Follie

di Atarassia_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** AVVISO ***
Capitolo 12: *** Capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 



Follie
Prologo
 

Il silenzio.
La bellezza della biblioteca è proprio il suo silenzio rumoroso. Chiudi gli occhi e puoi percepire il respiro della gente, le pagine sfogliate, le matite che stridono sui fogli.
Un luogo così anonimo e austero visto da fuori ma che è pieno di vita al suo interno.
Un luogo pronto a sussurrarti molteplici storie riguardanti la vita passata descritta nei manuali di storia, la vita dei mille personaggi che animano le vicende dei libri, la vita delle persone che vanno e vengono.
Così tante persone, tutte con una propria storia alle spalle riunite in uno stesso posto.
Adolescenti, adulti ed anziani. Mille personalità che si intrecciano tra loro.

 

********
 

La biblioteca “Una stanza di parole” era stata ricavata all’interno di una struttura semplice che si confondeva tra le varie abitazioni di Bologna, una struttura solida che offriva riparo a tutti gli amanti dei libri.
Nessun nome fu più azzeccato di quello. Racconti, notizie, favole, memorie si rincorrevano tra loro nel più assoluto silenzio, tramandando tradizioni, trasmettendo emozioni. Un luogo dove le mura parlavano, dove ogni angolo della stanza aveva una storia di cui parlare. Un luogo dove il silenzio era pieno di parole.
Fin da piccola trovai rifugio tra queste mura e quando ebbi la possibilità di lavorarvi non mi tirai di certo indietro. Un impiego umile, dignitoso ma che mi permetteva di contribuire al pagamento della retta universitaria. Venivo qui e mi sentivo a casa, protetta e rassicurata dal calore che solo queste pagine erano in grado di trasmettermi. Trascorrevo qui la gran parte delle mie giornate aiutando la vecchia bibliotecaria e portandomi avanti con lo studio.
 Nessun posto era più confortevole per me, una giovane studentessa bolognese di venti anni.  Nacqui in una famiglia di modeste origini: mio padre era un operaio fiero del suo lavoro e mia madre una commessa di un centro commerciale. Loro avevano sempre voluto il meglio per me e mi avevano da sempre spronata a studiare così da avere un futuro migliore.
Beatrice, questo il mio nome.
Una ragazza semplice, riservata, che non ha mai amato stare al centro dell’attenzione. Piuttosto che uscire preferivo chiudermi in casa sotto delle morbide coperte leggendo un libro o guardando un bel film come “Via col vento”.
Ero anonima. Mi confondevo tra la gente, non avevo nulla di particolare. Di media statura, il fisico esile e con le forme leggermente accentuate. Il volto dolce, le labbra sottili e rosee sempre distese in un sorriso rassicurante, un piccolo naso a patata e gli occhi verdi che osservavano con ingenuità il mondo. I lunghi capelli castani raccolti quasi sempre in una treccia laterale ma spesso, qualche ciocca ribelle sfuggiva all’elastico andando ad incorniciare il viso.

Da circa un anno studiavo nella facoltà di lettere dell’università bolognese; il mio sogno era quello di diventare una professoressa in qualche rinomato liceo. Seguire le lezioni per me non era faticoso, amavo quelle discipline e lo facevo con piacere.
Mi impegnavo ancor di più sapendo che così rendevo orgogliosi i miei genitori. Per seguire le lezioni, mi ero trasferita in un appartamento vicino alla sede universitaria condividendolo con altri due ragazzi, una giovane romana ed un ragazzo di Pisa.
 

********
 

Settembre stava per finire e, con l’avvicinarsi di ottobre, si faceva più vicina anche la prima sessione degli esami. In queste settimane infatti, molti erano i ragazzi che rinunciavano a godersi le ultime belle giornate all’aperto e si dedicavano ad interi pomeriggi di studio.
Il lavoro era aumentato, c’era sempre un via vai di persone e quindi molto spesso perdevo la concentrazione mentre stavo studiando. Fortunatamente però, verso le sei di pomeriggio le acque si calmavano e io riprendevo la preparazione agli esami.
Stavo esaminando dei passi di letteratura greca quando in me si fece sempre più forte la sensazione di essere osservata. Alzai lo sguardo dal libro volgendolo verso lo spazio circostante ma non notai nulla di strano, così scossi la testa pensando che fosse tutto dovuto alla più che evidente stanchezza.
Ripresi la lettura ma non arrivai ad esaminare nemmeno la prima metà del primo verso che, la situazione precedente, si fece ancor più evidente. Sentivo uno sguardo di fuoco fissarmi insistentemente e senza volerlo arrossii.
Facendomi  coraggio sollevai nuovamente lo sguardo, osservando con maggiore attenzione le persone presenti nella stanza. Nei banchi più vicini a me c’era un gruppo di ragazze ma avevano tutte il capo chino sui vari manuali, accanto a loro due ragazzi che parlavano tra loro.
Più in là, un vecchio signore leggeva il giornale occhieggiando di tanto in tanto verso una ragazza con un seno prosperoso seduta dinanzi a lui. Alcuni ragazzi sfilavano davanti agli scaffali in cerca di determinati tomi, altri si stavano rivestendo per uscire, qualcuno consultava documenti con il telefono. Guardai alla mia sinistra ma non c’era nessuno in paricolare che guardasse dalla mia parte ma, solamente la vecchia bibliotecaria che conversava con una cliente assidua.
Nessuno in quella stanza mi stava osservando ma quella sensazione di essere spiata non ne voleva sapere di sparire. Sentivo che c’era qualcuno che seguiva ogni mio movimento, che mi vedeva confusa e ciò mi procurava molta agitazione.
Che la persona misteriosa si fosse nascosta dietro qualche scaffale?
Dopo aver ipotizzato diverse possibilità, mi sentii una stupida. Non c’era nessuno, era tutto frutto della mia immaginazione. Le troppe ore di studio si facevano sentire.
Sorrisi al pensiero di quanto mi fossi resa ridicola, bevvi un sorso di acqua e mi risistemai i capelli.
Sempre con il sorriso sulle labbra, ripresi la lettura ma dovetti interromperla nuovamente.
-Mi scusi, vorrei prendere questo libro in prestito?- disse un ragazzo avvicinandosi al bancone.
Era alto e allampanato, indossava una maglietta a scacchi, aveva la schiena leggermente ricurva a casa della borsa stracolma di volumi.
Aveva un viso dolce, gli occhi azzurri e i capelli biondi pettinati tutti da una parte. Aveva qualche segno di acne sulla fronte e sul mento. Presi il libro che stringeva tra le mani per registrarlo quando vidi che mi stava porgendo un foglio.
Lo guardai incuriosita.
-Tieni è per te!-  esclamò intimidito. Che fosse lui il misterioso osservatore?
-Te lo manda quel ragazzo lassù!- continuò andando ad escludere così la mia ulteriore ipotesi.
Alzai gli occhi verso il posto da lui indicato.
Al piano superiore della biblioteca, appoggiato alla ringhiera, stava un ragazzo. Alto, moro. Sembrava avere le braccia muscolose, non in modo esagerato ma non si poteva nemmeno dire che fosse esile. La maglietta rossa esaltava la sua carnagione leggermente olivastra.
Se ne stava lì, immobile. Mi guardava come se mi stesse scrutando nel profondo. La distanza non mi permetteva di scorgere il suo volto, ma era impossibile non notare il suo sorriso.
Le labbra infatti erano distese in sorriso malizioso che mi fece avvampare.
Abbassai lo sguardo sul foglio che mi aveva mandato tramite quel ragazzo:
“Sei più bella quando sorridi!”

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Capitolo 2
*** Capitolo1 ***




Follie
Capitolo Uno
 

Mi svegliai presto anticipando la sveglia di qualche minuto. Rimasi distesa tra le coperte calde fissando il soffitto e facendo mente locale. Spostai lo sguardo verso la finestra, il cielo non prometteva nulla di buono. 
Si prospettava un’altra giornata di pioggia così, mi venne voglia di annullare tutti i miei impegni e restarmene riparata nel caldo del mio appartamento in compagnia di una buona cioccolata calda e di un bel libro.

Capendo che i miei desideri erano per quel giorno irrealizzabili, sforzandomi mi alzai e andai verso la finestra della mia camera che dava sulla strada. L’intera città era ancora addormentata, le tapparelle delle finestre erano ancora tutte abbassate, qualche macchina passava di tanto in tanto e si intravedevano qua e là le persone più mattiniere che raggiungevano il lavoro.
Aprii la finestra facendo entrare un po’ di aria fresca nella stanza e sospirando iniziai a prepararmi. Curiosai nell’armadio e optai per un paio di jeans chiari, un maglioncino grigio e un comodo paio di Ugg grigi che mi avrebbero tenuto i piedi caldi per tutto il giorno.
Dopo essermi vestita e aver rifatto il letto andai in bagno per finirmi di preparare. Mi sciacquai il viso, per poi truccarmi con un leggero filo di matita attorno agli occhi e un accenno di mascara e raccolsi i capelli in una morbida crocchia lasciando il collo scoperto.
Tornai di corsa in camera e finii di aggiungere le ultime cose nella borsa. Feci per uscire ma poi il mio sguardo ricadde su comodino e mi bloccai. Posto sopra il libro stava Lui. Quel maledetto foglio così innocente ma così colpevole.
Senza volerlo diventai rossa ripensando all’episodio avvenuto la settimana prima.

 

********
 

Abbassai lo sguardo sul foglio che mi aveva mandato tramite quel ragazzo:
“Sei più bella quando sorridi!”
Avvampai scorgendo quelle parole e subito guardai imbarazzata in direzione del ragazzo. Aveva buttato indietro la testa ridacchiando. Poi riprese il controllo di sé e sempre con il sorriso malizioso sulle labbra, mi fece un’ occhiolino allontanandosi dalla ringhiera. Rimasi per qualche istante a fissare il vuoto poi, qualcuno che si schiarì la voce mi riportò alla realtà.
Il ragazzo che aveva fatto da messaggero mi fissava in attesa di qualcosa.
–Serve qualcosa?- chiesi io confusa.
–Per la questione del libro, è tutto a  posto? Posso andare?- spiegò lui stranito.

-Mi scusi!- tentai di giustificarmi e terminai di registrare il volume dando il via libera al ragazzo.
Poi con mille pensieri per la testa, afferrai una pila di libri che dovevano essere sistemati negli appositi scaffali e mi avviai verso le varie corsie della biblioteca.
Depositai i primi libri e mentre mi accingevo a metterne via uno leggermente più in alto, alzandomi sulle punte persi l’equilibrio facendo cadere rovinosamente a terra i restanti libri.
Io, però, non toccai mai il pavimento.

Qualcuno da dietro mi aveva preso giusto in tempo. Sollevai lo sguardo e...Lui.
Mi sorrise e dopo essersi assicurato che sarei riuscita a rimanere in piedi anche da sola, si chinò per raccogliere tutte le cose che erano cadute. Me le restituì e poi si avvicinanò sussurrando.
–Fai attenzione o rischi di farti male!- e voltandosi, mi lasciò sola nella corsia.

La sua voce calda e roca mi aveva provocato non pochi brividi. Un calore mi aveva subito pervaso e sentii le parole morirmi in gola. Era un perfetto sconosciuto ma aveva già tutto questo potere su di me.

 

********

 
Dopo circa una ventina di minuti avanzavo nel freddo della città, tra le mani un bicchiere fumante di cappuccino e il volto semi-nascosto in una morbida sciarpa. Controllai l’orario sul telefono, le nove e un quarto. Ero in perfetto orario, l’università si stagliava immensa dinanzi a me.

Cercai con lo sguardo alcuni compagni del mio corso non riconoscendone alcuno. Mi avviai verso l’ufficio della segreteria per richiedere un modulo in vista degli imminenti esami. Mentre attendevo il mio turno lasciai correre il mio sguardo sulla stanza. In un lato c’erano due scrivanie sormontate da intere pagine di documenti ammassati in grandi blocchi, verso sinistra un’altra scrivania occupava la stanza ma questa, era decisamente più ordinata. Una signora stava  qui seduta dinanzi ad un computer servendo i ragazzi.
Un signore invece occupava una postazione dietro a questa e curiosava di tanto in tanto in degli enormi registri. La stanza era abbellita qua e là con delle piantine e, alle pareti, erano appesi quadri, disegni di bambini e delle foto appartenenti agli impiegati.
Una porta al mio fianco invece, lasciava intravedere i corridoi stracolmi di studenti che ancora assonnati indugiavano prima di entrare nelle varie aule. Accanto a questa vi era un enorme pannello che riportava la notizia di una conferenza prevista per il mese seguente, dedicata ad alcune persone della nostra università e ai frequentatori dell’università di filosofia.
Quando venne il mio turno, ritirai il modulo e poi in tutta fretta lasciai l’edificio universitario per avviarmi verso la biblioteca. Man mano che la mia meta si faceva più vicina, come già succedeva da qualche giorno, sentii nascere in me un forte desiderio.
Appena aprii la porta, salutai l’anziana inserviente e raggiunsi la mia postazione decisa a studiare almeno un capitolo del libro. Come al solito il mio occhio si posò verso la ringhiera del secondo piano e rimasi delusa per non avervi trovato nessuno. Guardai il resto nella stanza ma, nessuna di quelle persone era in grado di suscitare alcun interesse da parte mia.
Da quando quel ragazzo mi aveva scritto quel biglietto, ogni volta che mettevo piede nella biblioteca speravo di incontrarlo. Ma da più di una settimana lui non si era mai fatto vivo. Forse non era un frequentatore abituale di questi luoghi e quella volta, ci si era ritrovato per puro caso.
Per tutta la mattinata non feci altro che studiare, mi interrompevo di tantomeno tanto per servire i clienti o per sgranchirmi un attimo le gambe indolenzite.
-Beatrice, vai a mangiarti qualcosa. Qui rimango io dato che adesso non c’è molta confusione.- mi disse con voce gracile Teresa.
Era una donnina piccolina, faceva una tenerezza. Per tutta la vita aveva conservato con amore i libri, li aveva accuditi come se fossero i suoi figli. Oramai la consideravo come una nonna; sempre gentile, sempre pronta a spendere buone parole per tutti. Diceva di sfogare il suo istinto materno su noi giovani che le tenevamo compagnia nella biblioteca, non aveva avuto figli e quindi si consolava con noi.
-Sei sicura? Per me non c’è nessun problema, posso resistere ancora.- replicai io cercando di capire cosa fosse meglio per lei.
-No tesoro vai tranquilla. Qui ci penso io, tu vai a fare uno spuntino.- insistette lei sorridendo.
Così, capendo che la mia era una battaglia persa dal principio, afferrai la giacca, presi qualche appunto che avrei potuto revisionare durante i pasti e mi avviai verso un bar alla fine della strada. Entrai e subito il colore del locale mi investì in piena faccia; quasi tutti i tavolini erano occupati, una lunga fila sostava dinanzi al bancone.
Io mi avviai verso un tavolino appartato che dava sulla strada, mi tolsi la giacca ed attesi l’arrivo del cameriere. Ordinai dei tramezzini, le patatine e dell’acqua.
Nell’attesa di ricevere il mio pasto, inizia a scorrere i fogli apportando qua e là delle correzioni. Sentii qualcosa poggiarsi sul tavolo e prontamente sollevai il capo per ringraziare il cameriere ma rimasi paralizzata.
Dinanzi a me, non c’era alcun cameriere, ma c’era Lui.
-Ciao, ti ricordi di me? Noi ci siamo già incontrati ma non ho avuto modo di presentarmi. Piacere, Davide.-esclamò sorridendo. Io rimasi immobile, lo fissavo e, non appena incorocia il suo sguardo, avvampai.
I suoi occhi? Due pozzi senza fondo.
Verdi, grandi, le ciglia lunghe e lo sguardo intenso. Più lo guardavo e più mi perdevo nel suo sguardo. Sembrava mi scrutasse pure l’anima per quanto era intenso.
Diversamente dalla volta precedente, ora potevo guardarlo da vicino cogliendo tutti i particolari.
Non appena si accorse del mio imbarazzo sorrise malizioso e una fossetta si delineò sulla sua guancia sinistra; i capelli erano castani, tutti disordinati e sulle punte si arricciavano appena. Il naso dritto e piccolo, le labbra sottili, un accenno di barba incolta.
Indossava una giacca verde lunga fino a metà coscia che lasciava aperta permettendo così di vedere il maglione blu e i jeans che portava sotto.
Capendo la pessima figura che stavo facendo rimanendo nel più assoluto silenzio, mi feci coraggio e raddrizzando la schiena mi presentai.
–Piacere, Beatrice. E grazie per non avermi lasciata rovinare in terra la volta scorsa.-.
Davide accennò una risata e disse che era stato un piacere per lui.
Non potemmo aggiungere altro perché arrivò il cameriere con le mie ordinazioni; questi, vedendo il ragazzo, chiese se volesse anche lui ordinare qualcosa.
Mentre parlava con il cameriere, mi permisi di guardare Davide facendo ben attenzione a non farmi scoprire. Era bello, aveva il suo fascino. Sentii l’agitazione aumentare, le mani mi sudavano e dovetti più volte strofinarle sui pantaloni. Improvvisamente tutto il mio appetito era svanito, mi sentii accaldata e impreparata.
Per me queste situazioni erano insolite, non parlavo quasi mai con gli sconosciuti se non quando ero con le mie amiche, non sapevo come relazionarmi con dei ragazzi in quanto non avevo alcuna esperienza.
Mi ero sempre concentrata sul mio percorso scolastico e poche erano state le distrazioni che mi ero concessa. Le uscite con le amiche, un corso di nuoto, un solo misero appuntamento con il figlio di un collega di mio padre quando avevo sedici anni. Ma già dopo la prima uscita, capimmo che non ci sarebbe potuto essere niente tra di noi, io non ero il tipo per lui e lui non lo era per me.
Oltre a questo nulla. Mi piaceva uscire e andare al cinema o parlare seduta al bar con delle amiche, oppure uscire e vedere le vetrine dei negozi ma, la mia occupazione principale rimaneva lo studio.
L’ansia quindi era più che giustificata, temevo di dire qualcosa di sbagliato o di rimanere zitta tutto il tempo.
Lui invece, sembrava molto sicuro di sé.
Finito di ordinare riportò l’attenzione su di me.
–Allora, Beatrice, che mi dici di bello? Cosa stai facendo?- chiese lui poggiando i gomiti sul braccio.
–Oh..Io..Io sto studiando. Ma non voglio annoiarti.- iniziai a dire impacciata rendendomi conto che non avrei dovuto mettermi  a parlare dello studio.
Lui invece mi sorprese. –Non mi annoi mica! Che studi all’università?- domandò incuriosito.
-Letteratura.-  risposi.
–Letteratura? Vuoi diventare professoressa?- continuò lui, apparentemente sempre più interessato.
-In un certo senso.- dissi ridacchiando –Ma questa è un’altra storia. Te invece? Studi o fai altro?- chiesi io cercando di ricambiare con lo stesso interesse.
-Perché in un certo senso? Comunque filosofia, sono al terzo anno.- spiegò lui, io ignorai la sua domanda e mi concentrai esclusivamente su di lui.
–Filosofia? Non ti facevo un tipo da filosofia. Sei più uno…- imbarazzata mi bloccai.
Non so come ma, senza far nulla era riuscito a mettermi a mio agio e quindi mi ero lasciata andare senza rendermi conto di quello che stavo per dire.
-Sono più uno?- domandò lui con un’espressione divertita incuriosito da ciò che stavo per dire. In un istante avvampai di nuovo e cercai, senza fare nuove gaffe, di spiegargli.
–Ecco sembri più uno di quei ragazzi che pensano solo al loro corpo, quelli sportivi che si divertono e basta. Sai quelli senza cervello che pensano solo a divertirsi e non hanno una cultura. Forse lo sei davvero, ma…. Oddio… Cioè con questo non volevo assolutamente dire che sei senza cervello. Cioè io non… Beh, ecco io…-
Come non detto. Ne dissi un’altra delle mie e temetti di averlo offeso. Lo guardai ma lui stava ridendo con gusto e mi lasciai sfuggire un sorriso. La sua risata era calda, metteva allegria.
-Beh, Grazie. Sei davvero buffa quando ti imbarazzi.- disse lui riprendendo fiato.
-Ehi io non son buffa!- non finii dire ciò che mi resi conto di quanto invece avrei potuto sembrarlo e quindi guardandoci, scoppiammo a ridere entrambi.

 

********

 

-…..così finito di mangiare abbiamo finto di andare in bagno e, quando i proprietari del ristorante erano distratti abbiamo fatto il fugone. Ci hanno rincorso per metà strada.- raccontò Davide ripensando ad alcune avventure che aveva fatto con gli amici.
-Ma povere persone. Siete proprio degli scellerati.- dissi io indecisa sul da farsi. Non sapevo se ridere per la comicità della situazione o condannare quell’azione per me immorale.
Avevamo lasciato il bar da poco. Lui aveva insistito per accompagnarmi fino alla biblioteca ed io ero rimasta lusingata dalla sua decisione così tanto che non me la sentii di rifiutare la sua compagnia.  Per tutto il tempo non avevamo fatto altro che parlare, riusciva senza molti sforzi a farmi andare contro la mia timidezza, riuscendo domanda dopo domanda ad aprirmi.
Ogni tanto me ne scappavo con una delle mie solite frasi e sprofondavo nella vergogna ma, lui, non ci dava peso e riusciva a farmi ridere. Mentre attraversammo la strada faceva il buffone imitando le camminate strane di alcuni passanti oppure salutava la gente a sproposito.
Era semplicemente folle.
Aveva un modo di vedere la vita tutto suo, buttava le cose sempre sul ridere. Prendeva le cose così come venivano, sorrideva sempre ma allo stesso tempo rimaneva scostante. Ti lasciava intravedere qualcosa ma non riuscivo veramente a comprenderla che lui già l’aveva mascherata.
Mentre camminavamo si era preparato una sigaretta e a metà strada se l’era accesa. Io rimasi incantata a guardarlo inspirare ed espirare il fumo. Aveva un qualcosa di intrigante.
-Vuoi?- chiese  porgendomi la sigaretta.
-No, grazie. Non fumo. – risposi prontamente.
-Hai mai provato?- continuò lui.
–No e non intendo farlo.- ribadii io fiera della mia scelta.
-Ma se non hai mai provato come fai a dire che non ti piace?- disse lui ghignando.
–Beh… io…. È una cosa che fa male! Lo sanno tutti!- provai inizialmente a rispondere in modo convincente alla sua domanda ma, essendo a corto di risposte, mi arrampicai sugli specchi.
-Visto? Dovresti provare prima di giudicare!- ammiccò verso di me porgendomi nuovamente la sigaretta.
–No, ci tengo alla mia salute.- ribattei decisa scansando nuovamente il suo braccio.
–Testarda la ragazza.- concluse lui la schermaglia ridendo.
Svoltammo l’angolo trovandoci davanti all’ingresso della biblioteca. Mi voltai verso di lui non sapendo cosa dire ma mi anticipò.
–Beh eccoci qui. Io vado perché a giorni ho un esame e devo prepararmi. Prometto che, dopo  averlo dato, passerò a trovarti e magari potremmo anche uscire una di queste sere. No?- disse avvicinandosi sempre di più. Io lo fissai imbarazzata. Voleva uscire con me? Avevo sicuramente capito male.
-Allora ci vediamo. È stato un piacere conoscerti, Beatrice.- continuò con voce roca baciandomi una guancia. Le sue labbra morbide e inumidite sfiorarono appena l mie guancia provocandomi scariche di piacere. Sentii le gambe farsi molli e il battito cardiaco accelerare.
Si ritrasse lentamente guardandomi in viso e, scorgendo gli effetti che produceva su di me, fu soddisfatto.
Mi sorrise un’altra volta e potei giurare di non aver mai visto niente di più bello. Poi, mi superò e continuò per la sua strada.
-Ciao…- il mio saluto debole si perse nel vento e, con il cuore che mi scoppiava dall’emozione, entrai nell’edificio.



Ciao! ^_^
Ecco a voi il secondo capitolo della storia.
Non ho avuto il tempo di rileggerla quindi potrebbero esserci degli errori,
se ne trovate qualcuno di eclatante fatemelo subito sapere e provvederò a correggerlo.
Comunque, è la prima volta che mi cimento in questo genere di storie e spero che il risultato sia accettabile!
Fatemi sapere voi: se avete critiche o commenti vari da fare, lasciate una recensione e sarò onorata di leggerle!
Detto questo, vi lascio!
A presto,
Baciiii :D

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***





Follie
Capitolo Due



 
Il violento scrosciare della pioggia mi rilassava. Osservavo le gocce d’acqua infrangersi una ad una sui vetri, sui muri raggruppandosi poi in grandi pozzanghere. Immensi nuvoloni grigi coprivano il cielo in quella giornata; l’intera città era avvolta in quel clima tetro.
Seguire la lezione quel giorno fu quasi impossibile. Ogni minima cosa, anche la più insulsa diveniva fonte di distrazione. E il professore intanto, continuava a parlare, a spiegare, a dare nozioni fondamentali, ma per quanto provassi ad ascoltare, la mia mente finiva sempre altrove.
Scribacchiai un angolo del foglio mentre con una mano arricciai una ciocca di capelli.
Non avevo voglia di fare nulla, avrei voluto restarmene a casa stretta in una calda coperta ad ammirare il panorama .
Mentre ero persa tra i miei pensieri, sentii un forte vociare esplodere intorno a me. La lezione era terminata e gli studenti già si accalcavano verso l’uscita. Afferrai il mio materiale e mi avviai verso la mensa.
Ogni tanto salutavo qualche conoscente poi, a testa china attraversai l’intero corridoio.
Nessuna scelta fu più sbagliata, nemmeno il tempo di fare un paio di metri che mi scontrai con qualcuno. Persi l’equilibrio e caddi a terra.
–Ahi!- gemetti dopo che il mio fondo schiena ebbe un duro impatto con il pavimento.
-Scusami, mi ero distratto a guardare un messaggio e non ho visto dove mettevo i piedi. Tutto bene?- chiese premuroso il ragazzo che mi era venuto addosso. Si alzò da terra e mi aiutò a fare lo stesso.
Era un ragazzo castano, vestito in maniera semplice. Gli occhi marroni percorsero l’ambiente in torno a noi dove, erano sparse tutte le nostre cose. Poi li vidi soffermarsi su di me e lui sorrise amabilmente.
-Tutto bene?- domandò di nuovo.
-S.. Si! Tranquillo… ero distratta anche io- affermai intimidita.
-Comunque, piacere Emanuele.- si presentò lui mentre raccattavamo le borse e i libri.
-Beatrice.- risposi educatamente.
–Bel nome. Frequenti l’università qui?-continuò lui porgendomi l’ultimo ammasso di fogli che aveva raccolto che io presi sorridendo.
–Si, sono iscritta alla facoltà di lettere. Te?- dissi.
-No. Sono qui per un progetto con la facoltà di filosofia.- disse lui rimettendosi a tracolla la borsa. Aveva delle movenze femminili, il modo in cui muoveva le mani, il modo in cui si toccava i capelli.
Scoprii che anche lui era intenzionato ad andare a fare uno spuntino così, ci avviammo insieme verso il bar dell’università. Mentre facevamo la fila, chiacchierammo. O forse, sarebbe meglio dire che lui parlò moltissimo mentre io mi limitavo ad annuire e a proferire qualche parola di tanto in tanto.
Lui invece parlava a raffica, quasi senza mai riprendere fiato.
Raggiungemmo il bancone e dopo che fummo serviti, ci avviammo verso un tavolo libero. Salutai delle compagne di corso che ammiccarono ad Emanuele che era alle mie spalle. Io arrossi e facendo finta di niente, mi sedetti. 
Iniziammo a mangiare quando fummo interrotti.
 –Lele? Lele! Avevi detto che avremmo pranzato insieme, si può sapere dove ti eri cacciato?-
Una ragazza bionda ci raggiunse. Indossava un maglione rosso extra-large, dei leggins con i fiocchi e le sneaker bianche. Aveva i capelli rasati da un lato e un orecchino al naso. Gli occhi azzurri erano contornati da una calcata linea di matita nera.
Si sedette accanto ad Emanuele, aveva il fiato corto per la corsa. Sembrava non essersi accorta di me.
-Scusa Jes. Me ne ero scordato e poi ho incontrato Beatrice e siamo venuti insieme qui.- spiegò lui con molta naturalezza. Lei inarcò un sopracciglio sentendo il mo nome e si voltò verso di me notando per la prima volta la mia presenza.
Temevo di dover fare i conti con una ragazza gelosa del suo fidanzato. Mi squadrò dalla testa ai piedi poi, mi porse una mano.
 –Jessica.- esclamò aprendosi in un sorriso.
Io, momentaneamente rassicurata, le porsi la mia presentandomi a mia volta.
-Allora? Hai trovato i moduli?- ci interruppe Emanuele rivolto alla ragazza.
-Si, me li hanno passati gli altri che ne avevano qualcuno in più. Dobbiamo riconsegnarli ai professori domani.- spiegò lei sempre con il sorriso sulle labbra.
-Ci pensi tu a compilare i miei?- continuò lui con tono ironico.
-Ma certo che… No!- esclamò lei poi scoppiarono entrambi a ridere. Li guardai e scherzare e darsi dei buffetti sulle spalle, erano davvero carini insieme.
-Siete un bella coppia.- esclamai dando voce ai miei pensieri senza nemmeno accorgermene. Quando li vidi posare gli sguardi di me desiderai di essere rimasta in silenzio. Dopo un attimo di puro silenzio iniziarono a ridere. –Noi? Una coppia? Questa è bella!- farfugliò lei tra una risata e l’altra.
Io, leggermente offesa, li guardai interrogativa.
 -Forse il signorino qui accanto a me non te lo ha detto, ma lui è gay!- esclamò. Io voltai lo sguardo sorpresa su Emanuele.
–Scusami io non potevo saperlo.- mi scusai per la gaffe ma lui scrollò le spalle facendomi capire che non avevo fatto niente di male.
Parlammo ancora per qualche minuto e mi sembravano entrambi simpatici.
Jessica propose anche di scambiarci i numeri così da tenerci in contatto. Poi io li lasciai per recarmi in aula dato che stava per iniziare l’ultima lezione del giorno.
-Bea aspetta un attimo.- mi bloccò Jessica –Che ne dici di andare a fare un giro in centro oggi pomeriggio?- chiese ancora.
-Va bene. Allora ci vediamo dopo.- acconsentii io dato che non dovevo nemmeno andare a lavoro.
 
 
********
 
 
“Ci vediamo all’entrata, vicino alla fermata dell’autobus. Baci Jes&Lele”
Guardai di nuovo il messaggio e avevo appurato già da un pezzo che quello fosse il luogo dell’incontro ma, di quei due neppure l’ombra. In giro c’erano diversi ragazzi ma non trovavo le persone che interessavano a me. Che si fossero dimenticati dell’appuntamento? Impossibile, mi avevano assillato con i messaggi per tutto il tempo.
Due mani mi coprirono gli occhi e sussultai sorpresa trattenendo il fiato. Tastai una mano sperando di scovare il proprietario, poi sentii qualcuno ridacchiare e finalmente i miei occhi furono liberi da ogni costrizione. Mi voltai scorgendo le figure dei due ritardatari.
-Scusaci per il ritardo, ma il signorino doveva andare urgentemente al bagno.- si scusò Jessica mentre Lele le rifece il verso.
-Allora andiamo.- mi prese sottobraccio e mi trascinò via dal cortile dell’università.
-Dove andiamo?- chiesi io aggiustandomi il giacchetto e riponendo l’ombrello in borsa dato che la pioggia aveva deciso di darci una tregua.
-Potremmo andare a bere una cioccolata calda. E poi in giro per negozi.- propose Lele entusiasta.
Feci per rispondere ma Jessica mi precedette .
–Prima però mi accompagnate a fare quella cosa?- domandò accendendosi una sigaretta ed espirando il fumo.
-Quale cosa?- chiesi io tossicchiando per l’odore del fumo che raschiava la mia gola.
Lele mi diede delle pacche sulla schiena e poi rispose al posto di Jes.
 –La signorina deve fare cose losche.- esclamò con tono canzonatorio.
Jessica rise alla battuta dell’amico e ci fece un’ occhiolino.
Attraversammo diverse strade, sorpassando decine e decine di negozi. Ci addentrammo in un vicolo e Jes aprì la porta di un locale poco raccomandabile. Subito l’odore di Fumo misto all’alcool mi investì.
C’erano molte persone che parlavano molto rumorosamente, chi strillava, chi rideva. Io mi accostai molto di più a Lele ed insieme seguimmo Jessica che si muoveva sicura tra i tavoli. Si accostò ad un gruppo di ragazzi chinandosi su uno in particolare e sussurrandogli qualcosa all’orecchio.
Quello si alzò e i due si allontanarono insieme. Lele mi fece segno di aspettare e così mi apoggiai ad una tavolo vuoto.
-Guarda chi abbiamo qui: Emanuele in tutto il suo splendore.- esclamò uno di quei ragazzi che prima era seduto accanto al tizio con il quale era sparita Jessica. Mi voltai cercando di capire chi fosse stato a parlare –Ignorali!- disse Lele che si era impallidito un po’.
-Dai Emanuele vieni qui, non ti mangiamo mica. Non vuoi stare vicino a dei bei ragazzi come noi?- continuò quello e capii che lo stavano prendendo in giro solo perché era gay.
-Idioti!- sussurrai, ma nemmeno Lele che era vicino a me riuscì a sentirmi. Li guardai mentre ridevano tra di loro e facevano gesti strani. Due di loro erano rasati ed avevano dei tatuaggi su tutto il braccio, il tizio che parlava invece era castano e molto secco gli altri tre invece, mi davano le spalle e non potei guardarli in faccia.
Emanuele faceva finta di niente, doveva esserci abituato. Uno di loro era sul punto di parlare di nuovo ma si interruppe vedendo Jes e il suo amico tornare. La ragazza stava mettendo qualcosa in borsa mentre parlava poi, ci guardò e, notando l’espressione tesa di Lele, si irrigidì.
Si voltò verso il tavolo dove erano seduti i ragazzi con espressione furente.
 –Continuate ancora con le vostre battutine stupide? Siete proprio dei bambini! Ma non vi fate schifo? Avete venti anni e il cervello di un neonato.- esclamò con voce apparentemente calma.
Quelli sentendola replicare risero ancora più forte mentre, uno di loro le posò una mano sulla spalla.
–Calmati Bionda! E domani vedi di portarmi tutti i soldi che mi devi.- disse.
-Non mi toccare!- esclamò lei scrollandosi la sua mano di dosso. Questo gesto non fece altro che aumentare l’ilarità del gruppo. –Idioti.- borbottò Jes avvicinandosi a noi.
Quelli la seguirono con lo sguardo facendo battutine inutili. Volsi nuovamente lo sguardo verso quei ragazzi e notai che avevano un qualcosa di volgare, di arrogante. Sembravano menefreghisti, interessati solo al divertimento.
Li scrutai uno per uno. Tatuaggi, birre, fumo, piercing. Uno scenario che si ripeteva in continuazione. Ognuno di loro aveva un particolare segno di riconoscimento, una bottiglia in una mano e la sigaretta  nell’altra. Posai lo sguardo anche su le due figure che fino a quel momento mi avevano dato le spalle.
Una si rivelò essere una ragazza. Aveva il cappuccio della felpa tirato su e il suo volto rimaneva nella penombra. Erano distinguibili solo delle ciocche di capelli mori e il sorriso smagliante. Ad un lato della bocca luccicava qualcosa, un piercing argentato. Sghignazzava come i suoi compagni di bevuta e diede un colpo al ragazzo seduto al suo fianco.
 Spostai lo sguardo e restai basita.
–Davide?- sussurrai, rivolta più a me stessa che agli altri. Se ne stava lì, con il suo solito sorriso malizioso. L’espressione divertita sul volto, rideva alle battute degli amici. Squadrandoci dalla testa ai piedi.
Mi sentii agitata. Se ne stava lì e mi guardava in quel modo strano che mi metteva a disagio.
-Andiamo Bea.- disse Jes tirandomi per un braccio. Feci per voltarmi ma prima lanciai un ultimo sguardo al tavolino. Lui era ancora lì che mi fissava.
Alzò la bottiglia di birra in aria a mo’ di saluto e poi scoppiò nuovamente a ridere come se mi stesse prendendo in giro.
Vergognandomi arrossii e mi affrettai ad uscire.
L’altro pomeriggio si era mostrato essere tutt’altra persona mentre ora, si rivelò essere completamente diverso, un tipo poco raccomandabile. Vedere il modo n cui sembrò sfottermi, mi aveva ferito. Qualcosa in me si era rotto.
 
********
 
-Fanno sempre così quelli. Gente poco raccomandabili. Girano certe voci su di loro che ti fanno venire la pelle d’oca- concluse Emanuele parlandomi di quei ragazzi.
Dopo lo spiacevole incontro avvenuto qualche ora prima, ce ne eravamo andati in giro per i negozi senza acquistare nulla. Si era fatta quasi sera e i ragazzi mi stavano accompagnando fin sotto il mio appartamento. Avevo chiesto spiegazioni riguardo a quell’episodio e mi avevano spiegato diverse cose.
Tre di quelli frequentavano il loro stesso corso di filosofia, la ragazza, il tipo castano e Davide. Gli altri due invece erano un poco più grandi e la stessa Jes li definì pericolosi, avevano anche trascorso qualche notte in cella per spaccio.
-Se sono pericolosi perché sei voluta andarci?- chiesi io incuriosita a Jessica anche se già immaginavo la risposta.
Lei prima di rispondermi, buttò fuori il fumo e gettò il mozzicone di sigaretta a terra portandosi le mani nelle tasche della giacca.
-Un po’ di fumo non fa male a nessuno. Ti apre la mente e ti rilassa.- disse sorridendo come se fosse una cosa ovvia. Rimasi in silenzio a meditare sulle sue parole.
-Anche tu?- esclamai rivolta a Lele ma lui non capì cosi dovetti ripetere la domanda –Anche tu ti fai le canne?- specificai. I due scoppiarono a ridere anche se io personalmente non ci trovavo nulla di divertente.
-Si. Ogni tanto, a qualche festa o in occasioni così. Ma posso anche vivere senza.- spiegò lui pacatamente.
Scossi la testa non capendo l’utilità di quell’azione. Sempre molti più giovani si rovinavano in quel modo.
-E Davide? Che mi dite di lui?- continuai necessitando sempre più di spiegazioni.
-Ma ci sei andata in fissa con questo Davide?- chiese Jessica e potei notare una nota di acidità nella sua voce. La guardai intimorita ma al tempo stesso infastidita. Che avevo detto di male?
-Comunque, come già sai frequenta i nostri stessi corsi ed è uno di quei tipi, beh come dire… Festaioli! Per lui la vita è tutto un divertimento. Sai qualche volta è venuto a lezione completamente fatto. Lui si diverte sempre. Beve, fuma e si fa sempre qualche ragazza diversa. Si mormora che qualche mese fa sia finito in ospedale perché aveva esagerato troppo con lo sballo. Però è un ragazzaccio così carino-- spiegò Emanuele mettendosi in mezzo fra noi e assumendo alla fine del discorso un’espressione sognante.
Vidi tutta l’immagine che mi ero fatta su Davide sgretolarsi lentamente a terra. Si stava rivelando essere uno di quei tipi che tenevo lontano da me. La delusine mi attanagliò il petto. Nonostante tutto c’era una parte di lui che mi attraeva, forse quella parte misteriosa e ribelle.
Ci eravamo confrontati solo un paio di volte ma già mi ritrovavo a pensarlo troppo spesso. Mi imposi di dimenticarlo e per qualche giorno ci provai davvero anche se, fu tutto inutile.
-Siamo arrivati.- esclamo Jessica che aveva recuperato tutta la serenità smarrita poco prima.
Sollevai lo sguardo riconoscendo il portone del mio condominio e salutai i ragazzi con un abbraccio.
-Grazie per avermi accompagnata e ci vediamo domani.- dissi timidamente prima di citofonare ad una delle mie coinquiline.
Salii le scale a piedi dato che l’ascensore era nuovamente guasto, riflettendo ad ogni mio passo.
L’immagine di Davide impressa a fuoco nella mente.
 

Salve! ^_^
Ecco a voi il nuovo capitolo? Che ne pensate?
Inizio col dire che, come avrete notato, c’è l’introduzione di due nuovi personaggi: “Emanuele & Jessica”.
Pensavo di dar loro due ruoli importanti che incideranno molto sullo svolgimento delle vicende.
Come li trovate?
E poi avrete notato anche il fatto che vengono trattati dei temi importanti:
-Il fumo e l’alcool
-L’omofobia
Saranno dei temi ricorrenti nella storia! Detto questo, ringrazio tutte coloro che hanno inserito la storia tra le preferite, le ricordate e le seguite, coloro che hanno lasciato una recensione e le lettrici silenziose.
Se ne avete voglia, spendete qualche secondo del vostro tempo per lasciare delle recensioni e datemi il vostro parere sulla storia e, sempre se volete, scrivete la parte che più vi ha colpito.
A presto,
Atarassia_

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***





Follie
Capitolo Tre


 
 
Bussai alla porta e attesi che mi venissero ad aprire. Sentii mia madre sgridare mio fratello e sorrisi pensando alla marachella che poteva aver combinato. Attesi ancora qualche istante poi vidi la luce del corridoio accendersi, la porta si aprì lasciando intravedere la figura di mio padre.
-Tesoro, fatti abbracciare.- disse lui stringendomi tra le sue grandi e confortevoli braccia.
Mio padre era un uomo corpulento, alto e con due spalle massicce. Le grandi mani ruvide segnate dagli anni di lavoro in fabbrica, la pelle della fronte solcata da molte rughe e due guance sempre arrossate.
Aveva gli occhi marroni e i capelli che, in passato erano mori, con il trascorrere del tempo si erano ingrigiti.
Amava starsene seduto in poltrona dove, dopo un’estenuante giornata lavorativa, si rilassava leggendo un giornale o guardando le partite in televisione. Amava anche le grandi riunioni di famiglia dove, in buona compagnia si mangiava e si beveva a volontà. Il cibo era un suo punto debole, cosa che testimoniava anche il suo pancione buffo che, a detta mia e di mio fratello lo faceva somigliare a Babbo Natale.
Tutto questo per colpa della sua golosità e della mamma che, lo viziava con la sua ottima cucina.
Mi strinsi forte a lui ed inspirai il suo profumo che sapeva di casa e mi richiamava alla mente ricordi dell’infanzia.
-Ciao papà! Come va?- chiesi io appena ci staccammo e lui subito iniziò con il suo vocione, a farmi la telecronaca della sua giornata.
-Mario, chi è alla porta?- la voce squillante della mamma ci interruppe. Si affacciò dalla porta della cucina e vedendomi mi venne subito incontro asciugandosi le mani bagnate in uno strofinaccio.
-Amore della mamma lei, puntuale come sempre.- esclamò.
Dopo ulteriori saluti ci avviammo verso la cucina da dove provenivano odori invitanti. Scolammo la pasta, la condimmo e ci andammo a mettere seduti. La mamma fece i piatti invitandomi a prendere posto.
 –Manuel! Vieni a tavola che è pronto.- strillò rivolta al mio fratellone.
Dopo un paio di richiami ecco entrare in sala anche l’ultimo membro della famiglia,Manuel. Quindici anni e la voglia di scoprire il mondo. Questo era mio fratello, un tipo ribelle che non amava le regole e lo studio, che preferiva giocare a calcio e buttarsi sul divano per giocare ai videogiochi.
Per questo suo carattere si era sempre scontrato apertamente con nostro padre che vedeva per lui tutt’altro futuro. Lo aveva costretto a scegliere una scuola che poi gli avrebbe consentito di  prendere il suo posto in fabbrica, lo ostacolava nella scelta di giocare a pallone.
E a Manuel tutte queste costrizioni non andavano giù. Vedeva i suoi amici liberi di scegliere e pretendeva lo stesso per lui. Non riusciva a capire che nostro padre voleva solo il meglio per noi.
Lo avevo coperto qualche volta quando invece di fare i suoi compiti usciva con gli amici e avevo cercato di convincere papà a farlo giocare a calcio. L’ultima cosa non sarebbe stata così difficile se non fosse che Manuel non la vedeva come un semplice passatempo ma come un futuro. Fantasticava ogni volta sul suo futuro da calciatore professionista e forse aveva anche le possibilità di realizzare questo suo sogno ma non secondo nostro padre.
Mi fece un cenno di saluto e si sedette di fronte  a me.
-Allora Bea, come va con l’università?- chiese interessata la mamma mentre mangiavamo.
Mandai giù il boccone e bevvi un sorso d’acqua.
–Tutto bene. A breve usciranno le date per i nuovi esami. Certo le lezioni si fanno pesanti ultimamente, ma niente che con un po’ di studio non si possa superare.- spiegai vedendo subito i volti dei miei farsi orgogliosi.
-Lo sappiamo tesoro che tu sei molto brava in queste cose.- disse mie madre con voce commossa.
Parlammo ancora un poco dei miei studi alternando di tanto in tanto i rimproveri da parte di mio padre a mio fratello che stava usando il cellulare a tavola.
-E con l’affitto invece? Tutto a posto o hai bisogno di una mano?- chiese la mamma premurosamente.
-Va tutto bene. Con lo stipendio della biblioteca ci arrivo anche se, dal prossimo mese, le spese aumenteranno perché Riccardo se ne va e quindi, dovremmo dividercele io e Sabrina. Ma niente di insostenibile per ora anche perché i proprietari hanno accennato anche alla possibilità dell’arrivo di nuovi coinquilini.- spiegai io.
-Per qualunque cosa,- iniziò mio padre –non ti fare problemi a chiedere a noi.-
 

 
********
 

Il pranzo era finito. Stavo aiutando mia madre ad asciugare le ultime stoviglie e tra una cosa e l’altra ci dedicammo a chiacchiere femminili.
Mia madre era una donna molto premurosa, che alternava il lavoro alla cura della casa. Una donna dall’esile corporatura, i capelli castani ben raccolti in una crocchia e dall’aspetto sempre ben curato. Sempre pronta a dare consigli sulla vita, su questioni di ogni genere. Mi spingeva ad aprirmi di più con la gente perché, secondo lei ero troppo chiusa.
Mi chiedeva sempre della mia situazione, cercava di darmi consigli sui ragazzi e faceva battutine spiritose in materia. Il tutto senza mai mettermi in imbarazzo, la vedevo come un’amica e riuscivo a parlarle di tutto, tra noi non c’erano segreti.
-E dei ragazzi che mi dici?- chiese sussurrando evitando di farsi sentire da mio padre che sonnecchiava lì vicino.
-Mamma!- esclamai io scocciata – Quante volte devo ripeterti che in questo campo non ci sono sviluppi?- continuai poco convinta ripensando all’incontro avvenuto in biblioteca non molto tempo fa.
Lei colse la mia titubanza e mi guardò inarcando un sopracciglio.
 –Siamo sicure? Non mi nascondi nulla?- insistette.
-Beh, se proprio ti interessa.- iniziai –La settimana scorsa ho conosciuto due ragazzi. Jessica ed Emanuele, due tipi strambi ma simpatici. Lui più di lei però…-
-E come è questo Emanuele? Carino?- chiese lei divertita.
-Si, è carino. Ma è gay mamma. Quindi non ci sperare.- spiegai frenando tutto il suo entusiasmo.
-Potresti invitarli qui qualche volta. Almeno ce li fai conoscere.- disse lei mettendo via le ultime pentole.
Riflettei sulle sue parole posando lo strofinaccio sul tavolo.
 –Invitare qui a casa Emanuele e Jessica? Con papà? Andiamo mamma lo sai che ne pensa lui sui gay e poi per non parlare di Jessica. Se solo la vedesse mi impedirebbe di frequentarla. La definirebbe un tipo poco raccomandabile.- dissi.
Mia madre capì che non era il caso di ribattere e il discorso finì lì.
-Invece di Lui che mi dici?- disse lei guardandomi negli occhi.
-L… Lui?- chiesi titubante.
-Si, lui! Li vedo i tuoi occhi cara. C’è uno strano luccichio.- disse sorridendo.
Avvampai e iniziai ad arrampicarmi sugli specchi. Negai fino alla fine l’esistenza di un qualunque lui. Che poi, teoricamente era la verità. Insomma capitava a tutti di incontrare qualcuno, salutarlo e scambiarci due chiacchiere. Giusto?
Quindi perché mai mia madre avrebbe dovuto intravedere questo luccichio?
Che avesse ragione? In effetti ogni tanto ripensavo a Davide. E certamente era un bel ragazzo, sembrava intelligente però potevo affermare con sicurezza che ripensavo a lui per il suo comportamento. Come poteva una persona mostrarsi una vola in un modo e quella successiva in un altro? Si, l’unica spiegazione era proprio questa o almeno credevo che lo fosse.
 
 
********
 
 
Uscii da casa dei miei genitori più confusa che mai. Riflettevo su quello che era per me realmente Davide senza giungere ad una conclusione concreta. Persa nei miei pensieri non mi accorsi di essere arrivata alla biblioteca. Entrai asciugandomi le scarpe e riponendo il vecchio ombrello nell’apposito contenitore.
Raggiunsi la mia postazione e salutai Teresa intenta a sfogliare le pagine di un vecchio tomo e ad eliminare le eventuali “orecchie” creatisi agli angoli.
Le sorrisi assicurandomi che avesse trascorso delle belle giornate poi, feci il punto della situazione e mi misi subito all’opera. Afferrai dei libri nuovi iniziando a registrarli e a riporli nelle varie sezioni. Stavo svuotando l’ultimo scatolone quando qualcuno si avvicino a me.
-Bea!- strillò Jessica da sopra una mia spalla.
Sussultai facendo cadere un libro e mi voltai intimandole di fare meno rumore. Lei ridacchiò e raccolse il libro porgendomelo. Si piazzò al mio fianco decisa a seguirmi nel mio lavoro.
-Allora come è andata con i tuoi?- chiese con un tono di voce più consono all’ambiente circostante.
-Bene, come al solito. Mi sono rilassata. Te piuttosto, che ci fai qui?- domandai io curiosa.
-Devo vedere una persona per un piccolo affare.- spiegò ammiccando.
Alzai gli occhi al cielo e poi la guardai con rimprovero. Quali affari? Doveva sicuramente comprare qualche grammo di fumo. Conoscevo Jessica da poco e già avevo captato i suoi stupidi vizi.
Amava divertirsi, poco contava la provenienza di questo divertimento.
Lele mi aveva raccontato che spesso era tornata da serate in discoteca in uno stato pietoso.
I vari problemi in famiglia, le amicizie pericolose e dei fidanzati poco raccomandabili l’avevano trascinata in questo in giro. Lele mi aveva confessato che anche lui ogni tanto si faceva qualche canna e che alla feste beveva ma, cercava sempre di non esagerare.
Jessica invece, non conosceva alcun limite.
Chiacchierammo un poco e lei mi raccontò di Lele che, la prossima settimana, avrebbe avuto un appuntamento con un tizio. Lo aveva conosciuto su face book e sembrava essere un tipo davvero interessante. Avevamo svuotato quasi tutti gli scatoloni e dovetti anche interrompermi di tanto in tanto per dare delle indicazioni a qualche cliente.
Eravamo così tanto perse nelle nostre chiacchiere che non ci accorgemmo di alcuni passi che si avvicinarono a noi.
Vidi Jessica guardare oltre la mia spalla ed assumere un’espressione infastidita.
-Ce ne hai messo di tempo.- disse con tono annoiato.
Mi voltai subito per vedere con chi stesse parlando e il mio cuore perse un battito.
Sorriso strafottente, sicuro di sé, bello e impossibile.
Davide.
Fece un cenno con il capo che, molto probabilmente avrei dovuto prendere per un saluto. Se ne stava ritto dinanzi a noie ci guardava divertito, uno sguardo che mi metteva in soggezione. Avvertii l’incombere dell’agitazione e il mio cuore batteva all’impazzata. Poi, avanzando ancora un poco, cacciò una mano nella tasca della giacca e frugando, tirò fuori un sacchetto per Jessica.
Era vicinissimo. Sollevando il braccio, avrei potuto sfiorare la sua mano, accarezzarla, stringerla tra le mie.
Lo osservai senza ritegno, scrutai ogni angolo del suo volto. Feci tutto ciò senza preoccuparmi di essere vista, la sua attenzione non era rivolta verso di me.
Jessica sfilò l’involucro dalle sue mani prese senza fiatare, riservandogli solo un’occhiataccia.
Poi si girò verso di me lasciandomi un bacio sulla guancia.
 -Ti chiamo questa sera.- disse e fece per oltrepassarci.
Un braccio la bloccò facendola voltare.
-E i miei soldi?- domandò Davide.
Jessica lo squadrò dalla testa ai piedi e per qualche secondo nessuno osò fiatare. Io rimasi in silenzio a guardare la scena con occhi sbarrati facendo scorrere alternativamente lo sguardo sulle due figure dinanzi a me.
Osservai i loro corpi tesi, i muscoli irrigiditi e i loro sguardi che si sfidavano in silenzio. Elettricità.
Quei due erano elettricità allo stato puro. Una sola scintilla avrebbe potuto mandare tutto all’aria. Erano così simili, complici che mi sentii un pesce fuor d’acqua. Io stonavo in quella scena.
Loro due si guardavano e sembravano essersi dimenticati di tutto. Il tempo continuava a scorrere e loro non ci facevano caso.
Avvertii una forte rabbia nascere in me. Quella scena mi dava fastidio, ero gelosa.
Una sensazione tutta nuova per me. Desiderai ardentemente che il braccio che Davide stava stringendo fosse il mio, che la persona che stava guardando fossi io e che lo sguardo  in cui si stava perdendo fosse il mio.
Poi Jessica rise è un’espressione maliziosa prese posto sul suo viso. Ghignando si rivolse a Davide.
-Mi sembrava di averti già pagato l’altro giorno e tu mi avevi detto che eravamo decisamente a posto con i conti.-.
 Poi con uno strattone si liberò e se ne andò come se non fosse successo niente.
Davide rise ed io sobbalzai essendomi accorta di essere rimasta sola con lui.
Mi riscossi dai miei pensieri ed osservai le sue spalle sussultare appena per la leggera risata. Si voltò verso di me ed inarcò un sopracciglio.
-Beatrice, non pensavo che frequentassi questo tipo di persone. Ti facevo diversa. Sembravi così ingenua ed innocente e invece sembri nascondere un lato molto più interessante. Deduco dalle tue conoscenze che ti piace divertirti, insomma conosciamo tutti Jessica. Non immagini quanto mi andrebbe di scoprire subito se tutto ciò sia vero…- sussurrò con voce roca senza mai distogliere lo sguardo dal mio.
Il suo sguardo si fece penetrante e, sorprendendomi, come un fuoco si accese nel mio basso ventre. Avvertii il sangue fluire caldo nelle mie vene e il mio volto farsi arrossato per l’imbarazzo dovuto a questa mia reazione inaspettata.
Il suo sguardo profondo fisso su di me, la voce calda e roca, il lento e sensuale movimento delle sue labbra. Tutti dettagli che mi eccitavano!
Avevo letto diverse volte sui libri passi riguardanti questa sensazione, storie di giovani fanciulle protagoniste di intere vicende e che, scoprivano per la prima volta i piaceri di una relazione sentimentale o, molto semplicemente, i piaceri legati al desiderio sessuale.
Ma nessuna lettura poteva prepararmi adeguatamente a quell’esplodere di emozioni. Io lo volevo.
Delle immagini poco caste mi passarono davanti agli occhi, immagini di me e lui.
Avvampai ancora di più e imbarazzata dovetti distogliere lo sguardo.
Non mi era mai successa una cosa del genere. Ero avvolta da tutte sensazioni nuove e mi sentivo impreparata. Non sapevo come muovermi, cosa dire, niente.
Con la coda dell’occhio lo vidi ghignare. -Ti metto in soggezione?-  sussurrò avvicinandosi sempre di più.
Senza volerlo indietreggiai fino ad urtare contro lo scaffale. Non avevo alcuna via di fuga e sentivo l’aria mancarmi. Non sapevo dove poggiare lo sguardo e facevo di tutto per non incrociare il suo.
-Ti metto in soggezione, Beatrice?- domandò di nuovo con voce rauca.
Il mio nome pronunciato da lui era un qualcosa di afrodisiaco. Sentii dei brividi percorrermi tutto il corpo e potei giurare che lui si fosse accorto dell’effetto che produceva in me.
Mi sollevò il capo con due dita costringendomi a guardarlo.
Il mio cervello era come andato in tilt. Lui mi fissava con quello sguardo intrigante mettendomi ancora più in confusione. Eravamo due estranei, sapevamo solo il nome l’uno dell’altro ma, lui aveva un completo controllo su di me ed era completamente consapevole di questo suo potere.
E lui si prendeva tutte le libertà con me. Mi trattava come se ci conoscessimo da sempre e sembrava appagato dal vedermi imbarazzata.
Socchiuse le labbra e i miei occhi si posarono su di esse. Rosee, sottili, invitanti.
Si distesero in un sorriso malizioso ed io mi riscossi.
In quei pochi istanti in cui recuperai un po’ di lucidità, riflettei sulle sue parole. Lui mi faceva diversa?
 -Non sono come Jessica.- sussurrai con voce tremante –Non credo assolutamente di essermi mostrata diversa da quello che in realtà sono. Sono sempre stata sincera… Io!- continuai rimarcando molto le ultime parole così da fargli capire che forse era stato lui a presentarsi per un’altra persona.
-E te lo ripeto, io non sono come Jessica.- ripresi in sussurro fissandolo negli occhi.
Il suo sguardo si fece se possibile più intenso e lo vidi deglutire più volte.
Mi maledii per aver tirato fuori quelle parole. Avevo fatto una figuraccia?
Lui prese una ciocca dei miei capelli e portandola dietro all’orecchio poi, la sua mano si spostò sulla guancia e mi lasciò una carezza delicatissima.
-Questo lo so. Tu non sei assolutamente Jessica.  Assolutamente… Sei soltanto te.- disse in un sussurro.
I nostri volti erano molto vicini, sentivo il suo respiro sulla mia pelle.
Le gambe tremavano, l’agitazione saliva.

 


Ciao! ^_^
Ecco a voi un nuovo capitolo. Allora, avete del materiale su cui riflettere:
  •  Come avrete avuto modo di capire, la famiglia di Beatrice è all’antica, il padre soprattutto. Diciamo che è un tipo autoritario, una sorta di “padre padrone”. E cosa importante: è omofobo.
  • Il fratello invece, è un piccolo ribelle. Non avrà un ruolo di primaria importanza ma, vorrei tanto assegnarvi delle scene abbastanza significative andando avanti nella storia.
  • Jessica. Cosa ne pensate? Soprattutto riguardo questa parte: Mi sembrava di averti già pagato l’altro giorno e tu mi avevi detto che eravamo decisamente a posto con i conti!
Che intendeva la ragazza? Per ultimo, ma non per importanza: Davide. Che ne pensate del ragazzo?? E delle reazioni di Beatrice?
Detto questo, mi aspetto delle recensioni da parte vostra, che siano critiche o meno. Vorrei davvero conoscere i vostri giudizi riguardo l’andamento della storia. Quindi, fatemi sapere!
Ringrazio tutte coloro che hanno aggiunto la storia tra le preferite, le ricordate o le seguite, coloro che hanno lasciato una recensione agli scorsi capitoli e le lettrici silenziose!
A presto,
Atarassia_
 
 
 



 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


 

Follie
Capitolo Quattro


 
 
Il suo volto si faceva sempre più vicino al mio. Ero sempre più scossa dai brividi e dovetti distogliere gli occhi da lui. Voltai la testa di lato e sentii le sue labbra posarsi delicatamente sulla mia guancia.
Avvampai in preda all’emozione e al desiderio. Poi lui inavvertitamente si spostò da me indietreggiando sempre di più. Il suo sguardo confuso si fece nuovamente strafottente e parve riacquistare tutta la sua sicurezza. Io restai atterrita ancora per qualche secondo, incapace di intendere e di volere.
Poi cercai di darmi un contegno e presi a sistemarmi i capelli. Lui in tutto questo non fece altro che seguire ogni mio gesto con uno sguardo così intenso da mettermi ancor più in soggezione.
Arrossii ancora di più e  dovetti voltarmi per riprendere il controllo fingendo di esaminare un libro.
Dietro di me lui ridacchiò tentando poi di mascherare la risata con un colpo di tosse.
-Che fai? Mi ignori?- chiese con voce roca. Sussultai al suono inatteso della sua voce e mi voltai con circospezione. Cercando di fare l’indifferente, gli rivolsi uno sguardo interrogativo.
La cosa però non dovette funzionare perché lui rise e si avvicinò a me poggiando con grazia la schiena allo scaffale. Per guardarlo dovetti sollevare la testa essendo lui più alto di me.
Davide mi fissava in silenzio.
 -L’altra volta non eri così timida? C’è qualcosa che non va Beatrice?- chiese poi con strafottenza. Restai muta non sapendo cosa dire e lui, come se niente fosse, riprese il suo monologo.
-Sai, l’altra volta al bar sembravi così innocente. E poi vengo a sapere che frequenti persone come Jessica. È interessante. Significa che tu sei tutta un mistero.- disse lui senza mai distogliere lo sguardo dal mio.
-Non capisco…- iniziai a dire con voce flebile scuotendo la testa. Vidi che stava per rispondermi ma fummo interrotti. –Davide!- una voce risuonò nel silenziò della biblioteca. Ci voltammo entrambi verso la fine del corridoio dove c’era un ragazzo snello e alto. I vestiti consumati, i tatuaggi, i piercing e l’aria trasandata che aveva mi permisero di riconoscere in lui uno dei ragazzi che avevo visto di recente nel locale con Davide.
Al suo fianco c’era anche una ragazza. Assomigliava a Jessica nello stile, l’unica differenza stava nel fatto che era mora.
–Andiamo?- strillò ancora il ragazzo senza preoccuparsi di abbassare il tono di voce trovandosi in un luogo dove vigeva il silenzio.
Ricevette infatti delle occhiate di ammonimento da alcune persone che si trovavano nei dintorni, ma non parve preoccuparsene più di tanto.
-Arrivo, arrivo…- disse di rimando Davide scostandosi dallo scaffale e muovendo qualche  passo verso i suoi amici poi, improvvisamente, si voltò verso di me continuando a camminare all’indietro.
-Allora ci si vede. Stammi bene, Bea.- esclamò ammiccando. Io attonita rimasi immobile a guardarlo e come una scolaretta delle elementari, riuscii solo a sollevare un braccio e a salutarlo con la mano.
Vidi un sorriso aleggiare sul suo volta prima che mi desse completamente le spalle. Veloce raggiunse i suoi amici e li vidi scambiarsi delle chiacchiere per poi ridere tra di loro e voltarsi verso di me.
Arrossii sentendomi colta in flagrante ad osservarli e finsi di rivolgere l’attenzione a un manuale al mio fianco. Mi voltai un’ultima volta e li vidi allontanarsi. Davide proprio in quel momento si voltò e, incontrando il mio sguardo, mi fece un cenno con il capo.
 
 
********
 
 
-Allora tesoro, come è andata dai tuoi?- chiese Lele premuroso mentre ci mettemmo a sedere con le cioccolate calde in un tavolo del bar.
Posai la giacca e la borsa sulla sedia e versai una bustina di zucchero nella bevanda.
-Bene. Mi rilassano le riunioni di famiglia e poi fa sempre piacere vedere i propri familiari. Giusto?- spiegai io affabile ripensando al fatto che qualche giorno prima mi aveva raccontato anche lui di avere un buon rapporto con la sua famiglia.
Era figlio unico e da come li descriveva, i suoi dovevano essere delle persone eccezionali. Sempre comprensivi, pronti ad aiutarti ed anche simpatici. Quando avevano scoperto dell’omosessualità del figlio, non avevano avuto brutte reazioni  ma, gli erano rimasti accanto, amandolo e sostenendolo. La madre si era solo dovuta rassegnare all’idea di non poter avere dei nipotini.
Lui annui e bevve un sorso di cioccolata. Io lo seguii e per un attimo nessuno parlò.
-Ho saputo che uscirai con ragazzo nei prossimi giorni. Facciamo progressi!- esclamai io ricordandomi delle parole di Jessica. Lui sorrise involontariamente e mi sembrò così dolce.
-Già, si chiama Giulio ed ha quattro anni più di me. Sembra un tipo tranquillo. Ma tu come fai a saperlo?- domandò interrompendo i suoi elogi del ragazzo.
-Jes. Ieri pomeriggio è passata in biblioteca e abbiamo parlato.- spiegai io.
-Jessica? In biblioteca? Ma se di solito studia in casa e ogni volta che la devo convincere ad andare in biblioteca fa mille storie.- disse lui incredulo ed io avvampai persa nei ricordi.
-Beh, non era lì per studiare. Doveva prendere una cosa da Davide.- spiegai frettolosamente ed irritata.
-Sempre la solita.-, esclamò Lele conscio delle cattive abitudini della sua amica, –Ma sbaglio o ho avvertito dell’irritazione nella tua voce?- continuò poi scrutandomi intensamente.
Lo fissai imbarazzata e non seppi cosa dire. Ero irritata? Forse, quasi sicuramente lo ero davvero. Ma non riuscivo a capacitarmene. Cioè alla fine Lui non era nessuno, non potevo nemmeno affermare di essere sua amica perché ci avevo parlato solo due o tre volte.
Così mi strinsi nelle spalle ed abbassai lo sguardo sulle mie mani intrecciate sotto il tavolo.
-Si. Ma non chiedermi il perché.- sussurrai sollevando la testa.
-Bea, che cosa c’è tra te e Davide?- continuò Davide imperterrito. E così, tra un sospiro e l’altro mi persi tra i miei ricordi. Gli raccontai di ogni cosa, partendo dall’episodio del biglietto in biblioteca e dell’ultimo incontro avvenuto sempre lì.
Gli raccontai delle emozioni contrastanti che provavo in sua presenza, dell’ansia che mi assaliva e la gelosia che avevo provato vedendolo in compagnia di Jes.
Non succedeva mai che io mi aprissi in quel modo. Solitamente tenevo tutti i pensieri per me e non ne parlavo con nessuno. Le uniche con cui delle volte riuscivo ad aprirmi un poco erano mia madre ed una mia cara amica che però si era dovuta trasferire in Inghilterra per seguire i suoi studi.
Emanuele riusciva a mettermi così a mio agio che, quando mi trovavo con lui, ero tanto tranquilla. Ci conoscevamo da poco e già sapeva molto di me.
Ascoltò tutto il mio sfogo, sussurrandomi qualche parolina di conforto e annuendo di tanto in tanto.
Pian piano il mio morale si risollevò e mi sentii più serena.
-Bea però se vuoi un consiglio, lascia stare Davide. Lui è un tipo così strano, ti farebbe solo soffrire. Assomiglia molto a Jes, sai? Quei due sarebbero perfetti insieme. Entrambi menefreghisti, spericolati e incuranti delle regole! Un tempo uscivano sempre nella stessa compagnia. Ora, fortunatamente, Jessica si è un po’ staccata e succede solo che vadano alla stesse feste ma niente di che… Credo.- spiegò lui preoccupato.
-Da quanto si conoscono?- chiesi allora io sempre più avida di notizie sui due.
-Dai tempi delle superiori. Frequentavano entrambi il liceo scientifico. Due scapestrati. Poi te l’ho detto, dopo, a forza di uscire
con gli stessi amici, si sono conosciuti.- riprese lui sistemandosi i capelli.
Nonostante le sue risposte, avvertii  la necessità di saperne sempre di più.
-E che tipo di rapporto c’era tra i due?- domandai timida e intimorita dalla possibile risposta di Lele.
-Sicura di voler sentire la risposta?- chiese lui ed io non ne fui più così tanto sicura ma, facendomi forza, mi imposi di annuire.
-In questo caso… Ti puoi consolare per il fatto che tra loro non c’è mai stata alcuna relazione. Di solito si incontravano tra amici per bere o fumare qualcosa ma niente di speciale. Però, purtroppo, non posso affermare che tra loro due non ci sia sesso. Anzi, a detta di Jessica, quello tra loro c’era davvero del buono e sano sesso! Ma forse questo avrei potuto anche risparmiartelo.- rispose lui in modo fin troppo esauriente. 
-Credo di si.- dissi io al limite della sopportazione. Sprofondai nella sedia  più confusa che mai. Dentro di me già sapevo che le cose stavano così, ma sentirmele confermate faceva male. Avevo notato la strana complicità che c’era in biblioteca tra Jessica e Davide, e già lì erano sorti i primi dubbi.
-Dai, adesso non abbatterti. Cerca di dimenticarlo, non è un tipo adatto a te. Sarebbe meglio che tu non ci avessi niente a che fare.- disse Lele tentando ulteriormente di consolarmi.
Pagato il conto uscimmo e ci recammo verso il parco per fare una passeggiata.
 
 
********
 
 
“....noi due distesi all’ombra, un fiore in bocca può servire sai, più allegro tutto sembra e d’improvviso quel silenzio fra noi e quel tuo sguardo strano, ti cade il fiore dalla bocca e poi oh no, ferma, ti prego la mano. Dove sei stata, cos’ hai fatto mai? Una donna, don….”  (*)
La voce di Lucio Battisti risuonava nella stanza. Erano le dieci circa e in assenza diimpegni, mi ero organizzata per risistemare la mia stanza e l’armadio. Avevo ammucchiato da un lato tutti i vecchi vestiti che o per un motivo o per un altro non mettevo più.
Alcuni erano carini e mi ero ripromessa di indossarli di tanto in tanto, altri invece erano proprio da buttare, o troppo piccoli o rovinati.
Mentre piegavo alcune magliette la mia conquilina, Sabrina, mi chiamò chiedendomi di raggiungerla in camera sua. Lasciai perdere tutto quello che stavo facendo e la raggiunsi.
Entrai nella sua camera avvolta nella penombra.
-Accendi la luce, Bea.- disse lei dal letto. Stringeva fra le mani una lettera e aveva una strana aria preoccupata.
-Tra la posta c’era questa lettera. È il proprietario dell’appartamento che ci dà circa due mesi a partire dalla prossima settimana per trovare un’altra settimana e liberare l’appartamento.- spiegò lei guardandomi con preoccupazione.
-Che cosa? Ma perché? Siamo stati sempre puntuali con i pagamenti e anche ora che Siamo rimaste in due non abbiamo mai fatto alcun ritardo. E poi non abbiamo mai creato problemi!- esplosi io indignata mentre afferavo al lettera che lei mi stava porgendo. –Lo so, lo so. Infatti non penso che dipenda da noi.-
Sabrina si alzò e prese a camminare avanti e dietro per la stanza come a voler scaricare la tensione accumulata per quella questione. Io rilessi più volte la lettera come se sperassi che da un momento quelle parole si modificassero rivelando lo scherzo.
Quell’appartamento era stato una soluzione comoda. Non era esageratamente costoso, era vicino all’università e ai nostri rispettivi lavori e nel raggio di pochi metri avevamo a disposizione ogni genere di comfort: supermercati, farmacie, cartolerie.
-Aspetta! Ora che ci ripenso mi era parso di sentire che la figlia del proprietario stesse frequentando l’ultimo anno del liceo. Sicuramente servirà a lei.- esclamò all’improvviso Sabrina facendomi sobbalzare.
Scossi la testa ripetutamente. –E adesso?- gracchiai con un filo di voce.
-L’unica cosa che ci resta da fare è trovare una nuova sistemazione. Anzi, dovremmo metterci alla ricerca da subito.- riprese Sabrina accendendo il suo computer portatile.
Sbuffando mi alzai dal suo letto e mi rinatanai nella mia stanza.
-Pronto?- disse mia madre al telefono. –Mamma!- esclamai io di rimando.
Oh ciao tesoro. Che mi dici? Tutto bene?- chiese lei gentile.
-Insomma. Abbiamo dei problemi con l’appartamento. Dobbiamo andarcene entro due mesi. Per voi è un problema se momentaneamente torno a casa?- spiegai io, illustrandole la situazione. Lei trattenne il fiato preoccupata come al solito.
-Ma tesoro figurati. A noi fa piacere averti qui con noi. Stasera ne parlo con tuo padre. Se vuoi ti diamo una mano a trovare qualcosa. Ok?- disse lei tutto d’un fiato. Potevo immaginare la sua faccia sorridente e le rughette d’espressione di fianco ai suoi occhi.
Sollevata per la sua risposta, mi tranquillizai. –Va bene. Allora ci sentiamo.  Ciao mamma.-
-Un bacio tesoro.- disse lei prima di chiudere la chiamata.
Mi alzai e per scaricare la tensione accumulata afferrai una felpa e un libro e mi avviai verso il parco per leggere all’ombra di un albero.
 
 
********
 
 
“ Un fil di luce usciva dalla porta della chiesa. L’ingegnere vi entrò e ne uscì subito col sagrestano che stava preparando gl’inginocchiatoi per gli sposi. Costui recò in soccorso del Puttini la lunga pertica col cerino acceso sulla punta,…...”(**)
Stavo leggendo con la schiena appoggiata ad una lbero e le ginocchia piegate, quando qualcuno si pose dinanzi a me, facendomi ombra. Sollevai lo sguardo impaurita e dovetti strizzare gli occhi prima di riconoscere Davide.
Indossava una tuta, la maglia era tutta sudata ed un I-pod pendeva dalla sua tasca. Il fiatone mi fece presupporre che si fosse appena fermato dopo una lunga corsetta.
-Ciao.-, disse lui sorridendo malizioso, –A quanto pare in questi giorni non possiamo fare altro che incontrarci.- continuò alludendo ai nostri precedenti incontri.
Arrossii impercettibilmente e gli feci un cenno con il capo sorridendo appena.
Lui fece per sedersi di fianco a me ed io ritirai le gambe per fargli spazio. Sebbene facesse ancora freddo, era vestito leggero. La maglietta attillata e sudata delineava perfettamente il suo corpo facendomi fremere.
Mi sfiorò più volte con il braccio e rabbrividii cercando però di non darlo a vedere. Senza nemmeno chiedermi il permesso o scusarsi, mi sfilò il libro dalle mani.
 –Piccolo mondo antico. A dir poco noioso.- disse esprimendo il suo giudizio. Era uno dei miei libri preferiti e mi sentii indirettamente offesa.
Mi feci coraggio e lo ripresi sfilandoglielo bruscamente come lui aveva fatto in precedenza.
-Perché? Ti intendi di libri?- domandai sfacciata e fu troppo tardi per pentersi di averlo fatto.
Lui sembrava divertito da quel mio strano coraggio e sorrise  fissando il libro. Poi riportò lo sguadro su di me e mi squadro dalla testa ai piedi. –L’ho letto alle medie. Monotono. Ecco cosa è quel libro. Un noia mortale.- riprese voi avvicinandosi con il volto.
Io spinsi indietro la testa onde evitare ulteriori contatti. Lui ridacchiò e capendo l’antifona si tirò indietro.
Voltai il capo trovandolo a fissarmi. 
-Che c’è?- chiesi con voce sottile. Lui sollevò le braccia in aria e scosse la testa.
 –Niente, niente. Ti stavo solo osservando. Sei carina, lo sai?- disse lui lasciandomi interdetta.
-Che fai? Non parli più adesso? Il gatto ti ha mangiato la lingua?- continuò lui prima di iniziare a ridere.
Lo guardai e iniziai a ridere anche io. Aveva una risata travolgente, così limpida e innocente.
Ridemmo insieme per qualche secondo, poi tentammo entrambi di darci un contegno.
-Per tua informazione, questo è uno dei miei libri preferiti.- spiegai io guardandolo negli occhi.
-Oh, mi dipiace. Non volevo offendere sua maestà.- rispose lui di rimando.
–Smettila di fare lo scemo.- dissi io colpendolo ad un braccio e ridendo poi per la finta espressione di dolore che simulò.
-Hai intenzione di rimanere tutto il giorno qui al parco a leggere?- domandò lui sorridendo. Io scossi la testa.
-Che t’importa a te?- chiesi io coraggiosamente. –Vorresti che me ne importasse qualcosa?- domandò allora lui rimettendomi al mio posto.
Rimasi incredula in silenzio. Mi imbarazzai e dovetti distorgliere lo sguardo. Lo sentii ridacchiare.
Poi , con delicatezza mi afferrò due ciocche di capelli portandole dietro all’orecchio. Lo fissai incuriosita e lui si strinse nelle spalle. –Così posso guardarti in faccia. Hai delle belle labbra.- spiegò come se niente fosse.
Avvampai e lui mi sorrise dolcemente.
-Cosa vuoi da me?- domandai con imbarazzo e impaziente di sentire la sua risposta. Davide fece per parlare ma la suoneria del mio telefono lo interruppe facendoci sobbalzare.
Recuperai il telefono dalla borsa e lessi il mittente, “Ema”. Con la coda dell’occhio vidi anche Davide sporgersi per leggere ma, portai frettolosamente il telefono all’orecchio impedendoglielo.
-Pronto?- dissi abbassando il tono della voce. –Ehi Bea, sono vicino casa tua posso salire?- chiese tutto pimpante Lele.
 –Ema, non sono in casa. Ma se vuoi sali che ora ti raggiungo.- dissi più che felice di vederlo.
Quel ragazzo era fantastico. Sapeva tirarti sul il morale come nessun altro.
-Ok. Ma tu dove sei? Ti vengo incontro?- chiese lui premuroso.
-No, tranquillo. Sono al parco ma niente di importante. Una decina di minuti e sono lì da te. Ciao!- dissi chiudendo la chiamata. Mi alzai in fretta spazzolando via i residui di terra dai pantaloni. Mi chinai per recuperare la borsa ma quando feci per alzarmi qualcosa me lo impedì.
Davide mi aveva afferrato il polso tirandomi verso di lui. Persi l’equilibrio e finii sopra di lui. Portai una mano sul suo petto cercando di alzarmi ulteriormente ma lui me lo impedì di nuovo.
-Dove vai?- sussurrò a pochi centimetri dalla mia bocca. Sollevò una mano sfiorandomi la guancia con delicatezza. Si avvicinò ancora di più e potei sentire l’essenza del tabacco, mista al profumo del cocco.
Avvertii il sangue pulsarmi violentemente nelle vene, il cuore battere impazzito.
-Resta qui!- sussurrò lui sul mio collo, prima di posarvi le labbra umide. Fui scossa da un tremito e feci per tirarmi indietro ma lui pose una mano sulla mia schiena e mi riavvicinò a sè.
Ero seduta a cavalcioni su Davide. Con l’altra mano lui mi sfiorò le labbra, disegnandone i contorni con le dita, poi la spostò sul mio collo e fece pressione avvicinando il mio viso al suo.
Lo vidi sporgersi verso di me. Lo guardai negli occhi e per un attimo mi sentii al sicuro. Abbassai lo sguardo sulle sue labbra. Erano così vicine ma così maledettamente lontane. Poi, in un attimo, Davide annullò ogni distanza e un fuocò divampò in me.
Posò delicatamente le sue labbra sulle mie, baciandole ripetutamente e con dolcezza. La mano dietro al mio collo mi sfiorava delicatamente la nuca, invece l’altra posta alla base della schiena mi accarezzava provocandomi ulteriori scosse di puro piacere.
Inarcai la schiena avvicinandomi ancora di più a lui e mi gustai tutta la morbidezza delle sue labbra. Portai una mano sulla sua guancia e la barba lasciata un poco incolta mi solleticò il palmo.
Si staccò ed io emisi un alquanto inaspettato gemito di disapprovazione.
Avevo appena iniziato a godermi quel momento e lui lo aveva interrotto. Poggiò la fronte sulla mia e ci guardammo negli occhi entrambi con il fiato corto. Gli accarezzai innocentemente una guancia disegnando poi con il pollice il contorno delle sue labbra. Lui mi baciò il polpastrello chiudendo gli occhi e rubandomi un nuovo gemito.
L’aria tra di noi era carica di elettricità, l’eccitazione era palpabile.
Il mio gemito sembrò riscuoterlo e riaprì gli occhi puntandoli nei miei. Vi era in essi uno strano luccichio, sembravano ardere dalla passione. Essendo inesperta in materia non seppi cosa fare e rimasi immobile a fissarlo.
Poi mi afferrò con rabbia e posò nuovamente le labbra sulle mie. Questa volta era più esigente, più voglioso. Disegnò il contorno della mie labbra con la lingua e mi indusse a schiuderle. Soffocai un gemito e mi strinsi ancora di più a lui. Fece scontrare le nostre lingue congliendomi impreparata.
Reclinò la testa da un lato così da avere un accesso migliore e mi dettò il ritmo con la sua lingua. Mi aggrappai alle sue spalle con forza e lui mi strinse sempre di più. Le lingue si rincorrevano senza sosta.
Mi mancava il fiato.
Era tutto così afrodisiaco.
Afrodisiaco.
La parola giusta per descrivere tutto ciò.
Inizialmente risposi con timidezza ma poi mi abbandonai completamente a quel bacio. Mi lasciai travolgere dalle emozioni e mi lasciai guidare dal piacere annullando i pensieri.
Ero conscia di stare sbagliando ma non potevo farne a meno.
Davide si fece pian piano pù dolce, fino a staccarsi del tutto. Avevamo entrambi il fiato corto ed io rimasi ancora per qualche secondo assaporando quegli istanti di pace.
Lui strofinò la guancia sulla mia e mi baciò il lobo dell’orecchio delicatamente.
-Ti è piaciuto?- sussurrò con voce roca. Delle scosse di piacere mi scossero nuovamente  e mi agitai su di lui.
Poi tutt’a un tratto il mio cevello sembrò tornare a funzionare. Mi resi conto di ciò che avevamo appena fatto e di come io ero ancora avvinghiata a lui.
Avvampai e mi agitai cercando di svincolarmi dalla sua presa. Lo colsi impreparato e così non riuscì a fermarmi.
Mi rimisi in piedi frettolosamene e afferrata la borsa scappai via.
-Beatrice!- Davide mi chiamò più volte mentre la sua voce si faceva sempre più distante
Le prime lacrime iniziarono a scendere e non feci nulla per fermarle. Dovevo allontanarmi il più possibile.
 
 
 
(*) Frasi  tratte da “La canzone del sole” di Lucio Battisti
(**) Parte ripresa dal libro “Piccolo mondo antico” di Fogazzaro
 


 


Ciao! ^_^
Scusatemi per il ritardo ma, tra lo studio e i vari impegni sono letteralmente distrutta!
Comunque sono tornata con un nuovo capitolo!
E ci terrei a sottolineare che è il capitolo più lungo che io abbia mai scritto! Che ve ne pare?
Abbiamo due scene con il bello e tenebroso Davide: la prima, che poi sarebbe il continuo della precedente e lui si mostra sfacciato, nella seconda invece, si trovano al parco e lui sembra diverso. Quale delle due personalità di Davide preferite? E di Beatrice? Preferite la parte di lei assolutamente timida o quella che trova il coraggio di parlare con Davide senza balbettare?
E per quanto riguarda Emanuele e Jessica? C’è qualcuno che vuole esprime un giudizio su di loro?
La scena finale invece? O insomma, ditemi quale è il vostro parere! 
Ringrazio chi ha messo la storia tra le preferite, le ricordate o le seguite; chi ha speso qualche secondo del suo tempo per lasciare un’amabile recensione e le lettrici silenziose!
Fatemi sapere cosa ne pensate. Spero di ricevere diverse recensioni con i vostri pareri, che siano essi positivi o negativi!
Alla prossima,
Atarassia_

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***



Follie
Capitolo Cinque


 
Raggiunsi il portone del palazzo e feci di corsa le scale entrando in casa come una furia. Gettai la borsa e la giacca sul divano dirigendomi verso il bagno. Mi guardai allo specchio, avevo gli occhi rossi e gonfi per il pianto, il trucco colato. Mi morsi il labbro e guardai il soffitto per non scoppiare nuovamente a piangere.
La porta del bagno si aprì e dallo specchio vidi la testa di Lele fare capolino da essa. Mi guardò per un attimo e subito si fece preoccupato.
 –Bea ma che è successo?- chiese facendomi voltare. Incapace di dire qualunque cosa, gli gettai le braccia al collo e mi lasciai andare. Lui mi strinse comprensivo accarezzandomi la schiena.
-No dai non piangere. Stai calma!- sussurrò dolce tra i miei capelli.
–Perché deve essere tutto così complicato?- chiesi io tra i singhiozzi.
–Questa è la vita. Ti va di parlarmene?- domandò lui.
Lo guardai tra le lacrime e annuii, avevo assolutamente bisogno di sfogarmi con qualcuno. Andammo a chiuderci in camera mia e ci sdraiammo sul letto e qui, rassicurata dal suo braccio gli raccontai del mio pomeriggio.
-Ero uscita per andare al parco e stare in santa pace invece, ne sono tornata più confusa che mai!- iniziai a dire per poi bloccarmi a causa di un ulteriore singhiozzo. –In tutto questo, c’entra Davide?- chiese Lele centrando subito il punto della situazione.  C’entrava Davide? Oh, lui era la causa di tutti i miei problemi.
Ripresi fiato e annuii.
–S… Si. Stavo leggendo e lui mi si è presentato davanti. Inizialmente abbiamo parlato e scherzato come due persone normali. Pensa che lui si è messo anche a esprimere pareri sul libro che stavo leggendo. Ogni tanto lui se ne scappava con una delle sue solite battutine e complimenti assolutamente fuori luogo ma, niente che mi facesse sentire a disagio. Capisci?- dissi alzando la testa per guardarlo e lui annuì dando segno di aver seguito il mio monologo.
 –Abbiamo riso tranquillamente, poi mi hai chiamata tu e lui ha voluto rovinare ogni cosa!- ripresi a raccontare.
Lui si sollevò di scatto facendomi sollevare la testa impaurita.
 –È colpa mia vero? Cavolo, non avrei dovuto chiamarti! Che stupido! Però che motivo avrebbe avuto a ingelosirsi di me insomma, lo sa che non mi piaci. Con questo non voglio dire che tu sia brutta ma, sono io che…- Lele esplose come un fiume in piena e agitava le mani in aria tra una parola e l’altra. Era così buffo!
-Lele! Lele! Lele!- dissi io alzando sempre di più il tono della voce per farlo stare zitto.
–Che c’è?- chiese lui stupito per le mie grida.
-Non è colpa tua!- dissi e vidi subito il sollievo comparire nella sua espressione.
–Stai tranquillo. Comunque io ti ho risposto e lui è stato tutta la chiamata in ascolto. Poi mi sono alzata per tornare a casa ma lui mi ha bloccata e…- mi interruppi imbarazzata arrossendo al solo ricordo degli avvenimenti successi dopo.
-E…?- chiese Lele guardandomi incuriosito. Io avvampai ancora di più e lo vidi sollevare un sopracciglio.
-E lui…. Beh… No niente, niente.- conclusi alzandomi di scatto dal letto e andando ad ordinare la scrivania già perfettamente ordinata. Gli diedi le spalle e feci di tutto per indirizzare i miei pensieri verso qualcos’altro onde evitare altri coloriti bordo.
Dietro di me il letto cigolò segno che lui si era alzato.
–E no signorina, adesso tu mi dici tutto!- esclamò puntandomi il dito contro con fare minaccioso.
Lo fissai di rimando.
–Oh, Ema!-, iniziai a dire imbarazzata, –Lui non voleva farmi venire via e poi… Lui… Ecco mi… Mi ha baciata!- conclusi con voce stridula.
Lo vidi sgranare leggermente gli occhi e fissarmi sorpreso. Restammo in silenzio.
–Di qualcosa!- esclamai.
-Oh…- questo fu tutto quello che uscì dalla sua bocca. Un misero ed insensato “Oh”. Ci fissavamo in silenzio e sentii che stavo per esplodere. Che commento era il suo?
-Io ti dico che Davide mi ha baciata e tu sai solo dire “Oh”?- chiesi affranta andandomi a sedere al suo fianco. Lui mi fissò per qualche istante.
-Beh, non so che dire. Bacia da schifo?- domandò imbarazzato. –Bacia da schifo? Ma che domande sono? Ema hai fumato?- chiesi sempre più confusa e vittima dei mie pensieri.
Lui si riscosse e sembrò tornare lucido.
–No è solo che visto che sei tornata in lacrime pensavo che lui… No, lascia perdere! Però dimmi perché piangevi?- domandò. Una domanda apparentemente semplice ma a cui non sapevo rispondere o almeno credevo di non aver risposte.
-Non lo so.- sussurrai sconsolata. Lui mi fissò e vidi un lampo di consapevolezza passare nei suoi occhi.
-Capisco. Che hai provato mentre lo baciavi?- domandò centrando nuovamente il punto. Lo fissai e scoppiando a piangere mi rifugia nuovamente tra le sue braccia.
-No Bea, non fare così! Stai tranquilla ti prego. Il bacio ti è piaciuto. Giusto?- disse lui provando a consolarmi.
 –Se mi è piaciuto? Si…credo.- gracchiai.
-Credi?- ribatté lui di rimando.
-Non lo so Ema. Ho provato delle emozioni forti ma, io non ne capisco niente di queste cose. Sono tutte nuove per me, delle novità! E ora non so che fare.- rivelai.
Lui mi guardò comprensivo.
–E dopo il bacio che è successo?- chiese curioso.
Un espressione colpevole aleggiò sul mio volto.
–Sono scappata.- spiegai con un filo di voce. –Bea!- mi riprese lui divertito. Non sapendo cosa dire mi strinsi nelle spalle.
 
********
 
-Riguardati Teresa. Ci sentiamo, ciao.- dissi chiudendo la chiamata. Teresa doveva andare a Firenze per fare delle visite mediche e aveva deciso di chiudere la biblioteca per qualche giorno.
Riposi il telefono nella borsa e attraversai la strada entrando nel piazzale dell’università.
–Beatrice!- mi voltai richiamata da una mia compagna di corso. Le sorrisi vedendola venirmi in contro.
-Ciao Angela. Tutto bene?- chiesi gentile. –Si, se non fosse per l’ansia degli esami. Te?- domandò mentre entrammo nell’atrio.
–Io? Tutto bene…- mentii abbassando lo sguardo.
Dal bacio erano passati tre giorni durante i quali, non avevo fatto altro che evitare tutto e tutti. Mi rintanavo sempre in casa o in biblioteca facendo attenzione a evitare strani incontri. Lele era il mio unico contatto con il mondo esterno, sapeva tutto della mia situazione e faceva il possibile per aiutarmi. Il problema era che io ero sempre più confusa, in ogni piccolo istante venivo colta da qualche dubbio.
Perché mi aveva baciata? Voleva dimostrare qualcosa? Ma soprattutto, che cosa aveva provato lui?
Angela si perse in una lunga lamentela riguardante gli esami troppo vicini e le cose da studiare particolarmente abbondanti. Lei continuava a parlare ma, già alle prime parole, la mia attenzione era rivolta altrove. Molto spesso mi fermavo a pensare a quei baci, alle emozioni provate mentre mi stringeva a sé , al mio stomaco in subbuglio ad ogni suo tocco.
La notte mi svegliavo desiderosa di sentire il tocco delle sue labbra e una volta, mi sorpresi a desiderare di volerle sentire accarezzare non solo le mie labbra ma, ogni centimetro del mio corpo.
Guardai distrattamente il cellulare dove un messaggio mi avvisava che Jes aveva provato a chiamarmi. In questi giorni ci eravamo sentite e lei si era accorta che ero strana ma, non le avevo rivelato nulla perché volevo cullare quell’episodio senza renderlo troppo pubblico ma soprattutto perché il mio istinto mi impediva di farlo.
Infatti, c’era sempre un qualcosa che mi frenava dal lasciarmi andare del tutto con lei, non mi fidavo completamente. Probabilmente il tutto era dovuto al fatto che ci conoscevamo da poco anche se a Lele avevo rivelato ogni cosa.
Mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio e annuii verso Angela come a volerle dare l’impressione di stare ascoltando. Mi guardai intorno con discrezione osservando le persone. In me avvertivo come il desiderio di vederne una in particolare e venni accontentata.
Maglione nero con il collo a “v” da cui sotto si intravedeva una t-shirt bianca, jeans grigi sbiaditi e le converse bianche. Aveva i capelli disordinati e di tanto in tanto vi passava la mano in mezzo scombinandoli maggiormente. Stava parlando con degli amici e qualche volta allungava il collo guardandosi intorno. Angela si bloccò ed io con lei; finsi di seguire il suo discorso mentre lanciavo sguardi furtivi a Davide.
Se ne stava addossato al muro ignaro della mia presenza. Il mio cuore perse dei battiti. Era così bello!
Le sue labbra si muovevano sensuali e si distesero in un sorriso. Si guardò intorno e accidentalmente i nostri sguardi si incrociarono. Come al solito mi dimenticai di tutto il resto, l’unica cosa che esisteva era lui.
Ci fissammo insistentemente e riuscii anche a sostenere il suo sguardo per tutto il tempo. Lui assunse un espressione sorpresa, si voltò verso i suoi amici e poi nuovamente verso di me indeciso su cosa fare. Lo vidi salutare frettolosamente i suoi amici e poi farsi strada tra gli studenti per cercare di arrivare  a me.
Mi irrigidii pensando a quanto avrebbe potuto essere imbarazzante parlare con lui e feci istintivamente un passo indietro. –Senti Angela che ne dici di avviarci già verso l’aula? A breve inizieranno le lezioni!- dissi senza attendere una risposta dalla ragazza ma semplicemente afferrandola per un braccio e tirandomela dietro. Camminai veloce mettendo più distanza di quanto potessi.
Mi voltai una volta per vedere dove si trovava e lo vidi fissarmi rassegnato.
Dobbiamo parlare” mimò con le labbra.
 
********
 
Ti aspetto all’ingresso del parcheggio, muoviti! :P
Sorrisi leggendo il messaggio di Emanuele. Avevo appena terminato l’ultimo corso e salutai alcuni amici pronta ad uscire pronta per un pomeriggio di puro relax con Lele.  Non feci nemmeno in tempo a varcare la soglia dell’ingresso che dava sul cortile che qualcuno mi afferrò trascinandomi con sé.
Mi voltai indignata e spaventata pronta a difendermi ma, non riuscii a dire nulla. –Allora?- disse Davide incatenandomi con lo sguardo e intrappolandomi tra lui e il muro senza lasciarmi alcuna via di fuga. Gli occhi verdi brillavano di una strana luce e non smettevano mai di fissarmi.
Lo guardai senza sapere cosa dire e dovetti distogliere lo sguardo puntandolo su un albero oltre la sua spalla. –Allora che?- gracchiai con voce flebile.
Con la coda dell’occhio vidi per un attimo la sua espressione incredula prima che tornò ad essere impassibile. –Perché sei scappata?- chiese con voce roca e giurai di aver avvertito la disperazione nel suo tono. Era arrivato dritto al punto ed avvampai al ricordo di quello che era successo.
-Beatrice… perché sei scappata?- domandò nuovamente. Il mio nome pronunciato da lui era un qualcosa di indefinibile. Fui percorsa subito da scariche di piacere e rabbrividii. Mi afferrò con una mano il mento e mi costrinse a guardarlo.  La sua bocca era a pochi centimetri dalla mia e nella mia testa passò subito quella pazza idea di baciarlo. Resistetti e alzai gli occhi fino ad incontrare i suoi.
-Non lo so. Ho avuto paura…- sussurrai sincera. Paura di aver fatto un errore, paura delle emozioni provate, paura di essere considerata impreparata. Paura che fosse diventato qualcosa di più per me.
-Paura? Perché?- disse lui sempre più bisognoso di risposte. Mi strinsi nelle spalle e scossi la testa sempre più decisa a non rivelargli nulla. Lui mi fissò ancora per qualche istante, poi posò una mano sul muro accanto alla mia testa mentre con l’altra andò ad accarezzarmi il volto.
Si fece più vicino con la testa chinandola leggermente di lato. Si muoveva a rallentatore e sentii il mio cuore scoppiare impazzito. Le gambe tremavano instabili e involontariamente alzai una mano posandola delicatamente sul suo addome. Lui sussultò per questo contatto e si fermò per un solo istante prima di riprendere ad avvicinarsi. Facevo saettare lo sguardo dai suoi occhi lucidi alle sue labbra così invitanti.
-Beatrice…- sussurrò solleticandomi il volto con il suo respiro.
-Davide!- quell’atmosfera fu bruscamente interrotta e entrambi ci voltammo verso una ragazza che avanzava incontro a noi. Ci staccammo subito ricomponendoci ed io arrossii come da copione.
-Hai da accendere?- chiese nuovamente quella quando fu a meno di un metro da noi. Vidi Davide allontanarsi da me di qualche passo per iniziare a frugare le tasche dei suoi pantaloni in cerca di un accendino.
Colsi l’occasione al volo per sgattaiolare via senza che lui potesse nuovamente fermarmi. E, in quel momento, mi sembrò di rivivere un dejà-vu, una scena già vista e vissuta. Io che correvo via e lui dietro di me che mi chiamava chiedendomi di fermarmi.
Accelerai il passo  raggiungendo il parcheggio dove trovai Lele in compagnia di Jes.
-Ce ne hai messo di tempo!- disse Lele ma, non me la sentii di spiegare il motivo visto che non eravamo soli e faci lui un gesto come a dirgli di lasciar perdere. Lui colse la palla al balzò e lasciò cadere momentaneamente la questione ma, quasi sicuramente, dopo avrei dovuto parlargliene.
Salutai Jes con un abbraccio e chiacchierammo per qualche minuto.
–Ragazzi io vi saluto, ora devo proprio andare. Divertitevi oggi pomeriggio. Ah, quasi dimenticavo, questa sera c’è una festa al Buddy, vi va di venire?- chiese lei con esuberanza. Io, poco entusiasta della cosa, guardai Lele che doveva aver capito le mie intenzioni.
-Dai ragazzi, almeno ci divertiamo un po’!- disse Jessica tornando alla carica e non me la sentii di dirle di no anche se, ero sicura che mi sarei sentita a disagio tutto il tempo. Così annuii accontentandola.
Lei lanciò un gridolino e ci abbracciò.
–Grazie, grazie, grazie! Ora però devo davvero andare.- disse infilandosi la giacca.
 –Che devi fare di così urgente?- chiese  Lele curioso.
Jessica si voltò con un’espressione maliziosa in volta e si chinò verso di noi.
–Incontri focosi!- disse con voce sensuale prima di raddrizzare la schiena ed andarsene via con un’espressione compiaciuta accendendosi una sigaretta. Guardai Lele meravigliata.
-Diceva sul serio?- chiesi e lo vidi annuire.
–Temo di si…- rispose.
 
********
 
-….era così carino Bea! E poi dopodomani dobbiamo vederci ancora. Andiamo a cena fuori, ti va di conoscerlo?- chiese Lele interrompendo per un attimo il racconto del ragazzo con cui era uscito che, a detta sua, era praticamente perfetto.
-Se ti fa piacere, si. Va bene.- risposi felice di vedere che per Lele contavo qualcosa tanto che voleva farmelo conoscere. Lui mi sorrise di rimando e mi passò un braccio dietro le spalle stringendomi a lui.
-Oh guarda quel vestito che bello! Dai entriamo così te lo provi.- esclamò lui fermandosi davanti ad una vetrina. Eravamo in giro da qualche ora e avevamo già fatto alcune spese, ora a che mi serviva quel vestito?
-Perché? Che me ne faccio?- chiesi ingenuamente e lo vidi fissarmi contrariato.
-Per la festa di stasera, Bea. Te ne sei già dimenticata? Devi farti bella- ribatté lui senza attendere un mio consenso e catapultandoci nel negozio. Si muoveva sicuro tra gli abiti fino a raggiungere il suo obiettivo. In modo esperto cercò la taglia, afferrò la stampella e mi spinse dentro al camerino costringe domi a provare l’abito. Lo indossai contrariati e restai stupita a fissarmi allo specchio. Era un vestito semplice, senza troppi fronzoli. Avvolgeva stretto il mio petto e la vita per poi ricadere dolcemente fino a metà coscia. Si allacciava dietro al collo e lasciava la parte superiore della mia schiena scoperta. Feci una gira volta e sorrisi vedendo il vestito alzarsi.
-Allora? Come va lì dentro?- da dietro la tenda mi giunse la voce di Lele curioso di conoscere il mio giudizio sul vestito. Intimidita scostai la tenda uscendo dal camerino e lo vidi sgranare gli occhi.
-Tesoro, sei bellissima!- esclamò facendomi voltare e camminare avanti e dietro. –Ne sei sicuro?- chiesi afflitta da mille dubbi. –Sicuro al cento per cento. Ora cambiati così io vado a pagare.- rispose lui mettendo a tacere tutte le mie insicurezze.
Dopo un po’, fummo nuovamente in strada e decidemmo di andare a prenderci un caffè al bar ma, dovevamo fare in fretta perché erano già le sei. Entrammo in un bar che era un tantino affollato e mentre lui andò a scegliere un tavolo e a ordinare, io andai al bagno.
Mi sciacquai in fretta le mani e dopo aver risistemato la coda che era costantemente in disordine, uscii dal bagno per tornare da Lele. Oltrepassai la porta e ricevetti un forte scossone che mi fece perdere l’equilibrio e caddi all’indietro.
Mi massaggiai il polso e mi voltai per vedere la causa della mia brusca caduta.
-Scusa, non ti avevo vista.- mi pietrificai al suono di quella voce e lui fece lo stesso quando mi guardò in faccia. Davide si ricompose in fretta e mi porse una mano per aiutarmi a tornare in piedi. L’afferrai seppur titubante e  con il suo aiuto riuscii finalmente a sollevarmi.
-Continui sempre a scappare, eppure alla fine torni sempre da me.- disse lui con strafottenza. Stringeva ancora la mia mano e non accennava a lasciarla andare.  Mi scrutò spingendomi vero il muro fino a far aderire completamente la mia schiena con la superficie fredda.
Deglutii. Ero in imbarazzo e non sapevo che fare o cosa dire.
Ma non ci fu alcun bisogno di un mio intervento, ci pensò lui. –Perché continui a scappare da me?- chiese con voce dolce ma allo tesso tempo sensuale. Lasciò andare il mio polso e mi afferrò per i fianchi sfiorandomi appena. –Io n.. Non sto scappando!- dissi in un sorriso.
Lui parve per un attimo divertito ma poi tornò ad essere impassibile.
-Ah no? Tu non scappi? E allora come lo definiresti quello che hai fatto l’altra volta dopo esserci baciati e questa mattina?- chiese sfiorandomi la guancia con il naso. Trattenni il fiato sentendolo così vicino e cercai il suo sguardo. Era fuoco allo stato puro.
Sollevò una mano portandola dietro la mia nuca tenendomi saldamente.
-Non scappare anche questa volta…- sussurrò sulle mie labbra un attimo prima di posarvi le sue. Diversamente dall’altra volta, questo bacio si fece da subito esigente. Mi costrinse con la lingua a schiudere le labbra e fummo avvolti dal piacere più assoluto. Le nostre lingue si rincorrevano senza sosta, le sue mani erano fuoco rovente sulla mia pelle.
Con bramosia mi accarezzava la schiena spingendomi sempre di più contro il suo petto. Allacciai le braccia dietro al suo collo e passai una mano tra i suoi capelli. Ci staccammo per un attimo con il fiato corto.
Posò la sua fronte sulla mia e fissò lo sguardo nel mio.
-No, non scapperò questa volta.- sussurrai sorprendendo anche me stessa. Lui sgranò gli occhi e le sue labbra si schiusero in un’espressione di puro stupore. Con non so quale coraggio, mi alzai sulle punte riallacciando le mi labbra alle sue, dando così vita ad un nuovo bacio ancora più travolgente.
Sorpreso da questa mia iniziativa lo sentii gemere e non ci fu suono più dolce per le mie orecchie.
Qualcuno si schiarì la voce dietro di noi e sobbalzammo separandoci. L’amico di Davide ci fissava divertito con un sorriso malizioso.
–Mi dispiace interrompere questo bacio così… così appassionato, ma noi dovremmo andare!- disse prima di andarsene lasciandoci un po’ di privacy.
Davide si voltò verso di me e arrossii. Lui sorrise e si chinò nuovamente sulle mie labbra lasciandomi un bacio nettamente più dolce.
-Ci vediamo.- disse dopo aver fatto scontrare di nuovo le nostre labbra e guardandomi. Quella che doveva essere una semplice esclamazione sembrò essere più una domanda a giudicare dal modo in cui mi stava guardando. Così annuii e con sorpresa sia mia che sua, posai di nuovo le mie labbra sulle sue.
Lui sorridendo si staccò e raggiunse l’amico.
Io mi accostai al muro e mi lasciai scivolare in terra portando una mano sulle mie labbra che si erano gonfiate per tutti quei baci. Mi ritrovai a sorridere come un ebete.
Quel ragazzo mi aveva travolta con la stessa furia di un uragano.

 
 
 


Ciao! ^_^
Ecco a voi il nuovo capitolo, che ve ne pare?
Forse vi può sembrare un capitolo sciocchino ma è preparatorio in vista del prossimo!
Vi ho lasciato molti indizi che rimandano a futuri eventi. La cosa più importante è sicuramente la festa!
Comunque che ne pensate di queste scene? Come vedete Davide e Bea?
Mentre per quanto riguarda i pareri che Bea ha su Lele e Jes? Credete che siano affrettati?
Ringrazio chi ha messo la storia tra le preferite, le ricordate o le seguite; chi ha speso qualche secondo del suo tempo per lasciare un’amabile recensione e le lettrici silenziose!
Fatemi sapere cosa ne pensate. Spero di ricevere diverse recensioni con i vostri pareri, che siano essi positivi o negativi!
Ultima richiesta: riusciamo ad arrivare a 7 RECENSIONI?
Alla prossima,
Baciiii :D
 
 
PS: come richiesto da una lettrice, per chi non conoscesse “Piccolo mondo antico” di Fogazzaro(Libro da cui ho preso una citazione la volta precedente), questa è una breve trama:
 
“Piccolo mondo antico” racconta la storia d’amore di due giovani, Franco e Luisa, che sognano di vivere in una realtà diversa. Dopo diversi ostacoli riescono a costruire il loro “piccolo mondo” avvolto da affetto ma, anche da divergenze dovute al carattere e alle diverse ideologie. Una tragedia segna la rottura tra i due: la morte dell’amata figlia Maria. Luisa cade in una cupa depressione che la consuma da dentro, mentre Franco dedica anima e corpo alla causa dell’indipendenza italiana. Solo alla fine, quando non sembra esserci alcuna soluzione a questa crisi, i due protagonisti si avvicinano nuovamente e tentano di dare un nuovo senso alle loro vite.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***




Follie
Capitolo Sei
 
 
Lasciai la borsa e la giacca all’ingresso e segui il ritmo assordante della musica ritrovandomi  in una sala colma di persona. Le luci colorate e vivace illuminavano alternativamente gli angoli bui della stanza e delineavano le figure dei ragazzi presenti, indipendentemente dal fatto che questi si trovassero seduti o addossati al bancone o che si stessero scatenando sulle note delle canzoni.
Mi guardai intorno spaesata e allungai il collo sperando di scorgere qualche volto noto, per un attimo mi sembrò anche di vedere  Jessica ma, due secondi dopo era già sparita. Afferrai i lembi del vestito e cercai di tirarlo giù il più possibile così da coprire le gambe. Mi sentivo vulnerabile vestita così, l’aria sferzava tranquilla le gambe.
Per un istante pensai di rigirarmi e tornarmene a casa. Non ero un’ amante delle feste io e quindi mi sentivo un pesce fuor d’acqua. In futuro, avrei dovuto pensarci due volte prima di seguire le pazze idee di Lele e Jes. Sinceramente non riuscivo a capacitarmi ancora di come ci fossero riusciti a convincermi ma, ultimamente,  mi ritrovavo a fare cose inaspettate.
Per tutto il giorno, diversamente da quanto sarebbe successo solo qualche mese prima, non mi ero fatta prendere dall’ansia per  questa festa. Molto probabilmente, era tutto merito di Lele e di qualche episodio che mi aveva scombussolata per tutto il tempo.
Rimasi immobile e sorrisi involontariamente ripensando a quanto era successo. Se solo qualcuno mi avesse visto in quel momento, avrebbe pensato che fossi pazza oppure, forse tutti avrebbero capito che dietro tutto ciò c’era un ragazzo.
Lele per esempio, non ci avevo messo tanto a ricollegare i fatti.

 
**
 
Mi alzai da terra e  sempre tutta sorridente, tornai da Lele. Avevo la testa tra le nuvole ed uno strano sorriso ebete disegnato sul volto. Cercai di controllarmi per non far venire qualche dubbio ad Ema ma, viste le mie condizioni, non stavo avendo un ottimo risultato.
Raggiunsi il tavolo dove lui mi aspettava paziente e mi sedetti scusandomi.
-Ce ne hai messo di tempo! Si è freddato tutto!- disse guardandomi con finto rimprovero. Mi strinsi nelle spalle e abbassai lo sguardo imbarazzata. –Scusa, non mi sono accorta del tempo che passava!- gettai  lì la più banale delle scuse ma, quando sollevai lo sguardo su di lui, lo trovai a fissarmi scettico.
-Non ti sei accorta del tempo che passava? Che c’è, hai trovato la fila?- domando con un tono divertito che, sembrava nascondere qualcosa. –No non c’era la fila ma, mi… mi sono distratta!- dissi frettolosamente.
Lui sorrise per poi fissarmi intensamente mettendomi in soggezione. –Non è che forse ma, dico forse, con il tuo ritardo c’entra qualcosa anche Davide? Sai, l’ho visto uscire frettolosamente dal bar.- disse lui riprendendo a sorseggiare il caffè e lasciandomi basita.
Lui sapeva tutto fin dall’inizio e si era semplicemente divertito a prendermi in giro. Si accorse che avevo capito ciò che aveva appena fatto e scoppiò a ridere facendomi venire un desiderio pazzesco di dargli un calcio ma, ciò non fece altro che aumentare la sua ilarità.
Aveva una risata contagiosa e mi ritrovai a ridere anche io.

 
**
 
Mi riscossi dai miei pensieri e azzardai qualche passo muovendomi instabile sui tacchi vertiginosi. Evitai i ragazzi che, scatenati al massimo, travolgevano tutto ciò che li circondava. Ridacchiai tra me e me vedendo delle persone muoversi in modo alquanto buffo.
Un tizio per esempio, se ne stava con i piedi ben piantati in terra molleggiando con le gambe ed agitando convulsamente le braccia in aria. Mentre guardavo quello, andai a sbattere contro qualcuno che, afferrandomi, mi impedì di cadere.
-Ti stavo cercando, da quanto sei arrivata?- Lele era costretto ad urlare direttamente nel mio orecchio per tentare inutilmente di sovrastare il fracasso che ci circondava. Mi districai dalle sue braccia che mi tenevano saldamente e avvicinai la bocca al suo orecchio per rispondergli ma, ci dovemmo spostare in un angolo più lontano per poter parlare più tranquillamente.
-Sono arrivata da poco…- spiegai.
Lo vidi annuire e poi sorridermi felice.
–Vestita così stai divinamente!- disse gongolante accompagnando il suo entusiasmo anche con un piccolo e teatrale applauso.
Arrossii e lui mi abbracciò. Ad un tratto si staccò da me iniziando a guardarsi intorno come se si fosse appena  ricordato di una cosa. –Io… Devo farti assolutamente conoscere una persona.- disse con voce flebile infatti, riuscii a capirlo solo leggendo il labiale. Assunsi un cipiglio confuso e incuriosito.
-Tu non ti muovere e aspettami qui. Io torno subito!- mi ordinò Lele allontanandosi tra la folla. Restai nuovamente sola in mezzo a tutta quella gente e cercai di allungare il collo per capire dove fosse sparito Lele. Lo vidi attraversare la sala ed entrare frettolosamente in un’altra.
Mi guardai intorno analizzando le facce buffe delle persone e dovetti reprimere alcune risate. Delle volte la gente si rendeva davvero ridicola; quello lo chiamavano ballare? Alcuni erano dei tronchi altri invece troppo volgari. Questo era uno dei tanti motivi che mi spingevano a non frequentare questi luoghi.
Ero consapevole di essere davvero negata per il ballo e poi, trovavo disgustoso che ragazze e ragazzi si strusciassero in questo modo lasciandosi andare pubblicamente ad atteggiamenti intimi.
Scossi la testa come per scacciare questi pensieri e mi chiesi perché Lele ci stesse mettendo così tanto.
Stavo ancora spostando lo sguardo da un punto all’altro della stanza quando venni scossa dai brividi. Procedendo con passo sicuro, Davide veniva nella mia direzione affiancato da un amico.
I pantaloni leggermente calati, la camicia lasciata leggermente aperta  che, illuminata a tratti dalle luci colorate si rivelò essere bianca. La faccia era in penombra ma, risultava impossibile non riconoscere il suo sorriso sghembo. Si era accorto anche lui di me considerando l’insistenza con cui mi fissava ma, il suo volto restò impassibile, non lasciò traspirare alcuna emozione.
Percepii l’agitazione crescere e, sebbene fossi tesa come le corde di un violino, mi ritrovai inconsciamente a sorridergli. La distanza tra di noi diminuiva a mano a mano e più volte fui costretta per qualche istante a distogliere lo sguardo. Sentivo il suo, rovente e curioso, percorrere tutto il mio corpo e non sapevo se definirlo un bene o un male.
Mi passò accanto sfiorandomi un braccio e potei giurare che non lo avesse fatto accidentalmente. Osservandolo da così vicino potei nuovamente bearmi per qualche secondo della sua bellezza. Lui mi fissò sorridendo a modo suo e mi fece un occhiolino che, mi fece fremere dall’emozione.
Mi voltai fissandolo mentre, affiancato dall’amico, raggiungeva il bancone. Accaldata ed emozionata per quella visione, dovetti appoggiarmi al muro temendo che le gambe potessero cedermi.   
Presi più volte il respiro cercando di far tornare regolare il battito del cuore che, in breve tempo, aveva preso a battere impazzito. Portai una mano alla bocca e presi a mordicchiare convulsamente le unghie dall’agitazione. Era incredibile come quel ragazzo riuscisse ogni volta ad annullare le mie facoltà intellettive.
In sua presenza mi sentivo così fragile e impotente, mi annullavo e lui diventava l’unico centro dei miei pensieri. Ero così tanto presa dall’ansia che nemmeno mi accorsi dei Lele che aveva fatto ritorno.
-….beh si insomma, forse sarò frettoloso ma lui è Giulio. Giulio lei è Beatrice, l’amica di cui ti parlavo prima.- dalla confusione non segui nemmeno il discorso di Lele riprendendomi fortunatamente per le ultime parole. Giulio? Doveva essere il ragazzo con cui  si stava sentendo.
Ema si spostò di lato lasciandomi libera la visuale. Un ragazzo biondino, con un leggero accenno di barba e di media statura, se ne stava dritto davanti a me sorridendomi emozionato.
Allungai una mano per salutarlo ma lui sui chinò su di me optando per un abbraccio caloroso. Sorpresa da quel gesto guardai Lele e lo trovai a fissarci tutto contento così, gli feci un gesto con la mano come a voler approvare la sua scelta.
Lui sembrò entusiasta di tutto questo. Giulio sciolse l’abbraccio e si portò al fianco di Lele e fui felice di vederli mano nella mano.
–Allora, Lele mi ha parlato tanto di te. Sono contento di conoscerti.- con voce rassicurante Giulio si rivolse a me senza alcuna vergogna.
-Spero ti abbia parlato bene di me, eh! Comunque il piacere è tutto mio.- dissi ricambiando il saluto.
Giulio fece per parlare ma venne interrotto da Lele che esultò con l’iniziare di una nuova canzone.
-Questa è fantastica ragazzi, dobbiamo assolutamente ballarla.- disse trascinandosi dietro Giulio. Dopo qualche passo si accorsero che io ero rimasta ferma e mi esortarono a seguirli ma dovetti declinare l’invito e Lele capendo l’antifona non insistette più di tanto.
Li osservai per un po’ divertita mentre si scatenavano in pista incuranti delle altre persone. Erano spensierati, pensavano solo a loro stessi e il giudizio degli altri era irrilevante.
 
********
 
-Mi scusi…- dissi rivolta ad una ragazza anche se, ad essere sinceri, era stata lei a venirmi contro ma, meglio evitare discussioni inutili. I ragazzi dopo aver fatto una brevissima sosta erano tornati a ballare ed io per non annoiarmi ulteriormente avevo deciso di farmi un giro.
-Beatrice?- mi voltai sentendomi chiamare e per un attimo non capii chi mi avesse chiamato.
-Beatrice!- questa volta riconobbi Valerio. Mi avvicinai al tavolino dove sedeva un mio vecchio compagno di liceo con degli amici. Lui si alzò e mi abbracciò.
–Valerio! Come va?- chiesi entusiasta di scorgere un volto noto.
-Tutto bene. Te piuttosto? Che mi racconti? Non mi ricordavo che fossi una tipa da discoteca.- disse lui divertito portando un braccio dietro la mia schiena e invitandomi ad avvicinarmi al suo tavolo.
Io lo seguii sorpresa per questa sua gentilezza. Non era mai stato un tipo antipatico ma nemmeno così tanto amichevole.
 –Io tutto bene. Comunque non ricordi male, sono qui con degli amici.- spiegai affabile fermandomi imbarazzata dinanzi al divanetto dove stavano i suoi amici.
Valerio mi sorrise e poi rivolse la sua attenzione agli amici.
–Ragazzi lei è Beatrice, una mia vecchia amica. Bea, loro sono…- disse lui perdendosi nella presentazione ma, già al terzo nome, non ero più in grado di ricollegare il nome al suo proprietario però, per educazione, sorrisi e strinsi loro la mano.
Uno di quelli si sistemò meglio facendoci posto e sempre più imbarazzata fui costretta a sedermi.
Mi misi seduta cercando di trovare una posizione comodo anche se portavo un vestito eccessivamente corto per i miei gusti. Infatti nel sedermi si sollevò scoprendo troppo le gambe e in fretta dovetti rimetterlo in ordine. Mi portai una mano tra i capelli non sapendo cosa dire e gli altri sembravano essere nella mia stessa situazione.
Ma forse ero l’unica ad essere veramente a disagio. Mi sentivo i loro occhi scrutarmi e non amavo di certo stare al centro dell’attenzione. Un amico di Valerio preso in mano la situazione e per spezzare il silenzio ci chiese come avessimo fatto a divenire amici.
Ad essere sincera, non avrei saputo come rispondere e infatti ci pensò Valerio. I nostri rapporti erano  tutti legati al contesto scolastico, eravamo compagni di classe ma, fuori dalla scuola, eravamo due perfetti estranei. Lui era uno abbastanza conosciuto, sempre in prima linea durante le assemblee, organizzava scioperi e manifestazioni, mentre io ero sempre rimasta nell’anonimato.
In questo momento invece, a stare a sentire lui eravamo come amici per la pelle. Mi sorrideva sempre ed io non potevo fare altro che ricambiare. Risposi gentilmente alle domande dei ragazzi ma mi sentivo a disagio.
Loro ridevano e scherzavano ma io non riuscivo a lasciarmi andare del tutto. Continuavano a volermi offrire qualcosa da bere ma, non essendo abituata puntualmente rifiutavo e solo alla fine, stanca delle loro continue richieste, fui costretta ad accettare un bicchiere di birra.
La sorseggiai distrattamente mentre ascoltando  li ascoltavo raccontare un aneddoto che vedeva come protagonista Valerio, quest’ultimo mi portò un braccio sulle spalle. Rabbrividii al contatto e fu come se il mio corpo protestasse aspirando al tocco di un’altra persona.
Non volendo arrossii per questi miei pensieri ma loro scambiarono il mio rossore per una conseguenza dovuta al tocco di Vele e subito iniziarono a ghignare divertiti e maliziosi.
Valerio mi stringeva sempre di più facendomi appoggiare ad un suo fianco. L’altra sua mano invece si era andata a posare sulla mia gamba lasciata scoperta dal vestito e per questo lui sembrava gradire. Io invece ero infastidita e inoltre, come se non bastasse, continuavo a sentirmi osservata, uno sguardo insistente che mi scrutava e voltai la testa cercandone il proprietario ma fu impossibile trovarlo.
Probabilmente era frutto della mia immaginazione.
-Senti Beatrice, che ne dici di scambiarci i numeri?- mi chiese Valerio riportandomi alla realtà. Lo aveva detto con voce roca come a voler sembrare sensuale ma, l’effetto ottenuto era l’opposto, era riuscito solo a mostrarsi ridicolo.
Per parlare con me si era avvicinato di più con il viso e potei sentire l’odore dell’alcool che circolava nelle sue vene. Mi porse il telefono e seppur riluttante scrissi il mio numero.
-Però io non ho il telefono con me.- dissi porgendogli il suo. Lui scosse la testa e mi disse di non preoccuparsi e che si sarebbe fatto vivo lui. Io annuii seppur poco convinta e lui ripose il telefono in tasca tornando a guardarmi.
-Sai Beatrice, questa sera sei davvero bellissima.- disse in un sorriso mentre si avvicinava sempre di più con il viso al mio. Restai impietrita non sapendo cosa fare, volevo scansarmi ma temevo di offenderlo.
Fortunatamente, i suoi amici senza volerlo lo distolsero dal suo intento. Infatti sobbalzò quando quelli iniziarono a gridare contro un tizio di loro conoscenza. Buttai fuori l’aria rendendomi conto di essere fuori pericolo e, onde evitare ulteriori episodi spiacevoli, decisi di trovare una scusa per andarmene.
-Senti Vale io credo che sia meglio che vada a cercare i miei amici, mi staranno cercando.- sputai fuori queste parole senza mai sollevare lo sguardo dal pavimento temendo che avrebbe scoperto la mia menzogna. Lui annui e sembrò per un attimo dispiaciuto ma non potevo proprio restare.
-Ok…- disse alzandosi per salutarmi. I suoi amici riportarono l’attenzione su di noi e mi salutarono anch’essi mettendomi in imbarazzo.
Con passo insicuro mi allontanai da loro e mi buttai nuovamente nella mischia diretta verso l’uscita.
Feci qualche passo ma qualcuno strattonandomi mi fermò facendomi sbattere contro il suo petto.
 Mi voltai indignata ma le parole mi morirono in gola. Quello che vidi fu uno sguardo irato. La sua mascella era rigida e mi fissava torvo. Stringeva forte il mio polso incurante che potesse farmi male. Involontariamente feci un passo indietro ma, se possibile, la sua stretta si fece ancor più ferrea.
Davide mi guardava torvo ed ero sicura che non sarei riuscita a reggere ancora il suo sguardo.
-Chi era quello?- sibilò arrabbiato. Lo guardai confusa non riuscendo a capire cosa intendesse. Inoltre, non mi spiegavo il suo comportamento, quando ci eravamo incrociati poco prima andava tutto bene invece ora sembrava avercela con me per qualche cosa. –Non..- iniziai a dire in cerca di qualche spiegazione.
-Ho detto. Chi. Era. Quello?- disse nuovamente sempre più irritato scandendo una per una le parole. Diede una stretta più forte e mi uscì un gemito di protesta. –Mi fai male…- dissi in un sussurro e lui sembrò accorgersene solo ora. Abbassò per un attimo lo sguardo prima di tornare alla carica.
Mi tirò per un braccio trascinandomi attraverso la stanza e lungo un corridoio fino ad arrivare in una terrazza. Mi fece entrare e chiuse violentemente la porta dietro di noi. Mi voltai impaurita  e lui avanzò verso di me costringendomi ad indietreggiare.
Quando mi ebbe messo con le spalle al muro impedendomi con le braccia ogni via di fuga, si chinò su di me ed io, agitata, distolsi lo sguardo. Lui, non contento di ciò, mi alzò il mento con una mano e piantò il suo sguardo nel mio.
-Te lo ripeto per l’ultima volta. Chi era quello?- disse con voce roca e per un attimo mi sembrò che la sua domanda fosse più una supplica. Mi sforzai di capirlo ma non riuscivo a trovare una soluzione.
-Non capisco! Chi?- chiesi io stremata.
-Quello! Quel coso con cui stavi prima!- disse lui irritato e vidi un lampo d’ira attraversare il suo sguardo.
-Quel coso?- iniziai a dire. Poi fui come ispirata da una possibile soluzione ma, se anche fosse stata giusta, non mi spiegavo la sua reazione.
–Valerio? Stai parlando di Valerio?- chiesi.
-Non mi interessa come si chiama. Voglio sapere chi è?- ribadì lui.  Lo guardai torva e per un po’ nessuno dei due parlò.
-Quello è Valerio, un mio vecchio compagno di classe.- spiegai irritata dal suo comportamento.
Lui sembrò rilassarsi per un attimo ma poi tornò subito alla carica.
-Un tuo compagno di classe? E che voleva da te?- domandò arrabbiato. –Ma che…- iniziai a dire io ma, il signorino esigeva delle risposte e anche subito.
-Rispondi!- tuonò deciso. Sobbalzai per il suo tono di voce e lui dovette accorgersene perché si tirò leggermente indietro lasciandomi più spazio. –Rispondi , ti prego.- sussurrò con voce roca e questa, era a tutti gli effetti una supplica.
Lo guardai per un attimo in silenzio e infine sospirai. –Niente, abbiamo soltanto parlato! Da amici.- ci tenni a precisare guardandolo negli occhi. Non sapevo nemmeno io il perché ma sentivo di doverlo fare.  Abbassai lo sguardo imbarazzata e dopo un attimo lo vidi rilassarsi in seguito alle mie parole.
-Meno male.- alzai di scatto lo sguardo quando mi parve di averlo sentito dire ciò. Lui però sembrò accorgersi di aver fatto una gaffe e tentò di mascherare il suo imbarazzo tornando impassibile.
Repressi una risata e nascosi il sorriso dietro la mano. Mi guardò per un attimo e poi sorrise anche lui.
Lo fissai incuriosita. –Perché ti interessava sapere chi fosse?- chiesi con coraggio guardandolo negli occhi. Per la prima volta fu lui a non riuscire a sostenere il mio sguardo e provai una certa soddisfazione nel vederlo così. C’era un qualcosa in me che mi spingeva a mostrarmi più sicura per una volta e decisi di seguire quel maledetto istinto.
Avanzai sicura verso di lui e alzai le braccia facendolo voltare verso di me. Lui mi fissava sorpreso da questo mio comportamento ed io gli circondai il collo con le braccia.
-Eri geloso?- chiesi con stupore sia mio che suo. Lui inizialmente sembrò spaesato ma alla fine recuperò la sicurezza. Sorrise malizioso e mi circondò la vita con le braccia facendo aderire completamente i nostri corpi. Rabbrividii a quel contatto e sorrisi come un ebete.
Lui avvicinò il volto al mio e mi sfiorò il naso con il suo.
-Io? Geloso di quel coso lì? No!- sussurrò convinto lui ed io scoppiai a ridere reclinando indietro la testa. Lui ne approfittò sfiorandomi delicatamente il collo con le sue labbra. Avvampai e fremetti dal piacere.
Lui fece per risalire lungo il collo e la mandibola ma fummo interrotti dalla porta che si apriva.
Imbarazzata mi tirai indietro ma le sue braccia intrecciate dietro la mia schiena non mi permisero di allontanarmi più di tanto.
-Scusate non ve volevo interrompe! Ma Davide dovrebbe veni un attimo con me!- disse l’amico divertito sembrando tutt’altro che dispiaciuto. Davide annuì e gli fece cenno di andare poi sciogliemmo il nostro pseudo abbraccio.
-Andiamo?- disse lui accennando con la testa alla porta. Io annuì seguendolo.
Subito ci ritrovammo a contatto con le persone che si scatenavano.
-Ci…ci vediamo dopo!- disse Davide diventato nuovamente impassibile, allontanandosi dopo aver ricevuto un  mio consenso. Lo guardi andare via con quel passo strascicato e mi morsi il labbro desiderando ancora di averlo vicino a me.
Fui travolta da una furia bionda. –Bea! Sei venuta alla fine!- disse Jessica entusiasta e brilla a causa dell’alcool che doveva aver consumato.
-Che stavi facendo?- riprese a dire lei poi seguì il mio sguardo e si accorse di Davide.
-Ti rifai gli occhi?- disse maliziosa prima di iniziare a ridere. Seppur irritata dal suo comportamento le sorrisi.
-E questo non è niente…-continuò lei senza darmi il tempo di replicare –Dovresti vedere come è nudo! Indescrivibile!- disse lei con voce roca catturando subito la mia attenzione.
La guardai incuriosita dalle sue parole ma, al tempo stesso, intimorita da quello che avrei potuto sentire ulteriormente. –Cosa?- chiesi ingenuamente.
-Te l’ho detto Bea! È un qualcosa di indescrivibile, così… così maschio!- disse lei con fare civettuolo.
-Così maschio?- chiesi scandalizzata con voce strozzata mentre qualcosa in me si incrinava inevitabilmente.
-Si!- disse con voce carezzevole. –E dovevi vederlo oggi pomeriggio!- continuò lei con uno starno sguardo.
-Oggi pomeriggio? Non capisco…- dissi io agitata e sempre più confusa.
-Si. Due ore si sesso no-stop!- disse lei prima di iniziare a ridere appoggiandosi completamente a me.
Traballai un poco sotto il suo peso ma poi riuscii a trovare un equilibrio rimettendomi in piedi mentre,  qualcosa in me si andava piegando sempre di più.
Lui e lei. Quel pomeriggio. Le idee si rincorrevano incessantemente nella mia testa.
Davide era stato con Jessica quel pomeriggio. Lo stesso pomeriggio in cui ci eravamo baciati.
Lui era stato con lei poco prima di baciare me.

 



Ciao! ^_^
Ecco a voi il nuovo capitolo, che ve ne pare?
Ad essere sincera, quello che volevo scrivere sembrava meglio ma, buttandolo giù non è venuto esattamente così! Quindi, non saprei, non mi convince molto!
Ma lascio a voi il giudizio! Allora, è arrivata la festa!
Che ne pensate del capitolo? E la rivelazione finale? Spero di non avervi deluse eh!
Ringrazio chi ha messo la storia tra le preferite, le ricordate o le seguite; chi ha speso qualche secondo del suo tempo per lasciare un’amabile recensione e le lettrici silenziose!
Fatemi sapere cosa ne pensate. Spero di ricevere diverse recensioni con i vostri pareri, che siano essi positivi o negativi!
Alla prossima,
Atarassia_

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***




Follie
Capitolo Sette


 
Confusa e addolorata mi allontanai da Jessica senza nemmeno una spiegazione. La sentivo chiamarmi ma feci finta di non sentirla e lei, dopo alcuni tentativi, tornò ad ignorarmi gettandosi nuovamente nella mischia.
Mi facevo strada tra quell’ammasso di gente scatenata che sembrava così felice e spensierata. Io, ero afflitta da mille dubbi e ancora non riuscivo a capacitarmi di quello che era successo. Mi sentivo a pezzi, tradita. Si tradita. Forse non avrei dovuto esserlo perché io e Davide non avevamo alcuna relazione ma, non potevo evitarlo.
Mi sentivo come se qualcuno mi avesse calpestata incurante del mio dolore. Immagini disgustose di loro due che si rotolavano tra le coperte mi venivano in mente e cercai inutilmente di scacciarle.
Poco prima di baciare me, le sue labbra, lui stesso era appartenuto a Jessica. Era lei che aveva baciato, coccolato, stretto tra le sue braccia. Ed io non ero stata che la seconda scelta, un momento di svago insignificante.
Una nuova scena di loro due avvinghiati mi fece salire un conato e per un attimo mi girò la testa tant’è che dovetti fermarmi per un istante. Mi appoggiai con la schiena al muro e cercai di fare dei respiri profondi così da tranquillizzarmi. Quando mi sentii più stabile, azzardai qualche passo verso l’uscita decisa ad andarmene e a lasciarmi tutto alle spalle.
Raggiunsi il bancone all’ingresso e consegnai all’inserviente il mio biglietto così da poter ritirare la giacca e la borsa. Attesi impaziente che questi la trovasse e nel frattempo poggiai i gomiti sul bancone nascondendo la faccia tra le mani. Avevo così tanta voglia di piangere e strillare delusa da tutto e tutti.
Non c’era una volta che qualcosa andasse come io volevo.
Mentre ero persa nei miei pensieri, non mi accorsi che l’addetto al guardaroba era tornato e mi aveva lasciato il tutto dinanzi per servire altri clienti. Mi ripresi e feci per indossare la giacca quando qualcuno mi interruppe.
-Vai già via?- chiese Davide alle mie spalle ed io rabbrividii. Fra tutte le persone presenti lì, lui era quello che meno di tutti avrei voluto vedere in quel momento. Tradita. Mi sentivo tradita da lui.
-Bea? Guarda che sto parlando con te?- continuò lui non ricevendo alcuna risposta da parte mia. Ero tentava di girarmi ma, non avrei avuto il coraggio di guardarlo in faccia perché sicuramente sarei crollata e non volevo permettergli di vedere la mia fragilità.
Continuai ad ignorarlo e indossai la giacca con una lentezza disumana.
-Bea?- disse lui insistente prima di posare una mano sulla mia spalla. Istintivamente mi ritrassi da quel contatto e mi voltai fulminandolo con gli occhi come  a volergli intimare di non farlo più.
Lui ritrasse la mano stupito e assunse un’espressione confusa. Per un istante mi persi nel suo sguardo. Illusa. Mi ero semplicemente illusa. Per lui era stato tutto un gioco, un divertimento.
Credeva che tutto gli fosse dovuto, pensavo solo a se stesso e poco valevano i sentimenti delle altre persone.
Ci fronteggiammo in silenzio, incapaci entrambi di dire qualunque cosa. Scossi la testa delusa e mi sistemai il collo della giacca afferrando con l’altra mano la borsa e superandolo in tutta fretta.
Ma come al solito, lui dovette stravolgere tutti i miei pieni e mi bloccò con un braccio.
-Ma si può sapere che ti prende?- disse lui stizzito. E aveva anche il coraggio di fare la parte di quello scocciato, come se avesse tutti i diritti di arrabbiarsi. Con uno scossone mi liberai dalla sua presa e sbuffai.
-Sei arrabbiata?- continuò lui impaziente dinanzi al mio silenzio ed io mi lasciai andare ad una risata amara.
- No.  Perché dovrei esserlo? – replicai freddamente per la prima volta. Lui si fece se possibile ancor più confuso e, per ben due volte, tentò senza  riuscirci di dire qualcosa. Feci un passo indietro ma la sua voce mi bloccò.
-E allora perché ti comporti in questo modo?- chiese lui con ovvietà.  Io lo guardai di traverso prima di replicare. –In che modo scusa?- chiesi fingendo di non saper nulla di quello che stava dicendo.
-Non lo so. Sei strana.- concluse lui in un sussurro e studiando la mia figura. Io alzai un sopracciglio infastidita dal fatto che nonostante tutto lui non arrivava a capire il perché del mio comportamento.
-Io sarei strana? Lascia stare!- dissi sperando di chiuderla lì e avviandomi verso l’uscita incurante di averlo lasciato da solo.
Lui ovviamente non voleva saperne di chiudere li la questione e mi seguì bloccandomi prepotentemente.
Mi tirò per il braccio facendomi scontrare contro il suo petto e per un attimo ebbi un deja-vu ricordando la pseudo- lite avuta qualche minuto prima quando, lui, sembrava essere geloso di Valerio. La situazione ora era abbastanza simile solo che, questa volta, ero io ad essere arrabbiata e la mia gelosia, mista a delusione, era dovuta a fattori reali mentre lui prima si era ingelosito per niente.
-No. Tu adesso mi dici che hai?- esclamò lui con arroganza alzando il tono di voce incurante di alcune coppiette che ci fissavano.
–Non ho niente da dirti io.- replicai stupendomi di come riuscissi a mantenermi distante e fredda.
-E allora smettila di comportarti in questo modo. Io non ti ho fatto nulla quindi cerca di darti una calmata!- sputò fuori queste parole con rabbia ed io mi agitai ancora di più.
-Con che titolo mi dici questo? Proprio tu che sei così meschino e falso!- sbottai io colpendolo ripetutamente al petto cercando di liberarmi. Lui sgranò gli occhi per un attimo prima di tornare impassibile come sempre.
-Meschino e falso? Si può sapere che ti ho fatto? Non è che hai bevuto o fumato?- chiese lui scettico e sentii le mani prudermi. L’idea di assestargli uno schiaffo non mi sembrava così brutta.
Repressi il mio istinto omicida e arrivai a capire che non ne valeva la pena di fare quella scenata per lui dal momento che si era rivelato vile e disinteressato a tutto.
Mi avvicinai al suo volto e cercai di scandire parola per parola in modo che recepisse meglio il messaggio.
-Io sto bene. Sei tu quello che ha dei problemi. E la prossima volta se dopo essere andato a letto con qualcuno non ne hai abbastanza, non ti azzardare a venirmi a cercare perché io non ci sto più!- esclamai sentendolo irrigidirsi e con le lacrime agli occhi mi allontanai fuggendo per le vie della città.
 
********
 
-…grazie mille. Arrivederci.- salutai gentilmente i clienti e appena questi svoltarono l’angolo potei smettere di fingere e cancellai subito il sorriso falso che da due giorni a quella parte mi costringevo ad assumere.
Il mio umore era sempre sotto le scarpe. Provavo a non pensare a tutto quello che era successo tra Davide e Jessica ma, inevitabilmente succedeva sempre qualcosa che faceva riaffiorare i ricordi. Lele cercava di farmi sorridere distraendomi con le sue disavventure e di tanto in tanto riusciva a strapparmi qualche risata.
La sera prima poi, era venuto a trovarmi all’appartamento con Giulio e, anche quest’ultimo, cercava di confortarmi come meglio poteva. Jessica, ignara di tutto, mi aveva chiamata più volte ma, se la prima volta le avevo risposto e avevo fatto finta di nulla, poi avevo deciso di staccare il telefono e rendermi irrintracciabile.
Erano stati due giorni di fuoco, ogni minima cosa bastava a tirarmi giù e delle volte, nemmeno la lettura o un bel film riusciva a risollevarmi il morale. Il lavoro sembrava essere l’unica soluzione in quanto, lavorando, ero costretta a fingere di stare bene e trattare con gentilezza i clienti così non avevo modo di rintanarmi in qualche angolo e deprimermi.
Feci il giro della biblioteca due volte, controllando che tutto fosse in ordine e che nessuno stesse arrecando danni ai libri o semplicemente disturbando le altre persone.
 La situazione sembrava sotto controllo e così potei tornare alla mia postazione centrale dove c’era da registrare qualche nuovo arrivo. Mi misi subito all’opera e per qualche ora non ebbi modo di pensare a cose negative. Alla fine del turno raccolsi con sollievo tutta la mia roba felice di poter fare ritorno a casa e magari farmi un bel bagno caldo.
Mi affrettai a salire sull’auto che per un soffio non avevo perso e in breve fui davanti al mio palazzo.
Il cielo si era annuvolato e probabilmente di lì a poco sarebbe venuto giù un’ acquazzone. Come al solito non riuscivo a trovare le chiavi del portone nella mia borsa e dovetti appoggiarmi ad una panchina per svuotarla nella speranza di trovarle. Trovai di tutto: fazzoletti, matite, occhiali, fogli, fermacapelli,bracciali e altre cianfrusaglie che credevo di aver perso ma, delle chiavi nemmeno l’ombra.
-Cercavi queste?- sobbalzai portandomi una mano al cuore quando una mano che stringeva il mazzo di chiavi tanto ricercato comparve nel mio campo visivo. Mi girai guardando male Lele che nel frattempo se la rideva. –Mi hai fatto prendere un colpo!- esclamai e lui mi scompigliò i capelli con una mano mentre con l’altra mi diede un buffetto sulla guancia.
-Tieni, ti erano cadute mentre svuotavi la borsa.- disse passandomi le chiavi e, dopo aver ripreso tutte le mie cose, ci avviamo in casa. Entrammo e lui come se fosse in casa propria, senza fare troppi complimenti, andò a sdraiarsi sul divano.
Alzai gli occhi al cielo e lo lasciai fare. Presi un bicchiere d’acqua e lo raggiunsi raggomitolandomi tra le sue braccia. Poi insieme prendemmo un giornale abbandonato sul tavolino e iniziammo a sfogliarlo in cerca di un possibile appartamento da affittare dato che il tempo a disposizione che avevo per rimanere in quello attuale, andava via via diminuendo.
-Guarda questo sembra carino.- disse Ema indicandomi un annuncio a fine pagina.
-Ma si trova a Pisa!- replicai io correggendolo. –Shh, facciamo finta che non sia successo nulla!- disse lui tentando di camuffare la gaffe fatta ed io risi per la sua sbadataggine.
Prendemmo nota di alcuni appartamenti che rimanevano un po’ fuori mano ma almeno i costi erano accettabili. Dopo circa una mezz’ora Lele si offrì volontario per aiutarmi ad impacchettare le mie cose, così ci ritrovammo a riempire i primi scatoloni. Anche se prima del trasferimento ancora c’era del tempo, preferivo portarmi avanti con i preparativi così da non ridurmi a fare tutto all’ultimo secondo.
Mettemmo via alcuni libri ed abiti che erano fuori stagione. Poi, dal momento che si erano fatte le otto e fuori il tempo era davvero pessimo, optammo per ordinare una pizza e invitai Ema a fermarsi a dormire da me. Lui acconsenti e corse subito a chiamare Giulio visto che non lo sentiva dalla sera prima.
-Giù, come va?- chiese lui tutto emozionato e sorridente come se Giulio fosse davanti a lui. Non potei sentire la risposta di quello ma, a giudicare dall’espressione di Lele, doveva aver detto qualcosa di buffo.
Sorrisi sentendolo il resto del loro discorso e chiamai la pizzeria mentre cercavo di riordinare la pila di fogli in bilico sullo scaffale. Proprio in quel momento suonarono alla porta e così, con il telefono incastrato tra la spalla e l’orecchio e le mani impegnate, mi precipitai a vedere chi fosse a quell’ora.
Aprii distrattamente la porta perché proprio in quel momento il tizio della pizzeria si decise a rispondere ed io sobbalzai facendo finire il telefono in terra. Quando alzai lo sguardo sulla persona rimasi basita e non seppi cosa fare.
-Che ci fai tu qui?- chiesi in un sussurro mettendo fine alla chiamata con un gesto secco. Mi alzai da terra frapponendomi tra lui e l’ingresso della casa come a volergli impedire di entrare.
-Dopo l’altra sera mi sembrava opportuno parlare.- replicò Davide gesticolando. Guardai distrattamente in casa sperando che Lele non ne avesse ancora per molto così, forse, mi avrebbe tirato fuori da quella situazione imbarazzante.
-Come sapevi che io abito qui?- chiesi in un attimo di lucidità. Lui si strinse nelle spalle e cercò di sfuggire al mio sguardo. Temetti di non voler conoscere la sua risposta e difatti non fui delusa.
-Jessica…-si lasciò sfuggire chinando il capo e perdendosi così la mia espressione risentita.
Come avevo fatto a non pensarci prima? Era ovvio che fosse quella la risposta.
Mi lasciai andare ad una risata amara.
–Già che stupida. Era ovvio che te lo avesse detto Jessica!- dissi guardandolo con astio e lui incassò il colpo senza fiatare.
-Senti Bea, io davvero non capisco perché tu te la sia presa in questo modo! Quindi parliamone.- replicò lui mandandomi su tutte le furie. Quindi, per lui, andare con una ragazza e poi baciarne subito dopo un’altra era una cosa normale. E poi questo era tutto quello che sapevo io, probabilmente c’era anche qualche altra ragazza. Per lui non era un problema usare le persone, faceva il cascamorto, ci provava con tutte e si divertiva.
-Certo che sei strano. Ma, se questo è tutto quello che sai dire, vattene!- dissi dura e feci per rientrare in casa e chiudere la porta ma, il suo piede mi impedì di farlo.
Provai a spingerlo via ma non ci riuscii e così spalancò la porta. Dovemmo aver fatto molto baccano perché Ema si precipitò da noi e, i due ragazzi, si fissarono  entrambi con sorpresa.
-Tutto bene qui?- chiese Lele staccando per un attimo l’orecchio dal telefono. Io annuii anche se speravo che potesse capire che avevo bisogno di lui in quel momento ma, il signorino Davide, rivelandosi nuovamente per quello che era, lo scacciò malamente.
-Sparisci!- gli intimò, accompagnando la parola con un gesto brusco. Lo guardai stupita. Pretendeva di comandare anche in casa mia. Lele risentito fece per tornarsene nell’altra stanza ma io, giunta al limite della sopportazione, sbottai.
-Non ci pensare nemmeno ad andartene tu.- dissi bloccandolo prima che lasciasse la stanza e voltandomi verso Davide pronta come non mai a fronteggiarlo.
-Chi pensi di essere è? Così arrogante e menefreghista! Sei tu quello che deve sparire quindi, prendi le tue cose e vattene!- continuai colpendolo con dei pugni sul petto e costringendolo ad indietreggiare.
Lui mi bloccò i polsi ed io mi ritrovai troppo vicina a lui.
-Ti prego…- sussurrai con voce spezzata e, qualcosa nel mio tono di voce dovette convincerlo perché non se lo fece ripetere due volte e se ne andò chiudendo con tonfo la porta al suo passaggio.
Restai immobile a fissare la parete, sentivo di stare per perdere il controllo e Lele mi lasciò fare.
Mi appoggiai con la schiena alla porta e mi lasciai scivolare in terra scossa dai singhiozzi. 
-Stai tranquilla, vedrai che si sistemerà tutto.- mi consolò Lele stringendomi tra le sue braccia.
 
********
 
Lasciai l’università stringendomi nel cappotto e riparandomi sotto l’ombrello. La pioggia cadeva copiosa e il vento soffiava piegando i rami degli alberi. Attraversai la strada per rifugiarmi nel bar in attesa di una tregua. Mi sedetti vicino al bancone ordinano un caffè e  attesi con pazienza l’ordinazione sfogliando distrattamente una rivista.
-Bea? Finalmente! Sono alcuni giorni che non ci sentiamo e sto seriamente iniziando a pensare che tu voglia evitarmi.- disse Jessica travolgendomi in un abbraccio e sedendosi al mio tavolo.
-Ma no! Perché mai dovrei evitarti?- dissi fingendo e mettendo su un sorriso falso.
Lei rise con fare civettuolo e si liberò della giacca e della sciarpa, scoprendo il collo su cui, in bella vista, c’era un succhiotto. Repressi la domanda spontanea che stavo per farle, intuendo che forse non avrei voluto conoscere l’autore di quel lavoro perché avrebbe potuto farmi male.
Così abbassai lo sguardo fingendo di non essermene accorta e trasferii tutta l’attenzione sulle unghie della mia mano. Jessica non si accorse di nulla o fece finta di non aver visto nulla e, come se niente fosse successo, prese a  raccontarmi di tutto quello che le era successo in quei giorni.
Mi raccontò anche della sua ultima conquista: un ragazzo incontrato per i corridoi dell’università con cui si era già data da fare. Mascherai tutta la mia irritazione ed indignazione con sorrisi e risatine false, ponendo le solite domande di circostanza.
Più il tempo con lei passava, più mi veniva voglia di gridarle contro che orribile persona fosse e andarmene ma, un po’ per l’educazione ricevuta, un po’ per la mia timidezza, rimasi zitta trattenendo tutto dentro.
La sua presenza mi irritava e davvero non capivo come Lele potesse esserci amico. Erano due persone completamente diverse: lui così dolce e simpatico, sempre pronto a darti una mano, mentre lei era così lei.
Tollerai ancora per qualche minuto la sua compagnia, poi, giunta al limite, finsi di essermi ricordata all’ultimo minuto di un impegno e che quindi dovevo andare via. Lei mi salutò tutta sorridente facendomi promettere di non scomparire nuovamente.
 
********
 
Eravamo a casa di Giulio che aveva invitato me e Lele per trascorre una serata diversa. Ci eravamo seduti in salotto, chi sul divano, chi sui pouf, e stavamo mangiando le ordinazioni del ristorante cinese. Quei due insieme erano un qualcosa di esplosivo, insieme si compensavano: Lele un po’ più bambinone e Giulio quello più maturo. Quest’ultimo ci stava raccontando di alcuni episodi divertenti che lo avevano visto protagonista ed io mi stavo sentendo male dal ridere.
-….eravamo in casa sua e non facemmo in tempo nemmeno a chiudere la porta che lei già mi aveva buttato le braccia al collo e cercava di baciarmi. Era peggio di una piovra, così appiccicosa che non sapevo come liberarmene. Alla fine, dopo non so quanto, sono riuscito a levarmela di dosso e dovevate vedere la sua faccia quando le ho detto di essere gay. È diventata bordeaux e ha iniziato a balbettare!- disse lui sorridendo e io, guardando Lele, scoppiai nuovamente a ridere.
-Ok, sparecchiamo?- disse Lele che fu il primo a riprendersi e si alzò senza attendere una risposta ma noi lo seguimmo a ruota.  Ognuno di noi prese il proprio cartoccio e andammo in cucina per buttarlo e lavare gli ultimi impicci. Mentre stavo dando una pulita al tavolino, mi giunse la voce di Giulio dall’altra stanza.
-Ora che ci ripenso, Lele mi ha accennato la questione del tuo appartamento. Se vuoi, puoi venire a stare da me, mi farebbe piacere. E poi, non dovresti pagare nemmeno le spese dell’affitto, ma tutto quello che vorrei è un aiutino per mantenere in ordine l’appartamento e una mano nei vari mestieri di casa.- disse comparendo sullo stipite della porta. Mi guadai intorno e potei  constatare che si trattava di un bel posto e, considerate le condizioni poste da Giulio, era un’offerta da non lasciarsi scappare.
Corsi verso di lui e lo strinsi in un abbraccio caloroso.
-Grazie, grazie, grazie! Ti prometto che ci penserò!- dissi gioiosa e lo sentii ridere mentre Lele, alle nostre spalle, sorrideva contento del rapporto che si stava creando tra di noi.
Dopo aver parlato un poco della questione del trasferimento, ci trasferimmo nuovamente in salotto accendendo la televisione dove stavano trasmettendo “Gli ostacoli del cuore”. Durante le prime scene, fummo disturbati dal suono del mio cellulare e imbarazzata, dopo essermi scusata con i due, risposi senza prestare attenzione al mittente.
-Pronto?- sussurrai per non disturbare ulteriormente.
-Bea? Ciao sono Vale!- disse Valerio con voce squillante ed era probabilmente costretto ad urlare per sovrastare tutto quel rumore in sottofondo.
-Valerio?- dissi sorpresa e attirando l’attenzione di Giulio e Lele che  abbassarono prontamente l’audio della televisione e mi invitarono a mettere il vivavoce. Avevo parlato di Valerio con Ema e lui, sicuramente, aveva raccontato tutto a Giulio.
-Ti disturbo?- chiese quello e senza ricevere una risposta da parte mia, riprese a parlare. –Sai, mi ha fatto piacere incontrarti l’altra volta e così, volevo chiederti se ti andava di vederci una di queste sere?- chiese Valerio con la sua parlantina e io rimasi spiazzata non sapendo cosa dire.
Alzai gli occhi e incontrai Giulio e Lele che mi incitavano ad accettare, scossi per un attimo la testa tentennando ma, Lele, mi puntò il dito contro con fare minaccioso come a volermi far capire che il suo non era un suggerimento ma un ordine.
-Ok, va bene!- accettai alla fine sconsolata e sentii Valerio lanciare un’esclamazione felice dall’altro lato del telefono.
-Perfetto, allora ti chiamo domani così ci mettiamo d’accordo!- disse lui contento e augurandomi la buonanotte, pose fine alla chiamata.
Posai il telefono sul tavolino e mi lasciai sprofondare nel divano sentendo gli sguardi di quei due costantemente su di me.
-Ok, adesso spiegatemi perché ho accettato di uscire con Valerio.- dissi guardandoli e, mentre Giulio si strinse nelle spalle, Emanuele mi guardò divertito portando un braccio dietro alle mie spalle.
-Perché così cambierai aria e per una sera non penserai ad altro. E chissà, magari scoccherò la scintilla e tu la smetterai di pensare a quel bell’imbusto!- spiegò in modo affabile e io lo guardai dubbiosa.
Avevamo quindi adottato la teoria del chiodo scaccia chiodo.
Ma, avrebbe funzionato?

 



Ciao! ^_^
Finalmente la scuola è finita ed io ho più tempo da dedicare ad Efp!
Prima di tutto, volevo scusarmi per il ritardo ma, come sapete, i troppi impegni mi impedivano di aggiornare.
Comunque, ecco a voi il nuovo capitolo, che ve ne pare? Spero di non avervi deluse, eh!
Abbiamo diverse questioni su cui riflettere:
  • Un primo confronto tra Davide-Beatrice;
  • L’amicizia tra Lele e Beatrice;
  • Il rapporto Giulio-Lele;
  • Un secondo confronto tra Davide e Beatrice;
  • La questione del trasferimento;
  • Il comportamento di Jessica.
Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione!
Ringrazio chi ha messo la storia tra le preferite, le ricordate o le seguite; chi ha speso qualche secondo del suo tempo per lasciare un’amabile recensione e le lettrici silenziose!
Fatemi sapere cosa ne pensate. Spero di ricevere diverse recensioni con i vostri pareri, che siano essi positivi o negativi!
Alla prossima,
Atarassia_

 
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***




Follie
Capitolo Otto


 
Lanciando un’ ultima occhiata all’orologio appeso alla parete, uscii di casa in tutta fretta maledicendomi per essermi addormentata durante la proiezione del film  ed essere quindi in ritardo.
Feci di corsa le scale salutando gentilmente la signora del primo piano che stava spazzando il pianerottolo.
Non appena fui davanti al portone del palazzo, vidi l’auto ripartire dalla fermata e così sconsolata dovetti accettare di averlo perso. Sarei dovuta andare  a piedi e quindi non sarei arrivata puntuale all’appuntamento. Abbottonai bene la giacca e guardai in entrambe le direzioni prima di attraversare la strada.
Salutai alcune facce conosciute e feci lo slalom tra i turisti curiosi e i cittadini frettolosi.
Fortunatamente il semaforo era verde e così attraversai la strada accelerando il passo. Dopo circa una mezz’ora di cammino, intravidi da lontano la recinzione del campo da calcio e, a giudicare dai rumori e le incitazioni del pubblico, la partita doveva essere già iniziata.
Quasi correndo percorsi la strada e mi arrampicai sulle tribune in cerca di una postazione favorevole ad una buona visione del gioco. Mi sedetti vicino ad un gruppo di ragazze e subito rivolsi lo sguardo verso il campo cercando di individuare tra i giocatori anche Manuel.
Quella era una partita molto importante per mio fratello e lui mi aveva fatto promettere di andarlo a vedere. Giocava come attaccante e andava fiero del suo ruolo.
Aveva anche confessato di aver paura perché ci sarebbe stato qualche osservatore e lui, desideroso di essere notato da qualcuno, si era fatto prendere dall’ansia ma, ero sicura che alla fine se la sarebbe cavata.
In quel momento era lui in possesso della palla e lo vidi dirigersi verso la porta avversaria. Schivò alcuni giocatori e, in ultimo, passò la palla ad un compagno permettendogli di segnare. Seguendo il resto degli spettatori mi alzai per esultare insieme alla squadra e, non appena mio fratello volse lo sguardo sulle tribune, agitai il braccio per farmi vedere.
Quando si accorse di me, sorrise tutto contento e riprese la sua corsa.
 
********
 
Terminata la partita, lasciai la mia postazione e mi diressi verso lo spogliatoio dove, mamme e fidanzate, attendevano l’uscita dei giocatori. Restai in disparte addossata alla rete del campo e scrissi un messaggio alla mamma per dirle che, prima di tornare a casa, avremmo fatto un giro.
Un applauso che si levò nell’aria mi fece sobbalzare e, alzando lo sguardo, mi accorsi che erano state aperte le porte dello spogliatoio e che i primi giocatori della squadra vincente stavano uscendo.
Mi alzai sulle punte cercando si scovare mio fratello ma dovetti attendere ancora qualche minuto prima di vederlo finalmente arrivare. Gli corsi incontro congratulandomi con lui per il risultato ottenuto e il gol segnato negli ultimi minuti.
Salutammo il mister e i suoi amici per poi dirigerci verso casa.
-Allora? Sei contento del risultato?- chiesi io spettinandolo tutto. Lo vidi avvampare, raggelarmi con un’ occhiataccia e guardarsi intorno prima di risistemarsi in tutta fretta. Lo fissai stupita.
-Che c’è?- chiese lui accorgendosi del mio sguardo.
-Ti vergogni di tua sorella?- domandai con tono dispiaciuto.
Manuel mi guardò di rimando e poi fissò qualcosa, o meglio, qualcuno alle mie spalle e arrossì impercettibilmente. Mi voltai anche io e vidi un gruppo di ragazze che sostavano all’angolo della strada. Ridacchiavano tra loro e confabulando ogni tanto si voltavano verso di noi.
Spostai i capelli, che il vento aveva scosso, dietro l’orecchio e mi voltai verso mio fratello che in quel momento stava guardando per terra. Sorrisi intuendo il suo imbarazzo; evidentemente di tutte quelle ragazze della sua età lui provava attrazione per una di loro.
E poi si sa, per molti,  verso i quindici anni o per qualcuno anche prima, iniziano i primi confronti con il sesso opposto. I primi sguardi, i cuori che iniziano a battere impazziti, i primi imbarazzi, le prime cotte. Tutte piccole esperienze che aiutano a crescere, che potrebbero farti vivere momenti speciali o spesso illuderti.
-C’è qualcuna che ti piace?- chiesi divertita ma allo stesso tempo intenerita per la sua espressione.
 Sollevò la testa sgranando gli occhi e negando tutto con molta enfasi. Trattenni una risata dinanzi all’evidente e annuii come per fargli credere che mi avesse convinto.
-Certo, certo. Allora? Vogliamo andare?- dissi avviandomi in direzione di quelle ragazze.
Lo sentii trattenere il respiro e poi seguirmi in fretta; raddrizzò le spalle come a voler sembrare più muscoloso e si sistemò la giacca. Continuai a reprimere un sorriso e mi venne voglia di strizzargli le guance per quanto mi sembrava tenero.
Con passo sicuro passammo davanti a quelle ragazze che avevano smesso di parlare tra loro e ridacchiavano.
-Ciao Manuel.- disse una di loro. Mi girai a guardarla, era bassina, i capelli rossicci lasciati sciolti e un sorriso timido. Manuel si girò e le sorrise altrettanto timidamente ricambiando il saluto.
-Ciao Alessia.- disse facendole un cenno con il capo e cercando di mantenere un atteggiamento da duro.
Le amiche di lei ridacchiarono ancora più forte e sussurrarono qualcosa che però non compresi visto che lei ne colpì una allo stomaco con una gomitata e, di conseguenze, tutte le altre ammutolirono.
Passammo oltre e le lasciammo alle nostre spalle. Quando raggiungemmo un incrocio, guardai di sottecchi Manuel che si era perso nei suoi pensieri e non mi stava prestando alcuna attenzione.
-Sai che è proprio carina questa Alessia.- dissi facendo finta di niente e lui cadde dalle nuvole per poi abbozzare un sorriso . Lo guardai compiaciuta.
-Vedi di comportarti bene!- dissi ammonendolo e lui subito alzò le mani in difesa come a voler dire di non avere nessuna cattiva intenzione.
Tra una chiacchiera e l’altra raggiungemmo un bar che rimaneva sulla strada di casa e decidemmo di prenderci qualcosa anche se di lì a poco avremmo cenato.
Manuel lasciò il borsone sotto il tavolino e ci sedemmo in attesa delle ordinazione. Mi complimentai con lui nuovamente per la partita e dissi che a casa ne sarebbero stati contenti. Lui sbuffò e lo guardai incuriosita.
-Papà.- disse esasperato. 
Già, papà e il suo carattere burbero che pretendeva di stabilire in tutto e per tutto la vita di mia fratello. Per lui andava bene il calcio ma non poteva divenire un lavoro.
Un uomo un po’ all’antica il mio papone ma, se ciò per me non aveva costituito un grande problema, per Manuel era il contrario. A casa tra i due era un continuo litigare, si dovevano sempre contraddire e sminuire tra di loro.
-Che ha fatto questa volta?- chiesi intuendo il suo disagio.
-Pretende che io non venga più agli allenamenti solo perché ho preso un cinque in matematica!- spiegò lui infervorato agitando le braccia così da far girare alcune persone sedute lì vicino. Cerca di calmarlo e poi ringraziai il cameriere che ci aveva serviti.
-Non te la devi prendere. Lo sai che è fatto così e non ci possiamo fare niente ormai. L’unica cosa che ti resta da fare, è impegnarti di più a scuola.- dissi cercando di farlo ragionare e arrivare a trovare una soluzione. Lui alzò le spalle con fare annoiato.
-Ma perché? A me non piace la scuola!- disse frustrato. Lo guardai severa portando le mani sui fianchi nello stesso modo in cui faceva la mamma ma, diversamente da lei, non dovevo incutere molto terrore.
-Manuel!- esclamai rimproverandolo.
-Che c’è? È vero! Sei tu quella studiosa, non io.- replicò lui come se niente fosse e posando il bicchiere sul tavolino. Alzai gli occhi al cielo intuendo che quella era una battaglia persa già in partenza. Guardai l’orologio e essendosi fatta una certa ora, raccogliemmo le nostre cose per rientrare a casa.
 
********
 
-Tesoro mi passeresti l’acqua!- mi chiese mia madre e subito gliela passai.
Lei mi ringraziò accarezzandomi la mano e poi si voltò verso mio fratello.
-Allora Manu, che mi dici della partita?- chiese affettuosamente e con la coda dell’occhio vidi mio padre irrigidirsi. Man mano che mio fratello faceva un resoconto di tutto quello che era successo si faceva sempre più scuro in viso e grugniva infastidito.
Noi tre, conoscendolo, facevamo finta di niente.
-…e poi dopo il passaggio di Ricci sono riuscito a segnare!- concluse mio fratello orgoglioso e la mamma fece per complimentarsi con lui ma, papà, scelse proprio quel momento per rovinare tutto.
 -E quando pensi di metterti a studiare?- ci interruppe con il suo vocione burbero.
Manuel alzò gli occhi al cielo e contrasse la mascella, la mamma lo guardò dispiaciuta. Io bevvi un po’ d’acqua cercando di estraniarmi.
-Non rompere!- replicò mio fratello con strafottenza. Sobbalzai al suono del pugno che mio padre sbatté con violenza sulla tavola facendo rovesciare la saliera.
-Non ti azzardare a rispondere in quel modo ragazzino! E adesso fila in camera tua e scordati il calcio!- disse tutto concitato facendosi rosso in viso.
Mio fratello si alzò di scatto rovesciando la sedia e si allontanò dalla sala pranzo con un bel “Vai al diavolo!”.
Per un po’ restammo in silenzio e furono udibili solamente lo stridere delle posate sui piati e i nostri respiri.
-Bea, hai risolto per la questione dell’affitto?- domandò mia madre cercando si salvare il salvabile ed io mi ricordai che non avevo ancora detto loro le ultime novità e per questo mi affrettai ad aggiornarli.
-Si, ho parlato con degli amici e ormai è quasi certo che ho trovato un nuovo posto. Si tratta di un appartamento carino che non rimane molto distante e poi, i prezzi sono davvero convenienti.- spiegai saltando volutamente la questione di Giulio e del fatto che fosse gay dal momento che forse non lo avrebbero apprezzato.
-Questi “amici”, sono persone affidabili?- chiese mio padre con tono più neutro rispetto a quello usato poco prima. Sperai che non capissero la mia bugia e facendo la vaga annuii ma, evidentemente, la troppa fiducia che riponevano in me li confuse e non si accorsero di nulla.
-Prima o poi li voglio conoscere!- concluse mio padre ponendo fine alla questione. Sollevata mi lasciai andare ad un sospiro tanto, avrei avuto tempo per trovare una soluzione tangibile.
 
********
 
Dopo cena i miei non ne vollero sapere di lasciarmi tornare a casa da sola e mio padre si offrì di accompagnarmi in macchina. Abbracciai mia madre e feci un cenno a mio fratello che era troppo preso dal computer per venirmi a salutare.
Seguii papà per le scale della palazzina e una volta fuori, mentre lui andò a prendere l’auto, io andai a buttare la spazzatura. Mi distrassi guardandomi intorno: il giardino, le altalene.
Mi rivennero in mente ricordi della mia infanzia: i barbecue durante le calde sere d’estate, i bagnetti con gli altri bambini nella piscina gonfiabile che la mamma montava insieme ad un’altra signora del condominio.
Il suono del clacson mi riportò alla realtà e, cullando i miei ricordi, andai incontro a mio padre.
Montai in macchina e lui subito partì accendendo i riscaldamenti. Sprofondai nel sedile beandomi di quel caldo e quasi non riuscivo a tenere gli occhi aperti per il sonno. Mio padre impostò la radio su un notiziario e questo non mi agevolava proprio nella mia situazione; più volte fui sul punto di crollare ma, alla fine, mi ridestavo sempre.
Osservai la fila di edifici che oltrepassavamo, le luci che illuminavano Bologna la notte, gruppetti di persone che passeggiavano. Ci fermammo ad un semaforo e aprii di poco il finestrino giusto per non far appannare il vetro.
Così facendo, sentimmo gli schiamazzi di un gruppo di ragazzi e ragazze che stavano seduti nella panchina del parco all’angolo della strada. Ridevano e a tratti gridavano. Qualcuno di loro stava fumando e altri avevano in mano delle bottiglie presumibilmente di birra.
-Gioventù bruciata.- commentò mio padre disgustato e mi accorsi che anche lui aveva lo sguardo rivolto verso quei ragazzi. Il semaforo divenne verde e lui ripartì.
Mi voltai per un ultima volta a guardarli e rimasi di sasso. Una delle ragazze era Jess. Stava ridendo e aveva tra le dita quella che presumevo e speravo fosse una semplice sigaretta. Uno strano presentimento ma anche il desiderio che le cose non fossero come io pensavo, mi spinse a controllare rapidamente i volti delle altre persone. Mi tranquillizzai quando realizzai che in nessuno di loro avevo riconosciuto lui.
La brusca frenata di mio padre mi distrasse e volai in avanti per poi essere sbalzata nuovamente contro il sedile dalla cintura di sicurezza. Mi portai una mano al cuore dallo spavento e scostai dal viso i capelli che lo spostamento improvviso mi aveva scompigliato.
-Disgraziati! Non vedete che per i pedoni il semaforo è rosso!- inveì mio padre contro dei ragazzi che scoppiarono a ridere. Il mio babbo si sporse dal finestrino e intimò loro di cambiare atteggiamento sottolineando il fatto che fossero dei grandissimi maleducati.
-Ehi nonno, non è ora di andare a nanna?- rispose strafottente e divertito uno di quelli scatenando l’ilarità dei compagni. Mio padre si imbestialì e spegnendo la macchina scese di corsa dall’auto.
Preoccupata per lui, lo richiamai invitandolo a non fare pazzie ma non mi diede ascolto. Tolsi la cintura di sicurezza in modo da poter intervenire prontamente in caso di pericolo e mi sporsi in avanti quasi con il volto appiccicato al finestrino.
Vidi mio padre avvicinarsi pericolosamente allo stesso ragazzo che prima gli aveva dato del “nonno” e  a giudicare dal suo passo era davvero irritato, pronto a scoppiare.
I ragazzi dietro di lui ridevano spalleggiandosi a vicenda e, in quel momento, ebbi davvero paura per lui.
Portai una mano sulla portiera pronta ad uscire ma, mi trattenni ancora per qualche secondo nella speranza che si calmassero.
-Che vuoi fare nonnetto?- chiese uno di loro e mio padre non resse. Alzò un braccio spintonando il ragazzo che barcollò appena ridendo e fece dei passi in avanti come a voler vendicarsi con papà per il gesto subito.
Frettolosamente scesi dall’auto e mi sporsi oltre la portiera.
-Papà!- lo richiamai terrorizzata e tutti si voltarono verso di me.
-Torna in macchina Bea, non è niente.- disse lui trattandomi come se fossi una bambina ingenua e non avessi visto nulla.
-Si tesoro, torna in macchina!- gli rifece il verso un ragazzo per poi scoppiare a ridere insieme agli amici.
-Ragazzi basta. Non ne vale la pena.- disse uno di loro e io sgranai gli occhi. Accanto al tizio che stava avendo un confronto con mio padre c’era proprio lui.
Probabilmente prima, troppo presa dalla situazione, nemmeno ci avevo fatto caso ma ora, nonostante la poca luce emanata dai lampioni, mi rimaneva impossibile non identificarlo.
Davide pose una mano sul petto dell’amico e lo spinse verso il parco. Mio padre tremando dalla rabbia risalì in macchina mentre io rimasi interdetta a fissare il vuoto.
-Beatrice! Sali in macchina, per favore.- mi intimò mio padre e subito obbedii. Ripartimmo e ancora una volta, mi voltai e lo trovai a seguire il percorso della macchina con lo sguardo.
Con il cuore in gola che batteva più veloce del solito, poggiai la testa al sedile e chiusi gli occhi nella speranza di non pensare più a nulla.
 
********
 
-Non ci penso proprio Lele, è troppo corto!- dissi fissando la mia immagine riflessa dallo specchio. Feci un giro su me stessa constatando che in quel modo proprio non potevo uscire: ad ogni minimo movimento il vestito tendeva a salire sempre di più.
-Fammi vedere.- disse lui entrando in bagno e fissandomi con fare inquisitorio. Mosse la mano indicandomi di fare qualche passo e poi fece una smorfia.
-C’è qualcosa che non mi piace.- annunciò al termine del suo esame e pensai che finalmente si fosse accorto che quello non era il mio genere.
-Le scarpe!- esclamò all’improvviso facendomi sobbalzare e senza nemmeno chiedere un mio parere mi trascinò in camera facendomi sedere sul letto e cercando un paio di scarpe adatto.
-Bea è tutto qui quello che hai?- chiese deluso dalla ricerca che non aveva dato i frutti sperati.
Quando mi vide annuire chiamò la mia coinquilina e insieme si misero a confabulare escludendomi sebbene l’oggetto delle loro chiacchiere fossi io.
-Dovrei averne alcune adatte a quel vestito.- disse lei uscendo dalla mia camera e tornando poco dopo con tre paia di scarpe dal tacco vertiginoso. Distolsi lo sguardo sconsolata e lo posai sul cellulare che si era illuminato per l’arrivo di un messaggio.
Lo afferrai e senza nemmeno vedere il mittente lo aprii.
Tra dieci minuti sono lì da te! J
Quel messaggio invece di rallegrarmi come normalmente sarebbe dovuto succedere, mi gettò ancora di più nello sconforto. Ripensai che forse non avrei dovuto accettare l’invito di Valerio perché mi ero accorta di non essere interessata per niente a lui.
Non era a lui a cui pensavo, non era lui che mi faceva provare anche una minima emozione.
Notai che nella stanza era sceso il silenzio e alzai la testa ritrovandomi sola con Lele che mi fissava così gli mostrai il cellulare e lui batté le mani più emozionato di me per quell’appuntamento.
-Dai prova queste.- esclamò passandomi un paio di scarpe nere semplici ma con il tacco troppo alto. Le indossai e barcollante mi alzai dal letto per andarmi a vedere allo specchio. Nel frattempo sentii Sabrina che era andata ad aprire la porta, tornare da noi in compagnia di qualcuno e sperai vivamente che non fosse già Valerio.
-Bea, stai benissimo vestita così.- disse Sabri gentilmente.
-Concordo!- esclamò Jess alle sue spalle facendo precipitare ulteriormente il mio umore già nero.
-Dove andiamo di bello?- chiese lei credendo di fare la simpatica ma, personalmente,  mi risultava impicciona e frivola. Probabilmente a differenza degli altri presenti nella stanza non si accorse del mio fastidio e così assunsi un sorriso falso.
-Esco con un amico, ma niente di importante.- spiegai freddamente senza far trapelare molto. Non riuscivo a non avercela con lei, mi rivenivano in mente le sue parole e mi sentivo tradita.
-Ed è carino questo amico?- chiese lei con fare civettuolo. Alzai le spalle non degnandola di una risposta vera  e propria e subito, attraverso lo specchio, fulminai con lo sguardo Lele che stava per parlare.
-Che ci fai qui Jes?- chiese Ema. Lei si lasciò cadere sul mio letto e per un attimo non rispose impegnata a rifarsi la coda.
-Sono passata a casa tua ma tua madre mi ha detto che eri qui. Così ho pensato di raggiungervi in modo che avremmo potuto passare una serata insieme ma qualcuno ha già altri impegni.- disse lei maliziosa ammiccando verso di me.
Il suono del campanello ci distrasse e questa volta non poteva che essere Valerio.
Così afferrai la borsa e spalleggiata dagli altri tre mi diressi verso l’ingresso. Aprii la porta ritrovandomi davanti Vale con un grande mazzo di fiori colorati. Nonostante tutto fui sorpresa da quel gesto e sorrisi ringraziandolo.
-Grazie.- esclamai baciandolo su entrambe le guance e scostandomi per lasciarlo entrare mentre andavo a mettere i fiori in un vaso.
Lui salutò educatamente  gli altri e con la coda dell’occhio vidi Jess scrutarlo dalla testa ai piedi e salutarlo con molta foga. Il suo gesto mi infastidì e mi sbrigai a fare quello che stavo facendo così saremmo usciti subito.
Ritornai all’ingresso indossando la giacca.
-Allora andiamo?- disse Valerio porgendomi il braccio con fare galante e, desiderando di evadere da quel posto, accettai sorridendo.
-Chiamami domani.- disse Lele mentre noi ci chiudevamo la porta alle spalle e prendevamo l’ascensore.
Entrando ci sfiorammo con le braccia ed io imbarazzata mi ritrassi verso il fondo di quella maledetta scatolina mobile che quel giorno più che mai, sembrava essere assai lenta.
Alzai lo sguardo trovandolo a fissarmi intensamente.
-Sei bellissima questa sera.- disse con voce sensuale.
Io arrossii  e balbettai un grazie per poi sospirare e abbandonarmi contro la parete dell’ascensore.
Quella sarebbe stata una lunghissima serata.

 



Ciao! ^_^
Come procedono le vostre vacanze?
Comunque, ecco a voi il nuovo capitolo, che ve ne pare? Spero di non avervi deluse eh!
Abbiamo diverse questioni su cui riflettere:
-         Il rapporto tra fratelli: Manuel e Beatrice (In futuro, credo proprio che Manuel assumerà un ruolo veramente importante);
-          La famiglia di Bea;
-          La scena della macchina e Davide con gli amici;
-          L’appuntamento con Valerio.
Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione!
Ringrazio chi ha messo la storia tra le preferite, le ricordate o le seguite; chi ha speso qualche secondo del suo tempo per lasciare un’amabile recensione e le lettrici silenziose!
Fatemi sapere cosa ne pensate. Spero di ricevere diverse recensioni con i vostri pareri, che siano essi positivi o negativi!
Alla prossima,
Atarassia_

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***




Follie
Capitolo Nove

 
 
Ci accostammo con la macchina al lato della strada e, sfilandomi la cintura di sicurezza, gettai un’occhiata alla sfilza di vetrine colorate che, alternate ai portoni dei condomini, facevano da sfondo al panorama. Con il buio, le varie luci poste come decorazioni dei negozi o per illuminare i passanti, spiccavano come non mai.
Le insegne ancora accese della farmacia e delle varie tabaccherie aperte erano sparse qua e là. Una folata di aria fresca mi sferzò i capelli e riportai lo sguardo alla mia destra accorgendomi solo in quel momento di Valerio che, con fare cavalleresco, mi aveva aperto la portiera.
Stupita ed imbarazzata accettai il suo aiuto e scesi dall’auto preoccupandomi subito di allisciare le pieghe del vestito che tendeva a risalire lungo le gambe ad ogni minimo gesto.
Spostai lo sguardo sul locale dove lui aveva prenotato mentre, con una mano, tenevo stretti i lembi del cappotto proteggendomi dal’aria fredda. Alle mie spalle lo sentii armeggiare con le chiavi e chiudere l’auto.  Poi dei passi lenti mi avvertirono che si stava avvicinando e, sebbene non ne fossi sorpresa, sobbalzai quando con una mano si appoggiò al mio fianco invitandomi ad avanzare.
Ci incamminammo verso l’entrata uno accanto all’altra senza nemmeno dire una parola: io perché ero imbarazzata, lui perché non sapeva di cosa parlare. Tenne la porta del locale aperta e, con un sorriso gentile, mi invitò ad entrare prima di lui.
L’ingresso era costituito da una stanza piccola ma ben arredata. Le pareti bianche erano state decorate con foto in bianco e nero raffiguranti paesaggi di ogni tipo, delle piante erano state sapientemente utilizzate per vivacizzare l’ambiente.
Nell’angolo alla mia destra invece, c’era un bancone che ritenni essere presumibilmente la cassa. Dietro di questo stava un signore intento a sfogliare un grosso registro. Sollevò la testa distratto dal nostro ingresso e si rizzò subito dandoci il benvenuto.
Seguii Valerio verso quel bancone e strinsi anch’io la mano del proprietario del ristorante che, udito il nome a carico del quale era avvenuta la prenotazione, ci indirizzò verso un tavolo che rimaneva abbastanza appartato. Lo ringraziammo e fummo sul punto di entrare nell’ampio salone quando, Valerio, mi colse di sorpresa prendendomi per mano.
Spostai subito lo sguardo sulla sua presa non sapendo come reagire e dovetti reprimere l’impulso di strattonarlo così da liberarmene. Lo guardai in viso ma era apparentemente tranquillo e, mentre mi guidava tra i vari tavoli, non doveva essersi  accorto del mio turbamento.
Fui percorsa dai brividi ed inciampai sui miei stessi piedi troppo presa dai miei pensieri per prestare attenzione a dove li mettevo. Valerio lasciò andare la mia mano solo quando fummo di fianco alla sedia e, afferrandone lo schienale, mi aiutò a sedere proprio come vedevo succedere durante gli  appuntamenti inscenati nei film americani.
-Grazie.- dissi flebilmente accennando anche un sorriso al quale rispose entusiasta accomodandosi dinanzi a me. Poi si accomodò anche lui sistemando la giacca sulla sedia e controllando l’ora sul telefono. Aveva dei modi di fare gentili anche se, ero pronta a scommettere o meglio, ero assolutamente certa che la sua fosse una pseudo cavalleria.
Da come lo ricordavo e per quello che mi suggeriva l’istinto, Valerio non era così delicato in quei momenti, non era un tipo attento ai gesti  di quella sera, non era il tipo di ragazzo che ti veniva ad aprire la portiera o che ti faceva entrare per prima solo per galanteria.
Sicuramente tutte quelle attenzioni che avevo ricevuto da parte sua erano momentanee, fragili, false e illusorie. Se solo gli avessi permesso di continuare quella farsa nel giro di una sola settimana avrei potuto godermi la sua evoluzione caratteriale.
Quei gesti cortesi e i modi di fare da vero signore erano solo la nuova trovata per far colpo. Attendemmo le nostre ordinazioni e, tra una portata e l’altra, mi ritrovai a divertirmi sul serio. Ripensammo a tutti gli episodi divertenti del liceo, alla vena che si gonfiava sul collo della professoressa di Francese quando iniziava a starnazzare come un oca, a Pietro il bidello che reclutavamo sempre per interrompere la lezione e farci perdere qualche minuto. Risi come una matta quando lui riportò alla mente le marachelle di Alessandro e Pierpaolo, i più scalmanati della classe che non perdevano nemmeno un secondo per combinare qualche danno. Come quando avevano deciso che l’ora di Matematica dovesse trasformarsi in una lezione di yoga e, senza curarsi del professore, si erano messi seduti sui banchi in meditazione. Quel gesto era costato l’oro tre giorni di sospensione, il tempo necessario per ideare un nuovo piano da attuare al rientro a scuola a danno della professoressa di religione che, colta di sorpresa, si ritrovò ad assistere al suo stesso funerale che quei due avevano messo in piedi. A causa di tutte quelle risate, mi ritrovai in poco tempo con la mascella dolorante e dovetti chiedergli di interrompersi per un attimo così da farmi riprendere fiato.
-Erano due pazzi!- conclusi con ancora la scena del funerale davanti ai miei occhi. Lui annui convinto e abbozzò un sorriso.
-Li ho incontrati qualche mese fa e Pierpaolo è sempre lo stesso mentre Ale si è calmato. Claudia mi ha raccontato che finalmente è riuscito a mettersi con Francesca, la famosa ragazza del 5° F. Te la ricordi? Sembra che lei lo tenga per il guinzaglio e così lui ha messo la testa a posto.- spiegò.
Dagli episodi in classi passammo a parlare delle gite e infine ci confrontammo su quanto ne sapevamo riguardo le loro vite dopo la fine della scuola.
Mi ritrovai ad osservare dei modi di fare e delle espressioni che Valerio aveva sempre avuto e che, durante gli anni da liceale, avevo trovato buffi e a tratti infantili. Allo stesso tempo, però, avvertii una certa maturazione in alcune sue riflessioni e atteggiamenti che mi stupirono in senso positivo. In alcuni momenti mi sentii anche a disagio perché non riuscivo ad essere me stessa, o almeno non riuscivo ad esserlo completamente. C’era sempre un qualche ricordo passato e un qualche pensiero a bloccarmi, a impedirmi di fargli osservare qualcosa e di esprimermi liberamente. Non volevo fare la figura della stupida, né rovinare quanto rimaneva di quella serata, così alla fine optai per un sorriso ben costruito e delle risposte semplici e mal approfondite. Ci fu un momento in particolare in cui avrei voluto sotterrarmi e non feci altro che darmi mentalmente della stupida. Infatti, nel bel mezzo della risata, Valerio, posò la mano sul mio polso e io mi ritrovai a desiderare che quel tocco fosse di una mano più rovinata, con i calli leggermente accennati e i polpastrelli a tratti graffianti. Una mano più rude e, allo stesso tempo dolce. E quando mi accorsi che la mano era, in realtà, minuta e curata, ritrassi istintivamente la mia fingendo di dovermi sistemare i capelli dietro all’orecchio. Alzai lo sguardo provando a darmi un certo contegno e evitare di fare danni. Lui continuava a parlare e io annuii distratta. Avvampai completamente quando le sue labbra carnose mi apparvero più sottili e con un taglio più dolce. Sentii le mie tremare leggermente al solo ricordo di come erano state sfiorate, assaporate, vissute solo alcuni giorni prima da Davide.
Davide. Davide che continuava a tornarmi in mente nei momenti più inopportuni, che mi faceva tremare le gambe e attorcigliare lo stomaco anche se non c’era. Davide che detestavo con tutta me stessa perché era  uno spocchioso, arrogante e tutta un’infinità di cose che mi davano fastidio e che non si addicevano per niente alla mia personalità. Davide che avrei voluto prendere a schiaffi, tenere a debita distanza, prenderlo nuovamente a schiaffi e abbracciarlo stretto. Si, proprio così. E per questo lo maledivo. Cioè, una persona trascorre tutta una vita a dedicarsi a quello che più gli piace, a fare progetti per il futuro e stabilire ciò che è giusto o sbagliato e poi, inaspettatamente, accade sempre un qualcosa che stravolge tutti i tuoi piani e mette in discussione tutto quello in cui hai sempre creduto. Mamma mi aveva sempre ripetuto che nella vita bisogna aspettarsi di tutto e tu puoi prendere questo avvertimento come una precauzione, farne tesoro onde evitare problemi, ma alla fine, qualunque cosa accada, sebbene tu fossi preparato anche al peggio, ne rimarresti scottato, sorpreso, turbato.
E io detestavo quando qualcosa non andava come stabilito, quando qualcuno invadeva pesantemente i miei spazi perché non mi sentivo più padrona di me stessa. E in qual momento detestavo ancor di più Davide e tutto quello che comportava. Lo detestavo perché mi teneva sveglia la notte con gli incubi, perché non mi faceva studiare di giorno per i ricordi, perché mi faceva scoppiare a piangere per essere così stramaledettamente se stesso.
Senza destare sospetti in Valerio, lasciai scivolare una mano sotto il tavolo e mi pizzicai con rabbia, frustrazione, masochismo, la gamba nella speranza di riuscire a cancellare dai miei occhi, almeno per una manciata di minuti, la visione di due labbra secche ma morbide, di due occhi così verdi da perdercisi dentro e un sorriso da far venir il capogiro.
Tra una cosa e l’altra arrivò il momento di pagare il conto che, Valerio, volle a tutti i costi pagare esclusivamente lui e lasciammo il ristorante.
Ignorai i suoi tentativi di prendermi la mano mentre ci dirigevamo verso la macchina e facendo finta di nulla la misi in tasca così da evitare situazioni imbarazzanti e spiacevoli.
-Allora, sei stata bene?- chiese una volta al riparo nell’abitacolo. Annuii a corto di parole e lui si aprì in un sorriso prima di riportare l’attenzione sulla strada. Iniziai a sudar freddo e temere il momento in cui saremmo arrivati sotto casa. Ero sì nuova in materia, ma i film, i racconti della gente e alcuni libri avevano sempre raccontato la medesima cosa. Lui, lei, la macchina, la fine di un appuntamento, il parcheggio sotto casa e il bacio. Ma io non avevo alcuna intenzione, né voglia, né capacità di concedere nulla. La cena con Valerio non era stata completamente disastrosa anzi, ad eccezione di alcuni momenti, mi ero anche divertita, ma non potevo comunque: lui non era abbastanza, non era quello che volevo in quel momento.
E, contro ogni mio desiderio, in poco tempo fummo davvero sotto casa e, come da copione, lui parcheggiò, spense la macchina, si strofinò le mani sul pantalone e nell’abitacolo scese un silenzio assai imbarazzante fatto di domande e congedi non espressi. Lui che cercava un modo per attaccare bottone, per riuscire ad avere una soddisfazione e io che cercavo di trovare il momento opportuno e il modo più gentile per aprire quella portiera, scendere e rifugiarmi tra le mura della mia camera.
-Ti va di rifarlo qualche volta?- sputò fuori frettolosamente Valerio dopo aver capito che, se non fosse stato per lui, non saremmo venuti fuori da quel silenzio.
-Si, perché no.- risposi con voce flebile sussultando quando mi accorsi della sua vicinanza.
-Bene. Allora nei prossimi giorni ci sentiamo per organizzarci, magari ti vengo a trovare.- disse sempre più vicino, mutando anche il tono della voce in un tentativo mal riuscito di sembrare sensuale. Deglutii votando tempestivamente il capo lasciando che le sue labbra si posassero sulla mia guancia. Lo sentii sospirare e poi allontanarsi mentre anche io lasciai andare un sospiro di sollievo.
-Grazie per questa serata. Buonanotte.- esclamai con un piede già fuori dalla macchina in un ultimo tentativo per sembrare il più cortese possibile.
Lui annuii scocciato e io arrossi scendendo di fretta dal mezzo e richiudendomi la portiera alle mie spalle. Feci appena in tempo a sentirlo dire che mi avrebbe chiamata lui e augurarmi una buonanotte, prima di percorrere di corsa le scale, entrare in casa e buttarmi sul letto.
Esausta e sfinita, mi liberai del vestito rifugiandomi sotto le coperte e, nella speranza che non mi avrebbe più chiamato per un nuovo appuntamento, mi addormentai con la sensazione delle sue braccia che mi cullavano e delle sue labbra che baciavano dolcemente le mie.
********
 
L’autunno era probabilmente la stagione che più mi rispecchiava. Avevo da sempre trovato interessante quell’accostamento di vari colori che comportava: il verde, il giallo, l’arancione, il marrone. Da piccola ricordo che amavo andarmene nella casa di campagna dei nonni e  sedermi sul vecchio portico per osservare anche la più  piccola delle foglie staccarsi dai rami e posarsi delicatamente al suolo. Mi piaceva anche indossare i maglioni colorati confezionati dalla nonna e indossare gli scarponi e l’impermeabile per fare le passeggiate nei boschi.
C’è da dire che gli spazi verdi delle città erano completamente diversi da quelli di campagna, i quali presentavano un aspetto più vitale e selvaggio, e questi ultimi mi mancavano molto. Infatti, da quando la nonna era morta e gli zii e la mamma avevano messo il nonno in una struttura per anziani, non eravamo più tornati nella loro casa e il vecchio portico era rimasto solo un dolce ricordo della mia infanzia.
Ma, nonostante tutto, avevo imparato ad apprezzare il parco che sorgeva poco più in là da casa mia e ogni scusa era buona per farci una visita.
-Ma non pensi che forse avresti anche potuto dargli una possibilità?- chiese Lele distendendo le gambe e appoggiando la schiena sullo schienale della panchina.
-Perché avrei dovuto farlo? Non mi interessa e credo che un’uscita come vecchi compagni di classe sia il massimo che posso concedergli.- risposi a capo chino con le mani tra le cosce per tentare, inutilmente di ripararle dal freddo di Novembre.
-A dire il vero, secondo me, sei partita prevenuta nei confronti di Valerio.- osservò Lele scrutando attentamente ogni mia mossa e espressione.
-Prevenuta?- ribattei confusa non riuscendo a capire dove volesse andare a parare.
Lui annuì e si guardò intorno per un attimo prima di trovare le parole giuste da usare.
-Si, prevenuta. Cioè sei andata all’appuntamento come se dovessi fargli un favore, non hai lasciato che la cosa ti coinvolgesse per niente.- spiegò cautamente gesticolando con una mano mentre con l’altra si grattò il mento.
-Ma questo non è vero.- tentai di difendermi, ma mi accorsi di non credere neanche un po’  a quello che avevo detto e, a giudicare dall’occhiataccia torva che mi riservò, nemmeno Lele doveva farlo.
-Ma sei seria? Sul serio Bea, sembrava che dovessi andare alla tua esecuzione. Non un minimo di emozione, alcun interesse, niente di niente!- esclamò lui enfatizzando le parole con i gesti.
E io avvertii il bisogno di alzarmi, sgranchirmi le gambe e prendere un boccone di aria perché sarei potuta scoppiare da un momento all’altro. Mi passai le mani sugli occhi e deglutii più volte in cerca di un appiglio, di un qualcosa che potesse aiutarmi.
-Forse perché ho altro per la testa?- sbottai alla fine con un tono di voce più alto del normale che mi graffiò la gola e mi lasciò lì, ansante e priva di forze, con le lacrime agli occhi.
Lele rimase impassibile come se si aspettasse un mio tale atteggiamento, come se avesse già programmato questa mia confessione.
-Forse perché non riesco a scacciare un maledetto pensiero, perché non riesco a fare più niente senza che Lui non mi torni in mente.- sussurrai con un filo di voce e le lacrime agli occhi. A questo punto Lele addolcì la sua espressione e allargò le braccia permettendomi di rifugiarmi tra di esse e sfogarmi fin quando ne avessi avuto bisogno.
-Non ce la faccio più Lele. Io non avevo chiesto niente di tutto questo, questa non sono più io.- esclamai in un sussurro con il volto nascosto nell’incavo del suo collo. Lui con una mano mi accarezzò i capelli e mi cullò fin quando non ebbi terminato anche le ultime lacrime.
-Non esistono spiegazioni razionali per tutto questo. Sono cose che succedono e basta. Cose che non chiedono nemmeno il permesso, ma entrano nella tua vita e stravolgono tutto. E tu non puoi tirarti indietro, devi solo impararci a convivere o lasciarti andare.- disse quando mi fui calmata e io mi staccai dal suo abbraccio per guardarlo negli occhi.
Ci scrutammo per qualche secondo, lui serio e impotente, io affranta e completamente spossata dalle emozioni.
-Se Davide ti piace, non puoi farci niente tesoro. O ci provi, o fai finta di niente e accetti in silenzio tutto quello che comporta essere interessata ad uno come lui. Non ti assicuro che sarà una cosa facile, qualunque sia la tua scelta, ma, per qualunque cosa, io sono qui con te.- mi consolò con un bacio caldo sulla fronte.
Mi strinsi a lui e chiusi gli occhi, lasciando che il tempo e il vento asciugassero le lacrime sulle mie guance.

 




 

Salve gente! ^_^
Sono in un ritardo spaventoso, lo so. Ma nemmeno io pensavo che il mio “alla prossima” si sarebbe trasformato in sette mesi senza aggiornamento! Scusatemi, davvero.
Non starò qui ad inventare storie senza senso e assolutamente inventate per giustificare questo mio ritardo, ma vi dirò semplicemente che è mancata la voglia di scrivere, non avevo idee e poi è iniziata la scuola.
Ora sono tornata con questo capitolo che non è niente di che, ma semplicemente preparatorio e incentrato soprattutto sulla componente psicologica di Beatrice e sull’influenza che Davide esercita su di lei. Con la scusa delle vacanze di Natale, ho revisionato tutti i vecchi capitoli correggendo gli errori e impostandoli diversamente, ho buttato giù una scaletta per i prossimi capitoli, in particolare per il decimo che avrà al suo interno diversi momenti importanti tra Davide e Beatrice. Da come avete potuto vedere anche in questo capitolo, ho adottato una nuova sistemazione a livello grafico. Che ve ne pare?
Comunque sia, cosa ne pensate del capitolo?
Vi ringrazio per aver lasciato dieci recensioni allo scorso capitolo e spero che ne lascerete delle altre anche in questo. Grazie per aver inserito la storia tra le preferite, le seguite o le ricordate.
Per qualunque cosa, aggiungetemi sul mio nuovo profilo Facebook: Atarassia Efp
Ci sentiamo presto!
Con affetto,
Atarassia_

 

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Capitolo 11
*** AVVISO ***


Salve a tutte!
Mi sento un tantino in imbarazzo a tornare a scrivere su questa storia dopo che è passato ben più che un anno dall'ultimo aggiornamento e inoltre non sto nemmeno pubblicando un capitolo, ma un semplice avviso. Nelle ultime settimane sono rientrata nella cartella dedicata ad Efp che ho sul pc e mi sono resa conto di quanto tempo fosse realmente passato. Sono stati dei mesi strani e tra una cosa e l'altra la stesura di questa storia è passata in secondo piano. Prima ho dovuto affrontare l'esame di maturità, poi i test universitari e quindi l'università e il trasferimento che ho dovuto affrontare per seguire le lezioni. Non sono giustificazioni, ma volevo solo far capire che mi sono dedicata interamente a me stessa, al prendere in mano la mia vita e al pensare al mio futuro.
Con questo, ho pensato di scrivervi per sapere cosa volete che faccia con questa storia. Naturalmente, dopo tutto questo tempo è altamente improbabile ricordare cosa sia accaduto nei capitoli precedenti, quindi volendo potrei inserire un riassunto breve all'inizio dell'ipotetico nuovo capitolo di cui avevo scritto già qualche scena. Fatemi sapere voi se volete che continui la storia, se c'è qualcuno ancora interessato a seguirla o meno,
Spero di avere vostre notizie.
Con affetto,
Mel.

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Capitolo 12
*** Capitolo 10 ***


NELLE PUNTATE PRECEDENTI:
Beatrice lavora in una biblioteca persa tra le vie di Bologna e un giorno, mentre è impegnata a svolgere i vari compiti, le arriva un biglietto “Sei più bella quando sorridi”. Ma quel biglietto non è destinato a rimanere anonimo e, infatti, non ci vuole molto prima che lei incontri nuovamente tra i corridoi dell’università il ragazzo che glielo ha fatto avere e questa volta i due trovano il tempo per presentarsi e Beatrice ha il piacere di scoprire che anche colui che per un po’ di giorni ha disturbato i suoi pensieri ha un nome: Davide. La ragazza fa la conoscenza anche di altri due amici: Lele, con il quale stringe un forte legame di amicizia, e Jessica, con la quale non trovando dei punti di incontro a livello caratteriale ma anche a livello di stile di vita, Beatrice non riesce a legare più di tanto. Proprio durante un’uscita con questi ultimi, scopre che Jess ha a che fare con il giro di amici di Davide e che quest’ultimo in realtà è completamente diverso da tutta l’idea che lei si era fatta di lui. Lei ha un animo pacato ed è molto riservata, lui è irruento ed impulsivo, lei è da sempre dedita solo ed esclusivamente allo studio, lui ama vivere la vita pienamente senza rimpianti. In particolare, c’è un incontro abbastanza importante che vede protagonisti loro due e Jessica: mentre quest’ultima fa compagnia a Beatrice in biblioteca, aiutandola per quanto possibile, le due ragazze vengono raggiunte da Davide che consegna del fumo a Jess e, quando le chiede di pagarlo, lei senza peli sulla lingua rivela che lo ha già pagato sufficientemente qualche giorno prima e, se prima erano solo sospetti, ora Beatrice diviene sempre più consapevole, grazie anche alla conferma di Lele, che tra i due ci sono stati rapporti sessuali. Quando Jess lascia la biblioteca però, l’attenzione di Davide è interamente rivolta verso Beatrice che si sente sempre più attratta da lui. Sembra impossibile per i due evitarsi e infatti solo un paio di giorni dopo si rincontrano al parco dove, in seguito ad una chiacchierata spensierata e tranquilla, c’e il tanto primo agognato bacio che, seppur consensuale da entrambe le parti, termina con la fuga di Beatrice troppo sconvolta da tutto quell’ammasso di emozioni. (Capitolo 4) Il fuggire della ragazza innesca una reazione in Davide che tenta più volte di fermarla per parlare di quanto è successo, fallendo miseramente le prime volte e riuscendoci finalmente in un secondo momento, dove in seguito ad un nuovo bacio questa volta lei non scappa dalle emozioni. Arriva la sera della festa dove Lele riesce a trascinare anche Beatrice; quest’ultima incontra un vecchio compagno di scuola che la prende in prestito per qualche minuto accogliendola nella sua compagnia e questo gesto non è ben visto da Davide che, presente alla festa, non appena la ragazza riesce a svignarsela da quel gruppo, la blocca dando il via a quella che a tutti gli effetti sembra essere una scenata di gelosia. Lui nega, ma Beatrice ha capito che è geloso e questo le fa piacere e sembra che tra di loro la situazione sia sempre più tranquilla, fino a quando lui viene richiamato da un suo amico e lei, parlando con Jess, scopre che quel pomeriggio, quello stesso pomeriggio in cui ha baciato lei, è andato a letto con l’amica.
Beatrice non riesce a sopportare oltre e decide di abbandonare la festa, ma proprio quando è sul punto di uscire viene raggiunta da Davide e litigando, lei sfoga tutta la sua rabbia su di lui per poi lasciarlo lì da solo. (-Io sto bene. Sei tu quello che ha dei problemi. E la prossima volta se dopo essere andato a letto con qualcuno non ne hai abbastanza, non ti azzardare a venirmi a cercare perché io non ci sto più!- esclamai sentendolo irrigidirsi e con le lacrime agli occhi mi allontanai fuggendo per le vie della città.- Capitolo 7)
Successivamente lui prova a raggiungerla anche a casa per chiarire, ma la rabbia in lei è troppa e non riesce a passarci sopra soprattutto perché non vede in lui la consapevolezza di aver capito dove sta l’errore, per lui è tutto normale. Nel frattempo il vecchio compagno di scuola incontrato alla festa, Valerio, si fa vivo e le chiede un appuntamento che lei, consigliata dagli amici accetta, ma è proprio durante quella cena che realizza che il suo pensiero fisso, nonostante tutto, è sempre Lui, realizza che Davide è per lei molto più importante di quello che credeva.


PREMESSA
Considerando che non aggiorno da più di un anno ho ritenuto opportuno "riassumere" alcuni eventi, quelli più strettamenti legati alla comprensione di questo capitolo . Ho dovuto tralasciare alcune cose o il riassunto finiva per diventare un capitolo vero e proprio, quindi se ci sono dei passaggi non chiari o andate a rileggere i capitoli oppure non fatevi problemi a chiedere spiegazioni direttamente a me.
Inoltre, volevo avvertirvi che ho cambiato lo stile di scrittura. Mi spiego meglio: nei caoitoli precedenti ho utilizzato sempre la prima persona e ho lasciato che il tutto ci venisse mostrato attraverso gli occhi di Beatrice, in questo capitolo invece ho usato la terza persona perchè ho pensato che così avrei potuto mostrare il punto di vista un po' di tutti e avere diverse chiavi di lettura dei vari episodi, e inoltre ho adottato un diverso tempo verbale. Volevo sapere da voi quale dei due stili preferite e a seconda delle vostre risposte provvederò a correggere il capitolo o i capitoli! Detto questo, vi auguro una buona lettura e spero di non de
ludervi e di ricevere quante più recensioni possibili per capire realmente cosa riguardo questa storia.

 




Follie

Capitolo Dieci

 
Beatrice è ingenua sotto certi aspetti, forse per l’educazione ricevuta o forse perché il suo carattere è così. La sua immaginazione ha dei limiti e lei certe cose proprio non riesce a concepirle, a figurarsele. Vista da fuori, appare come la classica tipa all’antica, di quelle pudiche che si scandalizzano davanti a cose sconce, che dedicano tutto il loro tempo allo studio, che tengono a bada gli eccessi e che sperano ancora nell’arrivo del principe azzurro. Ma, se impari a conoscerla, se la osservi attentamente, puoi benissimo notare come, sebbene abbia una visione della vita romanzata, con un lieto fine e un rigido programma da rispettare, in lei ci sia anche una coscienza inconsapevole, un Io interiore che grida dai meandri più profondi della sua anima affinché lei si lasci andare giusto un pochino.
È ingenua, ma anche molto orgogliosa e permalosa. È mansueta e sempre disposta ad aiutare gli altri ma, quando si sente tradita, usata e offesa, in un batter baleno innalza una solida barriera intorno a sé, col fine di tenere tutti lontani. Quando tutto questo si realizza, lei non parla. Il silenzio, l’indignazione, la freddezza e una timida indifferenza sono gli strumenti di cui si avvale. Se c’è qualcosa che non va, che la ferisce, non riesce a dirlo ad alta voce, forse perché teme di essere scortese, e così si tiene tutto dentro, fingendo che la sua sia solo stanchezza o la conseguenza di una giornata no.
Ma non è così completamente masochista e infatti un po’ ci gode a recitare la parte dell’orgogliosa, perché rappresenta il suo modo semplice e delicato per dire “non sto più al tuo gioco, mi sono stufata”. Durante gli anni del liceo erano più le volte in cui era indignata che il resto. Indignata per essere quella da cui andare per gli appunti, quella che “tranquillo, non ti agitare per l’interrogazione che ci mandiamo Beatrice come volontaria”, quella che sotto il periodo delle verifiche era l’amica di tutti mentre, nel resto dei giorni, la sua cerchia di amicizie si restringeva a quattro, cinque persone. Beatrice però ha rafforzato la sua armatura e, se può, si lascia scivolare via tutto di dosso.
E in quel preciso istante gongola come una bambina che è riuscita ad ottenere l’ultimo modello di Barbie che ha visto nella pubblicità in televisione. Le piace quella sensazione che prova nell’avvertire uno sguardo pungente costantemente fisso sulla sua schiena, su ogni suo piccolo gesto. Per la prima volta le piace sentirsi guardata e fingere di non essersene accorta.
E Davide è lì da vari minuti: la fissa, sbuffa, cerca inutilmente di stabilire un contatto visivo con lei e sbuffa di nuovo. Lei fa l’indifferente, come se non si fosse accorta di lui che pur di avere anche il più banale dei pretesti per restare lì, ha afferrato il primo libro che ha trovato sullo scaffale, ma è rimasto sempre fisso sulla stessa pagina. Non si è nemmeno avvicinata al banco delle consegne e lascia che sia lo studente polacco in cerca di crediti per l’Università a ritirare i libri restituiti e a registrarli nell’archivio.
Beatrice si sposta da un angolo all’altro della stanza riponendo i volumi nel settore giusto e intimando il silenzio ai soliti disturbatori della quiete.
-Beatrice?- la voce chiara e infastidita di Davide le giunge alle spalle e lei rabbrividisce ostinandosi a fare finta di niente –Oh?- continua lui, scocciato e sempre più infastidito per essere ignorato, alzando un poco la voce.
-Dovresti parlare più piano- ribatte lei, con voce piatta, sfilandogli sotto il naso e intrufolandosi nell’ufficio di Teresa.
E Davide resta lì impalato, stupito e ferito nell’orgoglio perché, solitamente, quelle uscite in grande stile appartengono a lui. Si guarda velocemente alle spalle, sospirando quando può constatare con certezza che nessuno si è accorto di nulla. Ma la rabbia rimane perché non gli piace essere ignorato e, quando succede, ciò va a scalfire il suo ego smisurato. Perché lui è consapevole di avere una certa influenza sulle persone, di riuscire a mettere in soggezione, di mettere in imbarazzo gli altri e farli sentire inadeguati, impacciati.
E poi, il fatto che a fare tutto ciò sia stata una tipa come Beatrice è un tantino imbarazzante e inconcepibile. Insomma, Beatrice l’ha osservata bene e da subito gli è parso chiaro che tipo di persona fosse ed ora, il fatto che sia stata lei ad aver avuto l’ultima parola su di lui, un po’ lo stupisce.
E forse questo stupore ha anche una valenza positiva perché vuol dire che in lei c’è un lato nascosto, più sicuro che a lui piacerebbe scoprire, far venire fuori. Ma in gran parte è uno stupore che alimenta la rabbia perché non si capisce, non si spiega questa sua esigenza di parlarle, forse di giustificarsi ai suoi occhi e cancellare quella traccia di delusione, rabbia e dolore che ha colto nei suoi occhi.
Sa di avere ragione perché lui è libero di fare ciò che vuole, non ha nessun vincolo che lo leghi a lei e Beatrice non può pretendere di far passare lui dalla parte del torto, di farlo sentire in colpa.
E Davide ancora non ha capito quale sia il suo errore, lui ha sempre fatto così e nessuna ragazza si è mai presentata al suo cospetto rimproverandolo o reclamando qualcosa. E Beatrice anche in quello lo ha stupito. È piccola, ingenua, fragile e sensibile ai suoi occhi, ma sa usare le parole per ribaltare la situazione e fargli stringere lo stomaco in preda ai rimorsi.
La sera della festa ci era rimasto un po’ male e aveva cercato di nascondere l’eco dei sensi di colpa tornando in sala e lasciando che la confusione lo distraesse. Ma non era riuscito a farli tacere del tutto, perche la notte successiva, sdraiato sul sedile della sua macchina con Jessica al suo fianco, non era stato in grado di frenare quell’impulso che lo aveva portato a chiederle l’indirizzo di casa di Beatrice. E Jess, mezza addormentata, gli aveva risposto senza farsi molte domande.
Ma, alla fine, entrambi i suoi tentativi di chiarire con Beatrice avevano fatto un buco nell’acqua e la cosa non gli andava giù molto perché era abituato ad ottenere tutto ciò che gli passava per la testa e se si scombussolavano i suoi piani la cosa non gli faceva piacere­.
Così, caparbio e sicuro di sé, si apposta accanto alla porta dietro la quale, poco prima, è scomparsa Beatrice. Non ha davvero qualcosa di assolutamente necessario da dirle, ma in lui agisce forte l’impulso di dimostrare qualcosa a se stesso. Non deve attendere molto prima di vedere la porta aprirsi e la ragazza uscire dalla stanza, con un cipiglio ostile e uno sguardo corrucciato. Beatrice si blocca per un istante, confusa e forse sorpresa di ritrovarlo ancora lì, ma si riprende quasi subito e raggirandolo continua a camminare verso la sua postazione al banco delle consegne. Davide segue ogni suo movimento con molta attenzione, fissando nella mente ogni piccolo frammento utile per ricostruire l’immagine di lei. Sorride sghembo e con passo strascicato ripercorre i stessi passi della ragazza, nello stesso modo in cui un’ombra fedele arranca dietro alla persona di cui, volente o nolente, deve riprodurre ogni minimo gesto. Lei affianca il suo collega e serve gentile i clienti in fila, ma dietro il sorriso di circostanza è facile, per Davide, scorgere la tensione e i nervi a fior di pelle. Lui rispetta in silenzio l’ordine della fila e poi, non essendoci più nessuno davanti a lui, si appoggia con i gomiti al bancone. Il ragazzo polacco gli chiede se deve prendere o restituire dei libri, ma lui lo ignora bellamente dedicandogli solo un’occhiataccia scontrosa.
-Lascialo perdere- interviene Beatrice rivolgendosi allo studente –e tu, se non devi prendere o restituire alcun libro, sei pregato di lasciarci fare il nostro lavoro e farti da parte- continua alla volta di Davide  con voce sicura ma con sguardo sfuggente.
Prova a tenersi occupata spostando libri, accatastando documenti e firmando le ultime registrazioni ma, inevitabilmente, con la coda dell’occhio finisce sempre per scrutare il profilo della persona dinanzi a lei che, facendo leva sugli avambracci, se ne sta piegata sul bancone senza mai perderla di vista. Poi è questione di un paio di secondi e un libro le viene piazzato tra le mani lasciandola spiazzata per il gesto brusco e inaspettato.
-Prendo questo- conferma Davide con una voce più bassa del solito, quasi volesse che fosse solo lei a sentirlo e il tono che usa le fa venire dei brividi che cerca di nascondere mentre, ancora confusa, alterna lo sguardo dalla tessera che il ragazzo le sta porgendo al Lolita che spicca sulla copertina del libro che sta torturando con le dita a causa dell’ansia.
-Non hai del lavoro da fare? E  poi, non per niente, ma anche io avrei degli  impegni e non ho tempo prezioso da perdere- continua lui strafottente, beandosi del momento in cui le gote di Beatrice si tingono si rosso e lei deve schiarirsi la gola come se avesse trattenuto il fiato per tutto quel tempo.
-Quanto tempo ti serve?- chiede, per poter compilare i moduli, con voce imbarazzata senza mai alzare lo sguardo dallo schermo del computer per evitare danni  ma, se dall’altra parte non c’è una volontà incline a fare la stessa cosa, è dura mantenere il controllo. Perché tutto il tempo che vuoi tu le fa saltare un paio di battiti e a quel punto mantenere lo sguardo basso le risulta difficile, tutto sembra complicato, anche evitare quelle iridi verdi in cui legge pura soddisfazione e arrivati a quel punto ogni cosa, con il battere dei secondi le fa mancare l’aria. Perché Beatrice può anche provare a evitare le cose, può decidere di fare in modo che alcune cose vadano in un modo e altre in un altro, ma la caparbietà e il magnetismo di Davide sono ancora più costanti e lui, ora, è pienamente consapevole di aver ottenuto una completa attenzione da parte della ragazza che lo fissa con gli occhi sbarrati e le labbra, screpolate e piene, socchiuse in un’espressione sorpresa.
-Basta così- sussurra Beatrice spezzando il silenzio. Si stringe nelle spalle e scuote la testa, indietreggia leggermente anche se a separarli c’è un intero bancone, un’intera gamma di problemi, di domande senza risposte e quesiti irrisolti. Ma restare lì, fingersi ancora abbastanza dura da reggere tutta la pressione che quella situazione comporta e accettare passivamente che lui abbia tutto quel potere su di lei, diventa insostenibile. Raggira il banco delle informazioni e restituendogli la copia di Lolita lo supera lasciando che le loro braccia si sfiorino e che i suoi capelli gli solletichino la pelle del braccio lasciata scoperta dalla maglia.
Davide guarda da sopra la sua spalla la ragazza allontanarsi verso gli scaffali più interni e ci resta male perché non ha avuto l’ultima parola, perché Beatrice aveva gli occhi lucidi e ad occhio e croce sarebbero bastati ancora pochi istanti prima di vederla piangere sul serio. La guarda, colpito, perché ha ottenuto una reazione e le mani di lei tremavano dal nervoso, compiaciuto, perché questo vuol dire davvero qualcosa, soddisfatto, perché quella ragazza rispecchia pienamente tutte le idee che lui si è fatto su di lei, ma nonostante ciò è ancora in grado di sorprenderlo.
Ignora il ragazzo che prima affiancava Beatrice, dedicandogli poco più di un’occhiata strafottente, si guarda un’ultima volta indietro e riesce ancora a vederla mentre, con la schiena premuta contro uno scaffale, si strofina nervosamente le mani sul viso. Alza gli occhi al cielo sbuffando e senza aggiungere una parola  si dirige verso l’uscita.
Lolita incastrata tra il braccio e il fianco destro, le mani impegnate a coprire il vento che spegne la fiamma del suo zippo azzurro e la schiena appoggiata contro il muro del porticato della libreria.
Scuote la testa, buttando fuori il fumo mentre ride tra sé e sé; gli occhi socchiusi leggermente mentre si incanta a fissare cose futili e le caviglie incrociate che lasciano intravedere i tatuaggi precedentemente celati dal pantalone. Il suo turno finisce tra meno di un’ora e lui quel giorno ha un sacco di tempo libero per aspettare.
 


Stanca e più nervosa del solito, controlla di aver messo tutto nella borsa e poi afferra il golfino per infilarselo con gesti meccanici e pigri. Sorride in direzione di Teresa che, pur non essendo a conoscenza dei fatti, sa che c’è qualcosa che non va perché quella non è la solita Beatrice e c’è qualcosa che la turba, qualcosa che disturba costantemente i suoi pensieri. Ma Teresa ha dalla sua l’esperienza di una vita intera, di una vita vissuta pienamente e senza rimpianti, quindi sa che anche queste cose, per quanto spiacevoli possano essere, devono essere presenti nella vita di una qualunque ragazza. Non si preoccupa più di tanto, perché oramai ha imparato a conoscere Beatrice e sa che, in qualche modo, imparerà a cavarsela anche in questa situazione, quindi non può fare altro che allungare un braccio in direzione del volto della ragazza e spostarle una ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro per poi lasciarle una carezza sulla guancia e farle capire che, comunque sia, avrà sempre il suo di affetto a sostenerla.
Beatrice le sorride grata e incrocia le braccia sotto al seno tentando di tenere le mani il più possibilmente coperte dal tessuto cremisi del maglioncino che risalta a contrasto con la sua carnagione chiara. Con modi gentili saluta il resto dei dipendenti e fa pressione contro la porta della biblioteca trattenendo per un attimo il respiro quando l’aria fredda le sferza i capelli. Cerca di ricomporsi il più in fretta possibile anche se, visto il continuo aleggiare del vento, tutti i suoi tentativi risultano vani perché subito quelli tornano a scompigliarsi e a coprirle gli occhi. Si ferma in un angolo del porticato poggiando la borsa ai suoi piedi e frenetica fruga nelle tasche dei pantaloni e in quelle della borsa alla ricerca di un elastico o un fermaglio qualsiasi, ma l’unica cosa che trova incastrata tra i libri è un berretto di lana che subito si affretta ad indossare.
-Non era solo un vecchio compagno di classe, un tuo amico?- sobbalza girandosi di scatto al suono della sua voce ed è sorpresa di trovarlo ancora lì. Rimane disorientata per un attimo e la sua vicinanza non aiuta di certo, perché dopo l’ultimo saluto nella biblioteca aveva sperato in una tregua e ora, averlo così vicino, i capelli sbarazzini a coprirgli la fronte, la felpa verde militare a fasciargli il petto, la sigaretta, l’ennesima a giudicare dai vari mozziconi qualche metro più dietro, tra le dita e il solito, insopportabile, sorriso strafottente disegnato sulle sue labbra.
-Cosa?- replica spiazzata più per la sua presenza che per la domanda vera e propria, in quanto ha già intuito dove vuole andare a parare e la cosa le fa tremare le mani per il nervoso. Lui butta fuori il fumo alzando leggermente la testa e poi, sempre con lo stesso tono di sfida, ripete la domanda senza mai distogliere gli occhi da quelli di lei.
-Quello della discoteca, Valerio, non doveva essere solo un amico?- sputa fuori stringendo i pugni e facendo un passo verso di lei e provocando, inevitabilmente, un suo retrocedere. Beatrice lo fissa accigliata ed è sicura che ora nulla potrebbe sorprenderla di più in confronto al comportamento di lui. E sono tante le cose che vorrebbe dirgli, che vorrebbe urlargli contro e i colpi che gli darebbe solo per far sparire quella sua strafottenza, quel suo pretender tutto senza concedere mai nulla. Si ritrova ad odiarlo senza un motivo ben preciso, lo odia per più cose, perché è cattivo e non vuol capire, perché è infantile, caparbio e egoista, perché pensa solo al proprio benessere e se ne frega degli altri. Vorrebbe avere il coraggio di dirgli tutte quelle cose, di affrontarlo a testa alta e fargli capire la sua posizione, fargli capire perché fa male e domandargli con che faccia tosta ha avuto tutta quella temerarietà sufficiente a presentarsi fino a casa sua, a seguirla fino a lavoro solo per chiederle spiegazioni di cose che sono così ovvie. Vuole domandargli perché non può semplicemente lasciarla in pace e fingere che niente sia successo, visto che effettivamente tra loro non c’è stato nulla di importante, niente per cui valga la pena logorarsi in quel modo. Si passa una mano sugli occhi cercando di riordinare le idee e poi, velocemente quasi a non voler dare a lui il tempo di reagire, afferra la borsa abbandonata ai suoi piedi e lo supera scendendo di corsa le poche scale che si trovano all’entrata dell’edificio. Sente che lui la chiama, ma non ha voglia di starlo a sentire e incassando la testa tra le spalle, allunga il passo per mettere quanta più distanza possibile. Ma più lei cammina e più la sua voce sembra farsi vicina e basta quel smetti di fare la bambina e rispondimi! a farle salire il sangue al cervello. Si blocca tutta d’un colpo al limitare della strada e prendendo un bel respiro si gira verso di lui con sguardo deciso. Lo trova a pochi, pochissimi passi da lei, il respiro corto e una postura rigida dovuta al nervosismo.
-Fai sul serio?- chiede Beatrice con tono pacato, ma entrambi sono consapevoli di trovarsi in una situazione tutt’altro che tranquilla e quando lui prova replicare lei non gli concede nemmeno il tempo di aprire bocca –come puoi continuare a presentarti da me come se niente fosse e chiedermi una cosa del genere?- continua, ma le sue sono domande retoriche e anche Davide ci è arrivato così, abbandonando le braccia lungo i fianchi, le lascia il tempo di sfogarsi.
-Hai una gran faccia tosta e sei un grande, un grandissimo ipocrita a comportarti così dopo quello che hai fatto tu. E non puoi, non puoi e non devi permetterti di trattarmi in questo modo. Non ne hai alcun diritto- sostiene lei, con tono adirato, puntandogli un dito contro il petto mentre la voce le si affievolisce. Non si è nemmeno resa conto di essersi avvicinata a lui così tanto, che gli occhi le si sono fatti lucidi e che il tremolio delle mani sta aumentando secondo dopo secondo.
–Sei uscita con  lui?- Davide rompe quel  silenzio nel peggiore dei modi e rompe qualcosa anche in lei perché è come se la stesse prendendo in giro, come se non avesse ascoltato nemmeno una parte del suo discordo, perché lui pensa sempre solo ed esclusivamente al proprio tornaconto. Lui sa che ci sarebbe dovuto arrivare in modo diverso a quel punto, che avrebbe dovuto prima chiarire tutta la situazione della festa proprio come aveva deciso di fare quel mattino e poi solo a quel punto tirar fuori questa nuova parte della storia. Ma da quando, poco prima che lei finisse il suo turno, parlando al telefono con Jessica era venuto fuori quel discorso tutto il resto era passato in secondo piano.
-Ancora? Perché non vuoi capire?- Beatrice si porta le mani ai capelli e la voce le si fa stridula. Chiude gli occhi e deve più volte riprendere il fiato perché le sta davvero mancando l’aria ma, quando avverte uno spostamento dinanzi a sé, è costretta a riaprire gli occhi e la prima cosa che le suggerisce il suo istinto è di indietreggiare. Li separano pochi centimetri, i capelli di lui le solleticano la fronte e lui le sfiora la guancia con il naso prima di portare le labbra, umide e calde, a contatto con il suo orecchio.
-Sei uscita con Valerio, si o no?- la voce è decisa, ferma e sufficientemente roca da far fremere Beatrice che, tenta, dopo un attimo di smarrimento, di allontanarsi. Ma questa volta lui è lesto e con un gesto fulmineo le blocca i polsi tirandola verso di sé così da far aderire i loro petti. Ristabilisce un contatto visivo Davide e aspetta la risposta a quella domanda, una risposta che già conosce, ma che comunque vuole sentirsi dare da lei, così come vuole che lei vi aggiunga affermazioni che gli permettano di capire che, di quel Valerio, non c’è alcun bisogno di preoccuparsene. Le solletica la guancia con il naso e le lascia un bacio al limitare della bocca per poi tornare a guardarla negli occhi con un espressione più seria. Si avvicina nuovamente e la stretta sui polsi si fa più lenta, perché è sicuro che lei lascerà le mani lì, ad aggrapparsi alle sue spalle, a stringergli i fianchi. Con un gesto lento e studiato le accarezza le labbra con il pollice e poi fa scivolare la mano tra i capelli, fino a raggiungere la schiena dove, con un una leggera pressione, la spinge ancora di più contro di sé. Le lascia un ulteriore bacio sempre più vicino alle labbra e lei può sentire il respiro di lui infrangersi contro la sua pelle. Lo lascia fare, lascia che sia lui a condurre il gioco o per lo meno gli lascia credere che anche questa volta sia così.
Socchiude le labbra e vede subito lo sguardo di lui seguire quel movimento prima di tornare a guardarla negli occhi; sente il suo respiro farsi più corto e anche lei trattiene il suo mentre, con una mano, si appoggia al suo petto. Le lascia un bacio a fior di labbra, ma si tratta solo di un gioco fatto di sfiorarsi e le loro labbra si toccano solo di striscio, quasi a voler tastare il terreno. Quando vede che lei non si è tirata indietro, sorride a pochi centimetri dalla sua bocca e questa volta fa per baciarla sul serio, ma ora è lei a condurre il gioco e a tirarsi indietro lasciandolo a bocca asciutta. Lui la guarda sorpreso inarcando il sopracciglio.
-Sei andato a letto con Jessica?- sussurra Beatrice sulle labbra di Davide prima di premere con la mano contro il suo petto per allontanarlo da sé e allontanarsi definitivamente. Per la seconda volta, nell’arco di poche ore, Davide si ritrova a fissare la sua figura minuta che si fa man mano più piccola fino a perdersi tra le vie della città e ancora incredulo per quanto accaduto si porta una mano tra i capelli scompigliandoli. Credeva di averla in pugno, di essere riuscito a calmarla e riavvicinarla a sé, ma ancora una volta lei ha cambiato le carte in tavola, lasciandolo con un senso di delusione, con un moto di rabbia a stringergli lo stomaco e un ammasso di emozioni contrastanti a confondergli le idee. Convulsamente afferra il pacchetto di sigarette dalla tasca e con il familiare sapore del fumo sul palato, si avvia nella direzione opposta.


 
 
È passata l’ora di cena e in televisione stanno trasmettendo i soliti film scadenti del sabato sera ma, Beatrice, raggomitolata contro il tessuto della poltrona non ne sta seguendo nemmeno la trama perché troppo impegnata a parlare con Lele di quanto è successo. Ci sono stati diversi fatti, troppe cose secondo lei da sopportare per una giornata intera e questa volta anche lui, solitamente eccessivamente logorroico, è rimasto più volte in silenzio senza sapere cosa dire, come reagire alle informazioni dell’amica. Le lacrime, accumulate per il troppo nervoso e per tutto lo stress della giornata, non tardano ad arrivare e questa volta, sentendosi al sicuro tra quelle quattro mura familiari, non avverte nemmeno il bisogno di frenarle o nasconderle. Dall’altro capo del telefono, seppur inutilmente, Lele prova a farla calmare anche se sa in cuor suo che quello sfogo  è inevitabile e che fino a quando non avrà interiorizzato da sé tutta la questione, sarà vano qualsiasi discorso volto a rassicurarla. Alla fine giungono ad un compromesso e lui le promette di farsi trovare a casa sua il giorno dopo per parlarne faccia a faccia così da ragionarci su meglio e a mente fresca dopo il riposo notturno.
Beatrice poggia il cellulare sul tavolinetto dinanzi a lei e per un attimo si incanta a guardare il televisore senza seguirne però i fatti, ma perdendosi in pensieri tutti suoi. Le ci vuole più di qualche istante per ridestarsi da quello stato di trance in cui è caduta e accorgersi che, effettivamente, qualcuno sta bussando alla porta. Getta uno sguardo all’orologio posto sulla parete adiacente ed esclude che possa trattarsi di Sabrina visto che è uscita da poco, esclude anche Lele e sinceramente non sa a chi altro pensare mentre, con le gambe fasciate da una vecchia tuta usata per fare ginnastica e una felpa a celare tutte le restanti curve del suo corpo, si dirige verso la porta.
-Arrivo- afferma mentre fa scattare il chiavistello e si fa da parte per vedere chi sta bussando. Resta in silenzio a fissarlo e la persona all’entrata fa la stessa cosa; si fissano reciprocamente, lei perché sinceramente non se lo aspettava e non sa che fare, lui perché vorrebbe dire, vorrebbe fare molte cose ma sa che con lei deve andarci cauto. Alla fine Beatrice si fa da parte come a volergli far intendere che ha il permesso per entrare e lui non se lo fa ripetere due volte, così la supera e, giusto il tempo che lei richiuda la porta alle loro spalle, che lui subito si volta incastrandola fra la parete lignea e il suo corpo. Ignora il grido di sorpresa emesso dalla ragazza e a differenza di quel pomeriggio evita qualsiasi giochetto, ma è determinato ad arrivare direttamente al dunque e quindi fa incontrare le loro labbra. La sente agitarsi sotto di lui, le mani che premono alla base della sua vita per allontanarlo, ma questa volta è davvero lui a dettare le regole e quindi intreccia una mano tra i capelli di lei, tirandoli leggermente indietro, così da avere un accesso migliore alla sua bocca e con l’altra mano le accarezza delicatamente il fianco per tranquillizzarla. Scioglie per un attimo il contatto tra le loro labbra, senza tuttavia districare le braccia dal corpo di lei e punta gli occhi nei suoi, trovandoli lucidi e con un espressione sorpresa. Si avvicina più cauto e le imprime un bacio sulle labbra, un bacio semplice, per poi riallontanarsi di pochi centimetri, guardarla negli occhi e ripetere il tutto dall’inizio. Ora vuole che sia lei a prendere l’iniziativa, a fargli capire che è ciò che vuole e si ritrova a sorridere contro le labbra di lei quando, pronto a separare nuovamente le loro labbra, viene trattenuto dalle mani di lei che si arpionano alle sue spalle tenendolo stretto a sé. E da lì il bacio si fa più audace, è tutto un gioco fatto di sfiorarsi, tastare la pelle dell'altro, stuzzicare punti sensibili e graffiarsi la pelle, l’anima. La mano di Davide accarezza quanto più possibile il corpo di Beatrice, apprezzandone le forme e tentando tuttavia di non esagerare; delicatamente, permettendole di abituarsi a quell’intrusione, lascia scivolare la mano sotto il tessuto della felpa fino a raggiungere la pelle calda e inviolata dei suoi fianchi, il cui tocco la fa sussultare ma, con molto piacere, nota che nonostante questo non si sta tirando indietro. E lei lascia una mano sul petto di lui, a stuzzicare il colletto della maglia, ad accarezzargli delicatamente la pelle sensibile del collo per poi ridiscendere lungo i suoi fianchi dove, per trattenere i gemiti, stringe più volte la presa sicura di aver lasciato qualche segno per via delle unghie. L’altra mano è tra i capelli di lui, perché oramai lo ha capito che quello è uno dei suoi punti deboli e lascia scorrere le dita sottili tra di essi, stuzzicandoli con un ritmo tutto suo e tirandoli delicatamente perché così piace a lui. Si separano con i petti ansimanti, lei premendo la fronte contro il mento, contro la bocca di lui che sorprendentemente la delizia con baci delicati, carezze inaspettate. Lui porta entrambe le braccia dietro la schiena di Beatrice, stringendola in una presa forte e sussulta quando sente le mani di lei, timide ed inesperte, posarsi alla base della sua schiena per lasciare mute carezze. Solleva il volto con la speranza che lei faccia lo stesso e gli permetta di guardarla negli occhi mentre glielo dice, perché ci ha pensato diverse ore e si è dovuto ripetere il discorso a mente più volte anche mentre saliva le scale per raggiungere la sua porta, ripromettendo a se stesso di mantenere la calma e non rovinare tutto come al solito.
Lei sembra intuire il cambiamento che c’è nell’aria e sa che lui sta per dire qualcosa e che quella bolla di intimità che si è creata negli ultimi minuti potrebbe scoppiare a breve, così solleva la testa guardandolo negli occhi e sollevandosi sulle punte per lasciargli un bacio, un ultimo bacio?, prima di incoraggiarlo a parlare.
-Si- inizia lui – con voce piatta –la risposta alla tua domanda è si, sono andato a letto con Jessica- spiega dinanzi al cipiglio confuso di lei e subito la sente irrigidirsi tra le sue braccia, perché si, Beatrice sa già tutto, ma non può negare che sentirselo ridire, sentirlo ridire da lui fa più che male -ma ho baciato anche te, ho voluto parlare con te e cercare di chiarirmi con te. Quindi questa volta sei tu che non puoi venirmi a dire che io non ho alcun diritto di chiederti queste cose, ok? E no, non lo so cosa sta succedendo, perché sinceramente non ci sto capendo più niente nemmeno io, ma so che mi da fastidio che tu veda quel tizio. Quindi fai in modo che non ci sia una seconda uscita, ok?- conclude sempre più sicuro di sé. E non le dà nemmeno il tempo di rielaborare il tutto e rispondere, che si china su di lei e la bacia, di nuovo, per poi indietreggiare e continuare a guardarla, con il suo solito sorriso e labbra più rosse e gonfie del solito, prima di aprire la porta e lasciare l’appartamento.
E Beatrice resta lì, ferma all’entrata del bilocale, il cuore che palpita più forte, il respiro ancora irregolare e i capelli più spettinati rispetto a prima che lui giungesse a trovarla. Si trascina nuovamente contro la poltrona, portando le gambe al petto e tastandosi le labbra che bruciano, a tratti, e le fanno capire che è successo tutto veramente. Un sorriso nasce dietro le sue dita e ha le gote rosse e gli occhi lucidi di chi è felice. Nella mente si ripete ciò che ha detto Davide e sa che, molto probabilmente, il mattino seguente, non lo troverà più così entusiasmante ma vi coglierà soprattutto gli aspetti negativi. Ma ora non le importa, che sia per l’adrenalina che le scorre nelle vene o per il fatto che le abbia fatto davvero piacere che, nonostante tutto, nell’arco di quella giornata ha provato a parlarle, ad avere un contatto per ben tre volte, non le importa di nulla. Quando, un paio di ore dopo, si stende sul letto, stringe al petto le coperte e rimane per un po’ a fissare il soffitto e ancora non riesce a smettere di sorridere.

 
 
Ecco a voi il tanto agognato e sudato capitolo!
Mi scuso nuovamente per l'enorme ritardo e spero, questa volta, di non far passare tutto questo tempo. Di sicuro non se ne riparla prima della fine del mese perchè la sessione estiva ancora non è terminata e io sto dando i numeri, ma ad agosto dovrei farcela.
Dal momento che vi ho lasciato ha bocca asciutta per tutto questo tempo e che negli ultimi capitoli non avevo dedicato praticamente molte scene a loro due, diciamo proprio che non ci sono state scene che li vedevano soli, ho pensato di dedicare il capitolo solo ed esclusivamente a loro.
A questo punto lascio a voi la parola, che ne pensate? Chi dei due vi ha più colpite e perchè?
Ringrazio tutte coloro che sono rimaste dopo tutto questo tempo e saluto le nuove lettrici che si sono aggiunte nei mesi scorsi.
Spero di leggere quante più recensioni possibili perchè ho davvero bisogno di conoscere il vostro parere a riguardo e di ricevere delle motivazioni in più per continuare, perchè diciamocelo chiaramente, vedere qualcuno che apprezza il tuo lavoro ti stimola a fare di meglio e sempre di più.
Alla prossima. 
Con affetto,
Mel.

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