La loro storia

di Thefoolfan
(/viewuser.php?uid=141057)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Inizio ***
Capitolo 2: *** Prima Indagine ***
Capitolo 3: *** Un nuovo caso ***
Capitolo 4: *** Domande e tormenti ***
Capitolo 5: *** Paure ***
Capitolo 6: *** Arrivi e partenze ***
Capitolo 7: *** Vecchi amici ***
Capitolo 8: *** Addii ***
Capitolo 9: *** Sorprese ***
Capitolo 10: *** Ritorno ***
Capitolo 11: *** Guerra fra bande ***
Capitolo 12: *** Racconti del passato ***
Capitolo 13: *** Sacrificio ***
Capitolo 14: *** Azione e.. ***
Capitolo 15: *** reazione ***
Capitolo 16: *** Ne vale la pena?! ***
Capitolo 17: *** Omicidio d'alta classe ***
Capitolo 18: *** Boom ***
Capitolo 19: *** Orgoglio e pregiudizio ***
Capitolo 20: *** Guns & Kiss ***
Capitolo 21: *** Primo appuntamento ***
Capitolo 22: *** Il primo video ***
Capitolo 23: *** Nulla di nuovo ***
Capitolo 24: *** La verità ***
Capitolo 25: *** Vittima numero 2 ***
Capitolo 26: *** Secondo video ***
Capitolo 27: *** Odio e amore ***
Capitolo 28: *** Un passo indietro ***
Capitolo 29: *** Caso chiuso ***
Capitolo 30: *** Incontri ***
Capitolo 31: *** Stelle ***
Capitolo 32: *** Litigio ***
Capitolo 33: *** Riunione-Parte 1 ***
Capitolo 34: *** Riunione-Parte 2 ***
Capitolo 35: *** Oblio ***
Capitolo 36: *** Jonhson ***
Capitolo 37: *** Discorsi e discorsi ***
Capitolo 38: *** I tre dell'FBI ***
Capitolo 39: *** Consigli indesiderati ***
Capitolo 40: *** Punto debole ***
Capitolo 41: *** Un bel giorno per morire ***
Capitolo 42: *** La resa dei conti ***
Capitolo 43: *** Cena con sorpresa ***
Capitolo 44: *** La settimana dopo ***
Capitolo 45: *** Cena in famiglia ***
Capitolo 46: *** Pro e contro ***
Capitolo 47: *** Cupido indesiderato ***
Capitolo 48: *** Il posto perfetto ***
Capitolo 49: *** Capitolo 49 ***
Capitolo 50: *** Pensieri e parole ***
Capitolo 51: *** Solo ***
Capitolo 52: *** Rivalita ***
Capitolo 53: *** E se fallissi... ***
Capitolo 54: *** Un gesto è per sempre ***



Capitolo 1
*** Inizio ***


CASA BECKETT

 Era una calda giornata di settembre quando, come quasi ogni mattina, la detective Beckett veniva svegliata dal suono del suo cellulare. Mentre la suoneria le rimbombava ancora nelle orecchie scostò, sbuffando, le coperte dal suo corpo girandosi sul fianco destro cosi da arrivare al comodino posto vicino al letto ed afferrare il cellulare, fermando cosi quel trillio cosi fastidioso a quell'ora del giorno.

 “Beckett”. Disse con voce assonnata mentre si rimetteva a pancia in su, massaggiandosi con la mano libera lo spazio tra gli occhi. 

“Scusa la sveglia improvvisa”. Esordì Ryan. “ma abbiamo un corpo nel parcheggio tra Mc Donald Avenue e la 20th. Esposito ed io ci siamo andando adesso”. 

“D'accordo il tempo di prepararmi e arrivo”. Affermò concludendo la chiamata, senza dar modo al collega di rispondere in qualsiasi modo. La donna si alzò dal letto rimanendo seduta per qualche istante sul bordo del materasso prima di tirarsi su in piedi e passarsi una mano nei capelli, dirigendosi verso la cucina, mentre a stento tratteneva uno sbadiglio. Si preparò un forte caffè e corse a vestirsi non volendo far attendere i colleghi più del dovuto. 

Per tutto il viaggio verso la scena del crimine rimase stranamente pensierosa. La mano destra salda al volante mentre il gomito del braccio sinistro era appoggiato sulla portiera . Nervosamente si mordicchiava l'unghia del dito indice battendo contemporaneamente il piede contro il tappetino, aspettando che il semaforo tornasse verde cosi da permetterle di continuare il suo percorso. Cercò di pensare al motivo per cui si sentiva cosi in quella giornata ma nulla le veniva in mente, non aveva motivo per sentirsi quello strano peso sullo stomaco. Arrivata al luogo indicato da Ryan decise di lasciarsi quei pensieri alle spalle e concentrarsi sul suo lavoro, avrebbe avuto tempo in seguito di tornarci sopra e risolvere quel dilemma. 

“Giorno Esposito, cosa abbiamo?” Chiese salutando il collega che gentilmente le teneva sollevato il nastro di segnalazione della polizia cosi da farla passare sotto. 

“Un uomo, bianco, sulla quarantina. Ucciso da tre colpi al petto”. Spiegò mentre la accompagnava la dove si trovava il corpo, vicino al quale Lanie si era già messa all'opera per cercare di dare una prima diagnosi ed eseguire alcuni rilevamenti.

 “Ben arrivata”. La salutò il medico legale alzando per una frazione di secondo lo sguardo prima di tornare ad osservare il cadavere.

“Quelle due donne l'hanno trovato stamattina intorno alle 7 mentre andavano a riprendersi le macchine dopo aver finito il proprio turno”. Disse la donna indicando con il pollice dietro di lei due signore che venivano interrogate da Ryan. 

“Non mi sembra sia stata una rapina finita male” Ipotizzò Beckett che, indossati i guanti, si era messa in ginocchio vicino all'uomo e gli stava osservando il polso sul quale vi era ancora un rolex. 

“Ho escluso anche io quella possibilità, non ci sono segni di colluttazione quindi posso dedurre che la vittima conoscesse il proprio assassino”. Parlò Lanie mentre cominciava a voltare delicatamente il corpo in cerca del portafogli che, poco dopo, trovò in una delle tasche posteriori dei pantaloni.

Con cautela lo porse alla detective che subito lo aprì per capire di chi si trattasse. 

“Simon Myrick, 37 anni. Da quanto leggo abitava a Richmond, Virginia. Voglio sapere che ci faceva a New York” Ordinò perentoria a Esposito che all'istante iniziò a fare diverse chiamate per aver più informazioni possibili sul signor Myrick.

 

12th DISTRETTO 

Era già quasi mezzogiorno e la lavagna di Beckett era ancora vuota se non per le due foto della vittima. Esposito e Ryan non avevano ancora trovato nulla di utile per l'indagine e Lanie non aveva ancora fatto pervenire i risultati dell'autopsia. L'unica cosa che la detective poteva fare era fissare quello spazio vuoto mentre annoiata tamburellava con la penna sul ripiano della sua scrivania. Finalmente giunsero buone notizie. 

“Son riuscito a parlare con il vicino di Myrick. Ha detta sua Simon era un tipo solitario, che raramente risiedeva a Richmond perchè era sempre in giro per lavoro, se cosi si può definire”. Iniziò a leggere Esposito ciò che aveva appuntato sul proprio taccuino. 

“In che senso? Che lavoro faceva?”. Chiese Beckett curiosa, alzandosi dalla propria sedia e mettendosi a fianco del collega volendo leggere lei stessa ciò che l'uomo aveva annotato. 

“Diciamo che girava gli Stati Uniti per partecipare alle aste, alle vendite di lotti, cosi viveva. Comprava e rivendeva cianfrusaglie.” Spiegò il detective chiudendo il blocchetto e rimettendoselo in tasca. 

“Tutto qua? Nessun altra informazione? Qualche famigliare, qualche socio?”. Domandò frustata la donna incrociando le braccia al petto in attesa di quelle informazioni che Esposito però non le seppe dare, limitandosi a risponderle alzando le spalle. 

“Forse posso essere utile io”. Intervenne Ryan arrivando alle spalle della donna. “Ho fatto qualche telefonata in giro, una volta venuto a conoscenza della strana attività del signor Myrick, e ho saputo che poco distante da dove abbiamo trovato il corpo, in un deposito abbandonato, si teneva una piccola vendita di container sequestrati dall'ufficio pignoramenti.” 

“é un inizio. Voi continuate a cercare informazioni e aspettate una telefonata da Lanie, intanto io andrò in questo deposito a vedere se si scopre qualcosa”. I due colleghi annuirono e tornarono alle proprie scrivanie mentre Beckett si mise la giacca pronta a dirigersi verso l'ascensore quando Montgomery la fermò. 

“Beckett quando hai due minuti dovrei parlarti di una cosa importante”. 

“Va bene” Rispose titubante la donna. “Mi lasci chiudere questo caso e poi verrò nel suo ufficio”. Detto questo si diresse all'ascensore. 

 

DEPOSITO CRONUS 

Beckett parcheggiò la macchina vicino all'entrata di quel deposito abbandonato e quando fece per bussare alla porta questa si aprì quasi colpendola. Da li uscirono due uomini, uno robusto e pelato che indossava degli occhiali da sole e uno più giovane con un pizzetto sul mento. I due si fermarono a fissarla e poi quello robusto passandole oltre parlò. 

“Per oggi non sono previste aste. Torni tra una settimana” 

“Detective Beckett, squadra omicidi. Dovrei parlare del signor Myrick”. Disse ai due mostrando il proprio distintivo. 

Gli uomini si guardarono e quello con il pizzetto scrollando la testa rispose a denti stretti.

“Mi dispiace ma non conosciamo questo Myrick”. 

Beckett allora prese dal fascicolo che aveva sotto il braccio una foto dell'uomo e la mostrò ai due che, indicandola, questa volta annuirono. 

“Ah certo lui lo conosciamo, ma non come Myrick ma come “lo smilzo”. Era all'asta di ieri sera insieme a un suo amico. Hanno fatto grandi affari, si son fissati su un container, il lotto numero..”Iniziò a raccontare il tipo pelato grattandosi la fronte cercando di ricordarsi dei dettagli. 

“Il lotto 16” intervenne l'altro uomo in suo aiuto. “hanno speso 1300 $ per prenderlo e mentre davanti vi erano solo scatole piene di vecchi vestiti e qualche attrezzo dietro hanno trovato un quadro di Caravaggio che vale milioni. La fortuna a volte è davvero cieca” Sogghignò l'uomo. 

“E sapete come si chiamava il suo amico?” Chiese speranzosa Beckett sperando che quelle informazioni appena apprese la portassero sulla strada giusta. 

I due si guardarono ancora una volta e la detective capì che qualcosa non andava.

“Vi conviene rispondere prima che mandi una squadra a scandagliare il deposito e che inizi a far domande sulla provenienza dei container” 

“Roger. Roger Dock. Vive a Brooklin, da quanto si dice in giro, anche se si atteggia da grande uomo d'affari, in realtà sia solo un fruttivendolo.” Rispose l'uomo con il pizzetto. 

 

12th DISTRETTO 

“ Allora qualcosa di nuovo?” Chiese Beckett ai colleghi togliendosi la giacca. 

“Lanie ha finito con l'autopsia. L'uomo aveva un tasso alcolico nel sangue tre volte superiore al limite consentito e i colpi sono stati sparati da breve distanza, uno massimo due metri, con una 38. Abbiamo guardato anche i video di sorveglianza del parcheggio ma Myrick, nelle inquadrature in cui si vede, è sempre da solo.” Disse Ryan sconfortato. 

“é come se qualcuno sapesse dove sono posizionate le telecamere e l'abbia ucciso in uno dei pochi posti non ripresi da queste” Concluse il discorso Esposito. 

“E su quel Roger Dock che vi ho detto di cercare avete trovato qualcosa?” 

“Abbiamo trovato Stuart Dock, proprietario di un negozio di alimentari che guarda caso ha un figlio di nome Martin Roger Dock”. Parlò soddisfatto Esposito. 

“è il nostro uomo andiamo allora” Invitò beckett i due colleghi a seguirla per far qualche domanda al signor Dock. 

“Non c'è ne bisogno”. La fermò Ryan “é già nella stanza degli interrogatori che ti aspetta”. La informò indicando con il capo una porta dall'altra parte della stanza.

 

Beckett aprì con decisione la porta osservando il ragazzo che se ne stava seduto in mezzo alla stanza grattandosi nervosamente una mano. 

“Mi state trattenendo contro la mia volontà questo è un reato”. Disse lui cercando di alzarsi dalla sedia per far valere le proprie ragioni. 

“Anche l'omicidio è un reato signor Dock”. Replicò Beckett lanciando sul tavolo il fascicolo del caso e mettendosi seduta anch'ella. 

“Non so di cosa stia parlando. Io non ho commesso nessun omicidio.” SI difese il giovane. 

“Questo sarò io a deciderlo. Riconosce quest'uomo?” Chiese mostrandogli la foto di Myrick. 

“Si è Simon. Che gli è successo?” Domandò il giovane diventando improvvisamente pallido.

“L'hanno ucciso?”. Domandò dopo aver visto l'espressione sul volto della donna. 

“Questo dovresti saperlo tu Roger. L'hai ucciso tu. Magari non volevi spartire il guadagno che potevate ricavare dalla vendita del Caravaggio trovato ieri sera all'asta”. Iniziò a trarre le conclusioni la detective. 

“No, no non è cosi.” Urlò il giovane iniziando ad agitarsi, passandosi nervosamente la mano nei capelli, mentre si guardava attorno quasi cercando una via di fuga. 

“E allora come stanno le cose. Ti conviene dirmi tutto per filo e per segno”. Lo intimò Beckett posando entrambe le mani sulla tavola e sporgendosi verso di lui. 

“Simon ed io ieri sera, dopo l'asta, siamo andati a festeggiare. Abbiamo bevuto qualche birra accordandoci sul far valutare il dipinto e poi spartirci il guadagno. Quando siamo usciti dal bar un tizio ci si avvicina e ci punta una pistola addosso e ci dice che dobbiamo dargli tutto quello che c'è nel container dato che son cose che gli appartengono.” Raccontò il giovane tutto d'un fiato, fermandosi poi per qualche istante per calmarsi. “Simon gli dice che l'abbiamo comprato regolarmente ma questo non vuol sentir ragioni e ci da tempo fino a stasera per consegnarli tutto” 

“E se avevate tempo fino a stasera perchè Myrick è morto?”. Domandò Beckett chiedendosi se fosse il caso di credere al giovane o meno. 

“Simon mi aveva assicurato che avrebbe provveduto lui a risolvere le cose. Che avevamo fatto le cose legalmente e che quindi non dovevo preoccuparmi. Mi disse che conosceva chi poteva aiutarci”. Puntualizzò Roger battendo ad ogni parola il dito sulla tavola per risultare ancora più convincente. 

“E chi era questa persona?” 

“Non so, Simon se ne andato dicendomi di aspettare sue notizie”. Finì il suo discorso il giovane sperando di aver messo la parola fine all'interrogatorio ma Beckett aveva ancora una ovvia domanda da fare. 

“Dove ti trovavi stamattina. Diciamo intorno le 6?” 

“Ero con mio padre e alcuni fornitori a scaricare le cassette di verdura. Chiedete a loro se non mi credete”. Rispose sta volta con tono deciso e superiore. 

“Tranquillo è quello che farò.”. Lo minacciò Beckett raccogliendo il fascicolo e uscendo dalla stanza.

 

Quando chiuse la porta Ryan ed Esposito uscirono anche loro dall'altra stanza da dove avevano seguito tutta la scena. 

“Gli credi?” Le domandarono seguendola verso la scrivania. 

“Si. Ma meglio comunque confermare il suo alibi e cercare nei tabulati telefonici se Myrick ha chiamato qualcuno nelle ore precedenti alla morte. Magari proprio la persona che doveva aiutarli è quella che lo ha ucciso.”

Rimasta sola alla sua scrivania Beckett venne avvicinata da Montgomery che schiarendosi la voce la fece uscire dai propri pensieri. 

“Dobbiamo parlare, ora”. Le ordinò dirigendosi verso il proprio ufficio. Beckett senza far domande lo seguì.

 

Montgomery chiuse la porta dietro di se e si accomodò sulla propria poltrona mentre Beckett rimase in piedi davanti alla sua scrivania. 

“Stamattina ho ricevuto una chiamata da Los Angeles, per l'esattezza dal capo della polizia di Los Angeles”. Iniziò a spiegare il capitano bagnandosi le labbra senza guardare la donna che se ne stava in silenzio non sapendo cosa dire. 

“A quanto pare un loro agente è stato trasferito nel nostro distretto, nella tua squadra Beckett”. Solo in quel momento tornò a guardarla in volto. 

“La mia squadra è al completo signore. Non ho bisogno di altri uomini”. Rispose cercando di non far trapelare la sua frustrazione. 

“Quello che ho detto io ma a quanto pare è un ordine non discutibile. Cosi è stato deciso e noi non possiamo farci nulla. A breve avrete un nuovo collega.” 

“E se posso chiedere per quale motivo questo detective è stato trasferito da Los Angeles a New York? Non vorrei mai che ci ritenessero l'asilo per i loro uomini più inetti”. Beckett fece sempre più fatica a mantenere la propria calma, questa era l'ultima cosa che voleva in una giornata pesante come era stata quella.

 “Da quanto so il giovane in questione verrà qui per trovare “nuovi stimoli”, cosi almeno mi hanno detto”.Andò a riassumere parola per parola quanto gli avevano deto al telefono. 

“Nuovi stim..”. Beckett alzò le braccia al cielo e si morse un labbro per trattenersi dal commentare ulteriormente. 

“Signore questa è una pazzia”. Diede la propria opinione appoggiandosi alla scrivania, cercando l'appoggio del proprio capitano. 

“Mi dispiace ma non ho voce in capitolo in questa faccenda. Dobbiamo accettarla cosi com'è”. Cercò di spiegare l'uomo sperando di frenare lo spirito combattivo di Beckett, ma ci voleva ben altro per farlo. 

“E quando arriverà questo tizio?”. Domandò rassegnata dal fatto di aver ormai un nuovo collega. 

“Dovrebbe essere dalla prossima settimana ma mi è stato detto che questo ragazzo è imprevedibile e che non dovremmo stupirci se ce lo ritrovassimo al distretto anche oggi” 

“Perfetto”. Sibilò Beckett uscendo dall'ufficio del capitano quando i due colleghi le andarono in contro.

 

“Che è successo?” Chiese preoccupato Ryan.

“Che voleva il capitano?” Fece eco Esposito. 

“A quanto pare avremo un nuovo collega a partire dalla settimana prossima. Probabilmente uno scarto di Los Angeles che noi dobbiamo addestrare”. Li informò irritata la donna lanciandosi sulla propria sedia e iniziando a muoversi a destra e sinistra infastidita. 

“Sappiamo chi è?”Domandò Ryan che tra tutti e tre era quello meno colpito negativamente da quella notizia. 

“No, nemmeno ho chiesto il suo nome. Ma non è quello il fatto. Tra tutti i distretti, di tutta New York, di tutti gli Stati Uniti proprio il nostro doveva scegliere. Lo sapevo che sarebbe successo qualcosa”. Esprimette ad alta voce la propria opinione mentre sfogava la sua rabbia sulla tastiera del computer. 

“Bhè se ti può essere utile abbiamo parlato con il signor Dock e quei fornitori nominati da Roger. Il suo alibi regge”. Le disse Esposito non ottenendo però nessuna reazione. 

“E abbiamo controllato i tabulati del telefono di Myrick. Ci son state sette chiamate allo stesso numero tra le 2.34 e le 2.58 di stanotte. Le prime sei non duravano più di un minuto, la settimana invece è stata la più lunga, quasi cinque.” 

“Sappiamo a chi appartiene il numero?”. Chiese Beckett sollevando gli occhi dallo schermo del computer. 

“Non ancora. É un telefono usa e getta e quindi ci vorrà un po' più di tempo per rintracciarlo”. Disse Ryan visibilmente dispiaciuto anche se in realtà egli non aveva alcuna colpa. 

“D'accordo. Se trovate qualcosa fatemi sapere. Ora ho bisogno di andare a casa e dimenticarmi di quest'ultima ora”

 

CASA BECKETT 

Era ormai sera quando Beckett mise piede in casa sua. Accesa la luce della sala e gettò la giacca sul divano senza preoccuparsi di sistemarla da quanto era stanca fisicamente e mentalmente. Si slacciò la fondina e appoggiò la pistola sul ripiano della cucina per poi dirigersi al frigo ed estrarre da esso del fresco succo di frutta. Bevendolo ad ampi sorsi ponderò su cosa mangiare prima di andare a farsi un bel bagno ma il suo stomaco era come chiuso e il cibo era l'ultimo dei suoi pensieri in quel momento. Si asciugò la bocca con il dorso della mano e sbuffò per poi allungare una mano verso un piatto pieno di biscotti e afferrarne uno. Iniziò a mangiarlo con piccoli morsi decidendo infine di ordinare una pizza. 

In attesa dell'arrivo del fattorino si rilassò con un caldo bagno ma la sua mente ripercorreva tutto quanto accaduto lungo l'arco della giornata. Il ritrovamento del cadavere, gli interrogatori, le false piste, il venir a sapere del nuovo acquisto della squadra. A quel pensiero sbattè una mano contro il bordo della vasca e si alzò, mettendo cosi fine a quegli attimi di relax. Fece appena in tempo a mettersi una vecchia tuta della polizia che il campanello suonò e la voce del fattorino che la informava del suo arrivo le giunse alle orecchie. 

Mangiava quella fetta di pizza controvoglia, giusto perchè doveva mettere qualcosa nello stomaco per dare tregua a quel costante brontolio. Di tanto in tanto guardava il cellulare indecisa o no se chiamare i colleghi e scoprire se ci fosse qualche nuova informazione ma, come d'accordi, sarebbero stati loro a chiamarla una volta scoperto qualcosa. Chiuse il cartone della pizza e lo lasciò li sul ripiano della cucina, prese il telefono e andò in camera. Ora voleva solo chiudere gli occhi e dormire. Si svegliò molto ore dopo anche se le sembrò di aver dormito solo pochi minuti e notò al suo fianco il telefono illuminarsi sempre con maggiore intensità. Guardò il display e rispose. 

“Dimmi tutto”. 

 

CASA PETERSEN 

Ryan ed Esposito avevano appena scoperto di chi era il cellulare a cui Myrick aveva chiamato e le avevano dato l'indirizzo, Michael Petersen le avevano detto che si chiamava. Essendo più vicina al luogo dei due colleghi lei arrivò per prima e decise di non aspettare rinforzi e di intervenire subito. Estrasse la pistola dalla fondina e salì le scale fino all'appartamento dell'uomo e si fermò contro il muro a fianco della porta. La osservò e vide che era aperta. Deglutì e si fece forza. Scostò la porta con il piede, aprendola giusto quanto bastava per farla entrare, e iniziò a guardarsi intorno, sempre tenendo la pistola puntata davanti a se, pronta ad usarla per ogni evenienza. Si ritrovò nella cucina e poi nel salotto. Mentre la prima era immacolata il salotto sembrava esser stato attraversato da un uragano. I cassetti dei mobili erano gettati a terra e un tavolino di vetro era in frantumi. Vicino a questo notò anche delle tracce di sangue che portavano ad un altra stanza. Si nascose dietro lo stipite della porta e allungando il collo cercò di vedere dentro di quella. Un uomo era a terra e tutto intorno a lui una pozza di sangue. Stava per abbassare la guardia quando notò un altra figura accasciarsi sulla vittima. Corrugò la fronte osservandolo meglio, indossava dei jeans neri e una camicia azzurra, inoltre portava dei guanti. Beckett fece un respiro profondo, conto fino a tre e poi urlò. 

“Polizia di New York mani alto” 

La detective teneva la pistola puntata alla testa dell'uomo che ancora se ne stava immobile vicino al cadavere. 

“Ok, ok. Non serve essere cosi permalosi”. Commentò questi iniziando a mettersi in piedi e fu in quel momento che Beckett notò la pistola che lui teneva sulla schiena. 

“Mani ben in vista, e niente scherzi”. Li ripetè avvicinandosi cautamente a lui cosi da riuscire a prendergli l'arma, metterla nella sua fondina, per poi tornare a una distanza di sicurezza. Diede ancora un occhiata al corpo steso per terra in cerca anche del minimo movimento e poi tornò sull'uomo.

 “Girati molto lentamente”. Ordinò scandendo bene ogni sillaba cosi da dar più forza alle sue parole. 

“Si signora”. Sogghignò l'uomo voltandosi lentamente fino a trovarsi faccia a faccia con Beckett. 

La donna lo guardò da testa a piedi in cerca di altre possibile armi nascoste e poi si soffermò ad osservare il suo viso divertito. 

“Non ci troverai molto da ridere tra poco”. 

“Ah credo proprio di si, invece. Questa cosa la trovo molto divertente. Tu che mi minacci puntandomi una pistola, io che fingo di stare al gioco aspettando una tua minima indecisione per disarmarti, e vedere il tuo bel visetto irritato da quell'improvviso cambio di ruoli. Si credo che mi farà divertire”. Parlò il giovane iniziando ad abbassare le braccia quando vide Beckett togliere la sicura alla sua pistola. Poi successe tutto in un attimo, il tempo per il giovane di accennare un sorriso che fu vicino alla detective. Con la mano destra afferrò le due della donna costringendola a puntare l'arma verso il basso mentre con la sinistra andò ad estrarre dalla fondina la propria pistola puntandola al fianco di Beckett, che ora si trovava schiacciata tra il muro e il corpo di lui. 

“Sai credo che la lezione riguardo il “non entrare in un luogo senza rinforzi” tu l'abbia saltata e un giorno potresti pagarne le conseguenze”.Le sussurrò il giovane all'orecchio prima di allontanarsi leggermente con il viso e fissarla negli occhi.

 “Sarebbe stato un vero peccato”. Commentò sorridendo maliziosamente, indietreggiando di qualche passo, lasciandola cosi libera di muoversi. Beckett però se ne stava ancora li contro il muro, impietrita più dalla confusione che dalla paura. 

“Chi sei tu?”Riuscì a dire con quel poco di voce che le era rimasta. 

“Detective Richard Castle, polizia di Los Angeles, o meglio ora polizia di New York”. Rispose lui facendo un inchino. 

“Los Angeles”. Ripetè fra se e se la donna.

  

“Polizia di New York, uscite lentamente con le mani alzate”. Si sentì la voce di Esposito tuonare nella casa interrompendo la presentazione dei due. 

“é tutto libero. Venite pure”. Li chiamò Beckett sporgendosi con la testa dalla porta cosi da farsi vedere dai colleghi. 

Ryan ed Esposito ritirarono le loro pistole nelle fondine e raggiunsero gli altri due nella stanza. Subito notarono il cadavere ma ancora prima l'uomo che stava in piedi vicino ad esso. Esposito aveva già la mano sulla pistola pronto ad usarla mentre Ryan con più calma andò a rivolgersi alla collega. 

“Tutto a posto Beckett?”. Chiese ricevendo in risposta solo un leggero movimento della testa che però lo tranquillizzò. 

“Beckett?” Domandò Castle. “Ma quanto è piccolo il mondo.” 

“E tu saresti?”. Era Esposito che parlava andandosi a posizionare tra l'uomo e la collega quasi da fare cosi da scudo. 

“Tu devi essere Esposito e tu Ryan”. Disse guardando prima uno e poi l'altro detective. “Io sono il vostro nuovo collega. Richard Castle. Al vostro servizio”. 

“Quello di Los Angeles”. Constatò il cubano inarcando un sopracciglio dubbioso mentre andava a squadrarlo da capo a piedi. 

“Il solo e l'unico ma, per quanto mi piaccia avere le attenzioni su di me, direi di occuparci di questo poveretto”. Disse indicando con il capo il cadavere ai suoi piedi. 

La stanza piombò nel silenzio e pochi minuti dopo finalmente arrivò Lanie che, nonostante notò subito la presenza di quell'intruso, si prodigò ad occuparsi della vittima. Appena la voltò Beckett lo riconobbe subito come l'uomo pelato che aveva incontrato fuori del deposito il giorno precedente. Anche lui morto a causa di tre colpi al petto forse ucciso per lo stesso motivo di Miryck.

 

Una volta fatti i primi rilevamenti i quattro detective si accordarono per trovarsi subito al distretto e tirare le somme su quella nuova vittima. Ryan ed Esposito si attardarono con Lanie cosi da informarla su chi fosse il nuovo arrivato mentre Beckett lo accompagnava fuori dall'edificio. 

“Come sapevi del cadavere?”. Chiese mentre scendevano le scale, spiandolo con la coda dell'occhio. 

Castle manteneva gli occhi fissi sugli scalini davanti a se, tenendo le mani nascoste in tasca, fischiettando un motivetto a lei sconosciuto. 

“Ero collegato alla radio della polizia e quando ho sentito del ritrovamento ho pensato di rendermi utile dato che a casa mi stavo annoiando”. Spiegò lui parlando distrattamente, non essendo particolarmente interessato a quella conversazione.

 “Il capitano aveva detto che saresti dovuto arrivare settimana prossima”. Disse Beckett non preoccupandosi di nascondere la sorpresa e il fastidio causato da quella comparsa improvvisa. 

“Ho cambiato idea. Come detto mi stavo annoiando”. Giunsero alla porta d'entrata e lui gentilmente la tenne aperta cosi da permettere il passaggio della detective. 

“Farai nascere molti pettegolezzi al distretto. Ti riempiranno di domande una volta che sarai li”. Continuava a parlare Beckett cercando di comprenderlo, aiutandosi con le risposte che le dava ma, per ora, capiva solo che Castle era un tipo schivo e inaffidabile. 

“Per le domande mi stai già allenando adesso visto che me ne stai facendo una dietro l'altra”. Ribattè lui fermandosi contro una macchina e appoggiandosi alla portiera di quella incrociando le braccia.

“Avanti fammi quella domanda che ti sta martellando la testa dal secondo successivo a quando hai saputo chi ero”. La invitò lui a procedere volendo fin da subito mettere le cose in chiaro. 

“Perchè sei qui?” Chiese schietta lei fermandosi di fronte a lui, assumendo la sua stessa posizione. 

“Perchè avevo bisogno di nuovi stimoli e pensavo che qua a New York potevo trovarli e forse ci ho visto giusto”. Parlava con una calma che irritava la donna, il suo volto non lasciava trasparire la minima emozione quasi indossasse una maschera.

 “Non penserai che io creda a questa sciocchezza”. Questa volta fu Beckett a ridere, non credendo minimamente ad ogni parola pronunciato da Castle. 

“No. Però è l'unica verità che riceverai da me”. Replicò lui staccandosi dalla macchina e aggirandola cosi da mettersi dalla parte del guidatore. 

“Mi dovrai delle spiegazioni quando saremo al distretto”. Lo informò lei anticipandogli quello che sarebbe accaduto una volta tornati al 12th. Castle però scrollò il capo aprendo la portiera della macchina e iniziando a mettere una gamba dentro. 

“A te non devo nessuna spiegazione. Ne a te ne ai tuoi due colleghi. Mettiamo subito le cose in chiaro. Io sono qui a New York solo per lavorare non per fare chiacchiere da bar”. Detto questo salì del tutto in macchina, chiuse la portiera e partì in direzione del distretto lasciando Beckett immobile come una statua ad osservarlo sparire dietro l'angolo. La donna sbattè i piedi a terra furiosamente, se non fosse stata cosi sorpresa da quella risposta gliene avrebbe dette di tutti i colori. 

“Beckett tutto a posto?” Domandò Ryan che con Esposito e Lanie l'avevano raggiunta per strada. 

“No. Spero solo che trovi gli stimoli che vuole e poi se ne torni da dove è venuto”
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Prima Indagine ***


12th DISTRETTO

 Quando i tre detective arrivarono al distretto videro Castle chiuso nell'ufficio di Montgomery. I due stavano parlando di cose serie, ci volle poco a Beckett per intuirlo, le loro espressioni erano come dei libri aperti. Per di più era il detective che parlava mentre il capitano se ne stava sulla propria poltrona ad ascoltare. La donna si mise alla propria scrivania senza staccare gli occhi dai due, desiderando in quel momento di saper leggere le labbra per carpire le parole che si stavano dicendo. In quell'istante il nuovo arrivato si voltò in sua direzione e vedendola osservarli le regalò un ampio sorriso che la fece irritare maggiormente. 

“Ryan, Esposito ditemi qualcosa di utile”. Richiamò l'attenzione dei due uomini in cerca di una distrazione. 

“Petersen è stato ucciso con lo stesso modus operandi di Myrick e anche con la stessa arma”. Le disse Esposito alzandosi e compilando i pezzi mancanti sulla lavagna. 

“Ok sappiamo che Myrick chiamò Petersen in cerca di aiuto dopo quell'aggressione fuori dal bar. E che poche ore dopo è stato ucciso. L'assassino deve aver saputo di quelle telefonate e allora ha deciso di occuparsi anche di Petersen.”. Cominciò a riepilogare la detective, tirando le somme con i pochi elementi che avevano a disposizione. 

“Bhè ora viene la parte semplice. Trovare la persona che conosceva sia Myrick che Petersen, che sapeva di quest'aggressione, delle telefonate e che poteva trarre qualche profitto dalla morte dei due”. Li interruppè Castle che, nel mentre, aveva finito di parlare con il capitano e aveva raggiunto il trio. 

“Credo che quella sia una pista da scartare. Durante l''aggressione è stato chiesto ai due di restituire ciò che era all'interno del lotto quindi ciò che dobbiamo fare ora è trovare l'ex proprietario di quel container”. Lo corresse Beckett, la quale non vedeva di buon occhio quello spirito di iniziativa da parte di Castle dato che non conosceva i dettagli del caso ma a mala pena sapeva il collegamento tra le due vittime. 

“Mi metto subito a cercare”. Si addossò quel compito Ryan prendendo in mano il telefono. 

“Poniamo delle regole”. Disse Beckett indicando una sedia libera vicino alla sua scrivania a Castle che, senza farselo ripetere due volte, si sedette. 

“Sono tutto orecchie”.Confermò accavallando le gambe e poggiando le braccia sui braccioli della sedia in attesa. 

“Visto che è il tuo lavoro risolvere omicidi non posso negarti di fare ipotesi ma prima di farlo voglio che ti informi sul caso senza campare in aria le idee più strampalate”. Iniziò ad elencare tutte le cose che le venivano in mente. 

“Difficile, ma ci proverò”. Promise ora intento più a giocherellare con le cose sulla scrivania di Beckett che a prestarle attenzione. 

“Niente perquisizioni di scene del crimine senza che non ci siano gli altri detective li con te” 

“Ah senti da che pulpito viene la predica”. Affermò fingendosi offeso il giovane che, però, trovava tutta quella situazione divertente. 

“Non toccare le mie cose”. Disse strappandogli di mano una cornice con una foto della sua famiglia. 

“Ma è sempre cosi permalosa?”. Domandò Castle a Esposito mettendosi una mano davanti alla bocca, cercando in lui un po' di complicità ma che alla fine non ottenne.

“A quanto pare è una caratteristica del distretto”. 

“Non so come eri abituato a Los Angeles ma qui le cose sono diverse, non son tutte rose e fiori”. Gli ricordò Beckett appoggiando braccia sulla propria scrivania cosi da protendersi verso il nuovo collega e guardarlo minaccioso mentre gli andava sempre più vicino. 

“Tu non hai idea davvero di quanto siano diverse”. Rispose lui perdendo quella vena umoristica e diventando improvvisamente serio. Cambiamento che colpì Beckett da quanto fu repentino e alla detective non potè non sfuggire quella tristezza che ora gli si percepiva dagli occhi. In quel momento le venne naturale chiedergli il motivo di quel mutamento, fece per aprire la bocca e porre la domanda, ma Ryan glielo impedì. 

“Ho scoperto a chi era stato pignorato quel lotto. A un certo Igor Kasevic, uno scagnozzo che lavorava per la mafia russa. Dopo aver passato un paio di anni in prigione ha decido di uscire dal giro. Il Caravaggio sarà stata un ottima ragione per i due omicidi” 

“Perchè uccidere due persone? Perchè non rubare subito il dipinto?”. Si domandò Castle che vedendo lo sguardo minaccioso di Beckett mimò il gesto di cucirsi la bocca. 

“Sappiamo dove abita?”. Chiese Beckett ricevendo in cambio da Ryan un fogliettino con appuntato l'indirizzo. 

“Dato che dovremo lavorare insieme direi che è il caso che mi accompagni Castle. Cosi vedi come ci comportiamo noi a New York”. Lo invitò la detective che già aveva ripreso la sua pistola e indossato la giaccia, pronta a dirigersi vero l'ascensore cosi da raggiungere il parcheggio e prendere la propria macchina.

  

CASA KASEVIC 

“Igor Kasevic polizia di New York, apra la porta per favore”. Alzò la voce Beckett per farsi sentire mentre con la mano che non teneva sulla pistola bussava con violenza contro la porta. Castle intanto si era accovacciato sotto una finestra e sbirciava dentro di essa in cerca di movimenti. 

“Che stai facendo?”. Domandò Beckett alzando gli occhi al cielo.

 “Mi assicuro che non ci sia un fucile dietro la porta.” Vedendo lo sguardo pietoso che la detective gli stava mandando continuò a spiegare. “é capitato un sacco di volte che la polizia aprisse una porta e questa faceva scattare un meccanismo che infine faceva partire un colpo dal fucile e pum addio poliziotto”. La detective in quel momento fu quasi intenzionata a chiedergli se era davvero cosi o lo faceva apposta ma preferì concentrarsi sul loro sospettato. 

“Signor Kasevic non ci costringa a far irruzione”. Avvertì Beckett bussando ancora una volta quando, da dietro di loro, si senti una voce. 

“Che state facendo a casa mia?”. Domandò un uomo sui cinquant'anni, vestito con un abito elegante a righe e una valigetta tra le mani. Non era proprio l'aspetto di un tirapiedi di qualche mafioso. 

“Detective Beckett squadra omicidi” Disse la donna mostrando il proprio distintivo “e questo è il mio collega, il detective Castle”. Presentò l'uomo con fatica, sopratutto nel momento di pronunciare la parola collega. 

“Non ho chiesto chi siete ma che state facendo”.Ribadì lui la domanda appena posta a cui però non aveva avuto la risposta desiderata. 

“Vorremo parlare con lei riguardo un container che le era stato pignorato qualche anno fa e che pochi giorni fa è andato all'asta”. Gli comunicò Beckett il motivo della loro visita senza entrare troppo nei dettagli. 

“E allora, erano tutte cianfrusaglie”. Rispose lui visibilmente disinteressato della cosa. 

“Bhè non direi. Il Caravaggio non mi sembra una cianfrusaglia”. Gli ricordò Castle di quel piccolo particolare mentre si rimetteva in piedi accanto alla collega. 

“Cosa il dipinto?!. Un falso bello e buono che mi fece un mio amico per dare più stile alla mia casa, cosi mi disse. L'ufficio pignoramenti l'ha valutato 200 $”. Rise il russo diverito dal fatto che la polizia stessa si fosse fatta ingannare in un modo cosi semplice. 

A sentire quelle parole i due detective si guardarono più spaesati che mai. L'aggressore non poteva essere Kasevic, sapendo bene che il quadro era un falso perchè avrebbe minacciato Myrick e Dock per riaverlo, tanto meno che motivo aveva di uccidere il primo e Petersen. 

“Dove si trovava stanotte e ieri mattina intorno le 6?”. Domandò Beckett giusto per sicurezza volendolo escludere definitivamente dalla lista dei sospettati sia per la morte di Myrick che di Petersen. 

“Ero a Pasadena. Sono tornato proprio adesso con l'aereo”. Riposte irriverente l'uomo estraendo dalla tasca della giacca il biglietto aereo per avvalorare ulteriormente quanto stava affermando.

 

Beckett e Castle erano in macchina diretti al distretto con meno certezze ma più domande di prima. La donna se ne stava particolarmente silenziosa mentre l'uomo batteva nervosamente sia i piedi contro il tappetino che le dita contro il cruscotto. 

“Avanti parla”. Gli diede il permesso Beckett ormai quasi colpita da una crisi di nervi a causa del suo fare. 

“Bhè se proprio ci tieni ad avere una mia ipotesi. Allora Myrick e Dock vanno a quest'asta e si concentrano solo su quel container che contiene il Caravaggio, falso, ma peccato che loro non lo sanno. Vengono aggrediti e Myrick dice che può sistemare le cose ma viene ucciso. Colui che aveva chiamato per sistemare le cose viene ucciso anch'esso quindi ti faccio ancora quella domanda che hai ritenuto poco opportuna. Chi era l'unica persona che li conosceva entrambi e che poteva guadagnarci qualcosa dalla loro morte?”.Ripropose quella domanda l'uomo andandosi a girare, per quando gli fosse possibile, verso la donna. 

“L'unico è Dock, ma ha un alibi intoccabile quindi siamo al punto di partenza”. Rispose Beckett passandosi una mano nei capelli frustata. 

“Sicura sia l'unico?”. La invitò a rifletterci ancora sopra. 

“Bhè ci sarebbe l'uomo con il pizzetto. Quello che si occupava delle aste insieme a Petersen. È stato lui a dirmi del Caravaggio e sempre lui mi ha detto il nome del socio di Myrick. Ma perchè l'avrebbe fatto?”. Chiese Beckett al collega non essendo sicura di quel movente ma che al momento risultava l'unica opzione possibile non avendo di meglio. 

“Bhè era uno dei pochi che sapeva dell'esistenza del dipinto. Quando l'ha visto avrà pensato che valeva milioni di dollari e ha voluto cogliere l'occasione. Aveva modo di seguire i due, gli ha minacciati sperando di potersene impossessare. Però ecco che sente Myrick chiamare un uomo in cerca di aiuto, magari lo affronta e lo uccide. Il giorno dopo parlando con il socio viene a sapere che era lui l'uomo che aveva chiamato e allora preso dal panico fa fuori anche l'ultimo ostacolo che lo separa dalla sua fortuna”. Disse Castle tutto d'un fiato sperando di ottenere l'approvazione della collega.

 “Bhè c'è un piccolo particolare”. Puntualizzò lei approfittando del semaforo rosso per guardare il collega. 

“Il Caravaggio appartiene a Dock ora”. Specificò.

 “Allora è meglio che chiami Ryan ed Esposito e gli dici di controllare Dock prima che quell'uomo elimini davvero anche l'ultimo ostacolo.” 

Beckett non ci ponderò su più di un secondo e avverti subito i colleghi che si diressero all'istante al negozio dei Dock. 

 

12th DISTRETTO 

Castle stava osservando la tazza bianca riempirsi velocemente di caffè mentre respirando a pieni polmoni ne assaporava l'invitante odore quando Beckett, con passo silenzioso, si sistemò al suo fianco. 

“Ha confessato”. Disse solo portando le braccia dietro la schiena mentre Castle girava il caffè cosi da far sciogliere lo zucchero. 

“Bhè averlo scoperto con una calibro 38 davanti al negozio non giocava di certo in suo favore”. Constatò il detective iniziando a bere quel liquido nero. 

“Già a quanto pare il nostro uomo con il pizzetto, alias Damian Small, è stato colto da un raptus d'invidia e voleva a tutti i costi il Caravaggio. Ha confessato di aver seguito Myrick fino al parcheggio e quando questi non ha voluto dirgli con chi stava parlando e anzi l'ha minacciato di denunciarlo alla polizia ha preso la sua arma e gli ha sparato”. Riepilogò Beckett quanto l'uomo le aveva detto durante l'interrogatorio alla quale Castle non aveva assistito. 

“E Petersen?”. Domandò lui curioso andando ad appoggiare la propria tazza su un ripiano e tornando a utilizzare la macchinetta del caffè.

“Il giorno dopo i due stavano parlando del ritrovamento del corpo di Myrick e Petersen disse a Small di averlo sentito pochi minuti prima della sua morte e che gli aveva raccontato anche dell'aggressione fuori dal bar. Insospettito chiese a Small dove fosse finito una volta chiusa l'asta e dato che non era tanto convinto della sua risposta il nostro omicida pensò che il socio avrebbe chiamato la polizia e cosi ha preferito sbarazzarsene.Ormai cosi vicino alla metà l'abbiamo fermato in tempo prima che concludesse la sua opera”. Tirò le somme Beckett avendo ormai ricapitolato tutto ciò che era importante, tutto ciò che aveva portato Small a commettere gli omicidi. 

Castle annuì porgendo una tazza di caffè fumante alla collega che rimase colpita da quel gesto inaspettato. 

“Non male come primo giorno di lavoro. Anche se credo che senza di me non sareste riusciti a risolverlo”. Disse lui con orgoglio, uscendo dalla sala relax, lasciando sola Beckett che iniziò a soffiare sul caffè per raffreddarlo. Seguì con gli occhi il collega che con decisione si avvicinò agli altri due uomini e probabilmente fece una battuta che fece ridere Ryan e sorridere Esposito. Beckett pensò che forse l'aveva giudicato troppo presto ma comunque decise di non abbassare la guardia, c'erano molti più lati oscuri di quanti Castle stesso volesse far vedere e lei di certo avrebbe avuto una risposta per ogni domanda che si faceva su di lui. Presto o tardi avrebbe saputo la verità su Richard Castle.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Un nuovo caso ***


12th DISTRETTO 

Erano già passate diverse settimane da quando Castle si era unito alla squadra e piano piano era riuscito a conquistarsi la simpatia di molti con i suoi modi di fare. Beckett dal canto suo invece rimaneva più immune al suo fascino, nonostante avessero passato molte serate assieme a bere una birra o più semplicemente a vedere qualche film degli anni '80. La detective vedeva nel giovane cose che altri non volevano notare, sapeva che dietro ad ogni sua battuta, ad ogni suo sorriso, ad ogni suo comportamento c'era qualcosa di molto più profondo. Il fatto di essere a New York per cercare nuovi stimoli non l'aveva ancora convinta anzi, il fatto che Castle non rispondesse mai alle domande riguardanti Los Angeles, se non qualche piccola informazione monosillabica, le dava la conferma che il detective omettesse alcune verità importanti. Ogni giorno Beckett si convinceva che voleva sapere quello che nascondeva per la sua squadra, per non rischiare di metterla in pericolo per colpa dell'ultimo arrivato ma nel profondo sapeva che era un qualcosa per lei, Castle ormai era diventato il suo mistero da svelare. E ora, seduta alla propria scrivania, intenta a compilare alcuni rapporti riguardanti gli ultimi casi si concedeva ogni tanto di alzare lo sguardo e osservare il collega scherzare con alcune agenti nella sala relax, trafficata più del solito quando lui vi era presente. 

“Non ci rinunci vero?”. Domandò Esposito distogliendola dai suoi pensieri e sedendosi nella sedia di solito occupata da Castle. 

“C'è qualcosa che non va e il non sapere a cosa vado in contro non mi piace, non voglio trovarmi impreparata e poi quando mai ho rinunciato ad affrontare una sfida”. Rispose lei accennando un sorriso, staccando gli occhi dai fogli sulla scrivania per osservare il collega che scrollava il capo divertito. 

“Se vuoi sapere chi è basta chiedere lo sai. Ho qualche amico a Los Angeles che potrebbe darmi qualche informazione su Castle, mi basta una tua parola e lo chiamo”. Si mostrò disponibile il cubano avvicinandosi a lei e parlando a bassa voce non volendo far sentire a tutto il distretto i loro complotti. 

“No tranquillo. É solo una cosa mia in realtà, non serve smuovere mari e monti per una sciocchezza simile. Almeno per ora”. Disse Beckett appoggiandosi allo schienale della sedia pensierosa, aggiungendo una breve frase dopo qualche secondo di pausa.

“Se però noti che Castle crei più problemi del dovuto non esitare a fare quella chiamata”. 

Esposito annuì e si alzò dalla sedia per tornare alla propria scrivania e lasciare libero il posto a Castle che stava tornando con due caffè fumanti tra le mani.

 

“Uff mi chiedo se le donne di questo distretto abbiano mai visto un uomo”. Commentò appoggiando le tazze e cadendo sulla sedia tirando un lungo respiro di sollievo. 

“E chi sa quali pene ti possono causare tutte quelle signorine che hanno cosi tante attenzioni per te”. Un sorriso forzato si palesò sulla labbra di Beckett prima di andare ad assaggiare il secondo caffè della giornata. 

“Lo puoi ben dire, sono troppe da soddisfare e i giorni della settimana sono solo sette. Già stasera finito il lavoro ho un aperitivo con April e dopo cena mi trovo al pub con Rhonda. Tornerò a casa esausto ma sicuramente ne sarà valsa la pena”. Raccontò Castle del suo programma guardando il soffitto con aria sognante, accorgendosi solo all'ultimo che la collega si era alzata dalla sedia e non lo stava più ascoltando, ma si era messa a togliere le foto e a cancellare le scritte riguardanti l'ultimo caso dalla lavagna.

 “Potevi almeno far finta di essere interessata alla mia vita”. Commentò imbronciato lui fissandole la schiena. 

“Potevo, ma della tua vita non è che me ne importi”. Rispose la donna sempre dandogli le spalle e mettendoci più del dovuto a cancellare. 

“Strano, mi sembra invece che tu lo sia. Stai morendo dalla voglia di sapere più cose possibili su di me”. Castle sorrise quando la vide bloccare la mano che teneva il cancellino al centro della lavagna dopo aver sentito quella sua frase e allora decise di rincarare la dose.

“Se proprio vuoi conoscermi meglio possiamo sempre andarci a bere qualcosa. Offro io ovviamente. E li con il passare del tempo e dei cocktail verrai a sapere sempre più cose interessanti di me”. La buttò giù li il detective dondolando nervosamente la gamba e stirandosi i pantaloni con le mani per tenersi occupato.

 “E rovinare cosi i tuoi piani insieme ad April o Rhonda, no grazie”. Rispose Beckett appoggiando il cancellino e tornando a voltarsi verso il collega. Notò che per una frazione di secondo lui sembrava quasi che se la fosse presa per l' invito non accettato ma subito lasciò correre. Per quanto riguardava Castle, mentre cercava di non mostrarlo, era molto pensieroso a riguardo. Ogni donna al distretto era più che contenta ad accettare un suo invito, ad avere un amicizia anche fuori dal distretto mentre Beckett per lui doveva esistere come collega, ogni contatto esterno non era consentito e di questo ne era dispiaciuto anche se non l'avrebbe mai ammesso davanti a lei. 

“Di che parlavate te ed Esposito?” Chiese d'improvviso odiando quei silenzi prolungati e imbarazzanti che si creavano molto spesso tra di loro. Avrebbe parlato anche del tempo piuttosto che star li a guardarla senza far null'altro. 

“Di te”. La risposta schietta della detective lo lasciò sorpreso. Sapeva che era uno degli argomenti preferiti e i suoi comportamenti non facevano altro che aumentare il mistero su di lui ma non si aspettava che Beckett affermasse cosi con tanta tranquillità una cosa simile. D'altronde da quel poco che la conosceva aveva già intuito che lei non era come le altre, che non aveva peli sulla lingua e che non si faceva problemi a dire come stavano le cose, sopratutto se riguardavano lui. 

“Sono contento di esservi d'aiuto per farvi passare una giornata uggiosa come questa”. Affermò lui cercando di ritrovare quella vena umoristica che al momento sembrava averlo abbandonato ma quando doveva parlare di se stesso davanti alla detective in qualche modo ogni suoi pensiero si bloccava. Non era ancora pronto a farlo. 

“Visto che ormai è comprovato che della tua vita prima di New York non si può sapere nulla almeno rispondimi a questa domanda che forse mi aiuterà a mettermi il cuore in pace”. Cominciò a parlare Beckett mordicchiandosi il labbro e facendo anch'ella un lungo respiro cercando le parole migliori con la quale esprimersi ma preferendo alla fine essere schietta. 

“Bhè non serve essere cosi seri Beckett, mi basta solo un tuo schiocco di dita e annullo tutti gli appuntamenti con le altre e mi dedico solo a te. Il tuo cuore è al sicuro con me”. Scherzò Castle tirando fuori lo sguardo più sensuale che conosceva ricevendo in cambio solo un leggero spintone sulla spalla dalla donna. Ancora ci fu un attimo di silenzio e poi lei si decise a parlare. 

“Sei un pericolo per la mia squadra?”. Disse tutto d'un fiato fissando la tastiera davanti a se. Castle si fece cupo in un istante, non era di certo la domanda che si aspettava e l'esser considerato una mina vagante pronta a rischiare la vita dei suoi colleghi lo feriva ma sapeva che le colpe di quella domanda erano tutte sue ma pur di mantenere alcuni segreti era pronto a pagarne le conseguenze. 

“Se intendi nel senso che c'è qualche pazzo che mi vuol morto e che per questo sono scappato qua a New York allora puoi stare tranquilla, quelli son tutti in carcere”. Disse ridacchiando per poi tornare subito serio vedendo l'occhiataccia spazientita della collega. 

“No, non lo sono. Non permetterei mai alla mia squadra di rischiare qualcosa per colpa mia. Se è questo che ti preoccupata allora puoi eliminare subito quei cattivi pensieri dalla tua testa. Metterei in gioco la mia di vita piuttosto che rischiare la vostra”. Il modo calmo e deciso in cui parlava in qualche modo tranquillizzò la detective e l'aiuto a credere ad ogni singola parola da lui pronunciata. 

“Allora perchè sei qui?”. Disse a bassa voce, quasi fosse un sacrilegio pronunciare quelle parole.

 “Perchè lo vuoi sapere cosi tanto?”. Domandò lui di rimando capendo fino ad un certo punto tutta quella sua curiosità. In quel momento a loro sembrava di essere gli unici al mondo. Di esser stati inghiottiti in qualche buco nero e di esser gli unici presenti in quello spazio innaturale, tutto il resto intorno a loro era dimenticato. 

Beckett all'inizio non rispose ma poi preferì optare per la verità piuttosto che nascondersi dietro scomodi silenzi.

“Mi vien naturale applicare ciò che ho imparato sul lavoro anche alle persone. Cerco sempre di fare del mio meglio per capirle cosi da non domandarmi sempre del perchè fanno certe cose o si comportano in un certo modo. Continuo a chiederti del perchè sei qui, su chi sei veramente, cosi smetterò di domandarmi perchè non parli mai della tua vita, del perchè innalzi questo muro ogni volta che se ne parla, del perchè non ti fidi di noi”. 

Castle si sentiva come intrappolato da quello sguardo, dai suoi occhi verdi che lo tenevano tra le proprie grinfie, una parte di lui voleva parlare, liberarsi da quel peso ma sapeva che il farlo avrebbe richiesto un prezzo troppo altro e poi....

 

“Ragazzi abbiamo un altro omicidio”. Alle loro orecchie arrivò la voce cosi distante ma allo stesso tempo vicina di Esposito che gli parlava dalla propria scrivania. 

Beckett si guardò attorno qualche istante come spaesata e si mise a cercare tutto ciò che le era necessario sulla scrivania. Castle intanto si era già alzato e si era fatto dare i primi dettagli dal collega. 

“Andiamo”. Disse tornando a fianco della detective che ora si era alzata e gli stava annuendo. Tutto il tragitto in macchina fu silenzioso se non per quelle poche volte in cui Castle si era lamentato del fatto che lei non lo faceva mai guidare. Di tanto in tanto la fissava con la coda dell'occhio per osservarla mentre era intenta ad osservare il traffico davanti a loro ed a evitare i tassisti più imbranati che New York avesse mai visto. Castle deglutì e si bagnò le labbra. Se voleva davvero cucire con lei un rapporto che andasse oltre l'ufficio doveva fare il primo passo. In fondo di lei non sapeva nulla se non le poche cose dettagli da Ryan ed Esposito ma la sua curiosità voleva anche altro per essere saziata e con Beckett se volevi ricevere dovevi anche dare. 

“New York è la mia città natale”. Esordì d'improvviso che Beckett quasi non se ne accorse tanto era assorta nei propri pensieri. 

“Come scusa?”. Disse la detective non avendo ben capito le sue parole, o meglio, preferendo riascoltarle ancora una volta per aver la conferma di aver udito giusto. 

“Dicevo che sono nato a New York”. Ripetè appoggiando un piede sul cruscotto e il braccio destro sul ginocchio sollevato. Posa che la collega più volte aveva rimproverato ma che al momento le andava bene se in qualche modo lo aiutava a stare più a suo agio. 

“Mi sono trasferito a Los Angeles quando avevo circa 20 anni perchè mi dava più possibilità di far carriera. Ho abbandonato tutto per seguire i miei sogni. Sono tornato in città solo 6 mesi fa”. Il giovane guardava davanti a se, con gli occhi fissati sull'insegna luminosa del taxi che viaggiava davanti a loro. 

“Deve essere stata una decisione difficile. Lasciare tutto quello che avevi di caro alle spalle. Spero ne sia valsa la pena”. Commentò Beckett non sapendo bene fin che punto poteva spingersi, non volendo far rimpiangere a Castle quella piccola confessione. 

“Posso dire che molte cose in cui speravo le ho avute altre invece...”Lasciò la frase in sospeso appoggiando la testa al sedile e inspirando profondamente. “Diciamo che ho avuto qualche incidente di percorso” 

Beckett aprì e chiuse la bocca più volte indecisa o no se continuare quella conversazione su di lui ma in fine optò su tutt'altro per alleggerire un po' l'atmosfera. 

“Anche io un paio di anni fa dovetti far una scelta simile. Mi fu offerto di andare a Washington per seguire dei corsi particolari ma per quanto lo desiderassi quel bisogno non era tanto forte come quello di aver accanto le persone a cui voglio bene. In poche parole sono stata una codarda”. Disse lei a cuor leggero, non sentendosi più quel fallimento sulle spalle, avendo avuto con il tempo la certezza che la decisione presa era stata in realtà la migliore. 

“Trovo invece che tu sia stata coraggiosa. Hai accantonato i tuoi sogni per qualcosa di più importante”.Affermò Castle contento di conoscerla un pochettino meglio rispetto qualche ora prima, poco a poco forse si sarebbero aperti l'uno con l'altro. 

“Non ho accantonato i miei sogni”. Disse lei corrugando la fronte quasi offesa ma poi mettendosi a ridere. “Semplicemente ne ho creati di altri” 

Castle rimase leggermente a bocca aperta da quell'affermazione. Lo colpì in un modo che ancora non poteva capire. Gli ci sarebbe voluto ancora del tempo per comprendere cosa quella semplice frase volesse dire per lui.

 

Arrivarono infine alla via indicata da Esposito e non fu difficile trovare la casa incriminata dato che era circondata da auto della polizia. Mostrando i propri distintivi superarono alcuni poliziotti li di guardia e prima di varcare la soglia e smettere di essere Kate e Rick per diventare i detective Beckett e Castle lui l'afferrò delicatamente per un braccio e le sussurrò un “grazie” solo per lei, poi varcò la porta d'ingresso e sparì. Beckett ricambiò con un “prego” udibile solo da lei ma con un sorriso che alcuni poliziotti che la videro si chiesero cosa l'avesse fatto scaturire. 

Quando entrò nella camera da letto Beckett vide Lanie controllare il collo della vittima distesa sul materasso, ancora sotto le coperte, Castle invece stava facendo scorrere il dito indice lungo tutto il contorno della finestra, posta sul muro alla sua sinistra, in cerca di qualunque segno di effrazione. 

“Dimmi tutto Lanie”. Parlò la detective sistemandosi i guanti e raggiungendo l'amica vicino alla vittima.

 “Da quanto posso vedere è stata strangolata, una forte pressione alla gola quindi propendo più sia stato un uomo”. Iniziò a spiegare il medico le sue prime teorie. 

“Oppure una donna wresterl”. Fece eco Castle che ancora se ne stava dall'altra parte della stanza. Le due donne si guardarono, una divertita l'altra ormai priva di speranze. 

“La morte direi che risale tra le 23 e le 2 di notte ma non ne sono certa. Non ci sono segni di lotta e nemmeno sotto le unghie mi sembra di vedere tracce epiteliali.” Continuò Lanie prendendo una mano della vittima e ispezionandola. 

“Quindi doveva conoscere la vittima oppure l'hanno uccisa nel sonno ma mi sembra meno probabile, si sarebbe svegliata e lottato in qualche modo”. Sempre tenendo su i guanti la detective iniziò a ispezionare sotto le coperte, sotto il letto, dentro i cassetti in cerca di qualunque indizio mentre Castle si affacciava dalla finestra e si guardava attorno. 

“Uhm non vedo impronte sul terreno quindi trovo improbabile che siano passati da qui, inoltre la finestra non è stata manomessa. Chi ha trovato il corpo?”. Chiese Castle a un poliziotto della scientifica che passava vicino a lui una volta finite le sue considerazioni. L'uomo gli indicò una donna che stava camminando avanti e indietro dietro una porta che dava sulla cucina. Castle guardò la collega e poi si diresse in direzione della testimone.

 

“Buongiorno sono il detective Castle. So che è stata lei a ritrovare il cadavere. Che sa dirmi della vittima?”. Domandò cercando di ricordarsi le parole del suo istruttore, di cercare di mettere a proprio agio la persona senza metterle fretta. 

“Sarah, si chiamava Sarah Collins. Siamo, eravamo compagne di università. Abbiamo affittato questa casa più di un anno fa insieme ad altre due ragazze”. Iniziò a rispondere la giovane continuando ad asciugarsi le lacrime con un fazzoletto ormai impregnato. 

“Altre due ragazze? Mi può dire i loro nomi e dove posso trovarle?”. Estrasse cosi un taccuino dalla tasca interna della giacca pronto a prendere annotazione da passare poi a Ryan ed Esposito, esperti nel ritrovare persone. 

“Hope e Jennyfer ma non sono negli Stati Uniti, sono partite circa due settimane fa per un viaggio studio in Europa, torneranno agli inizi di dicembre. Eravamo solo Sarah ed io”. Castle appuntò tutto attentamente anche se sapeva che quelle informazioni non li erano utili, ma almeno aveano due sospettate in meno. 

“La prego si sieda e mi racconti di quando ha ritrovato il corpo”. Chiese ancora gentilmente Castle porgendo una sedia alla giovane cosi da non vederla continuamente andare avanti e indietro per la cucina. 

“Ho dormito a casa del mio fidanzato, Mark. Mi ha riportata a casa intorno le 10 che lui doveva andare in università a seguire un paio di corsi. Quando sono entrata e Sarah non mi ha risposto ho pensato che dormisse ancora allora mi son messa a studiare un po'. Quando non l'ho vista arrivare nemmeno a pranzo mi sono preoccupata e sono andata a chiamarla ed è li che l'ho trovata”. Fece a mala pena in tempo a finire la frase che ancora scoppiò in un pianto dirotto. Il detective sbuffò debolmente e poi, contro ogni regola, aprì credenza dopo credenza fin quando non trovò un bicchiere, lo riempì d'acqua e lo porse alla giovane e poi si inginocchio di fronte a lei. 

“Solo ancora un paio di domande. Per caso Sarah aspettava visite ieri sera? Qualche amico, un fidanzato magari?” 

La giovane scrollò violentemente la testa e si soffiò il naso prima di rispondere.

“Che io sappia no. Mi aveva detto che finito il turno al locale sarebbe tornata a casa e avrebbe studiato. Non aveva altri programmi”. 

“Dove lavorava?”. Castle si rimise in piedi ed osservò fuori dalla porta della cucina vedendo la collega intenta a parlare con alcuni poliziotti e Lanie in modo da accordarsi per il trasporto del cadavere. 

“In una pizzeria, faceva le consegne, se non ricordo male si chiamava “Average Mike”sulla 36th.” 

 

“Ho qualche informazione che alla fine potrebbe rivelarsi utile”. Disse Castle avvicinandosi alla collega mostrandole il taccuino. Beckett si limitò ad annuire e ad uscire dalla casa seguita dal collega visibilmente preoccupato. Prima che lui potesse chiederle cosa ci fosse che non andava Beckett gli rispose. 

“Nessuno ha ancora avvertito la famiglia e, da quanto ho visto, l'amica non credo sia in grado di farlo”. Spiegò prendendo il suo cellulare e iniziando a comporre il numero che i poliziotti le avevano fornito. Castle fece per seguirla vedendola allontanarsi dal gruppetto ma lei lo fermò posandogli una mano sul petto cosi da poter occuparsi di quel compito da sola. 

Castle sentì una mano sulla sua spalla e vide Esposito al suo fianco che come lui osservava Beckett intenta a chiamare i genitori di Sarah.“Fin da subito si è fatta carico di queste responsabilità. Ha un modo di fare, di star vicino ai famigliari che, per quanto sia possibile, rende meno difficile di accettare il tutto”. 

“Tutto a posto?”. Gli chiese Esposito quando lo vide particolarmente pensieroso. 

“Si, stavo solo ragionando”. Castle ricordò quelle volte in cui aveva perso qualche collega e il modo in cui i suoi superiori lo avevano avvisato. Era destino, si trovava al posto sbagliato nel momento sbagliato, ogni volta che escono di casa sanno che potrebbero non tornarci. Tutte belle parole, tutte scuse inutili di cui non si ha bisogno in quel momento. Beckett invece non confortava in questo modo ma prometteva che chiunque fosse stato l'avrebbe pagata, dava speranza la dove non ce n'era più.

 

“I genitori saranno qui domani cosi Lanie avrà finito con l'autopsia e loro potranno disporre del corpo come meglio potranno”. Disse Beckett tornando vicino a Castle.

“Allora non avevi qualche buona notizia?”. Chiese la donna afferrando il taccuino che era ancora nelle mani del detective che quasi non si accorse di quel movimento lesto. 

“La coinquilina di Sarah non era a casa ieri sera, è rientrata solo questa mattina, però mi ha detto che la nostra vittima aveva un lavoro. Potremmo iniziare da li, è l'ultimo posto dove l'hanno vista viva”. Spiegò Castle osservando la barella con su il corpo avvolto nel sacco nero essere portata dentro l'ambulanza diretta all'obitorio. 

“Ok andiamo”. Acconsentì Beckett dirigendosi verso la macchina quando il collega con una breve corsa la superò e si appiatti contro la portiera del guidatore. 

“Fai guidare me. Ti offro una pizza dato che stiamo andando in una pizzeria”. Cercò di comprarla per aver quel privilegio. 

“La macchina è mia quindi guido io”. Replicò Beckett cercando di scostarlo. 

“La mia non me la fai mai prendere”Affermò lui puntando i piedi a terra e aggrappandosi alla maniglia. Beckett però non cedeva e a lui non restava che una soluzione. 

“Morra cinese, chi vince guida”. Disse porgendole il pugno per iniziare il gioco. La donna lo guardò inarcando un sopracciglio ma poi cedette. Mossero le mani a destra e sinistra per tre volte e poi mostrarono i segni scelti. Castle carta, Beckett forbice. 

“Qua ci sono solo due opzioni o giochi sporco o mi leggi nella mente”. Bofonchiò lui serrando gli occhi e guardandola attentamente. 

“Dovrai imparare a perdere prima o poi”. Gli suggerì lei riuscendo a spostarlo e a salire in macchina.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Domande e tormenti ***




AVERAGE MIKE


“Ah ma che bella coppia. Guardate ho giusto un tavolo per due un po' appartato cosi nessun'altro presente della sala vi disturberà”. Si avvicinò a loro un ragazzo con una cresta verde e qualche piercing sparso su tutta la faccia ma dai modi simpatici che fece sorridere i due detective. In particolare Castle che rimase colpito dal tatuaggio che aveva tra il collo e la spalla, un cerchio una cui metà rappresentava la luna mentre l'altra parte era vuota.

“Detective Beckett polizia di New York e questo è un mio collega. Vorrei parlare con il proprietario se possibile”. Chiese la detective mostrando il distintivo mentre Castle iniziò a girovagare per la sala curioso di vedere tutte le foto dei ragazzi che erano appese ai muri. Il giovane cameriere si scuso e sparì dietro una porta da cui sbucò fuori pochi attimi dopo insieme ad un altro uomo. I due si dissero qualcosa mentre il giovane indicava con l'indice Beckett e poi andò ad occuparsi dei clienti mentre il proprietario andò in contro alla donna.

“Michael Gates. Jimmy mi ha detto che mi cercavate. Come posso esservi utile”. Disse l'uomo asciugandosi la fronte con uno straccio che teneva tra le mani e che Beckett in quel momento sperò non utilizzasse anche per pulirsi le mani tra la preparazione di una pizza e l'altra.

“Vorremmo parlare di un suo fattorino. Sarah Collins”. Iniziò a dire Beckett osservando di sott'occhi Castle che si era soffermato da qualche secondo su una foto e la stava guardando attentamente.

“Si Sarah lavora per me anzi tra poco dovrebbe essere qui che inizia il suo turno. Perchè ha fatto qualcosa?”. Chiese l'uomo visibilmente preoccupato tanto che Beckett capì che era all'oscuro dell'omicidio.

“Ha un ufficio nel quale potremmo parlare?”.L'uomo annuì e accompagnò la detective nel suo ufficio mentre Castle staccava una foto dal muro e la portò con sé avendo domande da fare al riguardo.

“Il corpo di Sarah è stato ritrovato questa mattina dalla sua coinquilina. L'ora della morte risale a poche ore dopo aver lasciato il lavoro. Sa per caso se aveva qualche problema con un collega o se doveva incontrare qualcuno finito il suo turno?”. Iniziò cosi il suo interrogatorio la detective cercando di carpire più informazioni dal signor Gates e arrivare  il prima possibile alla conclusione del caso.

“Bhè che lavorano qui sono tutti ragazzi che cercano di tirare su qualche dollaro per pagarsi l'università. Sono tutti amici e come fanno gli amici ogni tanto si litiga ma di certo nessuno l'avrebbe voluta morta. Per quanto riguarda i suoi programmi dopo il lavoro non so nulla. Non ero il suo confidente preferito”. Rise a denti stretti l'uomo che intanto si era seduto alla propria scrivania cercando di rendersi utile.

“Ma c'era qualcuno con il quale Sarah litigava più spesso?. Tipo questa persona qui” Affermò Castle ponendo sulla scrivania la foto che prima aveva staccato dal muro. Ritraeva tre ragazze sorridenti, e una di queste era proprio Sarah, ma Castle era più interessato a un ragazzo che c'era sullo sfondo e che sembrava fissare proprio la vittima in un modo poco amichevole.

“Questo è Willy. Un bravo ragazzo si è laureato da poco in architettura. Dovrebbe arrivare a momenti in effetti”. Disse l'uomo osservando attentamente la foto.

“E lui aveva problemi con Sarah?”. Domandò Beckett decidendo di seguire la pista fornitale da Castle.

“Bhè..”Cominciò a raccontare l'uomo asciugandosi ancora una volta il sudore e gettando questa volta lo straccio sulla scrivania e allontanandosi da essa con la sedia in modo da poter allungare le gambe davanti a lui.

“Quando Sarah è venuta a lavorare qui Willy si era preso una cotta per lei. Sono usciti qualche volta assieme ma poi finì tutto e il ragazzo non la prese bene. Chiesi anche a Sarah se voleva esser cambiata di turno cosi da non doverlo vedere ma lei rispose che non era necessario. Negli ultimi tempi anzi sembrava che le cose si fossero sistemate.”. A sentire quelle parole i due detective si guardarono per una frazione di secondo avendo tutti e due in testa la stessa idea.


“Buongiorno capo”. Udirono i tre una voce provenire da fuori l'ufficio e un ragazzo fare il suo ingresso. I due detective lo riconobbero subito. Willy. “Spero non si sia dimenticato che stasera finisco prima il turno”. Disse il giovane dondolandosi sulle punte e sfregandosi le mani l'una contro l'altra, non facendo caso ai due poliziotti .

“Ragazzo mio prima vorrei che facessi due chiacchiere con questi signori poi puoi anche andare”. Disse Gates alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso l'uscita, fermandosi qualche secondo sulla porta per dare una pacca sulla spalla al giovane. “Qualunque cosa ricordati che è sempre meglio dire la verità”. Consigliò a Willy prima di uscire e chiudere la porta cosi da lasciare ai tre un po' di privacy.

“Dove vuoi andare di bello Willy?”. Domandò Castle mettendosi contro la scrivania mentre Beckett si mise di fianco al ragazzo pronta a fermare una qualsiasi eventuale fuga.

“Non credo che a voi vi interessi”. Rispose il ragazzo mantenendo quell'aria da superiore che tanto faceva irritare il detective.

“In realtà a noi interessa più il tuo rapporto con Sarah”. Si intromise Beckett quando vide le occhiatacce che i due si stavano lanciando.

“Siamo colleghi”. Disse frettolosamente il giovane fattorino.

“Già solo colleghi mentre tu volevi qualcosa di più e quando lei non te l'ha dato hai provveduto come meglio credevi. Non è cosi?”. Domandò Castle avvicinandosi anche lui a passi lenti ai due, fino a fermarsi davanti al giovane che ora lo guardava con fare perplesso.

“Non so di che state parlando. É vero Sarah ed io non abbiamo avuto bei momenti in passato ma ora è tutto risolto”. Cercò di giustificarsi lui.

“Bhè ucciderla non credo sia un buon modo per risolvere le cose”. Quando il ragazzo sentì Beckett parlare di omicidio impallidì e si senti mancare le gambe tanto che scivolò a terra contro la porta.

“Sarah è morta”. Sussurrò nascondendo la faccia tra le ginocchia e mettendo le mani nei capelli.

“Bhè dovresti saperlo no. Avevi un buon motivo per ucciderla”. Replicò Castle abbassandosi alla sua altezza.

“Cosa?”. Alzò di nuovo il volto Willy guardando prima l'uno e poi l'altro detective con gli occhi pieni di lacrime. “Non l'ho uccisa anzi, Sarah ed io avevamo ripreso a frequentarci e stasera dovevamo partire insieme per andare qualche giorno a Boston”.

“Strano la sua coinquilina non ci ha detto nulla di questo particolare”. Affermò Beckett non ricordandosi di quel dettaglio.

“Nessuno lo sapeva, ci eravamo accordati qui, nel nostro spogliatoio. Doveva essere una nostra breve fuga, per stare un po' da soli dopo tutto quello che era successo”. Spiegò il giovane fissando il vuoto davanti a se, non riuscendo ancora a credere a quanto li fosse stato detto.

“Che è successo Willy?”. Chiese sempre Beckett questa volta con un tono di voce più calmo e gentile per tranquillizzare il giovane.

“Sarah ed io ci frequentavamo da qualche tempo poi d'un tratto mi ha lasciato per un altro. In seguito ha scoperto che questo era un bastardo e ci siamo riavvicinati e per questo volevamo partire stasera. Lei l'aveva lasciato un paio di settimane fa per stare con me.”Raccontò in poche frasi ciò che era accaduto. Castle lo guardò aggrottando la fronte, dubbioso sulle sue parole.

“Mi sa molto di bugia Willy. Un ottima scusa per coprire un omicidio. Dare la colpa ad un altro invece che ammettere di esser andati a casa di Sarah una volta finito il turno e averla strangolata”

“Non è quello che è successo”. Urlò ora il giovane rimettendosi in piedi di fronte a Castle volendo ad ogni modo provare la sua innocenza. “A che ora è stata uccisa?”. Domandò a Beckett fregandosi il naso.

“Tra le 23 e le 2 di notte”.

“Finito il turno sono andato con dei miei amici sulla 5th. C'è un torneo di calcetto notturno e poi siamo stati a festeggiare fino all'alba dato che questa mattina non dovevo lavorare quindi potevo dormire fin quando volevo. Mi hanno visto decine e decine di persone, non l'ho uccisa io. Amavo Sarah”. Disse rabbioso rivolto a Castle che però rimase impassibile, anzi si misè petto a petto contro il giovane troneggiandolo.

“Non ti immagini nemmeno quante volte l'ho sentito dire eppure...”. Castle sentì una mano sulla sua spalla intenta a fermarlo. Si voltò e vide Beckett che stava scrollando la testa per fargli capire che stava andando oltre.

“Meglio che non lasci la città magari avremo qualche altra domanda da farti”. Gli disse Beckett aprendo la porta e uscendo, trascinando con sé Castle.

“é solo un ragazzo Castle” Lo ammonì per il suo comportamento ma l'uomo quasi non se ne accorse di quel rimprovero.

“Il solo fatto di aver quanti ventiquattro,venticinque anni, non lo giustifica. Io alla sua età avevo già ucciso quasi dieci persone”. Appena quelle parole uscirono dalla sua bocca Castle si pentì subito di essersi lasciato cogliere dal nervosismo e aver detto cose che non doveva. Beckett lo guardò esterrefatta, non poteva credere alle parole che aveva udito. Lei fino ad ora non aveva ancora ucciso nessuno mentre Castle, dopo pochi anni che aveva iniziato a far il poliziotto era già a quota 10.

“Che cosa  significa Castle?”. Chiese spiegazioni lei cercando di tenere bassa la voce cosi da non disturbare ne i camerieri ne i clienti della pizzeria.

“Significa che non mi devi far domande”.Detto questo il detective si allontanò dirigendosi al bancone, lasciando la donna in mezzo alla sala, con la testa piena di molte domande e ben poche risposte.

“Signor Gates potrebbe dirci dove ha effettuato le consegne Sarah ieri sera. Il suo assassino potrebbe essere uno di loro”. Chiese Castle al proprietario intento a preparare un pizza, versandoci sopra abbondante salsa di pomodoro.

“Certo ve la posso anche dare ma i nostri sono clienti affezionati, tutte famiglie. Dubito che l'assassino sia uno di loro”


“Scusa non avrei dovuto alzare la voce. Solo che a volte non ragiono e agisco d'istinto.”. Si rivolse Castle alla collega una volta usciti dal locale, fermi sulla strada mentre Beckett scorreva con lo sguardo l'elenco dei clienti a cui la vittima aveva consegnato le pizze la sera precedente.

“Ho notato, in particolare quando si parla della tua vita”. Commentò la donna senza staccare gli occhi dal foglio ma poi trovando il coraggio di guardare l'uomo che le stava a fianco.

“Hai davvero ucciso 10 persone?” Chiese tutto d'un fiato. Una parte di lei voleva sentire la risposta un altra parte non voleva far altro che girarsi e correre via il più lontano possibile e dimenticarsi di quella domanda, di quella affermazione fatta da lui all'interno del locale. Castle si mise le mani in tasca e fissò a terra, schiacciando con la scarpa un sasso e prendendosela con lui, scaricando la tensione che gli stava attraversando il corpo. Da quando era tornato a New York quei momenti di frustrazione lo avevano sempre accompagnato durante la giornata, gli avevano detto che era normale dopo tutto quello che gli era accaduto ma lui ancora non riusciva ad abituarsi.

“No”. Disse cosi debolmente che Beckett quasi non lo sentì. La donna fece per tirare un respiro di sollievo ma lui aveva ancora altro da dire.
“Ne ho uccise di più”. All'uomo bastò vedere l'espressione senza parole della detective per capire che altre spiegazioni non sarebbero servite a cambiare le cose perciò prese e si incamminò verso l'auto. Una volta giunto li aspettò diversi minuti prima che la collega lo raggiunse. Beckett non disse nulla, nemmeno lo guardò per tutto il tragitto verso il distretto. Una volta giunti li diedero i nominativi a Ryan ed Esposito chiedendo loro se potevano andare a controllare gli alibi di ognuno. La detective non aveva le forze per farlo. In quel momento voleva solo stare da sola per questo appena i due colleghi se ne andarono lei corse in bagno e si chiuse li dentro non volendo passare ancora del tempo da sola con Castle. Non per paura di lui ma perchè sapeva che la situazione sarebbe stata insostenibile per entrambi.

Castle alzò la manica della giacca quanto bastava per scoprire l'orologio e guardò l'ora. Beckett se ne stava rinchiusa in bagno da più di venti minuti e non ci volle molto per l'uomo a capire che la causa era lui. Si alzò dalla sedia e si bevve un ultimo sorso di caffè prima di andare anche lui nei servizi delle donne, cosi da poter parlare con Beckett indisturbato. La detective sentì la porta aprirsi ma non si mosse pensando che fosse qualche poliziotta ma si irrigidì quando senti la chiave far scattare la serratura.

“Sai tra poco inizieranno a chiedersi perchè te ne stai in bagno da cosi tanto tempo”. Disse il detective osservandosi alla specchio, aprendo l'acqua del rubinetto e bagnarsi la mano destra per poi andare a sistemare una ciocca ribelle sulla fronte. Beckett ascoltava tutto quello che succedeva sempre rimanendo chiusa nel bagno, senza parlare, quasi senza respirare.

“Ho solo risposto alla tua domanda, dovevi mettere in conto che poteva anche non piacerti”.Affermò Castle dopo diversi minuti di silenzio. Aspettò appoggiato a un lavandino che una delle 5 porte presenti si aprisse ma nulla. Beckett sembrava quasi non esserci.

“Non pensavo che tu fossi..”. Riuscì a trovare un po' di fiato lei per poi bloccarsi cercando la parola migliore con la quale definirlo.

“Un serial killer?. No, non lo sono, a differenza sua mi è concesso eliminare chi cerca di far fuori me. Io ho la licenzia di uccidere come James Bond”. Disse Castle ridacchiando a quella battuta che però Beckett non la colse come tale.

“Un semplice agente della omicidi non può uccidere cosi tante persone in quanti?!5-6 anni di lavoro. E tanto meno credo che Los Angeles sia un campo di battaglia”. Affermò la detective alzando la voce cosi da riuscire a farsi sentire dal collega al di la della porta ma, al contempo, ringraziando quel pezzo di legno che li separava e che le permetteva di parlare con cosi tanta fiducia.

“Diciamo che sono bravo a finire nei guai e se devo scegliere tra la vita di uno spacciatore e quella di un mio collega la scelta mi pare ovvia. Ed è per questo che anche un agente della omicidi può finire a uccidere più persone di altri”. Andò a dire in sua difesa Castle, cercando spiegare quel numero che alla detective sembrava cosi elevato per persone che avevano a che fare con già dei cadaveri.

“Ma tu non sei un semplice agente della omicidi non è vero?”. Domandò ad un tratto Beckett. Nella sua mente si stavano affollando troppe informazioni e tutte le portavano a quella conclusione. Se Castle fosse stato un semplice agente perchè tutta quella segretezza. La detective aspettò e aspettò una qualsiasi risposta che però non venne. Appoggiò anche l'orecchio alla porta cercando di percepire qualunque minimo movimento ma nulla. Si decise allora di aprire la porta e vide Castle sollevare leggermente la testa e incrociare il suo sguardo. Rimasero li per quasi un minuto a guardarsi negli occhi senza dirsi una parola. La detective stentava a credere che un uomo come lui fosse un cosi letale assassino, tutto di lui sembrava dire il contrario eppure l'apparenza a volte inganna e lei non doveva abbassare troppo la guardia. Il detective si diede una leggera spinta con le mani contro il lavandino e si diresse verso la donna fino a quando non fu di fronte a lei. A Beckett venne in mente il loro primo incontro, quando si erano trovati nella stessa situazione. Lei spalle al muro e Castle a cosi pochi centimetri di distanza, tanto che poteva sentire il suo respiro contro il proprio viso.

“é meglio che tu non sappia chi sono, ti risparmieresti non sai quanti tormenti”. Quelle sue risposte enigmatiche, che facevano sorgere sempre più domande, riuscivano a provocare in lei solo un gran mal di testa. Castle tornò verso la porta quasi trascinando il proprio corpo, qualcosa lo stava trattenendo e nemmeno lui riusciva a comprendere cosa.. Posò una mano sulla chiave pronto a girarla cosi da aprire e uscire da quelle quattro mura che gli ricordavano tanto una prigione ma ancora non riusciva a trovare la forza, si sentiva in debito con Beckett per qualche strana ragione. Forse per l'interessamento che mostrava nei suoi confronti, ben pochi, a parte la sua famiglia, gli erano stati cosi vicini come la detective in quelle ultime settimane. Non era il semplice parlare di cose senza senso tra un caso e un altro, ma anche per i silenzi che si concedevano, gli sguardi complici che si scambiavano, i dubbi che si rivelavano l'un l'altro.

“C'è una cosa di me che devi aver ben chiara Kate”. Esordì Castle chiamando la collega con il proprio nome, cosa che non aveva mai fatto in quelle settimane e che la lasciò colpita.

“La mia vita è un fardello pesante e la mia famiglia già ne deve sopportare il peso. Non voglio che altri soffrano a causa di chi sono”. Confessò l'uomo con una tristezza negli occhi che lasciava trapelare molto altro. Beckett lo capì subito, mai come allora comprese il significato della frase “gli occhi sono lo specchio dell'anima”. Castle era tormentato dal suo passato e pur di non condividere il suo dolore con nessuno era pronto a soffrire in silenzio. Lei però non voleva permetterglielo.

Castle non fece caso ai molti sguardi che i poliziotti gli lanciarono quando mise piede fuori dal bagno delle donne, nemmeno diede retta ai sussurri che seguirono il momento in cui Beckett uscì da quella stessa porta pochi minuti dopo di lui. Entrambi si sedettero sulle proprie sedie e non si dissero più nulla.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Paure ***


CAPITOLO 5

 

Circa una mezz'ora dopo Ryan ed Esposito tornarono con un uomo ammanettato. Fecero cenno ai due colleghi di seguirli mentre l'irlandese portò il sospettato nella sala interrogatori prima di lasciarlo solo e raggiungere gli altri tre. 

“Bruce Raven. Quando siamo andati a casa sua ha tentato la fuga dalla finestra ma siamo riusciti a fermarlo. Quando gli abbiamo chiesto di Sarah ha negato tutto ma il tentativo di scappare non lo mette in buona luce”. Disse il cubano mentre Beckett fissava l'uomo seduto e ammanettato che implorava di esser lasciato andare, dichiarandosi innocente. 

“Ok trovatemi tutto quello che potete su di lui mentre io ci parlo insieme”. Disse la detective uscendo dallo stanzino ed entrando nella sala interrogatori. 

“Signor Raven conosceva Sarah Collin?” Chiese la detective senza nemmeno presentarsi all'uomo.

 “Certo. Ogni tanto viene a consegnarci le pizze che ordiniamo da Mike”. Rispose l'uomo che dall'agitazione che aveva mostrato appena arrivato ora la detective lo notò stranamente tranquillo. 

“Sarah è stata uccisa ieri sera e quando i miei detective sono venuti per farle domande riguardo lei è scappato. Sa dirmi il motivo?”. Domandò Beckett andandosi a sedere di fronte all'uomo cosi da osservare ogni sua minima reazione e capire se stesse mentendo o meno. 

“Wow wow, io non c'entro con l'omicidio di Sarah, nemmeno sapevo fosse morta”. Affermò Raven alzando le mani ammanettate verso la donna e bloccando ogni suo dire puntandole il dito indice contro.

 “Ieri sera mi ha consegnato una pizza ma quando è andata via era più che viva” . 

 

Intanto Castle era uscito dallo stanzino e si era diretto di nuovo alla scrivania aiutando Ryan a cercare qualche informazione in più su Raven. Passando accanto alla lavagna notò solo ora che erano state aggiunte alcune foto. Il collega vedendolo cosi intento a fissarlo andò a spiegare. 

“Ce le ha mandate Lanie mentre eravate in pizzeria. Pensavo le aveste viste.” 

Castle negò col capo senza staccare gli occhi dalle foto quanto su una di esse notò qualcosa di interessante. La staccò e si precipitò da Beckett. 

 

“E allora perchè ha tentato di scappare quando i detective hanno bussato alla sua porta?”. 

L'uomo deglutì e iniziò a tremare impaurito. Vedendo che ancora una volta, nel giro di pochi minuti, il suo stato d'animo era cambiato Beckett cercò di tranquillizzarlo. 

“Signor Raven se non vuol essere accusato di omicidio deve dirmi perchè è scappato” 

“Mio cugino stamattina è stato arrestato mentre cercava di vendere dei televisori rubati. Alcuni li ha nascosti in casa mia e quando ho sentito polizia pensavo fossero venuti per quello. Allora mi son fatto prendere dal panico e ho tentato di scappare. Non sono un ladro, stavo solo cercando di aiutare Andrew, non volevo far nulla di male. Vi prego non ditelo a mia moglie, è una brava persona, non voglio che finisca nei guai a causa mia.”. Dichiarò l'uomo facendo solo una gran pena a Beckett che mordendosi la lingua gli diede un consiglio. 

“Facciamo cosi. Lei in un modo o nell'altro restituisce quei televisori e io faccio finta di non sapere nulla di questa storia. Intesi?”. Chiese conferma all'uomo che annuì vigorosamente ringraziandola ancora e ancora quando sentirono bussare alla porta. Castle entrò con la foto in mano e la mostrò alla collega. 

“Che ti ricorda?” Disse soltanto lasciando che Beckett ci arrivasse da sola. La detective scrutò con attenzione quel particolare della schiena della vittima quando d'improvviso riuscì a collegarlo con quanto aveva già visto. 

 

AVARAGE MIKE

 

“Detective spero abbiate trovato l'assassino di Sarah?”. Domandò speranzoso Gates quando li vide entrare nella sua pizzeria. 

“Crediamo proprio di si”. Disse tutto sorridente Castle osservando uno per uno i ragazzi che stavano lavorando. 

“Jimmy avremmo due parole da scambiare con te”. Disse Beckett osservando il ragazzo che ai due era sembrato cosi simpatico e che invece ora poteva essere un assassino. 

“Non ho nulla da dire su questa storia”. Parlò il ragazzo con i capelli verdi, masticando voracemente la cicca che teneva in bocca. 

“Che succede detective?”. Domandò Willy che era appena arrivato da un altra consegna e si stava prendendo una pausa sorseggiando un po' di Coca Cola fresca. 

“Abbiamo trovato un tatuaggio sulla schiena di Sarah”. Continuò Beckett prendendo l'ingrandimento della foto che teneva sotto il braccio e facendolo vedere a Jimmy, il quale sembrava più nervoso. 

“é molto simile al tuo”. Gli disse Castle indicando quello che aveva tra il collo e la spalla. “Ma mentre al tuo manca una metà ovvero il sole e lei manca l'altra metà, la luna, che invece hai tu. Eri tu il ragazzo misterioso con cui si frequentava non è cosi”. Affermò Castle e ancora prima che i due detective potessero reagire Willy si lanciò contro l'altro giovane, iniziando a inveirli contro e a picchiarlo. Castle e un altro ragazzo si avvicinarono ai due e tentarono di dividerli mentre ancora volavano parole grosse. 

“Perchè hai dovuto ucciderla?” Gli urlò contro Willy cercando di liberarsi dalla presa di Castle cosi da mettere a segno qualche altro pugno. 

“Perchè aveva scelto te. Un insulso moscerino come te quando invece poteva avere me, poteva avere tutto”.Gli ringhiò contro Jimmy senza nemmeno accorgersi di essersi appena autoaccusato ma ai due detective questo era più che abbastanza. 

“Jimmy sei in arresto per l'omicidio di Sarah Collins”. Disse Beckett avvicinandosi al ragazzo che si impietrì nel sentire quelle parole e si fece mettere le manette senza accennare la minima protesta.

  

12th DISTRETTO

 Beckett aveva appena finito di compilare il rapporto mentre gli altri si godevano i complimenti da parte di Montgomery per un altro caso risolto quando Castle arrivò portandole un altro caffè. 

“Questo è leggero, non fa bene altrimenti berne troppi”. Disse porgendoglielo. 

La detective ne assaggiò solo un sorso prima di posare il bicchiere e rivolgersi al collega. 

“Mi dispiace per oggi, per quanto ti sono stata addosso, con quelle domande, ti ho assillato. Ma ti prometto che sono finite. Non ti chiederò più nulla a meno che non sia tu a dirmi chiaramente che vuoi parlare della tua vita”. Affermò prendendo una mano dentro l'altra, appoggiandosi sulla scrivania. 

“Grazie. Mi fa stare meglio saperlo”. Ridacchiò Castle, ma Beckett capì che era una risata nervosa ma, dato che aveva appena promesso, non fece alcuna domanda. Si alzò dalla sedia e raccolse tutte le sue cose. Fece per andarsene quando si fermò, voltandosi ancora una volta verso il collega. 

“A parte tutto, comunque, quando avrai bisogno di parlare, di qualunque cosa, anche del tempo se vuoi, per te ci sarò sempre”. Castle rimase sorpreso da quella sua disponibilità cosi espressa. Sapeva che Beckett gli era vicino, glielo aveva dimostrato, ma sentirselo dire era tutta un altra cosa, gli faceva provare altre sensazioni. 

“Lo farò”. Furono le uniche due parole che riuscì a pronunciare mentre la detective gli sorrideva simpaticamente. 

“A domani”. Lo salutò andando verso l'ascensore sempre seguita dagli occhi dell'uomo che non la lasciarono nemmeno per un secondo. Da quando era arrivato al distretto quella fu la prima volta che provò la sensazione di esser veramente a casa.

 

 CASA CASTLE

 

Castle non fece nemmeno in tempo a chiudere la porta di casa che sua madre gli corse quasi in contro. 

“Ah eccoti finalmente tesoro, stavo iniziando a preoccuparmi”. Gli disse Martha perdendo quasi subito l'interesse per lui ma concentrandosi a sistemare una collana di perle. Castle sorrise e andò ad aiutarla fissandola attraverso lo specchio. 

“Tranquilla mamma. Solo un caso che è andato per le lunghe.”Gli disse lui dandole un fugace bacio sulla nuca. Martha l'afferrò per un braccio e gli impedì di allontanarsi da lei. 

“Sicuro che sia tutto a posto?”. Domandò lei visibilmente preoccupata in particolare a causa della strana espressione che poteva leggere sul volto del figlio. 

“Solo una dura giornata a lavoro, giuro”. Martha sospirò ma gli volle credere e in mezzo secondo tornò ad essere la solita donna di mezza età intraprendente, solare e un po' pazza. Castle sorrise e andò a rifugiarsi nel suo studio. Gettò la giacca sul divano e accese il pc mentre si versava un bicchiere di whisky. Ne bevve due sorsi quando sentì il suono dell'avviso di chiamata provenire dal computer. Appoggiò il bicchiere sulla scrivania e si andò a sedere portando l'apparecchio sulle proprie ginocchia, accettando la chiamata. Sullo schermo comparve un volto di un uomo dai capelli brizzolati e un paio di occhiali che al detective gli ricordavano spesso quelli di Poirot.

 

“Ciao Richard”.Salutò l'uomo che si poteva vedere era all'interno di uno studio e sulla parete dietro di lui si potevano notare decine e decine di lauree e attestati. 

“Dottore, quanto tempo che non la vedo”. Disse Castle non troppo felice, riprendendo il bicchiere e finendo il whisky in un unica golata. 

“Dovevamo sentirci 7 giorni fa. Lo sai qual'è l'accordo, ogni 2 giorni, massimo 3”. Lo rimproverò l'uomo pulendosi gli occhiali con un pezzo di stoffa azzurro. 

“Sono stato molto impegnato e lei, glielo posso assicurare, non era nei miei pensieri più frequenti”. Ribattè Castle in tono ostile. 

“Era questo che temevo. In pochi giorni hai quasi buttato via mesi di lavoro. Ti stai di nuovo chiudendo in te stesso. Non ti fa bene per la terapia, devi parlare lo sai”. Gli fece la paternale il dottore rendendo il detective ancora più irritato. 

Castle rimase silenzioso e i due rimasero li a fissarsi, quasi a fare una gara a chi resisteva di più senza abbassare lo sguardo. 

“Sono stati giorni pieni, in particolare questo. Al distretto ho avuto altro a cui pensare e se non fosse stato per la sua chiamata non ci starei a pensare nemmeno adesso”. Affermò Castle appoggiando sulla scrivania il portatile per andarsi a riempire di nuovo il bicchiere di whisky. 

“Ma lo sai, pensare ad altro non ti aiuterà a cancellare quello che è successo per questo sono qua io con te. A tua disposizione per sentire ogni tuo pensiero a riguardo”. Castle approfittò del fatto di non esser visto per fare il verso del pappagallo all'uomo, sussurrando a bassa voce le stesse parole da lui appena pronunciate. 

“Rick di qualcosa, parlami”. Si sentì ancora la voce del dottore preoccupato di quell'improvviso silenzio che si protraeva da quasi un minuto e il fatto che non riusciva a vedere Castle lo preoccupava ancora di più. 

“Oggi quella mia collega, Beckett, ha insistito ancora perchè le dicessi chi sono”. Enunciò ad un tratto il giovane tornando a sedersi alla scrivania, incuriosendo il dottore con quell'affermazione. 

“E tu le hai detto chi sei?”. 

“Lo sa che non posso. Finiremmo nei guai sia io che lei”. Gli fece notare il detective andandosi ad appoggiare allo schienale della sedia fissando il soffitto. 

“E che le hai detto allora?” Insistette il dottore volendo capire il rapporto che incorreva tra i due. 

“Che ho ucciso delle persone e che saper della mia vita potrebbe metterla in pericolo”. Cercò di sorridere Castle ma sapeva che era un eventualità che non doveva del tutto scartare, stavano giocando con il fuoco e il rischio di brucarsi era alto. 

“Scommetto che non è quello che voleva sentirsi dire”. Ridacchiò il dottore prendendo qualche appunto sul proprio taccuino cosi da valutare eventuali miglioramenti. 

“No, ma a quanto pare è servito a calmarla. Ha promesso di non farmi più domande di questo genere”. Continuò a dire Castle fissando ora il liquido che faceva roteare all'interno del bicchiere. 

“ E tu ne sei felice o no? Sei contento che lei non ti faccia più queste domande?”. Continuò a tastare il terreno il dottore per capire fin dove poteva spingersi e a che pro poteva utilizzare Beckett. 

“Non saprei”. Rispose Castle stupito anche lui da quanto aveva appena affermato. In fondo non voleva altro che non esser più tartassato da quelle domande eppure. 

“Perchè Rick?. Sii sincero con me ma sopratutto con te stesso” 

“Quando parlo con lei, dottore, di quanto mi è successo ero arrabbiato con lei, con Johnson, con tutti quelli che non mi lasciavano solo. Quando invece parlo con Beckett l'unico con cui sono arrabbiato è me stesso perchè non riesco ad essere sincero con lei”.Spiegò Castle dicendo per la prima volta dopo mesi quello che sentiva veramente. 

“Sai se credi che Beckett ti possa essere utile per la tua guarigione allora dovresti procedere per quella strada”. Gli consigliò il dottore solo per ricevere una brutta occhiataccia da parte del detective. 

“Non voglio che sappia. Non deve sapere”. Era serio, forse come non mai lo era stato in tutta la sua vita. Contrasse la mascelle e strinse ancora più forte il bicchiere desideroso di romperlo per alleviare le sue sofferenze. 

“E perchè mai?”. Chiese ancora il medico fissando attentamente il volto di Castle per capire il momento in cui avrebbe fatto segno. 

“Perchè hai paura di Jonhson? Perchè una volta saputa la verità pensi che Beckett non ti voglia più vedere? Perchè potrebbero costringerti a tornare a Los Angeles?”. Ad ogni domanda Castle o alzava le spalle o rideva divertito. Non era nulla di ciò che gli dava fastidio. 

“Perchè dovresti dare molto spiegazioni di quello che ti è successo?”. Tentò ancora e ancora il dottore. 

“Forse se glielo dicessi mi toglierei tanti tarli dalla testa. Una volta raccontata la verità non dovrei più vivere con il peso di ciò che sto nascondendo, anche se..”. Affermò Castle tornando a bere il whisky e socchiudendo gli occhi. 

“Hai paura che abbia pietà di te? O peggio ancora, temi che vedendoti ti possa trovare ripugnante?”. Quando Castle sentì quella domanda aprì di scatto gli occhi e il dottore capì di aver colpito nel segno. Capì il motivo per cui non voleva dire ai suoi nuovi colleghi, e in particolare a Beckett, il motivo per cui era stato trasferito a New York.

 “Rick, Richard guardami”. Lo invitò il dottore con voce calma e compassionevole fino a quando il giovane non si voltò verso lo schermo. 

“Più volte mi hai descritto Beckett e l'hai sempre elogiata, anche i suoi difetti alla fine li ritenevi dei pregi e per questo ora ti chiedo un piccolo sforzo.” 

“E quale?”. Chiese il detective come se da quello dipendesse la sua stessa vita. 

“Convinciti che lei non è Abby. Beckett non sarà mai come lei. Ogni volta che pensi a Kate, a com'è Kate, hai la conferma di ciò. Non punirla per cose che non ha fatto Richard. Beckett non ha colpe se non quelle di cercare di capirti e starti vicino. Ricordati ragazzo mio. Lei è Kate, semplicemente Kate”.Castle ponderò su quelle parole per qualche secondo prima di ringraziare il dottore e interrompere la chiamata. Si alzò dalla sedia sempre con il bicchiere in mano e si mise ad osservare fuori dalla finestra il cielo che stava diventando sempre più scuro e le prime gocce di pioggia infrangersi contro i vetri del suo appartamento.

 “Semplicemente Kate”. Sospirò l'uomo pensieroso. “Dottore lei non ha idea di quanto si sbaglia”. Affermò Castle nascondendo un sorriso dietro il bicchiere.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Arrivi e partenze ***


12th DISTRETTO

 

Beckett aveva mantenuto la promessa fatta di non far più domande sulla vita di Castle e nei tre mesi successivi tutto sembrò andare a gonfie vele. Castle si ambientò del tutto al distretto e venne accettato da tutti, anche da Esposito, nonostante questi non perdeva occasione per rimproverarlo per il suo modo di pensare un po' troppo bambinesco alle volte. Beckett, dal canto suo, si ritrovava ogni tanto a ripensare al giorno in cui Montgomery l'aveva informata del nuovo acquisto della squadra e si stupiva ogni volta di come era stata poco civile nei confronti del collega agli inizi ma, infine, contenta di come erano andate a sistemarsi le cose. 

“Andiamo Beckett. Lo so che ti piace passare il tempo a far quei sogni molto dettagliati su di me, ma almeno non mentre lavoriamo”. La distrasse dai suoi pensieri Castle che, diversamente da altre volte, non le portò il caffè ma un take away cinese. 

“Pollo alle mandorle per la signora e gamberi fritti per me”. Disse aprendo il suo contenitore mugugnando qualcosa quando annusò il profumo invitante dei crostacei. 

“Dovremmo concentrarci sul caso sai”. Gli ricordò lei indicando la lavagna con su scritti i dettagli di un nuovo caso. 

“Si ragiona meglio a stomaco pieno”. Rispose Castle senza pensarci su due volte, porgendole il suo paio di bacchette e iniziando a divorare il proprio pasto. Vedendo il collega godersi quella pietanza e sentendo il suo stomaco incominciare a brontolare alla fine Beckett rinunciò ai suoi propositi e si mise anche lei a mangiare, scambiando nel mentre due chiacchiere con l'uomo. 

“Non abbiamo trovato nulla. Nemmeno la minima informazione su Hackett”. Disse Ryan arrivando dall'ascensore mentre Esposito aggirò Castle e, prima che questi potesse reagire, gli rubò un gambero e se lo mangiò in un sol boccone. 

“Ehi, quello era mio”. Affermò il detective infilzando il collega in un fianco con le bacchette mentre il cubano decise di pulirsi le dita unte sui capelli dell'uomo. 

“Ah ma che schifo”. Si alzò Castle dalla sedia leccandosi tre dita della mano, pronto a schiaffeggiarle contro la guancia del collega per vendicarsi. 

“Basta bambini, abbiamo del lavoro da fare”. Li interruppè Beckett senza nemmeno scostare lo sguardo dal pollo davanti a lei. Esposito mugugnò le sue scuse mentre Castle approfittò di quell'attimo di distrazione per porre finire alla sua opera, andandosi poi a nascondere di corsa dietro la donna per evitare cosi ulteriori ritorsioni.

 “Hackett non può essere un fantasma. Dobbiamo sapere dove viveva, dove lavorava, non possiamo basarci solo della parola di un cameriere che lo serviva ogni mattina. Cerchiamo altro”. Incoraggiò cosi i colleghi la donna sperando in tal modo di ottenere maggiori informazioni sull'uomo. Hackett era stato ritrovato sul ciglio della strada che conduceva al porto apparentemente morto perchè investito, Lanie aveva scoperto invece che era stato avvelenato. Tramite uno scontrino erano risaliti ad un bar dove era stato quella mattina stessa e un cameriere affermò di conoscerlo come il signor Hackett, nulla di più. Ryan ed Esposito annuirono e tornarono alle loro scrivanie alla ricerca di altre informazioni utili.

 
“Che ne pensi di questa storia?”. Domandò Beckett al collega mandando giù un altro boccone di carne. 

“Penso che se in due giorni non abbiamo trovato il colpevole le nostre possibilità sono ridotte a un numero ad una cifra. Chiunque può averlo avvelenato e poi abbandonato sulla strada”. Diede la sua opinione l'uomo richiudendo il contenitore ormai vuoto e riponendo le bacchette sulla scrivania.

“Anche se non ci credi, questo Hackett è veramente un fantasma”.Constatò l'uomo sconfortato. 

“E dove si possono trovare questi fantasmi?”. Domandò lei retoricamente, sorridendo con malizia al collega che innocentemente andò a risponderle. 

“Al cimitero. A no scusa, in questo caso all'obitorio”. Finì a mala pena la frase che Beckett gli lanciò un tovagliolo addosso ritenendo il suo dire una stupidaggine. 

“Ragazzi provate a sentire l'FBI o la CIA. Magari è uno di loro”. Disse la donna inclinando il capo per farsi vedere dai due che avevano la visuale bloccata da Castle che sentendo quell'affermazione iniziò a tossire. 

“Andiamo FBI o CIA? Non siamo mica in un libro di Agatha Christie”. Disse non trovandosi d'accordo con quell'ipotesi. Sarebbe stato troppo scontato, troppo semplice. 

“Perchè hai qualche idea migliore? Sentiamola”. Lo invitò a parlare alzando una gamba sulla sedia e appoggiando il mento sul ginocchio in attesa di sentire una delle sue assurde supposizioni. 

“Magari potrebbe essere un miliardario in incognito, che vuol provare la vita di un poveraccio e la moglie ha colto l'occasione per farlo fuori cosi da poter avere tutto il suo patrimonio. Oppure potrebbe essere uno scrittore che cercava ispirazione o un ricattatore. Meglio ancora, un corriere della droga messicano”.Iniziò a fornire una ipotesi dietro l'altra ottenendo solo sguardi pietosi dalla collega. 

“Un messicano?!. La nostra vittima è bionda con gli occhi azzurri. Non credo sia stato messicano”. Gli fece notare lei accennando un sorriso. 

“Magari è stato adottato da un messicano”. Ritentò Castle costringendo Beckett ad alzare gli occhi al cielo e a mordersi il labbro per non dire altro.

 

 Un altro paio di ore erano passate e in mano non avevano ancora nulla. L'autopsia non aveva rivelato nulla di utile, tutti gli interrogatori fatti erano stati tanti buchi nell'acqua e nessuno aveva ancora denunciato la sua scomparsa. Anche Castle cominciò a pensare che si trovavano di fronte a un vero fantasma. 

“Detective Beckett scusi il disturbo”. Si udì una voce interrompere il silenzio che regnava sovrano nel quartetto di persone che fissavano la lavagna. 

“Sono l'agente Tom Demming dell'FBI, sono qui per il vostro uomo”. Affermò aggiustandosi la cravatta mentre indicava con il capo la foto di Hackett appesa alla lavagna. Ryan ed Esposito si guardarono l'un l'altro non sapendo cosa dire a proposito di quella visita inaspettata, Castle ebbe un brivido che gli percorse tutta la schiena mentre Beckett sorrideva da orecchio a orecchio, in fondo era quello che stava aspettando da ore.

 “Bene mi dica tutto quello che sa”. Parlò impazientemente ma l'uomo negò con il capo. 

“In un luogo più tranquillo se possibile”. Pregò Demming guardandosi attorno, non approvando le troppe orecchie indiscrete che potevano esserci anche in quel luogo. I 5 si spostarono cosi nella sala relax, facendo uscire i presenti e chiudendo le due porte d'ingresso. 

“La vostra segnalazione ci ha colti inaspettati. Ed è per questo che non siamo intervenuti prima, avevamo delle questioni interne da risolvere”. Iniziò a spiegare l'agente dell'fbi annoiando Castle. 

“Ci dica quello che vogliamo sapere”. Gli disse il detective volendo arrivare subito al punto cosi da vederlo sparire il prima possibile, il saperlo li gli dava una strana sensazione di insicurezza. Demming lo guardò pronto a far valere la sua autorità ma si calmò, preferendo aggiustarsi i polsini della camicia e lasciar correre quella mancanza di rispetto nei suoi confronti. 

“Hackett era un nostro agente in incognito. Steven Everbrooke era il suo vero nome. Si trovava qui a New York perchè stava indagando su un traffico di organi o almeno cosi credevamo.”. Iniziò a spiegare e ancora prima di poter continuare con quanto aveva da dire Ryan gli domandò il perchè della sua ultima constatazione. 

“Perchè quando abbiamo controllato i nominativi e gli indirizzi che Everbrooke ci aveva fornito questi son risultati tutti falsi. Gli stavamo dando la caccia anche noi perchè pensavamo facesse il doppio gioco”. Gli rispose l'uomo in tono autoritario, personalmente quei comportamenti non gli piacevano e di conseguenza non era dispiaciuto per la brutta fine fatta dal collega. 

“Darvi delle informazioni sbagliate l'avrebbe esposto troppo, avete sbagliato valutazione”. Affermò Castle ricevendo un occhiata divertita da Demming che, fatto qualche passo, si avvicinò a lui. 

“Non credo che lei abbia il diritto di impartirci lezioni su come fare il nostro lavoro signor...”lasciò la frase in sospeso non avendo ancora conosciuti ufficialmente i tre uomini, avendo preferito dare più urgenza al caso che alle presentazioni. 

“Scoprilo da solo visto che sei tanto bravo”. Gli rispose altezzoso il detective trovandosi ora viso a viso con il nuovo arrivato. 

“Castle”. Lo richiamò decisa Beckett mettendosi fra i due, appoggiando una mano sul petto del collega cosi da allontanarlo. “Non credo sia il momento di fare queste scenate”. Lo ammonì calmandolo. 

“E cosi tu saresti Castle”. Contemplò Demming in un modo che lasciò perplessa sia la donna che anche Ryan ed Esposito ma che invece era un palese riferimento a chi fosse in realtà per Castle. 

“Ci dia le informazioni che deve e poi ci lasci fare il nostro lavoro”. Quasi ordinò il detective portando le braccia ad incrociarsi al petto e sollevando il mento cercando di assumere una posa da duro. 

“Non credo che abbiate compreso bene il mio ruolo. Io non sono qui per fare da messaggero io sono qui per aiutarvi nelle indagini. Mi vedrete in giro per un po' a quanto pare”

 

Per Castle furono dieci giorni d'inferno quelli che aveva appena trascorso. Lavorare con Demming era insopportabile, ogni volta che parlava di qualche sua impresa iniziava sempre con il dire “non per vantarmi” cosa che di fatto faceva puntualmente, aveva preso in mano le redini del caso e quindi il detective doveva pur sottostare ai suoi ordini senza contare che aveva preso in simpatia Beckett e non perdeva occasione per offrirle un caffè o per starsene un po' in disparte con lei. 

“Geloso?” Domandò Esposito notando come Castle stava osservando Beckett e Demming nella sala relax, i quali stavano ridendo e scherzando. 

“No. È che trovo la presenza di Demming inutile. A parte il fatto di raccontarci di ogni sua buona azione che ha fatto da quando è qui?! Nemmeno ci ha portato dall'informatore di Hackett o Everbrooke, come volete chiamarlo”. Cercò di giustificare in quel modo il nervoso e il fremito che sentiva nelle mani in quei giorni ai due colleghi, ai quali però non sfuggiva nulla. 

“é geloso” Risposte Ryan osservando il cubano che si mise a ridere.

 

D'un tratto vide l'agente dell'fbi rispondere al telefono e osservare Beckett con aria preoccupata. Qualcosa si era smosso alla fine per fortuna, pensò Castle, non dovendo cosi trovarsi costretto ad agire in prima persona lui stesso per dare una scossa alle cose. 

“A quanto pare un uomo si è recato nella casa dove alloggiava Everbrooke. I nostri server l'hanno riconosciuto come Juan Garrido, un noto trafficante a cui diamo la caccia da diverso tempo”. Spiegò Demming ai tre una volta raggiunti. 

“Sapevo che c'entravano i messicani”. Esultò Castle valutando quell'intuizione come una vittoria sull'attuale rivale. 

“Sappiamo dove si trova il quartier generale della banda di Garrido e abbiamo carta bianca sul fare irruzione quindi direi di prepararci come si deve ed entrare in azione prima che il nostro amico inizi a sospettare qualcosa”. Incitò gli altri Demming prendendo poi il suo cellulare cosi da allestire delle squadre speciali che avrebbero fatto da copertura agli agenti.

 

NASCONDIGLIO GARRIDO 
 

Castle se ne stava contro un muro, accovacciato a terra vicino ad una porta, osservando i segnali di Ryan ed Esposito che gli indicavano di far il giro del magazzino e di ritrovarsi davanti ad un entrata secondaria. Beckett era rimasta con Demming e per quanto quell'idea al detective non piacesse sapeva che li era al sicuro, non tanto per via dell'agente dell'fbi ma grazie alla squadra speciale che gli faceva da scudo. L'edificio era ormai circondato e diverse camionette della polizia si trovavano a poca distanza pronte a fermare qualunque tentativo di fuga. Castle stava gattonando fino al punto d'incontro con i due colleghi quando notò una finestra aperta. Si fermò al lato di essa ed estrasse da una tasca del giubbotto anti proiettile uno specchietto cosi da poter vedere all'interno. Quello spazio era completamente vuoto. Vi erano solo alcune birre su una tavola e dei fogli per terra. Se ne erano andati, pensò, quando un particolare attirò la sua attenzione. Il fumo che proveniva da una sigaretta che ancora bruciava dentro il posacenere. Non se ne erano andati ma piuttosto avevano preparato una trappola per loro.

“Qui Castle, tenete gli occhi aperti. Ripeto tenete gli occhi aperti, ci stanno aspettando. Chiudo”. Disse nella radio a bassa voce. Entrare della porte avrebbe giocato a loro svantaggio quindi l'uomo si guardò attorno in cerca di altre opzioni. Vide che il tetto dell'edificio accanto distava solo un paio di metri da quello del magazzino e con l'aiuto di alcuni agenti ce l'avrebbe fatta a passare da uno all'altro. Si fece portare una scala e insieme ad altri due poliziotti salì fino in cima al secondo edifico e poi usò la stessa scala come ponte tra i due tetti. Guardando giù deglutì a fatica tenendosi sempre più saldamente mentre gli altri due lo seguivano. Dopo pochi attimi si ritrovarono sul tetto del magazzino e subito si diressero verso la scala anti incendio cosi da poter scendere quanto bastava per entrare nell'edificio. Il primo fu Castle che il più silenziosamente possibile andò ad aprire una finestra e ci passò sotto, nascondendosi dietro ad una colonna quando vide uno degli uomini di Garrido venire nella sua direzione. Fece segno agli altri due poliziotti di aspettare un suo segnale prima di raggiungerlo, e attese. Quando il mercenario gli passò accanto subito il detective gli fu addosso coprendogli la bocca, cosi da impedirgli di urlare, facendogli pressione sul collo finchè questi non svenne. Stava per contattare Demming alla radio quando sentì la sua voce comandare l'irruzione nell'edifico. Quando la squadra speciale entrò ci fu un attimo di quiete e poi si scatenò l'inferno. Gli uomini di Garrido uscirono dai loro nascondigli e aprirono il fuoco costringendo gli agenti delle squadre speciali a nascondersi dietro qualunque cosa fosse alla loro portata. Castle fece segno agli altri due agenti di dividersi e di occuparsi di più uomini che potevano mentre lui si diresse verso una breve scaletta che conduceva a un piccolo ufficio, che inizialmente serviva ai padroni per controllare i lavori nel magazzino, ma che ora era il nascondiglio perfetto per Garrido. Per Castle fu facile eliminare le due guardie poste davanti alla porta, tanto erano distratte da non farsi colpire da qualche pallottola vagante. Ponderò se fare irruzione con veemenza, buttando giù la porta, o se aprirla lentamente per non essere colto impreparato dal trafficante. Alla fine optò per la seconda. Prese la sua pistola d'ordinanza e aprì di poco la porta, giusto quanto gli bastò per vedere Garrido entusiasta di quello spettacolo. Gli bastò un colpo solo alla gamba per farlo cadere a terra dolorante. Senza perdere tempo gli fu addosso e senza troppa fatica lo sollevò e lo sbattè contro il muro. 

“Di ai tuoi uomini di arrendersi”. Gli ringhiò contro ma Garrido gli sputò solo in faccia divertito. 

“tu estas muerto”. Rise ancora ricevendo un pugno nello stomaco dal detective.

“Come vuoi”. Castle sparò tre colpi ad una finestra che si ruppe in mille pezzi e poi sporse fuori di questa Garrido tenendolo solo per i fianchi. 

“Scegli, o dici ai tuoi uomini di fermarsi oppure loro mi sparano e te cadì”. Disse all'uomo che lo pregava e si dimenava per cercare di tirarsi su. 

“Tu estas loco”. Gli urlava terrorizzato fissando il pavimento lontano. 

“Risposta sbagliata”. Risposte Castle allentando un po' la presa. 

“Entrega las armas. Es una orden.”.Iniziò a sentirsi riecheggiare nel magazzino, in mezzo alle continue pallottole che si andavano a conficcare contro il muro. Ancora una volta Garrido urlò e lentamente i colpi iniziarono a diminuire finchè non cessarono del tutto. 

“Questa volta ti è andata bene”. Disse Castle tirandolo su e sbattendolo a terra. Pochi minuti dopo Demming, Beckett, Ryan ed Esposito li raggiunsero. Castle tirò un respiro di sollievo vedendo che i tre colleghi stavano bene ma quando posò gli occhi sull'agente dell'fbi tutta la sua rabbia si scatenò. Ritirò la pistola nella fondina e sferrò un pugno potente sul viso dell'uomo che cadde a terra sanguinante. 

“Questo ti potrebbe costare caro”. Disse l'uomo sputando il sangue che già gli stava riempiendo la bocca, guardando in modo rabbioso Castle che gli troneggiava sopra. 

“Avevo detto di aspettare. Hai messo in pericolo la vita dei tuoi uomini e dei miei amici per nulla”. Risposte il detective pronto a sferrare un altro montante quando Esposito lo spintonò via. 

“Io sono a capo dell'operazione. Io do gli ordini, che ne vuoi sapere tu”. Lo sfidò Demming tirandosi in piedi aiutato da Ryan e Beckett. 

“Dovresti ben saperlo che in fondo ne so più di te”. Affermò il detective dirigendosi verso l'uscita.

“Castle”. Lo richiamò Beckett ma la sua voce fu sovrastata dal rumore sordo del pugno che il detective lanciò contro la porta prima di scomparire giù per le scale.

 

Castle raggiunse gli altri agenti delle forza speciali al piano terra e li aiutò a soccorre i feriti e a caricarli sull'ambulanza cosi da esser portati il prima possibile in ospedale. Quando ci fu un attimo di quiete si allontanò dal gruppetto, si tolse il giubbotto anti proiettile che sembrava pesargli 100 chili addosso, e lo gettò a terra sollevando una leggera coltre di polvere. Si accasciò a terra mettendosi le mani sopra le orecchie che ancora gli fischiavano a causa del colpi sparati, iniziò a respirare lentamente cercando cosi di calmare il battito accelerato del suo cuore. 

“Castle, Castle”. Si sentì scuotere e vide al suo fianco Ryan che lo stavo osservando preoccupato come non mai.

“Che ti è successo?”. Chiese aiutandolo ad alzarsi e a star in piedi sulle gambe che ora gli sembravano gelatina. 

“A quanto pare l'effetto dell'adrenalina è finito”. Ci rise sopra dando una pacca sulla spalla al collega e staccandosi da lui per raccogliere il giubbotto.  

“Come si procede?”Domandò all'irlandese dirigendosi con lui verso al magazzino dove ora vi erano la metà dei poliziotti.

 “Alcuni agenti rimarranno a far dei rilevamenti, altri si stanno occupando degli uomini di Garrido mentre noi lo porteremo al distretto cosi da interrogarlo e vedere se a che fare con la morte di Everbrooke”. Spiegò Ryan che impallidì quando vide giungere verso di loro Demming, il quale teneva un fazzoletto contro il naso che ancora gli sanguinava. 

“Devo parlare da solo con il tuo collega. Lasciaci soli”. Ordinò al detective che però non si mosse finchè non fu Castle a dirgli di lasciarli soli.

 “Sei fuori dal caso. Ti avevo detto che l'avresti pagata”. Lo informò puntandogli il dito contro il petto più e più volte. Castle avrebbe voluto spaccargli la faccia ma si infilò le mani in tasca per evitare di far partire qualche pugno. 

“Come vuoi. Mi divertirò quando dovrai pagare le conseguenze di questa tua decisione”. Detto questo Castle tirò una spallata all'uomo che barcollò e poi si allontanò da lui, passando accanto ai tre colleghi che lo guardarono pieni di domande. 

“Che è successo Castle?”. Chiese Beckett osservando Demming e poi la schiena del collega che era già ad un paio di metri da loro. 

“Chiedi al tuo fidanzato”. Rispose prima di scomparire dietro un angolo.

  

-------------------------

 Approfitto di questo spazio per fare due piccoli appunti doverosi che mi accorgo avrei dovuto fare in precedenza. Dato che ho impostato la storia in un “universo alternativo” alcuni particolari sono diversi per "esigenze lavorative" eheh.

 Castle, all'inizio della storia ha 28 anni, e ha una famiglia alle spalle che piano piano si conoscerà.

Beckett, all'inizio della storia ha 27 anni, la madre non è morta perciò i motivi per cui è entrata in polizia sono altri, ma verranno rivelati anch'essi.
Grazie per l'attenzione :P

Gra 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Vecchi amici ***


 

12th DISTRETTO

Una volta al distretto Demming capì che l'aria era cambiata, l'unica persona che si dimostrava civile era Beckett che, probabilmente, gli dava ragione ritenendo il gesto del collega fin troppo esagerato. 

“Garrido dice di non saper nulla di Everbrooke. Ha detto solo che un uomo gli aveva dato il suo indirizzo da usare nel caso di problemi con la legge e infatti tre giorni fa il nostro trafficante è stato beccato da una telecamera mentre uccideva un membro di una banda rivale”. Iniziò Demming a informare Ryan ed Esposito che però non lo stavano ad ascoltare e perciò intervenne Beckett, la quale aveva assistito all'interrogatorio di Garrido insieme all'agente dell'fbi.
 “Non ci ha voluto dire di chi si trattava e ora ci troviamo al punto di partenza. Non sappiamo chi abbia ucciso Hackett e nemmeno sappiamo il perchè. Dobbiamo ricominciare da capo”.

“E Castle?”. Chiese Esposito incrociando le braccia al petto e facendo vedere i muscoli a Demming, cercando di impressionarlo e intimorirlo. 

“Castle è fuori. Non voglio nemmeno più sentirlo nominare. Intesi?” Domandò puntando il dito contro i due che semplicemente gli regalarono un sorrisino tirato prima di tornare alle proprie scrivanie. 

“Castle avrà anche agito d'impulso ma ha salvato delle vite”. Lo difese Beckett sperando di far ragionare l'uomo.

 “Avevo dato degli ordini e lui li ha infranti sovrapponendosi alla mia autorità. Cosi ha messo in pericolo la sua vita e quella di altri due agenti che hanno voluto seguirlo. Ma abbiamo preso Garrido è questo quello che importa. Concentriamoci su questo, il resto verrà dopo”. Affermò Demming porgendo alla detective una pila di scartoffie inerenti a Everbrooke. Insieme iniziarono a leggere il suo fascicolo sperando di trovare qualcosa di utile.

 
CASA CASTLE 

Castle tornò a casa di pessimo umore. Sentendo la porta sbattere con cosi tanta violenza Martha quasi rovesciò il caffè che stava bevendo. 

“Ma che succede? Non sapevo fosse arrivato un uragano”. Commentò le maniere del figlio raggiungendolo sul divano sulla quale si era lanciato, appoggiando i piedi sul tavolino e portando le braccia al petto imbronciato.

 “Queste scenate nemmeno quando avevi 5 anni le facevi. Mi dici che è successo?”. Richiese lei portandogli una mano sulla spalla e poi sul viso accarezzandolo dolcemente.

 “Un novellino dell'fbi mi ha cacciato dal caso solo perchè gli ho quasi rotto il naso”. Disse Castle osservando con la coda dell'occhio la madre che non smise però di coccolarlo.

 “Richard. Sei venuto qua per star tranquillo, per uscire da quel mondo. Il Dottor Whale mi ha chiamato dicendo che non partecipi più alle sessioni. Qual'era l'accordo?”. Gli ricordò la donna ma ottenne solo che Castle si alzasse dal divano infastidito ma cercò di trattenersi.

 “Mamma”. Cominciò a dire stringendo tra il pollice e l'indice lo spazio tra gli occhi. “Lo so quello che ti avevo promesso ma ho davvero avuto altro a cui pensare. Per quanto riguarda le sedute ti prometto che cercherò di farne il più possibile d'accordo”. Promise appoggiando una mano sullo schienale del divano per farsi leva e abbassarsi cosi da dare un bacio sulla fronte di Martha.

 “Dov'è papa?”. Domandò una volta tiratosi su in piedi e portato le braccia sopra la testa cosi da stirarsi i muscolo della schiena.

 “Dove vuoi che sia?!”. Domandò retorica sapendo bene che il marito passava sempre quelle ore a lavorare nel proprio ufficio, occupandosi di chiamare i clienti all'estero senza esser disturbato.

 Castle bussò alla porta dello studio di suo padre e attese che lui gli diede il permesso di entrare. Alexander Castle si tolse gli occhiali e posò la penna quando vide il figlio entrare nella stanza. 

“Hai già parlato con tua madre?” . Chiese osservando Richard sdraiarsi sul divano che aveva contro una parete e coprirsi gli occhi con un braccio. 

“Si e ha già provveduto a farmi venire i sensi di colpa. Vuoi unirti?”. Chiese senza nemmeno guardarlo. Alexander scostò la poltrona e si alzò andandosi a sedere su una sedia più vicina al figlio. 

“Ho smesso di dirti cosa fare quando avevi 18 anni. Avevo già capito che alla fine te la saresti comunque cavata da solo e che nel caso, per capire, dovevi sbatterci la testa.” Castle rimase in silenzio quasi si fosse appisolato.

 “Allora me lo vuoi raccontare o rimaniamo qua a fissarci?”. Lo incitò suo padre pochi minuti dopo. 

“é arrivato questo Demming ad aiutarci con un caso. Non siamo andati d'accordo dal primo istante ma mandavo giù, ma oggi ha messo in pericolo la vita di alcune persone anche dei miei colleghi. Colto dall'ira l'ho colpito e lui mi ha cacciato dal caso. Che cosa dovrei far adesso?”. Chiese consiglio rimettendosi seduto sul divano appoggiando le braccia sulle cosce e osservando il padre. 

“Bhè non sarà di certo un piccolo ostacolo come questo a fermarti. Tu vai lo stesso al distretto e fatti valere”. Gli suggerì l'uomo cercando di essergli d'aiuto come già gli era stato in passato. 

“No. Metterei nei guai Beckett e gli altri”. Ponderò Castle appoggiando la testa sullo schienale del divano e osservando il soffitto. 

“ E allora vuoi star qui sul divano a non far nulla? C'è qualcos'altro che puoi fare per aiutarli senza essere fisicamente al distretto?”. 

“C'è, ma non ti piacerà saperlo”. Affermò tornando a vedere il genitore che socchiuse gli occhi pentendosi già da subito delle parole che stava per dire.

 “Allora non farmi sapere quello che fai. Cerca solo di tornare a casa”

 

 THE COVE 

Quando Castle mise piede dentro quel locale malfamato gli sembrò che fossero trascorse poche ore dall'ultima volta che l'aveva fatto e non quasi 6 anni. Volti noti che alzarono il bicchiere quando lo riconobbero e altri personaggi che invece non si accorsero nemmeno del suo arrivo. Il detective si avvicinò al bancone e sussurrò qualcosa all'orecchio del barista che dopo averlo guardato da capo a piedi gli indicò una porta dall'altra parte della sala. La musica ad alto volume e le luci a intermittenza gli davano cosi fastidio che un paio di volte si scontrò con qualche ballerino un po' troppo ubriaco per i suoi gusti. Quando arrivò alla porta un buttafuori grosso come un armadio e dall'aspetto truce gliela aprì e lo fece entrare in uno stretto corridoio. Appena l'uscio si chiuse tutto il frastuono sparì e lui prosegui fino a giungere ad un secondo ingresso al quale bussò. Questo si spalancò davanti a lui e un volto più che famigliare gli si palesò davanti.

 “Richard da quanto tempo”. Disse Christopher abbracciandolo, attento a non bruciarlo con il sigaro che teneva tra le dita.

 “Davvero troppo Chris ma sono tornato da poco in città”. Lo informò facendosi accompagnare alla sua sedia.

 “In verità da quasi 9 mesi. Non si muove una foglia senza che io lo venga a sapere”. Gli spiegò quando vide la faccia perplessa con la quale il detective lo stava guardando. 

“Allora che ti serve? Chiedimi il mondo e sarà tuo”. Disse Christopher allargando le braccia e sorridendo a Castle. 

“Mi serve solo sapere in che cosa era immischiato Everbrooke o Hackett. Non so sotto che nome lo conoscevi”. Parlò Castle aspettandosi più informazioni possibili da Chris. Il suo locale era il ritrovo di molti scagnozzi di diversi boss e per questo sapeva tutto di tutti. Aveva fatto installare dei microfoni nascosti dietro ai muri e sotto i tavoli cosi che non perdesse nemmeno una conversazione e fosse sempre aggiornato.

 “Ah l'investito. Si qualcosa mi è giunta all'orecchio. Di certo Garrido non c'entra nulla. Tranne il fatto che qualcuno ha cercato di incastrarlo per toglierlo dai piedi”. Iniziò a lasciar trapelare le informazioni rimettendosi il sigaro in bocca per poi fare dei piccoli cerchi con il fumo. 

“Chi è stato?. Domandò impaziente il detective, disperdendo il fumo, agitando la mano davanti alla sua faccia. 

“Ah no, cosi sarebbe troppo facile. Everbrooke si era innamorato e per aiutare questa gentil pulzella aveva mentito anche ai suoi colleghi. Quello che non hanno capito è che lui non indagava sul traffico di organi no no. Lui aveva scoperto un traffico di persone. Per questo è stato ucciso, ha atteso troppo prima di fare rapporto ed è stato scoperto”. Spiegò Chris accavallando le gambe posando il sigaro su un posacenere e sostituendolo con un bicchiere di buon tequila.

 “Nient'altro?”. Domandò Castle negando con il capo quando vide Christopher offrire un bicchiere di alcool anche a lui.

 “Ti ho già detto troppo. E mi sa anche che sei qui da troppo e la gente inizierà a farsi domande. Non da tutti sei visto di buon occhio. La metà delle persone che è la fuori è finita in carcere per colpa tua”. Castle recepì il messaggio e si alzò dalla sedia. Il tempo delle domande era finito e lui doveva uscire di li il prima possibile. 

“Ah Ricky”. Lo richiamò l'uomo prima di farlo uscire dal suo ufficio. “Icegel, ricordati questa parola”.

 

 Per tutto il tratto di strada che il detective fece a piedi continuò e continuò a pensare alla conversazione avuta con Chris in particolare a quell'ultimo suo indizio. Ripensò ai fascicoli su Hackett ma in nessuno si ricordava di aver letto la parola Icegel. Un altro mistero da svelare, bofonchiò tra se e se. Assorto nei suoi pensieri non si accorse della porta di un ristorante che si stava aprendo davanti a lui e un istante dopo si scontro con i due clienti che stavano uscendo da li.

 “Accidenti scusate”. Disse abbassandosi per prendere la borsetta che era caduta alla donna. 

“Beckett”. Affermò a bocca aperta mentre gli porgeva la borsa. 

“Quanto è piccolo il mondo”. Si intromise Demming prima che la donna potesse dire qualcosa. Castle lo guardò nervoso, nervoso che si trasformò in ira quando vide che il braccio dell'uomo era intorno alla vita della donna.

 “Immagino che abbiate passato una piacevole serata e di certo non voglio rovinarvela. Perciò con il vostro permesso”. Disse allontanandosi, tenendo la testa bassa e digrignando i denti. 

“Castle lascia che ti spieghi”. Disse Beckett comparendo davanti a lui improvvisamente.

 “Non serve”. Pronunciò lui senza fermarsi, cercando di aggirarla. 

“Invece devo. Stavamo lavorando sul caso quando Tom ha proposto di fare una pausa. Il ristorante è di un suo amico perciò..”.Cercò di spiegarsi la donna quando Castle gli mise una mano davanti alla bocca.

 “Non capisci che non mi interessa di quello che fate te e il tuo fidanzatino. Potete anche andare a vivere insieme per quanto mi interessa”. Affermò lui cercando di mostrarsi calmo, indifferente all'esterno mentre dentro di lui si scontravano più e più emozioni contrastanti.

 “Rick...”.Tentò di fermarlo lei appoggiandogli una mano sul braccio ma lui, con un gesto brusco, si staccò.

 “Tornatene da lui”. Le ordinò con rabbia scappando poi via, lasciando Beckett da sola su quel marciapiede con un dolore al cuore che quasi le sembrava che qualcuno vi ci avesse conficcato un pugnale.

 

Castle continuava a camminare, scontrandosi con più e più persone, ricevendo ogni volta parole poco carine ma a lui non importava. Pensava a come comportarsi. Di certo non gli piaceva ciò che aveva appena visto ma nemmeno poteva starsene a casa dopo che aveva lottato tanto per tornare a lavoro e al momento c'era solo una persona che poteva aiutarlo a risolvere il problema di Demming. Prese il cellulare e si sedette su una panchina della fermata dei bus e compose il numero. 

“Jonhson”. Si sentì dall'altro capo del telefono. 

“Sono Castle, avrei bisogno di un favore”. Andò subito al punto odiandosi per esser arrivato al punto di dover chiedere aiuto proprio lui, sapendo bene che ne avrebbe pagato il prezzo. 

“Che succede ragazzo mio”. 

“Al distretto è arrivato un certo Demming per un caso. Mi ha cacciato perchè gli ho tirato un pugno”. Iniziò a spiegare la situazione quando venne interrotto. 

“Lo so. Dovresti saperlo che tengo sempre il mio occhio vigile su di te. Che vuoi che faccia? Che lo caccio da qualche altra parte?” 

“No”. Disse deciso, non voleva arrivare a cosi tanto. “Digli solo di riprendermi nella squadra”

 “Detto fatto”. E la conversazione cadde. Un attimo dopo il suo telefonò squillò. Castle fece per rispondere pensando che fosse ancora l'uomo ma vide sul display l'immagine di Beckett e allora rifiutò.

 

 12th DISTRETTO

 Il giorno dopo Castle arrivò puntuale al distretto. I suoi colleghi non erano ancora arrivati perciò si concesse due chiacchiere con altri poliziotti e un caffè. Ryan ed Esposito furono più che felici di vederlo e lo aggiornarono su quanto successo il giorno prima, dopo che erano tornati al distretto. Di quello che avevano scoperto ma sopratutto di come si era comportato Demming. Poco dopo arrivò Beckett e gli sguardi tra loro due furono inevitabili ma nessuno dei due aveva il coraggio di andare a parlare e spiegarsi con l'altro. Di colpo Castle si sentì afferrato per il colletto della camicia e buttato con la schiena contro il muro. Quando si rese conto che davanti a lui vi era l'agente dell'fbi sorrise sornionamente. 

“Contento di vedermi”. Disse in tono denigratorio.

 “Non so come tu abbia fatto ma non avrai le spalle coperte per sempre”. Gli promise l'uomo spingendolo ancora una volta contro il muro e poi lasciandolo per sistemarsi la giacca e il polsini vedendo arrivare Beckett. 

“Che succede?”. Chiese la donna osservando i due. 

“A quanto pare Castle è di nuovo in gioco”. Disse tra i denti Demming che poi se ne uscì dalla sala relax. 

“Castle riguardo ieri”. Cominciò a parlare la donna a bassa voce ma il detective scrollò il capo.

 “Come ti ho già detto non voglio saperne nulla. Sono affari tuoi e di Demming”. 

Nonostante fossero tutti concentrati sul caso la tensione era comunque alle stelle, seppur provassero a convivere pacificamente. Castle aveva detto ai colleghi di iniziare a seguire anche la pista del traffico di persone e quando questi gli chiesero il perchè lui rispose che era stato il semplice suggerimento di un amico. Ryan ed Esposito se lo fecero bastare Demming no , ma alla fine non ottenne ulteriori informazioni a riguardo.

 “Ok, mi hanno detto che qualche giorno fa hanno fermato un camion carico di messicani. A quanto pare questi si erano fatti quattro stati dentro il convoglio in cerca del miglior offerente .”Li informò Ryan di quello che aveva saputo dopo un paio di chiamate. 

“No non è questo”. Disse certo Castle. “Cerca ancora.”. Doveva trovare qualche informazione che lo ricollegasse alla conversazione avuta con Christopher. 

“Una settimana fa c'è stato il processo a Oscar Mintz. Anche lui accusato di traffico di persone ma giudicato innocente per mancanza di prove. Il tipo ha chiesto pure un risarcimento perchè dice che questa accusa gli ha rovinato gli affari e ha dovuto chiudere la sua azienda di autotrasporti”. Fu la volta di Esposito di parlare. Il cubano rise divertito del coraggio che aveva avuto quell'uomo di sfidare cosi apertamente la polizia tanto da chiedere un risarcimento.

 “Bhè con il risarcimento che gli può dare la polizia magari riesce ad arrivare a fine mese”. Ci scherzò su Ryan trovando la cosa anche lui divertente.

 “Al massimo la investirà nella ditta dove lavora adesso. Tanto è del fratello”. Continuò a spiegare Esposito attirando l'attenzione di Castle. 

“Che ditta?”. Domandò curioso.

 “Carico e scarico merci al porto”. Castle ebbe come un illuminazione e cosi anche Beckett.

 “Hackett è stato ritrovato sulla strada che conduce al porto” Dissero all'unisono scambiandosi poi un sorriso.

 “Direi di andare a dar un occhiata li non avendo di meglio da fare qui”. Disse Demming cercando di entrare in quello spirito di squadra che vi era tra i 4.
 

PORTO

 I detective si guardarono attorno ma non videro nulla di sospetto. I magazzini erano tutti legali, controllati un paio di volte al mese dalla polizia per evitare traffici di droga. Anche Demming, che aveva parlato con il fratello di Oscar Mintz, non aveva ottenuto informazioni utili che potevano esser collegate a Everbrooke. Ci stavano quasi per rinunciare quando Castle notò un container particolare su di una nave. 

“é la sua quella?”.Chiese a Samuel Mintz che fissò il punto indicato. 

“La barca?!Magari. No, io mi occupo solo della gru che scarica i container”. Spiegò l'uomo. 

“Ma conosce i proprietari?”. Insistette Castle non distogliendo gli occhi dal contenitore di metallo. 

“Bhè si certo qua ci conosciamo tutti”. Rispose tranquillamente l'uomo facendo spallucce, in fondo non aveva nulla da nascondere. 

“Che significa questo Castle?”.Domandò Demming portando in disparte il detective. 

“Cerco di risolvere il caso”.Gli disse incamminandosi verso la barca. 

“Non abbiamo il permesso di salirci Castle”. Ma il detective non lo ascoltava deciso com'era a scoprire la verità. 

“Salve sono il detective Richard Castle” Si presentò a due uomini che stavano davanti alla passerella che conduceva sulla barca. 

“Salve io sono Oscar Mintz e questo è il capitano Guffrè. Come possiamo aiutarla?”. Chiese l'uomo nascondendo sotto il braccio il foglio che aveva tra le mani. 

“Vorrei dare un occhio ai container. In particolare quello con il marchio “Icegel”. Disse indicandolo.

 “Mi dispiace ma deve venire con un mandato se vuole farlo”. Gli ricordò Guffrè, dopo aver guardato con cenno d'intesa il suo compare che si era fatto più rigido,il detective riusciva a vedergli le vene sul collo da quanto era teso.

 “Castle che succede?”. Chiesero i colleghi che intanto lo avevano raggiunto.

 “é che mi sembrava di aver sentito delle voci provenire da quei container. Voi non sentite nulla?”. Domandò cercando l'appoggio dei colleghi. 

“Ma di che sta parlando. Si allontani per favore”. Lo invitò Mintz cercando di farlo allontanare dalla passerella posandogli le mani sul petto, spingendolo via.

 “Io non sento nulla”. Affermò Demming dopo esser stato in ascolto qualche secondo. “E voi?” Chiese a Ryan ed Esposito che fissarono Castle e videro la decisione sul suo volto.

 “Mi è sembrato di sentire qualcuno che chiedeva aiuto”. Disse Ryan seguito a ruota da Esposito. 

“Anche a me. Qualcuno batteva anche dei colpi contro qualcosa di metallico. Meglio controllare” 

I tre salirono mentre Mintz cercava di fermarli facendo valere i suoi diritti. “Volete controllare? Va bene”. Disse rinunciandoci “ Aprite pure questo container e controllate, anzi, lo apro io per voi”. Disse facendo quanto detto sperando di accontentare i tre. I detective guardarono dentro il contenitore e videro solo tante casse di vino ma Castle ribadì.

 “Io il rumore l'ho sentito provenire da questo container”. Affermò indicando sempre quello con la scritta Icegel. Aiutato da Esposito lo andò ad aprire mentre Ryan teneva la pistola puntata contro la porta per ogni evenienza. Quando iniziarono a vedere le prime persone prive di forze a terra Mintz tentò di scappare ma Demming lo fermò puntandogli la sua arma contro. 

“Credo che ci debba un po' di informazioni”.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Addii ***


12th DISTRETTO

Castle non obbiettò quando Demming gli disse che si sarebbero occupati lui e Beckett dell'interrogatorio a Mintz e nemmeno volle seguire Ryan ed Esposito nella saletta per ascoltare da dietro al vetro quanto si sarebbero detti i tre. Preferì starsene li appoggiato alla scrivania della detective, a fissare il riquadro bianco della lavagna senza dire una parola. Montgomery, vedendolo cosi assorto nei suoi pensieri, decise di prendere una pausa da tutte le scartoffie e si avvicinò a lui.

"Ora capisci cos'ha provato Beckett" . Disse pensando che il motivo del suo tormento fosse la presenza non voluta di Demming.

"Come scusi?". Castle non aveva colto il collegamento e preferì chiedere spiegazioni piuttosto che tentare una risposta di fortuna.

"Anche Beckett non era contenta quando ha saputo del tuo arrivo, tanto meno lo era i primi tempi in cui avete collaborato. Quello che ha provato lei lo provi tu con Demming". Spiegò il capitano ma Castle scrollò il capo.

"Non è quello. Cioè Demming ed io non andremo mai d'accordo poco ma sicuro. Ma non è quello che mi preoccupa". Affermò il detective senza staccare gli occhi dalla lavagna.

"E allora cosa?" Insistette il capitano.

"Ho, diciamo, chiesto un favore a un mio amico a Los Angeles. Un amico che non sentivo da quando ero arrivato a New York circa nove mesi fa. L'averlo fatto comporterà un prezzo che non so se sono pronto a pagare". Spiegò con aria triste vedendo uscire dalla sala interrogatori Beckett e i colleghi. Anche se non l'avrebbe mai ammesso ci teneva veramente a loro.

"Mintz ha confessato l'omicidio di Everbrooke per coprire i suoi traffici illegali". Disse Beckett informando cosi sia il capitano che il collega.

"Caso chiuso allora". Sospirò Montgomery congratulandosi con tutti e stringendo la mano a Demming. Il capitano diede un ultima occhiata a Castle che lo rassicurò accennando un sorriso e poi tornò nel suo ufficio.

"E cosi te ne puoi tornati a casa tua". Disse Castle all'agente alzandosi dalla scrivania.

"In verità penso di restare nei paraggi ancora per un pò". Rispose lui trionfante, andando poi a guardare con adorazione la detective che arrossì di colpo imbarazzata da quella sua uscita. Anche il detective la fissò per qualche istante ma lei non ebbe il coraggio di incontrare il suo sguardo ma preferì osservarsi le scarpe. Castle si sentì improvvisamente di troppo.

"Almeno una di noi sarà contento che tu rimanga". Constatò il detective per poi andarsene. La giornata era finita, il caso era chiuso, non c'era più motivo per lui per rimanere li.

"Ehi Castle vieni a farti una birra con noi?". Chiesero Ryan ed Esposito incontrandolo mentre si dirigeva verso l'ascensore. L'uomo ci pensò su qualche secondo poi accettò più che volentieri dandosi appuntamento con i colleghi.

Salito sull'ascensore si appoggiò ad una delle pareti, aspettando che le porte si chiudessero del tutto, ma invece di farlo si aprirono ancora per qualche istante, giusto il tempo per permettere a Beckett di entrare. Vedendola Castle deglutì a fatica, tra quelle quattro mura non aveva via di fuga, nessuno che potesse prenderlo e portarlo via.

"Dobbiamo parlare". Gli disse minacciosa lei rimanendo in mezzo all'ascensore.

"Non credo". Fu la risposta dell'uomo che andò a schiacciare di nuovo il bottone del piano terra. Beckett sbuffando infastidita andò a sua volta a premere un bottone. L'ascensore si bloccò di colpo.

"Se il tuo è un tentativo per darmi spiegazioni sul tipo di rapporto che hai con Demming tranquilla non devi farlo. Anzi ti prego io di non farlo. Non voglio saperlo". Iniziò lui a parlare portandosi subito all'attacco, non volendo ritrovarsi in balia delle emozioni che potevano prendere il sopravvento e fargli dire qualcosa di sconveniente.

"Ok, mi va bene se non vuoi sapere di noi due ma io voglio sapere perchè sei cambiato con me. Da quando è arrivato Demming due settimane fa è come se fossimo diventati due sconosciuti. Mi sembra di esser tornata ai primi giorni che lavoravamo insieme e non mi piace". Dichiarò Beckett a fatica, non essendo molto pratica nel lasciare scorrere le sue emozioni cosi facilmente. Castle teneva la testa girata di lato per non guardarla ma le sue parole lo avevano colpito in piena faccia con la forza di uno schiaffo.

"Come si dice non ci possono essere due re per una regina. Demming fin da subito si è mostrato interessato a te e visto che lui ed io non andavamo d'accordo il mio starti vicino ti avrebbe messo in cattiva luce e perciò mi son fatto da parte". Mentì Castle, o meglio distorse la verità, non poteva confessarle di esser geloso del modo in cui lui le si rivolgeva, del modo in cui le stava vicino e quant'altro.

"Non credi che quella decisione sarebbe spettata a me". Disse arrabbiata la donna che incrociò le braccia al petto e iniziò a battere un piede ritmicamente a terra. Castle non rispose, non sapeva che dire, non sapeva come tirarsi fuori da quella situazione.

"Demming non mi ispira fiducia e non vi vedo bene insieme, non voglio che ti faccia soffrire. Ecco perchè non mi piace, contenta?. Lo considero solo un marinaio che appena troverà un altro porto ti darà il ben servito.". Affermò dopo qualche minuto il detective non riuscendo più a reggere la sensazione di aver gli occhi della donna fissi addosso.

"Bhè credo di esser abbastanza forte da sopravvivere ad una situazione simile". Ribattè lei sollevando le spalle, non piacendole il fatto di esser considerata alla stregua di una ragazzina alla prima cotta, che non sapeva nulla dell'amore e che poteva esser facilmente ferita. Castle tornò a guardarla con occhi tristi e mosse i piedi verso di lei costringendola contro la parete opposta. Il detective portò le mani ai lati della testa di lei e la fissò parlando a bassa voce.

"No, non è vero. Non lo sei. Vuoi sembrare forte, a chi vede in superficie sembri quasi wonder woman, ma in realtà hai paura di soffrire, perciò ti accontenti. Ti accontenti di Demming giusto per aver un po' di attenzioni, per aver qualcuno che ti scaldi il letto per un po' di tempo cosi da non sentirti sola, quando invece non ti accorgi che potresti aver molto di più". Castle non fece in tempo nemmeno a reagire da quanto la mano di Beckett fu veloce e il suono sordo dello schiaffò echeggiò in quel piccolo spazio.

"Tu non mi conosci". Disse lei tremando un po' per il nervoso e un po' per il fatto che lui la conoscesse cosi nel profondo. Il detective portò la mano sinistra a massaggiarsi la guancia mentre con la destra fece ripartire l'ascensore, cosi da raggiungere il prima possibile il piano terra.

"Hai ragione. Cosa vuoi che ne sappia io di te?!. In fondo sono solo cinque mesi che ti osservo". Indietreggiò di qualche passo il detective cosi da ripristinare la distanza tra loro due mentre il campanello dell'ascensore suonò, segnalando di esser arrivati al piano scelto. Appena le porte si aprirono Castle scappò da quella gabbia non dando modo a Beckett di continuare il discorso, anche se in realtà lei era rimasta senza parole e non avrebbe saputo che altro dire.

 

CASA CASTLE

Castle fissava la carne che aveva nel piatto quasi fosse chissà quale essere sovrannaturale, la punzecchiava con la forchetta, la girava e la rigirava senza assaggiarne nemmeno un pezzo.

"Non ti ho mai visto assorto nei tuoi pensieri come in questi ultimi giorni". Gli fece notare Martha, che invece stava consumando con gusto il pasto davanti a se, mentre Alexander preferiva stare in silenzio. Sapeva che il figlio avrebbe raccontato i suoi tormenti solo quando sarebbe stato pronto e insistere lo avrebbe fatto solo chiudere ancora più in se stesso perciò, quando la donna fece per aprire ancora bocca, le diede un calcio da sotto il tavolo che la fece sobbalzare sulla sedia.

"Mi sto affezionando più del dovuto ai miei colleghi. Mi ero ripromesso di non farlo dato che la mia permanenza qui è temporanea".Parlò versandosi del vino mentre i genitori si guardarono con aria triste.

"Pensavamo che saresti rimasto qua di più. In fondo ti piace lavorare al distretto". Disse Alexander prendendosi anche lui la bottiglia di vino.

"Avevo un anno di permesso ed è quasi scaduto ma credo che anticiperò il ritorno. Qua non ho nulla che mi trattenga". Appena pronunciò quelle parole si pentì subito mentre gli occhi di Martha cominciavano già a riempirsi di lacrime e Alexander lo rimproverava guardandolo.

"Sapete cosa intendo. Qua ci sto bene, sono contento di aver passato tutto questo tempo con voi e Alexis ma la mia casa è a Los Angeles, il mio lavoro è la. Ho delle responsabilità e lo sapete bene". Cercò di far vedere le cose anche dal suo punto di vista ma sapeva che per i due non era facile accettare di veder partire di nuovo il figlio dopo averlo avuto accanto per cosi tanto tempo.

"Prima di prendere una decisione sarà meglio che ci rifletti sopra. Non ti sarà più permesso di tornare indietro". Sentendo le parole del padre il detective non potè fare a meno di esser d'accordo. Già il suo essere a New York era stato un qualcosa di imprevisto e di certo non voluto.

"Quando stasera tua sorella tornerà da casa di Carrie sarà meglio che inizi ad accennarglielo. Non devi tenerla all'oscuro". Gli ricordò Alexander andandosi a chiudere nel suo studio.

 

Finito di cenare Castle si chiuse nel suo studio e si mise accanto alla finestra ad osservare la città. In mano teneva il telefono e cercava il coraggio di premere il tasto per avviare quella chiamata che gli avrebbe cambiato la vita. Alexis non era ancora tornata ma di li a poco l'avrebbe fatto quindi di tempo non gliene rimaneva molto. Tirando un profondo respiro si portò l'apparecchio all'orecchio e aspettò.

"Sono Castle." Disse quando udì la voce nell'altro capo del telefono.

"Volevo sapere se mi era permesso tornare al mio lavoro?". Domandò insicuro, non aveva la certezza che fosse ciò che voleva ma in quel momento sentiva che era quello di cui aveva bisogno, cambiare aria.

"No, no qua a New York mi trovo bene ma non è per questo che sono stato addestrato. A Los Angeles ho delle responsabilità, ho la mia squadra che mi aspetta perciò voglio sapere cosa accadrà". Castle si fece silenzioso lasciando che l'altra persona dicesse la sua a riguardo. Le parole che sentiva di certo non portavano nulla di buono ma non aveva ancora ricevuto un no secco.

"Lo so che il Dottor Whale non è soddisfatto delle nostre sedute ma...".Si fermò quando l'altra persona gli intimò di smettere di cercare scuse.

"Signore, so io se sono pronto o meno. Il Dottor Whale non può saperlo". Quello che sentiva non gli piaceva troppo, lo consideravano ancora mentalmente debole e questo lo faceva impazzire. Lui era pronto, era pronto da mesi, indipendentemente da quello che uno stupido dottore gli diceva.

"MI metta alla prova Signore. Mi lasci provare di esser in grado di riprendere servizio". Ancora una pausa che gli sembrò durare un eternità e poi finalmente una risposta.

"La ringrazio, non se ne pentirà". Sospirò chiudendo la chiamata quando la porta si aprì e Alexis entrò nello studio.

"Ciao, papa mi ha detto che volevi parlarmi". Disse la giovane chiudendo la porta dietro di se cosi da rimanere soli.

"Si è cosi, per favore siediti". Invitò la sorella ad accomodarsi a fianco di lui sul divano. Anche se avevano dodici anni di differenza erano stati sempre uniti, fin da piccoli, e l'ultima cosa che Castle voleva era ferire la sorella. Appena l'aveva ritenuta matura le aveva detto la natura del suo lavoro e lo stare cosi lontano, per cosi tanto tempo, mise a dura prova entrambi però il loro rapporto non vacillò mai, anzì. Il detective sperava che anche questa volta fosse cosi. Avevano recuperato molto in questi nove mesi e non voleva perdere tutto.

"é successo qualcosa di brutto non è vero". Disse Alexis capendo che c'era qualcosa che non andava nr nel comportamento del fratello ne nella sua voce.

"Credo che sia giunto per me il momento di tornare a Los Angeles". Disse lui di botto. Alexis lo guardò ferita per qualche secondo, stringendo i pugni sulle proprio gambe.

"Perchè? Non ti trovi bene con noi?". Castle sorrise e scosse il capo prendendo tra le braccia la sorella che ricambiò il suo abbraccio.

"No. Non pensarlo mai. Sarò sempre felice di tornare a casa ma ho degli obblighi che non posso dimenticare. Lo sai, te l'ho spiegato tempo fa". Le ricordò lui appoggiando il mento sulla sua testa.

"Per quanto starai via? Per sempre?". Chiese con voce tremante non volendo sentire l'eventuale risposta per paura di perdere il fratello.

"Tre mesi. Diciamo che seguirò un corso per vedere se posso tornare in azione. Se alla fine mi riterranno idoneo valuteremo cosa fare". Le disse la verità, ma non tutta. Non era necessario farlo adesso. Quando le cose sarebbero state più chiare anche per lui avrebbero di nuovo affrontato il discorso.

"Mi dovrai chiamare ogni giorno perchè altrimenti ti raggiungerò a Los Angeles". Lo minacciò la ragazza facendolo sorridere. Castle le prese la testa tra le mani e l'allontanò dal suo petto cosi da poterla vedere in volto.

"Appena avrò la possibilità sarai la prima che chiamerò". Le promise lui vedendola sorridere e asciugarsi quella lacrima che le scendeva lungo la guancia.

"Quando partirai?"

"Tra un paio di giorni. Il tempo di sistemare alcune cose al distretto"

 

12th DISTRETTO

Il giorno dopo Castle arrivò al distretto teso. Non sapeva come dire ai colleghi che l'indomani sarebbe partito come minimo per tre mesi e il farlo con cosi poco preavviso rendeva le cose più difficili. Si sedette alla propria sedia e aspettò il momento più propizio per farlo. Demming gironzolava ancora per il distretto e di certo non voleva farlo con lui nei paraggi, inoltre doveva trovare il coraggio anche di dirlo a Beckett. Dire addio a lei era la parte più difficile. Gli sarebbe mancato averla tra i piedi, la loro complicità nel risolvere i casi, il suo sorriso. Beckett notò che c'era qualcosa che non andava nel collega ma dava la causa alla loro conversazione del giorno precedente all'interno dell'ascensore e per quanto voleva riprenderla capiva che quello non era il momento migliore. Perciò si limitava a guardarlo con la coda dell'occhio tra una scartoffia e l'altra, incrociando di tanto in tanto lo sguardo con lui che la stava osservando a sua volta.

"Possiamo parlare?". Si avvicinò all'orecchio della donna Demming che parlò comunque con un tono di voce normale in modo da farsi sentire anche da Castle, gioendo nel vedere la sua espressione infastidita. Beckett si schiarì la voce e si alzò dalla sedia andando con lui nella sala relax.

"Ho organizzato una gita al lago per questo week end. Cosi possiamo starcene soli. Solo tu ed io, niente cellulari, niente omicidi, niente di niente". La informò lui entusiasta di quello a cui aveva pensato, aveva già prenotato tutto, convinto della sua risposta positiva. Beckett esitò per più di un secondo, non sapendo cosa dire. Guardò Demming e poi guardò Castle chinò sui fogli. Tom era un bravo ragazzo, stando con lui aveva conosciuto un lato dolce che non mostrava al distretto, però non era quello che voleva. Quando pensava a Demming non provava nessun desiderio di conoscerlo meglio, di star con lui per saper di più sulla sua vita, per cercare interessi in comune. Castle invece era un altra storia, aveva sempre voglia di scambiare due parole con lui, per conoscerlo, per sapere la sua opinione su molte cose, voleva scherzare con lui, avere il suo appoggio durante i casi, o semplicemente avere la sua compagnia durante un film, come già era successo in passato.

"Mi dispiace ma credo non sia possibile". Disse d'un tratto la donna tornando a guardarlo.

"Cosa?". Domandò stupito lui, non aspettandosi di certo una simile risposta.

"Sò che in fondo sei una bravissima persona, che cerca di far il suo lavoro al meglio, ma non sei quello che voglio". Demming l'ascoltò in silenzio per qualche secondo per poi farsi calmo, troppo calmo.

"è per lui che lo fai non è vero?". Domandò senza dire il soggetto della frase essendo ben chiaro a chi si riferiva.

"Castle non ha nulla a che fare con ciò, non ha fatto o detto nulla per farmi giungere a questa conclusione. È una mia scelta Tom". Gli spiegò lei sperando di convincerlo in modo che non ci fossero ritorsioni sul collega.

"Come vuoi". Si rassegnò l'uomo sapendo che non aveva alcun modo per vincere quella battaglia, che forse aveva già perso dal primo istante ."Ma permettimi di dirti di non fidarti di Castle. Lui non è chi dice di essere, ha molti più segreti di quanti tu credi. Se solo provassi a controllare capiresti di cosa sto parlando". Detto questo le diede un bacio sulla guancia e uscì dalla sala relax, passò davanti alle scrivanie di Ryan ed Esposito senza nemmeno guardarli. Si fermò dietro a Castle che , sentendo una presenza alle sue spalle, alzò il volto dai fogli e lo guardò. Demming rimase immobile qualche secondo poi lo salutò con un cenno del capo e se ne andò senza dare spiegazioni.

"Che è successo?" Chiese Esposito alla collega vedendola tornare alla propria scrivania.

"Nulla di che". Rispose cercando di sorridere. Sapendo che la giornata stava per volgere al termine Castle si alzò dalla propria sedia e invitò i due colleghi ad avvicinarsi.

"Devo informarvi di una cosa" . Enunciò bagnandosi le labbra e deglutendo a fatica sentendosi la gola secca. "Domani partirò per Los Angeles e rimarrò li per tre mesi". Quella rivelazione colse tutti di sorpresa. Nessuno si aspettava una tale notizia dato che il detective non aveva dato alcun preavviso di una decisione simili.

"Perchè non ci hai detto nulla prima?". Gli domandò Ryan mentre il cubano lo stava guardando imbronciato. Beckett invece cercava di nascondere le proprie emozioni dietro una maschera di indifferenza.

"La decisione l'ho presa ieri dopo aver sentito uno dei miei capi".

"Ma poi, finiti questi tre mesi, tornerai per restare?". Chiese preoccupato Ryan, non volendo pensare ad un evenienza simile, erano una squadra ormai.

"Volendo essere sincero no. Potrei non restare anzi, se me lo proporranno, tornerò a tutti gli effetti a Los Angeles. Sapevamo tutti che New York per me era solo una stazione di passaggio". Esposito alzò le braccia al cielo dicendo qualcosa in spagnolo e allontanandosi, scaraventando a terra alcuni fogli e penne che aveva sulla scrivania. Ryan si scusò e andò ad inseguirlo per farlo ragionare.

"Dimmi qualcosa". Si rivolse a Beckett che ancora non aveva detto la sua, ne tanto meno aveva reagito in alcun modo.

"Cosa vuoi che ti dica". Gli chiese cercando un suggerimento, trovandosi davvero senza parole. "Buona fortuna". Sussurrò la donna. Beckett raccolse le sue cose e se ne andò, lasciandosi andare alle proprie emozioni solo dopo che la porta dell'ascensore si chiuse davanti a se. Rimanendo da solo in mezzo al distretto Castle si sentì come mai si era sentito prima. Vuoto.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Sorprese ***


 

Castle si tolse l'elmetto, lasciandolo cadere a terra, avendo bisogno di aria per respirare. Prese un fazzoletto e si asciugò la fronte grondante di sudore, appoggiandosi alla parete dell'elicottero sulla quale stava viaggiando.

 “Dobbiamo vedere anche la tua ferita Castle”. Sentì parlare il dottore che gli stava vicino. Diede un occhiata ai propri colleghi, assicurandosi che tutti fossero stati medicati e poi mostrò al medico il braccio sanguinante. Questi prese una forbici e iniziò a tagliare la manica, dal polso fino alla spalla, cosi da aver la visuale libera per procedere con il suo lavoro. 

“Sei stato fortunato, ti ha preso di striscio”. Lo informò iniziando a pulirgli la ferita e applicare un paio di punti. Castle trattenne un gemito di dolore e poi cercò di concentrarsi su altro. Il caldo sole di luglio filtrava attraverso i piccoli finestrini dell'abitacolo e gli scaldava il viso sulla quale i raggi si posavano. Vide i colleghi ridere e scherzare contenti ma lui non era dello stesso umore. Nonostante tutto fosse andato bene sentiva ancora un peso che gli opprimeva lo stomaco e sapeva che era causato dalla conversazione avuta con la madre la sera prima. La sua famiglia lo teneva costantemente aggiornato su quanto accadeva a New York, sopratutto se riguardava i suoi ormai ex colleghi e lui era felice di quello, era felice di sapere che stavano tutti bene. Ma ieri Martha aveva confessato una cosa che gli aveva tenuto nascosto per tutti quei sei mesi che era stato via. Circa un mese dopo la sua partenza Beckett si era presentata a casa sua.

 
La donna si sentiva particolarmente in colpa da quando Castle se n'era tornato a Los Angeles. Dopo che gli aveva informati della sua decisione lei se n'era andata via e non l'aveva più cercato e cosi, a differenza dei due colleghi, non aveva avuto modo di dirgli addio. Era per quel motivo, si disse, che ora se ne stava davanti alla porta della sua casa aspettando che qualcuno le aprisse. Voleva avere informazioni sul suo collega dato che ogni volta che lei provava a rintracciarlo il suo cellulare risultava sempre staccato, inoltre Castle non aveva risposto nemmeno ad uno dei messaggi che lei le aveva lasciato, perciò aveva deciso di agire. D'un tratto la porta si aprì e Beckett rimase senza parole. Guardò ancora il foglietto sulla quale aveva appuntato l'indirizzo e guardò di nuovo la donna imbarazzata.

 “Credo di aver sbagliato appartamento, mi dispiace”. Disse arrossendo mentre invece Martha sorrideva, avendola riconosciuta grazie alle descrizioni che il figlio aveva fatto della collega. 

“Tu devi essere Beckett?!. Prego entra pure”. Disse portando un braccio intorno alle spalle della donna e accompagnandola dentro, senza darle modo di ribattere. 

“Si in effetti sono io ma come fa a saperlo. Io non la conosco, o meglio, so che lei è una bravissima attrice ma..” La detective iniziò a balbettare. Sia per il fatto di trovarsi davanti a un personaggio famoso sia per via dell'imbarazzo che provava, d'improvviso l'esser andata a casa di Castle le sembrava una terribile idea.

 “Oh grazie mille tesoro. Lo so di esserlo e lo dicono anche tutte le recensioni e i premi”. Disse Martha mostrando una scaffale sulla quale erano disposte varie statuette per poi mettersi a ridere vedendo l'espressione di Beckett. 

“Tranquilla stavo solo scherzando, vieni mettiti pure seduta”. Le disse accompagnandola al divano e facendola sedere, impedendole ancora di parlare. “Vuoi qualcosa da bere?. Del vino direi”. Asserì preparando già i bicchieri e la bottiglia. La detective potè solo ringraziarla quando le offrì il vino.

 “Signora Rodgers, come le stavo per dire mi dispiace di averla disturbata, in realtà stavo cercando la casa di un mio collega”. Dichiarò Beckett dopo aver assaggiato uno dei migliori vini che avesse mai bevuto in vita sua. Martha Rodgers doveva di certo avere buon gusto.

 “Oh ma tu sei nel posto giusto. Stavi cercando la casa di mio figlio Richard”. Rispose l'attrice sorridendole e versandosi un altro bicchiere di vino.

“Non ti aveva detto che sono io sua madre immagino”. Constatò vedendo che la detective era rimasta a bocca aperta a quella notizia. 

“No, in effetti non lo sapevo. Castle non parlava mai della sua vita al di fuori del distretto per questo,quando l'ho vista, pensavo di aver sbagliato casa”. Si spiegò Beckett motivando cosi la sua aria spaesata iniziale. 

“Ah è una cosa che Richard ha sempre fatto. Avendo paura di aver dei vantaggi per il fatto di esser mio figlio non lo affermava mai. Solo una volta che veniva scoperto lo ammetteva. E cosi fa anche con suo padre. Alexander è il vice presidente della Dynamo”. Beckett in quel momento capì di sapere di Castle molto meno di quello che immaginava. Non avrebbe mai pensato che il detective fosse figlio di persone cosi importanti, non aveva mai dato indizi a riguardo, tanto meno si comportava come il figlio di una star e di un multimilionario.

 “Wow, è una bella rivelazione questa. Conoscendo Castle avrei detto che fosse figlio di qualche saltimbanco”. Ridacchiò sperando di non aver offeso la donna ma quando la vide ridere anch'ella subito si tranquillizzò. 

“Si a volte ho il dubbio pure io che sia mio figlio. Magari l'hanno scambiato nella culla”. Beckett sorrise e si nascose dietro il bicchiere andando a berne un altro sorso. A Martha sembrava di conoscerla da una vita grazie ai racconti del figlio e non si stupì del suo timido modo di fare.

 “Allora perchè sei qui?. Sono certa che sai che Rick è a Los Angels”. Disse con un tono di voce molto materno.

 “Si si lo sò. Il fatto è che quando se n'è andato mi son comportata veramente male con lui e volevo scusarmi in qualche modo ma ogni volta che provavo a rintracciarlo mi risultava impossibile. Allora ho deciso di venire qui sperando di avere un po' più di fortuna”.Dichiarò Beckett osservando il tappeto ricamato ai suoi piedi. 

“Rick sta bene, anche se sono un paio di giorni che non lo sento”. Disse Martha appoggiando una mano sulla gamba della detective per rassicurarla ulteriormente. 

“Deve essere difficile averlo cosi lontano e non riuscirlo a sentire ogni volta che si vorrebbe”. Ipotizzò la detective. La compagnia di Castle le mancava quando se ne stava al distretto ad osservare la sua sedia vuota e poteva solo immaginare cosa poteva provare la sua famiglia.

 “Un po' ci abbiamo fatto l'abitudine ma la paura che gli accada qualcosa che c'è sempre”. Rivelò la donna mordendosi la lingua. Avrebbe voluto spiegarle meglio la situazione ma non poteva permettersi di mettere nei guai il figlio tanto meno rivelando i suoi segreti senza il suo consenso. 

“Già Castle ha le doti per mettersi nei guai in ogni situazione”: Ridacchiò Beckett non avendo modo di sapere che l'attrice non si riferiva a quella capacità naturale del figlio. 

“Sei davvero molto preoccupata per lui non è vero?”. Intuì Martha dall'espressione crucciata della detective. Si vedeva che aveva molte domande da fare ma che per varie ragioni non riusciva a porle e l'attrice sapeva che suo figlio le aveva chiesto di non far più domande sul suo passato. 

“é un mio collega ma anche un mio amico. Al distretto pensavamo che dopo qualche giorno ci avrebbe fatto avere sue notizie, una telefonata, un messaggio ma nulla. Cominciavamo a chiederci se li fosse successo qualcosa e io mi chiedevo se non fosse a causa mia che non aveva interesse a farsi sentire”. Beckett si morse un labbro e posò il bicchiere sul tavolinetto davanti a lei andando poi ad osservare la sua interlocutrice. Alzò le spalle e sospirò. “Forse vago troppo con la fantasia”.

 “Richard te lo assicuro non ce l'ha con te, o con i vostri colleghi, è solo che è davvero impossibilitato a chiamare. Anche noi facciamo molta fatica a sentirlo e per la maggior parte delle volte sono conversazioni che durano meno di un minuto.”. Le disse Martha lasciandosi scappare anche lei un sospirò, non amando particolarmente tutta quella situazione.

 “Quando lo sente può dirgli che ci farebbe piacere ricevere anche un solo suo messaggio. Un qualcosa per darci la conferma che sia tutto a posto. Gli dica che è Ryan che ci tieni più di tutti”. Sorrise ancora una volta la detective alzandosi dal divano, sapendo di esser già stata li troppo, più del dovuto. Martha copiò il suo movimento e si mise in piedi anch'ella porgendole la mano. 

“Farò quello che posso ma ho un idea migliore. Ogni volta che vuoi passa pure a trovarci, cosi, oltre a farmi compagnia, ti potrò far sapere qualcosa di Richard.”. Beckett annuì più per cortesia che per certezza di fare quanto la donna le aveva appena suggerito. Si sentiva davvero di troppo a invadere cosi la casa di Castle, non sapeva lui cosa ne pensava a riguardo, sopratutto considerando il fatto che lui in primis non aveva mai accennato al fatto di presentarle la sua famiglia. In quell'istante la porta di casa si aprì ed entrò una ragazzina sui sedici anni dai capelli rossi. Appena vide Beckett si fermò osservando prima lei e poi sua madre. Spostando una ciocca di capelli dietro l'orecchio si avvicinò alle donne e si presentò. 

“Piacere io sono Alexis”. Beckett le strinse la mano non avendo alcuna idea di chi la ragazza fosse, ma poteva notare una cerca somiglianza con Martha.

 “Lei tesoro è la collega di Rick. Questa è mia figlia, Alexis”. Disse Martha facendo le presentazioni. La detective rimase ancora stupita. Castle non aveva mai parlato di sorelle ma a differenza dell'uomo si notava subito che lei era molto più espansiva e socievole, tanto che iniziò a farle domande avendo sentito anch'ella parlare molto spesso di Beckett e perciò voleva sapere tutti i dettagli che il fratello aveva omesso. La detective si fermò li un altra ora e prima di uscire di casa ripromise che sarebbe tornata nei giorni successivi. Le ci vollero altre due settimane per trovare il coraggio di farlo ma appena la famiglia Castle la vide l'accolsero a braccia aperte. Conobbe anche Alexander che, seppur fosse il vice presidente di una grande azienda, era una persona a dir poco umile, che non disdegnava di passare una serata al cinema a mangiare pop corn e a bere una birra, piuttosto che andare in ristoranti sopraffini e a teatro.

 

Castle sorrise anche all'idea che la sorella e la collega avessero fatto amicizia. Infatti una settimana prima aveva chiamato a casa apposta per parlare con Alexis ma Martha gli aveva detto che era andata a far compere con Beckett, ormai la considerava una sorella maggiore. Il pilota li informò che stavano per atterrare perciò il detective e i colleghi si riallacciarono le cinture mentre l'elicottero iniziava le manovre. Appena scesi furono accolti da sette uomini vestiti in abito nero e occhiali da sole, vicino ad altrettante macchine nere con vetri oscurati. Castle pensò che se il loro desiderio era la segretezza non ci avevano preso proprio. Ognuno degli agenti che erano a bordo dell'elicottero salì su un auto diversa e Castle si ritrovò da solo. Ora che aveva appoggiato i piedi a terra si sentiva stanco, sia fisicamente che mentalmente. L'operazione durata quasi sei mesi l'aveva devastato e, nonostante fosse abituato a quei ritmi, alla fine i segni rimanevano sempre con loro. Quando scese dall'auto rimase sorpreso di non trovarsi davanti all'hotel dove pernottava ma invece si trovava davanti ad un altro edificio. Si guardò attorno e entrò. Fatiscente all'esterno, ultra moderno all'interno. Incontrò persone e persone ma non si fermò a parlare con nessuno di loro, aveva una metà ben precisa. Bussò alla porta e aspettò che questa si aprisse. Jonhson se ne stava seduto alla propria scrivania a leggere un fascicolo.

 “Non è andato tutto come previsto ma almeno il risultato che speravamo l'abbiamo ottenuto”. Disse appoggiando quei fogli e osservando Castle, il quale però non mostrava la sua stessa felicità. 

“A parte il fatto che ci sono stati omessi dettagli importanti che potevano evitarci un sacco di graffi e cicatrici. Scream è quasi morto”.Gli fece notare il detective senza però perdere la propria postura. Si trovava sempre davanti a un superiore.

 “Dovresti ben saperlo che tutto può cambiare in un secondo, che nemmeno noi sappiamo quello che vi aspetta una volta che vi trovate sul campo. Sono i rischi del mestiere Richard. Ma non ti ho fatto venire qui per parlare della missione”. Lo informò l'uomo voltando la propria sedia per prendere un foglio all'interno di uno scaffale dietro di lui. Lo lesse attentamente e poi lo mise sulla scrivania, dal lato di Castle, in modo che lui potesse visionarlo. Il detective si avvicinò e lesse le prime righe, quanto gli bastava per capire di cosa si trattava.

 “Sono stato reintegrato”. Affermò volendo comunque avere una conferma da parte del superiore. 

“A pieno effetto. Ti abbiamo studiato mentre ti occupavi di questo caso e non ci è voluto molto per capire che eri lo stesso di sempre nonostante tutto quello che ti era successo. Anzi la pausa che ti sei preso ti è servita a tornare più determinato di prima. Per quanto mi riguarda poi iniziare fin da subito il trasferimento a Los Angeles”. Jonhson porse la penna a Castle in modo che firmasse le carte necessarie al suo reintegro. Era quasi di un anno e mezzo che aspettava quel momento. I 6 mesi passati a riposo, gli altri 5 al distretto e questi altri 6 passati a lavorare su questo caso, una lunga, interminabile agonia. Ora poteva riavere la sua vita eppure qualcosa lo faceva esitare. 

“Tutto a posto Richard?”. Chiese preoccupato Jonhson non vedendolo più muovere. 

“Si Signore. Sono solo stati dei mesi faticosi”. Sorrise a fatica e poi si avvicinò alla scrivania. Il suo sogno stava per avverarsi.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Ritorno ***


12th DISTRETTO

 

“Ehi Beckett esci con noi stasera?”.Le chiese Ryan avvicinandosi alla sua scrivania, pronto a concludere un altra giornata di lavoro. “Ci saranno anche Jenny e Lanie” Aggiunse vedendola titubante. 

“Grazie ma in verità ho un altro impegno”. Affermò lei firmando il rapporto sul caso che avevano appena risolto cosi da poterlo mettere in archivio. 

“Josh?”. Domandò Esposito unendosi ai due. 

“No. Aveva il turno in ospedale. Questa sera sono tutta di Alexis”. Da quando aveva cominciato a frequentare casa Castle la detective e la ragazza passavano molto tempo assieme tanto che si erano prese un giorno a settimana solo per loro in cui andavano al cinema, a teatro, o semplicemente se ne stavano a casa a parlare di qualunque cosa volessero.
 

CASA BECKETT 

Beckett aveva appena tirato fuori il gelato dal freezer quando sentì bussare alla porta. Nonostante avesse detto ad Alexis di entrare pure senza farsi problemi la ragazza aspettava sempre che fosse la donna ad aprirle la porta cosi da essere sicura di non disturbare. 

“Ciao Lex”. La salutò ricambiando l'abbraccio della ragazza. 

“Ciao Kate. Stasera ho portato Seven. È da tantissimo che non vedo questo film e Brad Pitt è cosi carino con i capelli corti”. Disse la ragazza entrando nella casa e mettendosi comoda come se fosse la propria, proprio come Beckett voleva. 

Si misero a guardare il film sedute sul divano, una con un gelato al cioccolato e l'altra con il gelato alla crema appoggiato sul grembo, commentando ogni scena, ogni omicidio dove la ragazza chiedeva informazioni alle detective su come si comportavano i veri poliziotti. D'un tratto Alexis posò il suo barattolo per terra e si volta con fare serio verso a Beckett la quale, capendo la gravità della situazione, mise giù anche il suo barattolo e si preparò all'ascolto. 

“Secondo te sarebbe giusto far rinunciare ad una persona di realizzare il suo più grande sogno solo perchè tu hai paura?”Chiese titubante la ragazza andando ad abbracciarsi le ginocchia, guardandosi le dita dei piedi. 

“Bhè mettendola giù cosi no. Sarebbe egoistico, la cosa più giusta da fare sarebbe sostenerla”. Rispose Beckett passandosi una mano nervosa nei capelli. Voleva dar le risposte giuste ai dubbi della ragazza cosi da esserle d'aiuto. 

“Quindi anche se chiedessi a Rick di rinunciare a Los Angeles perchè ho paura di perderlo sarebbe egoistico?”. Fece un altra domanda cosi da aver un opinione esterna alla famiglia. Alexis sapeva che chiederlo ai suoi genitori non le avrebbe dato una chiara visione della situazione, Beckett invece era più ponderata e meno influenzata, o almeno cosi pensava. 

“Si lo sarebbe. Ma d'altro canto Castle capirebbe il motivo che ti spinge a chiederglielo e poi a Los Angeles corre gli stessi rischi che corre qua a New York e sono certa che anche la ha una squadra pronta a coprirgli le spalle. Tuo fratello è un tipo in gamba che riesce a tirarsi fuori da ogni situazione. Vedrai che non gli accadrà nulla”. Cercò di rassicurarla capendo in parte i timori della ragazza ma intuendo che c'era molto di più di quello che effettivamente diceva. 

“Avanti Lex lo sai che puoi dirmi tutto. Ti puoi fidare di me”. Tentò di darle coraggio dopo che la vide più fragile e silenziosa. 

“Il lavoro che Rick fa a Los Angeles è più pericoloso di quello che svolge qua a New York.”. Iniziò a dire insicura, aveva fatto una promessa al fratello ma era diventato un fardello troppo grande ormai. Non poterne parlare, non poter confidarsi con qualcuno era troppo per una ragazza della sua età. 

“Lui vuole aiutare le persone che sono veramente in pericolo e per farlo mette a rischio la sua vita. Se indagasse solo di omicidi non mi preoccuperei, è che lui fa molto di più di quello che rivela. Nemmeno io so bene quali sono le sue responsabilità e questo mi fa ancora più paura perchè non so cosa gli può capitare”. Confidò i suoi timori la giovane asciugandosi gli occhi lucidi e tirando su con il naso mentre nascondeva la testa tra le gambe. Beckett si mise in ginocchio sul divano e andò ad abbracciarla in modo materno. 

“Se Castle sa a quali rischi va in contro allora sa anche come evitarli quindi devi stare tranquilla, scommetto che è preparato per ogni evenienza. È addestrato per affrontare situazioni di pericolo”. Disse la detective appoggiandosi allo schienale sul divano e facendo appoggiare la testa della ragazza sulle proprie cosce. 

“L'addestramento però non l'ha aiutato un anno e mezzo fa. Nonostante tutto ha rischiato di morire in quell'incidente”. Beckett cominciò ad accarezzare i capelli della ragazza mentre nella sua testa stavano iniziando a formarsi una serie di domande senza risposta. Non sapeva nulla dell'incidente capitato a Castle, nemmeno Montgomery aveva accennato a quel fatto nei mesi in cui il detective aveva lavorato con loro. Che fosse stato quello il reale motivo per cui era arrivato a New York? E di che tipo di incidente si trattava?. Beckett lo fece per domandare ad Alexis ma quando abbassò lo sguardo la vide addormentata. Il rivelare già quei suoi pensieri doveva esser stato molto duro perciò la detective non insistette oltre e la lasciò riposare mentre lei finiva di guardarsi il film ormai quasi giunto al termine.

 

Cambiando canale dopo canale in cerca di qualcosa da vedere Beckett sentì bussare alla porta dell'appartamento. Guardando l'orologio vide che erano le 23 passate e da quello capì che doveva essere Alexander che era venuto a prendere Alexis. Appoggiando la testa della ragazza dolcemente sul divano andò ad aprire la porta pronta a salutare il capostipite della famiglia ma quando lo fece si trovò una persona diversa da quella che aveva immaginato. 

“Castle”. Sussurrò non aspettandosi proprio la sua visita. Erano oltre sei mesi che non si vedevano, tanto meno sentivano. Non sapeva nemmeno del suo ritorno a New York e probabilmente anche Alexis ne era all'oscuro altrimenti glielo avrebbe detto, cosi come avrebbe fatto Martha. 

“Sono venuto a prendere Alexis”. Disse semplicemente trovandosi a corto di parole mentre, sempre sulla soglia della porta, se ne stava con le mani in tasca a dondolare sulle punte. 

“é addormentata sul divano.”. Lo informò lei lasciandogli vedere la figura della sorella distesa sul mobile. Castle sorrise a quella scena e fece qualche passo all'interno dell'appartamento cosi da permettere a Beckett di chiudere la porta dietro di lui. 

“Vuoi un caffè?”. Gli chiese serrando le labbra, smettendo di respirare in attesa di una risposta. Era curiosa di sapere il motivo per cui era scomparso per cosi tanto tempo e ancora di più voleva sapere se era tornato per rimanere. Castle guardò per un istante Alexis e poi ispezionò la casa, molto semplice, come si aspettava. Rimase particolarmente colpito da uno scaffale pieno di libri tra i quali poteva vedere autori come King, Brown, Steel. 

“Volentieri”. Le rispose seguendola in cucina. 

“Quando sei tornato?”. Gli domandò lei dandogli le spalle mentre metteva su la caffettiera cosi da preparare il caffè. 

“Poco più di un oretta fa. Il tempo di lasciare le cose a casa e scambiare due parole con i miei genitori”. Disse lui senza staccare gli occhi dalla schiena della donna. Poteva capire dai suoi gesti rapidi ma indecisi che era tesa e sapeva di esser lui la causa. 

“Alexis era molto preoccupata. Il fatto di sentirti poco o per nulla è molto difficile per lei. Anche ammetterlo è difficile. Vuole mostrarsi forte ma alla fine rimane sempre una ragazzina piena di dubbi e timori”. Commentò la donna andando a prendere due tazzine e riempiendole cosi da porgerne una al collega. 

“Mia madre mi ha detto che sia tu che Ryan,Esposito e Lanie siete stati molto vicini alla mia famiglia mentre non c'ero, in particolare te e di questo te ne sarò infinitamente grato”. Affermò lui soffiando sul caffè fumante prima di andarlo ad assaggiare. Forte come gli piaceva a lui. 

“é stato un piacere farlo. Anche se avresti dovuto dirmi chi erano i tuoi genitori, in particolare tua madre. Mi ci è voluto un po' per riprendermi dallo shock”. Ridacchiò lei volendo smorzare un po' quell'aria tesa che si sentiva aleggiare sopra di loro. 

“Bhè ma poi ti sei ripresa tanto che lei hai chiesto un autografo”. Continuò anche lui a dialogare in tono scherzoso volendo dare alla conversazione quel tono li. 

“Bhè mia madre è una sua fan. Almeno una volta al mese costringe mio padre ad andare a vedere Martha a teatro. Quando le ho detto che la conoscevo è quasi svenuta e mi ha supplicato di chiederle un autografo. Quando poi gliel'ho dato è svenuta davvero”. Risero assieme come non facevano da mesi e Castle appena sentì quel dolce suono capì che era una delle cose che gli erano mancate di più in quel periodo di lontananza. 

“E le cose al distretto come vanno?”. Domandò lui cercando di posticipare il più possibile quel fatidico momento che sapeva che di li a poco sarebbe arrivato.

 “Bene, manchi ai ragazzi. In fondo eri tu che portavi quella spensieratezza che serve per non farsi prendere troppo dal caso e rischiare di rimanerci intrappolato dentro. Ryan ha provato qualche volta a tirare fuori qualche ipotesi strampalata come quelle che fai tu ma, diciamo, non erano della stessa qualità” Raccontò Beckett aggiungendo qualche particolare sui casi che avevano affrontato in quei mesi, sopratutto quelli più intricati che avevano richiesto un grande sforzo per essere risolti. 

Poi tra i due piombò il silenzio e Castle capì che quel momento era arrivato. Era pronto ad affrontarlo altrimenti non sarebbe andato a prendere Alexis a casa della collega ma avrebbe fatto andare il padre come già era in programma di fare. 

“Sono stato via più del previsto ma la mia presenza si è rivelata necessaria per sbrigare alcune pratiche e cosi ho dovuto posticipare il rientro.” Spiegò lui rivelando solo la superficie di quello che effettivamente era accaduto a Los Angeles. 

“Non è quello Castle.”. Confessò Beckett riprendendo le tazzine e andando a metterle nel lavandino per poi rimanere appoggiato ad esso, ad osservare l'acqua scorrere. Castle guardò Alexis per assicurarsi che stesse ancora dormendo e poi si alzò dallo sgabello su cui era seduto e si mise a fianco della collega.

 “E allora perchè sei arrabbiata con me?. Puoi anche negarlo ma sappiamo entrambi che è cosi. Se si potesse uccidere con uno sguardo tu mi avresti già incenerito”. Scherzò lui inclinando la testa per guardarla. Per quanto fosse davvero arrabbiata il fatto di averlo li vicino a lei le fece dimenticare quasi tutto. 

“Sei mesi e nemmeno una chiamata o un messaggio Castle. Dovevo raccimolare informazioni da tua madre per sapere come stavi. Il tuo comportamento è stato scorretto sopratutto dopo tutto quello che abbiamo condiviso, i mesi passati a lavorare a fianco a fianco non rappresentano niente per te”. Affermò lei chiudendo di colpo l'acqua, prendendosela con il rubinetto piuttosto che con il collega che però non era dello stesso avviso. L'afferrò per entrambe le braccia e la fece voltare in modo da rimanere faccia a faccia. 

“Credi veramente che se ne avessi avuto la possibilità non avrei chiamato?. Riuscivo a mala pena a sentire la mia famiglia quel paio di volte a settimana, un ciao e poi dovevo interrompere la conversazione. Non ho dimenticato tutto il tempo passato assieme, è anche quello che mi ha fatto tornare”. Ribattè lui alzando la voce senza accorgersene, surclassato com'era dalle emozioni. Non voleva in alcun modo che Beckett pensasse che si fosse dimenticato di loro, di lei.

 “Se fossi un vero agente della omicidi il tempo l'avresti trovato per farlo”. Gli fece notare lei, costringendolo a mollare la prese avendo accusato il colpo.

 “Lo so che non sei cosi stupida. Che hai capito benissimo chi sono realmente. Il fatto è che non hai il coraggio di ammetterlo, non hai il coraggio di cercare le prove. Aspetti che sia io a cedere e a raccontarti tutto, ma non lo farò. Vuoi delle risposte? Trovatele.”. Fece un altro passo indietro e dopo averla guardata un ultima volta si diresse di nuovo in salone per andare a svegliare Alexis cosi da poterla riportare a casa. 

“Ma tanto questo non è più un problema, non è cosi?”. Chiese lei tenendo la voce bassa non volendo disturbare il sonno della giovane. 

“Che cosa stai farneticando?”. Domandò lui non capendo il senso della sua domanda. 

“Tanto tu ormai te ne tornerai a Los Angeles quindi che importa se io voglio o meno sapere la verità. Anche se la scoprissi tu saresti a miglia e miglia di distanza”. Parlò Beckett puntandogli un dito contro e corrugando la fronte, non preoccupandosi di trattenere la rabbia che aveva in quel momento. Rabbia perchè lui non si fidava di lei, per questi mesi di silenzio, per il fatto che non l'avrebbe mai più rivisto.

 “Bhè mi dispiace dirtelo ma non me ne vado da nessuna parte.”. Rilevò lui facendole di colpo cambiare espressione.

 “Cosa?” Domandò sbigottita lei. Non poteva aver capito giusto. Castle non vedeva l'ora di tornare a Los Angeles. “Non ti hanno offerto il posto?”. Chiese cercando chiarimenti a quella sua affermazione. 

“Si me l'hanno offerto”. Rispose lui aggiungendo. “Ma l'ho rifiutato. Qui ho ancora molte cose per cui vale la pena ritardare il mio rientro di qualche mese.”. Affermò osservandola dritta negli occhi, facendole sentire i brividi lungo la schiena. Di certo parlava della sua famiglia ma dal modo in cui la guardava Beckett aveva la quasi certezza che stesse parlando anche di lei. Castle fece un passo in avanti in sua direzione, cosi da ridurre la distanza tra di loro. Agiva d'istinto e la sua mente era vuota, sapeva solo che quella era la cosa giusta da fare.

 

“Kate”. Si sentì una voce appisolata provenire dalla loro sinistra. Alexis si era svegliata e ora si strofinava gli occhi non capendo bene che cosa stesse succedendo. Quando però vide il fratello la stanchezza che sentiva svanì di colpo e subito saltò giù dal divano e corse incontro a Castle che la prese tra le braccia. 

“Sapevo che saresti tornato”. Gli disse nascondendo la testa contro la sua spalla. 

“Ma certo che sono tornato. Nulla può tenermi lontano da te”. La rassicurò abbracciandola cosi forte da alzarla da terra e dondolandola lievemente. 

“Sai ora mi toccherà pagare Beckett per tutte le volte che ti ha fatto da babysitter”. Scherzò Castle ricevendo un pugno dalla sorella proprio sul braccio dove la pallottola l'aveva preso di striscio. Una smorfia di dolore si palesò sul suo volto ma Alexis pensò che stesse solo esagerando mentre Beckett capì subito che c'era altro sotto. 

“Lex perchè non raccogli le tue cose”. Le suggerì la detective cosi da rimanere da sola ancora una volta con il collega. 

“Sei ferito”. Non era una domanda, era un constatazione. Non ci voleva un genio per capirlo. 

“Una pallottola mi ha colpito di striscio ma per Alexis io sono tornato a casa tutto d'un pezzo”. Quasi pregò la donna di mantenere quel segreto, non volendo far preoccupare più del dovuto la sorella. Beckett comprese a pieno la situazione e annuì. 

“Sono pronta, possiamo andare. Grazie Kate per la serata. Spero che anche se Rick è tornato continueremo con questa nostra piccola tradizione”. Disse tutto d'un fiato la ragazza ora che il sonno era l'ultimo dei suoi pensieri. 

“Certo Lex, quando vuoi sono a tua disposizione”. Acconsentì Beckett godendosi anche lei le serate spensierate che passava con la ragazza. La facevano tornare indietro di 10 anni quando anche lei aveva la sua stessa età. 

“Grazie ancora e salutami Josh”. Aggiunse la giovane ormai trovandosi sul pianerottolo fuori dall'appartamento della detective.

 “Josh?”. Chiese innocentemente Castle non avendo idea di chi stessero parlando. “Chi è Josh?”. Guardò prima Beckett e poi Alexis in cerca di una risposta. 

“é il mio fidanzato”.Affermò la detective volendo sprofondare sotto terra in quello stesso istante. Di certo non era cosi che voleva che Castle ne venisse a conoscenza. 

“Capisco”. Fu l'unica cosa che il detective riusci a dire. “A domani allora”. La salutò vedendola annuire quando Alexis si intromise. 

“A domani? Vuol dire che rimani?”. Chiese piena di speranze. 

“Mi tratterrò qui ancora per un pò”. Le rispose cercando di sorridere ma fallendo. 

Beckett li seguì con lo sguardo finchè non entrarono nell'ascensore, sperando che Castle si voltasse, le dicesse qualcos'altro, ma ormai l'uomo era concentrato sulla sorella. Chiusa la porta la donna vi ci appoggio contro la testa e sospirò, ricucire un rapporto con il collega sarebbe stato più difficile di quel che inizialmente pensava. Dirigendosi verso la sua camera gli venne ancora in mente la breve conversazione avuta con l'uomo in particolare sulla sua identità. Lui le aveva detto di cercare le risposte se aveva coraggio e forse, alla fine, era arrivato il momento di trovarlo.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Guerra fra bande ***


 

12th DISTRETTO

 

Castle parcheggiò la sua macchina fuori dal distretto e prima di scendere si guardò allo specchietto, borbottando nel vedere le occhiaie nere formatesi sotto gli occhi a causa del poco riposo avuto la notte precedente. In qualche modo la rivelazione che Beckett aveva un fidanzato l'aveva ferito più di quanto pensasse. Si rese definitivamente conto che non l'aveva aspettato, giustificata dal fatto di sapere che lui poteva anche non tornare, eppure una parte di lui lo sperava, senza contare il fatto che si era subito pentito di averle dato della codarda durante la loro intensa ma breve conversazione. Si diede qualche colpetto deciso sulla guance ed uscì dall'abitacolo. Fece appena in tempo a chiudere la porta che sentì una pacca decisa in mezzo alle spalle che lo fece trasalire. 

“Lo sapevamo che non ci avresti lasciato”. Affermò Esposito sorridendo da orecchio ad orecchio con l'inseparabile compare al suo fianco. 

“Mi fate pentire di questa decisione però. Manca solo il mazzo di fiori e siamo a posto”. Scherzò su vedendo Ryan con in mano una bottiglia di champagne.

 “é quello analcolico”. Si giustificò alzando la bottiglia e aprendola subito dopo, osservando il tappo partire in mezzo alle siepi. 

“I bicchieri?”.Li cercò Castle osservandosi attorno e nelle mani dei colleghi non trovandoli. 

“Non dovevi prenderli tu?”. Ryan chiese ad Esposito che lo guardò in malo modo. “No dovevi portarli tu”. Constatò andando poi a parlare tutto sorridente verso il collega. Cercando una scusa per quella mancanza. “Erano finiti quindi dobbiamo bere cosi”. Castle scrollò il capo ma accettò volentieri l'offerta e bevve due sorsi dello champagne, nascondendo con la mano la smorfia palesatasi a causa del cattivo gusto di quello. 

“Ora abbiamo pure preso a bere sul posto di lavoro”.Sentirono la voce di Beckett alle loro spalle che li ammoniva, non perdendo però quel sorriso che la caratterizzava. 

“In realtà siamo fuori dal distretto quindi...”.La corresse Castle passando la bottiglia al cubano che la offrì a sua volta alla donna la quale però rifiutò. 

“Tra cinque minuti vi voglio alle vostre scrivanie”. Osservò per un ultimo istante il collega prima di dirigersi all'interno dell'edificio. Il detective la seguì con gli occhi, triste, finchè non la vide scomparire dietro la porta d'ingresso. 

I tre rimasero più del dovuto a chiacchierare fuori dal distretto ma Beckett non si fece nessun problema a riguardo. Era presa dalle scartoffie quindi non diede peso al loro ritardo dato che non avevano obblighi imminenti. Castle si sedette alla propria sedia e le porse il caffè.

 “Ho visto che non l'hai ancora preso”. Si spiegò mentre lei lo andò ad afferrare con entrambe le mani dopo aver appoggiato la penna. 

“Ti volevo ancora ringraziare per ieri”. La detective sorseggiò il caffè e alzò le spalle. 

“Davvero è stato un piacere avere li Alexis”. Beckett riprese in mano la penna e se la portò alla bocca mordicchiandola mentre tornava a leggere attentamente i fogli nel contempo Castle se ne stava seduto a ciondolare la testa a destra e sinistra annoiato, fischiettando la sua solita canzone. 

“Come va il braccio?”. Il detective si fermò di colpo e si voltò verso la collega posandosi una mano sulla ferita. 

“Meglio. Tra un paio di giorni mi tolgo i punti”. Non vedeva l'ora di farlo, se fosse stato per lui a quest'ora gli avrebbe già levati ma poteva vedere che la ferita non era ancora chiusa quindi preferiva non rischiare. 

“Allora non era poi cosi tanto di striscio”. Constatò la detective osservandolo, inarcando un sopracciglio mentre lui assumeva l'espressione di un bambino colto a combinare qualche guaio. 

“Rispetto ad altre ferite che ho avuto lo era”. Sorrise lui enigmatico mentre Beckett lo guardava aspettandosi una continuazione che non arrivò. Il cellulare della donna squillò e Castle potè leggere sul display il nome “Josh”, oltre che vedere la sua foto. Anche lui non poteva negare che il ragazzo faceva la sua figura ma di certo non era bello come lui, si disse fra se e se. Vide la collega esitare nel rispondere e cosi preferì lasciarla sola e andare a parlare con Montgomery prima di quanto aveva programmato. Parlando con il capitano ogni tanto osservava la collega e il modo in cui si comportava, come sorrideva o come si attorcigliava una ciocca di capelli attorno al dito. Non era difficile capire che era contenta di sentirlo.

 “Non deve essere stata una decisione facile”. Montgomery era seduto alla sua scrivania e lo guardava non comprendo il reale motivo del suo essere cosi apatico. 

“Già ma ho solo ritardato la cosa. Voglio essere effettivamente pronto per quando tornerò in azione a tempo pieno”. Dopo tutto quella era una mezza verità, il lavoro che faceva richiedeva grande concentrazione e lui al momento non l'aveva diviso a metà com'era. Parte di lui voleva andare a Los Angeles ma l'altra voleva restare. Restare o andare? Si chiese paragonandosi a uno dei personaggi di Shakespeare. 

“Sai il tuo capo mi ha chiamato”.Il capitano interruppe cosi i suoi pensieri. 

“Jonhson?”. Domando sorpreso l'uomo. Non aveva idea che il proprio superiore avesse chiamato l'attuale capitano, tanto meno ne sapeva il motivo. 

“No, l'altro”. Rimase sul vago ma il detective sapeva bene di chi parlava. “Mi ha chiesto il motivo del tuo rifiuto. Se sapevo qual'era l'elemento di distrazione che ti ha fatto decidere di rimanere.”.Riportò cosi in poche parole il riassunto di una telefonata durata più di un ora. 

“A quanto pare non hanno accettato la mia decisione. Non mi stupisco”. Ridacchiò Castle passandosi una mano nervosa nei capelli. “Mi dispiace che l'abbiano tirata in mezzo”. 

“Tranquillo. Ho avuto peggiori tirate d'orecchio ma a quanto ho potuto constatare hanno puntato molto su di te”. Castle annuì non volendo rivelare null'altro. Gli avevano imposto il silenzio su determinati fatti e lui doveva mantenere la parola data. Non poteva far correre pericoli a nessuno ammettendo la verità. 

“Dovrei tornare a lavoro”. Affermò facendogli notare che Ryan ed Esposito si erano avvicinati a Beckett e stavano parlando in modo fitto. Probabilmente un nuovo caso da risolvere, ipotizzò. 

“Vai pure”.

 

 “Sei appena tornato e già abbiamo un omicidio. Si vede che li attiri”. Ci scherzò su Ryan raggiungendo poi Esposito che già era diretto verso l'ascensore. 

“Di che si tratta?”. Domandò il detective rimasto solo con la collega. 

“Un omicidio nel Bronx. Hanno ritrovato il corpo di un ragazzo in un vicolo. Il resto ce lo diranno sulla scena del crimine”. Illustrò al collega le poche informazioni che i due detective le avevano dato prima di dirigersi anche loro al luogo indicato. 

Durante il tragitto Castle cercò di non pensare alla telefonata che il capitano aveva ricevuto ma non poteva far a meno di controllare il proprio cellulare per chiedersi il perchè non avessero parlato direttamente con lui. 

“Aspetti una telefonata dalla fidanzata”. Commentò Beckett vedendolo scorrere il registro delle chiamate più e più volte. 

“Magari”. Ammise lui distrattamente. “Volevo vedere se mi avevano cercato da Los Angeles”. Le spiegò senza staccare gli occhi dallo schermo, chiedendosi se fosse meglio chiamare lui di persona o no. 

“Ti manca già cosi tanto?”. Si volle informare Beckett cercando di non mostrarsi però cosi interessata su tale faccenda. 

“Per nulla”. Proferì lui con tale decisione che lo stupì. Decise di ritirare l'apparecchio e concentrarsi su quello che stava accadendo in macchina e sperando che in quel modo la collega non facesse più domande a riguardo. Non sapeva che scusa inventarsi altrimenti. 

“Direi di parcheggiare qui e farci una passeggiata. Più avanti sarà pieno di giornalisti”. Ponderò lei cercando un posto libero dove fermarsi. Una volta trovato si fermò e si diresse con il collega la dove i colleghi li stavano aspettando. 

 

SCENA DEL CRIMINE

 

“Non è un bello spettacolo”. Li preparò cosi Esposito andandogli incontro. “é stato massacrato a calci e pugni.”. 

I due si avvicinarono al corpo immerso in una pozza di sangue e li vicino videro Lanie che stava istruendo alcuni coroner su come procedere. 

“Ah Castle. Ben tornato. È un piacere riaverti in squadra”. Confessò il medico facendo arrossire leggermente il detective che tossi nervosamente per poi sistemarsi il colletto della camicia con fare da star. 

“Grazie, almeno qua qualcuno lo ammette”. Replicò voltandosi verso Beckett, facendole capire che quell'affermazione era rivolta a lei. 

“Cosa abbiamo?”. Sorrise la donna cambiando discorso, avendo più interesse a risolvere il caso che a litigare come dei bambini con Castle. 

“Uomo bianco, direi sui 25-30 anni. Come potete vedere è completamente sfigurato e non mi sbilancio troppo se dico che è stata usata una mazza o comunque un oggetto pesante. Gli hanno quasi rotto il cranio”. Espose le sue prime constatazioni il medico legale, muovendo delicatamente la testa della vittima cosi da poter far vedere meglio ai colleghi quello di cui stava parlando. 

“Almeno possiamo riconoscerlo dalle impronte digitali”. Sospirò Beckett prendendo tra le mani le dita del cadavere cosi da ispezionarle mentre Castle si aggirava furtivamente su tutta la scena del crimine. 

“Deve esser stato colpito qui la prima volta”. Ipotizzò dopo essersi allontanato di quasi dieci passi dalla scena del crimine mentre indicava un punto sul muro. Beckett si avvicinò a lui e notò degli schizzi sul muro. 

“L'avranno colpito e il sangue deve essere finito sul muro. Direi un bel pugno, non c'è molto sangue quindi escludo che abbiano usato qualche arma.”. Espose la sua teoria studiando attentamente le macchie davanti a lui. 

“Avrà cercato di scappare ma l'hanno raggiunto e li hanno concluso l'opera”. Fece ampi passi fino a tornare vicino al corpo, indicando alcune gocce di sangue a terra non segnate dalla scientifica. 

“Qua vicino ci sono molte bische clandestine, magari qualcuno voleva i suoi soldi e dato che la vittima non poteva pagare ha preferito aggiustarsi in questo modo”. Manifestò la propria idea Castle, la quale però non ottenne l'approvazione della collega. 

“A parte che gli avrebbero preso l'orologio da mille dollari che ha al polso”. Gli disse Beckett indicando l'oggetto tirato in causa. “Inoltre ucciderlo non avrebbe giovato a questo ipotetico creditore perchè cosi non avrebbe davvero ottenuto indietro i suoi soldi. Di solito in questa zona ti danno qualche avvertimento rompendoti le dita o le ginocchia e da quanto posso vedere la nostra vittima non presenta segni simili”. Lo corresse la detective.

 “Cosi è meno interessante però”. Ricominciò l'uomo volendo avere comunque l'ultima parola. 

“Allora Ryan qualcuno ha visto o sentito qualcosa?”. Domandò Beckett vedendo l'irlandese avvicinarsi a loro. 

“Stamattina alcune persone hanno sentito le voci di un paio di uomini litigare. Ma visto che qua è una cosa comune non ci hanno fatto molto caso.”. Replicò Ryan non avendo altre informazioni utili al momento. Scusandosi poi tornò dai presenti sperando di avere informazioni migliori. 

“Non mi stupisce. Anche se avessero visto qualcosa nessuno parlerebbe. Non è una bella zona questa”. Constatò Beckett rivolgendosi a Castle che fissava con la fronte corrugata la folla. Era pensieroso mentre lo faceva, e non abbassava lo sguardo, tenendolo fisso su un punto preciso, su una persona precisa. La donna si mise vicino a lui guardando nella stessa direzione ma non notò nulla di particolare.

 “Visto qualcosa di interessante?”.Lo interrogò curiosa. 

“No. Solo un abbaglio”. Disse lui poco convinto senza nemmeno guardarla, in fondo erano passati anni, poteva anche sbagliarsi. 

 

OBITORIO

 

Per tutto il corso dell'autopsia Castle aveva deciso di aspettare fuori dall'obitorio mentre i colleghi erano al distretto che si occupavano di tirare le prime somme. Il detective voleva avere il prima possibile le risposte a quei dubbi che li stavano assillando la mente. Se ciò che temeva si sarebbe rivelato la verità avrebbe dovuto agire prima di tutti, anche di Beckett e degli altri. Sentì l'ascensore arrivare al suo piano e perciò si alzò da terra pulendosi i pantaloni con entrambe le mani mentre notava la collega uscire da quello. 

“L'autopsia è finita? Lanie non mi ha detto nulla”. Fece per entrare ma la collega lo fermò prima che disturbasse il lavoro del medico.

 “No. Sono solo venuta a farti compagnia. Sei qua giù da solo da più di un ora”. Gli fece notare lei costringendolo a guardare l'orologio. 

“Nemmeno mi ero accorto”. Verificò lui quanto detto dalla collega. 

Aspettarono un altra mezz'ora parlando un po' di tutto e di più. In particolare di un film che entrambi volevano andare a vedere. 

“Ti porterei io, ma non vorrei che Josh si ingelosisse”. Commentò pronunciando il nome dell'altro uomo con disprezzo. 

“Josh non è geloso”. Lo informò lei sorridendo nel vedere la sua faccia imbronciata mentre se ne stava appoggiato al muro con le braccia conserte. 

“Allora vuol dire che non ci tiene a te”. Osservò lui parlando d'impulso ma non pentendosi per quello che aveva appena detto. In fondo era quello che pensava.

 

“Non avete proprio niente da fare voi due”. Asserì Lanie aprendo le porte dell'obitorio cosi da farli entrare avendo appena finito l'autopsia. 

“Che hai scoperto?”.Sollecitò Beckett volendo al più presto informazioni per aprire effettivamente il caso. 

“Nelle ferite sul volto ho trovato dei frammenti di legno che avvalorano la mia ipotesi della mazza. Inoltre ho trovato sul costato segni compatibili con la loro forma.”. Iniziò a spiegare scostando il lenzuolo cosi da far vedere i lividi rotondi sul petto dell'uomo. “Inoltre ci sono dei tagli netti sia sulle mani che sulle braccia. Sono sottili quindi di un taglierino e un coltellino, tipo quelli svizzeri. La morte è stata causata da un colpo di pistola”.Rivelò infine lasciando i due colleghi perplessi. 

“Come? Gli hanno sparato?”. Domandò incredulo Castle. Di certo quella non era la causa di morte che si aspettava vedendo il corpo. 

“é stato difficile individuare il foro del proiettile ma mentre lo pulivo l'ho trovato. Un calibro 44”. Disse porgendo il proiettile alla detective che prese subito a studiarlo. 

“A quanto pare l'ispettore Callaghan è in città”. Ridacchiò Castle che però non sortì lo stesso effetto nelle donne. “Altro di utile?” Cambiò discorso schiarendosi la voce e mettendosi le mani in tasca. 

“Si. Ho le impronte digitali e credo che sarà facile scoprire l'identità della nostra vittima dato che faceva parte di una banda”.Annunciò Lanie spostando il corpo su un fianco cosi da mostrare il tatuaggio che aveva trovato. L'impronta di una mano con all'interno la lettera W. 

“I Westies”. Sussurrò Castle preoccupato. Erano anni che non sentiva parlare di loro eppure il ricordo era ancora vivo nei suoi pensieri. 

“Sai di che si tratta?”. Chiese Beckett non avendo capito bene cosa avesse pronunciato il collega. 

“I Westies. Sono la mafia irlandese in poche parole. Si occupano di Manhattan principalmente. Non so cosa ci poteva fare nel Bronx.”.Diffuse poche ma precise informazioni sul simbolo che era ignoto alle due. 

“Bene allora possiamo restringere il campo. Torniamo su e cerchiamo a chi appartiene l'impronta. Se salta fuori qualcosa dal proiettile fammi sapere”. Beckett si rivolse a Lanie che annuì mettendosi subito all'opera mentre i due detective se ne tornavano al distretto. Appena uscirono dall'ascensore Ryan fece cenno loro di raggiungerlo il più in fretta possibile.

 
12th DISTRETTO
 

“Vi stavo per chiamare”. Gli comunicò con affanno. “Meglio che andate nella sala interrogatori. C'è un tizio che vi vuol parlare.”. Castle e Beckett potevano benissimo comprendere dalla sua agitazione che c'era qualcuno di importante che li aspettava perciò non persero un ulteriore secondo e si diressero verso la stanza. Appena il detective ci mise piede dentro il primo istinto fu quello di spingere fuori la collega ma non riuscì a fermarla in tempo anzi, ricevette solo uno sguardo sospettoso. 

“Salve sono la detective Bec..” .Prima che riuscisse a presentarsi una volta sedutasi nella sedia opposta a quella dell'uomo che li stava aspettando Castle si intromise. 

“Roy O'Leary. Si diceva che fossi morto”.Intervenne il detective cercando di distogliere l'attenzione dalla collega. Conosceva bene O'Leary. Anche se sembrava un tipo tranquillo a causa del suo aspetto bonario era tutto l'opposto. Dietro quegli occhi verdi si nascondeva uno spietato assassino e i tratti gentili che possedeva lo aiutavano a guadagnarsi la fiducia delle persone. Gli bastava sapere il nome di una persona per averla sotto il suo controllo, per questo non volle che Beckett si presentasse. 

“Vale la stessa cosa anche per te”. Ribattè lui accennando un sorriso, sistemandosi sulla sedia accavallando le gambe. 

“Non credo che sei qui per dirci che hai ucciso tu il tuo uomo. Quindi che vuoi?”. Battè un pugno sul tavolo esigendo una risposta quando vide che Roy invece si divertiva ad osservarlo e a ridere. 

“Sei cresciuto ma i modi son sempre gli stessi. Ma in fondo è cosi che si ottiene qualcosa.”. Beckett osservava quella scenetta non capendo bene cosa stesse succedendo. Castle conosceva quell'uomo ma perchè? Perchè conosceva un possibile capo della mafia irlandese?. 

“Sono qui per aiutarvi. Keith è stato ucciso per dar inizio ad una guerra tra noi e i gli italiani. E ne io ne voi vogliamo che questo accada”. Confessò l'uomo andando ad osservare la detective con la coda dell'occhio mentre le labbra gli si increspavano in un malizioso sorriso.

 “Carina la tua collega”. Commentò l'uomo girandosi verso di lei passandosi la lingua sulle labbra. “Sai farei bella figurata ad averti al mio fianco durante la prossima cena di famiglia. Se sei interessata..” Castle si alzò di scatto dalla sedia lanciandola dietro di se, contro il muro, afferrò con entrambe le mani il colletto della giacca dell'uomo e lo sollevò in piedi. 

“Ehi calmo calmo. Stavo solo scherzando”. Si difese O'Leary alzando le mani all'altezza del viso sempre sorridendo. 

“Sarà meglio per te”. Lo minacciò Castle lasciandolo andare mentre Beckett si era alzata anch'ella pronta ad intervenire come meglio poteva. 

“Perchè dovremmo crederti?”. Domandò lei sperando di calmare gli animi dei due uomini prendendo le redini della conversazione. 

“Perchè come detto non voglio scontrarmi con gli italiani e accusarli apertamente dell'omicidio, vorrebbe dire disotterrare l'ascia di guerra. Invece se io vi do qualche dritta ma voi arrestate il colpevole ne esco pulito”.Riferì ai due aggiustandosi la giacca e riprendendo posto sulla propria sedia. 

“E suppongo hai già idea di chi sia stato?”. Continuò a chiedere la detective mentre Castle non distoglieva lo sguardo dall'uomo, pronto ad intervenire ad ogni sua mossa sbagliata. 

“Keith qualche giorno fa aveva avuto un piccolo battibecco con Salvatore Di Meo, riguardo l'acquisto di alcuni oggetti di cui era entrato in possesso legalmente. Di Meo invece non riteneva che le cose fossero andate cosi e quando, sbadatamente, il mio ragazzo gli ha rotto il naso lui ha giurato di vendicarsi”. Ai due detective sembrava tutto fin troppo facile. L'esser li di sua spontanea volontà, accusare un membro di una famiglia rivale. Sembrava proprio che avesse colto l'occasione per sbarazzarsi di Di Meo e i detective di certo non erano i loro spazzini. 

“Bhè seguiremo anche questa pista”. Lo rassicurò Beckett. “Ma ora la prego di lasciarci svolgere il nostro lavoro, sperando che resti a disposizione per eventuali domande”. L'uomo si alzò dalla sedia e si diresse verso la porta che Castle gli stava tenendo aperta. 

“Lo farò certamente”. Rispose alla detective prendendole una mano cosi da posarvici un bacio sopra guardando nel mentre il detective. 

“Hughie sarà felice di sapere che sei tornato”. Sghignazzò andandosene. 

“Non fare domande”. Castle zittì Beckett alzandole il dito indice contro. Non voleva di certo spiegarle perchè conosceva quelle persone.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Racconti del passato ***



12th DISTRETTO 

“La vittima si chiamava Keith McCallum e questo è il suo fascicolo, mentre questo è quello di Di Meo. Sono un po' i tuttofare delle famiglie da quanto ho letto. Si occupano principalmente di controllare i piccoli spacciatori, di trovare nuovi membri per la banda, ma nulla di rilevante per le sorti delle famiglie.”. Spiegò Esposito consegnando ai due colleghi il plico riguardante i due nominati da O'Leary.

 “E sul nostro amico che sappiamo?”. Chiese ancora la donna al cubano. “A meno che non voglia rispondermi tu”. Si girò verso Castle rivolgendosi a lui con tono duro. 

“è a capo dei Westies da una decina di anni. Da quando c'è lui sono diventati molto più influenti a Mahanattan, ma tutto ciò ovviamente a un prezzo. Dove lui passava sparivano ogni volta delle persone e di queste quelle ritrovate si contano sulle dita di una mano. È famoso per essere un donnaiolo, peccato che quando si stanca di una ragazza invece di lasciarla la soffoca con le sue mani in modo che dopo di lui non possa esser di nessun altro.”Dichiarò ai due le informazioni più rilevanti della vita di O'Leary, il resto potevano tranquillamente immaginarlo da soli. Se era diventato il capo di una cosi potente famiglia di certo non lo aveva fatto con mezzi leciti. 

“Pensate che questa storia della guerra tra le famiglie sia vera?”. Intervenne Ryan che in un certo senso si sentiva tirato in mezzo in quella faccenda.

 “Perchè non andate voi a scoprirlo?”. Suggerì Castle ai due colleghi. “Ma mi raccomando non dire che sei irlandese se no...”Lasciò in sospeso la frase ma si passò il pollice da una parte all'altra del collo. Ryan impallidì improvvisamente mentre il detective scoppiò a ridere divertito.

 “Tranquillo non ti getterei nella gabbia dei leoni.”Lo tranquillizzò subito dopo facendogli riacquistare un po' di colore in viso. 

“Cercate di scoprire gli ultimi spostamenti di McCallum e vedere se oltre agli italiani possiamo trovare altri sospettati. Noi invece andiamo a parlare con Di Meo”. Proferì Beckett rivolgendosi ai colleghi cosi da potersi organizzare con i lavori. Quando Castle fu lontano la donna richiamò Ryan. 

“Potresti cercarmi delle informazioni su un certo Hughie?. Fa sempre parte della banda degli irlandesi ma voglio scoprire chi è. Ah, e che la cosa resti tra noi”. Aggiunse in tono perentorio. Voleva sapere come Castle faceva a conoscerlo senza che lui lo venisse a sapere.

 

 “Salvatore Di Meo. Trafficante di droga, accusato due volte per omicidio ma poi assolto. Si è fatto due anni in carcere per aver picchiato un giudice dopo che questi aveva bocciato il suo ricorso riguardo un incidente d'auto dove un tizio si era rotto un braccio.”. Lesse Castle ciò che Ryan aveva sottolineato nel fascicolo che aveva tra le mani.

 “Ogni membro della famiglia avrà un profilo simile non ci è molto utile”. Dichiarò Beckett senza staccare gli occhi dalla strada. Il collega si voltò ad osservare dietro di loro per qualche secondo e poi si rivolse di nuovo alla donna. 

“Hai notato che ci stanno seguendo?”. 

Beckett aggiustò lo specchietto ed annuì. “Da circa due isolati. Italiani o Irlandesi?”. 

“Poliziotti”. Affermò lui deciso. “A quanto pare qualcuno li ha informati e ci stanno tenendo d'occhio. Giusto per stare sicuri che non ci accada nulla”. Ipotizzò Castle mentre estraeva la sua pistola dalla fondina e la controllava per assicurarsi che fosse tutto a posto cosi da usarla se necessario.

 “Mi devo preoccupare?”. Lo interpellò Beckett non immaginando di entrare in una zona cosi pericolosa tanto da costringerlo ad estrarre la propria arma.

 “Diciamo che devi tenere gli occhi aperti. Se gli stai simpatica non corri problemi. Altrimenti ancora prima di aver la testa fuori dalla macchina ti ritroverai con una pallottola in testa”.Parlottò lui rimettendosi la pistola nella fondina e guardandosi attorno. Notando diverse persone al cellulare che li osservavano attentamente. I Di Meo avevano saputo del loro arrivo.

 “Perchè O'Leary ha detto che ti credeva morto?”. Chiese d'un tratto la donna non volendo pensare a quanto appena detto dal collega.

 “Perchè prima di esser trasferito a Los Angeles mi è capitato di lavorare in un caso dove era coinvolto. Poi me ne sono andato e probabilmente lui avrà immaginato che fossi stato fatto fuori”. Rivelò lui un altro piccolo dettaglio della sua vita prima di arrivare al 12th.

 “é la verità o è una tua verità?”. Volle informarsi la detective cosi da aumentare le tessere del puzzle che stava componendo su di lui.

 “é una verità”. Ridacchiò lui indicandole un punto dove parcheggiare. “Qualunque cosa accada lascia parlare me. Conosco questo ambiente”. Beckett non era molto convinta di quell'approccio ma gli volle dar fiducia, nel caso sarebbe intervenuta lei.

 

Entrarono in un bar e subito si diressero al bancone. Ordinarono da bere e cominciarono a studiare il posto. Non fu difficile individuare Di Meo. Era seduto su un divanetto in un angolo della stanza e due energumeni gli facevano da guardia del corpo mentre lui intratteneva una ragazza dai capelli biondi. Beckett intanto cominciò a chiacchierare con il barista facendo domande vaghe sul posto per cercare di risultare simpatica e poi andò al punto.

 “Sappiamo che qui se vogliamo fare affari dobbiamo parlare con Salvatore. Puoi andare a dirgli che vorremmo parlarci”. Chiese gentilmente Beckett facendo gli occhi dolci all'uomo che sorridendo si appoggiò sul bancone e si avvicinò a lei.

 “Potrei anche andare ma se davvero vuoi andare sul sicuro meglio che parli con Michele, suo fratello”. Disse indicando un altro uomo che se ne stava giocando a freccette in disparte.

 “Ora capisco”. Esordì Beckett tornando a rivolgersi al collega. “Tutte le attenzioni sono su Salvatore cosi se qualcuno arriva intenzionato di uccidere un italiano ecco che punta a lui, mentre Michele, che se ne sta in disparte, non viene nemmeno notato.” Castlè annuì trovandosi d'accordo con questa ipotesi e iniziò a fischiettare la sua solita canzone, non preoccupandosi del fatto che stava attirando l'attenzione dei presenti in quel modo, in fondo era suo intento quello di farsi riconoscere.

 “Che stai a fare?”. Domandò preoccupata Beckett, cercando di farlo smettere dandogli dei piccoli colpetti al fianco.

 “Qua non c'è nulla di utile”. Affermò dopo aver lanciato un ultimo sguardo a Michele. “Dobbiamo andarcene”. Afferrò Beckett per una mano e la trascinò fuori da locale mentre lei cercava di liberarsi da quella presa.

 “Ma mi spieghi che è successo?”. Domandò lei infastidita una volta raggiunta la macchina. “Che pensavi di fare eh? Prenderti una birra, guardare il panorama ed andartene. Dovevamo parlare con Salvatore.”. Constatò lei infastidita, iniziando a camminare in cerchio per non prendersela fisicamente con il collega. 

“Salvatore è inutile. Si è solo fatto rompere il naso. Hai sentito il barista. Serve parlare con Michele”. Le spiegò senza nemmeno guardarla ma tenendo lo sguardo attaccato alla porta del locale che dopo qualche secondo si aprì e ne uscì proprio Michele.

 “Bingo”. Sussurrò per poi voltarsi verso la collega. “Rimani qui intesi. Non ti muovere per alcun motivo”. Detto questo si allontanò scomparendo nel vicolo dove si era rintanato Di Meo. Beckett fece per seguirlo quando il suo cellulare squillò.

 “Beckett”. 

“Sono Ryan. Ho trovato quelle informazioni che volevi su Hughie”. Annunciò l'irlandese facendole tornare il buon umore per qualche secondo.

 “è il soprannome di Humbert Kuyut, tesoriere della famiglia irlandese. A quanto pare 6 anni fa stava per essere arrestato per via della sua attività ma le prove contro di lui scomparirono da un giorno all'altro. Sospettarono che fu uno dei poliziotti ad esser stato corrotto ma l'indagine interna non condusse a nulla.”. Le comunicò il collega che però come risposta ricevette solo il suono dell'interruzione di chiamata. Che Castle fosse corrotto?. Per quello che Beckett sapeva di lui poteva anche essere. Diversamente da quello che le era stato detto si avviò verso il vicolo dove i due uomini stavano parlando.
 

“E quindi credi che noi c'entriamo con l'omicidio?”. Chiese Michele accendendosi una sigaretta, rimanendo a una decina di passi da Castle.

 “Bhè Keith le aveva suonate a tuo fratello quindi magari volevate vendicarvi”.Ipotizzò Castle sperando di ottenere qualche informazione dell'italiano.

 “Se credi che vogliamo far scoppiare una guerra solo a causa di un naso rotto sai meno di noi di quello che vuoi far credere”. Inspirò a pieni polmoni e poi buttò fuori il fumo.

 “Se sei anni fa sei riuscito ad evitare lo scontro è stata solo fortuna, questa volta ti ci vorrà un po' di più” .Continuò a dire l'uomo indicando il detective con la mano che teneva stretta fra le dita la sigaretta socchiudendo gli occhi a causa del sole che gli batteva sul viso.

 “Sia tu che O'Leary dite che non volete la guerra eppure mi sembra che puntate a quella”. Gli fece notare il detective cercando di non abbassare la guardia e non di non fare il suo gioco.

 “Se la guerra ci sarà avremo dei vantaggi e degli svantaggi, se non avremo la guerra sarà la stessa cosa quindi poco ci cambia. Ma di certo entrambe le famiglie cercano un pretesto migliore che l'omicidio di un fattorino. Quindi che tu mi creda o no, noi non c'entriamo”. Spifferò senza problemi come stavano le cose, cosi con tale calma, che Castle gli credette.

 “E chi l'ha ucciso allora? Di certo lo sapete”. Tentò la fortuna non avendo altre domande da porre all'uomo, sarebbe stato inutile chiedergli se lui e il fratello avessero avuto un alibi. Avevano centinaia di persone pronte a testimoniare per loro.

 “Andiamo Castle. Sono certo che la cosa ti puzza pure a te. Una famiglia uccide un membro di un altra per far scoppiare la guerra. Sarebbe fin troppo facile. E poi se volevamo la guerra perchè non è ancora scoppiata?!”. Michele lanciò la sigaretta finita a terra e si allontanò nella direzione opposta rispetto a Castle, entrando in una porta che conduceva di nuovo all'interno del locale. Appena il detective girò l'angolo Beckett lo afferrò e lo gettò contro il muro. Castle fu cosi sorpreso da quel gesto improvviso che non potè far nulla per fermarla.

 “Non immaginavo che fossi cosi forte”. Ci scherzò su tentando di togliere le sue mani dalla camicia.

 “Da quando fai il doppio gioco? E io che mi fidavo di te”. Affermò Beckett sbattendolo di nuovo contro il muro, facendogli scappare un gemito di dolore.

 “Non è come sembra”.Disse lui con un filo di voce. 

“Allora spiegami o mi dirai ancora una delle tue verità”. Beckett era arrabbiata, sia con Castle per averla ingannata, sia con se stessa per esserci cascata, per aver abbassato troppo in fretta la guardia ed essersi fatta raggirare da lui. Il detective era stanco di esser trattato in quel modo, come un sospettato, anche se tutto sommato se lo meritava. Alzando le mani afferrò i polsi della donna e spinse verso il basso attirandola contro di se fino a trovarsi petto contro petto. 

“Se ti dai una calmata ti spiego”. Parlò lui ritrovandosi con il fiato corto. “Anni fa, quando ancora lavoravo per la polizia di New York, ci fu un omicidio. Isabel O'Leary, la sorella di Roy, sparì nel nulla. Subito sospettarono dei Di Meo e iniziò una dura rappresaglia”. Iniziò a raccontare quanto successo in quei giorni che lo costrinsero a imparare il mestiere più velocemente di quello che pensava.

 “Perchè non me ne ricordo”. Ribattè Beckett pensando a quei fatti ma non riuscendo a ricollegare nulla.

 “Perchè la cosa è stata ben tenuta nascosta.”. Le spiegò in poche e semplici parole. “Sta di fatto che fummo chiamati ad intervenire e li conobbi Roy e Humbert, lui si occupava dei soldi della famiglia. In qualche modo mi conquistai la loro simpatia, mi ritenevano diverso dagli altri poliziotti perchè io cercavo la verità e non il modo di mandarli tutti in prigione. E fu durante una delle mie visite in un loro locale che Humbert mi raccontò la verità”. Essendosi calmato Castle allentò la presa sui polsi della donna che stavano diventando rossi, ma non li lasciò tenendosela sempre vicina. 

“Isabel era scappata con Michele”.Rivelò infine.

 “Michele. Quel Michele?”. Chiese conferma la donna andando a cercare con lo sguardo l'entrata del locale. 

“Già Di Meo. Mentre gli italiani ne erano contenti gli irlandesi non erano dello stesso avviso e Roy cacciò la sorella dalla famiglia. Humbert mi disse dei piani di Roy di far saltare in aria l'abitazione di Michele e mi rivelò anche che Isabel l'aveva informato di un possibile attacco da parte degli italiani. Ora dovevo decidere se starmene zitto oppure cercare di fermare in qualche modo le famiglie e allora chiesi consiglio ad un mio collega, Lambert”. Quando iniziò a raccontare quella parte il viso di Castle si incupì e il detective cadde in un profondo silenzio che Beckett comprese subito. 

“Che ha fatto Lambert?” 

“Trovò tutto quello che stava accadendo la soluzione finale per eliminare entrambe le famiglie. Ma non capiva che anche i civili che si sarebbero trovati a tiro avrebbero subito le conseguenze. Lambert ricattò O'Leary, voleva i soldi in cambio delle informazioni sull'attentato programmato dai Di Meo e poi fece la stessa cosa con gli italiani, soldi in cambio di informazioni sulla bomba che volevano far esplodere”. Castle prese fiato e fece un respiro profondo mentre andava a bagnarsi le labbra secche osservando Beckett che era come rapita da quel racconto. 

“Dimmi che tu non hai fatto nulla di illegale”. Lo supplicò lei. Se Castle aveva commesso qualche irregolarità avrebbe dovuto denunciarlo ma dove avrebbe potuto trovare la forza di farlo.

 “Lambert fece sparire le prove riguardanti gli O'Leary in modo che non si trovasse un collegamento con lui per via del denaro. Una sera andai a parlare con Roy e gli spiegai cosa aveva fatto il mio collega e lo pregai di desistere. Non ottenni l'effetto sperato. Per loro era tutto un business e allora la misi giù in quel modo”. Il detective appoggiò la testa contro il muro e iniziò a guardarsi attorno. C'erano sempre alcuni scagnozzi dei Di Meo che li tenevano d'occhio ma non con la stessa insistenza precedente. Era più la macchina ferma dall'altro lato della strada, quella dei poliziotti che gli avevano seguiti in precedenza, a preoccuparlo.

 “La rappresaglia sarebbe finita, Isabel sarebbe potuta rimanere con Michele ma in cambio i Di Meo dovevano consegnare agli O'Leary una buona fetta di Manhattan. É cosi che hanno acquisito potere gli irlandesi.”

 “E quindi la guerra non è scoppiata. Isabel è rimasta con i Di Meo e gli O'Leary hanno ampliato i loro domini. E allora l'omicidio di cui mi avevi detto all'inizio chi era?”. Domandò Beckett ponderando su tutte le informazioni che aveva per capire come fossero andate a concludersi le cose.

 “Lambert”. Affermò poi vedendo il collega annuire.

 “Le famiglie decisero di mettere la cosa a tacere eliminando le persone esterne alla famiglia che ne erano a conoscenza. Ovvero Lambert ed io”. Castle sentì i brividi percorrergli la schiena al ricordo di quella notte. D'altronde aveva poco più di vent'anni e già si era trovato in una situazione che lo aveva portato vicino alla morte. 

“Ci rapirono mentre eravamo di turno e ci portarono al porto. Ci bendarono e ci dissero che dovevano eliminare tutti i testimoni. Che nessuno all'infuori della famiglia avrebbe dovuto sapere di quegli accordi. Solo gli interessati dovevano esserne a conoscenza. Per tutti gli altri le famiglie avevano firmato una tregua per contrastare insieme la mafia cinese. Sentì partire tre colpi e poi più nulla”.

 “A te ti hanno risparmiato per l'aiuto che hai dato non è vero”. Ancora una volta la donna parlò e ancora indovinò quanto accaduto. 

“Come detto si fidavano di me ma appunto non avrei più dovuto dire nulla a riguardo altrimenti avrei fatto la fine di Lambert. Per rendere la cosa più credibile lo misero sulla macchina di Isabel e la incendiarono. Pagarono un medico che affermò che il cadavere ritrovato era della ragazza. Cosi la storia si chiuse, la colpa fu data ai cinesi e le cose proseguirono normalmente. Almeno fino ad oggi”.

 “Quindi non credi che c'entrino gli italiani con l'omicidio di Keith?”. Domandò Beckett notando solo ora il modo in cui il collega osservava davanti a se. Seguì il suo sguardo e notò anche lei la macchina dei poliziotti. 

“Non me l'avrebbero di certo tenuto nascosto. Se fosse stato cosi ne O'Leary ne Michele mi avrebbero ascoltato, anzi a quest'ora mi avrebbero già infilato qualche pallottola in corpo per evitare che saltasse fuori quanto successo 6 anni fa”. Riprese fiato Castle sentendosi la gola completamente asciutta ma l'anima meno pesante di quanto lo era prima. Era contento di essersi tolto quel peso, in particolare con Beckett.

 “Allora abbiamo un terzo giocatore”. Constatò Beckett. “E credo di saper già di chi si tratti”. Dichiarò osservando ancora una volta l'auto dei poliziotti che dopo qualche secondo partì.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Sacrificio ***


 

12th DISTRETTO

 Appena giunti al distretto Ryan non diede loro nemmeno il tempo di sedersi che subito li raggiunse cosi da poterli informare di quanto aveva scoperto durante la loro assenza.

 “Ho fatto quelle ricerche su McCallum che mi avevate chiesto”. Li mise al corrente porgendo alla detective un fascicolo con le informazioni sulla vittima. L'irlandese si voltò ad osservare Castle che si stava massaggiando il collo.

 “Che hai fatto?”. Castle lo osservò lamentandosi leggermente quando le dita andarono a toccare il punto dolente. 

“Acciacchi dell'età”. Disse solo, non volendo dire che era stato a causa del modo brusco di Beckett di porsi se ora provava quel fastidio. 

“Nessuna chiamata effettuata o ricevuta prima della morte, nessuno che abbia visto dov'è andato dopo aver lasciato il loro locale di ritrovo, nessuno che sapeva se doveva incontrarsi con qualcuno. Tutto lavoro svolto per nulla”. Affermò Beckett ridando il plico a Ryan che spostò la sua attenzione sul collega. 

“Forse Esposito avrà più fortuna. Sta controllando le carte di credito”. Li ragguagliò mentre anche gli altri due iniziarono a guardare il cubano con insistenza, in attesa di informazioni. 

“Ok, grazie. Mi sei stato molto utile”. Esposito rimise al proprio posto la cornetta del telefono e si rivolse ai colleghi senza alzarsi alla propria sedia.

 “Allora scoperto qualcosa?”Chiese Beckett per tutti e tre. 

“Si, ma niente di interessante. L'ultima volta che ha usato la carta di credito è stata vicino a un night club stanotte alle tre da li più nulla. Non sappiamo che ha fatto da quell'ora fin le 8 quando presumibilmente è stato ucciso”. Beckett a sentire quelle parole sbuffò mentre Ryan se ne tornò sconsolato alla propria scrivania, cercando di farsi venire in mente un idea utile per uscire da quella situazione di stallo. La detective sentì Castle canticchiare quella canzone che già aveva fischiettato all'interno del bar. Si voltò verso di lui e lo vide del tutto rilassato, tanto che le venne il dubbio che al momento non stesse nemmeno pensando al caso. 

“Castle?”. Provò a chiamarlo cosi da farlo tornare sulla terra in modo che li potesse aiutare. “Castle”. Tentò ancora questa volta più decisa.

 “Uhm?”. Mugugnò lui mentre la donna lo osservava chiedendosi cosa stesse facendo.

 “Ci vuoi dare una mano o preferisci andare al karaoke?”. Gli chiese sorridendo ma guardandolo storto nel contempo. 

“No, quello lo faccio solo il giovedi sera”. Rivelò lui causando la resa della donna che alzò gli occhi al cielo. 

“La pista degli irlandesi è da escludere, quella degli italiani anche. Renditi utile e aiutami a capire dove altro potremo trovare un appiglio”. Beckett appoggiò il gomito sinistro sulla scrivania sorreggendo la testa con la mano sulla quale vi era posato il mento. 

“Sai non dovresti sempre pensare al lavoro. Ti farà venire i capelli bianchi. Infatti..” Cominciò a dire lui alzandosi dalla sedia e posando il braccio sinistro sulla scrivania per sorreggersi mentre con la mano destra si stava avvicinando al viso della donna. Beckett non sì mosse ma non staccò gli occhi dalla mano di lui, indietreggiando con il capo vedendolo avvicinarsi.

 “Che stai facendo?”.Domandò titubante mentre l'uomo appoggiò un dito sulla sua fronte.

 “Ti sto indicando il capello bianco. Lo stress non ti fa bene, capelli bianchi e rughe. Ecco perchè Josh non ti porta mai fuori. Si vergogna”. Ridacchiò il detective mentre Beckett gli schiaffeggiò la mano e poi se l'allontano dal viso.

 “Mi chiedo come hai fatto a diventare un poliziotto tu”. Commentò sbuffando, rimettendosi dritta sulla sedia e sistemandosi i capelli.

 “Ho scambiato il mio test finale con quello del secchione del corso”. Affermò cosi convinto lui che Beckett ebbe qualche certezza sul fatto che quella potesse essere la verità. D'improvviso il cellulare di Castle suonò e appena lui vide chi lo stava cercando si alzò dalla sedia. 

“Comunque non ti preoccupare se ti dovesse venire tutta quella ciocca di capelli bianca. Saresti un ottima sosia di Crudelia Demon”. Dichiarò lui sorridendo divertito, evitando per un soffio la pallina di carta che la detective gli aveva lanciato addosso.

 “Non ci sono più i poliziotti di una volta”. Disse fra se e se per poi avere un illuminazione.

 “Ragazzi”. Richiamò l'attenzione dei due colleghi. “Cercatemi se per caso McCallum o Salvatore Di Meo erano sotto sorveglianza. Magari c'è qualcuno che ne sa più di noi”. I due si misero subito all'opera mentre Castle se ne tornava con il viso cupo.

 “Tutto a posto?”. Chiese la donna preoccupata dal suo repentino cambio d'umore. 

“Si, si. È solo che...”. Cominciò a spiegare lui per poi fermarsi mordendosi l'interno della guancia. 

“Solo che..?”Lo sollecitò lei a continuare. Se poteva essergli d'aiuto a risolvere qualche problema era più che contenta.

 “Alexis ed io dovevamo andare al cinema domani sera ma mi ha dato buca per andarci con un ragazzo. Che avrà questo Owen in più di me”. Castle si imbronciò allungando le gambe davanti a se sulla sedia e tenendo le braccia conserte al petto, brontolando ad ogni respiro.

 “Andiamo Castle. È giusto che faccia queste cose alla sua età e sicuro questo Owen non si intrometterà di certo tra di voi.”.Cercò di tirarlo su di morale vedendolo sempre poco convinto della cosa. “Anche se...”. Se voleva prendersi una piccola vendetta quella era l'occasione migliore, pensò Beckett. 

“Anche se..”. La implorò con gli occhi di concludere quella frase che gli aveva fatto fermare il respiro in gola.

 “Bhè i cinema sono degli ottimi posti per un ragazzo e una ragazza per stare da soli. Ma Alexis è una ragazza giudiziosa”. Aggiunse quando lo vide impallidire di colpo e stringere i braccioli della sedia cosi forte da farsi venire le nocche bianche.

 “Andiamo Castle anche tu alla sua età facevi le stesse cose”. Ridacchiò lei cercando di metterla sul ridere ma ottenne l'effetto contrario. 

“Appunto per quello. So cosa accade in quelle occasioni. Appena arrivo a casa devo parlare con mio padre e impedirle di andare”. Si ripromise ricevendo uno sguardo di disapprovazione da parte della collega. 

“Non provare a fare una cosa simile”. Lo ammonì lei avvicinandosi a lui con la propria sedia. “Lasciala vivere la sua adolescenza”. Gli disse lei appoggiandogli una mano sulla spalla.

 “Se fosse tua sorella non diresti le stesse cosa”. La mise alla prova Castle mettendola momentaneamente nei suoi panni. Inoltre il fatto che la donna conoscesse abbastanza bene la sorella giocava a suo favore.

 “Invece si. Non sarei cosi ipocrita da vietarle una cosa che facevo pure io”. Castle in quel momento si dimenticò completamente della sorella e tornò a fissare molto attentamente la collega.

 “Perchè che facevi tu?”. Chiese corrugando la fronte mettendo in lieve imbarazzo la collega.

“Avanti. So mantenere i segreti io”. Continuò inarcando un sopracciglio vedendola esitare.

 “Allora ragazzi avete scoperto qualcosa?”. Cambiò discorso la donna dando due colpi di tosse nervosi.

“Non te la cavi cosi facilmente”. Sentì dire da Castle ma non osò voltarsi e guardarlo ma preferì restare sui due colleghi. 

“Bhè un po' tutti i membri della famiglia erano tenuti d'occhio ma a quanto pare qualche giorno prima che McCallum picchiasse Di Meo, l'irlandese tentò di corrompere un poliziotto offrendogli 10.000 $ per sottrarre un documento nelle mani di un certo Canvas”. Rispose Ryan lasciando poi proseguire il collega. 

“Canvas ha lavorato fino a qualche mese fa a Manhattan prima di chiedere il trasferimento e nel periodo in cui lavorava li è entrato spesso in contatto con gli Irlandesi e gli Italiani.”

 “Questo Canvas ha rilasciato qualche dichiarazione a riguardo?”. Domandò Castle ma sia Esposito che Ryan scrollarono il capo.

 “Allora tocca a noi scoprire che cosa voleva McCallum”. Asserì Beckett alzandosi dalla sedia pronta a partire.

  

CAFE' “FLY HIGH”

 “Grazie signor Canvas per averci ricevuti con cosi poco preavviso”. Lo ringraziò Beckett stringendogli la mano mentre il poliziotto li invita a sedersi al suo stesso tavolo. 

“Siete colleghi, per la famiglia questo ed altro”. Affermò lui richiamando l'attenzione della cameriera per far portare due caffè anche ai detective.

“Come posso esservi utile?” 

“Sappiamo che lei lavorava nella zona sotto il controllo degli O'Leary e che qualche tempo fa uno di loro cercò di sottrarle un documento. E ora questi è morto”. Disse brevemente Castle non volendo perdere tempo in conversazioni inutili. 

“Si ne sono a conoscenza ma per fortuna hanno tentato di corrompere il poliziotto sbagliato. Per quanto riguarda il documento l'unica cosa che potevano volere era una denuncia che Salvatore Di Meo aveva sporto contro McCallum per aver tentato di investirlo”. Spiegò l'uomo mentre i due detective tornavo a guardarsi. Il nome di Di Meo saltava fuori troppo spesso in quella faccenda.

 “Perchè cercare di recuperarlo adesso e non una volta che avevate sporto denuncia”. Domandò Beckett in cerca di chiarimenti. 

“Sapete come funzionano i tribunali oggi giorno. Sono riusciti ad aprire il caso solo un mese fa”. Sogghignò il poliziotto andando a bere il caffè che teneva tra le mani mentre i due colleghi lo osservavano pensierosi. 

“A parte quell'episodio non ha avuto modo di parlare con uno dei due uomini?. Magari dopo la denuncia”. Canvas si grattò una tempia andando a cercare nei propri ricordi un altro possibile incontro ma alla fine negò. 

“No è stata l'unica volta, mi dispiace”.

 “Ogni volta che abbiamo una nuova pista ci ritroviamo contro un muro”. Sbuffò Castle. 

“Se fossi in voi non ci perderei tutto questo tempo”: Gli consigliò il poliziotto irritando solo Beckett, la quale non era dello stesso avviso. “Se vogliamo liberarcene lasciamo pure che si uccidano tra di loro. È questo che accadrà alla fine. Un colpo in testa a tutti come a McCallum”. Canvas imitò il gesto della pistola con la mano per poi farla ricadere lungo il fianco. Un istante dopo la sua radio fece un suono stridulo e lui se la portò all'orecchio. Castle cercò di udire il messaggio proveniente dall'apparecchio ma non percepì nulla.

 “Scusate ma c'è una rapina in corso e dovrei andare”. Beckett annuì concedendogli di andare a fare il proprio lavoro mentre rimase seduta fianco a fianco con il collega con più domande di prima. Castle non disse nulla ma guardò il poliziotto che gli diede un ultima occhiata e poi se ne andò con la propria macchina.

 “è strano. Dalla radio non ho sentito provenire nessuna voce”. Gli fece notare lui e Beckett lo guardò perplessa per poi spalancare gli occhi all'improvviso.

 “Come faceva a sapere che a McCallum hanno sparato?. L'ufficio stampa ha detto solamente che era morto a causa delle percosse”. Mentre Castle imprecava picchiando un pugno sul tavolo Beckett estrasse dalla tasca del giubbotto il suo cellulare e chiamò Esposito.

 “Canvas sa molto di più di quello che ci vuole dire. Trovatemelo, ovunque sia. E di a Ryan di controllare se a suo nome c'è registrata una 44”. Ordinò perentoria la donna alzandosi dalla tavola per raggiungere l'esterno seguita a ruota dal collega. 

“Pensi sia stato lui ad ucciderlo?”. Domandò Beckett mentre accendeva la macchina cosi da recarsi al distretto e aiutare i colleghi nella ricerca. 

“O è stato lui o era presente, se no non poteva sapere del foro di proiettile”. Rispose Castle cercando di farsi venire in mente più ipotesi possibili in modo da trovare il motivo per cui Canvas poteva aver ucciso l'irlandese.

 “No, non al distretto”. La fermò l'uomo appoggiando la sua mano sul volante cosi da impedirle di voltare in direzione della centrale. “Andiamo da O'Leary.”. Beckett non capì il motivo per cui voleva parlare con l'italiano ma non obbiettò.

 

“THE IMP”

 Castle entrò di tutta furia dentro al bar gestito dagli irlandesi e quando una guardia del corpo di O'Leary cercò di fermarla lui gli assestò un montante dritto sul mento che lo gettò a terra, lasciando Beckett senza parole a causa di tutta quella irruenza. 

“Ti volevi prendere gioco di noi non dicendoci tutta la verità, facendo finta di aiutarci quando invece stavi solo facendo il tuo gioco. Non è cosi O'Leary. Che ne sai di un certo Canvas?”. Chiese a Roy il quale, con un gesto della mano, fermò i suoi uomini dall'intervenire. 

“Come ti permetti di venire qui e comportarti in questo modo”. Contestò l'irlandese indicando la guarda del corpo che ancora era a terra dolorante.

 “Canvas potrebbe centrare con l'omicidio di Keith ma dobbiamo prima capire che collegamento c'era tra di loro”. Si intromise Beckett parlando con un tono di voce più calmo cercando di rendere meno pesante l'atmosfera. 

“Non c'entrava nulla con noi quel poliziotto smidollato”. Gli rispose O'Leary senza guardarla tanto era impegnato a fissare furente Castle. 

“Canvas invece c'entra qualcosa e quando gli stavamo parlando ha finto che ci fosse un emergenza per svignarsela. Quindi se qualcuno sa qualcosa meglio che lo dica subito”. Questa volta Castle non si rivolgeva solo all'irlandese ma anche a tutti i presenti.

 “Roy ci devi aiutare a trovarlo”. Lo esortò ancora, avendo una strana sensazione che gli correva per il corpo.L'irlandese annuì verso i presenti e Humbert si alzò dalla propria seduta.

 “Dopo che Di Meo sporse denuncia a Canvas il poliziotto venne a parlare con Keith”. Iniziò a raccontare l'uomo sempre cercando il consenso da parte del suo capo per continuare. “Gli disse che poteva stracciare quel foglio se Keith aveesse compiuto l'opera”. 

“Canvas voleva usare Keith per uccidere Salvatore?”. Domandò incredula Beckett che aveva difficoltà a capire il susseguirsi degli eventi. 

“Cosi sembrava. Ma Keith non era un idiota e capì che era una trappola. Canvas lavora per i Di Meo, per lo stesso Salvatore. Quell'italiano voleva riconquistare l'approvazione del padre facendo fuori un nemico e da smidollato com'era scelse la preda che gli sembrava più semplice. A quanto pare non gli andava giù che Michele prendesse le redini della famiglia dopo quanto successo anni fa”. In quel momento il cellulare di Beckett suonò e nella sala calò il silenzio. La donna ne fu per un istante intimorita ma l'aver accanto Castle la faceva sentire al sicuro. 

“Perchè avete chiesto il nostro aiuto piuttosto che farvi giustizia da soli?”. Domandò Castle ad O'Leary. 

“Come ti ho detto se catturate voi Di Meo io ne esco pulito”. 

“Canvas ha una pistola registrata calibro 44, come quella che ha ucciso McCallum.”. Disse al collega avvicinandosi al suo orecchio non volendo scatenare le ire degli irlandesi. “Hanno rintracciato anche il gps della sua auto. Si trova tra la 220th a Fairview Avenue”. Parlò normalmente questa volta cosi che tutti la sentissero. 

“Che c'è li Roy?” Chiese il detective all'uomo quando lo sentì imprecare nella sua lingua.

 “La casa di Michele e Isabel”.

  

CASA DI MEO 

Castle non aveva mai visto guidare con tanta foga Beckett ma in quel momento non aveva da lamentarsi. Avevano avvertito Ryan ed Esposito di raggiungere l'abitazione dei Di Meo e di esser preparati per il peggio. Se Canvas era li e sospettava di esser stato scoperto, come i due detective immaginavano, avrebbe potuto compiere qualunque insano gesto. Arrivarono davanti alla casa e li videro una cameriera in lacrime. 

“è Salvatore. È armato e minaccia di uccidere tutti”. Singhiozzò la donna mentre Castle notò arrivare anche Humbert e O'Leary.

 “Non ci pensare nemmeno, ce ne occupiamo noi”.Lo fermò mettendogli una mano sul petto e spingendolo via. “Non ci far perdere tempo”. Aggiunse vedendo Beckett che si era già messa vicino alla porta pronta ad entrare.

 “é mia sorella”. Gli urlò contro tutta la sua rabbia e la sua paura e alla fine Castle rinunciò avendo più a cuore l'incolumità della collega che la sua. “Fa come vuoi”

 Entrarono tutti e quattro assieme e seguirono le urla che riecheggiavano nel silenzio tombale della casa. Nel salone c'erano Salvatore che teneva una pistola puntata a Michele e Isabel mentre Canvas li stava legando alle sedie con del nastro adesivo. 

“Come ha potuto nostro padre darti tutto questo potere quando tu hai tradito la famiglia sposando questa sgualdrina irlandese, una nostra nemica.”. Gli inveì contro picchiandolo con il calcio della pistola. 

“Tu non saresti mai stato capace di condurre gli affari. Guarda che casino hai combinato solo con McCallum”. Ribattè a tono Michele venendo colpito ancora una volta. 

Castle guardò Beckett cercando di infonderle un po' di fiducia. Erano pronti a sparare uno a Di Meo e l'altra a Canvas quando O'Leary rovinò tutto.

 “Hai ucciso un mio ragazzo e ora vuoi eliminare anche mia sorella. Non te lo permetterò”. Urlò cominciando a sparare verso l'italiano che con un balzò andò a rifugiarsi dietro un divano. Canvas estrasse anche lui la pistola e sparò in direzione di O'Leary che, colpito al braccio, cadde a terra sanguinante. In lontananza si iniziarono a sentire le sirene della polizia e questo distrasse per un attimo i due complici, giusto il tempo per Castle di prendere la rincorsa e saltare addosso al poliziotto corrotto, facendolo cadere a terra. I due iniziarono a lottare sul pavimento, dandosi pugni sul viso e alle costole mentre Salvatore uscì dal suo nascondiglio e puntò la pistola contro Isabel.

 “Sono io il capo della famiglia”.Gridò dando sfogo alla sua pazzia, facendo gelare il sangue ai presenti. Beckett alzò subito la pistola verso l'italiano e nella casa si udirono partire due colpi. Tutto in quell'istante si fermò. Castle diede un ultimo pugno a Canvas facendolo svenire mentre il salone si riempì di poliziotti, compresi Ryan ed Esposito, che si avvicinarono subito a Beckett per sincerarsi delle sue condizioni. Il detective si alzò da terra, tenendo una mano premuta contro il fianco dolorante, con la vista offuscata da un rigagnolo di sangue che gli scendeva dalla fronte e si osservò attorno. Vide il corpo senza vita di Salvatore, colpito al petto dalla pallottola sparata da Beckett e poi spostò lo sguardo verso Isabel e Michele. A terra vicino ai due vi era un altro corpo immobile.

 “Hughie”.Sospirò chiudendo gli occhi. L'uomo aveva preso la pallottola destinata alla donna pur di salvarle la vita.

 “Come stai?”. Gli domandò Beckett visibilmente preoccupata mentre gli toccava con cautela la fronte ferita.”Forse è meglio portati in ospedale”. Suggerì vedendo la fatica e il dolore che provava ad ogni passo. 

“No, tra un po' passa tutto”. Le rispose guardando i poliziotti liberare Isabel che subito andò ad abbracciare terrorizzata e in lacrime il marito, il quale prese ad accarezzarla cercando di rassicurarla. Una barella entrò pochi istanti dopo per portare via O'Leary che, seppur ferito, era cosciente e chiedeva della sorella.

 

 12th DISTRETTO

 Ryan ed Esposito si erano presi il compito di redarre il rapporto cosi da lasciar riposare i due colleghi che ora si trovavano nella sala degli interrogatori da soli. Beckett era scesa in obitorio e si era fatta dare da Lanie un kit del pronto soccorso e ora se ne stava davanti a Castle con un fazzoletto imbevuto d'acqua e gli stava pulendo delicatamente la ferita.

 “Stai fermo”. Gli ordinava mentre cercava di tamponare il taglio sulla fronte.

 “Pensavo avessi le mani più delicate”. Scherzò, pentendosi subito di aver riso a causa del dolore alle costole. 

“Ben ti sta”. Lo rimproverò la detective disinfettando ora la ferita pulita e applicandoci sopra un cerotto per poi passare a curare il labbro, anch'esso tumefatto. 

“Come stai?”. Domandò dolcemente Castle vedendola pensierosa. Sapeva che per lei non era facile convivere sapendo di aver ucciso un uomo.

 “Abbastanza bene”. Rispose lei accennando un sorriso, sfiorandogli le labbra con le dita che subito andò a ritrarre.

 “Mi sento in parte responsabile per quanto accaduto nella casa di Michele”. Confessò lui abbassando lo sguardo ma lei , sollevandolo per il mento, ripristinò il contatto degli occhi e gli sorrise amabilmente. 

“Non è stata colpa tua. Salvatore non mi ha dato altra scelta”. Ribattè lei colta da un momento di tenerezza tanto che andò a posare un leggero bacio sul cerotto che l'uomo aveva sulla fronte.

 “Grazie dottoressa, mi sento già meglio”. Ci scherzò su lui quando la porta si aprì e comparve Ryan.

 “Canvas ha confessato. Ha detto che era entrato in affari con Salvatore Di Meo e si è fatto tirare in mezzo nel suo piano di vendetta. É stato lo stesso Canvas a suggerirgli di eliminare McCallum anche per vendicarsi di aver tentato di ucciderlo e cosi l'hanno portato nel vicolo e dopo che Di Meo l'ha massacrato Canvas ha concluso l'opera. Questo però non ha aiutato l'italiano anzi, l'ha messo più nei guai con la famiglia, la quale non voleva una guerra, e allora ha pensato di eliminare il problema alla radice. Quando Canvas lo ha informato del vostro colloquio hanno anticipato ciò che avevano già in mente di fare ma gli è andata male”.Spiegò l'irlandese approfittando anche di controllare le condizioni di Castle. I due ringraziarono il collega che li lasciò di nuovo alla loro privacy. 

“Il capitano mi ha detto che dopo domani andrai al funerale di Humbert. Vuoi che ti accompagni?”.Si offrì Beckett lasciando senza parole il collega. Castle lo considerò un gesto molto profondo da parte della donna, non conosceva Hughie e sapeva che per lei doveva esser strano partecipare al funerale di un membro di una famiglia mafiosa ma, nonostante tutto, per lui avrebbe messo tutto questo da parte.

 “Mi farebbe molto piacere”. Rispose lui sentendo la mano di lei che andava a stringere la sua appoggiata sulla gamba. In quel momento a Castle sembrò di non sentire più alcun dolore. 

 

CIMITERO DI GREENWOOD

 Il giorno del funerale come promesso Beckett era al fianco dell'uomo mentre il prete finiva di pronunciare l'elogio funebre. Nel momento in cui la bara veniva infossata tutti tacquero e un bambino si mise accanto all'uomo di chiesa pronto a cantare mentre un ragazzo iniziò a suonare il violino dandogli il ritmo. A Beckett bastarono poche note per capire di che canzone si trattasse.

 “é la stessa che fischiettavi tu”. Commentò vedendo Castle annuire al suo fianco. 

“Si chiama Fields of Athenry. Me la insegnò Humbert anni fa, quando decisi di aiutarli a smascherare Lambert. Parla del coraggio di andare contro le regole per perseguire ciò che riteniamo giusto, di sacrificarci per i nostri ideali, per la nostra famiglia.”. L'espressione di Castle era illeggibile, non si riusciva a vedere oltre, non lasciava trasparire le proprie emozioni ma Beckett comprese subito quello che stava provando. Lentamente si avvicinò ancora più al collega e, bagnandosi le labbra e prendendo un profondo respiro, aprì la mano e sfiorò le dita di Castle e, quando non lo sentì ritrarsi, le intrecciò con quelle di lui. Rimasero cosi, mano nella mano, senza dire nulla per molto tempo.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Azione e.. ***


12th DISTRETTO

 

Beckett arrivò di buon ora quel giorno al distretto. Quando appoggiò le sue cose alla scrivania notò che ne i colleghi ne tanto meno Castle erano ancora arrivati e cosi approfittò di quella loro momentanea assenza per andare a trovare Lanie, la quale stava per finire il suo turno di notte.

Aprì le porte dell'obitorio spingendole con la schiena avendo entrambe le mani occupate per via dei bicchieri colmi di caffè. 

“Ah ti adoro”. Esclamò il medico appena la vide, invitandola a sedersi con lei ad un tavolinetto. 

“Immaginavo che dopo una nottata a conversare con il Signor Green ne avessi bisogno”. Commentò inclinando il capo verso il cadavere che ancora occupava un lettino. 

“Già, peccato che lui non sia un gran conversatore”. Affermò il medico andando ad assaggiare il primo caffè della giornata. “Proprio quello che ci voleva”. Lanie sentiva il corpo riguadagnare un po' di energie ma di certo non vedeva l'ora di tornare a casa e buttarsi nel letto e tornare in quel posto solo il giorno successivo. 

“Che succede?”. Domandò il medico vedendo l'amica particolarmente silenziosa. Già la sua presenza li avrebbe dovuto insospettirla. Beckett non era solita visitare l'obitorio in assenza di un caso ma a quanto pare quella mattina era diverso. La donna era li in cerca di consiglio. 

“Ho litigato con Josh ieri sera”. Parlò più annoiata dalla cosa che dispiaciuta. Succedeva sempre più spesso nell'ultimo periodo e la maggior parte delle volte lei non gli dava peso, ritenendo quell'indifferenza a riguardo solo come la non voglia di rovinarsi anche quei pochi momenti di tranquillità che poteva passare una volta giunta a casa. 

“Questa volta per quale motivo?”.Chiese curiosa Lanie che non si stancava mai di ascoltare l'amica, in particolare se i suoi racconti riguardavano Josh. Non gli stava antipatico, si disse tra se e se, solo che con Beckett non c'entrava nulla e sperava che a causa di quel periodo di crisi anche la donna lo capisse. “Il fatto che pretende che dopo una giornata di lavoro tu abbia voglia di uscirtene con i suoi amici?, Oppure ancora perchè non vuoi andare a quella raccolta fondi per gli ospedali?”.Ipotizzò iniziando a contare i vari motivi sulle dita della mano.

 “Ah no no ci sono. Vuole ancora che abbandoni il lavoro per seguirlo alla Hawai?. Ti ci vedrei bene con il gonnellino di paglia mentre balli la Hula”.Beckett la fissò dritta in volto con fare poco propenso alle battute. 

“Sai ti farebbe bene ridere di più. Come quando sei con Castle”. Constatò distrattamente Lanie quasi come se fosse un commento dovuto dato che quella era la realtà. Beckett a sentire pronunciare quel nome subito si irrigidì sullo sgabello e vedendo la reazione dell'amica fece capire subito al medico di cosa si trattasse.

 “é successo qualcosa tra te e Castle?!.”. Chiese non preoccupandosi di sembrare cosi speranzosa. Trascinò lo sgabello, facendo stridere le gambe contro il pavimento, e si avvicinò di più all'amica. “Voglio ogni minimo dettaglio, da quello più scottante a quello più disgustoso”. 

“Lanie non è successo nulla tra di noi”. Le fece notare alzando gli occhi al cielo. La dottoressa insisteva molto sul fatto che tra di loro ci fosse qualcosa, solo che erano sempre un passo indietro dal realizzarlo. 

“Per ora”. Aggiunse il medico andando a concludere la frase dell'amica. “Cosa?”. Domandò vedendo la sua espressione spazientita. “Tutti lo dicono, non solo io”. Si giustificò andando a bere un altro sorso di caffè cosi da tener a freno la lingua e dare modo a Beckett di raccontare.

 “Non è ancora successo nulla perchè non deve succede nulla”. Ribadì per la centesima volta nel giro di una settimana. Ogni volta che Lanie li vedeva insieme lanciava sempre occhiate significative all'amica, senza contare tutte le volte che cercava di spingerla tra le braccia del collega. 

“Però Castle è il motivo per cui abbiamo litigato”. Le confidò infine socchiudendo gli occhi, preparandosi alla reazione dell'amica che, a differenza delle sue aspettative, fu contenuta. 

“Lo sapevo, te l'avevo detto, ho intuito per queste cose”.Commentò facendosi i complimenti da sola per aver capito prima di tutti quello che intercorreva tra i due detective. 

“No, non lo sapevi”. La corresse prontamente la donna. “Non abbiamo litigato perchè tra me e Castle è successo qualcosa”. Ribadì il concetto sperando che l'amica lo capisse e non facesse più pressioni su quella circostanza.

 “é solo che stavamo già discutendo e io ho tirato in ballo Castle”. Spiegò alzando le spalle. Sapeva di aver sbagliato a usare come termine di paragone il collega ma il confronto gli era uscito spontaneo. 

“Non mi sei d'aiuto”. Dichiarò Lanie. “Voglio più dettagli”. La invitò ad essere più chiara su quanto fosse successo tra i due fidanzati. 

“Josh voleva che mi prendessi qualche giorno di ferie per andare con lui, non mi ricordo nemmeno più dove, e io gli ho spiegato che non posso lasciare il mio lavoro cosi da un giorno all'altro, in particolare se abbiamo un caso difficile. E da li ha iniziato a dire che do troppa importanza al lavoro, che è troppo rischioso per me e che dovrei iniziare a pensare solo ai compiti da scrivania”. Riepilogò quanto accaduto sbuffando alla fine, spostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, aspettando che l'amica le desse sostegno. 

“Io ti avevo detto,una settimana fa, di non fargli sapere cosa era successo a casa dei Di Meo”. Le ricordò cosi quella piccola conversazione avuta quando Beckett era scesa a prendere l'occorrente per medicare le ferite di Castle. 

“A scusa se voglio condividere qualcosa con lui. E poi Josh dovrebbe sostenermi non ostacolarmi”. Manifestò tutto il suo disappunto schiacciando il bicchiere del caffè ormai vuoto e lanciandolo con forza dentro il bidone per poi prendere a camminare avanti e indietro nervosa, tenendo le mani sui fianchi. 

“E Castle cosa c'entra in tutto questo?”. Chiese il medico dondolandosi a destra e sinistra sullo sgabello senza staccare gli occhi dall'amica. Non le piaceva affatto vederla cosi, non vivere con serenità una nuova storia dopo il modo in cui aveva sofferto nei mesi in cui Castle era tornato a Los Angeles. Lo ammise dopo parecchie insistenze che l'uomo le mancava e che era rimasta ferita dal suo comportamento ma si convinse anche che non doveva aspettarselo dato che l'uomo non aveva nessun obbligo nei suoi confronti. 

“Quando gliel'ho fatto notare, che ha sempre da ridire sul mio lavoro, ho detto che Castle mi capisce più di lui, che lui mi da il sostegno di cui ho bisogno, sia dentro che fuori al distretto, e ovviamente Josh non l'ha presa bene”. Beckett si calmò leggermente, bloccandosi sui suoi passi, sentendosi in parte in colpa per come aveva trattato Josh, non se lo meritava, era un ragazzo dolce e comprensivo, ma solo per cose che lei non riteneva vitali come il suo lavoro. 

“E tutto questo non dovrebbe farti capire qualcosa?”. Cercò di farla ragionare Lanie che ormai era stanca di non esser del tutto schietta con l'amica. Prima vedeva di buon occhio la sua relazione con Josh, sperava che lui l'aiutasse a stare meglio, ma ora tutto era finito e invece di stare bene Beckett soffriva più di prima. La detective non rispose alla domanda, ma in quel momento non capì se era perchè non aveva la risposta o perchè non voleva ammetterlo. 

“Kate io ti voglio bene e lo sai, ti son sempre stata vicino anche quando prendevi le decisioni più stupide, anche quando, pur di non ammettere la verità, soffrivi in silenzio ma ora è troppo. Quando capirai che non è Josh che vuoi?” 

“Ma almeno so chi è Josh. Castle è..”.Beckett rassegnata e sconsolata tornò a sedersi vicino all'amica, sospirando, fissando il pavimento. “é un mistero. Da un lato so molto di lui dall'altro non lo conosco affatto. Nasconde qualcosa e fin quando non mi dirà cosa non posso fidarmi di lui, non voglio rischiare di starci male di nuovo”. Nei mesi in cui Castle non c'era sentiva ogni giorno di più la mancanza, non solo come partner sul lavoro, ma anche per le cose più semplici, la compagnia che gli faceva al distretto tra un caso e l'altro, durante le pause caffè, nei viaggi in macchina, nelle uscite serali che si concedevano di tanto in tanto. 

“E allora fallo.”. La incoraggiò l'amica. “Non è un metodo che approvo ma visto che Castle non collabora trovatele da sole le risposte che cerchi. In fondo anche lui ti ha detto di farlo”. Le ricordò della conversazione avuta tempo addietro con l'uomo.

 “E se quello che trovo poi non mi piace”. Sottolineò quel fatto che l'aveva già bloccata in passato ancora prima di iniziare le ricerche.

 “C'è questa eventualità ma almeno saprai come stanno realmente le cose. Avendo tutti i tasselli della storia potrai capire quello che vuoi e poi chissà, magari quello che scoprì, invece, ti darà la spinta finale”. Osservò Lanie non escludendo del tutto quell'ipotesi anche se tutti gli elementi giocavano a sfavore del detective. 

“Hai ragione. È ora che do una scossa a questa storia.”.Affermò convinta la detective ricevendo un gesto di incoraggiamento dalla collega. 

 

12th DISTRETTO

 

Beckett posò la penna sulla scrivania e osservò i tre colleghi nella saletta relax che ridevano bevendosi un caffè. Il povero Ryan arrossì di colpo e da li intuì che probabilmente lo stavano prendendo in giro come facevano di solito, magari per via di qualche regalo fattogli da Jenny.

La detective scrollò il capo e tornò a fissare lo schermo. Stava finendo di compilare la richiesta da mandare a Los Angeles per poter visionare il fascicolo di Castle, era un ottimo inizio per cominciare a farsi un'idea di chi fosse realmente. Se lui non voleva parlare della sua vita in quella città l'avrebbero fatto quei fogli al posto suo. Spostò la freccia del mouse sul tasto invia e si bloccò. Si chiese se era pronta ad affrontare le conseguenze che quel gesto avrebbe causato ma aveva già temporeggiato troppo. Alzò lo sguardo e si incrociò con quello di Castle che smise di ridere e le sorrise. Doveva sapere. Inviò la richiesta e si preparò al peggio.

 “Mia madre ti manda questi”. Le disse Castle estraendo una busta dalla tasca interna della giacca.

“Un ringraziamento per avermi impedito di fare irruzione alla festa alla quale Alexis ha partecipato sabato sera”. Spiegò quando vide l'espressione perplessa della donna. 

“Volevo evitare che un quasi trentenne si mettesse a fare una gara a chi beve di più con dei ragazzini”. Ridacchiò lei aprendo la busta ed estraendone due biglietti. Dopo aver letto di cosa si trattava guardò il collega sorpresa. 

“Questo è il pegno che si paga per aver detto a mia madre che hai apprezzato la sua interpretazione di Gertrude nell'Amleto.” 

“Si ma questi sono biglietti per un intera stagione”. Ribadì ancora una volta la sua sorpresa. Non si aspettava un regalo simile da parte di Martha.

 “Già. Quindi ti conviene trovare il tempo di andare ad almeno uno spettacolo a settimana se no dovrai subire le ire di Martha Rodgers e ti parlo per esperienza personale, non è un bello spettacolo”. Affermò lui sentendo un brivido lungo la schiena ripensando a tutte le ramanzine che aveva subito da sua madre, senza dimenticare che ci aggiungeva sempre quel tocco teatrale che rendeva il tutto ancora più significativo. 

“Figurati, mia madre vorrà andare ogni sera a teatro d'ora in poi. Se non avrò più tempo libero ti riterrò responsabile per non aver impedito a tua madre di regalarmi questi abbonamenti”. Lo avvisò, anticipandogli quello che gli sarebbe potuto accadere se fosse accaduta davvero una cosa simile. 

“Bhè se tu non ne vuoi approfittare nessuna problema. Avrò io l'onore di accompagnare tua madre”. Disse cercando di afferrare uno dei biglietti ma Beckett fu più veloce e glieli tolse dalla traiettoria. 

“Troverò il tempo”. Affermò lei andandoseli a ritirare nella borsa, sempre tenendo sotto controllo Castle ed ogni sua mossa. 

“Tranquilla stavo solo scherzando”. Si giustificò lui. “Già devo sopportare mia madre ogni giorno. Figurati se voglio andare pure a teatro a vederla.”.Appuntò lui andandosi a sedere sulla propria sedia e osservando la lavagna bianca. Si annoiava quando non c'erano omicidi da risolvere anche se lo doveva ammettere, non gli dispiaceva del tutto passare una giornata tranquilla al distretto.  

“Tutto a posto?”. Chiese Castle vedendola particolarmente nervosa mentre si mangiucchiava il tappo della penna che teneva tra i denti. 

“Si certo. Perchè non dovrebbe essere cosi?”. Domandò senza smettere di assaggiare la penna, guardandolo in attesa di una risposta. 

“Bhè, di quella penna ormai rimane ben poco, un altro morso e ti ritrovi la lingua nera per via dell'inchiostro”. Gli fece notare lui indicando la parte della penna dove si potevano notare i segni dei denti della donna, che leggermente imbarazzata andò a nasconderla insieme alle altre. Castle ridacchiò e tornò a fissare davanti a lui pensando che la donna non ne voleva parlare. Beckett cercò di lavorare sul proprio computer ma non poteva far a meno di osservare il collega, rapita in particolare dal sottile strato di barba che l'uomo si stava facendo crescere. Un istante dopo si scontrò con i suoi occhi che mai come in quel momento gli erano sembrati cosi profondi e pieni di emozioni. 

“Ho litigato con Josh”. Rivelò tutto d'un fiato avendo paura che in qualche modo Castle potesse intuire che il suo pensare era causato proprio da lui. Josh ormai era l'ultima delle preoccupazioni della donna ma era un ottima scusante da tirare in ballo in quel momento. 

“Posso esser utile?”. Cercò di dimostrarsi disponibile il detective anche se non sapeva bene in che modo aiutarla, ma per quanto gli riguardava bastava che lei gli chiedesse anche la cosa più impossibile e lui gliel'avrebbe procurata pur di vederla sorridere. 

“Grazie per il pensiero ma son cose che devo risolvere da sola”. Asserì rivelando in parte la verità, solo che ciò che voleva sistemare non erano i problemi con Josh ma i segreti di Castle. 

“Bhè se hai bisogno sai che sono qui”. Beckett sorrise. Era un piccolo gesto che però per lei voleva dire molto. Nemmeno Josh, che era il suo fidanzato, gliel'aveva mai detto, e se l'aveva fatto mai quella frase era stata pronunciata da lui con cosi tanta cordialità, per Josh sembrava più un dovere che un qualcosa che voleva davvero fare. La detective fece per apri bocca ma poi si bloccò tornando a vedere lo schermo. Ci tentò una seconda volta e ancora nulla. 

“Solo perchè mi sono offerto non ti devi sentire in obbligo”. La rassicurò l'uomo che prese una gomma da cancellare in mano e si allungò per quanto era possibile sulla sedia. Poi come se fosse un gioco iniziò a lanciare la gomma in aria afferrandola a pochi centimetri dal viso. 

“Metti che te ed io siamo fidanzati”. Cominciò a ipotizzare la donna cogliendo di sorpresa Castle che, voltandosi di scatto verso di lei in cerca di spiegazioni, si dimenticò della gomma che lo colpì in pieno viso. Beckett serrò le labbra per non ridere andando a raccogliere la gomma. Vedendo poi che il collega si teneva la fronte e aveva un smorfia di dolore sulle labbra si preoccupò. 

“Ti sei colpito il taglio?”. Domandò cercando di spostargli la mano cosi da vedere se per caso a ferita si era riaperta.

 “No, no tranquilla”. Parlò lui facendosi però controllare cosi da rassicurarla.

 

Ryan vedendo la scena si voltò divertito verso il collega.

 “Pst Javi, abbiamo un incontro ravvicinato del primo tipo”. Esposito si voltò anche lui a guardare quella scenetta e diede un leggero schiaffo alla spalla del collega. 

“Sta a vedere che forse, forse...”.Replicò lui tornando al proprio lavoro per evitare di farsi scoprire da Beckett ad osservarli.

 

“Allora cosa dicevi?!. Se fossimo fidanzati..”.Manifestò una certa curiosità Castle per l'argomento tanto che voleva sapere dove avrebbe portato il filo del discorso della donna. 

“Si ecco. Se lo fossimo..”.Riprese a dire Beckett iniziando a sistemare i vari oggetti che aveva sulla scrivania mettendoli tutti in fila, pentendosi di aver iniziato quel paragone, ma ormai doveva andare avanti. “Mi vieteresti di lavorare perchè ritieni questo lavoro pericoloso?” 

Castle rimase ad osservarla qualche istante non avendo ben capito il senso di quella frase e perciò cerco conferma. “é per questo che hai litigato con Josh?”. Vedendola annuire Castle ponderò sulla risposta migliore da dare. Trovò semplice sostituirsi a Josh come fidanzato della collega e di conseguenza gli fu ancora più facile dare il proprio parere. 

“Bhè non nego che sarei perennemente preoccupato, ma d'altronde lo sono anche adesso quindi cambierebbe poco. Però di certo non ti chiederei un sacrificio simile, il lavoro è la tua vita. Togliertelo equivarrebbe a toglierti l'aria perciò l'unica cosa che farei sarebbe riempirti di raccomandazioni prima di vederti uscire di casa”. Mentre parlava Castle osò immaginare una scenetta simile e si ritrovò divertito da quel pensiero quasi impossibile. 

“Già come immaginavo. Solo Josh non la vede cosi”. Rivelò Beckett appoggiando il capo sulla mano destra, guardando sempre il collega che non aveva perso il sorriso. 

“Lui non la vive come noi. Essendo dottore è abituato a vedere persone che rischiano la vita perchè accoltellate o ferite da colpi di pistola. Vuole solo evitare di ritrovarti su uno dei suoi lettini”.Disse sincero Castle mettendosi ancora una volta nei panni dell'uomo. Sapeva che le sue parole non giocavano in suo favore ma era giusto far vedere anche l'altro lato della medaglia a Beckett, cercando di non esser egoista. Gli aveva chiesto il suo parere perchè ne aveva bisogno quindi era necessario che lui dicesse ciò che pensava veramente e non quello che gli faceva comodo. 

Beckett si trovò d'accordo con lui. Di certo Josh vedeva solo il lato peggiore dell'essere poliziotto, non tutto quello che c'è anche dietro, come l'amicizia che vi è tra colleghi. Anche se non poteva usare quel fatto come scusa per non comprenderla dopo mesi e mesi che stavano insieme.

 

“Ehi Castle dato che è tutto tranquillo Montgomery ci lascia vedere la partita dei Lakers. Ci stai?”. Gli chiese Ryan che era già per metà corpo dentro la sala con la televisione e ogni tanto si voltava verso di quella per non perdersi l'inizio della gara. Castle si girò verso Beckett e la guardò con occhi dolci sperando di ottenere il permesso. 

“D'accordo vai pure. Ma rimani dove ti posso vedere”. Il detective sibilò un grazie e in due ampi passi fu nella saletta insieme ai colleghi, pronto ad esultare ad ogni canestro fatto dalla sua squadra. Beckett invece cercava di concentrarsi su quei rapporti nonostante il chiasso fatto da metà dei poliziotti presenti nel distretto che si erano riuniti tutti davanti alla schermo. D'improvviso sentì un suono provenire dal pc, era arrivata una mail. Appena l'aprì vide che proveniva da Los Angeles e senza perdere tempo andò ad aprire l'allegato. Iniziò a leggere attentamente ogni riga scritta sopra di quello. Da come Castle era entrato nel 23th distretto della città, ai suoi primi compiti da poliziotto, vi era descritta qualche rapina che aveva aiutato a sventare, riepiloghi di casi di omicidio a cui aveva partecipato, note disciplinari prese a causa del suo comportamento e leggendone il motivo Beckett non si stupì conoscendo ormai il tipo di persona che era Castle. Arrivò alla quinta pagina e non trovò più nulla. Provò a controllare se non ci fossero altri allegati ma nulla. Vedendola perplessa Esposito rinunciò per qualche istante alla partita e si avvicinò a lei. 

“Perso qualcosa?”. Chiese dando un occhiata intorno alla scrivania in cerca di qualcosa che in realtà non c'era. 

“No no, solo non capisco una cosa”. Replicò lei tornando a leggere il fascicolo per controllare di non aver tralasciato nulla. Vedendo poi il collega allontanarsi decise di chiedere il suo aiuto. 

“Espo una cosa”. Lo richiamò vicino alla scrivania. “Tu di certo ne sai più di me. Perchè il rapporto di un poliziotto che ha lavorato per anni in un distretto è lungo nemmeno 5 pagine”. Cercò qualche spiegazione plausibile dal collega che probabilmente aveva più conoscenze nel settore. 

“Bhè mi vengono solo in mente tre motivi”. Dichiarò alzando una mano davanti a se cosi da contare su questa. “Primo, era un incapace, ma se cosi fosse non avrebbe nemmeno una pagina nel suo fascicolo perchè cacciato prima di scrivere la seconda. Secondo è più bravo di quello che vogliono far credere. Terzo è solo un fascicolo di copertura per non far sapere chi è veramente”. Espose cosi in poche parole cosa ne pensava lui a riguardo. 

“E c'è un modo per sapere qual'è delle tre opzioni?”. Insistette Beckett attirando cosi l'attenzione del collega che non ci mise molto a capire le sue intenzioni. 

“A Castle non piacerà quello che stai facendo, ma so che tanto, anche se non ti aiuto, non ti fermerai quindi tanto vale.”. Il cubano prese un foglio che era sulla scrivania della donna e lo girò verso di lui poi, con una penna, scrisse su di esso un numero e lo mostrò alla detective. “Simmons é un mio amico, se vuoi sapere qualcosa di più preciso prova a sentire lui”. Beckett lo ringraziò e lui se ne tornò a vedere la partita. Ora la donna, rimasta nuovamente da sola, aveva un dilemma. Chiamare e scoprire la verità oppure rimanere con quel dubbio ma non rovinare ciò che c'era con Castle.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** reazione ***


CASA BECKETT

 

Dopo un altro duro giorno di lavoro e un altro caso di omicidio risolto Beckett tornò a casa esausta, con la testa dolorante. Entrata nell'appartamento nemmeno si preoccupò di accendere la luce dato che dalla finestra filtravano i raggi della luna che illuminavano il salotto. Si gettò sul divano e prese in mano il telecomando per cercare qualcosa da vedere prima di trovare le energie di cucinarsi qualcosa. Trovò un vecchio film di fantascienza e optò per quello. Se ne stava li a non pensare a nulla quando il suo sguardo cadde su un pezzo di foglio che se ne stava abbandonato sul tavolino da diversi giorni. Si era ripromessa di chiamare l'amico di Esposito una volta che si sarebbe sentita pronta ma quello non era ancora accaduto. Spense la tele e prese in una mano il cellulare e nell'altra il foglio. Cominciò a schiacciare i tasti e poi si bloccò nel momento di avviare la chiamata. La sera prima aveva chiesto consiglio a sua madre su come agire e anche lei le aveva suggerito di rivolgersi a quell'uomo che poteva darle le risposte che cercava. Il dubbio, la curiosità, il desiderio di sapere , le stavano togliendo le forze e non poteva di certo andare avanti cosi.

 

“Simmons”. Sentì una voce appisolata rispondere dall'altro capo del telefono. 

“Salve scusi il disturbo. Sono Beckett un amica di Esposito. Mi aveva detto che avrei potuto rivolgermi a lei riguardo un mio piccolo problema”. Disse tutto d'un fiato per non esser interrotta, perchè se l'uomo l'avesse fatto lei non avrebbe più trovato il coraggio di proseguire. 

“In che cosa posso esserle utile signorina Beckett”. Disse cordiale lui. 

“Avrei bisogno delle informazioni riguardo il detective Richard Castle. Ritengo che quelle che mi abbiano mandato da Los Angeles siano incomplete.”. Richiese la donna non ricevendo alcuna risposta da Simmons. Sentì solo dei rumori tra i quali potè riconoscere quello dell'apertura di windows. 

“Mi dia un attimo”. Sentì finalmente la voce dell'uomo e poi il suono ritmico delle dita sulla tastiera. 

“Mi dispiace ma non posso darle questo tipo di informazioni”. La informò vago lui, ma questo a Beckett non bastava. 

“In che senso?”. Domandò volendo delle delucidazioni. 

“Il fascicolo è classificato. Solo avendo una determinata password si può visionare”. Le spiegò il motivo per cui non poteva procedere oltre. Beckett ora si poneva una nuova domanda. Perchè quel file era classificato?. Cosa doveva nascondere della vita di Castle?. 

“Non sa dirmi altro a riguardo?”. Lo pregò ancora di darle qualche informazione in più per capire meglio la situazione. 

“Che è una cosa seria. Facciamo l'esempio che i fascicoli siano classificati da 1 a 5 di cui l'uno è il grado più basso. A questo fascicolo darei un 4. è roba che scotta e che non si vuol far conoscere, quindi non indaghi oltre”. L'avvertì lui intuendo che c'era qualcosa che non quadrava e che la detective poteva mettersi in guai seri se continuava con la sua ricerca. 

“Va bene la ringrazio per la disponibilità”. Non volle assillare più del dovuto Simmons e per questo lasciò perdere quella pista optando per un altra che per ora però non possedeva. 

“Si figuri”. Rispose lui ponendo fine alla chiamata. Beckett fissò il cellulare e ancora si pose quella domanda. Ora capiva tutta quella segretezza da parte di Castle sul suo passato ma non aveva alcun indizio sul perchè era necessaria. Gli rimaneva un unica soluzione, la più ovvia e che fino ad ora non aveva portato a nessun risultato ogni volta che l'aveva seguita. Doveva parlare direttamente con Castle.

 

 

CASA CASTLE

 

Il detective se ne stava tranquillo, seduto al proprio posto a tavola, mentre con la famiglia consumava la cena a base di pollo e insalata. Alexis stava raccontando qualche aneddoto della scuola quando il cellulare di Castle suonò. Scusandosi con i tre si pulì la bocca con un tovagliolo mandando giù l'ultimo boccone. Preso il telefono guardò il display e chi lo cercava. Si voltò a fissare suo padre e poi sparì nel suo studio senza dire nulla. Fece un respiro profondo e accettò la chiamata. 

“Signore”. Salutò Castle quasi mettendosi sull'attenti anche se non poteva esser visto dal suo interlocutore. 

“Abbiamo un problema Castle”. Affermò stizzita l'altra persona. Castle immaginò qualunque possibile scenario e tutti prevedevano la sua partenza per Los Angeles a causa di qualche caso a cui doveva partecipare. 

“Se posso esser utile Signore”. Castle iniziò a sudare freddo. Raramente il suo capo lo chiamava e quando lo faceva era perchè la situazione era veramente seria e il tono di voce che egli aveva adottato serviva solo al detective per confermare i suoi sospetti.

 “Mi aveva assicurato che la detective Beckett non rappresentava un problema eppure mi son giunte voci che non sia cosi”. Castle sentì un brivido gelido percorrergli tutta la schiena, lasciandolo senza parole. Perchè si interessavano a Beckett?. 

“Non capisco Signore”. Mise insieme due parole non avendo davvero idea di cosa potesse trattarsi. 

“Non mi prenda in giro Castle”.Urlò la persona dando un pugno cosi forte su una superficie dura che il detective riuscì sentirlo arrivare fin l'orecchio. “Io le ho permesso di andare a New York, di stare a New York nonostante le sue responsabilità e lei mi aveva promesso che non ci sarebbero stati problemi, che nessuno sospettava di lei, eppure la sua collega ha iniziato a far domande”. Castle dovette allontanare il telefono dalla testa per non rischiare di venir assordato dalla voce del suo capo. 

“Signore non sono a conoscenza di quello che sta dicendo”. Cercò di giustificarsi e nel contempo calmare l'uomo. 

“Un ora fa la sua collega ha chiesto all'agente Simmons di visionare il suo fascicolo e un paio di giorni fa l'aveva richiesto anche a Los Angeles. Mi aveva assicurato che lei non avrebbe fatto più ricerche e allora queste come me le chiama?”.Domandò furente l'uomo ma più irato era Castle che si sentiva tradito dal comportamento della donna. Gli aveva fatto una promessa e non l'aveva mantenuta. 

“Signore sono certo che c'è una spiegazione”. Constatò il detective in preda a un terribile mal di testa. 

“Spero per lei che ci sia se no dovremo provvedere noi e sa come vanno queste cose”. Castle deglutì a fatica e cominciò a sentirsi le gambe molli tanto che si trovò costretto ad appoggiarsi alla propria scrivania.

 “Me ne occuperò il prima possibile Signore”. Promise guardando davanti a se con un espressione decisa, doveva arrivare prima lui da Beckett. 

“Lo spero per tutti”. Detto questo Castle non sentì più nulla se non il suono dell'interruzione di chiamata. Cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza, mordendosi le mani per non lasciar trapelare la propria frustrazione, poi gli capitò a tiro una statuetta che prese e scaraventò contro il muro rompendola in più pezzi. Alla fine si accosciò a terra, appoggiato alla parete, sconsolato. Ancora una volta il telefono squillò.

 

“Come posso risolvere la cosa”. Pronunciò appena accettata la chiamata sapendo bene chi c'era dall'altro capo. 

“Questa volta è un bel guaio. Miller voleva già mandare una squadra a casa di Beckett ma sono riuscito a farlo ragionare. La tua identità doveva rimanere segreta e invece lei ha fatto domande dove non doveva. Non abbiamo modo di sapere se si fermerà Ricky. Già una volta Miller ha chiuso un occhio quando hai informato la tua famiglia, ora è troppo.”. Gli spiegò Jonhson senza nascondergli nulla. 

“Non ho chiesto cosa vi siete detti tu e Miller, ho chiesto come risolvere la cosa”. Ripete ancora una volta il detective non lasciando trasparire alcuna emozione dalla propria voce. 

“Devi trovare il modo di farle smettere di cercare informazioni su di te, qualunque modo, altrimenti Miller darà l'autorizzazione a eliminarla. Chi sei è più importante di una semplice detective di New York”. Semplice, sogghignò Castle, loro non avevano la minima idea di chi fosse realmente Beckett e di certo lui non poteva farle pagare con la vita la sua curiosità. Si riteneva responsabile, lei non aveva mantenuto la promessa, ma lui in primis l'aveva istigata a ricercare informazioni. 

“Troverò il modo di farla smettere Signore”. Affermò dopo qualche secondo di silenzio l'uomo ricevendo l'approvazione del superiore. 

“Un ultima cosa Ricky. Abbiamo discusso anche sulla tua permanenza a New York. Ormai sei li da troppo tempo, è ora che torni a casa, definitivamente”. Questa rivelazione colpì l'uomo come una pugnalata al cuore, non aveva bisogno di sentirselo dire in quell'istante, con tutte quelle preoccupazioni che già gli affollavano la mente.

 “Signore io non..”.Iniziò a dire ma venne subito interrotto. 

“Hai tempo fino a lunedi. Scegli Rick. Dentro o fuori?. Ricordati il ruolo che ricopri qui e quello che potresti ricoprire una volta tornato”. Era una palese tentazione. Jonhson sapeva che quello era il sogno di Castle da anni e ora glielo stava offrendo su un piatto d'argento ma gli stava chiedendo anche un prezzo. 

“A lunedi”. Chiuse la chiamata e tornò ad appoggiarsi al muro, non muovendosi per quello che gli sembrò delle ore. D'un tratto sentì bussare alla porta.

 

“Ciao papa”. Disse non preoccupandosi di nascondere l'evidenza. Suo padre avrebbe capito comunque che c'era qualcosa che non andava. 

“Ti abbiamo sentito quasi urlare mentre ce ne stavamo in sala. Che è successo?”. Chiese Alexander andandosi a sedere accanto al figlio cosi da essergli di sostegno. 

“Beckett è andata vicino a scoprire chi fossi”. Rivelò facendo un respiro profondo, facendo ancora fatica a crederci. 

“Non l'hanno presa bene ai piani alti non è cosi?”. Chiese conferma l'uomo di una cosa che sapeva già. Castle annuì e si richiuse di nuovo nel suo silenzio per qualche minuto. 

“O provvedo o la uccideranno. È questa la prassi. Non posso permetterlo papa”. Proferì disperato, trovando faticoso trattenere le lacrime dovute sia dalla paura che dal nervoso. 

“In che modo dovresti provvedere?”. Domandò sperando di riuscire a consigliare il figlio una volta saputo come agire. 

“L'importante è che non cerchi più di scoprire chi sono”.Affermò il detective portando il cellulare all'altezza degli occhi e cercando la foto della donna in cerca di un ispirazione. Alexander sorrise al figlio e poi gli sussurrò. 

“A volte la soluzione migliore è la più ovvia”. 

“Dovrei dirle la verità?” .Chiese conferma Castle vedendo suo padre annuire e sorridergli per poi passargli una mano sulla testa. 

“Cosi di certo smetterà di cercare di scoprire chi sei”. Sottolineò l'uomo appoggiando poi la mano sulla spalla del figlio cosi da alzarsi e cercare un posto migliore sul quale sedersi. 

“Papa c'è altro”. Lo richiamò il detective pensando che se ne stesse andando. Alexander si mise seduto sul divano e aspettò che il figlio continuasse. 

“Mi hanno chiesto di tornare, definitivamente, a Los Angeles, ma non so che fare”. Confessò il giovane trovandosi pieno di dubbi, tutte le certezze che lo avevano accompagnato ora erano crollate come un castello di carta. 

“Lo sai che io, tua madre e Lex, ti appoggeremo qualunque cosa tu decida. L'abbiamo sempre fatto e anche questa volta ti staremo vicini. Ma è veramente questo quello che vuoi?”.Gli domandò l'uomo cercando di aiutarlo a capire meglio i suoi desideri. 

“é quello che desideravo anni fa”. Rispose Castle. Alexander lo fissò pensieroso per qualche secondo aggrottando la fronte. 

“Desideravi?”. Farfugliò ponderando su quanto appena affermato dal figlio. “Sicuro che sia ancora il tuo sogno?”. Lo interpellò vedendolo spalancare gli occhi staccandoli dalla foto di Beckett. 

“Io..”. Cercò di dire per dar voce ai suoi pensieri. “Io non lo so. Non so che voglio”. Dichiarò nascondendo la testa tra le gambe. 

“Il fatto che tu mi abbia detto che lo desideravi mi fa sorgere dei dubbi riguardo a cosa tu desideri veramente”. Affermò l'uomo andando a mettere ancora più confusione nella testa del figlio. 

“Se accettassi starei lontano da Beckett almeno. Non la vedrei più, non la metterei più nei guai”. Provò a trovare il lato positivo in un suo possibile allontanamento dal distretto ma al pensiero sentiva una fitta al petto. Gli sarebbero di certo mancati i colleghi, era più che tentato dal non lasciarli. 

“E quello che provi per lei?”. Alexander sorrise teneramente al figlio. Gli sembrò di esser tornato indietro di anni quando Castle gli rivelò la sua decisione di abbandonare la propria casa per perseguire il suo sogno, ma allo stesso tempo indeciso se inseguirlo o meno a causa dei suoi dubbi. 

“Lei è fidanzata papa. Poco cambierebbe, Beckett non mi vuole”. Disse irrequieto mentre si alzava da terra e riprese a camminare avanti e indietro per la stanza cosi da ragionare meglio. 

“Bhè allora si dovresti partire”. Acconsentì Alexander lasciando senza parole Castle, non provava nemmeno a convincerlo a rimanere, a spiegare i motivi per cui doveva restare a New York. Vedendo l'espressione dubbiosa del figlio l'uomo andò a chiarirsi. 

“Se vai a Los Angeles sarai cosi impegnato che non potrai nemmeno chiamarla, non la sentirai più, non la vedrai più, non potrai chiederle come sta, non potrete parlare dei casi, niente più cinema fantascientifici assieme, niente più serata al bar, niente più caffè al mattino, non vedrai più i suoi occhi, il suo sorriso, nemmeno la sua voce sentirai.”. Diede cosi sfogo alla fantasia l'uomo, intristendo ancora di più Castle. 

“Papa cosi non mi sei d'aiuto”. Gli fece notare lui dandogli le spalle e avvicinandosi alla finestra. 

“Ma è quello che accadrà figliolo, non lo puoi negare. Passerai molto tempo a pensare a lei, a tutto di lei, senza riuscire a sapere più nulla su Beckett. Io ci provai a star lontano da tua madre prima che ci mettessimo assieme”. Rivelò un particolare della loro vita che il giovane non sapeva non avendo mai raccontatoglielo. “Ma più non la sentivo più la desideravo e alla fine tornai a New York e la sposai. Ora sta a te capire cosa è meglio. Andare a Los Angeles, perderla completamente e nello stesso tempo non saper più nulla della sua vita o rimanere qui, vederla ogni giorno, ahimè con un fidanzato, ma almeno le sarai accanto, ogni volta che avrà bisogno. Per lei ci sarai, sempre.” 

“Non c'è una terza opzione magari più semplice”. Sogghignò Castle guardando la città prender vita sotto di lui, le strade piene di auto e taxi, di persone impegnate a parlare.

 “Non c'è nulla di semplice ragazzo mio.”Alexander si avvicinò al figlio e gli posò una mano sulla spalla. “Pensa bene a quello che vuoi perchè questa volta non potrai tornare indietro”. Gli ricordò lui.

 

CASA BECKETT

 

Castle stava guidando la macchina lungo le trafficate strade della città diretto da Beckett. Non sapeva se essere arrabbiato o meno con lei, avevano entrambi le loro colpe e il fatto che forse avrebbe dovuto lasciarla faceva vedere tutto sotto una luce diversa. Parcheggiò la macchina e si fermò davanti al condominio della donna in attesa del coraggio per fargli prendere quell'ascensore. In quel momento avrebbe tanto voluto aver imparato a fumare, di certo lo avrebbe aiutato ad allentare quella tensione che sentiva lungo tutto il corpo. Alzò gli occhi al cielo, verso l'appartamento della donna e vide le luci accese, almeno era a casa, da sola, sperò Castle. Approfittando del fatto che una donna uscì dal palazzo lui entrò e sali l'ascensore, schiacciando più volte, con forza, il bottone del piano desiderato. Durante quei secondi pensò a come procedere, avrebbe dovuto chiederle subito spiegazioni, magari metterle paura cosi da impedirle di domandare oltre. Rivelarle che rischiava di morire sarebbe stato un ottimo aiuto ma come poteva anche dirle che aveva azzardato cosi tanto. Ma comunque era la verità ed era giusto che la sapesse. Castle aveva la testa che gli scoppiava a causa di tutti quei dubbi, nessuna idea gli sembrava quella giusta. Arrivò alla porta e si bloccò. La fissò per qualche istante poi tornò verso l'ascensore per poi fermarsi, aveva detto che avrebbe risolto la cosa e doveva farlo per accontentare Miller. Di nuovo si trovò davanti all'appartamento e inspirando profondamente bussò. Deciso Rick, devi esser deciso, si disse ma tutto cambiò appena la porta si aprì.

 

“Castle”.Affermò sorpresa la donna, era proprio l'ultima persona che si aspettava bussare alla sua porta ma l'unica che veramente voleva vedere. Il detective si trovò senza parole. Tutti i suoi propositi erano svaniti nel momento in cui l'aveva vista. Era cosi semplice, i capelli legati, una vecchia maglietta degli Yankess e una tuta. Raramente l'aveva vista cosi a suo agio. 

“Rick tutto bene?”. Sentì la donna usare il suo nome e si riprese da quella lunga meditazione. Il respiro gli si fece più corto quando si avvicinò a lei facendola indietreggiare. Castle chiuse la porta dietro di se cosi da rimanere soli e posò poi le mani sulle spalle della donna. Beckett non sì mosse, sentiva di non esser più padrona nemmeno del suo corpo, una parte di lei voleva scappare, allontanarsi e capire cosa stesse succedendo, un altra voleva rimanere li per sempre. 

“Perchè l'hai fatto?”. Chiese con voce ferita il detective, appoggiando la sua fronte contro quella della donna. Beckett lo fissò non avendo idea di quello di cui stesse parlando ma poi vedendo la tristezza nei suoi occhi capì. Abbassò lo sguardo sentendosi colpevole. 

“Volevo sapere chi sei”. Dichiarò lei alzando la testa e staccandosi pochi centimetri da lui per riuscire a vederlo meglio. Istintivamente portò le mani ai lati della sua faccia e lo tenne fermò davanti a se. 

“Ho bisogno di sapere chi sei”. Lo supplicò accarezzandogli la guancia destra con dei piccoli movimenti del pollice.

 “Non dovevi farlo”. Asserì lui tornando serio mentre prendeva le mani di lei nelle proprie e gliele toglieva dal viso. Fece qualche passo in direzione del salotto della donna, dandole cosi le spalle, mentre lei non riusciva a muoversi da dove Castle l'aveva lasciata, mentre sulle dita sentiva ancora il calore della sua pelle. 

“I miei capi non sono stati contenti delle tue ricerche e mi hanno ordinato di farti smettere altrimenti ci avrebbero pensato loro”. Ancora non la guardava, non aveva il coraggio di guardarla mentre le faceva quella rivelazione. Beckett capì al volo il senso della frase e impallidì all'istante. Non sapendo che dire andò a sedersi sul divano cosi da lasciare il tempo al collega di finire il discorso. 

“Se io ti dico chi sono devi prometterti, ma questa volta seriamente, che non farai più domande”. Le richiese con voce tremante, seguendo i suoi movimenti con la coda dell'occhio per poi raggiungerla, sedendosi sul tavolino cosi da esser di fronte a lei. 

“Promettimelo”. Si impuntò cosi da non dare modo alla donna di ribattere al suo volere. Beckett annuì rapidamente, la possibilità di aver messo a rischio la sua vita in quel modo le martellava il cervello. 

“D'accordo, iniziamo”. Esordì l'uomo bagnandosi le labbra e strofinandosi le mani sudate sui pantaloni. “A 18 anni feci il concorso per entrare in polizia. Era sempre stato il mio sogno fin da piccolo. Volevo aiutare gli altri, catturare i delinquenti più per il mio ego che per altro. Volevo sentirmi importante, fare qualcosa di utile per la comunità indipendentemente dal fatto di essere figlio di Alexander e Martha Castle.”. Confessò massaggiandosi il collo per togliere un po' di tensione che sentiva nelle membra. 

“Come detto a 23 anni sono andato a Los Angeles per far carriera più facilmente. Quello che non ti ho detto è che a 24 anni sono stato reclutato dall'FBI”. Si fermò cosi da dar modo a Beckett di assorbire quell'informazione. 

“FBI?”. Domandò lei incredula, di certo quella era l'ultima cosa che si aspettava. Non avrebbe mai ritenuto Castle adatto all'fbi a causa del suo carattere. 

“Feci il test quasi per gioco ma loro lo ritennero una cosa seria e cosi mi offrirono un posto che io accettai più che volentieri”. Continuò a spiegare cercando di ritardare il più possibile il momento della verità. 

“E mi volevano liquidare solo perchè stavo per scoprire che fai parte dell'fbi?!”. Chiese incredula la donna. Le sembrava un po' poco per una rappresaglia simile, senza contare che non lo riteneva tutto questo gran segreto. 

“C'è altro”. Annunciò dopo qualche secondo di silenzio. “A quanto pare mi ritenevano un cosi bravo agente che mi offrirono un posto all'interno del CIRG”. 

“Cosa sarebbe?”. Chiese spiegazioni la donna passandosi una mano nei capelli, comprendeva che ora le cose si stavano facendo serie e voleva in ogni modo capire il più possibile di quanto era accaduto a Castle e cosi scoprire chi fosse realmente. 

“é una team speciale dell'fbi i cui membri sono anonimi per via delle operazioni che devono svolgere. Mi occupavo, con la mia squadra, di recupero di ostaggi, di crimini violenti a cui i distretti non riuscivano a venire a capo, di strategie per i blitz nei quartier generali di trafficanti, spacciatori e via dicendo”. Castle aspettò a continuare per sincerarsi che la donna non avesse domande da fargli ma, in quel momento, Beckett era completamente esterrefatta da ciò che aveva appena udito. 

“Per entrare a far parte di quella squadra in cambio chiedevano l'assoluta segretezza e per non correre rischi mi cancellarono dai registri ufficiali dell'fbi e ritornai ad essere un detective della squadra omicidi di Los Angeles, anche se in realtà non ci misi più piede dentro il distretto”. Ridacchiò lui cercando di rendere meno tesa l'atmosfera che si era creata ma capiva che era ben difficile farlo. 

“Quindi è per questo che non parlavi mai del tuo passato?”. Chiese tenendo gli occhi chiusi la donna che ancora si sentiva in conflitto con se stessa, non voleva credere, non poteva essere quella la verità. 

“Mi era vietato. Chi veniva a conoscenza della nostra vera identità veniva eliminato, non importava se amico o nemico. Le informazioni di cui siamo in possesso non devono cadere in mano a persone sbagliate e quello era l'unico modo per evitare che accadesse”. Gli spiegò lui. Nemmeno a Castle piaceva quel modo di agire ma era l'unico che poteva tenere le cose segrete. Se qualche malvivente che aveva arrestato durante un blitz avesse saputo chi fosse in realtà ci sarebbero state delle conseguenze sulla sua famiglia e non poteva permetterlo. 

“E mi hanno considerato un problema.”. Constatò Beckett ritrovando di nuovo la voglia di parlare. “Pensavano che avrei potuto rivelare quelle informazioni a chissà chi e quindi far saltare la tua copertura?”. 

“Non ti consideravano un terrorista pronto a vendere ciò che sapevi al miglior offerente”. Cercò di tranquillizzarla lui anche se sapeva che era difficile dato che comunque volevano eliminarla. “Solo che avevano paura che, anche se involontariamente, tu potessi rivelare qualcosa. Dopo tutto anche i muri hanno le orecchie”. 

“E ora che accadrà?”. Si volle informare Beckett per capire meglio cosa ne sarebbe stato di lei e di Castle. 

“Niente più domande, niente più conseguenze”. Disse chiaro e preciso Castle andandole ad afferrare una mano. “Non sei in pericolo Kate, solo questa volta ricordati la promessa che mi hai fatto”. Gli ribadì lui riacquistando il sorriso quando la vide annuire. 

“E di te cosa ne sarà?”. Pretese di sapere alzandosi dal divano quando vide che lui si stava dirigendo verso la porta con l'intenzione di andarsene cosi da evitare di rispondere a quella domanda. 

“Castle cosa ne sarà di te?”. Continuò a interpellarlo volendo sincerarsi che a causa sua lui non avesse subito sanzioni o peggio. Quando il detective non gli rispose lei lo afferrò per un braccio e lo costrinse a girarsi cosi da rimanere faccia a faccia. 

“Mi è stato dato un ultimatum.” Proferì sentendosi il cuore in gola. “O dentro o fuori”. Ripetè le parole usate dal suo capo per chiarire il concetto. “O torno a Los Angeles, nella mia squadra, e ne divento capitano o rimango qua a New York ad essere un semplice detective e nulla più”. Beckett si sentiva in colpa, era tutta colpa sua se ora Castle doveva prendere quella decisione cosi improvvisa. 

“Che hai intenzione di fare?”. Domandò curiosa senza però guardarlo in faccia, trovando il pavimento più di suo gradimento. Rischiava di perderlo e tutto per la sua testardaggine. 

“Los Angeles è tutto quello che ho sognato. Diventare capitano è ciò a cui ambivo appena sono entrato in squadra”. Confessò lui odiandosi per causare nella donna tutte quelle sofferenze ma ormai era giunto il momento di esser sinceri. Poteva non rivederla mai più e lei doveva avere le risposte che tanto aveva agognato. 

“Non c'è nulla che ti trattiene qui”. Era una constatazione non una domanda. Castle lo capì bene. Fece per aprire bocca e consolarla ma poi il ricordo di Josh lo fermò. Non poteva fargli quello, non poteva rovinare la loro storia per poi scomparire. Con l'indice sollevò il volta della donna e ostentò un sorriso. 

“Lascio molto a New York. Non è una decisione facile ma com'è detto è stato il mio sogno”. Le ricordò lui togliendogli una ciocca di capelli da davanti agli occhi cosi da vederla meglio. 

“Potresti creartene di nuovi”. Cercò di fargli capire in quel modo che non voleva che se ne andasse ma sapeva anche che, se quello era ciò che voleva, lei non si sarebbe intromessa. Castle ripensò per un istante a quello a cui aveva rinunciato lei, al fatto che non era partita per Washington per stare accanto alle persone che amava. Il detective in quel momento avrebbe voluto avere il suo stesso coraggio. Si sentiva solo, maledettamente solo in quell'istante. La fissò negli occhi dimenticandosi come respirare nello stesso momento e poi si avvicinò a lei. Un bacio, un bacio solo si disse, che male avrebbe fatto, cercò di convincersi. 

“Non posso”. Sospirò Castle quando ormai le loro labbra erano cosi vicine. Si allontanò da lei trovandosi con la schiena contro la porta mentre si copriva il viso con entrambe le mani. Beckett comprese i suoi timori, gli stessi che aveva lei, ma non poteva nascondere il disappunto che provava in quel momento. 

“Quando partirai?”. Gli chiese cercando di superare quel momento di debolezza. 

“Entro lunedì devo decidere. Mi prenderò questi tre giorni lontano dal distretto per comprendere ciò che voglio realmente, senza distrazioni”. La detective capì al volo che la distrazione a cui si stava riferendo era lei e non potè obiettare al suo modo di pensare. 

“Spero che almeno prima di partire ci verrai a dire addio”. Affermò la donna dando già per scontata la sua decisione. In fondo aveva ribadito più volte che era il suo sogno, quello che voleva, perciò per quale motivo avrebbe dovuto rinunciarci? 

“Non mancherò di farlo”. Detto questo aprì la porta e uscì dall'appartamento non avendo la forza di dire altro, non avendo il coraggio di rimanere ancora li con Beckett e di affrontare le conseguenze delle loro azioni. Solo una volta in macchina diede sfogo alle proprie frustrazioni tirando pugni al cruscotto fino a farsi venire la mano viola, versando lacrime di fuoco che gli bruciavano il volto, mentre la donna era ancora ferma nel punto dove lui l'aveva lasciata, desiderando con tutte le forze di svegliarsi da quell'incubo. 

“Che cosa ho fatto?”

 

  

------------------------------------

Piccola postilla. Il CIRG è veramente una sezione dell'FBI che si occupa a grandi linee delle cose che ho elencato, anche se non credo che nello stesso modo che ho supposto io eheh, però mi piaceva l'idea di mettere qualcosa di reale. Spero l'idea sia piaciuta.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Ne vale la pena?! ***


12th DISTRETTO

Erano passati ormai due giorni da quando Beckett e Castle si erano parlati l'ultima volta. Seppur la voglia di sentirlo, di sapere quale fosse la sua decisione era tanta, la detective si fece forza e non lo cercò. Più volte si trovò con il cellulare in mano pronta a chiamarlo ma mai una volta lo fece e comunque aveva anche paura che lui la informasse della sua imminente partenza. Al distretto c'era una strana quiete dovuta a quell'agognante attesa, anche Ryan ed Esposito non erano più loro stessi. 

“Dici che partirà?”.Le domandò l'irlandese appena la vide arrivare la mattina dopo la conversazione avuta con Castle. Il detective aveva informato i due colleghi con una breve chiamata senza però rivelare loro tutto quello che invece aveva fatto con la donna. 

“Non saprei”.Rispose sinceramente Beckett. “Sò solo che, qualunque sia la decisione, noi dovremo accettarla e mostrargli il nostro sostegno. In fondo glielo dobbiamo”. 

“Però non vi pare strano che sia stato richiamato cosi d'improvviso?”. Fece notare Esposito ai due colleghi ma mentre Ryan si trovava d'accordo con lui Beckett non la vedeva allo stesso modo. 

“Se vi ricordate anche quando partì la scorsa primavera fu una cosa da un giorno all'altro quindi non vi stupite troppo. Castle aveva detto che sarebbe rimasto solo qui un anno e l'anno è ormai passato”. La detective era rassegnata, il collega non aveva mentito su quel particolare, anche se quei 12 mesi erano passati più veloci di quanto si era resa conto. 

“Non dirmi che a che fare con la ricerca che stavi facendo?”. Domandò Esposito alla donna avvicinandosi a lei cosi da non farsi sentire da Ryan, che intanto se n'era tornato alla propria scrivania. Beckett guardò il collega appoggiato alla propria scrivania che la guardava con rimprovero. 

“Forse si, forse no”. Alzò le spalle lei non avendo una risposta certa. “Sarebbe successo lo stesso un giorno o l'altro, magari io ho solo contribuito ad accelerare le cose”. Affermò piena di rimorsi tanto che a Esposito fece tenerezza. 

“Non sentirti in colpa”. Cercò di consolarla. “Come hai detto il tempo della sua “vacanza” qui era finito quindi sarebbe successo comunque”. Esposito sorrise vedendola annuire e poi se ne tornò a lavoro. Avevano un caso da risolvere e non potevano lasciarsi distrarre da quelle supposizioni.

 

Beckett se ne stava leggendo le varie deposizioni rilasciate da alcuni testimoni di un accoltellamento ma non riusciva a comprendere alcuna parola di quanto scritto. La sua mente era troppo impegnata a pensare a quello che sarebbe potuto accadere lunedì. Sbuffò lanciando i fogli davanti a se sulla scrivania e appoggiandosi allo schienale della sedia osservando il soffitto. 

“Perchè non ti prendi un giorno libero”. Era Montgomery che parlava. Il capitano l'aveva osservata per alcune ore e vedendola distratta aveva deciso di intervenire suggerendole di tornare a casa. 

“Abbiamo un caso signore”. Lo informò Beckett indicando quei fogli abbandonati davanti a lei. 

“Lo sò”. Appuntò lui una cosa tanto ovvia. “Ma non credo che i tuoi colleghi abbiano da ridire a riguardo. Non è cosi ragazzi?”. Chiese conferma ai due uomini che sentendosi tirati in causa abbandonarono momentaneamente quello che stavano facendo e osservarono gli altri due. 

“Nessuno problema” Rassicurò Esposito. 

“Vai pure Beckett. Qua ce la caviamo anche senza di te”. Fece eco Ryan sorridendo simpaticamente alla collega. La detective ci riflettè su per qualche minuto ma poi alla fine cedette alla premura dei colleghi e decise di tornarsene all'appartamento, d'altronde li non sarebbe stata d'aiuto anzi avrebbe rallentato le cose.

 

CASA BECKETT

 

Giunta al proprio appartamento si diresse subito in cucina e aprì una credenza. Da li prese un bicchiere e poi andò a stappare una bottiglia di vino bianco che Castle aveva regalato sia a lei che agli altri due colleghi dopo averla comprata in un negozio di liquori dove era stata uccisa una persona. Se ne versò mezzo bicchiere e si sistemò sul divano. Non amava particolarmente oziare durante il pomeriggio ma quella era una situazione diversa. Starsene li a non far nulla, senza preoccupazioni, sorseggiando del buon vino, questa si che era vita, pensò in quell'istante. La quiete che però con tanto ardore ricercava durò solo pochi minuti e poi i pensieri tornarono sul collega. Sulla loro conversazione, su quel bacio mai successo e cosi si trovò a ponderare su cose più serie. Castle perseguiva ciò che voleva e forse ora doveva farlo anche lei. Posò il bicchiere sulla tavola e afferrò il suo cellulare. Fece scorrere la rubrica velocemente fino a quando non trovò il nome desiderato, inspirò profondamente e avviò la chiamata. 

“Ciao”. Accennò un sorriso ma con fatica. Era difficile compiere quel gesto ma era giunto il momento di farlo, sia per lei che per lui. “Lo so che sei impegnato ma ti andrebbe ti passare da me più tardi?. Dobbiamo parlare”. Avvertì il suo interlocutore che dubbioso acconsentì a incontrarsi. Beckett chiuse la chiamata e rimise l'apparecchio a posto riprendendo il bicchiere e finire il vino. Si pentì di non aver agito prima, se lo avesse fatto, se avesse trovato il coraggio di spiegare a Castle cosa provava forse a quell'ora le cose tra loro due sarebbero state diverse. Beckett però non voleva piangersi addosso e cercò di sistemare le cose come meglio poteva e per farlo doveva cominciare da lui. Un oretta dopo sentì bussare alla porta e, dopo aver spento la televisione, si alzò dal divano ed andò ad aprire.

 

“Sei qui”.Affermò lei aprendo la porta e lasciando cosi entrare il suo ospite. 

“Bhè sei tu che me lo hai chiesto no?”. Le fece notare Josh andandole a dare un fugace bacio sulle labbra prima di togliersi la giacca e andarsi ad accomodare sul divano. 

“Allora come mi devi dire”. La invitò a sedersi dando dei colpetti con la mano aperta al posto accanto a lui. Beckett esitò qualche istante dispiaciuta per quello che stava per fare ma era giusto cosi. 

“Josh io..”. Non era facile trovare le parole più corrette, in quei casi non esistono proprio ma lei voleva cercare di essere il più indolore possibile. “Non può più funzionare tra di noi”. Affermò schietta osservandolo, non voleva dimostrare alcun segno di debolezza, doveva fargli capire che era decisa, che era quello che voleva. 

“Mi stai lasciando?”. Chiese conferma lui grattandosi il capo privo di parole. “Andiamo Katie se è per le ultime litigate che abbiamo fatto non importa. Capitano a tutti questi alti e bassi ma ne siamo già usciti”. Cercò di farla ragionare alzandosi e raggiungendola per prenderle il viso tra le mani. 

“Non è per quello”. Affermò scrollando il capo e allontanando le mani di lui. “Non vogliamo le stesse cose Josh, ammettiamolo. Siamo diversi, tu vuoi che io sia diversa da ciò che sono realmente e per te non sono disposta a cambiare”. Proferì Beckett cercando di appoggiargli una mano sul petto pensando con quel gesto di rendere le cose meno difficili, cercando di mantenere comunque un contattato che li facesse capire che nonostante tutto lui era stato importante per lei. 

“Per me?”. Ripetè ironico lui indietreggiando di un passo e guardandola corrugando la fronte. “E per chi saresti disposta a cambiare allora?”. Chiese sdegnato l'uomo cominciando a sentire il sangue ribollirgli nelle vene. Beckett si passò una mano sul viso e negò decisa con la testa. 

“Non era quello che intendevo dire e lo sai”. Alzò gli occhi al cielo e prese a camminare per andare verso il divano ma l'uomo l'afferrò per un braccio. 

“Dimmi che non lo fai per lui? Che non lo fai per quel Castle?”. Pretese di sapere insistendo quando vide che Beckett esitava a rispondere. “é per lui o no?”. Alzò la voce stringendole il braccio più forte quando la donna cercò di divincolarsi. 

“é per me che lo faccio”. Affermò dura dando uno strattone e riuscendo a liberarsi dalla sua presa. “E anche per te. Josh io non ti amo. Non è giusto che tu stia con me quando dovresti trovare una ragazza che ti apprezzi come ti meriti. Io non potrò mai farlo”. Rivelò la donna dispiaciuta nel vedere l'uomo cosi ferito ma non poteva essere altrimenti, continuare gli avrebbe fatto ancora più male, lei non poteva dargli ciò che voleva. 

“Non ci credo, sono convinto che ti stai sbagliando. Sarai stanca e confusa per via del lavoro”. Ricominciò a parlare lui non mostrandosi disponibile al dialogo. 

“Josh credimi sono abbastanza grande per sapere quello che voglio”. Gli fece notare lei ma le sue parole entrarono da un orecchio ed uscirono dall'altro di Josh, che era ancora preso dai suoi ragionamenti. 

“Ti basteranno un paio di giorni di tranquillità e vedrai che cambierai idea. Saprò aspettarti e poi ci butteremo questa chiacchierata alle spalle e continueremo come se nulla fosse successo”. Quasi le impose cosi la sua decisione ma ormai Beckett non voleva più tornare indietro. 

“Josh non puoi più far nulla. È finita”. Ribadì il concetto gesticolando per dar cosi più peso a quanto stava dicendo. 

“No, non lo è. Non voglio che sia finita”. Asserì lui dandole un bacio che non sapeva d'amore ma di possesso e poi si staccò. “Ora devo andare in ospedale. Ti chiamerò appena possibile cosi risolviamo questa faccenda”. Detto questo aprì la porta e se ne andò. Beckett sospirò infastidita mentre lanciava in aria le braccia bofonchiando parole incomprensibili.

 

12th DISTRETTO

 

Passarono altri due giorni in cui Beckett evitò ogni contattato con Josh, non rispondeva alle sue chiamate e per non imbattersi in lui aveva passato quelle giornate in obitorio da Lanie o al bar con i colleghi. Ora però era arrivato lunedi e lei doveva tornare al lavoro. Si preparò con molta calma, volendo bloccare il tempo, ritardare quel momento che sarebbe giunto. Ipotizzò di arrivare in ritardo al distretto cosi da non incrociarsi con Castle ma sapeva che non se lo sarebbe mai perdonato, che non sarebbe riuscita a vivere con il rimorso di non averlo salutato. Cosi si preparò, bevve un caffè e si recò al lavoro, pronta ad affrontare ciò che l'aspettava.

 Ryan ed Esposito erano arrivati più presto del solito e ora se ne stavano davanti al parcheggio ad aspettare il collega. Si erano accordati per fermarlo, per impedirgli di consegnare la lettera di dimissioni. L'avrebbero legato ad un palo se fosse stato necessario e l'avrebbero tenuto li fin quando non avesse cambiato idea. Erano pronti a tutti. 

Finalmente videro l'auto di Castle svoltare l'angolo e dirigersi verso il posto che loro gli stavano tenendo libero. Il detective parcheggiò la sua vettura e li salutò amichevolmente. 

“Siamo mattinieri oggi ragazzi. Avete qualche impegno o pensavate che non vi avrei salutato”. Disse ironico appoggiano una mano sulla spalla di Ryan abbracciandolo. 

“Non mi sarei perso per niente al mondo il tuo visino triste”. Scherzò prendendo il mento dell'irlandese tra il pollice e l'indice per poi dargli un leggero schiaffetto sulla guancia. 

“Non ti permetteremo di far questa sciocchezza”. Lo informò Esposito mettendogli una mano sul petto cosi da impedirgli di fare un passo verso il distretto. Castle rimase compiaciuto nel vedere che i suoi colleghi si erano affezionati in quel modo a lui. A Los Angeles non era mai stato cosi, finite le missioni ognuno tornava nella propria città senza dirsi più nulla, erano vietati i contatti esterni tra di loro. 

“Ragazzi ormai ho preso la mia decisione. Ho già anche avvisato Los Angeles, non posso tornare indietro”. Serrò le labbra mentre parlava, sorpassandoli cosi da poter andare a parlare con Montgomery. Quando osservò davanti alla porta d'ingresso del distretto si bloccò, dando cosi modo ai due colleghi di raggiungerlo. 

“Che ci fa Josh qui?”. Chiese una spiegazione ai due che però fecero spallucce. 

“Lanie mi ha detto che Beckett l'ha lasciato quindi non capisco la sua presenza.”. Nel sentire quell'informazione Castle guardò il cubano incredulo. 

“L'ha lasciato?”. Non poteva aver capito male ma comunque volle risentire di nuovo quella notizia cosi da esser sicuro. 

“Si un paio di giorni fa”. Spiegò Esposito. “A quanto pare si è finalmente accorta che lui non era adatto per lei”. 

“Ma Josh non l'ha presa bene e infatti adesso è qui”. Gli comunicò Ryan annuendo in direzione dell'uomo senza staccargli gli occhi di dosso, studiando ogni sua mossa. Castle invece lo guardava silenzioso, si chiedeva se non avesse contribuito in parte a quella decisione di Beckett e se fosse stato davvero cosi si sarebbe sentito fiero. 

“Comunque rimani o te ne vai?”. Domandò curioso l'irlandese non essendosi dimenticato del motivo per cui l'avevano intercettato prima di permettergli di entrare al distretto. 

“Secondo te”. Ridacchiò l'uomo vedendo arrivare Beckett. La donna stava frugando nella sua borsa e non si accorse ne di loro ne tanto meno di Josh. Fu solo quando gli fu di fronte che gli parlò.

 

“Josh non abbiamo niente da dirci”. Mise subito in chiaro le cose cosi da poterlo liquidare in fretta ma lui le si parò davanti. 

“Invece abbiamo molto di cui parlare. Perchè non hai risposto alle mie chiamate? Eravamo d'accordo che avremmo risolto questa cosa”. Voleva spiegazioni e le voleva subito, indipendentemente da dove si trovavano. 

“No Josh, tu volevi cosi ma io ti ho spiegato che ormai è finita e che è inutile parlarne quindi smettila di comportarti come un ragazzino e mettiti il cuore in pace”. La donna non riuscì a superarlo perchè lui l'afferrò e la mise spalle al muro. Vedendo quel gesto Castle, che si era trattenuto dall'intervenire fino a quel momento, perse la pazienza e si incamminò verso il duo. 

“Josh, lasciami ti ho detto”. Gli ripetè lei infastidita dal suo comportamento ma lui ancora non mollava la prese e la teneva incollata contro la parete. 

“Non fin quando non avrai ripensato alla tua decisione”. Replicò lui in tono perentorio.

 “Ehi, mi pare che tu stia esagerando”. Gli fece notare Castle, che ora si trovava vicino ai due, trattenendosi a fatica dal scaraventarlo a terra. 

“Ah ecco qui il pomo della discordia, spero che tu sia contento di quello che hai fatto”. Gli ringhiò contro la sua rabbia lasciando finalmente andare Beckett. Castle la fissò con la coda dell'occhio giusto il tempo di assicurarsi che stesse bene poi tornò sull'uomo. 

“Non ti immagini quanto”. Disse con un sorriso arrogante che fece alterare Josh. In un attimo lanciò un urlo e gli fu addosso. A causa della breve distanza Castle si trovò impreparato e accusò il colpo alla mascella. 

“Josh sei impazzito?”. Urlò Beckett incredula nel vedere il suo ormai ex fidanzato reagire in quel modo. Castle intanto stava scrollando la testa per riprendersi mentre si toccava con attenzione il punto dove era stato colpito.

 “Con te faccio i conti dopo”. Josh minacciò la detective puntandole il dito contro e li Castle venne roso dalla rabbia. Puntò il piede destro a terra e si diede la spinta, abbracciò il dottore all'altezza dei fianchi e lo sollevò leggermente da terra per poi sbatterlo contro una macchina della polizia parcheggiata li vicino. Josh digrignò i denti e diede uno spintone a Castle che mollò la presa e indietreggiò. Ma la lotta era appena cominciata, ancora si tirarono pugni puntando al viso e ai fianchi. Ryan ed Esposito, vedendo che i due si erano presi un momento per rifiatare, intervennero afferrandoli per le spalle cosi da non farli più muovere. Altri due poliziotti gli diedero una mano notando che i detective facevano fatica a trattenerli. 

“Non abbiamo ancora finito”. Affermò Josh irato mentre cercava di liberarsi dalla presa dei poliziotti, non facendosi problemi a colpire pure loro. Castle fu pronto a ribattere quando Beckett gli si mise davanti, impedendogli cosi di vedere il suo attuale avversario. 

“Basta Rick”. Disse la donna intimorita. “Per favore”. Lo supplicò facendo segno ai poliziotti che lo stavano trattenendo di lasciare la presa. Quando fu libero il detective non si mosse ma rimase li accanto alla donna. Anche se la sua voglia di rivalersi su Josh era tanta la mise da parte per lei. Ryan che lo stava ancora trattenendo andò ad aiutare Esposito con il dottore e insieme lo portarono all'interno del distretto per dargli una mano a calmarsi. Castle non abbassò lo sguardo quando Josh lo fissò con aria di sfida finchè non sparì dentro l'edificio. Si asciugò la fronte con il dorso della mano per poi sputare a terra il sangue che sentiva in bocca, dopo di che si sincerò delle condizioni della collega.

 “Stai bene?”. Chiese facendo per sistemarle quella ciocca di capelli ribelle ma bloccandosi avendo le mani sporche di sangue e sudore. 

Beckett annuì per poi inclinare la testa cosi da studiarlo meglio. “Tu non tanto però. Meglio che entri cosi ti do una sistemata. Non vorrai mica prendere un'aereo in queste condizioni.”. Affermò nervosa lei non tanto per quanto era appena successo ma per il fatto che poi lui se ne sarebbe andato. 

Castle la seguì senza dire una parola mentre si andavano a sistemare in disparte nella sala relax. 

“Josh dov'è?” Domandò la detective dopo esser tornata da prendere il kit di primo soccorso. 

“L'abbiamo messo nella stanza degli interrogatori cosi da calmarsi un po'. Vuol sporgere denuncia contro Castle per quanto successo ma provvediamo Ryan ed io a fargli cambiare idea”. Disse Esposito posando una mano sulla spalla del collega che annuì deciso per poi recarsi la dove se ne stava il dottore.

 

“Mi dispiace”. Parlò Castle visibilmente addolorato per quanto successo. Beckett però gli sorrise facendogli passare subito ogni senso di colpa. 

“Mi hai solo difeso, non devi farti perdonare nulla”. Lo rassicurò lei iniziando a tamponare il cotone imbevuto di acqua ossigenata sul labbro tagliato. 

“Dimmi che non l'hai fatto per me?”. Le chiese fissandola negli occhi per capire se avrebbe mentito o meno. Una parte di lui sarebbe stata felice a sapere che Beckett si era liberata di Josh per lui ma l'altra invece si sarebbe sentita per sempre in colpa. 

“E aumentare cosi a dismisura il tuo ego”. Scherzò lei evitando di rispondergli ma dall'espressione di Castle comprese che non poteva tirarsene fuori con cosi poco. “L'ho fatto per me”. Confessò sempre stando attenta a non fargli male, staccando il cotone ogni volta che lo vedeva accennare una smorfia di dolore. 

“Avanti dammi le mani ora”. Lo invitò a sollevarle davanti a lei cosi da poter ripulire anche quelle dal sangue. “ Potevi slogarti qualche dito lo sai”. Contemplò Beckett toccandogliene uno per uno per assicurarsi che non se le fosse dislocate in qualche modo. 

“Ne sarebbe comunque valsa la pena”. Asserì' Castle mugugnando quando lei toccò una nocca dolorante. Beckett sorrise con dolcezza alla sua rivelazione. Era il suo modo per farle capire che ci teneva a lei. 

“Grazie, per quello che hai fatto”. Sussurrò solo per lui cogliendo l'occasione per accarezzargli le mano con tenerezza. 

“Per te sempre”. Beckett si sentì arrossire lievemente e perciò si schiarì la voce per riguadagnare la sua postura. 

“Mi dispiace, forse a causa di questo perderai l'aereo”. Ripetè avvolgendogli una garza intorno alla mano. 

“Di aerei che vanno a Los Angeles c'è né uno ogni ora”. Le assicurò lui ridacchiando ma tornando serio vedendo il suo volto farsi triste in un istante. “Ma in nessuno di quelli c'è un posto prenotato per me”. Aggiunse causando una reazione da parte di Beckett. Alzò la testa o lo fissò non avendo capito il senso della sua frase. 

“Non me ne vado da nessuna parte Kate”. Per la donna furono le parole più belle che avesse sentito in tutta la sua vita. Sentì il cuore esploderle dalla gioia e non potè far nulla per impedire a quell'ampio sorriso di sbocciare sulle sue labbra. 

“Ma il posto nel CIRG? Era il tuo sogno”. Domandò confusa ed entusiasta nello stesso momento. Se non avesse avuto cosi tanti occhi puntati su di lei si sarebbe messa a saltare dalla gioia. 

Castle abbassò il capo e si mise a ridere ma Beckett non capiva il motivo di quella risata. Era diverto? La stava solo prendendo in giro?. Di colpo si fece di nuovo serio. 

“Appunto era il mio sogno”. Disse sottolineando bene la parola “era”. “Ora è il momento di crearne di nuovi. Non voglio più girare il paese facendo missioni suicide, rinunciare a star accanto alla mia famiglia, alle persone a cui voglio bene, solo per sentirmi qualcuno. Da quando sono qui ho capito che mi basta veramente poco per sentirmi importante.”. Proferendo la guardò cosi pieno di promesse che Beckett non potè far altro che crederci, gli posò una mano sulla spalla, giocando con il colletto della sua camicia, pronta per avvicinarsi a lui quando sentirono bussare allo stipite della porta dietro di loro. 

“Josh non sporgerà denuncia. Diciamo che gli abbiamo fatto capire che tanto nessuno gli avrebbe dato ragione e che anzi avrebbe potuto intaccare la sua carriera. Gli facciamo firmare due carte e lo lasciamo andare se siete d'accordo?”. Era Esposito che accidentalmente aveva scelto il momento peggiore per informarli di quel particolare. I due annuirono e il collega li guardò perplesso per pochi secondi prima di lasciarli di nuovo soli ma, ormai, quella magia si era rotta. 

“Meglio che riporti questo a Lanie”. Affermò Beckett chiudendo la scatola del kit di primo soccorso e posandola sul proprio grembo. 

“E io dovrei andare a parlare con Montgomery. Bisogna vedere se lui mi vuole ancora nei paraggi”. Ridacchiò nervoso Castle alzandosi in piedi insieme alla collega. 

“Allora..” Iniziò a dire lei titubante. “A dopo?”. Chiese conferma volendo avere un ultima prova della sua permanenza al distretto. 

“A dopo”. Affermò deciso Castle per poi vederla uscire dalla stanza. Aver rinunciato ai suoi sogni, alla sua carriera nell'fbi, a quello che voleva essere, dopo tutto ne valeva la pena.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Omicidio d'alta classe ***


12th DISTRETTO

 

Era passato qualche giorno da quell'incontro-scontro tra Castle e Josh e il detective ne portava ancora i segni che, però, mostrava con orgoglio alle poliziotte che si aggiravano intorno a lui nella saletta relax. Ogni volta che raccontava quell'aneddoto aggiungeva sempre qualche particolare nuovo, di come il dottore si fosse arreso subito, di Ryan ed Esposito che impauriti si erano nascosti dietro la volante della polizia, di come avesse preso Beckett tra le braccia e portata in salvo dentro il distretto come i principi fanno con le loro principesse. Era cosi bravo a raccontare storie che alla fine tutte gli credevano anche se i suoi racconti erano inverosimili, ma a loro bastava sentirlo parlare per pendere dalle sue labbra.

 “Oggi che particolare hai introdotto nel descrivere il tuo gesto eroico?”. Ironizzò Beckett aspettandolo seduta alla propria scrivania mentre lui se ne tornava tutto sorridente con una fetta di torta che April gli aveva preparato per essersi comportato cosi eroicamente. 

“Ho detto loro che Josh era armato di bisturi”. Disse con la bocca piena, sbriciolando il tutto sui rapporti che la detective aveva appena messo da parte. Beckett alzò gli occhi al cielo e gli andò a pulire. 

“Ne vuoi un po'?”. Chiese l'uomo porgendogli quel boccone di torta rimasta in segno di scuse ma la donna scrollando il capo rifiutò. 

“April l'ha preparata solo per te, non voglio approfittarne”. Affermò lei mordicchiandosi un labbro per poi andarsi a mangiare le unghie della mano nervosamente. 

“Peggio per te”. Ribattè Castle andandosi a riempire la bocca con ciò che rimaneva del dolce, pentendosi quasi subito di averlo fatto data la difficoltà che ora aveva di masticarlo. Mugugnò qualcosa e poi afferrò lesto il caffè di Beckett e ne bevve a grandi sorsi per aiutarsi a buttare giù il tutto, dandosi dei colpetti sul petto, sentendosi la gola bruciare. 

“Prego”. Proferì Beckett ricevendo indietro il bicchiere, che vide essere ormai quasi completamente vuoto, mentre Castle si mise a tossire essendosi mezzo strozzato. La detective spostò la propria attenzione sullo schermo mentre lui si dava dei colpi sulla schiena. Un vero attore come sua madre, pensò fra se e se. 

“Potevo morire soffocato e tu nemmeno una piega hai fatto”. Constatò Castle allargandosi il colletto della camicia. 

“Un vero peccato. Sarà per la prossima volta”. Affermò Beckett tornando su di lui giusto per sorridergli sornionamente per poi rimettersi a fissare lo schermo. Si ritrovò a pensare a quanto accaduto qualche giorno prima, non alla colluttazione con Josh, ma a quanto successo mentre stava curando le ferite di Castle. A quel quasi bacio non avvenuto, al secondo loro quasi bacio. Sospirò chiedendosi se non fosse l'ora di agire, di dire a Castle ciò che provava per lui. Non aveva più motivo di dubitare di lui, le aveva confessato la verità sulla propria identità, ora non c'erano più segreti che la frenassero. Eppure ancora non trovava il coraggio. Il collega non le aveva assicurato di rimanere a New York per sempre, si aveva rinunciato al posto nel CIRG ma se l'avessero di nuovo richiamato in azione non era certa che lui avrebbe rifiutato. Non voleva averlo per un breve periodo e poi perderlo, sarebbe stato troppo.

 “Ancora preoccupata che Josh si possa rivelare uno stalker?”. Chiese Castle avendola osservata per quei secondi in cui lei era immersa nei suoi pensieri. 

“Se non ricordo male eri tu quello che temeva ciò tanto da startene sotto il parcheggio di casa mia in piena notte”. Constatò lei vedendo lui arrossire di colpo, sorpreso di quella rivelazione.

 “Chi te l'ha detto?”. Domandò sgranando gli occhi essendo stato colto in flagrante. Era certo di esser stato ben nascosto tanto da non farsi vedere da nessuno mentre controllava l'ingresso del condominio di Beckett ma a quanto pare si sbagliava. 

“Maria, la mia vicina di casa, ha suonato il mio campanello alle 2 di notte dicendo che c'era una strana persona che se ne stava in auto da più di tre ore. Aveva paura che cercassero lei”. Raccontò Beckett non avendogliela ancora fatta pagare al collega per esser stata svegliata cosi a quell'ora del mattino a causa di una sua paranoia.

 “Bhè se non apprezzi le mie attenzioni”. Esordì lui melodrammatico alzandosi dalla sedia e aggiustandosi la giacca, tirando i bordi di questa verso il basso. “Vado da chi le gradisce”. Affermò girandosi sui tacchi e andando verso le scrivanie di Ryan ed Esposito che, guardando la collega, la supplicavano di riprenderselo. Beckett li salutò divertita e si diresse verso l'ascensore. Aveva bisogno di un consiglio da Lanie.

 

OBITORIO

 

Il medico legale era intenta a finire un autopsia e concentrata com'era quasi non si accorse dell'amica che era entrata nella sala e si era seduta su uno dei lettini vuoti, andando cosi a ciondolare le gambe davanti a se in attesa. 

“Ciao”. Salutò Beckett nel momento in cui vide Lanie alzare il volto. Il medico si spaventò non essendo abituata a queste intrusioni improvvise e fece cadere a terra il bisturi. 

“Ma ti sembrano scherzi da fare”. Fece notare abbassandosi per raccogliere quell'attrezzo del mestiere posando l'altra mano sul cuore per calmarsi.

“Io sono abituata a vedere cadaveri su quei lettini, non persone che mi salutano”. Commentò facendo sorridere cosi la collega che però non perse tempo andando spiegare il motivo per cui era li e non al distretto. 

“Io e Josh ormai ci siamo lasciati da una settimana”. Iniziò non fermando il movimento della gambe, trovandolo distensivo, mentre l'amica andava a guardarla con disinteresse. 

“Lo sa tutto il distretto, tesoro. Dimmi qualcosa che non sò”. La invitò a farlo mentre le dava le spalle cosi da pulire accuratamente i proprio strumenti dentro il lavandino. 

“Castle ed io ci siamo quasi baciati, due volte”. Rivelò serrando le labbra causando la meraviglia di Lanie che, abbandonato il suo lavoro, corse verso la detective e si sedette vicino a lei sul lettino.

 “E quando aspettavi a dirmelo?”. Domandò dandole una leggera spallata vedendola arrossire. 

“é che poi non ne abbiamo mai parlato quindi non so che significato dargli. Se era un gesto nato dalla situazione o se è stato altro a provocare quella reazione”.Alzò le spalle non avendo idea di come Castle la vedesse. 

“Da quanto ho potuto notare in questi quasi due anni che lavorate assieme è che tra voi c'è qualcosa come già ti dissi. Ma sia tu che lui siete troppo cechi per vederlo”. Puntualizzò la donna che con un piccolo saltello scese dal lettino e si pose davanti all'amica.

“Ma vi consento questo ritardo dato che prima c'era di mezzo Demming, poi Castle che è partito e poi Josh. Ora però non avete più scuse per ritardare. Lanciati ragazza mia”. La incoraggiò il medico stringendole le mani ma vedendola comunque perplessa.

 “Non ti sembra un po' presto? Cioè mi sono appena lasciata, non credo sia corretto nei confronti di Josh”. Chiese consiglio cosi all'amica rivelando i suoi dubbi. Sapeva che l'ex fidanzato ormai era uscito di scena ma non voleva comunque correre e rischiare di rovinare tutto con Castle. Ci teneva fin troppo a lui. 

“Kate andiamo. Hai aspettato un anno, mi pare già troppo. Lanciati e sii fiduciosa. Anche il nostro detective prova qualcosa anche se non lo vuoi ammettere. Altrimenti perchè sarebbe tornato per ben due volte?”. Le chiese facendole notare quel piccolo particolare a cui però la detective pensava spesso.

 “Forse per stare vicino alla sua famiglia”. Rispose nel modo più che ovvio ricevendo un buffetto sulla gamba da parte dell'amica.

 “No, cioè si anche per quello. Ma scommetto quello che vuoi che l'ha fatto anche per te”. Lanie mise da parte la sua conosciuta indole lasciando spazio a quel lato più dolce e ponderato di lei.

 “Nessuno ti dice di correre da lui e dirgli tutto subito. Hai tempo per farlo, aspetta di sentirti pronta, ma non perdere più le occasioni che ti si presentano, potresti pentirtene un giorno”. 

“E se prendesse la cosa come un gioco?. Guarda con le altre ragazze del distretto. Si diverte ad esser circondato da loro, a portarle fuori a bere o a intrattenerle durante le pause. Per lui potrei essere una delle tante”. Confessò la detective sbuffando e sfregandosi le mani sulla faccia, sfogandosi urlando contro i palmi, avrebbe voluto aggiungere anche i suoi timori riguardo il lavoro che faceva Castle a Los Angeles ma rivelare che era un agente dell'fbi all'amica era fuori questione.

 “Impossibile. Quelle la possono essere si un gioco per lui ma tu, mia cara, tu sei tutt'altro. Sei il primo premio. Non ti paragonerà mai a loro. E poi mal che vada ricordati che con lui ti diverti sempre ”. Cercò di farle vedere il lato positivo della cosa ma Beckett la guardò sfiduciata. 

“Il termine divertirsi per Castle equivale a tormentare Ryan ed Esposito, a toccare le mie cose, e giocare con il cellulare e posso continuare”. Affermò contando quanto stava dicendo sulle dita per rendere l'idea di cosa piacesse al collega. “é un bambino cresciuto in altezza e non con il cervello”.

 

In quel momento la porta si aprì di colpo facendo sussultare le donne. Castle entrò guardandosi attorno quasi cercasse ciò che potesse salvargli la vita. 

“Che succede?”. Domandò preoccupata Beckett, saltando giù dal lettino e andandosi a sistemare vicino a Lanie. 

“Devo nascondermi o questa volta mi uccide”. Rispose distratto senza dar troppe attenzioni alle due, per poi decidere di stendersi sul lettino, precedentemente occupato dalla collega, coprendosi con un lenzuolo. 

“Non dite nulla per favore”. Sussurrò da sotto di esso quando le porte dell'obitorio si aprirono ancora ed entrò Esposito. A Lanie e Beckett bastò uno sguardo per poi scoppiare a ridere. 

“Ridete ridete”. Disse poco divertito il cubano mentre si guardava attorno. “Dov'è Castle?” Chiese minaccioso mentre le due cercavano di calmarsi. 

“Che ha combinato questa volta?”. Domandò Beckett riprendendo a respirare normalmente. 

“Mi ha invitato a guardare dentro un caleidoscopio per vedere quanti bei colori ci fossero, peccato che aveva messo l'inchiostro tutto attorno e questo è il risultato”. Spiegò indicandosi l'occhio destro dove tutto attorno c'era un cerchio nero. 

“Sicure che non lo avete visto?”. Chiese non fidandosi delle due, andandosi a mettere al centro della stanza per riuscire a vedere meglio. “Dove si è nascosto?”. Domandò ancora avendo capito che le due gli stavano nascondendo qualcosa. 

“Noi abbiamo la bocca chiusa”.Mimò il gesto Lanie notando insieme all'amica che Castle si stava muovendo lentamente sopra il lettino cosi da mettersi seduto. Il lenzuolo caddè silenzioso a terra mentre Castle si mordeva le labbra per cercare di non ridere vedendo Esposito con le mani sui fianchi davanti a se che lo cercava. 

“Appena lo trovo me la paga”. Minacciò il collega rendendolo ancora più divertito da quello che stava accadendo. Castle mettendosi quasi sul bordo del lettino aprì le braccia dietro la schiena del cubano e si preparò all'azione.

 “Zombie abbraccio”. Urlò andando a stringere il collega da dietro, che si mise a gridare come una ragazza per l'ilarità dei tre.

 

12th DISTRETTO

 

Beckett era seduta alla propria scrivania e di tanto in tanto si divertiva ad osservare il collega seduto al suo fianco stranamente silenzioso. Dopo quel piccolo scherzetto avvenuto all'obitorio Esposito non aveva perso tempo per vendicarsi. Appena saliti di nuovo al distretto si era diretto nella saletta relax e si era preparato un caffè mentre Ryan, inconsapevole di tutto, andava a chiamare April. Appena vista la donna il cubano le chiese gentilmente di portare quello stesso caffè a Castle e lei prontamente lo fece. Ci volle poco meno di un secondo al detective per capire che qualcosa non andava in quella bevanda. Corse subito in bagno e di li si sentì un urlo mentre Esposito se la rideva tenendosi la pancia, osservato perplesso dai due colleghi. Il detective tornò qualche istante dopo visibilmente infastidito. 

“Bravo, bravo spero che sei orgoglioso di te”. Commentò battendo le mani e poi imbronciato sedersi sulla sua sedia. Beckett gli si avvicinò curiosa di sapere cosa fosse successo. Castle la guardò di sott'occhi e dopo che una smorfia si era palesata sulla sua bocca le fece la linguaccia. La detective si mise subito a ridere vedendo la lingua completamente nera del collega. 

“Andiamo Castle è solo un po' di colorante. Qualche ora e andrà via”. Lo avvertì Esposito scambiandosi un cinque con Ryan tornando cosi a lavoro. 

“Dovevi aspettartela.”.Gli disse Beckett vedendolo ancora con il broncio. “Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”. 

“Sembra che ho bevuto del catrame”. Commentò lui afferrandosi la lingua e incrociando gli occhi per vedersela meglio. 

“Anche se fosse non mi stupirebbe”. Confessò la donna che inarcando un sopracciglio e accennandogli un sorriso andò a rispondere al telefono che stava squillando. 

“Beckett”. Pronunciò facendosi subito seria mentre Castle con un fazzoletto cercava di pulirsi come meglio poteva. 

“D'accordo arriviamo”. Concluse la chiamata schioccando le dita per attirare l'attenzione dei tre colleghi. “Nuovo omicidio ragazzi. Potrete avere la vostra pausa ricreazione più tardi”.  



In macchina il detective continua a fissarsi la lingua quasi fosse un fenomeno da baraccone mentre Beckett stava perdendo la sua pazienza. 

“Andiamo Castle che vuoi che sia. Si sta già scolorendo. Sono sicura che April non avrà da ridire”. Tentò l'approccio la donna volendo in parte sapere che tipo di rapporto ci fosse tra i due dato che la poliziotta girava spesso intorno al detective. 

“Noto una sfumatura di gelosia”. Constatò lui guardandola ammiccando. “Dovremmo parlare tu ed io lo sai”. Affermò facendosi improvvisamente serio, tamburellando con le dita sul cruscotto della macchina e aggiustandosi la cintura sentendola improvvisamente stretta. 

“Non credo sia il luogo adatto”. Gli fece notare lei volendo trovare ogni scusa per non affrontare quell'argomento dato che che non si sentiva ancora pronta. 

“Hai paura di me?”. Domandò Castle non stupendosi troppo di una sua eventuale risposta affermativa, in fondo già una volta, con Abby, gliel'aveva confermato. 

“Temi che il sapere chi sei mi abbia fatto cambiare idea su di te?”. Chiese la donna non sicura che lui la pensasse cosi superficiale ma ebbe la conferma quando Castle non rispose ma si limitò a far spallucce. 

“Di certo mi ha colto di sorpresa, impreparata. Non era una cosa che mi aspettavo ma almeno cosi capisco il perchè di molti tuoi comportamenti, anche se non tutti”. Puntualizzò la donna sperando che, dato che stavano affrontando quell'argomento, lui potesse aggiungere altro. 

“Se ti dicessi tutto subito dove starebbe il divertimento”. Ridacchiò nervoso lui inspirando profondamente con il naso. “Però non mi hai ancora risposto”. Le fece notare tornandola a guardare con fare serio. 

“Non ho paura di te Castle.”Affermò convinta e di nuovo nell'auto calò il silenzio. Beckett respirava con fatica, sentiva un peso opprimerle lo stomaco. “è di me stessa che non mi fido”. Confessò infine, facendo aumentare la curiosità dell'uomo. 

“Ho sempre fatto affidamento solo su me stessa e poi arrivi tu e sconvolgi tutto. Mi fai dubitare della mia forza, della mia determinazione. Da quando sei arrivato al distretto sento che ho bisogno di qualcuno che mi aiuti ad affrontare ogni momento difficile della mia vita. E quando penso a chi può essere questo qualcuno ci sei sempre tu, l'unico che voglio avere accanto per andare avanti”. Non era facile per la donna esprimersi cosi a cuore aperto. Mai con nessuno, a parte la sua famiglia, era stata cosi sincera. Facendo un lavoro da uomini, in un mondo di uomini, doveva innalzare quel muro per proteggersi e nessuno fino ad ora era riuscito a scalfirlo ma Castle, lui era diverso. 

“Abbiamo paure e desideri simili a quanto pare. Io che vivevo solo per diventare capo della mia squadra nel CIRG ora mi sembra solo l'idea più pazza che abbia mai avuto”. Ridacchiò lui scrollando il capo e serrando le labbra. 

“Riusciremo mai ad esser sinceri l'uno con l'altro?”.Domandò la donna in cerca di quella certezza che ora bramava mentre stringeva le dita sul volante cosi forte tanto da farsi diventare le nocche bianche.

 “Un giorno ce la faremo”. Affermò deciso lui proseguendo poi il resto del viaggio in silenzio.

 

SCENA DEL CRIMINE

 

Arrivarono qualche minuto dopo vicino al vicolo dove era stato ritrovato il corpo. Un poliziotto gli fece da scorta cosi da aiutarli a superare la folla di giornalisti che già si era accalcata sulla scena del crimine.

 “Wow, ma questo è il “Tartufo D'oro”” Affermò Castle passando accanto al ristorante che faceva angolo con il vicolo.

 “Ci sei mai stato?”. Chiese Beckett notando poco lontano i colleghi occuparsi del corpo e dei testimoni. 

“Mio padre ci porta sempre qua per le occasioni speciali”. Rispose Castle riconoscendo solo ora colui che aveva ritrovato il corpo. 

“Ehi Jacques”. Aprì le braccia per salutare il francese che fino a qualche istante prima veniva interrogato da Ryan. 

“Oh signorino Castle che piacere vederla. Per il ristorante sarà una cattiva pubblicità tutto questo. Il cadavere è quello della duchessina Von Teschen”. Disse il cuoco indicando a terra il cadavere di una donna. 

“Ci pensiamo noi tranquillo”.Lo rassicurò raggiungendo Beckett che stava parlando con Lanie. 

“Dai segni intorno al collo direi che l'hanno strozzata con una corda, molto sottile, forse una di quelle di nylon. Si può vedere il solco lasciato”. Spiegò il medico indicando con una penna i segni di cui stava parlando. Castle corrugò la fronte e osservò la vittima. Il suo abito rosso molto attillato, la borsetta lasciata a terra poco distante ma senza documenti, una scarpa nera con il tacco vicino al cassetto dell'immondizia. Risalì lungo le gambe, le braccia e infine il viso e li si bloccò.

 “Ehi Jacques perchè hai detto che questa è la Von Teschen?”. Domandò inclinando il collo verso sinistra per guardarlo ma senza realmente voltarsi verso di lui.

 “Ha cenato insieme al marito, il duca, al ristorante ieri sera. So i nomi perchè mi hanno chiamato per farmi i complimenti per l'ottima cena.”. Affermò asciugandosi il viso con uno straccio che teneva legato alla vita. 

“Tranquillo amico mio. Questa di certo non è la duchessina.”. Rivelò Castle inginocchiandosi accanto al corpo. “Ammetto che ci assomiglia molto ma non è lei. La Von Teschen è più alta e i suoi occhi sono verdi non marroni come questi”.

 “Conosci una duchessa?”. Chiese incredula Lanie.

 “Mio padre organizza spesso cene di beneficenza e in una di quelle occasioni me l'hanno presentata e posso assicurare che non è lei”. Detto questo si guardò attorno in cerca di qualcosa di utile, una telecamera che avesse potuto riprendere qualcosa, in un posto del genere dovevano esserci. 

“Ryan fatti dare le registrazioni video. Vediamo chi era l'uomo insieme a questa donna. Esposito invece te cerca se risulta tra le persone scomparse e poi verificheremo le impronte digitali”. Diede i compiti cosi ai suoi colleghi che si misero subito all'opera mentre lui se ne rimaneva li in piedi in mezzo al vicolo. 

“E tu invece?! Non penserai di startene li in panciolle”. Lo ammonì Beckett mettendosi le mani sui fianchi, di certo non era cosi che valutava il lavoro di squadra.

 “Bhè noi ci occuperemo della nostra nobildonna”. I buoni propositi di Castle però vennero meno quando un poliziotto si avvicinò a loro lentamente. 

“Scusate l'intrusione”. Disse tossicchiando nervosamente. “Ma è meglio che venite a vedere una cosa”. Li informò facendo segno loro di seguirli. Beckett e Castle si guardarono perplessi mentre il poliziotto li conduceva verso un auto e indicava i sedili anteriori. La detective aprì la portiera del passeggerò e in quell'istante un braccio le sfiorò la gamba e un corpo ricadde senza vita sul sedile.

Castle gli mosse delicatamente il viso cosi da vedere se vi erano li stessi segni che su la donna. 

“Presumo che questo sia il falso duca”. Asserì trovando lo stesso taglio netto sul collo dell'uomo.

“E li abbiamo una scarpa da donna. Uguale a quella della nostra vittima”. Indicò Beckett sotto il cruscotto e Castle andò ad afferrarla per studiarla meglio. 

“Una vera duchessa non si sarebbe abbassata a tanto .è di una marca contraffatta”. Constatò lui lasciando senza parole la collega. 

“E da dove viene tutta questa conoscenza?”. Chiese curiosa la donna stupendosi del fatto che lui fosse cosi esperto di indumenti femminili. Ma poi ripensandoci bene non era poi cosi strano. 

“Mio padre stranamente ha sempre qualche riunione quando c'è da accompagnare mia madre a far shopping e di conseguenza tocca a me. So riconoscere un originale.”. Si vantò lui pieno di se osservando la donna che si allontanava cosi da poter andare a chiamare i coroner per occuparsi anche di quel cadavere. 

“Non serve essere cosi permalosi solo perchè ho più gusto di te”. Gli urlò dietro lui divertito per poi guardare ancora dentro il veicolo e notare una rosa blu sul tappetino. Poteva anche non essere nulla ma per evitare ogni problema decise di prenderla cosi da farla analizzare.

 

 

12th DISTRETTO

 

I due detective erano posizionati vicino alla lavagna in attesa che Lanie o gli altri due colleghi gli dessero qualche novità. Per ora sulla lavagna avevano solo due foto e un punto interrogativo sotto di esse, non avendo idea di quali fossero i loro nomi. 

“Abbiamo controllato i video e abbiamo scoperto qualcosa di interessante”. Arrivò Ryan che accennò ai due si raggiungere lui ed Esposito cosi da poter mostrare loro quanto scoperto.

Il cubano aveva in mano il telecomando e vedendo i due arrivare si spostò di più dalla scrivania sulla quale era seduto per far loro spazio. 

“Le nostre due vittime sono arrivate al bar del ristorante alle otto”. Iniziò a spiegare cercando il punto esatto dove si vedevano i due diretti interessati. “A quanto pare stanno discutendo e vanno avanti per un po'. Poi verso le otto e mezza ecco che iniziano a chiamare il duca e la duchessa Von Teschen ma nessuno rispondere.”. Detto questo il detective accelerò il video andando avanti di una decina di minuti. “Ecco ancora che chiamano la coppia ma nessuna risposta fino a che la nostra finta nobildonna alza la mano e si presenta come la duchessa”. 

“Forte, devo provarci pure io ad accaparrarmi la prenotazione di qualche personalità famosa e fingermi lui per una sera”. Commentò Castle venendo guardato in malo modo da i colleghi. 

“Bene abbiamo un ulteriore prova che loro non sono i Von Teschen ma ne hanno solo approfittato. Quindi siamo al punto di partenza. Chi sono questi due?”. Domandò Beckett e subito Ryan le lanciò un ampio sorriso. 

“Abbiamo ricevuto il risultato dal laboratorio sulle impronte digitali”. Li avvisò andando a toccare lo schermo del video cosi da poter ingrandire la patente dell'uomo che avevano ritrovato nella macchina. “Si chiamava Barry Pepper, un garante conosciuto in certi ambienti.” 

“E la sua accompagnatrice sappiamo chi è? Magari una collaboratrice o una sua debitrice”. Ipotizzò Castle tenendo lo sguardo fisso sul video in cerca di qualche altro dettaglio utile che potesse aiutarlo a scoprire qualcosa in più sulle due vittime. 

“Di lei ancora nulla, ma abbiamo già contattato la sorella di Pepper. Magari lei forse potrà dircelo”. Li informò Ryan tornando a fissare quella scena che si svolgeva sulla schermo. Potevano esser stati uccisi solo perchè si erano finti una ricca coppia?!.

 

-----------------------------------------

 

Ammetto che questo capitolo può risultare un po' noioso dato che non ho messo scene d'azione, o un bel discorsetto Caskett, ma è stato necessario cosi. Questa prima parte della storia che ho raccontato la considero come la scintilla che farà scattare una serie di eventi che porteranno Beckett sulla strada per scoprire un altra importante verità su Castle per poi giungere finalmente ad “altro” 

ps, la scena dello “zombie abbraccio” ahimè non è tutta farina del mio sacco ma l'ho rubata ad un altro telefilm, “scrubs” per l'esattezza.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Boom ***



12th DISTRETTO

“Signorina Pepper sappiamo che è difficile ma ci deve dire tutto quello che sa su suo fratello”. Affermò Beckett porgendo alla donna dei fazzoletti cosi da potersi asciugare le lacrime che le stavano rigando il viso. “Ci deve dire se era a conoscenza del motivo per cui Barry si trovava al “Tartufo d'oro” ieri sera fingendosi un duca”. Continuò a parlare sentendo solo come risposta i continui singhiozzi della donna. Castle sbadigliò annoiato, erano li da mezz'ora e ancora non erano riusciti a cavare un ragno dal buco dalla donna, che non faceva altro che piangere. Il detective cominciò allora a tirare delle piccole gomitate alla collega invitandola con gli occhi a insistere. Beckett scrollava il capo in segno di negazione e ancora lui spalancava gli occhi e inclinava la testa in direzione della donna.

 “Beckett se questa continua cosi ci allaga il distretto”. Sussurrò il detective ricevendo un pugno sulla gamba che lo fece mugugnare a denti stretti. 

“Che succede?”. Chiese la signorina Pepper vedendo l'uomo farsi rosso all'improvviso. 

“Crampi”. Ribatte prontamente lui mentre allungava la gamba per farsi passare il dolore. “La prego risponda alle nostre domande”. La invitò lui massaggiandosi il punto dolorante. 

“Barry mi aveva detto che aveva un appuntamento ieri sera, con la sua fidanzata”. Disse la donna asciugandosi le iridi con l'angolo del fazzoletto. “Voleva farsi perdonare per una scenata che aveva fatto una settimana fa al centro commerciale. Mio fratello era molto geloso”. Raccontò la donna accontentando finalmente i detective. 

“Era questa la sua fidanzata?”. Domandò Beckett porgendo la foto della donna rinvenuta nel vicolo. La sorella della vittima la prese in mano e la studiò attentamente prima di parlare. 

“No, non credo sia lei. Non l'ho mai vista di persona ma Barry mi aveva detto che era più vecchia di lui e lei non mi pare che abbia quarant'anni”. Constatò rimettendo la foto sul tavolo cosi che i detective potessero riprenderla. 

“Sa se Barry aveva problemi con qualcuno?!. Magari qualche detenuto a cui aveva fatto da garante oppure qualche creditore”. Domandò Castle non essendo soddisfatto di quello appreso fino a quel momento. 

“No, nessuno.”. Rispose di getto per poi correggersi. “In verità due settimane fa litigò con un certo Treu. Aveva chiesto a mio fratello di pagargli la cauzione di 15.000 dollari ma Barry invece di spendere quei soldi per lui li usò per comprare un ciondolo alla sua fidanzata e Treu non l'ha prese bene”. 

“Va bene signorina”. Inspirò Castle alzandosi dal divanetto dove era seduto, invitando la donna a fare lo stesso. “Se le viene in mente qualcosa non esiti a contattarci”. Le disse accompagnandola alla porta e indicandole l'ascensore prima di voltarsi verso la collega. 

“Ancora un po' che piangeva e si sarebbe disidratata”. 

“Cerchiamo questo Treu tra i fascicoli di Pepper e chiediamo a Ryan ed Esposito se hanno trovato informazioni sul modo in cui sono stati uccisi i due”. Proferì la donna preferendo non dar corda a Castle e alle sue battute. 

 

“Allora scoperto qualcosa ragazzi?” Chiese Beckett passando davanti alla scrivania dei due dirigendosi alla propria mentre Castle, alle proprie spalle, raccolse il fascicolo che Esposito teneva vicino al computer iniziando a leggerlo. 

“In effetti si. Ci sono già stati omicidi simili a questo. L'abbiamo anche capito grazie alla rosa blu trovata da Castle”. Rivelò Ryan indicando i fogli in mano al collega. “Diciamo che è il marchio del nostro assassino o come viene definito nel fascicolo, un killer professionista”. 

“Si fa chiamare Bela Kiss, come il famoso assassino degli anni venti, anche lui uccideva le sue vittime strangolandole.”. Continuò a spiegare Esposito visionando il proprio monitor. “é ricercato da molte agenzie. Fbi, Cia, Interpol, Aise, in ogni stato ha mietuto vittime. Viene assoldato da tutti i tipi di persone, trafficanti, mercenari, capi di stato, persone comuni. Da quanto leggo la sua parcella è di 120.000 dollari”. 

“D'accordo”. Disse pensieroso Castle. “Voi due occupatevi di trovare un certo Treu tra i protetti di Pepper. Noi invece ci concentriamo su questo assassino e vediamo se è stato ingaggiato da qualcuno” 

I due colleghi si misero subito all'opera mentre Castle e Beckett si dirigevano alla macchina di lei. La donna si limitava a seguire il detective non avendo la minima idea di quali fossero le sue intenzioni. Saliti sul veicolo però trovò necessario avere quella informazione. 

“Dove andiamo ora?”.Chiese allacciandosi la cintura per poi accendere la macchina e aspettare una risposta. 

“Andiamo sulla 5th. Fanno un ottimo gelato in una pasticceria chiamata “Gloom””. Affermò Castle invitandola con la mano a partire quando la vide particolarmente perplessa. Beckett scrollò il capo e uscì dal parcheggio seguendo le istruzioni del collega. L'uomo estrasse dalla tasca della giacca il suo cellulare e velocemente compilò un numero e attese la risposta. 

“Agente 889107”. Esordì attirando l'attenzione di Beckett, la quale comprese subito che stava contattando qualcuno all'interno dell'fbi. “Richiedo colloquio con Spike”. Era sintetico, molto sintetico, notò la donna. Di certo nell'agenzia non perdevano tempo con chiacchierate inutili ma andavano subito al sodo. Aveva osservato questo comportamento anche in Castle, se doveva chiedere qualcosa andava direttamente al punto. 

“Ti sto per presentare un mio amico”. Sorrise divertito l'uomo andando ad osservare la donna che lo guardava dubbiosa. Dalla sua espressione sembrava quasi che le stesse suggerendo di aspettarsi qualunque cosa da quell'incontro.

 
GLOOM
 

Beckett parcheggiò la macchina proprio davanti alla pasticceria e si fece guidare da Castle all'interno del locale. Si sedettero ad un tavolo e il detective ordinò per tutti e due prima che la donna potesse anche solo guardare l'elenco dei gelati.

 “Come facevi a sapere che mi piace l'affogato al caffè?”. Chiese porgendo il menù al cameriere che poi si allontanò. 

“A te piace tutto quello che contiene caffè quindi è stato abbastanza facile”. Constatò Castle che si mise a giocare con il porta tovaglioli, facendo scattare la molla di questo spingendo all'interno i fazzolettini per poi mollarli all'improvviso. 

“Si può sapere che ci facciamo qui?”. Domandò curiosa Beckett tirandogli un schiaffo sulla mano per farlo fermare. 

“Aspettiamo Spike”.Rispose sfregando le mani l'una contro l'altra vedendo arrivare i gelati.
 

“Ciao splendore”. Sentirono dire pochi minuti dopo. Beckett si voltò di scatto, osservando alle proprie spalle, pensando che la voce venisse da li ma non vide nessuno. 

“Sono qui dolcezza”. Sentì ancora e cosi abbassò lo sguardo e li notò un nano che le sorrideva da orecchio a orecchio. La detective guardò senza parole il collega che stava ridacchiando. 

“Non è il tuo tipo Spike. Troppo maschiaccio”. Affermò Castle ricevendo uno sguardo irritato da parte della collega mentre il nuovo arrivato si sedeva vicino a lui. 

“Beckett questo è il mio amico Spike. Spike questa è una mia collega”. Partì con le presentazioni l'uomo prima di osservarsi attorno e poi rivolgersi all'amico. “Ci farebbe piacere sapere se, giusto per caso, hai sentito dell'arrivo di qualcuno di particolare, diciamo un serial killer. Ti faccio un esempio, Bela Kiss”. Iniziò a dire Castle massaggiandosi il mento mentre il suo informatore non smetteva di guardare Beckett, la quale si sentiva imbarazzata, non le capitava tutti i giorni di avere due occhi puntati su di lei costantemente, a parte quelli di Castle ovviamente. 

“Guarda se la tua amica mi da il suo numero ti rispondo”. Beckett tossi nervosamente sapendo che Spike era più che serio. A Castle però non era piaciuta quella sua richiesta e non si fece problemi a farlo notare. 

“é già occupata”. Puntualizzò deciso costringendo Spike a voltarsi verso di lui per la prima volta da quando era arrivato. 

“E con chi?”. Chiese curioso lui. Castle inclinò leggermente la testa ma non disse nulla. Non era necessario, Spike lessa la risposta nei suoi occhi. 

“Come non detto, mi dispiace dolcezza ma davvero non sei il mio tipo”. Disse mettendosi in ginocchio sul divanetto e andando ad afferrare le mani di Beckett mentre gli diceva quella frase dolcemente. 

“Cercherò di sopravvivere”. Affermò la donna schiarendosi la voce e sottraendo le sue mani dalla presa di lui. 

“Comunque per quanto riguarda questa ipotetica eventualità in effetti, negli ultimi giorni, molti miei amici hanno fatto prelievi dai propri conti perchè necessitavano del lavoro di un esperto per, diciamo, far pulizie”. Li informò l'uomo tenendo la voce bassa. 

“Dove si trova?”. Domandò Beckett avendo bisogno di quell'informazione ora più che mai, doveva scovare l'assassino e chiudere quel caso. 

“Tanto vale che mi chiedi dove sta il santo grall dolcezza. Tu non trovi lui, è lui che trova te”. Ribattè Spike che saltò giù dal divanetto intenzionato ad andarsene, si era già trattenuto troppo con i due. “Attento Castle, questo tipo era secondo solo a Stark, non si scherza con lui”. Il detective appena sentì quel nome impallidì di colpo, il suo respiro si fece affannoso, e dei brividi incominciarono a corrergli lungo tutto il corpo.

 

Castle lasciò i dollari necessari sulla tavola e si diresse di nuovo verso la macchina con la collega . Beckett aveva notato il suo repentino cambio di umore, sembrava non esser più nemmeno sulla terra con la testa. Camminava come un automa alla quale era stato ordinato di dirigersi verso la macchina e salirci sopra senza nemmeno respirare.

 “Come hai conosciuto Spike?”. Domandò la detective una volta salita pure lei sul veicolo. Ancora non sapeva dove andare e ancora aspettava un suggerimento dal collega. 

“Lavorando nel CIRG mi capitò di tornare spesso a New York e in una di queste volte lo incontrai e divenne le mie orecchie e i miei occhi per quando stavo a Los Angeles”. Spiegò brevemente alla donna che si fece bastare quelle informazioni, dopo tutto non era interessata a quell'informatore. 

“E Stark chi è?”. Ancora un brivido violento attraverso Castle che, con una mano afferrò la maniglia dello sportello, e con l'altra si allentò il colletto della camicia. 

“Una mia vecchia nemesi, che ora è morta. Ma il ricordo è ancora forte”. Rispose l'uomo cercando di riguadagnare la sua postura mentre Beckett capì che non era il caso di continuare a insistere su quell'argomento. 

“Ora che facciamo?”. Chiese tamburellando con le dita sul volante. “Non abbiamo ancora notizie di Treu, non sappiamo dove sia il nostro assassino e non sappiamo chi è la ragazza”. Tirò le somme la donna sbuffando, accorgendosi che non avevano in mano nulla. 

“Andiamo nello studio di Pepper a questo punto. Magari li troviamo qualcosa”. Suggerì Castle che sembrava essersi calmato. 

“Chiamo la sorella e mi faccio dire dove si trova”. Affermò Beckett prendendo il cellulare e provvedendo a chiamare la donna. 

 

APPARTAMENTO PEPPER

 

Dopo la breve telefonata i due si diressero nel punto indicatogli nella speranza di scoprire qualcosa di interessante,un appunto, un indizio, qualunque cosa. 

“La signorina Pepper ha detto che il fratello si era trasferito in questo appartamento solo un paio di settimane fa e in pochi lo sapevano”. Beckett informò Castle mentre salivano l'ascensore di quel vecchio palazzo fino al piano indicato loro dal portiere. 

“Bene diamo un occhiata qui e poi ricordami di farmi mandare una foto della ragazza uccisa cosi da farla vedere agli inquilini del palazzo. Magari qualcuno sa chi è”. Beckett annuì vedendo le porte dell'ascensore aprirsi. Si guardarono attorno in cerca della porta indicante il numero 37 e una volta trovata cercarono di entrare. 

“Chiusa a chiave”. Constatò Beckett. “Dobbiamo tornare dal portiere e farci aprire oppure..”.Non fece in tempo a finire la frase che Castle si era già appoggiato alla porta, con una mano sulla maniglia. Iniziò a spingere abbassando questa e infine diede una spallata decisa facendo scattare la serratura. 

“Oppure perchè no, scassiniamo la porta”. Continuò la donna alzando gli occhi al cielo mentre seguiva il collega all'interno del piccolo appartamento. Appena entrati si trovarono subito in un salotto adibito a studio. Contro i muri vi erano 5 schedari in acciaio alti poco meno di un metro, al centro della stanza una scrivania in legno intarsiato alle cui spalle vi era un ampia finestra da dove si poteva ammirare il panorama della città. Lungo la parete di destra due porte, una che conduceva ad una camera e l'altra al bagno. 

“Niente cucina”. Osservò Castle dirigendosi all'interno della camera da letto per dare un occhio anche a quella stanza, nel caso in cui ci fosse stato qualche cosa di importante nascosta sotto il materasso, pensò. 

“Magari, a causa del lavoro che faceva, preferiva mangiare fuori casa, gli risparmiava tempo”. Rispose Beckett che invece preferì andare subito alla scrivania. Si sedette sulla poltrona dell'uomo e cercò di immedesimarsi in lui. Si guardò attorno e iniziò a pensare a cosa avrebbe fatto Pepper, dove avrebbe nascosto i documenti importanti. Castle invece aprì gli armadi presenti nella camera, solo vestiti, qualche paio di scarpe, nulla di più. Anche frugando nei cassetti non ebbe fortuna. Si accasciò a terra guardando sotto il letto ma alla fine ci rinunciò e se ne tornò nella stessa stanza dove stava Beckett. La donna controllava tutti gli scompartimenti della scrivania, leggendo attentamente ogni foglio che trovava interessante. 

“Guarda qua”. Affermò passando a Castle una ricevuta. 

“Deve essere la fattura del gioiello comprato per questa misteriosa fidanzata. Da Morris & Smart, non mi stupisco che l'abbia pagato quasi 15.000 dollari”. Ridacchiò Castle continuando a leggere quanto vi era scritto. “ Un ciondolo in oro bianco a forma di goccia con al suo interno un diamante puro, la donna aveva gusti precisi”. Ripete ad alta voce quanto fissato sulla carta compatendo quel poveretto per essersi abbassato a far regali simili. Lui di certo di soldi ne aveva ma mai avrebbe speso una cifra simile per una semplice collana. 

“Bè ci chi si accontenta di poco e chi invece ha bisogno di continue attenzioni dal proprio compagno per esser sicura dei suoi sentimenti”. Parlò distrattamente Beckett interessata più a visionare un appunto che le era capitato tra le mani. Castle intanto si era portato vicino agli schedari e aveva aperto il primo. Faceva scorrere velocemente le linguette dei fascicoli in cerca di qualche nominativo utile ma il commento della collega gli giunse comunque alle orecchie. 

“E tu che tipo sei?”. Domandò curioso passando allo schedario successivo. “Bisognosa di attenzioni ? Oppure ti basta poco?”. Quando non sentì risposta si voltò verso di lei e la vide ancora con gli occhi fissi sul foglio ma lui voleva una risposta. “Allora?” Insistette. 

“Come tutte anche io apprezzo i regali ma di certo non di quella entità. Tra un gioiello e un mazzo di fiori preferisco un kit di pulizia per la pistola”. Disse ironica Beckett, se Castle voleva sapere i suoi gusti doveva scoprirlo da solo, di certo non glieli avrebbe detti lei. 

“Io opterei per un bel libro. Se non sbaglio ti piace leggere, non è cosi?”. Chiese conferma alla collega che intanto si era alzata dalla scrivania per mettersi davanti a questa. 

“E questa idea chi te l'ha suggerita?!”. Volle sapere la donna dando la colpa a Ryan ed Esposito, immaginando fossero stati loro a dirgli della sua passione. 

“Nessuno. Mi ricordo di quella volta che sono stato a casa tua e ho visto le centinaia di libri che hai, era di facile intuizione”. Ammise lui sorridendo quando gli capitò tra le mani un fascicolo con il nome Treu. Si voltò verso la collega e vide che anche lei aveva delle informazioni. 

“Prima le signore”. La invitò a procedere appoggiando la schiena contro lo schedario e incrociando le braccia mentre, ciondolando la mano, faceva battere un angolino del fascicolo contro il proprio fianco. 

“è una lettera scritta da Pepper. A quanto pare la nostra vittima voleva minacciare, o magari alla fine l'ha fatto davvero, la propria misteriosa compagna di rivelare tutto al marito se non gli avesse rivelato la loro relazione clandestina”. Riassunse la donna andando poi a commentare. “Ecco perchè teneva la sua fidanzata cosi nascosta. Non voleva che si sapesse della relazione extraconiugale. Magari il marito ha scoperto la cosa e ha assunto Bela Kiss per uccidere il rivale”. Cominciò a ipotizzare Beckett valutando tutte le piste che quel ritrovamento le stava dando. 

“Però la ragazza misteriosa cosa c'entra?”. Domandò Castle non riuscendo a trovare nessun collegamento per lei. 

“Posto sbagliato, momento sbagliato”. Commentò Beckett alzando le spalle, non avendo la minima idea di come rispondere. Castle accennò un sorriso quando con la coda dell'occhio notò un movimento all'esterno della porta. Mosse lentamente la mano verso la fondina pronto a prendere la pistola e usarla se fosse stato necessario.

 “Che succede?”. Chiese la donna notando il suo strano comportamento. Seguì il suo sguardo e si voltò anche lei verso la porta giusto in tempo per vedere una mano farsi spazio tra quella e lo stipite. Poi successe tutto in un attimo, la mano dondolò verso l'alto e si schiuse lanciando verso di loro una granata. 

“Kate”. Urlò Castle lanciandosi verso di lei più velocemente che potè. La donna sentì le sue braccia avvolgerla e poi ebbe la sensazione di cadere. Un tuono le ferì le orecchie e un calore le avvolse tutto il corpo. Un istante dopo non sentì più nulla.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Orgoglio e pregiudizio ***


APPARTAMENTO PEPPER

Beckett sbatté velocemente le palpebre cercando di capire cosa fosse successo, per un istante nella sua mente regnava solo la nebbia. Si guardò attorno e comprese di esser dentro una camera, quella di Pepper, ragionò fra se e se. Appoggiò le mani a terra cosi da darsi la spinta per alzarsi ma questa azione si rivelò impossibile. Solo all'ora si accorse del corpo che aveva sopra di se e in attimo ricordò.

 “Castle”. Lo chiamò appoggiandogli le mani sulle spalle cosi da sollevarlo da sopra di se e sincerarsi delle sue condizioni. Il collega non si mosse e lei temette il peggio. Castle le aveva fatto da scudo con il proprio corpo e l'aveva salvata da quella bomba.

 “Rick”. Provò ancora infilandogli le unghie nella giacca e scuotendolo leggermente. Sentiva che il battito del suo cuore si era completamente fermato, non riusciva a pensare, a respirare.

 “Rick”. Tentò ancora disperata e finalmente ottenne una risposta del collega.

 “Che botta”. Commentò lui poggiando le mani ai lati della testa di lei e alzando il busto, sentendo tutte le ossa scricchiolargli dolorosamente. Si portò la mano destra alla nuca e la scrollò aprendo gli occhi e vedendo solo ora Beckett sotto di se.

 “Stai bene?”. Domandò spalancando gli occhi preoccupato. Attendendo una risposta la guardò da capo a piedi, in cerca di ferite, di tracce di sangue, di qualunque segno che gli avrebbe confermato i suoi timori. Con la mano libera le tastò la gamba sinistra, il braccio, il fianco, facendola tremare non aspettandosi quel contatto.

 “Tutto bene, credo solo di aver battuto la testa”. Rispose quando riuscì a riordinare i suoi pensieri. “Tu invece?”. Rigirò la domanda temendo che il collega avesse avuto la peggio dato ciò che aveva fatto.

 “Niente di rotto, solo la testa dolorante, domani sarò un po' rintronato”. Affermò ridacchiando e guardando dietro di se lo studio che era completamente distrutto.

 “Bhè quello non è una novità”. Cercò di sdrammatizzare la situazione la donna con quella battuta. Castle tornò a guardarla rendendosi solo ora della posizione compromettente in cui si trovavano.

 “Bhè dopo tutto un lato positivo c'è stato”. Disse inarcando un sopracciglio alla collega e sorridendogli maliziosamente. Beckett inspirò accennando un sorriso mentre lo faceva rotolare via da sopra di se, spingendolo con le mani appoggiate sul suo petto. Entrambi si misero seduti nello stesso momento e guardarono i danni della granata.

 “Avevo trovato il fascicolo di Treu ma quando ti ho spinto dentro la camera mi è sfuggito dalle mani e ora credo sia in mille pezzi”. La informò lui alzandosi per poi porgerle una mano aiutandola a fare lo stesso. Attenti a dove mettevano i piedi studiarono quanto era rimasto. La scrivania era annerita a causa dell'esplosione, tutti i fogli avevano formato come uno strato bianco sul pavimento e i vetri della finestra in frantumi erano sparsi tutti in giro. In lontananza potevano sentire le sirene della polizia e dei vigili del fuoco. 

“Non fa nulla Castle”. Lo rassicurò lei appoggiandogli una mano sulla spalla. “L'importante è che noi stiamo bene per il resto ci faremo andare bene le informazioni che Ryan ed Esposito ci daranno”. Castle annuì e qualche minuto dopo si trovarono a dover dare informazioni ai poliziotti sulla loro presenza li e su cosa avesse procurato quel disastro. 

 

12th DISTRETTO

 

Arrivarono al distretto poco più di un ora dopo con il viso tirato e i vestiti che sapevano di bruciato. I due colleghi appena li videro corsero subito da loro a chiedere cosa gli fosse successo tanto da combinarli in quel modo. 

“Ve la siete vista brutta”. Commentò Esposito mentre passava loro due tazze di caffè molto forte. 

“Pensate sia stato il nostro serial killer?” Chiese Ryan vedendo Castle annuire mentre sorseggiava il caffè. 

“Non abbiamo la certezza che sia lui. Dobbiamo controllare ancora l'alibi di Treu che magari voleva vendicarsi di Pepper ed eliminare le prove della loro conoscenza, e non dobbiamo dimenticare anche la pista della lettera, potrebbe esserci un marito geloso dietro tutto questo”. Ipotizzò la donna posando la propria tazza sulla scrivania e scusandosi cosi da andare in bagno a darsi una sistemata e cercare di levarsi da dosso quell'odore. 

“Su Treu che avete scoperto?”. Chiese Castle una volta che la collega varcò la porta dei servizi. 

“Non ha il profilo da serial killer se è questo che vuoi sapere. Arrestato per alcune rapire, aggressione verbale a pubblico ufficiale e non si è presentato un paio di volte in tribunale ma tutto qui”. Spiegò Ryan. Avevano trovato molte informazioni su quell'uomo ma nessuna indicava egli come il possibile assassino ma di certo non era da escludere. 

“E il suo conto bancario l'avete controllato?”. Chiese Castle venendo osservato dai colleghi che non capivano la necessità di quel controllo. “Magari lui non aveva il fegato di uccidere Pepper e ha ingaggiato Bela Kiss”. Spiegò ai due che trovandosi d'accordo andarono alle loro scrivanie e iniziarono quella ricerca. Poco dopo il telefono appoggiato sulla scrivania di Beckett squillò e Castle, non vedendola tornare, alzò la cornetta e prese la chiamata. 

“Castle”. Si presentò riconoscendo la voce dall'altro capo del telefono. “Mi dica pure signorina Pepper”. Ci furono diversi minuti di silenzio in cui Castle ascoltava con attenzione le informazioni che la donna aveva per lui. Annuiva di tanto in tanto mugugnando la propria approvazione e alla fine la ringrazio soddisfatto. 

“Sappiamo chi è la nostra vittima numero due”. Affermò alzandosi dalla sedia e con il pennarello andò a scrivere un nome sotto la foto della donna trovata nel vialetto. 

“Eva Linkwood?”. Chiese curiosa Beckett tornando alla propria scrivania.

 “La signorina Pepper ha appena chiamato”. Esordì Castle indicando il telefono della donna. “Ha cercato nei documenti del fratello qualche cosa che ci potesse essere utile e alla fine ha trovato una foto in cui compariva anche lei. Insieme alla foto c'era un articolo di giornale riguardo uno spettacolo che facevano sulla Lexingont”. Si fermò per prendere fiato e dando modo ai colleghi di fare eventuali domande che però non arrivarono e allora proseguì. “Nell'articolo c'era l'immagine di tre attrici della compagnia e una di queste era appunto la nostra vittima, sotto la foto c'erano i nomi quindi è stato facile individuarla”. 

“Bene, guardo se c'è qualcosa su di lei nell'archivio della polizia”. Affermò Ryan mettendosi subito all'opera mentre Esposito si trattenne con i due colleghi ancora per qualche istante. 

“Come hai chiesto abbiamo controllato il conto bancario di Treu. Completamente in rosso. Non è lui il nostro uomo”. Castle a quella notizia brontolò tornando a sedersi sulla propria sedia mentre Beckett ringraziava il collega.

 “Non mi devi dire nulla?”. Domandò Caste alla collega inclinando il collo all'indietro sullo schienale della sedia. Beckett corrugò la fronte e si fece pensierosa.

 “No, non mi pare”. Affermò titubante mentre lo guardava. Non aveva proprio idea di che stesse parlando.

 “Io ti salvo la vita e nemmeno grazie mi hai detto”. Proferì ferito Castle facendo sorridere la collega. “Non ridere. Guarda che non sto scherzando”. La ammonì lui ma Beckett non perse quel suo sorriso.

 “Grazie Castle”. Parlò lei serrando le labbra ma il detective non era troppo convinto. “Davvero”. Aggiunse lei con un tono di voce calmo e affettuoso alla quale Castle ricambiò con uguale entusiasmo.

 “Sempre”

  

“Ho scoperto qualcosa”. Li interruppe Ryan richiamandoli dalla sua scrivania. “Eva Linkwood faceva parte di una compagnia chiamata “Philadelphia Sunset” da poco meno di un anno. Prima ha svolto diversi lavori, cameriera, receptionist, governante”. Beckett e Castle si guardarono provando la stessa cosa, sconforto. “E indovinate un po' quale nome compare tra le sue referenze”. Li invitò a partecipare a quel giochetto riaccendendo cosi il loro interesse. 

“Chi?”. Domandò impaziente Beckett. 
“I Von Teschen”. Rispose tutto contento l'irlandese quasi avesse fatto la scoperta del secolo. 

“Troppo strano per esser una coincidenza”. Constatò Castle che ottenne l'approvazione del collega mentre Beckett si passava le mani sul viso stanco. 

“Facciamo cosi. Ormai è tardi per proseguire con le indagini.”. Affermò Beckett posando le mani sulle gambe. “Direi di tornare a casa e riposarci un po' prima di rimetterci sotto domani”. Tutti e tre non ebbero da ridire a quella proposta. In effetti non vedevano l'ora di tornarsene a casa.

 “Vuoi che ti riaccompagni a casa?”. Domandò Castle alla donna che si era alzata e si stava già mettendo la giacca. Erano andati cosi vicini alla morte e voleva starle vicino. Anche se non lo dava a vedere lui poteva comprendere che era ancora scossa. Beckett non lo guardò mentre ci pensava. Poteva invitarlo a passare la serata assieme ma ancora non si sentiva pronta.

 “Grazie, ma è meglio di no”. Proferì lei non del tutto convinta delle sue stesse parole. “Appena arrivata a casa mi fiondo nel letto e non riapro gli occhi fin domani mattina”. Sorrise lei vedendolo annuire tristemente andandosi a mettere le mani in tasca.

 “Domani mattina ti passo a prendere cosi andiamo dai Von Teschen e vediamo che ne sanno loro di tutta questa faccenda”. 

“D'accordo a domani”. Rispose lui dirigendosi verso l'ascensore. La donna si sentiva in colpa per avergli detto di no. Dopo tutto le aveva salvato la vita, si voleva solo assicurare che stesse bene, non c'era motivo per trattarlo cosi ma era ben consapevole che nessuno dei due era pronto ad affrontare quello che sarebbe di certo accaduto. Lei doveva ancora accettare del tutto la sua vera identità e lui doveva ancora fidarsi completamente di lei tanto da dirle anche il resto della sua vita che ometteva.

 

 CASA CASTLE

 

La mattina seguente Castle si svegliò contro voglia. Fece fatica a scendere dal letto e il fare le scale per andare in cucina gli sembrò un impresa. Se ne stava ancora con il pigiama, dei boxer con su disegnate manette e distintivi, e una maglietta nera con la scritta NYPD bianca al centro. Salutò con un bacio sulla testa la madre e la sorella e con una pacca sulla spalla il padre. 

“Dormito male”. Era un affermazione quella di Alexander. Gli bastò vedere le profonde occhiaie che gli solcavano il viso. 

“Ho avuto qualche incubo stanotte”. Affermò lui sfregandosi gli occhi e cercando nel frigo qualcosa da bere. 

“Sull'incidente?”. Chiese preoccupata Alexis che si dimenticò totalmente della sua colazione. 

“Tranquilla, sono quasi del tutto scomparsi”. La rassicurò lui scompigliandole i capelli quando sentì il campanello suonare. Guardandosi con i famigliari fece spallucce e andò a vedere chi fosse.

 “Beckett”. Salutò la donna che se ne stava in piedi davanti a lui. 

“Ciao. Sono passata a prenderti come d'accordo ma credo tu te ne sia dimenticato”. Constatò lei vedendo lo stato in cui era ancora messo. Castle ridacchiò imbarazzato passandosi una mano nei capelli e invitandola ad entrare. 

“Faccio in un minuto”. L'avvisò lui pronto a dirigersi verso le scale e la sua camera ma lei lo fermò. 

“Anche due. I Von Teschen non ci riceveranno quindi non abbiamo fretta”. Lo informò lei leggermente infastidita da quel fatto. 

“In che senso?”. Chiese spiegazioni lui tornando vicino alla collega. 

“Gli ho chiamati per aver la conferma di trovarli a casa quando, credo la loro governante, mi dice di aspettare una loro chiamata e mi riattacca il telefono in faccia. Dopo due minuti mi chiama il loro avvocato e quando gli spiego il motivo per cui vogliamo incontrarli mi dice che è impossibile senza un richiesta del giudice, che ovviamente non ce la può dare per una chiacchierata amichevole come la nostra”. Bofonchiò Beckett mordendosi il labbro inferiore quando si sentì la voce di Martha.

 “Kate ma cosa fai ancora sulla porta, avanti vieni a sederti con noi”. Disse afferrandola e trascinandola in cucina. “Tu vai pure a prepararti caro”. Si rivolse a Castle che si scambiò un cenno d'intesa con la collega e poi andò a vestirsi. 

“Beckett che piacere vederti”. Affermò Alexis usando il cognome della donna in presenza dei suoi genitori. 

“Detective vuole fare colazione?”. Chiese gentilmente Alexander cedendole il suo posto ma lei fece cenno di no con la mano.

 “Grazie ma appena vostro figlio è pronto dobbiamo occuparci di un caso e siamo di fretta”. Si scusò non avendo davvero tempo per sedersi con loro. 

“Ah si l'omicidio del vicolo”. Proferì distratta Martha. “Ricky ci ha detto qualcosa, ma non troppo, quindi abbiamo capito che è qualcosa di serio. Se omette parte di verità c'è da preoccuparsi”. Affermò tornando a sedersi al proprio posto cosi da finire la sua omelette. 

“Già l'ho notato”. Constatò Beckett sentendosi gli occhi dei tre addosso facendola diventare rossa in un istante. 

“Tranquilla sappiamo che ti ha detto che è un agente dell'fbi”. La rassicurò Alexander con voce paterna. “ E sappiamo anche quello che hai combinato tu con le tue ricerche”. Ridacchiò questa volta ricevendo uno schiaffo dalla moglie e un rimprovero dalla figlia. 

“Scusalo Beckett ma mio padre, a differenza di Rick, a volte non sa tenere la bocca chiusa”. Affermò Alexis che intanto aveva finito di bere il succo d'arancia e stava sistemando il bicchiere sporco nel lavandino. 

“Non c'è problema Alexis, so di aver sbagliato con quel mio comportamento ma la curiosità era più forte della mia forza di volontà e diciamolo Castle non faceva nulla per farmi cedere anzi, si divertiva a mettermi alla prova”. Ironizzò la donna cercando di togliersi quel poco di senso di colpa che ancora sentiva.

 “Ricky è cosi, gli piace tormentare le persone, te in particolare. Anche se credo che si comportasse cosi con te perchè, sotto sotto, voleva che sapessi quanto accaduto”. Affermò Martha respirando profondamente mentre Beckett la guardava perplessa. 

“Non sono dello stesso avviso”. Proferì Beckett guardando il pavimento. “Se desiderava davvero che conoscessi la verità perchè non dirmela direttamente?”. Chiese ai tre volendo una risposta a quella domanda che ogni tanto andava a tormentarla. 

La famiglia Castle si scambiò diversi sguardi invitandosi, incoraggiandosi l'uno con l'altro a rispondere. Fu Alexander a prendere la parola, era lui l'uomo di casa, il capo famiglia, colui che le aveva sostenute durante quei giorni orribili. 

“Come mio figlio ti avrà spiegato nessuno doveva sapere del CIRG, anche noi ne venimmo a conoscenza quasi 2 anni dopo che lui ne faceva parte.”. Cominciò a spiegare l'uomo fermandosi quando Alexis chiese il permesso per andare a prepararsi per la scuola. Quando Martha acconsentì la ragazza salutò Beckett e uscì quasi di corsa dalla cucina. La detective rimase perplessa, cosa gli stavano per dire di cosi sconvolgente tanto da far fuggire Lex. 

“Ma non è questa la verità che lo tormenta.” Disse d'un tratto l'uomo. “Non è la verità che aveva paura che scoprissi durante le tue ricerche. Lui non vuole che tu sappia il motivo per cui è stato costretto a venire a New York”. Gli spiegò con occhi tristi lui, sfregandosi il naso e distraendosi andando a sistemare la tavola sulla quale stavano mangiando. 

“Ho sentito che stavate parlando dei Von Teschen”. Si intromise Martha per cambiare discorso ed evitare che il figlio potesse sentire qualcosa nel caso fosse arrivato nel momento sbagliato.

 “Si, dobbiamo sentirli riguardo la vittima trovata nel vicolo. Lavorava per loro e si era finta la duchessa quindi vorremmo capire il collegamento.” Spiegò la donna quei dettagli che Castle aveva omesso alla famiglia. “Peccato che loro non ci vogliano vedere”. Sbuffò Beckett ancora nervosa al pensiero.

 “Ah ma basta chiedere Kate”. In un momento Martha si alzò dal tavolo e andò in sala a prendere il telefono.

 “Che sta facendo?”. Domandò Castle osservando sua madre intenta a parlare al cellulare e poi Beckett. 

“Non saprei. Le ho detto che i Von Teschen non ci vogliono ricevere e lei si è messa a chiamare”. Gli disse la donna non avendo alcuna spiegazione a riguardo.

 “Tutto a posto”. Asserì un attimo dopo Martha tornando vicino ai due.

 “Claire e Albert vi riceveranno tra un ora”. Li informò entusiasta la donna di aver contribuito in quel modo alle indagini.

 “Come ha fatto?”. Domandò incredula Beckett, lei aveva quasi smosso mari e monti ma non era riuscita ad ottenere nulla. 

“Mi devono qualche favore”. Martha fece l'occhiolino tornandosene in cucina dal marito per ricevere gli elogi per quel suo gesto tanto nobile. 

“Meglio scappare”. Le consiglio Castle dirigendosi alla porta con lei. 

 

DIMORA VON TESCHEN

  

Poco più di un ora dopo erano davanti alla villa dei Von Teschen come stabilito, aspettando che qualcuno andasse ad aprirgli la porta.

 “Ti ci vedresti a vivere in una villa cosi lussuosa?”. Domandò Castle alla collega studiando curioso ogni particolare della casa, dalle colonne in stile classico, al marmo pregiato dei balconi, allo splendido giardino che circondava l'edificio. 

“Non ho tempo nemmeno di passare l'aspirapolvere a casa mia. Figurati occuparsi di una casa simile”. Rispose Beckett notando la porta aprirsi e una donna invitarli ad accomodarsi. Vennero accompagni verso lo studio dove i coniugi li stavano aspettando. Claire se ne stava in piedi vicino al marito che invece era seduto su una poltrona più simile a un trono reale, dietro a una scrivania altrettanto regale.

 “Sia ben chiaro che questo incontro sta avvenendo solo perchè sua madre, signor Castle, mi ha chiesto un favore personale perciò non ho alcun obbligo di rispondere alle sue domande e per questo motivo, appena lo vorrò, la nostra conversazione avrà termine”. Mise subito in chiaro le cose Albert Von Teschen ancora prima di dare modo ai due detective porgere le loro domande o tanto meno presentarsi.

 “Tutto chiaro signore, ma non le ruberemo del tempo prezioso se lei ci dirà subito quello che vogliamo sapere”. Ribattè Castle non cedendo alle sue minacce, se si fossero mostrati deboli il duca li avrebbe mangiati vivi.

 “Che cosa volete sapere?”. Domandò altezzoso mentre la moglie ancora non proferiva verbo.

 “Abbiamo domande su una vostra ex dipendente,Eva Linkwood. Ha lavorato per voi circa due anni fa”. Riferì Beckett pronta a porgere ai due una foto ma Castle la fermò prima che potesse compiere un passo. La guardò e scrollò il capo. 

“Non ricordo ogni mio singolo maggiordomo, o cuoco o cameriere”. Proferì sempre con quel tono di voce superbo. “Fatemi vedere la sua foto”. Ordinò e solo all'ora il detective mollò la presa sulla collega che si avvicinò alla scrivania e mostrò l'immagine della ragazza. 

“Si me la ricordo. Una brava ragazza, ha lavorato qua per qualche mese prima di seguire il suo sogno di diventare attrice.”. Ora parlava con più calma, meno irruenza, tanto che quel cambiamento non passò inosservato ai due. 

“La incontrammo poi tre, quattro mesi dopo a teatro. La sua compagnia aveva appena finito di esibirsi.” Continuò a raccontare porgendo di nuovo la foto alla detective. 

“Tesoro non credo che a loro interessi”. Intervenne solo ora la donna parlando all'orecchio dell'uomo sempre tenendogli la mano sulla spalla. 

“Tutto può essere utile signora.” Tornò a parlare Castle accennando un inchino alla donna quando lei le lanciò uno sguardo pieno d'odio per averla contraddetta. 

“In quell'occasione le ha detto qualcosa di particolare?”. Domandò Beckett cercando nel fascicolo la foto di Pepper cosi da mostrare anche quella in cerca di informazioni. 

“Niente di che, ci disse solo che aveva trovato un appartamento a Brooklyn e ci presentò un suo amico, un suo vicino se non ricordo male.” Raccontò massaggiandosi il mento pensieroso. “Faceva un lavoro strano, prestava soldi ai criminali o una cosa simile”. A sentire quella notizia la detective colse l'occasione e mostrò la foto della vittima sperando di avere un riscontro. 

“Si è lui, ora lo ricordo. Fu molto felice di conoscerci, ci disse che non aveva mai conosciuto persone deliziose come noi”. Disse con una sfumatura d'orgoglio l'uomo andando a stringere la mano della moglie posata sulla sua spalla. 

Castle dovette portarsi la mano alla bocca per non ribattere all'assurdità appena sentita, ricordandosi dei generosi assegni che l'uomo compilava durante le raccolte del padre, doveva pensare anche a lui in quel momento. 

“Avete idea del perchè Eva e quest'uomo abbiano finto di esser voi al ristorante “Tartufo D'oro”?”. Chiese Castle cercando di aiutare la collega con quella specie di interrogatorio, sperando di avere un effetto più intimidatorio sui due. 

“Di che state parlando?”. Domandò l'uomo guardando prima l'uno e poi l'altro detective. “Noi non avevamo nessuna prenotazione a quel ristorante. Questa settimana ero via per affari sono solo tornato ieri”.Asserì l'uomo tornando lo stesso arrogante di qualche minuto prima. 

“Eppure i tabulati telefonici mostrano che la chiamata è partita da casa vostra e non credo che una vostra cameriera si possa permettere di mangiare al “Tartufo D'oro””. Fece notare Castle incrociando le braccia al petto per poi osservare la donna ancora stranamente silenziosa. 

“Lei non ne sa nulla Claire?”. Domandò ad ella che per una frazione di secondo lo guardò smarrita. “Leggendo le varie testimonianze c'era anche quella del maitre il quale affermava che era stata la stessa duchessa a chiamare” 

“Claire che è questa storia?”. Chiese spiegazioni l'uomo battendo il pugno sulla tavola in legno pregiato. 

“Avevo prenotato io, si è vero”. Confermò la donna ma poi trionfante aggiunse. “Per mangiare li con mio fratello. Chiedete pure a lui se non è vero. Qualche ora prima mi ha chiamato dicendomi che aveva avuto un imprevisto e quindi tutto è saltato,” 

“E perchè non ha disdetto?”. Chiese Beckett non credendo a quella scusa, quando un soggetto giurava sulla testimonianza di un famigliare c'era sempre da indagare attentamente, era più facile che mentissero. 

“E secondo lei mi sarei abbassata a tanto”. Rispose scioccata, sentendosi insultata dalla domanda della detective che non vedeva l'ora di uscire da quella casa. 

“Vi abbiamo sopportato più del dovuto detective. Ora dovete andare”. Ordinò Albert e i due meno di un minuto dopo si videro sbattere addosso la porta d'ingresso della villa.

 “Non è andata poi cosi male”. Ironizzò Castle mentre Beckett, sbattendo i piedi irritata, si dirigeva alla macchina. 

“Come fanno i tuoi a sopportare persone simili?”. Chiese curiosa la donna mentre ancora si dirigevano al distretto. 

“A volte sei costretto a farlo per una causa maggiore”. Fu la sua risposta mentre osservava fuori dal finestrino pensieroso.

 

“Barry ed Eva si conoscevano perchè vicini, sono andati al ristorante ed ecco che caso vuole approfittino della prenotazione della stessa famiglia per la quale la ragazza aveva lavorato, mi pare tutto molto strano”. Constatò il detective. “Senza contare Bela kiss, ingaggiato per ucciderli e magari artefice anche del nostro piccolo incidente”. Ridacchiò avendosi ormai lasciato alle spalle quell'evento. 

Beckett appoggiò la testa al finestrino mordendosi nervosamente le unghie della mano sinistra mentre la destra era salda al volante. 

“Non ci posso credere che l'unica persona che ci possa aiutare è l'assassino”. Affermò di colpo suonando nervosamente il clacson contro la macchina che le stava davanti. 

“E perchè mai?”. Domandò curioso Castle non avendo capito il ragionamento e alzando la mano in direzione del guidatore dell'altro veicolo in segno di scuse, il quale lo ricambiò con un gestaccio. 

“Bhè Bela Kiss è l'unico che sa chi è il mandante e magari è anche a conoscenza del motivo, della connessione tra chi l'ha pagato e le vittime”. Spiegò Beckett suscitando l'interesse del collega. 

“Ti va un gelato?”. Chiese lui. La detective lo guardò perplessa per qualche istante e poi capì, a quanto pare avrebbero fatto un altra visita a Spike. 

 

--------------------------- 

Ultimo capitolo dove relativamente non accade nulla ma come detto mi serviva per dare le basi a quello che accadrà nel prossimo. Da quello infatti cominceranno i momenti Caskett veri e propri e verrà accennato l'altro segreto di Castle che a breve verrà rivelato dallo stesso detective, ma non aggiungo altro. 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Guns & Kiss ***


GLOOM

 

“Ti devo essere mancato molto dolcezza”.Puntualizzò Spike facendo l'occhiolino a Beckett, non notando Castle che stava entrando nella gelateria dietro di lei. 

“Non ti immagini quanto”. Rispose il detective per conto della donna facendo sbuffare il suo informatore. 

“Che vuoi ancora Rick?”. Domandò l'uomo dirigendosi verso una porta che dava su un piccolo corridoio, cosi da poter rimanere da solo con i due. 

“Devi darci altre informazioni su Bela Kiss”. Richiese schietta la donna mentre Spike si andava a grattare la testa poco convinto. 

“Non è possibile”. Riferì socchiudendo gli occhi. “Mi dispiace”. Alzò le spalle e si appoggiò contro il muro. 

“E perchè adesso non puoi più dirci nulla?”. Si volle informare Castle, Spike bene o male gli aveva sempre dato qualche informazione mentre questa volta si rifiutava, gli sembrava strano. 

“Perchè a differenza di quanto pensassi Bela non è partito subito dopo gli omicidi ma è rimasto in città”. Disse ai due invitandoli ad abbassarsi alla sua altezza. “Si vocifera che abbia sbagliato bersaglio e che ora deve rimediare”. Sussurrò ai due mettendosi una mano davanti alla bocca in modo da far rimanere quella conversazione solo tra di loro. 

“In che senso sbagliato bersaglio?”. Domandò Beckett posando una mano a terra cosi da mantenere l'equilibrio. 

“Una delle due vittime del vicolo non doveva essere uccisa. A quanto pare per via del buio e della fretta per non esser scoperto non si è accorto che non era la sua vittima designata”. Spiegò Spike mentre i due detective si guardavano confusi. Pepper o Linkwood quale dei due non c'entrava con l'assassino? Quale era stata solo vittima del caso? 

“Si sa chi non doveva esser colpito?”. Chiese Castle ma Spike scrollò la testa. “No, nessuno sa o comunque nessuno vuole dirlo. Bela è vendicativo” 

“Andiamo Spike dovrai sapere dove si nasconde. Di certo ci sarà qualche voce a riguardo”. Insistette Castle, il serial killer era la loro unica speranza, inoltre ora avevano un motivo in più per fermalo. Se voleva rimediare al proprio errore allora una persona era in pericolo e loro dovevano fermarlo prima di farlo colpire di nuovo. 

“La tua intraprendenza ti è già costata una volta Ricky”. Gli ricordò Spike dandogli due piccole pacche sulla guancia. “Non tentare ancora la sorte”. Sorrise allontanandosi facendo cosi innervosire l'uomo che scaricò la propria irritazione contro il muro tirando a questi un calcio. 

“Castle?”. Lo richiamò lei vedendolo appoggiare la fronte contro il muro e guardarla. 

“Non so che fare Beckett, non ho più carte.” Constatò abbattuto lui. “Potrei chiamare i miei colleghi all'fbi ma poco cambierebbe, se non l'hanno trovato fino ad adesso immagina l'aiuto che ci possono dare”. 

“Coraggio Castle”. Lo incoraggiò lei. “Troveremo il modo per giungere a capo di questa storia. Ce l'abbiamo sempre fatta e ce la faremo anche questa volta. Basta trovare quel filo conduttore e poi tutto ci apparirà chiaro”. Proferì sorridendo, infondendogli quella fiducia di cui aveva bisogno. Castle attribuì quella sua poca speranza al fatto di esser stanco, di aver dormito poco a causa degli incubi che ormai lo tormentavano da quasi tre anni.

 

Stavano per salire in macchina quando udirono una richiesta d'aiuto giungere dal vicolo vicino alla quale avevano parcheggiato la macchina. Senza pensarci due volte corsero in direzione di quello e appena furono al suo ingresso videro Spike a terra che portava i segni di una colluttazione. Beckett non ci pensò due volte e si diresse subito verso di lui per prestargli soccorso mentre Castle rimase indietro. C'era qualcosa che non lo convinceva in tutta quella faccenda. Fece per portare una mano alla fondina quando sentì una punta acuminata appoggiata al suo fianco. Trasalì all'istante. 

“Non lo farei se fossi in te”. Sogghignò una voce nel suo orecchio facendogli provare dei brividi lungo tutta la schiena. 

“Ah, Ah, Detective Beckett”. Continuò la voce misteriosa vedendo la donna, che accortasi di quanto stava accadendo, aveva estratto la propria arma e la stava puntando contro l'uomo.

“A meno che non vuoi che gli faccia un buco nella pancia ti conviene gettarla a terra”. Le suggerì facendo sudare freddo a Castle, premendo con più forza contro il suo fianco. Beckett alzò le braccia e lasciò cadere la propria pistola senza mai staccare gli occhi dal collega. Vedeva il suo petto contrarsi in maniera irregolare, ogni muscolo del corpo teso e il sudore che gli grondava dalla fronte. Era terrorizzato, nemmeno quando gli puntavano una pistola contro l'aveva mai visto cosi.

 “E cosi mi state cercando”. Continuò a parlare divertito quello che capirono essere Bela Kiss. “Ma come Spike credo vi abbia detto, sono io che trovo voi”. Inspirò profondamente e poi tornò a parlare. “Percepisco l'odore della tua paura Castle, se non avessi sentito la tua storia cosi tante volte sospetterei che tutto quello raccontato sia stata solo una menzogna”. Con un gesto veloce si portò il coltello che teneva tra le mani nei pantaloni e diede uno spintone al detective che cadde a terra tenendosi il petto. 

“L'unico motivo per cui non ti ho ucciso è il fatto che ti ammiro”. Rivelò Bela guardato a vista da Beckett mentre Castle iniziava a riprendersi da quello shock iniziale. “Hai avuto fegato tanto da affrontare Stark da solo e per di più lo hai ucciso. Nessuno è mai stato cosi pazzo come te”.Commentò il killer voltando per un istante la testa verso la strada per esser certo di non aver attirato troppo l'attenzione. “Peccato che ti porti dietro ancora i segni di quanto successo. Saresti stato un ottimo detective altrimenti”. 

Beckett ascoltava con attenzione le parole pronunciate dal loro aggressore non potendo capire a pieno il loro significato. Era facile intuire che era qualche episodio avvenuto durante gli anni passati da Castle a Los Angeles ma da quanto poteva notare fu qualcosa di rilevante, tanto da cambiarlo, tanto da terrorizzarlo a quel modo. 

“Sei venuto a farmi una ramanzina Bela?”. Ironizzò Castle sentendosi ora più a suo agio, lontano dal killer e dalla sua arma. 

“Sono venuto a sfidarti. A vedere se sei davvero cosi bravo quando dicono”. Confessò iniziando a camminare avanti e indietro per la larghezza del vicolo. “ Questa sera ucciderò ancora e dopo di che non metterò più piede a New York. Ora mi chiedo se sarai in grado di fermarmi.”. Alzò la manica del giubbotto che indossava e guardò l'ora facendo un breve calcolo. “Hai 4 ore”. 

I due detective lo guardarono allontanarsi impotenti, quell'incontro era sembrato cosi surreale. Poche volte nella loro carriera avevano ricevuto una tale sfida da parte di un assassino. 

“Stai bene?”. Chiese Castle alla collega mentre si tirava su da terra pulendosi i pantaloni dalla polvere della strada. La donna annuì ma fisso Spike che stava messo male. Il detective allora prese il suo cellulare e chiamò l'ambulanza.

  

CASA CASTLE

 

Beckett non volle lasciare Castle nonostante lui le avesse ribadito più volte che stava bene. Quel suo improvviso bloccò avuto nel vicolo l'aveva fatta preoccupare più del necessario e fin quando non fosse stata certa che il collega fosse tornato quello di sempre non avrebbe lasciato il suo fianco. Finito di riepilogare ai colleghi quanto accaduto alla gelateria Montgomery li aveva mandati a casa e ora si trovavano a salire l'ascensore che li avrebbe portati all'appartamento dell'uomo. 

“Fai come se fossi a casa tua”. La invitò Castle togliendosi la giacca e tirando su le maniche della camicia mentre dalla cucina andò a prendere qualcosa da bere. Beckett si guardò attorno, nonostante fosse stata in quella casa più e più volte aveva ancora delle riserve a prendersi tutte quelle libertà. Essendo per la prima volta sola nel salone ne approfittò per fare quello che più volte immaginò di fare stando li. Raggiunse un mobiletto sulla quale vi erano diverse fotografie, in particolare di Castle e Alexis da piccolini. Nonostante ora non si assomigliassero molto da piccoli erano quasi delle gocce d'acqua nonostante i 12 anni che li separavano. Si poteva vedere che il detective adorava la sorella. Distrattamente prese in mano una foto dove una sorridente Alexis era in braccio al fratello e lo stava abbracciando cosi forte quasi da strozzarlo. 

“Eravamo in vacanza in Florida. Quella sera le avevo promesso di portarla a vedere uno spettacolo di Topolino e lei ne era entusiasta come si può notare”. Spiegò Castle da dietro di lei porgendole un bicchiere di vino rosso. 

“Ti invidio”. Confessò Beckett assaggiando il vino notando subito che non era uno di scarsa qualità alla quale era abituata. “Darei tutto l'oro del mondo per avere una sorella come Alexis”. Castle abbassò lo sguardo e sorrise arrossendo leggermente. 

“Già. Sono stato davvero fortunato”. Commentò passando un dito sul volto sorridente della sorella ricordando con piacere quei momenti. 

“Anche lei lo è però ad avere te”. Aggiunse per poi allontanarsi senza guardare la sua reazione. Castle fece per ribattere quando la porta di casa si aprì ed entro un'esuberante Martha che appena li vide insieme, da soli, sorrise da orecchio a orecchio.

 “Ma che bella sorpresa”. Disse maliziosamente. “Spero di non aver interrotto nulla”. Continuò facendo imbarazzare il figlio e ridacchiare Beckett. 

“Tranquilla Martha, stavamo solo parlando, rilassandoci dopo una dura giornata”. Parlò la detective non dicendo nulla a riguardo dell'aggressione subita, sapeva che Castle non avrebbe voluto far preoccupare la famiglia.

 “Bene allora già che siete qui ditemi cosa ne pensate di questo video”. Affermò facendo notare la confezione che teneva stretta nella mano sinistra. “è un filmato riguardo una cena di beneficenza tenutasi una decina di giorni fa. Vorrei dare una copia a ogni benefattore che vi ha partecipato”. Spiegò la donna iniziando a trafficare con il dvd per far partire il video. Castle e Beckett si guardarono rassegnati e andarono a sedersi sul divano, l'uno vicino all'altro.

 “Perfetto” Commentò Martha facendo partire il video per poi dirigersi al divano. “Fate spazio”. Disse ai due volendosi mettere tra di loro. Castle sbuffando posò una mano sul cuscino e si spostò cosi da permetterle di sedersi.

 Per i dieci minuti successivi furono costretti a sentire ogni sorta di pettegolezzo sugli invitati. Su chi aveva una doppia vita, su chi aveva spostato i propri risparmi alla Cayman per non pagare le tasse, chi aveva solo un matrimonio d'apparenza e altre cose che annoiarono a morte Castle, il quale se ne stava con la testa appoggiata allo schienale. Solo Beckett, per cortesia, ascoltava la donna commentando di tanto in tanto ma non sapendo veramente cosa dire. Entrambi i detective erano concentrati sull'avvertimento di Bela. Avevano informato i colleghi eppure non avevano ancora trovato nulla e mancavano solo 2 ore e mezza all'assassinio. Il detective preferì annegare i suoi dispiaceri nel poco vino rimasto. 

“Ah quella è Claire Von Teschen ma credo la conosciate”. Disse Martha puntando lo schermo. “Domani dovrò andarle a parlare dato che l'assegno che mi ha dato era a vuoto. In banca mi hanno detto che erano in rosso”. Sussurrò come se qualcuno a parte loro potesse sentirli.

 Castle e Beckett tornarono a vedere il video non avendo di meglio da fare quando notarono un piccolo, ma importante, particolare. Il detective rimase cosi sorpreso tanto da sputare il vino che gli si era bloccato in gola mentre la collega prese il telecomando e mise in pausa. 

“Non ci credo”. Sillabò parola per parola Castle avvicinandosi allo schermo. “é quello che penso?”. Chiese conferma alla collega che annuì. Senza dire altro presero le loro giacche e corsero verso la porta.

 “Ma che succede?”. Domandò Martha non avendo assolutamente idea di quanto fosse appena accaduto. Castle tornò indietro e diede un bacio sulla nuca alla madre. “Succede che forse hai risolto il caso mamma”.Le spiegò raggiungendo la collega.

 

DIMORA VON TESCHEN

 

 Castle, Beckett, Ryan ed Esposito se ne stavano alla porta d'ingresso aspettando che la governante andasse ad aprir loro la porta. 

“Polizia di New York aprite”. Intimò il cubano dando dei colpi decisi alla porta finchè questa finalmente non si aprì. 

“Mi dispiace ma i duchi stanno cenando e non vogliono esser disturbati”. Disse la donna tentando di richiudere la porta ma Ryan ci posò sopra una mano e la spinse in senso opposto. “Allora dica al cuoco di aspettare un attimo prima di preparare il dolce”. Affermò facendo strada ai colleghi. 

“Ma si può sapere che sta succedendo?”. Domandò Albert Von Teschen togliendosi il tovagliolo dalle gambe e lanciarlo sul tavolo in modo scenico quando vide i 4 detective. 

“Abbiamo scoperto chi ha ucciso Pepper e Linkwood”. Affermò trionfante Castle osservando prima l'uomo e poi la donna. 

“Questa vostra intrusione non passerà inosservata. Aspettate che chiami il giudice Monroe, un mio caro amico e poi vedremo”. Li minacciò il duca facendo per recuperare il telefono ma Esposito lo bloccò.

 “Abbiamo qua un mandato di perquisizione. In particolare vorremo vedere i gioielli di sua moglie”.

 Il duca guardò la moglie in modo duro. “Perchè vogliono vederli Claire?”. Chiese duro e autoritario. 

“Per un colpo di fortuna abbiamo visto il video riguardo una cena di beneficenza a cui lei a partecipato duchessa”. Esordì Beckett notando la donna impallidire improvvisamente. “ Il suo vestito nero era molto elegante, senza parlare della sua collana. Un ciondolo a forma di goccia con un diamante al centro. Lo stesso gioiello che Pepper aveva comprato per la sua misteriosa fidanzata. Ovvero lei”. Concluse la detective che scattò quando vide Claire fuggire aggirando il tavolo e dirigersi verso l'uscita. Ryan fu più veloce di tutti e riuscì però a mettersi davanti a lei e a trattenerla tra le sue braccia mentre questa si dimenava. 

“é vero eravamo amanti ma io non l'ho ucciso”. Dichiarò la donna che ancora cercava di liberarsi dando molto da faticare all'irlandese. 

“Lo sappiamo”. Affermò distrattamente Castle che aveva spostato la sua attenzione sul duca. “L'assegno che sua moglie ha dato a mia madre per beneficenza era a vuoto lo sa?” Chiese ridacchiando quando lo vide digrignare i denti come a un cane a cui era stato sottratto l'osso. “Ho chiesto ai miei colleghi di far un controllo. Il giorno prima di partire ha girato su un conto svizzero 120.000 $. Ha pagato un assassino per uccidere sua moglie”. Lo accusò infine il detective non ottenendo però la reazione sperata dal duca. 

“Se l'avessi voluta morta perchè è ancora qui?. Un assassino professionista non avrebbe commesso un errore simile”.Affermò lui altezzoso sapendo di avere il coltello dalla parte del manico.

 “Era Pepper che doveva cenare con lei al “Tartufo D'oro”, non suo fratello. Non è cosi?”. Chiese conferma a Claire che annuì smettendola di muoversi tanto che Ryan allentò la presa.

 “Eva però ci ha visti e ha chiesto spiegazioni. Albert l'ha sempre trattata come una figlia e non riteneva giusto quello che facevo. Io allora sono tornata a casa mentre Barry ha cercato di spiegarle e cosi devono aver approfittato della prenotazione per mettere in chiaro come stavano le cose”. Confessò la donna abbassando lo sguardo mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.

 “Sono certo che lei, duca, abbia detto al suo assassino di occuparsi sia di sua moglie che del suo amante. Peccato che nel buio del vicolo e data la somiglianza tra Eva e Claire abbia commesso un grave errore”. Ipotizzò l'uomo capendo di averci preso in pieno quando Albert afferrando un coltello gli si lanciò contro. Esposito allora intervenne e afferrò il braccio dell'uomo sbattendoglielo contro il tavolo cosi da fargli mollare la presa.

 

“Che scenetta divertente”. Si sentì echeggiare nella sala una nuova voce che Beckett e Castle riconobbero subito. Si voltarono in quella direzione e videro Ryan a terra svenuto e Claire tra le braccia di un uomo che le teneva una corda attorno al collo, senza stringere, ma che servì lo stesso a far capire le sue intenzioni. 

“Lasciala andare Bela”. Gli ordinò Beckett causando solo l'ilarità del killer. 

“Non pensavo che avreste capito la verità ma mi devo ricredere. Forse non sei poi cosi messo male Castle”. Commentò in sua direzione iniziando a stringere la corda intorno al collo della donna che supplicava aiuto. 

“Lasciala andare”. Urlò ancora la detective puntandogli la pistola contro ma non potendo sparare per paura di colpire anche Claire. Bela indietreggiò trascinando la sua vittima con se quando Ryan, riprendendosi, gli tirò un calcio facendolo cadere a terra. Claire scappò in direzione dei detective mentre Castle si lanciò contro l'assassino. 

Ryan era ancora a terra con la testa dolorante, Esposito stava trattenendo il duca, mentre Beckett si occupava di tranquillizzare Claire, che terrorizzata aveva cercato riparo dalla donna.

D'un tratto Castle si ritrovò a terra colpito direttamente in pieno stomaco mentre Bela gli troneggiava sopra tutto trionfante. 

“Io riuscirò dove Stark ha fallito”. Esultò estraendo da dietro la schiena un lungo coltello pronto a conficcarlo nel petto di Castle, che con il respirò affannoso, cercava di muoversi ma il dolore era ancora troppo forte. 

“Muori Castle”. Rise trionfante l'uomo quando si udirono due colpi di pistola ravvicinati. Bela si bloccò e guardò il proprio petto. Fece cadere il coltello a terra e con le dita andò a toccare i due fori che aveva dai quali fuoriusciva un rigagnolo di sangue che in un attimo gli colorò la maglietta. Guardò in direzione dei detective e vide Beckett con la propria pistola puntata verso di lui. 

 

 

Il tempo al distretto passò velocemente. Albert Von Teschen non potè far altro che confessare quanto i detective avevano già capito e anche la stesura dei rapporti fu più veloce di quanto avessero immaginato. Tutti non vedevano l'ora di lasciarsi alle spalle quanto era successo. Castle era particolarmente preoccupato per Beckett. Da quando erano arrivati al distretto aveva pronunciato ben poche parole e lui non poteva non pensare che la causa fosse l'uccisione di Bela. Seppur un serial killer era anche un uomo. 

Per questo motivo ora si trovava sotto casa di Beckett cercando di trovare il coraggio per andare da lei. I suoi pensieri furono interrotti dal suono del suo cellulare. Era arrivato un messaggio.

 “Sali”. C'era solo scritto ed era da parte di Beckett.

  

CASA BECKETT

 

Dopo aver bussato un paio di volte la porta si aprì e ancora prima di salutarla Castle volle avere la conferma alle sue supposizioni. 

“Maria?”. Beckett non potè far altro che ridere e annuire. 

“Ti ha visto quando è tornata a casa e me l'ha detto. Ho aspettato più di un ora che tu salissi ma mi stavo cominciando a stancare”. Affermò lei chiudendo la porta dietro di loro, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e stirandosi i vestiti che indossava come meglio poteva per rendersi il più presentabile possibile. 

“Perchè sei qui Castle?”. Domandò curiosa lei seguendolo mentre faceva qualche passo dentro la sala. 

“Mi dispiace. Oggi hai dovuto uccidere un altro uomo a causa mia”.Constatò sentendosi colpevole. Averle causato quel dolore lo faceva stare ulteriormente male, sapeva che Beckett non era insensibile come lui che ormai non provava più emozioni quando toglieva la vita ad una persona. 

“Non è stata colpa tua Castle”. Gli rispose lei andandogli ad appoggiare una mano dietro la schiena ma lui ancora non si voleva girare, non voleva guardarla negli occhi. “Come hai detto tu, se si deve scegliere tra la vita di un malvivente e quella di un collega la scelta è ovvia”. Ripetè lei quelle parole che le rimasero impresse fin dal primo istante. 

“Ma non vuol dire che sia la più facile da accettare”. Asserì lui voltandosi a guardarla. Un velo di tristezza gli copriva il volto e un profondo sconforto padroneggiava nei suoi occhi. 

“Ucciderlo per salvarti è stata la scelta più semplice che io abbia mai fatto”. Gli confessò a cuor leggero lei, prendendogli la testa tra le sue mani per costringerlo a guardarla.”Avrei fatto anche di peggio per non perderti”. Puntualizzò Beckett incrociando il suo sguardo. Rimasero li a guardarsi per qualche istante, non avendo bisogno di dire altro. 

“Kate io..”. Ansimò Castle ricevendo un dolce sorriso dalla donna che una frazione di secondo dopo avvicinò il suo volto al proprio. Appena sentì le labbra morbide di lei sulle proprie il detective perse ogni connessione, sbattè le palpebre più volte non distinguendo più sogno da realtà. Quando lei lo baciò di nuovo fu pronto a ricambiare, inspirando profondamente e stringendola a lui, afferrandola per i fianchi. Beckett non potè far altro che far scivolare la mani lungo le sue spalle per andare a stringere le braccia intorno al suo collo, facendo aderire i loro corpi, cercando, avendo bisogno di quel sostegno che le serviva per rimanere in piedi dato che le gambe le erano come diventate di burro. Castle le affondò una mano nei capelli per poi allontanarsi di colpo quando sentì le mani della donna cercare di toglierli la maglietta da dentro i pantaloni. 

“è meglio che vada”. Proferì ansimando, odiandosi per quel che stava per fare. Beckett rimase sbigottita, dal modo in cui stavano evolvendo le cose quell'affermazione era l'ultima cosa che si aspettava. 

“D'accordo”. Riuscì soltanto a dire dopo aver tentato un paio di volte di far uscire almeno una sillaba dalla propria bocca. Castle le fu vicino un ultima volta, volendo assaporare la sua bocca ancora e poi si staccò uscendo dalla porta lasciando Beckett confusa.

ù
 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Primo appuntamento ***


12th DISTRETTO

 

La mattina successiva Castle si trovava davanti al distretto in attesa della collega. Voleva spiegarsi, o meglio scusarsi, per quanto accaduto la sera prima. Non aveva dormito per tutta la notte sapendo bene quanto era stato scorretto nei confronti di Beckett e voleva rimediare in qualunque modo per questo, approfittando dell'insonnia improvvisa, aveva navigato sulla rete in cerca di canzoni e poesie per farsi perdonare. Beckett lo notò da lontano, mentre continuava a fare avanti e indietro davanti l'ingresso del distretto. Come lui anche lei aveva avuto una nottata difficile in cui aveva interpretato la sua fuga come il non voler accelerare troppo le cose e in fondo le andava bene anche cosi, aveva atteso mesi, che sarebbero stati pochi giorni. 

“Ciao Castle”.Lo salutò lei di buon umore cogliendo di sorpresa l'uomo che quasi fece cadere il cd che teneva tra le mani. 

“Questo è per te”. Glielo porse sentendosi un ragazzino di otto anni pronto a regalare un fiore alla fidanzatina delle elementari. Beckett prese la confezione quadrata e la studiò, non vedendo alcuna copertina. 

“Cos'è?”. Domandò curiosa aprendola e iniziando a leggere l'elenco di canzoni che vi erano incise sopra. 

“Le mie scuse”. Affermò l'uomo passandosi una mano nei capelli agitato, non sapeva come avrebbe reagito a quel gesto lei. Le era sembrato cosi stupido in alcuni momenti e dolce in altri, era combattuto, ma solo lei poteva rivelargli la verità. 

“Grazie Castle”. Sorrise Beckett, ritirando quel dono dentro la propria borsa, avvicinandosi a lui e alzandosi sulle punte per dargli un veloce bacio che lo fece sorridere da orecchio a orecchio.

 “Andiamo”. Lo richiamò vedendolo ancora fermo davanti all'ingresso mentre lei era già entrata al distretto. 

“Arrivo subito”. Si riprese lui raggiungendola per prendere l'ascensore insieme.
 

Durante il corso della giornata cercarono di non attirare troppo l'attenzione dei colleghi. Gli sguardi che si lanciavano passavano inosservati a Ryan ed Esposito i quali erano abituati a vederli flirtare in quel modo, perciò non ebbero motivo di sospettare nulla. 

“Sei arrabbiata per quanto successo ieri sera?”. Chiese Castle dannandosi per la sua curiosità ma alla fine voleva sapere se in qualche modo Beckett non se la fosse legata al dito. 

“No, non lo sono”. Sorrise lei scrollando il capo. “Stavamo correndo troppo e alla fine è stato meglio cosi. Abbiamo tempo”. Proferì calmando cosi le sue paranoie anche se molti dubbi regnavano sovrani nella sua testa. 

“Allora usciresti con me questa sera?”. Domandò lui avvicinandosi a lei e tenendo la voce bassa cosi da non farsi sentire da orecchi indiscreti.

 “Tu ed io usciamo assieme quasi ogni sera”. Puntualizzò lei sorridendo sornionamente ma non divertendo Castle che invece era serio. 

“Già ma uscivamo da amici, questa sera sarebbe un appuntamento vero”. Beckett deglutì e si voltò nella direzione opposta. La risposta più ragionevole sarebbe stato si, mille volte si, eppure esitava. Ancora molti aspetti di lui le erano oscuri ma per quella occasione decise di lasciarli da parte, doveva farlo per entrambi.

 “Volentieri Castle”. Ridacchiando il detective battè contento le mani sulla scrivania della donna attirando l'attenzione dei colleghi.

 “Non avete del lavoro da fare?!”. Proferì Castle venendo guardato male dai due che però preferirono lasciar correre.

 “E dove andremo?”. Chiese curiosa la donna. “Giusto per sapere come vestirmi”.Aggiunse subito vedendo il collega perplesso. Castle si fece pensieroso, in effetti non aveva pensato a un luogo dove portarla, aveva agito d'istinto con quella richiesta. New York era piena di locali dove portare una ragazza ma il detective non era certo di voler ricordare la prima uscita con Beckett in un posto rumoroso, pieno di gente, dove i camerieri rischiano di versarti la zuppa in testa. Tanto meno voleva andare in uno dei ristoranti mega lussuosi a cui era abituato, dove era quasi proibito parlare per non rovinare l'atmosfera e lui la voce di Beckett voleva sentirla sempre.

 “Dammi un attimo che ci penso”. Affermò lui iniziando a massaggiarsi il mento mentre Beckett alzava gli occhi al cielo e tornava al proprio lavoro. Per quasi dieci minuti l'uomo non aprì bocca tanto era preso dai suoi pensieri. Conosceva molti posti spettacolari dove poteva portarla ma non voleva apparire fin da subito troppo borioso cosi, alla fine, optò per un luogo semplice ma al contempo adatto per ciò che voleva.

 “Trovato.” Enunciò finalmente facendo sorridere Beckett. “Per fortuna. Eri cosi concentrato che potevo già iniziare a vedere il fumo uscire dalle orecchie. Il tuo cervello non è di certo abituato a tutto questo sforzo”.Ironizzò lei facendo sbuffare Castle che si era davvero impegnato quella volta. 

“Vorrà dire che ci porto April”. Affermò osservando con la coda dell'occhio la collega per carpirne la reazione. Beckett lo guardò torvo per qualche istante prima di fargli la linguaccia e rimettersi al lavoro.

 “Con lei non ti divertiresti tanto quanto con me”. Gli fece notare lei facendolo sorridere. Di certo era cosi ma Castle non l'avrebbe di certo ammesso in tale sede.

 

 Anche le ultime ore che segnavano la fine del loro turno passarono in fretta, come in fondo Castle aveva sperato. Invece di stare attento ai rapporti, alle raccomandazioni di Montgomery, agli aggiornamenti sui ricercati lui pensava solo a quella serata che di li a poco sarebbe cominciata. Solo lui e Beckett, durante un appuntamento. Al pensiero gli vennero i brividi sia per l'agitazione sia per la paura. Da una parte non vedeva l'ora che arrivasse quel momento dall'altra aveva paura di quello che poteva accadere. E se le cose non fossero andate nel verso giusto? E se lei non avesse accettato tutti i suoi lati?. Continuava a chiedersi Catle tormentandosi e facendosi venire il mal di testa. 

“Tutto a posto?”. Domandò Beckett osservandolo, corrugando la fronte e in seguito inarcare un sopracciglio invitandole a rispondere. 

“Sono solo agitato per questa sera”. Rivelò lui sentendosi stupido in quel momento, nemmeno stesse andando al patibolo, anzi in quell'occasione era certo che avrebbe avuto meno paura.

 “Vuoi rimandare?” Domandò la detective titubante. Di certo non era quello che voleva lei ma sapeva che il collega aveva bisogno dei suoi spazi e dei suoi tempi per ogni cosa, l'aveva provato sulla sua pelle dopo tutto.

 “No”. Quasi urlò attirando l'attenzione dei presenti. “No, ci tengo ad uscire con te”. Proferì ora con un tono di voce più consono, sudando freddo per via della figuraccia appena fatta. 

“Allora a stasera”. Lo salutò Beckett pronta ad andare a casa e prepararsi per il loro appuntamento.

 “Passo intorno le 8 e vieni pure vestita come vuoi, con delle scarpe comode però”. Gli suggerì lui non rivelando null'altro. La donna annuì e prese l'ascensore lasciando da solo Castle che, nonostante alcuni poliziotti li girassero attorno, alzò le braccia al cielo in segno di vittoria rilasciando un lungo respiro liberatorio.

  

CASA CASTLE 

Martha e Alexander si guardarono ridacchiando dopo aver visto il figlio che come una trottola si muoveva da un lato all'altro della casa, mai era capitato loro di vederlo cosi agitato prima di un appuntamento. 

“Andiamo figliolo andrà tutto bene”. Lo rassicurò suo padre vedendolo specchiarsi per la decima volta nel giro di pochi minuti e lottare di nuovo con un ciuffo ribelle. 

“Voglio solo che tutto sia perfetto”. Riferì lui sul punto di prendere una forbice e dare un taglio drastico al problema del ciuffo. 

“Ah Rick se desideri che tutto vada bene smetti di voler la perfezione. Pensa solo a divertirti e a farla divertire, il resto verrà da se”. GLi consigliò Martha che lo stava aiutando a preparare una borsa che si sarebbe portato dietro per il suo appuntamento. Giusto il minimo necessario per allietare la serata, pensò guardando la borsa gonfia a dismisura. 

“Attento a non rompere la bottiglia”. Gli ricordò la madre vedendolo annuire e sistemarsi questa volta il colletto della camicia. 

“Ehi cenerentolo sono quasi le 7 e mezza ti conviene sbrigarti”. Gli fece notare Alexander puntando il dito verso l'orologio appeso in salone. Castle prese un lungo respiro e si sentì pronto. Salutò i genitori, prese la borsa e le chiavi della moto e si preparò per andare a prendere la collega. 

Lungo la strada per andare da Beckett si convinse di non esser più agitato, di esser calmo ormai. Tutte queste sue certezze però crollarono come un castello si carta quando si trovò davanti la porta della donna. Si trovava li con gli occhi spalancati e la mano chiusa a pugno pronto a bussare ma non trovando il coraggio di farlo.

 

“Dannazione Rick si uomo”. Si incoraggiò dando un calcio alla porta stessa che pochi secondi dopo si aprì per sua sorpresa.

 “Ehi Castle, in perfetto orario”. Affermò Beckett vedendolo. Castle guardandola negli occhi si sentì come vittima di un incantesimo, era come pietrificato ma ne valeva la pena se il sortilegio veniva da lei.

 “Vuoi entrare un attimo mentre prendo le ultime cose”. Lo invitò la donna aprendo di più la porta cosi da farlo passare. Castle annuì e si mosse come un soldatino di piombo, quasi marciando, per poi fermarsi di fronte a Beckett pronto per darle un bacio ma subito si chiese se fosse il momento giusto per farlo e cosi tra un esitazione e l'altra si ritrovò con le labbra premute contro la sua fronte. 

“Devo ammettere che questo mi è insolito”. Scherzò la donna ridendo di quella situazione. “Vado a prendere una giacca e arrivo”.Castle annuì e appena la vide sparire su per le scale iniziò a tirarsi degli piccoli schiaffi per riprendersi. 

“Idiota, idiota , idiota”. Si diceva mentre ora con il palmo della mano si colpiva la fronte. “Nemmeno suo padre la bacerà più cosi”.

 “Eccomi sono pronta”. Sentì la sua voce vedendola scendere le scale indossando la giaccia per poi sistemarsi i lunghi capelli castani lungo le spalle. Le labbra gli si inarcarono studiando il modo in cui era vestita, semplice ma allo stesso tempo elegante, in confronto lui si sembrava uno scappato di casa. 

“Qualcosa che non va?”. Domandò lei vedendolo pensieroso, aprendo la porta cosi da poter andare nel luogo prescelto da Castle. 

“Mi ricordi un puffo vestita cosi, pantaloni beige e quella camicia di seta blu”. Ironizzò lui per non rischiare di mostrarsi troppo sdolcinato riempiendola di complimenti e di conseguenza risultare patetico.

 “Andiamo, che è meglio”. Ci scherzò su lei ridendo a quella sua battuta, non avrebbe permesso che nulla rovinasse quella serata. 

“Sai prima di venire qui ho litigato con mio padre ma ora credo che avesse ragione”. Affermò il detective grattandosi la testa mentre aspettavano che l'ascensore raggiungesse il piano terra.

 “E per quale motivo?”. Domandò lei incuriosita dalla sua espressione imbarazzata, standosene appoggiata contro la parete con Castle davanti a se.

 “Voleva farmi prendere la ferrari questa sera e io invece ho optato per la moto.”. Affermò alzando le spalle dispiaciuto. “Forse avrei dovuto dargli ascolto.”

 “Per la ferrari ci saranno altre occasioni”. Sorrise lei scrollando il capo notando che intanto le porte dell'ascensore si stavano aprendo. Castle fu il primo ad uscire con un lungo ma agile passo e subito le porse il braccio come un vero gentiluomo.

 “Allora mi vuoi dire dove andiamo?”.Chiese la donna mentre lui le porgeva il casco provvedendo poi a mettersi il suo. 

“Che sorpresa sarebbe se te lo dicessi”. Parlò con voce distorta dal proprio casco che aveva indossato insieme alla donna, salendo poi sulla moto.

 “Pronta?”. Chiese accendendo il motore e sorridendo quando senti le mani di lei circondarlo ai fianchi. Beckett non rispose masi limitò a dare due colpetti sul casco del detective. Castle ritirò il cavalletto dandogli una spinta con il tallone, si guardò le spalle cosi da esser sicuro che non arrivassero delle macchine e partì.

 

La detective si guardava attorno, ammirando le mille luci di New York, cercando di capire dove l'avrebbe portata il collega ma ogni strada che attraversavano dava a lei un mare di possibilità di scelta quindi le era impossibile capire la loro meta finale, inoltre era ben consapevole che Castle non sarebbe stato cosi scontato da portarla in qualche ristorante o locale. 

Assorta nei suoi pensieri si accorse solo all'ultimo che la moto stava rallentando su una stradina sterrata. 

“Da qui procediamo a piedi”. Le disse Castle porgendole una mano per aiutarla a scendere e poi fare lo stesso. Aprì il baule della moto e ne estrasse la borsa sostituendola con i due caschi e poi si voltò di nuovo verso la donna. 

“Posso sapere quello che c'è dentro?”. Domandò Beckett indicando ciò che lui aveva in mano. “O è meglio non sapere”. Continuò vedendolo ridacchiare. 

“Ogni cosa a suo tempo”. Proferì enigmatico iniziando a camminare fianco a fianco con lei, percorrendo una piccola stradina che correva lungo le sponde dell'Hudson. Castle la fissò con la coda dell'occhio, illuminata dalle luci della città e serrando le labbra tolse la mano sinistra dalla tasca e con il dorso toccò quella di lei per poi, finalmente, intrecciare le loro dita. 

“Era ora”. Sospirò Beckett avvicinandosi ancora di più a lui, rimanendo cosi spalla contro spalla. 

“Da qui chiudi gli occhi”. Le ordinò lui fermandosi di colpo di fronte a lei. Beckett lo guardò perplessa ma poi acconsentì. L'uomo le prese entrambe le mani e la guidò lungo i pochi metri che rimanevano, avvisandola di ogni buco o pietra che potevano farla inciampare.

 “Ok”. Asserì fermandosi e facendola girare di cosi che potesse vedere il panorama. “Ora puoi aprirli”. Sussurrò spostandosi accanto a lei cosi da non intralciarle la vista. 

Beckett aprì lentamente gli occhi curiosa di scoprire dove l'avesse portata. Appena vide rimase allibita tanto che non riuscì a chiudere le palpebre per lo stupore.

 “Allora ti piace?”. Domandò Castle ansioso, avvicinandosi al suo volto, vedendo quella maschera di stupore lasciare piano piano spazio alla meraviglia. Si trovavano al parco accanto al ponte di Brooklyn, capì Beckett. L'aveva percorso centinaia di volte durante il giorno ma di notte aveva una sua magia. Il fiume davanti a lei cosi calmo da sembrare una lastra di ghiaccio, colorato dalle mille luci della città, gli edifici in lontananza e il cielo bluastro dietro di essi. La città sembrava cosi lontana da loro.

 “Allora?”. Insistette lui non avendo ancora ricevuto risposta. Deglutì a fatica timoroso di aver fatto troppo o troppo poco per lei. 

“é bellissimo”. Constatò Beckett tornandolo a guardare con gli occhi lucidi. Nessuno aveva mai avuto un pensiero simile per lei. Castle riprese a respirare e scusandosi aprì la borsa dalla quale estrasse un plaid abbastanza grande per entrambi e con cautela lo stese per terra cosi da evitare di sporcarsi con l'erba e la terra.

 “Madame”. La invitò ad accomodarsi facendo anche lui lo stesso, prendendo ciò che era rimasto nella borsa. Una scatola contenente una bottiglia di vino e due bicchieri. 

“Avrei preferito quelli di cristallo ma non credo avrebbero resistito a tutte le botte che gli ho dato”. Ridacchiò Castle andando a riempire il bicchiere della donna e poi il suo, posando la bottiglia a terra cosi da avere almeno una mano libera. 

“A noi”. Propose il brindisi il detective alzando il bicchiere in direzione della collega, vedendola fare lo stesso. Studiandola in volto ne era certo, Kate era felice, e lui non si sentì mai cosi fiero di se stesso come in quel momento. Bevve un sorso di vino contro voglia, non era ciò che voleva. Con una mano posò il suo bicchiere a terra e con l'altra andò a togliere quello che Beckett aveva tra le mani, sistemandolo vicino all'altro. Si fissarono negli occhi quando Castle allungò un braccio oltre la donna, cosi da appoggiare la mano a terra, accanto al fianco di lei. Beckett posò una mano sul viso di lui mentre l'altra la mise salda al terreno dietro di se, cosi da mantenersi in equilibrio, indietreggiando con la schiena. Fu un bacio lento, senza pretese, avevano tutto il tempo del mondo. Con la mano libera Castle fece scorrere un dito dal collo di Beckett fino alla scollatura della maglietta sentendola tremare sotto di se. Sorrise aprendo poi gli occhi per guardarla.

 “Voglio conoscere tutto di te”. Asserì lui dandole un altro bacio prima di sedersi di nuovo, allungando le gambe davanti a se, sorreggendosi con le braccia appoggiate dietro la schiena. 

“Qualcosa in particolare?”. Domandò la donna assumendo la sua stessa posizione, recuperando il respiro che pochi attimi prima aveva perso per via del turbinio di emozioni provate.

 “No. Voglio solo sentire la tua voce”. Sospirò dolcemente lui inclinando il collo verso Beckett. 

“Ok, vediamo da dove cominciare”. Disse schiarendosi la voce lei, strofinandosi le mani sui pantaloni. Come la detective aveva richiesto di sapere la verità da lui, anzi aveva indagato per scoprirla, era giusto che anche Castle sapesse dettagli più privati della sua vita.

 “I miei genitori si chiamano Johanna e James. Mia madre è un avvocato mentre mio padre lavora in banca.”. Iniziò a raccontare ciò che le veniva in mente, non avendo un'idea precisa di cosa lui volesse sapere. “Da piccolina, mentre le mie amiche volevano diventare ballerine o dottoresse, io mi divertivo a seguire corsi di tiro con l'arco, leggevo libri di astrofisica. Mio nonno quando avevo 12 anni mi insegnò anche ad usare un fucile”. Ridacchiò Beckett ricordandosi come sua madre si era apposta all'idea che lei tenesse tra le mani un arma e ora invece era finita a fare la poliziotta. 

“Non sapevo che ti piacesse la caccia”. Affermò Castle inarcando un sopracciglio verso la donna che sorridendo scrollò il capo.

 “Solo quella che riguarda gli assassini”. Constatò andando poi a spiegare. “Non mi insegnò a cacciare ma a tirare al piattello, per questo imparai ad usare il fucile”. Castle annuì nel sentire quelle parole. Ad ogni nuova informazione che riceveva aveva la conferma che lei non era come tutte le altre donne alla quale era abituato. Prive di ambizioni se non quelle di acquistare un abito di prada o sposare un milionario, vuote sia di cervello che di cuore, preoccupate solo di aver lo smalto coordinato con il vestito, riflettè Castle. 

“Come mai hai scelto di diventare poliziotta?!”. Domandò infine. In passato Beckett gli aveva parlato dei suoi anni in accademia, o di tutta la gavetta che aveva dovuto fare per arrivare a dove era oggi ma mai aveva specificato il perchè.

 “Presi la decisione a 15 anni”. Sospirò Beckett andando a stringere il plaid sotto le sue dita. Castle capì subito che doveva esserci un motivo serio e perciò le mostrò ancora più attenzioni, pronto ad esserle di conforto in qualsiasi modo in cui lei avesse voluto. 

“Mio nonno era un ex poliziotto, cosi come suo fratello. Diciamo che è una cosa di famiglia”. Affermò spiegando l'antefatto per poi arrivare al sodo. “Un giorno mi portò con lui in giro per la città dato che doveva sbrigare alcune commissioni e finimmo nel bar di un suo amico. Pochi minuti dopo un uomo armato fece irruzione e minacciò il proprietario di sparargli se non gli avesse consegnato tutti i soldi.”. La donna si fece pensierosa e si mise seduta dritta, abbracciando le proprie ginocchia mentre osservava il fiume davanti a se. Castle vedendola cosi si pentì di averle posto quella domanda ma, per esperienza propria, sapeva che parlarne l'avrebbe aiutata. 

“Mio nonno intervenne cercando di calmare gli animi ma quest'uomo era più giovane e più forte, riuscì a farlo cadere e poi gli sparò nella schiena prima di fuggire. Da allora è paralizzato dalla vita in giù e in quel momento ho deciso di diventare poliziotta promettendogli che nessun crimine sarebbe stato impunito”. Affermò infine la donna asciugandosi quell'unica lacrima che le solcò la guancia. 

“Vieni qui”. Disse solo lui invitandola dolcemente tra le sue braccia. Beckett non se lo fece ripetere due volte e si mise fra le sue gambe, appoggiando la schiena contro il petto di Castle, con le loro mani intrecciate sul proprio grembo. 

“Sono sicuro che tuo nonno è fiero di te dato che hai mantenuto la promessa”. Affermò lui convinto delle proprie parole mentre, dondolandola lentamente, le diede un bacio sulla nuca. Beckett non disse nulla ma si limitò a sorridere, mai nella sua vita avrebbe creduto di aver al suo fianco un uomo che la facesse sentire cosi bene.

  

---------------------------------

 Questo è il luogo che ho scelto per il primo appuntamento eheh

 http://farm4.static.flickr.com/3176/2831567563_bc298f9ccd.jpg 



Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Il primo video ***


 

La mattina dopo Beckett si svegliò di buon umore, con un ampio sorriso stampato sulla faccia. Allungò le braccia sopra la testa per tirarsi i muscoli e sbadigliando saltò giù dal letto. Si fermò ai piedi di questo roteando il collo, sentendosi le ossa scricchiolare, e poi scese le scale. Appena arrivò alle fine di queste non potè non scrollare la testa alla vista di ciò che aveva lasciato la sera precedente nella sala. Sfregandosi gli occhi si avvicinò a quel palloncino a forma di puffo che Castle le aveva regalato durante una passeggiata che si erano concessi dopo essersi goduti la vista che offriva il parco. Sbuffò al ricordo dell'imbarazzo provato all'inizio, quando iniziò a camminare con quel palloncino più adatto a un bambino, ma Castle le fece passare quelle paranoie in pochi attimi. Tirò un pugno al puffo e si diresse in cucina per godersi un'abbondante colazione prima di cominciare la giornata di lavoro. 

Quando arrivò al distretto vide che Castle era già arrivato nonostante lei avesse fatto di tutto per precederlo ma, invece di aspettarla alla sua scrivania, se ne stava seduto su quella di Esposito, dandole cosi le spalle, intento a parlare con i colleghi. Sorrise all'idea di avvicinarsi a lui, abbracciarlo da dietro e dargli un bacio sul collo ma tutto quello era fuori discussione. Durante l'uscita della sera precedente si erano trovati d'accordo nell'aspettare a informare i colleghi della loro relazione. Non perchè volessero tenere all'oscuro i loro migliori amici ma più che altro per scaramanzia. 

“Ehi Beckett”. La salutò Ryan vedendola arrivare. “Unisciti a noi, Castle ci stava raccontando un divertente aneddoto di lui, una ragazza svedese e un bikini troppo stretto”. La informò innocentemente lui facendo spalancare gli occhi al detective che già si vedeva in guai grossi.

 “Non sono sicura di volerlo sapere”. Affermò Beckett raggiungendo i tre colleghi e guardando Castle con un'espressione poco amichevole che nel linguaggio della donna voleva dire “con te faccio i conti dopo”. Il detective deglutì a fatica indicando la sala relax. 

“Vado a farti un caffè”. Affermò balbettando. “Molto forte”. Aggiunse scappando il più velocemente possibile verso la salvezza mentre Beckett continuava a guardarlo biecamente. 

“Gli farai venire gli incubi a quel ragazzo”. Sghignazzò Esposito trovando sempre divertenti le scenette che di tanto in tanto intercorrevano tra i due.

 “Non più di quanti me ne fa venire lui”.Asserì la donna tornandosene alla propria scrivania. Accese il computer e si mise a controllare i suoi vari account in cerca di nuove mail e poi passò ai nuovi casi aperti dalla polizia.

 “Ecco a te”. Sentì dire da Castle che se ne stava in piedi alla sua sinistra porgendole il caffè promesso. Beckett lo accettò senza dire nulla. Era infastidita da quello che Castle stava raccontando ai due colleghi ma comprendeva anche che non poteva frenarlo dal farlo, era la sua natura, e poi quella svedese era il passato, lei invece sarebbe stata il suo presente e il suo futuro, quindi a che pro essere gelose, si disse. 

“Sai ho come l'impressione che tu sia una di quelle donne che quando sono gelose diventano più possessive e passionali, in particolare a letto, quindi credo che in futuro userò molte storielle divertenti in mio favore”. L'avvertì sorridendo maliziosamente ottenendo solo un altra occhiataccia dalla donna che ora era più che propensa a rovesciargli addosso quel caffè che non aveva ancora bevuto.

 “Non ti conviene farlo”. Ribattè lei appoggiando la tazzina sulla scrivania, avvicinandosi a lui. “Poi non riusciresti a starmi dietro”. Continuò a parlare enigmaticamente ma comunque Castle iniziò a sentire molto caldo.

 

“Ragazzi meglio che veniate qua di corsa”. Li richiamò Montgomery rivolgendosi a i quattro detective. SI guardarono tutti l'un l'altro perplessi prima di raggiungere l'ufficio del capitano. Si misero uno accanto all'altro, in silenzio, in attesa che l'uomo spiegasse loro il motivo di quella chiamata cosi improvvisa. Montgomery trafficò ancora per qualche istante con il proprio computer per poi voltarlo verso i detective cosi da far visionare loro il video che gli era appena stato mandato. 

Buongiorno signori. Lasciate che mi presenti. Il mio nome è Caleb”. Enunciò una voce proveniente dal buio del video. Piano piano una luce cominciò a espandersi, illuminando il riquadro dapprima nero. Mostrando al centro di essi un uomo. Il volto era semi coperto da un cappuccio bianco, solo la bocca rimaneva scoperta, e su di essa si poteva vedere un ghigno malefico.

 “Di certo non avete ancora sentito parlare di me ma presto le cose cambieranno”. Affermò l'uomo esaltandosi, tremando dall'emozione che quella prossima fama gli trasmetteva. 

Non farò perdere ne a voi ne tanto ai media il tempo per trovarmi un soprannome adatto alla mia ferocia. Questo perchè voglio che fin da subito mi diate la caccia e diciamo la verità, non trovereste mai un nome adatto a me perciò ve lo suggerisco io.”. Asserì l'uomo non abbandonando quel sorriso che bastava a incutere i peggiori timori ai quattro. 

Ci fu una lunga pausa nella quale l'uomo incappucciato rimase in silenzio, ridendo compiaciuto. “Io sono il “Fabbricante di Incubi””

I quattro detective si guardarono allarmati. Quel video, il modo in cui si poneva l'uomo, non portavano di certo nulla di buono. Castle sentì quel brivido che già in passato, durante le missioni più pericolose, quando si trovava faccia a faccia con dei serial killer, aveva provato, scorrergli lungo la schiena. Solo una volta però provò quella stessa sensazione di inutilità, con Stark, e questo lo faceva atterrire ancora di più.

 “Il perchè del mio nome vi starete chiedendo”. Continuò a parlare arrogante, presuntuoso. “Perchè perdere tempo a spiegarvelo a parole quando posso in realtà mostrarvelo”. Perse quel sorriso ma Beckett capì che il motivo era solo uno. Non stava più giocando con loro, ma era concentrato sulla sua prossima mossa. Si spostò dalla visuale della camera e dietro di lui poterono vedere un uomo, privo di coscienza, legato a una colonna. Un istante dopo la prospettiva cambiò. L'inquadratura era più alzata rispetto la precedente e da ciò si poteva intuire che ora la telecamera era stata messa su un ripiano o su una scala. 

Che la cura cominci”. Sibilò l'assassino senza farsi vedere dalla telecamera che invece rimaneva puntata sulla vittima ancora incosciente. 

“Cos'è quello?”. Domandò Esposito puntando il dito su un angolo dell'inquadratura dove c'era un'ombra sottile che si muoveva lentamente. Qualche istante dopo due piccoli occhi vennero illuminati dalla luce della stanza e un lungo serpente fece la sua comparsa. Come sottofondo si poteva sentire il risolino eccitato di Caleb. Il serpente si avvicinò alla vittima lentamente, soffiandogli contro ma quando non lo vide spostarsi iniziò a salirgli lungo tutta la gamba. Solo allora compresero quanto fosse stato lungo. La faccia del serpente era alla pari di quella dell'uomo e tutto il suo viscido corpo scendeva fino ai piedi della vittima e oltre.

 “Che diavolo..”. Commentò Castle vedendo quella scena e un istante dopo il serpente aprì la bocca e si lanciò sul collo della vittima mordendo con forza. Il mal capitato si riprese dallo stato d'incoscienza e cacciò un urlo che gelò il sangue ai presenti. La vittima cominciò a muoversi disperata, in preda alle convulsioni e nemmeno 10 secondi dopo si fermò. La testa rivolta sulla spalla e gli occhi spalancati e terrorizzati.

 “Questo è solo l'inizio”. Proferì l'assassino appiccicando sullo schermo della telecamera la patente della vittima, Daniel Hannan lessero, e un indirizzo. 

“Andate li e scoprire il più possibile su questo pazzo”. Comandò Montgomery vedendo i quattro ancora esterrefatti da quanto avevano appena assistito. 

“E chiamate la protezione animali. Quel serpente potrebbe essere ancora in giro”. Suggerì vedendoli uscire silenziosi dal suo ufficio. 

 

“Ti erano mai capitati assassini cosi atroci quando stavi nel CIRG?”. Domandò Beckett guidando la macchina verso l'indirizzo che Caleb aveva lasciato loro per ritrovare la scena del crimine. 

“In realtà ho visto di peggio”. La informò guardando fuori dal finestrino con il volto cupo e pensieroso. “Il problema è che quando un serial killer comincia con un omicidio “semplice” come questo può solo peggiorare con i prossimi. Non abbiamo ancora idea di quello che in realtà è capace di fare ed è questo che mi terrorizza”. Confessò il detective non facendosi più problemi a mostrare le proprie debolezze alla collega.

“Di pazzi come lui per fortuna ne esistono pochi al mondo”. Asserì massaggiandosi lo spazio tra gli occhi, chiudendoli per dare tregua al mal di testa che gli stava arrivando. 

“Pazzo come Stark?”. Domandò titubante la donna. Bela Kiss aveva fatto quel nome un paio di volte in presenza di Castle e la donna aveva capito che quell'uomo aveva avuto un ruolo rilevante nella carriera del collega, se non nella sua vita stessa.

 A sentire quel nome Castle incominciò a tremare, ad agitarsi, sentendo delle fitte allo stomaco. Strinse la mano contro la maniglia della portiera volendo solo aprirla e lanciarsi giù da quella macchina. Sentì il cuore battergli all'impazzata e per un istante ebbe l'impressione che gli sarebbe scoppiato ma poi Beckett posò la mano sulla sua e tutto si fermò. Lui era li con lei, c'era Beckett vicino a lui non Stark.

 “Stark..”Esordì Castle inspirando profondamente. “non era pazzo anzi, era molto ponderato in quello che faceva”. Spiegò lui stringendo la mano di lei per farsi forza. “Non commetteva errori, non lasciava traccia, era impossibile da catturare.”

 “Ma poi tu alla fine sei riuscito a prenderlo”. Constatò Beckett ricordando quanto detto da Bela. Castle le lasciò andare la mano e si strinse lo stomaco appoggiando la testa contro il finestrino, non guardando più la collega.

 “Questa è una verità che non vorrei mai rivelarti ma dovrò farlo, anche se ho paura di perderti a causa di ciò”. Confessò lui non cambiando posa. Beckett lo guardò cercando di comprendere quel suo dire enigmatico ma con Castle nulla era ovvio e con quell'affermazione poteva voler dire molte cose che lei nemmeno poteva immaginare. La detective si morse il labbro, guardò lo specchietto retrovisore e svoltò d'improvviso a destra, allineandosi con il marciapiede. Slacciò la cintura di sicurezza e si voltò verso Castle. Odiava il fatto che lui avesse ancora queste paure, che ancora non si fidasse di lei. L'uomo vedendo che si erano fermati si voltò verso la collega osservandola perplesso, quello non era di certo l'indirizzo dato da Caleb.

 “Mettiamo le cose in chiaro Rick”. Disse in tono perentorio lei che non dava modo a Castle di ribattere. “Ho accettato il tuo passato!.Non mi importa se eri un agente dell'fbi, poi del cirg e di che altro ancora. Non mi importa se hai ucciso 10, 20 o 100 persone, se hai partecipato a chissà quali missioni di cui il mondo non verrà mai a conoscenza.”. Castle la guardò esterrefatto, mai l'aveva vista cosi decisa, determinata. Durante gli interrogatori aveva un comportamento simile ma ora c'era anche passione, desiderio.

 “Io sono qui, voglio stare con te e aiutarti ad affrontare le tue paure, quegli incubi che ti inseguono dal passato. Come posso farlo se però non me lo permetti?”. Chiese questa volta rattristandosi, era una cosa che le feriva l'animo. “Come possiamo essere felici se nemmeno desideri confidarti con me, se non vuoi condividere la tua vita con me?”. Beckett scrollò il capo e si rimise dritta sul sedile, passandosi una mano nei capelli, serrando le labbra osservando le macchine che le passavano accanto cercando una distrazione per non far scendere quelle lacrime che sentiva inondarle gli occhi. Castle era completamente immobile, le sue parole lo avevano colpito direttamente allo stomaco e gli facevano ancora più male delle paure provate ripensando a Stark.

 “Non sono ancora pronto Kate”. Rivelò lui allungando una mano verso di lei per poi ritrarla, non sapendo se il toccarla avrebbe migliorato o peggiorato le cose.

 “Quando avrò il coraggio di dirti la verità capirai il perchè dei miei timori”. Beckett si morse un labbro e si voltò verso di lui. Poteva leggere un mare di emozioni sul suo volto, paura, dispiacere, tristezza, solitudine.

 “Perchè dubiti di perdermi Castle? Perchè pensi che questa verità possa intaccare cosi quello che abbiamo?”. Domandò lei a bassa voce, non era facile perdonargli quella mancanza di fiducia che lui le faceva provare.

 “Perchè circa tre anni fa sono quasi morto e ancora adesso ne porto i segni”. Confessò lui agitato, corrugando la fronte, volendo continuare a parlare ma sentendosi la gola stretta in una morsa. Beckett impallidì nel sentire quella sua affermazione ma ciò la rese ancora più determinata.

 “E allora permettimi di aiutarti a guarire”. Lo supplicò lei vedendolo accarezzarle i capelli con una mano mentre ritrovava il sorriso. 

“Dammi solo un po' di tempo”. Le richiese sfiorandole con le dita la guancia destra vedendola annuire.

 

 

SCENA DEL CRIMINE

 

Quando arrivarono al luogo indicato da Caleb notarono subito Esposito e Ryan che li attendevano preoccupati.

 “Siamo qui da più di dieci minuti e non arrivavate, pensavo fosse successo qualcosa”. Constatò Ryan intuendo che qualcosa era successo davvero tra i due.

 “Abbiamo trovato traffico”. Gli rispose Castle entrando nella casa seguito dai tre colleghi. C'erano poliziotti che facevano rilevamenti ovunque mentre due di loro facevano la guardia a una porta, con le pistole puntate contro di essa quasi temendo che il serpente potesse sfondarla e attaccarli. 

“Non è ancora arrivato quello della protezione animali?”. Domandò Beckett vedendo Esposito scrollare il capo. A quanto pare dovevano aspettare per recuperare il corpo. 

“Trovato qualcosa di interessante qui intorno?”. Chiese ancora la donna e questa volta fu l'irlandese a risponderle. 

“Questa casa è della nostra vittima o meglio ce l'ha in affitto. Abbiamo già contattato la moglie e ci ha detto che Hannan lavorava per tre giorni la settimana qui in città e per non continuare a viaggiare aveva optato per questa soluzione. Domani la donna dovrebbe essere al distretto cosi da ascoltarla”. La informò Ryan che poi portò lo sguardo verso la porta d'ingresso dove un uomo stava cercando di superare il muro di poliziotti.

 “Lasciatelo entrare”. Affermò avendo capito che era uno dei membri della protezioni animali per via del sacco e di altri arnesi che aveva con se.

 “Salve sono Allen”. Si presentò stringendo le mani a tutti. “Abbiamo un piccolo serpente allora”. Ironizzò facendosi indicare il luogo dove l'animale era. Ryan ed Esposito si fecero da parte ma allungarono comunque il collo per vedere quanto sarebbe successo mentre Beckett fece per seguire Allen giù dalle scale per andare in cantina.

 “Dove pensi di andare”. Asserì Castle afferrandola per un braccio. “Tu non scendi con quel serpente ancora in libertà.” Le ordinò non dandole modo di ribattere dato che si infilò lui dietro la porta e la chiuse a chiave

 “Sicuro che da solo riesce a prenderlo?”. Domandò vedendo l'uomo muoversi con cautela lungo il perimetro della cantina.

 “Lo spero per lei se no avrà due cadaveri invece di uno”. Affermò l'uomo che con un lungo bastone spostava lentamente delle casse. Castle intanto si guardava attorno, osservando il cadavere che ancora era nella stessa posizione che aveva assunto durante il video. Ipotizzò che l'omicidio fosse accaduto solo poche ore prima o forse anche solo pochi minuti antecedenti all'invio del video alla polizia.

 Sbuffando alla vista di quella ricerca lenta e inutile si accorse all'ultimo momento di un movimento che proveniva da della travi poco lontane da lui. Si voltò lentamente e d'improvviso, dall'ombra, vide sbucare la testa del serpente.

 “Diavolo”. Imprecò perdendo l'equilibrio e cadendo giù dai pochi gradini che lo dividevano dal pavimento battendo un braccio e la testa. Allen gli fu subito vicino ridacchiando.

 “Fanno paura quando ci si trova faccia a faccia”. Affermò allungando quel bastone, alla cui estremità vi era un cappio, verso la testa del serpente cosi da catturarlo.

 “Castle, stai bene? Rispondi”. Si sentì la voce preoccupata di Beckett dall'altro lato della porta che veniva sbattuta a causa dei suoi tentavi di aprirla.

 “Tutto a posto, sono solo inciampato”. Mentì tirando un respiro di sollievo quando vide il cappio stretto attorno alla testa dell'animale.

 “Mi dovrebbe aiutare”. Lo invitò Allen ad alzarsi porgendogli il sacco. “Lo tenga ben aperto”. Gli spiegò infilando il bastone e di conseguenza la testa dell'animale dentro di esso e poi, con cautela, fare lo stesso con tutto il corpo. 

“Non male”. Commentò dando una pacca sulla spalla al detective che ancora doveva riprendersi da quell'incontro ravvicinato.

 Pochi minuti dopo Castle se ne stava fuori dall'edificio, vicino al furgoncino di Allen, insieme a lui e Beckett. Dopo quella piccola disavventura in cantina aveva bisogno di aria cosi Ryan ed Esposito, accompagnati da Lanie, si erano messi a controllare il cadavere.

 “C'è modo di rintracciare il proprietario di questo serpente?”. Domandò Beckett guardando prima l'uomo e poi il collega, ancora preoccupata del colorito pallido del suo volto.

 “Un mamba nero”.La corresse lui scrollando il capo. “C'è un registro per chi tiene questi animali in casa ma, dato che non sono propriamente legali, molti non li denunciano”. Spiegò l'uomo appoggiandosi al proprio furgoncino. “Quindi è impossibile sapere di chi sia”.

 “La ringrazio”. Disse Beckett lasciandolo andar via cosi da potersi occupare di Castle.

 “Brutta esperienza”. Ridacchiò rimanendo davanti a lui. “Vuoi un caffè?”. Gli chiese guardandosi attorno in cerca di un bar dove poterlo andare a prendere.

 “Più che un caffè mi servirebbe un whisky”. Ironizzò lui dandosi qualche colpettino sulla faccia. “Ora passa, ma dovevi vedere la sua testa, grande quanto il mio pugno”. Affermò lui alzando la mano cosi da poterle fare vedere la misura che intendeva. 

“Te tendi sempre ad esagerare Castle. Non sarà stata nemmeno la metà”. Ribattè lei vedendolo farle la boccaccia. 

“Prossima volta però non fare l'eroe”. Gli raccomandò lei questa volta visibilmente preoccupata. Quando lo sentì urlare da dietro la porta aveva immaginato le scene peggiori e tutte si concludevano con la sua morte. 

“Poco ma sicuro”. Constatò lui annuendo alle sue stesse parole mentre appoggiava le sue mani sui fianchi di lei, abbassandosi per baciarla. Al diavolo le regole che si erano imposti, era quasi morto e aveva bisogno di sentirla cosi vicina a se. Chiuse gli occhi inebriandosi del suo profumo quando sentirono dei risolini provenire dalle loro spalle.

 “Che ti avevo detto”. Affermò tutto contento Ryan rivolto ad Esposito che gli allungò 50$ infastidito. 

“Avete scommesso su di noi?”. Pretese delle spiegazioni Beckett senza però districarsi dall'abbraccio di Castle che intanto cercava di togliersi il lucidalabbra della donna dalla bocca. 

“Ryan diceva che stavate assieme io invece che ancora vi rincorrevate”. Spiegò Esposito tornando a vedere il collega. “E a quanto pare aveva ragione lui. Mi siete costati 50$ dollari ragazzi”. Affermò l'uomo puntando il dito contro di loro. “E aspettate che lo venga a sapere Lanie.” Quella era una velata minaccia per Beckett. Non aveva ancora detto alla sua migliore amica del passo avanti che Castle e lei avevano fatto e di certo non sarebbe stato facile farsi perdonare.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Nulla di nuovo ***


 

12th DISTRETTO

 Beckett non fece nemmeno in tempo a mettere piede sull'ascensore insieme ai colleghi che Lanie la trascinò via a forza e la costrinse a fare le scale che portavano all'obitorio insieme a lei.

 “Non vorrei essere al suo posto”. Esclamò Castle divertito sentendo subito dopo le mani dei colleghi sulle proprie spalle.

 “Non pensare di cavartela cosi”. Lo avvertì Esposito stringendo la mano. 

“Anche tu ci devi delle spiegazioni”. Si aggiunse Ryan. Castle appena vide le porte aprirsi fece per scendere a un piano qualsiasi pur di sfuggire ai due ma la loro presa era troppo forte. Si girò verso di loro e vedendo la loro espressione seria ridacchiò nervoso, deglutendo poi a fatica. Era nei guai.
 

OBITORIO

 Lanie prese una sedia e su di quella ci costrinse Beckett a sederci mentre lei si accomodò su un altra li vicino. 

“Quando avevi intenzione di dirmelo”. Esordì la donna arrabbiata, sbuffando mentre faceva roteare una penna tra le dita. 

“Lanie è una cosa di pochi giorni”. Si giustificò Beckett cercando di far comprendere all'amica il perchè di quel silenzio.

 “Quanti?”. Domandò perplessa il medico guardandola con la fronte corrugata. 

“Nemmeno tre”. Rispose secca Beckett. “La sera stessa di quando ho ucciso Bela Kiss Castle è venuto a casa mia per vedere come stavo. Abbiamo parlato e poi ci siamo baciati”. Spiegò la donna non potendo fare a meno di sorridere al ricordo del loro primo bacio.

 “E poi?”. Volle sapere Lanie dimenticandosi dell'irritazione essendo più curiosa di sapere il seguito. 

“E poi mi ha detto che doveva andare”. Raccontò storcendo la bocca e alzando le spalle.

 “Peccato. Se fossi stata in te l'avrei trattenuto li e non l'avrei fatto scappare fin la mattina dopo”. Ridacchiò Lanie tornando però seria quando vide che l'amica non la vedeva nello stesso modo.

 “In verità era la mia intenzione”.Confessò la detective mettendosi più comoda sulla sedia e ad un tratto alzando le braccia in modo stizzito. “Ma lui ha detto che non poteva”. Sbuffò Beckett facendo ricadere la testa all'indietro.

 “E non gli hai chiesto perchè?”. Insistettè il medico vedendo che l'amica aveva smesso di parlare. Beckett scrollò il capo e tornò a guardarla.

 “No, ho pensato che per lui fosse troppo presto e mi trovo, in parte, anche d'accordo con Castle. E poi..”. Continuò a raccontare tornando a sorridere maliziosamente. 

“E poi cosa?”. Chiese Lanie alzandosi dalla sedia. “Sapevo che c'era qualche dettaglio piccante”. Esultò ma subito il suo entusiasmo fu frenato dall'amica.

 “Niente di piccante”. Affermò ridacchiando. “Siamo solo usciti ieri sera ed è stato tutto perfetto.” Commentò lei con aria sognante al ricordo di quanto era stata bene in sua compagnia.

 “Bene sono contenta”. Constatò Lanie. “Vi meritate a vicenda. Finalmente hai al tuo fianco qualcuno che saprà renderti veramente felice” 

“Ma che ancora non mi vuol rivelare i suoi tormenti”. Rivelò Beckett perdendo quella serenità che fino ad un attimo prima l'accompagnava. Il medico legale la guardò maternamente e si inginocchiò di fronte a lei.

 “Credo che sia noto a tutti che Castle non è come tutti gli altri, sia nel bene che nel male. È palese che sia molto introverso e che ha difficoltà ad aprirsi , ha come questo muro davanti al cuore in cui tu piano piano stai facendo breccia”. Cercò di rasserenarla stringendole le mani.

 “Insisti senza esagerare, continua a fargli capire che tu ci sarai sempre e vedrai che alla fine si risolverà tutto, ma mi raccomando non essere cosi sciocca da dubitare di quello che prova per te”. L'ammonì vedendo dalla sua espressione di aver colpito nel segno. “Quel ragazzo è pazzo di te”. Sorrise stringendole un altra volta le mani per poi mollargliele. 

“L'amore vero non viene da se Kate, bisogna combattere, pazientare, non arrendersi se lo si vuol ottenere. E voi siete già a buon punto. Castle sta facendo enormi sforzi per essere alla tua altezza, per esser degno di te, devi dargliene atto. Quando sarà il momento giusto tutto verrà a galla e queste prime incomprensioni saranno solo un lontano ricordo.”. Beckett si fece molto pensierosa. Aveva sempre pensato egoisticamente e raramente si era soffermata a ponderare sul fatto che Rick stesse cambiando per lei, che avesse rischiato delle sanzioni da parte dei suoi superiori a casa sua. Si sentì in colpa in quel momento. Ringraziò l'amica e corse verso l'ascensore cosi da salire di nuovo al distretto. Vide Castle appoggiato alla sua scrivania intento a studiare la lavagna e con pochi passi lo raggiunse mettendosi poi davanti a lui.

 

 “Ehi”. La salutò quando lei lo baciò togliendogli il fiato.

 “Anche io sono contento di vederti”. Scherzò Castle andandola a guardare. 

“Mi dispiace. Credo che dovrai farci l'abitudine a questa mia voglia di sapere sempre la verità”. Lo avvertì lei facendolo sorridere, accarezzandole i capelli come amava fare.

 “Sotto sotto non ti vorrei diversamente”. Confessò lui quando Esposito si schiarì la voce per attirare la loro attenzione.

 “In casa di Hannan non abbia trovato nulla. Le uniche impronte che c'erano erano le sue”.Esordì spiegando il risultato che aveva dato un primo rilevamento. “E i vicini non hanno notato nulla di anomalo, in particolare non hanno visto nessuno che se ne andasse in giro con il volto coperto”. Beckett lo ringraziò mentre Castle sbuffò infastidito. 

“Possibile che non ci capiti mai un caso semplice che riusciamo a risolvere in poche ore”.Affermò l'uomo sedendosi sulla propria sedia mentre Beckett se ne stava ancora in piedi vicino a lui. 

“Se fosse facile alla fine non ti divertiresti e ti lamenteresti per un altro motivo”. Gli fece notare Beckett appoggiando le mani sulle sue spalle e massaggiandogliele vigorosamente.

 “Potrei abituarmi”. Proferì lui chiudendo gli occhi e facendo ricadere il capo all'indietro, appoggiandosi cosi al ventre di lei.

 “Meglio di no, capiterà molto raramente”. Sorrise sornionamente lei staccandosi e andandosi a mettere sulla propria sedia, guardandolo divertita mentre mangiava le noccioline che teneva sempre sulla scrivania.

 “E ora che si fa?”. Domandò l'uomo andando a mangiare anche lui quel cibo salato che tanto gli piaceva. 

“Si aspettano i tabulati telefonici e i risultati sulla carta di credito. Ryan ed Esposito tra poco andranno al posto di lavoro di Hannan cosi da parlare con i colleghi.”. Lo informò lei mangiando un altra nocciolina , dondolandosi a destra e sinistra con la sedia.

 “Andiamoci noi”. Suggerì Castle alzandosi. “Lasciamo a loro il lavoro d'ufficio e noi entriamo nel vivo dell'azione”. Affermò il detective battendo le mani, rivolgendosi ai colleghi. “Vi dispiace se facciamo noi gli interrogatori?”. Domandò ai due che dopo essersi guardati li diedero carta bianca.

 “Perfetto andiamo prima che muoio di noia”. La invitò ad alzarsi passandole tutto l'occorrente per andare. 

 

AXEL & CO. INDUSTRIES

 Beckett e Castle se ne stavano seduti da più di dieci minuti su dei divanetti in attesa che il capo ufficio del reparto di Hannan si degnasse di riceverli. Il detective per passare il tempo si era messo a leggere un fumetto trovato dentro una catasta di giornali mentre la collega continuava a fissare la porta dell'ufficio sperando che si aprisse. 

“Non è che se fai cosi ci ricevono prima sai”. Le fece notare Castle alzando per una frazione di secondo gli occhi dal fumetto per poi tornare a riderci sopra. 

“Quando ci impiegano cosi tanto tempo è perchè si devono accordare su cosa dire e questo non mi piace”. Constatò la donna senza mai togliere gli occhi dalla porta che in quell'istante si aprì e da essa uscì la segretaria.

 “Il signor Fannon può ricevervi ora”. Li informò la donna indicando loro l'ufficio per poi tornarsene alla propria scrivania. 

“Andiamo Castle”. Si alzò la donna convinta che il collega la seguisse ma quando era a metà strada lo vide ancora seduto sul divanetto. 

“Andiamo, ora”. Gli ordinò strappandogli il fumetto dalle mani e lanciandolo lontano da lui.

 “Ora non saprò mai come Spiderman salva Mary Jane”. Sbuffò lui venendo trascinato per un braccio dalla donna che sbuffò. 

“Come vuoi che finisca secondo te?!. Lancia una delle sue ragnatele, la fa scendere delicatamente a terra, si baciano e vivono per sempre felici e contenti”. Raccontò impaziente lei lanciandogli un occhiataccia. “Ora possiamo occuparci del caso?”. Domandò quando furono davanti alla porta dell'ufficio.

 “Certo, ma non serve essere cosi permalose”. Affermò muovendosi ad entrare nella stanza cosi da non assistere alla sua reazione. 

“Grazie signor Fannon per averci ricevuto.”. Parlò Castle avvicinandosi alla scrivania dove si trovava l'uomo che, vedendoli, si alzò dalla propria sedia sistemandosi la giaccia.

 “Sono il detective Castle e questa è la mia collega, la detective Beckett”. Si presentò stringendo la mano all'uomo che poi fece lo stesso con la donna.

 “Io sono Charles Fannon, ma prego sedetevi e ditemi come posso esservi d'aiuto”. Li invitò l'uomo indicando loro due sedie opposte alla sua. 

“Siamo qui per un suo impiegato. Daniel Hannan”. Affermò la donna vedendolo irrigidirsi sulla sedia, aggiustandosi la cravatta. 

“Brutta faccenda. Sono stato informato solo un ora fa di quanto successo”. Asserì l'uomo appoggiandosi allo schienale della sedia e accavallando le gambe. “Pensavamo che non fosse venuto a lavoro questa mattina per problemi di salute e invece..”. Non finì la frase limitandosi a scrollare il capo. “Una vera disgrazia”. Aggiunse infine tirando un lungo sospiro.

 “Che sa dirci di lui?”. Chiese diretto Castle, in fondo era li per quello non per sapere i motivi tirati in ballo dai colleghi di Hannan per la sua assenza. 

“Daniel era un gran lavoratore. Si occupava di programmazione di software”. Spiegò lui anticipando un eventuale domanda dei colleghi. “Lavorava qui per tre, quattro giorni a settimana poi concludeva il lavoro da casa”. 

“Sà se aveva qualche problema con i colleghi?”. Chiese Beckett guardandosi attorno per studiare l'ufficio dell'uomo tutt'altro che sobrio. 

“Bhè qui si è sempre sotto pressione, abbiamo delle scadenze da rispettare e se un programmatore ritarda anche solo di un giorno la consegna anche gli altri si devono fermare”. Rispose Fannon con tutta tranquillità, essendo abituato alle continue lamentele dei suoi uomini. “Ma una volta chiuso il progetto si è tutti amici come prima quindi per rispondere alla vostra domanda no, non aveva problemi con nessuno”. 

“Tra i colleghi di Hannan vi è un certo Caleb?”. Chiese Castle volendo giocarsi tutte le carte che aveva a disposizione. Fannon si fece pensieroso e poi controllò sul suo computer alcuni dati.

 “No, nessuno con quel nome nel suo reparto. Perchè me lo chiede?”.Porse quella domanda ovvia che il detective si aspettava comunque. 

“L'assassino si è presentato con quel nome.”. Rivelò non entrando nei dettagli dato che nemmeno la stampa era stata informata ancora dei particolari e probabilmente non sarebbe successo.

 “Capisco, vorrei esservi più d'aiuto ma non so in che modo”. Confessò l'uomo visibilmente dispiaciuto. 

“Ci avvisi solo se le viene in mente altro”. Lo invitò Beckett alzandosi dalla sedia e porgendogli ancora la mano. Ormai li avevano finito, non c'era altro che voleva sapere in quel momento. 

 

12th DISTRETTO

 “Allora che avete scoperto dalle vostre ricerche?”. Domandò la donna ai due colleghi quando tornò dal posto di lavoro della vittima , lanciando sulla propria scrivania la giacca e dirigendosi verso quelle dei due.

 “Nulla di particolare. Ieri sera ha fatto la solita chiamata alla moglie e poi più nulla”. Li informò Ryan mettendo davanti a se l'elenco delle chiamate effettuate dall'uomo.

 “Dalla carta di credito non è saltato fuori nulla. I pagamenti effettuati sono sempre gli stessi, la mattina ad un bar vicino all'ufficio, il pomeriggio a un ristorante italiano e null'altro.” Continuò Esposito non avendo notizie interessanti nemmeno lui.

 “Dall'autopsia invece si è scoperto qualcosa in più?”. Chiese Castle sedendosi sulla scrivania del cubano che con uno spintone lo fece scendere. 

“Nemmeno se fossi la “tata Francesca” te lo farei fare.”. Gli spiegò rivolgendosi poi alla collega.

 “Si Lanie ha detto che ha scoperto qualcosa. Vi sta aspettando in obitorio”. Li informò guardando sempre minacciosamente il collega che si allontanò di tutta fretta.

 

OBITORIO 

Quando furono davanti alle porte dell'obitorio Beckett si contrappose tra queste e Castle cosi da costringerlo a fermarsi.

 “Che succede?”. Domandò innocentemente lui.

 “Si solo pronto a tutto”. Lo avvertì lei facendolo preoccupare. 

“Ed ecco qua i nostri fidanzatini che non si son nemmeno degnati di avvertire i loro amici”. Constatò Lanie appena li vide entrare. Castle girò i tacchi e fece per andarsene non volendo affrontare le ire del medico legale ma Beckett lo afferrò per un orecchio e lo fece tornare indietro.

 “Ciao Lanie da quanto tempo”. La salutò lui gioviale, tenendo una mano sull'orecchio dolorante.

“Ma come stai?!. TI vedo dimagrita e oggi sei anche più bella del solito”. Cercò di comprarsela cosi ma non ottenendo il risultato sperato.

 “Se credi che basti cosi poco caschi male”. Affermò lei con le mani sui fianchi fissandolo accigliata.

 “Allora Lanie che hai scoperto?”. Si intromise Beckett quando vide la faccia terrorizzata del collega. Di certo si sapeva che con il medico legale era meglio non scherzare se non si voleva passare dei brutti 5 minuti.

 Lanie guardò ancora una volta Castle puntandogli un bisturi contro e poi si mise a spiegare.

“Come ben sappiamo la morte è stata causa dal morso letale del mamba nero”. Enunciò avvicinandosi al cadavere cosi da poter spiegare meglio. 

“Nell'organismo non ho trovato alcuna sostanza strana quindi escludo il fatto che sia stato drogato però c'è questo”. Affermò voltando delicatamente la testa della vittima cosi da far vedere anche ai due detective il suo ritrovamento.

 “é un bel bernoccolo”. Commentò Castle vedendo il bozzo violaceo.

 “Non ho trovato ne schegge di vetro ne di legno nella ferita quindi escludo che sia stato stordito da qualcosa fatto di quel materiale”. Detto questo la donna si voltò e andò a prendere da un tavolinetto una busta contenente le corde con la quale Hannan era legato. 

“Ho cercato materiale cellulare sulle corde ma a parte quello della vittima non ho trovato nessun'altro dna”. Tutte quelle informazioni non facevano che scoraggiare i due detective. Nemmeno dalle poche prove che avevano riuscivano a ricavarne qualcosa.

 “Ho trovato però una sostanza strana, sempre sulle corde”. Li informò dopo qualche istante di silenzio. “Non sono riuscita a capire cosa fosse cosi l'ho mandata ai laboratori. I risultati dovrebbero essere pronti tra qualche giorno”

 

 “Di male in peggio”. Commentò Beckett chiamando l'ascensore per salire di nuovo al distretto. “Chissà ora quanto ci vorrà perchè si smuova qualcosa. Caleb potrebbe star già pensando alla sua prossima mossa e noi siamo fermi al punto di partenza”. Sbuffò la donna osservando i diversi numeri, corrispondenti ai piani, illuminarsi uno dopo l'altro ogni volta che l'ascensore li passava.

 “Da quando ti lasci scoraggiare cosi?. Vedrai che domani saremo un passo avanti a lui”. Cercò di consolarla infondendo a lei, ma anche a se stesso, un po' di speranza. Castle sorrise, gli piaceva vederla con quell'aria pensierosa, con gli occhi verdi fissi su un punto indefinito, mordicchiandosi un unghia, dimenticandosi del resto del mondo. Fece un passo e le fu vicino, togliendole quel dito dalla bocca per averla solo per lui. Le sue buone intenzioni di un bacio semplice ma amorevole furono messe a dura prova quando Beckett si schiacciò contro di lui e lo baciò più decisa, mordendogli il labbro inferiore, facendolo gemere mentre la tratteneva contro il muro. I sospiri della donna furono l'invito per lui di continuare, di osare. Abbandonò la sua bocca vezzeggiandole il collo, assaporando il suo sapore, inspirando a pieni polmoni il suo profumo. Ne era cosi inebriato che quasi dimenticò dove si trovassero, le afferrò una mano, intersecando le loro dita, e gliela premette contro la parete mentre con l'altra libera la esplorava. Estese il braccio e partendo dal ginocchio fece scorrere le dita verso l'alto, ponendole fra i loro corpi, accarezzando con più fermezza l'interno coscia. Premette la mano contro il fianco di Beckett per poi insinuare le dita dentro i suoi pantaloni, sentendola calda sotto i polpastrelli. Castle si senti tirare per la giacca, che la detective aveva afferrato con forza nei pugni, e con quella scese anche lui. Arrivò all'altezza del seno e di colpo si fermò.

 “Castle”. Ansimò Beckett appoggiando la testa contro la spalla del collega, cercando di recuperare il fiato, struggendosi per quel suo modo di fare, era già la seconda volta che le sfuggiva via cosi.

 “Non voglio di certo che la nostra prima volta insieme sia contro la parete dell'obitorio”. Ridacchiò lui stringendo ancora di più la mano a pugno, maledicendosi. Le sue difese stavano cedendo, non avrebbe resistito ancora a lungo. Doveva dirle la verità, ma quando e come?!.

  

12th DISTRETTO

 Quando tornarono su al distretto Castle cercò di comportarsi come se nulla fosse accaduto mentre Beckett non poteva far altro che mordersi la lingua per non chiedere spiegazioni del suo comportamento. Aggiornarono i colleghi su quanto detto loro da Lanie e si organizzarono su come procedere il giorno successivo. Ormai per quella giornata non potevano più far nulla, dovevano aspettare l'arrivo della moglie di Hannan e sparare che lei avesse qualche informazione in più da dar loro. 

“Stasera che ne dici se ci guardiamo un film assieme?”. Domandò la donna tentennando mentre raccoglieva le sue cose. Castle la guardò e avrebbe solo voluto risponderle positivamente ma non poteva, non quella sera. 

“Ho promesso a Lex che l'avrei aiutata con un progetto di scuola”. Spiegò lui dispiaciuto vedendola annuire stizzita.

 “Kate per favore”. Cercò di giustificarsi lui ma lei si sottrasse quando vide la sua mano cercare di raggiungerla. 

“Cosa Castle?”. Domandò lei infastidita alzando le spalle. “Non è per questa sera. Hai già preso un impegno con Lex, va bene, è giusto che lo rispetti”. Spiegò lei il motivo del suo nervosismo. “ Quello che mi fa arrabbiare, imbestialire, è che non riesci a lasciarti andare.”. Parlò la donna guardandosi attorno per esser certa che non ci fosse nessuno li vicino ad ascoltarli. “Stavamo per fare l'amore contro quel dannato muro e tu ora ti comporti come se non fosse successo nulla”. Constatò lei arrabbiata, alzando le mani al cielo per poi massaggiarsi la fronte dolorante.

 “Credo che io non ci pensi?”. Domandò iniziando ad alterarsi anche lui, costringendola a guardarla. “Immagino noi due insieme dal primo giorno che ti ho vista in casa di quel tizio”. Le rivelò lui duramente, le mascelle serrate e i muscoli del collo tesi. “Il motivo è che...”. Fece per dirlo ma le parole gli morirono in gola. 

“Lasciamo perdere Castle”. Proferì la donna passandosi le mani sul volto. “é stata una dura giornata di lavoro. Ci vediamo domani”. Lo salutò posandogli una mano sul petto per poi andarsene. Quando la vide scomparire dietro le porte dell'ascensore l'uomo afferrò il porta matite che aveva sulla scrivania e lo scagliò nella direzione opposta dando cosi sfogo alla propria rabbia.

 

 ---------------------------------------------

 Nel prossimo capitolo, con l'aiuto di Alexis, Castle capirà che è il momento di confessare il motivo per cui è a  New York e di conseguenza spiegare a Beckett chi è Stark

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** La verità ***



CASA CASTLE 

Quando Castle arrivò a casa se ne accorsero anche i vicini dal colpo secco che diede alla porta chiudendola. Alexis, sola in casa, corse subito a vedere cosa gli fosse accaduto, preoccupata come sempre quando si trattava del fratello. 

“Rick che succede?”. Domandò andandosi a sedere vicino a lui sul divano. Castle se ne stava appoggianto allo schienale di questo a fissare il soffitto mentre tra le dita stringeva un cuscino nervosamente. 

“Un serpente mi stava per mordere oggi”. Inarcò l'angolo della bocca facendo un'espressione inorridita sperando che alla sorella bastasse quella scusa.

 “Sai inizierò a preoccuparmi ad andare in giro con te”. Constatò la ragazza appoggiando la testa anch'ella sullo schienale del divano. “Dovunque vai succede qualcosa di strano”. Sorrise dandogli una pacca sulla coscia per poi alzarsi e andare al tavolo dove lo aspettava per aiutarla nella ricerca. 

“Allora che dobbiamo fare?”. Chiese l'uomo alzandosi con fatica, sentendosi vent'anni in più addosso, per poi sedersi accanto alla sorella. 

“A fine anno faremo uno spettacolo a scuola che parla delle emozioni e io devo occuparmi del binomio amore-paura. Devo recitare una poesia, o un verso di un opera, o creare io un monologo, basta che occupi almeno 5 minuti”. Spiegò la ragazza osservando la pagina bianca del programma di scrittura del computer davanti a se. Non aveva la minima idea su che cosa lavorare, o meglio ne aveva troppe e non sapeva che decidere.

 “Ok”. Rispose Castle guardando anche lui la schermata bianca. “Qua quello che ci vuole è un po' d'ispirazione. Quando dovevo rilassarmi e concentrarmi ascoltavo sempre della musica rock”. Affermò lui ricevendo un occhiataccia dalla sorella.

 “Non credo che ascoltare i metallica o i linkin park mi aiuti”. Constatò lei iniziando però a trafficare nella cartella piena di canzoni che aveva. 

“Possono essere molto ispiratori i loro testi invece”. La corresse lui non ottenendo risposta.

 “Come posso descrivere l'amore e la paura. Paura di amare? Paura di perdere chi si ama? Perchè due parole cosi diverse devono essere cosi legate”. Contemplò la ragazza appoggiando la testa sul tavolo, passando le mani cosi vigorosamente nei capelli tanto da spettinarseli.

 “Quando amiamo conviviamo con la paura per non dimenticarci mai di quanto sia importante quel sentimento per noi, di quanto non dobbiamo sottovalutarlo, di quanto ne abbiamo bisogno per andare avanti”.Spiegò cosi la propria visione della cosa Castle andandole ad accarezzare la schiena.

“Non è detto che di questo binomio tu devi solo vedere il lato negativo, o no?”. La fece ragionare osservandola tornare a rimettersi dritta sulla sedia e fissarlo.

 “Tu hai paura quando pensi a Kate ?”. Domandò d'improvviso la giovane vedendolo irrigidirsi sulla sedia e far ricadere le mani lungo i fianchi.

 “Sempre”. Confessò lui con aria triste. Ogni secondo che passava aveva paura di perderla e sapeva bene che se fosse successo ne sarebbe morto, ora che finalmente poteva averla perderla avrebbe significato la sua fine.

 “A volte ho anche paura di sfiorarla perchè sospetto che poi svanisca in una nuvola di fumo”. Ridacchiò Castle non potendo non pensare alla discussione avuta qualche ora prima al distretto e che ancora lo faceva stare male.

 “Stiamo parlando di Kate, lei non ti lascerà mai.”. Asserì innocentemente la ragazza non avendo la minima idea di quanto successo tra i due.

 “é quello che spero ma a volte ci vuole cosi poco”. Sospirò l'uomo alzandosi dalla sedia e andando in cucina a prendersi una birra.

 “Non dirmi che la paragoni a Abby?”. Domandò infastidita la ragazza seguendolo passo per passo. Castle si aprì la lattina di birra e ne bevve un sorso prima di andare a risponderle.

 “No. Cioè non sempre”. Iniziò a dire tentennando, avendo paura di un rimprovero da parte della sorella che di certo non si sarebbe tirata indietro. “Solo in un caso particolare”. Confessò infine lui tornando a bere la birra..

 “Dovrai dirle dell'incidente”. Affermò la giovane andandosi a sedere sul ripiano della cucina, dondolando le gambe davanti a se. “Lei non è come Abby. Non è insensibile, egoista, viziata, narcisista, falsa, scorretta...”. Iniziò ad enunciare tutti i difetti che trovava nella donna appena tirata in causa.

 “Ho capito Lex, ma ricordati che io con Abby ci stavo assieme, anzi convivevo con lei”. Le ricordò Castle facendole alzare le spalle dato che di quel dettaglio non le importava.

 “Infatti mi chiedo come ci facevi a stare assieme. Tutti noi ti abbiamo avvisato e infatti guarda che è successo”. Castle vago indietro con la memoria a quei maledetti giorni ma a differenza di tutte le altre volte che lo faceva non provava più rabbia nei confronti della ragazza. 

“Ero giovane e pensavo di poter aver tutto”. Affermò tra se e se venendo comunque udito dalla sorella.

 “Cosa?”. Domandò curiosa lei voltandosi verso di lui e vedendolo con quell'espressione perplessa ma sorpresa allo stesso tempo.

 “Avevo un lavoro invidiato, una fidanzata invidiata, una vita invidiata. Ma ormai non mi importa più nulla di Los Angeles.”. Accennò un sorriso lui gettando la lattina vuota nel bidone. 

“Era ora”. Sospirò entusiasta Alexis. “Son passati tre anni ormai. Avresti dovuto dimenticare già da tempo”. Affermò perentoria la giovane per farsi seria di nuovo. “Quando capirai che è solo tuo il problema?. Che è solo nella tua testa e che invece di allontanarvi vi aiuterà ad avvicinarvi dato che Beckett alla fine verrà a sapere il vero motivo per cui sei qui”. Cercò di farlo ragionare lei e Castle non potè non ringraziare i propri genitori per avergli dato una sorella simile.

 “Ti voglio bene”. Affermò dandole un caloroso abbraccio. “Allora cerchiamo di scrivere qualcosa prima che sia ora di andare a letto”. Suggerì aiutandola a scendere da dove era seduta per tornarsene in sala a lavorare. 

 

Un ora e mezza dopo Castle si rintanò nella propria camera. I suoi genitori erano tornati da una cena con alcuni amici e mentre suo padre si era rinchiuso nel suo studio per sistemare degli appunti di lavoro Martha aveva voluto leggere quanto prodotto dai due figli elencando decine e decine di difetti che fecero scappare il detective e ridere la sorella. Ora se ne stava li pronto a mettersi una maglietta per poi coricarsi quando con la coda dell'occhio vide la sua immagine riflessa allo specchio. Lasciò cadere l'indumento che aveva tra le mani e si avvicinò a quella superficie riflettente. Si osservò in silenzio, sentendo quella fitta allo stomaco, studiando il suo corpo, il suo petto e infine chiuse gli occhi e si gettò sul letto. Li ripensò alle parole di Alexis, chiedendosi se i suoi timori fossero solo nella sua testa e che di vero non ci fosse in realtà nulla. Kate non era Abby, se l'era ripetuto centinaia di volte ma solo in quegli ultimi giorni ne aveva avuto la conferma. Come aveva detto alla sorella la paura serve a far capire cosa significa veramente amare e lui amava veramente Beckett e non voleva perderla per la sua codardia. Afferrò una camicia e la indossò scendendo di corsa le scale.

 “Richard dove vai? È quasi mezzanotte!”. Lo richiamò sua madre vedendolo dirigersi alla porta e uscirne senza risponderle.

 “Ma cosa?”.Chiese alla figlia che osservava l'ingresso sorridendo felice. 

“Rick non ha più paura”. Constatò solo, tornando a guardare la madre che comprendendo si posò una mano sul petto e quasi si mise a piangere.

 

 CASA BECKETT 

Beckett guardò l'orologio ma nonostante fosse quasi l'una di notte il sonno quella sera sembrava averla abbandonata. Si stava godendo un film che da tempo voleva vedere e diede la scusa alla lunghezza di quello se a quell'ora non era ancora a letto. In realtà sapeva bene che erano i pensieri che le riempivano la testa a impedirle il riposo. Lanie le aveva suggerito si aspettare ma era più forte di lei, avrebbe atteso anche una vita intera se avesse saputo le cause del comportamento di Castle ma non poteva farlo se lui non glielo diceva. I motivi potevano esser centinaia e alcuni potevano anche derivare da lei e questo le faceva ancora più male. D'un tratto sentì bussare alla porta e si spaventò non aspettandosi visite a quell'ora. Pensò fosse Maria, venuta a lamentarsi di qualche personaggio sospetto che innocentemente portava a spasso il cane invece, quando aprì la porta, si trovò davanti Castle.Il primo istinto fu quello di saltargli addosso e abbracciarlo ma il ricordo del loro litigio era ancora troppo vivo.

 “Che vuoi Castle?”. Domandò lei stizzita, pronta a chiudergli la porta in faccia. 

“Che mi concedi due minuti per spiegarti”. La supplicò lui con aria tesa, aveva paura di esser arrivato troppo tardi, di aver perso la sua occasione. 

“Vuoi dirmi una delle tue verità?”. Chiese Beckett incrociando le braccia al petto, guardandolo con aria di sfida. In quel momento non poteva aspettarsi altro da lui. Solo quando si era trovato costretto a raccontarle come stavano veramente le cose per salvarle la vita le aveva rivelato la pura verità altrimenti quelle che lui le raccontava erano solo pezzi di un puzzle più grande. 

“No.”. Affermò deciso lui. “Voglio dirti la verità”. Beckett lo fissò negli occhi cercando di capire se le stesse mentendo oppure no. Ciò che vide fu solo determinazione e sconforto. Socchiuse gli occhi scrollando la testa, non convinta della propria decisione.

 “Due minuti, non un secondo di più.”. L'avvisò lasciandolo entrare cosi da chiudere la porta dietro di lui.

 Castle si mise vicino al divano e sfregandosi le mani le chiese di accomodarsi. 

“Per favore”. La supplicò quando la vide esitare. 

“Il tempo scorre Castle”. Lo minacciò lei andandosi ad accomodare, cercando di odiarlo con tutte le sue forze ma già si sentiva stanca di farlo. 

“Come sai ero nel CIRG, e come sai partecipavo a missioni speciali.”. Le ricordò quanto le aveva rivelato tempo addietro per farle avere un quadro generale della situazione. “Circa 8 mesi prima che arrivassi a lavorare con voi ebbi un incidente”. Affermò corrugando la fronte e asciugandosi le mani sudate sui pantaloni.

 “Cosi è come lo definimmo”. Ridacchiò nervoso. “Perchè non fu un vero e proprio incidente”.Puntualizzò prendendo fin troppe pause, volendo trovare le parole giuste per spiegare. Beckett comprese subito la gravità della cosa e perse quell'odio che le stava corrodendo l'anima e andò ad ascoltarlo con attenzione.

 “Stavamo dando la caccia a un serial killer, la mia squadra ed io”. Enunciò bagnandosi le labbra e sedendosi sul tavolinetto, non fidandosi delle proprie gambe. 

“Stark”. Ebbe come un intuizione la donna e per questo cercò conferma. Quando Bela Kiss l'aveva nominato quella volta nel vicolo Castle aveva avuto una reazione simile a quella che aveva in quel momento, di un bambino perso e impaurito.

 Il detective annuì e poi continuò a spiegare. “Un mio collega ed io lo inseguimmo fino a un magazzino. Una volta entrati decidemmo di dividerci per trovarlo prima.” Raccontò battendo il piede nervosamente contro terra, non guardando la donna avendo paura di non riuscire a continuare.

 “E lo trovasti tu”. Asserì Beckett vedendolo esitare.

 “Iniziammo a lottare e lui mi disarmò”. Un altro brivido gli percorse la schiena e ancora quella sensazione al petto lo costrinse a respirare lentamente. Si sentiva la gola chiusa, i polmoni che rigettavano l'aria che disperatamente cercava di inspirare.

 “Stark tirò fuori un coltello, la sua arma prediletta, e cercò di colpirmi. I primi fendenti andarono a vuoto ma poi sentii la lama sempre più vicina al mio petto, tanto che mi tagliò la camicia che indossavo.” Spiegò tracciando sul petto una linea dritta che andava da una parte all'altra del busto. Beckett non sapeva che dire, si ritrovava senza parole, immobile come una statua.

 "Mi tirò un pugno nello stomaco e caddì a terra. Quando mi rialzai lui non c'era più”. Ancora una volta si fermò e solo all'ora tornò a guardare la collega che lo fissava con le lacrime agli occhi, percependo, condividendo il suo dolore. Castle allungò una mano e presa quella di lei accarezzandole il dorso. La donna allora gli afferrò le dita cercando di trasmettergli la sua forza, facendogli sentire la sua presenza.

 “Pensai fosse fuggito, invece si era solo nascosto dietro di me, pronto a colpire”. Detto questo il detective lasciò la mano della donna e chiuse gli occhi inspirando profondamente. Appoggiò entrambe le mani sul tavolino e si alzò in piedi, rimanendo davanti a lei.

 “Come fece con tutte le sue vittime mi pugnalò tre volte al fianco”. Confessò infine iniziando a sfilarsi molto lentamente la camicia da dentro i pantaloni. “Mi ritrovai a terra, immerso nel mio stesso sangue, quando lui si sedette su di me per continuare la sua opera”.Non aveva il coraggio di guardarla, faceva dondolare le iridi da una parte all'altra della stanza, sentendo l'amaro gusto del sangue in bocca. “Mi strappò la camicia e mi incise una S sul petto, il suo marchio”. Dichiarò toccandosi con le dita quel punto all'altezza dello sterno. “Dopo di che si preparò a tagliarmi la gola”. A sentire quell'affermazione Beckett si sentì morire. Aveva quasi rischiato di non conoscere mai Castle, era andata cosi vicino. L'idea di non averlo nella sua vita le sembrava cosi irreale. 

“Prima che sferrasse il colpo però riuscii a prendere la mia pistola, che era li a terra, e gli sparai, uccidendolo”. Raccontando la fine che aveva fatto Stark Castle si sentì meglio, non percepì più quella paura, quel peso sulla propria anima che si trascinava dietro ma aveva ancora alcune cose da rivelare alla donna prima di sentirsi veramente al sicuro.

 “Quando mi ritrovarono ero già svenuto. Mi operarono d'urgenza e rimasi in coma dieci giorni”. Si fermò a riprendere fiato, bagnandosi le labbra e passandosi una mano nei capelli, ora arrivava un altra parte difficile da raccontare. “In quel periodo convivevo con una mia collega, Abby. Le cose tra di noi non andavano per niente bene, stavamo insieme giusto per aver qualcuno nel nostro letto quando tornavamo a casa da lavoro, ma ci andava bene cosi”. Ridacchiò al ricordo di aver rimproverato Beckett per lo stesso motivo quando stava con Demming, quando lui l'aveva fatto per primo.

 “Uscito dall'ospedale avevo bisogno di continue attenzioni per via delle mie ferite ma quando Abby le vide, vide le cicatrici che mi avrebbero segnato per sempre, mi lasciò dicendo che non poteva resistere a quella vista”. Confessò lui stringendo le mani in pugno, arrabbiato con se stesso per non aver capito prima di che pasta era fatta la donna.

 “Per questo Kate sono scappato in quelle due occasioni.”. Ammise infine allargando le braccia, considerandosi un'idiota di prima categoria. “Pensavo avresti fatto lo stesso”. Beckett dapprima si sentì offesa per esser stata paragonata alla sua ex fidanzata, per il fatto che lui l'avesse considerata cosi superficiale ma poi lasciò correre. Anche lei nella stessa situazione avrebbe fatto lo stesso, pensò tra se e sé. Si alzò lentamente dal divano, senza proferire alcuna parola e questo preoccupò l'uomo. Aveva come il sentore che ora l'avrebbe cacciato. Beckett invece si mise in piedi davanti a lui e lo fissò negli occhi. Esitando avvicinò le labbra a quelle di Castle, non facendo mai cadere lo sguardo, volendo esser sicura che lui non si ritraesse. Lo baciò con una delicatezza di cui nemmeno lei pensava di esser capace mentre, con le dita, iniziava a slacciargli i bottoni della camicia. Quando giunse a metà aprì i due lembi e vi fece scorrere l'indice in mezzo, sentendo sotto il polpastrello la prima cicatrice. Si staccarono cosi che lei potesse vedere ciò che aveva cosi tanto terrorizzato Abby. Finì di sbottonare la camicia, facendogli correre le mani sulle spalle, in modo da toglierla e vederla cadere a terra. Indietreggiò di un passo mentre lui ancora non si muoveva, non parlava. Beckett prese tra le dita la collanina, con una piastrina come ciondolo, che lui portava al collo, studiandola curiosa, per poi far scorrere il polpastrello lungo tutta la forma della cicatrice, delineando quella S che gli avrebbe sempre ricordato il suo carnefice. Poi scese giù, seguendo la linea naturale del corpo di Castle, fino ad arrivare al fianco. Le tre cicatrici lunghe quasi come le sue dita avevano un colore biancastro ma non le facevano ribrezzo come lui temeva.

 “Sei stato uno stupido”.Gli disse solo, abbassandosi cosi da poter posare le morbide labbra sui quei tre sfregi, lasciando un leggero bacio sopra di essi per poi fare lo stesso anche con l'altra cicatrice, salendo, fino ad essere di nuovo faccia a faccia. Castle sentì un brivido piacevole percorrergli tutto il corpo, chiudendo gli occhi finalmente libero da quel peso.

 “Stupido solo per aver pensato che ti avrei potuto lasciare”. Lo rimproverò lei prendendogli il viso tra le mani mentre dai suoi occhi cadevano le prime lacrime. Castle andò ad asciugarle quella che le stava solcando la guancia destra con il pollice della mano e poi tornò a parlarle.

 “Mi dispiace ma, l'idea di perderti mi faceva più male che il ricordo di queste ferite. Non avevo la certezza che mi avresti accettato cosi”. Sussurrò lui posando la sua fronte contro quella della donna.

 “Cosi come?!. Cosi pazzo, arrogante, intrepido, impulsivo che troppo spesso vuol giocare all'eroe”. Ridacchiò asciugandosi anche l'ultima lacrima. “Ti ho accettato cosi molto tempo fa”. Confessò lei riprendendo a baciarlo. Fu un bacio che fin da subito lasciò trasparire la passione che vi era tra i due, il desiderio, la bramosia che provavano per l'un l'altra. Quando si staccarono per riprendere fiato la donna gli prese una mano e sorridendogli lo invitò a seguirla. Castle aveva occhi solo per lei, non si accorse che avevano superato la sala, che stavano salendo scale, dirigendosi verso la sua camera. Quando il detective capì finalmente dove si trovavano non ebbe più alcun dubbio, alcuna esitazione. Prese tra le braccia la donna costringendola ad indietreggiare, fino a quando i suoi polpacci non si ritrovarono contro il letto. La baciò con trasporto, togliendole la maglietta che indossava, lanciandola dietro di se, mentre lei trafficava con la cintura dei suoi pantaloni. Caddero entrambi sul letto producendo un tonfo soffice e li Castle andò a guardarla volendo avere la conferma che poteva continuare, accertandosi che non ci fosse insicurezza negli occhi di Beckett. La detective iniziò a mordergli il collo, fermandosi all'altezza dell'orecchio.

 “Fa l'amore con me Rick”. Gli sussurrò e Castle fu ben felice di passare quella notte a soddisfare ogni suo desiderio, lasciando libera la bramosia che aveva trattenuto per quasi due anni.

 

Quando Beckett si svegliò pote vedere i primi raggi del sole fare capolino da dietro i vetri. Sospirò contenta mentre si appoggiava ancora di più alla spalla di Castle, facendo scorrere le dita sul suo petto. Toccò ancora quella cicatrice lentamente, quasi fosse una ferita fresca, avendo paura di fargli male e poi prese la piastrina che portava al collo.

 “Me la regalò mia madre quando le dissi la verità sul mio lavoro”. Spiegò Castle tenendo sempre gli occhi chiusi, avvicinandola ancora di più al proprio corpo, posandole una mano sul fianco.

 “Sine timore”. Lesse lei ad alta voce. “Senza paura”. Tradusse affondando il gomito nel materasso e alzandosi sopra di lui, studiando il suo volto rilassato. Soffiando dolcemente gli spostò una ciocca di capelli che gli si era posata sulla fronte e rimase li ad aspettare che lui si svegliasse del tutto. 

“Fa molto psico con te che mi fissi cosi”. Ridacchiò lui aprendo un occhio per guardarla, coprendosi con una mano lo sbadiglio che gli venne cosi naturale. 

“Rick io..”.Enunciò titubante lei guardandolo dritto negli occhi. Erano ben poche le persone alla quale aveva rivelato i suoi sentimenti e ora aveva il timore di tirare troppo la corda, che Castle non fosse ancora pronto per sentirselo dire. 

“Si lo so, sono stato fantastico stanotte”. Ironizzò lui allentando un po' la tensione. Beckett prese un cuscino e glielo tirò addosso mentre cercò di scendere dal letto, Castle rimase qualche secondo fermo ad ammirarla nella sua nudità quando poi l'afferrò per i fianchi e la gettò sul letto sotto di se.

 “Non ti lascio scappare se prima non mi dai il bacio del buongiorno”. Constatò lui con aria sensuale facendola sorridere da orecchio a orecchio. In quel momento entrambi i loro cellulari squillarono.

 “La pacchia è finita”. Sbuffò lui rotolando giù da lei per passarle il suo telefono e intanto prendere il proprio. 

“Castle.”. “Beckett”. Dissero all'unisono rispondendo alle chiamate. Quelle poche ore di felicità furono subito lasciate da parte. 

“Caleb?”. Sussurrò Castle risedendosi sul letto e sfregandosi le mani sul volto. 

“Ho la brutta sensazione che sia ancora lui”. Aggiunse Beckett dandogli un bacio sulla spalla per poi andarsi a preparare per un altra giornata di lavoro.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Vittima numero 2 ***


 

SCENA DEL CRIMINE

 I due detective raggiunsero il più in fretta possibile il luogo indicato dai colleghi. Da quanto gli avevano accennato al telefono ciò che avevano scoperto non era nulla di buono, e che la loro presenza era richiesta il prima possibile. Quando arrivarono subito una folla accanita di giornalisti gli fu addosso, desiderosi di sapere più informazioni su quanto la polizia aveva scoperto. I poliziotti di guarda a fatica trattenevano i giornalisti dallo sfondare la barriera di sicurezza e accedere cosi alla scena del crimine. Quando Ryan ed Esposito li videro gli corsero subito incontro.

 “Non sappiamo chi li ha avvisati”. Affermò il cubano rivolgendosi alla folla che continuava a scattare fotografie. 

“Come sappiamo in un modo o nell'altro la notizia trapela sempre”. Asserì Beckett osservandosi attorno in cerca del cadavere. 

“Non è cosi semplice”.Le disse Ryan avendola vista cosi pensierosa. “L'hanno trovato due vagabondi che venivano spesso in quella casa abbandonata per passarci la notte”. Raccontò l'irlandese indicando l'abitazione che distava quasi 50 metri da loro. I due detective si fecero guidare dai colleghi lungo quella strada, chiedendosi il perchè di tale distanza tra la scena del crimine e il blocco della polizia. Non ci volle loro molto per capire. Il piccolo vialetto che conduceva all'abitazione era circondato da specchi, uno di fronte all'altro, su ogni lato, una decina in tutto, alti più di un metro.

 “é sangue”. Constatò Castle avvicinandosi a quelli e osservando le lettere scritte sopra di essi. 

“Ha voluto usare questo metodo per farci sapere il nome della vittima”. Affermò inorridito Esposito dirigendosi all'entrata della casa. Castle e Beckett si misero ognuno a un lato del vialetto e cominciarono a leggere le lettere sui vetri. 

“Randy”. Disse la donna seguita a ruota dal collega. “Abbey”.

 “Questo è solo l'antipasto”. Li richiamò Ryan che teneva loro aperta la porta. Entrarono nella casa abbandonata osservandosi attorno. C'era veramente poco in quella abitazione, alcuni mobili distrutti, lampadari a terra, stoviglie rotte sul pavimento.

 “Ehi Espo. Dai un occhio a quelle funi”. Parlò Castle indicando un baule in legno legato con quelle corde. “Mi ricordano molto quelle usate per legare Hannan”. Il cubano annuì e si mise subito all''opera.

 “Da questa parte”. Li guidò poi l'irlandese ancora attraverso le stanze. “I due barboni volevano prendere un po' di legna che era rimasta in uno stanzino sotto la lavanderia. Ma appena hanno aperto la botola, bhè guardate voi stessi.”. Li invitò a farlo essendo giunti nella stanza incriminata. I poliziotti della scientifica che stavano facendo le loro foto smisero all'istante e uscirono da quello spazio per dare modo ai due di controllare. Castle e Beckett indossarono i loro guanti e si portarono accanto alla botola aperta e guardarono in basso con l'ausilio di alcune torce. Un cadavere giaceva proprio sotto di loro in posizione fetale, con lunghi capelli biondi che gli coprivano il volto. Tutto intorno ad esso, a formare un cerchio, altri specchi simili a quelli visti fuori.

 “Qualcuno è già sceso?”. Domandò Beckett illuminando con la torcia che teneva tra le mani il cadavere, studiandolo da li come meglio poteva. 

“Non ancora. Stiamo aspettando Lanie”. Si intromise Esposito che aveva finito di raccogliere alcuni campioni della fune e aveva raggiunto i colleghi. 

“Come facevano i due barboni a scendere li sotto?”. Chiese Castle tenendo la torcia tra i denti e togliendosi la giaccia non volendola sporcare.

 “Con una scala che si trova nella stanza accanto”. Disse distratto Ryan non sapendo bene quello cosa c'entrasse.

 “Bene portatemela allora”. Ordinò deciso l'uomo tirandosi su anche le maniche.

 “Non eravamo d'accordo sul basta fare l'eroe”. Gli ricordò Beckett avendo capito a pieno le sue intenzioni. Con l'aiuto dei due colleghi Castle appoggiò la scala all'interno della botola, attento a non avvicinarsi troppo al cadavere e poi iniziò a scendere i primi scalini.

 “Non vedo alcun pericolo, ne tanto meno serpenti quindi..”. Lasciò la frase in sospeso e fece anche gli ultimi gradini che lo dividevano dal pavimento. Beckett sbuffò infastidita, lanciando la sua giacca a Ryan e bofonchiando parole poco carine rivolte all'ormai fidanzato.

 “Stai attenta”. Disse Castle portandosi dietro di lei quando sentì uno scalino cigolare più del dovuto, posandole le mani sui fianchi per aiutarla a scendere in tutta sicurezza.

 “Grazie”. Affermò la donna pulendosi le mani sporche di polvere sbattendole una contro l'altra mentre il collega si era già messo vicino al cadavere, dove notò esserci una macchia di sangue e qualcosa di luccicante sotto il braccio di lui.

 “C'è qualcosa qui”. Richiamò l'attenzione della donna che subito lo raggiunse, osservandolo mentre, con delicatezza, alzava l'arto del cadavere per vedere sotto di esso.

 “é un coltello”. Constatò prendendolo tra le dita e illuminandolo. “Con evidenti tracce di sangue”. Continuò mentre Castle continuava a studiare il corpo. Spostò il fascio di luce sul volto della vittima e lo vide intriso di sangue. Socchiuse gli occhi notando qualcosa di strano in esso. Deglutì pensando di essersi sbagliato, desiderando di essersi sbagliato.

 “Non vedo ferite sul suo corpo”. Constatò la detective avendo visionato le gambe, il petto, le braccia dell'uomo in cerca di tagli che giustificassero quel sangue. Quando il collega non le rispose si voltò verso di lui. “Che succede Castle?”. Domandò Beckett puntandogli la torcia addosso, vedendo la sua espressione tesa mentre fissava ancora il volto della vittima.

 “Dove sono i suoi occhi”. Disse solo, iniziando a illuminarsi attorno mentre la collega scostava i capelli dal volto del cadavere cosi da poter vedere le due cavità nere e vuote. D'improvviso Castle si alzò e la donna lo seguì con gli occhi, vedendolo abbassarsi e puntare la torcia su un punto fisso. Illuminato dalla luce c'era il primo bulbo oculare, sporco di sangue e polvere.

 “Perchè cavargli gli occhi? Perchè questo sadico gioco?”. Domandò Beckett dandosi un occhiata attorno in cerca anche del secondo occhio.

 “Non saprei”. Affermò Castle inspirando profondamente e alzandosi in piedi, tutti quegli specchi che riflettevano le loro immagini gli facevano venire i brividi.

 “Lasciamo che qui continui la scientifica”. Disse invitandolo la collega ad alzarsi e salire le scale. Pochi attimi dopo arrivò Lanie con la sua squadra.

 “Ancora Caleb?”. Domandò il medico dopo aver impartito gli ordini ai proprio uomini.

 “Non ne abbiamo ancora la certezza ma comunque non lo escluderei”. Rispose Beckett lasciandola poi al suo lavoro. 

“Che si fa ora?”. Domandò Castle uscendo dalla casa insieme alla donna, togliendosi i guanti e riponendoli in tasca per buttarli via in seguito. 

“Ryan contatterà la famiglia di Abbey, noi invece andiamo al distretto.”. Asserì la donna passandosi una mano nei capelli, non potendo fare a meno di osservare gli specchi posti ancora sul viale. Quelle lettere scritte con il sangue le sembravano incise sul suo corpo.

“La moglie di Hannan dovrebbe arrivare questo pomeriggio, sentiremo se ha qualcosa di utile da dirci”. Continuò la donna dirigendosi verso la folla di paparazzi che ancora bloccava la strada che portava alla sua macchina. Castle si fermò all'inizio del vialetto e si voltò verso la casa. Cercò di immedesimarsi nell'assassino, di entrare nella sua testa, e suppose che ora si trovasse sicuramente tra la folla, gioendo del fatto che la polizia brancolava nel buio. Si mise ad osservare i presenti, attento a ogni loro minimo gesto e poi gli parve di vedere ancora quel ghigno malefico che caratterizzava Caleb, ma un secondo dopo sparì, coperto da altre facce.

 

12th DISTRETTO

 “Se la situazione non migliora chiamerò la mia squadra del CIRG”. Affermò Castle uscendo dall'ascensore, infastidendo la collega che gli si parò davanti con le braccia al petto.

 “Pensi che da soli non riusciremmo a risolverlo? In passato non abbiamo mai avuto bisogno di loro, anzi.”. Gli ricordò la donna vedendolo massaggiarsi la fronte tenendo gli occhi chiusi.

 “Non abbiamo mai avuto a che fare con questo pazzo e poi la mia era un ipotesi non una certezza.”.Spiegò lui andandosi a mettere subito sulla difensiva, voleva esser d'aiuto ma ogni tanto si dimenticava che la donna era molto orgogliosa e restia a mostrare le proprie debolezze.

Beckett annuì e si diresse alla propria scrivania, seguita come un ombra dall'uomo. Si avvicinò alla lavagna mentre lui si sedette sulla sedia di lei, giochicchiando con delle penne, cercando di farle rimanere in equilibrio sul suo dito indice. 

“Per ora direi di non collegare i due casi ma studiarli come due diversi”. Affermò la donna dividendo la lavagna a meta mentre Castle si limitò ad acconsentire. 

“Da una parte abbiamo Abbey, le cui cause della morte ci sono ancora sconosciute”. Cominciò a ricapitolare compilando la lavagna con le informazioni che possedevano. “Dall'altra Hannan ucciso dal morso del serpente”.

 “Mamba nero”. La corresse lui senza guardarla, dato che aveva lo sguardo fisso sulla matita che ora cercava di tenere in equilibrio sul polpastrello.

 “Che fai?”. Domandò la detective esasperata chiudendo il pennarello e afferrando la matita.

“Quante volte devo dirti di non toccare le mie cose”. Ribadì lei posando con poca delicatezza l'oggetto sulla scrivania.

 “Direi 2725”. Affermò Castle con fare serio, massaggiandosi il mento. Beckett sospirò dandogli una leggera spinta, facendo pressione con la mano sulla fronte di lui.

 “Cresci”. Constatò solamente lei andando a prendere posto sulla sedia di lui, allungando le gambe davanti a se e socchiudendo gli occhi quasi dormisse.

 “Sai mi ricordi molto me stesso”. Ridacchiò lui vedendola in quella posa. Beckett nell'udire quel commento aprì l'occhio sinistro e attese le dovute spiegazioni.

 “Durante le ricerche di Stark passavo le giornate cosi. Seduto su una sedia, o sdraiato su un divano, a fissare il soffitto aspettando che scendesse la manna dal cielo”. Rivelò lui posando la mano destra sul proprio fianco sinistro dove sentiva pulsare le cicatrici ogni volta che pronunciava il nome di Stark.

 “Come siete riusciti a scovarlo il tuo collega e tu?”. Domandò Beckett mettendosi seduta composta, interessata dall'argomento che stavano affrontando. Le labbra le si inarcarono in un breve sorriso contenta che ora Castle le parlasse cosi spontaneo degli eventi inerenti all'incidente.

 “Un vero e proprio colpo di fortuna”. Rivelò Castle avvicinandosi ancora di più alla donna per confessare quel segreto che lui e il collega avevano mantenuto per anni.

“Mentre eravamo in ricognizione fermammo un ragazzino per eccesso di velocità. Pensando nascondesse della droga abbiamo perquisito la sua auto e li abbiamo trovato la collanina che apparteneva ad una delle vittime di Stark”. Raccontò il detective facendo una breve pausa per prendere fiato. “Il mio collega ed io allora controllammo il gps e notammo che più e più volte la macchina si era fermata in un magazzino vicino al porto. Andammo li per controllare e poi sai quello che è successo”. Beckett strinse la sua mano nella propria, alzandosi dalla sedia e mettendosi davanti a lui. Posando la mano libera sul bracciolo della seduta occupata da Castle si tenne in equilibrio andandolo a baciare.

 “Grazie”. Sussurrò rimanendogli ancora vicino.

 “Per cosa?”. Chiese perplesso lui, giocando con una ciocca dei suoi capelli. 

“Per esser tornato ogni volta da me”.Proferì lei senza alcun indugio, cosi decisa che Castle si sentì il cuore accelerare dall'emozione. 

“Per te lo farò sempre”. Sorrise lei dandogli un altro bacio per poi afferrarlo per un orecchio costringendolo ad alzarsi.

 “Questa è mia, quella è la tua”. Gli ricordò Beckett indicando le due sedie mentre il detective si sfregava l'orecchio arrossato con una mano, cercando di nascondere una smorfia di dolore.

 “Permalosa”. Asserì imbronciato andando a riprendere il proprio posto.

  

Nemmeno un ora dopo una donna si avvicinò ai due. Era minuta, con gli occhi solcati da profondi segni neri, il viso tirato e un'espressione spaesata. 

“Possiamo aiutarla?”. Domandò Castle avendola vista per primo, alzandosi e avvicinandosi a lei. 

“Sono Linda Hannan. La moglie di Daniel”. SI presentò stringendo nelle mani la borsetta come se fosse il suo ultimo appiglio prima di cadere nel baratro. 

“Ci segua pure signora Hannan”. Proferì Beckett mettendosi in piedi e accompagnando i due nella saletta relax. 

“I vostri colleghi non mi hanno dato molte informazioni sulla morte di mio marito”. Enunciò la donna prendendo tra le mani la tazza di caffè offertale da Castle. I due detective si guardarono per qualche istante, decidendo chi fra i due le avesse dovuto rivelare la verità e di quel compito alla fine si incaricò l'uomo.

 “Dalle informazioni che abbiamo in nostro possesso sospettiamo che suo marito sia stato aggredito in casa, magari da qualcuno che conosceva”. Iniziò a spiegare il detective sedendosi accanto alla collega.

“é stato stordito e segregato in cantina dove poi un serpente l'ha morso, provocandone la morte”. La donna si mise a piangere ancora prima che Castle finisse di parlare. Si coprì la bocca con una mano mentre con l'altra frugava nella borsa in cerca di fazzoletti.

 “Sapete già chi è stato?”. Domandò soffiandosi il naso, cercando di interrompere quei singhiozzi, cercando di fermare quelle lacrime di rabbia.

 “Non ancora mi dispiace.”. Rispose Beckett non volendo accennare al video cosi da evitare alla donna un ulteriore pugnalata al cuore.

 “Speravamo che lei ci potesse essere utile.”. Interruppe il silenzio che si era formato Castle rivolgendosi ancora alla signora Hannan. “Sa se suo marito aveva qualche problema con qualcuno? Qualche persona a cui stava poco simpatico che potesse compiere un gesto simile?”. La donna scrollò il capo non avendo la minima idea di chi potesse essere stato, se Daniel avesse avuto problemi di certo glieli avrebbe rivelati, di quello ne era certa.

 “Le ha mai parlato di qualcuno di nome Caleb?”. Tentò Castle ricevendo un'occhiataccia dalla collega. Erano rimasti d'accordo di non accennare nulla sull'assassino misterioso cosi da evitare che la notizia trapelasse e si venisse a creare il panico tra i cittadini di New York.

 “Si, è un uomo che ha conosciuto qualche mese fa”. Ribattè la donna confusa, non riusciva a trovare un collegamento.

 “In che ambito si son incontrati? Era un collega di lavoro?”. Domandò Beckett speranzosa, desiderando che quell'informazione desse loro una pista concreta da seguire. La signora Hannan fissò i due con aria estraniata, quasi venissero da un altro pianeta.

 “Si vede che non l'avete ancora saputo”. Affermò criptica la donna ricevendo occhiatacce spazientite dai due. “Daniel faceva parte di un gruppo di sostegno da più di un anno, è li che ha conosciuto Caleb”. Spiegò la donna che però portò ancora più confusione nella testa dei due.

 “Sostegno per cosa?”. FU il turno di Castle di porre un altra domanda dato che la donna doveva essere incentivata continuamente per poter avere delle informazioni.

 “Per combattere le proprie fobie”. Continuò asciugandosi ancora il volto e fermandosi.

 “La prego signora deve essere più precisa. Ci racconti bene tutto quanto”. La supplicò Beckett sedendosi sul bordo del divanetto avvicinandosi il più possibile alla sua interlocutrice.

 “Circa un anno e mezzo fa eravamo in vacanza Daniel ed io. Mentre stavamo facendo un escursione è stato morso da un serpente e ha rischiato di morire.”. Nel sentire quell'informazione i due colleghi si guardarono, l'animale non poteva essere una coincidenza. “Uscito dall'ospedale cominciò a soffrire di attacchi di panico, insonnia, gli bastava vedere un ombra a terra che gli prendevano delle crisi e cosi andò in terapia ed è stato in uno di questi incontri che conobbe Caleb” 

“Gliel'ha mai presentato, o fatto vedere in foto?”. Domandò Castle ricevendo un no come risposta.

 “Era molto chiuso per quanto riguardava la terapia. Me ne parlava raramente, diceva che era un qualcosa che doveva affrontare da solo”. Ancora si mise a singhiozzare la donna chiudendo fuori dal suo mondo gli altri due presenti.

 “Potrebbe aver usato il mamba appunto perchè sapeva della paura di Hannan. “Fabbricante di incubi”, è questo d'altronde il nome che ha scelto”. Proferì l'uomo a bassa voce cosi da farsi sentire solo dalla collega.

 “Signora Hannan sa dove suo marito svolgeva questi incontri? O come si chiamava il gruppo, o il dottore che se ne occupava?”. Chiese Beckett avendo bisogno di quell'informazione cosi da dare una scossa alle indagini.

 “Mi dispiace ma non so nulla, come detto Daniel non ne parlava quasi mai”.

  

OBITORIO

 Poco dopo che la moglie della prima vittima aveva lasciato il distretto Lanie aveva chiamato la coppia per informarli della conclusione dell'autopsia sul corpo di Abbey.

 “Ho saputo che la moglie di Hannan si è fatta viva”. Constatò il medico andando a riporre gli strumenti del mestiere sporchi nel lavandino, dando cosi le spalle ai due.

 “Si, in effetti”. Rispose Castle avvicinandosi al lettino e sollevando il lenzuolo per osservare meglio il cadavere che giaceva su di esso. 

“Ha confermato che il marito conosceva un certo Caleb e che stava seguendo un gruppo di sostegno, ma non ha saputo rivelarci altro di utile”. Concluse Beckett dando uno schiaffo sulla mano del collega cosi da fargli lasciare la presa sul lenzuolo e non intromettersi nel lavoro di Lanie.

 “Qui che abbiamo?”. Chiese sempre la donna annuendo in direzione di Abbey mentre l'uomo si massaggiava la mano arrossata. 

“Ho trovato delle microfratture alle caviglie”. Esordì il medico spostandosi vicino a quella parte anatomica cosi da poter spiegare meglio. “Secondo me se le procurate cercando di attutire la caduta dentro la cantina. Credo ci sia stato spinto dentro e cosi ha cercato di ammorbidire l'impatto ponendo tutto il peso sui piedi e questo spiega le lesioni”. Castle e Beckett annuirono distratti, era si un informazione ma non quella che però desideravano ottenere.

 “Quindi, a differenza di Hannan, era sveglio quando è morto”. Ipotizzò il detective seguendo con gli occhi Lanie, la quale si stava dirigendo a un tavolinetto. 

“Si, era nel pieno delle sue facoltà, altrimenti non credo sarebbe riuscito a fare ciò che penso”. Affermò in tono misterioso ponendo davanti ai due un sacchetto contente il coltello che avevano trovato sulla scena del crimine. 

“Che significa?”. Chiese spiegazione Beckett prendendo tra le mani quella prova e studiandola più attentamente. 

“Ho confrontato la seghettatura di questo coltello con i segni sul bulbo oculare ritrovato e combaciano”. I due detective si guardarono per qualche secondo, odiando quando le loro ipotesi alla fine risultavano veritiere.

 “Vuol dire che il nostro assassino gli ha cavato gli occhi con questo coltello?”. I loro primi timori alla fine si erano rivelati fondati e il sospetto che l'autore fosse Caleb si faceva sempre più forte.

 “Non è quello che ho detto”. Ribattè Lanie rendendo i due ancora più confusi. 

“Hai appena detto che è stato con questo coltello che l'hanno mutilato”. Le fece notare Beckett riconsegnandole l'arma, vedendola sorridere e alzare il dito indice in loro direzione. 

“Io ho detto che questo coltello è si stato usato per cavare gli occhi a questo poveraccio. Ma non ho detto che è stato l'assassino”. Asserì prendendosi qualche secondo di pausa per rendere la sua rivelazione ancora più sconvolgente. “Le uniche impronte trovate sul manico sono quelle di Abbey.”

  

12th DISTRETTO

 “Credi davvero che si sia tolto gli occhi da solo?”. Domandò Castle alla collega una volta tornati su al distretto. 

“Le prove fanno pensare cosi ma è il motivo che mi sfugge”. Sbuffò lei andandosi a sedere sulla propria sedia. 

“Forse il nostro killer è sadico come quello dei film della serie “Saw”, oppure è un loro ammiratore”. Sghignazzò Ryan raggiungendoli cosi da poter scambiare due parole sul caso.

 “Abbey viveva con il fratello ma non sono ancora riuscito a rintracciarlo”. Li informò del fiasco ottenuto dopo ore e ore di tentativi falliti a chiamare sul posto di lavoro Travis Abbey.

 “Nemmeno io ho avuto fortuna”. SI aggiunse Esposito lanciando il proprio taccuino sulla scrivania prima di unirsi ai tre e spiegare. “Abbey non aveva un lavoro, non aveva amici, era solo, se non contiamo il fratello. Dai tabulati telefonici e dalle carte di credito non risulta nulla di particolare.”

 “Allora non ci resta che trovare Travis”. Constatò Beckett massaggiandosi le tempie infastidita e priva di speranza.

 “Non è necessario”. Si sentì provenire una voce da dietro di loro. I quattro si voltarono e videro un uomo che sembrava uscito dalla serie “mad man” da quanto era vestito elegante.

 “Sono io Travis Abbey”. Si presentò alzando una mano per far vedere l'oggetto che stringeva tra le dita. “E credo che questa sia per voi”. Aggiunse mentre ai detective sembrò di ricevere un pugno nello stomaco. Un altra videocassetta.

 
-------------------------------

Altro capitolo di intermezzo per avere informazioni su vittime e carnefice. Nel prossimo capitolo si vedrà Castle combattere contro la propria paura mentre il capitolo 27 sarà tutto Caskett per smorzare un pò i toni.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Secondo video ***


 

12th DISTRETTO

 

“Che ci può dire di suo fratello signor Abbey?”. Domandò Esposito mentre i colleghi e il nuovo arrivato si mettevano comodi per guardare il video che Ryan stava facendo partire sulla televisione. 

“Randy era un tipo particolare”. Esordì l'uomo prendendo posto su una sedia accanto a Castle. “Solitario, passava le sue giornate a fare lunghe passeggiate attorno l'isolato e la sera nella propria camera a leggere libri”. Raccontò l'uomo facendo girare lo sguardo tra i quattro detective presenti non sapendo bene a chi rivolgersi. 

“Quindi ritiene improbabile che avesse degli amici? Magari qualcuno di nome Caleb?”. Domandò Castle volendo arrivare subito al succo della questione. Era inutile perdersi in discorsi banali, dovevano sapere se, come con Hannan, anche con Abbey vi fosse un collegamento tra lui e l'assassino.

 “Se aveva amici non me li presentava mai”. Affermò prendendo un pacchetto di sigarette dalla tasca della giacca. “Posso?”. Domandò prendendone una, vedendo Beckett annuire. Una sigaretta non avrebbe dato di certo fastidio ai presenti. “Forse era con lui che si incontrava il lunedi sera”. Ipotizzò Travis accendendosi la sigaretta e iniziando ad aspirarla facendo uscire il fumo dal naso.

 “Che succedeva di particolare in quel giorno?”. Chiese Beckett appoggiando le mani sul bordo del tavolinetto dietro di lei, rimanendo appoggiato ad esso.

 “Si assentava di casa per circa due ore, due ore e mezza.”. Rispose cercando attorno un posacenere dove poter pulire la sigaretta. Ryan corse subito in suo aiuto porgendogli una tazza vuota dove poter gettare i resti della cenere.

 “Per caso ha visto il filmato?”. Domandò Castle annuendo in direzione del video che l'irlandese aveva messo in pausa proprio nel momento in cui un'immagine andava a formarsi.

 “SI”.Ribattè secco l'uomo che andò ad accendersi un altra sigaretta diventando stranamente silenzioso. 

“Quello che ha fatto a mio fratello è stato orribile e spero che lo prendiate quel bastardo”. Ringhiò schiacciando tra le proprie dita il pacchetto di malboro non curandosi di rovinare il suo contenuto.

 “Nemmeno quando ero un soldato ho visto cosi tanta crudeltà verso una persona”. Continuò guardando un punto fisso davanti a se, quasi dimenticandosi degli altri presenti nella stanza.

 “Le dispiace se faccio partire il filmato?”. Domandò incerto Ryan puntando il telecomando allo schermo e cliccando il tasto play quando Travis scrollò il capo senza proferir parola.

 
Come nel primo video comparve il volto di Caleb, sempre coperto in parte da quel cappuccio bianco, sempre con quel ghignò malefico che gli faceva provare una strana sensazione di inquietudine.

 “Se non li aiutò io chi mai potrà farlo”. Si sentì la voce sibilante e calma dell'assassino. Non serviva essere uno psicologo per capire il suo voler essere onnipotente, superiore agli altri. La camera iniziò a muoversi, procedendo per quel vialetto che i detective avevano percorso quel giorno stesso. Una torcia piazzata sull'apparecchio illuminava tutto intorno, videro gli specchi, le stanze della casa e infine la porta che conduceva alla lavanderia. Appena questa si aprì si iniziarono a udire delle urla.

 “Caleb ti prego tirami fuori da qui, ho paura”. La voce era piena di terrore, quasi stessero strappando il cuore alla vittima in quello stesso istante. L'assassino comparve di nuovo nella videata e iniziò a ridere come un bambino alle giostre mentre un brivido di piacere gli percorreva tutto il corpo, facendogli vibrare le membra, facendolo sentire vivo.

 “Se ci si vuol liberare dalle proprie paure l'unico modo è affrontarle”. Di colpo la botola si aprì e l'assassino spostò l'immagine sulla vittima che se ne stava al centro della stanza, in ginocchio, con il volto rigato dalle lacrime, tutto tremante che supplicava colui che credeva di essere suo amico.

 “Caleb non posso resistere ancora, mi scoppierà la testa. Devi aiutarmi”. Implorò l'uomo iniziando a muovere avanti e indietro il capo, tenendosi le mani sugli occhi cosi da non vedere. 

Certo che ti aiuterò”. Se fosse stata una situazione diversa quell'affermazione sarebbe suonata come una vera e propria offerta d'assistenza, ma in quel momento tutti intuirono che le intenzioni del Fabbricante di incubi erano ben altre.

 Per una frazione di secondo uno scintillio si vide passare davanti alla camera seguito da un rumore metallico. Randy guardò l'oggetto e vide il coltello ai suoi piedi.

 “Questo è tutto ciò che ti devo”. Sghignazzò ancora Caleb fissando la telecamera cosi da poter rimanere fissa sulla sua vittima, alzandosi poi in piedi.

 “Dimenticavo”. Asserì ad un tratto. Si udì un altro rumore metallico e un istante dopo la cantina venne completamente illuminata e gli specchi fecero la loro comparsa.

 

 “Ho già subito lo strazio di vedere mio fratello cedere secondo dopo secondo, non voglio assistere a quelle immagini ancora una volta”. Parlò Travis che abbassò lo sguardo cercando di pensare ad altro per non sentire le urla che provenivano dalla televisione.

 “Andate al minuto 43”. Affermò soltanto e Ryan eseguì. Ora Randy era seduto per terra, con lo sguardo fisso sul coltello che teneva tra le mani.

 

Devo farlo. È l'unico modo per non farmi trascinare in quel mondo”. Continuò a ripetere stringendo sempre di più l'arma. Lentamente avvicinò la punta del coltello al proprio occhio, piangendo cercando di trovare il coraggio. Scostò lo sguardo incrociando il proprio sullo specchio e li cacciò un urlo terrorizzato.

 “Non vi permetterò di catturarmi”. Urlò contro il proprio riflesso infilzandosi la cavità oculare e asportandosi cosi l'occhio. I quattro detective erano senza parole. Perchè quel gesto? Perchè automutilarsi? .C'era qualcosa che Travis non aveva ancora detto loro e Beckett voleva saperlo.

 

“Perchè l'ha fatto?”. Domandò al fratello della vittima che alzando gli occhi al soffitto accennò un sorriso. Castle intanto rimaneva in silenzio, nel momento in cui quel coltello aveva trapassato la carne della vittima si immaginò ancora dentro quel magazzino e una fitta al fianco gli bloccò il respiro. Portò una mano sulle cicatrici e guardandosi le dita gli parve di vedere ancora il sangue sgorgare dal proprio corpo.

 “Perchè non voleva essere catturato dai gremlin”. Ridacchiò sapendo bene che in quell'istante lo consideravano un pazzo. Si passò una mano sulla guancia destra, sfregandosi l'occhio, compiendo un profondo respiro.

 “All'età di 22 anni Randy iniziò ad avere degli strani comportamenti, in particolare ogni volta che si guardava allo specchio. Il dottore ci disse che era a causa della sua poca autostima che rifiutava di vedere la sua immagine riflessa”. Iniziò a spiegare bagnandosi le labbra secche e alzandosi dalla sedia dando cosi le spalle al video che, seppur con il volume al minimo, continuava a mostrare le immagini della seconda mutilazione dell'uomo.

 “Quando ne ebbe 25 si scoprì che invece soffriva di Eisoptrofobia”. Confessò incantandosi su un calendario che era appeso al muro e sulle immagini del distretto che vi erano stampate su di esso.

 “Ha a che fare con gli specchi?”. Chiese Esposito non staccando gli occhi dal video, provando un infinità pietà per quell'uomo che era giunto a tanto a causa della sua fobia.

 “Randy credeva che al di la dello specchio ci fosse un altro mondo e che le creature che vi vivevano volevano rapirlo per portarlo in quei luoghi di sofferenza”. Con le mani in tasca Travis tornò a guardare i quattro che non sapevano come rispondere a quella strana rivelazione, era la prima volta che sentivano parlare di una malattia simile.

 “Aveva cosi paura degli specchi che non ne volle nemmeno uno in casa, non si specchiava nemmeno nelle vetrine dei negozi per paura di scomparire. I dottori che l'avevano in cura avevano detto di aspettarmi di tutto, che la sua fobia poteva portarlo a compiere gesti folli, ma non avrei mai immaginato che arrivasse a tanto”. Constatò tornando a guardare il video dove ora poteva vedere il fratello disteso a terra in posizione fetale, con il viso intriso di sangue, che rideva beffeggiandosi delle creature che aveva appena sconfitto.

 “Potrebbe farci avere la lista dei dottori che avevano in cura suo fratello?”. Domandò gentilmente Ryan, desideroso di porre fine a quel video ma non potendo, c'era altro da vedere.

 “Ve la manderò appena sarò a casa”. Promise l'uomo indicando il televisore. “Al minuto 107”.

 Ryan ancora una volta obbedì mentre i suoi colleghi tornarono a fissare quelle immagini che si formavano davanti a loro. Randy sembrava quasi addormentato e l'unico rumore che si poteva sentire era uno strano sibilo, come una camera d'aria che si stava poco a poco sgonfiando.

 

Il paziente ha superato le sue paure e merita una morte degna”. Disse in tono serio Caleb chiudendo la botola, rompendo cosi il contatto visivo con la vittima, preferendo inquadrare una bombola di monossido di carbonio la quale, tramite un sottile tubo, si stava scaricando nella cantina. 

 

“E cosi entrambe le nostre vittime avevano una fobia particolare. Hannan odiava i serpenti e Abbey gli specchi. Sappiamo che collegamento c'è tra di loro ma non sappiamo quello che c'è con l'assassino”. Disse sconsolato l'irlandese osservando Beckett, cercando di togliersi quelle immagini appena viste dalla testa, cercando di dimenticare le urla terrorizzate della vittima. 

“Proviamo a scoprire dove Abbey si recava ogni lunedi sera. Essendo un tipo particolare di certo non sarà sfuggito ai vicini curiosi”. Ipotizzò Beckett dando quell'implicito ordine ai colleghi di controllare chi tra gli appartenenti a quella categoria avesse visto la vittima poco prima che sparisse.

 “Noi invece ci occupiamo della lista di dottori che Travis ci ha dato”. Si rivolse ora a Castle rompendo a metà quel foglio cosi da fargli controllare anche a lui una parte di quei medici.

 “Li vuoi sentire uno ad uno?”. Domandò sgranando gli occhi l'uomo mettendosi a contare l'infinito elenco. Faticava a credere che ci fossero cosi tanti psichiatri a New York, tanto più che Abbey ne avesse cambiati cosi tanti.

 “Direi di si”. Affermò la donna afferrando la cornetta del telefono e portandosela all'orecchio. “Ora ne chiamiamo uno per uno e ci facciamo mandare più informazioni possibile di Abbey e già che ci siamo chiediamo se hanno sentito parlare anche di Caleb e Hannan”.

 Castle all'idea del lavoro che lo aspettava iniziò a sbuffare, cercando una posizione comoda sulla sedia ma continuando ad agitarsi. A Beckett sembrava di vedere Martha che dava prova delle sue doti artistiche quando il collega iniziò a sospirare coprendosi il volto prima con un braccio, poi cambiando posizione e allungando una mano verso la donna mentre con l'altra si stringeva la gola facendo strani versi quasi stesse morendo di sete. 

“Non ce la faccio, non ho le forze”. Asserì posando la fronte contro la scrivania, facendo penzolare le braccia giù da questa.

 “Un vero peccato. Avrei saputo ripagarti a dovere per il tuo aiuto”. Gli sussurrò lei sensuale all'orecchio divertendosi a prendergli tra i denti il lobo, vedendolo irrigidirsi all'instante.

 “Un gran vero peccato”. La donna non fece nemmeno in tempo a rimettersi composta sulla propria sedia che Castle stava già parlando con il primo medico.

 

 CASA CASTLE

 

Sentendo il figlio rientrare poco dopo l'ora di cena Martha abbandonò il copione che stava studiando sul divano e andò ad osservarlo.

 “Pensavo avessi detto che saresti andato da Kate questa sera”. Rimuginò la donna sulla telefonata che si erano scambiati alcune ore prima. 

“Doveva essere cosi ma poi abbiamo finito tardi di lavorare e sua madre aveva bisogno di lei per fare non so che cosa e allora eccomi qui”. Proferì lui sconsolato e infastidito nello stesso momento, alzando le braccia e lanciandosi sul divano. 

“Tu hai mai avuto veramente paura di qualcosa?”. Domandò ad un tratto Castle rompendo quel silenzio che regnava da qualche minuto. Martha lo osservò con la coda dell'occhio prima di tornare a leggere le battute che doveva imparare per il prossimo spettacolo.

 “Bhè si ho paura di molte cose, le stesse paurae che hanno tutti”. Rispose semplicemente lei alzando le spalle, non dando troppa importanza a quella domanda.

 “No, dico paure particolari”. Chiarì lui ricevendo lo stesso sguardo di prima dalla madre.

 “Paura tipo pronunciare quel nome innominabile a teatro oppure paura tipo claustrofobia?”. Chiese dimenticandosi del tutto del copione dato che, quando il figlio le porgeva tali quesiti, raramente alla fine l'avrebbe lasciata senza un mal di testa. 

“La seconda”. Ribatte semplicemente lui togliendosi le scarpe e slacciandosi alcuni bottoni della camicia.

 “Bhè..”Enunciò facendosi pensierosa, serrando le labbra fissandosi le dita dei piedi. “No di quel genere li no, anche se in realtà ho paura di una sola cosa”. Spifferò mettendosi una mano davanti alla bocca per far comprendere al figlio che si trattava di un segreto. 

“E cosa?”. Domandò lui curioso, mettendosi a pancia in giù sui cuscini cosi da poter vedere la madre. “Una cattiva recensione”. Scherzò lui ricevendo in cambio uno schiaffo. 

“No, stupido”. Ridacchiò la donna che poi si guardò in giro per essere sicura che nessuno fosse nei paraggi. “Che tuo padre scopra quelle foto che ho fatto quando ero una coniglietta di playboy”. Confessò facendo impallidire il figlio.

 “Grazie mamma per gli incubi che mi procurerai stanotte”. Disse lui con aria disgustata, scrollandosi quei pensieri di dosso.

 

 Castle si ritrovò da solo nella propria camera. Stanco slacciò gli ultimi bottoni della camicia lasciandola cadere dietro di se, non preoccupandosi nemmeno di riporla nel cesto dei panni sporchi. Si diresse in bagno e aprendo il rubinetto iniziò a far scorrere l'acqua gelata dentro il lavandino poi, creando una coppa con le mani, ne raccolse un po' e se la gettò sul volto sentendosi vivo per una frazione di secondo. Alzò gli occhi e si guardò allo specchio. Gli occhi infossati, una leggera barbetta gli ricopriva la mascella e una ruga di dolore gli solcava la fronte. D'improvviso gli sembrò che dallo specchio scendessero rigagnoli di sangue e questo lo costrinse a sfregarsi gli occhi incredulo, quando tornò a fissare davanti a lui vide ancora quel ghigno malefico, ma non era di Caleb, era di Stark.

 “Presto o tardi”. Parlò la figura scoppiando poi in una fragorosa risata. 

“No”. Urlò Castle indietreggiando, inciampò nel tappetino, ritrovandosi a terra dopo aver sbattuto la testa contro il muro. Sul pavimento davanti a lui cominciarono a cadere delle gocce rossastre e ancora quelle risa gli risuonavano nel cervello.

 “Non sono più in quel magazzino, non sono più in quel magazzino”. Si ripeteva usando le tecniche di respirazione che il dottor Whale gli aveva insegnato per calmarsi. Appena pensò a lui si alzò in piedi, aveva bisogno di parlargli. Si passò una mano nervosa nei capelli e fece per prendere il cellulare ma vide le dita sporche di sangue. Si tastò ancora la testa fino a trovare quel piccolo taglio causato dall'impatto precedente. Non ci diede troppa importanza, doveva chiamare il dottore.

 “Pensavo di essermene liberato e invece...”. Esordì senza nemmeno salutarlo quando sentì la sua voce rispondere.

 “Fin quando non accetterai quello che è successo il ricordo ti continuerà a perseguitare”. Affermò Whale con tono di rimprovero. “Questo è il risultato per non aver seguita la terapia come dovevi”. Continuò la sua ramanzina non ottenendo però alcuna reazione dalla controparte.

“Che è successo Richard?”. Chiese infine volendo essergli d'aiuto più come amico che come dottore. 

“Un nuovo caso. Le vittime vengono uccise in un modo che riconduce alle loro fobie e oggi, una di queste, si è accoltellata e mi ha ricordato quanto successo con Stark”. Gli occhi di Castle erano inespressivi mentre raccontava quasi volesse scollegare quella parte di cervello che gli faceva ricordare quell'evento e quelle emozioni.

 “é normale che lo colleghi a quanto ti è accaduto. Tu, come lui, hai provato cosa vuol dire sentire la propria carne lacerata da una lama, con l'angoscia che prende il sopravvento mentre sentì la vita che ti abbandona”. Al diavolo il mettere a proprio agio i pazienti, con Castle, se si volevano ottenere risultati, bisognava essere schietti.

 “L'assassino ha detto che l'unico modo per vincere le proprie paure è affrontarle”. Ripetè l'uomo sedendosi sul letto, appoggiando la schiena sulla sponda di questo. Si guardò il petto e il fianco studiando quelle cicatrici che più di ogni altra cosa desiderava vedere sparire al momento.

 “Forse”. Riflettè il dottore.

 “Quindi dovrei tornare in quel magazzino e venire a patti con quanto accaduto? Cosi potrò davvero lasciarmi alla spalle tutto”. Ipotizzò Castle sentendo il corpo ribellarsi a quell'idea.

 “Sarebbe come dire a qualcuno che soffre di vertigini di ammirare il panorama dall'Empire State Building”. Ridacchiò il medico non condividendo quella filosofia. “Come ti ho già ripetuto centinaia di volte se vuoi davvero superare quell'incidente allora devi imparare a conviverci, trarre forza da quanto ti è accaduto. Quelle cicatrici continueranno a sanguinare se tu glielo permetterai. Non farti rovinare la vita pensando che potevi morire ma vivi ricordandoti quello per cui sei ancora qui”.

  

12th DISTRETTO

 Per i tre giorni successivi nel distretto fece da padrona quell'assidua ansia, quella tensione, quella frustrazione che accompagnava minuto dopo minuto il lavoro dei detective. Lanie aveva confermato la morte per asfissia di Abbey e aveva confermato che le funi trovate nella casa abbandonata erano le stesse che erano state usate per legare Hannan ma ancora non erano giunti i risultati sulla strana sostanza ritrovata su di esse. Anche le ricerche di Ryan ed Esposito non sembravano portare a nulla di utile. Nessuno sapeva dove Randy si dirigesse ogni lunedi, tanto meno erano a conoscenza della sua eventuale partecipazione a un gruppo di sostegno. Beckett e Castle avevano chiamato più di 15 psicanalisti che Abbey aveva cambiato nel corso di 10 anni ma tutti avevano dato le stesse informazioni, cose che i detective sapevano già, sul loro paziente e nessuno era riuscito a dare un'identità a questo Caleb.

 “Odio sentirmi cosi inutile”. Constatò Castle lanciando una pallina contro il muro della saletta nella quale la squadra si era rintanata per lavorare meglio al caso.

 “é una sensazione che proviamo tutti amico”. Ribattè Esposito allungandogli una birra fresca che lui caldamente accettò dopo riaver afferrato la pallina che stava tornando nella sua direzione.

 “Dobbiamo trovare quel luogo, quel punto di ritrovo del gruppo di sostegno”. Li incoraggiò Ryan passando loro decine e decine di fogli, volantini e annunci che aveva raccolto in quei giorni riguardanti tali incontri.

 “Troviamo tra questi quelli che si svolgevano anche di lunedi e proviamo a sentire gli organizzatori”. Continuò esponendo la sua idea. “Magari la fortuna questa volta ci viene incontro”. Si guardò attorno cercando l'appoggio dei colleghi e fu la determinazione che lesse negli occhi di Beckett a farlo sentire cosi entusiasta di se.

 “Forza non avete sentito Ryan”. Richiamò l'attenzione dei due più indaffarati a finire la birra che avevano tra le mani. “Cominciate a cercare”. Commissionò ai due mettendogli in faccia alcuni fogli. Castle cominciò a sfogliare contro voglia una rivista medica, facendo scorrere le iridi sui caratteri in grassetto ma non prestando la minima attenzione ad essi dato che era più concentrato su Beckett. In quei quattro giorni non era riuscito a passare un secondo da solo con lei che non fosse stato al distretto o sulla macchina per dirigersi sulla scena del crimine e questo non gli andava bene. Stavano insieme dopo tutto, dovevano riuscire a passare del tempo in compagnia l'uno dell'altro senza temere che il cellulare interrompesse quel loro idillio. Era cosi assorto nei suoi pensieri che quasi non si accorse che nel frattempo i loro colleghi avevano già compilato una piccola lista di nominativi mentre lui ancora stava incollato alla solita pagina.

 “Ragazzi perchè non cominciate a sentire qualcuno mentre Castle ed io sistemiamo qui”. Propose Beckett avendo notato lo stato in cui si trovava il collega. Esposito diede una gomitata nello stomaco di Ryan per fargli capire che era ora di andare e si allontanarono dalla stanza per tornare alle loro scrivanie e cominciare la ricerca.

 “Problemi da Los Angeles?”. Domandò la donna una volta rimasti soli, richiudendo il giornale che aveva davanti a se. 

“No.” Rispose secco lui andandola a guardare, gettando la propria rivista assieme alle altre sparpagliate sul tavolo. “Problemi a New York”. Rivelò posando il gomito sul tavolo e appoggiando al testa sul palmo della mano.

 “La mia ragazza ed io siamo cosi presi a lavorare che non riusciamo a passare una serata insieme”. Disse cercando di mantenere un tono neutrale per non rischiare di farla sentire responsabile, non era colpa di nessuno se un pazzo assassino circolava per le strade della città. Anzi, quella situazione gli aveva dato modo di assistere ancora una volta alla dimostrazione della capacità investigative della collega. La sua serietà, la sua caparbia, il suo impegno lo colpivano ogni volta e lui ne rimaneva sempre più affascinato.

 “Quale ragazza?”. Scherzò Beckett guardandolo con fare inquisitorio tanto da farlo ridere. 

“Quella che mi sta davanti e che mi ha fatto capitolare”. Dichiarò lui alzandosi dalla sedia e sporgendosi verso di lei con un ampio sorriso sul volto. 

“Stasera cadesse il mondo sei tutta mia”. La informò facendo risuonare la cosa più come una minaccia alla quale però lei cedeva volentieri.

 “Lo spero”. Sussurrò dolcemente Beckett afferrandolo per il mento come spesso Castle faceva con lei. Il detective posò una mano sul tavolo mentre l'altra libera la fece scorrere lungo la coscia della donna, fino ad arrivare al gluteo e darle un leggero pizzicotto. Il tutto baciandole le labbra per poi nascondere il viso nel collo di lei e dare dei piccoli morsi alla morbida carne.

 

 “Ehi ragazzi”. Si schiarì la voce Ryan bussando contro lo stipite nello stesso momento. Castle si mise in piedi davanti alla donna come se nulla fosse mentre lei cercò di recuperare un po' del suo contengo mentre si rivolgeva al collega. 

“Abbiamo 4 possibili candidati. Destra o sinistra?”. Domandò tenendo in ognuna delle due mani un fogliettino sulla quale erano appuntati due nomi. 

“Sinistra”. Affermò Castle avvicinandosi al collega, prendendo tra le dita quel pezzo di carta leggendo quanto scritto sopra.

 

  

“Odio i buchi nell'acqua”. Asserì Castle sbattendo con violenza la portiera della macchina dopo essersi accomodato sul sedile. Piegò una gamba ed andò ad appoggiare il piede sul cruscotto della vettura senza preoccuparsi di mettersi la cintura di sicurezza. 

“Andiamo Castle è solo l'inizio”. Cercò di consolarlo Beckett la quale invece, a differenza del collega, era più tranquilla. “Abbiamo solo controllato due psichiatri, ce ne saranno ancora una quindicina che fanno questi corsi, nei prossimi giorni estenderemo le ricerche”. Gli promise mentre controllava nello specchietto retrovisore per accertarsi che non arrivassero macchine che le impedissero l'uscita dal parcheggio.

 “Intanto più aspettiamo e più Caleb si allontana”. Constatò infastidito, lanciando quel fogliettino di carta che aveva appallottolato contro il parabrezza.

 “Reagire cosi non servirà a nulla Rick”. Lo riprese lei appoggiando la testa su una mano e andandolo a fissare di tanto in tanto quando il traffico glielo permetteva.

“Dovresti ben saperlo che ogni caso richiede il suo tempo, ci vuole pazienza”. Constatò lei mordendosi un unghia tornando a guardare il taxi davanti a lei.

 “Lo sò”. Rispose lui trovandosi d'accordo. Quando stava nel CIRG gli era capitato anche di impiegarci mesi e mesi prima di concludere un caso e alla fine aveva sempre atteso il tempo necessario, ma in quella situazione sapeva che le cose erano diverse. Le fobie di quelle persone, Abbey che si era mutilato, la conversazione con il dottor Whale, erano tutte cose che gli tornavano alla mente e non poteva non sentirsi sotto pressione. SI girò sul sedile toccandosi il fianco, gesto che non sfuggì a Beckett.

 “Che succede?”. Gli domandò preoccupata, il suo toccarsi il fianco era per lei un sentore che qualcosa non andasse. 

“Solo troppe cose in testa”. Rispose vago lui facendola angustiare ulteriormente.

 “Quando vuoi sono qui”. Disse Beckett morendo dalla voglia di sapere cosa lo tormentasse, desiderando che lui si aprisse con lei come aveva fatto la settimana precedente.

 “Lo sò”. Ribadì ancora lui ritrovando il sorriso. “Sei una delle poche cose certe della mia vita”. Confessò serio come non mai, guardandola dritta negli occhi con determinazione. Non le aveva ancora dichiarato quanto veramente fosse importante per lui ma l'avrebbe fatto, un giorno o l'altro.

 “Sempre”. Replicò lei lasciando trasparire la stessa convinzione di lui.

 

 Giunsero al distretto dove informarono i colleghi e si spartirono i compiti da fare la mattina seguente. Ryan ed Esposito si sarebbero occupati degli psichiatri della zona del Queens mentre Castle e Beckett di quelli di Brooklyn.

 “Ehi non sali in macchina con me?”. Domandò stupita la detective vedendolo andare verso la sua moto. “Non eravamo d'accordo di passare la serata assieme?”. Chiese appoggiando le mani sul tettuccio della vettura guardandolo raggiungerla portando la moto vicino a lei. 

“Infatti è cosi”. La rassicurò dandole un veloce bacio a stampo prima di salire sul motociclo e mettersi il casco. “Ma prima devo fare una cosa”. Affermò sibillino accendendo il motore e partendo verso la sua destinazione ignota.




---------------------------------

Prossimo capitolo tutto Caskett e si saprà qualcosa in più della vita di Castle a Los Angeles.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Odio e amore ***



CASA BECKETT

 

Beckett guardò l'orologio per la decima volta nel giro di pochi minuti. Erano quasi le 8 di sera e di Castle ancora nulla, le aveva solo mandato un messaggio per dirle di mettersi comoda sul divano e non muoversi da li fino al suo arrivo e cosi lei aveva fatto, ma ora si stava veramente annoiando, oltre al fatto di avere una certa fame. 

Finalmente sentì suonare il campanello e di scatto si alzò e corse alla porta. Quello che le si presentò davanti non fu Castle ma un mazzo di rose blu. 

“Per farmi perdonare per il ritardo”. Spiegò il detective facendo capolino da dietro i fiori, allungando la mano per porgerglieli. 

“Pensavo ti fossi perso”. Scherzò lei annusando le rose per poi dirigersi in sala per cercare un vaso dove metterle. 

“Con quello che mi sono costate nemmeno un grazie”. Disse lui ad alta voce cosi da farsi sentire mentre si avviava verso la cucina cosi da appoggiare la borsa di plastica che aveva con se. Iniziò a svuotarla estraendo da essa una bottiglia di vino, pollo e cioccolato. 

“Grazie”. Sentì sussurrarsi alla orecchio mentre le braccia della donna lo avvolgevano, e il suo mento si appoggiava sulla sua spalla. Castle sorrise rompendo un pezzo della tavoletta di cioccolato avvicinandoglielo alla labbra, per poi divertirsi a toglierlo all'ultimo momento cosi da non lasciarglielo afferrare. 

“Quanto sei bambino quando fai cosi”. Lo punzecchiò lei facendogli il solletico a un fianco e rubandogli quel pezzo di cioccolato ,per poi aggirare il ripiano pronta ad aiutarlo. 

“Allora che si cucina?”. Domandò vedendo gli ingredienti che lui aveva posato davanti a se. 

“Una ricetta semplice. Pollo al cioccolato”. Rispose lui aprendo la confezione delle cosce di pollo. “Da leccarsi i baffi”. Aggiunse leccandosi le labbra prima di prendere anche per se un pezzo di cioccolato.

 “Spero che tu lo sappia cucinare”. Affermò Beckett perplessa mentre andava a prendergli un paio di pentole.

 “Anche olio e farina”. Richiese Castle rompendo a piccoli pezzi il cioccolato. “E poi so cucinare benissimo, nessuna delle mie donne si è mai lamentata”. Disse serio lui rovesciando un po' di quella polvere bianca sul ripiano per passarci sopra i pezzi di carne.

 “Nessuna tua donna?”. Chiese curiosa Beckett guardandolo con fare minaccioso. 

“Mia madre e Alexis”. Proferì prontamente lui. “Non l'ho mai cucinato per nessun'altra”: Rivelò infine continuando ad osservare ciò che stava facendo concentrato com'era. 

La detective sorrise soddisfatta andando a preparare la pentola e mettendoci poi dentro il pollo cosi da iniziare a farlo cuocere. Castle la raggiunse in un attimo e in un altra pentola iniziò a preparare il delizioso sughetto aggiungendoci un pizzo di cannella e pomodoro. 

“Assaggia”. Le disse porgendogli il cucchiaio di legno cosi da farglielo assaggiare. 

“Dolce”. Constatò lei raccogliendo con l'indice quella goccia che gli stava scendendo lungo il mento, riportandola alla bocca. Castle si rese conto che, per la prima volta nella sua vita, era geloso di una semplice e inanimata goccia di cioccolato. 

“Strega”. La etichettò lui agguantandola per un fianco, trascinandola contro di se. Beckett si avvinghiò alla sua camicia quando lui con la punta della lingua le tracciò le labbra. Sorrise Castle chiudendo gli occhi per gustarsi il sapore di lei prima di riaprirli e guardarla trionfante. 

“Davvero dolce”.

 

 

“Sai devo ricredermi”. Disse Beckett prendendo un pezzo di pane cosi da fare la scarpetta e raccogliere i rimasugli di quell'invitante salsa. “Sei un ottimo cuoco”. Commentò guardandolo mentre le versava un altro bicchiere di vino. 

“Mai dubitare delle mie qualità”. Scherzò su lui riempiendo anche il proprio bicchiere. “ E non hai visto nulla. Con il CIRG ho viaggiato molto e di conseguenza ho imparato molte ricette interessanti”.Dichiarò lui invitandola a fare un brindisi. 

“A noi?”. Domandò lei ricordandosi il loro primo appuntamento vicino al ponte di Brooklyn. 

“No”. Scrollò lui il capo. “A te”. Disse solo lui portandosi quel calice alla bocca e finendo il liquido rossastro in un unico sorso. 

“Non dirlo.Cosi mi metti in imbarazzo”. Ammise lei arrossendo mentre giochicchiava con una ciocca dei capelli. 

“Guarda te. Hai sempre voluto che ti dicessi la verità e ora che lo faccio mi fermi”. Affermò imbronciato lui ritrovando subito il sorriso quando Beckett gli lanciò contro il tovagliolo. 

“Aiutami a sparecchiare invece di startene li in panciolle”. Sogghignò raccogliendo i piatti mentre Castle si occupò dei bicchieri.

 

 

 “Dimmi altro di te”. Asserì la donna andandosi ad accomodare sulle sue cosce mentre lui rimaneva appoggiato al divano. 

“E cosa vorresti sapere?”. Domandò Castle accarezzandole la testa e intersecando le dita con la mano di lei posata sul suo ventre. 

“Di Los Angeles”. Richiese andando ad osservare la sua reazione. Mentre prima lui si sarebbe chiuso, si sarebbe arrabbiato, questa volta fu più calmo, ormai non vi erano più quei segreti tra di loro.

 “Come sai facevo parte di una squadra”. Esordì dopo essersi deciso a raccontare determinati dettagli. Sapeva che Beckett non l'avrebbe mai rivelato a nessuno con il rischio di metterlo in pericolo.

 “Eravamo in 7 in totale. Scream, Tank, Romeo, Pepper, Snake, Big Daddy ed io”.Contò sulle dita il detective per esser sicuro di non dimenticare nessuno. 

“E il tuo di soprannome?”. Chiese curiosa sbadigliando subito dopo mentre le palpebre le si facevano pesanti. 

“Ghost”. Ridacchiò. Di certo lei si sarebbe aspettata chissà quale nomignolo particolare e invece era un nome cosi semplice. 

“Perchè proprio Ghost?”. Cercò spiegazioni mettendosi ancora più comoda contro di lui mentre era già nel mondo dei sogni. 

“Perchè dicevano che quando c'era da mimetizzarsi ero il migliore a non farmi individuare”. Spiegò notandola solo dopo addormentata. Con estrema delicatezza si alzò prendendola in braccio. Subito la donna gli portò le braccia attorno al collo e si premette ancora di più contro il petto di lui che la stava portando su per le scale, nella sua camera. Attento a non svegliarla le tolse la t-shirt e i jeans, mordendosi le mani quando la vide senza reggiseno. Scrollando la testa si diresse all'armadio, frugando nei cassetti in cerca di un pigiama. Non trovandolo alla fine optò per una lunga maglietta che le mise sempre stando attento a non destarla, stupendosi del sonno profondo della donna. Dopo averla adagiata sotto le coperte scese di nuovo in sala e andò a sistemare le ultime cose lasciate in giro prima di sentire anche lui i primi sintomi della stanchezza. Per un istante ponderò sul tornare a casa ma il desiderio di stare accanto a Beckett era troppo e perciò tornò nella sua camera. Si sedette sul bordo del letto togliendosi scarpe e calzini, procedendo poi con i pantaloni e la camicia, andando poi a mettere il tutto su di una sedia presente nella camera. Lentamente scostò il lenzuolo e si mise sotto di esso. Un attimo dopo Beckett rotolò verso di lui, rannicchiandosi contro il suo fianco in cerca del calore del suo corpo. Castle l'osservò per qualche minuto in silenzio per poi addormentarsi sentendosi appagato.

 

 

Castle aprì gli occhi e non si ritrovò più nel letto accanto a Beckett. Si guardò attorno e vide tante scatole che lo circondavano, illuminate da una luce che andava e veniva, rendendo l'ambiente ancora più lugubre. Fece per sfregarsi la faccia per riprendersi ma vide che tra le mani teneva la sua pistola e in un attimo ricordò. Era nello stesso posto dove aveva inseguito Stark, nello stesso punto dove aveva rischiato di morire. Udì una fragorosa risata e un attimo dopo si ritrovò a terra dolorante. Sentì la bocca piena di sangue e una fitta al petto mentre la pistola scivolava lontano da lui.

Ah Rick ti aveva avvisato, presto o tardi..”. Sentì ancora venendo colpito da un calcio alla stomaco. Sputò sangue cercando di alzarsi, mettendosi prima a gattoni, e poi, dondolando, tornare sulle proprie gambe. 

Sei stato più coriaceo di quanto pensassi”. Disse Stark osservando la lama del coltello che rifletteva il suo volto. 

Per questo mi divertirò di più uccidendoti”. Sogghignò facendolo finire a terra solamente dandogli una leggera spinta.

Non uscirai vivo da questo posto”. Lo minacciò accoltellandolo al fianco per poi fargli cadere sul viso le sue stesse gocce di sangue. Castle cacciò un urlo e si guardò attorno in cerca della sua pistola. Fece per allungare la mano per afferrarla ma Stark, con un semplice soffio, la fece scivolare sotto alcune casse.

Nulla ti può salvare Rick”. Rise infilzandolo ancora, tenendogli ferma la testa, premendo sul collo, godendo nel vederlo contorcersi.

Muori”. Gli sussurrò Stark all'orecchio per poi alzarsi sopra di lui, portando le mani sopra la propria testa, pronto a far scendere con forza il coltello verso il suo petto.

Castle”. Sentì quella voce come portata da uno spiffero di vento.

Lei non ti può salvare”. Ringhiò ancora l'assassino guardandosi attorno preoccupato.

Castle”. Sentì quella voce più forte, più vicina, più insistente. La lama luccicò come una saetta davanti a lui, pronta a conficcarsi nel suo cuore.

 

“No”. Urlò il detective mettendosi seduto sul letto, tremante e madido di sudore. Si osservò attorno spaesato, con occhi terrorizzati. 

“Castle”. Sentì ulteriormente la voce di Beckett che titubante gli posò una mano sulla spalla. L'uomo la guardò respirando affannosamente. 

“Un incubo, era solo un incubo”. Sussurrò deglutendo a fatica, andandola ad abbracciare per sentire il suo corpo, il suo calore, per sentirsi vivo. 

“è tutto finito”. Lo rassicurò lei cullandolo, massaggiandogli la schiena e posandogli le labbra sulla testa, dandogli dei leggeri baci. Castle si aggrappò a lei quasi fosse l'unico appiglio che lo salvava dal baratro in cui stava cadendo. La strinse forte alle spalle, quasi conficcandole le dita nella pelle, non voleva lasciarla scappare. 

“Ero di nuovo là”. Esordì sentendosi gli occhi bruciare. “Ero di nuovo in quel magazzino insieme a Stark”. Spiegò meglio ma senza staccarsi da lei. “Mi stava per uccidere ma tu mi hai riportato indietro”. Disse ansimando mentre la donna gli sussurrava parole dolci nell'orecchio per calmarlo.

 “Tu mi hai riportato indietro”. Constatò rendendosi conto anche lui di quella realtà. Sbattè le palpebre ripensando a quanto aveva appena detto. L'aver incontrato Beckett l'aveva cambiato, gli aveva fatto tornare la voglia di vivere. Tornò a fissarla, annegando nei suoi occhi, con la certezza di aver bisogno di lei sempre e comunque, in ogni occasione, per trovare la forza di cui aveva bisogno. I baci dell'uomo erano leggeri come la pioggia ma decisi, chiudendo gli occhi gli parve di essere in un altro mondo, in un paradiso dove tutto era perfetto, dove non vi era quel passato che lo tormentava. Posò una mano dietro al collo di Beckett, sorreggendole la testa mentre la guidava giù contro il materasso. Si stancò in fretta delle sue labbra e perciò cominciò a seguire quella linea immaginaria che dal collo lo guidò fino al suo seno. La maglietta che però lei indossava era diventata d'intralcio per questo motivo fece scorrere una mano sulla sua gamba, arrivando al fianco, e li prese un lembo della t-shirt sollevandola verso il volto di lei. Mentre questa saliva, Castle con la bocca scendeva fino ad arrivare al suo grembo. Fece scorrere il dito indice e il medio sul suo fianco facendola ridere a causa del solletico, sorridendo a sua volta quando lei cercò di fermarlo agitandosi tutta. Le dita seguirono la loro strada arrivando cosi al seno di lei mentre Castle cominciò a lasciarle piccoli baci sul ventre piatto, disegnando il contorno del suo ombelico con la lingua per poi sollevarsi sulle braccia e guardarla. Aveva tanti pensieri in testa, tante cose che voleva dirle, che voleva rivelarle ma in quel momento sembrava non riuscire a esprimere alcun concetto logico. Beckett lo guardò attenendo un suo gesto e quando lo vide esitare prese in mano lei le redini della situazione. Inarcò la schiena e si tolse la maglietta, lasciandola cadere a fianco del letto. Lo afferrò per la collanina, che dondolante gli penzolava dal collo, e lo trascinò giù contro di se, prendendogli una mano e rimettendogliela li dov'era prima, sopra il suo seno.

 

“Mi vuoi far diventare vecchia?”. Mormorò lei nel suo orecchio prima di prendergli il lobo fra i denti. 

“Sto pensando a cosa fare adesso”. Affermò divertito, gemendo quando lei tracciò con l'unghia la sua colonna vertebrale, arrivando fino ai boxer. 

“La mia pazienza ha un limite”.Lo avvisò lei tormentandogli il collo, alternando il mordere e il succhiargli la carne. Beckett sentì tutto il corpo di lui vibrare mentre rideva. 

“Dovrò metterti alla prova allora”. Constatò lui guardandola con sfida e poi accennando un sorriso sornione. “Ma non oggi”. Aggiunse affondando la testa tra i suoi seni, soffermandosi su di questi diversi minuti, sfiorandoli, accarezzandoli, venerandoli, soddisfacendo il proprio desiderio con essi. 

“Rick, ora basta”. Ansimò lei, cercando di spostarlo aggrappandosi ai suoi capelli mentre con la mano libera cercava di spogliarlo dell'intimo. 

“Non fin quando non sarò sazio”. Ribattè Castle dandole un fugace bacio prima di sostituire la bocca con due dita che Beckett prese fra le labbra e iniziò a vezzeggiare con la punta della lingua. Il detective chiuse gli occhi, sentendo il proprio corpo irrigidirsi, gemendo mentre immaginava le sue labbra, la sua lingua, baciarlo più intimamente. 

“Strega”. Gemette levando le dita e andando a baciarla con fervore, possessivamente, fino a sentirsi le labbra bruciare. Fece scivolare le due dita sotto la sua biancheria sfiorandola ma non toccandola. 

“Ti odio”. Disse lei irrequieta, piegando il collo e inarcando la schiena quando sentì il suo dito medio esplorarla.

 “Tutto sommato potrei saggiare la tua pazienza anche adesso”. Dichiarò divertito Castle rimuovendo quel dito cosi da sfilarle l'intimo mentre l'altra mano era salda sul materasso, in modo da sorreggere il peso del suo corpo mentre la fissava, mentre studiava il suo volto e ogni smorfia di piacere che si palesava su di esso. Tornò ad accarezzarla, a toccarla, vivendo solo per quegli attimi in cui alle proprie orecchie giungevano i suoi sospiri e la camera si riempiva del suo odore. 

“Ci sono tante cose che voglio che tu sappia di me”. Le disse sentendo il respiro di Beckett caldo sul proprio volto. “Voglio che tu sappia cosa mi ha portato ad essere cosi, voglio che tu conosca tutte quelle cicatrici che mi lacerano le membra anche se non le vedi, desidero che tu sappia quello che ho fatto anche se non ne vado fiero. Desidero, ho bisogno, che tu mi accetti nonostante tutto”. Affermò disperato Castle, poggiando la fronte contro quella della donna, tenendola più vicina a se stringendola per un fianco. 

“Qualunque cosa ti affligga sarò qui, pronta, ad aiutarti a superarla”. Promise lei con decisione, bramando con tutta se stessa di riuscire a far sparire dai suoi occhi quella tristezza che ora poteva leggervi dentro. 

“Sarò sempre al tuo fianco.”. Affermò convinta Beckett prendendogli il viso in entrambe le mani. “Sempre”. Ribadì baciandolo con dolcezza mentre Castle si posizionava tra le sue gambe. Il detective posò una mano sull'esile collo della donna, curvando la schiena, premendo il proprio bacino contro quello di lei con fermezza. 

“Chi è quello impaziente adesso?”. Ridacchiò Beckett abbassandogli i boxer, venendo poi aiutata dallo stesso Castle, che li gettò dietro di lui incurante della loro sorte. Prese possesso del suo corpo lentamente, ogni suo movimento calcolato per darle piacere, ogni carezza per farla gemere, ogni tocco per farla tremare sotto di se. Si teneva sollevato sopra la donna affondando i pugni nel materasso, intrappolato dalle gambe di Beckett, avvinghiate con forza attorno ai suoi fianchi, lasciandosi guidare da quelle emozioni che solo la detective riusciva a far scaturire in lui. Quando sentì le sue dita affondargli nei glutei per spingerlo ancora più contro di lei, gemendo mentre sussurrava il suo nome, che alle orecchie gli giunse più come una preghiera, una supplica, accelerò le sue spinte finchè non raggiunsero il culmine. 

 

La sveglia sul comodino di Beckett segnava le 5.14 quando Castle la studiò dopo aver aperto gli occhi. Con attenzione si districò dall'abbraccio della donna e scese al piano inferiore, diretto in cucina. Aprì il frigo e dopo essersi assicurato che la fidanzata non l'avesse seguito afferrò il cartone del succo di frutta e bevve direttamente da quello, per poi riporlo nel suo apposito ripiano. Fece per tornare a letto e cercare di riaddormentarsi quando i suoi occhi si posarono sull'ampia finestra che vi era in sala. Si avvicinò ad essa sedendosi sul davanzale abbastanza grande da consentirgli di stare comodo, appoggiando la schiena al muro e posandoci sopra una gamba, mentre l'altra rimaneva penzolante giù da questo. Piegò la gamba cosi da appoggiare il braccio sul proprio ginocchio e osservò fuori dai vetri la città già sveglia, alcuni edifici già illuminati e in lontananza l'Hudson che sembrava cosi calmo quasi a voler rappresentare la quiete che ora provava l'uomo. Inclinò leggermente il capo e rimase li in silenzio per diversi minuti. 

“Ehi eroe”. Sentì la voce appisolata di Beckett che lo guardava dalle scale, standosene anche lei con la spalla appoggiata al muro. Castle sorrise vedendola con quella maglietta degli Yankess che le arrivava quasi fin le ginocchia e i capelli tutti spettinati.

 “Vieni qui”. La invitò a sedersi con lui, allungando una mano come ulteriore gesto di convincimento. Abbassò la gamba portandola contro la finestra cosi da lasciare lo spazio a Beckett che si accomodò in mezzo a lui, con la schiena appoggiata al suo petto, e il suo braccio che le abbracciava il ventre. 

“I miei capi si chiamano Jonhson e Miller”. Enunciò ad un tratto cogliendola di sorpresa. 

“Non devi parlarmene se non vuoi”. Gli disse lei schiacciandosi ancora di più contro lui, sempre osservando fuori dalla finestra i primi raggi del sole che facevano capolino all'orizzonte. 

“Lo so, ma voglio. So che manterrai il segreto”. La rassicurò Castle prendendosi una piccola pausa. “Sono un po' come dottor Jekyll e Mr Hyde”. Sogghignò pensando ai due. “Jonhson è molto calmo, disponibile, mentre Miller è all'antica. L'unico modo per risolvere i problemi per lui è con la pistola”. 

“L'avevo intuito”. Ironizzò Beckett ricordando che lo stesso Miller voleva eliminarla perchè aveva tentato di sapere la verità sul fidanzato. 

“In una delle mie prime missioni con il CIRG, qualche mese dopo che fui reclutato nella squadra, dovevamo recuperare un diplomatico tedesco che era stato rapito”. Cominciò a raccontare disegnandole con le dita dei piccoli cerchi sulla pancia. “La presi come un gioco, sicuro di me quanto mi sentivo. Mi avevano detto che ero un agente di alto livello, che avevano grandi aspettative su di me e ovviamente io mi esaltai, considerandomi alla stregua di superman”. Beckett non rise a quella sua battuta, intuendo che aveva molto altro da dire su quella vicenda, rimase ferma li ad ascoltare, posando la propria mano su quella di lui.

 “Facemmo irruzione nell'edificio di notte. Ricordo che pioveva e i tuoni erano cosi potenti che potevo sentirli rimbombare nel mio petto. Percorremmo un lungo corridoio e ci dividemmo in due squadre in cerca del diplomatico. Scream, Big Daddy ed io ci trovammo davanti a una porta scorrevole e decidemmo di entrare. Quando i miei due compagni si nascosero dietro uno scaffale vidi che dalla direzione opposta stava arrivando un membro della banda di rapitori”. Ancora si fermò sentendosi la gola secca. Appoggiò il mento contro la spalla di Beckett e chiuse gli occhi. “Li avrebbe visti di certo se non avessi fatto qualcosa e allora impugnai il fucile che avevo in dotazione, presi la mira e premetti il grilletto. Il volto coperto da un passamontagna dell'uomo, che fino ad un attimo prima era nel mio mirino, scomparve d'improvviso e al suo posto vidi una chiazza rossa sul muro che vi era dietro”.

 “Rick”. Lo chiamò lei dopo diversi minuti che non lo sentiva più parlare. Gli posò una mano sul volto costringendolo a guardarla, notando solo ora i suoi occhi lucidi e quelle lacrime che con grande sforzo lui tratteneva. 

“Avevo già ucciso prima”. Constatò lui passandosi la mano sul volto.

 “Ma?”. Domandò Beckett vedendolo esitare, con una mano che gli copriva la bocca mentre si mordeva lievemente il dito indice. 

“Andai vicino al corpo e gli tolsi il passamontagna. Era poco più che un ragazzo. Alla fine dell'operazione scoprii che si chiamava Stephan, avrebbe compiuto 20 anni due mesi dopo”. Si bagnò le labbra e tornò a fissare fuori dalla finestra l'alba che stava sorgendo, il contorno del sole farsi sempre più visibile.

 “Nel nostro lavoro alle volte non abbiamo scelta Rick. Agiamo prima che lo faccia il nostro avversario, non preoccupandoci delle conseguenze. Se lo facessimo non saremmo qui noi, non sarebbe qui la gente che abbiamo salvato agendo in tal modo”. Cercò di farlo stare meglio Beckett, voltandosi verso di lui, rimanendo sul davanzale, seduta sui propri polpacci.

 “Quando facemmo rapporto Miller mi chiamò nel suo ufficio per sapere il motivo del mio turbamento. Quando glielo spiegai lui si mise a ridere dicendo che solo i deboli mostrano cosi le proprie emozioni. Se volevo diventare il migliore dovevo lasciar a casa quei sentimentalismi, creare quella corazza attorno al cuore e fare il mio lavoro. Era per quello che ero li, per uccidere chi si contrapponeva tra me e il mio obiettivo.”. Ribattè lui provando ora solo odio per il proprio capo, per quello che era diventato a causa della sua superbia, per il suo desiderio di essere il migliore. 

“Volevo essere qualcuno. Volevo che tutti si ricordassero di me e per questo divenni cinico, freddo, spietato. Ho ucciso 54 uomini con la semplicità con cui chiudo le palpebre. Prendevo la mira, trattenevo il respiro e sparavo.”. Digrignò i denti odiandosi, volendo che Beckett odiasse quel lato di lui, cosi da poter cambiare per lei, cosi da aver la forza di essere una persona comune. 

“Divenni un cecchino e non sbagliai mai un colpo”. Aggiunse facendosi serio in un solo istante, toccando il centro della fronte della donna con l'indice. “E cosi divenni il migliore”. Scostò lo sguardo nascondendo la testa fra le ginocchia lasciando Beckett con i suoi pensieri. 

“Quello non eri tu”. Aprì cautamente la bocca lei accarezzandogli le gambe, aspettando che tornasse a guardarla. “Eri solo chi fingevi di essere per poter svolgere al meglio il tuo lavoro. Dovevi proteggerti se volevi sopravvivere a quello che vedevi, a quello che facevi ogni giorno, e il modo migliore era non pensarci, non provare nulla”. Riflettè lei ad alta voce ma non sortendo alcun effetto tanto che l'uomo si richiuse ancora di più a riccio.

 “Non sei ne cinico, ne freddo, ne spietato”. Ribadì lei usando i suoi stessi aggettivi. “Se lo fossi ora saresti a Los Angeles, a capo della tua squadra, magari in missione a far salire quel numero di morti. Avresti abbandonato la tua famiglia, avresti lasciato il distretto senza nemmeno guardarti indietro. Eppure ora sei qui, nonostante tutti i tuoi sogni sei rimasto”. Gli accarezzò la testa con fare materno, scorrendo le dita tra i suoi capelli, fino ad arrivare al collo. 

“Perchè l'hai fatto?”. Domandò senza ottenere risposta. Fece scorrere allora anche l''altra mano lungo il suo braccio cosi da portarla vicino all'altra, afferrandogli la testa, alzandogliela.

“Perchè l'hai fatto?”. Ripetè obbligandolo a rispondere.

 “Perchè volevo essere un uomo migliore, avervi vicino mi ha fatto capire che non volevo più essere la persona di Los Angeles”. Ammise posandole una mano sulla guancia, muovendo avanti e indietro il pollice con estrema lentezza. “Volevo che tu avessi al tuo fianco un brav'uomo e non un assassino. Voglio cambiare per te, diventare tutto ciò di cui bisogno. Desidero solo esser degno di te”. Confessò infine guardandola con disperazione, cercando nel suo sguardo, nei suoi gesti quell'approvazione che sentiva necessaria per andare avanti. 

“Non voglio che cambi”. Gli rispose schietta e decisa lei portando una mano nello spazio tra le gambe di Castle cosi da avvicinarsi. “Per me sei perfetto cosi come sei”. Detto questo si mise a gattoni sopra di lui, baciandolo con tutta se stessa, donandosi a lui con quel semplice contatto. Voleva ad ogni costo che lui credesse alle sue parole e avrebbe passato ogni giorno della sua vita a dimostrargli che quello che aveva appena detto corrispondeva alla verità.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Un passo indietro ***


 

12th DISTRETTO

 Castle sbadigliò bevendo il suo secondo caffè della giornata anche se tutta quella caffeina non gli serviva a granchè in quel momento.

 “Non hai più il fisico per stare sveglio fino a tardi”. Scherzò Esposito dandogli una pacca sulla schiena, facendogli sputare davanti a se tutto quel liquido nero.

 "Colpa di Beckett che mi ha fatto dormire poco”. Affermò serio pulendosi la bocca con dei fazzolettini, guardando a terra sbuffando.

 “Non avete meglio da fare?”. Proferì la detective guardando prima il collega e poi il fidanzato che alzò le braccia in sua difesa.

 “Ho detto solo la verità”. Rispose innocentemente ricevendo la solita tirata d'orecchi. 

“Abbiamo altri due candidati”. Enunciò Ryan alzandosi dalla scrivania e raggiungendo il trio. “Il dottor Roth, del Queens, e il dottor Corvin, di Manahtthan”. Continuò l'irlandese che ancora si era impegnato a trovare quel particolare che collegava le due vittime. 

“OK noi prendiamo Corvin, voi l'altro.”. Disse Castle appuntandosi l'indirizzo per poi dirigersi verso l'ascensore con la collega. 

“Non sei ancora scappata”. Constatò lui appoggiandosi alla parete, studiandola con il capo inclinato, vedendola spazientirsi.

 “Sembra quasi che tu mi abbia detto quelle cose non tanto per rendermi partecipe ma per mettermi alla prova”. Osservò lei incrociando le braccia al petto facendolo ridere.

 “Lo faccio per esser sicuro che tu non abbia ripensamenti e nel caso usare le manette per legarti al letto e non farti più muovere da li”. Affermò lui con sguardo sensuale, trovando alquanto allettante quell'idea.

 “Quello che ho detto questa notte e questa mattina lo pensavo davvero”. Disse seria Becket dato che il tempo di scherzare era finito, non voleva giocare attorno ai loro sentimenti.

 “Lo so, vale anche per me. Solo che faccio fatica a crederci”. Ridacchiò lui uscendo dall'ascensore quando le porte di questo si aprirono.

 “A credere a cosa? Di avermi confessato un altra verità del tuo passato”. Chiese conferma lei facendo una rapida corsetta per mettersi al suo fianco.

 “Faccio fatica a credere che una persona come te mi ami”. Confessò Castle aggirando la macchina e aprendo lo sportello del passeggero, non salendo però sul veicolo, volendo aspettare una sua reazione.

 “E chi ti dice che ti amo?”. Domandò lei corrugando la fronte, facendosi il più indifferente possibile. 

“Nessuno. È solo una mia speranza”. Confessò lui salendo in macchina, lasciandola li a fissare il punto dove era in piedi fino a pochi secondi prima. Viveva un continuo contrasto quando si trattava di confessare i propri sentimenti a Castle. Sapeva di provare un forte sentimento per lui, amore certamente, ma confessarglielo avrebbe voluto dire soffrire di più se poi lui se ne fosse andato. Una sua possibile partenza era una paura con cui viveva giornalmente. E poi nemmeno lui si era ancora dichiarato.

 “IL dottor Corvin ci sta aspettando”. La distolse dai suoi pensieri l'uomo, suonando il clacson e attirando l'attenzione dei presenti.

 “Quanto sei stupido”. Proferì Beckett allacciandosi la cintura e partendo verso l'indirizzo indicatole dal collega.

 

 STUDIO H. CORVIN

 “Grazie per il tempo che ci concede nonostante via telefono ci abbia detto dei suoi pressanti impegni ”. Disse Beckett stringendo la mano all'uomo e andandosi a sedere sulla sedia mentre Castle preferì rimanere in piedi e osservarsi attorno. Quel posto gli ricordava lo studio del Dottor Whale e non si sentiva a suo agio a vedere tutti quei diplomi appesi alla parete, e quei libri ancora foderati nella loro pellicola ammassati su una libreria.

 “In effetti in questi giorni sono un po' preso, son tornato solo oggi da un corso di aggiornamento di tre giorni svoltosi a Boston e quindi devo recuperare”. Parlò l'uomo mostrandosi comunque disponibile nonostante avesse appena fatto capire che il suo tempo era limitato.

 “Sappiamo che Abbey è stato un suo paziente”. Constatò Beckett guardando con la coda dell'occhio Castle che stava osservando curioso la rappresentazione di un cervello umano.

 “Si lo è stato per un breve periodo”. Spiegò alzandosi per prendere la cartella dell'uomo riposta dentro uno schedario. Beckett si voltò verso il collega che appena toccò il cervello fece staccare uno dei due emisferi che cadde a terra colpendogli il piede. La donna si colpì la fronte con la mano scrollando il capo mentre lui si mordeva la mano per non far scappare quel lamento di dolore. Vedendo il dottore che stava richiudendo il cassetto raccolse il pezzo di plastica caduto a terra e lo nascose dietro la schiena.

 “Tutto a posto? È diventato paonazzo”. Affermò guardando Castle, indicandosi il proprio volto quando commentò sul colorito acquisito dall'uomo.

 “Caldane”. Rispose celere lui, cercando di sistemare l'emisfero lavorando con le mani nascoste dietro la schiena.

 “Randy Abbey è stato un mio paziente per 5 mesi. Soffriva di una fobia molto rara ma alquanto pericolosa”. Lesse sul fascicolo, non potendo ricordare esattamente ogni malattia di cui soffrivano i suoi pazienti. 

“Si ne siamo a conoscenza. Quello che vogliamo sapere e se, dopo aver smesso di venir da lei, ha avuto più notizie di Abbey. Se per caso sapeva se frequentasse un gruppo di sostegno particolare”. Domandò la detective vedendo che ora Castle si era spostato accanto a un acquario e stava dando dei piccoli colpetti al vetro, ridendo come un bambino osservando i pesci scappare.

 “Un mio collega, il dottor Lamont, che l'ebbe in cura poco dopo di me mi disse di averlo visto recarsi al centro “Martins”, sulla 15th. È un posto alla buona , dove gli specializzandi fanno un po' di gavetta facendosi pagare il minimo sindacale”. Spiegò vedendo Beckett appuntare quelle informazioni sul proprio taccuino. Di certo era il prossimo luogo dove sarebbero andati a controllare.

 “Sono specie facenti parti della famiglia “Zebrasoma Flavescen” e della famiglia “Macropodus Opercularis””. Asserì orgoglioso il dottore mettendosi accanto a Castle, indicando di quale pesce stava parlando. “Mi faccio mandare il cibo adatto a loro direttamente dalla Florida”. Spiegò prendendo quel cilindro e mostrandoglielo. “é il più pregiato però ti lascia un odore fastidiosissimo sulle mani”. Continuò a narrare mettendosi un guanto per poi prendere tra l'indice e il medio un po' di mangime per lasciarlo cadere nell'acqua. 

“Ha mia sentito parlare di un certo Caleb?”.Chiese Castle non essendo interessato minimamente all'alimentazione dei pesci.

 “Caleb, Caleb”. Si fece pensieroso l'uomo, cavandosi il guanto e massaggiandosi il mento. “Non so se sia lui ma al centro “Martins” c'è una promessa della psicologia che si chiama Caleb Dorian, forse è lui. Si occupava di un piccolo gruppo di 3,4 persone”. Ipotizzò facendo spallucce salutando poi i due detective dovendo occuparsi dei propri pazienti.

 
“Stai bene?”. Domandò Beckett al collega una volta saliti in macchina, vedendolo pallido in volto. 

“Si, solo che mi sembrava di esser tornato ai primi incontri con il dottor Whale”. Confessò guardandosi nello specchietto, facendo strane facce prima di darsi qualche schiaffo per riprendere colore.

 “Quanto sei stato in terapia dopo l'incidente?”. Chiese curiosa la donna facendo spola con le iridi da lui alla strada e vice versa. 

“Per le due settimane che passai in ospedale dopo essermi svegliato dal coma lo strizzacervelli mi fece visita ogni giorno, la mattina e la sera. Quando tornai a casa invece l'incontro era solo la sera”. Spalancò gli occhi facendo capire il fastidio e la noia che quegli incontri forzati gli procuravano.

 “Dopo circa un mese chiesi di tornare a lavoro ma il dottor Whale disse che non potevo dato il mio stato mentale, peggiorato anche dal fatto che Abby mi aveva lasciato e cosi giungemmo a un accordo”. Raccontò sistemandosi una ciocca di capelli prima di continuare. “Avrei finito il periodo obbligatorio di riposo a New York accanto alla mia famiglia, continuando le mie sedute e in cambio potevo tornare a lavorare in un distretto più tranquillo, e scelsi il tuo. Il resto lo sai”.

 “Sai ti vorrei chiedere di questa Abby ma non so quanto mi convenga”. Rivelò Beckett accennando un timido sorriso mentre stringeva le mani al volante. Castle notando la sua reazione sorrise, le piaceva quando era cosi gelosa ma non voleva palesarlo.

 “Era una mia collega che durante le mie assenze se la spassava con un certo Julio o Julian, una cosa simile. Quando mi lasciò corse subito tra le sue braccia”. La informò disinteressato, non avendo più motivo di pensare alla sua ex.

 “Bhè peggio per lei, non sa che si è persa”. Ridacchiò la detective. “Morte sua vita mia no?”.

  

CENTRO “MARTINS”

 Castle camminava come un soldatino di piombo attraverso quei corridoi bianchi, gli ricordavano cosi tanto un ospedale che gli facevano venire i brividi, più di una volta incontrando alcuni dottori attraverso quei luoghi gli sembrò di intravedere in essi qualcosa del dottor Whale.

 “Stanza 52”. Affermò Beckett fermandosi davanti a quella porta. “La ragazza ci ha detto che è qui che Dorian tieni i suoi gruppi”. Constatò bussando alla porta ma non ricevendo alcuna risposta. Tentò ancora una volta ma nulla cosi decise di aprirla da sola. Castle le fece da palo mentre lei provò a scassinarla, dando delle spallate decise e girando la maniglia.

 “Aperta”. Disse aprendola cosi da poter entrare, seguita dal collega. La stanza era illuminata da delle ampie finestre poste su di una parete, rendendo cosi più facili le ricerche ai due. Sui muri vi erano alcuni poster con slogan d'incoraggiamento, su di una parete una lavagna dove ancora si poteva leggere qualche scritta sfumata.

 “Tutti libri sulla mente umana, Freud, Pavlov”. Castle faceva scorrere il dito sui volumi posti su un piccolo ripiano, molti dei quali erano impolverati, segno che non erano molto usati all'interno di quel gruppo. Beckett intanto stava frugando nei cassetti della scrivania in cerca di fascicoli o altri documenti che potevano tornare loro utili ma li trovò tutti vuoti se non per qualche foglio bianco.

 “Possibile che non abbia tenuto nemmeno un appunto su ciò che faceva”. Sbuffò chiudendo l'ennesimo cassetto. Castle le si avvicinò posandole una mano sulla spalla.

 “Proviamo a chiedere a qualche dottore presente nella struttura. Forse sapranno dirci qualcosa”. Suggerì facendo cadere gli occhi sulla lavagna.

 “O..dofo..a”. Cercò di capire il significato di quelle lettere che riusciva a leggere a tratti, alcune erano calcate più di altre, quasi fossero state lasciate li apposta. Beckett sentendolo balbettare in quel modo si voltò anche lei a guardare.

 “Che stai facendo?”. Domandò alzandosi e mettendosi vicino inclinò il capo per osservare quelle lettere dispose una accanto all'altra nelle più disparate angolazioni.

 “Stavo cercando di capire cosa ci fosse scritto qui”. Ammise sottolineando quella parola che stava analizzando con il dito, togliendo quello strato di polvere bianca che si trasferì sul suo dito.

 “Sono cinque le scritte”. Notò la detective andandole a contare una per una e indicandole. Girandosi ancora verso la scrivania aprì di nuovo un cassetto e ne estrasse un foglio.

 “Dammi una penna”. Ordinò a Castle allungando già la mano aspettando che lui vi posasse sopra quanto richiesto.

 “Allora è un po' come il gioco dell'impiccato”. Ironizzò scrivendo le prime lettere.

 “Abbiamo O, due spazi, dofo, altri due spazi e a”. Cominciò a scrivere alzando di tanto in tanto gli occhi per esser certa di compilare giusto.

 “Qui invece c'è abbiamo”. Enunciò tracciando quei segni quasi invisibili con il dito per capire di cosa si trattasse. “..r..cn..ia”. Disse rivolgendosi alla donna. “Ho sempre odiato questo gioco”. Commentò poi cercando una nuova parola mentre Beckett parlava a bassa voce cercando di trovare le lettere mancanti. 

“Castle quanto siamo stupidi”. Proferì ad un tratto tracciando dei segni decisi con la penna. “é un gruppo per combattere le proprie paure no?!. La parte finale di ogni parola è fobia. Deve aver scritto sulla lavagna quelle di cui soffrivano i suoi pazienti”. A quella rivelazione il detective estrasse il suo cellulare e iniziò a cercare.

 “Allora Abbey soffriva di Eisoptrofobia”. Ricordò cercando con le iridi quale parola corrispondesse a quella. “Trovata”. Esclamò Beckett puntando il dito su una delle sfumature.

 “Ok poi Hannan e il serpente. La paura si chiama..”. Prese qualche secondo di pausa attendendo che la pagina si internet si caricasse e poi parlò.

 “Ofidofobia”. 

“La prima parola che avevi letto corrisponde a quella. Ora ne mancano tre”. Constatò la detective sempre scrivendo sul foglio bianco quanto appena scoperto.

 “Ok abbiamo ..r..cn..ia e poi le altre due. Andiamo Castle dobbiamo scoprirlo”. Lo spronò voltandosi verso la lavagna, masticando la penna.

 “Vedo solo un “qui” in questa parola e l'altra ormai è illeggibile”. Scrollò il capo non riuscendo più a vedere nulla di utile.

 “Dobbiamo andare a casa di questo Caleb e chiedere direttamente a lui. Qua perdiamo solo tempo”. Commentò Castle vedendo la collega annuire. Prese quel foglio sula quale aveva appena finito di scrivere e uscirono dalla stanza. Beckett prese il cellulare e chiamò i colleghi.

 “Esposito”. 

“Sono Beckett. Al centro Martins non abbiamo trovato Caleb e ora andiamo a casa sua. Voi scoperto qualcosa di interessante?”. Disse procedendo verso l'uscita mentre Castle si fermò alla reception per farsi dare l'indirizzo lasciato da Dorian. 

“Abbiamo sentito anche gli altri psicanalisti dove è stato in cura Abbey ma nulla di utile. Inoltre la scientifica ci ha informato che il test sulla sostanza trovata sulle corde usate per legare Hannan è risultato inconcludente o meglio da quanto mi hanno detto loro è uscito un risultato strano e ora rifaranno tutti i test”. Informò la collega mentre faceva cenno a Ryan di prendere la lista dei dottori che doveva ancora chiamare e pensarci lui.

 “Perchè che hanno detto i risultati?”. Domandò curiosa la donna. 

“Non saprei, quando gliel'ho chiesto si son messi a ridere dicendomi che mi avrebbero fatto sapere una volta che le analisi fossero risultate giuste”.

 “Chiamali lo stesso e fatti dire che cosa avevano scoperto anche se trovano la cosa cosi divertente”. Ordinò interrompendo la chiamata vedendo Castle raggiungerla alla macchina.

 “Hai l'indirizzo?”. Chiese accendendo il veicolo per poi uscire dal parcheggio.

 “Dubitavi di me”. Corrugo la fronte andando a leggerlo. “Se ne torna a Brooklyn”. Affermò cominciando a dare le indicazione alla collega. 

 

CASA DORIAN

 I due scesero dalla macchina e si avvicinarono alla piccola casa a tre piani. Salirono i pochi gradini e bussarono in attesa di una risposta.

 “Irrintracciabile come ogni dottore”. Bofonchiò Beckett battendo due colpi secchi alla porta. “Polizia di New York apra per favore”. Urlò cosi da farsi sentire ma dall'interno della casa non si sentì il benchè minimo rumore.

 “Pare non ci sia nessuno”. Notò Castle ci si stava affacciando oltre lo scorrimano cosi da poter vedere attraverso la finestra. Beckett indietreggiò di qualche passo cosi da vedere anche le finestre dei piani superiori quando la porta del palazzo attaccato si aprì e usci una signora di una certa età.

 “Siete quelli della disinfestazione?”. Chiese sistemandosi gli occhiali e socchiudendo gli occhi per studiare meglio i due. 

“é settimane che vi aspetto”. Continuò senza dare modo ai due di correggerla. “Dal condotto dell'aria continuano a entrarmi insetti senza parlare della puzza”. Si agirò la donna prendendosela con i due mostrando loro il pugno. 

“Che tipo di puzza?”. Domandò curiosa Beckett avendo un brutto sospetto a riguardo.

 “Di marcio”. Dichiarò decisa la donna. “I giovani d'oggi non hanno il concetto di pulizia”. Enunciò andando poi ad elencare ogni possibile difetto della nuova generazione. Castle e Beckett però non la stavano più ad ascoltare. 

“Sta dietro di me”. Disse Castle alla collega prima di tirare un calcio alla porta e sfondarla. Una polvere marroncina uscì dalla casa seguita da un odore nauseante. I due detective guardarono all'interno, da quel poco che riuscivano a vedere i mobili e i muri erano quasi ingialliti. Su un tavolinetto vi erano dei fiori seccati da tempo e l'acqua contenuta nel vaso di vetro ormai era divenuta verde.

 “Qua mi prenderò la lebbra”. Commentò Castle alzandosi il colletto della camicia portandoselo davanti alla bocca. Beckett fece scattare l'interruttore ma nulla accadde. 

“Sembra abbandonata da tempo”. Parlò tentando ancora con la luce per poi seguire il collega, superando giornali sparsi sul pavimento, sedie a terra, pezzi di cocci, scarafaggi, muovendo le mani per allontanare le mosche che gli ronzavano attorno. 

 “Non voglio sapere cosa ci fosse stato li dentro”. Disse Castle indicando decine e decine di teche di vetro di varie dimensioni che erano disposte su uno scaffale costruito appositamente. Aprirono una porta e videro la cucina abbandonata cosi proseguirono per l'altra direzione, fermandosi all'ingresso del corridoio.

 “Ora so che c'era li dentro”. Ironizzò vedendo agli angoli dei muri e delle finestre decine di ragnatele con altrettanti ragni.

 “La puzza si fa sempre più forte dobbiamo proseguire”. Disse Beckett superandolo cosi da raggiungere la fine del corridoio e aprire le tre porte che intravedeva quando Castle la fermò.

 “Dove pensi di andare?!. Hai visto quanto sono grossi e pelosi quei cosi”. Li indicò trascinandola indietro per un braccio.

 “Sono solo ragni”. Gli fece notare lei impaziente.

 “Ragni enormi. Chiamiamo la disinfestazione e aspettiamo fuori. Qualunque cosa ci si qua dentro di certo non scappa”. Beckett alzò gli occhi al cielo e si sfregò la faccia con le mani.

 “Mi farai solo perdere tempo lo sai questo?”. Domandò retorica uscendo dalla casa e bussando alla porta della vicina impicciona incontrata prima.

 “Che volete?”. Disse questa affacciandosi dalla finestra. 

“Non è che avrebbe ancora il numero dei disinfestatori?”. Chiese Beckett ricevendo un occhiataccia dalla donna che però le porse il numero.

 “Forse a sentire una voce giovane come la sua si daranno una mossa”. Disse in tono acido chiudendo la finestra con un colpo secco.

 

  “Aracnofobia”. Enunciò ad un tratto Beckett, che se ne stava seduta sui gradini della casa, guardando quel foglietto che aveva in mano. 

“Cosa?”. Chiese Castle non avendo sentito bene quanto detto dalla donna distratto a vedere una ragazza alta e bionda che passandogli accanto gli fece l'occhiolino. Beckett seguì il suo sguardo e quando quella girò l'angolo diede un pizzicotto all'uomo all'altezza del ginocchio. 

“La prossima volta uso la pistola”. Gli disse in tono minaccioso, tirando per la giacca, costringendolo a sedersi accanto a lei.

 “Le fobie che abbiamo trovato scritte al centro “Martins”. Una delle parole è aracnofobia. E se è come negli altri due casi la vittima soffriva di questa paura”. Parlò convinta la donna voltandosi per vedere all'interno della casa gli uomini della disinfestazione fare il loro lavoro.

 “Chi ti dice che li dentro c'è un cadavere?”. Domandò Castle ricevendo una delle famose occhiatacce della donna. 

“Ormai dovresti riconoscere l'odore della putrefazione”. Dichiarò Beckett. 

“Quanto sei romantica quando parli cosi”. Scherzò lui avvicinandosi a lei per baciarla ma venendo bloccato dalla stessa detective che li mise la mano sulla bocca.

 “Perchè non vai dalla bionda di prima. Sarà più che contenta di prendere il mio posto”. Parlò la detective in un modo troppo calmo secondo i gusti di Castle e quello lo portava a preoccuparsi. Beckett avrebbe potuto vendicarsi da un momento all'altro.

 D'un tratto si voltarono di scatto e si alzarono dai gradini quando sentirono un urlo provenire dall'interno dell'abitazione.

 “Avevi ragione tu”. Ammise Castle. “C'è un cadavere”. Sbuffò entrando nella prima stanza iniziando a tossire a causa del pesticida che inondava le quattro mura. 

“Ha aperto la porta e se lo è ritrovato davanti. Non entrate potrebbe essercene qualcuno di velenoso”. Spiegò uno dei due uomini della disinfestazione quando vide i due detective raggiungerli. Subito aprì una delle tasche della tuta ed estrasse un paio di mascherine che poi consegnò ai due, portando poi fuori il collega in stato di shock.

 

Castle diede una leggera spinta alla porta con il piede aprendola cosi da vedere colui che aveva spaventato il povero disinfestatore. La camera, come le altre stanze, era illuminata da una luce marroncina a causa delle tende luride e dei vetri sporchi. Diverse mosche fecero capolino fuori da quella mentre la puzza diventò davvero notevole. Al centro del letto, legato mani e piedi, vi era un cadavere in evidente stato di decomposizione. Sopra il suo corpo diversi ragni, alcuni grandi come i suoi occhi. 

“Guarda li”. Disse Castle allungando un braccio e indicando un proiettore sulla quale vi era un foglio attaccato sulla quale vi era scritto un semplice “per voi”. 

“Siamo sempre un passo indietro”. Sbuffò Beckett entrando nella stanza e guardandosi attorno, sempre sotto gli occhi vigili di Castle, in cerca di qualche indizio utile e fu mentre svolgeva quell'azione che a terra, vicino al letto notò una foto. Si abbassò a raccoglierla, scostando con la mano uno dei ragni, e la osservò attentamente.

 “Noti qualcuno di familiare?”. Chiese la detective porgendo l'immagine al collega.

 

----------------------------

 Chiedo scusa per il ritardo ma, a differenza di quanto pensavo, il wifi al mare non prendeva e cosi non sono riuscita a pubblicare quanto volevo. Cercherò di recuperare.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Caso chiuso ***


 

12th DISTRETTO

 La mattina dopo si trovarono di nuovi tutti al distretto, ad aggiungere sulla lavagna quella nuova vittima ancora senza nome. Lanie stava concludendo l'autopsia e ancora non li aveva chiamati per accennare loro dei primi risultati perciò, con il permesso di Montgmery, si chiusero dentro uno degli uffici cosi da visionare il video contenuto nel proiettore. Le tendine erano state chiuse cosi da non far visionare quelle immagini anche agli altri poliziotti, il capitano era stato chiaro su quel punto. In alcun modo la notizia del ritrovamento di quei video doveva trapelare alla stampa. Esposito spense la luce mentre Ryan fece partire il video. Si sedettero ognuno su di una sedia, solo l'irlandese se ne stava in piedi davanti al proiettore, con il pollice sopra il tasto stop, pronto a schiacciarlo in ogni momento.

 Appena il filmato iniziò si ritrovarono tutti dentro quella casa, già trasandata da quanto potevano notare. L'inquadratura si spostava tutta attorno al salotto e si soffermò proprio sullo scaffale dove vi erano ancora quelle teche al cui interno si potevano vedere più e più ragni.

 “Abbiate ancora un po' di pazienza”. Sentirono Caleb dire per poi vedere le sue dita scuotere con forza uno di quei contenitori e udirlo ridere come un bambino. Ancora si spostò, proseguendo verso il corridoio fino a giungere ad una delle porte, che Beckett e Castle riconobbero subito. Questa si aprì e mostrò l'uomo sdraiato sul letto, legato a questo, ma ancora vivo.

 “Shh”. Disse Caleb alla telecamera avvicinandosi lentamente alla vittima.

 “Ehi Eddy sveglia. Sveglia”. Una mano comparì appoggiandosi sulla spalla dell'uomo per destarlo. 

Ho una sorpresa per te”. Ridacchiò l'assassino e davanti l'inquadratura comparve un foglio rettangolare.

 “Eravamo un bel gruppetto, tutti mi siete stati vicini”. Affermò l'uomo voltando per un attimo quell'immagine verso di se e i quattro detective notarono che era la stessa fotografia che Beckett e Castle avevano trovato nella casa di Dorian.

 “Avete promesso di aiutarmi a superare la mia paura come meglio potevate e io quel modo l'ho trovato”. Rise ancora saltando sul letto vicino alla vittima che ancora non si muoveva.

 “Tu sarai il primo di tutti perchè sei quello che mi è stato più accanto, che ha cercato più degli altri di farmi guarire e io voglio ricambiare. Eddy su dimmi qualcosa”. Non vedendolo reagire Caleb scostò la telecamera e si avvicinò al volto dell'uomo per assicurarsi che respirasse. In quel momento questi aprì gli occhi d'improvviso e tirò una testata all'assassino. Caleb fece cadere la fotografia a terra e posò la telecamera sul comodino, grazie a quella nuova posizione si potevano vedere entrambi gli uomini. L'assassino si teneva una mano sul naso che perdeva sangue, mentre imprecava dal dolore. Tirò un pugno alla vittima e si alzò dal letto. 

Per questo affronto la tua morte sarà più dolorosa”. Sentirono la porta sbattere e per alcuni minuti non accadde nulla. Caleb però poi tornò avvicinandosi di volta in volta al letto, facendo cadere sulla vittima tutti i ragni che aveva nelle teche in salotto. La vittima cominciò ad agitarsi provocando in quel modo la reazione degli aracnidi che iniziarono a morderlo. Poco dopo il filmato finì.

 

“Fate controllare dalla scientifica le lenzuola. Potrebbero esserci ancora le tracce di sangue che Caleb ha lasciato quando la vittima gli ha quasi rotto il naso.”. Ordinò Beckett alzandosi e aprendo di nuovo le tendine cosi da far entrare più luce nella stanza.

 “Espo tu vai da Lanie e sentì a che punto è con l'autopsia, probabilmente non ci sarà nulla di nuovo ma tentiamo comunque e sentì la scientifica che ancora non ha fatto sapere nulla sul campione della corda, è una settimana che aspettiamo”. I due detective, impressionati dall'intraprendenza della donna, si misero subito all'opera. 

“E noi?”. Chiese Castle vedendo i due colleghi andare alle loro scrivanie.

 “E noi andiamo a parlare con Corvin e scopriamo perchè ci ha mentito”. Affermò Beckett passando la foto al fidanzato per poi prendere il cellulare e comporre il numero dello studio del dottore.

 “Non risponde nessuno”. Sbuffò infastidita. 

“Allora gli faremo una visita a domicilio”. Suggerì Castle ottenendo l'approvazione della collega.

  

“Perchè pensi che Corvin non ci abbia detto come stavano veramente le cose?”. Domandò il detective osservando quella foto dove poteva vedere 5 persone, una seduta accanto all'altra. Era stato facile riconoscere in essa Hannan, Abbey e lo stesso Corvin. Gli altri due era facile supporre fossero Eddy e Caleb.

 “Non saprei”. Proferì la donna mordendosi le unghie. “é stato lui che ci ha condotto al centro Martins però non ha mai ammesso di conoscere Caleb o le vittime il che è falso data la foto”

 “Magari aveva paura, vedendo che i suoi amici erano scomparsi avrà pensato di essere il prossimo. Forse lo stesso Caleb l'ha ricattato e per aiutarci ci ha suggerito del centro.2 Ipotizzò Castle andando ad appoggiare la fotografia sul cruscotto.

 “Se cosi fosse stato avrebbe richiesto il nostro aiuto più palesemente, e di certo non si sarebbe fatto trovare nel suo studio da solo dove Caleb poteva trovarlo cosi facilmente”. Spiegò Beckett notando con la coda dell'occhio che il collega aveva posato la testa contro il vetro.

 “Già i casi sono difficili, ci mancava solo quello che non collabora”. Asserì guardando distrattamente dentro le auto a cui passavano a fianco. 

“Questa volta però non può mentirci, abbiamo le prove e lo metteremo alle strette”. Disse risoluta la donna mettendo la freccia cosi da entrare nella strada dove abitava il dottore. 

 

CASA CORVIN

 Bussarono alla porta e dopo pochi secondi si ritrovarono davanti una giovane donna, rossa di capelli e con un sorriso molto amichevole. 

“Posso aiutarvi?”. Chiese tenendo la porta aperta ma non uscendo dalla casa. 

“Detective Beckett e questo è il mio collega Catle”. Si presentò vedendo subito la donna irrigidirsi sul posto, mentre un'espressione preoccupata le si formava sul volto. 

“é successo qualcosa?”. Domandò impallidendo, aprendo ulteriormente la porta cosi da far entrare i due.

 “Avremo bisogno di parlare con suo marito”. Affermò Castle cheM appena messo piede nella stanza, cominciò a guardarsi attorno, la prudenza non era mai troppa. 

“Henry in questo momento non è a casa. Un paziente l'ha chiamato..” Proferì per poi guardare l'orologio che aveva sul ripiano del caminetto e continuare. “una mezz'oretta fa e lui si è precipitato ad aiutarlo. È fatto cosi”. Sorrise riacquistando un po' di colore mentre andava a sedersi sul divano, invitando anche i due a far lo stesso. 

“Suo marito le ha mai parlato del centro “Martins”?”. Domandò Beckett. Desiderava aver il prima possibile delle risposte ma agendo aggressivamente non le avrebbe ottenute perciò preferì un approccio più leggero.

 “Si spesso. Ci lavorava li qualche sera a settimana. Aiutava i tirocinanti a far esperienza”. Quell'affermazione lasciò perplessi i due detective. Corvin a loro non aveva detto di quel particolare durante il loro colloquio allo studio.

 “E il lunedi sera faceva qualcosa di particolare?”. Fu questa volta Castle a parlare. Avevano bisogno di informazioni per capire il ruolo del dottore in tutta quella vicenda.

 “Si occupava di un piccolo gruppo, 4 pazienti a dir la verità. Aiutava loro a superare le proprie paure”. Rispose ancora la donna giocando nervosamente con i lembi della maglietta che indossava.

 “Tra di loro vi era un certo Caleb che lei sappia?”. La donna li guardò stupita per qualche secondo, non riuscendo a capire cosa volessero sapere per l'esattezza.

 “Si era uno dei suoi pazienti in effetti”. Rispose sentendo poi un cellulare suonare. Beckett si scusò e andò a rispondere alla chiamata di Ryan.

 “Signora Corvin potrebbe togliermi una curiosità”. Esordì Castle estraendo dalla tasca della giacca la foto, posandola sul tavolo. “Sa dirmi chi sono queste due persone?”. Domandò indicando con le dita i due volti a cui non erano ancora riusciti a dare un identità. 

“Certo, questa foto l'ho scattata io”. Rispose semplicemente ella indicando a sua volta con il dito di chi stava parlando. “Questo è Edward Laidlaw e questo è mio marito”. Quando sentì quell'affermazione Castle spalancò gli occhi.

 “No no signora. Quello non è suo marito”. Constatò deciso il detective, non era di certo la persona che li aveva ricevuti allo studio di Corvin.

 “Questo è suo marito”. Disse indicando quel volto famigliare facendo ridacchiare la donna.

 “Credo di sapere chi sia mio marito detective”. Prese la foto e la voltò verso Castle e poi indicò uno per uno gli uomini impressi sopra. “Questo è Randy, poi abbiamo Edward, mio marito, Caleb e questo è Danny.”. Castle si grattò la testa pensieroso, qualcosa non gli tornava.

 “Signora Corvin ieri siamo stati nello studio di suo marito e abbiamo parlato con questa persona che si è presentata come il dottor Corvin”. Disse indicando il volto che lei aveva identificato come Caleb. Come poteva essere?

 “é impossibile che fosse mio marito. È tornato solo un paio di ore fa da Denver dove ha seguito un corso di una settimana. Questo, ve lo ripeto, è Caleb”. Castle si alzò stizzito dal divano, erano stati presi in giro e si erano fatti fregare come dei novellini. In quel momento sentirono un pianto echeggiare nella casa ormai silenziosa.

 “Scusate un attimo, mia figlia si deve essere svegliata”. Castle acconsentì a lasciarla andare con un cenno della testa e un attimo dopo la vide scomparire su per le scale.

 “Abbiamo un problema”. Disse avvicinandosi a Beckett che, ringraziato Ryan, pose fine alla chiamata.

 “Uno grosso”. Fece eco lei. “é Corvin l'assassino. Sai la sostanza sulle corde? Quella a cui avevano rifatto il test perchè non gli tornavano i conti con il risultati?”. Domandò la donna vedendolo annuire.

 “Esposito si è fatto dire di cosa si trattava. Erano diverse sostanze che alla fine si è scoperto che fanno parte di un particolare cibo per pesci prodotto in Florida. Lo stesso che Corvin ha tanto elogiato quando siamo andati nel suo studio”. Spiegò Beckett. Castle cominciò a camminare nervoso accanto a lei scrollando il capo.

 “No, non è possibile che sia stato lui. Corvin era a Denver in questa settimana e la moglie, quando le ho mostrato la foto, mi ha detto che la persona che noi abbiamo incontrato allo studio non era suo marito ma Caleb”. Puntualizzò l'uomo portandosi una mano sul volto, sfregandosi la bocca e sbuffando.

 “Vuoi dire che Caleb si è finto Corvin?”. Domandò Beckett vedendolo ancora annuire. “perchè l'avrebbe fatto?”. Continuò non ricevendo alcuna risposta.

 “Magari per far ricadere la colpa sullo stesso Corvin. Ha eliminato tutti i suoi compagni del gruppo e doveva trovare un capro espiatorio”. Tentò Castle vedendo di nuovo la moglie di Corvin scendere le scale avendo tra le braccia una bambina di poche settimane.

 “é successo qualcosa?”. Chiese questa vedendo i volti scuri dei due. 

“Signora tre membri del gruppo di suo marito sono morti.”. Disse schietto Castle, non preoccupandosi di scioccare la donna, ora dovevano muoversi velocemente. 

“Chi?”. Domandò lei stringendo più forte la figlia al petto.

 “Abbey, Hannan e ieri anche un uomo che Caleb chiamava Eddy, che grazie a lei sappiamo era Edward Laidlaw”. Rispose Beckett studiando la donna i cui occhi si stavano riempiendo di lacrime.

 “Caleb si è finto suo marito ieri, quando siamo andati al suo studio, ci deve aiutare a trovarlo”. La pregò Castle. 

“Caleb sembrava un cosi bravo ragazzo”. Disse lei rimettendosi seduta sul divano, dondolando avanti e indietro cosi da cullare la figlia. “é venuto più volte anche a casa nostra. Soffriva di Atiquifobia. Aveva paura di fallire in qualunque cosa facesse”. Enunciò, rispondendo anche a quella domanda che sapeva che i detective le avrebbero fatto non conoscendo di certo la definizione di quella paura.

 “Per qualche motivo questo bravo ragazzo ha ucciso tre persone e potrebbe voler anche suo marito. Ci deve dire dov'è?”. Tentò ancora, più deciso. Castle avendo bisogno di quella risposta. 

“Sono insieme.”. Parlò d'improvviso la donna tornando a guardarli. “Caleb ha chiamato Henry chiedendogli di vedersi. È lui il paziente di cui vi ho parlato prima. Vuole uccidere pure mio marito?”. Domandò terrorizzata e i due non sapevano come poterla tranquillizzare, ogni loro parola sarebbe risultata una bugia.

 “Signora Corvin sa dov'è Caleb?”. Chiese Beckett abbassandosi alla sua altezza ma la donna scrollò il capo, non avendo quell'informazione. 

“Di quale fobia soffre suo marito?”. Domandò ad un certo punto Castle. Sulla lavagna al centro Martins erano cinque le scritte, contando le tre vittime e Caleb una era ancora libera e di certo apparteneva a Corvin.

 “Agrizoofobia, ha paura degli animali selvatici”. Dichiarò la donna.

 “C'è solo un posto a New York dove si possono trovare degli animali”. Disse Beckett rivolgendosi a Castle per poi andare a chiamare gli altri due colleghi cosi da avvisarli.

 “Lo zoo”. Affermò Castle. “Le riporteremo a casa sua marito”. Cercò di rassicurare la signora Corvin prima di uscire da quella casa. 

 

CENTRAL PARK ZOO

 Non furono nemmeno vicino al parco quando videro diverse macchine della polizia bloccare loro la strada. 

“Non potete proseguire”. Disse un agente appoggiandosi al finestrino di Beckett. “Hanno detto che allo zoo c'è una bomba nella zona dei felini, stiamo facendo evacuare la zona”. 

La donna e Castle si guardarono. Di certo la bomba era solo un diversivo cosicchè Caleb potesse agire indisturbato. Provarono a convincere l'agente ma ancora non li lasciò proseguire. 

“Che facciamo?”. Domandò Beckett appoggiata alla macchina una volta che anche Ryan ed Esposito li avevano raggiunti. 

“Ogni secondo potrebbe essere quello decisivo e gli artificieri han detto che hanno controllato e lo zoo è vuoto, peccato che Caleb è più furbo di loro”. Sbuffò l'irlandese lanciando occhiate alle varie camionette poste a qualche centinaio di metri tra loro.

 “Che facciamo ora?”. Domandò Esposito incapace di starsene li con le mani in mano. “I poliziotti bloccano ogni entrata”. 

“Appunto ogni entrata”. Ripetè Castle avvinandosi al trio. “Ma non controllano tutto il perimetro. Spero che tu abbia delle scarpe comode”. Parlò rivolgendosi a Beckett che si guardò i piedi rassegnata.

 “Stasera ti tocca farmi un massaggio coi fiocchi”. Lo avvisò puntandogli il dito contro, causando le risate dei due colleghi. 

“A ripensarci meglio che tu stai qui a far da palo”. Cercò di salvarsi da quel compito ma ormai Beckett si stava già dirigendo verso la zona alberata poco distante da loro. 

“Ok ora dobbiamo superare quel muretto e siamo dentro”. Indicò Castle quell'ostacolo di due metri che avevano davanti.

 “Vado prima io, poi voi seguitemi”. Disse uscendo allo scoperto, guardandosi attorno con circospezione, sospirando quando non vide nessuno a coprire il perimetro del parco. Prese una breve rincorsa e poi saltò cosi da aggrapparsi al muro. Con un po' di fatica si tirò suo per poi sedersi su di esso, con le gambe una da una parte e l'altra dall'altra del muro.

 “Avanti Beckett ti aiutiamo noi”. Affermò Esposito che si mise di fronte a Ryan e fece da scaletta assieme a lui cosi da facilitare la salita della collega. 

“Ci sei?”. Domandò Castle afferrandola per le mani e tirandola su. Vedendola annuire diede un ultimo strattone e lei si ritrovò seduta vicino al fidanzato.

 “Ora ti faccio scendere”. L'avvisò aiutandola sempre tenendola per le mani. Quando fu a terra aiutò Esposito a fare lo stesso, solo che invece di farlo scendere dall'altra parte, il cubano rimase li sul muro per aiutarlo a sollevare Ryan.

 “Ok direi di dirigerci verso lo spazio dedicato ai mammiferi. Se Caleb ha detto che la bomba era dai felini è perchè voleva aver via libera nelle altre zone ”. Affermò Castle guardandosi attorno, cercando di individuare eventuali poliziotti e artificieri.

 “Tenete gli occhi aperti”. Ricordò premurosa la donna non volendo che a nessuno dei tre accadesse qualcosa di spiacevole. Corsero nascondendosi dietro a ogni bidone, albero, panchina che trovavano ma per loro fortuna i poliziotti sembravano esser tutt'altra parte. D'un tratto videro arrivare nella direzione un uomo, che indossava un cappuccio bianco.

 “é Caleb”. Sussurrò Castle ai tre.

 “Ma è da solo. Dov'è Corvin?”. Fece notare Beckett iniziando a slacciare la fondina cosi da estrarre più facilmente la pistola. Dalla direzione opposta però si poterono intravedere due poliziotti arrivare in loro direzione e Caleb di certo, una volta accortosi di loro sarebbe scappato.

 “Voi prendetelo, ci pensiamo noi a Corvin”. Disse Castle a Ryan ed Esposito. I due si guardarono decisi, pronti a colpire. Il cubano prese una pietra e la lanciò nella direzione opposta a loro. Il suono sordo di questa distrasse Caleb che diede le spalle ai quattro detective. Esposito e Ryan approfittando di quel momento corsero in contro al ricercato che però, accortosi di loro, tentò la fuga.

 “Controlliamo ogni angolino”. Disse Beckett mettendosi anche lei a correre assieme al collega, controllando in ogni gabbia in cerca del dottore.

 “Rick l'ho trovato”. Urlò d'un tratto Beckett terminando cosi la sua corsa. Castle in mezzo secondo le fu accanto seguendo la direzione del suo dito cosi da vedere il corpo inerme di Corvin steso su una roccia dentro la gabbia degli orsi. Da sotto di lui potevano vedere colare del sangue. Avevano poco tempo prima che quegli animali si accorgessero dell'intruso e lo attaccassero con l'intenzione di farlo andare via. 

“Deve averlo buttato giù da quel parapetto”. Constatò la detective andando a sistemarsi in quel punto. Osservarono il dottore, non erano certi, a causa della distanza, che respirasse ancora. Castle allora prese dei sassolini e iniziò a lanciarli contro l'uomo.

 “Che stai facendo?”. Disse Beckett fermandolo.

 “Cerco di svegliarlo, meglio qualche livido causato dai sassi che un graffio dell'orso laggiù”. Affermò riprendendo i lanci. Corvin finalmente cominciò a reagire, alzandosi lentamente da terra.

 “Che succede?”. Domandò toccandosi la testa dolorante e il braccio ferito dalla quale usciva il sangue.

 “Dottor Corvin siamo qui”. Attirò la sua attenzione Beckett mentre Castle teneva sempre sotto controllo gli animali che si aggiravano in quell'habitat. Il dottore si guardò attorno cercando di capire dove si trovasse e quando vide gli orsi cominciò ad urlare terrorizzato, attirando in quel modo la loro attenzione. 

“Vi prego tiratemi fuori da qui”.Supplicò premendosi contro una roccia mentre uno degli orsi si alzò su due zampe e iniziò a far dei versi minacciosi.

 “Dottore deve venire più vicino possibile e saltare cosi che io possa afferrarla”. Spiegò Castle mettendosi a cavalcioni sulla ringhiera, deglutendo alla vista dello spazio vuoto e lontano da terra che lo divideva dalla roccia sulla quale vi era Corvin.

 “Caleb è stato Caleb”. Gridò ancora terrorizzato. “é stato lui che mi ha lanciato qua dentro. Mi ha ferito con un coltello e poi me l'ha puntato alla gola e mi ha detto di saltare, solo cosi mi sarei salvato”. Piangeva Corvin vedendo l'orso cominciare a dirigersi verso di lui. 

“Dottore mi ascolti”. Ancora ordinò Castle sporgendosi il più possibile verso di lui, aggrappandosi con forza con le gambe. “Salti verso di me e mi afferri le mani”. L'animale si trovava ormai a pochi metri dall'uomo e ancora si tirò sulle due zampe posteriori risultando ancora più minaccioso. 

“Lo faccia! Ora”. Urlò il detective perentorio e finalmente il dottore si mosse. Corse verso di lui e si lanciò. Castle non si aspettava che un uomo mingherlino come era il dottore pesasse cosi tanto e, colto di sorpresa, perse l'equilibrio ritrovandosi a testa in giù ma ancora appeso per le gambe.

 “Dannazione Rick”.Esclamò Beckett che prontamente andò ad afferrarlo per i fianchi cercando di tirarlo su. Appoggiò entrambi i piedi sulla ringhiera e si spinse all'indietro, digrignando i denti, provando a sollevare entrambi gli uomini. 

“Vi prego tiratemi su”. Si agitava Corvin cercando di trovare un appiglio contro il muro, facendo scorrere i piedi su di esso.

 “Non si agiti, rischia di scivolarmi”. L'avvisò Castle che dal dolore al braccio sentiva gli occhi brucargli. L'orso bramì di nuovo, allungando una zampa cosi da toccare le gambe del dottore, più per gioco che per ferirlo, tirandolo verso il basso ad ogni zampata. 

“Sto perdendo la presa”. Mugugnò il detective sentendo la ringhiera sfuggirli poco a poco da sotto le gambe. Beckett allora tolse una mano dal suo fianco e prese la sua pistola. La puntò contro l'animale e poi sparò colpendo la roccia vicino a lui, quanto bastò per spaventarlo e farlo scappare. L'eco dello sparò si disperse nell'aria attirando l'attenzione dei due poliziotti che in precedenza i quattro detective avevano visto. In pochi secondi furono li accanto ai due detective. Uno di essi afferrò Castle per la cintola cosi da aiutare Beckett mentre l'altro si sporse oltre la ringhiera in modo da prendere il braccio di Corvin quando fu abbastanza vicino. Con un ultimo sforzo riuscirono a tirarlo su, cadendo tutti a terra ansimanti.

 “Kate”. Disse il detective con quel poco di fiato che gli era rimasto. “ Se avevi una remota idea di venire qui durante uno dei nostri appuntamenti mi dispiace deluderti ma non accadrà mai. Non ci metterò più piede in questo posto”. Beckett ridacchiò voltandosi verso di lui cosi da dargli un bacio sulle labbra.

 “Siamo in due allora”.

 

“Che ci può dire di Caleb dottor Corvin”. Gli chiese Beckett dopo averlo aiutato a sedersi su una panchina.

 “Era un'aspirante psicologo che avevo preso sotto la mia ala”. Enunciò il dottore bevendo dalla bottiglietta d'acqua che uno dei due poliziotti gli aveva dato. “Insieme creammo questo gruppo. Gli promisi che lo avrebbe aiutato a superare la sua paura di fallire. Grazie a lui gli altri pazienti sarebbero guariti e quello sarebbe stato il suo grande successo.”. Fece una breve pausa andando ad osservare il cielo azzurro sopra di se. “Ma Caleb non era paziente, non vedeva fin dall'inizio quei risultati che tanto desiderava e cosi ha deciso di agire a suo modo”

 Rimasero li in silenzio diversi minuti mentre un paramedico, che accompagna gli artificieri, dava loro un occhiata, medicando il taglio del dottore e osservando il braccio dolorante di Castle. In lontananza videro tre figure avvicinarsi a loro e solo dopo capirono che si trattava dei colleghi che tenevano ammanettato a loro Caleb. 

“Che è successo?”. Domandò Beckett andando loro in contro vedendo Ryan e l'assassino completamente fradici. 

“Ha cercato di scappare facendo un tuffo nello stagno ma il nostro Ryan è un ottimo nuotatore”. Spiegò Esposito soddisfatto, osservando il collega che invece cominciava a starnutire. La detective osservò Caleb che ridacchiava e con un sorriso malizioso andò a guardarlo.

 “Non riderei se fossi in te. Il dottor Corvin è vivo”. Gli rivelò vedendolo spalancare gli occhi incredulo. Si spostò da davanti a lui cosi da lasciargli la visuale libera e vedere in quel modo l'uomo seduto sulla panchina.

 “Hai fallito Caleb”. Aggiunse dando sfogo al suo disprezzo per poi sentirlo urlare con tanto dolore che sembrava quasi che gli stessero strappando la carne ma in quel momento nessuno dei presenti ebbe pietà per lui. 

 

------------------------------

 Archiviato anche questo assassino inizieranno i capitoli Caskett che si ritroveranno in situazioni tragicomiche ma che serviranno a dare le basi al prossimo passo del loro rapporto.

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Incontri ***


CASA BECKETT


Castle alzò la visiera del casco con un rapido movimento della mano, appoggiando un piede a terra cosi da rimanere in equilibrio sulla moto, mentre aspettava fermo in mezzo alla strada che il traffico si smaltisse. Dopo essere tornato a casa dal distretto aveva salutato i genitori, si era fatto una doccia, si era messo la sua camicia migliore e il profumo più sensuale che aveva trovato, tutto per essere il più presentabile possibile agli occhi di Beckett. Quella sera la donna l'aveva invitato a casa sua per una cena romantica e festeggiare nel contempo un mese di fidanzamento, o come la detective lo definiva “un mese di sopportazione”. I due si erano ripromessi di non farsi regali, lasciandoli solo per le occasioni più importanti, ma Castle non poteva mantenere quella promessa, anche se un era piccolo pensiero qualcosa doveva darle. Voleva ringraziarla per tutto ciò che gli donava ogni giorno e cosi, mentre gli altri si occupavano di redigere i rapporti, il detective aveva passato il pomeriggio al distretto a cercare sul proprio cellulare una semplice frase per accompagnare quel dono. Arrivò sotto casa di Beckett e controllò il telefono. Vide un suo messaggio e l'aprì.

 “Mia madre mi ha chiesto se passavo da lei per prendere alcuni documenti. Ritardo qualche minuto. Fa come se fossi a casa tua”. 

Castle sbuffò aprendo il bauletto della moto cosi da prendere un pacco, salendo poi l'ascensore per dirigersi cosi all'appartamento della collega. Prese il corridoio di destra, quello opposto alla sua destinazione, e poi bussò alla quarta porta.

 “Sera Maria, non si preoccupi, la moto nel parcheggio è la mia”. Urlò cosi da farsi sentire dalla donna. Stranamente ella aveva sempre l'abitudine di rivolgersi a Beckett ogni volta che vedeva qualcosa fuori posto nel condominio e più di una volta aveva scomodato la detective per cose assurde.

 “Grazie per l'avviso, non sai quante ansie mi togli. Buona serata”. Rispose Maria da dentro la casa, senza nemmeno andare ad aprire la porta. Udite le sue parole la salutò e si incamminò lungo il corridoio di sinistra. Arrivò davanti all'appartamento di Beckett e iniziò a tastarsi le tasche in cerca delle chiavi.

 “Dannazione”. Commentò essendosele dimenticate a casa, ma in compenso aveva sempre con se gli attrezzi del mestiere. Appoggiò il regalo a terra e si inginocchiò cercando di far scattare la serratura.

 “Ah, ah. Mi stupisco che nessuno l'abbia ancora rapinata”. Constatò data la facilità di quel lavoretto. Entrò nella sala fischiettando, fermandosi di colpo quando vide le luci della cucina accese. Corrugò la fronte pensieroso mentre si dirigeva verso quella stanza . D'improvviso vide un ombra muoversi e fece appena in tempo a sollevare il pacco davanti alla faccia quando una bottiglia di vino lo colpì con forza facendolo cadere all'indietro.

 “Che diavolo”. Affermò lui incredulo per quanto appena successo, pronto a contrattaccare quando vide chi era la persona che se ne stava davanti a lui tremando, con ciò che rimaneva della bottiglia tra le mani.

 “Signora Beckett?”. Sgranò gli occhi Castle sedendosi a terra, bofonchiando parole poco carine quando vide la propria giacca bagnata a causa di quell'attacco improvviso.

 “Come mi fa a conoscere? Lei chi è? Che ci fa in casa di mia figlia?”. Fede domande a raffica puntandogli il vetro appuntito addosso minacciosa, volendo delle risposte. Il detective si mise a ridere alzando le mani in segno di resa.

 “Sono Richard Castle signora”. Affermò solo ma ciò bastò a calmare la donna. Johanna Beckett abbassò le mani lasciando cadere ciò che aveva tra di esse, lasciando scivolare via quella paura e aiutandolo ad alzarsi. 

“Ma le sembra il modo di entrare, l'avevo presa per un ladro”. Disse ridacchiando, strofinandogli la giacca cercando di pulirlo al meglio.

 “é che ho dimenticato le chiavi e se volevo entrare”. Cominciò a spiegarsi indicando con il pollice la porta alle sue spalle mentre lei lo invitò a seguirlo in cucina cosi da togliere quelle macchie di vino. Castle non ribattè, raccolse il pacchetto da terra e lo posò sul ripiano della cucina e poi si mise su uno sgabello. 

“Si tolga la giacca cosi cerco di togliere quelle chiazze rosse”. Spiegò la donna prendendo uno straccio e versandoci sopra dell'acqua frizzante. Castle fece quanto richiesto e posò la giacca vicino al pacco cosi da lasciare che la madre di Beckett potesse lavorare più comodamente. 

“E cosi sei il fidanzato di mia figlia”. Disse d'un tratto abbandonando quel tono formale e cominciando a dargli del tu. Quando non lo sentì rispondere alzò lo sguardo dalla giacca e lo fissò dritto in faccia imbarazzandolo. 

“Si”. Disse solo Castle irrigidendosi sullo sgabello e sentendosi fuori posto. Osservando la donna aveva capito da chi Beckett aveva ereditato quella schiettezza. 

“Kate mi ha parlato spesso di te, alcune volte anche bene”. Ridacchiò la donna cercando di metterlo a proprio agio con quella battuta. Il detective allentò il colletto della camicia e accennò un sorriso.

 “E non scherzava nemmeno quando affermava che non sei un gran chiacchierone”. Continuò la donna ridando la giacca a Castle che però non indossò, lasciandola appoggiata ancora al ripiano. 

“Le ha detto che lavoravo a Los Angeles?”. Domandò chiedendosi se Beckett potesse aver accennato qualcosa del suo passato alla madre, poteva anche darsi, non poteva escludere quell'evenienza e se cosi fosse stato doveva anche pensare alle eventuali conseguenze. 

“Si, sempre alla omicidi se non ricordo male, ma ha anche aggiunto che dopo il tuo trasferimento a New York ti sei trovato cosi bene che non hai voluto più tornare indietro”. Castle tirò un respiro di sollievo, Beckett aveva mantenuto la promessa per fortuna.

 “Avevo degli ottimi motivi per rimanere dopo tutto”. Ritrovò il sorriso l'uomo. “Mi hanno subito accolto nella loro famiglia al distretto e non mi ci è voluto molto per capire che quello fosse il mio posto”.

 “ Da quanto ricordo però il tuo rapporto iniziale con Kate è stato un po' burrascoso”. Chiese la donna andando ad aprire un'anta del mobiletto per prendere la caffettiera e metterla sul fuoco.

 “Già, sua figlia mi odiava in effetti”. Sorrise Castle grattandosi il retro della testa passandosi poi una mano nei capelli. “Mi riteneva un intralcio, un peso per la sua squadra”. Continuò rifiutando poi il caffè che la donna gli offrì.

 “Kate è sempre stata cosi. Non tanta prodiga ai mutamenti ma col tempo tutto cambia, ne siete la prova”. Si sedette anche Johanna sullo sgabello accanto a lui cosi da poter continuare meglio la conversazione piuttosto che dargli le spalle. 

“Ancora prima che voi due vi metteste insieme le avevo chiesto di presentarci, volevo conoscere il famoso Richard Castle”. Confessò la donna soffiando sul caffè, attirando cosi l'attenzione del detective.

 “Beckett non ha mai accennato nulla di ciò”. Scrollò il capo Castle essendo sicuro di quella sua affermazione, ne prima da colleghi ne ora da fidanzati Beckett aveva mai espresso il desiderio di presentarlo alla famiglia.

 “Sai cosa mi rispose quando le chiesi il motivo del suo ennesimo no a quella mia semplice richiesta?”. Pose quella domanda retorica a cui ovviamente il detective non poteva rispondere.

 “Che ci saremmo affezionati fin da subito a te, che ti avremmo accolto nella famiglia in un batter di ciglio ma affermo anche che tu, con la stessa facilità, potevi lasciarci e perciò voleva evitarci questo dolore”. Castle non disse nulla ma guardò a terra, stringendosi le mani l'un l'altra non trovando una risposta adatta.

 “Aveva ragione?”. Chiese dopo qualche attimo di silenzio Johanna. “Te ne saresti andato d'improvviso?”. Castle annuì.

 “In passato l'avrei fatto senza guardarmi indietro, ero superbo, egoista, arrogante, avrei sfruttato la vostra disponibilità fino all'ultimo senza nemmeno dirvi grazie prima di andare via.” Confessò con una facilità che sembrò inadatta in quel momento, non era il modo migliore per presentarsi alla madre della propria fidanzata.

 “E poi che cos'è successo?”. Domandò curiosa la signora Beckett volendo approfittare di ogni momento per comprendere meglio l'uomo che aveva rubato il cuore a sua figlia.

 “E poi è successo che Kate, con la sua testardaggine, ha messo in discussione tutto. Per colpa di sua figlia ho dovuto fare delle scelte che mi hanno portato a ciò che sono adesso”. Affermò allargando le braccia e alzando le spalle tirando un profondo respiro. 

“Ed è un male?”. Domandò inarcando un sopracciglio Johanna seriamente curiosa di quella che sarebbe stata la sua risposta.

 “Non mi sono mai sentito cosi bene in tutta la mia vita”. Dichiarò Castle a cuor leggero. “Non saprò mai come ringraziare Kate per avermi fatto capire chi fossi veramente, per aiutarmi ancora oggi a capire chi sono e cosa voglio.”. Parlando accenno un debole sorriso che bastò però alla sua interlocutrice per farli capire i sentimenti che provava per la figlia.

 “La stai già ricompensando senza accorgertene”. Disse semplicemente Johanna alzandosi cosi da andare a lavare la tazzina per poi riporla al proprio posto, lasciando Castle a rimuginare su quella strana affermazione. 

“In che modo lo sto facendo?”. Chiese volendo un aiuto a capire quel messaggio che riteneva criptico, a detta sua non faceva nulla di particolare.

 “La fai sentire viva”. Affermò la donna poggiando una mano sulla spalla del detective. “Prima viveva per il lavoro, la famiglia e poi tutto il resto. Sembrava quasi un automa che aveva le azioni da compiere già programmate. Poi arrivi tu e la sconvolgi”. Castle guardò la donna non capendo se quello era un complimento o un rimprovero per aver distolto la figlia dai suoi doveri.

 “Ci sono state occasioni in questi ultimi anni che l'ho vista arrabbiata come non mai a causa tua eppure, al contempo, non l'ho mai vista cosi attaccata a qualcuno, cosi piena di sentimenti contrastanti”. Castle fissò il vuoto quasi imbambolato da quelle parole, una parte di lui si sentiva profondamente orgoglioso ma un'altra piccola parte avrebbe desiderato che fosse stata la stessa Beckett a rivelarglielo. La stessa parte di lui che ancora aspettava quel “ti amo” che si faceva attendere più del dovuto.

 “Sua figlia fa lo stesso per me. Mi fa sentire appagato anche ricevendo delle piccole cose, mi basta vederla sorridere per capire che ho preso la decisione giusta”. 

“Allora che aspetti a dirglielo?”. Chiese facendosi seria Johanna, stanca di sentire i timori della figlia sulla loro relazione. Le aveva detto di buttarsi eppure lei ancora non l'aveva fatto ma conoscendo Castle comprese il motivo. Entrambi erano simili, entrambi avevano bisogno che fosse l'altro a prendere l'iniziativa. 

“Che ci sia l'atmosfera giusta”. Ridacchiò il detective non convinto dalle sue stesse parole. 

“Magari a lume di candela, con una musichetta romantica, mentre vi tenete le mani”. Suggerì la donna vedendolo annuire. A quel gesto però Johanna alzò gli occhi al cielo.

 “E dimmi sarà quello che renderà il “ti amo” speciale? Oppure sarà il semplice fatto di confessarvi che avete bisogno l'uno dell'altra?”. Castle fece per rispondere quando sentirono la porta di casa aprirsi. Il detective si alzò dallo sgabello e seguì la signora Beckett in sala.

 “Mamma ma non eravamo d'accordo di trovarci a casa tua?”. Chiese la donna togliendosi la giaccia e mettendola sull'attacca panni. Le ci volle poco però per scorgere Castle vicino alla madre. 

“Avevo detto a tuo padre di avvisarti di questo cambio di programma ma vedo che non l'ha fatto. Ma per fortuna ho avuto una piacevole compagnia”. Affermò dando una pacca sulla spalla del detective che arrossì di colpo. Beckett fece per ribattere quando notò i vetri della bottiglia ancora a terra e il pavimento sporco di vino.

 “Che è successo?”. Domandò indicando il punto incriminato. Johanna mise le mani sui fianchi e guardò Castle passandogli il testimone.

 “Ecco vedi..”. Esordì andandosi a schiarire la voce. “Avevo dimenticato le chiavi a casa e cosi ho scassinato la porta”. Disse indicando l'entrata dell'appartamento.

 “Hai scassinato casa mia?”. Domandò Beckett incredula. “Fa nulla, non voglio sentire, prosegui”. Gli disse con un tono di voce poco amichevole, cominciando a battere impazientemente il piede a terra.

 “Ho visto una luce in cucina cosi, pensando fossi tu, mi sono avvicinato ma tua madre mi ha scambiato per un ladro e ha cercato di farmi secco con quella bottiglia”. Spiegò tutto d'un fiato avendo paura che Beckett non credesse a quella storia che poteva risultare assurda. 

“Si plausibile”. Ribatte Beckett. Quella situazione sarebbe parsa assurda ad altri ma non alla detective che poteva aspettarsi uscite simili da Castle. 

“E cosi avete parlato”. Constatò timorosa e dubbiosa vedendo la madre sorridere soddisfatta e il fidanzato guardarla con gli occhi spalancati.

 “é stata una breve chiacchierata ma sono sicura che ce ne saranno molte altre.”. Affermò Johanna andando a recuperare le sue cose cosi da lasciare i due soli. “Anzi uno di questi giorni potresti venire a casa nostra a magiare cosi avrai modo di conoscere anche James”. Suggerì rivolgendosi a Castle che non potè far altro che annuire per paura di ricevere uno di quegli sguardi che di solito gli lanciava Beckett ma che di certo possedeva anche sua madre. 

“Un po' impacciato ma è un bravo ragazzo”. Sussurrò alla figlia mettendosi vicino a lei, facendosi aiutare ad indossare il cappotto. “E vedi di dirglielo, che non ascolterò più altre tue paranoie”. Parlò ancora nell'orecchio della figlia per poi darle un bacio sulla guancia. 

“Buona serata ragazzi”. Augurò ai due prima di uscire dall'appartamento.

 

“Le assomigli molto”. Constatò Caste dopo diversi minuti di silenzio, tenendo le mani in tasca e dondolandosi sulle punte. “Non solo in viso ma anche come carattere”. Andò a precisare vedendo la fidanzata annuire mentre si mordeva un labbro. 

“Perchè non me l'hai presentata prima?”. Domandò d'improvviso lasciando Beckett spiazzata. “Anche lei voleva incontrarmi”. Continuò senza entrare troppo nei dettagli. 

“Perchè prima temevo che da un giorno all'altro te ne saresti potuto tornare a Los Angeles”. Confessò quello che lui però sapeva già. 

“Ma ora, adesso che sono qui, che stiamo insieme, perchè non hai mai accennato a un nostro incontro”. Insistette mettendo ancora più in difficoltà Beckett. 

“Perchè come una stupida ti voglio solo per me, senza condividerti con altri, cosi da poter dire che per un certo periodo sei stato solo mio”. Dichiarò serrando le labbra tentando di muovere un passo in sua direzione ma non riuscendovi. 

“Perchè dovrei essere tuo solo per un certo periodo?”. Domandò non avendo colto il significato di quella sua affermazione. Voleva già lasciarlo?

 “Perchè presto la routine prenderà il sopravvento e vorrai tornare a Los Angeles alla ricerca di quell'adrenalina che tanto caratterizzava il tuo lavoro”. Proferì senza guardarlo, prestando più attenzione ai vetri per terra, sorridendo immaginandosi quella scenetta da lui descritta. 

“Quindi credi che tutte le volte che ti ho detto che voglio esserci per te, che voglio essere migliore per te, che voglio cambiare per te, ho mentito?”. Domandò calmo. Stranamente non era irritato per quelle illazioni che aveva fatto la donna anzi provava tenerezza per lei, le sembrava cosi fragile in quel momento.

 “No, questo no”. Rispose lei decisa. “Credo ad ogni parola che hai detto”. Disse tornandolo a fissare negli occhi, ora che le stava cosi vicino.

 “Allora cosa?”. Domandò ancora lui accarezzandole i capelli, facendo scorrere una ciocca tra le sue dita. 

“Ogni volta che parliamo di Los Angeles mi dici dei sogni, dei progetti che avevi, cosa che non fai invece adesso. Non dici mai cosa vuoi ora dalla tua vita, cosa ti aspetti dal futuro”. Constatò posandogli la mani sul petto, facendole scorrere fino alle spalle per poi fermarsi li. 

“A Los Angeles avevo dei sogni è vero, ma perchè non mi accontentavo di quello che avevo, perchè avevo bisogno di aver sempre qualcosa in più di quello che realmente possedevo”. Inclinò leggermente la testa abbassandosi cosi da poterla vedere negli occhi. 

“Ora invece ho tutto ciò che desidero. Il mio sogno ce l'ho proprio davanti, tra le mie braccia”. Puntualizzò dandole un bacio sulla fronte. 

“E tirando in causa anche eventuali progetti, non ne ho, perchè non voglio farli solo io. Voglio pensare al nostro futuro insieme a te, giorno dopo giorno”. Beckett rise lasciando che quell'ansia che aveva regnato sovrana in quegli ultimi minuti abbandonasse il suo corpo lasciando spazio alla gioia. Lo baciò tenendolo stresso a se, non lasciandolo andare neanche quando sentì mancarle l'aria. 

“Ti amo”. Ansimò Beckett contro le labbra di Castle che si inarcarono all'istante. “Ti amo, Rick”. Ribadì tornandolo a baciare mentre lui l'avvinghiava all'altezza dei fianchi, sollevandolo da terra e facendola girare insieme a lui. 

“Ti amo anche io”. Proferì tenendo le proprie iridi incollate a quelle di lei, lasciandosi poi andare ad una risata liberatoria. 

“Ho un regalo per te”. L'informò prendendola per una mano, trascinandola in cucina la dove aveva riposto il pacchetto prima della conversazione con Johanna. 

“Rick non eravamo d'accordo di non fare nulla”. Le ricordò lui ma ormai era troppo tardi. Castle se ne stava davanti a lei tutto sorridente con quella scatola in mano che gliela porgeva. 

“é solo un piccolo pensierino che mia madre mi ha aiutato a recuperare”. Rivelò allungandolo più verso di lei.

“Coraggio accettatalo”. Beckett si morse un labbro e poi lo prese, non vedeva l'ora di scoprire cosa fosse. 

“Spero che la bottigliata che gli ha dato tua madre non l'abbia ammaccato”. Scherzò Castle mentre la vedeva togliere il primo strato della carta colorata che accuratamente Alexis aveva messo. Beckett lo guardò per un istante, tenendo aperto con due dita il cartoncino sulla quale vi erano scritte poche parole “Alla straordinaria KB” e poi andò ad aprire la scatola. Appena vide i due oggetti contenuti in esso non comprese ma poi un particolare le saltò agli occhi. 

“Sono firmati!”. Affermò incredula prendendo tra le mani il guantone e la palla da baseball autografati. 

“Proprio da Joe Torre. Se non ricordo male sulla tua maglietta preferita degli Yankess c'è il suo nome quindi”. Fece spallucce il detective ricevendo in cambio uno dei più bei sorrisi di cui Beckett fosse capace. 

“Non saprò mai come sdebitarmi”. Affermò lei riposando con cura i due oggetti nella scatola. 

“Lo stai già facendo, sei qui con me”. Rispose lui tornando a prenderla tra le braccia. Beckett serrò le labbra e si fece pensierosa prima che un idea le attraversasse la testa.

 “Bhè forse un modo per ringraziarti lo conosco”. Disse maliziosa sussurrandogli nell'orecchio cosi da farlo tremare da testa a piedi per poi afferrarlo per un passante dei pantaloni e trascinarlo con lei in camera da letto. 

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Stelle ***


 

12th DISTRETTO

 Le settimane passarono e cosi anche i mesi. Castle viveva nella completa beatitudine, certo con Beckett aveva avuto qualche alto e basso, ma gli andava bene cosi, li aiutava ad avvicinarsi sempre di più anche quello. Sempre più spesso passava le notti da lei ma nessuno dei due aveva mai parlato di un vero e proprio trasloco del detective a casa della compagna. Castle ci aveva pensato, in particolare nell'ultimo periodo, a una possibile convivenza, ma ogni volta che lo faceva, al pensiero di quello che era stato con Abby, trasaliva. Quella esperienza lo aveva lasciato particolarmente segnato e non voleva rivivere il tutto, mettere in discussione il rapporto con Beckett e rischiare di mutarlo in peggio. Eppure ci stava ragionando su sempre più insistentemente, avrebbe dovuto affrontarlo quell'argomento prima o poi.

 “Allora mi aiuterai vero?”. Disse ad un tratto Ryan distogliendolo da quei suoi ragionamenti contorti.

 “Aiutare a far cosa?”. Domandò Castle che non aveva recepito nemmeno una parola del monologo fatto dall'irlandese.

 “Come cosa?”. Domandò sbuffando. “Devi aiutarmi a chiedere la mano a Jenny”. Gli disse facendolo cadere dalle nuvole.

 “Ah vero”. Affermò massaggiandosi il mento. “Vuoi che ti tenga l'anello mentre glielo chiedi? Anzi ti suonerò il violino cosi creo l'atmosfera”..Suggerì sfregandosi le mani pensando a tutte le idee più stravaganti. 

“Perchè tu sai suonare il violino?”. Domandò l'irlandese incredulo, Castle non aveva mai accennato a questa sua dote, tanto meno la passione per la musica.

 “No, ma non sarà cosi difficile”. Dichiarò il detective venendo compatito dal collega che se ne tornò alla propria scrivania.

 “Ho bisogno di idee serie Castle, non di suggerimenti utopici”.

 “Potresti sempre puntare ad una cenetta romantica”. Tentò ancora voltando la propria sedia verso Ryan che però scrollò il capo.

 “Troppo scontato”. Rispose distratto. “Voglio qualcosa di speciale”. Aggiunse posandosi la mano sul cuore.

 “Potresti chiederglielo sulla Statua della Libertà”. Si intromise Esposito che ancora prima di Castle era venuto a conoscenza di quel desiderio del collega di chiedere la mano alla fidanzata in un modo speciale.

 “Troppa gente, voglio che sia un qualcosa di privato, solo nostro”.Ribattè sbuffando, mettendosi il viso tra le mani trovandosi privo di idee.

 “In che modo state tormentando il povero Ryan ora?”. Chiese Beckett arrivando alla scrivania dopo aver finito di parlare con Montgomery del caso appena risolto.

 “Voglio chiedere a Jenny di sposarmi ma non so come”. La informò il detective delle sue intenzioni. “Hai qualche idea?”. Domandò, forse dato che Beckett era una donna, aveva le idee più chiare.

 “Qualcosa di semplice, ma che sia solo vostro. Niente distrazioni, niente altre persone, solo voi due”. Rispose schietta accomodandosi sulla sua sedia e allungando le gambe davanti a se, appoggiando le mani sul grembo, in cerca di una posizione rilassante. Castle l'aveva ascoltata molto attentamente, di certo era un informazione che, magari, in futuro gli sarebbe servita.

 “Quindi anche tu propendi per una cena”. Puntualizzò Ryan, era di certo la scelta più ovvia ma ancora non era convinto, voleva qualcosa di unico. 

“Non sei obbligato a portarla a cena da qualche parte, basta che siate voi due e che il momento sia giusto. Portala in un luogo significativo per voi due e poi parti all'attacco.”. Si spiegò meglio vedendo il collega annuire. 

“Ripensa al luogo dove vi siete incontrati, oppure al vostro primo appuntamento. Anche se a Jenny non importerà dove accade, basta che succede”. Ridacchiò Esposito dandogli una pacca sulla spalla e poi andare a farsi un caffè. Quei discorsi troppo seri gli facevano venire i brividi, di certo Lanie avrebbe dovuto aspettare ancora un bel po' prima di ricevere quella fatidica proposta.

 “Ehi Castle”. Lo richiamò dopo alcuni minuti di silenzio l'irlandese facendolo voltare ancora verso di lui, interrompendo quella conversazione che stava avendo con Beckett.

 “Se tu fossi al mio posto, e davvero ti ci metteresti d'impegno con la fantasia, come chiederesti a Beckett di spostarti?”. Quella domanda innocente investì Castle come una doccia fredda. In un istante si trovò senza parole, con le dita conficcate nel bracciolo della sedia.

 “Andiamo Castle, come mi chiederesti di sposarti?”. Girò il dito nella piaga Beckett divertita da quella scenetta. Gli sussurrò all'orecchio in un modo che gli tolse il respiro, sentendosi il cuore in gola. Voleva davvero saperlo o stava solo scherzando? 

 

CASA BECKETT

 Castle cercò di non darlo a vedere ma rimase pensieroso per tutto il giorno. Quella domanda continuava a tornargli alla testa e anche ora, che si trovava sul divano con Beckett a guardare un film, ci pensava. Lei rideva a ogni battuta storica di Leslie Nilsen ne “Una pallottola spuntata”, ma per lui quelle immagini erano solo colori sfuocati, non era concentrato sulla televisione ma sulla donna che aveva tra le sue braccia. In quel momento maledì Ryan e le sue idee assurde, tra tutti i momenti, tra tutte le persone doveva scegliere proprio lui, al distretto, insieme a Beckett. Per un istante si sentì quasi essere una delle carte da gioco del cluedo. La detective ancora scoppiò a ridere e quando non sentì l'eco del fidanzato si preoccupò.

 “Tutto a posto?”. Chiese vedendo il suo volto particolarmente serio.

 “Si, certo”. Rispose lui velocemente, senza darle troppe attenzioni. Beckett si sollevò da sopra la sua spalla e si mise in ginocchio sul divano.

 “Non dirmi che stai ancora pensando a quel quesito di Ryan?”. Domandò stupita del fatto che l'uomo avesse preso la cosa cosi sul serio.

 “Forse”. Ribattè alzando le spallucce per poi andare a guardarla. “Tu però eri seria?”. Quella domanda la colse alla provvista, davvero Castle non aveva capito che era un gioco da parte sua.

 “No, Castle non lo ero”. Affermò sorridendo notando un'espressione triste sul suo volto. “Avresti voluto che lo fossi?”. Domandò curiosa incrociando le braccia al petto in attesa di una sua risposta.

 “Bhè in parte si”. Confessò il detective appoggiando la testa sullo schienale del divano e cominciando a guardare il soffitto. “Non dico per un futuro prossimo ma un pensiero per il futuro, futuro, potremmo anche farlo”. Beckett gli sorrise dolcemente, amando particolarmente quel suo fare pensieroso, le sue iridi fisse in un punto e le labbra serrate, quasi non respirasse dato che tutto il suo corpo era concentrato in quell'unico pensiero. Posò entrambe le mani sulle sue spalle e andò a sedersi a cavalcioni su di lui, cominciando a giocare con il colletto della polo che indossava.

 “Parliamo di noi”. Gli propose vedendolo sollevare la testa e tornarla a guardare. 

“Dei nostri problemi? Mi stai per lasciare?”. Volle informarsi lui spalancando gli occhi e tirando un profondo sospiro ma la donna capì che stava solo recitando.

 “No, del futuro”. Spiegò alzando le spalle. “Non ne parliamo mai veramente con serietà. Si facciamo progetti ma prendiamo la cosa sempre sotto gamba”. Castle le accarezzò i capelli per poi far scorrere le mani lungo il suo corpo fino ad arrivare ai fianchi della donna e fermarsi li. 

“E di cosa vuoi parlare? Di dove passare le prossime vacanze?”. Ironizzò Castle ricevendo uno schiaffo sul petto dalla donna.

 “Con te non si può mai fare un discorso serio”. Bofonchiò facendo per alzarsi ma lui la tenne stretta contro di se.

 “Stavo solo scherzando”. Si scusò inclinando il capo e facendosi pensieroso. “Voglio che la nostra vita continui cosi come procede ora, discussioni comprese”. Affermò deciso, accarezzandole la schiena da sopra la maglietta.

 “Da quanto stiamo insieme Rick?”. Domandò lei d'impeto, fermando la sua mano che in quel momento la stava distraendo.

 “Più di sei mesi”. Rispose lui non capendo il perchè di quel quesito. Allungò le gambe sul tavolinetto davanti a se e attese che la donna spiegasse le sue ragioni.

 “E nonostante tutto ancora mi dici mezze verità, mi parli ad enigmi, dimmi veramente cosa vuoi senza star li a farti tormentare da ogni mia possibile risposta”. Disse lei a denti stretti mentre gli tirava un orecchio, non forte, ma giusto per fargli capire che quei comportamenti bambineschi dovevano finire.

 “Siamo una coppia e come io sono chiara con te tu lo devi essere con me”. Puntualizzò dando un ultimo tirone al lobo per poi lasciarlo. Castle la guardò mugugnando parole di dolore mentre si massaggiava il punto dolorante. 

“Ma ti ho detto che voglio che rimanga tutto cosi”. Ripetè lui corrugando la fronte ma Beckett voleva sapere altro. 

“Quindi il vederci quel paio di volte a settimana, uscire fuori a cena o al cinema o starcene qui sul divano. Andare in camera da letto, fare l'amore, svegliarsi e andare al distretto e poi ricominciare tutto da capo?”. Riepilogò la loro settimana tipo all'uomo che annuì con la testa trovandosi d'accordo.

 “Senza dimenticare le cene con i tuoi la domenica sera”. Aggiunse ridendo quando lei lo colpì al fianco. Beckett sbuffò infastidita mentre si alzava da sopra di lui e si recava in cucina, passandosi una mano nei capelli. Perchè non voleva capire?. Si chiedeva la detective mentre apriva il frigo. Fece appena in tempo a prendere il cartone del succo di frutta che si sentì afferrare per i fianchi e sollevare sopra il ripiano della cucina. 

“Che fai?”. Chiese a Castle cercando di scendere ma lui le si mise davanti.

 “Stasera non sono solo io che dico le mezze verità”. Le fece notare con un sorriso altezzoso mentre posava le mani accanto alle sue cosce. “Cosa vuoi per noi?”.

 “Qualcosa in più”. Parlò la donna prima di nascondere il proprio volto dietro il cartone, iniziando a bere il succo a grandi sorsi. Non aveva altro da aggiungere, era il turno di Castle ora.

 “Non sono una delle persone più facili con cui stare.”. Ridacchiò lui vedendola appoggiare il cartone sul ripiano e alzare le braccia in aria.

 “Ma davvero?. Non l'avevo notato”. Ironizzò lei guardandolo con poca indulgenza. “Quando lo vuoi capire che non farò come Abby”. Affermò estremamente seria Beckett tornando a giocare con il colletto della polo dell'uomo.

 “Non ho paura che tu sia come lei, temo che io posso diventare come ero allora.”. Constatò lui con occhi tristi, sentendosi quella stretta al cuore. Quando conviveva con Abby faceva ben poco per farsi apprezzare come compagno. Si certo la riempiva di regali ma peccava in molto altro. Tornato a casa dalle missioni riusciva solo a gettare i vestiti a terra e a lanciarsi sul letto a dormire per un intero giorno. Ogni tanto gli capitava di svegliarsi di buon umore e allora cucinava qualcosa alla fidanzata ma erano veramente rare quelle occasioni. D'altro canto Abby non faceva nulla per meritarsele. Lei faceva le sue stesse identiche cose.

 “Impossibile.”. Affermò schietta lei. “Perchè se tu provi solo a essere com'eri quando convivevi con lei, io farò tutto ciò che posso per fartene pentire”. Asserì Beckett sorridendo presuntuosamente tanto che Castle fu quasi certo di una sua possibile, tale, reazione.

 “Dovrai faticare un bel po' per mettermi in riga”. Ridacchiò lui cominciando a sudare, sentendosi già troppe pressioni addosso. Sarebbe stato veramente pronto a quel piccolo passo avanti?.

 “Non credo”. Rispose Beckett riacquistando la sua serenità. “Ogni volta che sei qui da me cucini praticamente sempre, sia colazioni che cene. Mi tieni pulita la casa, son più le volte che sei tu che raccogli i vestiti sparsi in giro che io. Sarò piuttosto io che devo farmi qualche esamino di conoscenza per non approfittarne troppo.”. Sorrise maliziosa baciandolo, avvinghiando le gambe attorno ai suoi fianchi per tenerlo vicino.

 

“Voglio vivere con te Kate, è questo quello che voglio per noi”. Dichiarò Castle serio, deciso, fissando diretto le sue iridi. “Voglio passare ogni istante della mia giornata con te. Come collega, come amico, come fidanzato, come amante. Andare a dormire ogni notte con te al mio fianco e svegliarmi ogni giorno con te che mi sorridi”. Dolci immagini li si stavano formando nella mente, della loro vita insieme, di ciò che avrebbero costruito insieme.

 “Andare per negozi e scegliere insieme il set dei bicchieri, i tappetini del bagno, le tende per la sala”. Cominciò ad elencare tutto ciò che gli veniva in mente facendo sorridere Beckett che proprio non ce lo vedeva cosi casalingo.

 “E ogni giorno esporti i miei progetti. Cosa mi piacerebbe aver per noi”. Continuò staccandosi da lei e iniziamo a camminare per la cucina.

 “Voglio cambiare un po' di cose, basta con questo arredamento che urla “aiutatemi sono single””. Allargò le braccia indicando i mobili della cucina mentre Beckett rimaneva sempre seduta su un ripiano di essa, con le braccia conserte all'altezza del petto, curiosa di sentire i suoi sproloqui.

 “Voglio una cucina nuova. Basta con questo beige triste. Direi un blu elettrico”. Ipotizzò massaggiandosi il mento mentre la detective non poteva far a meno di scrollare il capo a quel suo repentino cambio d'umore. Un attimo prima sembrava cosi afflitto e un secondo dopo difficilmente lo si tratteneva.

 “E il tavolo blu anche quello?”. Domandò indicando il mobile che si trovava al centro della cucina. Castle lo guardò, fermandosi sui proprio passi, bofonchiando parole incomprensibili alla donna.

 “No, direi di levarlo. È troppo piccolo. Al suo posto altri ripiani dove potremmo cucinare tante pietanze per quando inviteremo Esposito e Lanie e Ryan e Jenny”.

 “E dove mangeremmo allora. Per terra?”. Scese dal ripiano Beckett cosi da seguirlo fino in sala dove lui si stava dirigendo.

 “No no. Questa stanza è grande quindi in un angolino mettiamo un tavolo abbastanza grande per metterci tutti”. Asserì Castle guardandosi attorno cercando la posizione migliore.

 “Non ti sembra di correre troppo ora?”. Domandò lei appoggiandosi a una parete, inarcando un sopracciglio vedendolo cominciare a fare lunghi passi e contare.

 “Scusa mi son lasciato prendere la mano”. Confessò lui grattandosi la testa mentre tornava vicino a Beckett. “é che voglio solo che questa casa sia il simbolo di quello che stiamo costruendo insieme. Che ci sia qualcosa di entrambi, qualcosa che abbiamo scelto insieme come coppia”. Le spiegò andandole a prendere le sue mani nelle proprie continuando a parlarle con fervore.

 “Voglio che appena entri in casa posi gli occhi su quella squallida statuetta di un elfo che mostra il fondo schiena che ti farò prendere in chissà quale improbabile mercatino e che tu sorrida a quel ricordo. Voglio che tutto ciò che ti circonda ti ricordi che non sei più sola, che hai a casa una persona che ti sta aspettando o che comunque farà sempre ritorno da te ogni sera”. Beckett si sentì il cuore batterle più forte ad ogni parola che lui pronunciava con cosi tanta dolcezza, con cosi tanta speranza. Alla fine potè solo abbracciarlo per assicurarsi che fosse vero.

 “Dove l'hai vista quella statuetta?”. Domandò contro il collo di Castle il cui petto iniziò a vibrare contro quello della donna a causa della risata che gli scoppiò sentendo quella domanda.

 “Da Ginger & Clover sulla 36th”. Rispose asciugandosi gli occhi.

 “Sabato andiamo a comprarla”. Gli promise facendolo sorridere da orecchio a orecchio. Primo passo per costruire una vita insieme, fatto, pensò soddisfatto tra se e se il detective.

 

 12th DISTRETTO

 “Ci sono ragazzi”. Enunciò Ryan correndo verso la scrivania di Beckett alcuni giorni dopo. Quando i colleghi lo guardarono straniti lui andò a spiegarsi.

 “Ho trovato come chiedere a Jenny di sposarmi”. Disse tutto contento mettendosi in posa per prepararsi a dire agli amici la sua grande idea. 

“Glielo chiederò all'hayden planetarium”. Intorno all'irlandese calò il silenzio.

 “Non vi piace come idea? Farò la proposta sotto un cielo stellato e in oltre li è dove l'ho portata in una delle nostre prime uscite e ci siamo detti che ci amavamo”. Rivelò ottenendo sempre la stessa reazione contenuta da parte dei colleghi. Solo Beckett cercò di sostenerlo.

 “Credo che sia una cosa molto dolce da parte tua Ryan”. Constatò la donna vedendolo di nuovo sorridere.

 “Bene, allora questa sera la porterò prima fuori a cena e poi li. Sarà tutto perfetto”. Disse con voce tremante mentre si puliva le mani sudate sulla giacca.

 “E se non lo sarà? E se mi dirà di no?”. Cominciò a farsi prendere dal panico, cercando con lo sguardo anche l'appoggio dei due colleghi uomini.

 “Andiamo Ryan, se Jenny non ti ha lasciato fino ad ora non lo farà di certo mentre le chiedi di sposarti”. Affermò Castle divertito nel vedere il collega quasi colpito da un attacco di panico.

 “Andrà tutto bene”. Si intromise Beckett non volendo far soffrire ulteriormente l'irlandese. “Jenny ti ama e non esiterà nemmeno un istante dal dirti di si”. In quel momento il telefono di Esposito suonò e il detective andò a rispondere.

 “Soffiata su un possibile omicidio in una vecchio edificio nel Bronx”. Disse il cubano ai colleghi che, come loro solito, si misero subito all'azione.

 

 SCENA DEL CRIMINE

 “Gli altri poliziotti non sono ancora arrivati”. Osservò Beckett guardandosi attorno e non notando ne agenti ne tanto meno spettatori indesiderati. Vi era solo una donna all'entrata dell'edificio che sembrava particolarmente spaesata ma che, appena vide i 4 detective, corse loro incontro parlando in spagnolo. Esposito si mise subito a fare da traduttore mentre Beckett poneva le domande. Quando la donna parlò del quarto piano Castle e Ryan decisero di salire e dare una prima occhiata alla scena del crimine. 

“C'è uno strano odore”. Notò l'irlandese sfregandosi il naso mentre il collega lo raggiungeva davanti alla porta incriminata.

 “Sembra gas”. Constatò Castle sfregandosi gli occhi. Non potevano perdere tempo a pensare a una fuga di gas, dovevano occuparsi di un corpo. Scostarono lentamente la porta e si ritrovarono dentro un appartamento fatiscente, dai muri si poteva notare l'intonaco che si stava staccando e la muffa fare capolino in ogni angolo. Si guardarono attorno e saltò subito alla loro attenzione il tavolino pieno di ampolle e il cadavere appoggiato su di esso. 

“Anfetamine”. Suggerì Castle osservando il liquido contenuto dentro quei contenitori di vetro mentre Ryan si occupava del corpo. Ancora tossivano per l'odore insistente di gas e delle sostanze chimiche presenti nella stanza. Quando il detective fece per posare le dita sulla gola del cadavere questi si alzò di colpo, facendo cadere la sedia all'indietro.

 “Dannazione era solo svenuto”. Imprecò Castle mentre Ryan aveva già estratto la sua pistola.

 “Polizia di New York mani in alto”. Intimò all'uomo che però scappò via prendendo l'uscita dell'appartamento. I due lo seguirono pronti a varcare la porta quando videro lanciare nella loro direzione un accendino acceso.

 “Sta giù”. Urlò Castle afferrando per la spalla il collega cosi da tirarlo verso terra con lui. L'aria dell'appartamento si infuocò in un istante e le boccette di vetro cominciarono ad esplodere. La muffa, l'intonaco, i vecchi mobili, bruciati dalle fiamme, cominciarono a far scaturire un fumo nero che stava intossicando i due.

 “Dobbiamo uscire da qua”. Affermò Castle rimettendosi di nuovo in piedi e procedendo verso l'esterno di quelle quattro mura, tossendo e inciampo sulle proprie gambe, seguito dal Ryan che sembrava quasi volerlo imitare nei gesti. Il fumo nero riempì velocemente quel piano rendendo l'aria ancora più irrespirabile. I detective scesero le scale aggrappandosi al vecchio scorrimano fino a venir soccorsi al piano inferiore da Beckett ed Esposito. Si sentivano i polmoni bruciare e la fatica a respirare era immane. Nel giro di pochi minuti si ritrovarono su un ambulanza pronta a portarli in ospedale.

  

OSPEDALE

 “Come sta Ryan?”. Domandò Castle che, sorretto da Beckett, aveva raggiunto Esposito nella sala d'aspetto dopo esser stato visitato. 

“Non avendo il tuo stesso fisico i fumi respirati gli hanno quasi fatto collassare un polmone. Dovrà rimanere una notte in osservazione ma domani lo rimandano già a casa”. Spiegò il cubano ai due guardando dal vetro il collega addormentato sul lettino.

 “Almeno non è nulla di grave. Vado ad avvisare Jenny”. Disse Beckett prendendo il suo cellulare e allontanandosi dai due. Castle la vide voltare l'angolo e poi entrò nella camera dell'irlandese assieme al collega.

 
“Come stai?”. Domandò a Ryan quando questi, sentendosi entrare, aprì gli occhi. 

“Uno straccio”. Ridacchiò mettendosi seduto contro i cuscini. “Questa sera volevo chiedere a Jenny di sposarmi e invece la devo passare qua in ospedale. Invece delle stelle vedrò la luce rossa di questi affari”. Affermò indicando i macchinari alla quale era collegato.

 “Possiamo aiutarti in qualche modo?”. Chiese Esposito mettendosi seduto accanto al collega che affranto scrollò la testa.

 “Se potete tirare giù il soffitto e farmi vedere il cielo ve ne sarei grato”. Ironizzò stringendo le coperte tra le dita. Quella era l'ultima cosa che voleva. Non riuscirono a scambiarsi altre due parole perchè i dottori chiesero loro di uscire in modo da poter visitare il paziente e cosi si trovarono di nuovo nella sala d'attesa.

 

“Ci teneva molto a farlo stasera.”. Sbuffò il cubano osservando le tendine chiuse nella camera dell'amico. 

“Forse possiamo ancora aiutarlo”. Asserì Castle con un enigmatico ghigno sul viso. “Devi farmi un favore”.
 

“Dov'è Esposito?”. Domandò Beckett alcuni minuti dopo, tornata nella sala dopo aver parlato con Jenny.

 “Aveva un impegno”. Disse semplicemente Castle. “Jenny sta arrivando?”.Chiese vedendo la collega annuire.

 “Era ancora per strada e quando le ho parlato l'ho fatta prima accostare. Mi ha chiesto cosa fosse successo e solo dopo averla tranquillizzata le ho permesso di guidare ancora”. Ridacchiò Beckett stringendo la mano del fidanzato che teneva le proprie iridi fisse sulla porta d'ingresso del reparto.

 “Tutto bene?”. Domandò curiosa. Sapeva che lui non aveva riportato alcuna conseguenza da quel piccolo incidente perciò la causa dei suoi pensieri doveva essere altro.

 “Si, mi chiedo solo se arriverà in tempo”. 

Quando le porte si aprirono entrò il cubano tutto sudato ma felice, portando con se una grossa scatola. 

“Tuo padre ci ha messo un po' per trovarla”. Lo informò porgendogliela. 

“Che cos'è?” Domandò Beckett sbirciando dentro, vedendolo solo un grosso cilindro nero. 

“Una piccola sorpresa per Ryan.”. Disse tutto sorridente Castle che entrò nella stanza del collega per spiegargli il meccanismo di quel piccolo marchingegno.

 

 Passarono altri 10 minuti e finalmente arrivò Jenny che quasi si fiondò verso i tre quando li vide. 

“Dov'è? Sta bene?”. Chiese isterica guardandosi attorno. Beckett l'afferrò per le spalle e la calmò. 

“Sta bene Jenny, ha respirato solo un po' di fumo”. Le disse guardandola dritta negli occhi, vedendola calmare. “é in quella stanza”. Le indicò con la testa, lasciandola poi andare dal fidanzato.

  

“Allora che c'era dentro quella scatola?”. Domandò ancora una volta Beckett ai due colleghi che stavano ridendo come dei bambini. 

“Ryan voleva le stelle e noi gli abbiamo portato le stelle”. Affermò Castle guardando per un qualche secondo la fidanzata dandole un leggero bacio. “Guarda tu stessa”. La incoraggiò ad osservare anche lei dentro la camera dell'irlandese.

 Ryan cercò di respirare il più profondamente possibile mentre teneva premuta contro di se Jenny, la quale era salita sul lettino e si era sdraiata accanto a lui. Guardò il telecomando tenuto nella sua mano destra e abbassò la levetta seguendo le istruzioni dategli da Castle in precedenza. Lentamente il cilindro si rivelò essere una lampada che illuminando la stanza proiettava contro le mura di questa le stelle e le costellazioni.

 “Non è come all'Hayden”. Si scusò Ryan ma a Jenny non importava, quello che vedeva le aveva tolto il fiato.

 “é ancora meglio”. Affermò lei con le lacrime agli occhi. Il detective frugò allora sotto le lenzuola fin quando non trovò il piccolo cofanetto che li aveva nascosto. Si mise dritto con la schiena e guardò la bionda.

 “Jenny Duffy O-Malley mi vuoi sposare?”. Disse tutto d'un fiato porgendole il cofanetto aperto cosi da mostrarle il prezioso anello che le aveva comprato.

 “Si”. Riuscì solamente a dire la futura sposa prima di farsi mettere l'anello al dito.

 
Esposito intanto aveva osservato tutta la scena rannicchiato contro la finestra e ora stava alzando i pollici verso i colleghi per informarli della buona riuscita della missione. I due se ne stavano seduti su due sedie, uno accanto all'altra mentre Castle abbracciava la donna posando una mano sulla sua spalla.

 “Sono contenta per loro due”. Disse sincera Beckett osservando ancora le costellazioni che si susseguivano davanti ai suoi occhi. “Deve essere un'emozione unica”. Sospirò emozionata stringendo le mani l'una contro l'altra trattenendosi dal piangere.

 “Un giorno te la farò provare anche io”. Affermò Castle ripromettendosi di mantenere quell'impregno a qualunque costo. 

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Litigio ***


 

CASA CONIUGI BECKETT

 Castle allungò la mano lungo il tavolo e afferrò ancora la bottiglia di vino che Johanna aveva messo vicino a lui e James. Se ne versò fino a quasi mezzo bicchiere per poi andare a fare lo stesso con il signor Beckett. Nonostante fosse quasi passato un anno dalla prima volta che era stato da loro a cena provava ancora un certo imbarazzo a stare allo stesso tavolo con i genitori della sua fidanzata. Provava sempre quella sensazione di disagio quando si trovava cosi vicino a loro, si sentiva inadatto ad essere considerato dai due quasi come un figlio. Johanna dal loro primo incontro l'aveva preso in simpatia mentre per James ci volle più tempo. D'altronde Castle gli stava portando via la sua unica figlia e questo lo rendeva un avversario temibile per il detective. Stavano parlando dell'ultima partita degli Yankess quando la signora Beckett si intromise nel discorso mentre portava in tavola un vassoio il cui contenuto era celato da un coperchio. Posatolo sul ripiano tolse ciò che ostacolava la vista e mise in mostra un invitante proffitterol grondante di cioccolato.

 “Allora verrete anche voi alla riunione di questo fine settimana?”. Disse porgendo i cucchiai al marito cosicchè facesse le porzioni per tutti mentre Castle già pregustava il dolce sapore del cioccolato. Quando però udì la domanda della donna andò a guardarla spalancando gli occhi.

 “Quale riunione?”. Domandò innocentemente mentre Beckett al suo fianco si irrigidì di colpo, andando a guardare la madre con severità e scrollando il capo cercando di farla smettere ma il danno ormai era stato fatto.

 “Pensavo lo sapesse”. Cercò di giustificarsi la donna mentre andava a passare le mani sotto il vestito cosi da non stropicciarlo rimettendosi seduta.

 “No, non lo sapeva”. Dichiarò Beckett posando il tovagliolo con la quale si era pulita la bocca parlando alla madre con fare spazientito.

 “Quale riunione Kate?”. Domandò Castle ora curioso mentre porgeva il suo piatto a James cosi da farsi dare la propria porzione di dolce.

 “é solo un'usanza della nostra famiglia. Una volta all'anno ci si riunisce tutti per passare un week end assieme”. Spiegò velocemente sperando che questo bastasse al fidanzato ma il signor Beckett decise di proseguire con la spiegazione.

 “Esatto. Mio padre la organizza ogni anno cosi da poter aver vicino tutta la famiglia. Nonostante abbia quasi 90 anni è ancora in gamba e sperava di vedere Katie questa volta dato che è da due anni che non partecipa”. Disse l'uomo provvedendo a riempire anche il suo piatto. “Mi ha detto che ti ha chiamato lui stesso per convincerti, ma che non c'è stato nulla da fare. Inoltre credo di avergli fatto venire un infarto quando gli ho detto che eri fidanzata”. Ridacchiò non notando la reazione dei commensali fino a quando la moglie non gli diede un pestone da sotto il tavolo. Castle appoggiò la forchetta al piatto e si voltò verso Beckett in cerca di chiarimenti mentre ella si nascondeva il viso tra le mani.

 “E cosi per lui non esisto”. Affermò irritato dimenticandosi momentaneamente dove si trovavano, quella rivelazione lo aveva colpito come una secchiellata d'acqua gelida.

 “Rick non è ne il momento ne il luogo per parlarne”. Lo ammonì lei cercando di afferrargli la mano ma lui fu più lesto e la tolse dalla sua presa, alzandosi in piedi, facendo cadere il tovagliolo sul tavolo.

 “Hai ragione non lo è”. Affermò per poi rivolgersi agli altri due. “Grazie Johanna per la squisita cena ma ora credo che sia meglio che io vada”. Li salutò con un cenno del capo dirigendosi alla porta più velocemente che poteva per non rischiare di dar sfogo alla sua rabbia nella casa dei signori Beckett. La detective guardò suo padre stizzita mentre lui cercava di scusarsi.

 

“Castle aspetta”. Provò di fermarlo alzandosi anche lei dalla tavola e cercando di raggiungerlo ma lui ormai aveva varcato la porta. Lo rincorse lungo il corridoio, trovandolo davanti all'ascensore.

 “Lascia che ti spieghi”. Gli disse togliendogli la mano dal bottone, per chiamare l'ascensore al piano, che stava premendo con eccessiva forza.

 “Non voglio sentire”. Ribattè lui senza nemmeno guardarla, alzando gli occhi per vedere il piano indicato per capire dove si trovasse l'ascensore.

 “Non sapevo come dirglielo Rick”. Cercò di spiegargli lei facendolo irritare ulteriormente. Non avendo più voglia di aspettare Castle preferì prendere le scale, sempre seguito passo per passo da Beckett.

 “Già, perchè dirgli “ah nonno lo sai,sono fidanzata da un anno” era troppo complicato”. Asserì lui ironico aprendo con forza la porta che dava sulla prima rampa.

 “Non conosci mio nonno”. Continuò lei cercando di fermarlo mentre insieme scendevano le scale.

 “Si, perchè tu non me lo vuoi presentare”. Gli fece notare lui sprezzante fermandosi sul pianerottolo per guardarla e poi proseguire di nuovo verso il basso.

 “Lui è un poliziotto. Ti avrebbe fatto il terzo grado, non ti avrebbe lasciato in pace. Ha sempre fatto cosi con ogni sua nipote. Non vuole che chissà chi gliele porti via”. Parlò ancora Beckett superandolo e fermandolo, allungando le braccia cosi da impedirgli di passare.

 “E io sarei chissà chi?”. Domandò ormai furente, con ogni muscolo del corpo cosi teso che Beckett non ebbe difficoltà a vedere le vene pulsargli sul collo.

 “Non è questo che volevo dire”. Si giustificò non ottenendo la reazione sperata tanto che Castle si mise a ridacchiare.

 “Invece è proprio quello che hai detto”.

 “Mio nonno vuole solo che siamo felici, solo che ha volte esagera con i suoi comportamenti. Diventa troppo protettivo nei nostri confronti, in particolare con me che sono una poliziotta, e a volte, per via di questo suo modo di fare, può risultare detestabile.”. Il detective rimaneva immobile a guardarla, con le mani in tasca per evitare di mettergliele addosso. Beckett invece era più agitata e ora si trovava a fare avanti e indietro per quel piccolo pianerottolo.

 “Credi che non l'avrei sopportato?. In confronto con altre persone che ho incontrato nella mia vita sarebbe stato un agnellino”. Le ricordò lui infastidito dal fatto che lo considerasse cosi debole tanto da prendersela per un vecchietto un po' troppo impiccione.

 “Ti avrebbe fatto scappare Castle. Avrebbe elencato ogni tuo difetto, ogni motivo per cui tu non vai bene per me, ti avrebbe reso quei giorni un inferno fino a quando non avresti ceduto e te ne fossi andato”. Dichiarò ancora Beckett per l'incredulità dell'uomo.

 “Sembra un altra persona da quella gentile e disponibile che mi hai sempre descritto”. Affermò calmo anche se sentiva ancora il sangue ribollirgli.

 “é uno dei suoi tanti difetti”. Constatò la donna andandosi a sedere su un gradino sentendosi improvvisamente senza forze.

 “Mia cugina Melanie tre anni fa era fidanzata con un avvocato”. Esordì ad un certo punto approfittando di quel silenzio da parte di Castle. “Lo portò da mio nonno per presentarglielo e lui per dargli il benvenuto lo portò a pesca con se e mio zio. Rimasero via solo poche ore, ma bastarono perchè, una volta giunti a casa, l'avvocato facesse le valigie e lasciasse Melanie”. Raccontò Beckett scrollando il capo andando ad osservare Castle e le sue reazioni. L'unica cosa che fece il detective fu di accennare un sorriso forzato e di alzare le spalle.

 “Credi che io abbia paura di un uomo sulla sedia a rotelle?”. Domandò Castle non cambiando quell'espressione infastidita che ormai gli segnava il volto.

 “Sono io che ho paura che lui ti faccia venire dei dubbi su di noi. Capisce qual'è il tuo punto debole e preme fin quando alla fine non cedi”. Disse Beckett stringendo la mano a pugno e battendola sul palmo dell'altra. 

“Un talento che tu hai preso da lui”. Asserì ormai stanco, superandola e proseguendo la sua discesa.

 “Castle ti prego”. Lo supplicò lei non muovendo un ulteriore passo rimanendo a guardarlo dalla ringhiera delle scale.

 “Mi hai sempre detto che ci tieni all'opinione di tuo nonno, che conta molto per te sapere cosa pensa lui”. Urlò dal piano inferiore Castle allargando le braccia. “Quindi il sospetto che mi viene adesso Kate non è sul fatto che lui possa far venire a me dei dubbi riguardo a noi”. Affermò indicandosi per poi puntare il dito contro lei. “Credo invece che tu hai paura che faccia venire quei dubbi a te e che per questo tu ti senta costretta a lasciarmi”. Beckett chiuse gli occhi e non rispose. Quando li riaprì Castle era sparito.

  

CASA BECKETT

 Dopo essersi congedata dai genitori Beckett prese un taxi e corse subito al proprio appartamento cosi da sperare di risolvere con Castle quella loro piccola incomprensione. Salì le scale non avendo tempo di aspettare l'ascensore e arrivò al proprio piano ormai priva di fiato. Si destreggiò con il mazzo di chiavi cercando quella giusta e trovatala aprì la porta chiamando il proprio fidanzato. Da nessuna delle stanze però ottenne alcuna risposta. Per essere certa che lui non ci fosse guardò in ogni camera, dietro ogni porta, dentro ogni armadio sperando che Castle le stesse facendo uno dei soliti scherzi ma questa volta il detective faceva sul serio. Beckett si guardò attorno, osservando gli oggetti che il fidanzato aveva portato poco a poco in quei mesi, dando cosi via a quel trasferimento lento ma costante. I suoi libri e i suoi vestiti erano ancora li, sospirò la donna, almeno non se n'era andato. Quando l'orologio segnò le due del mattino Beckett perse ogni speranza di vedere l'uomo in quella serata e cosi si ritirò nella propria camera da letto. Si sentiva in colpa, non poteva far altro, ma d'altro canto Castle alle volte era cosi testardo che non riusciva a capire il motivo dei suoi comportamenti e in questo caso non intuiva il perchè lei non gli avesse detto di quella riunione. Ripensando a quanto detto da lui sulle scale si ritrovò d'accordo con Castle quando egli affermò che anche lei stessa aveva paura dell'opinione di suo nonno e del fatto che poteva influenzarla cosi tanto. Non volendo più pensare a quei problemi prese una delle magliette del fidanzato dall'armadio e la indossò sperando che il giorno appena iniziato fosse meglio di quello che si lasciava alle spalle.

 I suoi buoni propositi però non vennero ascoltati. Non fece nemmeno in tempo a mettere piede nel distretto che Castle le mandò un messaggio in cui la informava che in quella giornata non si sarebbe presentato al lavoro e di aver già avvisato i colleghi dicendo loro che la sua assenza era dovuta a una teleconferenza con gli ex colleghi di Los Angeles. Quella giornata al distretto senza lui non sarebbe mai passata velocemente, pensò la donna sedendosi alla propria scrivania concentrandosi sul lavoro.

 

 JPMORGAN BANK

 Castle se ne stava seduto su di una panchina fuori da un edificio al cui interno vi era una delle agenzie della JP Morgan Bank. Non un'agenzia qualsiasi ma quella in cui lavorava James Beckett. Non sapeva nemmeno lui perchè era li ma se voleva sapere qualcosa in più del capostipite della famiglia Beckett il padre di Kate era la persona che poteva aiutarlo. Controllava l'ingresso del palazzo per esser certo di fermare l'uomo una volta finito il suo turno ma teneva anche d'occhio il poliziotto che stava di guardia alla banca e che più volte gli aveva lanciato occhiatacce sospettose. Finalmente alle 15.30 il signor Beckett mise piede fuori dalla porta girevole, con un cappotto lungo marrone e una valigetta nera. Castle fece fatica a riconoscerlo in quelle sembianze.

 “Signor Beckett”. Lo chiamò correndogli in contro prima che lui potesse chiamare un taxi.

 “Ah Richard”. Ricambiò vedendolo arrivare alle sua spalle. “Tutto a posto?”. Chiese preoccupato non vedendo la figlia insieme a lui, sapeva bene che i due erano inseparabili.

 “Si, diciamo di si”. Affermò il detective grattandosi la nuca imbarazzato. “Vorrei rubarle qualche minuto se per lei non è un problema”. Disse mettendosi le mani in tasca aspettando una risposta dall'uomo. James Beckett si guardò attorno e poi indico un bar dall'altra parte della strada.

 “Ci prendiamo un caffè?”. Suggerì ricevendo l'approvazione di Castle che lo seguì verso il bar. SI misero in un tavolo un po' isolato rispetto agli altri. Il detective preferiva quei luoghi appartati cosi da non aver problemi a parlare liberamente senza che orecchie indiscrete sentissero i loro discorsi. 

“Si tratta di ieri sera non è cosi?”. Domandò James quando notò la sua difficoltà a cominciare il discorso.

 “Abbiamo litigato”. Affermò Castle vedendo ridacchiare il padre della propria fidanzata.

 “Bhè non ci voleva molto a capirlo. Mi dispiace solo che sia stata colpa mia”. Dichiarò l'uomo prendendo tra le mani la tazza di caffè senza però berlo.

 “Lei non ha colpe, ha solo dato spiegazioni su quella vostra usanza. È colpa di Beckett che non mi ha detto di questa riunione e colpa mia che ho esagerato con il mio comportamento”. Asserì Castle che invece bevve il caffè con gusto.

 “Ma non credo che tu sia qui per farmi questa confessione, non è cosi?”. Insistette il signor Beckett vedendolo annuire. 

“Perchè non mi ha detto di questo week end?”. Domandò infastidito Castle poggiando la tazza sul tavolo e premendosi contro lo schienale della sedia.“é davvero cosi tremendo suo padre?”.

 James lo fissò in viso per alcuni secondi forse intenerito dal modo in cui l'uomo si stava crucciando. “Cameron Beckett è conosciuto per i suoi modi rudi quando si tratta degli estranei. Se lo vedessi ragionando come una persona esterna alla mia famiglia lo descriverei quasi come un orso”. Ridacchiò egli fissando ora il caffè davanti a se.

 “Si sente in dovere, come capostipite, di portare tutto il peso dei nostri problemi sulle spalle, si trasforma in un paladino pronto a dare a noi tutto ciò che non ha potuto avere lui. Vuole solo il meglio per i suoi nipoti come lo ha voluto per i suoi figli”. Spiegò l'uomo vedendo Castle annuire. Capiva benissimo, anzi condivideva, il pensiero del vecchio Beckett ma ancora si crucciava per il modo di fare di Kate.

 “Pensa davvero che si intrometterebbe tra me e sua figlia? Come ha fatto con Melanie e il suo avvocato?”. Domandò Castle estremamente serio. Se la risposta fosse stata positiva tutto sommato avrebbe accettato di buon gusto l'idea di Beckett di non partecipare alla riunione. Di certo non si sarebbe gettato nella fauci del leone e messo a rischio il loro rapporto.

 “Si, lo farà di sicuro. Vorrà metterti alla prova per vedere se sei all'altezza di Katie.”. Rispose sincero James notando il suo interlocutore incupirsi di colpo. “Lui vuole solo che sua nipote sia felice e per questo deve accertarsi che anche il suo fidanzato, in questo caso tu, voglia la stessa cosa”. Aspettando una risposta da parte di Castle andò a bere il suo caffè ormai divenuto freddo ma era un ottimo diversivo per distrarsi da quel silenzio imbarazzante.

 “Lei lo sa che morirei per far felice Kate”. Dichiarò il detective vedendo il signor Beckett annuire.

 “Certo io lo so ma non mio padre”. Diede quella risposta ovvia che lasciò però l'amaro in bocca al più giovane dei due.

 “Io vorrei anche farlo, ma sua figlia non mi aveva neppure accennato a questa riunione”. Asserì Castle riportando alla luce quel fastidio che quella faccenda gli aveva provocato. James ne fu per un istante sorpreso tanto che si distanziò dall'uomo per paura di finire nella sua traiettoria. 

“Katie ha le sue ragioni per averlo fatto”. Rispose lui mantenendo quella freddezza che lo caratterizzava in quei minuti.

 “Si infatti”. Ribattè a tono il detective. “Ha paura che suo nonno le dica di lasciarmi e di conseguenza dovrà interrompere il nostro rapporto”. Constatò imbronciato assumendo una posa degna più di un bambino di 5 anni offeso per non aver ricevuto il gioco desiderato piuttosto che a un adulto.

 “Sai conosci mia figlia da anni ormai. Siete fidanzati da un anno e ancora non hai capito molte cose di lei.”. Affermò James sempre rimanendo calmo anche se Castle intuì che quella sotto sotto era una ramanzina velata.

 “Ragiona a mente fredda e chiediti qual'è veramente il motivo per cui non vuol presentarti a mio padre”. Gli suggerì alzandosi dalla sedia e prendendo il portafogli cosi da lasciare cinque dollari sul banco per pagare il conto.

 “Gliel'ho detto. Ha paura di quello che potrà dire su di me. Ha paura che non mi ritenga all'altezza”.Ripetè nuovamente Castle facendo valere le sue ragioni. Non capiva perchè il signor Beckett non comprendeva una spiegazione cosi semplice.

 “Scava più a fondo ragazzo mio.” Continuò l'uomo rimettendosi la giacca e poi posando una mano sulla spalla del detective cosi da costringerlo a guardarlo in volto. “Kate tiene con tutto il cuore sia a te che a suo nonno. Pensa se davvero mio padre le dicesse solo calunnie su di te. Alla fine potrà fare solo una cosa”. Affermò staccandosi dal detective e tirando un profondo sospiro.

 “Dovrà scegliere”. Disse Castle fissando un punto impreciso davanti a se, non aveva mai pensato a quell'ipotesi. Era stato egoista e aveva pensato solo al torto fattogli non a quello che passava nella mente di Beckett.

 “Qualunque sarà la sua scelta perderà comunque”. Enunciò James per poi andarsene lasciando il detective solo con i suoi pensieri.

 

 CASA BECKETT

 Beckett tornò a casa per l'ora di cena distrutta più mentalmente che fisicamente. Del caso che avevano seguito in quella giornata non ricordava praticamente nulla a causa della poca attenzione che vi aveva prestato. Se gli avessero chiesto le cause della morte della vittima non avrebbe nemmeno saputo rispondere. La sua mente era concentrata solo su Castle, in tutto il corso della giornata non aveva fatto altro che pensare a lui, guardando di tanto in tanto verso l'ascensore sperando che le porte si aprissero e lui facesse capolino da quelle. Ma non avvenne nulla di tutto ciò. Si sentiva sola, abbandonata. Chiuse la porta di casa lentamente, muovendosi sul pavimento con difficoltà, sentendosi le ossa pesargli 100 kg. Fece per raggiungere la cucina per mangiare qualcosa quando sentì una presenza nella sala insieme a lei. Si voltò verso la finestra e vide, ai piedi di quella, con la schiena contro il muro, Castle. Nemmeno la stava guardando ma la donna sapeva che era comunque concentrato su di lei. Con passi leggeri si incamminò verso di lui, senza dire nulla, andandosi a sedere poi al suo fianco. Rimasero li, con la testa appoggiata alla parete in completo silenzio. Nessuno dei due muoveva un muscolo non volendo causare alcuna reazione dalla controparte, si studiavano, si aspettavano, senza batter ciglio. Castle abbassò la mano che aveva sul ginocchio verso il pavimento e quando la risollevò tra le dita poteva notarsi una lattina di birra. Piegò il gomito e la porse a Beckett che si limitò ad accettarla e andarla a bere, mandandola giù a fatica.

 “Perchè non me l'hai detto di questo week end?”. Domandò ancora lui questa volta più calmo rispetto la volta precedente. In quelle ore di solitudine aveva avuto modo di riflettere a mente fredda come consigliato da James.

 “Bhè l'hai detto tu stesso no.” Rispose lei seccata. “Potrei farmi influenzare da mio nonno e ti potrei lasciare”. Disse tornando a bere dalla lattina per poi posarla di nuovo sul pavimento.

 “Questo è quello che pensavo io. Ora voglio sapere il vero motivo da te”. Continuò il detective inclinando la testa e andando a guardarla. A fissare il suo profilo illuminato dalle luci provenienti dalla città. 

Beckett alzò gli occhi al cielo e deglutì a fatica mentre nascondeva la bocca dietro la mano, incerta se parlare o meno.

 “Kate”. Sussurrò lui invitandola ad aprirsi.

 “Ci tenevo a presentarti a lui. Ci tenevo davvero molto ma poi..”. Esordì fermandosi di colpo, aprendo la bocca ma non riuscendo a pronunciare alcuna sillaba. “Poi ho pensato, se si facesse venire dei dubbi su Rick, a causa del suo passato misterioso e insisterebbe sul lasciarlo, cosa farò”. Dichiarò tutto d'un fiato scrollando il capo non volendo pensare a quella possibilità.

 “Avrei dovuto scegliere. O dare ragione a mio nonno e perdere te o dargli torto e perdere lui. Comunque fosse andata avrei dovuto rinunciare a uno di voi”. Confessò infine Beckett posando le mani a terra e alzandosi, prendendo a camminare verso la cucina cosi da andare a buttare via la lattina vuota. Castle la seguì con gli occhi per qualche metro prima di rimettersi in piedi anche lui. La vide appoggiarsi contro il lavandino, rimanendo li senza muoversi. Socchiudendo gli occhi fece gli ultimi passi che li dividevano e andò ad abbracciarla, strinse le braccia intorno ai suoi fianchi e appoggiò il mento sulla sua spalla posandole un veloce bacio sul collo. 

“Presto o tardi comunque dovrai presentarmi la tua famiglia.”. Affermò il detective vedendola annuire mentre appoggiava le sue mani sulle proprie. “Altrimenti dovrai valutare la possibilità che il giorno del nostro matrimonio, quando il celebrante dirà “se qualcuno ha qualche obbiezione parli ora o taccia per sempre”, potremmo vedere tuo nonno percorrere la navata sulla sua carrozzina rossa fiammante urlando “io mi oppongo dato che non so se è adatto alla mia adorata Kate””. Ridacchiò Castle immaginandosi quella scena, ricevendo una gomitata nello stomaco da parte della donna.

 “Quanto sei scemo”. Gli disse prendendo la direzione verso le scale ma trovandosi costretta a fermarsi quando lui l'afferrò per una mano.

 “Promettimi che ci penserai”. Disse solo lui, non volendo insistere oltre. Beckett fissò le sue iridi che le trasmettevano sicurezza e serrando le labbra annuì.

 “Ci penserò”.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Riunione-Parte 1 ***


 

E cosi il venerdi mattino seguente si trovarono ad atterrare all'aeroporto John Munro di Hamilton. Castle aveva sentito più volte parlare di quella città “d'acciaio” ma quella era la prima volta che vi metteva piede, lui del Canada conosceva solamente Edmonton. Presero le loro due valigie e si diressero verso l'uscita, più precisamente verso il garage cosi da noleggiare un auto per quel week end. Castle aveva pensato di usare un taxi ma Beckett optò per la comodità di aver una macchina tutta loro, cosi da aver la possibilità di visitare Stoney Creek e i luoghi che avevano caratterizzato la sua infanzia. Il detective storse il naso quando fu il momento di versare la caparra ma a vedere lo sguardo felice di Beckett si sentì ripagato.

 “Avanti dammi le chiavi”. Affermò la donna aprendo il palmo dopo aver gettato senza troppa cura la valigia dentro il baule.

 “No, eravamo d'accordo che avrei guidato io”. Ribattè il detective sollevandosi sulle punte e alzando il braccio cosi che risultasse impossibile per Beckett di raggiungere le chiavi.

 “Tu non conosci queste strade, io si”. Gli fece notare cercando di appendersi al suo arto cosi da abbassarlo per facilitarle il compito.

 “Per questo ho preso l'auto con un gps, cosi non mi perdo”. Sorrise lui passando le chiavi nella mano sinistra mentre liberava il braccio opposto dalla presa di Beckett e poi, con un movimento lesto, aprire la portiere e mettersi al posto del guidatore.

 “O con me o a piedi”. Asserì lui allacciandosi la cintura divertito nel vederla cedere cosi facilmente. 

“Al prossimo giro però guido io”. Avvisò lei osservandolo mentre osservandosi nello specchietto retrovisore si sistemava gli occhiali da sole e quei due ciuffi ribelli che gli cadevano sulla fronte.

 “Come vuole lei madame”. Disse uscendo dal parcheggio e immettendosi nel traffico della città. Il gps fu inutile, notò l'uomo, dato che Beckett ricordava ogni angolo della città, ogni singola strada e la sua direzione. Per un istante a Castle sembrò di non essersi mai mosso da New York e questo gli dispiaceva, la fidanzata gli aveva descritto il luogo dove viveva suo nonno come un posto tranquillo, ma li erano solo circondati dal caos. Dopo una ventina di minuti però i palazzi, i grattacieli, i semafori, le persone stesse sparirono e si ritrovarono lungo una strada a due corsie, costeggiata per tutta la sua lunghezza da prati e alberi. Beckett, che stava armeggiando con la radio in cerca di qualche canzone, si trovò in dovere di abbassare il tettuccio della vettura cosi da godere maggiormente di quella vista. Inspirò a pieni polmoni quei profumi che le ricordavano se stessa a 10 anni. Castle la osservò attraverso gli occhiali da sole, sorridendo a denti stretti per non far cadere la cannuccia del te appena bevuto. Scrollò il capo vedendola quasi sollevarsi dal sedile, alzando le braccia al cielo, lasciando che l'aria le facesse svolazzare all'indietro i lunghi capelli. Entrambi in quel momento desiderarono che quel viaggio non finisse mai. Quel paesaggio isolato però finì troppo presto e le prime villette iniziarono a far la loro comparsa ai bordi della strada.

 “Ora dove devo andare?”. Domandò Castle accostandosi al ciglio della strada, approfittando dell'ombra creata da un cipresso posto in un giardino.

 “Prosegui per Barton Street”. Cominciò a dire Beckett indicando dritto davanti a se con la mano. “Poi volta verso la Fifty Road e in seguito verso la Higway. Dopo un paio di chilometri vedrai una casa rossa su più piani. La riconoscerai per via della piscina, dell'ampio prato e dalla dependance”. Spiegò la donna notando che Castle la guardava con fare stranito.

 “Cioè tuo nonno vive in una casa, in mezzo al verde, con tanto di piscina e noi ci dobbiamo accontentare di un appartamento a New York, circondato da cemento e piscine usate come bagni pubblici”. Bofonchiò facendo ripartire la macchina, seguendo le indicazioni dategli. 

“Dovrò farci un pensiero a comprare una casa qui. È un luogo tranquillo. Il posto adatto per staccare dalla vita caotica della città”. Pensò a voce alta il detective studiando le villette ancora in mattoni, ognuna con un piccolo giardino pieno di giostre per bambini. Beckett sorrise ma non disse nulla, non voleva in alcun modo influenzare la sua opinione ma di certo, se glielo avesse chiesto, lei sarebbe stata più che felice di prendere anche una piccola casa in quei luoghi.

 “é quella li”. Affermò la detective allunga il braccio e indicando la struttura che si ergeva in mezzo a ettari di verde. Castle parcheggiò la macchina contro il marciapiede, dietro a un enorme camper, e si slacciò la cintura.

 “Pronta?”. Chiese afferrando la mano di Beckett prima di scendere. 

“Pronta”. Rispose lei allungandosi sul proprio sedile cosi da dargli un bacio prima di aprire la portiera e metter piede a terra. Entrambi si sgranchirono le gambe e la schiena per poi andare a recuperare le valige dentro il baule. Quando erano ancora impegnati in quel compito videro due figure camminare lungo il vialetto di pietra in loro direzione. Castle riconobbe quasi all'istante Johanna ma per la sua accompagnatrice non aveva alcun indizio.

 “é mia zia Josie. La moglie del fratello di mio padre, Paul”. Spiegò Beckett alzando la mano cosi da salutare le due mentre Castle ripeteva nella mente quelle informazioni. La detective durante il viaggio in aereo gli aveva spiegato a grandi linea il proprio albero genealogico ma lui non le aveva prestato molta attenzione, preso più dal film che stavano passando in quel momento.

 “Josie, Paul”. Ripetè a voce alta più e più volte stringendo i pugni. 

“Kate, tesoro, che bello averti qui con noi”. Affermò Josie stringendola tra le sue robuste braccia voltandosi poi verso Castle.

 “E tu devi essere Richard”. Enunciò avvicinandosi a lui guardandolo da testa a piedi. “Bel bocconcino”. Rise facendo l'occhiolino a Beckett per poi andare ad abbracciare anche l'uomo, cosi forte che al detective sembrò di essersi incrinato qualche costola.

 “Forza venite, vi mostro dove appoggiare le valigie”. Disse prendendo la borsa della donna cosi da aiutarla mentre li accompagnava lungo il vialetto. Quando Beckett vide che si stavano dirigendo verso la casa si fermò.

 “Non dormiamo nella dependance?”. Chiese indicando quella casetta un po' spostata verso destra rispetto alla casa di cui però ne richiamava i colori.

 “No li dormiranno Sean e Kim con i bambini.”. Rispose Josie salendo i tre gradini in legno e fermarsi sulla veranda in attesa dei tre.

 “Cameron vuole controllarvi perciò ha voluto avervi in casa e non nella dependance”. Spiegò Johanna all'orecchio della figlia cosi da non risultare pettegola. Beckett preoccupata non potè fare a meno di annuire mentre raggiungeva la zia che le stava tenendo aperta la porta.

 “Sean è suo figlio giusto?”. Chiese Castle alla donna mettendo alla prova la sua memoria per evitare di far brutte figure davanti a tutta la famiglia.

 “Esatto. Ho due figli Sean e Melanie”. Constatò Josie facendo passare anche Johanna. “Kimberly e Sean sono sposati da 10 anni e hanno due bambini, Patrick di 7 e Alicia di 4 e mezzo. Non volendo che i bambini creassero problemi hanno deciso di dormire loro nella villetta”. Spiegò ancora chiudendo la porta dietro di se una volta che sia lei che Castle misero piede nella casa.

 
Castle si guardò in giro, studiando l'ampio salone e le porte a vetri che davano su uno sconfinato prato. Le sue iridi si soffermarono poi su un muro dove vi erano diverse fotografie, probabilmente di Cameron e del fratello dato che vi erano ritratti due poliziotti.

 “Kate?”. Si sentì una voce incredula ma altrettanto forte provenire dalle scale e un secondo dopo una ragazza dell'età di Beckett corse per quei metri che la dividevano dalla donna e andò anche lei ad abbracciarla. 

“Non mi avevano detto che saresti venuta. Pensavo ci avresti dato buca anche quest'anno”. Disse Melanie stringendo forte la cugina e chiudendo gli occhi. Beckett non aveva mai tenuto nascosto il forte legame che aveva con la ragazza, da piccoline si consideravano come delle sorelle e la detective non vedeva mia l'ora di passare del tempo a Stoney Creek per stare con lei.

 “Volevo che fosse una sorpresa e a quanto pare ci sono riuscita.”. Affermò ricambiando l'abbraccio, rimpiangendo la possibilità di non far visita alla famiglia più spesso. A Castle dispiacque interrompere quella scenetta ma si sentiva in leggero imbarazzo a starsene li imbambolato in mezzo alla sala mentre le quattro donne discorrevano, perciò diede due colpi di tosse per attirare la loro attenzione.

 “Melanie voglio presentarti Rick. Rick questa è mia cugina Mel”. Disse Beckett avvicinandosi al detective che allungò la mano per stringere quella della donna.

 “Kate e Johanna mi hanno parlato spesso di te, in particolare del fatto che sei molto introverso ma hanno accennato anche a certe tue qualità”. Disse ammiccando, causando un improvviso rossore all'uomo.

 “Andiamo Mel, cosi lo fai già scappare”. Disse Beckett afferrando con una mano una valigia e con l'altra il braccio del fidanzato.

 “Qual'è la nostra camera zia?”. Chiese a Josie che stava redarguendo Melanie ma sempre con un sorriso stampato sulla faccia.

 “Cameron mi ha fatto preparare la tua per voi”. Le disse vedendola annuire e cosi Beckett guidò Castle su per le scale dove il detective potè notare il montascale necessario al vecchio Beckett per raggiungere la propria camera.

 “Questo è il reparto degli anziani”. Scherzzò la detective ridacchiando, raggiungendo il primo piano. “Quella è la camera dei miei nonni”. Affermò indicando l'ultima porta sulla destra. “Mentre qua dormono i miei genitori”. Continuò riprendendo le scale.

 “E i tuoi zii?”. Chiese Castle sempre osservandosi attorno, passando le dita sui listelli in legno che decoravano metà parete mentre la metà superiore era ricoperta da altre foto. Sorrise a vedere quelle che ritraevano Beckett da giovane.

 “Hai visto il camper la fuori?”. Chiese voltandosi verso Castle che annuì. “é il loro e ormai non riescono a dormire da nessun'altra parte”. Disse Beckett raggiungendo anche il secondo piano molto simile a quello sottostante. I due proseguirono fino alla fine del corridoio e poi si fermarono alla porta che dava sulla sinistra. Beckett appoggiò la mano sulla maniglia ma non aprì. Erano anni d'altronde che non vi metteva piede. Le sue visite ai nonni erano state molto sporadiche da quando aveva cominciato a lavorare per la omicidi.

 “Tutto a posto?”. Domandò Castle vedendola esitare..

 “Si stavo solo ricordando i tempi andati”. Rispose aprendo la porta cosi da entrare nella stanza. Non era molto grossa, giusto lo spazio per un ampio letto, una scrivania e un armadio. La detective si guardò attorno contenta di vedere che nulla fosse cambiato. Contro una parete uno scaffale pieno di libri, un vecchio telescopio in un angolo, foto di lei insieme alla sua famiglia appese al muro.

 “E queste?”. Chiese Castle dopo aver posato la valigia sul letto e essersi mosso contro una parete indicando un paio di scarpe appese a un chiodo. Beckett arrossì lievemente per poi mettersi a ridere mentre si avvicinava per passarci sopra le dita, incredula che fossero ancora li.

 “Erano le scarpe di quando seguivo le lezioni di flamenco”. Spiegò lei ridacchiando, soffermandosi ancora ad osservare quelle scarpe.

 “E chi lo sapeva. Questo soggiorno si rivelerà molto istruttivo”. Scherzò Castle ricevendo una pacca sul petto. Beckett si allontanò dirigendosi verso il letto cosi da aprire le valigie e iniziare a disfarle mentre Castle si diresse verso la finestra. Scostò la tenda e guardò il giardino sottostante. Riconobbe facilmente Cameron Beckett, intento a parlare con James. Altri due uomini erano nella piscina insieme a i bambini mentre Melanie stava chiacchierando con una donna bionda che il detective suppose essere Kimberly.

 “Se vuoi c'è il telescopio cosi li puoi spiare meglio”. Affermò Beckett senza nemmeno voltarsi mentre riponeva le loro magliette dentro un cassetto dell'armadio.

 “é una famiglia molto unita”. Constatò Castle togliendosi dalla finestra e andando ad aiutare la fidanzata passandole i vestiti.

 “Molto. Abitiamo tutti in stati diversi e abbiamo ben poche occasioni per vederci ma quando accade è come se ci fossimo visti il giorno prima. Nulla cambia.”. Sorrise la detective andando a ritirare anche le valigie cosi da aver il letto libero.

 “Grazie”. Disse Beckett afferrando i colletti della camicia di Castle che inarcò un sopracciglio non capendo.

 “Per cosa?”. Chiese accarezzandole i capelli e facendo un passo in avanti cosi da esserle ancora più vicino.

 “Per la pazienza che dimostrerai”. Spiegò andando a dargli un bacio sentendo poi bussare alla porta.

 “Chi te lo dice che sarò paziente?”. Domandò retorico Castle mentre lei si dirigeva alla porta non prima però di avergli lanciato una delle sue occhiatacce.

 

“Ciao nonna”. Disse Beckett abbracciando una signora anziana ma ancora cosi arzilla che Castle si stupì a vederla indossare un paio di jeans e non la solita gonna lunga.

 “Ah bambina mia non sai quanto sono felice”. Affermò la donna asciugandosi una lacrima per poi fissare il detective che, non sapendo che fare, alzò semplicemente una mano in segno di saluto.

 “é un piacere aver qui anche te Richard”. Disse stringendogli le guance, costringendolo ad abbassarsi per poi stampar sopra di quelle due grossi baci. “Un vero piacere”.Concluse dandogli due schiaffetti. Castle potè solo annuire toccando le guance ormai rosse, trattenendo a stento quel verso di dolore, lamentandosi solo quando la donna si fu girata di nuovo verso Beckett.

 “Non fateci aspettare troppo”. Disse rivolta alla nipote prima di uscire dalla camera e lasciarli di nuovo soli.

 “Mia nonna è sempre stata cosi affettuosa”. Ironizzò la donna vedendo Castle che drammatizzando il tutto si toccava ancora il volto.

 “L'ho notato”. Bofonchiò prendendole la mano cosi da scendere insieme a lei in giardino.

  

Una volta messo piede in giardino alla coppia sembrò di essere chissà quale personaggio famoso per via dell'attenzione che si era creata intorno a loro. Nessuno parlava più ma si limitavano a fissarli, anche i due uomini dentro la piscina non scherzavano più con i bambini. Castle deglutì a fatica e si sentì stringere forte la mano da Beckett che poi lo trascinò verso Melanie e l'altra donna.

 “é bello averti qui Kate”. Disse Kimberly dandole due baci sulle guance per poi presentarsi anche a Castle. I due uomini dentro la piscina dopo qualche minuto li raggiunsero identificandosi come Sean ed Erik, il fidanzato di Melanie. Quella sensazione di inadeguatezza che Castle sentiva svanì in poco tempo dato che i quattro lo fecero sentire subito parte del gruppo, non riempiendolo di domande sui suoi genitori come si aspettava, ma preferendo conversare a proposito del viaggio o del lavoro.

 “E il mio turno quando arriva?”. Chiese una voce un po' roca, interrompendo i sei che subito si spostarono cosi da far passare Cameron.

 “Ciao nonno”. Enunciò felice Beckett abbracciando per un minuto buono l'anziano sulla sedia a rotella.

 “Finalmente sei qui principessina mia. Ormai avevo perso le speranze di rivederti ancora. New York ti ha agguantato nella sua ragnatela e ti ha fatto dimenticare chi sei.”. Proferì lui ricambiando quel gesto per poi staccarsi dato che si stava commuovendo più del dovuto ma gli bastò osservare Castle per perdere quella spensieratezza e farsi scuro in volto.

 “E cosi lei è il signor Castle”. Constatò mettendo le mani sulle ruote della carrozzina e avvicinarsi alle gambe del detective.

 “Kate mi ha parlato molto di lei signor Beckett e mi chiami pure Richard”. Disse cortesemente lui allungando il braccio cosi da stringere la mano all'uomo che però non si mosse.

 “Si ricordi sempre che è un mio ospite signor Castle”. Affermò deciso e perentorio l'uomo per poi voltare la carrozzina e rivolgersi alla moglie con un tono più consono.

 “Direi di iniziare a mangiare Hellen”.

 “Direi che è andata bene la presentazione”. Ridacchiò Castle allentandosi il colletto della camicia ritornando a respirare.

 “Ah non ci contare”. Lo rassicurò Erik dandogli una pacca amichevole sulla spalla. “Quando Melanie ci ha presentati mi ha tenuto per due ore nel suo studio, obbligandomi a rispondere a ogni domanda che mi faceva, mi è sembrato un interrogatorio”. Raccontò lui parlando a bassa voce cosi da non esser sentito dal vecchio Beckett, preso ora a intrattenere i bambini.

 “Si però Erik non dargli queste false speranze di cavarsela cosi facilmente”. Si intromise Sean allungando un braccio sulle spalle di Castle cosi da abbracciarlo mettendosi al suo fianco. “é appena arrivato c'è ancora tempo perchè passi sotto le grinfie di Cameron Beckett”. Rise subdolamente l'uomo seguito dall'amico. 

“Andiamo cosi lo spaventate solo.”. Li fece smettere Kimberly prendendo la parola. “Se vuoi piacere a Cameron allora si naturale, non mostrarti per quello che non sei.” Gli consigliò la donna dandogli qualche dritta utile. “E sopratutto non mentirgli. È un ex poliziotto se ne accorgerebbe subito”. Castle si trovò subito d'accordo. Era di certo quella la filosofia che voleva seguire, avrebbe risposto a ogni domanda che gli fosse stata posta con la verità, avrebbe detto loro tutto ciò che volevano sapere. Anche se avessero domandato di Los Angeles gli avrebbero chiesto del suo lavoro e mai avrebbero sospettato del Cirg, nessuno dei presenti, a parte Beckett, sapeva di quella parte della sua vita. Un piccolo dubbio gli venne osservando il vecchio Beckett, di certo era in grado di far delle ricerche su di lui, ma Jonhson l'avrebbe informato di certo se qualcuno avesse richiesto di nuovo il suo fascicolo e quello non era accaduto. Poteva stare più rilassato ma di certo non avrebbe abbassato la guardia.

 
Il pranzo passò velocemente e sia Castle che Beckett si sentirono come a casa. Gli altri giovani della famiglia li avevano fatti accomodare vicino a loro, lontano dagli sguardi del capo famiglia. Ridevano e scherzavano quasi si conoscessero da tempo, raccontandosi diversi aneddoti, di come si fossero conosciute le varie coppie, ridendo alle spalle di Castle ogni volta che Beckett raccontava qualche sue impresa non riuscita al distretto. Racconti seguiti poi da quelli di Melanie e Kimberly che non persero tempo a mettere in imbarazzo anche i loro compagni ma alla fine si risolse tutto con piacevoli risate e un altro sorso di vino.

 “Ehi Richard te lo fai un tuffo con noi?”. Domandò Sean togliendosi la maglietta cosi da rimanere solo con il costume.

 “Coraggio. Piazzo il canestro sul bordo e facciamo voi due contro Mel e me”. Disse Erik che già si era tuffato in acqua e che stava schizzando la fidanzata. Castle avrebbe voluto dire di si, accettare quell'invito inaspettato ma ben accetto, ma ciò avrebbe comportato il rimanere a torso nudo e di certo non voleva spiegare il perchè delle sue cicatrici.

 “Grazie ma devo rifiutare”. Parlò a malincuore facendo aumentare l'insistenza dei tre.

 “Settimana scorsa ha avuto un piccolo diverbio con un sospettato che non contento delle sue domande ha usato un pezzo di metallo per far valere le sue ragioni. Avendo due costole incrinate il dottore gli ha vietato movimenti bruschi per due settimane e se dovesse prendere qualche colpo giocando sarebbe un guaio”. Si intromise Beckett tirando fuori quella scusa inventata sul momento che però bastò ai tre per farli calmare.

 “Allora, visto che la piscina è fuori discussione, che ne dice di venir con me signor Castle. Dobbiamo parlare lei ed io”. Suggerì Cameron Beckett avvicinandosi ai due, senza staccare lo sguardo dal detective. I pensieri che solcarono la mente di Castle furono poco piacevoli.

 “Non ti sembra di esagerare nonno”. L'ammonì Beckett.

 “Sono certo che il tuo fidanzato sia abbastanza uomo da parlare con un povero vecchio”.

 “Non se però questo povero vecchio ha la lingua affilata come una lama”. Puntualizzò Castle ricevendo sguardi poco carini dai due.

 “Ha ragione signor Castle e se ne guardi bene”. Ridacchiò il vecchio Beckett non facendo attenzione ai tentativi della nipote di farlo smettere. “Diffidi delle apparenze. Non mi farò problemi a schiacciarla come un moscerino”. Castle spalancò gli occhi terrorizzati e si voltò verso la fidanzata che invece osservava il nonno spazientita.

 “Tranquillo Rick sta scherzando. Non è cosi?”. Domandò decisa, non abbassando lo sguardo scambiato con il proprio parente.

 “Voglio solo scambiare due chiacchiere con lui. Tutto qui”. La rassicurò allontanandosi cosi da raggiungere l'ingresso della casa.

 “Come vuoi che mi comporti?”. Chiese Castle alzandosi dallo sdraio sulla quale era seduto cosi da poter raggiungere l'uomo che lo stava aspettando.

 “Hai sentito il suggerimento di Kim. Sii te stesso e non mentire”. Gli ricordò lei vedendolo annuire distrattamente.

 “Ma è quello che vuoi tu? Vuoi che sia me stesso?”. Domandò ancora sedendosi sui talloni cosi da rimettersi alla sua altezza e guardarla dritta negli occhi.

 “Voglio che conosca l'uomo di cui mi sono innamorata. Con pregi e difetti”. Asserì Beckett serrando le labbra, sperando con tutto il cuore che non succedesse niente di irrimediabile mentre Castle si trovava da solo con il nonno. 

“Qualunque cosa accada ricordati che ti amo”. Le disse, quasi leggendole nella mente, disperdendo quelle preoccupazioni che le affollavano la testa.

 “Anche io”. Rispose contenta Beckett dandogli un bacio di buona fortuna per poi vederlo allontanarsi.

 “Andrà tutto bene Katie. Il nonno sa quanto tieni a lui, non farà nulla per farlo scappare”. Cercò di rasserenarla James sedendosi accanto a lei sulla sdraia, vedendola sorridere con fatica.

 “Lo spero papa, lo spero”.

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Riunione-Parte 2 ***



Castle seguì l'uomo attraverso alcune stanze della casa fino ad uscire di nuovo da questa attraverso la porta della cucina. Proseguirono fino alla dependance ma invece di entrare dalla porta principale il duo continuò fino alla parete opposta. Cameron Beckett estrasse dalla tasca un mazzo di chiavi e scegliendo quella desiderata tra esse aprì la porta che diede su un piccolo stanzino. Non vi erano finestre, sono una lampadina traballante che illuminava lo spazio angusto, una sedia, un tavolinetto e un macchinario sopra di esso. A Castle bastò un solo sguardo per capire di cosa si trattasse.

 “Sta scherzando vero?”. Disse rivolgendosi all'uomo che lo fissava con disprezzo.

 “Ha paura di quello che posso scoprire signor Castle?”. Lo sfidò Cameron muovendo la carrozzina dentro la stanza e chiudendo poi la porta dietro di loro quando il detective si mosse vicino al tavolinetto.

 “Mi chiedo perchè tutto questo quando potrei risponderle senza problemi”. Constatò l'uomo andandosi ad accomodare sulla sedia sapendo che quello era il suo posto. Aveva ben chiare le intenzioni del vecchio Beckett.

 “Perchè non mi fido di lei e con questo non può sfuggirmi”. Asserì accendendo il poligrafo, passando i vari cavi a Castle che, con esperienza, li posizionò attorno alla vita e attaccò i sensori al polso, al petto e al dito indice. Il detective era innervosito, non tanto per la situazione in cui si era ritrovato ma per il fatto di esser trattato cosi, nemmeno fosse stato un terrorista.

 “Vedo che ci sa fare”. Commentò Cameron vedendo la facilità con cui Castle si destreggiava con quell'attrezzatura.

 “Potrebbe chiedermi come mai so come funziona un poligrafo e vedere subito se mento”. Ribattè duro l'uomo non volendo farsi mettere i piedi in testa. Tutto quello era inaccettabile ma di certo non avrebbe fatto la parte della vittima.

 “Mi menta a questa domanda”. Esordì il vecchio tenendo in mano una penna cosi da segnare sul foglio che il poligrafo produceva i punti che gli interessavano.

 “Il suo nome è Roosvelt?”. Chiese guardando di sottecchi il detective che ora faceva profondi respiri per rallentare il battito del suo cuore. Per un istante pensò di raggirare lo stesso macchinario come gli avevano insegnato al CIRG ma aveva promesso a Beckett di comportasi a modo. 

“Si”. Rispose guardando il muro davanti a se, sentendo i pennini del poligrafo muoversi velocemente sul foglio. Il vecchio Beckett scrisse qualcosa e poi tornò a fissarlo.

 “é davvero un agente della polizia di New York?”. Ancora una risposta affermativa da parte del detective che sentì ancora i pennini muoversi ma più lentamente rispetto a prima.

 “Ama mia nipote?”. Chiese ancora ricevendo un occhiataccia da parte di Castle che quasi lo fulminò.

 “Si”. Disse stringendo la mano in un pugno sintomo della sua irritazione.

 “é un pericolo per lei?”. Continuò senza batter ciglio, osservando i vari gesti compiuti dal detective, studiando nel contempo i risultati del poligrafo.

 “No”. Rispose a denti stretti dimenticandosi del muro e tenendo le iridi fisse su Cameron che di tanto in tanto alzava gli occhi e sorrideva divertito.

 “Mi sta nascondendo qualcosa?”. Domandò guardandolo intensamente, particolarmente interessato a quella risposta. Se il gioco duro era quello che voleva Castle gliel'avrebbe dato.

 “Si”. Ribattè ricambiando quel sorriso che cosi tanto assomigliava a quello dell'uomo.

 “Lo nasconde anche Kate?”. Ancora quel gioco di sguardi che non accennava a fermarsi. Entrambi volevano vedere il proprio avversario cedere a quella tensione.

 “No”. Affermò tranquillo Castle prendendo un profondo respiro e scrollando il capo.

 “Potrebbe fare mai del male a Kate?”. “Qualcuno del suo passato potrebbe vendicarsi su Kate?”. “Kate corre qualche rischio per via di essere la sua fidanzata?”. Ancora domande, una dietro l'altra, senza sosta e tutte ottennero delle risposte negative. Castle tratteneva a stento la rabbia. Tutto quelle domande su Beckett gli davano fastidio, non gli piaceva che la tirasse cosi in mezzo senza alcun motivo. Se voleva sapere chi fosse allora che facesse domande specifiche tralasciando il suo rapporto con la donna.

 “Se le dessi 70.000 $ lascerebbe Kate?”. Quella domanda lo colse di sorpresa. Lo stava veramente pagando per interrompere la loro relazione. Castle sgranò gli occhi incredulo mettendosi a ridere.

 “Lei è pazzo”. Affermò aggiustandosi sulla sedia, desiderando togliersi quell'affare di dosso ma sapeva che non poteva ancora farlo. “No. Qualunque sia la cifra è no”. Disse sentendosi in dovere di rispondere a quella domanda non avendo nulla da nascondere.

 “Se pensa di intimorirmi in questo modo per far si che io lasci Kate si sbaglia”. Parlò Castle rompendo quel silenzio che da diversi minuti faceva da padrone in quello stanzino.

 “No. Non voglio intimorirvi, voglio darvi il colpo di grazia”. Affermò Cameron con una fiducia che fece preoccupare il detective. Lo vide bagnarsi le labbra mentre le mani rugose andavano ad armeggiare con l'attrezzatura. 

“Sà, come le ho detto Johanna e James mi hanno parlato di lei”. Lo informò fin troppo calmo, facendolo deglutire a fatica. Quel modo di esprimersi cosi misterioso non gli piaceva.

 “E quindi?”. Lo invitò a continuare notando quanto il vecchio Beckett si divertiva a creare tensione.

 “Mi ha detto che Kate all'inizio non si fidava di lei e che ha fatto delle ricerche”. In quel momento Castle si irrigidì e un tremore gli attraversò il corpo. Il problema fu che quella reazione non passò inosservata a Cameron.

 “Mi ha detto la verità quando le ho chiesto se è davvero un agente della polizia”. Affermò facendo scorrere tra le dita il foglio del poligrafo. “Ma lo era anche prima di arrivare a New York?”. Se Castle fece di tutto per non muovere un muscolo e tradirsi il suo cuore non la pensava allo stesso modo e i pennini ancora cominciarono a muoversi.

 “Ho colto nel segno allora”. Affermò trionfante Cameron fissando quelle oscillazioni imprecise fino a quando queste d'improvvisò persero il loro ondeggiare. Ora si poteva vedere solo una leggera anomalia. Il vecchio Beckett fu colpito da quel fatto cosi insolito e tornò a guardare Castle. Il detective se ne stava sempre sulla sedia, con un braccio sul tavolinetto, un espressione indecifrabile sul volto e gli occhi privi di emozioni che si erano bloccati sul vecchio davanti a lui.

 “Ora basta”. Disse cominciando a togliere i sensori dalla propria pelle, con estrema lentezza, tanto che quel modo di fare incuriosi il vecchio. “Ho voluto giocare secondo le regole perchè Kate voleva che mi conoscesse per ciò che sono e cosi mi sono prestato a questa stupidaggine”. Affermò lanciando tutto sul tavolo, alzandosi in piedi, facendo scorrere il dito indice lungo il colletto della camicia indossata.

 “Il poligrafo è una macchina che serve a creare suggestione, a far dubitare colui che è sottoposto al trattamento, peccato che a me hanno insegnato come risultare pulito in ogni situazione ed è solo per non far torto a Kate che non ho usato quelle tecniche”. Confessò Castle, mordendosi la lingua per il suo modo di fare cosi altezzoso, sapendo che se avesse reagito diversamente avrebbe aumentato ulteriormente i sospetti su di lui.

 “Che intende dire?”. Chiese Cameron spegnendo la macchina ormai inutile e ponendo poi le mani sulle ruote della carrozzina cosi da indietreggiare. “Chi è lei?”.

 “Un uomo che ha dato tutto per difendere ciò in cui crede”. Ribattè Castle posando entrambe le mani sul tavolinetto e sporgendosi verso il suo interlocutore.

 “Pensa che questo suo fare misterioso l'aiuti a convincermi che sia adatto alla mia Kate? E pensa che questa sua risposta mi basti?"

 “Le conviene se no la prossima pallottola che la colpirà non mancherà il bersaglio”. Asserì Castle avvicinandosi alla porta pronto ad aprirla ma trovandola chiusa. Si voltò allora verso il vecchio Beckett e allungo la mano cosi da farsi dare la chiave. Si odiava infinitamente per quella sua intimidazione fuori luogo ma ancora una volta era stata tirata in mezzo Beckett e ciò serviva solo a fargli rbollire il sangue. 

“é una minaccia la sua signor Castle?”. Chiese per nulla intimorito Cameron, nella sua vita aveva corso situazione ben più pericolose. Era sopravvissuto alla guerra, ad anni di polizia, a una pallottola nella spina dorsale, di certo non avrebbe cedute alle minacce di un pivello. 

“La sto solo avvertendo”. Disse compiendo qualche passo verso di lui per poi infilare una mano nella tasca e, con un movimento veloce, prendere le chiavi. “Non si metta contro di me”. Non lo guardò più, intento ora a cercare la chiave giusta per far scattare la serratura.

 “Farebbe del male a un uomo anziano, sulla sedia a rotelle e per di più il nonno della donna che lei ama?”. Rise divertito non credendolo capace di ciò. James e Johanna gli avevano sempre detto della natura mite del giovane, della sua disponibilità, della sua pazienza. 

Castle riuscì ad aprire la porta e socchiuse gli occhi quando venne colpito dalla luce del sole. Si voltò lanciando le chiavi all'uomo che con un po' di difficoltà le afferrò al volo.

 “Lei non ha idea di quello di cui son capace”. Uscì dallo stanzino e voltò l'angolo della dependance quando vide Beckett venire contro di loro. Quando la donna li raggiunse Cameron si trovava di fianco a Castle ed entrambi avevano un'espressione tesa.

 

“Che succede?”. Domandò Beckett credendo che la sua peggior paura si stesse avverando.

 “Il tuo fidanzato non è chi dice di essere Kate”. Disse per primo il vecchio Beckett anticipando ogni tentativo di spiegazione da parte di Castle. “Non permetterò che tu stia insieme a una persona pericolosa come lui.” La detective andò a guardare il fidanzato chiedendogli con lo sguardo cosa fosse successo.

 “Il tuo caro nonnino mi ha fatto il test della verità”. Affermò Castle fissando il vecchio mentre parlava. Beckett si trovò senza parole, non credeva che sarebbe giunto a tanto. “E ha puntato molto sul fatto che potessi essere un pericolo per te”. Raccontò evitando di accennare anche al tentativo di corruzione da parte dell'uomo

 “Ho fatto domande lecite e alla fine il signor Castle mi ha minacciato”. Disse Cameron cercando l'appoggio della nipote in quel frangente, puntando sull'affetto che ella provava per lui.

 “Richard..”. Tentò di dire Beckett massaggiandosi la fronte, sentendo un fastidioso capogiro quando Castle la interruppe.

 “I tuoi genitori gli hanno detto che in passato hai fatto delle ricerche su di me”. Affermò secco costringendo la donna a tornare a fissarli. Gli errori fatti in passato stavano tornando a galla e le conseguenze non erano ancora finite. Beckett si mise davanti a suo nonno e si abbassò.

 “Richard è una brava persona. Le ricerche le avevo fatte perchè volevo conoscerlo meglio, capire perchè aveva scelto il mio distretto quando alla fine era stata una decisione casuale”. Cercò di convincerlo afferrandogli le mani, senza staccare gli occhi da lui che invece faceva da spola tra la nipote e il detective.

 “Allora perchè minacciarmi? Perchè mi ha detto che non ho idea di quello di cui è capace di fare?”. Continuò a chiedere spiegazione Cameron mentre Beckett lanciava ora delle occhiatacce a Castle il quale cercava di scusarsi.

 “Perchè pur di non perdere ciò che amiamo possiamo anche tirar fuori il peggio di noi”. Rispose Beckett guardando a terra prima di alzarsi e mettersi vicino al fidanzato, lasciando che Cameron li studiasse, avendo capito che quella constatazione era rivolta anche a lui.

“Come mentire alla propria famiglia”. Affermò il vecchio Beckett girando la carrozzina verso i due. “Non permetterò che tu ti rovini la vita con lui Kate. Già ho perso quella ragazza solare che eri per colpa di New York, non voglio perderti del tutto”. Avvisò prima di dirigersi verso l'abitazione.
 

“Ho esagerato”. Constatò Castle una volta da soli.

 “Si lo hai fatto”. Fece eco Beckett non guardandolo, seguendo il nonno finchè non lo vide scomparire dietro la porta. “Ma sei stato costretto dalla situazione in cui ti ha messo”. Dichiarò voltandosi verso di lui e abbracciandolo, contenta del fatto che lui fosse ancora li.

 

La giornata passò sotto il segno di una strana quiete. Nonostante quello scontro tra Cameron e Castle tutto era proceduto senza intoppi, dovuto anche dal fatto che i due si erano evitati, ma era questo che faceva preoccupare Beckett. Prima o poi si sarebbero trovati di nuovo faccia a faccia e la loro guerra sarebbe ripresa. Inoltre il fatto che il nonno avesse gettato la spugna cosi facilmente non la convinceva. Era cosi assorta in quei pensieri che non stava nemmeno ad ascoltare i discorsi degli altri giovani della famiglia che erano seduti con lei vicino al bordo della piscina.

 “Non se la cava male”. Disse Kim dandole una spallata facendole notare Castle che poco lontano giocava con Patrick ai cowboy, facendo finta di spararsi riparandosi dietro agli ombrelloni usati come trincea.

 “é anche lui un bambino, gli esce naturale”. Asserì divertita nell'osservare quella scena. Rimasero quasi un ora a giocare e smisero solo perchè il fanciullo stava accusando i primi segni di stanchezza. Kim fu la prima che si ritirò nella dependance cosi da far addormentare i figli, seguita poco dopo anche da Sean. Fu poi il turno di Cameron ed Hellen. Fu quasi mezzanotte quando anche James e Johanna e Paul e Josie diedero ai quattro rimasti la buona notte. E un ora dopo si ritrovarono solo Castle e Beckett sul bordo della piscina.

 “Non vedo l'ora che domani passi veloce cosi da tornare a casa”. Confessò la donna alzandosi da terra, pulendosi i pantaloni per poi farsi aria con le mani. L'afa in quella serata era fastidiosa e le zanzare non lasciarono loro tregua, inoltre l'acqua della piscina era cosi invitante, pensò Castle che, alzatosi anche lui, prese tra le braccia la fidanzata e si lanciò con lei dentro di quella.

 “Castle”. Urlò Becket risalendo a galla, togliendosi i capelli fradici e appiccicosi dal viso. 

“é da questa mattina che volevo fare il bagno e ho colto l'occasione, inoltre non potevo farlo da solo”. Disse lui schizzandola ricevendo in cambio lo stesso trattamento.

 “Ti amo”. Affermò la donna lasciandosi prendere tra le braccia, avvinghiandogli i fianchi con le proprie gambe cosi da rimanergli in braccio.

 “Io di più”. Scherzò Castle andandola a baciare. 

Dalla finestra della camera Cameron fissò la scena prima di allontanarsi cosi da tornare a letto. Castle per lui era solo un insieme di menzogne e avrebbe fatto di tutto per tenerlo lontano da sua nipote.

 

 La mattina le due coppie di fidanzati si alzarono presto cosi da fare una passeggiata per la città mentre Sean e Kim si occupavano di andare a far la spesa per il pranzo che Johanna, Josie e Hellen avevano in programma di preparare. Cameron Beckett passò tutto quel tempo chiuso nella sua stanza, pensando alla prossima mossa da compiere con Castle, cercando il modo migliore per attaccarlo e liberarsi di lui definitivamente. Doveva far vedere alla nipote chi fosse veramente. 

 “Allora signor Castle di cosa sarebbe capace?”. Disse d'un tratto il vecchio Beckett costringendo tutti a posare le loro forchette, dimenticandosi del sontuoso pasto che le tre donne avevano preparato loro.

 “Come scusi”. Disse il detective sperando di aver capitolo male. 

“In base alla nostra conversazione di ieri. Di cosa sarebbe capace?”. Chiese ancora mentre tutti i commensali si scambiavano sguardi, parlando a bassa voce non capendo il perchè di tutto quello.

 “Nonno non è il caso”. Gli fece notare Beckett senza però venir ascoltata.

 “Allora”. Insistette mentre Castle prese il tovagliolo e con calma andò a pulirsi la bocca prima di riporlo di nuovo sulla tavola. Quando la fidanzata fece ancora per andare in sua difesa le afferrò la mano sotto la tavola e scrollò il capo. 

“Dipende dalla situazione signore”. Rispose cercando di mantenersi impassibile ma avendo come l'impressione che quella quiete sarebbe durata poco. 

“E se la situazione richiedesse di uccidere qualcuno?”. Ipotizzò l'uomo ricevendo lamentele da parte da tutta la famiglia, ma lui non li ascoltava, era concentrato solo su Castle.

 “Bisogna sempre essere pronti a tutto”. Rispose semplicemente andando a cercare con lo sguardo i due bambini che per fortuna erano lontani dalla tavola, intenti a giocare con una palla.

 “Ha già ucciso signor Castle?”.

 “Sono un poliziotto ed è un eventualità che può capitare”. Rispose di botto sentendo Beckett che gli stringeva la mano più per calmare se stessa che altro.

 “Quanti?”. Domandò con una semplicità che colpì lo stesso detective. Sembrava quasi gli avesse chiesto quanti dolci aveva mangiato il giorno prima e non quante persone aveva ucciso.

 “Il necessario”.

 “Il necessario?”. Fece eco il vecchio Beckett a quella risposta volendo riceverne una più precisa da parte del detective.

 “Quante bastavano per salvare chi lo meritava”. Constatò il detective mordendosi la lingua, non apprezzando il fatto di essere giudicato in tal modo da una persona che non conosceva il perchè di quelle morti.

 “é chi è lei per decidere chi lo merita o meno?”. Lo sfidò ancora aspettando solo il momento di vederlo crollare, di vederlo confessare cosi che Kate vedesse la sua vera natura, non contemplando minimamente l'idea che lei già sapesse tutto.

 “Sono solo un poliziotto che a volte si è trovato costretto a uccidere per difendere un innocente. Quello è il mio compito, impedire che un assassino prosegua con la sua scia di sangue”. Castle dovette fare appello a tutta la sua buona volontà per stare calmo, ringraziando di aver vicino Beckett che gli infondeva la forza di cui aveva bisogno. La donna però ora sembrava quasi estraniata da quella situazione, se ne stava con la testa bassa a fissare chissà cosa.

 “Per quello esistono i tribunali. Il compito di un poliziotto non è quello di uccidere ma di assicurare alla giustizia chi commette un omicidio”. Gli fece notare l'uomo sbattendo un pugno sulla tavola per far valere le sue parole.

 “A volte non si ha scelta”. Ribattè d'istinto Castle.

  “I poliziotti hanno sempre una scelta. Gli assassini no”. Il detective accusò il colpo. L'essere paragonato ad un assassino per il suo passato era uno dei suoi tormenti maggiori. Le morti causate, seppur per una giusta causa, gli avevano provocato un vuoto nell'anima che in quelle occasioni tornava a farsi sentire.
 

“Ora basta”. Disse con un filo di voce Beckett che fu udita solo per il fatto che tra i commensali regnava l'assoluto silenzio.

 “Non voglio che tu stia con un uomo con le mani sporche di sangue di chissà quante persone. Non permetterò che tu stia con un assassino”. Parlò ora con un tono di voce più calmo, più dolce dato che si stava rivolgendo alla nipote ma questo non bastò a far diminuire il furore di Beckett.

 “Rick non è un assassino”. Affermò lei decisa alzandosi di scatto, facendo cadere la sedia dietro di lei.

 “Ha ucciso si. Come hai fatto tu, come ho fatto io. Se lui è un assassino lo siamo anche noi”. Dichiarò stringendo i pugni, guardando il nonno irritata. 

“Aprì gli occhi principessina mia, non vedi che ti sta mentendo su chi è.”. Urlò questa volta Cameron indicando Castle che ora non gli prestava più attenzione preoccupato com'era per Beckett. “Non è il ragazzo che ti vuol far credere”.

 “Basta ho detto”. Ripetè ancora facendo tacere il parente. “Io so chi è Richard ed è questo l'importante. Io lo conosco, so del suo passato, so del suo lavoro a Los Angeles, so tutto di lui”. Ribadì la donna sentendosi gli occhi bruciare, sostenuta dal resto della famiglia che andava in difesa di Castle.

 “Se tu hai dei dubbi su di lui non mi importa”. Proseguì cercando di calmarsi. “Io lo amo, sono felice per la prima volta da chissà quanto tempo, mi da tutto quello di cui ho bisogno ma te questo non lo vedi ostinato come sei a trovare i difetti. Lascia perdere le tue stupite teorie che nessuno sarà mai degno per le tue nipoti”. Gli inveì ancora contro cominciando a piangere a causa del dolore che quello gli preoccupava.

 “Se solo aprissi gli occhi vedresti quanto è speciale lui per me”.

 “Tu non hai bisogno di lui Kate”. Cercò di farla ragionare lui avvicinandosi con la carrozzina. “Hai bisogno di qualcuno che ti dia tranquillità, di qualcuno che...”

 “Tu non hai idea di quello che mi da Richard. Tu non ti immagini nemmeno quello che lui ha fatto per me. Ha rischiato la vita, ha rinunciato ai suoi sogni, è cambiato e tutto per me. Mi dispiace solo che tu non gli abbia dato la possibilità che si meritava”. Affermò tristemente avvicinandosi a Cameron e abbassandosi cosi da dargli un bacio sulla fronte. “Il tempo di fare le valigie e togliamo il disturbo”. Disse rivolgendosi a tutta la tavolata per poi correre all'interno della casa rincorsa subito da Castle.

 “Le ha mentito, non è chi dice di essere”. Si difese il vecchio Beckett quando sentì gli occhi di tutta la famiglia su di lui.

 “Può non aver detto tutta la verità a noi”. Parlò James dato che, insieme alla moglie, aveva auto modo di conoscere bene il detective. “Ma a Katie le ha sempre detto tutto e lei l'ha accettato comunque, noi l'abbiamo accettato. Perchè tu non riesci ad essere felice per lei?”

  

CAMERA

 Beckett lanciò la valigia sul letto e cominciò a mettere al suo interno i panni alla rinfusa, non preoccupandosi di piegarli, voleva solo andarsene il prima possibile da li.

 “Kate”. Sentì la voce di Castle richiamarla ma lei non si mosse, continuò a sfogare la sua frustrazione sui vestiti. Il detective allora le si avvicinò, cercando di abbracciarla. Beckett invece tentò di sottrarsi, tirando pugni sul petto dell'uomo che però non si scostò. I pugni diminuirono di intensità e alla fine la donna si ritrovò a piangere contro la sua spalla, aggrappandosi alla maglietta.

 “Devi andare da lui e parlargli”. Le suggerì sentendola singhiozzare più forte. “Se non lo fai te ne potresti pentire”. Provò ancora ma la donna scrollò il capo.

 “No”. Dichiarò decisa asciugandosi il volto. “Torniamo a casa subito”. Ordinò prendendo anche l'altra valigia, pronta a riempire pure quella.

 “Smettila Kate”. Disse Castle afferrandole le mani. “Tu non sei cosi, non riesci a mantenere il broncio. Tuo nonno voleva solo difenderti”.

 “Da chi? Da te?”. Ridacchiò nervosa la donna sedendosi sul letto. “Perchè non ti ha dato modo di conoscerti per quello che sei?”. Chiese ferita dal comportamento del nonno. Aveva sperato che non si sarebbe comportato come suo solito e invece. 

“Voleva solo proteggerti, anche se ha usato un metodo poco ortodosso”. Beckett non reagì e rimase li immobile. “Farti cosi del male non ti servirà a far passare prima il dolore, odiarlo non servirà a nulla. Va da lui”. La detective sapeva che il fidanzato aveva ragione ma ora non voleva affrontare il nonno, voleva solo dimenticare, anche se per un breve periodo, quanto fosse successo. Andò alla porta e la chiuse a chiave cosi da non essere disturbati, dopo di che andò al letto e tirò via da quello le valigie che vi aveva posato sopra per prendere il loro posto. 

“Ho bisogno di te”. Sussurrò rivolgendosi a Castle che subito la raggiunse sdraiandosi sul materasso e prendendola tra le braccia.

 

 Quasi due ore dopo Beckett aprì la porta della stanza, voltandosi verso Castle, sorridendo nel venderlo addormentato cosi beatamente, contenta che gli incubi lo perseguitassero ormai raramente. Richiuse l'uscio con attenzione cosi da non disturbarlo per poi scendere le scale e recarsi nella sala dove alcuni dei parenti erano intenti a chiacchierare. Appena la videro si fermarono e Johanna le andò subito in contro. 

“Tutto bene?”. Chiese mettendole le mani sulla spalla per vederla annuire mentre accennava un sorriso.

 “Dov'è il nonno?”. Domandò rivolgendosi ai presenti che si guardarono titubanti.

 “Ha detto che andava a fare un giro per la tenuta”. Affermò Hellen posando sulle proprie gambe il lavoro a maglia che stava facendo. Beckett la ringraziò e uscì nel giardino. Salutò gli altri giovani che si divertivano in piscina e proseguì oltre. C'era un unico posto dove sapeva che il nonno poteva andare in una situazione simile. Attraversò il lungo prato respirando a pieni polmoni quell'aria fresca, rilassandosi al suono ritmico dei grilli che cantavano nel boschetto poco lontano da dove si trovava lei. Ripensò a quando, da bambina, amava correre per quei luoghi scalza, sentendo l'erba solleticarle i piedi, seguita a vista dal nonno che non perdeva occasione per farle conoscere la natura e i suoi segreti. Alzò gli occhi, mettendosi una mano sulla fronte cosi da ripararsi dal sole, e vide quella quercia che trionfante si innalzava su tutti gli altri alberi, e che per questo l'aveva scelta.

 “é tutto come allora”. Osservò avvicinandosi al nonno che se ne stava ai piedi di quell'albero, con le iridi fisse su di esso.

 “Sean ha fatto qualche ritocco per Patrick ma la struttura è ancora quella che ti feci io”. Ribattè il vecchio Beckett sorridendo al ricordo delle giornate passate a giocare con la nipote su quella casetta, sorretta dai possenti rami della quercia.

 “Era il mio castello”. Parlò ancora la donna togliendosi le scarpe, andandosi a mettere seduta contro il tronco, osservando il nonno che muoveva la carrozzina più vicina a lei.

 “E tu eri la mia principessa”. Sorrise tristemente lui guardando la casa sull'albero e poi la nipote. “Ma ora non lo sei più, non è cosi?”.

 “Nulla può cancellare quello che abbiamo nonno solo che non puoi più decidere te al posto mio. Ho 30 anni e sono padrona della mia vita”. Disse Beckett parlando con calma, non aveva alcuna intenzione di alzare ancora la voce come successo in precedenza durante il pranzo.

 “Voglio solo che tu abbia il meglio, che abbia al tuo fianco un uomo che non ti spezzerà mai il cuore e questo non è Castle”. Affermò stringendo i pugni, non rinunciando a far prevalere la sua opinione. Beckett però non avrebbe ceduto, il fidanzato era tutta la sua vita e non vi avrebbe rinunciato per nulla al mondo. 

“Hai ragione. Castle può mancare nel darmi alcune cose e si in passato mi ha anche spezzato il cuore”. Dichiarò la donna vedendo il nonno sorridere soddisfatto, credendo di esser riuscito a far vedere alla nipote la sua realtà.

 “Eppure, alla fine, è sempre al mio fianco pronto a rimediare ad ogni errore che pensa di aver fatto. È pieno di difetti, a volte si comporta come un bambino, altre volte invece può risultare arrogante, troppo sicuro di se, indecifrabile, e questo mi fa infuriare perchè non è cosi che immaginavo l'uomo della mia vita”. Ammise Beckett distendendo le gambe davanti a se, agitando le dita dei piedi, godendosi quella leggera brezza che muoveva le foglie creando un dolce suono che accompagnava quella conversazione.

 “E allora perchè ci stai insieme se Castle è cosi?”. Domandò il vecchio Beckett non capendo il motivo dell'affermazione appena fatta dalla nipote.

 “Perchè quello è il Castle che tutti conoscono, quello di facciata al distretto, ma in verità solo io so chi è il vero Richard. Un uomo temprato dal suo lavoro, che all'apparenza è duro e insensibile, ma che in realtà è pieno di paure. Ed è anche grazie a questo, a quel suo lato nascosto, che mi comprende come nessuno ha mai fatto. Gli basta solo uno sguardo per capire cosa mi affligge, mi basta essere tra le sue braccia per aver la certezza che tutto andrà bene”. Continuò a parlare dando libero sfogo alle sue emozioni, dimenticandosi il motivo per cui stava dicendo quello al nonno. Voleva solo che anche altri comprendessero il vero essere di Castle.

 “Fin quando non ci siamo conosciuti eravamo incompleti.” Affermò dopo alcuni minuti di silenzio dove ne lei ne il vecchio Beckett aprirono bocca, rimanendo li sotto quell'albero a guardarsi, a stare in compagnia l'uno dell'altro come facevano anni prima.

 “La nostra priorità era il lavoro ma poi, grazie la presenza l'uno dell'altro, abbiamo compreso che era altro ciò che volevamo. Richard mi ha fatto capire che non esisto solo per catturare gli assassini, io vivo per amarlo e per essere amata da lui.”

 “Ma come posso fidarmi di lui, lasciarti nelle sue mani se nemmeno so chi è?”. Cercò di giustificarsi l'uomo vedendo negli occhi della nipote l'amore che la donna provava per il proprio fidanzato e la sofferenza che le aveva causato con quel suo comportamento da orco. 

“Rick è..”. Enunciò la donna alzando gli occhi al cielo, cercando il sole fra le fronde, osservando le candide nuvole che con lentezza si muovevano su quello spazio infinito. Le fu facile scovare nel suo cuore le parole che il nonno voleva sentire, che lei voleva dire.

 “è un mio amico, è il mio amante, è la mia vita, la mia casa, è una parte di me, è un pazzo, è un eroe, è la mia forza, è chi amo, chi voglio avere al mio fianco, è un mistero che voglio scoprire ogni giorno. È colui che mi fa piangere e ridere assieme, che mi fa soffrire, che mi fa sentire amata, che mi fa sentire necessaria, che mi fa comprendere chi sono.”

 “Tutto questo è ai tuoi occhi ma ai miei chi è quell'uomo?”. Ribadì il vecchio Beckett non avendo modo di vedere il detective nello stesso modo in cui lo vedeva la donna. Per lui era uno dei tanti Newyorkesi pronto a far vedere di essere il migliore in tutto e per tutto, di aver una bella famiglia, una bella macchina, una donna trofeo da mostrare agli amici, e di certo non era quello che voleva per la nipote.

 “é l'uomo che ti ha riportato indietro tua nipote. Avevi ragione, New York mi aveva fatto diventare fredda come il metallo di cui è fatta, ma da quando c'è Richard tutto è cambiato. È anche grazie a lui che ora sono qua”. Confessò vedendo il volto stupito dell'uomo. Quella era una rivelazione che di certo non si aspettava.

 “Non volevo venire perchè aveva paura che avresti reagito come effettivamente hai fatto. Ma lui era cosi sicuro di noi due che non ho potuto non credergli.”. Spiegò lasciandosi scappare un leggero sorriso.

 “Quindi lo vedrò in giro più spesso?”. Domandò quasi ormai del tutto arreso il vecchio Beckett.

 “Si. Non vorrei diversamente”. Dichiarò la detective rialzandosi e pulendosi i pantaloni dalla terra per poi avvicinarsi al parente e spingere la carrozzina di nuovo verso la casa. Beckett non era del tutto convinta però che il nonno si arrendesse cosi facilmente, ancora non aveva rivolto parola a Castle e non era certa che le sue parole lo avessero convinto.

 
“Signor Castle”. Lo richiamò Cameron raggiungendolo sul vialetto dove l'uomo stava camminando per riportare la valigia alla macchina. Ormai era ora di tornare a New York. Beckett si fermò poco distante ai due cosi da osservare la scena. Quello poteva essere il definitivo addio all'adorato nonno. 

“Sono certo che non è necessario dirle di rendere felice mia nipote. So che lo farà”. Affermò allungando la mano cosi da stringere quella del detective che più che soddisfatto ricambiò il gesto. Beckett alzò gli occhi al cielo posandosi una mano sul cuore sentendolo fermarsi d'improvviso. Castle ormai faceva parte definitivamente della famiglia.

  

QUARTIER GENERALE FBI LOS ANGELES

 Jonhson se ne stava seduto alla propria scrivania, occupandosi di alcuni fascicoli che di certo avrebbe passato a qualche collaboratore data la loro poca importanza, quando sentì il telefono squillare.

 “Jonhson”. Disse solo, tenendo la cornetta salda all'orecchio premendola a questo con la spalla, avendo le mani occupate con quelle scartoffie.

 “Signore è successo quello che temevamo”. Lo avvertì la voce dall'altra parte, attirando l'attenzione dell'agente.

 “Di che sta parlando?”. Chiese spiegazioni non avendo alcun indizio a riguardo, c'erano decine e decine di cose che temeva.

 “Hanno appena chiamato dalla prigione di Blue Valley”. Enunciò l'altro agente costringendo Jonhson ad alzarsi in piedi per la sorpresa e un ipotesi tremenda gli passò per la testa. Supplicò, in quel momento, qualunque essere, di avere torto.

 “Il detenuto 26548 è evaso”. A sentire quel numero che cosi bene conosceva Jonhson si sentì crollare il mondo addosso.

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Oblio ***


CASA BECKETT

Castle iniziò quel martedi mattina come più gli piaceva. I primi raggi del sole facevano capolino attraverso le tapparelle, illuminando a tratti il letto sulla quale stava facendo l'amore con Beckett. Era stata lei, ancora con i postumi di una lunga notte di riposo, a destarlo diversi minuti prima, torturandogli il collo con i denti, graffiandogli il petto per sentirlo trattenere il respiro in attesa che la sua mano scendesse lungo il suo corpo, fino a raggiungere la sua destinazione. Quei lunghi mesi di convivenza, quella routine che colpisce a volte certe coppie annoiandole, a loro era una cosa sconosciuta. Nonostante quello tutto sembrava come il primo giorno, le stesse emozioni, le stesse paure, ed era quello a tenerli ancora uniti. L'amore, il desiderio di stare assieme, di costruire qualcosa assieme. Vedendola muoversi sopra di se, cosi sinuosamente, lasciandogli sulla pelle segni rossi che si confondevano con i suoi sfregi, combattendo contro se stesso per far perdurare a lungo quel piacere che lo invadeva, mai in quel momento avrebbe pensato che il peggiore dei suoi incubi si sarebbe avverato cosi improvvisamente, senza alcun preavviso, colpendolo dritto al petto. La dove la cicatrice gli solcava la carne.

  

Un paio di ore dopo si ritrovarono al distretto ma ancora prima di mettere piedi fuori dall'ascensore Ryan ed Esposito li respinsero dentro. 

“Abbiamo un cadavere”. Affermarono per poi dare loro il buongiorno. Castle pensò che le giornate tediose non erano fatte per lui ma che nemmeno adorava quelle già impegnative di prima mattina. Si fecero dare i primi dettagli del caso. Nulla di particolare. Una donna ritrovata in un vicolo, morta per dissanguamento. Castle ne rimase un po' disgustato, non gli piaceva vedere troppo sangue ma a quello avrebbe pensato Lanie.

 Giunti sulla scena del crimine si fecero accompagnare la dove il cadavere giaceva e ancora a diversi passi di distanza Castle cominciò a provare una strana sensazione. Gli bastò puntare le iridi sulla donna per sentire un brivido sulla schiena senza saperne il motivo.

 “L'hanno accoltellata tra le 3 e le 5 di questa notte e poi l'hanno lasciata qua a morire”. Dichiarò Lanie che se ne stava accovacciata vicino alla vittima. Beckett la raggiunse chiedendole ulteriori spiegazioni mentre Castle se ne stava in disparte, non udendo più alcun suono a parte il proprio respiro e il tonfo accelerato del suo cuore. Aggirò il corpo studiando i tagli sulla sua maglietta e lo strappo che questa aveva all'altezza del colletto. Aprì la bocca cercando di far uscire un suono ma si ritrovò incapace di farlo. 

“Castle tutto bene?”. Chiese Beckett vedendo il colorito pallido che aveva assunto alla vista di quella scena.

 “Lanie.”. Parlò sgomentato lui, indietreggiando passo dopo passo. “Sul petto presenta dei tagli e uno sfregio?”. Domandò passandosi la mano tra i capelli, sentendosi la fronte madida di sudore freddo. Udendo quella domanda anche Beckett provò le stesse sensazioni. Non poteva essere. Guardò impietrita prima il fidanzato, poi il corpo e il medico legale. Non poteva essere, si ripetè.

 “Ci stavo appunto arrivando”. Enunciò il medico legale. “Da una prima diagnosi direi che è stata accoltellata diverse volte al fianco sinistro prima di essere sgozzata. Senza dimenticare la S che vedo incisa all'altezza dello sterno”. 

“Rick”. Sussurrò Beckett allarmata per il proprio fidanzato che cominciò a compiere passi indietro sempre più indecisi, inciampando e cadendo per terra. Scrollando il capo incredulo. La donna gli fu subito vicino cercando di calmare quella crisi che lo stava colpendo.

 “é un incubo. Non può essere vero”. Continuava a ripetere tenendo le iridi fisse sulla vittima, inspirando sempre con più fatica, sempre più velocemente.

 “é solo una coincidenza. È morto Rick. Stark è morto, l'hai ucciso tu”. Cercò di rassicurarlo sentendolo tremare tra le sue braccia come un bambino. Il detective si alzò di scatto e ora la rabbia prese il sopravento scansando via la paura. Cominciò a tirare calci e pugni a un bidone dell'immondizia li vicino fino a farsi sanguinare le nocche. Beckett fu tentata di allungare le mani cosi da farlo smettere ma non lo fece, lo lasciò sfogare, in modo da liberarlo da ciò che lo opprimeva. Quei gesti violenti cominciarono a diminuire d'intensità fino a cessare del tutto e Castle andò ad di nuovo accasciarsi per terra, esanime, piangendo disperato. Ryan, Esposito e Lanie osservavano la scena senza dire nulla. Mai avevano visto il collega reagire cosi ad un caso e non ci volle molto perchè capissero che sotto c'era molto di più di quello che sembrava. Beckett si avvicinò con cautela, non volendo infondere in lui più agitazione di quella che già stava provando.

L'abbracciò lasciando che la testa del detective si posasse sulla sua spalla, inumidendola con le sue lacrime, stropicciandole la giacca tenendola stretta fra le dita. 

“Non posso riviverlo ancora Kate”. Sussurrò le proprie paure il giovane sentendosi perso. Il suo singhiozzare aumentò e la detective si ritrovò priva di parole. Non riusciva a trovare i vocaboli adatti per alleviare la sua pena in quel momento.

 “é solo una coincidenza Rick. Forse un emulatore”. Ipotizzò lei sentendo le sue mani scivolarle lungo le braccia e il suo corpo farsi d'improvviso freddo e distante.

 “Ho bisogno di pensare”. Affermò Castle alzandosi da terra, camminando con decisione verso la strada, tenendo le iridi inespressive puntate davanti a se e le mani nascoste in tasca, superando i colleghi e la vittima senza degnarli di uno sguardo.

 “Rick”. Lo richiamò Beckett cercando di levarsi di dosso la sensazione spiacevole che le facevano provare tutti quegli occhi puntati su di lei.

 “Devo stare da solo”.Le disse con freddezza, senza nemmeno girarsi verso di lei, voltando l'angolo e scomparendo, facendo sentire Beckett completamente inutile.

 “Che succede Beckett?”. Domandò Ryan avvicinandosi alla collega mentre Esposito e Lanie se ne stavano ancora in piedi accanto al cadavere ma con la stessa espressione incuriosita e preoccupata che accompagnava lo stesso irlandese.

 Beckett scrollò il capo e si bagnò le labbra, guardando per un istante l'amico prima di tornare a fissare davanti a se il punto dove Castle era scomparso. Si passò una mano sul viso e poi si voltò di scatto.

 “L'omicidio ricorda il modus operandi di un assassino con cui Castle ha avuto a che fare a Los Angeles”. Spiegò combattendo contro se stessa per non inseguire il fidanzato e sincerarsi delle sue condizioni. Ma ben sapeva che in quel frangente aveva bisogno dei suoi spazi, anche se le faceva male lasciarlo da solo ad affrontare tutto quello.

 “Per quale motivo però ne è rimasto cosi sconvolto?”. Chiese questa volta Esposito osservando la vittima ai suoi piedi. Di certo la scena che si presentava loro non era delle migliori, ma ne avevano viste anche di peggio, e per quanto potevano esser dispiaciuti per la vittima non potevano farsi influenzare in tal modo dai sentimenti, dovevano svolgere il lavoro razionalmente, lasciando da parte eventuali riserve. 

“Perchè quel serial killer dovrebbe essere morto”. Dichiarò la donna senza aggiungere altro, mettendosi ad aiutare la scientifica con i rilevamenti, non dando modo ai colleghi di far ulteriori domande. Non voleva rischiare di rivelare loro cose che lo stesso Castle non avrebbe voluto che sapessero.

 

 12th DISTRETTO 

Beckett se ne stava seduta alla propria scrivania intenta a fissare la sedia sulla quale di solito vi sedeva Castle mentre se ne stava appoggiata allo schienale della sua, rilasciando la propria frustrazione sulla matita che teneva fra le mani. La lavagna accanto a se era vuota, i fascicoli davanti a lei dimenticati, i colleghi a pochi metri spariti in una nuvola di fumo. I suoi pensieri erano dedicati solo all'uomo che amava e che in quel momento era sparito nel nulla. Le varie chiamate che gli aveva fatto non era servite a nulla e questo la rendeva ancora più irritabile. Non si accorse nemmeno del telefono di Ryan che squillò improvvisamente rompendo quella quiete.

 “Grazie ti devo un favore”. Disse l'irlandese riattaccando e alzandosi dalla propria sedia e avvicinarsi cosi alla collega. Rimase li in piedi alcuni secondi prima di attirare l'attenzione di Beckett dando due forti colpi di tosse. 

“Novità?”. Chiese lei massaggiandosi la fronte visibilmente disinteressata di quell'omicidio. Le importava solo di riavere Castle al suo fianco. 

“Sul caso no”. Affermò l'uomo inclinando il capo e posando entrambe le mani sul mobile davanti a se. “ma so dov'è Castle”. Dichiarò accennando un sorriso, notando la reazione immediata della donna.

 “Dove?”. Chiese impaziente alzandosi in piedi, mettendosi nel contempo la giacca pronta ad andare da lui.

 “A casa vostra”. Disse facendo spallucce come se fosse una cosa ovvia. 

“A casa?”. Chiese conferma incredula. Di certo era l'ultimo posto che si aspettava come nascondiglio per il proprio fidanzato. 

“Ho chiesto ad un amico di rintracciare il cellulare di Castle e risulta essere li”. Spiegò ricevendo in cambio un caloroso abbraccio da Beckett che dopo si diresse subito all'ascensore.

 

 

CASA BECKETT

 Agitata com'era per ben due volte la detective dovette raccogliere il mazzo di chiavi che le era caduto a terra prima di riuscire a trovare quella giusta e aprire cosi la porta del suo appartamento. Fece qualche passo e subito le sembrò di essere testimone del passaggio di un uragano. Ad una prima vista la sala sembrava in ordine ma bastava inoltrarsi più dentro l'appartamento che iniziavano a comparire i primi giornali gettati a terra, pezzi di vetro appartenenti ad alcune bottiglie costellare il parquet, soprammobili distrutti che nemmeno il più grande amatore di puzzle sarebbe mai riuscito a rimettere in sesto. Beckett cammino in mezzo a quel campo di battaglia attenta a non ferirsi i piedi, cercando in ogni angolo della stanza il fidanzato. Vide la luce del piano superiore accesa e si diresse verso le scale. Socchiuse gli occhi vedendo sul muro l'impronta insanguinata della mano di Castle.

 “Richard”. Lo chiamò con cautela, non ricevendo però alcuna risposta. Si diresse direttamente in camera da letto e lentamente aprì la porta socchiusa di quella. Attese qualche secondo che le iridi si abituassero alla penombra della stanza prima di individuare l'uomo seduto a terra tra il letto e la finestra, dando al schiena a questa.

 “Che è successo Rick?”. Domandò appoggiandosi allo stipite della porta, non fidandosi completamente ad avvicinarsi a lui, non poteva prevedere una sua possibile reazione.

 “Un mio vecchio amico mi ha fatto visita”. Disse serio lui, alzando il braccio cosi da farle vedere la bottiglia che teneva tra le dita. “Jack Daniels”. Ridacchiò facendo ricadere l'arto, non avendo le forze di tenerlo sollevato. In quel frangente Beckett ebbe l'occasione però di vedere la mano sanguinare e macchiare lo stesso pavimento e quello la convinse a intervenire.

 “Guarda come ti sei ridotto”. Lo rimproverò strappandogli dalle mani quell'alcolico senza far troppa fatica. nonostante lui oppose una debole resistenza. Appoggiò la bottiglia a terra, dietro di lei, e gli prese la mano cosi da vedere il taglio che gli solcava il palmo. 

“Non mi stupirei se ti servissero dei punti”. Concluse dopo aver studiato il taglio ma lui non reagì.

“Spero che tu sia orgoglioso di te. È un ottimo modo per affrontare i problemi”. Affermò alzandosi da terra, portando con se la bottiglia e dirigendosi in bagno cosi da prendere il disinfettante e delle bende. Quando tornò l'uomo non si era mosso di un centimetro. 

“Se pensi che il tuo amico Jack ti possa far dimenticare quanto successo ti sbagli di grosso”. Lo riprese ancora Beckett applicandogli l'acqua ossigenata sulla mano, vedendo il suo volto contorcersi in una leggera smorfia. 

“Non è questo il modo”. Sussurrò ancora tamponando la ferita con una garza cosi da pulirla dal sangue. Castle però di scatto scostò la mano e si alzò in piedi, appoggiandosi al muro, sentendosi poco stabile sulle gambe. 

“E tu che ne vuoi sapere?”. Ribattè lui adirato, puntandole il dito contro, muovendo alcuni passi in direzione della porta, spalancando gli occhi e scrollando il capo avendo la vista offuscata. “Non sai quello che sto passando”. Le ringhiò ancora contro prima di perdere l'equilibrio e di ritrovarsi con le ginocchia a terra. Beckett si mise in piedi e incrociò le braccia al petto guardando con un misto di pietà e rabbia.

 “Già cosa vuoi che ne so io?. Sono solo tre anni che affronto con te ogni notte in cui hai gli incubi, che ti cullo come un bambino quando mi supplichi di portarti fuori da quel magazzino”. Asserì lei decisa, dirigendosi verso la porta cosi da uscire da quella stanza impregnata dall'odore di alcool e disperazione. Non poteva aiutarlo come desiderava fin quando lui si trovava in quelle condizioni.

 “Aspetta ti prego”. La richiamò Castle alzandosi, facendola fermare accanto alla porta. Con passi indecisi le fu davanti, dondolando la testa in avanti e indietro fino a posarla contro la sua spalla.

 “Ho bisogno di te”. Le disse posandole una mano pesante sul fianco cosi da stringersi a lei. “Aiutami a dimenticare. Fai l'amore con me”. Supplicò Castle cercando di baciarla. Beckett però dovette voltare il capo infastidita com'era dal suo alito maleodorante, abbassandogli più e più volte le mani che cercavano di raggiungerla e afferrarla.

 “Non quando sei in questo stato”. Affermò lei cercando di mantenersi calma mentre lui partiva all'attacco del suo collo. Le sue gesta però non ottennero il risultato sperato e Beckett non riusciva a non trovare ripugnanti quelle attenzioni. Cercò di spingerlo via ma lui resistette.

 “Pensi che non so fare l'amore da ubriaco”. Sogghignò Castle perdendo leggermente l'equilibrio, permettendo alla donna di spingerlo via da se e farlo cadere per terra, in mezzo al corridoio.

 “Aiutami”. Pianse disperato lui raccogliendosi in posizione fetale sotto gli occhi della donna. “Sento la lama lacerarmi la carne. Falla andare via Kate, ti prego falla smettere”. Le lacrime ora scendevano sempre più copiose e il suo corpo cominciò a tremare a causa della paura, della tensione, dell'alcool. Con un ampio passo lo superò e si diresse in bagno per poi uscirci meno di due secondi dopo.

 “Aggrappati a me”. Gli ordinò aiutandolo ad alzarsi, mettendogli una mano intorno al fianco cosi da aiutarlo a camminare in direzione del bagno. Digrignò i denti a causa della fatica, Castle non era leggero e averlo in quelle condizioni, a peso morto contro se, non le rendeva il compito più facile.

 “Scusami”. Gli disse Beckett prima di prendere un profondo respiro e raccogliendo tutte le sue forze spingerlo sotto il getto di acqua gelata che in precedenza aveva aperto. L'acqua lo colpì come tanti piccoli proiettili ma ciò servi a farlo riprendere, anche se non del tutto. Cercò di uscire dalla doccia ma Beckett ancora lo spinse sotto il getto, vedendolo scivolare contro la parete fino a ritrovarsi seduto, fino a che le lacrime si mischiavano con l'acqua stessa.

 “Ho paura Kate, ho tanta paura”. Disse lui alzando gli occhi rossi verso di lei. Beckett si tolse le scarpe ed entrò nella doccia con lui, sedendosi a terra al suo fianco, incurante dell'acqua gelida che la stava inzuppando. Castle aveva bisogno di lei e non si sarebbe mai tirata indietro. Si lasciò abbracciare e lo sostenne fino a che i suoi singhiozzi cessarono e non si addormentò addosso a lei.

  

Quando Castle si svegliò si trovò nel letto, con indosso una maglietta verde e dei pantaloncini azzurri. Cercò di capire cosa fosse successo ma la testa gli scoppiava e pulsava ad ogni suo tentativo di pensare. Cercò di alzarsi ma fu colto dalla nausea e cosi si ritrovò di nuovo disteso sul letto. Voltò la testa vedendo sul comodino un bicchiere colmo d'acqua. Di certo l'avrebbe aiutato a togliere quell'impasto che si sentiva nella bocca. Tentò ancora di rimettersi seduto, questa volta muovendosi più lentamente, collaudando le gambe prima di mettersi in piedi. Una volta sicuro di esser saldo sulle gambe cominciò a dirigersi verso la porta, rimanendo sempre vicino alle pareti cosi da aver un appoggio. Scese le scale con le immagini di quanto successo poche ore prima che riaffioravano nella testa. Osservò il pavimento del salotto dove ormai non vi erano più segni del suo sfogo e non ci volle molto per capire che Beckett aveva provveduto. Beckett pensò dolorosamente. L'unica cosa che si ricordava in quel momento era la sua espressione preoccupata e infastidita assieme, di certo non gliel'avrebbe perdonata facilmente.

 “Ecco il nostro bell'addormentato”. Castle strizzò gli occhi sentendo quella parole rimbombargli nelle orecchie, costringendolo a girarsi per vedere chi le avesse pronunciate.

 “Esposito che ci fai qui?”. Domandò non capendo la sua presenza a casa sua e di Beckett.

 “Eravamo preoccupati e allora siamo venuti a vedere cosa ti fosse successo”. Spiegò Ryan aiutandolo a camminare fino alla cucina dove vi erano Beckett e Lanie, sedute su due sgabelli intente a bere un caffè.

 “Vedo che il tuo amico Jack ci è andato pesante”. Ironizzò Lanie vedendolo reagire alla luce della cucina che riuscì a disorientarlo. 

Castlè alzò una mano e la premette con forza contro la tempia ma subito sentì il palmo di quella fargli male. “Che è successo?”. Domandò vedendosi la mano avvolta in una benda.

 “Ti sei ubriacato dopo esser fuggito dalla scena del crimine. Beckett ti ha trovato mezzo svenuto in camera da letto e cosi ha pensato che una bella doccia ti fosse d'aiuto”. Spiegò il medico legale facendo riaffiorare nuovi ricordi nella testa del detective che cercò con lo sguardo la fidanzata che però preferiva fissare la tazzina di caffè.

 “Come ho fatto a finire nel letto? E la mano?”. Chiese ancora andandosi a sedere anche lui su uno sgabello e portando una mano alla bocca, sentendosi lo stomaco ribellarsi.

 “Quando Ryan ed io siamo venuti a vedere come andavano le cose eri mezzo svenuto, mezzo addormentato, nella doccia e cosi abbiamo aiutato Beckett a portarti a letto. Per quanto riguarda la mano avevi un bel taglio ma Lanie ha sistemato tutto”. Castle annuì distratto, cercando ancora gli occhi della fidanzata ma questi non ricambiavano il gesto. 

“Grazie ragazzi, ora sto meglio”. Disse invitandoli implicitamente ad andarsene cosi da poter rimanere da solo con la donna.

 “Bene. Però se avete bisogno non esitate a chiamarci”. Disse Ryan rivolto più a Beckett che al collega. Raccolte le loro cose fecero gli ultimi saluti e Lanie si avvicinò lentamente a Castle, abbassandosi all'altezza del suo orecchio. 

“Vedi di farti perdonare per essere stato cosi un idiota. Altrimenti nemmeno il tuo amico Jack potrà aiutarti a dimenticare quello che ti farò io”. Lo minacciò Lanie cercando la conferma nei suoi occhi. Castle appena riuscì a comprendere le sue parole annuì con vigore ricevendo un ulteriore pacca sulla spalla.

 “Ciao Castle”. Gli urlò nell'orecchio facendolo sobbalzare e procurandogli un mal di testa più martellante del precedente. Rimasti da soli Beckett si alzò e andò a lavare le tazzine dandogli le spalle.

 

“Che cosa ho combinato?”. Domandò l'uomo sempre tenendosi una mano sulla fronte, avendo la sensazione che il cuore gli avesse preso il posto del cervello a causa dei continui tonfi che sentiva nella testa.

 “A parte rompere qualunque cosa ti fosse capitata a tiro e aver imbrattato la casa con il tuo sangue?”. Disse spazientita lei, stringendo la tazzina cosi forte nelle mani che le sembrò di averla rotta.

 “Ti ho fatto del male?”. Domandò sentendosi la gola secca, sforzandosi di ricordare cosi da capire il motivo per cui lei ora lo stava evitando.

 “Fisicamente? No”. Asserì lei scrollando il capo, facendo scorrere le mani sotto l'acqua tiepida che usciva dal rubinetto. “é stato quello che hai detto che mi ha ferita”. Confessò lei trovando il coraggio di andarlo a fissare ancora negli occhi, notando la sua espressione spaesata.

 “Vorrei tanto ricordarmi che ho detto”. Proferì lui con fare triste, visibilmente dispiaciuto.

 “Hai supposto che non so quello che hai passato, che non comprendo cosa vogliono dire per te quelle cicatrici. Eppure son sempre stata li Richard. Ero li quando mi hai detto la verità, quando mi hai mostrato quei segni, quando gli incubi ti tormentavano. Ero sempre li a condividere il tuo dolore eppure..”. Dichiarò lei appoggiandosi al lavandino, serrando le labbra non avendo la forza di continuare. 

“Ci sono cose di cui non voglio renderti partecipe solo per proteggerti”. Dichiarò lui non alzandosi, mantenendo quella distanza che in quel momento non percepiva solo come fisica, sentiva Beckett completamente distante da lui anche con la mente, con il cuore.

“Per proteggerti da me. Hai visto quello che posso diventare”. Aggiunse alzando gli occhi quando la vide porgli un fazzoletto impregnato d'acqua che andò a posarsi sulla fronte.

 “Eppure”. Enunciò Beckett quasi volendo continuare quella frase lasciata in sospeso in precedenza, non calcolando quanto da lui appena detto. “Eppure mi hai scartato Rick, hai preferito la bottiglia a me, te ne sei andato d'improvviso, senza farti sentire per ore. Quando torno trovò la casa mezza distrutta e tu completamente ubriaco che nemmeno capivi cosa ti succedeva attorno. Mi hai tagliato fuori”. Affermò lei uscendo dalla cucina per salire le scale. 

“Kate ti prego. Cosa posso dire per farmi perdonare?”. Le chiese ma ormai lei era sparita e pochi secondi dopo il detective sentì la porta della loro camera chiudersi con un tonfo.

Castle tirò un profondo sospiro posando la testa sul ripiano della cucina, chiudendo gli occhi per ricordarsi quanto successo la sera precedente. Chiuse la mano in un pugno e sentì la ferita bruciargli. Come se l'era procurata?. Si tolse la benda e andò a gettarla nella spazzatura ma quando sollevò il coperchio la sua attenzione fu attirata da altro. All'interno vi era un vetro insanguinato e sotto di esso una cornice. Non gli ci volle molto per capire di quale si trattava. Era una cornice più adatta a una ragazzina, in legno sulla quale era incisa la parola “amore” in diverse lingue, l'avevano comprata negli Hampton e al suo interno vi era una foto di loro due. Castle sorrise al ricordo. Erano sul bagnasciuga, con il mare limpido dietro di loro, abbracciati, che facevano una faccia buffa alla fotocamera. Era la loro prima vacanza insieme, la loro prima foto di quel genere, una delle preferite di Beckett. E ora la cornice era distrutta e la foto macchiata del suo sangue.

 “Sei un idiota Rick”. Si disse mettendosi le mani nei capelli.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Jonhson ***



CASA BECKETT

Quando Beckett si svegliò era ormai piena notte nonostante dall'esterno si sentisse provenire ancora il rumore del traffico che non lasciava mai le strade di New York. Guardò l'orologio digitale che aveva sul comodino in cerca di conferma. Erano da poco passate le 2. Si voltò su un fianco pronta per essere accolta tra le braccia di Castle quando si accorse che la parte del letto accanto a lei era vuota e, ancora prima di chiedersi il perchè, gli eventi della giornata appena conclusasi le riaffiorarono a galla. Rimase li, girata su un fianco, a fissare e ad accarezzare il cuscino intatto del proprio fidanzato chiedendosi se fosse il caso o meno di scendere al piano inferiore per sincerarsi delle sue condizioni. Era certa che non si fosse rimesso a bere ma poteva comunque aver avuto un attacco di panico e, nonostante il comportamento di lui, non poteva far a meno di preoccuparsi con tutta se stessa. Scostò le coperte e a piedi scalzi uscì dalla stanza cercando di non fare rumore. Fece le scale facendo scorrere una mano lungo tutta la parete cosi da aver un punto di riferimento, camminando nella casa praticamente buia. Solo una luce era accesa, quella della cucina, la stessa stanza dove aveva lasciato solo Castle ore e ore prima. Rimase nascosta nella penombra ad ascoltare, cercando di capire cosa lui stesse facendo ma non gli giunse alle orecchie alcun suono. Si avvicinò ancora di più e lo vide addormentato contro il ripiano, in precario equilibrio sullo sgabello. Si mise alle sue spalle con l'intenzione di destarlo quando vide che davanti a lui vi erano delle forbici, della colla e dei fazzoletti sporchi di rosso. Fece scorrere le iridi su quegli oggetti fino a quando non notò la cornice li vicino. Castle l'aveva aggiustata. I pezzi di quella che si erano rotti gli aveva sistemati con la colla mentre il vetro era stato sostituito probabilmente con uno proveniente da un altra cornice. La donna accarezzò i loro volti distorti in divertenti smorfie e non pote non sorridere. Castle doveva aver cercato di ripulire l'immagine dal proprio sangue ma con scarsi risultati e perciò aveva optato per coprire la macchia con un pezzo di stoffa azzurra che richiamava il mare presente nella foto. Beckett fece scorrere i polpastrelli su quella nuova decorazione e sulle lettere che con attenzione erano state scritte su di essa. “Grazie di esistere”. Si dovette asciugare una lacrima colpita com'era da quel gesto. Come al solito Castle riusciva a farsi perdonare in tempo di record. Riposta la foto con cautela sul proprio ripiano nella sala, la detective tornò in cucina a sistemare e solo una volta finito andò a svegliare il fidanzato.

 “Ehi”. Le sorrise lui sfregandosi gli occhi, sbadigliando nel contempo. 

“Ehi”. Ricambiò lei passandogli una mano nei capelli, scendendo sul suo viso sentendo sotto il palmo della mano quel lieve strato di barbetta che già cominciava a crescergli. “Che ne dici di un caldo e morbido letto invece che questo duro e freddo marmo?”. Gli suggerì rimanendo in piedi davanti a lui in attesa che la seguisse. 

“Perdonato?”. Domandò l'uomo alzandosi, gioendo non sentendo più quel fastidioso cerchio alla testa.

 “Diciamo che se ti voglio controllare mi è più comodo farlo avendoti addormentato vicino a me che dover scendere ogni 10 minuti qui in cucina”. Scherzò lei allungandogli una mano che lui prontamente accettò. 

“Dimmi che hai bisogno di me?”. Lo pregò quasi lei camminando all'indietro mentre lo accompagnava in camera da letto senza mai smettere di guardarlo.

 “Sempre”. Fu la sua risposta.

 

 

12th DISTRETTO

 La mattina seguente Ryan ed Esposito stavano aspettando i due colleghi fuori dal distretto, pronti a intervenire come mediatori nel caso ce ne fosse stato bisogno, ma per loro fortuna il loro intervento non venne richiesto. I due infatti tirarono un respiro di sollievo quando videro la coppia scendere dalla stessa macchina e dirigersi al distretto mano nella mano.

 “Tutto sistemato?”. Domando il cubano cercando di non far trapelare la sua felicità nel vederli di nuovo cosi uniti, al contrario di Ryan che invece sorrideva da orecchio a orecchio.

 “Tutto sistemato”. Rispose Castle entrando nell'edificio insieme ai tre cosi da prendere lo stesso ascensore per salire al loro piano.

 “A quanto pare ai piani alti hanno saputo dell'omicidio di ieri”. Li informò l'irlandese premendo il tasto dell'ascensore, sentendolo partire subito dopo.

 “Stamattina è arrivato un tizio, con un completo nero e gli occhiali da sole, che si è rinchiuso nell'ufficio di Montgomery. Non so se è ancora li adesso ma di sicuro era dell'fbi”. Spiegò Esposito rispondendo a quella domanda, che i due volevano porgergli, ancora prima che effettivamente lo fecero, Castle senti il corpo pesargli 100 chili in più e fu solo grazie alla presenza di Beckett che non scappò appena le porte si aprirono. Non doveva stupirsi della presenza degli agenti, dopo tutto il fatto di aver a piede libero un emulatore di Stark avrebbe fatto drizzare i peli a tutti e l'fbi non poteva di certo far finta di nulla. Silenziosamente si diressero alle loro scrivanie e il detective colse l'occasione per osservare all'interno dell'ufficio del capitano. L'uomo che vide con Montgomery non era un agente qualunque, lo riconobbe subito anche se erano passati anni dall'ultima volta che si erano trovati faccia a faccia.

 “Lo conosci?”. Chiese Beckett annuendo in direzione dell'uomo misterioso che ora si era girato verso di loro.

 “Si e il fatto che ci sia lui non comporta nulla di buono”. Dichiarò appoggiandosi alla scrivania, attendendo che questi avesse finito di parlare con il capitano per dedicarsi anche a loro. L'agente salutò di fretta Montgomery e si diresse fuori dall'ufficio mettendosi davanti ai due detective a cui si aggiunsero subito Ryan ed Esposito.



 “Castle”. Lo salutò allungando la mano che però il detective non accettò, rimanendo li a fissarlo spazientito.

 “Agente Jonhson”. I tre che osservavano la scena ebbero reazioni contrastanti. Il cubano lo guardava con un espressione che facilmente poteva essere interpretata come disgusto, di certo non gli piaceva che un signorino dei piani alti venisse li a insegnargli il mestiere. L'irlandese invece era incuriosito dal perchè di quella conoscenza e il motivo per cui Castle guardava il nuovo arrivato in cagnesco. Infine Beckett che, appena sentì quel nome, sentì le sue paure più recondite farsi spazio nel suo animo con estrema facilità.

 “Mi sarebbe piaciuto che il nostro incontro fosse avvenuto in circostanze più piacevoli”. Affermò Jonhson per nulla intimorito dalla presenza degli altri detective e dagli sguardi poco carini che gli stavano dedicando.

 “Io avrei preferito non fosse successo affatto”. Accennò Castle un finto sorriso andando ad incrociare le braccia al petto, mantenendo la sua posizione.

 “é un piacere conoscerla Agente Jonhson”. Disse Beckett a denti stretti, volendo però interrompere quel gioco di sguardi che vi era tra i due e che di certo non avrebbe portato a nulla di buono. “Io sono la detective Beckett”. 

“Non servono presentazioni tra noi”. Disse l'uomo togliendosi gli occhiali, mostrando le sue iridi nere come la pece. “Dati i trascorsi è come se ci conoscessimo”. Asserì lui facendo capire il senso della frase solo a Beckett e Castle, lasciando al di fuori della conversazione Ryan ed Esposito, i quali non erano al corrente del passato del collega.

 “Qualcuno ci spiega cosa sta succedendo?”. Domandò Ryan alzando la mano cosi da attirare l'attenzione dei tre. Beckett e Castle presero posto alle loro sedie mentre Jonhson se ne rimaneva ritto in piedi, accanto alla lavagna.

 “Come avete potuto constatare voi stessi la nostra vittima, Emily Holm, è stata uccisa con diverse coltellate al fianco. Inoltre l'assassino le ha inciso sul petto la lettera S”. Riepilogò l'agente senza nemmeno star li a controllare le foto e le informazioni riportate dietro di lui. Castle teneva le iridi fissate sull'uomo non volendo osservare le fotografie della vittima che cosi tanto gli ricordavano quanto gli era accaduto e gli facevano riprovare ancora quelle fitte al fianco. 

“ 5 anni fa, a Los Angeles, ci furono degli omicidi effettuati nello stesso modo. Il nostro assassino conduceva la sua vittima in un vicolo dove poi l'accoltellava tre volte prima di tagliarli la gola e incidere quella S”. Raccontò l'agente Jonhson e i due detective si voltarono subito in direzione di Castle che scelse proprio quel momento per andarli a guardare, facendo cosi i loro sguardi inevitabilmente si incrociarono.

 “Tu ne eri a conoscenza?”. Domandò Esposito e Castle non pote che annuire.

 “I migliori agenti dell'fbi furono messi sulle sue tracce ma sembrava introvabile fino a quando”. Enunciò l'uomo andando ad aprire il fascicolo, che aveva tra le mani, sul rapporto che voleva mostrare ai due detective. “Fino a quando due nostri uomini non trovarono il suo nascondiglio”. Concluse porgendo il foglio a Ryan che si mise accanto al collega a leggerlo. Non ci volle molto per scovare i nomi dei due agenti dato che erano sottolineati in giallo.

 “L'agente Castle?”. Chiese stupito l'irlandese in direzione del diretto interessato che lanciò un occhiataccia all'ex superiore.

 “Era inevitabile Castle”. Cercò di spiegarsi lui non ottenendo però la benedizione da parte dell'uomo.

 “Sei un agente dell'fbi?”. Domandò Esposito lanciando quel rapporto sulla scrivania. “Tutto questo tempo hai fatto finta di essere un altra persona”. Affermò infastidito e Castle si alzò in piedi davanti a lui, allungando le mani verso il collega, cercando di calmarlo cosi da farsi dare il tempo di spiegare.

 “é vero lo ero. Ma è da anni che non faccio più parte dell'agenzia. Mi sono dimesso per restare qui, a New York, con tutti voi”. Spiegò guardando prima il cubano e poi Ryan, i quali però non erano soddisfatti di quella spiegazione.

 “é meglio per te che ci racconti come stanno le cose”. Lo minacciò Esposito puntandogli un dito contro il petto, facendolo indietreggiare di qualche passo.

 “Javi non è cosi semplice”. Si intromise Beckett venendo anche lei puntata dal suo dito inquisitore. 

“Tu ovviamente lo sapevi non è cosi?”. Continuò a chiedere irritato dal fatto che, dopo tutti quegli anni, nessuno dei due aveva avuto il buon gusto di informarli di quel particolare.

 “Si, me l'ha detto poco prima che ci mettessimo insieme”. Rispose lei facendo sbuffare ulteriormente l'uomo. 

“Non c'è molto da spiegare. Sono stato un agente dell'fbi per diversi anni, fino a quando, a causa di un incidente, non sono venuto qua a New York. Avrei dovuto passare qui al distretto solo 12 mesi ma poi le cose sono cambiate e ho deciso di dimettermi per stabilirmi permanentemente qua”. Disse Castle sperando che quella breve spiegazione bastasse ai due.

 “Che incidente?”. Domandò Ryan che aveva assistito allibito alla scena. 

“Tutto si ricollega a questi omicidi”. Parlò Jonhson vedendo che Castle aveva dei problemi a parlare di quanto gli era accaduto. “L'assassino, Benjamin Stark, aveva ucciso già diverse persone prima che Castle e un suo collega riuscirono a scoprire il suo nascondiglio. Non volendo farlo scappare intervennero prima dell'arrivo dei rinforzi, intrappolandolo all'interno di un magazzino”. Spiegò l'agente avendo cosi la piena attenzione dei due. Castle si voltò verso Beckett che gli sorrise dolcemente appoggiandogli una mano sulla spalla e con l'altra afferrargli la sua di mano, stringendola.

 “Io sono qui”. Gli sussurrò vedendolo sorridere debolmente. 

“Forse da qui è meglio che spiego io come sono andate le cose”. Interruppe cosi il discorso che l'agente stava per iniziare. “Il magazzino era enorme e cosi il mio collega ed io ci dividemmo. Trovai Stark e lottammo, lui mi disarmò e mi fece tutto ciò che aveva fatto alle sue vittime. Mi pugnalò e mi incise la S sul petto”. Puntualizzò non mostrando però ai due i segni che gli solcavano la carne cosi come aveva fatto con Beckett, con loro non sentiva il bisogno di mostrarsi, di condividere quel particolare.

 “Ovviamente però non ti uccise”. Ironizzò Ryan sentendosi dispiaciuto per il collega, faceva fatica a immaginare quanto doveva aver sofferto in quel frangente.

 “Riuscii a sparargli prima e lo eliminai”. Spiegò senza entrare troppo nei dettagli.

 “E qui a New York come ci sei arrivato?”. Domandò Esposito con un tono della voce più tranquillo rispetto a quello usato precedentemente.

 “Avevo bisogno di una pausa, di stare accanto alla mia famiglia e quindi sono tornato in città. La scelta del 12th distretto è stata un caso”.

 “Perchè non ce l'hai detto prima?”.Chiese Ryan sentendo anche lui quella sensazione di tradimento, avevano condiviso cosi tanto eppure Castle non aveva mai accennato a nulla di quello.

 “Gli era vietato”. Parlò con fare sbrigativo Jonhson volendo chiudere quel discorso. “Già facendolo con la detective Beckett ha corso un grosso rischio, sapeva che non poteva confessarlo anche a voi altrimenti ci sarebbero state delle spiacevoli conseguenze”. Disse rimanendo sul vago ma il messaggio celato dietro le sue parole arrivò forte e chiaro ai due.

 

“Quindi ora dobbiamo cercare un suo emulatore che colpisce dopo tutti questi anni”. Constatò Beckett mordendosi un labbro, guardando le fotografie sulla lavagna. Non era un compito affatto facile. Fare ricerche riguardo la vita di Stark, leggere rapporti vecchi di anni e anni per trovare un collegamento con quel nuovo assassino non era di certo una passeggiata. Inoltre la preoccupazione per Castle era costante, non poteva sapere come avrebbe reagito a un'eventuale fallimento, o semplicemente non riusciva a pensare a come avrebbe potuto affrontare quel caso senza farsi corrodere da esso.

 I quattro detective si stavano già accordando sul modo di procedere con le indagini mentre Johnson rimaneva particolarmente silenzioso, tenendo gli occhi fissi su Castle che però non si accorse di nulla.

 “Non è necessario cercare un nuovo assassino”. Asserì dopo alcuni minuti sentendosi la gola secca, allentandosi il colletto della camicia cosi da aver meno difficoltà a respirare, la colpa lo stava opprimendo.

 “Che significa? Non possiamo lasciarlo agire indisturbato”. Si agitò Castle muovendo le mani, infastidito dall'affermazione dell'uomo. Di certo lui non se ne sarebbe stato li con le mani in mano.

 “Significa quello che ho detto. Non c'è nessun nuovo assassino”. Riprese il discorso fermandosi all'istante quando tutti i detective andarono a fissarlo pieni di domande. Non ci voleva un genio per capire che avevano già compreso la verità. Castle si bloccò sul posto, con le iridi fisse davanti a se e la bocca leggermente spalancata. Il corpo gli venne trapassato da continui tremori mentre si sentiva i muscoli contrarsi spasmodici. 

“No”. Lo implorò scrollando il capo. “Non può essere”. Continuò sentendosi la testa scoppiare tanto che dovette portare le mani alle tempie. 

“Mi dispiace Richard”. Furono le uniche parole che Jonhson riuscì a proferire.

 “Io l'ho ucciso”. Urlò l'uomo compiendo un passo verso l'ex superiore con fare minaccioso. Beckett fece per avvicinarsi ma lo stesso agente la bloccò con una mano, impedendole di intervenire.

 “Non ci hai dato altra scelta Richard, ne eri ossessionato. Ti stava distruggendo la vita, ti ha quasi ucciso, non potevamo permettere che ti accadesse altro”. Cercò di difendersi ma l'unica cosa che ottenne in cambio fu un gancio all'altezza della mascella da parte di Castle. Il pugno lo fece indietreggiare e andare a sbattere contro la parete dell'ufficio di Montgomery mentre un primo rigagnolo di sangue cominciava a scendergli dal naso.

 “Tutti questi anni mi avete mentito”. Gli sputò ancora in faccia tutta la sua rabbia, pronto a sfogarsi ancora sul mal capitato ma venne fermato prontamente da Beckett. La donna lo fece voltare cosi da fargli perdere il contatto visivo con l'agente e l'abbracciò più forte che potè, dondolando sulle gambe e indietreggiando cosi da farlo allontanare.

 “Kate lasciami”. Le ordinò Castle ma lei si avvinghiò ancora più forte alle sue braccia. “Mi hanno mentito, tutti questi anni, e Stark invece è ancora vivo”. Ringhiò il detective spostando con relativa facilità la donna che però non si diede per vinta, doveva fermarlo.

 “Ragiona Castle, se te l'avessimo detto ora non saresti qui, non avresti conosciuto i tuoi colleghi, non avresti conosciuto Beckett”. Cercò di fargli vedere il bicchiere mezzo pieno Jonhson mentre teneva la testa leggermente inarcata all'indietro cercando di bloccare il flusso di sangue.

 “La decisione spettava a me”. Disse ancora l'uomo, che delle parole dell'ex superiore non aveva recepito nulla. Beckett ancora gli si parò davanti e questa volta gli posò entrambe le mani sul viso e lo baciò con trasporto, incurante di tutti i presenti. Continuò fino a quando non sentì quella rabbia abbandonare il corpo del fidanzato, fino a quando i suoi baci non le divennero famigliari.

 “Ha ragione Rick”. Sospirò staccandosi leggermente da lui. “Non saresti qui con me”.

 “Voglio tutta la verità, ora”. Richiese fermo e perentorio, puntando il dito contro terra con decisione. Non avrebbe dato modo a Jonhson di ingannarlo ancora.

 “Il proiettile che sparasti non colpì alcun organo vitale e Stark se la cavo con un'operazione e un paio di giorni in ospedale prima di essere trasferito al carcere di massima sicurezza di Blue Valley”. Confessò vedendo i lineamenti marcati di Castle farsi sempre più duri. “Rimase li per anni, sempre controllato da i migliori agenti. Ma 3 mesi fa qualcosa è andato storto ed è riuscito ad evadere. Abbiamo provato a individuarlo prima che colpisse ancora ma ogni nostro sforzo fu inutile”.

 Castle lo fissava senza dire nulla, guardandolo sempre con riluttanza, odio. Gli avevano già mentito e anche quella poteva essere una menzogna. “Perchè?”. Chiese soltanto rimanendo con un braccio avvinghiato a Beckett, sia per trarre forza da lei sia per impedirgli di valersi di nuovo sull'agente.

 “Saprai meglio di me in che stato ti trovavi nelle settimane antecedenti all'incidente”. Enunciò andando poi a guardare gli altri tre detective che seguivano la scena ammutoliti. “Castle passava ogni ora del giorno e della notte sui rapporti, cercando il minimo indizio sull'assassino. Non mangiava, non dormiva, era ossessionato e tutti noi ne eravamo preoccupati”. Raccontò ai tre che andarono a guardare Castle. Di certo aveva dato riprova di essere dedito al suo lavoro ma non a tal punto. “Arrivò pure a pestare a sangue un informatore perchè non era riuscito a reperirgli le informazioni che gli servivano”. A sentire riaffiorare quell'episodio Castle alzò il mento e si raddrizzò sulla schiena, facendo scrocchiare le ossa del collo.

 “Non era più lui e credo che capiate il motivo per cui non gli abbiamo detto la verità una volta uscito dal coma. La miglior prospettiva che ci eravamo immaginati era di te che passavi la tua vita dentro quel carcere per impedire che lui uccidesse ancora ma temevamo ben altro conoscendo quello di cui sei capace”. Continuò ancora Jonhson ora rivolgendosi solo a Castle dato che era lui il diretto interessato di quella vicenda. 

“Cosa saresti stato capace di fare?”. Domandò titubante Ryan, non avendo idea di quel lato nascosto del collega.

 “Di entrare nella sua cella e ucciderlo”. Disse schietto lui senza staccare gli occhi dall'ex superiore.

 “Ah, ok”. SI morse la lingua l'irlandese, mettendosi ancora più seduto sulla scrivania di Esposito senza più fiatare.

 “Ti volevamo solo proteggere”. Aggiunse Jonhson facendo spallucce, quasi quella fosse la cosa più logica da dire in quel momento.

 “Da Stark? Avevate paura che avrebbe finito il suo lavoro e cosi voi avreste perso uno dei vostri preziosi agenti?”. Jonhson si sentì particolarmente offeso da quella affermazione e non si fece problemi nel farlo vedere. Serrò i pugni e compì due passi in avanti, trovandosi faccia a faccia con Castle, che istintivamente nascose dietro di se Beckett, volendola proteggere anche da delle semplici parole.

 “é vero sei uno dei migliori agenti che io abbia mai visto, ma non essere cosi superbo da credere che non ce ne siano altri con le tua abilità. La nostra intenzione era proteggerti da te stesso Richard, da ciò che quel caso ti stava facendo diventare”. Gli disse troneggiandolo, fissandolo dritto negli occhi con fervore, facendo trasparire dalle sue parole anche un velo di preoccupazione che andava ben oltre la sfera lavorativa. Beckett comprese bene che Jonhson teneva particolarmente a Castle.

 “Io sono diventato ciò che voi avete voluto, che Miller ha voluto”. Tuonò Castle digrignando i denti, sbattendo un piede a terra.

 “Ma sai benissimo che la colpa non è solo nostra”. Disse ora in tono più calmo l'agente, quasi provando pietà per il ragazzo che gli stava di fronte. “Sei stato tu che ce l'hai permesso Richard. Sei stato tu che ci hai consentito di insegnarti a non provare nulla, a guidare una squadra nel covo di trafficanti, mafiosi, rapitori, senza sparare nemmeno un colpo. Tu hai voluto che ti insegnassimo a stanare la tua preda e ad ucciderla”.

 “Io non sono un assassino”. Tremò Castle il cui unico desiderio era svegliarsi, scappare da quell'incubo che sembrava averlo imprigionato fra le sue intricate trame.

 “Forse adesso no. Ma prima lo eri e il modo in cui hai dato la caccia a Stark era il chiaro esempio che ti piaceva esserlo”

 

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Discorsi e discorsi ***


12th DISTRETTO

 

Castle se ne stava seduto su una delle prese d'aria del distretto a fissare l'orizzonte. Li sul tetto, in completa solitudine, si sentiva bene, senza le pressioni che quella nuova rivelazione gli opprimessero l'anima, lontano dagli occhi di Jonhson che lo scrutavano, che lo facevano sempre sentire sotto esame. Aveva chiesto a Beckett di lasciarlo qualche minuto da solo e lei riluttante aveva accettato, rimanendo a parlare con Ryan ed Esposito del passato del proprio fidanzato o almeno di quello che poteva loro rivelare. Il detective quasi non si accorse della porta che sbattè rivelando l'arrivo di una nuova persona sul tetto. Bastò vedere l'ombra di questa per capire di chi si trattasse.

 “Mi sarei aspettato più Beckett o Jonhson, non di certo te”. Parlò senza nemmeno girarsi mentre il collega gli porgeva una birra fresca. 

“Montgomery chiuderà un occhio”. Disse Esposito rimanendo in piedi accanto a lui mentre sorseggiava la sua di birra.

 “Sei venuto qui per vendicarti per non avervi detto la verità sul mio conto?”. Domandò Castle cercando di togliere l'etichetta dalla bottiglia, graffiandone con le unghie la superficie.

 “Credimi vorrei spaccarti quella faccia e lo farei anche con piacere ma poi penso a Beckett e a tutto quello che deve aver passato in questi anni e mi convinco che è meglio non causarle ulteriori dispiaceri”. Constatò lui sedendosi sui talloni di fronte al collega, afferrandogli il mento per poi spingerlo di lato. Castle fu tentato di reagire ma si trattenne.

 “Ognuno di noi ha qualche segreto che preferirebbe non rivelare”. Enunciò il cubano avvicinandosi al bordo dell'edificio, osservando giù dal cornicione l'ingresso del distretto. “Hai mai sentito parlare dell'operazione “Just Cause”? O meglio ancora di “Desert Storm”?”. Chiese il detective tornando a rivolgersi verso Castle che lo osservava confuso.

 “E chi non li conosce, fanno parte della nostra storia dopo tutto”. Commentò lui appoggiando al bottiglia a terra, non avendo minimamente la voglia di berla anche perchè sentiva ancora nella bocca il sapore fastidioso del Jack Daniels della sera prima.

 “Già proprio cosi. Ma fanno parte anche della mia vita”. Affermò Esposito ridacchiando nervosamente mentre Castle lo osservava incredulo.

 “Sapevo che eri nell'esercito ma non pensavo avessi combattuto”. Constatò Castle studiando il volto del collega assumere una strana espressione, un misto tra tristezza e accettazione di quanto era accaduto.

 “Nella guerra del Golfo più del 20% dei morti è stato causato dal fuoco amico. Lo sapevi?”. Domandò non guardando però il collega e quindi non vedendolo scrollare il capo, ma non era di certo la sua risposta che gli interessava.

 “Io e la mia squadra piazzammo delle mine lungo uno strada poco fuori Khafji. I nostri servizi segreti ci avevano detto che un gruppo di carri armati iracheni si stavano dirigendo verso quella città e cosi noi dovevamo impedirgli di entrarci”. Esposito ridacchiò asciugandosi il sudore che sentiva sulla fronte e sotto il naso.

 “Peccato che i carri armati non erano iracheni ma americani. Non facemmo in tempo ad avvertirli e due di essi saltarono in aria uccidendo 11 compagni”. Raccontò Esposito rovesciando a terra quella poca birra rimasta nella bottiglia prima di andare a sedersi accanto al collega che si era fatto più silenzioso di prima.

 “Mi dispiace”. Seppe solo dire.

 “Non è stato facile, anche io mi son sentito un assassino più di una volta.”. Rispose Esposito rubando la bottiglia dalle mani del collega e bevendo da quella. “Chiesi al mio comandante cosa separa un soldato, o in questo caso un detective, da un criminale?”. Un verso di ripugnò seguì il sorso successivo tanto che decise di abbandonare quell'alcolico che d'improvviso non l'attirava più.

 “Voglio dirti le stesse parole che mi disse lui e che non potrò mai dimenticare”. Asserì il cubano alzandosi in piedi, pulendosi i pantaloni dalla polvere e sistemandosi dinnanzi a lui.

 “É per chi combatti, è ciò in cui credi.”. Affermò lui deciso, con sguardo fiero per ciò che aveva fatto in passato, credendo fermamente ad ogni singola sillaba pronunciata.

“Se eri nel giusto Castle, nessuno potrà mai rinfacciarti nulla per aver svolto il tuo lavoro”.

  

Castle abbandonò il tetto del distretto diversi minuti dopo che Esposito l'aveva lasciato da solo. Era rimasto a riflettere sulle parole condivise dal collega e alla fine aveva semplicemente sorriso. Aperta la porta che dalle scale dava al suo piano si incamminò subito verso la sua scrivania, vedendo i colleghi parlare fittamente con Jonhson. Non aveva il sospetto che stessero parlando di lui ma non era una cosa che poteva escludere a priori.

 “Bentornato Castle”. Lo salutò Jonhson causando la reazione degli altri tre che si voltarono subito verso di lui, contenti di vederlo aggiungersi a loro.

 “Avevo solo bisogno di un po' d'aria e di un buon consiglio”. Disse lui rivolgendo uno sguardo di intesa con il cubano.

“Stavo aggiornando i tuoi colleghi sul da farsi”. Enunciò l'agente schiarendosi la voce e indicando la saletta dove di solito i 4 si riunivano per fare le loro ricerche in solitudine.

“Li installeremo la postazione dell'fbi. Ho già parlato con Los Angeles e ci manderanno alcuni agenti da farci da supporto”. Spiegò togliendosi la giacca e appoggiandola momentaneamente sulla sedia del detective. “Lavoreremo aiutandoci a vicenda anche se, abbiamo deciso, ognuno svolgerà le indagini come meglio crede. Noi di Los Angeles e loro di New York abbiamo metodi diversi”

“E io dove sarei collocato?”. Domandò Castle curioso, incrociando le braccia al petto e dando due colpetti di tosse nervoso.

“Tu ovviamente lavorerai con la squadra di Los Angeles”. Lo informò Jonhson vedendolo ridere divertito.

“No no, non credo proprio. Io rimango con la mia squadra, voi fate pure quello che volete”. Affermò lui calmo ma deciso. Non avrebbe di certo abbandonato i suoi colleghi per lavorare con i primi quattro pivelli che l'fbi gli avrebbe messo a fianco. Se voleva catturare una volta per tutte Stark aveva bisogno di Beckett, Ryan ed Esposito, nessun'altro poteva affiancarlo in quell'arduo compito.

“Senza nulla togliere ai tuoi colleghi lavorerai meglio nel nostro gruppo, abbiamo la tecnologia, le conoscenze dalla nostra parte. Hai bisogno di noi per trovare Stark”. Gli disse Jonhson avvicinandosi a lui, afferrandolo per un braccio e allontanandolo di qualche metro dai colleghi cosi che non sentissero il loro discorso.

“Non ho avuto bisogno di voi in questi 5 anni e non l'avrò nemmeno adesso. Se voglio catturare Stark non è su di voi che devo far affidamento, ma su me stesso e la mia squadra, diversamente dalla tua, non mi sarà d'intralcio”. Constatò accennando in direzione dei tre detective che osservavano la scena curiosi.

“Miller non te lo permetterà”. Lo minacciò Jonhson con fare più da amico che da superiore, quasi volesse avvisarlo di un pericolo imminente.

“Che vada al diavolo Miller. Non è più il mio capo”. Asserì Castle liberandosi dalla presa dell'uomo per tornare accanto ai colleghi.

“Non essere cosi reticente Castle, dobbiamo collaborare se vogliamo ottenere qualche risultato”. Osservò ora Jonhson causando l'ilarità dell'uomo.

“Ah ora volete collaborare. Iniziate a darmi qualcosa in cambio?”

“Cosa?”. Domandò l'agente dell'fbi alzando le spalle.

“Che la mia famiglia e quella del detective Beckett siano condotti in un luogo sicuro per tutto il corso delle indagini”. Ordinò Castle non dando modo all'uomo di ribattere. Si poteva leggere dalla sua espressione che non avrebbe accettato nulla di diverso.

“Perchè questa richiesta?”. Chiese Beckett che sentì come un pugno allo stomaco nel sentire tirare in ballo anche i propri genitori.

“Stark è qui per me, probabilmente per vendicarsi. Per farlo potrebbe far del male alle persone a me care e di conseguenza preferisco premunirmi”. Spiegò rivolgendosi alla donna che tristemente annuì, trovandosi d'accordo con lui. “é solo una precauzione. Non accadrà nulla a loro vedrai”. Cercò di rassicurarla accarezzandole i capelli e sorridendole amorevolmente prima di tornare ancora su Jonhson.

“Allora siamo d'accordo?”.

“Se le vostre famiglie non avranno nulla in contrario tutto è possibile”. Rispose l'agente per poi riprendere il discorso abbandonato in precedenza. “Entrambe le squadre si concentreranno sulla ricerca di Stark e su tutti gli indizi che abbiamo trovato sulla scena del crimine, ognuno è libero di usare i propri metodi”. Riepilogò l'uomo riprendendo il fascicolo abbandonato sulla scrivania di Beckett per estrarne una foto e appenderla alla lavagna.

“Questa è stata scattata circa tre mesi prima della sua fuga. Detective vi presento Benjamin Stark”. Detto questo si spostò dalla visuale cosicchè i tre potessero vedere per primi quello spietato assassino che cosi tanto aveva segnato la vita del loro collega. Castle notò che gli anni di carcere l'avevano in qualche modo segnato ma i suoi occhi erano gli stessi, privi d'anima.

“Domani, quando arriverà la squadra di Los Angeles, ci aggiorneremo. Vi spiegherò nel dettaglio chi è Stark e vi farò avere anche gli oggetti trovati nella sua cella o che comunque sono passate tra le sue mani. Chissà che vi troviate qualcosa che a noi è sfuggito”

I detective annuirono vedendo l'agente allontanarsi da loro per poi tornare sui suoi passi. Ridacchiava divertito, tenendo il dito indice posato sulle labbra mentre osservava Castle.

“Mi ero dimenticato di un piccolo particolare”. Disse ora serrando le labbra e rimettendosi gli occhiali da sole per riassumere quell'aria misteriosa che caratterizzava alcuni agenti.

“Lo stesso Miller ha formato la squadra che arriverà domani e tra di loro ha voluto fortemente la presenza dell'agente Glover. Mi sembrava giusto avvisarti”

A sentire quel nome Castle ebbe un gesto di stizza, la testa gli si inclinò d'un lato con fare agitato. Ci mancava solo l'agente Glover, disse fra se e se, stringendo i pugni, accettando con serenità quel dolore che sentiva ancora al palmo della mano per via del taglio.

“Chi è Castle?”. Domandò curiosa Beckett, nei racconti sul suo passato il fidanzato non aveva nominato mai nessun Glover eppure da come l'aveva messa giù Jonhson sembrava qualcuno di importante.

“Domani vedrete”. Disse rivolgendosi a tutti e tre prima di invitarli a riprendere con le indagini, concentrandosi su Emily Holm e sulla sua famiglia che chiedeva spiegazioni su quell'omicidio.

 

CASA CASTLE

 

Poco prima di uscire dal distretto Castle aveva chiesto a Beckett di chiamare i genitori e di invitarli a casa dei coniugi Castle cosi da poter discutere di quella situazione con calma. Insieme avevano deciso di non rivelare a loro, per il momento, della presenza di Stark a New York. Avrebbero spiegato quel loro viaggio improvviso come un regalo fatto da un figlio all'adorato genitore. Aperta la porta di casa i due potevano sentire le risate dei propri genitori e non poterono fare a meno di sorridere anche loro due. Avevano concentrato molte forze nel fare in modo che anche le loro famiglie andassero d'accordo cosicchè nulla potesse ostacolare il loro rapporto e per loro fortuna i coniugi Castle e i coniugi Beckett crearono subito un legame ben saldo, tanto che non perdevano occasione di andare a teatro assieme, o uscire a cena, più di una volta Martha li aveva invitati a qualche serata di beneficenza solo per aver la loro compagnia cosi diversa a quella a cui era abituata, una boccata d'aria fresca amava definirla.

“Ecco i nostri due piccioncini”. Li salutò Martha vedendoli entrare mano nella mano nel salone dove i 4 si trovavano a parlare, accompagnando il tutto con dell'ottimo vino rosso.

“Devo ammettere che la tua chiamata ci ha colti impreparati”. Disse Johanna rivolta alla figlia che non potè non notare lo strano rossore che le segnava le guance.

“Avete alzato un po' il gomito?”.Domandò leggermente infastidita, avendo già dovuto aver a che fare con un fidanzato ubriaco solo il giorno precedente. L'idea di occuparsi anche dei genitori in quello stato le faceva ribrezzo.

“Abbiamo festeggiato mia cara”. Dichiarò James facendo un brindisi con Alexander per poi scoppiare a ridere di gusto. Castle e Beckett si guardarono increduli, completamente estranei, senza indizi, su quello che stava accadendo.

“Festeggiato cosa?”. Domandò il detective spalancando gli occhi quando questi gli caddero sul tavolinetto dove vi era una bottiglia di vino vuota e ciò che rimaneva di alcuni sigari.

“Oh ma come cosa?”. Sbuffò Martha avvicinandosi ai due ciondolante ma con un ampio sorriso. “Festeggiavamo la lieta novella”. Rivelò la donna dando dei piccoli colpetti sul ventre di Beckett che arrossì di colpo trovandosi senza parole.

“No Martha, io, ecco, noi”.Balbettò cercando l'appoggio del fidanzato che per qualche secondo in quella giornata nera trovò la voglia di ridere.

“Mamma, Kate non è incinta”. La canzonò lui vedendola abbassare di colpo il bicchiere che teneva sollevato per un altro brindisi.

“No?”. Chiese conferma facendosi subito triste.

“E no, mi dispiace”. Sorrise divertita da quella cosa Beckett per poi portare le mani ai fianchi. “E perchè poi credevate che io aspettassi un bambino?”. Chiese corrugando la fronte certa di non aver mai dato dei segnali alla famiglia che potessero far sorgere dei dubbi a riguardo.

“Bhè quando oggi mi hai chiamato dicendo che dovevamo venire qui a casa dei Castle perchè dovevate parlarci ci avete messo la pulce nell'orecchio e abbiamo pensato ai vari motivi di questo incontro e alla fine abbiamo puntato sulla gravidanza”. Spiegò Johanna alzando le spalle in fine, versandosi un altro bicchiere di vino.

“Allora se non è la gravidanza è il matrimonio”. Suggerì Alexander riaccendendo la speranza negli occhi della moglie che cosi tanto voleva veder sistemato il figlio con Beckett.

“Nemmeno papà”. Ribattè Castle alzando le mani cercando di calmare gli animi di tutti.

“Kate ed io abbiamo pensavo che forse, voi quattro, insieme a Alexis e alla sua amica Paige, avreste apprezzato dieci giorni di ferie pagate a Telluride. Escursioni e degustazioni organizzate per gli uomini e terme per le donne. Che ne dite?”. Domandò Castle battendosi le mani l'una contro l'altra per poi sfregarle, sperando con tutto se stesso che i quattro accettassero.

“Wow è un bel pensiero ragazzi. Quando partiremmo?”. Chiese James già tutto elettrizzato da quella idea, Telluride era una delle mete preferite dai vip e lui, anche solo per 10 giorni, voleva sentirsi una star.

“Domani pomeriggio”. Rispose Beckett vedendo i quattro perplessi.

“Come mai con cosi poco preavviso, e per il lavoro?”. Questa volta fu Johanna a parlare e a chiedere spiegazioni.

“La disponibilità per ciò che volevamo l'avevano solo da domani e allora ne abbiamo approfittato subito e per il lavoro ci abbiamo già pensato noi tranquilli”. In parte mentì la detective ma non poteva fare diversamente. “Avanti accettate, anche solo per il disturbo che ci siam presi. Senza dimenticare che il soggiorno non è rimborsabile”. Affermò, puntando questa volta sui sensi di colpa.

“Bhè visto che non è rimborsabile”. Sghignazzò Martha pregustandosi già il momento in cui esperti massaggiatori l'avrebbero ricoperta di fango in una delle stazioni termali presenti in quella località.

“A Telluride”. Alzò il bicchiere e Johanna e James, dopo essersi scambiati un cenno d'intesa, fecero lo stesso, convinti anche loro di quella partenza improvvisa. Solo Alexander rimaneva silenzioso a fissare il figlio.

Rimasero li un altra ora a parlare del più e del meno, con Martha che insisteva sempre maggiormente sull'argomento matrimonio e gravidanza suscitando l'imbarazzo di Beckett e l'impazienza di Castle. Johanna e James verso le dieci di sera si congedarono lasciando soli i quattro a finire la nuova bottiglia di vino.



“Rick perchè non lasciamo qua le donne a pulire mentre tu mi dai i dettagli del volo?”. Suggerì Alexander guardando il figlio in un modo che fece capire a quest'ultimo che il viaggio era l'ultimo dei suoi pensieri.

“Che succede Richard?”. Domandò il signor Castle una volta da soli nel suo studio.

“Si tratta di Stark papa”. Disse tutto d'un fiato il più giovane dei due gettandosi sul divano. “é vivo ed è a New York”. Spiegò con un filo di voce per l'incredulità del genitore.

“é impossibile figliolo. Lo sai meglio di me che l'hai ucciso”. Rispose avendo una reazione più contenuta a differenza del figlio.

“Mi hanno mentito. Per tutti questi anni hanno tenuta celata la verità”. Continuò a spiegare cercando di mantenere il controllo, non volendo insospettire la madre, non volendo preoccupare ulteriormente Beckett.

“Spiegami bene che cosa è accaduto?”. Incalzò ancora l'uomo vedendo il figlio sedersi ora sul divano e appoggiare le braccia sulle gambe divaricate.

“Abbiamo trovato un cadavere ieri, ucciso con lo stesso modus operandi di Stark. Non volevo crederci all'inizio ma questa mattina Jonhson si è presentato al distretto e mi ha detto come sono andate veramente le cose. Stark è sopravvissuto quel giorno e per tutti questi anni è rimasto rinchiuso in un carcere fino a tre mesi fa che è evaso”. Raccontò tutto d'un fiato Castle, non osservando il genitore per paura di essere interrotto e perdere cosi il filo del discorso.

“E perchè vuoi allontanarci dalla città? Potresti aver bisogno di noi”. Gli fece notare Alexander vedendolo sorridere malinconicamente.

“Ho più bisogno di sapervi al sicuro. Lontano da New York, lontano da quel bastardo di Stark. Se vi avessi qui sarei perennemente preoccupato per voi e non mi concentrerei sul trovarlo. Non posso permettermelo, non posso permettere che veniate tirati in mezzo alla mia battaglia”. Cercò di farlo ragionare, di fargli vedere il suo punto di vista, ma il padre non sembrava propenso ad accettare tanto facilmente quella situazione.

“Sei mio figlio, è anche la mia di battaglia”. Affermò convinto l'uomo rendendo orgoglioso Castle di essere suo figlio, desiderando un giorno di essere fiero come lui.

“Papa so che non è facile da accettare ma ho bisogno che lo facciate, per me”. Alexander rimase pensieroso diversi minuti per poi finalmente arrendersi alla volontà del figlio.

“Io parto ma tu domani mi accompagni in aeroporto. La tua famiglia se ne va per 10 giorni e mi pare giusto che ci vieni a salutare”. Quasi lo ricattò il vecchio Castle dandogli qualche schiaffetto sul viso, distraendosi per non far scendere le lacrime.

 

 

CASA BECKETT

 

“Domani alle tre dobbiamo essere in aeroporto cosi salutiamo i nostri. Come avremmo fatto in qualunque altra situazione”. Informò Castle la fidanzata che si trovò d'accordo.

“Dici che tuo padre rivelerà qualcosa a tua madre?”. Domandò Beckett essendo stata informata una volta saliti in macchina della conversazione avuta tra padre e figlio.

“No, non dirà nulla. Non vorrà rischiare di rovinare la vacanza a nessuno, in particolare a Lex. Lei è la prima che deve essere tenuta all'oscuro di tutto.”. Spiegò Castle togliendosi la maglietta per mettersi quella del pigiama mentre Beckett teneva gli occhi fissi sulla sua schiena.

“Chi è l'agente Glover?”. Domandò d'impeto, lasciando uscire quella domanda che da ore la tormentava. “Non me ne hai mai parlato”. Dichiarò chiedendosi il motivo di quel silenzio su questo misterioso agente, forse era un collega del CIRG, pensò fra se e se.

“Invece te ne ho parlato spesso”. Ridacchiò lui nervoso, voltandosi verso di lei dopo aver indossato la casacca del pigiama. “Solo che invece di dire agente Glover usavo il suo nome battesimo”. Confessò avvicinandosi a Beckett che ancora lo fissava straniata.

“Ovvero?”. Chiese studiando la sua espressione apparentemente divertita.

“Abby” 

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** I tre dell'FBI ***


 

CASA BECKETT

Beckett se ne stava distesa sul letto, con la schiena addossata contro la sponda del mobile, un libro appoggiato sul grembo, fermo da diversi minuti sempre alla stessa pagina, e il labbro inferiore arrossato per i continui morsi nervosi che la detective continuava a infierirgli. Castle invece era beatamente addormentato, a pancia in giù, con la testa appoggiata al cuscino che le dava la schiena, il tutto rendendo ancora più nervosa la compagna. Dopo che le aveva rivelato dell'arrivo di Abby al distretto la mattina seguente si era messo a dormire come se nulla fosse successo, non dando la minima importanza alla questione. Contrariamente Beckett riteneva quel fatto vitale, la ex fidanzata del proprio uomo, o meglio la ex convivente, sarebbe venuta a lavorare con loro, nello stesso ufficio, fianco a fianco con Castle e questo non poteva tollerarlo.

“Se pensa di venire qui e portarmi via ciò che ora è mio io..io...”. Ringhiò contorcendo tra le dita il povero libro per poi lanciarlo a terra, mettendosi con le braccia incrociate sotto il seno, a fissare dritto davanti a se con un espressione rasente all'odio.

 “Che succede?”. Domandò Castle sbadigliando, tenendo sempre gli occhi chiusi, senza muovere nemmeno un muscolo dalla posizione comoda che si era trovato.

 “Come che succede?”. Disse di rimando lei irritata dall'indifferenza del fidanzato. Beckett scostò le coperte e si mise seduta sui polpacci accanto all'uomo, cominciando a punzecchiarlo sulla schiena quando lo vide immobile.

 “Rick, avanti muoviti, svegliati, dobbiamo parlare”. Gli parlava dando dei colpetti sempre più decisi, arrivando poi a dargli un pizzicotto all'altezza del collo, la dove la carne era più sensibile, riuscendo finalmente ad ottenere una reazione.

 “Ma ti sembrano i modi”. Farfugliò lui scostandosi la casacca del pigiama per osservare il segno rosso che già si stava formando sulla sua pelle.

 “Come mai non hai reagito in alcun modo quando Jonhson ti ha detto dell'arrivo di Abby?”. Volle sapere lei guardandolo con sguardo inquisitorio, con la stessa decisione che si poteva riscontrare in lei durante l'interrogatorio di un assassino.

 “Cosa vuoi che facessi scusa?”. Domandò massaggiandosi la spalla per poi sbadigliare, dopo tutto era notte inoltrata. “Che urlassi, imprecassi, lo pregassi di farla rimanere a Los Angeles?”. Ironizzò lui vedendola lanciargli uno dei suoi sguardi inceneritori.

 “Si una cosa simile”. Constatò lei sempre rimanendo in quella posizione d'attacco che lo metteva sull'attenti. Sbuffando posò le mani sul materasso e si tirò su mettendosi seduto, sentendo i muscoli protestargli a causa del mancato riposo e di quella brusca sveglia.

 “Avanti qual'è il problema?”. Chiese lui facendo ricadere la testa all'indietro, sforzandosi di tenere gli occhi aperti.

 “Te l'ho appena detto”. Ribatte lei nervosa, rigettandosi sul letto con un rumoroso tonfo.

 “Kate, in tutta questa storia Abby è l'ultimo dei miei pensieri. Se c'è al distretto va bene, se non c'è ancora meglio. A me importa solo catturare Stark”. La informò cosi del suo punto di vista, con parole a tratti dure, ma a causa dell' umore dettato più dal pensare a Stark che al fatto che Beckett l'avesse svegliato in piena notte solo per chiedere della ex compagna.

 La detective se ne stava li, con la testa sul cuscino, a guardare nella direzione opposta dell'uomo, con la bocca contorta in una smorfia indefinita, il tutto facendo sorridere il fidanzato.

 “Non è poi cosi difficile ammettere che sei gelosa sai?”. La punzecchiò lui distendendosi al suo fianco, dandole diversi baci sul braccio.

 “E fai che questa attrice mancata di Hollywood arriva qua, dopo tutti questi anni, a farsi bella bella ai tuoi occhi sperando di aggiustare le cose”. Tuonò lei scostandosi di colpo da Castle, facendogli ricadere la testa contro il materasso contro il quale sbuffò. Il detective fece per aprire bocca e andarla a rassicurare ma lei lo precedette.

 “La immagino mentre arriva con la sua posa da vamp, con il chiwawa nella borsetta e gli occhiali da sole da diva”. Saltò giù dal letto Beckett mentre lui cercava di afferrarla per un braccio e attirarla a se.

 “E appena ti vede subito bacini e bacetti, e quanto mi sei mancato Richard, e perdonami, e riprendiamo da dove io stupidamente ti ho lasciato”. Continuò a parlare, modificando il tono della voce, parlando come una di quelle donne dell'alta società con la puzza sotto il naso. “No”. Affermò decisa sbattendo un piede a terra cogliendo alla sprovvista Castle che balzò dal letto. “Se solo ci prova sappi Richard che avranno un altro omicidio da risolvere al distretto”. Lo avvisò puntandogli il dito indice contro, cosi da fargli rimanere ben fissa nella testa quella minaccia.

 Castle ridacchiò muovendosi sul letto con le ginocchia per poi scendervi e mettersi davanti alla fidanzata. “Se dovessi pensarci tu non troverebbero nemmeno il corpo”. Asserì lui prendendole i capelli tra le mani, formando un unica ciocca, e poi farli ricadere di nuovo sulle sue spalle, sistemandoglieli con cura.

 “Vuoi sapere perchè non mi sono opposto al suo arrivo al distretto?”. Domandò dolcemente vedendola annuire.

 “Perchè cosi avrò modo, dopo tutti questi anni, di ringraziarla”. Inclinò la testa studiando il volto di Beckett come se fosse stata la prima volta, perdendosi dentro i suoi occhi.

 “Ringraziarla per cosa? Per essere tornata a riprenderti?”. Commentò lei ancora infastidita, non avendo la minima idea di dove lui volesse andare a parare con quella sua affermazione. Si limitava a starsene li in piedi davanti a Castle, fingendo di non provare alcun che sentendo le sue dita fare su e giù lungo le sue braccia.

 Il detective sorrise scrollando il capo lentamente, avvicinando le sue labbra all'orecchio della donna. “Ringraziarla per essere uscita dalla mia vita e avermi dato cosi modo di conoscere una ragazza straordinaria, che amo più di qualunque altra cosa al mondo, e che spero un giorno accetti di passare la sua vita con me”.

 Beckett assunse un espressione seria, nonostante dentro di lei esultasse come una bambina, e lo scrutò attentamente, alla ricerca di ogni minima contrazione del suo viso che contraddicesse quanto da lui appena detto. Rimase in silenzio alcuni secondi, facendo scorrere tra le dita la collanina di lui.

 “Non credo che quella ragazza sia cosi masochista da affrontare una vita intera con te. Diciamo che è più disposta a contrattare per i prossimi settanta, ottant'anni.”. Dichiarò lei strizzando gli occhi con fare pensieroso.

 “I migliori ottant'anni della sua vita”. Promise Castle ricevendo in cambio un bacio che gli tolse il fiato.

 

 12th DISTRETTO

 I quattro detective osservavano i vari addetti dell'fbi piazzare computer, schermi, lavagne, portare scatole su scatole all'interno dell'ufficio adibito alla loro postazione.

 “Fanno le cose alla grande”. Scherzò Ryan osservando Jonhson che dava indicazioni ai suoi subalterni su dove posare i vari oggetti che essi portavano con loro.

 “Gli piace non passare inosservati”. Rispose Castle non troppo stupito da quella scena, lui stesso, in passato, ne era stato partecipe, e l'idea di aver a loro disposizione tutta quella tecnologia lo solleticava.

 “Sapete quando arriverà questa nuova misteriosa squadra di supporto?”. Domandò Esposito bevendo il suo caffè, sistemandosi davanti ai tre dando cosi le spalle agli agenti dell'fbi. A differenza dei colleghi a lui quelle cose non interessavano.

 “In tarda mattina. Giusto per darci il tempo di portarci a pari con loro, ovvero giusto il tempo per voi di capire a chi stiamo dando la caccia”. Replicò Castle alzandosi dalla sedia sulla quale si era accomodato e avvicinandosi alla lavagna. Si era stancato di non far nulla.

 “Direi che di Stark posso parlarvi io stesso senza aspettare l'intervento di Jonhson”. Affermò voltando leggermente il volto per osservare l'ex capo anche intento a dare direttive.

 “Benjamin Stark è nato in Ohio nel 1972 per poi trasferirsi a Los Angeles nel 1991 per frequentare l'università laureandosi 3 anni dopo in ingegneria.”. Cominciò a raccontare il detective quelle informazioni che aveva imparato a memoria anni addietro e che ancora erano vive nella sua mente. “Conduce una vita normale fino a una decina di anni fa quando uccide la sua prima vittima. Un omicidio, se vogliamo dire semplice. Soffocò la sua vittima per poi gettarla in una discarica dove venne ritrova due giorni dopo”. Fece una breve pausa per fare in modo che i colleghi assimilassero quelle informazioni e iniziassero a trarre le prime somme.

 “Con gli anni ha affinato le sue doti, riuscendo a sfuggire alla polizia ogni volta. Circa 7 anni fa poi iniziò ad usare il modus operandi che abbiamo visto”. Spiegò indicando la foto dell'ultima vittima che ancora era appesa alla lavagna. “Non uccideva con costanza, nel primo anno di “attività” si contano tre omicidi soltanto. Fu poi verso la fine del 2007 che cominciò ad agire con più frequenza”. A raccontare ora di quei dettagli lo rendeva irrequieto, sentiva le sue gambe combattere con l'istinto di scappare, correre il più lontano possibile da quei luoghi.

 “Nel giro di 5 mesi uccise 13 persone. Tutte accoltellandole, per poi tagliare loro la gola e incidere quella S sul petto. E li entriamo in azione noi, la mia squadra ed io, con il compito di fermare questo pazzo”.

 “E come ci siete riusciti?”. Domandò Ryan alzando il braccio quasi fosse a scuola in presenza di un maestro.

 “Trovammo una delle auto usate da Stark durante gli omicidi e, grazie al gps, risalimmo al suo nascondiglio”. Spiegò con brevi parole quello che li aveva condotti a trovare il magazzino dove Stark passava le ore del giorno a programmare il successivo omicidio.

 “E fu li che lui?”. Continuò a chiedere l'irlandese indicando il fianco del collega che annuì.

 “Esatto. Fu cosi contento della mia visita che volle rendermela indimenticabile”. Ironizzò l'uomo benchè sul suo volto non si potesse leggere alcuna espressione divertita.

 “E poi è evaso e ora è qui a tormentarti di nuovo la vita”. Concluse Esposito quel discorso che Castle aveva lasciato aperto.

 “Sarà venuto per ringraziare Castle per avergli regalato quel soggiorno a Blue Valley. Colazione in camera, bel panorama, la tombola il venerdi e il cinema il martedi. Senza dimenticare la palestra all'aperto”.Parlò Jonhson raggiungendoli dopo aver finito di impartire ulteriori ordini ai suoi, intromettendosi in quel discorso dei quattro, cercando di risultare particolarmente divertente. Ma data la situazione, il modo in cui aveva mentito a Castle, gli risultava difficile esserlo dato che tutti e tre i colleghi di Castle avevano ritenuto quel modo di agire come un'offesa che non sarebbe passata impunita. Anche se la punizione si limitava ad essere il semplice disinteresse.

 “Avete finito con il vostro ufficio?”. Chiese Castle tornando a porsi accanto ai colleghi, formando di nuovo quelle due fazioni che si erano create al distretto, Fbi contro polizia.

 “Quasi. Manca solo la squadra per riempire quelle sedie”. Rispose l'uomo sentendosi di troppo, sapendo bene che era comunque quella la sensazione che volevano fargli provare.

 “E per l'esattezza chi saranno?”. Seppur era rimasto poco all'interno dell'agenzia Castle era riuscito a farsi molte conoscenze e aveva sentito parlare di molte persone. Era curiosa di sapere chi gli fosse stato affibbiato, oltre ad Abby.

 “Saranno tre gli esperti che ci manderanno. L'agente Havoc, esperto di antropologia forense, l'agente Platt, il nostro genio dei computer, e in fine l'agente Glover, il meglio per quanto riguardo la psicologia criminale”. Castle cercò di rimanere impassibile, due di quei tre nomi gli erano più che famigliari per motivi diversi. L'agente Glover come la sua ex fidanzata, l'agente Platt gli era più noto invece come Snake, un suo vecchio compagno all'interno del Cirg, forse un regalo dello stesso Jonhson per attenuare le sue colpe.

 “E questi esperti in che modo saranno utili alla ricerca?”. Chiese Beckett che fino a quel momento era stata in completo silenzio, impegnata a prepararsi psicologicamente all'incontro che avrebbe avuto con Abby.

 “In un modo o nell'altro questi tre agenti hanno già partecipato alla ricerca di Stark 5 anni fa e abbiamo bisogno della loro esperienza per trovarlo”. Ribatte Jonhson per poi congedarsi, pronto a ricevere questi nuovi e momentanei colleghi della squadra.

 “Tu sai chi sono Castle?”. Domandò Esposito a bassa voce, seguendo con lo sguardo l'agente dell'fbi.

 “Si posso dire di conoscerli”. Annuì l'uomo non preoccupandosi di tenere il tono della voce basso come quello del collega. “In particolare l'agente Glover, al secolo Abigail Glover, la mia ex fidanzata”. Rivelò lasciando stupefatti i colleghi che d'istinto si voltarono verso Beckett.

 “Che c'è?”. Richiese spiegazioni lei vedendosi quei quattro occhi puntati addosso.

 “La ex di Castle viene qui e tu ancora non hai dato fuoco al distretto?”. Scherzò divertito Ryan, ricevendo una di quelle occhiatacce di solito riservate a Castle.

 “Probabilmente avrà disseminato il distretto di trappole. Appena l'agente Glover metterà piede fuori dall'ascensore le piomberòà un macigno addosso”. Continuò a punzecchiarla Esposito vedendola alzare le braccia alzando bandiera bianca.

 “A volte siete peggio dei bambini”. Dichiarò lei voltandosi verso lo schermo del proprio pc. “Mi son ripromessa di comportarmi civilmente”. Disse lei gesticolando con una mano. “Cosi risolveremo in fretta il caso e me la potrò levare dai piedi in breve tempo”. Continuò facendo una piccola pausa vedendo i colleghi ancora fermi accanto a lei, in attesa di sentirla chiudere il discorso. “Ok, ok”. Si arrese girandosi di nuovo verso di loro. “Ho già dissotterrato l'ascia di guerra e non vedo l'ora che arrivi qui per sbatterle sul muso che Castle ora è mio. Contenti?”. I tre tutti sorridenti annuirono.

 “Quanto mi piace essere l'oggetto di desiderio tra due donne”. Ridacchiò Castle gongolante, sfregandosi le mani pregustando quel momento.

 “Sarà meglio per te che Abby non provi alcun desiderio nei tuoi confronti”. Asserì minacciosa, pronunciando quel nome con velato disprezzo.

 “100 dollari che prima di domani sera si prenderanno per i capelli”. Scommise il detective con i colleghi, tenendo la voce bassa cosi da non farsi sentire dalla fidanzata, mentre stava già estraendo dalla tasca il portafogli.

 “Castle”. Lo richiamò Beckett sull'attenti, facendolo sobbalzare sul posto. “Tu punta quei soldi e io ne scommetto altrettanti che prima di domani sera avrai passato una notte in albergo.”

 “Guastafeste”. Enunciò lui brontolante mentre ritirava il portafogli e si metteva seduto al suo posto.

 

I due detective non fecero in tempo ad andare alle loro scrivanie che le porte dell'ascensore si aprirono e i tre agenti nominati in precedenza fecero il loro ingresso quasi fossero delle star, osservati da tutti mentre si aggiustavano la cravatta, gli occhiali da sole o una ciocca di capelli.

 “Niente chiwawa”. Scherzò Castle sussurrando a Beckett che lo fulminò con lo sguardo prima di tornare sull'agente Glover. Nemmeno lei poteva negare che la donna possedeva un fisico invidiabile, alta e snella, con lunghi capelli rossi che le ricadevano sulle spalle, inoltre i tratti gentili del suo viso servivano ad incorniciare il tutto. Castle invece non la vide nemmeno entrare preso com'era ad osservare le reazioni della compagna.

 “La gelosia galoppa”. Continuò a provocarla alzandosi dalla sedia per salutare i tre. Con l'agente Platt ci fu solo un breve gesto d'intesa, per tutti loro due erano sconosciuti, quella era la prima volta che si vedevano. Con Abigail fu tutto diverso. Si fermarono uno davanti all'altro senza dir nulla, incerti su come procedere con i convenevoli.

 “Ciao Ricky”. Fu la donna a prendere in mano la situazione e lo salutò per prima, guardandolo con soddisfazione, permettendosi anche di squadrarlo da capo a piedi.

 “Cia Abby, ti vedo bene”. Fu la risposta di Castle, che non poteva negare di sentirsi in leggero imbarazzo, non sapeva come comportarsi con lei, in particolare se al suo fianco vi era Beckett con la mano già sulla fondina.

 “Questi sono i miei colleghi.”. Continuò il detective procedendo con le presentazioni. “Quelli che vedi laggiù sono Ryan ed Esposito”. Disse indicando i due che stavano conversando con gli agenti Havoc e Platt. “Lei invece è la detective Beckett”. Parlò ora indicando la donna che gli era vicino.

 “Ho sentito parlare molto di lei detective Beckett, e non solo riguardo l'aspetto lavorativo”.Commentò allungando la mano verso la detective, guardando divertita Castle.

 “Anche di lei mi son giunte molte voci, agente Glover. Spero che la foto della nostra vittima non l'abbia impressionata troppo”. Ribattè stringendole la mano, indicando poi con la testa la foto sulla lavagna. “D'altronde l'ultima volta che ha visto ferite simili ha ben pensato di scappare”.

 Abby mollò la mano della detective quasi le bruciasse la pelle, andando ad osservare di nuovo Castle questa volta furente.“Non ti ricordavo cosi loquace riguardo tuoi fatti privati”.

 “Non sono più lo stesso ragazzo che avevi conosciuto”. Affermò lui neutrale, sovrapponendosi tra la donna e la fidanzata. “Direi di lasciarci il passato alle spalle e concentrarci su Stark. Che ne dite?”. Chiese rivolgendosi ad entrambe le donne che, nonostante si guardassero ancora in modo poco amichevole, acconsentirono a quella richiesta.

 “Mentre eravamo in volo, i miei colleghi ed io, abbiamo analizzato le informazioni che ci sono state mandate riguardo questo omicidio”. Esordì Abby una volta che tutti si trovarono riuniti nella sala adibita agli agenti dell'fbi. Sullo schermo dietro di lei si potevano vedere immagini e rapporti scorrere ogni volta che lei toccava un nuovo punto di quel caso.

 “Abbiamo riscontrato una cosa interessante”. Proseguì facendo cenno all'agente Platt di mostrare l'immagine successiva. “Quest'ultimo omicidio ha molti elementi comuni con quello commesso dallo stesso Stark nel marzo del 2008”. Dietro di lei, accanto alla foto di Emily Holm ne comparve un altra mostrante un ulteriore cadavere.

 “Jessica Walker, uccisa anche lei tra le 3 e le 5 di un martedi. Il modus operandi come ben sapete è lo stesso ma ci sono altre cose molto interessanti”. Si spostò dall'altro lato dello schermo e ancora diverse foto comparvero, sempre mosse diligentemente dall'agente Platt.

 “Entrambe le vittime avevano 25 anni, lavoravano come cameriere in un locale vicino al luogo dove sono state uccise, erano nubili, frequentavano una scuola di recitazione e facevano parte di un organizzazione di beneficenza”. Riepilogò la donna contando sulle dita ogni informazione data.

 “Anche il vicolo dove sono state uccise presenta gli stessi elementi. Un vicolo cieco, senza alcuna porta che dia su di esso, gli stessi bidoni presenti sono nello stesso punto in entrambi gli omicidi, la stessa vittima si trova nella stessa posizione dell'omicidio del 2008”

 “E questo cosa dovrebbe dirci?”. Domandò Esposito osservando quelle immagini. “Quello d'altronde è il suo modus operandi, non vedo perchè prestarci tutta questa attenzione”. Continuò indicando le immagini davanti a se, osservando tutte quelle cose in comune che erano evidenziate sulle foto.

 “Penso che loro credano che Stark abbia voluto rappresentare lo stesso omicidio di Los Angeles, occupandosi anche dei minimi dettagli perchè tutto fosse perfetto, che tutto combaciasse.”. Espose la propria opinione Beckkett osservando il collega, non avendo cosi modo di vedere l'espressione infastidita di Abby che si vide messa da parte.

 “Esatto. Abbiamo ipotizzato che voglia ripetere il “turno” che abbiamo spezzato”. Si intromise l'agente Havoc andando lui a spiegare quel nuovo dato. “Prendendo in considerazione gli ultimi omicidi compiuti abbiano notato che ogni 3 omicidi Stark si prendeva una specie di pausa, se cosi vogliamo definirla”. Spiegò mentre ora sullo schermo dietro di lui comparì un grafico.

 “Novembre 2007, ha ucciso il 2, l'8 e il 10. Dopo di che per 25 giorni più nulla. Il 4 Dicembre ecco l'altra vittima, seguita da altre due il 15 e il 19.”. Parlava senza fermarsi, senza quasi prendere fiato, indicando data dopo data, omicidio dopo omicidio, facendo pendere dalle sue labbra i presenti.

“Passiamo cosi a Gennaio e al turno successivo, altri tre omicidi, sempre mantenendo la pausa di 25 giorni e cosi anche per quanto riguarda Febbraio. Ogni mese aveva il proprio turno”.

 “Tranne Marzo, dove invece solo uno è avvenuto”. Finì il discorso Ryan avendo visionato a dovere il calendario che gli si presentava davanti.

 “L'unica vittima di marzo fu appunto Jessica Walker e per questo, dato la somiglianza tra i due omicidi, pensiamo voglia ripetere quel turno. Uccidere le ultime due persone che gli mancano”. Terminò cosi quello che aveva da dire l'agente Platt rimettendosi seduto al proprio posto, lasciando il posto d'onore all'agente Glover.

 “Avete mai scoperto chi dovevano essere le altre due persone che aveva in programma di uccidere? Di certo, colpendo nel giro di pochi giorni tra un omicidio e l'altro doveva programmare in tempo ogni cosa”. Fece notare Esposito una cosa ovvia a tutti.

 “Abbiamo controllato da cima a fondo il suo nascondiglio in cerca di indizi ma non abbiamo trovato nulla”. Riferì Abby indicandosi poi la testa. “Tutto quello che serve a Stark ce la qui dentro”.

 “E allora da dove iniziamo la ricerca?”. Domandò l'irlandese facendo spallucce, mai in un caso avevano avuto cosi tanti indizi inutili. Beckett aveva anch'ella quella domanda che le frullava nella testa e fu contenta che fu il collega a esporla cosi da avere una risposta certa. A parte quella piccola parentesi per tutta la durata di quell'incontro se n'era stata in silenzio ad ascoltare tutte le informazioni che gli agenti le propinavano, tenendo però sempre gli occhi fissi sul fidanzato che se ne era rimasto seduto accanto a lei. Castle non aveva aperto bocca, non era intervenuto, e lei non riusciva a capirne il motivo. Se l'aveva fatto per non intromettersi nel lavoro degli agenti o se l'affrontare di nuovo quei momenti lo intimoriva ancora di più di quello che lasciava a vedere.

 “Si comincia da qui”. Affermò l'agente Platt indicando alcune scatole e appoggiandosi su di esse. “All'interno di esse troverete ogni documento, ogni libro, ogni oggetto, qualunque cosa sia passato tra le mani di Stark in questi ultimi anni. Se ha programmato qualcosa, forse, lo troveremo qui dentro”

 
-----------------

E ieri sera c'è stata la prima puntata della nuova seria, quanto invidio gli americani oggi.

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** Consigli indesiderati ***


12th DISTRETTO

 

La frustrazione regnava nella stanza nella quale i quattro detective e i tre agenti dell'fbi si erano rinchiusi cosi da poter studiare meglio il contenuto di quelle scatole. Ryan fissava le immagini davanti a se assopito, con la testa sorretta dal palmo della mano, Esposito continuava a fare avanti e indietro per il piccolo perimetro delimitato da quelle quattro mura, lanciando di tanto in tanto sulla tavola i documenti inutili che aveva tra le mani. L'agente Havoc e il collega Platt erano intenti a controllare i video della sorveglianza, sorbendosi ore e ore di inutili conversazioni di Stark con altri detenuti. Abby leggeva e rileggeva le lettere che quel pazzo aveva ricevuto, cercando in esse messaggi nascosti, mentre Beckett aveva deciso di conoscerlo leggendo i rapporti sugli omicidi da lui commessi. Solo Castle non faceva nulla. Rimaneva appoggiato a un muro, ad osservare fuori dalla finestra, tenendo stretta tra le dita la sua collanina.

 “Una mano in più non sarebbe male”. Interruppe i suoi pensieri Abby andando a riporre nella busta l'ennesima lettera, alzandosi cosi da andargli vicino. Beckett non si mosse ma con la coda dell'occhio la seguì, attenta a ogni suoi più piccolo gesto. 

“Non vi sarei d'aiuto”. Asserì spicciamente Castle riportando le iridi sulla finestra.

 “Lo so che non è facile ma devi affrontare questa cosa”. Gli suggerì lei posandogli una mano sulla spalla, sistemandogli il colletto della giacca, di rimando Beckett strinse cosi forte il rapporto tra le sue dita che il rumore di carta stropicciata echeggiò nella stanza. 

“Non sarà in mezzo a quelle scartoffie che lo troveremo e tu lo sai, ci abbiamo già provato in passato”. Disse lui esasperato da quella situazione, da quelle continue ricerche che irrimediabilmente si concludevano con un buco nell'acqua. Ci era già passato e non voleva ricadere negli stessi errori.

 “D'altronde forse è meglio che tu te ne stai in panchina. Almeno non dovrò preoccuparmi di un ragazzino che si crede Capitan America”. Enunciò Abby alzando la voce cosi da farsi sentire dai presenti prima di andare a sedersi al proprio posto. Gli occhi di Beckett e Castle si incontrarono per un breve momento e lei capì che qualcosa lo stava tormentando, quei pochi attimi prima che lui distogliesse lo sguardo le fecero capire che c'era altro che lui non le stava dicendo. Avrebbe voluto alzarsi, trascinarlo fuori da quella stanza e farsi raccontare tutto ma sapeva bene che non poteva farlo, che lo stesso fidanzato non avrebbe ceduto in quel modo. Il detective strinse i pugni sospirando, quella rivelazione che gli era giunta alla mente, durante il colloquio con i tre agenti sugli elementi comuni degli omicidi, non se n'era ancora andata ma anzi, gli martellava la testa ancora più forte. Nonostante tutto però l'unica preoccupazione che aveva era riguardo a Beckett, del resto non gli importava nulla. Guardò le persone che camminavano sul marciapiede che costeggiava il distretto e pensò a Stark, che probabilmente se ne stava camminando liberamente a pochi isolati da loro, pensando alla sua prossima mossa e questo gli stringeva la gola.

 “Tra poco Beckett ed io dovremmo allontanarci per un oretta”. Esordì d'improvviso cogliendo tutti di sorpresa. 

“Non credo proprio, siamo nel corso di un indagine, non potete prendere e andarvene”. Si imputò Abby guardando Beckett, credendola la causa di tutto ciò.

 “Le nostre famiglie partono per una vacanza organizzata da noi per tenerli lontani dalla città, dobbiamo andare a salutarli come promesso per non far nascere alcun sospetto”. Spiegò la detective stringendo i denti, non volendo farsi prendere a pesci in faccia dalla donna. Sarà stata anche una sua superiore ma questo non voleva dire che doveva accettare ogni sua parola come un sacramento.

 “Lo trovo ridicolo”. Proseguì l'agente voltandosi sulla sedia cosi da osservare entrambi, fermi sulle loro posizioni. 

“Non sarà di certo quell'ora a cambiare qualcosa”. Intervenne Ryan ripresosi da quella stanchezza improvvisa. “E se si allora mi fermerò un ora in più al distretto per recuperare”. Affermò convinto sorridendo in direzione dei due colleghi. 

“Al tuo ritorno spero però che ci degnerai del tuo aiuto”. Si limitò a dire Abby rivolgendosi a Castle prima di tornare a leggere le lettere. 

 

 

“Dovresti partire anche tu con loro”. Disse Castle alla fidanzata che, al volante dell'auto, si stava dirigendo all'aeroporto. “Ho già preso un biglietto anche per te”. La informò estraendo dalla tasca il biglietto tirato in questione. Beckett lo guardò per un istante incredula prima di riportare gli occhi sulla strada.

 “Scusa ma non ti seguo”. Rispose a quella sua affermazione continuando a guardarlo ogni volta che il traffico glielo consentiva.

 “Non voglio averti a New York con Stark pronto a colpire in ogni momento”.Le spiegò non ottenendo l'effetto sperato.

 “Non sono una sprovveduta Castle”. Cercò di rassicurarlo invano. L'uomo era pronto a ribadire la sua opinione quando lei glielo impedì. “E non provare a dire che nemmeno tu lo eri, che eri addestrato per quelle cose, eppure hai rischiato di morire. Non sono cosi pazza come te da entrare in un magazzino senza rinforzi”.

 “é solo che son più che convinto che lui è qui per me, per vendicarsi. E quando ho visto le immagini della Walker o della Holm, stese in quel vicolo, circondate dal loro stesso sangue, non ho potuto fare a meno di vedere te al loro posto”. Confessò l'uomo appoggiando la testa al sedile, passandosi una mano nei capelli, tirando poi un pugno liberatorio contro il cruscotto.

 “Non accadrà Rick. È impossibile avendoti praticamente in mezzo ai piedi 24 ore su 24”. Ridacchiò lei provando a farlo sorridere, facendogli capire che quella sua paura era irrealizzabile alla luce di come stavano le cose. 

“Non riuscirei a vivere sapendo che ti è accaduto qualcosa a causa mia. Ti prego Kate parti”. La supplicò sia con le parole che con gli occhi. Uno sguardo pieno d'amore che intenerì Beckett. “Il mio posto è qui, accanto a te. Abbiamo bisogno l'una dell'altro ora più che mai”. 

“E inoltre devo controllare che Abigail non ti metta le mani addosso più del dovuto”. A quella constatazione Castle sorrise ma non servì a placare la sua ansia. Beckett era il suo punto debole e sarebbe bastato meno di un minuto a Stark per capirlo. In quei tre mesi di libertà avrebbe potuto pensare ad ogni modo per vendicarsi di lui, pensò Castle, e alla fine la vittima designata risultava sempre la fidanzata nelle sue macchinazioni.

 

 

AEROPORTO

 

La famiglia Castle e la famiglia Beckett si trovavano all'ingresso dell'aeroporto ad aspettarli quando loro arrivarono a destinazione. Il clima era festoso e i due detective dovettero dare il meglio di loro per non rovinarlo con i loro affanni.

 “Non divertitevi troppo”. Scherzò Castle abbracciando il padre. Quando fece per allontanarsi Alexander aumentò la stretta sul figlio, quasi togliendogli il fiato.

 “Promettimi che questo non è un addio”. Gli disse con un filo di voce cogliendo l'uomo di sorpresa tanto da lasciarlo senza parole.

 “Papa io...”. Deglutì a fatica non sapendo come comportarsi. In altra sede gli avrebbe parlato da uomo a uomo ma ora li, davanti a tutti, non poteva accennare alla verità.

 “Promettimi che quando torneremo sarai ancora qui”. Insistette Alexander stringendo ulteriormente il figlio. 

“Andrà tutto bene papa. Non ti preoccupare”. Lo confortò lui dandogli due pacche sulle spalle cosi da farlo staccare, le due famiglie li stavano fissando e se avessero continuato gli avrebbero di certo chiesto spiegazioni. 

“Sono tuo padre. Preoccuparmi è il mio lavoro”.

 “Andrà tutto bene Alexander”. Parlò Beckett intuendo dallo sguardo dell'uomo le sue paure. “Richard non è da solo, ha una squadra alle spalle che non lo perderà mai di vista”. Il vecchio Castle sorrise vedendo il modo in cui la donna si teneva vicino al figlio, mano nella mano, per un istante credette alle sue parole.

 “Forza andiamo o perdiamo l'aereo”. Annunciò Martha trascinando la sua valigia con una mano e Johanna con l'altra. Alexander combattuto si allontanò, fermandosi poi all'ingresso dell'aeroporto.

 “Rick non hai promesso”. Lo richiamò attenendo una risposta.

 “Lo sò”. Rispose lui alzando una mano per salutarlo. Avrebbe potuto mentirgli, promettere per renderlo più tranquillo, ma il padre avrebbe intuito subito e l'avrebbe messo in ulteriore allarme.

 “Sei ancora in tempo per prendere l'aereo”. Constatò il detective in direzione della fidanzata che ora era appoggiata con la testa alla sua spalla e stava guardando l'ingresso dell'edificio. In quel momento Beckett non sapeva bene se essere infastidita dalla sua mancanza di fiducia o intenerita da quella sua continua preoccupazione. Si girò cosi da mettersi davanti a lui e gli scostò un lembo della giacca cosi da prendere il biglietto dalla tasca interna di quella. Lo fissò per un istante e poi guardò il fidanzato sorridendo. 

“Il mio posto è qui”. Dichiarò strappando ancora e ancora ciò che aveva tra le mani.

 

 

12th DISTRETTO

  

Tornati al distretto, in minor tempo di quello che avevano calcolato, si erano messi subito sotto con il lavoro, aiutando i colleghi che, durante la loro assenza, non erano riusciti a visualizzare nemmeno la metà degli oggetti contenuti in quelle scatole. A turni facevano delle pause per recuperare le energie e riassettare i pensieri, bevendosi un caffè o chiamando e richiamando i loro informatori in cerca di notizie. Stark però sembrava un fantasma, nessuno l'aveva mai visto a New York, nessuno aveva assistito al suo passaggio, nessuno lo aveva aiutato. A tutti i detective quelle scuse erano palesemente della bugie ma nemmeno potevano obbligare un uomo, seppur un criminale in combutta con la polizia, di rischiare cosi la vita. Di conseguenza quegli oggetti, quelle carte, che circolavano tra le loro mani sarebbero state la loro bibbia fino a quando non fossero riusciti a scoprirne il messaggio, se questo in effetti ci fosse stato. Castle passò da leggere le lettere di Stark, alle sue memorie, fino ai libri di architettura e ingegneria che tanto piacevano a quell'assassino. Il detective afferrò un ulteriore volume e sfogliando le pagine distratto, dalla copertina, notò uscire un angolino bianco. Velocemente lo prese e lo osservò prima di nasconderlo in tasca. Castle sentiva la testa scoppiargli e senza dire niente a nessuno sgusciò fuori dalla stanza cosi da rimanere da solo e prendersi un po' d'aria. Uscì dal distretto e prese a camminare lungo il parcheggio, respirando a pieni polmoni.

 “Non pensavo che l'avresti presa cosi diplomaticamente”. Parlò Abby avvicinandosi a lui sempre con quel suo fare da superiore, il tailleur perfetto, i capelli raccolti, le braccia conserte e quel piede che batteva a terra ritmicamente.

 “é una battuta?”. Volle sincerarsi Castle per vedere come risponderle, appoggiandosi ad una macchina.

 “No, è la verità”. Rispose lei andandosi a mettere al suo fianco. “Rispetto al comportamento di 5 anni fa sei molto migliorato”. Gli fece notare lei guardandolo per qualche istante prima di mettersi a contemplare le auto davanti a se. 

“Te l'ho detto. Non sono più il ragazzo che hai conosciuto”. Ribattè lui distrattamente, non avendo alcuna voglia di parlare del loro passato, ritenendo la cosa ormai inutile.

 “Questo mi pare ovvio, altrimenti ancora prima di salutarmi mi avresti portata in qualche stanzino e avremmo fatto l'amore contro uno scaffale”. Sorrise lei mentre lui ridacchiò.

 “é successo solo una volta. Ed è stato dopo 3 settimane di missione in Francia, dovevo sfogarmi in qualche modo”. Ricordò lui scrollando il capo e massaggiandosi il collo teso da tutta quella situazione.

 “Ammetto che ti ho tenuto d'occhio in questi anni”. Rivelò Abby dopo alcuni minuti di silenzio, ormai non c'era motivo per tener nascosta la cosa.

 “Come mai?”. Chiese curioso lui staccandosi dall'auto e mettendosi di fronte a lei, studiandola in volto. 

“Volevo sapere come stavi.”. Fece spallucce lei serrando le labbra. “Puoi pensare che sia stata mossa dai sensi di colpa, e forse in parte è stato cosi, ma volevo veramente sapere se stavi bene o no.”. Confessò lei accarezzandogli una guancia, facendolo vacillare per qualche istante. Non solo lui era cambiato ma anche lei. Quei gesti durante la loro relazione erano vietati, niente romanticherie, niente parole dolci.

 “Ti ho voluto bene Ricky”. Asserì lei facendo ricadere la mano, sentendosi in imbarazzo per quel contatto improvviso.

 “Lo stesso vale per me”. Disse Castle tranquillo, non avendo mai negato di provare altro oltre che l'attrazione verso la donna. “In un modo tutto tuo mi aiutavi a dimenticare, anche se per breve tempo, degli orrori che vedevo durante le missioni”. Sogghignò lui mettendosi le mani in tasca e tirando qualche calcetto ai sassolini presenti sulla strada.

 “Se fossi stata più coraggiosa in passato forse ora..”. Cominciò a ipotizzare lei ma il detective la fermò subito, non voleva arrivare fino a quel punto, non voleva immaginare una vita con lei.

 “Preferisco che sia andata come è andata. Se tu non fossi stata cosi insensibile io ora non sarei cosi felice”. Pronunciò lui seriamente, notando sul suo viso un espressione ferita, di certo non aveva usato parole tenere.

 “La detective Beckett è speciale non è cosi?”. Chiese lei di botto, cogliendolo di sorpresa.

 “Lo è per me. È la migliore cosa che mi sia capitata nella vita”. Abby annuì distrattamente, non avendo il coraggio di guardarlo negli occhi, preferendo studiarsi le scarpe.

 “Allora non credi che sia il momento di lasciarti il passato alle spalle”. Suggerì la donna riducendo la loro distanza, posando una mano all'altezza dello sterno, sentendo sotto le dita la cicatrice. “Non credere che sia bastato dimetterti dal CIRG, o lasciare l'fbi per essere una persona completamente nuova” 

“Te l'ho detto. Sono cambiato”. Ribadì lui andando a levare con stizza la sua mano. “Ho dei progetti, voglio una vita insieme a Beckett” 

“Ma cosa stai facendo veramente per crearla?”. Lo stuzzicò lei riprendendo quella sua solita posizione d'attacco. “E non dirmi che il convivere è già un passo avanti, pure con me vivevi assieme eppure entrambi sapevamo che la nostra storia non era fatta per durare, solo che nessuno dei due aveva il coraggio di prendersi quella responsabilità e dire addio all'altro”.

 Castle non proferiva una parola, tutta quella situazione sembrava irreale, in particolare accettare consigli da parte della donna che lo aveva abbandonato senza nemmeno guardarsi indietro. Voltò il capo in direzione del distretto, quasi avesse il sentore che di li a poco Beckett sarebbe uscita da quella porta e li avrebbe visti cosi vicini, troppo vicini.

 “Cosi coraggioso tanto da entrare nella gabbia del leone da solo ma cosi codardo tanto da non affrontare la vita”. Scrollò il capo lei senza speranza, vedendo che lui, almeno esteriormente, non era stato in alcun modo mosso da quelle parole. 

“Sai, durante una delle pause ho assistito alla conversazione tra Beckett e quel medico legale”. Aggiunse lei facendo per allontanarsi, fermandosi a pochi metri da lui.

 “La dottoressa Parish”. L'aiutò vedendola annuire. 

“La dottoressa ti rimproverava per il comportamento che hai tenuto l'altra sera e da quel poco che ho sentito l'hai combinata bella grossa.”. Castle istintivamente andò a sollevare il palmo ferito, passandosi il pollice sulla benda che ancora copriva il taglio. “E vedendo che, nonostante tutto, la detective Beckett era ancora qui mi son posta una domanda.”. Attirò cosi la sua attenzione ma lo stesso attese qualche secondo per rendere meglio l'idea. 

“Perchè non va avanti con la sua vita? Cosa sta aspettando?” 

“Perchè tu dopo tutto quello che è successo sei andata avanti? Dopo aver visto com'era andata la nostra relazione hai avuto il coraggio di proseguire? DI cambiare le cose anche se funzionavano perfettamente come andavano?”. Chiese lui puntandole il dito contro, per poi alzare le braccia la cielo.

 “Perchè dovrei voler qualcosa in più con Beckett e rischiare di rovinare tutto quando, in base alla situazione attuale, stiamo cosi bene”. Era una domanda che spesso si era posto, ormai aveva più di 30 anni, stava con Beckett da tre, era normale voler qualcosa in più eppure lui era assediato da molto riserve.

 “La nostra storia mi ha insegnato che ero diventata ormai troppo grande per accontentarmi delle cose frivole e questo mi ha cambiato in un modo che non puoi immaginare.”. Sul suo volto si formò un sorriso misterioso a cui il detective non riuscì a capirne la fonte. “Perchè accontentarti di ciò che hai quando con Beckett potresti avere il mondo. Ma questo è stato sempre un tuo difetto. Aspettare che le persone accanto a te decidano anche per la tua vita, cosi quando ti guarderai indietro ti potrai dire “Non ho colpe, non sono io che l'ho voluto” e per qualche secondo avere quella effimera soddisfazione”. Abby scrollò il capo ridendo, guardandosi attorno per poi grattarsi la testa, sentendosi lei in colpa per non aver ammesso quelle cose anni prima.

 “Hai ribadito più volte che sei cambiato ma ai miei occhi sei sempre il solito ragazzino superbo, arrogante, che combatte solo le battaglie che può vincere cosi da sentirsi migliore degli altri. La dentro al distretto hai una squadra pronta ad aiutarti, degli amici che son li per te eppure tu sei qua fuori da solo.”. Abby fece ancora per avvicinarsi a lui ma poi ci ripensò, rimase ferma li sul posto ad osservare la sua espressione infastidita. “Potrà sembrare che lo fai per proteggerli ma sappiamo entrambi qual'è la verità non è vero Ricky?!. Vuoi avere tu tutto il merito”. Castle rimase li, appoggiato ad una macchina, mentre Abby se ne tornava all'interno del distretto, a fare il lavoro per cui era stata chiamata a New York.

  

“Dov'è Castle?”. Domandò Beckett vedendo rientrare la donna da sola nella stanza. L'aveva vista allontanarsi poco dopo il fidanzato e in tutti quei minuti che i due potevano esser stati da soli la sua mente aveva partorito le più impossibili fantasie. 

“Sta prendendo un po' d'aria”. Rispose l'agente rimettendosi seduta al proprio posto e riprendendo quelle carte che aveva abbandonato in precedenza. Beckett fissò i documenti davanti a lei per un secondo prima di scostare di scatto la sedia e prendere la direzione della porta, doveva andare da Castle. Non fece in tempo a varcarne la soglia che si scontrò con il petto del fidanzato. 

“Rick”. Disse scambiandosi uno sguardo d'intesa con lui che, appoggiandole la mani sulle spalle, la guidò di nuovo al suo posto. Poi tirò un profondo respiro ed estrasse un foglio dalla tasca.

 “Ho bisogno del vostro aiuto ragazzi”. Affermò lui mostrando il misterioso foglietto ai colleghi.



---------------------------

Ah bene bene finalmente son riuscita a vedere anche io la prima puntata e già dalla prima scena si è capito che questa seria sarà altrattanto coinvolgente come le precedenti, peccato per il finale mi ha lasciato un pò di stucco, ma va bhè.

 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** Punto debole ***



12th DISTRETTO

I detective erano tutti seduti alle loro sedie o appoggiati al tavolo, intenti a fissare quella serie di dati che prendevano forma davanti a loro. Il fogliettino mostrato da Castle presentava una seria di lettere, palese a tutti che in realtà si trattava di un codice, e cosi Platt aveva inserito quelle lettere nel software che subito si mise ad elaborare. Parole, frasi senza senso si susseguivano una dopo l'altra. Ogni detective dava un suggerimento su quale tipo di chiave usare, chi il metodo Vigenère, chi la scitala, chi ancora il cifrario del Vietnam, il cifrario di Giulio Cesare.

 “Niente, senza la chiave non possiamo capire il messaggio nascosto”. Disse Platt stendendosi sulla sedia, passandosi le mani sugli occhi stanchi, arrossati da quel continuo guardare con attenzione lo schermo del suo portatile.

 “Magari è nascosto in qualche altra copertina, o in qualche oggetto passato tra le mani di Stark”. Suggerì Ryan prendendo tra le mani ancora quei documenti che avevano rivisto e rivisto decine di volte. Esposito si mise ad aiutarlo in quel compito mentre Castle, Beckett e Glover rimanevano con gli occhi fissi sullo schermo. Speravano ancora che ne scaturisse un qualsiasi risultato. Il detective scostò lo sguardo su quelle lettere che Stark gli aveva lasciato.

 

VVV-ZBS-NMD-NQF

 

I Primi potevano essere numeri romani, magari indicavano una data, i secondi una sigla di qualche società o una marca, oppure potevano indicare le iniziali del nome di una persona. La mente di Castle vagava perdendosi tra tutte le intricate ipotesi che poteva immaginare.

 “25”. Disse ad un tratto Beckett, facendo voltare tutti verso di lei.

 “25 cosa?!.”. Domandò Abby andando poi a bere dalla sua tazza un caffè molto forte, girando la sedia verso la donna che ora si stava avvicinando allo schermo.

 “Hai aggiunto solo 3 lettere seguendo un antico metodo di criptografia giusto?”. Domandò rivolgendosi all'agente Platt che annui'. “25 è un numero ricorrente negli omicidi di Stark. I giorni d'attesa, l'età delle vittime, il libro dove Castle ha trovato il foglio “25 modi per piantare un chiodo”, tutto si ricollega a questo numero”. L'agente dell'fbi sembrò convinto da quella nuova ipotesi e impostò i nuovi dati all'interno del computer. In meno di un minuto ebbero il risultato.

 “é un indirizzo internet”. Constatò l'agente Havoc prendendo in mano un foglietto e cominciando a riportare su di esso le nuove lettere trovate. “www- act- one- org”. Informò gli altri mentre il collega si metteva all'opera per cercare quel sito incriminato. Proiettò la nuova pagina sullo schermo in modo che tutti potessero vedere. Una pagina sul cui sfondo vi era la foto di un teatro e al centro, la dove era posizionato il palco, un riquadro nero, un video da far partire. L'agente Platt cercò l'approvazione del superiore e quando la ottenne fece partire il video.

 “Hamlet Act 1”. Uscì scritto e poi le immagini cominciarono a susseguirsi. Una foresta e un giovane, Amleto, e una voce tenebrosa che lo chiamava. Il giovane che si guardava attorno alla ricerca del suo interlocutore ricordava a Castle il momento in cui, nel magazzino, cercava Stark, osservandosi attorno, seguendo la sua voce. E poi la figura dello spettro, farsi in carne d'improvviso per afferrare il figlio e raccontare a lui la verità.

 “Che significa?”. Domandò Ryan quando quel filmato di nemmeno un minuto cessò. “Dobbiamo cercare un attore, o qualcuno a cui hanno appena ucciso il padre. Come possiamo trovare la prossima vittima in questo modo”.

 “Stark ha voluto che trovassimo questo video, ci sta mandando un messaggio e non possiamo escludere nessuna ipotesi”. Ribattè Abby mettendosi accanto allo schermo. “Voglio rivederlo”. Disse al collega che fece quanto da lei ordinato. “Dobbiamo concentrarci su ogni particolare che ci viene dato, il luogo dove si svolge la scena, i personaggi, tutto”. Ammonì i presenti, puntando loro il dito contro e parlando con tono perentorio.

 “Ascolta”. Quella richiesta a Beckett più che ad Amleto sembrava rivolta a tutti loro presenti. La voce dello spettro era ovattata ma al contempo sembrava rimbombare in mezzo a quei rami. Davanti a lui il giovane principe di Danimarca sembrava sparire dalla scena, il protagonista era lui, il fantasma.

 “La mia ora è quasi giunta, in cui debbo consegnarmi alle sulfuree fiamme tormentatrici”

 “Ahimè povero fantasma”.

E con quella constatazione da parte di Amleto il filmato finiva, portando dietro con se il suo misterioso significato. 

“Quante volte dovremo rivederlo per capire qualcosa?!”. Domandò Esposito alzandosi dalla sua sedia, prendendo il posto di Abby cosi da ottenere l'attenzione di tutti i presenti. “Mi pare ovvio che sia solo un modo per depistarci. Questo”. Continuò indicando lo schermo dietro di lui. “Non è altro che uno scherzo, una scena tratta da un film, messa li per prenderci in giro.”

 “Se fosse stato pensato per farci perdere tempo perchè Stark si sarebbe preso tutto questo disturbo, perchè impiegare tempo in questa messinscena quando poteva tranquillamente non far nulla”. Obbiettò l'agente Havoc incrociando le braccia al petto, dondolandosi sulla sedia, facendo cigolare lo schienale di quella.

 “Appunto per questo. Sapeva che noi ci saremmo concentrati su questo video tralasciando altri dettagli che in realtà possono condurci da lui. Cosi gli diamo modo di colpire una seconda volta”. Continuò a parlare Esposito cercando di convincere gli altri agenti della sua teoria. Ryan annuiva più per solidarietà verso l'amico, nemmeno lui era portato a credere a un ipotesi tanto banale. Da li ne nacque una discussione tra due fazioni, gli agenti del 12th contro i due agenti dell'fbi, ognuno pronto a far valere le proprie ragioni. Abby cercava di mettersi in mezzo ai quattro, distendendo le braccia verso di loro e intimandolo di calmarsi, senza alcun successo. Castle abbozzò un sorriso nel vedere quella scenetta, solo Beckett ancora se ne stava silenziosa.

 

“Ahimè, povero fantasma”. Ripetè la detective l'ultima battuta di Amleto, facendo voltare in sua direzione il fidanzato.

 “Ti aspettavi diversamente?”. Le chiese lui quasi leggendole nella mente i suoi tormenti. Ma in quella occasione era facile farlo, il detective sapeva bene ciò che la compagna aveva intuito. “C'era da aspettarselo no”. Proseguì lui facendo spallucce, nascondendo dietro quel sorriso forzato tutte le sue paure.

 

“Dovremo allarmare tutti i distretti, mandare in giro le foto di Stark, non possiamo continuare a lavorare cosi nell'ombra”. Si imputò Esposito rivolgendosi agli agenti dell'fbi, tutti quanti ignari degli sguardi che i due fidanzati si scambiavano. 

“Creeremo solo panico e Stark potrebbe reagire a questo in un modo che nessuno di noi vuole immaginare”. Insistette l'agente Platt che nel suo lavoro aveva avuto modo di assistere a un evoluzione violenta degli assassini messi in luce dai media.

 “Dobbiamo trovare la seconda vittima prima che la colpisca”. Disse Ryan mantenendosi più calmo di tutti, d'altronde non era nella sua indole alterarsi troppo.

 

“Perchè ogni volta che tra di noi va tutto bene, che tutto è perfetto, succede qualcosa che rischia di rovinare tutto?”. Chiese Beckett andando a sedere accanto a lui, rimanendo braccio contro braccio, appoggiando la testa sulla spalla di lui.

 “Ne abbiamo superate tante, lo faremo anche questa volta”. Cercò di rassicurarla lui dandole un bacio sulla nuca prima di posarvici sopra il mento.

 

“Continueremo a sentire i nostri informatori per avere delle notizie su Stark, in questi casi si agisce cosi”.Li informò Abby che voltando lo sguardo si accorse dei due fidanzati impegnati in tutt'altra conversazione. Si soffermò sul viso di Beckett, sulla sua espressione, sui suoi movimenti che cosi bene comprendeva.

 

“Però questa volta non credi nemmeno tu alle tue parole”.

 “Dovrei essere forte, anche per te. Ma non posso negare che ho paura, ho veramente paura Kate”. Dichiarò lui prendendo una mano di lei tra le sue, osservandole le lunghe dita, accarezzandole con delicatezza. Qualunque rischio avrebbe corso non gli importava, l'unico suo dovere era tenere Beckett al sicuro.

“Ma questa volta ho la possibilità di rimediare ai miei errori. Chiuderò una volta per tutte questa storia di Stark, non sbaglierò ancora. Lo ucciderò”. Affermò lui con convinzione, causando un suo improvviso allontanamento. 

“Non voglio che ti trovi di nuovo faccia a faccia con lui Rick. Potrebbe riuscire dove l'altra volta ha fallito”. Lo supplicò lei non sortendo però l'effetto desiderato.

 “Non sono uno sprovveduto. Se non ti va bene un posto per te a Telluride c'è sempre”. Replicò infastidito, freddo, lui. Quella sua reazione improvvisa colse alla sprovvista i colleghi che subito tacquero.

 

“Volete renderci partecipi”. Parlò Abby superando i tre con cui stava parlando per avvicinarsi minacciosa al duo. “Allora”. Li intimò cominciando a battere per terra con il piede.

 “Il fantasma rappresenta Castle, è lui la seconda vittima”. Spiegò Beckett andando a guardare Ryan ed Esposito che nel sentire quella frase ebbero un sussulto.

 “Come fai ad esserne certa?”. Domandò Esposito tornando a vedere quello schermo sulla quale era stato mostrato il filmato. Nessun indizio poteva condurlo al collega.

 “Il nome in codice di Castle era Ghost, fantasma. A lui è rivolto il filmato”. Disse Beckett passando la mano sinistra nei capelli lasciando libero il viso, sospirando preoccupata. Abby si guardò con i due colleghi, l'agente Havoc e Platt, quasi cercasse conferma. Fu il secondo che annuì deciso, d'altronde era quello che meglio di tutti conosceva quel lato di Castle.

 “Bene, se cosi fosse allora abbiamo più possibilità di catturarlo. Se vuole Ricky deve venire qui a prenderlo”.

 “No”. La interruppe Castle scrollando il capo. “Qua è troppo pericoloso”. Affermò lui guardando con la coda dell'occhio la donna che ancora gli stava accanto. “Dobbiamo trovare il modo per stanarlo, per farlo uscire allo scoperto. Lavorerò insieme agli agenti dell'fbi per fare in modo che accada, voi tre intanto”. Continuò rivolgendosi ai colleghi del distretto. “Starete qui a coordinare il tutto”. Le proteste di Ryan ed Esposito furono immediate, erano una squadra non avrebbero abbandonato Castle, non poteva scartarli cosi.

 “Rick andiamo...”Cercò di farlo ragionare Beckett ma il detective le posò un dito sulle labbra impedendole di continuare.

 “Se mai mi troverò davanti a Stark voglio avere al mio fianco Abby, non te”. Seppur quelle parole furono pronunciate con dolcezza alla donna le si spezzò il cuore. Beckett si alzò, facendo scivolare la mano via da quella di lui, proseguendo sulla coscia per poi staccarsi e uscire dalla stanza, dove i colleghi ancora stavano discutendo sulla prossima mossa. Castle attese qualche secondo poi si mise in piedi, pronto a seguirla, preparandosi già nella mente un discorso adatto alla situazione. Prima che però potesse compiere un secondo passo la soglia fu varcata da Abby, che seguì passo dopo passo la detective.

 “Dove vanno?”. Domandò Esposito indicando le due che ormai erano sparite dalla loro vista.

Castle lo guardò per poi tornare a fissare il punto dove loro erano scomparse senza dire nulla.

 

 

Beckett aveva camminato per diversi minuti, senza fermarsi, non avendo in mente una destinazione precisa. Solo quando notò un parco poco lontano da dove si trovava in quel momento decise di fermarsi li. Trovò una panchina libera e si accomodò su di essa, osservando distratta i bambini che giocavano sulle altalene e sugli scivoli. D'un tratto si sentì toccare alla spalla e alla sua destra comparve un bicchiere di caffè fumante.

 “Rick, non ho voglia di parlare con te adesso”. Disse lei accettando però quel pensiero.

 “Allora è una fortuna che non sono lui”. Asserì Abby andandosi a mettere accanto alla donna, annuendo poi in direzione del bicchiere tra le sue mani. “é bello forte. Ho pensato che ne avessi bisogno”.

 “Ti piace ancora?”. Chiese ad un tratto Beckett, andando a studiare la donna che dietro i lunghi capelli rossi nascondeva un sorriso.

 “Bhè non posso negare che, nonostante tutti questi anni, Ricky abbia ancora un certo fascino”. Dichiarò vedendo la sua interlocutrice annuire lentamente, di certo non era quella semplice reazione che si sarebbe aspettata. Beckett però non aveva la forza di reagire, beveva il suo caffè senza prendere fiato.

 “Com'è iniziata la vostra storia?”. Chiese ancora la detective per la meraviglia dell'agente Glover.

 “Vuoi veramente sapere quello che è successo tra Ricky e me?”. Domandò di rimando Abby. Beckett provava un leggero fastidio ogni volta che sentiva la donna chiamare il proprio fidanzato in un modo cosi affettuoso, Ricky. Nessuno poteva farlo, tanto meno lei. 

“Voglio solo sapere se c'è il rischio che riaccada”. Affermò la donna posando a terra il bicchiere ormai vuoto, posando un braccio sulla panchina e ruotando il busto verso l'altra. D'altronde Castle voleva Abby al suo fianco non lei, che ci fosse ancora qualche sentimento tra di loro?.

 “No, non c'è rischio”. Dichiarò Abby portando entrambe le mani dietro la nuca, spostando i capelli cosi da aver libertà a slacciare la collanina che portava. Togliendola la porse a Beckett che pote notare che al posto del ciondolo vi era un anello.

 “Leggi”. La invitò a fare l'agente dell'fbi con un ampio sorriso.

 “Abigail e Thomas. 09/05/10”. Lesse corrugando la fronte, rimanendo perplessa per qualche secondo. “é una fede”. Constatò alla fine ridandogliela.

 “Come vedi non corri alcun rischio”. Ridacchiò Abby andando a rimettersi a posto la collana.

 “Castle non mi aveva detto che eri sposata”. Beckett si fece per un istante pensierosa, era certa che il fidanzato non avesse mai accennato a una cosa simile, anzi.

 “Probabilmente nemmeno lo sa. Conobbi Thomas un anno dopo che lasciai Ricky e da quel giorno non ci siamo più lasciati, sai come vanno queste cose”. Beckett accennò un sorriso trovandosi d'accordo. Sapeva benissimo cosa voleva dire trovare una persona e non esser più in grado di star lontana da lei.

 “Comunque Ricky ed io ci siamo conosciuti durante il periodo di addestramento successivo al nostro arrivo all'fbi”. Raccontò la donna soffermandosi a guardare una bambina dai capelli ricci intenta a giocare nella sabbia, lanciandosene la maggior parte in volto. “Passavano le pause insieme, andavamo fuori a cena, non conoscendo altri ci concentrammo sulla nostra amicizia ma poi iniziammo a sentire un diverso tipo di solitudine, che andava ben oltre all'avere accanto un amico”. Abby si fermò tornando a guardare Beckett. La detective se ne stava con le gambe distese davanti a se, un piede sopra l'altro, le braccia incrociate al petto e la schiena leggermente ricurva. Ma i suoi occhi erano puntati sulla donna accanto a lei.

 “C'era sempre stata quel tipo di attrazione tra di noi, ma abbiamo cercato di lasciarla da parte, di non lasciarla sfociare, per non rovinare ciò che avevamo.” Spiegò la donna fregandosi le mani contro la gonna, dando due colpi di tosse per schiarirsi la voce.

 “Ma credo che tu comprenda la situazione. Quei giochi di sguardi, quel cercarsi, quelle battute, quei continui segnali che uno mandava all'altro nella speranza che uno dei due facesse la prima mossa”. Raccontava gesticolando con le mani, muovendole per dare ulteriore enfasi alle sue parole. Beckett poteva però notare quella velata sfumatura rasente alla tristezza nella sua voce.

 “E cosi un giorno siamo arrivati al punto di non riuscire più a trattenerci e abbiamo iniziato una relazione”. Beckett ne era ben consapevole ma il sentirselo dire ancora una volta la faceva innervosire, posò le mani sulla panchina e strinse forte contro il bordo di questa. “Per i primi mesi è andato tutto bene ma poi ci siamo resi conto che tutto ciò che ci aveva avvicinati all'inizio era scomparso. L'unica cosa che riuscivamo a fare era litigare, farci del male, ma nessuno dei due ha mai detto la parola fine per paura di rimanere da soli in un mondo che ci avrebbe mangiato vivi”.

 “Per quanto brutto da dire sia Stark è arrivato al momento giusto, è stata la scusa che entrambi stavamo aspettando”. Dichiarò Abby alzando gli occhi al cielo.

 “Ho paura di perderlo, mi sta escludendo dalla sua vita”. Asserì d'improvviso Beckett quasi si trovasse davanti al suo confessore e non davanti alla ex del proprio fidanzato.

 “Lo fa per proteggerti”. Rispose amichevolmente Abby sempre rimanendosene in piedi, alzandosi sulle punte per sgranchirsi le gambe.

 “Non ne ho bisogno”. Beckett alzò la voce, stringendo i pugni, non solo Castle, ora pure l'agente Glover la considerava cosi fragile.

 “Ne ha bisogno lui.”. Suggerì Abby tornandola a guardare, inarcando le sopracciglia e serrando le labbra. “Chi non terrebbe al sicuro la migliore cosa che gli è capitata nella vita”. Sorrise la donna ricordando quella parte del colloquio avuto con Castle. 

“Dal primo istante che ho messo piede al distretto, che vi ho visti insieme, mi è stato chiaro che non vi sarebbe successo quanto accaduto tra lui e me”. Continuò a parlare Abby portando le mani dietro la schiena, non dando modo a Beckett di aprire bocca.

 “State insieme da quanti, tre anni?”. Chiese conferma alla detective che annuì. “Tre anni e Ricky ti guarda ancora in un modo con cui a me non mi ha mai guardata, nemmeno all'inizio della nostra relazione. Nello stesso modo con cui Thomas guarda me ora”.

 “L'unica cosa che ho visto io nel suo sguardo prima di lasciare il distretto era puro ghiaccio”. Affermò Beckett alzandosi anche lei, portando con se il bicchiere vuoto del caffè. Si avvicinò al bidone e lo buttò per poi raggiungere di nuovo l'altra donna. “L'ha detto chiaramente, preferisce avere te al suo fianco”. Puntualizzò la cosa mentre nella sua mente si formavano solo ingiurie contro il proprio fidanzato.

 Abby si mise a ridere, incurante di sembrare insensibile agli occhi dell'altra donna. “Si l'ha detto. Vuole me perchè c'è una piccola differenza, ma per lui vitale, tra noi due”. L'agente dell'fbi si voltò del tutto verso Beckett, grattandosi la fronte e bagnandosi le labbra. “Metti l'ipotesi che ci trovassimo davvero davanti a Stark e lui fosse pronto per uccidere Ricky. Che questo pazzo gli punti una pistola addosso pronto a sparargli.”. Nonostante fosse un ipotesi a Beckett le si gelò il sangue, era un eventualità a cui non voleva nemmeno pensarci, non capiva perchè Castle non fosse messo sotto sorveglianza invece di permettergli di entrare in azione cosi. “ Per questo vuole me, sa che io una pallottola per lui non me la prenderei mai, te invece non perderesti un secondo per fargli da scudo”

 

L'arrivo della squadra impedì loro di continuare quella conversazione anche se Beckett non aveva idea di come rispondere a quella sua illazione, probabilmente gli avrebbe dato ragione, si sarebbe presa anche due, tre, pallottole per Castle. 

“Dal sito siamo risaliti a un indirizzo qui a New York. Stark potrebbe essersi tradito”. Informò le due l'agente Platt, orgoglioso di aver fatto quella scoperta.

 “Oppure può averlo fatto di proposito, non possiamo abbassare la guardia”. Sottolineò Castle non distogliendo lo sguardo dalla fidanzata.

 “Bene che stiamo aspettando”. Gli incitò Abby dirigendosi alle macchine cosi da potersi mettere subito all'opera.

 “Kate..” La richiamò Castle afferrandola per una mano ma lei velocemente si liberò.

 “Non ora, abbiamo un assassino da prendere”.

 

 

 Nelle due macchine i sette agenti si prepararono ad entrare in azione, indossarono i giubbotti anti proiettili e caricarono le pistole. L'indirizzo trovato dall'agente Platt corrispondeva a una villetta nel Queens disabitata da anni. La pista poteva essere giusta, anche se a Castle sembrava tutto fin troppo facile.

 “Bene noi quattro entreremo dalla porta principale, voi tre fate il giro e passate dal retro”. Abby era stata chiara, si sarebbero divisi in due squadre, il distretto da una parte e gli agenti dell''fbi e Castle dall'altra. Il detective in questo caso non obiettò, si sentiva già sotto il mirino di Stark e aver vicino la sua squadra l'avrebbe reso ancora più teso, un colpo sbagliato poteva colpire chiunque di loro, anche Beckett. 

“Espo..”. Lo chiamò deglutendo a fatica, con la mano tremante mentre vedeva la fidanzata e Ryan dirigersi verso il giardino.

 “Non le accadrà niente”. Ribattè correndo poi per raggiungere gli altri due.

 “Coraggio andiamo”. Disse Havoc guidando la sua squadra. La porta della casa era aperta, permettendo cosi agli agenti di entrare senza il minimo rumore. L'abitazione sembrava disabitata ad un primo controllo ma poi notarono diverse scatole di pizza e lattine di birra sparse a terra. Poi d'improvviso un rumore e la voce di Ryan che intimava a qualcuno di fermarsi. Prima che potessero reagire, i quattro vennero superati da una figura che corse fuori dall'edificio. Senza pensarci lo inseguirono fuori dalla casa, in mezzo alla strada. Castle corse più veloce che potè, incurante delle persone che urtava mentre inseguiva il suo sospettato. Approfittò del momento in cui il fuggitivo si scontrò contro dei tavolini di un bar, perdendo cosi l'equilibrio, per saltargli addosso e fermarlo. Lo fece voltare pronto a vedere la faccia del suo peggior nemico, pronto a colpirlo con tutte le sue forze, ma quando lo fece venne come travolto da una secchiellata di acqua gelida.

 

“Chi sei tu?”. Gli chiese tenendolo per il colletto della giacca, con il pugno alzato pronto a colpire, ansimando a causa della lunga ed estenuante corsa.

 “Vi prego non uccidetemi, non ho fatto nulla”. Disse quel ragazzo piangendo, coprendosi il volto con le mani per ripararsi dal pugno che pensava Castle volesse dargli.

 “Chi sei? Che ci facevi in quella casa?”. Chiese ancora perentorio il detective venendo poi raggiunto anche da Abby e Havoc. Gli altri dovevano esser rimasti più indietro.

 “Quell'uomo mi ha dato 3000 dollari e in cambio dovevo far da custode alla sua casa. Quando vi ho visti arrivare pensavo foste ladri e sono scappato. Vi prego non ho fatto nulla di male”. Castle mollò la presa gettandolo a terra, con violenza, contro il marciapiede. 

“é questo l'uomo che ti ha pagato?”. Domandò Havoc mostrando la foto di Stark al giovane che confermò i loro sospetti. Castle tirò un calcio ad una sedia nervoso, ruotando su se stesso, con le mani ai fianchi, osservando la folla. Sapeva che era li, che lo stava osservando.

 “L'avete catturato?”. Chiese Ryan arrivando madido di sudore, dovendosi appoggiare al muro stremato com'era della corsa.

 “No”. Rispose secco Castle tornandosene verso la macchina. Stark era riuscito a raggirarli come se fossero stati degli agenti alle prime armi. Gli era fuggito e loro avevano buttato all'aria un occasione. Arrivò alla casa incriminata e davanti a questa vide Esposito steso a terra. Senza pensarci corse in sua direzione, voltandolo a pancia in su, notando un taglio sulla tempia.

 

“Espo avanti riprenditi”. Asserì scrollandolo, usando maniere brusche finchè non si riprese.

“Che è successo?”. Gli domandò guardandosi attorno cercando di capire da se. Esposito gemette e si toccò la testa dolorante.

 “é successo in un attimo. Me lo son ritrovato davanti e...”. Raccontò strizzando gli occhi, aggrappandosi al collega per non cadere.

 “E poi?”. Lo scrollò ancora per farlo continuare. Sentiva un nuovo peso sulle spalle, una strana sensazione che gli opprimeva lo stomaco. Qualcosa non andava. Si guardò ancora attorno e capì. Il respiro gli morì in gola.

 “Javi dov'è Kate?”. Gli chiese con voce flebile. Quando questi non gli rispose riprovo ancora più forte, ancora più disperato. “Javi dov'è Kate?”

 “Mi dispiace Castle, l'ha presa. Stark ha preso Beckett”.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** Un bel giorno per morire ***


 

 Castle sembrava esser caduto in uno stato catatonico. Dopo aver saputo da Esposito che Beckett era stata rapita da Stark si era seduto per terra e non si era più mosso. Era li, con le ginocchia alzate e le mani posate a terra, che fissava il vuoto davanti a se. “é colpa mia”. Erano le uniche tre parole che era riuscito a pronunciare in quei minuti. Nessuno dei presenti era riuscito a destarlo da quel suo stato. Abby intanto aveva impartito nuove direttive. Gli agenti Havoc e Platt avrebbero chiesto i video di sorveglianza di ogni telecamera che dava su quella via e sulla strada principale mentre Ryan avrebbe accompagnato Esposito al pronto soccorso prima di raggiungerli al distretto.

 “La ritroveremo Ricky”. Continuava a ripetergli la donna senza ottenere alcun miglioramento.

 “é tutta colpa mia”. Con fatica la donna riuscì a farlo alzare e lo aiutò a salire in macchina cosi da raggiungere il distretto. Il detective se ne stava appoggiato al finestrino dell'auto, dando l'impressione di osservare il paesaggio esterno, ma la sua mente era concentrata su tutt'altro. 

“Se vuoi trovarla devi riprenderti Ricky, cosi sei solamente inutile. Beckett sa che la ritroverai sempre, ora dimostraglielo”. Lo riprese lei una volta arrivati al parcheggio del distretto. Scese dalla macchina e sbatté la portiera, lasciando da solo il detective. Lei aveva del lavoro da fare, una collega da trovare.

 “Ditemi che abbiamo qualcosa”. Parlò la donna gettando distrattamente la giacca sulla tavola piena di scartoffie mentre i quattro uomini erano incollati allo schermo.

 “Abbiamo guardato i video di sorveglianza di due negozi accanto al vicolo e abbiamo trovato questo.” Disse Platt facendo partire il filmato. Si vedeva benissimo Stark che puntava una qualche arma nella schiena di Beckett costringendola a salire su una macchina. 

“Trovatemi quella macchina. Entrate in qualunque rete di sorveglianza di qualunque negozio, banca o casa privata ma voglio sapere dove si è diretta quell'auto”. Ordinò la donna vedendo i due colleghi entrare subito in azione.

 “Noi che facciamo?”. Domandò Ryan sentendosi completamente inutile. 

“Beckett è una nostra amica, non possiamo star qui a guardarci negli occhi”. Si inserì Esposito mostrando sulla fronte un grosso cerotto bianco, rimasuglio del colpo inflittogli da Stark.

 “Fate rinsanire Rick”.

  

PARCHEGGIO

 “Come dovremmo procedere?”. Domandò Ryan uscendo dal distretto, seguendo il collega che con passo deciso si stava dirigendo alla macchina. “Consolarlo, parlargli con calma?. Io non sono bravo in queste cose”. Continuò accelerando il passo per raggiungere il cubano, poteva vedere dai suoi movimenti che era teso come una corda di violino.

 “Javi ma mi ascolti?”. Gli domandò vedendolo di colpo aprire la portiera del passeggero e afferrare con entrambe le mani Castle per la camicia. Con un gesto deciso lo fece uscire dall'automobile e lo gettò a terra.

 “Ma sei impazzito?”. Si intromise ancora l'irlandese mettendosi tra i due colleghi, voltando la testa per vedere Castle che senza dire nulla stava cercando di tirarsi in piedi.

 “Se con le buone non si riprende allora uso le cattive”. Spiegò spiccio il cubano, scostando il collega e avventandosi ancora su Castle, costringendolo a rimettersi in piedi.

 “Avanti reagisci dannazione”. Lo punzecchiava spintonandolo ma Castle barcollava solo all'indietro. “Beckett è nelle mani di quel pazzo e tu che fai? Te ne stai li imbambolato.”.

 “é tutta colpa mia”. Ribadì ancora una volta quelle uniche parole che il suo cervello in quel momento sembrava conoscere.

 “Sarà colpa tua se le accade qualcosa perchè invece di aiutarla te ne stai qua a commiserarti. Sei solo un debole Castle”. Esposito notò una leggera reazione da parte del collega che alzò la testa e lo guardò.

 “Se non vuoi reagire da solo mi tocca obbligarti a farlo”. Affermò minaccioso compiendo due passi veloci verso l'amico per poi colpirlo violentemente con un pugno sulla mascella, facendolo cadere a terra tra la polvere.

 “Espo ma che diavolo..”. Cercò di intervenire Ryan ma il cubano lo bloccò allungando un braccio verso di lui.

 “Stanne fuori”. Gli suggerì avvicinandosi ancora a Castle, facendolo mettere in ginocchio per poi colpirlo ancora. Ora a terra accanto a lui si poteva vedere anche la chiazza di sangue che l'uomo aveva appena sputato.

 “Ti credevo diverso”. Lo schernì un ultima volta Esposito dandogli le spalle per allontanarsi. Ciò gli impedì di vedere il collega alzarsi e corrergli in contro, facendolo finire contro una della auto parcheggiate. Ne iniziò una colluttazione al quale il povero Ryan potè solo assistere impotente, guardandosi attorno in cerca di aiuto, portandosi le mani nei capelli non sapendo che fare.

 “Io le avevo detto di starne fuori”. Cercò ora di giustificarsi Castle vedendo il collega pulirsi il naso sanguinante.

 “Ma sapevi bene che lei non l'avrebbe mai fatto. Dovevi starle vicino ma hai scelto di stare con Abby”. Gli urlò contro il cubano tirandogli un pugno nello stomaco, facendogli perdere il respiro.

 “Volevo solo proteggerla”. Ribattè facendogli lo sgambetto per farlo cadere a terra, cosi da aver modo di recuperare fiato.

 “Basta ragazzi, non è di certo cosi che l'aiutiamo”. Cercò di rendersi utile l'irlandese ma le sue parole finirono al vento.

 “Ma hai fallito e ora non fai niente per rimediare”. Gli fece notare Esposito andandogli di nuovo addosso, riprendendo quell'incontro. Castle lo fece sbattere con forza contro il cofano della macchina, facendogli quasi perdere i sensi.

 “Non so che fare, non so come aiutarla”. Urlò lui piangendo, pronto a tirare un ulteriore pugno al collega, per sfogare in qualche modo la sua collera, quando quello colpito fu lui. Toccandosi la mascella si voltò incredulo verso Ryan che, dolorante, stava imprecando tenendosi la mano con la quale aveva tirato un cazzotto a Castle.

 “Non arrenderti, non cosi.”. Parlò l'irlandese digrignando i denti. “Ha bisogno di te Castle, sei l'unico che sa come affrontare Stark”.

  

“Che sta succedendo qui?”. Domandò adirata Abby raggiungendo i tre doloranti e sanguinanti vicino alla macchina. “Mi sembrate un branco di ragazzini non esperti detective”.

 “Non sono affari tuoi Abby”. Le rispose Castle scrollando la testa per riprendersi, aiutando poi Esposito a rimettersi in piedi, pulendogli la giacca dalla polvere. L'agente Glover si morse un labbro e lasciò correre, avevano cose più importanti.

 “Sappiamo dov'è la macchina”. Richiamò cosi l'attenzione dei tre su di se che in pochi passi le furono addosso.

 “Dove?”. Chiese impaziente Castle.

 “Al molo”.

  

MOLO

 Castle avendo preso la sua moto precedette di diversi minuti i colleghi. Abby si era opposta alla sua decisione ma Esposito e Ryan le avevano impedito di intervenire lasciando cosi fuggire il collega. Il detective estrasse la sua pistola e con cautela cominciò a muoversi capannone dopo capannone. Erano riusciti a rintracciare l'auto grazie ai video ma non sapevano con esattezza dove si poteva trovare, perciò doveva procedere con attenzione, far caso a ogni minimo dettaglio. Poteva sentire le voci di coloro che lavoravano al porto poco lontano ma altro attirò la sua attenzione. Della musica, e non la solita che possono ascoltare gli scaricatori, era musica classica. Accelerò il passo seguendo il proprio udito fino a trovarsi in uno spiazzo delimitato da due edifici. Al centro di quello Stark lo stava aspettando.

 “Eccoti qui caro, vecchio, amico”. Rise lui, accogliendolo a braccia aperte.

 “Dov'è lei?”. Gli chiese furente avvicinandosi, sempre tenendogli la pistola puntata contro.

 “Ti conviene abbassarla se non vuoi raccogliere i pezzettini della tua fidanzata qua attorno”. Disse mostrando a Castle il telecomando che teneva tra le mani. Data la sua affermazione non ci volle molto al detective per capire che si trattava di un detonatore. Titubante rimise la pistola nella fondina e si guardò attorno, cercando di capire dove poteva trovarsi Beckett. L'unica cosa che video fuori posto in quel luogo fu solo un amplificatore da dove partiva la musica che aveva sentito.

 “Ti piace?”. Gli chiese Stark cominciando a camminargli attorno, tenendosi però a distanza di sicurezza per evitare che l'uomo potesse afferrarlo.

 “Si chiama Canon in D di Pachelbel. L'ascoltavo sempre in carcere”. Spiegò lui muovendosi a ritmo della musica, ondeggiando le braccia, fino a ritrovarsi faccia a faccia con Castle. 

“é una questione tra te e me Stark”. Ringhiò il detective trattenendosi a fatica dal colpirlo, da stringergli le mani al collo e ammazzarlo, ma c'era in gioco la vita di Beckett e non poteva commettere errori.

 “Hai ragione, lo è. Ed è per questo che mi sono servito di lei”. Disse puntando il telecomando verso l'acqua e subito una gru si mosse portando con se un auto. Ridacchiò guardando Castle e poi l'orologio.

 “Ti do una possibilità di scelta Rick”. Gli disse allontanandosi di qualche passo, aprendo le braccia, rendendosi vulnerabile. “Ma hai poco tempo per scegliere perchè quando quella musica finirà, ed esattamente tra poco più di tre minuti”. Disse ricontrollandosi l'orologio. “La bomba che c'è nella macchina esploderà uccidendo la tua amata fidanzata”. Rise ora di gusto vedendo il volto pallido del detective, i cui piedi stavano già puntando in direzione dell'auto. “Quindi scegli, o salvi lei”. Parlò indicando il veicolo con la testa. “O catturi me, senza che io faccia resistenza”. Castle scrutò il volto del suo nemico ed estrasse ancora la pistola puntandogliela contro.

 “Oppure ti uccido sul posto”. Lo minacciò sorridendo lui questa volta.

 “Fallo e la bomba esploderà molto prima”. Detto questo schiacciò un altro tasto e la macchina si sganciò dalla gru cadendo in acqua. “Poco più di due minuti Rick. Scegli, adesso o mai più”. Castle si sentiva battere il cuore all'impazzata nel petto, sapeva che di li a poco gli sarebbe scoppiato. Guardò un ultima volta Stark maledicendolo. 

“Ritardi solo il momento della tua fine. Presto ci rincontreremo”. Era una minaccia, più che voluta. Castle poi prese a correre, più veloce che potè, togliendosi la giacca, che gli avrebbe dato fastidio, e arrivato alla fine del cemento saltò, tuffandosi in acqua. 

“Prima di quanto immagini”. Disse Stark sapendo bene che non poteva esser sentito. In lontananza udì le sirene della polizia e sbuffò, avrebbe voluto vedere se Castle fosse riuscito a salvare la fidanzata prima dello scoppio, ma era giunto il momento per lui di andarsene.

 

Castle si sentiva gli occhi bruciare per via dell'acqua salmastra ma nuotò fino ad arrivare alla macchina. Vide Beckett seduta sul sedile del guidatore che cercava di aprire la portiera e per un secondo si permise di rilassarsi vedendo che Stark non le aveva fatto del male. Provò anche lui a fare lo stesso ma la pressione era troppa e l'abitacolo si stava riempiendo, inoltre doveva fare in fretta, la bomba sarebbe scoppiata nel giro di pochi secondi. Estrasse la sua pistola e sparò al finestrino posteriore, togliendo poi i vetri con il braccio avvolto nelle camicia, non preoccupandosi degli eventuali tagli. Aiutò Beckett ad uscire da li, risalendo poi in superficie.

 “La scaletta presto”. Le disse spingendola in direzione di quella. “Veloce”. Continuò ad insistere sentendo la musica giungere alla sua conclusione, dovevano sbrigarsi.

 “Dov'è Stark?”. Chiese la donna una volta al sicuro sul molo quando la musica cessò di colpo. 

“Sta giù”. Le ordinò Castle schiacciandola a terra e facendole da scudo, un attimo dopo risuonò un violento rombo e dal fiume si alzò una colonna d'acqua che ricadde con forza su di loro. Il detective si scostò da sopra di lei iniziando a tossire, sputando fuori tutta l'acqua che aveva bevuto, sentendosi lo stomaco bruciargli.

 “Stai bene?”. Gli chiese con voce rauca, sfregandosi gli occhi che lo tormentavano.

 “Ora si”. Rispose lei strizzandosi i capelli prima di portarli dietro le orecchie per non sentirseli appiccicati al volto. In lontananza poteva vedere Ryan ed Esposito correre in loro direzione seguiti dagli agenti dell'fbi, probabilmente richiamati dall'esplosione.

 “Cosa ti è successo al viso?”. Chiese di scatto avvicinandosi a lui e prendendolo tra le mani, notando solo ora i segni viola sullo zigomo e il labbro rigonfio. 

“I ragazzi ed io non ci siam trovati d'accordo su una cosa e sai come risolvono le discussioni gli uomini”. Scherzò lui alzandosi in piedi, aiutandola a fare lo stesso. Avrebbe voluto stringerla a se, chiederle scusa, ma tutto quel pubblico indesiderato lo bloccava. 

“Stark?”. Chiese Abby mentre Ryan togliendosi la giacca la passava a Beckett cosi che potesse in qualche modo scaldarsi. 

“Quando sono arrivato non era già più qui”. Mentì Castle. Non voleva renderli partecipi della loro breve conversazione, non la riteneva importante. Inoltre non voleva far sentire Beckett in colpa per averlo costretto a scegliere tra lei e Stark stesso.

 “Beckett tu stai bene?”. Chiese poi volendo sincerarsi delle condizioni della donna.

 “Solo un po' fradicia”. Scherzò lei allargando le braccia ma bastò per tranquillizzare tutti quanti.

 “D'accordo. Voi per oggi avete finito”. Disse rivolgendosi ai due fidanzati. “Andate a casa e riposatevi. Qua ci pensiamo noi. Domani ci ritroviamo al distretto in modo da fare rapporto a Jonhson”.

  

CASA BECKETT

 Castle poteva sentire lo scrosciare dell'acqua provenire dal bagno. Appena arrivati a casa Beckett aveva gettato i vestiti bagnati a terra e si era diretta in quella stanza per riempire la vasca di acqua bollente in modo da scaldarsi. Lui aveva esitato ed era rimasto nel salone a fissarsi nei vetri della finestra, studiando i segni viola sul volto e i tagli sulle braccia. Il rumore dell'acqua cessò, sostituito da quello del temporale che in lontananza si stava avvicinando alla città.

 “Avanti fa vedere il braccio”. Gli parlò Beckett comparendo dal corridoio, tenendo in mano l'acqua ossigenata e del cotone.

 “Ma non dovevi farti un bagno rilassante”. Le ricordò lui vedendola avvolta in un accappatoio, con i capelli ancora intrisi dell'acqua del fiume.

 “L'acqua è troppo calda e mentre aspetto che si raffreddi un po' mi occupo di te”. Spiegò bagnando il cotone con il disinfettante mentre Castle si toglieva la camicia per renderle più facile il compito.

 “Che è successo?”. Le domandò accarezzandole il volto con la mano libera, sorridendo all'attenzione che lei ci metteva nel pulirgli quei graffi.

 “Dopo che mi ha fatto salire in macchina mi ha subito portato al molo. Mi ha spiegato che non voleva uccidermi ma solo attirarti li e parlarti e solo dopo averlo fatto mi avrebbe lasciata andare. Del tentato annegamento e della bomba non aveva accennato però”. Sorrise nervosamente dando poi un bacio sul braccio di Castle, cosi come si fa con i bambini, per poi allontanarsi.

 “Il bagno vale anche per te se vuoi”. Lo richiamò lei facendo capolino ancora dal corridoio, lasciando cadere l'accappatoio dietro di se. Il detective si mise in moto per raggiungerla quando il suo telefono squillò. Rispose senza troppo pensarci certo che si trattasse del distretto o di sua madre. 

“Pronto”.

 “é stato davvero un bel botto non credi”. Appena sentì la voce di Stark Castle perse d'improvviso il suo buon umore.

 “Te la farò pagare anche per questo”. Promise lui tenendo la voce bassa, evitando cosi di farsi sentire dalla fidanzata. Guardò nella direzione dove lei era scomparsa e poi si voltò dirigendosi in cucina.

 “é cosi che ti voglio. Carico d'odio.”. Sghignazzò Stark. “Abbiamo aspettato fin troppo, è ora di chiudere questo conto in sospeso che abbiamo. Tu sei l'unico omicidio che ho fallito e non mi piace”. Disse questa volta duro l'uomo, lasciando trasparire la rabbia che quel fatto gli procurava.

 “Dove e quando?”. Chiese secco Castle dando ogni tanto un occhio per assicurarsi che Beckett non venisse a cercarlo.

 “Ti darò il tempo di osservare un ultima alba aspettandoti al vecchio teatro “RKO”. Mi sembrava il luogo adatto per mettere in scena la tua tragedia”. 

“Non mancherò”. Ribattè Castle chiudendo la chiamata. Non voleva più sentire Stark, voleva completamente dimenticarlo, almeno per una sera. Voleva avere quelle ultime ore spensierate da passare con Beckett. Posò il cellulare sul tavolinetto e si diresse in bagno. La detective se ne stava serenamente a mollo nell'acqua calda, con gli occhi chiusi e la testa appoggiata al bordo di essa.

 
“C'è posto per me o devo aspettare il prossimo turno?”. Scherzò Castle cominciando a spogliarsi mentre Beckett, riaperti gli occhi, lo fissava, sorridendo da orecchio a orecchio, mentre pensieri poco casti le affioravano alla mente.

 “Per te il posto c'è sempre”. Asserì sollevando le ginocchia e spingendosi in avanti, afferrando con entrambe le mani il bordo della vasca, cosi da far posto al fidanzato. Quando lui fu entrato lei tornò alla sua posizione precedente, appoggiando la schiena al suo petto e godendosi la sua presenza.

 “Sei silenzioso”. Gli disse ad un tratto senza però muoversi, trovandosi in un estrema quiete.

 “Sto pensando al nostro futuro”. Disse sinceramente lui, posando il mento sulla sua spalla, dandole due baci sotto l'orecchio, prima di prendere la spugna e iniziare a passarla delicatamente sul suo braccio. “Al fatto che avrei dovuto chiederti di sposarmi molto tempo fa”. Beckett rise non pensando che lui stesse parlando sul serio.

 “Hai sempre tempo per farlo no”. Castle non rispose in alcun modo, ma continuò a lavarla, attento a non graffiare la pelle delicata della fidanzata.

 “Se chiudo gli occhi immagino tutto quello che avremmo già potuto avere se non avessi esitato”. Castle parlava con un filo di voce, tenendo le palpebre chiuse, sognando la vita che voleva con Beckett. “Riesco quasi a provare le stesse emozioni che avrei sentito nel vederti camminare verso di me in abito bianco, immagino la testata che ti avrei fatto prendere portandoti in braccio oltre la soglia di casa”. Ridacchiò ricevendo in cambio un pizzicotto sulla gamba da parte della donna che, senza sospettare nulla, si divertiva ad ascoltare.

 “La luna di miele in giro per il mondo, il trasloco nella nuova casa”. A sentire quella dichiarazione Beckett voltò la testa più che pote verso di lui. 

“Perchè questa casa non va bene?”. Domandò corrugando la fronte. Lei erano anni che viveva li e altrettanti tre ne erano passati da quando avevano iniziato a convivere e non avevano mai trovato dei difetti in essa.

 “é troppo piccola per quello che ho in mente”. Disse Castle malizioso, costringendola a girarsi. La detective si andò a sedere su di lui e cominciò a guardarlo in modo provocante, prendendo a giocare con la sua collanina.

 “E cosa avresti in mente?”.

 “Voglio avere la casa piena di tante piccole Kate pronte a rubarmi il cuore”. Beckett rimase per qualche istante perplessa. Di tanto in tanto, doveva ammetterlo, si era ritrovata a pensare di costruire una famiglia con Castle e in tono scherzoso ne avevano anche parlato a volte. Ora però poteva notare che il fidanzato parlava seriamente e anche se non lo faceva in modo diretto le stava chiedendo se era pronta per tutto quello. La donna mise entrambe le mani sulle spalle di lui, sollevandosi sulle ginocchia per sedersi meglio sui suoi fianchi e lo baciò lentamente. Nemmeno lei sapeva se quel gesto era un tacito assenso o se era un modo per non rispondere, ma in realtà, in quel momento, a nessuno dei due importava.
 

Castle si svegliò diverse ore dopo nel loro letto. Con cautela fece rotolare giù da se Beckett e si alzò. Si vestì silenziosamente, bloccandosi ogni volta che la vedeva muoversi, per paura di averla destata, interrompendo cosi quei sogni piacevoli che stava facendo. Una volta pronto si sedette sul bordo del letto, accanto a lei, e le studiò il volto per un ultima volta. Si tolse la collanina regalatagli dalla madre e la sistemò al collo della donna. Era un semplice gesto, per ricordarle ogni giorno di non aver paura, che tutto sarebbe andato bene. Le diede un ultimo bacio e raccogliendo tutte le sue forze la lasciò. Sali sulla sua moto osservando l'orizzonte. Il temporale sembrava aver dato una momentanea tregua alla città e una nuova alba si poteva veder nascere dietro le nubi scure. Si sistemò il casco e partì pensando a Beckett, alla notte passata, al suo sapore che sentiva ancora sulle labbra, a quei ti amo sussurrati che lei gli aveva ripetuto per tutta la notte. Tutto sommato sarebbe stato un bel giorno per morire.

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** La resa dei conti ***


 

CASA BECKETT

Beckett aprì un occhio sentendo dei rumori provenire dal piano inferiore e poi la porta di casa aprirsi e chiudersi. Si voltò verso Castle ma trovò la sua parte di letto vuota. Si mise a sedere sbadigliando e grattandosi la testa, cercando di capire cosa fosse successo. Guardò l'ora, erano da poco passate le 5. Forse Castle era andato a fare un po' di joggin. Già in passato, durante casi difficili, si prendeva un oretta solo per se, passandola a correre per ragionare a mente sgombra. Sbadigliando ancora scese dal letto e si diresse in bagno, l'avrebbe aspettato sveglia, preparandogli una deliziosa colazione. Riempì le mani d'acqua e poi se la gettò sul volto sciacquandoselo, prendendo poi l'asciugamano per asciugarsi, guardandosi allo specchio. Per un istante pensò fosse uno scherzo dovuto alle poche ore di sonno. Guardò ancora più attentamente il suo riflesso e poi abbassò il capo, afferrando tra le dita la collanina di Castle. D'altronde lui non se ne separava mai, perchè ora l'aveva indosso lei. Un tremendo pensiero si fece strada in lei. Corse velocemente al piano inferiore e frugò nel cassetto dove di solito il fidanzato riponeva la sua pistola. Quando lo vide vuoto la paura prese il sopravvento. Tornò di corsa in camera e si vesti con i primi abiti che le capitarono tra le mani, prese il cellulare e corse fuori di casa. Chiamò Ryan, Esposito, Abby, tutti, dicendo loro che Castle era scomparso e che dovevano trovarsi al distretto. Non poteva perderlo, non cosi.

 

 TEATRO RKO

Castle parcheggiò la moto fuori dal vecchio teatro abbandonato, aggiustando il cavalletto con il tallone e cavandosi il casco. Guardò l'edificio togliendosi i guanti e prese un profondo respiro. Controllò la sua pistola, salda nella fondina, e l'altra che aveva portato per sicurezza, assicurata alla caviglia. Un lampo improvviso illuminò il cielo che in pochi secondi si fece scuro. La bella giornata che si prospettava Castle era già finita. Fece qualche passo fino a trovarsi davanti alla porta d'ingresso. A terra, vicino a questa, poteva vedere il catenaccio che fino a poco prima la teneva chiusa. Pensò un ultima volta a Beckett, addormentata nel loro letto, ignara di tutto, e poi entrò.

 

 12th DISTRETTO

“Magari si è preso solo del tempo per se”. Ipotizzò Jonhson rivolgendosi a Beckett, che continuava a camminare avanti e indietro nello studio di Montgomery. Erano tutti li dentro e si erano fatti dire dalla detective i suoi sospetti. Solo l'ex capo di Castle la pensava diversamente da tutti gli altri. Nessuno aveva avuto il minimo dubbio che il detective fosse andato alla ricerca di Stark.

 “E allora perchè portarsi dietro la pistola”. Gli ricordò Abby che pietosamente osservava l'altra donna. Poteva solo immaginare quello che provava. Quando Castle si era comportato cosi in passato lei nemmeno era a casa loro, ma nel letto con il suo amante. Ci vollero più di tre ore prima che Miller riuscisse a rintracciarla. Ma ora, ipotizzando che al posto dell'uomo ci fosse stato Thomas, sentiva la gola stringersi.

 “Direi di aspettare e vedere se torna”. Continuò sulla propria linea di pensiero Jonhson, facendo perdere la pazienza agli altri agenti.

 “Se vuole aspettare lei lo faccia. Io non lo farò, ogni secondo potrebbe essere vitale per Rick”. Lo canzonò Beckett rivolgendosi poi verso l'agente Platt. “Ci deve essere un modo per trovarlo”.

 L'agente guardò il superiore che gli fece cenno di no con la testa. Era un ordine, ma lui non l'avrebbe accettato. “Avendo paura che Castle potesse avere questi comportamenti abbiamo messo un rintracciatore di segnale sia sulla sua macchina che sulla sua moto”. Li informò guardando ancora Jonhson dalla quale ora aspettava il via libera.

 “La prego”. Lo implorò Beckett trattenendo il respiro, per poi rilasciarlo quando lo vide annuire.

 L'agente Platt si mise subito all'opera e dopo diversi minuti ebbe il responso che cercavano.

 “Si trova sulla Hillside Avenue”.

 

 TEATRO RKO 

Castle estrasse la sua pistola e cominciò a inoltrarsi nell'ampia platea del teatro, osservando fila dopo fila, alla ricerca di Stark. Più volte si voltò di scatto sentendo il suo respiro sul collo, o la lama del coltello puntata al fianco, ma ogni volta si ritrovava solo. Proseguì sul palco e li si fermò.

 “Avanti, fatti vedere”. Urlò sentendo la sua voce echeggiare nell'antro buio e vuoto. “Sono qui, ti sto aspettando”. Gridò ancora allargando le braccia ma tenendo la mano ben salda sulla pistola e il dito premuto sul grilletto. Un rumore metallico provenì da dietro le quinte e Castle si diresse li, scostando le tende logore. Quando vide ciò che lo circondava ebbe un sussultò. Tutte quelle casse presenti gli ricordavano il magazzino di Los Angeles.

 “Sapevo che saresti venuto”. Disse Stark comparendo per un istante da dietro una delle casse per poi scomparire subito dopo. Castle ,colto alla sprovvista, fece partire un colpo che si conficcò nella parete. Non poteva sprecare proiettili cosi, doveva stare calmo, si diceva.

 “é la resa dei conti”. Udì ancora, questa volta provenire da dietro di lui. Si girò di nuovo e ancora non vide nessuno. Sudava e tremava, in quel luogo era in svantaggio e i ricordi di quanto successo in quel magazzino si stavano mischiando con la realtà che stava vivendo. Un lampo illuminò l'ambiente, facendo entrare la sua luce dall'ampio buco che vi era sul tetto, proiettando le ombre contro i muri e le tende, rendendo l'ambiente ancora più lugubre.

 “Sei un codardo Stark, non giochi ad armi pari”. Un altro rumore dietro di lui lo fece bloccare. D'istinto Castle si abbassò venendo cosi mancato dal fendente di Stark che però venne colpito alla spalla dal colpo di pistola sparato dal detective. Le sue imprecazioni riecheggiarono seguite poi da dei passi e una porta sbattere. Castle non ebbe esitazioni e lo seguì.

 

 Beckett guidava più veloce che poteva nel traffico mattutino della città. Avendo il lampeggiante acceso non si preoccupava ne dei semafori, ne della velocità, ne degli stop, doveva raggiungere il prima possibile quel luogo. Con lei in macchina vi erano Ryan ed Esposito mentre su quella che li seguiva vi erano gli agenti dell'fbi.

 “Arriveremo in tempo Beckett”. Le disse Ryan cercando di farle forza. 

“Lo sò”. Rispose lei senza nemmeno guardarlo, aumentando la velocità del tergicristallo per pulire il parabrezza dalla pioggia che ora si abbatteva sulla città.

 

 Castle aprì la porta di slancio, correndo fuori dall'edificio per non volersi far scappare Stark, non sapendo che in realtà lui era nascosto dietro di quella. Prima che se ne potesse accorgere un braccio teso lo colpì al petto, facendolo cadere a terra, facendogli mancare il respiro. L'uomo gli fu addosso pronto a tirargli un calcio ma il detective fu più veloce e riusci a spostarsi prima di esser colpito. Davanti a lui ora vi era Stark, con in mano un coltello, mentre lui era disarmato. La sua pistola, a causa del cemento bagnato, era scivolata più lontana di quanto volesse.

 “Sei pronto a morire?”. Chiese retorico l'assassino cercando di colpirlo. Castle riuscì ad afferrargli un braccio e, facendolo girare, lo premette contro la sua schiena, per poi costringere l'uomo contro una parete. Cercò di disarmarlo ma Stark gli tirò un calcio all'altezza dello stinco e una gomitata alla tempia che lo lasciò spaesato.

 “Devo ringraziarti. Mi stai rendendo il tutto ancora più piacevole”. Gli disse tirandogli un altro calcio, facendolo cadere a terra. Castle ben sapeva che non l'avrebbe sopraffatto cosi, non era di certo con calci e pugni che avrebbe battuto Stark, doveva giocare sull'astuzia. La sua pistola era poco lontana, gli bastava solo qualche altro centimetro per prenderla, solo un altro calcio da parte dell'uomo.

 

 Beckett spalancò gli occhi quando vide a poche centinaia di metri da lei la moto di Castle davanti all'edificio. Parcheggiò di fretta, lasciando la macchina praticamente in mezzo alla strada, e insieme ai colleghi si diresse verso il teatro. Con la pistola in pugno e il cuore in gola si mise davanti all'ingresso. Gli altri le furono subito vicini, aspettando una sua mossa. Non sapevano quello che avrebbero trovato dietro quella porta ma dovevano esser pronti a tutti.

 “Andiamo”. Affermò Abby.

  

Castle sputò sangue, tenendosi il fianco dolorante, quando Stark lo colpì di nuovo al ventre. Con gli occhi socchiusi vide la propria arma sempre più vicina. Fece per allungare la mano e afferrarla ma Stark lo precedette e con una pedata l'allontano ulteriormente.

 “Pensavi di esser più furbo di me”. Rise trionfante facendolo girare a pancia in su mentre alzava agli occhi al cielo sentendo la pioggia fresca sul proprio viso. “Questa è libertà”. Asserì andandosi a sedere sull'uomo, conficcandogli il coltello nel fianco. Sentendolo urlare dal dolore straziante che provava nel sentire la lama tormentargli cosi la carne.

 “é tutto come allora Rick”. Gli sussurrò all'orecchio girando la lama nella ferita, sentendolo gridare ancora.

 

 Le due squadre si muovevano con cautela nel buio del teatro, usando come luci solo le piccole torce che avevano con loro. Si ritrovarono nella platea e si divisero per poterla ispezionarla tutta. Poi un rumore lontano giunse alle loro orecchie.

 “Avete sentito?”. Chiese conferma Esposito. 

“Cosa?, io non ho sentito nulla.” Gli rispose l'agente Havoc che si trovava più indietro rispetto a lui. 

“Fate silenzio e ascoltate”.Ordinò il cubano stando attento a percepire ogni più piccolo suono.

  

Stark estrasse la lama dal fianco di Castle e la guardò intrisa del suo sangue soddisfatto.

“Un ultima cosa da dire prima che ti spedisca all'inferno?”. Gli domandò divertito mentre alzava già il coltello sopra di se, pronto a farlo scendere con tutte le sue forze nel petto della sua vittima. Castle tossì violentemente appoggiando la mano sinistra a terra, per aiutarsi a sollevarsi con il busto. Sul cemento poteva vedere il suo sangue mischiarsi alle pozzanghere d'acqua che andavano già a formarsi. Ridacchiò sollevando la gamba destra, cosi da poter arrivare con la mano a prendere la pistola che teneva alla caviglia.

 “In effetti si”. Parlò con fatica, non sentendosi più la parte sinistra del corpo. Con un ultimo sforzò si tirò su fino a che non senti la punta della lama contro la sua pelle, fino a che non riuscì a slacciare la fondina e afferrare la pistola.

 “Tienimi il posto”. Disse spostando lo sguardo dal volto di Stark al suo petto. L'uomo corrugando la fronte fece lo stesso e il coltello gli cadde d'improvviso dalle mani. All'altezza del cuore aveva puntata la pistola di Castle. Ebbe appena il tempo di guardarlo un ultima volta negli occhi che il colpo partì.

  

Il suono del proiettile sparato si sentì fin dentro l'edificio. Tutti gli agenti si guardarono attorno, cercando di capirne la provenienza, puntando le loro pistole in ogni direzione. Solo Beckett stava ferma, con le braccia abbassate lungo il corpo. Aprì leggermente la bocca e si tastò il petto, quasi quel proiettile avesse colpito lei. Le lacrime iniziarono a scenderle senza nemmeno saperne il motivo e cosi prese a correre, in direzione del palco.

 “Beckett aspetta”. La richiamò Ryan che la inseguì. La donna però non l'ascoltò ma proseguì la sua corsa, saltò sul palco, scostò le tende e arrivò nelle quinte. Si guardò attorno in cerca di Castle, chiamandolo disperata e ogni volta che non sentiva alcuna risposta si sentiva morire. Cercò tra le varie casse fino a che non vide la porta aperta che conduceva all'esterno dell'edificio. Corse verso di quella e per una frazione di secondo si fermò quando vide i due corpi distesi per terra, in mezzo alla pioggia.

"No, no, no". Ripeteva mentre andava a scostare il corpo ormai senza vita di Stark da quello di Castle. 

“Avanti Rick guardami, ti prego guardami”. Lo chiamava disperata, posando la testa di lui sulla sua gamba, agitandolo per cercare di svegliarlo. Alzò la mano e la vide intrisa di sangue, allora scostò la maglietta del fidanzato e vide il taglio profondo che Stark gli aveva inflitto.

 “Kevin premici sopra”. Beckett potè udire la voce di Esposito accanto a lei e in attimo i due uomini le erano vicini. Ryan si era tolto la giacca e ora la premeva con forza sulla ferita di Castle mentre il cubano cominciò a praticargli il massaggio cardiaco. Arrivarono anche gli agenti dell'fbi che davanti a quella scena si sentirono impotenti. L'agente Platt chiamò subito i soccorsi per poi mettersi a fianco dei colleghi ad aspettare, a sperare, che Castle compisse anche il più piccolo movimento.

 “Coraggio apri gli occhi, fallo per me”. Continuava a parlagli Beckett ogni volta che staccava le sue labbra da quelle fredde di lui, dopo aver donato ai suoi polmoni quell'aria che ora gli mancava.

 “Ti prego Rick”. Esposito premeva sempre con più forza, non preoccupandosi di rompergli qualche osso mentre Ryan cercava di diminuire quel flusso di sangue che fuoriusciva dal corpo dell'amico e che poteva causarne la morte.

 “Non mi lasciare”. Pianse Beckett appoggiandosi alla fronte di lui, stringendo tra le dita la sua maglietta, la sua pelle, per tenerlo li con se. “Non mi lasciare”.

 

 OSPEDALE

 Beckett se ne stava seduta su una delle sedie della sala d'aspetto con gli occhi fissi sul pavimento. Alzava lo sguardo solo quando vedeva qualche infermiere uscire dalla sala operatoria nella speranza di avere notizie di Castle. Ormai era li dentro da quasi due ore ma nessuno le aveva ancora detto nulla. Tutti gli agenti, Lanie e anche Jenny, erano li in attesa, in assoluto silenzio, aspettando l'inevitabile.

 “Vuoi che chiamo io Martha?”. Le domandò Lanie che le era seduta accanto, con la mano appoggiata alla sua spalla per fare in modo che la donna si accorgesse di lei. Da quando erano giunti in ospedale l'unica parola che Beckett aveva detto era stato un semplice grazie rivolto alla stessa dottoressa che le aveva portato degli abiti di ricambio per sostituire i suoi bagnati. Si era chiusa in bagno e si era lavata le mani, vedendo scorrere insieme all'acqua anche il sangue di Castle che aveva ancora sulle dita. Guardò la collanina e poi si accasciò a terra, dove vi rimase per più di dieci minuti prima che l'amica non l'andò a recuperare. 

“No”. Asserì passandosi una mano nei capelli stopposi, alzandosi dalla sedia, strofinandosi nervosamente le mani sui pantaloni. “Devo farlo io”. Cercò con mano tremante il proprio cellulare nella borsa. “Se succede qualcosa..”. Si rivolse agli amici parlando con fatica, voltandosi in direzione della porta dietro il quale stava venendo operato Castle.

 “Sta tranquilla”. Le disse Esposito mantenendo quel suo fare deciso e fiducioso. Beckett annuì col capo e si diresse fuori dalla sala d'aspetto, lungo il corridoio fino a che non trovò una porta che dava su un balcone. Guardò il cellulare senza comporre il numero, cercando le parole da dire a Martha, ma come dire a una madre che il proprio figlio stava per morire a causa della stessa mano che già aveva rischiato di portarglielo via. Avviò la chiamata e chiuse gli occhi.

 

“Zitti tutti è Kate”. Sentì dire da Martha dall'altro capo del telefono, sullo sfondo poteva sentire della musica e delle risate.

 “Cara che piacere sentirti, dovreste raggiungerci qui è fantastico”. Enunciò la donna allegra rivolgendosi ancora poi al marito, pregandolo di versargli un altro bicchiere di sidro. Beckett si senti la gola secca e al posto delle parole uscì solo un sibilo.

 “Kate, tesoro, è tutto a posto?”. Domandò ora più preoccupata, avendo capito la gravità della situazione da quel silenzio. 

“No”. Singhiozzò la detective scrollando il capo come se potesse esser vista dalla sua interlocutrice. “Martha..”. Balbettò non riuscendo ad andare oltre. “Rick ha trovato Stark e ora...”

 “E ora cosa?”. Domandò l'altra sull'orlo di una crisi ma ancora da Beckett non ottenne alcuna risposta. D'improvviso la detective sentì sfilarsi dalle mani il telefono e Ryan, con più calma, andò a spiegare meglio quanto fosse accaduto. Sentì un trambusto provenire dall'altro lato della cornetta e i commenti dei presenti che si preoccupavano dell'improvviso svenimento di Martha. Fu Alexander che allora andò al telefono e Ryan spiegò più dettagliatamente gli eventi accaduti in quei due giorni e poi lo salutò. 

“Alexander userà l'aereo privato della società per arrivare qui prima, ma ci vorranno un paio di ore”. La informò vedendola appoggiarsi al muro, andandosi a sedere per terra. “Vuoi tornare di la dagli altri?”. Le domandò andandosi a sedere sui talloni, colpito da quanto ora la collega sembrava debole, cosi fragile.

 “Preferisco rimanere ancora un po' qui”. Disse lei vedendolo esitare sul da farsi. L'irlandese serrò le labbra e sospirò facendo per alzarsi ma lei lo trattenne per un braccio.

 “Kevin potresti rimanere qui con me, per favore”.

 “Certo”. Accennò un sorriso il detective andando a mettersi accanto alla collega, lasciando che lei appoggiasse la testa sulla sua spalla, concedendosi di abbracciarla.

“Rick ce la farà. Ha un valido motivo per combattere”.

 

 Erano di nuovo tutti seduti nella sala d'aspetto quando la porta della sala operatoria si aprì e ne uscì un dottore, seguito da alcuni infermieri che spingeva la barella sulla quale vi era un pallido Castle. Beckett scattò in piedi, pronta a correre verso il fidanzato, ma Lanie la trattenne, sapeva bene che ancora non poteva avvicinarsi.

 “Che ci può dire dottore?”. Domandò Abby che fu la prima ad avvicinarsi a quello.

 “L'operazione è andata bene, noi abbiamo fatto quello che potevamo. Ora spetta tutto a lui”. Poche e semplici parole che però non servirono ad acquietare gli animi di tutti.

 “Quando posso vederlo?”. Domandò Beckett il cui desiderio era solo andare da lui, stargli accanto fino al momento in cui non avrebbe aperto gli occhi. 

“Dovremo tenerlo sotto osservazione alcune ore per esser certi che non vi siano delle conseguenze indesiderate dell'operazione. Per ora vi consiglio di andare a casa a riposare. Vi avviseremo a tempo debito”. Quelle parole a nessuno piacquero ma sapevano bene che non potevano far diversamente. Il dottore si congedò volendo andare a controllare il paziente ormai spostato in una stanza più adeguata.

 “Vuoi che ti accompagniamo?”. Le chiese Esposito convito che la donna avrebbe seguito il consiglio del dottore. 

“Sto qui. Voglio aspettare Martha e Alexander”. Spiegò rimettendosi seduta sulla sedia. Ryan e il cubano si scambiarono un cenno d'intesa e si accomodarono accanto alla collega. Cosi avrebbero voluto fare anche gli altri ma Lanie e gli agenti dell'fbi dovevano tornare all'obitorio e compiere l'autopsia su Stark e chiudere quel caso definitivamente.

 

 Solo quando arrivarono i genitori di Beckett e Castle i due si fidarono a lasciarla sola, decidendo di andare al distretto ad aiutare con le pratiche piuttosto che tornare a casa e aver modo di pensare. La detective appena vide sua madre le andò in contro, piangendole tra le braccia come faceva da bambina. Alexander e Martha non le rivolsero alcuna parola andando subito alla ricerca del dottore per farsi aggiornare sulle condizioni del figlio. Solo una volta ottenute tornarono nella sala d'aspetto. Il signor Castle suggerì a James di andare a prendersi un caffè lasciando cosi le donne da sole e Martha ebbe il modo di andarsi a sedere accanto a Beckett.

 “Questa è tua”. Affermò la detective slacciandosi la collanina di Castle e porgendola a sua madre. Martha la fissò, accarezzando con l'indice la piastrina per poi chiudere le dita della donna attorno a quella.

 “Non è più mia da tanto tempo. È giusto che ce l'abbia tu”. 

“Avevo promesso ad Alexander che non sarebbe successo nulla a Rick, che non sarebbe accaduta la stessa cosa di 5 anni fa e invece...”. La detective si alzò in piedi non avendo più alcun desiderio di star seduta, ora voleva solo muoversi, far altro oltre che allo stare li ad aspettare.

 “E non è successa”. La interruppe Martha che in quei momenti passati al distretto sembrava esser invecchiata di 10 anni, Beckett faticava a vederla cosi priva della vitalità che la caratterizzava. “Perchè quella prima volta ero sicura che avrei perso mio figlio, ero senza speranza, ma ora ci sei tu. Da quando sei entrata nella vita di Richard ho sempre sentito, ho sempre saputo, che qualunque cosa fosse accaduta lui alla fine sarebbe tornato da te, sempre. Anche questa volta”. 

 

Castle aprì gli occhi con fatica e la prima cosa che sentì fu il gusto amaro del sangue in bocca. Fece per alzarsi, convinto di esser disteso nel proprio letto, ma una fitta al fianco lo fermò di colpo. Si guardò intorno, cercando di capire dove si trovasse e per un istante ebbe come una sensazione di deja-vu. Era già stato li, aveva già provato quel dolore al fianco. Chiuse e riaprì velocemente le palpebre, andandosi a massaggiare quel punto in mezzo agli occhi, cercando di riordinare i proprio ricordi.

 “Quando meno ce lo si aspetta ecco che il nostro eroe torna dal mondo dei morti”. Gli arrivò alle orecchie una voce distante, cosi lontana che faticò a capire se a parlare fosse stato un uomo o una donna. Poi un ombra gli si avvicinò e riuscì a riconoscerla solo quando gli fu a pochi centimetri dal volto.

 “Abby?”. Domandò perplesso, non capendo cosa stesse succedendo.

 “Chi altri ti aspettavi?”. Disse di rimando lei sorridendogli, spostandogli quella ciocca di capelli che lui inutilmente cercava di sistemarsi.

 “Perchè sono in ospedale?”. Chiese osservando tutti i tubicini che andavano a infilarsi nel suo braccio e nella mano.

 “Perchè Stark ti ha quasi ucciso. Non ti ricordi?”. Gli domandò Abby andandosi a sedere sul letto accanto a lui, attenta a non creargli alcun tipo di sconforto.

 “Ricordo il magazzino e il sangue”. Asserì lui avendo solo nebbia nel cervello. Più si sforzava di ricordare più la testa gli faceva male.

 “Sarà l'effetto dell'anestesia. Presto ricorderai tutto”. Lo rassicurò lei dandogli un bacio sulla fronte. Un bacio che però a Castle era sconosciuto, erano altre le labbra che si rammentava.

 “Dov'è Kate?”. La interrogò in un momento di lucidità. 

“Kate chi?”. Lo guardò spaesata Abby, andando a controllare i monitor che mostravano i suoi segni vitali. 

“Come chi?”. Domandò incredulo lui cercando di alzarsi, non riuscendovi per via del fatto che la donna lo teneva premuto al letto. “La mia fidanzata”. Dichiarò quasi urlando con quella poco fiato che riuscì a raccimolare.

 “Ricky sono io la tua fidanzata”. A sentire quella constatazione Castle si sentì mancare, sprofondo nel cuscino osservando il soffitto. Non poteva essere cosi, non poteva aver sognato tutto, Beckett non poteva esistere solo nella sua fantasia. Il suo battito accelerò d'improvviso a Abby vedendo le pulsazioni sul monitor cominciò a preoccuparsi, sapendo di esser andata oltre. Ridendo gli posò una mano sulla guancia e lo fece girare verso di se.

 “Calmati Ricky stavo scherzando”. 

“Cosa?”.

 “Beckett è andata a casa un paio di ore fa per riposarsi. Era qui da stamattina e aveva bisogno di un bagno caldo e di un letto comodo”. Lo informò facendolo calmare.

 “Non sono scherzi da fare questi”. Ridacchiò lui chiudendo gli occhi, sentendosi di nuovo completamente stanco.

 “Come sta?”. Volle sapere diversi minuti dopo, cogliendo di sorpresa la donna che lo pensava addormentato.

 “Stark?”. Chiese lei volendo essere sicura del soggetto di cui stavano parlando.

 “No Kate. Di Stark non mi importa nulla”. Asserì riaprendo gli occhi, andando a fissare l'ex fidanzata che sembrava guardarlo con soddisfazione.

 “Forse sotto sotto non sei davvero più lo stesso ragazzo di una volta”. Constatò lei meravigliata che il detective non gli avesse ancora chiesto notizie riguardo quell'assassino ma fosse più interessato alla salute della fidanzata.

“Quando domani mattina ti vedrà sveglio starà bene. E ora riposati. Mica vorrai sembrare un cadavere quando entrerà da quella porta”. Gli fece notare sistemandogli le coperte sotto il mento.

 “Abby”. La richiamò lui vedendola tornare ad occupare la poltrona accanto alla finestra.

 “Dimmi”. 

“Grazie per esserci stata questa volta. Forse sotto sotto non sei davvero più la stessa ragazza di una volta”

 

 Quando Beckett arrivò la mattina dopo in ospedale trovò nella sala d'aspetto solo Abby e questo la insospettì.

“Dove sono tutti gli altri?”. Domandò avvicinandosi a lei che, quando la vide, abbandonò il giornale che stava leggendo e le andò in contro.

 “Sono al distretto a raccogliere le ultime cose, dopo tutto il nostro lavoro qui è finito”. Dichiarò facendo spallucce, tutto sommato le era piaciuto l'ambiente che vi era al distretto, quell'amicizia che legava i detective l'un l'altro. In altre occasioni ci si sarebbe potuta abituare. 

“E cosi tornate a casa”. Constatò Beckett sollevata, avere il distretto sgombro dall'fbi significava davvero gettarsi alle spalle tutto quello che era accaduto.

 “Già. Ma volevo comunque salutarti prima”. Abby allungò una mano che la detective accettò volentieri, a parte qualche piccolo episodio averla tra i piedi al distretto non era stato tanto catastrofico come aveva supposto, anzi.

 “Castle è fortunato ad avere una persona come te al suo fianco. Come tu sei fortunata ad avere lui”. 

“Noto una certa vena di invidia?”. Chiese Beckett in tono spiritoso, avendo saputo che Abby era felicemente sposata la faceva sentire quasi a suo agio a scherzare cosi sul fidanzato.

 “Forse un pò”. Ridacchiò la donna indicando la quantità, mostrando lo spazio tra il pollice e l'indice. “Thomas non si tufferebbe mai in un fiume per salvarmi da una macchina che sta affondando”. Sbuffò. “Non sa nuotare”. Aggiunse riassumendo quell'aria spensierata.

 “Arrivederci?”. Era più una domanda che un vero e proprio saluto, ma ormai non c'era più motivo per non sopportarsi, se mai in realtà ci fosse stato.

 “Arrivederci”. Ricambiò Beckett sorridendole, aspettando di vederla scomparire dietro le porte del reparto prima di andare nella stanza del fidanzato.

 

Aprì la porta con cautela, quasi non volesse disturbarlo con un eventuale cigolio. Entrò e la richiuse dietro di se, rimanendo cosi sola con lui. Lo guardò da quella distanza, pallido ma non tanto quanto si aspettava, attaccato a tutti quei macchinari che producevano un bip ritmico ma fastidioso. 

“Ciao amore mio”. Lo salutò con un bacio per poi togliersi la giacca e andarla a posare sulla poltrona, non accorgendosi che Castle stava aprendo gli occhi. 

“Devo aver fatto qualcosa di buono per meritarmelo. In rare occasioni mi hai chiamato amore mio”. Constatò lui che con fatica si era messo leggermente più seduto rispetto a prima ma con un ampio sorriso stampato sulla faccia. Non era l'essersi svegliato che lo rendeva felice, non era il fatto che i medici erano ottimisti su una sua veloce ripresa, nemmeno il saper da Abby che Stark era davvero morto, no nulla di ciò gli importava, ora si sentiva cosi pieno di vita perchè al suo fianco c'era lei.

 “Sei sveglio”. Sospirò Beckett mentre una lacrima le rigava il viso, avvicinandosi a lui con cautela, quasi potesse volare via d'improvviso. Non trattenendosi dal baciarlo.

 “Avevo due ottimi motivi per farlo”. Enunciò lui passando le dita tra i suoi capelli, accarezzandole la guancia e le occhiaie che le solcavano gli occhi.

 “Il primo è che non potevo permettere che altri uomini potessero farti la corte dato che, come ben saprai, sei solo mia”. Affermò lui cercando di mantenersi serio mentre parlava, quando invece voleva solo abbracciarla, ma nelle sue condizioni riusciva a mala pena ad alzare le braccia, figurarsi stringerla a se.

 “E il secondo?”.Chiese curiosa lei, facendo scorrere le dita sul suo collo, sulle sue braccia, sul suo petto, voleva sentire il suo calore, voleva sentirlo vivo. 

“Che ho intenzione di sfruttare a pieno quegli ottant'anni che mi hai promesso”.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** Cena con sorpresa ***


 

12th DISTRETTO

 Erano ormai passati tre mesi dall'incidente e Castle ormai si era ripreso quasi del tutto. La ferita si era completamente rimarginata e già da diverse settimane aveva ripreso il servizio al distretto anche se, Beckett e i colleghi, gli impedivano di compiere le sue solite gesta eroiche e ciò comprendeva sfondare porte o inseguire sospettati. Con quella scusa ne approfittarono per vendicarsi di tutti gli anni in cui, con un pretesto, Castle era sempre riuscito a sottrarsi dal compilare le scartoffie, ora erano solo compito suo. Da diversi minuti era concentrato nel scrivere un nuovo rapporto, servendosi del computer per trovare parole più ricercate, in modo da renderlo più dettagliato, quando vide Beckett e i ragazzi uscire dall'ascensore con un sospettato ammanettato. Velocemente si alzò dalla sedia pentendosi all'istante dato che i muscoli del fianco, di tanto in tanto, si rifiutavano di collaborare. Vedendo la smorfia di dolore la detective consegnò il sospetto nelle mani dei colleghi e si avvicinò al fidanzato. 

“Tutto bene?”. Gli chiese preoccupata vedendolo toccarsi la ferita. 

“Si, solo qualche acciacco”. Rispose lui sbuffando, rimettendosi seduto con maggiore cautela.

 “Sicuro che stasera te la senti di andare?”. Gli ricordò cosi di quella cena di beneficenza a cui Martha aveva chiesto loro di partecipare. Castle spalancò gli occhi sorpreso, lui per quella serata aveva in mente un altro tipo di cena. 

“Te ne eri dimenticato”. Constatò la donna mettendosi seduta anch'ella e guardando spazientita il fidanzato. “Sono settimane che tua madre insiste con questa storia Rick”. Aggiunse lei vedendolo sbuffare con maggiore insistenza.

 “Avevo altri programmi a dir la verità”. Rivelò lui assumendo un espressione sexy per convincerla a cambiare i loro piani ma Beckett non cedeva.

 “Gliel'hai promesso”. Ryan comparì alcuni minuti dopo richiamando Beckett cosi da invitarla ad assistere il colloquio, ritenendolo particolarmente interessante per le indagini. 

“Te non vieni?”. Domandò al fidanzato quando lo vide rimanere fermo sulla sua sedia.

 “Ho del lavoro da fare, io”. Le fece notare alzando il rapporto che ancora non aveva concluso. Quando la donna varcò la porta della sala interrogatori Castle non perse tempo ed estrasse il suo cellulare e chiamò la madre.

 

“Che succede Richard?”. Chiese esasperata la donna, stanca di quelle continue chiamate da parte del figlio. In quei tre giorni Castle l'aveva chiamata più volte di quanto l'aveva fatto nei 34 anni precedenti.

 “Allora per la cena di stasera papa mi lascia la limousine?”. Domandò per la centesima volta e per la centesima volta ricevette una risposta affermativa.

 “E ti sei già messa d'accordo con Johanna per l'orario in cui trovarvi?”. 

“Richard calmati. È tutto a posto per questa sera quindi mettiti il cuore in pace. Piuttosto vedi tu di non tardare”. Lo ammonì sua madre.

 “Si si alle 8 non me ne dimenticherò. Ora devo andare ciao”. La salutò di fretta vedendo Beckett uscire dalla stanza. Ripose il telefono in tasca e si mostrò concentrato sul foglio davanti a lui.

 “Con chi stavi parlando cosi fitto fitto?”. Lo interrogò insospettita da quel suo fare misterioso. 

“Con la mia amante”. Rispose con tutta calma lui, ricevendo una delle solite occhiatacce fulminanti che la donna gli elargiva. “Dovevo pur informarla che stasera non potevo andare da lei per via della cena di beneficenza”. Continuò a scherzarci su fino a quando Beckett, colta da un attacco di gelosia, non lo afferrò per un orecchio. 

“Mele, mele”. Cominciò a ripetere lui inutilmente, la detective non mollava la presa. 

“Con chi eri al telefono?”. Chiese minacciosa lei lasciandogli finalmente l'orecchio quando lui le rispose. 

“ Mi stava solo ricordando di questa sera. Come se io potessi dimenticarmene”. Alla ulteriore occhiataccia della donna Castle si alzò e andò dai due colleghi, voltando le spalle alla fidanzata. Beckett lo scrutava sospettosa, in quei giorni aveva un comportamento davvero strano, notò ripensando ad alcuni episodi dei giorni passati. Chiamate interrotte o cambi di conversazione ogni volta che la vedeva entrare nella stessa stanza, pause più lunghe del solito passate fuori dal distretto. Se non l'avesse conosciuto meglio l'ipotesi dell'amante non l'avrebbe del tutto scartata. Ma sapeva che Castle non era capace di ciò.

  

CASA BECKETT

 Erano le 7.30 e Castle stava aspettando nervosamente che Beckett finisse di prepararsi per quella serata. Dopo interminabili minuti passati davanti all'armadio a scegliere l'abito migliore da indossare per quell'occasione il detective aveva optato per uno smoking blu notte, anche grazie al consiglio della fidanzata, con la sempre elegante camicia bianca. E ora si trovava davanti allo specchio a lottare contro il nodo della cravatta, brontolando contro le dita che non volevano collaborare. Era teso, agitato, e aveva la strana voglia di scappare. Sbuffò togliendosi la cravatta stizzito, pentendosi di non aver scelto un papillon più semplice e veloce da sistemare. Ma era un occasione speciale, si disse, aveva tirato fuori quell'insolito abito per se apposta, per fare bella figura accanto a Beckett, ma la cravatta era davvero odiosa. 

“Vuoi il manuale delle istruzioni?”. Chiese ironica Beckett scendendo dalle scale. Castle la guardò un instante, regalandole una smorfia, prima di tornare a guardarsi allo specchio e li si bloccò. Lentamente girò la testa ancora in direzione della donna, che ormai l'aveva raggiunto, e rimase a bocca aperta.

 “Wow”. Sorrise come un idiota vedendo il modo in cui era vestita. 

“Suppongo che ti piaccia”. Constatò lei appoggiando la borsetta sul tavolinetto cosi da andare ad aiutarlo a sistemarsi la cravatta. Avendola cosi vicino Castle ne approfittò per osservarla ancora meglio. Un abito lungo nero, che andava fin per terra, lasciando sul lato sinistro una leggera coda, senza spalline e con uno strato di stoffa più lucido che, diagonalmente, scendeva dal seno fino al fianco destro.

 “Non male”. Minimizzò lui ricordandosi come respirare, quando suonò il campanello.

“La sua carrozza è arrivata madame”. Disse porgendole il braccio e dirigendosi con lei fuori dall'edificio. 

“Definirla carrozza è diminutivo”. Notò Beckett facendosi aiutare dal fidanzato a salire su di essa, studiandola affascinata non avendo avuto spesso modo di salire su auto del genere.

 “Champagne?”. Chiese Castle porgendole già il bicchiere mezzo pieno e facendo un brindisi. Sentiva ancora le mani un po' sudaticce ma nel complesso tutta l'ansia sentita in precedenza stava scemando.

 “Spiegami un po' come mi devo comportare in queste occasioni. Non sono molto pratica”. Dichiarò Beckett appoggiando il bicchiere nell'apposito sito non volendo subito esagerare col bere a stomaco vuoto.

 “Bhè parli con tutti, sorridendo, dando ragione a qualunque cosa dicono. Il tutto facendo finta di divertirti”. Spiegò Castle velocemente, andando a finire il suo champagne. “Ma non preoccuparti. Non dovrai fare nulla di ciò stasera”. Affermò con fare misterioso.

 “Che hai combinato Castle?”. Chiese Beckett accavallando le gambe e incrociando le braccia, pronta a fargli la ramanzina per aver mentito a Martha e per di più aver mancato a quella cena di beneficenza.

 “Te l'avevo detto che avevo altri programmi”. Le ricordò mentre la limousine si fermava al ciglio della strada. Castle aprì la portiere e scese porgendo poi la mano alla fidanzata cosi da aiutarla a fare lo stesso.

 

“Che ci facciamo qui?”. Domando la donna vedendo che si trovavano davanti all'edificio dove si trovava ubicata la società di Alexander.

 “Niente domande. Tu seguimi soltanto.”. La invitò a farlo prendendole una mano e guidandola dentro l'edificio. La guardia li salutò abbassandosi il cappello, lasciandoli salire sull'ascensore che li avrebbe condotti a uno degli ultimi piani.

 “Andiamo Rick. Si può sapere che hai in mente”. Gli chiese ancora quando le porte si aprirono e loro proseguirono lungo un corridoio.

 “Un attimo di pazienza”. La canzonò il detective guidandola fino ad un ampia porta a vetri, coperta da delle tende rosse, cosi da impedirle di vedere oltre.

 “Chiudi gli occhi”. Le disse gentilmente. “Avanti”. Riprovò vedendola esitare. Le mosse una mano davanti al viso per essere sicuro che lei non stesse sbirciando e poi aprì la porta sull'ampio terrazzo. La guidò con attenzione verso il centro di quello spiazzo, fino a trovarsi davanti a un tavolo, e li si fermò.

 “Non è come il nostro primo appuntamento al ponte di Brooklyn però spero ti piaccia lo stesso”. Disse mentre lei apriva gli occhi osservando ciò che la circondava. Il pavimento era interamente coperto da erba sintetica mentre a intervalli regolari, accanto al bordo del terrazzo, vi erano alcuni alberelli. Davanti a loro un tavolo preparato per due, con la tovaglia rossa e un vaso con dentro una rosa blu. Castle si spostò mettendosi dietro la sedia riservata a lei e la allontanò dal tavolo cosi da farla sedere.

 “Che significa tutto questo?”. Chiese lei ancora attonita, si aspettava di andare a una semplice cena e invece Castle aveva preparato tutt'altro.

 “Volevo solo far qualcosa di speciale per te. Per ringraziarti del modo in cui mi sei stata vicina in questi tre mesi di convalescenza. Sarei impazzito senza di te”. Ridacchiò lui andando a sedersi dall'altro lato del tavolo, stappando la bottiglia di vino cosi da riempire i loro calici.

 “E la serata di beneficenza?”.

 “é stato solo un pretesto. Volevo farti una sorpresa ed era l'idea migliore che mi è venuta in mente per spiegare l'eleganza, la limousine e il resto”. Spiegò lui sentendo la porta aprirsi e Jacques comparire volendo avere il permesso di iniziare a servire le portate.

 “Il resto?. Perchè c'è altro dopo tutto questo?”. Beckett sapeva che quando il fidanzato si metteva in testa qualcosa poteva fare grandi cose ma questo superava ogni sua aspettativa. Una cena romantica, sotto le stelle, su un terrazzo di un grattacielo di New York.

 “Giusto qualche idea che mi è venuta in mente ultimamente”. Affermò lui in tono umile, ai suoi occhi, quanto aveva organizzato, non sarebbe mai stato abbastanza per ricompensarla a dovere per tutto ciò che aveva fatto per lui. Le prima settimane fuori dall'ospedale erano state le più difficili. Castle riusciva a far ben poco da solo, aveva bisogno per alzarsi dal letto, stendersi, sedersi, farsi il bagno, cambiarsi le fasciature, eppure nemmeno una volta Beckett si era lamentata, ma era sempre li pronta ad aiutarlo in ogni minima cosa.

 “Signorino Castle, madamigelle”. Li salutò Jacques portando con se i primi piatti che avrebbero accompagnato quella serata.

 “é riuscito a tirarti in mezzo Jacques”. Scherzò Beckett con il francese che intanto aveva tolto il coperchio, mostrando loro le prelibatezze che aveva preparato.

 “Per me è un piacere partecipare a questa occasione.” . Constatò prendendo una mano di Beckett baciandola. “Bon appetit”. Augurò prima di congedarsi cosi da andare a preparare la seconda portata.

 “Avanti, che hai in mente Rick”. Continuò a interpellarlo curiosa, assaggiando quella invitante tartina imburrata con sopra una piccola quantità di caviale.

 “Non può un fidanzato innamorato organizzare una serata speciale per la donna della sua vita?”. Si giustificò lui andando a bere un altro sorso di champagne, più per darsi coraggio di portare a termine la serata.

 “Hai qualcosa da farti perdonare?”. Domandò lei pulendosi la bocca con il tovagliolo, andando a guardare con fare inquisitorio.

 “Malfidata”. Sogghignò lui andando a prenderle una mano, accarezzandole con il pollice il polso. “A fine serata ti dirò tutto va bene”. Disse lui estremamente serio. “Godiamoci questa serata”. Beckett perse il sorriso per qualche secondo, sospettando che il fidanzato le stesse nascondendo qualcosa di importante, ma vedendolo poi cosi sereno si calmò e fece come da lui richiesto.

 

 “Ora mi vuoi dire che succede?”. Tornò a chiedergli scendendo dalla limousine una volta giunti davanti l'ingresso del loro appartamento.

 “Vuoi che ti dica una cosa cosi importante per strada”. Affermò lui mostrandosi offeso, aprendole la porta cosi da farla entrare nell'edificio.

 “Ha a che fare con la visita che hai fatto ieri con il dottor Stam?”. Domandò lei stringendogli la mano più forte. Il dottor Stam era il medico che aveva seguito Castle durante quei mesi di convalescenza e il giorno prima aveva avuto una visita per controllare che la ferita interna si fosse rimarginata anch'essa. Castle le aveva assicurato che tutto era a posto ma ora temeva che quella serata fosse stata organizzata per renderle meno spiacevole quella brutta notizia che sentiva stava per arrivare. 

“Tranquilla. Non ti mentirei mai su quello”. La rassicurò lui posandole un bacio sulla nuca, riuscendo con una semplice frase a dissipare tutte le sue paure. Castle si fermò davanti alla porta dell'appartamento e tirò un profondo sospiro. Sperava che Martha e Johanna fossero riuscite a far tutto. La prima ad entrare fu Beckett che appena vide ciò che le si presentava davanti agli occhi rimase sbalordita per l'ennesima volta in quelle poche ore. Castle osservando il tutto non potè che ringraziare le due donne. Dalla porta, percorrendo tutta la sala, fin sulle scale, vi era un sentiero fatto completamente di petali di rose, delimitato da alcune candele che producevano una luce soffusa, ma perfetta per creare la giusta atmosfera.

 “Rick cosa..”. Si trovò senza parole la donna, emozionata, colpita, da tutto quello.

 “Non saprei, io son stato con te tutta la sera”. Dichiarò lui posandole le mani su entrambe le spalle, rimanendo contro la sua schiena. “Per me dobbiamo vedere dove ci porta”. Le sussurrò nell'orecchio, lasciando che lei gli afferrasse la mano, tirandolo con se su per le scale. Mentre si avvicinavano alla loro camera da letto tutte le paure, i dubbi di Castle scomparvero d'improvviso. Sapeva solo che quella era la cosa giusta da fare.

 “Coraggio, siamo arrivati fin qui tanto vale andare avanti”. Le disse ancora vedendola ferma davanti alla porta.

 “é che non so proprio cosa aspettarmi dietro di questa”. Affermò Beckett toccando la maniglia con mano tremante, non sapeva nemmeno bene lei perchè era agitata, anche se un ipotesi cominciava a formarsi nella sua testa.

 “Scopriamolo insieme”. Il detective la superò mettendosi lui davanti alla porta e, dopo aver dato le spalle a questa per vedere la reazione di Beckett, l'aprì, entrando nella stanza camminando all'indietro. Altre candele e altri petali riempivano la stanza. 

“é bellissimo Rick”. Riuscì solo a dire la donna, ridendo e asciugandosi gli occhi al contempo. In quel momento si rese conto di amarlo ancora di più di quanto immaginava.

 “E non è tutto”.Asserì fermo, deciso, togliendosi dalla sua visuale in modo che lei potesse vedere lo schermo bianco posto sulla parete sopra il letto. Castle alzò un dito chiedendole un minuto di pazienza. Andò al proiettore e lo accese, prendendo da sopra di esso quel cofanetto che da giorni aspettava di essere aperto.

 “Dimmi cosa ne pensi”. Le sussurrò in tono dolce mentre la mano che teneva fra le dita quella scatola cominciò a tremargli.

 Lo schermo diventò completamente nero fino a quando dalla parte superiore scesero quattro gocce, una dopo l'altra. Queste caddero come dentro una pozza d'acqua e dei piccoli cerchi cominciarono a formarsi attorno al punto dove erano cadute. Le gocce stesse presero poi vita cominciando a tracciare delle righe che presto Beckett comprese andare a formare delle lettere, e quelle lettere infine formarono delle parole. Gli occhi lucidi rimanevano fissi sulla scritta che ora le si stagliava davanti, rileggendola decine e decine di volte. Un verso di piacere e incredulità le scaturì dalle labbra che andò a coprire con una mano, scrollando il capo certa di star vivendo un sogno. Castle attendeva pazientemente alle sue spalle che lei si voltasse, incerto su ciò che aveva pensato, intimorito da un suo possibile rifiuto. Beckett invece piangeva, piangeva dalla gioia. Mi vuoi sposare?. Lesse muovendo le labbra ma non lasciando che alcun suonò le uscisse dalla bocca. Si girò verso il fidanzato che, ora in piedi davanti a lei, le porgeva quel cofanetto aperto, mostrandole l'anello incastonato con un diamante che aveva trovato adatto per farle tale proposta.

 “Allora”. Enunciò andando a deglutire con estrema difficoltà. “Mi vuoi sposare?”. Le chiese trattenendo il fiato, aspettando, desiderando, che lei avvicinasse la mano all'anello e se lo lasciasse mettere. La guardò dritta negli occhi aspettando quella risposta che avrebbe significato la sua vita o la sua morte. Beckett ricambiò il suo sguardo e si asciugò gli occhi, non preoccupandosi dei segni che il mascara poteva lasciarle intorno a quelli. Rise ancora e cominciò ad annuire con il capo sempre più decisa.

 “Si”. Sospirò vedendo Castle rilassarsi di colpo. “Mille volte si”. Lo abbracciò dimenticandosi momentaneamente dell'anello, non le importava, non ora. Castle la allontanò delicatamente da se per paura di commuoversi troppo, sentiva il cuore scoppiargli dalla gioia e faticosamente si trattenne dal correre fuori dall'appartamento e gridare che Beckett aveva accettato la sua proposta, voleva condividere quella bella notizia con tutti, ma in quel momento aveva una cosa più importante da fare. Si asciugò la mano nei pantaloni e con le dita andò ad estrarre attentamente l'anello dal suo cofanetto, ponendolo sopra un mobile. Attese che la fidanzata alzasse la mano e poi glielo infilò al dito.

 “Ora sei mia per i prossimi ottant'anni”. Ironizzò per allentare la tensione, prendendole la mano e baciando proprio quel dito che ora portava il segno della loro promessa. Con la mano libera Beckett andò ad accarezzargli il volto, avvicinandosi di più a lui, schiacciandosi contro il suo petto. Lo baciò sentendo sulle sue labbra il dolce gusto salato delle proprie lacrime. Lacrime di gioia, più che ben accette in quel momento.

 “Non ottant'anni Rick”. Affermò lei posando la fronte contro quella di lui. “Per molto di più”. Continuò, tornando a baciarlo, stringendolo ogni volta più forte. “Per sempre”.

  

-------------------------------

 Bene con questo capitolo mi permetto di mettere momentaneamente in pausa questa storia. Dopo questi ultimi capitoli ho bisogno di ricaricare un po' le batterie e aspettare l'ispirazione per continuare, inoltre voglio dedicarmi ad una lettura più attenta delle altre storie, come esse effettivamente meritano. Ringrazio di cuore chi ha seguito questa fan fiction dall'inizio, e chi è venuto dopo, resistendo tutti questi mesi.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** La settimana dopo ***


 

CASA BECKETT


Beckett si svegliò di buon umore quella mattina, cosa ormai frequente in quell'ultima settimana. Da quando Castle le aveva chiesto di sposarlo non passava giorno in cui lei non si sentisse felice per ciò che stava accadendo nella sua vita. Osservandosi allo specchio si trovava a ridere da sola ripensando a come erano evolute le cose. Ai quattro anni passati, dagli inizi turbolenti alla passione che avevano cercato di negare ma che alla fine li aveva travolti. Accarezzava l'anello, che ora era legato alla collanina appartenuta a Castle ma divenuta ormai sua, resistendo all'impulso di indossarlo cosi da far sapere al mondo la promessa che si era scambiata con Rick. Avevano deciso però di attendere qualche giorno prima di fare all'annuncio ufficiale agli amici, prima di loro dovevano ancora essere messi al corrente dei fatti James e Alexis, tenuti all'oscuro della serata speciale organizzata da Castle. Beckett tornò in camera da letto a svegliare il compagno con quel pensiero fisso in testa. Cosa avrebbe pensato il padre di quel matrimonio. Sapeva che James adorava Castle ma non poteva esser certa che avrebbe reagito nel migliore dei modi sapendo che la sua unica figlia ora si stava per sposare.

 “Stai pensando a stasera?”. Le domandò Rick senza guardarla, con un braccio a coprirsi gli occhi cosi da non esser infastidito dai raggi del sole che penetravano dalle finestre. La detective per alcuni secondi non disse nulla, rimanese li a giocare con una ciocca dei suoi capelli sospirando, sbuffando andandosi a sedere sul letto.

 “Mi chiedo come potrebbe prenderla mio padre”. Affermò andandosi a posare sul petto dell'uomo che solo in quel momento tolse il braccio che gli copriva il volto per andare ad abbracciarla. Castle corrugò la fronte e sorrise divertito, prendendo le sue parole come segno di umorismo. Non aveva compreso che le preoccupazioni della donna erano reali. 

“Tuo padre mi adora”. Sbadigliò andando a richiudere gli occhi, volendo concedersi ancora diversi minuti di riposo prima di preparasi per il lavoro.

 “Lo so è che...”. Beckett sbuffò voltandosi cosi da andare a fissare il soffitto, scrollando leggermente il capo cercando le parole adatte per spiegare i suoi pensieri a Castle.

 “Non puoi capire Rick, per una donna è diverso, il rapporto tra padre e figlia è unico e mi sento come se lo stessi tradendo cosi”. Rick spalancò di colpo gli occhi e Beckett potè sentire sotto la sua mano il battito del suo cuore accelerare all'improvviso.

 “é un modo carino per dirmi che ci hai ripensato?”. Domandò lui guardandola preoccupato, staccandosi dal materasso e mettendosi seduto di fronte a lei, con le dita conficcate nel lenzuolo, agitato per un motivo che sapeva ben essere futile.

 “Andiamo Rick questo mai”. Cercò di rassicurarlo lei non riuscendovi del tutto. “Non ci ho ripensato anzi, sono sempre più convinta della scelta che ho fatto”.

 “Ma..”. La incoraggiò lui ad andare avanti vedendola titubante .

 “Ma preferirei che a dirlo a mio padre fossi solo io”. Dichiarò tutto d'un fiato, passandosi una mano nei capelli per poi appoggiarla sul ginocchio di Castle.

 “Questa decisione l'abbiamo presa in due ed è giusto che ci sia anche io quando lo diremo ufficialmente alle nostre famiglie”. Obiettò Castle scendendo dal letto, mettendosi una maglietta e aspettando una risposta da parte della donna, rimanendo a debita distanza da lei, quasi avesse paura di usare modi poco carini per far cessare quei vaneggiamenti.

 “Castle le nostre famiglie lo sanno già che tanto ci sposiamo, i tuoi genitori e mia madre ti hanno aiutato nella preparazione”.

 “Si però non sanno che hai risposto”. Le fece notare lui altezzoso, puntandole un dito contro per poi sollevare il capo offeso.

 “Il solo fatto che siamo ancora insieme credo che sia un chiaro segno della mia risposta”. Anche Beckett scese dal letto rimanendo ai piedi di questo, respirando profondamente cosi da calmarsi non avendo la minima intenzione di litigare con l'uomo.

 “Ma non capisco perchè vuoi farlo da sola, perchè glielo vuoi dire in disparte”. Il detective alzò le braccia al cielo e brontolò parole incomprensibili mentre cominciava a camminare avanti e indietro, da una sponda all'altra del letto.

 “Per lo stesso motivo per cui tu ti sei sempre confidato prima con tuo padre e non con il resto della famiglia quando si trattava dell'fbi”. Questa constatazione lo fece fermare di colpo e l'obbligò a tornare a guardarla in attesa che lei finisse quel discorso.

 “La complicità che avete creato nel corso degli anni è la stessa che lega mio padre e me. Mio padre, come Alexander per te, è sempre stato il mio confessore, il mio consigliere, il grillo parlante che mi riportava sulla retta via. É una cosa che sento di dovergli”.

 “Trovo invece che sia una cosa ridicola”. Ribattè l'uomo rimettendosi sul letto, con i gomiti sulle ginocchia, strofinandosi il palmo della mano destra con il pollice della sinistra, osservando la pelle divenire bianca per poi riprendere il proprio colore naturale.

 “Ti prego Rick cerca di capirmi”. Lo pregò lei con voce dolce, sistemandosi alle sue spalle, prendendo a massaggiargliele avvicinando nel contempo la bocca al suo orecchio.

“Lo diremo insieme al distretto ma con mio padre devo farlo da sola”.

 “Tanto non ho modo di convincerti a fare diversamente no?”.Commentò lui rassegnato, dandosi la spinta sul materasso per rimettersi in piedi e dirigendosi verso la cucina con il solo pensiero di bersi un caffè molto forte per trovare qualcosa di piacevole in quella giornata cominciata male.

 

 12th DISTRETTO 

“Problemi in paradiso?”. Domando Esposito alla collega, vedendola intenta a girare il cucchiaino nella tazzina del caffè più volte del dovuto. Beckett lo guardò con la coda dell'occhio prima di alzare lo sguardo in direzione di Castle, osservandolo dai vetri della saletta mentre colloquiava con Ryan riguardo l'ultimo caso che avevano tra le mani.

 “Ci troviamo in disaccordo su una piccola questione.” Rispose semplicemente lei andando a bere finalmente il caffè ormai divenuto freddo.

 “Tanto piccola non direi per via delle occhiatacce che vi lanciate, inoltre Castle è più musone del solito oggi”. Scherzò Esposito riuscendo a strapparle un sorriso. “Lo sai che se vuoi parlarne...”

 “Lo so. Grazie”. Lo congedò lei velocemente, appoggiandogli la mano sulla spalla. Sapeva che Javier l'avrebbe ascoltata e anche consigliata ma per fare ciò avrebbe dovuto saper della proposta di matrimonio e non era di certo cosi che voleva portarlo a conoscenza del fatto. Uscì dunque dalla saletta portando con se un altro caffè per il compagno.

 

“Offerta di pace?”. Domandò Castle accettando quel pensiero, staccando per qualche secondo gli occhi dalla lavagna.

 “Se fossi stata certa che sarebbe bastato cosi poco l'avrei fatto prima no”. Fece notare Beckett andandosi a sistemare accanto a lui, appoggiandosi alla propria scrivania.

 “Non mi piace essere arrabbiato con te”. Dichiarò lui tra un sorso e l'altro. “Non mi piace come mi fa sentire, come se fossi ancora il Castle di Los Angeles che vuole il meglio, la perfezione, avere tutto sotto controllo”.

 “Pensavo che quel periodo fosse passato”. Abbassò lo sguardo la detective sentendosi d'improvviso incapace di comprenderlo e aiutarlo.

 “Lo credevo anche io. Per questo non mi piace”. Beckett scrutò il suo viso pallido e corrucciato e si sentiva in colpa per i tormenti che gli stava causando ma non sarebbe stato quello a farla cedere, ormai aveva preso una decisione e non l'avrebbe cambiata. Si limitò a posare la sua mano su quella di lui, accavallando le loro dita, tornando a fissare la lavagna davanti a loro.

 
“Abbiamo rintracciato il figlio di Vargas, Lenny”. Fu Ryan che ruppe quel tremendo silenzio dando ai due il modo di sfuggire da quei pensieri che li stavano poco a poco allontanando in quel momento.

I due detective guardarono in direzione della stanza degli interrogatori dove Esposito stava facendo accomodare il giovane cosi che potessero interrogarlo. Beckett prese il fascicoletto dalla sua scrivania mentre Castle poggiò su di essa la tazzina vuota di caffè e insieme si diressero verso la stanza.

 

Il detective provò pena per quel giovane ragazzo che stava seduto davanti a lui. Poteva notare che faceva fatica a trattenere le lacrime concentrandosi più sul cinturino dell'orologio che su quello che stava dicendo Beckett.

 “La cassa era vuota perciò supponiamo che suo padre abbia cercato di fermare il rapinatore o i rapinatori, per poi essere colpito violentemente alla testa. Non sappiamo ancora quale sia l'arma del delitto ma il medico legale ha stabilito che la morte è avvenuta tra le 23 e le 24 di ieri notte”. Spiegò velocemente la detective preferendo non entrare nei dettagli, lasciando che il giovane assorbisse quelle informazioni prima di continuare con le prime conclusioni tratte dagli agenti della scientifica.

 “Sa perchè era ancora in negozio a quell'ora?”. Domandò Castle dando una fugace lettura al foglio davanti a se, giusto per ricordarsi i dettagli del caso passatigli già di mente a causa della poca attenzione che aveva fatto sia sulla scena del crimine che successivamente al distretto.

 “Dopo la chiusura rimaneva spesso a fare i conti, o a bersi una birra con Thiago”. Rispose il giovane che finalmente alzò gli occhi cosi da guardare negli occhi i due.

 “Chi sarebbe Thiago?”. Domandò Beckett cercando il suo nome nei fascicoli ma non trovando nulla a riguardo.

 “é un uomo che ogni tanto aiutava mio padre in negozio. Quando c'era tanta gente lo chiamavamo per aiutarci a servire i clienti”. Castle osservò la fidanzata che attenta scriveva quelle nuove informazioni acquisite non soddisfatto però da esse.

 “Sà dove abita? O come possiamo rintracciarlo?”. Il ragazzo si fece pensieroso per alcuni secondi, guardando verso l'unica finestra sbarrata presente in quella stanza.

 “Quando mio padre non aveva bisogno di lui so che andava a lavorare sulla quinta. Scaricava i camion di una macelleria della zona”.

 “Bene, cercheremo questo Thiago e vedremo se può dirci qualcosa di utile. Se le viene in mente altro non esiti a contattarci”. I due detective si alzarono dalle loro sedie, salutando il giovane con un cenno del capo prima di dirigersi alla porta.

 “Aspettate”. Li richiamò Lenny prima che questi potessero varcarla. “Qualche giorno fa mio padre e Thiago hanno litigato. Thiago lo supplicava di prestargli dei soldi per pagare l'affitto ma mio padre si è rifiutato accusandolo di aver rubato di tanto in tanto dalla cassa. Non so se può servire ai fini dell'indagine”.

 Beckett e Castle si guardarono per un istante consapevoli di avere una pista calda tra le mani.

“Può esserci utile a dir la verità. Le faremo sapere appena avremo qualche novità”.

 

 “Ryan controlla tra i libri contabili di Vargas se c'è qualche riferimento a del denaro mancante o comunque qualche anomalia negli incassi giornalieri”. Ordinò Beckett una volta tornata alla scrivania dei colleghi, sollevata dal fatto che le indagini avrebbero occupato parte della giornata impedendole cosi di pensare troppo a Castle e al motivo del loro litigio. Quel tardo pomeriggio avrebbe parlato con suo padre e solo dopo avrebbe risolto la situazione con il fidanzato.

 “Noi andiamo sulla quinta alla ricerca di un certo Thiago”. Affermò mettendosi la giacca per poi lanciare a Castle la sua cosi che la indossasse. “Se nel frattempo Lanie scopre qualcosa di interessante fateci sapere”.

 

 

“A che ora ti trovi con tuo padre?”. Chiese ad un tratto Castle uscendo completamente dal discorso che stavano avendo fino a pochi secondi prima. Beckett d'istinto strinse le mani con forza sul volante e rallentò la velocità cosi da poter voltarsi momentaneamente verso l'uomo. 

“Verso le 17 al cafè BlueMoon.”. Rispose lei tutto d'un fiato vedendolo annuire. “Ora che lo sai mi seguirai cosi da poterti intromettere?”. Ridacchiò lei cercando di allentare la tensione. 

“Sono tentato a dir la verità”. Sospirò il detective poggiando la testa sul sedile e osservando fuori dal finestrino. “Ma alla fine sappiamo entrambi che non lo farò. Devo solo convincermi che me la sto prendendo per un motivo sciocco. Non sarà la fine del mondo no”. Fu il suo turno questa volta di ridere, di se stesso e di quei momenti in cui si sentiva fragile.

 “Già.” Gli sorrise lei in parte rincuorata dal fatto che sembrava essersi calmato rispetto ad alcune ore prima. “Ci saranno tanti altri annunci che faremo insieme”.

 “Parola di lupetto?”. La sfidò lui tornando di buon umore.

 “Parola di lupetto”. Promise lei vedendolo annuire soddisfatto. Se quell' impegno sarebbe riuscito a calmarlo avrebbe giurato altre cento volte per convincerlo della veridicità delle sue parole.

 

  Parcheggiarono la macchina a pochi metri di distanza da un furgoncino bianco dalla quale alcuni uomini stavano scaricando enormi pezzi di carne dalla quale, notò con disgusto Castle, poteva ancora vedersi il sangue colare. Insieme individuarono uno dei responsabili e si diressero verso di lui cosi da avere informazioni sul subordinato di Vargas.

 “Un tizio di nome Thiago avete detto?”. Ripetè l'uomo mettendosi una mano sugli occhi cosi da ripararsi dal sole e aver modo di guardarsi attorno con più facilità.

 “L'unico Thiago che viene qui a lavorare è il vecchio Fuentes. Eccolo la”. Alzò la voce quando individuò il soggetto tirato in causa e lo indicò con l'indice cosi che i due detective lo riconoscessero. Ringraziarono l'uomo e si avviarono verso l'entrata dell'edificio dove Fuentes stava caricando alcune casse di plastica.

 “Signor Fuentes.”. Richiamò la sua attenzione Beckett portandosi una mano sotto il naso cosi da sottrarsi all'odore di marcio che proveniva dagli scarti gettati a terra. “Detective Beckett e Castle. Dovremo farle qualche domanda”. Si presentò facendo vedere il distintivo come era solita fare.

 “Ma certo”. Disse Thiago in tono amichevole solo per poi lanciare contro i due alcuni scatoloni e scappare nella direzione opposta.

 “Prendi la macchina”. Le ordinò Castle, il quale si mise subito all'inseguimento del fuggiasco evitando e saltando i bidoni che questo si premurava di lanciare in mezzo alla strada cosi da rallentare il detective. Lo inseguì attraverso degli stretti e sporchi vicoli, intimandogli più volte di fermarsi, ma le sue parole non vennero ascoltate anzi Fuentes corse ancora più veloce, saltando con facilità una recinzione che impegnò invece Castle e che si prese parte della sua giacca lacerandola su un fianco. Approfittando del fatto che l'uomo dovette rallentare la sua corsa per non finire addosso a dei passanti il detective lo raggiunse saltandogli addosso, finendo insieme contro il cofano di una macchina che stava transitando in quel momento sulla strada. Rotolarono su di questo finendo a terra con un doloroso lamento, sentendosi mancare il fiato per la botta subita all'altezza dello sterno. Fuentes fu il primo a riprendersi, alzandosi da terra tenendosi una mano stretta al fianco ma Castle se ne accorse e riuscì ad afferrarlo per una caviglia e a tirarlo di nuovo sull'asfalto insieme a lui.

 “é in arresto signor Fuentes”. Dichiarò mettendogli una manetta al polso e l'altra agganciandola al proprio.

 “Castle stai bene?”. Si sentì la voce di Beckett che accanto ai due li guardava ancora immobili a terra.

 “Si, ma la prossima volta tu corri e io prendo la macchina”. Affermò serio alzando il braccio libero in sua direzione cosi che potesse aiutarlo a rimettersi in piedi e trascinare con lui il sospettato.

 “Ha il diritto di non parlare. Ogni cosa che dirà potrà essere usata contro di lei in giudizio”. Disse Beckett all'uomo, trascinandolo per un braccio verso la macchina mentre Castle si preoccupava di riprendere fiato facendo dei respiri profondi e alzando il braccio libero cosi da far passare il dolore causato dallo scontro con l'automobile.

 “Mi deve una giacca nuova”. Si rivolse a Fuentes quando lo aiutò a salire in macchina prima di mettersi a studiare lo strappo sull'indumento.

 

 12th DISTRETTO

 “Allora signor Fuentes ci dica perchè ha ucciso il suo amico Vargas?”. Domandò Castle appoggiandosi al muro, accanto al vetro dietro il quale Ryan ed Esposito stavano seguendo il colloquio, mentre Beckett preferì accomodarsi sulla sedia.

 “Juan è morto?”. Domandò incredulo l'uomo, cercando la risposta negli occhi dei due detective. 

“Andiamo non usi questa tattica con noi. Non sapevo che era morto, non sono stato io, era mio amico, non l'avrei mai fatto”. Affermò Castle alzando di volta in volta la voce, avvicinandosi al tavolo per poi sbatterci sopra con violenza le mani, cogliendo di sorpresa anche la fidanzata.

 “é cosi, non gli avrei mai fatto nulla a Juan”. Cercò di difendersi l'uomo mentre Beckett afferrava per un braccio il collega facendolo sedere accanto a lei.

 “Allora perchè è scappato signor Fuentes?”. Gli chiese la donna appoggiando le braccia sul tavolo e guardandolo con insistenza, volendo avere una risposta da lui.

 “Pensavo foste dell'immigrazione. Mio figlio è qui senza permesso”. Rivelò lui con voce tremante, andando a congiungere le mani rivolgendosi ai due. “Vi prego ha solo 10 anni e non posso rimandarlo in Messico, non ha nessuno li, finirebbe sulla strada.” 

Castle sbuffò sistemandosi contro lo schienale della sedia. “Immagino che i soldi che doveva a Vargas riguardavano suo figlio”

 Fuentes guardò i detective spaesato, intimidito, indeciso se parlare o meno. 

“L'immigrazione è un reato meno grave dell'omicidio”. Soggiunse Beckett notando la poca pazienza avuta dal fidanzato durante quell'interrogatorio. “Lenny Vargas ci ha detto che stavate litigando per una questione di soldi. Può dirci il perchè?”

 “Per far venire mio figlio qui in America ho speso quasi 3000 $ e me ne servivano altri per coprire alcune spese. Juan è vero non voleva prestarmi perchè credeva che avessi rubato dall'incasso del negozio. Abbiamo litigato ma la mattina dopo è venuto da me scusandosi. Dicendomi che aveva rivisto i conti e che si era accorto di averli sbagliati”. Racconto l'uomo parlando tutto d'un fiato, tenendo lo sguardo su Beckett dato che Castle non lo fissava, ma si muoveva su e giù con la sedia.

 “Bhè capita di sbagliare il conto un giorno, massimo due, ma da quanto ci ha detto Lenny era successo più volte”. Intervenne ancora Castle volendo mettere alle strette l'uomo. Aveva impazienza di chiudere il caso, voleva solo andare a casa, farsi una doccia per togliersi da dosso l'odore del distretto e festeggiare con tutta la famiglia le future nozze.

 “Sono certo che Lenny sapeva di quegli ammanchi non perchè gliel'ha detto suo padre ma perchè sa chi ha preso quei soldi”. Disse l'interrogato puntando un dito tremante contro i due.

“Juan aveva litigato più volte con lui perchè insisteva a portare in negozio quel suo amico, pieno di tatuaggi, con una cuffia sempre in testa. L'aveva minacciato anche di mandarlo a studiare in Oregon, dove vivono alcuni parenti, se avesse continuato a frequentarlo”. Cominciò a battere due dita sulla fronte, strizzando gli occhi sforzandosi di ricordare il nome del giovane.

 “Dev. Si chiama Dev.”. Enunciò d'improvviso battendo una mano sulla coscia.

“A Juan non piaceva, diceva che portava sulla cattiva strada Lenny. Che lui era un bravo ragazzo e non doveva farsi vedere con gente simile”. Castle sbuffò vistosamente passandosi entrambe le mani sulla faccia, battendo ritmicamente il piede a terra.

 “Faremo un controllo su questo Dev”. Disse Beckett chiudendo il fascicolo e alzandosi dalla sedia. “Lei intanto passerà la notte qui e poi domani decideremo se dire a quelli dell'immigrazione se c'è stato utile o meno per risolvere un caso di omicidio”.

 

 “Si può sapere oggi che hai?”. Domandò sussurrando Beckett a Castle una volta usciti dalla sala dell'interrogatorio, prendendolo per un braccio cosi da costringerlo ad ascoltarla.

 “Niente. Che dovrei avrei”. Ribattè lui con un sorriso forzato alzando le spalle. Gli bastò uno sguardo eloquente della donna per rimetterlo subito in riga.

 “é che nulla sta andando come avevo immaginato. Volevo una giornata tranquilla, all'insegna dell'amore e della gioia e invece mi trovo un caso di omicidio e noi due che a mala pena ci parliamo senza litigare ancora”. Confessò alzando le braccia al cielo esasperato, girando su se stesso fino a dar di nuovo le spalle alla donna brontolando contro se stesso. 

“Vedrai che stasera non ci penserai nemmeno più”. Cercò di rincuorarlo Beckett facendosi abbracciare. “Quando tua madre richiederà un brindisi per festeggiare questa giornata sarà un ricordo ormai lontano”. Gli parlava lentamente, sistemandogli una ciocca di capelli mentre lui non riusciva a staccare gli occhi dalle sua labbra.

 “In realtà ci sarebbe una cosa che mi aiuterebbe a tornare allegro”. Sogghignò lui rubandole un casto bacio.

 “E cosa?”. Scherzò Beckett massaggiandogli il collo con le esili dita mentre Castle le sussurrava ad un orecchio.

 “Sicuro? Vuoi farlo proprio ora?”. Chiese conferma guardandolo accigliata, vedendolo annuire deciso. 

“Prima di vederti sparire per andare da tuo padre”. Beckett acconsentì all'istante alla sua richiesta ed estrasse dalla tasca dei pantaloni il cellulare cosi da fare quella chiamata.

 Pochi minuti dopo l'ascensore si aprì e Lanie corse preoccupata verso la scrivania dell'amica dove i quattro detective stavano ridendo e scherzando.

 “Che è successo? Mi hai detto che era urgente”. Domandò quasi senza fiato, prendendo posto sulla sedia dell'amica ansimando debolmente.

 “Ho detto che era una cosa importante non urgente”. La corresse Beckett che velocemente andò a mettersi di fianco al fidanzato.

 “Poco cambia”. Sbuffò il medico legale schiaffeggiando l'aria con la mano.

 “Che sta succedendo?”. Domandò Esposito assumendo la sua solita posa da duro, seguito come un ombra da Ryan che si stupì nel vedere Lanie al distretto. Erano rare le volte in cui era accaduto e ognuna di quelle non aveva portato nulla di buono.

 Castle diede un colpetto con la spalla alla fidanzata, afferrandola delicatamente per un fianco attirandola verso di se, incoraggiandola a dire quanto dovuto.

 “Richard e io ci sposiamo”. Disse tutto d'un fiato, strizzando gli occhi preoccupata dalla reazione che potevano avere i colleghi. Un urlo di gioia si alzò tra i presenti, quello di Ryan che congratulandosi andò ad abbracciare i due, augurandogli il meglio e promettendo a Castle di dargli dei consigli sulla vita matrimoniale. Quando finì fu il turno di Esposito che fu meno prolisso nelle felicitazioni, limitandosi a minacciare Castle se avesse combinato uno dei soliti disastri. Lanie stranamente se ne stava ancora seduta sulla sedia, quasi non avesse sentito quell'annuncio. In realtà l'aveva ben udito e ancora stava cercando di capire come comportarsi.

 “Mi aspettavo un po' più di entusiasmo da parte tua”. Commento Beckett amareggiata dal fatto che l'amica non fosse stata la prima ad esprimere la sua gioia, dandole un debole calcetto all'altezza dello stinco cosi da farle sollevare lo sguardo. 

“Certo che sono contenta mia cara”. Solo allora Lanie si alzò ed andò ad abbracciare l'amica, stringendola forte quasi da farle mancare il fiato. A Beckett però qualcosa non tornava, essendo una detective certe cose le intuiva e inoltre conosceva molto bene la donna.

 “Però c'è un ma non è vero..”. Ipotizzò guardando dritto negli occhi il medico legale, vedendola dare un occhiata veloce a Castle, intento a parlare con gli altri due poliziotti.

 “Non ne parliamo ora”. Sospirò Lanie dandole una pacca sulle spalle. “Dobbiamo festeggiare”.




 

Ritorna all'indice


Capitolo 45
*** Cena in famiglia ***


 

 Beckett si trovava seduta al tavolino del BlueMoon in attesa di suo padre. Passava il tempo ad osservare le persone che camminavano davanti alla vetrina, ipotizzando il lavoro svolto da questi basandosi sul loro abito o sugli oggetti che portavano con se. Era il suo lavoro dopo tutto, quello di far caso anche ai più piccoli particolari, ma in realtà voleva solo tenere la mente impegnata per non pensare a Lanie e a quel velo di mistero che si era portata dietro quando era tornata in obitorio. Era cosi preoccupata della possibile reazione di suo padre che mai avrebbe pensato che altri non sarebbero stati felice della decisione sua e di Castle.

 “Ciao Katie”. La salutò James togliendosi la giacca e sistemandola sulla sedia opposta a quella della figlia, rimanendo in piedi di fianco a lei, con le braccia aperte in attesa di un abbraccio.

 “Finalmente sei arrivato”. Disse lei inspirando profondamente, contenta di sentirsi protetta tra le braccia del genitore. 

“Scusa ma avevo una riunione che è durata più del solito. Questa crisi ha colpito anche le banche e dobbiamo fare qualcosa per..”. L'uomo si fermò di colpo osservando il volto serio e disinteressato della figlia.

 “Lasciamo stare. Se mi hai detto di incontrarci vuol dire che è successo qualcosa”. Affermò l'uomo andandosi a sedere, cercando con gli occhi una cameriera cosi da poter ordinare un caffè.

 “In effetti si papa è successo qualcosa”. Esordì lei tornando a sorridere, mordendosi il labbro inferiore sentendosi d'improvviso in imbarazzo.

 “Tra Rick e te va tutto bene?”. Intuì subito che il motivo per cui la figlia si comportava in quel modo era dovuto al fidanzato ma come padre pensò subito a qualcosa di negativo, rimanendo del tutto impreparato per quello che la figlia gli disse subito dopo. 

“Ci sposiamo papa”. Annunciò lei ridacchiando come una bambina. “Rick mi ha chiesto di sposarlo e io ho risposto di si”. Affermò quasi fosse la cosa più naturale al mondo, facendo passare le mani dietro al collo cosi da slacciare la collanina e sfilare l'anello di fidanzamento. Quando se lo fu messo al dito James andò a prenderle con delicatezza quella mano, avvicinandola al viso cosi da poter studiare il gioiello.

 “Avevo intuito che stava tramando qualcosa. Tua madre è brava a mantenere i segreti ma si è lasciata sfuggire qualche indizio. Devo ammettere però che mi hai colto comunque impreparato”. Parlò il vecchio Beckett senza lasciare la mano della figlia, accarezzandole le dita, fissando quell'anello.

 “Sei felice papa?”. Domandò di scatto lei, volendo avere una risposta certa dal genitore che togliesse quei dubbi che nelle ultime ore la stavano opprimendo.

 “Come potrei non esserlo.”. La rassicurò lui andandole ad accarezzare una guancia. “La mia bambina si sposa con un uomo che l'adora e che so farà di tutto per renderla felice”.

 “Credevo che avresti obiettato sai. Dicendo che Castle non è adatto a me per via del suo carattere o del lavoro che svolgiamo. Oppure che è troppo presto o chissà quali altri motivi”. Parlava velocemente senza nemmeno sapere bene il perchè. Doveva solo esser sicura che il padre non avesse alcuna riserva su quelle nozze.

 “Castle è l'uomo giusto per te e l'ha provato ogni giorno in questi anni”. Sorrise James vedendo la figlia arrossire come poche volte le era successo nella vita. La guardava rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse cresciuta. “Lo sai fin dal primo momento che ti ho presa in braccio ho promesso che non ti avrei mai lasciato andare, che nessuno ti avrebbe mai portata via da me”. Confessò l'uomo con gli occhi lucidi.

 “E che se qualcuno doveva prendere il mio posto nel tuo cuore doveva essere qualcuno di meritevole. E questo qualcuno è Castle”. Le sollevò il mento cosi da costringerla a guardarsi faccia a faccia dato che lei preferiva tenere la testa bassa, non volendo incontrare lo sguardo del padre per chissà quale motivo.

 “A nessun'altro gliel'avrei permesso, ma lui è speciale non è cosi?”. Beckett annuì asciugandosi gli occhi con il parmo della mano, ridendo nervosa mentre stringeva la mano al padre.

 “Dimmi che andrà tutto bene”. Sussurrò la detective guardandosi l'anello che notava starle cosi bene su quel dito che mai avrebbe voluto toglierselo.

 “Andrà tutto bene”.

 

  

CASA BECKETT

 Castle se ne stava a mollo nella vasca, facendosi cullare teneramente dalle piccole onde che con la mano andava a formare sulla superficie dell'acqua bollente. Teneva la testa appoggiata al bordo di quella, con gli occhi chiusi, canticchiando a tempo di musica. A Beckett bastò seguire la melodia per capire dove si trovasse il fidanzato quando tornò a casa dopo l'incontro con il padre. Si tolse le scarpe e la giacca e cominciò a salire le scale chiedendosi dove Castle avesse scovato quella musica mai sentita fino a quel momento. Scostò leggermente la porta venendo inghiottita in una coltre di vapore che la fece tossire per il fastidio provocato.

 “Ciao”. La salutò Castle con un ampio sorriso. “Mi stavo rilassando dopo il lavoro ma 5 minuti e la vasca è tutta tua”. La informò il detective mettendosi seduto per poi appoggiarsi con braccia e mento sul bordo.

 “é andato tutto bene?”. Domandò curioso ma visibilmente preoccupato. Il pensiero che Beckett potesse avere qualche dubbio sulle nozze gli martellava il cervello anche se una voce più prorompente gli diceva di non preoccuparsi.

 “Mio padre non poteva essere più felice di cosi”. Enunciò lei sedendosi sui talloni di fronte a lui, immergendo la mano nell'acqua, posandola sul suo petto per accarezzarle la cicatrice a forma di S.

 “Avanti girati che te li lavo”. Gli ordinò rimettendosi in piedi, tirandosi su le maniche della camicia cosi da non bagnarsele per poi posizionarsi dietro Castle, che intanto aveva già inclinato la testa all'indietro.

 “Pensi che i ragazzi al distretto siano contenti del fatto che ci sposiamo?”. Chiese lei strizzando un po' di shampoo sulle sue mani mentre dalla radio si susseguivano dolci note, violini, viole e violoncelli, non ne era sicura di quale strumento producesse tale musica.

 “Certo, perchè non avrebbero dovuto esserlo”. Mugugnò quelle parole mentre la fidanzata cominciava a lavargli i capelli, massaggiandogli la testa con un movimento che rischiò di farlo appisolare.

 "Sono nostri amici, hanno sempre fatto il tifo per il team Caskett quindi”.

 “Lo so eppure Lanie mi sembrava contrariata”. Sbuffò la donna cominciando a sciacquargli via dal viso la schiuma mentre lui ancora non muoveva un muscolo, godendosi quelle tenerezze fuori programma. 

“Sarà solo gelosa che tu ti sposi mentre lei è ancora zitella”. Ironizzò Castle trovandosi di colpo il getto della doccia puntato dritto sul viso. Tossì sputando fuori l'acqua che gli aveva invaso la bocca mentre Beckett si era già rialzata, pronta a prendere il suo posto nella vasca.

 “é preoccupata come lo saresti tu al suo posto”. Continuò Castle uscendo dall'acqua e legandosi un asciugamano alla vita mentre con un altro si sfregava i capelli umidi. “Se hai preso questa decisione con leggerezza oppure no. Se c'è il rischio che tu un giorno te ne possa pentire” 

“Me ne farai pentire?”. Domandò Beckett guardandolo maliziosa, lasciando cadere la camicia che Castle seguì fin quando non toccò terra.

 “E rischiare poi di aver la migliore detective di New York alle mie calcagna, per di più arrabbiata e desiderosa di vendetta!”. Ironizzò lui baciandola, dandole una pacca sul fondo schiena prima di dirigersi verso la porta. “Fai in fretta che mia madre non ce lo perdonerà se facciamo tardi”.

 

 CASA CASTLE

 “Lo sapevo, a te non si può dire un orario che mai lo rispetti”. Brontolò Martha tenendo aperta la porta per il figlio e la fidanzata cosi che si accomodassero nell'appartamento. Castle cercò subito di protestare ma fu bloccato da Beckett che ridacchiando lo afferrò per un braccio cosi da portarlo nella sala dove si trovavano già gli altri genitori.

 “Lex non c'è?”. Domandò perplesso il detective guardandosi attorno certo di vedere sbucare la sorella da qualche porta della casa.

 “No, aveva una cena con quel suo nuovo amichetto”. Gli disse facendogli l'occhiolino. “Mi dispiaceva non farla andare, è il loro anniversario o qualcosa del genere”: Spiegò agitando le mani assumendo per un istante il ruolo d'attrice drammatica.

 “Ah, ok”. Affermò lui rattristato, con le mani in tasca mentre dava qualche calcetto al tappeto.

 “Avrei voluto tanto dirglielo”. Disse quando sentì una mano posarsi contro la sua schiena, sapendo benissimo di chi fosse.

 “Hai aspettato una settimana, un giorno in più vedrai che non cambierà. Lo farai domani con tutta la calma che si merita”. Castle guardò Beckett annuendo poco convinto. Tra tutti i famigliari l'opinione di Alexis era quella che per lui contava di più. I genitori ne erano entusiasti, in particolare Martha che avrebbe voluto celebrare le nozze il giorno successivo alla proposta. Alexander invece era più ponderato ma Lex era un altra cosa. Non aveva peli sulla lingua e non si sarebbe fatta problemi a rimproverare Castle se avesse fatto qualcosa di sbagliato. Era di quello che aveva bisogno, di qualcuno che non gli desse sempre ragione e acconsentisse a tutto ciò che voleva solo per vederlo alla fine sposato.

 “Facciamo un brindisi”. Li richiamò Alexander porgendo loro due calici di vino, studiando nel contempo il volto triste del figlio, domandosi sul motivo dei suoi pensieri.

 “Ai futuri sposi”. Brindò il vecchio Castle ottenendo l'approvazione di tutti. I due fidanzati si guardarono e il detective riacquistò subito il sorriso.

 “Oh avanti, le vuoi dare questo bacio cosi poi possiamo cominciare a mangiare”. Lo incitò Martha andando a finire in un solo sorso quel poco vino rimasto nel bicchiere, invitando gli altri a cominciare ad accomodarsi pure a tavola.

 “Non possiamo di certo contraddire tua madre”. Asserì Beckett tirandolo a se per il colletto della camicia mentre lui le circondava il corpo con un braccio, baciandola con fervore.

 “Ho detto solo un bacio, non di mettere subito in cantiere un nipote”. Enunciò Martha andandoli a staccare senza troppi complimenti. “Anche se non sarebbe una brutta idea”. Aggiunse tornando verso la tavola, facendo poi ai due un occhiolino.

 “Le nozze non arriveranno mai troppo presto non è cosi”. Disse Beckett leggermente preoccupata di quello che sarebbe potuto accadere in quei mesi di preparazione. Non ci aveva ancora pensato ma in quel momento realizzò che si stava per sposare con Richard Castle, non detective di New York, ma il figlio di Martha Rodgers.

 “Tranquilla, mia madre sarà cosi presa a cercarsi l'abito adatto che del resto non si preoccuperà”. Beckett sospirò speranzosa, volendo credere alle sue parole. Rincuorandosi nel ricordarsi che Martha mai avrebbe permesso di rovinare le nozze e che tutte le volte che era intervenuta nel loro rapporto l'aveva sempre fatto per un motivo e a fin di bene.

 

“Allora avete già in mente qualcosa?”. Chiese Johanna servendo le lasagne nei piatti dei commensali. “Una data o il luogo dove svolgere la cerimonia?”

 Beckett guardò Castle che fece spallucce soffiando sul boccone davanti a se, lasciando che fosse lei a parlare. 

“In verità non ancora. Pensavamo comunque a settembre, la prima settimana magari”. Annuì Castle gustando le lasagne, aiutando a buttarle giù con un po' di vino quando Martha iniziò ad elencare varie possibili location. 

“No mamma non cominciare”. La fermò subito tenendo un tono di voce pacato. “Il matrimonio è mio e di Beckett. Lo so che ci vuoi aiutare ma spetta a noi decidere”

 “Lo so ma quante volte potrà capitarmi una situazione simile nella vita Richard”. Protestò la donna mantenendo sempre il buon umore che la caratterizzava.

 “Spero solo questa Martha”. Asserì Beckett facendo sbuffare la donna e ridere gli altri presenti.

 

 La serata passò piacevolmente parlando di aneddoti dei vari matrimoni a cui i sei avevano partecipato e delle disavventure che avevano affrontato nei loro. Sentire cosi frequentemente quella parole mise un po' d'ansia ai due fidanzati ben consci di quello che avrebbero dovuto affrontare in quei successivi mesi ma ben decisi a far in modo che tutto filasse liscio.

 Alexander aiutò il figlio ad infilarsi la giacca mentre Johanna e Martha divertivano Beckett raccontandole delle lotte che avevano assistito durante il lancio del bouquet.

 “Questo è solo l'inizio figliolo”. Gli disse l'uomo aggiustandogli il colletto cosi che non prendesse freddo al collo. Castle sorrise a quel suo gesto cosi paterno nonostante lui avesse ormai più di trent'anni.

 “Via via sarà sempre peggio?”. Domandò il detective ridacchiando nervoso, sentendosi d'improvviso scomodo nei propri panni. 

“Molto. Ci saranno problemi a non finire, tensioni tra Beckett e te, lati dell'altro che mai avreste immaginato”. Castle sgranò gli occhi e sentì chiudersi la gola. Quelle rivelazioni non erano di certo ciò che gli serviva in quel momento.

 “E se vuoi sopravvivere a tutto questo ti dovrai sempre ricordare della cosa più importante”. Continuò l'uomo abbassando lo sguardo, togliendo ora alcuni pelucchi dalla stessa giacca.

 “L'amore”. Annuì Castle deciso, serrando le labbra e guardando il padre che sorridendo gli tirò due buffetti sulla guancia. 

“Certo l'amore non lo devi mai dare per scontato, ma dovrai sempre ricordare per chi lo fai, per chi accetterai, sempre con un sorriso, anche ciò che in realtà non vuoi, per chi diverrai il marito che merita”. Castle si fece serio di colpo e andò a cercare con gli occhi la fidanzata, soffermandosi sul suo viso felice mentre rideva con le altre due donne.

 “Varrà la pena soffrire un po' adesso per poi poter passare la tua vita insieme a lei no”. Alexander gli diede una pacca sulla spalla lasciandolo fermo sui propri piedi, privo di parole ma pieno di pensieri.

 “Buona notte cara”. Sentì la voce del padre rivolgersi a Beckett, dandole due baci veloci sulle guance per poi donarle un ampio sorriso. 

“Andiamo?”. Gli chiese lei non vendendolo muoversi.

 “Certo. Ti dirò non vedo l'ora di buttarmi nel letto e lasciarmi questa giornata alle spalle”

  

12th DISTRETTO

 

“Abbiamo provato a contattare Lenny Vargas per avere informazioni su questo Dev ma non ha risposto alle nostre chiamate”. Li informò Ryan dopo averli lasciati sistemare le loro cose alla scrivania.

 “Avete provato a chiamare la sua scuola?”. Domandò la detective tirando su le maniche del maglioncino e posizionandosi davanti alla lavagna che ormai conosceva a memoria.

 “Si, ma hanno detto che oggi non si è presentato”. Replicò Esposito notando Castle intento a mandare un messaggio con il cellulare.

 “Andato tutto bene ieri sera?”. Chiese rivolgendosi alla donna che contenta annuì.

 “Meglio di quanto immaginassi”. Battè le mani l'una contro l'altra non volendo soffermarsi su quell'argomento avendo altro di cui occuparsi. “Andate da Fuentes e vedere se la notte in cella gli ha fatto tornare in mente qualcosa. Noi proviamo ancora a sentire Lenny e vediamo se risponde altrimenti andremo a casa sua”. Ryan ed Esposito si incamminarono subito verso il piano inferiore dove vi erano le celle mentre Beckett fissava il futuro marito.

 “Che stai facendo?”. Gli domandò incurvando la schiena cosi da vedere sullo schermo del telefonino.

 “Sto scrivendo a Lex, se oggi ha tempo dopo scuola di passare cosi da parlarle”. Spiegò andando a riporre il cellulare in tasca. “Non voglio far passare troppo tempo e rischiare che sia mia madre a dirglielo”.

 “Tu piuttosto non vai a parlare con Lanie?”. Le chiese dopo alcuni minuti di silenzio, passati a fissare il nulla non avendo nulla di buono su cui lavorare.

 “Vorrei farlo, ma non ora”. Disse Beckett mordendosi il labbro, girandosi di scatto verso il fidanzato. “Ho come il brutto presentimento che finiremo per litigare”.

 Castle fece una buffa smorfia mugugnando qualcosa mentre agitava una mano. “Andiamo tu e Lanie non riuscite a star litigate per più di 5 minuti quindi vedrai che non accadrà nulla di ciò. Inoltre prima lo fai prima fai scomparire tutte queste tue paranoie”. La incoraggiò Castle sentendo poi il cellulare vibrargli in tasca. 

“Scusami”. Le diede un bacio sulla nuca e si alzò dalla sedia prendendo a camminare verso la saletta relax.

 “Ehi Lex ciao...”. Lo senti dire prima di vederlo scomparire nella saletta, lasciandola sola a pensare.

 Per tenersi occupata tentò ancora di chiamare Lenny ma la linea risultava sempre occupata e stanca di quella perdita di tempo fece un giro di telefonate per scoprire dove si trovava il telefono del ragazzo e di conseguenza lui. 

“Tutto a posto?”. Chiese Beckett riagganciando la cornetta vedendo Castle tornare a sedersi accanto a lei.

 “Si si. Lex era solo preoccupata. Le avevo scritto che dovevo parlarle e pensava fosse successo qualcosa di grave. Passerà nel pomeriggio al distretto”. Le spiegò vedendola alzarsi dalla sedia e mettersi la giacca.

 “Dove andiamo di bello?”. Domandò mettendosi in piedi accanto a lei. 

“Ho rintracciato il cellulare di Lenny. A quanto pare si trova al centro sportivo Carthwright”. 

Castle la seguì verso l'ascensore ponderando su quel nome che gli tornava cosi famigliare.

 “é quello sulla 224th?”. Vedendo Beckett annuire qualcosa gli affiorò alla mente. 

“Se non sbaglio Lex il martedi sera va li a fare volontariato insieme a Paige. Insegna ai bambini a pattinare”. Affermò orgoglioso della sorella. “Forse lei sa chi è questo Dev.”. Continuò pronto a chiamarla per avere informazioni prima di venir fermato dalla donna. 

“Alexis ora è a scuola e direi che non è il caso di disturbarla. Se non troveremo Lenny allora proveremo con lei”

 

 

Arrivati sul posto i due si misero subito alla ricerca del giovane non avendo troppa difficoltà a trovarlo sul campo da hockey, intento a giocare con un altro ragazzo, dando sfoggio delle loro abilità ad alcune ragazze a bordo campo. 

“Tatuaggi e cuffia”. Disse Castle indicando con la testa il giovane che stava giocando con Lenny.

 “A quanto pare abbiamo trovato Dev”. Giunta al bordo del campo da hockey Beckett richiamò l'attenzione del giovane che vedendola pattinò verso di lei.

 “Detective avete qualche novità?”. Domandò a corto di fiato, girandosi verso l'amico che li raggiunse senza dire nulla, guardando irriverente i due.

 “Si in effetti si.”. Asserì la donna tenendo d'occhio l'altro giovane. “Volevamo parlarti ma ci è stato difficile rintracciarti”. 

“Dopo quello successo a suo padre Lenny aveva bisogno di distarsi un pò”. Parlò finalmente Dev con voce monotona, andando in difesa dell'amico.

 “Ieri pur di non stare a casa sono andato in giro e capitando davanti a un negozio di articoli sportivi ho visto questa mazza da hockey e oggi sono venuto a collaudarla”. Raccontò il giovane mostrando l'oggetto a Castle che, volendo sembrare acculturato anche su quello sport, cominciò a elogiare la consistenza del legno e la sua fattura.

 “Ottimo acquisto”. Dichiarò ridandogliela.

 “Quella che avevo prima si era rotta perciò..”. Beckett alzò una mano per interromperlo, lanciando un occhiataccia al fidanzato per essersi dimenticato del motivo per cui erano li in quel momento.

 “Tu sei Dev vero?”. Domandò al giovane che trasse un profondo respiro, tirando fuori il petto e incrociando le braccia sopra a questo. 

“Vuoi un'autografo?”. Rispose sprezzante della carica che loro occupavano, facendo arrabbiare Castle per il modo in cui si era rivolto alla fidanzata. Sporgendosi oltre il bordo lo afferrò per un braccio, costringendolo a ritrovarsi faccia a faccia con lui.

 “No. Preferiamo avere un intervista. Al distretto”. Parlò lentamente, usando il suo stesso tono di voce non volendo farsi mettere i piedi in faccia da un ragazzino.

 “Dev non ha fatto nulla. Era qui con me la sera in cui è morto mio padre. Non è cosi?”. Disse Lenny guardando l'amico, intimandolo di rispondere con gli occhi.

 “Certo, eravamo insieme”. Dichiarò Dev sistemandosi il giubbotto e la cuffia, riprendendo la posizione di prima.

 “E allora non ha alcun motivo per temere di fare due chiacchiere con noi”. Ridacchiò Castle afferrando ancora il giovane e trascinandolo, contro il suo volere, lungo tutto il bordo del campo fino ad arrivare alla porticina.

 “Ora scegli”. Gli disse puntandogli un dito contro. “O ci segui senza aprire bocca oppure farò vedere a quelle fanciulle come sei bravo a venir trascinato dentro la macchina della polizia”


********************

Avrei già voluto aggiungere in questo capitolo le impressioni di Lanie e Alexis riguardo il matrimonio ma poi l'avrei reso lungo e pesante perciò chiedo un pò di pazienza e attendere il prossimo. Ringrazio pubblicamente chi, nonostante i miei mesi di attesa, è stato cosi gentile da riprendere in mano la storia e continuare a leggera.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 46
*** Pro e contro ***



12th DISTRETTO


“Christopher Alan Devlin II”. Lesse Castle sul fascicolo del ragazzo che gli stava seduto davanti nella stanza degli interrogatori. “Devo dire che i tuoi genitori avevano gusto per i nomi”. Commentò vedendo l'altro avere un gesto di stizza. 

“Secondo te perchè mi faccio chiamare Dev”. Non guardava il detective, preferendo passare il tempo a cercare qualcosa di suo interesse all'interno di quelle quattro mura, riflettendosi allo specchio e sistemandosi la cuffia sul capo. 

“Hai molti tatuaggi. Di che banda fai parte?”. Domandò curioso Castle vedendo i vari disegni presenti sulle braccia e sul collo del giovane. 

“Solo perchè uno ha dei tatuaggi deve per forza far parte di qualche banda?”. Ribattè stizzito Dev, posando gli avanbracci sulla tavola e sporgendosi verso l'uomo cercando di intimorirlo. 

“Parlo solo per esperienza, inoltre il tuo aspetto e il tuo comportamento mi darebbero alquanto ragione”. Dichiarò Castle mettendosi nella stessa posa del suo interlocutore, ritrovandosi faccia a faccia, nessuno dei due osava ritirarsi. 

“E voi poliziotti siete tutti cosi perspicaci? Con il vostro modo di fare e i vostri abitini firmati, ma sa parlo solo per esperienza”. Sogghignò certo che il detective avesse accusato il colpo, andando a rimettersi seduto con la schiena contro la sedia. 

“Sono cosi perspicace che scommetto che sei stato tu ad uccidere il padre di Lenny”. Dev quasi non si scompose, il suo volto rimase immutato ma il suo corpo ebbe un moto involontario. Roteò le spalle e spostò il peso del corpo sul lato sinistro. 

“Avrò visto solo un paio di volte quel vecchio pazzo. Se volevo disfarmi di lui avrei potuto semplicemente denunciarlo”. 

“E per quale motivo sentiamo?”. Domandò Castle facendo fatica a credere una cosa simile seppur non conoscesse la vittima. Si distrasse poi per un attimo quando notò la porta aprirsi e Beckett fare il suo ingresso con una faccia annoiata e infastidita. 

“Perchè mi aveva aggredito”. Rispose andando poi a rivolgersi alla detective. “Cominciavo a sentire la sua mancanza sa”. Castle gli schioccò le dita davanti agli occhi costringendolo a tornare a guardarlo.

 “Qualche settimana fa Lenny ed io siamo andati in negozio a prendere qualche birra. Suo padre ci ha visti e hanno cominciato a discutere, quando ho provato a intervenire quel pazzo mi ha tirato un pugno facendomi finire contro uno degli scaffali”.I due detective ascoltarono con attenzione, colpiti dal modo deciso in cui il giovane parlava, senza intoppi, cominciando a credere che quel fatto fosse realmente accaduto.

 “Bhè anche io avrei reagito cosi contro la persona che mi ruba i soldi che ho guadagnato con fatica”. Si intromise Beckett notando che tra i due uomini non scorreva buon sangue.

 “Sai Lenny giura che tu non avrei mai fatto una cosa simile e che la sera dell'omicidio eravate assieme”. Continuò la donna vedendo che Dev non voleva collaborare. Per poterlo incolpare avevano bisogno di una confessione altrimenti avrebbero dovuto rilasciarlo di li a poco per mancanza di prove, il procuratore non avrebbe mai accettato delle supposizioni come motivo di fermo.

 “Ed è cosi infatti, non avevo bisogno di quegli spiccioli”. 

“Già il tuo fascicolo ci dice che prediligi supermercati e benzinai non piccoli negozietti di quartiere”. Sorrise Castle volgendo verso Dev proprio fascicolo. 

“Non serve che me lo mostri, conosco a memoria quello che c'è scritto sopra”. Disse sprezzante chiudendolo e facendolo scivolare verso il detective.

 I due fidanzati si guardarono, non avendo idea di come incastrare il giovane, i fatti non dicevano chiaramente che fosse lui l'assassino. Avevano solo la parola di un immigrato contro quella di un giovane a cui il padre era stato ucciso. 

“Dobbiamo rilasciarlo. La testimonianza di Lenny lo scagiona”. Le sussurrò Castle nell'orecchio, tenendo le iridi fisse su Dev, che avendo capito la situazione aveva un ampio sorriso impresso sulla faccia. Beckett scrollò il capo pronta a parlare quando la porta si aprì e Ryan venne in loro soccorso. 

“Lanie ha confrontato le ferite sul corpo di Vargas con la mazza da hochey del nostro sospettato. Corrispondono”. Tutti e tre si voltarono soddisfatti verso il giovane che sbiancò all'improvviso.

 “Io non ho fatto nulla. Non l'ho ucciso, controllate non troverete tracce di sangue sulla mazza”. Cercò di discolparsi il giovane, agitandosi e alzandosi dalla sedia.

 “Bhè basta qualche detergente e il sangue si pulisce”. Gli fece notare Castle 

“Son fatte di legno, prodotti comuni l'avrebbero rovinata. Controllate pure non troverete nulla. Non sono stato io”. Dichiarò ancora il giovane, puntando il dito contro il tavolo per far valere la sua posizione.

 “Lo faremo, tu intanto mettiti pure comodo”. Parlò Beckett seguendo i due colleghi fuori dalla stanza.

 

“Lanie sta già facendo tutti i controlli”. Gli informò Ryan indicando poi la saletta relax. “Mentre Lenny non vuole andarsene finchè non rilasciamo Dev”.

 “Ok,  tu ed Esposito tenetelo d'occhio”. Disse parlando sempre con l'irlandese. “Io vado giù da Lanie e mi faccio dire se ha scoperto qualcosa di utile”. Ryan annuì ed andò ad avvisare il collega del loro nuovo ruolo di baby sitter.

 “Vuoi che venga con te ?”. Le domandò Castle vedendola scrollare il capo sorridendo.

 “No, sarà una chiacchierata tra donne e tu non sei ammesso.” 

 

Castle si stava annoiando. Era seduto alla scrivania, giocando a solitario sul pc della fidanzata, con il mento appoggiato sulla mano, sbuffando di tanto in tanto. Ryan stava facendo dei controlli, Esposito era con Lenny nella saletta relax a parlare di sport e Beckett era da poco scesa da Lanie a parlare del caso e forse anche del matrimonio.

 “Vedo che siamo l'avanguardia sulle tecniche per impedire gli omicidi”. Scherzò Alexis appoggiandosi sulle spalle del fratello, mettendo la testa vicino alla sua.

 “Lex che ci fai qui?”. Le chiese incredulo Castle andandola ad abbracciare. “Dovresti essere ancora a lezione”. L'ammonì staccandola da se ma sempre tenendole le mani sulle braccia.

 “Avevo due ore con il Professor Schultz e posso permettermi di saltarle”. Lo rassicurò tornando subito dopo seria. “Di cosa mi volevi parlare?”. 

“Uh si certo”. Asserì Castle guardandosi intorno, cercando un luogo tranquillo. “Vieni con me”. Le disse facendosi seguire fino a una delle stanze dove di solito i quattro detective si chiudevano per concentrarsi sui casi. 

“Kate ed io ci sposiamo”. Disse entusiasta Castle quasi saltellando sul posto, con già le braccia aperte per accogliere la gioia della sorella.

 “Oh”. Sillabò Lex andandosi a sedere sulla sedia, poggiando le mani sulle cosce, fissando alcuni fogli presenti sulla tavola accanto a lei.

  

é tutto quello che hai da dire?”. Commentò Beckett vedendo l'amica fare spallucce. “Io ti dico che mi sto per sposare e tu dici solo che sei contenta. Lo so che non è un argomento di cui ti piace parlare in questo periodo. Che succede Lanie?”. Le chiese andandosi a sedere su uno dei tavoli d'acciaio di fronte all'amica.

 “Sono felicissima per voi Kate è solo che ho qualche dubbio a riguardo. Mi chiedo se siete pronti per questo passo”. Rivelò la donna andando a stringere la mano dell'amica, mantenendo un tono di voce amichevole, non volendo di certo cominciare una discussione con lei. Voleva solo spiegarle i suoi dubbi e sperare che la stessa Beckett li dissipasse.

 

 “Wow, non era la reazione che mi aspettavo”. Affermò Castle passandosi una mano nei capelli, nervoso mentre si allentava il primo bottone della camicia.

 “Credimi Rick non potrei essere più felice per voi”. Dichiarò Alexis regalandogli un sorriso genuino. “Mi chiedo solo se hai pensato bene a quello che state per fare”.

  

Bhè Richard ed io stiamo insieme da quasi 5 anni, conviviamo da 4, credo che abbiamo delle buone basi e di esser pronti per questo cambiamento”. Disse la propria opinione Beckett, trovando la cosa naturale, un passo quasi obbligatorio dato il modo in cui si era evoluta la relazione.

 “Si ma il matrimonio comporta molti più sacrifici di quanti ne avete fatti fino ad ora, non è semplicemente mettersi un dito sull'anulare, è molto di più”. Lanie parlava con estrema serietà, quasi avesse provato sulla propria pelle ciò che stava dicendo.

 

“Ora che siete fidanzati è tutto più facile o comunque, a paragone, risulterà più facile di ciò che dovrete affrontare quando sarete sposati”. Continuò Lex lasciando stupefatto il fratello, immaginandosi quel discorso non fatto da una ragazzina di quasi vent'anni data l'importanza dell'argomento di cui stavano discutendo.

 “Ma il fatto che saremo sposati ci renderà ancora più determinati a far funzionare le cose”. Constatò l'uomo con voce decisa, andandosi a mettere in ginocchio di fronte alla sorella. “Ci ho pensato bene Lex, so quello che faccio, so che è ciò che voglio”.

  

Andiamo Lanie ho 34 anni, non 15, credo di essere abbastanza matura per capire queste cose”. Contestò la detective scendendo dal lettino dando le spalle all'amica. Si mise ad osservare i bisturi e gli altri attrezzi pur di non inveire contro Lanie.

 “Si ma hai fatto bene i conti con quello che potrebbe venire dopo o hai detto di si solo perchè presa dal momento? Sei sicura che Castle abbia gli stessi desideri che hai tu?”. Beckett fermò la mano che si muoveva sopra il tavolinetto e si voltò verso l'altra donna volendo una spiegazione. Colpita dalla serietà con cui le aveva appena parlato, capendo bene lo stato d'animo dell'amica data la rivelazione che le aveva fatto tempo addietro, ma Beckett sapeva bene ciò che voleva.

 

 “Rick io ti voglio bene e lo sai ma ti conosco, tu e la routine non andate d'accordo e il matrimonio può ben presto trasformarsi in quello. É per questo che te ne sei andato a 20 anni a Los Angeles, perchè hai lasciato l'fbi per entrare nel Cirg, perchè poi sei rimasto qua a New York. Volevi sempre qualcosa di nuovo e chi mi dice che anche il chiedere a Beckett di sposarti non sia un modo per spezzare quella monotonia che ti assaliva?”. Castle sentì quelle parole colpirlo come un macigno all'altezza del petto, non sapeva se gli faceva male perchè le considerava vere o pechè fosse stata la sorella a pronunciarle con cosi tanto fervore, tanto da farsi venire gli occhi lucidi.

 

 “Se non avessi rischiato di perdere Castle a causa di Stark avresti lo stesso accettato la sua proposta di matrimonio?.”. Cominciò a domandare Lanie avvicinandosi all'amica passo dopo passo ad ogni domanda. “Credi di poter tenere ancora diviso la vita privata dal lavoro?. E se un giorno Castle volesse un figlio saresti pronta a lasciare il distretto perchè è la cosa giusta da fare?”.Beckett si trovò schiacciata tra l'amica e il tavolinetto dietro di lei, senza via di fusa, sentendosi oppressa da quelle domande che le facevano mancare il fiato. Perchè a sentirsi dire quelle cose faceva più paura che a pensarle da sola?

 

“Non è dalla monotonia che voglio scappare Lex”. Disse dopo alcuni minuti di silenzio Castle, seduto a terra con le braccia sulle ginocchia. “Voglio solo dare il degno finale alla mia trasformazione, chiudere in bellezza questo viaggio che ho fatto grazie a Kate, il viaggio che mi ha portato ad essere un uomo migliore.”. Parlò con dolcezza dettata sia dai sentimenti puri che gli invadevano il cuore sia per la tenerezza che la sorella gli faceva in quel momento. 

“è questo che mi fa paura Rick”. Confessò alla fine la giovane scoppiando il lacrime, lanciandosi tra le braccia del fratello che senza parlare l'accolse.

 “Di cosa hai paura?”. Le domandò sospirando tra i suoi capelli, cullandola come non aveva fatto da mesi, sentendola piccola e fragile tra le sue braccia.

  

Sono cose di cui a tempo debito parleremo e che decideremo insieme, seguendo i desideri l'uno dell'altro”. Affermò dopo alcuni istanti Beckett, rimettendosi dritta con la schiena costringendo l'amica a fare qualche passo indietro. “L'accettare di sposarlo è una delle poche cose che ritengo di aver fatte giuste nella vita. Ho combattuto per avere questo, ho lasciato che conoscesse lati di me che altri non immaginano nemmeno, grazie a lui sono potuta tornare me stessa. Non lascerò che nulla rovini quello che abbiamo”. Continuò sempre più decisa, stupendosi anche lei delle sue stesse parole, rendendosi conto per la prima volta che avrebbe rinunciato veramente a tutto per Castle.

 “é per questo che, nonostante io non possa essere più felice di cosi per voi, ho paura”. Beckett guardò l'amica trovandosi senza parole, colpita da quella rivelazione che di certo non si aspettava data la direzione che stava prendendo il loro discorso.

Di cosa dovresti aver paura?”

 

 

“Che se non dovesse funzionare perderei per sempre mio fratello, quello gentile, sensibile, sempre presente degli ultimi anni. Sappiamo entrambi che se non avessi più Kate al tuo fianco non avrebbe per te senso rimanere a New York”. Castle la strinse ancora più forte a se, sentendo le sue lacrime bagnargli a camicia, alzando gli occhi al cielo sentendosi in colpa per far sentire la sorella sull'orlo dell'abbandono. 

“Non rimango solo per lei”. Le disse cercando il suo sguardo. “Rimango anche per te e non perchè tu hai bisogno di me, ma perchè io ho bisogno della mia sorellina sempre pronta a farmi ragionare e a sostenermi come solo lei sa fare”. Le asciugò e lacrime nella speranza di averla convinta ma non osò lasciarla andare, aveva ancora bisogno di sentirla accanto a se.

 

 “Ho visto molte coppie adorarsi come voi dove il matrimonio invece di avvicinarli gli ha allontanati, sono certa che non sia il vostro caso, ma non posso non chiedermi cosa potrebbe accadere se..”. Lanie sospirò e poi buttò fuori tutta l'aria che aveva nei polmoni per farsi forza nel parlare. “Il vero motivo per cui mi preoccupo è che non voglio che voi vi perdiate, perchè credo che se dovesse accadere nessuno dei due ne uscirebbe illeso. In realtà credo che nessuno di voi due sopravviverebbe alla fine della vostra storia.”. Lanie si rattristò, distogliendo lo sguardo dall'amica cosi che non potesse leggere sul suo volto i propri pensieri.

 Beckett sorrise alla tenerezza che le provocava Lanie. Senza dire nulla si avvicinò e l'abbracciò lasciandola basita. “Mi dispiace”. Le sussurrò stringendola forte. “Ero cosi presa che non ho pensato a quello che stavi passando tu, a come ti saresti potuta sentire nel sapere del matrimonio.”. Si sentii in colpa, bagnandosi le labbra e abbassando il capo, abbracciando ancora l'amica.

  

Castle guardò per un ultima volta la sorella, assicurandosi che ogni segno del suo pianto fosse svanito dal viso e poi insieme uscirono dalla saletta dove avevano trascorso l'ultima mezz'ora.

 “Vuoi un thè caldo?”. Le domandò lui sempre tenendola vicina a se, vedendola scrollare il capo. 

“No credo che sia meglio che ritorno al college, si chiederanno dove sono andata”. Castle annuì triste, volendo averla ancora un po' per se.

 “Lex che ci fai qui? È successo qualcosa?”. Domandò Beckett visibilmente preoccupata, lasciando il rapporto sull'autopsia di Vargas sulla scrivania, avvicinandosi a passi veloci alla ragazza.

 “Promettimi che andrà tutto bene, che farete di tutto per far funzionare le cose”. Alexis si avvinghiò anche alla detective cogliendola di sorpresa tanto che per qualche istante il suo cervello non rispose a quell'abbraccio.

 “é una promessa che faccio sia a te che a me”. Giurò Beckett andando a guardare il fidanzato che teneramente le sorrise. Di colpo la giovane però si staccò dalla donna fissando incredula la saletta relax.

 “Che ci fa lui qui?”. Domandò ai due indicando Lenny che ancora stava chiacchierando con Esposito.

 “Lo conosci Lex?”. Chiese Beckett senza accennare al motivo della presenza del ragazzo al distretto.

 “Certo che lo conosco, più volte sono venuta a parole con lui perchè faceva gli sgambetti ai bambini più piccoli sul ghiaccio”. Raccontò guardando l'uno e poi l'altro detective. “E questo è il minimo, in altre occasioni è venuto alle mani con alcuni ragazzi facenti parte della squadra di hockey del centro sportivo”.

 “E pensare che sembrava un cosi bravo ragazzo, cosi calmo e tranquillo”. Dichiarò Castle mettendosi le mani in tasca. “Avrei scommesso che fosse Dev a comportarsi cosi”.

 “Chi Chris?”. Intervenne ancora Lex. “Lui è quello che cercava di tenere sempre a bada Lenny, più volte l'ha fermato dal creare problemi al centro, solo che ogni tanto lo lasciava fare. Quando perdeva la pazienza faceva paura, una volta ha minacciato il padre di una bambina con la mazza da hockey perchè questi gli aveva detto di non lanciare il dischetto dove stavano giocando i piccoli”.

 “A quanto pare perde la pazienza facilmente”. Notò Castle rivolgendosi a Beckett.

 “Lex tuo fratello ed io avremo un po' di lavoro da svolgere”. Affermò Beckett cercando di non far pensare alla giovane che la stava cacciando. “Ma che ne dici se una di queste sere non vieni a casa nostra a mangiare. Pizza e cinema come prima che partissi per il college”. Alexis cercò con lo sguardo il permesso del fratello e poi accettò contenta la proposta della donna.

 “Con molto piacere. Ora però devo andare se no faccio tardi alle lezioni pomeridiane”. I due detective la salutarono e poi tornarono a concentrarsi sul loro lavoro.

 “Come detto da Ryan Lanie ha confermato che i segni sul corpo di Vargas corrispondono ad una mazza da hockey, la strana curvatura non ammette errori. Inoltre ha trovato delle schegge di legno nelle ferite”. La donna passò il rapporto a Castle che però lo ripose sulla scrivania, si fidava di quello detto dalla fidanzata, non aveva bisogno di leggerlo su un pezzo di carta.

 “Ehi Ryan, che ne dici di scambiare due chiacchiere con Dev mentre noi ci occupiamo di Lenny”. Affermò Castle spiegandogli quello che lui e Beckett avevano ipotizzato.

  

“Tuo padre è stato ucciso con una mazza da hockey, lo sapevi Lenny?”. Domandò Beckett facendo accomodare il giovane alla sedia precedentemente occupata dall'amico Dev.

 “No, non lo sapevo. Come potevo”. Fece notare lui avvicinandosi di più al tavolo, cominciando a tamburellare con le dita sul ripiano di queste.

 “Tu sei un bravo ragazzo non è vero. Aiutavi tuo padre in negozio, andavi a scuola, tutto quello che chiedevi in cambio era di passare un po' di tempo con il tuo amico Dev, non è cosi”. Parlò Castle che invece di sedersi prese a camminare per la stanza, volendo testare la pazienza del giovane.

 “Bhè non c'è solo il dovere nella vita, anche a me era permesso divertirmi ogni tanto”. Spiegò il giovane seguendo con lo sguardo il detective, cominciando a sentirsi fuori luogo.

 “Peccato che tuo padre non voleva che tu frequentassi Dev anzi, voleva mandarti in Oregon, cosi che non l'avresti più rivisto”. Lenny non disse nulla, teneva le iridi puntate su Castle che ora aveva preso a camminare dietro di lui, notandolo sempre più agitato sulla sedia.

 “Litigavate perchè frequentavi Dev, perchè troppo spesso prendevi le birre dal negozio, magari ti rimproverava anche perchè vai male a scuola. È difficile per un figlio sentirsi sempre giudicato dal proprio padre”. Continuò Castle parlandogli alle spalle, avvicinandosi di tanto in tanto al suo orecchio prima di rialzarsi di nuovo e riprendere i suoi passi.

 “Voi non capite”. Digrignò i denti il giovane, deglutendo a fatica mentre cercava di mantenere la calma.

 “Sai dei poliziotti stanno facendo dei controlli sulla tua carta di credito”. Lo informò Beckett vedendolo impassibile, quasi quell'informazione non l'avesse toccato. “Ci è sembrato molto strano che hai comprato una mazza da hockey nuova il giorno dopo che tuo padre è stato ucciso proprio con un oggetto simile. Dov'è la tua vecchia?”.

 “Era rotta e l'ho buttata, ora sarà in qualche discarica”. 

“Non ne sarei cosi sicuro. I netturbini non svolgono al meglio il loro lavoro ed è possibile che il cassonetto dove l'hai gettata sia ancora intatto. Ci dici tu quale o costringi i poliziotti a controllarne uno dopo l'altro”. Castle e Beckett ancora si guardarono, decidendo di rincarare la dose dato che il giovane ancora non voleva cedere.

 “Sai credo di sapere perchè tuo padre ti volesse mandare in Oregon e credo che lo sai anche tu. Perchè si vergognava di avere un figlio cosi. Un perdigiorno, che non aveva ne voglia di studiare ne di lavorare, che usciva con pessima gente e che l'unica cosa che sapeva fare era tirare dei colpi a un dischetto. Un bravo ragazzo forse, un figlio di cui andare poco fieri di certo.”. Lenny si alzò di scatto dalla sedia, facendola cadere con un tonfo mentre si scagliava addosso a Castle, afferrandolo per il colletto, facendolo finire contro il muro.

 “Diceva che in Oregon sarei stato bene, che sarei tornato il bravo ragazzo che ero prima ma non capiva che la mia vita era qui, le mie amicizie erano qui. Lui pensava solo alle apparenze e non ha quello di cui avevo bisogno.”. Castle alzò una mano per fermare Beckett che già era pronta a correre in suo aiuto. A parte la camicia stropicciata il ragazzo non stava facendo alcun danno e l'incolumità del detective non era messa in pericolo.

 “E cosi l'hai ucciso, inscenando una rapina. Era l'unico modo per non partire, per non lasciare Dev”. Ipotizzò Beckett sperando di aver capito i motivi che avevano spinto il giovane a compiere quel gesto.

 “Mi ha costretto, non voleva ascoltare le mie ragioni. Era l'unico modo per non andarmene”. Lentamente lasciò la presa su Castle che non si scompose, seguendo con lo sguardo il giovane che andò a rimettere a posto la sedia cosi da poterci sedere sopra. 

“Abbiamo bisogno di una tua confessione scritta”. Affermò Beckett porgendo un foglio e una biro al giovane.

 

 

“Non dico che sei un bravo ragazzo ma mi sbagliavo. Solo perchè il tuo aspetto non preannuncia nulla di buono non vuol dire che saresti capace di uccidere qualcuno”. Disse Castle a Dev mentre gli stringeva la mano dopo che questi aveva raccontato la verità su quella notte, dicendo che era stato Lenny a minacciarlo se non avesse confermato che i due si trovavano insieme.

 “L'apparenza a volte può ingannare. Vedendo Lenny da fuori nemmeno io avrei creduto fosse capace di una cosa simile”. Ammise il giovane vedendo l'amico ammanettato venir portato via da Ryan ed Esposito. 

“Ma è anche vero che uno non può nascondere la sua vera natura a lungo”. Detto questo inchinò il capo in segno di saluto e se ne andò dal distretto, lasciando solo Castle con Beckett.

 

“A che pensi?”. Gli chiese la donna vedendolo particolarmente immerso nei suoi pensieri.

 “La conosci la favola della rana e dello scorpione?”. Le domandò Castle voltando il capo cosi da guardarla.

 “Ne ho un vago ricordo, perchè?”. Ribattè Beckett cominciando a sistemare le cose sulla sua scrivania, pronta per andare a casa a godersi il meritato riposo.

 “Perchè a volte mi sento come quello scorpione”. Confessò lui aiutandola con alcune carte, impilandole con cura una sopra l'altra.

 “E io sarei la rana?”. Domandò offesa lei per il paragone poco carino che l'uomo sapeva avrebbe fatto. 

“Si, ma una rana molto sexy”. Sogghignò vedendola fargli la linguaccia. Castle scrollò il capo cercando di togliersi quei pensieri dalla testa, non volendo aggiungere altre motivazioni al mal di testa che cominciava a farsi sentire. 

“Sarò sempre il tuo sostegno Rick e per quanto possa essere impervio affronterò questo viaggio insieme a te”. Enunciò seria la donna, alzando lo sguardo cosi da incrociare quello del fidanzato.

 “E se durante il tragitto finissi per “pungerti”, tradissi le promesse che ti ho fatto. Rischi di annegare con me”. Dichiarò lui con la tristezza scritta negli occhi. Era quasi sempre convinto di essere cambiato ma di tanto in tanto c'era quella piccola parte ancora viva del vecchio Castle che si faceva sentire e aveva paura che un giorno o l'altro non l'avrebbe più controllata. 

“Possibile”. Asserì la detective dimenticandosi di quello che stava facendo, andandosi a sistemare di fronte al fidanzato. “Ma dopo tutti questi anni credo di essere immune al tuo “veleno”. Conosco sia il Rick di oggi sia quello del passato e ho imparato ad amarli entrambi. Se sarà necessario mi impegnerò il doppio per tenere a galla tutti e due”. La tensione sul viso di Castle sembrò scomparire poco a poco, lasciando spazio a una nuova serenità. Era stata una lunga giornata di lavoro, con confessioni da parte delle persone a loro vicine che non si sarebbero aspettati ma alla fine era tutto come doveva essere. Loro due ancora vicini, ancora innamorati, ancora con il desiderio e la consapevolezza che fosse la cosa giusta da fare. 

“Manca solo un bacio”. Scherzò Castle il cui desiderio venne esaudito all'istante dalla fidanzata.



*****************
 
I motivi di fondo di Lanie che spiegheranno il perchè del suo discorso arriveranno, questi iniziali servono come base per la storia parellale che ho in mente...
Il capitolo è un pò più lungo del solito e me ne scuso se alla fine è risultato noioso




 

Ritorna all'indice


Capitolo 47
*** Cupido indesiderato ***



CASA BECKETT


“Che fai?”. Domandò Castle alla propria fidanzata dando una mescolata alla pasta per poi guardarla sbuffare contro quello che stava visionando al portatile.

 “Sono su un sito dove danno i consigli per organizzare un matrimonio”. Dichiarò lei senza staccare gli occhi da quella pagina. “Non hai idea di quante cose ci sono da fare. Metà di queste nemmeno pensavo esistessero”. Brontolò qualche parola incomprensibile per poi accasciarsi sulla tastiera sconsolata.

 “Forse dovremo chiamare un wedding planner come ci ha consigliato tua madre”. Mugugnò causando l'ilarità di Castle.

 “Te ne pentiresti dopo pochi secondi”. Scherzò abbassando la fiamma del fornello, avvicinandosi poi alla donna. “Forse dovresti farti aiutare”. Affermò massaggiandole le spalle, vedendola reagire rialzando la testa. “Da me”. Aggiunse poi, quando ottenne la sua attenzione. 

“Hai detto a tua madre che per te il pranzo di nozze potevamo farlo senza problemi da Fishy Joe dato che è un tuo amico e per l'occasione avrebbe offerto la sua specialità, cheesecake di gamberetti. “. Lo guardò con uno sguardo pietoso, cercando di fargli notare l'evidenza. 

“A parte che i gamberetti, su questo strato croccante di biscotti e immersi nel formaggio sono deliziosi”. Istintivamente Beckett portò una mano alla bocca sentendosi lo stomaco contorcersi a causa di quella descrizione. “Però ho fatto apposta a dirglielo”. Asserì ricevendo un'occhiataccia poco convinta dalla donna. “é vero”. Insistette non ottenendo però la piena convinzione di ella.

 “Andiamo Kate, lascia che ti aiuti a scegliere il ristorante. In fondo mangiare è la terza cosa che mi riesce meglio, ho buone possibilità di trovare il luogo adatto”. Cercò di fermarla mentre la detective abbattuta, ma con il sorriso sulle labbra, si alzò dalla sedia sulla quale era messa per andare ad occuparsi della cena che l'uomo stava facendo bruciare.

 “Non oso immaginare quali siano le prime due”. Ironizzò scolando la pasta per poi aggiungerci un semplice ma delizioso sugo pomodoro e basilico.

 “Bhè la seconda è catturare gli assassini”. Enunciò appoggiandosi alla tavola con i gomiti, allungando il collo per vedere i piatti colmi di spaghetti. “E la prima, lo sai, non serve che te lo dico”. Aggiunse malizioso, facendole l'occhiolino e divertendosi a farle il verso della tigre contro.

 Beckett rimase a fissarlo con i piatti tra le mani senza dire una parola, limitandosi a inclinare il capo e a serrare le labbra. “Ah Rick tu e le tue convinzioni”.

 “Ehi”. Ribatte lui offeso, allargando le braccia mentre lei divertita gli porgeva il piatto. “Bell'opinione che hai del tuo futuro marito”. Sbuffò lui cominciando a mangiare silenziosamente, facendo sentire Beckett leggermente in colpa. 

“Davvero vuoi essere cosi partecipe nella preparazione?”. Domandò seria lei versandosi un bicchiere di vino, facendo poi lo stesso con quello dell'uomo.

 “Certo, perchè non dovrei”. Parlò con la bocca piena, ringraziandola alzando il bicchiere prima di bere per aiutarsi a mandare giù il boccone.

 “Pensavo che non saresti stato interessato a queste cose da donne”. Spiegò lei tenendo gli occhi sulla forchetta che muoveva lentamente in senso orario cosi da raccogliere gli spaghetti. “Mia madre mi ha detto che l'unica cosa che mio padre ha fatto per il loro matrimonio è stato scegliere il proprio abito perciò credevo che anche tu avresti fatto lo stesso.”

 “Ah Kate tu e le tue convinzioni”. Sospirò lui usando volutamente la sua battuta precedente. “Se me lo chiedessi ti accompagnerei anche a scegliere il semplice nastrino da mettere sugli inviti.”

 Beckett lo guardò dubbiosa per alcuni secondi, incerta se credergli o meno, facendo ancora fatica a volte a capire quando scherzasse o meno.

 “Quindi..”Cominciò tentennando. “Se questo sabato ci mettessimo a fare la lista degli invitati e a cercare qualche ristorante tu non troveresti una scusa per scappare?”

 “Nemmeno l'omicidio più spettacolare potrà tenermi lontano”. Asserì lui con un sorriso velato sulle labbra, facendo cozzare il suo bicchiere con quello di lei andando poi a bere di nuovo. Beckett allungò una mano sopra la tavola porgendogliela a lui, il quale rimase inizialmente perplesso su quel gesto.

 “Abbiamo un accordo signor Castle?”. Domandò lei facendolo sogghignare.

 “Abbiamo un accordo signorina, ancora per poco, Beckett”. 

 

12th DISTRETTO

 

“Che sta facendo Beckett?”. Domandò Esposito passando accanto alla scrivania della donna, trovandola vuota mentre ella si trovava nella saletta relax intenta a parlare al cellulare.

 “Sta parlando con suo nonno”. Rispose Castle con una leggera smorfia, avendo ancora qualche riserva sull'uomo. L'aveva si accettato come fidanzato per la nipote, ma marito era tutt'altra questione.

 “Quel vecchio pazzo che ti ha messo sotto il poligrafo”. Constatò il cubano tirando una pacca al collega. “Dai come regalo di matrimonio sono certo che troverà un nuovo mezzo di tortura. Elettricità o forse immersione nell'acqua ghiacciata”. Castle gli lanciò un occhiataccia spazientita che lo fece ridere maggiormente.

 “Riderei anche io se non avessi il dubbio che il vecchio ne sarebbe capace”. Attestò il detective sentendosi trapassare il corpo da un brivido. “Quell'uomo ha più di novant'anni, è sulla sedia a rotelle eppure mi sembra il generale Rommel in pensione”. Bofonchiò Castle osservando la fidanzata, il movimento delle sue labbra, per cercare di comprendere ciò che lei stava dicendo.

 “Vuoi che metto una cimice nel suo telefono?”. Domandò ironico Esposito guardando il collega, provando una piacevole sensazione di vederlo cosi tormentato.

 “Uhm non ancora”. Disse serio il detective. “Aspetterò la prima discussione cosi, quando si rivolgerà a Lanie per trovare in lei un alleata molto pericolosa, saprò cosa devo temere e quanto lontano devo scappare”. 

“Ah amico quanto non ti invidio in questo momento”. Continuò Esposito non avendo altro da fare, preferendo scocciare Castle che starsene alla scrivania a non far nulla.

 “Andiamo, non vorresti anche tu fare questo passo con Lanie?”. Domandò Castle scostando lo sguardo dalla fidanzata per studiare la reazione del collega. Esposito ci pensò su qualche secondo, incrociando le braccia al petto, lasciando che i pettorali si gonfiassero sotto la stretta maglietta indossata.

 “è una cosa da donne. Io me ne sto bene cosi, senza troppe responsabilità, senza obblighi vari.”. Dichiarò inspirando con il naso, passandosi la mano sotto di quello per asciugare il sudore che vi si stava formando sotto.

 “Andiamo siete gli unici della squadra a non essere ancora incatenati l'un l'altro”. Insistesse Castle notando un leggero imbarazzo nel suo interlocutore.

 “E rischiare cosi di diventare come Ryan, succube di Jenny a cui deve chiedere anche il permesso per uscire a prendere una birra e che gli fa indossare quelle cravatte orrende. O come te che rischia ogni giorno di essere bruciato vivo dagli sguardi di Beckett. Non ci penso nemmeno”. Emise una risata stridula alzando il capo verso il cielo, muovendosi agitato sui propri piedi. 

“Ti ha risposto picche non è cosi?”. Chiese Castle con aria seria, avendo imparato in quegli anni che quel fare teso del collega voleva significare solo una cosa. Una nuova guerra con Lanie.

 “Picche? A me?”. Ridacchiò ancora sembrando una scolaretta, indicandosi e ponendosi invece come un uomo pronto alla lotta.

 “Si l'ha fatto”. Dichiarò ad un certo punto non resistendo oltre allo sguardo inquisitorio del collega, sapeva diventare insistente e fastidioso solamente fissando una persona ed Esposito non sopportava stare troppo sotto i riflettori, gli sembrava di essere uno dei suoi sospettati messo all'angolo. 

“Ha detto che non è ancora pronta per sposarsi”. Cominciò a raccontare ancora incredulo per le parole della fidanzata. “Ancora pronta?!. Ha 36 anni. Se fossimo a Cuba sarebbe considerata alla stregua di una zitella”. Ammise tenendo il tono della voce basso ma dalla quale comunque lasciava trapelare un certo malessere. 

“Forse non ha trovato la persona giusta. La vedo insieme a un bell'uomo, muscoloso, aitante, un gentiluomo con un conto in banca da fare invidia alla regina d'Inghilterra, sai un tipo sulla falsa riga di Bruce Wayne. Tu a paragone sembri invece Robin, il tappabuchi per quando Batman è impegnato”. Lo canzonò Castle con l'intenzione di fare una battuta che però non venne colta dal collega che anzi, sentendosi offeso, chiuse la mano in un pugno e colpi l'altro detective sulla spalla, facendolo gemere dal dolore.

 “Non è divertente amico, non lo è”. Disse guardandolo storto tornando alla propria scrivania.

 “ahhh”. Sibilò Castle tenendosi il punto dolorante, ritrovandosi sulla sedia a dondolare il busto avanti e indietro.

 “Che è successo?”. Domandò Beckett tornando verso di lui avendo finito la conversazione con il parente. Scrutò con la coda dell'occhio Esposito che ancora lanciava sguardi minacciosi in loro direzione mentre il fidanzato continuava a lamentarsi. 

“Dammi ancora un minuto”. Chiese riprendendo i suoi movimenti, chiudendo anche gli occhi. “ahhh”. Sussurrò ancora cominciando a massaggiarsi il braccio. 

“Castle?”. Incalzò Beckett vedendolo ancora esprimere il proprio dolore nella stessa maniera in cui l'avrebbe fatto un bambino, se si fosse sforzato ulteriormente la detective sapeva che sarebbe riuscito anche a piangere. Attore come sua madre, sbuffò.

 “Ho perso l'uso del braccio”. Si lamentò guardandola per una frazione di secondo. “Mi sa che i piatti dovrai lavarli solo te d'ora in poi”. Trattenne un sorriso mentre, con la testa abbassata, la studiava con la coda dell'occhio, accentuando i suoi lamenti quando sul volto della donna si palesò un espressione esasperata. 

“Andiamo Castle non ti ci mettere anche tu”. Bofonchiò andandosi a mettere seduta sulla propria sedia, attirando l'attenzione del fidanzato che cessò la sua sceneggiata. 

“Problemi con tuo nonno?”. Domandò immaginando che il suo sconforto fosse dovuto a quello data la conversazione che i due Beckett avevano avuto fino a qualche attimo prima

 “No, no anzi”. Lo rassicurò poggiando una mano sulla sua coscia. “Mio nonno è contento che ci sposiamo, non vedeva l'ora che anche io mi accasassi”. Spiegò non riuscendo però a mitigare le preoccupazioni del detective.

 “Solo che non verrà al matrimonio”. Castle fece per obiettare credendo di essere lui la causa di quella decisione ma la donna lo fermò all'istante, posando il dito indice sulle sue labbra. “Non verrà perchè date le sue condizioni di salute non può prendere l'aereo e figuriamoci affrontare un viaggio in macchina”. 

“Mi dispiace”. Asserì l'uomo ricevendo un ulteriore occhiata poco carina. “é vero, negli ultimi mesi tuo nonno ed io abbiamo migliorato il nostro rapporto”. 

“Non definirei migliorare un rapporto il semplice “ricambia il loro saluto” quando li sento per telefono”.Puntualizzò Beckett costringendo Castle a mettersi subito sulla difensiva.

 “Tu sempre a mettere i puntini sulle i però”. Si lamentò lui come un bambino appena sgridato, con il viso imbronciato e la dose di testardaggine utile per fargli dare le spalle alla fidanzata.

 “Potremmo andarli a trovare”. Bisbigliò lui non cambiando la propria postura. “Prima del matrimonio, sono mesi che non andiamo in fondo”. Seppur a Castle piacesse andare in quei luoghi, in compagnia dei cugini di Beckett, aveva sempre qualche remore dello stare sotto lo stesso tetto del vecchio Beckett e degli sguardi assassini che ogni tanto l'uomo gli lanciava quando non trovava le battute del detective divertenti, ovvero sempre. 

“Si infatti”. Commentò Beckett dandogli un buffetto sulla gamba prima di rimettersi in piedi. “Gli ho già detto che andremo da loro una settimana questo agosto”. Lo mise al corrente della seconda parte della conversazione avuta con il parente scatenando cosi una sua reazione.

 “Mi hai fatto venire i sensi di colpa apposta non è cosi”. L'accusò mettendosi in piedi accanto a lei, puntandogli il dito contro e guardandola incredula. “Sei più subdola di quanto pensassi”.

 “E tu sei troppo facile da convincere”. Affermò lei sorridendo prima di dargli un bacio in segno di pace.

 “Subdola e ammagliatrice”. Si corresse rubandole un altro bacio ancora.

 

 “Ehi ragazzi, abbiamo un nuovo caso”. Li interruppe Ryan tenendo la cornetta tra la testa e la spalla mentre sul taccuino andava a scrivere l'indirizzo della scena del crimine.

 “Ehi Espo”. Lo chiamò Castle cercando di trattenere quel sorrisetto che gli nasceva spontaneo sulle labbra.

 “Se fai un altra battuta ti giuro che da domani dovrai usare una dentiera”. Lo minacciò il cubano mentre Beckett guardò Castle rimproverandolo solo con lo sguardo, avendo già capito che ne aveva combinato un altra delle sue. 

“Volevo solo augurarti buon viaggio”. Affermò sgranando gli occhi e tossendo nervosamente cercando di riguadagnare una certa postura. 

“Che gli hai già detto?”. Domandò Beckett dirigendosi verso l'ascensore insieme a lui. 

“ È lui che non capisce le mie battute. Perchè deve essere colpa mia?”. Si difese il detective allungando il braccio indicando una parete volendosi riferire però al collega. 

“Non saprei Castle”. Asseri la donna spontanea. “Forse perchè il 90% delle tua battute non fa ridere”. Affermò sillabando con decisione le ultime parola cosi che lui potesse ricevere il messaggio.

 “Non le trovate divertenti perchè non le capite”. Puntualizzò lui seguendola verso la macchina cosi da dirigersi verso la scena del crimine. 

 

Una volta giunti sul luogo Castle con passo felpato si avvicinò a Lanie che ancora stava studiando il cadavere, non prestando attenzione a ciò che lei riepilogava riguardo le cause della morte dell'uomo.

 “Ok, andiamo a sentire i testimoni e vediamo che possono dirci”. Beckett si tolse i guanti di lattice riponendoli nella tasca della giacca indossata. “Non vieni Castle?”. Gli domandò quando lo vide ancora accucciato accanto al medico legale. 

“Si si, arrivo. Inizia pure ad andare”. Disse senza nemmeno guardarla, congedandola con un gesto deciso della mano mentre le sue iridi rimanevano incollate su Lanie. 

“Lanie, psst”. Cominciò a dire a bassa voce cosi da instaurare un discorso. Il medico però non si mosse ma continuò a osservare la vittima, cercando tracce di tessuti sotto le unghie.

 “Ehi Lanie, pssst”. Insistette ancora dandole un colpettino alla spalla e avvicinandosi ancora di più a lei. La donna si schiarì la voce ma ancora non si interessò dell'uomo, intenta a parlare ora con un agente della scientifica, dandogli alcune istruzioni insieme a delle prove da analizzare.

 “Lanie pssssssst”. 

“Castle se il tuo intento è quello di farmi andare in bagno ci stai riuscendo, se non lo è smettila all'istante”. Lo minacciò puntandogli la penna contro e guardandolo spazientita. 

“Anche Beckett mi lancia quelle occhiatacce quando la infastidisco”. Notò lui innocentemente. 

“Ma dai, chissà perchè?”.Ironizzò la donna che si alzò venendo seguita come un ombra da lui.

 “Che vuoi Castle?”. Gli domandò lei facendo roteare gli occhi, sapendo bene che lui non avrebbe ceduto fino a quando non avesse raggiunto lo scopo voluto.

 “Sai credo che Javi e tu stareste bene nei panni di marito e moglie”. Constatò essendosi prefissato il compito di fare da motivatore tra i due amici.

 “E poi mica vorrete fare i diversi. Ryan è sposato, Beckett ed io siamo in procinto, mancate solo voi”. Sottolineò il detective con fare naturale, appoggiandosi al camioncino della scientifica dove la donna stava riponendo alcune cose. 

“Sei già entrato in quella modalità”. Affermò la donna assumendo la sua stessa posizione, osservando il volto dell'uomo farsi dubbioso.

 “Che modalità?”. Chiese lui a bassa voce immaginandosi qualcosa di negativo e che perciò non voleva far sentire agli altri agenti che gli giravano intorno.

 “Modalità cupido”. Ribatte lei. “Un cupido indesiderato e fastidioso”. Aggiunse chiudendo lo sportello del camioncino facendo sobbalzare l'uomo.

 “Non è che solo perchè tu sei felice, che ti stai per sposare, allora anche tutti quelli che ti circondano devono farlo sai”. 

“Bhè state insieme da più tempo di noi due, pensavo fosse una cosa carina da suggerire”. Allargò le braccia per poi fare spallucce l'uomo mentre ancora la seguiva lungo tutta la scena del crimine, fermandosi ogni volta che lei lo faceva, ripartendo quando Lanie cercava di allontanarsi. 

“I tuoi Castle non sono mai suggerimenti”. Corrugò la fronte il medico continuando a camminare, cercando con gli occhi Beckett, volendo il suo aiuto.

 “Sono tutti propositi di cui poi ti vuoi prendere il merito”. 

“Prima Esposito ora Lanie, Castle”. Si sentì la voce di Beckett alle loro spalle pronta a riprendere il fidanzato anche senza conoscere il motivo. 

“Sto solo cercando di aiutare”. Sbuffò lui abbassando la testa, dando qualche calcetto al terreno.

“Pensavo fosse carino che anche loro si sposassero”. Affermò indicando con il capo Lanie mentre Beckett andava ad osservarla scusandosi.

 “Devi capire Castle che non tutti sono cosi propensi al matrimonio”. Gli fece notare Beckett cercando di allontanarlo dall'amica. 

“C'è qualcosa che non so?”. Domandò abbassandosi verso l'orecchio della fidanzata, cosi da bisbigliare in modo che il medico legale non cogliesse il discorso.

 “Non c'è niente che tu debba sapere”. Dichiarò la detective afferrandolo per un orecchio, portandolo lontano dalla scena del crimine nonostante le sue proteste.

 

 “Però c'è qualcosa in atto non è cosi”. Si liberò lui dalla sua presa, massaggiandosi il lobo diventato completamente rosso. Beckett si mise in assetto da guerra, con le gambe leggermente divaricate e le mani sui fianchi mentre lo guardava sbuffando per togliersi una ciocca di capelli da davanti agli occhi. 

“Tu non devi intrometterti se no finirai solo per farli litigare”. 

“Non mi dire che Lanie ha tradito Esposito?”. Bisbigliò guardandosi attorno con circospezione, assicurandosi che i due interessati non fossero troppo vicini.

 “Perchè non potrebbe esser stato il contrario?”. Si accigliò la donna sentendosi colpita nel proprio intimo femminile, infastidita dal fatto che il suo sesso fosse sempre considerato la causa di ogni disputa.

 “Perchè se fosse stato il contrario Javi a quest'ora sarebbe a tocchetti in una delle celle dell'obitorio”. Beckett si trovò d'accordo con la sua obiezione e non osò replicare, tornandosene alla propria macchina cosi da dirigersi al distretto dove poter cominciare a svolgere le loro indagini. 

“Andiamo dimmi che succede?”. Continuò lui anche quando furono dentro la vettura, con il braccio allungato sul sedile di lei, prestandole la più completa attenzione. 

“Quella di Lanie si può definire una rivalsa”. Enunciò spazientita dal fare del fidanzato ma anche contenta di poter confessare questa cosa a qualcuno.

 “Che ha combinato Espo per non farsi sposare?”. Si domandò lui vagliando tutte le possibilità che potevano portare a un rifiuto per una proposta simile. Javi era un bravo ragazzo, che amava profondamente Lanie, non lo credeva capace di commettere un fatto cosi indecoroso tanto da meritare quel no. 

“Lanie vuole un figlio prima che sia troppo tardi per lei ma Esposito non è dello stesso avviso. Perciò non lo vuole sposare, non capisce perchè compiere un passo cosi importante quando non vuoi ciò che ne può scaturire”. Rivelò alla fine la donna, appoggiandosi al sedile con la testa e fissando fuori dal finestrino l'amica che dava istruzioni su come spostare il cadavere.

 “Bhè non è necessario essere sposati per fare un figlio. Basta un letto o il sedile posteriore di una macchina”. Contemplò l'uomo voltandosi a fissare il retro della vettura. “Non credo che salirò ancora in macchina con Esposito”. Affermò con un espressione di disgusto dipinta sul volto. 

“Noto con piacere che la tua capacità di rimanere serio per più di 5 secondi non è minimamente migliorata”. Constatò Beckett avviando il motore e partendo per il distretto. 

Lui gli fece una smorfia divertito mentre lei, dopo un debole sorriso, tornò improvvisamente seria, preoccupata per l'amica ma anche con pensieri propri per la testa.

 “Davvero Rick, non intrometterti”. Disse osservandolo tristemente tanto che l'uomo si preoccupò di quella sua strana reazione.

 “Mi nascondi qualcosa Kate?”. Chiese lui con voce calma, non staccandole gli occhi di dosso mentre lei stringeva le mani sul volante, mordendosi il labbro inferiore. Cercò il suo sguardo per un istante prima di aprire bocca. 

“Lo so che è presto parlarne”. Parlò bloccandosi di colpo, cercando di trovare le parole più adatte, per non ferire lui o se stessa. “ma...”

 “Ma?”. La incoraggiò lui quando la vide incapace di continuare.

 “Se un giorno accadesse tu..”. Ipotizzò non concludendo la frase, lasciando che il fidanzato la capisse e le desse la risposta di cui aveva bisogno.

 “Sarei felice”. Asserì deciso inarcando un lato della bocca, appoggiando una mano sulla sua posata sul cambio. “Ma hai ragione, è troppo presto parlarne ora”.

 Beckett si rilassò sul sedile, avendo ricevuto la conferma di quello che sapeva già ma in cuor suo sapeva che presto o tardi quella sarebbe stata una questione da affrontare e i dubbi che aveva non erano su Castle ma su lei stessa. Un giorno sarebbe stata costretta a guardarsi dentro e a chiedersi se fosse veramente pronta, senza aver la possibilità di imbrogliare.



****************

Piccolo capito per gettare le basi per la trama secondaria che vorrei sviluppare di tanto in tanto in quelli che verranno. Nel prossimo tornerò sulla questione matrimonio, per la precisione la location, giusto per dare degli attimi di gioia a sti due poveretti prima di tornare a tormentarli...

 

Ritorna all'indice


Capitolo 48
*** Il posto perfetto ***



CASA CASTLE


Finalmente era giunto sabato e come promesso Castle di buona mattina si preparò per accompagnare Beckett in diversi ristoranti. 

Si sfregò gli occhi arrossati mentre finiva di consumare una fumante tazza di caffè, in attesa che la fidanzata lo raggiungesse cosi da partire, spostando le iridi sul foglio scritto a mano dalla donna che giaceva abbandonato su uno dei ripiani. La sera precedente avevano fatto un conto veloce dei possibili invitati e non poteva non saltargli all'occhio la differenza che vi era tra gli invitati della fidanzata e i suoi. La lista di Beckett era quasi infinita mentre la sua contava poche decine di persone. I suoi genitori erano figli unici e con i parenti lontani non aveva un gran rapporto anche se sua madre gli suggerì comunque di invitarli, per non far torto a nessuno, si giustificò. Leggendo la lista degli amici però non pote non sentire un certo vuoto. Avrebbe voluto aggiungere anche i suoi amici, i suoi colleghi, di Los Angeles ma ciò che era stato glielo impediva, non poteva risultare alcun collegamento tra i membri della squadra e invitarli a un matrimonio sarebbe stato troppo anche per loro che erano sempre stati attenti. Beckett aveva provato anche a consolarlo, sapendo bene quanto potesse dispiacergli, e la sua idea di andare a Los Angeles come tappa del viaggio di nozze non gli sembrò cosi brutta, avrebbe cosi potuto contattare i vecchi amici e dargli la bella notizia, dimenticandoseli poi per chissà quanto altro tempo.

 

“Tutto a posto?”. Domandò la donna scendendo dalle scale, passandosi una mano nei capelli, pettinandoli con le dita cosi da dargli una forma più voluminosa.

 “Stavo pensando a quanto mi costerà questo matrimonio”. Sogghignò lui riponendo la tazza nel lavandino e raggiungendola, aiutandola ad indossare la giacca, togliendole i capelli da dentro di questa.

 “Sai come la penso a riguardo”. Gli ricordò lei, guardandolo con fare minaccioso, non fidandosi minimamente delle sue intenzioni che, seppur fossero buone, erano ritenute da lei esagerate.

 “Nulla di eccessivo e le spese si dividono”. Ripetè Castle quel desiderio che lei le aveva ribadito più e più volte. Si perse per un istante a guardarla, disposto a dilapidare tutta la sua fortuna per rendere quel giorno perfetto per lei, ma ben conscio che nulla si sarebbe mai avvicinato alla perfezione quando si paragonava quel tutto alla donna.

 “Permettimi solo di comprarti una cosa come dono di nozze.”. La pregò lui facendo scivolare la mano sinistra sul suo fianco mentre con il dorso della destra le andava ad accarezzare una guancia.

 “Che cosa?”. Domandò curiosa lei, intuendo già che ciò che il fidanzato aveva in mente l'avrebbe lasciata senza parole.

 “Lo scoprirai a tempo debito”. Ridacchiò lui pronto a prendersi quel bacio che sapeva di meritare. 

“Non hai la minima idea di che comprarmi vero?”. Allontanò i loro visi la donna, andandolo ad osservare divertita mentre Castle faceva una delle sue solite facce di quanto veniva colto in flagrante.

 “Nemmeno una”. Confessò ricevendo comunque quel bacio come ricompensa per il semplice pensiero. Beckett sentì la sua mano poi farsi largo sotto la giacca, salendo lungo il fianco, causandole un leggero solletico, e, quando arrivò all'altezza del seno, lo schiaffeggiò per farlo desistere.

 “Abbiamo degli impegni. Magari più tardi se ti comporti bene”. Lo stuzzicò lei mordendogli con fare accattivante il labbro, sciogliendosi nel contempo dal suo abbraccio.

 

“Allora dalla lista fatta ieri qual'è il ristorante che più ti attira?”. Domandò Castle raggiungendo le chiavi prima di lei cosi da avere il diritto di poter guidare almeno nei giorni in cui non si trovavano al distretto.

 “é il River cafè”. Disse ad alta voce cosi da informare anche il compagno. “Quello più semplice tra tutti, se cosi si può definire. Sotto il ponte di Brooklyn con vista sull'Hudson e su Manatthan”. Riepilogò vedendolo storcere il naso. 

“Cosa?”. Sbuffò lei riponendo il foglietto in tasca. “Avevi detto che ti piaceva quel posto, ci siamo stati diverse volte a mangiare”. Gli ricordò lei notando un altra smorfia da parte sua.

 “Si, si mangia bene”. Affermò lui non troppo convinto. “Ma verso sera inizia a sentirsi il fastidioso rumore del traffico. Pensa se facciamo il nostro primo ballo con il sottofondo di clacson e parole poco cordiali”. La guardò con una faccia disgustata ma divertita. 

“Riesci a trovare qualcosa che non va i tutto. O son le zanzare o è il traffico o i camerieri antipatici”. Brontolò lei alzando le braccia la cielo, pentendosi già di averlo fatto partecipare a quella ricerca.

 “Sto solo cercando di convincerti di qualcosa che sai benissimo anche tu. Non è il luogo che hai immaginato per il tuo matrimonio ma testarda come sei non me lo vuoi dire sempre per questa questione economica”. Attestò tenendo gli occhi fissi sulla strada ma muovendo il corpo a ritmo di musica, inventandosi di tanto in tanto alcune parole cercando di seguire il cantante, la cui voce usciva dalla radio. 

“Sarà un giornata lunghissima”. Sospirò lei appoggiandosi al finestrino alla sua destra, nascondendo con i capelli quel sorriso nato dal fatto che poteva passare un intera giornata con Castle, senza interruzioni da parte della famiglia o dal distretto, sarebbero stati solo loro due e basta. 

 

“Sarà anche buono”. Commentò Castle masticando il boccone che aveva in bocca e indicando con la forchetta il piatto di pasta con polpa d'aragosta che aveva davanti a se. “Però se al matrimonio facessimo porzioni cosi misere alla fine gli invitati ci chiederebbero di portarli in pizzeria”. A sentire quelle parole Beckett gli tirò un calcio da sotto il tavolo, facendolo sussultare e mugugnare mentre teneva la bocca chiusa per non sputare ciò che essa conteneva. 

“Apprezzo la tua sincerità Rick ma non è necessario far sapere la tua opinione a tutti i presenti”. Arrossì lei osservando un cameriere che passando accanto gli lanciò un'occhiataccia, sperando che non fosse a causa di ciò che il fidanzato aveva affermato. 

“Sai, secondo mia madre dovremmo assumere qualche bodyguard”. Dichiarò ad un certo punto l'uomo, cambiando discorso, vedendo il cameriere tornare per riempire i loro bicchieri, invitato da Castle a versargliene molto di più mentre Beckett rifiutò mettendo una mano sopra il calice e negando con il capo. 

“Perchè mai dovremmo averne bisogno?”. Domandò curiosa pulendosi la bocca con il tovagliolo prima di riporlo con attenzione sulle gambe.

 “Quello che le ho detto io. In fondo ci saranno decine di poliziotti, a che servono dei bodyguard”. 

“La mia domanda rimane Rick. Perchè dovremmo avere bisogno di tutta sta sicurezza”. Chiese lei cominciando a preoccuparsi, le guardie del corpo, al suo matrimonio, era una cosa che nemmeno nelle sue più bizzarre fantasie aveva contemplato. 

“Senza nulla togliere a te”. Enunciò andando a gustare il vino pagato oltre 100 $. “Il fatto di essere figlio di una famosa attrice e di un multimilionario comporta qualche precauzione in più.” Fece roteare il vino nel bicchiere, chiudendo un occhio per studiarne il colore, quasi fosse un esperto del campo, ma approfittandone per prendersi una piccola pausa. “La nostra relazione non è mai stata particolarmente seguita, a parte qualche dichiarazione di mia madre, ma ciò non toglie che un matrimonio possa suscitare qualche scalpore in più e, per evitare che qualche fotografo indesiderato rovini la nostra giornata, sarebbe il caso di assumere qualche “gorilla””. Spiegò Castle tornando poi a consumare il suo pasto mentre Beckett sembrò perdere di colpo l'appetito.

 Era felice del fatto che nessuno si fosse mai intromesso nella loro relazione ma questa nuova ipotesi non la rendeva per nulla tranquilla. Non voleva che qualcuno dicesse malignità contro di loro. Era ben abituata ai gossip da riviste scandalistiche e mai le era passato per la testa che un giorno anche lei sarebbe potuta essere su quelle pagine. In quel momento quell'idea la fece rabbrividire, non voleva che ciò accadesse.

 “Forse non è una cattiva idea”. Constatò buttando giù diversi sorsi d'acqua per bagnarsi la gola diventata improvvisamente secca. In un solo istante diversi dubbi l'assalirono su quel matrimonio.

 “Andiamo Kate non vorrai dare ragione a mia madre”. Ridacchiò lui allungando una mano sul tavolo per andare a prendere la sua e cercare di rassicurarla, accarezzandole con il pollice il dorso.

 “Vorrei solo evitare di fare la fine di quelle femme fatal che si leggono sul giornale venendo definita come un'approfittatrice che ti sposa solo per i tuoi soldi”. Sussurrò lei sporgendosi sul tavolo cosi da esser più vicina all'uomo. 

“Peccato che i soldi che ho non sono i miei ma di mio padre quindi ...”. Puntualizzò lui non facendosi alcun tipo di problema sulla questione a differenza della fidanzata.

 “Coraggio Rick fai il serio”. Lo supplicò lei scostando lo sguardo verso la vetrata e il fiume poco lontano da quella.

 “Kate, ti importa di più di quello che potrebbero scrivere alcuni giornalisti da quattro soldi, o di quello che so io?”. Le chiese lui stringendo con delicatezza la presa sulla sua mano cosi da farla voltare di nuovo verso di lui.

 “Lo sai che di loro non mi è mai importato”. Asserì lei trovando i suoi occhi e il suo volto che si rilassò all'istante.

 “Allora queste tue paranoie sono inutili. So che non mi sposi per avere fama e ricchezza ma perchè probabilmente sei pazza oppure hai cosi tanta pietà di me che ti dispiace vedermi passare la mia vita da solo”. Ipotizzò lui facendo dondolare la testa incollando gli occhi al soffitto e a uno dei lampadari appesi a quello.

 “Diciamo entrambe”. Sorrise lei riacquistando il suo buon umore, andando a finire il piatto di pasta non sentendo più quel peso sullo stomaco che l'aveva attanagliata in quegli ultimi minuti.

 “E comunque”. Riprese a parlare Castle tenendo lo sguardo basso, tormentandosi le dita trovandosi all'improvviso imbarazzato davanti alla compagna. “Se i giornalisti vogliono scrivere di noi dobbiamo dargli qualcosa perchè lo facciano come si deve. Per esempio il ricevimento in un luogo più bello di questo”. Asserì abbassando la voce nella parte finale cosi da non mettere ancora a disagio Beckett. “Magari quello che hai sempre desiderato”. Affermò tornando a guardarla con occhi dolci e adoranti alla quale la detective difficilmente riusciva a resistere.

 “Tappan Hill Mansion”. Enunciò Beckett dopo un paio di minuti, appoggiando il cucchiaio e la forchetta sul piatto, piegando il tovagliolo e riponendolo sulla tavola cosi che il cameriere non avesse difficoltà a portare via il tutto.

 “Che sarebbe?”. Domandò l'uomo aggrottando la fronte in attesa di delucidazioni. Non era un nome che gli suonava famigliare, non aveva mai sentito nessun ristorante chiamato cosi.

 “é il posto dove ho sempre voluto che si svolgesse il mio matrimonio”. Dichiarò lei serrando le labbra e alzando le spalle, sistemandosi i capelli dietro l'orecchio nervosa.

 “Si trova qua vicino?”. Domandò Castle sollevandosi leggermente dalla sedia cosi da estrarre dalla tasca posteriore dei pantaloni il portafogli e richiamando con la mano libera l'attenzione di un cameriere.

 “A 40 minuti dalla città perchè?”. Chiese Beckett osservando i suoi gesti. Vedendolo pagare l'uomo appena giunto al tavolo scusandosi per la fretta, dandogli anche una generosa mancia per il disturbo.

 Castle si alzò di tutta fretta e invitò la donna a fare lo stesso, aiutandola a infilarsi la giacca e a recuperare le sue cose. 

“Che intenzioni hai?”. Gli chiese venendo trascinata fuori dal ristorante, avendo già una minima idea di quello che lui aveva in mente, mordendosi la lingua per aver rivelato quel particolare.

 “Andiamo nel posto dei tuoi sogni”. Disse lui fermandosi sui suoi passi, piantandosi di fronte a lei.

“Ascoltami bene”. Le ordinò facendosi improvvisamente serio. “Ho intenzione di sposarmi soltanto una volta nella mia vita, con la donna più straordinaria che io abbia mai conosciuto. L'unica cosa che posso fare per ringraziarla per avermi accettato come suo marito è quella di rendere quel giorno il più perfetto, il più meraviglioso possibile e se per farlo dovrò smuovere mari e monti che sia”. Puntualizzò prendendole con dolcezza e decisione il viso tra le mani, costringendola a guardarlo negli occhi e leggervi in essi la sua determinazione. “Spenderei volentieri tutti i risparmi di questi ultimi anni sapendo che comunque non sarà mai abbastanza, non si avvicinerà mai a quello che meriti. Perciò permettimi di far tutto quello che è in mio potere per far si che la realtà si avvicini almeno un po' al tuo sogno”.

 “Ti odio”. Proferì Beckett, sentendosi il labbro inferiore tremare e gli occhi cominciarle a bruciare, ma avrebbe resistito, non voleva che il matrimonio la rendesse cosi fragile.

 “é il prezzo da pagare per stare con me”. Le sussurrò nei capelli mentre con le mani le massaggiava la schiena. “Farò in modo che, giorno dopo giorno, tutto ciò che hai sempre desiderato si avveri”.

 Beckett lo baciò con passione, dimenticandosi di tutte le persone che camminavano lungo la strada e che li osservavano. Invidiosi, le piaceva pensare, perchè loro non potevano avere accanto una persona quale Castle, perchè non potevano capire cose volesse dire sentirsi amati veramente.

 

 “Allora questo posto proprio non me lo vuoi descrivere?”. Domandò Castle alla fidanzata che sedeva accanto a lui nella macchina. Stava guidando verso quel luogo con calma dato che la proprietaria, dopo che il detective l'aveva chiamata per fissare un appuntamento, aveva detto loro di incontrarli dopo un ora.

 “E rovinarti cosi la sorpresa. Voglio che tu provi le stesse emozioni che ho sentito io la prima volta che vi ho messo piede”. Gli spiegò la donna non vedendolo particolarmente soddisfatto della cosa. Castle era cosi, gli piacevano le sorprese ma voleva avere nel contempo anche tanti piccoli indizi per solleticargli la mente. 

“Quel posto sarà comunque bello quando ospiterà te in abito bianco”. Beckett inarcò un sopracciglio e lo guardò perplessa per qualche istante.

 “Oggi sei stranamente più romantico del solito. Credo che mi devo preoccupare”

 “Sei tu che mi hai detto che se mi comportavo bene avrei poi ricevuto la mia ricompensa una volta giunti a casa”. Castle fece appena in tempo a finire la frase che si ritrovò l'orecchio strizzato tra e dita della donna. La voce proveniente dal gps lo salvò, indicandogli di svoltare in una nuova via circondata in entrambi i lati da una fitta foresta.

 “E ora salterà fuori l'uomo con l'uncino di “Sò cosa hai fatto””. Constatò lui avvicinando il petto al volante, spostando le iridi prima su un lato della strada e poi sull'altro per avvalorare la sua tesi.

 “E fu cosi che quel poco romanticismo rimasto nell'aria si dissolse completamente”. Sottolineò Beckett ricevendo in cambio la linguaccia.

 
“Siamo arrivati”. Affermò lei indicando una villa poco lontana, fatta in pietra che ricordava lo stile ottocentesco. 

“Vagamente ricorda la mia casa negli Hampton”. Commentò Castle non rimanendo particolarmente colpito dall'aspetto del luogo, non capendo cosa Beckett ci avesse visto di spettacolare.

 “Questa è solo la copertina”. L'avvisò lei scendendo dalla macchina respirando a pieni polmoni la fresca aria di quella zona, totalmente diversa da quella rarefatta della città.

  

“Signor Castle”. Chiamò una voce di donna proveniente dalla porta appena aperta della casa. Vedendo il detective annuire ella si avvicinò stringendogli la mano.

 “Abigail Kirsch”. 

“Grazie per averci ricevuti con cosi poco preavviso”. Fu cordiale Castle indicando poi con la mano la compagna. “Questa è la mia fidanzata. Kate Beckett”. La presentò mentre le due donne si scambiavano i convenevoli. 

“Allora come avete conosciuto questo posto?”. Chiese Abigail curiosa, accompagnandoli fino alla porta d'ingresso. Castle guardò Beckett e la invitò a spiegarsi dato che era lei l'unica che conosceva l'esistenza di quella villa.

 “Diversi anni fa, quando il vecchio capitano andò in pensione, fece qua un piccolo rinfresco e mi è stato impossibile dimenticare questo posto”. Raccontò Beckett trattenendo il respiro nel momento in cui vide l'uscio spalancarsi davanti a lei. Fece qualche passo e si ritrovò a camminare su di un pavimento in marmo bianco, in una hall grande quasi come tutto il suo appartamento. 

Castle si guardò intorno, girando su se stesso, ammirando il candore dei muri, la cupola al centro del soffitto che illuminava tutta quella stanza e gli architravi intarsiati in marmo che lo lasciarono a bocca aperta. Ci si sarebbe potuto abituare facilmente a tutto quello splendore.

 “Al piano superiore abbiamo le stanze dove gli sposi si possono preparare”.Spiegò Abigail puntando verso le scale. “Mentre ai lati abbiamo le due sale principali. Avete già in mente qualche data?”.

 “Il 9 settembre”. Risposero all'unisono i due vedendo la donna sfregarsi le mani l'una contro l'altra cominciando a dirigersi verso il lato est della casa.

 “Allora per una data simile consiglio la sala pavillon”. Suggerì aprendo un ulteriore porta in legno massiccio che conduceva a una sala enorme, dove due quarti delle pareti erano completamente composti da una vetrata che dava su un giardino che portava ancora i segni dell'inverno.

 “In quella stagione sarà ancora tutto completamente verde, con gli alberi pieni di foglie e i fiori colorati a vivacizzare il tutto”. Li rassicurò accompagnandoli per tutta la lunghezza della sala.

 “In base al numero di persone si può decidere la disposizione dei tavoli ma per un matrimonio non ne prendiamo mai più di 500”. Disse quasi volendosi scusare per un numero, considerato da lei, cosi esiguo.

 “Noi non saremo nemmeno 200 quindi non ci sarebbero problemi”. Affermò Beckett mentre Castle ancora si guardava intorno silenzioso. Doveva ammettere che quel posto gli piaceva ma non aveva ancora trovato quel qualcosa che lo colpisse, che lo convincesse sul fatto che era il luogo adatto. 

“Ah meglio cosi allora, ci sarà più spazio per il palchetto dove ballare e la band”. Abigail guardò il detective notando il suo fare particolarmente silenzioso e guardingo.

 “Che ne dite se guardiamo anche il giardino?!. Se la giornata sarà bella la cerimonia si svolgerà li fuori”. I due la seguirono ma prima che la donna potesse aprire la porta si rivolse a Castle.

 “Ora mi deve fare un favore. Cammini fino alla fine e si immagini un parco verde, un tappeto bianco per terra, tante sedie da fare da contorno e un arco fiorito dove vi metterete voi sposi”. Castle sembrò poco propenso a fare ciò ma decise comunque di fare quanto consigliatogli dalla donna. Uscì dalla villa e si ritrovò davanti a un ampio spiazzo delimitato da una balconata in pietra, con il cielo limpido sopra di se e le acque dell'hudson che brillavano all'orizzonte. Camminò facendo come gli era stato richiesto, scendendo quei cinque scalini per poi dirigersi verso il punto dove vi sarebbe stato posto l'arco. Chiuse gli occhi immaginando un paesaggio estivo, con il sole caldo e una fresca brezza a incorniciare il tutto. Sentendo le voci delle due donne si voltò verso l'ingresso della villa, non staccando gli occhi da dosso a Beckett mentre lentamente camminava verso di lui. Si sentì il petto gonfiarsi e il respiro bloccarglisi in gola e intuì il motivo per cui Abigail gli aveva suggerito di vedere quel luogo da solo. Se l'avesse fatto con Beckett avrebbe perso tutta la sua magia e non avrebbe capito perchè fosse cosi speciale quel luogo, quelle sensazioni provate nel vedere la persona amata camminare verso di lui in quel paesaggio d'incanto. 

“Allora che ne pensate?”. Domandò la donna guardando più Castle che la detective, sapendo bene che era su di lui che doveva fare presa. 

“Che è perfetto”. Affermò Castle posando le iridi sulla fidanzata che ancora si guardava attorno meravigliata. “Non potrebbe esistere posto migliore”.



 

Ritorna all'indice


Capitolo 49
*** Capitolo 49 ***


 

“Mi sento un po' in colpa”. Rivelò Beckett seduta in macchina mentre se ne tornavano in città. Castle non aveva perso tempo a fermare quel luogo per le nozze, non pensandoci due volte a consegnare l'assegno per la caparra. Si sentiva in colpa perchè lei non l'aveva fermato, non gli aveva nemmeno detto di aspettare e discuterne insieme, voleva quella locations e il suo egoismo prevalse alla fine.

 “Per cosa? Per aver ricevuto ciò che volevi?”.Sottolineò lui non facendosi nemmeno la metà dei problemi di lei.

 “No per quanto ti è costato. Sono oltre gli 8000 dollari Rick e abbiamo ancora gli inviti, le bomboniere, gli abiti.”. Cominciò ad elencare il tutto contando esasperata sulle dita della mano, facendo ridere il compagno.

 “Non avevi idea che un matrimonio costasse cosi tanto”.

 “Bhè sapevo ce non ce la saremo cavata con 1000 dollari”. Constatò la detective gonfiando le guance e buttando fuori lentamente l'aria mentre rimaneva contro il poggia testa del sedile, fissando il tettuccio della macchina. “Però non mi sembra giusto che sia tu a fare il grosso delle spese sapendo bene che io non posso partecipare più di tanto dato le mie finanze ristrette”. Brontolò prendendo la cosa veramente a cuore.

 “Ah guarda che se continui cosi finisce che litighiamo mi sa”. Affermò lui non troppo serio. “Se io ho pagato qui allora tu penserai al conto per le bomboniere cosi saremo relativamente alla pari”. Le comunicò facendole la linguaccia alla quale lei rispose con una delle sue solite occhiatacce.

 “Relativamente?”. Ripetè scrollando il capo.

 “Inoltre è un ottimo modo per scusarmi”. Continuò lui strizzando un occhio e guardandola con l'altro come un bambino pronto ad essere rimproverato.

 “Per cosa?”. Domandò lei temendo il peggio, voltandosi verso di lui quanto la cintura di sicurezza glielo permise.

 “Mia madre si è un pochetto intromessa”. Rivelò indicando con l'indice e il pollice un indefinita quantità. “Ha chiamato da “La bonbonniere” nel West Village dicendo appunto che ci sposavamo e il proprietario, che lei ha conosciuto durante una delle cene di beneficenza, è più che disposto a farci uno sconto perciò...”.

 “Uhm considerando che mia madre ha già preso accordi con un fiorista per una nostra visita direi che siamo a pari”.

 “Abbiamo sperato troppo che rimanessero al loro posto”. Ridacchiò lui tornando a guardare la strada davanti a se dato che erano entrati di nuovo nel traffico caotico di New York.

 “Mi sarei preoccupata se fosse stato diversamente”. Sorrise Beckett, ma questa volta non fu un sorriso felice, notò Castle. Le sembrò triste, pensieroso.

 “Parlami”. Le disse solamente staccando gli occhi dalla strada per concentrarsi solo su di lei.

 “Ora tutto comincia ad essere più reale. Fino a ieri sera le nozze mi sembravano una cosa cosi irreale, fittizia, ora invece cominciano a prendere forma, ad avere una propria identità.”. Confessò andando ad osservare l'anello di fidanzamento che quel giorno aveva deciso di portare all'anulare non avendo paura di perderlo come sul lavoro. Lo faceva roteare attorno al dito, ammagliata da quel diamante che luccicava a contatto con la luce del sole.

 “E stranamente non sono agitata, nervosa, niente dubbi o rimpianti”. 

“é perchè sappiamo che è la cosa giusta da fare”. Dichiarò lui con convinzione, provando la stessa tranquillità che pervadeva la donna. Beckett lo studiò in volto, seguendo i lineamenti della sua mascella fino ad arrivare alla bocca. Si slacciò la cintura e guardò davanti a se ritrovandosi a ringraziare il traffico giornaliero. Si protese verso il fidanzato andando ad appoggiare una mano sul suo sedile, nello spazio creato dalle sue gambe, cosi da sorreggersi.

 “Ti amo”. Gli sussurrò Beckett quasi non volesse che gli altri newyorkesi nei loro abitacoli potessero sentire quella sua confessione. Cercò i suoi occhi prima di chiudere i propri, posandogli la mano libera sul volto per avvicinarlo dolcemente a se, per rendere più profondo quel bacio mentre una voce nella sua testa la invogliava a non fermarsi, ad accomodarsi sui suoi fianchi e dimostragli tutto il suo amore. Il guidatore della macchina dietro di loro però non era propenso ad assecondare i suoi fini ed iniziò a suonare il clacson rompendo quella magia.

 Imbarazzata alzò una mano verso di lui andandosi a rimettere composta sul suo sedile, allacciandosi la cintura e sistemandosi i capelli mentre Castle si leccò le labbra per aver un ultimo assaggio del suo sapore. 

“Che ne dici se andiamo a casa, ci cambiamo, andiamo a cena da Mr Lee, recuperiamo un po' di energie e poi non ci muoviamo da letto per tutta la sera?”. Suggerì Castle mentre la bocca si inarcava in un sorriso malizioso.

 “Che ne dici se invece andiamo subito a casa”. Ribattè Beckett appoggiando la schiena contro la portiera della macchina. “Ci togliamo questi vestiti”. Propose andando a sbottonarsi lentamente i primi bottoni della camicia. “E non ce ne restiamo a letto fino a che non sentiamo i muscoli protestare”. Continuò passandosi la lingua sul labbro superiore, compiaciuta nel vedere come Castle cominciava a sentirsi scomodo nello stare seduto. “Forse, poi, potrei farti ordinare anche del cibo ma non è nei miei programmi”. Affermò facendo saltare un altro bottone, lasciando intravedere all'uomo i bordi di pizzo nero del reggiseno. Castle rilasciò di colpo il respiro che stava trattenendo, cominciando a ridacchiare sentendo particolarmente caldo nonostante la temperatura fredda della giornata.

 “Tu, cara mia, hai sempre delle splendide idee”. Castle ingrano la marcia impaziente di giungere a casa ma dopo pochi metri si dovette fermare a causa della lunga coda. “Che ne dici se ci fermiamo un paio di ore in quell'albergo. Giusto per aspettare che il traffico si smaltisca”. La buttò li l'uomo indicando un enorme palazzo a poche centinaia di metri da loro, più facilmente raggiungibile del loro appartamento.

 “Direi di no”. Asserì la detective allacciando uno dei bottoni.

 “Posso almeno mettere la sirena per fare prima”. Suggerì con occhi imploranti, allungando già la mano dietro il sedile per afferrare l'aggeggio ma Beckett si allacciò un ulteriore bottone.

 “Facile lanciare la pietra e poi nascondere la mano”.

 

 CASA BECKETT

 Beckett sorrise mentre nascondeva la testa sotto il cuscino per non ascoltare le stridule note intonate dal fidanzato intento a farsi una doccia. Guardò l'orologio posto sul comodino alla sua sinistra e sbadigliò nonostante non fossero nemmeno le 23. Si sentiva stanca e affamata avendo mantenuto la parola data a Castle di non allontanarsi dal letto per tutta la serata ma ora il proprio corpo cominciava a ribellarsi a quell'idea. Lanciando il cuscino a terra si alzò lasciando che le coperte le scivolassero da dosso, alzandosi nuda alla ricerca di qualche indumento per ripararsi dalla temperatura non del tutto tiepida dell'appartamento. Camminò a piedi nudi fino ad arrivare alla porta del bagno, aprendola di qualche centimetro per vedere l'uomo intento ancora a lavarsi la testa mentre cercava di imitare, malamente, John Travolta in Grease, usando il bagnoschiuma come microfono e aggiustandosi i capelli insaponati cosi da dargli una parvenza di ciuffo. Scrollò il capo avendo il timore che la mattina dopo avrebbe dovuto dare spiegazioni ai vicini di quel concerto fuori programma e si diresse al piano inferiore. Accese la luce della cucina ed aprì il frigo tirando fuori il cartone del latte e riempiendosene una generosa tazza che mise a scaldare in microonde. Sovrappensiero si mise anche lei a canticchiare mentre osservava il timer avvicinarsi sempre di più allo zero.

 Si apprestò a salire le scale per tornare in camera quando cominciò a sentire una musica rompere il silenzio. Si fermò immaginando che Castle avesse acceso la radio ma quella melodia d'improvviso le divenne famigliare.

 “Per fortuna che questi due giorni non ero reperibile”. Sbuffò tra se e se raggiungendo la propria camera. Con la coda dell'occhio osservò la porta del bagno ancora socchiusa ma dietro di essa non si sentiva più lo scroscio dell'acqua. Si sedette sul letto e guardò il cellulare vedendo sul display comparire la foto di Esposito.

 “Fino a lunedi è come se non ci fossi Espo”. Disse rispondendo, non lasciando modo all'uomo di rivolgerle nemmeno il saluto. Sentendo la porta chiudersi si voltò e vide Castle con i capelli ancora umidi e l'asciugamano legato al fianco.

 Si morse un labbro mentre faceva scorrere le iridi lungo il suo corpo, soffermandosi su quelle nuove cicatrici ormai difficilmente distinguibili da quelle vecchie. Castle si appoggiò allo stipite e ricambiò il suo sorriso.

 “Altro round?”. Domandò lasciando cadere l'asciugamano e rimanendo completamente nudo davanti alla donna.

 “Beckett ci sei?”. Sentì la donna provenire dal cellulare, la voce del collega insistente.

 “Si scusa”. Disse grattandosi la testa. “Che stavi dicendo?”. Chiese togliendo lo sguardo dal fidanzato cosi da non essere distratta ulteriormente.

 “Che c'è stata una sparatoria sulla Broodway. Il numero delle vittime è ancora d'accertare”. Raccontò il detective con un tono di voce diverso dal solito, non era distaccato come negli altri casi, notò subito Beckett.

 “Ok, domani faccio un salto al distretto e vediamo che ne caviamo”. Tagliò corto volendo concludere quella chiamata all'istante, sentendo il materasso affondare sotto il peso del fidanzato.

 “Beckett c'è una cosa che devi sapere”. La bloccò il cubano impedendole di riattaccare. “L'fbi, ancora prima del nostro arrivo, ha preso in mano la situazione. A quanto pare la sparatoria è avvenuta ad una festa dove vi erano presenti figli di alcune personalità importanti di New York”.

 “Vorrà dire che dovremo prepararci alla battaglia per non pestarci i piedi a vicenda.” Sbadigliò la donna, schiaffeggiando Castle mentre questi la tirava per la maglietta che indossava.

 “Ryan conosce uno degli agenti presenti qui sul luogo. Gli ha dato l'elenco dei presenti alla festa e ce ne uno che conosciamo fin troppo bene”. Quasi sussurrò l'uomo non volendo nemmeno lui proferire quel nome. A Beckett gli si fermò il cuore in gola, sentiva come se il suo corpo si fosse bloccato e gli occhi che non riuscivano ad abbandonare quel soprammobile che avevano preso a fissare.

 “Alexis era qui questa sera e non sappiamo se sta bene, se è tra i feriti oppure...”. Esposito non concluse la frase ma si voltò dicendo qualcosa a Ryan che stava alle sua spalle. Beckett fece appena in tempo a chiudere la chiamata che il cellulare le scivolò dalla mano cadendo a terra accanto ai suoi piedi.

 “Che succede?”. Le domandò Castle prendendo a massaggiarle le spalle e a baciarle il collo.

 “C'è stata una sparatoria”. Lo informò lei recuperando il possesso del suo corpo. Si alzò di scatto dal letto togliendosi la maglietta e cercando degli indumenti puliti da indossare.

 “Che fretta c'è?”. Disse il detective andandosi a sedere sul letto, scostando le coperte invitandola a raggiungerlo. “Faremo domani con calma”. Beckett si allacciò i pantaloni fermandosi poi di colpo, sentendosi la gola asciutta e il dubbio su come dire a Castle ciò che Esposito le aveva rivelato.

 “é successa alla festa dove Lex è andata questa sera”. Disse tutto d'un fiato voltandosi verso il fidanzato che sbiancò appena la sua voce le giunse alle orecchie. Cominciò a balbettare, con il corpo in preda a quelle che si potevano scambiare per convulsioni.

 “No, si devono essere sbagliati”. Asserì scendendo dal letto e puntando il dito contro alla fidanzata. “Lex sta bene, non era a quella festa”. Disse deciso per convincersi di quel fatto, prendendo il suo cellulare per chiamare la sorella.

 Beckett intanto aveva finito di vestirsi e porgeva gli abiti all'uomo in modo che lui potesse fare lo stesso.

 “No, non mi servono perchè ora mi risponderà e mi dirà che è tutto a posto”. Urlò Castle gettando a terra gli indumenti. 

“Castle era tra gli invitati. Dobbiamo andare”. Gli ordinò mettendogli la camicia e i pantaloni contro il petto.

 “Perchè non risponde Kate?”. Domandò lui mentre gli occhi gli si facevano sempre più lucidi. “Risponde sempre quando la chiamo”. Il suo respiro si fece sempre più veloce, cominciando a muovere il busto avanti e indietro.

 “Non possiamo perdere tempo”. La detective cercò di vestirlo, muovendogli le braccia quasi fosse un manichino, allacciandogli la camicia per poi prendere anche i boxer e i jeans.

 “Magari ha perso il cellulare, o è scarico, o potrebbe averlo dimenticato a casa”. Ipotizzò Castle allontanando la donna, fuggendo da lei per rifugiarsi dall'altra parte della stanza. “é solo un brutto sogno, un incubo. Tra poco mi sveglio e mi dirai che nulla di tutto ciò è successo”.

 “Rick, ti prego”. Cercò di farlo ragionare la donna cominciando a perdere la pazienza, non dovevano rimanere li a casa, dovevano andare sulla scena del crimine, dovevano sincerarsi della condizioni di Alexis. Beckett doveva aver la conferma che quella ragazza, che considerava ormai come una sorellina da proteggere, stesse bene.

 “No, io non vengo”. Puntò i piedi come un bambino facendo perdere del tutto la pazienza alla donna. “Alexis sta bene e ora mi chiamerà, devo farmi trovare a casa per quando mi cercherà”. Disse mostrandole il cellulare per avvalorare le sue parole. La detective gettò a terra la giacca del fidanzato e si avvicinò a lui con due ampie falcate, fermandosi quando si trovavano ormai faccia a faccia. Senza pensarci due volte lo colpì con uno schiaffo sulla guancia sinistra, facendo vacillare a causa della sorpresa.

 “Alexis potrebbe avere bisogno di noi”. Gli prese la testa tra le mani costringendolo a guardarla, a rinsanire. “Quindi ora vedi di muovere le gambe e seguirmi se non vuoi che ti trascino per un orecchio”. Lo minacciò vedendolo annuire con convinzione.

 Per tutto il viaggio in macchina Castle continuò a chiamare la sorella, morendo ogni volta che sentiva la segreteria entrare. “Sta bene”. Si ripeteva per farsi forza, non volendo nemmeno immaginare una realtà diversa.

 

Quando arrivarono nei pressi della scena del crimine videro decine di macchine, di agenti dell'fbi, di poliziotti stazionare davanti alle transenne che avevano piazzato. Si potevano sentire le sirene delle ambulanze poco lontane e il rumore dell'elicottero che volava sopra le loro teste.

 Riuscirono a superare il primo cordone di poliziotti e individuare i colleghi che appena li videro gli corsero subito in contro. 

“Mi dispiace Castle, ho provato ad ottenere informazioni ma non mi dicono nulla”. Disse Ryan affranto, con il fiato corto per via delle lunghe corse fatte per raggiungere ogni poliziotto presente in zona, in cerca di qualcuno che gli potesse dire qualcosa.

 “Lo diranno a me”. Disse a denti stretti cominciando a camminare verso un agente dell'fbi che vedendolo allungo un braccio facendogli segno di fermarsi.

 “Non potete superare questa soglia”.

 “Ci potrebbe essere mia sorella la dentro ho tutto il diritto di entrare”. Spiegò cercando di superarlo ma questi, con un passo alla sua sinistra, lo bloccò ancora.

 “Mi dispiace ma questo non cambia le cose, nessuno può andare oltre”. Castle roteò su se stesso, mettendosi le mani nei capelli e prendendo a calci una vettura vicina a lui.

 “Sono un poliziotto dannazione”. Gli disse lanciandogli contro il distintivo. “Sono anche dell'fbi. Chiami Jonhson, Robert Jonhson, e ne avrà la conferma”.

 L'agente sembrò irremovibile, cominciando a parlare di ordini dei superiori e questioni di sicurezza, irritando ulteriormente il detective che venne allontanato a forza da i due colleghi.

 

Approfittando della confusione Beckett superò le transenne cominciando a correre verso l'entrata dell'edificio, dove poteva vedere alcuni agenti aiutare gli infermieri a caricare le barelle sulle ambulanze, altri intenti a tranquillizzare i giovani isterici che imploravano aiuto. Si fece strada spintonando i presenti, guardandosi attorno alla ricerca di quella coltre di capelli rossi, fino a giungere all'ingresso e li fermarsi. Una pozza di sangue bloccava l'accesso e altri medici correvano avanti e indietro chiedendo ai colleghi bende e morfina. Capì subito che la situazione era fuori controllo ma che quella non era la sua preoccupazione principale. Chiuse per un istante gli occhi ed entrò nell'edificio, seguendo i dottori, sentendo le suppliche di aiuto di chi ancora era dentro il palazzo. Arrivò nel salone principale e rabbrividì. A terra vi erano alcuni corpi coperti solo con delle giacche, agli angoli giovani sanguinanti che piangevano, che supplicavano di poter chiamare la madre o semplicemente di esser portati via da quel luogo. Sul pavimento vi erano altre chiazze di sangue e decine e decine di bossoli. Sui muri poteva vedere i segni dei proiettili esplosi, quei buchi lineari, una mitraglietta suppose.

 “Lex”. Chiamò cominciando a ispezionare gruppo dopo gruppo alla ricerca della ragazza. “Lex”. Urlò più forte guardando con la coda dell'occhio uno dei cadaveri, trovandosi priva di coraggio nel spostare quella giacca, nonostante avesse visto centinaia di cadaveri. Questo però era totalmente diverso.

 “Lex, ti prego”. Supplicò con voce più bassa, atterrita da quella scena, invasa da quelle urla di dolore, teneva gli occhi chiusi eppure era come se la stanza girasse intorno a lei, soffocandola con le sue mura.

 “Kate”. Sentì la sua voce che le giunse alle orecchie come una dolce melodia. Si voltò vedendola scendere dalle scale insieme ad altri ragazzi ed alcuni agenti. Non perse tempo e la raggiunse, abbracciandola più forte che potè, per assicurarsi che stesse bene, per sentirla viva, per esser certa che quella non fosse solo un illusione.

 “Ci sono qui io adesso”. La rassicurò versando quelle lacrime che era riuscita a trattenere a stento sin da quando Esposito l'aveva chiamata, rimanendo forte per Castle.. Piangeva insieme alla ragazza, lacrime di una paura ormai passata ma che aveva lasciato un ricordo indelebile nel loro animo.

 “Portami via ti prego. Portami via”. La scongiurò Alexis nascondendosi tra le sue braccia. Beckett annuì togliendosi la sua giacca per metterla sulle spalle della giovane, tenendole premuta la testa contro il petto.

 “Non guardare, non aprire gli occhi”. Le consigliò accompagnandola attraverso il salone, sempre tenendola stretta a se, premendole una mano sulle orecchie cosi che quei rumori angoscianti non le giungessero.

 Una volta usciti la portò a diversi metri dall'entrata e controllò che non fosse ferita, che non avesse bisogno dell'intervento dei medici.

 “Non è sangue mio”. Dichiarò quando Beckett si soffermò a guardare la macchia che aveva sul fianco, cullandola quando ancora le scoppiò in lacrime tra le braccia.

 “Alexis”. Un altra voce di unì a quelle dei presenti e un altro paia di braccia si aggiunse in quell'abbraccio.

 “Ho avuto cosi tanta paura di perderti”. Confessò Rick posando la fronte contro la testa della sorella, riprendendo a vivere in quello stesso istante.

 “é successo tutto in un attimo”. Singhiozzò la piccola Castle. “Poi quegli spari, la gente che urlava e si accasciava a terra...”. Un istante dopo svenne tra le braccia dei due. Il detective la sollevò con delicatezza mentre Beckett le sistemava la testa contro la spalla di lui e la giacca sul petto cosi da tenerla al caldo.

 “Come sta?”. Chiesero Esposito e Ryan visibilmente preoccupati. 

“Non è ferita. Per ora è quello che conta”. Disse Beckett guardando Castle che si accasciava a terra contro una macchina, sempre tenendo contro di se la sorella, muovendola con cautela quasi fosse fatta di porcellana.

 “Voglio che reperiate ogni informazione, anche la più piccola”. Continuò rivolgendosi ai due lasciando che la rabbia prendesse il sopravvento. “Voglio sapere cos'è successo, voglio trovare quel bastardo prima degli altri”.



*****************

Ultimo tormento per i nostri protagonisti prima del gran giorno. Chissà se ci azzeccherò con le reazioni di Castle nel vedere Alexis in pericolo...lo scoprirò lunedi

 

Ritorna all'indice


Capitolo 50
*** Pensieri e parole ***


 

“Starà bene Rick”. Beckett incoraggiò Castle inginocchiandosi di fronte a lui, spostandogli una ciocca di capelli mentre i suoi occhi erano ancora incollati sulla sorella.

 “Non avrebbe dovuto conoscere questo mondo”. Farfugliò l'uomo sentendosi il labbro inferiore tremargli. “Non cosi”. Si fissò la mano sporca di sangue e lacrime, pulendosela sui pantaloni.

 “Sai meglio di me che è una ragazza forte, riuscirà ad affrontare la cosa”. Guardò in volto Alexis che cominciava lentamente a muoversi, colta probabilmente da un incubo date le smorfie di terrore che assumeva la sua faccia e ai lamenti che emetteva.

 “é solo una bambina”. La trasse ancora di più contro di se, facendola sentire sicura anche nel sonno.

 “è una donna ormai, determinata e coraggiosa, che ha al suo fianco un fratello e un amica che le staranno accanto”. Parlò ancora la donna tenendo la voce bassa ma decisa cosi da non creare ulteriore sconforto alla giovane.

 “Ha visto delle persone morire”. Le ricordò lui sibilando tra i denti.

 “Lo sò”. Bisbigliò Beckett rivivendo davanti ai suoi occhi la scena vista all'interno dell'edificio. “Ma non per questo ora dobbiamo trattarla come una bambina, la farebbe soffrire ulteriormente. Dobbiamo trattarla come un adulta e aiutarla a superare questo trauma, non farglielo mettere nel dimenticatoio per poi doverlo affrontare più avanti nella sua vita.”. Cercò di farlo ragionare spiegandogli il suo punto di vista, avendo vissuto sulla sua pelle situazioni simili.

 “Tu meglio di tutti dovresti saperlo”. Beckett continuò quando lo vide tacere, incapace di ribattere alla sua affermazione. “Mi hai sempre detto che odiavi quella pietà che leggevi negli occhi dei tuoi colleghi, in quelli dei tuoi genitori. Vuoi che anche Lex la provi?”. Gli domandò a bruciapelo facendolo deglutire a fatica, tornandola a guardare con sguardo perso e ferito.

 

“Richard”. Si sentì una voce possente sovrastare quella degli agenti che cercavano di tenere lontani i genitori da quel luogo di morte. I due detective si voltarono e notarono tra la folla Alexander e Martha. Beckett fece un cenno ad un'agente che, scostata la transenna, fece passare i due cosi che potessero raggiungerli. La donna si lanciò a terra, accanto ai due figli, e Rick si domandò se mai avesse visto la madre in quelle condizioni. Senza trucco, spettinata, con abiti che per lei erano alla pari degli stracci per la cucina.

 “é ferita”. Strillò isterica ma il giovane le prese la mano e gliela posò sul petto della sorella, all'altezza del cuore, cosi che potesse sentirlo battere contro il suo palmo.

 “Sta bene mamma”. Constatò lui abbracciandola con un braccio e posando la fronte contro la testa della donna. “Sta bene”. Ripete andando poi a cercare lo sguardo del padre che era rimasto in disparte, accanto a Beckett, ad osservare la scena e a farsi raccontare i primi dettagli su quella faccenda. Con cautela Castle passò Alexis a Martha e poi si alzò dirigendosi dal genitore e dalla fidanzata.

 “Come sta?”. Domandò l'uomo annuendo in direzione della giovane.

 “Domani starà meglio”. Deglutì Castle tirando un profondo respiro, chiudendo gli occhi e passandosi entrambe le mani sulla faccia volendo togliersi quella stanchezza che vi si leggeva sopra. “Come avete saputo di quanto è accaduto?”. Domandò sfregandosi gli occhi.

 “La madre di Cindy ci ha chiamato”. Rispose secco, non volendo entrare nei dettagli, di come Martha aveva reagito e dello sforzo che aveva fatto per cercare di tenerla calma e non avere un attacco di panico.

 “Sapete chi è stato a causare questo pandemonio?”. Chiese Alexander guardandosi attorno, ancora gli agenti e ancora gli infermieri che cercavano di riportare una certa calma, ma solo la loro presenza rendeva la situazione estremamente seria. Castle notò i nervi del suo collo farsi ben visibili, gli occhi assottigliarsi e lo sguardo farsi cupo per un istante, un movimento dei muscoli quasi impercettibile.

 “Possiamo rispondere noi”. Interruppe Esposito che tornò dal trio insieme al collega.

 “Signor Castle”. Lo salutò Ryan osservando poi con la coda dell'occhio Martha e Alexis.

 “Che ci dite?”. Chiese Beckett sfregandosi le braccia, cominciando a sentire freddo dato che la sua giacca ancora era sulla giovane per tenerla al caldo. Fu il vecchio Castle, che incurante di indossare solo una camicia sotto il giubbotto, le presto il suo.

 “I morti accertati sono 3, mentre i feriti più di dieci di cui 2 in gravi condizioni”. Rispose il cubano senza il bisogno di controllare il proprio taccuino, quelle informazioni gli si erano fissate nella testa nello stesso istante in cui le aveva sentite pronunciare da uno degli agenti.

 “Parlano di un solo uomo armato che ha fatto irruzione nell'edificio. Quando avranno finito con i video di sorveglianza ce ne daranno una copia”. Ragguagliò Ryan sulle altre notizie apprese.

 “Testimoni?”. Domandò Castle non riuscendo a distogliere lo sguardo dalla folla che si era creata tutto intorno all'ingresso dell'edificio, faticando a credere alla fortuna che quella sera l'aveva colpito. Sarebbe bastato cosi poco per ritrovarsi costretto ad abbracciare il corpo freddo e senza vita della sorella, ma il suo corpo e la sua mente si ribellavano a quell'idea malsana che solo osava infiltrarsi tra i suoi pensieri.

 “Hanno sentito alcuni ragazzi ma sono troppo sconvolti, si contraddicono l'un l'altro. Non possono essere affidabili in queste condizioni”. Continuò l'irlandese vedendo i colleghi prendere atto della situazione.

 “Papa perchè non porti a casa la mamma e Lex?”. Suggerì Castle al genitore voltandosi verso di lui, facendogli un cenno con la testa perchè lo seguisse a pochi passi dagli altri. “Se Alexis rimane qui i poliziotti, gli agenti, la tempesteranno di domande e non è quello di cui ha bisogno. Deve riposare, nel suo letto, lontano da tutto”. Si voltò verso Beckett scambiandosi un cenno d'intesa con lei.

 “Non vi metterà nei guai questo?”. Castlè abbozzò un sorriso e scrollò il capo stringendo tra le dita una spalla del padre.

 “Non ti devi preoccupare di questo papa”. Cercò di tranquillizzarlo notando che ora la sorella era passata tra le braccia di Esposito che, con la stessa cautela che ci avrebbe messo lui stesso, scortò la giovane verso di loro, superandoli per dirigersi verso la macchina. Castle però lo fermò, per vedere ancora una volta Alexis, per darle un lungo bacio sulla fronte.

 Alexander annuì senza protestare, sapendo bene che l'unico posto dove doveva essere in quel momento era a casa con le sue donne. “Tienilo pure”. Si rivolse versò Beckett che si stava togliendo il cappotto per ridarglielo. “E state attenti ragazzi. Se questo pazzo è capace di tutto ciò”. Enunciò indicando il palazzo di fronte a lui. “Non oso immaginare cosa gli passi ora per la testa”. Dichiarò prima di raggiungere Martha in macchina.

 

I due detective vennero presto raggiunti dai due colleghi. “Non so come fa tuo padre”. Parlò Ryan vedendo la mercedes di Alexander partire. “Io avrei messo a fuoco e fiamme la città in cerca della persona che stava per far del male a mia figlia”. Castle non disse nulla. Seguì l'auto finchè non svoltò l'angolo e solo allora si degnò di rispondere al collega.

  “Qualunque cosa scopriamo, anche la più piccola, non deve giungere alle sue orecchie”. Quella di Castle suonò ai colleghi quasi come una minaccia, ma comprendevano bene il motivo per cui voleva evitare una cosa simile.

 “Tranquillo non causeremo altro stress ad Alexis”. Asserì Esposito mentre il volto di Castle si fece estremamente serio.

 “Non è di Lex che sto parlando”. Affermò sfregandosi le mani, soffiandoci sopra il proprio fiato per scaldarle. “Ma di mio padre.”. I colleghi si guardarono estraniati, non capendo il perchè di quell'obbligato silenzio con il vecchio Castle, ma non dissero nulla, non ribatterono, sapendo bene che dietro ad ogni richiesta dell'uomo vi era sempre un valido motivo.

 “Chiedete agli agenti quando possiamo fare anche noi i sopralluoghi. Vorrei farmi un idea più chiara della scena del crimine”. Dichiarò Beckett. Quel luogo, quella sala, l'aveva vista con gli occhi di una donna disperata e l'unica cosa che poteva ricordare era il sangue e la paura, ora aveva bisogno di studiarla con gli occhi della detective quale era, distaccata e oggettiva, per giustizia verso le vittime e le loro famiglie.

 I due uomini non si mossero, rimasero li ad attendere una reazione da parte di Castle, immerso in pensieri tristi e con lo sguardo spento mentre fissava un ambulanza dove, accasciato accanto ad una ruota, vi era una giovane a cui stavano applicando una benda sulla testa per fermare il flusso di sangue.

 “Andate pure”. Continuò Beckett, insistendo con lo sguardo finchè i colleghi, rassegnati, li lasciarono soli.

 “Tuo padre non farebbe mai nulla di avventato”. Le ricordò lei avendo avuto a che fare più e più volte con la natura mite dell'uomo nel corso degli anni.

 “Da chi pensi io abbia preso il mio carattere?”. Chiese Castle voltandosi verso di lei, guardandola con arroganza. “Da mia madre?”. Aggiunse mettendosi a ridacchiare, cominciando a camminare avanti a indietro, tirando su col naso sentendo il freddo penetrargli fin nelle ossa.

 “Il mio carattere è più accentuato è vero, ma anche lui sarebbe capace di cose inimmaginabili conoscendolo, soprattutto se si tratta dei suoi figli”.

 “Castle”. Socchiuse gli occhi la donna dondolando il capo. “Castle”. Lo chiamò ancora senza ottenere alcuna risposta da lui. “Richard, basta ora”. Gli ordinò lei mettendosi sul suo cammino.

 “Tuo padre si è ritrovato in situazioni peggiori quando hai avuto a che fare con Stark e non mi sembra abbia mai dato di matto anzi ha sempre mantenuto la calma che ha infuso anche a noi”. Affermò la donna vedendolo scrollare il capo non trovandosi d'accordo con lei.

 “Io c'ero Rick, ero li con lui all'ospedale mentre eri in coma, e lo invidiavo per la sua calma apparente, per la sua speranza. Solo perchè ora sei terrorizzato per Alexis non credere che chiunque le stia vicino, le voglia bene, si possa trasformare in un vendicatore solitario”.

 “Mio padre mi ha sempre detto di diffidare delle persone che si mostrano sempre calme, le paragona a un fiume lento, la superficie piatta ma sul fondo imperversano le correnti, basta solo un soffio di vento perchè queste vengano a galla”. Disse con tono monotono, senza dar sfogo alle proprie emozioni cosi contrastanti, non sapendo nemmeno lui a quale aggrapparsi per andare avanti.

 “Ora stai esagerando, lo sai?”. Parlò lei sistemandogli la giacca, allacciandogli i bottoni fino all'ultimo cosi che la lieve brezza notturna non gli causasse più problemi di quelli che già stava avendo. “Vedi tutto negativo a causa di ciò che è successo, ma vedrai che domani mattina avrai le idee più chiare e questi pensieri se ne andranno dalla tua testa”.

 “Promettimi che starai attenta a mio padre?”. Le chiese lui implorandola, non nascondendo quelle paure che gli attorniavano il cuore. “Che non gli permetterai di fare stupidaggini”. Supplicò ancora posando il mento sul suo capo abbracciandola.

  Data la posizione il detective non pote vedere il viso corrucciato della fidanzata, rivolto verso l'esterno a guardare la strada che piano piano andava a svuotarsi. “Darà più ascolto a te che a me”. Fece notare solo, allontanandosi e accennando un sorriso mentre l'espressione grave di Castle non mutò.

 “Sarò più preoccupato a tenere a bada me stesso, a non fare ciò che la mia mente mi suggerisce”. La serietà delle sue parole fece preoccupare Beckett, facendole salire di nuovo quel nodo alla gola che le toglieva il fiato. Aveva già visto il fidanzato perdere il controllo ed ogni volta calmarlo era sempre stato più difficile mentre lei era andata sempre più vicina a perderlo.

 L'uomo fece scorrere le mani lungo le sua braccia, fino ad arrivare alle mani e poi lasciargliele, superandola cosi da poter dirigersi verso l'edificio e vedere con i suoi occhi ciò che aveva dovuto affrontare la sorella.

 “Non permetterò che tu ti perda”. Parlò Beckett rivolgendosi alle sue spalle. “Non ora, non dopo tutto quello che abbiamo passato per arrivare a questo momento, a ciò che abbiamo ora e che stiamo per costruire”. Puntualizzò lei con voce decisa, puntando il dito a terra quasi lo richiamasse a se.

 Castle girò la testa più che pote in sua direzione, guardandola come se fosse la prima volta, rimanendo colpito da quanto coraggio, quanta testardaggine, quanta passione potesse esserci in una figura piccola come lei.

 In due falcate si ritrovò attaccato alla donna, prendendole con decisione il viso tra le mani e sussurrandole contro le labbra. “Non sarà come con Stark, te lo giuro”.

 “Perchè se cosi fosse la causa della tua morte saranno le mie mani”. Cercò di sdrammatizzare Beckett ridacchiando debolmente, accettando di buon grado quel bacio che servì ad attenuare, seppur debolmente, i suoi tormenti.

  

Entrarono insieme nell'edificio evitando quella pozza di sangue all'interno che alla detective sembrò essersi espansa dalla prima volta che l'aveva vista. A terra nel salone non vi erano più i corpi, spostati sulla ambulanze cosi da esser portati all'obitorio, ma su i muri rimanevano ancora ben impressi i proiettili che fortunatamente avevano mancato il bersaglio. Castle si fermò al centro della stanza e si guardò attorno, cercando di concentrarsi su ciò che aveva davanti, entrando in modalità agente, dimenticandosi che la sorella era stata testimone di tutto ciò. Fece scorrere gli occhi lungo la linea dei fori, interrotti a tratti da gocce di sangue, arrivando fin sulle scale e sulle lampade rotte appese al pavimento. Subito qualcosa gli sembrò fuori posto in quella scena.

 “Ryan potresti metterti contro il muro”. Gli chiese indicando con il dito il luogo che riteneva più adatto. “Vorrei verificare una cosa”.

 “Certo”. Rispose l'irlandese appoggiandosi la dove gli era stato detto.

 “Si sa da dove ha sparato?”. Chiese poi ad Esposito che attraversò la sala fino a giungere al palco che era stato allestito per la banda.

“I testimoni dicono che i colpi sono cominciati a partire da qui”. Spiegò facendo assumere alla mano la forma di una pistola per rendere più chiara l'idea.

 Beckett studiò la traiettoria che i proiettili avrebbero dovuto prendere, mettendosi a fianco del cubano e seguendo la linea d'aria con la coda dell'occhio.

 “Aveva decine e decine di ragazzi davanti a se”. Enunciò mettendosi le mani sui fianchi. “Se voleva ucciderne il maggior numero bastava che sparasse verso il basso e invece i fori indicano che l'arma era puntata verso l'alto”. Ipotizzò indicando Ryan che ancora se ne stava contro il muro. Sentendo la collega parlare si voltò ed alzò la testa vedendo quei segni che, assumendo la forma di un arco, si innalzavano a quasi mezzo metro da lui.

 “Forse non era esperto con le armi come si potrebbe credere”

 “Inoltre”. Prese la parola Castle dirigendosi verso le scale. “Non ha seguito quelli che si sono rifugiati al piano di sopra. Perchè?!”. Chiese tornando a voltarsi verso i colleghi in cerca di risposta.

 “Poteva mettersi all'ingresso e avere una maggiore visuale eppure ha scelto quel luogo”. Continuò ad esporre i suoi pensieri indicando Esposito e Beckett ancora sul palco. “ Cosi i ragazzi sono riusciti a scappare di sopra e all'esterno dell'edificio senza che lui potesse bloccarli. Non mi sembra un buon piano se la sua intenzione era la strage”. Si zittii di colpo, lasciando che i suoi occhi lavorassero al posto della sua mente, cercando la risposta a quelle domande che gli si formavano nella testa.

 “Forse qualcuno si è accorto di lui e ha dovuto modificare il suo piano iniziale”. Tentò Esposito vedendo il collega annuire distratto.

 “Dovremo sentire prima i testimoni. Sperare che domani qualche ragazzo stia meglio o che comunque sia abbastanza sano da spiegarci cos'è successo”.

 “”Ne hanno già sentiti alcuni”. Intervenne Ryan tornando vicino ai colleghi. “E hanno detto che l'attentatore era li”. Concluse indicando il palco.

“Dobbiamo sentirli ancora, farci raccontare dettagliatamente quanto è successo. Non possiamo iniziare un indagine con le informazioni che si lasciano sfuggire quelli dell'fbi”. Commentò Castle desiderando chiudere quel caso per se e per la sorella.

 “Dato che abbiamo l'elenco degli invitati cominciamo ad indagare su di loro”. Asserì Beckett scendendo dal palco con l'aiuto del cubano. “Chi ha organizzato questa festa, chi era presente e chi mancava, chi di loro è stato ucciso e chi invece è uscito senza un graffio”. Ordinò contando sulle dita quell'elenco che stava facendo sul momento cosi da predisporre le indagini iniziali, darsi una base dalla quale partire.

 “Espo chiama Montgomery e digli di quanto accaduto, se già non è stato avvisato”. Gli suggerì Castle cominciando a incamminarsi verso l'uscita. Gli uomini della scientifica stavano cominciando a fare i loro rilevamenti e la loro presenza non era ben vista da quelli.

 “Digli di convincere quelli dell'fbi a far assistere anche Lanie alle autopsie, sappiamo come lavora, non tralascerà niente a differenza di loro”. Concluse voltandosi ancora verso la sala, sempre più convinto che quello sarebbe stato il luogo migliore per sparare. Scrollò il capo e uscì, cercando di dare una spiegazione anche a quella pozza di sangue accanto all'ingresso.

 “A vedere tutti quei fori di proiettile ci si poteva immaginare una carneficina maggiore”. Sottolineò Beckett lasciando passare gli agenti, incamminandosi con il fidanzato verso la loro macchina. Fino alla mattina non avrebbero cominciato a lavorare sul caso e perciò in quel momento voleva solo andare a casa e godersi qualche ora di sonno prima di gettarsi a capo fitto nell'indagine.

 “Già”. Sospirò Castle espirando, osservando il vapore uscire dalla sua bocca. “Deve essere successo qualcosa che i testimoni ascoltati hanno tralasciato o che forse non hanno visto.”

 “Dovremo interrogare anche Alexis se sarà necessario lo sai”. Gli ricordò lei vedendolo sfregarsi il volto con la mano sinistra, strofinando con vigore la mascella cosi da sentire la fine barba fregarsi contro il palmo.

 “Lo so, per questo spero di chiudere il caso prima che la sua dichiarazione diventi necessaria”. Constatò andando a cercare la mano della fidanzata con la propria, ricevendo, con quel semplice gesto, tutto l'appoggio di cui aveva bisogno in quel momento.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 51
*** Solo ***


 

Quando arrivarono al distretto le prime luci del giorno cominciavano a intravedersi timidamente dietro i profili grigi dei grattacieli. Come si aspettavano davanti all'edificio si era già radunata una piccola folla di giornalisti, interessati alla vicenda e al nome delle vittime, pronti a martoriare con le loro speculazioni quelle famiglie già ferite nel profondo. Castle li guardò con disgusto mentre li sorpassava, evitando registratori e telefonini, rispondendo con semplici “no comment” alle loro domande. 

Sapeva per esperienza che quel fatto avrebbe attirato molti più giornalisti, non era stata una semplice sparatoria, questa aveva come protagonisti i rampolli di New York e per questo, secondo le maggiori testate giornalistiche, la vicenda avrebbe suscitato maggior interesse, ovvero maggiori vendite.

 Montogmery non lasciò nemmeno loro il tempo di appoggiare i loro effetti sulle scrivanie che li chiamò nel suo ufficio.

 “Ho il fiato sul collo da tutti i fronti”. Commentò infastidito, guardando uno per uno i detective. “A nessuno piace collaborare con l'fbi ma dobbiamo farlo e chiudere al più presto questo caso. Il sindaco non è per nulla contento e alcuni famigliari son già pronti a fare causa alla polizia se non troveremo presto questo pazzo”. La pressione era una dei peggiori nemici per gli agenti, avere poco tempo e pochi indizi poteva metterli sulla cattiva strada, catturare magari un innocente mentre l'assassino era libero di compiere altre stragi.

 “Abbiamo 48 ore, non di più.”. Continuò il capitano sillabando attentamente ogni parola. “Dopo di che saremo fuori e sarà tutto nelle mani dell'fbi. Non so voi ma non voglio far passare il mio distretto come un covo di incompetenti quindi, a partire da questo momento, considerata il distretto la vostra  nuova casa perchè non vi muoverete da qui fin quando non scoprirete chi ha causato tutto questo”. Nessuno dei quattro osò contraddire, lasciando quella stanza senza fiatare, con un peso maggiore sulle spalle.

 

Si chiusero all'interno dell'altra saletta, ognuno afflitto dai propri pensieri, seduti uno accanto all'altro ma cosi lontani con le loro menti. Se volevano risolvere il caso dovevano farlo lavorando insieme, questo lo sapeva bene Castle. Uscì dalla stanza per poi rientrarvi qualche secondo dopo trascinando con se la lavagna della fidanzata, infastidendo i presenti con lo stridire delle gambe d'acciaio di quella. Tenendola ferma con una mano stappò il pennarello con la bocca e andò a tracciare delle righe attirando l'interesse dei colleghi.

 “Che stai facendo?”. Domandò Beckett sfregandosi gli occhi e massaggiandosi il collo, sentendosi sfinita per le poche ore di sonno e le emozioni vissute in quella nottata.

 “Disegno”. Mugugnò lui attento a non far cadere il tappo dalla bocca. Quando ebbe finito fece un passo indietro guardando soddisfatto il suo capolavoro.

 “Bene, invece di risolvere il caso ci mettiamo giocare a pictionary”. Constatò la donna posando la testa sopra le braccia che riposavano sul ripiano del tavolo davanti a lei.

 “No, anche se sono un campione in quel gioco”. Asserì il detective spostandosi cosi da far vedere ciò che aveva creato. “Questa è la piantina dell'edificio, con tanto di palco, scale e ingresso”. Indicò quei rettangoli che rappresentavano gli elementi appena elencati, mettendosi al lato della lavagna.

 “Sappiamo che le 3 vittime si trovavano qui, qui e qui.”. Aggiunse disegnando tre x sulla superficie, una accanto al palco, una contro la parete ovest e l'altra all'ingresso. “Mentre l'assassino ha sparato da qua”. Fece un cerchio sul particolare rappresentante il palco cercando di spiegare le sue ipotesi ai colleghi.

 “Castle ancora con questa storia”. Brontolò Esposito distendendosi sul divanetto, portando le braccia sotto la testa cosi da tenerla rialzata per guardare comunque il collega.

 “Perchè cosi poche vittime?, perchè all'ingresso si trovava quel cadavere invece di essere all'interno della sala come gli altri?”. Ipotizzò cominciando a battere il pennarello contro il mento.

 “Magari è stato colpito prima e poi si è accasciato dove è stato trovato mentre tentava la fuga”. Castle ascoltò Ryan, lasciandogli finire il discorso prima di scrollare il capo vigorosamente.

 “Non ci sono tracce di sangue che conducono dalla sala fino all'esterno, solo alcune che portano sulle scale dove i feriti si sono rifugiati”. Il detective tornò a fissare la lavagna, facendo scorrere le iridi lungo quel percorso immaginario che si era creato nella mente, agendo come l'assassino.

 “Fin quando non avremo le testimonianze, o i video, abbiamo solo ipotesi quasi impossibili, ci servono le prove Castle e poi avremo una risposta chiara alle tue domande”. Sbadigliò l'irlandese chiudendo gli occhi e reclinando la testa all'indietro, allungando le gambe verso il divanetto dove Esposito si era appisolato. Castle fece per protestare per via di quella situazione, cercando anche l'appoggio della fidanzata ma quando le sue iridi si posarono sul suo volto la trovò addormentata. Vedendo il suo viso sereno non ebbe il coraggio di destarla. Posò il pennarello sulla tavola e uscì silenziosamente, richiudendo la porta dietro di se cosi da dare un po' di quiete ai colleghi. Con la coda dell'occhio osservò Montgomery chiuso nel suo studio, intento ad agitare le braccia mentre parlava al telefono, altri agenti invece rispondevano con più calma alle loro telefonate, tranquillizzando i loro interlocutori sull'impossibilità di un ulteriore attacco.

 

Salì le scale dell'edificio silenziosamente, avendo come unico compagno il suono dei propri passi sugli scalini e il fruscio dei propri abiti che sfregavano l'uno contro l'altro. Appena aprì la porta che dava sul tetto si trovò costretto a stringersi nel giubbotto, alzando il colletto e nascondendo le mani sotto le ascelle per non congelare. Alzò gli occhi al cielo udendo il rumore inconfondibile di un elicottero passare proprio sopra la sua testa, volando in direzione del centro della città. Si sedette su uno dei muretti che delimitavano i condotti dell'aria e stette li ad aspettare. Non sapeva cosa ma ora sentiva di aver bisogno di quella solitudine, di quel silenzio che si creava attorno a se, in attesa di qualunque cosa quella giornata gli riservasse. Sempre tenendo lo sguardo fisso davanti a se estrasse il cellulare dalla tasca e chiamò il padre.

 “Ti ho svegliato?”. Domandò quando lo sentì rispondere dopo diversi squilli. 

“No”. Rispose una voce stanca. “Ero solo andato sopra a controllare tua madre e Lex”.Continuò Alexander tenendo la voce bassa, non volendo in alcun modo disturbare le due donne anche se si trovavano al piano superiore. 

“Come sta?”. Si bagnò le labbra Castle, tenendo la mano libera contro il viso, con il pollice premuto sulla mascella e con il resto delle dita che grattavano la barba ispida.

 “Si è ripresa quando siamo tornati a casa, si è fatta una doccia e poi si è rintanata nel letto con vostra madre”. Raccontò l'uomo sempre mantenendo quel tono afono nella voce, come se qualcosa detta per sbaglio potesse rompere quell'equilibrio precario che si era creato.

 “Ha detto qualcosa?”. Domandò il detective rabbrividendo, non a causa del freddo ma per il timore che la sorella potesse aver visto più di quanto lui stesso temeva. Si mordicchiò la pelle del dito indice, inspirando a pieni polmoni, sentendo il cuore perdere un battito a causa dell'indecisione del padre.

 “Che per fortuna è tutto finito”. Lo sentì sospirare e fece lo stesso, chiudendo gli occhi e inarcando la testa all'indietro.

 “Se dovesse aver bisogno”. Enunciò titubante, sentendo la gola secca e le parole morirgli sulle labbra. “Basta che mi chiami e corro subito”.

 “Lo so, ma ora hai altre cose di cui occuparti”. Gli ricordò Alexander. Castle ritornò dritto con la testa e fece per aprire bocca ma si bloccò, suo padre aveva già fin troppe preoccupazioni.

 “Richard”. Lo chiamò preoccupato, sentendo dall'altra parte della cornetta solo il suo respiro farsi più veloce e affannoso. “Io ci sono per entrambi i miei figli”. Il detective abbozzò un sorriso, sentendosi per un istante nuovamente sereno.

 “Non ne ho mai dubitato”. Ribatte trattenendosi dall'esprimere i propri tormenti, preferendo tenerli per se invece di condividerli con il padre, sarebbe stato troppo per entrambi in quel momento.

 “Ora è meglio che vada”. Affermò ad un tratto, senza però muoversi da dove era seduto. “Gli altri mi stanno aspettando”. Mentì deliberatamente, non volendo trattenere ulteriormente il genitore, non volendo aumentare le sue paure, cosi da rischiare ritrovarselo al distretto a costringerlo a sfogarsi.

 “D'accordo, chiamami in qualunque momento”. Castle annuì seppur Alexander non potesse vederlo e lo salutò, ponendo fine a quella chiamata che gli aveva straziato il cuore. Sentiva quella stretta allo stomaco e voleva liberarsene ma dopo aver udito la voce del padre non ebbe il coraggio, se la sarebbe cavata da solo come in passato, ma ora la sua mente si ribellava a quell'idea, gli faceva provare quella sensazione di necessità, quel bisogno di aver qualcuno accanto a lui.

 Ripose il cellulare nella tasca dei pantaloni e le sue iridi caddero proprio sul punto dove si era pulito dal sangue che macchiava il vestito di Alexis. Per un istante si sentì come fatto di pietra e nel secondo successivo si sentì sgretolare su se stesso, il labbro gli incominciò a tremare, le palpebre sbattevano velocemente e gli occhi furono pieni di lacrime prima ancora che se ne accorgesse.

 Pianse, come un bambino, nascondendo il viso tra le ginocchia, tenendo entrambe le mani sulla testa, singhiozzando e poi tremando, vedendo le proprie lacrime che andavano a bagnare la polvere depositata sul tetto. Si sentiva solo, perso e insicuro, non più il Richard di Los Angeles, ora era quello di New York fragile come tutti gli uomini ma pur sempre troppo orgoglioso.

 Non udì la porta aprirsi o i passi dietro alle sue spalle mentre Beckett si avvicinava a lui. La notò solamente quando si inginocchiò di fronte a lui, quando la sua mano si posò sulla sua testa, facendogliela sollevare. La guardò tra le lacrime, ringraziando quel sorriso che aveva sempre per lui, in ogni situazione.

 “Kate”. Farfugliò prima che lei posò un dito sulle sue labbra.

 “Non serve”. Gli disse cercando di asciugargli alla meglio il viso, appoggiando poi la mano libera dietro di se cosi da sorreggersi dopo che Castle si protese in avanti, adagiando la propria testa contro il suo ventre.

 Rimasero li diversi minuti, senza dire nulla, con Beckett che gli accarezzava la schiena mentre sentiva il suo respiro riprendere la sua normalità. Sapeva che non doveva sforzarlo, Castle avrebbe rivelato le sue paure di sua spontanea volontà, senza ossessionarlo e rischiare di farlo chiudere di nuovo a riccio.

 “Dormi?”. Gli chiese dolcemente ad un tratto, non sentendolo più muoversi.

 “No”. Asserì lui infossando ancora di più la testa contro il suo fianco, inspirando facendo ampi respiri, sentendo l'aria fredda della mattina invadergli i polmoni.

 “Sono arrivati i primi risultati dell'autopsia.”. Lo informò non ottenendo alcuna reazione, ma Beckett non si scompose, rimase ancora ferma.

 “Sono state usate tre tipi di armi”. Quel nuovo elemento fece aumentare d'improvviso l'interesse del detective che lentamente tornò a sedersi di fronte alla donna.

 “I fori presenti su i muri e le ferite riportate da alcuni giovani corrispondono ad una mitraglietta calibro 7, una British o una Rpd si suppone. Due vittime invece sono state uccise con una calibro 6 e l'altra con una 8mm ”. Spiegò quasi quella fosse una battuta studiata a memoria, detta velocemente cosi da non perdere il filo, essendo più intenta ad asciugare il viso del fidanzato con il palmo della mano.

 “Qualcosa non quadra”. Attestò solamente l'uomo corrugando la fronte, sfregandosi gli occhi e dandosi dei buffetti sulle guance. “Possibile che l'assassino volesse colpire esattamente quelle tre persone?”. Domandò perplesso, cercando il consiglio della fidanzata. 

“Di certo è strano l'uso di tre armi diverse, di cui due usate appunto per uccidere mentre l'altra per ferire.”. Constatò la donna allungando una mano verso di lui, invitandolo ad alzarsi insieme a lei.

 “Sappiamo chi sono le vittime?”. Chiese pulendosi i pantaloni dalla polvere e sistemandosi gli abiti cosi da darsi un certo contegno. Beckett lo aiutò aggiustandogli il colletto della giacca e arruffandogli i capelli.

 “Sono nel fascicoletto datoci da Lanie”. Rispose lei trattenendolo accanto a se. Inclinò leggermente il capo verso sinistra e lo studiò. “Stai bene?”.

 Castle annuì debolmente. “Il dolore era troppo, non riuscivo più a tenerlo dentro”. Rivelò lui sogghignando alla fine della frase, vergognandosi di se stesso.

 “Il bello di essere fidanzati, a differenza di quello che pensi tu”. Disse vedendolo cominciare a sorridere maliziosamente, tirandogli per un secondo il naso. “é che hai sempre qualcuno al tuo fianco pronto a condividere con te gioie e dolori”.

 “Devo aver la memoria corta allora”. Ironizzò lui ricevendo una tirata d'orecchia.

 “Sei congelato”. Commentò Beckett dopo aver sentito le sue labbra fredde contro le proprie. “Coraggio ti offro un buon caffè caldo”.

 

 “I video di sorveglianza?”. Domandò Castle sorseggiando il suo caffè mentre si accomodava ad una sedia, senza staccare gli occhi dalla lavagna dove Ryan stava attaccando le foto delle tre vittime.

 “Ce li manderanno oggi pomeriggio”. Disse Esposito che portava con se altri fascicoletti che sparse sulla tavola cosi che i colleghi potessero consultare.

 “Le vittime sono tre ragazzi. Michael Craddock di 26 anni, Edmund Scherz di 28 e Sebastian Bunner di 26 anni anche lui”. Lesse Beckett dando cosi un identità a quelle giovani vite spezzate per chissà quale capriccio. 

“Li conosci Castle?”. Domandò Ryan cominciando a scrivere i dati dei giovani sotto le loro foto. “Sono figli di famiglie altolocate di New York dopo tutto”. Sottolineò richiudendo il tappo del pennarello appoggiandosi al muro dietro di lui con la schiena.

Castle scrutò con una smorfia le diverse fotografie, muovendo la testa prima da un lato e poi da un altro. “No, non mi dicono proprio nulla”. Affermò infine ritornando ad occuparsi del suo caffè.

 “Le famiglie sono già state contattate?”. Domandò la donna sperando in una risposta affermativa, non volendo informare tre famiglie della perdita del loro figlio in un cosi brutale modo.

 “Ci pensavano quelli dell'fbi”. Disse brevemente Esposito vedendo sospirare la donna.

 “Scherz è stato colpito all'altezza del cuore, Bunner invece presenta il foro d'entrata sulla schiena, probabilmente stava cercando di scappare. Craddock invece è stato colpito due volte, un proiettile gli ha reciso la vena femorale, e qui si spiega la pozza di sangue davanti all'ingresso, l'altro gli ha penetrato il cranio”. Continuò la donna leggendo a tratti ciò che visionava sul fascicoletto, tralasciando qualunque dettaglio non ritenesse importante per il caso. 

“Il modus operandi non indica un regolamento di conti”. Commentò Ryan andando ad aggiungere quei nuovi dettagli sulla lavagna ricevendo uno sguardo poi minaccioso da Castle che si vide sottrarre sotto gli occhi il suo lavoro.

 “Controllate se c'è un collegamento tra i tre giovani e se avevano qualche motivo per finire cosi”. Ordinò la donna ai due colleghi chiudendo il plico e indicando la lavagna lasciandoli poi andare a svolgere il proprio lavoro.

 “Potresti sollecitare quelli dell'fbi per farci avere il prima possibile i filmati?”. Chiese osservando ora il fidanzato che annuì.

 “Andrò a prenderli di persona se sarà necessario, intanto propongo di chiamare qualche testimone qua al distretto. Voglio sentire di persona ciò che hanno da dire”. Asserì poggiando sulla tavola la tazzina vuota, allungando le braccia verso l'alto sentendo i muscoli protestargli e le ossa scrocchiargli. 

“Che ne dici se invece non ti concedi qualche ora di sonno mentre aspettiamo”. Suggerì Beckett vedendo il suo volto pallido e tirato, gli occhi arrossati e le occhiaie da fare da contorno.

 “Posso stare anche due giorni senza dormire e non risentirne minimamente”. Gli ricordò lui quel piccolo particolare dovuto agli anni d'addestramento avuti all'interno del Cirg, seguendo con occhi inquisitori ogni suo movimento, cercando di comprendere le sue intenzioni. 

“Si, ma li era una necessità. Qui non ci sono cecchini appostati fuori dal distretto pronti a colpire”. Chiarì la donna sistemando alla meglio la giacca che gli aveva prestato Alexander cosi da farle assumere la forma di un cuscino, posando la stessa contro il bracciolo del divanetto, preparando un giaciglio alla buona per il fidanzato.

 “E tu?”. Le domandò non muovendosi di un centimetro ma ammirando quel mobile che in quel momento gli sembrava la cosa più comoda che avesse mai visto.

 “Prima penso a te, io vengo dopo”. Beckett si spostò dietro di lui, premendo con le mani sulla schiena per costringerlo ad avvicinarsi al divano. Castle oppose ben poca resistenza, alzando le braccia in segno di resa. 

“Ok, ok”. Ridacchiò andandosi a sedere sul divanetto per poi sdraiarsi su di un fianco. “Io rimango qui solo se mi fai compagnia”. L'avvisò battendo con la mano il poco spazio rimasto davanti a se. Beckett lo guardò tentata di raggiungerlo, di stringersi tra le sue braccia e sentirsi al sicuro ma la consapevolezza di dover risolvere un caso la bloccava.

 “Solo un paio di minuti”. La supplicò lui sorridendo da orecchio a orecchio quando la vide cedere. La detective chiuse le tendine della stanza cosi da concedersi un po' di privacy e si distese accanto al fidanzato, premendosi contro di lui per non rischiare di cadere anche se il braccio dell'uomo la teneva ancorata a se.

 

Combattè contro la stanchezza e il desiderio di non muoversi ma quando sentì il lieve russare di Castle contro il suo collo, attentamente, scese dal divano sgattaiolando fuori dalla stanza cercando di non fare rumore.

 “é tutto a posto?”. Le domandò Ryan vedendola emergere dalla saletta sbadigliando e sistemandosi i capelli spettinati.

 “Castle sta riposando e preferirei non disturbarlo se non fosse più che necessario”. Avvisò i due colleghi che subito si trovarono d'accordo, senza però distogliere il loro sguardo preoccupato da lei. Beckett si sedette alla sua scrivania e nascose il volto tra le mani per qualche secondo prima di farle passare tra i capelli e tirarli indietro cosi da lasciar scoperta la fronte.

 “Che succede Beckett?”. Intervenne ancora l'irlandese prendendo posto sulla sedia che di solito occupava Castle.

 “Reagisce ogni secondo in maniera diversa a questa situazione.” Rivelò la donna guardando prima un collega e poi l'altro, soffermandosi di tanto in tanto sulla porta certa di veder Castle comparire da un secondo all'altro. “Un attimo è pieno di collera, il secondo dopo di dolore, e non so di quale sentimento mi debba preoccupare di più”. Sogghignò di se stessa, per trovarsi in una situazione simile, a preoccuparsi di più per il proprio fidanzato che per le vittime.

 I suoi pensieri furono interrotti da un vociare confuso anche se lontano. Si guardò con il collega prima di alzarsi dalla sedia e cercare di capire da dove questo stesse provenendo, poi le porte dell'ascensore si aprirono e le urla si sentirono chiaramente. Due uomini sui cinquant'anni stavano litigando, trattenuti a stendo da alcuni agenti mentre due donne cercavano di calmarli.

L'unica frase che si comprese tra quelle pronunciate fu una ben chiara minaccia. 

“Tu hai ucciso mio figlio e ti riserverò lo stesso trattamento”. 



Ritorna all'indice


Capitolo 52
*** Rivalita ***


 12th DISTRETTO 

Ryan e Esposito accorsero subito ad aiutare gli agenti, chiudendo i due uomini nelle salette degli interrogatori da dove comunque continuavano a lanciarsi sproloqui l'uno contro l'altro.

 “Chi sono?”. Indicò le porte Beckett volendo chiarimenti su quella confusione.

 “Quelli dietro la porta numero 1 sono Frederick e Claire Craddock, genitori di Michael.”. Rispose l'irlandese leggendo dal rapporto che gli agenti avevano consegnato a lui. “Dietro la porta numero 2 invece abbiamo Clark e Janet Scherz, quelli di Edmund.”

 “E perchè stavano sbraitando in quel modo?”. Domandò Castle chiudendo la porta dietro di se, ancora con gli occhi chiusi ma attento a quello che era successo e che l'aveva svegliato.

 “Craddock afferma di avere le prove che sia stato Scherz a uccidere Michael e che poi abbia ucciso anche lo stesso Edmund”. Intervenne questa volta Esposito aumentando la curiosità da Castle.

 “Bene,andiamo a sentire quali sono queste prove”. Affermò il detective osservando la fidanzata sollevata dal modo in cui lui stava reagendo a quella nuova situazione.

  

“Signor Craddock, quali sono queste informazioni di vitale importanza che lei ha ma che a noi sfuggono?”. Domandò Castle sedendosi al lato opposto del tavolo rispetto all'uomo e alla moglie mentre Beckett rimaneva dietro di lui a leggere il fascicolo redatto dagli agenti.

 “Tra le nostre due famiglie non scorre buon sangue e più volte i nostri figli si sono scontrati, nell'ultima occasione quell'assassino ha fatto ben intendere che avrebbe messo fine a questa storia”. Raccontò più calmo l'uomo, stringendo la mano della donna che invece non parlava, chiusa in un proprio mondo per non pensare al figlio perso.

 “Bhè una minaccia non può essere considerata come una prova attendibile”. Beckett sollevò gli occhi da quei fogli e osservò la coppia reagire in modo cosi diverso, lui pieno di rabbia e lei, debole come una foglia al vento.

 “Le prove stanno in tutti i rapporti, in tutte le cartelle mediche riguardanti le aggressioni subite da mio figlio dalla famiglia Scherz”. Constatò l'uomo bagnandosi le labbra e sistemandosi alcune ciocche di capelli. “Inoltre..”. Continuò schiarendosi la voce. “Scherz qualche giorno fa ha prelevato un ingente somma di denaro che ha trasferito su un conto alle Bahamas”. I due detective si lanciarono un occhiata e la donna prese appunti aggiungendo quel nuovo dettaglio al fascicoletto.

 “E come fa a saperlo lei? Sono informazioni riservate”. Fece notare Beckett facendo ridacchiare l'uomo.

 “Lavoro nel campo finanziario, è facile per me venire a conoscenza di queste cose”.

 “Ma la rivalità non mi sembra un buon motivo per causare tre morti, tra cui il proprio figlio”. Osservò Castle vedendo la donna reagire, fermata subito dal marito che non le diede modo di aprire bocca.

 “Ma i milioni di dollari che la compagnia di Scherz ha perso a causa della mia si”. Disse l'uomo con tono superbo, quasi avesse assestato la mossa vincente per condannare il rivale in affari, aggiustandosi la cravatta e i polsini della camicia.

 “Sa signor Craddock cosa mi colpisce di lei”. Enunciò Castle alzandosi lentamente dalla propria sedia, sotto il costante occhio vigile della fidanzata. “Suo figlio stanotte è morto, Scherz poco fa l'ha minacciata di riservarle lo stesso trattamento eppure...”. Si fermò sogghignando sfregandosi il mento con una mano guardando in basso. “Eppure lei mi sembra più interessato ad avere giustizia non tanto per Michael ma per una questione personale”. Appoggiò entrambe le mani sul tavolo sporgendosi verso l'uomo che lo guardò con sguardo furente.

 “Michael è una questione personale”. Craddock battè il pugno sul tavolo facendo strepitare la moglie che si scusò all'istante asciugandosi il viso con un fazzoletto di tela.

 “Credo sia inutile chiedere se suo figlio avesse dei nemici”. Domandò Beckett andando ad accomodarsi al proprio posto, vedendo i due uomini recuperare un certo contegno. “Perciò le chiedo se sa cosa ci facesse alla festa dove era presente anche il suo rivale. É andato a creare problemi?”

 “Non sapevamo che fosse li”. Parlò la signora Craddock stringendo tra le dita il fazzoletto. “Doveva uscire con Joseph”. Notando l'espressione inquisitoria dei due detective aggiunse all'istante. “L'altro nostro figlio”.

 “Forse lui potrà rispondere a qualche domanda. Sapete dov'è?”. Domandò Castle vedendo i due negare con il capo. Annuì sospirando scoraggiato, facendo segno alla fidanzata di interrompere le domande per il momento, volendo avere idee più chiare cosi da porre quesiti più precisi.

 

Quando tornarono nella stanzetta videro Ryan ed Esposito intenti ad aggiornare la lavagna con le informazioni ricavate da Scherz.

 “Novità?”. Chiese Beckett lanciandosi sul divanetto, coprendosi il volto con il braccio.

 “Si ed alcune interessanti”. Sorrise Ryan spostandosi cosi da far vedere ai colleghi quanto scritto.

 “Scherz incolpa Craddock di aver ordinato l'assassinio dei suoi famigliari. Si è scoperto che Bunner era suo nipote,il figlio di sua sorella e di conseguenza cugino di Edmund, e con lui avrebbe ereditato presto la presidenza della società. Scherz inoltre ha lasciato intendere di essere molto malato”. Continuò l'irlandese facendo spola tra i tre colleghi.

 “Secondo lui Craddock li avrebbe voluti morti cosi che la società vada in rovina, senza nessun componente della famiglia a guidarla”. Spiegò Esposito riponendo il pennarello. “A volte questi ricchi non li capisco proprio, fanno figli solo per passare loro il patrimonio”. Espresse la propria opinione ricevendo un occhiata sorniona da parte di Castle.

 “E secondo te perchè si dovrebbero fare i i figli?”. Domandò il detective sempre con quel sorriso stampato sulla labbra, seduto su di una sedia, con le braccia conserte e i piedi appoggiati sul tavolo.

 “Castle”. Lo rimproverò Beckett lanciandogli una delle sue solite occhiate minacciose, pensando di esser stata ben chiara quando gli aveva spiegato di non trattare quell'argomento in presenza del cubano o di Lanie.

 Il detective sbuffò alzando le braccia sentendosi incolpevole, cambiando argomento non volendo subire le ire della fidanzata. “Controlliamo i conti di Craddock e Scherz per vedere se son stati fatti depositi non giustificati, per assicurarci che non sia stato pagato qualcuno”. Ipotizzò in base alle informazioni che gli erano state date nell'interrogatorio precedente.

 “Se cosi fosse non si spiega il perchè della morte del proprio figlio”. Constatò Ryan facendo spallucce. “Supponiamo che Craddock o Scherz abbiano realmente pagato qualcuno, di certo l'avrebbero fatto per uccidere il figlio del rivale, eppure sono morti anche i loro, non ha senso”.

 “Non possiamo escludere nessuna possibilità”. Dichiarò Castle rimettendo i piedi a terra ed alzandosi, osservò il proprio orologio e poi si fregò le mani.

 “Direi di mettere qualcosa nello stomaco mentre aspettiamo i video di sorveglianza e notizie da Lanie”.

 “Che ne facciamo dei genitori?”. Domandò Esposito indicando con il pollice dietro di se.

 “Cercate una scusa per trattenerli ancora per un po'. Giusto il tempo di aver fatto qualche controllo su di loro”. Asserì Beckett rimettendosi in piedi anche lei, pronta a seguire il fidanzato ovunque cosi da assicurarsi che non compiesse qualche azione stupida.

 “E cercate anche Joseph Craddock, il fratello di Michael”. Aggiunse Castle mettendosi sulle punte cosi da farsi vedere dai colleghi che già erano usciti dalla saletta.

 “Credi che li sfruttiamo troppo?”. Domandò poi rivolgendosi alla fidanzata che ridacchiò.

 “Fin quando non si lamentano meglio approfittarne”. Rispose lei tornando seria all'istante.

“Vorrei sentire come sta Lex”. Gli chiese sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, guardandolo con la coda dell'occhio mentre si mordeva la lingua, come se gli avesse chiesto una cosa impossibile da realizzare.

 “Mi stai chiedendo il permesso?”. Aggrottò la fronte lui guardandola divertito, passandole il proprio cellulare. “Sarà contenta di sapere che hai chiamato”. Commentò inarcando leggermente un lato della bocca.

 Beckett afferrò il telefono e si spostò nella saletta relax cosi da aver maggiore tranquillità, non voleva parlare con Alexander o Martha, voleva farlo direttamente con Alexis, entrambe avevano bisogno di sentirsi l'un l'altra.

 

“Abbiamo i video”. Asserì trionfante Ryan, correndo verso Castle mostrandogli il cd contenente le immagini incriminanti.

 “Avvisiamo Beckett?”. Domandò Esposito indicando la collega che rimaneva in piedi su un unico punto, con una mano salda sul cellulare e l'altra infilata in una tasca.

 “No”. Scrollò il capo l'uomo. “Sta facendo una cosa più importante”. Dichiarò rubando il cd dal collega e infilandosi nella sala video cosi da poterlo guardare insieme ai due uomini.

 “Quelli dell'fbi hanno detto che ci sono particolari molto interessanti e che hanno dovuto estendere le ricerche perchè la scena del crimine non ha raccontato propriamente tutta la verità”. Abbozzò un sorriso l'irlandese, alzando subito le mani in propria difesa. “Mi hanno detto solo questo non so altro”. Si spiegò con i colleghi dopo che questi lo guardarono impazienti di sapere da lui stesso l'entità di quei particolari.

 Esposito sbuffò e fece partire il video che mostrava in una unica schermata quattro riquadri. Ognuno di essi indicava un luogo differente dell'edificio, l'ingresso, la sala principale, l'uscita d'emergenza e il piano superiore.

 “Sicuro che vuoi vederlo?”. Stoppò il filmato andando a guardare Castle che si era accomodato sul tavolo, proprio di fronte allo schermo.

 “Certamente”. Disse non incrociando lo sguardo del collega, tenendo le iridi incollate su quelle immagini ferme che subito ripresero a muoversi. Si potevano vedere i ragazzi intenti a ballare, a cantare, a divertirsi, nessun indizio che potesse presagire quanto sarebbe di li a poco accaduto. Poi ci fu uno strano movimento, un ragazzo si allontanò dalla sala e ricomparì nel riquadro dell'ingresso, dove si fermò osservando l'ora sull'orologio.

 “é Craddock”. Notò Ryan avvicinandosi di più allo schermo cosi da poter aver la conferma dei suoi sospetti.

 “E non è da solo”. Sospirò Esposito quando una seconda figura fece il suo ingresso.

 “é il nostro uomo”. Aggiunse Castle non staccando gli occhi dall'assassino, da colui che portava quella maschera indicata da molti ragazzi presenti, studiando attento ogni suo movimento.

 “Si dovevano conoscere, credo stiano discutendo”. Ipotizzò l'irlandese facendo tornare indietro il video fino all'ingresso dell'uomo. Tornarono al punto dov'erano rimasti e videro l'assassino estrarre la prima pistola e sparare alla gamba del giovane che all'istante cadde a terra perdendo molto sangue.

 Lo videro alzare le mani in direzione dell'omicida, sicuramente chiedendo pietà ma questi in cambio gli diede solo una pallottola nel cranio.

 “Sono i video?”. Domandò Beckett entrando nella stanza, ridando il cellulare al fidanzato che annuì riponendolo nella tasca dei pantaloni.

 “Quelli dell'fbi ce l'ha mandato poco fa. Mostra l'assassino cominciare la sua carneficina con Craddock, che probabilmente conosceva.”. La ragguagliò Ryan cosi da non dover tornare indietro ancora con il video e rivedere quelle scene.

 “Ha sparato all'interno dell'edificio, perchè nessuno è scappato quando hanno sentito lo sparo?”. Domandò Beckett vedendo i ragazzi ancora intenti a ballare come se nulla fosse successo.

 “Probabilmente la musica alta ha coperto lo sparo. Nessuno si è accorto di nulla”. Ribatte Esposito distogliendo lo sguardo dal filmato per osservare la collega.

 “E non si è accorta di nulla nemmeno quando ha fatto il suo ingresso trionfale”. Dichiarò Castle indicando ancora il video che aveva continuato a girare. L'assassino era entrato come niente fosse nella sala principale, aveva superato la folla ed era salito sul palco prendendo possesso del microfono.

 “Non abbiamo l'audio?”. Domandò Beckett vedendo Ryan negare sconsolato.

 “Le telecamere riprendono soltanto, non hanno registrato alcun suono.”

 “Bhè mi sembra chiaro cosa dice”. Continuò Castle attirando la curiosità dei tre presenti. “Sta chiamando le nostre vittime”. Enunciò facendo tornare indietro il filmato fino al punto desiderato.

L'omicida intento a parlare e le due vittime raggiungerlo fino ai piedi del palco, un istante dopo l'assassino si liberò dalla giacca, mostrando le pistole infilate nei pantaloni, attirando l'attenzione di tutti i presenti.

 Prima che però qualcuno potesse fare qualcosa questi aveva già preso una delle armi e aveva colpito Scherz dritto nel petto, scatenando l'isteria nella sala. Alcuni presero a correre verso l'esterno, altri sulle scale e nella confusione l'assassino prese ancora la mira e colpì la seconda vittima mentre scappava, facendola scivolare contro il muro. Castle passò velocemente con lo sguardo ogni singola ragazza che potè individuare tra la folla urlante, cercando la sorella, volendo vedere quanto ella era stata vicina a quel pazzo, alle sue vittime.

 “Si diverte pure”. Commentò acido Esposito notando come ora l'assassino si era munito della mitraglietta e cominciava a sparare all'impazzata in tutto l'edificio, senza prendere la mira, giusto per il gusto di farlo.

 “Voglio sapere se le vittime avevano qualche nemico comune, inoltre andate sul posto e chiedete agli hotel, ai negozi vicini alla scena del crimine i loro video di sorveglianza. Se qualcuno riprende l'esterno dell'edificio può mostrarci l'assassino prima che si metta la maschera”. Ordinò Castle bloccando il filmato, prendendo il cd per passarlo a Ryan in modo che lo mettesse insieme alle altre prove. Il solo fatto di aver quei filmati a portata gli creava un senso di inquietudine, in particolare dopo aver visto ciò che la sorella aveva vissuto.

 

“Hai parlato con lei?”. Chiese Castle a Beckett andandosi a sedere su una delle sedie, massaggiandosi la fronte con le dita.

 “Si, abbiamo parlato”. Rispose semplicemente la donna non avvicinandosi, trattenendosi dal dirgli che Alexis si era preoccupata delle condizioni del fratello, il saperlo gli avrebbe procurato ulteriore sconforto. 

“Ha detto che probabilmente passerà al distretto”. Rivelò facendogli spalancare gli occhi, ricevendo uno sguardo adirato.

 “Le hai detto di venire qua a raccontare quanto successo?”. Domandò alzandosi in piedi, pronto ad attaccare verbalmente la donna che subito però lo fermò.

 “No è lei che me l'ha detto senza alcuna mia forzatura”. Spiegò la donna vedendolo calmarsi. “Vuole restituirmi la giacca anche se credo sia una scusa per venire qui e parlare”. Sospirò Beckett tenendo lo sguardo basso, pensierosa riguardo quella possibile conversazione, sentendosi un peso sullo stomaco che mai avrebbe voluto provare. Era brava a consolare i famigliari della vittime ma ora doveva vedersela con una giovane a cui voleva un profondo bene e che doveva aiutare a superare al meglio la situazione.

 “Vorrei avere uno di quegli aggeggini dei Man in Black, le basterebbe guardare la lucetta e puff dimenticherebbe tutto”. Sogghignò lui tristemente, bagnandosi le labbra mentre scaricava il proprio nervosismo sulle mani, prendendo a schioccarsi le dita e a far scorrere i pollici sui palmi.

“Non so che dirle per aiutarla”. Dichiarò appoggiando le mani sul tavolo, compiendo un piccolo saltello per ritrovarsi seduto su di esso ad osservare ancora quello schermo ormai bianco.

 “Le parole giuste ci verranno sul momento”. Lo guardò Beckett, vedendolo cosi fragile, non riconoscendolo, scoprendo nelle ultime ore altri aspetti di lui che in 5 anni mai avrebbe intuito. Voltò il capo guardando all'esterno della stanza, osservando dai vetri gli agenti alle loro scrivanie, incuranti del loro essere li. Chiuse le tendine e la porta, lasciando l'ambiente avvolto nella penombra, illuminato solo dalla fioca luce che penetrava dalle alte finestre. Castle quasi non si accorse di quel cambiamento, preso com'era dai suoi pensieri, cercando di formulare nella propria mente un discorso che avrebbe aiutato la sorella. 

“Non voglio che diventi insensibile come ho fatto io per non sentire più quel dolore, per non vedere più quelle immagini ogni volta che chiude gli occhi”. Asserì lui stringendo i pugni. “Non voglio perdere il sorriso di mia sorella per colpa di un pazzo, non voglio..”. Il fiume di parole che stava prendendo vita dalla sua bocca venne bruscamente interrotto da Beckett e dal suo bacio. Quel gesto colse di sorpresa l'uomo che sbattè più volte le palpebre prima di ricambiare.

 “Siamo al distretto”. Sospirò Castle quando sentì le mani della fidanzata sulle proprie cosce, intente a salire verso i suoi fianchi.

 “Lo sò”. Beckett spostò la bocca sulla sua guancia, scendendo verso il collo, lasciando dietro di se una scia di delicati baci. “Ma ne abbiamo bisogno entrambi. Dimenticare anche se per poco”.

 

  “Dove sono Castle e Beckett?”. Domandò Esposito incamminandosi con il collega verso le loro scrivanie dopo esser stati di nuovo sulla scena del crimine a far quanto richiesto dalla collega. L'irlandese guardò verso la stanza dove li avevano lasciati, notando le tendine chiuse.

 “Beckett mi ha detto che Castle non la sta prendendo bene”. Confessò vedendo il volto di Esposito farsi subito preoccupato, fermandolo dall'andare a controllare come stesse l'amico.

 “Noi non possiamo far nulla, lei è l'unica che lo può aiutare”. Gli disse tenendogli premuta una mano sul petto finchè non lo vide annuire e indietreggiare.

 “Possiamo aiutarlo, risolvendo questo caso”. Affermò il cubano sedendosi sulla propria scrivania, componendo un numero di telefono.

 “Io sento Lanie per vedere a che punto sono con l'autopsia poi chiamo gli agenti per sapere se hanno trovato Joseph”. Spiegò sentendo nelle orecchie riecheggiargli la voce della segreteria del medico legale. 

“Tu guarda se hanno fatto i controlli sui conti di Craddock e Scherz cosi da escludere la possibilità che siano i mandanti, e già che ci sei controlliamo i loro alibi”.

 

 Dopo una mezz'ora di intense ricerche i due detective videro la porta della saletta aprirsi e i due colleghi fare capolino da quella.

 “Tutto bene?”. Domandò Ryan rivolgendosi più a Beckett, sospettando che Castle avesse avuto qualche crisi di nervi.

 “Abbiamo recuperato un po' di sonno”. Sorrise l'uomo andando a sbirciare sul taccuino dove Esposito aveva appunto le novità reperite durante la loro assenza.

 “Riguardo ai video?”. Domandò la detective bevendo dalla bottiglietta d'acqua sulla sua scrivania, specchiandosi nello schermo nero del proprio computer.

 “Nessuno che ci possa aiutare, l'assassino indossa già la maschera prima di entrare nell'edificio e nelle inquadrature è a piedi quindi non possiamo nemmeno rintracciarlo dall'auto”. Rispose Ryan voltando la sedia girevole verso il proprio pc. “Ho fatto dei controlli sui conti delle due famiglie ed è saltato fuori un particolare interessante”. Mandò la stampa e attese che i fogli uscissero cosi da mostrarli ai colleghi.

 “Una settimana fa Scherz ha depositato su un conto alle Bahamas 30.000 dollari e due giorni dopo, sempre sullo stesso conto, Craddock ne ha depositati 50.000”

 “Non possiamo risalire al proprietario?”. Domandò Castle studiando quei resoconti che aveva tra le mani prima di passarli alla fidanzata.

 “No e il procuratore non ci darà alcun mandato finchè non avremo prove certe del loro coinvolgimento. Sono famiglie importanti a cui nessuno vuole far torto”. Li informò Esposito aggiungendo subito dopo. “Inoltre Lanie ha scoperto qualcosa di interessante durante le autopsie ma voleva fare qualche controllo in più per esser certa. Una volta finito mi farà sapere”.

 “Bene allora andiamo a chiedere ai due patriarchi il perchè di quei depositi”. Enunciò Castle bloccandosi quando Ryan si schiarì la voce.

 “L'abbiamo già fatto noi mentre voi non eravate disponibili”. Affermò innocentemente ma causando un gioco di sguardi tra i due fidanzati. “Dicono di non saperne nulla, che chiunque all'interno del consiglio di amministrazione può aver fatto quel versamento”.

 “E di Joseph?”. Chiese ancora il detective, quel giovane era l'ultima pista che potevano seguire non avendo null'altro nelle mani che potesse farli andare avanti nelle indagini.

 “Il cellulare risulta staccato e i genitori non sanno dove possa trovarsi”. Ribattè Esposito dondolandosi sulla sedia, osservando di tanto in tanto il cellulare in attesa di notizie da Lanie.

 “Forse il killer ha ucciso anche lui”. Ipotizzò Castle con uno sguardo fin troppo serio. “Ha ucciso gli eredi del patrimonio Scherz, può averlo fatto anche con i Craddock.”.

 “Bhè non è propriamente cosi, Scherz avrebbe diviso la società in tre parti”. Si intromise Ryan grattandosi la testa. “Due terzi sarebbero andati a Edmund e Sebastian e dopo una breve ricerca ho scoperto che quest'ultimo aveva una sorella, Verena, a cui suppongo sarebbe andato il terzo mancante”.

 “Se l'omicida punta ad eliminare tutti i giovani potrebbe essere in pericolo, se già non è troppo tardi”. Asserì Beckett prendendo la propria pistola dal cassetto e indossando la giacca.

 “Datemi il suo indirizzo”. Ordinò ai colleghi e l'irlandese subito lo appuntò su un foglio che porse al collega.

 “Se dovesse arrivare Alexis fatele compagnia per favore”. Castle si rivolse ai colleghi chiedendogli quel piacere che i due non gli seppero negare.

 

 “Credi davvero che le due famiglie abbiano pagato qualcuno per uccidere l'uno i figli dell'altro?”. Domandò Castle scendendo dalla macchina, con una mano sulla fondina, mentre insieme alla fidanzata si dirigeva alla porta d'ingresso della casa di Verena Bunner.

 “Non mi stupirei, in questi anni abbiamo visto di peggio”. Rispose la donna bussando e chiamando la giovane, non ottenendo risposta.

 “Sta dietro di me”. Comandò il detective aprendo la porta, chiamando lui a gran voce questa volta il nome della ragazza.

 “Polizia di New York”. Urlò Beckett dirigendosi verso il lato est della casa mentre Castle prese la direzione opposta.

 “Ma che succede?”. Si sentì ad un tratto una voce provenire dalle scale. “Che ci fate in casa mia?”. Domandò Verena aggiustandosi la vestaglia.

 “Detective Beckett e Castle, dovremmo farle qualche domanda su quanto successo questa notte signorina Bunner”. Disse la donna guardandosi attorno, sempre tenendo la pistola salda tra le mani anche se puntata a terra.

 “Stanotte?”. Li guardò straniati lei, voltandosi a parlare con qualcuno.

 “Chi c'è li?”. Chiese Castle cominciando a dirigersi sulle scale, tenendo lo sguardo fisso sulla ragazza.

 “Un amico”. Rispose imbarazzata lei mentre un giovane in soli boxer si palesava ai due, tenendo le mani alzate volendo far vedere di non essere armato o di aver cattive intenzioni.

 “La signorina Bunner dovrebbe venir con noi signor...”. Si bloccò Castle non avendo dato modo al giovane di presentarsi.

 “Craddock, Joseph Craddock”. Si presentò questi lasciando il detective a bocca aperta.

 “E per fortuna che tra le famiglie non scorreva buon sangue”. Sogghignò l'uomo ritirando la sua pistola e compiendo gli ultimi gradini fino a trovarsi sullo stesso pianerottolo dei due.

 “Dovremo portarvi entrambi al distretto, dopo che vi sarete resi più presentabili”.



*******************

Nel prossimo capitolo ci sarà la risoluzione del caso e l'arrivo di Alexis al distretto. Dopo di che gli ultimi capitoli con il tanto atteso matrimonio

 

Ritorna all'indice


Capitolo 53
*** E se fallissi... ***


 

 12th DISTRETTO

“Ci dispiace che abbiate dovuto apprendere cosi della morte dei vostri fratelli”. Disse Beckett porgendo alla giovane dei fazzolettini cosi che si potesse asciugare le lacrime che le sgorgavano dal viso.

 “Per via dell'astio tra le nostre famiglie Verena ed io possiamo passare poco tempo insieme e quando accade non vogliamo esser disturbati, per questo avevamo entrambi i telefoni staccati”. Spiegò il giovane rincuorando nel contempo la ragazza, tenendola vicino a se.

 “Per caso ieri sera i vostri fratelli erano preoccupati, hanno fatto qualcosa di strano che potesse presagire quanto accaduto?”. Domandò Castle dando le spalle ai due giusto per preparare del caffè per la giovane.

 “Quando ho detto a Michael che non sarei andato con lui alla festa perchè avevo altri programmi si è messo a ridere, dicendo che mi sarei perso un bello spettacolo”. Parlò Joseph mentre Castle porse la tazza a Verena e si sedette accanto alla fidanzata.

 “Forse Michael era al corrente di quello che stava per accadere, forse lui stesso l'ha organizzato”. Sussurrò nell'orecchio della donna non facendosi sentire dai due giovani, non volendo renderli partecipi di quelle sue illazioni senza fondamento.

 “E Sebastian, ha avuto strani comportamenti di recente?”. Domandò Beckett a Verena che stringendo il fazzoletto scrollò il capo.

 “Era tranquillo”. Rispose singhiozzando. “Stava facendo progetti con Edmund per investire parte del capitale in un nuovo progetto”.

 Sentirono bussare ad uno dei vetri e videro dietro di essi Esposito che li invitava a raggiungerlo. 

“Prendetevi un po' di tempo per riflettere, se vi viene in mente altro diteci pure”. Proferì Castle seguendo la fidanzata fin dove Esposito e Ryan li stavano aspettando.

  

“Abbiamo notizie interessanti da Lanie”. Comunicò l'irlandese alzando un foglio contenente codici genetici che i due colleghi non riuscirono a capire.

 “In poche parole vorrebbe dire che...”. Lo invitò Castle a spiegarsi cosi da non lasciarli sulle spine.

 “Vorrebbe dire che, dagli esami svolti, si è trovato lo stesso corredo genetico tra Edmund e Michael”. Rivelò con un sorriso trionfante sulle labbra.

 “Erano parenti?”. Domandò incredula Beckett strappando di mano quel foglio dal collega.

 “Di più, erano fratelli. Stesso padre”.Rispose con tono serio Esposito. “Se volete parlare con i genitori sono ancora nella stanza degli interrogatori.”

 “D'accordo. Voi tenete d'occhio Joseph e Verena, potrebbe venire in mente loro qualcosa di utile. Noi andiamo a sentire gli Scherz questa volta”. Asserì Beckett rimettendo il foglio nel fascicolo e tirando con se Castle, non voleva perderlo di vista, sopratutto quando il mandante di quegli omicidi poteva essere presente al distretto.

 

 “Siamo rinchiusi qui da ore, non avete il diritto di trattarci cosi”. Obiettò Scherz quando li vide entrare nella stanza, rimanendo in piedi accanto al vetro contro il quale aveva sfogato tutta la propria frustrazione.

 “Stiamo cercando di risolvere un caso, non stiamo giocando”. Ribattè Castle indicando con una mano la sedia dell'uomo cosi che potesse tornare a sedersi li.

 “Signora Scherz perchè non va a prendersi un caffè mentre noi parliamo con suo marito”. Suggerì cortesemente la detective volendo evitare che la donna venisse a sapere del tradimento del marito in quel modo, dopo tutto quello che aveva passato. La signora Scherz però non accettò quell'invito, aggrappandosi al braccio del marito.

 Beckett guardò Castle esortandolo con gli occhi ad insistere per far uscire la donna dalla stanza, ma lui aveva un idea diversa, non voleva dare corda a persone simili.

 “Durante l'interrogatorio con i miei colleghi si è dimenticato di accennare ad un particolare essenziale. Michael è suo figlio non di Craddock”. Detto questo Castle attese la reazione dell'uomo, non aspettava altro per far leva sul suo astio per fargli dire ciò che fino a quel momento aveva nascosto.

 “Non vedo questo cosa possa centrare se non per il fatto che ho perso tre ragazzi che erano sangue del mio sangue”. Rispose l'uomo con una calma che lasciò di stucco i due detective.

 “Lei lo sapeva signora Scherz?”. Domandò Castle alla donna mentre una nuova ipotesi prendeva forma nella sua testa, forse era stata lei a volere la morte di Michael, segno indelebile del tradimento del marito, ma ancora non riusciva a dare una spiegazione alla morte di Edmund e Sebastian.

 “Fin dal primo momento”. Quando la donna rispose anche quella nuova pista crollò davanti al detective che sospirò affranto.

“Mio marito mi ha detto subito della relazione che aveva avuto con Claire e quando lei è rimasta incinta abbiamo deciso tutti e tre insieme di mantenere il segreto”. Confessò andando a sorridere al marito che in cambiò le diede un bacio sulla fronte.

 “Ma forse quel rancore era troppo da portare dentro e ora ha colto l'occasione per vendicarsi”. Continuò a stuzzicare Castle nella speranza di avere una confessione ma la donna si rivelò più tenace di quanto pensasse.

 “Volevo bene a Michael”. Disse risoluta. “Prima che mio marito e Frederick litigassero passavamo molto tempo insieme, Michael è cresciuto insieme ai nostri figli e ci consideravamo una grande famiglia”.

 “E poi cose successo?”. Chiese Beckett cercando di risultare più disponibile nei confronti della coppia a differenza di Castle che invece preferiva aggredirli.

 “Michael a 8 anni si è ammalato, facendo dei test Frederick scoprì di non essere il padre e non gli ci volle molto per capire chi lo fosse”. Spiegò Clark Scherz lasciando momentaneamente la mano della moglie, sporgendosi sul tavolo cosi da avvicinarsi ai due.

 “Non serve che mi guardiate cosi, so di aver sbagliato”. Confessò abbassando per qualche istante lo sguardo, inspirando profondamente. “In questi anni ho avuto più di quanto meritassi ma ora ero deciso a rimediare per questo aveva raccontato tutto a Edmund”.

 “Suo figlio sapeva che Michael era il suo fratellastro?”. Chiese Castle appoggiando il dorso contro lo schienale della sedia, portando le mani dietro la testa, cominciando a dubitare di esser finito in una puntata di Beautiful.

 “Volevo che questo odio tra le due famiglie finisse e cosa c'era di meglio che confessare la verità, avrei cosi riunito i due fratelli. Volevo che Michael prendesse la sua quota dell'azienda insieme a Edmund e Sebastian”. L'uomo si sentì d'improvviso stanco, pallido, tanto che dovette andare ad appoggiarsi sulla moglie per non rischiare di cadere dalla sedia.

 “Voleva sistemare le cose prima di..”. Affermò Beckett fermandosi quando l'uomo annuì.

 “I dottori mi hanno dato pochi mesi di vita e volevo la mia famiglia unita un ultima volta”. Sibilò quelle parole quasi fosse un peccato dirle. “Una famiglia che ora non ho più”. Singhiozzò nascondendo il volto tra le mani mentre la moglie gli sussurrava dolci parole nell'orecchio, massaggiandogli la schiena.

 “Ha ancora Verena”. Gli ricordò Beckett pensando di rallegrare momentaneamente l'uomo, di alleviare quel senso di solitudine che provava.

 “Lei non fa più parte della nostra famiglia”. Disse solamente la donna alzando lo sguardo dal marito, concentrandosi sulla detective.

 “Per via delle sue frequentazioni?”. Domandò dando enfasi all'ultima parte, volendo sapere se la famiglia sapeva della sua relazione con Craddock.

 “Perchè ha cercato di vendere i segreti della nostra società a un gruppo russo concorrente”. Ringhiò l'uomo dimenticandosi del dolore provato fino a pochi attimi prima, provando rabbia e vergogna per il comportamento della nipote, non aveva tradito la società ma tutta l'intera famiglia.

 “Quindi non ha nulla a che fare con la sua relazione con Joseph”. Constatò Castle rivolto più alla fidanzata che ai coniugi Scherz alla quale però quel suo dire li colse di sopresa.

 “Sta con Joseph Craddock?”. Spalancò gli occhi la donna, coprendosi la bocca con le mani sconvolta, quasi li fosse stato detto di aver perso un altro figlio.

 “Avete detto che volevate riunire la famiglia e questo mi sembra un ottimo inizio no”. Castle cercò di far vedere loro il lato positivo ma ottenne solo uno sguardo di profonda disapprovazione.

 “Noi non lo vogliamo in famiglia quando la sua stessa l'ha cacciato”. Puntualizzò l'uomo alzandosi innervosito e spazientito dalla sedia, trascinando con se la moglie che ancora dava sfogo al suo disprezzo.

 “Aspettate”. Si parò davanti a loro Beckett, allungando le mani verso i due per non farli muovere oltre.

 “Che significa che anche lui è stato allontanato?”. Domandò inclinando il capo, non sopportando quando informazioni vitali le veniva celate dagli stessi parenti delle vittime, complicando cosi maggiormente le indagini.

 “Che se Craddock gli avesse lasciato in mano la società nel giro di un mese se la sarebbe venduta per comprarsi la droga.”. Affermò l'uomo tirandosi la giacca e sistemandosi ancora i capelli, pronto ad uscire da quel luogo e tornarsene a casa per occuparsi del funerale di Edmund e Sebastian.

 “Un drogato e una traditrice”. Commentò sprezzante aprendo la porta. “Sarà anche la mia ultima erede ma non permetterò mai che la mia società finisca nelle sue mani, e la stessa cosa farà Craddock”.

 Lasciandolo uscire dalla porta Beckett tornò a mettersi vicino a Castle ancora seduto. Appoggiò una mano sul tavolo e l'altra sulla sedia, rimanendo sollevata accanto all'uomo.

 “Se Michael avesse accettato la proposta di Scherz di riunire la famiglia e di prendere la sua quota di società certamente Craddock non l'avrebbe presa bene, avrebbe perso un figlio e un erede”. Ragionò insieme all'uomo che la guardò di sfuggita prima di tornare a fissare davanti a se, sempre tenendo le mani dietro la testa.

 “Craddock fin da subito mi è parso più preoccupato alla questione finanziaria e ci ha dato qualche informazione per farci dubitare di Scherz”. Disse l'uomo cominciando a dondolarsi sulla sedia, meditando che la vendetta e la rabbia potevano essere un più che valido movente per l'omicidio di quei tre giovani.

 “Può essere come sospettavamo all'inizio”. Suggerì Beckett rimettendosi dritta con la schiena, prendendo a camminare avanti e indietro per aiutarsi a schiarire le idee. “Forse Craddock ha pagato qualcuno perchè facesse il lavoro sporco”.

 “Però ha detto di non sapere dove si trovasse il figlio, per loro doveva uscire con Joseph”. Obiettò l'uomo rendendo pensierosa la detective che continuò i suoi movimenti incrociando le braccia al petto, con una leggera smorfia sul volto.

 “Un assassino difficilmente ammette le proprie colpe”. Gli ricordò la donna fermandosi di colpo. “Non ci resta che parlare di nuovo con lui”.

 I due uscirono dalla stanzetta ritrovandosi in una strana quiete che non si sarebbero aspettati data la presenza di entrambe le famiglie. Gli sembrava di esser all'interno di un film western, con i due contendenti in silenzio a guardarsi, l'uno in attesa della mossa dell'altro. Con Ryan vi erano i Craddock mentre Esposito si era messo accanto agli Scherz, pronti ad intervenire se i due capofamiglia fossero tornati di nuovo a farsi la guerra.

 “Lo sanno Craddock”. Ruppe il silezio Scherz, utilizzando un tono di voce che sorprese i detective, non era di scherno ma anzi, sembrava quasi dispiaciuto. “Sanno che Michael era mio”.

 “Non è mai stato tuo, sono io che l'ho cresciuto. Tu eri solo un vago ricordo della sua infanzia”. Attaccò l'uomo rendendo di nuovo caldo l'ambiente, con i detective consapevoli che la situazione poteva degenerare da un momento all'altro.

 Ryan si avvicinò a Beckett e le sussurrò qualcosa all'orecchio che la fece meravigliare. Lo ringraziò e gli impartì nuovi ordini, dicendogli di portare da loro anche i due giovani innamorati.

 “Il mio collega mi ha appena informato che i depositi sul conto segreto son stati effettuati dalla stesso portatile, il codice identificativo risulta lo stesso”. Disse la donna sentendosi in quel momento una copia del famoso Poirot, pronto a rivelare la verità ai presenti.

 “Sta accusando uno di noi?”. Sghignazzò Craddock, ridendo guardando gli altri detective cercando in quel momento un compagno di risate per quel che pensava essere uno scherzo. “Cosi facendo troncherà all'istante la sua carriera”. Affermò estremamente serio facendo tremare Castle.

 “Il pc risulta essere il suo Verena”. Disse tralasciando le parole di Craddock, non volendo rispondergli a tono per evitare davvero spiacevoli conseguenze. “Sa spiegarcelo?”. Tutti gli occhi erano sulla giovane, aspettandosi da lei qualunque parola per discolparsi ma la ragazza sembrava come esser diventata una statua di ghiaccio. Rimaneva accanto a Joseph a guardare uno per uno i presenti, quasi si aspettasse che uno di loro corresse in suo aiuto.

 “Vorrà dire per che ora ti terremo in custodia in attesa di aver prove più incriminanti”. Parlò Castle avvicinandosi ai due con l'intenzione di accompagnarla nella sala degli interrogatori dove avrebbe aspettato l'esito delle indagini. Prima di riuscire a muovere un ulteriore passo Joseph estrasse la pistola che teneva dietro la schiena, puntandola contro i presenti.

 “Che nessuno faccia un passo falso”. Minacciò i detective, i genitori, gli Scherz e gli altri agenti che si erano alzati dalle loro scrivanie per intervenire. Prese per mano Verena e cominciò ad indietreggiare volendo raggiungere l'ascensore cosi da fuggire.

 “La riconosci papa?”. Chiese con voce carica di rabbia, mostrando per un breve secondo la pistola all'uomo. “é quella che mi hai regalato per il mio ventesimo compleanno, la stessa che ho usato per uccidere quel verme di Scherz che si era nascosto nella nostra famiglia”. Confessò trionfante.

 “Sei in un commissariato”. Gli fece notare Esposito incurvandosi leggermente in avanti, camminando verso di lui con cautela, tenendo le braccia protese verso i due cosi da mostrar loro di non esser armato. “Non riuscirai a scappare”.

 “Michael era tuo fratello”. Gli urlò contro Craddock quando un colpo partì dalla pistola che però era puntata verso l'alto, provocando cosi solo un buco sul soffitto.

 “Proprio tu lo dici, tu ipocrita che non sei altro”. Lo sbeffeggiò indicando a Verena l'ascensore, dandole il compito di chiamarlo al piano cosi che potessero fuggire. “Hai sempre sputato l'odio contro gli Scherz quando in realtà ne crescevi uno, quando eri pronto a dare in mano a lui la società, a lui e non a me che sono un Craddock puro”. Un altro colpo partì, questa volta diretto proprio contro l'uomo ma Ryan capendo la situazione riuscì a spostare il vecchio uomo prima che venisse ferito. Approfittando della confusione Esposito fece un lungo passo verso di loro, afferrando per un braccio Verena, trascinandola con se.

 “Ti conviene lasciarla se non vuoi che faccio un buco in testa ai tuoi amici”. Gli puntò la pistola contro ma facendo roteare le iridi lungo tutto il distretto, vedendo gli agenti nascosti dietro le scrivanie, proteggendo i suoi genitori e i rivali.

 “Di chi è stata l'idea?”.Domandò d'un tratto Castle, trovandosi l'arma puntata su di se. “é Verena che te l'ha chiesto o hai deciso tu di uccidere tuo fratello e gli altri due”.

 “Lui non era mio fratello”. Ringhiò agitando l'arma facendo trattenere il fiato al detective impaurito dal fatto che un colpo potesse partire per sbaglio.

 “Quando Michael e Sebastian ci dissero la lieta novella, Verena ed io, avevamo innocentemente pensato che potevamo costruire una società tutta nostra, ma loro no...”. Balbettò cominciando a muoversi come se avesse avuto il fuoco in corpo, agitando la testa e grattandosela.

 “Loro non ci hanno voluti nel loro nuovo mondo e cosi abbiamo organizzato un piano per vendicarci delle famiglie che ci avevano rinnegato”.

 “Joseph basta”. Lo rimproverò la giovane cercando nel contempo di liberarsi dalla presa di Esposito. “Sta zitto o ci condanni”. Castle notò il bottone dell'ascensore accendersi sospirando sollevato dal fatto che nuovi agenti stavano giungendo in loro aiuto. Avrebbero colto il ragazzo alle spalle ponendo fine a quella situazione di stallo.

 “E cosi sapendoli a quella festa avete organizzato tutto per farli sembrare degli omicidi casuali”. Continuò ancora il detective volendo sia distrarre Joseph sia ottenere una confessione davanti a più e più agenti di polizia.

 “E pensare che Michael nemmeno voleva andarci a quella festa”. Ridacchiò  Joseph mentre le porte dell'ascensore si aprirono. Castle era pronto ad indicare ai poliziotti il modo di agire ma si ritrovò a guardare in volto suo padre ed Alexis. 

“Ma alla fine l'ho convinto, ero anche pronto a dargli un altra occasione per redimersi”. Confessò il giovane mentre il detective cercava di far capire al genitore di andarsene, di riportare l'ascensore al piano inferiore prima che quel pazzo si accorgesse di loro. “Doveva rinnegare gli Scherz e tornare da me ma quando ha letto il mio messaggio ieri sera è venuto a fermarmi e allora gli ho sparato”. Quando Alexander capì che davanti a lui vi era l'uomo che aveva rischiato di far del male a sua figlia si sentì invadere da una nuova emozione provata raramente, si guardò attorno e vide un porta ombrelli metallico. Sfuggì allo sguardo del figlio che lo implorava di non agire ma la sua mentre era indirizzata ad un unico obiettivò.

 “Ehi”. Disse solo per attirare l'attenzione di Joseph e quando questi si voltò lo colpì in pieno volto, facendolo cadere a terra mentre la pistola scivolava dalle sue mani. Senza dar modo agli agenti di intervenire se ne impossessò lui puntandola contro il giovane che scrollando la testa si ritrovò a fissare nel buco della canna.

 “Abbassate le armi, è un ordine”. Urlò Beckett gesticolando con le mani cosi da far capire ai colleghi che Alexander non doveva avere lo stesso trattamento di un assassino anche se il vederlo impugnare un arma le incuteva una certa preoccupazione. 

“Papa”. Sussurrò Alexis allungando un braccio verso il padre prima di ritrarlo.

 “é tutto a posto bambina mia”. Le disse senza staccare gli occhi dal volto insanguinato del giovane. “Perchè non ti fai accompagnare fuori da Ryan”. Suggerì con voce calma che non rispecchiava minimamente il tumulto che sentiva dentro il cuore. L'irlandese non aspettò il consenso di nessuno e trascinò via la ragazza che non protestò, rimanendo con gli occhi sul padre fino a che non si vide una porta chiudersi in faccia.

 “Alexander metti giù la pistola”. Lo invitò Beckett compiendo alcuni passi cauti, fino a ritrovarsi contro il muro accanto a Joseph. “Lascia che ce ne occupiamo noi”. Gli disse porgendogli la mano cosi che potesse darle la pistola ma lui non fece nulla di ciò. La detective cercò allora l'aiuto del fidanzato, certa che lui sarebbe riuscito a fermare il padre dal fare qualche pazzia ma trovò l'uomo stranamente disinteressato da quella vicenda. Teneva gli occhi sul genitore ma Beckett poteva intuire che non aveva la minima intenzione di intervenire anzi sembrava quasi che stesse aspettando quel gesto.

 “Pensa ad Alexis, vuoi davvero che ti veda come un assassino”. Nessuno muscolo di Alexander si mosse, solo le scure iridi si piantarono su di lei abbandonando il suo bersaglio.

 “Non un assassino, un padre che protegge sua figlia”. La risposta freddò la donna in un istante, facendole credere di aver un altra persona sconosciuta davanti a se. Quello non era l'uomo gentile e premuroso che aveva conosciuto, era un corpo vuoto desideroso di vendetta. Tutto ciò la riporto a Castle, al fatto che anche lui era stato cosi in passato, e ora si ritrovava a domandarsi del perchè non fosse ancora intervenuto. 

“Se lo uccidi non potrai più proteggerla dato che passerai la vita in prigione”. Constatò decisa, porgendogli con vigore ancora la mano ma Alexander tornò a guardare il giovane, premendo la canna della pistola contro la sua fronte.

 “Questo è quello che ha provato mia figlia”. Gli disse mentre Joseph cercava di allontanare la testa, di proteggersi con le mani.

 “Rick”. Lo richiamò Beckett, se non avesse ottenuto il suo aiuto sarebbe stata costretta a far intervenire Esposito che si era già posizionato dietro l'uomo, pronto a prendergli la pistola. La donna però non voleva che ciò accadesse, opponendo tale resistenza rischiava una condanna e non poteva permetterlo.

 “Mentre lo uccidi non guardarlo negli occhi o ti verranno a cercare nei tuoi incubi”. Quell'unica frase riusci a rendere tutti i presenti sbigottiti, nessuno avrebbe mai sospettato una tale risposta, in particolare Beckett che si ritrovò davanti agli occhi quel Castle, con la stretta al cuore per averlo perso ancora dopo anni di fatica per farlo tornare a sentire, a provare sentimenti.

 “I miei incubi iniziali son riuscito a scacciarli grazie a un fantastico padre, ma credo che tu non avrai la stessa fortuna perchè quell'uomo scomparirà nel momento in cui premerai il grilletto”. Alexander spinse la canna della pistola ancora contro la testa del giovane, facendolo gemere dalla paura, e poi la porse a Beckett, mettendo le mani dietro la nuca pronto per farsi portare via dagli agenti.

 “Portatelo in qualche stanza e state li fin quando la situazione qui non sarà sistemata”. Sussurrò la detective a uno dei poliziotti. “Credo che abbiamo tutte le attenuanti per non far sporgere denuncia”.

 Vedendo Alexander scortato verso una stanza Beckett si mise di fianco al fidanzato, studiandolo con la coda dell'occhio. “Gli avresti permesso di ucciderlo?”. Domandò non certa di voler sentire la risposta.

 “No”. Rispose secco lui senza staccare gli occhi dal padre. “Ma doveva capire da solo la sciocchezza che stava per fare”. In un certo modo quella risposta fece rilassare la detective, facendole passare quelle paure iniziali, Castle le aveva dato la conferma che non avrebbe permesso uel gesto da parte del padre. 

 

Dopo pochi minuti entrarono nella stanza degli interrogatori dove Ryan aveva portato Alexis per tenerla il più lontano possibile da quel trambusto, perchè non le giungessero alle orecchie quei rumori che le avrebbero fatto riaffiorare alla mente gli eventi della sera precedente. La ragazza era tranquilla, sicuramente grazie anche alle maniere bonarie dell'irlandese, che era riuscito a non farle sentire sulle spalle il peso della situazione, il dubbio che il padre avesse potuto uccidere un uomo per lei.

 “Credo che andrò a farmi un caffè”. Affermò l'uomo posando una mano sulla spalla di Alexis. “TI lascio in buone mani”. Scherzò facendole l'occhiolino prima di dirigersi verso l'uscita dove i due detective lo ringraziarono.

 “Papa?”. Chiese la giovane non riuscendo però a trattenere del tutto quel timore che sentiva dentro, ma bastò il sorriso di Beckett a calmarla.

 “é tutto a posto. Abbiamo arrestato Craddock e tuo padre non ha fatto nulla di grave”. La rassicurò la detective accomodandosi accanto a lei mentre Castle se ne stava in disparte, ancora contro la porta, sentendosi di troppo in quel momento.

 “Perchè l'ha fatto?”. Domandò sempre alla donna, guardando un po' lei e un po' la sua immagine riflessa nello specchio presente nella stanza. Sapeva che suo fratello era li ma in quel frangente aveva bisogno della calma, della razionalità di Beckett e non del l'impulsività di Castle.

 “Tuo padre...” . Cominciò a spiegare la donna venendo subito interrotta dalla sua interlocutrice.

 “Non lui”. Scosse la testa. “Sò perchè papa ha agito cosi”. Abbassò la testa facendosi cogliere ancora una volta impreparata dai sensi di colpa. “Craddock dico”.

 “Voleva solo vendicarsi di una famiglia che lo aveva messo da parte”. Rispose solo, senza dilungarsi troppo in lunghe e tediose spiegazioni che non avrebbero di certo aiutato Alexis.

“Non tutti hanno la fortuna di avere una famiglia come la nostra”. Aggiunse togliendole i capelli dal viso cosi da poterla guardare meglio, cosi da cercare negli occhi quell'innocenza che sperava non fosse stata intaccata.

 “Quando è successo mi sembrava cosi irreale”. Dichiarò la giovane cercando con lo sguardo quello del fratello. “Non so nemmeno bene quello che è veramente accaduto, l'unica cosa che ricordo era la necessità di scappare, di nascondersi”.

 “é meglio cosi credimi”. Intervenne Castle parlando tutto d'un fiato, rimanendo distaccato come se non si stesse rivolgendo alla sorella ma a una persona qualsiasi. “Sarà più facile cancellare quello che è successo”.

 “Io non voglio farlo”. Puntualizzò decisa la giovane, scrollando il capo con vigore e guardando il fratello estraniata. “Non voglio far finta di nulla e diventare come te”. Le parole le uscirono dalla bocca ancora prima che potesse accorgersi di aver detto a voce alta ciò che pensava.

 “Mi dispiace”. Abbassò il capo notando l'espressione ferita del fratello. “é solo che io non sono cosi forte, non riesco a gettarmi tutto alle spalle, ho bisogno di dare una spiegazione a ciò che provo”

 “E cosa provi?”. Chiese Beckett volendo avere un approccio diverso da quello del fidanzato, preferendo aiutare Alexis facendola parlare piuttosto che farla chiudere in se.

 “Paura, tanta paura”. Confessò lei sorridendo nonostante una lacrima le abbandonò l'occhio, scorrendole sulla guancia finchè non l'asciugò con le dita. “Quando ho fatto per varcare la porta di casa mi sono ritrovata seduta a terra a piangere”. I due detective provarono un'emozione simile a quella della giovane, ma mentre Castle la sfogò tirando un pugno al muro dietro di se, senza farsi notare dalle due, Beckett aprì il suo cuore.

 “La vita fa paura Lex”. Sospirò bagnandosi le labbra, tirando la sedia ancora più vicina alla giovane che la guardò disorientata, essendosi aspettata parole di conforto e non quella constatazione pessimistica.

 “Potresti fare come suggeritoti da Castle e prendere la strada facile. Far finta che nulla sia accaduto”. Continuò volendo andare a guardare il fidanzato ma non trovando le forze, timorosa di non trovare più le parole una volta visto il suo viso contrariato.

 “Ma tu non sei il tipo”. Castle non si mosse, portò le braccia al petto e stette ad ascoltare il discorso della fidanzata. Sapeva che quelle parole non erano dirette a lui però in un certo senso si sentiva comunque tirato in causa.

 “Non esiste nessun metodo miracoloso che possa aiutarti ad affrontare quanto successo ieri notte, dipende tutto da te”. Parlò prendendole una mano, concentrandosi su di lei, volendo dimenticarsi dell'ulteriore presenza nella stanza. Sentiva gli occhi di Castle puntati su di lei, creandole una certa agitazione, ma doveva farlo per Alexis.

 “Ma è cosi difficile”. Obiettò la ragazza scostando lo sguardo da Beckett, non volendo deludere quelle aspettative che sentiva che la detective aveva su di lei.

 “Per questo devi tirare fuori il meglio di te e impegnarti per raggiungere il tuo scopo”. Deglutì a fatica, sfregandosi le mani sui pantaloni, trovando il coraggio per andare avanti.

 “La paura di fallire sarà una compagna costante della tua vita, io lo so, l'ho provato”. Beckett sbuffò e chiuse gli occhi, prendendosi un momento per se, incrociando le dita nella speranza di non rovinare tutto con il suo dire.

 “Ogni giorno, quando apro gli occhi la mia prima consapevolezza è quella che potrebbe accadermi qualcosa mentre svolgo il mio lavoro.”. Confessò immaginandosi lo sguardo corrucciato e pensieroso di Castle. “Che la mia vita non è cosi stabile come credo, che basta un niente per cambiarla, per cambiare i miei progetti, i miei sogni”. Le sue parole non sembravano di esser d'aiuto alla ragazza, che ancora se ne stava con le iridi puntate sullo specchio.

 “Allora cosa ti da la forza di venire qui ogni giorno?”. Domandò Lex girando leggermente il collo verso di lei.

 “La volontà di essere padrona della mia vita.”. Dichiarò decisa. “Non permettere a nessuno di cambiare ciò che sei, traine forza, combatti di volta in volta senza arrenderti. Perchè reagendo potresti vivere una nuova vita che mai avresti immaginato”. Solo allora Beckett si girò a guardare il fidanzato che se ne rimaneva contro il muro con la bocca lievemente aperta e lo sguardo abbassato, immerso nei suoi pensieri.

 “Quindi dovrei accettare ciò che è successo”. Sussurrò Alexis facendo tornare la donna su di lei.

 “Scoprirai di essere più forte di quanto tutti noi sappiamo già che sei”. Asserì d'un tratto Castle, parlando per la prima volta dopo minuti d silenzio, abbandonando in quell'istante l'idea di far finta che nulla fosse successo. Come Alexis anche lui doveva affrontare la cosa e vincerla.

 “Guarda dentro di te e trova il coraggio per andare avanti, per capire che la tua vita non è finita ieri. Affronta questo nuovo cambiamento”. Riprese la parola la detective, studiando il volto della giovane sulla quale si stava formando una smorfia.

 “E se non fossi pronta ad affrontare questo cambiamento radicale che ha avuto la mia vita? E se fallissi?”. Chiese la giovane con nuovo vigore, con una nuova speranza negli occhi, doveva avere la conferma definitiva che tutto sarebbe andato a posto, che poteva farcela.

 “Già”. Si sentì provenire dal microfono che era posizionato sul muro, accanto allo specchio. “E se non si fosse pronti ad affrontare un cambiamento cosi radicale?”. Era la voce ovattata di Esposito che proveniva dalla saletta adiacente a quella loro, luogo dove di solito i detective ascoltavano in disparte gli interrogatori degli indiziati.

 “Javi non voglio sapere perchè ti sei intromesso”. Affermò Beckett fissando in malo modo lo specchio dietro il quale si celava l'uomo mentre Castle si pose di fronte a questo chiedendo spiegazioni con lo sguardo di quel gesto, considerando quella conversazione privata.

 “Ho solo una risposta”. Riprese la donna rivolgendosi ad entrambi i suoi interlocutori. “ Nella vita le cose che contano non si ottengono mai con facilità”.

 “Devo andare”. Si sentì la voce di Esposito seguita da i richiami di Ryan che gli domandavano che fosse successo.

  

Diverse ore più tardi, dopo una dovuta doccia e un'abbondante cena Alexis chiese al fratello e a Beckett di accompagnarla in un luogo. I due non porsero domande e acconsentirono. Non stupì nessuno quando la ragazza si fece portare sul luogo della sparatoria. Il caso era stato ormai chiuso e i poliziotti se n'erano andati, rimanevano solo le transenne e le strisce di delimitazione. Senza farsi troppi problemi i tre varcarono quegli ostacoli entrando nell'edificio. Alexis si guardò attorno silenziosa, mettendosi al centro della sala a guardare per la prima volta le tracce di quanto era successo. I fori sui muri, le macchie di sangue ancora visibili a terra, i tristi segni della vendetta di un pazzo. Beckett aveva ragione, pensò tra se e se, nonostante tutto la sua vita continuava e ora non voleva sprecarne nemmeno un secondo.

 “Possiamo andare”. Sorrise seguendo i due fuori dalla stanza, chiudendo la porta dietro di se.

 

 Dall'altra parte della città una porta invece si aprì. Lanie la spalancò di colpo, infastidita da quel prolungato suono del campanello. Appena vide Esposito fu pronta a strepitargli contro fino a che lui non le mostrò ciò che aveva tra le mani.

 “Non è come avere un bambino”. Ridacchiò accarezzando con delicatezza il cucciolo di cane che teneva tra le braccia. “Ma è pur sempre un inizio”.

 Lanie non proferì parola, facendo temere a Esposito di aver fatto la scelta sbagliata. La donna allungò una mano e sfregò la testolina dell'animaletto.

 “Lo è”. Affermò scostandosi cosi da lasciarli entrare.



******************

Chiedo scusa per il ritardo ma la parte di Alexis mi ha dato più problemi di quanti ne credevo all'inizio.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 54
*** Un gesto è per sempre ***


 

 Castle rimaneva seduto sul bordo del letto con le gambe divaricate e le braccia a penzoloni posate su di esse, gli occhi fissi sul paio di scarpe nere e lucide ai piedi di una sedia sulla quale vi era appesa una camicia.

 “Ok che ti avevo detto di prendertela con calma”. Ridacchiò Alexander chiudendo la porta dietro di se cosi da rimanere da solo insieme al figlio. “Ma non pensavo di trovarti ancora in mutande”. Continuò scostando ulteriormente le tende cosi da far entrare maggiore luce dalle finestre che nel contempo spalancò.

 “é una bellissima giornata”. Inspirò a pieni polmoni l'aria fresca che entrava da quelle. “I primi invitati stanno per arrivare quindi sarebbe meglio prepararsi che ne dici”. Alexander si voltò ancora verso il figlio il quale non si era mosso da letto.

 “Ancora fatico a credere che questo giorno sia arrivato”. Sospirò il detective distendendosi sul materasso sotto lo sguardo premuroso del padre.

 “E se continui cosi te lo perderai”. Scherzò l'uomo dandogli una pacca sulla gamba per poi andare a prendergli la camicia, mettendola in controluce in cerca di imperfezioni per poi porgergliela. Castle si rimise seduto sul letto, a fissare il genitore senza dire nulla.

 “Coraggio prima che a tua madre venga una crisi isterica”. Ridacchiò agitando la camicia quasi fosse un torero davanti al suo acerrimo nemico.

 “Mi guarderai sempre le spalle vero?”. Domandò Castle estremamente serio, spingendosi giù dal letto cosi da ritrovarsi in piedi davanti al padre, infilando prima un braccio e poi l'altro nelle maniche.

 “Non credi di essere ormai abbastanza grande per prendere le decisioni da solo?”. Chiese di rimando l'uomo andando questa volta a prendere i pantaloni che il detective si infilò senza perdere tempo, aggiustandosi la camicia dentro di questi, con le iridi incollate sulla cintura che cercava di sistemare.

 “Ne ho passate tante nella mia vita ma in questo campo la mia esperienza è pari a un granello di sabbia nel deserto se paragonata alla tua”. Alexander sorrise al figlio mettendosi di fronte a lui, tra il ragazzo e lo specchio, permettendosi per l'ultima volta di sistemargli la cravatta.

 “Bhè fa sempre piacere a un genitore sentirsi cosi indispensabile”. Commentò il vecchio Castle stringendo il nodo all'altezza del collo, sistemando attentamente la cravatta lungo la linea dei bottoni della camicia. “Però credevo che mio figlio fosse più intelligente”. Sogghignò sotto lo sguardo perplesso dell'uomo che ora procedeva a indossare anche il gillet nero, guardandosi allo specchio soddisfatto del risultato.

 “E questo complimento come mai me lo merito?”. Ironizzò il giovane indossando infine la giacca, pulendosela con le mani da quei pelucchi invisibili ma che secondo lui andavano a compromettere il proprio aspetto.

 “Perchè nonostante tutto quello che hai passato dubiti ancora di te stesso”. Affermò l'uomo sedendosi su una sedia, osservando il figlio, riconoscendo a se stesso che ormai era divenuto un uomo. “Hai imparato a ragionare con la tua testa dando comunque ascolto al tuo cuore, non più pensando egoisticamente ma mettendo sempre al primo posto gli altri. Non hai più bisogno di me, hai Kate e hai questo nuovo te stesso”. Vedendo Castle rimuginare sulle sue parole, con le iridi fisse sulla sua immagine riflessa Alexander non pote non avere un gesto d'affetto per quell'uomo tornato improvvisamente bambino.

 “Sono sempre stato fiero di quello che facevi, dell'impegno che ci mettevi in ogni missione, per salvare quelle persone sconosciute”. Alexander si alzò dalla sedia, si era trattenuto più di quanto aveva immaginato dentro la stanza, gli invitati lo stavano aspettando. “Ma ora, vedendoti in questo grande giorno, posso affermare di essere orgoglioso dell'uomo che sei”. Scostò lo sguardo da lui per non fargli vedere il suo volto emozionato, gli strinse una spalla e uscì dalla stanza cosi da recarsi nel giardino.

 Castle rimase da solo nella stanza. Andò alla finestra e osservò il parco che si stendeva sotto di essa, le sedie già disposte con quell'altare improvvisato per la cerimonia. Alcuni invitati si stavano godendo il rinfresco e tra loro poteva vedere i suoi colleghi e Lanie, i testimoni suoi e di Beckett. Sospirò tirandosi i bordi della giacca e si diresse alla porta, afferrando con la mano la maniglia.

Un semplice gesto, fatto mille altre volte, ma che ora comportava un cambiamento radicale della sua vita. Sorrise e varcò quella soglia. Era pronto a diventare il marito di Kate Beckett.

 

 In un altra stanza della residenza Beckett era tanto pensierosa quanto lo era il fidanzato. Guardava l'abito appeso ad un anta dell'armadio quasi fosse un oggetto proveniente da chissà quale pianeta. Tutti quei mesi di preparazione le erano sembrati cosi lunghi ma allo stesso tempo aveva la sensazione che erano passati fin tropo in fretta. I preparativi avevano messo a dura prova non solo Castle e lei ma l'intera famiglia che in un modo o in un altro aveva voluto partecipare all'organizzazione di quel grande giorno.

 “Ecco qui le tue damigelle preferite”. Esordì Matha aprendo la porta cosi da permettere il suo ingresso e quello di Johanna che con attenzione portava con se il bouquet di rose bianche e blu.

 “Non hai ancora messo l'abito mia cara”. Constatò la signora Beckett posando ciò che aveva tra le mani ammirando poi il vestito da sposa, allargando con le mani la gonna e passando le dita sui delicati ricami.

 “Aspettavo voi per aiutarmi”. Affermò timidamente la donna, imbarazzata di trovarsi in biancheria davanti alla futura suocera. “Da sola ho paura di rovinarlo o peggio”.

 “Non c'è nulla per cui essere agitate”. Asserì Martha aggiustandosi il cappellino verdognolo in tinta con il vestito elegante che indossava. “Ti sposi con un uomo che ami, entri a far parte di una famiglia che adori, e oggi tutte le persone a cui tieni sono qui. Non c'è alcun motivo che ti neghi un bel sorriso perciò su su sorridi”. La invitò la donna regalandole uno dei suoi migliori, portando le mani vicino alla sua bocca cosi da farle inarcare le labbra.

 “Oggi è il tuo giorno piccola mia”. Fu più amorevole Johanna che si sedette accanto alla figlia stringendole una mano. “Richard è la fuori che ti aspetta, pronto ad iniziare questa nuova fase della vostra vita. Se lo fai attendere c'è il rischio che si faccia venire un infarto”.

 “E se qualcosa dovesse andare storto. È sempre cosi tra Rick e me, quando tutto va bene ecco che accade l'irreparabile”. Imprecò Beckett portandosi le mani nei capelli, per poi bloccarsi ed evitare di rovinarsi l'acconciatura che la parrucchiera aveva impiegato ore a sistemare.

 “Gli invitati stanno arrivando, il prete è già qui, è una bella giornata. Non ci saranno intoppi.”. La rassicurò Martha cominciando a trafficare con la borsetta, cercando il rossetto cosi da sistemarsi il trucco ritenuto già sbiadito.

 “Fin quando questa giornata non sarà finita non mi sentirò tranquilla”. Guardò il riflesso della futura suocera nello specchio mentre divertita le sorrideva.

 “Iniziamo con il prepararci. La cerimonia inizia tra poco.” Le ricordò Johanna andando a prendere il vestito mentre Beckett si alzò in piedi con i pugni chiusi.

 “Se accade qualcosa però evitate di dirmelo d'accordo?”. Chiese alle donne chiudendo gli occhi e respirando a fondo, lasciandosi aiutare dalle due ad indossare l'abito.

 “Tu pensa solo a goderti la giornata”. Asserì Johanna sistemandole il nastro blu che dalla schiena le scendeva lungo tutto l'abito mentre Martha andava a recuperare un cofanetto posato sopra uno dei tavolinetti.

 “Un piccolo pensiero”.Le disse porgendoglielo. Beckett andò a guardare la madre in cerca di spiegazioni ma questa fece spallucce non volendo rivelare nulla alla figlia.

 Con curiosità andò ad aprirla trovando dentro di esso una collana con un pendaglio a goccia che ricordava il colore dell'abito.

 “Martha non posso accettare”. Disse Beckett non distogliendo lo sguardo da quel gioiello, credendolo troppo prezioso per lei.

 “Ah non dire sciocchezze”. La riprese Martha estraendo la collana e mettendosi dietro di lei. “Su di te fa sicuramente più bella figura”. Puntualizzò sistemandola sul suo collo mentre Beckett andava a sfiorarla con i polpastrelli osservandosi nello specchio.

 “Ti lasciamo da sola qualche minuto.”. Disse Johanna dandole un bacio sulle guancia. “Ti verrà a prendere tuo padre per accompagnarti all'altare”. Le fece l'occhiolino vedendola tentennare un istante.

 Rimasta sola nella stanza Beckett si prese qualche secondo per se, per pensare al passo che stava per compiere. Si sistemò la pettinatura e il corpetto del vestito, si mise il copri spalle e le scarpe, poi si fermò. Non era il momento dei ripensamenti, delle indecisioni. Era quello che desiderava, lo voleva da anni e ora poteva dare il via alla sua nuova vita con Castle. Nulla sarebbe più stato uguale e lei non vedeva l'ora di affrontare le nuove sfide che il fato le riservava. Sentì un lieve bussare alla porta e vide il padre entrare nella stanza.

 “Pronta?”. Le chiese porgendole un braccio. Beckett si stirò il vestito con le mani osservando la sua immagine riflessa un ultima volta prima di raggiungere il genitore. Era pronta per diventare la moglie di Rick Castle.

  

Il detective rimaneva in piedi di fronte al prete in attesa che la fidanzata facesse il suo ingresso, scendendo quelle scale che li dividevano. Si voltò osservando Lex ed Esposito cosi eleganti e sorridenti come lo erano Lanie e Ryan sistemati di fronte a lui, tutti pronti per condividere quella esperienza con loro. Teneva le mani incrociate davanti a se, fissando il prete e il paesaggio alle sue spalle finchè non sentì la piccola orchestra che avevano ingaggiato cominciare a suonare la marcia nuziale. Quando la vide non pote non chiedersi se mai l'avesse vista cosi bella e cosa avesse fatto nella sua vita per meritarsi tanta gioia in quel momento. Ogni passo che Beckett compiva era un tuffo al cuore per lui, un respiro mancato, ma il sorriso che lei aveva impresso sulle labbra lo teneva in piedi. Quando poi James la consegnò nelle sue mani Castle si sentì improvvisamente leggero, senza preoccupazioni,il suo passato scomparve in quell'istante, per lui ora esisteva solo il futuro, il loro futuro e quando pronunciarono quel semplice ma importante “lo voglio” entrambi ebbero la certezza che ogni tassello della loro vita andava a combaciare alla perfezione, creando un unico e perfetto disegno.

 
Castle si tolse la giacca lasciandola sulla sedia e andò a reclamare l'attenzione di Beckett che si trovava al tavolo di alcuni invitati. L'orchestra aveva ripreso a suonare e lui non era ancora stanco di ballare con quella che ormai era sua moglie.

 “Pensavo non ti piacesse ballare”. Scherzò Beckett mentre il marito la faceva volteggiare, dando un proprio ritmo alla musica.

 “Infatti”. Rispose lui afferrandola per un fianco, trascinandola al centro della pista da ballo cosi da allontanarsi dagli invitati che stavano finendo di gustare la torta. “Ma è l'unico momento in cui posso averti solo per me”. Confessò prima di baciarla ottenendo l'attenzione e gli applausi dei presenti.

 Quando la musica finì si sentì un leggero picchiettare contro il microfono e la voce imbarazzata di Ryan che si scusava con i presenti per l'interruzione.

Tutti si voltarono verso di lui, in particolare i due sposi incuriositi da quel suo gesto insolito. Castle abbracciò Beckett posando la testa sulla sua spalla, guardando divertito il collega che trafficava con alcuni foglietti.

 “Ormai è troppo tardi per obiettare a questo matrimonio”. Ironizzò Castle vedendo l'irlandese ridacchiare nervosamente.

 “No, in realtà volevo fare un piccolo discorso”. Si giustificò grattandosi la testa e allentando il nodo della cravatta. “Ho provato a scrivere qualcosa ma credo che tutti sappiate che non sono un grande oratore”. Arrossì sentendosi improvvisamente imbarazzato, non essendo abituato a certi gesti pubblici.

 Dalla piccola folla che si era radunata davanti al palchetto si alzò un grido e un applauso, era Esposito che a suo modo cercava di incitare l'amico ad andare avanti con la propria idea.

 “Credo sia inutile dire quanto voi, Kate e Rick, siate delle persone speciali”. Esordì bloccandosi di colpo per riprendere fiato, guardando prima il foglio poi i diretti interessati. “Annoierei tutti elencando le vostre qualità che ben conosciamo, e la fortuna che abbiamo ad avervi nella nostra vita”. Altri applausi si aggiunsero dando cosi coraggio all'uomo.

 “Ciò che ho imparato da voi in questi anni è che tutto accade per un motivo, anche le cose più brutte”. Disse abbassando lo sguardo mentre Castle strinse più forte a se la donna. “Voi ne avete tratto di volta in volta la forza per continuare ad andare avanti e credo che al mondo non esista altra coppia meglio assortita di voi”. Disse appoggiandosi una mano sul cuore schiarendosi la voce. “Tranne Jenny e me ovviamente”. Aggiunse mandando un bacio alla propria moglie.

 “E non posso non ringraziarvi, credo a nome di tutti i presenti, per averci permesso di esser qui oggi, a condividere questo coronamento del vostro amore. Ad essere testimoni di un unione di cui tutti eravamo ben consapevoli, cosi forte, cosi unica, che se non avessi visto con i miei occhi mai avrei creduto che fosse reale.” Castle non pote non sorridere nel sentire le parole del collega che lo colpirono cosi piacevolmente nel profondo, mentre Beckett si asciugò gli occhi lucidi.

 “Non mi dilungherò ancora, ma lasciatemi esprimere un ultimo pensiero”. Affermò l'irlandese agitando l'ultimo foglietto che aveva tra le mani cosi da far vedere ai presenti che ciò che diceva era il vero. “ Durante la celebrazione del matrimonio, quel momento in cui la parola innamorarsi viene sostituita dal più difficile rimanere innamorati, quando si pronunciano le parole “in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà, finchè morte non ci separi”, in quell'istante l'amore raggiunge il suo pieno significato. E più il tempo trascorre più si comincia ad amare l'altro perchè si condivide la stessa esperienza, le vite si intrecciano e la memoria che si condivide diventa più forte di qualunque legame. Perciò non dimenticate mai ciò che vi lega perchè nulla è più prezioso”. Durante quelle parole Ryan fece cenno a Jenny di portargli un calice e quando ebbe finito il suo discorso lo alzò al cielo, invitando gli altri a fare lo stesso.

 “Agli sposi”. Urlò nel microfono venendo ricambiato da tutti i presenti.

 

 Ormai era quasi giunta la sera, gli invitati si stavano godendo la compagnia l'uni degli altri, con il sottofondo creato dall'orchestra. Castle e Beckett erano seduti al loro tavolo, con lei appoggiata alla sua spalla, stanca ma felice. 

“Non vedo l'ora di togliermi queste scarpe”. Ridacchiò lei mentre il detective si concedeva un altro sorso di champagne.

 “Quindi se ti chiedo di venire un attimo con me mi risponderai di no”. Asserì Castle andandola a guardare, ammirandola ancora una volta in quell'abito bianco.

 “Dipende dove mi vuoi portare”. Ribattè lei giochicchiando con un pezzo di torta che le era rimasta nel piatto, torturandola con la forchetta in attesa della risposta del marito.

 “Ti avevo o no promesso un regalo di nozze”. Disse Castle inarcando un sopracciglio mentre si alzava dalla propria sedia trascinando la donna con se. Cercando di non farsi notare troppo dai presenti la condusse fuori dall'edificio, in mezzo al prato verde e fiorito che aveva fatto da sfondo alla cerimonia. Li si inginocchiò davanti a lei, disorientandola, finchè non le prese i piedi e le tolse prima una e poi l'altra scarpa.

 “L'erba è molto meglio di queste”. Affermò indicando le calzature che lasciò davanti alla porta, prendendola per la mano e accompagnandola passo dopo passo in mezzo all'erba e agli alberi, fino a quando non si ritenne abbastanza lontano dagli altri. La fece sedere su di una delle panchine e si allontanò di qualche passo.

 “ Di regali te ne farò tanti nel corso della nostra vita”. Enunciò cominciando a slacciare i bottoni del gillet sempre sotto lo sguardo attento di Beckett che si chiedeva cosa stesse combinando.

 “Ma volevo che quello di oggi fosse unico, o per lo meno provarci”. Continuò lanciando il primo indumento sulla panchina per poi passare alla camicia.

 “Per questo ti ho chiesto di passare la settimana prima del matrimonio lontani, non per rendere questo giorno più speciale o sciocchezze simili, ma perchè non volevo che scoprissi cosa avevo in mente”. Anche l'ultimo bottone della camicia saltò ma Castle tenne i lembi di quella uniti con una mano.

 “Tu mi hai guarito dai demoni che mi tormentavano e la dove prima c'era il buio tu hai portato la luce”. Continuò bagnandosi le labbra, fissando negli occhi la donna che aveva davanti a se. Si portò poi entrambe le mani all'altezza del colletto, raccogliendo tutta la sua volontà per compiere quell'ultimo gesto.

 “Dove prima c'era il dolore ora ci sei tu”. Dette quelle parole inspirò lasciando cadere a terra la camicia, rimanendo a petto nudo di fronte a lei. Sul subito Beckett non capì, rimaneva li a fissarlo cercando di comprendere il significato oscuro delle sue parole, ma poi i suoi occhi notarono un qualcosa di diverso sulla pelle del marito.

 “Cosi come il tuo nome è inciso nel mio cuore volevo che lo fosse anche sulla pelle”. Accennò un sorriso Castle combattuto riguardo la reazione di Beckett, non sapeva se il suo silenzio era un buon segno o meno.

 La detective rimaneva ancora seduta sulla panchina a fissare il fianco sinistro dell'uomo. La dove una volta si ergevano le cicatrici inferte da Stark ora vi era un tatuaggio. Il suo nome che copriva quelle sfregi ormai quasi del tutto invisibili, la parola Kate trionfava sul colorito pallido della sua pelle.

 “Come riesci a sorprendermi cosi ogni volta”. Constatò Beckett alzandosi per andare ad abbracciarlo, sfiorando con le dita il suo nome che le dava un ulteriore conferma che Castle sarebbe sempre stato suo.

 “Mai sottovalutare una mente sopraffina come la mia”. Ridacchiò lui accarezzandole una guancia, cercando di non rovinare il trucco che cominciava a risentire delle lunghe ore passate.

 “Vogliamo tornare dagli altri”. Suggerì Castle non troppo convinto delle sue parole, godendosi quei minuti di relax senza dover intrattenere gli invitati o dover star a sentire i loro continui consigli su come far funzionare il matrimonio.

 “Non ancora”. Sospirò Beckett abbracciandolo, portando i loro visi vicini. “Non ancora”. Ripetè baciandolo mentre in lontananza sentiva la musica e il vociare proveniente dalla sala del banchetto. Non le importava essere la con loro a continuare la festa, ora voleva solo rimanere con Castle, come se al mondo esistessero solo loro due. D'altronde quello era il loro momento, il loro giorno, la loro vita, la loro storia.


**************************

Chiedo scusa per il ritardo nel pubblicare quest'ultimo capitolo ma l'influenza mi ha messo ko. Ringrazio di cuore tutte le persone che hanno seguito questa interminabile storia, resistendo questo anno e mezzo di capitolo più o meno interessanti. Se non fosse stato per il vostro appoggio non avrei scritto nemmeno la metà della metà di questa storia.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1101348