L'inferno di Daniel

di xgrey13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** 1. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


L'inferno di Daniel.

Prologo.
- Buongiorno ragazzi! - disse il professor Smith.
Mi diressi subito al mio banco sapendo di dover ricevere una delle solite ramanzine del professore a causa del "continuo e fastidioso" parlare di cui lui mi accusava ogni giorno.
- Ci aspettano due ore entusiasmanti! - dissi ironicamente a Larry, il mio compagno di banco.
Non potevo credere che il professore non mi avesse detto niente, probabilmente era dovuto alla sua strana e rara felicità che accadeva circa 2 volte l'anno.
- Oggi iniziamo un nuovo argomento, la Divina Commedia. Chi di voi ne ha mai sentito parlare? - disse lui con un sorriso a trentadue denti.
- La Commedia o Divina Commedia è un poema di Dante Alighieri, scritto in terzine incatenate di versi endecasillabi, in lingua volgare fiorentina. - pensai tra me e me. 
La scorsa settimana lessi questa introduzione su Wikipedia, probabilmente perché stavo giocando a Dante's Inferno ma comunque ne ero talmente incuriosito che non ne potevo fare a meno. 
Ricordo ogni dettaglio di quel sito web, la mia memoria fotografica non falliva mai. Perciò alzai la mano.
- Io! - gli dissi.
- Cosa sai a riguardo, Daniel? - mi rispose lui con aria meravigliata.
Gli dissi ogni singola parola che lessi da Wikipedia, suscitando stupore in lui, nei miei amici ma soprattutto in me.
- Eccellente! Seguite tutti l'esempio di Daniel. - disse il professore alla classe.
Non avevo mai ricevuto un complimento da parte sua e né mai avevo interagito con un professore in tutta la mia carriera scolastica. C'era una specie di legame, come un'attrazione psicologica.
Quel giorno mi ha cambiato, letteralmente, e non sono sicuro di poter affermare che lo abbia fatto in modo positivo... 
Mi rispecchio in tutto e per tutto nel pensiero di Dante che emerge nella Divina Commedia, lo idolatro, e ormai non posso fare più a meno di sapere informazioni su di lui e sulla sua opera.
La mia è come un'ossessione, una dipendenza: legge del contrappasso, contrasto, analogia, peccati e peccatori. 
Lealtà e realtà sono i due aggettivi che lo descrivono meglio e la cosa che amo di più della sua opera è una ed una sola: la punizione.
- Non sono pazzo! - mi dico in mente.
Il problema non sono io, ma i miei genitori che pensano che lo sia veramente e che prima o poi mi porterà ad avere comportamenti irragionevoli e talvolta pericolosi.
Stupidaggini, ecco cosa sono. Vi dico io cos'è: tutto ciò porta ad una sola spiegazione plausibile. Io, Daniel McFord, sono il continuatore dell'opera di Dante. 
Solo io posso farlo, solo io so ogni minimo dettaglio della sua vita e del suo pensiero perciò solo io posso punire i peccatori secondo le regole descritte da lui.



To be continued...

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Capitolo 2
*** 1. ***


"Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore;
fecemi la divina podestate,
la somma sapïenza e 'l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
LASCIATE OGNE SPERANZA, VOI CH'INTRATE."



1.

Sono passati dieci anni da quella lezione.
Sono dieci anni che finalmente ho trovato il vero me.
Sono dieci anni che punisco i peccatori.
Sono dieci anni che non riesco a fare a meno di uccidere.
 
- Ok. Mettiamoci al lavoro! - dissi entrando nel mio studio.
Avvicinandomi alla scrivania presi un pennarello rosso, levai il tappo e scrissi "PROSSIMO" su una fotografia.
Si, proprio così, una fotografia. La parete della stanza era infatti tempestata da fotografie che ritraevano dei volti umani accompagnate da articoli di giornale e documenti ufficiali. Erano coloro che nella loro miserabile vita avevano compiuto gesti imperdonabili perciò era mio dovere espiarli da ogni loro peccato, giustiziandoli.
Il prossimo era un uomo di 42 anni, George Derby, banchiere. Tutto ciò che aveva fatto nella sua vita era guadagnare e conservare, senza interessarsi della famiglia alla quale nascondeva tutto il suo patrimonio e senza avere cura della propria persona.
Il suo peccato? L'avarizia.
Quarto girone dell'inferno: secondo la legge del contrappasso per analogia i condannati sono costretti a spingere enormi massi le quali grandezze derivano dalla quantità di beni terreni che hanno accumulato.
Sapevo tutto di lui: dove viveva, dove lavorava, i suoi spostamenti; quello che mi rimaneva da fare era solo mettere fine alla sua vita una volta per tutte.
 
Presi le chiavi e mi diressi al garage di casa mia, o anche definito come "Stanza dell'espiazione", dove preparavo tutto l'occorrente per punire quel determinato peccatore. Era tutto pronto ormai, mi serviva solo lui. Presi l'auto e mi diressi al suo luogo di lavoro: erano le 8:03, come ogni giorno stava nel parcheggio in cerca di un posto dove parcheggiare l'automobile.
- Eccoti qui. - dissi silenziosamente con aria maliziosa.
Scesi dalla macchina e mi diressi verso di lui normalmente. Presi dalla tasca una tovagliolo bagnato con del cloroformio, mi avvicinai come se lo stessi abbracciando e gli avvicinai il tovagliolo al naso facendolo addormentare.
 
Erano le 8:30 quando arrivammo nella stanza dell'espiazione, giusto in tempo per dare inizio al processo. Appoggiai il corpo privo di sensi su un bancone simile ad un tavolo chirurgico, gli legai braccia e gambe e mi misi a lavoro per preparare le ultime cose.
Tutto era ideato in modo geniale: il corpo era collegato ad una macchina che somigliava ad una bilancia a due braccia dove in una era presente un piatto di alluminio e nell'altra una piastra di metallo pesante all'incirca cinquecento chilogrammi mantenuta da un'asta di ferro molto resistente. Più aggiungevo del peso sul piatto e più la piastra di metallo si abbassava fino a comprimergli totalmente il petto. Così il giorno precedente feci incursione a casa sua rubandogli una cospicua somma di denaro che mi sarebbe servita per far funzionare la macchina. Improvvisamente sentii un colpo di tosse: era sveglio.
 
- Dove mi trovo? - disse l'uomo con aria confusa.
- Salve, signor Derby. Probabilmente non mi conosce perciò mi presento: sono Daniel McFord e l'ho portata qui per mettere fine alla sua miserabile e peccaminosa vita. - dissi sicuro di me.
- Perché mi fa questo? Io non ho fatto niente, sono solo un semplice lavoratore e conduco una vita normalissima. - disse con aria spaventata.
- Lei è un avaro, e deve essere punito per questo! - risposi io.
Così mi avvicinai al tavolo, appoggiai la valigetta contenente i soldi sulla scrivania e iniziai a dividerli in diversi gruppetti.
- Questi che vede qua, sono solo una parte del denaro che ha conservato in tutta la sua vita tenendoli nascosti alla sua famiglia che ne aveva realmente bisogno. E sono questi soldi che la puniranno! -
 
Levai l'asta di ferro lasciando la piastra di metallo libera e uno ad uno iniziai a mettere i gruppetti di soldi sul piatto vedendo la piastra scendere sempre di più.
- La prego, non voglio morire. Ho ancora tantissime cose da fare nella mia vita! So di aver sbagliato, me ne rendo conto e farò di tutto per rimediare. - disse lui con tono spaventato.
- Non pensa che sia un po' troppo tardi? Ormai il suo destino è segnato e finisce qui. Ora! - risposi io.
 
Notai che mancava un ultimo gruppetto di denaro sulla scrivania. Tutto era ormai deciso e ciò che stava per accadere non era possibile interromperlo. Lanciò un ultimo urlo di spavento e procedetti col mettere fine alla sua miserabile vita.
- Lasciate ogni speranza o voi ch'entrate. - dissi posizionando l'ultima parte del denaro sul piatto.
La piastra schiacciò il suo petto provocando una pressione tale da far scoppiare letteralmente il suo cuore. Non avevo mai provato un tale sollievo, probabilmente era l'adrenalina o forse solo perché non riuscivo più vivere col pensiero che esistesse un essere umano così viscido.
 
Così tornai nello studio, presi la sua fotografia e la bruciai quando improvvisamente sentì bussare la porta. 
- Chi sarà mai? - dissi con aria sorpresa mentre mi asciugavo una macchia di sangue dal viso.



To be continued...

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