Amore e morte non sono altro che sinonimi

di Silny
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Anche gli dei hanno un passato ***
Capitolo 3: *** Nata per uccidere ***
Capitolo 4: *** Mi chiamo Eléah ***
Capitolo 5: *** Giuro che ti salverò ***
Capitolo 6: *** La mia piccola cavia ***
Capitolo 7: *** Se solo tu sapessi ***
Capitolo 8: *** Amore, odio e lussuria ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


  Amore e morte non sono altro che sinonimi
La dea della morte

Brividi gelidi le percorrevano la schiena.
La sua non era paura, bensì impazienza.
Tratteneva il respiro, dal momento che anche quet'azione le costava energie.
I muscoli delle braccia tesi nel tentativo di frenare ancora per qualche istante quella freccia irrequieta, appostata sui rami di un albero nella coltre di una notte in cui la morte ulula alla luna.
Ancora qualche attimo poi, un sibilare nell'aria, un gemito e infine il tonfo di un corpo che cade a terra straziato.
Aveva dipinto un mesto sorriso sulle labbra e con un balzo, silenzioso e perfetto, scese dalla sua postazione.
Si avvicinava a passi lenti al corpo che inutilmente si dibatteva, come un pesce fuor d'acqua che sente di essere colto dal braccio della morte.
"Hai paura non è così?... Stai tranquillo, porrò fine al tuo dolore in pochi attimi."
Un debole bagliore sotto i raggi lunari poi, lo afferrò per i capelli e si scoprì il volto, prima nascosto dal cappuccio del suo mantello, in modo che questo potesse vederlo bene.
"Eccoti svelati gli occhi della morte."
E con un ampio gesto del braccio, ne tagliò di netto la testa che cadde a terra in un mare di sangue.
La raccolse e la infilò in un sacco.
In bocca un delizioso sapore metallico e inspirò a pieni polmoni quell'aria impregnata del sonno eterno.
"Che tu possa riposare in pace."
Si chinò su quel corpo per l'ultima volta e frugando nelle sue tasche trovò infine quello di cui aveva bisogno.
Poi, sparì negli abissi profondi della foresta circostante, anch'essa silenziosa e perfetta.
***

Una semplice camera, del tutto in contrasto con gli abiti sparsi a terra, ovunque, e i due corpi scoperti avvinghiati tra loro, che giacevano su quel letto.
Niente, dopo la morte, era meglio di una notte d'amore.
"Dove sei stata?" 
"Fa silenzio, non rovinare tutto. Non ha importanza, credimi."
E così dicendo, si strinse di più al corpo del suo amato.
...Al corpo del suo amante...
Nuova notte, nuovo letto, nuovo corpo.
"Io non so se posso fidarmi di te, Kasandra!"
I loro corpi senza veli erano ormai diventati una cosa sola e lei avvicinò le sue labbra al suo orecchio.
"Io sono qui, ti ho concesso il mio corpo, non vedo perché non dovresti fidarti..."
La sua bocca scese dall' orecchio al collo, e poi sempre più giù in una discesa senza fine.
Una fine che sarebbe andata oltre il desiderio carnale.
Nuova notte, nuovo letto, nuovo corpo... nuovo sangue che sgorgava dalle tenebre.
Lei era prona su di lui e ansimando gli chiese di guardarla in faccia.
"Eccoti svelati gli occhi della morte."
Quelli dell'uomo si spalancarono, e ancora prima che potesse dibattersi, lei ne aveva già estratto il cuore con una lama già intrisa di sangue.
"Che tu possa riposare in pace."
Amore e morte non sono altro che sinonimi. La seconda sa vestire bene gli abiti del primo e viceversa.
Kasandra rimase lì per un altro po' di minuti, a godere ancora di quel corpo esanimato per merito suo, poi si alzò in piedi e si rivestì come nulla fosse. Infilando anche questo cuore in una delle sue sacche.
Un corpetto di cuoio nero, una cintura intorno alla vita a cui erano allegate varie tasche, i pantaloni lunghi e decisamente stretti inseriti negli stivali altrettanto scuri, ai quali erano allacciate alcune lame.
Lunghi capelli ricci e corvini incorniciavano due occhi verdi e luminescenti, di modo che chiunque morisse per conto delle sue mani, avesse il privilegio di morire guardando una così rara bellezza, il tutto nascosto da un lungo mantello, nero come la pece.
Era così che si presentava la dea della morte alle sue amate vittime.

***

Il giorno seguente...
"Ora la mia ricompensa!"
Kasandra aveva lanciato sul tavolo di legno massiccio, la sacca contenente la testa e la pergamena trovata addosso alla vittima. Non si mostrava in volto, il cappuccio sempre ben calato sul capo, le braccia conserte e ben nascoste nel mantello.
Incredulo, l'uomo di fronte a lei, guardò al suo interno e subito tornò serio.
"Devo ammettere che sei stata veloce e hai fatto un buon lavoro ora, il nostro re, non avrà modo di spedire le pattuglie al fronte; sarà più facile per noi agire... Tieni, prendi questi e sparisci!"
Le lanciò un piccolo sacchetto di tela contenente delle monete.
"Dieci dobloni? Non erano questi gli accordi."
Disse lei calma, mantenendo lo sguardo fisso a terra.
"Ti ricordo che stai parlando al sicario migliore di queste terre. Merito un pagamento più alto."
"Cosa tieni legato alla cintura?"
Kasandra coprì velocemente con il mantello quello che aveva lasciato intravedere.
"Un cuore... affari personali. Voglio il mio denaro adesso."
L'uomo si alzò e le si avvicinò.
"Mostrati e ti accontenterò..."
Nessuna risposta, il ghigno che si era formato sulle sue labbra diceva tutto.
Estrasse una mano da sotto il mantello e prima di calarne il cappuccio pronunciò le sue fatidiche parole.
"Uomo! Eccoti svelati gli occhi della morte."
E con un semplice gesto fulmineo a quel malcapitato venne tagliato un braccio. Cadde a terra rovinosamente e tra le urla implorava pietà, ma non sapeva che Kasandra, in quanto dea della morte come era allora conosciuta, era una dea sadica e cruenta, che non concedeva pietà e perdono, ma bramava solo sangue.
"Chi sfida, sfidato sarà, e con il suo sangue esso mi nutrirà."
E quel pugnale che tanti cuori aveva ormai trapassato, lacerò per l'ennesima volta le carni di un altro uomo, che esalò il suo ultimo respiro tra lacrime di dolore e amarezza.
"Che tu possa riposare in pace."
E quei dieci dobloni, divennero cento, mentre lei usciva da quel tendone, scaltra e furtiva, per poi sparire nel nulla esattamente come vi era apparsa.
"Tre vittime in meno di un giorno... ma come sono brava..."
Corpo e voce seducenti, ma assecondarli non era un bene, perché di certo essi non avrebbero promesso amore.


***
 
Aveva rivolto uno sguardo al cielo e in quella notte fredda, una luna fulgida brillava sulla sua testa.
Dall'alta balconata del suo castello, la visuale del suo reame era perfetta; i figli dormivano ormai da tempo e presto anch' egli si sarebbe ritirato.
Non desiderava altro.
"Sire!"
La porta della sua stanza si spalancò, e ne entrò uno dei suoi sudditi che sembrava aver dimenticato i giusti modi di porsi al cospetto del re.
"Che cosa volete?"
"Sire, chiedo scusa, ma... è tornata!"
"Chi? Chi è tornata?"
Un attimo di silenzio. L'uomo, che si era fatto piccolo vicino alla figura del sovrano, si guardò attorno e poi sotto voce...
"...La dea della morte è tornata Sire..."
Il suo voltò si incupì immediatamente, il sangue che gelava nelle vene.
Tolse la veste informale per indossare i suoi soliti abiti regali.
Uscì dalla stanza camminando a passo svelto e finendo di allacciare il colletto del suo busto.
"Che cosa ha intenzione di fare?"
"Quando e quanto ha ucciso fin ora?"
"La scorsa notte, tre uomini... Zingari in realtà, tranne uno... uno era dei nostri Sire."
Entrambi si fermarono nei corridoi del palazzo.
"Questa volta non mi sfuggirà. Ha già preso mio fratello e mia moglie... Ora pagherà."

Quella notte, al chiaro di luna, le prime guardie vennero movimentate nelle ricerche, perché era risaputo che Kasandra agiva meglio al buio.
Una vecchia minaccia che tornava, e non se ne sarebbe andata via senza portarsi dietro qualche anima.
Una vecchia minaccia responsabile delle notti insonni e degli incubi dei bambini.
"Nessuno deve sapere del suo ritorno, sono stato chiaro?"
Aveva gridato il re a tutti i presenti.
"Papà!"
"Khyle, cosa ci fai qui? Ritorna nelle tue stanze."
"Papà, è vero che la dea esiste?"
"No, figlio mio! E' solo una leggenda, torna a dormire..."
Il piccolo venne affidato ad una delle nutrici e il padre si voltò verso una di esse.
"Avete l'ordine di portare i miei figli nelle segrete, insieme a viveri e quant' altro, almeno fino a quando non avrò terminato qui."
Questa annuì e, dopo un leggero inchino, si dileguò assieme alle altre badanti e i quattro figli del re.


...Sto venendo a prenderti..



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Eccomi di ritorno con la mia seconda storia!
Stile e genere del tutto differenti dalla prima che ho scritto, ma mi piace sperimentare.
Ho sempre amato il fantasy, ma il mio primo tentativo nel scriverne uno è stato un vero fallimento, quindi mi sono catapultata nel romantico con un po' più di successo e poi ho avuto l'idea...
-Perché non mischiarli insieme?-
Spero non ne venga fuori una cosa del tutto illeggibile!
In ogni caso ringrazio chi è arrivato al fondo pagina per poter ricevere così i miei saluti.
Al prossimo capitolo (speriamo!)
Saluti
Silny love 

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Capitolo 2
*** Anche gli dei hanno un passato ***


Amore e morte non sono altro che sinonimi
Anche gli dei hanno un passato
"Sai già cosa fare, prendi i tuoi fratelli e sbrigati!"
"... Sì, madre!"
In un villaggio fuori dalla portata delle mura reali,In una valle florida e piuttosto desolata, molti anni addietro, famiglie numerose di zingari sfidavano la fame rubando il pane ai commercianti che pernottavano in quel paese per l'abitudinario mercato, vivevano di vagabondaggio, in miseria.... e Kasandra era una di loro. Una landa sperduta, ma da sempre ricordata come tranquilla, in fondo vi erano solo tende di zingari e capanne di mercanti, qua e la solcata da piccoli corsi d'acqua e macchiata da alberi e appezzamenti verdi solitamente destinati ai pascoli e ai giochi dei bambini.
Vi erano diverse tattiche per abbindolare gli stranieri, ma la più comune, utilizzata anche dalla stessa Kasandra, era quella di impietosirli fingendosi una giovane madre costretta a quella vita, i suoi occhi verde smeraldo e il suo corpo seduttore facevano presto ad ottenere ciò che lei desiderava.
"Mi prendi in giro Kasandra?! E' questo che hai ricavato oggi?"
Ma la madre non era mai soddisfatta... lei era la maggiore di otto fratelli e in quanto primogenita aveva dei doveri ben precisi da rispettare, nonostante la sua giovane età, a quei tempi avrebbe già dovuto sposarsi e iniziare a procreare una nuova discendenza, non c'era spazio per l'amore.
Kasandra questo non lo accettava, il suo desiderio più grande era quello di poter andarsene, cambiare stile di vita, sposarsi per volontà propria... e creare una famiglia, non una discendenza.
Tuttavia, ciò non accadde mai, benchè le si presentò l'occasione...

***

Ora giaceva in una pozza d'acqua calda, rilassando così i suoi muscoli tesi. Il capo lasciato all'indietro e gli occhi chiusi. La boscaglia circostante era quieta, fredda, ma per lei accogliente come nessun altro luogo.
Non era stata una notte facile, anche se piena di soddisfazioni, e dopo anni che non uccideva più, l'intero regno le avrebbe dato la caccia.
Sorrise a questo pensiero, perché nessuno aveva mai visto in faccia la dea della morte senza esalare l'ultimo respiro e prenderla era pressappoco impossibile.
Si addormentò con quella dolce immagine impressa nella mente...

"Forza Kasandra, andiamocene via assieme, nessuno se ne accorgerà e potremo finalmente fare ciò che ci pare senza alcuna regola... potremo stare insieme per sempre."
"Non so, io... non credo di volerlo fare. Se dovessero scoprirci, mia madre me la farà pagare con la pelle."
"Non ci scopriranno mai e se dovesse succedere qualcosa io sarò sempre al tuo fianco... ci sarò io a proteggerti..."

Si svegliò di soprassalto con quel ricordo ancora fresco che la irritava non poco.
"Avevi detto per sempre, non è cosi? Avresti dovuto proteggermi, giusto? Ti cercherò e sarai il prossimo a morire. Godrò ogni istante della tua agonia... è una promessa  Kris!"
Una promessa fatta rivolta al cielo, rivolta alla luna, non era mai una buona cosa.


***

Kris, come Kasandra, viveva nel villaggio di Jalhy ed era anch'egli appartenente a una delle tante famiglie gitane del luogo. I due si conobbero nella prima infanzia per diventare così inseparabili.
Vissero assieme per lunghissimi anni imparando a contare uno sull'altra. Kasandra imparò da Kris a tirare con l'arco e l'abilità delle armi, mentre lui apprese le capacità delle piante curative e gli effetti dei veleni più comuni sfruttati dai mercanti, ma l'amore muta forma continuamente ed è fin troppo semplice scambiarlo per amicizia e in modo così scontato, nell'ultima fase dell'età adolescenziale i due scoprirono che c'era molto di più di una semplice complicità, ma come abbiamo già detto, tra gli zingari l'amore non aveva voce in capitolo e nessuna delle due famiglie era favorevole alla loro unione.
Questo non li diede per vinti, continuarono a stare insieme sfidando le furie dei genitori e pagando un caro prezzo quando venivano scoperti.
Andò avanti così per un paio di anni, fino a quando per entrambi non arrivò il momento fatidico del matrimonio, ma neanche in questa occasione si arresero. Ormai erano quasi del tutto adulti e Kris pianificò fin nell'ultimo particolare una fuga che li avrebbe portati lontano da lì.
Le fughe d'amore sono un classico dei tanti romanzi che leggiamo, molti di noi le sognano ad occhi aperti e Kasandra aveva avuto questo privilegio, avrebbe potuto così coronare il suo di sogno, tuttavia... la notte in cui Kris le chiese di sposarla e di fuggire insieme, lei si tirò indietro; aveva lasciato che la paura prendesse il sopravvento, che si prendesse gioco di lei e con quel suo semplice gesto di diniego la sua vita cambiò per sempre.
Quella notte al chiaro di luna, Kasandra non fuggì con il suo amato, per il semplice motivo che la paura l'aveva fregata e l'aveva legata per sempre al suo crudele destino...
Ma se gli avesse dato retta, probabilmente ora non avremmo una storia da raccontare...
Lui aveva insistito più e più volte, ma sempre con pessimi risultati e la mattina seguente la notte della sua proposta, Kris sparì senza mai fare ritorno.
Ora immaginatevi una giovane donna a cui vengono tolti l'amore e la libertà, in più la madre in quel mese fece presto ad organizzare il matrimonio della figlia. Kasandra non conosceva il suo futuro marito, tanto meno le importava, trascorse le prime tre settimane agonizzante nel suo dolore, sapeva di essere spacciata. In più occasioni tentò il suicidio, ma c'era una forza a noi momentaneamente sconosciuta, che tutte le volte le salvava la vita. Qualcuno forse ne sarebbe stato sollevato, ma Kasandra che non desiderava altro che morire si sentiva straziata da questi continui impedimenti, finchè una notte, la notte per giunta antecedente il suo matrimonio, una voce non le apparve in sogno...
"Kasandra... Kasandra, cosa stai facendo?"
Era una voce cupa, tetra, sibilava il suo nome, continuava a chiamarla lentamente, ma lei non era spaventata, se ne sentiva attratta e inspiegabilmente risucchiata. La sentiva calda, vicina, sentiva che faceva parte di sè...
"Io non lo so..."
Rispose lei mentre già qualche lacrima le solcava il viso dormiente.
"Io lo so come ti senti... ti senti affranta... triste.... ti senti abbandonata a te stessa... tradita... ma io ho un rimedio a tutto questo..."
Quella voce che biascicava e prolungava le s come il sibilo di un serpente...
"Se farai quel che ti dico... sarai felice... ti sentirai potente.... tu devi fidarti..."
Kasandra sapeva che in cuor suo non avrebbe dovuto farlo, ma per anni aveva dato retta al suo animo e non aveva fatto altro che causarle problemi, ora qualcosa o qualcuno di sovrannaturale le stava estirpando dal cuore tutta la sua bontà e la sua innocenza...
"Io... ti farò diventare... forte!... La mia... dea immortale..."
"Io voglio morire..."
"No!... non sarebbe meglio... vendicarsi... di tua madre... del tuo futuro sposo... di... Kris?... Non sarebbe meglio... vederli soffrire come loro hanno fatto soffrire te... non sarebbero loro a dover morire... e Kasandra?... Non sei d'accordo con me?"
Sì... sì lei era d'accordo, iniziava a sentirsi compresa, e la voragine che si era appena formata nei meandri del suo cuore si stava lentamente colmando di odio, rabbia... vendetta!
"Non devi far altro che... promettermi rispetto... e in più... quando io te lo chiederò... dovrai sacrificare... del sangue per me..."
Kasandra non rispose subito... non si sentiva all'altezza? Aveva paura? Aveva cambiato idea?
"...in che modo?..."
...no niente di tutto ciò, rispose dopo alcuni minuti, e senza indecisioni.
"Perfetto... vedo che sei... dalla mia parte... non c'è bisogno che io ti spieghi.... ti darò il potere... tu capirai... da sola..."
Quella voce si stava spegnendo in un sussurro e Kasandra aprì gli occhi giusto in tempo per vedere...
Una piccola nube di fumo bianco sopra la sua testa stava prendendo le sembianze di un volto... un volto scavato, macabro, privo di occhi e la bocca spalancata. Le stava venendo addosso inesorabilmente e niente avrebbe potuto fermarlo, Kasandra se ne sentì terrorizzata, ma prima che potesse sottrarsi, la nube le pervase la bocca di prepotenza e lei la inalò.
Tentò di alzarsi, ma cadde a terra straziata dal dolore gridando con tutte le proprie forze.
Dalla tenda a fianco alla sua accorsero alcune sue sorelle e sua madre che trovarono la ragazza a terra in un bagno di sudore.
Riprese coscienza di se dopo alcuni minuti e vide le donne allarmate, a questo punto avrebbe potuto raccontare quello che aveva visto, il dolore che aveva provato, ciò che aveva sentito, ma non lo fece, tutta la paura di qualche momento prima si dissolse lasciando posto a una sensazione di pace e di benessere.
"Figlia mia, come ti senti?"
"Bene madre, non ti preoccupare... è stato solo un brutto sogno!"
"Forze bevi questo, ti sentirai meglio."
"Ho detto di stare bene! Uscite dalla mia tenda e lasciatemi sola per favore!"
Le donne si guardarono con disappunto, ma uscirono ugualmente augurandole una buona notte. Kasandra prese la ciotola lasciatale dalla madre, la osservò, e poi la versò lentamente a terra.
Aveva un sorriso terrificante dipinto in volto e si sentiva invigorita più che mai.
In fondo a quella tenda spoglia, buia e riempita solamente dalla mobilia necessaria, su di un piccolo tavolo di legno, giaceva un panno scuro. Era sicura che fino a qualche minuto prima non ci fosse stato e si avvicinò incuriosita, quando lo svolse al suo interno si rivelò una lama con un serpente dorato a fauci spalancate avvolto intorno alla sua elsa. Risplendeva nella notte e nonostante il buio pesto, Kasandra riuscì a intravedere la sua immagine riflessa sul freddo metallo. La soppesò con le mani facendosela passare da una mano all'altra, provò qualche affondo e poi si arresto improvvisamente.
 "...Ti darò il potere..."
Ricordava ogni singola parola. Era dunque questo il potere di cui parlava quell'entità. Impugnò la lama con forza, nell'oscurità sembrava un tutt'uno con il suo braccio, e uscì dalla tenda per dirigersi verso quella del suo sposo. Camminava lentamente a grandi falcate in quella vasta terra dove decine di tende riposavano in una notte tranquilla, del tutto consapevole di se stessa.
Una volta entrata, Jeimhy, si svegliò dal suo sonno irrequieto.
"Chi sei? Cosa ci fai qui?"
"Silenzio! ..o sveglierai l'intero villaggio... sono Kasandra!"
"Kasandra? Finalmente ci incontriamo, ma lo sai che non dovresti essere qui ora!"
"Ero curiosa di vedere il mio cavaliere."
Tutto era cambiato, era tutto diverso, persino la sua voce le parve differente. Parlava lentamente, e il suono del suo richiamo era così inebriante e irresistibile... che quel povero uomo si fece incantare.
Kasandra passò le mani tra i suoi capelli, si avvicinò pericolosamente alle sue labbra e poi posò subito la lama sulla sua gola.
"Cos'è? Cosa stai facendo Kasandra?"
Lei per tutta risposta gli diede in bacio sulle labbra, poi ancora sul collo.
"Questa notte ti ucciderò!"
E le sfuggì una piccola risata, come quella di una bambina che freme d'impazienza.
"Non essere sciocca! Staccati di dosso e torna a dormire!"
Ma non aveva capito che non si trattava di un gioco e lei premette di più la lama sulla sua pelle, una piccola goccia di sangue ne uscì appena, quanto bastava per sentire dolore.
Jeimhy ora era spaventato, aveva finalmente inteso le vere intenzioni di quella donna e tentò di chiamare aiuto, ma le parole gli morirono in bocca... insieme al resto del suo corpo.
Da prima Kasandra si limitò a sorridere, poi una risata frenetica le uscì incontrollabile dal profondo del suo essere, mentre le sue mani si sporcavano di quel sangue amaro. Uscì dalla tenda e appiccò del fuoco con una torcia e di fronte quella brillante e calda sensazione, sentì finalmente di essere libera. Si diresse ancora verso la tenda della madre, mentre le prime persone accorrevano per via delle fiamme, alcuni iniziavano a dare l'allarme e quando Kasandra arrivò, sua madre era già con le spalle al muro in preda al panico.
"Sei stata tu! Maledetta! Che ne hai fatto di mia figlia?"
"Ma mamma! Sono io... Kasandra... sono sempre stata qui, solo non riuscivi a vedermi... non riuscivi a capirmi."
"No, sei una disgraziata metti via quel coltello forza..."
"Ma guardati... sembri un povero coniglio in trappola... Perché ti trema la voce? Hai paura forse?"
Piccoli e lenti passi, camminando circolarmente intorno alla sua preda. Provava un immenso piacere nel leggere il terrore sul suo volto.
La donna non rispose, ma rimase tremante di fronte alla figlia.
"Sai mamma... questa notte - e abbassando la voce- ho stretto un patto con il diavolo..."
Gli occhi della madre si spalancarono e il suo volto impallidì mentre Kasandra iniziò a ridere mestamente allargando le braccia e lasciando ciondolare la testa all'indietro. Erano le risa di chi ormai sa di aver vinto.
"Io devo vendicarmi di te, devo spargere il tuo sangue, e lui mi farà stare meglio!"
Ripeteva queste parole cantilenando, era questo il canto della sua anima ormai prigioniera delle tenebre.
"Tu sei uscita di senno ragazzina!"
"Oh no! Non io! Sei stata tu a rovinarmi la vita!"
E gridando questa frase a squarcia gola, si fiondò sulla madre che cadde a terra viva, ma con il ventre squartato.
Kasandra estrasse il pugnale...
"Questo è per avermi fatto perdere Kris..."
E le piantò il coltello in una spalla per poi estrarla nuovamente, il tutto accompagnato da grida, coperte da quelle di chi tentava di spegnere le fiamme che si propagavano al di fuori di quella tenda.
"E questo è per la mia vita!"
E fece cadere per l'ultima volta la lama sul corpo straziato della donna, conficcandola nel cuore mentre i suoi occhi esprimevano dolore, rabbia, tradimento, ma dopo tutto anche rassegnazione e sollievo. Una volta uscita, diede fuoco anche a quel delitto e se ne andò dal villaggio come avrebbe sempre voluto fare, lasciandosi alle spalle quello che rimaneva di lei e della sua vita; forse non era proprio così che si era immaginata la sua fuga, ma non aveva importanza perché la vecchia Kasandra ormai era morta insieme alla sua prima vittima, lasciando il posto a una nuova e potente donna...


...la dea della morte...


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Ecco il primo capitolo di questa storia!
...Bhé... capitolo... è quasi un capitolo! Per il momento si tratta ancora di uno straccio di storia, è ancora la presentazione di Kasandra e della sua vita prima che diventasse... macabra?
La storia vera e propria inizierà a breve, o almeno è quello che conto di fare.
Ora non posso far altro che ringraziare chi, con mia grande sorpresa e gioia, l'ha già inserita tra le seguite e ringraziare la mia fidata Maka-chan ( <---- la migliore, come sempre!) che mi ha onorato della sua recensione.
Si spera quindi in un "al prossimo capitolo" e saluti a chi leggerà.

Silny love

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Capitolo 3
*** Nata per uccidere ***


Amore e morte non sono altro che sinonimi
Nata per uccidere

"Desidero parlare con mio padre."
"Mi spiace, ma ci è stato ordinato da egli stesso di tenere al sicuro lei e i suoi fratelli. Non possiamo farla uscire."
Jhona non osò controbattere un ordine del padre, sovrano delle terre di Arom, questo perché lo temeva più di ogni altro essere sulla terra. Da quando la dea della morte si era portata via sua madre Ashila, suo padre era cambiato radicalmente, passava intere nottate insonni a pianificare strategie e ricerche di ogni sorta e ogni piccolo errore commesso dai suoi figli era punito in modo più che severo.
"Cerco di proteggervi!" gridava ogni qual volta che qualcuno dei quattro gli faceva notare la sua crudeltà ingiustificata, ma alla fine era sempre Jhona a prendersi cura dei propri fratelli.
Lui era il più grande e primogenito dei discendenti del sovrano, a seguire Khayl, Sherom e Nhala; l'ultima era la più piccola della stirpe, non ricordava praticamente nulla della madre e Jhona vi era molto affezionato. Khayl e Sherom erano gemelli e poco più grandi di Nhala.
Era vero che mai Jhona avrebbe ribattuto un ordine reale, ma era anche vero che non era facile tenergli testa e che, se pur in silenzio, sarebbe riuscito in ogni caso a liberarsi delle nutrici per incontrare suo padre al di sopra dei sotterranei. Questi erano semplici stanze ricavate nella pietra nelle profonde gallerie del palazzo reale per ospitare per lo più briganti e schiavi reduci di guerre, ma solo da alcuni anni le sale adibite alla famiglia erano state riccamente ristrutturate perché non si notasse la differenza tra il sopra e il sotto, avevano tutto l'aspetto delle sfarzose sale patronali all'interno del castello, con grandi saloni tinti di colori tenui, letti a baldacchino e grandi candelabri appesi al soffitto in sostituzione alle finestre, la differenza era visibile solo per l'assenza di queste ultime. Delle fortezze sotterranee impenetrabili dall'esterno.
Regolarmente venivano portati i pasti ai componenti della famiglia tramite servi e domestici, che si occupavano di loro costantemente. Uno di loro lasciò la porta aperta per effettuare il cambio dei piatti e Jhona, con la scusante di andare al bagno, si alzò dal tavolo e imboccò l'uscita. Conosceva bene quei cunicoli illuminati raramente da torce infuocate e fece presto ad uscire in superficie. Si ritrovò nei saloni principali della biblioteca e una volta ripercorso quel dedalo di libri accatastati uscì dalla grande porta vetrata che separava la biblioteca dai corridoi.
Sapeva dove trovare suo padre e senza esitare, a passo svelto, si avviò verso il suo studio. Una volta raggiunto non si preoccupò nemmeno di bussare, era già dentro assieme alla sua infrenabile proposta.
"Jhona! Non dovresti essere qui."
Disse il re sorpreso, ma per niente adirato.
"Lo so padre, ma permettetemi di chiedere cosa sta succedendo. Voglio sapere!"
"Jhona, te lo dico ora per l'ultima volta, torna nelle segrete e quando tutto sarà finito ti spiegherò."
Il ragazzo non rispose e si voltò verso l'uscita, ma riprese la parola all'ultimo.
"Voglio unirmi alle vostre spedizioni..."
"Non se ne parla!"
Gridò suo padre senza contegno e lasciando cadere a terra la sedia dopo essersi alzato con violenza.
"Perché?"
Chiese quasi in tono disperato Jhona.
"Sei troppo giovane e non permetterò che tu vada a morire sul fronte! Il tuo posto è qui!"
"Questo non è vero! Tutti i giovani della mia età vengono addestrati alle armi e arruolati negli eserciti, voglio farne parte anche io!"
"Non sei preparato a questo."
"Lo so! Perché voi non me lo permettete, se solo lasciaste che io venissi istruito..."
In quel momento le sue parole vennero interrotte da un costante bussare alla porta.
"Non verrai addestrato ne alle armi ne alla lotta, tu prenderai il mio posto sul trono, lontano dai campi di battaglia. La discussione è terminata, torna nelle tue stanze insieme ai tuoi fratelli e alle nutrici, ci rivedremo quando avrò finito di occuparmi di questa faccenda."
Jhona abbassò lo sguardo sconfitto e si voltò per andarsene senza badare alla persona che stava entrando.
"Nervosetto il giovanotto! Cosa hai fatto al mio nipote preferito?"
Disse questo in tono scherzoso rivolgendosi al sovrano, che si lasciò cadere esausto sulla poltrona.
"Cosa ha fatto lui a me vorrai dire! Non so più cosa fare con loro, da quando Ashila è morta sento di non essere più in grado di fare nulla..."
"Non dire così fratello, sei il sovrano di tutte le terre e ormai Jhona è un adulto, dovrebbe capire che hai in carico delle grandi responsabilità!"
"La fai troppo semplice Eromus, i miei figli hanno la priorità e io sto qui a occuparmi delle mia vendetta."
Si coprì il volto con una mano e il silenzio calò su di loro.
"Hai deciso di cambiare vita, di farti una famiglia, di prenderti questa responsabilità e ora devi portarla a termine fratello. Lo sai che puoi contare su di me... Kris."


***

Jhona ripercorreva a ritroso la strada fatta precedentemente per tornare ai sotterranei, ma non poteva fare a meno di pensare alle parole del padre.
"Diamine! Non sono un bambino!"
Disse tra sè e sè, senza più forze nemmeno per urlare. Vestito di tutto punto, da vero reale qual era, passò distrattamente davanti a uno specchio e dopo un attimo di esitazione tornò indietro per osservarsi. Si sentiva disgustato dalla sua immagine riflessa.
"Guardati! Sembri un pagliaccio..." sussurrò. "La gente muore tutti i giorni per difendere il popolo e il paese, mentre io sto qui vestito come un principe a bere e mangiare senza ritegno..." a quei pensieri lo stomaco di Jhona si strinse in un conato di vomito e rassegnato si allontanò da quella visione per tornare al suo posto.

"Fratellone dove sei stato?"
Disse Nhala saltandogli in braccio non appena entrato.
"In bagno, te l'ho detto."
"No, non  è vero!" disse uno dei due gemelli, impegnati a simulare una guerra con spade di legno e cuscini come scudi.
"Forza, scendi Nhala, giocheremo più tardi, ora non sono in vena."
La piccola scese delusa per unirsi ai fratelli che tanto si divertivano, mentre Jhona si sedette al tavolo. Alle sue spalle apparve Marija, la nutrice che si occupava di loro da quando vennero messi al mondo.
"Suo padre si è innervosito non è così?"
"Abbastanza... come sapevi che ero salito da mio padre?"
Marija era intenta ad asciugare alcune stoviglie e rispose accennando un furbo sorriso.
"Mio caro, la conosco da quando è nato, la porta era aperta e lei aveva appena chiesto di parlare con suo padre. Non è per niente in grado di mentire o aspettare il momento giusto per fuggire!"
Disse scherzando e dandogli una dolce pacca su una spalla. Jhona sorrise amaro per tornare subito cupo e maledettamente deluso da se stesso.
"Non le permette di prender parte alle armi perché lui stesso le ha vissute sulla propria pelle, e come ogni buon genitore, vuole proteggerla. La guerra non è affatto come credete."
"Marija, tu non capisci. Non è un capriccio, io voglio rendermi utile, voglio imparare a fare qualcosa. Come difenderò la mia famiglia un giorno, se non so nemmeno tener testa a mio padre o brandire una semplice lama..."
"Suo padre non ha mai utilizzato un pugnale o una spada per difendervi, protezione non vuol dire necessariamente uccidere qualcuno!"
"Già... e se ne vedono i risultati! Segregati nelle celle sotterranee!"
"L'intero palazzo si è mobilitato per ristrutturare queste celle appositamente per la vostra sicurezza e perché vi sentiate a vostro agio, perdonate la mia insolenza, ma ora sembrata proprio un bambino sfacciato e arrogante del tutto ingrato di ciò che la vita gli offre!"
E Marija si allontanò per prendere in braccio Nhala e portarla in bagno, lavarla e poi metterla a dormire. Jhona era dispiaciuto, Marija era una seconda madre per loro e come tale lui l'aveva sempre ascoltata e sentiva di doverle delle scuse.
La piccola Nhala era immersa in un mare di bolle di sapone quando Jhona entrò. Spinse un poco la porta e si appoggiò al suo stipite con la schiena, incrociando le braccia e osservando deliziato la piccola creatura che si divertiva.
"Sei arrabbiata con me Marija?"
Disse Jhona con quello sguardo ammaliato al quale, sapeva, la donna non riusciva a resistere. Questa lo guardò di sottecchi strofinando la schiena di Nhala.
"...No."
Rispose lei arrendevole cantilenando e con uno sguardo di disappunto.
"Dico soltanto che alle  volte si comporta in modo meno maturo di quanto dovrebbe essere, ma basta adesso!"
Tirando fuori dalla vasca Nhala e avvolgendola in un asciugamano pulito.
"Non parliamone più e andiamo tutti a riposare!"
Si vedeva chiaramente quanto Marija tenesse a quei bambini e ancora di più a Jhona, che lo aveva visto nascere e se ne era presa cura da subito insieme alla regina ormai morta.

La sera fece presto a calare e quella notte, Jhona era l'unico a non riuscire a dormire. Osservava il soffitto con le mani intrecciate fra di loro sul petto. Sospirò e si arrese all'idea che non avrebbe chiuso occhio.
"Guardati! Sembri un pagliaccio..." lo specchio, la sua immagine, i pensieri freddi e disgustati che gli vennero in quel momento il pomeriggio che salì ai piani superiori. Gli parve quasi di sentirlo sibilare e insinuarsi nella sua testa quel pensiero. La rabbia che con il tempo era svanita ora cominciava a montare di nuovo. Si spostò su un fianco e tentò ancora una volta di provare a prendere sonno, senza risultato.
"Mentre la gente muore, tu stai qui a mangiare e bere senza ritegno..." cominciava a pensare che non fossero suoi quei pensieri, poteva quasi udirli e iniziava a sentirsi accaldato. Sollevò le coperte con rabbia e si alzò per andare in bagno. Si soffermò sul lavandino respirando affannosamente, sollevò lo sguardo e nella penombra vide la sua immagine nello specchio... "Sei viscido Jhona..." con un moto di rabbia tornò nella sua stanza, si vestì e si diresse verso la porta. Questa era chiusa a chiave e si maledisse per non averci pensato prima, non trovò altra soluzione che forzarla, ma non sapevo con che cosa avrebbe potuto farlo. Si guardò attorno e poi sul petto. Sfilò la spilla dorata che teneva il suo mantello e ne inserì la punta affilata nella serratura. Dopo vari tentativi uno schiocco rassicurante echeggiò leggermente nella stanza e finalmente la porta si aprì. Jhona uscì ed emerse su per i cunicoli, poi di nuovo la biblioteca ancora i corridoi e poi il salone principale del castello, il salone dove si svolgevano i ricevimenti ufficiali e dove troneggiava il podio di suo padre.
"Kris il sovrano!" si prese beffa del padre nel buio vuoto e silenzioso. "Vostra maestà..." e fece un inchino verso il trono spoglio. "mi dispiace ma me ne vado... con o senza il vostro permesso." e così dicendo si diresse verso il portone principale. Lo aprì con fatica e si ritrovò sulla lunga scalinata che portava ai giardini. Da alcuni giorni la guardia notturna era aumentata, ma le due sentinelle appostate vicino alla cancellata erano  assopite, tuttavia Jhona sentiva che era meglio non rischiare e fece il giro del giardino per scavalcare così le siepi che lo cingevano. L'impresa fu piuttosto facile e in men che non si dica, fu fuori dalla protezione del castello.
Ora si sentiva soddisfatto di sé, anche se la grandezza del palazzo di suo padre lo spaventò, quasi come se lo stesse rimproverando, ma non si sarebbe tirato indietro, distolse infatti lo sguardo e iniziò a correre.

Non c'era anima viva per le strade di Arom, la dea della morte si era già fatta sentire in lontananza e nessuno osava attardarsi quando il sole iniziava a tramontare. Anche i manifesti con i volti delle persone ricercate e il prezzo della loro taglia erano stati tolti perché questa non li uccidesse prima di loro. Solo il vento spietato aveva il coraggio di affrontare in faccia la morte... beato lui che godeva di vita eterna.
Jhona camminava per i sentieri sterrati, quando venne spaventato dalle grida di alcuni ubriaconi, ma lui questo non poteva saperlo e immaginando che stessero già rintracciando le sue tracce prese a correre disperatamente fino a quando non si trovò di fronte a una scelta: la città finiva e a pochi metri da lui, la folta vegetazione del bosco incominciava. Le voci degli uomini si facevano sempre più vicine e forti e Jhona non vide altra soluzione, titubante fece un passo svelto in avanti e poi, venne inghiottito dal lugubre Bosco d'Anime.


***

Dopo aver gridato alla luna tutto il suo dolore, Kasandra si sedette sulla sponda di un rivo d'acqua che scorreva lì vicino, bagnata e nuda tenendo strette a sé le gambe in posizione fetale. Piccole gocce le cadevano sulle spalle e sul collo per scivolare lentamente su tutta la lunghezza della sua schiena lasciandole dei piacevoli brividi. Ascoltava in silenzio la notte e la quantità minima di vita che la circondava, alcuni insetti cigolanti e le rane che gracchiavano ogni tanto.
"Zanah, passami quello straccio, inizio ad aver freddo!"
Kasandra era sempre accompagnata dal suo fedele Zanah, era un lupo selvatico sopravvissuto agli esperimenti demoniaci che erano stati effettuati su di lui, per questo era dotato di grande intelligenza e capacità sensoriali, tutto questo a un caro prezzo... era cieco. Aveva uno splendido manto bianco striato di grigio, zanne forti, possenti ed era più grande rispetto ai comuni lupi.
Zanah fece quanto ordinatogli e preso lo straccio con il muso lo trascinò fin sopra le spalle di Kasandra, che senza scomporsi continuava a fissare lo specchio d'acqua sotto di lei. Dopo svariati minuti udirono rumori insoliti provenire dalle loro spalle. Allarmati i due si guardarono.
"Va!"
Ordinò a Zanah che era già partito in avanscoperta. Kasandra si era alzata e ormai del tutto asciutta iniziava a vestirsi rapidamente. Fu questione di pochi attimi e di ottimi riflessi, Zanah aveva attaccato e un grido umano si propagò nella foresta, Kasandra incoccò una freccia e senza nemmeno guardare in direzione del suo bersaglio fece scattare rapida la freccia.
"Fermati Zanah!"
Kasandra si avvicinò al luogo in cui sapeva che la sua freccia era rimasta piantata. Appeso ad un albero per un lembo delle vesti all'altezza della spalla c'era un ragazzo piuttosto giovane che si dimenava impaurito. Lei sguainò il suo pugnale e lo piantò sulla spallina opposta del mantello del ragazzo e digrignò i denti. L'altro coltello alla gola, freddo e impaziente.
"Chi sei?" gridò Kasandra, ma il ragazzo era troppo spaventato per poter rispondere.
"Sei una spia non è così? Parla!"
"N-No no, non sono una spia, sono..." le parole gli morirono in bocca quando qualche goccia di sangue iniziava a sgorgare dalla sua gola. Kasandra si accorse che così non avrebbe ottenuto niente, lo avrebbe fatto morire di paura, allentò quindi la presa.
"Mi chiamo Jhona! Sono fuggito da Arom e mi stanno cercando."
"Non ti credo!"
"Io... ti prego non uccidermi!"
"Non posso fare altrimenti!"
Kasandra lo guardò negli occhi, scuri e profondi, attraversati da un bagliore, misto di paura e pentimento, ma ricordiamoci che la dea della morte non provava nessun sentimento se non gioia quando doveva uccidere qualcuno.
Ma quegli occhi, maledettamente famigliari e quel volto... Abbassò leggermente lo sguardo e assunse una faccia stizzita, non aveva scelta...


...lei era nata per uccidere...

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Ora la storia sta davvero iniziando!
Credo che di tutti i capitoli la cosa che mi venga più difficile scrivere sono questi spazi dedicati all'autrice  o_O  vengono fuori sempre delle cose improponibili o striminzite!
Meglio no provarci nemmeno! Comunque... Jhona riuscirà a scappare e così salvarsi la vita o la nostra dea mortale lo ucciderà? Riuscirà a farlo subito o Jhona si ribellerà prima che lei riesca nel suo intento?
Bhé, spero che abbiate voglia di scoprirlo leggendo il prossimo capitolo ;)
Ringrazio chi invece fin qui ha già letto!
Buon proseguimento.
A presto

Silny love 

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Capitolo 4
*** Mi chiamo Eléah ***


Amore e morte non sono altro che sinonimi
Mi chiamo Eléah

"Ora lascerò andare la presa, se provi a scappare considerati morto ragazzino!"
Qualcosa le impedì di tagliare la gola di Jhona, si maledì per quella sua reazione, nessun essere vivente era mai sfuggito alla sua brutalità.
Una volta sganciati i pugnali e la freccia che lo reggevano, Jhona cadde a terra, gli occhi sbarrati e incapace di pensare e fu proprio questa sua incapacità a tradirlo. Mentre Kasandra si voltava per prendere una corda, Jhona si alzò e iniziò a correre dritto davanti a sé senza una meta, guidato solo dall'istinto e dalla paura, ma non sapeva che Kasandra non era un semplice essere umano, era forte, agile, rapida senza eguali e soprattutto manteneva la parola data. Una sola freccia centrò la coscia di Jhona, causandone uno zampillo di sangue e la sua rovinosa caduta tra forti grida di dolore. Lei lo raggiunse immediatamente e lo sollevò da terra senza alcuna delicatezza.
"Credevo di essere stata chiara!"
Gli gridò una volta portato all'altezza del suo volto, poi lo lasciò cadere nuovamente a terra e lo legò senza curarsi della sua ferita che sanguinava copiosamente.
"Patisci in silenzio! Se domani mattina sarai ancora vivo vedrò cosa farne di te. Zanah, resta qui e controllalo. Niente mosse azzardate intesi?"
Disse quest'ultima frase rivolgendosi al ragazzo che preso dal dolore riuscì appena a sentirla.
Kasandra si allontanò per fare ritorno svariate ore dopo con un animale non del tutto morto tra le mani. Si sedette di fronte a Jhona e accese un misero fuoco. Infine con un coltello più piccolo aprì una piccola ma profonda ferita nell'animale che si dibatteva tra le sue mani; ne sgorgò fuori un sangue rosso vivo e Kasandra ne versò una piccola quantità in una boccetta trasparente mischiandola ad un liquido verdastro.
"Forza bevi!"
Disse porgendo l'intruglio al ragazzo, ma questo si rifiutò scuotendo debolmente la testa.
"La freccia era avvelenata, se non lo bevi non resisterai nemmeno per un'altra ora."
Disse Kasandra tranquilla, in fondo non era un problema suo se moriva, tanto di guadagnato, ma Jhona si rifiutò ancora e la pazienza di Kasandra venne meno. Si alzò e lo fece bere con la forza tenendo stretta la presa sulla sua testa. Jhona sentì quel sapore amaro e insopportabile scivolargli veloce giù per la gola e per poco non lo rimesse in un conato di vomito.
Kasandra non disse nulla, si rimise al suo posto lanciando il resto dell'animale al suo lupo che attendeva pazientemente.
"Come ti chiami ragazzino?"
Jhona non rispose.
"Sarà meglio per te che non rendi questa convivenza ostile. Convincimi a non ucciderti, ricordati che la tua vita dipende da me adesso!"
"...Jhona... mi chiamo Jhona..."
Disse disperato con voce strozzata, sperando che a quella non seguisse nessun' altra domanda.
Kasandra lesse tutto nei suoi occhi, ma non paura, non più, solo rassegnazione e delusione, mentre teneva lo sguardo basso e la febbre iniziava ad impossessarsi del suo corpo. Lei prese una benda da sotto il suo mantello scuro e si avvicinò a Jhona. Con una fiala simile a quella di prima versò una sostanza malleabile sulla sua ferita. Jhona si ritrasse in una smorfia di dolore mentre Kasandra lo bendava.
"Ho cambiato idea, curerò la tua ferita adesso... domani dovrai camminare e non ho intenzione di rallentare il passo a causa tua... in oltre potresti essermi d'aiuto."
Con una mano prese il suo mento e lo sollevò per osservarlo meglio. Continuava a sentire una certa famigliarità con quel volto... 'Che sia... no impossibile'
"Dì un po'... chi sono i tuoi genitori?"
"...sono morti..."
Mentì.
"Ah, davvero? Meglio così... anche i miei!"
E scoppiò in una fragorosa risata.
"Meglio se dormi... Jhona!"
E si sedette al suo fianco, con la schiena poggiata ad un tronco d'albero, mentre per lui non fu così semplice addormentarsi con le mani legate dietro la schiena e la gamba che pulsava di dolore.


***
 
"Come sarebbe che non lo trovate?"
"Sì vostra altezza, è probabile che si sia perso nel Bosco d'Anima... e chi vi entra non ne fa più ritorno..."
"Avete l'ordine di trovarlo, immediatamente! E se dovrò perdere cento dei miei uomini migliori prima di trovarlo vivo allora li perderò, anche il doppio se necessario!"
"Come desiderate sire..."
E il capo guardia se ne andò con la paura ancora addosso e il brutto presentimento che avrebbe pagato con la testa qualora il figlio non fosse stato trovato.
"E se è ancora vivo ci penserò io ad ammazzarlo!"
Disse tra sé e sé il padre.
"Mandatemi Marija, voglio parlare con lei all'istante!"
Una delle servitrici di corte fece un lieve inchino con la testa e uscì dalla porta, per tornare poco dopo accompagnata dalla nutrice dei suoi figli.
"Eccomi vostra altezza."
"Voi eravate responsabile dei miei figli, come è possibile che abbiate perso di vista una ragazzo di tale stupidità!"
"Permettetemi, ma Jhona non è affatto stupido... in fondo è scappato senza che nessuno se ne accorgesse..."
"Vi prendete gioco di me?"
"No vostra altezza."
"Dovrete pagare per questa vostra mancanza d'attenzione!"
"Mi assumo completamente ogni responsabilità."
"Siete sollevata dall'incarico di badare ai miei figli e ne starete lontana almeno fino al ritorno di Jhona!"
Marija fece un cenno di consenso con la testa benché ne fosse profondamente ferita.
"Potete andare!"
Ordinò Kris alla donna che si allontanò lentamente, ma prima di uscire, dopo aver aperto la porta, si fermò un istante per porgere un' osservazione.
"Se volete il mio parere, non credo suo figlio tornerà di sua spontanea volontà, in fondo è scappato perché non avete saputo ascoltarlo!"
E detto ciò se ne andò svelta prima che il re potesse lanciarle contro tutta la sua furia.

***
 
Il mattino seguente Kasandra si svegliò all'alba e si diresse verso il fiumiciattolo dove la sera prima aveva lasciato scorrere i suoi pensieri, riempì un catino d'acqua e tornò al luogo dove aveva lasciato le sue cose, solo allora si ricordò di Jhona con sua grande seccatura. Stava lì seduto a dormire beatamente quando Kasandra gli versò una buona parte del contenuto del catino addosso, lasciandone il restante a Zanah.
Jhona si svegliò di soprassalto, smarrito e a disagio.
"Forza! In marcia!"
Lentamente i ricordi affioravano e si ritrovò a pensare a quanto avrebbe desiderato essere a casa e preoccuparsi solo della colazione, mentre ora doveva pensare a tenersi buona quella strana donna che minacciava di ucciderlo.
"Non credo di riuscire ad alzarmi!"
"Finalmente sento la tua voce! Adesso ti faccio vedere come si fa!"
Con passo svelto e minaccioso si diresse verso di lui e lo sollevò con violenza da terra tenendolo stretto per un lembo della sua veste, questo mugolò appena stringendo i denti.
"Adesso cammina!"
E con quello sguardo gelido, che avrebbe pietrificato qualunque cosa in possesso di vita, si voltò iniziando a camminare in direzione opposta a quella da dove lui era venuto, Jhona non potè fare altro che seguirla in silenzio.
Kasandra era agile e si muoveva senza difficoltà tra gli arbusti, stroncando ogni ostacolo, mentre il ragazzo alle sue spalle ne rimaneva affascinato. Camminarono per quelle che a Jhona parvero delle ore senza mai fermarsi, lui iniziava a sentire la stanchezza e il dolore pulsante alla gamba non ancora guarita. Era scampato alla febbre, ma il veleno in circolo nel suo sangue non si sarebbe dissolto così rapidamente. Senza nessun preavviso Jhona perse i sensi e cadde a terra svenuto, costringendo Kasandra e Zanah a fermarsi.
Quando si risvegliò l'ambiente intorno a lui era del tutto differente, non erano più in un bosco, ma in una zona maleodorante e lacunosa, gli alberi cadevano ricurvi ai bordi delle paludi e laghi melmosi sembravano contenere del liquido che ribolliva e produceva vapori densi.
"Ti sei svegliato finalmente!"
Disse Kasandra della quale si era completamente dimenticato.
"Dove siamo?"
Chiese ancora stordito.
"Siamo quasi arrivati, adesso alzati e cammina, fin ora non hai fatto altro che rallentarmi!"
"Non ti ho chiesto io di trattenermi."
Rispose Jhona lasciando Kasandra stupita.
"Siamo in vena di ironie?"
"Dove siamo diretti? Come ci siamo arrivati fin qui?"
"Fai troppe domande piccoletto, sta zitto e cammina!"
Non controbattè un'altra volta, in fondo dipendeva ancora da lei la sua sopravvivenza, ma credeva sarebbe morto prima di poter giungere a destinazione, la gamba peggiorava e sentiva il resto del corpo pesante come un macigno.
Camminarono ancora per delle miglia e in fine giunsero davanti una muraglia in pietra nera che seguiva l'orizzonte all'infinito. Sul viso di Kasandra, Jhona potè notare un sorriso soddisfatto mentre si avvicinavano a quel gigante di pietra che diventava sempre più grande a ogni passo. Un enorme portone in legno massiccio, rivestito in acciaio puro, troneggiava esattamente a metà della muraglia sorvegliato da due sentinelle.
Quando riconobbero Zanah e Kasandra, corsero giù dalle postazione e senza che lei dicesse nulla il portone si aprì. Ciò che rivelò al suo interno fu semplicemente sorprendente.
Jhona seguì Kasandra ammirando quel novo ambiente. Era solcato a terra da sentieri sterrati, era gremito di gente vestiti più o meno come Kasandra ciascuno intento in varie attività, alcuni trasportavano pesanti carri, altri tiravano di spada accerchiati da diversi spettatori e diverse di quelle piccole stradine portavano ad arene circolari. Sollevando lo sguardo Jhona potè notare una torre della stessa pietra della muraglia e una struttura molto più bassa che seguiva il profilo della muraglia, sembravano stalle o abitazioni.
"Benvenuto nella comunità di Celastra, piccolo Jhona!"
Disse Kasandra, mentre lui venne portato via da due uomini corpulenti che lo rinchiusero in una cella nei sotterranei.
'Fantastico! Da un sotterraneo all'altro! Uccidetemi!' pensò mentre veniva sbattuto a terra e legato ad alcune catene incastonate nella parete.
Si accorse solo più tardi che nella sua stessa cella, sedeva silenziosa una ragazza dai capelli scuri come la notte e gli occhi chiari e fulgidi come la luna. Teneva il mento sulle ginocchia e le braccia intorno alle gambe. Era legata nel suo stesso identico modo, aveva forse la sua stessa età o qualche anno di meno, era come lui prigioniera in quel posto, ma a differenza di Jhona lei sembrava non essere spaventata. Lo guardava impassibile e distaccata, come se non fosse mai entrato lì, eppure non voleva e non poteva staccargli gli occhi di dosso.
"Come ti chiami?"
Chiese Jhona per rompere quel silenzio lugubre, ma lei non rispose.
"Il mio nome è Jhona e tu sei...?"
Questa Rimase ostinatamente in silenzio e portò la fronte sulle ginocchia nascondendo quegli splendidi occhi. Jhona sospirò deluso e abbattuto, tenendo le mani sulle sbarre e poggiandovi sopra la testa.


"Mi chiamo Eléah

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Ecco finalmente il terzo capitolo!
Per il momento il nostro Jhona è riuscito a salvarsi, ma quanto ancora sopravviverà?
Chi è Elèah?
E a quale scopo viene tenuta in cella?
Spero che qualcuno si soffermerà su questa storia per scoprirlo nel prossimo capitolo, e che lasci qualche commento :3
Un grazie in particolare ad Helmwige che mi ha lasciato una sua recensione.
A presto.

Silny love

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Capitolo 5
*** Giuro che ti salverò ***


Amore e morte non sono altro che sinonimi
Giuro che ti salverò

 
Eléah... suonava piacevole all'orecchio mentre lo ripeteva sottovoce.
"Perché sei qui?"
Chiese la ragazza senza alzare lo sguardo.
"Veramente non ne ho idea, io stavo..." scappando? Cosa doveva dirgli? Non poteva far sapere di essere il figlio del re, per quanto sembrasse innocente non poteva ancora fidarsi.
"Mi sono perso nel Bosco d'Anima e sono stato trovato da una donna e il suo lupo... Zanah mi pare lo abbia chiamato."
Eléah alzò di scatto lo sguardo, gli occhi spalancati per lo sconcerto.
"Non dirmi che al donna di cui parli è..."
Ma lei non fece in tempo a finire la frase che un grande boato echeggiò nell'ambiente mentre passi pesanti si avvicinavano alla loro cella con un sottofonde di catene trascinate.
"Stanno venendo a prendermi..."
Disse poi arrendevole lasciando cadere lo sguardo a terra.
"Chi sta venendo a prenderti? Dove ti portano?"
L'inferriata della cella si spalancò e gli stessi uomini che l'avevano sbattuto al suo interno lo scansarono con una forza bruta e slegarono la ragazza per legarle le mani con delle catene più spesse e portarla via. Jhona rimase inerme sdraiato a terra sostenendosi sui gomiti per osservare quanto succedeva, si sentiva impotente e inutile, ma sapeva che ribellarsi avrebbe potuto voler dire rischiare la vita.
"Ciao..." sussurrò appena Eléah mentre veniva trascinata via e il suo sguardo così ferito e altrettanto debole lasciava intuire quanto quel ciao fosse stato un 'non so se ti rivedrò mai' e Jhona se ne sentì turbato, poteva sentire tutta la sua paura e l'assuefazione ad essa.
La porta venne chiusa di nuovo e Jhona si lasciò andare a terra coprendosi il volto con le mani... 'dove diavolo sono finito...', si addormentò con quel disperato pensiero nella mente.
Venne svegliato un certo lasso di tempo più tardi dallo stesso rumore della porta che questa volta si riapriva, Eléah venne sbattuta senza alcuna delicatezza all'interno della cella, il suo corpo era inerme mentre la legavano per l'ennesima volta. Quando questi uscirono Jhona si avvicinò velocemente e preoccupato prendendo il volto della ragazza tra le mani. Pareva un corpo senza vita.
"Eléah, guardami!" le ordinò.
"Cosa ti hanno fatto?"
Lei non rispose, ma i suoi occhi si riempirono di lacrime, lacrime che bruciavano come il sale sulle ferite e si strinse al corpo di Jhona, che non si sentiva in grado di divincolarsi. Ricambiò quella stretta disperata lasciandola sfogare benché sapesse che qualunque cosa fosse successa, era una cosa grave e non se ne sarebbe mai liberata.
Si ritrovò a pensare a come il destino avesse voluto lui al fianco di Eléah, a consolare una ragazza angosciata in una situazione altrettanto drammatica, sentiva di non essere in grado di aiutarla in nessun modo, se fossero tornati lui non avrebbe potuto difenderla, non ne sarebbe stato capace nemmeno volendo.
Ci mise un po' perché Eléah si calmasse, ma quando finalmente lo fece Jhona la mise a sedere e lei si raggomitolò come quando l'aveva trovata quella mattina, aveva delle strane ferite sulle braccia, come dei fori a metà dell'avambraccio, tre per parte... e ne usciva del sangue. Che cosa le stavano facendo?
"Eléah, ascoltami... devi dirmi cosa ti hanno fatto..." Lei scosse debolmente il capo.
"Anche se te lo raccontassi non cambierebbe nulla..."
Aveva dannatamente ragione, non poteva dirle che l'avrebbe aiutata, non sapeva nemmeno se sarebbe riuscito a salvare se stesso.
"Io... non posso promettertelo, ma so per certo che in qualche modo ne usciremo."
Il suo sguardo era sincero, Eléah sapeva che poteva fidarsi, lo percepiva, in oltre era l'unico essere umano con un briciolo di cuore che le era concesso vedere e se fosse morta voleva farlo sapendo che qualcuno conosceva la sua storia.
"E' successo tutto alcuni anni fa, ero più piccola io non capivo... una notte mi risvegliai in un bosco... c'era la neve e io ero sdraiata a terra, non potevo muovermi sentivo dolore, ad ogni respiro si faceva più insopportabile, potevo vedere solo alcuni rami sulla mia testa e quel cielo lattiginoso, poi il buio un'altra volta. Quando riaprii gli occhi mi trovai nello stesso identico posto, ma era notte e qualcuno aveva acceso un fuoco vicino a me. Questa volta riuscii a sollevare una mano e la vidi ricoperta di sangue, non sapevo cosa fosse successo tanto meno chi ci fosse al mio fianco, ma una figura umana mi sovrastò quando si accorse del mio disagio e l'unica cosa che ricordo di quella notte e che mi addormentai guardando una luce brillante che fuoriusciva dal palmo della sua mano. Avrei tanto voluto morire, ma per mia sfortuna mi risveglia una terza volta in questa cella, nessuno venne a darmi da mangiare o da bere o anche solo delle spiegazione per almeno una settimana, quando finalmente si degnarono di farsi vedere, io ero al limite delle forze e mi trascinarono in una sottospecie di laboratorio, lì ragazzi come me e te e non solo, donne, bambini, uomini, persino animali vengono sottoposti a degli sperimenti..."
"A che scopo? Per quale motivo?"
"Dissero che dovevo considerarmi fortunata... il sangue che avevo sulle mani quella notte era dei miei genitori... io li ho uccisi e secondo loro ero predisposta... 'Se ti lasciassimo scappare, qualcuno ti ucciderebbe per fari pagare quello che hai fatto alla tua famiglia, noi ti diamo la possibilità di farne un'abilità...una grande capacità combattiva! Il fatto che tu li abbia uccisi è un segno, sei come tutti noi!' ...questo mi dissero e io non potei fare altro che arrendermi... ho ucciso i miei genitori... devo pagare per questo... non ricordo nemmeno i loro volti..."
E finendo quella frase sconsolata, nascose di nuovo il volto tra le ginocchia. Jhona deglutì prima di prendere la parola.
"Non hai mai pensato alla possibilità che fosse tutta una balla? Che fosse successo qualcosa di diverso alla tua famiglia?"
"Se così fosse io non sarei qui..."
"Che cos' hai sulle braccia? Che diamine fanno in quei laboratori?"
"E' meglio che tu non la sappia, e che io non te lo mostri..."
"Perché?"
"Potrei farti del male."
"E invece non lo farai!"
"Questo non possiamo saperlo."
"Sì invece... io mi fido di te Eléah..."
I suo polsi erano assicurati alla parete da lunghe catene, ma riuscì comunque ad alzarsi in piedi mentre Jhona prese un po' le distanze. Gli arti inermi distesi lungo il corpo e le mani serrate in pugni. Chiuse gli occhi concentrandosi al massimo e dopo alcuni minuti di silenzio da quei sei fori sulle sua braccia spuntarono incombenti tre terribili lame nere che toccavano quasi terra. Jhona si lasciò sfuggire un'imprecazione mentre gli occhi di Eléah lo guardavano minacciosi. Com'era possibile una cosa simile?
"Ormai sono quasi pronta hanno detto!"
E scoppiò in una sonora risata gutturale lasciando Jhona di sasso mentre il suo corpo veniva percorso dai brividi. Quelle lame erano state inserite nel suo corpo con la forza, andavano addomesticate, ed esercitate al massacro. Si spingeva gridando verso il corpo di Jhona, con l'unico scopo di annientarlo... aveva perso ogni coscenaza di sé.
Quella sua forma svanì quasi subito lasciando Eléah senza forze che di conseguenza cadde a terra esausta. Jhona aveva paura ad avvicinarsi, il terrore si era impossessato del suo corpo e non sapeva come lei avrebbe reagito, probabilmente quelle catene lo avevano salvato, ma come poteva una così piccola e innocente ragazza aver commesso un crimine così brutale da scontarne la pena in quel modo? Non credeva affatto a quella storia e anche se sapeva che non avrebbe potuto fare grandi cose si ripromise che l'avrebbe salvata in qualche modo e che mai l'avrebbe lasciata trasformare in un mostro.
'Eserciti! E' questo che stanno creando!' pensò Jhona, avrebbe solo dovuto scoprire a quale scopo si stava organizzando una guerra, sapeva che suo padre ultimamente stava mobilitando alcune truppe ai confini del regno, ma non gli era concesso saperne il motivo.
Eléah si mosse appena e Jhona accorse per prenderla di nuovo tra le sue braccia, quello strano sentimento di protezione annientava ogni paura.
"Come ti senti?"
"In colpa..." sussurrò lei.
"Sono rimasto sconcertato... riesci a controllarla questa cosa?"
"Ultimamente sì, ma non sempre mi riesce di tenerla a freno..."
"Visto che non mi è successo niente... sapevo che non lo avresti fatto! In ogni caso è durato pochi secondi."
"Perché non l'ho sviluppato del tutto... presto faranno in modo che io riesca a mutare forma più a lungo... probabilmente non sarò più in grado di tornare alla mia forma originale..."
"Non lo dire nemmeno per scherzo, vedrai che ne usciremo prima che possano farlo!"
Eléah sorrise amara, sapeva che non era possibile, ma tentò di godere della sua presenza finché poteva e pregava perché riuscisse ad astenersi dall'ucciderlo. Chiuse gli occhi e si addormentò.
'Che cosa ti hanno fatto...' sussurrò Jhona accarezzando i capelli di quella piccola creatura che era caduta in un sonno profondo tra le sue braccia.


***
 
"Guarda un po' chi si rivede!"
"Che piacere rivederti Owen..."
Kasandra lasciò cadere a terra il suo mantello e si avvicinò al corpo dell'uomo.
"Non sei felice che la tua donna sia tornata?" chiese lei adagiando le braccia intorno al suo collo.
"Tantissimo..."
Rispose lui lasciando cadere il silenzio su di un lungo bacio.
"Chi è il ragazzino che hai portato con te?"
"Un moccioso che si aggirava nel Bosco d'Anima di notte... da solo..."
"Avresti dovuto ucciderlo! Se fosse una spia?"
"No, è troppo giovane e incapace."
"In ogni caso tu non lasci sfuggire nessuno al tuo sguardo..."
Kasandra si allontanò turbata da quella verità, avrebbe dovuto trovare una valida motivazione, ma rimase in silenzio.
"Sai che devi liberartene... altrimenti lo useremo come le altre cavie..."
Kasandra dava le spalle ad Owen, ma quando questo finì di parlare lei gli si gettò contro spingendolo contro il muro e portando una mano alla sua gola.
"Non toccherete quel ragazzo fino a quando io non avrò deciso cosa farne, intesi?"
Owen faceva fatica a respirare, ma riuscì comunque a rispondere alla sua minaccia.
"Per caso ti stai rammollendo Kasandra?" e sorrise beffardo. La donna strinse ancora la presa mentre questo mugolò di dolore.
"Potrei ammazzarti in qualsiasi momento, anche adesso!"
"Fallo allora!"
"Non mi sfidare!"
Il silenzio piombò su di loro, e Kasandra lo lasciò andare mentre lui sorrise soddisfatto.
"Mi occuperò io stessa del ragazzo... diventerà il mio assistente!" disse intenta a lasciare la stanza, ma Owen la raggiunse correndo e la bloccò per un polso.
"Devo essere geloso?" chiese ridendo.
"No, nessuno prenderà il tuo posto, tranquillo... ma diventerà un perfetto assassino vedrai!"
Lasciò un leggero bacio sulle labbra di Owen e se ne andò lasciandolo solo nella stanza. Camminava tra i corridoio della torre mentre rivestiva il suo mantello, persa nei vicoli dei suoi pensieri...


...sarai un perfetto assassino, vedrai!...

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Mmmmh...come al solito non so che dire, ma almeno ora sappiamo chi è Eléah... mi domando che intenzioni ho con lei e Jhona.
Non ho una trama precisa in mente, scrivo sul momento... e si vede o_O... non ne sono nemmeno del tutto convinta, ma finché qualcuno legge... ^^
Avrei voluto dire che se la storia avesse fatto così schifo non l'avrei continuata, ma riflettendoci non credo lo farei, in fondo la prima persona per la quale scrivo sono io! 
Benché io reputi importanti i pareri esterni con critiche e consigli, sono certa che non mi condizionerebbero al punto di smettere!
Tutto questo per dire che... non vi libererete così presto di me... muahaha... ok ho finito con le stupidaggini -.-"
Ringrazio ancora i lettori (pochi ma buoni!) che seguono la storia.
A presto!
Saluti

Si
lny love

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Capitolo 6
*** La mia piccola cavia ***


Amore e morte non sono altro che sinonimi
La mia piccola cavia

Kasandra stava lì, immobile, davanti alle sbarre della cella. Era disgustata da quella scena. Jhona ed Eléah parevano così affiatati e innocenti insieme...
"...Invidiosa?..."
Quel sibilo.
"Fa silenzio... smettila..."
Una risata bassa e silenziosa, una risata di scherno.
"Te lo ricordi? Anche tu... eri così alla loro età..."
Kasandra non rispose, non poteva. Strinse la presa attorno al suo braccio, fino a sentire dolore.
"Ti piaceva...essere amata..."
Ero lo stesso sibilo di molti anni prima, ed era potente come allora. Lo stesso sibilo, lo steso demone.
"Smettila di tormentarmi!"
"Come sei ingenua....ricordati... che io e te... abbiamo un patto... ricordalo sempre.... Kasandra..."
Quando quella voce sparì dalla sua testa, un colpo d'aria parve invaderle il corpo. Nessuno l'aveva sentito, in quei sotterranei bui, umidi e ammuffiti. Soltanto lei era in grado di percepire odori, suoni e sensazioni al di sopra delle capacità umane.
Fece scoccare la chiave nella serratura ed Eléah si svegliò quasi subito, abituata com'era a percepire i più piccoli cambiamenti nell'ambiente. Quando riconobbe la figura della donna dinnanzi a lei, al di là delle sbarre, i suoi occhi divennero liquidi e iniettati di paura. Si ritrasse all'improvviso verso il fondo della cella e si coprì il volto senza ritegno. Tremava. 
Jhona si svegliò lentamente, incosciente e non curante di quanto stesse succedendo. Posò lo sguardo su Eléah, che era sfuggita alle sue braccia e poi lo spostò su Kasandra.
"Stai tranquilla, non sono venuta a prendere te, bastarda!"
Quasi le venne da ridere. Godeva nell'avere così tanto potere. Godeva nel vedere il terrore al suo passaggio.
"Alzati marmocchio! Abbiamo da fare."
"Cosa?"
Spazientita si piegò su di lui lo prese per una spalla e lo sollevò con la forza. Una volta messo in piedi lo trascinò con sè fuori dai sotterranei.
"Dove mi stai portando?"
"Odio la gente che fa troppe domande, ancor di più se sono poco più che dei bambini!"
Provava un disgusto così forte che quasi sentì un conato di vomito salirle su per la gola.
"Non sarò una delle vostre cavie!!"
Jhona puntò i piedi e si liberò dalla presa della donna. Kasandra stupita, rimase di spalle e sorrise.
"Ma non sarai una nostra cavia..."
Si voltò per guardarlo meglio negli occhi, gli stessi occhi che quella notte l'avevano tormentata e che i suoi non avevano saputo sfidare.
"...per te ho progetti più grandi..."
Si voltò di nuovo, soddisfatta, e riprese a camminare. Jhona rimase immobile per pochi istanti e poi la seguì. Era certa che lo avrebbe fatto.
Attraversarono cunicoli e scale, all'interno di un edificio in vecchia pietra che non sembrava tanto diverso dal palazzo di suo padre. Una volta varcato il portone del salone centrale, si ritrovarono nel cuore del paese. L'edificio portante quindi era all'interno del villaggio stesso. Le persone che vi abitavano parevano serene e spensierate come gli abitanti di un qualsiasi altro villaggio. Quella gente trasformava in bestie i propri simili, ma nessuno sembrava preoccuparsene. Ognuno di loro era impegnato nelle proprie faccende. Addirittura i bambini giocavano allegri negli sprazzi di prato che si intravedevano tra un sentiero e l'altro.
"Forza...prendi questa."
Kasandra gli aveva lanciato ai piedi un pugnale, intorno a loro si estendeva un'arena ovale e degli spalti, probabilmente per eventuali spettatori.
"Qui a Celastra abbiamo una sorta di teatro, se così ti piace chiamarlo. Donne, uomini e bambini assistono quasi tutte le sere a squartamenti di esperimenti mal riusciti e perciò inutili..."
Giocherellava anch'essa con un pugnale tra le mani e parlava con un tono piuttosto soddisfatto, mentre Jhona a quelle parole rabbrividì.
"Durante il giorno invece, viene utilizzato come campo d'addestramento quindi, buona fortuna, prendi la tua lama e colpisci!"
"Colpire cosa?"
Jhona si chinò e raccolse il pugnale. Quando sollevò nuovamente lo sguardo Kasandra era già voltata di spalle, intenta ad allontanarsi.
"Ma colpire cosa?!" gli gridò lui da lontano.
Si voltò appena per guardarsi attorno e allora lo vide. In tutto il suo sconcerto, vide una figura scura avvicinarsi. Era un uomo, o almeno lo era stato. Si avvicinava lento, zoppo, chino su un lato. La sua pelle era completamente nera carbonizzata, per alcuni tratti mancava. La carne sotto lo strato superficiale era nera anch'essa. Gli occhi privi di pupille, completamente bianchi, inespressivi. Qualche rado capello bruciato sulla testa bitorzoluta e scorticata. Teneva la bocca spalancata ma non parlava, non gridava, si avvicinava solo a passo lento e titubante con una mazza chiodata fra le mani. La trascinava come fosse un peso morto, e trascinava il suo stesso corpo praticamente privo di vita. Jhona era paralizzato; erano quindi questi gli esperimenti mal riusciti. Non era in grado di muovere nemmeno un muscolo.
Intanto quella creatura si avvicinava e a pochi metri dal ragazzo stava già caricando il colpo, lento sì, ma di una potenza inaudita.
Quando vide la mazza calare sulla sua testa riuscì istintivamente a bloccarla con il corto pugnale che si ritrovava e fargliela scivolare di mano. Ma la sua camminata era inarrestabile, continuava ad avanzare, pronto per uno scontro corpo a corpo. Il solo pensiero di doverlo toccare gli dava il voltastomaco e indietreggiò fin quando non cadde a terra.
"Non farti toccare!!!"
Quell'essere si avvicinava al volto di Jhona con le mani protese e lui poggiato sugli avambracci non seppe cosa fare. Sentì solo il grido di Kasandra proveniente dagli spalti e subito dopo, un bagliore di colore verde. Un colore intenso, che emanò un'energia e un calore distintivi. La forza provocata da quel flusso di luce scaraventò l'esperimento lontano dal corpo di Jhona.
Questo si alzò in piedi e rimase ad osservare. La creatura si dibatteva e si contorceva a terra gridando forsennatamente. Kasandra corse fino al corpo straziato dell'essere e insieme a lei due guardie. Bastò un gesto; la mano protesa e una sola parola: il flusso luminoso, questa volta di un colore bluastro, prese vita dal palmo della mano di Kasandra ed esplose violento su quel corpo, che morì in un attimo. Dopo, si voltò verso Jhona mentre le guardie portarono via il cadavere. Si avvicinava a passo svelto e non sembrava affatto contenta.
"Quando ho detto colpisci, intendevo colpisci!!!"
Gli gridò in faccia afferrandolo per il collo della camicia. Rimase un attimo ad osservarlo per fargli sentire bene tutta la sua rabbia, poi decise di lasciarlo.
"Ti do una seconda possibilità, prendi quel maledetto pugnale e difenditi!"
"Un altro?"
"Bada bene che questa volta ti lascerò morire in caso di pericolo!"
"Io... io non ho mai impugnato un arma in vita mia! Come pretendi che mi difenda? A che scopo poi?"
Kasandra si voltò verso di lui irritata più di prima.
"Quanti cavolo di anni hai? Quattro? Alla tua età nessuno ti ha insegnato come brandire una spada o reagire a un attacco?"
"No, mai!"
Kasandra scoppiò in una fragorosa risata.
"Perfetto! E' arrivato il momento di imparare! Fate entrare la cavia!"
E così dicendo si allontanò un'altra volta, lasciandolo solo con quella lama nuova di zecca. Jhona rimase perplesso, preoccupato più di prima. Una creatura simile a quella precedente, ma di sesso femminile, fece ingresso da una porta al fondo dell'arena. Questa era più svelta e agile e impugnava una spada almeno il triplo della sua lama.
"Non uscirai da qui fin quando non vedrò sgorgare il sangue di uno dei due e prega che non sia il tuo!" gridò Kasandra dall'estremità opposta.
Uccidere... è questo che vuole che io faccia. Ma non ne sono in grado, lo so.
La donna era già vicina e stava già attaccando, Jhona non sapeva da dove iniziare e si limitò a parare i colpi che venivano dall'alto e di lato. Li schivò quasi tutti, mentre alcuni andarono a segno solo in parte. Il ragazzo capì presto che sarebbe potuta andare avanti all'infinito, era instancabile, mentre lui no. Respinse uno dei colpi più forte di prima, creando uno spazio tra sé e l'avversaria. Nell'istante in cui questa indietreggiò, Jhona si sporse in avanti e con le ultime forze rimaste piantò a caso il pugnale nel corpo di fronte a sé. Il tempo si fermò all'istante. Mollò la presa sull'elsa e fece un passo indietro: il pugnale rimase conficcato nel ventre della creatura. Questa aveva ancora le braccia alzate, la spada le scivolò di mano e lo sguardo divenne ancor più vuoto, fino a quando non spirò del tutto. Jhona rimase immobile, terrorizzato da se stesso, l'aveva uccisa per davvero, l'aveva fatto mosso solo dalla stanchezza e dalla paura. Ora sarebbe stato in grado di rifarlo, sarebbe stato in grado di fermarsi? Non sentì nemmeno Kasandra avvicinarsi. Questa si sporse in avanti per guardare il corpo a terra e insanguinato della donna.
"Bene! Ora possiamo passare all'addestramento vero e proprio!"
Lo prese sotto braccio e lo trascinò via, senza dover usare la forza. Jhona era assente, non era più lo stesso ragazzo.


***
"Forza devi mangiare."
Kasandra questa volta lo aveva portato all'interno dei saloni principali del palazzo. Non aveva intenzione di mangiare, tanto meno di parlare. Trovava conforto solo nella figura di Eléah, nel suo ricordo, nel ricordo della suo corpo minuto tra le braccia, sicuro che lei avrebbe compreso.
"Non ho fame..."
Lei lo guardava spazientita come sempre.
"Non sono tua madre, quindi meglio così se non vuoi mangiare, fuori di qui quelle povere bestie di schiavi muoiono di fame, per una volta la si può fare un po' di carità!"
Prese il piatto e lo sollevò, attese qualche istante e subito dopo una donna di servizio lo portò via rapida e silenziosa.
"Cosa vuoi da me?"
Lei non rispose.
"Ti ho chiesto: cosa vuoi da me?"
Ripetè Jhona scandendo bene le ultime parole.
"Ho bisogno di un assistente."
Rispose lei impassibile, senza far trasparire una singola emozione.
"E se io no volessi farlo?"
"Moriresti."
"Preferisco morire allora!"
"Moriresti... come cavia!"
Jhona rimase in silenzio, chiaramente turbato.
"Vedi le cose adesso funzionano così, o fai come dico o saranno loro a scegliere per te."
"Io cosa ci guadagno?"
"Averti risparmiato la vita mi sembra sufficiente come ricompensa!"
"Lascia andare Eléah..."
Era l'unica cosa che chiedeva, sapeva per certo che non meritava di stare lì, come sapeva che lui non si sarebbe più liberato. Poteva approfittare della situazione, chiedere la sua salvezza in cambio dell'obbedienza.
Kasandra per tutta risposta rise di gusto.
"Cosa credi di fare? Di salvarla? Non farmi ridere!"
"Permettimi di salvarla e io farò tutto quello che desideri."
Lei rimase stupita dal senso di sacrificio di quel ragazzino e smise di ridere all'improvviso.
"Piccolo, povero, Jhona... ormai non ha modo di essere salvata... c'è un solo rimedio alla sua sofferenza... ed è la morte. Solo la morte può strapparla a tutto questo dolore."
"Allora lasciamelo fare... lascia che sia io ad ucciderla..."
La sua era una proposta allettante e Kasandra se ne sentì piacevolmente attratta.
"Tirala fuori da quella cella e fai in modo che non venga più utilizzata per nuovi esperimenti.... e io la ucciderò."
"Sei un ragazzino audace, per non aver mai ucciso prima d'ora, ma ci sto. Voglio godere di ogni suo singolo gemito quando la trafiggerai."
Una stretta di mano e i patti furono accordati. Jhona avrebbe ucciso la sua unica ancora di salvezza, la sua unica compagnia, l'unica persona in quel nuovo mondo che sapeva darle un po' di conforto, solo per non doverla vedere soffrire ancora.

...Morirai per mia mano, mia piccola cavia...
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Chiedo scusa per il ritardo ( d'ora in avanti ho come l'impressione che chiederò scusa molte volte!)
La pubblicazione così tarda è per il fatto, devo ammeterlo, che l'ispirazione è andata a farsi friggere; ora, non posso dire che questo sia uno dei capitoli migliori, ma spero comunque che si quanto meno apprezzabile.
Un grazie a chi ha letto e leggerà!
A presto
Silny ^_^

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Capitolo 7
*** Se solo tu sapessi ***


Amore e morte non sono altro che sinonimi
Se solo tu sapessi

L'eco dei suoi passi echeggiava nei sotterranei. Rimbalzava sulle pareti e si disperdeva tra i cunicoli profondi e putridi, cunicoli senza fondo, ognuno intervallato da grate e mani disperate che pendevano al di fuori di esse.
I lamenti dei vivi parevano un tutt'uno con la disperazione dei morti, penetrante come un sottile strato di nebbia che ti bagna la pelle e ti fa rabbrividire. Forse il luogo più lugubre che avrebbe visto in tutta la sua vita, e sapeva già che ci sarebbe rimasto per l'intera esistenza.
"Eléah..."
Jhona sussurrò appena il suo nome. Lei stava lì, oltre la cella, in ginocchio con le mani e la testa appoggiate alle sbarre. Le mani strette saldamente al ferro, Jhona percepiva la sua rabbia, la sua tristezza. Probabilmente aveva appena subito una delle sue mutazioni incontrollate.
"Eléah, sono qui."
Jhona si mise in ginocchio di fronte a lei, per sollevarle lo sguardo e poter scorgere i suoi occhi ancora una volta. Vedere i suoi occhi ancora vivi e innocenti. Posò una mano sulla sua guancia, smagrita e secca, ma a Jhona parve non importare.
"Hanno ben poco di innocente i miei occhi..."
Lui rimase sconcertato mentre lei ricambiò quella carezza.
"Non posso leggerti nel pensiero, ma lo vedo da come mi guardi. Mi osservi come se fossi la vittima, come se fossi davvero innocente, ma ti ricordo che ho già ucciso. Non puoi e non devi vedermi così, devi lasciare che mi puniscano."
"Ti stai arrendendo al loro volere, devi permettermi di aiutarti."
"Non puoi Jhona..."
La sua voce si incrinò notevolmente, mentre gli occhi ormai erano già inondati di lacrime.
"Non puoi aiutarmi, vattene se riesci, non posso uccidere anche te."
"Non lo farai e... non posso andarmene..."
Ritrasse la mano e lo sguardo, lasciando in sospeso quella frase che ad Eléah sapeva di brutto presagio.
"Che cosa vuol dire?"
"Ho fatto un patto con Kasandra.... le ho promesso obbedienza e in cambio..."
Cadde di nuovo il silenzio.
"In cambio cosa? Parla Jhona!"
"In cambio avrebbe dovuto liberarti!"
Eléah si scostò dalla grata, prese solo per un attimo le distanze, sconcertata da quelle parole. Le lacrime sbordarono copiose dai suoi occhi.
"Jhona, hai fatto un patto con un demone! E' al pari di fare un patto con il diavolo! Fuori di qui non sappiamo come reagirebbero le mie mutazioni, anche volendo io devo stare qui, sono un pericolo per chi mi sta attorno."
"Non mi hai fatto finire... sarai libera da questo posto e dagli esperimenti, ma vivrai in questa comunità... sotto la mia custodia, fino a quando..."
"Fino a quando non ti ucciderò"
Non poteva dirle  che il patto consisteva nella sua morte e fu costretto a mordersi la lingua. Eléah lo guardava senza vederlo, le lacrime le offuscavano la vista e non sapeva se essere felice per quello che Jhona le aveva detto e promesso o se terribilmente spaventata.
"Fino a quando sarai guarita..."
Mentì, se pur non avrebbe voluto farlo, ma non aveva altra scelta. Lei rimase in silenzio e strinse la sua mano, non sapendo cosa dire.
"Perché non c'è nessuna guardia con te? Come sei fuggito al loro controllo?"
"Non sono fuggito, ora sono l'assistente di Kasandra, sono libero di muovermi per il villaggio per un breve periodo di tempo durante il giorno."
"Jhona..."
Più lui parlava, più lei comprendeva i guai in cui era andato a cacciarsi.
"Jhona, devi stare alla larga da Kasandra, quella donna è..."
Zanah, il lupo fedele di Kasandra, apparve all'improvviso al fondo del cunicolo. Eléah si azzittì improvvisamente, qualunque cosa avrebbe detto quell'animale lo avrebbe riferito a Kasandra che le avrebbe tenuto in serbo una tortura speciale.
"Devo andare Eléah, verrò a prenderti presto, promesso..."
Si sporse in avanti e annullò la distanza che c'era sempre stata tra le loro labbra, tra i loro corpi. Nonostante la grata, Jhona era riuscito a darle quel bacio, dal sapore amaro, ma con un retrogusto di speranza. Un bacio per ricordare, per tenere a mente l'unica ragione per la quale non si era ancora tolto la vita, l'unica ragione per lottare ancora. L'unica salvezza.
Eléah non si ritrasse, lo ricambiò come fosse l'unica cosa che davvero aspettava, con la convinzione che quello era il suo bacio promesso, il ricordo da cullare fin quando non sarebbe tornato a prenderla.
Jhona si scostò e si alzò in piedi, la guardò un'ultima volta e poi si allontanò, lei rimase immobile a guardarlo andare via.
"Se solo tu sapessi  che quella donna ti farà ammazzare..."
Eléah si ripromise che come lui si era messo in gioco per salvarla, lei avrebbe impedito a Kasandra di distruggerlo e trasformarlo in uno di loro.
"Se solo tu sapessi che ho promesso di ucciderti..."
Ma i pensieri di Jhona, erano ancora più terribili...

***

Jhona seguì Zanah fuori dai sotterranei, fino alla tenda di Kasandra. Ripensava ancora alla conversazione di qualche ore prima, con il capo comunità Zarami.
"Nessuna delle mie cavie viene liberata, ragazzino."
"Il mio giovane assistente ha una proposta in merito, le chiedo in tutto rispetto di ascoltarla e valutarla poi come meglio credete..."
Kasandra a quel punto si era fatta da parte, come a volerlo lasciare solo in pasto agli squali.
"Ebbene? Esponi il tuo pensiero ragazzo."
Zarami era un uomo alto, snello, avvolto nella sua tunica nera e stretta. Era calvo e la sua testa ricoperta interamente da simboli in inchiostro nero. Aveva tutta l'aria del sovrano, astuto, scaltro ed esile. Anche Kasandra, la donna più temuta del villaggio, temeva a sua volta quella presenza, tanto da doversene addirittura allontanare.
"Io... io non sono una vostra cavia, ne un soldato o una guardia, ma sono giovane e potrei esservi utile. Se la prigioniera di cui parlo verrà liberata e non verrà più utilizzata come cavia, io farò tutto ciò che desiderate... e le donerò una morte degna di questo nome."
Zarami si voltò, mostrando i suoi occhi di ghiaccio. Era interessato e allo stesso tempo turbato. Come poteva un ragazzino sacrificarsi a quel modo senza un apparente motivo? Scese gli scalini che dividevano Jhona dal suo trono e si avvicnò a passo lento, ma deciso.
"Perché questa cosa? A che scopo vuoi liberarla per poi ucciderla?"
Lo aggirava e lo scrutava attentamente. Jhona abbassò lo sguardo e deglutì.
"Io ho promesso di salvarla, e non vi è altra via di scampo che la morte. Ne sono consapevole."
"Hai promesso di salvarla... e la tua amica sa che la ucciderai?"
Gocce di freddo sudore cadevano lungo le sue tempie.
"...No..."
Zarami arrestò improvvisamente la sua camminata d'ispezione, lo osservò stupito per un paio di secondi e poi scoppiò in una fragorosa risata.
"Ah, l'amore. Che cosa stomachevole.... E sia! Ti concederò quest' unica occasione, sono proprio curioso di sapere come andrà a finire. Fatemi sapere quando accadrà, non voglio perdermela."
Adesso se ne stava lì nella tenda di Kasandra e attendeva che gli venissero affidati dei compiti. Lei era intenta a lucidare le sue armi e sfogliare le pagine di un libro logoro, dalle pagine ingiallite e con una spessa rilegatura in cuoio scuro.
"Dobbiamo uscire per un sopraluogo..."
E detto ciò gli porse due pugnali e la sua spada.
"Non hai bisogno di questa?"
"Io uso arco e frecce... sono più dolore e complesse, la spada è per inetti."
"Bene, sono un inetto con la spada."
E dopo averla rigirata tra le mani la mise nel fodero assicurato alla sua cintura.
"La spada non sai usarla e per quanto riguarda l'inetto... farò il meglio che posso per migliorarti!"
"Perché tieni tanto al mio addestramento?"
Kasandra era voltata di spalle, sempre con quel libro tra le mani, si fermò per un attimo come a voler cercare la risposta giusta, ma si arrese.
"Sei pronto?"
Jhona non capiva perché quella donna temibile si prendesse cura di lui, il perché fosse riuscito a fuggire dal suo sguardo assassino.
"Sì, sono pronto andiamo."
Ma aveva anche compreso che era inutile insistere, e ormai poteva e doveva solo chinare il capo al suo volere.
"E' questo quindi il marmocchio che hai deciso di accudire?"
Owen era nei pressi della tenda di Kasandra, li aveva visti uscire e si era avvicinato per sputargli addosso un po' del suo veleno.
Jhona non reagì, ormai potevano chiamarlo come volevano, non aveva importanza. Kasandra invece parve stranamente irritata.
"Owen, sparisci prima che ti uccida con le mie mani."
Stava proprio davanti a Jhona, lo osservava e si prendeva gioco di lui.
"Sì effettivamente nemmeno io sarei riuscito ad ucciderlo, guarda che occhi!"
"Ti ho detto di darci un taglio!"
Jhona percepiva chiaramente la rabbia di Kasandra, la guardava con la coda dell'occhio, ma non si spiegava perché non volesse reagire.
"Sai, il ruolo di mamma ti si addice proprio!"
E all'improvviso un pugno ben assestato arrivò senza sospetti dritto sulla sua faccia. Jhona aveva reagito impulsivamente, senza alcun tipo di rabbia, ma forse non sopportava che Kasandra non facesse nulla per toglierselo dai piedi. Lei rimase immobile davanti il corpo di Owen piegato in due dal dolore, con una mano sul viso.
"Tieni a bada questo ragazzo, è completamente matto!"
"Ti ha dato una lezione, così come gli è stato insegnato, ora fatti da parte e tieni il becco chiuso."
Jhona era sicuro che non si sarebbe più avvicinato, lo aveva reso innocuo e aver quel potere lo fece stranamente stare meglio.
Kasandra e il suo assistente uscirono da Celastra e si addentrarono di nuovo nella foresta circostante. Camminarono a lungo, senza parlare. Sotto i loro piedi rami e foglie scricchiolavano al loro passaggio e poco più avanti Zanah fiutava il terreno.
"Perché hai reagito in quel modo?"
Chiese Kasandra d'un tratto. Jhona assorto nei suoi pensieri non rispose subito.
"Non lo sopportavo..."
"Per quello che ti ha detto? Andiamo Jhona, era solo un modo per..."
"Non sopportavo il fatto che si prendesse gioco di te e tu non reagissi. Sei la donna più temuta del villaggio e ti fai trattare così! Io non ho alcun potere, ma tu..."
Kasandra si rabbuiò, mentre Jhona continuò a parlare con sempre più foga.
"Perché diavolo non mi hai ucciso quella notte? A quanto pare è questo lo sconcerto dell'intero villaggio... avanti, fallo ora!"
"Finiscila Jhona!"
"Fallo, così potrai tornare alla tua gloria..."
"Adesso basta, sei impazzito? Cosa ti è preso? Non voglio ucciderti... non posso..."
Rimasero entrambi in silenzio, lei lo guardava negli occhi che non sapeva e non poteva spegnere.
"Non posso perché riporti alla mia mente l'unica parte ancora viva di me! Mi ricordi una persona Jhona, l'unica che abbia mai amato, la stessa persona per la quale sono diventata così."
Lui non rispose, si sentì in colpa per aver spinto quella donna a sentimentalismi che mai avrebbe voluto mostrare.
Lei si rese conto di quanto aveva detto solo dopo averlo fatto e Jhona era pronto ad un ammonimento, una punizione, perché no, ora avrebbe potuto anche ucciderlo, ma lei si voltò e continuò a camminare.
"Avevo la tua età quando accadde. Mi sarei dovuta sposare con una persona che non conoscevo mentre quella che amavo mi aveva proposto di fuggire insieme. Stupidamente rifiutai, per paura, codardia, non saprei e lui partì da solo abbandonandomi al mio destino."
Continuava a parlare con Jhona alle sue spalle e per la prima volta si liberò di quel peso, lo stesso di cui non aveva mai fatto parola con nessuno.
"E una notte apparve, il demonio, gli diedi retta, per smania di vendetta e lui mi promise..."
Ma non continuò quella frase rimase in silenzio.
"Niente... la smania di vendetta mi ha fatto diventare questa, fine della storia. Spero tu sia soddisfatto!"
E Kasandra ritornò ad essere l'agghiacciante donna di sempre.
"Non hai mai pensato di fuggire a quel dovere e ritrovare quella persona? Magari lui se nè andato per un valido motivo, non hai mai pensato che forse..."
"No, non l'ho mai pensato, e non ne ho bisogno. Finiamo il nostro giro di supervisione e torniamocene a casa, sono stanca!"
E finalmente la conversazione si dissolse.
Si ritrovarono così, a un passo dalla verità, ignari di aver in comune più cose dell'apparente.
Lei amava suo padre, aveva assassinato sua madre e suo zio... ma nessuno dei due ne era a conoscenza.

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Ecco che finalmente la storia si anima un po'.
Jhona non sa che Kasandra è la dea della morte, nonché assassina della madre tanto amata e dello zio.
Kasandra non sa che Jhona è il figlio prediletto del suo amore perduto e della sua vittima più ambita.
Eléah non sa che Jhona e Kasandra stanno pianificando la sua morte.
Bene, direi che quando tutte queste verità occulte salteranno allo scoperto ci sarà una strage di massa ù.ù
In oltre devo ancora decidere se risparmiare la povera Eléah o eliminarla come previsto per mano di Jhona.
Si vedrà e fino ad allora aspetto i vostri commenti... ( Con ansia per giunta T.T )
Saluti
Silny  love

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Capitolo 8
*** Amore, odio e lussuria ***


Amore e morte non sono altro che sinonimi
Amore, odio e lussuria

 
Eléah fu prelevata nella notte dalla sua cella, due uomini la slegarono dalle catene che la imprigionavano e le fecero segno con la mano di precederli. Non l'avevano percossa, non l'avevano rilegata a catene più pesanti, non l'avevano sollevata di peso e poi sbattuta a terra sulla pietra umida. Per la prima volta da quando era arrivata la trattarono come vero essere apparentemente vivente.
Uscirono da quei cunicoli putridi; erano mesi che non respirava aria nuova, aria pulita, giorni interminabili che ormai aveva smesso di contare. Non la portarono al capanno per le nuove sperimentazioni, se ne stupì, ma l'accompagnarono all'interno del palazzo. Il palazzo del sovrano.
La lasciarono nel salone centrale, il principale, lo stesso dove Jhona e Zarami avevano avuto la loro prima conversazione formale appena qualche giorno prima. Attese lì nella penombra aspettando che qualcuno si facesse avanti e le desse delle informazioni. Si sentiva maledettamente a disagio e fuori luogo.
Il silenzio era persistente anche quando qualcuno fece il suo ingresso con qualche candela che emanava una luce flebile e soffusa. Era Zarami, seguito da quattro donne vestite di una semplice veste grigia e scialba, con i capelli scuri raccolti in una crocchia e una spilla d'oro sul petto: il simbolo della comunità, la serpe, la stessa incisa sul pugnale della Dea della morte.
"Benvenuta."
La voce di Zarami tuonò all'interno del salone circolare lasciandosi alle spalle solo il suo eco e penetrando con il suo terrore l'animo già irrequieto della ragazzina. Eléah teneva stretto il braccio sinistro con la mano destra, all'altezza del gomito, le spalle strette e il capo chino.
"Lo sai perché sei qui, mia cara?"
Quelle ultime due parole sapevano di scherno, lei stessa era stata in grado di percepire il disgusto con il quale le aveva pronunciate. Si limitò a negare con il capo in attesa di una spiegazione.
"Bene... devo ammettere che mi dispiace doverti liberare così presto. Sei uno degli esperimenti meglio riusciti benché non terminata. Dì un po'... quali sono i problemi che riscontri durante la mutazioni?"
Eléah sollevò appena il capo, non aveva paura, ma sapeva che il potere era nelle mani di quell'uomo, era di sua proprietà e in quanto tale avrebbe potuto fare di lei qualsiasi cosa.
"Io... Le mutazioni durano pochi minuti, in alcuni casi solo brevi istanti... e non posso prevenirle o controllarle."
"Non ti piacerebbe avere il pieno possesso di questo potere?"
'potere' era una reclusione, una punizione... non un potere di cui andare fieri.
"In realtà vostra altezza, preferirei non doverci avere nulla a che fare."
"Ma ormai il lavoro è già avviato, sapendo di non poter tornare indietro non ti andrebbe di poterti considerare completata potendo gestire così il tuo nuovo corpo?"
L'idea non le dispiaceva, detenere il controllo di se stessa non sarebbe stato male, ma una richiesta avanzata da un uomo simile comportava un prezzo da pagare.
"Sarò completa in cambio di cosa?"
"Ti do l'opportunità di poter camminare senza pericolo tra la gente. Un uomo come me non può concedere questo privilegio per pura gentilezza?"
Eléah rimase in silenzio, negava nella mente e Zarami lo percepiva. Rise sommessamente e si avvicnò al corpo minuto della ragazza. La scrutò attentamente, prese tra le mani le lunghe ciocche dei suoi capelli neri poi si avvicinò rapido al suo orecchio.
"Amo questi tuoi occhi cristallini..."
Le sussurrò appena mentre con un dito ripercorse la sua colonna vertebrale dall'alto al basso, producendo in lei brividi freddi.
"Stai sempre così sulla difensiva?"
E una volta terminata la colonna la sua mano si soffermò sui suoi glutei. Eléah si scansò e si voltò per guardarlo negli occhi, ringhiando e mostrando i suoi denti ormai felini. Zarami si ritrasse preso alla sprovvista, come quando  ci si sottrae dall'attacco di un animale che un attimo prima era apparso loquace.
"Stai al tuo posto bestiaccia! Ricordati che sei mia in ogni caso."
Eléah non rispose a quella provocazione, era stata maltrattata, era piccola e appariva indifesa, ma quello che nessuno sapeva era che i mesi di duro allenamento l'avevano portata sul piano di forza della stessa Dea, nessuno sapeva che aveva le sue stesse capacità combattive, questo perché non era ancora stata messa alla prova.
"Comunque, ti stavo dicendo..."
Riprese a parlare l'uomo allontanandosi con le mani conserte dietro la schiena. Salire sul gradino più alto lo faceva sentire potente, quella luce che gli brillava negli occhi si vedeva anche nel buio.
"Quel ragazzetto... Jhona, così si è presentato... si è sacrificato per te, non temi di renderlo una delle tue vittime?"
Era la cosa che più la spaventava quando erano insieme.
"Sì..."
"E allora io ti offro questa..."
E ciò dicendo, si voltò verso una delle donne e afferrò con malagrazia, dal cuscino sul quale giaceva, una bottiglia di piccole dimensioni riempita di un liquido rossastro.
"L'elisir della saggezza e del controllo, il pieno potere di se stessi e la capacità di andare oltre i propri limiti... bevilo e sarai in grado di cambiare forma quando vorrai per tutto il tempo a te necessario... e in cambio..."
Eléah la prese tra le mani, rimestava e rigirava quel liquido viscoso senza badare alle ultime parole di quell'uomo doppiogiochista, tanto sapeva che avrebbe dovuto pagare un prezzo molto alto per quel favore.
"In cambio combatterai tra le prime file del mio esercito quando sarà il momento e..."
Si avvicinò di nuovo, per la seconda volta le sussurrò qualcosa all'orecchio, ma questa volta non per porle i suoi corteggiamenti.
"Se esaudirò la sua seconda richiesta e dovessero scoprirlo... mi uccideranno..."
"E' proprio questo il bello cara..."
Le sollevò il volto tenendola per il mento.
"Morirai comunque, ma non per mano mia... E ora portatela via!"
Ordinò poi alle quattro donne dietro di loro. Quelle parole l'avevano turbata e non ebbe il tempo per chiedere informazioni maggiori. Venne accompagnata dolcemente sotto braccio da due delle donne, mentre le altre tenevano alte le candele facendo luce tra i  corridoi. Sarebbe morta comunque aveva detto, ma non era quello a preoccuparla. Zarami sapeva già chi lo avrebbe fatto, qualcuno stava tramando alle sue spalle.
"Jhona potrà aiutarmi."
Ritornò a pensare tra sè e sè. Il pensiero di lui era costante... e rassicurante.

Quando ebbero finito, il sole stava sorgendo un'altra volte. L'avevano lavata, sistemata, l'avevano liberata dei suoi vecchi stracci logori e ormai sbrindellati porgendole una nuova divisa scura e aderente al suo corpo perfetto. era stato fatto apposta per lei: le maniche arrivavano lunghe fino al polso, ma rimanevano aperte sugli avambracci, per permetterle di adoperare le sue lame letali. Sulle gambe, là dove le sue stesse lame qualche volta la ferivano, erano stati aggiunti degli inserti d'argento, donandole un aspetto lucente e di nuova forza, scalfiti da decorazioni sinuose e prive di un significato apparente. Al momento del taglio di capelli Eléah si sottrasse, era l'unica cosa che non voleva cambiare, voleva poter tenere i suoi lunghi capelli neri. Le donne dovettero arrendersi alle sue insistenze e la convinsero a farseli per lo meno intrecciare, così da non intralciare i suoi movimenti. Ecco come appariva: un elegante e letale fanciulla, trasformata in guerriera contro sua volontà, carica di odio e risentimento. D'ora innanzi chi avrebbe incontrato la sua brutalità l'avrebbe ricordata come la ragazza letale d'argento.
"...bevilo e sarai in grado di cambiare forma quando vorrai per tutto il tempo a te necessario..."
Sì, non aveva altra scelta...

***
"Devo farlo per forza?"
"Sì Jhona, devi farlo per forza."
Gli rispose Kasandra aiutandolo a indossare la sua nuova divisa. Nera e arricchita da ricami blu scuro, quasi impercettibili.
"A cosa serve tutta questa roba?"
Jhona parlava con un tono evidentemente spazientito.
"Smettila di comportarti come un bambino e dammi retta! Oggi verrai presentato al resto della comunità come nuovo membro, è la procedura."
"Ed Eléah? Quando potrò vederla e tirarla fuori di lì? I patti erano chiari!"
"Presto! Appena avrai finito di lamentarti e la cerimonia sarà conclusa... adesso voltati."
Jhona rimase immobile a sostenere il suo sguardo, non con sfida ne con cattiveria. Il loro rapporto era di gran lunga migliorato; l'odio che tenevano in serbo uno per l'altra si era dissipato.
"E' un ordine!"
Jhona sorrise e fece quanto ordinatogli. Kasandra si allontanò per pochi istanti e fece il suo ritorno un attimo dopo con una spada tra le mani. Gli afferrò una spalla da dietro e gli puntò la lama alla gola. Jhona rimase interdetto soffocato da quell'attimo di terrore.
"Mai abbassare la guardia..."
Gli sussurrò in un orecchio.
"Ora questa è tua..."
Poi, dalla gola, fece scendere la lama più in basso e gli posò l'elsa tra le mani.
"Potevi uccidermi..."
Si limitò a dire Jhona senza alcun tipo di convinzione.
"Sì lo so! Adesso andiamo."
I due uscirono dalla loro tenda e si diressero nell'arena di Celastra, nella quale era stato allestito un piccolo palco. La gente si accalcava sulle scale, sulle gradinate. Il brusio si trasformava in confusione rendendo il tutto più caotico. C'era aria di festa intorno e la gente ne era impregnata fin nelle ossa.
"Perché tutto questo entusiasmo?"
"Perché sei uno di loro adesso... sei come noi. E il fatto che combatti al mio fianco ti conferisce ancor più potere."
"E se... io non lo volessi questo potere?"
Si trovavano appena sotto il palco e da lì sotto potevano scorgere le persone prendere posto sui gradoni dell'arena circolare. Jhona stava seduto su una sedia e Kasandra al suo fianco guardava nella sua stessa direzione.
"Tutti ti temeranno, vedrai che ti piacerà!"
L'ultima cosa che avrebbe desiderato sarebbe stata quella di essere temuto da tutti. Senza volere pensò a suo padre, e a quello che avrebbe detto se lo avesse visto ora. Chissà cos avrebbe pensato. Forse adesso comprendeva perché non gli aveva mai permesso di addestrarsi come tutti gli altri.
All'arrivo di Zarami il pubblico esplose in un forte boato applaudendo senza più contegno. Jhona si chiedeva perché fosse così tanto amato, che avesse usato un qualche tipo di lavaggio del cervello?
"Forza tocca a te!"
I suoi pensieri furono interrotti dal richiamo di Kasandra. Uscì dal sottopalco e salì gli scalini che lo avrebbero portato al cospetto del popolo, di fronte al capo comunità. Una volta raggiunto quegli applausi esplosero solo per lui.
"Ed eccovi i nuovi alleati!"
Zarami lo disse con enfasi ampliando il significato di quelle parole con un ampio gesto della mano, come per espandere la sua voce a tutti quanti. Ma aveva parlato al plurale, Jhona rimase stupito convinto di essere l'unico prescelto e si voltò con sguardo stranito.
Non potè credere ai suoi occhi,
"Eléah cosa ci fai qui?"
Le chiese sottovoce quando lei lo ebbe raggiunto.
"Sono alla cerimonia di iniziazione, chiaro no?"
"Tu avresti dovuto aspettarmi."
"E' quello che ho fatto, ma ti hanno preceduto. Sono stata costretta."
Zarami riprese a parlare interrompendo la loro discussione. Jhona posò gli occhi su Kasandra che stava appena qualche metro più in là, anche lei incapace di spiegarsi.
"Con noi e per noi lotterete..."
La cerimonia era nel vivo dello svolgimento.
"...non temerete, ma sarete temuti..."
Ad ogni nuova parola tutti si alzavano in piedi caricando gli animi di fierezza e gioia.
"... porterete fede e rispetto alla vostra comunità, alla comunità di tutti, la comunità di Celastra!"
E arrivarono così al culmine della gioia, incapaci di trattenersi ancora esplodendo in schiamazzi e applausi, mentre le loro schiene venivano coperte dai mantelli scuri, simbolo dei guerrieri del posto, e i petti imbardati delle stesse spille che avevano le donne la notte precedente, simbolo che ormai erano al servizio di Zarami.
"Vi affido alla guida della nostra fedelissima Kasandra, che farà di voi le migliori armi di questa comunità. Potete andare!"
Si fecero acclamare ancora per un po', senza sorridere, senza mostrarsi orgogliosi, perché nessuno dei due stava affrontando ciò che voleva. Come fenomeni da baraccone se ne stava lì a  farsi osservare.
In seguito sia Jhona che Eléah vennero scortati in una tenda più grande al riparo da occhi indiscreti.

***

"Che cosa significa?"
Kasandra non aveva mai osato contraddire o scontrarsi con Zarami, ma quelle parole le avevano fatto perdere ogni controllo.
"Farai quanto ordinatoti."
"Io volevo il ragazzo! E' quello l'unico di cui sono responsabile, quella sgualdrina non mi interessa non sono qui per fare la badante."
Zarami le dava le spalle. Si voltò lentamente, senza un filo di preoccupazione o di rabbia.
"Quella... sgualdrina, come la chiami tu, ti darà del filo da torcere se non la tratterai con rispetto. Bada a quello che fai Kasandra... è più pericolosa di quanto credi o almeno, adesso lo è!"
Zarami si allontanò lasciando Kasandra sola con i suoi dubbi. Sapeva che aveva un secondo fine e sapeva che quell'uomo non mentiva. Se l'aveva messa in guardia su quella ragazzina allora qualcosa le avevano fatto.
'Avranno terminato l'esperimento? Sicuramente l'hanno completata.'
Ora Kasandra aveva un'altra persona da tenere a bada, un'altra minaccia incombente. E si sarebbe messa tra lei e Jhona, lo avrebbe distratto dai suoi allenamenti lo sapeva.
Era un po' di tempo che non uccideva, poteva sfogare la sua astinenza su di lei, poteva eliminarla; ma avrebbe comportato rompere il patto di Jhona, se lei lo avesse fatto lui si sarebbe ribellato e non poteva permetterselo.
'Merda...'
Uscì dall'arena e si diresse anche lei nella tenda dove erano stati portati i due giovani, dove gli esponenti maggiori della comunità si stavano ancora complimentando con loro. Entrò senza badare ai sorveglianti lì fuori, senza chiedere il permesso e scostando la tenda dell'ingresso con violenza quasi a volerla strappare.
"Dì un po' piccola bastarda!"
Le urlò Kasandra estraendo il pugnale e puntandoglielo alla gola una volta avvicinatasi a lei e costretta a sdraiare la schiena sul tavolo alle sue spalle.
Eléah presa alla sprovvista non reagì si limitò a mugugnare qualcosa di incomprensibile e a mostrare tutto il suo odio per quella donna ripugnante.
"Che cosa ti hanno fatta eh?"
Gridava la donna senza contegno.
"Andiamo Kasandra che ti prende?!"
Jhona era intervenuto,
dovette spostarla con la forza. Gli altri commensali uscirono allarmati senza aggiungere altro. 
"Tu se impazzita!"
Gridò di rimando Eléah.
"Per quale motivo mi sei stata affidata? Non abbiamo bisogno di te. Sei inutile, buona a nulla!"
"Forza, fuori!"
Jhona prese per un braccio Kasandra e la trascinò fuori dalla tenda. Lei si divincolò non eppena messo un piede fuori.
"Non mi toccare Jhona, ricorda che sono io che ti comando!"
"Che cosa ti prende Kasandra? Ti stai sentendo? Non hanno alcun significato le tue parole!"
Kasandra rimase in silenzio preda all'ira, con il fiato corto e uno sguardo minaccioso stampato negli occhi.
"Quella scialba ragazzina ci sarà di intralcio!"
Jhona afferrò rapido il braccio di Kasandra, la costrinse a voltarsi e poi passò l'altro braccio intorno al suo collo. L'aveva bloccata e messa alle strette.
"Mai abbassare la guardia... non ti permetto di parlare così della ragazza che amo..."
Lo disse appena sottovoce, come un sibilo, perché potesse sentirlo soltanto lei, perché rimanesse come un loro segreto.
Poi Jhona la lasciò andare fece qualche passo indietro e rientrò nella tenda.

"Lo sai... credo tu metta troppo sentimento per quel ragazzino."
Owen apparve da una delle tante tende nei dintorni.
"Sai che sono geloso?"
Le disse avvicinandosi a lei e posandogli le mani sulle spalle. Le diede un bacio sul collo e ne seguì il profilo fino all'orecchio.
"Tu sei donna Kasandra, quel ragazzino ti farà perdere soltanto del tempo prezioso..."
La sua voce sensuale e calda le entrava nelle orecchie come un dolce canto. Lei rimase ad ascoltarlo con gli occhi spalancati e persi nel vuoto di fronte a sè mentre il tocco delle mani di Owen fu un sollievo per i suoi muscoli contratti. Chiuse gli occhi e si abbandonò completamente.
"Resta con me questa notte..."
Kasandra si voltò verso di lui, posò le sue esili braccia intorno al suo collo e lo baciò con determinazione. Owen era abituato a quegli approcci improvvisi e violenti, dove Kasandra voleva poter comandare, come sempre d'altronde, e lui glielo lasciò fare, la ricambiò senza esitare un solo istante.
La notte venne presto e si ritrovarono insieme nella stanza più lussuosa ed elegantemente adornata.
Owen le sfilò di dosso la casacca guardandola negli occhi, cercando costantemente le sue labbra.
"Qualche volta dovresti prenderti una pausa..."
Così dicendo la invitò a sdraiarsi premendo il suo petto contro quello nudo di lei.
"Non passi più tanto tempo con me come prima..."
E finalmente completò la sua opera, la svestì interamente potendosi finalmente concedersi quel corpo scolpito nel marmo. Kasandra rimaneva in silenzio, prendendo dei lunghi respiri a intervalli regolari abbandonandosi anche lei al piacere provocato da quella strana danza. Una danza costituita da movimenti lenti e contraccambiati passo dopo passo. In un bagno di lussuria e soddisfazioni.

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I sentimenti sono frutto di incomprensioni e di confusioni. Ora verranno a galla molti altri dettagli di questo caos che è le mia storia (purtroppo!)
Per quale motivo Kasandra odia così tanto Eléah?
E Owen?
...No in realtà Owen è un personaggio scomodo e privo di relativa importanza xD
Ho creato un personaggio che non sopporto...
*Lo aggiunge alla lista dei personaggi da ammazzare durante lo svolgimento prossimo della storia*
Bene! Ne approfitto per ringraziare chi sta seguendo la storia, chi manda dei semplici e brevi messaggi di apprezzamento e chi come Kidrustin, Smemmy e la mia fedele Helmwige recensisce ancora ^^
...
Federicadeam... a te dei ringraziamenti speciali ovviamente! Per la tua infinita pazienza e fiducia!
Mi dileguo così, non sapendo cosa aggiungere come al mio solito.
A presto ragazzi!
Saluti
Silny 

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