Come un gatto sotto la pioggia, come un drago senza ali. [GrimmTatsu]

di M e g a m i
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come un gatto sotto la pioggia, come un drago senza ali. ***
Capitolo 2: *** C'era una volta un gatto con gli stivali... ***
Capitolo 3: *** E dire che all'inizio tutti pensavano che la Draghessa di Shrek fosse un maschio. ***
Capitolo 4: *** Mai svegliare il drago che dorme. ***
Capitolo 5: *** ... E mai svegliare il gatto che dorme. ***
Capitolo 6: *** Rispetto. ***
Capitolo 7: *** Tanto da farmi male. ***
Capitolo 8: *** La Belva in gabbia. ***



Capitolo 1
*** Come un gatto sotto la pioggia, come un drago senza ali. ***


NDA: Lo so, lo so, molti di voi si saranno chiesti “ma che cavolo…?!”. Eppure è anche questo il bello dei crack pairing, no? ... No, eh? x°D
Beh, sta di fatto che questo è un crack che mi piace molto, ma proprio moltissimo. E così ho cercato di immaginare, come sarebbe se questi due si conoscessero davvero, nella storia di Bleach, se Grimmjow ritornasse, e fosse un alleato degli shinigami? E’ stato parecchio difficile, probabilmente un’AU avrebbe reso meglio, non so. Però ho voluto provare, anche per renderlo un po’ più realistico e plausibile.
Niente di troppo romantico, eh. Solo che scrivendo questa one-shot, nella mia mente si sono creati tanti spunti per altre one-shot con degli sviluppi in più. Chissà mai che ci possa fare una raccolta (alle long ci ho rinunciato)... chissà, vedremo.
Beh, buona lettura.

 
 
~
 
 
   « Cosa diavolo stai facendo?! »
Grimmjow si voltò di scatto, allentando appena la presa sulla camicia del ragazzo, senza però abbassare la mano che era pronta a sferrargli un pugno in piena faccia.
Ci risiamo...
   « Lascialo andare. », scandì lentamente, guardandolo minacciosa.
Lui ricambiò il suo sguardo, con orgoglio.
   « ... E se non lo facessi? », sibilò a denti stretti.        
   « Provaci. Ti prego, provaci. Ho solo bisogno di una scusa per prenderti a calci nel sedere. »
Andava sempre a finire così. In un secondo, si era trasformata in una lotta di sguardi. Il povero ragazzo che non si sa neanche cosa avesse fatto per scatenare le ire di Grimmjow, aveva approfittato della sua distrazione per scappare.
Sì, perché ormai la sua attenzione era totalmente catturata.
Tatsuki Arisawa, diciassette anni.
Capelli: neri.
Occhi: castani.
Abilità speciali... incredibilmente brava a rompere i cosiddetti al re Grimmjow Jaegerjaques, attualmente costretto nei panni dello... studente delle superiori.
 
 
~
 
 
Ichigo gliel’aveva spiegato. E anche più di una volta, ad essere sinceri. Questo non voleva dire, però, che lei accettasse quella spiegazione.
Grimmjow Jaegerjaques.
Che... che razza di nome.
Ma non era questo a sconvolgerla, e neanche quei capelli azzurri che la irritavano particolarmente, almeno non quanto il fatto che i cosiddetti shinigami avessero accettato lui e gli altri suoi compagni come alleati.
Certo, non erano fatti suoi. Il destino del mondo non era nelle sue mani. Non che non le importasse, in quella storia erano coinvolti i suoi più cari amici, ma... preferiva non pensarci. Per non sentirsi... troppo inutile. Quindi non erano fatti suoi.
Questo però finché non arrivava un tizio maleducato e attaccabrighe a fare il teppista nella sua scuola.
Quelli sì che erano fatti suoi, accidenti. Forse non poteva salvare il mondo, ma non era entrata nel Comitato Disciplinare solo per far risultare qualche credito in più sul suo curriculum scolastico.
Non lo avrebbe lasciato fare come voleva... questo era poco ma sicuro.
   « Aaarisaaawaaa! »
Tsk. Ecco un altro rompiscatole.
Facendo finta di niente, continuò a camminare imperterrita lungo il corridoio, mentre il rompiscatole continuava a chiamarla a gran voce, incurante degli sguardi esterrefatti degli altri studenti che stavano passando l’intervallo al chiuso, in quella giornata piovosa. Perché anche se lei stava cercando in tutti i modi di ignorarlo, lui non desisteva, anzi, si faceva più insistente.
C’era poco da fare, era fatto così, Asano Keigo.
   « Arisawa, senti, senti, non è che mi presteresti i tuoi appunti di matematica? », le aveva chiesto con un tono implorante, raggiungendola finalmente dopo tanto schiamazzare. Aveva perfino unito le mani e chinato la testa in segno di preghiera.
   « No. Spostati. », ribattè senza esitazione lei. Poteva mettersi anche in ginocchio sui ceci, per quanto la riguardava.
   « Ti scongiuro! Stamattina devo aver bevuto del latte scaduto, e ho passato l’intera lezione in bagno a-... »
Lo zittì con lo sguardo, fulminandolo. E che diamine! Un po’ di educazione era chiedere troppo?
La irritava... la irritava da morire il fatto che Asano, come tutti  gli altri suoi compagni maschi, si sentissero in libertà di sfoggiare quel linguaggio noncurante e a volte pure sboccato di fronte a lei, come se non gli importasse cose pensasse. Cosa che non avrebbero mai fatto davanti a... ad Orihime, per esempio. Ma anche con qualsiasi altra ragazza con l’aria da ragazza.
D’altro canto, lei aveva più un aria da ragazzo, e loro la trattavano come tale.
Distolse lo sguardo, facendosi ricadere una lunga ciocca nera sulla spalla. Nonostante la pioggia, l’afa impermeava l’aria circostante. L’umidità le faceva appiccicare capelli lunghi al collo, le davano fastidio.
Forse era il caso di tagliarli. Tanto... non aveva senso tenerli così.
   « Ti ho detto che non te li presto. L’ultima volta non sono più tornati indietro. »
   « Ma quella volta è stato perché-... »
   « Niente ma. Chiedi a Kojima, o a Ichigo. »
   « Glieli ho già chiesti. »
   « E...? »
   « E non me li vogliono dare. »
   « Farti un paio di domande no, eh? »
   « Sì, e mi sono risposto che ho degli amici insensibili! », si lamentò Asano, offeso. Ed era per questo che il secondo dopo esclamò con un sorriso sornione: « ... Vorrà dire che chiederò ad Inoue! », mentre si allontanava a grandi passi, per mettersi al sicuro.. Non che avesse intenzione di farlo davvero, chiederli ad Inoue Orihime. Voleva solo far arrabbiare la ragazza, sapendo quanto era protettiva nei confronti dell’amica. Amica che scriveva appunti in una maniera incomprensibile per qualsiasi essere umano, con frasi e formule sparse a caso, e fiorellini, e disegni di strani robot come cornice – chissà come, però, riusciva a prendere sempre il massimo dei voti.
   « Vedi di star lontano da Orihime o ti infilo gli appunti di matematica dove non li vorresti sentire! », sbottò infatti Tatsuki, punta sul vivo, con un linguaggio sboccato che tanto rimproverava ai ragazzi. « ASANO, TORNA QUI! »
E lo avrebbe pure rincorso per fargli chiedere scusa strisciando, se non fosse che avrebbe rischiato di finire addosso a una grossa figura che le aveva sbarrato il passo, davanti alle scale. Per poco non gli era finita addosso.
   « Ah. Chi si vede. Sempre a urlare dietro a qualcuno. »
Non aveva neanche bisogno di guardarlo, per capire di chi si trattasse. Quella voce profonda e un po’ roca, quel tono di scherno... poteva benissimo immaginare il sorriso che gli si era dipinto sul viso, quegli occhi azzurro ghiaccio così penetranti, squadrarla dall’alto in basso.
   « Levati dai piedi. », replicò senza guardarlo, cercando di controllare l’impulso di menar le mani che si era accentuato ancora di più in lei al sentire la sua voce.
   « Altrimenti...? »
Si era chinato su di lei, tenendo le mani in tasca, allargando quell’odioso sorriso sarcastico. Il suo quasi metro e novanta avrebbe dovuto metterla in soggezione, in confronto al suo metro e sessanta scarso. Eppure Tatsuki non indietreggiò di un passo, anzi, alzò gli occhi verso di lui, verso Grimmjow Jaegerjaques. Osò farlo, e senza tanti problemi, anche.
Doveva ammetterlo, gli piaceva provocarla. Quello sguardo bruciante di orgoglio, pieno di rabbia... beh, le donava.
Gli era capitato raramente di incontrare qualcuno con occhi del genere. Kurosaki Ichigo, forse. L’aveva colpito subito, per il suo sguardo, così risoluto a vincere anche se non aveva uno straccio di speranza – sì, beh, all’inizio, poi le cose si erano capovolte, ma insomma, chi se ne frega?
Da quello che aveva capito, quei due si conoscevano da molto. Amici di infanzia, in gergo umano. Era pure amica di Inoue Orihime, la femmina che Aizen aveva fatto rapire da quel pezzo di-... sì, da Ulquiorra. Pace all’anima sua.
Kurosaki le aveva raccontato tutto, eppure...
Eppure c’era quel modo in cui quella umana teneva la testa alta, per niente intimorita nonostante sapesse che cosa lui fosse, il modo in cui... lo guardava, con quell’aria così fiera.
Gli sembrava... di potersi specchiare, in quegli occhi scuri, troppo magnetici perfino per un essere vuoto come un Hollow.
Lo attraevano, con una forza incredibile.
   « Cosa vorresti fare, sentiamo? », domandò abbassando il tono di voce, divertito, quasi eccitato, come un predatore davanti alla sua preda preferita che gli offre una caccia coi fiocchi, avvicinandosi talmente tanto al suo viso che se qualcuno li avesse visti, avrebbe pensato a tutto tranne che a uno scambio di minacce.
Ma Tatsuki non indietreggiava, non l’avrebbe mai fatto.
   « Se te lo dicessi, ti rovinerei la sorpresa. Sappi solo che finisce con te con un mucchio di ossa rotte. », ribattè, senza lasciarsi intimorire.
Si rendeva conto di star giocando col fuoco?
Non era solo lui a provocare lei, era anche il contrario. Da quanto andava avanti, ormai? Dal primo momento che si erano visti, probabilmente, quando Ichigo li aveva presentati di sfuggita, suggerendo caldamente a Grimmjow di starle alla larga e non fare casini. Avvertimento che però non era servito a niente. Due caratteri troppo simili, troppo testardi, troppo orgogliosi, due morali troppo differenti. Ed era scoccata la scintilla, che aveva dato vita all’incendio, nello stesso istante in cui avevano incrociato per la prima volta lo sguardo.
   Trema, umana, di fronte al re.
Ma lei, quell’umana, quell’Arisawa Tatsuki, non aveva vacillato neanche per un istante. Lo aveva fissato dritto negli occhi, come pochi osavano fare, quasi lanciandogli una muta sfida.
E chi era lui per non accettare una sfida che si preannunciava così... eccitante?
   « Ah ah. Sei brava a far andare la lingua, femmina... », sorrise ancora, con un doppio senso non troppo velato, che Tatsuki si costrinse a ignorare.
   « Questi sono ancora più chiacchieroni. », e gli mostrò un pugno avvicinandolo al suo viso, facendolo sorridere ancora di più.
Poi...
   « Grimmjow. »
Si voltarono entrambi, quasi infastiditi da quell’interruzione. Era assurdo, come ogni volta che si trovavano a parlare, a provocarsi a vicenda, tagliassero fuori tutto il resto. Era assurdo... come arrivasse ad esistere solo lo sguardo dell’altro. Non si erano neanche accorti di quel ragazzo che gli si era avvicinato.
   « Cosa vuoi, Kurosaki? » sbuffò Grimmjow seccato, tirandosi su e allontanandosi da Tatsuki. Per un attimo aveva provato l’impulso di avvicinarsi ancora di più a lei, come per sottolineare il suo territorio, come per dire “questa è la mia preda, vattene, non vedi che sono impegnato?”, con un senso di possessività che aveva già dimostrato nei confronti di Ichigo stesso. Le cose però erano cambiate, adesso. Non riusciva più a considerare Kurosaki come una preda, come agli inizi. Gli costava ammetterlo... ma adesso, adesso era un suo pari. Per questo lo era stato a sentire. Se si fosse trattato di chiunque altro, se chiunque altro avesse osato interromperlo mentre si stava dedicando alla sua nuova preda, lo avrebbe letteralmente sbranato.
   « Dobbiamo andare. »
Non c’era bisogno che aggiungesse altro, la sua espressione parlava da sola. Tatsuki sentì un brivido correrle lungo la schiena, come ogni volta che vedeva Orihime, Ishida, Sado e Ichigo correre fuori dalla classe, campando per aria le scuse più assurde.
Un brivido di paura.
Sì, era così che si sentiva. Ogni volta, aveva paura che quella potesse essere l’ultima volta che li vedeva. Sapeva che non erano deboli, che erano in grado di combattere, eppure il non poter essere al loro fianco per aiutarli, il non poter constatare coi propri occhi che stessero bene, le faceva morire il respiro in gola, e sentiva come il cuore fermarsi fino a che non rivedeva la chioma arancione di Orihime, un po’ più spettinata di prima, entrare in classe e risedersi al suo fianco, oppure fino a che non riceveva una sua chiamata se la scuola era già finita.
Strinse i denti, provando rabbia verso se stessa e la sua stupida debolezza. Non si era sentita così inutile, mai, non da quando quella storia degli shinigami era iniziata. Era sempre stata al fianco di Ichigo, fin da quando avevano entrambi quattro anni. Lo aveva difeso, quanto gli altri compagni di classe lo avevano preso in giro per il colore dei suoi capelli, o detto qualche parola di troppo su sua madre, o quando, più in là negli anni, teppisti avevano incominciato ad attaccar briga con lui.
Aveva sempre protetto Orihime, fin troppo bella e diversa dalle altre ragazze, che, invidiose, cercavano di rovinare quella sua bellezza così innocente, oppure da qualche bastardo che aveva provato ad allungare le mani più del dovuto.
Adesso, invece, non poteva fare... niente per aiutarli. La sua presenza non era indispensabile per nessuno, anzi, sarebbe stata solo un impiccio. Quello che provava non era semplicemente risentimento per essere stata, come dire... “tagliata fuori”, ma vera e propria frustrazione per la sua impossibilità di fare qualsiasi cosa.
Poteva solo aspettare, e sperare che sarebbero tornati, ancora una volta.
   « Non scappare via. Torno subito. »
La sua voce, così roca e profonda, l’aveva riportata alla realtà. Sbattendo le palpebre per tornare lucida e liberare la mente da quei pensieri deprimenti, alzò per l’ennesima volta lo sguardo verso Grimmjow, incrociando quello di lui per una breve frazione di secondo, mentre se ne andava, seguendo Ichigo.
Perché le era sembrata come una promessa?
 
 
E infatti, erano tornati. Non era neanche finita la pausa pranzo che si era di nuovo trovata Orihime seduta al suo fianco, intenta a mangiare con gusto uno dei suoi soliti bentō assortito discutibilmente.
Le posò una mano sui capelli, sistemandole distrattamente una ciocca più in disordine delle altre.
   Aveva combattuto anche lei?

   « Grazie, Tatsuki-chan. », le sorrise, con quell’aria spensierata che di solito aveva il potere di calmarla. « Ne vuoi un po’? », le chiese poi, allungando verso di lei le bacchette che tenevano qualcosa di indistinto, sul giallognolo.
   « N-... No, non ho fame. », replicò, alzano le mani in segno di scusa.
   « Oh... beh, non importa. », e riprese a mangiare come niente fosse, canticchiando. Orihime dopotutto era abituata alle persone che non condividevano i suoi bizzarri gusti culinari.
Tatsuki la guardò mangiare per qualche minuto, appoggiando il viso contro una mano, persa nei suoi pensieri. Poi finalmente si alzò, non riuscendo più a sopportare la tensione che le si stava accumulando addosso. Aveva bisogno di camminare. Di starsene un po’ da sola.
   « Vado un attimo in bagno. »
   « Fuoi che fi accompfagni? », bofonchiò l’amica con la bocca piena, deglutendo in fretta e rischiando quasi di strozzarsi.
   « Tranquilla, non ce n’è bisogno. »
   « Sì, Arisawa non risente della solidarietà femminile che spinge le ragazze ad andare in bagno in gruppo! », s’intromise Asano, ancora risentito per la questione appunti.
   « Sei scortese, Asano-san. In fondo anche Arisawa è una ragazza ». Gli avrebbe fatto una statua, a Kojima Mizuiro e alla sua cavalleria. « Anche se non si direbbe... », aggiunse a bassa voce con un sorriso, convinto di non essere sentito. Ecco, adesso la statua gliel’avrebbe distrutta a calci.
Aspettò che Orihime avesse finito di tossire, dandole pacche sulla schiena, poi lasciò la classe.
Aveva davvero bisogno di starsene un po’ da sola. E di prendere un po’ d’aria, magari, pensò, fermandosi a prendere un succo di frutta al distributore automatico.
La pioggia non aveva smesso di cadere, anzi, si era fatta più forte. Per questo era convinta che non ci sarebbe stato nessuno sul tetto della scuola.
Come si sbagliava.
Arrivata in cima alle scale, provò ad aprire la porta, senza riuscirci. Era chiusa...? Riprovò ad aprirla, spingendo con tutte le sue forze. Sì mosse di qualche centimetro, ma non di più, come se ci fosse qualcosa davanti che la bloccava. Stava per dare un'altra spinta, quando la resistenza che faceva si annullò in un secondo, rischiando di farle perdere l’equilibrio.
   « Oh, ma si può sapere che cazzo vuo-...?! », sbottò quel qualcosa che fino a pochi secondi prima bloccava la porta. Era seduto per terra, rannicchiato contro la parete, sotto il tetto che riparava giusto l’ingresso del terrazzo colpito dalla pioggia incessante.
Sembrava un... un gatto che si rifugia come può dall’acqua. ... Che paragone stupido.
Grimmjow ammutolì sorpreso, vedendola. Poi, poggiando il braccio sul ginocchio della gamba piegata, inaspettatamente, distolse lo sguardo.
Non l’aveva mai fatto.
Si chiese se fosse successo qualcosa. Forse durante lo scontro di prima. Magari era rimasto ferito-... Che cretina, si stava veramente preoccupando per lui?, si rimproverò nella sua testa, scuotendola.
Tornò a guardarlo, fu quasi più forte di lei.
Eppure, nonostante la sua aria sicura e decisa, dovevano esserci cose... che turbavano anche lui, cose che lo spingevano a voler stare... solo.
Sì, lo guardava e le sembrava incredibilmente solo in quel momento. Come qualcosa di diverso, fuori posto, che non c’entrava niente col suo mondo. Forse anche lui si sentiva così. Non era umano, dopo tutto, eppure era costretto a comportarsi come tale. Chissà perché lo faceva, poi...
Aveva i capelli bagnati, notò. La pioggia glieli aveva fatti ricadere sul viso in modo disordinato, senza il gel a domarglieli come al solito. Grimmjow piegò la testa all’indietro appoggiandola al muro, e si passò una mano tra le ciocche ribelli, inarcando un sopracciglio, guardandola appena.
   « Hai intenzione di startene lì in piedi ancora per molto? Lo sai che se mi giro riesco a vederti sotto la gonna? »
Istintivamente, Tatsuki si portò le mani alla gonna, arrossendo e tirandola più che poteva. Gesto che lo fece sorridere, anche se lo sguardo di lei rimaneva di fuoco. La osservò tentennare per qualche secondo, indispettita, per poi sedersi al suo fianco, tenendo le gambe ben strette.
   « Cosa... cosa ci fai qui? »
   « Fatti miei, non ti impicciare. Tu, invece, che ci fai qui? »
   « ... Fatti miei. », replicò lei a sua volta, appoggiandosi al muro.
Rimase in silenzio, non sapendo bene cos’altro dire. Per qualche strano motivo, si sentiva nervosa. Sarà stata la preoccupazione per prima, che non era ancora del tutto scemata. Saranno anche stati i commenti stupidi dei suoi compagni di classe, che anche se non lo voleva ammettere, un po’ la ferivano.
Sarà stato soprattutto che una parte di lei avrebbe voluto stare da sola, perché in quel momento si sentiva vulnerabile. Eppure, guardandolo, anche se sulle sue labbra si era dipinto il solito sorriso beffardo, vedeva... la stessa cosa. Per questo anche lui si era rifugiato lì, da solo, piuttosto che andare a tormentare qualche povero primino come spesso lo beccava a fare. O forse stava solo interpretando le cose nel modo sbagliato. Forse stava solo... cercando somiglianze con sé stessa che non stavano ne in cielo né in terra.
... Forse semplicemente, non voleva così tanto rimanere da sola.

Fissò la pioggia cadere. La campanella che segnava la fine della pausa pranzo doveva essere già suonata. Non aveva voglia di tirare fuori il cellulare per controllare. Così si limitò a scartare la cannuccia del succo di frutta e a infilarla nel cartone, portandosela alle labbra. Se per una volta avesse fatto tardi, non sarebbe crollato il mondo.
Grimmjow la osservò bere per qualche secondo, poi, senza tanti complimenti, con uno scatto veloce che non riuscì neanche a bloccare, le fregò il contenitore.
   « Ehi! », esclamò Tatsuki colta alla sprovvista, fulminandolo con lo sguardo.
   « Aah, ci voleva. Avevo giusto sete. Però potevi prendere l’affare con il latte, eh. », sbuffò, tirando su dalla cannuccia e tornando ad appoggiare la testa alla parete, chiudendo gli occhi.
A fatica, decise di non ribattere. Non aveva voglia di litigare, e poi l’idea di quell’energumeno che si beveva del latte le faceva passare ogni voglia di discutere. Così si limitò a riprendersi il succo di frutta con malagrazia, senza neanche girare il verso della cannuccia. Non voleva che pensasse che le facesse schifo bere da dove l’aveva fatto lui, appoggiare le labbra dove l’aveva fatto lui. Ma perché diavolo non voleva che lo pensasse...? Distolse lo sguardo, cacciando quei pensieri.
   « ... Sai, ti ho visto, quella volta. Vi ho visti, tu ed Ichigo. », se ne uscì all’improvviso dopo un po’. Non che quel silenzio le dispiacesse, anzi. Era strano stare in silenzio con lui, senza che partissero frecciatine o frasi pungenti, o ancora, minacce più esplicite. Però il solo rumore della pioggia la intristiva ancora di più.
   « Quando? », chiese lui, sempre con gli occhi chiusi, aggrottando appena la fronte.
   « Quando stavate combattendo, qui a Karakura. Era notte. E... ora che ci penso, non hai neanche sfoderato la katana. »
Grimmjow rimase a pensare per qualche secondo, cercando di ricordare. Non si era minimamente accorto della presenza di nessun’altro. Era talmente... preso a pestare Kurosaki che nient’altro contava per lui. Distruggere, distruggere, distruggere.
Erano cambiate tante cose, da quel momento. Lui... si sentiva in qualche modo cambiato. Non aveva ancora capito perché, solo... i panni dell’Arrancar che rappresenta la distruzione, ormai, gli stavano stretti.
Voleva... qualcosa di più. Provare qualcosa di diverso, oltre al bisogno di combattere, alla sete di distruggere qualsiasi cosa. Si diede del coglione. Forse si stava solo immedesimando troppo nell’umano che era costretto ad interpretare.
   « ... Ma anche senza di quella, gli stavo facendo il culo. », rispose con noncuranza.
Tatsuki voltò la testa verso di lui, sconcertata. Anche lui piegò leggermente la testa di lato, aprendo un occhio per guardarla, e accennando a un sorriso, al quale lei si trovò a rispondere senza neanche rendersene conto.
   « ... Vero. »
Così anche lei sapeva sorridere. In un modo tutto suo, tendendo appena gli angoli della bocca, lasciando solo intravvedere i denti bianchi, tra cui teneva la cannuccia del succo di frutta. Aveva un aria divertita, un po’ perfida, con lo sguardo perso nel vuoto mentre pensava a chissà cosa, forse a quando era capitato a lei di pestare Kurosaki - ed era sicuro che le fosse capitato. Sembrava quasi una bambina.
Anche quell’espressione... le donava.

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Capitolo 2
*** C'era una volta un gatto con gli stivali... ***


NDA: ... Alla fine sta diventando una long. Checcazzo, oh. [perdono per la scurrilità!]
Non prometto niente, quindi. Forse finirà nel dimenticatoio come le altre, forse... forse no. In fondo si tratta del GrimmTatsu, mica pizze e fichi. E io li amo, li amo troppo. ;W; /fangirl mode on/
Comuuunque, questo capitolo è stato davvero un parto, soprattutto la seconda parte. Tanto che mi sono vista costretta a tagliarlo “a metà”, diciamo, e pure sul più bello [TROLLOL]. Quindi il prossimo capitolo riprenderà esattamente dallo stesso punto.
E niente, spero di aver reso bene il POV di Grimmjow, senza sviare – più che nell’OOC – nell’assurdo più totale. Boh. Ditemi voi se sono riuscita a spiegare bene quel che volevo spiegare. x°D
Ah! Qui ho dato anche un po’ più di spazio a Orihime, con un vaghissimo e sottilissimo accenno a... un cuore. Piango. Però non penso che approfondirò più di tanto questo punto in particolare. Anche perché di FF UlquiHime ne ho scritte abbastanza. x°D
Poooi, nel prossimo capitolo, penso che darò un po’ più di spazio anche al nostro fragolino preferito.
Beh, buona lettura. E grazie a tutti quelli che mi seguono e recensiscono, mi riempite di gioia.
 
-
 
Non se lo sapeva spiegare.
In fin dei conti, tra loro non era cambiato niente. Litigavano come prima, si provocavano e minacciavano a vicenda come prima. Ogni volta che si incontravano, anche per caso, partivano le scintille.
Kurosaki-kun aveva chiesto a lei di chiudere un occhio, così come aveva tirato uno scappellotto a lui – ricevendo in risposta una ringhiata degna del re dei felini –, intimandogli di darci un taglio.
Ma a dispetto delle buone intenzioni del ragazzo, tra loro non era cambiato proprio niente.
O almeno, questo era quello che passava a prima vista.
Inoue Orihime li osservava ogni tanto, tenendosi a distanza, un po’ preoccupata. Conosceva Tatsuki meglio di chiunque altro, forse anche meglio di Ichigo, col quale, nonostante anni e anni di amicizia, faceva ancora fatica a mostrare i lati più deboli del suo carattere.
Ma con Orihime era diverso. Il loro rapporto ormai era qualcosa di tanto lontano dall’amicizia quanto era vicino a un amore tra sorelle. Condividevano tutto. E anche quelle volte che Tatsuki cercava di nascondere le sue preoccupazioni, o Orihime la paura che a volte la prendeva al pensiero di quanto più grande di lei fosse quella situazione in cui si era cacciata, anche in quei momenti che ostentavano un sorriso pur di non far preoccupare l’altra, entrambe si conoscevano così bene da capire se quel sorriso fosse falso oppure no.
Per questo Orihime non riusciva a capire.
  « Ah, già, Tatsuki-chan! Ho notato che hai fatto, uhm... amicizia con Grimmjow. Sono contenta. Ha proprio bisogno di qualcuno che lo aiuti ad ambientarsi... », aveva provato a buttare lì, sgranocchiando una patatina, durante uno dei tanti pomeriggi passati a casa dell’amica studiare, o almeno, a tentare, perché lo studio si trasforma presto in pettegolezzi, quando due ragazze adolescenti si trovano nella stessa stanza.
Si era sforzata di farla passare per una domanda casuale.
Tatsuki l’aveva fissata per qualche secondo, sbattendo le palpebre. Sembrava sinceramente perplessa, quasi come non sapesse neanche chi fosse quel “Grimmjow” che aveva nominato.
  « ... Orihime, scherzi, vero? »
  « Eh? No. », era stato il suo turno, di essere confusa.
  « Spiegami come diavolo farei ad essere amica di quell’idiota arrogante! Ci vado d’accordo come un odiosissimo quarto posto a una competizione di karate! Che adesso non danno neanche più le medaglie a quelli sotto al podio, accidenti a loro... », aveva borbottato tra sé e sé, frustrata, tormentando con i denti l’innocente tappo della penna che teneva in mano.
Orihime si era stesa sul basso tavolino in legno e aveva appoggiato il mento sulle mani, osservandola con attenzione.
Le era sembrata sincera.
Eppure... il giorno dopo aveva visto una cosa che non si sarebbe mai aspettata.
Stava uscendo dalla classe per il cambio dell’ora. Ad un certo punto, uno dei libri che teneva in bilico in braccio, le era scivolato, cadendo per terra, così con un sospiro sconsolato si era fermata per raccoglierlo, rimanendo indietro rispetto al resto dei suoi compagni.
E in quel momento, li aveva visti.
Istintivamente si era tirata indietro, nascondendosi dietro lo stipite della porta. Non dovresti spiare, Orihime, non è giusto... Non ti fidi più di Tatsuki-chan?
  « Fila in classe, oppure lo segnalo in presidenza. », l’aveva sentita dire a un Grimmjow appoggiato tranquillamente al muro, con le mani in tasca e cosa... una cannuccia?, tra le labbra, mentre anche  lei si fermava e rimaneva indietro rispetto al resto della classe. Orihime si chiese perché Grimmjow avesse deciso di saltare le lezioni proprio appoggiato al muro fuori della classe in cui si trovava Tatsuki.
  « Ma sentitela, la studentessa modello. Quella che l’altra volta ha bigiato con me tutto il pomeriggio. », le aveva risposto lui, aprendosi in un sorriso canzonatorio. Per poco Orihime non fece cadere nuovamente i libri terra. Tatsuki non bigiava mai le lezioni, e probabilmente era quella che aveva fatto il minor numero di assenze in tutta la scuola. La chiamava “etica da membro del Comitato Disciplinare”.
  « Dieci minuti. Ho saltato dieci minuti, non tutto il pomeriggio. Non ti avrei retto per due ore di seguito, saresti finito in terapia intensiva. »
  « La studentessa modello che picchia poveri studenti indifesi senza motivo? Questo sì che sarebbe da segnalare in presidenza... », sorrideva, continuava a sorriderle, con noncuranza. Orihime lo aveva visto tante volte sorridere. E non poteva negare che a volte aveva avuto paura di quel sorriso, così sadico, così disinibito. Da un paio di mesi a quella parte, aveva imparato, o almeno, tentato di farci l’abitudine. In ogni caso cercava di tenersi a distanza da Grimmjow, anche per altri motivi oltre alla soggezione che le incuteva. Quel sorriso sadico le ricordava cose che avrebbe voluto con tutta se stessa dimenticare. Cose che però continuavano a stringerle... il cuore.
Di lui non aveva avuto paura neanche un solo istante.
Scosse la testa, imponendosi di smetterla di pensarci. Per qualche motivo che non capiva, farlo le faceva male.
Stringendosi la leggera camicia tra le dita, proprio dove sentiva quella fitta, si sporse di qualche centimetro, facendo capolino dalla porta. Stava cominciando a farsi tardi. L’insegnante probabilmente si stava chiedendo dove fossero finite.
Ma a Tatsuki non sembrava importare. Guardava Grimmjow, con le braccia incrociate e un sopracciglio inclinato. Quando si erano avvicinati così tanto? Orihime non se n’era neanche resa conto.
  « Sarebbe la mia parola contro la tua. E poi potrei sempre dire che è stata legittima difesa, che avevi provato ad allungare le mani. Chi sarebbe la povera studentessa indifesa, adesso, eh? »
   « Questo si chiama abuso di potere. »
Ed erano rimasti a fissarsi per qualche secondo, come divertiti da qualcosa che potevano vedere solo loro negli occhi dell’altro.
  « Muoviti, vai in classe. », aveva ripetuto alla fine Tatsuki, tirandogli un leggero pugno sulla spalla.
Grimmjow le aveva lanciato un ultima occhiata, un ultimo sorriso, e poi era sparito dietro all’angolo del corridoio, anche se probabilmente in classe non ci era andato lo stesso.
Non era niente.
Non sapeva neanche lei che cosa avesse visto che tanto l’aveva turbata.
Eppure Orihime si sentiva come se li avesse sorpresi a baciarsi. C’era qualcosa, nei loro sguardi, nel modo in cui si erano sorrisi, che non si sapeva spiegare.
Il sorriso di Grimmjow non era spaventoso come era abituata a vederlo.
Quello di Tatsuki non era seccato come sarebbe dovuto essere per un quarto posto senza medaglia.
 
 
   « Ma scusa... il re non è mica il leone? »
Tatsuki non sapeva neanche come fossero finiti a parlare di quell’argomento.
Era tutto cominciato da una battuta stupida, quando l’aveva visto bere da quel famoso cartone di latte con la cannuccia, che vendevano ai distributori automatici e che quasi nessuno comprava. L’altra volta allora, era serio.
Non aveva resistito, le era venuto da ridere. Scherzando, gli aveva dato del gatto, e in tutta risposta Grimmjow aveva mostrato i denti, come se stesse soffiando. Lui era una pantera, non un misero gatto. Non insultare il re, femmina.
   « In che senso una pantera? »
A differenza della volta precedente, quel giorno c’era il sole. E visto che c’era il sole, l’insegnante di educazione fisica di Tatsuki aveva pensato bene di portarli fuori a giocare a calcio, e trovando fuori un’altra classe, avevano improvvisato un torneo. In quel momento la squadra di Tatsuki era in pausa, aspettando il proprio turno di giocare, così lei era andata a bere e a rinfrescarsi un po’ alle fontanelle d’acqua potabile che si trovavano in fondo al campetto da calcio. L’estate si stava avvicinando, e si faceva sentire in tutto il suo calore.
Dopo aver bevuto letteralmente come un cammello, si era appoggiata al bordo del lavabo asciugandosi la bocca col dorso della mano e strizzando gli occhi per l’intensa luce. Gli altri suoi compagni di classe e anche quelli della classe avversaria, che come lei stavano aspettando di giocare, erano sparsi per il cortile, facendosi i fatti loro. Il bello dei tornei improvvisati era proprio il tempo libero che si guadagnava durante le pause. A dirla tutta, lei avrebbe giocato volentieri anche tutte le partite, facendo la spola tra le squadre, piuttosto che aspettare come stava facendo. Le piaceva giocare a calcio. Mooolto femminile, pensò con un sorriso ironico.
Indecisa su come ingannare il tempo, aveva optato per fare un po’ di stretching per scaldarsi sullo spiazzo erboso davanti al campetto. C’erano anche delle zone d’ombra create dagli alberi, sarebbe stato perfetto.
Sì, sarebbe stato perfetto se non fosse stato che spaparanzato a prendere il sole come se fosse al mare, c’era Grimmjow. Ditemi che è uno scherzo..., si lamentò mentalmente, chiedendosi se la diabolica mente che scriveva il suo destino si divertisse a farglielo incontrare nei momenti più impensabili.
Rimase a guardarlo da lontano, esitante. Era sdraiato per terra, con le braccia incrociate dietro la testa. In equilibrio sul petto teneva il famoso cartoncino di latte, verso il quale ogni tanto faceva l’immenso sforzo di allungarsi per prendere un sorso dalla cannuccia. Tatsuki inarcò un sopracciglio, tra l’allibito e il divertito. Allora il latte lo beveva davvero.
Non voleva avvicinarglisi e fargli credere di essersi messa lì apposta perché c’era lui. Eppure non voleva neanche lasciarsi condizionare dalla sua presenza. In fondo, aveva deciso di andare lì prima di rendersi conto di lui. Perché doveva cambiare i suoi piani solo per non dargli l’impressione sbagliata? L’avrebbe semplicemente ignorato, ecco.
Così si decise a raggiungere lo spiazzo erboso quasi perfetto, sedendosi a distanza di qualche metro da lui.
Grimmjow teneva gli occhi chiusi, non sembrava aver notato la sua presenza. Eppure le pareva impossibile. Forse la stava ignorando di proposito. E quel pensiero, per qualche motivo, la irritava.
Tornò anche lei al suo proposito di ignorarlo, piegandosi sulle gambe e tendendo le braccia, tenendo lo sguardo fisso sui lacci delle sue scarpe. Ma durò un attimo, e con la coda dell’occhio tornò a guardarlo.
Non l’avesse mai fatto.
Grimmjow si era perfettamente accorto della sua presenza. In fondo aveva imparato a distinguere la sua reiatsu da quella degli altri umani in quella scuola. Non forte come quella di Kurosaki, figuriamoci, neanche come quella di Inoue Orihime. Eppure abbastanza grande da distinguersi dalle altre. E in ogni caso, avrebbe riconosciuto il suono dei suoi passi decisi tra altri mille. Li trovava inconfondibili.
Per un attimo si era chiesto se fosse venuta a parlargli. Così si era dato un aria rilassata, aspettando che fosse lei a farsi avanti. Ma non l’aveva fatto. E allora, senza farsi notare, aveva voltato appena la testa nella sua direzione, aprendo un occhio per guardarla. Si stava stirando i muscoli con noncuranza, dedicandogli attenzioni quanto a una formica.
Ah sì...?
Tatsuki indossava una maglietta bianca con un simbolo a sinistra, sul petto, e dei corti pantaloncini blu, con delle strisce bianche sui lati. Anche Grimmjow portava la stessa tenuta, con l’unica differenza che i suoi erano bermuda lunghi fino al ginocchio. Era la tuta estiva della scuola, che Kurosaki gli aveva lanciato qualche giorno prima, avendo scoperto che non l’aveva ancora ordinata presso la segreteria.
   « Fai ginnastica. E piantala di saltare le lezioni, che poi rompono a me perché i miei familiari, che stranamente si iscrivono tutti a questa scuola, fanno casino. », gli aveva semplicemente detto, puntandogli un dito contro il petto. Grimmjow era stato sul punto di replicare che non gliene fregava niente, ma Kurosaki era sparito tanto velocemente quanto si era fatto vivo nella sua classe, mollandogli quel pacchetto con dentro la tuta.
Non aveva la minima intenzione di metterla, come non ne aveva di seguire le lezioni o di fare ginnastica.
Però proprio quando stava per svignarsela fuori dalla scuola, il vecchio bastardo che si era ritrovato come insegnante di educazione fisica l’aveva beccato, e l’aveva costretto a seguire il resto della classe verso il campo da calcio. Aveva dovuto chiamare a raccolta tutta la pazienza che non possedeva per non arrostirlo a suon di cero. Se no poi rompono al povero Kurosaki, eh.
Ma quando quel vecchio gli aveva messo in mano il pallone di cuoio, chiedendogli se fosse capace di giocare, non aveva resistito. Grimmjow l’aveva stretto tra le dita, fino a farlo scoppiare con un sonoro botto. Così il prof aveva capito che era meglio lasciarlo cazzeggiare in pace, se non voleva finire nello stesso modo.
Quella stupida tuta, però, aveva dovuto mettersela. Beh, quel giorno faceva caldo. Tanto valeva.
Già. Faceva caldo.
E Grimmjow non avrebbe certo permesso a lei, alla sua preda, di ignorarlo.
Si sfilò una mano da dietro la testa, stiracchiandosi e sbadigliando. Sapeva che Tatsuki lo stava guardando. Si sentiva i suoi occhi addosso, anche se probabilmente lei cercava di nasconderlo. Così, come niente fosse, si portò la mano alla pancia, infilandola sotto la maglietta e tirandosela su per grattarsi, lasciando scoperto il torace muscoloso. Poi, come se già non fosse stato abbastanza, aveva fatto scendere la mano verso il bordo dei pantaloni, abbassandoli leggermente... E all’improvviso un colpo e una fitta al fianco.
Una scarpa. Ahia.
   « Datti un contegno, dannazione! », gli urlò dietro Tatsuki, indignata, con le guance rosse per l’imbarazzo.
Era sicura al mille per cento che se non gli avesse lanciato dietro la scarpa, quel pallone gonfiato avrebbe finito per infilarsi una mano nelle mutande, pur di farla reagire in qualche modo. E infatti era scoppiato a ridere, come se si fosse aspettato quella reazione. La mandava in bestia.
   « Non puoi andare in giro con pantaloncini così corti e pretendere che mi dia un contegno... », le rispose, rivolgendole un sorriso malizioso e porgendole la scarpa, che teneva per la stringa. Tatsuki se la riprese, limitandosi a fulminarlo con lo sguardo per quel commento, ancora più imbarazzata.
Ed ecco che i suoi buoni propositi di ignorarlo erano andati a farsi friggere, mentre quelli di Grimmjow di non farsi ignorare erano andati decisamente in porto.
Avevano continuato a beccarsi per un tempo indefinito, tanto che Tatsuki non si era neanche accorta di essersi persa il suo turno per giocare. Grimmjow assorbiva letteralmente tutta la sua rabbia, la sua indignazione, e sì, anche il suo divertimento. Insomma, tutta la sua attenzione.
E poi, chissà come, erano finiti a discutere di gatti, pantere, e re.
   « In che senso una pantera? »
Lentamente, il sorriso gli si era spento sulle labbra, mentre una nuvola passeggera oscurava il sole.
Dopo un attimo di esitazione, in cui aveva pensato di sviare la domanda, Grimmjow aveva alzato gli occhi al cielo, schermandoseli con una mano, e aveva iniziato a parlare.
Di quando era un Adjuchas, di quando era diventato Arrancar e poi Espada. Della prima volta che aveva incontrato le sue ormai cineree fracciòn, di Aizen, dello stesso Kurosaki. Di se stesso, del... re. Le parole uscirono senza freni. Avrebbe voluto controllarle, avrebbe dovuto, forse. Un umano non poteva ascoltare quelle parole senza rimanerne... disgustato. E Tatsuki, nonostante tutte le volte in cui ai suoi occhi si era dimostrata più di una semplice umana, lo rimaneva in ogni caso. Quanto le aveva raccontato Kurosaki? Quanto aveva capito di lui quella volta che l’aveva visto combattere?
Distruggere, distruggere, distruggere.
Quanto le aveva fatto paura, quanto le aveva fatto... schifo?
In effetti, lui era un mostro. Un mostro che aveva mangiato anime di umani, anime di suoi simili pur di sopravvivere. Il fatto che adesso, per il patto che aveva fatto con la Soul Society, non lo facesse più, non cancellava niente del suo passato.
Per la prima volta in vita sua, avvertì il peso di tutte le vittime a cui aveva strappato la vita e la carne coi suoi denti e artigli affilati. E inaspettatamente sentì come... un senso di vergogna. Come se stesse confessando dei peccati, e avesse... paura di essere giudicato. Da lei, in un certo senso così... umana e innocente.
Ma Tatsuki lo ascoltava, senza battere ciglio e dire una parola, e lui non poteva capire che cosa le stesse passando per la testa in quel momento. Anche perché non riusciva a guardarla negli occhi, che tenne fissi verso il cielo fino alla fine di quel macabro “c’era una volta un gatto con gli stivali...”.
Avrebbe dovuto fermarsi. Anzi, non avrebbe neanche dovuto iniziare a parlare. Grimmjow cominciò a pensare di aver commesso un errore nello stesso istante in cui serrò i denti, a favola finita.
Ecco... l’aveva spaventata.
Ma forse non era stato un errore. Lui non era il tipo da raccontare balle. Per cosa, poi? Apparire migliore ai suoi occhi? No, quella era la verità nuda e cruda, ed era giusto che lei la sapesse.
E adesso... adesso trema, umana, di fronte al re. Non riusciva più a pensarlo con lo stesso orgoglio della prima volta.
Si coprì gli occhi con il dorso della mano.
Silenzio. Silenzio interminabile, silenzio assordante.
   « Ma scusa... il re non è mica il leone? »
 
Un pugno nello stomaco, probabilmente, lo avrebbe colto meno alla sprovvista. Piuttosto, avrebbe capito se gli avesse tirato un’altra scarpa, se si fosse messa a sbraitare “mostro!”, se fosse scappata via, pure se fosse scoppiata in lacrime, anche se non era esattamente un’immagine di lei che riusciva a conciliare con quella che ormai si era formata nella sua testa, e che, nonostante non lo volesse ammettere, aveva preso ad occupare un bel po’ di spazio.
Senza neanche rendersene conto, si era trovato a voltarsi e a guardarla. Decisamente, un pugno sarebbe stato più comprensibile.
E invece no.
Sorrideva.
Come l’altra volta, come la prima volta che l’aveva vista farlo. In quel modo sottile, quasi furbo, come se lei vedesse qualcosa di cui lui non poteva rendersi conto. Sorrideva, con un sopracciglio alzato. Nei suoi occhi, però, poteva leggere la consapevolezza delle sue parole. Erano seri, in contrasto con la sua espressione.
Eppure continuava a guardarlo, senza tremare.
Perché?
 
Fino a quel momento, forse, Tatsuki non se ne era mai resa completamente conto. Certo, lei lo sapeva, Ichigo gliel’aveva spiegato.
Ma non aveva capito niente.
Semplicemente guardandolo, aveva avvertito fin da subito che non era umano. Ormai aveva imparato a percepire le forze spirituali delle persone, degli Shinigami, degli Hollow; Kuchiki le aveva detto che si chiamavano reiatsu.
Quella di Grimmjow era schiacciante. Anche se la tratteneva, non riusciva a reprimerla del tutto. Ma anche se non fosse stata in grado di percepire quel particolare che lo distingueva tanto dagli altri, ogni cosa di lui, nonostante indossasse la divisa scolastica, nonostante si mischiasse agli altri studenti, era diversa dal concetto di umanità.
L’entità di quella differenza, però, non l’aveva mai capita.
E neanche... la somiglianza.
Non l’aveva guardata neanche per un secondo. Aveva tenuto lo sguardo fisso verso il cielo, un po’ perso nel vuoto, un po’ perso nei ricordi. Poi si era coperto gli occhi, quasi con stanchezza, quasi con rassegnazione. Come un gatto insonnolito. Pardon, pantera.
Guardami.
Non si potevano trovare scusanti per nessuna delle cose che le aveva detto. Semplicemente, non ce n’erano.
Era la sua natura.
Non era quello però che le aveva fatto finalmente aprire gli occhi su di lui. Non i brividi che per un attimo le erano corsi lungo la schiena, non la stretta allo stomaco quando le aveva parlato di quello che poteva benissimo essere definito cannibalismo.
Ma il suo tono, la sua voce. Il suo sguardo perso nel vuoto. Le sue parole intrise di... consapevolezza delle sue azioni, e forse anche di qualcosa di simile alla vergogna.
Grimmjow era più umano di quanto lei credesse. E pian piano, lo stava diventando sempre di più, senza che neanche lui stesso se ne rendesse conto.
Le era sembrato solo, quella volta, sul tetto. Adesso le sembrava incredibilmente stanco. Di cosa? Di se stesso? Della vita che aveva condotto fino a quel momento? Avrebbe voluto chiederglielo, ma con tutta probabilità lui non avrebbe risposto. Le cose più difficili da confessare sono quelle che non si riesce neanche ad ammettere con se stessi. E Grimmjow era talmente orgoglioso che forse non avrebbe mai ammesso una cosa del genere.
   « Ma scusa... il re non è mica il leone? »
Voleva semplicemente che la guardasse. Voleva leggere la risposta nei suoi occhi, capire se... poteva davvero iniziare a considerarlo ancora più umano di quanto fino a quel momento avesse fatto.
Le bastò un attimo, un battito di ciglia.
La risposta era indubbiamente .

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Capitolo 3
*** E dire che all'inizio tutti pensavano che la Draghessa di Shrek fosse un maschio. ***


NDA: Grimmjow alle prese con le farfalle nello stomaco. AWW. Che cosa cariiina. x°D
However, questo capitolo sarà piuttosto incentrato sulle parti del corpo. Eh eh. Non pensate male, zozzoni. 8D
Comunque, mi sono divertita molto a scriverlo, e spero di essere riuscita a spiegare un po’ di più cosa si nasconde dietro la psicologia di Tatsuki. Quanto è bella, quanto la amo. ;W;
E spero anche di non star andando troppo velocemente a farli prendere così uno dall’altra. Ma vedete, il mio cuore di fangirl esige amore... ♥
Ichigo lo rimandiamo alla prossima volta, se no si fa troppo lungo. Aspettatevi pure uno stralcio di Nee-san! =v=
 
-
 
In qualche modo, si era sentito di colpo più leggero.
Nello stesso istante in cui aveva incrociato il suo sguardo, in cui aveva visto il suo sorriso. C’era qualcosa di incredibilmente fuori posto nella sua reazione, qualcosa che... gli fece venire voglia di ridere.
Quell’umana non finiva mai di sorprenderlo. Era assurdo. No, lei era assurda.
Perché?
Per un attimo aveva quasi sperato che scappasse via. Che si allontanasse, e tutta quella situazione assurda finisse lì, prima che potesse anche solo cominciare. Sarebbe stato giusto così, sarebbe stato anche meglio. E non solo per lei. Grimmjow non era così altruista da pensare semplicemente al bene degli altri.
Il vero problema stava nella sua testa, o forse un pochino più in basso, all’altezza del petto, e ancora più in basso, dove nella sua anima ci sarebbe dovuto essere un buco, un vuoto.
Non sapeva dare una spiegazione alla sensazione, alla stretta, che aveva sentito quando aveva alzato lo sguardo verso di lei. Era come se davvero gli avesse dato un pugno nello stomaco.
Ma la cosa più strana, era che non faceva male. Per niente.
Perché?
Perché cazzo... mi stai sorridendo così?
Si portò nuovamente il dorso della mano sulla fronte, scuotendo il capo. Era davvero tutto così assurdo che non poteva fare altro che ridere, e rispondere al suo sorriso.
   « ... Le pantere sono più eleganti. », asserì poi con convinzione, girandosi nuovamente verso di lei e spostandosi su un fianco per guardarla meglio, con la testa appoggiata a un pugno.
Alle sue parole, anche Tatsuki si lasciò andare a una risata.
   « Elegante?! Tu? », replicò, chinandosi su di lui e dandogli una leggera spinta sulla spalla, facendolo cadere nuovamente sdraiato. Le era venuto spontaneo cercare un contatto. Nello stesso istante in cui aveva incrociato il suo sguardo, in cui aveva visto il suo sorriso. Anche quel minimo di paura che aveva provato durante il suo racconto, era sparito in meno di un secondo.
Lo faceva sempre, gli parlava, lo toccava, gli si avvicinava, sempre con leggerezza, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Forse non se ne rendeva conto neanche lei stessa, ma Grimmjow sì. Lo notava eccome. Anche quella lieve spinta, anche se era stata sulla spalla, gli era valsa come un altro pugno nello stomaco.
Si tirò su puntellandosi sui gomiti, per poi rispondere a sua volta, spingendola appena.
   « Ma che vuoi?! Non è colpa mia se sei cieca e non riesci a vedere il mio fascino. », si atteggiò, facendole una smorfia derisoria.

Oh, come si sbagliava.
Tatsuki aveva degli occhi perfettamente funzionanti. E non è che fosse... immune al suo fascino.
Non si poteva negare che fosse... beh, bello. Aveva dei lineamenti marcati, eppure affilati. Un bel profilo, un naso dritto. Occhi sottili, di un azzurro intenso, così rari lì in Giappone, non ne aveva mai visti da vicino, se non in fotografia, o in qualche film. Per qualche strano motivo, prima era convinta che gli occhi chiari fossero in un certo senso piatti, poco profondi e privi di espressione, a differenza di quelli scuri. Prima... sì, prima di incontrare quegli occhi chiari. In quelli rischiava di annegarci dentro, tanto erano profondi.
E poi, la cosa che la colpiva di più. Quel sorriso che... dannazione, dannazione, dannazione. A cosa stai pensando, Tatsuki?!
   « Scusa tanto, ma mica tutti possono avere i tuoi occhi di lince. Ah, no, com’era? Pantera. », lo schernì a sua volta, scandendo bene le parole.
Grimmjow le fece un’altra smorfia, avvicinandosi e fissandola con arroganza. « Ah ah ah. Ti credi così divertente? »
   « Scusa, forse tu non ti diverti? Magari preferiresti un gomitolo... »
   « Sinceramente? Preferirei altro latte... », replicò, lanciando di sfuggita uno sguardo al suo seno.
Ed eccolo ancora. Il suo sorriso.
Era così... spontaneo. Infantile e malizioso al tempo stesso. Ed era contagioso, fin troppo. Tatsuki si ritrovava a rispondergli quasi contro il suo volere, anche quando avrebbe voluto rimanere seria, immancabilmente... si trovava a sorridergli anche lei.
Le sembrava di avere a che fare con un bambino. Un bambino alto un metro e ottantasei centimetri, e pettorali quasi più grossi della sua terza di reggiseno – che in quel momento era oggetto di occhiate poco gradite –, ma insomma...
Certo che era un tipo strano. Forse troppo strano, ma era anche questo che... che la affascinava. Sì, va bene?! Tanto valeva ammetterlo, ormai.
Quando stava con lui, anche solo quando gli parlava in quel modo, scherzando, provocandolo, si sentiva attirata in un mondo completamente diverso, in cui contava solamente il suo sguardo e il suo dannato, dannatissimo sorriso. E la parte di se che tendeva a non mostrare agli altri, quella capace di arrossire, di ridere senza preoccupazioni, veniva fuori così, spontaneamente.
Si rese conto che era stato così fin dall’inizio. Anche ai primissimi tempi, quando non facevano altro che fissarsi in cagnesco da lontano, minacciandosi a suon di fulmini, in quei momenti... esisteva solo lui.
Era qualcosa che non capiva, e che sinceramente, aveva anche un po’ paura di capire, perché era la prima volta che provava quel qualcosa di indefinito.
Eppure non riusciva proprio a trovare un salvagente per tirarsi fuori da quegli occhi così azzurri.
 
   « Arisawa? »
Tatsuki alzò lo sguardo a sentirsi chiamare da una voce non familiare, distogliendo l’attenzione da Grimmjow. Per un attimo provò irritazione. Non è che quel salvagente lo volesse così tanto, in fin dei conti.
La voce che l’aveva chiamata, apparteneva a un ragazzo che come pensava non conosceva. Se ne stava fermo con la mani nella tasche della tuta, in piedi a qualche metro di distanza da loro, e la fissava con un aria indecifrabile. Tatsuki inarcò impercettibilmente le sopracciglia, chiedendosi cosa volesse, poi si alzò e si avvicinò a lui, spazzolandosi i pantaloncini dall’erba e lasciando un Grimmjow altrettanto irritato per l’interruzione a farsi i fatti suoi e a tormentare il cartoncino di latte, che durante il loro scambio di gentilezze era completamente finito nel dimenticatoio. Grimmjow che a sua volta si chiese cosa diavolo volesse quel tipo, mentre coi denti mordeva, sollevandola, una delle alette di cartone, cercando invano una distrazione per trattenersi dall’impulso di tirare nuovamente verso di lui Tatsuki e costringerla a ignorare quel tipo che davvero, si può sapere che diavolo voleva da lei?! Per poco non strappò il cartone a morsi.
   « Dimmi. » Tatsuki esortò il ragazzo, portandosi una mano sul collo e stirando appena la schiena. Forse era venuto a chiamarla per la partita. In effetti aveva perso completamente la cognizione del tempo, il suo turno doveva essere arrivato e passato da un pezzo. Acciden-...
   « Ah, sei tu? »
Tatsuki rimase interdetta per qualche secondo, a vedere la sua espressione cambiare. « Sì, perché? », gli domandò, facendosi esitante e guardandolo con aria diffidente. Qualcosa le diceva che non avrebbe dovuto chiederglielo.
   « Scusa, mi avevano detto che eri un maschio. »
... Appunto.
Grimmjow aggrottò le sopracciglia, spostando lo sguardo dal suo prezioso latte ormai finito a lui, incenerendolo letteralmente. Non gli era sfuggito il suo tono, e nemmeno il suo sorrisino bastardo. Doveva proprio avere un bel coraggio per dire una cosa del genere. Certo, Arisawa Tatsuki non era l’emblema della femminilità in senso lato. Non era raffinata, non si curava particolarmente del suo aspetto. Però viveva la femminilità a modo suo.
E le sue curve, erano decisamente al posto giusto. E le sue gambe – coperte appena dai corti pantaloncini blu della tuta – anche se così toniche, non si potevano certo scambiare per quelle di un maschio, anzi. Erano decisamente delle belle gambe.
Per qualche motivo, Grimmjow si sentiva preso per il culo. Come se, offendendo lei, avesse insultato indirettamente anche lui. In fondo, lei era la sua preda. E lui non sceglieva mai prede mediocri. Come cazzo osava parlarle in quel modo?
Tatsuki distolse lo sguardo, per poi alzarlo per frugare l’area circostante a loro. E infatti, come pensava, vide un gruppetto di ragazzi nascosti dietro una siepe, che sghignazzavano e si spintonavano a vicenda, godendosi la scena.
Chiuse gli occhi.
   « Ma chi lo sa, forse in realtà lo sei davvero... »
Okay. Okay, questo era decisamente troppo.
Senza un attimo di esitazione, Grimmjow era scattato in piedi facendo un passo verso il ragazzo, e aveva preso a ringhiargli a pochi centimetri dalla faccia, facendolo indietreggiare.
   « Chiedile scusa all’istante o ti spacco la-... », iniziò a dire, a denti stretti, ma non riuscì neanche a finire la frase perché Tatsuki gli afferrò il braccio, bloccandolo.
   « No. », gli disse detto solo, con voce piatta.
Grimmjow spostò lo sguardo verso di lei, esterrefatto. No?! Ma l’aveva sentito o cosa? C’era un limite alle cose che poteva avere la faccia tosta di dire. Tornò a fissare il ragazzo, facendo per liberarsi con uno strattone dalla presa di Tatsuki, ma lei gli premette l’altra mano sul petto, spingendolo indietro.
Anche il ragazzo indietreggiò ulteriormente, per portarsi ancora più fuori dalla sua portata.
   « Devi esserlo per forza per tenere fermo uno così. », ghignò di nuovo, anche se si vedeva che aveva preso un bello spavento alla reazione di Grimmjow. Voleva solo dimostrare di non essere un fifone davanti ai suoi amici che seguivano la scena da lontano.
 Grimmjow sentiva il sangue ribollirgli nelle vene come non gli capitava da tempo. Digrignò ancora i denti. Se solo fosse riuscito ad avvicinarglisi di qualche centimetro... « Dove scappi? Posso sempre prenderti a calci, pezzo di-... »
   « Grimmjow. »
Era forse la prima volta che lei lo chiamava per nome. Per un secondo esitò.
   « Mollami. », sibilò, irrigidendosi all’improvviso e continuando a fissare il ragazzo davanti a sé che stava cominciando davvero a sudare freddo.
Anche Tatsuki gli lanciò un occhiata. « No. Lascia... lascia perdere. Per favore. », e lo spinse ancora più indietro. Poi tornò a rivolgersi al ragazzo, guardandolo con aria inflessibile.
   « Allora? Hai vinto la scommessa coi tuoi amici, no? Adesso puoi anche andartene. »
 
Tatsuki aveva sempre avuto un carattere impulsivo, fin da bambina. Era permalosa, fin troppo orgogliosa, non sopportava le prese in giro, le prendeva come affronti personali, che finivano puntualmente in zuffe.
Ma dopo tutti quegli anni passati nel dojo, aveva imparato a temprare la sua impulsività, così come i suoi pugni.
C’erano momenti in cui, però, non riusciva proprio a controllarsi. Quando c’era di mezzo Orihime, ad esempio. Se qualcuno provava a sfiorarla, ecco che si trasformava nel tanto temuto “demone” della Karakura Ichikou, capace di lanciare banchi per aria come coriandoli, alla faccia di tutti i Comitati Disciplinari.
Oppure se si trattava di Ichigo. Quell’idiota era talmente idiota che sentiva il bisogno di aiutarlo, quando qualche altro idiota esagerava con le parole o con le mani.
Certo, c’erano anche volte in cui perdeva la pazienza per cose che la riguardavano. Se qualcuno metteva in dubbio il suo talento nelle arti marziali ad esempio. Si sentiva in dovere di dimostrare a quel qualcuno che anche se era una ragazza, poteva mandarlo all’ospedale. Oppure se si trattava di altre cose di cui andava orgogliosa, che non sopportava venissero svalutate.
Ce n’erano altre ancora però... a cui non si sentiva di rispondere. In fondo, era colpa sua. Se fosse stata più... carina, certi commenti e certe insinuazioni le avrebbe evitate. Ma lei si piaceva così. Quando si guardava allo specchio, nuda dopo una doccia, non si sentiva meno femminile di qualsiasi altra ragazza. Non indossava gonne per il semplice motivo che le trovava scomode. Non si truccava per il semplice motivo che non aveva tempo da perdere, e la mattina preferiva dormire qualche minuto in più, piuttosto che spenderlo per farsi bella. Si era lasciata crescere i capelli per un puro capriccio estetico. Si piaceva così. E non doveva dimostrare niente a nessuno, se non a se stessa.
Eppure...
Eppure sono una ragazza anche io, sai?
Eppure certe cose... feriscono anche una come me, che una ragazza non lo sembra per niente.
 
Aveva le mani bollenti.
Quelle mani, minuscole in confronto alle sue, eppure non lisce e delicate. Aveva le nocche screpolate, forse da tutti gli anni di pugni contro i sacchi da boxe per allenarsi, e scommetteva che lei non era esattamente il tipo che si preoccupava di usare i più svariati tipi di creme per la cura del corpo. Le unghie non erano lunghe né curate, eppure gli facevano male, conficcate nella carne.
Aveva le mani bollenti, con una stretta inaspettatamente forte.
Mani che Grimmjow aveva preso il dolce vizio di pensare quando si trovava solo.
Così come la sua bocca, le sue labbra. Veniva voglia di morderle, tanto sapevano essere velenose e irritanti. Ma anche provocanti, involontariamente, quando si piegavano in un sorriso.
In quel momento, però, il sorriso era quanto di più lontano dalla sua espressione.
Dura. Quasi fredda.
Non gli piaceva. Il freddo era tutto tranne che lei. Lei era bollente, bruciava, come le sue mani. Eppure non in quel momento. Non batteva ciglio, non si arrabbiava. Perché?
Tutto quello che si limitava a fare era stringergli il polso, anche se ormai non c’era più bisogno di bloccarlo perché quel piccolo stronzo si era allontanato da un pezzo. Ma Tatsuki continuava a farlo, con tutta la sua forza.
Gli bastò un attimo per realizzare che era davvero ferita.
Ferita nel suo orgoglio, probabilmente, nel suo orgoglio... di donna.
Si chiese quante volte avesse dovuto sopportare quel comportamento da bastardi da parte dei suoi compagni di scuola. Per come la vedeva lui, Tatsuki era una capace di farsi rispettare. E infatti molti lo facevano, forse per paura, forse per vera e propria ammirazione, se n’era accorto in quei pochi mesi che aveva passato in quel bidone di adolescenti puzzolenti di sudore chiamato scuola. Eppure, come in ogni luogo, c’erano sempre dei coglioni che non sapevano riconoscere una persona degna di rispetto e perché no, timore, quando la vedevano.
Per un attimo vide se stesso, piccolo Hollow dall’aspetto felino, piccolo davvero, in confronto agli altri Adjuchas che cercavano sempre di divorarlo. Quante carni aveva dilaniato per guadagnare quel rispetto che pretendeva, quel potere che sentiva già suo di diritto...
Ed ecco che invece si trovava di fronte quella umana, no, quella donna, no... Tatsuki, che... il rispetto se lo meritava. E che nonostante tutto, mandava giù gli affronti, senza però chinare la testa, ma neanche replicare. Con un autocontrollo incredibile.
Cazzo. Cazzo se era... bella.
La sua mano tremava di rabbia. Probabilmente dentro di lei si era accumulata in quei pochi minuti che aveva cercato di trattenersi. Anche la sua espressione, non era più così fredda e distaccata come prima. Le sue guance si erano tinte di rosso, sotto la mandibola serrata, al contrario delle sue nocche ormai esangui per la presa troppo forte della mano.
Mano che – così piccola, così calda, così... forte – Grimmjow strinse istintivamente nella sua, senza neanche pensarci due volte.

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Capitolo 4
*** Mai svegliare il drago che dorme. ***


NDA: Mi sembra superfluo scusarmi dopo il mostruoso ritardo. Invece, ringrazio tutti quelli che nonostante siano passati secoli ed ere glaciali, hanno deciso di sprecare ugualmente qualche minuto per questo aggiornamento. Soprattutto, grazie ad AriCastle66 che ho contagiato talmente tanto con la mia mania per il GrimmTatsu, da spingerla a “rompermi”, come dice lei, fino a farmi aggiornare. :°) ♥
In questo capitolo, come promesso nei precedenti, ho dato un po’ di spazio anche ad Ichigo. E in qualche modo, ci ho infilato pure Rukia. E in qualche modo ancora, è diventato qualcosa di IchiRuki, qualcosa di angst tra l’altro. LOL, e vabbè. Spero apprezzerete comunque, anche chi non è fan di questo che io considero un pairing. Badate, quello che ho scritto è una semplice interpretazione dei fatti SECONDO ME. Da un lato, non mi son inventata niente. Dall’altro, la mia mente malata da fangirl forse ci ha ricamato un filo sopra.
Tornando alla long di per sé, mi spiace dire che questo è un altro capitolo che ho dovuto spezzare sul più bello. Perché altrimenti sarebbe stato troppo lungo, e io non voglio correre il rischio di annoiarvi, soprattutto non adesso che le cose stanno cominciando a prendere una piega più interessante tra i nostri due teneri (?!) protagonisti...
Il prossimo aggiornamento però arriverà in tempo record, per non farvi perdere il filo della trama. :°D
Quindi niente... buona lettura! ♥
 
P.S.: LOL, il titolo... /patpatta Daenerys/
 
 
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MAI SVEGLIARE IL DRAGO CHE DORME.
 
 
 
Non sapeva di preciso dove dormisse Grimmjow Jaegerjaques. Per un po’ era stato convinto che passasse le notti al negozio di Urahara-san, ma presto si era trovato smentito. Quando l’aveva scoperto, con malcelata gentilezza gli aveva offerto un futon e un angolo di pavimento della sua camera, che lui però aveva rifiutato con sdegno.
   « Non ci vengo a fare i pigiama party a casa tua, Kurosaki. »
Come un Hollow sapesse cosa siano i pigiama party, per Ichigo Kurosaki rimaneva un mistero tanto quanto il suo alloggio.
Ma non era quello ad impensierirlo tanto, da qualche tempo a quella parte. Grimmjow era grande e vaccinato – per modo di dire – e sapeva arrangiarsi benissimo da solo. Anche se a volte si sentiva in dovere di tenerlo d’occhio.
Quello che in realtà lo preoccupava, era il... come chiamarlo, rapporto?, che quell’Hollow grande e vaccinato pian piano stava instaurando con la sua amica e qualche volte nemica d’infanzia, Tatsuki Arisawa.
   « Ichigo. »
Fin da quando li aveva presentati di sfuggita, più per prevenire un loro incontro da soli che con tutta probabilità sarebbe finito nel sangue che per fargli fare amicizia, il suo sesto senso gli aveva detto che le cose non sarebbero filate lisce come l’olio. E infatti. Più di una volta aveva beccato Grimmjow a provocarla con quel sorriso beffardo che tanto dava sui nervi a lui stesso, e sinceramente non aveva potuto biasimare il tono aggressivo con cui Tatsuki gli aveva risposto.
   « Ichigo. »
Qualche anno prima, sua sorella Yuzu aveva passato un periodo in cui si era fissata con l’oroscopo. E in quel periodo, aveva messo sotto stretta analisi lui stesso, annotando puntigliosamente su un taccuino i suoi comportamenti nelle più svariate situazioni, per vedere quante caratteristiche avesse in comune col carattere tipo del segno zodiacale cancro. Sfortunatamente per lei, Tatsuki era capitata dalle parti di casa sua giusto in uno di quei momenti di studio approfondito. E quando Yuzu era stata folgorata dall’illuminazione che, dato che il compleanno di Tatsuki cadeva esattamente due giorni dopo quello di Ichigo, era anche lei un cancro, erano diventati entrambi due cavie da laboratorio degne di quel nome. Erano così venute fuori somiglianze caratteriali tra lui e Tatsuki a cui non aveva neanche mai dato peso, anzi, di cui non si era mai minimamente accorto. Quindi poteva capirla. Poteva capire benissimo perché le venisse voglia di far saltare tutti i denti a Grimmjow a suon di pugni, quanto tentava di attaccar briga con lei sfoggiando il suo sorriso da sbruffone.
C’era un punto fondamentale però, che si poneva al nocciolo della questione: Tatsuki, a differenza sua, era dieci volte più irascibile, bastava un niente per farla scattare come una molla. E Grimmjow sembrava trovare questa sua caratteristica particolarmente divertente, soprattutto se, essendo a scuola, lei era costretta a darsi comunque una parvenza di contegno, e non poteva malmenarlo a sangue come avrebbe voluto. Non che in ogni caso ci sarebbe riuscita, chiaro, era convinto Grimmjow, anche se invece Ichigo avrebbe scommesso che qualche gancio se lo sarebbe preso – e pure meritato.
   « Ichigo, mi stai ascoltando? »
Quindi, se quei due fossero venuti alle mani, sarebbe stato un bel casino. E ogni volta, sembravano più vicini ad arrivare a uno scontro diretto. Le dinamiche delle loro conversazioni pericolose seguivano sempre la stessa procedura: o Grimmjow si avvicinava a lei, infastidendola, o Tatsuki si avvicinava a lui perché lo trovava fastidioso, poi Grimmjow sorrideva, Tatsuki si innervosiva ancora di più, Grimmjow faceva qualche battuta di cattivo gusto, e Tatsuki tentava di rispondere con lo stesso tono mantenendo la calma, quindi Grimmjow si intestardiva, Tatsuki perdeva la pazienza e lo minacciava, Grimmjow reagiva alla minaccia minacciando a sua volta, e a quel punto chiunque si fosse trovato a meno di due metri di distanza, avrebbe potuto avvertire l’elettricità statica creata dalla tensione palpabile tra di loro.
   « Senti, Ichigo, sto morendo di caldo. Mi spoglio. »
   « Ah? Sì, fai pure-... CHE?! »
Ridestato all’improvviso dai suoi pensieri, Ichigo Kurosaki si girò di scatto verso la minuta ragazza dai capelli scuri che stava in piedi con le mani sui fianchi davanti a lui, che invece era seduto sul letto della sua camera. I loro occhi così erano praticamente allo stesso livello, e Ichigo sgranò i propri all’inverosimile a sentire le sue parole, mentre le sue guance si coloravano gradualmente di rosso.
   « Ti sei girato. Pensavi mi stessi spogliando sul serio? », lo schernì Rukia Kuchiki inarcando un sottile sopracciglio e facendolo sentire ancora di più in uno sdegnato imbarazzo.
La ragazza, o meglio, la donna nelle sue vesti da Shinigami nonché vicecapitano della sua compagnia, si portò le braccia al petto, incrociandole e facendo frusciare la stoffa del suo shihakushō. Ma il suo tono non era troppo severo.
   « Almeno adesso ho la tua attenzione. »
   « ... Scusa. Stavo pensando ad altro. », Ichigo distolse lo sguardo, ritrovando lentamente la calma.
Sì. Ichigo stava pensando ad altro, e Rukia se ne era accorta più che bene, perché lo conosceva più che bene.
E si era anche resa conto di un’altra cosa importante.
Da quando era tornata nella sua vita, così come erano tornati i suoi poteri da Shinigami, l’aveva trovato... cambiato. Ancora più chiuso di quanto già non fosse, ancora più silenzioso. Spesso lo beccava con lo sguardo perso nel vuoto, la mente altrove. In quei momenti, Rukia si domandava cosa stesse pensando, nella sua testa sembravano frullare mille pensieri di ogni genere. Ma non osava chiedere, no. Perché in parte, sapeva a cosa fosse dovuto quel cambiamento. E non poteva fare a meno di sentirsi infinitamente in colpa.
Ichigo era innegabilmente cambiato in quei lunghi diciassette mesi di lontananza. E anche se il modo in cui si poneva nei suoi confronti non era mutato, anche se continuavano a stuzzicarsi come avevano sempre fatto, combattere fianco a fianco come avevano sempre fatto – pure davanti a quella nuova minaccia rappresentata dagli Arrancar superstiti creati dal traditore Sōsuke Aizen e che ora si erano ribellati, rimasti senza una guida –, anche se in superficie il loro rapporto di rispetto e fiducia reciproca era rimasto intatto nonostante la lontananza, Rukia lo sentiva in qualche modo... più distante.
Istintivamente, allungò una mano a sfiorargli i ciuffi di capelli ramati sulla fronte, come a volergli portare via dalla testa parte delle sue preoccupazioni. Come a volerlo raggiungere. Ogni volta che lo toccava, anche per sbaglio, sentiva il bisogno di abbracciarlo, stringerlo con tutte le sue forze, e di chiedergli scusa. Ma non se ne sentiva in diritto.
Era stata egoista. Incredibilmente egoista. Tanto da continuare a guardarlo da lontano senza trovare il coraggio di mostrarsi a lui in un gigai che avrebbe potuto vedere e toccare. Stringendosi la stoffa del kosode tra le dita e nascondendosi ai suoi occhi anche se non ce n’era alcun bisogno perché ormai era come cieco, aveva mandato giù il nodo alla gola e aveva deciso che, per entrambi, sarebbe stato meglio non vedersi più.
La verità era che Rukia aveva avuto paura.
Aveva cercato di convincersi che era la cosa migliore da fare, per Ichigo, per evitargli di ricordare cosa aveva avuto e aveva perso, cioè la sua vita da Shinigami, insieme coi suoi poteri che gli avevano permesso di proteggere le persone che amava. Se lo era ripetuto un’infinità di volte, sperando che quella scusa potesse alleviare parte del senso di colpa che provava osservando la luce nei suoi occhi,  forse la speranza di riincontrarla, affievolirsi ogni giorno di più. Non era rimasta a vederla spegnersi del tutto, non sarebbe riuscita a sopportarlo. Aveva preso un’altra decisione, quella di impegnarsi fino allo strenuo delle sue possibilità per diventare tanto forte da poter presentare la richiesta di diventare vicecapitano della tredicesima brigata. E in qualche modo, diventare tanto forte da poter proteggere lui, anche se da lontano, e poterlo ripagare di tutte le volte in cui invece, era stato lui a proteggere lei.
Aveva cercato un modo, un obiettivo per distrarsi.
Perché lei, in primis, fin da quell’addio strappato al vento, non era riuscita ad accettare che da quel momento in poi Ichigo non avrebbe più fatto parte della sua vita.
Che non avrebbe più potuto contare sul suo aiuto e sì, la sua protezione. Che la persona, l’uomo, che aveva cambiato il suo modo di vedere le cose, facendole riscoprire emozioni che invece aveva cercato di allontanare per tutto il suo secolo e forse di più di vita, che quel ragazzo che le aveva fatto capire il vero significato di legami profondi come l’amicizia, rendendola più umana di quanto avesse mai creduto possibile, che quello stolto che non apprezzava i suoi disegni e la derideva per la sua incapacità, non avrebbe più potuto neanche criticarla né farsi perdonare poi con un sorriso, perché la realtà era che semplicemente non poteva più raggiungerla con le sue parole e i suoi sguardi profondi tinti di un caldo color nocciola. Ogni cellula del suo corpo aveva urlato in silenzio e rifiutato con tutta sé stessa il muro invisibile che si era creato tra di loro.
E il suo cuore si era chiuso in una morsa di ghiaccio quando lo aveva sentito ringraziare il cielo, come se lei fosse scomparsa chissà dove, mentre invece era ancora lì, in piedi, di fronte a lui, come pochi secondi prima. Di fronte a lui, che ormai aveva perso la capacità di vederla, così come di sentirla chiamare il suo nome, che aveva ripetuto fino a sentirsi strozzare la voce.
E come lui aveva perso la capacità di vederla, lei aveva perso la forza di farsi vedere. Non in quello stato, non da lui. Non quando ogni traccia di emozione e calore dentro di lei si era lentamente congelata.
Egoisticamente, aveva desiderato che lui la ricordasse come quell’ultima volta. Così come aveva desiderato poterlo ricordare e custodire gelosamente nel suo cuore così com’era prima che il suo sguardo e il suo sorriso tanto raro e sincero diventassero vuoti.
Per questo non si era neanche azzardata a mostrarsi a lui per quasi un anno e mezzo. Tempo in cui Ichigo non era l’unico ad essere cambiato.
   « ... Va bene. Mi ascolti adesso? È importante. », il suo tono fu più rigido di quanto avrebbe voluto, mentre lasciava cadere la mano, pentendosi immediatamente di quell’attimo di debolezza. Chissà quante volte Ichigo aveva voluto anche solo sfiorarla in quel modo innocente, sentire la sua vicinanza, mentre lei non aveva fatto che negarglisi. Non trovava né le parole né il coraggio per chiedergli di perdonarla.
Ichigo tornò con lo sguardo al suo viso, stringendo impercettibilmente i denti per un secondo mentre sentiva il suo tocco abbandonarlo.
Avrebbe voluto dirle tante cose. Sia di quella preoccupazione riguardo Grimmjow e Tatsuki che ogni tanto gli faceva aggrottare le sopracciglia per il disappunto, sia quanto l’allenamento per ritornare in forma e imparare ad usare il fullbring in sincrono coi suoi poteri da Shinigami fosse stremante, sia quanto la storia di Ginjō e del fatto di essere un sostituto Shinigami l’avesse nonostante tutto segnato... sia quanto gli fosse grato di essere comparsa a dargli forza proprio quando aveva creduto di aver perso tutto, sia quanto... gli fosse mancata.
Un tempo riuscivano a comunicare solo con gli occhi, tra di loro non c’era mai stato bisogno di troppe parole per capirsi a vicenda. Anche emozioni che forse avrebbero avuto bisogno di essere espresse con qualcosa di più che un solo sguardo, erano rimaste celate nei loro cuori e nelle loro occhiate sfuggenti. Entrambi non avevano osato un passo in quella direzione, forse un po’ per timore, forse un po’ perché, ingenuamente, avevano creduto che c’era tempo, che l’altro sarebbe sempre stato lì, al proprio fianco.
Entrambi avevano dato per scontata la presenza l’uno dell’altra, e quanto questa era venuta a mancare, era nata in ognuno dei due la profonda consapevolezza di quanto, affinché non piovesse, affinché tutto non gelasse, quella presenza reciproca fosse necessaria.
Spesso Ichigo, immerso nei suoi pensieri, si chiedeva se ormai fosse troppo tardi. Se avrebbe mai ritrovato la forza di aprirsi nuovamente a lei come, senza rendersene conto, prima che si separassero aveva fatto. Ma al momento, la ferita che gli avevano provocato il senso di solitudine e di debolezza che in lui erano cresciuti di più ogni giorno, settimana, mese durante la sua assenza, era ancora troppo fresca e profonda. E ora lui riusciva a fare solo quello in cui si era specializzato in tutti quegli anni prima di incontrare Rukia e in quei mesi dopo averla persa: distogliere lo sguardo, accennare a un sorriso tirato e fingere che andasse tutto bene.
   « Sì. Scusa. Dimmi pure. »
Per l’ennesima volta, Rukia si sentì gelare dentro.
 
 
 
Fu proprio a causa di una delle loro conversazioni pericolose, come le avrebbe definite Ichigo, che Tatsuki Arisawa e Grimmjow Jaegerjaques quel giorno furono costretti a trattenersi oltre l’orario scolastico, con sentito disappunto da parte di entrambi. L’una perché avrebbe voluto impiegare quel pomeriggio per allenarsi in vista del torneo estivo a cui la squadra di karate del dōjō avrebbe partecipato, l’altro perché... ovviamente, l’essere obbligato a rimanere ancora di più in quella gabbia di adolescenti puzzolenti chiamata scuola, era qualcosa di inammissibile. Ma Ichigo, che l’aveva preso da parte dopo aver assistito a cosa fosse successo, gli aveva intimato in un modo piuttosto convincente di non azzardarsi a combinare altri casini. Non gli aveva neanche dato il tempo di spiegare. E nessuno, a quanto pareva, sembrava volerlo stare a sentire.
Neanche Tatsuki, soprattutto Tatsuki, che aveva reagito esattamente all’opposto di come inizialmente si era aspettato.
Non si era mai così palesemente arrabbiata nei suoi confronti. Aveva sempre girato sui tacchi, allontanandoglisi, quando si era sentita sul punto di esplodere. Non gli aveva mai dato quella soddisfazione, non aveva mai perso le staffe fino a quel punto. C’è anche da dire che non era solo una questione di principio, per non dargliela vinta, ciò che spingeva Tatsuki a frenarsi prima di arrabbiarsi sul serio. Era un reclamo scritto inviato ai suoi genitori con allegato un bollettino da compilare per il risarcimento del vetro che aveva rotto tirando un pugno in piena faccia a Ichigo, un anno e mezzo prima. La parte lesa, ovviamente, non aveva sporto denuncia, ma il preside – che si era riscoperto improvvisamente ad aborrire gli episodi di violenza che stavano screditando la sua scuola con sempre meno nuovi iscritti –, con cui si era trovata costretta a fare quattro chiacchiere amichevoli, le aveva fatto ben capire che se qualcosa del genere si fosse ripetuto, non avrebbe avuto ancora la grazia di scampare per un soffio a una sospensione o peggio, essere direttamente espulsa.
Davanti a una provocazione simile, però, non era riuscita a passare oltre come sempre si imponeva di fare. E Grimmjow aveva fatto un grosso, enorme, errore di calcolo pensando di agire nel giusto.
Tatsuki si era sentita debole. Messa in discussione, cosa che non sopportava, non in quel periodo in cui si sentiva più inutile che mai. Era convinta di essere almeno in grado di difendere sé stessa, se non le persone a lei care. E il suo orgoglio ne era rimasto ancora più ferito di quando le parole di quel ragazzo che l’aveva presa in giro la settimana prima, l’avevano costretta a trattenere per l’ennesima volta la frustrazione e l’amarezza.
Non voleva essere trattata come una ragazza indifesa. Non voleva essere protetta, aveva allenato il suo corpo per tanti anni per potersela cavare da sola, senza bisogno dell’aiuto di nessuno.
Soprattutto... non del suo.
E Grimmjow non aveva riflettuto granché prima di agire. Come al solito, per lui.
Se l’avesse fatto, forse, a quel punto si sarebbe evitato una sonora litigata che aveva attirato l’attenzione dell’intero primo piano dell’edificio scolastico, litigata in cui, al posto degli mani, erano volate parole che avevano preso entrambi a schiaffi morali.
 
 
 
Da qualche giorno a quella parte, la pausa pranzo era diventata una sorta di tranquillo intervallo per Tatsuki. Il che voleva dire solo una cosa: Grimmjow Jaegerjaques non era nei paraggi.
Non sapeva spiegarsi il motivo della sua improvvisa conversione all’arrendevolezza, ma ultimamente aveva smesso di beccarlo in giro ad attaccare briga con gli studenti più giovani. In realtà non lo trovava proprio, in giro. Sospettava che andasse ancora a rifugiarsi sulla terrazza isolata nel lato est, proprio la stessa terrazza su cui per la prima volta avevano avuto uno straccio di conversazione decente. Il perché si fosse dato a quel solitario ritiro spirituale, sinceramente non sapeva spiegarselo. Ma che bisogno c’era di pensarci troppo? In fondo per lei era meglio così. Un seccatore in meno di cui preoccuparsi, visto che aveva smesso anche di aspettarla fuori dalla classe al cambio dell’ora, solo per importunarla.
Eppure non riusciva a togliersi dalla testa la sua espressione di quella volta in cui lo aveva trovato solo proprio su quella terrazza.
Doveva essere successo qualcosa, sicuramente. Qualcosa di cui a lei non avrebbe dovuto interessare niente. Allora perché non era riuscita a resistere dal chiedere a Ichigo se ne sapesse qualcosa, cercando di farla passare per una domanda casuale? In tutta risposta, aveva solo ottenuto uno sguardo perplesso da parte di lui, e uno più preoccupato da parte di Orihime, che non riusciva più a capire cosa passasse per la testa dell’amica.
E nemmeno Tatsuki stessa riusciva più a capirsi, si rese conto, selezionando sul display del distributore automatico il numero corrispondente alla fila di cartoncini di latte.  Mentre si chinava a prendere la confezione dallo scomparto, esitando un secondo prima di allungare una mano e raccoglierlo, si sentì patetica.
Aveva deciso di andarlo a cercare. Spingerlo a parlare, se necessario, e quel latte era parte della sua tattica di ricatto. Perché sentisse le orecchie diventare bollenti al pensiero, era qualcos’altro che non capiva affatto. In quei giorni in cui non era stata a diretto contatto con lui, aveva avuto il tempo di metabolizzare molte cose. Tra cui la sua innegabilmente pericolosa natura di Hollow, e l’effetto che le facevano i suoi occhi chiari e il suo sorriso. E la prima questione, oltre alla reazione immediata che le aveva provocato, aveva anche occupato parecchie delle sue ore di sonno. Riflettendoci a mente fredda, si era resa conto che non era qualcosa che poteva ignorare o accettare così su due piedi. Ma anche qualcosa che non riusciva a farle provare disgusto o paura tanto da convincerla a stare alla larga una volta per tutte da lui. Proprio per colpa dei suoi occhi chiari, che quando le aveva raccontato del suo passato, le avevano trasmesso molto di più di semplici parole. E per colpa del suo sorriso in un certo senso sollevato, davanti a quella che era stata la sua domanda atta ad alleggerire la tensione e a fargli capire che non aveva paura di lui. Sorriso in un certo senso anche più spontaneo degli altri che le aveva sempre regalato. Tatsuki non riusciva minimamente a capacitarsi del perché quando ripensava a quell’episodio, si sentisse invadere da un frustrante imbarazzo che la spingeva a tormentarsi nervosamente le unghie coi denti, vizio che aveva messo anni ad abbandonare.
E finiva solo per sentirsi ancora più patetica. Come quando le era bastato sentire la mano di Grimmjow stringere la sua tremante di rabbia, per dimenticare tutto il resto in un istante. Episodio che, invece di aver causato un ossessivo attacco alle sue unghie, aveva provocato l’esplosione di quel frustrante imbarazzo sul suo viso, accesosi immediatamente di rosso, sconcertando lei stessa.
Riguardo a quel piccolo particolare, non aveva speso neanche un pensiero. L’aveva accantonato in una parte della sua mente, perché la realtà era... che Tatsuki Arisawa non voleva capire. E quindi si limitava a trovare scusanti plausibili per i propri comportamenti, per non dover ammettere in nessun modo quanto solo i semplici sguardi e sorrisi di quell’esuberante individuo dai capelli azzurri, avessero il curioso potere di farle aumentare il battito cardiaco e mandarle il sangue al cervello.
La realtà era anche che Tatsuki, come donna, ne sapeva ben poco di quella cosa che i romantici senza speranza chiamavano amore, e che lei si era convinta nessuno avrebbe mai avuto la sventura di provare nei suoi confronti. Per questo non aveva senso perdere prezioso tempo che poteva impiegare ad allenarsi per qualcosa che non le avrebbe dato nessuna soddisfazione, come invece i suoi risultati nel karate, che la ripagavano ampiamente per ogni sforzo e goccia di sudore spesa.
Per questo non aveva mai lasciato avvicinare nessun ragazzo tanto da permettergli di spezzarle il cuore.
E non aveva intenzione di farlo ora.
   « Ah, chi si rivede! Arisawa! »
A proposito di ragazzi, si trovò davanti l’ultimo che avrebbe pensato di incontrare, mentre istintivamente e senza motivo, nascondeva dietro la schiena il cartone di latte. Stupidamente, forse, non si era neanche informata sul suo nome e sulla sezione e anno che frequentava. Aveva pensato sul serio che non avrebbe più avuto a che fare con lui, che quella volta Grimmjow l’avesse spaventato a sufficienza
Certo è che Grimmjow non era nei paraggi, in quel momento.
Tatsuki strinse in una mano la confezione del latte, per poi rilassare le dita, ricordandosi che quella si sarebbe rotta sicuramente con più facilità del polso di Grimmjow, su cui aveva riversato la sua irritazione la prima volta.
   « Cos’è, un'altra scommessa? »
  « No, volevo solo scambiare quattro chiacchiere in amicizia. »
Lui rise, scuotendo una mano in segno di diniego. Come la prima volta, il suo sorriso le sembrò troppo sicuro di sé. Non seppe dire se fosse dovuto al fatto che la sua massa cerebrale fosse della grandezza di una nocciolina, o perché il suo ego raggiungesse dimensioni spropositate. Probabilmente era la prima.
   « Non sono di umore amichevole in questo momento. »
   « Sei sempre così scontrosa... Così non ti farai mai degli amici, dai retta a un tuo senpai. »
Tatsuki affilò lo sguardo, inarcando un sopracciglio. E così era più grande di lei? Ciò vuol dire che doveva aver ripetuto un anno, visto che lei era al terzo. La teoria della nocciolina acquisiva sempre più credito.

   « Ne ho più che a sufficienza, di amici. »
Il sorriso di lui si allargò.
   « Vero, tipo... Orihime-chan, giusto? »
Ecco dove voleva andare a parare. Probabilmente anche la volta scorsa si era avvicinato con quell’intento. Tatsuki aveva ormai perso il conto dei poveracci che avevano avuto l’infelice idea di provarci con Orihime, e ancora di più, di quelli che avevano creduto che chiedendo a lei stessa di mettere una buona parola per loro, avrebbero concluso qualcosa. Individui del genere, senza spina dorsale, Tatsuki non li considerava neanche uomini. Per questo non valeva nemmeno la pena di arrabbiarsi se spendevano qualche secondo della loro misera esistenza a fantasticare sulla sua amica. Incrociò le braccia, appoggiandosi con la schiena al muro e trattenendo a stento un sorriso. Dopo, si sarebbe fatta quattro risate su quanto patetico potesse essere qualcuno che non aveva neanche il coraggio di dichiararsi personalmente.
   « A proposito di lei, volevo chiederti se puoi farmi un favore. Io e i miei amici, sai, quelli dell’altra volta, stiamo organizzando un gōkon al nuovo karaoke che hanno aperto in centro, solo che ci manca qualche ragazza... Perché non le chiedi se è interessata? »
   Appunto.
   « Io non chiedo proprio niente a nessuno. »
   « Dai, perché no? Se vuoi puoi venirci anche tu... anche se dubito che riusciresti a rimediare qualcosa. », la schernì, facendo tornare sul viso di lei una piatta maschera di indifferenza. Già una volta gli aveva permesso di ferirla nell’orgoglio, non avrebbe lasciato in alcun modo che la cosa si ripetesse.
   « Che fine ha fatto quello che l’altra volta se la stava facendo addosso? », Tatsuki lo schernì quindi a sua volta.
   « E che fine ha fatto la tua guardia del corpo? »
   « Io non ho bisogno di guardie del corpo. »
   « Allora chi era, il tuo ragazzo? Beh, hai fatto scappare anche lui? »
Per un attimo Tatsuki restò spiazzata, non tanto per la sua insinuazione riguardo al suo rapporto con Grimmjow, ma per la domanda che le aveva posto, che le aveva fatto accendere una lampadina nella testa sul motivo per cui, forse, era proprio da quella volta in cui quello sconosciuto dal grande ego e dal piccolo cervello aveva fatto la sua prima apparizione, che Grimmjow non si era fatto più vedere. Da quando le aveva... preso la mano, e lei, mossa dalla rabbia e dall’imbarazzo provocato da quel gesto improvviso, non gli aveva risposto esattamente con un grazie. Non si ricordava le parole precise che gli aveva detto. Qualcosa tipo un “la prossima volta fatti gli affari tuoi”, un po’ balbettato, mentre si liberava con uno strattone e si girava, allontanandosi verso lo spogliatoio femminile dentro cui si era rinchiusa a fare la doccia per il resto dell’ora.
Grimmjow doveva essersela presa. Sì, doveva essere andata così. Più ci pensava, più al suo cuore insicuro, che inconsciamente amplificava tutto quello che lo riguardava, sembrava plausibile. E il pensiero che lui potesse essere arrabbiato con lei, e quindi in qualche modo stesse cercando di evitarla, la metteva stranamente a disagio.
   « In fondo nessuno vorrebbe stare con qualcuno più virile di te. », rincarò lo sconosciuto dal grande ego e dal piccolo cervello, che in quel momento era diventato l’ultima delle sue preoccupazioni.
Il suo commento sarcastico le scivolò addosso, Tatsuki non gli diede peso, la sua mente era già volata altrove, e come al solito, quando si trattava di Grimmjow, nella sua testa tutto lo spazio veniva occupato da lui e basta. Voleva solo porre velocemente fine a quella conversazione e togliersi il prima possibile quel peso dallo stomaco. Le sue dita tamburellarono sulla confezione di latte.
   « Insomma, si può sapere cosa diavolo vuoi? »
   « Te l’ho detto, solo che convinci Orihime-chan a venire al gōkon. »
   « Hai così poco coraggio da non riuscire a farlo da solo? », sbuffò contrariata, causando un altro sorriso fin troppo beffardo da parte sua. Vederlo così sicuro di sé la irritava davvero, ma non quanto il pensiero che le stava facendo perdere tempo.
   « Sai che le pareti di un karaoke sono insonorizzate? »
Tatsuki esitò ancora, sul punto di replicare. In un istante, la sua attenzione era stata nuovamente catturata da quella domanda, che inizialmente le era sembrata incredibilmente stupida e retorica, ma che poi, dopo un secondo di riflessione, aveva assunto tutt’altro significato.
   « Dove vuoi arrivare? », chiese a sua volta, lottando contro sé stessa per mantenere fermo il tono di voce. Improvvisamente, sentiva come se deglutire si fosse fatto incredibilmente difficile.
   « Chissà quanto sarebbe divertente sentire Orihime-chan cantare... »
Il ghigno sornione che gli si dipinse sul viso la fece letteralmente fremere.
Fu un attimo, Tatsuki fu incredibilmente veloce, spinta dalla rabbia che non seppe frenare in alcun modo.
Il latte nel cartone si sparse a terra, pestato dai piedi di lei che in uno scatto aveva afferrato con entrambe le mani il bavero del ragazzo, colto di sprovvista, che si trovò strattonato verso il basso a fissare dritto negli occhi lucidi di odio, il demone della Karakura Ichikō.
   « Ripetilo. », gli ringhiò a pochi centimetri dal viso, facendolo diventare paonazzo per la mancanza di ossigeno tanto la stretta sul collo della sua camicia si era fatta serrata. Eppure lui riuscì a mormorare una risposta che ebbe l’effetto desiderato, cioè farle allentare la presa.
   « Così... così non rischi l’espulsione Tatsuki-chan...? »
   Ecco.
Ora si spiegava tutto, il modo in cui l’aveva avvicinata senza timore, la sua sicurezza nel parlarle. Quel tizio sapeva. Come diavolo avesse fatto a scoprirlo, Tatsuki non ne aveva idea. Ma quell’attimo di esitazione che ebbe, permise a lui di afferrarle i polsi e liberarsi del tutto, mentre avvicinava la bocca, distesa nell’ennesimo sorriso, al suo orecchio.
   « Ripensandoci, vieni anche tu... potresti cantare per me... »
L’unico pensiero che lampeggiò nella testa di Tatsuki Arisawa in quel momento, fu che non gliene fregava un accidente di essere espulsa, o di finire in riformatorio, o rinchiusa da qualche altra parte.
Lo avrebbe ammazzato.
Ammazzato sul serio.
 
 
 
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NDA: EVIRALO, Tatsuki. Siamo tutti con te.

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Capitolo 5
*** ... E mai svegliare il gatto che dorme. ***


NDA: Questa settimana ho aggiornato due volte, wow, che record! :°D
E purtroppo però, ancora una volta mi tocca interrompermi per non creare una Divina Commedia in un capitolo. Ma davvero, preferisco andare per gradi, perché qui, qui in questo aggiornamento, avviene proprio la svolta che nel prossimo mi permetterà di... NAAH, NON VE LO DICO. 8D

Beh, quello che vi posso anticipare, invece, è che in questo capitolo c’è angst, troppo angst, talmente tanto angst che ho il batticuore. Ma l’angst è cosa buona e giusta –amen– quindi so già che voi mi perdonerete.
Vi lascio alla lettura! /sventola fazzoletto in cui si soffia il nasino/
 
 
 
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... E MAI SVEGLIARE IL GATTO CHE DORME.
 
 
 
Era appena suonata la campanella che segnava la fine della pausa pranzo, quando Grimmjow Jaegerjaques sentì un gran vociare scendendo, saltandoli a due a due, i gradini delle scale che portavano alla terrazza. Gli studenti sembravano bisbigliare tra loro e chiamarsi a vicenda, tutti diretti fuori dalle aule nelle quali si erano già seduti composti in attesa dell’inizio delle rispettive lezioni. Gli insegnati, che non avevano neanche fatto in tempo ad entrare ed accomodarsi alle cattedre, stavano intimando di tornare ai propri posti, ma non venivano minimamente ascoltati dalla folla di curiosi che lentamente si stava accalcando nel corridoio del primo piano.
Grimmjow inarcò un sopracciglio, per niente interessato ad unirsi alla ressa. Anzi, con un po’ di fortuna, sarebbe riuscito ad approfittare di quel casino per svignarsela, pensò con un mezzo sorriso.
Solo quando sentì due studenti mormorare tra loro il nome Arisawa, si bloccò sui suoi passi, e tirando fuori le mani dalle tasche dei pantaloni, si fece largo a poco delicati spintoni tra gli studenti che si erano sì affollati, ma rimanevano fermi impalati all’ingresso del corridoio. Quando finalmente ebbe campo libero per capire cosa fosse successo, era affiancato solo da un paio di temerari studenti del terzo anno, che avevano osato avvicinarsi di più alla scena.
Quello che vide, inizialmente sfuggì alla sua comprensione. In quel pochi secondi che gli erano serviti per farsi spazio tra la folla, si era immaginato di tutto, che però finiva sempre con una Tatsuki sanguinante e con qualche arto mancante. La sua fantasia da Arrancar che rappresenta la distruzione non lo aveva aiutato per niente a placare l’ansia che lo aveva assalito in un istante, sconcertando lui stesso, sentendo chi era coinvolto in chissà cosa.
Per questo di primo acchito non capì, quando vide Tatsuki tutta intera e anzi, in gran forma, mentre premeva con forza contro il muro, sul punto di spezzargli un braccio, un ragazzo che era qualcosa come il doppio di lei.
La preoccupazione però tornò ad attanagliargli lo stomaco mischiandosi alla rabbia, quando si rese conto di chi fosse il soggetto spalmato al muro che stava implorando pietà a mezza voce, sudando freddo.
 
Tatsuki ora si sentiva molto più calma, o perlomeno, stava ragionando abbastanza lucidamente, non più accecata da una furia assassina.
Con la stessa velocità con cui lo aveva preso per il bavero della camicia, si era liberata i polsi, ruotandoli, in uno dei fondamentali che vengono insegnati all’inizio di qualsiasi corso di arti marziali. Facendo leva nel modo giusto, anche la forza della stretta di una mano maschile veniva annullata.
La campanella però aveva avuto il benefico effetto di riscuoterla, anche se non di far scemare del tutto la sua rabbia. Per questo era passata da un intento omicida a uno di minaccia intimidatoria, che comprendeva il fargli un po’ male, per illuminarlo sul fatto che provocarla come aveva appena fatto pensando di passarla liscia, non era stata esattamente una scelta saggia. Non voleva rompergli veramente il braccio, solo spaventarlo sufficientemente da fargli assimilare il concetto che se qualcosa del genere si fosse ripetuto, non si sarebbe risparmiata dal spedirlo direttamente in traumatologia.
Era sul punto di liberarlo e lasciarlo magnanimamente andare a riflettere sulle sue turpi azioni, soddisfatta del proprio autocontrollo, quando, più che vide, con un sussulto sentì rimbombare un pugno contro il muro, a un soffio dalla testa del beffardo carnefice che ora si era trasformato nella supplicante vittima.
Ebbe appena il tempo di voltarsi e rabbrividire, incontrando uno sguardo talmente pieno d’odio e di sete di sangue da far sembrare quella che aveva provato lei semplice frustrazione. Quasi non lo riconobbe, quanto vide il suo viso distorcersi in un sorriso, mentre facendo peso sul braccio che aveva appoggiato al muro dopo aver tirato il pugno, si chinava su entrambi, sovrastandoli completamente con la sua stazza e altezza.
   « Ancora tu, piccolo stronzetto? Cos’hai combinato stavolta, eh? »
Quella era la conclusione a cui Grimmjow era arrivato senza neanche bisogno di rifletterci troppo sopra. Perché Tatsuki non aveva mai, mai neanche provato ad usare la violenza nei suoi regali confronti, nonostante, più di una volta, si rendesse conto da solo di avergliene dato motivo. Quindi quel “piccolo stronzetto” doveva averla fatta davvero grossa, per spingerla a reagire così. Ma davvero grossa.
   Come ad esempio allungare le mani su di lei, pensò, sentendo le proprie fremere dall’irrefrenabile voglia che aveva di squartarlo vivo.
Grimmjow non aveva la minima intenzione di lasciargliela passare liscia. Se fosse stato al posto di Tatsuki, probabilmente a quel punto il braccio del ragazzo sarebbe già volato giù dalla finestra, lasciandosi dietro una scia di sangue.
   « Non ha... fatto niente. Non hai fatto niente, no? »
Tatsuki non sapeva minimamente dove avesse trovato il coraggio di parlare e soprattutto, di difendere proprio colui che fino a qualche minuto prima avrebbe ammazzato volentieri lei stessa. Il solo guardare l’espressione di Grimmjow in quel momento la faceva letteralmente tremare. Per non parlare del suono della sua reiatsu esplosa in un secondo, che le vibrava nelle orecchie, attutendo ogni rumore circostante.
Anche Ichigo Kurosaki e Orihime Inoue la avvertirono, e in meno di un secondo, presero a correre nella direzione da cui la sentivano provenire. Ma questo Tatsuki Arisawa non poteva saperlo.
All’improvviso, si sentì... sola. Davanti a qualcosa che era troppo più grande di lei, qualcosa che lei non poteva in alcun modo gestire.
Il ragazzo ancora bloccato nella sua stretta, che invece di farsi più debole si era rafforzata a causa della tensione che sentiva, scosse la testa più e più volte, senza riuscire né a parlare né a distogliere lo sguardo da quegli occhi glaciali, come un cervo abbagliato dai fari di una macchina.
Ma non cambiò niente. Quel debole tentativo di chiarire, o meglio, mentire sulla situazione, riuscì solo a far diventare più duro e inflessibile lo sguardo di Grimmjow.
Per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, Tatsuki ebbe veramente paura di lui.
Lui, Grimmjow, che non l’ascoltava, mentre il suo sorriso stava lentamente scemando via, lasciando posto a una smorfia di puro disprezzo per quello che era l’essere umano. Feccia, tutti, niente più che feccia, che andava schiacciata con ogni mezzo. Dovevano essere distrutti, tutti. A cominciare da chi aveva osato mettere le mani su qualcosa di suo. Suo, e di nessun altro. E nessun altro doveva permettersi di toccare, anche solo sfiorare, quel qualcosa che gli apparteneva.

Il re non contemplava niente che potesse essere definito “perdono”.
   « Grimmjow... »
Tatsuki accorse che la propria voce vacillava, instabile, incerta. Impaurita.
Non era così che sarebbe riuscita ad attirare la sua attenzione. Ma voleva veramente farlo? Voleva che quegli occhi si spostassero su di lei e la trafiggessero? Serrò con forza i denti, per impedire alle sue labbra di tremare, mentre tentava di deglutire, anche se la sua bocca si rivelò improvvisamente secca. Fu veloce, ancora più di prima, spinta dall’adrenalina e da un primordiale spirito di sopravvivenza. Anche se non nei propri confronti.
In un attimo, aveva lasciato andare il braccio del ragazzo e l’aveva spinto dietro di lei, spostandosi sulla traiettoria degli occhi di Grimmjow, che non fece neanche in tempo ad incontrare, perché seguirono subito la fuga del ragazzo, spalancandosi sorpresi, per poi diventare due fessure.
   « Vattene. Subito. », era riuscita solamente a sibilare alle sue spalle, prima di sentirsi investita da tutto il peso del corpo teso Grimmjow, che cercò di trattenere dall’inseguire quella preda che se avesse raggiunto, avrebbe mangiato viva. Sentì un tonfo dietro di lei, il ragazzo doveva essere caduto per lo spavento, ma Tatsuki non ebbe nemmeno il tempo di girarsi, perché se avesse perso anche solo per un secondo la concentrazione, sarebbe stata sopraffatta.
Non riuscì a distinguere che confusamente il vociare fattosi più conciato allo scatto di Grimmjow, i suoni la raggiungevano ancora come ovattati, le uniche cose che riusciva a sentire chiaramente erano la reiatsu di lui e il battito del proprio cuore, che era come impazzito. Da fuori doveva sembrare la semplice scena di un fidanzato incredibilmente geloso e pronto a menar le mani, e della sua ragazza che cercava in tutti i modi di calmarlo. Ma Tatsuki non riusciva a calmarlo, e nemmeno a trattenerlo, dovette premere con forza una spalla contro il muro per riuscire in qualche modo a rimanere in piedi.
Sentiva le proprie ginocchia come sul punto di cedere. Sentiva ogni muscolo del proprio corpo fremere per lo sforzo di contenere la furia di lui, che aveva preso a ringhiare sommessamente proprio come un animale. Neanche questo riusciva a sentirlo chiaramente, ma le bastava vedere il suo viso distorto mentre digrignava i denti per sentirsi lo stomaco attanagliare in una morsa di panico. Doveva fare qualcosa, doveva distrarlo, o avrebbe perso completamente il senno. E lei con lui, lasciandosi dominare dalla voglia di scappare davanti a quello che si era trasformato in un mostro.
   « Grimmjow. », ripeté ancora, cercando di mantenere il tono più fermo, mentre tra le dita strinse la stoffa della sua camicia, aggrappandosi a lui. Sotto le sue mani, sentiva i muscoli del suo petto contratti inverosimilmente, pronti a scattare in qualsiasi momento, appena avesse trovato un’apertura. Il suo sguardo era fisso davanti a lui, sul corridoio ormai vuoto in cui era sparita la sua preda.
Tatsuki imprecò tra i denti e gli piantò le unghie nella carne, provocandogli una smorfia più di stupore che di dolore.
   « Guardami! », gemette, con le braccia doloranti, mentre, mettendoci tutta la forza che le era rimasta, lo strattonava verso di sé, costringendolo a voltare il viso nella sua direzione.
Non appena incontrò il suo sguardo, per un attimo provò veramente l’impulso di lasciarlo andare e fuggire, correre via, come aveva fatto quel ragazzo prima di lei. L’odio e la brama di distruzione che scaturivano dai suoi occhi la trafissero come una coltellata, togliendole il fiato e la capacità di dire altro. Si rese conto di non avere mai avuto così paura in vita sua.
Era sul punto di essere divorata.
 
La vista di Grimmjow era come annebbiata. Ci mise qualche secondo per mettere a fuoco che quella che aveva davanti, non era feccia, e neanche un mero ostacolo da abbattere. Quando finalmente fu abbastanza lucido da rendersi pienamente conto di chi stava già massacrando con lo sguardo, sbarrò gli occhi. I suoi muscoli si rilassarono, mentre lentamente riacquistava il controllo di sé, e si rendeva conto che Tatsuki stava tremando. Dalla paura che mai era riuscito a farle provare.
L’aveva definita sua. E peggio ancora... l’aveva definita qualcosa. In un attimo si era dimenticato di tutto, persino del suo nome e di cosa lo avesse spinto ad attaccare, accecato com’era dalla rabbia. Rabbia nata sì per la preoccupazione, ma che poi aveva preso una direzione totalmente diversa. Non era esploso in quel modo perché chicchessia avesse fatto chissà cosa Tatsuki. Ma piuttosto, perché era stato messo in discussione il suo diritto di proprietà.
Era stata una sensazione completamente diversa da quella che aveva provato la prima volta, nel momento in cui quello stesso ragazzo – che ora era arrivato a un soffio dall’uccidere, uccidere davvero – aveva messo in discussione la femminilità di Tatsuki, ferendola nell’orgoglio. Sì, la rabbia c’era stata. Ma il motivo che quella prima volta lo aveva spinto a reagire, era stato il mancato rispetto nei confronti di lei, che aveva preso come un affronto personale. Perché? Ogni volta che ci ripensava, sentiva rimontargli dentro la frustrazione di quel momento, moltiplicata per quella che aveva provato quando lei gli aveva detto di “farsi gli affari propri”.
   Quello che la riguardava non erano forse anche affari suoi?!, Grimmjow non era riuscito ad accettare di darsi una risposta negativa, anche se era quella palesemente corretta.
Era questo che non aveva fatto altro che pensare in quei giorni in cui si era tenuto di proposito alla larga da lei, passandoli a riversare l’irritazione che gli montava dentro sulle povere cannucce delle confezioni di latte. Irritazione non causata da Tatsuki, ma dalle parole che gli aveva rivolto, che ogni volta che la vedeva, anche solo da lontano, gli facevano provare quella che non sapeva si chiamasse “cocente delusione”, causata da un altrettanto ignoto “due di picche”.
Ma tutte queste cose, Grimmjow se l’era dimenticate in un battito di ciglia, quando la gelosia, un’altra emozione incredibilmente forte e sconosciuta per lui, gli aveva tolto tutti i freni inibitori e la capacità di ragionare lucidamente. Non che lui fosse mai stato una grande testa.
Si era lasciato trasportare dall’istinto, e ora, quello che aveva mancato di rispetto nei confronti di Tatsuki, era stato proprio lui.
Lentamente, Grimmjow alzò le mani per sciogliere quelle di lei che ancora gli stringevano convulsamente la camicia. Lui, il re, si sentiva... piccolo quanto un verme. Tatsuki non era qualcosa. E non era nemmeno sua, si rese conto, capendo solo in quel momento quanto avrebbe voluto con tutto sé stesso che invece fosse così.
Ma non fece neanche in tempo a sfiorarla.
   « N-Non mi toccare! »
Perché lei si tirò indietro all’istante, spingendolo via e indietreggiando contro il muro, portandosi una mano alla bocca, e coprendosela col dorso. Si sentiva come nauseata.
Si sentiva stupida.
Per aver pensato che poteva considerarlo come un umano, che le bastasse pensare al suo sorriso sollevato per accettarlo, in un certo senso.
Per averlo lasciato avvicinare tanto da permettergli di stritolare il suo cuore in una morsa senza via di scampo.

Il sorriso suo sadico di fronte a cui si era trovata per la prima volta, le lampeggiò per un secondo davanti agli occhi.
   « Non provare... ad avvicinarti. », lo ammonì, con un filo di voce. Quella non era la sua voce. Quella non era lei. Tatsuki Arisawa non si faceva mai prendere dalla paura, o almeno, non permetteva a nessuno di vedere quanto anche lei potesse essere vulnerabile. Come la prima volta che si era trovata a dover fronteggiare un Hollow che non era neanche in grado di vedere. Hollow che aveva attaccato Orihime e l’aveva fatta piangere. Questo le era bastato per mandare giù il nodo che le si era stretto all’altezza della gola e imporre alle sue braccia di non tremare mentre aveva cercato in tutti i modi di proteggerla, fingendosi sicura di sé. O come quando si era trovata davanti quello che non sapeva neanche si chiamasse Sōsuke Aizen e, nonostante non avesse potuto fare altro che cadere in ginocchio davanti alla sua forza schiacciante, aveva stretto i denti e intimato a Keigo Asano di scappare, lasciandola indietro.
Tatsuki Arisawa non si lasciava mai intimidire. La sua voce non tremava mai di paura, era sempre ferma, inflessibile.
Per la prima volta dopo tanto tempo, si trovò a lottare contro l’impulso di piangere per scaricare la tensione.
 
Trema, umana, di fronte al re.
Grimmjow aveva ormai perso il conto delle volte che l’aveva pensato, sperato, e alla fine desiderato che non accadesse mai. Aveva perso anche il conto delle volte in cui aveva provato a spaventarla, da semplici minacce campate per aria, fino ad arrivare a raccontarle il suo passato.
Sperando che lei lo spingesse via, che lo guardasse con occhi sbarrati, col timore che gli spettava di diritto.
Ma lei non l’aveva mai fatto. Non si era mai lasciata impaurire, gli aveva sempre tenuto testa. E alla fine, Grimmjow Jaegerjaques, il re solitario, aveva cominciato a desiderare rispetto e non timore.
Con che occhi l’aveva guardata per spingerla a provare così paura?
Come se non l’avesse riconosciuta. Come se lei non avesse mai contato niente.
   Come se avesse voluto farla a pezzi.
Grimmjow avrebbe voluto essere in grado di ridere, in quel momento. Come aveva fatto tante volte quando si era sentito... ferito. Vulnerabile. Aveva dimenticato con una risata le preoccupazioni e aveva trasformato il dolore in un arma. Un arma a doppio taglio, che oltre a distruggere i suoi nemici, aveva corroso anche quel poco di umano che c’era sempre stato in lui, senza che lo sapesse.
Quel poco che, di nuovo, senza che se ne rendesse conto, stando a contatto con gli esseri umani era cresciuto, riempiendo poco a poco quel vuoto che caratterizzava la sua natura di Hollow. E quando il sorriso di Tatsuki aveva scacciato la vergogna che aveva provato dopo averle raccontato di quella che fino a quel momento era stata la sua vita, all’altezza dello stomaco si era sentito colmo di quella che, ancora, non aveva idea si chiamasse felicità.
Ora, guardando i suoi occhi castani ancora sbarrati, che però aveva distolto da lui, evidentemente sopraffatta, si sentiva completamente svuotato. Provò il desiderio di avvicinarsi, di toccarla. Proprio quello che lei gli aveva intimato di non fare. Forse avrebbe urlato se avesse fatto un solo passo verso di lei. Forse avrebbe pianto.
Non era questo ciò che aveva sempre voluto? Che lei tremasse, che riconoscesse la sua forza, che avesse paur-...
   « ... Idiota. »
Grimmjow corrugò la fronte, credendo di non aver sentito bene, mentre gli occhi di Tatsuki si piantavano nuovamente nei suoi. La mano, ancora tremante, che fino a quel momento aveva tenuto premuta contro le labbra, si abbassò lentamente, per poi serrarsi in un pugno tanto stretto che le unghie le penetrarono nel palmo.
   « Idiota. Idiota, cretino, imbecille! »
Ora che le sue orecchie avevano ripreso a funzionare a dovere, Tatsuki si rendeva conto da sola di quanto la sua voce suonasse stridula. Distorta, da quel nodo che sentiva alla gola e che non avrebbe mai permesso si sciogliesse in lacrime. Non davanti a lui.
Ma non solo per una questione di orgoglio, né per l’abitudine di non mostrare mai le sue lacrime a nessuno. Tatsuki, ora, sentiva che se si fosse abbandonata ai singhiozzi, non avrebbe più saputo come fermarsi. Già le pareva incredibilmente difficile respirare, in quel momento, come se avesse l’asma, di cui non aveva mai sofferto in vita sua. Se poi si fosse messa a piangere davanti ai suoi occhi, dandogli la perfetta scusa per odiarsi, non se lo sarebbe mai perdonata.
Grimmjow le aveva fatto paura. Involontariamente, così come era stata involontaria la sua reazione disgustata. Avevano entrambi mostrato qualcosa che avrebbero preferito l’altro non vedesse mai. Proprio per non arrivare al punto di dover affrontare la realtà dei fatti, che ormai era evidente.
Lui era un Hollow. Lei un umana. Belva e preda.
Se le cose fossero state così semplici, però, nessuno dei due si sarebbe sentito tanto in colpa semplicemente guardando l’altro. La loro era stata una reazione naturale, istintiva, forse. Eppure Tatsuki non poté fare a meno di sentirsi incredibilmente colpevole per essersi lasciata fuorviare così. Non aveva forse già deciso che lo avrebbe considerato e lo avrebbe spinto ad autoconsiderarsi più umano, da quella volta in cui si era sentita come... messa alla prova, quando le aveva sbattuto in faccia il suo passato da Hollow, da re della distruzione? Trovandosi però di fronte alla sua natura e non a semplici parole, non era riuscita a non provare un brivido di terrore. Soprattutto quando lui l’aveva guardata per quella frazione di secondo, come se non l’avesse riconosciuta, troppo accecato dalla sete di sangue.
   Idiota, lo insultò ancora nella propria testa, ripetendolo infinte volte, mentre serrava gli occhi e si imponeva ancora di deglutire e non azzardarsi a piangere come una femminuccia impaurita. Dov’era finita tutta la sua mascolinità adesso che le sarebbe servita a qualcosa, per una volta?
   « Ma chi diavolo ti credi di essere...? », gli chiese con voce spezzata, tornando a cercare il suo sguardo, tentando di tenere sotto controllo il respiro che le pesava in gola. E la tensione nervosa, la rabbia, cominciarono a prendere il posto del timore. Rabbia verso sé stessa per essersi dimostrata così debole di fronte a lui che in cuor suo aveva già deciso di accettare così com’era, rabbia verso di lui che ora se ne stava zitto, senza reagire, a farsi ricoprire di insulti come se se li meritasse.
Chi si credeva di essere, adesso? Una vera belva, un mostro senza senno, guidato solo dall’istinto? Eppure non si era forse fermato, tornando in sé, non appena l’aveva guardata negli occhi?
   Non sopravvalutarti, idiota che non sei altro.
   « E tu? », lo sguardo di Grimmjow era tornato ad essere una fessura ricolma d’odio, che per un attimo la spiazzò, prima che si rendesse conto che non era indirizzato a lei stessa. « Credi di essere tanto migliore di me? »
Non era questo che Tatsuki aveva inteso con quell’insinuazione. E Grimmjow lo aveva capito. Come aveva capito che stava cercando di celare il timore che ancora le faceva tremare le mani strette a pugno. Come si era reso conto che stava tentando in tutti i modi di essere forte. Per entrambi.
E dire che avrebbe potuto davvero farla a pezzi in un battito di ciglia. Perché continuava ad essere così ostinata? Ormai la sua facciata temeraria era caduta da un pezzo. Non era più credibile.
   Piantala di comportarti come se adesso ti facessi pena.
  È quello che sono. E tu... ne hai paura.
   « Te la sei cavata solo perché quello era umano. », rincarò, sapendo che così l’avrebbe ferita. Sapeva quanto si sentisse impotente. Quanto si sentisse inutile, nonostante la sua forza, che però non poteva niente contro qualcosa di più grande di lei.
Qualcosa come lui stesso.
   « Non ti permettere. », Tatsuki lo ammonì, affondando ancora di più le unghie nei palmi delle mani, facendolo sorridere, mentre faceva un passo verso di lei, liberando nuovamente la reiatsu. Kurosaki sarebbe stato lì a momenti per fermarlo prima che potesse fare alcunché.
Aveva solo bisogno di spaventarla ancora una volta. Per l’ultima volta.
   « Ti senti così forte? Eppure lo sai, no? Anche tu sei solo un’umana. »
   « Ti ho detto di non-...! », Tatsuki non riuscì ad impedire al proprio corpo di avere un altro fremito e di indietreggiare, appiattendosi ancora di più contro il muro. Perché non riusciva ad avere il controllo di sé stessa?
   « Cosa? Avvicinarmi...? »
Distruggere, distruggere, distruggere.
Era la cosa che Grimmjow sapeva fare meglio, in fondo. Ed era riuscito a farlo anche con quel minimo di rispetto che aveva ottenuto e che inconsciamente si era trovato a desiderare sempre di più, insieme a quella sensazione di completezza all’altezza dello stomaco.
   « ... Io non sono un umano, Tatsuki. »
Avrebbe potuto farla a pezzi. Anche prima dell’arrivo di Ichigo, che in quel momento si stava facendo largo tra la folla come aveva fatto lui quelli che erano stati solamente pochi minuti prima. Ma che gli erano bastati per distruggere ogni cosa, come aveva sempre fatto.
E anche ora, avrebbe potuto distruggere lei stessa, se solo avesse voluto.

   « No... »
Avrebbe potuto...
   « Tu sei solo... un idiota. »
Ma non riuscì neanche ad alzare un dito contro quella fragile umana. Non quando i suoi occhi erano così pieni di fiducia, nonostante tutto di lei tremasse.
 
 
 
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NDA n.2: Micio, sei cotto, COTTO. /parte a canticchiare “L’amore è nell’aria stasera”, tanto sempre di felini si tratta, anzi, del re, QUELLO VERO/

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Capitolo 6
*** Rispetto. ***


NDA: Ve l’avevo detto che non avrei promesso niente riguardo una long! Lo so, sono lenta, lentissima, ma per evitare di scrivere capitoli senza capo né coda ho bisogno dei miei tempi e soprattutto di taaanta ispirazione. Quindi non biasimatemi, vi prego. E vi ringrazio se avete avuto la pazienza di aspettare fino ad ora, e ancor di più se troverete la voglia e il tempo di lasciarmi una recensione anche breve per dirmi che ne pensate.
Faccio solo due considerazioni che mi sono venute in mente mentre buttavo giù questo capitolo, e poi vi lascio alla lettura. Numero uno, quando ho iniziato questa fic era estate, perciò l’ho ambientata in quel periodo, ma adesso mi fa un po’ strano parlare di caldo torrido. Che invidia! xD
Numero due... VI PREGO. Non fatemi notare come nella differenza “mostro” – “umana” questi due ricordino un certo vampirLo sbrilluccichino e la sua musona consorte che al momento stanno al cinema. Ho cercato di non pensarci in tutti i modi mentre scrivevo. O meglio, ci pensavo, e mi rispondevo: “... Naaah, Meg, suvvia, il problema non si pone. Tatsuki ha le palle”. /disse colei che si è letta tutti i libri di Twilight e solo POI si è ricreduta/
Ma bando alle ciance, buona lettura! ♥
 
 
 
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RISPETTO.
 
 
 
Tatsuki Arisawa strappò con forza l’ennesima erbaccia che spuntava dalla zolla di terreno dell’aiuola, per poi asciugarsi la fronte col dorso dell’avambraccio, coperto per metà dalla spessa stoffa del guanto da giardinaggio.
Aveva caldo, caldo da morire, e stare chinata sotto il sole a giocare al pollice verde non era esattamente il modo migliore in cui avrebbe potuto passare il pomeriggio. In  quel momento, avrebbe potuto essere nella palestra del dōjō ad allenarsi per il torneo estivo di arti marziali, sempre a sudare, certo, ma almeno per qualcosa che le piaceva fare, ma che soprattutto, l’avrebbe aiutata a scaricare la tensione nervosa.
E invece no, quel pomeriggio sarebbe stata costretta a scontare quella che non si poteva neanche definire punizione, e a “riflettere”, citando testualmente le parole del preside della Karakura Ichikō, “sulle sue azioni sconsiderate.
   Tsk. In fondo non era successo niente. Per lo meno non era morto nessuno, anzi, nessuno si era rotto niente. Dubitava però di quali fossero al momento le condizioni mentali di quell’idiota già carente in fatto di massa cerebrale, di fronte al quale Grimmjow... Grimmjow aveva perso il controllo. O quasi.
Tatsuki sbuffò, accanendosi ancora contro i ciuffi verdi che crescevano in ogni dove. Almeno aveva le mani occupate, e il sole cocente le impediva di pensare troppo, al contrario di qual’era lo scopo di quello sfruttamento di manodopera minorile che voleva passare per una punizione. E pensare, era l’ultima cosa di cui Tatsuki Arisawa aveva bisogno, dopo tutto quello che era successo.
Voleva solo finire in fretta, tornarsene a casa e farsi una doccia il più lunga possibile. E magari, aiutata dall’acqua che le avrebbe rigato il viso, sarebbe riuscita a sciogliere in silenzio il nervosismo e il nodo che ancora sentiva all’altezza della gola, insieme ai numerosi tra i suoi capelli scuri e spettinati.
Deglutendo per il caldo e la sete, si asciugò nuovamente il sudore che le imperlava la fronte, serrando i denti con forza.
   No, non poteva permettersi di essere così debole. Non quando... lui era sparito chissà dove, lasciandola completamente sola a faticare per entrambi.
Non appena erano usciti e avevano messo piede nel parco della scuola, Grimmjow si era infilato le mani in tasca e si era allontanato a grandi passi, senza degnarsi di dire neanche una parola. E Tatsuki si era odiata come non mai quando una piccola, minuscola parte di sé si era ritrovata a sentirsi sollevata a non averlo più accanto, piuttosto che a mettersi ad urlargli contro per costringerlo a farsi aiutare. Lei stessa non aveva trovato da dire niente, e non era riuscita a fare altro che guardarlo andare via.
Eppure, per tutto il tempo passato a strappare erbacce e a sistemare fiori, non era riuscita a scrollarsi di dosso la sgradevole sensazione dei suoi occhi che la seguivano, chissà da dove, chissà quanto lontano.
   Chissà con quali pensieri.
Non aveva avuto il coraggio di fermarlo. Ancora una volta, Tatsuki aveva avuto... paura. Di pronunciare il suo nome, magari prenderlo per un braccio e bloccarlo, aggrottando le sopracciglia e chiedendogli in modo perentorio dove diavolo credesse di andare. Insomma, come avrebbe fatto normalmente.
Aveva avuto paura, e si era limitata a mordersi con forza il labbro inferiore per impedirsi di dire alcunché, perché dentro di lei sapeva già che in risposta a un suo tentativo di trattenerlo, avrebbe ottenuto solo uno strattone atto a liberarsi dalla sua presa, e uno sguardo freddo e duro come il ghiaccio. Espressione che probabilmente le avrebbe fatto più male di quando quello stesso sguardo si era accesso di sete di sangue nei suoi confronti.
Si sentiva in colpa, come se avesse tradito la sua fiducia. E nello stesso istante in cui lui le aveva dato le spalle, si era sentita in colpa anche per la debolezza che l’aveva bloccata lì, su due piedi. Chissà se Grimmjow si era aspettato di essere chiamato, seguito, se non fermato subito. Chissà se quando lei non aveva fatto niente di tutto ciò, si era sentito deluso.
   Chissà se si era dato dello stupido per aver provato delusione per qualcosa che non avrebbe nemmeno dovuto azzardasi a sperare.
In qualche modo, era come se Tatsuki potesse capire parola per parola, pensiero per pensiero, quello che gli stava passando per la testa. Quell’idiota era così... prevedibile, per lei. Ma anche se era sicura di sapere più che bene quello che stava provando in quel momento, non aveva idea di come poterlo affrontare.
   ... Ma chi voleva prendere in giro. Semplicemente, continuava ad avere paura. Una dannata paura, che non voleva saperne di abbandonarla, anche se adesso si era trasformata in qualcosa di diverso dal semplice timore nei suoi confronti.
Ora aveva paura di essere respinta. Rifiutata, proprio a causa di quell’attimo di debolezza che l’aveva colta alla sprovvista, mandandola nel panico di fronte a lui. E il senso di colpa le attanagliava lo stomaco, oltre che la gola.
Alzandosi di scatto, si sfilò i guanti e li scagliò con forza a terra. Non si era mai sentita così incredibilmente patetica e stupida. Mai. E la cosa che le faceva più rabbia, era come solo Grimmjow fosse in grado di farla passare dalla spensieratezza al terrore più puro, da un estremo all’altro delle sue emozioni. Il modo in cui le stesse si amplificassero a dismisura, quando si trattava di lui, come se già Tatsuki non fosse il ritratto della pacatezza fatta a persona. Odiava tutto questo. Odiava sentirsi così vulnerabile, incapace di controllarsi.
Eppure non riusciva in alcun modo ad odiare lui.
Doveva trovare il coraggio di affrontarlo. Doveva. Per lui, per togliergli dalla testa quei pensieri che sapeva lo stavano divorando silenziosamente, e che la facevano infuriare tanto erano stupidi. Ma anche per sé stessa. Perché non poteva semplicemente permettergli di andare via, di mettere un muro tra di loro, senza dire una parola. Senza provare a trattenerlo al suo fianco.
Mentre si avviava a passo deciso nella direzione in cui Grimmjow si era allontanato, Tatsuki prese nuovamente la scusa del sole che le dava alla testa per non chiedersi per quale motivo sentisse quel bisogno così pressante.
 
 
 
Grimmjow Jaegerjaques fece un profondo sospiro, mentre appoggiava la nuca al duro tronco dell’albero e chiudeva gli occhi. Il caldo era asfissiante, ma almeno, al riparo tra le foglie, su quel ramo abbastanza largo da reggere il suo peso, poteva prendere un po’ di fiato. Lasciò oscillare una gamba nel vuoto, l’altra piegata sotto il suo braccio, e si limitò ad ascoltare il mondo celato ai suoi occhi chiusi.
   Voleva semplicemente non pensare a niente.
Soprattutto non a quel indefinito senso di disagio che gli stava divorando, bucando lo stomaco.
Tese le orecchie, abbandonandosi ancora di più contro il legno brulicante di vita, quasi a volersi fondere con esso. Poteva sentire tutto, o quasi. I suoi sensi da Arrancar erano fini, molto più fini rispetto a quelli degli altri Hollow, figuriamoci di quelli degli esseri umani. Anche dentro quel corpo finto, quel gigai che gli calzava stretto, il suo raggio di sensibilità rimaneva piuttosto ampio.
Rimase ad ascoltare, perdendo la cognizione del tempo, cose a cui  normalmente non dedicava la benché minima attenzione. Poteva sentire il vento che smuoveva ritmicamente le foglie, il frinire delle cicale sovrastato per un secondo dal ronzio di una mosca passatagli a pochi centimetri dal naso, un ramoscello spezzato da dei passi in avvicinamento dalla cadenza familiare, se si concentrava poteva avvertire anche il rombo di quelle scatole di latta con le ruote, chiamate automobili, che gli umani usavano per spostarsi in strada, al di là di cancelli della scuola. Poteva perfino distinguere la musica più disparata provenire dai finestrini aperti delle macchine degli umani, in cerca di un po’ di aria.
E poi ancora il rumore del legno che si spezza sotto il peso corporeo di quel qualcuno che si stava avvicinando. Corrugò la fronte, tornando alla realtà, ma rimase con gli occhi chiusi, a concentrarsi su quel suono in particolare.
Il ritmo di quei passi resoluti era decisamente troppo familiare, quasi inconfondibile.
Erano ancora lontani rispetto alla sua posizione, e ogni tanto si fermavano, facendo una pausa. Come se stessero cercando qualcosa. Grimmjow ritrasse silenziosamente la gamba a penzoloni, quasi a volersi nascondere. Una parte di sé sperava quasi che quei passi, i... suoi passi, passando sotto il “suo” albero avrebbero tirato dritto, senza fermarsi e pensare minimamente a guardare in alto. Eppure, l’ altra parte di lui sapeva benissimo quanto la proprietaria di quei passi non fosse stupida, affatto. Ma soprattutto, quanto fosse ostinata, tanto che non si sarebbe fermata finché non lo avesse scovato.
Grimmjow però non era sicuro di volersi far trovare. Non da lei, non in quel momento in cui si sentiva... incredibilmente vuoto. E il solo pensiero di doverla affrontare, non gli provocava una scarica di adrenalina e rabbiosa eccitazione come al solito, quando si preannunciava una discussione coi fiocchi tra di loro.
Grimmjow Jaegerjaques non aveva minimamente voglia di discutere. Non voleva pensare e basta, né affrontare nessuno, e quell’umana incredibilmente testarda era in cima alla lista di quei “nessuno”.
Forse sarebbe stato meglio che non lo trovasse e basta, lasciando le cose come stavano. Sì, sarebbe stato decisamente meglio, se per un fortunato scherzo del destino lei avesse tirato dritto sotto quell’albero, senza guardare in alto, procedendo per la sua strada. E Grimmjow poi avrebbe preso la propria, senza degnarla ancora della più insignificante attenzione. Meglio così, per tutti e due, ognuno per la sua, di strada, e tanti cari saluti. Bastava che non alzasse lo sguardo. Se non lo avesse fatto, le cose sarebbero andate per il verso giusto per entrambi, e Grimmjow promise a sé stesso che da quel momento in poi la sua, di strada, avrebbe fatto il giro più largo possibile da lei. Ovviamente, per liberarsi dall’enorme scocciatura quale sarebbe sicuramente stata se avesse preso ad ignorarla, e figurarsi, non perché il suo sguardo terrorizzato continuasse ad apparirgli davanti agli occhi, tormentandogli la testa e lo stomaco.
Se non lo avesse trovato, avrebbe semplicemente voluto dire che era così che doveva andare. Ognuno per la sua strada, sì. Quasi ci sperava. Quasi. E quel “quasi” non andava bene affatto.

Tenendo ostinatamente gli occhi chiusi, Grimmjow continuò ad ascoltare il suono di quei passi, sì... dei suoi passi.  Doveva essere davvero spazientita da quella ricerca infruttuosa, visto che avevano la delicatezza di un elefante, ancora più del solito. Gli scappò un sorriso divertito al pensiero di quella che doveva essere la sua espressione, sorriso che però gli si congelò in fretta sulle labbra.
Presto non avrebbe più potuto permettersi di lasciarsi scappare sorrisi ebeti al pensiero di lei, come un povero coglione. Se solo si fosse sbrigata e avesse superato il “suo” albero, se solo-...
   « Cosa ci fai là sopra? »
Tatsuki Arisawa sollevò una mano per schermarsi gli occhi dai raggi del sole che filtravano tra le foglie. Assottigliò lo sguardo cercando di distinguere la sua figura, che aveva cercato per una buona mezz’ora fino a perdere la pazienza. Avrebbe dovuto immaginarlo che i suoi istinti da felino mancato lo avrebbero spinto a cercare rifugio in alto. Come se avesse dovuto nascondersi da chissà cosa. O da chissà chi.
Tatsuki trattenne una smorfia al pensiero di quanto infantilmente si stesse comportando. Da un lato la faceva infuriare il suo comportamento, e il modo in cui, nonostante l’avesse chiamato – e lei era sicura che l’avesse sentita – avesse continuato a tenere gli occhi chiusi, senza degnarsi di dare segni di vita. Dall’altro, invece, sentiva rimordersi la coscienza, perché se non si fosse comportata come una femminuccia niente lo avrebbe spinto ad allontanarsi da lei. Rilassò quindi la fronte con un mezzo sospiro, mentre lasciava cadere la mano, che andò a posare su un fianco.
   « ... Grimmjow? », lo chiamò, con quanta più calma riuscì a trovare. Per un attimo si sentì una mamma che cerca di far pace con il figlio offeso dopo aver esagerato coi rimproveri. Certo è che lei avrà avuto la propria parte di colpa, ma quel gatto troppo cresciuto si comportava davvero come un bambino.
Grimmjow si accigliò sentendole pronunciare il suo nome. Non gli piaceva quanto lo faceva, perché aveva sempre un tono che gli faceva venire una voglia incredibile di guardarla. Si era aspettato di trovarla arrabbiata, il che avrebbe semplificato le cose. Discutere forse sarebbe stato meglio che doverla affrontare quando cercava di essere gentile, perché così rischiava di dargliela vinta. E non poteva permettersi di farlo.
   « Mi vuoi rispondere, almeno? »
   « No. », grugnì tra i denti, proprio come un bambino capriccioso.
Tatsuki lo fissò in cagnesco, facendo qualche passo indietro e studiando da varie angolazioni come avrebbe potuto costringerlo a scendere e a risponderle in faccia. Purtroppo però il ramo su cui era seduto era troppo in alto perché potesse riuscire ad afferrarlo saltando, senza contare il fatto che lei non era esattamente una cima ad arrampicasi, quindi, a meno che non gli avesse lanciato qualcosa...
   « Scendi. », si risolse ad intimargli. « Non lo ripeterò due volte. »
   « No. », replicò lui con più ostinazione, per poi aggiungere, dopo un attimo di esitazione: « ... Vattene. »
Pronunciare quelle parole gli richiese più freddezza di quella che avrebbe immaginato, e che non riuscì a trovare. Il tono della sua voce risultò più rassegnato che risoluto, e inutile a dirlo, non ebbe l’effetto desiderato.
Perché Tatsuki non si sognò minimamente di dargli ascolto. Eppure non riuscì nemmeno a mandar giù, imponendosi di rimanere calma, quel suo rifiuto, quel suo modo di respingerla che tanto aveva avuto timore di dover fronteggiare. Un fremito di delusione percorse le sue braccia, spingendola a fare con più forza e più rabbia quello che impulsivamente si era già decisa a fare, nel caso lui non le avesse dato retta.
Con un rapido riflesso, Grimmjow evitò prontamente la piccola confezione di latte ricomprata da Tatsuki prima di andarlo a cercare, e che ora gli era stata lanciata contro in uno scatto d’ira. Peccato però che nello schivarla finì per perdere l’equilibrio, cadendo dal ramo dell’albero e rischiando di rovinare a terra, se non fosse riuscito ad atterrare facendo peso sulle ginocchia e sulle mani.
Sorpreso e infuriato da quel suo gesto che l’aveva preso alla sprovvista, stava per sbraitarle contro chiedendole cosa diavolo le passasse per la testa, quando l’espressione sul suo viso chino gli fece morire le parole in gola.
   « Stai facendo tutto da solo... », Tatsuki mormorò a bassa voce con amaro risentimento, stringendo i pugni lungo i fianchi. Per qualche motivo, Grimmjow si sentì più colpito che se quelle stesse parole gliele avesse a sua volta urlate in faccia. Imprecò mentalmente, distogliendo di nuovo lo sguardo da lei, mentre lentamente si tirava su e si puliva le mani sporche d’erba sui pantaloni. Non aveva la forza di guardarla. Né, si rese conto, di stare lì davanti a lei così, senza avere niente da dire. Nella sua mente quella scena richiamava troppo quando quella stessa mattina l’aveva vista indietreggiare contro il muro, serrando i pugni con le braccia tremanti analogamente a ora, anche se adesso erano circondati da decisamente troppo verde per poter scambiare il parco per il corridoio del primo piano. Sta di fatto che aveva visto già una volta come quella situazione si era conclusa, e non aveva intenzione di fare niente per ricreare quel déjà-vu.
   « Ti do... così tanto fastidio? »
Stava per girarsi e mettere le distanze tra loro ancora una volta, quando la sua voce richiamò improvvisamente la sua attenzione, cogliendolo nuovamente impreparato, tanto che si dimenticò del suo proposito di tenere lo sguardo posato su tutto tranne che lei.
   « Ah? », se ne uscì, confuso dalla domanda senza senso.
Tatsuki fece un profondo respiro, chiudendo per un secondo gli occhi e cercando di tenere a freno la sua irritazione. Nell’ultima mezz’ora che aveva passato a camminare, cercandolo, nella sua testa si era immaginata tante cose che avrebbe potuto dirgli. Chissà perché, però, tutto il ponderato discorso che si era attentamente costruita, era sparito dalla sua memoria.
   « Rispondimi. Sono fastidiosa? », ripeté quindi di punto in bianco, cercando il suo sguardo.
Grimmjow rimase a fissarla aprendo e richiudendo più volte la bocca, non sapendo bene come replicare. Uno dietro l’altro, gli passarono per la mente tutti i momenti in cui, per un motivo o per l’altro, Tatsuki l’aveva infastidito, se non fatto proprio incazzare, fin da quando l’aveva conosciuta e odiata al primo sguardo, a quando poi quell’odio si era trasformato in desiderio di piegarla, di farsi temere, e poi infine di guadagnare il suo rispetto.
   « ... Sì. », disse, sinceramente. Nessuno, mai, l’aveva infastidito come lei, che gli teneva testa e che gli faceva provare sensazioni sconosciute in grado di fargli perdere il suo già scarso controllo. Come lei, che in quel momento gli fece anche provare il desiderio di ridere malgrado tutto, quando, alla sua risposta, aggrottò le sopracciglia con una buffa espressione contrariata e indispettita.
   « Okay, non era la risposta che volevo sentirmi dire, ma, beh... touché. », incrociò le braccia al petto, spostando il peso da un piede all’altro. « Rispondi a un'altra domanda, allora. Sono... sono talmente fastidiosa che ti viene voglia di farmi del male? »
Grimmjow aprì nuovamente la bocca, per poi richiuderla, affondando i denti affilati nella carne del labbro. Si prese di nuovo altro tempo, ma non tanto perché non sapesse la risposta. Non poteva permettere che la sua voce suonasse nuovamente esitante.
   « ... . », sibilò, fissando gli occhi in un punto imprecisato del verde di fronte a lui. Se l’avesse guardata, temeva che non sarebbe riuscito a darle la risposta affermativa che avrebbe dovuto anche essere quella corretta.
   Quando accidenti era diventato così debole?
Era tutta colpa sua. Tatsuki non era semplicemente fastidiosa, lo mandava in bestia. Bestia docile e addomesticata, però.
   « Bugiardo. Ripetilo guardandomi in faccia. », replicò lei con durezza, cercando di nascondere quanto in realtà quella risposta l’avesse ferita. Si strinse con più forza le braccia al petto, ripetendosi in testa che stava mentendo. Perché Tatsuki sapeva che stava mentendo. Doveva star mentendo, oppure lei era stata una totale idiota ad avergli concesso il suo rispetto e anche qualcosa di molto più importante, di cui si rese pienamente conto solo in quel momento. La sua amicizia.
Grimmjow si trattenne dall’urlare imprecazioni ai quattro venti, tanto dentro si sentiva ribollire il sangue nelle vene. Come riusciva quella piccola umana a leggergli dentro e a dargli una fiducia che nemmeno lui stesso provava nei propri confronti?
   « Vattene. », ripeté ancora una volta invece di ribadire quell’affermazione bugiarda, ringhiando tra i denti e facendo un passo verso di lei, nel tentativo ormai disperato di spaventarla come aveva già fatto poche ore prima. Ma Tatsuki non si fece fregare due volte, concentrandosi su quello che la rabbia che lampeggiava nei suoi occhi chiari, tentava di nascondere.
   « Dammi un buon motivo per cui dovrei andarmene. », si avvicinò quindi a sua volta, chiamando a raccolta tutto il suo coraggio. E gli si avvicinò talmente tanto, alzando il viso per poterlo guardare dritto negli occhi, che quasi fu lui ad indietreggiare.
   « Tu... tu sei completamente fuori di testa, cazzo! »
Grimmjow ormai aveva definitivamente perso il controllo della sua voce, urlandole contro con un tono inferocito quanto quello di un animale ferito. Non sapeva neanche perché avesse il respiro affannoso e il cuore che pompava senza freni, come se cercare di allontanarla fosse difficile quanto combattere per difendere la propria vita. Per la propria indipendenza, la propria forza. Ed era come se lei fosse l’avversario più determinato e deciso a vincere che avesse mai incontrato.
   « Non credere di essere molto più sano di me! », Tatsuki gli rispose per le rime con un tono intriso di amarezza, puntandogli l’indice contro il petto, e facendolo quasi sobbalzare per quel contatto improvviso. Ma non ebbe nemmeno il tempo di reagire, o forse è meglio dire che non ci riuscì. Perché non poté far altro che paralizzarsi su due piedi, quando la mano di lei al posto di ritrarsi si distese, posandosi sul suo petto, mentre faceva un altro passo verso di lui, avvicinandosi tanto che i loro corpi non si sfioravano che per pochi centimetri.
Tatsuki tenne la testa bassa, quasi insaccata nelle spalle, mentre lentamente la mano che ora poteva avvertire ogni singolo battito impazzito di Grimmjow, stringeva con forza la stoffa della sua camicia tra le dita. Ed eccolo ancora, quell’odioso nodo alla gola che si costrinse a ricacciare indietro. Non avrebbe più permesso a sé stessa di mostrarsi così fragile di fronte a lui. E non gli avrebbe più permesso di allontanarsi in quel modo, senza dire niente. Senza darle neanche una minima possibilità. Serrò ancora di più il pugno sui suoi vestiti, come a volerlo trattenere, anche se al momento non stava andando da nessuna parte, e alzò lo sguardo, cercando i suoi occhi, che si dilatarono sconcertati.
   « Sono... », si bloccò subito, cercando le parole adatte. « ... sono stata debole. Mi dispiace, Grimmjow. »
Grimmjow che quasi smarrito rimase a fissare i suoi occhi castani, pieni di un calore capace di sciogliere la sua rabbia in un modo che non avrebbe mai creduto possibile, senza sapere cosa dire, cosa fare. Perché Tatsuki gli stava chiedendo scusa per qualcosa per cui non aveva la minima colpa.
Per quale motivo si stesse sminuendo così di fronte a lui, proprio non riusciva a capirlo. Probabilmente perché Grimmjow non aveva mai chiesto scusa a nessuno, e men che meno si era mai sentito in colpa... come in quel momento, in cui quella piccola umana si stava caricando sulle spalle anche quella che era la sua parte di responsabilità. Esitò, prima di riuscire a vincere la confusione che l’aveva spiazzato,  e allungare le dita a sfiorarle il polso, per poi stringerlo e scostare la sua mano da sé, sciogliendole il pugno che ora lo tratteneva come a non volergli permettere di fuggire di nuovo, così come solo qualche ora prima l’aveva scosso con coraggio, cercando di farlo rinsavire. E guardandola, toccandola, si rese conto di una cosa importante: stava solo scappando, come un codardo. Era lui quello debole, che appena aveva avvertito un cenno di rifiuto nei propri confronti, era fuggito a gambe levate. Forse, per qualcosa di simile alla paura di perdere definitivamente il suo rispetto, la sua fiducia. Ma continuando a tenere le distanze come stava facendo, non avrebbe riguadagnato proprio niente. Anzi.
   Avrebbe finito per lasciarsi sfuggire tutto dalle dita.
   « Sei... umana, Tatsuki. Non debole. Non c’è proprio niente per cui... tu ti debba scusare. »
Per questo le scostò la mano ma mantenne salda la presa sul suo polso, anche lui proprio come a trattenerla, per impedirle di allontanarsi. E Tatsuki non fece niente per cercare di liberarsi dalla sua presa, come avrebbe fatto normalmente con chiunque. Non sopportava di sentirsi intrappolata ma forse, in quel momento, una  parte di lei aveva bisogno di quel contatto anche minimo.
   « Anche tu, se è per questo. », replicò quindi, corrugando la fronte e guardandolo con durezza, e ancora di più quando, inaspettatamente, vide un sorriso dipingersi sul suo viso.
Grimmjow alzò gli occhi al cielo, trattenendo quella che sarebbe stata una risata amara. Avvertì Tatsuki agitarsi nella sua presa, forse turbata dalla sua reazione, ma non si sognò minimamente di lasciarla andare. Le sue dita si contrassero, stringendola più forte.
   « Hai ragione... io sono un Hollow. È la mia natura, non qualcosa per cui mi dovrei... scusare. », replicò, sviando lo sguardo, con un tono di freddo scherno che non gli apparteneva.
Tatsuki non seppe dire se fosse perché lui aveva distolto gli occhi dai suoi mentre stavano parlando, o per il modo in cui aveva frainteso le sue parole, ma le venne spontaneo tendere la mano per girargli il viso e costringerlo a guardarla di nuovo. Peccato però che, trattenuto dalla presa di Grimmjow, quel gesto risultò più una carezza. E proprio sulla guancia sulla quale avrebbe dovuto trovarsi la sua maschera da Hollow.
In fretta com’era comparso, vide il suo sorriso svanire, per lasciare posto a qualcosa che, se non avesse creduto di conoscerlo piuttosto bene, avrebbe definito sconcertato imbarazzo. Ovvero quello che provò lei stessa, ma da cui non si lasciò distrarre, nonostante sentì il proprio viso accendersi e imporporarsi. Invece serrò le dita sul suo mento, bloccandolo per evitare che si girasse nuovamente.
   « Anche tu... sei umano, Grimmjow. Almeno quanto me. », asserì, con una convinzione che aggiunse ancora più forza al suo sguardo, fisso negli occhi di lui. Perché era questa la conclusione alla quale era giunta dopo aver passato così tanto tempo a contatto con lui. Dopo aver osservato il suo modo di comportarsi, le sue reazioni, e soprattutto, il suo modo di porsi con lei stessa, ma non solo. Se fosse stato un mostro senza senno, uno di quegli Hollow che più di una volta avevano attaccato i suoi amici, i suoi compagni, non avrebbe esitato ad agire esattamente come loro, attaccando senza discriminazioni tutti quelli che definiva umani. Eppure, nel modo in cui Grimmjow reagiva a un affronto, oppure semplicemente ignorava quelli che lo circondavano, nel modo in cui si rapportava agli altri, incredibilmente c’era proprio qualcosa di quell’umano dal quale ostinava ad estraniarsi. Quasi qualcosa di infantile, tanto era impulsivo e curioso, come più di una volta Tatsuki aveva notato. E la conferma a questa sua convinzione che ormai si era radicata dentro di lei, gliel’aveva data proprio la sua reazione di quella mattina. Considerando il tutto a mente fredda, Tatsuki poteva benissimo capire che il suo era stato semplicemente... desiderio di aiutarla. Qualcosa che urtava profondamente la sua forte indipendenza, ma che allo stesso tempo le aveva fatto aprire gli occhi su quanto sincera fosse la sua... come definirla?, lealtà nei suoi confronti. E dentro di sé, sapeva altrettanto bene che Ichigo si sarebbe impicciato esattamente nello stesso modo se fosse stato al posto di Grimmjow, come aveva già fatto tante volte quando l’aveva vista in difficoltà. Probabilmente anche Orihime avrebbe fatto la stessa cosa, cercando di aiutarla come meglio avrebbe potuto. E sì, magari anche Asano e Kojima, nonostante il più delle volte la facessero irritare, sarebbero stati dalla sua parte, così come il silenzioso Sado che non si dimenticava mai di farle un cenno di saluto quando la incontrava.
Solo che Grimmjow era come un bambino. E si faceva guidare dall’istinto in mancanza di esperienza in quel mondo così estraneo a lui, diverso da tutto quello davanti a cui si era trovato fino a quel momento. E l’unico modo in cui sapeva farsi rispettare era mostrare a tutti la sua forza. In un certo senso, le ricordava la sé stessa bambina, che quasi ci provava gusto a predominare fisicamente sugli altri, prima che imparasse a frenare in qualche modo la sua impulsività col karate.
Quasi le venne da sorridere a quel pensiero, e la sua espressione involontariamente si addolcì, cosa che disorientò ancora di più Grimmjow, nuovamente smarrito in cerca di una risposta che potesse soddisfare il suo orgoglio colpito dalle sue parole come se gli avesse tirato uno schiaffo.
   « Questa è... questa è la cazzata più grande che tu abbia mai detto. », disse bruscamente, liberandola finalmente dalla sua presa, e infilando le mani nelle tasche, che serrò in un pugno. Non riuscì a definire in alcun modo la frustrazione che si era impossessata in un attimo di lui. Odorava quasi di... incertezza.
   « Ah sì? », Tatsuki gli diede una leggera spinta su una spalla per provocarlo, come se non fossero già sufficienti le sue parole. « Una volta sei stato un uomo anche tu, o sbaglio? Una cosa del genere non si dimentica e basta. »
Grimmjow assottigliò lo sguardo, seguendo quel suo gesto che riuscì proprio nel sul intento di irritarlo, anche se si costrinse a mantenere una rigida freddezza, mentre distoglieva lo sguardo.
   « Io l’ho dimenticato. », replicò sommessamente, la bocca distorta in una smorfia.
   « Tu l’hai voluto dimenticare, è diverso. Ma sai cosa ti dico? », lei attese  con le mani sui fianchi finché lui, controvoglia, non tornò a guardarla con la coda dell’occhio. Dovette trattenere un sorriso soddisfatto al vedere come il filo di quella discussione e le ancora ostinate ma sempre più remissive reazioni di lui, li stessero conducendo proprio dove voleva. « ... Che ho deciso di fartelo ricordare, con le buone o con le cattive. Di farti ricordare... come si fa ad essere umani. »
Grimmjow sbatté più volte le palpebre, mentre la smorfia scettica si accentuò sul suo viso. Scosse contrariato la testa, inarcando un sopracciglio.
   « Rettifico, è questa la più grande cazzata che-... »
   « Non ho chiesto né il tuo parere né il tuo permesso, mi sembra. », lo interruppe Tatsuki, guadagnandosi un’occhiataccia colma di irritazione.
   « Non puoi costringermi a fare proprio niente. Anche perché i fatti  parlano chiaro. Io non sono umano, Tatsuki. », sottolineò in un sibilò, azzerando nuovamente la distanza tra di loro. « Te l’ho già detto, ricordi? »
Sì, ricordava. Tatsuki ricordava benissimo come si fosse sentita schiacciata dalla sua reiatsu, al punto che le ginocchia avevano rischiato di cederle da un momento all’altro, tanto si era sentita tremare. E proprio perché lo ricordava, ora la sua espressione non vacillò nemmeno per un solo istante.
   « Però provi le stesse cose che provo io, no? »
Grimmjow si incupì, serrando i denti e i pugni nelle tasche. Il cuore che gli batteva nel petto come a volerlo sfondare e il sangue che gli ribolliva nelle bene tradirono le sue parole ancor prima che le dicesse.
   « ... Io non provo niente. »
   Adesso è lui a dire cazzate, pensò Tatsuki, corrugando la fronte.
E glielo dimostrò, spingendolo ancora, più forte di prima, ottenendo in risposta un impulsivo ringhio irritato, mentre la mano di lui tornava a serrarsi attorno al sul polso, e la tirava bruscamente a sé, per impedirle ulteriori movimenti.
   « Tu provi rabbia. », gli sorrise compiaciuta, a pochi centimetri dal suo viso corrucciato. « Dolore quando qualcosa ti ferisce, e non provare a dirmi di no. E sai anche ridere di gusto quando qualcosa ti diverte, come chiunque altro. Peggio di chiunque altro, a volte. E sai perché lo so? »
   « ... Perché? », Grimmjow non poté fare a meno di assecondarla, ponendole la domanda che voleva sentire. E dentro di sé sentì di aver già miseramente perso contro quegli occhi scuri fissi nei suoi che brillavano della più dolce vittoria.
Il sorriso di Tatsuki si allargò.
   « Perché la maggior parte delle volte ridi di me, e mi fai venire voglia di prenderti a pugni e farti cadere tutti i denti, quando lo fai. »
E gli occhi di Grimmjow si chiusero, mentre scuoteva e chinava la testa, quasi finendo per sfiorare la fronte di Tatsuki con la sua. E il sospiro frustrato che gli sfuggì dalle labbra si trasformò presto in un mezzo sorriso rassegnato quanto quello della piccola umana di fronte a lui era soddisfatto. [NDA: /prende capocce/ And now, KISS.]
   « Tu sei... l’umana più strana che abbia mai conosciuto. », rise amaramente, tornando a cercarla con lo sguardo, a cui Tatsuki rispose, senza esitazione. All’altezza del cuore, entrambi sentirono come se improvvisamente si fosse sciolto un enorme peso.
   « Strana e fuori di testa, bene. Non mi piace conformarmi alla massa. E adesso muovi quel sedere ossuto che ti ritrovi e vieni ad aiutarmi con la punizione, se no i denti te li faccio saltare sul serio. »
 
 
 
Mezz’ora dopo, Tatsuki si ritrovò ad osservare severamente Grimmjow che si rilassava sul muretto nel retro della scuola, che delineava le aiuole fiorite e finalmente in degne condizioni. Dopo aver finito di aspirare rumorosamente il latte nella confezione miracolosamente intatta, che prima di darsi da fare aveva raccolto da terra, Grimmjow si era sdraiato al sole, in una posizione molto simile a quella in cui Tatsuki l’aveva beccato solo una settimana prima nel campo da calcio. Evidentemente, i suoi istinti felini non si limitavano solo a bere latte e cercare rifugio nei posti alti, ma anche ad oziare pigramente appena se ne presentava l’occasione. Ma almeno Tatsuki doveva riconoscere che, nonostante avesse osservato con un sopracciglio inarcato il paio di spessi guanti che gli aveva premuto contro il petto, la sua parte del lavoro l’aveva svolta, e in metà del tempo che ci aveva impiegato lei, anche se non con eccessiva delicatezza, come testimoniava la terra sparsa un po’ ovunque a sporcare la sua divisa.
Tutto quello che a entrambi rimaneva da fare, ora, era presentarsi in segreteria per comunicare di aver finito di svolgere la punizione assegnatagli, e poi... beh, andarsene ognuno per la sua strada. Per qualche motivo, però, Tatsuki esitava. La voglia di recarsi al dōjō le era totalmente passata, ma anche quella di tornare a casa. Scacciò il pensiero che potesse essere perché così avrebbe dovuto separasi da lui, mentre si sedeva al suo fianco sul ruvido muretto.
E quasi non fece in tempo a farlo, che Grimmjow ne approfittò per appoggiare la testa sul suo grembo, con un teatrale sbadiglio.
   « Ecco cosa mi mancava, un cuscino... », mormorò con voce assonnata, ignorando l’occhiataccia sconvolta e piena di vergogna che Tatsuki gli rivolse per quella presa di confidenza improvvisa e assolutamente indesiderata. Per un attimo la ragazza considerò di alzarsi di scatto, facendolo cadere a terra senza tanti complimenti, ma l’attimo dopo si ritrovò a sviare lo sguardo e a deglutire, cercando di rilassarsi, mentre tra le dita stritolava il bordo del muretto.
Bastava pensare che fosse un gatto. Un grosso gatto in cerca di coccole, sì. Infondo non era molto diverso, valutò, lasciandosi sfuggire un sorriso all’idea di sentirlo fare le fusa se avesse preso ad accarezzargli i capelli.
Con un fremito, Tatsuki si impose di cambiare direzione ai suoi pensieri. Alzando gli occhi al cielo limpido, e strizzandoli per la luce accecante, con la mente ritornò quindi alle parole che gli aveva rivolto solo poco prima, e la domanda le sorse spontanea.
   « Ti ricordi qualcosa? Della tua... vita precedente, dico. Prima di... di... »
   « Morire? », concluse Grimmjow, sentendola in difficoltà, mentre apriva un occhio e piegava la testa all’indietro sulle sue gambe, per poterla guardare meglio. Gli sembrò di vedere le sue guance arrossire di colpo quando incrociò il suo sguardo, ma forse si era trattato solamente uno scherzo del sole.
   « ... Sì. Prima di... morire. », ripeté lei, mentre un brivido le percorreva la schiena.
   Una volta era stato un uomo anche lui, l’aveva detto lei stessa. Un uomo con una vita sua, con una famiglia, con tutta probabilità, e degli amici. Con dei sogni, delle speranze che erano... morti con lui, fin troppo giovane, chissà quanto tempo prima che di lei si cominciasse anche solo a prenderne in considerazione l’idea. Forse non era poi così un bambino come si ostinava a volerlo vedere, rifletté, corrugando la fronte.
   « È passato... beh, è passato un bel po’ di tempo. », replicò Grimmjow, chiudendo gli occhi, come a voler porre fine alla conversazione. Ma Tatsuki non era disposta a lasciar cadere il discorso in quel modo inconcludente.
   « Sei così vecchio da aver perso la memoria? », lo provocò, inarcando un sopracciglio. Sapeva bene che l’età dei cosiddetti Arrancar non era paragonabile a quella umana.
   « E tu sei così piccola da non sapere quando dovresti tenere la bocca chiusa e portare rispetto a chi è più grande di te? »
Tatsuki inclinò la testa di lato, preferendo non replicare alla frecciatina che in fin dei conti si era meritata. La sua curiosità era troppa.
   « Grande quanto? Potresti essere mio nonno? »
   « O magari tris nonno, chi lo sa? », Grimmjow sbadigliò, stirandosi e premendosi di più contro di lei, che ce la mise tutta per non irrigidirsi.
   « Addirittura? »
   « Però li porto bene, i miei secoli, no? », ammiccò, aprendosi in un sorriso furbo che Tatsuki ignorò, così come la sua affermazione. Non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di rispondergli affermativamente.
   « Quindi non ti ricordi proprio niente? Neanche delle persone che conoscevi quando eri ancora... ancora vivo? »
   « Qualcosa, qualcuno, ma solo vagamente. È come se chiedessi a te se ti ricordi che facevi quando non eri niente di più che una mocciosa. »
Tatsuki si incupì, rendendosi conto che a sua volta anche lui non le avrebbe dato la soddisfazione di concederle una risposta esauriente. Forse gli sarebbe servito ancora un po’ di tempo, come per quando gli aveva raccontato del suo passato da Hollow. O forse, alcune cose non gliele avrebbe dette mai, considerò con un sospiro. In fondo, però, che importava? Abbassando lo sguardo verso di lui, che lo ricambiò in attesa di una risposta, decise che ciò che avrebbe contato veramente da quel momento in poi era la persona che aveva davanti, non il suo passato, qualunque esso fosse stato, e nemmeno il suo futuro. E lo promise a sé stessa, con un sorriso.
   « Io mi ricordo che facevo. »
   « Ah sì? »
   « Sì. »
   « E che facevi? »
   « ... Beh, prendevo a calci Ichigo. »
La risata di Grimmjow sorse talmente spontanea che quasi sorprese lui stesso. Forse perché poteva visualizzare benissimo nella sua testa uno o più episodi del genere, o forse perché l’idea di Tatsuki da bambina, per qualche motivo, lo divertiva più di quanto potesse capire consciamente. Perché era qualcosa che combaciava perfettamente con la forte e la fragile umanità di lei, che pian piano stava imparando ad... apprezzare.
Tatsuki, dal canto suo, si sentì come più leggera a sentire la sua risata sincera, e non provò minimamente la voglia di rovinargli il sorriso a suon di pugni. In realtà, era da molto tempo ormai che non provava più il frustrante desiderio di alzare le mani su di lui. O almeno, non in quel modo.
Avendo solo attimo di esitazione, tolse un filo d’erba dai suoi capelli, soffermandocisi più del dovuto e sfiorandoli appena con le dita.
  « ... In questo mondo però non funziona così, Grimmjow. »
  « E come funziona? », chiese lui, con un tono più rigido di quanto intendesse, dovuto a quel gesto tanto fugace quanto inaspettato, a cui si costrinse a non pensare troppo.

Tatsuki alzò nuovamente gli occhi al cielo, tornando a posare la mano sul muretto, che strinse molto più forte di prima tra le dita.
  « Lo so che detto da me sembra ipocrita, ma devi... devi essere superiore. Fregartene di quello che dice o fa la gente. Non puoi pretendere che tutti ti rispettino. »
A quelle parole, Grimmjow non poté fare a meno di aggrottare le sopracciglia, trovandosi in totale disaccordo, che sottolineò mettendosi a sedere e cercando il suo sguardo.
  « Dovrebbero. Devono. », asserì con tono inflessibile. « E devono... rispettare anche te. »
Guardando l’espressione leggermente stupita di Tatsuki, non seppe dire perché avesse aggiunto quella precisazione. Capì solo che era giusta, mentre ripensava a quando si era sentito ferito nell’orgoglio quando era stata lei ad essere presa di mira. Cosa che non avrebbe più permesso riaccadesse. Mai più. A costo di farla incazzare per essersi intromesso in quelli che aveva definito “affari suoi”. Se quello che la riguardava non era affar suo, allora Grimmjow avrebbe semplicemente fatto in modo che lo diventasse.
  « A me basta avere il rispetto delle persone che io rispetto a mia volta. O meglio, cerco di farmelo bastare, anche se non sempre ci riesco. Se no impazzirei. », Tatsuki si strinse nelle spalle, abbassando lo sguardo verso i propri piedi, che incrociò, dondolandoli appena.
Ma lo rialzò subito, perché quello che ammise Grimmjow dopo un attimo in cui era rimasto in silenzio coi suoi pensieri, la colpì più di qualunque altra cosa avrebbe potuto dirle in quel momento.
  « ... Io ti rispetto. »
Si rese conto di star arrossendo nuovamente, ma non gli diede peso, perché quello che provò, fu un imbarazzo piacevole. E non si vergognò minimamente di mostrarlo davanti a lui, che la guardava con serietà, aggiungendo forza alle sue parole. Non si vergognò di mostrarsi così umana, e timida, e vulnerabile, perchè sapeva che Grimmjow l'avrebbe accettata in ogni caso, come lei avrebbe accettato lui.
  « ... Lo so. », e lo sapeva davvero. « Ma non c’è bisogno di fare l’idiota come prima, per dimostrarmelo. Però... grazie. »
Rimanendo a fissare il sorriso più incredibile nella sua sincerità che le avesse mai visto regalargli, Grimmjow non poté fare a meno di chiedersi se quella non fosse la prima volta in cui qualcuno si scusava con lui e lo ringraziava veramente.

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Capitolo 7
*** Tanto da farmi male. ***


NDA: Personalmente, mi sta piacendo molto come il rapporto tra Grimmjow e Tatsuki si sta evolvendo. Perché io li vedo così, soprattutto amici prima che amanti. E in questo capitolo volevo un po’ sottolineare questa cosa, nonché certe decisioni prese nella mente di entrambi, che si stanno sempre più aprendo nei confronti dell’altro.
Questa volta è il turno di Tatsuki che affronterà una cosa che si porta dietro dal primo capitolo, mettendo allo stesso tempo a dura prova il nostro tenero micione impacciato. 8°D
E niente, mi sono talmente sciolta a scrivere questo capitolo che temo dovrete raccogliermi con un cucchiaino. NON DICO ALTRO.
 


TANTO DA FARMI MALE.
 
 

« Potessi
Trattenere il fiato prima di parlare,
Avessi
Le parole quelle giuste per poterti raccontare
Qualcosa che di me poi non somiglia a te.

Potessi
Trattenere il fiato prima di pensare,
Avessi
Le parole quelle grandi per poterti circondare
Di quello che di me bellezza in fondo poi non è. »
[Negramaro ~ Quel posto che non c’è]
 
   
 

 
Tatsuki Arisawa non seppe dire per quanto tempo fosse rimasta seduta sul proprio letto nella stessa posizione, col viso nascosto e le gambe raccolte contro il petto, strette tra le braccia, né quando avesse ceduto alla stanchezza e si fosse addormentata. Stava ancora sbattendo le palpebre, aspettando che i suoi occhi si abituassero al buio, quando sentì un vago fruscio provenire dalla finestra. Finestra che ricordava bene di aver chiuso, mentre ora poté distinguere fosse aperta sulla notte calda e buia, senza un filo di vento. Eppure le tende stavano ancora ondeggiando, come se fossero state appena smosse da qualcosa. O da qualcuno.
Nonostante l’afa, avvertì ugualmente un brivido a cui non seppe dare un significato, quando sentì il suo materasso abbassarsi sotto il peso di quel qualcuno che si era lasciato cadere su di esso, di traverso di fronte a lei, con un sospiro che risuonò nel silenzio. Tatsuki poteva intravvedere a malapena il suo profilo, ma seppe dire con certezza che aveva gli occhi chiusi. Altrimenti li avrebbe visti brillare nel buio.
Lentamente, sciolse l’abbraccio attorno alle proprie gambe, che rilassò contro le lenzuola, e rimase ad osservare a lungo il petto di lui, alzarsi e abbassarsi lentamente, ritmicamente, quasi come se stesse dormendo. Ma sapeva che non era così.
Grimmjow Jaegerjaques era più che sveglio, e Tatsuki era sicura che l’unica cosa che stava aspettando era che lei reagisse in qualche modo alla sua presenza, magari elargendo una consistente dose di insulti nei suoi confronti, o scaraventandolo giù dal proprio letto con discutibile delicatezza.
In altre circostanze l’avrebbe fatto, anzi, solo qualche ora prima l’aveva fatto, quando, chissà come, Grimmjow si era introdotto nella sua camera facendole prendere uno spavento di quelli che si ricordano per tutta la vita, per di più beccandola vestita soltanto dell’asciugamano, reduce da una doccia. Sul perché l’avesse fatto, invece, non si era interrogata poi tanto: da come si era comportato, facendosi trovare comodamente sdraiato sul suo letto con le braccia piegate dietro la testa e gli anfibi sporchi di terra che poggiavano sulle lenzuola, era evidente che il suo masochismo quella sera doveva essere salito alle stelle, e che voleva proprio finire malmenato a sangue per la sua incorreggibile arroganza. Inutile dire quanto si fosse divertito, ridendo a crepapelle per la sua reazione simil isterica. Fortuna voleva che i suoi genitori fossero fuori casa, quella sera, o altrimenti avrebbe avuto parecchie cose da dover spiegare.
Eppure la “visita” di Grimmjow era stata talmente fugace che Tatsuki non aveva neanche avuto il tempo di sfogare completamente su di lui la sua collera. Perché tutto ad un tratto, senza preavviso, il cellulare nella tasca di Grimmjow si era messo a squillare. E l’aria si era riempita dell’inconfondibile suono delle urla agghiaccianti di Hollow e Menos Grande.
Studiando nel buio il suo profilo rilassato, Tatsuki Arisawa si chiese perché fosse tornato lì, tornato da lei, nonostante avesse appena finito di combattere e fosse evidente che aveva bisogno di riposare, e non in quel gigai che comprimeva la sua reiatsu. Perché mai avrebbe dovuto prendersi quel disturbo? Per tormentarla ancora un po’, forse? Tatsuki si sentì quasi in colpa per il solo fatto che un pensiero così meschino le fosse passato per la testa, quando dentro di sé sapeva bene quale fosse il vero motivo che lo aveva spinto a tornare, lo stesso che aveva letto nel suo sguardo prima che sulla soglia della finestra si voltasse verso di lei e sparisse nella notte solo poche ore addietro.
Quello che in verità non riusciva a capire, era come potessero quegli occhi azzurri percepire così bene tutto quello che si agitava nella sua testa e nel suo cuore. Era difficile ammettere con sé stessa quanto ormai per essi fosse diventata un libro aperto, fin troppo aperto, tanto che si sentiva... incredibilmente vulnerabile. Tatsuki non era sicura di essere pronta a condividere ogni sua debolezza col proprietario di quelle iridi luminose, che in quel momento si fissarono nelle sue.
   « ... Chiedimelo e basta. »
La voce roca di Grimmjow ruppe il silenzio, con un tono più basso e caldo di quanto si sarebbe aspettata. Sembrava quasi... accondiscendente, e per un attimo Tatsuki si sentì compatita. Si morse con forza le labbra, distogliendo lo sguardo, rendendosi nuovamente conto di quanto fosse insensibile da parte sua interpretare in quel modo quello che Grimmjow stava facendo per lei. Contrariata da sé stessa, chiuse gli occhi e prese fiato, mentre involontariamente serrava le dita a stringere il lenzuolo stropicciato sotto i loro corpi.
   « Come stanno gli altri? »
   « Solo qualche graffio. », replicò Grimmjow, alzando lo sguardo verso il soffitto, sbadigliando e stirandosi i muscoli. Tatsuki annuì impercettibilmente, mentre in lei si scioglieva la preoccupazione, lasciando il posto all’amara consapevolezza, che, come sempre, poi le attagliava lo stomaco come se si trattasse di senso di colpa.
Ichigo, Orihime, Kuchiki, Sado, Ishida, tutti loro sapevano cavarsela da soli.
E soprattutto, senza di lei.
Scosse la testa, e tornando a posare lo sguardo su Grimmjow, che con indifferenza si stava passando una mano tra i capelli spettinati, provò un profondo senso di gratitudine nei suoi confronti, che non seppe esprimere a parole. La sua semplice presenza, il fatto che fosse tornato da lei, in un certo senso preoccupandosi per averla lasciata sola e senza informazioni di alcun genere, ebbe la capacità di farla sentire come se in fondo contasse qualcosa. Ichigo e Orihime, invece, in quei tre anni non avevano fatto altro che tagliarla fuori dai loro problemi, e in generale, da quella situazione più grande di loro in cui si erano trovati coinvolti. Per il suo bene, senza dubbio. Ma non si erano resi conto di quanto questo non avesse fatto altro che creare un muro tra di loro, un muro capace di far sentire Tatsuki tagliata fuori da quelli che erano i suoi due migliori amici.
La verità era semplicemente che Grimmjow non possedeva affatto tutta la considerazione che Ichigo e Orihime dimostravano nell’intenzione di proteggerla. Per quanto lo riguardava, Tatsuki era ugualmente capace di cavarsela da sola, e soprattutto di proteggersi da sola, questo l’aveva capito più che bene quando lui stesso aveva provato il desiderio irrefrenabile di difenderla. Quindi non aveva senso trattarla come qualsiasi debole e stupida umana ignara di tutto. In questo modo, l’avrebbe sminuita e basta. E Grimmjow si era promesso che non le avrebbe mai più mancato di rispetto.
   « E tu stai bene? », la sentì chiedergli, spingendolo a voltarsi per incontrare il leggero sorriso di scherno che le aveva disteso il viso, anche se non era riuscito ad illuminarle gli occhi.
   « Si può sapere per chi mi hai preso? »
Grimmjow inarcò un sopracciglio, tirandosi a sedere sul letto e mostrandole quello che avrebbe dovuto essere un vero sorriso. Ma Tatsuki si limitò a scuotere la testa e a distogliere lo sguardo, lasciando scemare velocemente il sollievo e il divertimento che quello scambio di battute le aveva fatto provare.
A sua volta, anche il ghigno sarcastico di Grimmjow si affievolì in fretta, cedendo il posto a un’espressione corrucciata, mentre affilava lo sguardo per studiarla meglio. Voleva vederla sorridere, scherzare con lui e tenergli testa come era solita fare. Voleva la sua attenzione, e non che se ne stesse con lo sguardo spento e fisso sulle proprie mani, che aveva preso a tormentare.
Odiava vederla così. E odiava quel coglione di Kurosaki per averla lasciata arrivare a sentirsi così, e quell’ingenua di Orihime Inoue che con tutta probabilità era convinta che non dicendole mai niente di niente, non l’avrebbe fatta preoccupare. Ma soprattutto, non sopportava di non essere in grado di fare nulla per lei, in modo da... sì, aiutarla. Grimmjow preferì non chiedersi come avesse fatto a spingersi fino al punto di desiderare di poter ad “aiutare” qualcuno, lui che non aveva mai fatto favori né gesti di altruismo nei confronti di niente e nessuno, almeno, non senza un tornaconto.
Esitò solo un attimo, prima di tendersi verso di lei e avvicinare le labbra al suo orecchio. A causa dell’improvvisa vicinanza la sentì irrigidirsi, il che lo fece sorridere, nella frustrazione che avvertiva in quel momento. E sentì l’impulso di provocarla, quasi di prenderla in giro, per il modo in cui si ostinava a provare imbarazzo ogni volta che lui invadeva il suo... come chiamarlo, “spazio vitale”? Possibile che non si fosse ancora abituata alla sua vicinanza? Sembrava che lo facesse apposta, come se ad ogni costo non volesse accettare la sua presenza e avesse l’intenzione di tenerlo a distanza di sicurezza. Ed era qualcosa che gli dava veramente sui nervi.
   « E tu, Tatsuki...? », sussurrò al suo orecchio, chiamando il suo nome con un tono suadente, tanto quanto beffardo, col chiaro intento di pungerla sul vivo. Effetto che ottenne, visto che lei si pietrificò, colta alla sprovvista, preda dell’imbarazzo oltre che del re. Ma quello che Tatsuki per un breve istante aveva provato, si trasformò immediatamente in un diverso tipo di vergogna quando la voce profonda e fin troppo penetrante di Grimmjow, le chiese quello che lei stessa aveva paura di domandare a sé stessa.
   « Tu stai bene? »
Tatsuki voltò il viso, chinando il capo per cercare di allontanarsi da Grimmjow quanto più possibile, visto che lui incombeva con tutta la sua stazza su di lei. Si sentiva intrappolata, costretta ad affrontare qualcosa a cui in quegli anni aveva cercato in tutti i modi di non pensare. In fondo, non era lei che rischiava ogni giorno la propria vita.
No, infatti. Non era lei.
In confronto, l’ansia irrefrenabile e la violenta paura che provava ogni volta che Orihime, Ichigo, e tutti gli altri se ne andavano a combattere chissà dove e chissà cosa, non era niente rispetto quella che dovevano sentire loro quando si trovavano davanti a uno scontro che avrebbe potuto decretare la loro morte. Non si sarebbe mai perdonata se fosse stata così egoista ed egocentrica da concentrarsi solo su sé stessa e permettere ai suoi amici di vedere quanto l’essere lasciata indietro, il non poter fare niente per aiutarli, e il senso di impotenza che ogni volta immancabilmente provava, la facessero sentire inutile. Vuota.
Le parole di Grimmjow tornarono a risuonarle nella mente, aggredendola come la prima volta che le aveva sentite.
   Ti senti così forte? Eppure lo sai, no?
Lo sapeva. Ogni cellula del suo corpo debole e fragile lo sapeva.
   Tu sei solo un’umana.
Quelle frasi l’avevano colpita come se fossero state degli schiaffi in piena faccia, quelle parole ferita come se si trattassero di insulti. Avevano messo in discussione tutto quello che si era impegnata così a fondo per diventare fin da bambina, quando era ancora convinta che per farsi rispettare bastasse picchiare duro e dimostrare di essere forte.
Ma lei non lo era. Non lo era più, ormai. E Orihime non aveva più bisogno di essere protetta, a Ichigo non serviva più il suo aiuto, il suo sostegno. Adesso erano più che capaci di difendersi da soli, e soprattutto, adesso erano loro a difendere lei, così come chissà quante altre persone ignare di tutto quello che facevano, aiutando gli Shinigami.
Chiuse gli occhi, li strinse forte come a voler dimenticare tutto, ma arrivata a quel punto era troppo tardi per riuscire a scacciare dalla testa quei pensieri. Non voleva che Grimmjow la vedesse in quello stato, aveva come il presentimento che se si fosse lasciata andare così, avrebbe perso anche il suo, di rispetto, oltre a quello che ormai non riusciva più a provare per sé stessa. Se non poteva più considerarsi forte fisicamente, almeno avrebbe dovuto esserlo mentalmente, e piantarla di autocommiserarsi come una stupida.
Già avrebbe dovuto.
La verità era che Tatsuki non era mai stata forte da quel punto di vista, per questo era cresciuta affidandosi ai propri pugni e al proprio istinto. Non era brava a soffermarsi a pensare. Non era brava a trovare soluzioni che non comprendessero un gancio destro quando si sentiva ferita. Da quel punto di vista, era Orihime quella più forte, col suo inguaribile ottimismo che la spingeva ad andare avanti, ottimismo che più di una volta si era trovata ad odiarsi per aver invidiato.
Per questo per lei era più facile negare tutto, fare finta di niente con gli altri, e soprattutto con sé stessa.
   Sì, sto bene, avrebbe voluto, dovuto rispondere.
Così sarebbe stato più facile, e lei avrebbe potuto continuare a fingere che fosse davvero così, in modo da non far preoccupare nessuno, e soprattutto, da non sentirsi compatita.
Eppure... eppure Grimmjow la rispettava per quello che era.
Anche quelle parole l’avevano colpita, anche se in un modo del tutto diverso. Perché non si era resa conto di avere bisogno di sentirle fino a quando lui non gliele aveva dette.
   Io ti rispetto.
Perché in quelle tre semplici parole era racchiuso molto, molto di più. E stavano a significare che lui l’avrebbe accettata comunque, in ogni caso, debole, forte, sorridente, in lacrime.
Alla fine capì che non importava dove avrebbe guardato, cercando di chiudere gli occhi o sviare lo sguardo, perché sarebbe stato Grimmjow che avrebbe continuato a guardare lei, fissandola insistentemente coi suoi luminosi occhi azzurri finché non avesse ottenuto una risposta, e non una risposta qualsiasi.
Lui voleva la verità.
Non ebbe il coraggio di incontrare il suo sguardo. Ma in fondo, in quel momento non c’era bisogno che si sforzasse di essere coraggiosa, qualcosa a cui era fin troppo abituata a fare. Per questo sentì il bisogno di sottrarsi alla sua vista, di nascondersi, lasciando cadere la fronte sulla sua spalla e premendo il viso contro l’incavo del suo collo, così come aveva fatto tante volte con il proprio cuscino. Ma la pelle di Grimmjow era calda, e non fredda come la stoffa della sua federa.
   « ... No. Non sto bene per niente. », mormorò appoggiandosi contro di lui, e si sentì quasi come se avesse appena confessato un crimine.
 
Il respiro gli morì in gola quando si rese conto di quanto incrinata fosse la voce di Tatsuki. O forse è meglio dire che Grimmjow Jaegerjaques si dimenticò completamente di prendere fiato quando, per un breve istante, temette che si sarebbe messa a piangere, e qualcosa di molto simile al panico si impossessò di lui. Era un’emozione che non aveva mai provato prima. Non era affatto simile alla preoccupazione che aveva già provato nei confronti di Tatsuki quando si era trovata in difficoltà, e neanche minimamente paragonabile a quello che aveva sentito e che l’aveva colto alla sprovvista, bloccandolo su due piedi, quando lei lo aveva accarezzato accidentalmente.
Tatsuki ora gli era talmente vicina che il suo respiro gli solleticava la pelle. Anzi, era direttamente contro sua pelle, così come il suo viso, i suoi capelli ancora umidi dalla doccia di prima, e che ora erano a pochi centimetri dalla sua bocca, tanto che se solo avesse voluto avrebbe potuto premerci contro le proprie labbra, ed inebriarsi del loro profumo fresco. Non poteva vederla bene, ma con tutta probabilità aveva gli occhi chiusi, che forse stavano trattenendo lacrime che era troppo testarda per versare e che lui decisamente non avrebbe saputo come gestire.
Perché ben preso si era reso conto di non sapere cosa fare. O meglio, teoricamente sapeva come avrebbe dovuto comportarsi, eppure non riuscì a muovere un muscolo, e mentalmente si ricoprì di tutti gli insulti che conosceva, che non erano esattamente pochi.
Non era questo che voleva? Che Tatsuki la piantasse di respingerlo e finalmente si decidesse a rassegnarsi al fatto che lui aveva intenzione di sentirla vicina ogni giorno, ogni momento di più, e sì, anche fisicamente. Possibile che proprio adesso che era lei quella che voleva sentirlo più vicino, si trovasse ad essere così improvvisamente... insicuro? Non aveva senso.
O forse lo aveva, e la spiegazione risiedeva in quella parte di sé che proprio ora non faceva che ripetergli che non sarebbe stato affatto nella sua natura fare qualcosa come... come abbracciarla. Che sarebbe caduto in basso se si fosse lasciato prendere così tanto da quelle emozioni umane che sentiva crescere dentro ogni giorno, ogni momento di più. Che stava diventando un debole, e quella insicurezza che sentiva ne era la prova lampante.
   Però provi le stesse cose che provo io, no?
Quelle parole gli tornarono alla mente come un fulmine a ciel sereno. E forse, finalmente né capì il pieno significato. Perché apostrofare sé stesso come debole per il fatto che provava insicurezza, sarebbe stato come dire la medesima cosa di Tatsuki, che debole non era affatto.
Tutt’altro. Era talmente forte che aveva persino avuto la sfacciataggine di convincersi che in lui c’era qualcosa di... qualcosa di umano.
   Sai cosa ti dico? Che ho deciso di fartelo ricordare, con le buone o con le cattive. Di farti ricordare... come si fa ad essere umani.
   « Dimmi... dimmi cosa devo fare. ».
Quelle parole gli uscirono spontanee, ma appena le pronunciò, capì che era giusto così. Ormai era tardi per tornare in dietro, probabilmente non ne sarebbe stato neanche più capace, come si era reso conto quando aveva affrontato Tatsuki faccia a faccia, perdendo miseramente contro niente di più che la sua testarda umanità.
Voleva aiutarla, darle quello di cui aveva bisogno. Lui stesso ne aveva bisogno, per compiere il primo passo verso quella direzione che lei continuava ad indicargli con insistenza, direzione che lo avrebbe portato a provare, sentire, sempre, sempre di più, cose che non conosceva, cose che lo incuriosivano, e che allo stesso tempo, sì, lo spaventavano. Ma in fondo, andava bene così.
Perché Grimmjow Jaegerjaques non era più un re vagabondo e solitario.
Tatsuki avrebbe potuto chiedergli qualsiasi cosa, chiedergli di ascoltarla, di lasciarla sfogare riguardo tutto quello che si era tenuta dentro fino a quel momento. Oppure desiderare che Grimmjow le dicesse che sarebbe andato tutto bene, che non era necessario preoccuparsi in quel modo ogni volta che un Hollow spuntava da qualche parte, né che c’era motivo di sentirsi impotente perché a causa della sua naturale debolezza non poteva fare niente. Indubbiamente, erano cose che una parte di lei aveva bisogno di sentirsi dire.
Oppure... oppure avrebbe anche potuto chiedergli di abbracciarla, confortarla, facendole sentire che la sua vicinanza era qualcosa di reale, di tangibile, e che nonostante loro due fossero quanto di più diverso ci potesse essere, non esistevano muri di sorta a dividerli. Anche di questo forse avrebbe avuto bisogno.
Eppure non l’avrebbe fatta sentire meglio. Nessuna illusoria e dolce bugia, nessuna falsa carezza. Non era questo che voleva, e non era neanche quello che Grimmjow avrebbe potuto darle.
La verità era che entrambi, nonostante le loro differenze, egualmente non erano quel genere di persone.
Suo malgrado, un sorriso amaro si distese sulle sue labbra mentre scuoteva la testa conto la sua spalla e lasciava salire le mani sul suo petto, a stringere la sua maglietta. Ormai Tatsuki aveva perso il conto delle volte che l’aveva fatto, e ciascuna per una ragione diversa. Ogni volta, però, si era sentita come se si fosse aggrappata a lui, che nei momenti di difficoltà era stato una sorta di ancora di salvezza, come se il solo fatto di poterlo toccare e sentire vicino l’avesse aiutata a non perdere la testa. Era quasi ironico considerare il tutto da quel punto di vista, quando ogni volta era sempre stato lui a farle perdere la testa, per un motivo o per l’altro.
Tendendosi verso Grimmjow, ora fu il suo turno di parlare al suo orecchio con una voce che avrebbe voluto essere sensuale, ma che sembrò solo colma di gratitudine. Tatsuki indugiò un solo attimo prima di parlare, chiudendo gli occhi e premendo la guancia contro quella di lui.
   « Stringimi... stringimi tanto da farmi male. »
Per poco Tatsuki non sentì il fiato morirle in gola quando le braccia di Grimmjow si avvolsero attorno a lei, e non ebbe neanche la forza di ridere per l’assurdità di quella situazione. Avrebbe potuto giurare di aver sentito le proprie costole scricchiolare.
Anche Grimmjow fu costretto a trattenere la propria risata, perché aveva il presentimento che altrimenti si sarebbe ritrovato coperto di lividi, una volta che l’avesse liberata.
Cosa che però non aveva intenzione di fare nell’immediato futuro.
Avrebbe continuato a soffocarla in quella specie di abbraccio spaccaossa per tutto il tempo necessario, e anche di più. E avrebbe seguitato a farlo ogni volta che Tatsuki ne avesse avuto bisogno, facendole sentire tutta la forza della sua presenza, e nascondendo le sue insicurezze, o meglio, quelle di entrambi, tra le proprie braccia.
Perché infondo, essere l’unico ad avere il permesso di vedere quel lato di lei e poterlo tenere per sé e per sé solo, era qualcosa che, ad essere sinceri, non gli dispiaceva.
Affatto.

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Capitolo 8
*** La Belva in gabbia. ***


NDA: Credo che sia il capitolo più lungo che abbia mai scritto. Spero che questo mi faccia perdonare almeno in parte per il mostruoso ritardo! xD
Davvero, ringrazio di cuore tutti quelli che continuano a seguirmi nonostante sia così lenta. E con una piccola lacrimuccia, vi informo che ormai stiamo volgendo al termine di questa storia. Ancora due/tre capitoli e intendo concludere. Quindi grazie, grazie davvero per avermi seguita con questa long un po’ tanto particolare, che tratta di un pairing ancor più particolare! :°)
Detto questo... ho deciso di trattare ormai alla fine di quello che è stato l’inizio. Ovvero... /rullo di tamburi/ ... come Grimmjow e Tatsuki si sono conosciuti!
Perché farlo ora? Perché voglio farvi capire quanto il loro rapporto si sia evoluto rispetto alla prima impressione. Ora in confronto si amano talmente tanto che mi fanno venire il diabete, puah.
E ora delle piccole precisazioni!
Giusto per essere chiari, visto che magari non tutti voi che seguite questa long siete Tatsumaniaci come la sottoscritta:
– la scena in cui Tatsuki vede il fragolo e il Grimmicio combattere esiste davvero, non è un parto della mia mente malata –come tutto il resto. Per essere precisi... capitolo 211, ultime pagine, potete controllare se siete diffidenti. Chissà che magari Kubo abbia disegnato quella scena proprio in previsione di un incontro tra i miei due adorati...! Sì, questo invece è un puro parto della mia mente malata.
– Tatsuki è davvero più minuta di Orihime. Oltre che ad essere di qualche centimetro più bassa, pesa pure una decina di chili in meno. Saranno le tette a far questa differenza?
– Tatsuki fa davvero parte del Comitato Disciplinare della Karakura Ichikō. C’è scritto chiaro e tondo sulla sua scheda. Ma come può farne parte se metà dei casini li combina lei quando si incazza? /schiva banco volante/
Vi ricordo anche che in Giappone non ci sono gli sms, bensì è possibile comunicare via mail attraverso il cellulare.
Infine, vi ricordo anche che quando ho iniziato questa long, Bleach non era ancora arrivato al punto in cui è adesso, quindi non potevo sapere che piega avrebbero preso gli eventi. Alcune cose sono inevitabilmente inesatte, anche se ho cercato di incastrare tutti i pezzi. Nella mia storia, Ichigo ha riacquisito i poteri da Shinigami prima dell’inizio della terza superiore, così come il ritorno di Grimmjow è avvenuto nella pausa tra la seconda e la terza. E ora, i nostri eroi non sono costretti ad affrontare dei nazi-Quincy, ma i soliti Hollow più un gruppo di Arrancar ribellatisi dopo la sconfitta di Aizen.
Concludo dicendo... AMATE URAHARA. AMATELO E BASTA. Lui shippa GrimmTatsu, date retta a me.
Beh, buona lettura! ♥
 
 
 
LA BELVA IN GABBIA.
 
 
 
 
 
 
   Tatsuki Arisawa fissò intensamente il termometro appeso al muro mentre usciva dalla sala professori.
   Trentatré gradi centigradi. Trentatré.
   Ed era solo un martedì mattina di fine giugno, appena l’inizio dell’estate.
   Certo, presto le vacanze sarebbero iniziate, ma avrebbe ancora dovuto sopportare qualche settimana prima di poter passare le giornate in casa, seduta a gambe incrociate davanti al ventilatore, con un ghiacciolo alla menta tra i denti.
   Furtivamente, si lanciò un’occhiata intorno, verificando che il corridoio fosse effettivamente deserto come sembrava. Le lezioni non erano ancora iniziate, mancavano ancora una ventina di minuti prima del suono della campanella. Quella mattina, si era dovuta recare a scuola in anticipo rispetto al solito per consegnare dei moduli all’insegnante che si occupava di amministrare il Comitato Disciplinare, ma non avendolo trovato, aveva preferito lasciarglieli sulla sua scrivania.
   Avrebbe anche preferito sostare qualche minuto di più nell’aula professori fornita di condizionatori, ma purtroppo agli studenti non era permesso desiderare un po’ d’aria in quell’afa asfissiante, come le avevano ricordato le occhiatacce degli insegnati lì dentro.
   Con una smorfia irritata mandò a quel paese le regole a cui tanto teneva, e si sfilò dal collo il nastro rosso, sbottonandosi la camicetta bianca a maniche corte fino all’incavo del seno. Ma subito abbassò lo sguardo su di sé con aria critica. Se si fosse trovata a parlare con un ragazzo più alto di lei, gli avrebbe offerto una discreta visuale. Arrossendo di colpo mentre si rendeva conto di chi fosse il ragazzo a cui aveva pensato involontariamente, si riallacciò i bottoni fino ad un’altezza più accettabile, per poi tentare di riassumere un’aria dignitosa lisciandosi le pieghe della gonna.
   Il caldo e l’estate le piacevano, ma in momenti come quello si ritrovava proprio a rimpiangere il freddo dell’inverno.
   O meglio, la freschezza della primavera.
   Riprendendo a camminare, non poté fare a meno di pensare a quanto diversa, quanto effettivamente fredda fosse la sua vita solo tre mesi prima.
   Per essere precisi, esattamente tre mesi prima...
 
 
 
   Era un martedì mattina di fine marzo.
   L’aria era ancora fresca, e il cielo non esattamente limpido. Un vento leggero soffiava smuovendo le verdi foglie neonate degli alberi, trasportando pigramente i petali dei ciliegi che fioriscono in primavera, per cui il Giappone è tanto famoso in tutto il mondo.
   Tatsuki Arisawa si strinse nella giacca, incrociando le braccia al petto, mentre osservava con aria critica i kanji su sfondo bianco che componevano la scritta Urahara Shōten. Il grigio delle nuvole rifletteva il suo umore.
   Nonostante fossero le undici passate, non c’era anima viva in giro. Non c’era traccia neanche dei due ragazzini, quello dalla chioma rossa spettinata e quella coi capelli legati in due codini, che erano soliti giocare davanti al negozio. Tutto le sembrava incredibilmente vuoto e triste. O forse era semplicemente lei che in quel periodo vedeva ogni cosa in quel modo, a partire da sé stessa. Pensieri e preoccupazioni che tutti si trovano ad avere alla soglia dell’ultimo anno di superiori, si diceva, senza riuscire a convincersi del tutto. La verità era che Tatsuki era veramente preoccupata per il proprio futuro, e non solo per il fatto che non avesse ancora deciso cosa fare della sua vita dopo il diploma. Vita che, ad essere sinceri, aveva cominciato a sembrarle solo un’enorme presa in giro da quando aveva appreso come stavano veramente le cose.
   Con un sospiro, si decise finalmente ad aprire lo shōji di legno e ad entrare.
   « Gomen nasai, siamo chiusi, ritorni un altro giorno, arrivederci! », la accolse la voce melliflua, modulata e noncurante di Kisuke Urahara non appena ebbe messo piede all’interno del negozio. Ma Tatsuki non si fece scoraggiare, sospettava che usasse sempre quella scusa coi clienti che riteneva “indesiderati”. Allentandosi la sciarpa che le teneva caldo il collo, avanzò tra gli scaffali colmi di liquori, candele aromatizzate e spezie, che con tutta probabilità servivano solo come parte dell’arredamento fittizio, oppure erano a uso e consumo del proprietario. Proprietario che non vide da nessuna parte, nonostante la sua voce l’avesse raggiunta. Ma le fu chiaro dove si trovasse non appena una piccola e scura figura dal passo felpato sbucò fuori dalla porta che dava sul retro, correndole incontro. Tatsuki rimase per un secondo interdetta, osservando la gatta dal pelo nero come la notte strusciarsi contro le sue gambe e regalarle una consistente dose di fusa. Prima di apprendere che in realtà quella gatta fosse una donna formosa dalla pelle del colore del caffè e gli occhi dorati, ogni volta che l’aveva vista le aveva sempre riservato una carezza affettuosa. Ora, invece, non aveva idea di come comportarsi. Fortuna che non l’avesse mai sentita parlare con la sua voce mascolina...
   « Yoruichi-san, deve proprio correre incontro a ogni signorina che viene a farci visita...? », finalmente Urahara si mostrò, facendo capolino dallo stipite e sollevando le tendine che separavano il negozio dal retro, usando la mano in cui teneva un ventaglio bianco. Yoruichi Shihōin rispose con un miagolio che a Tatsuki parve quasi canzonatorio, mentre si allontanava lei e tornava ondeggiando sinuosamente da Urahara, al fianco del quale si sedette, leccandosi una zampa e iniziando a pulirsi il muso.
   « Arisawa-san, buongiorno. Non mi ero accorto che si trattasse di lei, mi perdoni. », l’uomo le fece un leggero cenno del capo, tenendosi il cappello bianco e verde per evitare che cadesse. Tatsuki rispose con una scrollata di spalle, sviando lo sguardo prima che gli occhi di lui potessero posarlesi addosso. Quell’uomo la metteva sempre incredibilmente a disagio quando la scrutava col suo sguardo affilato.
   Fu in quel momento che si accorse che, oltre a quella strana coppia di ex Shinigami sul cui tipo di relazione preferiva non interrogarsi, c’era qualcun altro nell’edificio. Pian piano, aveva imparato ad individuare le reiatsu delle persone e a riconoscere quelle dei suoi amici. Dopotutto quella di Ichigo era... beh, inconfondibile.
   Così come quella di Orihime Inoue, che poteva percepire forte e chiara a dispetto dei muri di legno dell’Urahara Shōten.

   Allora ecco perché quella mattina Orihime non si era fatta sentire, come era solita fare. O meglio, in realtà nelle ultime settimane non si era fatta viva così di sovente come sua abitudine, ma Tatsuki non si era preoccupata. Sapeva che ce la stava mettendo tutta. E forse, anche in quel momento si stava allenando. Ultimamente passava parecchio tempo nella sala sotterranea del negozio, punteggiata di rocce brulle e col cielo di un finto azzurro. Qualche volta, Tatsuki era pure scesa a guardarla, in silenzio, senza farsi notare, per paura di disturbarla. E quello che aveva visto, aveva fatto nascere in lei un misto di orgoglio e stupore.
   Orihime era... davvero in gamba.
   Quello che le fece corrugare la fronte, quindi, fu un altro tipo di reiatsu, che non conosceva. Allora perché qualcosa dentro di lei continuava a ripeterle che non era affatto così, che sapeva bene a chi appartenesse? Non riusciva a ricordare, e la cosa la irritava, ma non solo. La sensazione di quella reiatsu le lasciava un retrogusto... intenso, quasi graffiante, l’avrebbe definito. Ma no, non era possibile. Con tutta probabilità doveva essere di qualche Shinigami in cui si era imbattuta una sola volta, ed era quello il motivo per cui non riusciva a rievocare il suo proprietario. Il disagio che provava era semplicemente causato dal fatto di aver dimenticato.
   Eppure c’era qualcosa che non andava, un pensiero che aveva preso a martellarle nella testa e non voleva saperne di lasciarle tirare un sospiro di sollievo. Perché quella reiatsu le sembrava incredibilmente simile a quella di un-...
   « In che cosa posso aiutarla? », la riscosse Urahara, interrompendo il filo dei suoi pensieri e facendola tornare alla realtà. Tatsuki sbatté le palpebre più volte, dimenticandosi per un attimo del suo proposito di non lasciare che gli occhi di Urahara si fissassero nei suoi. Distolse immediatamente lo sguardo. Odiava sentirsi così in soggezione, ma era più forte di lei.
   « Avrei bisogno di... di quelle pillole dell’altra volta. Le ho finite. »
   Con un gesto frettoloso, tirò fuori dalla tasca della giacca a vento quella che era molto simile a una confezione ormai vuota di caramelle, e la porse ad Urahara che se la rigirò tra le mani.
   Senza, le sembrava di impazzire. Ora capiva come doveva essersi sentito Ichigo da bambino, e perché si fosse rifiutato di dirle la verità, sul fatto che fosse davvero in grado di vedere i fantasmi. Era decisamente meglio fare finta di niente. Fingere che nulla di tutto quello che vedeva a differenza degli altri fosse reale. Eppure era ben difficile quando ad ogni angolo spuntava fuori un fantasma nuovo pronto a lagnarsi e a raccontarle vita, morte e miracoli del periodo che aveva trascorso sulla Terra.
   Era per questo che la prima volta si era recata al negozio di Urahara, accompagnata da Karin, la sorella minore di Ichigo. Con lui non aveva trovato il coraggio di parlare, e nemmeno con Orihime. Dopotutto, le lamentele che era costretta a dover sopportare ogni giorno erano niente in confronto a quello che dovevano affrontare loro, con un genere più... “rabbioso” di fantasmi. Si sarebbe sentita stupida ad esternare davanti ai suoi due migliori amici qualcosa che non poteva neanche essere definito un problema vero e proprio, ma solo una scocciatura. Karin, invece... era stata lei stessa a tirare fuori quell’argomento, con noncuranza, dandole il benvenuto nel club degli “psicologi dell’oltretomba”, come l’aveva definito lei. Tatsuki le era stata immensamente grata. Quella ragazzina che aveva visto nascere e a cui aveva fatto più volte da baby-sitter le era sempre stata simpatica. Non che non provasse un forte affetto anche nei confronti di Yuzu. Ma a volte, Karin le ricordava un po’ se stessa.
   « Signorina, lo sa che questo prodotto non è efficace al cento per cento, vero? », disse Urahara porgendole una nuova confezione, mentre un miagolio di Yoruichi Shihōin lo spinse a lanciare una breve occhiata alle sue spalle, verso il retro del negozio. « Un Hollow di rango superiore sarebbe perfettamente in grado di capire quanto lei sia... speciale. »
   Tatsuki aggrottò le sopracciglia osservando il flebile sorriso che a tali parole si era dipinto sulle labbra dell’uomo di fonte a lei, ma decise di lasciar perdere quella che le era suonata come una presa in giro bella e buona.
   Gli “Hollow di rango superiore” non venivano certo a cercare lei, e questo lo sapeva bene. Non era per scampare a loro che aveva preso il vizio di assumere regolarmente quelle piccole pastiglie colorate in grado di mascherare temporaneamente e almeno in parte la sua reiatsu. In questo modo, almeno, poteva scampare al suo ruolo di “psicologa”, visto che i fantasmi sembravano non accorgersi di quell’eccesso di forza spirituale che possedeva e che le permetteva di vederli. Nonché di sentirli blaterare cose incomprensibili.
   « Sempre meglio di niente. Quanto le devo? », domandò inutilmente come ogni volta, tirando fuori il portafogli, che come ogni volta Kisuke Urahara le impedì di aprire premendoci una mano sopra. Eppure, questa volte fece anche un secondo gesto che la ragazza non si aspettava, posandole l’altra mano sulla sua spalla, quasi come a volerla sospingere verso l’uscita.
   « Oh, non si disturbi, davvero... »
   Anzi, fu quello che fece, e neanche troppo celatamente.
   Tatsuki piantò i piedi per terra, contrariata. Spesso e volentieri non le andavano molto a genio gli atteggiamenti di quell’uomo fin troppo misterioso per i suoi gusti, ma mai l’avevano sconcertata come in quel momento. Sembrava quasi che la volesse cacciare via per nasconderle qualcosa. E contando il fatto che da qualche parte nel suo negozio ci doveva essere Orihime, la cosa non le piacque per niente. Che le fosse successo qualcosa durante l’allenamento?
   « Insisto. », si intestardì, decidendosi finalmente a guardarlo negli occhi. Urahara sembrò esitare un attimo, colto alla sprovvista. Ma poi si lasciò andare a un sospiro, facendo cadere la mano dalla sua spalla, come se si fosse rassegnato.
   « Anche io. », le sorrise con accondiscendenza, parendole quasi dispiaciuto per qualcosa. « Lei è un’amica di Kurosaki-san, dopotutto. E questo vuol dire che è anche una mia amica. »
   Tatsuki corrugò nuovamente la fronte. Ma questa volta non ebbe minimamente il tempo di interrogarsi sul perché il tono di Urahara, fattosi improvvisamente più alto e risoluto, le fosse sembrato quasi d’ammonimento.
   Successe tutto in fretta. Troppo in fretta per i suoi occhi castani, meramente umani. Un attimo prima, di fronte a lei c’era Kisuke Urahara, quello dopo, lui era stato spinto in malo modo di lato da una massa spettinata di capelli azzurri. Azzurri come il paio di occhi dal taglio affilato dai quali si sentì trafiggere. Ci mise una frazione di secondo di troppo per rendersi conto di chi si era prepotentemente impadronito del suo campo visivo, chinandosi su di lei con tutta la sua stazza, per poterla scrutare col suo sguardo indagatore. E il tentativo di Urahara di sdrammatizzare la situazione facendo le presentazioni fu totalmente inutile.
   « Arisawa-san, forse lei non conosce il signor Grimmjow Jaegerjaques-... », iniziò a dire, ma non appena si accorse della consapevolezza che prese a lampeggiare negli occhi della ragazza che aveva cercato di far uscire prima che fosse troppo tardi, si corresse con perplessità. « ... O forse invece sì. »
   In un attimo, ogni tassello era andato al suo posto nella mente di Tatsuki, e i ricordi mancanti le erano tornati alla memoria come un fulmine a ciel sereno.
   Lo conosceva, certo che lo conosceva. Conosceva i suoi capelli azzurri, il suo profilo marcato, l’espressione colma di odio e i suoi occhi glaciali traboccanti sete di sangue. E soprattutto, riconosceva la reiatsu che aveva sentito esplodere nel buio del cielo notturno quando quasi due anni prima aveva assistito a uno scontro tra lui e Ichigo, nel quale il suo amico di infanzia era stato ridotto a uno stato pietoso.
   Lo conosceva, e conosceva anche il suo nome.
 
   Non ti scordare il mio nome.
   Grimmjow Jaegerjaques.

   La prossima volta che lo sentirai, sarà la tua fine.
 
   E anche se quando le aveva sentite quelle parole non erano state rivolte a lei, ora quella minaccia le sembrò tangibile.
   « COSA DIAVOLO CI FA LUI QUI?! »
   Quasi non la riconobbe come la propria voce. Tutto le sembrava talmente surreale che non si rese conto di aver urlato con tutto il fiato e la collera che aveva in corpo finché non si ritrovò ad ansimare, cercando una risposta che non ottenne nello sguardo sfuggente di Urahara. Tutto quello che riusciva a pensare era...
   « Tatsuki-chan! »
   Orihime.
   L’abbraccio della sua amica quasi la travolse, e ancora una volta Tatsuki non riuscì a seguire il corso troppo veloce degli eventi, e forse neanche Grimmjow, che a sua volta si trovò bloccato da dietro dalla presa ferrea di Kisuke Urahara. Ai suoi piedi, Yoruichi Shihōin soffiava col pelo ritto sulla schiena e la coda.
   « Dov’è Kurosaki?! », l’Hollow urlò a sua volta a pieni polmoni. « Riesco a sentire la sua reiatsu addosso a te! Dimmi dove-...! », ma Urahara lo strattonò indietro, impedendogli di completare la frase.
   « Suvvia, signor Jaegerjaques, faccia il bravo, non mi spaventi i clienti... »
   Eppure Tatsuki non era spaventata, o almeno, non lo era più. Le era bastato sentirsi avvolgere dal calore delle braccia della sua amica per far scemare via la preoccupazione che le aveva attanagliato lo stomaco al pensiero che potesse esserle successo qualcosa. Ora, tutto quello che provava era un’incredibile rabbia.

   « Orihime, che diamine sta succedendo?! », le domandò, posandole le mani sulle spalle, quasi come se avesse bisogno di sentire ancora di più che la sua presenza era tangibile, e che stesse veramente bene. La scosse appena, fissandola intensamente, mentre lei si limitò a guardarla piena di dispiacere, prendendole le mani e stringendole nelle sue.
   « Vieni con me, ti spiegherò tutto, ma ti prego, calmati... »
   Mentre si lasciava guidare fuori dal negozio, Tatsuki non poté fare a meno di incrociare lo sguardo di Grimmjow, trattenuto quasi come un animale in gabbia. L’odio e la furia che trasmettevano i suoi occhi azzurri era quanto di più profondo avesse mai visto, e la scossero in un modo che non avrebbe neanche lontanamente creduto possibile.
   Orihime poteva chiederle tutto. Tutto, all’infuori di calmarsi.
 
 
 
   La seconda volta che si trovò ad affrontarlo faccia a faccia dopo quell’episodio, a proprio favore Tatsuki almeno poté dire di essersi sentita più preparata, e soprattutto, di non essersi lasciata andare a una reazione isterica. Anzi, forse reagì con più calma di quanto lei stessa si sarebbe aspettata, dopo aver passato più di una settimana a rimuginare sulle parole di Ichigo e le spiegazioni che lui e Orihime avevano cercato di darle.
   A quanto pareva, l’Arrancar Grimmjow Jaegerjaques, che una volta era stato al servizio di Sōsuke Aizen e aveva contribuito a tenere segregata Orihime Inoue nel cosiddetto Hueco Mundo, aveva accettato di stipulare un patto di collaborazione con gli Shinigami che tanto odiava, rinunciando alla sua posizione da Sexta Espada e a una sua eventuale, anche se non necessaria, dieta a base di anime umane.
   Tatsuki Arisawa non aveva creduto a una sola parola.
   Per questo aveva preso l’abitudine, o forse è meglio dire il vizio, di diventare l’ombra di Orihime ogni volta che, per un motivo o per l’altro, la ragazza si recava al negozio di Urahara, anche se spesso e volentieri quel motivo si riassumeva nel compito di controllare come l’irascibile nuovo inquilino di Urahara si stesse comportando. Ichigo le aveva chiesto di fargli questo favore quando lui non poteva, e Orihime non aveva potuto far altro che accettare di aiutarlo, nonostante Tatsuki avesse tentato più e più volte di convincerla a rifiutare. C’era anche da dire che, al contrario del suo atteggiamento quando si presentava Ichigo, davanti all’incarnazione della bontà d’animo che era la migliore amica di Tatsuki, nemmeno Grimmjow riusciva a rispondere con più cattiveria di qualche grugnito e smorfia infastidita, nonostante fosse evidente che era esasperato dai suoi tentativi di comportarsi in modo gentile. Era anche palese, infatti, che Orihime per prima si sforzasse non poco di sorridere come niente fosse ogni volta che andava a accertarsi che tutto stesse andando per il verso giusto. La presenza di Grimmjow la metteva a disagio. Le faceva rivivere cose che aveva deciso di celare per sempre nel suo cuore.
   Ma Tatsuki, forse, era quella che stava vivendo con maggiore tensione quella situazione. A volte si rendeva conto da sola di essere fin troppo apprensiva nei confronti di Orihime, e soprattutto, che la sua presenza non fosse davvero più utile che di quella di un’ombra. Eppure non era capace di mettersi l’anima in pace e lasciare che la sua amica si gettasse da sola tra le fauci di quella belva affamata e assetata di sangue – e no, il paragone non le sembrava affatto troppo esagerato. Nonostante questo, però, non si azzardava praticamente mai ad entrare con lei nel negozio, e quando raramente lo faceva, tendeva a tenersi in disparte, con le braccia conserte e lo sguardo vigile. Si sentiva una sorta di guardia del corpo. Scherzando, Orihime le aveva addirittura proposto di indossare un auricolare e paio di occhiali da sole.
   A dirla tutta, se non fosse stato che si sarebbe sentita ridicola, Tatsuki avrebbe preso volentieri in considerazione l’idea degli occhiali da sole. In questo modo, almeno, avrebbe evitato in parte le occhiate affilate che ogni volta Grimmjow le riservava, quando la sorprendeva a fissarlo con diffidenza. Perché la verità era che, per qualche motivo che trascendeva la sua già di per sé non trascurabile natura di Hollow... lo trovava insopportabile, a pelle.
   Era questo che stava pensando, osservando Ururu – la ragazzina coi capelli neri che lavorava e viveva nell’Urahara Shōten – sbocconcellare con calma esasperante un tramezzino, seduta su una cassa di legno girata al contrario. Anche lei tendeva a ritirarsi fuori dal negozio quando Grimmjow decideva di farsi vivo al piano terra, lasciando il campo sotterraneo dove passava la maggior parte del suo tempo ad allenarsi. Urahara le aveva spiegato che era perché la reiatsu di Ururu era particolarmente sensibile a quella degli Arrancar, che istintivamente considerava nemici naturali da eliminare, e che quindi sarebbe potuta diventare un problema non indifferente per il suo ospite, come gli piaceva definirlo, se fosse stata esposta ad un contatto prolungato con lui. Tatsuki non riusciva a concepire come una ragazzina che le sembrava così timida e indifesa potesse addirittura rappresentare un problema per un Arrancar di livello Espada, ma ormai aveva imparato a non stupirsi più di nulla, e soprattutto, a non giudicare dalle apparenze. Beh, Arrancar di Livello Espada coi capelli azzurri e occhi in tinta a parte.
   Dentro al negozio, intanto, si poteva udire forte e chiara la voce di Orihime che con una risatina nervosa cercava di ristabilire la pace, e di far capire a Grimmjow che non era bello comportarsi ed esprimersi come spesso e volentieri faceva quando perdeva la pazienza, cosa che era appena successa. Urahara aveva tentato di mettergli in mano una scopa in modo che aiutasse a tenere pulito il negozio in cui viveva “a scrocco”, ma lui, in tutta risposta, aveva spezzato in due il manico, minacciandolo di infilarne le estremità dove non gli avrebbe fatto piacere sentirle. Suo malgrado, lo stesso ex Shinigami dai capelli color paglia si era visto costretto a desistere di fronte alla sua parlantina regale, e concedergli il privilegio di oziare in casa sua. Perché quelli di casa sua, al momento, erano i confini della gabbia in cui Grimmjow era obbligato a restare, a meno che Urahara in persona o un altro Shinigami non si fosse preso il disturbo di fargli da baby-sitter e accompagnarlo fuori. Cosa che non accadeva mai se non quando spuntava da qualche parte un Hollow che doveva essere eliminato.
   Tatsuki si chiese cosa diavolo stesse facendo lì.
   Grimmjow Jaegerjaques era tenuto più che sotto controllo. E in ogni caso, a suo discapito, c’era da dire che oltre a quelle minacce sboccate non si era mai azzardato ad alzare un dito su nessuno... a parte Ichigo, ovviamente, che ogni volta che si faceva vivo veniva letteralmente trascinato nella sala sotterranea e costretto a fargli da sparring partner. Lo starsene lì fuori ad ascoltare quelle stupide conversazioni, aveva il potere di fare sentire Tatsuki solo inutilmente apprensiva. E infreddolita, visto che in quei giorni l’inverno sembrava non ancora disposto a ritirarsi del tutto.
   Sistemandosi dietro un orecchio una ciocca ribelle smossa dal vento, considerò l’idea di entrare ed avvisare Orihime che se ne stava andando. Ma il solo vedere Grimmjow le avrebbe fatto venire un incredibile prurito alle mani, così si limitò a fare un cenno del capo a Ururu, che rispose educatamente, e ad incamminarsi verso la villetta in cui viveva con la sua famiglia, distante non più di cinque minuti a piedi da dove si trovava. Spesso si era chiesta come fosse possibile che fino a pochi anni prima non avesse mai notato l’Urahara Shōten, nonostante conoscesse i dintorni di casa sua come le proprie tasche. Quando l’aveva fatto notare al proprietario, lui aveva aperto con uno schiocco il ventaglio bianco e le aveva risposto che il suo negozio era sempre stato lì, ma che forse lei non aveva mai guardato con attenzione.
   Scuotendo la testa, decise di mandare comunque una mail ad Orihime, per non farla stare in pensiero nel caso fosse uscita e non l’avesse trovata.  Stava giusto tirando fuori il cellulare, sperando che la batteria quasi scarica non l’avesse abbandonata del tutto, che questo si mise a vibrarle in mano.
 
   Orihime:                                                                                                                                                                              03:36 pm
Tatsuki-chan, senti... non è che per caso hai incontrato Grimmjow, lì fuori?
Aveva detto che sarebbe uscito a prendere una boccata d’aria, ma non è ancora rientrato in negozio. (^_^;)
 
   Tatsuki corrugò la fronte.
   E rilesse il messaggio più e più volte, cercando di trovarci un significato logico, qualcosa che le potesse essere sfuggito, una dannata spiegazione. Orihime l’aveva presa forse per una stupida, scrivendole in quel modo tranquillo, come se non fosse successo niente di importante? Si rese conto che la sua fronte si era imperlata di sudore freddo solo quando l’ennesima folata di vento le fece venire i brividi.
   C’era posto per un unico pensiero nella sua mente: Grimmjow non poteva uscire a prendersi una boccata d’aria. Questo violava tutti i patti.
   Si girò di scatto, tornando con lo sguardo a scrutare il negozio ormai a parecchi metri alle sue spalle. Non c’era anima viva lì nei dintorni, anche Ururu era rientrata, probabilmente richiamata all’interno da Urahara. Tutto le sembrava immobile e calmo. Fin troppo immobile e calmo.
   Era assurdo, impossibile. Quanto tempo poteva essere passato da quando Grimmjow era uscito, violando i suoi confini di restrizione? Non più di quello impiegato da lei stessa per percorrere un centinaio di metri. Solo pochi minuti prima l’aveva sentito sbraitare all’interno del negozio, davanti al quale era rimasta proprio perché così sarebbe stata in grado di sorvegliarne l’uscita. Come aveva potuto distrarsi così? Avrebbe dovuto accorgersene, dannazione, prestare più attenzione alla sua...
   ... Reiatsu.
   Il respiro sembrò quasi morirle in gola, come dopo una brutta caduta. La sua stretta si serrò tanto sul cellulare che quasi avrebbe potuto ridurlo in briciole, mentre ogni suo muscolo si irrigidiva progressivamente. Si sentì un pezzo di legno mentre deglutiva, tornando a voltarsi e a posare lo sguardo di fronte a sé.
   E lui se ne stava lì, in mezzo alla strada, accovacciato, con i gomiti appoggiati sulle gambe piegate. Come se stesse solo attendendo che lei si avvicinasse per attaccarla. Adesso che lo poteva osservare con la mente più lucida rispetto a una settimana prima, si rese conto che non indossava i vestiti bianchi che gli aveva visto la notte in cui aveva combattuto contro Ichigo, abbigliamento che gli aveva conferito un aria ancora più sovrannaturale. Ora, invece, tutto in lui sembrava in un certo senso più... umano. Era questo l’effetto dei gigai, i corpi artificiali realizzati da Kisuke Urahara? La cosa le diede i brividi. Se non avesse saputo chi era, se non avesse avuto l’abilità di percepire la forza schiacciante della sua anima vuota e corrotta, forse sarebbe stata anche capace di avvicinarlo per chiedergli se si fosse perso e avesse bisogno di aiuto. Come una stupida, ingenua umana.
   Ricominciò a camminare.
   Come sperava, il suo passo risoluto non tradì la sua esitazione. Per una volta in vita sua, Tatsuki si scoprì a ringraziare la sua caparbietà, che le infondeva tutto il coraggio necessario a dimostrarsi più sicura di quanto in realtà si sentisse. Con ironia, si ritrovò a pensare che se era proprio così che doveva finire, sarebbe stato meglio andarsene incontro alla morte con una certa dignità piuttosto che cercare di fuggire a gambe levate.
   Anche perché non sarebbe servito a niente, se non a rendere la caccia più divertente per lui.
   Era decisa a superarlo, dargli l’importanza di una formica, di una crepa nell’asfalto, o almeno, di fargli credere che questa fosse la considerazione che gli riservava. Sentiva l’adrenalina scorrere dentro di lei, il cuore martellarle all’impazzata nel petto come se ogni battito potesse essere l’ultimo. Il suo viso però era una maschera di pietra, che non lasciava trasparire nessuna emozione particolare, men che meno l’ansia che diventava più forte ad ogni passo. Voleva dimostrarsi forte, benché non si sentisse affatto così. E voleva dimostrare a lui quanto poco lo temesse, nonostante sapesse quello di cui poteva essere capace.
   Ma evidentemente Grimmjow non aveva affatto intenzione di essere ignorato o sminuito.
   « ... Cerchi di scappare perché hai paura? »
   Il suo tono beffardo la colpì con la violenza di uno schiaffo non appena l’ebbe sorpassato di un passo. Tatsuki si bloccò.
   E ancora prima di rispondergli, si diede della stupida orgogliosa e impulsiva.
   « Non mi sembra di averlo mai detto. », replicò con tono secco e irritato, senza però osare voltarsi. Nonostante ormai il suoi buoni propositi di ignorarlo fossero andati all’aria, voleva mantenere una parvenza di superiorità e indifferenza.
   Cosa che le divenne incredibilmente difficile quando all’improvviso una folata di vento la colpì e avvertì che la vicinanza tra di loro era diventata nulla. Lo sentì alle proprie spalle, che si chinava su di lei, accostando le labbra al suo orecchio. La sua voce uscì in un sussurro, ma non per questo risuonò meno minacciosa o tagliente.
   « Sono le tue azioni che parlano per te. »
   Non lo aveva sentito alzarsi. Né camminare fino a raggiungerla. Com’era possibile che si muovesse così silenziosamente e velocemente anche dentro un gigai che Urahara le aveva assicurato fosse stato costruito appositamente per contenere la sua reiatsu e i suoi poteri da Hollow? Ma non furono solo questi pensieri che la tormentarono in quel momento. Perché Grimmjow era decisamente troppo vicino. E quel contatto flebile tra i loro corpi ebbe la capacità di farla irrigidire all’inverosimile e rabbrividire per un motivo che non aveva niente a che fare con il freddo.
   Ma Tatsuki Arisawa rimaneva Tatsuki Arisawa. E nonostante il suo cuore avesse rischiato di rimanere vittima di un infarto, il suo coraggio, o meglio, la parvenza di coraggio che era abituata a sfoggiare, non vacillò nemmeno un istante. Anzi, prese letteralmente fuoco alle parole provocatorie che Grimmjow aveva riempito di scherno, come a volerla sfidare implicitamente.
   E Tatsuki non si sarebbe di certo tirata indietro davanti a una sfida.
   « Ah, sì? E cosa dicono le mie azioni, sentiamo? », si voltò a fronteggiarlo, incontrando con fierezza il suo sguardo. Non le sfuggì il lampo di sorpresa che fece spalancare i suoi occhi azzurri.
   « ... Che sei davvero stupida, per essere un’umana. », Grimmjow replicò, corrugando la fronte.
   Decisamente, non si era aspettato quella reazione.
   Così come non si era aspettato la reazione che lei aveva avuto quando si erano visti per quella che lui era convinto fosse la prima volta. Si era comportata quasi come se lo conoscesse, come se lo conoscesse bene, e non solo di sentito dire.
   L’essere riconosciuto, l’aver causato quell’attimo di panico, però, in un certo senso gli aveva fatto piacere. Era ormai da troppo tempo che veniva trattato come una presenza naturale da Ichigo Kurosaki, Orihime Inoue e Kisuke Urahara. Quando lo guardavano, loro sembravano non vedere la sua natura. Lui era un Hollow, un Arrancar, un Espada, per la miseria. Un minimo di timore reverenziale era forse chiedere troppo?
   Ma quel piacere che aveva provato era scemato via in fretta. Perché non appena aveva rivisto Tatsuki Arisawa, Grimmjow Jaegerjaques si era reso conto che ciò che aveva causato la sua reazione non era stato affatto timore reverenziale.
   Ogni volta, il modo di comportarsi di lei lo lasciava sconcertato. Non aveva senso. Non sapeva mai cosa aspettarsi quando se la trovava di fronte, perché lei faceva sempre tutto il contrario di quello che lui si aspettava sarebbe successo. Semplicemente, non capiva.
   E il non capire lo faceva infuriare. L’essere messo in discussione, lo faceva infuriare.
   Perciò quel giorno, a differenza di altri, spinto dall’istinto aveva deciso di seguire quell’umana, quell’amica di Orihime Inoue, concetto che lui non afferrava a pieno. E forse era per questo che non aveva mai compreso per quale assurdo motivo quella... come si chiamava, poi?, ogni volta seguiva la sua amichetta dai capelli ramati quando questa si recava al negozio di Urahara per controllare come andassero le cose. Insomma, per assicurarsi che lui stesse facendo il bravo animale da compagnia. Cosa che trovava terribilmente irritante, doveva ammetterlo. Almeno quando si presentava Ichigo poteva sfogare la sua irritazione pestandolo nella sala sotterranea – e ogni tanto, concedendogli l’onore di farsi pestare a sua volta – ma quando si trattava di Inoue... beh, nei suoi confronti aveva qualche piccolo debito. L’aveva guarito più di una volta, e cose così. Era sicuramente per quello che il suo orgoglio gli impediva di trattarla come ogni umano si meritava di essere trattato, né più né meno.

   E poi c’era quell’umana, quella – evidentemente – stupida umana, coi capelli e gli occhi scuri. Occhi scuri che non mancavano mai di lanciargli occhiate di puro odio e ammonimento, come se tutti i mali dell’universo fossero colpa sua, e come se fosse sul punto di commetterne altri da un momento all’altro. Forse ce l’aveva con lui per la storia del rapimento di Inoue, o forse perché era in perenne sindrome premestruale, Grimmjow non lo sapeva. Sapeva solo che tra tutti, quell’essere insignificante per lui non riusciva ad essere così insignificante. Semplicemente, non la sopportava. E sopportava ancora meno i suoi sguardi penetranti e accusatori. Non aveva nessun diritto di giudicarlo, né di sottovalutarlo. Perché era questo ciò che evidentemente faceva, e che stava facendo anche in quel momento preciso.
   Quella stupida umana non voleva capire, o forse non poteva capire. Doveva essere così, per forza. Perché nessun essere dotato di intelligenza o almeno di un minimo di spirito di osservazione, avrebbe rischiato volontariamente di mettere a repentaglio la propria vita prendendo così alla leggera lui, il re. E osato stargli così vicino, senza indietreggiare e avere la decenza di mostrare un minimo di... paura.
   « Anzi, a pensarci bene, forse è proprio per il fatto che tu sia umana, che sei stupida. », aggiunse, piegando le labbra in una leggera smorfia di arrogante disgusto e affilando lo sguardo, mentre nel vano tentativo di intimidirla si piegava ancora di più su di lei, la cui stazza era irrisoria a confronto. Era ancora più bassa e minuta di Orihime Inoue, e senza nessuno dei suoi poteri per difendersi. Come poteva pretendere di sostenere il suo sguardo con tanto orgoglio?
   « Sai, lo prendo come un complimento. », la sentì sibilare in risposta, evidentemente offesa a dispetto delle sue parole. Quasi gli venne da ridere per l’assurdità di quella situazione. Allo stesso tempo, però, provava un incredibile disprezzo.
   « Perché vieni sempre qui? Ti piace così tanto vedere... la belva in gabbia? »
   Suo malgrado, Tatsuki si sentì sconcertata. Ma non cedette.
   « Mi piace vedere che Orihime sia al sicuro. »
   Grimmjow sbottò in una risata.
   « Quell’umana non rischia niente. Non ho mai alzato un dito su di lei nemmeno nell’Hueco Mundo. », tecnicamente non era esatto, ma quando aveva afferrato la sua gola sollevandola da terra, era ben consapevole che ormai Ichigo si fosse ripreso. L’aveva fatto solo per provocarlo, per così dire. Sapeva che lui l’avrebbe fermato. Quindi lui non era colpevole, no? « ... Anzi, mi hai ricordato che mi deve un favore per averle tolto dai piedi un paio di stronze che l’avevano conciata da buttare. », esatto, lui l’aveva protetta, una volta. Non aveva fatto niente di male. Niente per meritarsi la tacita e perenne accusa negli occhi di Tatsuki.
   Tatsuki che quasi trasalì a sentirgli dire quelle parole, Orihime non le aveva mai accennato di nessun paio di stronze. Mentalmente, si appuntò di rimproverarla a dovere più tardi. Se un “più tardi” per lei ci fosse stato, s’intende.
   « Non le farò del male. Non ci si prova gusto... con una come lei. »
   Perché il sorriso folle di Grimmjow sembrava proprio prometterle che quel “più tardi” non sarebbe mai arrivato.
   Provò a mantenere la freddezza. Urahara e i suoi dipendenti, Orihime, e forse anche Ichigo dovevano essere in stato di allerta. Con tutta probabilità, proprio in quel momento stavano cercando Grimmjow, e ben presto lo avrebbero trovato. Non c’era bisogno di agitarsi per niente.
   Ma non era solo questo. La verità era che Tatsuki non si sarebbe mai perdonata se avesse dimostrato di sentirsi in soggezione e... impaurita.
   Cercò di prendere tempo.
   « ... Però con una come me sì. Perché? », chiese, tenendo sotto controllo il tono di voce.
   Grimmjow non lo sapeva.
   O meglio, la risposta che da quando l’aveva incontrata cercava di darsi, non lo soddisfaceva più. Non era solo odio, quello che provava e che gli faceva ribollire il sangue nelle vene. Né “astinenza da omicidio”. Per lui non era mai stato un bisogno, un piacere innato, ed erano ormai lontani i tempi in cui era costretto ad uccidere per dimostrare la propria superiorità.
   Lui preferiva... giocare. Divertirsi, in un malato gioco di distruzione. Di altri, di sé stesso. Non era necessario arrivare alla morte. Quella sopraggiungeva solo quando finiva per perdere la pazienza, o l’interesse. Forse ultimamente si stava annoiando, era per questo che quell’umana sembrava rappresentare una sfida così appagante, nonostante la sua evidente inferiorità? Forse era a corto di prede, di rivali.
   Forse il suo ego aveva bisogno di qualcuno con cui confrontarsi, per riuscire a considerarsi superiore sempre e comunque, e non sentire su di sé il giudizio ingiusto di occhi scuri di sorta.
   « Perché le belve combattono solo contro altre belve. », sibilò.
   Io non sono una belva, sono un demone.
   O almeno, prima Tatsuki lo era. Prima che cominciassero a spuntare veri demoni e veri mostri proprio davanti a lei. Prima che cominciasse a sentirsi talmente piccola e insignificante da non incutere timore a nessuno. Per questo non avrebbe ma ceduto. Ne andava del suo orgoglio, lo doveva a sé stessa.
   Le parole di Grimmjow però l’avevano colpita. Una belva, era così che la vedeva? Le sembrava ridicolo. Una presa in giro bella e buona. Dall’alto della sua superiore arroganza di Hollow, per lui doveva essere soltanto una preda. O meglio, uno spuntino.
   Assottigliò a sua volta lo sguardo, incrociando le braccia.
   « Sai, da bambina mi hanno insegnato che non si gioca né si scherza con il cibo. »
   Grimmjow rimase sconcertato. E nonostante tutto, avrebbe quasi riso a quella specie di battuta sarcastica, se non fosse stato che in quello stesso istante qualcosa attirò la sua attenzione, risvegliando tutta la sua ira.
   Qualcosa che attirò anche l’attenzione di Tatsuki, che si voltò nella direzione in cui improvvisamente sentì provenire una reiatsu che conosceva bene.
   « Urahara-san sa che sei qui. », disse, nonostante non ce ne fosse bisogno, cercando di mascherare un certo sollievo, che però scemò via non appena tornò a posare lo sguardo su Grimmjow e sui suoi lineamenti distorti dalla rabbia.
   « Urahara-san non sa niente di niente. », lo udì ringhiare tra i denti, mentre scrutava la strada di fronte a lui, per poi tornare a fissare lei coi suoi occhi pieni di glaciale rancore. « Tu non sai niente di niente. »
   Tatsuki aprì la bocca per replicare, ma non riuscì a dire niente, e non perché la paura l’avesse zittita. Un sentimento diverso l’aveva involontariamente colpita: qualcosa di molto simile alla compassione, che non si sarebbe mai aspettata di provare per un essere come lui.
   Ma non ebbe il tempo di pensarci troppo, perché quell’essere prese a camminare e la superò, prendendo dentro senza tanti complimenti la sua spalla, e andando incontro a Kisuke Urahara che finalmente aveva deciso di degnarli della sua presenza. Girandosi e incontrando il suo sguardo, Tatsuki non poté fare a meno di chiedersi se quell’uomo ambiguo che ora si stava sollevando il cappello e le stava facendo un lieve inchino in segno di riconoscenza, in realtà non avesse saputo fin dall’inizio dove Grimmjow fosse, e avesse usato quella sua breve fuga per verificare come si sarebbe comportato senza “guinzaglio”, davanti a una semplice umana come lei. Con un misto di sconcerto e di disappunto, Tatsuki si rese conto che se era davvero così che stavano le cose, allora Grimmjow aveva superato la prova a pieni voti, visto che non aveva alzato neanche un dito con l’intenzione di farle del male.
   E con ancora più disappunto, si rese conto di non essere in grado di distogliere lo sguardo dalla sua figura che le dava la schiena, con le mani infilate nelle tasche dei jeans, finché non rientrò nel negozio e sparì dalla sua vista.
   Solo a quel punto, e con un po’ di rimorso, si chiese dove fosse Orihime. Probabilmente era andata a cercare da tutt’altra parte. E ancora più probabilmente, era in pensiero perché non aveva ancora ricevuto una risposta alla mail che le aveva mandato.
   Tatsuki rimase a fissare per parecchi secondi la schermata del suo cellulare. Poi, digitando velocemente i tasti, scrisse poche parole.
 
   C Tatsuki :                                                                                                                                                                              03:54 pm
No. Non l’ho visto da nessuna parte.
 
   Si pentì di quella bugia nello stesso istante in cui premette “invio”.
 
 
 
   Dopo quell’episodio, Tatsuki non si recò più all’Urahara Shōten.
   Aveva deciso di accantonare l’Arrancar Grimmjow Jaegerjaques in un angolo remoto della propria mente. In fondo, lui non era qualcosa che la riguardava, né qualcuno di cui avrebbe dovuto preoccuparsi troppo. Ogni giorno, per tranquillizzarsi, non faceva che ripetersi che la situazione era sotto controllo, e che né Orihime, né Ichigo, né nessun’altro correva un pericolo reale.
   La verità era che quella pietà che aveva provato nel vedere Grimmjow farsi ricondurre nella sua “gabbia” senza la minima opposizione, come un feroce animale ammaestrato, l’aveva turbata più di quanto fosse disposta ad ammettere con sé stessa.
   Pure, era anche vero che aveva altre cose più pressanti a cui dover pensare. Cose come comprare i nuovi quaderni e i libri di testo, stirare la propria divisa scolastica, impazzire per cercare di ricordarsi in quale diavolo di cassetto avesse messo il suo fiocco rosso con la spilla della scuola, cercare di domare la propria chioma ribelle per non fare la figura della teppista quando avrebbe dovuto accogliere i nuovi studenti di prima superiore in qualità di membro del Comitato Disciplinare... Inutile dire che, come ogni anno, dopo svariati tentativi si fosse arresa all’evidente irrealizzabilità quell’ultimo obiettivo.
   Così, il primo giorno del suo ultimo anno scolastico, si limitò ad infilare camicia bianca, gonna e giacca grigia, e sul braccio sinistro, la sua fascetta rossa e oro da membro del Comitato.
Guardandosi allo specchio con le mani sui fianchi, non si sentì orgogliosa come la prima volta che l’aveva indossata. Dentro di sé la vedeva un po’ come una presa in giro, una farsa, come quello che ormai la sua vita scolastica era diventata. Ma in fondo, pensò con un alzata di spalle mentre afferrava la propria borsa a tracolla, dopo la cerimonia di apertura non sarebbe stata costretta a mettersela tutti i giorni visto che aveva prontamente rifiutato di ricoprire la carica di presidentessa, alla quale, prima che la percezione della sua vita venisse stravolta, aveva segretamente ambito.
   Fortunatamente, con l’arrivo di aprile anche la temperatura si era alzata, così Tatsuki poté evitare di prendere sciarpa e giubbotto uscendo di casa, nonostante fosse piuttosto presto e l’aria mattutina fosse ancora frizzante. Il tragitto verso la scuola era breve, ma a lei piaceva alzarsi in largo anticipo e fare le cose con calma. Svegliarsi in ritardo per lei era come iniziare male la giornata. E fare le cose di fretta, la rendeva ancora più nervosa di quanto già non fosse normalmente di suo.
   Alzando gli occhi al cielo limpido e promettente una giornata serena, si chiese se Orihime  si fosse già svegliata. Con tutta probabilità, in quel momento si stava lavando pigramente i denti, con i lunghi capelli tutti arruffati e con un piede ancora nel mondo dei sogni. Le scappò un sorriso. Invidiava la spensieratezza con cui la sua amica riusciva a gestire una vita che era dieci volte più complicata della sua.
   Quando infine svoltò sulla strada principale e varcò i cancelli della Karakura Ichikō, Tatsuki la trovò più gremita di studenti di quanto aveva creduto sarebbe stata. Facce nuove e spaesate le dissero che almeno la metà di quegli studenti, se non oltre, doveva appartenere a primini troppo emozionati per rimanersene a casa un minuto di più. Con una punta di fastidio, notò inoltre che alcuni di quei primini erano più alti di lei di una buona spanna, e che sgomitavano a destra e a manca senza alcun riguardo, ostruendole quasi del tutto la visuale, nonché impedendole di avanzare. Sistemandosi sul braccio la fascetta in modo da metterla in bella mostra, concluse che fosse il caso di comunicare la propria presenza con qualche secco: « Permesso. ». Almeno un paio ebbero la compiacenza di lasciarsi intimidire e le cedettero il passo.
   Rinunciando a guardarsi intorno per controllare se ci fosse qualcuno che conosceva, visto che sarebbe stata costretta ad alzarsi in punta di piedi per farlo, decise di dirigersi verso la palestra, in modo da verificare come stessero andando i preparativi per la cerimonia di apertura, e nel caso, dare una mano a sistemare quello che poteva.
   Fu in quel momento che un colore di capelli stranamente vivace catturò la sua attenzione.
   Perché tra la folla intravide una chioma ramata che conosceva più che bene, ma che non apparteneva ad Orihime.
   Era strano che Ichigo si fosse recato lì così presto. Tatsuki aveva pensato che, essendo quello il primo giorno come studentesse delle medie per Yuzu e Karin, avrebbe accompagnato le sue sorelle a scuola, almeno per frenare la smania di fare foto a manetta che avrebbe sicuramente preso il controllo del corpo di Isshin Kurosaki. Con una smorfia, Tatsuki ricordò quando era stata lei stessa insieme ad Ichigo ad essere costretta a prestarsi come soggetto per quelle foto, nella sua seifuku nuova di zecca.
   Sistemandosi la tracolla sulla spalla decise che, visto e considerato non aveva tutta questa fretta di mettersi a spostare sedie e appendere cartelloni di benvenuto in palestra, fosse il caso di andar a rimproverare Ichigo per i suoi mancati doveri di fratello maggiore, e sentire quale scusa avrebbe campato per aria in sua discolpa.
   Cercando di farsi nuovamente strada tra gli studenti, quindi, si incamminò verso il lato ovest dell’edificio scolastico, dove lo aveva visto di sfuggita. Lì c’era meno gente, per lo meno. Infatti le fu possibile notare solo in quel momento, mentre si avvicinava, che Ichigo sembrava intento a discutere animatamente con qualcuno.
   Qualcuno che indossava un paio pantaloni grigi, una camicia bianca sbottonata quasi fino al petto, e una giacca altrettanto grigia appoggiata sulle spalle con noncuranza. [NDA 2: Un modello, insomma.]
   « ... Dimmi che è uno scherzo. »
   Ma purtroppo non lo era.
   E per Tatsuki fu chiaro come il sole che splendeva in quel cielo d’aprile non appena gli occhi azzurri di Grimmjow, dilatati per la sorpresa e l’irritazione di essere stato interrotto, si posarono su di lei, investendola con la stessa delicatezza di una doccia fredda. Tutti i pensieri e le preoccupazioni che Tatsuki aveva cercato di mettere da parte in quelle ultime settimane, tornarono ad affollare la sua mente, e per un lungo istante si sentì sopraffatta.
   Quasi sobbalzò quando sentì la mano di Ichigo posarsi sulla sua spalla.
   « Tatsuki, aspetta prima di saltare a conclu-... »
   « Aspetta un accidente! », sbottò, costringendosi a spostare lo sguardo su di lui. « Cosa diavolo ti passa per la testa, eh, Ichigo?! », si scostò, spingendogli via la mano con un gesto scontroso.
   Lui ammutolì. Davanti alla rabbia e all’apprensione nel tono della sua amica di infanzia gli era sempre stato difficile reagire con eguale forza. Chiuse gli occhi, trattenendo un sospiro mentre si ravviava capelli già abbastanza spettinati. Era proprio questo che avrebbe voluto evitare. Tatsuki non era il tipo da accettare di buona grazia una situazione scomoda. Aveva messo in conto di prenderla da parte, spiegarle tutto con calma, fare in modo che vedesse le cose nel loro insieme, presentandogliele sotto la luce migliore possibile. Già una volta aveva sbagliato, tagliandola fuori dalla sua vita anche se con il solo scopo di proteggerla, ma l’averle mentito e voltato le spalle era qualcosa per cui ancora faceva fatica a perdonarsi. Lui e Tatsuki avevano sempre condiviso tutto, fin da bambini. Per di più, solo poche settimane prima aveva fatto un altro errore di calcolo, permettendo che quei due si incontrassero all’improvviso, senza il tempo di metabolizzare la presenza dell’altro, e si era ripromesso che non sarebbe più capitato. Perché il carattere incredibilmente impulsivo di entrambi era una bomba ad orologeria che sembrava sul punto di esplodere ogni volta che si trovavano a meno di due metri di distanza. Orihime Inoue non aveva affatto esagerato quando aveva utilizzato quelle parole per descrivere il loro incontro nel negozio di Urahara, e questo Ichigo ora lo poteva percepire più che bene, semplicemente dallo sguardo di puro odio che aveva acceso le loro espressioni non appena si erano guardati.
   « Tu non ti devi preoccupare. Lo terrò d’occhio io. », cercò di dire nel tono più calmo possibile, che ovviamente gli servì solo a guadagnarsi un’occhiataccia scettica da parte di Tatsuki.
   « Ah davvero? E come pensi di fare, sentiamo? »
   Ancora una volta, Ichigo preferì non rispondere, o forse è meglio dire che non sapeva bene come rispondere. Lui per primo era incredibilmente diffidente rispetto a quella “soluzione alternativa” presentatagli da Kisuke Urahara in persona, di punto in bianco. Certo, l’ex Shinigami aveva ragione dicendo che non avrebbero potuto continuare ancora per molto a tenere Grimmjow confinato come un criminale di guerra o peggio, col rischio così di provocare una sua ribellione, però era anche vero che la Karakura Ichikō non era una dannata località di villeggiatura per Shinigami e Hollow. Ma davanti sua opposizione, Urahara si era limitato ad agitare il ventaglio con un sorriso indecifrabile, come a sottolineare che per lui le sue parole avevano la stessa consistenza dell’aria, e che alla fine, in un modo o nell’altro, avrebbero fatto come aveva deciso. Dopotutto, in segno di una fiducia ritrovata, la Soul Society aveva affidato a lui, il vecchio capitano della Dodicesima Divisione, il compito di sorvegliare l’Arrancar Grimmjow Jaegerjaques. In poche parole, Ichigo non aveva voce in capitolo.
   Stessa cosa però non si poteva dire di Grimmjow stesso, ovvero il diretto interessato, che quando era stato interpellato da Urahara su quale fosse la sua opinione in merito al diventare uno studente fittizio e in questo modo riottenere un minimo di libertà, lo aveva sorpreso non poco rispondendo con un categorico rifiuto. Inutili erano stati i suoi tentativi di presentargli i vantaggi della cosa: Grimmjow non ne aveva voluto sapere. E sottilmente, Ichigo aveva sperato che vista e considerata quella reazione che aveva un po’ stupito anche lui, alla fine di quel cosiddetto “piano di integrazione” non se ne sarebbe fatto niente. Sia lui che Grimmjow però non avevano ancora fatto i conti con l’inattaccabile caparbietà di Kisuke Urahara, che quando si metteva in testa una cosa, diventava cortesemente irremovibile. E in tutto questo, Yoruichi Shihōin si era limitata a rotolarsi sul pavimento e a giocare con un topolino di plastica.
   « Ti rendi conto, vero, che è come mettere un bambino in una stanza piena di caramelle e dirgli di non toccarle? », la voce perentoria di Tatsuki lo riscosse, riportandolo alla realtà dei fatti. « Questa è una scuola, Ichigo. Ed è piena di... di studenti! Sai, persone. Commestibili. »
   Suo malgrado, Grimmjow dovette sforzarsi per trattenere una risata, al contrario di Ichigo che mandò giù l’ennesimo sospiro. Le sue labbra si distesero, mentre incrociava le braccia al petto e appoggiava una spalla al muro.
   Il tono isterico con cui quell’umana aveva parlato, lo aveva divertito. Beh, se doveva essere sincero, le poche cose che lo avevano divertito da quando era arrivato a Karakura, erano state proprio fare quattro amichevoli chiacchiere con lei e usare Ichigo come un sacco da boxe, il che era diventato la sua unica consolazione da ormai qualche settimana a quella parte. Perché non l’aveva più incontrata da quando le aveva fatto capire che l’avrebbe volentieri vista morta, o anche solo con qualche arto di meno. Chissà che le sue minacce fossero andate in porto...?, si chiese, celando una sottile soddisfazione all’idea.
   « L’umana ha ragione, Kurosaki. Questo non è il posto per me. Facciamola finita con ‘sta cazzata e-... »
   « ... L’umana ha un nome. L’umana si chiama TATSUKI ARISAWA, e ti conviene tenerlo bene a mente. »
   Il sorriso di Grimmjow si congelò.
   E il divertimento lasciò il posto all’incredulità non appena si rese conto del significato delle parole che quell’uman-... che Tatsuki Arisawa gli aveva ringhiato in faccia, puntandogli un dito contro: le sue minacce le avevano fatto il solletico.
   Ichigo, che era rimasto a bocca aperta, si riscosse non appena vide gli occhi di Grimmjow, spalancati per lo stupore, assottigliarsi fino a diventare due fessure colme di furia cieca.
   « Tatsuki, piantala di provocarlo. Non ti ci mettere anche tu. », fece un passo avanti, verso di lei, cercando di mettersi tra di loro e di interrompere la loro lotta di sguardi, che altrimenti aveva il sentore sarebbe durata in eterno.
   « Certo, perché adesso è colpa mia. », la sua amica replicò, mettendosi le mani sui fianchi con fare offeso. Almeno però aveva smesso di esprimere con gli occhi il desiderio di prendere Grimmjow a pugni sui denti.
    « Non sto dicendo questo. »
   « A me sembra proprio di sì. »
   Ichigo sospirò esasperato. Quanto a cocciutaggine, era peggio di una bambina.
   « Senti, Tatsuki, io sto solo cercando di-... »
   Ma non riuscì a finire la frase. Perché in quel momento anche Grimmjow si comportò peggio di un bambino.
   Successe talmente in fretta che Ichigo si rese conto di cosa avesse fatto solo quando lo vide ritrarre le dita che aveva appena allungato per tirare la fascetta che Tatsuki portava sul braccio sinistro, richiamando così la sua attenzione. Dalla sua espressione, si poteva ben intuire che quel gesto infantile gli era venuto spontaneo, istintivo, non appena si era sentito ignorato e messo da parte. Cioè non appena Ichigo aveva distratto Tatsuki da lui.
   Tatsuki che lo guardò sconcertata, senza sapere come reagire. Ma bene presto si riscosse, e la rabbia tornò ad infuriare dentro di lei.
   « Sai che cos’è questa? », gli chiese, superando un allarmato Ichigo senza tanti complimenti, fino ad arrivare a mettergli braccio e fascetta sotto il naso. Gli occhi chiari di Grimmjow si alternarono per un istante dai kanji dorati – che non sapeva leggere – impressi sulla stoffa, agli occhi più scuri di Tatsuki, nei quali poteva interpretare chiaramente una muta sfida. E da essi non riuscì più a distogliere lo sguardo quando si fecero più vicini, mentre lei gli sussurrava una dolce promessa a pochi centimetri dalla faccia.
   « Questa è la tua rovina. »
   Quasi i lunghi capelli di lei gli schiaffeggiarono la faccia quando si voltò per allontanarsi, lasciandolo lì, come imbambolato a fissarla. Stava per vederla sparire tra il branco di insignificanti umani nel cortile della scuola, quando qualcosa dentro di lui scattò.
   « Ehi! A-... Arisawa! », la chiamò a pieni polmoni.
   Tatsuki si girò a guardarlo. Grimmjow avrebbe potuto dirle qualsiasi cosa, “lo vedremo”, “potrei dire la stessa cosa a te” o un’altra vuota minaccia. Ma non lo fece.
   Si limitò a sorridere, sorridere veramente, compiaciuto ed euforico al tempo stesso, come non gli capitava da secoli.
   Tatsuki si sentì avvampare. Per un attimo provò l’irrefrenabile desiderio di tornare sui suoi passi e togliergli a suon di pugni quel ghigno odioso dalla faccia, ma il suono della campanella arrivò ad interrompere i suoi pensieri. Non aveva ancora perso del tutto la testa al punto di ignorare l’inizio delle lezioni.
   Di una cosa però era sicura. Non sarebbe finita lì. E soprattutto, da quel momento in poi avrebbe dovuto farsi valere per quella che era veramente. Perché non avrebbe certo potuto fidarsi di quell’imbranato di Ichigo e dei suoi “non preoccuparti”.
   « Sarò io quella a tenerti d’occhio... Jaegerjaques! » gli urlò dietro in risposta, con tutto il fiato che aveva in gola.
   Stranamente, quell’umana non aveva sbagliato la pronuncia del suo cognome.
 
 
 
   Grimmjow Jaegerjaques non poté fare a meno di sorridere divertito.
   Scostandosi i ciuffi di capelli azzurri e passandosi l’indice tra il collo e il bavero della camicia, soppesò quei ricordi che l’odio per il caldo gli aveva involontariamente riportato alla memoria. Alcune cose erano cambiate un bel po’ da quei giorni di marzo e aprile, ma altre affatto.
   Tatsuki era rimasta Tatsuki, nonostante tutto.
   Rimase ad osservarla ancora per qualche secondo, in silenzio, appoggiato con i gomiti al davanzale della finestra a muro della classe in cui si trovava, che si affacciava sul corridoio. Presto Tatsuki sarebbe passata davanti a lui, e nonostante sembrasse totalmente persa nei suoi pensieri, l’avrebbe sicuramente notato. E Grimmjow non avrebbe più potuto studiare i suoi movimenti con la stessa attenzione, divorandola con lo sguardo mentre camminava e si scostava i capelli di lato facendosi aria, o sbadigliava stirandosi le braccia sopra la testa e inarcando la schiena.
   In mano teneva il fiocco rosso che solitamente portava annodato intorno al collo, ora lasciato scoperto dalla camicetta sbottonata. Solo il giorno prima, Grimmjow aveva sentito due umane spettegolare durante l’intervallo, parlando del “filo rosso del destino” che univa le cosiddette anime gemelle, senza capire a pieno cosa intendessero con quel termine, nella sua ignoranza da Hollow immemore delle cose terrene.
   Perciò, tutto quello di cui si era reso conto era che, decisamente, parecchie cose erano cambiate rispetto a tre mesi prima. Lui stesso era cambiato. Un tempo avrebbe definito quella credenza popolare una stronzata bella e buona.
   Adesso, senza la minima esitazione, si tese oltre il davanzale e afferrò il nastro rosso nella mano di Tatsuki, tirandola a lui.
   Inconsapevole di come stessero veramente le cose, Grimmjow non aveva dubbi che la sua anima e quella di Tatsuki fossero gemelle, praticamente separate alla nascita. E aveva senso che quello che li univa dovesse essere più spesso di un sottile “filo”, perché le loro non erano anime qualunque. Erano anime forti, con un legame ancora più forte.
   « Ma che diavolo-...?! », Tatsuki iniziò a dire, sentendosi improvvisamente tirare da un lato, e interrompendosi solo quando i suoi occhi incontrarono quelli di fronte a lei, accesi di un azzurro vivo.
   Grimmjow le regalò un sorriso furbo, avvolgendosi il nastro attorno a un dito.
   « Se cammini con il naso per le nuvole prima o poi finirai contro un muro. »
   Tatsuki ammutolì, mentre la sorpresa che aveva provato pian piano scemava via. Rimase a guardare la sua espressione ingenuamente infantile per diversi istanti.
   Non riuscì a trattenersi.
   « ... Si dice “camminare con il naso per aria” o “camminare con la testa fra le nuvole”, Grimmjow. », replicò, costringendosi a mandar giù la risata che sicuramente lo avrebbe fatto infuriare. Divertita, osservò il suo sorriso trasformarsi in una smorfia infastidita, mentre si rendeva conto della gaffe appena fatta. Grimmjow distolse lo sguardo da lei, probabilmente preda di una vergogna che non avrebbe mai riconosciuto di provare.
   « Beh? A che stavi pensando di tanto importante da non guardare neanche dove metti i piedi? », le chiese quindi, simulando indifferenza.
   Tatsuki si zittì ancora una volta. E aspettò finché lui non si girò nuovamente a guardarla, aggrottando le sopracciglia, chiedendosi quale fosse il motivo del suo silenzio.
   Gli sorrise.
   E a sua volta si appoggiò al davanzale con le mani, tendendosi sulle punte dei piedi per avvicinarsi a lui. Aumentò la stretta attorno al fiocco rosso che non gli avrebbe mai ceduto, a costo di fare un tiro alla fune.
   « Stavo pensando a te, ovviamente. »
 
   Grimmjow rimuginò per tutto il giorno se considerare le sue parole solo come una presa in giro o come qualcosa di più.
   Frustrato con sé stesso, non ammise neanche per un secondo di sperare nella seconda opzione.

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