Dove il cristallo torna ad essere limpido

di Smeralda Elesar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I- Un uomo che incespica nei propri pensieri e poco dopo nei propri passi ***
Capitolo 2: *** II- Di nuovo in Rue de l'Homme-Armè ***
Capitolo 3: *** III- Una ferita bendata in una stanza umile ***
Capitolo 4: *** IV-Come una forte emozione rende pericolosi gli oggetti sul tavolo da toletta ***
Capitolo 5: *** V-Un ispettore di polizia sull'attenti ***
Capitolo 6: *** VI-Cose di cui Javert, per sua fortuna, rimane all'oscuro ***
Capitolo 7: *** VII-Come coperta un soprabito è migliore di un giornale ***



Capitolo 1
*** I- Un uomo che incespica nei propri pensieri e poco dopo nei propri passi ***


I

 

Un uomo che incespica nei propri pensieri e poco dopo nei propri passi

 

L’ispettore Javert era rimasto più di un’ora sul ponte Notre Dame a dibattersi nei suoi dubbi.

Se avesse lasciato andare Valjean sarebbe stato un male per la legge, lo stato, la società intera, sarebbe stata la prima piccola crepa in quel muro ciclopico chiamato ordine sociale da cui sarebbe poi cominciato il crollo dell’intero colosso. E sarebbe stata colpa sua, dell’Ispettore Javert che non aveva mai infranto una regola in tutta la sua esistenza.

D’altronde se avesse arrestato Valjean sarebbe stato ugualmente un male per se stesso e per la sua coscienza. Ricambiare la grazia con la condanna gli sembrava un atto ingiusto: quale condannato si rivolta contro il giudice che ha cancellato la sua punizione?

Se solo quel galeotto non gli avesse salvato la vita! Javert avrebbe preferito che in quel vicolo Valjean gli avesse tagliato la gola o piazzato una pallottola nella schiena piuttosto che dirgli “Siete libero” e “Andate”.

Se Valjean lo avesse ucciso sarebbe stato tutto più semplice: lui, Javert, sarebbe morto facendo il proprio dovere e lui, Valjean si sarebbe rivelato per il ladro, imbroglione ed assassino che era. Tutti e due si sarebbero comportati come l’ordine sociale imponeva, insomma, e invece no, “Siete libero” gli aveva detto.

Come aveva osato sovvertire così le regole?

E quel che era peggio, in quel “siete libero” Javert leggeva un significato nascosto e terribile, come se Valjean gli avesse in realtà detto “la legge che voi difendete vi tiene schiavo. Io adesso sfido la legge che mi considera un criminale facendovi grazia della vita, in questo modo vi dimostro che la legge non è giusta e vi libero dall’obbedirle”

Sì, doveva essere così! Quella serpe infida aveva cercato di tentarlo come Satana aveva tentato Cristo nel deserto, e lui, Javert, si era lasciato ingannare!

Eppure… eppure c’era dell’altro.

L’ispettore di polizia chiuse gli occhi e cercò di riportare alla mente ogni singolo attimo da quando Valjean aveva detto ad Enjolras :-Chiedo di bruciare io stesso le cervella a quell’uomo-: a quando gli aveva detto :-Andate-: per la seconda volta.

Ripercorse gli atteggiamenti di quell’uomo mentre tagliava le corde, poi mentre gli dava il suo indirizzo per lasciarsi arrestare. Da sempre il suo istinto di poliziotto, o meglio di predatore, riusciva a leggere dal portamento ogni minimo moto dell’animo di colui che stava esaminando, e riportando alla mente le movenze di Valjean non riusciva a scorgere nulla di sospetto, anzi vi vedeva la sicurezza incrollabile di chi sta facendo la cosa giusta.

Inconcepibile! Cosa ne sapeva Valjean di giustizia? Come poteva il galeotto pensare di dare lezioni all’esecutore delle leggi? Eppure…

Tutto il portamento di Valjean era improntato ad una giustizia superiore a quella dei codici scritti e dei tribunali.

Poteva essere una simile enormità? Poteva un uomo come Valjean mettersi al di sopra dell’ordine morale ed instaurarne uno proprio ugualmente, se non maggiormente valido?

Javert colpì il parapetto con il palmo della mano e lo schiocco risuonò come quello di una frusta, inghiottito subito dopo dal rombo dell’acqua sotto il ponte.

Quell’uomo, Valjean, gli stava distruggendo la vita!

La corrente faceva sentire la sua voce concitata e refoli di aria umida colpivano in faccia l’ispettore.

Ad un tratto gli sembrò che il ribollire delle acque fosse in realtà composto da tante voci, alcune che lo accusavano, altre che lo incitavano.

Da poliziotto aveva, a volte, avuto a che fare con casi di persone che si erano gettate volontariamente o erano state spinte proprio dal punto dove si trovava lui, dove la corrente della Senna era più violenta e da dove nessuno riusciva  a riemergere, non vivo, almeno.

Guardò giù nell’abbisso oscuro e si chiese se…

Gettarsi? No, mai! Togliersi la vita e darla vinta ad un galeotto che si atteggiava a santo? Fuggire così vigliaccamente dalla responsabilità del suo gesto di aver sottratto alla legge un criminale che le apparteneva? No!

Eppure… eppure come poteva essere certo di aver fatto una cosa sbagliata lasciandolo andare? Che la generosità che Valjean aveva usato verso di lui avesse oltrepassato l’uniforme che indossava e fosse scesa più in profondo, a risvegliare una scintilla di umanità nel suo animo? E poi, chi era davvero Jean Valjean? Un demonio? Un santo?

E lui, Javert, chi era? Se Valjean era un demone allora lui era l’arcangelo Michele che puniva giustamente Satana, ma se Valjean era un uomo giusto, allora lui che lo aveva perseguitato, che cosa era?

Lì il suo pensiero si ritrasse prima che un orrore insopportabile prendesse forma.

Inoltre si vergognava per il suo comportamento: essersi ritirato nell’ombra mentre Valjean non vedeva. Chissà cosa aveva pensato di lui?

L’accusa di vigliaccheria lo punse così a fondo che l’ispettore Javert si trovò costretto a fare qualcosa per reagirvi.

Prese la decisione: avrebbe interrogato immediatamente Valjean per scoprire cosa nascondeva.

 

:-Ebbene sia! Sto tornando, Valjean!-:

 

Si calcò il cappello in testa con rabbia, strinse i pugni e, a la guerre comme a la guerre, gonfiò il petto ed aggredì la via che lo avrebbe riportato dalla sua nemesi.

Aveva adesso davanti a se due immagini di Valjean, una gigantesca nel bene, l’altra gigantesca nel male, e per scoprire quale fosse quella vera l’ispettore non aveva altro mezzo che controllare di persona.

Alle volte c’è una curiosa corrispondenza tra lo stato d’animo di un uomo e le sue movenze.

Ad esempio Javert, quando pensava a Valjean come all’orribile forzato che aveva conosciuto a Tolone, assumeva un passo sicuro ed una postura marziale, quando invece ricordava la generosità in quella parola, “andate”, tutta la sua tetra figura pareva contrarsi e rabbrividire; era in quei momenti che sembrava quasi che l’ispettore incespicasse nei suoi passi.

Accadde allora una di quelle singolari coincidenze per cui, quando un uomo è preso da un forte pensiero di molto superiore a quelli della banale quotidianità, anche gli accadimenti insignificanti gli sembrano acquistare un significato più grande e profondo.

Ecco appunto quello che accadde all’Ispettore Javert.

Era quasi vicino a Rue de l’Homme-Armè e la sua mente stava indugiando su quelle parole “Siete libero” e “Andate” con un sentimento simile alla gratitudine, e fu allora che, forse per il selciato sconnesso, forse per quel fremito che, abbiamo detto, lo prendeva quando pensava a Valjean con ammirazione, gli capitò di mettere un piede in fallo e di rovinare a terra.

Si rialzò con uno scatto ed un paio di imprecazioni, pronto a riprendere la sua marcia, ma al momento di raccogliere il cappello che gli era pure caduto, vide che sulla mano destra c’era un taglio causato forse da un’asperità del terreno.

Javert lo fissò prima con vago interesse, poi con sorpresa, infine con un grido di terrore.

Nella sua condizione quella caduta e quella ferita, avvenute sulla destra, la mano della giustizia, proprio quando stava per concedere a Valjean la sua stima, assumevano il significato di una punizione divina, neanche fosse stato appena colpito dalla folgore come la moglie di Lot.

Si appoggiò al muro per riprendersi da quell’attimo di smarrimento, poi entrò in Rue de l’Homme-Armè e picchiò deciso alla porta del numero sette.

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Cantuccio dell’Autore

 

Alla fine ci sono cascata: non ho resistito alla tentazione di cambiare il destino dell’Ispettore Javert da quello che è nel libro.

L’idea mi ronzava in testa già dalla prima volta che ho letto “I Miserabili”, ossia un paio di anni fa, ma la spinta decisiva me l’ha data Russell Crowe nel musical “Les Miserables” perché mi sono innamorata di come canta “All it would take was a flick of his knife. Vengeance was his and he gave me back my life” (Tutto ciò che gli serviva era uno scatto del suo coltello. La vendetta era sua e mi ha restituito la mia vita).

Detto per inciso secondo me ha fatto un ottimo lavoro e proprio non capisco perché la critica è stata così feroce con lui, e non è che io sono di parte perché Russel Crowe non mi piaceva particolarmente come attore.

Comunque, a parte i commenti canori, per me l’Ispettore Javert e Jean Valjean sono Geoffrey Rush e Liam Neeson del film del 1999.

Ok, per ora ho finito, grazie per aver letto fino qui.

 

                                                                                             Makoto

 

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Capitolo 2
*** II- Di nuovo in Rue de l'Homme-Armè ***


II

 

Di nuovo in Rue de l’Homme-Armè

 

Tocca adesso dire cosa aveva fatto Jean Valjean da quando si era accorto che Javert non era più sotto la sua porta.

Il suo primo moto era stato di sollievo, ma non era durato a lungo: aveva pensato subito che probabilmente l’ispettore di polizia era andato a chiamare dei rinforzi e ciò gli aveva causato una certa amarezza poiché significava che Javert non aveva in lui la minima fiducia nonostante gli avesse fatto capire chiaramente che non intendeva opporre resistenza.

Comunque, non sapendo quando aspettare che tornassero a prenderlo, decise di dedicarsi a finire in fretta alcune cose di cui, una volta in prigione, non avrebbe certo potuto occuparsi.

Scrisse due lettere, una a Cosette in cui le spiegava che l’amava con tutto il suo cuore, e che proprio perché l’amava era giunto il momento di separarsi.

Non accennò ai motivi della separazione perché non voleva che Cosette sapesse del suo passato di galeotto, né voleva che lo sapessero gli altri per parlar male di lei.

La seconda lettera era per Marius Pontmercy. Gli affidava sua figlia Cosette e la sua dote, ed aggiungeva che si aspettava che lui trattasse con pari riguardo l’una e l’altra.

Marius gli era sembrato un bravo giovane, e se Cosette aveva scelto lui come futuro marito, Valjean non poteva che esserne felice.

Infine la cosa che gli doleva di più del tornare in prigione era proprio il non poter vedere più quella che a tutti gli effetti era diventata sua figlia, ma un debito è un debito, e Valjean capiva che Cosette aveva adesso il diritto di vivere la sua vita.

Posò le due lettere nella sua stanza, sotto uno dei candelieri d’argento che costituivano le uniche componenti preziose dell’arredamento, poi, indeciso su cosa fare, andò di nuovo alla finestra che dava su Rue de l’Homme-Armè per controllare se per caso ci fosse Javert con un drappello di guardie.

La via era deserta.

Jean Valjean non riusciva ancora a convincersi che il suo persecutore fosse sparito così, come inghiottito dalla terra, e tuttavia man mano che il tempo passava, nella sua mente si faceva strada il pensiero che, forse, poiché lui aveva fatto a Javert grazia della vita, quest’ultimo stesse ricambiando il favore rendendogli la sua libertà.

Tuttavia gli sembrava impossibile, dato il modo abituale di comportarsi dell’Ispettore. Più probabilmente, si disse, Javert aveva incontrato qualche altro affare; dopotutto, visti i disordini che c’erano stati, poteva essere che la cattura di un singolo uomo fosse passata in secondo piano.

Certo, c’erano quello strano sguardo e quello strano tono con cui l’Ispettore gli aveva concesso di salire a casa sua, ma quelli potevano voler dire tante cose.

Infine, non sopportando oltre quella sospensione d’animo, decise di occuparsi in qualche modo, e scelse di andare a ripulirsi dalle tracce che l’attraversare le fogne aveva lasciato su di lui, così se fosse tornato in prigione almeno ci sarebbe entrato con un aspetto dignitoso.

Quando ebbe finito di rivestirsi era passata più di un ora dalla mezzanotte, ed ancora nessuno era arrivato dicendo”Aprite, in nome della legge”.

Valjean non riusciva a capacitarsi.

Dopo che Javert aveva passato più di dieci anni a cercarlo, possibile che avesse rinunciato?

Prima di lasciarlo salire glielo aveva detto chiaramente che era sua intenzione arrestarlo, e allora perché non ricompariva?

Valjean sospirò. In fondo Javert, con quella sua ossessione per il rispetto delle regole,  gli faceva pena, e non gli sembrava molto più libero di quanto lui stesso lo fosse stato al bagno penale di Tolone.

La Legge aveva messo le catene ad entrambi, ma mentre la catena di Valjean era quella della fiera che anela a tornare alla sua vita selvaggia, la catena di Javert era quella del cane da guardia che neanche si rende conto di essere prigioniero.

Comunque fosse Valjean continuava ad aspettare. Aveva deciso di raggiungere un compromesso: poiché era molto stanco avrebbe desiderato mettersi a letto e riposare, ma poiché appunto non riusciva ancora a convincersi che Javert avesse rinunciato a lui scelse una via di mezzo che consisteva nel mettersi sì disteso, ma ancora vestito, di modo da essere pronto in qualunque momento l’Ispettore fosse venuto a prelevarlo.

Per un attimo gli era anche venuto in mente di entrare in camera di Cosette e di salutarla almeno con un ultima carezza mentre questa dormiva, ma infine non aveva voluto correre il rischio di svegliarla e di renderle la separazione ancora più dolorosa.

Si era appena steso sul letto quando sentì picchiare forte all’uscio al piano di sotto.

 

“E così infine è arrivato”

 

Pensò.

Peccato, stava quasi per abituarsi all’idea di essere libero.

Si alzò lentamente e si mise il cappotto, e quando uscì sul pianerottolo sentì per prima cosa i passi di Javert su per le scale che scandivano i suoi ultimi attimi di libertà.

Quando l’Ispettore svoltò l’angolo del pianerottolo si trovarono faccia a faccia.

Javert, ansante per la salita fatta di corsa,  aveva l’aspetto tirato di un ammalato che si regge in piedi per pura forza di volontà mentre Valjean era il ritratto della rassegnazione.

 

:-Ah! Dunque siete solo, Ispettore? Va bene così. Ecco, come vedete non vi chiedo più proroghe, ho provveduto a sistemare tutti i miei affari. Arrestatemi-:

 

C’era, in quella resa, una dignità sublime, simile a quella di Socrate che accettava la sua condanna a morte.

Vide che l’Ispettore di polizia si tastava il soprabito all’altezza del petto e credette che stesse cercando le manette per incatenarlo.

Valjean fece un sospiro rassegnato: inutile pretendere, quell’uomo lo considerava e lo avrebbe sempre considerato un criminale e la cosa, lo abbiamo già detto, lo amareggiava, tuttavia a guardare meglio Javert non stava cercando le manette. Le sue dita si impigliavano nel nodo della cravatta e nei bottoni del colletto mentre tentava di slacciarli entrambi come se avesse bisogno di respirare più liberamente.

 

:-Ispettore Javert?-:

 

Quello, a sentire il suo nome, si alzò con uno scatto e fissò in viso a Valjean uno sguardo al tempo stesso atterrito, supplichevole e feroce, poi davvero il respiro non gli bastò più e cadde a terra svenuto.

Valjean riuscì ad afferrarlo per le spalle appena prima che battesse a terra la testa.

 

“E adesso? Che ne faccio di quest’uomo?”

 

Gli tastò il polso e batteva, il respiro era debole ma presente, e, poiché non c’erano tracce di sangue, non doveva essere ferito.

 

“Ha bisogno di aiuto. Che strano il destino, a lasciarlo per due volte così inerme nelle mie mani”

 

A quel punto gli restava un’unica cosa da fare: con tutta la delicatezza di cui era capace, lo sollevò da terra come aveva fatto poche ore prima con Marius e rientrò in casa portandolo in braccio.

C’era, nell’abbandono del corpo di Javert e nello sguardo pacato di Valjean, qualche cosa che ricordava la tenerezza di una Pietà.

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Cantuccio dell’Autore

 

Ben trenta persone hanno già letto il primo capitolo! Grazie a voi, trenta anonimi!

 

                                                                          Makoto

 

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Capitolo 3
*** III- Una ferita bendata in una stanza umile ***


III

Una ferita bendata in una stanza umile

 

Ecco pressappoco quello che era accaduto all’Ispettore Javert: prima di bussare si era riconfermato nel proposito di considerare Valjean un criminale, respingendo in fondo all’animo quel nuovo sentimento di ammirazione che cominciava a sentire, e questo sforzo gli richiedeva un enorme dispendio di energie come se stesse cercando di trattenere a viva forza il ribollire di un vulcano.

Erano energie che l’Ispettore, viste le fatiche della giornata, l’ora tarda ed in certa misura anche l’età non più giovane, forse non aveva a disposizione, così, quando Valjean si era arreso con quell’ “arrestatemi” e la sue certezze erano state di nuovo smentite, tutto era diventato semplicemente troppo da sopportare e Javert aveva perso i sensi.

Lo svenimento lo aveva risparmiato dall’affrontare una realtà che non riusciva più a capire né  a gestire, ma non poteva durare a lungo, così alla fine dovette pur tornare cosciente.

Javert non sapeva dire dopo quanto tempo era rinvenuto, noi invece lo sappiamo e possiamo dire che rinvenne dopo circa mezz’ora.

Era sdraiato in un letto ed era in maniche di camicia, accanto a lui la luce di una candela delineava una sagoma scura attraverso le sue palpebre socchiuse, che si muoveva nella stanza.

Indovinò immediatamente di chi si trattava.

 

:-Voi?-:

 

Chiese in un sussurro.

 

:-Sì, Javert. Siete in casa mia-:

 

:-In casa vostra!-:

 

:-Sì. Siete svenuto sulla soglia e vi ho portato dentro. Ho appena finito di bendarvi la mano-:

 

Javert sollevò appena la testa e vide che la ferita sulla mano destra era effettivamente coperta da una fasciatura e a giudicare dall’odore di alcol doveva anche essere stata disinfettata con l’acquavite.

Dunque Valjean si era preso cura di lui una seconda volta, non solo, aveva anche sanato la ferita che lo aveva sconvolto, e, sempre per quel fenomeno di cui dicevamo prima, il fatto che lo avesse curato assumeva il significato che il galeotto aveva ripristinato la giustizia.

Valjean insomma, non era nemico della legge, e la cosa non rallegrava per niente l’Ispettore che vedeva di nuovo vacillare la sicurezza che aveva riconquistato con tanta fatica.

 

:-Vi ringrazio-:

 

Disse secco.

Lo aveva ringraziato per mera convenzione sociale, non certo per vera gratitudine, perché dopo quello portare a termine il suo compito gli diventava ancora più spinoso.

 

:-Ho fatto solo il mio dovere. Adesso vi prego, Ispettore, riposate. Non lo dico per me, davvero, lo dico per voi: dovevate essere davvero molto provato per crollare a quel modo-:

 

Javert provò un moto di stizza.

 

:-Ve l’ho già detto tanti anni or sono che non voglio la vostra bontà!-:

 

Valjean parve cercare nella memoria, e parve anche trovare, visto il lampo che gli passò negli occhi.

 

:-Ah, sì, ora ricordo! Diceste che la mia bontà vi faceva fare cattivo sangue già quando era rivolta ad altri-:

 

Lo disse con quel sorriso che aleggia sul volto degli anziani quando ricordano un avvenimento lontano e a distanza di tempo lo considerano con una sorta di tenerezza.

Javert interpretò male quel sorriso, per la precisione lo interpretò come una smorfia di dileggio.

 

:-Non prendetevi gioco di me! Dicevo sul serio allora come lo dico oggi-:

 

Replicò torvo, con l’espressione della dignità offesa.

L’Ispettore aveva avuto una reazione esagerata, ma il suo comportamento era in qualche modo giustificato dal fatto che egli si trovava nella più penosa delle condizioni: quella di chi, abituato ad esercitare l’autorità nella sua forma più assoluta, si trova improvvisamente a non poter disporre neanche dei propri movimenti, condizione in cui al sentimento già bruciante dell’umiliazione si aggiungono l’impazienza ed una buona dose di invidia per gli altri che invece sono in pieno possesso delle loro facoltà.

Valjean non ritenne quello il momento opportuno per avviare una discussione e prese un’aria di scuse come se avesse davvero offeso l’Ispettore.

 

:-Perdonatemi, non intendevo offendervi. Però sarete d’accordo con me almeno sul fatto che siete… stanco, e che avete bisogno di riposare fino a domattina-:

 

Valjean aveva avuto un attimo di esitazione perché, quando aveva detto “stanco” in realtà stava per sfuggirgli di bocca la parola “debole”, e solo in ultimo l’aveva sostituita perché non osava immaginare come avrebbe reagito l’orgoglio di Javert a sentirsi dare del debole proprio da lui.

 

:-Non sono affatto stanco e non posso riposare-:

 

Lo stroncò di nuovo Javert con tono sdegnato.

Fece uno sforzo titanico per tirarsi a sedere e mettere almeno le gambe fuori dal letto, così da non apparire un malato, poi fissò in volto a Valjean il suo sguardo più duro e ringhiò.

 

:-Sono qui per interrogarvi, Valjean, e porterò a termine l’interrogatorio anche a costo di sputare l’anima stasera stessa!-:

 

Conoscendo per esperienza personale la testardaggine di Javert ed essendo sicuro che non sarebbe riuscito a ridurlo alla ragione, Valjean pensò che infine la cosa migliore era lasciargli fare come voleva.

 

:-Come volete, Ispettore, non c’è bisogno di alterarvi-:

 

Prese una sedia e l’accostò al letto (gli sembrava una cosa scortese sistemarsi sulla sponda troppo vicino a Javert) dopodiché vi si sedette.

 

:-Vedete bene, io sono qui, cominciate con le domande-:

 

Javert quasi sospirò di sollievo: ecco, fare domande, indagare, analizzare i fatti, quelle erano cose a lui familiari, e poterle mettere in pratica gli dava un certo senso di sicurezza.

Doveva cominciare con la prima e più pressante delle domande, quella che lo aveva mandato in confusione.

 

:-Valjean, nel vicolo Mondétour mi tenevate e per la vostra sicurezza sarebbe stato meglio che mi aveste ucciso. Per Dio, perché non lo avete fatto?!-:

 

Subito dopo trattenne il respiro. Forse gli sembrava di aver fatto male ad aver messo di mezzo Dio in un attimo di esasperazione.

Fissò attentamente Valjean, che ricambiava lo sguardo con l’espressione di un vecchio saggio che è in possesso di una verità superiore.

 

:-Perché non vi ho ucciso? Non riuscite a capire, Javert? Proprio voi che siete della polizia?-:

 

:-All’inferno la polizia! Eravamo soli voi ed io, in una situazione di anarchia totale ed io ero una spia ed un vostro nemico personale! Dannazione, avevate il diritto di ammazzarmi!-:

 

:-No, non l’avevo. Nessuno ha il diritto di privare un altro uomo della sua vita. Molto bene, Javert, credo che per farvi capire sia necessario che vi racconti un po’ della mia storia. Spero di non annoiarvi, ma d’altra parte è per questo che siete qui, giusto? Per avere informazioni su di me, dunque ascoltate-:

 

E Valjean cominciò a raccontare la storia del suo incontro con Monsignor Benvenuto, di come nella notte lui gli avesse rubato l’argenteria e di come, il mattino dopo, il vescovo invece di denunciarlo lo aveva lasciato andare regalandogli l’argento per dargli la possibilità di cominciare una nuova vita.

 

:-Sono quei candelabri lì, vedete? Sono l’unica cosa che ho conservato perché mi rammentino sempre il valore del perdono e della fiducia-:

 

Concluse Valjean con lo sguardo fisso sui candelabri e gli occhi della memoria fissi sul buon vescovo che lo aveva riscattato.

Javert intanto era rimasto ad ascoltare senza dire una parola.

Per la seconda volta quella notte era immerso in una profonda meditazione.

Non appena aveva sentito dire dallo stesso Valjean che sì, aveva rubato l’argenteria, il poliziotto che era in lui aveva provato un guizzo di soddisfazione, come a dire “Ah, eccoti! T’ho colto, briccone!” poi, però, sentendo il resto della storia, si trovò a vergognarsi di quello scatto.

Più che su Valjean il suo pensiero si soffermava sul vescovo perché l’esempio di quel buon uomo gli faceva sentire che esistevano cose di cui lui non aveva mai neanche sospettato l’esistenza, e quella consapevolezza gli spalancava davanti una nuova, abbagliante verità che lo lasciava sgomento: avere il potere di punire era cosa grande, ma cosa ancora più grande era avere il potere di punire e non esercitarlo.

Per la prima volta comprendeva davvero il significato della frase evangelica “Và e non peccare più”.

 

:-Madeleine!-: esclamò all’improvviso :-A Montreuil-sur-mer vi facevate chiamare Madeleine. Era per questo, vero? Il vostro nome significava che avevate lasciato la via del peccato-:

 

Valjean annuì con gravità.

Per un po’ rimasero in silenzio, Valjean a rivivere ricordi lontani e Javert a meditare con la testa tra le mani.

Per chi lo avesse visto in quel momento sarebbe stato impossibile riconoscere a primo occhio l’austero Ispettore di Polizia che incuteva timore con la sua sola presenza.

C’era solo un uomo schiacciato da una verità più grande di lui.

Aveva altre domande e decise di farne una per avere altro a cui pensare.

 

:-La bambina, la figlia di… di quella donna che mi avete impedito di arrestare anni fa. L’avete presa con voi, non è vero? So che l’uomo che tutti dicevano essere il nonno e che l’aveva portata via da Montfermeil eravate voi. Che ne è stato di lei?-:

 

Il volto di Valjean si illuminò di una tenera gioia a sentir nominare la sua figlioletta.

 

:-Ah, Cosette, dite! Sì, è la figlia di Fantine. Povera donna, si vendeva per strada per non far mancare da mangiare alla sua bambina! Adesso Cosette è una ragazza di diciotto anni e vive ancora con me, in questa casa. Domattina se vorrete vi presenterò a lei Ispettore.

Quanto al perché l’ho presa con me ve lo spiegherò subito: dovete sapere che la madre mi aveva pregato di aver cura della piccola se lei fosse morta. Bene, dopo che quella povera anima tornò in cielo io andai a cercare la bambina e… oh, non riesco a descrivere l’indignazione! Quei Thénardier a cui la madre l’aveva affidata l’avevano fatta diventare la loro serva! La povera madre si era consumata fino a morire per mandar loro i soldi necessari a far vivere la sua figliola con creanza e loro l’avevano messa a dormire sotto la scala tra i cocci dei vasi rotti! Io avevo in tasca la lettera di Fantine che chiedeva di affidare Cosette al possessore di quel documento ed avevo anche parecchi franchi perché sapevo già che Thénardier era avido.

Ve lo giuro, Ispettore, se io avessi visto che Cosette era trattata con riguardo avrei tenuto la lettera in tasca e l’avrei lasciata dove poteva vivere bene, ma così non era, e così, già che avevo promesso, la portai via con me-:

 

Javert lo fissò a lungo.

Cercava qualcosa a cui aggrapparsi per poter dire a Valjean “avete fatto male” e infine una cosa la trovò.

 

:-Avete detto che avevate del denaro. Avete corrotto dunque …-:

 

:-Sì, ho corrotto. Ho corrotto per dare a quella creatura innocente una vita dignitosa e non me ne pento. Cosette è cresciuta in convento tra le educande e adesso, grazie al denaro con cui ho corrotto Thénardier, non ha nulla da invidiare ad ogni altra signorina per bene di Parigi-:

 

Javert si arrese.

 

:-Avete corso dei rischi per proteggere ed allevare una creatura non vostra… perché?-:

 

Chiese tentando di capire.

Valjean fece un sorriso enigmatico mentre rispondeva.

 

:-Per lo stesso motivo per cui Cristo si è lasciato inchiodare innocente alla croce. Per amore, Ispettore Javert, solo per amore-:

 

Javert si ritrasse e cambiò in fretta argomento.

 

:-Quel ragazzo che avete portato via dalla barricata. Perché avete salvato anche lui? E a rischio della vostra vita!-:

 

:-Marius Pontmercy. Sì, anche quello è stato per amore perché la mia Cosette lo ama ed io amo lei. Non avrei sopportato di vederla infelice se lui fosse morto-:

 

Valjean aveva risposto con semplicità, cosa che ebbe su Javert l’effetto di renderlo sempre più confuso.

Abbiamo detto che prima di entrare in quella casa l’Ispettore aveva davanti a se due immagini di Valjean, una infernale ed una celestiale, ora, a quel punto dell’interrogatorio, l’immagine infernale era del tutto scomparsa e quella celestiale emanava una luce abbagliante persino superiore a ciò che lui si era figurato.

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Cantuccio dell’Autore

 

Alla fine di questo capitolo non so bene cosa dire, tranne che ho riletto il libro e riguardato il film in maniera quasi ossessivo-compulsiva.

Ho riletto il libro per appropriarmi del linguaggio e dello stile dei romanzi ottocenteschi, ed ho rivisto il film perché Geoffrey Rush rende benissimo l’Ispettore Javert ed è perfetto per aiutarmi ad immaginare i suoi atteggiamenti senza finire OOC.

Ah, a proposito, metto qui il link del video di You Tube “Javert’s suicide” interpretata da Russel Crowe e con il testo a fianco http://www.youtube.com/watch?v=jmbd6r80xmI

 

                                                                                 Makoto

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Capitolo 4
*** IV-Come una forte emozione rende pericolosi gli oggetti sul tavolo da toletta ***


IV

Come una forte emozione rende pericolosi gli oggetti sul tavolo da toletta

 

Trascorsero ancora parecchi minuti di silenzio, minuti che noi impiegheremo per descrivere un po’ come era fatta la camera in cui si trovavano Jean Valjean e l’Ispettore Javert.

Era una di quelle stanze piccole, tuttavia la scarsa mobilia la faceva sembrare molto più spaziosa di quanto non fosse.

Difatti gli unici mobili erano il letto addossato alla parete, poco discosto da questo un tavolino da toletta molto semplice su cui era posato uno dei candelabri, e sotto la finestra uno scrittoio, messo in quella posizione per sfruttare il più possibile la luce del giorno o del lampione e fare così economia sulle candele.

In questo contesto i due rimasero per qualche tempo, i loro profili delineati dalla luce soffusa delle candele, finché Valjean non ritenne opportuno tentare di nuovo di convincere Javert che quell’ora della notte non era adatta agli interrogatori ed in generale a qualunque altra attività che non fosse il sonno.

 

:-Ispettore…?-:

 

Quello lo fermò con un gesto imperioso della mano, senza tuttavia osare alzare la testa.

 

:-Vi prego, Valjean… Ho bisogno di pensare-:

 

Eccome se aveva bisogno di pensare!

Alla fine aveva scoperto la verità su Valjean, ma a quale prezzo!

Ciò che prima gli sembrava solo un’enorme assurdità ora era reale e davanti a lui, ed era una verità che lo annientava.

Era vero, Valjean era stato un galeotto, ma allo stesso tempo aveva fatto del bene a tante persone e la Legge, perseguitandolo, si era dimostrata ottusa, iniqua e meschina, e quel che era peggio era che quella Legge era lui in persona, Javert!

Esaminando quanto il suo agire verso Valjean fosse stato ingiusto l’Ispettore si trovava a riesaminare tanti altri casi simili che gli erano passati per le mani, e si chiedeva quanti altri errori avesse commesso e quante altre vite avesse rovinato.

Il solo pensiero lo atterriva e lui non poteva fare altro che nascondere il viso tra le mani e tremare come in preda alla febbre o agli incubi.

Era perso in una sorta di vertigine in cui si sentiva perso e peggio ancora tradito.

Lui che aveva dedicato ogni singolo respiro a servire la Legge adesso scopriva che questa era una cosa fredda e crudele, e che tutta una vita passata ad essere irreprensibile non valeva un solo istante in cui Valjean gli aveva detto “andate”. Allora la sua vita aveva mai avuto un senso?

Sarebbe stato meglio che si fosse gettato nella Senna prima di arrivare a quella drammatica verità, o ancora meglio sarebbe stato non aver voluto interrogare Valjean.

La condizione di Javert era del tutto simile a quella di Adamo quando, dopo aver insistito per   mangiare il frutto della conoscenza, scoprì la propria nudità e ne ebbe vergogna.

D’improvviso si alzò con uno scatto.

 

:-Devo andarmene da qui!-:

 

Esclamò con una voce che pareva uscire dall’oltretomba.

Valjean si alzò anche lui e gli si mise di fronte.

Aveva imparato a riconoscere i moti del cuore umano, e certo aveva intuito senza che Javert ne facesse parola quale profondo turbamento stava attraversando l’Ispettore e quali potevano essere le sue intenzioni.

 

:-Andarvene? E dove volete andare?-:

 

Non ebbe risposta, allora lo afferrò per le spalle per scuoterlo da quello stato di trance.

Alle volte un uomo agisce d’istinto sicuro di provocare una certa reazione e credendo di fare del bene, e invece ottiene una reazione completamente opposta che ha conseguenze negative.

Valjean con il suo gesto aveva inteso rassicurare l’Ispettore, come a fargli sentire che voleva aiutarlo, invece Javert a quel contatto trasalì ed il suo stato di terrore si fece più forte.

Nel suo delirio gli sembrava di essere sospeso su di un abisso e che quelle mani forti che gli stringevano le spalle fossero pronte tanto a trarlo in salvo verso la luce quanto a scaraventarlo nell’inferno.

Si divincolò con un grido e per tenersi in piedi si addossò alla parete.

C’era, lì vicino, un tavolino da toletta e su di esso pochi oggetti, tra cui un rasoio; su quello si fissò lo sguardo dell’ispettore come se non vedesse altro al mondo che quella lama.

 

“Che ho fatto? Mio Dio, che cosa ho fatto?”

 

Con un gesto disperato afferrò il rasoio e, apertolo con uno scatto, se lo premette sulla gola.

Era uno spettacolo terribile a vedersi: pallido, scarmigliato, con occhi ardenti e spalancati e quella lama affilata premuta sulla giugulare da una mano tremante.

Tuttavia sentiva che non era suo diritto decidere di togliersi la vita: poiché aveva offeso un uomo solo a quell’uomo spettava decidere del suo destino, proprio come era successo tanti anni prima a Montreuil.

 

:-Una parola, Valjean!-:

 

Gridò sconvolto.

 

:-Buon Dio, Javert, cosa fate?-:

 

Valjean si slanciò in avanti per togliergli il rasoio dalle mani, ma dovette  fermarsi perché Javert aveva premuto di più la lama come una minaccia.

 

:-Javert, posate quel rasoio-:

 

Gli disse cercando di essere allo stesso tempo autoritario e rassicurante.

Javert scosse la testa e quel movimento portò la lama ad incidere la pelle sotto il mento.

 

:-Una parola! Monsieur Valjean, dite solo una parola!-:

 

Pretese ancora Javert con un accento di feroce disperazione.

Valjean si passò una mano sulla fronte senza sapere che fare. Gli sembrava che Javert gli stesse dicendo “Dite una parola ed io sarò salvato” ed allo stesso tempo “Dite una parola ed io mi ucciderò qui davanti a voi”

Intanto lungo la lama aveva cominciato a scorrere una goccia di sangue.

 

:-Una parola… Valjean… nient’altro che… una parola. Vi  scongiuro-:

 

Rantolò Javert allo stremo delle forze.

Jean Valjean vide il sangue ed inorridì. Era colpa sua: sapeva che quell’atteggiamento di Javert era dovuto alla sua ossessione per lui, ed in definitiva lui aveva rovinato la vita a Javert non meno di quanto l’ispettore di polizia l’avesse rovinata a lui.

Ma non era mai stata questa la sua intenzione!

 

:-Ah, Javert! Perdono!-:

 

Esclamò.

Perdono!

Quella parola scoppiò nella piccola stanza ed ebbe sull’Ispettore lo stesso effetto di una fucilata.

Per pochi attimi rimase immobile, poi, lentamente, la mano che stringeva il rasoio si allentò e questo scivolò a terra conficcandosi nelle assi del pavimento con un tonfo sordo.

Stavolta Valjean fu svelto a prenderlo e a lanciarlo dall’altro capo della stanza.

Javert intanto era scivolato lungo la parete e poi in ginocchio sul pavimento.

 

:-Perdono… avete detto…-:

 

Disse come parlando in sogno.

 

:-Io vi ho braccato come un animale mentre tutto quello che voi facevate era aiutare le persone. Anche me avete aiutato, mi avete salvato la vita… ed io ancora una volta, stolto, cieco, non ho capito chi avevo davanti-:

 

I suoi occhi smarriti erano fissi sul vuoto e si tormentava le mani.

Valjean si inginocchiò a sua volta davanti a lui.

 

:-Via, Javert, tutto questo appartiene al passato ormai-:

 

Gli disse con tono paterno, ma l’ispettore pareva non udire.

 

:-E dopo quello che vi ho fatto… perdono!-:

 

L’Ispettore ebbe un sussulto come se si fosse svegliato in quel momento.

La verità è che, poiché il suo animo non aveva mai avuto esperienza di un affetto qualsiasi, non riusciva neanche a concepire l’assoluta grandezza del perdono, ma poi, a partire da quando Valjean gli aveva salvato la vita e poi ascoltando la storia dell’argenteria del vescovo, aveva iniziato a comprendere.

E quando Valjean aveva detto “perdono” quella parola aveva vibrato dentro di lui in tutta la sua luce.

Proprio come quando una gelida lastra di vetro viene investita da un getto di acqua bollente ed  istantaneamente si spacca in mille pezzi, così quella parte dell’animo di Javert che ancora resisteva al cambiamento, quella che era ancora dura, severa e sorda alla pietà, a contatto con il calore umano di quella parola, si spezzò di schianto ed egli crollò su se stesso gemendo :-Ah! Sono un miserabile!-:

 

 

Cantuccio dell’Autore

 

Giuro che non sono una sadica (anche se da come ho maltrattato Javert in questo capitolo potrebbe sembrare) è solo che i canoni della letteratura ottocentesca richiedono appunto situazioni tragiche e stati d’animo estremi.

Ne approfitto per ringraziare chi ha letto fino qui (almeno quelli che sono sopravvissuti e non sono corsi a cercare un ponte da cui gettarsi) e grazie anche a Ginevra Eneri per aver messo la storia tra le preferite.

 

 

 

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Capitolo 5
*** V-Un ispettore di polizia sull'attenti ***


V

Un Ispettore di polizia sull’attenti

 

Ci sono due categorie umane che sono accomunate, a volte, da una stessa condizione: la condizione è quella di risvegliarsi improvvisamente dopo ore senza avere il minimo ricordo di quel che si è fatto in quel lasso di tempo o di come ci si sia addormentati, e le categorie umane sono quella degli ubriachi e quella delle persone fortemente provate da un tormento; entrambi questi tipi, seppure per motivi diversi, agiscono come in sonno finché il sonno vero non ne ha pietà e scende su di loro a raccoglierli con braccia compassionevoli.

Posto che Javert non era ubriaco, doveva appartenere per forza alla seconda categoria, e quando si risvegliò si ritrovò nella stessa situazione della sera prima: in maniche di camicia, in un letto che non era il suo, in una camera che non era la sua. Solo la luce del sole che filtrava dalle persiane indicava che era passato del tempo e che la notte intera era ormai trascorsa per lasciare il posto ad un nuovo giorno.

Javert lasciò andare un gran sospiro.

Da quanto tempo era a letto? Non lo sapeva. Come ci era arrivato? Lo ignorava.

Della nottata trascorsa gli restava solo un’impressione vaga, che date le circostanze era affatto strana e quanto mai fuori luogo: era una sensazione come di sollievo.

Gli pareva di respirare più liberamente dopo che… si fermò interdetto.

Dopo cosa? L’ultima cosa che ricordava chiaramente era di essersi accasciato a terra e di aver levato il lamento “sono un miserabile” come un’estrema confessione di colpa, ma dopo? Perché, nonostante la disperazione che ricordava di aver provato, adesso si sentiva il petto come liberato di un gran peso?

Certo, solo un uomo poteva avere la risposta, Jean Valjean.

A quel pensiero provò uno strano sobbalzo dietro lo sterno, che lo incuriosì e gli fece formulare in maniera confusa questo pensiero “Toh, guarda un po’! Dentro di me c’è qualcosa di vivo, qualcosa che palpita e trema… che sarà mai?”

Si portò una mano aperta sul petto e per la prima volta in vita sua prestò attenzione al suo cuore che batteva.

Che strana cosa, scoprire di avere un cuore!

Restò un po’ a contemplare quel miracolo, poi però ricordò a chi era che doveva essere riconoscente se aveva ancora la possibilità di viverlo e si alzò di scattò.

Si rivestì in fretta, si ravviò i capelli ed uscì dalla stanza.

La casa in Rue de l’Homme-Armé era molto più modesta di quella in Rue Plumet, che già non era un’abitazione di lusso, e si articolava tutta su un piano anzi che su due.

Javert si trovò in un corridoio che continuava tutto alla sua destra, lo imboccò deciso e, alla prima svolta, rischiò di sbattere addosso proprio a Valjean.

 

:-Ah, Ispettore, siete voi! Come state? Non vi sarete alzato senza prima di esservi ripreso del tutto, spero-:

 

C’era, nel tono di Valjean, un misto di preoccupazione e di bonario rimprovero.

 

:-Non dovete preoccuparvi per me, adesso sto bene. Ma… che ore sono? Mi sembra di aver dormito per dei giorni!-:

 

:-Oh, no, non giorni, Javert, solo ore. Sono passate da un po’ le nove del mattino. Io e mia figlia abbiamo appena finito di fare colazione, volete mangiare anche voi qualcosa? Prego, da questa parte-:

 

Senza spettare una vera risposta Valjean fece strada e Javert lo seguì docile, con uno strano sentimento di fiducia.

Arrivati sulla soglia della stanza da pranzo Valjean si fermò e bussò discretamente alla porta prima di fare un passo dentro.

 

:-Cosette, bambina mia, c’è una persona che devo presentarti-:

 

L’Ispettore trasalì. Cosette! La bambina scomparsa da Montfermeil, la figlia adottiva di Valjean, che aveva rischiato la sua vita per risparmiarle un dolore.

Entrò nella sala un po’ in imbarazzo, combattuto tra l’obbedire all’istinto del poliziotto di osservarla con fare indagatore e l’obbedire alla convenzione sociale che impone ad un uomo di mantenere più distanza possibile tra se ed una donna appena conosciuta.

 

:-Ispettore, questa è mia figlia Cosette. Cosette, questi è l’Ispettore capo Javert -:

 

La ragazza si era già alzata da tavola, e poiché era stata presentata per prima, fece per prima un grazioso inchino dicendo :-Sono onorata di fare la vostra conoscenza-:

 

L’Ispettore si inchinò a sua volta con rispetto, una mano dietro la schiena e l’altra al petto.

 

:-L’onore è mio, Mademoiselle-:

 

Cosette si rivolse a Valjean.

 

:-Papà…-: iniziò, poi, ricordandosi che erano in presenza di un estraneo, si corresse :-Padre, adesso vorrei ritirarmi in camera mia, se permettete-:

 

:-Ma certo, tesoro, vai pure-:

 

Le disse Valjean con affetto.

Lei fece un timido sorriso, si inchinò di nuovo ad entrambi ed uscì dalla stanza.

Javert era senza parole. Dunque era quella Cosette! Figlia di una prostituta ed allevata da un ladro, la bambina che aveva creduta rapita trascinata in chissà quale sordido bassofondo era in realtà una composta signorina borghese, dai modi garbati e dall’educazione impeccabile.

Non appena Cosette si fu ritirata, Javert si voltò verso Valjean con un’aria infinitamente contrita.

 

:-Perdonatemi, Monsieur Valjean. Io devo delle scuse a vostra figlia, vogliategliele porgere voi da parte mia dopo che sarò uscito da casa vostra-:

 

Valjean lo guardò sconcertato.

 

:-Delle scuse? A Cosette? Ma l’avete a malapena vista!-:

 

:-Sì, è vero, ma la disprezzavo ingiustamente per le sue origini. Come disprezzavo ingiustamente sua madre. Come disprezzavo ingiustamente voi-:

 

Si fermò ad occhi bassi aspettando una reazione.

In verità pareva che aspettasse il permesso di Valjean anche solo per tirare il fiato.

 

:-Accetto le vostre scuse nome di mia figlia. E vi ringrazio per essere stato sincero, non ve ne farò una colpa per aver pensato male dal momento che vi siete accorto del vostro errore ed avete voluto farne ammenda. Sapete, Javert, credo che voi siate ancora troppo severo con voi stesso. Adesso volete sedere?-:

 

Javert sedette a tavola, e dall’altro lato sedette Valjean.

 

:-Prego, Ispettore, servitevi. Mi scuserete se non mangio anche io,  ma, come credo di avervi già detto, ho fatto colazione prima. Spero che non vi dispiaccia se nel frattempo leggo il giornale-:

 

Javert sentiva che non avrebbe potuto toccare neanche una briciola di quel pane.

L’uomo più anziano aveva cominciato a sfogliare le pagine in un tranquillo silenzio, a Javert invece quel silenzio pesava sul cuore, lo sentiva premere, opprimerlo, togliergli il fiato.

 

:-Siete libero-:

 

Disse in fretta, spezzando il silenzio come un sasso infrange una vetrata.

Valjean alzò la testa, negli occhi un’espressione indefinibile di sorpresa e di gioia.

 

:-Io sono… avete detto che sono…-:

 

Ansimò incredulo.

Javert annuì. Per l’ultima volta stava impersonando la Legge, quello era il suo ultimo atto da poliziotto nei confronti di Valjean.

La mano si era aperta, stavolta per sua volontà, ed aveva lasciato andare il condannato che aveva stretto tanto a lungo.

 

:-Siete libero, Monsieur Valjean. Io non posso… ah, e va bene, diciamolo pure! Io non voglio arrestarvi!-:

 

Dall’altro lato del tavolo pareva che Valjean trattenesse il fiato.

 

:-Quindi non tornerò in cella… non tornerò ai lavori forzati… Grazie, Ispettore-:

 

Javert si schermì da quei ringraziamenti che non sentiva di meritare.

 

:-Non mi dovete ringraziare. Sarei una bestia se vi arrestassi, e non solo perché vi devo la vita, ma anche perché…-:

 

Si interruppe. La frase avrebbe dovuto continuare con “siete un santo”, ma non si sentì di andare avanti.

 

:-Ma non avrete dei guai per questo? Se lasciate andare un ricercato sarete considerato mio complice. Pensateci bene, Ispettore…-:

 

:-Ci ho già pensato. Io sono l’unico a sapere chi siete veramente, e se io manterrò il segreto nessun altro avrà mai motivo di cercare Jean Valjean. E poi, se mai doveste essere riconosciuto, c’è a vostro favore un mio rapporto a Monsieur Gisquet in cui gli ho spiegato come mi avete salvato la vita. Vi farà ottenere, se non la grazia, almeno molte attenuanti. Inoltre vi prego di non chiamarmi Ispettore. È un titolo che non mi appartiene più-:

 

Javert aveva parlato con un tono definitivo, come se stesse dettando le sue ultime volontà.

In effetti, dopo la sua decisione di non denunciare Valjean non si sentiva di restare nella polizia, soprattutto non con un grado elevato, ma allora che fare della sua vita?

Mentre si poneva questa domanda i suoi occhi divennero opachi e spenti, come se stessero guardando di nuovo le acque torbide sotto al ponte Notre Dame.

Era così immerso nei suoi pensieri che non si accorse che Valjean lo stava chiamando.

 

:-Javert!-:

 

Quel tono improvvisamente imperioso lo fece trasalire.

Si voltò e Valjean era in piedi accanto a lui, con un’espressione così severa che provò in petto un brivido di timore.

Si alzò anche lui ma non riuscì a sostenere lo sguardo dell’altro, che sembrava leggere fino in fondo alla sua anima.

 

:-Javert, non starete pensando di togliervi la vita per lasciare andare me? È così, non è vero?-:

 

L’ormai ex ispettore di polizia ebbe un sussulto.

Come aveva fatto quell’uomo a scoprire una cosa che lui aveva pensato solo per un istante?

Rimase in silenzio a testa bassa, in un atteggiamento di colpevole ammissione, e allora Valjean lo scosse quasi con violenza.

 

:-E allora ascoltate, Javert! Io vi ho salvato la vita e adesso voglio una ricompensa per questo!-:

 

:-Ditemi cosa volete-:

 

Rispose piano.

Valjean lo lasciò andare e riprese a parlare.

 

:-Voglio da voi una promessa, Javert. Giurate che, quali che siano le difficoltà che la sorte vi metterà davanti, voi non penserete mai più di togliervi la vita. Questa notte quando vi siete ferito ho davvero avuto paura, e se Dio non voglia vi fosse successo qualcosa di peggio me ne sarei sentito responsabile come se vi avessi ucciso io stesso. Pensateci bene, Javert, la vita è la sola cosa che noi davvero possediamo, e per quanto a volte sembri dura, addirittura insostenibile, c’è sempre la possibilità che un giorno possa cambiare. Ho la vostra parola che non proverete mai più a farvi del male?-:

 

Valjean lo scrutava con gravità e con una certa dose di preoccupazione, e Javert per un attimo provò qualcosa di simile alla vergogna sotto quello sguardo, mista ad un sentimento di devozione quasi religiosa per quell’uomo che faceva di tutto per salvarlo da se stesso.

Si sentì attraversare da una scossa che gli fece drizzare la schiena, rialzare la fronte e gli riaccese gli occhi di una luce nuova.

Riprese il portamento marziale che lo aveva sempre accompagnato e, a testa alta e sguardo fiero, fece la sua promessa.

 

:-Monsieur Valjean, voi volete che io viva? Sta bene. Giuro che conserverò con cura la vita che voi mi avete restituito per due volte e che la vivrò con tutta la dignità che mi sarà possibile-:

 

Aveva pronunciato il suo giuramento con una solennità militare e con l’intenzione di rispettarlo come un ordine impartitogli dal Padreterno in persona.

In effetti era avvenuto uno strano mutamento nell’animo inflessibile dell’Ispettore.

Egli era dotato per carattere di una lealtà feroce, e poiché questa già dalla sera prima era rimasta orfana della sua divinità, la Legge, adesso cercava disperatamente qualcosa di superiore a cui consacrarsi, altrimenti avrebbe perso il suo senso di esistere.

Javert faceva parte di quella specie di uomini che, un po’ per indole, un po’ per abitudine, hanno bisogno, per così dire, di un altare presso cui inginocchiarsi, e quell’altare lui lo aveva trovato nella maestà morale di Jean Valjean.

Era come l’ago di una bussola attirato per lungo tempo verso un falso Nord da un pezzo di ferro, e che ora, tolto l’inganno, ritrovava improvvisamente la giusta direzione verso cui orientarsi.

 

 

Cantuccio dell’Autore

 

Sono d’obbligo dei ringraziamenti!

A chi ha messo la storia nelle preferite o nelle seguite e a chi ha recensito.

Grazie per aver avuto la pazienza di sopportare lo stile retorico ed i contenuti drammatici della letteratura romantica non solo sui banchi di scuola!

Questo è il penultimo capitolo, anzi a proposito di capitoli ho bisogno che mi aiutiate a risolvere un mistero: nel terzo capitolo ci sono 28 visualizzazioni, mentre nel quarto ce ne sono 36, quindi otto di più. Quello che mi chiedo io è come può essere che in un capitolo che sta dopo ci sono più visualizzazioni che in quello che viene prima.

Mistero della fede…?

 

                                                        Makoto

 

 

 

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Capitolo 6
*** VI-Cose di cui Javert, per sua fortuna, rimane all'oscuro ***


VI

Cose di cui Javert, per sua fortuna, rimane all’oscuro

 

Dopo che entrambi si furono calmati Javert accettò finalmente di fare colazione, ed al momento di andarsene Valjean insistette per accompagnarlo almeno fino al portone del pian terreno.

Javert non provò neanche a contraddirlo perché riponeva in quell’uomo una fiducia assoluta.

Era arrivato al punto che, se Valjean lo avesse fatto affacciare dalla balconata più alta del palazzo del Louvre dicendogli “gettatevi che non correte pericolo” lui si sarebbe gettato senza esitazione.

Scesero insieme le scale e, una volta in strada, come obbedendo ad un richiamo, i loro occhi si incrociarono per quella che forse era l’ultima volta.

Si scrutarono in silenzio per un paio di minuti, Valjean con il solito sguardo bonario e Javert rigirandosi il cappello in mano, con l’inquietudine dell’uomo che vorrebbe esprimere qualcosa e non trova il modo perché non è avvezzo a manifestare i suoi sentimenti.

Eppure qualcosa doveva dire, almeno per placare quello strano sentimento che gli si agitava in petto.

 

:-Vi ringrazio-:

 

Erano le stesse parole che aveva detto la sera prima, quando aveva scoperto che Valjean gli aveva bendato la mano, ma il tono era così diverso!

Erano parole commosse quanto quelle della sera prima erano state fredde e quasi sdegnate.

Tese la mano a Valjean per salutarsi almeno da amici e lui sembrò sorpreso ma felice di quel gesto.

Gli strinse la destra con una presa forte.

 

:-Spero di rivedervi, Isp… scusate, è l’abitudine… spero di rivedervi, un giorno, Monsieur Javert. E non dimenticate che se mai aveste bisogno, bè, ormai sapete dove abito, non è vero? Bussate senza remore alla mia porta-:

 

Javert se ne stava un po’ imbarazzato.

 

:-Veramente conto di lasciare Parigi appena avrò sistemato alcuni affari personali. Ma vi scriverò, promesso. Non appena mi sarò sistemato-:

 

:-Ci conto. Se non sono indiscreto, dov’è che vorreste andare?-:

 

Javert esitò un poco. Non ci aveva ancora pensato in realtà, ma ora che Valjean gli rivolgeva la domanda si accorse di avere una risposta.

 

:-Credo che tornerò a Montreuil-sur-mer, dove è cominciato tutto. Sapete, dopo le cose che ho visto durante questa “rivoluzione” credo di averne proprio abbastanza delle beghe delle grandi città-:

 

Valjean annuì come se capisse perfettamente.

 

:-Avete ragione. Allora buona fortuna, Javert-:

 

Gli strinse la mano un po’ più forte prima di lasciarlo andare.

La fisionomia di Valjean in quel momento era molto particolare, infatti aveva gli occhi lucidi come chi sta per piangere, ma allo stesso tempo sorrideva a Javert come un nonno affettuoso sorriderebbe al suo nipotino.

Javert, che aveva abbandonato il titolo di Ispettore ma non ne aveva ancora abbandonato le abitudini, si accorse di quello sguardo e non poté resistere all’istinto di indagare.

 

:-Monsieur Valjean… c’è… c’è qualcos’altro che volete dirmi?-:

 

Gli chiese incerto.

Valjean si riscosse.

 

:-No… no, niente, non vi preoccupate. Sono solo stanco, sapete, le rivoluzioni sono cose da studenti di vent’anni, non certo da anziani come me-:

 

:-Capisco… allora… arrivederci-:

 

Sembrava che quei due uomini, che per lungo tempo si erano sfidati, ora, all’idea di separarsi, provassero entrambi una sorta di rammarico, e cercassero di rimandare il momento del commiato prolungando quello dei saluti.

Infine fu Valjean a spezzare quel filo.

 

:-Andate, Javert, non dimenticate che avete una vita da vivere-:

 

Lui annuì.

 

:-Sempre. Quali che siano le difficoltà che la sorte mi metterà davanti-:

 

Disse solenne, e Valjean sorrise soddisfatto.

Quell’espressione si riflesse stranamente nel viso di Javert.

Lui non aveva mai sorriso in vita sua se non con la ferocia di un predatore ed il suo viso non conosceva altro che un arricciarsi delle labbra che era in verità più simile al ringhio di un lupo, tutta via in quella notte molte cose erano cambiate.

Valjean gli stava sorridendo perché era contento di lui, e questo lo rendeva inspiegabilmente felice, e poiché, Javert non aveva nulla in cuore che non avesse anche in volto*, per un momento, un momento solo, suoi occhi brillarono e la bocca prese una piega morbida.

Il suo primo, vero sorriso, e Javert per pochi attimi era sembrato un’altra persona.

Quel sorriso timido era stato come il rapido balenare di un raggio di sole attraverso un denso cumulo di nuvole di temporale**, subito reinghiottito dalla massa grigia, tuttavia c’era stato, e quello era un buon inizio.

Infine si decise a recidere anche da parte sua il filo che lo legava a Valjean.

 

:-Arrivederci e ancora grazie di tutto, Monsieur Valjean-:

 

Gli disse, poi si voltò e, con il suo solito passo deciso, ripercorse Rue de Homme-Armé.

Valjean rimase ad osservarlo che si allontanava e con lo sguardo lo seguì fino al primo angolo dove svoltò, mentre con il cuore lo seguiva ancora oltre accompagnandolo con una preghiera senza parole; in volto aveva ancora quel sorriso che sicuramente nessun altro che lui avrebbe dedicato ad un uomo come Javert.

Per conoscere le ragioni di quel sorriso di Valjean, che poi erano le stesse per cui Javert aveva provato quell’inspiegabile senso di sollievo appena sveglio, bisogna dire che Valjean era custode di un segreto, infatti lui sapeva quello che Javert aveva fatto ma non ricordava più, e non gli era sembrato opportuno rivelarlo all’ex Ispettore per risparmiargli un grave imbarazzo.

Ecco dunque cosa era successo che aveva tanto radicalmente cambiato il duro Ispettore Javert e che faceva sorridere Valjean con il sorriso commosso di un angelo.

L’Ispettore, dopo aver detto “sono un miserabile” era rimasto per un po’ di tempo in uno stato simile all’allucinazione, e Valjean, poiché non riusciva a scuoterlo in nessun modo, ad un certo punto aveva lasciato andare un sospiro sconsolato ed una frase simile a “Mi dispiace tanto, figliolo”.

Quella frase doveva essere riuscita a far breccia nel muro oltre cui si trovava imprigionata la coscienza di Javert perché questi all’improvviso si era aggrappato alla sua camicia e gli aveva affondato il viso nella spalla prima di scoppiare in lacrime.

Agli uomini della tempra di Javert sono necessarie due cose per spingerli all’estrema manifestazione di debolezza che è il pianto: la prima è un forte sconvolgimento interiore, la seconda è la certezza che non saranno feriti se mostreranno la loro anima inerme ed indifesa, altrimenti senza lo sfogo liberatorio delle lacrime i loro stessi sentimenti compressi troppo a lungo finiscono per ritorcersi contro di loro rendendoli simili a bestie accecate dal dolore.

Questi uomini, che si mostrano gelidi nei confronti degli altri, sono parimenti inflessibili verso se stessi, e le loro anime, a cui mai è permesso di lasciar trapelare un sentimento, si trovano nella stessa condizione di quei dannati del trentatreesimo canto dell’inferno dantesco, abilmente descritti nei versi 94, 95 e 96:

 

Lo pianto stesso, lì, pianger non lascia,

e ‘l duol che trova in su li occhi rintoppo

si volge in entro a far crescer l’ambascia.***

 

Valjean, senza sapere nulla di tutto questo, aveva usato un’espressione di affetto, quel “figliolo”, che aveva confermato a Javert, una volta di più, che con quell’uomo era al sicuro e che mai si sarebbe approfittato di una sua debolezza per ferirlo, allora si era lasciato andare ed a cinquantadue anni, dopo un’intera vita passata a mostrare solo gelida indifferenza, aveva pianto con l’ingenuo sentimento di un bambino, semplicemente perché per tanto tempo era stato solo e d’improvviso non lo era più.

Aveva pianto a rantoli spezzati, tremando in tutto il corpo, lasciando che le lacrime lavassero via l’angoscia che gli stava facendo scoppiare il cuore, e Valjean lo aveva lasciato fare perché, dopo tutto, anche a lui era capitato di piangere a quel modo tanti anni prima, dopo che aveva rubato la moneta da quaranta soldi al piccolo savoiardo Petite Gervais nei pressi di Digne.

Non aveva detto nulla, si era limitato a soffocare i singhiozzi tra le sue braccia, e gli era sembrato che dalle labbra smorte**** di Javert sfuggisse a tratti un’unica parola, articolata come una supplica.

Gli era sembrato che fosse “padre”, ma non ne era assolutamente certo e mai avrebbe osato chiederne conferma.

Non avrebbe saputo dire per quanto tempo era durato quel pianto perché per il dolore il tempo non scorre, rimane cristallizzato in un limbo finché in qualche modo la sofferenza non passa, solo che ad un certo punto i singhiozzi si erano fatti meno frequenti, la presa spasmodica sulla sua camicia si era allentata ed il respiro di Javert si era fatto più calmo e regolare, a parte un sospiro ogni tanto; il suo corpo era completamente sostenuto da quello di Valjean perché l’Ispettore era scivolato nel sonno senza accorgersene.

Valjean si era rassegnato a sollevarlo in braccio per la seconda volta in poche ore e a rimetterlo a letto.

Sapeva che già dal giorno dopo ogni singolo osso, tendine, muscolo o nervo del suo corpo gli avrebbe fatto pagare cari gli sforzi di quei due giorni, ma non se la sentiva proprio di turbare la tranquillità che Javert aveva conquistato tanto a fatica, e poi ormai uno sforzo in più o in meno non avrebbe potuto peggiorare la situazione più di tanto.

Per se aveva gettato in terra due coperte pesanti ed una terza per ripararsi dall’aria della notte, tanto nella sua vita aveva dormito in posti decisamente peggiori, ma prima si era concesso di osservare Javert per un’ultima volta.

Si era chinato su di lui e, anche se questo non poteva sentirlo, gli aveva detto con tono solenne

 

:-Che quest’ora di sofferenza possa avervi reso una persona migliore come rese migliore me,  uno squallido ladro di strada, più di venti anni fa. Adesso siete un uomo nuovo, Javert-:

 

In Oriente si dice che, se due persone sono nemiche, neanche dopo sette notti di veglia riusciranno ad addormentarsi uno accanto all’altro, ma per fortuna nel caso di Valjean e Javert l’avversione durata tanti anni era stata sostituita dalla fiducia in meno di due giorni, ed entrambi erano infine crollati in un sonno di pietra fino al mattino seguente.

Come abbiamo visto l’ex Ispettore non ricordava nulla di tutto questo, gli era rimasta solo quella sensazione di sollievo.

Certe cose è meglio che rimangano avvolte nell’indefinito per non rovinarne la bellezza.

Ad esempio Javert si era svegliato che si sentiva in pace col mondo, aveva scoperto di provare per Valjean rispetto, ammirazione, e ancora oltre quasi l’affetto di un figlio, ed aveva accettato tutto questo senza chiedersene il perché; si contentava di quella nuova alba che timidamente gli stava sbocciando in cuore e la accoglieva come un dono, senza indagarne le cause.

Fortuna che non lo aveva fatto, altrimenti scoprire che aveva pianto con più debolezza di una donna e maggiore spavento di un fanciullo***** sarebbe stato davvero troppo per lui e probabilmente sarebbe tornato a considerare seriamente quell’angolo del ponte Notre Dame.

 

 

*Qualche spiegazione per chi ha finito il liceo da un po’ di tempo o che lo ha iniziato da troppo poco, e per un motivo o per l’altro non ha capito cosa c’entra Dante.

Allora, il trentatreesimo canto dell’Inferno è l’ultimo ed è ambientato nell’ultimo cerchio, dove sono puniti i peggiori traditori, quelli che hanno tradito i loro benefattori.

La loro punizione consiste nell’essere immersi nel ghiaccio in modo che resti fuori solo la testa, e proprio perché c’è freddo le loro stesse lacrime gli si congelano sugli occhi e formano una specie di tappo che impedisce ad altre lacrime di uscire, così quei poveri disgraziati che già soffrono, soffrono ancora di più.

Dante era un sadico, anche peggio di Hugo!

 

**”I Miserabili” dal capitolo “ Come Jean diventa Champ”

 

***Primo coro dell’”Adelchi” (del nostro compare A.Manzoni) “Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti/qual raggio di sole da nuvoli folti”

 

****De Andrè, Preghiera in Gennaio.

 

***** “I Miserabili” dal capitolo “La caduta”

 

Cantuccio dell’Autore

 

Ok, questo doveva essere l’ultimo capitolo, invece, alla fine ho deciso di spezzarlo in due quindi ce ne sarà ancora un altro che è già pronto, devo solo levigarlo un po’ con la pomice.

Invece in questo capitolo mi sono trovata in difficoltà perché non volevo rendere Javert troppo patetico, ma d’altra parte senza un bel pianto disperato che letteratura ottocentesca sarebbe stata? Così ho trovato l’escamotage che aveva pianto ma non se ne ricordava. Sono furba, vero?

 

                                                          Makochan

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Capitolo 7
*** VII-Come coperta un soprabito è migliore di un giornale ***


VII

Come coperta un soprabito è migliore di un giornale.

 

Per concludere questa parte del racconto diremo che Valjean, proprio come aveva previsto, quel giorno stesso cominciò ad accusare i primi segni di malessere: dolori in tutto il corpo, brividi di freddo ed infine una febbre che lo tenne a letto una settimana.

Cosette lo curava come sempre, e intanto si faceva raccontare di Marius, se era vivo, se stava bene, oppure raccontava lei stessa a suo padre come si fossero incontrati con il ragazzo ai giardini del Lussemburgo, dello scambio di biglietti e degli appuntamenti in Rue Plumet, attraverso la grata del giardino.

Valjean la ascoltava e, man mano che capiva quanto l’amore di Cosette per Marius fosse profondo pensava “Meno male che ho salvato quel ragazzo! Se non lo avessi fatto a quest’ora il cinguettare gioioso della mia Alouette sarebbe lo stridere funebre di una civetta… che m’importa d’aver preso una febbre se lei è così felice!”

E poi spesso pensava a Javert, che gli aveva dato la caccia per anni solo per finire a singhiozzare tra le sue braccia.

Pensava a lui e pregava, come pregava per Marius, che la vita fosse clemente con lui, e pregava perché trovasse la forza di affrontarla se non lo fosse stata.

Forse a causa della febbre, ma ogni volta che Valjean riportava alla mente il sussurro di Javert era sempre più certo che la parola fosse proprio “padre” e che per qualche motivo insondabile fosse diretta proprio a lui.

Non che la cosa gli dispiacesse, in fondo ormai aveva fatto da padre a Cosette per tutta la vita, aveva fatto da padre a Fantine quando era malata ed aveva fatto da padre a Marius quando lo aveva trascinato ferito lontano dalle barricate, e se Javert aveva cercato in lui un padre in quel momento di sconforto Valjean si augurava solo di non averlo deluso.

Alle volte Cosette lo scopriva con lo sguardo perso nel vuoto, e se gli chiedeva :-Papà, cosa c’è?-: lui rispondeva :-Sto pensando, bambina mia, ad una persona che spero di aver aiutato-:

Infine riuscì a ristabilirsi e dopo un’altra settimana di convalescenza era di nuovo in piedi pronto a riprendere le sue vecchie abitudini, tra cui quella della passeggiata serale.

Durante una di queste passeggiate si imbatté in un monello della stessa specie di Gavroche, che dormiva sulla soglia di una casa con dei vecchi giornali a fargli da coperta,  e Valjean pensò subito di lasciargli qualche moneta.

Si era appena chinato su di lui quando l’occhio gli cadde sulla carta stampata ed ebbe un sussulto: aveva visto sul giornale il suo nome poco distante da quello di Javert!

L’articolo era quasi del tutto coperto da un altro foglio, e allora come fare per leggerlo?

Valjean si spogliò del soprabito e poi cominciò a togliere di dosso al bambino i fogli di giornale cercando di fare scricchiolare la carta il meno possibile.

Il piccolo si mosse disturbato quando l’aria fresca della sera gli sfiorò le braccia e le gambe nude, ma Valjean fu rapido a mettergli addosso il suo soprabito per ripararlo, poi riprese il mucchio di carte e, sfilato il foglio che gli interessava, lasciò in un angolo il resto perché ci pensassero gli spazzini la mattina dopo.

Intanto il bambino, nonostante Valjean avesse fatto attenzione, si era mezzo svegliato con quel fruscio di carta ed aveva sentito una qualche differenza, ma poiché la cosa non lo scomodava anzi stava meglio, si limitò a biascicare :-Ah, però! Mi pare di essere coperto per bene ora… che sogno bizzarro!-: e a riaddormentarsi.

Valjean intanto non poteva aspettare di arrivare a casa per sapere e lesse l’articolo approfittando della generosa luce di un lampione.

In sostanza c’era scritto che, durante gli scontri alla barricata in via Saint Denis, un ex forzato, Jean Valjean, aveva salvato la vita ad un ispettore di polizia, tale Javert, non curandosi del fatto che questo avrebbe potuto denunciarlo in seguito.

Seguiva un elogio di quell’atto di “pura generosità” come era definito nell’articolo ed, alla fine, era riportato testualmente che “del nobile criminale” si erano purtroppo perse le tracce, e che l’Ispettore di Polizia, in seguito agli avvenimenti di quella notte, aveva rassegnato le dimissioni, forse, insinuava chi aveva scritto l’articolo, “per una improvvisa quanto scomoda simpatia o meglio solidarietà nei confronti degli insorti”.

Valjean sorrideva ancora quando arrivò a casa.

Si erano “perse le tracce”, Javert non lo aveva tradito, anzi aveva coperto la sua scomparsa.

Si sentì infinitamente grato verso l’Ispettore e quella sera non mancò di ricordarlo in una delle sue preghiere.

Tre mesi dopo, in settembre, quando Marius era ormai fuori pericolo e discorreva con suo nonno di prendere in moglie Cosette, a Valjean fu recapitata una lettera che recava il timbro postale di Montreuil-sur-mer.

La aprì con mani tremanti e lesse le poche righe che c’erano dentro.

 

“Sempre. Quali che siano le difficoltà che la sorte mi metterà davanti.

Grazie, 24601, e voi sapete meglio di me per cosa vi ringrazio.”

 

Non c’era firma, ma Valjean sapeva di chi era e sorrise di nuovo come quando aveva lasciato l’ultima volta Javert.

La lettera fu conservata con cura sotto il candelabro vicino al letto insieme al ritaglio di giornale, e quel posto indicava che per Valjean erano cose sacre: i candelabri erano il marchio del cambiamento che il perdono del vescovo aveva operato su Valjean, il foglio di giornale e la lettera erano il marchio del cambiamento che il perdono di Valjean aveva operato su Javert.

L’ex galeotto rendeva grazie per entrambi.

Quel che invece fece Javert dopo aver dato le dimissioni invece è una storia lunga, che meriterebbe un libro a se, qui diremo solo che si stabilì a Montreuil-sur-mer e lì, giorno dopo giorno, mantenne la sua promessa per tutta la vita, e le spesse volte che gli tornava in mente Jean Valjean lo ricordava con affetto sincero e profondo.

Anche se lui stesso non avrebbe potuto spiegarne a fondo il motivo.

Quanto al monello, la mattina dopo scoprì che non aveva sognato affatto, che era davvero un soprabito quello che aveva come coperta, e che in una tasca c’erano parecchie monete nuove, tra cui una da quaranta soldi.

 

Cantuccio dell’Autore

 

Ho avuto qualche problema di connessione e questo capitolo ha dovuto aspettare un po’ , comunque, stavolta la storia è finita davvero, ringrazio tutti, ma tutti tutti quelli che hanno recensito, messo in seguite, preferite o ricordate o anche solo letto.

Per concludere una considerazione personale: ho rivisto alcuni brani di “Les Miserables” su you tube e mi sono passata un po’ di tempo ad immaginare il cast con i cantanti Italiani.

Allora, cominciamo da Javert, per cui secondo me sarebbe perfetto Vittorio Matteucci (Frollo di Notre Dame de Paris e l’Innominato) poi per la parte di Valjean, visto che deve essere quasi un gigante, io vedrei bene Giò Di Tonno (Quasimodo in NDdP e Don Rodrigo nei Promessi Sposi).

Marius potrebbe essere Graziano Galatone (Febo di NDdP) e Fantine potrebbe essere Lola Ponce (Esmeralda in NDdP).

Per ora ho trovato solo questi, se avete altri suggerimenti dite pure.

Aurevoire… (Hugo mi ha contagiato il francese)

 

                                                     Makoto

 

 

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