Amare nell'Olimpo

di Lionking17
(/viewuser.php?uid=380350)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ebe/Ganimede ***
Capitolo 2: *** Atena/Nike ***



Capitolo 1
*** Ebe/Ganimede ***


Il piccolo mantello, bianco, trasparente, solcato da mille vene e arterie come la tela di un ragno, fluttuò leggero sul pavimento di pietra levigata.
Il corpo snello e candido fu a un tratto scoperto da un raggio della luna Selene, che sorniona la inchiodò sul posto, ricordandogli le sue paure, le sue colpe.
Il lampo argenteo sfiorò delicatamente la fronte alta e armoniosa, mai soggetto di brufoli o imperfezioni, così tipici delle giovinette mortali.
Possedeva dei capelli biondi, biondi come l’oro più puro, splendenti come la saetta del padre, che si attorcigliavano su se stessi, formando dei caldi boccoli, che risaltavano deliziosamente contro la pelle lattea. Le labbra erano rosse, succose come le ciliegie d’estate, il nasino piccolo, lievemente all’insù, e gli occhi, pozzi di cielo infinito, due zaffiri incastonati in una statua di marmo. Occhi sgranati, impauriti dal suo stesso coraggio. Un fruscio la fece voltare.
Un giovane comparve, partorito dalle stesse tenebre eppure gli occhi splendenti di luce.
La parola “bellezza” non era adatta per descrivere l’armoniosità dei tratti, il corpo snello e alto, la massa di riccioli castani che incorniciavano il volto impubere.
Gli aedi avrebbero dovuto coniare un nuovo termine per quella creatura, frutto della stessa madre Gea, carpita nel momento di massima bellezza, come un fiore, reciso dal suo stelo e innalzato agli allori dell’immortalità. Quel fiore non avrebbe mai conosciuto l’emozione di essere uomo, di essere padre o, semplicemente, di invecchiare. Non avrebbe mai potuto usufruire del proprio corpo, ne decidere del proprio cuore.
Gli occhi color miele si scontrarono con quelli azzurri, fondendosi irrimediabilmente. I due giovani corpi vibrarono della stessa nota, stanchi ormai di restare lontani, di indossare per l’eternità la stessa maschera.
Ganimede abbracciò stretta Ebe, le dita che si intrecciavano, i respiri sempre più affannati.
Vi era una certa ironia nella loro situazione, che non potevano fare a meno di notare. Ebe, dea della giovinezza, era stata scalzata dal ruolo di coppiera degli dei, per diventare la regina del protetto del padre. Padre che non l’aveva mai considerata, mai avrebbe permesso il loro matrimonio. Re, le cui saette avrebbero rintronato nel cielo tumultuoso, se fosse venuto a conoscenza di tale tradimento.
Ganimede sfiorò i capelli della fanciulla, lei era la sua ambrosia.
Ebe strinse a sé il corpo del ragazzo, lui era il suo nettare.
Selene rapida passò oltre, tentando di non pensare a quegli incontri clandestini, a quei baci rubati, all’odio forzato, simulato, amore trattenuto, che mai avrebbe avuto futuro.




Buongiorno a tutti. Questa è la mia prima raccolta ufficiale, dove vorrei ripercorrere e creare le vicende degli dei dell'Olimpo intero. Spero di postare con cadenza settimanle, ma dipenderà molto dai periodi. Vorrei sapere che cosa ne pensate, ogni commento è ben accetto, in modo da migliorare sotto tutti gli aspetti. Ve ne sarei infinitamente grata. Grazie mille e buona lettura!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Atena/Nike ***


Nike/ Atena


Atena era sicura della vittoria.
Dovunque lei si trovasse, qualsiasi povero mortale o pallido dio le si parasse davanti, lei era sicura. Nessuno poteva sconfiggerla. Nessuno.
Si concedeva un rapido sorriso, i denti bianchi e perfetti come perle che rilucevano nell’alba del mattino, per poi, inflessibili e battagliera, combattere.
Non le piaceva poi così tanto, alla fine, combattere.
La lotta era bruta, sudata, rozza, ideale per il suo baldanzoso fratellastro. La lotta era un mezzo, non un fine, come l’ago per il cucito, il filo che penetrava  sfrontato la tenera carne del tessuto o le parole di un poeta, che fluide si distendevano sul foglio, piegandosi, ma mai umiliandosi agli occhi cechi di un maestro.
Per questo lei primeggiava in qualsiasi ambiente, ogni gara, ogni tenzone. Perché Lei era lì.
Volteggiante nel sole del mezzogiorno, le sue parole sussurrate al vento del tramonto, il suo canto di vittoria che esplodeva nel fragore del silenzio prima della battaglia. Le parole fluivano delicate e potenti, dischiuse come tremuli boccioli tra quelle labbra sottili. Oh, quanto adorava le quelle labbra.
La vittoria le provocava sempre una vertigine sopraffina, eccezionalmente lucida e appagante. Ma era sempre un’emozione subalterna al dopo.
Quando incedeva gloriosa nei corridoi marmorei dell’Olimpo, pregustava già l’attimo, il momento.
Avrebbe aperto silenziosamente la porta, rivelando la sua presenza, languidamente distesa sul talamo. Lei. Nike, la vittoria. L’aeda solenne di suo padre Zeus, che aveva cantato la sua vittoria contro i Titani e il padre Crono. Fino ad ora, per lo meno.
Lei era sua. La aspettava, le tremule ali bianche ripiegate sul corpo snello, gli occhi color oro che la fissavano. Il suo premio, la sua vittima sacrificale.
Nessuna avrebbe mai sconfitto la grande Atena, per il semplice fatto che Nike non avrebbe mai incoronato nessun altro con corone d’alloro.
Atena vinceva per la vittoria, per la sua piccola Nike, la sua musa, la sua dea, la sua droga.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1697991