Come un gatto sotto la pioggia, come un drago senza ali. [GrimmTatsu] di M e g a m i (/viewuser.php?uid=150368)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come un gatto sotto la pioggia, come un drago senza ali. ***
Capitolo 2: *** C'era una volta un gatto con gli stivali... ***
Capitolo 3: *** E dire che all'inizio tutti pensavano che la Draghessa di Shrek fosse un maschio. ***
Capitolo 4: *** Mai svegliare il drago che dorme. ***
Capitolo 5: *** ... E mai svegliare il gatto che dorme. ***
Capitolo 6: *** Rispetto. ***
Capitolo 7: *** Tanto da farmi male. ***
Capitolo 8: *** La Belva in gabbia. ***
Capitolo 1 *** Come un gatto sotto la pioggia, come un drago senza ali. ***
NDA: Lo
so, lo so,
molti di voi si saranno chiesti “ma che
cavolo…?!”. Eppure è anche questo il
bello dei crack pairing, no? ... No, eh? x°D
Beh,
sta di fatto che
questo è un crack che mi piace molto, ma proprio moltissimo.
E così ho cercato
di immaginare, come sarebbe se questi due
si conoscessero davvero, nella storia di Bleach, se Grimmjow
ritornasse, e fosse un alleato degli shinigami? E’
stato parecchio
difficile, probabilmente un’AU avrebbe reso meglio, non so.
Però ho voluto
provare, anche per renderlo un po’ più realistico
e plausibile.
Niente di troppo romantico, eh. Solo che scrivendo questa one-shot,
nella mia
mente si sono creati tanti spunti per altre one-shot con degli sviluppi
in più.
Chissà mai che ci possa fare una raccolta (alle long ci ho
rinunciato)...
chissà, vedremo.
Beh, buona lettura. ♥
~
« Cosa
diavolo stai facendo?! »
Grimmjow
si voltò di
scatto, allentando appena la presa sulla camicia del ragazzo, senza
però
abbassare la mano che era pronta a sferrargli un pugno in piena faccia.
Ci
risiamo...
«
Lascialo andare. », scandì lentamente,
guardandolo minacciosa.
Lui
ricambiò il suo
sguardo, con orgoglio.
« ...
E se non lo facessi? »,
sibilò a denti stretti.
«
Provaci. Ti prego, provaci. Ho solo
bisogno di una scusa per prenderti a calci nel sedere. »
Andava
sempre a finire
così. In un secondo, si era trasformata in una lotta di
sguardi. Il povero
ragazzo che non si sa neanche cosa avesse fatto per scatenare le ire di
Grimmjow, aveva approfittato della sua distrazione per scappare.
Sì,
perché ormai la sua
attenzione era totalmente catturata.
Tatsuki
Arisawa,
diciassette anni.
Capelli:
neri.
Occhi:
castani.
Abilità
speciali...
incredibilmente brava a rompere i cosiddetti al re Grimmjow
Jaegerjaques,
attualmente costretto nei panni dello... studente delle superiori.
~
Ichigo
gliel’aveva
spiegato. E anche più di una volta, ad essere sinceri.
Questo non voleva dire,
però, che lei accettasse quella spiegazione.
Grimmjow
Jaegerjaques.
Che...
che razza di nome.
Ma
non era questo a
sconvolgerla, e neanche quei capelli azzurri che la irritavano
particolarmente,
almeno non quanto il fatto che i cosiddetti shinigami avessero
accettato lui e
gli altri suoi compagni come alleati.
Certo,
non erano fatti
suoi. Il destino del mondo non era nelle sue mani. Non che non le
importasse,
in quella storia erano coinvolti i suoi più cari amici,
ma... preferiva non
pensarci. Per non sentirsi... troppo inutile. Quindi non erano fatti
suoi.
Questo
però finché non
arrivava un tizio maleducato e attaccabrighe a fare il teppista nella
sua
scuola.
Quelli
sì che erano fatti
suoi, accidenti. Forse non poteva salvare il mondo, ma non era entrata
nel Comitato
Disciplinare solo per far risultare qualche credito in più
sul suo curriculum
scolastico.
Non
lo avrebbe lasciato
fare come voleva... questo era poco ma sicuro.
«
Aaarisaaawaaa! »
Tsk.
Ecco un altro
rompiscatole.
Facendo
finta di niente,
continuò a camminare imperterrita lungo il corridoio, mentre
il rompiscatole continuava a
chiamarla a
gran voce, incurante degli sguardi esterrefatti degli altri studenti
che stavano
passando l’intervallo al chiuso, in quella giornata piovosa.
Perché anche se
lei stava cercando in tutti i modi di ignorarlo, lui non desisteva,
anzi, si
faceva più insistente.
C’era
poco da fare, era
fatto così, Asano Keigo.
«
Arisawa, senti, senti, non è che mi
presteresti i tuoi appunti di matematica? », le aveva chiesto
con un tono
implorante, raggiungendola finalmente dopo tanto schiamazzare. Aveva
perfino
unito le mani e chinato la testa in segno di preghiera.
« No.
Spostati. », ribattè senza esitazione
lei. Poteva mettersi anche in ginocchio sui ceci, per quanto la
riguardava.
« Ti
scongiuro! Stamattina devo aver bevuto
del latte scaduto, e ho passato l’intera lezione in bagno
a-... »
Lo
zittì con lo sguardo,
fulminandolo. E che diamine! Un po’ di educazione era
chiedere troppo?
La
irritava... la
irritava da morire il fatto che Asano, come tutti
gli altri suoi compagni maschi, si sentissero
in libertà di sfoggiare quel linguaggio noncurante e a volte
pure sboccato di
fronte a lei, come se non gli importasse cose pensasse. Cosa che non
avrebbero
mai fatto davanti a... ad Orihime, per esempio. Ma anche con qualsiasi
altra
ragazza con l’aria da ragazza.
D’altro
canto, lei aveva
più un aria da ragazzo,
e loro la
trattavano come tale.
Distolse
lo sguardo,
facendosi ricadere una lunga ciocca nera sulla spalla. Nonostante la
pioggia, l’afa
impermeava l’aria circostante. L’umidità
le faceva appiccicare capelli lunghi
al collo, le davano fastidio.
Forse
era il caso di
tagliarli. Tanto... non aveva senso tenerli così.
« Ti
ho detto che non te li presto. L’ultima
volta non sono più tornati indietro. »
« Ma
quella volta è stato perché-... »
«
Niente ma. Chiedi a Kojima, o a Ichigo. »
«
Glieli ho già chiesti. »
«
E...? »
« E
non me li vogliono dare. »
«
Farti un paio di domande no, eh? »
«
Sì, e mi sono risposto che ho degli amici
insensibili! », si lamentò Asano, offeso. Ed era
per questo che il secondo dopo
esclamò con un sorriso sornione: « ...
Vorrà dire che chiederò ad Inoue! »,
mentre si allontanava a grandi passi, per mettersi al sicuro.. Non che
avesse
intenzione di farlo davvero, chiederli ad Inoue Orihime. Voleva solo
far
arrabbiare la ragazza, sapendo quanto era protettiva nei confronti
dell’amica.
Amica che scriveva appunti in una maniera incomprensibile per qualsiasi
essere
umano, con frasi e formule sparse a caso, e fiorellini, e disegni di
strani
robot come cornice – chissà come, però,
riusciva a prendere sempre il massimo
dei voti.
« Vedi
di star lontano da Orihime o ti
infilo gli appunti di matematica dove non li vorresti sentire!
», sbottò infatti
Tatsuki, punta sul vivo, con un linguaggio sboccato che tanto
rimproverava ai
ragazzi. « ASANO, TORNA QUI! »
E
lo avrebbe pure
rincorso per fargli chiedere scusa strisciando, se non fosse che
avrebbe
rischiato di finire addosso a una grossa figura che le aveva sbarrato
il passo,
davanti alle scale. Per poco non gli era finita addosso.
« Ah.
Chi si vede. Sempre a urlare dietro a
qualcuno. »
Non
aveva neanche bisogno
di guardarlo, per capire di chi si trattasse. Quella voce profonda e un
po’
roca, quel tono di scherno... poteva benissimo immaginare il sorriso
che gli si
era dipinto sul viso, quegli occhi azzurro ghiaccio così
penetranti, squadrarla
dall’alto in basso.
«
Levati dai piedi. », replicò senza
guardarlo, cercando di controllare l’impulso di menar le mani
che si era
accentuato ancora di più in lei al sentire la sua voce.
«
Altrimenti...? »
Si
era chinato su di lei,
tenendo le mani in tasca, allargando quell’odioso sorriso
sarcastico. Il suo
quasi metro e novanta avrebbe dovuto metterla in soggezione, in
confronto al
suo metro e sessanta scarso. Eppure Tatsuki non indietreggiò
di un passo, anzi,
alzò gli occhi verso di lui, verso Grimmjow Jaegerjaques. Osò farlo, e senza tanti
problemi, anche.
Doveva
ammetterlo, gli
piaceva provocarla. Quello sguardo bruciante di orgoglio, pieno di
rabbia...
beh, le donava.
Gli
era capitato
raramente di incontrare qualcuno con occhi del genere. Kurosaki Ichigo,
forse.
L’aveva colpito subito, per il suo sguardo, così
risoluto a vincere anche se
non aveva uno straccio di speranza – sì, beh,
all’inizio, poi le cose si erano
capovolte, ma insomma, chi se ne frega?
Da
quello che aveva
capito, quei due si conoscevano da molto. Amici
di infanzia, in gergo umano. Era pure amica
di Inoue Orihime, la femmina che Aizen aveva fatto rapire da quel pezzo
di-...
sì, da Ulquiorra. Pace
all’anima sua.
Kurosaki
le aveva
raccontato tutto, eppure...
Eppure
c’era quel modo in
cui quella umana teneva la testa alta, per niente intimorita nonostante
sapesse
che cosa lui fosse, il modo in
cui...
lo guardava, con quell’aria così fiera.
Gli
sembrava... di potersi
specchiare, in quegli occhi scuri, troppo magnetici perfino per un
essere vuoto
come un Hollow.
Lo
attraevano, con una
forza incredibile.
« Cosa
vorresti fare, sentiamo? », domandò
abbassando il tono di voce, divertito, quasi eccitato, come un
predatore
davanti alla sua preda preferita che gli offre una caccia coi fiocchi,
avvicinandosi talmente tanto al suo viso che se qualcuno li avesse
visti,
avrebbe pensato a tutto tranne che a uno scambio di minacce.
Ma
Tatsuki non
indietreggiava, non l’avrebbe mai fatto.
« Se
te lo dicessi, ti rovinerei la
sorpresa. Sappi solo che finisce con te con un mucchio di ossa rotte.
»,
ribattè, senza lasciarsi intimorire.
Si
rendeva conto di star
giocando col fuoco?
Non
era solo lui a
provocare lei, era anche il contrario. Da quanto andava avanti, ormai?
Dal
primo momento che si erano visti, probabilmente, quando Ichigo li aveva
presentati di sfuggita, suggerendo caldamente a Grimmjow di starle alla
larga e
non fare casini. Avvertimento che però non era servito a
niente. Due caratteri
troppo simili, troppo testardi, troppo orgogliosi, due morali troppo
differenti. Ed era scoccata la scintilla, che aveva dato vita
all’incendio,
nello stesso istante in cui avevano incrociato per la prima volta lo
sguardo.
Trema, umana, di
fronte al re.
Ma
lei, quell’umana,
quell’Arisawa Tatsuki, non aveva vacillato neanche per un
istante. Lo aveva
fissato dritto negli occhi, come pochi osavano fare, quasi lanciandogli
una
muta sfida.
E
chi era lui per non
accettare una sfida che si preannunciava così... eccitante?
« Ah
ah. Sei brava a far andare la lingua,
femmina... », sorrise ancora, con un doppio senso non troppo
velato, che
Tatsuki si costrinse a ignorare.
«
Questi sono ancora più chiacchieroni. », e
gli mostrò un pugno avvicinandolo al suo viso, facendolo
sorridere ancora di
più.
Poi...
« Grimmjow.
»
Si
voltarono entrambi,
quasi infastiditi da quell’interruzione. Era assurdo, come
ogni volta che si
trovavano a parlare, a provocarsi a vicenda, tagliassero fuori tutto il
resto.
Era assurdo... come arrivasse ad esistere solo lo sguardo
dell’altro. Non si
erano neanche accorti di quel ragazzo che gli si era avvicinato.
« Cosa
vuoi, Kurosaki? » sbuffò Grimmjow
seccato, tirandosi su e allontanandosi da Tatsuki. Per un attimo aveva
provato
l’impulso di avvicinarsi ancora di più a lei, come
per sottolineare il suo
territorio, come per dire “questa
è la
mia preda, vattene, non vedi che sono impegnato?”,
con un senso di
possessività che aveva già dimostrato nei
confronti di Ichigo stesso. Le cose
però erano cambiate, adesso. Non riusciva più a
considerare Kurosaki come una
preda, come agli inizi. Gli costava ammetterlo... ma adesso, adesso era
un suo pari. Per questo lo era
stato a sentire.
Se si fosse trattato di chiunque altro, se chiunque altro avesse osato
interromperlo mentre si stava dedicando alla sua nuova
preda, lo avrebbe letteralmente sbranato.
«
Dobbiamo andare. »
Non
c’era bisogno che
aggiungesse altro, la sua espressione parlava da sola. Tatsuki
sentì un brivido
correrle lungo la schiena, come ogni volta che vedeva Orihime, Ishida,
Sado e
Ichigo correre fuori dalla classe, campando per aria le scuse
più assurde.
Un
brivido di paura.
Sì,
era così che si
sentiva. Ogni volta, aveva paura che quella potesse essere
l’ultima volta che
li vedeva. Sapeva che non erano deboli, che erano in grado di
combattere,
eppure il non poter essere al loro fianco per aiutarli, il non poter
constatare
coi propri occhi che stessero bene, le faceva morire il respiro in
gola, e
sentiva come il cuore fermarsi fino a che non rivedeva la chioma
arancione di
Orihime, un po’ più spettinata di prima, entrare
in classe e risedersi al suo
fianco, oppure fino a che non riceveva una sua chiamata se la scuola
era già
finita.
Strinse
i denti, provando
rabbia verso se stessa e la sua stupida debolezza. Non si era sentita
così
inutile, mai, non da quando quella storia degli shinigami era iniziata.
Era
sempre stata al fianco di Ichigo, fin da quando avevano entrambi
quattro anni.
Lo aveva difeso, quanto gli altri compagni di classe lo avevano preso
in giro
per il colore dei suoi capelli, o detto qualche parola di troppo su sua
madre,
o quando, più in là negli anni, teppisti avevano
incominciato ad attaccar briga
con lui.
Aveva
sempre protetto
Orihime, fin troppo bella e diversa dalle altre ragazze, che,
invidiose,
cercavano di rovinare quella sua bellezza così innocente,
oppure da qualche
bastardo che aveva provato ad allungare le mani più del
dovuto.
Adesso,
invece, non
poteva fare... niente per aiutarli. La sua presenza non era
indispensabile per
nessuno, anzi, sarebbe stata solo un impiccio. Quello che provava non
era
semplicemente risentimento per essere stata, come dire...
“tagliata fuori”, ma
vera e propria frustrazione per la sua impossibilità di fare
qualsiasi cosa.
Poteva
solo aspettare, e
sperare che sarebbero tornati, ancora una volta.
« Non
scappare via. Torno subito. »
La
sua voce, così roca e
profonda, l’aveva riportata alla realtà. Sbattendo
le palpebre per tornare
lucida e liberare la mente da quei pensieri deprimenti, alzò
per l’ennesima
volta lo sguardo verso Grimmjow, incrociando quello di lui per una breve frazione di
secondo,
mentre se ne andava, seguendo Ichigo.
Perché
le era sembrata
come una promessa?
E
infatti, erano tornati.
Non era neanche finita la pausa pranzo che si era di nuovo trovata
Orihime
seduta al suo fianco, intenta a mangiare con gusto uno dei suoi soliti
bentō assortito
discutibilmente.
Le
posò una mano sui capelli,
sistemandole distrattamente una ciocca più in disordine
delle altre.
Aveva
combattuto anche lei?
«
Grazie, Tatsuki-chan. », le sorrise, con quell’aria
spensierata che di solito
aveva il potere di calmarla. « Ne vuoi un po’?
», le chiese poi, allungando
verso di lei le bacchette che tenevano qualcosa di indistinto, sul
giallognolo.
«
N-... No, non ho fame. », replicò, alzano
le mani in segno di scusa.
«
Oh... beh, non importa. », e riprese a
mangiare come niente fosse, canticchiando. Orihime dopotutto era
abituata alle
persone che non condividevano i suoi bizzarri gusti culinari.
Tatsuki
la guardò
mangiare per qualche minuto, appoggiando il viso contro una mano, persa
nei
suoi pensieri. Poi finalmente si alzò, non riuscendo
più a sopportare la
tensione che le si stava accumulando addosso. Aveva bisogno di
camminare. Di
starsene un po’ da sola.
« Vado
un attimo in bagno. »
« Fuoi
che fi accompfagni? », bofonchiò
l’amica con la bocca piena, deglutendo in fretta e rischiando
quasi di
strozzarsi.
«
Tranquilla, non ce n’è bisogno. »
«
Sì, Arisawa non risente della solidarietà
femminile che spinge le ragazze ad andare in bagno in gruppo!
», s’intromise Asano,
ancora risentito per la questione appunti.
« Sei
scortese, Asano-san. In fondo anche
Arisawa è una ragazza ». Gli avrebbe fatto una
statua, a Kojima Mizuiro e alla
sua cavalleria. « Anche se non si direbbe... »,
aggiunse a bassa voce con un
sorriso, convinto di non essere sentito. Ecco, adesso la statua
gliel’avrebbe
distrutta a calci.
Aspettò
che Orihime
avesse finito di tossire, dandole pacche sulla schiena, poi
lasciò la classe.
Aveva
davvero bisogno di
starsene un po’ da sola. E di prendere un po’
d’aria, magari, pensò, fermandosi
a prendere un succo di frutta al distributore automatico.
La
pioggia non aveva
smesso di cadere, anzi, si era fatta più forte. Per questo
era convinta che non
ci sarebbe stato nessuno sul tetto della scuola.
Come
si sbagliava.
Arrivata
in cima alle
scale, provò ad aprire la porta, senza riuscirci. Era
chiusa...? Riprovò ad
aprirla, spingendo con tutte le sue forze. Sì mosse di
qualche centimetro, ma
non di più, come se ci fosse qualcosa davanti che la
bloccava. Stava per dare un'altra
spinta, quando la resistenza che faceva si annullò in un
secondo, rischiando di
farle perdere l’equilibrio.
« Oh,
ma si può sapere che cazzo vuo-...?!
», sbottò quel qualcosa
che fino a
pochi secondi prima bloccava la porta. Era seduto per terra,
rannicchiato contro
la parete, sotto il tetto che riparava giusto l’ingresso del
terrazzo colpito
dalla pioggia incessante.
Sembrava
un... un gatto
che si rifugia come può dall’acqua. ... Che
paragone stupido.
Grimmjow
ammutolì sorpreso,
vedendola. Poi, poggiando il braccio sul ginocchio della gamba piegata,
inaspettatamente,
distolse lo sguardo.
Non
l’aveva mai fatto.
Si
chiese se fosse
successo qualcosa. Forse durante lo scontro di prima. Magari era
rimasto ferito-...
Che cretina, si stava veramente preoccupando per lui?, si
rimproverò nella sua
testa, scuotendola.
Tornò
a guardarlo, fu
quasi più forte di lei.
Eppure, nonostante la sua aria sicura e decisa, dovevano
esserci cose...
che turbavano anche lui, cose che lo spingevano a voler stare... solo.
Sì,
lo guardava e le sembrava
incredibilmente solo in quel momento. Come qualcosa di diverso, fuori
posto, che
non c’entrava niente col suo mondo. Forse anche lui si
sentiva così. Non era
umano, dopo tutto, eppure era costretto a comportarsi come tale.
Chissà perché lo
faceva, poi...
Aveva
i capelli bagnati,
notò. La pioggia glieli aveva fatti ricadere sul viso in
modo disordinato,
senza il gel a domarglieli come al solito. Grimmjow piegò la
testa all’indietro
appoggiandola al muro, e si passò una mano tra le ciocche
ribelli, inarcando un
sopracciglio, guardandola appena.
« Hai
intenzione di startene lì in piedi
ancora per molto? Lo sai che se mi giro riesco a vederti sotto la
gonna? »
Istintivamente,
Tatsuki
si portò le mani alla gonna, arrossendo e tirandola
più che poteva. Gesto che
lo fece sorridere, anche se lo sguardo di lei rimaneva di fuoco. La
osservò
tentennare per qualche secondo, indispettita, per poi sedersi al suo
fianco, tenendo
le gambe ben strette.
«
Cosa... cosa ci fai qui? »
«
Fatti miei, non ti impicciare. Tu, invece,
che ci fai qui? »
« ...
Fatti miei. », replicò lei a sua volta,
appoggiandosi al muro.
Rimase
in silenzio, non
sapendo bene cos’altro dire. Per qualche strano motivo, si
sentiva nervosa.
Sarà stata la preoccupazione per prima, che non era ancora
del tutto scemata.
Saranno anche stati i commenti stupidi dei suoi compagni di classe, che
anche
se non lo voleva ammettere, un po’ la ferivano.
Sarà
stato soprattutto
che una parte di lei avrebbe voluto stare da sola, perché in
quel momento si
sentiva vulnerabile. Eppure, guardandolo, anche se sulle sue labbra si
era
dipinto il solito sorriso beffardo, vedeva... la stessa cosa. Per
questo anche
lui si era rifugiato lì, da solo, piuttosto che andare a
tormentare qualche
povero primino come spesso lo beccava a fare. O forse stava solo
interpretando
le cose nel modo sbagliato. Forse stava solo... cercando somiglianze
con sé
stessa che non stavano ne in cielo né in terra.
... Forse semplicemente, non voleva così tanto rimanere da
sola.
Fissò
la pioggia cadere.
La campanella che segnava la fine della pausa pranzo doveva essere
già suonata.
Non aveva voglia di tirare fuori il cellulare per controllare.
Così si limitò a
scartare la cannuccia del succo di frutta e a infilarla nel cartone,
portandosela alle labbra. Se per una volta avesse fatto tardi, non
sarebbe
crollato il mondo.
Grimmjow
la osservò bere per
qualche secondo, poi, senza tanti complimenti, con uno scatto veloce
che non
riuscì neanche a bloccare, le fregò il
contenitore.
« Ehi!
», esclamò Tatsuki colta alla
sprovvista, fulminandolo con lo sguardo.
« Aah,
ci voleva. Avevo giusto sete. Però
potevi prendere l’affare con il latte, eh. »,
sbuffò, tirando su dalla
cannuccia e tornando ad appoggiare la testa alla parete, chiudendo gli
occhi.
A
fatica, decise di non
ribattere. Non aveva voglia di litigare, e poi l’idea di
quell’energumeno che
si beveva del latte le faceva passare ogni voglia di discutere.
Così si limitò
a riprendersi il succo di frutta con malagrazia, senza neanche girare
il verso
della cannuccia. Non voleva che pensasse che le facesse schifo bere da
dove l’aveva
fatto lui, appoggiare le labbra dove l’aveva fatto lui. Ma perché diavolo non voleva che lo
pensasse...? Distolse lo
sguardo, cacciando quei pensieri.
«
... Sai,
ti ho visto, quella volta. Vi ho visti, tu ed Ichigo. », se
ne uscì
all’improvviso dopo un po’. Non che quel silenzio
le dispiacesse, anzi. Era
strano stare in silenzio con lui, senza che partissero frecciatine o
frasi
pungenti, o ancora, minacce più esplicite. Però
il solo rumore della pioggia la
intristiva ancora di più.
«
Quando? », chiese lui, sempre con gli
occhi chiusi, aggrottando appena la fronte.
«
Quando stavate combattendo, qui a
Karakura. Era notte. E... ora che ci penso, non hai neanche sfoderato
la katana.
»
Grimmjow
rimase a pensare
per qualche secondo, cercando di ricordare. Non si era minimamente
accorto
della presenza di nessun’altro. Era talmente... preso a
pestare Kurosaki che
nient’altro contava per lui. Distruggere,
distruggere, distruggere.
Erano
cambiate tante
cose, da quel momento. Lui... si sentiva in qualche modo cambiato. Non
aveva
ancora capito perché, solo... i panni
dell’Arrancar che rappresenta la
distruzione, ormai, gli stavano stretti.
Voleva...
qualcosa di più.
Provare qualcosa di diverso, oltre al bisogno di combattere, alla sete
di
distruggere qualsiasi cosa. Si diede del coglione. Forse si stava solo
immedesimando troppo nell’umano che era costretto ad
interpretare.
« ...
Ma anche senza di quella, gli stavo
facendo il culo. », rispose con noncuranza.
Tatsuki
voltò la testa
verso di lui, sconcertata. Anche lui piegò leggermente la
testa di lato,
aprendo un occhio per guardarla, e accennando a un sorriso, al quale
lei si
trovò a rispondere senza neanche rendersene conto.
« ...
Vero. »
Così
anche lei sapeva
sorridere. In un modo tutto suo, tendendo appena gli angoli della
bocca,
lasciando solo intravvedere i denti bianchi, tra cui teneva la
cannuccia del
succo di frutta. Aveva un aria divertita, un po’ perfida, con
lo sguardo perso
nel vuoto mentre pensava a chissà cosa, forse a quando era capitato a lei di pestare Kurosaki - ed era sicuro che le fosse capitato. Sembrava quasi una
bambina.
Anche
quell’espressione...
le donava.
|
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Capitolo 2 *** C'era una volta un gatto con gli stivali... ***
NDA: ... Alla fine sta
diventando una long. Checcazzo, oh. [perdono per la
scurrilità!]
Non prometto niente, quindi. Forse
finirà nel dimenticatoio come le altre,
forse... forse no. In fondo si tratta del GrimmTatsu, mica pizze e
fichi. E io
li amo, li amo troppo. ;W; /fangirl mode on/
Comuuunque, questo capitolo
è stato davvero un parto, soprattutto la
seconda parte. Tanto che mi sono vista costretta a tagliarlo
“a metà”, diciamo,
e pure sul più bello [TROLLOL]. Quindi il prossimo capitolo
riprenderà
esattamente dallo stesso punto.
E niente, spero di aver reso bene
il POV di Grimmjow, senza sviare – più
che nell’OOC – nell’assurdo
più totale. Boh. Ditemi voi se sono riuscita a
spiegare bene quel che volevo spiegare. x°D
Ah! Qui ho dato anche un
po’ più di spazio a Orihime, con un vaghissimo e
sottilissimo accenno a... un cuore. Piango. Però non penso
che approfondirò più
di tanto questo punto in particolare. Anche perché di FF
UlquiHime ne ho
scritte abbastanza. x°D
Poooi, nel prossimo capitolo, penso
che darò un po’ più di spazio anche al
nostro fragolino preferito.
Beh, buona lettura. E grazie a
tutti quelli che mi seguono e recensiscono,
mi riempite di gioia. ♥
-
Non se lo sapeva spiegare.
In fin dei conti, tra loro non era
cambiato niente. Litigavano come prima,
si provocavano e minacciavano a vicenda come prima. Ogni volta che si
incontravano, anche per caso, partivano le scintille.
Kurosaki-kun aveva chiesto a lei di
chiudere un occhio, così come aveva
tirato uno scappellotto a lui – ricevendo in risposta una
ringhiata degna del re dei felini
–, intimandogli di darci
un taglio.
Ma a dispetto delle buone
intenzioni del ragazzo, tra loro non era cambiato
proprio niente.
O almeno, questo era quello che
passava a prima vista.
Inoue Orihime li osservava ogni
tanto, tenendosi a distanza, un po’
preoccupata. Conosceva Tatsuki meglio di chiunque altro, forse anche
meglio di
Ichigo, col quale, nonostante anni e anni di amicizia, faceva ancora
fatica a
mostrare i lati più deboli del suo carattere.
Ma con Orihime era diverso. Il loro
rapporto ormai era qualcosa di tanto
lontano dall’amicizia quanto era vicino a un amore tra
sorelle. Condividevano
tutto. E anche quelle volte che Tatsuki cercava di nascondere le sue
preoccupazioni, o Orihime la paura che a volte la prendeva al pensiero
di
quanto più grande di lei fosse quella situazione in cui si
era cacciata, anche
in quei momenti che ostentavano un sorriso pur di non far preoccupare
l’altra,
entrambe si conoscevano così bene da capire se quel sorriso
fosse falso oppure
no.
Per questo Orihime non riusciva a
capire.
« Ah, già, Tatsuki-chan! Ho notato
che hai fatto, uhm... amicizia con Grimmjow. Sono contenta. Ha proprio
bisogno
di qualcuno che lo aiuti ad ambientarsi... », aveva provato a
buttare lì,
sgranocchiando una patatina, durante uno dei tanti pomeriggi passati a
casa
dell’amica studiare, o almeno, a tentare, perché
lo studio si trasforma presto
in pettegolezzi, quando due ragazze adolescenti si trovano nella stessa
stanza.
Si era sforzata di farla passare
per una domanda casuale.
Tatsuki l’aveva fissata
per qualche secondo, sbattendo le palpebre.
Sembrava sinceramente perplessa, quasi come non sapesse neanche chi
fosse quel
“Grimmjow” che aveva nominato.
« ... Orihime, scherzi, vero? »
« Eh? No. », era stato il suo turno,
di essere confusa.
« Spiegami come diavolo farei ad essere
amica di quell’idiota arrogante! Ci vado d’accordo
come un odiosissimo quarto
posto a una competizione di karate! Che adesso non danno neanche
più le
medaglie a quelli sotto al podio, accidenti a loro... »,
aveva borbottato tra
sé e sé, frustrata, tormentando con i denti
l’innocente tappo della penna che
teneva in mano.
Orihime si era stesa sul basso
tavolino in legno e aveva appoggiato il
mento sulle mani, osservandola con attenzione.
Le era sembrata sincera.
Eppure... il giorno dopo aveva
visto una cosa che non si sarebbe mai
aspettata.
Stava uscendo dalla classe per il
cambio dell’ora. Ad un certo punto, uno
dei libri che teneva in bilico in braccio, le era scivolato, cadendo
per terra,
così con un sospiro sconsolato si era fermata per
raccoglierlo, rimanendo
indietro rispetto al resto dei suoi compagni.
E in quel momento, li aveva visti.
Istintivamente si era tirata
indietro, nascondendosi dietro lo stipite
della porta. Non dovresti spiare,
Orihime, non è giusto... Non ti fidi più di
Tatsuki-chan?
« Fila in classe, oppure lo segnalo
in presidenza. », l’aveva sentita dire a un
Grimmjow appoggiato tranquillamente
al muro, con le mani in tasca e cosa... una cannuccia?, tra le labbra,
mentre
anche lei si
fermava e rimaneva indietro
rispetto al resto della classe. Orihime si chiese perché
Grimmjow avesse deciso
di saltare le lezioni proprio
appoggiato al muro fuori della classe in cui si trovava Tatsuki.
« Ma sentitela, la studentessa
modello. Quella che l’altra volta ha bigiato con me tutto il
pomeriggio. », le
aveva risposto lui, aprendosi in un sorriso canzonatorio. Per poco
Orihime non
fece cadere nuovamente i libri terra. Tatsuki non bigiava mai le lezioni, e probabilmente era
quella che aveva fatto il minor
numero di assenze in tutta la scuola. La chiamava “etica da
membro del Comitato
Disciplinare”.
« Dieci minuti. Ho saltato dieci
minuti, non tutto il pomeriggio. Non ti avrei retto per due ore di
seguito,
saresti finito in terapia intensiva. »
« La studentessa modello che
picchia poveri studenti indifesi senza motivo? Questo sì che
sarebbe da
segnalare in presidenza... », sorrideva, continuava a
sorriderle, con
noncuranza. Orihime lo aveva visto tante volte sorridere. E non poteva
negare
che a volte aveva avuto paura di quel sorriso, così sadico,
così disinibito. Da
un paio di mesi a quella parte, aveva imparato, o almeno, tentato di
farci
l’abitudine. In ogni caso cercava di tenersi a distanza da
Grimmjow, anche per
altri motivi oltre alla soggezione che le incuteva. Quel sorriso sadico
le
ricordava cose che avrebbe voluto con tutta se stessa dimenticare. Cose
che
però continuavano a stringerle... il cuore.
Di lui
non aveva
avuto paura neanche un solo istante.
Scosse la testa, imponendosi di
smetterla di pensarci. Per qualche motivo
che non capiva, farlo le faceva male.
Stringendosi la leggera camicia tra
le dita, proprio dove sentiva quella
fitta, si sporse di qualche centimetro, facendo capolino dalla porta.
Stava
cominciando a farsi tardi. L’insegnante probabilmente si
stava chiedendo dove
fossero finite.
Ma a Tatsuki non sembrava
importare. Guardava Grimmjow, con le braccia
incrociate e un sopracciglio inclinato. Quando
si erano avvicinati così tanto? Orihime non se
n’era neanche resa conto.
« Sarebbe la mia parola contro la
tua. E poi potrei sempre dire che è stata legittima difesa,
che avevi provato
ad allungare le mani. Chi sarebbe la povera studentessa indifesa,
adesso, eh? »
« Questo si chiama abuso di
potere. »
Ed erano rimasti a fissarsi per
qualche secondo, come divertiti da qualcosa
che potevano vedere solo loro negli occhi dell’altro.
« Muoviti, vai in classe. », aveva
ripetuto alla fine Tatsuki, tirandogli un leggero pugno sulla spalla.
Grimmjow le aveva lanciato un
ultima occhiata, un ultimo sorriso, e poi era
sparito dietro all’angolo del corridoio, anche se
probabilmente in classe non
ci era andato lo stesso.
Non era niente.
Non sapeva neanche lei che cosa
avesse visto che tanto l’aveva turbata.
Eppure Orihime si sentiva come se
li avesse sorpresi a baciarsi. C’era
qualcosa, nei loro sguardi, nel modo in cui si erano sorrisi, che non
si sapeva
spiegare.
Il sorriso di Grimmjow non era
spaventoso come era abituata a vederlo.
Quello di Tatsuki non era seccato
come sarebbe dovuto essere per un quarto
posto senza medaglia.
« Ma scusa... il re non è mica il
leone? »
Tatsuki non sapeva neanche come
fossero finiti a parlare di
quell’argomento.
Era tutto cominciato da una battuta
stupida, quando l’aveva visto bere da
quel famoso cartone di latte con la cannuccia, che vendevano ai
distributori
automatici e che quasi nessuno comprava. L’altra volta
allora, era serio.
Non aveva resistito, le era venuto
da ridere. Scherzando, gli aveva dato
del gatto, e in tutta risposta Grimmjow aveva mostrato i denti, come se
stesse
soffiando. Lui era una pantera, non un
misero gatto. Non insultare il re, femmina.
« In che senso una pantera? »
A differenza della volta
precedente, quel giorno c’era il sole. E visto che
c’era il sole, l’insegnante di educazione fisica di
Tatsuki aveva pensato bene
di portarli fuori a giocare a calcio, e trovando fuori
un’altra classe, avevano
improvvisato un torneo. In quel momento la squadra di Tatsuki era in
pausa,
aspettando il proprio turno di giocare, così lei era andata
a bere e a
rinfrescarsi un po’ alle fontanelle d’acqua
potabile che si trovavano in fondo
al campetto da calcio. L’estate si stava avvicinando, e si
faceva sentire in
tutto il suo calore.
Dopo aver bevuto letteralmente come
un cammello, si era appoggiata al bordo
del lavabo asciugandosi la bocca col dorso della mano e strizzando gli
occhi
per l’intensa luce. Gli altri suoi compagni di classe e anche
quelli della
classe avversaria, che come lei stavano aspettando di giocare, erano
sparsi per
il cortile, facendosi i fatti loro. Il bello dei tornei improvvisati
era
proprio il tempo libero che si guadagnava durante le pause. A dirla
tutta, lei
avrebbe giocato volentieri anche tutte le partite, facendo la spola tra
le
squadre, piuttosto che aspettare come stava facendo. Le piaceva giocare
a calcio.
Mooolto femminile, pensò
con un
sorriso ironico.
Indecisa su come ingannare il
tempo, aveva optato per fare un po’ di
stretching per scaldarsi sullo spiazzo erboso davanti al campetto.
C’erano anche
delle zone d’ombra create dagli alberi, sarebbe stato
perfetto.
Sì, sarebbe stato
perfetto se non fosse stato che spaparanzato a prendere
il sole come se fosse al mare, c’era Grimmjow. Ditemi
che è uno scherzo..., si lamentò
mentalmente, chiedendosi se
la diabolica mente che scriveva il suo destino si divertisse a
farglielo
incontrare nei momenti più impensabili.
Rimase a guardarlo da lontano,
esitante. Era sdraiato per terra, con le
braccia incrociate dietro la testa. In equilibrio sul petto teneva il
famoso
cartoncino di latte, verso il quale ogni tanto faceva
l’immenso sforzo di
allungarsi per prendere un sorso dalla cannuccia. Tatsuki
inarcò un
sopracciglio, tra l’allibito e il divertito. Allora il latte
lo beveva davvero.
Non voleva avvicinarglisi e fargli
credere di essersi messa lì apposta
perché c’era lui. Eppure non voleva neanche
lasciarsi condizionare dalla sua
presenza. In fondo, aveva deciso di andare lì prima di
rendersi conto di lui.
Perché doveva cambiare i suoi piani solo per non dargli
l’impressione
sbagliata? L’avrebbe semplicemente ignorato, ecco.
Così si decise a
raggiungere lo spiazzo erboso quasi
perfetto, sedendosi a distanza di qualche metro da lui.
Grimmjow teneva gli occhi chiusi,
non sembrava aver notato la sua presenza.
Eppure le pareva impossibile. Forse la stava ignorando di proposito. E
quel
pensiero, per qualche motivo, la irritava.
Tornò anche lei al suo
proposito di ignorarlo, piegandosi sulle gambe e
tendendo le braccia, tenendo lo sguardo fisso sui lacci delle sue
scarpe. Ma durò
un attimo, e con la coda dell’occhio tornò a
guardarlo.
Non l’avesse mai fatto.
Grimmjow si era perfettamente
accorto della sua presenza. In fondo aveva
imparato a distinguere la sua reiatsu da quella degli altri umani in
quella
scuola. Non forte come quella di Kurosaki, figuriamoci, neanche come
quella di
Inoue Orihime. Eppure abbastanza grande da distinguersi dalle altre. E
in ogni
caso, avrebbe riconosciuto il suono dei suoi passi decisi tra altri
mille. Li
trovava inconfondibili.
Per un attimo si era chiesto se
fosse venuta a parlargli. Così si era dato
un aria rilassata, aspettando che fosse lei a farsi avanti. Ma non
l’aveva
fatto. E allora, senza farsi notare, aveva voltato appena la testa
nella sua
direzione, aprendo un occhio per guardarla. Si stava stirando i muscoli
con
noncuranza, dedicandogli attenzioni quanto a una formica.
Ah
sì...?
Tatsuki indossava una maglietta
bianca con un simbolo a sinistra, sul
petto, e dei corti pantaloncini blu, con delle strisce bianche sui
lati. Anche
Grimmjow portava la stessa tenuta, con l’unica differenza che
i suoi erano
bermuda lunghi fino al ginocchio. Era la tuta estiva della scuola, che
Kurosaki
gli aveva lanciato qualche giorno prima, avendo scoperto che non
l’aveva ancora
ordinata presso la segreteria.
« Fai ginnastica. E piantala di
saltare le lezioni, che poi rompono a me perché i miei
familiari, che
stranamente si iscrivono tutti a questa scuola, fanno casino.
», gli aveva
semplicemente detto, puntandogli un dito contro il petto. Grimmjow era
stato
sul punto di replicare che non gliene fregava niente, ma Kurosaki era
sparito
tanto velocemente quanto si era fatto vivo nella sua classe,
mollandogli quel
pacchetto con dentro la tuta.
Non aveva la minima intenzione di
metterla, come non ne aveva di seguire le
lezioni o di fare ginnastica.
Però proprio quando
stava per svignarsela fuori dalla scuola, il vecchio
bastardo che si era ritrovato come insegnante di educazione fisica
l’aveva
beccato, e l’aveva costretto a seguire il resto della classe
verso il campo da
calcio. Aveva dovuto chiamare a raccolta tutta la pazienza che non
possedeva
per non arrostirlo a suon di cero. Se no
poi rompono al povero Kurosaki, eh.
Ma quando quel vecchio gli aveva
messo in mano il pallone di cuoio,
chiedendogli se fosse capace di giocare, non aveva resistito. Grimmjow
l’aveva
stretto tra le dita, fino a farlo scoppiare con un sonoro botto.
Così il prof
aveva capito che era meglio lasciarlo cazzeggiare in pace, se non
voleva finire
nello stesso modo.
Quella stupida tuta,
però, aveva dovuto mettersela. Beh, quel giorno faceva
caldo. Tanto valeva.
Già. Faceva caldo.
E Grimmjow non avrebbe certo
permesso a lei, alla sua preda, di ignorarlo.
Si sfilò una mano da
dietro la testa, stiracchiandosi e sbadigliando.
Sapeva che Tatsuki lo stava guardando. Si sentiva i suoi occhi addosso,
anche
se probabilmente lei cercava di nasconderlo. Così, come
niente fosse, si portò
la mano alla pancia, infilandola sotto la maglietta e tirandosela su
per
grattarsi, lasciando scoperto il torace muscoloso. Poi, come se
già non fosse
stato abbastanza, aveva fatto scendere la mano verso il bordo dei
pantaloni,
abbassandoli leggermente... E all’improvviso un colpo e una
fitta al fianco.
Una scarpa. Ahia.
« Datti un contegno, dannazione! »,
gli urlò dietro Tatsuki, indignata, con le guance rosse per
l’imbarazzo.
Era sicura al mille per cento che
se non gli avesse lanciato dietro la
scarpa, quel pallone gonfiato avrebbe finito per infilarsi una mano
nelle
mutande, pur di farla reagire in qualche modo. E infatti era scoppiato
a
ridere, come se si fosse aspettato quella reazione. La mandava in
bestia.
« Non puoi andare in giro con
pantaloncini così corti e pretendere che mi dia un
contegno... », le rispose, rivolgendole
un sorriso malizioso e porgendole la scarpa, che teneva per la stringa.
Tatsuki
se la riprese, limitandosi a fulminarlo con lo sguardo per quel
commento,
ancora più imbarazzata.
Ed ecco che i suoi buoni propositi
di ignorarlo erano andati a farsi
friggere, mentre quelli di Grimmjow di non farsi ignorare erano andati
decisamente in porto.
Avevano continuato a beccarsi per
un tempo indefinito, tanto che Tatsuki
non si era neanche accorta di essersi persa il suo turno per giocare.
Grimmjow
assorbiva letteralmente tutta la sua rabbia, la sua indignazione, e
sì, anche
il suo divertimento. Insomma, tutta la sua attenzione.
E poi, chissà come,
erano finiti a discutere di gatti, pantere, e re.
« In che senso una
pantera? »
Lentamente, il sorriso gli si era
spento sulle labbra, mentre una nuvola passeggera
oscurava il sole.
Dopo un attimo di esitazione, in
cui aveva pensato di sviare la domanda,
Grimmjow aveva alzato gli occhi al cielo, schermandoseli con una mano,
e aveva
iniziato a parlare.
Di quando era un Adjuchas, di
quando era diventato Arrancar e poi Espada. Della
prima volta che aveva incontrato le sue ormai cineree
fracciòn, di Aizen, dello
stesso Kurosaki. Di se stesso, del... re.
Le parole uscirono senza freni. Avrebbe voluto controllarle, avrebbe
dovuto,
forse. Un umano non poteva ascoltare quelle parole senza rimanerne...
disgustato. E Tatsuki, nonostante tutte le volte in cui ai suoi occhi
si era
dimostrata più di una semplice umana, lo rimaneva in ogni
caso. Quanto le aveva
raccontato Kurosaki? Quanto aveva capito di lui quella volta che
l’aveva visto
combattere?
Distruggere,
distruggere, distruggere.
Quanto le aveva fatto paura, quanto
le aveva fatto... schifo?
In effetti, lui era un mostro. Un
mostro che aveva mangiato anime di umani,
anime di suoi simili pur di sopravvivere. Il fatto che adesso, per il
patto che
aveva fatto con la Soul Society, non lo facesse più, non
cancellava niente del
suo passato.
Per la prima volta in vita sua,
avvertì il peso di tutte le vittime a cui
aveva strappato la vita e la carne coi suoi denti e artigli affilati. E
inaspettatamente sentì come... un senso di vergogna. Come se
stesse confessando
dei peccati, e avesse... paura di essere giudicato. Da lei, in un certo
senso
così... umana e innocente.
Ma Tatsuki lo ascoltava, senza
battere ciglio e dire una parola, e lui non
poteva capire che cosa le stesse passando per la testa in quel momento.
Anche
perché non riusciva a guardarla negli occhi, che tenne fissi
verso il cielo
fino alla fine di quel macabro “c’era
una
volta un gatto con gli stivali...”.
Avrebbe dovuto fermarsi. Anzi, non
avrebbe neanche dovuto iniziare a
parlare. Grimmjow cominciò a pensare di aver commesso un
errore nello stesso
istante in cui serrò i denti, a favola finita.
Ecco... l’aveva
spaventata.
Ma forse non era stato un errore.
Lui non era il tipo da raccontare balle.
Per cosa, poi? Apparire migliore ai suoi occhi? No, quella era la
verità nuda e
cruda, ed era giusto che lei la sapesse.
E adesso... adesso
trema, umana, di
fronte al re. Non riusciva più a pensarlo con lo
stesso orgoglio della
prima volta.
Si coprì gli occhi con
il dorso della mano.
Silenzio. Silenzio interminabile,
silenzio assordante.
« Ma scusa... il re
non è mica il leone? »
Un pugno nello stomaco,
probabilmente, lo avrebbe colto meno alla
sprovvista. Piuttosto, avrebbe capito se gli avesse tirato
un’altra scarpa, se
si fosse messa a sbraitare “mostro!”, se fosse
scappata via, pure se fosse
scoppiata in lacrime, anche se non era esattamente
un’immagine di lei che
riusciva a conciliare con quella che ormai si era formata nella sua
testa, e
che, nonostante non lo volesse ammettere, aveva preso ad occupare un
bel po’ di
spazio.
Senza neanche rendersene conto, si
era trovato a voltarsi e a guardarla.
Decisamente, un pugno sarebbe stato più comprensibile.
E invece no.
Sorrideva.
Come l’altra volta, come
la prima volta che l’aveva vista farlo. In quel
modo sottile, quasi furbo, come se lei vedesse qualcosa di cui lui non
poteva
rendersi conto. Sorrideva, con un sopracciglio alzato. Nei suoi occhi,
però,
poteva leggere la consapevolezza delle sue parole. Erano seri, in
contrasto con
la sua espressione.
Eppure continuava a guardarlo,
senza tremare.
Perché?
Fino a quel momento, forse, Tatsuki
non se ne era mai resa completamente
conto. Certo, lei lo sapeva, Ichigo
gliel’aveva spiegato.
Ma non aveva capito niente.
Semplicemente guardandolo, aveva
avvertito fin da subito che non era umano.
Ormai aveva imparato a percepire le forze spirituali delle persone,
degli
Shinigami, degli Hollow; Kuchiki le aveva detto che si chiamavano reiatsu.
Quella di Grimmjow era
schiacciante. Anche se la tratteneva, non riusciva a
reprimerla del tutto. Ma anche se non fosse stata in grado di percepire
quel
particolare che lo distingueva tanto dagli altri, ogni cosa di lui,
nonostante
indossasse la divisa scolastica, nonostante si mischiasse agli altri
studenti,
era diversa dal concetto di umanità.
L’entità di
quella differenza, però, non l’aveva mai capita.
E neanche... la somiglianza.
Non l’aveva guardata
neanche per un secondo. Aveva tenuto lo sguardo fisso
verso il cielo, un po’ perso nel vuoto, un po’
perso nei ricordi. Poi si era
coperto gli occhi, quasi con stanchezza, quasi con rassegnazione. Come
un gatto
insonnolito. Pardon, pantera.
Guardami.
Non si potevano trovare scusanti
per nessuna delle cose che le aveva detto.
Semplicemente, non ce n’erano.
Era la sua natura.
Non era quello però che
le aveva fatto finalmente aprire gli occhi su di
lui. Non i brividi che per un attimo le erano corsi lungo la schiena,
non la stretta
allo stomaco quando le aveva parlato di quello che poteva benissimo
essere
definito cannibalismo.
Ma il suo tono, la sua voce. Il suo
sguardo perso nel vuoto. Le sue parole
intrise di... consapevolezza delle sue azioni, e forse anche di
qualcosa di
simile alla vergogna.
Grimmjow era più umano
di quanto lei credesse. E pian piano, lo stava
diventando sempre di più, senza che neanche lui stesso se ne
rendesse conto.
Le era sembrato solo, quella volta,
sul tetto. Adesso le sembrava
incredibilmente stanco. Di cosa? Di se stesso? Della vita che aveva
condotto
fino a quel momento? Avrebbe voluto chiederglielo, ma con tutta
probabilità lui
non avrebbe risposto. Le cose più difficili da confessare
sono quelle che non
si riesce neanche ad ammettere con se stessi. E Grimmjow era talmente
orgoglioso che forse non avrebbe mai ammesso una cosa del genere.
« Ma scusa... il re non è mica il
leone? »
Voleva semplicemente che la
guardasse. Voleva leggere la risposta nei suoi
occhi, capire se... poteva davvero iniziare a considerarlo ancora
più umano di
quanto fino a quel momento avesse fatto.
Le bastò un attimo, un
battito di ciglia.
La risposta era
indubbiamente sì.
|
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Capitolo 3 *** E dire che all'inizio tutti pensavano che la Draghessa di Shrek fosse un maschio. ***
NDA:
Grimmjow alle prese con
le farfalle nello stomaco. AWW. Che cosa cariiina. x°D
However,
questo capitolo sarà piuttosto incentrato sulle parti del
corpo.
Eh eh. Non pensate male, zozzoni. 8D
Comunque,
mi sono divertita molto a scriverlo, e spero di essere riuscita a
spiegare un po’ di più cosa si nasconde dietro la
psicologia di Tatsuki. Quanto
è bella, quanto la amo. ;W;
E
spero anche di non star andando troppo velocemente a farli prendere
così
uno dall’altra. Ma vedete, il mio cuore di fangirl esige
amore... ♥
Ichigo
lo rimandiamo alla prossima volta, se no si fa troppo lungo.
Aspettatevi
pure uno stralcio di Nee-san! =v=
-
In
qualche modo, si era sentito di colpo più leggero.
Nello
stesso istante in cui aveva incrociato il suo sguardo, in cui aveva
visto il suo sorriso. C’era qualcosa di incredibilmente fuori
posto nella sua
reazione, qualcosa che... gli fece venire voglia di ridere.
Quell’umana
non finiva mai di sorprenderlo. Era assurdo. No, lei
era assurda.
Perché?
Per
un attimo aveva quasi sperato che scappasse via. Che si allontanasse, e
tutta quella situazione assurda
finisse lì, prima che potesse anche solo cominciare. Sarebbe
stato giusto così,
sarebbe stato anche meglio. E non solo per lei. Grimmjow non era
così altruista
da pensare semplicemente al bene degli altri.
Il
vero problema stava nella sua testa, o forse un pochino più
in basso,
all’altezza del petto, e ancora più in basso, dove
nella sua anima ci sarebbe
dovuto essere un buco, un vuoto.
Non
sapeva dare una spiegazione alla sensazione, alla stretta, che aveva
sentito quando aveva alzato lo sguardo verso di lei. Era come se
davvero gli
avesse dato un pugno nello stomaco.
Ma
la cosa più strana, era che non faceva male. Per niente.
Perché?
Perché cazzo... mi
stai sorridendo così?
Si
portò nuovamente il dorso della mano sulla fronte, scuotendo
il capo. Era
davvero tutto così assurdo che non poteva fare altro che
ridere, e rispondere
al suo sorriso.
« ...
Le pantere sono più
eleganti. », asserì poi con convinzione, girandosi
nuovamente verso di lei e spostandosi
su un fianco per guardarla meglio, con la testa appoggiata a un pugno.
Alle
sue parole, anche Tatsuki si lasciò andare a una risata.
«
Elegante?! Tu? »,
replicò, chinandosi su di lui e dandogli una leggera spinta
sulla spalla, facendolo cadere nuovamente sdraiato. Le era venuto
spontaneo
cercare un contatto. Nello stesso istante
in cui aveva incrociato il suo sguardo, in cui aveva visto il suo
sorriso.
Anche quel minimo di paura che aveva provato durante il suo racconto,
era
sparito in meno di un secondo.
Lo
faceva sempre, gli parlava, lo toccava, gli si avvicinava, sempre con leggerezza, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Forse non se ne rendeva conto neanche lei stessa, ma Grimmjow
sì. Lo notava
eccome. Anche quella lieve spinta, anche se era stata sulla spalla, gli
era
valsa come un altro pugno nello stomaco.
Si
tirò su puntellandosi sui gomiti, per poi rispondere a sua
volta,
spingendola appena.
«
Ma che vuoi?! Non è colpa mia se sei
cieca e non riesci a vedere il mio fascino. », si
atteggiò, facendole una
smorfia derisoria.
Oh,
come si sbagliava.
Tatsuki
aveva degli occhi perfettamente funzionanti. E non è che
fosse...
immune al suo fascino.
Non
si poteva negare che fosse... beh, bello. Aveva dei lineamenti marcati,
eppure affilati. Un bel profilo, un naso dritto. Occhi sottili, di un
azzurro
intenso, così rari lì in Giappone, non ne aveva
mai visti da vicino, se non in
fotografia, o in qualche film. Per qualche strano motivo, prima era
convinta
che gli occhi chiari fossero in un certo senso piatti, poco profondi e
privi di
espressione, a differenza di quelli scuri. Prima... sì, prima di incontrare quegli
occhi chiari. In quelli rischiava di annegarci dentro, tanto erano
profondi.
E
poi, la cosa che la colpiva di più. Quel sorriso che...
dannazione,
dannazione, dannazione. A cosa stai
pensando, Tatsuki?!
« Scusa tanto, ma mica tutti possono avere i
tuoi occhi di lince. Ah,
no, com’era? Pantera.
», lo schernì a
sua volta, scandendo bene le parole.
Grimmjow
le fece un’altra smorfia, avvicinandosi e fissandola con
arroganza. « Ah ah ah. Ti credi così divertente?
»
«
Scusa, forse tu non ti diverti?
Magari preferiresti un gomitolo... »
«
Sinceramente? Preferirei altro
latte... », replicò, lanciando di sfuggita uno
sguardo al suo seno.
Ed
eccolo ancora. Il suo sorriso.
Era
così... spontaneo. Infantile e malizioso al tempo stesso. Ed
era
contagioso, fin troppo. Tatsuki si ritrovava a rispondergli quasi
contro il suo
volere, anche quando avrebbe voluto rimanere seria, immancabilmente...
si
trovava a sorridergli anche lei.
Le
sembrava di avere a che fare con un bambino. Un bambino alto un metro e
ottantasei centimetri, e pettorali quasi più grossi della
sua terza di
reggiseno – che in quel momento era oggetto di occhiate poco
gradite –, ma
insomma...
Certo
che era un tipo strano. Forse troppo strano, ma era anche questo che...
che la affascinava. Sì, va bene?!
Tanto valeva ammetterlo, ormai.
Quando
stava con lui, anche solo quando gli parlava in quel modo, scherzando,
provocandolo, si sentiva attirata in un mondo completamente diverso, in
cui
contava solamente il suo sguardo e il suo dannato, dannatissimo
sorriso. E la parte di se che tendeva a non mostrare
agli altri, quella capace di arrossire, di ridere senza preoccupazioni,
veniva
fuori così, spontaneamente.
Si
rese conto che era stato così fin dall’inizio.
Anche ai primissimi
tempi, quando non facevano altro che fissarsi in cagnesco da lontano,
minacciandosi a suon di fulmini, in quei momenti... esisteva solo lui.
Era
qualcosa che non capiva, e che sinceramente, aveva anche un
po’ paura
di capire, perché era la prima volta che provava quel
qualcosa di indefinito.
Eppure
non riusciva proprio a trovare un salvagente per tirarsi fuori da
quegli occhi così azzurri.
«
Arisawa? »
Tatsuki
alzò lo sguardo a sentirsi chiamare da una voce non
familiare,
distogliendo l’attenzione da Grimmjow. Per un attimo
provò irritazione. Non è
che quel salvagente lo volesse così tanto, in fin dei conti.
La
voce che l’aveva chiamata, apparteneva a un ragazzo che come
pensava non
conosceva. Se ne stava fermo con la mani nella tasche della tuta, in
piedi a
qualche metro di distanza da loro, e la fissava con un aria
indecifrabile. Tatsuki
inarcò impercettibilmente le sopracciglia, chiedendosi cosa
volesse, poi si
alzò e si avvicinò a lui, spazzolandosi i
pantaloncini dall’erba e lasciando un
Grimmjow altrettanto irritato per l’interruzione a farsi i
fatti suoi e a
tormentare il cartoncino di latte, che durante il loro scambio di
gentilezze era
completamente finito nel dimenticatoio. Grimmjow che a sua volta si
chiese cosa
diavolo volesse quel tipo, mentre coi denti mordeva, sollevandola, una
delle
alette di cartone, cercando invano una distrazione per trattenersi
dall’impulso
di tirare nuovamente verso di lui Tatsuki e costringerla a ignorare quel tipo che davvero, si può sapere che diavolo voleva da lei?!
Per poco
non strappò il cartone a morsi.
«
Dimmi. » Tatsuki esortò il
ragazzo, portandosi una mano sul collo e stirando appena la schiena.
Forse era
venuto a chiamarla per la partita. In effetti aveva perso completamente
la cognizione
del tempo, il suo turno doveva essere arrivato e passato da un pezzo. Acciden-...
« Ah,
sei tu? »
Tatsuki
rimase interdetta per qualche secondo, a vedere la sua espressione
cambiare. « Sì, perché? »,
gli domandò, facendosi esitante e guardandolo con
aria diffidente. Qualcosa le diceva che non avrebbe dovuto
chiederglielo.
«
Scusa, mi avevano detto che eri
un maschio. »
... Appunto.
Grimmjow
aggrottò le sopracciglia, spostando lo sguardo dal suo
prezioso latte
ormai finito a lui, incenerendolo letteralmente. Non gli era sfuggito
il suo
tono, e nemmeno il suo sorrisino bastardo. Doveva proprio avere un bel
coraggio
per dire una cosa del genere. Certo, Arisawa Tatsuki non era
l’emblema della
femminilità in senso lato. Non era raffinata, non si curava
particolarmente del
suo aspetto. Però viveva la femminilità a modo
suo.
E
le sue curve, erano decisamente
al posto giusto. E le sue gambe – coperte appena dai corti
pantaloncini blu
della tuta – anche se così toniche, non si
potevano certo scambiare per quelle
di un maschio, anzi. Erano decisamente
delle belle gambe.
Per
qualche motivo, Grimmjow si sentiva preso per il culo. Come se,
offendendo
lei, avesse insultato indirettamente anche lui. In fondo, lei era la
sua preda. E lui non sceglieva mai
prede
mediocri. Come cazzo osava parlarle in quel modo?
Tatsuki
distolse lo sguardo, per poi alzarlo per frugare l’area
circostante
a loro. E infatti, come pensava, vide un gruppetto di ragazzi nascosti
dietro
una siepe, che sghignazzavano e si spintonavano a vicenda, godendosi la
scena.
Chiuse
gli occhi.
« Ma
chi lo sa, forse in realtà lo
sei davvero... »
Okay.
Okay, questo era decisamente
troppo.
Senza
un attimo di esitazione, Grimmjow era scattato in piedi facendo un
passo verso il ragazzo, e aveva preso a ringhiargli a pochi centimetri
dalla
faccia, facendolo indietreggiare.
«
Chiedile scusa all’istante o ti
spacco la-... », iniziò a dire, a denti stretti,
ma non riuscì neanche a finire
la frase perché Tatsuki gli afferrò il braccio,
bloccandolo.
« No.
», gli disse detto solo, con
voce piatta.
Grimmjow
spostò lo sguardo verso di lei, esterrefatto. No?!
Ma l’aveva sentito o cosa? C’era un limite alle
cose che poteva
avere la faccia tosta di dire. Tornò a fissare il ragazzo,
facendo per
liberarsi con uno strattone dalla presa di Tatsuki, ma lei gli premette
l’altra
mano sul petto, spingendolo indietro.
Anche
il ragazzo indietreggiò ulteriormente, per portarsi ancora
più fuori
dalla sua portata.
« Devi
esserlo per forza per
tenere fermo uno così. », ghignò di
nuovo, anche se si vedeva che aveva preso
un bello spavento alla reazione di Grimmjow. Voleva solo dimostrare di
non
essere un fifone davanti ai suoi amici che seguivano la scena da
lontano.
Grimmjow sentiva il sangue
ribollirgli nelle vene come non gli capitava da tempo.
Digrignò ancora i denti.
Se solo fosse riuscito ad avvicinarglisi di qualche centimetro...
« Dove
scappi? Posso sempre prenderti a calci, pezzo di-... »
« Grimmjow. »
Era
forse la prima volta che lei lo chiamava per nome. Per un secondo
esitò.
«
Mollami. », sibilò,
irrigidendosi all’improvviso e continuando a fissare il
ragazzo davanti a sé che
stava cominciando davvero a sudare freddo.
Anche
Tatsuki gli lanciò un occhiata. « No. Lascia...
lascia perdere. Per favore.
», e lo spinse ancora più indietro. Poi
tornò a rivolgersi al ragazzo,
guardandolo con aria inflessibile.
«
Allora? Hai vinto la scommessa
coi tuoi amici, no? Adesso puoi anche andartene. »
Tatsuki
aveva sempre avuto un carattere impulsivo, fin da bambina. Era
permalosa, fin troppo orgogliosa, non sopportava le prese in giro, le
prendeva
come affronti personali, che finivano puntualmente in zuffe.
Ma
dopo tutti quegli anni passati nel dojo, aveva imparato a temprare la
sua impulsività, così come i suoi pugni.
C’erano
momenti in cui, però, non riusciva proprio a controllarsi.
Quando
c’era di mezzo Orihime, ad esempio. Se qualcuno provava a
sfiorarla, ecco che
si trasformava nel tanto temuto “demone” della Karakura Ichikou, capace di lanciare
banchi per aria come
coriandoli, alla faccia di tutti i Comitati Disciplinari.
Oppure
se si trattava di Ichigo. Quell’idiota era talmente idiota
che
sentiva il bisogno di aiutarlo, quando qualche altro idiota esagerava
con le
parole o con le mani.
Certo,
c’erano anche volte in cui perdeva la pazienza per cose che
la
riguardavano. Se qualcuno metteva in dubbio il suo talento nelle arti
marziali
ad esempio. Si sentiva in dovere di dimostrare a quel qualcuno che anche se era una ragazza, poteva
mandarlo all’ospedale. Oppure se si trattava di altre cose di
cui andava
orgogliosa, che non sopportava venissero svalutate.
Ce
n’erano altre ancora però... a cui non si sentiva
di rispondere. In
fondo, era colpa sua. Se fosse stata più... carina, certi
commenti e certe
insinuazioni le avrebbe evitate. Ma lei si piaceva così.
Quando si guardava
allo specchio, nuda dopo una doccia, non si sentiva meno femminile di
qualsiasi
altra ragazza. Non indossava gonne per il semplice motivo che le
trovava
scomode. Non si truccava per il semplice motivo che non aveva tempo da
perdere,
e la mattina preferiva dormire qualche minuto in più,
piuttosto che spenderlo per
farsi bella. Si era lasciata crescere i capelli per un puro capriccio
estetico.
Si piaceva così. E non doveva dimostrare niente a nessuno,
se non a se stessa.
Eppure...
Eppure sono una
ragazza anche io, sai?
Eppure certe cose...
feriscono anche una come me, che una ragazza non lo sembra per niente.
Aveva
le mani bollenti.
Quelle
mani, minuscole in confronto alle sue, eppure non lisce e delicate.
Aveva le nocche screpolate, forse da tutti gli anni di pugni contro i
sacchi da
boxe per allenarsi, e scommetteva che lei non era esattamente il tipo
che si
preoccupava di usare i più svariati tipi di creme per la
cura del corpo. Le
unghie non erano lunghe né curate, eppure gli facevano male,
conficcate nella
carne.
Aveva
le mani bollenti, con una stretta inaspettatamente forte.
Mani
che Grimmjow aveva preso il dolce vizio di pensare quando si trovava
solo.
Così
come la sua bocca, le sue labbra. Veniva voglia di morderle, tanto
sapevano essere velenose e irritanti. Ma anche provocanti,
involontariamente, quando
si piegavano in un sorriso.
In
quel momento, però, il sorriso era quanto di più
lontano dalla sua
espressione.
Dura.
Quasi fredda.
Non
gli piaceva. Il freddo era tutto tranne che lei. Lei era bollente,
bruciava, come le sue mani. Eppure non in quel momento. Non batteva
ciglio, non
si arrabbiava. Perché?
Tutto
quello che si limitava a fare era stringergli il polso, anche se
ormai non c’era più bisogno di bloccarlo
perché quel piccolo stronzo si era
allontanato da un pezzo. Ma Tatsuki continuava a farlo, con tutta la
sua forza.
Gli
bastò un attimo per realizzare che era davvero ferita.
Ferita
nel suo orgoglio, probabilmente, nel suo orgoglio... di donna.
Si
chiese quante volte avesse dovuto sopportare quel comportamento da
bastardi da parte dei suoi compagni di scuola. Per come la vedeva lui,
Tatsuki
era una capace di farsi rispettare. E infatti molti lo facevano, forse
per
paura, forse per vera e propria ammirazione, se n’era accorto
in quei pochi
mesi che aveva passato in quel bidone di adolescenti puzzolenti di
sudore
chiamato scuola. Eppure, come in ogni luogo, c’erano sempre
dei coglioni che
non sapevano riconoscere una persona degna di rispetto e
perché no, timore,
quando la vedevano.
Per
un attimo vide se stesso, piccolo Hollow dall’aspetto felino,
piccolo
davvero, in confronto agli altri Adjuchas che cercavano sempre di
divorarlo.
Quante carni aveva dilaniato per guadagnare quel rispetto che
pretendeva, quel
potere che sentiva già suo di diritto...
Ed
ecco che invece si trovava di fronte quella umana, no, quella donna, no... Tatsuki,
che... il rispetto se lo meritava. E che nonostante tutto,
mandava giù gli affronti, senza però chinare la
testa, ma neanche replicare. Con
un autocontrollo incredibile.
Cazzo.
Cazzo se era...
bella.
La
sua mano tremava di rabbia. Probabilmente dentro di lei si era
accumulata in quei pochi minuti che aveva cercato di trattenersi. Anche
la sua
espressione, non era più così fredda e distaccata
come prima. Le sue guance si
erano tinte di rosso, sotto la mandibola serrata, al contrario delle
sue nocche
ormai esangui per la presa troppo forte della mano.
Mano
che – così piccola, così calda,
così...
forte – Grimmjow strinse istintivamente nella sua, senza
neanche pensarci due
volte.
|
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Capitolo 4 *** Mai svegliare il drago che dorme. ***
NDA: Mi
sembra superfluo
scusarmi dopo il mostruoso ritardo. Invece, ringrazio tutti quelli che
nonostante siano passati secoli ed ere glaciali, hanno deciso di
sprecare
ugualmente qualche minuto per questo aggiornamento. Soprattutto, grazie
ad AriCastle66 che ho contagiato
talmente
tanto con la mia mania per il GrimmTatsu, da spingerla a
“rompermi”, come dice
lei, fino a farmi aggiornare. :°) ♥
In
questo capitolo, come promesso nei precedenti, ho dato un po’
di spazio
anche ad Ichigo. E in qualche modo, ci ho infilato pure Rukia. E in
qualche
modo ancora, è diventato qualcosa di IchiRuki, qualcosa di
angst tra l’altro.
LOL, e vabbè. Spero apprezzerete comunque, anche chi non
è fan di questo che io
considero un pairing. Badate, quello che ho scritto è una
semplice
interpretazione dei fatti SECONDO ME. Da un lato, non mi son inventata
niente.
Dall’altro, la mia mente malata da fangirl forse ci ha
ricamato un filo sopra.
Tornando
alla long di per sé, mi spiace dire che questo è
un altro capitolo
che ho dovuto spezzare sul più bello. Perché
altrimenti sarebbe stato troppo
lungo, e io non voglio correre il rischio di annoiarvi, soprattutto non
adesso
che le cose stanno cominciando a prendere una piega più
interessante tra i
nostri due teneri (?!) protagonisti...
Il
prossimo aggiornamento però arriverà in tempo
record, per non farvi
perdere il filo della trama. :°D
Quindi
niente... buona lettura! ♥
P.S.:
LOL, il titolo... /patpatta
Daenerys/
-
MAI SVEGLIARE IL DRAGO CHE DORME.
Non
sapeva di preciso dove dormisse Grimmjow Jaegerjaques. Per un
po’ era
stato convinto che passasse le notti al negozio di Urahara-san, ma
presto si
era trovato smentito. Quando l’aveva scoperto, con malcelata
gentilezza gli
aveva offerto un futon e un angolo di pavimento della sua camera, che
lui però aveva
rifiutato con sdegno.
« Non
ci vengo a fare i pigiama
party a casa tua, Kurosaki. »
Come
un Hollow sapesse cosa siano i pigiama party, per Ichigo Kurosaki
rimaneva
un mistero tanto quanto il suo alloggio.
Ma
non era quello ad impensierirlo tanto, da qualche tempo a quella parte.
Grimmjow era grande e vaccinato – per modo di dire
– e sapeva arrangiarsi
benissimo da solo. Anche se a volte si sentiva in dovere di tenerlo
d’occhio.
Quello
che in realtà lo preoccupava, era il... come chiamarlo,
rapporto?,
che quell’Hollow grande e vaccinato pian piano stava
instaurando con la sua
amica e qualche volte nemica d’infanzia, Tatsuki Arisawa.
«
Ichigo. »
Fin
da quando li aveva presentati di sfuggita, più per prevenire
un loro
incontro da soli che con tutta probabilità sarebbe finito
nel sangue che per
fargli fare amicizia, il suo sesto senso gli aveva detto che le cose
non
sarebbero filate lisce come l’olio. E infatti. Più
di una volta aveva beccato
Grimmjow a provocarla con quel sorriso beffardo che tanto dava sui
nervi a lui
stesso, e sinceramente non aveva potuto biasimare il tono aggressivo
con cui
Tatsuki gli aveva risposto.
«
Ichigo. »
Qualche
anno prima, sua sorella Yuzu aveva passato un periodo in cui si era
fissata con l’oroscopo. E in quel periodo, aveva messo sotto
stretta analisi
lui stesso, annotando puntigliosamente su un taccuino i suoi
comportamenti
nelle più svariate situazioni, per vedere quante
caratteristiche avesse in
comune col carattere tipo del segno zodiacale cancro. Sfortunatamente
per lei,
Tatsuki era capitata dalle parti di casa sua giusto in uno di quei
momenti di
studio approfondito. E quando Yuzu era stata folgorata
dall’illuminazione che,
dato che il compleanno di Tatsuki cadeva esattamente due giorni dopo
quello di
Ichigo, era anche lei un cancro, erano diventati entrambi due cavie da
laboratorio
degne di quel nome. Erano così venute fuori somiglianze
caratteriali tra lui e
Tatsuki a cui non aveva neanche mai dato peso, anzi, di cui non si era
mai
minimamente accorto. Quindi poteva capirla. Poteva capire benissimo
perché le
venisse voglia di far saltare tutti i denti a Grimmjow a suon di pugni,
quanto
tentava di attaccar briga con lei sfoggiando il suo sorriso da
sbruffone.
C’era
un punto fondamentale però, che si poneva al nocciolo della
questione: Tatsuki, a differenza sua, era dieci volte più
irascibile, bastava
un niente per farla scattare come una molla. E Grimmjow sembrava
trovare questa
sua caratteristica particolarmente divertente, soprattutto se, essendo
a
scuola, lei era costretta a darsi comunque una parvenza di contegno, e
non poteva
malmenarlo a sangue come avrebbe voluto. Non che in ogni caso ci
sarebbe
riuscita, chiaro, era convinto Grimmjow, anche se invece Ichigo avrebbe
scommesso che qualche gancio se lo sarebbe preso – e pure
meritato.
«
Ichigo, mi stai ascoltando? »
Quindi,
se quei due fossero venuti alle mani, sarebbe stato un bel casino.
E ogni volta, sembravano più vicini ad arrivare a uno
scontro diretto. Le
dinamiche delle loro conversazioni pericolose seguivano sempre la
stessa
procedura: o Grimmjow si avvicinava a lei, infastidendola, o Tatsuki si
avvicinava a lui perché lo trovava fastidioso, poi Grimmjow
sorrideva, Tatsuki
si innervosiva ancora di più, Grimmjow faceva qualche
battuta di cattivo gusto,
e Tatsuki tentava di rispondere con lo stesso tono mantenendo la calma,
quindi
Grimmjow si intestardiva, Tatsuki perdeva la pazienza e lo minacciava,
Grimmjow
reagiva alla minaccia minacciando a sua volta, e a quel punto chiunque
si fosse
trovato a meno di due metri di distanza, avrebbe potuto avvertire
l’elettricità
statica creata dalla tensione palpabile tra di loro.
«
Senti, Ichigo, sto morendo di caldo.
Mi spoglio. »
« Ah?
Sì, fai pure-... CHE?! »
Ridestato
all’improvviso dai suoi pensieri, Ichigo Kurosaki si
girò di
scatto verso la minuta ragazza dai capelli scuri che stava in piedi con
le mani
sui fianchi davanti a lui, che invece era seduto sul letto della sua
camera. I
loro occhi così erano praticamente allo stesso livello, e
Ichigo sgranò i
propri all’inverosimile a sentire le sue parole, mentre le
sue guance si coloravano
gradualmente di rosso.
« Ti
sei girato. Pensavi mi stessi
spogliando sul serio? », lo schernì Rukia Kuchiki
inarcando un sottile
sopracciglio e facendolo sentire ancora di più in uno
sdegnato imbarazzo.
La
ragazza, o meglio, la donna nelle sue vesti da Shinigami
nonché
vicecapitano della sua compagnia, si portò le braccia al
petto, incrociandole e
facendo frusciare la stoffa del suo shihakushō.
Ma il suo tono non era troppo severo.
«
Almeno adesso ho la tua
attenzione. »
« ...
Scusa. Stavo pensando ad
altro. », Ichigo distolse lo sguardo, ritrovando lentamente
la calma.
Sì.
Ichigo stava pensando ad altro, e Rukia se ne era accorta
più che bene,
perché lo conosceva più che bene.
E
si era anche resa conto di un’altra cosa importante.
Da
quando era tornata nella sua vita, così come erano tornati i
suoi poteri
da Shinigami, l’aveva trovato... cambiato. Ancora
più chiuso di quanto già non
fosse, ancora più silenzioso. Spesso lo beccava con lo
sguardo perso nel vuoto,
la mente altrove. In quei momenti, Rukia si domandava cosa stesse
pensando,
nella sua testa sembravano frullare mille pensieri di ogni genere. Ma
non osava
chiedere, no. Perché in parte, sapeva a cosa fosse dovuto
quel cambiamento. E
non poteva fare a meno di sentirsi infinitamente in colpa.
Ichigo
era innegabilmente cambiato in quei lunghi diciassette mesi di
lontananza. E anche se il modo in cui si poneva nei suoi confronti non
era
mutato, anche se continuavano a stuzzicarsi come avevano sempre fatto,
combattere fianco a fianco come avevano sempre fatto – pure
davanti a quella
nuova minaccia rappresentata dagli Arrancar superstiti creati dal
traditore
Sōsuke Aizen e che ora si erano ribellati, rimasti senza una guida
–, anche se
in superficie il loro rapporto di rispetto e fiducia reciproca era
rimasto
intatto nonostante la lontananza, Rukia lo sentiva in qualche modo...
più
distante.
Istintivamente,
allungò una mano a sfiorargli i ciuffi di capelli ramati
sulla fronte, come a volergli portare via dalla testa parte delle sue
preoccupazioni.
Come a volerlo raggiungere. Ogni volta che lo toccava, anche per
sbaglio,
sentiva il bisogno di abbracciarlo, stringerlo con tutte le sue forze,
e di
chiedergli scusa. Ma non se ne sentiva in diritto.
Era
stata egoista. Incredibilmente egoista. Tanto da continuare a guardarlo
da lontano senza trovare il coraggio di mostrarsi a lui in un gigai che avrebbe potuto vedere e
toccare. Stringendosi la stoffa del kosode
tra le dita e nascondendosi ai suoi occhi anche se non ce
n’era alcun bisogno
perché ormai era come cieco, aveva mandato giù il
nodo alla gola e aveva deciso
che, per entrambi, sarebbe stato meglio non vedersi più.
La
verità era che Rukia aveva avuto paura.
Aveva
cercato di convincersi che era la cosa migliore da fare, per Ichigo,
per evitargli di ricordare cosa aveva avuto e aveva perso,
cioè la sua vita da
Shinigami, insieme coi suoi poteri che gli avevano permesso di
proteggere le
persone che amava. Se lo era ripetuto un’infinità
di volte, sperando che quella
scusa potesse alleviare parte del senso di colpa che provava osservando
la luce
nei suoi occhi, forse
la speranza di riincontrarla,
affievolirsi ogni giorno di più. Non era rimasta a vederla
spegnersi del tutto,
non sarebbe riuscita a sopportarlo. Aveva preso un’altra
decisione, quella di
impegnarsi fino allo strenuo delle sue possibilità per
diventare tanto forte da
poter presentare la richiesta di diventare vicecapitano della
tredicesima
brigata. E in qualche modo, diventare tanto forte da poter proteggere
lui,
anche se da lontano, e poterlo ripagare di tutte le volte in cui
invece, era
stato lui a proteggere lei.
Aveva
cercato un modo, un obiettivo per distrarsi.
Perché
lei, in primis, fin da quell’addio strappato al vento, non
era
riuscita ad accettare che da quel momento in poi Ichigo non avrebbe
più fatto
parte della sua vita.
Che
non avrebbe più potuto contare sul suo aiuto e
sì, la sua protezione.
Che la persona, l’uomo, che aveva cambiato il suo modo di
vedere le cose, facendole
riscoprire emozioni che invece aveva cercato di allontanare per tutto
il suo
secolo e forse di più di vita, che quel ragazzo che le aveva
fatto capire il
vero significato di legami profondi come l’amicizia,
rendendola più umana di
quanto avesse mai creduto possibile, che quello stolto che non
apprezzava i
suoi disegni e la derideva per la sua incapacità, non
avrebbe più potuto
neanche criticarla né farsi perdonare poi con un sorriso,
perché la realtà era
che semplicemente non poteva più raggiungerla con le sue
parole e i suoi
sguardi profondi tinti di un caldo color nocciola. Ogni cellula del suo
corpo
aveva urlato in silenzio e rifiutato con tutta sé stessa il
muro invisibile che
si era creato tra di loro.
E
il suo cuore si era chiuso in una morsa di ghiaccio quando lo aveva
sentito ringraziare il cielo, come se lei fosse scomparsa
chissà dove, mentre
invece era ancora lì, in piedi, di fronte a lui, come pochi
secondi prima. Di
fronte a lui, che ormai aveva perso la capacità di vederla,
così come di
sentirla chiamare il suo nome, che aveva ripetuto fino a sentirsi
strozzare la
voce.
E
come lui aveva perso la capacità di vederla, lei aveva perso
la forza di
farsi vedere. Non in quello stato, non da lui. Non quando ogni traccia
di
emozione e calore dentro di lei si era lentamente congelata.
Egoisticamente,
aveva desiderato che lui la ricordasse come quell’ultima
volta. Così come aveva desiderato poterlo ricordare e
custodire gelosamente nel
suo cuore così com’era prima che il suo sguardo e
il suo sorriso tanto raro e
sincero diventassero vuoti.
Per
questo non si era neanche azzardata a mostrarsi a lui per quasi un anno
e mezzo. Tempo in cui Ichigo non era l’unico ad essere
cambiato.
« ...
Va bene. Mi ascolti adesso?
È importante. », il suo tono fu più
rigido di quanto avrebbe voluto, mentre
lasciava cadere la mano, pentendosi immediatamente di
quell’attimo di
debolezza. Chissà quante volte Ichigo aveva voluto anche
solo sfiorarla in quel
modo innocente, sentire la sua vicinanza, mentre lei non aveva fatto
che
negarglisi. Non trovava né le parole né il
coraggio per chiedergli di
perdonarla.
Ichigo
tornò con lo sguardo al suo viso, stringendo
impercettibilmente i
denti per un secondo mentre sentiva il suo tocco abbandonarlo.
Avrebbe
voluto dirle tante cose. Sia di quella preoccupazione riguardo
Grimmjow e Tatsuki che ogni tanto gli faceva aggrottare le sopracciglia
per il
disappunto, sia quanto l’allenamento per ritornare in forma e
imparare ad usare
il fullbring in sincrono coi suoi poteri da Shinigami fosse stremante,
sia
quanto la storia di Ginjō e del fatto di essere un sostituto Shinigami
l’avesse
nonostante tutto segnato... sia quanto gli fosse grato di essere
comparsa a
dargli forza proprio quando aveva creduto di aver perso tutto, sia
quanto...
gli fosse mancata.
Un
tempo riuscivano a comunicare solo con gli occhi, tra di loro non
c’era
mai stato bisogno di troppe parole per capirsi a vicenda. Anche
emozioni che
forse avrebbero avuto bisogno di essere espresse con qualcosa di
più che un
solo sguardo, erano rimaste celate nei loro cuori e nelle loro occhiate
sfuggenti. Entrambi non avevano osato un passo in quella direzione,
forse un
po’ per timore, forse un po’ perché,
ingenuamente, avevano creduto che c’era
tempo, che l’altro sarebbe sempre stato lì, al
proprio fianco.
Entrambi
avevano dato per scontata la presenza l’uno
dell’altra, e quanto
questa era venuta a mancare, era nata in ognuno dei due la profonda
consapevolezza di quanto, affinché non piovesse,
affinché tutto non gelasse,
quella presenza reciproca fosse necessaria.
Spesso
Ichigo, immerso nei suoi pensieri, si chiedeva se ormai fosse troppo
tardi. Se avrebbe mai ritrovato la forza di aprirsi nuovamente a lei
come,
senza rendersene conto, prima che si separassero aveva fatto. Ma al
momento, la
ferita che gli avevano provocato il senso di solitudine e di debolezza
che in
lui erano cresciuti di più ogni giorno, settimana, mese
durante la sua assenza,
era ancora troppo fresca e profonda. E ora lui riusciva a fare solo
quello in
cui si era specializzato in tutti quegli anni prima di incontrare Rukia
e in
quei mesi dopo averla persa: distogliere lo sguardo, accennare a un
sorriso
tirato e fingere che andasse tutto bene.
«
Sì. Scusa. Dimmi pure. »
Per
l’ennesima volta, Rukia si sentì gelare dentro.
Fu
proprio a causa di una delle loro conversazioni pericolose, come le
avrebbe definite Ichigo, che Tatsuki Arisawa e Grimmjow Jaegerjaques
quel giorno
furono costretti a trattenersi oltre l’orario scolastico, con
sentito
disappunto da parte di entrambi. L’una perché
avrebbe voluto impiegare quel
pomeriggio per allenarsi in vista del torneo estivo a cui la squadra di
karate
del dōjō avrebbe partecipato,
l’altro
perché... ovviamente, l’essere obbligato a
rimanere ancora di più in quella
gabbia di adolescenti puzzolenti chiamata scuola, era qualcosa di
inammissibile. Ma Ichigo, che l’aveva preso da parte dopo
aver assistito a cosa
fosse successo, gli aveva intimato in un modo piuttosto convincente di
non
azzardarsi a combinare altri casini. Non gli aveva neanche dato il
tempo di
spiegare. E nessuno, a quanto pareva, sembrava volerlo stare a sentire.
Neanche
Tatsuki, soprattutto Tatsuki, che aveva reagito esattamente
all’opposto di come inizialmente si era aspettato.
Non
si era mai così palesemente arrabbiata nei suoi confronti.
Aveva sempre
girato sui tacchi, allontanandoglisi, quando si era sentita sul punto
di
esplodere. Non gli aveva mai dato quella soddisfazione, non aveva mai
perso le
staffe fino a quel punto. C’è anche da dire che
non era solo una questione di
principio, per non dargliela vinta, ciò che spingeva Tatsuki
a frenarsi prima
di arrabbiarsi sul serio. Era un reclamo scritto inviato ai suoi
genitori con
allegato un bollettino da compilare per il risarcimento del vetro che
aveva
rotto tirando un pugno in piena faccia a Ichigo, un anno e mezzo prima.
La
parte lesa, ovviamente, non aveva sporto denuncia, ma il preside
– che si era
riscoperto improvvisamente ad aborrire gli episodi di violenza che
stavano
screditando la sua scuola con sempre meno nuovi iscritti –,
con cui si era
trovata costretta a fare quattro chiacchiere amichevoli, le aveva fatto
ben
capire che se qualcosa del genere si fosse ripetuto, non avrebbe avuto
ancora
la grazia di scampare per un soffio a una sospensione o peggio, essere
direttamente espulsa.
Davanti
a una provocazione simile, però, non era riuscita a passare
oltre
come sempre si imponeva di fare. E Grimmjow aveva fatto un grosso,
enorme,
errore di calcolo pensando di agire nel giusto.
Tatsuki
si era sentita debole. Messa in discussione, cosa che non
sopportava, non in quel periodo in cui si sentiva più
inutile che mai. Era
convinta di essere almeno in grado di difendere sé stessa,
se non le persone a
lei care. E il suo orgoglio ne era rimasto ancora più ferito
di quando le
parole di quel ragazzo che l’aveva presa in giro la settimana
prima, l’avevano
costretta a trattenere per l’ennesima volta la frustrazione e
l’amarezza.
Non
voleva essere trattata come una ragazza indifesa. Non voleva essere
protetta, aveva allenato il suo corpo per tanti anni per potersela
cavare da
sola, senza bisogno dell’aiuto di nessuno.
Soprattutto...
non del suo.
E
Grimmjow non aveva riflettuto granché prima di agire. Come
al solito, per
lui.
Se
l’avesse fatto, forse, a quel punto si sarebbe evitato una
sonora
litigata che aveva attirato l’attenzione
dell’intero primo piano dell’edificio
scolastico, litigata in cui, al posto degli mani, erano volate parole
che
avevano preso entrambi a schiaffi morali.
Da
qualche giorno a quella parte, la pausa pranzo era diventata una sorta
di tranquillo intervallo per Tatsuki. Il che voleva dire solo una cosa:
Grimmjow Jaegerjaques non era nei paraggi.
Non
sapeva spiegarsi il motivo della sua improvvisa conversione
all’arrendevolezza, ma ultimamente aveva smesso di beccarlo
in giro ad
attaccare briga con gli studenti più giovani. In
realtà non lo trovava proprio,
in giro. Sospettava che andasse ancora a rifugiarsi sulla terrazza
isolata nel
lato est, proprio la stessa terrazza su cui per la prima volta avevano
avuto
uno straccio di conversazione decente. Il perché si fosse
dato a quel solitario
ritiro spirituale, sinceramente non sapeva spiegarselo. Ma che bisogno
c’era di
pensarci troppo? In fondo per lei era meglio così. Un
seccatore in meno di cui
preoccuparsi, visto che aveva smesso anche di aspettarla fuori dalla
classe al
cambio dell’ora, solo per importunarla.
Eppure
non riusciva a togliersi dalla testa la sua espressione di quella
volta in cui lo aveva trovato solo proprio su quella terrazza.
Doveva
essere successo qualcosa, sicuramente. Qualcosa di cui a lei non
avrebbe dovuto interessare niente. Allora perché non era
riuscita a resistere
dal chiedere a Ichigo se ne sapesse qualcosa, cercando di farla passare
per una
domanda casuale? In tutta risposta, aveva solo ottenuto uno sguardo
perplesso
da parte di lui, e uno più preoccupato da parte di Orihime,
che non riusciva
più a capire cosa passasse per la testa dell’amica.
E
nemmeno Tatsuki stessa riusciva più a capirsi, si rese
conto, selezionando
sul display del distributore automatico il numero corrispondente alla
fila di
cartoncini di latte. Mentre
si chinava a
prendere la confezione dallo scomparto, esitando un secondo prima di
allungare
una mano e raccoglierlo, si sentì patetica.
Aveva
deciso di andarlo a cercare. Spingerlo a parlare, se necessario, e
quel latte era parte della sua tattica di ricatto. Perché
sentisse le orecchie
diventare bollenti al pensiero, era qualcos’altro che non
capiva affatto. In
quei giorni in cui non era stata a diretto contatto con lui, aveva
avuto il
tempo di metabolizzare molte cose. Tra cui la sua innegabilmente
pericolosa
natura di Hollow, e l’effetto che le facevano i suoi occhi
chiari e il suo
sorriso. E la prima questione, oltre alla reazione immediata che le
aveva
provocato, aveva anche occupato parecchie delle sue ore di sonno.
Riflettendoci
a mente fredda, si era resa conto che non era qualcosa che poteva
ignorare o
accettare così su due piedi. Ma anche qualcosa che non
riusciva a farle provare
disgusto o paura tanto da convincerla a stare alla larga una volta per
tutte da
lui. Proprio per colpa dei suoi occhi chiari, che quando le aveva
raccontato
del suo passato, le avevano trasmesso molto di più di
semplici parole. E per
colpa del suo sorriso in un certo senso sollevato, davanti a quella che
era
stata la sua domanda atta ad alleggerire la tensione e a fargli capire
che non
aveva paura di lui. Sorriso in un certo senso anche più
spontaneo degli altri
che le aveva sempre regalato. Tatsuki non riusciva minimamente a
capacitarsi
del perché quando ripensava a quell’episodio, si
sentisse invadere da un
frustrante imbarazzo che la spingeva a tormentarsi nervosamente le
unghie coi
denti, vizio che aveva messo anni ad abbandonare.
E
finiva solo per sentirsi ancora più patetica. Come quando le
era bastato
sentire la mano di Grimmjow stringere la sua tremante di rabbia, per
dimenticare tutto il resto in un istante. Episodio che, invece di aver
causato
un ossessivo attacco alle sue unghie, aveva provocato
l’esplosione di quel frustrante
imbarazzo sul suo viso, accesosi immediatamente di rosso, sconcertando
lei
stessa.
Riguardo
a quel piccolo particolare, non aveva speso neanche un pensiero.
L’aveva accantonato in una parte della sua mente,
perché la realtà era... che
Tatsuki Arisawa non voleva capire. E
quindi si limitava a trovare scusanti plausibili per i propri
comportamenti,
per non dover ammettere in nessun modo quanto solo i semplici sguardi e
sorrisi
di quell’esuberante individuo dai capelli azzurri, avessero
il curioso potere
di farle aumentare il battito cardiaco e mandarle il sangue al cervello.
La
realtà era anche che Tatsuki, come donna, ne sapeva
ben poco di quella cosa che i romantici senza speranza chiamavano
amore, e che
lei si era convinta nessuno avrebbe mai avuto la sventura di provare
nei suoi
confronti. Per questo non aveva senso perdere prezioso tempo che poteva
impiegare ad allenarsi per qualcosa che non le avrebbe dato nessuna
soddisfazione, come invece i suoi risultati nel karate, che la
ripagavano
ampiamente per ogni sforzo e goccia di sudore spesa.
Per
questo non aveva mai lasciato avvicinare nessun
ragazzo tanto da permettergli di spezzarle il cuore.
E
non aveva intenzione di farlo ora.
« Ah,
chi si rivede! Arisawa! »
A proposito di
ragazzi,
si trovò davanti l’ultimo che avrebbe pensato di
incontrare, mentre
istintivamente e senza motivo, nascondeva dietro la schiena il cartone
di latte.
Stupidamente, forse, non si era neanche informata sul suo nome e sulla
sezione
e anno che frequentava. Aveva pensato sul serio che non avrebbe
più avuto a che
fare con lui, che quella volta Grimmjow l’avesse spaventato a
sufficienza
Certo
è che Grimmjow non era nei paraggi, in quel momento.
Tatsuki
strinse in una mano la confezione del latte, per poi rilassare le
dita, ricordandosi che quella si sarebbe rotta sicuramente con
più facilità del
polso di Grimmjow, su cui aveva riversato la sua irritazione la prima
volta.
«
Cos’è, un'altra scommessa? »
« No, volevo
solo scambiare quattro
chiacchiere in amicizia. »
Lui
rise, scuotendo una mano in segno di diniego. Come la prima volta, il
suo sorriso le sembrò troppo sicuro di sé. Non
seppe dire se fosse dovuto al
fatto che la sua massa cerebrale fosse della grandezza di una
nocciolina, o perché
il suo ego raggiungesse dimensioni spropositate. Probabilmente era la
prima.
« Non
sono di umore amichevole in
questo momento. »
« Sei
sempre così scontrosa... Così
non ti farai mai degli amici, dai retta a un tuo senpai.
»
Tatsuki affilò lo sguardo, inarcando un sopracciglio. E
così era più grande di
lei? Ciò vuol dire che doveva aver ripetuto un anno, visto
che lei era al terzo.
La teoria della nocciolina acquisiva sempre più credito.
« Ne ho più che a sufficienza, di
amici. »
Il
sorriso di lui si allargò.
«
Vero, tipo... Orihime-chan,
giusto? »
Ecco
dove voleva andare a parare. Probabilmente anche la volta scorsa si
era avvicinato con quell’intento. Tatsuki aveva ormai perso
il conto dei
poveracci che avevano avuto l’infelice idea di provarci con
Orihime, e ancora
di più, di quelli che avevano creduto che chiedendo a lei
stessa di mettere una
buona parola per loro, avrebbero concluso qualcosa. Individui del
genere, senza
spina dorsale, Tatsuki non li considerava neanche uomini. Per questo
non valeva
nemmeno la pena di arrabbiarsi se spendevano qualche secondo della loro
misera
esistenza a fantasticare sulla sua amica. Incrociò le
braccia, appoggiandosi con
la schiena al muro e trattenendo a stento un sorriso. Dopo, si sarebbe
fatta
quattro risate su quanto patetico potesse essere qualcuno che non aveva
neanche
il coraggio di dichiararsi personalmente.
« A
proposito di lei, volevo
chiederti se puoi farmi un favore. Io e i miei amici, sai, quelli
dell’altra
volta, stiamo organizzando un gōkon
al nuovo karaoke che hanno aperto in centro, solo che ci manca qualche
ragazza... Perché non le chiedi se è interessata?
»
Appunto.
« Io
non chiedo proprio niente a
nessuno. »
« Dai,
perché no? Se vuoi puoi
venirci anche tu... anche se dubito che riusciresti a rimediare
qualcosa. », la
schernì, facendo tornare sul viso di lei una piatta maschera
di indifferenza. Già
una volta gli aveva permesso di ferirla nell’orgoglio, non
avrebbe lasciato in
alcun modo che la cosa si ripetesse.
« Che
fine ha fatto quello che
l’altra volta se la stava facendo addosso? »,
Tatsuki lo schernì quindi a sua
volta.
« E
che fine ha fatto la tua
guardia del corpo? »
« Io
non ho bisogno di guardie del
corpo. »
«
Allora chi era, il tuo ragazzo?
Beh, hai fatto scappare anche lui? »
Per
un attimo Tatsuki restò spiazzata, non tanto per la sua
insinuazione
riguardo al suo rapporto con Grimmjow, ma per la domanda che le aveva
posto,
che le aveva fatto accendere una lampadina nella testa sul motivo per
cui,
forse, era proprio da quella volta in cui quello sconosciuto dal grande
ego e
dal piccolo cervello aveva fatto la sua prima apparizione, che Grimmjow
non si
era fatto più vedere. Da quando le aveva... preso la mano, e
lei, mossa dalla
rabbia e dall’imbarazzo provocato da quel gesto improvviso,
non gli aveva
risposto esattamente con un grazie. Non si ricordava le parole precise
che gli
aveva detto. Qualcosa tipo un “la prossima volta fatti gli
affari tuoi”, un po’
balbettato, mentre si liberava con uno strattone e si girava,
allontanandosi
verso lo spogliatoio femminile dentro cui si era rinchiusa a fare la
doccia per
il resto dell’ora.
Grimmjow
doveva essersela presa. Sì, doveva essere andata
così. Più ci
pensava, più al suo cuore insicuro, che inconsciamente
amplificava tutto quello
che lo riguardava, sembrava plausibile. E il pensiero che lui potesse
essere
arrabbiato con lei, e quindi in qualche modo stesse cercando di
evitarla, la
metteva stranamente a disagio.
« In
fondo nessuno vorrebbe stare
con qualcuno più virile di te. »,
rincarò lo sconosciuto dal grande ego e dal
piccolo cervello, che in quel momento era diventato l’ultima
delle sue
preoccupazioni.
Il
suo commento sarcastico le scivolò addosso, Tatsuki non gli
diede peso,
la sua mente era già volata altrove, e come al solito,
quando si trattava di Grimmjow,
nella sua testa tutto lo spazio veniva occupato da lui
e basta. Voleva solo porre velocemente fine a quella
conversazione e togliersi il prima possibile quel peso dallo stomaco.
Le sue
dita tamburellarono sulla confezione di latte.
«
Insomma, si può sapere cosa
diavolo vuoi? »
« Te
l’ho detto, solo che convinci
Orihime-chan a venire al gōkon.
»
« Hai
così poco coraggio da non
riuscire a farlo da solo? », sbuffò contrariata,
causando un altro sorriso fin
troppo beffardo da parte sua. Vederlo così sicuro di
sé la irritava davvero, ma
non quanto il pensiero che le stava facendo perdere tempo.
« Sai
che le pareti di un karaoke
sono insonorizzate? »
Tatsuki
esitò ancora, sul punto di replicare. In un istante, la sua
attenzione era stata nuovamente catturata da quella domanda, che
inizialmente
le era sembrata incredibilmente stupida e retorica, ma che poi, dopo un
secondo
di riflessione, aveva assunto tutt’altro significato.
« Dove
vuoi arrivare? », chiese a
sua volta, lottando contro sé stessa per mantenere fermo il
tono di voce.
Improvvisamente, sentiva come se deglutire si fosse fatto
incredibilmente
difficile.
«
Chissà quanto sarebbe divertente
sentire Orihime-chan cantare... »
Il
ghigno sornione che gli si dipinse sul viso la fece letteralmente
fremere.
Fu
un attimo, Tatsuki fu incredibilmente veloce, spinta dalla rabbia che
non seppe frenare in alcun modo.
Il
latte nel cartone si sparse a terra, pestato dai piedi di lei che in
uno
scatto aveva afferrato con entrambe le mani il bavero del ragazzo,
colto di
sprovvista, che si trovò strattonato verso il basso a
fissare dritto negli occhi
lucidi di odio, il demone della Karakura
Ichikō.
«
Ripetilo. », gli ringhiò a pochi
centimetri dal viso, facendolo diventare paonazzo per la mancanza di
ossigeno
tanto la stretta sul collo della sua camicia si era fatta serrata.
Eppure lui riuscì
a mormorare una risposta che ebbe l’effetto desiderato,
cioè farle allentare la
presa.
«
Così... così non rischi
l’espulsione Tatsuki-chan...?
»
Ecco.
Ora
si spiegava tutto, il modo in cui l’aveva avvicinata senza
timore, la
sua sicurezza nel parlarle. Quel tizio sapeva. Come diavolo avesse
fatto a
scoprirlo, Tatsuki non ne aveva idea. Ma quell’attimo di
esitazione che ebbe,
permise a lui di afferrarle i polsi e liberarsi del tutto, mentre
avvicinava la
bocca, distesa nell’ennesimo sorriso, al suo orecchio.
«
Ripensandoci, vieni anche tu...
potresti cantare per me... »
L’unico
pensiero che lampeggiò nella testa di Tatsuki Arisawa in
quel
momento, fu che non gliene fregava un accidente di essere espulsa, o di
finire
in riformatorio, o rinchiusa da qualche altra parte.
Lo
avrebbe ammazzato.
Ammazzato
sul serio.
-
NDA:
EVIRALO, Tatsuki. Siamo
tutti con te.
|
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Capitolo 5 *** ... E mai svegliare il gatto che dorme. ***
NDA:
Questa settimana ho aggiornato due volte, wow, che record! :°D
E purtroppo però, ancora una volta mi
tocca interrompermi per non creare una Divina Commedia in un capitolo.
Ma
davvero, preferisco andare per gradi, perché qui, qui in
questo aggiornamento,
avviene proprio la svolta che nel prossimo mi permetterà
di... NAAH, NON VE LO
DICO. 8D
Beh,
quello che vi posso anticipare, invece, è che in questo
capitolo c’è
angst, troppo angst, talmente tanto angst che ho il batticuore. Ma
l’angst è
cosa buona e giusta –amen– quindi so già
che voi mi perdonerete.
Vi
lascio alla lettura! /sventola fazzoletto in cui si soffia il nasino/
-
... E MAI SVEGLIARE IL GATTO CHE
DORME.
Era
appena suonata la campanella che segnava la fine della pausa pranzo,
quando Grimmjow Jaegerjaques sentì un gran vociare
scendendo, saltandoli a due
a due, i gradini delle scale che portavano alla terrazza. Gli studenti
sembravano bisbigliare tra loro e chiamarsi a vicenda, tutti diretti
fuori
dalle aule nelle quali si erano già seduti composti in
attesa dell’inizio delle
rispettive lezioni. Gli insegnati, che non avevano neanche fatto in
tempo ad
entrare ed accomodarsi alle cattedre, stavano intimando di tornare ai
propri
posti, ma non venivano minimamente ascoltati dalla folla di curiosi che
lentamente si stava accalcando nel corridoio del primo piano.
Grimmjow
inarcò un sopracciglio, per niente interessato ad unirsi
alla
ressa. Anzi, con un po’ di fortuna, sarebbe riuscito ad
approfittare di quel
casino per svignarsela, pensò con un mezzo sorriso.
Solo
quando sentì due studenti mormorare tra loro il nome
Arisawa, si
bloccò sui suoi passi, e tirando fuori le mani dalle tasche
dei pantaloni, si
fece largo a poco delicati spintoni tra gli studenti che si erano
sì affollati,
ma rimanevano fermi impalati all’ingresso del corridoio.
Quando finalmente ebbe
campo libero per capire cosa fosse successo, era affiancato solo da un
paio di
temerari studenti del terzo anno, che avevano osato avvicinarsi di
più alla
scena.
Quello
che vide, inizialmente sfuggì alla sua comprensione. In quel
pochi
secondi che gli erano serviti per farsi spazio tra la folla, si era
immaginato
di tutto, che però finiva sempre con una Tatsuki sanguinante
e con qualche arto
mancante. La sua fantasia da Arrancar che rappresenta la distruzione
non lo aveva
aiutato per niente a placare l’ansia che lo aveva assalito in
un istante,
sconcertando lui stesso, sentendo chi
era coinvolto in chissà cosa.
Per
questo di primo acchito non capì, quando vide Tatsuki tutta
intera e
anzi, in gran forma, mentre premeva con forza contro il muro, sul punto
di
spezzargli un braccio, un ragazzo che era qualcosa come il doppio di
lei.
La
preoccupazione però tornò ad attanagliargli lo
stomaco mischiandosi alla
rabbia, quando si rese conto di chi fosse il soggetto spalmato al muro
che
stava implorando pietà a mezza voce, sudando freddo.
Tatsuki
ora si sentiva molto più calma, o perlomeno, stava
ragionando
abbastanza lucidamente, non più accecata da una furia
assassina.
Con
la stessa velocità con cui lo aveva preso per il bavero
della camicia,
si era liberata i polsi, ruotandoli, in uno dei fondamentali che
vengono
insegnati all’inizio di qualsiasi corso di arti marziali.
Facendo leva nel modo
giusto, anche la forza della stretta di una mano maschile veniva
annullata.
La
campanella però aveva avuto il benefico effetto di
riscuoterla, anche se
non di far scemare del tutto la sua rabbia. Per questo era passata da
un
intento omicida a uno di minaccia intimidatoria, che comprendeva il
fargli un po’ male, per
illuminarlo sul fatto che
provocarla come aveva appena fatto pensando di passarla liscia, non era
stata
esattamente una scelta saggia. Non voleva rompergli veramente il
braccio, solo
spaventarlo sufficientemente da fargli assimilare il concetto che se
qualcosa
del genere si fosse ripetuto, non si sarebbe risparmiata dal spedirlo
direttamente in traumatologia.
Era
sul punto di liberarlo e lasciarlo magnanimamente andare a riflettere
sulle sue turpi azioni, soddisfatta del proprio autocontrollo, quando,
più che
vide, con un sussulto sentì rimbombare un pugno contro il
muro, a un soffio
dalla testa del beffardo carnefice che ora si era trasformato nella
supplicante
vittima.
Ebbe
appena il tempo di voltarsi e rabbrividire, incontrando uno sguardo
talmente pieno d’odio e di sete di sangue da far sembrare
quella che aveva
provato lei semplice frustrazione. Quasi non lo riconobbe, quanto vide
il suo
viso distorcersi in un sorriso, mentre facendo peso sul braccio che
aveva
appoggiato al muro dopo aver tirato il pugno, si chinava su entrambi,
sovrastandoli completamente con la sua stazza e altezza.
«
Ancora tu, piccolo stronzetto?
Cos’hai combinato stavolta, eh? »
Quella
era la conclusione a cui Grimmjow era arrivato senza neanche bisogno
di rifletterci troppo sopra. Perché Tatsuki non aveva mai, mai neanche provato ad usare la violenza
nei suoi regali confronti,
nonostante, più di una volta, si rendesse conto da solo di
avergliene dato
motivo. Quindi quel “piccolo stronzetto” doveva
averla fatta davvero grossa,
per spingerla a reagire così. Ma
davvero
grossa.
Come
ad esempio allungare le mani su di lei, pensò,
sentendo le
proprie fremere dall’irrefrenabile voglia che aveva di
squartarlo vivo.
Grimmjow
non aveva la minima intenzione di lasciargliela passare liscia. Se
fosse stato al posto di Tatsuki, probabilmente a quel punto il braccio
del
ragazzo sarebbe già volato giù dalla finestra,
lasciandosi dietro una scia di
sangue.
« Non
ha... fatto niente. Non hai fatto
niente, no? »
Tatsuki
non sapeva minimamente dove avesse trovato il coraggio di parlare e
soprattutto, di difendere proprio colui che fino a qualche minuto prima
avrebbe
ammazzato volentieri lei stessa. Il solo guardare
l’espressione di Grimmjow in
quel momento la faceva letteralmente tremare. Per non parlare del suono
della
sua reiatsu esplosa in un secondo, che le vibrava nelle orecchie,
attutendo
ogni rumore circostante.
Anche
Ichigo Kurosaki e Orihime Inoue la avvertirono, e in meno di un
secondo, presero a correre nella direzione da cui la sentivano
provenire. Ma
questo Tatsuki Arisawa non poteva saperlo.
All’improvviso,
si sentì... sola. Davanti a qualcosa che era troppo
più grande di lei, qualcosa che
lei non poteva in alcun modo gestire.
Il
ragazzo ancora bloccato nella sua stretta, che invece di farsi
più
debole si era rafforzata a causa della tensione che sentiva, scosse la
testa
più e più volte, senza riuscire né a
parlare né a distogliere lo sguardo da
quegli occhi glaciali, come un cervo abbagliato dai fari di una
macchina.
Ma
non cambiò niente. Quel debole tentativo di chiarire, o
meglio, mentire sulla situazione,
riuscì solo a
far diventare più duro e inflessibile lo sguardo di Grimmjow.
Per
la prima volta da quando lo aveva conosciuto, Tatsuki ebbe veramente
paura di lui.
Lui, Grimmjow, che non
l’ascoltava,
mentre il suo sorriso stava lentamente scemando via, lasciando posto a
una
smorfia di puro disprezzo per quello che era l’essere
umano. Feccia, tutti,
niente più che feccia, che andava schiacciata con ogni
mezzo. Dovevano essere
distrutti, tutti. A cominciare da
chi
aveva osato mettere le mani su qualcosa
di suo. Suo, e di nessun altro. E
nessun
altro doveva permettersi di toccare, anche solo sfiorare, quel qualcosa che gli apparteneva.
Il
re non contemplava niente che
potesse essere definito “perdono”.
«
Grimmjow... »
Tatsuki
accorse che la propria voce vacillava, instabile, incerta.
Impaurita.
Non
era così che sarebbe riuscita ad attirare la sua attenzione.
Ma voleva
veramente farlo? Voleva che quegli occhi si spostassero su di lei e la
trafiggessero? Serrò con forza i denti, per impedire alle
sue labbra di tremare,
mentre tentava di deglutire, anche se la sua bocca si rivelò
improvvisamente
secca. Fu veloce, ancora più di prima, spinta
dall’adrenalina e da un
primordiale spirito di sopravvivenza. Anche se non nei propri confronti.
In
un attimo, aveva lasciato andare il braccio del ragazzo e
l’aveva spinto
dietro di lei, spostandosi sulla traiettoria degli occhi di Grimmjow,
che non
fece neanche in tempo ad incontrare, perché seguirono subito
la fuga del
ragazzo, spalancandosi sorpresi, per poi diventare due fessure.
«
Vattene. Subito. », era
riuscita solamente a sibilare alle sue spalle, prima
di sentirsi investita da tutto il peso del corpo teso Grimmjow, che
cercò di
trattenere dall’inseguire quella preda
che se avesse raggiunto, avrebbe mangiato viva. Sentì un
tonfo dietro di lei,
il ragazzo doveva essere caduto per lo spavento, ma Tatsuki non ebbe
nemmeno il
tempo di girarsi, perché se avesse perso anche solo per un
secondo la
concentrazione, sarebbe stata sopraffatta.
Non
riuscì a distinguere che confusamente il vociare fattosi
più conciato
allo scatto di Grimmjow, i suoni la raggiungevano ancora come ovattati,
le
uniche cose che riusciva a sentire chiaramente erano la reiatsu
di lui e il battito del proprio cuore, che era come impazzito.
Da fuori doveva sembrare la semplice scena di un fidanzato
incredibilmente
geloso e pronto a menar le mani, e della sua ragazza che cercava in
tutti i
modi di calmarlo. Ma Tatsuki non riusciva a calmarlo, e nemmeno a
trattenerlo,
dovette premere con forza una spalla contro il muro per riuscire in
qualche
modo a rimanere in piedi.
Sentiva
le proprie ginocchia come sul punto di cedere. Sentiva ogni muscolo
del proprio corpo fremere per lo sforzo di contenere la furia di lui,
che aveva
preso a ringhiare sommessamente proprio come un animale. Neanche questo
riusciva a sentirlo chiaramente, ma le bastava vedere il suo viso
distorto
mentre digrignava i denti per sentirsi lo stomaco attanagliare in una
morsa di
panico. Doveva fare qualcosa, doveva distrarlo, o avrebbe perso
completamente
il senno. E lei con lui, lasciandosi dominare dalla voglia di scappare
davanti
a quello che si era trasformato in un mostro.
« Grimmjow. », ripeté
ancora, cercando di mantenere il tono più
fermo, mentre tra le dita strinse la stoffa della sua camicia,
aggrappandosi a
lui. Sotto le sue mani, sentiva i muscoli del suo petto contratti
inverosimilmente, pronti a scattare in qualsiasi momento, appena avesse
trovato
un’apertura. Il suo sguardo era fisso davanti a lui, sul
corridoio ormai vuoto
in cui era sparita la sua preda.
Tatsuki
imprecò tra i denti e gli piantò le unghie nella
carne,
provocandogli una smorfia più di stupore che di dolore.
«
Guardami! », gemette, con le
braccia doloranti, mentre, mettendoci tutta la forza che le era
rimasta, lo
strattonava verso di sé, costringendolo a voltare il viso
nella sua direzione.
Non
appena incontrò il suo sguardo, per un attimo
provò veramente l’impulso
di lasciarlo andare e fuggire, correre via, come aveva fatto quel
ragazzo prima
di lei. L’odio e la brama di distruzione che scaturivano dai
suoi occhi la
trafissero come una coltellata, togliendole il fiato e la
capacità di dire
altro. Si rese conto di non avere mai
avuto così paura in vita sua.
Era
sul punto di essere divorata.
La
vista di Grimmjow era come annebbiata. Ci mise qualche secondo per
mettere a fuoco che quella che aveva davanti, non era feccia, e neanche
un mero
ostacolo da abbattere. Quando finalmente fu abbastanza lucido da
rendersi
pienamente conto di chi stava già massacrando con lo
sguardo, sbarrò gli occhi.
I suoi muscoli si rilassarono, mentre lentamente riacquistava il
controllo di
sé, e si rendeva conto che Tatsuki stava tremando. Dalla
paura che mai era
riuscito a farle provare.
L’aveva
definita sua. E peggio
ancora... l’aveva definita qualcosa.
In un attimo si era dimenticato di tutto, persino del suo nome e di
cosa lo
avesse spinto ad attaccare,
accecato
com’era dalla rabbia. Rabbia nata sì per la
preoccupazione, ma che poi aveva
preso una direzione totalmente diversa. Non era esploso in quel modo
perché
chicchessia avesse fatto chissà cosa Tatsuki. Ma piuttosto,
perché era stato
messo in discussione il suo diritto di proprietà.
Era
stata una sensazione completamente diversa da quella che aveva provato
la
prima volta, nel momento in cui quello stesso ragazzo – che
ora era arrivato a
un soffio dall’uccidere, uccidere davvero – aveva
messo in discussione la
femminilità di Tatsuki, ferendola nell’orgoglio.
Sì, la rabbia c’era stata. Ma
il motivo che quella prima volta lo aveva spinto a reagire, era stato
il
mancato rispetto nei confronti di lei, che aveva preso come un affronto
personale.
Perché? Ogni volta che ci ripensava, sentiva rimontargli
dentro la frustrazione
di quel momento, moltiplicata per quella che aveva provato quando lei
gli aveva
detto di “farsi gli affari propri”.
Quello
che la riguardava non erano forse anche affari suoi?!,
Grimmjow non era riuscito ad accettare di darsi una risposta negativa,
anche se
era quella palesemente corretta.
Era
questo che non aveva fatto altro che pensare in quei giorni in cui si
era tenuto di proposito alla larga da lei, passandoli a riversare
l’irritazione
che gli montava dentro sulle povere cannucce delle confezioni di latte.
Irritazione non causata da Tatsuki, ma dalle parole che gli aveva
rivolto, che
ogni volta che la vedeva, anche solo da lontano, gli facevano provare
quella che
non sapeva si chiamasse “cocente delusione”,
causata da un altrettanto ignoto “due
di picche”.
Ma
tutte queste cose, Grimmjow se l’era dimenticate in un
battito di
ciglia, quando la gelosia, un’altra emozione incredibilmente
forte e
sconosciuta per lui, gli aveva tolto tutti i freni inibitori e la
capacità di
ragionare lucidamente. Non che lui fosse mai stato una grande testa.
Si
era lasciato trasportare dall’istinto, e ora, quello che
aveva mancato
di rispetto nei confronti di Tatsuki, era stato proprio lui.
Lentamente,
Grimmjow alzò le mani per sciogliere quelle di lei che
ancora
gli stringevano convulsamente la camicia. Lui, il
re, si sentiva... piccolo quanto un verme. Tatsuki non era qualcosa. E non era nemmeno sua, si rese conto, capendo solo in quel
momento quanto avrebbe voluto con tutto sé stesso che invece
fosse così.
Ma
non fece neanche in tempo a sfiorarla.
«
N-Non mi toccare! »
Perché
lei si tirò indietro all’istante, spingendolo via
e indietreggiando
contro il muro, portandosi una mano alla bocca, e coprendosela col
dorso. Si
sentiva come nauseata.
Si
sentiva stupida.
Per
aver pensato che poteva considerarlo come un umano, che le bastasse
pensare al suo sorriso sollevato per accettarlo, in un certo senso.
Per averlo lasciato avvicinare tanto da permettergli di stritolare il
suo cuore
in una morsa senza via di scampo.
Il
sorriso suo sadico di fronte a cui si era trovata per la prima volta,
le
lampeggiò per un secondo davanti agli occhi.
« Non
provare... ad avvicinarti. »,
lo ammonì, con un filo di voce. Quella non era la sua voce.
Quella non era lei.
Tatsuki Arisawa non si faceva mai prendere dalla paura, o almeno, non
permetteva a nessuno di vedere quanto anche lei potesse essere
vulnerabile.
Come la prima volta che si era trovata a dover fronteggiare un Hollow
che non
era neanche in grado di vedere. Hollow che aveva attaccato Orihime e
l’aveva
fatta piangere. Questo le era bastato per mandare giù il
nodo che le si era
stretto all’altezza della gola e imporre alle sue braccia di
non tremare mentre
aveva cercato in tutti i modi di proteggerla, fingendosi sicura di
sé. O come
quando si era trovata davanti quello che non sapeva neanche si
chiamasse Sōsuke
Aizen e, nonostante non avesse potuto fare altro che cadere in
ginocchio davanti
alla sua forza schiacciante, aveva stretto i denti e intimato a Keigo
Asano di
scappare, lasciandola indietro.
Tatsuki
Arisawa non si lasciava mai intimidire. La sua voce non tremava mai
di paura, era sempre ferma, inflessibile.
Per
la prima volta dopo tanto tempo, si trovò a lottare contro
l’impulso di
piangere per scaricare la tensione.
Trema, umana, di
fronte al re.
Grimmjow
aveva ormai perso il conto delle volte che l’aveva pensato,
sperato, e alla fine desiderato che non accadesse mai. Aveva perso
anche il
conto delle volte in cui aveva provato a spaventarla, da semplici
minacce
campate per aria, fino ad arrivare a raccontarle il suo passato.
Sperando
che lei lo spingesse via, che lo guardasse con occhi sbarrati, col
timore che gli spettava di diritto.
Ma
lei non l’aveva mai fatto. Non si era mai lasciata impaurire,
gli aveva
sempre tenuto testa. E alla fine, Grimmjow Jaegerjaques, il re solitario, aveva cominciato a
desiderare rispetto e non timore.
Con
che occhi l’aveva guardata per spingerla a provare
così paura?
Come
se non l’avesse riconosciuta. Come se lei non avesse mai
contato
niente.
Come se avesse voluto farla a pezzi.
Grimmjow
avrebbe voluto essere in grado di ridere, in quel momento. Come
aveva fatto tante volte quando si era sentito... ferito.
Vulnerabile. Aveva dimenticato con una risata le preoccupazioni
e aveva trasformato il dolore in un arma. Un arma a doppio taglio, che
oltre a
distruggere i suoi nemici, aveva corroso anche quel poco di umano che
c’era
sempre stato in lui, senza che lo sapesse.
Quel
poco che, di nuovo, senza che se ne rendesse conto, stando a contatto
con gli esseri umani era cresciuto, riempiendo poco a poco quel vuoto
che
caratterizzava la sua natura di Hollow. E quando il sorriso di Tatsuki
aveva
scacciato la vergogna che aveva provato dopo averle raccontato di
quella che
fino a quel momento era stata la sua vita, all’altezza dello
stomaco si era
sentito colmo di quella che, ancora, non aveva idea si chiamasse felicità.
Ora,
guardando i suoi occhi castani ancora sbarrati, che però
aveva
distolto da lui, evidentemente sopraffatta, si sentiva completamente
svuotato.
Provò il desiderio di avvicinarsi, di toccarla. Proprio
quello che lei gli
aveva intimato di non fare. Forse avrebbe urlato se avesse fatto un
solo passo
verso di lei. Forse avrebbe pianto.
Non
era questo ciò che aveva sempre voluto? Che lei tremasse,
che
riconoscesse la sua forza, che avesse paur-...
« ...
Idiota. »
Grimmjow
corrugò la fronte, credendo di non aver sentito bene, mentre
gli
occhi di Tatsuki si piantavano nuovamente nei suoi. La mano, ancora
tremante, che
fino a quel momento aveva tenuto premuta contro le labbra, si
abbassò
lentamente, per poi serrarsi in un pugno tanto stretto che le unghie le
penetrarono
nel palmo.
« Idiota. Idiota, cretino, imbecille!
»
Ora
che le sue orecchie avevano ripreso a funzionare a dovere, Tatsuki si
rendeva conto da sola di quanto la sua voce suonasse stridula.
Distorta, da
quel nodo che sentiva alla gola e che non avrebbe mai permesso si
sciogliesse
in lacrime. Non davanti a lui.
Ma
non solo per una questione di orgoglio, né per
l’abitudine di non
mostrare mai le sue lacrime a nessuno. Tatsuki, ora, sentiva che se si
fosse
abbandonata ai singhiozzi, non avrebbe più saputo come
fermarsi. Già le pareva
incredibilmente difficile respirare, in quel momento, come se avesse
l’asma, di
cui non aveva mai sofferto in vita sua. Se poi si fosse messa a
piangere davanti
ai suoi occhi, dandogli la perfetta scusa per odiarsi, non se lo
sarebbe mai
perdonata.
Grimmjow
le aveva fatto paura. Involontariamente, così come era stata
involontaria la sua reazione disgustata. Avevano entrambi mostrato
qualcosa che
avrebbero preferito l’altro non vedesse mai. Proprio per non
arrivare al punto
di dover affrontare la realtà dei fatti, che ormai era
evidente.
Lui
era un Hollow. Lei un umana. Belva
e preda.
Se
le cose fossero state così semplici, però,
nessuno dei due si sarebbe
sentito tanto in colpa semplicemente guardando l’altro. La
loro era stata una
reazione naturale, istintiva, forse. Eppure Tatsuki non poté
fare a meno di
sentirsi incredibilmente colpevole per essersi lasciata fuorviare
così. Non
aveva forse già deciso che lo avrebbe considerato e lo
avrebbe spinto ad
autoconsiderarsi più umano, da quella volta in cui si era
sentita come... messa
alla prova, quando le aveva sbattuto in faccia il suo passato da
Hollow, da re
della distruzione? Trovandosi però di fronte alla sua natura
e non a semplici
parole, non era riuscita a non provare un brivido di terrore.
Soprattutto
quando lui l’aveva guardata per quella frazione di secondo,
come se non
l’avesse riconosciuta, troppo accecato dalla sete di sangue.
Idiota,
lo insultò ancora nella propria testa, ripetendolo infinte
volte, mentre serrava gli occhi e si imponeva ancora di deglutire e non
azzardarsi a piangere come una femminuccia impaurita. Dov’era
finita tutta la
sua mascolinità adesso che le sarebbe servita a qualcosa,
per una volta?
« Ma
chi diavolo ti credi di
essere...? », gli chiese con voce spezzata, tornando a
cercare il suo sguardo,
tentando di tenere sotto controllo il respiro che le pesava in gola. E
la
tensione nervosa, la rabbia, cominciarono a prendere il posto del
timore.
Rabbia verso sé stessa per essersi dimostrata
così debole di fronte a lui che
in cuor suo aveva già deciso di accettare così
com’era, rabbia verso di lui che
ora se ne stava zitto, senza reagire, a farsi ricoprire di insulti come
se se
li meritasse.
Chi
si credeva di essere, adesso? Una vera belva, un mostro senza senno,
guidato solo dall’istinto? Eppure non si era forse fermato,
tornando in sé, non
appena l’aveva guardata negli occhi?
Non sopravvalutarti, idiota che non sei
altro.
« E
tu? », lo sguardo di Grimmjow
era tornato ad essere una fessura ricolma d’odio, che per un
attimo la spiazzò,
prima che si rendesse conto che non era indirizzato a lei stessa.
« Credi di
essere tanto migliore di me? »
Non
era questo che Tatsuki aveva inteso con quell’insinuazione. E
Grimmjow
lo aveva capito. Come aveva capito che stava cercando di celare il
timore che
ancora le faceva tremare le mani strette a pugno. Come si era reso
conto che
stava tentando in tutti i modi di essere forte. Per entrambi.
E
dire che avrebbe potuto davvero farla a pezzi in un battito di ciglia.
Perché continuava ad essere così ostinata? Ormai
la sua facciata temeraria era
caduta da un pezzo. Non era più credibile.
Piantala di comportarti come se adesso ti
facessi pena.
È quello che sono. E tu... ne hai paura.
« Te
la sei cavata solo perché
quello era umano. », rincarò, sapendo che
così l’avrebbe ferita. Sapeva quanto
si sentisse impotente. Quanto si sentisse inutile, nonostante la sua
forza, che
però non poteva niente contro qualcosa di più
grande di lei.
Qualcosa
come lui stesso.
« Non
ti permettere. », Tatsuki lo
ammonì, affondando ancora di più le unghie nei
palmi delle mani, facendolo
sorridere, mentre faceva un passo verso di lei, liberando nuovamente la
reiatsu. Kurosaki sarebbe stato lì a momenti per fermarlo
prima che potesse
fare alcunché.
Aveva
solo bisogno di spaventarla ancora una volta. Per l’ultima
volta.
« Ti
senti così forte? Eppure lo
sai, no? Anche tu sei solo un’umana. »
« Ti
ho detto di non-...! », Tatsuki
non riuscì ad impedire al proprio corpo di avere un altro
fremito e di
indietreggiare, appiattendosi ancora di più contro il muro.
Perché non riusciva
ad avere il controllo di sé stessa?
«
Cosa? Avvicinarmi...? »
Distruggere,
distruggere, distruggere.
Era
la cosa che Grimmjow sapeva fare meglio, in fondo. Ed era riuscito a
farlo anche con quel minimo di rispetto che aveva ottenuto e che
inconsciamente
si era trovato a desiderare sempre di più, insieme a quella
sensazione di
completezza all’altezza dello stomaco.
« ...
Io non sono un umano,
Tatsuki. »
Avrebbe
potuto farla a pezzi. Anche prima dell’arrivo di Ichigo, che
in
quel momento si stava facendo largo tra la folla come aveva fatto lui
quelli
che erano stati solamente pochi minuti prima. Ma che gli erano bastati
per
distruggere ogni cosa, come aveva sempre fatto.
E anche ora, avrebbe potuto distruggere lei stessa, se solo avesse
voluto.
«
No... »
Avrebbe
potuto...
« Tu
sei solo... un idiota. »
Ma
non riuscì neanche ad alzare un dito contro quella fragile
umana. Non
quando i suoi occhi erano così pieni di fiducia, nonostante
tutto di lei
tremasse.
-
NDA n.2: Micio,
sei cotto, COTTO.
/parte a canticchiare “L’amore è
nell’aria stasera”, tanto sempre di felini si
tratta, anzi, del re, QUELLO VERO/
|
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Capitolo 6 *** Rispetto. ***
NDA: Ve
l’avevo detto che non
avrei promesso niente riguardo una long! Lo so, sono lenta, lentissima, ma per
evitare di scrivere
capitoli senza capo né coda ho bisogno dei miei tempi e
soprattutto di taaanta
ispirazione. Quindi non biasimatemi, vi prego. E vi ringrazio se avete
avuto la
pazienza di aspettare fino ad ora, e ancor di più se
troverete la voglia e il
tempo di lasciarmi una recensione anche breve per dirmi che ne pensate.
Faccio
solo due considerazioni che mi sono venute in mente mentre buttavo
giù questo capitolo, e poi vi lascio alla lettura. Numero
uno, quando ho
iniziato questa fic era estate, perciò l’ho
ambientata in quel periodo, ma
adesso mi fa un po’ strano parlare di caldo torrido. Che
invidia! xD
Numero
due... VI PREGO. Non fatemi notare come nella differenza
“mostro” –
“umana” questi due ricordino un certo vampirLo
sbrilluccichino e la sua musona
consorte che al momento stanno al cinema. Ho cercato di non pensarci in
tutti i
modi mentre scrivevo. O meglio, ci pensavo, e mi rispondevo:
“... Naaah, Meg,
suvvia, il problema non si pone. Tatsuki ha le palle”. /disse
colei che si è
letta tutti i libri di Twilight e solo POI si è ricreduta/
Ma
bando alle ciance, buona lettura! ♥
-
RISPETTO.
Tatsuki
Arisawa strappò con forza l’ennesima erbaccia che
spuntava dalla
zolla di terreno dell’aiuola, per poi asciugarsi la fronte
col dorso dell’avambraccio,
coperto per metà dalla spessa stoffa del guanto da
giardinaggio.
Aveva
caldo, caldo da morire, e stare chinata sotto il sole a giocare al
pollice verde non era esattamente il modo migliore in cui avrebbe
potuto
passare il pomeriggio. In quel
momento,
avrebbe potuto essere nella palestra del dōjō ad allenarsi per il
torneo estivo
di arti marziali, sempre a sudare, certo, ma almeno per qualcosa che le
piaceva
fare, ma che soprattutto, l’avrebbe aiutata a scaricare la
tensione nervosa.
E
invece no, quel pomeriggio sarebbe stata costretta a scontare quella
che
non si poteva neanche definire punizione, e a “riflettere”, citando testualmente le
parole del preside della Karakura Ichikō,
“sulle sue azioni
sconsiderate”.
Tsk.
In fondo non era successo niente. Per lo meno non era morto
nessuno, anzi, nessuno si era rotto niente. Dubitava però di
quali fossero al
momento le condizioni mentali di quell’idiota già
carente in fatto di massa
cerebrale, di fronte al quale Grimmjow... Grimmjow
aveva perso il controllo. O quasi.
Tatsuki
sbuffò, accanendosi ancora contro i ciuffi verdi che
crescevano in
ogni dove. Almeno aveva le mani occupate, e il sole cocente le impediva
di
pensare troppo, al contrario di qual’era lo scopo di quello
sfruttamento di
manodopera minorile che voleva passare per una punizione. E pensare,
era
l’ultima cosa di cui Tatsuki Arisawa aveva bisogno, dopo
tutto quello che era
successo.
Voleva
solo finire in fretta, tornarsene a casa e farsi una doccia il
più
lunga possibile. E magari, aiutata dall’acqua che le avrebbe
rigato il viso,
sarebbe riuscita a sciogliere in silenzio il nervosismo e il nodo che
ancora
sentiva all’altezza della gola, insieme ai numerosi tra i
suoi capelli scuri e
spettinati.
Deglutendo
per il caldo e la sete, si asciugò nuovamente il sudore che
le
imperlava la fronte, serrando i denti con forza.
No,
non poteva permettersi di essere così debole. Non quando... lui era sparito chissà dove,
lasciandola
completamente sola a faticare per entrambi.
Non
appena erano usciti e avevano messo piede nel parco della scuola,
Grimmjow
si era infilato le mani in tasca e si era allontanato a grandi passi,
senza
degnarsi di dire neanche una parola. E Tatsuki si era odiata come non
mai
quando una piccola, minuscola parte di sé si era ritrovata a
sentirsi sollevata
a non averlo più accanto, piuttosto che a mettersi ad
urlargli contro per
costringerlo a farsi aiutare. Lei stessa non aveva trovato da dire
niente, e
non era riuscita a fare altro che guardarlo andare via.
Eppure,
per tutto il tempo passato a strappare erbacce e a sistemare fiori,
non era riuscita a scrollarsi di dosso la sgradevole sensazione dei
suoi occhi che
la seguivano, chissà da dove, chissà quanto
lontano.
Chissà
con quali pensieri.
Non
aveva avuto il coraggio di fermarlo. Ancora una volta, Tatsuki aveva
avuto... paura. Di pronunciare il
suo
nome, magari prenderlo per un braccio e bloccarlo, aggrottando le
sopracciglia
e chiedendogli in modo perentorio dove diavolo credesse di andare.
Insomma,
come avrebbe fatto normalmente.
Aveva
avuto paura, e si era limitata a mordersi con forza il labbro
inferiore per impedirsi di dire alcunché, perché
dentro di lei sapeva già che
in risposta a un suo tentativo di trattenerlo, avrebbe ottenuto solo
uno strattone
atto a liberarsi dalla sua presa, e uno sguardo freddo e duro come il
ghiaccio.
Espressione che probabilmente le avrebbe fatto più male di
quando quello stesso
sguardo si era accesso di sete di sangue nei suoi confronti.
Si
sentiva in colpa, come se avesse tradito la sua fiducia. E nello stesso
istante in cui lui le aveva dato le spalle, si era sentita in colpa
anche per
la debolezza che l’aveva bloccata lì, su due
piedi. Chissà se Grimmjow si era
aspettato di essere chiamato, seguito, se non fermato subito.
Chissà se quando
lei non aveva fatto niente di tutto ciò, si era sentito
deluso.
Chissà se si era dato dello stupido per aver
provato delusione per qualcosa che non avrebbe nemmeno dovuto azzardasi
a
sperare.
In
qualche modo, era come se Tatsuki potesse capire parola per parola,
pensiero per pensiero, quello che gli stava passando per la testa.
Quell’idiota
era così... prevedibile, per lei. Ma anche se era sicura di
sapere più che bene
quello che stava provando in quel momento, non aveva idea di come
poterlo
affrontare.
... Ma chi voleva prendere in giro.
Semplicemente, continuava ad avere
paura. Una dannata paura, che non
voleva saperne di abbandonarla, anche se adesso si era trasformata in
qualcosa
di diverso dal semplice timore nei suoi confronti.
Ora
aveva paura di essere respinta. Rifiutata, proprio a causa di
quell’attimo di debolezza che l’aveva colta alla
sprovvista, mandandola nel
panico di fronte a lui. E il senso di colpa le attanagliava lo stomaco,
oltre
che la gola.
Alzandosi
di scatto, si sfilò i guanti e li scagliò con
forza a terra. Non
si era mai sentita così incredibilmente patetica e stupida. Mai. E la cosa che le faceva
più rabbia,
era come solo Grimmjow fosse in grado di farla passare dalla
spensieratezza al
terrore più puro, da un estremo all’altro delle
sue emozioni. Il modo in cui le
stesse si amplificassero a dismisura, quando si trattava di lui, come
se già
Tatsuki non fosse il ritratto della pacatezza fatta a persona. Odiava
tutto
questo. Odiava sentirsi così vulnerabile, incapace di
controllarsi.
Eppure
non riusciva in alcun modo ad odiare lui.
Doveva
trovare il coraggio di affrontarlo. Doveva. Per lui, per togliergli
dalla testa quei pensieri che sapeva lo stavano divorando
silenziosamente, e
che la facevano infuriare tanto erano stupidi. Ma anche per
sé stessa. Perché
non poteva semplicemente permettergli di andare via, di mettere un muro
tra di
loro, senza dire una parola. Senza provare a trattenerlo al suo fianco.
Mentre
si avviava a passo deciso nella direzione in cui Grimmjow si era
allontanato, Tatsuki prese nuovamente la scusa del sole che le dava
alla testa
per non chiedersi per quale motivo sentisse quel bisogno
così pressante.
Grimmjow
Jaegerjaques fece un profondo sospiro, mentre appoggiava la nuca
al duro tronco dell’albero e chiudeva gli occhi. Il caldo era
asfissiante, ma
almeno, al riparo tra le foglie, su quel ramo abbastanza largo da
reggere il
suo peso, poteva prendere un po’ di fiato. Lasciò
oscillare una gamba nel
vuoto, l’altra piegata sotto il suo braccio, e si
limitò ad ascoltare il mondo
celato ai suoi occhi chiusi.
Voleva
semplicemente non pensare a niente.
Soprattutto
non a quel indefinito senso di disagio che gli stava divorando,
bucando lo stomaco.
Tese
le orecchie, abbandonandosi ancora di più contro il legno
brulicante
di vita, quasi a volersi fondere con esso. Poteva sentire tutto, o
quasi. I
suoi sensi da Arrancar erano fini, molto più fini rispetto a
quelli degli altri
Hollow, figuriamoci di quelli degli esseri umani. Anche dentro quel
corpo
finto, quel gigai che gli calzava
stretto,
il suo raggio di sensibilità rimaneva piuttosto ampio.
Rimase
ad ascoltare, perdendo la cognizione del tempo, cose a cui normalmente non dedicava
la benché minima
attenzione. Poteva sentire il vento che smuoveva ritmicamente le
foglie, il
frinire delle cicale sovrastato per un secondo dal ronzio di una mosca
passatagli a pochi centimetri dal naso, un ramoscello spezzato da dei
passi in
avvicinamento dalla cadenza familiare, se si concentrava poteva
avvertire anche
il rombo di quelle scatole di latta con le ruote, chiamate automobili,
che gli
umani usavano per spostarsi in strada, al di là di cancelli
della scuola.
Poteva perfino distinguere la musica più disparata provenire
dai finestrini
aperti delle macchine degli umani, in cerca di un po’ di aria.
E
poi ancora il rumore del legno che si spezza sotto il peso corporeo di
quel qualcuno che si stava avvicinando. Corrugò la fronte,
tornando alla
realtà, ma rimase con gli occhi chiusi, a concentrarsi su quel suono in particolare.
Il
ritmo di quei passi resoluti era decisamente troppo familiare, quasi
inconfondibile.
Erano
ancora lontani rispetto alla sua posizione, e ogni tanto si
fermavano, facendo una pausa. Come se stessero cercando qualcosa.
Grimmjow
ritrasse silenziosamente la gamba a penzoloni, quasi a volersi
nascondere. Una
parte di sé sperava quasi che quei
passi, i... suoi passi, passando
sotto il “suo” albero avrebbero tirato dritto,
senza fermarsi e pensare
minimamente a guardare in alto. Eppure, l’ altra parte di lui
sapeva benissimo
quanto la proprietaria di quei passi non fosse stupida, affatto. Ma
soprattutto, quanto fosse ostinata, tanto che non si sarebbe fermata
finché non
lo avesse scovato.
Grimmjow
però non era sicuro di volersi far trovare. Non da lei, non
in
quel momento in cui si sentiva... incredibilmente vuoto. E il solo
pensiero di
doverla affrontare, non gli provocava una scarica di adrenalina e
rabbiosa
eccitazione come al solito, quando si preannunciava una discussione coi
fiocchi
tra di loro.
Grimmjow
Jaegerjaques non aveva minimamente voglia di discutere. Non voleva
pensare e basta, né affrontare nessuno, e
quell’umana incredibilmente testarda
era in cima alla lista di quei “nessuno”.
Forse
sarebbe stato meglio che non lo trovasse e basta, lasciando le cose
come stavano. Sì, sarebbe stato decisamente meglio, se per
un fortunato scherzo
del destino lei avesse tirato dritto sotto quell’albero,
senza guardare in
alto, procedendo per la sua strada. E Grimmjow poi avrebbe preso la
propria,
senza degnarla ancora della più insignificante attenzione.
Meglio così, per
tutti e due, ognuno per la sua, di strada, e
tanti cari saluti. Bastava che non alzasse lo sguardo. Se non
lo avesse
fatto, le cose sarebbero andate per il verso giusto per entrambi, e
Grimmjow
promise a sé stesso che da quel momento in poi la sua, di
strada, avrebbe fatto
il giro più largo possibile da lei. Ovviamente, per
liberarsi dall’enorme
scocciatura quale sarebbe sicuramente stata se avesse preso ad
ignorarla, e
figurarsi, non perché il suo sguardo terrorizzato
continuasse ad apparirgli
davanti agli occhi, tormentandogli la testa e lo stomaco.
Se non lo avesse trovato, avrebbe semplicemente voluto dire che era
così che
doveva andare. Ognuno per la sua strada, sì. Quasi ci
sperava. Quasi. E quel
“quasi” non andava bene affatto.
Tenendo
ostinatamente gli occhi chiusi, Grimmjow continuò ad
ascoltare il
suono di quei passi,
sì... dei suoi passi. Doveva essere davvero
spazientita da quella
ricerca infruttuosa, visto che avevano la delicatezza di un elefante,
ancora
più del solito. Gli scappò un sorriso divertito
al pensiero di quella che
doveva essere la sua espressione, sorriso che però gli si
congelò in fretta
sulle labbra.
Presto
non avrebbe più potuto permettersi di lasciarsi scappare
sorrisi
ebeti al pensiero di lei, come un povero coglione. Se solo si fosse
sbrigata e
avesse superato il “suo” albero, se solo-...
« Cosa
ci fai là sopra? »
Tatsuki
Arisawa sollevò una mano per schermarsi gli occhi dai raggi
del
sole che filtravano tra le foglie. Assottigliò lo sguardo
cercando di
distinguere la sua figura, che aveva cercato per una buona
mezz’ora fino a
perdere la pazienza. Avrebbe dovuto immaginarlo che i suoi istinti da
felino
mancato lo avrebbero spinto a cercare rifugio in
alto. Come se avesse dovuto nascondersi da chissà
cosa. O da
chissà chi.
Tatsuki
trattenne una smorfia al pensiero di quanto infantilmente si stesse
comportando. Da un lato la faceva infuriare il suo comportamento, e il
modo in
cui, nonostante l’avesse chiamato – e lei era sicura che l’avesse sentita
– avesse continuato a tenere gli occhi
chiusi, senza degnarsi di dare segni di vita. Dall’altro,
invece, sentiva
rimordersi la coscienza, perché se non si fosse comportata
come una femminuccia
niente lo avrebbe spinto ad allontanarsi da lei. Rilassò
quindi la fronte con
un mezzo sospiro, mentre lasciava cadere la mano, che andò a
posare su un
fianco.
« ...
Grimmjow? », lo chiamò, con
quanta più calma riuscì a trovare. Per un attimo
si sentì una mamma che cerca
di far pace con il figlio offeso dopo aver esagerato coi rimproveri.
Certo è
che lei avrà avuto la propria parte di colpa, ma quel gatto
troppo cresciuto si
comportava davvero come un bambino.
Grimmjow
si accigliò sentendole pronunciare il suo nome. Non gli
piaceva
quanto lo faceva, perché aveva sempre un tono che gli faceva
venire una voglia
incredibile di guardarla. Si era aspettato di trovarla arrabbiata, il
che avrebbe
semplificato le cose. Discutere forse sarebbe stato meglio che doverla
affrontare quando cercava di essere gentile, perché
così rischiava di dargliela
vinta. E non poteva permettersi di farlo.
« Mi
vuoi rispondere, almeno? »
« No.
», grugnì tra i denti,
proprio come un bambino capriccioso.
Tatsuki
lo fissò in cagnesco, facendo qualche passo indietro e
studiando da
varie angolazioni come avrebbe potuto costringerlo a scendere e a
risponderle
in faccia. Purtroppo però il ramo su cui era seduto era
troppo in alto perché potesse
riuscire ad afferrarlo saltando, senza contare il fatto che lei non era
esattamente una cima ad arrampicasi, quindi, a meno che non gli avesse
lanciato
qualcosa...
« Scendi. », si risolse ad
intimargli. « Non lo ripeterò due volte.
»
« No. », replicò lui
con più ostinazione, per poi aggiungere, dopo un
attimo di esitazione: « ... Vattene. »
Pronunciare
quelle parole gli richiese più freddezza di quella che
avrebbe
immaginato, e che non riuscì a trovare. Il tono della sua
voce risultò più
rassegnato che risoluto, e inutile a dirlo, non ebbe
l’effetto desiderato.
Perché
Tatsuki non si sognò minimamente di dargli ascolto. Eppure
non
riuscì nemmeno a mandar giù, imponendosi di
rimanere calma, quel suo rifiuto,
quel suo modo di respingerla che tanto aveva avuto timore di dover
fronteggiare. Un fremito di delusione percorse le sue braccia,
spingendola a
fare con più forza e più rabbia quello che
impulsivamente si era già decisa a
fare, nel caso lui non le avesse dato retta.
Con
un rapido riflesso, Grimmjow evitò prontamente la piccola
confezione di
latte ricomprata da Tatsuki prima di andarlo a cercare, e che ora gli
era stata
lanciata contro in uno scatto d’ira. Peccato però
che nello schivarla finì per
perdere l’equilibrio, cadendo dal ramo dell’albero
e rischiando di rovinare a
terra, se non fosse riuscito ad atterrare facendo peso sulle ginocchia
e sulle mani.
Sorpreso
e infuriato da quel suo gesto che l’aveva preso alla
sprovvista,
stava per sbraitarle contro chiedendole cosa diavolo le passasse per la
testa,
quando l’espressione sul suo viso chino gli fece morire le
parole in gola.
« Stai
facendo tutto da solo... »,
Tatsuki mormorò a bassa voce con amaro risentimento,
stringendo i pugni lungo i
fianchi. Per qualche motivo, Grimmjow si sentì
più colpito che se quelle stesse
parole gliele avesse a sua volta urlate in faccia. Imprecò
mentalmente,
distogliendo di nuovo lo sguardo da lei, mentre lentamente si tirava su
e si
puliva le mani sporche d’erba sui pantaloni. Non aveva la
forza di guardarla.
Né, si rese conto, di stare lì davanti a lei
così, senza avere niente da dire.
Nella sua mente quella scena richiamava troppo quando quella stessa
mattina
l’aveva vista indietreggiare contro il muro, serrando i pugni
con le braccia
tremanti analogamente a ora, anche se adesso erano circondati da
decisamente
troppo verde per poter scambiare il parco per il corridoio del primo
piano. Sta
di fatto che aveva visto già una volta come quella
situazione si era conclusa,
e non aveva intenzione di fare niente per ricreare quel déjà-vu.
« Ti
do... così tanto fastidio? »
Stava
per girarsi e mettere le distanze tra loro ancora una volta, quando la
sua voce richiamò improvvisamente la sua attenzione,
cogliendolo nuovamente
impreparato, tanto che si dimenticò del suo proposito di
tenere lo sguardo
posato su tutto tranne che lei.
« Ah?
», se ne uscì, confuso dalla
domanda senza senso.
Tatsuki
fece un profondo respiro, chiudendo per un secondo gli occhi e
cercando di tenere a freno la sua irritazione. Nell’ultima
mezz’ora che aveva
passato a camminare, cercandolo, nella sua testa si era immaginata
tante cose
che avrebbe potuto dirgli. Chissà perché,
però, tutto il ponderato discorso che
si era attentamente costruita, era sparito dalla sua memoria.
«
Rispondimi. Sono fastidiosa? »,
ripeté quindi di punto in bianco, cercando il suo sguardo.
Grimmjow
rimase a fissarla aprendo e richiudendo più volte la bocca,
non
sapendo bene come replicare. Uno dietro l’altro, gli
passarono per la mente
tutti i momenti in cui, per un motivo o per l’altro, Tatsuki
l’aveva
infastidito, se non fatto proprio incazzare, fin da quando
l’aveva conosciuta e
odiata al primo sguardo, a quando poi quell’odio si era
trasformato in
desiderio di piegarla, di farsi temere, e poi infine di guadagnare il
suo
rispetto.
« ...
Sì. », disse, sinceramente.
Nessuno, mai, l’aveva
infastidito
come lei, che gli teneva testa e che gli faceva provare sensazioni
sconosciute
in grado di fargli perdere il suo già scarso controllo. Come
lei, che in quel
momento gli fece anche provare il desiderio di ridere malgrado tutto,
quando,
alla sua risposta, aggrottò le sopracciglia con una buffa
espressione contrariata
e indispettita.
«
Okay, non era la risposta che
volevo sentirmi dire, ma, beh... touché.
», incrociò le braccia al petto, spostando il peso
da un piede all’altro. «
Rispondi a un'altra domanda, allora. Sono... sono talmente fastidiosa
che ti
viene voglia di farmi del male? »
Grimmjow
aprì nuovamente la bocca, per poi richiuderla, affondando i
denti
affilati nella carne del labbro. Si prese di nuovo altro tempo, ma non
tanto
perché non sapesse la risposta. Non poteva permettere che la
sua voce suonasse
nuovamente esitante.
« ... Sì. »,
sibilò, fissando gli occhi in un punto imprecisato del verde
di fronte a lui. Se l’avesse guardata, temeva che non sarebbe
riuscito a darle
la risposta affermativa che avrebbe
dovuto anche essere quella corretta.
Quando
accidenti era diventato così debole?
Era
tutta colpa sua. Tatsuki non era semplicemente fastidiosa, lo mandava
in bestia. Bestia docile e addomesticata, però.
«
Bugiardo. Ripetilo guardandomi
in faccia. », replicò lei con durezza, cercando di
nascondere quanto in realtà
quella risposta l’avesse ferita. Si strinse con
più forza le braccia al petto,
ripetendosi in testa che stava mentendo. Perché Tatsuki
sapeva che stava
mentendo. Doveva star mentendo,
oppure lei era stata una totale idiota ad avergli concesso il suo
rispetto e anche
qualcosa di molto più importante, di cui si rese pienamente
conto solo in quel
momento. La sua amicizia.
Grimmjow
si trattenne dall’urlare imprecazioni ai quattro venti, tanto
dentro si sentiva ribollire il sangue nelle vene. Come riusciva quella
piccola umana
a leggergli dentro e a dargli una fiducia che nemmeno lui stesso
provava nei
propri confronti?
« Vattene. », ripeté
ancora una volta invece di ribadire
quell’affermazione bugiarda, ringhiando tra i denti e facendo
un passo verso di
lei, nel tentativo ormai disperato di spaventarla come aveva
già fatto poche
ore prima. Ma Tatsuki non si fece fregare due volte, concentrandosi su
quello
che la rabbia che lampeggiava nei suoi occhi chiari, tentava di
nascondere.
«
Dammi un buon motivo per cui
dovrei andarmene. », si avvicinò quindi a sua
volta, chiamando a raccolta tutto
il suo coraggio. E gli si avvicinò talmente tanto, alzando
il viso per poterlo
guardare dritto negli occhi, che quasi fu lui ad indietreggiare.
«
Tu... tu sei completamente fuori
di testa, cazzo! »
Grimmjow
ormai aveva definitivamente perso il controllo della sua voce,
urlandole contro con un tono inferocito quanto quello di un animale
ferito. Non
sapeva neanche perché avesse il respiro affannoso e il cuore
che pompava senza
freni, come se cercare di allontanarla fosse difficile quanto
combattere per
difendere la propria vita. Per la propria indipendenza, la propria forza. Ed era come se lei fosse
l’avversario più determinato e deciso a vincere
che avesse mai incontrato.
« Non
credere di essere molto più
sano di me! », Tatsuki gli rispose per le rime con un tono
intriso di amarezza,
puntandogli l’indice contro il petto, e facendolo quasi
sobbalzare per quel
contatto improvviso. Ma non ebbe nemmeno il tempo di reagire, o forse
è meglio
dire che non ci riuscì. Perché non
poté far altro che paralizzarsi su due
piedi, quando la mano di lei al posto di ritrarsi si distese, posandosi
sul suo petto, mentre faceva
un altro passo verso di lui, avvicinandosi tanto che i loro corpi non
si
sfioravano che per pochi centimetri.
Tatsuki
tenne la testa bassa, quasi insaccata nelle spalle, mentre
lentamente la mano che ora poteva avvertire ogni singolo battito
impazzito di
Grimmjow, stringeva con forza la stoffa della sua camicia tra le dita.
Ed eccolo
ancora, quell’odioso nodo alla gola che si costrinse a
ricacciare indietro. Non
avrebbe più permesso a sé stessa di mostrarsi
così fragile di fronte a lui. E
non gli avrebbe più permesso di allontanarsi in quel modo,
senza dire niente.
Senza darle neanche una minima possibilità. Serrò
ancora di più il pugno sui
suoi vestiti, come a volerlo trattenere, anche se al momento non stava
andando
da nessuna parte, e alzò lo sguardo, cercando i suoi occhi,
che si dilatarono sconcertati.
«
Sono... », si bloccò subito,
cercando le parole adatte. « ... sono stata debole. Mi dispiace,
Grimmjow. »
Grimmjow
che quasi smarrito rimase a fissare i suoi occhi castani, pieni di
un calore capace di sciogliere la sua rabbia in un modo che non avrebbe
mai
creduto possibile, senza sapere cosa dire, cosa fare. Perché
Tatsuki gli stava
chiedendo scusa per qualcosa per cui non aveva la minima colpa.
Per
quale motivo si stesse sminuendo così di fronte a lui,
proprio non
riusciva a capirlo. Probabilmente perché Grimmjow non aveva
mai chiesto scusa a
nessuno, e men che meno si era mai sentito in colpa... come in quel
momento, in
cui quella piccola umana si stava caricando sulle spalle anche quella
che era
la sua parte di responsabilità. Esitò, prima di
riuscire a vincere la
confusione che l’aveva spiazzato,
e allungare
le dita a sfiorarle il polso, per poi stringerlo e scostare la sua mano
da sé,
sciogliendole il pugno che ora lo tratteneva come a non volergli
permettere di
fuggire di nuovo, così come solo qualche ora prima
l’aveva scosso con coraggio,
cercando di farlo rinsavire. E guardandola, toccandola, si rese conto
di una
cosa importante: stava solo scappando, come un codardo. Era lui quello
debole,
che appena aveva avvertito un cenno di rifiuto nei propri confronti,
era
fuggito a gambe levate. Forse, per qualcosa di simile alla paura di
perdere
definitivamente il suo rispetto, la sua fiducia. Ma continuando a
tenere le
distanze come stava facendo, non avrebbe riguadagnato proprio niente.
Anzi.
Avrebbe
finito per lasciarsi sfuggire tutto dalle dita.
«
Sei... umana, Tatsuki. Non debole.
Non c’è proprio niente per cui... tu ti
debba scusare. »
Per
questo le scostò la mano ma mantenne salda la presa sul suo
polso,
anche lui proprio come a trattenerla, per impedirle di allontanarsi. E
Tatsuki
non fece niente per cercare di liberarsi dalla sua presa, come avrebbe
fatto
normalmente con chiunque. Non sopportava di sentirsi intrappolata ma
forse, in
quel momento, una parte
di lei aveva
bisogno di quel contatto anche minimo.
«
Anche tu, se è per questo. »,
replicò quindi, corrugando la fronte e guardandolo con
durezza, e ancora di più
quando, inaspettatamente, vide un sorriso dipingersi sul suo viso.
Grimmjow
alzò gli occhi al cielo, trattenendo quella che sarebbe
stata una
risata amara. Avvertì Tatsuki agitarsi nella sua presa,
forse turbata dalla sua
reazione, ma non si sognò minimamente di lasciarla andare.
Le sue dita si
contrassero, stringendola più forte.
« Hai
ragione... io sono un Hollow.
È la mia natura, non qualcosa per cui mi dovrei... scusare. », replicò,
sviando lo sguardo, con un tono di freddo
scherno che non gli apparteneva.
Tatsuki
non seppe dire se fosse perché lui aveva distolto gli occhi
dai
suoi mentre stavano parlando, o per il modo in cui aveva frainteso le
sue
parole, ma le venne spontaneo tendere la mano per girargli il viso e
costringerlo a guardarla di nuovo. Peccato però che,
trattenuto dalla presa di
Grimmjow, quel gesto risultò più una carezza. E
proprio sulla guancia sulla
quale avrebbe dovuto trovarsi la sua maschera da Hollow.
In
fretta com’era comparso, vide il suo sorriso svanire, per
lasciare posto
a qualcosa che, se non avesse creduto di conoscerlo piuttosto bene,
avrebbe
definito sconcertato imbarazzo. Ovvero quello che provò lei
stessa, ma da cui
non si lasciò distrarre, nonostante sentì il
proprio viso accendersi e
imporporarsi. Invece serrò le dita sul suo mento,
bloccandolo per evitare che
si girasse nuovamente.
« Anche tu... sei umano, Grimmjow. Almeno
quanto me. », asserì, con
una convinzione che aggiunse ancora più forza al suo
sguardo, fisso negli occhi
di lui. Perché era questa la conclusione alla quale era
giunta dopo aver
passato così tanto tempo a contatto con lui. Dopo aver
osservato il suo modo di
comportarsi, le sue reazioni, e soprattutto, il suo modo di porsi con
lei
stessa, ma non solo. Se fosse stato un mostro senza senno, uno di
quegli Hollow
che più di una volta avevano attaccato i suoi amici, i suoi compagni, non avrebbe esitato ad agire
esattamente come loro, attaccando senza discriminazioni tutti quelli
che
definiva umani. Eppure, nel modo in
cui Grimmjow reagiva a un affronto, oppure semplicemente ignorava
quelli che lo
circondavano, nel modo in cui si rapportava agli altri, incredibilmente
c’era
proprio qualcosa di quell’umano
dal
quale ostinava ad estraniarsi. Quasi qualcosa di infantile, tanto era
impulsivo
e curioso, come più di una volta Tatsuki aveva notato. E la
conferma a questa
sua convinzione che ormai si era radicata dentro di lei,
gliel’aveva data
proprio la sua reazione di quella mattina. Considerando il tutto a
mente
fredda, Tatsuki poteva benissimo capire che il suo era stato
semplicemente...
desiderio di aiutarla. Qualcosa che urtava profondamente la sua forte
indipendenza,
ma che allo stesso tempo le aveva fatto aprire gli occhi su quanto
sincera
fosse la sua... come definirla?, lealtà
nei suoi confronti. E dentro di sé, sapeva altrettanto bene
che Ichigo si
sarebbe impicciato esattamente
nello
stesso modo se fosse stato al posto di Grimmjow, come aveva
già fatto tante
volte quando l’aveva vista in difficoltà.
Probabilmente anche Orihime avrebbe
fatto la stessa cosa, cercando di aiutarla come meglio avrebbe potuto.
E sì,
magari anche Asano e Kojima, nonostante il più delle volte
la facessero
irritare, sarebbero stati dalla sua parte, così come il
silenzioso Sado che non
si dimenticava mai di farle un cenno di saluto quando la incontrava.
Solo
che Grimmjow era come un bambino. E si faceva guidare
dall’istinto in
mancanza di esperienza in quel mondo così estraneo a lui,
diverso da tutto
quello davanti a cui si era trovato fino a quel momento. E
l’unico modo in cui
sapeva farsi rispettare era mostrare a tutti la sua forza. In un certo
senso,
le ricordava la sé stessa bambina, che quasi ci provava
gusto a predominare
fisicamente sugli altri, prima che imparasse a frenare in qualche modo
la sua
impulsività col karate.
Quasi
le venne da sorridere a quel pensiero, e la sua espressione
involontariamente si addolcì, cosa che disorientò
ancora di più Grimmjow,
nuovamente smarrito in cerca di una risposta che potesse soddisfare il
suo
orgoglio colpito dalle sue parole come se gli avesse tirato uno
schiaffo.
«
Questa è... questa è la cazzata
più grande che tu abbia mai detto. », disse
bruscamente, liberandola finalmente
dalla sua presa, e infilando le mani nelle tasche, che serrò
in un pugno. Non
riuscì a definire in alcun modo la frustrazione che si era
impossessata in un
attimo di lui. Odorava quasi di... incertezza.
« Ah
sì? », Tatsuki gli diede una
leggera spinta su una spalla per provocarlo, come se non fossero
già sufficienti
le sue parole. « Una
volta sei stato un uomo anche tu, o
sbaglio? Una cosa del genere non si dimentica e basta.
»
Grimmjow
assottigliò lo sguardo, seguendo quel suo gesto che
riuscì proprio
nel sul intento di irritarlo, anche se si costrinse a mantenere una
rigida
freddezza, mentre distoglieva lo sguardo.
« Io
l’ho dimenticato. », replicò
sommessamente, la bocca distorta in una smorfia.
« Tu
l’hai voluto dimenticare, è
diverso. Ma sai cosa ti dico? », lei attese
con le mani sui fianchi finché lui,
controvoglia, non tornò a guardarla
con la coda dell’occhio. Dovette trattenere un sorriso
soddisfatto al vedere
come il filo di quella discussione e le ancora ostinate ma sempre
più remissive
reazioni di lui, li stessero conducendo proprio dove voleva.
« ... Che ho
deciso di fartelo ricordare, con le buone o con le cattive. Di farti
ricordare...
come si fa ad essere umani. »
Grimmjow
sbatté più volte le palpebre, mentre la smorfia
scettica si
accentuò sul suo viso. Scosse contrariato la testa,
inarcando un sopracciglio.
«
Rettifico, è questa la
più grande cazzata che-... »
« Non
ho chiesto né il tuo parere
né il tuo permesso, mi sembra. », lo interruppe
Tatsuki, guadagnandosi
un’occhiataccia colma di irritazione.
« Non
puoi costringermi a fare
proprio niente. Anche perché i fatti
parlano chiaro. Io non
sono
umano, Tatsuki. », sottolineò in un
sibilò, azzerando nuovamente la distanza
tra di loro. « Te l’ho già detto,
ricordi? »
Sì,
ricordava. Tatsuki ricordava benissimo come si fosse sentita
schiacciata dalla sua reiatsu, al punto che le ginocchia avevano
rischiato di
cederle da un momento all’altro, tanto si era sentita
tremare. E proprio perché
lo ricordava, ora la sua espressione non vacillò nemmeno per
un solo istante.
«
Però provi le stesse cose che
provo io, no? »
Grimmjow
si incupì, serrando i denti e i pugni nelle tasche. Il cuore
che
gli batteva nel petto come a volerlo sfondare e il sangue che gli
ribolliva
nelle bene tradirono le sue parole ancor prima che le dicesse.
« ...
Io non provo niente. »
Adesso
è lui a dire cazzate, pensò Tatsuki,
corrugando la fronte.
E
glielo dimostrò, spingendolo ancora, più forte di
prima, ottenendo in risposta
un impulsivo ringhio irritato, mentre la mano di lui tornava a serrarsi
attorno
al sul polso, e la tirava bruscamente a sé, per impedirle
ulteriori movimenti.
« Tu
provi rabbia. », gli
sorrise compiaciuta, a pochi centimetri dal suo viso
corrucciato. « Dolore quando qualcosa ti ferisce, e non
provare a dirmi di no.
E sai anche ridere di gusto quando qualcosa ti diverte, come chiunque
altro. Peggio di chiunque altro, a
volte. E sai
perché lo so? »
« ...
Perché? », Grimmjow non poté
fare a meno di assecondarla, ponendole la domanda che voleva sentire. E
dentro
di sé sentì di aver già miseramente
perso contro quegli occhi scuri fissi nei
suoi che brillavano della più dolce vittoria.
Il
sorriso di Tatsuki si allargò.
«
Perché la maggior parte delle
volte ridi di me, e mi fai venire voglia di prenderti a pugni
e farti cadere tutti i denti, quando lo fai. »
E
gli occhi di Grimmjow si chiusero, mentre scuoteva e chinava la testa,
quasi finendo per sfiorare la fronte di Tatsuki con la sua. E il
sospiro
frustrato che gli sfuggì dalle labbra si
trasformò presto in un mezzo sorriso
rassegnato quanto quello della piccola umana di fronte a lui era
soddisfatto. [NDA: /prende
capocce/ And now, KISS.]
« Tu
sei... l’umana più strana che
abbia mai conosciuto. », rise amaramente, tornando a cercarla
con lo sguardo, a
cui Tatsuki rispose, senza esitazione. All’altezza del cuore,
entrambi
sentirono come se improvvisamente si fosse sciolto un enorme peso.
«
Strana e fuori di testa, bene.
Non mi piace conformarmi alla massa. E adesso muovi quel sedere ossuto
che ti
ritrovi e vieni ad aiutarmi con la punizione, se no i denti te li
faccio
saltare sul serio. »
Mezz’ora
dopo, Tatsuki si ritrovò ad osservare severamente Grimmjow
che si
rilassava sul muretto nel retro della scuola, che delineava le aiuole
fiorite e
finalmente in degne condizioni. Dopo aver finito di aspirare
rumorosamente il
latte nella confezione miracolosamente intatta, che prima di darsi da
fare aveva
raccolto da terra, Grimmjow si era sdraiato al sole, in una posizione
molto
simile a quella in cui Tatsuki l’aveva beccato solo una
settimana prima nel
campo da calcio. Evidentemente, i suoi istinti felini non si limitavano
solo a
bere latte e cercare rifugio nei posti alti, ma anche ad oziare
pigramente
appena se ne presentava l’occasione. Ma almeno Tatsuki doveva
riconoscere che, nonostante
avesse osservato con un sopracciglio inarcato il paio di spessi guanti
che gli
aveva premuto contro il petto, la sua parte del lavoro
l’aveva svolta, e in
metà del tempo che ci aveva impiegato lei, anche se non con
eccessiva
delicatezza, come testimoniava la terra sparsa un po’ ovunque
a sporcare la sua divisa.
Tutto
quello che a entrambi rimaneva da fare, ora, era presentarsi in
segreteria per comunicare di aver finito di svolgere la punizione
assegnatagli,
e poi... beh, andarsene ognuno per la sua strada. Per qualche motivo,
però,
Tatsuki esitava. La voglia di recarsi al dōjō
le era totalmente passata, ma anche quella di tornare a casa.
Scacciò il pensiero
che potesse essere perché così avrebbe dovuto
separasi da lui, mentre si sedeva
al suo fianco sul ruvido muretto.
E
quasi non fece in tempo a farlo, che Grimmjow ne approfittò
per
appoggiare la testa sul suo grembo, con un teatrale sbadiglio.
« Ecco
cosa mi mancava, un cuscino...
», mormorò con voce assonnata, ignorando
l’occhiataccia sconvolta e piena di
vergogna che Tatsuki gli rivolse per quella presa di confidenza
improvvisa e
assolutamente indesiderata. Per un attimo la ragazza
considerò di alzarsi di
scatto, facendolo cadere a terra senza tanti complimenti, ma
l’attimo dopo si
ritrovò a sviare lo sguardo e a deglutire, cercando di
rilassarsi, mentre tra
le dita stritolava il bordo del muretto.
Bastava
pensare che fosse un gatto. Un grosso gatto in cerca di coccole,
sì. Infondo non era molto diverso, valutò,
lasciandosi sfuggire un sorriso
all’idea di sentirlo fare le fusa se avesse preso ad
accarezzargli i capelli.
Con
un fremito, Tatsuki si impose di cambiare direzione ai suoi pensieri.
Alzando gli occhi al cielo limpido, e strizzandoli per la luce
accecante, con la mente ritornò quindi alle parole che gli
aveva rivolto solo
poco prima, e la domanda le sorse spontanea.
« Ti
ricordi qualcosa? Della
tua... vita precedente, dico. Prima di... di... »
«
Morire? », concluse Grimmjow,
sentendola in difficoltà, mentre apriva un occhio e piegava
la testa
all’indietro sulle sue gambe, per poterla guardare meglio.
Gli sembrò di vedere
le sue guance arrossire di colpo quando incrociò il suo
sguardo, ma forse si era
trattato solamente uno scherzo del sole.
« ...
Sì. Prima di... morire. »,
ripeté lei, mentre un brivido le percorreva la schiena.
Una volta era stato un uomo anche lui,
l’aveva detto
lei stessa. Un uomo con una vita sua, con una famiglia, con tutta
probabilità,
e degli amici. Con dei sogni, delle speranze che erano... morti con
lui, fin
troppo giovane, chissà quanto tempo prima che di lei si
cominciasse anche solo
a prenderne in considerazione l’idea. Forse non era poi
così un bambino come si
ostinava a volerlo vedere, rifletté, corrugando la fronte.
«
È passato... beh, è passato un
bel po’ di tempo. », replicò Grimmjow,
chiudendo gli occhi, come a voler porre
fine alla conversazione. Ma Tatsuki non era disposta a lasciar cadere
il
discorso in quel modo inconcludente.
« Sei
così vecchio da aver perso
la memoria? », lo provocò, inarcando un
sopracciglio. Sapeva bene che l’età dei
cosiddetti Arrancar non era
paragonabile a quella umana.
« E tu
sei così piccola da non
sapere quando dovresti tenere la bocca chiusa e portare rispetto a chi
è più
grande di te? »
Tatsuki
inclinò la testa di lato, preferendo non replicare alla
frecciatina
che in fin dei conti si era meritata. La sua curiosità era
troppa.
«
Grande quanto? Potresti essere
mio nonno? »
« O
magari tris nonno, chi lo sa?
», Grimmjow sbadigliò, stirandosi e premendosi di
più contro di lei, che ce la
mise tutta per non irrigidirsi.
«
Addirittura? »
«
Però li porto bene, i miei
secoli, no? », ammiccò, aprendosi in un sorriso
furbo che Tatsuki ignorò, così
come la sua affermazione. Non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di
rispondergli affermativamente.
«
Quindi non ti ricordi proprio
niente? Neanche delle persone che conoscevi quando eri ancora... ancora
vivo? »
«
Qualcosa, qualcuno, ma solo
vagamente. È come se chiedessi a te se ti ricordi che facevi
quando non eri
niente di più che una mocciosa. »
Tatsuki
si incupì, rendendosi conto che a sua volta anche lui non le
avrebbe dato la soddisfazione di concederle una risposta esauriente.
Forse gli
sarebbe servito ancora un po’ di tempo, come per quando gli
aveva raccontato
del suo passato da Hollow. O forse, alcune cose non gliele avrebbe
dette mai,
considerò con un sospiro. In fondo, però, che
importava? Abbassando lo sguardo
verso di lui, che lo ricambiò in attesa di una risposta,
decise che ciò che
avrebbe contato veramente da quel momento in poi era la persona che
aveva
davanti, non il suo passato, qualunque esso fosse stato, e nemmeno il
suo
futuro. E lo promise a sé stessa, con un sorriso.
« Io
mi ricordo che facevo. »
« Ah
sì? »
«
Sì. »
« E
che facevi? »
« ...
Beh, prendevo a calci
Ichigo. »
La
risata di Grimmjow sorse talmente spontanea che quasi sorprese lui
stesso. Forse perché poteva visualizzare benissimo nella sua
testa uno o più
episodi del genere, o forse perché l’idea di
Tatsuki da bambina, per qualche
motivo, lo divertiva più di quanto potesse capire
consciamente. Perché era
qualcosa che combaciava perfettamente con la forte
e la fragile
umanità di lei, che pian piano stava imparando ad...
apprezzare.
Tatsuki,
dal canto suo, si sentì come più leggera a
sentire la sua risata
sincera, e non provò minimamente la voglia di rovinargli il
sorriso a suon di
pugni. In realtà, era da molto tempo ormai che non provava
più il frustrante
desiderio di alzare le mani su di lui. O almeno, non in quel modo.
Avendo
solo attimo di esitazione, tolse un filo d’erba dai suoi
capelli, soffermandocisi
più del dovuto e sfiorandoli appena con le dita.
« ... In questo
mondo però non
funziona così, Grimmjow. »
« E come
funziona? », chiese lui, con
un tono più rigido di quanto intendesse, dovuto a quel gesto
tanto fugace
quanto inaspettato, a cui si costrinse a non pensare troppo.
Tatsuki
alzò nuovamente gli occhi al cielo, tornando a posare la
mano sul
muretto, che strinse molto più forte di prima tra le dita.
« Lo so che
detto da me sembra
ipocrita, ma devi... devi essere superiore. Fregartene di quello che
dice o fa
la gente. Non puoi pretendere che tutti ti rispettino. »
A
quelle parole, Grimmjow non poté fare a meno di aggrottare
le
sopracciglia, trovandosi in totale disaccordo, che
sottolineò mettendosi a
sedere e cercando il suo sguardo.
« Dovrebbero. Devono. », asserì
con tono inflessibile. « E devono... rispettare
anche te. »
Guardando
l’espressione leggermente stupita di Tatsuki, non seppe dire
perché
avesse aggiunto quella precisazione. Capì solo che era giusta, mentre ripensava a quando si era
sentito ferito nell’orgoglio
quando era stata lei ad essere presa di mira. Cosa che non avrebbe
più permesso
riaccadesse. Mai più. A costo di farla incazzare per essersi
intromesso in
quelli che aveva definito “affari suoi”. Se quello
che la riguardava non era
affar suo, allora Grimmjow avrebbe semplicemente fatto in modo che lo
diventasse.
« A me basta
avere il rispetto
delle persone che io rispetto a mia volta. O meglio, cerco di farmelo
bastare, anche
se non sempre ci riesco. Se no impazzirei. », Tatsuki si
strinse nelle spalle, abbassando
lo sguardo verso i propri piedi, che incrociò, dondolandoli
appena.
Ma
lo rialzò subito, perché quello che ammise
Grimmjow dopo un attimo in
cui era rimasto in silenzio coi suoi pensieri, la colpì
più di qualunque altra
cosa avrebbe potuto dirle in quel momento.
« ... Io ti rispetto.
»
Si
rese conto di star arrossendo nuovamente, ma non gli diede peso,
perché quello
che provò, fu un imbarazzo piacevole. E non si
vergognò minimamente di
mostrarlo davanti a lui, che la guardava con serietà,
aggiungendo forza alle
sue parole. Non si vergognò di mostrarsi così
umana, e timida, e vulnerabile, perchè sapeva che Grimmjow
l'avrebbe accettata in ogni caso, come lei avrebbe accettato lui.
« ... Lo so. »,
e lo sapeva davvero. « Ma
non c’è bisogno di
fare l’idiota come prima, per dimostrarmelo.
Però... grazie.
»
Rimanendo
a fissare il sorriso più incredibile nella sua
sincerità che le
avesse mai visto regalargli, Grimmjow non poté fare a meno
di chiedersi se
quella non fosse la prima volta in cui qualcuno si scusava con lui e lo
ringraziava veramente.
|
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Capitolo 7 *** Tanto da farmi male. ***
NDA:
Personalmente, mi sta
piacendo molto come il rapporto tra Grimmjow e Tatsuki si sta
evolvendo. Perché
io li vedo così, soprattutto amici prima che amanti. E in
questo capitolo
volevo un po’ sottolineare questa cosa, nonché
certe decisioni prese nella
mente di entrambi, che si stanno sempre più aprendo nei
confronti dell’altro.
Questa
volta è il turno di Tatsuki che affronterà una
cosa che si porta dietro
dal primo capitolo, mettendo allo stesso tempo a dura prova il nostro
tenero
micione impacciato. 8°D
E
niente, mi sono talmente sciolta a scrivere questo capitolo che temo
dovrete raccogliermi con un cucchiaino. NON DICO ALTRO. ♥
TANTO
DA FARMI MALE.
«
Potessi
Trattenere
il fiato prima di
parlare,
Avessi
Le
parole quelle giuste per
poterti raccontare
Qualcosa
che di me poi non somiglia a te.
Potessi
Trattenere
il fiato prima di pensare,
Avessi
Le
parole quelle grandi per
poterti circondare
Di
quello che di me bellezza in fondo poi non è. »
[Negramaro ~
Quel posto che non c’è]
Tatsuki
Arisawa non seppe dire per quanto tempo fosse rimasta seduta sul
proprio letto nella stessa posizione, col viso nascosto e le gambe
raccolte
contro il petto, strette tra le braccia, né quando avesse
ceduto alla
stanchezza e si fosse addormentata. Stava ancora sbattendo le palpebre,
aspettando che i suoi occhi si abituassero al buio, quando
sentì un vago fruscio
provenire dalla finestra. Finestra che ricordava bene di aver chiuso,
mentre
ora poté distinguere fosse aperta sulla notte calda e buia,
senza un filo di
vento. Eppure le tende stavano ancora ondeggiando, come se fossero
state appena
smosse da qualcosa. O da qualcuno.
Nonostante
l’afa, avvertì ugualmente un brivido a cui non
seppe dare un
significato, quando sentì il suo materasso abbassarsi sotto
il peso di quel
qualcuno che si era lasciato cadere su di esso, di traverso di fronte a
lei,
con un sospiro che risuonò nel silenzio. Tatsuki poteva
intravvedere a malapena
il suo profilo, ma seppe dire con certezza che aveva gli occhi chiusi.
Altrimenti li avrebbe visti brillare nel buio.
Lentamente,
sciolse l’abbraccio attorno alle proprie gambe, che
rilassò
contro le lenzuola, e rimase ad osservare a lungo il petto di lui,
alzarsi e abbassarsi
lentamente, ritmicamente, quasi come se stesse dormendo. Ma sapeva che
non era
così.
Grimmjow
Jaegerjaques era più che sveglio, e Tatsuki era sicura che
l’unica
cosa che stava aspettando era che lei reagisse in qualche modo alla sua
presenza,
magari elargendo una consistente dose di insulti nei suoi confronti, o
scaraventandolo giù dal proprio letto con discutibile
delicatezza.
In
altre circostanze l’avrebbe fatto, anzi, solo qualche ora
prima l’aveva fatto,
quando, chissà come, Grimmjow
si era introdotto nella sua camera facendole prendere uno spavento di
quelli
che si ricordano per tutta la vita, per di più beccandola
vestita soltanto
dell’asciugamano, reduce da una doccia. Sul perché
l’avesse fatto, invece, non si era interrogata poi tanto: da
come si era
comportato, facendosi trovare comodamente sdraiato sul suo letto con le
braccia
piegate dietro la testa e gli anfibi sporchi di terra che poggiavano
sulle
lenzuola, era evidente che il suo masochismo quella sera doveva essere
salito
alle stelle, e che voleva proprio finire malmenato a sangue per la sua
incorreggibile
arroganza. Inutile dire quanto si fosse divertito, ridendo a crepapelle
per la
sua reazione simil isterica. Fortuna voleva che i suoi genitori fossero
fuori
casa, quella sera, o altrimenti avrebbe avuto parecchie cose da dover
spiegare.
Eppure
la “visita” di Grimmjow era stata talmente fugace
che Tatsuki non
aveva neanche avuto il tempo di sfogare completamente su di lui la sua
collera.
Perché tutto ad un tratto, senza preavviso, il cellulare
nella tasca di Grimmjow
si era messo a squillare. E l’aria si era riempita
dell’inconfondibile suono
delle urla agghiaccianti di Hollow e Menos Grande.
Studiando
nel buio il suo profilo rilassato, Tatsuki Arisawa si chiese
perché fosse tornato lì, tornato da lei,
nonostante avesse appena finito di
combattere e fosse evidente che aveva bisogno di riposare, e non in
quel gigai
che comprimeva la sua reiatsu. Perché mai avrebbe dovuto
prendersi quel
disturbo? Per tormentarla ancora un po’, forse? Tatsuki si
sentì quasi in colpa
per il solo fatto che un pensiero così meschino le fosse
passato per la testa,
quando dentro di sé sapeva bene quale fosse il vero motivo
che lo aveva spinto
a tornare, lo stesso che aveva letto nel suo sguardo prima che sulla
soglia
della finestra si voltasse verso di lei e sparisse nella notte solo
poche ore addietro.
Quello
che in verità non riusciva a capire, era come potessero
quegli occhi
azzurri percepire così bene tutto quello che si agitava
nella sua testa e nel
suo cuore. Era difficile ammettere con sé stessa quanto
ormai per essi fosse
diventata un libro aperto, fin troppo
aperto, tanto che si sentiva... incredibilmente vulnerabile. Tatsuki
non era
sicura di essere pronta a condividere ogni sua debolezza col
proprietario di
quelle iridi luminose, che in quel momento si fissarono nelle sue.
« ...
Chiedimelo e basta. »
La
voce roca di Grimmjow ruppe il silenzio, con un tono più
basso e caldo
di quanto si sarebbe aspettata. Sembrava quasi... accondiscendente, e
per un
attimo Tatsuki si sentì compatita. Si morse con forza le
labbra, distogliendo
lo sguardo, rendendosi nuovamente conto di quanto fosse insensibile da
parte
sua interpretare in quel modo quello che Grimmjow stava facendo per
lei.
Contrariata da sé stessa, chiuse gli occhi e prese fiato,
mentre involontariamente
serrava le dita a stringere il lenzuolo stropicciato sotto i loro corpi.
« Come
stanno gli altri? »
« Solo
qualche graffio. », replicò
Grimmjow, alzando lo sguardo verso il soffitto, sbadigliando e
stirandosi i
muscoli. Tatsuki annuì impercettibilmente, mentre in lei si
scioglieva la
preoccupazione, lasciando il posto all’amara consapevolezza,
che, come sempre, poi
le attagliava lo stomaco come se si trattasse di senso di colpa.
Ichigo,
Orihime, Kuchiki, Sado, Ishida, tutti loro sapevano cavarsela da
soli.
E
soprattutto, senza di lei.
Scosse
la testa, e tornando a posare lo sguardo su Grimmjow, che con
indifferenza si stava passando una mano tra i capelli spettinati,
provò un
profondo senso di gratitudine nei suoi confronti, che non seppe
esprimere a
parole. La sua semplice presenza, il fatto che fosse tornato da lei, in
un
certo senso preoccupandosi per averla lasciata sola e senza
informazioni di
alcun genere, ebbe la capacità di farla sentire come se in
fondo contasse
qualcosa. Ichigo e Orihime, invece, in quei tre anni non avevano fatto
altro
che tagliarla fuori dai loro problemi, e in generale, da quella
situazione più
grande di loro in cui si erano trovati coinvolti. Per il suo bene,
senza
dubbio. Ma non si erano resi conto di quanto questo non avesse fatto
altro che
creare un muro tra di loro, un muro capace di far sentire Tatsuki
tagliata
fuori da quelli che erano i suoi due migliori amici.
La
verità era semplicemente che Grimmjow non possedeva affatto
tutta la
considerazione che Ichigo e Orihime dimostravano
nell’intenzione di
proteggerla. Per quanto lo riguardava, Tatsuki era ugualmente
capace di cavarsela da sola, e soprattutto di
proteggersi da sola, questo l’aveva capito più che
bene quando lui stesso aveva
provato il desiderio irrefrenabile di difenderla. Quindi non aveva
senso
trattarla come qualsiasi debole e stupida umana ignara di tutto. In
questo
modo, l’avrebbe sminuita e basta. E Grimmjow si era promesso
che non le avrebbe
mai più mancato di rispetto.
« E tu
stai bene? », la sentì
chiedergli, spingendolo a voltarsi per incontrare il leggero sorriso di
scherno
che le aveva disteso il viso, anche se non era riuscito ad illuminarle
gli occhi.
« Si
può sapere per chi mi hai
preso? »
Grimmjow
inarcò un sopracciglio, tirandosi a sedere sul letto e
mostrandole
quello che avrebbe dovuto essere un vero sorriso. Ma Tatsuki si
limitò a
scuotere la testa e a distogliere lo sguardo, lasciando scemare
velocemente il
sollievo e il divertimento che quello scambio di battute le aveva fatto
provare.
A
sua volta, anche il ghigno sarcastico di Grimmjow si
affievolì in fretta,
cedendo il posto a un’espressione corrucciata, mentre
affilava lo sguardo per
studiarla meglio. Voleva vederla sorridere, scherzare con lui e
tenergli testa
come era solita fare. Voleva la sua attenzione, e non che se ne stesse
con lo
sguardo spento e fisso sulle proprie mani, che aveva preso a tormentare.
Odiava
vederla così. E odiava quel coglione di Kurosaki per averla
lasciata
arrivare a sentirsi così, e quell’ingenua di
Orihime Inoue che con tutta
probabilità era convinta che non dicendole mai niente di
niente, non l’avrebbe
fatta preoccupare. Ma soprattutto, non sopportava di non essere in
grado di
fare nulla per lei, in modo da... sì, aiutarla. Grimmjow
preferì non chiedersi
come avesse fatto a spingersi fino al punto di desiderare di poter ad
“aiutare”
qualcuno, lui che non aveva mai fatto favori né gesti di
altruismo nei
confronti di niente e nessuno, almeno, non senza un tornaconto.
Esitò
solo un attimo, prima di tendersi verso di lei e avvicinare le labbra
al suo orecchio. A causa dell’improvvisa vicinanza la
sentì irrigidirsi, il che
lo fece sorridere, nella frustrazione che avvertiva in quel momento. E
sentì
l’impulso di provocarla, quasi di prenderla in giro, per il
modo in cui si
ostinava a provare imbarazzo ogni volta che lui invadeva il suo... come
chiamarlo, “spazio vitale”? Possibile che non si
fosse ancora abituata alla sua
vicinanza? Sembrava che lo facesse apposta, come se ad ogni costo non
volesse
accettare la sua presenza e avesse l’intenzione di tenerlo a
distanza di
sicurezza. Ed era qualcosa che gli dava veramente sui nervi.
« E
tu, Tatsuki...? », sussurrò al
suo orecchio, chiamando il suo nome con un tono suadente, tanto quanto
beffardo,
col chiaro intento di pungerla sul vivo. Effetto che ottenne, visto che
lei si
pietrificò, colta alla sprovvista, preda
dell’imbarazzo oltre che del re.
Ma quello che Tatsuki per un breve
istante aveva provato, si trasformò immediatamente in un
diverso tipo di
vergogna quando la voce profonda e fin troppo penetrante di Grimmjow,
le chiese
quello che lei stessa aveva paura di domandare a sé stessa.
« Tu stai bene? »
Tatsuki
voltò il viso, chinando il capo per cercare di allontanarsi
da
Grimmjow quanto più possibile, visto che lui incombeva con
tutta la sua stazza
su di lei. Si sentiva intrappolata, costretta ad affrontare qualcosa a
cui in
quegli anni aveva cercato in tutti i modi di non pensare. In fondo, non
era lei
che rischiava ogni giorno la propria vita.
No,
infatti. Non era lei.
In
confronto, l’ansia irrefrenabile e la violenta paura che
provava ogni
volta che Orihime, Ichigo, e tutti gli altri se ne andavano a
combattere chissà
dove e chissà cosa, non era niente rispetto quella che
dovevano sentire loro
quando si trovavano davanti a uno scontro che avrebbe potuto decretare
la loro
morte. Non si sarebbe mai perdonata se fosse stata così
egoista ed egocentrica
da concentrarsi solo su sé stessa e permettere ai suoi amici
di vedere quanto
l’essere lasciata indietro, il non poter fare niente per
aiutarli, e il senso
di impotenza che ogni volta immancabilmente provava, la facessero
sentire
inutile. Vuota.
Le
parole di Grimmjow tornarono a risuonarle nella mente, aggredendola
come
la prima volta che le aveva sentite.
Ti
senti così forte? Eppure lo sai, no?
Lo
sapeva. Ogni cellula del suo corpo debole
e fragile lo sapeva.
Tu sei solo
un’umana.
Quelle
frasi l’avevano colpita come se fossero state degli schiaffi
in
piena faccia, quelle parole ferita come se si trattassero di insulti.
Avevano
messo in discussione tutto quello che si era impegnata così
a fondo per
diventare fin da bambina, quando era ancora convinta che per farsi
rispettare
bastasse picchiare duro e dimostrare di essere forte.
Ma
lei non lo era. Non lo era più, ormai. E Orihime non aveva
più bisogno
di essere protetta, a Ichigo non serviva più il suo aiuto,
il suo sostegno. Adesso
erano più che capaci di difendersi da soli, e soprattutto, adesso erano loro a difendere lei,
così come chissà quante altre
persone ignare di tutto quello che facevano, aiutando gli Shinigami.
Chiuse
gli occhi, li strinse forte come a voler dimenticare tutto, ma
arrivata a quel punto era troppo tardi per riuscire a scacciare dalla
testa
quei pensieri. Non voleva che Grimmjow la vedesse in quello stato,
aveva come
il presentimento che se si fosse lasciata andare così,
avrebbe perso anche il
suo, di rispetto, oltre a quello che ormai non riusciva più
a provare per sé
stessa. Se non poteva più considerarsi forte fisicamente,
almeno avrebbe dovuto
esserlo mentalmente, e piantarla di autocommiserarsi come una stupida.
Già
avrebbe dovuto.
La
verità era che Tatsuki non era mai stata forte da quel punto
di vista,
per questo era cresciuta affidandosi ai propri pugni e al proprio
istinto. Non
era brava a soffermarsi a pensare. Non era brava a trovare soluzioni
che non
comprendessero un gancio destro quando si sentiva ferita. Da quel punto
di
vista, era Orihime quella più forte, col suo inguaribile
ottimismo che la
spingeva ad andare avanti, ottimismo che più di una volta si
era trovata ad
odiarsi per aver invidiato.
Per
questo per lei era più facile negare tutto, fare finta di
niente con
gli altri, e soprattutto con sé stessa.
Sì,
sto bene, avrebbe voluto, dovuto rispondere.
Così
sarebbe stato più facile, e lei avrebbe potuto continuare a
fingere
che fosse davvero così, in modo da non far preoccupare
nessuno, e soprattutto, da
non sentirsi compatita.
Eppure...
eppure Grimmjow la
rispettava per quello che era.
Anche
quelle parole l’avevano colpita, anche se in un modo del
tutto
diverso. Perché non si era resa conto di avere bisogno di
sentirle fino a
quando lui non gliele aveva dette.
Io
ti rispetto.
Perché
in quelle tre semplici parole era racchiuso molto, molto di
più. E
stavano a significare che lui l’avrebbe accettata comunque,
in ogni caso,
debole, forte, sorridente, in lacrime.
Alla
fine capì che non importava dove avrebbe guardato, cercando
di
chiudere gli occhi o sviare lo sguardo, perché sarebbe stato
Grimmjow che avrebbe
continuato a guardare lei,
fissandola
insistentemente coi suoi luminosi occhi azzurri finché non
avesse ottenuto una
risposta, e non una risposta qualsiasi.
Lui
voleva la verità.
Non
ebbe il coraggio di incontrare il suo sguardo. Ma in fondo, in quel
momento non c’era bisogno che si sforzasse di essere
coraggiosa, qualcosa a cui
era fin troppo abituata a fare. Per questo sentì il bisogno
di sottrarsi alla
sua vista, di nascondersi, lasciando cadere la fronte sulla sua spalla
e
premendo il viso contro l’incavo del suo collo,
così come aveva fatto tante
volte con il proprio cuscino. Ma la pelle di Grimmjow era calda, e non
fredda
come la stoffa della sua federa.
« ...
No. Non sto bene per niente.
», mormorò appoggiandosi contro di lui, e si
sentì quasi come se avesse appena
confessato un crimine.
Il
respiro gli morì in gola quando si rese conto di quanto
incrinata fosse
la voce di Tatsuki. O forse è meglio dire che Grimmjow
Jaegerjaques si
dimenticò completamente di prendere fiato quando, per un
breve istante, temette
che si sarebbe messa a piangere, e qualcosa di molto simile al panico
si
impossessò di lui. Era un’emozione che non aveva
mai provato prima. Non era
affatto simile alla preoccupazione che aveva già provato nei
confronti di
Tatsuki quando si era trovata in difficoltà, e neanche
minimamente paragonabile
a quello che aveva sentito e che l’aveva colto alla
sprovvista, bloccandolo su
due piedi, quando lei lo aveva accarezzato accidentalmente.
Tatsuki
ora gli era talmente vicina che il suo respiro gli solleticava la
pelle. Anzi, era direttamente contro sua pelle, così come il
suo viso, i suoi
capelli ancora umidi dalla doccia di prima, e che ora erano a pochi
centimetri
dalla sua bocca, tanto che se solo avesse voluto avrebbe potuto
premerci contro
le proprie labbra, ed inebriarsi del loro profumo fresco. Non poteva
vederla
bene, ma con tutta probabilità aveva gli occhi chiusi, che
forse stavano
trattenendo lacrime che era troppo testarda per versare e che lui
decisamente
non avrebbe saputo come gestire.
Perché
ben preso si era reso conto di non sapere cosa fare. O meglio,
teoricamente sapeva come avrebbe dovuto comportarsi, eppure non
riuscì a
muovere un muscolo, e mentalmente si ricoprì di tutti gli
insulti che conosceva,
che non erano esattamente pochi.
Non
era questo che voleva? Che Tatsuki la piantasse di respingerlo e
finalmente si decidesse a rassegnarsi al fatto che lui aveva intenzione
di
sentirla vicina ogni giorno, ogni momento
di più, e sì, anche fisicamente.
Possibile che proprio adesso che era lei
quella che voleva sentirlo più vicino, si trovasse ad essere
così
improvvisamente... insicuro? Non aveva senso.
O
forse lo aveva, e la spiegazione risiedeva in quella parte di
sé che
proprio ora non faceva che ripetergli che non sarebbe stato affatto
nella sua natura fare qualcosa
come... come
abbracciarla. Che sarebbe caduto in basso se si fosse lasciato prendere
così
tanto da quelle emozioni umane che sentiva crescere dentro ogni giorno,
ogni momento di più. Che
stava
diventando un debole, e quella insicurezza che sentiva ne era la prova
lampante.
Però
provi le
stesse cose che provo io, no?
Quelle
parole gli tornarono alla mente come
un fulmine a ciel sereno. E forse, finalmente né
capì il pieno significato.
Perché apostrofare sé stesso come debole per il
fatto che provava insicurezza,
sarebbe stato come dire la medesima cosa di Tatsuki, che debole non era
affatto.
Tutt’altro.
Era talmente forte che aveva
persino avuto la sfacciataggine di convincersi che in lui
c’era qualcosa di... qualcosa
di umano.
Sai
cosa ti dico? Che ho deciso di fartelo
ricordare, con le buone o con le cattive. Di farti ricordare... come si
fa ad
essere umani.
«
Dimmi... dimmi cosa devo fare. ».
Quelle
parole gli uscirono spontanee, ma appena le pronunciò,
capì che era
giusto così. Ormai era tardi per tornare in dietro,
probabilmente non ne
sarebbe stato neanche più capace, come si era reso conto
quando aveva
affrontato Tatsuki faccia a faccia, perdendo miseramente contro niente
di più che
la sua testarda umanità.
Voleva
aiutarla, darle
quello di cui aveva bisogno. Lui stesso ne aveva bisogno, per compiere
il primo
passo verso quella direzione che lei continuava ad indicargli con
insistenza,
direzione che lo avrebbe portato a provare, sentire, sempre, sempre di
più,
cose che non conosceva, cose che lo incuriosivano, e che allo stesso
tempo, sì,
lo spaventavano. Ma in fondo, andava bene così.
Perché
Grimmjow Jaegerjaques non era più un re vagabondo e
solitario.
Tatsuki
avrebbe potuto chiedergli qualsiasi cosa, chiedergli di ascoltarla,
di lasciarla sfogare riguardo tutto quello che si era tenuta dentro
fino a quel
momento. Oppure desiderare che Grimmjow le dicesse che sarebbe andato
tutto
bene, che non era necessario preoccuparsi in quel modo ogni volta che
un Hollow
spuntava da qualche parte, né che c’era motivo di
sentirsi impotente perché a
causa della sua naturale debolezza non poteva fare niente.
Indubbiamente, erano
cose che una parte di lei aveva bisogno di sentirsi dire.
Oppure...
oppure avrebbe anche potuto chiedergli di abbracciarla,
confortarla, facendole sentire che la sua vicinanza era qualcosa di
reale, di
tangibile, e che nonostante loro due fossero quanto di più
diverso ci potesse
essere, non esistevano muri di sorta a dividerli. Anche di questo forse
avrebbe
avuto bisogno.
Eppure
non l’avrebbe fatta sentire meglio. Nessuna illusoria e dolce
bugia,
nessuna falsa carezza. Non era questo che voleva, e non era neanche
quello che
Grimmjow avrebbe potuto darle.
La
verità era che entrambi, nonostante le loro differenze,
egualmente non
erano quel genere di persone.
Suo
malgrado, un sorriso amaro si distese sulle sue labbra mentre scuoteva
la testa conto la sua spalla e lasciava salire le mani sul suo petto, a
stringere
la sua maglietta. Ormai Tatsuki aveva perso il conto delle volte che
l’aveva
fatto, e ciascuna per una ragione diversa. Ogni volta, però,
si era sentita
come se si fosse aggrappata a lui, che nei momenti di
difficoltà era stato una
sorta di ancora di salvezza, come se il solo fatto di poterlo toccare e
sentire
vicino l’avesse aiutata a non perdere la testa. Era quasi
ironico considerare
il tutto da quel punto di vista, quando ogni
volta era sempre stato lui a farle perdere la testa, per un
motivo o per
l’altro.
Tendendosi
verso Grimmjow, ora fu il suo turno di parlare al suo orecchio
con una voce che avrebbe voluto essere sensuale, ma che
sembrò solo colma di
gratitudine. Tatsuki indugiò un solo attimo prima di
parlare, chiudendo gli
occhi e premendo la guancia contro quella di lui.
«
Stringimi... stringimi tanto da farmi male.
»
Per
poco Tatsuki non sentì il fiato morirle in gola quando le
braccia di
Grimmjow si avvolsero attorno a lei, e non ebbe neanche la forza di
ridere per
l’assurdità di quella situazione. Avrebbe potuto
giurare di aver sentito le
proprie costole scricchiolare.
Anche
Grimmjow fu costretto a trattenere la propria risata, perché
aveva il
presentimento che altrimenti si sarebbe ritrovato coperto di lividi,
una volta
che l’avesse liberata.
Cosa
che però non aveva intenzione di fare
nell’immediato futuro.
Avrebbe
continuato a soffocarla in quella specie di abbraccio spaccaossa
per tutto il tempo necessario, e anche di più. E avrebbe
seguitato a farlo ogni
volta che Tatsuki ne avesse avuto bisogno, facendole sentire tutta la
forza
della sua presenza, e nascondendo le sue insicurezze, o meglio, quelle
di
entrambi, tra le proprie braccia.
Perché
infondo, essere l’unico ad avere il permesso di vedere quel
lato di
lei e poterlo tenere per sé e per sé solo, era
qualcosa che, ad essere sinceri,
non gli dispiaceva.
Affatto.
|
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Capitolo 8 *** La Belva in gabbia. ***
NDA: Credo che sia il
capitolo più lungo che abbia mai scritto. Spero che questo
mi faccia perdonare almeno in parte per il mostruoso ritardo! xD
Davvero,
ringrazio di cuore tutti quelli che continuano a seguirmi
nonostante sia così lenta. E con una piccola lacrimuccia, vi
informo che ormai
stiamo volgendo al termine di questa
storia. Ancora due/tre capitoli e intendo concludere. Quindi
grazie, grazie
davvero per avermi seguita con questa long un po’ tanto
particolare, che tratta
di un pairing ancor più particolare! :°)
Detto
questo... ho deciso di trattare ormai alla fine di quello che
è stato
l’inizio. Ovvero... /rullo di tamburi/ ... come
Grimmjow e Tatsuki si sono conosciuti!
Perché
farlo ora? Perché voglio farvi capire quanto il loro
rapporto si sia
evoluto rispetto alla prima impressione. Ora in confronto si amano
talmente
tanto che mi fanno venire il diabete, puah.
E ora delle
piccole precisazioni!
Giusto per
essere chiari, visto che magari non tutti voi che seguite questa
long siete Tatsumaniaci come la sottoscritta:
–
la scena in cui Tatsuki vede il fragolo e il Grimmicio combattere
esiste davvero, non è un
parto della mia mente
malata –come tutto il resto. Per essere precisi... capitolo
211, ultime pagine,
potete controllare se siete diffidenti. Chissà che magari
Kubo abbia disegnato
quella scena proprio in previsione di un incontro tra i miei due
adorati...! Sì,
questo invece è un puro parto della mia mente malata.
–
Tatsuki è davvero
più minuta di
Orihime. Oltre che ad essere di qualche centimetro più
bassa, pesa pure una
decina di chili in meno. Saranno le tette a far questa
differenza?
–
Tatsuki fa davvero parte del
Comitato Disciplinare della Karakura
Ichikō. C’è scritto chiaro e tondo sulla
sua scheda. Ma come può farne
parte se metà dei casini li combina lei quando si incazza?
/schiva banco
volante/
Vi ricordo
anche che in Giappone non ci sono gli sms, bensì
è possibile
comunicare via mail attraverso il
cellulare.
Infine, vi
ricordo anche che quando ho iniziato questa long, Bleach
non era ancora arrivato al punto
in cui è adesso, quindi non potevo sapere che piega
avrebbero preso gli eventi.
Alcune cose sono inevitabilmente
inesatte, anche se ho cercato di incastrare tutti i pezzi.
Nella mia storia, Ichigo ha
riacquisito i
poteri da Shinigami prima
dell’inizio
della terza superiore, così come il ritorno di Grimmjow
è avvenuto nella pausa
tra la seconda e la terza. E ora, i nostri eroi non
sono costretti ad affrontare dei nazi-Quincy, ma i soliti
Hollow più un gruppo di Arrancar ribellatisi dopo la
sconfitta di Aizen.
Concludo
dicendo... AMATE URAHARA.
AMATELO E BASTA. Lui shippa GrimmTatsu, date retta a me.
Beh, buona
lettura! ♥
LA BELVA IN GABBIA.
Tatsuki Arisawa
fissò intensamente
il termometro appeso al muro mentre usciva dalla sala professori.
Trentatré gradi
centigradi.
Trentatré.
Ed era solo un
martedì mattina di
fine giugno, appena l’inizio dell’estate.
Certo, presto le
vacanze sarebbero
iniziate, ma avrebbe ancora dovuto sopportare qualche settimana prima
di poter
passare le giornate in casa, seduta a gambe incrociate davanti al
ventilatore,
con un ghiacciolo alla menta tra i denti.
Furtivamente, si
lanciò
un’occhiata intorno, verificando che il corridoio fosse
effettivamente deserto
come sembrava. Le lezioni non erano ancora iniziate, mancavano ancora
una
ventina di minuti prima del suono della campanella. Quella mattina, si
era
dovuta recare a scuola in anticipo rispetto al solito per consegnare
dei moduli
all’insegnante che si occupava di amministrare il Comitato
Disciplinare, ma non
avendolo trovato, aveva preferito lasciarglieli sulla sua scrivania.
Avrebbe anche
preferito sostare
qualche minuto di più nell’aula professori fornita
di condizionatori, ma
purtroppo agli studenti non era permesso desiderare un po’
d’aria in quell’afa
asfissiante, come le avevano ricordato le occhiatacce degli insegnati
lì
dentro.
Con una smorfia
irritata mandò a
quel paese le regole a cui tanto teneva, e si sfilò dal
collo il nastro rosso,
sbottonandosi la camicetta bianca a maniche corte fino
all’incavo del seno. Ma
subito abbassò lo sguardo su di sé con aria
critica. Se si fosse trovata a
parlare con un ragazzo più alto di lei, gli avrebbe offerto
una discreta
visuale. Arrossendo di colpo mentre si rendeva conto di chi fosse il
ragazzo a
cui aveva pensato involontariamente, si riallacciò i bottoni
fino ad un’altezza
più accettabile, per poi tentare di riassumere
un’aria dignitosa lisciandosi le
pieghe della gonna.
Il caldo e
l’estate le piacevano,
ma in momenti come quello si ritrovava proprio a rimpiangere il freddo
dell’inverno.
O meglio, la
freschezza della
primavera.
Riprendendo a
camminare, non poté
fare a meno di pensare a quanto diversa, quanto effettivamente fredda fosse la sua vita solo tre mesi
prima.
Per essere
precisi, esattamente
tre mesi prima...
Era un
martedì mattina di fine
marzo.
L’aria
era ancora fresca, e il
cielo non esattamente limpido. Un vento leggero soffiava smuovendo le
verdi
foglie neonate degli alberi, trasportando pigramente i petali dei
ciliegi che
fioriscono in primavera, per cui il Giappone è tanto famoso
in tutto il mondo.
Tatsuki Arisawa
si strinse nella
giacca, incrociando le braccia al petto, mentre osservava con aria
critica i
kanji su sfondo bianco che componevano la scritta Urahara
Shōten. Il grigio delle nuvole rifletteva il suo umore.
Nonostante
fossero le undici
passate, non c’era anima viva in giro. Non c’era
traccia neanche dei due
ragazzini, quello dalla chioma rossa spettinata e quella coi capelli
legati in
due codini, che erano soliti giocare davanti al negozio. Tutto le
sembrava
incredibilmente vuoto e triste. O forse era semplicemente lei che in
quel
periodo vedeva ogni cosa in quel modo, a partire da sé
stessa. Pensieri e preoccupazioni che tutti
si
trovano ad avere alla soglia dell’ultimo anno di superiori,
si diceva,
senza riuscire a convincersi del tutto. La verità era che
Tatsuki era veramente
preoccupata per il proprio futuro, e non solo per il fatto che non
avesse
ancora deciso cosa fare della sua vita dopo il diploma. Vita che, ad
essere
sinceri, aveva cominciato a sembrarle solo un’enorme presa in
giro da quando
aveva appreso come stavano veramente le
cose.
Con un sospiro,
si decise
finalmente ad aprire lo shōji di
legno e ad entrare.
« Gomen nasai, siamo chiusi, ritorni un
altro giorno, arrivederci! »,
la accolse la voce melliflua, modulata e noncurante di Kisuke Urahara
non
appena ebbe messo piede all’interno del negozio. Ma Tatsuki
non si fece
scoraggiare, sospettava che usasse sempre quella scusa coi clienti che
riteneva
“indesiderati”. Allentandosi la sciarpa che le
teneva caldo il collo, avanzò
tra gli scaffali colmi di liquori, candele aromatizzate e spezie, che
con tutta
probabilità servivano solo come parte
dell’arredamento fittizio, oppure erano a
uso e consumo del proprietario. Proprietario che non vide da nessuna
parte,
nonostante la sua voce l’avesse raggiunta. Ma le fu chiaro
dove si trovasse non
appena una piccola e scura figura dal passo felpato sbucò
fuori dalla porta che
dava sul retro, correndole incontro. Tatsuki rimase per un secondo
interdetta,
osservando la gatta dal pelo nero come la notte strusciarsi contro le
sue gambe
e regalarle una consistente dose di fusa. Prima di apprendere che in
realtà
quella gatta fosse una donna formosa dalla pelle del colore del
caffè e gli occhi
dorati, ogni volta che l’aveva vista le aveva sempre
riservato una carezza
affettuosa. Ora, invece, non aveva idea di come comportarsi. Fortuna
che non
l’avesse mai sentita parlare con la sua voce mascolina...
«
Yoruichi-san, deve proprio
correre incontro a ogni signorina che viene a farci visita...?
», finalmente
Urahara si mostrò, facendo capolino dallo stipite e
sollevando le tendine che
separavano il negozio dal retro, usando la mano in cui teneva un
ventaglio
bianco. Yoruichi Shihōin rispose con un miagolio che a Tatsuki parve
quasi
canzonatorio, mentre si allontanava lei e tornava ondeggiando
sinuosamente da
Urahara, al fianco del quale si sedette, leccandosi una zampa e
iniziando a
pulirsi il muso.
«
Arisawa-san, buongiorno. Non mi
ero accorto che si trattasse di lei, mi perdoni. »,
l’uomo le fece un leggero
cenno del capo, tenendosi il cappello bianco e verde per evitare che
cadesse.
Tatsuki rispose con una scrollata di spalle, sviando lo sguardo prima
che gli
occhi di lui potessero posarlesi addosso. Quell’uomo la
metteva sempre
incredibilmente a disagio quando la scrutava col suo sguardo affilato.
Fu in quel
momento che si accorse
che, oltre a quella strana coppia di ex Shinigami sul cui tipo di
relazione
preferiva non interrogarsi, c’era qualcun altro
nell’edificio. Pian piano,
aveva imparato ad individuare le reiatsu delle persone e a riconoscere
quelle
dei suoi amici. Dopotutto quella di Ichigo era... beh, inconfondibile.
Così
come quella di Orihime Inoue, che
poteva percepire forte e chiara a dispetto dei muri di legno
dell’Urahara Shōten.
Allora ecco
perché quella mattina Orihime
non si era fatta sentire, come era solita fare. O meglio, in
realtà nelle
ultime settimane non si era fatta viva così di sovente come
sua abitudine, ma
Tatsuki non si era preoccupata. Sapeva che ce la stava mettendo tutta.
E forse,
anche in quel momento si stava allenando. Ultimamente passava parecchio
tempo
nella sala sotterranea del negozio, punteggiata di rocce brulle e col
cielo di
un finto azzurro. Qualche volta, Tatsuki era pure scesa a guardarla, in
silenzio, senza farsi notare, per paura di disturbarla. E quello che
aveva
visto, aveva fatto nascere in lei un misto di orgoglio e stupore.
Orihime era...
davvero in gamba.
Quello che le
fece corrugare la
fronte, quindi, fu un altro tipo di reiatsu, che non conosceva. Allora
perché
qualcosa dentro di lei continuava a ripeterle che non era affatto
così, che
sapeva bene a chi appartenesse? Non riusciva a ricordare, e la cosa la
irritava, ma non solo. La sensazione di quella reiatsu le lasciava un
retrogusto... intenso, quasi graffiante, l’avrebbe definito.
Ma no, non era
possibile. Con tutta probabilità doveva essere di qualche
Shinigami in cui si
era imbattuta una sola volta, ed era quello il motivo per cui non
riusciva a
rievocare il suo proprietario. Il disagio che provava era semplicemente
causato
dal fatto di aver dimenticato.
Eppure
c’era qualcosa che non
andava, un pensiero che aveva preso a martellarle nella testa e non
voleva
saperne di lasciarle tirare un sospiro di sollievo. Perché
quella reiatsu le
sembrava incredibilmente simile a quella di un-...
« In
che cosa posso aiutarla? »,
la riscosse Urahara, interrompendo il filo dei suoi pensieri e
facendola
tornare alla realtà. Tatsuki sbatté le palpebre
più volte, dimenticandosi per
un attimo del suo proposito di non lasciare che gli occhi di Urahara si
fissassero nei suoi. Distolse immediatamente lo sguardo. Odiava
sentirsi così
in soggezione, ma era più forte di lei.
«
Avrei bisogno di... di quelle
pillole dell’altra volta. Le ho finite. »
Con un gesto
frettoloso, tirò
fuori dalla tasca della giacca a vento quella che era molto simile a
una
confezione ormai vuota di caramelle, e la porse ad Urahara che se la
rigirò tra
le mani.
Senza, le
sembrava di impazzire.
Ora capiva come doveva essersi sentito Ichigo da bambino, e
perché si fosse
rifiutato di dirle la verità, sul fatto che fosse davvero in
grado di vedere i
fantasmi. Era decisamente meglio fare finta di niente. Fingere che
nulla di
tutto quello che vedeva a differenza degli altri fosse reale. Eppure
era ben
difficile quando ad ogni angolo spuntava fuori un fantasma nuovo pronto
a lagnarsi
e a raccontarle vita, morte e miracoli del periodo che aveva trascorso
sulla
Terra.
Era per questo
che la prima volta
si era recata al negozio di Urahara, accompagnata da Karin, la sorella
minore
di Ichigo. Con lui non aveva trovato il coraggio di parlare, e nemmeno
con
Orihime. Dopotutto, le lamentele che era costretta a dover sopportare
ogni
giorno erano niente in confronto a quello che dovevano affrontare loro,
con un
genere più... “rabbioso” di fantasmi. Si
sarebbe sentita stupida ad esternare
davanti ai suoi due migliori amici qualcosa che non poteva neanche
essere
definito un problema vero e proprio, ma solo una scocciatura. Karin,
invece...
era stata lei stessa a tirare fuori quell’argomento, con
noncuranza, dandole il
benvenuto nel club degli “psicologi
dell’oltretomba”, come l’aveva definito
lei. Tatsuki le era stata immensamente grata. Quella ragazzina che
aveva visto
nascere e a cui aveva fatto più volte da baby-sitter le era
sempre stata
simpatica. Non che non provasse un forte affetto anche nei confronti di
Yuzu.
Ma a volte, Karin le ricordava un po’ se stessa.
«
Signorina, lo sa che questo
prodotto non è efficace al cento per cento, vero?
», disse Urahara porgendole
una nuova confezione, mentre un miagolio di Yoruichi Shihōin lo spinse
a
lanciare una breve occhiata alle sue spalle, verso il retro del
negozio. « Un
Hollow di rango superiore sarebbe perfettamente in grado di capire
quanto lei
sia... speciale. »
Tatsuki
aggrottò le sopracciglia
osservando il flebile sorriso che a tali parole si era dipinto sulle
labbra
dell’uomo di fonte a lei, ma decise di lasciar perdere quella
che le era
suonata come una presa in giro bella e buona.
Gli
“Hollow di rango superiore” non
venivano certo a cercare lei, e questo lo sapeva bene. Non era per
scampare a
loro che aveva preso il vizio di assumere regolarmente quelle piccole
pastiglie
colorate in grado di mascherare temporaneamente e almeno in parte la
sua reiatsu. In questo modo,
almeno, poteva
scampare al suo ruolo di “psicologa”, visto che i fantasmi
sembravano non accorgersi di quell’eccesso di forza
spirituale che possedeva e
che le permetteva di vederli. Nonché di sentirli blaterare
cose
incomprensibili.
«
Sempre meglio di niente. Quanto
le devo? », domandò inutilmente come ogni volta,
tirando fuori il portafogli,
che come ogni volta Kisuke Urahara le impedì di aprire
premendoci una mano
sopra. Eppure, questa volte fece anche un secondo gesto che la ragazza
non si
aspettava, posandole l’altra mano sulla sua spalla, quasi
come a volerla
sospingere verso l’uscita.
« Oh,
non si disturbi, davvero...
»
Anzi, fu quello
che fece, e
neanche troppo celatamente.
Tatsuki
piantò i piedi per terra,
contrariata. Spesso e volentieri non le andavano molto a genio gli
atteggiamenti di quell’uomo fin troppo misterioso per i suoi
gusti, ma mai
l’avevano sconcertata come in quel momento. Sembrava quasi
che la volesse cacciare
via per nasconderle qualcosa. E contando il fatto che da qualche parte
nel suo
negozio ci doveva essere Orihime, la cosa non le piacque per niente.
Che le
fosse successo qualcosa durante l’allenamento?
«
Insisto. », si intestardì,
decidendosi finalmente a guardarlo negli occhi. Urahara
sembrò esitare un
attimo, colto alla sprovvista. Ma poi si lasciò andare a un
sospiro, facendo
cadere la mano dalla sua spalla, come se si fosse rassegnato.
«
Anche io. », le sorrise con
accondiscendenza, parendole quasi dispiaciuto per qualcosa. «
Lei è un’amica di
Kurosaki-san, dopotutto.
E questo vuol dire che è anche una
mia
amica. »
Tatsuki
corrugò nuovamente la
fronte. Ma questa volta non ebbe minimamente il tempo di interrogarsi
sul
perché il tono di Urahara, fattosi improvvisamente
più alto e risoluto, le
fosse sembrato quasi d’ammonimento.
Successe tutto
in fretta. Troppo
in fretta per i suoi occhi castani, meramente umani. Un attimo prima,
di fronte
a lei c’era Kisuke Urahara, quello dopo, lui era stato spinto
in malo modo di
lato da una massa spettinata di capelli azzurri. Azzurri come il paio
di occhi dal
taglio affilato dai quali si sentì trafiggere. Ci mise una
frazione di secondo
di troppo per rendersi conto di chi si era prepotentemente impadronito
del suo
campo visivo, chinandosi su di lei con tutta la sua stazza, per poterla
scrutare col suo sguardo indagatore. E il tentativo di Urahara di
sdrammatizzare la situazione facendo le presentazioni fu totalmente
inutile.
«
Arisawa-san, forse lei non
conosce il signor Grimmjow Jaegerjaques-... »,
iniziò a dire, ma non appena si
accorse della consapevolezza che prese a lampeggiare negli occhi della
ragazza
che aveva cercato di far uscire prima che fosse troppo tardi, si
corresse con
perplessità. « ... O forse invece sì.
»
In un attimo,
ogni tassello era
andato al suo posto nella mente di Tatsuki, e i ricordi mancanti le
erano
tornati alla memoria come un fulmine a ciel sereno.
Lo conosceva,
certo che lo
conosceva. Conosceva i suoi capelli azzurri, il suo profilo marcato,
l’espressione colma di odio e i suoi occhi glaciali
traboccanti sete di sangue.
E soprattutto, riconosceva la reiatsu che aveva sentito esplodere nel
buio del cielo notturno quando quasi due anni prima aveva assistito a
uno scontro
tra lui e Ichigo, nel quale il suo amico di infanzia era stato ridotto
a uno
stato pietoso.
Lo conosceva, e
conosceva anche il
suo nome.
Non ti scordare
il mio nome.
Grimmjow
Jaegerjaques.
La prossima
volta che lo sentirai, sarà la
tua fine.
E anche se
quando le aveva sentite
quelle parole non erano state rivolte a lei, ora quella minaccia le
sembrò
tangibile.
« COSA DIAVOLO CI FA LUI QUI?! »
Quasi non la
riconobbe come la
propria voce. Tutto le sembrava talmente surreale che non si rese conto
di aver
urlato con tutto il fiato e la collera che aveva in corpo
finché non si ritrovò
ad ansimare, cercando una risposta che non ottenne nello sguardo
sfuggente di
Urahara. Tutto quello che riusciva a pensare era...
«
Tatsuki-chan! »
Orihime.
L’abbraccio
della sua amica quasi
la travolse, e ancora una volta Tatsuki non riuscì a seguire
il corso troppo
veloce degli eventi, e forse neanche Grimmjow, che a sua volta si
trovò
bloccato da dietro dalla presa ferrea di Kisuke Urahara. Ai suoi piedi,
Yoruichi Shihōin soffiava col pelo ritto sulla schiena e la coda.
« Dov’è Kurosaki?! »,
l’Hollow urlò a sua volta a pieni polmoni.
« Riesco
a sentire la sua reiatsu addosso a
te! Dimmi dove-...! », ma
Urahara lo
strattonò indietro, impedendogli di completare la frase.
«
Suvvia, signor Jaegerjaques,
faccia il bravo, non mi spaventi i clienti... »
Eppure
Tatsuki non era spaventata, o
almeno, non lo era più. Le era bastato sentirsi avvolgere
dal calore delle
braccia della sua amica per far scemare via la preoccupazione che le
aveva
attanagliato lo stomaco al pensiero che potesse esserle successo
qualcosa. Ora,
tutto quello che provava era un’incredibile rabbia.
«
Orihime, che diamine sta
succedendo?! », le domandò, posandole le mani
sulle spalle, quasi come se avesse
bisogno di sentire ancora di più che la sua presenza era
tangibile, e che
stesse veramente bene. La scosse appena, fissandola intensamente,
mentre lei si
limitò a guardarla piena di dispiacere, prendendole le mani
e stringendole
nelle sue.
«
Vieni con me, ti spiegherò
tutto, ma ti prego, calmati... »
Mentre si
lasciava guidare fuori
dal negozio, Tatsuki non poté fare a meno di incrociare lo
sguardo di Grimmjow,
trattenuto quasi come un animale in gabbia. L’odio e la furia
che trasmettevano
i suoi occhi azzurri era quanto di più profondo avesse mai
visto, e la scossero
in un modo che non avrebbe neanche lontanamente creduto possibile.
Orihime poteva
chiederle tutto.
Tutto, all’infuori di calmarsi.
La seconda volta
che si trovò ad
affrontarlo faccia a faccia dopo quell’episodio, a proprio
favore Tatsuki
almeno poté dire di essersi sentita più
preparata, e soprattutto, di non
essersi lasciata andare a una reazione isterica. Anzi, forse
reagì con più
calma di quanto lei stessa si sarebbe aspettata, dopo aver passato
più di una
settimana a rimuginare sulle parole di Ichigo e le spiegazioni che lui
e
Orihime avevano cercato di darle.
A quanto pareva,
l’Arrancar
Grimmjow Jaegerjaques, che una volta era stato al servizio di Sōsuke
Aizen e
aveva contribuito a tenere segregata Orihime Inoue nel cosiddetto Hueco Mundo, aveva accettato di
stipulare un patto di collaborazione con gli Shinigami che tanto
odiava,
rinunciando alla sua posizione da Sexta
Espada e a una sua eventuale, anche se non necessaria, dieta
a base di
anime umane.
Tatsuki Arisawa
non aveva creduto
a una sola parola.
Per questo aveva
preso l’abitudine,
o forse è meglio dire il vizio, di diventare
l’ombra di Orihime ogni volta che,
per un motivo o per l’altro, la ragazza si recava al negozio
di Urahara, anche
se spesso e volentieri quel motivo si riassumeva nel compito di
controllare
come l’irascibile nuovo inquilino di Urahara si stesse
comportando. Ichigo le
aveva chiesto di fargli questo favore quando lui non poteva, e Orihime
non
aveva potuto far altro che accettare di aiutarlo, nonostante Tatsuki
avesse
tentato più e più volte di convincerla a
rifiutare. C’era anche da dire che, al
contrario del suo atteggiamento quando si presentava Ichigo, davanti
all’incarnazione della bontà d’animo che
era la migliore amica di Tatsuki,
nemmeno Grimmjow riusciva a rispondere con più cattiveria di
qualche grugnito e
smorfia infastidita, nonostante fosse evidente che era esasperato dai
suoi
tentativi di comportarsi in modo gentile. Era anche palese, infatti,
che
Orihime per prima si sforzasse non poco di sorridere come niente fosse
ogni
volta che andava a accertarsi che tutto stesse andando per il verso
giusto. La
presenza di Grimmjow la metteva a disagio. Le faceva rivivere cose che
aveva
deciso di celare per sempre nel suo cuore.
Ma Tatsuki,
forse, era quella che
stava vivendo con maggiore tensione quella situazione. A volte si
rendeva conto
da sola di essere fin troppo apprensiva nei confronti di Orihime, e
soprattutto, che la sua presenza non fosse davvero più utile
che di quella di
un’ombra. Eppure non era capace di mettersi l’anima
in pace e lasciare che la
sua amica si gettasse da sola tra le fauci di quella belva affamata e
assetata
di sangue – e no, il paragone non le sembrava affatto troppo
esagerato. Nonostante
questo, però, non si azzardava praticamente mai ad entrare
con lei nel negozio,
e quando raramente lo faceva, tendeva a tenersi in disparte, con le
braccia
conserte e lo sguardo vigile. Si sentiva una sorta di guardia del
corpo.
Scherzando, Orihime le aveva addirittura proposto di indossare un
auricolare e paio
di occhiali da sole.
A dirla tutta,
se non fosse stato
che si sarebbe sentita ridicola, Tatsuki avrebbe preso volentieri in
considerazione l’idea degli occhiali da sole. In questo modo,
almeno, avrebbe
evitato in parte le occhiate affilate che ogni volta Grimmjow le
riservava,
quando la sorprendeva a fissarlo con diffidenza. Perché la
verità era che, per
qualche motivo che trascendeva la sua già di per
sé non trascurabile natura di
Hollow... lo trovava insopportabile, a pelle.
Era questo che
stava pensando,
osservando Ururu – la ragazzina coi capelli neri che lavorava
e viveva nell’Urahara Shōten
– sbocconcellare con
calma esasperante un tramezzino, seduta su una cassa di legno girata al
contrario. Anche lei tendeva a ritirarsi fuori dal negozio quando
Grimmjow decideva
di farsi vivo al piano terra, lasciando il campo sotterraneo dove
passava la
maggior parte del suo tempo ad allenarsi. Urahara le aveva spiegato che
era
perché la reiatsu di Ururu era particolarmente sensibile a
quella degli
Arrancar, che istintivamente considerava nemici naturali da eliminare,
e che
quindi sarebbe potuta diventare un problema non indifferente per il suo
ospite, come gli piaceva definirlo,
se
fosse stata esposta ad un contatto prolungato con lui. Tatsuki non
riusciva a
concepire come una ragazzina che le sembrava così timida e
indifesa potesse
addirittura rappresentare un problema
per un Arrancar di livello Espada, ma ormai aveva imparato a non
stupirsi più
di nulla, e soprattutto, a non giudicare dalle apparenze. Beh, Arrancar
di
Livello Espada coi capelli azzurri e occhi in tinta a parte.
Dentro al
negozio, intanto, si
poteva udire forte e chiara la voce di Orihime che con una risatina
nervosa
cercava di ristabilire la pace, e di far capire a Grimmjow che non era
bello
comportarsi ed esprimersi come spesso e volentieri faceva quando
perdeva la
pazienza, cosa che era appena successa. Urahara aveva tentato di
mettergli in
mano una scopa in modo che aiutasse a tenere pulito il negozio in cui
viveva “a
scrocco”, ma lui, in tutta risposta, aveva spezzato in due il
manico,
minacciandolo di infilarne le estremità dove non gli avrebbe
fatto piacere
sentirle. Suo malgrado, lo stesso ex Shinigami dai capelli color paglia
si era
visto costretto a desistere di fronte alla sua parlantina regale, e
concedergli
il privilegio di oziare in casa sua. Perché quelli di casa
sua, al momento,
erano i confini della gabbia in cui Grimmjow era obbligato a restare, a
meno
che Urahara in persona o un altro Shinigami non si fosse preso il
disturbo di
fargli da baby-sitter e
accompagnarlo
fuori. Cosa che non accadeva mai se non quando spuntava da qualche
parte un
Hollow che doveva essere eliminato.
Tatsuki si
chiese cosa diavolo
stesse facendo lì.
Grimmjow
Jaegerjaques era tenuto
più che sotto controllo. E in ogni caso, a suo discapito,
c’era da dire che
oltre a quelle minacce sboccate non si era mai azzardato ad alzare un
dito su
nessuno... a parte Ichigo, ovviamente, che ogni volta che si faceva
vivo veniva
letteralmente trascinato nella sala sotterranea e costretto a fargli da
sparring partner. Lo starsene lì fuori ad ascoltare quelle
stupide conversazioni,
aveva il potere di fare sentire Tatsuki solo inutilmente apprensiva. E
infreddolita, visto che in quei giorni l’inverno sembrava non
ancora disposto a
ritirarsi del tutto.
Sistemandosi
dietro un orecchio
una ciocca ribelle smossa dal vento, considerò
l’idea di entrare ed avvisare
Orihime che se ne stava andando. Ma il solo vedere Grimmjow le avrebbe
fatto
venire un incredibile prurito alle mani, così si
limitò a fare un cenno del
capo a Ururu, che rispose educatamente, e ad incamminarsi verso la
villetta in
cui viveva con la sua famiglia, distante non più di cinque
minuti a piedi da
dove si trovava. Spesso si era chiesta come fosse possibile che fino a
pochi
anni prima non avesse mai notato l’Urahara
Shōten, nonostante conoscesse i dintorni di casa sua come le
proprie
tasche. Quando l’aveva fatto notare al proprietario, lui
aveva aperto con uno
schiocco il ventaglio bianco e le aveva risposto che il suo negozio era
sempre
stato lì, ma che forse lei non aveva mai guardato con
attenzione.
Scuotendo la
testa, decise di
mandare comunque una mail ad Orihime, per non farla stare in pensiero
nel caso
fosse uscita e non l’avesse trovata. Stava
giusto tirando fuori il cellulare, sperando che la batteria quasi
scarica non
l’avesse abbandonata del tutto, che questo si mise a vibrarle
in mano.
✽Orihime:
03:36
pm
Tatsuki-chan,
senti...
non è che per caso hai incontrato Grimmjow, lì
fuori?
Aveva detto che
sarebbe
uscito a prendere una boccata d’aria, ma non è
ancora rientrato in negozio. (^_^;)
Tatsuki
corrugò la fronte.
E rilesse il
messaggio più e più
volte, cercando di trovarci un significato logico, qualcosa che le
potesse
essere sfuggito, una dannata
spiegazione. Orihime l’aveva presa forse per una stupida,
scrivendole in quel
modo tranquillo, come se non fosse successo niente di importante? Si
rese conto
che la sua fronte si era imperlata di sudore freddo solo quando
l’ennesima folata
di vento le fece venire i brividi.
C’era
posto per un unico pensiero
nella sua mente: Grimmjow non poteva
uscire a prendersi una boccata d’aria. Questo violava tutti i
patti.
Si
girò di scatto, tornando con lo
sguardo a scrutare il negozio ormai a parecchi metri alle sue spalle.
Non c’era
anima viva lì nei dintorni, anche Ururu era rientrata,
probabilmente richiamata
all’interno da Urahara. Tutto le sembrava immobile e calmo.
Fin troppo immobile e calmo.
Era assurdo, impossibile. Quanto tempo poteva essere
passato da quando Grimmjow
era uscito, violando i suoi confini di restrizione? Non più
di quello impiegato
da lei stessa per percorrere un centinaio di metri. Solo pochi minuti
prima
l’aveva sentito sbraitare all’interno del negozio,
davanti al quale era rimasta
proprio perché così sarebbe stata in grado di
sorvegliarne l’uscita. Come aveva
potuto distrarsi così? Avrebbe dovuto accorgersene,
dannazione, prestare più
attenzione alla sua...
... Reiatsu.
Il respiro
sembrò quasi morirle in
gola, come dopo una brutta caduta. La sua stretta si serrò
tanto sul cellulare
che quasi avrebbe potuto ridurlo in briciole, mentre ogni suo muscolo
si
irrigidiva progressivamente. Si sentì un pezzo di legno
mentre deglutiva,
tornando a voltarsi e a posare lo sguardo di fronte a sé.
E lui se ne
stava lì, in mezzo
alla strada, accovacciato, con i gomiti appoggiati sulle gambe piegate.
Come se
stesse solo attendendo che lei si avvicinasse per attaccarla. Adesso
che lo
poteva osservare con la mente più lucida rispetto a una
settimana prima, si
rese conto che non indossava i vestiti bianchi che gli aveva visto la
notte in
cui aveva combattuto contro Ichigo, abbigliamento che gli aveva
conferito un
aria ancora più sovrannaturale. Ora, invece, tutto in lui
sembrava in un certo
senso più... umano. Era questo l’effetto dei gigai, i corpi artificiali realizzati da
Kisuke Urahara? La cosa le
diede i brividi. Se non avesse saputo chi era, se non avesse avuto
l’abilità di
percepire la forza schiacciante della sua anima vuota e corrotta, forse
sarebbe
stata anche capace di avvicinarlo per chiedergli se si fosse perso e
avesse
bisogno di aiuto. Come una stupida, ingenua umana.
Ricominciò
a camminare.
Come sperava, il
suo passo risoluto
non tradì la sua esitazione. Per una volta in vita sua,
Tatsuki si scoprì a
ringraziare la sua caparbietà, che le infondeva tutto il
coraggio necessario a
dimostrarsi più sicura di quanto in realtà si
sentisse. Con ironia, si ritrovò
a pensare che se era proprio così che doveva finire, sarebbe
stato meglio
andarsene incontro alla morte con una certa dignità
piuttosto che cercare di
fuggire a gambe levate.
Anche
perché non sarebbe servito a
niente, se non a rendere la caccia più divertente per lui.
Era decisa a
superarlo, dargli
l’importanza di una formica, di una crepa
nell’asfalto, o almeno, di fargli
credere che questa fosse la considerazione che gli riservava. Sentiva
l’adrenalina
scorrere dentro di lei, il cuore martellarle all’impazzata
nel petto come se
ogni battito potesse essere l’ultimo. Il suo viso
però era una maschera di
pietra, che non lasciava trasparire nessuna emozione particolare, men
che meno
l’ansia che diventava più forte ad ogni passo.
Voleva dimostrarsi forte, benché
non si sentisse affatto così. E voleva dimostrare a lui
quanto poco lo temesse,
nonostante sapesse quello di cui poteva essere capace.
Ma evidentemente
Grimmjow non
aveva affatto intenzione di essere ignorato o sminuito.
« ...
Cerchi di scappare perché
hai paura? »
Il suo tono
beffardo la colpì con
la violenza di uno schiaffo non appena l’ebbe sorpassato di
un passo. Tatsuki si
bloccò.
E ancora prima
di rispondergli, si
diede della stupida orgogliosa e impulsiva.
« Non
mi sembra di averlo mai
detto. », replicò con tono secco e irritato, senza
però osare voltarsi.
Nonostante ormai il suoi buoni propositi di ignorarlo fossero andati
all’aria,
voleva mantenere una parvenza di superiorità e indifferenza.
Cosa che le
divenne incredibilmente
difficile quando all’improvviso una folata di vento la
colpì e avvertì che la
vicinanza tra di loro era diventata nulla. Lo sentì alle
proprie spalle, che si
chinava su di lei, accostando le labbra al suo orecchio. La sua voce
uscì in un
sussurro, ma non per questo risuonò meno minacciosa o
tagliente.
« Sono
le tue azioni che parlano
per te. »
Non lo aveva
sentito alzarsi. Né
camminare fino a raggiungerla. Com’era possibile che si
muovesse così
silenziosamente e velocemente anche dentro un gigai
che Urahara le aveva assicurato fosse stato costruito
appositamente per contenere la sua reiatsu e i suoi poteri da Hollow?
Ma non furono
solo questi pensieri che la tormentarono in quel momento.
Perché Grimmjow era
decisamente troppo vicino. E quel
contatto flebile tra i loro corpi ebbe la capacità di farla
irrigidire
all’inverosimile e rabbrividire per un
motivo che non aveva niente a
che fare con il freddo.
Ma Tatsuki
Arisawa rimaneva Tatsuki
Arisawa. E nonostante il suo cuore avesse rischiato di rimanere vittima
di un
infarto, il suo coraggio, o meglio, la parvenza di coraggio che era
abituata a
sfoggiare, non vacillò nemmeno un istante. Anzi, prese
letteralmente fuoco alle
parole provocatorie che Grimmjow aveva riempito di scherno, come a
volerla
sfidare implicitamente.
E Tatsuki non si
sarebbe di certo
tirata indietro davanti a una sfida.
« Ah,
sì? E cosa dicono le mie azioni,
sentiamo? », si voltò a
fronteggiarlo, incontrando con fierezza il suo sguardo. Non le
sfuggì il lampo
di sorpresa che fece spalancare i suoi occhi azzurri.
« ...
Che sei davvero stupida, per
essere un’umana. », Grimmjow replicò,
corrugando la fronte.
Decisamente, non
si era aspettato
quella reazione.
Così
come non si era aspettato la
reazione che lei aveva avuto quando si erano visti per quella che lui
era
convinto fosse la prima volta. Si era comportata quasi come se lo
conoscesse,
come se lo conoscesse bene, e non
solo di sentito dire.
L’essere
riconosciuto, l’aver
causato quell’attimo di panico, però, in un certo
senso gli aveva fatto
piacere. Era ormai da troppo tempo che veniva trattato come una
presenza
naturale da Ichigo Kurosaki, Orihime Inoue e Kisuke Urahara. Quando lo
guardavano, loro sembravano non vedere la sua natura. Lui era un
Hollow, un
Arrancar, un Espada, per la
miseria.
Un minimo di timore reverenziale era forse chiedere troppo?
Ma quel piacere
che aveva provato
era scemato via in fretta. Perché non appena aveva rivisto
Tatsuki Arisawa,
Grimmjow Jaegerjaques si era reso conto che ciò che aveva
causato la sua
reazione non era stato affatto timore
reverenziale.
Ogni volta, il
modo di comportarsi
di lei lo lasciava sconcertato. Non aveva senso. Non sapeva mai cosa
aspettarsi
quando se la trovava di fronte, perché lei faceva sempre tutto il contrario di quello che lui si
aspettava sarebbe successo.
Semplicemente, non capiva.
E il non capire
lo faceva
infuriare. L’essere messo in
discussione,
lo faceva infuriare.
Perciò
quel giorno, a differenza di
altri, spinto dall’istinto aveva deciso di seguire
quell’umana, quell’amica
di Orihime Inoue, concetto che lui
non afferrava a pieno. E forse era per questo che non aveva mai
compreso per
quale assurdo motivo quella... come si
chiamava, poi?, ogni volta seguiva la sua amichetta
dai capelli ramati quando questa si recava al negozio di
Urahara per controllare come andassero le cose. Insomma, per
assicurarsi che
lui stesse facendo il bravo animale da compagnia. Cosa che trovava
terribilmente
irritante, doveva ammetterlo. Almeno quando si presentava Ichigo poteva
sfogare
la sua irritazione pestandolo nella sala sotterranea – e ogni
tanto,
concedendogli l’onore di farsi pestare a sua volta
– ma quando si trattava di Inoue...
beh, nei suoi confronti aveva qualche piccolo debito. L’aveva
guarito più di
una volta, e cose così. Era sicuramente per quello che il
suo orgoglio gli
impediva di trattarla come ogni umano si meritava di essere trattato,
né più né
meno.
E poi
c’era quell’umana,
quella – evidentemente – stupida
umana, coi capelli e gli occhi scuri. Occhi scuri che non
mancavano mai di lanciargli occhiate di puro odio e ammonimento, come
se tutti
i mali dell’universo fossero colpa sua, e come se fosse sul
punto di
commetterne altri da un momento all’altro. Forse ce
l’aveva con lui per la
storia del rapimento di Inoue, o forse perché era in perenne
sindrome
premestruale, Grimmjow non lo sapeva. Sapeva solo che tra tutti,
quell’essere
insignificante per lui non riusciva ad essere così
insignificante.
Semplicemente, non la sopportava. E sopportava ancora meno i suoi
sguardi
penetranti e accusatori. Non aveva nessun diritto di giudicarlo,
né di sottovalutarlo.
Perché era questo ciò che evidentemente faceva, e
che stava facendo anche in
quel momento preciso.
Quella stupida umana non voleva capire, o forse
non poteva capire. Doveva essere
così, per forza. Perché nessun essere
dotato di intelligenza o almeno di un minimo di spirito di
osservazione,
avrebbe rischiato volontariamente di mettere a repentaglio la propria
vita
prendendo così alla leggera lui, il
re.
E osato stargli così vicino, senza indietreggiare e avere la
decenza di
mostrare un minimo di... paura.
«
Anzi, a pensarci bene, forse è
proprio per il fatto che tu sia umana, che sei stupida. »,
aggiunse, piegando
le labbra in una leggera smorfia di arrogante disgusto e affilando lo
sguardo,
mentre nel vano tentativo di intimidirla si piegava ancora di
più su di lei, la
cui stazza era irrisoria a confronto. Era ancora più bassa e
minuta di Orihime
Inoue, e senza nessuno dei suoi poteri per difendersi. Come poteva
pretendere
di sostenere il suo sguardo con tanto orgoglio?
« Sai,
lo prendo come un
complimento. », la sentì sibilare in risposta,
evidentemente offesa a dispetto
delle sue parole. Quasi gli venne da ridere per
l’assurdità di quella
situazione. Allo stesso tempo, però, provava un incredibile
disprezzo.
«
Perché vieni sempre qui? Ti
piace così tanto vedere... la belva
in gabbia? »
Suo malgrado,
Tatsuki si sentì
sconcertata. Ma non cedette.
« Mi
piace vedere che Orihime sia
al sicuro. »
Grimmjow
sbottò in una risata.
«
Quell’umana non rischia niente.
Non ho mai alzato un dito su di lei nemmeno nell’Hueco Mundo.
», tecnicamente
non era esatto, ma quando aveva afferrato la sua gola sollevandola da
terra,
era ben consapevole che ormai Ichigo si fosse ripreso.
L’aveva fatto solo per
provocarlo, per così dire. Sapeva che lui
l’avrebbe fermato. Quindi lui non era
colpevole, no? « ... Anzi,
mi hai
ricordato che mi deve un favore per averle tolto dai piedi un paio di
stronze
che l’avevano conciata da buttare. », esatto, lui
l’aveva protetta, una
volta. Non aveva fatto niente di male. Niente per
meritarsi la tacita e perenne accusa negli occhi di Tatsuki.
Tatsuki che
quasi trasalì a
sentirgli dire quelle parole, Orihime non le aveva mai accennato di
nessun paio
di stronze. Mentalmente, si
appuntò
di rimproverarla a dovere più tardi. Se un
“più tardi” per lei ci fosse stato,
s’intende.
« Non
le farò del male. Non ci si
prova gusto... con una come lei. »
Perché
il sorriso folle di
Grimmjow sembrava proprio prometterle che quel
“più tardi” non sarebbe mai
arrivato.
Provò
a mantenere la freddezza.
Urahara e i suoi dipendenti, Orihime, e forse anche Ichigo dovevano
essere in
stato di allerta. Con tutta probabilità, proprio in quel
momento stavano
cercando Grimmjow, e ben presto lo avrebbero trovato. Non
c’era bisogno di
agitarsi per niente.
Ma non era solo
questo. La verità
era che Tatsuki non si sarebbe mai perdonata se avesse dimostrato di
sentirsi
in soggezione e... impaurita.
Cercò
di prendere tempo.
« ...
Però con una come me sì.
Perché? », chiese, tenendo sotto controllo il tono
di voce.
Grimmjow non lo
sapeva.
O meglio, la
risposta che da
quando l’aveva incontrata cercava di darsi, non lo
soddisfaceva più. Non era
solo odio, quello che provava e che gli faceva ribollire il sangue
nelle vene.
Né “astinenza da omicidio”. Per lui non
era mai stato un bisogno, un
piacere innato, ed erano ormai lontani i tempi in cui
era costretto ad uccidere per
dimostrare la propria superiorità.
Lui preferiva...
giocare. Divertirsi, in un malato
gioco
di distruzione. Di altri, di sé stesso. Non era necessario
arrivare alla morte.
Quella sopraggiungeva solo quando finiva per perdere la pazienza, o
l’interesse. Forse ultimamente si stava annoiando, era per
questo che
quell’umana sembrava rappresentare una sfida così
appagante, nonostante la sua
evidente inferiorità? Forse era a corto di prede, di rivali.
Forse il suo ego
aveva bisogno di
qualcuno con cui confrontarsi, per riuscire a considerarsi superiore
sempre e
comunque, e non sentire su di sé il giudizio ingiusto di
occhi scuri di sorta.
«
Perché le belve combattono solo
contro altre belve. », sibilò.
Io
non sono una belva, sono un demone.
O almeno, prima
Tatsuki lo era.
Prima che cominciassero a spuntare veri
demoni e veri mostri proprio
davanti
a lei. Prima che cominciasse a sentirsi talmente piccola e
insignificante da
non incutere timore a nessuno. Per questo non avrebbe ma ceduto. Ne
andava del
suo orgoglio, lo doveva a sé stessa.
Le parole di
Grimmjow però
l’avevano colpita. Una belva,
era
così che la vedeva? Le sembrava ridicolo. Una presa in giro
bella e buona.
Dall’alto della sua superiore arroganza di Hollow, per lui
doveva essere
soltanto una preda. O meglio, uno
spuntino.
Assottigliò
a sua volta lo
sguardo, incrociando le braccia.
« Sai,
da bambina mi hanno
insegnato che non si gioca né si scherza con il cibo.
»
Grimmjow rimase
sconcertato. E nonostante
tutto, avrebbe quasi riso a quella specie di battuta sarcastica, se non
fosse
stato che in quello stesso istante qualcosa attirò la sua
attenzione,
risvegliando tutta la sua ira.
Qualcosa che
attirò anche
l’attenzione di Tatsuki, che si voltò nella
direzione in cui improvvisamente
sentì provenire una reiatsu che conosceva bene.
«
Urahara-san sa che sei qui. », disse,
nonostante non ce ne fosse bisogno, cercando di mascherare un certo
sollievo,
che però scemò via non appena tornò a
posare lo sguardo su Grimmjow e sui suoi
lineamenti distorti dalla rabbia.
« Urahara-san non sa niente di niente.
», lo udì ringhiare tra i
denti, mentre scrutava la strada di fronte a lui, per poi tornare a
fissare lei
coi suoi occhi pieni di glaciale rancore. « Tu
non sai niente di niente. »
Tatsuki
aprì la bocca per
replicare, ma non riuscì a dire niente, e non
perché la paura l’avesse zittita.
Un sentimento diverso l’aveva involontariamente colpita:
qualcosa di molto
simile alla compassione, che non si sarebbe mai aspettata di provare
per un
essere come lui.
Ma non ebbe il
tempo di pensarci
troppo, perché quell’essere
prese a
camminare e la superò, prendendo dentro senza tanti
complimenti la sua spalla,
e andando incontro a Kisuke Urahara che finalmente aveva deciso di
degnarli
della sua presenza. Girandosi e incontrando il suo sguardo, Tatsuki non
poté
fare a meno di chiedersi se quell’uomo ambiguo che ora si
stava sollevando il
cappello e le stava facendo un lieve inchino in segno di riconoscenza,
in
realtà non avesse saputo fin dall’inizio dove
Grimmjow fosse, e avesse usato
quella sua breve fuga per verificare come si sarebbe comportato senza
“guinzaglio”,
davanti a una semplice umana come lei. Con un misto di sconcerto e di
disappunto, Tatsuki si rese conto che se era davvero così
che stavano le cose,
allora Grimmjow aveva superato la prova a pieni voti, visto che non
aveva
alzato neanche un dito con l’intenzione di farle del male.
E con ancora
più disappunto, si
rese conto di non essere in grado di distogliere lo sguardo dalla sua
figura che
le dava la schiena, con le mani infilate nelle tasche dei jeans,
finché non rientrò
nel negozio e sparì dalla sua vista.
Solo a quel
punto, e con un po’ di
rimorso, si chiese dove fosse Orihime. Probabilmente era andata a
cercare da
tutt’altra parte. E ancora più probabilmente, era
in pensiero perché non aveva
ancora ricevuto una risposta alla mail che le aveva mandato.
Tatsuki rimase a
fissare per
parecchi secondi la schermata del suo cellulare. Poi, digitando
velocemente i
tasti, scrisse poche parole.
C Tatsuki
:
03:54
pm
No. Non
l’ho visto da
nessuna parte.
Si
pentì di quella bugia nello
stesso istante in cui premette “invio”.
Dopo
quell’episodio, Tatsuki non
si recò più all’Urahara
Shōten.
Aveva deciso di
accantonare l’Arrancar
Grimmjow Jaegerjaques in un angolo remoto della propria mente. In
fondo, lui
non era qualcosa che la riguardava, né qualcuno di cui
avrebbe dovuto
preoccuparsi troppo. Ogni giorno, per tranquillizzarsi, non faceva che
ripetersi che la situazione era sotto controllo, e che né
Orihime, né Ichigo,
né nessun’altro correva un pericolo reale.
La
verità era che quella pietà che
aveva provato nel vedere Grimmjow farsi ricondurre nella sua
“gabbia” senza la
minima opposizione, come un feroce animale ammaestrato,
l’aveva turbata più di
quanto fosse disposta ad ammettere con sé stessa.
Pure, era anche
vero che aveva
altre cose più pressanti a cui dover pensare. Cose come
comprare i nuovi
quaderni e i libri di testo, stirare la propria divisa scolastica,
impazzire
per cercare di ricordarsi in quale diavolo di cassetto avesse messo il
suo
fiocco rosso con la spilla della scuola, cercare di domare la propria
chioma
ribelle per non fare la figura della teppista quando avrebbe dovuto
accogliere
i nuovi studenti di prima superiore in qualità di membro del
Comitato
Disciplinare... Inutile dire che, come ogni anno, dopo svariati
tentativi si
fosse arresa all’evidente irrealizzabilità
quell’ultimo obiettivo.
Così,
il primo giorno del suo
ultimo anno scolastico, si limitò ad infilare camicia
bianca, gonna e giacca
grigia, e sul braccio sinistro, la sua fascetta rossa e oro da membro
del
Comitato.
Guardandosi
allo specchio con le mani sui fianchi, non si sentì
orgogliosa
come la prima volta che l’aveva indossata. Dentro di
sé la vedeva un po’ come
una presa in giro, una farsa, come quello che ormai la sua vita
scolastica era
diventata. Ma in fondo, pensò con un alzata di spalle mentre
afferrava la
propria borsa a tracolla, dopo la cerimonia di apertura non sarebbe
stata
costretta a mettersela tutti i giorni visto che aveva prontamente
rifiutato di
ricoprire la carica di presidentessa, alla quale, prima che la
percezione della
sua vita venisse stravolta, aveva segretamente ambito.
Fortunatamente,
con l’arrivo di
aprile anche la temperatura si era alzata, così Tatsuki
poté evitare di
prendere sciarpa e giubbotto uscendo di casa, nonostante fosse
piuttosto presto
e l’aria mattutina fosse ancora frizzante. Il tragitto verso
la scuola era
breve, ma a lei piaceva alzarsi in largo anticipo e fare le cose con
calma.
Svegliarsi in ritardo per lei era come iniziare male la giornata. E
fare le
cose di fretta, la rendeva ancora più nervosa di quanto
già non fosse
normalmente di suo.
Alzando gli
occhi al cielo limpido
e promettente una giornata serena, si chiese se Orihime
si fosse già svegliata. Con tutta
probabilità, in quel momento si stava lavando pigramente i
denti, con i lunghi
capelli tutti arruffati e con un piede ancora nel mondo dei sogni. Le
scappò un
sorriso. Invidiava la spensieratezza con cui la sua amica riusciva a
gestire
una vita che era dieci volte più complicata della sua.
Quando infine
svoltò sulla strada
principale e varcò i cancelli della Karakura
Ichikō, Tatsuki la trovò più gremita di
studenti di quanto aveva creduto
sarebbe stata. Facce nuove e spaesate le dissero che almeno la
metà di quegli
studenti, se non oltre, doveva appartenere a primini troppo emozionati
per
rimanersene a casa un minuto di più. Con una punta di
fastidio, notò inoltre
che alcuni di quei primini erano più alti di lei di una
buona spanna, e che
sgomitavano a destra e a manca senza alcun riguardo, ostruendole quasi
del
tutto la visuale, nonché impedendole di avanzare.
Sistemandosi sul braccio la
fascetta in modo da metterla in bella mostra, concluse che fosse il
caso di
comunicare la propria presenza con qualche secco: « Permesso.
». Almeno un paio
ebbero la compiacenza di lasciarsi intimidire e le cedettero il passo.
Rinunciando a
guardarsi intorno
per controllare se ci fosse qualcuno che conosceva, visto che sarebbe
stata
costretta ad alzarsi in punta di piedi per farlo, decise di dirigersi
verso la
palestra, in modo da verificare come stessero andando i preparativi per
la
cerimonia di apertura, e nel caso, dare una mano a sistemare quello che
poteva.
Fu in quel
momento che un colore
di capelli stranamente vivace catturò la sua attenzione.
Perché
tra la folla intravide una
chioma ramata che conosceva più che bene, ma che non
apparteneva ad Orihime.
Era strano che
Ichigo si fosse
recato lì così presto. Tatsuki aveva pensato che,
essendo quello il primo
giorno come studentesse delle medie per Yuzu e Karin, avrebbe
accompagnato le
sue sorelle a scuola, almeno per frenare la smania di fare foto a
manetta che
avrebbe sicuramente preso il controllo del corpo di Isshin Kurosaki.
Con una
smorfia, Tatsuki ricordò quando era stata lei stessa insieme
ad Ichigo ad
essere costretta a prestarsi come soggetto per quelle foto, nella sua seifuku nuova di zecca.
Sistemandosi la
tracolla sulla
spalla decise che, visto e considerato non aveva tutta questa fretta di
mettersi
a spostare sedie e appendere cartelloni di benvenuto in palestra, fosse
il caso
di andar a rimproverare Ichigo per i suoi mancati doveri di fratello
maggiore,
e sentire quale scusa avrebbe campato per aria in sua discolpa.
Cercando di
farsi nuovamente
strada tra gli studenti, quindi, si incamminò verso il lato
ovest dell’edificio
scolastico, dove lo aveva visto di sfuggita. Lì
c’era meno gente, per lo meno.
Infatti le fu possibile notare solo in quel momento, mentre si
avvicinava, che
Ichigo sembrava intento a discutere animatamente con qualcuno.
Qualcuno che
indossava un paio
pantaloni grigi, una camicia bianca sbottonata quasi fino al petto, e
una
giacca altrettanto grigia appoggiata sulle spalle con noncuranza. [NDA 2: Un modello,
insomma.]
« ...
Dimmi che è uno scherzo. »
Ma purtroppo non
lo era.
E per Tatsuki fu
chiaro come il
sole che splendeva in quel cielo d’aprile non appena gli
occhi azzurri di
Grimmjow, dilatati per la sorpresa e l’irritazione di essere
stato interrotto,
si posarono su di lei, investendola con la stessa delicatezza di una
doccia
fredda. Tutti i pensieri e le preoccupazioni che Tatsuki aveva cercato
di
mettere da parte in quelle ultime settimane, tornarono ad affollare la
sua
mente, e per un lungo istante si sentì sopraffatta.
Quasi
sobbalzò quando sentì la
mano di Ichigo posarsi sulla sua spalla.
«
Tatsuki, aspetta prima di
saltare a conclu-... »
«
Aspetta un accidente! », sbottò,
costringendosi a spostare lo sguardo su di lui. « Cosa
diavolo ti passa per la
testa, eh, Ichigo?! », si scostò, spingendogli via
la mano con un gesto
scontroso.
Lui
ammutolì. Davanti alla rabbia
e all’apprensione nel tono della sua amica di infanzia gli
era sempre stato
difficile reagire con eguale forza. Chiuse gli occhi, trattenendo un
sospiro
mentre si ravviava capelli già abbastanza spettinati. Era
proprio questo che
avrebbe voluto evitare. Tatsuki non era il tipo da accettare di buona
grazia
una situazione scomoda. Aveva messo in conto di prenderla da parte,
spiegarle
tutto con calma, fare in modo che vedesse le cose nel loro insieme,
presentandogliele sotto la luce migliore possibile. Già una
volta aveva sbagliato,
tagliandola fuori dalla sua vita anche se con il solo scopo di
proteggerla, ma
l’averle mentito e voltato le spalle era qualcosa per cui
ancora faceva fatica
a perdonarsi. Lui e Tatsuki avevano sempre condiviso tutto, fin da
bambini. Per
di più, solo poche settimane prima aveva fatto un altro
errore di calcolo,
permettendo che quei due si incontrassero all’improvviso,
senza il tempo di
metabolizzare la presenza dell’altro, e si era ripromesso che
non sarebbe più
capitato. Perché il carattere incredibilmente impulsivo di
entrambi era una
bomba ad orologeria che sembrava sul punto di esplodere ogni volta che
si
trovavano a meno di due metri di distanza. Orihime Inoue non aveva
affatto
esagerato quando aveva utilizzato quelle parole per descrivere il loro
incontro
nel negozio di Urahara, e questo Ichigo ora lo poteva percepire
più che bene, semplicemente
dallo sguardo di puro odio che aveva acceso le loro espressioni non
appena si
erano guardati.
« Tu
non ti devi preoccupare. Lo
terrò d’occhio io. », cercò
di dire nel tono più calmo possibile, che
ovviamente gli servì solo a guadagnarsi
un’occhiataccia scettica da parte di
Tatsuki.
« Ah
davvero? E come pensi di
fare, sentiamo? »
Ancora una
volta, Ichigo preferì
non rispondere, o forse è meglio dire che non sapeva bene
come rispondere. Lui
per primo era incredibilmente diffidente rispetto a quella
“soluzione
alternativa” presentatagli da Kisuke Urahara in persona, di
punto in bianco.
Certo, l’ex Shinigami aveva ragione dicendo che non avrebbero
potuto continuare
ancora per molto a tenere Grimmjow confinato come un criminale di
guerra o
peggio, col rischio così di provocare una sua ribellione,
però era anche vero che
la Karakura Ichikō non era una dannata località di
villeggiatura per
Shinigami e Hollow. Ma davanti sua opposizione, Urahara si era limitato
ad
agitare il ventaglio con un sorriso indecifrabile, come a sottolineare
che per
lui le sue parole avevano la stessa consistenza dell’aria, e
che alla fine, in
un modo o nell’altro, avrebbero fatto come aveva deciso.
Dopotutto, in segno di
una fiducia ritrovata, la Soul Society aveva affidato a lui, il vecchio
capitano della Dodicesima Divisione, il compito di sorvegliare
l’Arrancar
Grimmjow Jaegerjaques. In poche parole, Ichigo non aveva voce in
capitolo.
Stessa cosa
però non si poteva
dire di Grimmjow stesso, ovvero il diretto interessato, che quando era
stato
interpellato da Urahara su quale fosse la sua opinione in merito al
diventare
uno studente fittizio e in questo modo riottenere un minimo di
libertà, lo aveva
sorpreso non poco rispondendo con un categorico rifiuto. Inutili erano
stati i
suoi tentativi di presentargli i vantaggi della cosa: Grimmjow non ne
aveva
voluto sapere. E sottilmente, Ichigo aveva sperato che vista e
considerata
quella reazione che aveva un po’ stupito anche lui, alla fine
di quel
cosiddetto “piano di integrazione” non se ne
sarebbe fatto niente. Sia lui che
Grimmjow però non avevano ancora fatto i conti con
l’inattaccabile caparbietà
di Kisuke Urahara, che quando si metteva in testa una cosa, diventava cortesemente irremovibile. E in tutto
questo, Yoruichi Shihōin si era limitata a rotolarsi sul pavimento e a
giocare
con un topolino di plastica.
« Ti
rendi conto, vero, che è come
mettere un bambino in una stanza piena di caramelle e dirgli di non
toccarle?
», la voce perentoria di Tatsuki lo riscosse, riportandolo
alla realtà dei
fatti. « Questa è una scuola,
Ichigo.
Ed è piena di... di studenti!
Sai, persone. Commestibili.
»
Suo malgrado,
Grimmjow dovette
sforzarsi per trattenere una risata, al contrario di Ichigo che
mandò giù
l’ennesimo sospiro. Le sue labbra si distesero, mentre
incrociava le braccia al
petto e appoggiava una spalla al muro.
Il tono isterico
con cui
quell’umana aveva parlato, lo aveva divertito. Beh, se doveva
essere sincero,
le poche cose che lo avevano divertito da quando era arrivato a
Karakura, erano
state proprio fare quattro amichevoli
chiacchiere con lei e usare Ichigo come un sacco da boxe, il che era
diventato
la sua unica consolazione da ormai qualche settimana a quella parte.
Perché non
l’aveva più incontrata da quando le aveva fatto
capire che l’avrebbe volentieri
vista morta, o anche solo con qualche arto di meno. Chissà
che le sue minacce fossero andate in porto...?, si chiese,
celando una sottile soddisfazione all’idea.
«
L’umana ha ragione, Kurosaki. Questo non è
il posto per me. Facciamola finita con ‘sta cazzata e-...
»
« ... L’umana ha un nome.
L’umana si chiama TATSUKI ARISAWA, e ti conviene tenerlo
bene a mente. »
Il sorriso di
Grimmjow si congelò.
E il
divertimento lasciò il posto
all’incredulità non appena si rese conto del
significato delle parole che
quell’uman-... che Tatsuki Arisawa
gli aveva ringhiato in faccia, puntandogli un dito contro: le sue
minacce le
avevano fatto il solletico.
Ichigo, che era
rimasto a bocca
aperta, si riscosse non appena vide gli occhi di Grimmjow, spalancati
per lo
stupore, assottigliarsi fino a diventare due fessure colme di furia
cieca.
«
Tatsuki, piantala di provocarlo.
Non ti ci mettere anche tu. », fece un passo avanti, verso di
lei, cercando di
mettersi tra di loro e di interrompere la loro lotta di sguardi, che
altrimenti
aveva il sentore sarebbe durata in eterno.
«
Certo, perché adesso è colpa
mia. », la sua amica replicò, mettendosi le mani
sui fianchi con fare offeso.
Almeno però aveva smesso di esprimere con gli occhi il
desiderio di prendere Grimmjow
a pugni sui denti.
«
Non sto dicendo questo. »
« A me
sembra proprio di sì. »
Ichigo
sospirò esasperato. Quanto
a cocciutaggine, era peggio di una bambina.
«
Senti, Tatsuki, io sto solo
cercando di-... »
Ma non
riuscì a finire la frase.
Perché in quel momento anche Grimmjow si comportò
peggio di un bambino.
Successe
talmente in fretta che Ichigo
si rese conto di cosa avesse fatto solo quando lo vide ritrarre le dita
che
aveva appena allungato per tirare la fascetta che Tatsuki portava sul
braccio
sinistro, richiamando così la sua attenzione. Dalla sua
espressione, si poteva
ben intuire che quel gesto infantile gli era venuto spontaneo,
istintivo, non
appena si era sentito ignorato e messo da parte. Cioè non
appena Ichigo aveva
distratto Tatsuki da lui.
Tatsuki che lo
guardò sconcertata,
senza sapere come reagire. Ma bene presto si riscosse, e la rabbia
tornò ad
infuriare dentro di lei.
« Sai
che cos’è questa? », gli chiese,
superando un allarmato Ichigo senza tanti complimenti, fino ad arrivare
a
mettergli braccio e fascetta sotto il naso. Gli occhi chiari di
Grimmjow si
alternarono per un istante dai kanji
dorati
– che non sapeva leggere – impressi sulla stoffa,
agli occhi più scuri di
Tatsuki, nei quali poteva interpretare chiaramente una muta sfida. E da
essi
non riuscì più a distogliere lo sguardo quando si
fecero più vicini, mentre lei
gli sussurrava una dolce promessa a pochi centimetri dalla faccia.
« Questa è la tua rovina.
»
Quasi i lunghi
capelli di lei gli
schiaffeggiarono la faccia quando si voltò per allontanarsi,
lasciandolo lì,
come imbambolato a fissarla. Stava per vederla sparire tra il branco di
insignificanti umani nel cortile della scuola, quando qualcosa dentro
di lui
scattò.
« Ehi!
A-... Arisawa! », la
chiamò a pieni polmoni.
Tatsuki si
girò a guardarlo.
Grimmjow avrebbe potuto dirle qualsiasi cosa, “lo
vedremo”, “potrei dire la
stessa cosa a te” o un’altra vuota minaccia. Ma non
lo fece.
Si
limitò a sorridere, sorridere
veramente, compiaciuto ed euforico al tempo stesso, come non gli
capitava da
secoli.
Tatsuki si
sentì avvampare. Per un
attimo provò l’irrefrenabile desiderio di tornare
sui suoi passi e togliergli a
suon di pugni quel ghigno odioso dalla faccia, ma il suono della
campanella
arrivò ad interrompere i suoi pensieri. Non aveva ancora
perso del tutto la
testa al punto di ignorare l’inizio delle lezioni.
Di una cosa
però era sicura. Non
sarebbe finita lì. E soprattutto, da quel momento in poi
avrebbe dovuto farsi
valere per quella che era veramente.
Perché non avrebbe certo potuto fidarsi di
quell’imbranato di Ichigo e dei suoi
“non preoccuparti”.
«
Sarò io quella a tenerti
d’occhio... Jaegerjaques!
» gli urlò
dietro in risposta, con tutto il fiato che aveva in gola.
Stranamente,
quell’umana non aveva
sbagliato la pronuncia del suo cognome.
Grimmjow Jaegerjaques non
poté fare a meno di
sorridere divertito.
Scostandosi i
ciuffi di capelli
azzurri e passandosi l’indice tra il collo e il bavero della
camicia, soppesò quei
ricordi che l’odio per il caldo gli aveva involontariamente
riportato alla
memoria. Alcune cose erano cambiate un bel po’ da quei giorni
di marzo e aprile,
ma altre affatto.
Tatsuki era
rimasta Tatsuki,
nonostante tutto.
Rimase ad
osservarla ancora per
qualche secondo, in silenzio, appoggiato con i gomiti al davanzale
della
finestra a muro della classe in cui si trovava, che si affacciava sul
corridoio.
Presto Tatsuki sarebbe passata davanti a lui, e nonostante sembrasse
totalmente
persa nei suoi pensieri, l’avrebbe sicuramente notato. E
Grimmjow non avrebbe
più potuto studiare i suoi movimenti con la stessa
attenzione, divorandola con
lo sguardo mentre camminava e si scostava i capelli di lato facendosi
aria, o sbadigliava
stirandosi le braccia sopra la testa e inarcando la schiena.
In mano teneva
il fiocco rosso che
solitamente portava annodato intorno al collo, ora lasciato scoperto
dalla camicetta
sbottonata. Solo il giorno prima, Grimmjow aveva sentito due umane
spettegolare
durante l’intervallo, parlando del “filo rosso del
destino” che univa le
cosiddette anime gemelle, senza
capire a pieno cosa intendessero con quel termine, nella sua ignoranza
da
Hollow immemore delle cose terrene.
Perciò,
tutto quello di cui si era
reso conto era che, decisamente, parecchie cose erano cambiate rispetto
a tre
mesi prima. Lui stesso era cambiato. Un tempo avrebbe definito quella
credenza
popolare una stronzata bella e buona.
Adesso, senza la
minima
esitazione, si tese oltre il davanzale e afferrò il nastro
rosso nella mano di
Tatsuki, tirandola a lui.
Inconsapevole di come stessero veramente le cose, Grimmjow
non aveva
dubbi che la sua anima e quella di Tatsuki fossero gemelle,
praticamente
separate alla nascita. E aveva senso che quello che li univa dovesse
essere più
spesso di un sottile “filo”, perché le
loro non erano anime qualunque. Erano
anime forti, con un legame ancora
più
forte.
« Ma
che diavolo-...?! », Tatsuki
iniziò a dire, sentendosi improvvisamente tirare da un lato,
e interrompendosi
solo quando i suoi occhi incontrarono quelli di fronte a lei, accesi di
un
azzurro vivo.
Grimmjow le
regalò un sorriso
furbo, avvolgendosi il nastro attorno a un dito.
« Se
cammini con il naso per le
nuvole prima o poi finirai contro un muro. »
Tatsuki
ammutolì, mentre la
sorpresa che aveva provato pian piano scemava via. Rimase a guardare la
sua
espressione ingenuamente infantile per diversi istanti.
Non
riuscì a trattenersi.
« ...
Si dice “camminare con il
naso per aria” o “camminare con la testa fra le
nuvole”, Grimmjow. », replicò,
costringendosi a mandar giù la risata che sicuramente lo
avrebbe fatto
infuriare. Divertita, osservò il suo sorriso trasformarsi in
una smorfia
infastidita, mentre si rendeva conto della gaffe appena fatta. Grimmjow
distolse
lo sguardo da lei, probabilmente preda di una vergogna che non avrebbe
mai
riconosciuto di provare.
« Beh?
A che stavi pensando di
tanto importante da non guardare neanche dove metti i piedi?
», le chiese quindi,
simulando indifferenza.
Tatsuki si
zittì ancora una volta.
E aspettò finché lui non si girò
nuovamente a guardarla, aggrottando le
sopracciglia, chiedendosi quale fosse il motivo del suo silenzio.
Gli sorrise.
E a sua volta si
appoggiò al
davanzale con le mani, tendendosi sulle punte dei piedi per avvicinarsi
a lui. Aumentò
la stretta attorno al fiocco rosso che non gli avrebbe mai ceduto, a
costo di
fare un tiro alla fune.
«
Stavo pensando a te, ovviamente.
»
Grimmjow
rimuginò per tutto il
giorno se considerare le sue parole solo come una presa in giro o come
qualcosa
di più.
Frustrato con sé stesso, non
ammise neanche per un secondo di sperare nella seconda opzione.
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