A d f e c t u s .

di adelfasora
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ciao. ***
Capitolo 2: *** E basta. ***
Capitolo 3: *** Il passo_ ***
Capitolo 4: *** Te stessa ***
Capitolo 5: *** Righe dritte ***
Capitolo 6: *** Amare. ***
Capitolo 7: *** Lo specchio di me. ***
Capitolo 8: *** Tristezza. ***



Capitolo 1
*** Ciao. ***


I o, s e m p l i c e m e n t e,  s o n o.

 

 

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...e tu ti senti semplicemente ignorata abbastanza a lungo...
... ed è carino sentirsi speciale qualche volta.

 

 

 

 

Io non sono perfetta. Anche tu sei imperfetto.

Gli opposti si attraggono. Ma anche due persone perfettamente simili che vanno d’amore e d’accordo possono finire su un altare.

E allo stesso modo due persone infime, invisibili, possono riuscire ad incontrarsi, nel loro quotidiano vivere, monotono e monocorde. Anche se l’altro non è Brad Pitt, o la copia del giocatore di baseball più desiderato della scuola. Perché anche io l’ho desiderato, sognandolo di notte come una povera adolescente in calore. Ma io ero invisibile.

E alle persone invisibili è concesso farsi vedere?

Ci sono tanti tipi di storie: quelle tra secchione e fighi senza cervello. Quelle normali tra due amanti. I clichè che hanno fatto il mondo.

E’ così brutto essere una persona normale, innamorata di una persona normale? E’ così brutto cercare, nel proprio anonimato, l’altra metà della mela, e prima che quella marcisca?

Non voglio farla aspettare. Non credo nemmeno di meritarti, povera la mia metà perduta. E chissà dove.

 

Riuscirò a trovarti?

Tu mi vedrai?

 

Io sì. Tutti i giorni cerco di alzare e buttare via quello strato di invisibilità che mi rende anonima. Ma che in fondo fa di me ciò che sono.

E allora posso incontrarti?

In fondo non sei perfetto. Anche tu porti gli occhiali. Anche a te, come tutti i ragazzi, piace il calcio. Anche tu giochi alla playstation. Anche tu sogni la cheerleader bionda ossigenata più “figa” dell’istituto.

In fondo sono pochi quelli speciali, quelli di cui si parla nei libri, quelli che sono prototipi di persone che si contano sulla punta delle dita, e non si accorgono nemmeno di essere speciali. Troppo fortunati, e fingono anche d’ignorare la loro posizione piena di luce (?).

 

E’ come stare al buio.

Ma non mi piace. Io non sono così.

Io voglio che qualcuno mi veda, mi ascolti. Che qualcuno ci sia.

 

La storia non la fa la moltitudine? Quella massa indistinta di file e file di uomini che porta avanti “il grande”?

A me sta bene essere ciò che sono, nel mio piccolo angolo, non troppo buio, non troppo bramato, non troppo osservato o interessante. Perché da fuori sembra diverso, più inadatto e sbagliato?

Ma tu vuoi girarti? O sei ancora troppo preso da quelle persone che sono troppe poche e troppo in alto?

 

<< Emm.. ciao! >>

<< … sono quella del libro di geometria, te l’avevo prestato l’ultima volta >>

Tutto d’un fiato, lo getto fuori ed ora resto ferma, senza sapere che dire. Che fare. Ti sto aspettando.

Perché io so essere paziente.

Perché attendo che tu, solo tu, possa farmi brillare.

 

<< Cosa?! Ma certo.. me l’ero completamente dimenticato, comunque è questo vero? Fortuna che l’avevo nella sacca. Bhe, ci si vede. >>

Ma io aspetto.

Ma non troppo, ti prego.

 

<< Ciao >>

<< Ciao >>

Sono la stessa parola, le stesse quattro lettere, che come unica differenza hanno bocche diverse che le hanno pronunciate. In particolare, la mia trema, è indecisa e intimidita. Non come dai capelli verdi del suo compagno di banco; non come dalle frecciatine della più antipatica della classe o il bullo di quartiere. Di fronte a lei c’è solo una mano, tesa e ben aperta, che le sta dicendo tante cose. Ma le merito?

Ho.. ho fatto qualcosa perché lei mi sorridesse e mi rivolgesse la parola? Merito la sua mano, amica?

La risposta chiara è no. No perché per quanto mi sforzi, l’ombra che mi avvolge per altri è buio, e io le faccio compassione, o pietà, o è troppo buona per ignorarmi come tutti.

Grazie.

Grazie anche se non lo stai facendo per me che ti sono di fronte, ma per il tuo buon cuore. E’ bello sentirsi, a volte.

E invece, una volta ritirata la mano, lei continuò a girarsi verso di me. E mi arrabbiai, pensando che se una volta tanto qualcuno c’era, io mi stavo ritirando in un guscio lontano, e senza senso. Perché lo sentivo, che con lei non ci sarebbe stata attesa. Era ora di far brillare il mio piccolo mondo, normale, quotidiano, poco fatiscente, ordinario, e senza bisogno di sole.

<< Ciao >>

<< Ciao >>

Una risata.

<< Ehi, credevo ti avessero morso la lingua l’altra volta! >>

Stavolta ho iniziato io, con quelle quattro parole, sempre le stesse. Ma si guardi bene che stavolta quella che mosso la mano sono stata io.

Sembrava di essere tornati bambini. Perché solo loro possono iniziare così, come fece lei.

<< Siamo amiche, vero? >>

Io non risposi. Semplicemente piansi. Semplicemente avevo trovato qualcuno che mi riteneva degna di starle vicina. E non era l’unica. Perché io, semplicemente, mi rendevo speciale per il solo fatto di esistere ed essere felice di esserlo.

 

 

Ti sto ancora aspettando, sai?

Ma con la consapevolezza che all’ombra fa fresco, tira una brezza che mi ha portato persone che del proprio essere lesionista, punk, normale .. semplicemente se ne fregano.

E mi fanno compagnia. Perché noi sappiamo finalmente cosa c’è di bello in noi. O, se non lo sappiamo ancora, lo cerchiamo. Ma stiamo qui certi di una cosa: noi siamo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

***************************************************************************

Ora parto per la tangenziale di pensieri profondi con sfondi a forma di predicato. Lo so. Ma dovevo, e dico dovevo, dedicare queste poche parole ad una persona importante e lontana. Contemporaneamente ad un’altra. Vicina e altrettanto stupida. Perché vi voglio bene.

 

Ade

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Capitolo 2
*** E basta. ***


E basta.

 

 

Non credo ai principi e alle belle addormentate, ai vissero per sempre felici e contenti, credo alle persone che si sopportano, a quelli che ogni tanto si dicono "ti odio" e maledicono il giorno in cui si sono incontrati.

- Giulia Carcasi –

 

 

 

 

 

 

 

«Tu.. inutile, idiota, caccola, sterco e unicellulare.. buzzurro!!»

«Troppa grazia, davvero.»

Camminava veloce come ad avere le ali ai piedi, Lei.

La seguiva lento raggiungendola, Lui.

Lei non lo sopportava davvero, Lui le dava, in un certo qual senso, corda.

Era una normale primavera, e le giornate erano pieni di fiori di pesco, bambini urlanti all’uscita dalla scuola, donne dalle enormi buste della spesa alla fermata del bus. Una giornata come tutte.

Questa giornata è talmente normale e monotona che potrei ucciderlo, così, tanto per cambiare.

«Naaa.. non lo faresti mai, ne sono certo.»

«Perché tengo troppo a te, al fatto che hai lasciato Marianne da sola a casa i mezzo a coltelli da cucina, o perché sei troppo idiota.. mi hai appena letto nel pensiero?»

«A volte capita. O forse sei semplicemente il libro che preferisco, che mi piace leggere e sfogliare con tanto, tanto amore, e che rileggo nonostante lo conosca a memoria. »

Perché riusciva a dire sempre.. quelle cose?

«A-ad ogni modo, vedi di starmi lontano per un po’, hai superato ogni limite e qualsiasi frase potrà essere usata contro di te.»

«Ranger Walker, non mi arresti.. stasera c’è anche una nuova puntata di Dottor House, non posso assolutamente perdermela!»

«A te non frega assolutamente che quella poveretta della mia adorata bambina sia a casa sola e senza protezione alcuna!»

«E’ un cane.»

E chissenefrega, stupido possessore di cromosoma Y!

«Se la pensi così, puoi albergare altrove, mentre io vado a coccolare la mia povera e sola Marianne!»

«Mi stai mandando in bianco?!»

«Ma perché trasformi le frasi a tuo piacimento? Il tuo cervello ha problemi che nemmeno io posso risolvere!» Stupida, inutile laurea in psicologia.

«Amore, ma perché non cerchi di pensarci su.. dopotutto la notte riappacific-»

Sbam. Una porta chiusa. Una notte ad aspettare che avesse pietà di lui.

Lo sapeva. Lei lo sapeva che lui sarebbe rimasto lì fuori tutta la notte, sveglio, a rischiare l’ipotermia, chiedendo uno scusa muto con quel gesto consueto. Perché placare le sue ire parlando era impossibile. Quanto impossibile era che la conoscesse così bene.

Sospirò. Devo proprio farlo rientrare, quello stupido Orso senza materia grigia. Ma pur sempre il mio preferito.

Ma quando aprì la porta non sentì, ma vide il suo cuore spezzarsi. Lui lì fuori non c’era.

E se ha capito che una come me è meglio perderla che trovarla?

E se veramente avesse perso la sua infinita pazienza e vorrebbe semplicemente andare a letto con qualcuna che non sia così frigida come me? Stupida. Stupida. Stupide lacrime che minacciavano di far capolino.

E se stesse cercando la scusa per mollarmi?

E se mi stesse tradendo con qualcuna e adesso è corso a farsi consolare da lei?

Le lacrime scendevano, copiose.

«Ehi! Ehi!!»

Cos..

«Zuccotto adorato, perché piangi? Ricorda che potresti suggestionare le nuvole, e se decidessero di far venire la pioggia, io ho una bella nottata al freddo e al gelo, come Gesù Bambino!»

Pianto disperato. Ma quanto era cretino?

«Tu.. dove eri andato? Perché non eri fuori la porta? Te ne sei andato e..e ..»

Perché piango? Smettila!

«Ero andato a prendere dei fiori per una piagnona, la suddetta di fronte a me, e te li avrei dati freschi di una nottata a farmi compagnia, aperti dai primi raggi di sole. Il mio raggio sei tu.»

Ora era solo sollievo. Tutto che apriva la bocca dello stomaco, e le permetteva di respirare normalmente.

«Tu.. t-tu.. idiota! Idiota!!»

«Mia squisitissima bevanda analcolica, non ti fa bene esaltarti a tali livelli, lo sai.»

Ah, se non ci fosse questo.. troglodita!

«Mi tradisci con qualcuna? Ti sei stufato di me? Sei sicuro che non vuoi di più?»

«No. L'unica mia certezza è che non posso stancarmi di chi fa parte di me. E tu sei la parte più importante.»

Ti amo.

«Ti amo.» di slancio mi butto con i miei sessanta chili di peso addosso a quell’ammasso di preoccupazioni.

«Adoro quando me lo dici. E poi che idee ti vengono mai in mente? Lo sai che mi piace tantissimo stare con te a discutere!!» Voglio che mi baci, idiota.

«Andiamo a casa?»

«Casa.»

 

 

 

 

 

 

 

[Alcuni anni dopo – perché l’amore dura, e basta.]

«Marianne, Marianne! Cosa ti ha fatto quell’essere immondo, senza alcuna vergogna a mostrare la sua stupidità? Piccola cara..»

«Bhe, almeno adesso stai abbracciando nostra figlia. Anche se trovo inquietante che tu l’abbia chiamata come quel barboncino.»

Sorrise con i suoi invidiosissimi e bianchissimi denti, mentre lei rabbrividiva, e non di freddo, all’aggettivo possessivo nostra.

«Geloso?»

«Troppo. Fortuna che quella cara vecchietta della nostra vicina voleva compagnia, mi irritava tantissimo doverti condividere con un estraneo tanto peloso e antipatico.»

Alzò gli occhi al cielo, in una muta preghiera. Ma esiste un limite a tanta cretinaggine??

«Ma chi mi ha convinto ad accettare quella proposta di matrimonio?» E sul suo viso si stese uno sguardo rassegnato mentre con malagrazia posava sulla tovaglia a fiorellini ingialliti una gigantesca busta di plastica con su scritto Conad, e dentro chissà cosa.

«Ovviamente tutto il mio charme.»

O forse il fatto che fosse lo stupido di sempre, che da sempre la faceva fremere come la prima volta, e che sapeva tutto di lei, e che per lei altro non era che il suo “per sempre” in amore. Ma di certo non glielo avrebbe mai detto.

Bacio.

 

 

 

 

 

«Li vuoi i fiori?»

«Sì.»

«Anche il mio biglietto romantico e strappalacrime?»

«Sì.»

«E sposarmi?»

«Sì.»

«Hai inteso bene quello che ti sto dicendo?»

«Sì.»

«Ah, ok.»

..

«No, sai, perché pensavo che in questo modo avrò come minimo la garanzia che anche se mi butti per strada poi posso tornare da te e impedire a chiunque di avvicinarsi. E poi uno mica si sposa tutti i giorni. Sarai mia e basta. Per non dimenticare il simbolo dell’anello, secondo me parecchio sottoval-»

Conoscere il metodo per zittirlo ha tanti lati positivi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Non ho parole di riserva per le note finali, quindi con tanto amore lascio a libera interpretazione. Tanto la via è quella, segnata da tanti meravigliosi sentimenti. Ma quanto sono dolce e romantica, eh?]

Ade

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Capitolo 3
*** Il passo_ ***


Simpatia.

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Si incontrano migliaia di persone e nessuno di loro ti tocca veramente..

e poi si incontra una persona e la tua vita è cambiata.. per sempre. 

- cit. Amore e altri rimedi - 

 

 

 


Emozione. Un tramestio tutto nello stomaco. Io non sento farfalle, non sento proprio niente.

Che sia morta così, di punto in bianco?

 

Invece no. No perché lo sento, che le gambe mi sostengono e i pensieri si accavallano, cercano di farsi spazio nella mia testa, di uscire fuori, muovendo la lingua e aprendo la bocca.

Invece no. Perché resto ferma, livida e con i pugni serrati.

L’emozione che sento è triste, non mi lascia scampo e mi travolge. Ma è tutta dentro, lo capisco perché quelli che mi sono attorno sembrano avere i tappi alle orecchie, che non permettono loro di sentire alcunché di tutto il mio boato, interiore.

Non sono morta, questo no. Ma le mie labbra non proferiranno parola, perché sono mute. Sarà sempre sconosciuta e immaginaria, impossibile da decifrare, perchè ormai ho dimenticato anche cosa significhi aprirla e far nascere un suono. Non la ascolterò maturare, invecchiare o diventare saggia e opportuna. Sarà sempre lei, serrata e nella mia bocca, imprigionata dai denti. E l’emozione che provo non la può sentire. Il modo più diretto per raggiungere una persona sono le parole. Le parole hanno fatto nascere poesie, diplomazia, dialettica. Parlare è un’arte, e a me preclusa.

E mentre osservo quel gruppo, lontano poco nella realtà ma infinitamente nel pensiero, di ragazzine come me, che ridono, scherzano sono ancora una volta invidiosa.

 

Starò peccando, Signore?

Sono davvero una persona cattiva.

 

Le immagino, che programmano la loro uscita insieme in piazza, a indicare punti indefiniti con il dito, fotografare la loro età, immortalare quei ricordi felici, che fanno graduatorie di appetibilità su ragazzi estranei e mai visti.

Invece io no. E mi fa male. Scusa, Signore, se penso queste cose, sto sbagliando, ma ti prego.. scusami, davvero.

Sono sempre qui, a fantasticare e sperare in qualcosa che non accadrà mai, a ricoprirmi di odio e negatività. Ma non lo do a vedere, perché io sono anche ipocrita.

 

Scusa.

 

Mi vesto di fiori e sorrisi, ma in realtà non so nemmeno come si faccia. Intorno a me riesco a leggerli i sorrisi, le espressioni, i significati che ognuno nasconde in un rossore, in una bugia, in una posa particolare. Ma io sono sempre troppo lontana.

La mia bocca crea davvero così tanti problemi a possibili rapporti? Le emozione che leggo negli altri sono sempre le stesse, quando fissano me. E a me fanno male, perché preferirei non essere guardata, che sentire la loro pietà, la loro compassione, il loro disagio nello starmi vicino.

Solo nei libri esistono frasi come “e non ci fu bisogno di parole” perché se fosse così, io non sarei così. Perché io negli sguardi riesco a capire tutte le parole inespresse e dette. Ma il problema resto io, che per gli altri sono indecifrabile.

E per questo nessuno si volta per davvero verso di me. Guardano la parete che ho alle spalle, o la commessa carina che mi sta di fronte, o la mia compagna di banco. 

Pretendo troppo nella mia “condizione”?

 

Scusa, scusa.

 

Quelle cinque amiche sono scomparse dalla mia vista. Ma i miei sensi le percepiscono ancora, in tutta la loro schiacciante felicità.

Vorrei essere al loro posto. Egoista, perché significherebbe mettere una di loro al mio. Sarei disposta a tanto?

 

Scusa.

 

Vorrei liberarmi di tutti questi miei pensieri, di tutto quello che sono, diventare un altro senza togliergli niente. E invece no. No perché sono diversa, infima e inutile.

Non so cosa possa tirarmi fuori da questo .. baratro?

Mi auto commisero, rendendomi vittima.

 

Scusa.

 

Mi sto per voltare, tornare nella mia casa, piena di falsità, come me, dove tutti sono carini e buoni, ma loro non sanno che io so. So che accondiscenderebbero a qualsiasi cosa io chieda, e venderebbero metà della loro anima per avere una figlia normale, stupida, intelligente, alternativa.. ma non malata. Malata per timidezza, per l’essere così poco capace di esprimermi, che dà loro troppi problemi.

Parlare, mi manca solo quello. Desidero la perfezione?

 

Scusa, scusa.

 

Una di quelle ragazze sta tornando indietro. Strano, avrà dimenticato qualcosa. E nella mia direzione.

La sento, una improvvisa e magica, finalmente, emozione nuova. Nuova e diversa, perché finalmente non è triste, non è di condanna o cattiva. Sono esagitata, mi guardo intorno cercando cosa possa aver distrattamente lasciato lì, sulle panchine intorno. Man mano che si avvicina sente il cuore battere forte, perché prima ha scorto qualcosa di diverso in quella ragazza.

Poi si ferma.

Che sia morta così, di punto in bianco?

Lei si è girata, ha preso un libro, probabilmente cadutole dalla borsa mentre si avviava con le amiche, ed ora si sta allontanando. Le persone riesco a vederle sempre così. Perché nonostante si muovano, avanti o indietro, a destra o a sinistra, alla fine a me voltano sempre le spalle.

E mi fa male.

Però si gira di nuovo, e stavolta è strano, perché nei suoi occhi c’è davvero determinazione, quasi furia. Ma ciò che mi sorprende è che guarda me.

E’ questo che si prova quando qualcuno ti guarda? Perché lei lo sta facendo. Ed è fantastico.

 

Scusami, Signore, se per essere felice ho bisogno degli altri,

ma sono davvero troppo sola.

 

Man mano che si avvicina quasi ride, deridendo il passo anapestico che ha assunto, e una volta troppo vicine, scandisce le parole. E il mio cuore si ferma.

Perché, finalmente, è troppo felice.

 

«Ho letto per sbaglio una frase, sai, sul tuo quaderno.»

 

Sta ansimando, come se avesse fatto la sua più grande corsa, o come una persona che sta prendendo tutto il suo coraggio. Perché non tutti sono eroi o persone buonissime che semplicemente ti danno la mano e dicono  «Adesso siamo amici, benché diversi» .

Ma a me basta e avanza. Perché sono troppo felice.

 

«Hai scritto che le persone non ti sono mai davvero vicino, nemmeno ad un palmo di naso.»

Mi guardava con accusa, quasi rabbia indigesta. E mi sentii in colpa.

Scusa.

«E sai che c’è? C’è che non è vera una beneamata minchia!»

Scusa, scusa. Ma almeno mi stai parlando, e ti rivolgi a me. Grazie. E finalmente sono felice di essere anche sgridata, perché finalmente qualcuno lo fa per il mio bene. Ma mi vuole bene? Quanto sono illusa.

«Non è vero, perché io ho corso verso di te, lo sai? E ti manca solo un misero passo a te per raggiungere me e le mie amiche. Noi non siamo a disagio con te, proprio no.»

Sono troppo felice.

«..Noi.. io sono bloccata, perché tu non fai un solo passo verso gli altri, auto-commiserandoti, credendo per certo che non verrai accettata. Tutte palle!!»

                                                                                                                               

Grazie.

 

Lei, la mia compagna di banco dalle unghie color rosa shocking, le lentiggini dappertutto, alta la metà di me, ha compiuto un salto infinito, e ci è riuscita, facendomi capire quanto io sia stata cieca, per tutto questo tempo.

Io non potrei fare questo ultimo miserabile passo? E lo faccio. Sorrido.

 

E sorrido ancora di più, vedendo quel gruppo di ragazze che mi fissano, e poi, ridendo, mi prendono per le mani e mi trascinano, credo, al mercatino.

Perché ora finalmente so cosa fare. Perché devo cominciare da me.

 

Grazie.

 

Sembra tutto un meraviglioso sogno, reale.

- Come fai a sapere che mi vuoi come amica, se non ci siamo mai parlate? -

Glielo ho scritto su un fogli di giornale, sopra l’intestazione. Non ho mai provato la sensazione di voler comunicare qualcosa, a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo. E’ bello e liberatorio. E penso che piangerei se mi deridesse per non averle rivolto la mia voce flebile. Ma ancora non ce la faccio. Scusa.

Lei, mentre io la guardo sorpresa, chiama le altre e prendendo un'altra rivista, ci scrivono sopra.

E sono felice, perché riesco a leggere tutto quello di cui ho bisogno.

- Amicizia è simpatia, e simpatia – per quel poco che ho imparato by Nic – è provare reciprocamente sentimenti belli o brutti, sostenersi e tante altre sdolcinerie, e noi aspiriamo a questo con te! -

Ridono di nuovo, e io, ancora una volta, sorrido, ebbra di felicità.

 

 

«Grazie.» quando lo riesco a dire è strano, ne rimango stupita, perchè è uscito fuori da solo. E' un suono articolato, come tanti e allo stesso tempo mio. Adesso sto davvero piangendo, mentre mi stringono abbracciate, e dentro di me rimbomba qualcosa di potente, che ora so di poter buttare fuori. Ed è bellissimo.

Le persone che mi sono intorno, adesso, non necessitano delle mie parole. Loro mettono al primo posto questa simpatia. Ed è bellissima.

 

Sarò degna di avere delle persone con le quali stare insieme?

Forse sì, e provarci non costa nulla.

 

Ma questo è solo l’inizio, perché simpatia la si può provare verso tutti. Bisogna parlare, e non è necessaria la lingua.

Grazie, Signore, perché mi hai mandato persone che me l’hanno fatto capire.

Perché probabilmente vedono anche più cose di me.

 

 

 

 

 

 

********************************************

Cos’è? Bella domanda. Questo è anche un omaggio alle persone che non riescono a fare il “passo”, hanno bisogno di un aiuto. E quello lo puoi trovare sempre, perché le persone, anche quelle che ti sembrano meno indicate e non ci hai mai pensato, possono travolgerti e aiutarti a diventare te, però migliore.

Simpatia in greco viene da suν e paθoς, che significano con e sentimento, quindi il provare qualcosa insieme. Perché tutto si può intendere in tanti modi, e io l’ho fatto così. Simpatia = siamo amici. Amen.

Chiudo questa noiosa parentesi dicendo che “simpatia” è il cardine con la quale si apre l’amicizia, inizia o continua. E la nostra ignota protagonista semplicemente non si riteneva degna di tenerla in mano, questa chiave.

 

PS. Grazie a Shadow, che è sempre troppo buona con me!

Ade

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Capitolo 4
*** Te stessa ***


Chi sei?

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Le stronzate e la falsità della gente sono il motivo principale per cui mi piace stare da solo.

 

 

 

 

 

 

«Devo partire, mi dispiace.»

«Va bene»

 

«Lei è una ragazza fantastica, puoi odiarmi, ma non posso continuare con questa farsa.»

«»

 

«Che io sia qui o meno per te non ha valore! Non ha senso continuare, capisci?»

«Certo, hai ragione»

 

Chiamate registrate.

- .. lo so che ci saremmo dovute vedere, ma ho avuto un contrattempo, scusa, sarà per la prossima volta, ok? Ciaoooooo! –

Bip.

- Senti, avevamo deciso per quell’appartamento, ti ricordi? Ma ho fatto una richiesta ad un’altra rivista, e mi hanno presa! Evviva!!  Comunque mi trasferisco a Roma. -

Bip.

- Esco con il mio nuovo ragazzo, poi ti descriverò ogni suo meraviglioso dettaglio e sarai gelosa marcia! Mi dispiace per la nostra serata insieme, ma prometto che la faremo, giuroooo!! –

Bip.

 

 

«E’ finita.»

 

«E’ finita.»

 

«E’ finita.»

 

Quante volte hai sentito questa frase? Troppe. Detta in modi diversi, da persone diverse, ma tutte volevano sostanzialmente dire che ti abbandonavano, ti buttavano via perché avevano trovato di meglio, perché stava a significare che tu eri solo di passaggio nella loro vita, e per loro contavi meno di niente. Meno del loro lavoro, meno del loro rapporto, meno del loro rispetto. Una vecchia bambola ormai inutilizzabile. Avevi fatto qualcosa per meritarti un trattamento simile? No.

Eppure eccoti lì, sola. Da fuori può sembrare tutto normale, contrattempi e varie. Ma succede sempre. Troppo sempre per essere “una volta tanto”.

Il suo nuovo ragazzo vale più dei loro 5 anni insieme e dove lei aveva cercato di costruire qualcosa? Nulla.

Valeva talmente poco la sua dignità da non avere la buona educazione di avvisarla che sarebbe partita lontano?

Valeva talmente poco da fare sì che un contrattempo impedisse alla sua amica dai tempi del liceo di incontrarsi con lei? E senza dare alcuna spiegazione?

E quella era una delle tante volte nelle quali si sentiva messa da parte, perché c’era chissà cos’altro di meglio da fare per loro.

Era fumo per tutti, quella che metaforicamente è la ruota di scorta, l’ultima ruota del carro e via dicendo.

Ed era brutto. Era esasperante. Era da imbufalirsi come si sentiva uno straccio per quelle persone che non la meritavano. Tutte le volte che andava a trovare sua madre le diceva questo. Ma poi, se le avesse abbandonate che avrebbe fatto?

Semplice, a loro non sarebbe cambiato nulla, un individuo con un nome in meno da ricordare, mentre per lei sarebbe stato solitudine e pettegolezzi malevoli.

Era meglio subire, davvero.


 

 

«Cosa? Dovevo lavorare io a quel caso? Cara, ho un impegno da sbrigare immediatamente, perché non ci dai un’occhiata tu?»

 

«Oddio, sono un mostro, orribile per davvero: mia adorata, io sono in luna di miele! Come potrò farmi perdonare? Davvero io..»

 

 «Eh? Ma le pratiche me le sbrighi sempre tu, tesoro!»


Ma c’è sempre quella fatidica goccia che fa traboccare il vaso, che ti rende consapevole di quanto tu sia importante e ti fa comprendere quanto gli altri siano nullità che si aggrappano ai tuoi favori, ai tuoi consensi, al tuo comportamento docile. Che tu sei stata solo usata e rottamata, ogni volta.

Ma è tutto una facciata, solo una delle tante, e tutti gli altri conoscono solo quella. E hanno sbagliato. Perché da quel momento sarebbe stato un “era una facciata”.


Se prima sarebbe potuta montare la rabbia, tutta la bile contenuta, adesso ti ritrovi a guardarti allo specchio, pronta per l’incontro con tutti i tuoi amici e colleghi, che non ti hanno dato buca l’ennesima volta solo perché c’erano altri, ovvio, e il capo. E anziché strepitare parolacce poco consone all’occasione, e avere gli occhi pieni di lacrime di stizza, parcheggi di fronte al lussuoso ristorante dell’invito. Semplicemente con indifferenza, l’unica che combatte e vince contro le persone che non ti meritano e hanno avuto per tutto il tempo la possibilità di godere di una persona cara e accomodante. E scopriranno quanto i loro “cara” e “tesoro” che suonavano tanto ipocriti sulle loro bocche saranno dei convenevoli; non disprezzo, che nemmeno meritano, ma la lieve enfasi nel rivolgersi a qualcuno di inferiore, che fino a quel momento aveva, chi letteralmente chi diversamente, campato di rendita sulle sue spalle, fregandosene della sua esistenza. Senza fare i conti con qualcuno che ha smesso di ignorarsi.


«Sono così felice che tu sia potuta venire, sai, credevamo..»

«Eh?» un’espressione di genuina sorpresa  «non preoccuparti, l’importante è che sia qui, no?» la voce modulata, che sta per esprimere la dimenticanza «Margaret, come sono sbadata, avevo completamente dimenticato della tua relazione! Beh, immagino che tu abbia fatto almeno una bozza, in modo da poter riuscire in breve a completarla.»

«Cosa? Ma io ero certa che l’avessi fatta tu, di solito -»

«Di solito te la consegno pronta, già, ma credo che a volte una persona debba dimostrare di meritare il posto che occupa, sbaglio? Per te sarà facile, non era una traccia molto ardua da quel che ricordo» un lieve sorriso di circostanza, quasi a compatirla, sebbene ormai quel volto chiaro non ti fa né caldo né freddo << sempre che tu abbia un qualche talento, cara.»

L’hai salutata, leggendo nei suoi occhi la sorpresa, lo stupore, lo sconvolgimento causatole, e la scusa affrettata nel tornare a casa. Ma non ti fa più nemmeno pena, né non ti compiaci. Perché ti senti finalmente libera, finalmente certa che adesso stare da sola sarà la migliore compagnia, e sei solo beata e soddisfatta di te, che ti sei finalmente dimostrata ciò che sei. Non cinica, cattiva, stronza, vendicativa, subdola, doppiogiochista. Queste sono tutte le persone che avevi intorno, assieme a molte altre. Semplicemente ora non dipendi dalle attenzioni di qualcun altro, ti guarderai allo specchio e vedrai il solo tuo riflesso.

«Sarah? Sei tu? Senti, volevo solo dirti che c’è la macchina del caffè da aggiustare, dovresti porre rimedio, te ne eri preso l’impegno, ricordi?» sorridi ancora, mentre ti accorgi che ad essere fumo, adesso, sono loro.

 

- Marco? Tra noi è finita. – il tuo non è un messaggio vocale, l’hai telefonato, attaccando prima che potesse ribattere. Perché ora trovi fastidioso parlare, e soprattutto con qualcuno del genere. E ti ritrovi a ridere mentre pensi che qualche giorno prima avresti cercato in tutti i modi di avere le attenzioni di tutte quelle persone.

 

- Giovanna, sono davvero felice che tu abbia trovato un così bel lavoro, so che era il tuo sogno, così come fare la modella in intimo e l’astronauta, ma devi pagare la rata dell’affitto, conto sul fatto che tu mi consegni anche gli arretrati, da me pagati in anticipo. –


E non te ne importa, della tua mancanza di tatto, il tuo essere diretta ti piace, e non potrebbe interessarti di meno ciò che possono pensare gli altri. Ti importa solo di te, del tuo lavoro, del tuo idolo di sempre, che è quel barbone alla stazione che sembra un bigotto pazzo, ma le piace. Adesso, di certo e se ne avrà ancora voglia l’indomani, gli andrà a parlare, sedendosi per terra, dove c’è il tanfo della pipì di cane.

E l’unica persona alla quale non sarai più indifferente – ma proprio mai – è quella che ha pazientato tutto il tempo che tu la degnassi di attenzioni, che ha subito in silenzio che gli altri ne usufruissero, spogliandola della propria dignità, orgoglio, minimo amor proprio.

Te.

 

 

 

 

 

Il giorno in cui tornare a fidarsi di qualcuno è lontano?

Il tempo che basta per rimettermi insieme, rispolverando quello che sono.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Inutile spazio autrice_

Bhe, queste righe che c’entreranno mai con l’affetto? Ho riflettuto – anche io penso, già – che se affetto significa “fare qualcosa per” in latino, allora la mia protagonista anonima l’ha fatto, ci ha provato, ed avendo ricevuto questo in cambio, è semplicemente cambiata. Può sembrare triste, o rivincita, ma in realtà questa “lei” si è legata a delle persone. Ed è stato molto peggio il trattamento ricevuto che uno schiaffo, l’odio..  lei si è vista scorrere nella loro vita come un oggetto utile, e il sentimento in lei ha avuto queste ripercussioni: lei adesso, o meglio, alla fine della storia, ha deciso di partire da sé, di pensare all’unica persona che realmente non ha considerato. E lei sa bene cosa significa. Per questo il suo cambiamento non è tanto negativo. E poi sono tanto buona da aver lasciato lo spiraglio di speranza nell’ultima, breve, frase.

Il sentimento o affetto he la lega a queste persone ora è indifferenza.

Ade

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Capitolo 5
*** Righe dritte ***


Gli altri.

 

Addio – disse la volpe. – Ecco il mio segreto. E’ molto semplice: Non si vede bene che con il cuore.

L’essenziale e’ invisibile agli occhi.


Simona giocava a carte spesso con il nonno, e con lui parlava di tante cose. Ma più spesso di altre dei modi di dire. Il nonno le diceva sempre che capire gli altri è sempre difficile e ha bisogno di una gigantesca attenzione e pazienza.

“Le persone lasciano solo intendere le cose più importanti, il resto sta agli altri, a noi.”

Lei odiava quelle parole che non erano parole, ma altre.

Lei era sempre stata pessima ad indovinare, e la diceva lunga il fatto che non avesse capito quando la zia non si era sentita bene, quando mamma era triste, o quando il papà se n’era andato di casa, e lei non aveva inteso che avrebbe dovuto dirgli più volte “pa’, ti voglio bene”. Ma non era certa che avrebbe funzionato ugualmente.

“Non voglio più ascoltare parole e dover leggere tra le righe.”

Simona se lo ripeteva mentalmente tutti i giorni, non capiva come il nonno sopportasse invece quell’estenuante ricerca. Non se la faceva pesare.

A lei invece irritava, e poiché era troppo diretta veniva allontanata. La sua vita confinata in un buco. E questo solo perché gli altri non accettavano di dire la realtà, creando situazioni più complicate nella loro mente. Fatiche inutili.

Tra sé e sé, Simona osservava tutti con fare cinico – cattiveria? No, solo oggettività – e se la rideva, di tutti quegli stupidi, false copie di se stessi.

“Quando si alzano la mattina riconoscono sconosciuti.”

Ipocriti.

Quando aveva iniziato Simona a soffrire di misantropia? Non lo sapeva, semplicemente era successo, un po’ per colpa sua, un po’ per colpa di tutti gli altri.

Ma si sa, certe persone sono fortunate più di altre, e trovano chi può aiutarli senza fare nulla di che. E noi parliamo di questo caso felice, perché di tristezza ce n’è troppa per parlarne anche qui. Qui è meglio stare a spiegare di come a Simona era andata bene.

 

Campanella. Entrata e vocio di scolari. Registro di classe. Ultimo banco. Appello. Storia. Matematica. Biologia. Letteratura. Educazione fisica.

Storia. Interrogata: 8

Matematica: controllo dei quaderni, spiegazione.

Biologia: nuova insegnante, nuovo posto a sedere per tenere separate due ragazze troppo chiacchierone.

Letteratura: noia e tanta voglia di fumare. Ma si fa per dire.

Ed. fisica: correre, correre. In squadra senza partecipare. Correre, correre.

Prima di tornare a casa però fu sorpresa dalla sua nuova compagna di banco – Melis – che la fermò.

- Mi daresti una mano in italiano? Perché non so davvero come fare per le prossime interrogazioni.. –

- Vorresti usarmi per prendere la sufficienza? –

- No, era un escamotage per conoscere meglio la mia compagna di banco. –

- E non potevi chiedermi semplicemente di parlare un po’? –

- Ma ho anche bisogno di una mano con la letteratura. –

- E allora vuoi una nuova amica secchiona da sfruttare per i tuoi comodi. –

- Non credo.. no, proprio no. Riformulo la domanda: vorresti venire a casa mia per conoscerci meglio e fare insieme un po’ di italiano? Non per usare la mia coetanea Simona Cappi, ma diventarne amica e imparare qualcosa da lei. Così come va? –

- Meglio. Sapresti parlare sempre in maniera diretta, senza voler nascondere un fine? –

- No, lo voglio lasciar intendere. –

- Vuoi in qualche modo omettere la verità. –

- Io la vedrei di più come un codice morse, che solo le persone che ci tengono possono mettersi a pensarci su. –

- Io ci ho pensato su? –

- Già.. siamo irrimediabilmente amiche, ora, cara compagna di banco. –

Simona non cambiò da così a così, rivoltata come un calzino. Ma Melis aveva davvero tanta pazienza.

- Lo sai che tu sei molto più criptica di chiunque altro? –

- Non è assolutamente vero. Dico le cose come stanno, sempre. –

- Ma non dai a nessuno la possibilità di capirti. Ti chiudi a riccio mostrando solo poche cose di te.. per riuscire a capirti ci vuole davvero.. –

- Fammi una domanda diretta, allora.-

-  E che gusto ci sarebbe? Io, Melis Ornello, mi prometto di comprendere quella testa bacata della mia amica Simona, perché se ci sarà qualcosa che vorrà tenere nascosto, anche a se stessa, io la scoprirò –

E fece esattamente quello.

 

- Guarda, si vede lontano un miglio che lei lo tradisce. –

- E se lo facesse perché è convinta che nessuno possa migliore del  suo ragazzo? –

- Troppo illusa. –

- Catastrofica. –

- E allora perché non glielo dice, eh, che va con un altro per poi lodare la sua superiorità? –

- Perché lui non se ne è accorto e non provvede da sé? –

- Perché lei non glielo dice direttamente? –

- Punto primo, la tua è solo una supposizione, secondo ma non meno importante, sono convinta che anche tu gli piaci, e non ti tradirebbe mai. –

- Cosa!? –

- Chi, vorrai dire. –

- Non stiamo parlando di lui. –

- Io non l’ho mai detto. –

 

- Perché quella signora non lo dice in faccia alla commessa che vuole vedersela da sé? –

- Perché è una persona educata. –

- Non potrebbe chiederle cortesemente di starsene per i fatti suoi? –

- Forse in realtà lo vuole davvero un consiglio, solo che la commessa le da i consigli sbagliati. –

- E allora perché non lo dice chiaramente? –

- Perché è una persona educata, e tutti possono sbagliare, ma non io. Ballerine bianche, 36. –

- Non mi piacc-

- Sei maleducata, ma te la faccio passare. Non sono una commessa, non ho il dovere di servirti come cliente, ma in quanto amica ho un dovere nei confronti del tuo romantic date. Quindi zitta e provatele. –

 

- Se una cosa non piace non piace, no? Che male c’è a esprimere la propria opinione liberamente? –

- E’ solo sua cugina, Simo. –

- E questo che c’entra adesso? –

- Suvvia, lo stai fissando da ore con uno guardo omicida, e cerchi di mettere in mezzo stupide discussioni. Ah, e in ogni caso se ad una persona importa davvero di te e ti conosce, allora quella cosa ti piacerà. Punto. Fosse anche cacca. –

- Ne sei sicura Mel? – Sollevata.

- Eh? Di cosa? – Finta tonta.

- Lo sai, di cosa. –

- Beh, perché non esprimi liberamente la tua opinione? -

 

- Ti voglio bene. –

- Io lo sapevo già, non c’era bisogno che me lo dicessi con tanto sforzo..–

- Già. -

- Giovane donna che emana radiazioni negative, vuoi tu andare a paninoteca e con me mangiare? –

Successe senza che se ne accorgesse. Ma capì, alla fine, perché il nonno sorridesse tanto. E rise, forte.

Se ci tieni a qualcuno ti metti vicino a lui e ci scavi dentro fino a trovarlo. E per quanto tu possa essere scoraggiato da tante possibili incomprensioni, la voglia di intenderlo – l’altro - non ti passerà.

Lo capì, quando ebbe finalmente una mano da stringere e dei sentimenti da condividere.

Perché si lascia intendere, ma a capire sono pochi, quei pochi.

Perché dover leggere o meno tra le righe è uguale per tutti – per gli altri -, farlo e farlo per qualcuno è diverso.

 

 

 

 

Bastava poco, nonno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio -inutile- autrice

Mi piacciono troppo i nonnini. Sarà che mi fanno una tenerezza unico o perché ispirano taaanta esperienza? Mistero.

In ogni caso, la mia Simona è una misantropa. Ma non per questo chi le dovrà volere bene gira al largo. E’ bello sentirsi amati, quindi non vedevo perché non far cambiare idea – nel mio immaginario, s’intende -  a qualcuno che il genere umano lo odia.

E basta.

Ade.

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Capitolo 6
*** Amare. ***


O L T R E

 

 

 

Non ho mai capito come faccia a ridere in quel modo, ma penso che sia perché ha pianto molto.

-Oriana Fallaci.-

 

 

 

 

 

 

 

 

Era un bel lunedì di Settembre, quando Giovanni Riccioli e Lelia Ascardi si fidanzarono ufficialmente di fronte alle loro famiglie, troppi sorrisi e felicità inesprimibile. Quel giorno tutti lo ricordano pieno d’amore.

Era un freddo Novembre di molti anni dopo, quando le fu diagnosticato un cancro al polmone, e il suo dolore divenne così forte da non riuscire più a vivere.

 

 

 

Non aveva mai amato qualcuno quanto lei. Veramente non aveva mai amato nessuno oltre lei.

Lo prendeva sempre alla sprovvista. Nella sua vita era stata, ed era, la costante più bella, meravigliosa che avesse potuto immaginare di pensare.

 

“ Giò! ”

“ Buongiorno anche a te, Lelia. ”

“ Hai mai pensato di contare le stelle? ”

“ Sinceramente no. E poi, dai, è impossibile. ”

“ Impresa inutile? ”

“ Esatto. ”

“ E se invece fosse l’espediente perfetto per un appuntamento romantico? ”

“ Pomiciamo? ”

“ MMhhh.. solo se mi regali l’ Orso della Casa Blu, e mi canti la canzoncina. ”

“ Andiamo a contare le stelle, baby.”

“ Credo di aver sbagliato numero, gaudente giovine ”

“ E perché mai, donzella? ”

“ Lui non saprebbe rendere così bene su una hot-line. Vogliamo vederci di nascosto, incantevole sconosciuto? ”

“ Vada per l’Orso, bestia. ”

 

Capire di amarla era stato facile, come lasciarsi cadere giù per un dirupo, o decidere di vivere a spasso come un barbone perché stanchi della solita noiosa vita.

 

“ Amare è una cosa fantastica. ”

“ Non ne sono certo, sai. ”

“ Come? ”

“ beh, ci sono coppie che litigano, che si sfasciano, che si tradiscono, che … ”

“ Ma quelle non sono vere coppie. ”

E l’ovvietà dell’affermazione congiunta alla fermezza del suo sguardo lo fece ricredere all’istante, ritenendosi uno stupido per non aver creduto da sempre all’amore eterno.

“ Amare se è innamorarsi non durerà mai con il per sempre. La formula magica per amare eternamente di vissero felici e contenti è solo una. Mia nonna ne era convintissima. ”

“ E quale sarebbe? ”

“ La volontà, no? Se amo infinitamente qualcuno è fantastico, ma amare all’infinito è pari a un miracolo. ”

“ Tua nonna era molto saggia. ”

“ Ma anche piena di difetti. Era bisbetica e acida con nonno Ipparco, ma non si sono mai lasciati andare. ”

“ Sono quasi sicuro che le migliori discussioni erano per il suo nome. ”

“ Già, lei si chiamava Maria, e la cosa probabilmente non le è mai scesa giù. ”

“ Che lui avesse un nome più figo? ”

“ Che non avesse anche lei un nome strano, e dopotutto la capisco. ”

“ Non ti piace Lelia? ”

“ Affatto. Mi piace eccome, non riuscirei a vivere senza. Immagina che qualcuno mi chiami con un altro nome, mi sentirei privata di una parte di me. E poi Lelia sa tanto di fiore, non trovi? ”

“ Sicuramente meglio di Crisantemo ”

“ Io ne conosco uno. E’ il figlio del guardiano al cimitero. ”

“ Woow, devo assolutamente conoscerlo. ”

“ E’ un tipo simpatico, rimanendo in tema floristica sarebbe un fiore di Bach, riesce a curare psicologicamente le persone. ”

“ Noi di che categoria facciamo parte? ”

“ Di che parli? ”

“ Siamo come nonna Maria e nonno Ipparco? "

“ Non te lo dico. ”

 

Vedeva il suo caschetto ribelle andare controvento per il marciapiede, trafficato di persone impegnate che imprecavano quando venivano spintonate. E l’aveva rincorsa fino alla collinetta, dove invece di ridere, crollarono stremati al suolo, rotolando vicini.

Il dubbio l’avevano schiacciato per un po’, finché dopo tanti anni e un matrimonio, la risposta se la diede da solo. Lei distruggeva sempre tutte le sue incertezze, come il sole rischiara le nubi.

 

“ Il paradiso, secondo te, esiste o no? ”

“ Dubbi amletici? ”

Una risata cristallina gli trafisse il cuore, e non desiderò altro che morire dissanguato, se era quello che si provava.

“ No, è che a volte penso che se morissi, vorrei avere la certezza di incontrarti di nuovo. Sebbene saremo entrambi un po’ incorporei. ”

“ Ectoplasmi, al massimo. Urge un consulto con Melinda Gordon. ”

“ Non fare la traviata, ora. ”

“ E dopotutto l’amore non è solo sesso. ”

“ Non ci avevo pensato.. non ci posso credere. Dunque tu credi davvero che sotto forma di angelo sarò asessuato?! ”

“ Io dubito che tu possa essere un angelo. ”

Sorrisero, mentre si stringevano la mano, sulla poltrona logora di casa loro.

Lei si staccò dopo poco, borbottando sul minestrone, e il freddo africano che c’era fuori.

Le piacevano un sacco gli ossimori, le aveva regalato montagne di quadernetti di poesie per quello.

“ Ah, Giò! ”

“ Umf.. ”

“ Giò, sorridi!! ”

Ma che.. capitolò immediatamente, osservando quanto fosse bella, con grembiulone e cucchiaio di legno.

Gli si avvicinò, tendendogli gli angoli della bocca “ Vedi? Questo è il paradiso. Se sei felice, come puoi stare all’inferno!? ”

Rise, per la sua strana uscita, e si diresse in cucina. Pensò che se lei avesse continuato a stare con lui, avrebbe avuto antipasto, contorno e dolce di una qualsiasi vita ultraterrena.

 

Ricordava, e si sentiva triste.

Alla fine a dire addio per prima era stata lei. L’aveva anche salutato, e dopo nulla.

 

“Non ti ammosciare, Giò.”

“Che? Ma ti pare?”

“Fai poco lo stupido, vecchio. Non pensare di darti alla pazza gioia solo perché non ci sarò a sorvegliare la credenza. Ricorda che hai il diabete e dopodomani vengono i nipotini, devi fare loro una sorpresa fantastica.”

“ Già. ”

“ Giò. ”

“ Cos’è, un gioco di parole venuto male? ”

“ Giò, sorridi. ”

 

 

 

Quella che brillava, tra loro due, era sempre stata lei. Cos’era che l’aveva portata da lui? Come aveva potuto meritare di vivere tutto quel tempo di lei, della sua perfezione, racchiusa in eterni centoquarantotto centimetri? Come aveva meritato che lei si innamorasse di lui?

 

“ Cosa ci noti in me? ”

“ Eh? ”

Erano al Mc Donald, a trangugiare schifezze e panini come pagliaccio li aveva fatti.

“ Mi chiedevo, come mai una fanciulla così ridente e bellissima si fosse abbassata a uscire con un reietto com- ”

“ Idiota. L’avevo capito. ”

“ E allora? ”

“ La domanda era talmente idiota che non volevo risponderti. ”

“ Ah. ”

“ E in ogni caso, anziché farti viaggi mentali e camminare portando a spasso Dora l’esploratrice, vorrei ricordarti che oggettivamente sei bello, intelligente,  con un posto fisso, non ti sembro una pazza sclerotica, mi adori, ci completiamo come carie e caramelle a botta di clichè e opposti sopportabili.. soggettivamente ti amo. ”

In quel momento si sentì idiota, e non poté far altro che baciarla, pagare la cena e camminare mano per mano con lei e il pancione di cui andava fiera in maniera maniacale.

“ Comunque sono offesa. ”

“ Pensa me, a cui hai parlato di una possibile tresca con Dora. Sono mortalmente offeso. ”

“ Hai ragione, è stato un colpo basso. ”

La strinse forte, e mentre uscivano dal locale a pancia piena, istintivamente l’abbracciò per la larghissima vita e sussurrò a contatto con il completo da pre-maman.

“ Lo sai che amo tantissimo la mamma, tesoro? ”

“ Giò? ”

“ Che c’è? Sto parlando con mio figlio. ”

“ O figlia ”

“ O figlia.”

“ Ti amo infinitamente, in questo momento. ”

“ Io all’infinito. Siamo messi proprio male, eh? "

“ No.. non tanto ”

 

La vita senza di lei non era vita. Non più.

I figli e nipoti erano ciò a cui più teneva, ma gli mancava il “lavoro di squadra”. Proprio come lo chiamava lei. Lei che l’aveva lasciato solo, a fare guerra con la solitudine del suo cuore. Lo sentiva, di notte e di giorno, che gridava quel contatto, quella vista, quell’odore, quel sapore. Lamponi. Li aveva odiati per un pezzo, fino a quando non la trovò nella vasca da bagno con quello addosso. Solo quello.

E adesso se ne stava su una panchina del grande parco verde, a cercare di non pensare di voler essere da un’altra parte.

 

“ Devi  promettermi, giurare, che vivrai anche dopo. ”

“ Quella che sta morendo sei tu, lo sai, vero? ”

“ Sì, ma tu, stupido vecchio, ti lascerai vivere, che è molto peggio che morire. ”

“ Non so più come si fa senza di te. ”

“ Allora non sono stata abbastanza severa. Dovevo insegnarti a camminare con le tue gambe. ”

“ Ho perso tempo. ”

“ Sei stato un cattivo allievo. ”

“ Il peggiore. ”

“ E non essere così passivo! ”

“ Sai, è che fosse per me- ”

“ Per te un corno, Giò! ”

“ Che devo fare, Lelia. ”

“ Lo sai, cosa. ”

…..

 

“ Ti ho donato il mio cuore Giò. ”

“ Non mancherai solo a lui, Lelia. ”

“ Non fare il melodrammatico come tuo solito. Il mio cuore vivrà con te, non ti basta? ”

 

Lui se lo stringeva forte quel cuore. E un groppo in gola gli saliva ogni maledetta volta.

Aveva dimenticato cosa fare per andare avanti, si era accorto di essersi fermato. Ma non riusciva a proseguire.

«Nonno, mi passeresti il pallone?»

Rise, un po’ pensando ad un nipotino troppo giovane per essere davvero suo, un po’ perché il pallone l’aveva centrato in pieno.

Non gli disse  nulla, ma gli porse l’oggetto incriminato.

Ma il bambino non si mosse. Notò che rimase a palleggiare vicino alla panchina, poi la lanciava contro il muro vicino.

«Nonno, perché sei così strano?»

Era sorpreso.

«E come sarei strano, piccoletto?»

«Beh, la mamma dice sempre che le persone stanno male anche quando non piangono, ed hanno una faccia strana.»

Ancora non lo ricordava, come uscire da quella fossa buia che si era scavato.

«E io che faccia ho?»

«Una non felice.»

Sorridi, Giò.

«Ma davvero? Beh, vediamo se ti insegno a fare due tiri come sono ancora un non-felice.»

Poi sorrise, e finalmente, mentre gocce d’acqua gli scendevano dagli occhi, la sentì.

«Nonno, adesso piangi? Non farlo.

«Sai, sembra davvero che tu sia stato mandato a insegnarmi qualcosa.»

«E da chi nonno?»

«Una persona importante. Beh, non vedi che ti ho preso la palla?! Sei una schiappa, monello!»

 

E finalmente, nonostante tutto, Giovanni Riccioli sorrise, e pensò che sì, anche a novant’anni si può tornare a vivere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Inutile spazio autrice:

Beh, in una raccolta che parla di sentimenti, come poteva mancare l’amore? Spezzoni brevi, che mi hanno fatto rendere conto che 'Up' mi è entrato dentro, tanto che dopo aver cercato di correggerla e rivederla, sembrava quasi ispirata a loro.

Ade

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Capitolo 7
*** Lo specchio di me. ***


E’ davvero una brutta roba quando parli e non dici nulla.

<< Eccezionale. Se c'è una parola che odio è eccezionale. È talmente fasulla. >>

<< Non faccio che dire «piacere d'averla conosciuta» a gente che non ho affatto piacere d'aver conosciuta. Ma se volete sopravvivere, bisogna che diciate queste cose. >>

 Cit. Il giovane Holden. J.D. Salinger

 

 

E’ davvero una brutta roba quando parli e non dici nulla. Le persone che mi sono attorno, che girano e girano come cani a marcare il territorio su cui hanno anche pisciato sono così. Così fasulli. Così pieni di boria che quello che dicono sia la verità, o che tu ci crederai comunque perché l’hanno detto loro. Orrenda visione di persone che sono altro da se stesse. Spesso insetti che non vale la pena schiacciare.

Come poter pensare senza vomitare che una di quelle persone sarà la tua migliore amica? Che quello che sta in un bar con lo sguardo vuoto a rimuginare che forse era meglio non tentare e tenersi il rimpianto anziché il rimorso sia il tuo prossimo ragazzo?

Col senno di poi potrei vedere tutto rose e fiori, di certo potrebbe succedere. Ma del senno di poi sono piene le fosse, dopotutto.

Sono una ragazza troppo cinica e probabilmente intelligente per la mia età. Non sarà di certo una colpa, spero.

Tutti quelli che vedo fuori, sarebbero anche potuti non esistere, e lo vedo, quanto ciò sia vero, anche analizzandolo se volete.

Dunque: la ragazza del bar che serve alcolici. Stiamo scherzando? A chi serve? Al massimo aiuta i suoi clienti a infilare un ago nel braccio di qualche strafatto. E questo utile e dilettevole converrete che va contro ogni candida irreprensibilità.

Un gatto, un cane, un essere umano. Che vivano insieme o divisi, che siano o meno animali sociali, esistono di per se stessi, per un proprio tornaconto che sarebbe ingenuo e stupido omettere, tacciare o negare. E’ il ciclo della vita, quello che nella Disney si canta del Re Leone. E allora che si parla a fare di Ehi, come va?, o di Passami quella fetta di pane imburrato, grazie!; tutto perde di significato, e si muore ogni volta che si parla, che si collega una sinapsi.

Perché è inutile esistere con gli altri e per gli altri, quando è solo per noi, a favore di noi stessi dentro e fuori, che ci relazioniamo.

E a che pro?

Tu che sei così intelligente, me lo sapresti dire?

 

Mi osservo, e scopro di essere sola.

E mi consolo, perché lo sono anche tutti gli altri.

Ma non accorgersene e vivere in quell’illusione devo dire che attira, sembra bello vedere i bambini giocare, incuriosirsi e parlare(?) , cioè, gorgogliare qualcosa di impreciso. E dolce.

E’ una bella sensazione.

Se sei  intelligente, i sentimenti li puoi analizzare?

 

Dovrei tornare bambina? Farmi prendere per i fondelli dalla Natura, che mi si rivolta contro con i tempi andati, crocifiggendo i futuri?

E’ da tempo che continuo a pensare, a girovagare tra le mie riflessioni, e mi ci siedo accanto.

E mi guardo allo specchio.

Ecco un’altra brutta cosa. Perché ci sono specchi che ti sono sempre davanti e restando al loro posto ti fanno del male. Fa male pensare che, forse, è tutto perduto.

Per me, per gli altri. Che distinzione c’è? Anzi, esiste?

Sei sicura di essere abbastanza giovane per cadere e avere il tempo di rialzarti?

 

Arriva sempre il momento in cui aspetti qualcuno. E se quel qualcuno non arriva? A chi darò la colpa per le mie ginocchia sbucciate e brucianti di dolore pulsante?

Speranza.

L’ultima a morire. Forse è la prima a uccidere.

E mi accorgo che qui no, non ci sono specchi.

Il mio riflesso mi saluta, e mi dice (mi dico?) che tutto è perduto.

Speranza.

Uccise il mio sguardo.

E davvero, vi assicuro che si cammina meglio da ciechi.

<< Allievi di questo liceo classico, eccovi entrati in una scuola inutile, a scoprire la ragione forse inesistente dell’estetica e delle belle arti. >>

L’uomo potrebbe vivere di solo pane. Forse è per questo che non ti guardi allo specchio, ragazza cinica?

 

Se fosse come dice l’uomo barbuto che mi sta fissando, allora l’uomo dovrebbe relazionarsi ad un qualcosa di più. Di più del mio specchio che si rompe. Di meno di me che ne raccolgo i cocci  cercando, invano, di rimetterli al loro posto.

L’uomo esiste ed è insieme. Sgrammaticata all’ennesima potenza, ma io, io e il mio studio assiduo ci daremo una risposta, a questa esistenza. Lo studio mi ha salvata?

 

Ma è lei a decidere di salvarsi.

 

Nulla ha un motivo se non glielo dai. Bisogna solo capire se merita attenzione, questo motivo.

Uno sfarfallio allo stomaco, non appena sfiorati due occhi verdi dietro un paio di occhiali a mostrarti il tuo posto nel mondo, che adesso non è che una sedia, dietro ad un banco, di fronte alla cattedra, di fianco al motivo di quella sensazione di smarrimento. Ed ecco quelle parole, così futili ad iniziare l’anno. Hanno un significato?

E tutto perde senso, mentre paradossalmente lo acquista.

Speranza. Che uccide, muore e soprattutto risorge.

 

E in quello specchio, forse, vidi per la prima volta il riflesso sbiadito di qualcuno che non ero io.

 

 

 

 

 

 

 

 

****

 

In questa storia è tutto una stolida metafora. Ma di cosa?

.. ci devo pensare.

Questa persona descritta con l’affetto  non c’entra. E questo lo pensavo anch’io prima che il pensiero prendesse forma. E poi riflettendo mi son detta: si può essere legati allo scetticismo verso il genere umano? Si può provare affetto solo per il proprio riflesso senza essere narcisisti? Forse sì. E che ce ne facciamo della speranza che nello specchio ci sia qualcuno? Bho.

Ci devo pensare.

PS. Ero indecisa con il citare Gossip Girl (mia fiamma nova) << Serena vede sempre il buono nelle persone. A me piace vedere la verità. >>

Ma dopotutto me ne sono intesa dopo di ste cose un po’ artefatte. Di frasi fatte si costruisce tutto quello che viene prima di noi, no? Salinger è in onore della sospirata morte dolente della mia insegnante,  mi merita di più. (Questa. Era. Cattiva.)

 

..

Ah, e spero si sia capito che qualsiasi cosa mi venga messa davanti, io ci leggerò dentro un sentimento (Affetto? Banali fili conduttori).

Leggerò o immaginerò?

Ci devo pensare. Da questo credo ne derivi il “sei ottimista” e “l’ingenua”. Io spero nella prima e mi ci sforzo davvero.

#nonsensA

PS. Chi pensate abbia visto aldilà dello specchio? L’ultima frase me l’ha ispirata Carroll, ricordando Al di là dello specchio. Il nonsense mi riconduce drammaticamente all’ermetismo (mica tanto, eh). Spero mi sappiate dire le vostre riflessioni/opinioni senza perdervi in voi stessi. Sempre che abbiate capito qualcosa di tutto questo. (Guida parziale: Lei e il suo specchio mitico -> lo specchio si incrinerà per i motivi sopra esplicitati.) 

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Capitolo 8
*** Tristezza. ***


Piccolo - amico - fiammiferaio.



Il mio più grande amico è volato via.

Se ne è andato perché aveva contato troppi inverni. Troppo freddi.
Il primo giorno che lo vidi era così pallido e stanco, nonostante fosse alto tanti pollici quanti i miei, e mi era parso comunque più beato di me, che avevo da poco acquistato un paio di barbie bellissime e nuove di zecca. Ma sembrava che lui avesse ricevuto un regalo molto più bello del mio.
Ero davvero curiosa, e desiderosa di giocare con lui mi ci avvicinai.
 
Lo vedevo sempre nello stesso posto, senza nessuna amica come me, o amico come lo ora per me. Un po’ mi dispiaceva, io che di amici ne troppo da contarne su tutte e dieci le dita. Non potevo portargliene a conoscere nessuno, perché loro avevano una mamma e un papà che avevano troppi impegni per accompagnarli, dicevano.
Diventavo triste, e allora cercavo di valere per più persone possibili intorno a lui, alzando un po’ la voce e fingendo di ridere troppo. Anche se mi divertivo davvero con lui.
Non gli chiesi mai se lui una mamma ce l’avesse. O un papà.
Era sempre solo, e per questo cercavo di farlo più felice possibile, perché, come vi ho detto, lui era il mio più grande amico.
 
Crescendo, mi accorsi che lui invece aveva sempre lo stesso sguardo, e un po’ mi infastidiva che non imparasse le cose dei grandi. Litigai con lui. Alla fine però gli chiesi scusa, perché in fondo ero solo invidiosa di lui, che aveva sempre questo giocattolo che sembrava fargli brillare gli occhi, mentre io ero costretta a fare cose noiose e da adulti. Ma quando andavo da lui .. lui se ne accorgeva, e mi metteva le mani sugli occhi dicendo: “ora questa è solo Melanie, va via età! Dobbiamo divertirci senza di te!” E ridendo, sentivo che potevo tornare a nascondermi per gioco, come se non fosse roba da piccoli.
Il mio più grande amico mi diceva che era molto più importante fare qualcosa mentre si aspetta il tempo, che contare i suoi anni.
 
In fondo, non eravamo poi così cresciuti, ma io lo vedevo sempre con gli stessi abiti, sulla strada maestra su cui si affacciava cassa mia. Un giorno gli chiesi di fare un giro, ma lui mi disse che non aveva soldi con sé, e se qualcuno mi avrebbe vista con lui, io sarei stata punita. Mi arrabbiai molto con lui, non capivo perché lo dicesse. Ma quando poi ne parlai a casa e i miei genitori non mi permisero più di uscire, capii che essere grandi ti fa perdere davvero qualcosa come diceva lui, e che è difficile non cambiare così. << Quasi impossibile >> diceva. Ma sono sicura che non ce l’aveva con la mia mamma e il mio papà.
Non aveva mai portato rancore a nessuno, nemmeno quando qualcuno lo faceva arrabbiare sul serio e stringeva i pugni e si faceva rosso in volto. Si calmava quasi subito, scuotendo un po’ la testa, e sorrideva mesto. Gli chiesi come faceva a rabbonirsi di subito, e lui rispondeva sempre che non era un gran segreto, bastava pensare che quando si litiga non si è gli unici a sbagliare.
Ah, comunque ho continuato a vederlo, perché dopo aver parlato per un po’ di lui alla mia famiglia, mamma si è convinta a farlo vivere addirittura da noi. L’aveva capito subito anche lei, che il mio amico era davvero speciale.
 
Veniva spesso a casa mia, anche se credeva di essere di disturbo, e lo vedevo sempre lisciarsi i vestiti quando mamma ci portava i biscotti. Lui la fissava tutto strano e arrossiva moltissimo. Pensai che sarebbe svenuto se l’avesse accarezzato. Ricordo che ero un po’ gelosa, ma poi fui orgogliosa della mia mamma, che era la migliore.
Lui poi se ne andava, e sembrava che ogni volta che ci vedevamo ci fosse qualcosa in meno di lui, come una forza che si consumava. Quando glielo facevo notare mi sorrideva e cominciava a correre lanciandomi una sfida. Sapevo che non voleva rispondere, ma a volte non riuscivo a desistere proprio e insistevo.
<< Ma dimmi, perché sei così giù, oggi? E anche ieri.. >>
<< Cosa? Guardati bene da me, femminuccia! >>
<< Femminuccia a chi! >>
 
Nel nostro quarto inverno di amicizia – non conoscevo la sua età – peggiorò moltissimo. Tossiva spesso, ma non ebbi più la spensieratezza coraggiosa di chiedergli cosa non andasse. Avevo un po’ di paura della risposta.
Mi intristivo, ma lui riusciva sempre a farmi sorridere, e io dentro ero ancora più triste, perché volevo essere io ad aiutarlo in qualche modo. Quello strano potere dentro di lui – non aveva giocattoli, ormai lo sapevo – era più forte di me, che ero rosea e in salute.
Lo invidiavo ed ammiravo, ed ero troppo orgogliosa che lui mi volesse come compagna di giochi.
Gli volevo molto bene.
 
Poi diventai davvero grande, abbastanza da non poter più incontrarlo spesso, e mai mi sentii in colpa come per quella mia assenza.
Il mio amico più caro era malato e io potevo fargli visita a giorni alterni. L’ultima volta che andai a trovarlo fu prima di vedere come il suo ultimo inverno lo aveva concluso da solo.
Ma lui mi aveva avvertito di non starci troppo : << Non sarò solo, sono stato in tua compagnia per tanto tempo, Mel >>  << Non ti intristire, guarda che certe cose si devono fare da soli. Mi stringi un po’ la mano, Mel? >> E io avevo paura al posto suo, una paura che mi occludeva il cuore e opprimeva il respiro.
Perché lui era il mio più grande amico.
 
Non gli ho mai chiesto il nome, e sulla sua tomba volevo scriverci troppe cose, ma non si può scrivere una vita su una lastra di marmo, e così lasciai inciso sopra la mia più grande bugia: Dalla tua più grande amica.
Non sapevo se lo fossi stata davvero per lui, ma gli avevo voluto così bene, pensai, che almeno finché troppi giorni non l’avessero usurato e cancellato, avrebbe potuto tenersele quelle poche parole.
Un po’ sono triste, ma penso anche che lui non vorrebbe, ora che mi può vedere anche se vado via, farei davvero una figuraccia a non mantenere quella promessa.
 

<< Ma non è vero! Tu non sei ancora abbastanza grande, io lo so! >>
<< Ci sono persone che devono essere grandi già quando sono piccoli, Mel >>
<< Ma perché? E’ così ingiusto! E’ un’ingiustizia! >>
<< Quando si è piccoli e soli, non si è come i grandi, Mel.. diciamo che sono come un nonno, vecchio e debole >>
<< Ma non lo sei! Tu lo sai! Non pu-u-oi fa-re cos-ì ..>>
<< Ma guarda che io sono stato un bambino molto fortunato rispetto agli altri! >>
<< E in cosa, se devi andare a dormire così di pomeriggio, senza giocare nemmeno un po’? >>
<< Ho incontrato te. Prima ero povero, ma poi sei venuta tu, e io ho avuto la possibilità di vivere meglio. Ricordatelo, Mel: tu non devi vivere, devi vivere bene, al meglio.. capito? >>
<< Eh? >>
<< Devi promettermelo. >>
<< Sì, va bene. >>
<< E non devi nemmeno piangere se non mi vedrai venire a giocare da te. Sono troppo stanco, le persone così stanche- >>
<< Io lo so! Tu sei un bugiardo! Non vai a dormire! Farai come zio Camillo, non ti sveglierai più! Tu menti! >>
<< Aspetta, Mel. Devi promettermi che non piangerai, hai capito? Devi prometterlo. Questa è la promessa più importante di tutte che mi fai. Io ti vedrò se piangi, Mel. >>
<< io, i-io >>
<< Mel, sorridi! >>

 
A volte leggo certe storie, sui giornali, nei libri, e penso sempre la stessa cosa: non dovrebbe mai leggersi di cose tristi. Si fa tanto perché la propria vita sia felice – mai esistita cosa più ardua e a tratti impossibile – che sembra quasi ridicolo pensare che un libro ci comunichi un sentimento di malinconia, di tristezza. A volte penso anche che il mio amico mi ha reso più volte infelice, ma ha saputo sempre farmi tornare il sorriso. Quando leggo è come se lo rincontrassi, lui che mi dice “ Non fermarti alle lacrime ma guarda bene dove seminano”. Le cose tristi esistono per farci apprezzare quelle belle. E quelle belle più ce le conquistiamo più siamo felici.
Io sono felice del mio amico. Mi ha insegnato il peso di tante cose della vita, quando lui invece l’ha persa.
Eppure sono convinta che il mio affetto lo legherà a me più di un semplice ricordo.
E io lo so, che ora la sua magia mi appartiene. E’ entrata dentro di me, come solo un amico sa fare.




My space(?)
Che dire. Finalmente ho seriamente ripreso un po' a scrivere. Sono un'accanita lettrice, ma ogni tanto anch'io mi intestardisco a buttar giù qualcosa. E per quanto ci provi, non ci riesco proprio ad essere tristerrima, devo sempre buttare giù qualcosa di "diverso", che non si focalizzi sulle cose da depressione-time -dite quello che volete, ma io quelle le a.b.o.r.r.o. !!- ci sono tante cose che penso, come sempre, che rendono orrendamente pseudo-autobiografico tutto ciò che scrivo, ma voi non fateci caso, cari.
Con affetto e cordoglio (sono sensibile, quando scrivo ste' cose sono sempre sulla via di un taglio di vene, cercate di comprendere),
Adelfasora

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