, l’albergo era ancora più vecchio e squallido.
Una signora anziana lo accolse alla hall, che odorava di muffa e di stantio.
Prenotò una stanza per la notte e pagò in contanti.
La signora gli consegnò la chiave della stanza e gli augurò buona notte.
Ryo Saeba pensò che quella tutto sarebbe stata, tranne che una buona notte.
Salì gli scalini logori e polverosi che portavano al secondo piano, poi infilò la chiave nella toppa della porta della sua stanza e, con qualche difficoltà, riuscì ad aprirla.
Un penetrante odore di chiuso lo accolse.
La stanza era essenziale e spartana: un letto ricoperto da una consunta coperta di lana grezza, un tavolino traballante sotto la piccola finestra e, sulla sinistra, un minuscolo bagno, dotato però di vasca.
Fece scorrere dell’acqua bollente nella vasca per un paio di minuti, in modo da togliere i due centimetri di polvere che vi erano posati sopra.
Uno scarafaggio grande quanto il suo pollice, disturbato da quel getto d’acqua, arrancò zampettando fino ad un piccolo buco nel muro, nel quale scomparve.
Dopo aver ripulito la vasca, Ryo ne tappò il buco e la riempì.
Sulla mensola sopra il lavandino c’era un flaconcino di bagnoschiuma e un asciugamano ripiegato.
Svuotò il contenuto del flacone nell’acqua bollente, poi si tolse i vestiti e si immerse nella vasca.
Chiuse gli occhi, appoggiando la testa contro il bordo della vasca.
Ripensò alla conversazione avuta solo una settimana prima con Mick.
“Pensa a tua moglie, Ryo. Reika non merita questo.”
Sorrise, sarcastico.
Le proverbiali ultime parole famose.
Erano sette giorni che cercava di non pensare alla faccenda di Duvall e di McKinsley.
Sette giorni in cui si alzava, faceva colazione, e usciva di casa.
A volte correva, altre volte si esercitava al poligono di tiro, altre volte semplicemente pensava.
Sette giorni in cui tornava la sera tardi, verso le undici, quando sua moglie era già sotto le lenzuola e fingeva di dormire, come aveva fatto lui la sera della discussione con Mick.
Quella mattina, invece, aveva deciso di fare una sorpresa a Reika.
Mick l’aveva fatto riflettere, con le sue stupide ramanzine.
L’aveva fatto sentire in colpa, e Ryo Saeba odiava sentirsi in colpa.
Effettivamente stava trascurando Reika, sia come moglie che come donna.
Lei aveva raggiunto la critica età dei 35 anni, ed una donna ha bisogno di sentirsi apprezzata da suo marito, di sentirsi ancora bella ed eccitante.
Così aveva comprato un bel mazzo di rose rosse, sentendosi talmente a disagio per la sua falsità che diverse volte aveva rischiato di lasciar perdere e di comportarsi come suo solito.
Ma poi gli tornavano in mente le parole di Mick, e quel pungente senso di colpa tornava a dilaniarlo.
Aveva pianificato tutto nei minimi dettagli.
Sapeva che Reika aveva due ore di pausa dal lavoro, dalle due alle quattro del pomeriggio, in cui tornava a casa per pranzare.
Così si era messo in smoking, aveva ordinato un’abbondante pranzo dal cinese all’angolo, che sua moglie adorava, e con il mazzo di fiori in mano, sentendosi un emerito imbecille e vergognandosi come un ladro, aveva citofonato al loro appartamento.
Stranamente, però, non aveva risposto nessuno.
Forse sua moglie non era ancora tornata.
Così aveva aperto la porta, aveva poggiato il mazzo di fiori sul tavolo, ed era andato in bagno per sciacquarsi il viso.
Era sudato come se avesse corso per due chilometri, quello smoking nero aveva un effetto sauna su di lui.
Ma nel bagno si era subito accorto che qualcosa non andava.
C’era un orologio, poggiato sulla mensola del lavandino.
Un orologio maschile.
E una cravatta celeste era appoggiata negligentemente sul bordo della vasca.
I segnali erano stati più che chiari.
Lei tornava sempre più tardi la sera, partecipava a cene di lavoro (come le definiva lei) sempre più frequentemente, si truccava per uscire.
Sua moglie non si era mai truccata per uscire.
Ma lui era stato cieco, o forse troppo pigro e distratto per accorgersi che sua moglie lo stava cornificando che era una bellezza.
Nonostante tutto, non aveva voluto arrendersi all’evidenza dei fatti.
Così, da vero masochista, si era diretto lentamente verso la loro camera da letto, cercando di ignorare i gemiti soffocati che provenivano dall’interno.
Non era possibile che sua moglie lo stesse tradendo…
Reika non avrebbe mai fatto una cosa del genere…
E non nella loro camera, soprattutto..
Non sul loro letto…
Aprì lentamente la porta.
I suoi timori non erano infondati.
Sua moglie stava scopando con un altro uomo.
Nella loro camera.
Sul loro letto.
Ed erano così impegnati a copulare, che nessuno dei due si era accorto della sua presenza.
Una furia cieca l’aveva invaso.
In due falcate aveva raggiunto il letto, afferrando l’uomo per le spalle e allontanandolo dal corpo sudato e nudo di sua moglie.
Lei lo aveva guardato con gli occhi sbarrati, cominciando ad urlare, quando lui aveva sferrato un cazzotto in pieno viso all’altro uomo, rompendogli il setto nasale.
Ma non si era accontentato.
Aveva sferrato pugni alla cieca, cercando di procurargli il maggior danno nel minor tempo possibile.
Si era fermato solo quando le sue nocche si erano completamente escoriate, e il volto dell’altro uomo era diventato una maschera di sangue.
Era furioso, ma ciò che più l’aveva spaventato era l’assenza di dolore.
Insomma, quando scopri che tua moglie se la fa con un altro uomo, dovresti sentirti tradito, umiliato, deluso.
Lui, invece, non sentiva niente di tutto questo.
Aveva massacrato di botte quel figlio di puttana non perché si stava scopando sua moglie, ma solo per sfogare la tensione accumulata negli ultimi giorni.
Poi era andato in bagno, si era lavato le mani e si era spruzzato un po’ di acqua sul viso.
Sua moglie lo aveva raggiunto, urlando come una pazza isterica.
“Ma cosa cazzo credevi di fare? L’hai quasi ammazzato, per Dio!”
Lui l’aveva guardata, sorridendole beffardo.
Dov’era finita la ragazzina di cui si era innamorato cinque anni prima?
Ora di fronte a sé aveva una donna sfatta, una donna che si accontentava di crogiolarsi nell’illusoria utopia di rimanere sempre giovane e desiderabile agli occhi degli uomini.
Una donna che ogni giorno controllava il suo viso allo specchio per controllare che non si fosse aggiunta nessuna nuova ruga a quelle di “espressione”, come le definiva lei.
Una donna che gli faceva pena, e che non meritava la sua fedeltà.
“Ti avverto, sai…se chiedi il divorzio, non riuscirai mai ad ottenere la casa. È mia, me l’ha regalata mia madre prima di morire.”
“Tieni tutto quello che vuoi, a me non interessa. Ti aspetto in tribunale per firmare le carte per la separazione.”
Si era messa a piangere, Reika, ma quelle lacrime da coccodrillo non l’avevano minimamente commosso.
“Gli ci vorrà un po’, al tuo amante, per tornare quello di prima. E spero vivamente di avergli rotto quel cazzo moscio che si ritrova.”
A quel punto Reika aveva smesso di piangere, alzando il viso altezzosa.
“Sei uno stronzo, Ryo Saeba. Sei un vero stronzo. E comunque sappi che non è la prima volta che ti tradisco con Bill. E sappi anche che prima di lui ci sono stati anche altri uomini.”
“Lieto di saperlo.”
Era andato in camera da letto, dove Bill giaceva ancora per terra, gemente e sanguinante.
Aveva afferrato un borsone, nel quale aveva gettato alla rinfusa un paio di tute, poi aveva preso la foto sul suo comodino che ritraeva lui e Hideyuki quando ancora lavoravano a Shinjuku, e la pistola di riserva dall’ultimo cassetto del comodino.
Poi aveva afferrato le chiavi della macchina, vagando per la città per un paio d’ore e pensando a quanto può essere bastardo il destino.
L’acqua nella vasca era diventata fredda, ormai.
Doveva asciugarsi e rivestirsi, altrimenti si sarebbe preso una polmonite.
Ma prima c’era un’altra cosa che doveva fare.
Sporse il braccio gocciolante dalla vasca, cercando l’oggetto fra i suoi vestiti.
Poi la trovò.
La sua Colt Python 357 Magnum.
Ruotò velocemente il cilindro, poi chiuse l'arma da fuoco senza guardare.
Nel tamburo c’era un solo colpo.
Un solo colpo, sufficiente però per ucciderlo.
Si poggiò la canna fredda contro la tempia, poi chiuse gli occhi.
Abbassò lentamente il grilletto.
Non successe niente, solo il click della camera vuota nel tamburo.
Il sollievo esplose come una detonazione nel suo cervello.
Ryo Saeba si alzò, poi si asciugò con l’asciugamano e indossò una tuta di felpa blu.
Il destino gli aveva concesso un’altra chance.
Ora sapeva cosa doveva fare.
Prese il borsone e tornò in macchina.
L’orologio digitale sul cruscotto segnava le 02:23.
Accese la macchina, rimanendo fermo per qualche minuto, dando al motore il tempo per riscaldarsi.
Poi ingranò la prima, dirigendosi lentamente verso il centro.
Era ancora in tempo, per fortuna.
Per oggi non avrebbe potuto fare niente, ma era sempre meglio tastare il terreno nemico, prima di passare all’attacco.
I suoi informatori gli avevano detto che Duvall aveva organizzato un mega ricevimento quella sera, nella sua villa in città.
Formalmente si trattava di una festa di beneficenza, ma Ryo sapeva che in realtà ci sarebbe stata ben poca beneficenza quella sera, a meno che per beneficenza non si intendesse un bel giro di droga e di prostituzione.
Impostò l’indirizzo di Duvall sul suo navigatore satellitare, poi si lasciò guidare dalla voce metallica.
Dopo una mezz’oretta circa, Ryo Saeba stava osservando la villa, cercando di capire come fare per eludere la sorveglianza dei gorilla appostati al cancello d’ingresso e infiltrarsi all’interno.
Fece un giro della villa, talmente grande che ci mise una decina di minuti per tornare al punto di partenza.
Fortuna che portava sempre con sé qualche giocattolino, giusto per le emergenze…
E quella era decisamente un’emergenza.
Aprì il portabagagli della sua auto, poi sollevò un pannello, scoprendo così un doppio fondo nel quale teneva i suoi “attrezzi”.
Prese una bottiglia di vetro, riempiendola di benzina, poi attaccò con del nastro adesivo uno straccio imbevuto di liquido infiammabile al collo sigillato della bottiglia.
In poco più di cinque minuti, aveva tra le mani una perfetta quanto pericolosissima bomba Molotov.
Raggiunse il retro della casa, poi diede fuoco allo straccio e lanciò la bottiglia contro una vecchia fabbrica abbandonata che si trovava alle spalle della villa.
Osservò la bottiglia andare in frantumi nell'impatto, versando il liquido in fiamme sul bersaglio.
Il fragore della detonazione e le fiamme che in pochi minuti avevano circondato la fabbrica distrassero le guardie all’ingresso, proprio come aveva previsto.
I sei gorilla si precipitarono verso la parte posteriore della casa, per accertarsi che l’esplosione non fosse avvenuta all’interno della villa, lasciando incustodito il cancello.
Ryo ne approfittò per arrampicarsi sul cancello e lasciarsi cadere all’interno dell’immenso giardino della villa, ispirato ai giardini della reggia di Versailles.
Certo che Duvall non si faceva mancare niente…
Si nascose dietro un’alta siepe, che si affacciava su un gazebo e gli offriva la possibilità di guardare all’interno della casa senza essere visto.
C’era grande agitazione tra gli invitati, di sicuro anche loro avevano sentito la detonazione.
Duvall era al centro dell’immenso salone, e con l’eloquenza suadente che gli aveva permesso di vincere tante cause in tribunale, stava tranquillizzando i presenti.
Ryo riconobbe avvocati, giudici, politici, deputati, magnati della società newyorkese, accanto ai propri pusher: spacciatori, trafficanti di droga e di prostituzione, killer a pagamento.
Tutta gente importante, su cui la DEA non era mai riuscita a mettere le mani.
C’era anche McKinsley, e il solo fatto che lui si stesse divertendo, mentre Makimura era morto, gli fece venir voglia di scaricare la cartuccia della sua pistola su di lui.
Ma doveva controllarsi, l’ora della vendetta non era lontana.
Osservò le eleganti signore presenti nel salone, cercando una bella donna che avesse all’incirca una trentina d’anni, con il volto truccato e il portamento snob consono alla sua posizione sociale: la moglie di Duvall.
Ma di belle e giovani donne ce n’erano tante, anche se Ryo Saeba era sicuro che per metà si trattasse di cortigiane invitate per allietare gli ospiti a fine serata.
Ryo si distrasse un attimo.
Aveva sentito un fruscio alle sue spalle.
Afferrando la pistola, si voltò, guardandosi attorno guardingo.
Ma nessuno si era accorto della sua intrusione.
Sentiva in lontananza le sirene dei pompieri, che evidentemente erano stati chiamati per spegnere l’incendio nella fabbrica.
La situazione era sotto controllo.
Tornò a voltarsi verso il gazebo, e ciò che vide gli mozzò il fiato.
Una donna era appoggiata alla ringhiera di ferro battuto del gazebo.
Era bellissima.
Indossava un vestitino nero corto e scollato, e un paio di scarpe alte con il tacco a spillo.
Ryo la etichettò subito come una delle puttane di alto bordo che popolavano i festini della gente ricca e importante come Duvall.
I suoi capelli erano lunghi fino alle spalle, castani, con dei riflessi ramati incredibili.
Quando poi la donna sollevò il viso, e lui potè scrutarla in volto alla fioca luce della luna, rischiò che gli venisse un infarto.
Era decisamente la donna più bella che avesse mai visto nella sua vita.
Eppure…
Non sembrava una prostituta qualunque.
Aveva uno sguardo strano, che non sembrava quello di una volgare cortigiana, disinteressato e calcolatore.
I suoi occhi lo colpirono.
Erano malinconici, tristi.
Lavorando nello stesso Dipartimento della Buoncostume, ne aveva viste parecchie, di ragazze e di donne che erano costrette a vendersi per guadagnare qualcosa.
Ma questa donna non gli sembrava una di quelle.
Emanava un’aura di…purezza, in un certo senso.
Poi però un uomo la raggiunse, abbracciando la donna da dietro.
Quando Ryo vide il volto dell’uomo, gli si ghiacciò il sangue nelle vene.
Era McKinsley.
Lei si girò e gli poggiò le mani sul petto.
Evidentemente si era sbagliato, sul conto della donna.
Qualunque donna andasse con un tipo come McKinsley, non poteva essere innocente.
Disgustato dalla scena, inspiegabilmente deluso, si allontanò cautamente dalla sua postazione.
Aveva dato un’occhiata alla planimetria della casa, non era tanto ma era sempre meglio di niente.
Aspettò acquattato nell’ombra che i primi invitati cominciassero ad andare via, approfittando della distrazione delle guardie per uscire dalla villa.
Tornò alla sua macchina.
Stranamente, non riusciva a togliersi dalla testa gli occhi tristi della donna del gazebo.
Poi però si ricordò di Fabian McKinsley.
Rabbiosamente mise in moto, dirigendosi verso la casa di Mick.
Doveva chiedere all’amico un paio di piccoli favorini.
Questo capitolo è lunghissimo, lo so…ma non potevo dividerlo in nessun modo! Devo dire che questa storia mi ha decisamente preso la mano, anche se è un po’ fuori dai canoni…sono decisamente uscita dal manga, lo so, ma volevo attualizzare e rendere più realistico City Hunter…in questa fic Ryo e Kaori sono persone “normali” con cui la vita è stata avara…persone come ce ne sono molte, purtroppo, nella vita reale.
Vi ringrazio per i commenti e spero che continuerete a seguirmi anche se questa storia vi sembrerà magari “strana” o “particolare”...baci, alla prossima!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Quella festa stava mettendo a dura prova i suoi nervi, peraltro già molto labili.
Odiava quel genere di ricevimenti, odiava quella gente che la circondava e soprattutto detestava essere la padrona di casa e dover offrire da bere o da mangiare a quei manichini con la puzza sotto il naso e a quelle puttane vestite da principesse senza macchia e senza peccato.
La falsità e l’ipocrisia che si celavano dietro ognuno dei loro gesti e dei loro sorrisi era quasi tangibile.
Ma ciò che più la innervosiva era lo sguardo penetrante di suo marito, costantemente puntato su di lei.
Se lo sentiva addosso anche quando era di spalle, ed era uno sguardo che le faceva tremare le mani.
Suo marito la controllava, sempre, qualunque cosa lei stesse facendo.
Erano quasi le quattro di mattina.
Aveva passato tutta la serata a sfoggiare sorrisi a destra e a manca, sorrisi talmente forzati che la mascella le faceva male.
Per sua fortuna, un importante avvocato di New Orleans aveva proposto a suo marito una partita a biliardo per concludere la serata.
La stanza del biliardo si trovava al piano di sotto quindi, rimanendo nel salone, era riuscita a sottrarsi per un po’ alla pressione psicologica che gli occhi taglienti di suo marito esercitavano su di lei e sui suoi nervi.
Aveva bisogno di un po’ di aria fresca.
Il salone era saturo di fumo e delle risate sguainate ed oscene degli uomini presenti, ormai totalmente ubriachi dopo i litri di champagne rigorosamente francese che si erano scolati.
Le cortigiane erano allungate lascivamente sui divani, invitando con lo sguardo le proprie prede.
Quelle donne la disgustavano.
Suo marito le aveva invitate perché distraessero gli invitati, almeno questa era la patetica motivazione che Mark le aveva fornito, quando lei si era opposta con tutte le sue forze perché la loro villa non diventasse una casa di appuntamenti.
Naturalmente, era stato inutile.
Lei non contava niente, era Mark che decideva tutto.
Lei poteva scegliere il colore dei fiori, oppure la disposizione del buffet, ma le sue mansioni e la sua libertà di intervento finivano lì.
Per il resto, non aveva nessuna voce in capitolo.
E così aveva dovuto cedere anche sulla questione delle accompagnatrici.
Come sempre.
Si detestava per la sua debolezza, per la sua arrendevolezza, ma d’altronde aveva le mani legate, nel vero senso della parola.
Si diresse verso il gazebo, appoggiandosi alla ringhiera di ferro battuto.
Quello era l’unico angolo di tutta la casa che aveva fatto costruire lei autonomamente.
Era una sorta di rifugio, che si affacciava sul giardino e le dava una illusoria sensazione di libertà.
La notte era bellissima.
Sentiva in lontananza le sirene dell’autopompa dei vigili del fuoco, ma ormai l’incendio era stato domato e soltanto qualche sparuta fiammella ancora resisteva all’acqua dei pompieri.
Si poggiò una mano aperta sul basso ventre, sospirando pesantemente.
Anche la natura non le era stata solidale.
Forse qualcuno da lassù voleva punirla per tutti i suoi peccati, sottoponendola ad una nuova terribile prova.
Chiuse gli occhi, cercando di ricacciare indietro le lacrime.
Suo marito se ne sarebbe accorto e le avrebbe chiesto il motivo del suo pianto, e lei non era pronta per condividere con quel mostro il suo segreto, per quanto doloroso fosse.
Improvvisamente una strana sensazione la invase.
Spalancò gli occhi di scatto.
Si sentiva…osservata.
Come se qualcuno fosse nascosto tra i cespugli e la spiasse.
Cercando di dominare l’ansia crescente, strizzò gli occhi, osservando attentamente la siepe davanti a lei, che tuttavia rimase immobile.
Tutto taceva.
Forse si era sbagliata, stava diventando semplicemente paranoica.
Si poggiò una mano sul petto, respirando lentamente, come le aveva insegnato il suo analista, per ricacciare il panico.
Non era niente, nessuno la stava osservando, era tutto a posto…
Sobbalzò, quando un paio di braccia maschili la abbracciarono da dietro.
Si voltò, scoprendo con disgusto e un pizzico di paura che l’uomo che la stava stringendo senza delicatezza era Fabian McKinsley.
Aveva sempre detestato quell’uomo.
Era viscido e ripugnante, uno di quelle persone pronte a vendere anche la propria madre pur di raggiungere i propri obiettivi.
Emanava un’aura di cattiveria, una sorta di energia negativa.
Gli poggiò le mani sul petto, cercando di allontanarlo da sé.
Non sembrava particolarmente ubriaco, forse un po’ brillo, ma il suo sguardo era malizioso e quasi osceno.
I suoi occhi fissi sul suo decoltè la fecero infuriare.
Lo respinse violentemente, ma per tutta risposta l’uomo tornò a stringerla, leccandosi lascivamente il labbro superiore.
“Che ci fa una bella donna come voi tutta sola qui fuori?”
La sua voce era mielosa, e Kaori rabbrividì di disgusto.
“Perché non mi lascia in pace e si va a divertire con una di quelle puttane che a voi uomini di mondo piacciono tanto?”
“Perché cercare altrove quando ho una splendida puttana proprio qui davanti a me?”
Il suo braccio scattò senza che avesse nemmeno il tempo di pensare alle conseguenze del suo gesto.
McKinsley si portò una mano sulla guancia colpita, dove era chiaramente visibile il segno del sonoro ceffone che lei gli aveva mollato.
Inizialmente l’uomo sembrò stupito, poi però sorrise.
“Mi piacciono le gattina aggressive come te, lo sai?”
Lei lo guardò negli occhi.
“Crede di essere l’unico braccio destro di mio marito? Beh, si sbaglia di grosso. Mio marito è molto geloso di me, e se gli racconto ciò che lei mi ha detto e fatto stasera…beh, Mark la ucciderà senza pensarci due volte. Tutti sono utili ma nessuno è indispensabile, per mio marito. È chiaro il concetto? Se ora non mi lascia tornare dentro, il concetto le diventerà improvvisamente fin troppo chiaro. E ora mi lasci passare.”
Il sorriso sul volto dell’uomo scomparve, sostituito da una smorfia quasi grottesca.
Quando Kaori gli passò accanto, con le spalle dritte e a testa alta, lui si profuse in un inchino ironico.
“Tanto sarai mia, prima o poi…”
Fece finta di non aver sentito le sue parole cariche di lussuria, mantenendo la schiena rigida.
Voleva sembrare sicura e controllata agli occhi dell’uomo, ma in realtà dentro di sé tremava.
“Ma non lo sai che gli ospiti sono come il pesce? Dopo tre giorni puzzano, caro il mio Saeba…”
La voce di Mick lo riscosse dai suoi pensieri.
Il suo amico aveva ragione.
Era quasi una settimana che si era installato a casa dell’americano, ma d’altronde non poteva certo passare le sue notti in quello squallido albergo.
E poi non era facile nemmeno per lui, vedere Mick e Kazue che si baciavano e si scambiavano effusioni a volte anche molto intime, mentre lui stava per separarsi da sua moglie.
Ma la cosa che lo urtava maggiormente era il fatto che non riusciva a togliersi dalla testa la donna del gazebo a casa di Duvall.
Aveva l’impressione di averla già vista, anche se non riusciva a collegare il suo viso con nessun ricordo particolare.
Comunque, al momento, l’identità della donna misteriosa era decisamente il suo ultimo problema.
Lui e Mick erano finalmente soli in casa.
Kazue doveva incontrare le sue amiche quella sera per una cena fra donne.
Era il momento perfetto per parlare a Mick del suo piano.
“Senti Mick…devo chiederti un favore.”
“Un altro?”
Ryo sorrise.
“Touchè. Ho bisogno di sapere tutto sulla moglie di Duvall. Le sue abitudini, le sue origini, il suo cognome da nubile, tutto. Lo so che adesso mi dirai di lasciar perdere, che la vendetta è inutile e che sei contrario all’idea che una donna ne vada di mezzo. Ma io devo avere la mia vendetta. Devo, Mick.”
Rimase in silenzio, aspettando la risposta dell’amico.
Mick sorrise, poi uscì dalla stanza, lasciando Ryo a bocca aperta.
“E adesso dove vai?”
L’altro non rispose, ma dopo appena un minuto era di ritorno, una busta gialla in mano.
La tese a Ryo, che lo guardò interrogativo.
“Già fatto. Qui c’è tutto quello che cercavi su Kaori Duvall.”
Mick gli fece l’occhiolino.
“Sei diventato prevedibile ormai, vecchio mio.”
Ryo afferrò la busta, sorridendo leggermente.
“Grazie, amico.”
Prese le chiavi della macchina, avviandosi verso la porta.
Aveva voglia di fare un giro.
Ma la voce di Mick lo fermò.
“Ah…Ryo…ma tu l’hai mai vista questa Kaori Duvall?”
“Ti ho già detto di no. Né ci tengo a vederla.”
Mick ammiccò.
“Invece dovresti. È l’esemplare di femmina più bello che abbia mai visto. E ho come l’impressione che quella donna ti metterà nei guai, e non parlo solo della questione di Duvall…”
Ryo socchiuse gli occhi.
“Cosa vuoi dire?”
Mick gli sfilò la busta dalle mani, estraendone quella che a Ryo sembrò una foto.
“Guarda un po’…”
Incuriosito, Ryo la afferrò.
Quando vide la donna ritratta nella foto, Ryo Saeba spalancò la bocca basito.
Grazie mille per i commenti!!Un bacione e alla prossima...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
“Cosa??? Dobbiamo travestirci…da preti???”
Mick Angel guardò l’amico con gli occhi sbarrati.
Era ufficiale, ormai: il Giapponese aveva decisamente perso il senno della ragione.
Va bene che aveva acconsentito ad aiutarlo a rapire la donna, ma questa poi…
Era assurdo.
“Smettila di sbraitare come un bambino. È l’unico pretesto per entrare in casa sua. Da quello che ho letto sul suo conto, l’unico luogo che frequenta senza che un gorilla del marito le stia dietro è la chiesa. Sembra che sia particolarmente sensibile alla religione. Probabilmente è in chiesa che si incontra con i suoi amanti.”
Ryo Saeba pronunciò quest’ultima frase con sarcasmo, ridendo sprezzante.
“Perché dici così?”
“Ma l’hai vista? Ti pare che una donna così non abbia almeno un paio di amanti? E poi questa storia della religione…non me la bevo. Una che va in giro mostrando le tette a destra e a manca non mi sembra una donna religiosa e pia…anzi.”
“Le donne belle non devono necessariamente essere ninfomani o traditrici, Ryo.”
“Si, come no…in questo ultimo periodo non ho una buona considerazione del mondo femminile, sai…”
Sorrise amaramente.
“E fidati, Mick…quella donna è tutt’altro che un angioletto. Comunque, la sua vita personale non mi interessa. Ora ti spiego cosa faremo: ci travestiremo da preti, inventeremo che abbiamo bisogno di un assegno per una missione umanitaria in Africa. E ci affideremo alla sua clemenza di donna devota a Dio. Il nostro primo incontro con lei avverrà in chiesa, poi le proporremo di parlare della questione della donazione a casa sua. Se ci presentassimo direttamente a casa Duvall, desteremmo sospetti. In questo modo, invece, avremo il tempo di conquistare la sua fiducia. Lei chiederà al marito di parlare da soli con noi, e il gioco sarà fatto. Forse tenterà perfino di sedurci…una donna del genere è capace di tutto.”
Mick Angel alzò gli occhi al cielo.
Quando ci si metteva, il suo amico sapeva essere davvero molto testardo.
A lui quella donna non dava l’impressione di essere malvagia, né adultera.
Aveva degli occhi tristi e malinconici.
Gli sembrava più che altro rassegnata.
Aveva lo sguardo di chi era stato costretto a rinunciare a qualcosa contro la sua volontà.
Visto che stava con un uomo-padrone, molto probabilmente era la libertà, quello a cui aveva dovuto rinunciare.
Chissà perché…chissà quale sporco ricatto era stata costretta ad accettare…
“Mick…ci sei? O stai già pensando a come rimorchiare la pollastra?”
Mick sbuffò irritato.
“Quei tempi sono passati, ormai. Adesso ho Kazue. Tu, piuttosto, sei un po’ troppo astioso nei confronti di una donna che nemmeno conosci. Non è che sai qualcosa che non vuoi dirmi?”
Ryo afferrò la busta gialla che Mick gli aveva dato un paio di giorni prima, estraendone un dossier.
“Tutto quello che so è su questo fascicolo che tu stesso mi hai procurato. Kaori Taichi, 26 anni, originaria del Giappone. Sua madre esercitava il mestiere più antico del mondo, adesso sembra si trovi in una clinica per disintossicarsi dall’eroina. Questo è interessante: la Taichi ha una sorella, Sayuri Taichi, 16 anni. Si trova nell’istituto gestito dalle Suore della Sacra Famiglia, il miglior college religioso di tutta New York. Duvall deve aver speso un sacco di soldi, pur di liberarsi della cognatina. Duvall e la moglie sono sposati da 7 anni. Lei aveva solo 19 anni all’epoca. Non vedeva l’ora di essere trattata come una regina, scommetto.”
“Smettila con i tuoi pregiudizi. Non deve essere facile essere sposati con un uomo come Duvall.”
“Se io fossi una bella donna, e potessi avere gioielli, vestiti, ricevimenti e uomini a volontà, probabilmente sarei disposta a rinunciare ad un po’ di libertà, pur di ottenere quello che voglio.”
“Io sono sempre dell’idea che bisogna viverle, certe situazioni, prima di giudicare le scelte della gente.”
“Sei e rimarrai sempre un inguaribile romantico, Mick. Apri gli occhi, amico, lì fuori è pieno di persone che non vedono l’ora di mettertela in quel posto. Soprattutto le donne.”
Pronunciò l’ultima parola come se si trattasse di una bestemmia.
Mick scosse la testa.
Era inutile ragionare con quel testone, tanto non avrebbe mai cambiato idea.
O almeno fino a quando non avesse incontrato una donna capace di farlo ricredere…
“Insomma Ryo, tornando al nostro piano…quale sarebbe precisamente il mio ruolo?”
“Tu devi soltanto appoggiare tutto quello che io dico alla signora. Poi dovrai aspettarmi in macchina con il motore acceso, in modo che appena io esco dalla cosa di Duvall con la donna, tu premi l’acceleratore a tavoletta e ce la filiamo ancor prima che Duvall e i suoi scagnozzi abbiano nemmeno capito quello che è successo. Tutto chiaro?”
“Mmmh…non so, Ryo, ho l’impressione che le cose non andranno così lisce…stiamo parlando dell’uomo più potente della città…”
“Mick…”
Il tono di Ryo era minaccioso e nervoso insieme.
Mick alzò le mani, in segno di resa.
“Va bene…facciamo come vuoi tu.”
“E che Dio ce la mandi buona”, sussurrò poi, ma Ryo era già uscito e non lo sentì.
Kaori osservò la busta bianca posata sul tavolo.
Conteneva una lettera da parte di due preti missionari, che chiedevano l’aiuto economico dei Duvall per sostenere un progetto teso alla costruzione di due scuole materne in Sierra Leone.
Lei aveva sentito spesso parlare delle condizioni disumane in cui quei bambini vivevano, vittime innocenti di guerre senza ragioni.
E poi, trattandosi di scuole materne e di bambini piccoli…
Era particolarmente sensibile al problema.
Aveva chiesto a suo marito di poter ricevere i due missionari, ma lui stava uscendo e le aveva risposto che ne avrebbero parlato al suo ritorno.
In quel momento Mark si stava spogliando, e lei aspettava che lui finisse di rivestirsi, cercando di non mostrare la sua impazienza.
Con una elegante vestaglia addosso, suo marito finalmente la raggiunse.
“Allora, cara? Di cosa dovevi parlarmi?”
“Ecco, io…”
Era sempre nervosa quando doveva chiedere qualcosa al marito, perché aveva paura che lui rifiutasse o, peggio, che le proponesse uno dei suoi malvagi ricatti, che lui invece preferiva chiamare “compromessi”.
Prese un respiro profondo, tendendo la lettera al marito.
“Due preti missionari mi hanno chiesto di partecipare ad un incontro in chiesa con loro, per discutere circa un progetto per il quale vorrebbero il nostro supporto finanziario. Avevo pensato di accettare. D’altronde, fare beneficenza procura una pubblicità positiva alla tua compagnia, non è così?”
Il marito la osservò per un lungo istante, poi abbassò gli occhi sulla lettera e la lesse.
“Ti darò la mia risposta stasera. Prima voglio far analizzare questa lettera per verificare che la comunità religiosa a cui questi due preti dicono di appartenere esiste veramente. Se tutto dovesse risultare in regola, potrai incontrate i due missionari. Tu sai come vanno queste cose, amore, ci sono in giro un sacco di impostori che si spacciano per chi non sono, pur di ottenere un assegno da me.”
Kaori sospirò, sollevata.
L’ostacolo più difficile era stato superato.
Adesso restava da vedere cosa avrebbe dovuto fare lei in cambio.
“Però amore, anche io devo chiederti un piccolo favore…”
Lo sapeva.
Duvall non regalava mai nulla, non dava mai niente per niente.
Istintivamente, il suo corpo si irrigidì.
Chissà cosa le avrebbe chiesto questa volta…
“Certo, Mark.”
La sua voce risultò falsa alle sue stesse orecchie.
“Dovrai accompagnarmi in Giappone per il mio prossimo viaggio d’affari. Partiremo la settimana prossima.”
Quando sentì la destinazione, Kaori sussultò.
Il giorno in cui il suo aereo era atterrato in America, aveva giurato che non avrebbe mai più messo piede in Giappone.
Troppi cattivi ricordi, troppi scheletri nell’armadio…
E Mark lo sapeva.
Giocava con i suoi nervi con la stessa facilità con cui investiva in borsa.
E in entrambi i casi, era lui, il vincitore.
Se voleva aiutare quei bambini, avrebbe dovuto cedere anche stavolta.
“Ti accompagnerò, Mark.”
Duvall sorrise, trionfante.
“Benissimo. Adesso devo incontrare un cliente, amore. Ci vediamo stasera.”
Si lasciò baciare dal marito, docile, mentre avrebbe soltanto voluto non avergli mai rubato il portafoglio, quel maledetto giorno di dieci anni prima.
“Ma quando arriva, Ryo? Questo dannato saio mi sta facendo sudare. Non sono adatto a fare il prete nemmeno per finta.”
“Smettila di lamentarti sempre. E ricorda che da adesso in poi io sono padre Faulkner, per te.”
Ryo era sempre più nervoso.
Guardò l’orologio al suo polso.
Le quattro e cinque.
L’appuntamento era alle quattro.
Perché lei era in ritardo? Che avesse deciso di non venire più?
Dopo un paio di minuti, il pesante portone di quercia della chiesa si aprì, poi si richiuse.
Un raggio di luce illuminò l’interno della chiesa, buio e profumato di incenso.
Una donna, con indosso un paio di jeans, una mogliettina a mezze maniche e ai piedi un paio di scarpe da ginnastica si stava avviando verso di loro.
Ryo non riusciva a vederla bene in volto, alla tenue luce proveniente dalle feritoie lungo le navate laterali, ma quasi non la riconobbe, con quei semplici vestiti.
Quanto era bella, però…
Si impose di non pensare a cose oscene.
Era pur sempre in chiesa, dopotutto!!
Anche Mick era rimasto a bocca aperta, e lui fu preso da un immotivato moto di gelosia, lo stesso che lo aveva colto quando aveva visto Kaori Duvall in atteggiamenti intimi con Fabian McKinsley.
Questo lo fece infuriare, così se la prese con lei.
“È in ritardo, signora Duvall. Ha avuto altro da fare?”
Pronunciò queste parole con un tono talmente allusivo che la donna arrossì, dispiaciuta, mentre Mick gli diede una gomitata nelle costole.
“Sei matto? Vuoi mandare a monte tutta la copertura?”, gli sibilò l’americano tra i denti.
“Signora, scusi il mio amico. Ha vissuto nei villaggi africani per così tanto tempo che ha dimenticato le buone maniere. Vero, padre Faulkner?”
Ryo si inchinò leggermente, sentendosi ridicolo nel suo saio.
“Padre Gabriel ha ragione, signora Duvall. Mi scusi tantissimo.”
Lei gli sorrise.
“Non si preoccupi. Effettivamente sono in ritardo, ma mio marito ha molti nemici e voleva prima controllare che la lettera fosse autentica, e non quella di due impostori. Anche se io ero sicura della vostra buona fede, sapete.”
Ryo si sentì da un lato sollevato, dall’altro provò un senso di disagio.
Era sollevato, perché per fortuna aveva avuto l’idea di assumere l’identità di un prete suo amico, che realmente esisteva ed operava con altri volontari in Sierra Leone. Lo stesso valeva per Padre Gabriel, impersonato da Mick.
Ma era anche a disagio, perché aver tradito la fiducia della donna gli aveva provocato uno strano senso di colpa.
Cercò di ricacciarlo.
Mark Duvall si era sentito in colpa, quando aveva liberato l’assassino del suo migliore amico?
No.
Allora perché doveva sentirsi in colpa lui?
Cominciarono a parlare alla donna del progetto, mettendo assieme informazioni reali e particolari inventati sul momento.
Lei sembrava estasiata, anche se Ryo notò che quando si parlava dei bambini un velo di tristezza cadeva sui suoi occhi.
Forse voleva un figlio suo e non era in grado di concepirlo…
Dopo una ventina di minuti, la donna invitò i due uomini a casa sua, proprio come loro avevano previsto.
L’assegno era pronto, sul tavolo di casa sua, però Kaori sentiva di dover fare una cosa, prima.
Mentre i due preti si avviavano verso l’uscita, richiamò padre Faulkner, spinta da una necessità più grande della sua volontà.
Quel prete le ispirava fiducia, non sapeva perché…
Forse perché aveva degli occhi tormentati, forse perché aveva origini giapponesi come lei, come aveva desunto dal suo accento…
“Padre Faulkner, mi scusi…vorrei chiederle un favore.”
Si girò verso di lei, nervoso.
“Certo, signora Duvall…mi dica.”
“Ecco…io…vorrei confessarmi, se non le dispiace.”
Ryo Saeba cominciò a sudare freddo.
Erano decenni che non si confessava, non sapeva nemmeno cosa andava detto in quelle circostanze…
Ma non poteva mandare a monte la copertura, e poi forse la signora Duvall gli avrebbe confessato particolari utili per incastrare Duvall…
Sentendosi un verme e un blasfemo, Ryo entrò nel confessionale.
Kaori si inginocchiò davanti a lui.
Un sottile pannello intarsiato li separava, e Ryo riusciva a percepire il profumo dolciastro della donna, il suo respiro leggero.
Lei rimase in silenzio.
Forse era lui che doveva dire qualcosa per cominciare la confessione…era sempre più agitato.
“Bene…ehm…figliola…sorella…ehm…mi confessi tutti i suoi peccati…”
Sicuramente non era così che le cose andavano, ma la donna era così concentrata in quello che doveva dirgli che nemmeno ci fece caso.
“Padre io…devo confessarle una cosa terribile. Ho peccato e merito di essere punita per questo.”
Ecco, si disse Ryo, ora lei gli avrebbe elencato i nomi degli uomini con cui aveva tradito suo marito, chiedendo l’assoluzione per tutte le sue colpe.
Inaspettatamente, invece, lei cominciò a piangere, silenziosamente.
“Ho perso un bambino, padre.”
Vi ringrazio infinitamente per i commenti...continuate a farmi sapere se questa storia vi piace!Un bacio, al prossimo capitolo!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
“Ho perso un bambino, padre.”
Ryo sbarrò gli occhi, spiazzato.
Era pronto ad ascoltare particolari scabrosi sulla sua vita privata, racconti di festini all’insegna di sesso e droga, ma non si sarebbe mai aspettato di sentire da lei quelle parole.
Né era preparato al suo pianto, che aveva qualcosa di dignitoso che lo colpì profondamente.
Attraverso gli intarsi del divisorio, lui la vide piegare il capo, mentre i suoi capelli castani e lucenti le coprivano il volto.
Poi lei sollevò una mano, senza nemmeno rendersene conto, e la appoggiò sul pannello di legno che li divideva.
Ryo era sempre più a disagio.
Non sapeva cosa dire, non sapeva se doveva confortarla o disprezzarla.
Era pur sempre la moglie del suo nemico…
Tuttavia, quando vide quella mano diafana a pochi millimetri dal suo viso, istintivamente premette il palmo della sua mano contro quello della mano di lei.
Il contatto non fu totale, perché c’era sempre il pannello di mezzo, ma Ryo sentì comunque una sorta di scarica elettrica propagarsi in tutto il suo corpo a partire dal palmo sudaticcio della sua stessa mano.
Fu solo un attimo, perché la donna ritrasse immediatamente la mano, smettendo di piangere.
Kaori era rimasta sconcertata dal suo stesso atteggiamento.
Perché aveva confessato il suo terribile segreto a quel prete che nemmeno conosceva?
Lei aveva un padre confessore, eppure non era mai riuscita a parlargli di quello che le era successo.
E adesso si ritrovava a piangere in una chiesa buia, davanti ad un frate missionario che aveva incontrato quel giorno stesso per la prima volta.
Senza nemmeno rendersene conto, quasi a cercare un qualche sostegno più morale che materiale, aveva poggiato la mano contro il pannello di legno che la separava dal prete.
Poi, improvvisamente, aveva sentito un contatto, fugace ma pur sempre presente, come se il prete le avesse toccato la mano.
Ma ciò non era possibile, ovviamente.
Ad un prete non sarebbe mai stato concesso di toccare una donna durante un confessionale.
Sicuramente era così bisognosa di conforto che aveva immaginato tutto.
Eppure quella strana sensazione l’aveva turbata, così aveva ritratto la mano, istintivamente come l’aveva poggiata.
“Vuole dire che ha abortito?”
La voce del prete la fece sobbalzare.
Le sue parole la fecero rabbrividire.
“Certo che no! Non l’avrei mai fatto…”
La donna era evidentemente indignata dalla sua domanda.
Cosa avrebbe dovuto pensare, d’altronde?
Lei gli aveva confessato la perdita del bambino come se si trattasse di un peccato, come se fosse stata lei stessa a volerlo.
Lui ne aveva tratto le dovute conclusioni, che però, stando a quanto la donna aveva appena affermato, erano forse troppo affrettate.
Del resto, c’era da fidarsi di una donna del genere?
Di una donna che aveva sacrificato la sua libertà personale pur di vivere negli agi e nel lusso più sfrenato?
“Si è trattato di un aborto spontaneo…”
Non si aspettava che la donna continuasse a parlare, dopo ciò che lui aveva insinuato.
Ma lui non la interruppe, non fece domande.
Aspettò semplicemente che lei proseguisse il suo discorso.
“Aveva soltanto 5 settimane, ma io lo sentivo già parte di me. Si figuri che gli parlavo anche…”
La sua voce era fioca, addolorata, quasi nostalgica.
“Poi, una mattina, ho sentito un dolore fortissimo al ventre. Ho creduto di morire, ma non riuscivo a fare a meno di pensare al mio bambino. Mi hanno portata in una clinica, ormai avevo perso conoscenza. Quando mi sono svegliata, il medico mi ha detto che si era trattato di un aborto. Il più violento che lui avesse mai visto, e mi ha detto che ero fortunata ad essere ancora viva.”
Si fermò, traendo un profondo respiro tremulo.
Il silenzio nella chiesa era totale.
Ryo si rese conto che stava praticamente trattenendo il respiro.
“In quel momento non mi sentivo assolutamente fortunata. Avevo perso il mio bambino, la mia unica ragione di vita accanto a mia sorella Sayuri.”
La sicurezza di Ryo cominciò a vacillare.
Perché non aveva nominato suo marito, né i soldi, tra quelle che erano le cose a cui lei più teneva?
Si era forse sbagliato sul suo conto, e possibile che Mick avesse ragione?
Per un attimo, gli passò per la mente il dubbio che fosse in procinto di sbagliare tutto, rapendo quella donna.
Poi, però, il suo orgoglio ebbe la meglio.
Aveva pianificato tutto, non poteva rinunciare alla sua vendetta solo perché una bella donna gli aveva raccontato una storia triste.
Sempre ammesso che fosse vera.
Cercava di appigliarsi al sarcasmo e alla diffidenza, ma in realtà dovette ammettere almeno con sé stesso che la donna stava dicendo la verità.
Non avrebbe avuto nessun motivo per mentire, soprattutto su un tema così delicato come la perdita di un figlio.
Però rimaneva sempre il fatto che lei evidentemente si sentiva in colpa per qualcosa.
Si decise a parlare, alla fine.
“E allora, figliola, perché lei si sente in colpa?”
Kaori fu estremamente sorpresa dalla domanda del prete.
Lei non aveva mai parlato di sensi di colpa, ma evidentemente il suo rimorso grondava da ogni sua parola.
Oppure quello strano sacerdote era particolarmente sensibile a cogliere i sentimenti che si agitavano nel suo intimo.
Inspirò profondamente, prima di rispondere.
Era stato difficile ammettere perfino con sé stessa, ciò che stava per confessare.
“Mi sento in colpa…terribilmente in colpa…perché mi sono sentita sollevata, quando mio figlio è morto. Si rende conto, di che razza di mostro ha davanti?”
Adesso la donna sembrava abbattuta, rassegnata.
Non piangeva nemmeno più.
Forse le lacrime non sarebbero state sufficienti per esprimere il dolore di una donna costretta a convivere ogni giorno con un rimorso che probabilmente la dilaniava, impedendole di dormire, durante la notte, e di dimenticare, durante il giorno.
Ancora una volta, Ryo rimase in silenzio.
Ancora una volta, gli mancavano le parole, combattuto tra vendetta e dispiacere.
Immaginava perché la donna avesse desiderato perdere suo figlio.
Il figlio suo e di Duvall.
Alla fine fu lei a parlare per prima.
“Secondo lei, padre, il Signore mi ha tolto il mio bambino perché altrimenti sarei stata una cattiva madre per lui?”
Ryo percepì il tono di urgenza e il bisogno di assoluzione contenuti in quella domanda.
In realtà lui non era nessuno, per assolvere la donna.
Tuttavia, non se la sentì di lasciarla con quel terribile dilemma.
“No, signora Duvall. Solo che a volte il Signore ha dei progetti più grandi di noi, che noi piccoli esseri umani non riusciamo a comprendere…”
Non era molto originale, come predica, ma sortì l’effetto desiderato.
La donna si alzò, lisciandosi pieghe immaginarie sul tessuto degli impeccabili jeans.
“La ringrazio, padre.”
Ryo comprese che la confessione era finita, e che lei non gli avrebbe più rivelato particolari interessanti circa suo marito.
La cosa che lo infastidì maggiormente, fu il fatto che lui si era completamente di Duvall, mentre parlava con la donna.
Mick aveva ragione.
Doveva stare attento, quella donna aveva già troppo potere su di lui.
Uscì dal confessionale, seguendo la donna verso l’uscita della chiesa.
Prima di raggiungere Mick, che li aspettava fuori, si girò verso l’altare che aveva di fronte.
Si ritrovò a fissare un grande mosaico raffigurante la Vergine con il Bambino.
Pur non essendo particolarmente religioso, Ryo Saeba si fece il segno della croce.
Mick Angel vide finalmente la donna uscire dalla chiesa, seguita dal suo amico.
Stava cominciando a preoccuparsi.
Erano venti minuti che li aspettava.
Li aveva lasciati soli, uscendo dalla chiesa, dopo che Ryo gli aveva fatto un cenno con la mano.
Aveva capito che un piccolo inconveniente aveva intaccato il loro piano perfetto.
Anche troppo perfetto, pensò Mick.
Dopo dieci minuti, l’americano aveva cominciato a sudare freddo.
E se Ryo avesse avuto uno dei suoi soliti colpi di testa e avesse deciso si stravolgere il piano, rapendo la donna da solo?
Quando aveva visto Ryo venire verso di lui con la signora Duvall, aveva tirato un sospiro di sollievo.
Tuttavia, era curioso.
Cosa era potuto succedere in quella chiesa?
Se si fosse trattato di un altro luogo, e soprattutto di un’altra donna, Mick non avrebbe avuto dubbi, su come i due avessero impiegato quei venti minuti.
Ma cosa avrebbe potuto fare Ryo, in una chiesa, con la moglie di Duvall, in quel lasso di tempo?
Avviandosi verso il furgoncino bianco che avevano usato per raggiungere l’edificio sacro, si ripromise di informarsi non appena la situazione si fosse stabilizzata.
Entrò nella macchina, poi mise in moto.
Ryo si sedette accanto a lui, ma la donna si diresse invece verso una autovettura nera dai finestrini oscurati, che Mick non aveva notato prima, parcheggiata dalla parte opposta rispetto a quella dove si trovavano loro.
Il finestrino del guidatore si abbassò lentamente, scoprendo il volto di un uomo di colore, all’apparenza alto almeno due metri e largo quanto un armadio.
La sua guardia del corpo, evidentemente…
Gli era sembrato strano, che lei fosse venuta all’appuntamento da sola.
Dopo aver confabulato con l’uomo per un paio di minuti, Kaori Duvall si avvicinò al loro furgoncino, aprendo lo sportello posteriore e sedendosi sul consunto sedile di pelle.
“Scusatemi, ho avvisato il mio autista che sarei venuta in macchina con voi. Sapete, Bill esegue i precisi ordini di mio marito…”
Tacque, forse timorosa di aver parlato troppo.
Mick innestò la marcia, poi premette l’acceleratore, rilasciando lentamente la frizione.
La macchina si avviò, lentamente.
Mentre la donna gli dava indicazioni su come raggiungere la sua villa, indicazioni che peraltro lui già conosceva a memoria, Mick Angel ruotò lo specchietto retrovisore verso sinistra.
Era proprio come sospettava.
L’uomo nero nel bolide altrettanto nero li stava seguendo.
Scartò una chewingum, mettendola in bocca e masticandola nervosamente.
Mentre si avvicinavano sempre più alla tana del lupo, Mick Angel ebbe la spiacevole sensazione che le cose sarebbero state più difficili del previsto.
In questo capitolo il punto di vista cambia continuamente da Ryo a Kaori...il mio intento è quello di descrivere sensazioni ed emozioni di entrambi i personaggi, di "entrare" in loro...spero che il risultato non sia troppo ripetitivo o disordinato!!Aspetto commenti...e grazie per quelli passati. Baci
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
La casa di Duvall era esattamente come se la ricordava.
Imponente, maestosa, appariscente quanto una vera e propria reggia.
Quando gettò un’occhiata al gazebo, Ryo deglutì nervosamente.
Aveva una sola immagine in mente, quella di una bellissima donna vestita di nero con il volto di bambina e gli occhi estremamente tristi e malinconici.
In pochi giorni era riuscito a scoprire, anche se per puro caso, sia l’identità della donna sia il motivo del suo sguardo.
La cosa aveva raggiunto livelli preoccupanti.
Ultimamente si ritrovava a pensare a Kaori Duvall con più intensità di quanto pensasse a sua moglie.
Anzi, alla sua ex-moglie.
Cercava di autoconvincersi che la signora Duvall rientrasse nei suoi pensieri di riflesso, solo in qualità di moglie del suo nemico.
Ma questa scusa non reggeva più, visto che quando pensava a lei, la considerava sotto tutti i punti di vista, tranne che come moglie di Duvall.
Era arrivato persino a sognarla.
Ed erano sogni, i suoi, rigorosamente vietati ai minori.
Scosse la testa, cercando di scacciare quei pensieri impuri e del tutto inappropriati alle circostanze, visto che aveva ancora indosso quel saio che lo stava facendo soffocare.
Kaori Duvall era una bella donna, e lui era un uomo.
Era normale che nutrisse certi pensieri su di lei.
Assolutamente normale…
E poi si era accorto che anche Mick non era rimasto immune al fascino della donna, e in macchina l’americano e la donna avevano chiacchierato allegramente per tutto il tragitto, mentre lui se ne stava zitto guardando fuori dal finestrino e cercando di non dare a vedere il suo nervosismo.
Aveva voglia di spaccare la faccia a Mick, e questo era preoccupante, perché in gioventù avevano flirtato con molte donne, e l’amico biondo gliene aveva soffiate parecchie, ma mai si era sentito così irritato.
Comunque, adesso doveva concentrarsi solo ed esclusivamente sul rapimento della donna.
Nessun errore era permesso, nemmeno minuscolo, altrimenti il tizio nero che seguiva Kaori Duvall come la sua ombra avrebbe fatto di loro due simpatici scolapasta.
Sotto l’ascella dell’omone era ben visibile una pistola che, a giudicare del rigonfiamento piuttosto pronunciato, era sicuramente una automatica.
Ma lui non era uno sprovveduto, e il suo innocuo saio da francescano lungo fino ai piedi nascondeva un paio di pugnali nonché la sua inseparabile Python.
La donna stava dicendo a Mick che era stata lei stessa a voler costruire un gazebo, e che da quel piccolo spazio era possibile vedere la costellazione del Cigno.
Ed eccolo di nuovo, quel desiderio di strozzare Mick…
Li raggiunse, poi entrarono in casa, anche se chiamare “casa” quella reggia in cui avevano messo piede gli sembrava decisamente riduttivo.
Un ampio salone, grande il doppio del suo appartamento, occupava interamente il primo piano.
Era lì che si tenevano i ricevimenti organizzati da Duvall, riflettè Ryo.
Alle pareti erano appesi dei quadri di Van Gogh, Manet, Picasso e Chagall, e Ryo ebbe la sensazione che non fossero riproduzioni, ma originali.
Già quei quadri, da soli, valevano il triplo di quanto guadagnava lui annualmente al Dipartimento…
Forse aveva sbagliato mestiere, avrebbe dovuto fare l’avvocato.
Sorrise beffardamente.
“Perché sorride?”
La voce della donna lo riscosse dai suoi pensieri.
Lei gli si avvicinò.
“Le piace l’arte, a quanto vedo.”
“Mi stavo semplicemente chiedendo se questi quadri sono riproduzioni oppure originali.”
Lei lo guardò negli occhi.
Il suo esame attento lo mise a disagio.
“Sono tutti originali firmati dagli autori. Lei si intende d’arte, padre Faulkner?”
“Ad essere sincero no. Lei, signora Duvall?”
Per la prima volta vide un vero sorriso sul volto della donna.
“Adoro l’arte. Sono stata io stessa a comprare questi quadri da un collezionista privato che stava per venderli ad un museo. L’arte è il mezzo d’espressione più potente che esista, non crede? È incredibile quanto è possibile comunicare solo attraverso una pennellata su una tela bianca.”
Lui non seppe risponderle.
Era rimasto totalmente affascinato dallo sguardo estasiato della donna.
Ancora una volta, il tarlo del dubbio tornò a roderlo.
Ma poi lei li invitò in cucina, e lui cercò di scacciare il suo fantasma.
La cucina stonava con il resto della casa.
Era piccola ed accogliente, quasi costruita a misura sulla signora Duvall.
Lei prese una caffettiera, ci mise dentro acqua e caffè e dopo appena 5 minuti un buon odore di caffè appena fatto solleticò le sue narici.
Non pensava che la moglie di un potente e facoltoso avvocato sapesse cucinare anche solo un caffè.
Era convinto che le donne ricche come lei avessero alle proprie dipendenze decine di donne delle pulizie e di cuoche.
Invece, dovette ammettere che il caffè era decisamente buono.
Molto meglio di quello che gli preparava ogni mattina Reika…
Stava per addentrarsi su un sentiero spinoso, così decise di cambiare il corso dei suoi pensieri e di concentrarsi sul piano.
Su una mensola accanto al frigorifero vide un rettangolo di carta ripiegato.
Si trattava quasi sicuramente dell’assegno.
Infatti lei lo prese e glielo tese.
Lui lo afferrò, guardandolo.
Come sospettava, l’assegno portava la firma di Mark Duvall.
Probabilmente la donna non aveva un conto suo, ma doveva ricorrere al marito per ogni sua spesa.
Un altro modo per controllarla, evidentemente…
Silenzioso come un’ombra, Bob entrò nella stanza, schiarendosi la voce per annunciare la sua presenza.
“Signora Duvall, mi scusi…c’è la sua amica Miki al telefono.”
Lei si scusò con loro, poi si allontanò verso il soggiorno, seguita dal gorilla.
Ryo e Mick si guardarono negli occhi.
“Tu resta qui…e quando stanno per tornare tossisci. Vado a dare un’occhiata in giro.”
“Ma Ryo, ti è completamente dato di volta il cervello? Vuoi farci scoprire? Resta qui, torneranno tra un minuto.”
“Mick, fidati di me. Voglio solo vedere dove conduce quella porta sulla destra.”
Senza dare all’amico il tempo di replicare, Ryo si appiattì contro il muro, cercando di fare il meno rumore possibile.
Aprì la porta della stanza incriminata, ritrovandosi in una sorta di spogliatoio femminile.
Nella piccola stanza dalle pareti lilla, c’era una poltrona, un paravento e, accanto, una piccola toeletta.
Sul divano erano poggiate alla rinfusa un paio di camice da notte di seta, delle autoreggenti e alcuni capi di biancheria intima.
Per un attimo la sua mente malata visualizzò la donna con quegli indumenti addosso, e fu una immagine che lo fece gemere.
Diverse paia di scarpe con il tacco erano gettate qua e là per la stanza.
Chi l’avrebbe mai detto, che la tanto impostata signora Duvall fosse così disordinata…
Entrò nella piccola toeletta.
C’era uno specchio, sopra il lavandino.
Ai lati dello specchio, c’erano due ante.
Le aprì, ma non ci trovò niente di particolare.
Una conteneva medicinali, qualche tranquillante e antidepressivo, una scatola di preservativi e una di cerotti.
L’altro conteneva le “armi” della donna: trucchi, spazzole, nastri per capelli, ceretta a caldo ed una elegante boccetta di cristallo contenente del talco profumato.
Ryo la aprì, aspirandone l’odore.
Era lo stesso che aveva sentito poco prima, mentre la confessava.
Sentì Mick tossire nervosamente, così rimise velocemente a posto la boccetta, e ritornò nella cucina.
Fece appena in tempo a sedersi e prendere in mano la sua tazzina di caffè ormai vuota, che la donna fece ritorno, seguita fedelmente dal suo cagnolino personale.
“Scusatemi…una mia amica giapponese mi ha appena dato una splendida notizia: è incinta!”
Cercava di apparire allegra, ma Ryo si rese conto che era in procinto di piangere.
Certo, non doveva essere facile per lei condividere la gioia della sua amica per un bambino in arrivo, mentre lei ne aveva perso uno.
Ebbe l’insana voglia di abbracciarla.
Quella storia l’aveva scosso più del dovuto. Doveva riacquistare la calma, anche perché stava per scattare la parte più difficile e pericolosa del piano.
“Mi piacerebbe ricevere delle foto di quei bambini, se non vi dispiace. Magari vi lascio il mio indirizzo, così mi fate sapere se va tutto bene.”
“Non ci sono problemi, signora Duvall. La ringraziamo davvero tanto per la sua clemenza. Quei bambini le saranno grati per tutta la vita.”
Lei sorrise, triste.
“Che Dio la benedica.”
Detto ciò, Mick imbastì una scusa, avviandosi verso il furgoncino.
Mise in moto e attese, proprio come Ryo gli aveva detto.
La donna accompagnò Ryo alla porta.
Il gorilla stava per seguirli, ma lei lo fermò con un cenno della mano.
“Resta qui, Bob. Non c’è bisogno che mi accompagni, voglio parlare un attimo da sola con padre Faulkner.”
Il nero sembrò esitare, poi però tornò dentro, richiudendo la porta dietro di sé.
Rimasero sulla veranda, da soli.
Non era mai stato così nervoso in vita sua.
Mick era in macchina, il gorilla era fuori dalle palle.
Doveva agire, e subito.
“Padre Faulkner, la ringrazio davvero tanto per quello che…”
La frase della donna si concluse con un rantolo, quando lui le chiuse la bocca con la mano.
Lei sbarrò gli occhi, terrorizzata.
“Non si preoccupi, signora Duvall. Lei adesso verrà con noi.”
La donna cominciò ad ansimare, cercando di mordergli la mano.
Non se l’aspettava così combattiva, ma dovette ammettere con un pizzico di masochismo che la cosa gli faceva piacere.
Sollevò la donna, gettandosela sulla spalla come un sacco di patate.
Cominciò a correre, mentre Mick gli apriva la portiera.
Gettò la donna sul sedile posteriore, poi si sistemò accanto a Mick.
L’americano non gli diede nemmeno il tempo di chiudere lo sportello, che già stava partendo a tutto gas.
“Sei matto? Vuoi uccidermi?”
“Forse non te ne sei accorto, caro Saeba, ma il gorilla ci ha visti.”
Ryo si girò verso la casa.
Effettivamente Bob si stava precipitando verso la macchina nera e, dopo aver messo in moto, si lanciò al loro inseguimento.
Fortuna che erano le dieci di domenica mattina, e le strade erano praticamente libere…
Mick guidava come un pazzo, sterzando violentemente per seminare l’uomo.
La donna urlava, isterica.
Spazientito, perse il controllo.
Estrasse la pistola, girandosi verso la donna e puntandogliela sul petto.
“Stia zitta, altrimenti la ammazzo. Chiaro?”
Le pupille della donna erano dilatate.
Era evidentemente terrorizzata.
Lei annuì, smettendo di agitarsi e di strillare.
Si mise una mano sul petto, cercando di ricacciare indietro il panico.
Sembrava che stesse per venirle un infarto…
Ci mancava solo quello, pensò Ryo.
Il nero era ancora dietro di loro, e si stava avvicinando sempre più pericolosamente.
Il cartoccio sul quale si trovavano non era in grado di reggere il confronto con il bolide del gorilla.
A mali estremi…
Ryo impugnò la pistola, sporgendosi dal finestrino.
Puntò alle ruote del fuoristrada, ma in quel momento Mick prese una buca della strada, così il proiettile sparato da Ryo non colpì il bersaglio, rimbalzando contro l’asfalto.
L’uomo rispose al fuoco, sparando una serie di proiettili contro di loro.
Dalla veloce successione dei colpi, Ryo ebbe la conferma che si trattava di una automatica.
Il parabrezza posteriore andò in frantumi, mentre la donna urlava.
Mick imprecò.
La situazione gli stava sfuggendo di mano, e il fuoristrada era sempre più vicino.
Ryo passò sul sedile posteriore, spingendo la testa della donna verso il tappetino della macchina per esortarla a nascondersi.
Poi, attraverso il parabrezza ormai inesistente, sparò una serie di rapidi colpi in successione.
Uno colpì l’uomo alla spalla.
Il nero sbandò leggermente, ma poi rispose al fuoco.
Sparò una serie di colpi, sostituendo poi la cartuccia.
Approfittando di quel momento, Ryo mirò alla gomma anteriore destra.
Quando era ancora una recluta, i suoi superiori si congratulavano sempre con lui per l’ottima mira.
La sua specialità era lo “one hole shot”: sparare nello stesso identico punto 6 pallottole da una distanza di 15 metri.
Non sempre gli riusciva, ma nel Dipartimento era diventato un mito per questa sua abilità speciale.
E anche questa volta non sbagliò mira.
La pressione della gomma esplosa fece sbandare il fuoristrada, cappottando la vettura.
L’uomo si tirò fuori dalla macchina, sparando un altro paio di colpi contro il furgoncino bianco, poi però si accasciò per terra sanguinante.
Ryo lo vide faticosamente estrarre un cellulare dalla tasca e comporre un numero sul tastierino.
Probabilmente stava chiamando Duvall per avvertirlo che la moglie era stata rapita.
Finalmente anche quel bastardo avrebbe capito cosa vuol dire perdere tutto nel giro di mezza giornata.
Sentì Mick sospirare.
“È fatta, Ryo. Adesso comincia la parte più difficile, però. Duvall mobiliterà l’intero continente per trovarla. Mi raccomando, stai attento. Non vorrei dover partecipare anche al tuo funerale, amico.”
Ryo gli diede una pacca sulla spalla.
“Grazie, Mick. Da ora in poi questa faccenda è affar mio. Torna da Kazue e fai finta di non avermi mai conosciuto.”
Mick aveva ragione.
Era riuscita a rapirla, ma adesso doveva riuscire a tenerla nascosta.
Il posto in cui intendeva portarla era praticamente inesistente su qualsiasi cartina, ma una buona percentuale di rischio bisognava sempre metterla in conto, quando in ballo c’erano persone ricche e potenti come Duvall.
Si girò verso la donna.
Perché rimaneva in silenzio?
Quello che vide gli fece ghiacciare il sangue nelle vene.
La moglie di Duvall era svenuta.
Il suo viso era estremamente pallido, e una macchia rossastra si era formata sulla maglietta, all’altezza dell’addome.
Era convinto che la donna avesse riportato solo qualche graffio dovuto ai pezzi di vetro del parabrezza, ma evidentemente si era sbagliato.
Una delle pallottole vaganti esplose dall’automatica del gorilla l’aveva colpita alla schiena.
La prese cautamente tra le braccia, voltandola.
La donna gemette leggermente.
Alzò la maglietta con timore.
Se il proiettile l’avesse colpita alla colonna vertebrale, sarebbe stata la fine.
Per entrambi.
Con suo enorme sollievo, vide che il proiettile l’aveva colpita di lato, senza intaccare la spina dorsale, ma comunque non c’era nessun foro di uscita.
La pallottola era rimasta dentro.
Ryo imprecò, e quando Mick si girò per controllare cosa fosse successo, ebbe una reazione analoga.
Dovevano portarla da un medico, altrimenti il proiettile avrebbe potuto fare infezione e la ragazza sarebbe potuta morire.
Ryo le poggiò una mano sulla fronte.
Aveva la febbre.
“Cazzo!”
Era furioso.
Le cose non dovevano andare così.
Aveva pianificato tutto nei minimi dettagli, a alla donna non sarebbe dovuto succedere niente.
Accarezzò dolcemente il volto diafano della donna.
Sembrava così indifesa in quel momento…
Ed era tutta colpa sua.
Non potevano portarla in ospedale, altrimenti i medici gli avrebbero fatto troppe domande come loro solito e tutto quel casino sarebbe risultato dannatamente inutile.
Però c’era un posto dove poteva portarla.
Si asciugò il sudore dalla fronte.
“Mick.”
L’americano si girò.
Anche il suo viso era pallido e tirato.
Stavano entrambi realizzando l’enormità di quello che avevano fatto.
Comunque fosse andata, ormai non potevano più fare marcia indietro.
“Portiamola dal Doc, Mick. È l’unica cosa che possiamo fare, adesso.”
Vi ringrazio tantissimo per i commenti!
Per Sempli: ciao Carmen, grazie mille per i commenti! Cmq posso solo dirti che nel tuo commento hai azzeccato qualcosa, ma non ti dico cosa, se no ti rovino la suspence!! cmq per quanto riguarda la questione del cognome di Kaori, è stato un mio errore di distrazione!Ti chiedo scusa, a te e a tutti coloro che leggono!Un bacione e grazie per i tuoi commenti sempre così approfonditi e gentili!
Continuate a commentare e a dirmi se vi piace come sta proseguendo la storia!Grazie mille..a presto!Baci a tutti
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
L’attesa era qualcosa che aveva sempre odiato.
Quello strano miscuglio di dubbio e di speranza, di preghiere e di bestemmie, di paura ma di voglia di sapere.
Kaori Duvall era chiusa nella stanzetta davanti a lui da almeno un’ora.
Eppure il Doc gli aveva detto che sarebbe stato un lavoretto semplice, dato che il proiettile non aveva leso organi vitali.
Ma allora, cazzo, perché ci stava mettendo così tanto?
Si alzò, le mani in tasca, facendo roteare lentamente le sue monetine.
Cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro, come un animale in gabbia, lanciando frequenti occhiate alla porta bianca e soprattutto ancora chiusa dietro la quale si trovava la moglie di Duvall.
Mick era tornato a casa sua.
L’americano si era opposto, ma lui era stato irremovibile.
Non voleva dover consolare anche Kazue, oltre che Saeko…
Il suo amico aveva già fatto tanto per lui, rischiando la vita.
Con gente come Duvall, non si scherzava.
Dopo aver accompagnato Mick, la sua unica preoccupazione era diventata la donna che avevano rapito, e che giaceva sanguinante e priva di coscienza sul sedile posteriore.
Aveva cercato di fermare l’emorragia in qualche modo, ma non aveva le mani molto ferme e non era sicuro di aver stretto bene il bendaggio di fortuna che aveva applicato attorno alle sue costole.
Quando l’aveva portata al laboratorio del Doc, l’anziano uomo l’aveva guardato un po’ stupito, ma non aveva fatto domande.
Come sempre.
Ryo lo stimava perché non era mai indiscreto, perché non faceva domande superflue e perché era dannatamente bravo nel suo lavoro.
Nonostante vivesse in una catapecchia, il suo laboratorio sotterraneo era dotato di tutte le apparecchiature mediche più sofisticate.
Prima di diventare un agente segreto, il passato di Ryo era stato molto turbolento.
Era giovane all’epoca, voleva tutto e subito.
Pensava che aver praticato arti marziali per una decina di anni lo avrebbe protetto da qualsiasi pericolo.
Ma era stato stupido, e si era messo in un brutto giro.
Aveva addirittura spacciato per un certo periodo, verso i sedici anni.
Allora tutto gli sembrava lecito, era machiavellicamente convinto che il fine giustificasse i mezzi.
Sempre e comunque.
Così, aveva pestato i piedi a chi non avrebbe nemmeno dovuto sfiorare camminando.
E ne aveva pagato le conseguenza.
La cicatrice sul petto gli faceva ancora male, nelle notti particolarmente umide.
Il Doc l’aveva trovato riverso per terra, in una pozza da sangue, lungo i binari di una ferrovia abbandonata alla periferia di Shinjuku.
Una coltellata al petto, lunga una decina di centimetri, per fortuna non abbastanza profonda da ucciderlo.
Bastava un millimetro in più e il temperino che avevano usato per accoltellarlo avrebbe reciso l’aorta.
E lui sarebbe morto.
Il Doc l’aveva portato a casa sua e aveva fatto di lui un moderno Lazzaro.
Era rimasto incosciente per un paio di giorni, sospeso nel limbo ovattato tra la vita e la morte.
Ma si era salvato.
Era stato salvato, per la precisione.
Aveva perso un bel po’ di sangue, e il Doc gli aveva donato il suo, visto che avevano lo stesso gruppo sanguigno.
AB positivo.
“Lo stesso di Gesù Cristo, lo sapevi?”, gli aveva detto il Doc, quando si era risvegliato.
Dopo quell’episodio, aveva cominciato a rigare dritto.
Aveva conosciuto Mick e era diventato amico del Doc.
Quando lui e Mick erano stati trasferiti in America, al Dipartimento di New York, avevano proposto al Doc di unirsi a loro.
Lui aveva accettato, all’unica condizione che la polizia non si immischiasse nei suoi affari.
I “clienti” del Doc erano barboni, teppistelli, ragazzini cresciuti troppo in fretta in un mondo troppo grande per loro.
Capri espiatori della società, spauracchi della borghesia newyorkese.
Gente che la polizia non avrebbe esitato a sbattere dentro.
Ryo non ci aveva pensato due volte.
L’America era impietosa, contro chi non poteva pagarsi l’assicurazione sulla sanità.
La gente come il Doc, che faceva tutto per niente, era la minoranza, in una città come quella dove ognuno pensava soltanto ai cazzi propri.
Quell’uomo sapeva cosa volesse dire il dolore.
Era stato lui stesso un veterano della guerra del Vietnam, lui stesso era stato in procinto di morire più di una volta.
Era diventato un medico per necessità, più che per aspirazione personale.
Ma poi si era innamorato della sua attività, e, con quella barba lunga e incolta e quell’aspetto davvero poco professionale, era diventato più bravo di molti medici dal fatturato annuo di miliardi di dollari.
E più umano, soprattutto.
Il Doc l’aveva trattato come una persona, non come un pezzo di carne da macello, come avrebbero fatto molti famosi medici iscritti all’albo.
Non lo aveva denunciato alla polizia.
Gli aveva concesso una seconda chance.
E lui gliene sarebbe stato grato per tutta la vita.
Spesso, quando aveva voglia di staccare la spina da tutto e tutti, prendeva la macchina e andava a casa del Doc.
La sua porta era sempre aperta.
Lui con una sigaretta in mano, l’uomo più anziano con la sua inseparabile pipa, parlavano del mondo e della vita, quasi fossero due filosofi francesi falliti e maledetti.
Gli anni passavano, il suo volto diventava più adulto, ma quello del Doc rimaneva immutabile, come se fosse un uomo senza passato e senza età.
Quanti anni aveva?
Ottanta?
O forse duecento?
Ma in fondo, aveva davvero importanza?
Quell’uomo conservava lo spirito di un bambino, era libero come nessun altro.
Era il padre che lui non aveva mai avuto, ma che aveva sempre desiderato.
La porta bianca davanti a lui si aprì lentamente, giusto il necessario per permettere al Doc di uscirne, poi si richiuse immediatamente alle spalle dell’uomo.
“Allora? Come sta?”
L’uomo si tolse gli occhiali tondi, pulendoli lentamente sul camice consunto ma pulito.
Guardò le lenti controluce, come per verificare che fossero davvero pulite, poi inforcò gli occhiali e gli lanciò un’occhiata tra il divertito e il lungimirante.
“Vedo che tieni molto a quella donna. Come mai, ragazzo?”
Sotto quello sguardo penetrante, che sembrava sapere più di quanto lasciasse intendere, Ryo si sentì arrossire come un ragazzino.
Il Doc aveva sempre quell’effetto su di lui.
Sapeva leggergli dentro come nessun altro, sapeva comprendere ciò che era ignoto perfino a lui.
Scherzando, il Doc gli diceva che sapeva scrutare la sua anima perché l’aveva vista molto da vicino, quando l’aveva operato.
E Ryo cominciava a credere che ciò fosse vero.
Borbottando, eluse la sua domanda.
“Posso vederla?”
“Ci sono state delle complicazioni durante l’intervento, ma lei sta bene. Per fortuna la pallottola non ha leso organi vitali, e anche se ha perso molto sangue adesso è fuori pericolo. Deve riposare, però.”
“Riposerà nel luogo in cui intendo portarla, Doc. Quanto durerà ancora l’anestesia?”
“Dovrebbe svegliarsi tra una ventina di minuti. Le ho somministrato l’estratto di un’erba medicinale abbastanza potente.”
Ryo sorrise nonostante tutto.
“Ancora con le tue erbe medicinali, Doc? Un giorno di questi farai secco qualcuno con i tuoi intrugli.”
“Figliolo, questa è tutta roba sana e genuina. È in quei dannati ospedali che iniettano veleno nelle vene. Merda che costa anche milioni, tra l’altro…”
Ryo sghignazzò, poi mise una mano sulla maniglia della porta bianca, aprendola lentamente.
“Mi raccomando, Ryo…non farla agitare…è reduce da una operazione molto dura, specie per una donna…”
Facendo un gesto di assenso con la testa, Ryo entrò nella stanza, richiudendo la porta alle sue spalle.
Il una vaschetta metallica vide il proiettile insanguinato, assieme a pezzi di vetro più o meno grandi.
Era nervoso oltre ogni limite.
Si avvicinò al lettino sul quale riposava la donna.
Il Doc aveva tirato una tendina, visto che probabilmente lei era completamente nuda.
Lui scostò lentamente la tendina, indeciso se fosse meglio per lui che lei fosse vestita oppure nuda.
Inutile farsi mille paranoie, comunque, visto che il suo corpo, di cui però poteva indovinare le curve sinuose, era coperto da un lenzuolo bianco.
Il viso della donna era pallido e tirato, due occhiaie violacee sotto i suoi occhi.
Nonostante tutto, rimaneva la donna più bella che avesse mai visto.
Un rivoletto di saliva, rossa di sangue, si era seccato all’angolo della sua bocca perfetta.
Bagnò la manica della sua T-shirt sotto il piccolo lavandino contro la parete destra, poi lo passò delicatamente agli angoli delle sue labbra.
Lei sospirò, ancora incosciente, ma lui ritrasse di scatto la mano, come se la donna lo avesse morso.
Maledicendosi perché una donna addormentata aveva avuto la meglio sui suoi nervi ferrei, si allontanò dal lettino.
Si sciacquò la faccia, poi uscì dalla stanza.
Il Doc non c’era.
Risalì lentamente le scale che aveva percorso con molta più frenesia appena un paio d’ore prima, con il dolce peso della donna fra le sue braccia.
Il Doc era di sopra, seduto su una consunta poltrona di pelle nera, e fumava la sua inseparabile pila, le gambe incrociate e gli occhi chiusi.
“Fai meditazione?”
Senza aprire gli occhi, il Doc sorrise.
“Rifletto sul destino crudele che tocca alle belle donne.”
Percependo che si stava per beccare una bella filippica paterna, Ryo roteò gli occhi.
Prese una maglietta pulita e un paio di pantaloncini dal borsone che aveva portato con sé, poi si diresse verso il bagno del Doc.
“Vado a farmi una doccia.”
La doccia era un centimetro quadrato delimitato da una tendina stinta, ma comunque si era lavato in posti peggiori, quindi…
“Ti profumi per la tua signora?”
La voce del Doc, ironica e bonaria, giunse alle sue orecchie nonostante il rumore del getto d’acqua.
Ryo sbuffò, senza rispondere, facendo finta di non aver sentito.
L’uomo non poteva vederlo, ovviamente, ma sul viso del Doc era comparso un sorriso strano, ed era un sorriso che sembrava contenere le risposte a tutte le domande del mondo.
Grazie per i commenti...non mi stancherò mai di dirlo!Un bacione e al prossimo capitolo...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
La testa le doleva in maniera strana.
Non era la solita emicrania, a cui lei era particolarmente soggetta e con cui aveva imparato a convivere.
Era una sensazione diversa, come se la sua testa fosse gonfia come un pallone ma pesante come un masso.
Il limbo ovattato che la circondava si dissolse a poco a poco.
I ricordi riaffiorarono alla sua memoria, all’inizio lentamente, poi le immagini si fecero sempre più rapide, concitate, lampanti.
Il suo bambino mai nato, sua sorella Sayuri, quel bastardo di suo marito, il Giappone, New York.
Un vortice di sensazioni ed emozioni, tutte in una volta, come se avesse assunto una droga particolarmente pesante.
Poi, un’unica immagine rimase impressa davanti ai suoi occhi ancora chiusi.
Due preti, vestiti con un lungo saio, che bevevano il caffè nella cucina di casa sua.
Due preti che evidentemente non erano preti, visto che l’avevano rapita.
E poi…
Si ricordò della confessione, di quel terribile segreto che aveva custodito per mesi e che aveva rivelato solo a quell’uomo.
A quell’uomo di cui si era istantaneamente fidata…
A torto.
A quell’uomo che le aveva puntato una pistola in faccia, intimandole di tacere.
Sentì l’ansia risalire, subdola e viscida lungo le sue vene, mescolandosi al sangue.
Il suo respiro accelerò, mentre un nuovo, violento attacco di panico la assaliva.
Ma non era impreparata.
Aveva imparato come dominare il suo sistema parasimpatico.
Lo scopo della terapia, alla quale si era sottoposta ormai da quasi un anno, era quello di prevenire gli attacchi di panico.
Non ci era ancora riuscita, perché arrivavano all’improvviso, senza nessun preavviso.
Lei sentiva soltanto la pressione salire, le orecchie fischiare e le pupille dilatarsi.
E adesso aveva quegli stessi sintomi.
Spalancò gli occhi, tirandosi a sedere con uno scatto repentino.
Un dolore acuto alle tempie la fece gemere.
Si prese la testa fra le mani, chiudendo nuovamente gli occhi.
Sentiva male dappertutto.
All’addome in particolare.
Si portò una mano al punto preciso dove il dolore era più intenso, e sentì sotto le dita la trama ruvida di una garza da medicazione.
Fu solo in quel momento che si rese conto di essere praticamente nuda.
Aveva indosso soltanto la biancheria intima, e un leggero lenzuolo.
Rabbrividì inconsapevolmente, e non per il freddo.
Era seduta su un lettino, che assomigliava spaventosamente a quello usato per le autopsie e che aveva visto centinaia di volte in CSI, il suo telefilm preferito.
Questo voleva forse dire che era morta?
Confusa, si guardò intorno.
La stanza era piccola, e alle pareti erano addossati macchinari sofisticati e all’apparenza molto costosi.
In un pensile di fronte a lei, si trovavano centinaia di flaconcini, contenenti presumibilmente medicinali, mentre su un piccolo tavolo vide diverse foglie, alcune ancora intere, altre invece sbriciolate finemente.
Che si trattasse di droga?
Era forse finita in mano a qualche trafficante di stupefacenti?
Strizzando gli occhi alla luce fioca della piccola lampadina che pendeva dal soffitto, Kaori mise a fuoco una porta metallica.
Il cuore cominciò a pompare sangue sempre più velocemente.
Quella porta era la sua unica via di uscita, la sua unica possibilità di salvarsi.
L’importante era uscire da quella stanza.
Poi avrebbe deciso il da farsi.
Era così che andavano affrontati i problemoni come quello.
Scomponendoli in problemi più piccoli e risolvendoli uno alla volta.
Almeno questo era ciò che la vita le aveva insegnato.
Si strinse il lenzuolo addosso, avvolgendolo intorno al suo corpo in modo che non la intralciasse nei movimenti.
Poi scese dal lettino, rabbrividendo quando i suoi piedi nudi vennero a contatto con il pavimento freddo.
Si avvicinò alla porta, sentiva il battito del cuore rimbombarle nelle orecchie.
Ancora qualche passo e avrebbe risolto il primo dei suoi problemi…
“Ben svegliata, signora Duvall.”
Quella voce, roca e bassa, la fece sobbalzare.
Proveniva da un punto imprecisato della stanza, probabilmente dall’angolo destro, che era quello più immerso nella penombra.
Si appiattì contro la porta, fissando ansiosamente nella direzione da cui sembrava provenire la voce dell’uomo.
Quando i suoi occhi si abituarono al buio che regnava nella stanza, riuscì a scorgere una sedia.
Seduto a cavalcioni c’era un uomo.
Non riusciva a vederlo bene, ma era sicura che si trattasse dell’uomo che si era presentato a lei come padre Faulkner.
E che probabilmente tutto era, tranne che un uomo dedito a Dio.
Sentiva il suo sguardo puntato su di lei.
Istintivamente, si strinse il lenzuolo addosso con più forza.
Era consapevole di essere intrappolata in una stanza immersa nella penombra, sola con un uomo che l’aveva rapita, e in più era mezza nuda.
Si trovava in una di quelle situazioni che lei avrebbe classificato come estremamente pericolosa.
Non tanto per la circostanza in sé, tanto per la presenza di quell’uomo.
Lei aveva imparato a non fidarsi del genere maschile, e questo era un uomo che aveva un certo ascendente su di lei.
Lo sentiva a pelle.
E questo rendeva quell’uomo pericoloso.
Estremamente pericoloso.
L’uomo si alzò dalla sedia, avvicinandosi a lei.
Si appiattì contro la porta ancora di più, quasi a volersi fondere con essa, mentre tutti i muscoli del suo corpo erano in tensione, pronti a scattare.
Quando l’uomo entrò nel cono di luce proiettato dalla fioca lampadina, ebbe la conferma ai suoi sospetti.
Il saio era scomparso, sostituito da una T-shirt e da un paio di pantaloncini.
Ma quegli occhi scuri e profondi erano gli stessi.
Chi era quell’uomo?
E soprattutto…cosa voleva da lei?
Vedendolo avvicinarsi sempre di più, la disperazione montò dentro di lei.
Era inerme, e lo sapeva.
L’uomo era alto e muscoloso, non l’avrebbe mai avuta vinta in uno scontro fisico con lui.
Si guardò freneticamente attorno, alla ricerca di un’arma che potesse tornarle utile.
Poi lo vide, posato sul tavolo alla sua sinistra.
La lama affilata scintillava.
Era un bisturi, di quelli utilizzati durante le operazioni chirurgiche.
Ed era così vicino alla sua mano…
Disperata, si slanciò verso il tavolo, ma un dolore lancinante al fianco la costrinse ad accasciarsi per terra, senza fiato.
L’uomo si affrettò a raggiungerla, inginocchiandosi accanto a lei.
Il lenzuolo era macchiato di rosso, lì dove aveva sentito una sorta di strappo.
Sentì l’uomo bestemmiare tra i denti, poi lui cercò di tirarle il lenzuolo di dosso.
Ora l’avrebbe violentata, ne era sicura…
Non doveva fidarsi degli uomini, erano tutti uguali, voleva tutti una cosa sola…
Strattonò il lenzuolo, stringendolo disperatamente, mentre lacrime di umiliazione le colavano lungo le guance.
“Mi faccia vedere la ferita, per Dio!”
L’uomo tirò il lenzuolo con più forza.
Il suono della stoffa strappata risuonò nella stanza, sovrapposto a quello del suo grido di terrore.
L’uomo si accorse solo allora del suo pianto silenzioso.
Le sembrò spiazzato.
Non fidarti, Kaori…
È solo un trucco per abbassare le tue difese…
Ricominciò a dimenarsi con più frenesia, mentre il dolore si faceva sempre più forte e qualcosa di viscido e caldo colava lungo la sua pancia.
“La smetta!”
L’uomo le prese i polsi tra le mani, alzandoli sopra la sua testa.
Sentì con orrore che il lenzuolo scivolava lungo il suo corpo.
“La prego…non lo faccia…”
L’uomo la fissò negli occhi.
“Signora Duvall…lei si è beccata un proiettile nello stomaco. Un mio amico dottore le ha estratto il proiettile, ricucendo poi la ferita. Evidentemente i punti di sutura sono saltati e la ferita si è riaperta.”
Le parlava con voce bassa, lentamente, senza mai distogliere gli occhi dai suoi.
Era lo stesso tono di voce che aveva usato nel confessionale, mentre le diceva che non era colpa sua se Dio le aveva sottratto il suo bambino…
Contro la sua stessa volontà, Kaori cominciò a tranquillizzarsi.
“Mi lasci vedere la ferita, signora Duvall.”
Fissò l’uomo di fronte a lei, a stento capendo il significato delle sue parole.
Vedeva solo quegli occhi neri come la notte che la fissavano.
Annuì impercettibilmente.
L’uomo strappò un lembo di lenzuolo, porgendoglielo.
“Se si sente più a suo agio, può coprirsi il seno con questo. L’importante è che mi lascia controllare l’addome.”
Lei afferrò il tessuto, stringendoselo al petto, segretamente riconoscente all’uomo per il suo gesto.
Sentì le dita dell’uomo tastarle l’addome.
Poi lui imprecò di nuovo, e quando ritrasse le dita vide che erano sporche di sangue.
Il suo sangue.
Stupita, abbassò lo sguardo.
Vedeva il sangue fuoriuscire dalla ferita, ma non sentiva dolore, solo una sensazione di leggerezza e di vuoto.
Mentre le sue palpebre diventavano sempre più pesanti, e tenere gli occhi aperti diventava sempre più difficoltoso, l’uomo la prese in braccio, e la riportò sul lettino.
Lo sentì urlare un nome, “Doc” o qualcosa del genere, poi però tutto si fece buio e ritornò nel limbo senza dolore e senza ricordi.
Questo capitolo è totalmente incentrato su Kaori...e su come affronta la situazione...spero che vi piaccia, io ad essere sincera non sono molto soddisfatta del risultato. Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate! Anche le critiche sono accettate, ovviamente...grazie...un bacio!
Grazie per i precedenti commenti...alla prossima!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
Ryo Saeba osservava pensoso il riverbero che la luce creava attraversando i vetri sudici della catapecchia del Doc.
Era tutto pronto per la partenza.
Bisognava solo aspettare che la donna si svegliasse, e questa volta non ci sarebbero stati intoppi.
Doveva allontanarsi di lì il prima possibile, per il bene suo e per quello del Doc.
Se, come era convinto, il gigante nero aveva immediatamente avvertito Duvall che sua moglie era stata rapita, di sicuro il bastardo aveva già cominciato a smuovere mari e monti per riavere la sua adorata mogliettina.
Anche se le strade erano deserte quando aveva portato Kaori Duvall a casa del Doc, non era da escludere che qualcuno li avesse visti.
E Duvall sapeva essere molto molto convincente, quando voleva.
Nessuno si sarebbe inimicato un tipo del genere, perché era potente, senza scrupoli, ed aveva i soldi, che erano il motore della società, in una città come quella.
I soldi facevano gola a tutti, tranne a quelli che non avevano più niente da perdere.
Come il Doc.
Come lui.
Non era mai stato interessato al denaro, anche se sapeva che nel suo Dipartimento c’erano parecchie talpe che si erano vendute a gente come Duvall o McKinsley.
Era per quello che non erano mai riusciti a mettere le mani su quei luridi bastardi.
Sembravano conoscere perfettamente i loro spostamenti, e questo implicava necessariamente che ci fosse qualcuno, dall’interno del Distretto, che passava loro le informazioni.
Una talpa.
E tutto per soldi.
Sputò per terra, amareggiato.
A cosa servono i soldi, quando la tua vita è appesa ad un filo?
Quando una spada di Damocle pende costantemente sulla tua testa?
Sentì qualcuno alle sue spalle schiarirsi la voce.
Si voltò, e vide il Doc appoggiato allo stipite della porta.
“La signora è sveglia, Ryo. Abbiamo fatto conoscenza. È davvero una donna deliziosa.”
Il suo sguardo sembrava estasiato, mentre parlava di lei.
Il Doc era un lupo solitario, aveva costruito attorno al suo cuore una corazza più dura di qualsiasi metallo.
Lui diceva che l’amore non faceva per lui, e che se anche una freccia di Cupido avesse attraversato il suo petto, non sarebbe comunque riuscita a scalfire il suo cuore.
C’era stata una sola donna, nella sua vita.
Non sapeva bene tutta la vicenda, visto che il Doc non amava parlare del suo passato, ma da quello che aveva capito l’uomo era stato sposato, una volta.
Poi era dovuto partire per la guerra in Vietnam, e al suo ritorno la donna si era risposata e aveva anche avuto dei figli.
Non c’era da meravigliarsi, se adesso il Doc non credeva più nell’amore.
Nemmeno lui ci credeva più.
Comunque, l’eccentrico medico aveva imparato a non affezionarsi a nessuno.
Eppure, in pochi minuti la moglie di Duvall aveva fatto colpo anche su un vecchio bisbetico come lui, evidentemente.
Quella donna non passava inosservata a nessun uomo, anche se su ognuno ovviamente faceva un effetto diverso.
Non era passata inosservata a Mick.
Non era passata inosservata al Doc.
Ma, cosa che lo irritava profondamente, non era passata inosservata nemmeno a lui.
Si ripetè mentalmente che l’unica ragione per cui si sentiva attratto da quella donna era a causa della sua bellezza, e lui era stato sempre particolarmente sensibile al fascino delle belle donne.
Solo per questo.
“Ryo…Ryo, mi ascolti?”
Si rese conto che il Doc stava cercando di attirare la sua attenzione da qualche minuto, evidentemente senza successo.
“Scusami, Doc…ero soprappensiero…dicevi?”
Il Doc lo guardò, sorridendo bonariamente.
“Pensavi a lei?”
Eluse la domanda, rispondendogli con un’altra.
“Hai ricucito la ferita?”
L’anziano medico fece finta di non notare il disagio e l’imbarazzo dell’uomo più giovane.
“Sì, per fortuna era saltato solo qualche punto. Adesso le ho somministrato un leggero tranquillante, mi ha rivelato di soffrire di frequenti attacchi di panico, quando non ha la situazione sotto controllo.”
Ryo annuì impercettibilmente con la testa, poi i due uomini rimasero in silenzio per qualche minuto, ognuno perso nei propri pensieri.
Il Doc fu il primo a parlare.
“Ryo…sei sicuro di quello che stai facendo?”
Una domanda così diretta e sincera meritava una risposta altrettanto sincera.
“No, Doc.”
Guardò l’amico negli occhi.
“Non sono sicuro di niente. Ma devo farlo per Makimura, si merita una cazzo di vendetta.”
In quel momento, la risoluzione iniziale l’aveva abbandonato.
Era stanco, il peso di quello che aveva fatto cominciava a gravare sulle sue spalle.
“Prima che questa storia sia finita, ci sarà almeno un morto in più. Lo sai, vero?”
Ryo alzò le spalle.
“Preferirei non essere io, ma se così fosse spero che verrai a visitare la mia tomba, ogni tanto.”
“Questo vuol dire che non hai più niente da perdere?”
“Questo vuol dire che non mi importa di morire, purchè Mark Duvall mi accompagni all’Inferno.”, rispose con foga.
Il Doc rimase in silenzio per un lungo istante, guardandolo soltanto.
Poi sospirò.
“Come pensi di agire?”
“Alla donna non succederà niente, Doc. Sarà solo un’esca. Il marito metterà in ginocchio il mondo, per trovarla. E quando la troverà, verrà a prenderla. Ma, indovina un po’? Io sarò con lei e, fosse l’ultima cosa che faccio, ucciderò quel figlio di puttana.”
Un breve, ironico applauso spezzò il silenzio che si era instaurato nuovamente tra i due uomini.
Entrambi voltarono la testa verso la porta.
Kaori Duvall li guardava, un leggero sorriso sul suo volto.
Aveva indossato una sorta di ampio accappatoio che il Doc le aveva fornito, e aveva raccolto i lunghi capelli rossi in una coda di cavallo.
Il suo volto era pallido e provato, ma restava comunque una donna bellissima.
Bellissima ma estremamente irritante, pensò Ryo, visto che lei continuava a fissarlo con quel mezzo sorriso di scherno e di sfida sulle labbra.
“Trova la cosa così divertente, signora Duvall?”
Lei si avvicinò.
Ryo notò che zoppicava leggermente, forse perché cercava di poggiare tutto il peso del corpo sull’anca sana.
“La cosa che mi diverte, signor…come ha detto che si chiama?”
“Non l’ho detto, per la verità. Ryo Saeba, per servirla.”
Si inchinò ironicamente, ma lei continuò imperterrita il suo discorso.
“La cosa che mi diverte, signor Saeba, è il fatto che lei ha architettato questo suo infallibile e ingegnoso piano, ma evidentemente ha fatto i conti senza l’oste.”
Tacque, mentre Ryo la osservava, nervoso e disorientato.
Dove voleva andare a parare?
“Cosa intende?”
“Intendo, signor Saeba…”
Quell’eccessivo formalismo lo innervosiva oltre ogni limite.
E lo faceva incazzare.
Non sembrava così cerimoniosa e perbene, mentre si faceva palpare da McKinsley, in quel dannato gazebo…
“Intendo, signor Saeba, che mio marito non verrà mai a cercarmi. Mai.”
Ryo la osservò, mentre la sua sicurezza vacillava un attimo.
Poi si rimproverò per essere finito nella trappola della donna come un allocco.
Soltanto perché i suoi occhi erano così belli, non significava che la donna fosse sincera.
Era chiaro che cercava di dissuaderlo per salvarsi.
“Brava, bel tentativo. Crede di avere a che fare con un cretino, signora Duvall ?
“Certo che no, signor Saeba. Io l’ho avvertita. Adesso faccia come meglio crede.”
La donna si sedette su un divano sfondato, impostata e regale come sempre.
Come aveva fatto ad essere attratto da quella donna?
Era…detestabile!! Odiosa!! Saccente!!
Riusciva a farlo sentire un cretino e quella era una cosa che odiava…
Ryo afferrò rabbiosamente il borsone che aveva preparato, poi si accertò che la pistola fosse carica.
Si guardò attorno, per assicurarsi di non aver dimenticato niente.
“Si alzi. È ora di andarcene.”
Lei fece finta di non averlo sentito, rimanendo comodamente appollaiata sul divano.
Spazientito, Ryo la afferrò per un braccio, costringendola ad alzarsi.
Lei lo fulminò con lo sguardo, strattonando il braccio.
Quando parlò, il suo tono era ben diverso da quello saccente che aveva usato prima.
Adesso era decisamente incazzata.
“Non mi metta mai più le mani addosso. Sono stata chiara, signora Saeba?”
I suoi occhi sembravano volerlo incenerire sul posto.
Ryo sorrise, inspiegabilmente compiaciuto.
Era riuscito a smuovere la bella regina…
Poi scosse la testa. Aveva ben altro a cui pensare…
Condusse la donna verso il furgoncino che avrebbero usato per raggiungere il posto in cui intendeva portarla.
Kaori Duvall lo guardò interrogativamente.
“Perché c’è una barca attaccata al furgoncino?”
“Salga in macchina, capirà tutto quando saremo arrivati a destinazione.”
“È ancora in tempo per cambiare idea, signor Saeba. Mio marito la ucciderà, mi creda. Se lei mi lascia andare adesso, io le giuro che non farò mai il suo nome e mi dimenticherò di averla vista.”
Ryo rise brevemente, sarcastico.
“Ho imparato a non fidarmi delle promesse delle donne. E adesso salga in macchina.”
Il Doc osservava la scena, pensoso.
Quei due litigavano già come marito e moglie…
Ma la situazione era molto complessa, questa volta il suo Lazzaro avrebbe potuto non farcela…
Ryo si diresse verso di lui.
“Tornerò tra un paio di giorni a prendere qualche altra provvista.”
Il Doc annuì.
“Mi raccomando, figliolo…stà attento.”
Ryo gli strinse la mano, senza rispondergli.
“Grazie di tutto, amico.”
L’uomo anziano si avvicinò alla macchina, sporgendosi attraverso il finestrino aperto per baciare sulla guancia la giovane donna.
“La ringrazio, Doc. Senza di lei non so come avrei fatto”, disse lei a voce alta, in modo che anche Ryo sentisse.
“Grazie a te, cara. Ricorda bene quello che ti ho detto…E mi raccomando, se questo orso osasse farti del male non esitare a farmelo sapere, che lo concio per le feste!”
La donna gli sorrise, dandogli un bacio sulla guancia.
Ryo fece il giro della macchina, sentendosi davvero un cretino perché aveva provato una punta di invidia nei confronti del Doc.
Salì il macchina e mise in moto.
“Basta con i convenevoli, è ora di andare.”
Kaori Duvall si girò di scatto verso di lui e lo fulminò con lo sguardo per la seconda volta nel giro di mezz’ora.
“Lei è un uomo malvagio, lo sa Saeba?”
Ryo le sorrise di sbieco.
“Mia cara, lei non ha ancora nemmeno intravisto il mio lato malvagio.”
Poi salutò il Doc con un gesto della mano e accelerò, sgommando.
Il Doc rimase a guardarli, mentre la macchina diventava sempre più piccola, fino a scomparire definitivamente.
Poi rientrò in casa, chiudendo la porta alle sue spalle.
Salve gente, eccovi un nuovo capitolo di Sin City. Spero sia venuto bene! Fatemi sapere cosa ne pensate, per una "scrittrice" i commenti sono molto importanti per sapere cosa va bene e cosa bisogna invece modificare! Anche perchè i commenti sono sempre di meno e non capisco se è perchè la fic non vi piace più oppure per altri motivi...
Vi ringrazio in anticipo...un bacio, buon fine settimana!!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
Durante tutto il tragitto in macchina, nessuno dei due aprì bocca.
Lui sembrava estremamente concentrato ad evitare i dislivelli della strada, lei sembrava persa nei suoi pensieri.
Aveva poggiato il collo al poggiatesta e aveva chiuso gli occhi.
Ryo le gettò una breve occhiata, insospettito dal suo silenzio.
Era sicuro che non stesse dormendo.
Non aveva particolarmente voglia di parlare, ma era quasi un’ora che nella macchina si respirava un’atmosfera pesante e temeva che la mascella gli si sarebbe spezzata per la tensione.
“Le fanno male le ferite?”, le chiese, con voce atona.
Lei gli rispose con lo stesso tono di voce, senza nemmeno aprire gli occhi.
“Non particolarmente.”
“Bene.”
Di nuovo quel silenzio, snervante, che lo innervosiva ogni secondo di più.
Non vedeva l’ora di arrivare al piccolo capanno nella quale aveva intenzione di portare la donna.
Si trovava nel bel mezzo di una palude, ma era praticamente circondato dalla vegetazione ed era quindi impossibile vederlo dalla strada.
Sicuramente quel posto non era nemmeno lontanamente vicino a ciò a cui la donna era abituata, ma questo non era un suo problema.
Non sapeva perché, ma la prospettiva di rimanere solo con lei per qualche tempo lo metteva terribilmente a disagio.
Quella donna riusciva a fargli perdere la calma in meno di un secondo.
Quando aveva ancora una moglie, gli era capitato spesso di litigare con lei, soprattutto nell’ultimo periodo.
Ma Reika non aveva mai avuto un carattere particolarmente forte, quindi quando avevano qualche diverbio, lei si limitava a piangere per qualche minuto in camera sua, giusto il tempo per farlo sentire in colpa ed attuare un sottile gioco psicologico che lo costringeva puntualmente ad andarsi a scusare, anche quando aveva ragione.
Non sapeva tenergli testa, in uno scontro verbale.
E lo stesso valeva per tutte le donne che aveva conosciuto.
Non per niente facevano parte del “sesso debole”.
La moglie di Duvall, invece, aveva una caparbietà e una testardaggine quasi pari alla sua.
Non era una stupida.
Sapeva mantenere il sangue freddo e la lucidità, cosa che a lui risultava difficile, specie quando era incazzato.
E questo era un male, perché si era reso conto che una donna intelligente come lei poteva risultare molto più pericolosa di un esercito armato fino ai denti.
Non doveva fidarsi di lei, non doveva credere alle sue parole e soprattutto non doveva avvicinarsi alla donna più dello stretto necessario.
Era di sé stesso che non si fidava, non di lei, ammise a malincuore.
Comunque, sarebbe rimasto il più possibile lontano da lei e tutto sarebbe andato bene.
Doveva solo aspettare che Duvall smuovesse il suo esercito del potere e poi avrebbe finalmente raggiunto il suo obiettivo: vendicare la morte di Makimura.
Si accorse che il paesaggio era cambiato, diventando meno abitale ed accogliente.
Erano quasi arrivati.
Finalmente, si addentrò tra la fitta vegetazione che circondava la palude, seguendo un sentiero già tracciato ma praticamente invisibile, per chi non conoscesse quel posto.
Man mano che procedevano verso la riva della palude, la vegetazione si richiudeva docile dietro di loro, nascondendo qualsiasi traccia del passaggio di una macchina.
Un ramo colpì il finestrino dalla parte del passeggero.
Kaori Duvall sobbalzò e, istintivamente, si spostò verso sinistra, afferrando il suo braccio.
“Stia tranquilla. Era solo un ramo.”
Accorgendosi del suo gesto impulsivo, la donna lasciò immediatamente il braccio.
Era davvero strana, pensò Ryo.
Sembrava tanto forte e sicura di sé, ma poi si spaventava per un nonnulla.
Chissà se era tutta una recita per impietosirlo, oppure se la donna era sincera, nelle sue manifestazioni di paura e spavento.
“Si può sapere dove diavolo mi ha portata?”
La sua voce era astiosa.
“Ma come, le ricche signore come lei non sono sempre socialmente impegnate per la tutela dell’ambiente? L’ho portata in un luogo in cui potrà stare a stretto contatto con la natura. Non è contenta?”
Lei lo fissò per un lungo istante, poi distolse lo sguardo, fissandolo davanti a sé.
“Lei è matto, signor Saeba.”
“Forse. Ma sicuramente sono più onesto di quel bastardo di suo marito.”
Spense la macchina, poi scese e cominciò a sciogliere le funi con cui la barca era attaccata al tettuccio della macchina.
Lei rimase in macchina.
Con un po’ di fatica, trascinò la barchetta fino alla riva, poi tornò alla macchina e le aprì la portiera.
“È pronta per un romantico viaggetto in barca?”
Lei lo guardò interdetta, e per un attimo gli sembrò di scorgere un lampo di puro terrore nei suoi occhi.
“Vuole dire che devo salire con lei su quella?”, disse, indicando con un cenno della testa la barchetta che dondolava lievemente sull’acqua.
“Se vuole può venire a nuoto. Non la obbligo certo a starmi accanto, anche se devo dire che l’ho vista in situazioni ben più intime con uomini ben più pericolosi di me.”
“Che accidenti sta farneticando? Vengo con lei in barca. Anche se l’idea mi ripugna, non so nuotare, quindi preferisco sopportare la sua sgradevole presenza per qualche minuto, piuttosto che morire annegata.”
Scese dalla macchina, arrancando verso la palude e cercando di evitare cespugli e rami.
Lui nascose la macchina in un punto in cui la vegetazione era abbastanza alta da coprirla interamente, poi prese il borsone e raggiunse la donna, che era ferma lungo la riva.
Caricò il borsone sulla barca, poi ci salì sopra e le tese una mano.
Lei sembrò un attimo indecisa, poi gettò uno sguardo all’acqua sporca e stagnante e, rabbrividendo di disgusto, accettò il suo aiuto.
Ryo avviò il piccolo motore, provocando una leggere oscillazione della barca.
La donna si aggrappò spasmodicamente ai bordi, continuando a fissare terrorizzata l’acqua tutt’altro che trasparente e limpida.
Per tutto il tragitto rimase in quella posizione, la schiena rigida leggermente piegata in avanti, lo sguardo fisso sull’acqua e le mani artigliate al legno scheggiato.
Perfino quando arrivarono a destinazione e Ryo saltò agilmente sul piccolo molo, lei non osò muoversi.
L’uomo avvicinò la barca il più possibile, poi si inginocchiò e le tese un mano.
Cautamente, lei la afferrò e si alzò in piedi.
Allungò una gamba oltre la barca e, con molta meno agilità di lui, riuscì a issarsi anche lei sul molo.
Ryo le sorrise, per rassicurarla, ma la donna equivocò il gesto.
“Che fa, ride di me signor Saeba? Delle mie debolezze? Io la odio.”
Il sorriso gli si congelò sulle labbra.
Ecco cosa succedeva ad essere gentile con le donne, pensò.
Afferrò il borsone, poi aprì la leggera porta ed entrò nel piccolo capanno, invitandola a fare altrettanto.
Lei gli passò davanti, senza guardarlo, con le braccia rigide lungo il busto.
La vide guardarsi attorno, così la lasciò sola nella stanza principale e andò a posare il borsone e a sciacquarsi il viso.
Tanto, lei comunque non sarebbe andata da nessuna parte, visto che il capanno era circondato dall’acqua e, a quanto sembrava, lei ne aveva il terrore.
Ryo non si era bevuto la storiella che lei non sapesse nuotare.
Credeva semplicemente che, per una donna abituata al lusso più sfrenato, quel luogo dovesse sembrare davvero terrificante.
Lui non la vedeva così.
Certo, non c’erano tutti i comfort di una casa normale, ma era un luogo tranquillo, dove potersi recare per staccare la spina.
L’unico, oltre a lui, a conoscere l’esistenza di quel capanno era il Doc, visto che spesso ci erano andati assieme.
Comunque, era il primo posto a cui aveva pensato, quando doveva decidere dove nascondere la donna dopo averla rapita.
E poco importava che Miss Perfezione non la pensasse allo stesso modo.
La sentì muoversi.
Forse stava esplorando il capanno, forse stava cercando qualcosa di abbastanza pesante o appuntito da usare come arma contro di lui.
Se era così, stava solo sprecando le sue energie.
Aveva portato via tutto ciò che potesse essere utilizzato come arma, e aveva intenzione di nascondere bene la sua pistola.
Quella donna era pericolosa.
Si tolse la maglia.
Era sudato, così andò in bagno per sciacquarsi velocemente.
Si spruzzò un po’ di acqua sul viso, poi cercò a tentoni l’asciugamano che aveva poggiato sulla mensola vicino allo specchio.
Si asciugò il viso, poi gettò uno sguardo allo specchio e per poco non sobbalzò, quando ci vide riflesso il volto di Kaori Makimura.
Calmati, Ryo…maledizione, è solo una donna…
Rimproverandosi mentalmente, si voltò verso di lei, appoggiandosi al lavandino e continuando ad asciugarsi il viso.
Vide lo sguardo di lei scendere sul suo petto nudo e attardarsi sulla lunga cicatrice, appena coperta dalla leggera peluria scura.
La donna deglutì nervosamente.
Che avesse paura di lui?
Bene, a lui avrebbe fatto solo comodo.
“Stava facendo un giro turistico del capanno?”, le chiese, ironico.
Solo in quel momento lei parve accorgersi della situazione.
Era in un bagno piccolissimo, con un uomo mezzo nudo che l’aveva rapita, che la disprezzava palesemente e che voleva farle chissà che cosa…
Si affrettò ad indietreggiare, sperando che lui non si accorgesse del suo nervosismo e della sua paura.
“Ecco, io…mi stavo chiedendo se ci fosse qualcosa da mangiare. Il Doc mi ha dato delle gocce da prendere per evitare che le ferite facciano infezione, ma mi ha raccomandato di assumerle a stomaco pieno.”
Lui non le rispose, ma le passò davanti ed entrò nella piccola cucina, che si trovava sulla destra.
C’erano dei sacchetti poggiati sul tavolo.
Ne aprì uno e ci guardò dentro.
“Le piacciono le mele?”
“Certo, una mela andrà benissimo.”
Lui frugò nel sacchetto, tirandone fuori la mela più grossa e matura, e gliela tese.
“Grazie.”
La vide sciacquare la mela, poi addentarla con i suoi denti bianchi e perfetti.
Rimase affascinato a guardarla, pensando a quello che gli aveva detto il Doc.
“Senta, signora Duvall…”
Lei alzò gli occhi, fissandolo interrogativamente.
“Il Doc mi ha detto che devo controllarle le ferite ogni giorno finchè non si saranno rimarginate, perché potrebbero infettarsi. E in questo caso lui mi ucciderebbe”, aggiunse poi, per smorzare la tensione.
Lo sguardo di lei sembrava spaventato, e questa cosa lo irritò profondamente.
“Ma le gocce non bastano? E poi scusi, posso farlo da sola, ho fatto un corso di pronto soccorso, una volta…”
Le sorrise sprezzante, prima di risponderle.
“È inutile che fa la pudica con me. Le ripeto che l’ho vista, nel gazebo con McKinsley. E non mi era sembrato che fosse una donna tanto restia a farsi mettere le mani addosso da un uomo.”
Lei si alzò di scatto, fissandolo furiosa e indignata.
“Ma chi diavolo si crede di essere, per dirmi queste cose? Lei non sa niente di me e del mio passato, signor Saeba. Niente.”
“Infatti, e nemmeno ci tengo a saperlo. Adesso mi faccia vedere quelle ferite, prima che mi veda costretto a ricorrere alle cattive maniere.”
Per un attimo, la donna sembrò volergli lanciare addosso qualcosa di molto grosso e di molto pesante.
Però quando lui le si avvicinò e, dopo averla fatta sedere su una sedia, le disinfettò la ferita come gli aveva insegnato il Doc, non oppose resistenza, limitandosi a sorvegliare ogni suo minimo gesto con un paio di occhi carichi di rabbia e disprezzo.
Quando si fu accertato che il bendaggio fosse ben stretto, le fece cenno di voltarsi.
“Anche i graffi sulla schiena. Si sbrighi.”
Questa volta, lei reagì al suo ordine perentorio.
E quello che disse fece capire a Ryo che, oltre al fatto che l’aveva rapita, c’era forse un altro motivo, per cui la donna sembrava essergli così ostile.
Fissandolo negli occhi, nei quali lui vi scorse qualcosa di molto simile alla delusione, lei gli rivolse una domanda che in realtà celava un rimprovero rivolto più a sé stessa, che non a lui.
“Come diavolo ho fatto a scambiarla per un prete?”
Questo capitolo è un pò lungo...spero che per questo non risulti noioso!! Un bacione e grazie di cuore a tutte coloro che non mi hanno "abbandonata" e che continuano a commentare e a darmi suggerimenti e spunti per questa storia!! Alla prossima
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
“Come diavolo ho fatto a scambiarla per un prete?”
Come le era saltato in mente di fargli quella domanda?
Lui non doveva sapere quanto fosse rimasta delusa.
Odiava ammetterlo, ma si era fidata di Padre Faulkner, si era fidata di Ryo Saeba, si era fidata di un uomo che le aveva puntato una pistola in faccia e che adesso l’aveva rinchiusa in un luogo dimenticato da Dio.
Eppure lei era molto restia, a fidarsi delle persone.
Fin da piccola aveva imparato a contare solo su sé stessa, perché quando anche la tua stessa madre ti pugnala alle spalle, cominci a credere che il mondo non vada proprio come dovrebbe andare.
Cosa aveva scorto, in quegli occhi neri, da spingerla a rivelare a quell’uomo odioso un segreto di cui nemmeno suo marito era a conoscenza?
Gli aveva parlato del suo bambino mai nato.
Quando aveva finalmente capito che Padre Faulkner non era un prete, visto che in genere i preti non vanno in giro a rapire donne impugnando cannoni, la sua prima emozione forte non era stata la paura.
Incredibilmente, non era terrorizzata.
Era arrabbiata.
Arrabbiata come una donna che fosse stata tradita dal suo uomo, dalla sua migliore amica, o comunque da qualcuno di molto importante.
Ciò era assurdo, era assolutamente irrazionale e senza senso, ma era così.
Almeno con sé stessa poteva permettersi il lusso di essere sincera.
Si era fidata, per la prima volta dopo tanto tempo, e cosa ne aveva ricevuto in cambio?
Le mani di un uomo che le disinfettavano senza un minimo di delicatezza i graffi sulla schiena che lui stesso le aveva provocato.
Un uomo arrogante, saccente, furbo, armato e a dir poco insopportabile.
Aveva notato la cicatrice che gli solcava il petto, nel bagno.
Era lunga almeno dieci centimetri, ed era quel tipo di cicatrice che sta ad indicare un passato difficile, le cui ferite fisiche sono quelle che fanno meno male.
Lei ne sapeva qualcosa.
Quando Mark l’aveva sposata, le aveva subito prenotato un intervento chirurgico per eliminare i segni che aveva sul braccio.
Si fissò l’avambraccio, mentre le mani ruvide di Ryo Saeba le passavano sulle ferite un batuffolo di ovatta imbevuto di disinfettante.
Le cicatrici dei mozziconi di sigaretta che uno degli uomini di sua madre spegneva sul suo braccio erano scomparse.
Il chirurgo aveva fatto un ottimo lavoro.
Aveva preso un po’ di pelle dal fondoschiena, dove il tessuto epiteliale si sarebbe rimarginato senza problemi, e l’aveva utilizzata per cancellare quei segni.
Adesso il suo braccio era perfettamente liscio e la pelle era morbida e tonica.
Ma le ferite del suo animo, quelle del suo orgoglio…
Per quelle non c’era chirurgo abbastanza bravo da poterle cancellare.
Solo il tempo poteva lenirle.
Il tempo guarisce tutte le ferite, lei lo sapeva bene…ma il ricordo, doloroso, bruciante, umiliante, non era ancora scomparso del tutto.
Era sicura che il signor Saeba ne sapesse qualcosa, di ferite interiori.
I suoi occhi erano spenti, come quelli di un cavallo da corsa che ha una zampa rotta e che conosce già il suo triste destino.
Erano gli occhi di un uomo che non aveva più niente da perdere.
Erano gli stessi occhi che aveva lei quando era arrivata a New York, dieci anni prima.
Pensava che peggio di così non potesse andare, che davvero non aveva niente da perdere…ma si sbagliava.
Dio, quanto si sbagliava…
Chiuse gli occhi cercando di ricacciare indietro le lacrime.
Non voleva che Ryo Saeba la vedesse piangere.
Odiava farlo, odiava mostrarsi debole davanti agli altri.
La compassione nei loro occhi era qualcosa che non aveva mai sopportato, fin da bambina, fin da quando la vita l’aveva privata della sua innocenza e della sua infanzia.
Al livello psicologico, ne era uscita distrutta.
Soffriva di frequenti attacchi d’ansia e di panico, sobbalzava per un nonnulla, la notte non riusciva a dormire.
Il passato la tormentava.
E il presente le faceva sempre più paura.
Ripensò alle parole di Mark.
Un paio di anni dopo il matrimonio, quando cominciava a rendersi conto fino in fondo di non essere una moglie, ma una schiava, per lui, aveva tentato di fuggire.
Il suo autista personale, Will, si era innamorato di lei, così, sebbene non lo ricambiasse, aveva deciso di sfruttare l’adorazione che l’uomo provava nei suoi confronti.
Si era sentita meschina e aveva chiesto perdono a Dio per questo, ma era davvero disperata e non sapeva come uscirne.
Così un giorno, con la scusa di andare al mercato, lei e Will erano fuggiti a Parigi.
Per un paio di giorni avevano vissuto un idillio.
Le sembrava di vivere un sogno: aveva accanto a se un uomo che non la trattava come un oggetto, e poco importava se lei non lo amasse.
Forse col tempo avrebbe imparato a farlo, e poi certamente non era innamorata nemmeno di suo marito.
Non erano mai stati a letto insieme, perché davanti agli occhi di Dio e dello Stato lei era una donna sposata, e non avrebbe mai commesso adulterio.
Il Signore non l’avrebbe perdonata, dopo tutti gli errori che aveva fatto in passato.
Avevano visitato Parigi, erano saliti sulla Tour Eiffel, avevano passato un’intera giornata nel Louvre, dove lei aveva finalmente capito il significato dell’espressione schopenhaueriana “contemplazione estetica”.
Poi erano partiti alla volta della Loira.
Aveva sempre desiderato visitare i bellissimi castelli patrimonio di quella zona della Francia.
Il terzo giorno, però, mentre scendeva dalla metropolitana, si era ritrovata davanti il sorriso di Mark Duvall.
Suo marito.
“Ciao, Kaori”, le aveva detto.
Non avrebbe mai dimenticato il terrore che l’aveva sopraffatta, la certezza che la sua vita era finita.
Aveva osato sfidare suo marito, l’uomo più potente di tutta New York, e aveva inevitabilmente perso.
Ora ne avrebbe pagato le conseguenze.
Lui però non le fece niente, non la picchiò nemmeno.
Ma quello che suo marito le disse nell’orecchio le fece rimpiangere la morte scampata.
Era riuscita a balbettare qualche scusa inutile, mentre una frase turbinava nella sua mente, incessante come un mantra.
Gesù, tutto, tutto, ma non questo…
Tutto, tutto…
…ma non questo…
Suo marito l’aveva guardata, con quel sorriso trionfante che l’aveva reso famoso.
Aveva vinto, ancora una volta, e ne erano coscienti entrambi.
L’aveva riportata a casa, dove l’aveva scopata pensando solo al proprio piacere e alle proprie perversioni, come se lei fosse una puttana qualunque con cui divertirsi senza impegno.
Da quel giorno, non aveva mai più visto Will.
Però due giorni dopo, aveva visto McKinsley scaricare dalla sua macchina un sacco nero, all’apparenza molto pesante.
E delle dimensioni di un uomo.
Mark le aveva affiancato uno dei suoi bracci destri, un gigante nero di nome Bob.
Kaori pensò al povero uomo.
Di sicuro Mark l’avrebbe ucciso.
Lui doveva proteggerla, e invece aveva lasciato che due uomini vestiti da preti la rapissero.
Mark odiava perdere una sua proprietà, e lei sapeva di essere questo, per lui.
E soprattutto, suo marito non perdonava facilmente.
Recitò una silenziosa preghiera, pregando che un altro uomo non avesse perso la vita a causa sua.
Suo malgrado, si ritrovò a ripensare a quello che era successo poco prima, nel bagno.
Doveva ammettere che quel Saeba era davvero un bell’uomo.
Stranamente, non aveva paura di lui.
Era cresciuta in una sorta di Bronx, e sapeva riconoscere le persone davvero pericolose.
In qualche modo sentiva che Saeba non era malvagio, e poi era amico del Doc, e questa per lei era una garanzia.
Non le avrebbe fatto del male.
Non fisicamente, almeno.
Però quell’uomo rimaneva pericoloso, per lei.
Pericoloso, perché quando l’aveva visto senza maglia, con il viso bagnato e quel ciuffo scuro e ribelle che gli cadeva sull’occhio destro, aveva deglutito.
E non per la paura, come lui forse aveva pensato.
Ma perché lui la attraeva, c’era qualcosa nel suo sguardo che la affascinava terribilmente.
Era un uomo che, proprio come lei, aveva bisogno di una assoluzione.
A cosa diavolo stai pensando, Kaori?
Si rimproverò per la sua futilità e ringraziò il cielo che lui si trovasse dietro di lei e non potesse notare il suo rossore.
Il fatto che il suo rapitore fosse un uomo attraente era soltanto un punto a suo sfavore.
E se Mark avesse pensato che sua moglie aveva organizzato una messinscena per fuggire con un altro uomo?
Rabbrividì inconsapevolmente.
“Ho quasi finito. Poi potrà abbassare la camicia e coprirsi.”
La voce di Ryo Saeba conteneva una nota di premura, ma lei non ci fece caso, agitata com’era.
Stava pensando alle parole che Mark le aveva sussurrato all’orecchio quel lontano giorno di 8 anni fa.
Ascoltami bene, Kaori, perché non amo ripetere le cose due volte, e tu dovresti saperlo. La prossima volta che osi tradirmi con un altro uomo…la prossima volta che avrò anche il minimo dubbio che tu mi stia tradendo con un altro uomo…tua sorella passerà un brutto quarto d’ora. La piccola è ancora vergine, vero? Beh, temo che non lo sarà più, dopo che la lascerò nelle mani amorevoli di Fabian McKinsley. Ah, e naturalmente dovrò ricompensare anche il vecchio Bob, in qualche modo. E Wilson. E tutti i mie più stretti collaboratori. Credimi, tua sorella desidererà essere morta, prima che loro abbiano finito con lei.
Poi l’aveva abbracciata, ad uso e consumo di coloro che li circondavano, mentre lei si sentiva morire.
Cominciò a tremare sempre più forte.
Ryo Saeba si immobilizzò, poi la guardò preoccupato.
Era pallida, e dei brividi violenti la scuotevano.
Le abbassò la camicia sulla schiena, poi si tolse la felpa e gliela poggiò sulle spalle.
Se Mark avesse pensato che lei fosse fuggita con Ryo Saeba…
Per sua sorella sarebbe stata la fine…
Si accorse che il suo rapitore si era inginocchiato davanti a lei e la stava scuotendo.
“Si sente bene?”
Lo guardò fisso negli occhi.
Era tutta colpa sua…
Se a sua sorella fosse successo qualcosa sarebbe stata tutta colpa di quell’uomo che adesso le era davanti e la guardava preoccupato…
Si strappò con foga la felpa dalle spalle e la gettò per terra.
Sentendosi prossima alle lacrime, si chiuse a chiave nel piccolo bagno.
Ryo Saeba raccolse la felpa, poi rimase a fissare la trama del tessuto, interrogandosi sul significato dell’ultima frase che la donna aveva pronunciato prima di schizzare via dalla stanza.
“Se le succederà qualcosa…sarà tutta colpa sua.”
Ciao gente! Finalmente ho trovato il tempo di aggiornare anche questa ff! Ringrazio tutti voi per i commenti troppo gentili davvero, e vi lascio alla lettura di questo capitolo che è totalmente incentrato su Kaori. Un bacio! E continuate a commentare, mi raccomando! Kisses |
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
“È in grado di cucinare, signora Duvall?”
Kaori lo guardò, stupita e leggermente insospettita dalla domanda apparentemente innocua dell’uomo.
Era dal giorno prima che non si rivolgevano la parola, esattamente da quando lei era fuggita in bagno lasciandolo solo nella cucina, con uno sguardo negli occhi che, per quanto lei volesse convincersi del contrario, conteneva una sfumatura di premura e preoccupazione.
Quando, dopo aver dato libero e silenzioso sfogo a tutte le sue lacrime, era tornata nella cucina, l’aveva trovato steso su un consunto divano, con indosso un paio di boxer rossi e una canottiera bianca, e con un braccio sugli occhi.
Aveva cercato di fare il minimo rumore possibile, pensando che lui stesse dormendo.
Voleva soltanto bere un bicchiere d’acqua.
“La sua camera da letto è la prima stanza sulla sinistra”, le aveva detto, senza muoversi, senza nemmeno guardarla.
Se non avesse saputo che erano completamente soli in quel capanno, avrebbe pensato che fosse stata un’altra persona a parlare.
Lei non aveva risposto, aveva bevuto il suo bicchiere d’acqua e aveva raggiunto quella che sarebbe stata la sua camera per chissà quanto tempo ancora.
Sul letto era poggiata un pigiama da donna, un po’ largo per lei ma evidentemente pulito.
Chissà se il signor Saeba aveva una moglie, da qualche parte, si era chiesta.
Poi aveva deciso che quelli non erano affari suoi, e che doveva decisamente smetterla di comportarsi come una ragazzina.
Pericoloso o no, quell’uomo l’aveva comunque rapita, e lei doveva cercare di fuggire da quel luogo il prima possibile.
Ma come fare?
Il capanno sembrava un’antica palafitta, era completamente circondato dall’acqua sporca e densa della palude.
Non doveva essere molto profonda, ma comunque non si poteva mai sapere, visto che la vegetazione che ricopriva lo specchio d’acqua impediva di distinguere il fondale della palude.
Si era seduta sul letto, poi aveva controllato che il suo rapitore non si fosse mosso.
Era tutto sotto controllo, lui era immobile nella stessa identica posizione di prima.
Sembrava che dormisse, ma aveva capito che quello era un uomo che dormiva sempre con un occhio aperto.
Si era spogliata, poi si era messa il pigiama e si era stesa sulla schiena.
Le ferite le bruciavano ancora, ma aveva scelto il male minore, visto che il dolore all’anca era ancora più acuto.
Pensava che non sarebbe mai riuscita ad addormentarsi, con un uomo nella stanza accanto alla sua che avrebbe potuto violentarla quando voleva.
Erano nel bel mezzo del nulla, nessuno avrebbe sentito le sue urla.
Eppure si stupì, quando sentì il sonno sopraggiungere piano, e si ritrovò a chiudere gli occhi e scivolare in un sonno pieno di ombre e di voci sovrapposte.
La mattina dopo, lui non era nel capanno.
Aveva fatto un giro per tutte le stanze, ma quel posto non era certo un castello e Saeba non avrebbe avuto nessun interesse a nascondersi.
Evidentemente era sicuro del fatto che non sarebbe fuggita.
Anche perché all’uomo non era sfuggito il terrore nei suoi occhi, quando aveva visto sul pelo dell’acqua un paio di malefici occhi da rettile.
Un coccodrillo.
Saeba non era uno stupido, e aveva capito che le sue paure erano più forti della sua stessa volontà.
Era rimasta sola per tutta la giornata, non sapendo cosa fare per trascorrere il tempo.
Aveva cercato dappertutto qualcosa che potesse servire come arma contro di lui, ma inutilmente.
Le posate erano tutte di plastica, e lui sarebbe benissimo riuscito a spezzarle con un dito.
Non c’erano forbici, aghi o altri oggetti appuntiti, in giro.
Era chiaro che Saeba aveva pianificato tutto per bene, prima di rapirla.
Si chiedeva perché si fosse preso tanto disturbo.
Il Doc gli aveva accennato che Saeba era stato un agente segreto della Dea, e gli aveva parlato di un certo suo amico, Makimura, se non ricordava male.
Ma mentre l’anziano dottore le parlava lei era sotto l’effetto del tranquillante, quindi non aveva ben compreso l’intera vicenda.
Suo marito aveva molti nemici, ma perché un ex poliziotto avrebbe dovuto infrangere la legge rapendo la moglie di Mark Duvall?
Era chiaro che si trattava di una questione personale, pensò Kaori.
Comunque, tra supposizioni e riflessioni, si era riaddormentata, svegliandosi verso mezzogiorno.
Cosa l’aveva svegliata?
Aveva sicuramente sentito un rumore.
Cautamente si sollevò e scese dal letto, raggiungendo l’ingresso del capanno.
Ryo Saeba stava avvicinando la piccola barca alla capanna.
Indossava dei pantaloncini, una T-shirt e un cappellino con visiera, e Kaori notò che le braccia e il viso erano leggermente arrossati dal sole.
In quel momento le sembrava poco più di un ragazzino.
Balzò fuori dalla barca con agilità, come gli aveva visto fare la prima volta, come lei non sarebbe mai riuscita a fare.
Quell’acqua torbida la spaventata troppo.
Si erano guardati per un attimo, e poi lui le aveva rivolto quella strana domanda.
“È in grado di cucinare, signora Duvall?”
Dove voleva andare a parare?, si era chiesta.
Era un modo per prenderla in giro?
Doveva rispondergli?
Evidentemente lui notò lo sconcerto sul suo viso, perché si piegò sulle ginocchia e tirò fuori dalla barca un secchio pieno di pesci.
Alcuni erano ancora vivi, e si agitavano sempre più deboli in una strenua e inutile lotta per la sopravvivenza.
“Li ha pescati lei?”, si era ritrovata a chiedergli, senza nemmeno volerlo.
Lui aveva annuito con un sorrisetto, con quella solita aria di scherno e superiorità che la mandava in bestia.
“Allora, ha mai cucinato del pesce, signora?”
Lo chiese come se fosse una domanda retorica.
Evidentemente era sicuro del fatto che lei non avesse mai cucinato in tutta la sua vita.
Alzò il mento, affrontando orgogliosamente il suo sguardo.
“Non ho molte occasioni di cucinare, ma so come cuocere del pesce, signor Saeba. Non sono totalmente inutile, sa?”
Lui le tese il secchio, sempre con quel sorriso irritante stampato sul volto.
“Bene, signora Duvall, me lo dimostri.”
Lei afferrò il secchio indispettita.
L’uomo le aveva lanciato una sfida, e lei non poteva non accettarla.
L’unico uomo che aveva imparato a non sfidare mai era suo marito, perché con lui era sicura di perdere.
Andò in cucina, sciacquò e pulì il pesce con accuratezza e pensò a come cucinarlo.
Erano pesci piccoli, quindi fritti sarebbero stati perfetti.
Gli chiese se ci fosse dell’olio per frittura, e lui le rispose che non ci aveva pensato, ma che potevano utilizzare sempre l’olio d’oliva.
Non sarebbe stata la stessa cosa, ma potevano arrangiarsi…
Versò l’olio in una padella, la mise sul fornello a fuoco lento, in modo che l’olio si riscaldasse.
L’uomo seguiva ogni sua mossa, forse perché non si fidava di lasciarle maneggiare una padella piena d’olio bollente.
Dopo che l’olio cominciò a sfrigolare, mise il pesce nella padella, facendo attenzione a che non schizzassero gocce di olio bollente.
Poi abbassò la fiamma, in modo che il pesce non si bruciasse.
Sentiva lo sguardo del suo rapitore perforarle la schiena, gli occhi dell’uomo la innervosivano, erano troppo simili ai suoi.
Con una spatola rigirò il pesce, poi posò un paio di fogli di carta assorbente su un piatto e vi adagiò sopra il pesce bollente.
Sciacquò la padella con dell’acqua fredda, in modo che si raffreddasse subito.
Poi tese il piatto all’uomo con uno sguardo di sfida.
Ryo Saeba la guardò, poi afferrò il piatto e annusò il suo contenuto.
“Non ci ha messo dentro del veleno, vero?”
“Anche se l’avessi fatto, di certo non glielo avrei detto.”
La sua risposta parve piacergli, perché afferrò una forchetta e assaggiò il pesce.
Lo masticò per un lungo istante, mentre lei lo osservava, aspettando una sua risposta.
Alla fine era del tutto assurdo, si disse la donna, non vedo perché debba interessarmi dell’opinione del mio rapitore…
Eppure aspettava trepidante che lui dicesse qualcosa.
“È davvero delizioso, signora Duvall. Allora non è brava soltanto ad adescare gli uomini e scoparseli, a quanto vedo…”
Le sue parole la ferirono, ancora di più perché lui aveva cominciato il discorso con un complimento, e lei si era sentita davvero orgogliosa di sé stessa.
Mark aveva assunto una cuoca perché era convinto che lei non sapesse cucinare bene, e, da donna, questo le aveva sempre dato enormemente fastidio.
Poi però aveva continuato con quella cattiveria, che l’aveva inspiegabilmente ferita.
Arrabbiata, gli lanciò addosso la prima cosa che aveva tra le mani e che, sfortunatamente per lui, era la spatola con cui aveva girato il pesce nell’olio bollente.
La spatola gli colpì il viso e l’olio che vi era rimasto lo accecò per un attimo.
Si alzò in piedi, avanzando minaccioso verso di lei.
Spaventata, Kaori fece la prima cosa che le persone spaventate fanno: lo attaccò.
Afferrò con due mani la pesante padella di ferro che aveva lasciato sul lavello dopo averla lavata e, in un gesto disperato, la abbatté sulla testa dell’uomo.
Ryo Saeba stramazzò al suolo privo di sensi.
Kaori non capiva più niente, era agitata, e molto spaventata.
L’aveva forse ucciso?
Gli posò due dita sul collo, ma con sollievo si rese conto che l’uomo era solo svenuto.
Cosa le avrebbe fatto, quando si fosse ripreso?
Non poteva rimanere lì con le mani in mano, aspettando che lui si risvegliasse e la picchiasse, o ancora peggio!
Corse fuori, poi, con cautela, salì sulla piccola barca e avviò il motore, cominciando lentamente ad allontanarsi dal capanno in direzione della riva.
Lì avrebbe raggiunto il furgoncino che avevano usato per raggiungere la palude e sarebbe tornata a casa, e a Sayuri non sarebbe successo nulla.
La sua prigionia era finalmente terminata.
Grazie mille per i commenti, non smettete mai di farmi sapere la vostra opinione, per me è importante! Un bacio e alla prossima.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
Ryo rimase privo di coscienza soltanto un paio di minuti, ma si accorse che nel frattempo Kaori Duvall era riuscita a prendere la barca e ad accende il motore, allontanandosi lentamente dal capanno.
Strisciò carponi fino al pontile, urlandole di tornare indietro.
La donna non lo ascoltò, cercando freneticamente di riavviare il motore, che nel frattempo si era spento.
“Signora Duvall…la palude può essere letale, per una persona che non la conosce. Mi ascolti, se non vuole morire torni indietro.”
La donna lo guardò per un attimo, poi lasciò perdere il motore, afferrò uno dei due remi con entrambe le mani e cominciò a remare.
Ryo si sollevò cautamente in piedi, mentre scintille di dolore esplosero dietro i suoi globi oculari.
Dove diavolo aveva trovato la forza per stenderlo, una donna all’apparenza minuta come lei?
Per un attimo prese in esame la possibilità di tuffarsi e di raggiungere la barca a nuoto.
La donna remava disperatamente, ma non lo faceva nel modo giusto e quindi la barca non si era mossa di un millimetro.
Si trovava a circa 30 metri dal pontile, e lui era un ottimo nuotatore.
L’avrebbe raggiunta in meno di 5 minuti.
Ma la testa gli scoppiava, e non si fidava a tuffarsi.
Si sentiva stordito e aveva la nausea, e c’era un’alta possibilità che stesse per svenire ancora una volta.
E se fosse svenuto in acqua, sarebbe sicuramente morto, e sarebbe morta anche la donna, visto che non scherzava, quando diceva che la palude era un luogo pericoloso per chi non la conosceva.
Così si vide costretto a fare una cosa che non gli piaceva affatto.
Tornò arrancando nel capanno con passo vacillante e prese la pistola dal luogo in cui l’aveva nascosta.
Cercando di muoversi con velocità, ma sentendo violenti capogiri ad ogni passo, tornò sul pontile, dove la donna combatteva ancora con i remi.
Era sfinita, lo vedeva chiaramente dalla sempre minor forza con cui il remo che impugnava mulinava l’acqua.
La donna si girò un attimo verso di lui, rimanendo impietrita alla vista dell’arma che lui le stava puntando addosso.
Era la seconda volta che quell’uomo la minacciava con una pistola.
“Torni indietro, signora Duvall, o mi vedrò costretto a sparare alla barca e a farla affondare, e lei dovrà tornare qui a nuoto.”
Kaori Duvall era rimasta perfettamente immobile, non riusciva a vedere bene i suoi occhi ma era sicuro che fosse terrorizzata.
Quando parlò, però, cercò di mantenere un tono di voce fermo.
“Lei non lo farà, signor Saeba, perché non è un assassino e se spara a questa barca affogherò.”
“No, signora, perché lei tornerà a nuoto fino qui. Non sono nemmeno 30 metri.”
“È stupido o cosa?? Le ho detto che non so nuotare!”
Questa volta la sua voce era molto meno controllata e più vicina all’isteria.
“Non sono stupido, signora. Torni indietro.”
Lei non lo fece, limitandosi a squadrarlo.
“Si ricordi, signor Saeba, le ho detto che non so nuotare.”
“E lei si ricordi, signora Duvall, le ho detto che non sono stupido.”
Prese la mira, poi fece fuoco, mancandola deliberatamente ma praticando una serie di fori ben allineati sul fianco della barca.
La barca cominciò ad imbarcare acqua, e la donna venne immediatamente presa dal panico.
Cercò di tappare i buchi con le mani, ovviamente senza successo.
Si alzò bruscamente in piedi, sempre più agitata.
“Le conviene tuffarsi e nuotare, signora.”
Lei non lo ascoltava più, sembrava sull’orlo di una crisi isterica.
Sembrava davvero spaventata, si disse Ryo, mentre per un attimo lo colse il dubbio che lei fosse stata sincera.
Poi, però, si ricordò che quella donna all’apparenza così fragile gli aveva buttato addosso una spatola bagnata d’olio bollente e gli aveva fatto quasi venire una commozione cerebrale, sbattendogli una padella di ferro sulla testa.
Non era poi così indifesa, evidentemente.
Vide la donna agitarsi in piedi sulla barca, che colava inesorabilmente a picco.
Il fatto che si muovesse così tanto rese precario l’equilibrio della piccola barca.
Lo scafo si rovesciò, e così Kaori Duvall si ritrovò ad annaspare nell’acqua dello stagno.
Agitò le braccia per qualche minuto, urlando, poi allungò un braccio verso di lui, come se volesse aggrapparsi al suo corpo nonostante tutti i metri che li separavano.
Era davvero un’ottima attrice, quella era la sua commedia più riuscita, si disse Ryo.
Dopo qualche secondo, però, la donna scomparve sotto il pelò dell’acqua.
Mentre la preoccupazione montava in lui, e il dubbio si insinuava ancora una volta nella sua mente, si ripeté che era tutta una recita, che tra qualche secondo la donna sarebbe emersa e lui si sarebbe sentito un emerito imbecille per essersi preoccupato per la moglie del suo nemico.
Ma i secondi passarono, e di Kaori Duvall nemmeno l’ombra.
E fu allora che capì che la donna era stata sincera.
Lanciò un grido a metà tra rabbioso e preoccupato, poi si tuffò nell’acqua.
Dopo un paio di furiose bracciate raggiunse in punto in cui la donna era scomparsa.
Prese un profondo respiro e si immerse.
L’acqua era torbida, non riusciva a vedere bene il fondo, ma si rese conto della posizione della donna non appena qualcosa di lungo e setoso toccò il suo braccio.
I capelli della donna.
Riemerse, mentre i polmoni gli bruciavano per la mancanza di ossigeno.
Sentiva di stare per svenire, ma doveva farcela…
Non poteva permettere che quella donna morisse per la sua stupida cocciutaggine…
Riprese un altro respiro e si immerse nuovamente.
Questa volta non gli fu difficile localizzare il corpo incosciente di Kaori Duvall.
L’afferrò per la vita poi, facendo appello a tutte le sue forze, la sollevò fuori dall’acqua.
Stando attento a che la testa della donna rimanesse fuori, cominciò a nuotare furiosamente verso il pontile, trascinando la donna.
Quando coprì i metri che lo separavano dalla capanna, con le ultime forze che gli erano rimaste issò la donna sul pontile, poi rimase un attimo con gli occhi chiusi, sempre immerso nell’acqua, aspettando che l’attacco di nausea che l’aveva colto si placasse.
Prese un profondo respiro, poi si issò a fatica sul pontile.
Rimase lì, disteso sulla schiena, inspirando avidamente boccate di aria fresca.
Poi, però, si riscosse.
La donna!! Si voltò sul lato, e con orrore constatò che la donna non aveva ancora aperto gli occhi.
Quanto tempo era rimasta sott’acqua?
Si issò a cavalcioni su di lei, cominciando a praticarle la respirazione bocca a bocca, premendo ritmicamente sul petto per farle espellere l’acqua che aveva nei polmoni.
Le chiuse le narici, soffiandole aria nella bocca.
Dopo qualche minuto, la donna cominciò a tossire e ad espellere acqua.
Ryo le ruotò delicatamente la testa di lato, in modo che non soffocasse mentre rigettava l’acqua che aveva ingerito.
Dopo un po’ le sue labbra persero il colorito bluastro che avevano assunto e la donna tornò a respirare in maniera normale.
Quando aprì gli occhi, la prima cosa che Kaori vide furono le labbra di Ryo Saeba pericolosamente vicine alle sue.
Si sollevò di scatto, allontanandosi dall’uomo.
“Mi dispiace, signora Duvall. Pensavo che stesse recitando.
Mi scusi.”
L’uomo la aiutò ad alzarsi, senza guardarla negli occhi.
Poi le disse di restare dov’era, tornò nel capanno e prese una grossa brocca di acqua pulita e dello shampoo che aveva rimediato a casa del Doc.
Quando tornò, la donna era nella stessa identica posizione in cui l’aveva lasciata.
Sembrava ancora shoccata, e il suo senso di colpa non fece che aumentare.
“Si sieda, signora. Devo lavarle i capelli e poi dovrà andare in bagno e sfregarsi la pelle da cima a fondo. Dio solo sa quanti parassiti ci sono in quella palude, non vorrei che le sue ferite si infettassero.”
La donna lo guardò.
I suoi occhi lo mettevano sempre a disagio.
“Posso farlo da sola.”
“Non credo, signora. La brocca è molto pesante e non credo che sarebbe in grado di sollevarla. Anche se, con una donna come lei, non si può mai sapere.”
La donna sembrò sul piede di guerra, poi però decise che non ne valeva la pena.
Era stanca, e i suoi capelli, stando all’irregolare riflesso che riusciva a vedere nello specchio d’acqua, erano pieni di foglie secche e di rametti e alghe.
Gettò la testa all’indietro, chiudendo gli occhi.
Ryo rimase stupito dal suo comportamento.
Pensava che avrebbe scalciato e frignato, ma evidentemente la paura era stata davvero tanta.
Si inginocchiò dietro di lei, cercando di ignorare come i vestiti bagnati si appiccicassero al suo corpo come una seconda pelle, mostrando tutte le curve armoniose della sua silhouette.
Versò un po’ di acqua sui suoi capelli castani, poi li pettinò con le dita per eliminare i corpi estranei e si versò un po’ di shampoo sul palmo della mano.
Poi sparse lo shampoo sui suoi lunghi capelli, strofinando bene le ciocche dal cuoio capelluto fino alle punte, in un massaggio che Kaori trovò estremamente rilassante, salvo poi rimproverarsene subito.
Ryo versò nuovamente l’acqua sulla testa della donna per eliminare i residui di shampoo, poi ripeté l’operazione ancora una volta.
Quando ebbe finito, i capelli della donna erano lucidi e puliti come sempre.
Li strizzò leggermente per eliminare l’acqua in eccesso, poi le tese un asciugamano pulito.
Kaori lo prese e lo avvolse attorno ai capelli a mo’ di turbante.
Ryo le tese una mano per aiutarla ad alzarsi, e lei la afferrò titubante.
Di nuovo, sentì la stessa sensazione che aveva provato nel confessionale.
Quel senso di calore e di forza, che dal palmo della mano dell’uomo si irradiava per tutto il suo corpo.
Rimasero così, mano nella mano, senza che nessuno dei due si decidesse a muoversi, solo fissandosi nel riverbero del primo pomeriggio.
Poi Kaori si decise a fargli la domanda che la tormentava da un paio di giorni.
“Quel giorno, nel confessionale…”
“Sì?”
Kaori distolse lo sguardo.
“Niente, lasci perdere.”
“No, mi dica. Quel giorno nel confessionale…cosa?”
“Ecco, lei…”
Prese un profondo respiro, alzando lo sguardo e piantando i suoi occhi in quelli dell’uomo.
“Lei…mi ha toccato la mano?”
Ragazze, commentate, altrimenti poi mi convinco che questa storia non vi piace più!! Purtroppo sono fatta così!! :-) Un bacio e alla prossima
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** Capitolo 17 ***
Poi Kaori si decise a fargli la domanda che la tormentava da un paio di giorni.
“Quel giorno, nel confessionale…”
“Sì?”
Kaori distolse lo sguardo.
“Niente, lasci perdere.”
“No, mi dica. Quel giorno nel confessionale…cosa?”
“Ecco, lei…”
Prese un profondo respiro, alzando lo sguardo e piantando i suoi occhi in quelli dell’uomo.
“Lei…mi ha toccato la mano?”
Ryo rimase senza fiato davanti all’intensità dello sguardo della donna.
I suoi occhi sembravano perforarlo da parte a parte, sembravano scrutare ogni angolo più recondito dei suoi pensieri, sembravano avere il potere di leggergli dentro come nessun altro era stato capace di fare.
Non rispose.
Non ce n’era bisogno.
Abbassò lo sguardo sulla mano della donna, che ancora teneva intrappolata tra le sue, accarezzandone con lo sguardo la pelle diafana e le dita affusolate dalle unghie mangiucchiate, inaspettate per una donna del suo rango sociale.
Voleva fare una cosa, ne sentiva un bisogno disperato, ma non sapeva come l’avrebbe presa lei…
Deglutì.
Poi si decise, e con il pollice della sua mano accarezzò il dorso e il palmo della mano della donna.
Era il contatto più intimo che avessero avuto, da quando si erano burrascosamente conosciuti.
A dispetto di quanto pensasse, la donna non ritrasse la mano.
Era una situazione al limite del comico, si disse Ryo.
Si ritrovava lì, con una donna che aveva appena rischiato di morire per colpa sua, e non una donna qualunque, ma la moglie del suo peggior nemico.
Si erano insultati e urlati contro, ma adesso lui era in piedi davanti a lei, ancora seduta sul pontile, ancora bagnata, e si accarezzavano le mani a vicenda come se non avessero desiderato altro per giorni.
Kaori saggiò con i polpastrelli la pelle ruvida delle dita dell’uomo, ne percorse ogni singola piega, ogni singolo callo, ogni singola falange, quasi con medico rigore.
Gli occhi e le dita di Ryo si fermarono sull’anulare sinistro della donna.
“Non ha più la fede”, osservò.
Lei sollevò le spalle.
“Devo averla persa in acqua.”
La sua fede non c’era più, ma lei rimaneva la moglie di un altro uomo, nello specifico di un uomo chiamato Mark Duvall. Un uomo che aveva rovinato la sua vita, e senza nemmeno sporcarsi le mani.
Ma, cosa che più lo faceva incazzare, se quel bastardo di Duvall avesse avuto voglia di prendere il viso di sua moglie tra le mani e di baciarla, cosa che avrebbe voluto fare lui in quel preciso istante, nessuno glielo avrebbe impedito. Se voleva spogliarla e fare l’amore con lei e svegliarsi la mattina dopo con lei accanto, avrebbe potuto fare pure quello.
Questo pensiero lo irritava, così se la prese con lei.
“Beh, signora Duvall, dopo che avrò ucciso suo marito potrà farsi regalare un altro gioiello da uno dei suoi amanti, giusto per consolarsi. Non si dice che i gioielli sono i migliori amici delle donne?”
Kaori ritrasse la mano di scatto. I suoi occhi grondavano rabbia.
“Lei è davvero un bastardo, signor Saeba.”
Gli voltò le spalle, dirigendosi stizzita verso il bagno.
“Si ricordi di lavarsi bene, altrimenti le ferite faranno infezione”, le gridò Ryo.
Come unica risposta ottenne lo scatto della serratura del bagno.
Volse lo sguardo verso la palude.
La barca era capovolta, nel bel mezzo dell’acqua.
Doveva assolutamente recuperarla prima che affondasse del tutto, e doveva farlo ora, anche se era stanco, nervoso e ancora intontito.
Il bernoccolo dietro la testa si era gonfiato, ma non aveva disturbi né alla vista né alla memoria.
Almeno non aveva avuto una commozione cerebrale.
Si tuffò in acqua per la seconda volta nel giro di mezz’ora, nuotando fino alla barca.
La rimorchiò poi fino al pontile, ed esaurì le sue ultime riserve di energia per tirare fuori la barca dall’acqua.
Su un fianco della barca vi erano quattro fori, perfettamente allineati.
Nonostante tutto, non aveva perso la sua infallibile mira, si ritrovò a pensare con un pizzico di compiacenza.
Come riparare la barca?
Era il suo unico mezzo per raggiungere il Doc, e quindi per rifornirsi di provviste.
Aveva preferito non prendere molta roba con sé, quando aveva portato la donna al capanno per la prima volta.
Ma adesso era necessario tornare a prendere altre cose da mangiare e, di conseguenza, era necessario riparare quella dannata barca.
Si ricordò della pece che il Doc gli aveva rimediato tempo prima, dicendogli che ne avrebbe potuto aver bisogno.
Quell’uomo sembrava un indovino, si disse Ryo.
Forse lo era, pensò poi.
Lavorando con tenacia per le successive tre ore, imprecando ogni dieci minuti, alla fine l’uomo riuscì finalmente a tappare tutti i buchi con la pece e a coprirli con del nastro isolante nero.
Si asciugò il sudore dalla fronte.
Aveva bisogno di una bella doccia rinfrescante, di un paio di aspirine per calmare il dolore alla testa e di una notte di sonno ristoratore.
Ma prima doveva verificare che la barca reggesse.
La immerse nuovamente nell’acqua, praticamente pregando che non affondasse.
La barchetta rimase a galla, ondeggiando dolcemente.
La rudimentale riparazione aveva funzionato, ma Ryo non aveva le forze nemmeno per rallegrarsene.
Attraccò la barca al pontile e tornò nel capanno.
Kaori Duvall era in cucina.
Sedeva sul divano, guardando fuori, e mangiava una arancia.
Ryo rimase ipnotizzato dall’eleganza con cui lei portava lo spicchio di arancia alle labbra, mordendolo con i suoi denti bianchi e perfetti.
“Cosa ha da fissare, signor Saeba?”
Ryo trasalì. La donna non si era voltata, continuava a fissare il vetro della finestra.
Fuori aveva cominciato a piovere, e la pioggia che picchiettava sul vetro era l’unico rumore che intervallava il silenzio che si era installato tra loro.
Kaori Duvall non distoglieva lo sguardo dalla finestra, osservando i rivoletti d’acqua che creavano strani disegni sul vetro, e Ryo non riusciva a distogliere lo sguardo da lei.
“Che diavolo mi prende?”
Si riscosse, avvicinandosi a lei.
“Mi faccia controllare le ferite. In quell’acqua c’è ogni tipo di microrganismi nocivi.”
La sua ultima affermazione parve spaventare la donna, che altrimenti era già pronta sul piede di guerra.
Indossava una tuta grigia, così gli diede le spalle e abbassò la zip della felpa, scoprendosi le spalle e la schiena.
Ryo cercò di ignorare il profumo della sua pelle, imponendosi di essere il più distaccato possibile.
Esaminò le ferite minuziosamente, ma con suo grande sollievo si accorse che si erano tutte cicatrizzate e che non sanguinavano più.
Per precauzione le disinfettò ad una ad una, applicando poi un unguento che gli aveva dato il Doc.
Quando ebbe terminato, le risistemò la felpa sulle spalle con gesti impacciati.
Lei sembrò sorpresa dal suo gesto, ma non fece commenti.
Richiuse la felpa fino al collo, poi si alzò, rimanendo in piedi davanti a lui e squadrandolo con sfida.
“Adesso vado a dormire, signor Saeba. Ho rischiato di morire almeno tre volte, nel giro di un paio di giorni, e lei capirà che non sono cose che succedono tutti i giorni e che possono mettere a dura prova la resistenza fisica di una donna. Buona notte.”
Leggermente disorientato dal suo discorso, di cui non aveva capito granchè perché era troppo occupato a fissarle le labbra, Ryo le afferrò il polso prima che lei potesse allontanarsi.
Lei strattonò il braccio, cercando di liberarsi.
“Mi lasci.”
Senza lasciarle il polso, Ryo infilò con noncuranza una mano nella tasca dei jeans, estraendone un paio di manette.
Kaori Duvall lo guardò spaventata.
“Che diavolo sta combinando, adesso?”
“La ammanetto”, le disse, con tono calmo.
Fece scattare uno dei due anelli attorno al polso sottile che ancora stringeva tra le sue dita.
“A cosa?”
La donna era spaventata, ma divenne letteralmente furiosa quando lui, con dissimulata noncuranza, le rispose.
“A me.”
Steso supino sul letto, Ryo fissava pensieroso il soffitto.
Non riusciva a dormire, il dolore alle tempie era insopportabile, nonostante avesse ingoiato un paio di aspirine appena due ore prima.
Gettò un’occhiata fugace alla donna che riposava al suo fianco.
Gli dava le spalle, evidentemente era ancora arrabbiata con lui.
Non aveva preso bene il fatto di essere ammanettata, e gli aveva urlato epiteti che avrebbero fatto arrossire un camionista.
Cavolo, quella donna era davvero una contraddizione.
All’apparenza sembrava impostata e regale come tutte le mogli dei magnati della società newyorkese, eppure sapeva difendersi benissimo da sola.
E, soprattutto non si piangeva addosso.
Era stata rapita, colpita da un proiettile e da decine di schegge di vetro, era stata sballottata da una parte e dall’altra e aveva rischiato di annegare soltanto qualche ora prima.
Eppure non aveva ceduto.
Aveva tirato fuori le unghie e aveva lottato con tutte le sue forze, e il bernoccolo che gli pulsava insopportabilmente dietro la testa ne era una prova tangibile.
E poi c’era suo marito.
Sembrava averla annientata, in qualche modo.
Ogni volta che parlava di lui i suoi occhi si riempivano di paura.
Ma nonostante ciò, lo aveva praticamente supplicato di lasciarla andare e di riportarla da lui, il giorno prima.
E quella frase che gli aveva urlato?
“Se le succederà qualcosa…sarà tutta colpa sua.”
A chi si riferiva?
Aveva l’impressione di saperlo, ma in quel momento non voleva pensarci, voleva solo riposarsi.
Il giorno dopo avrebbe riletto il fascicolo che Mick gli aveva fornito e forse avrebbe trovato risposta a tutte le sue domande.
Forse il giorno dopo avrebbe perfino capito come mai quella donna così testarda, insopportabile e contraddittoria lo attirava tanto.
Chiuse gli occhi, poi però non resistette alla tentazione e spostò lo sguardo su Kaori Duvall.
Per poco non balzò fuori dal letto, quando si accorse che anche lei lo stava fissando.
Si era voltata verso di lui e si era sistemata su un fianco.
Adesso erano occhi negli occhi, ed entrambi percepivano una strana tensione nell’aria.
“Signor Saeba?”
Come al solito, fu lei la prima a parlare.
“Si?”
La voce di lui era roca, così se la schiarì nervosamente.
“Posso farle una domanda?”
Lui non rispose, ma Kaori lesse nei suoi occhi il consenso che cercava.
“Perché mi ha rapita? Voglio dire, so che l’ha fatto per fare uno sfregio a mio marito e mi sembra anche di capire che sia una cosa molto personale. Cosa le ha fatto Mark, per spingerla ad infrangere la legge, proprio lei che prima la rappresentava?”
Ryo prese un respiro profondo, distogliendo lo sguardo e tornando a fissare il soffitto della stanza.
Doveva risponderle?
Si voltò nuovamente verso di lei che aspettava, paziente, una sua risposta.
Perché no, dopotutto?
Dopo tutto quello che le aveva fatto passare, quella donna meritava almeno una spiegazione.
“Si chiamava Hideyuki Makimura. Ed era il mio migliore amico.”
Finalmente riesco a ritagliarmi un pò di tempo per aggiornare questa ff. Volevo scusarmi con voi se non aggiorno regolarmente, ma sto preparando vari esami e purtroppo il tempo libero scarseggia. Per quanto riguarda la fic, lo so che il rapporto tra Ryo e Kaori si sta evolvendo moooolto lentamente, e che per questo la storia può risultare noiosa. Ma sto cercando di essere realista, e credo che tra vittima (anche se di vittima non si tratta) e carnefice (anche se di carnefice non si tratta), la passione non esploda a prima vista, no? Comunque vi prometto che presto ci saranno risvolti e ci sarà anche un pò di azione. Buona lettura e grazie a tutti coloro che continuano a seguire e commentare questa storia a cui io tengo particolarmente. Un bacio,alla prossima. Giusy |
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** Capitolo 18 ***
“Si chiamava Hideyuki Makimura. Ed era il mio migliore amico.”
Kaori rimase immobile, in silenzio.
Gli aveva rivolto quella domanda, ma in realtà non si aspettava una risposta.
Aveva capito che Ryo Saeba era un uomo estremamente riservato e poco loquace, ed era già pronta a sentirsi un “Si faccia gli affari suoi”, o qualcosa del genere.
E invece lui aveva chiuso gli occhi, si era messo un braccio di traverso sugli occhi e aveva cominciato a parlare.
Kaori non osava nemmeno respirare.
Si rendeva conto, istintivamente, che quello che l’uomo stava per svelarle era un segreto che si era tenuto dentro a lungo, uno di quei segreti di cui fa male parlare, anzi fa male anche solo pensarci.
Lei ne sapeva qualcosa.
“Lavoravamo insieme al Dipartimento di Polizia di Shinjuku, e lo conoscevo da quasi vent’anni. È stato come un fratello, per me.”
Fece una pausa, prendendo un respiro profondo.
Il silenzio surreale che li avvolgeva era interrotto solo dal cicaleccio dei grilli fuori dal capanno.
“Poi ci siamo fatti strada, io e Hide, e siamo diventati agenti segreti della DEA. Otto anni fa siamo stati trasferiti a New York, e Hideyuki si è sposato con il nostro diretto superiore a Shinjuku, l’ispettrice Saeko Nogami.”
Kaori aveva sentito spesso parlare di lei.
Era una delle icone delle femministe, perché si era fatta strada con le sue mani raggiungendo i vertici e soprattutto non si era fatta scoraggiare dall’ostracismo e dal maschilismo dei suoi superiori e dei suoi colleghi maschi.
La tenerezza che avvertì nella voce di lui, quando aveva pronunciato il nome di quella donna, la spinsero a fare una domanda che in realtà sarebbe dovuta rimanere segregata tra i mille interrogativi che quell’uomo le suscitava e che le affollavano la mente.
“La conosceva bene?”
Lui sorrise, dolcemente, e lei sentì una assurda e immotivata fitta di gelosia attraversarle il corpo.
“Saeko? Abbiamo avuto una relazione, prima che lei si fidanzasse con Hide. Credo che lei sia la donna che mi conosce meglio. Ma è troppo simile a me, e non saremmo mai durati insieme. L’amore è una questione di alchimia, di chimica. Ci sono elementi che si respingono pur essendo simili, elementi che si combinano meglio con altri, ed elementi che si attraggono inesorabilmente pur avendo cariche di segno opposto.”
Si voltò verso di lei, e la guardò negli occhi.
Kaori vedeva il suo riflesso proiettato in quegli occhi neri ed enigmatici, che sembravano avere il potere di perforarle le pupille e accedere alla parte più recondita dei suoi pensieri, quella parte che lei nascondeva a tutti da troppo tempo.
Distolse lo sguardo, spaventata dall’improvviso ed insano desiderio che quello sguardo le aveva suscitato.
Un desiderio che non avrebbe potuto soddisfare in nessun modo, perché lui l’aveva rapita e minacciata, e soprattutto perché Mark avrebbe capito che l’aveva tradito nell’istante stesso in cui l’avesse guardata negli occhi, e sua sorella ne avrebbe pagato le conseguenze.
Aveva desiderato baciarlo.
Le loro labbra erano a qualche centimetro di distanza, e le sarebbe bastato sporgersi leggermente verso sinistra, e non solo i loro occhi ma anche le loro labbra sarebbero entrate in contatto.
Che razza di donna era? Era sposata, per Dio…
Aveva giurato fedeltà.
Vergognandosi di se stessa, Kaori si allontanò bruscamente da Ryo, dimenticando che le manette non le avrebbero comunque consentito di mettere una grande distanza tra i loro corpi.
Per un lungo momento, nessuno dei due parlò.
Erano entrambi rigidi e nervosi, e la tensione era talmente palpabile che sembrava aver rarefatto l’aria.
“Continui il suo racconto, la prego.”
Kaori dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per mantenere la voce ferma.
Lui annuì, ma continuò a fissare il soffitto.
“Due mesi fa il nostro capo ci ordinò di seguire un grosso traffico di una nuova droga, chiamata Polvere degli Angeli. Si tratta di una droga sintetica molto potente, sintetizzata in Sud America da un gruppo di guerriglieri capitanati da un certo Shin Kaibara. Questa droga è in grado di lenire le sofferenza fisiche dovute alle ferite di guerra, ma è anche molto potente, in quanto aumenta esponenzialmente l’aggressività di chi la assume e crea una fortissima dipendenza. Il traffico di questa droga dal Giappone agli Stati Uniti era gestito da una organizzazione criminale, chiamata Union Teope. E indovini chi è il loro finanziatore più grosso?”
Kaori impallidì, sollevandosi di scatto.
Aveva sentito Mark parlare diverse volte di una certa PCP, ma lui le aveva sempre detto che si trattava di un farmaco sperimentale per lenire le sofferenze dei malati terminali.
E le aveva detto che il farmaco era prodotto da una casa farmaceutica giapponese.
La Union Teope.
“La PCP è una droga, vero?”
La sua voce tremava. Sapeva che suo marito era uno sporco figlio di puttana, ma non immaginava fino a quel punto.
Che padre avrebbe avuto il suo bambino? Di nuovo un’ondata di sollievo la invase, e di nuovo il senso di colpa le attanagliò le viscere.
Ryo Saeba la guardò, annuendo lentamente.
“Sì. È il nome chimico della Polvere degli Angeli.”
“Gesù.”
Kaori tornò a stendersi sul letto, desiderando di non avergli mai chiesto di continuare la sua storia.
“E non è finita. Il principale pusher di PCP a New York sarebbe stato Fabian McKinsley, secondo quello che abbiamo scoperto dalle intercettazioni telefoniche fra suo marito e Kaibara. Gli stavamo col fiato sul collo, a quei bastardi, ma riuscivano sempre a farla franca. Sembrava che conoscessero le nostre mosse con largo anticipo, e questo può voler dire una sola cosa.”
“Una talpa nel Dipartimento.”
Kaori, che aveva seguito attentamente il discorso, lo anticipò.
Ryo la guardò, sorpreso.
“Che c’è? Le sembra così strano che anche io abbia un cervello?”, gli disse ironica.
L’uomo sorrise, senza rispondere, incrociando le braccia dietro la testa.
“Due settimane fa ricevemmo una soffiata anonima. Un uomo telefonò nel mio ufficio, dicendo che McKinsley e Kaibara si sarebbero incontrati quella sera in un magazzino abbandonato fuori città per concludere l’affare. Se fossi arrivato in tempo, avrei preso due piccioni con una fava. L’uomo mi disse anche di non avvertire i miei superiori, perché tra loro si nascondeva una talpa, e se l’informazione fosse giunta alle orecchie sbagliate l’incontro tra i due spacciatori sarebbe stato rinviato e non sarebbe stato possibile catturare quei bastardi.”
Ryo si tirò a sedere sul letto, e Kaori fece altrettanto.
Si fissarono per un attimo, entrambi seduti a gambe incrociate sul letto, entrambi cercando di ignorare l’attrazione che provavano l’uno per l’altra.
Ryo prese il pacchetto di sigarette poggiato sul comodino accanto al letto e ne estrasse una sigaretta.
La mise tra le labbra, cercando l’accendino nella tasca dei suoi pantaloni.
“Lei fuma, signora Duvall?”
La donna scosse la testa.
“È un vizio che ho perso tempo fa. Non vale la pena spendere un patrimonio per rovinarsi i polmoni. Ci pensa già lo smog di questa metropoli.”
Ryo avvicinò la fiamma dell’accendino alla sigaretta, poi si fermò e la guardò.
“Le dispiace se fumo?”
Kaori ebbe un’improvvisa voglia di ridere. Quell’uomo l’aveva rapita, l’aveva portata in un posto dimenticato da Dio e adesso le chiedeva se poteva fumare.
Da non crederci.
Di nuovo avvertì quel bisogno di baciarlo.
Ma che diavolo mi succede?, pensò, stizzita.
“Certo che può fumare, a me non importa niente”, disse, con un po’ troppa enfasi.
L’uomo la guardò stupito, ma non fece commenti.
Accese la sigaretta e ne aspirò una profonda boccata.
“La procedura standard, in quel caso, avrebbe voluto che io avvertissi immediatamente i miei superiori. Ma io ero troppo immischiato in quella faccenda. Era un questione personale, capisce? Così me ne sono fottuto, della procedura, e ho deciso di fare di testa mia, senza nemmeno chiedermi chi cazzo fosse l’uomo al telefono. Dovevo prendere quegli uomini, questa volta non potevo fallire.”
Kaori vide Ryo Saeba agitarsi sempre di più. Era lampante che quella faccenda lo aveva duramente provato. Ma sospettava che la parte peggiore della storia dovesse ancora arrivare.
“Raccontai della telefonata a Makimura. Lui cercò di dissuadermi dall’andare lì da solo, ma io mi ero impuntato. C’erano cose che il mio collega non sapeva, quindi non poteva capire fino in fondo la mia necessità di mettere fine a quella faccenda. Litigammo, e io gli dissi che ci sarei andato, con o senza di lui. Makimura decise di seguirmi. E io lo condannai a morte.”
Ormai sembrava che l’uomo parlasse più per sé stesso, che non per lei. Il senso di colpa, così simile al suo, grondava da ogni sua parola.
“Era un’imboscata, e io ci sono caduto come un pivello. E ho trascinato Hideyuki con me. Quel dannato magazzino era pieno di uomini della Yakuza. E c’era anche McKinsley tra loro. Hanno aperto il fuoco, e noi abbiamo risposto, ma eravamo solo due, e loro erano almeno in venti. Così siamo fuggiti da quell’inferno, ma mi sono subito accorto che c’era qualcosa che non andava, in Makimura. Era pallido e non riusciva a camminare. Uno dei proiettili vaganti l’aveva colpito. Mi è morto tra le braccia, ed è stata colpa mia, capisce? Non ho premuto quel grilletto, ma è come se l’avessi fatto. L’ho ucciso io.”
Il pomo d’Adamo di Ryo si muoveva a scatti, e Kaori comprese che l’uomo stava lottando contro le lacrime.
Quella consapevolezza lo rese ai suoi occhi umano come non lo era mai stato prima, nemmeno quando si era travestito da prete.
Anche lui aveva bisogno del perdono, di una assoluzione.
“Non è stata colpa sua. Il suo amico aveva una scelta, ma ha deciso di seguirla in quel magazzino. L’ha ucciso chi ha sparato, signor Saeba.”
“Fabian McKinsley.”
Pronunciò il nome dell’uomo come se si trattasse di una bestemmia sputata.
“Ho perso notti intere a rivivere quel momento. Ricordo la disposizione di tutti gli uomini in quel maledetto magazzino. E l’unico che può averlo colpito è lui. Fabian McKinsley. E morirà per questo.”
“Signor Saeba, la vendetta non riporterà indietro il suo amico. Servirà solo a metterla nei guai.”
Ryo la guardò, e questa volta il suo sguardo la trapassò come una stilettata.
“Ma che brava, ora difende anche il suo amante.”
Kaori lo schiaffeggiò con la mano libera.
“Quel porco non è il mio amante. Siamo intesi?”
Ryo la afferrò per le spalle, premendola contro il materasso e sovrastandola con il suo corpo.
“E lei si aspetta che le creda? So quello che ho visto, signora Duvall. Forse conosco un altro modo per fare uno sfregio a suo marito e divertirmi allo stesso tempo. Non dovrebbe essere un problema per lei, no? Dopotutto ci è abituata.”
Le accarezzò il viso, ma quella carezza le fece più male di uno schiaffo.
“Ma si, mi violenti pure, mi dimostri che lei è uguale a tutti gli altri!”
Si rese conto di aver urlato a pieni polmoni solo quando lo vide trasalire.
Si fissarono per un attimo, mentre Kaori faticava a respirare.
L’uomo si sollevò, tendendole una mano e aiutandola a mettersi seduta.
“Non so quello che ha visto, signor Saeba, ma le assicuro che non mi farei toccare da Fabian McKinsley nemmeno se fosse l’ultimo uomo sulla faccia della terra. Poi lei è liberissimo di credere quello che vuole. Se pensa che sono una puttana, continui pure a farlo.”
C’era amarezza, nelle sue parole, ed era qualcosa che Ryo non poteva ignorare.
“D’accordo, ho deciso di concederle il beneficio del dubbio, ma ci sono tante cose che non mi tornano, signora Duvall.”
“Le risposte giuste si ottengono facendo le domande giuste, signor Saeba. Ma prima c’è una cosa che devo chiederle. Lei ha detto che la questione della PCP era qualcosa di molto personale e che nemmeno il suo collega conosceva le sue vere motivazioni. Cosa intendeva dire?”
Ryo si rese conto che quella donna era molto più intelligente e attenta di quello che aveva pensato.
Così decise di rivelarle tutto, di scoprire le sue ultime carte.
Era davvero un rapporto surreale, quello che si era instaurato tra loro, pensò Ryo.
Lei gli aveva raccontato del suo bambino.
Lui stava per svelarle un segreto di cui era a conoscenza solo il Doc.
Dopo averla ingannata travestendosi da prete, e dopo averla insultata varie volte, forse non sarebbe stato male parlare un po’ con lei.
Aveva come l’impressione che quella donna potesse capirlo.
“Quella della PCP era una questione molto, molto personale, per me. Se ben ricorda, le ho detto che l’ha sintetizzata un uomo di nome Shin Kaibara. Quell’uomo era mio padre. E io sono stata la prima persona su cui ha testato la Polvere degli Angeli.”
La mia musa ispiratrice chiamava, e non ho potuto non rispondere!! Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento...grazie come sempre per i commenti!! E grazie in anticipo a tutti coloro che mi lasceranno una impressione...positiva o negativa!!Un bacione
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** Capitolo 19 ***
“Quella della PCP era una questione molto, molto personale, per me. Se ben ricorda, le ho detto che l’ha sintetizzata un uomo di nome Shin Kaibara. Quell’uomo era mio padre. E io sono stata la prima persona su cui ha testato la Polvere degli Angeli.”
Kaori rimase senza fiato di fronte all’ultima confessione dell’uomo.
Che razza di mostro testerebbe una droga così potente sul proprio figlio?
“Quanti…quanti anni aveva lei?”, gli chiese, timorosa di riaprire ferite che forse, nonostante gli anni, non si erano ancora rimarginate del tutto.
“Otto”, fu la sua laconica risposta.
“Mi dispiace.”
Kaori lo guardò, ma Ryo non riuscì a reggere l’intensità di quello sguardo.
“Non ho bisogno della sua pietà, signora.”
Perché stava sempre sulle difensive?, si chiese Kaori.
Sembrava che attaccasse per paura di essere attaccato, che ferisse per paura di essere ferito.
Non le era mai capitato di incontrare un uomo così complicato.
Era per questo che lui la incuriosiva così tanto?, si chiese con un pizzico di disagio.
Ryo Saeba era un uomo testardo, orgoglioso e a dir poco contraddittorio.
I suoi occhi sembravano vuoti e freddi, ma lei aveva intuito che in realtà mascheravano un passato difficile da dimenticare, e il racconto dell’uomo ne era solo la conferma.
Le rare volte che lo aveva visto sorridere, il sorriso rimaneva congelato sulle sue labbra, senza estendersi agli occhi.
Cosa nascondevano quelle iridi nere?
Si riscosse dai suoi pensieri, e si decise a rispondergli.
“La mia non è pietà. Ne so qualcosa, di infanzia rubata.”
Non c’era traccia di amarezza o di accusa, nella voce della donna, e la sua voce era ferma e sicura.
Il passato le aveva lasciato un fardello di paure viscerali e incontrollabili, ma ormai non le faceva più paura.
Era il presente, che la spaventava.
“In realtà Shin non era il mio vero padre. Non conosco nemmeno io le mie origini, né i miei genitori, che sono morti in un incidente aereo quando io ero molto piccolo. Io sono stato l’unico sopravvissuto all’incidente. L’aereo si è schiantato in una giungla del Sud America, e lì sono stato ritrovato da Shin, che guidava un esercito di guerriglieri. Kaibara mi ha preso con sé e mi ha insegnato a combattere e a sparare. Fu lui a darmi il nome Saeba, e una volta perse anche una gamba per salvarmi da una mina. Mi voleva bene, a modo suo.”
Kaori lo guardò.
L’uomo fissava il soffitto, con le braccia incrociate dietro la testa, e sembrava perso tra i meandri del suo difficile passato.
La donna sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il suo turno, di raccontare il proprio passato.
Ma per adesso voleva ascoltare il racconto del suo rapitore, voleva saperne il più possibile su quell’uomo così misterioso che occupava ormai buona parte dei suoi pensieri.
“Col protrarsi della guerra, però, Kaibara impazzì. Spinto dall’ossessione di terminare la guerra il prima possibile, cominciò a studiare metodi per affrontare le battaglie più facilmente, sia dal punto di vista fisico che psicologico. Così sintetizzò la Polvere degli Angeli, una droga che, come le ho accennato prima, è in grado di rendere gli uomini invincibili. Shin decise di testare la PCP su di me, non so se per sadismo o per un affetto che ormai rasentava l’ossessione e la pazzia.”
“E che effetti ebbe questa droga sul suo fisico?”
Ryo non rispose subito. Pensava di essere ormai immune a quel dolore, ma evidentemente non era così facile scordare il passato, visto che aveva un nodo in gola, fastidioso, doloroso, che gli impediva di aprire bocca.
Se l’avesse fatto, forse la sua voce non sarebbe stata ferma come voleva.
E lui odiava avere la voce rotta, odiava essere debole e ancora di più odiava mostrare agli altri le sue debolezze di uomo.
Inspirò profondamente, mentre Kaori rimaneva in religioso silenzio, in attesa.
Quando ebbe dominato le sue emozioni, e le ebbe represse nell’angolo più remoto dei suoi pensieri, si decise a rispondere alla domanda della donna.
“Gli effetti furono devastanti. Quella droga è in grado di aumentare la resistenza fisica al dolore. Mi sentivo invincibile come un Dio. Ma soprattutto ero assetato di sangue. La PCP contiene una sostanza che aumenta esponenzialmente l’aggressività e inibisce la coscienza. Ho ucciso uomini per il solo piacere di farlo.”
Kaori avvertì chiaramente il senso di colpa che trasudava dalle sue parole.
Voleva abbracciarlo, consolarlo, dirgli di non sentirsi in colpa, che non era stata colpa sua se quelle persone erano morte.
Ma sapeva che lui non avrebbe apprezzato, e poi si era ripromessa di limitare al minimo indispensabile il contatto fisico con quell’uomo.
“Era sotto l’effetto della droga”, si limitò a sussurrare sommessamente.
“Ciò non cambia il risultato delle mie azioni. Quelle persone sono morte, e io le ho uccise. Ci potrebbero essere centinaia di attenuanti a mio favore, ma niente riuscirà a cancellare dai miei incubi i volti di quegli uomini mentre mi chiedevano perché lo facevo. E sa cosa rispondevo? Che lo facevo perché mi piaceva farlo.”
Ryo si tirò a sedere sul letto, cercando nervosamente le chiavi delle manette là dove le aveva nascoste, ovvero nella fodera del suo cuscino.
Doveva assolutamente mettere dello spazio tra lui e quella donna che lo fissava con occhi che non contenevano pietà né compassione ma solo comprensione e dolore, doveva mettere spazio tra sé e quella donna prima che mandasse a puttane tutti i suoi buoni principi di limitare al minimo indispensabile il contatto con lei.
Aprì le manette, scattando in piedi come se avesse avuto una molla sotto il sedere.
Si avvicinò alla finestra, dandole le spalle e accendendosi un’altra sigaretta.
Kaori rimase sul letto, a fissare ipnotizzata la sua schiena ampia.
Poi si sollevò anche lei e si avvicinò a lui.
“È ancora valida la sua offerta?”
Lui la guardò senza comprendere a cosa si riferisse.
Kaori abbassò significativamente lo sguardo sulla sua mano, che stringeva la sigaretta tra l’indice e il medio.
L’uomo non rispose, passandole la sigaretta e sorridendo leggermente.
Rimase a fissarla mentre aspirava un paio di boccate, poi Kaori spense la sigaretta nel posacenere poggiato sul davanzale della finestra ed entrambi rimasero in silenzio a fissare le volute di fumo che, sinuose come arcaici disegni, si sollevavano dal mozzicone.
Erano vicinissimi, e le loro braccia e le loro cosce quasi si toccavano.
Ryo si sorprese a fissarle le labbra, e ancora di più si sorprese a pensare che avrebbe potuto baciarla in quel preciso istante e lei non si sarebbe tirata indietro.
C’era chimica tra loro, al livello fisico, e quello era innegabile.
Ma ancora di più c’era quell’intesa mentale, quella sensazione di conoscerla da sempre…
Kaori sentiva lo sguardo dell’uomo su di sé.
Si era creata una strana intimità tra loro, e non si fidava ad alzare lo sguardo e a incontrare i suoi occhi.
Non si fidava delle sue reazioni, del suo autocontrollo…
Così decise di riprendere il discorso di Kaibara e della Polvere degli Angeli.
Era vigliaccheria bella e buona, e prima o poi avrebbe dovuto affrontare la situazione e analizzare quel sentimento sconosciuto che si agitava nelle sue viscere ogni volta che lo guardava.
Ma non se la sentiva, non adesso, non ancora…
“Non ha più rivisto suo padre da allora?”
Ryo si riscosse, grato alla donna del diversivo che lei gli aveva fornito, e che gli aveva appena impedito di fare un’emerita cazzata come quella di prenderla tra le braccia e baciarla.
Si schiarì la voce nervosamente.
“No. Quando mi sono reso conto di quello che avevo fatto a causa di quella droga, mi sono imposto di uscirne. Non è stato facile, sa. Quella maledetta polvere bianca crea una fortissima dipendenza, e le crisi di astinenza erano insopportabili. Mi sembrava di morire.”
Ryo serrò gli occhi, cercando di allontanare le terribili sensazioni che quei ricordi gli suscitavano ancora, seppur a distanza di quasi trent’anni.
“Ma per fortuna ho sempre avuto una ferrea forza di volontà. Così sono fuggito da quell’inferno, imbarcandomi clandestinamente sul primo volo disponibile, deciso a cambiare vita. E mi sono ritrovato in Giappone. Avevo 11 anni.”
Kaori gli poggiò istintivamente una mano sul braccio in segno di conforto, ma la ritrasse immediatamente quando si rese conto delle possibili implicazioni del suo gesto.
Di nuovo il silenzio si installò fra loro, fatto di istinti repressi, domande inespresse e reconditi desideri.
Di nuovo fu Kaori, la prima a parlare.
“E in Giappone ha incontrato il Doc.”
“Si, ma è stato diversi anni dopo, quando avevo circa 16 anni. Non appena sono arrivato in Giappone ho rapinato una banca. Beh, ci ho provato, ma mi hanno preso. Avevo con me un’arma, quindi mi hanno accusato di furto aggravato. Ma essendo un minorenne non potevano sbattermi dentro, e così mi sono fatto un paio di anni in un riformatorio alla periferia di Shinjuku.”
Kaori lo guardò, pensierosa.
“Che coincidenza. Anche io sono stata mandata in riformatorio per un breve periodo. Mia madre mi aveva costretta a rubare in un supermercato. I pochi yen contenuti in quella cassa mi sono costati 6 mesi di riformatorio. Centro di correzione per bambini disagiati, mi pare si chiamasse. In realtà non era né più né meno di una prigione.”
Ryo fissava la donna davanti a lui.
C’era qualcosa che non gli tornava.
Aveva l’impressione di averla già vista, anche se non riusciva a collegare il suo viso con nessun ricordo particolare.
“Che coincidenza. Anche io sono stata mandata in riformatorio per un breve periodo.”
E quella sensazione di conoscerla da sempre…
“Centro di correzione per bambini disagiati, mi pare si chiamasse.”
E improvvisamente un ricordo, nitido come una fotografia, turbinò nei suoi pensieri.
Ecco dove l’aveva già vista…
Accarezzò con lo sguardo i suoi lunghi capelli castani, i suoi zigomi delicati, la sua pelle diafana.
Come aveva fatto a non capirlo prima...
Kaori rimase stranita dal suo atteggiamento.
La fissava come se non l’avesse mai vista prima.
“Signor Saeba? Si sente bene?”
Ryo le sorrise, e fu un sorriso sincero, per la prima volta, perché non le sorrise solo con le labbra ma anche con gli occhi.
“Alla fine avevo ragione io, Sugar Boy.”
Salve!! Sono tornata con un altro aggiornamento di questa ff che ormai mi ha preso troppo la mano!! Con calma cercherò di aggiornare anche le altre, ma per adesso è questa che mi ispira quindi abbiate pazienza!! Allora, anche se questa è una AU ho cercato di metterci alcune situazioni del manga…come Kaibara, la Polvere degli Angeli e altre cose che leggerete in questo capitolo. Non so quanto possa essere giusta questa scelta…fatemi sapere cosa ne pensate!! Come sempre, vorrei ringraziare chi ha commentato il capitolo scorso, incoraggiandomi ed incentivandomi a continuare questa storia che non so se sarebbe arrivata fino a questo punto senza il vostro sostegno. Mille grazie a: SIYAH, ANGEL MARY, GIORGIA, RUKA88, MARYMARY92.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** Capitolo 20 ***
18 anni prima
Guardò l’orologio appeso alla parete della piccola stanza spoglia.
Segnava le 12.30.
Era ora di pranzo, e lui era affamato, ma l’odore che proveniva dalle cucine della mensa e che aveva impregnato negli anni ogni singola superficie di quell’istituto lo nauseava, come ogni giorno da 5 mesi a quella parte.
Pensava che in Giappone si sarebbe riscattato per tutto quello che aveva dovuto subire in guerra, e invece era già riuscito a farsi sbattere dentro.
E non in una prigione, dove almeno avrebbe conservato parte della sua dignità.
Lo avevano rinchiuso in un centro per bambini “disagiati”.
Non sapeva cosa volesse dire quella parola, ma intuiva che era un sinonimo di sfigati.
E la cosa peggiore era che si era ritrovato circondato da un centinaio di mocciosi, quasi tutti più piccoli di lui, che frignavano per ogni minima cosa e che facevano subito la spia alla direttrice non appena lui faceva qualche innocente giochino, come mettere dei topi nel bagno delle bambine oppure cospargere di dentifricio il viso dei suoi compagni di camera durante il sonno.
La maggior parte delle giornate le passava in punizione.
La punizione faceva paura a tutti, e leggenda voleva che molti bambini non ne fossero usciti vivi.
Lui era stato punito un’infinità di volte, ed era ancora vivo e vegeto.
La tanto temuta “punizione” consisteva nel passare una giornata da solo in una stanzetta, senza poter giocare né parlare con nessuno.
All’ora di pranzo e di cena arrivava qualcuno e gli portava da mangiare.
Il suo pranzo consisteva in un pezzo di pane, una fetta di formaggio e un po’ d’acqua.
La sua cena anche.
Non riusciva mai a vedere chi gli portasse il cibo, perché la porta non veniva mai aperta.
Il vassoio con il cibo veniva fatto passare attraverso un piccola fessura nella porta, poi la fessura si richiudeva e la stanza ripiombava nel silenzio e nella solitudine.
Pensavano di punirlo, lasciandolo da solo, ma non si rendevano conto di fargli un piacere, invece.
Odiava tutta quella confusione, odiava i pianti dei bambini, gli ricordavano insopportabilmente i lamenti dei soldati feriti durante i combattimenti.
E quello era un passato che voleva dimenticare, nonostante la notte gli tornassero ancora alla mente ricordi vividi e dolorosi come ferite sanguinanti.
Chissà se quelle ferite si sarebbero mai cicatrizzate del tutto, o se avrebbero continuato a sanguinare e a far male per sempre.
Dei passi fuori dalla porta lo distrassero dai suoi pensieri.
Sicuramente erano venuti a portargli da mangiare.
Adesso la fessura si sarebbe aperta, poi lui avrebbe afferrato il vassoio bianco che gli veniva teso e la fessura si sarebbe richiusa.
Stranamente, però, sentì il rumore metallico di una chiave che veniva inserita nella serratura, poi un paio di scatti e la porta si aprì cigolando.
Per un attimo lo colpì l’assurda speranza che qualcuno fosse venuto a liberarlo da quel covo di mocciosi petulanti per rendergli quella libertà a cui lui tanto anelava.
Ma evidentemente si sbagliava, visto che un’altra persona fu spinta nella stanza senza troppe cerimonie e la porta fu immediatamente richiusa a doppia mandata.
Ryo osservò il bambino davanti a lui.
Aveva corti capelli castani con incredibili riflessi ramati, era magro e indossava una salopette di jeans con una magliettina gialla.
Le sue ginocchia erano sbucciate e il suo viso corrucciato, mentre si guardava attorno.
Decise di mettere subito le cose in chiaro, visto che a quanto sembrava sarebbero stati costretti a dividere la stanza per il resto della giornata.
“Senti, ragazzino, non so cosa tu abbia fatto per farti sbattere qua dentro, ma sappi che non sono un tipo socievole. Stai al tuo posto e non darmi fastidio. Chiaro?”
Il bambino si voltò e lo fissò.
I suoi occhi castani sembravano volerlo incenerire sul posto.
“Come mi hai chiamato?”
Ryo lo fissò spaesato. Che diavolo stava blaterando?
L’altro gli si avvicinò, con le mani sui fianchi, avvicinando il viso al suo, tanto che i loro nasi quasi si sfioravano.
“Se non mi sbaglio mi hai chiamata ‘ragazzino’. Ora, io credo che tu abbia bisogno di una bella visita oculistica. Sono una ragazza, idiota.”
Si fissarono in silenzio per un attimo, poi Ryo scoppiò a ridere.
“Una ragazza, hai detto?? Non si direbbe proprio, Sugar Boy.”
Gli occhi della bambina si ridussero a due fessure.
“Ripetilo, se hai il coraggio.”
Ryo la squadrò con strafottenza.
“Ripetere cosa, Sugar Boy?”
Il braccio della bambina davanti a lui scattò con sorprendente rapidità, ma lui riuscì a bloccare la sua mano a qualche millimetro dalla propria guancia.
Adesso non rideva più.
“Che diavolo credevi di fare? Non volevi schiaffeggiarmi, vero mocciosa?”
Lei divincolò il braccio, guardandolo con sfida, senza abbassare lo sguardo.
“Odio essere scambiata per un maschio.”
Ryo si rese conto che la rabbia e l’irritazione che lei ostentava celavano in realtà un remoto dolore.
Decise che quella bambina gli stava simpatica, dopotutto.
Non aveva abbassato la testa davanti a lui, e questo le faceva onore.
“Ok, bambina, come ti chiami?”
“Kaori.”
“Bene, Kaori, io mi chiamo Ryo. Ora tu sai il mio nome e io il tuo. Adesso che ci siamo conosciuti non credo ci sia nient’altro da dire, quindi tu vai a sederti nel tuo angolo, e io nel mio, e aspettiamo in silenzio che ci tirino fuori di qui. Ti è chiaro il piano?”
La bambina sembrava leggermente sconcertata, ma annuì, andando a sedersi nell’angolo opposto della piccola stanza, di fronte a lui.
Per un paio di minuti, Kaori si attenne rigorosamente al piano, rimanendo in religioso silenzio.
Ryo chiuse gli occhi, facendo finta che lei non ci fosse, lasciando libero corso alla sua immaginazione.
Dove sarebbe andato dopo essere uscito di lì?
Aveva sentito parlare dell’Olanda, una volta.
Dicevano che si è davvero liberi in Olanda, e che ci sono i mulini a vento e i papaveri.
Sì, l’Olanda gli piaceva, decise.
Oppure, in alternativa, sarebbe potuto andare in Australia, o negli Stati Uniti…
“Ryo?”
Aprì gli occhi di scatto, come se qualcuno gli avesse gettato un secchio d’acqua addosso.
“Kaori, cosa non ti è chiaro del piano?”, le disse, scorbutico.
Odiava essere interrotto mentre pensava.
La bambina lo fissò imbarazzata.
“Niente, è solo che mi sto annoiando, e mi stavo chiedendo cosa hai combinato per farti mettere in punizione.”
Ryo alzò gli occhi al cielo. Con le donne ci voleva davvero molta, molta pazienza…
“Se te lo dico poi mi lasci in pace?”
Kaori annuì impercettibilmente.
“Ho cosparso di colla la sedia della direttrice.”
Lo disse tranquillamente, come se fosse la cosa più normale del mondo.
Beh, per lui lo era, ma la direttrice non la pensava allo stesso modo.
Era rinchiuso in quella stanza da una settimana, per quell’innocuo scherzetto.
“Ah, ma allora sei stato tu?? Sei stato grande, davvero, se lo meritava quella cicciona zitella inacidita!”
Kaori sembrava entusiasta, e aveva un sorriso che le partiva da un orecchio e le arrivava all’altro.
Ryo si permise di fissarla intensamente, complice la penombra della stanza.
Quando rideva i tratti del suo viso diventavano più dolci e delicati, e sarebbe stato impossibile scambiarla per un maschio, nonostante i capelli corti e disordinati.
Sorrise all’entusiasmo della sua compagna di punizione.
“Tu invece cosa hai combinato?”
Kaori si ammutolì di colpo, arrossendo.
“Ecco io…niente di che, ho solo disobbedito agli ordini della direttrice…”
Non lo stava guardando negli occhi, e Ryo capì immediatamente che lei stava mentendo.
“Bugiarda…dai, dimmi la verità! Io sono stato sincero con te!”
Senza nemmeno rendersene conto, aveva abbandonato il suo angolo, avvicinandosi alla bambina e sedendosi di fronte a lei.
Kaori si arrischiò a guardarlo negli occhi.
“Ho tirato un calcio a Hiroshi Kuno.”
Ryo la fissò un attimo, stupito.
Hiroshi Kuno era il moccioso più insopportabile dell’istituto. Si credeva un leader, e tutti lo temevano, tutti tranne lui, ovviamente. Si divertiva a spaventare bambini e bambine, a fare la spia, a prendere a botte quelli più piccoli di lui e faceva il gradasso dalla mattina alla sera. Era uno di quelli che posso renderti la vita davvero difficile, se vogliono.
Eppure quella mocciosa davanti a lui aveva avuto il coraggio – o la stupidità – di mettersi contro Kuno e tutta la sua banda. Aveva davvero fegato, non c’era che dire.
Le sorrise, scuotendo la testa.
“Davvero l’hai fatto? E perché?”
Questa volta Kaori diventò bordeaux, ma gli rispose comunque, indignata.
“Quell’imbecille stava per baciarmi!!”
Ryo la guardò, allibito.
“Tutto qui?”
La bambina balzò in piedi, le mani sui fianchi.
“Come, tutto qui?? Ho fatto una promessa, una volta…”
Si bloccò all’improvviso, forse temendo di essersi esposta troppo.
Ryo la incoraggiò con lo sguardo, rispettando il suo silenzio.
“Ecco…ho promesso che avrei dato il mio primo bacio all’unico amore della mia vita…”, confessò, parlando rapidamente, forse temendo che lui potesse deriderla per questa sua promessa infantile.
Ma lui non la derise, e nemmeno gli passò per la mente di farlo.
Quella bambina gli piaceva, la rispettava.
Per stare in quell’istituto la sua situazione familiare non doveva essere delle più facili, eppure conservava una purezza e una ingenuità che lui non aveva mai sperimentato né conosciuto prima.
Rimasero a parlare per il resto del tempo, fino a quando la direttrice in persona non venne a “liberarli”.
Lei lo salutò timidamente prima di schizzare via dalla stanza e rifugiarsi nel suo dormitorio.
Ryo rimase impalato a fissare il corridoio vuoto, mentre il volto di lei turbinava curiosamente senza sosta nei suoi pensieri più reconditi.
3 mesi dopo
“E così è vero. Stai andando via.”
Kaori fissò il ragazzo accanto a lei. Il suo viso non tradiva nessuna emozioni particolare, ma lei sapeva che le stava dicendo addio.
Abbassò gli occhi, incapace di reggere il suo sguardo.
“Sì. Tra una decina di minuti verranno a prendermi. I miei sei mesi di riformatorio sono finiti.”
Erano seduti sulle altalene del parco giochi, dondolandosi leggermente e distrattamente.
Pensò a tutte le volte che si erano ritrovati a parlare su quelle altalene negli ultimi tre mesi, emarginati dagli altri ma consci del fatto che in fondo si bastavano a vicenda.
Pensò alla volta che Ryo l’aveva difesa, beccandosi un’intera settimana di punizione.
Avrebbe dovuto immaginarlo che Hiroshi Kuno non le avrebbe perdonato il fatto di averlo umiliato davanti alla sua ridicola combriccola.
Due giorni dopo l’episodio del calcio, lui e i suoi amici l’avevano trascinata negli spogliatoi della piccola palestra di cui l’istituto era dotato.
Mentre due dei suoi amici la trattenevano, Kuno aveva cominciato ad accarezzarle il viso e il collo, sussurrandole all’orecchio parole volgari che avevano rischiato di farla vomitare.
Si era sentita morire, la sconfitta e il senso d’impotenza l’avevano sopraffatta e aveva pregato con tutto il cuore che qualcuno l’aiutasse.
Aveva pregato con tutto il cuore che Ryol’aiutasse.
E all’improvviso Kuno non la stava più toccando, ma era steso per terra con Ryo sopra di lui.
Aveva visto i due ragazzi rotolarsi sul pavimento, invertendo spesso le loro posizioni, ma alla fine, nonostante Kuno fosse più grosso e alto di lui, Ryo aveva avuto la meglio.
La scazzottata, però, gli era costata una settimana di punizione.
Lei si era sentita in colpa e aveva temuto che lui la odiasse per quello, ma quando le era passato davanti spinto dalla direttrice, le aveva sorriso.
E lei si era fatta mettere in punizione a sua volta, con una scusa banale, per fargli compagnia anche se per una sera soltanto.
Kaori ricordava tutti questi episodi, e ricordava anche quando lei gli aveva confessato di avere paura dei temporali, e lui l’aveva abbracciata, mentre fuori pioveva a dirotto.
Non si era mai sentita così protetta tra le braccia di qualcuno, nemmeno le rare volte in cui sua madre l’aveva abbracciata da piccola.
Erano diventati amici, scoprendo e assaporando giorno dopo giorno il significato di una parola di cui entrambi ignoravano l’esistenza.
E adesso si ritrovavano, come decine di altre volte, a dondolarsi su una altalena, non sapendo come dirsi addio.
Kaori guardò l’orologio di plastica al suo polso.
Era ora di andare via.
Raccolse il suo zainetto, sollevandosi, sentendo un peso sul cuore e un groppo in gola che minacciava di sciogliersi da un momento all’altro.
Non doveva piangere, non in un momento come quello.
Dopo, avrebbe potuto sfogarsi quanto e quando desiderava.
Ma non voleva lasciargli un’immagine di lei in lacrime come una qualsiasi altra mocciosa.
Lei era il suo Sugar Boy…
Anche Ryo si alzò.
“Allora…è ora.”
“Sì. Devo andare, Ryo.”
Rimasero immobili, incapaci di guardarsi negli occhi.
“Kaori…”
La sua voce tremava impercettibilmente.
Kaori deglutì più volte, prima di rispondere.
“Dimmi.”
“Chiudi gli occhi, per favore.”
Lei fece come lui le aveva chiesto, senza nemmeno domandarsi il motivo della sua richiesta.
E poi sentì le labbra di lui sfiorare le sue, in un contatto leggero e delicato come una goccia di pioggia.
Lei spalancò gli occhi, mentre il cuore le batteva all’impazzata.
Ryo separò le loro labbra, guardandola negli occhi.
Incapace di parlare, Kaori riuscì soltanto a sfiorarsi le labbra con le dita.
Il suo primo bacio…
Lui continuava a fissarla, serio.
Doveva andarsene, adesso, prima che le lacrime le impedissero di guardarlo negli occhi per l’ultima volta…
“Addio, Ryo.”
Si voltò, afferrò lo zainetto e cominciò a correre.
E non smise di correre, anche se le parole che lui le urlò dietro per poco non la fecero inciampare.
“Ci incontreremo di nuovo, Sugar Boy. È una promessa.”
**********************************
…E improvvisamente un ricordo, nitido come una fotografia, turbinò nei suoi pensieri.
Ecco dove l’aveva già vista…
Accarezzò con lo sguardo i suoi lunghi capelli castani, i suoi zigomi delicati, la sua pelle diafana.
Come aveva fatto a non accorgersene prima?
Kaori rimase stranita dal suo atteggiamento.
La fissava come se non l’avesse mai vista prima.
“Signor Saeba? Si sente bene?”
Ryo le sorrise, e fu un sorriso sincero, per la prima volta, perché non le sorrise solo con le labbra ma anche con gli occhi.
“Alla fine avevo ragione io, Sugar Boy.”
Ed eccomi di nuovo qui...questo capitolo è stato abbastanza travagliato, perchè non sapevo come impostarlo e ci sarebbero state talmente tante cose da scrivere che alla fine sarebbe risultata una ff nella ff...quindi ho deciso di limitarmi ai fatti essenziali, lasciando a voi l'immaginazione...spero che il risultato sia soddisfacente!! Un bacio, e grazie mille per i commenti allo scorso capitolo, che mi hanno davvero emozionata!! Sono contenta che questa storia vi stia appassionando...grazie, grazie, grazie a tutti coloro che commentano! Un bacio... |
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** Capitolo 21 ***
Quando lui pronunciò quel nomignolo, che tanto l’aveva fatta arrabbiare la prima volta che l’aveva sentito, una violenta sensazione di dejà-vu attraversò il corpo di Kaori come una scarica elettrica.
“Una ragazza, hai detto?? Non si direbbe proprio, Sugar Boy.”
Ripensò a quel bambino, con gli occhi neri ed enigmatici, e i capelli scuri, con quel ciuffo ribelle che gli cadeva sulla fronte e che gli conferiva un’aria minacciosa.
E a poco a poco affiorarono alla sua mente scene di un passato che credeva seppellito per sempre, immagini di una quotidiana felicità che le storture della vita avevano offuscato.
La mente umana funziona in un modo curioso.
Raccoglie costantemente migliaia di immagini, di colori, di odori, di suoni, archiviandoli nella memoria come fossero fotogrammi incoerenti di un film in bianco e nero.
Alcuni vengono rimossi, altri permangono nascosti fino a quando un sapore, un profumo, una melodia, una immagine, riescono repentinamente a rievocare quei ricordi lontani, imponendoli con prepotenza alla nostra attenzione.
Una stanza bianca, asettica, un orologio appeso alla parete.
Una fessura nella porta, che si apre come una ferita ogni volta che è ora di pranzo e di cena.
Un parco giochi con due altalene, isolate dal resto delle giostre.
Una giornata di pioggia, un abbraccio, e le lacrime del cielo avevano assunto un nuovo significato per lei.
Una serata triste, malinconica, l’imbarazzo di due adulti nel corpo di bambini, la difficoltà di formulare la parola “addio”.
Un orologio di plastica, uno zainetto abbandonato per terra che contiene i suoi pochi effetti personali.
E ancora due altalene che oscillano cigolando, mosse dal vento di una serata di fine autunno.
Kaori fissò l’uomo accanto a lei.
Il suo sguardo indugiò sui suoi capelli, sulla fronte ampia, sulla mascella marcata e sulle sue labbra, dove insistette, senza pudore.
Un ultimo fotogramma le balenò davanti agli occhi, una immagine così reale ed intensa che il suo respiro accelerò.
Un bacio, innocente, pulito, rubato all’ineluttabilità del tempo e del destino.
Un leggero sfiorarsi di labbra che celava un significato ben più profondo.
Ho giurato che avrei dato il mio primo bacio all’unico amore della mia vita.
E poi una promessa, urlata nel silenzio irreale ed ovattato di un addio che era un arrivederci.
Lui aveva mantenuto la sua promessa, senza nemmeno rendersene conto.
Il destino aveva giocato con loro come se fossero marionette, e si erano ritrovati sballottati tra gli imprevisti e le difficoltà della vita adulta.
Avevano fatto scelte, alcune buone, altre meno, e ne avevano pagato le conseguenze.
Si erano perso di vista per quasi vent’anni, conducendo vite parallele e dimenticandosi l’uno dell’altra nella routine e nella frenesia quotidiana, dimenticando quella promessa, dimenticando quei giorni che erano stati felici, nonostante tutto, quei giorni in cui ancora conservavano una parvenza di purezza, in cui ancora credevano segretamente che il futuro potesse essere migliore.
Ma il destino non si era dimenticato di loro, semplicemente.
Ryo osservò Kaori, dandole il tempo di assimilare quella incredibile rivelazione.
Quando lo sguardo di lei si era soffermato sulle sue labbra, aveva capito perfettamente a cosa stesse pensando.
Lei forse non lo sapeva, e forse non l’avrebbe mai saputo, ma quello era il primo bacio anche per lui.
E di tutti i baci che aveva dato nella sua vita, ad un’infinità di donne diverse, quello rimaneva il più delicato e il più bello, e forse lei non avrebbe mai saputo nemmeno questo.
I loro sguardi si incrociarono, e dalla bocca di Kaori venne fuori una sola parola, sussurrata e appena percettibile.
“Ryo…”
Sentirla pronunciare il suo nome per la prima volta da quando si erano burrascosamente ritrovati, gli provocò un brivido lungo la colonna vertebrale.
La sua voce era cambiata, non era più squillante e infantile, ma era diventata più adulta e femminile.
La sua bellezza era più sofisticata, i capelli più lunghi, le unghie lunghe e curate, le forme morbide e arrotondate da donna.
Ma gli occhi di lei, quelli erano rimasti gli stessi, grandi, limpidi ma con quella nota di solitudine che l’aveva colpito profondamente la prima volta che si erano guardati, anni addietro.
Kaori allungò una mano verso il suo viso, accarezzandogli la linea decisa della mascella con il dorso della mano, forse temendo che potesse sparire da un momento all’altro al sorgere del giorno, come una leggendaria chimera.
Ryo chiuse gli occhi, abbandonandosi alla tranquillità che il tocco di lei gli infondeva.
Duvall, la vendetta, il crimine che aveva commesso rapendola, tutto era dimenticato.
C’erano solo loro due, e la loro presenza saturava la piccola stanza.
C’era una strana tensione nell’aria, e ne erano entrambi coscienti.
In realtà quella tensione c’era sempre stata, fin dalla sofferta confessione di Kaori a quello che credeva essere un semplice e innocuo prete.
Ma fino a quando lui era stato il suo rapitore e lei la moglie di Mark Duvall, erano stati entrambi in grado di ignorare l’attrazione che, loro malgrado, provavano l’uno nei confronti dell’altra.
Adesso, smesse le loro maschere e abbandonati i loro ruoli, non rimanevano che Ryo e Kaori, a fissarsi ipnotizzati in un capanno al di fuori del tempo e dello spazio.
Lentamente, quasi timoroso di interrompere il loro contatto visivo, Ryo abbandonò la stanza, dirigendosi verso la cucina.
Afferrò dalla credenza una confezione di biscotti al cioccolato, tornando nella camera da letto e sedendosi sul letto.
Dopo un attimo di indecisione, Kaori fece altrettanto.
Ryo aprì il pacco di biscotti, ne prese uno e ne offrì un altro alla donna seduta a gambe incrociate di fronte a lui.
Lei lo guardò leggermente spiazzata.
“Se non ricordo male i biscotti al cioccolato ti facevano impazzire…”
La voce di lui, roca e profonda, la fece rabbrividire.
Il sangue le salì al volto e Kaori si ritrovò, a 28 anni suonati, ad arrossire come una ragazzina.
“Ecco..si…grazie…”, farfugliò, afferrando il biscotto e arrossendo ancora di più.
Dio, che figura…
Ryo sorrise, segretamente contento dell’imbarazzo di lei.
“Allora, Kaori…cosa hai combinato, dopo che sei uscita dal riformatorio?”
Kaori si avvolse la coperta intorno alle spalle.
Non amava parlare del suo passato, ma adesso era il momento giusto per sfogarsi, per liberarsi di tutti i suoi fantasmi.
“Sono tornata a vivere con mia madre, in quello squallido monolocale dove invitava i suoi uomini, davanti ai miei occhi e a quelli di mia sorella.”
Un brivido la scosse, e Ryo desiderò abbracciarla e dirle di stare tranquilla, che era al sicuro tra le sue braccia, e che i fantasmi del passato non potevano più raggiungerla.
Desiderò farlo, ma non lo fece.
Si limitò a rimanere il silenzio e ad attendere che lei continuasse il suo racconto.
“Per un po’ ho continuato a rubare, per portare qualche soldo a casa. Mia madre si faceva di crack, e i pochi soldi che riuscivo a racimolare li spendeva lei per la sua dose giornaliera. Così ho cominciato a puntare ai pezzi grossi, quelli con i completi gessati e i portafogli pieni di bigliettoni. Li odiavo, quei bastardi con la puzza sotto il naso e il culo parato.”
“Eppure ne hai sposato uno.”
Lo sguardo di Kaori si adombrò e si rattristò.
“Già.”
Ryo desiderò picchiarsi con le sue stesse mani. Lui e il suo fottuto vizio di parlare a sproposito…
“Come ti sei ritrovata negli Stati Uniti?”, chiese, cercando di riparare alla sua mancanza di tatto.
“Un giorno mia madre tornò a casa con un uomo che non avevo mai visto prima. Erano entrambi ubriachi, e crollarono sul divano non appena misero piede in salotto. Io andai a dormire, nell’altra stanza, come ogni notte. La mattina dopo, mi ritrovai una mano di quel figlio di puttana sulla bocca, e l’altra sotto la mia maglietta.”
Cominciò a respirare affannosamente, cercando di ricacciare indietro il terrore che ancora la assaliva, subdolo, al ricordare quei momenti.
Ryo le sfiorò il braccio, e bastò quel piccolo gesto per tranquillizzarla.
“Kaori…se non te la senti di continuare…”
Lei lo fermò con un gesto, scuotendo la testa.
“Tranquillo, va tutto bene. Per fortuna mia madre lo scoprì, e lo sbattè fuori di casa. Era furiosa.”
“Lo denunciò? Chiamò la polizia?”
Kaori sorrise, ma era un sorriso triste, il suo.
“No, mia madre era furiosa con me. Mi accusò di averle rubato l’uomo, di essere una sgualdrina. Poi mi fissò con attenzione, squadrandomi dalla testa ai piedi, e mi disse tranquillamente che dal giorno dopo l’avrei seguita al lavoro. Era una prostituta.”
Si fissarono, per un secondo, e Ryo si sentì un verme per averla accusata di essere una donna facile. Era stato un vero bastardo.
“Quella notte stessa decisi di lasciare il Giappone. Mi imbarcai sul primo volo per New York, clandestinamente, sperando di cambiare vita e di dare a mia sorella Sayuri tutto ciò che io non avevo ricevuto. Quella bambina era diventata come una figlia, per me.”
Quella donna era davvero straordinaria. Il suo senso del sacrificio era quasi commovente…il bastardo di suo marito doveva essere davvero un uomo fortunato, ad avere una donna come lei al suo fianco.
Una fitta di gelosia accompagnò quella riflessione.
Gelosia…un sentimento che non pensava di poter mai sperimentare…
“A New York avevo bisogno di soldi, così decisi che avrei rubato, per l’ultima volta nella mia vita. E il prescelto fu Mark Duvall.”
Ci fu un attimo di silenzio, poi Ryo si decise a farle la domanda che lo stava tormentando.
“Ed è stato allora che ti sei innamorato di lui?”
La sua voce era piatta, disinteressata, neutrale.
Dentro, stava ribollendo.
Kaori sollevò il viso, guardandolo sorpreso.
“Non potrei mai amare un simile figlio di puttana, Ryo.”
Lo disse con freddezza, con decisione, e Ryo sentì il sollievo invadere ogni particella del suo essere.
Non voleva domandarsi il perché fosse così sollevato, non aveva voglia di analizzare i suoi sentimenti perché sapeva che ne avrebbe tratto conclusioni che lo avrebbero spaventato.
“Allora, in nome di Dio, perché resti con lui?”
Lui stesso rimase sorpreso dalla veemenza della sua domanda.
Non era solo una domanda, si rese conto.
Era un appello.
Kaori abbassò lo sguardo, non riuscendo a reggere quello di lui.
“Una volta ci ho provato, a scappare da Mark. Sono fuggita a Parigi con la mia guardia del corpo. Lui…lui si era innamorato di me. Anche se io non lo ricambiavo, siamo stati bene, i primi due giorni. Il terzo giorno mi sono ritrovata mio marito davanti. Mi ha sorriso, e mi ha detto che se avessi osato fuggire un’altra volta, lui…lui avrebbe…”
La sua voce si ruppe, e una lacrima rotolò sulla sua guancia.
Ryo l’aveva vista spesso con gli occhi lucidi, ma non aveva mai veramente pianto.
Quella lacrima solitaria, testimone di un dolore incommensurabile, lo colpì profondamente.
Avvicinò la mano alla sua guancia e, con delicatezza, le terse quell’unica lacrima.
Kaori lo guardò, ringraziandolo con gli occhi, e prese un profondo respiro.
“Mark mi disse che se avesse anche solo sospettato che io lo stavo tradendo…avrebbe lasciato mia sorella nelle mani di Fabian McKinsley e di tutti i suoi collaboratori.”
Ryo sibilò una parolaccia. Quel bastardo…
“Non posso permettere che accada qualcosa a Sayuri, Ryo. Lei è tutto quello che mi è rimasto a questo mondo. Devo proteggerla a costo della mia vita. Non perderò anche lei, come ho perso il mio bambino.”
Improvvisamente Ryo capì il significato di quella frase che lei gli aveva sussurrato qualche sera prima.
“Se le succederà qualcosa…sarà tutta colpa tua.”
Ecco a chi si riferiva…stava parlando di sua sorella…
Una forza più grande del suo orgoglio e del suo stesso controllo, lo spinse ad afferrare il polso di Kaori e ad attirarla verso di sé.
La donna sembrò sorpresa da quel gesto, ma mai quanto lo era lui.
Si stese sul materasso, premendo con forza il viso di lei contro la sua gola.
“Stai tranquilla, Kaori…andrà tutto bene, vedrai…”
Lei annuì, il naso contro il suo collo, anche se non credeva alle sue parole.
Non ci credeva nemmeno lui.
Prima che quella storia fosse finita, ci sarebbe stato almeno un morto in più, come gli aveva predetto il Doc.
Solo che adesso sapeva con certezza che non voleva essere lui, quel morto.
C’era solo una persona che doveva pagare, e con lui doveva morire anche il suo braccio destro.
Ascoltò il pianto angosciato e soffocato di Kaori, accarezzando la sua schiena, senza sapere cosa dirle, offrendole come conforto solo il calore del suo corpo, sperando che le bastasse.
E a lei bastò.
Si accoccolò meglio contro di lui, chiudendo gli occhi con forza, e lasciandosi cullare dal battito regolare del suo cuore, si addormentò.
Salve ragazze, scusate se vi ho fatto aspettare tanto ma ho fatto due esami in questi giorni e quindi non avevo tempo per aggiornare!! Spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo...e comunque la storia è ancora abbastanza lunga, ci saranno altri sviluppi prima dell'epilogo...e spero tanto che continuerete a seguirmi con l'affetto e la costanza di sempre. I commenti allo scorso capitolo sono stati davvero bellissimi, vi ringrazio tanto...un grazie a tutte voi che avete lasciato una vostra impressione...anche una riga mi basta. MYAKU, RUKA88, ANGEL MARY, ALEPTOS (grazie, le tue recensioni mi hanno fatto tanto tanto piacere!!)...GRAZIE MILLE A TUTTE, RAGAZZE!! Alla prossima...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 22 *** Capitolo 22 ***
Rieccomi qui, come promesso!! Allora, in questo capitolo complicherò la vicenda, e le cose si metteranno male per Ryo e Kaori...ma non voglio anticiparvi troppo, quindi...leggete e ditemi cosa ne pensate, come sempre!! Ancora una volta, a costo di essere ripetitiva, ringrazio tutti coloro che si sono impegnati a lasciare un commento, una impressione, un pensiero. Ormai sto per introdurre l'angolo ringraziamenti!! Grazie a: MYAKU, ANGELMARY, SIYAH.
Per Siyah: ciao, ti ringrazio per il commento! Comunque, in realtà Kaori non è stata costretta a sposare Mark Duvall. Lei ha deciso di farlo per salvare sua sorella dalle grinfie della madre e per portarla a New York con sè. Infatti nei primi capitoli ho scritto che, quando Mark le propone di sposarlo, Kaori accetta all'unica condizione che trovi una sistemazione a Sayuri negli Stati Uniti. Kaori non è assolutamente libera accanto a suo marito, su questo hai ragione...ma vedrai che Ryo si vendicherà a dovere...spero di essere stata esauriente, e non esitare a lasciarmi anche critiche, io le accetto tranquillamente!! Spero che continuerai a seguirmi...un bacio!!
Quando la mattina dopo Kaori si svegliò, non fu sorpresa di non trovarlo più accanto a lei.
Il risveglio assieme, aprire gli occhi e vedere per prima cosa il volto dell’altra persona, è un momento che possono assaporare solo gli amanti, e loro di certo non lo erano.
Loro erano…
Cos’erano, pensandoci bene?
Amici, poi nemici, poi di nuovo amici. E adesso?
Lui l’aveva abbracciata tutta la notte, con una dolcezza venata da qualcosa che assomigliava alla disperazione, ma questo non risolveva i problemi.
Anzi, non faceva che aggravarli.
Non poteva innamorarsi di quell’uomo, perché Mark l’avrebbe capito nel momento stesso in cui avesse posato gli occhi su di lei, e anche se non fosse andata a letto con Ryo, per suo marito si sarebbe comunque trattato di un tradimento.
E per lei e sua sorella sarebbe stata la fine.
Si tirò a sedere sul letto di scatto, avvertendo un lieve capogiro causato dal brusco e repentino defluire del sangue dalla testa.
Cosa diavolo aveva detto?
Non poteva….innamorarsi…di quell’uomo…
Si prese la testa fra le mani, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
“Dio mio…”
“Preghi?”
Sollevò la testa di scatto, ritrovandosi a fissare gli occhi ironici e dissacranti dell’oggetto dei suoi pensieri.
Era senza maglia, e si stava allacciando la cintura dei pantaloni.
Kaori deglutì, poi distolse lo sguardo.
In realtà tutto stava facendo, tranne che pregare.
Anzi, se Dio in quel momento si fosse sintonizzato sulla frequenza dei suoi pensieri, l’avrebbe mandata direttamente all’Inferno, nel secondo cerchio per la precisione, quello riservato ai lussuriosi.
“Ehm…no, ecco, io…dove stai andando?”
Lui aveva indossato una maglietta bianca, e stava controllando che la pistola fosse carica.
“Devo tornare dal Doc a prendere qualche provvista”, disse, senza guardarla negli occhi.
Sembrava molto concentrato in quello che stava facendo, ma in realtà cercava di mascherare il senso di colpa.
Non gli andava di lasciarla da sola, ma non poteva fare altrimenti.
“Mi porti con te?”
Il suo senso di colpa si acuì ulteriormente, diventando quasi pungente.
Alzò gli occhi, guardandola.
“Non posso, Kaori. Se dovesse succedere qualcosa, mi saresti solo d’intralcio.”
Diretto, conciso, gelido.
“Oh, certo, hai ragione.”
Gli sorrise debolmente, cercando di non far trasparire la delusione che le parole di lui le avevano suscitato.
Ryo si voltò, incapace di sostenere il suo sguardo.
Sapeva di averla ferita, e odiava lasciarla sola in quel dannato capanno, ma aveva detto la verità.
Ormai erano passati 4 giorni dal rapimento, e sicuramente Duvall era sulle sue tracce.
Erano al sicuro, nel capanno, ma non poteva sapere cosa – o chi – l’attendesse al di là della palude.
E non voleva metterla in pericolo più di quanto già non avesse fatto.
Kaori gli passò accanto, diretta verso il piccolo bagno.
La osservò camminare a piedi nudi, leggera e sinuosa.
Quando l’aveva vista la prima volta, indossava un vestito corto e scollato, che non lasciava praticamente niente all’immaginazione.
Suo marito la reclamizzava sfacciatamente come un oggetto sessuale, e le comprava abiti costosi, ma che rasentavano la volgarità.
Adesso, invece, senza trucco, con i capelli spettinati e la semplice tuta grigia che le aveva rimediato, appariva ai suoi occhi molto più eterea ed innocente, ma allo stesso tempo dannatamente sensuale.
Stava diventando impossibile ignorare l’attrazione che aveva provato per lei fin dal primo momento che l’aveva vista, nel gazebo della villa di Duvall.
Si passò una mano tra i capelli, frustrato.
La cosa peggiore, dovette ammettere con sé stesso, era che l’attrazione che lei gli suscitava non era solo fisica.
Se si fosse trattato di semplice desiderio, tutto sarebbe stato molto più facile.
Se la sarebbe portata a letto, avrebbe soddisfatto la sua libido e tutto sarebbe finito lì.
Invece c’era dell’altro.
C’era dell’affetto, che non era svanito nemmeno dopo 18 anni.
C’era la curiosità di sapere tutto su di lei.
C’era rispetto, c’era ammirazione per la sua forza di carattere, c’era intesa, al livello fisico e mentale, c’era…
Richiuse il tamburo della pistola con un movimento secco del polso, recidendo così il filo dei suoi pensieri, che stavano prendendo il volo e seguendo un corso che non gli piaceva per niente.
Dopo essersi assicurato di aver preso con sé tutto il necessario, tornò in cucina, dove lei stava facendo colazione.
Lei sollevò gli occhi dalla tazza, fissandolo.
“Stai andando?”
“Sì. Comunque tornerò presto, al massimo entro stasera. Devo solo prendere del cibo e parlare con un mio amico.”
“Il biondino?”
“Sì.”
“Come si chiama?”
Perché lei si stava interessando a Mick?? Quel dannato americano…le donne impazzivano per i suoi occhioni celesti e il suo stupido sorriso da gentiluomo…
“Mick”, rispose, irritato.
“Mick. Bel nome. Salutamelo.”
Lei sorrise dolcemente, e la sua irritazione raggiunse livelli preoccupanti.
Ok, gliela stava facendo pagare per il fatto che stava per lasciarla sola, illudendosi di riuscire a farlo ingelosire.
Ma lui non era assolutamente geloso.
No?
“Certo, non mancherò”, rispose, sfoggiando un sorriso abbagliante, ma talmente falso che anche un cieco si sarebbe accorto che stava recitando.
Afferrò il borsone, infilò la pistola nei pantaloni e uscì sul pontile.
La barca era già pronta, e lui sperò che la riparazione funzionasse e che la barca reggesse almeno fino alla sponda opposta.
Gettò il borsone nella barca, poi slegò il nodo che la legava al molo e vi salì sopra.
Kaori lo raggiunse sul pontile.
Si fissarono per un attimo, poi Ryo la salutò con un gesto della mano, cominciando a remare.
“Ryo?”
Lasciò i remi, voltandosi verso di lei.
Era in piedi sul portico, e alla luce della mattina gli sembrò più bella del solito, se possibile.
“Stai attento.”
Annuì impercettibilmente, poi le diede le spalle e cominciò a remare con vigore.
Quando il Doc lo vide arrivare, comprese immediatamente che in quel capanno era successo qualcosa.
Quel ragazzo era un libro aperto, per lui, e in quel momento i suoi occhi riflettevano una determinazione che non avevano mai mostrato prima.
Quando era partito con la donna, qualche giorno prima, sembrava un uomo che non aveva più niente da perdere, un uomo per cui vivere o morire non avrebbe fatto molta differenza.
Adesso, invece, guardandolo negli occhi, il Doc seppe con certezza che Ryo aveva trovato un’altra ragione per andare avanti, oltre alla vendetta.
E sospettava che Kaori Duvall c’entrasse non poco, in questo cambiamento repentino.
Ma perché lei non c’era?
“Dov’è la ragazza?”
“L’ho lasciata al capanno.”
“Sola?”
Ryo si sentì improvvisamente molto a disagio.
“Sì, e non credere che la cosa mi abbia fatto piacere.”
Sapeva di essere stato brusco e che il Doc aveva ragione, ma la tensione accumulata in quei giorni cominciava a farsi sentire.
“Cos’hai per me?”
Il Doc gli indicò dei sacchetti sul tavolo.
“Ci sono mele, arance, pesche, hai l’imbarazzo della scelta.”
“Le piacciono le mele.”
Il Doc lo fissò, e i suoi occhi lo penetrarono da parte a parte.
“Le piacciono le mele. Certo.”
L’anziano dottore sorrise, e in quel momento Ryo ebbe voglia di tirargli un pugno in pieno volto.
Era nervoso e imbarazzato, così cambiò discorso.
“È venuto qualcuno qui?”
Il Doc scosse la testa.
“E i giornali cosa dicono?”
“Niente di niente. Duvall avrà comprato il silenzio dei media. Sicuramente non vuole che si sappia in giro che sua moglie è stata rapita da due uomini vestiti da preti, proprio sotto il suo naso. Sai che ha presentato la sua candidatura a sindaco di New York? Sicuramente sarebbe cattiva pubblicità per lui. Ma quanto tempo potrà tenere segreto il fatto che sua moglie è scomparsa?”
“Nessuno parlerà, tra i suoi uomini. Ma Kaori ha una sorella, qui a New York, e di certo la piccola comincerà ad insospettirsi.”
“Ah, e quindi adesso è Kaori. Cosa ne hai fatto del pedantesco ‘Signora Duvall’?”
Ryo ignorò la frecciata del Doc, afferrando il sacchetto con le mele e tutto lo scatolame che c’era sul tavolo e gettandolo alla rinfusa nel borsone.
“Ryo, non mi piace impicciarmi nei tuoi affari ma…”
“Allora non farlo”, lo interruppe bruscamente Ryo.
Ma il Doc era un osso duro, e gli voleva bene come se fosse suo figlio, così non si fece intimorire dal tono usato dall’uomo più giovane e continuò come se Ryo non avesse mai parlato.
“…ma non sempre le cose vanno come vorremmo. Magari elaboriamo piani, stabiliamo tutto nei minimi dettagli, ma poi arriva il destino e sconvolge le carte in tavola, con la stessa semplicità con cui un soffio di vento solleva e rimescola le foglie di un giardino.”
Ryo sorrise amaramente. Il Doc aveva utilizzato davvero una metafora perfetta.
“Se quella bella signora ti piace, e tu piaci a lei, allora fuggite via da questa merda. Siete ancora in tempo. Portala lontano, e dimentica questa brutta faccenda.”
Ryo scosse la testa.
“Le cose sono più complicate di quanto pensassi, Doc. E poi lei non scapperebbe mai con me, quindi il problema non si pone nemmeno.”
Raggiunse il bagno.
Aveva bisogno di farsi una doccia.
Successivamente, Ryo avrebbe ricordato di aver sentito distintamente un rumore soffocato.
Avrebbe ricordato di aver pensato che era strano che il Doc non gli facesse le sue solite battutine, mentre si stava facendo la doccia.
Avrebbe ricordato che la catapecchia del Doc era improvvisamente sprofondata in un innaturale silenzio.
Ma era troppo preso dai suoi pensieri per notare immediatamente questi piccoli dettagli, e si accorse che qualcosa non andava solo quando tornò in cucina e la trovò vuota.
Chiamò il Doc un paio di volte, ma non ottenne risposta.
Poi, prima ancora che potesse afferrare la pistola che aveva poggiato sul tavolo, sentì qualcosa abbattersi con forza sulla sua testa.
Si voltò, mentre cominciava a perdere i sensi.
Vide un uomo davanti a lui, un uomo che riconobbe immediatamente nonostante vedesse tutto sfocato a causa della violenza del colpo.
Tutto cominciò a diventare nero, poi Ryo stramazzò in avanti e, come in un incubo, ebbe l’impressione di cadere, cadere, e di continuare a cadere senza mai riuscire a toccare il pavimento.
Il suo ultimo pensiero cosciente fu per Kaori.
Era sola, in quel capanno, ad aspettare che lui tornasse.
Al prossimo capitolo, e grazie a chi commenta e a chi legge soltanto. |
Ritorna all'indice
Capitolo 23 *** Capitolo 23 ***
Salve ragazze, ecco che la musa si fa risentire!! Questo capitolo è abbastanza lungo e spero che non sia noioso…ho cercato di metterci un po’ d’azione, ma purtroppo non sono brava con questo tipo di scene…sorry!! ^^’’’
Cmq scoprirete chi è l’uomo che ha catturato Ryo...e soprattutto scoprirete se Ryo riuscirà a tornare da Kaori…spero che il capitolo vi piaccia!!
La testa gli doleva così tanto che aveva l’impressione che potesse staccarsi dal collo da un momento all’altro.
Il colpo alla nuca era stato violento e preciso, e talmente doloroso che gli aveva fatto letteralmente vedere le stelle.
Aprì gli occhi con cautela, cercando di ricordare dove si trovasse e cosa fosse successo.
L’ambiente che lo circondava era familiare, ma non lo riconobbe immediatamente, dato che tutti i contorni risultavano sfocati ai suoi occhi, e tutti gli oggetti sembravano ricoperti da una patina opaca simile alla nebbia.
Poi, nel giro di un nanosecondo, centinaia di immagini affollarono la sua mente, e la sensazione fu talmente repentina ed inaspettata che gli provocò un conato di vomito.
“Bentornato fra noi, Ryo.”
Quell’uomo…
Erano anni che non lo vedeva, ma non avrebbe mai potuto scordare la sua voce, quella voce che ancora lo perseguitava in sogno, che gli diceva di stare tranquillo, e che tutto sarebbe andato bene, mentre faceva assumere ad un bambino di appena 8 anni una droga che l’avrebbe distrutto fisicamente ma ancor più psicologicamente.
Shin Kaibara fissò l’uomo davanti a lui, stupendosi di quanto fosse cambiato in tutti quegli anni.
Non era rimasto niente, nelle sue sembianze, del bambino magro e gracile che lui aveva allevato, con lo scopo di renderlo una vera macchina da guerra.
Non era rimasto niente nemmeno del guerriero che Ryo era stato da piccolo.
Shin era arrabbiato.
Il Ryo che lui conosceva non si sarebbe mai fatto cogliere di sorpresa in quel modo.
Era diventato un debole, si era lasciato sopraffare dai sentimenti, abbassando la guardia, e ora ne pagava le conseguenze.
Lo guardò sprezzante, rinnegandolo con lo sguardo.
Quello non era suo figlio, il figlio che lui aveva accolto e cresciuto con tanto amore.
Ryo osservava l’uomo che per anni aveva considerato come il padre che non aveva mai avuto, l’uomo per cui avrebbe sacrificato la sua stessa vita.
Gli anni avevano inciso profonde rughe sul suo volto, e i capelli si erano diradati e striati di grigio sulle tempie.
Ma nemmeno il tempo aveva potuto fare niente contro la scintilla di pazzia che si era accesa anni prima nei suoi occhi.
Ryo si rese conto che l’uomo appollaiato davanti a lui, l’uomo che gli stava puntando un cannone alla testa, era completamente pazzo.
Improvvisamente gli tornò in mente il volto bellissimo di una donna che lo attendeva da sola in un capanno nel bel mezzo della palude.
Le aveva promesso che sarebbe tornato presto da lei, e niente gli avrebbe potuto impedire di mantenere quella promessa.
Sentì la rabbia montargli in corpo, accompagnata da un odio che non aveva mai sperimentato prima.
Se quell’uomo non avesse distrutto la sua vita, avrebbe potuto essere una persona migliore, avrebbe potuto meritare l’amore di una donna eccezionale ed unica come Kaori…
Makimura non sarebbe morto, e un’altra donna dai capelli neri e lucidi non avrebbe pianto ogni notte sul cuscino di suo marito, illudendosi di sentirvi ancora il suo odore impresso nella federa.
Si avventò rabbiosamente contro Kaibara, ma le corde che gli legavano polsi e caviglie lo trattennero, scavando solchi dolorosi sulla sua pelle.
Shin lo vide dimenarsi violentemente, mentre le vene sul collo di Ryo si ingrossavano.
La mano che impugnava la Smith&Wesson calibro 40 tremò impercettibilmente, mentre per un attimo il volto magro e scavato di un bambino dagli occhi neri si sostituiva a quello dell’uomo che aveva davanti, sfigurato dalla rabbia.
“Sei un uomo morto, Kaibara.”
Shin non ebbe dubbi sul fatto che se Ryo fosse stato libero l’avrebbe ucciso davvero senza pensarci due volte.
Avrebbe ammazzato l’uomo che l’aveva cresciuto come un figlio…
Avviluppato dalle tenaglie della pazzia, Shin pensò che Ryo era davvero un ingrato.
Il suo braccio scattò rapido, sferrando un pugno che ruppe il labbro dell’uomo più giovane.
Ryo smise di dimenarsi, e lo guardò con un sorriso di sfida sulle labbra, mentre il sangue colava lungo il mento macchiandogli la maglia bianca.
“Non credo che tu sia in una posizione tale da fare minacce, Ryo. Ho già chiamato Duvall. Tra meno di mezz’ora sarà qui, e dopo che ti avrà torturato per sapere dove hai nascosto quella troia di sua moglie, ti ucciderà. E sappi anche che non ho ammazzato il vecchio solo perché Duvall mi ha espressamente impedito di farlo. Mi ha detto che vuole uccidere personalmente te e tutti coloro che ti hanno aiutato a rapire la puttanella. A proposito, te la sei già fatta? È davvero così calda come si dice in giro? McKinsley mi ha detto che ha fatto parecchio rumore, mentre se la scopava.”
Shin cominciò a ridere, ma il sorriso si spense immediatamente sulle sua labbra.
Si portò una mano al viso, lì dove Ryo gli aveva sputato, fissandolo incredulo.
“Tu…sporco figlio di puttana…come hai osato?”
Gli sferrò un calcio nelle reni, che lo costrinse a piegarsi su sé stesso con un gemito, poi lo afferrò per i capelli, avvicinando i loro visi tanto che quasi si toccavano.
“Prova a farlo un’altra volta, e faccio saltare le cervella al vecchio. Chiaro?”
Shin si allontanò da lui, attraversando la stanza.
Solo allora Ryo si accorse che anche il Doc era stato tramortito e legato, e giaceva privo di sensi, accasciato contro la parete opposta della stanza.
Non aveva registrato le parole di Shin, prima, visto che la rabbia aveva offuscato il suo cervello non appena quel bastardo aveva chiamato Kaori “troia”.
Kaibara caricò la pistola, puntandola alla tempia del Doc.
Ryo cominciò a dimenarsi, cercando di disfare i nodi che gli imprigionavano polsi e caviglie, ma si accorse che la corda era di un materiale molto resistente, probabilmente nylon.
Era impossibile spezzarla o segarla.
Shin si accorse dei suoi sforzi per liberarsi, scoppiando in una breve risata priva di allegria.
“È inutile che ti dimeni tanto. Ho combattuto per anni in guerra, e so come legare i prigionieri. Quei nodi sono impossibili da sciogliere. Quindi rilassati e accetta la tua fine.”
Mentre Shin gli parlava, Ryo si accorse che il Doc era cosciente e stava cercando di fargli capire qualcosa.
Probabilmente l’uomo più anziano aveva un piano, ma per attuarlo aveva bisogno di sviare l’attenzione di Kaibara.
Cercando di mantenere il sangue freddo e di controllare il disgusto e la rabbia che quell’uomo gli suscitava, Ryo cercò freneticamente qualcosa da dire per allontanare Shin dal Doc.
“Perché lo stai facendo, Kaibara?”
La provocazione sembrò funzionare, visto che Shin si allontanò dal vecchio dottore, tornando ad appollaiarsi davanti a lui e fissandolo con quegli occhi alienati.
“Perché lo sto facendo?? Io volevo che tu diventassi il mio erede! Avevo pensato a tutto…dopo aver fondato la Union Teope, ho fatto fare delle ricerche su di te, perché volevo rintracciarti e vederti a capo della mia organizzazione…e cosa scopro??”
Il tono di Kaibara era gradualmente salito mentre parlava, e adesso l’uomo stava praticamente urlando.
“Scopro che sei entrato a par parte della Polizia! Tu…mio figlio…sei diventato uno sporco agente della DEA…e il tuo obiettivo era diventato quello di distruggermi…”
Kaibara tremava, e Ryo temette che potesse perdere il controllo e premere il grilletto.
Gettò una rapida occhiata alle spalle di Shin. Cosa stava combinando il Doc??
Apparentemente sembrava immobile, e Ryo sperò che qualsiasi cosa l’uomo avesse in mente, potesse funzionare.
Distolse immediatamente lo sguardo. Non voleva che Shin si accorgesse che il Doc era sveglio.
“E così ti sei alleato con Duvall.”
Voleva continuare a far parlare Kaibara, in modo da mantenere l’attenzione dell’uomo focalizzata su di sé.
Shin annuì. Sembrava che si fosse leggermente calmato.
“Quando ho esteso i miei commerci agli Stati Uniti e in particolare a New York, il braccio destro di Duvall, Fabian McKinsley, mi ha contattato. Ha comprato una grossa partita di droga, e da allora Duvall è diventato il mio maggiore finanziatore. I traffici andavano benissimo, e in pochi anni sono diventato miliardario. Poi, però, i clienti hanno cominciato a lamentare diversi effetti collaterali della PCP, come impotenza, incapacità di dormire, iperattività. E nessuno ha più voluto comprarla. Nel giro di un paio di mesi ho perso tutto, e ho contratto con Duvall e il suo entourage un debito dell’ammontare di milioni di dollari.”
“E così tu gli hai offerto me in cambio dell’annullamento del debito.”
Shin abbassò la testa.
“Sì. Sapevo che volevi vendicare il tuo collega, Makimura, ed ero sicuro che fossi stato tu a rapire la moglie di Duvall. Solo che avevo perso le tue tracce, dopo che eri stato cacciato dal Dipartimento. Poi, dopo diverse ricerche, sono risalito ad un medico che si faceva chiamare Doc. Uno dei suoi primi pazienti corrispondeva alla tua descrizione, e i sintomi che presentava erano quelli della Polvere degli Angeli. Ho capito subito che eri tu.”
“E così hai pensato bene di vendere tuo figlio e di consegnarlo nelle mani di un uomo che lo ucciderà.”
Ryo si era accorto del senso di colpa che albergava nonostante tutto negli occhi di Kaibara.
Lo sapeva riconoscere benissimo, visto che lui per primo ci aveva convissuto e ancora di conviveva.
Aveva trovato la falla, doveva solo stare attento a non esagerare e a gestire la situazione con sangue freddo.
“Non avevo scelta, Ryo. Devi capirmi.”
Le pupille di Shin erano dilatate. Le mani gli tremavano. Era agitato.
“Certo che avevi scelta. Si ha sempre una scelta. Hai firmato la mia condanna a morte.”
“No! Se tu confesserai dove hai nascosto la donna, poi dirò a Duvall di non ucciderti. Lui si fida di me, credimi. Potremmo rifarci una vita insieme. Potremmo perfezionare la PCP. Potremmo essere di nuovo padre e figlio.”
Ryo lo fissò, allibito.
Come poteva credere che potessero ritornare ad essere padre e figlio, dopo tutti gli anni che erano passati? Dopo che quell’uomo gli aveva precluso una vita normale?
“Tu non sei mio padre, Shin. Non lo sei mai stato.”
Quelle parole sconvolsero Shin più di quanto Ryo avesse preventivato.
Cominciò ad agitare la pistola, minacciando di ucciderlo ed urlando frasi sconnesse ed insensate.
Ryo si rese conto che la guerra aveva completamente distrutto il raziocinio dell’uomo che aveva davanti.
Shin si inginocchiò davanti a lui, fissandolo con gli occhi di un pazzo.
“Io sono tuo padre, Ryo. E voglio che tu adesso mi chiami papà. Dillo! Dillo o ti ammazzo!”
Ryo non sapeva se Kaibara avrebbe davvero premuto quel grilletto, ma l’uomo era davvero fuori di sé.
In un’altra circostanza, se le cose fossero state diverse, avrebbe saputo perfettamente cosa fare.
Appena quattro giorni prima, avrebbe riso in faccia a suo padre, fottendosene delle conseguenze.
Appena quattro giorni prima, sarebbe morto pur di pronunciare quelle quattro lettere.
Ma quattro giorni prima non conosceva Kaori.
Si rese conto per la prima volta di quanto quella donna fosse diventata importante per lui.
Voleva rivederla, salvare lei e sua sorella dalla prepotenza di Duvall.
Voleva stringerla e baciarla.
Adesso non era più un uomo fine a sé stesso.
Non poteva lasciarsi morire, perché aveva delle responsabilità.
Non poteva lasciarsi morire perché voleva vivere.
Lo voleva disperatamente, non l’aveva mai desiderato tanto come in quel momento.
Si accorse che il Doc era riuscito a liberarsi le mani, e stava armeggiando con la corda per liberare anche le caviglie.
L’anziano dottore gli fece un cenno d’assenso.
Ryo chiuse gli occhi, sospirò profondamente, poi li riaprì e fissò Kaibara.
“Papà.”
Shin cadde in ginocchio, lasciando cadere la pistola e prendendosi il volto fra le mani.
Poi cominciò a piangere.
Ryo vedeva le sue spalle scosse dai singhiozzi, il suo corpo ripiegato su sé stesso, e in quel momento non riuscì ad odiarlo.
Provava solo una gran pena per quell’uomo a cui la vita non aveva offerto una seconda possibilità.
Improvvisamente Shin riafferrò la pistola, portandosela alla tempia e chiudendo gli occhi.
“Addio, Ryo.”
Ryo serrò gli occhi con forza, prevedendo quello che sarebbe successo, mentre il suono violento di una detonazione risuonava nella catapecchia del Doc.
Non seppe quanto tempo rimase così, incapace di aprire gli occhi per il timore di quello che avrebbe visto.
La mano del Doc si posò sulla sua spalla, scuotendolo leggermente.
“Ryo…è tutto a posto, Ryo, puoi aprire gli occhi.”
In quel momento l’uomo più giovane si sentì tornato bambino, al buio periodo della sua vita in cui il Doc cercava di tranquillizzarlo durante i suoi attacchi di astinenza dalla PCP.
Ryo si rese conto che quel dottore era stato per lui un’ancora di salvezza, una presenza costante e tranquillizzante nella sua vita.
Non avrebbe mai potuto ripagarlo adeguatamente per tutto quello che aveva fatto per lui.
Si decise ad aprire gli occhi, aspettandosi di vedere schizzi di sangue su ogni parete.
La pistola di Shin era una calibro 40, un vero cannone, e poteva solo immaginare in che condizioni fosse la testa di suo padre in quel momento.
Ma, stranamente, non c’era traccia di sangue, se non quello che si era ormai seccato sulla sua maglietta.
La pistola era abbandonata per terra, e il corpo di Shin giaceva apparentemente illeso sul divano.
Non era possibile…lui aveva sentito lo sparo, anzi, la cannonata…
Fissò il Doc, aspettando una spiegazione.
L’uomo aveva afferrato uno dei suoi affilatissimi bisturi e stava recidendo la corda di nylon che ancora gli legava polsi e caviglie.
“Guarda un po’ il soffitto, ragazzo.”
Ryo lo fissò stranito, mentre il vecchio sorrideva.
Poi alzò lo sguardo e si accorse del proiettile conficcato nel soffitto.
E così suo padre non era morto…
Non pensava sarebbe mai stato possibile, ma si sentiva quasi sollevato.
Nonostante tutto il male che gli aveva fatto, Ryo aveva la sensazione che suo padre l’avesse amato, almeno fino a quando l’amore non si era trasformato in ossessione.
“Come hai fatto a liberarti?”
Il Doc sorrise, sornione.
“Tuo padre ha dimenticato che anche io ho affrontato una guerra. E anche io ho dovuto legare prigionieri, nonché disfare nodi per liberarmi quando io stesso ero stato preso in ostaggio. La guerra è una questione di vita o di morte, e l’istinto di sopravvivenza ti rende più abile di quanto tu stesso potessi immaginare.”
L’ammirazione che Ryo provava per quell’uomo dalle mille risorse crebbe a dismisura.
“Dopo che mi sono liberato, sono riuscito a raggiungere tuo padre proprio mentre stava per spararsi. Ho deviato la traiettoria dello sparo e l’ho colpito in un punto particolarmente sensibile dietro il collo. Dormirà come un angioletto per ore.”
“Grazie, Doc.”
“Figliolo, stai diventando monotono. Vai, adesso, non sai che è maleducazione far attendere le belle signore?”
Il Doc gli fece l’occhiolino, e Ryo gli sorrise, leggermente imbarazzato.
“E cancella le tue tracce. Duvall sarà qui a momenti.”
Ryo aveva quasi dimenticato quel dettaglio.
Guardò il Doc preoccupato, tornando immediatamente serio.
“Cosa farai adesso?”
L’uomo più vecchio sembrava tranquillo.
“Vedrai che inventerò qualcosa, non preoccuparti per me. Sono sopravvissuto ad una guerra, sopravviverò anche a quel cattivone di Duvall.”
Ryo si guardò attorno, cercando un pezzetto di carta su cui scrivere.
Quando lo trovò, ci scarabocchiò sopra un numero di telefono, poi lo tese al Doc.
“Tieni. È il numero di un mio amico fidato. Se dovessi aver bisogno di qualsiasi cosa, non esitare a chiamarlo.”
Il Doc annuì, poi mise il foglietto in tasca.
“Cosa ne facciamo di Kaibara?”
“Sta per arrivare Mick. Lo terrà sotto controllo per un po’ di tempo, finchè tutta questa faccenda non si sarà sistemata. E ti prometto che si sistemerà, Doc. Dovesse essere l’ultima cosa che faccio su questa terra, Duvall la pagherà cara.”
Il Doc lo guardò: lo sguardo determinato, i pugni serrati, e seppe che Duvall l’avrebbe pagata.
Poi i due uomini si abbracciarono goffamente, salutandosi con una pacca sulla spalla, e Ryo raggiunse la jeep, ingaggiando la sua personale corsa contro il tempo.
Quando ormai la casa del Doc era quasi scomparsa dal suo campo visivo, guardando nello specchietto retrovisore si accorse che una macchina era parcheggiata davanti alla catapecchia.
La identificò immediatamente come la Mustang rossa di Mick, sospirando sollevato.
L’americano non si era accorto di lui, ma adesso Ryo non aveva tempo per tornare indietro.
Aveva detto a Kaori che sarebbe tornato per cena, ed era quasi calata la notte.
Schiacciò il piede sull’acceleratore, pregando con tutte le sue forze che non le fosse successo niente.
Come sempre, grazie a tutti coloro che mi sostengono sempre e alle mie fedelissime lettrici e commentatrici. Non siete tante ma per me il vostro sostegno vale comunque tantissimo:
MYAUKU,(Vedrai che prima o poi Duvall la pagherà cara...)
SIYAH, (Senza sangue la aggiornerò non appena termino questa ff, quindi ci vorrà un pò di tempo...però poi tutto dipende se mi sento inspirata, potrei aggiornarla anche domani...sono matta, lo so! ^.^ Grazie mille per il commento!!)
MOZZI84 (Ben tornata, mia cara!! Sono felice di rileggere un tuo commento dopo tanto tempo...e mi fa piacere che le mie storie ti continuino a piacere! Un bacione e grazie ancora!!).
Carmen, mi mancano i tuoi commenti/TAC!!
Un bacione, alla prossima. |
Ritorna all'indice
Capitolo 24 *** Capitolo 24 ***
Salve ragazze!! Mi rendo conto che vi sto tenendo un pò
troppo sulle spine, ma vi prometto che il prossimo capitolo
sarà quello delle rivelazioni...spero che continuerete a
seguirmi!!
Fatemi sapere sempre il vostro parere, mi aiuta tantissimo!! Un bacio,
buona lettura.
Kaori pensava che Ryo sarebbe tornato per pranzo.
Le aveva detto che doveva solo fare un po’ di provviste e
parlare con il biondino, Mick se non ricordava male, così
aveva preparato un abbondante pranzo con quello che era riuscita a
mettere insieme, immaginando che lui sarebbe stato affamato, al suo
ritorno.
Ma aveva sbagliato i suoi calcoli, visto che era quasi mezzanotte e lui
non era ancora tornato.
Aveva trascorso il pomeriggio cercando di godersi il silenzio e la
quiete del capanno, pensando di riposarsi un po’, visto che
la notte precedente aveva dormito pochissimo.
Ma non era riuscita a chiudere occhio.
Aveva in testa il volto di Ryo che, incessante, le compariva davanti
non appena chiudeva gli occhi.
Le sfumature che i suoi occhi scuri potevano assumere la stupivano ogni
volta.
C’erano delle volte in cui la guardava con fare canzonatorio
e con l’evidente obiettivo di farla arrabbiare, ma altre
volte l’aveva sorpreso a fissarla con una
intensità che la metteva a disagio, perché in
quei momenti i suoi occhi diventavano scuri ed impenetrabili, e avrebbe
dato di tutto per sapere a cosa l’uomo stesse pensando.
Chissà se c’era mai stata, nella sua vita, una
donna che era riuscita a comprende i suoi silenzi e le parole
sottintese nei suoi sguardi.
Forse quella Saeko…
Ma Ryo le aveva detto che si era sposata con il suo migliore amico, e
Kaori aveva l’impressione che l’uomo sarebbe morto,
piuttosto che soffiare la donna ad un amico.
Ma adesso che Hideyuki era morto, forse i due si sarebbero
riavvicinati, accomunati dal dolore per la loro perdita, e la
consolazione reciproca avrebbe potuto trasformarsi in
passione…o amore…
Si era seduta sul molo, con le gambe a penzoloni, disegnando
distrattamente con le dita dei piedi figure astratte sulla superficie
dell’acqua.
Poi aveva osservato il suo riflesso, chiedendosi perché si
tormentava in quel modo.
Lui non la voleva. Lei era una pedina per arrivare a suo marito e per
infliggergli lo scacco matto.
Il suo comportamento era cambiato, da quando avevano scoperto di
essersi già conosciuti, anni addietro, ma questo non
significava che lui avrebbe modificato i suoi piani per lei.
Per un breve assurdo istante, quella notte, mentre Ryo la stringeva tra
le sue braccia trasmettendole il calore del suo corpo, aveva sperato
che lui le chiedesse di fuggire insieme.
Ma, anche se lo avesse fatto, lei non avrebbe potuto accettare, visto
che suo marito l’aveva vincolata a sé prendendo
praticamente in ostaggio sua sorella.
E poi, lui non le aveva proposto niente, quindi era inutile tormentarsi
col senno di poi.
Non sapeva nemmeno se lui fosse sposato.
Pensandoci bene, era molto probabile che un uomo sexy e carismatico
come lui avesse schiere di donne ai suoi piedi.
Forse in quel momento si stava divertendo come un matto, mentre lei
osservava preoccupata l’orizzonte aspettando di vederlo
comparire a bordo della barca.
Era davvero una stupida.
Kaori si alzò con decisione, tornando dentro.
Si spogliò e si infilò sotto il getto gelato
dell’acqua, avvertendo brividi lungo tutto il corpo.
Doveva toglierselo dalla testa, e forse l’acqua fredda
l’avrebbe aiutata a rischiarasi le idee.
Si coprì con l’ampio telo che aveva
precedentemente poggiato sul piccolo sgabello accanto al box doccia,
poi si strofinò i capelli con un altro asciugamano e si
pettinò le lunghe ciocche castane.
Era sempre stata orgogliosa dei suoi capelli, lucidi e ramati.
Senza nemmeno rendersene conto, afferrò una delle maglie di
Ryo e la indossò, ripromettendosi di cambiarsi non appena
avesse sentito il rumore della barca che si avvicinava.
Il profumo maschile e speziato dell’uomo la avvolse,
mischiandosi con l’aroma del bagnoschiuma.
Tornò a sedersi sul pontile, lasciando che i deboli raggi
del sole al tramonto asciugassero naturalmente i suoi capelli.
Quando, una mezzora dopo, tornò nel capanno, i capelli erano
solo leggermente umidi, ma di Ryo nemmeno l’ombra.
Cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro,
tendendo le orecchie per cogliere il minimo rumore che disturbasse la
quiete innaturale e quasi inquietante di quel luogo.
Ma che fine aveva fatto? Che fosse successo qualcosa, quando era
tornato dal Doc?
E se avesse trovato uno degli scagnozzi di Mark, ad aspettarlo?
Kaori sapeva che suo marito non si sarebbe mai preso il disturbo di
affrontare direttamente Ryo.
Avrebbe prima fatto catturare l’uomo, con l’ordine
specifico di lasciarlo in vita, e poi, dopo averlo reso inoffensivo,
l’avrebbe, nel migliore dei casi, ucciso personalmente.
Nel peggiore dei casi, invece…
La donna serrò gli occhi, sedendosi sulla sponda del letto e
abbracciandosi le spalle.
Le ipotesi, una più cupa dell’altra, si
succedevano senza sosta nella sua mente, rischiando di farla impazzire.
Era calata la sera, e Ryo non era ancora tornato.
Pensò di mangiare qualcosa, ma solo per passare il tempo,
non perché avvertisse realmente lo stimolo della fame.
Scartò un pacco di crackers, poi tagliò una fetta
di formaggio.
Spiluccò appena il cibo, ma aveva lo stomaco chiuso,
così preferì bere un bicchiere d’acqua
e tornare nella piccola camera da letto.
La stanchezza, mentale e fisica, la costrinse a stendersi sul
materasso, anche se non credeva che sarebbe mai stata in grado di
prendere sonno.
Così, quando si svegliò di soprassalto, la sua
prima reazione fu di sorpresa.
Gettò un’occhiata all’orologio che Ryo
aveva lasciato sul comodino, prima di uscire.
Era quasi mezzanotte, e lui non era c’era ancora.
Poi, improvvisamente, si chiese cosa l’avesse svegliata.
Era stato un brutto sogno? O forse qualcosa di più concreto?
Un rumore? Un movimento nel buio? Un’ombra?
Spaventata, si tirò a sedere sul letto.
La porta della cucina, quella che dava sul piccolo molo, era socchiusa,
e cigolava in maniera sinistra, smossa dal venticello della notte.
Kaori rabbrividì, un po’ per il freddo, visto che
indossava ancora la maglietta di Ryo, che le arrivava appena sopra il
ginocchio; un po’ per la paura.
Entrò in cucina, appiattendosi contro la parete, quasi a
volersi fondere o mimetizzare con essa.
Poi, dopo essersi accertata che nel capanno non c’era
nessuno, aprì il cassetto delle posate e cominciò
a rovistarci freneticamente, cercando qualcosa che potesse vagamente
assomigliare ad un’arma.
Pensando alla padella con cui aveva tramortito Ryo qualche giorno
prima, scoppiò in una breve risata isterica.
Alla fine riuscì a trovare un coltello da cucina. La lama
aveva perso il filo, ma Ryo aveva portato via la pistola, e quella era
la cosa più vicina ad un’arma che avesse a
disposizione in quel momento.
Per un attimo pensò di accendere la lanterna, ma si
rimproverò immediatamente per l’idea stupida che
aveva avuto.
Se ci fosse stato davvero qualcuno, in agguato nell’ombra,
accendere la lanterna sarebbe equivalso a gridare a pieni polmoni
“Sono qui, venite a prendermi.”
Sbirciò attraverso la piccola finestra della cucina.
Inizialmente non vide niente di sospetto. Solo tanto buio, e qualche
stella ad illuminare fiocamente la palude.
Poi, improvvisamente, un’ombra si distaccò dalle
altre che popolavano la notte.
Vide la silhouette accovacciarsi e muoversi di soppiatto lungo il
pontile, avvicinandosi silenziosamente alla porta della cucina.
Kaori si abbassò, appoggiandosi alla parete e stringendo
convulsamente il manico del coltello, chiedendosi cosa avrebbe fatto se
l’intruso avesse aperto la porta e fosse entrato nel capanno.
Non dovette attendere molto per scoprirlo.
Dopo un attimo di esitazione, l’ombra fece scorrere di lato
la porta-finestra, aprendola lo stretto necessario per riuscire ad
intrufolarsi nella stanza.
Poi la richiuse dietro di sé, rimanendo immobile nel buio.
**********************************
I tasti del grosso cellulare vecchia generazione si macchiarono di
sangue, mentre l’uomo li digitava.
Riusciva a mala pena a scorgere le cifre scarabocchiate sul foglio.
Gli occhi erano gonfi, e macchie violacee si stavano formando ai lati
del naso fratturato.
Aveva sicuramente qualche costola incrinata. Respirare faceva malissimo.
Quando l’uomo all’altro capo del telefono rispose,
lui riuscì a malapena a trovare il fiato per spiegargli come
arrivare a casa sua.
Venti minuti dopo, una jeep era parcheggiata davanti ad una catapecchia
di cui rimaneva poco più che un mucchio di cenere.
Le fiamme avevano completamente corroso il legno.
Poco distante, un uomo anziano giaceva immobile sul terreno.
Respirava ancora, ma era ridotto davvero male, e il camice che
indossava era sporco di sangue, terra e fuliggine.
Il gigante si avvicinò a lui, inginocchiandosi.
Il Doc riuscì a vedere che indossava una tuta militare e un
paio di occhiali da sole neri.
L’uomo lo sollevò apparentemente senza sforzo,
caricandolo sulla jeep.
“La ringrazio, signor...”
Il Doc si sentiva in dovere di ringraziare quel gigante che, senza fare
domande, era arrivato a salvarlo.
Quando il dottore gli aveva sussurrato, col poco fiato rimastogli, che
era un amico di Ryo Saeba, l’uomo più giovane
aveva risposto che sarebbe arrivato il prima possibile a bordo di una
jeep. Poi aveva attaccato.
“Mi chiamo Hayato Ijuin. Ma puoi chiamarmi Umi.”
Un grazie sentito a:
MYAKU: nel prossimo capitolo scoprirai come reagirà Kaori ai
lividi di Ryo…intanto spero che questo ti piaccia!!
MOZZI84: non posso anticiparti niente, solo che Kaibara
tornerà in futuro…e sarà un
personaggio chiave per una questione lasciata in
sospeso…grazie per il commento e per i complimenti!!
FIORE DEL DESERTO: ti ringrazio tanto, spero continuerai a seguirmi!!
Un bacione
ILARYA: ciao, sono contenta che la storia ti piaccia! Lo so che non
è molto logico il fatto che Kaibara si voglia suicidare, ma
devi tener conto che l’ho dipinto come un pazzo, che nel
momento in cui si rende conto dei suoi errori di padre perde
completamente la testa…spero che la spiegazione ti soddisfi
e spero di leggere altre tue recensioni in futuro!!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 25 *** Capitolo 25 (V.M.18) ***
Rieccomi qui, con un altro capitolo. Sono stata incerta fino alla fine su come impostarlo, ma ho seguito un certo filone di realismo per tutta la fic, quindi ho pensato che fosse arrivato il momento per un capitolo del genere. Sono convinta che la razionalità e i buoni propositi non sempre funzionino, soprattutto in uno spazio ristretto come un capanno, dove tutte le emozioni sono amplificate...fatemi sapere cosa ne pensate, per favore!! Sono ancora molto incerta sul risultato...ringrazio tutti per i commenti...un bacio!!
Dopo un attimo di esitazione, l’ombra fece
scorrere di lato la porta-finestra, aprendola lo stretto necessario per
riuscire ad intrufolarsi nella stanza.
Poi la richiuse dietro di sé, rimanendo immobile nel
buio.
“Kaori?”
La donna, accovacciata dietro la credenza, si sentì invadere
dal sollievo.
Per un attimo aveva temuto il peggio.
“Ryo!”
Scattò in piedi e corse verso di lui, ma si
bloccò quando si accorse della pistola che lui impugnava.
Ryo era così contento di trovarla ancora nel capanno, sana e
salva, che stava per raggiungerla e abbracciarla forte, ma poi vide che
la donna brandiva un coltello.
Nella foga di tornare da lei, non aveva pensato
all’eventualità che Kaori stessa potesse
costituire un pericolo. Le donne possono essere estremamente
vendicative, lui avrebbe dovuto saperlo bene…
Ma la donna posò immediatamente il coltello sul tavolo, e
lui mise la sicura alla pistola, riponendola poi nella fondina,
vergognandosi e sentendosi in colpa per quei pensieri.
La sfiducia nei confronti del genere femminile sarebbe stata difficile
da superare, ma non doveva fare l’errore di generalizzare.
L’aveva giudicata frettolosamente già troppe
volte…ma Kaori era diversa, questo lo capiva
istintivamente…
Poi si guardarono, cercando l’uno gli occhi
dell’altra, nel buio rischiarato appena dalla pallida luce
della luna.
“Stai bene?”
Kaori annuì rapidamente.
“Mi hai spaventata. Perché sei arrivato di
soppiatto?”
“Temevo che qualcuno fosse riuscito a localizzarti.”
Kaori scosse la testa, poi afferrò la scatola di fiammiferi
e accese la piccola lanterna che aveva poggiato sul tavolo.
Le ci volle qualche secondo perché i suoi occhi si
abituassero alla luce, ma non appena riuscì a scorgere
chiaramente il viso di Ryo, si accorse immediatamente del labbro rotto.
Preoccupata, si avvicinò a lui.
“Cosa è successo dal Doc?”
Ma Ryo non rispose.
Sembrava concentrato a fissare qualcosa, e Kaori, seguendo la direzione
del suo sguardo, si rese conto di essere l’oggetto dello
sguardo stralunato dell’uomo.
Abbassò lo sguardo sul proprio corpo, ricordandosi con
sgomento che stava ancora indossando la maglietta nera di Ryo.
Si era addormentata senza nemmeno rendersene conto e quando si era
svegliata, troppo spaventata dall’ombra che aveva visto,
aveva dimenticato di cambiarsi.
Kaori non si era mai sentita tanto in imbarazzo davanti ad un uomo come
in quel momento.
Generalmente era sicura di sé, o almeno questa era
l’impressione che dava, ma adesso non riusciva nemmeno a
guardare Ryo negli occhi.
Rimase a fissarsi le punte dei piedi nudi, chiedendosi cosa avrebbe
dovuto dire.
Alla fine si arrischiò a sollevare lo sguardo, temendo il
confronto con quegli occhi scuri come la notte.
Ma non avrebbe dovuto preoccuparsi più di tanto, visto che
lo sguardo di Ryo non si era mosso, e questo la confuse e la
imbarazzò ancora di più, anche se non
potè evitarsi di provare una punta di compiacenza tutta
femminile davanti all’ammirazione che lesse nei suoi occhi.
“Scusami se ho preso una tua maglia, Ryo,
ma…ehm…ho lavato tutte le mie cose, e non ho
trovato nient’altro da mettermi.”
Kaori si complimentò con sé stessa per
l’ottima scusa che era riuscita a tirar fuori dal suo
repertorio, ma le sembrò che all’uomo la cosa non
importasse più di tanto.
“Non preoccuparti, tanto ne ho tante di magliette. E poi puoi
tenerla. Ti sta…ehm…diciamo…”
Come descrivere come le stava quella maglia? In quel momento gli
venivano in mente aggettivi un po’ troppo espliciti, come
“divinamente” o “tremendamente
sexy”, ma alla fine optò per qualcosa di
più soft:
“…bene.”
Kaori arrossì, evitando i suoi occhi.
La familiare tensione fra loro cominciava a farsi sentire ancora una
volta, così decisero di tacito accordo di cambiare argomento.
“Non mi hai ancora detto perché hai un labbro
rotto. Cosa è successo?”
“È una lunga storia. È arrivato
qualcuno mentre ero via?”
“No. Non ho sentito il rumore del motore della
barca.”
“Ho remato.”
Kaori si accorse che era tutto sudato, poi decise che forse sarebbe
stato più prudente distogliere lo sguardo dal suo busto.
“Oh. Sei tornato più tardi del previsto.”
“Lo so, ma è successo un bel casino dal
Doc.”
“Non importa, non potevi farci niente.”
“Mi dispiace di averti lasciata qui da sola.”
Ci fu un lungo attimo di silenzio, poi Kaori cercò il suo
sguardo.
“Ero davvero fuori di me.”
“Per la paura? Scusa se…”
“Ero preoccupata.”
“Preoccupata? Temevi che arrivasse qualcuno?”
“No. Temevo che ti fosse successo qualcosa.”
Lo spazio ristretto che li separava si annullò del
tutto, anche se Ryo non ricordava di essersi avvicinato, né
aveva visto lei muoversi.
La afferrò per un polso, delicatamente ma con decisione, e
la abbracciò.
Istintivamente, senza riflettere.
Tutto accadde senza premeditazione.
Le strinse la vita con un braccio, e con l’altra mano le
spinse la testa contro il proprio petto.
Kaori sospirò, passandogli le braccia attorno al collo.
Non voleva domandarsi se quello che stava accadendo tra loro fosse
giusto o morale, anche perché sapeva benissimo fin
dall’inizio che ricambiare il suo abbraccio avrebbe soltanto
complicato le cose.
Ma in quel momento voleva semplicemente godersi il calore del suo
corpo, la sicurezza che lui le infondeva nonostante tutto, il suo
respiro che le accarezzava l’orecchio.
Attimi proibiti di una dolcezza dal retrogusto amaro, attimi rubati ad
una realtà che continuava ad esistere, incurante di loro,
con il suo carico di dolore e responsabilità.
Attimi di un abbandono sensuale che profumava di disperazione.
Kaori strinse gli occhi, stringendolo più forte.
“Avevo paura che non saresti più
tornato”, confessò, muovendo le labbra contro la
sua gola.
“Niente avrebbe potuto impedirmi di tornare.”
“Io però non lo sapevo.”
“Sì, che lo sapevi.”
“Come avrei potuto?”
Prima di rispondere, Ryo la allontanò leggermente da
sé per poterla guardare negli occhi.
L’intensità del suo sguardo le tolse il fiato.
“Te l’avevo promesso. E io mantengo sempre le mie
promesse.”
Poi l’uomo abbassò la testa, catturando le labbra
di Kaori con le sue, coinvolgendola in un bacio profondo e passionale.
La sua mossa fu talmente fulminea ed inaspettata che per un attimo la
donna si fece prendere dal panico, cominciando a divincolarsi.
Ryo si fermò immediatamente, interpretando il suo panico
come un rifiuto.
Si allontanò da lei e le diede le spalle.
I suoi muscoli, chiaramente visibili sotto la maglietta, erano tesi e
rigidi.
Si passò una mano tra i capelli con frustrazione.
“Scusami, non so cosa mi sia preso. Dimentica quello che
è successo.”
La sua voce era piatta, distante.
Kaori si maledì mentalmente per le sue reazioni anche ancora
non riusciva a controllare.
Lei aveva desiderato quel bacio con tutta sé stessa.
E quando lui si era finalmente deciso ad esaudire il suo desiderio
inespresso, si era fatta prendere dal panico e si era ritratta.
Si poteva essere più stupide?, si rimproverò,
irritata con sé stessa.
Guardò Ryo. Era ancora di spalle, e fissava un punto
imprecisato fuori dalla finestra.
Fissando la sua schiena ampia, sentì le lacrime pungerle gli
occhi.
Quello sarebbe potuta essere la loro ultima notte assieme…
Ryo aveva detto che temeva che li avessero localizzati, quindi
evidentemente Mark e i suoi scagnozzi non erano lontani.
Avrebbero potuto trovarli da un momento all’altro, e quel
frammento di sogno si sarebbe dissolto in un attimo non appena avesse
fissato gli occhi freddi e vuoti di suo marito.
Si avvicinò a Ryo, spogliandosi di tutti i suoi timori e di
tutte le sue remore.
Quell’uomo le suscitava nell’intimo qualcosa di
troppo grande e puro per essere sbagliato.
Forse c’era un disegno divino, dietro il loro incontro. Forse
Ryo era stato predestinato a liberarla, il che era paradossale, visto
che l’aveva rapita, ma non sempre le supposizioni illogiche
sono necessariamente sbagliate.
Lo raggiunse, ma Ryo non si girò, anche se Kaori era sicura
che lui sapesse esattamente dove lei si trovasse.
Poi si appoggiò alla schiena solida di lui con tutto il suo
corpo, passando le braccia sotto le sue e poggiandogli i palmi delle
mani sul petto.
Rimasero così qualche minuto, mentre Kaori strofinava il
viso contro la sua schiena e gli accarezzava il petto da sopra alla
maglietta, sentendo che i suoi muscoli si rilassavano gradualmente.
Poi Ryo si girò, le prese il volto tra le mani e le
inclinò la testa all’indietro.
Kaori chiuse gli occhi, aspettandosi che lui la baciasse, ma
l’uomo rimase immobile.
Confusa, la donna riaprì gli occhi, trovandolo intento a
scrutarla.
Si fissarono per qualche secondo.
“Ryo? Cosa c’è?”
La voce di Kaori era poco più di un sussurro incerto.
Ryo le sorrise, avvicinando pericolosamente il proprio viso a quello
della donna.
Le loro labbra erano così vicine che sarebbe bastato un
minimo movimento di entrambi e si sarebbero baciati per la seconda
volta.
Beh, si corresse mentalmente Kaori, in realtà era la terza
volta, se si contava quel bellissimo bacio di tanti anni
prima…
“Niente. Volevo solo essere sicuro che tu lo volessi
davvero.”
Detto ciò, Ryo annullò i pochi millimetri che
separavano le loro labbra.
Questa volta, non ci fu esitazione da parte di Kaori.
Il bacio di Ryo era avido, erotico, perfino brusco, ma la donna si
sentì pervadere da una sensazione strana che non aveva mai
provato prima, come una scarica elettrica che aveva
l’ipocentro sulle sue labbra e si diramava poi a tutte le
membra del suo corpo.
Ryo la baciò con sapienza, accarezzandole le labbra con la
lingua.
Kaori comprese immediatamente la richiesta contenuta in quel gesto
estremamente erotico, e aprì le labbra, permettendo alla
lingua dell’uomo di esplorarle le pareti interne della bocca.
Quando le loro lingue entrarono in contatto, entrambi gemettero.
Le mani di Ryo si insinuarono al di sotto della corta maglietta che
Kaori indossava, accarezzandole la schiena con la punta delle dita.
La donna rabbrividì, mentre tutto attorno a lei scompariva,
e riusciva a vedere soltanto il volto di Ryo, e sentiva le labbra di
lui sulle sue e le mani grandi dell’uomo sul suo corpo.
Non le era mai successo che un bacio la coinvolgesse tanto sia al
livello fisico che mentale.
I baci che Mark le aveva dato, anche durante i primi mesi del
matrimonio, erano di certo passionali, ma suo marito non era mai
riuscito a farle dimenticare chi lei fosse e cosa volesse, come invece
stava succedendo adesso con Ryo.
Kaori non sapeva più niente, non capiva più
niente.
Avendo gli occhi chiusi, gli altri quattro sensi si erano acuiti,
amplificando le sensazioni e gli stimoli che bombardavano il suo
cervello.
Era perfettamente cosciente di ogni sospiro di Ryo, di ogni minimo
sfioramento, del suo odore naturale che era un miscuglio sensuale di
tabacco e sudore, della sua lingua che le esplorava la bocca come se da
quello potesse dipendere la conoscenza del mondo intero.
Adesso, a causa della carenza di ossigeno, il bacio si era fatto meno
profondo.
Ryo cominciò a darle piccoli baci sfuggenti sulla labbra,
sfiorandole appena e poi ritraendosi immediatamente, rischiando di
farla impazzire.
Cercando un contatto più stabile, Kaori gli passò
un braccio attorno al collo, sollevandosi in punta di piedi e premendo
le labbra contro le sue.
Ryo sorrise contro le sue labbra, poi le inclinò la testa di
lato e approfondì il bacio ancora una volta.
Afferrò il lembo della maglietta nera della donna, facendola
salire lentamente fino al seno e scoprendole le lunghe gambe. Poi le
accarezzò i fianchi, risalendo verso il ventre di lei,
liscio e appena arrotondato.
Le mani di Kaori si insinuarono sotto la sua maglietta, accarezzandogli
lentamente la schiena, giocando con la peluria scura e morbida che gli
ricopriva la pancia e il petto.
Con Mark non aveva mai sentito la necessità di accarezzarlo,
lasciava semplicemente che lui conducesse il gioco e aspettava che
tutto finisse, possibilmente il prima possibile.
Ma adesso voleva sentire la pelle di Ryo sotto i suoi polpastrelli,
voleva imprimersi a fuoco quelle sensazioni nella mente, quasi con
disperazione, per portarle sempre con sé qualsiasi cosa le
avesse riservato il destino.
Senza smettere di baciarla, Ryo la fece arretrare fino alla piccola
stanza da letto.
Poi invertì le loro posizioni, e quando la parte posteriore
delle sue ginocchia toccò contro il materasso, Ryo si
sedette sul letto con le gambe larghe e la tirò tra le
proprie cosce.
Kaori gli circondò la vita con le gambe nude, rischiando di
farlo impazzire.
L’uomo le tolse la maglietta, mentre lei sollevava le braccia
per agevolarlo.
Entrambi erano coscienti di non poter più aspettare molto.
Ryo le sbottonò il reggiseno, riempiendosi le mani con i
suoi seni, strofinandoli pigramente con i palmi delle mani per poi
baciarli.
Kaori gemette, gettando la testa all’indietro, mentre Ryo le
baciava il collo.
La donna gli sfilò la maglia, gettandola negligentemente
alle sue spalle e stringendosi a lui. Poteva chiaramente avvertire
quanto fosse eccitato, e la prova inconfutabile le premeva contro la
coscia.
Ryo si lasciò cadere indietro sul letto, tirandola
giù con sé e rovesciando le loro posizioni.
La guardò, mentre ansimava sotto di sé, e
pensò che quella era la donna giusta per uno come lui.
Avrebbe lottato per averla, e di questo quel bastardo di Duvall poteva
starne certo.
Quella donna valeva anche la sua vita.
Almeno sarebbe morto sapendo di aver combattuto per qualcosa per cui
valesse davvero la pena morire.
Ryo le tolse le mutandine, poi la penetrò lentamente.
Non voleva essere precipitoso, ma le sensazioni erano così
intense ed inaspettate che ne fu completamente sopraffatto.
L’orgasmo passò troppo rapidamente.
Alzò la testa, con una scusa pronta sulle labbra, ma il
volto di Kaori era morbido e rilassato.
Sarebbe stato inutile perdersi in inutili giri di parole.
Così la baciò sulla fronte, intrecciando le dita
con le sue.
Si stese accanto a lei, coprendo entrambi con il lenzuolo.
Kaori si voltò in posizione prona, a pancia in
giù.
Lui fece lo stesso, poi insinuò una mano sotto il lenzuolo e
le accarezzò la schiena con gesti lenti e circolari.
Kaori mugugnò contenta, fissandolo.
Rimasero così per molto tempo, occhi negli occhi, e lui
avrebbe potuto rimanerci per sempre, ma si sentiva obbligato a dire
qualcosa.
“Kaori…so quanto tu sia religiosa. E probabilmente
consideri l’adulterio un peccato gravissimo. Ma non voglio
che tu ti senta in colpa per questo. Non voglio che tu stia male per
me.”
Lei gli sorrise con estrema dolcezza, dandogli un bacio a fior di
labbra.
“Non devi preoccuparti, Ryo. Io non sono davvero
sposata.”
Un grazie di cuore a tutti per i numerosi commenti!! Non me li sarei mai aspettati!!
RUKA88: Visto che si sono davvero lasciati andare?Ci avevi visto giusto!! Il problema di Sayuri verrà risolto in seguito...e comunque ci sarà un happy ending, voglio essere positiva almeno nelle fic!! Grazie per il commento!
FRANCY: Ti ringrazio, spero che nemmeno questo capitolo deluda le tue aspettative!
MYAKU: Che ne dici di questo capitolo, è stato abbastanza rivelatore?? :-) Grazie mille!!
FIORE DEL DESERTO: Grazie mille! ^.^
ALEPTOS: Ciao cara, non preoccuparti se non commenti sempre, grazie per i complimenti, spero che anche questo capitolo ti piaccia!! E non scoraggiarti mai!!
SIYAH: Umi for president!! Grazie mille!!
MOZZI: Brava, hai notato un particolare di cui nessuno si era accorta, ma ne scoprirai di più solo in seguito!! Ti ringrazio per i complimenti, sei troppo gentile!! Un bacione!!
MARYMARY92: Ciao, le risposte ai tuoi interrogativi arriveranno nel corso della storia!! Cmq non mi fermerò di certo dopo aver finito questa storia, anche perchè ne ho altre da concludere (soprattutto il Diario che riprenderò al più presto!!) e poi ho in mente nuove idee, quindi non vi libererete di me così facilmente!!^.^
Al prossimo capitolo ragazze, vi ringrazio davvero tanto per il sostegno!! Un bacione!!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 26 *** Capitolo 26 ***
Salve ragazze, l'ispirazione mi viene anche ad orari improponibili,
soprattutto considerato che domani dovrei studiare...comunque, non so
quando riuscirò ad aggiornare di nuovo...lunedì
ho il mio ultimo esame, poi parto per le sospirate vacanze fino a fine
luglio...quindi non so se nel frattempo riesco ad aggiornare o se ci
risentiamo direttamente ad agosto!! Ma cercherò di
pubblicare almeno un altro capitolo prima di partire, mi sento un
pò in colpa a lasciarvi così in sospeso...^.^
“Mark si è rifiutato di sposarmi con una cerimonia
religiosa. Di conseguenza, la Chiesa non riconosce il nostro
matrimonio.”
Kaori strinse i pugni, ricordando quanto si era sentita sporca il
giorno del suo matrimonio.
Fin da piccola, nonostante lo schifo che la circondava, aveva sempre
sognato di sposarsi in chiesa, con un sobrio ma classico vestito bianco
e tanti bellissimi paggetti e damigelle.
Conviveva con quel senso di colpa e di immoralità da quel
giorno lontano, da quando suo marito le aveva detto chiaro e tondo che
il suo sogno non si sarebbe mai realizzato, definendo il matrimonio in
chiesa una “pagliacciata per poveri”.
“Questo, tecnicamente, mi rende una puttana”,
aggiunse in un bisbiglio.
Ryo le prese il mento tra le dita, costringendola a guardarlo negli
occhi.
“Tu non sei una puttana. Sei…fantastica.”
Le accarezzò la guancia, mentre lei sorrideva lentamente,
arrossendo un po’.
Gli uomini le facevano spesso complimenti, anche più
espliciti ed impegnativi di quello.
Ma tutti si fermavano all’apparenza, all’involucro
esterno.
Lui le leggeva dentro, e Kaori sapeva che la stava giudicando per la
sua anima e per il suo cervello, non solo per l’aspetto
esteriore.
A volte pensava che la bellezza fosse un’arma a doppio taglio.
Un dono e una maledizione.
Era sicura che la maggior parte della gente, guardandola, pensasse che
lei era una stupida, in base alla secolare equazione che associa la
bellezza alla superficialità.
Ryo strofinò il naso contro il suo collo, mordendole
scherzosamente la spalla con i suoi denti perfetti e distogliendola dai
suoi pensieri.
“A che pensi?”, le chiese, in un sussurro.
Kaori si sistemò su un fianco, abbracciandogli il collo e
passando le dita tra i suoi capelli corvini.
“Che ne sarà di noi, Saeba?”
Il suo cognome le era salito spontaneamente alle labbra, e questo lo
fece sorridere per un momento, ma la domanda di lei era fin troppo
seria.
Sospirò, prima di rispondere.
“Non lo so.”
Kaori gli prese il viso tra le mani, baciandolo sulle labbra.
Poi poggiò la testa sul suo petto, ascoltando per qualche
secondo il battito regolare del suo cuore.
“Devi lasciarmi andare. Devo tornare a casa.”
Lui scosse il capo con decisione.
“No.”
“Ma, Ryo…”
L’uomo le sollevò il viso per poterla guardare
negli occhi.
“No”, ripeté, quasi con foga.
Poi la baciò possessivamente, rotolando su di lei e
intrecciando le dita nei suoi capelli setosi.
Quando le permise nuovamente di parlare, Kaori si decise a fargli la
domanda che la tormentava da qualche giorno a quella parte.
“Ryo?”
Lui le stava baciando il collo, così rispose distrattamente
con un basso mugolio.
“Hmm?”
“Tu…sei sposato?”
Un po’ sorpreso da quella domanda, l’uomo
sollevò la testa per scrutarla in viso.
“Lo ero.”
“Ah.”
Kaori cominciò ad arrotolarsi una ciocca di capelli attorno
al dito, come faceva sempre quando era nervosa e imbarazzata.
E lo sguardo intenso di lui la innervosiva e imbarazzava non poco.
Non voleva essere inopportuna e non era nemmeno sicura di voler
conoscere la risposta alla domanda che aveva in testa, ma alla fine la
curiosità ebbe il sopravvento sulla discrezione.
“E ora non lo sei più?”
“No.”
Il suo rispondere a monosillabi la stava decisamente irritando. Poteva
anche sbottonarsi un minimo, dopo quello che avevano
condiviso…
Ryo osservò lo sguardo di Kaori ombrarsi, sorridendo
interiormente.
Sapeva perfettamente cosa stava pensando la donna, poteva quasi vedere
il flusso intricato dei suoi pensieri.
E sapeva anche che era indispettita, ma adorava quella scintilla di
irritazione che le si accendeva negli occhi quando la
provocava…
Le diede un bacio sulla punta del naso, poi la strinse forte contro il
proprio petto, accarezzandole il braccio.
Fissando il soffitto, cominciò a parlare.
“Ho scoperto mia moglie a letto con un altro uomo. E mi ha
anche detto che non era il primo con cui si rotolava tra le lenzuola
immacolate del nostro letto matrimoniale.”
Kaori si divincolò per poterlo guardare negli occhi.
“Che stupida. Se fossi stata sposata con un uomo come
te…”
Si interruppe, rendendosi conto del significato che le sue parole
implicavano.
Rimasero entrambi in silenzio per qualche minuto, evitando di guardarsi
negli occhi.
Alla fine fu Kaori a rompere quel silenzio carico di sottintesi che si
era creato tra loro.
“Ci hai sofferto molto?”
Ryo ci pensò un attimo.
“A dir la verità, no”, ammise,
rendendosi conto che il matrimonio con Reika era finito mesi prima, e
che entrambi si erano affannati a recitare dei ruoli in una sorta di
grottesca farsa.
“Forse non riuscivo più a renderla
felice.”
“E lei ti rendeva felice?”
Ryo scosse la testa, realizzando per la prima volta che la colpa della
loro infelicità coniugale non era imputabile solo a lui.
Anche Reika non si era prodigata per facilitargli le cose, mentre il
solo tenere Kaori fra le braccia e poterla baciare quanto voleva
infondeva in lui una strana euforia, che nemmeno la cruda
realtà che li attendeva al di fuori del capanno riusciva a
scalfire.
“Molta gente si accontenta di una relazione accettabile, per
la legge del quieto vivere.”
“Ma non si dovrebbe, non credi?”
Ryo le sorrise, desiderando disperatamente che le cose fossero andate
in modo diverso, tra loro.
“No, non si dovrebbe, Kaori.”
Adesso c’era una strana malinconia nell’aria, un
groviglio di emozioni e di pensieri, di rimorsi e di desideri
inespressi e inesprimibili.
Per un po’ nessuno dei due parlò.
Entrambi lasciarono che fossero i loro gesti, le loro carezze e i loro
baci ad esprimere angosce e speranze che nemmeno mille parole avrebbero
potuto descrivere.
Si lasciarono andare alla fantasia di essersi incontrati in un luogo
diverso in circostanze diverse, cercando di ignorare quel nodo in gola
doloroso, che minacciava di sciogliersi ad ogni bacio che si
scambiavano.
Scherzarono e si stuzzicarono a vicenda, scambiandosi baci e tenerezze,
esplorando l’uno il corpo dell’altra e viceversa,
con la dolce curiosità riservata ai nuovi amanti e con
quell’alone di fatalità che rendeva i loro baci
quasi rabbiosi.
Ma ci furono anche lunghi lassi di tempo in cui si guardarono negli
occhi, scrutando in profondità con profana
avidità, cercando di scoprire cosa celava lo sguardo
dell’altro, in una lotta senza vinti o vincitori.
“Sei bellissima”, le disse Ryo, e per la prima
volta nella sua vita Kaori ci credette davvero.
“Kaori…se potessi fare quello che vuoi, cosa ti
piacerebbe fare?”
La donna chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dalle carezze di lui.
“La maestra.”
Lo disse senza esitazioni. Aveva sempre desiderato insegnare, era una
sorta di vocazione che sentiva radicata nel suo stesso essere.
Ma ovviamente Mark non avrebbe mai permesso a sua moglie di diventare
una volgare insegnante di scuola elementare. Cosa avrebbero pensato i
suoi avversari politici? Che figura ci avrebbe fatto con i suoi amici?
Sorrise con disprezzo, pensando a quel figlio di puttana di suo marito.
“La maestra…Sì, ti ci vedo davvero bene
seduta a gambe incrociate su un pavimento, a raccontare storie di
principi e principesse, circondata da tanti bei bambini. Sono sicuro
che penderebbero dalle tue labbra. Solo che i papà
dovrebbero stare molto molto attenti…o finirebbero per
innamorarsi di te…saresti una maestra davvero
sexy…”
Il suo era solo un sussurro, mentre le accarezzava il lobo
dell’orecchio con la lingua, provocandole dei brividi lungo
la schiena.
Era la prima volta che lui, seppur implicitamente, faceva un
riferimento all’amore…e Kaori ne fu talmente
felice che accantonò la timidezza e si fece più
audace.
Invertì le loro posizioni, sistemandosi a cavalcioni su di
lui e guardandolo con fare provocante, ma con un pizzico di insicurezza
che gli smosse qualcosa sotto la pelle, provocandogli una strana
stretta al cuore.
Ryo la lasciò fare, accarezzandole sensualmente i fianchi e
lasciando che lei conducesse il gioco e stabilisse il ritmo della danza
antica quanto il mondo.
Dopo l’amore, l’uomo la strinse forte tra le
braccia, ascoltando il suo respiro accelerato regolarizzarsi a poco a
poco.
Poi le disse che avrebbero fatto meglio a dormire un po’,
aggiungendo scherzosamente che l’età cominciava a
farsi sentire e che non era più pimpante come un ragazzino.
Kaori gli sorrise dolcemente, poi il suo sguardo si velò di
malinconia.
“Ryo…che faremo domani?”
L’uomo tornò immediatamente serio, sospirando
pesantemente.
Poi rotolò su di lei, affondando le dita fra i suoi capelli
e tenendole la testa ferma mentre parlava con voce bassa e pressante.
“Non lo so Kaori. Ma potrei morire prima che questa storia
sia finita. O potrei passare il resto della mia vita in prigione. Ho
fatto delle scelte, e sono pronto ad assumermi le mie
responsabilità e ad accettare le conseguenze dei miei gesti.
L’unica cosa che non potrei mai sopportare è che
tu tornassi da Duvall. Tutto il resto me lo sarei cercato, e sono
disposto ad accettarlo.”
Poi strinse gli occhi, e poggiò la sua fronte contro quella
della donna.
“Ma tu non puoi tornare da lui. Non puoi. Tutto, tutto, ma
non questo.”
2 giorni dopo
“Signor Duvall?”
“Ciao, Bob. Hai novità?”
“Si, signore. Sua moglie è stata
trovata.”
Mark Duvall rovesciò il bicchiere di whisky che aveva in
mano, macchiando di liquore la sua preziosa moquette.
“Dov’è?”, domandò
bruscamente.
“È stata ritrovata in riva alla palude, svenuta.
Adesso è in ospedale per degli accertamenti, ma sembra stia
bene.”
“E Saeba?”
Bob tacque per un istante, sapendo che quello che stava per dire non
sarebbe piaciuto al suo capo. Non gli sarebbe piaciuto per niente.
“Non lo so, signore. Non c’è traccia di
lui, ma i miei uomini lo stanno cercando in tutta la
città.”
“Non voglio che la polizia sia coinvolta in tutto questo
casino. È una faccenda personale tra me e il signor Saeba.
Voglio che quel figlio di puttana sia trovato, non mi interessa se
dovrete smuovere mari e monti per stanarlo. E lo voglio vivo. Sono
stato abbastanza chiaro, Bob? Sono stato clemente con te una volta, non
sarò così generoso una seconda volta.”
Il gigante nero all’altro capo del telefono
inghiottì a vuoto.
“Certo, signor Duvall. Conti pure su di me.”
Mark chiuse la conversazione, lanciando il suo cellulare contro la
parete opposta.
“Allora? Dov’è quel cane di
Saeba?”
Duvall osservò l’uomo seduto sulla poltrona di
pelle nera di fronte a lui.
Fabian McKinsley fece ruotare lentamente il whisky nel suo bicchiere,
poi lo mandò giù in un sorso.
“Bob e i suoi uomini lo stanno cercando. Kaori è
stata trovata.”
“Dove?”
“Ti racconterò i dettagli più tardi,
adesso devo andare in ospedale.”
“Allora, capo, cosa vuoi che faccia adesso?”
Duvall sorrise con malvagia ferocia.
“Quello di cui abbiamo parlato ieri sera.”
McKinsley spalancò la bocca e una scintilla di perversione
si accese nei suoi occhi.
“Anche se tua moglie sta tornando a casa?”
Mark sorrise.
“Specialmente adesso che sta tornando.”
McKinsley si leccò oscenamente il labbro inferiore, poi si
alzò e lasciò la stanza.
Allora?? Che ve ne pare?? Soddisfatte di questo capitolo?
Ancora una volta ringrazio tutti coloro che commentano e seguono questa
storia:
FIORE DEL DESERTO: Grazie mille, ecco a te il seguito!! ^.^
FRANCY: Sei davvero gentilissima, troppo buona!! Spero che la storia
continui ad essere interessante e sono davvero molto contenta di
leggere le tue recensioni!!
MYAKU: Penso che ancora una volta ti farò trovare la storia
non appena ti svegli…o no?? Grazie tanto sei carinissima!!
MOZZI84: Ciao carissima, sono contenta di leggere di nuovo tue
recensioni, mi mancavano!! Analizzi il capitolo davvero a fondo, mi fa
molto piacere!! Comunque non ti resta che aspettare e continuare a
leggere, e poco a poco tutti i nodi verranno al pettine, come hai detto
giustamente tu!! Spero che la storia continui a piacerti!! Un bacione!!
Alla prossima e grazie ancora.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 27 *** Capitolo 27 ***
SONO TORNATA!!!! Da quanto tempo non aggiornavo questa storia??
Troppo…vi chiedo scusa!! Spero che mi perdonerete per il
ritardo, e spero soprattutto di non aver perso la mano, visto che sono
quasi due mesi che non aggiornavo questa fanfic!! Prima di lasciarvi
alla lettura, facciamo un piccolo riepilogo: Ryo e Kaori, soli nel
capanno, hanno lasciato cadere le reciproche difese e hanno condiviso
una notte di passione e di tenerezza. Purtroppo, però, Kaori
non può abbandonarsi totalmente alle sensazioni che Ryo le
suscita, perché è preoccupata per la sorella
minore, Sayuri, che si trova alla mercé di suo marito. La
prima parte dell’ultimo capitolo si conclude con le parole di
Ryo che dice a Kaori di non poter mai accettare che lei torni da suo
marito. Ma, due giorni dopo, Mark Duvall viene avvisato dai suoi uomini
che Kaori è stata ritrovata e che si trova in ospedale. Cosa
sarà successo in quel breve arco di tempo? E come
reagirà Mark al ritrovamento di sua moglie? Lo scoprirete
solo leggendo!! ^.^ Un’ultima cosa: vi ringrazio davvero di
cuore per i commenti all’ultimo cap di Senza sangue, non
potete immaginare il piacere immenso che ho provato leggendo le vostre
bellissime parole!! Spero che anche questo capitolo non deluda le
vostre aspettative…e adesso è davvero tutto.
Buona lettura, e a presto!!! Baci
Stesa nel lettino bianco dell’ asettica stanza
d’ospedale, Kaori osservava il vento muovere le fronde
dell’albero secolare che si ergeva proprio fuori dalla sua
finestra.
Le avevano detto che suo marito stava arrivando, e che era stravolto
dalla preoccupazione. Certo, come no…
Ripassò velocemente nella mente la patetica scenetta che
avrebbe dovuto recitare davanti a suo marito, mentre in
realtà avrebbe voluto fare una sola cosa, e cioè
lasciare quella stanza e raggiungere l’unica persona di cui
aveva davvero bisogno in quel preciso istante.
Ryo…chissà cosa stava facendo in quel momento.
Le aveva promesso che sarebbe tornato a riprenderla, e lei era certa
che lo avrebbe fatto.
Era sconcertante la semplicità con cui quell’uomo
aveva abbattuto tutte le sue barriere in quei pochi giorni che avevano
trascorso insieme, la metà dei quali, per la
verità, sprecati a litigare. Mai fidarsi degli uomini,
questo le aveva insegnato la vita, e aveva sempre cercato di applicare
quel precetto che aveva imparato sulla propria pelle fin da piccola.
Ma Ryo Saeba, nonostante tutte le ombre che scorgeva nel suo sguardo,
era fondamentalmente un uomo buono, e questo le bastava ampiamente per
fidarsi di lui. In realtà, nutriva molto più che
semplice fiducia nei confronti di quell’uomo, ma aveva fatto
un patto con sé stessa: aveva deciso che avrebbe pensato ai
suoi sentimenti per Ryo in un secondo momento, quando non ci sarebbe
stato più nessun impedimento alla loro relazione, e
soprattutto quando sua sorella sarebbe stata al sicuro.
Il solo pensiero di Sayuri, e di quello che suo marito avrebbe potuto
farle per vendicarsi di lei, le provocò una contrazione alla
bocca dello stomaco. Se Mark avesse anche solo sospettato che lei e Ryo
erano diventati amanti, sarebbe stata sua sorella a pagarne le
conseguenze. Kaori sapeva che, a modo suo, Mark la amava. Certo, la
amava come poteva amare la sua macchina, i fiori della sua serra o il
suo cane, ma comunque la considerava una sua proprietà, e
quindi non le avrebbe fatto niente di male. Ma i rapporti tra Sayuri e
Mark non erano mai stati particolarmente felici: la ragazzina era
troppo esuberante per il rigido contegno di suo marito, e Sayuri, allo
stesso tempo, non faceva segreto dell’insofferenza che
nutriva nei confronti di Mark.
Entrambi cercavano di andare d’accordo in quelle rare
occasioni in cui si trovavano a condividere la stessa stanza, ma Kaori
era ben consapevole che lo facevano soltanto per amor suo. O meglio, si
corresse, Sayuri lo faceva per amor suo, mentre Mark sfruttava la sua
simulata accondiscendenza con la sorella minore solo per avere poi una
buona occasione per ricattare sottilmente la sorella maggiore.
Kaori sospirò, portandosi una mano al collo, lì
dove Ryo l’aveva colpita quella stessa mattina.
Sorrise, ricordando quanto lui si fosse opposto alla sola idea di farle
del male, e di come lei, ricorrendo a tattiche che lui aveva definito
“sleali”, lo aveva convinto, tra un bacio e
l’altro, dell’efficacia del diversivo.
Alla fine avevano deciso che l’unico modo per risolvere la
situazione era ritornare a casa da suo marito. Lei avrebbe dovuto
mostrarsi spaventata e scioccata per quanto era successo, ma nello
stesso tempo avrebbe cercato di impedire a Mark di vendicarsi su Ryo.
Sperava di convincerlo che sarebbe stato meglio per tutti e due
dimenticare quella brutta faccenda, far finta che niente fosse successo
e tornare alla vita di prima. Poi gli avrebbe chiesto di vedere sua
sorella, e avrebbe parlato a Suor Maira dei suoi problemi con suo
marito e della necessità di fuggire il più
lontano possibile da New York. Era sicura che la suora avrebbe
compreso, e che non le avrebbe mai negato il suo aiuto. Nel frattempo
Ryo, travestito da prete, sarebbe venuto a prenderle dal collegio
religioso e avrebbero lasciato insieme il Paese.
Negli ultimi giorni avevano pianificato tutto in ogni minimo dettaglio,
ma il rischio che qualcosa non andasse come avevano stabilito era molto
alto, soprattutto perché si stavano mettendo contro
l’uomo più potente e influente della
città, che tra l’altro era anche suo marito.
Kaori era terrorizzata all’idea che Mark scoprisse che lei
l’aveva tradito con il suo più acerrimo nemico,
così aveva proposto a Ryo di colpirla, in modo che nessuno
potesse nutrire dei dubbi sul fatto che lui l’aveva usata
esclusivamente come esca per attirare suo marito in trappola. Ryo
l’aveva baciata a lungo, facendola tremare dalla testa ai
piedi, prima di poggiarle la mano di traverso sul collo.
L’aveva guardata negli occhi, un sorriso colpevole aleggiava
sulle sue labbra, ma i suoi occhi erano duri come l’acciaio.
“Kaori, ti prometto che tuo marito la pagherà
anche per avermi costretto a fare questo.”
Lei lo aveva guardato negli occhi, e aveva capito che lui non si
sarebbe fermato davanti a niente pur di riaverla al suo fianco. Ne era
stata così commossa da non riuscire nemmeno a ringraziarlo
per quegli attimi felici dal sapore dolce-amaro che lui le aveva
regalato.
L’aveva baciata sul collo un’ultima volta, poi
l’aveva colpita con un gesto secco e preciso della mano. Ryo
aveva deciso di lasciare il suo corpo incosciente sulla riva della
palude, dove gli uomini di Duvall l’avrebbero trovata nel
giro di poche ore.
Infatti si era risvegliata al suono della voce di Bob che avvertiva
Mark che sua moglie era stata ritrovata. Si era guardata intorno e
aveva capito subito che si trovava in ospedale, o meglio nella clinica
privata più costosa della città, la Westhill
Clinic. Probabilmente gli scagnozzi di suo marito avevano scelto
proprio quella clinica per la fama dei medici che lavoravano
lì, che potevano diventare estremamente smemorati, se
qualcuno offriva loro delle bustarelle. Quindi, come aveva pensato, la
stampa non era a conoscenza del suo rapimento.
Le sue riflessioni furono interrotte dalla porta della stanza che
veniva aperta con furia. Suo marito si precipitò
all’interno, il viso era una calcolata maschera di dolore e
di preoccupazione, ma Kaori sapeva che nessuna di quelle emozioni era
autentica.
Mark si avvicinò a lei, e Kaori si sforzò di
sorridergli con aria mesta e sottomessa, proprio come piaceva a lui.
Ancora pochi giorni e poi sarebbe finito tutto, e non avrebbe dovuto
più umiliarsi davanti a quell’uomo
odioso…
Gli occhi di Mark erano azzurri e acquosi, niente a che vedere con gli
abissi scuri e profondi degli occhi di Ryo.
Il suo volto le tornò in mente, quel volto che poteva
esprimere così tante emozioni: le pareva quasi di averlo
davanti, mentre sorrideva malizioso appena prima di baciarla, oppure
concentrato mentre elaboravano il piano per
“rapirla” una seconda volta, o intenso mentre la
guardava soltanto senza dire niente, o determinato mentre le diceva che
suo marito l’avrebbe pagata
Si impose di smettere di pensare a lui, per timore che suo marito
leggesse in fondo ai suoi occhi una verità che avrebbe
condannato senza appello lei e sua sorella.
Quando suo marito si chinò verso di lei per abbracciarla,
Kaori ricambiò l’abbraccio e si lasciò
docilmente baciare da Mark.
Suo marito la scostò da sé e la fissò
negli occhi per qualche secondo, un lasso di tempo che le
sembrò non avere mai termine. Sostenne il suo sguardo,
deglutendo nervosamente. Poi, però, Mark le sorrise e le
chiese come si sentisse.
Kaori sospirò per il sollievo. Per fortuna Mark non aveva
intuito niente, altrimenti non le avrebbe sorriso, si disse. Eppure
c’era qualcosa nello sguardo dell’uomo, nella
bianchezza inquietante dei suoi denti scoperti, che la mise in allarme.
Chiuse la mente a tutto il resto, concentrandosi solo sulla scena che
avrebbe dovuto recitare a uso e consumo di Mark. Non poteva permettersi
di sbagliare, doveva convincere Mark che Ryo non
l’aveva mai nemmeno sfiorata. Se non fosse riuscita nel suo
intento, sua sorella sarebbe morta.
Mentre camminava lungo il corridoio dell’ospedale diretto
alla camera dove sua moglie era stata ricoverata, Mark Duvall pensava
che forse esisteva ancora una possibilità che, nonostante il
rapimento, tutto tornasse come prima, tra lui e sua moglie. Aveva detto
a McKinsley di aspettare la sua telefonata, prima di fare quello che
avevano convenuto il giorno prima. Forse, se sua moglie fosse stata
ancora integra, avrebbe potuto decidere di revocare il piano che aveva
affidato a Fabian. Forse, non sarebbe stato necessario ricorrere a
misure così drastiche.
Ma nel momento stesso in cui aveva guardato Kaori negli occhi, anche
quel debole spiraglio di compassione si era chiuso
all’istante, perché nonostante lei mormorasse il
suo nome e gli sorridesse debolmente, Mark aveva capito che Saeba
l’aveva avuta.
Quel figlio di puttana…avrebbe potuto anche graffiare la sua
Porche nuova o dare fuoco alla serra, già che
c’era…
Aveva coltivato Kaori per anni, fino a farla diventare una perfetta
cortigiana, e poi era arrivato quel giapponese di merda e aveva
rovinato tutto. L’aveva contaminata, l’aveva
irrimediabilmente violata. Adesso niente sarebbe più potuto
essere come prima.
Sorrise a Kaori, chiedendole come si sentisse. Avrebbe tanto voluto
urlarle in faccia i progetti che aveva in serbo per lei e per il suo
amante, giusto per vedere come avrebbe reagito.
Nascondendo la propria ripugnanza all’idea che il corpo di
sua moglie fosse stato preso da un altro uomo, la strinse a
sé. Cercò di assumere un tono spaventato e
preoccupato.
“Amore mio…grazie a Dio sei tornata a casa sana e
salva. Se penso a quello che hai passato…”
Si interruppe, fingendo di avere la voce strozzata
dall’emozione. “Cosa ti ha fatto quel figlio di
puttana?”, chiese, con una rabbia che stavolta non era
simulata.
La ascoltò distratto mentre lei gli raccontava tutto del
rapimento, e di come un proiettile vagante l’avesse colpita
allo stomaco.
“Ma ormai la ferita è guarita. Sto bene, sono
soltanto molto stanca.”
“E Saeba non ti ha toccata, vero amore?”
Come aveva previsto, lei si affrettò a negare, scuotendo
velocemente la testa.
“Non mi ha maltrattata, e non ha cercato di violentarmi, se
è questo che intendi. Voleva soltanto usarmi come esca, mi
ha ripetuto più volte che il mio rapimento aveva
l’unico scopo di farti un torto.”
Mark chiamò l’infermiera, poi chiese una sedia a
rotelle per accompagnare sua moglie fino alla macchina. Visto che lei
lo guardava in maniera interrogativa, le spiegò che voleva
riaverla a casa il prima possibile, e che i giorni senza di lei erano
stati un inferno. Naturalmente non le raccontò che la sua
segretaria l’aveva tenuto molto impegnato quelle notti, ma
d’altronde anche lei se l’era spassata con Saeba
senza farsi troppi scrupoli.
“Lo ucciderò, quel bastardo.”
Kaori gli posò una mano sul braccio, guardandolo
teneramente, ma Mark notò che i suoi occhi erano pieni di
panico. Avrebbe dovuto pensarci prima di aprire le gambe a Saeba,
pensò con stizza.
“Lascia stare, Mark. Te l’ho detto, Saeba non mi ha
nemmeno toccata. Vorrei solo lasciarmi alle spalle questa brutta storia
e ricominciare come se niente fosse successo. Che ne dici,
amore?”
Mark represse nuovamente il disgusto, sorridendole senza rispondere.
Poi l’aiutò a sedersi sulla sedia a rotella, e la
accompagnò fuori, nel parcheggio della clinica, dove Bob li
stava aspettando con la macchina.
“Come mai ti ha lasciata andare?”, le chiese,
mentre l’auto partiva.
“Non lo so”, mormorò Kaori con voce
roca. “Stamattina mi ha svegliata presto e mi ha detto che mi
avrebbe liberata. Non mi ha spiegato perché avesse preso
questa decisione. Forse si sentiva braccato…probabilmente
adesso ha già abbandonato gli Stati Uniti.”
“Mi piacerebbe vedere il capanno dove ti ha tenuta in
ostaggio. Saresti in grado di portarmici?”
Sua moglie scosse la testa, ma Mark l’aveva già
preventivato. Quella puttana non avrebbe tradito il suo nuovo amante.
“Mi dispiace, Mark, ma quando mi ha rapita ero bendata, e
stamattina prima di liberarmi mi ha colpita alla nuca e sono svenuta
sul colpo.”
Si portò una mano al collo, forse sperando di impietosirlo,
ma Mark non si fece ingannare dalla sua aria stanca.
“Hai cercato di scappare?”
Kaori lo fissò con sdegno. “Naturalmente! Ho anche
rischiato di affogare!”
Gli raccontò di come Saeba non le avesse creduto quando gli
aveva detto di non saper nuotare, ma quando si era reso conto che non
aveva mentito si era precipitato ad aiutarla.
“Dopo quella volta, mi ha ammanettata. Ma adesso finalmente
sono qui con te, sana e salva, e questa è l’unica
cosa che conta.”
Gli fece scivolare le braccia attorno al collo, e Mark dovette fare
appello a tutto il suo autocontrollo per non schiaffeggiarla.
“Mark, è inutile continuare questa faida tra te e
Saeba. Sarebbe inutile. Voleva soltanto fare un torto ad un uomo molto
più potente di lui, ma alla fine ha deciso di lasciar
perdere. Lascia perdere anche tu, considera tutto quello che
è successo come un brutto sogno e nient’altro.
Sono sicura che Saeba non ci darà più
fastidio.”
Stanco di sentirla perorare la causa del suo amante, Mark la mise a
tacere con un bacio violento, ma poi si ritrasse di colpo.
Si accorse che Kaori ne era rimasta sorpresa. Forse si aspettava che
lui se la portasse a letto come se niente fosse successo, dopo che un
altro uomo l’aveva macchiata con il suo seme?
Aveva una voglia matta di riderle in faccia, ma non era ancora il
momento. Al momento opportuno, avrebbe guardato sua moglie affondare
insieme a Saeba e si sarebbe fatto una bella risata.
Bob stava parcheggiando nel giardino della villa. Erano arrivati a casa.
Mark la aiutò a scendere dalla macchina, accompagnandola di
sopra, nella loro camera da letto.
“Adesso ti lascio riposare, mia cara. Ti voglio in forma per
il ricevimento di domani.”
Kaori lo guardò, con un misto di sorpresa ed incertezza.
“Quale ricevimento?”
“Quello che ho organizzato in tuo onore, naturalmente. I miei
amici sanno che sei stata molto malata in questi ultimi giorni, e si
sono preoccupati molto per te. Ma adesso che stai bene potrai
rassicurarli tu stessa sulla tua salute, non credi?”
Le sorrise, mellifluo.
“Riposa, adesso. Oh, a proposito, ho tolto il telefono
affinché tu non venga disturbata da nessuno.”
Kaori lanciò un’occhiata al comodino, e Mark fu
deliziato dall’espressione di puro panico che le comparve sul
viso.
“Vorrei chiamare Sayuri. È molto tempo che non la
sento, di sicuro sarà in pensiero per me.”
La voce di sua moglie tremava. Bene. Avrebbe imparato una volta per
tutte che non doveva nemmeno pensare di prenderlo per il culo come se
niente fosse.
“Ho raccontato anche a lei una piccola bugia. Le ho detto che
avevi un’infezione alla gola, ma l’ho rassicurata
che saresti guarita in pochi giorni.”
Kaori si alzò dal letto, andandogli incontro e
circondandogli la vita con le braccia.
“Vorrei vederla comunque, amore mio. Potrei andare a trovarla
domani, così poi avrei tutto il tempo per prepararmi per la
festa.”
Lo baciò sulle labbra, ma lui si scostò,
infastidito.
“Vedrai tua sorella quando non sarà più
in punizione. Ne avevo abbastanza del suo caratteraccio,
così mi sono permesso di vietarle qualsiasi visita, compresa
quella di sua sorella.”
“Ma, Mark…”
“Non discutere le mie decisioni”, le
ordinò, perentorio.
Cercò di addolcire il tono di voce, anche se la rabbia gli
ribolliva nelle vene come lava.
“Adesso riposati, Kaori. Ho dato istruzioni alla
servitù di non venire a disturbarti per nessuna ragione al
mondo. Soltanto io verrò a vedere come ti senti, durante la
giornata.”
Le sorrise, le lanciò un bacio e uscì dalla
stanza, chiudendo la porta alle sue spalle.
Kaori lo sentì armeggiare con la serratura, e con un brivido
di terrore si rese conto che lui aveva chiuso la porta a chiave
dall’esterno, imprigionandola nella sua stessa camera.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 28 *** Capitolo 28 ***
Suor Maira strinse le labbra sottili in un’espressione di
stizza e disapprovazione.
“Questo è del tutto irregolare. Il signor Duvall
ha espressamente vietato visite alla signorina Tachiki.”
“Questo lo so, sorella, ma il signor Duvall ha dimenticato di
dirle che questa regola non vale per me.”
L’arroganza di Fabian McKinsley lasciava chiaramente
intendere che l’uomo non era impressionato né dal
luogo in cui si trovava, il collegio religioso più
prestigioso di New York, né dalla veste monacale che Suor
Maira indossava.
Aveva aspettato impazientemente la telefonata di Duvall, preoccupato
che il piano saltasse, e quando il suo capo l’aveva chiamato
dandogli il via libera, si era sentito allo stesso tempo sollevato ed
eccitato. Per quanto lo riguardava, Suor Maira e le sue
“irregolarità” non avevano nessuna
importanza. Niente e nessuno gli avrebbe impedito di portare a termine
il piacevole compito che Duvall aveva pensato per lui. A costo di
passare sopra, intorno o attraverso quella stupida suora, lui avrebbe
prelevato la ragazza.
E poi, una volta che l’avesse portata nel luogo
convenuto….
Si leccò le labbra al solo pensiero di quello che sarebbe
successo nella camera del motel che aveva prenotato appena
mezz’ora prima.
“Chiamerò il signor Duvall e ne parlerò
direttamente con lui.”
Fabian le allungò il suo cellulare, con un sorrisetto
lezioso e ironico.
“Prego, faccia pure, sorella…troverà il
numero del signor Duvall tra le ultime chiamate effettuate.”
Suor Maira non si fece scoraggiare dalla sua espressione di palese
trionfo.
Ignorando l’uomo, sollevò la cornetta
dell’antiquato apparecchio telefonico di cui era provvista la
reception e compose il numero, sbirciando le cifre dalla pagina
ingiallita di una consunta agendina dalla copertina in pelle rossa.
“Il signor Duvall, per cortesia. Sono Suor Maira, e chiamo
dall’Istituto del Sacro Cuore. Si tratta di una questione
della massima importanza.”
Fabian McKinsley ascoltò con un sorriso affettato la voce
della suora affievolirsi sempre più, mentre evidentemente
Duvall confermava di averlo mandato lì a prelevare la
cognatina.
“Capisco. Molto bene, signor Duvall, non era mia intenzione
rubarle tempo prezioso. Ma lei capirà senz’altro
che mi preoccupo per la sicurezza di Sayuri.”
Lanciò un’occhiata torva e sospettosa a Fabian,
che le scoccò un sorriso tanto amabile quanto falso.
“Tutto a posto?”, domandò lui quando la
suora ebbe riagganciato.
“Sì”, rispose, seccamente.
La sorella uscì da dietro la sua scrivania, allontanandosi
verso le camere delle ragazze.
“Dirò a Sayuri di preparare la sua roba. La
raggiungerà al più presto”, aggiunse
poi con voce gelida.
“Al più presto” fu solo dopo venti
minuti buoni.
Fabian era impaziente di vedere quel bel bocconcino che avrebbe
assaporato di lì a qualche istante. Mark gli aveva
assicurato che si trattava di una gran bella ragazza, forse non
affascinante come Kaori, ma certamente tale da rendere il suo compito
molto piacevole, oltre che ben retribuito.
Cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro,
sentendosi leggermente a disagio sotto lo sguardo dolente di un Cristo
in croce che sembrava fissarlo da un affresco sulla parete.
Quando la porta finalmente si aprì alle sua spalle,
l’uomo era un fascio di nervi. Si girò di scatto,
rimanendo a bocca aperta.
“Porca…”
“Signor McKinsley, non mi interessa se lei è il
braccio destro di Duvall. Si ricordi che si trova in un luogo sacro, e
qui non è consentito esprimersi in maniera tanto
rozza.”
Fabian strinse le labbra, trattenendosi dal rispondere a Suor Maira con
una imprecazione ancora più “rozza”. Si
inchinò leggermente, scusandosi, ma notò che la
suora stringeva spasmodicamente un rosario tra le mani e sembrava
mormorare delle preghiere a mezza voce.
Dopo mezzo secondo smise di preoccuparsi della suora, e il suo sguardo
famelico tornò ad accarezzare le curve della ragazza.
Per Dio, era davvero uno splendore! Aveva lunghi capelli castani, occhi
azzurri e un gran bel fisico. Sembrava addirittura più
grande della sua età.
Con le guance arrossate per l’eccitazione, Sayuri gli
andò incontro, tendendogli la mano.
“Buongiorno, signor McKinsley. Piacere di
conoscerla.”
“Il piacere è tutto mio, signorina
Tachiki”, mormorò con voce roca.
Si chinò a baciarle la mano, sentendola morbida e calda
sotto le sue labbra. Cercò di controllarsi, mentre
un’ondata di intenso desiderio lo scuoteva. Quella creatura
sembrava troppo bella per essere vera. E presto sarebbe stata sua.
“Signor McKinsley…”
“Chiamami Fabian.”
La ragazza gli sorrise, facendogli venire l’acquolina in
bocca.
“Fabian…è vero quello che mi ha detto
Suor Maira? Sul serio potrò partecipare alla festa di domani
in onore di Kaori?”
“Assolutamente sì, Sayuri. Il signor Duvall
ritiene che la punizione sia stata sufficiente. Ovviamente si aspetta
la tua riconoscenza, domani sera. Dovrai cercare di comportarti bene,
signorina”, le disse, strizzandole l’occhio con
complicità.
Sayuri annuì solennemente. Fabian sapeva che la ragazza non
era mai andata ad una festa in tutta la sua vita, e non si sarebbe mai
fatta sfuggire quell’occasione, a costo di dimostrarsi
servile e docile con l’odiato cognato.
Le ragazzine della sua età erano davvero prevedibili,
pensò Fabian.
“Mark vuole che domani ti diverta, Sayuri. Mi ha confidato
che lo considera una sorta di ingresso in società, per
te.”
“E Kaori è d’accordo?”
Questa volta era stata Suor Maira a parlare.
Nell’eccitazione, Fabian si era completamente dimenticato di
quella guastafeste.
“Certo. È una festa in suo onore, no? Ci tiene
molto ad averla accanto a sé, domani sera.”
Portandosi una mano al petto, in un gesto innocentemente sensuale che
rischiò di fargli perdere il controllo, Sayuri
sospirò estasiata.
“Che bello, mi lasciano veramente andare alla festa! Non
riesco a crederci!”
Fabian prese la sua valigia, offrendole galantemente il braccio.
“E invece dovresti proprio crederci, mia cara.”
“Non capisco, Fabian. Perché non andiamo
direttamente a casa di Kaori?”
L’ingenuità di quella ragazza era eccitante quasi
quanto immaginarla nuda, pensò Fabian. La seducente, dolce
Sayuri era quanto di meglio gli fosse capitato sottomano da parecchio
tempo. A stento si tratteneva dal metterle le mani addosso, mentre
l’accompagnava attraverso il parcheggio del motel fino alla
stanza che aveva prenotato per il suo festino privato.
Sperando di mettere a tacere i sospetti di lei, la guardò
con aria complice e sospirò. Poi le rispose in tono
confidenziale:
“Non dovrei dirtelo, altrimenti rischierei di perdere il
posto, ma…”
“Dirmi cosa?”
Come aveva previsto, la ragazza si era immediatamente incuriosita,
lasciando da parte le sue riserve.
“Stanno preparando una grande sorpresa per te, per il tuo
debutto in società. È per questo che mi hanno
detto di tenerti lontana dalla villa almeno per oggi, finchè
non fosse stato tutto pronto.”
“Sul serio??”, squittì Sayuri,
scoccandogli un sorriso abbagliante. “E cosa potrebbe mai
essere?”
“Io lo so, ma non posso dirtelo.”
“Ti prego, ti prego, dimmelo!”
Sayuri gli si fece vicina, afferrandogli il braccio e scuotendolo. Quel
movimento lo eccitò enormemente, perché il suo
braccio sfiorava continuamente il seno pieno e sodo della ragazza. Si
affrettò a salire le scale. Voleva solo arrivare alla stanza
il prima possibile, e allora avrebbe finalmente potuto realizzare le
circa 15 perversioni che gli erano venute in mente nel giro di pochi
minuti.
“Niente da fare, mia cara. Mark e Kaori non me lo
perdonerebbero mai, se ti rovinassi la sorpresa. Anzi, ho
già detto fin troppo. Devi promettermi che farai finta di
non sapere niente di tutta questa faccenda.”
“Giuro”, disse lei, portandosi due dita alla bocca
e baciandole. Fabian si leccò le labbra.
Finalmente erano arrivati davanti alla loro camera. Aprì la
porta con la tessera magnetica, poi si scostò e la fece
entrare.
“Dopo di te, mia cara.”
Sayuri gli passò davanti, e lui ne approfittò per
ammirare il suo fondoschiena piccolo e sodo. La ragazza indossava dei
jeans attillati, il che non fece che stimolare
all’inverosimile le sue fantasie sessuali.
Dal gridolino della ragazza, Fabian capì che aveva notato il
pacco sul letto, indirizzato proprio a lei.
Quella era stata un’idea di Mark. Quell’uomo era
veramente speciale, per certe cose; non tralasciava mai nessun
dettaglio.
“Cosa c’è in questa scatola,
Fabian?”
L’uomo chiuse la porta alle sue spalle. Poi le sorrise,
andandole incontro.
“Beh, non ti resta che aprirla, per scoprirlo. È
un regalo di Kaori, l’ha scelto appositamente per
te.”
La ragazza non se lo fece ripetere due volte. Tirò via il
coperchio dalla scatola e scostò i fogli di carta velina,
poi un lungo sospiro estatico le sfuggì dalle labbra mentre
fissava con gli occhi lucidi dall’emozione il bellissimo
vestito rosso ripiegato.
“Oddio, è così bello che non ho nemmeno
il coraggio di toccarlo.”
“Avanti, Sayuri. È tutto tuo.”
La ragazza sollevò il vestito dalla scatola con estrema
attenzione, come se stesse maneggiando delle reliquie sacre, anche se,
per la verità, in quel vestito non c’era proprio
niente di sacro.
Era estremamente corto, e la scollatura, così profonda da
non lasciare niente all’immaginazione, era impreziosita di
piccole pietruzze scintillanti. Nella scatola c’erano anche
un paio di scarpe laccate dai tacchi altissimi, e una borsetta
coordinata al colore del vestito.
La reazione di Sayuri fu un misto di eccitazione infantile e di dubbio.
“Sicuro che questo sia per me? Forse hai preso la scatola
sbagliata…”
Fabian assunse un’espressione delusa.
“Perché dici così? Il vestito non ti
piace, forse?”
Sayuri si affrettò a rassicurare l’uomo.
“Certo che mi piace!! È bellissimo! Solo che io
non ho mai indossato un vestito così splendido…e
poi mi sembra un po’
troppo…ridotto…”, aggiunse, arrossendo.
Fabian le sorrise, cercando di nascondere la sua impazienza.
“Tu dici? Forse è solo una tua impressione.
Perché non lo provi? Così se non ti piace avrai
tutto il tempo per cambiarlo con qualcosa di più adatto a
te.”
Poi la squadrò dalla testa ai piedi, corrugando le
sopracciglia.
“Sai, forse hai ragione. Un vestito del genere è
pensato per una vera donna…effettivamente mi sembra un
po’ troppo osé, per una ragazzina della tua
età.”
La provocazione ebbe un effetto istantaneo. Sayuri afferrò
il vestito e marciò verso il bagno a testa alta, con aria
indispettita, chiudendo a chiave la porta.
Fabian si stese sul letto, con le mani dietro la testa, sogghignando.
Le donne erano estremamente prevedibili, si ripetè. Quale
donna, dopo che un uomo l’aveva anche lievemente
“offesa”, non avrebbe voluto fargli rimangiare
l’insulto? Per le giovani donne dell’età
di Sayuri, essere chiamate “ragazzine” era un vero
e proprio affronto.
Adesso Sayuri non vedeva l’ora di dimostrargli quanto potesse
essere matura e audace, nonostante la sua giovane età.
Fabian si alzò dal letto, tirò le tende davanti
alla finestra e si accertò che la porta fosse ben chiusa.
Poi si sedette nuovamente sull’orlo del letto e
aspettò che lei uscisse dal bagno.
Ringraziamenti:
ALEPTOS: In effetti il piano presentava non poche falle…
^_^’’ Diciamo che mi riesce meglio sconvolgere i
piani, che progettarli!! PS:
Hai visto, questa volta non vi ho fatto aspettare troppo per
l’aggiornamento!! ^_^'' Grazie mille
per il commento, sei gentilissima come sempre!!
FRANCY: Grazie carissima, mi fa
piacere che continui sempre
a seguire le mie storie!! E vedrai che il lieto fine
arriverà....Un bacione e al prossimo cap!!
MOZZI84: Cara Mozzi, ormai
dovrò nominarti mia commentatrice
ufficiale!! Grazie per le analisi ai capitoli, mai superficiali o
banali…grazie
perché trovi il tempo di leggere e commentare sempre!! PS:
Bravissima, vedo che
non ti sei dimenticata di Mick…eheh, vedrai, cosa ho in
mente per l’americano…
^_- Un bacione e
grazie ancora!!!
Al prossimo cap, gente!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 29 *** Capitolo 29 ***
Questa volta ho cercato di aggiornare più velocemente, anche
perchè mi rendo conto di avervi lasciate con molti
interrogativi...ma non disperate, a poco a poco ogni punto oscuro
verrà svelato!! Non avevo mai scritto una storia "intricata"
come questa (almeno per i miei standard), quindi spero davvero di
riuscire a svilupparla bene fino alla fine. Un bacione enorme e grazie
per i commenti, sempre molto gentili!! E adesso...buona lettura! ^_^
Kaori si precipitò alla porta e afferrò il
pomello con entrambe le mani. Provò a girarlo con tutta la
sua forza, ma quello non si mosse, confermando il suo atroce sospetto:
suo marito l’aveva chiusa dentro.
Con un singhiozzo di frustrazione si accasciò
sull’elegante tappeto persiano ai piedi del letto.
Aveva davvero creduto nel paradosso che tornare da Mark fosse
l’unica soluzione per fuggire definitivamente da lui. Aveva
davvero creduto che sarebbe riuscita a convincerlo a lasciar perdere la
vendetta contro Ryo, che la sua recita avrebbe funzionato.
Ma suo marito l’aveva baciata con freddezza, e Kaori si era
accorta che poco prima, in macchina, non le aveva tolto gli occhi di
dosso per tutto il tempo necessario per tornare a casa dalla clinica in
cui era stata ricoverata. Era come se stesse cercando di violentare la
sua mente, di penetrare tutte le sue difese e scoprire cos’
era davvero successo in quel capanno.
Lei aveva continuato a guardare fuori dal finestrino come se niente
fosse, ma il suo sguardo penetrante le aveva procurato dei brividi
lungo la schiena, brividi di puro terrore che lei aveva cercato di
dissimulare imputandoli alla stanchezza e allo stress degli ultimi
giorni.
E poi, dettaglio ancora più preoccupante, Mark non se
l’era portata a letto subito, cosa che era inconsueta e
quindi allarmante. Kaori sapeva che c’era una sola ragione
per cui marito si sarebbe astenuto: se avesse sospettato che lei era
stata in intimità con Ryo.
E se davvero sospettava questo, allora non soltanto la sua vita, ma
anche quella di Sayuri e di Ryo erano in pericolo.
Mark doveva averlo capito non appena l’aveva baciata in
ospedale, riflettè Kaori.
Se era in grado di accorgersi di una minima imperfezione nei fiori
della sua serra, oppure di individuare che il vino era stato servito
più freddo o più caldo di un grado rispetto a
quanto aveva ordinato, come avrebbe potuto non accorgersi del profondo
cambiamento che era avvenuto il lei nel corso di quei pochi giorni?
In quel capanno dimenticato nel bel mezzo della palude, Kaori era
tornata ad avere fiducia in sé stessa. E si era innamorata
per la prima volta nella sua vita. Ormai era inutile negarlo, quello
che lei e Ryo avevano condiviso esulava dal semplice piacere fisico, e
coinvolgeva qualcosa di molto più profondo.
Quell’uomo era riuscito a toccare corde che nessun altro
aveva saputo stimolare. Lui l’aveva spinta a guardarsi bene
dentro, e Kaori era stata costretta ad ammettere che era diventata
proprio quello che lui l’aveva accusata di essere,
all’inizio: una prostituta.
Certo, si era prostituita a suo marito per la migliore delle ragioni,
cioè per il bene di sua sorella, ma per raggiungere quello
scopo aveva dovuto sacrificare la sua personalità, la sua
autostima, la sua anima, oltre che il suo corpo. E Mark aveva
ampiamente approfittato della sua sottomissione.
Adesso Kaori disprezzava la debole e passiva signora Duvall, che aveva
sempre chinato il capo davanti alle decisioni di suo marito, e provava
invece un crescente rispetto per Kaori Tachiki, una donna in fondo
forte e coraggiosa, che aveva un cervello e delle valide opinioni, e
che meritava l’amore di un uomo integro e degno di tutta la
sua fiducia.
Ryo! Doveva avvertirlo che la loro strategia si era rivelata
controproducente. Ma prima di poter fare qualsiasi cosa, doveva trovare
il modo di uscire da quella prigione di cristallo.
Per un attimo pensò di forzare la serratura. Sua madre le
aveva insegnato a scassinare le porte, quando era piccola.
Provò di tutto, dalle forbicine per la manicure alle forcine
per capelli alla limetta per le unghie, ma non ebbe successo.
Dopotutto, avrebbe dovuto preventivarlo. Mark era ossessionato dalla
sicurezza, e da quando un pazzo era penetrato in casa l’anno
precedente con lo scopo di farlo fuori, suo marito aveva trasformato la
camera da letto in una stanza blindata, dotata di tutte le tecnologie
all’avanguardia nel settore della sicurezza.
La porta si apriva dall’esterno con un tastierino numerico a
combinazione, e suo marito cambiava la password ogni settimana;
dall’interno, era possibile sbloccare la porta solo con una
speciale chiave magnetica, ma Kaori aveva messo a soqquadro
l’intera camera, frugando nell’armadio di suo
marito e nel suo guardaroba, ma non era riuscita a trovarla.
Si sedette sul letto, prendendosi la testa fra le mani, spaventata e
sfiduciata.
Pensa, Kaori, pensa…
Si alzò di scatto, cominciando a camminare nervosamente
avanti e indietro. Gettò uno sguardo veloce alle finestre
chiuse, ma si rese immediatamente conto che non avrebbe funzionato: la
camera da letto era al secondo piano, e anche se avesse trovato un modo
per calarsi nel giardino, anche le finestre erano dotate di un sistema
di allarme. Se le avesse aperte, il circuito si sarebbe interrotto,
quindi il sistema avrebbe mandato un segnale di avvertimento, e
qualcuno tra la servitù avrebbe sicuramente informato Mark.
La porta e le finestre non potevano essere sfruttate come vie di
fuga…cos’altro rimaneva?
Entrò nel bagno, esaminando i condotti dell’aria
condizionata. Si arrampicò sul water e rimosse la grata
sopra una presa d’aria, ma era troppo stretta e non ci
sarebbe mai passata.
Cosa avrebbe dovuto fare? Non poteva attraversare il muro come un
fantasma o filtrare sotto lo spiraglio della porta come fumo…
Fumo!
Ma certo! Come aveva fatto a non pensarci prima? Il soffitto della
stanza era dotato di un rilevatore di fumo che, in caso di incendio,
sbloccava automaticamente le probabili vie di fuga: le finestre,
quindi, ma soprattutto la porta.
Eccitata, Kaori trascinò il suo tavolino da toeletta al
centro della stanza. Con un gesto secco del braccio, lo
sgombrò da ciprie, pennellini e trucchi. Poi prese una delle
sue candele profumate, la accese e salì in piedi sul tavolo.
Cercò di avvicinare il più possibile la fiammella
al rilevatore di fumo: ancora qualche istante e sarebbe stata libera.
“Non funzionerà, Kaori.”
Kaori sobbalzò per la sorpresa, facendo cadere la candela.
La fiamma cominciò a bruciacchiare il tappeto, emanando uno
sgradevole odore di bruciato.
Mark attraversò la stanza, spegnendo le fiamme con la suola
della scarpa, poi guardò la moglie con un misto di
divertimento e irritazione. Trasse una chiave magnetica dalla tasca
posteriore dei pantaloni, rigirandola davanti al suo viso con una
espressione beffarda.
“Questa ti faciliterebbe non poco le cose, vero?”
Lei si protese in avanti per afferrare la chiave della stanza, ma lui
ritrasse velocemente il braccio, ridendo, e mettendo nuovamente la
chiave in tasca.
“Devo dire che mi hai stupito. Hai dimostrato più
astuzia nell’ultima mezz’ora che in dieci anni di
vita insieme.”
Con un gesto galante le offrì la mano per aiutarla a
scendere dal tavolino, ma Kaori lo ignorò e si
arrangiò da sola. Mark sogghignò con aria
malvagia.
“Non avrei mai tralasciato un dettaglio importante come
l’allarme anti-incendio, mia cara. Come credi che abbia fatto
a diventare l’avvocato più potente di tutta New
York? Però volevo vedere se ci saresti arrivata da sola.
Confesso che non ti facevo così intelligente.”
“Sono sempre stata più intelligente di quanto tu
pensassi, Mark”, rispose lei freddamente.
Questa volta l’uomo rise apertamente.
“Peccato che l’intelligenza è sprecata
in donne come te.”
Le accarezzò il braccio lascivamente, ma lei si
scostò disgustata.
“Sono convinto che perfino Saeba mi darebbe ragione. Dubito
che ti abbia impegnata in una discussione sul senso della vita, prima
di scoparti. Perché ti ha scopata, vero?”
Kaori sollevò la testa con aria di sfida, fissandolo dritto
negli occhi.
“No, Mark. Ryo non mi ha scopata, ha fatto l’amore
con me. Per la prima volta nella mia vita, ho fatto l’amore
con un uomo. Un vero uomo, Mark”, disse, sottolineando
l’aggettivo.
Suo marito le sferrò uno schiaffo con il dorso della mano,
che la colpì al labbro. L’impatto fu
così violento che Kaori vacillò, accasciandosi
sul pavimento davanti a lui.
“Sei solo una puttana, Kaori. Lo eri, lo sei e lo sarai per
sempre, perché ce l’hai nel sangue. Puoi anche
illuderti di aver trovato in Saeba l’amore della
tua vita, e di aver vissuto un idillio romantico in quel
capanno piccolo e accogliente, voi due soli in mezzo alla palude. Ma
anche lui è un uomo, e ti vede proprio come ti vedono tutti
gli altri uomini. Ti ha scopata solo per farmi uno sfregio.
Dov’è adesso quel bastardo?”
“Non lo so, e anche se lo sapessi non te lo direi.”
Mark le sferrò un calcio nello stomaco, facendola piegare in
due dal dolore. L’uomo si inginocchiò,
afferrandole i capelli e costringendola a sollevare la testa e
guardarlo negli occhi.
“Non te lo chiederò di nuovo, Kaori.
Dov’è?”
Kaori lottò per ricacciare indietro le lacrime di rabbia ma
anche di genuino dolore che le pungevano gli occhi.
“Non lo so, te lo giuro. Mi ha colpita, prima di lasciarmi
sulla riva della palude. E sappi che avrei voluto andare con lui,
invece di tornare con un verme come te. Ma…”
Mark rise di gusto, gettando la testa all’indietro.
“È proprio quello che ti dicevo, mia cara. Saeba
ha assaporato la parte migliore di te, e poi ti ha lasciata sola e con
il cuore spezzato. Magari adesso si sta già divertendo tra
le gambe di un’altra…Povera
piccola…credi sul serio alle sue promesse? Credi davvero che
rischierà di essere ucciso per salvarti? Sei solo
un’illusa, Kaori.”
La donna lo guardò con astio, sollevandosi dignitosamente.
“Non puoi tenermi rinchiusa qui dentro per sempre, Mark. In
un modo o nell’altro riuscirò a scappare,
sappilo.”
Mark sorrise.
“Ti assicuro, mia cara, che dopo questa notte non ti
importerà più niente di lasciare questa stanza
oppure no. Non ti importerà nemmeno di essere viva o morta.
Sarai del tutto indifferente a qualsiasi cosa ti accada. Parola mia,
Kaori.”
Lei lo guardò, sprezzante.
“Cosa hai intenzione di farmi? Di picchiarmi in
continuazione, fino a farmi svenire dal dolore? Di uccidermi, forse?
Puoi anche provarci, ma ti stupirai di quanto io sia diventata
resistente. Per anni ti ho temuto, e ho assecondato ogni tua scelta.
Adesso so che non sono una sgualdrina, come mi hai definita tu. Non
puoi più farmi del male, Mark. Sono immune alla tua
malvagità.”
Il sorriso di Mark si fece ancora più ampio.
“L’amore ti ha resa forte?”, le chiese,
con sarcasmo.
“È una forza che tu non conoscerai mai,
Mark.”
“Ma brava, che discorso commovente. Voglio vedere se sarai
ancora di questo parere, dopo che una persona a cui tieni molto
sarà irrimediabilmente rovinata da una persona che
detesti.”
Ci fu un attimo di silenzio, il tempo necessario a Kaori per incassare
le sue parole e rendersi conto di quello che implicavano.
Lo fissò con gli occhi pieni di rabbia e paura, poi si
scagliò contro di lui, graffiandogli la guancia con le
unghie. Lui la spinse via, gettandola con violenza sul letto.
“Non osare toccarla!”
Mark si portò le dita alle labbra, baciandone le punte.
“Ah, vedo che ci sei arrivata. La dolce Sayuri,
così ingenua, così fiduciosa. Proprio un bel
fiorellino da cogliere. Credo che abbia addirittura più
potenziale di te per soddisfare un uomo. Immagino che sarà
davvero eccitante, per il primo uomo che la farà sua, non
credi cara?”
Kaori scivolò giù dal letto, si
inginocchiò davanti a lui e gli cinse la vita con le
braccia, supplicandolo con voce roca.
“Ti prego, Mark, non farle del male. Ti scongiuro.
Farò tutto quello che vuoi. Qualsiasi cosa.”
Gli passò le mani sulle cosce, sul petto e sulle natiche,
poi gli cinse il collo con le braccia e lo baciò.
Lui la spinse via, infastidito.
“Smettila. Mi fai pena.”
“Ti prego, Mark.”
Adesso la donna stava singhiozzando.
“Ti prego, non toccarla.”
“Non ho nessuna intenzione di farlo, mia cara. Credi che
voglia rimpiazzarti nel mio letto con tua sorella? Niente affatto. Le
gattine nervose come lei non mi piacciono. Ma Fabian le adora,
così ho deciso di fargli un regalo. Devi ammettere che si
è dimostrato molto più fedele di te, moglie
mia.”
Le accarezzò la guancia con il dorso della mano, e la sua
risata continuò a riecheggiare nella testa di Kaori anche
dopo che fu uscito, premurandosi di richiudere la porta
dall’esterno.
Per qualche secondo Kaori non riuscì a muoversi, inchiodata
al pavimento dalla paura.
Sayuri e Fabian…
McKinsley aveva precedenti per stupro e sfruttamento della
prostituzione, e la sua dolce e ingenua sorella era nella mani di quel
maiale.
Kaori incrociò le braccia sul busto e si chinò in
avanti, cercando di ritrovare la calma. Respirò
profondamente, poi aprì il palmo e fissò
l’oggetto che stringeva nella mano destra: la piccola chiave
magnetica che aveva preso dalla tasca di Mark mentre fingeva di
implorarlo e accarezzarlo.
Il suo lasciapassare per la libertà.
RINGRAZIAMENTI:
FRANCY: grazie di nuovo, carissima!! Il lieto fine ci sarà,
come sempre nelle mie storie...se ci fai caso, anche se i protagonisti
affrontano mille difficoltà, alla fine c'è sempre
un lieto fine...credo che almeno nelle fic ci si può
illudere che è sempre il "bene" a vincere! In questo cap.
hai scoperto la reazione di Kaori...cosa succederà a Sayuri,
lo scoprirai solo nel prossimo! ^_^ Grazie ancora, e alla prossima!
MOZZI84: Tesoro, grazie di nuovo!! Questo è il Bast****
numero 2, non credi?? Non preoccuparti per Sayuri...hihih quello che
voglio dire lo scoprirai presto!!! E forse la situazione ti si
farà più chiara!! ^_^ Grazie mille per
il commento, sei gentilissima come sempre!!
JOJIPV: Come ho detto anche a Mozzi, non preoccupatevi troppo per
Sayuri!! Tranquilla...cmq il piano di Duvall era proprio quello di far
crollare psicologicamente Kaori dicendole che la sorella sta per essere
violentata da McKinsley...come Kaori verrà salvata lo
scoprirai solo nei prossimi cap...e lo stesso vale per Ryo!! Tra un
pò scopriremo che fine ha fatto...^_^ Un bacione, grazie
mille per il commento! Spero che anche questo capitolo ti sia
piaciuto...pur essendo anche questo un pochino inquietante!!!
Al prossimo capitolo!! ^.^
|
Ritorna all'indice
Capitolo 30 *** Capitolo 30 ***
Fabian si alzò dal letto, tirò le tende
davanti alla finestra e si
accertò che la porta fosse ben chiusa. Poi si sedette
nuovamente
sull’orlo del letto e aspettò che lei uscisse dal
bagno.
Dopo un quarto d’ora, però, lei non era ancora
riapparsa, e la sua
pazienza cominciava ad esaurirsi. Quanto diavolo ci metteva a provare
quel vestitino?
“Sayuri? Serve aiuto? È tutto apposto
lì dentro?”
“No. Voglio dire, non ho bisogno di aiuto. Però
non sono sicura che il
vestito vada bene…”, aggiunse poi, con una vocina
sottile che lo rese
ancora più impaziente di farla sua.
“Cosa intendi? È troppo largo, o troppo
stretto?”
La ragazza esitò un attimo, prima di rispondere.
“No, non è quello. È solo
che…”
“Avanti, tesoro, esci da quel bagno. Fai giudicare me. Sono
un uomo, no?”
‘E tra un po’ capirai fino in fondo quello che
voglio dire’, aggiunse poi tra sé e sé
con un ghigno.
Quando vide la maniglia della porta abbassarsi lentamente, sul suo viso
si dipinse un sorriso carico di aspettative e di malcelata eccitazione.
Fabian era un vero conoscitore di donne, ma nemmeno la sua esperienza
in questo ambito lo avrebbe potuto preparare alla fantasia vivente che
varcò la soglia a piedi nudi.
La ragazza era a dir poco fantastica. Il vestito sembrava cucito
apposta sul suo giovane ma florido corpo: le piccole coppe del corpetto
contenevano a stento il suo seno sodo e dolcemente arrotondato, mentre
il vestito le arrivava a metà coscia e non riusciva a
coprire le sue
splendide gambe slanciate. Lei fece una piroetta, e Fabian si accorse
che anche la schiena era largamente scoperta grazie ad una profonda
scollatura che lasciava intravedere la rotondità delle sue
natiche.
“Non credo che mia sorella si sia resa conto di quanto fosse
succinto
questo vestito”, disse lei, imbarazzata, cercando di tirare
su la
scollatura del vestito, senza rendersi conto che così
facendo scopriva
ancora di più le gambe.
Si rivolse a Fabian, guardandolo di sottecchi, le guance deliziosamente
arrossate.
“Tu cosa ne pensi, Fabian? Dici che può
andare?”
Il candore e l’innocenza di quella ragazza stridevano con la
sfacciata
sensualità del suo corpo, pensò Fabian. Il
connubio, però, era
straordinariamente erotico.
“Oh, sì.”
La lingua gli si era incollata al palato, tanto era eccitato.
“Credo che ti stia benissimo. Di questo passo farai sfigurare
tutte le altre donne, domani sera.”
Sayuri lo guardò dubbiosa, come per decidere se lui la
stesse prendendo in giro oppure no.
“Dici sul serio?”, chiese, con un sorriso timido e
quasi incredulo.
Fabian si alzò dal letto e le andò incontro.
“Certo, non sono mai stato più serio in tutta la
mia vita. E ti dirò
un’altra cosa: sei così bella che mi verrebbe
voglia di mangiarti.”
Il sorriso che lui le indirizzò non dovette ispirarle molta
fiducia,
tanto che la ragazza rise nervosamente e cominciò ad
indietreggiare
verso il bagno.
“Adesso credo che mi rimetterò i miei comodi
vestiti, almeno fino a quando non sarà ora di cambiarsi per
la festa.”
L’uomo scattò verso di lei, afferrandole il polso
e facendola voltare.
“È già ora, dolcezza. La festa
è qui.”
Poi la strinse contro il proprio corpo eccitato e la baciò
con violenza
sulle labbra dischiuse per la sorpresa e lo spavento. Le spinse la
lingua nella bocca, poi schiacciò il bacino contro il suo.
Lei cominciò a dibattersi, ma con l’unico
risultato di stuzzicarlo
ancora di più. Con la mano libera lo graffiò
sulla guancia, ma lui si
leccò il sangue e le torse il braccio dietro la schiena,
facendola
urlare dal dolore.
“Ma che cosa stai facendo? Mi fai male! Lasciami, lasciami
immediatamente!”
Fabian le morse il tendine del collo, lasciandole un segno rossastro e
umido. Lei gridò.
“Stai zitta, puttanella.” Le serrò
dolorosamente la mascella fra le dita, coprendola la bocca con
l’altra mano.
“Provaci di nuovo e ti farò del male davvero. Non
ti riconoscerà più
nemmeno tua sorella. Quindi vedi di non farmi arrabbiare, mi hai
capito?”
Lei cominciò a piangere, ma le sue lacrime intensificarono
la brama
dell’uomo. Adorava quando le sue donne piangevano, se per il
dolore o
per la paura non gli importava. Le loro lacrime lo facevano sentire
potente.
“Mi hai capito?” Questa volta urlò, a
pochi millimetri dalla sua faccia.
Gli occhi della ragazza si spalancarono per il terrore, ma lei
riuscì a
trovare la forza per annuire debolmente. Fabian le tolse lentamente la
mano dalla bocca, ghignando.
“Brava, gattina.”
Sayuri singhiozzò.
“Se mi farai del male, Mark ti ucciderà. Farebbe
di tutto per Kaori, lo sai benissimo anche tu.”
Fabian scoppiò a ridere.
“Si, certo, come no. Questo forse succedeva prima
che
Saeba cominciasse a sbattersi tua sorella. Mark non mi ha confermato
niente, ma sono sicuro che si è beccato un bel paio di
corna. E dire
che quella puttana faceva tanto la schizzinosa con me. Puah!”
Sputò per terra, mentre Sayuri trasaliva per la veemenza
delle sue parole.
“Cosa hai intenzione di farmi?”, chiese, con voce
tremante.
“Tu che cosa credi?”, replicò lui con un
sorriso, circondandole un seno con una mano e stringendo forte.
La ragazza rabbrividì, e Fabian era ben cosciente che si
trattava di un
brivido di repulsione, ma per lui andava bene quanto un brivido di
piacere.
“Mark…Mark sa che sono con te. Ho sentito suor
Maira che parlava al telefono con lui. Mi verrà a cercare,
ne sono sicura.”
La sua voce tremava, e conteneva una nota di disperazione.
“Non hai ancora capito, piccola? È stato tuo
cognato ad organizzare
questa piccola festicciola solo per me, per premiarmi della mia
lealtà.
E quale miglior premio, se non concedermi di deflorare la sua tenera
cognatina?”
L’uomo scoppiò a ridere, e abbassò la
testa tentando di baciarla.
Lei si ritrasse per quanto poteva, rabbrividendo.
“Stai mentendo. Mark non farebbe mai una cosa del genere. E
poi Kaori…”
“Svegliati, tesoro, Mark ha già fatto una cosa del
genere. Anzi, devo
ricordarmi di ringraziarlo per il suo regalino. E per quanto riguarda
Kaori, credo che tua sorella abbia altri pensieri per la testa in
questo momento, che non preoccuparsi per te.”
Lei sembrò finalmente comprendere fino in fondo la
gravità della
situazione. Probabilmente si era resa conto che nessuno sarebbe venuta
a salvarla, pensò Fabian. Forse adesso si sarebbe mostrata
più
accondiscendente.
Ma, a dispetto delle sue speranze, Sayuri pianse ancora più
forte, mentre lui le leccava via le lacrime dalla faccia.
“Rilassati, piccola. Se fai tutto quello che ti
ordinerò andrà tutto
bene. E chissà, potresti anche scoprire di essere portata
per il
mestiere, proprio come tua madre. Sono convinto che possiedi il
potenziale per diventare una puttana fantastica.”
Tirò fuori un coltello a serramanico dalla tasca dei
pantaloni.
“No, ti prego”, singhiozzò Sayuri,
cercando di divincolarsi.
Fabian fece scattare la lama del coltellino con uno scatto sinistro,
strappandole un urlo.
Le appoggiò la punta della lama al labbro inferiore.
“Ti avevo detto di non farlo più. Un altro strillo
e la tua graziosa
boccuccia salta via. Ti è chiaro il concetto? Sarebbe un
vero peccato
se mi costringessi a fare una cosa del genere, anche perché
ho qualche
idea su quello che potresti fare con quelle belle labbra.”
Avvicinò il coltello al corpetto del vestito, cominciando a
tagliuzzarlo, fino a quando il seno della ragazza rimase completamente
scoperto, alla mercè del suo sguardo bramoso. Sayuri
gemette, e il suo
labbro inferiore tremò, ma non si azzardò ad
urlare. Sapeva che lui non
avrebbe esitato a mettere in pratica le sue minacce.
“Guarda un po’ cosa abbiamo
qui…”
Passò la fredda lama del coltello sul suo seno, e lei si
irrigidì dalla paura.
“Chissà se suor Rompi-Coglioni vi ha insegnato
qualcosa su questo.”
Le afferrò la mano, portandosela all’inguine che
pulsava, e scoppiò in una risata sadica.
Dietro di lui, la porta si aprì con uno schianto.
“Fabian McKinsley, ti dichiaro in arresto! Getta il coltello
e allontanati dalla ragazza. Subito!”
Mick Angel era in posizione accucciata, con le mani saldamente strette
intorno al calcio di una pistola.
Poi, tutto successe in un secondo: la ragazza urlò, cercando
di
allontanarsi dall’uomo; Mick di riflesso sparò a
McKinsley, ma il
bastardo era anche dannatamente fortunato, visto che schivò
il colpo.
Il proiettile rasentò la sua testa, sfiorandogli la tempia,
e andò a
distruggere un pezzo di carta da parati dietro di lui. Mick
evitò di
sparare un secondo colpo, per paura di colpire anche la ragazza.
“McKinsley, arrenditi! Sei in arresto!”
“Molto divertente. Tu dovresti essere Angel, giusto? Se non
ricordo
male la tua mano destra è fuori uso. È per questo
che hai una mira così
scarsa?”
Scoppiò a ridere, lanciandogli contro il suo coltello.
“Ridi, ridi, coglione”, esclamò il
tiratore scelto che si era materializzato alle spalle di Mick.
Fabian ebbe un solo attimo di consapevolezza, prima che un proiettile
si conficcasse proprio in mezzo ai suoi occhi. Crollò per
terra senza
nemmeno un gemito. Il manico del coltello a serramanico vibrava ancora
nello stipite della porta, dove si era conficcato dopo aver mancato
Mick per un soffio.
Gli uomini della squadra speciale sciamarono nella stanza, controllando
tutte le porte e i possibili nascondigli.
Mick corse accanto alla ragazza, che era inginocchiata per terra e
fissava inorridita la poltiglia che qualche secondo prima era stata la
testa di Fabian McKinsley.
Poi si girò e vomitò sulla moquette.
Mick le porse un fazzolettino per pulirsi la bocca, poi si tolse la
giacca e la posò sulla spalle tremanti della ragazza.
“Stai bene?”
Lei lo fissò, attonita, senza rispondere. Mick dovette
ripetere la
domanda altre due volte, prima che lei annuisse con aria incerta,
ancora rabbrividendo.
Uno degli uomini della squadra speciale si avvicinò
all’americano.
“Da questo momento in poi ce ne occupiamo noi,
Angel.”
“Grazie, capitano. I suoi uomini hanno fatto un ottimo
lavoro, dalla sorveglianza fino all’intervento sul
campo.”
L’altro gli rivolse il saluto militare, poi si
allontanò per dare disposizioni ai suoi uomini.
Mick prese la ragazza per mano e la trascinò fuori dalla
stanza.
Sembrava che lei non riuscisse a distogliere lo sguardo dal cadavere
dell’uomo. L’americano la condusse al parcheggio,
la fece salire su
un’auto senza contrassegni e accese il riscaldamento.
Partì con uno stridio di gomme, incrociando
un’ambulanza che arrivava a sirene spiegate.
Avevano percorso solo qualche centinaia di metri quando la ragazza
sbottò, imprecando.
“Cristo, Angel! Perché cazzo ci avete messo
così tanto? Me la sono
vista davvero brutta, con quello schifoso maiale. E come ha osato dire
che ho il potenziale per essere una puttana fantastica?!”
Irritata, Ruby, la più quotata tra le ragazze della casa
chiusa sulla
5th Avenue, afferrò una ciocca di capelli castani e si
strappò via la
parrucca.
Oltre a sembrare più giovane della sua età, Ruby
era molto sveglia e
possedeva uno spiccato senso dell’avventura. La sua
specialità nella
casa di appuntamenti in cui lavorava era concretizzare fantasie per i
clienti che potevano permetterselo.
Mick l’aveva salvata dalla strada tempo prima e, pur non
frequentando
la casa da quando si era sposato con Kazue, era rimasto in contatto con
lei.
Così, quando Ryo gli aveva chiesto di mettere in piedi
quella
messinscena, Mick aveva subito pensato a lei per interpretare la parte
di Sayuri Tachiki.
L’americano si voltò a guardarla, sorridendole.
“Non preoccuparti, ti abbiamo sempre tenuta sotto controllo.
Non avrei mai permesso che quel porco ti facesse del male.”
La accompagnò davanti alla casa chiusa, e le tese un assegno
di una cifra consistente.
“Sai, prima o poi dovrai abbandonare questa vitaccia, Ruby.
Potresti diventare un perfetto agente sotto copertura, che ne
dici?”
La ragazza sorrise, poi gli diede un bacio sulla guancia, scendendo
dalla macchina.
“Grazie, Mick. E se dovessi stancarti di tua moglie, ricorda
che io
avrò sempre tempo per te. Mi sono sempre piaciuti gli uomini
in divisa.”
Gli strizzò l’occhio, sparendo
all’interno del locale.
Mick scosse la testa, sorridendo tra sé, poi
ingranò la marcia e tornò
a casa, dove sicuramente Kazue lo stava aspettando sveglia, nonostante
l’ora tarda.
RINGRAZIAMENTI:
JOJIPV: Spero che con questo capitolo tu possa aggiungere un altro
pezzo al tuo puzzle! ^_^ Non preoccuparti per Ryo,
tornerà mooooolto presto!! Un bacione, ti ringrazio molto
per il commento, e sono contenta che la storia ti piaccia! Alla
prossima! ^^
FRANCY: Hai visto chi è arrivato, a salvare "Sayuri"? Un
ospite d'eccezione!! Hai ragione, Kaori gliel'ha proprio fatta!! Ti
ringrazio per i complimenti, sei gentilissima come sempre! Un bacione,
alla prossima! ^_^
MOZZI: Ma carissima, ti ringrazio! Il tuo commento mi ha riempito di
gioia!! Hai visto che alla fine Mick è tornato? E anche alla
grande, direi!! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, ormai
ci tengo molto al tuo giudizio! Ti ringrazio tanto tanto! ^_^
Kisses tesoro!
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=120672
|