Il risveglio delle Streghe

di _Fedra_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La nuova scuola ***
Capitolo 2: *** "Una mente brillante fu tosto la cosa più importante" ***
Capitolo 3: *** Senza perdono ***
Capitolo 4: *** Fuoco e ghiaccio ***
Capitolo 5: *** Di nuovo prescelto ***
Capitolo 6: *** -Aiutami! ***
Capitolo 7: *** Un suggerimento inaspettato ***
Capitolo 8: *** La prova più difficile ***
Capitolo 9: *** Il sotterraneo ***
Capitolo 10: *** La fin troppo preziosa dispensa di Piton ***
Capitolo 11: *** Questioni di famiglia ***
Capitolo 12: *** La donna con i guanti bianchi ***
Capitolo 13: *** L'incubo si ripete ***
Capitolo 14: *** Missione di salvataggio ***
Capitolo 15: *** Solo una parola ***
Capitolo 16: *** Faccia a faccia ***
Capitolo 17: *** Il prigioniero ***
Capitolo 18: *** La nuova vita di Edmund Pevensie ***



Capitolo 1
*** La nuova scuola ***







CAPITOLO 1


La nuova scuola

~
 
 







 
 
Le streghe vere sembrano donne qualunque, vivono in case qualunque, indossano abiti qualunque e fanno mestieri qualunque. 
Una vera strega odia i bambini di un odio così feroce, furibondo, forsennato e furioso, da non poterselo immaginare. 
E infatti passa tutto il suo tempo a escogitare nuovi modi per sbarazzarsi di loro.

 
(Roald Dahl, Le Streghe)
 
***
 
Susan contò fino a quattro, poi si costrinse ad aprire gli occhi. La stazione di King’s Cross era sparita nel nulla e davanti a lei si stagliava una locomotiva color rosso sangue avvolta da dense nuvole di vapore. Si tastò nervosamente le braccia e le costole. Non sembrava avere nulla di rotto. In compenso, le gambe non riuscivano a smettere di tremare.
−Tutto okay, Sue? – le chiese suo fratello Peter con un ampio sorriso.
L’attraversamento della barriera del binario nove e tre quarti non gli aveva mandato fuori posto nemmeno un ricciolo.
Per contro, Susan appariva ancora più impacciata del solito, con i lunghi capelli scuri che le celavano parte del volto imperlato di sudori freddi. Non era neanche salita sul treno e aveva già una voglia tremenda di darsela a gambe.
In quel preciso istante, sua madre si materializzò alle sue spalle, tenendo la piccola Lucy per mano.
I grandi occhi blu della bambina brillavano per l’eccitazione, come se fosse appena scesa da una giostra. Susan schioccò la lingua con disappunto: una bambina normale avrebbe dovuto essere come minimo terrorizzata se qualcuno l’avesse costretta a correre a tutta velocità contro un muro di mattoni.
−Lucy! – esclamò correndole incontro.
−È stato bellissimo! – esclamò la bambina ridendo. – Quando lo rifacciamo?
−Lucy, ricordati che questo è un binario stregato. Non devi farlo da nessun’altra parte, capito? – si raccomandò la sorella.
−Ho capito! Niente magie fino a quando non mi arriverà la lettera da Hogwarts! – recitò l’altra ubbidiente.
−Tranquilla, Sue, lasciala respirare! – esclamò Peter mettendole una mano sulla spalla.
La signora Pevensie lanciò una profonda occhiata ai figli maggiori.
I suoi occhi chiari furono percorsi da un tremito.
–Abbiate cura l’uno dell’altra, mentre sarete via – si raccomandò.
−Non preoccuparti, mamma – la rassicurò Peter sorridendo. – Con me come Caposcuola sarà difficile che Susan combini qualcosa proprio sotto il mio naso!  E poi, Hogwarts è il luogo più sicuro del mondo, credimi. Non potrà mai accaderci nulla di male, finché saremo tra le sue mura.
La donna sospirò. Avrebbe tanto voluto che i ragazzi restassero, che non la lasciassero sola con Lucy, ma non aveva altra scelta.
Sarebbe stato da egoisti tentare di soffocare la natura dei propri figli.
Era giusto che fosse così, per quanto assurdo potesse sembrare.
−Promettetemi di scrivermi – si raccomandò accarezzando i volti di entrambi. – Susan, − soggiunse poi rivolgendosi alla ragazza – sei ancora convinta della tua scelta?
La ragazza rabbrividì.
Fissò gli occhi celesti di sua madre, poi si voltò verso la banchina gremita di sagome scure che lentamente salivano sul treno.
–Ormai ho deciso – rispose con voce ferma.  – Lo faccio per David.
−Lui sarebbe fiero di te – sussurrò la signora Pevensie.
−Vorrei solo essere stata in grado di proteggerlo… − il suo sguardo cadde su Lucy.
Gli enormi occhi della bambina erano diventati improvvisamente tristi.
–Posso venire con te? Prometto che non faccio magie! – la pregò.
Susan scoppiò a ridere intenerita. Si inginocchiò di fronte alla sorellina, in modo da poterla guardare in faccia.
–Devi aspettare ancora un anno, Lu – disse sorridendo. – Quando compirai undici anni, ti arriverà la lettera e potrai venire a Hogwarts con me e Peter. Solo allora, però.
−Ma è fra tanto tempo!
−Io ti scriverò non appena potrò, va bene? E per Natale tornerò a casa. Lo prometto.
Lucy sbuffò. Glielo si leggeva in faccia che non avrebbe mai resistito fino a Natale.
−Prometti che farai la brava? – domandò Susan accarezzandole i corti capelli rossicci.
−Sì – strascicò la bambina in tono seccato.
−Ricordi il nostro patto?
–Farò tanta compagnia alla mamma, giocherò solo dopo aver fatto tutti i compiti e non andrò mai in giro da sola.
−Non dimentichi nulla?
−Ah, sì: non devo parlare con gli sconosciuti.
−Così va bene  − disse Susan baciandole i capelli. – E ricordati che sono una strega: se per caso combini qualche marachella, lo verrò subito a sapere!
−Tanto lo so che non mi trasformeresti mai in ranocchia! – esclamò Lucy in tono di sfida.
−In ranocchia no, ma in un grasso e grosso scarafaggio puzzolente sì! – rispose la ragazza facendo per mollarle un pizzicotto.
−Aaaaaaaaah! Bleaaaaaah!
Lucy la schivò per un pelo, rifugiandosi dietro le spalle di sua madre.
Le due sorelle presero a rincorrersi attorno alla donna, che le osservava divertita, quando la loro attenzione fu catturata da Peter.
–Scusate se vi interrompo, ragazze, ma il treno sta per partire.
−Sei il solito guastafeste! – protestò Lucy ancorandosi a una gamba di Susan.
Un fischio acuto si levò dalla locomotiva.
−Dobbiamo andare – sussurrò Susan, il cuore che le batteva forte per l’emozione.
Lottando con tutte le sue forze per non tornare indietro, la ragazza abbracciò un’ultima volta sua madre e Lucy, che venne districata a forza dalla sua gonna, poi si trascinò dietro a Peter, montando sul treno.
Nel momento esatto in cui i suoi piedi si staccarono da terra, Susan si sentì svenire.
L’aveva fatto.
Si voltò bruscamente, proprio nell’attimo in cui le porte vennero chiuse.
Incollò il naso lentigginoso al vetro del primo finestrino che le capitò a tiro, cercando la sua famiglia con lo sguardo.
Le vide lì, in piedi sulla banchina, due anime solitarie in mezzo a una folla di volti sconosciuti che salutavano.
Lucy ancora si agitava, lottando per sfuggire dalla presa di sua madre e raggiungere Susan.
La ragazza si sentì stringere il cuore.
Va tutto bene, cercò di farsi coraggio. Ancora pochi mesi e saremo di nuovo tutti insieme.
Poi il treno si mosse e tutto scomparve in una nube di vapore.
−Va tutto bene, Susan? – le chiese Peter dolcemente.
Lei fece un rapido cenno del capo, tenendo gli occhi bassi.
Non aveva senso piangere.
Era stata una sua scelta.
−Vieni, andiamo a trovarci uno scompartimento libero – disse il ragazzo facendole cenno di seguirlo.
Susan trasse un profondo respiro e lo seguì, trascinandosi malamente dietro la sua pesante valigia.
Di tanto in tanto, scorgeva il suo volto pallido e accaldato riflettersi nei vetri divisori degli scompartimenti, sovrapponendosi a quelli dei giovani maghi e streghe che da quel giorno in poi sarebbero stati i suoi compagni di scuola.
La ragazza aveva come l’impressione di sentir bruciare i loro sguardi interrogativi su di lei, ma immediatamente dopo si diede della stupida: in fondo, non era molto diversa da loro, non fino a quando sarebbe giunto il momento di indossare le divise.
Allora avrebbero capito all’istante che c’era qualcosa che non andava.
Peter camminava fiero davanti a lei.
Avevano solo un anno di differenza, eppure in quel momento Susan si sentiva una bambinetta di sette anni, in confronto a lui.
Alto, biondo, bello, Peter era uno studente modello e un mago dotato di poteri straordinari.
Nel momento in cui aveva ricevuto la lettera di Hogwarts, non si era affatto abbattuto per il fatto di essere diverso da tutti gli altri bambini, ma aveva accettato il suo destino con serenità ed entusiasmo.
Hogwarts era la sua seconda casa e lui era felice così.
Susan avrebbe tanto voluto essere come lui, in quel momento.
Finora della magia conosceva solo i racconti del fratello, che da quell’anno in poi sarebbe stato Caposcuola e inoltre ambiva a diventare capitano della squadra di Quiddich, un gioco a metà strada tra il baseball e la pallacanestro che si giocava in sella a manici di scopa. 
Per lei, quelle non erano altro che un mucchio di sciocchezze, ma sua madre e Lucy erano così entusiaste di lui che non aveva mai avuto il coraggio di contraddirle.
 −Ciao, Peter! – lo salutarono due ragazze.
Susan non poté fare a meno di scorgere nei loro occhi una luce sognante.
−Ciao, Calì! Ciao, Katie! – rispose lui disinvolto, stampando sulle guance di ciascuna due sonori baci.
Susan rimase un po’ in disparte mentre discutevano di cose magiche di cui non riusciva a capire pressoché nulla (più che altro sembrava che le due ragazze stessero cercando una buona scusa per  attaccare bottone con il loro nuovo Caposcuola), poi, una volta congedate, arrancò di nuovo sulla scia del fratello.
−Oh, ma guarda chi si rivede! – esclamò a un certo punto il ragazzo spalancando la porta di uno scompartimento. – Ciao, Harry!
−Oh, ciao, Peter! – rispose una voce dall’interno.
−Ti dispiace se ci accomodiamo un secondo?
−No, no. Entra pure!
Susan seguì il fratello nello scompartimento. La voce che aveva udito in corridoio apparteneva a un ragazzo mingherlino dai capelli neri e arruffati e due vispi occhi verdi che dardeggiavano dietro le lenti rotonde degli occhiali.
Accanto a lui stava rannicchiata la sua perfetta copia al femminile, una specie di folletto dagli occhi di ghiaccio con indosso un’attillatissima felpa a righe nere e arancioni.
Davanti a loro stavano seduti uno spilungone lentigginoso con il naso a patata e una folta criniera di capelli rossi e una ragazza secca e puntigliosa con un gran cespuglio di riccioli biondicci e ispidi sulla testa, il volto quasi completamente nascosto da un giornale di cui Susan ignorava l’esistenza.
−Ragazzi, sono lieto di presentarvi mia sorella Susan! – esclamò Peter invitandola a farsi avanti.
Sentendosi puntare addosso tutti quegli occhi, la ragazza si sentì sprofondare.
–Ehm, salve a tutti! – salutò timidamente.
−Vieni da un’altra scuola di magia? – chiese immediatamente la ragazza dai capelli ispidi, levando di scatto il volto dal giornale.
Prima che Susan potesse fermarlo, Peter rispose al suo posto. – No, purtroppo i poteri di Susan si sono sviluppati solo ora.
Tutti le lanciarono un’occhiata comprensiva.
Dal canto suo, Susan non chiedeva di peggio. Non voleva essere considerata una sorta di disabile.
Lo sguardo pungente della ragazza dai capelli ispidi la stava visibilmente innervosendo.
Era convinta di non starle molto simpatica.
−Quanti anni hai, Susan? – chiese infatti la sconosciuta.
−Sedici – rispose lei con voce ferma.
I quattro si scambiarono un’occhiata perplessa.
−In effetti, sei un po’ grande per iniziare a studiare la magia – osservò lo spilungone lentigginoso.
−Tutti hanno i loro ritmi, Ron! – lo zittì prontamente il folletto dagli occhi di ghiaccio.
Susan trasalì involontariamente.
Non si sarebbe mai aspettata che una voce così energica e adulta potesse provenire da un corpo così gracile.
Il folletto si voltò verso di lei e le lanciò un sorriso d’intesa.
La cosa la fece sentire meglio all’istante.
−Benvenuta a Hogwarts – disse il ragazzo con gli occhiali. – Sono certo che ti troverai bene.
−Oh, grazie – balbettò Susan con voce flebile. – Lo spero tanto, sì.
Tutti le sorrisero, compresa la tipa con i capelli ispidi.
A quanto pareva, il ghiaccio era rotto, tuttavia la ragazza non riusciva ancora a sbarazzarsi del senso di imbarazzo che le attanagliava lo stomaco.
−Bene, ragazzi, ora però dobbiamo andare – intervenne a quel punto Peter, stemperando la tensione. – Harry, per la prossima Coppa di Quiddich, sto organizzando una riunione con tutta la squadra per giovedì sera. Conto sulla tua presenza, amico!
−Ci sarò senz’altro, non preoccuparti – lo rassicurò l’altro.
−Bene, buona continuazione, allora! A dopo!
Peter accostò la porta scorrevole dello scompartimento e si rivolse sua sorella.
–Hai idea di chi fosse quel ragazzo? – chiese, gli occhi celesti che brillavano.
Susan scosse il capo.
−Ma come, Sue! Hai appena parlato con Harry Potter!
La ragazza trasalì.
Suo fratello le aveva parlato centinaia di volte del bambino sopravvissuto, colui che tredici anni prima aveva sconfitto il più malvagio stregone di tutti i tempi, Lord Voldemort.
Susan nutriva una segreta ammirazione per lui: chiunque fosse stato in grado di sconfiggere le Arti Oscure era degno della sua stima.
–Oh, che stupida! – disse imbarazzata. – Se solo lo avessi saputo…
−Non importa, a lui non piace molto che la gente lo tratti come una sorta di fenomeno da baraccone. È un ragazzo molto riservato, Harry. Penso che il tuo comportamento gli abbia fatto piacere.
−Davvero?
−Fidati, lo conosco da quando era un frugoletto di undici anni.
Avanzarono ancora per un paio di vagoni, poi Peter si fermò. – Ascolta, Sue, − disse – qui ci dobbiamo dividere. Devo andare nel vagone dei Prefetti per ricevere istruzioni sul mio nuovo incarico. E` un problema per te stare da sola per qualche ora, finché non arriviamo a destinazione?
−No…certo che no.
In realtà, Susan avrebbe tanto voluto che il fratello non la lasciasse neppure per un istante.
−D’accordo, bene – concluse Peter. – Allora a dopo. Ti conviene indossare la divisa, tra poco. Puoi usare la toilette. Una volta arrivata, scendi dal treno e segui le istruzioni che ti verranno date. Io ti aspetterò al castello.
−Okay.
−A più tardi! In bocca al lupo!
−Ciao.
Susan rimase a fissare impotente suo fratello che si allontanava a grandi passi nel corridoio, poi, più depressa che mai, si avviò nella direzione opposta, alla ricerca di uno scompartimento vuoto dove poter trascorrere il viaggio in pace.
La cosa si rivelò presto un’impresa impossibile: ogni volta che metteva il naso in uno scompartimento, lo trovava puntualmente occupato da un gruppetto di studenti chiassosi.
La ragazza iniziò a disperare.
Ogni minuto che passava su quel treno, si rendeva sempre più conto di quanto fosse assurda la sua decisione.
La magia non faceva per lei.
Aveva lasciato la famiglia e una scuola in cui andava divinamente per imparare una serie di giochi di prestigio.
Che idiozia!
Susan era così presa dai suoi pensieri, che nemmeno si accorse quando le rotelle della sua valigia montarono sui piedi di un ragazzo dai tratti affilati con i capelli di un biondo quasi bianco.
−Ehi! – gridò questi. – Attenta dove vai, razza di deficiente! – poi i suoi occhi grigi caddero sull’abbigliamento della ragazza, costituito da un vecchio maglione di lana e una gonna stropicciata. Il suo volto si stirò in un ghigno sprezzante. – Bene, bene, bene. Dovevo aspettarmelo. L’ennesima Mezzosangue.
−Come mi hai chiamata?
Susan non aveva la più pallida idea di che cosa significasse Mezzosangue, ma dal tono carico di odio con cui il ragazzo lo aveva pronunciato, era chiaro che si trattasse di un insulto particolarmente pesante.
−Mezzosangue. Sangue sporco. Figlia di Babbani – scandì l’altro, quasi come se stesse parlando con un interlocutore un po’ tocco.
Fu allora che Susan capì.
Qualcosa di selvaggio scattò dentro di lei.
–Ma come ti permetti, ragazzino? – ringhiò scagliandoglisi contro.
−Oh, mio Dio! Ѐ matta! – esclamò il ragazzo spaventato, ritraendosi contro la parete.
La sua mano destra sguainò prontamente la bacchetta.
Susan si sentì salire il sangue alla testa.
Era completamente indifesa.
Chiuse gli occhi d’istinto, aspettando il peggio.
−Ehi, calma, Malfoy! – intervenne in quel momento una voce squillante alle sue spalle.
Susan spalancò gli occhi.
Il folletto era apparso al suo fianco, ma l’espressione sul suo volto non era più quella solare di prima.
I suoi occhi di ghiaccio fremevano d’ira.
−Potter! – sbottò il ragazzo in tono sprezzante. – Non ti conviene ficcare il naso dove non devi, o farai una brutta fine.
−E tu non dovresti rivenderti le migliori battute del professor Piton, giusto? – lo beccò l’altra imperturbabile.
Malfoy divenne paonazzo.
−Comunque, − proseguì il folletto – non mi sembra tu stia facendo una gran figura a insultare i nuovi arrivati, né tantomeno nel cercare di colpirli a tradimento.
−Oh, la Granger non ti basta più, Potter? Hai bisogno di nuove meraviglie per la tua collezione di fenomeni da baraccone?
Nonostante fosse più bassa di una spanna, lo sguardo omicida che il folletto lanciò verso Malfoy avrebbe terrorizzato chiunque.
–Io starei molto attenta a quello che dico, se fossi in te, specie dopo che tuo padre è stato sorpreso ad aggredire Babbani sotto il naso del Ministero.
A quelle parole, Malfoy divenne rosso come un peperone. – Tu non…
−Stai attento. Ne abbiamo tutti abbastanza di te.
Detto questo, il folletto agguantò Susan per un braccio e la condusse via, non senza lanciare un’altra, penetrante occhiata in direzione del ragazzo.
−Chi diavolo era quello? – chiese l’altra dopo che ebbero messo un vagone buono tra loro e Malfoy.
−Un idiota – rispose il folletto seccamente. – Non dare retta a ciò che dice. Draco Malfoy fa parte di quella cerchia di maghi convinti che i figli di Babbani siano la feccia della popolazione mondiale. La sua famiglia era molto vicina a Lord Voldemort.
–Voldemort?
−Lo è ancora adesso, per la precisione. Non posso ancora crederci, ma erano tra coloro che hanno seminato il panico alla Coppa del Mondo di Quiddich.
A quelle parole, Susan sbiancò.
–Che cosa è successo alla Coppa del Mondo di Quiddich? Peter non me ne ha parlato! – esclamò spaventata.
−Strano. Tutto il mondo magico non fa che parlare d’altro. Insomma, due settimane fa un gruppo di seguaci di Voldemort è ricomparso dal nulla e ha attaccato il campeggio dei tifosi accorsi per la Coppa del Mondo. E il tutto sotto gli occhi del Ministero, senza che nessuno potesse fare nulla per fermarli!
−Ma credevo che non ci fossero più individui del genere in circolazione, che li aveste sbattuti tutti in quella vostra prigione nel Mare del Nord…
Il folletto si fermò di colpo, guardandola dritta negli occhi. Susan non poté fare a meno di rabbrividire.
–Ascoltami bene, − disse – so che non sei abituata al mondo magico e ti capisco. Ma purtroppo i maghi oscuri esistono e molti di loro sono ancora in circolazione, anche se Voldemort è caduto. Sono là fuori e aspettano solo un segno per mettersi sulle sue tracce e aiutarlo a risorgere. Io li conosco, Susan. Io li combatto.
−Cosa? Tu dai la caccia ai maghi oscuri?
−Non ho scelta. Vedi, io avrei di gran lunga preferito diventare una veterinaria o una pittrice, ma purtroppo, quattro anni fa, mentre rientravo a casa, mi sono trovata una strega ad aspettarmi sulla porta. Quella strega ha tentato di uccidere me e mio fratello, che allora non sapevo neanche di avere. Ѐ stato così che ho capito quale sarebbe stata la mia missione: trovare gli ultimi seguaci di Voldemort e vendicare la morte dei miei genitori.
−Sei una ragazza coraggiosissima…
−Ma figurati, io e mio fratello avremmo preferito di gran lunga una vita diversa. Eppure eccoci qua. In fondo, la magia mi piace molto. Non so come farei a vivere senza di essa. Ѐ il mio mondo, solo che l’ho scoperto con qualche anno di ritardo.
−Anche tu, quindi, sei venuta a Hogwarts più tardi degli altri?
−No, per fortuna i miei poteri sono emersi in tempo. La Strega Suprema era convinta che, catturando me e Harry all’età di dieci anni, sarebbe stato uno scherzo annientarci. Ma aveva fatto male i calcoli. Io sono dura a morire.
−Aspetta, hai detto Strega Suprema? E avevi dieci anni?
−Sì. Allora erano comuni i rapimenti di bambini. Era la Strega Suprema a guidarli. Aveva un gruppo di streghe che collaboravano con lei. Pare fosse il braccio destro di Voldemort. Ehi, Susan, stai bene?
Susan non rispose.
Era diventata bianca come un cencio e la fronte si era imperlata di sudore freddo.
Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare quell’argomento, ma non si era certo aspettata di parlarne immediatamente, appena salita sull’Espresso per Hogwarts.
–L’hai conosciuta? – balbettò non appena trovò la forza di parlare. – Ricordi com’era fatta?
−Era una donna completamente vestita di nero, con i guanti neri e i capelli neri. Aveva occhi molto grandi, dall’espressione folle – rispose l’altra. – Sembrava prediligesse i figli dei Babbani. Era convinta che, uccidendoli tutti, avrebbe purificato la razza.
Susan si sentì svenire.
Improvvisamente, l’orrore che aveva provato sei anni prima tornò vivido nella sua mente.
–Anche io ho avuto a che fare con lei – disse con la voce che tremava. – Ha portato via mio fratello David, sei anni fa.
A quelle parole, lo sguardo gelido dipinto negli occhi del folletto si spense all’istante.
La ragazza le pose una mano sull’avambraccio, visibilmente costernata.
–Mi dispiace – disse piano. – Non volevo tirare fuori questo argomento. Scusami.
−Non fa niente, tranquilla.
−A proposito, io sono Jane.
−Tanto piacere!
Si strinsero la mano.
Jane tornò a rivolgerle uno dei suoi larghi sorrisi.
I suoi occhi di ghiaccio ora brillavano come due diamanti.
–Vieni nello scompartimento con noi! – disse a un certo punto. – Così ti presento i miei amici.
−Ti ringrazio, ma non vorrei disturbare… − alla parola “amici”, Susan aveva pensato immediatamente alla tizia con i capelli crespi.
−Fidati, saranno felici di conoscerti – la rassicurò l’altra mettendole una mano sulla spalla. – E poi non mi fido a lasciarti da sola con quel bullo in giro. Sai, Malfoy è un tipo abbastanza vendicativo. Dai, vieni!
Jane la prese per mano e la condusse fino allo scompartimento in cui si trovavano gli altri.
–Ragazzi, − annunciò mentre facevano ingresso all’interno – vi dispiace se la sorella di Peter viaggia insieme a noi? Ha appena avuto una piccola discussione con Malfoy.
−Malfoy? Te la sei vista con Draco Malfoy? – esclamò il ragazzo con i capelli rossi, gli occhi chiari che brillavano. – Sei la benvenuta, allora!
−E se l’è cavata anche molto bene, direi – commentò Jane soddisfatta. – Gli stava tenendo testa magnificamente.
−Dici? Però, quando ha tirato fuori la bacchetta, non ho fatto proprio una bella figura – si schermì Susan con un’alzata di spalle.
−Tempo un mese e potrai saldare il conto come si deve – assicurò l’altra. – Ti insegniamo noi.
−Se la cosa ti può far stare più tranquilla, sappi che hai conosciuto subito il peggio – aggiunse il ragazzo con gli occhiali. – Oh, a proposito, io sono Harry!
 −Ciao! Peter mi ha parlato molto di te – disse Susan stringendogli la mano.
Solo allora notò la sottile cicatrice a forma di saetta seminascosta dai ciuffi della frangia.
–Tu e Jane vi somigliate moltissimo…
−Per forza, siamo fratelli gemelli! – trillò Jane rannicchiandosi accanto a Harry. – Però siamo cresciuti in famiglie diverse. Ѐ stato uno shock per entrambi scoprire di non essere unici e irripetibili.
−Tu però non hai nessuna cicatrice – la rimbeccò Harry scherzosamente.
−Ma ho il tuo stesso pessimo carattere! – replicò la sorella facendogli la linguaccia.
−Io invece sono Ron Weasley – si presentò il ragazzo con i capelli rossi in tono entusiasta.
−Piacere di conoscerti!
 –Hermione Granger – disse la ragazza con i capelli ispidi staccandosi per un istante dal suo giornale.
−Ciao.
 Susan prese posto tra lei e Ron. Jane stava acciambellata sul sedile di fronte, le braccia strette attorno al gomito del fratello.
Ricordava vagamente un gatto.
–Allora, li hanno presi? – chiese a un certo punto rivolta a Hermione.
La ragazza scosse il capo.
–Il Ministero è nel caos e Rita Skeeter non fa che peggiorare la situazione. Tutto questo è vergognoso! – rispose indignata.
−Io potrei suggerire loro un paio di nomi – sogghignò Ron. – Per esempio, Lucius Malfoy…
−Come se fosse facile incastrare uno come lui! – sbottò Hermione.
−In compenso, però, hanno preso noi, vero Harry? – disse Jane.
−Che cosa? – esclamò Susan.
−C’eravamo anche noi alla Coppa del Mondo di Quiddich – spiegò Harry. – E sono sicuro che uno dei responsabili si trovava molto vicino al luogo in cui ci eravamo rifugiati quando hanno iniziato a incendiare le tende. Per questo gli Auror hanno provato a Schiantarci. Solo che, così facendo, gli hanno permesso di fuggire.
−Allora lo avete visto? – chiese Susan con il fiato sospeso.
−Io sì – rispose Harry. – Era un uomo, ma non sono riuscito a vederlo in faccia.
−Almeno questa volta la Strega Suprema non c’entra – disse Jane.
−Oh, no, Jane! Ancora con questa storia? – si lamentò Hermione.
−Be’, in qualche modo dovremo pur chiamarla, no?
−Sì, ma non puoi appiopparle un nome che hai trovato in un libro per bambini!
−Forse se lo leggessi anche tu cambieresti idea, Hermione!
 −Che fine ha fatto quella strega? – le interruppe Susan.
Ogni singola informazione sulla rapitrice di suo fratello era di vitale importanza per lei.
−E chi lo sa – rispose Harry. – L’ultima cosa che abbiamo visto la notte in cui siamo riusciti a scappare era la sua casa in fiamme. Probabilmente è morta.
−Lo spero. Ma non c’è da fidarsi dei seguaci di Voldemort. E lei pare che appartenesse alla sua cerchia più stretta – aggiunse Jane.
−Sì, ma non abbiamo prove! Voglio dire, negli ultimi dieci anni ci sono stati numerosi maghi oscuri che hanno compiuto crimini di vario genere inneggiando a Tu-Sai-Chi, ma la maggior parte di loro erano solo dei poveri squilibrati che non sapevano neanche quello che facevano. Tutti i maghi pericolosi sono ad Azkaban, in questo momento – intervenne Hermione in tono puntiglioso.
−Sì, ma non mi sembra semplicemente pazza una che riesce a uccidere più di venti bambini in tre anni senza farsi mai prendere – osservò Ron. – Harry e Jane sono gli unici ad averla vista in faccia.
 –Pare comunque che sia morta – sentenziò Harry. – Da quella notte, non c’è stata più alcuna sparizione.
−Quindi puoi stare tranquilla, Susan! – disse Ron, che aveva notato immediatamente il colorito cereo che la ragazza aveva assunto nell’istante in cui avevano preso ad affrontare quell’argomento. – E poi, tu mi sembri un po’ cresciutella per finire nelle mire della Strega Suprema. Ormai sei a Hogwarts e presto imparerai a difenderti.
−Sì – annuì la ragazza. – Hai ragione.
Lei e Jane si scambiarono un lungo sguardo di intesa.
Il fatto che la sua nuova amica avesse afferrato al volo che preferiva non fare voce sul suo passato le riempì il cuore di sollievo.
Era una ragazza sveglia, Jane.
Aveva l’aria di una persona a cui non sfugge nulla.
−Cosa pensate che succederà quest’anno? – chiese infatti, cambiando prontamente argomento. – I tuoi non fanno altro che parlarne, Ron, e il fatto che ci abbiano costretti a portare un vestito da sera…
Ma Susan non l’ascoltava.
Osservava il paesaggio scorrere fuori dal finestrino, immersa nei suoi pensieri.
Per anni non aveva fatto che fuggire dalla magia, ciò che l’aveva divisa per sempre da suo fratello.
La sua vita era a Finchley, insieme a sua madre Evelyn, abbandonata da suo padre pochi mesi dopo la scomparsa di David, e la piccola Lucy, la più grande felicità che avesse ricevuto in quei lunghi anni di vuoto.
Eppure, Susan sapeva che non sarebbe riuscita a fuggire per sempre.
Lo shock per la morte del fratello aveva impedito ai suoi poteri di svilupparsi regolarmente, è vero, eppure era proprio la magia l’unico modo che aveva per scovare la Strega Suprema e avere la sua vendetta.
Era questo il motivo per cui stava intraprendendo quel folle viaggio.

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Capitolo 2
*** "Una mente brillante fu tosto la cosa più importante" ***




CAPITOLO 2


“Una mente brillante fu tosto la cosa più importante”
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Verso le quattro del pomeriggio il cielo si fece basso e scuro e una gelida pioggerellina di fine estate prese a martellare i vetri dei finestrini dell’Espresso di Hogwarts.
Susan trascorse il resto del viaggio a chiacchierare con i suoi nuovi amici.
Superato l’imbarazzo iniziale e preso a parlare di argomenti più allegri, la ragazza stava iniziando ad acquisire una maggiore familiarità con quello che da quel momento in poi sarebbe stato il suo mondo.
Verso sera, ciascuno sparì in bagno per indossare la divisa scolastica.
Susan rimase subito perplessa quando si vide addosso la pesante toga nera con inciso lo stemma di Hogwarts.
Assomigliava in modo impressionante a un costume di carnevale molto elaborato.
Si sentiva terribilmente a disagio.
Per assumere un pizzico di ufficialità, la ragazza si legò i capelli in una lunga treccia scura.
Ammiccò verso lo specchio: dal collo in su si poteva ancora definire una normalissima studentessa al penultimo anno delle superiori.
Quando tornò nello scompartimento, trovò gli altri già cambiati, intenti a chiacchierare animatamente.
−Hai già pensato a quale Casa vorresti essere assegnata? – le chiese Jane sorridendo.
Susan alzò le spalle.
Peter le aveva spiegato che a Hogwarts esistevano quattro Case (Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e Serpeverde), ciascuna delle quali selezionava i propri studenti in base a determinati criteri.
–Non lo so… − rispose perplessa. – Mio fratello è entrato a Grifondoro, quindi suppongo che lo stesso succederà anche a me…
−Mmm, non è detto – la contraddisse Hermione. – Nel nostro anno ci sono due gemelle che sono state assegnate a Case diverse.
−Basta che non sia Serpeverde – disse Susan con disgusto. – Non potrei sopportare l’idea di trascorrere i miei giorni in compagnia di gente come Draco Malfoy.
−Tranquilla, non hai assolutamente l’aria di una Serpeverde – la rassicurò Harry. – Però, se disgraziatamente dovesse succedere, puoi sempre dire al Cappello Parlante che vuoi cambiare Casa. A me è capitato.
−CHE COSA? Com’è possibile?
−A quanto pare, la mia cicatrice mi ha causato una serie di…ehm…spiacevoli interferenze con Voldemort.
Susan si mise le mani nei capelli.
Se persino il Sopravvissuto aveva rischiato di finire a Serpeverde, quante possibilità ne aveva lei, che era sfuggita al suo destino per ben sei anni?
Il flusso dei suoi pensieri venne bruscamente interrotto da un fischio acuto.
−Oh, siamo arrivati! – esclamò Ron incollando il naso a patata al finestrino schizzato di pioggia.
Fuori era buio pesto e non si distingueva quasi nulla. In pochi minuti, il treno rallentò e si fermò di fronte a una piccola stazione di provincia.
Una fiumana di mantelli neri prese a riversarsi sulla banchina.
−Spero che Ulisse riesca a ritrovare la strada, con questo tempo – commentò Jane scrutando preoccupata il cielo tempestoso.
−Ulisse? – chiese Susan.
−Il mio cavallo alato – rispose l’altra orgogliosa mentre balzava sulla banchina. – Me lo ha regalato Hagrid per il mio dodicesimo compleanno. A proposito, eccolo! Ciao, Hagrid!
Susan seguì con lo sguardo la direzione in cui Jane stava agitando la mano e rimase a bocca aperta come un merluzzo.
Quello era probabilmente l’uomo più gigantesco che avesse mai visto.
Alto più di tre metri, il capo ricoperto da una criniera di capelli neri e una folta barba lunga fino al petto, Hagrid avanzava goffamente tra la folla, scansando con noncuranza alcuni studenti del settimo anno che non gli arrivavano neanche alla spalla, una lanterna levata nella mano grande come un badile.
−Ciao, ragazzi! – li salutò cordiale, nonostante la poderosa voce roca.
Susan notò subito l’espressione gentile dei suoi grandi occhi neri, che contrastavano con l’aspetto selvaggio della sua persona.
−Ti presento Susan Pevesie, la sorella di Peter! – esclamò Jane afferrando l’amica per un braccio. – Anche lei sarà con noi, da quest’anno!
−Benvenuta in questa banda di ribaldi, allora! – l’accolse Hagrid stringendole la mano in una presa talmente ferrea da farle scrocchiare le nocche. – Una nuova Grifondoro, immagino.
−Spero proprio di sì – balbettò Susan imbarazzata.
−Dai, facciamo tutti il tifo per te! – esclamò Jane levando i pollici; poi si voltò verso Hagrid. – Te la possiamo affidare? – chiese sorridendo.
−Certo che sì! Anzi, Susan, visto che sei la più grande, non è che potresti darmi una mano con quelli del primo anno? Sai, di solito sono un po’ indisciplinati.
−Va bene – rispose Susan entusiasta.
Il fatto che qualcuno le affidasse un incarico di responsabilità la faceva sentire immediatamente a suo agio.
−Ci vediamo dopo, allora! – esclamò Jane. – Ti tengo un posto vicino a me, Susan! – detto questo, la ragazza saltellò dietro agli altri, che si erano già avviati oltre la banchina.
Susan stette a osservarli per un po’ mentre sparivano all’interno della stazione. Avrebbe tanto voluto essere di nuovo con loro, seduti allo stesso tavolo tra le accoglienti mura del castello…
−Ehi, sei per caso una gigantessa? – squittì improvvisamente una vocetta acuta parecchi centimetri sotto la sua testa.
Susan abbassò lo sguardo.
Davanti a lei c’era un ragazzino dai corti capelli color paglia e il nasino all’insù che la fissava con gli occhi sgranati dalla meraviglia.
Accanto a lui si era radunata una torma di bambini del primo anno.
Erano tutti dannatamente piccoli. Susan si morse il labbro per l’imbarazzo.
−Ehm, no – rispose. – Sono solo un po’ più vecchia di voi.
−Ooooh, davvero? – esclamò il piccoletto. – Eppure sei così alta…
−I poteri magici non si sviluppano allo stesso modo per tutti – ribatté la ragazza bruscamente, visibilmente seccata. – Sono solo più grande, tutto qui. Dovrei fare il sesto anno e invece mi ritrovo al primo. Tutto chiaro?
−Oh, scusami. Non volevo offenderti – il ragazzino abbassò il capo, affossando le mani nelle tasche.
Susan si voltò dall’altra parte, avvicinandosi a Hagrid.
La pioggia continuava a cadere incessantemente e, nonostante gli ombrelli, in pochi minuti furono tutti zuppi fin dentro le ossa.
Dopo aver radunato i ragazzi del primo anno, Hagrid li condusse fuori dalla stazione, prendendo a inerpicarsi su per uno stretto sentierino di campagna.
Dopo minuti che parvero ore, finalmente Hogwarts si rivelò ai loro occhi, ergendosi sulle rive di un gigantesco lago nero.
Susan non avrebbe mai creduto che esistesse un castello così grande e imponente.
Metteva quasi i brividi.
−Scegliete una barca e salite a bordo – ordinò Hagrid indicando una fila di scialuppe ormeggiate a pochi metri da loro, frustate con violenza dalle onde del lago in tempesta.
−Stai scherzando, spero! – si lasciò sfuggire Susan preoccupata.
−Tranquilla, è tutto sotto controllo – la rassicurò il gigante sospingendola verso la barca più vicina.
Susan deglutì e salì a bordo. Il cuore le balzò in gola nel momento in cui la scialuppa prese a oscillare pericolosamente sotto il suo peso.
Altri tre ragazzi le si accomodarono attorno.
Con suo sommo disappunto, il ragazzino dai capelli biondi si sedette proprio di fronte a lei.
–Mi chiamo Nigel Crewey – si presentò sorridendole timidamente.
−Piacere – rispose Susan con freddezza.
In quel momento, come mosse da un nocchiero invisibile, le barche si staccarono tutte insieme dal molo, prendendo a scivolare nell’acqua scura.
Il vento ruggiva furioso, alzando onde minacciose che a tratti sommergevano completamente le fragili imbarcazioni.
In pochi minuti, Susan fu bagnata a tal punto da non fare più caso ai brividi di freddo e ai denti che battevano, intenta com’era a tenersi aggrappata alla prua della scialuppa, temendo di precipitare da un momento all’altro nelle acque gelide che gorgogliavano sotto di lei.
Improvvisamente, un’onda più alta delle altre sommerse completamente la barca. Susan chiuse gli occhi, trattenendo il fiato mentre l’enorme massa d’acqua la investiva.
Quando li riaprì, la panca su cui fino a un attimo prima stava seduto Nigel era vuota.
Gli altri due ragazzini a bordo fissavano impotenti l’acqua scura, gli occhi sgranati dall’orrore.
−NIGEL!
Il ragazzino si agitava disperatamente tra le onde, a tratti scomparendo e ricomparendo nell’oscurità.
Susan era pietrificata dall’orrore.
Sicuramente l’anno successivo sarebbe toccato anche a Lucy attraversare quel lago.
Avrebbe corso anche lei il rischio di finire come quel bambino, sul punto di affogare…
−Sue, hai visto David?
−No, mamma. Vedrai che si sarà nascosto qui attorno.
−Sarà meglio andarlo a cercare: sta arrivando un brutto temporale.
−Non preoccuparti: non appena avvertirà le prime gocce, schizzerà da solo sulla veranda. Comunque, se ti può far stare tranquilla, finisco di leggere questa frase e vado a cercarlo.
Non pensò neanche a quello che stava facendo.
Le sembrò quasi di essere in un sogno mentre tuffava le braccia nell’acqua gelida, afferrando Nigel per il torace e aiutandolo a tirarsi su.
I suoi due compagni di traversata l’afferrarono prontamente per le spalle, evitando che finisse fuori bordo anche lei.
In un attimo, furono entrambi fuori pericolo.
Nigel tremava per il freddo e la paura, le guance inondate di lacrime.
Susan lo abbracciò d’istinto.
−Ѐ tutto finito – sussurrò. – Sei al sicuro, ora.
−SUSAN!
In quel momento, Hagrid si era avvicinato a loro a bordo di un’unica grande barca.
−Crewey era finito in acqua, signore! – strillò uno dei due bambini. – Susan l’ha salvato!
−Davvero hai fatto questo? – gli occhi di Hagrid erano carichi di ammirazione. – State tutti bene?
−Sì…sì, signore – balbettò lei infreddolita.
Hagrid si tolse il pastrano e glielo porse.
–Tieni – disse burbero. – Non manca molto, coraggio.
Susan afferrò il cappotto e lo gettò sulle spalle di Nigel.
Gli andava talmente grande da ricoprirlo completamente, creando un lungo strascico ai suoi piedi.
−Susan, − squittì il ragazzino, ancora sconvolto – prometto che non ti darò mai più della gigantessa.
In tutta risposta, Susan scoppiò a ridere.
–Tranquillo! – lo rassicurò scompigliandogli i capelli biondi.
Pochi minuti dopo, le barche attraccarono finalmente alla riva opposta con un tonfo.
Gli studenti si precipitarono a terra, ringraziando il cielo per essere ancora tutti interi.
Hagrid li guidò verso il castello, fino a raggiungere la grande porta d’ingresso.
Non appena mise piede nell’atrio, Susan avvertì immediatamente un piacevole senso di tepore.
Gli studenti si assieparono di fronte a una grande porta di quercia, davanti alla quale stava un’anziana strega dal cipiglio severo, i lunghi capelli grigi stretti in uno chignon che si intravedevano sotto il nero cappello a punta.
Il corpo slanciato era rivestito da un elegantissimo abito di velluto verde che le arrivava fino ai piedi.
Susan non riuscì a soffocare un brivido mentre incontrava i suoi occhi di ghiaccio.
−Benvenuti a Hogwarts – esordì la strega dopo averli squadrati uno a uno. – Una volta varcata questa porta, si darà inizio alla cerimonia dello Smistamento, in cui ciascuno di voi verrà assegnato alla propria Casa. Vi ricordo che, da questo momento in poi, la vostra Casa sarà la vostra famiglia e ogni vostro comportamento verrà valutato in punti che verranno assegnati o tolti alla Casa stessa. Ci sono domande?
Nessuno rispose, tanto erano intimoriti.
−Bene, seguitemi, per favore – tagliò corto la strega.
La porta alle sue spalle si spalancò lentamente, rivelando un’enorme sala illuminata da candele sospese a mezz’aria.
Sui suoi lati lunghi erano disposti quattro tavoli su cui sedevano centinaia di studenti vestiti di nero.
Sul fondo, in cima a un basso podio di pietra, vi era un quinto tavolo sui cui erano seduti alcuni maghi e streghe più anziani.
Susan rimase profondamente colpita dall’uomo che si trovava al centro: rappresentava alla perfezione il concetto tradizionale di mago, con tanto di lunga barba argentea e cappello a punta.
Hagrid sedeva a una delle estremità del tavolo, sorridendo bonario.
Mentre attraversava la sala, Susan levò lo sguardo e restò a bocca spalancata.
Al posto del soffitto, un cielo denso di nubi sovrastava le loro teste e la pioggia scendeva lenta verso di loro, dissolvendosi nel nulla a una decina di metri dal pavimento.
−Ѐ una magia – sentì sussurrare qualche testa più in là.
Nel frattempo, la strega con l’abito verde li aveva fatti disporre ai piedi del podio, di fronte a uno sgabello su cui torreggiava un vecchio cappello da mago pieno di toppe.
Susan avvertì tutti gli sguardi degli studenti proiettati su di loro.
Cercò quello di suo fratello e dei Potter, ma in quella selva di teste fu impossibile scorgerli.
−Ora vi chiamerò per nome e verrete a sedervi qui – spiegò la strega sollevando il cappello. – Io vi metterò il Cappello Parlante sulla testa e verrete assegnati alla vostra Casa. Arthur Bedley!
Un ragazzino biondiccio caracollò accanto alla strega e si sistemò sullo sgabello.
Susan fece una smorfia di scetticismo: tutto questo le sembrava terribilmente ridicolo; poi sobbalzò per la sorpresa quando notò che lo strappo attorno alla tesa del cappello si era increspato nel momento in cui era stato posato sulla testa del ragazzino, proprio come una bocca.
 –Tassorosso! – gridò il Cappello Parlante.
Uno scroscio di applausi accolse il nuovo venuto mentre si accomodava al secondo tavolo al centro.
La strega chiamò altri ragazzi, fino ad arrivare a Nigel.
Il ragazzino era così emozionato che inciampò nel pastrano e finì lungo disteso sul pavimento di pietra, scatenando l’ilarità generale. Rosso per la vergogna, si arrampicò sullo sgabello, premendosi il Cappello sulle tempie.
−Grifondoro! – gridò questi pochi istanti dopo.
Susan applaudì più forte di tutti mentre Nigel si precipitava al primo tavolo sulla destra.
Distinse nettamente Peter alzarsi per accoglierlo fra loro.
Poi lo Smistamento ricominciò.
Ci furono parecchi Tassorosso, molti Grifondoro e Serpeverde e qualche Corvonero.
Susan gettò un’occhiata al tavolo dei Serpeverde.
A quanto pareva, Malfoy non era affatto una pecora nera lì in mezzo.
I ragazzi seduti a quel tavolo avevano tutti un’aria terribilmente losca.
Trattenne un gemito, prendendo in considerazione l’idea di finire con loro.
−Susan Pevensie! – esclamò la strega quando attorno allo sgabello non era rimasto che un gruppetto di ragazzi.
Susan avanzò con passo incerto fino ai piedi del podio.
Sapeva che la stavano fissando tutti, chiedendosi perché lei, così vecchia, si presentasse a Hogwarts solo allora. Prese un profondo respiro e si sedette.
In un attimo, il Cappello fu sulla sua testa.
−Mmm… − lo sentì dire con una voce impolverata dal tempo – vedo che sei una strega molto brillante e dotata di una spiccata propensione per le attività pratiche, nonché di un forte senso di responsabilità. So esattamente dove collocarti. Corvonero!
−Cosa?
Susan rimase per un attimo interdetta. Per tre mesi, si era aspettata di sentire Grifondoro o Serpeverde, rispettivamente il meglio e il peggio, ma non una delle due Case intermedie, di cui conosceva a stento l’esistenza. Le sembrava tutto così assurdo.
−Signorina Pevensie? Secondo tavolo a sinistra, per favore – la riscosse la strega in tono sbrigativo.
La ragazza trasalì, togliendosi il Cappello dalla testa.
Scorse l’espressione perplessa negli occhi di Peter mentre lentamente si alzava e si avviava verso il tavolo dei Corvonero, che l’accolsero con un applauso.
Si sistemò tra una ragazza dagli occhi a mandorla e un ragazzo del sesto anno dai lunghi capelli scuri.
Venne subito tempestata di domande a cui ella, suo malgrado, non poté fare a meno di rispondere.
Finito lo Smistamento, il mago dalla lunga barba argentea si levò in piedi.
–Care ragazze, cari ragazzi, benvenuti e bentornati a Hogwarts! – esordì in tono gioviale. – In funzione di Preside della scuola, devo ricordare a tutti gli studenti che l’accesso alla Foresta Proibita è severamente vietato a ciascuno di voi. Inoltre il nostro custode, il signor Gazza, mi ha più volte rammentato che l’elenco dei manufatti magici non autorizzati, consultabile presso la bacheca del suo ufficio al primo piano, quest’anno è stato ampliato di una cinquantina di voci – si schiarì la gola. – Ma ciò che mi preme maggiormente comunicarvi è che quest’anno non si terrà la Coppa di Quiddich – dall’intera sala si levò un boato di protesta (Susan giurò di aver sentito la voce di Peter sovrastare quella di molti altri studenti, dal momento che si era appena giocato l’unica opportunità che aveva di diventare capitano di Grifondoro) – per permettere l’organizzazione di un evento straordinario. Dopo cento anni, infatti, Hogwarts è stata scelta come sede del prossimo Torneo Tremaghi!
A questa notizia, molti ragazzi smisero subito di lamentarsi per esplodere in grida d’entusiasmo.
−Il Torneo avrà inizio ad Halloween, con l’arrivo delle delegazioni di Beauxbatons e Durmstrang, le due scuole di magia straniere che parteciperanno insieme a noi – continuò il Preside. – Per ciascuna di esse, verrà scelto un solo campione. Egli dovrà affrontare tre prove, che si svolgeranno nel corso dell’anno scolastico. Al vincitore andranno mille galeoni, oltre alla Coppa Tremaghi. Ma dissuado dal partecipare i deboli di cuore: le prove che vi aspettano sono infatti assai pericolose e, una volta iscritti, non sarà possibile ritirarsi. Per evitare inconvenienti, abbiamo stabilito che solo gli studenti con diciassette anni compiuti potranno parteciparvi.
Un secondo coro di protesta si levò dalla folla, ma dentro di sé Susan era molto d’accordo su quello che aveva appena detto il Preside.
−Bene, ora che gli annunci sono finiti, non mi resta che dirvi una sola cosa: − concluse questi – abbuffatevi!
Susan trasalì.
Il piatto vuoto davanti a lei si era improvvisamente riempito di ogni sorta di pietanze.
I suoi vicini si erano subito lanciati sul cibo, ma lei rimase con la forchetta e mezz’aria.
Aveva uno strano senso di vuoto che le attanagliava lo stomaco, come se ci fosse qualcosa che non andava.
Il flusso dei suoi cupi pensieri venne improvvisamente interrotto dal sopraggiungere di Jane e Peter.
La ragazza balzò a cavalcioni della panca su cui erano seduti gli studenti, schiacciandosi fra Susan e la ragazza orientale, che le scoccò un’occhiata infastidita.
–Allora, siamo a Corvonero, eh? – trillò poggiando i gomiti sul tavolo. – Bel colpo, ragazza!
−Già! Un po’ inaspettato, forse… − Susan scoccò un’occhiata preoccupata a Peter.
−Corvonero è un’ottima Casa – la tranquillizzò lei. − Una mente brillante fu tosto la cosa più importante. Peter mi ha detto che nella scuola babbana andavi molto bene. Ti piacerà qui, vedrai!
−Lo spero – in quel momento, Susan stava osservando con aria preoccupata la ragazza bionda seduta di fronte a lei, intenta a pulirsi le orecchie con la punta della bacchetta.
−Dovresti scrivere alla mamma per darle la bella notizia, Sue – la incalzò Peter. – Sai che ho deciso di partecipare al Torneo Tremaghi?
−Che cosa?
−Certo! Ho diciassette anni e sono uno degli studenti migliori della mia Casa. Perché no?
−Ma Peter, non hai sentito quello che ha detto il Preside? Le prove sono pericolose!
−Al vecchio Silente piace sempre esagerare, tanto per aggiungere un po’ di pepe. E poi, come lo definiresti altrimenti il Quiddich, che pratico assiduamente da sei anni? L’anno scorso Harry è caduto da un’altezza di quindici metri!
−Basta, basta!
−Coraggio, Susan – tentò di rassicurarla Jane. – Sono certa che Silente non vorrebbe mai che i suoi studenti corressero…ah! – la ragazza si arrestò di colpo, prendendosi la testa tra le mani, gli occhi serrati.
Era come se fosse improvvisamente scossa da dei dolori atroci.
In quel momento, gli occhi di tutti si erano voltati verso il corridoio centrale, dove stava arrancando una figura tozza e fradicia.
Susan trattenne a stento un grido.
La creatura che stava andando incontro a Silente avrebbe dovuto essere un uomo, con l’unica eccezione che gli mancavano diversi pezzi, tra cui parte del naso, una gamba e l’occhio sinistro, sostituito da uno di vetro che si muoveva incessantemente in tutte le direzioni.
 −Ho il piacere di presentarvi il nostro nuovo insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure, Alastor Moody! – annunciò il Preside dopo averlo accolto come un vecchio amico.
Ma Susan non lo ascoltava.
Lei e Peter erano troppo impegnati a cercare di capire che cosa avesse Jane, che era diventata bianca come un lenzuolo e sembrava sul punto di dare di stomaco.
Poi, improvvisamente, i tratti del volto si rilassarono e le guance tornarono a tingersi di un delicato color rosa.
−Che cosa è successo? – chiese Susan in tono allarmato.
−Non lo so – balbettò Jane. Anche lei sembrava molto spaventata. – Sarà perché non sono abituata alle lenti a contatto…danno forse la nausea, nei primi tempi?
−Devi andare subito in infermeria – disse Peter.
−Non credo ce ne sia bisogno – replicò Jane. – Ormai è passato.
−Ma non ti sei vista? Facevi spavento!
−So badare a me stessa, Peter. E non provare a fare la spia con mio fratello!
In quel momento, Susan provò una punta di invidia verso Jane.
Come avrebbe desiderato anche lei poter lanciare una risposta simile a suo fratello, in certe occasioni!
 −D’accordo, ma ricordati che la pelle è la tua – si arrese Peter.
−Dobbiamo scambiarci gli orari! – cambiò subito argomento Jane. – Così possiamo vederci durante le ore di buco.
−Ѐ probabile che ci incroceremo a lezione – disse Susan controllando il suo, che aveva trovato accanto al suo piatto nel momento in cui si era seduta a tavola. – Avendo perso un po’ di anni, frequento corsi di livelli diversi.
−Ѐ vero! Abbiamo insieme Difesa Contro le Arti Oscure il giovedì mattina! – esclamò Jane.
−Meno male! – Susan trasse un sospiro di sollievo.
Sapere di avere l’amica nella stessa classe durante le lezioni dell’orripilante professor Moody la faceva stare di gran lunga più tranquilla.
In fondo, ora che si trovava seduta a un tavolo in compagnia degli amici, le sembrava tutto così tremendamente normale!
Senza neanche pensarci, Susan infilò la prima forchettata di pasticcio con patate.

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Capitolo 3
*** Senza perdono ***




CAPITOLO 3


Senza perdono

~
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao, Lucy! Come stai?
Scusami se non ho potuto scriverti prima, ma ho avuto un po’ di problemi a capire come si usano i gufi (proprio come quello che ti ha portato questa lettera; la risposta dovrai legargliela alla zampina, ma prima ti consiglio di dargli un paio di biscotti, dal momento che ha affrontato un lungo viaggio).
Oggi è il mio terzo giorno di scuola e sono curiosa di affrontare la mia prima lezione di Difesa Contro le Arti Oscure!
Sono stata assegnata a Corvonero e, passata la sorpresa iniziale, mi sto trovando molto bene.
Pare che qui finiscano i maghi e le streghe con il pallino per lo studio.
Sembra proprio fatta apposta per me, non è vero?
I colori della mia Casa sono il bianco e il blu con un corvo nero al centro.
Il nostro dormitorio si trova su una delle torri più alte del castello: dalla mia camera posso vedere un panorama straordinario, con il lago e le montagne sullo sfondo.

Sono sicura che Hogwarts ti piacerebbe molto: è piena di scale e passaggi segreti.
Pensa che ci sono persino i fantasmi!
Però posso assicurarti che non fanno assolutamente paura, anzi, alcuni sono anche molto simpatici, come per esempio Sir Nicholas.
Basta far finta di niente se ogni tanto gli si stacca parte della testa. 

Ѐ una cosa che imbarazza molto anche lui!
Un altro fantasma è il professor Ruf e insegna Storia della Magia.
Non è affatto severo, ma a dire il vero io lo trovo un tantino noioso quando spiega.

I miei compagni sono tutti molto affettuosi con me, ma ho stretto amicizia in modo particolare con dei ragazzi di Grifondoro.
Conosci Harry e Jane Potter?
Loro sono tra i miei migliori amici.

Le lezioni sono fantastiche e mi sto davvero appassionando alla magia.
Qui ci insegnano a curare le creature magiche, a preparare pozioni che possono guarire dagli avvelenamenti e a trasformare gli oggetti in cose che potrebbero tornarci utili in caso di necessità.
All’inizio ero molto scettica, ma con il passare del tempo mi sto rendendo conto che invece queste cose possono rivelarsi assai utili. Non sapevo di essere così ignorante, quando ero ancora senza poteri.
E ora mi sembra tutto così semplice!

I professori sono tutti un po’ stravaganti, ma ti posso assicurare che hanno un’eccellente preparazione.
Persino l’insegnate di Pozioni, il professor Piton, che fa paura praticamente a tutti, non mi sembra poi così male.
Esige molto, questo sì, ma sa insegnare ed è questo l’importante.
L’unica sua pecca è che è il Direttore di Serpeverde.

E tu come stai?
E la mamma? Mi mancate moltissimo!
Non vedo l’ora che vieni a Hogwarts anche tu!
Sono sicura che io e te ci divertiremo da matti insieme!

Scrivimi presto, mi raccomando!
Baci,
Susan
P.S. saluti anche da Peter!
 
***
 
Susan rilesse la lettera un paio di volte; poi la legò alla zampetta del gufo grigio che stava appollaiato di fronte e lei.
Il volatile fece schioccare il becco un paio di volte e spiccò il volo, sparendo fuori dalla finestra.
La ragazza finì di bere rapidamente la sua aranciata e si avviò verso l’aula di Difesa Contro le Arti Oscure.
Era ancora molto presto e la grande stanza era completamente vuota.
Susan scelse uno dei banchi in prima fila e vi si sedette.
Estrasse dalla cartella una copia di un giornale babbano, che si faceva recapitare ogni mattina per tenersi sempre informata su quanto accadeva fuori dalle mura di Hogwarts.
Dopo aver scorto i primi articoli di politica e cronaca locale, i suoi occhi si fermarono su un trafiletto di poche righe, introdotto dalla foto in bianco e nero di un bambino sui dieci anni dai corti capelli scuri.
Le prime parole bastarono a farle gelare il sangue nelle vene.
 
SCOMPARSO
 
Barry Stewart, 10 anni, è sparito da casa intorno alle 20:30 di ieri sera.
L’ultima volta che è stato visto, era nella sala d’aspetto della piscina comunale di Southampton, Yorkshire, in attesa della madre.
Non si sa se si sia allontanato di sua volontà o se sia stato costretto da qualcuno.
Chiunque lo vedesse, contatti immediatamente la polizia.

 
Susan cercò disperatamente di mantenere la calma.
Quell’articolo le era troppo familiare.
Ne avevano scritto uno simile per David, quando ancora sembrava esserci una speranza di ritrovarlo. 
E ora questa scomparsa, ancora una volta di un bambino di dieci anni.
No, doveva essere tutta una coincidenza.
Non poteva di nuovo essere il rapitore seriale di Nati Babbani, lo avrebbero detto che c’erano stati dei precedenti.
Del resto, quante persone sparivano nel nulla ogni giorno in Inghilterra?
Altrimenti non si sarebbero spiegati tutti quei programmi di cronaca che si vedeva spesso sua madre la sera dopo cena.
No, Jane gliel’aveva detto che la Strega Suprema era quasi sicuramente morta.
Peccato che fosse proprio quel quasi a preoccuparla.
−Buongiorno! – trillò una voce squillante al disopra della sua testa.
−Oh, buongiorno! – salutò Susan sollevata.
Era incredibile come Jane sapesse comparire sempre al momento giusto, come se le leggesse nel pensiero.
−Qualcosa ti turba? – chiese infatti.
−Oh, no, niente – rispose Susan. – Ho appena letto un articolo su un bambino scomparso e…insomma, sembra quasi uno dei delitti della Strega Suprema, a pensarci bene.
−Mmm – Jane afferrò il quotidiano e lesse il trafiletto attentamente, aggrottando le sopracciglia con fare pensoso. – Comunque, se può farti stare tranquilla, sul Profetanon c’era scritto nulla a riguardo. Se fosse stata una cosa che coinvolgeva la nostra comunità, ne avrebbero parlato eccome!
−Grazie, la cosa mi tranquillizza molto! – esclamò Susan sollevata.
−E di che? Comunque, a maggior ragione, concentriamoci su questa lezione!
In pochi minuti, l’aula si riempì completamente di vocianti studenti del quarto anno.
Harry, Ron e Hermione erano seduti alle loro spalle e chiacchieravano animatamente con un ragazzo spilungone dai lunghi capelli neri e arruffati.
−Mio padre dice che Moody è uno degli Auror migliori che il Ministero abbia mai avuto – stava spiegando Ron a Harry. – Molte celle di Azkaban sono piene grazie a lui. Ma ora pare sia andato un po’ fuori di testa. Ѐ strano che Silente abbia scelto proprio lui come insegnante.
In quel momento, calò il silenzio.
Moody era appena entrato nella stanza con la sua andatura claudicante.
Si sistemò davanti alla cattedra, squadrando gli studenti uno a uno con entrambi gli occhi.
−Prima di cominciare, vorrei mettere bene in chiaro una cosa – esordì con voce roca. – Silente mi ha mostrato i programmi svolti gli scorsi anni. Straordinariamente esaustivi, è vero, specie quello curato dal professor Lupin, tuttavia noto in ciascuno di essi l’assenza di un elemento fondamentale: l’approccio pratico. Potrete infatti essere a conoscenza di tutte le creature magiche di questo mondo, tutti gli incantesimi di difesa possibili, ma non potrete mai avere la speranza di cavarvela nella vita reale se i vostri studi si limitano alla pura accademia. In quest’aula voi imparerete ad affrontare ciò che vi aspetta là fuori, so che siete abbastanza maturi per farlo. Ci sono domande?
Nessuno rispose.
Per tutto il discorso di Moody, Harry aveva più volte esclamato sottovoce la sua approvazione.
Jane, invece, era rimasta in silenzio, il mento appoggiato sui gomiti, fissando il vuoto.
Susan le scoccò un’occhiata allarmata, temendo che stesse per avere una crisi simile a quella di poche sere prima.
−Dunque, chi di voi sa dirmi quante sono le Maledizioni Senza Perdono? – chiese improvvisamente Moody.
Parecchie mani scattarono in aria.
−Signorina Granger?
−Tre, signore – rispose la ragazza con la sua vocetta acuta.
−E sai dirmi anche perché si chiamano così?
−Sì, signore. L’uso di una sola di esse è sufficiente per il massimo della pena ad Azkaban.
−Esatto! Per questo dovete essere preparati, perché sono proprio queste le maledizioni che un mago oscuro sceglierà per attaccarvi. Qualcun altro sa dirmi le loro particolarità? Signor Weasley?
−Tutte e tre sono terribilmente orrende. E non lasciano segni visibili – rispose prontamente Ron.
In quel momento, Susan provò una tremenda empatia nei confronti di Jane.
−Risposta esatta! – abbaiò Moody. – Weasley, qual’è la prima?
−Mio padre mi ha parlato della Maledizione Imperius…
−Oh, tuo padre dovrebbe averla vista un paio di volte. Ora capirete perché – il professore estrasse una scatola dalla tasca del pastrano, estraendovi un piccolo ragno scuro, che prese a zampettare forsennatamente sul palmo calloso della sua mano.
Engorgio! – disse puntandogli contro la bacchetta.
In un batter d’occhio, il ragno si gonfiò fino a raggiungere le dimensioni di un merlo.
Molte ragazze urlarono.
Imperio! – esclamò Moody puntandogli nuovamente la bacchetta contro.
Il ragno balzò sulla cattedra, dove prese a esibirsi in una serie di spettacolari piroette.
Molti risero nel momento in cui, come mosso da fili invisibili, l’aracnide improvvisò un perfetto tip-tap.
−Divertente, vero? – li incalzò Moody. – Che altro volete che gli faccia fare? Infilarsi giù per la gola di qualcuno di voi?
Tutti smisero di ridere all’istante.
−Poco tempo dopo la caduta di Voi-Sapete-Chi, decine di maghi e streghe dichiararono di aver fatto delle cose orribili perché sotto l’influenza della Maledizione Imperius. La domanda è questa: chi sono i bugiardi? Avanti, fuori la seconda!
Altre mani si levarono.
−Neville Paciock! – chiamò Moody rivolgendosi al ragazzo dai capelli scuri accanto a Hermione. – La professoressa Sprite ti descrive come uno studente molto dotato in Erbologia. Vediamo come te la cavi con le Arti Oscure!
−Ehm…c’è la Maledizione Cruciatus – rispose Neville timidamente.
−Eccellente! Sicuramente una delle più orribili – puntò di nuovo la bacchetta contro il ragno. – Crucio!
La creatura si appallottolò bruscamente su se stessa, prendendo a contorcersi e a rotolare convulsamente lungo tutto il piano della cattedra, lanciando squittii acuti simili a grida di dolore.
Dopo pochi secondi, il ragno prese a saltare sul posto, come se i suoi muscoli stessero scoppiando uno a uno sotto l’influsso di tante piccole scariche elettriche.
−LA SMETTA! PER FAVORE, LA SMETTA! – gridò improvvisamente Hermione.
Il suo braccio era stretto attorno alle spalle di Neville, pallido come un cencio, gli occhi sgranati dall’orrore.
−Paciock, se ti senti male, vai in infermeria! – tuonò Moody.
Il ragazzo annuì goffamente e si trascinò fuori dalla classe.
−Bene, come avete appena visto, la Maledizione Cruciatus è il metodo migliore per torturare una persona senza tagliuzzarla pezzo per pezzo. Vi posso assicurare che il dolore è lo stesso – proseguì il professore imperturbabile. – Ai tempi di Voi-Sapete-Chi andava particolarmente di moda tra…signorina Potter, dove credi di andare?
−Ne ho abbastanza, signore! – rispose lei con inaspettata veemenza, già a un passo dalla porta dell’aula. – Già mostrare degli anatemi illegali di fronte a una classe è una cosa abbastanza discutibile, ma parlare di Arti Oscure con una leggerezza quasi compiaciuta è uno scandalo!
Susan si volse verso Harry.
Il ragazzo aveva gli occhi sgranati per lo stupore.
Evidentemente, nonostante la sua inarrestabile franchezza, era difficile che Jane rispondesse male a un professore.
−Nessuno ti autorizza a rivolgerti a me in questo modo! – ringhiò Moody minaccioso. – Io sono il professore e io decido che cosa fare a lezione, è chiaro? Tu qui dentro non hai alcuna mansione al di fuori dello starmi a sentire!
−Io sono qui per imparare a difendermi dalle Arti Oscure, dal momento che conosco benissimo in che cosa consistono.
−Ah, davvero? E allora scommetto che sei abbastanza in gamba per continuare la lezione al posto mio, non è così? Per esempio, spiegando alla classe qual’è la prossima maledizione.
Gli occhi di Jane sembrarono prendere fuoco.
Era evidente che quella era una vera e propria frecciata velenosa nei suoi confronti.
−L’Avada Kedavra, o l’Anatema Che Uccide – rispose seccamente. – Ma non credo che abbia bisogno di ulteriori approfondimenti, dal momento che ha ucciso entrambi i miei genitori. Be’, buona giornata – e se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle.
 
***
 
Jane camminava a passo spedito nel lungo corridoio deserto, le mani nelle tasche, gli occhi e le guance che le bruciavano per la rabbia e l’umiliazione.
Non si era fermata quando aveva intravisto il lampo di luce verde balenare dietro la porta dell’aula di Difesa Contro le Arti Oscure.
Si immaginava le reazioni dei presenti, in particolar modo di Harry.
Sapeva che avrebbe dovuto restare con lui, ma la sola idea di rimanere nelle vicinanze di quell’uomo raccapricciante andava ben oltre le sue forze.
Non sapeva né come né perché, ma ogni volta che Moody si trovava nelle sue vicinanze, la ragazza cadeva in presa a un fastidiosissimo senso di nausea che non riusciva a controllare in alcun modo.
Solo due volte aveva provato una sensazione simile e la cosa non la tranquillizzava affatto: in entrambi i casi, infatti, Voldemort si trovava solo a pochi passi da lei.
Non riusciva a capire come Moody, uno dei migliori Auror d’Inghilterra, potesse essere collegato proprio con il suo nemico numero uno, tuttavia Jane aveva la sgradevole certezza che ci fosse qualcosa che non quadrava in quella situazione.
Già il fatto che il professore avesse usato un ragno come cavia per le sue maledizioni le aveva ricordato involontariamente uno dei modi preferiti con cui la Strega Suprema faceva sparire le sue vittime, trasformandole in creature sgradevoli che venivano puntualmente schiacciate da qualche incauto Babbano.
Senza contare che anche Harry, a modo suo, stava dando dei segni di anomalia da un paio di settimane: la sua cicatrice era tornata a bruciare senza motivo.
Di solito, quando i due gemelli si trovavano in pericolo, erano proprio questi i segnali che li mettevano in allarme.
Era evidente che l’aggressione dei Mangiamorte alla Coppa del Mondo di Quiddich non sarebbe stato un episodio isolato.
Voldemort stava macchinando qualcosa, ma come e quando avrebbe colpito restava un mistero.
La cosa riempiva Jane di un’ansia indescrivibile.
I suoi passi si fermarono di colpo.
Per poco non era inciampata nelle lunghe gambe di Neville, seduto a terra, la testa rivolta verso una finestra inondata di luce.
−Neville! Stai…
Si bloccò a metà frase.
Il volto del ragazzo era rigato dalle lacrime. Jane trasalì: in quattro anni, nonostante tutte le umiliazioni subite davanti ai professori e ai Serpeverde, non aveva mai visto Neville piangere sul serio.
−Che uomo raccapricciante! – esclamò indignata, sedendoglisi accanto e prendendogli la mano.
Al suo fianco, la ragazza sembrava una sorta di minuscolo insetto.
−Scusami, non avrei mai voluto che mi vedessi così – balbettò Neville pulendosi nervosamente le guance con la manica della divisa.
−Stai tranquillo – lo rassicurò Jane.
Neville era sempre stato uno dei suoi amici più cari; non poteva sopportare che fosse ridotto in quelle condizioni.
−Ѐ stata la Maledizione Cruciatus, vero?
Il ragazzo annuì debolmente. – Jane, c’è una cosa che non ti ho mai detto, ma prima di rivelartela devi promettermi che non ne parlerai con nessuno, nemmeno con Harry – disse serio.
−Va bene, hai la mia parola – lo rassicurò lei.
−Ti sei mai chiesta perché vivo con mia nonna?
−Mmm, qualche volta, ma temevo di essere troppo indiscreta nel domandarti il motivo.
−Be’, i miei genitori non possono più occuparsi di me. Erano due Auror molto potenti, sai? Poi, un anno dopo la caduta di Tu-Sai-Chi, alcuni Mangiamorte li rapirono e li torturarono. Pare fossero a conoscenza di informazioni estremamente preziose. La Maledizione Cruciatus li ha portati alla follia. Succede, quando viene usata per più di qualche ora.
−Oh, mio Dio! Ѐ…orribile!
−Ora sono ricoverati al San Mungo. Passo a trovarli, di tanto in tanto, ma non mi riconoscono neppure.
La calma con cui Neville disse tutto questo fu la cosa più terribile.
Jane sapeva quanto egli fosse forte, ma mai avrebbe immaginato che dietro la sua prontezza d’animo si nascondesse una simile tragedia.
In quel momento, provò un’immensa stima nei confronti dell’amico.
−Prometto che non rivelerò a nessuno il tuo segreto – lo rassicurò abbracciandolo forte. – E voglio che tu sappia una cosa: sei davvero un grande mago. Sono certa che un giorno li lascerai tutti a bocca aperta, amico mio!
−Tu dici?
−Mi sono mai sbagliata?
Sulle labbra di Neville ricomparve il suo vecchio, inconfondibile sorriso, rivelando gli incisivi troppo grandi.
–Se ho la tua parola, so di potermi fidare! – esclamò sollevato.
 
***
 
Camminava per un sentiero ghiaioso costeggiato da basse siepi ben curate.
Di tanto in tanto, il suo sguardo incontrava il profilo marmoreo di una statua seminascosta tra gli alberi.
Il silenzio era rotto solo dal canto degli uccelli e dal gorgoglio delle fontane.
Improvvisamente, Jane si fermò.
A pochi passi da lei, accovacciato su un muretto, stava un ragazzino dai corti capelli neri, intento a disegnare sul terreno con un dito.
Non appena avvertì la sua presenza, egli si girò.
Aveva due bellissimi occhi scuri, grandi, fieri e penetranti.
Il suo sguardo la fece rabbrividire.
Poi Jane si risvegliò nel suo letto, madida di sudore.
 
 

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Capitolo 4
*** Fuoco e ghiaccio ***




CAPITOLO 4


Fuoco e ghiaccio

~

 
 
 
 
 
 
 
 
Il sabato mattina, non essendoci le lezioni, Susan si concedeva una mezz’oretta di sonno in più.
Erano trascorsi quasi due mesi dal suo arrivo a Hogwarts e ormai si era ambientata alla perfezione.
Adesso trovava perfettamente normale usare la magia nella vita quotidiana, senza dover però rinunciare a quello che era stato prima.
Il mondo dei maghi era tutt’altro che un posto lugubre e uggioso come si era sempre immaginata.
Ora non avrebbe più saputo rinunciarvi.
Era il 31 ottobre, la festa magica per eccellenza.
Susan si svegliò di ottimo umore e provò un piacevole senso di familiarità mentre indossava l’aderente tuta nera e le scarpe da ginnastica e si legava i capelli in una fluente coda di cavallo che le arrivava fin quasi a metà schiena.
Era giunto il momento che aspettava per sei giorni su sette.
La ragazza spalancò il suo baule ai piedi del letto e vi estrasse un grande arco sportivo e una faretra colma di frecce, che mise subito a tracolla; poi, infilatasi il mantello, uscì dal dormitorio e si diresse verso il parco.
Dense nuvole grigie si rincorrevano nel cielo, ma non sembravano promettere pioggia.
Le sue scarpe frusciavano sull’erba ricoperta di rugiada.
Susan attraversò il parco e si diresse verso il primo macchione di alberi della Foresta Proibita.
Nonostante i divieti, la ragazza sapeva bene che la maggior parte degli studenti vi si avventurava senza problemi, purché non ci si addentrasse verso l’interno: correva voce infatti che vi abitassero creature mostruose come centauri e ragni giganti.
Costeggiò il primo macchione di abeti dalla capanna di Hagrid fino a intravedere le acquee argentee del lago; poi, una volta fermatasi, scelse un albero come bersaglio e incoccò la prima freccia.
Sin da piccola, Susan aveva avuto un innato talento per il tiro con l’arco.
Lo aveva provato una volta  a scuola, all’età di otto anni, e da allora non aveva più smesso.
Aveva vinto anche diverse competizioni.
Il tiro con l’arco era la sua droga: le permetteva di non pensare ai problemi e di sfruttare al massimo la sua indole pratica e intuitiva.
Mentre tirava, intravide Peter che correva lungo la riva del lago, i muscoli che si gonfiavano sotto la maglietta grigia.
Susan sospirò: suo fratello stava dando anima e corpo per partecipare a quel maledetto Torneo.
Con la coda dell’occhio, scorse un gruppetto di ragazze sospiranti assiepate dietro una coltre di cespugli, intente a spiarlo sfacciatamente.
Una delle cose che nessuno concepiva era il fatto che Peter, sicuramente uno dei ragazzi più belli della scuola, non avesse mai avuto una ragazza.
Susan, invece, sapeva fin troppo bene che suo fratello era talmente occupato a eccellere in tutto, da scordarsi qualsiasi cosa interferisse con lo studio o lo sport.
Era perennemente attorniato da ragazze, trattandole tutte con la massima gentilezza e cordialità, a prescindere da chi fossero, ma non aveva mai preso seriamente in considerazione di uscire con una di loro.
Sembrava un caso senza speranza.
−Ehilà! – esclamò la voce di Jane alle sue spalle.
La ragazza aveva appena fatto la sua comparsa fra gli alberi, in sella a un grande cavallo bianco.
Le sue gambe erano nascoste dalle grandi ali dell’animale, ripiegate lungo i fianchi.
−Ciao, Jane! – la salutò Susan sorridendo. – Tu e Ulisse siete di passeggiata, vedo!
−In realtà, speravo di incontrarti. C’è una cosa che devi vedere − Jane sembrava molto seria mentre smontava da cavallo ed estraeva una copia della Gazzetta del Profeta da una bisaccia fissata alla sella.  – Leggi qui! – esclamò preoccupata.
Susan afferrò il giornale e iniziò a leggere.
 
RITROVATO CORPO SENZA VITA DI RAGAZZO BABBANO
Si vocifera il ritorno della Signora in Nero.
 
Barry Stewart, 10 anni, è stato ritrovato senza vita in un bosco nelle vicinanze di Southampton, nello Yorkshire.
Il bambino, di origini babbane, era scomparso senza lasciare traccia da circa due mesi, ma gli inquirenti affermano che il decesso è avvenuto non prima di mercoledì scorso.
Gli evidenti segni di Maledizioni Senza Perdono sul corpo della vittima non sono sfuggiti ai Medimaghi infiltrati nelle forze dell’ordine babbane, che hanno confermato l’appartenenza alla comunità magica dell’assassino, la cui identità, però, è ancora impossibile da ricostruire.

Gli Stewart, infatti, sono Babbani da almeno cinque generazioni e non hanno mai avuto contatti con maghi o streghe che avrebbero potuto averli in odio.
All’interno della comunità magica si vocifera un possibile ritorno della Signora in Nero, la strega che tra il 1998 e il 2001 uccise più di venti bambini di origine babbana, ma il Ministero ha immediatamente smentito una simile supposizione: si tratta infatti di un caso isolato, non di omicidi seriali, perciò non è corretto avanzare subito ipotesi prive di fondamento, diffuse al solo fine di creare inutili allarmismi.
Nel frattempo, i nostri Auror stanno collaborando con la polizia babbana nella caccia al killer.

 
Il giornale scivolò a terra, afflosciandosi in una pozza di fango ai piedi della ragazza.
Gli occhi celesti di Susan erano sgranati dall’orrore.
Sembrava un incubo.
−Mi dispiace – balbettò Jane costernata. – Ma dovevi saperlo. Non vorrei essere causa d’ansia, ma nel mondo magico stanno succedendo delle cose che non mi piacciono per niente. Prima la Coppa del Mondo, ora questo. Per non parlare della cicatrice di Harry, che ha ricominciato a bruciare, o dei miei continui malesseri. Susan, qui sta accadendo qualcosa. Devi avvisare immediatamente tua madre e tua sorella. So che Peter non lo farebbe, per non spaventarle.
−Sì, sì. Lo farò immediatamente – Susan raccolse le sue cose e si infilò il mantello.
Era pallida come un cencio.
−Harry ha detto che ti presta volentieri Edvige. La troverai su in Guferia. Non puoi sbagliare: è l’unica civetta bianca.
−Grazie, Jane! Vado subito!
Susan si precipitò verso il castello, ansiosa di avvisare la sua famiglia il prima possibile.
Mentre arrancava tra gli alberi, scorse Peter che, imperturbabile, si era tolto maglietta e calzoncini e si era tuffato nelle acque gelide del lago.
Sperando di scorgere almeno un centimetro di addominali, le ragazze imboscate si sporsero tutte insieme dai cespugli, senza preoccuparsi minimamente di farsi beccare a fissarlo con un’espressione da triglia stampata in volto.
Era davvero troppo.
Senza nemmeno pensarci, Susan estrasse la bacchetta dalla tasca della tuta e la puntò in direzione dei cespugli.
Incendio! – mormorò a denti stretti.
Immediatamente, gli arbusti presero fuoco, costringendo il branco di ammiratrici a uscire allo scoperto, gridando come delle ossesse.
−Tutto bene, ragazze? – sentì dire Peter, emergendo dall’acqua.
−Eeeehm…sì! Be’, ciao! – e se la diedero a gambe, scosse da risate isteriche.
Soddisfatta della sua piccola vendetta, Susan proseguì la sua corsa alla volta del castello.
 
***
 
−Sei un incosciente e anche un egoista! Se la mamma venisse a sapere in che guaio ti stai cacciando…
−Susan, cerca di usare un minimo di cervello: Hogwarts è un’istituzione di prestigio e nessuno vorrebbe farsi carico della morte di uno studente.
−Eppure gli incidenti possono sempre capitare, no? La mamma e io non reggeremmo mai un altro colpo del genere, hai capito?
−Ho tutti i requisiti per partecipare e inoltre sono maggiorenne. Non sei tu la persona che può permettersi di dirmi quello che devo fare o meno, specie se a quest’ora avresti già dovuto essere in possesso dei G.U.F.O.
Questo era davvero troppo.
Dopo aver lanciato a Peter un insulto talmente volgare da far girare alcune ragazze del secondo anno, Susan si incamminò imbronciata verso il tavolo di Corvonero, senza fermarsi a salutare i Potter e Nigel, che era arrivato proprio in quel momento insieme a un gruppo di amici.
Si lasciò cadere su una panca, mordendosi con rabbia il labbro inferiore.
Non solo a suo fratello non era importato un fico secco della morte di Barry Stewart, ma ora si divertiva anche a mettere a repentaglio la propria vita, pur di farsi notare.
Susan non aveva mai odiato Peter così tanto.
Era solo un egocentrico, un pallone gonfiato che pretendeva di scaricare sugli altri tutte le responsabilità che invece toccavano a lui.
La colpa, ovviamente, era stata tutta di sua madre, che, da quando suo padre li aveva abbandonati, non aveva fatto altro che coccolarlo e viziarlo spudoratamente, quasi volesse colmare l’assenza del marito e di David con quell’eccesso di affetto, trascurando lei e Lucy.
Sicuramente, se Peter fosse stato scelto per il Torneo Tremaghi, lo avrebbe solo lodato, anche se fosse stata a conoscenza dell’eventualità di non rivedere mai più suo figlio.
Susan non ne poteva proprio più di quella banda di matti.
Improvvisamente, Silente si levò in piedi, intimando il silenzio con un gesto della mano.
–Un attimo di attenzione, per favore – esordì. – Finalmente, il grande momento è arrivato. Vi invito ad accogliere con un caloroso applauso i nostri amici di Beauxbatons e la loro Preside, Madame Maxime!
A un suo battito di mani, la porta della Sala Grande si spalancò.
Un gruppo di studenti sui diciassette anni dalle divise di seta celeste fece ingresso nel corridoio centrale. Non un capello era fuori posto nelle loro elaborate acconciature e il loro portamento altezzoso assomigliava in maniera impressionante a un passo di danza.
Susan ebbe subito la sgradevole sensazione che avessero un po’ tutti la puzza sotto il naso.
Dietro di loro avanzava una donna bellissima, alta più di quattro metri.
Molti studenti non riuscirono a trattenere esclamazioni stupefatte.
−Benvenuta a Hogwarts, madame! – la salutò Silente facendole il baciamano.
−Oh, Silonte, quale piascere! – rispose lei in tono altezzoso.
Dopo aver fatto un rapido inchino, gli studenti di Beauxbatons si andarono ad accomodare ai tavoli di Grifondoro e Corvonero.
Due ragazze di eterea bellezza, entrambe dai lunghi capelli di un biondo argenteo, si sedettero proprio di fronte a Susan.
Il sorriso indulgente che le rivolsero quasi subito fu sufficiente a farle ricordare ogni sua singola imperfezione, dai denti davanti un po’ fuori misura e il labbro inferiore troppo carnoso alla piccola bruciatura sulla gonna che si era procurata quella mattina durante l’ora di Incantesimi.
−E ora accogliamo la delegazione di Durmstrang e il Preside Igor Karkaroff! – annunciò Silente in tono entusiasta.
Molti studenti trattennero il fiato.
Ad aprire la fila di ragazzi impellicciati c’era un mago tarchiato dalle folte sopracciglia nere e lo sguardo torvo.
−Non ci posso credere, è Victor Krum! – sentì esclamare Cho Chang, la ragazza orientale del quinto anno. − Ѐ il miglior Cercatore del momento! L’ho visto quest’estate alla Coppa del Mondo di Quiddich!
Ma l’attenzione di Susan era da tutt’altra parte.
Improvvisamente aveva come la sensazione di galleggiare nel vuoto.
Non riusciva a staccare gli occhi dal giovane che era appena entrato nella Sala Grande, fiancheggiando un mago che aveva tutta l’aria di essere il Preside.
Era un ragazzo sui ventitré anni, alto, i lunghi capelli neri che gli arrivavano fino alle spalle.
La pelle era lievemente ambrata e gli occhi erano grandi e scuri, conferendogli un aspetto esotico e misterioso.
Camminava con un portamento fluido ed elegante, da aristocratico.
In tutta la sua vita, Susan non avrebbe mai creduto di poter ammirare con i propri occhi una creatura così perfetta.
 −Benvenuto, Igor! – disse Silente mentre abbracciava il Preside di Durmstrang, un mago dai lunghi capelli brizzolati e il pizzetto.
Ricordava vagamente una capra.
Susan sperò con tutto il cuore che i nuovi arrivati si sedessero al loro tavolo, ma, con suo enorme disappunto, questi si avviarono tutti in direzione dei Serpeverde.
−C’era da aspettarselo: a Durmstrang danno particolare attenzione alle Arti Oscure – commentò Cho al suo fianco. – Pare che un tempo il loro Preside abbia avuto anche dei problemi con la giustizia.
In quel momento, Silente intervenne, battendo le mani per imporre il silenzio.
–Ora, prima di abbuffarci, vorrei richiedere un’ultima volta la vostra attenzione – disse. – Lascio la parola a Bartemius Crouch, dell’Ufficio per la Cooperazione Internazionale Magica, che vi spiegherà alcuni aspetti del regolamento del Torneo.
A un suo cenno, un piccolo mago sui sessant’anni dai curatissimi baffetti a spazzolino si alzò dal tavolo dei professori e si sistemò al centro della sala.
Aveva un sguardo quasi spiritato, come se fosse in preda a un esaurimento nervoso.
–Le regole sono molto precise – spiegò con voce impostata. – Le selezioni per il Torneo inizieranno da questa sera stessa e si concluderanno alle ventuno di domani. Gli studenti verranno esaminati da un giudice imparziale – il mago agitò la bacchetta e dal nulla apparve un enorme calice di pietra, al cui interno si agitavano tante piccole fiammelle azzurre. – Gli studenti intenzionati a partecipare dovranno inserire il loro nome, cognome e scuola di appartenenza su un foglio di pergamena e lasciarlo cadere nel Calice di Fuoco. Sarà questo, infatti, dopo un’attenta valutazione, a scegliere il campione. Ma siete avvertiti: il Calice di Fuoco è protetto da potenti incantesimi, quindi vi sconsiglio vivamente di provare a inserire il vostro nome se non siete dotati dei requisiti richiesti, primo tra tutti i diciassette anni compiuti. Ci tengo a sottolineare inoltre che, una volta scelti, non è possibile ritirarsi o chiedere aiuto ad altre persone. Fatta questa premessa, che il Torneo abbia inizio!
 
***
 
Hilary Lexington scavalcò il cancello del parco pubblico e scivolò sul prato disseminato di cartacce.
Una fredda pioggerellina autunnale scendeva implacabile dal basso cielo tempestoso, ma lei sembrava non accorgersene neanche, asserragliata com’era nel caldo cappuccio imbottito della sua morbida felpa grigia.
Camminava a passo spedito per i viali deserti, le mani nelle tasche, lo sguardo fisso a terra. Era fuori di sé dalla rabbia.
Alla fine, la Direttrice aveva telefonato a casa e aveva minacciato di espellerla dalla scuola.
Non bastavano le sue misere origini nei sobborghi di Liverpool.
Non era sufficiente una famiglia tutt’altro che felice, stipata in uno squallido monolocale che puzzava di alcool.
Ora avevano anche tirato fuori il fatto che fosse matta.
Era successo quella mattina, quando era stata attaccata dai soliti bulli di terza, che le volevano rubare il cellulare.
Lei aveva proteso d’istinto le braccia in avanti per difendersi, accecata da una rabbia incontenibile.
Avrebbe dato qualunque cosa pur di impedire quello che stava accadendo.
E poi, il nulla.
Si era sentita improvvisamente leggera come una piuma, mentre osservava inebetita Rick e la sua banda riversi al suolo, ricoperti di tagli sul viso e sulle braccia.
Neanche un’ora dopo, il padre di Rick, direttore di una catena di agenzie immobiliari, era venuto a riprendersi il figlio e aveva denunciato Hilary alla Direttrice.
L’accusavano di essere una ragazzina disturbata e violenta e per questo doveva essere allontanata immediatamente dalla scuola, per andare in un istituto di gente come lei.
Non poteva accettare quest’ennesima umiliazione, oltre alle botte che l’aspettavano a casa. Piuttosto sarebbe fuggita.
Ecco perché, invece di essere nella sua cameretta a fare i compiti, in quel momento vagava per quello squallido parco di periferia, decisa a non tornare indietro.
La sera stava calando e i primi lampioni si stavano accendendo lungo tutto il viale di cemento sgretolato.
A un certo punto, la vide.
Era seduta su una panchina mezza arrugginita, intenta a leggere un libro.
I suoi lunghissimi capelli erano raccolti in una crocchia sulla sommità del capo.
Era straordinariamente bella ed elegante, come sempre.
Che cosa ci facesse in quella desolazione, nessuno lo sapeva.
Era solo l’unico adulto che si fosse mai fermato a parlare con Hilary e avesse ascoltato i suoi problemi.
L’unica a farle capire che le cose strane che accadevano attorno a lei negli ultimi tempi non erano causate da una malattia mentale, ma dal fatto che la bambina fosse diversa da tutti gli altri.
−Buonasera, signora Swinton – salutò Hilary avvicinandosi alla panchina. – Volevo salutarla, prima di andare via.
La  donna non si scompose a quella notizia, come se il fatto che una bambina di dieci anni scappasse di casa fosse la cosa più normale del mondo.
Si limitò ad accennarle un sorriso.
–Ti stavo aspettando – disse.
Hilary avvertì il suo cuore ribelle palpitare come un uccellino in gabbia.
Quella sera, la signora Swinton aveva qualcosa di strano, ma non riusciva a individuarlo.
–Davvero? – chiese timidamente.
−Ti ho portato una cosa – disse la donna tirando fuori un involto di carta argentea. – Li avevo preparati per te e credo che ti saranno utili per il viaggio.
−Oh, grazie!
Hilary scartò l’involto e si ritrovò tra le braccia un vassoio ricolmo di pasticcini glassati.
−Perché non ne assaggi uno? – la invitò la signora Swinton. – Così, se dovessi tornare, te ne farò trovare degli altri.
La bambina fissò i dolci perplessa.
Dovevano bastarle per chissà quanto tempo, eppure avevano un’aria così invitante!
In fondo, erano tanti: che differenza faceva uno in meno?
Senza quasi accorgersene, Hilary mise in bocca il primo pasticcino.
Un’esplosione di sapori le invase la bocca, dalla glassa zuccherata fino a un delicato aroma di liquore.
Poi tutto svanì in una calma infinita, dove non fu più possibile distinguere il sogno dall’incubo.
 
 

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Capitolo 5
*** Di nuovo prescelto ***




CAPITOLO 5


Di nuovo prescelto

~
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La mattina seguente, Susan non andò al tavolo dei Grifondoro a salutare Peter e i suoi amici, né diede loro alcuna attenzione per tutto il resto della mattinata.
Era così arrabbiata con quell’idiota di suo fratello, che, nel momento in cui questi fece ingresso nella Sala Grande attorniato dal solito corteggio di ragazze adulanti, riuscì a piegare con la sola forza del pollice il cucchiaino con cui stava mescolando il suo caffellatte, desiderando con tutto il cuore che fosse il suo collo.
Non potendo sopportare oltre quella vista, la ragazza se ne andò senza finire la colazione e si precipitò in Guferia, determinata a mandare una bella lettera a sua madre.
Le mani le tremavano di rabbia mentre scriveva di getto una ventina di righe velenose e piegava in quattro il piccolo foglio di pergamena, rischiando anche di perdere un dito nel momento in cui lo strinse con troppa foga attorno alla zampa dell’assonnato allocco bruno che aveva osato tirar giù dal trespolo alle otto e mezzo di domenica mattina.
Furibonda, la ragazza caracollò verso la Sala Comune di Corvonero, agguantò arco e frecce e si diresse verso il parco, il tutto senza smettere di succhiare l’indice sanguinante.
Era talmente presa dai suoi pensieri, che non si ricordò del gradino truccato nascosto in una rampa di scale del secondo piano e vi sprofondò fino alla vita.
Imprecando fra i denti, Susan tentò in tutti i modi di tirarsi fuori, ma più si agitava, più le sue gambe affondavano nella pietra.
Guarda caso, in quel momento non girava un’anima disposta ad aiutarla: erano tutti al piano terra a guastarsi quella manica di cretini così ansiosi di mettere il proprio nome nel Calice di Fuoco.
La ragazza stava per rassegnarsi alla disperazione, quando improvvisamente udì un rumore di passi felpati sulle scale.
Il cuore le balzò in gola nel momento in cui si trovò davanti al ragazzo dai lunghi capelli scuri di Durmstrang, che si fermò a osservarla dall’alto in basso con aria perplessa.
Susan si sentì avvampare: non avrebbe mai creduto che da vicino fosse ancora più bello di quanto le fosse sembrato la sera prima.
Dopo essersi reso conto della situazione, il giovane le sorrise.
–Serve aiuto? – le chiese gentilmente.
–No, guarda, pensavo di restare così per altri cinque minuti – si lasciò sfuggire Susan seccamente, mangiandosi anche qualche sillaba.
Un attimo dopo, si diede dell’imbecille a elevazione di potenza.
Con sua enorme sorpresa, il ragazzo scoppiò in una limpida risata.
–Ma dai! – esclamò divertito. – Coraggio, ci penso io!
Detto questo, prima ancora che Susan potesse aprire bocca per ribattere, l’afferrò sotto le ascelle e la scardinò di peso dal gradino.
Presa alla sprovvista, la ragazza gli gettò d’istinto le braccia al collo, serrando gli occhi per l’imbarazzo.
Il suo slancio fece perdere l’equilibrio al giovane, che cadde all’indietro, trascinando con sé anche lei.
Entrambi ruzzolarono giù per una decina di gradini, fino a fermarsi sul pianerottolo, entrambi ammaccati dalla testa ai piedi.
–S…scusam-mi – balbettò Susan desolata.
–Tranquilla, sono io che non ho calibrato bene le forze – rispose l’altro rivolgendole un debole sorriso, anche se le sue mani passarono rapidamente in rassegna la cassa toracica per assicurarsi che tutto fosse a posto.
Aveva una bellissima voce, con un lieve accento straniero.
Le porse la mano, aiutandola a rialzarsi.
–Sono qui da due mesi e ancora non mi ricordo tutti i gradini truccati in questo castello – gemette Susan mentre si massaggiava il collo dolorante.
–Solo da due mesi? – chiese il ragazzo incuriosito.
–Ho avuto dei…problemi, perciò non ho potuto iscrivermi prima.
–Oh, sono cose che succedono, fidati.
–Grazie.
–Pratichi tiro con l’arco?
–Oh, sì! – Susan indicò orgogliosa l’arco che portava a tracolla. – Credo di essere l’unica in tutto il castello. Diciamo che qui è considerato uno sport per Babbani.
–Da noi invece è diverso. A Durmstrang ci sono corsi obbligatori di tiro con l’arco e con la balestra, di scherma e anche di equitazione. L’arte della guerra è un fattore essenziale, nella nostra educazione.
–Wow! Ma toglimi una curiosità: dove si trova Durmstrang? Sai, non riesco a focalizzare bene il vostro accento…
Il sorriso del ragazzo si fece un po’ misterioso. – Se te lo dicessi, infrangerei un grandissimo tabu: la posizione di Durmstrang è e deve rimanere un segreto.
–Oh, scusami! Non sapevo…
–Non preoccuparti! Se vuoi, però, posso svelarti il mio nome: sono Caspian Von Telmar.
–Tanto piacere, Susan Pevensie!
I due si strinsero la mano, sorridendosi a vicenda.
Susan si stava chiedendo quando si sarebbe risvegliata nel suo letto: era troppo bello per essere vero!
–Ora però è meglio che vada di sotto a controllare che i miei studenti abbiano messo tutti il loro nome nel Calice di Fuoco.
–Cosa? I tuoi studenti? – con quella, aveva appena vinto la coppa del mondo in collezione di figuracce di dimensioni leggendarie.
–Be’, sì. Scusami, non te l’ho detto, ma io insegno a Durmstrang.
–Oh, ehm, scusami…volevo dire, mi scusi…se avessi saputo…
–Non preoccuparti, puoi sempre darmi del tu. In fondo, non abbiamo poi così tanti anni di differenza – le fece l’occhiolino. – Ci vediamo in giro, allora. Ciao! – detto questo, Caspian si voltò e infilò fischiettando una seconda rampa di scale.
Susan rimase a fissarlo per una decina di secondi con un’aria da ebete, le guance in fiamme e il cuore che le galoppava a tremila per l’emozione; poi, una volta assicuratasi che il ragazzo fosse sufficientemente lontano, iniziò anche lei a scendere le scale.
In due mesi, non aveva mai visto così tanta gente assiepata nella Sala d’Ingresso di domenica mattina.
Si erano organizzati in gruppetti di varie Case, piazzati in punti strategici attorno al Calice di Fuoco, che era stato spostato lì durante la notte.
Di tanto in tanto, uno studente del settimo anno vi si avvicinava, lasciando cadere un biglietto tra le fiamme, suscitando un’ovazione generale.
Sono proprio dei barbari, a voler rischiare la vita a tutti i costi, pensò Susan disgustata.
Come a volerle leggere nel pensiero, in quel momento uno stuolo di Grifondoro urlanti fece irruzione nella Sala d’Ingresso.
Erano quasi tutte ragazze, fatta eccezione di Nigel, che sventolava una bandierina gialla e rossa con un leone dorato al centro.
Peter apriva la fila, agitando in aria un foglio di pergamena piegato in quattro.
I suoi occhi celesti brillavano di una luce esaltata.
Il ragazzo stava per fare un passo verso il Calice di Fuoco, quando la strada gli fu tagliata da una banda di Serpeverde ridacchianti capeggiati da Draco Malfoy.
Strattonavano un ragazzo pallido dai capelli neri ricoperti di gelatina, che lanciò a Peter un ghigno sprezzante e lasciò cadere il suo nome tra le fiamme.
–Davvero vuoi rischiare il tuo bel faccino, Pevensie? – gridò Malfoy in tono beffardo. – Fossi in te, eviterei di coprire di ridicolo la mia Casa.
–Non è questo il modo di rivolgersi a un Caposcuola, Malfoy! – lo rimbrottò Peter, diventando improvvisamente serio. – Ti consiglio di moderare i termini o dovrò andare a fare due chiacchiere con il professor Piton.
–E chi saresti tu, per dire al Direttore di Serpeverde che cosa deve fare? Ma non lo sai chi sono io? Mio padre lavora gomito a gomito con il Ministro della Magia in persona! Che lavoro fa tuo padre, eh, Pevensie? Il ferroviere? Ah, dimenticavo: quel Babbano vi ha piantati tutti quando si è reso conto che eravate dei…
Non riuscì a finire la frase.
Due mani forti lo afferrarono per il bavero e lo incollarono alla fredda parete di pietra, il legno dell’arco premuto sulla gola.
–Tu! – ringhiò Susan, i freddi occhi celesti che dardeggiavano come fuoco liquido. – Se avere il sangue puro significa essere come te, allora tanto meglio essere nati senza un briciolo di magia!
–Levami le mani di dosso, sudicia Mezzosangue! – strillò Malfoy dimenandosi.
In tutta risposta, Susan lo colpì in piena faccia con un ceffone.
–Per tua informazione, mio padre se n’è andato perché non ce la faceva più, dopo che uno dei tuoi amici Mangiamorte ha fatto sparire mio fratello. E, se proprio vuoi saperlo, lui è fiero di avere dei figli maghi! – lo lasciò andare con violenza, voltandosi verso Peter.
Malfoy si accasciò sul pavimento, il volto paonazzo.
–Fai quello che credi – disse la ragazza freddamente. – Ne ho abbastanza di tutti voi.
E uscì fuori, decisa a rimettere di nuovo piede in quel castello di menomati mentali il più tardi possibile.
Peter invitò gli altri Grifondoro ad avviarsi verso la loro Sala Comune, poi, senza essere scorto da nessuno, si avvicinò furtivamente al Calice e lasciò scivolare il suo nome tra le fiamme.
 
***
  
Quella domenica trascorse con una lentezza inimmaginabile.
Decisa a non avvicinarsi per nessun motivo al castello per evitare ulteriori litigate, Susan si rintanò nel suo angolo di tranquillità sulla riva del lago per allenarsi un po’ con l’arco; poi, svuotata la faretra per la quarta volta, si fece una lunga passeggiata nel parco, sostando nei dintorni del veliero di Durmstrang (nel momento in cui intravide Caspian salire in coperta, si allontanò a passo spedito) e della colossale carrozza di Beauxbatons, i cui giganteschi cavalli alati pascolavano nel prato circostante.
Aveva lo stomaco chiuso e la mente troppo occupata per mettersi a studiare.
Solo verso le tre del pomeriggio le venne voglia di tirare fuori la bacchetta e sperimentare qualche incantesimo, stregando i rametti e i sassolini che trovava sul suo cammino.
Alle quattro e mezzo, le fu impossibile sfuggire ai gemelli Potter e a Nigel, che ormai li seguiva praticamente dovunque.
Fu allora che seppe di aver rimediato una bella punizione da parte del professor Piton per aver aggredito Malfoy davanti a tutti.
La cosa fu accolta dall’entusiasmo dei suoi amici Grifondoro.
–Sai, anch’io sono stata messa in punizione da Moody – cercò di tirarla su Jane. – L’ha fatto andare in escandescenza il fatto che mi sono rifiutata di prendere parte all’esercitazione di Difesa Contro le Arti Oscure, se esercitazione si può chiamare lo scagliare la Maledizione Imperius sui propri studenti nella speranza che sappiano resisterle.
Susan ricordava fin troppo bene la terribile scenata che si era avuta tre giorni prima, con un paonazzo Moody che torreggiava sulla piccola e gracile Jane sputacchiando saliva ovunque, l’occhio magico che roteava in tutte le direzioni come se fosse andato in tilt, mentre lei continuava a fissarlo imperturbabile, senza contrarre un muscolo del volto.
Era incredibile come la ragazza, così sensibile alle emozioni degli altri, sapesse controllare così tanto le proprie.
–Non sapevo che ti avesse messa in punizione – osservò perplessa.
–Il codardo mi ha fatto una seconda piazzata stamattina a colazione – rispose Jane con un sorriso amaro. – Mentre uscivo dalla Sala Grande, mi ha presa da parte, mi ha riempita dei peggiori insulti e mi ha annunciato che per un mese dovrò aiutare Gazza a pulire i bagni di tutto il castello.
–Oh, mio Dio, che cosa orrenda!
–Ti posso assicurare che aiutare Piton a etichettare un po’ di pozioni nel dopocena sarà quasi piacevole, a confronto. In fondo, tu gli stai anche abbastanza simpatica, no?
Susan scrollò le spalle.
Per quanto potesse essere orribile la punizione, il fatto che una studentessa modello come lei potesse essere richiamata in qualsiasi modo la riempiva di vergogna.
L’orgoglio era sempre stata una caratteristica dei Pevensie e questo la ragazza lo sapeva fin troppo bene.
Si chiedeva perché finora nessuno di loro fosse finito a Serpeverde.
 –Certo che Peter poteva anche evitare di fare la spia – commentò Harry notando il suo malumore.     
–Gliel’ho detto io di farlo. In fondo, è nel suo dovere di Caposcuola – si schermì Susan brusca.
–Tanto, ora che diventerà campione di Hogwarts, tuo fratello gliela farà vedere a Malfoy, non è vero? – trillò Nigel saltellando.
–Non c’è proprio speranza, eh? – gemette Susan.
–Mmm, Peter ha tutte le carte in regola per essere scelto – osservò Jane. – A meno che non venga preferito Cedric Diggory, di Tassorosso.
–Non ce l’ho presente.
–Oh, Sue, ma dove vivi? Ha praticamente mezza scuola che gli corre dietro…l’altra metà fa la corte a Peter, ovviamente.
–Sì, ho sentito cose come il Team Cedric e il Team Peter… – intervenne Harry ironico.
–Bleah, non mi dite queste cose! – esclamò Susan disgustata.
–Comunque, di Grifondoro si è iscritta anche Anglelina Johnson, la nostra Cacciatrice. Ci avevano provato anche Fred e George, i fratelli più grandi di Ron, ma loro…ehm…non hanno l’età giusta…
–Sono ancora in infermeria a farsi togliere le barbe – disse Nigel divertito. – Dovevi vederli!
Susan levò gli occhi al cielo.
–E dai, cerca di stare tranquilla! – la rassicurò Jane. – I criteri di selezione sono molto severi e comunque nessuno vuole che uno studente si faccia davvero male, no?
Susan non rispose. Se il non farsi male equivaleva ad autorizzare uno sport in cui si rischiava ogni volta di precipitare da quindici metri di altezza, allora poteva proprio stare tranquilla!
Per farle scaricare almeno un po’ di tensione, Jane le propose l’ennesima passeggiata, offrendosi di farle provare l’emozione di cavalcare Ulisse.
Pur di distrarsi, la ragazza accettò di buon grado, anche se, una volta in sella al gigantesco animale scalpitante, rimpianse amaramente il suo arco.
La sera, il tempo peggiorò visibilmente.
All’ora di cena scoppiò una vera e propria tempesta, i cui lampi illuminavano a giorno la Sala Grande.
Per facilitare la cerimonia della scelta dei campioni, i quattro tavoli degli studenti erano scomparsi e al loro posto erano state disposte delle alte gradinate di legno.
Il Calice di Fuoco era di nuovo al centro della sala, più sfavillante che mai.
Dopo le insistenze di Jane, Susan si costrinse a sedersi insieme ai Grifondoro, assicurandosi però che Peter fosse il più lontano possibile.
Con suo sommo disappunto, le due ragazze bionde di Beauxbatons si sedettero proprio nella fila di fronte.
–Scerto che le professeur Von Telmàr è proprio un tipo affascinonte – stava dicendo la più alta delle due.
Non appena udì pronunciare il nome di Caspian, Susan aguzzò le orecchie.
Oui! – esclamò l’altra. – Dicono che sia un prinscipe di una casa regnonte in Turchia. Ѐ strano che si trovi sempliscemente a insegnore…
–Quanti ani avrà?
–Mah, non saprei. Una vontina, forse…
–Un simile bijoux avrà sicuramente già trovato la sua prinscipessa…
–Non credo, sai? Sontivo una ragazza du Durmstràng che ne parlava. Pare che lui sia fugito dal suo paese a causa di una congiura contro di lui…uno zio, a quanto pare. E non ha nessuna ragaza.
A quella notizia, Susan, che in quel momento avrebbe tanto voluto strangolare quelle due oche giulive, avvertì il suo cuore fare una capriola in avanti.
–E che cosa insegna, le professeur Von Telmàr? – continuò la bionda numero uno.
–Arti Oscure – rispose l’altra. – Affascinonte, no?
Affascinonte un corno, pensò Susan inorridita, mentre il cuore le emetteva un sonoro crack!
Arti Oscure?
Un simile angelo, con quel sorriso meraviglioso e una voce così suadente, quel capolavoro di perfezione, quel ragazzo così semplice e gentile…un insegnante di Arti Oscure?
La ragazza si lasciò sfuggire un gemito, ma fortunatamente nessuno la udì: Silente si era appena levato in piedi per prendere la parola.
–Finalmente, dopo una lunga attesa, è giunto il momento che tutti voi aspettavate: la scelta del campione! – annunciò il Preside avvicinandosi al Calice di Fuoco.
Non appena levò la mano verso la grande imboccatura di pietra, le fiamme si accesero di un rosso brillante, prendendo a danzare vorticosamente, fino a quando un minuscolo foglio di pergamena guizzò in aria, dritto tra le dita di Silente.
–Il campione di Beauxbatons è Fleur Delacour! – annunciò.
–Oh, ma c’est moi! – esclamò la bionda numero due, mentre la sua compagna lanciava un urlo e le gettava le braccia attorno al collo, anche se, nel momento in cui la ragazza si alzò per andare a prendere il biglietto, l’espressione sulla sua faccia mostrava tutto meno che l’allegria per la fortuna dell’altra.
Silente strinse la mano a Fleur e la invitò ad accomodarsi oltre una porticina che si apriva in fondo alla sala, accanto al tavolo dei professori. Una volta che la campionessa fu sparita alla vista, le fiamme del Calice tornarono a brillare.
–Il campione di Durmstrang è Victor Krum! – esclamò il Preside.
 Un’esplosione di applausi accolse il nuovo campione, ma non solo da parte dei suoi compagni.
Accanto a Susan, Ron lanciò un ruggito di trionfo.
Sembrava un invasato.
Krum si alzò goffamente, fermandosi solo per ascoltare le parole che Caspian gli sussurrò al volo in un orecchio, per poi ritirare il suo biglietto e accomodarsi nella stanza accanto.
Fu allora che Susan prese a sudare freddo. Serrò gli occhi, nascondendo il volto tra le mani.
Avrebbe tanto voluto non sentire ciò che Silente stava per urlare.
Avvertiva l’eccitazione di Peter, seduto qualche panca più in là.
Non poteva sopportarlo.
Si morse il labbro, aspettando il peggio, quando…
–…Cedric Diggory!
Susan sgranò gli occhi di colpo.
Aveva detto proprio Cedric Diggory?
Vide un bel ragazzo dai corti capelli castani alzarsi dalla tribuna dei Tassorosso, l’acclamazione di tutte le ragazze della scuola, lo sguardo desolato di Peter…un attimo dopo, era tra le braccia di Jane, entrambe saltellando su e giù sulla loro panca per la gioia, facendo voltare più di un ragazzo nelle file più avanti.
Sicuramente, vedendola così felice per le sue disgrazie, Peter in quel momento l’avrebbe volentieri strozzata, ma che importava?
Suo fratello era salvo, suo fratello era salvo!
Poi, improvvisamente, l’aria cambiò.
Persino Silente sembrava essersi accorto che c’era qualcosa che non andava.
Le fiamme del Calice di Fuoco erano tornate a brillare, anche se non c’era più alcun campione da scegliere.
Poi un piccolo foglio di pergamena guizzò fuori dalla sua sommità, atterrando tra le dita tese del Preside, i cui occhi celesti si sgranarono per lo stupore non appena lo aprì.
–Harry Potter!
 
***
 
Jane credette che si trattasse di uno dei tanti scherzi che il loro Preside amava tanto tirare ai suoi studenti.
Poi vide l’innaturale luce fredda che pervadeva i suoi occhi e allora rabbrividì.
Le sue dita si serrarono attorno all’avambraccio di suo fratello, mentre il labbro inferiore iniziava a tremare.
–HARRY POTTER! – tuonò ancora una volta Silente.
Harry non si mosse.  
Guardava tutti loro, scuotendo il capo intontito, come se non si rendesse conto nemmeno lui di quanto stava accadendo.
Nella Sala Grande era calato un silenzio di tomba e tutte le teste erano voltate verso un’unica persona, gli occhi carichi di accusa.
–Harry, per l’amor del cielo, vai! – squittì Hermione nervosamente.
Il ragazzo lanciò uno sguardo disperato a sua sorella.
Lei si avvinghiò ancora più forte a lui, aiutandolo a levarsi in piedi e avviandosi verso Silente.
Avanzarono mano nella mano nel corridoio centrale, ogni passo sembrava durare un’eternità.
Attorno a loro presero a balenare le prime accuse, taglienti come coltelli.
–Sei un imbroglione!
–Non li hai diciassette anni!
I gemelli Potter si fermarono davanti a Silente.
I suoi occhi fremevano d’ira mentre consegnava il foglio tra le mani di Harry.
Il ragazzo lo aprì lentamente tra le dita.
Il suo nome in stampatello campeggiava al centro del foglio.
–Non sono stato io! – sussurrò disperato.
–In fondo a destra, Harry – rispose Silente freddamente. – Solo Harry, ho detto – aggiunse poi rivolto a Jane, che stava seguendo suo fratello nella stanza accanto.
–Non posso lasciarlo! – protestò lei.
–So quanto ti sia difficile accettare una simile realtà, ma Harry ora è un campione di Hogwarts. Qualsiasi cosa accadrà d’ora in avanti, dovrà affrontarla da solo. Mi dispiace, Jane. Ѐ ora che impari a stare al tuo posto.
Harry si voltò verso di lei, lanciandole un’occhiata implorante.
Lei scosse il capo, lottando contro le lacrime che tentavano di uscire in tutti i modi.
Gli ordini di Silente erano ordini.
Lasciò andare la sua mano e restò a fissarlo impotente mentre si avviava verso il suo destino, poi si voltò con rabbia, facendo per ritornare al suo posto.
Mentre faceva per raggiungere i suoi compagni, la ragazza provò la voglia istintiva di girarsi verso Moody.
Voleva trovare un alibi per scatenare tutta la sua rabbia.
Con suo sgradevole piacere, vide che anche il professore la stava fissando con un’espressione di compiaciuto interesse che stirava le cicatrici che gli martoriavano il volto.
Avvertì la nausea attanagliarle lo stomaco, ma questa volta Jane resistette.
Non voleva che quell’essere orribile vedesse le sue debolezze, non in quel momento.
Attraversò la sala con la testa alta, fingendo di non sentire tutte le ingiurie che le esplodevano attorno, rivolte contro di lei, la sorella del Prescelto, fino a salire sulla sua tribuna, come una vera regina.
Solo quando tutte le teste si furono voltate, dopo che Bartemius Crouch ebbe iniziato a parlare del suo stramaledettissimo regolamento, Jane poté finalmente accoccolarsi al fianco di Susan, scoppiando in un pianto silenzioso.
Sapeva che, nel momento in cui il nome di Harry era uscito dal Calice di Fuoco, qualcosa tra loro si era rotto inesorabilmente.
D’ora in poi, sarebbero tornati a percorrere ciascuno la propria strada, proprio come era stato prima di quella fatidica notte, quando erano ancora due sconosciuti che non sapevano di essere legati da un comune destino.
Non avrebbe più avuto la sua metà a proteggerla.
Al suo fianco, Susan la strinse forte, immergendo il volto tra i suoi fluenti capelli neri e sussurrandole dolci parole di conforto.
Sapeva che cosa provava l’amica in quel momento e come tutto l’affetto di questo mondo non sarebbe mai bastato a lenire il suo dolore.
Si chiedeva solo perché, in quel mondo maledetto, ci dovesse essere sempre qualcuno che pagava per tutti quanti.
 

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Capitolo 6
*** -Aiutami! ***




CAPITOLO 6


–Aiutami!

~
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Cara Lucy,
non ci crederai, ma Peter ha reagito davvero bene alla sua esclusione dal Torneo Tremaghi.
Passato il muso lungo dei primi giorni (e ti posso assicurare che era diventato davvero insopportabile), è tornato a essere quello di sempre, anzi, si è messo a fare attivamente il tifo per Harry. 

Dal canto suo, Harry non può che essergli grato: a scuola sono quasi tutti convinti che sia stato lui a mettere il suo nome nel Calice di Fuoco e persino Ron, il suo migliore amico, gli ha voltato le spalle.
I Serpeverde, poi, hanno superato ogni limite di sopportazione.
Draco Malfoy, un ragazzo presuntuoso con i capelli unti di gelatina, ha messo in giro delle spille denigratorie con scritto “POTTER FA SCHIFO” e le ha rifilate praticamente a tutta la scuola.
Mi domando perché i professori non le abbiano ancora confiscate.

Ormai, gli unici a restare accanto a Harry siamo io, Peter, Jane e Hermione.
Sai, pensavo di starle antipatica, quando me l’hanno presentata.
Ora, invece, ho scoperto che abbiamo un sacco di cose in comune e siamo diventate ottime amiche.
E poi c’è Nigel, il ragazzo del primo anno che ho ripescato dalle acque del lago.
Credo che tu e Nigel diventereste ottimi amici.
Non vedo l’ora di fartelo conoscere!

E tu come stai?
E la mamma?
Cos’è questa storia che Charlie è di nuovo venuto a cena a casa nostra?

Fammi sapere!
Baci,
Susan
 
***
 
La luce della candela iniziava a traballare, ma Jane non ci fece caso, intenta com’era a combattere le palpebre che si facevano sempre più pesanti per la stanchezza.
Doveva finire assolutamente quel maledetto tema sugli effetti delle Maledizioni Senza Perdono, compito assegnato da Moody di argomento talmente sgradito da essere affrontato per la prima volta solo dopo le nove di quella sera.
Dopo aver riscritto la stessa frase per la ventesima volta, Jane appallottolò il foglio di pergamena e lo gettò nel camino acceso.
Restò a fissare con aria assente le fiamme che lo divoravano, poi ricominciò a scrivere.
Il filo logico dei suoi pensieri veniva continuamente interrotto dalle sue preoccupazioni.
Innanzitutto Harry.
La prima prova si sarebbe tenuta il 24 novembre e i campioni avrebbero saputo in che cosa consisteva solo il giorno stesso della gara.
Fantastico.
La ragazza cercava di stare vicino al fratello in tutti i modi, tentando di aiutarlo a potenziare la sua abilità negli incantesimi e cercando di tirargli su il morale, ma la cosa risultava ogni giorno più difficile, anche perché i suoi compagni avevano iniziato a prendere di mira anche lei.
Senza contare che Jane sapeva fin troppo bene che fuori dal castello c’era ancora gente che desiderava vederli morti tutti e due e che il fatto di far partecipare Harry a una gara così pericolosa sarebbe stato un modo perfetto per eliminarlo.
Il problema era riuscire a risalire all’identità di questo nemico e capire come fosse riuscito a penetrare tra le mura di Hogwarts.
La faccenda era tutt’altro che rassicurante.
E poi c’era Ron, che, in preda a un insensato attacco di gelosia, aveva smesso di rivolgere la parola a Harry per alimentare ulteriormente le maldicenze contro di lui.
Jane non si sarebbe mai aspettata un simile voltafaccia da parte sua.
Si sarebbe stupita molto meno se al suo posto ci fosse stato Peter.
Il maggiore dei Pevensie, invece, non solo sosteneva fermamente Harry, ma era anche un feroce oppositore di Cedric Diggory, che l’anno prima aveva soffiato a Grifondoro la Coppa di Quiddich, catturando il Boccino proprio mentre il Sopravvissuto stava precipitando dalla scopa.
Il fatto era che, insieme all’ostilità nei confronti di Harry, Ron si fosse messo anche contro Jane.
Non la salutava neanche più quando la incontrava e, se lei provava a rivolgergli la parola, lui voltava la testa da un’altra parte.
E questo le provocava una sofferenza indicibile.
Già, perché a Jane Ron piaceva e tanto, anche.
Aveva trovato il coraggio di dirglielo l’estate precedente, alla Coppa del Mondo di Quiddich.
In tutta risposta, Ron le aveva sorriso, l’aveva abbracciata e le aveva detto che per lui sarebbe rimasta un’amica fantastica.
Tutto qui.
Lì per lì, Jane non aveva versato neanche una lacrima, ma dentro di sé stava malissimo.
Da quel giorno in poi, niente era stato come prima.
Con Ron continuava a ridere e scherzare come se non fosse successo nulla, ma tra loro non c’era più la serena atmosfera di una volta. I sentimenti di Jane avevano frenato la fresca spontaneità della loro amicizia e adesso entrambi cercavano di controllare gesti e parole, per evitare di tradire segnali che avrebbero potuto essere fraintesi.
E, ora che Ron sembrava aver tagliato definitivamente i ponti con i Potter, Jane era sprofondata nella disperazione più nera.
Non aveva mai confidato a suo fratello e ai suoi amici i suoi sentimenti per via del suo ostinato orgoglio.
Odiava mostrarsi debole con gli altri, lei che era stata sempre considerata una leader.
Sapeva che, a questa notizia, l’avrebbero subito presa in giro.
Dal canto suo, Ron non aveva aperto bocca con nessuno di loro e ciò era un bene.
Jane andò avanti fino a notte fonda, poi, verso le tre, si arrese al sonno e si addormentò lì, sul tavolo della Sala Comune, con la testa appoggiata alla pergamena.
Quando si risvegliò, era giorno fatto e una lama di luce bianca le scaldava dolcemente la nuca.
Jane raccolse le sue cose e si avviò al piano di sotto, salvo scoprire, una volta scostato il ritratto della Signora Grassa, di non essere più a Hogwarts.
Si trovava in un grande salone buio, al cui centro brillavano i tizzoni ardenti di un focolare sul punto di spegnersi.
Davanti al camino c’era un ampio sofà rivestito di porpora.
Jane caracollò accanto alla poltrona. Qualcuno vi aveva abbandonato sopra una coperta di lana e un libro di fiabe per bambini.
La ragazza lo prese tra le mani e iniziò a leggere distrattamente, quando si accorse di non essere più sola.
Il ragazzo dai capelli scuri che aveva sognato diverse notti prima era emerso dall’oscurità e ora la fissava con un’espressione torva dipinta nei grandi occhi scuri.
–Ciao! – lo salutò lei. – Ѐ tuo questo? – soggiunse indicandogli il libro.
Il ragazzo non rispose.
Fissava il vuoto davanti a sé, come se Jane non esistesse.
–Tu vivi qui? – chiese ancora la ragazza, provando ad avvicinarsi. – Ehi, riesci a sentirmi?
L’altro restò in silenzio; poi, improvvisamente, sgranò gli occhi, come se si fosse finalmente accorto di lei, e sussurrò: – Aiutami!
–Jane! JANE!
La ragazza aprì gli occhi lentamente.
Aveva ancora la faccia appoggiata sulla pergamena e parte dell’inchiostro che non aveva fatto in tempo ad asciugarsi la sera prima le aveva impregnato sulla guancia frammenti di parole.
Jane sbatté le palpebre e si trovò a pochi centimetri dal naso di Hermione.
–Sono già le otto, Jane! – esclamò la ragazza.
–Cosa?
Jane scattò in piedi, facendo per mettere via le sue cose.
Le due ragazze scesero le scale a rotta di collo e corsero nell’aula del professor Ruf.
Non appena si fu assicurata che il tetro docente fosse completamente immerso nel suo mantra fatto di decreti e rivolte di goblin, Jane estrasse di nuovo il tema per Moody e lo finì in meno di venti minuti; poi si girò verso Harry.
–Partita? – gli chiese con un sorriso innocente.
Harry ammiccò e insieme presero a massacrare il testo di Storia della Magia con i loro grafici della battaglia navale, sotto lo sguardo scandalizzato di Hermione.
–Sai che sono un po’ di notti che faccio un sogno strano? – sussurrò a un certo punto Jane.
–Davvero? Che cosa? – fece Harry.
–C’è sempre un ragazzo con i capelli scuri, più o meno della nostra età. Ѐ come se volesse chiedermi aiuto, ma non so perché. E poi, anche se non l’ho mai visto prima d’ora, ha un’aria terribilmente familiare.
–Mmmm, un ragazzo dai capelli scuri…che strano! E perché mai dovrebbe chiedere aiuto proprio a te?
–Non lo so. Non so nulla di lui, chi è e cosa lo minaccia. E mi fa anche un po’ paura.
–Forse sei un po’ troppo agitata, Jane. Ѐ probabile che fosse solo un incubo.
–Sei sicuro, Harry? Insomma, è già qualche volta che mi succede e poi, se non sbaglio, anche a te è accaduta una cosa simile, di recente.
–Oh, ti riferisci a quel sogno che ho fatto su Voldermort e Codaliscia? – Harry abbassò prudentemente il tono di voce. – Sto aspettando una risposta da Sirius, a proposito di questo.
Sirius Black era il padrino di Harry, incarcerato ad Azkaban con la falsa accusa di aver tradito i Potter e di aver ucciso Codaliscia, alias Peter Minus, nonché il vero responsabile di quella vicenda.
Fortunatamente, i gemelli erano riusciti ad apprendere la verità all’inizio dell’estate precedente, aiutandolo a evadere in sella a un ippogrifo con l’aiuto di Silente.
–Non sono sicuro che quel sogno fosse vero – continuò Harry. – E spero proprio di essermi fatto semplicemente suggestionare.
All’ora di pranzo, Harry e Jane trovarono un’inferocita Susan seduta tutta sola al tavolo di Corvonero, con una copia della Gazzetta del Profeta mezza accartocciata tra le mani.
–Sue! – la salutò Jane balzando al suo fianco. – Che succede?
La ragazza sbuffò.
–Primo, – grugnì inferocita – mia madre ha di nuovo invitato a cena Charlie Winston.
–Chi?
–Sarebbe un tizio che lavora all’ufficio postale vicino casa nostra – precisò Susan. – Sono due anni che lui e la mamma si conoscono, ma ultimamente lei ha preso l’abitudine di farlo venire a cena da noi.
–Oh, be’…in fondo…
–Papà resta papà, va bene? – sbottò Susan.
Era paonazza.
Harry e Jane si guardarono negli occhi e sospirarono.
Chi meglio di loro, orfani di entrambi i genitori e cresciuti da estranei, poteva capire che cosa provasse la loro amica?
–E la seconda cosa? – si affrettò a domandare Harry.
–Leggete qua! – replicò Susan, sbattendo sotto il loro naso la copia del Profeta.
–Oh, no! – gemette Jane nel leggere il titolo.
 
TROVATA MORTA LA PICCOLA HILARY LEXINGTON
 
Non c’è stato nulla da fare per Hilary Lexington, la bambina di dieci anni scomparsa da Liverpool il 31 ottobre scorso, dopo aver fatto uso della magia per difendersi da alcuni teppisti della sua scuola che avevano tentato di derubarla.
Il suo corpicino è stato ripescato all’alba di stamani da alcuni allibiti operai del porto cittadino, che hanno avvertito immediatamente le autorità.

Le modalità dell’omicidio si riallacciano immediatamente a quello avvenuto il mese scorso, quando un bambino di dieci anni è stato trovato morto in un bosco nei pressi di Southampton, Yorkshire, con addosso i segni delle Maledizioni Senza Perdono.
Gli inquirenti hanno proposto di riaprire immediatamente il fascicolo sulla Signora In Nero, l’assassina di figli di Babbani che ha dato del filo da torcere persino agli Auror più esperti.

–Non si sa ancora con certezza chi ci sia dietro queste sparizioni – ha dichiarato il Ministro della Magia Cornelius Caramell. – Quello che è certo, è che esse sono opera del medesimo individuo e per questo si raccomanda la massima prudenza da parte dei membri dell’intera comunità magica.
Hilary Lexington era indagata dall’Ufficio per l’Uso Improprio della Magia e avrebbe rischiato severe sanzioni per l’aggressione ai suoi compagni.
Inizialmente, gli Auror pensavano che la sua fosse una semplice fuga in seguito al suo atto di violenza, ma, a quanto pare, le cose non stavano proprio così.
Nessuno l’ha vista in compagnia di estranei e, ancora una volta, i genitori della vittima erano all’oscuro dei poteri della figlia.

Per questo motivo, il Ministero sta avanzando ulteriori precauzioni per proteggere i figli dei Babbani da nuove aggressioni.
 
–Che storia! – esclamò Jane tristemente.
–Ѐ tornata, capite? Sono ricominciate le sparizioni e sono tutti bambini dell’età di mia sorella – Susan si mise le mani nei capelli. – Che posso fare, ragazzi?
–Per prima cosa, Lucy non deve mai stare da sola o dare confidenza agli sconosciuti – rispose Jane decisa. – Non ci resta che attendere ulteriori sviluppi, anche se non mi fido dei metodi grossolani del Ministero. Sarebbero capaci di sguinzagliare i Dissennatori per strada, rischiando di prendere la persona sbagliata, pur di non deludere l’opinione pubblica.
–Dissennacosa?
–Demoni succhia anime – precisò Harry.
–Ah, che bello! – esclamò Susan in tono sarcastico.
–Coraggio, c’è qualcosa di peggio dei Dissennatori – intervenne Susan. – Che ne dite di due ore con Moody?

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Capitolo 7
*** Un suggerimento inaspettato ***




CAPITOLO 7


Un suggerimento inaspettato

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Agli inizi di novembre, il carico di compiti divenne così insostenibile che ormai dovevano passare le due di notte prima che l’ultimo studente di Grifondoro abbandonasse la sala comune per andare finalmente a dormire.
Da una parte, Jane fu sollevata di avere la testa troppo impegnata a ricordare nuovi incantesimi e nozioni di magia per pensare a ciò che stava accadendo in quel periodo; dall’altra, però, era molto preoccupata nei confronti di suo fratello, che ormai si trovava nei guai fino al collo.
L’eccesso di compiti di certo non lo aiutava a concentrarsi sulla prima prova, di cui ignorava praticamente tutto.
I due gemelli supponevano che si trattasse di una specie di percorso a ostacoli, ma era solo un’ipotesi.
E intanto i giorni trascorrevano implacabili. Jane si offrì di svolgere alcuni compiti al posto di Harry, ma il suo primo tentativo fu sventato dalla professoressa McGranitt, Direttrice di Grifondoro nonché Vicepreside, e ciò costò alla loro Casa ben cinquanta punti.
Ormai, la sera, dopo una rapida cena, i gemelli Potter, Hermione, Peter e Susan si rintanavano in un’aula vuota, esercitandosi su tutti i tipi di incantesimi e fatture che venivano loro in mente, lottando contro l’ignoto.
Poi, una volta suonato il coprifuoco, i ragazzi si dividevano e tornavano nelle loro rispettive sale comuni, dedicandosi alla loro immensa mole di compiti da svolgere.
Il sabato prima della gara, Jane si svegliò per l’ennesima volta con la faccia appiccicata al tema che aveva lasciato in sospeso la sera prima.
Esausta e dolorante, la ragazza si stirò la schiena e si avviò verso la Sala Grande, certa di trovarvi tutti i suoi amici per la colazione, salvo scoprire che ormai non era rimasto più nessuno.
Con un sussulto, Jane gettò un’occhiata al suo orologio da polso.
Mezzogiorno?
Aveva davvero dormito fino a mezzogiorno?
Declinando la prospettiva della colazione, la ragazza caracollò di nuovo verso la torre di Grifondoro e si arrampicò su per la stretta scala a chiocciola che portava al dormitorio dei ragazzi.
Se Harry non l’aveva svegliata, significava che stava ancora dormendo.
E, difatti, lo trovò ancora disteso sotto strati di coperte, ancora nel mondo dei sogni.
Subito Jane notò che qualcosa non andava. Innanzitutto, suo fratello si era addormentato senza togliersi gli occhiali.
E, cosa ancora più insolita, aveva lasciato il Mantello dell’Invisibilità in bella vista, abbandonato ai piedi del letto.
Che il ragazzo se ne fosse andato in giro di notte senza dirle niente?
–Harry? Ehi, Harry! – lo svegliò scuotendolo piano.
Il ragazzo ebbe un lieve sobbalzo; poi spalancò gli occhi cisposi.
–Ah, sei tu, Jane? – biascicò cercando a tentoni gli occhiali sul comodino, salvo rendersi conto un attimo dopo di averli già a cavallo del suo naso.
–Ieri notte soffrivi d’insonnia, per caso? – chiese la ragazza indicando il Mantello.
Harry sbatté le palpebre intontito. – Cos…ah! Ero da Hagrid.
–Da Hagrid? Ma si può sapere a che ora? Era l’una passata quando mi sono addormentata!
–Voleva parlarmi di una cosa importante. Riguardava il Torneo.
–Che cosa? Perché non mi hai detto niente?
–Era un segreto. So che cos’è la prima prova.
–Cosa? Hagrid ti ha rivelato la prima prova? Ma è proibito! Voglio dire, gli altri campioni non lo sanno!
–A quest’ora lo sapranno eccome. Ascolta, ieri notte, quando io e Hagrid siamo andati nella Foresta Proibita, c’era anche Madame Maxime. Quella megera finge di fare la corte a Hagrid, ma sono certo che in realtà gli avesse chiesto quell’appuntamento solo per scoprire in che cosa consiste la prima prova.
–Che? Madame Maxime si vede di nascosto con Hagrid?
–Lasciami finire. Con la scusa dell’appuntamento notturno, Hagrid mi ha permesso di venire, per scoprire a mia volta che cosa mi aspetta martedì. In fondo, è stato leale, no?
Jane si mise le mani nei capelli.
–Possibile che sei così ingenuo, Harry? – esclamò esasperata. – E a Cedric e Krum non hai pensato, vero? Non credi che siano in leggero svantaggio, ora?
–Krum lo saprà già da un pezzo: mentre tornavo, ho sorpreso Karkaroff che ci seguiva a distanza. Quanto a Cedric, sono intenzionato a metterlo al corrente dei fatti il prima possibile. Così saremo di nuovo tutti alla pari.
Jane inspirò forte.
Sapeva che suo fratello aveva sempre avuto un eccessivo senso della lealtà verso tutti, a prescindere da chi fossero (se si escludevano i Serpeverde).
Questa era la dote che più ammirava in lui.
–Quale sarà la prima prova? – chiese nervosamente.
–Draghi. Dovrò superare un drago.
–Stai scherzando, spero!
–No, purtroppo. 
La ragazza prese a massaggiarsi le tempie con foga.
Negli ultimi tre anni, lei e Harry si erano trovati a combattere contro i mostri più spaventosi.
Alla fine del secondo anno, se l’erano vista con ragni e serpenti troppo cresciuti.
Il primo anno, invece, avevano fatto i conti con un cane a tre teste alla guardia di un tesoro inestimabile.
Sempre il primo anno, Hagrid si era procurato illegalmente un cucciolo di drago, che aveva affettuosamente ribattezzato Norberto, ma niente era paragonabile a un drago adulto, con dodici metri di apertura alare e una bocca piena di zanne in grado di sputare fuoco per mezzo chilometro.
Hagrid gliene aveva parlato più volte, a lezione, di che razza di bestie fossero i draghi: terribilmente feroci e intelligenti, dotati di una forza sovrumana.
Quante speranze aveva Harry di uscire indenne da un incontro ravvicinato con uno di loro?
–Non è che Hagrid ti ha dato anche qualche dritta su come affrontarlo, vero? – chiese Jane in tono speranzoso.
–No, purtroppo. Da quel poco che ho capito, ciascun drago dovrà proteggere una covata di uova. Il mio compito sarà quello di rubargli l’unico uovo d’oro, che contiene un indizio indispensabile per superare la seconda prova. 
–Rubare un uovo…ma certo! Harry, puoi usare l’Incantesimo di Appello!
–Anch’io avevo pensato a una cosa del genere, in realtà – disse Harry. – Il fatto è che non posso entrare nell’arena e sperare che il drago mi lasci avvicinare senza attaccarmi. Sputerà fuoco e tenterà di colpirmi con la coda. Senza contare il fatto che possono volare. Anche se riuscissi a prendere l’uovo, non avrei scampo se il drago decidesse di inseguirmi.
In quel momento, Jane trasalì.
–Aspetta, hai detto volare? – si batté forte il pugno sulla mano destra. – Ma certo, Harry! Anche tu puoi volare!
–In che senso?
–Ma è ovvio, no? Tu sei il Cercatore più giovane del secolo e inoltre Sirius ti ha regalato una Firebolt, non una ramazza qualunque! Sei piccolo e veloce, Harry: quante speranze ha il drago di prenderti, così grosso e pesante, quando tu potrai schizzargli tranquillamente sotto il naso senza farti vedere?
–Magnifica idea, Jane! – esclamò Harry, gli occhi che brillavano. – Però, aspetta: non mi è concesso portare una scopa.
–Basterà un Incantesimo di Appello ben formulato – sentenziò Jane. – Io potrei nascondere la Firebolt lì nei pressi, così ti sarà più facile evocarla.
–Oh, Jane, sei davvero la sorella migliore che una persona possa desiderare! – Harry l’abbracciò forte, affondando il viso nei suoi capelli.
–Sappi però che non ti perdono il fatto di avermi nascosto tutto – si liberò lei, allungandogli un pizzicotto sul braccio.
–Hai ragione, scusami – si schermì Harry assumendo un’aria da cane bastonato. – Ѐ che Hagrid si è tanto raccomandato di farmi venire da solo…
–Perché sa quanto mi seccano le cose sdolcinate? – lo beccò la ragazza con una smorfia.
–Be’…in fondo…
–In fondo cosa?
–Insomma, Jane…negli ultimi tempi abbiamo notato tutti che sei diventata un tantino suscettibile su queste cose.
–Che cosa? Avanti, fratello, parla!
Sentendosi messo alle strette, Harry diventò paonazzo.
Sua sorella aveva assunto l’allarmante cipiglio omicida che tirava fuori ogni volta che si sentiva colta sul suo punto debole.
–Ron mi aveva fatto promettere di non fartene parola – rispose imbarazzato. – Ma, dal momento che sembra intenzionato a non avere più niente a che fare con noi, posso anche dirtelo. Insomma, mi ha rivelato cosa gli hai detto lo scorso agosto.
A quelle parole, Jane diventò di un allarmante color viola.
–Cosa? Quel farabutto! – sbottò scattando in piedi.
–Stai tranquilla…io non te ne ho voluto parlare perché era una cosa che lo imbarazzava molto. Era davvero dispiaciuto di averti delusa, Jane, davvero. Però ci teneva a dirmelo.
La ragazza prese a camminare nervosamente su e giù per la stanza.
–Quell’idiota – ringhiò inferocita. – Aveva giurato di non dirlo a nessuno…
–Sono tuo fratello, Jane! Avevo diritto di saperlo!
–E allora, se lo sapevi, perché non mi hai detto niente comunque? Che ne so, magari una parolina di conforto, di tanto in tanto…
Ormai ti conosco, sorella: non mi avresti ascoltato. Sei completamente sorda, su queste cose.
Jane si morse il labbro nervosamente.
Sapeva a che cosa si stava riferendo Harry.
Due anni prima, il ragazzo si era preso una cotta tremenda per Ginny, la sorella minore di Ron.
Jane era stata malissimo e aveva sofferto di gelosia per mesi: non poteva sopportare l’idea che suo fratello improvvisamente dedicasse tutta la sua vita a una ragazzina svenevole che non aveva neanche la forza di guardarlo in faccia.
Dal canto suo, Ginny era terrorizzata da Jane: non era facile sostenere quegli occhi di ghiaccio, quando decidevano di fissarti in malo modo.
Da quel momento in poi, Harry aveva prudentemente deciso di non parlare più di questioni sentimentali di fronte a sua sorella.
–Prendi la tua bacchetta – disse Jane in tono asciutto. – La prova è martedì. Non abbiamo un minuto da perdere.
E si avviò al piano di sotto, le mani nelle tasche, più inferocita che mai.
 
***
   
Carissima Lucy, come stai?
Ti conforterà sapere che Harry sta bene ed è anche tutto intero!
Sono corsa a scriverti non appena è finita la prima prova.
Ma ora fammi raccontare tutto per ordine.

Innanzitutto, sono rimasta terribilmente scioccata dalla totale mancanza di senso sportivo di tutti concorrenti.
Ricordi quando ti avevo detto che i campioni avrebbero saputo che cosa avrebbero dovuto affrontare il giorno stesso della prova?
Ebbene, martedì mattina erano tutti lì, con quelle facce d’angelo, fingendo di non sapere nulla, quando invece i loro rispettivi Presidi gli avevano svelato tutto da giorni!
Senza contare i professori: altro che divieto di chiedere aiuto, stanno tutti lì, con il fiato sul collo ai loro pupilli.
Basta prendere Caspian, l’insegnante di Arti Oscure di Durmstrang.
Non lascia mai solo Krum, sono sempre lì a confabulare come due tortorelle.
Credo che siano fidanzati.
Davvero.

E poi, io ritengo sia ingiusto nominare giudici i Presidi delle scuole partecipanti: in questo modo, al momento delle votazioni, ciascuno ha assegnato il punteggio più alto al proprio campione!
Sì, lo so, ora mi dirai che sono noiosa come nostro cugino Eustace, ma ti assicuro che è così!
Senza contare che è da barbari sottoporre dei ragazzi inermi a una prova del genere.

Lo sai che ho visto un drago vero?
Sì, una specie di dinosauro squamoso con due enormi ali da pipistrello che sputava fuoco per decine di metri.
E dovevi vedere le zanne affilate come sciabole o la coda irta di spuntoni velenosi!
Carino, eh?
Ti immagini a vedertela tutta sola con un bestione del genere? 

Già, era proprio il drago, quello che doveva superare Harry.
Doveva rubargli l’uovo d’oro, ben custodito tra le sue zampacce piene di artigli.
Lo avevano legato in un grande recinto, all’inizio della Foresta Proibita.
Harry è stato fantastico.
Ha fatto un Incantesimo di Appello (serve per richiamare gli oggetti lontani) per recuperare la sua scopa; poi si è messo a zigzagare attorno al drago, fino a quando non è riuscito a rubargli l’uovo.
Che dire? 

Ѐ stato bravissimo!
Non ho mai visto nessuno volare così in vita mia!
Peter era in fibrillazione, dovevi vedere come gridava, da vero capitano della squadra di Quiddich!
All’ultimo istante, però, il drago ha colpito Harry con la coda e per poco non lo buttava giù dalla scopa!
Per fortuna, in quel momento è scaduto il tempo, altrimenti non oso pensare cosa sarebbe potuto accadere!

In ogni caso, Harry ha preso il punteggio più alto.
Gli altri tre campioni hanno avuto tutti delle trovate geniali, ma hanno fatto sempre acqua da qualche parte.
No, sono contenta che tu sia rimasta a casa: ti sei risparmiata la visione di un bel po’ di bruciature e ti assicuro che non è un bello spettacolo.  

E non solo: Jane è riuscita a far ragionare Ron Malpelo Weasley (così mi piace chiamare quel voltagabbana presuntuoso, che oltretutto ho scoperto essere una fiamma di Jane).
Mentre Harry era lassù a rischiare la vita, il tizio in questione non ha fatto altro che mettere il muso, seduto in un angolo delle tribune.
Chissà, magari stava pensando a quanto fosse bello farsi ammazzare davanti a tutta la scuola.
Come avrebbe voluto essere lassù anche lui, con le fauci di un drago a pochi centimetri dal didietro!
Non ha reagito neanche quando il bestione ha colpito Harry.
Allora, Jane non ci ha visto più. Lo ha afferrato per il bavero, gli ha detto di essere un egoista e un vigliacco, di non rendersi conto di che cosa stavano passando tutti e gli ha sputato in faccia pure i complimenti per essere un grandissimo furbo: è facile fare il muso per lavarsi le mani di una cosa che non ti va proprio giù, no?

Sulle prime, Ron è diventato bianco come un lenzuolo e non riusciva neanche a guardare Jane in faccia; poi, quando si è reso conto che Harry stava per precipitare, con tutta la divisa bruciata...be’, allora ha capito.
Lo ha fatto sinceramente, credimi.
Glielo leggevi negli occhi.
Per poco non si metteva a piangere.

Finita la gara, Ron è stato il primo a scendere in infermeria.
Harry era disteso su una barella insieme a Cedric e Fleur, ma Madama Chips, la nostra Guaritrice, ci ha fatti accomodare senza troppi problemi. 

Ѐ stato un momento molto imbarazzante per entrambi, il dover fare pace per un litigio che poi, se ci pensi, è stato davvero molto stupido, ma, alla fine, l’importante è che sia di nuovo tutto come prima. 
Poco fa, siamo andati a fare un pic-nic al lago.
Harry aveva voglia di stare un po’ in pace, senza la caciara della Sala Grande (adesso quegli ipocriti che fino a stamattina lo denigravano vogliono tutti il suo autografo, pensa!).
Una volta soli, Hermione e Peter hanno proposto di aprire l’uovo d’oro che Harry aveva sottratto al drago: dentro è nascosto un indizio importantissimo per la seconda prova.
Mah, indizio o non indizio, l’urlo agghiacciante che è uscito non appena l’ha aperto non mi è sembrato di grande aiuto.
Per quanto mi riguarda, io rimango dell’idea che qui siano tutti matti.
Sì, lo so: la mamma doveva chiamarmi Eustachia, vero?

In ogni caso, abbiamo qualche mese di tempo prima di scoprire che cosa nasconde l’uovo.
Ora abbiamo tutti ben altri pensieri per la testa. Sai che la notte di Natale ci sarà un gran ballo, qui a Hogwarts?
Lo chiamano il Ballo del Ceppo. 

Ѐ per questo che a me e a Peter ci hanno fatto comprare un abito da cerimonia, oltre alla divisa scolastica.
La cosa però mi secca non poco.
Sì, perché, per andare a quel ballo, dobbiamo avere un compagno o una compagna.
Ovviamente, non vale invitarsi tra fratelli.
Peter ha una vasta scelta, ma io? 

N o, non voglio intristirti, però!
In ogni caso, anche Jane molto probabilmente non avrà un ragazzo, a meno che Ron non ci ripensi, ma lo trovo alquanto improbabile.
Che vogliamo farci, si tiene duro, qui!
Però, che discriminazione!

E tu come stai?
Cosa farete per Natale?

Salutami la mamma!
Mi mancate tanto!

P.S. Nigel ha insistito nel dirti da parte sua che vorrebbe invitarti al Ballo del Ceppo. 
Un abbraccio anche da Peter!
A presto!
Susan

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Capitolo 8
*** La prova più difficile ***



 
CAPITOLO 8

La prova più difficile

~

 
 
 
 
 
 
 
 
Ormai non si parlava d’altro.
Era l’argomento preferito di ogni conversazione, in ogni singolo momento della giornata.
E anche chi sapeva che quell’anno avrebbe passato un Natale in solitaria, seduto in un angolo della Sala Grande a sorseggiare Burrobirra mentre le varie coppie di innamorati si concedevano quella sorta di secondo San Valentino, non riusciva a non restare coinvolto negli interminabili sogni a occhi aperti di chi attendeva con ansia il Ballo del Ceppo.
–Che abito metterai?
–Hai ricevuto qualche invito?
–Lo sai che per l’occasione sono state chiamate le Sorelle Stravagarie? Ti immagini, un concerto di vero rock anni ’80 nella Sala Grande!
–Ma tu credi che anche i professori balleranno? Oh, sono proprio curiosa di vedere come se la caverà Piton!
–La McGranitt sta organizzando dei corsi di ballo la sera, dopo cena. Dice che noi di Grifondoro siamo una balbettante banda di babbuini e ha paura che facciamo sfigurare la nostra Casa…
In tutto questo, c’erano quattro persone che non facevano altro che annuire e sorridere, celando dentro di sé la voglia matta di fare fagotto e tornare a casa propria per quel Natale.
Non che le prospettive che avessero fossero poi così allettanti, ma erano sempre meno deprimenti della terribile serata da single che si prospettava loro.
Solitamente, i Pevensie trascorrevano il Natale a Cambridge, a casa di zio Harold e zia Alberta.
Era questa la consuetudine che si ripeteva ogni anno dalla scomparsa di David, anche se Alberta invitava la sorella e i nipoti più per pura formalità che per altro.
Gli zii Scrubb, infatti, erano delle persone molto chiuse e bigotte, di quelle che avevano una casa impeccabile e odiavano tutto ciò che fuoriusciva da quella che consideravano la normalità, come per esempio i videogiochi e la musica che ascoltavano i giovani.
Sarebbero andati molto d’accordo con i Dursley, gli zii dei gemelli Potter, che avevano ricevuto l’incarico di occuparsi di Harry.
Anche loro, come gli Scrubb, avevano un unico figlio (con  l’unica differenza che, invece di Eustace, si chiamava Dudley e non era proprio quello che si definiva il primo della classe), viziatissimo e in preoccupante sovrappeso.
Agli inizi, Jane aveva proposto al fratello di passare il Natale dalla sua famiglia adottiva, i Collins, ma l’iniziativa fu subito stroncata dalla McGranitt alla prima lezione di ballo, quando annunciò in tono perentorio che tutti i campioni avrebbero aperto le danze.
Fu allora che Jane, per pura solidarietà, aveva deciso di restare a Hogwarts insieme a lui, con somma delusione di mamma Wendy, che aveva già predisposto tutto per il ritorno a casa dei due gemelli.
Anche Susan e Peter avevano deciso di restare.
Peter non aveva alcuna intenzione di trascorrere un altro Natale a litigare con Eustace o ad ascoltare le sottili frecciate che gli zii continuavano a lanciare sul fatto del divorzio della mamma.
Dal canto suo, Susan non poteva dagli torto, anche se con una punta di amarezza: sapeva infatti che il fratello avrebbe avuto molte più possibilità di andare al Ballo con qualcuna delle sue spasimanti, mentre lei non sarebbe stata invitata da nessuno.
Anche se, la ragazza non poteva proprio negarlo, in quegli ultimi giorni non stava passando proprio inosservata.
Caspian, con quel suo maledetto sorriso stampato sul viso perfetto, spuntava in tutti i momenti più inaspettati, trovando sempre qualche scusa per rivolgerle la parola e stare un po’ con lei.
Il suo momento preferito era prima di colazione, quando Susan lasciava la Torre di Corvonero tutta sola per avviarsi verso la Sala Grande.
A quanto pareva, Caspian si era annotato l’ora in cui era solita passare di lì, perché lo trovava puntualmente nella Sala d’Ingresso, fingendo sorpresa nell’incontrarla, accompagnandola sempre fin quasi al tavolo di Corvonero.
A Susan tutta quella attenzione non piaceva.
Innanzitutto, si sentiva in imbarazzo per le occhiate cariche d’invidia che le rivolgevano le compagne nel vederla in compagnia dell’affascinante professore, soprattutto da parte di Fleur e Liliandil, le bionde cugine di Beauxbatons.
E poi, proprio lei, che aveva perso un fratello proprio a causa della Magia Oscura, non poteva tollerare la presenza di una persona che ne aveva fatto un mestiere, insegnandola come se niente fosse a dei ragazzi inermi.
Eppure, per quanto si comportasse freddamente, senza nemmeno guardarlo in faccia quando le rivolgeva la parola, Caspian sembrava non desistere e ogni giorno tornava alla carica più ostinato che mai.
–Ma chi si crede di essere, quello lì? – si lamentava Susan durante un’ora di buco, mentre sedeva in biblioteca insieme a Jane e Hermione. – Se pensa che con la sola forza del suo bel faccino riesca a conquistare il mondo, be’, si sbaglia di grosso. Sono una ragazza seria, io, non una squinternata qualunque!
–Be’, in ogni caso, almeno tu hai un piano B – replicò Jane esasperata. Quella mattina sembrava molto più depressa di quanto già lo fosse negli ultimi giorni.
Altro che Ballo del Ceppo, pensò Susan nell’osservare l’amica in quelle condizioni, questo è il Ballo della Zizzannia!
In effetti, per colpa di quello stupido Ballo, negli ultimi giorni nel loro gruppo avevano litigato un po’ tutti.
I primi erano stati Ron e Hermione, coinvolgendo suo malgrado anche Jane.
Era successo lo scorso giovedì sera, quando, la ragazza, decisa a fare un ultimissimo, disperato tentativo con Ron, gli si era avvicinata con gli occhi carichi di speranza per chiedergli se voleva invitarla, salvo scoprire che, proprio in quel momento, lui lo aveva già chiesto a Hermione, la quale, con una sprezzante alzata di sopracciglia, gli aveva detto di avere già un ragazzo.
Risultato: Jane non aveva aperto bocca e si era rifugiata in camera sua, fingendo di dormire mentre in realtà stava singhiozzando disperatamente sotto le coperte.
La dinamica della situazione era ormai drammatica.
Con quel tentativo di invito, infatti, era emerso che a Ron piaceva Hermione e ciò toglieva a Jane ogni speranza, oltre al fatto che adesso, suo malgrado, si ritrovava a odiare una delle sue migliori amiche in assoluto, cosa che l’aveva portata ad avvicinarsi ancora di più a Susan.
Come se non bastasse, il giorno prima anche Harry aveva fatto la sua parte, rivelando alla sorella di essersi preso una cotta spettacolare per Cho Chang, la Cercatrice di Corvonero.
A quella notizia, per poco Jane non si era strozzata con il Succo di Zucca che stava sorseggiando in quel momento.
–Che cosa? – aveva sbraitato sputacchiando in tutte le direzioni. – Quella gatta morta, quella secchioncella da quattro soldi, quell’arraffa professori che non è altro…
A quella reazione, Harry era montato su tutte le furie. Le aveva detto di essere eccessivamente appiccicosa con lui, che aveva tutto il diritto di trovarsi una ragazza, e che anche lei avrebbe dovuto fare altrettanto, invece di piangere miseria per Ron.
Lei gli aveva rinfacciato tutte le scene da operetta che gli aveva riservato Ginny, ma Harry l’aveva zittita, dicendole che la più piccola dei Weasley andava al Ballo con Dean Thomas, un ragazzo del loro anno.
A quella notizia, Jane gli aveva detto di lasciarla perdere e di non parlarle mai più di Cho Chang.
Argomento che però era ritornato a galla quando, quella sera, Harry era rientrato nella Sala Comune con l’umore sotto le scarpe, dichiarando che Cedric aveva avuto la sua stessa identica idea, arrivando però per primo.
Jane non aveva potuto fare a meno di esultare dentro di sé, anche se l’iniziale vittoria era stata immediatamente spazzata via dal sopraggiungere di Ron, che aveva preso a raccontare del suo fallimentare invito a Fleur Delacour, già occupata però con Michael Davies.
Alla fine, i due amici erano riusciti a sistemarsi con Calì e Padma Patil, due gemelle del quarto anno, giusto per evitare di presentarsi al Ballo a mani vuote.
Nessuno dei quattro sembrava tanto contento di quella soluzione, ma perlomeno avrebbero avuto la possibilità di ballare, cosa che Jane amava e che, con sua somma frustrazione, si sarebbe lasciata sfuggire proprio in quell’occasione così speciale.
Quante volte in quelle ultime settimane si era immaginata, anche per un solo momento, di entrare nella Sala Grande addobbata a festa mano nella mano con Ron, di avvertire il suo calore e la dolcezza della sua presa sulle mani e attorno ai fianchi mentre la faceva volteggiare tra le sue braccia, così vicini, tanto da potersi sfiorare…
–Coraggio, Jane – cercò di consolarla Susan, ponendole una mano sull’avambraccio. – Non ci pensare. Passeremo il Natale insieme, vedrai.
–Perché, non andavi con Casspian, una volta? – domandò Hermione sfoderando un sorriso malizioso.
–Ah, piantala, tu! – la rimbeccò l’altra con una scrollata di spalle. – Non uscirei mai con un insegnante di Arti Oscure e, in ogni caso, ci va con un’altra.
A quella notizia, entrambe le ragazze sussultarono.
–Che cosa? – esclamò Jane indignata. – Non è possibile! Tu gli piaci!
–Be’, a quanto pare, ha desistito.
–E con chi ci va? – indagò Hermione.
–Indovinate un po’.
–Illuminaci.
Susan trasse un profondo respiro, come se stesse per dire una parolaccia particolarmente volgare. – Liliandil.
–Eeeeeeh?
–Che cosa? Quell’oca giuliva? Ma se non le rivolge neanche la parola!
–A quanto pare, le cose stanno così. Stamattina non è venuto a darmi il buongiorno e si è seduto vicino a lei, davanti a me, poi! Ѐ stato lì che ho sentito che ne parlavano. E poi, sarà anche una specie di Barbie con un cervello di gallina, ma è davvero una delle ragazze più belle che abbia mai visto, su questo non si discute.
–Solo se il tuo ideale di bellezza prevede delle bionde ossigenate con la taglia del reggiseno indirettamente proporzionale al QI – intervenne bruscamente Hermione.
Le altre due la fissarono incredule: non si sarebbero mai immaginate un simile linguaggio da parte sua.
–Innanzitutto, voglio che ti metti bene in testa una cosa, Sue – proseguì lei imperturbabile. – Tu sei decisamente meglio di tutte le ragazze di Corvonero messe insieme, credimi. Sei una ragazza bellissima, anche senza metterti etti di trucco in faccia o vestirti all’ultima moda. E poi hai un cervello spaventoso, cavolo! Hai recuperato tutte le tue lacune sulla magia in pochissimi mesi! Sei una persona semplice, onesta e leale. Che cosa sono in confronto le cugine Delacour? Niente. Sono solo delle smorfiose piene di arie. Pensi che Fleur vada al Ballo con Davies perché le piace? No, giusto per far vedere che sta uscendo con uno degli studenti più brillanti della scuola, dal momento che Cedric era già preso e Peter non si fa avvicinare. E Caspian? Se lo stanno contendendo da mesi, quelle due, giusto per vedere chi lo incastra per prima, ma sappi che, una volta ottenuto ciò che vogliono, se ne sbarazzeranno in un batter d’occhio.
–Secondo me, Caspian non può essere così tonto da cascarci – osservò Jane pensierosa. – No, deve essere successo per forza qualcosa. Del resto, lo sapete: quando inquadro una persona, è difficile che mi sbagli. E tu gli piaci, Susan, non mi stancherò mai di ripeterlo. Si vede da come ti guarda, da come ti aspetta, da come ti cerca…Non ho mai visto niente del genere, credimi!
–La verità è che sono stata io ad allontanarlo – disse Susan mettendosi le mani nei capelli. – Non capite che non posso perdere tempo con uno come lui? Ѐ tutto sbagliato, lui è un professore…Io credo che, alla fine, abbia capito che deve lasciar perdere.
Le altre due si lanciarono un’occhiata complice.
–Però ora sei gelosa, vero? – la tentò Jane.
Susan le rivolse un’occhiataccia.
–Ammesso anche il contrario, – intervenne Hermione – trovo comunque strano un cambiamento così repentino nel suo atteggiamento. Non si può buttare via così un’occasione del genere. Un gentiluomo come lui, poi! No, qui c’è sotto qualcosa di inumano.
–I…inumano?
Hermione schioccò le dita e le rivolse un’occhiata sognante.
–Hai mai sentito parlare di filtri d’amore? – domandò.
–Be’, sì…ma sono illegali, giusto? O no?
–Sfido qualunque strega dotata di un pizzico di bravura nel cadere in tentazione nell’usarlo, specie in determinate situazioni. Del resto, per essere stata selezionata tra gli studenti di Beauxbatons degni di partecipare alle selezioni del Torneo, qualche dote ce l’avrà, la nostra Barbie.
–E Caspian sarebbe così tonto da farsi rifilare un filtro d’amore? Andiamo! Ѐ un insegnante di Arti Oscure e per di più è sopravvissuto a un tentativo di farlo fuori quando era erede al trono. Non mi sembra un tipo che abbassi la guardia tanto facilmente.
–Mmm, esistono tanti modi per rifilargli un filtro d’amore. A meno che Barbie Regina delle Fate non abbia usato altri metodi.
–Del tipo?
–Mah, a me non sembra molto umana, quella tizia.
–In che senso?
–Ma non l’hai vista? Bellezza a parte, non è possibile che ogni volta che lei e Fleur entrano nella Sala Grande, tutti i ragazzi nell’arco di cinquecento metri perdono la testa e fanno di tutto per farsi notare da loro.
–Be’, è ovvio, sono due grandissime…
–No, non è ovvio e quelle due non sono esseri umani, non al cento per cento. L’ho saputo da Harry – intervenne Jane abbassando la voce. – La loro nonna è una Veela.
–Una che?
–Sono delle specie di fate, la cui abilità è proprio quella di ammaliare gli uomini tramite dei poteri che gli studiosi non sono stati ancora in grado di identificare – spiegò Hermione. – Ecco perché non si è accorto di niente. Non c’è uomo che non perda la testa, quando ci sono loro.
Susan spalancò la bocca inorridita.
Com’era possibile che una simile creatura potesse essere ammessa in una scuola piena di studenti ignari di tutto?
–Quindi è probabile che sia vittima di qualche incantamento? – biascicò.
–Non c’è altra spiegazione.
–E non esiste un rimedio?
Hermione e Jane si guardarono di nuovo e questa volta fu impossibile trattenere un sorriso.
–Cosa vuoi fare, Susan? – le chiese Jane.
La ragazza scosse il capo.
–Non mi importa niente di lui, niente – disse a denti stretti. – Si tenesse pure la Regina delle Fate.
–Susan, smettila di negarlo. Tu ci tieni a lui e tanto anche – la corresse l’amica. – Ti vediamo, tutti quanti, come sei felice dopo che lui è venuto a parlare con te. Del modo in cui lo guardi quando si avvia al tavolo dei professori. E della tristezza che non ti abbandona da stamattina. Pensaci, Susan. Lascia perdere che cosa fa nella vita. Purtroppo, Durmstrang è così, hanno il pallino per le Arti Oscure. Però è anche vero che la maggior parte dei loro studenti sono dieci volte meglio dei nostri Serpeverde. In fondo, anche se senza Difesa, studiano più o meno le nostre stesse cose, no? E poi, se te la devo dire tutta, Caspian non mi sembra una cattiva persona. Misterioso quanto ti pare, ma non una cattiva persona.
–Fidati, Jane ha il sesto senso per queste cose – disse Hermione. – E poi, non ti piacerebbe prenderti una rivincita su quella smorfiosa, smascherandola davanti a tutta la scuola?
–Quella sì che sarebbe una soddisfazione – rispose Susan, immaginando la scena con amaro piacere. – Davvero pensate possa esistere un rimedio all’incanto di una Veela?
–Oooh, certo che c’è! – esclamò Hermione facendole l’occhiolino. – Scommetto che è proprio in uno di questi libri stipati alle nostre spalle. Non ci resta che cercare il capitolo giusto.
In quel momento, la loro conversazione venne interrotta da un goffo rumore di piedi.
Neville Paciock era appena entrato in biblioteca, le braccia cariche di due enormi trattati di Erbologia, la sua materia preferita.
Sembrava molto nervoso e, cosa che Jane notò con stupore, aveva un’aria molto meno trasandata del solito.
–Ehm, salve a tutte – salutò in tono impacciato. – Potrei parlare un minuto con Jane?
–Va bene – rispose lei sorridendo, alzandosi in piedi e seguendolo dietro uno scaffale.
Si voltò un attimo verso le amiche, giusto per ricevere da loro quattro pollici alzati.
Una volta al sicuro da orecchie indiscrete, Neville si voltò verso di lei e trasse un profondo respiro.
–Ehm, Jane, – balbettò – so che sei una delle mie amiche più care e che molto probabilmente anche tu sei nella mia stessa situazione…il fatto è che…mi chiedevo se…ti andrebbe di venire al Ballo con me?
A quella notizia, i brillanti occhi verdi della ragazza si illuminarono di gioia.
Non poteva crederci, quel Natale non sarebbe rimasta sola come aveva temuto!
E, inoltre, anche Neville sembrava portato quanto lei nel ballo: durante le prove, era quasi sempre il primo ad aprire le danze.
A quanto pareva, ballare riusciva a tenere a bada la sua incredibile timidezza e goffaggine.
–Va bene! – esclamò raggiante. – Oh, Neville, sono così felice che me l’abbia chiesto proprio tu!
Detto questo, gli gettò le braccia al collo, alzandosi sulle punte e stampandogli un sonoro bacio sulla guancia paffuta.
 
***
Susan finì di spazzolarsi i lunghi capelli neri; poi, più impacciata che mai, si diresse verso lo specchio, spostando lo sguardo ora sulla trousse abbandonata sul bordo del lavandino ora sul suo viso lentigginoso, senza avere la più pallida idea su dove cominciare.
Accanto a lei, Cho Chang aveva appena finito di sistemarsi i capelli corvini in un’elaboratissima acconciatura fatta di codini intrecciati e si stava spruzzando sul collo e sul seno un’essenza profumata che aveva un delicatissimo odore di incenso e tè nero.
Sembrava una principessa, avvolta com’era nel suo abito argentato.
Niente a che vedere con il semplice vestito viola senza maniche di Susan, il capo di abbigliamento meno magico che avesse messo negli ultimi quattro mesi.
La ragazza trasse un sospiro rassegnato e si passò un leggero strato di fard celeste sugli occhi, seguendo i dettagliati consigli che le aveva fornito Hermione qualche ora prima.
Provò anche il mascara, ma non aveva la mano allenata e l’unico risultato fu quello di impiastricciarsi il viso a tal punto da dover sciacquare via tutto e ricominciare daccapo.
Cho le scoccò un’occhiata perplessa e uscì dal bagno.
Susan soffocò un paio di imprecazioni fra i denti e si passò uno strato di rossetto sulle labbra.
Il risultato la mise ancora più a disagio: il rosso acceso del gloss faceva a pugni con il tenue pallore del suo incarnato, rendendola più simile a un pagliaccio che a una ragazza in procinto di andare a una festa.
Rassegnata per la sua totale incompetenza in campo di estetica, Susan mise via tutte le sue cose, afferrò al volo il coprispalle dalla testata del letto e si avviò nella Sala Comune gremita di ragazze vocianti.
In un angolo della stanza, Roger Davies scherzava allegramente con un gruppo di amici, spostandosi di tanto in tanto una ciocca dei suoi lunghi capelli neri che gli ricadeva sugli occhi.
Una ragazza bionda dall’aria trasandata stava sfoggiando di fronte a un capannello di amiche perplesse il suo abito da cerimonia, una specie di cascata di paillettes che la faceva assomigliare in maniera impressionante a una gigantesca lattina di metallo.
Susan non volle aggregarsi all’eccitazione dei Corvonero e si avviò di sotto, ansiosa di incontrare i suoi amici Grifondoro.
Fino a quel momento, era riuscita a non assecondare più di tanto la frustrazione di essere una delle poche ragazze a non essere stata invitata da nessuno, concentrandosi più che altro sul modo in cui avrebbe potuto salvare Caspian dalle grinfie di Liliandil, ma ora che si trovava circondata da coppie di ragazzi cinguettanti, il livello del suo umore stava rapidamente collassando.
Con suo enorme sollievo, non appena mise piede nella Sala di Ingresso trovò Jane, che cercava in tutti i modi di consolare Harry e Ron, che avevano tutta l’aria di andare a un funerale.
Ron, in particolare, sembrava non desiderare altro che scomparire: del resto, era difficile invidiarlo, dal momento che si era presentato con un lungo abito rosso mezzo mangiato dalle tarme, rivestito di pizzi e merletti da capo a piedi.
In confronto, Harry era decisamente più presentabile, nel suo semplice gessato nero.
Jane, invece, sembrava aver deciso di dare un taglio alla formalità, presentandosi con una semplice gonna di jeans e una felpa blu con il cappuccio, arricchite da un paio di calze a righe nere e bianche e le scarpe da tennis con i lacci spaiati.
Nonostante tutto, la ragazza sembrava sentirsi completamente a suo agio.
–Ecco la nostra Susan! – esclamò correndole incontro e gettandole le braccia al collo.
–Ehi! – la salutò l’altra ricambiando l’abbraccio. – Ma dove sono gli altri?
–Peter non lo so, non lo vedo dall’ora di pranzo – rispose Jane. – Hermione deve essere di sopra a prepararsi. Oh, ci credi che non sono ancora riuscita a scoprire con chi viene, stasera?
–Secondo me, non è stata invitata da nessuno e se ne starà tutta sola a piangere – grugnì Ron.
–O forse non se la sentiva di dirci che è sta invitata da Draco Malfoy – rispose Jane, curandosi di far trasparire il veleno in ogni sillaba.
–Un momento, aspettate! – esclamò Harry sgranando di colpo gli occhi. – Ma…non è possibile!
Gli altri tre si voltarono e restarono tutti a bocca aperta.
Impiegarono diversi secondi ad associare la bellissima ragazza vestita di raso viola con Hermione Granger, la puntigliosissima secchiona dai capelli crespi.
Eppure era lei, la giovane donna che scendeva le scale sorridendo radiosa, il lungo strascico dell’abito che frusciava lungo i gradini.
Gli amici fecero per correrle incontro, ma la strada fu loro tagliata da Victor Krum in persona, che si fermò davanti a Hermione, facendole un inchino e baciandole la mano.
Ron si arrestò così bruscamente, che gli altri rischiarono di cadergli addosso.
Sul suo volto si allargò un’espressione così inebetita che avrebbe terrorizzato un troll.
–Ciao! – li salutò Hermione raggiante; poi, si precipitò verso Susan, afferrandola per un braccio. – Ho l’antidoto – le sussurrò in un orecchio.
–Davvero? – esclamò la ragazza sottovoce, il cuore che le accelerava improvvisamente nel petto.
–Sì – proseguì lei, prendendola in disparte. – Ma non so se la cosa ti farà tanto piacere.
–Spara.
–L’amore ingannevole di una Veela può essere spezzato solo da un amore autentico.
–E quindi?
Hermione trasse un profondo respiro. – Lo devi baciare, Susan.
–Eeeeeh?! –in quel momento, Susan diventò di un allarmante color terriccio. – Stai scherzando, spero!
–Assolutamente no. Ascoltami: questo non è un gioco. Deve essere una scelta tua. Se davvero provi qualcosa per Caspian, allora non puoi temere di fallire. Ma se senti che è una cosa passeggera e niente più, be’, sappi che per lui quello sarà solo un bacio senza significato.
A quelle parole, Susan si sentì sprofondare.
Lo conosceva appena, quel Caspian, come poteva provare un sentimento così grande verso di lui, che a malapena le piaceva?
Avrebbe rischiato di fare un’emerita figuraccia davanti a tutta la scuola.
Senza contare che avrebbe messo nei guai la sua Casa.
No, non se lo poteva proprio permettere.
–Be’, grazie comunque, Hermione – si schermì con un’alzata di spalle. –Quindi, adesso tu e Krum…
–Ѐ un po’ presto per dirlo, ma sono così felice! – esclamò lei con gli occhi che brillavano.
–Ma perché ce l’hai tenuto nascosto?
–Be’, sai, anche lui è di Durmstrang…temevo che mi giudicaste, ecco! Soprattutto quello là – fece un rapido cenno del capo verso Ron, che le fissava con un’espressione da far paura.
–Giudicarti noi? Ma hai idea di chi hai di fronte?
–Oh, mi scusi, signora Von Telmar!
–Ah, piantala!
Entrambe scoppiarono a ridere; poi, dopo un rapido abbraccio, si divisero. Hermione e Harry si avviarono verso la Sala Grande insieme ai loro rispettivi partner, mentre Ron li seguiva a distanza, strattonando un’annoiata Padma Patil.
–Un bacio – sussurrò Susan una volta rimasta sola con Jane. – Devo dargli un bacio, se voglio rompere l’incantesimo.
–Mi sarei aspettata un simile antidoto – rispose l’altra con un’alzata di spalle. – Del resto, funziona così anche nelle fiabe dei Babbani. Dobbiamo rassegnarci all’amore, Susan.
–Che cosa insensata! – sbottò lei imbestialita.
In quel momento, Draco Malfoy fece la sua comparsa al fianco di Pansy Parkinson, una ragazza dallo sguardo torvo del suo anno.
Il ragazzo scoccò una rapida occhiata verso Hermione, nella quale Jane credette di leggere per un attimo una nota di cocente invidia, poi passò oltre, scrutando tutti i presenti con sufficienza.
Un attimo dopo, Neville le raggiunse trafelato.
Non era mai stato così elegante, con i capelli scuri pettinati all’indietro, l’abito nero lungo fino ai piedi e le scarpe verniciate, anche se il dettaglio che saltò subito agli occhi fu il papillon storto.
–Salve, ragazze! – le salutò sorridendo.
–Ciao! – esclamò Jane, sollevandosi sulle punte e aggiustandogli in un battibaleno il papillon sul colletto della camicia.
–Allora, pronta a scatenarti? – la incalzò Neville.
–Oh, sì! – trillò lei con gli occhi che le brillavano.
–E tu, Susan? Il tuo principe azzurro non è ancora arrivato?
–Ehm, no. Stasera sono un po’…scoppiata.
–Oh, mi dispiace! Non volevo…
–Tutto a posto, tranquillo. Sai per caso dov’è mio fratello?
–Mmm, l’ultima volta che l’ho visto, era nel nostro dormitorio. Non so neppure chi abbia invitato. Ma sono certo che sarà qui a momenti.
–Lo spero. Va bene, ragazzi, non voglio intrattenervi oltre. Ci vediamo dopo.
Senza dar tempo a Jane di agguantarla per un braccio e costringerla a fare da terzo incomodo, Susan girò i tacchi e si avviò verso l’esterno, decisa a mettere più strada possibile fra lei e la Sala Grande.
Aveva come l’impressione di aver ingoiato una damigiana di piombo fuso.
Stava quasi per guadagnare l’uscita, quando il passo le fu sbarrato dall’ultima persona che avrebbe voluto incontrare in quel momento.
Caspian era più bello che mai. Sembrava quasi che i suoi occhi pulsassero di una luce incandescente, per quanto brillavano di gioia.
Il suo lungo vestito di velluto color porpora sfiorò Susan mentre il giovane la oltrepassava senza salutarla, gettandosi tra le braccia di Liliandil, bella come una principessa, stretta nel suo vaporoso abito di un celeste argentato.
Sembrava una stella, sfavillante del luccichio dei numerosi gioielli appesi al collo, alle braccia e intrecciati nei riccioli biondi raccolti sulla nuca.
Erano perfetti, il fascino esotico di lui, con la pelle e i capelli così scuri, che si fondeva dolcemente con l’eterea bellezza di lei.
Erano due esseri fatati destinati a incontrarsi.
Che cosa c’entrava Susan con loro?
Niente.
Sentendo il bruciore salirle agli occhi, la ragazza si voltò di scatto, prendendo a correre come una forsennata nel lungo corridoio di pietra, fermandosi a riprendere fiato solo quando si trovò nel chiostro ricoperto di neve.
Fu allora che lì, nascosta agli occhi di tutti, nel silenzio di quella che avrebbe dovuto essere una notte da trascorrere in compagnia degli affetti più cari, anche se martoriati dalla tragedia che ancora pesava nei loro cuori, Susan scoppiò in un pianto disperato quanto silenzioso, nascosta in una nicchia polverosa in un angolo buio del chiostro, mentre la neve continuava a cadere lenta e implacabile nel cielo nero.
Si odiava.
Era una maledetta codarda, questo lo aveva sempre saputo.
Avrebbe potuto essere una ragazza felice, come avrebbero potuto esserlo tutti nella sua famiglia.
Se non fosse stato per la sua omertà, in quel momento David sarebbe stato lì con loro e suo padre non se ne sarebbe andato.
Se non fosse stato per la sua totale incapacità di prendersi le proprie responsabilità, avrebbe accettato la sua natura di strega dal suo undicesimo compleanno, invece che dannarsi l’anima a distruggere di nascosto tutte le lettere che continuavano ad arrivare da Hogwarts implacabili, ogni giorno, sgattaiolando di soppiatto all’ingresso ogni mattina, prima che gli altri si svegliassero, attendendo con ansia il postino mentre il suo corpo cambiava per sempre.
E, ora che sembrava aver trovato qualcuno che, dietro ogni pregiudizio immaginabile, davvero le faceva battere il cuore come nessuno aveva mai fatto prima, aveva chiuso gli occhi alla realtà, troppo paurosa per affrontarla, trattandolo come uno strofinaccio sporco, per poi trovarsi lì a singhiozzare ancora una volta sul latte versato.
Era solo una stupida, una mediocre, e quella era la giusta punizione per una come lei.
In lontananza, il rombo di una canzone rock sparata al massimo dagli amplificatori risuonò nel silenzio della notte, ma Susan tentò disperatamente di non farsi trasportare da quel ritmo irrefrenabile, immaginandosi la Sala Grande rilucente di ghiaccio argentato, l’allegria delle coppie che volteggiavano a tempo di musica, l’adrenalina scaturita dai loro corpi, la voglia di toccarsi e di baciare che si faceva sempre più forte…
Improvvisamente, un rumore di passi seguito da delle risate femminili esplose a pochi metri da lei. Susan si ritrasse ancora di più nel suo cantuccio, desiderosa di non farsi sorprendere in quelle condizioni oscene, con i capelli in disordine e il trucco colato lungo le guance, quando, con suo sommo orrore, si accorse che la ragazza che ridacchiava era proprio Liliandil, che trascinava per la mano un eccitatissimo Caspian, che aveva tutta l’aria di aver bevuto qualche bicchiere di troppo.
–Oh, Caspian! – esclamò lei con voce stridula. – Sono così felice, felice!
Prima che la ragazza avesse potuto starnazzare altro, Caspian l’aveva afferrata per la vita e aveva tuffato le labbra nelle sue, prendendo a baciarla con una foga indescrivibile.
–Oh, Liliandil, vita mia! Vita mia! – continuava a mugugnare ogni volta che si fermava per riprendere fiato, completamente fuori di sé.
Quella vista atroce, sbattutale lì, davanti agli occhi, ebbe per Susan l’effetto di una pugnalata nello stomaco e nello stesso tempo di una secchiata d’acqua gelida in piena faccia.
La gelosia ora le stava rodendo anche le ossa, scalzando con rabbia anche la più grande delle sue frustrazioni.
Lei avrebbe dovuto essere lì, tra le braccia di Caspian, e non quella Barbie ossigenata che lo aveva ridotto peggio di una bestia con i suoi infidi giochetti di magia.
Lei avrebbe dovuto acconsentire a venire con lui al Ballo del Ceppo sin dal primo momento, senza trattarlo così male, rispondendo alle sue premure solo con saccenza e indifferenza.
Lei avrebbe dovuto fare ingresso nella Sala Grande sotto il suo braccio, come una vera regina.
Deve essere una scelta tua.
Susan non si rese neanche conto di quello che stava facendo. In un attimo, era emersa dal suo nascondiglio buio, scarmigliata, con i piedi scalzi e tracce di mascara su tutto il viso, marciando come una belva feroce verso i due, ancora avvinghiati tra di loro in una maniera che avrebbe fatto venire la nausea alla piovra gigante in persona.
Con un potente strattone, la ragazza scalzò via Liliandil da Caspian, poi, prima che questa potesse reagire in qualsiasi modo, lo baciò.
Quello che accadde subito dopo fu di una rapidità incredibile, ma per Susan sembrò svolgersi tutto al rallentatore.
Vide Caspian sbattere le palpebre spaesato, mentre gli effetti dell’incantesimo svanivano, trovandosi a pochissimi centimetri dal suo volto, le labbra che ancora scottavano per il bacio.
Udì distintamente Liliandil urlare: – Tu, brutta…
Ma l’insulto osceno che le lanciò si perse nel dolore atroce che improvvisamente le attanagliò ogni singolo millimetro della pelle del viso. Susan si portò d’istinto le mani alle guance.
Una sostanza calda e viscosa le bagnò le dita e, non appena le ritrasse inorridita, notò che erano sporche di sangue e pus.
Un attimo dopo, Caspian le era balzato davanti, facendole scudo con il proprio corpo, la bacchetta levata in direzione di Liliandil, che continuava a strillare e a lanciare fatture.
Il dolore l’accecava e presto Susan sentì che le forze le mancavano.
Era come se le avessero appena tirato in faccia una secchiata di acido muriatico.
Boccheggiando, la ragazza si afflosciò contro la parete di pietra, prendendosi la testa fra le mani e accasciandosi sul pavimento polveroso.
Avvertì un’esplosione di passi attorno a lei, la luce accecante degli incantesimi che esplodevano a pochi centimetri dalla sua testa, le voci di Piton e di Karkaroff che urlavano parole che non riuscì a cogliere.
Poi tutto divenne buio.
 
***
   
Jane salì i gradini di pietra che portavano alla Torre di Grifondoro, le palpebre che facevano fatica a restare aperte per il sonno.
Si sentiva a pezzi e aveva un terribile mal di stomaco.
Non era stata poi una gran serata.
All’inizio, lei e Neville si erano divertiti.
Le Sorelle Stravagarie, una band molto popolare tra i maghi, ma di cui la ragazza non aveva mai ascoltato nulla fino a quella sera, erano davvero fantastiche e si ballavano magnificamente, anche se la loro musica era molto lontana da quella dei Killers o degli Oasis, per cui Jane andava matta.
Neville era davvero un ottimo ballerino e avevano trascorso la prima mezz’ora a scatenarsi sotto il palco, con la musica che esplodeva a un volume assordante dagli amplificatori piazzati in ogni angolo della Sala Grande, premuti dalla ressa che si agitava e urlava in preda all’euforia.
I problemi erano cominciati quando avevano avuto la pessima idea di raggiungere gli altri a uno dei tavoli.
Harry era arrabbiato perché Cho aveva preferito quel bell’imbusto di Cedric a lui.
Ron era arrabbiato perché Hermione aveva preferito quel bell’imbusto di Krum a lui.
Hermione inizialmente era di buonumore, poi, resasi conto che Ron era arrabbiato perché lei aveva preferito quel bell’imbusto di Krum, si era arrabbiata anche lei e avevano litigato di brutto.
A quel punto, Jane, sentendosi esclusa, aveva avuto la bella pensata di arrabbiarsi anche lei e se n’era andata dalla Sala Grande senza neanche salutare.
Le dispiaceva solo un po’ per Neville, che avrebbe trascorso il resto della serata a sorbirsi i musi lunghi dei loro amici, e per Susan, l’unica persona con cui Jane avrebbe voluto essere in quel momento e che sembrava sparita nel nulla.
Le note di un lento vibravano basse dal piano di sotto, ma la ragazza vinse la tentazione di tornare indietro e chiedere un altro ballo al suo cavaliere: voleva solo andare a letto e dimenticare tutto, specialmente Ron e quella sua insopportabile smorfia di sufficienza che solo pochi mesi prima aveva trovato perfino attraente.
Dopo un tempo che le parve un’eternità, finalmente Jane arrivò in cima alla scalinata, trovandovi l’ultima persona che si sarebbe mai aspettata di incontrare in una serata simile.
Peter Pevensie stava seduto sui gradini, lo sguardo perso nel vuoto, con una bottiglia mezza vuota di Burrobirra stretta tra le dita.
–Ehilà, Peter! – esclamò la ragazza. – Come mai non sei alla festa? Susan era preoccupata…
–Non ci sono andato.
–Che?
Jane era incredula.
L’ultima persona che si sarebbe aspettata in stato di depressione quella sera era proprio Peter.
–Come mai? – incalzò perplessa.
–Non ho trovato una ragazza.
–Ma come? Dai, non ci credo!
–Il fatto è che non l’ho voluta. Voglio dire, di tutte le ragazze che mi hanno chiesto di andare al Ballo con loro, nessuna era equiparabile a lei.
–Lei? Lei chi?
–Fleur Delacour.
Anche se suo malgrado, Jane non riuscì a trattenere una risata.
–No, non dirmi che ci sei cascato anche tu! – esclamò.
 –Ho provato a invitarla, ma lei era tutta presa da quel Davies…
Jane si lasciò cadere al suo fianco, mettendogli una mano sulla spalla.
–E tu ti fai rovinare così per una come lei, che non sarebbe mai in grado di amare? – chiese dolcemente. – Sappi che ti è andata molto bene, invece. Fleur e sua cugina Liliandil non sono umane, ma hanno sangue Veela. Sono delle fattucchiere con il potere di far innamorare gli uomini. Ecco perché sembrate tutti una manica di scimpanzé quando sono nei paraggi. Non è colpa vostra, è uno scherzo della natura e niente più.
–No, non dirai sul serio! – disse Peter sconvolto.
–Sono serissima. Anche il professor Von Telmar ci è cascato. E per riuscire a imbrogliare lui…
Peter si passò una mano fra i capelli biondi e tracannò un lungo sorso dalla sua bottiglia.
–Che anno da schifo, Jane – mormorò. – Guarda com’è ridotto il grande Peter Pevensie: un alcolizzato che si affoga nella Burrobirra mentre tutto il resto del mondo va avanti.
–No, non dire così – lo consolò Jane cingendogli le spalle muscolose in un timido abbraccio. – Ѐ un periodo un po’ strano, ma passerà.
–Prima il Quiddich, poi il Torneo, adesso Fleur… – continuò lui esasperato.
–Prendila come una sfida, no? Un’opportunità per cambiare.
Peter le scoccò una lunga occhiata interrogativa. – In che senso?
–Io sono convinta che tu sei molto più di uno studente modello e il miglior Cacciatore che il Grifondoro abbia mai avuto – disse Jane in tono fermo. – Non hai bisogno di fare tutta questa commedia per dimostrare al mondo ciò che sei veramente. Perché tu sei un grande mago, Peter, anche se ogni tanto fai degli errori. Devi solo smettere di avere paura e nasconderti dietro a un voto o a una vittoria sportiva. Tu sai fare molto di più senza rendertene conto.
Detto questo, Jane si alzò e si avviò lentamente verso la Signora Grassa.
Non appena la sua sagoma esile fu scomparsa dietro la cornice dell’antico quadro, Peter abbandonò la sua bottiglia e si avviò lentamente al piano di sotto.
Le Sorelle Stravagarie avevano appena intonato un brano leggermente più veloce.

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Capitolo 9
*** Il sotterraneo ***



CAPITOLO 9

Il sotterraneo

~

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Jane discese la collina lentamente, gli occhi stretti a due fessure nel tentativo di sondare la nebbia violacea che si alzava minacciosa tutto attorno a lei, trasformando gli altissimi alberi centenari che la circondavano in colossali sagome scure e spettrali.
Avvertiva le foglie scricchiolare sotto le sue scarpe da tennis, il cui rumore assomigliava terribilmente a uno sparo, rimbombando nel silenzio assoluto della foresta.
Il fascio di luce pallida della bacchetta illuminava un fazzoletto di terra alla volta, man mano che la ragazza avanzava a passi incerti nella boscaglia.
Se solo ci fosse stato un nemico nascosto lì attorno, sarebbe stata completamente vulnerabile a un suo possibile attacco.
Poi, improvvisamente, qualcosa emerse dalla nebbia.
Era un enorme cancello di ferro battuto, dietro i cui battenti si estendeva quello che sembrava un viale ghiaioso apparentemente senza fine, costeggiato da alte siepi potate al millimetro.
Un labirinto. Una trappola mortale.
Ma Jane sapeva che, se voleva conoscere la risposta alle sue domande, doveva andare avanti.
Alohomora! – sussurrò levando la bacchetta.
Ci fu un sonoro cigolio, poi il cancello girò lentamente sui cardini, liberando il passaggio.
Dopo aver fatto appello a tutto il suo coraggio, Jane si incamminò lungo il viale, la bacchetta pronta a lanciare incantesimi di difesa.
Il luogo dove si trovava assomigliava moltissimo al parco di una villa, proprio come quelle che aveva visitato qualche volta con la sua classe quando frequentava ancora la scuola babbana.
Allora era rimasta rapita dalla bellezza e dalla sontuosità dei giardini, adornati con statue marmoree e fontane che raffiguravano scene mitologiche e antiche divinità.
Si era chiesta come sarebbe stato vivere lì, come una vera principessa, trascorrendo le sue giornate a passeggiare tra quei viali silenziosi, magari in compagnia di qualche amico.
Ma, in quel momento, quel posto così familiare per lei aveva solo un aspetto minaccioso e inquietante, da cui voleva allontanarsi il prima possibile.
A un certo punto, la villa vera e propria emerse dalle siepi.
Sembrava quasi una fortezza, circondata da quattro basse torri circolari che terminavano con dei tozzi pinnacoli scuri.
Rabbrividendo, la ragazza si inerpicò su per un imponente scalone monumentale e aprì la porta d’ingresso.
L’interno della casa era buio e silenzioso.
La luce della bacchetta illuminò mobili antichi, arazzi e tappeti che ricoprivano ogni centimetro dei pavimenti di marmo.
Alle pareti erano appese numerose opere d’arte di inestimabile valore.
Sembrava non esserci nessuno in giro, ma Jane sapeva che non doveva abbassare la guardia per nessun motivo.
Con un profondo respiro, la ragazza si infilò nel primo corridoio che trovò, ne imboccò un altro e poi un altro ancora, fino a trovare ciò che cercava: una porticina nascosta nel rivestimento di cuoio verde delle pareti che conduceva di sotto attraverso una stretta scala di pietra.
Con il cuore che le batteva all’impazzata, Jane scese i gradini furtivamente, la bacchetta che aveva preso a tremare per l’emozione e la paura tra le dita sottili, fino ad arrivare in un ambiente completamente diverso da quello in cui si era trovata fino a un attimo prima.
Era un sotterraneo scavato nelle viscere della terra, senza alcuna apertura che si affacciasse verso l’esterno.
Un lungo e stretto corridoio lo attraversava per tutta la sua lunghezza, costeggiato da ambo i lati da piccole porticine di legno e sbarre di ferro.
Era una prigione, una di quelle da cui era impossibile scappare.
Jane rabbrividì.
Era arrivata nel posto che aveva così tanto cercato.
Doveva solo controllare che cosa ci fosse in quelle celle, una a una. Iniziò dalla più vicina, una camera così bassa e angusta che un uomo adulto non sarebbe mai riuscito a starci dentro in piedi.
Vuota.
Lo stesso trovò in tutte le altre celle, fino ad arrivare all’ultima, sigillata da una pesante porta di ferro.
Senza dubbio, al suo interno si nascondeva qualcosa di terribilmente prezioso.
O di pericoloso.
 –Alohomora! – esclamò Jane.
Ci fu un sonoro clangore, poi la porta si aprì.
Dentro era completamente buio. Jane avanzò di qualche passo, quando improvvisamente la luce della sua bacchetta colpì qualcosa di grosso rannicchiato sul pavimento.
La ragazza si chinò, trovandosi di fronte all’ultima cosa che si sarebbe mai aspettata: un ragazzo, un semplice ragazzo che dormiva profondamente sulla pietra fredda.
Poi, improvvisamente, sussultò per la sorpresa: non era un ragazzo qualunque, ma proprio quello che da qualche tempo tormentava i suoi sogni, chiedendole disperatamente aiuto.
Jane restò interdetta, incapace di prendere una decisione.
Avrebbe tanto voluto svegliarlo e chiedergli chi fosse e perché stava cercando proprio lei, ma qualcosa da qualche parte nel suo cervello la implorava di lasciar perdere, che era troppo pericoloso.
Confusa, la ragazza restò a fissare il prigioniero.
La luce della bacchetta illuminava il suo volto pallido puntellato di efelidi, i cui tratti affilati, con gli zigomi alti, le labbra appena carnose e il lungo naso a punta, gli davano un aspetto fuori dall’ordinario, quasi aristocratico.
Jane si sentì di colpo più inquieta che mai.
Ebbe come l’impulso irrazionale di allungare una mano e accarezzare il mare di capelli scuri sul capo del ragazzo, ma qualcosa dentro di sé la fermò con violenza.
In quel momento, il prigioniero aveva preso ad agitarsi nel sonno, mugugnando parole che la ragazza non riuscì a comprendere.
Si stringeva spasmodicamente il ventre, come se fosse assalito da dei dolori atroci.
Improvvisamente, un rivolo di sangue scuro prese a colargli all’angolo della bocca, macchiando il pavimento attorno a lui.
Jane fece per scattare in avanti, decisa ad aiutarlo, quando improvvisamente si fermò, gli occhi sgranati dall’orrore.
Un enorme serpente era emerso dall’oscurità, circondando il ragazzo con le sue spire. Eppure non sembrava volesse attaccare.
Si stava limitando ad acciambellarsi attorno alla parte di pavimento occupata dal prigioniero, simile all’imitazione grottesca di un gatto da salotto, quasi come se volesse…proteggerlo?!
Ma Jane non seppe mai che cosa significasse tutto ciò.
Improvvisamente, la presa ferrea di cinque dita dalle unghie affilate come artigli si conficcò nella sua spalla, costringendola a voltare il capo.
Il volto della Strega Suprema era a pochi centimetri dal suo naso e la stava fissando furibondo, simile a una maschera demoniaca, con gli enormi occhi iniettati di sangue sgranati dalla rabbia.
Jane provò a urlare, divincolandosi disperatamente, ma dalla sua bocca non uscì alcun suono.
Poi un dolore atroce la percorse da capo a piedi, nel momento esatto in cui si rese conto di trovarsi distesa sul pavimento del dormitorio delle ragazze, imprigionata nelle sue stesse lenzuola e con cinque paia di occhi che la fissavano preoccupati dall’alto.
 
***
 
–Cerca di calmarti, Jane – la incoraggiò Hermione. – Del resto era solo un sogno, no?
–Non era solo un sogno, Hermione! – sbottò Jane. – Sono settimane, dico settimane, che questo ragazzo mi appare e mi chiede aiuto.
–Be’, veramente, te l’ha chiesto solo una volta, da quello che mi hai raccontato – intervenne Harry.
–Non importa quante volte me l’ha chiesto! – abbaiò la sorella. – Il punto è che questo ragazzo è prigioniero della Strega Suprema e ha bisogno di noi.
–Ma come fai a esserne così sicura? – chiese Susan incerta. – Insomma, non sai neanche chi sia! Non l’hai mai visto prima d’ora. Ascolta, Jane, è molto probabile che ti sei fatta solo suggestionare da quello che sta accadendo. Se non sbaglio, proprio ieri abbiamo letto insieme l’articolo di quell’altro bambino scomparso, ricordi? A me pare che questi sogni siano cominciati dalla prima sparizione…
Jane si mise le mani nei capelli, serrando gli occhi.
–Io non capisco più nulla – disse piano. – Lo so che vi sembro pazza o qualcosa del genere, ma quel sogno è sempre stato così reale…e poi, ogni volta mi fa un effetto stranissimo! Quel ragazzo…mi ha colpita, davvero, mi ha sconvolta! Non riesco a levarmelo dalla testa, sta diventando un’ossessione. Mi fa quasi paura…ma allo stesso tempo vorrei aiutarlo, capite?
Harry le circondò le spalle con un braccio.
–Per me ne sei innamorata, sorella – osservò in tono scherzoso.
–Ah, sta’ zitto! – si schermì lei divincolandosi con violenza dalla sua stretta.
–Jane, so che il rapimento da parte della Strega Suprema è stato un trauma da cui è difficile riprendersi – disse Hermione. – Tuttavia, cerca di vedere i fatti come stanno. Questa strega, ammesso che ci sia lei dietro questa nuova ondata di sparizioni, appartiene al tuo passato, solo al passato, capisci? Qui non può succederti nulla di male. E quel ragazzo…non so che dirti. Quasi sicuramente esiste solo nella tua testa. Insomma, quanti mesi sono che lo sogni? Nessuno è rimasto prigioniero di quella donna così a lungo. Lo sai.
–Mi fate cadere le braccia! – sbottò Jane con rabbia, alzandosi di scatto, afferrando la borsa e uscendo dalla biblioteca senza neanche salutare.
Solo a metà del corridoio si rese conto di essere seguita.
Susan era a meno di un metro da lei, fissandola con l’espressione più seria che avesse mai letto sul suo viso costellato di efelidi.
–Io ti credo – disse piano.
Jane la fissò con aria di sfida.
–Mi meraviglio che sia proprio tu a dirlo – osservò. – Di solito sei la più scettica del gruppo, in campo di paranormale.
–Sai che questa faccenda della Strega Suprema interessa anche me, che io lo voglia o no – rispose l’amica con fermezza. – A differenza di quei bambini, mio fratello non è mai stato ritrovato.
Jane si sentì montare la pelle d’oca.
In quel momento, aveva capito cosa voleva Susan da lei.
Qualcosa di atroce e disperato.
–Sai che me lo sono chiesto più volte anch’io, se quel ragazzo fosse proprio David? – chiese con la voce che le tremava.
L’amica le rivolse un impercettibile cenno di assenso.
–Sai dirmi com’era fatto? – chiese a voce bassissima, trepidante di speranza.
–Capelli neri, appena mossi. Pelle quasi diafana, con qualche lentiggine. Zigomi alti, lungo naso a punta e occhi castani.
A quelle parole, gli occhi celesti di Susan presero a luccicare di delusione.
Una smorfia le contrasse il volto, a metà strada tra un sorriso rassegnato e un gemito di dolore.
Aprì lentamente la borsa, prese un piccolo portamonete di velluto e vi estrasse una vecchia foto stropicciata, porgendola a Jane.
L’immagine ritraeva un sorridente bambino sui dieci anni con i corti capelli di un biondo scuro spettinati e un paio di luminosi occhi celesti, gli stessi di Peter e Susan.
–Ecco, lui è David – disse la ragazza piano, la voce incrinata in modo innaturale.
–Mi dispiace, Sue, davvero! – esclamò Jane a disagio. – Anch’io avrei voluto che fosse lui, fino alla fine.
–Per un attimo, ho sperato che ci fosse ancora una speranza, ma… – si asciugò con rabbia una lacrima che le era sfuggita in un angolo del viso. – Ѐ stata tutta colpa mia!
–No, Sue! Non voglio che dici questo! – intervenne l’amica con decisione, prendendole entrambe le mani fra le sue.
–Ma che ne sai? Che ne sapete tutti voi? – singhiozzò Susan.
–Quello che è stato non si può cancellare, d’accordo. Però ora dobbiamo andare avanti, capisci? Sia io che te. E vadano all’inferno tutti questi sogni allucinanti! Forse Hermione ha davvero ragione. Anch’io ho un terribile trauma che mi ha segnata tanti anni fa e da cui non riesco più a liberarmi.
–La Strega Suprema. Come ti è venuto in mente un nomignolo simile?
Jane estrasse dalla borsa un libro che aveva tutta l’aria di essere stato letto più e più volte.
Susan lo prese in mano titubante.
Le Streghe di Roald Dahl? Ma è un libro per Babbani! Ce n’era una copia nella mia biblioteca di classe, anche se io non l’ho mai letto. In effetti, non mi sembrava parlasse di cose tanto adatte a dei ragazzini delle elementari…
–Per forza, anche se io lo farei leggere comunque a mio figlio, per salvarsi la pelle! – replicò Jane. – Lo lessi proprio qualche giorno prima di essere rapita. Parla di una congrega internazionale di streghe che passano il tempo a rapire bambini. E il loro capo è proprio lei, la Strega Suprema. Ma non è finita. Il modo con cui agiscono è molto simile a quello usato da quella psicopatica all’epoca delle prime sparizioni. Anche lei, come succede nel libro, amava trasformare le sue vittime in animali rivoltanti come topi o insetti e li rispediva nel mondo babbano, per farli massacrare magari dagli stessi genitori! Poi, una volta compiuto il delitto, li ritrasformava e aspettava che li ripescassero la polizia o gli Auror. E anche lei usava delle pozioni nascoste in dolci avvelenati. Con Harry fu così. A quanto pareva, era a conoscenza del fatto che i nostri zii non lo facessero mangiare e quella volta mio fratello non ha proprio saputo resistere ai morsi della fame…
–Ma aspetta, Jane! Questo libro è stato scritto molti anni prima che cominciassero le sparizioni!
–Non importa! Ѐ troppo realistico, Sue, dovresti leggerlo! Io stessa non me ne separo più, da quando sono sopravvissuta alla Strega Suprema. Ascolta, io non so chi diavolo sia questa donna, ma le descrizioni si avvicinano così tanto alla realtà! Da quello che so, non agiva da sola. Aveva delle seguaci di Voldemort che l’aiutavano nei rapimenti. Insomma, questa solfa del sangue puro non è una novità fra i maghi, ne abbiamo parlato tante volte a Storia della Magia. E poi, ti rendi conto di quante leggende sulle streghe esistono fra i Babbani? Persino i più scettici si ritrovano a leggere Hansel e Gretel ai loro figli prima di andare a dormire. Non pensi sia legato a una paura reale radicata nella nostra società? C’è qualcosa che ci sfugge, Susan. E, secondo me, Roald Dahl ha conosciuto davvero queste persone. Se non era un Auror, perlomeno dava la caccia alle streghe. Forse era nell’FBI, non lo so.
–Certo che un tipo del genere ora ci farebbe veramente comodo – commentò Susan amareggiata.
–Leggi il libro. Te lo presto volentieri. A me è stato utile.
–Grazie!
Le due amiche si abbracciarono solidali.
Quando erano insieme, persino le loro ferite più profonde sembravano smettere per un attimo di bruciare.
–Ehm, Jane? – chiese a un certo punto Susan. – Posso chiederti una cosa? Come hai fatto a fuggire dalla Strega Suprema?
La ragazza scoppiò in un risata. – Fortuna – rispose scrollando le spalle con noncuranza. – Semplice fortuna.

   
    
           
 

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Capitolo 10
*** La fin troppo preziosa dispensa di Piton ***



CAPITOLO 10

La fin troppo preziosa dispensa di Piton

~

 
 
 
 
 
 
 
 
 
La superficie del lago era piatta e lucida come la lama di un coltello, riflettendo il cielo d’acciaio di febbraio, increspandosi appena sotto la spinta delle gelide folate di vento che penetravano implacabili fin sotto i vestiti.
Fa paura, con questo tempo, pensò Jane con orrore, immaginando cosa si potesse provare a tuffarsi in quelle acque di cui non era mai riuscita a scorgere il fondo.
Il Lago Nero era l’equivalente in acqua della Foresta Proibita: inaccessibile, pericoloso e popolato di mostri.
Uno di questi era la piovra gigante, che ogni tanto affiorava in superficie per distendere i suoi dodici metri di tentacoli sulla spiaggia ghiaiosa.
A quanto pareva, fortunatamente il gigantesco cefalopode non era particolarmente aggressivo, anzi, non sembrava disdegnare il solletico che alcuni imprudenti studenti degli ultimi anni provavano a fargli all’estremità dei tentacoli.
No, il problema erano tutte le altre creature misteriose che abitavano nelle sue profondità più nascoste e che raramente si rivelavano agli occhi umani: demoni acquatici, sirene, viscidi esseri ciechi con tante micidiali ventose.
In quel momento, come a voler rispondere alla sfida dei suoi pensieri, Victor Krum salì sul ponte del veliero di Durmstrang con addosso un semplice costume da bagno e si tuffò nelle acque gelide del lago, scomparendo alla vista.
Jane lanciò un grido di sorpresa.
–Per lui dovrebbe essere normale – spiegò Harry fissando il vuoto. – Dalle sue parti deve fare sempre molto freddo. Hai visto le pellicce che portavano sopra la divisa la sera in cui sono arrivati?
La ragazza annuì, stringendosi ancora di più al fratello.
Erano entrambi seduti sull’erba, uno accanto all’altra, a pochi metri dalla riva del lago.
Era stata Jane, nonostante il clima gelido e tempestoso, a costringere Harry a uscire dal castello per prendere una boccata d’aria. In quegli ultimi giorni, il ragazzo era arrivato a sfiorare l’esaurimento nervoso.
Mancavano solo due settimane alla seconda prova e non era ancora riuscito a scoprire l’indizio nascosto nell’uovo di drago.
Aveva provato ad aprirlo in tutti i modi possibili, ma non c’era stato niente da fare.
Una volta, aveva persino tentato di stregarlo, ma l’urlo agghiacciante che accompagnava ogni tentativo non era cambiato di un’ottava.
Senza contare che le cose nel mondo magico peggioravano sempre di più.
Alla fine di gennaio era scomparsa un’altra bambina e il suo corpo era stato ritrovato pochi giorni prima, in uno stato quasi irriconoscibile.
Era evidente che il misterioso rapitore aveva aumentato in maniera inaudita la sua follia omicida.
I fratelli Pevensie stavano sfiorando la paranoia: la loro paura andava tutta verso Lucy, sola a casa con la madre che, a quanto pareva, sembrava preoccuparsi di più per il nuovo fidanzato che per la figlioletta completamente inerme.
Un paio di volte, Susan era andata fino a Hogsmeade, l’unico posto in cui potesse esistere qualcosa di simile a un telefono, per chiamare a casa e farsi promettere fino alla nausea che Lucy sarebbe andata e tornata da scuola sempre in compagnia di un adulto e che non la lasciassero giocare da sola in giardino.
Nonostante le rassicurazioni della madre, i due fratelli maggiori non erano tranquilli.
Nemmeno Peter, che aveva sempre mostrato buon viso a cattivo gioco, cominciava a dare i primi segni di nervosismo: negli ultimi giorni, Jane lo aveva sorpreso almeno un paio di volte ad appallottolare una copia della Gazzetta del Profeta dopo averla letta durante la colazione.
Stava diventando sempre più cupo e silenzioso.
E non aveva tutti i torti.
–Il Ministero sta piazzando Auror in ogni dove, soprattutto nelle periferie – aveva detto una mattina con Lee Jordan, il migliore amico di Fred e George, i fratelli maggiori di Ron. – Ma io non ci credo. Lo fanno anche i Babbani, sapete, quando c’è in giro qualcuno di pericoloso che non riescono a prendere. Tutte balle, tanto per tranquillizzare la gente. E intanto quello psicopatico continua a circolare indisturbato.
–Potter! Ehi, Potter!
La voce riscosse improvvisamente i gemelli dai loro cupi pensieri.
Cedric Diggory stava scendendo a grandi passi dalla collina, dirigendosi con aria sicura verso di loro.
Aveva un sorriso stranamente soddisfatto dipinto sul bel viso diafano. Sembrava quasi un atleta greco, con il piccolo naso e la mascella quadrata.
–Potter! Ho bisogno di parlare un attimo in privato con te – disse una volta di fronte a loro.
Jane lo fulminò con lo sguardo.
Non le piaceva per niente, quel Diggory, così pieno di sé.
Senza contare che era il rivale numero uno di suo fratello.
E se fosse venuto lì per giocargli qualche brutto tiro?
–Tranquilla, te lo restituisco subito – soggiunse Cedric facendole l’occhiolino.
La ragazza non mutò di un millimetro la sua espressione glaciale.
–Va bene – rispose invece Harry, battendo una pacca di conforto sulla spalla della sorella.
Jane stette a osservare impotente i due che si arrampicavano sulla collina; poi una volta che furono scomparsi alla vista, si concentrò sul veliero di Durmstrang, una scheletrica sagoma nera che galleggiava lentamente sulle acque del lago. In quel momento, due figure comparvero sul ponte.
Le riconobbe al volo: erano Susan e Caspian.
La ragazza si lasciò sfuggire un sorriso carico di tenerezza.
Di certo, qualcosa di buono era accaduto nell’ultimo mese.
La notte di Natale, mentre lei caracollava distrutta verso la Torre di Grifondoro, Susan aveva trovato il coraggio di fare l’azione più folle che potesse venirle in mente, baciando a tradimento il povero Caspian per liberarlo dall’incantesimo di Liliandil.
Quello che non aveva calcolato era che la Veela si sarebbe inferocita a tal punto da scagliarle contro una fattura particolarmente crudele, che le aveva riempito il volto di gigantesche pustole sanguinanti.
Per fortuna, in quel momento passavano di lì Piton e Karkaroff, che erano intervenuti a rotta di collo a avevano fermato quella psicopatica prima che facesse qualche altro danno.
Quella sera c’erano state un bel po’ di punizioni da assegnare.
Liliandil aveva rischiato l’espulsione da Beauxbatons, soprattutto a causa dell’uso improprio che aveva fatto dei suoi poteri, e molto probabilmente se l’era cavata giusto per l’intercessione di qualche facoltoso parente (a quanto pareva, in Francia i Delacour facevano parte di un ceppo secondario dei duchi d’Orléans).
Caspian aveva anche lui rischiato il posto, dal momento che non solo si era fatto sorprendere tra le braccia di una studentessa, ma si era anche fatto stregare come un novellino, proprio lui, un insegnate di Arti Oscure!
Per fortuna, in difesa del giovane era intervenuto Silente, scagionandolo con l’attenuante che il suo essere uomo lo rendeva immancabilmente inerme di fronte ai poteri di una Veela particolarmente astuta.
In tutto questo, Susan, arrivata in infermeria tra le braccia di Caspian, ignorava di aver appena fatto guadagnare cinquanta punti a Corvonero per essere riuscita a sventare all’ultimo momento gli insidiosi piani dell’intrigante creatura.
Ci aveva messo un po’ a riprendersi, ma non poteva di certo dire che i quattro giorni di convalescenza con il volto bendato come una mummia fossero stati proprio spiacevoli.
Caspian passava a trovarla in ogni momento libero, preannunciando la sua visita con fiori e cioccolatini.
Evidentemente, si sentiva talmente in debito con la ragazza da non riuscire a trovare la giusta misura nel suo sdebitarsi. Senza contare che, dopo quella notte, i suoi sentimenti verso di lei erano diventati ancora più intensi, consapevole che, se non fosse stato proprio per Susan, avrebbe rischiato di perderla per sempre.
Alla fine, la ragazza si era arresa all’evidenza.
Durante le sue visite, Caspian era diventato praticamente uno del gruppo, anche se aveva una decina d’anni più di loro.
La sua compagnia piaceva a tutti e, ben presto, anche Susan aveva messo da parte i suoi pregiudizi sulle Arti Oscure e aveva dichiarato i suoi sentimenti al ragazzo, con tutte le conseguenze che avrebbero potuto portare.
E ora, i due stavano ufficialmente insieme, anche se con i dovuti accorgimenti.
Caspian, infatti, era pur sempre un professore e a Durmstrang le regole erano particolarmente rigide.
Dovevano vedersi quasi in segreto e, quando si incontravano per i corridoi, dovevano obbligatoriamente darsi del lei.
Problema che Caspian voleva risolvere a tutti i costi, anche perché alla fine dell’anno sarebbe dovuto ritornare nelle terre del nord insieme ai suoi studenti.
Era molto tentato di chiedere a Silente se potesse restare a insegnare a Hogwarts.
Susan era a dir poco raggiante per quella prospettiva.
–Eccomi di ritorno, sorella – disse in quel momento la voce di Harry.
Camminava con le mani nelle tasche e aveva uno strano sorriso dipinto in volto.
–Scoperto qualcosa di interessante? – chiese Jane sospettosa.
–Oh, più che interessante, direi! – esclamò lui facendole l’occhiolino. – So come si fa a decifrare il messaggio segreto.
–Che cosa?
–Cedric voleva sdebitarsi con me per la soffiata sui draghi. In effetti, gli ho salvato la vita.
–E allora? Cosa devi fare?
–A quanto pare, l’uovo si può aprire solo in un determinato posto del castello: il bagno dei Prefetti al quarto piano.
Ci fu un attimo di silenzio.
–Ѐ uno scherzo, vero? – esclamò Jane incredula.
–Nessuno scherzo, sorella – assicurò Harry.
–Secondo me, quel bellimbusto ti sta incastrando, fratello. La cosa mi puzza. Ѐ troppo assurda.
–Tranquilla, Jane. Cedric sarà anche uno spaccone, ma ama le buone maniere quanto me. E, di certo, mi deve un favore.
–Harry, lo vuoi capire o no che in questo Torneo non si guarda in faccia nessuno? Tutti vogliono che l’avversario perda! Il fatto che tu e Cedric apparteniate alla stessa scuola non cambia di certo le cose.
–Ah, come sei prevenuta!
–Sono solo prudente. Ѐ quello che dice sempre il tuo adorato Moody, no?
–Non cominciare con i ricatti!
–E, ammesso che Cedric non si sia inventato tutto, come pretendi di entrare nel bagno dei Prefetti senza farti beccare? Lo sai che è proibito.
–Semplice: ci andrò di notte.
–Lo sapevo. Almeno questa volta, permetterai a tua sorella di coprirti le spalle?
Harry le rivolse un largo sorriso complice. – Sotto il Mantello dell’Invisibilità c’è posto per tutti e due, cara.
Mentre rientravano verso il castello, Jane fu sicura di aver scorto Moody, nascosto dietro un macchione di alberi, che guardava spudoratamente nella loro direzione, quasi li stesse tenendo sotto controllo.
 
***
   
–Ricordati: lo faccio solo perché sei mio fratello! – sussurrò Jane mentre si infilavano nell’ennesimo corridoio buio, il debole fascio della bacchetta che danzava spettrale davanti ai loro occhi.
–Smettila! – esclamò Harry sottovoce, allungandole un pizzicotto sul fianco.
–Ahi!
–Attenta! Se cadi fuori dal Mantello dell’Invisibilità, ci prenderanno in un attimo.
 –Tu allora vedi di non farmi arrabbiare e controlla su quella mappa che non arrivi nessuno.
Harry non rispose, abbassando di nuovo gli occhi sul foglio di pergamena che reggeva con la mano libera.
Era stato davvero un dono provvidenziale, la Mappa del Malandrino.
Gli era stata regalata da Fred e George l’anno precedente, quando il ragazzo sgattaiolava di nascosto a Hogsmeade, dal momento che i Durlsey si erano rifiutati di firmargli il permesso per le gite scolastiche.
Solo dopo aveva scoperto che uno degli autori di quel gioiello era suo padre, insieme a Sirius Black, il professor Lupin e Peter Minus il traditore. Erano molto amici, a scuola.
E anche molto poco ligi alle regole.
Dei malandrini, insomma.
La Mappa del Malandrino era veramente la cosa migliore che potevi avere tra le mani, se volevi muoverti per Hogwarts senza essere scoperto.
Rappresentava ogni singolo angolo del castello, compreso il parco e i passaggi segreti, e tutti coloro che vi si trovavano dentro, contrassegnati da un cartiglio.
In questo modo, potevi sapere dove si trovano le persone che volevi spiare o evitare, in particolar modo i professori e Gazza, il custode.
–Eccoci arrivati – disse improvvisamente Harry fermandosi di fronte alla statua di un mago dall’aria allampanata. – Frescopino.
Non appena il ragazzo pronunciò la parola d’ordine, la colossale scultura si animò, scivolando pesantemente di lato, rivelando un piccola porticina socchiusa.
Harry la spinse piano.
Oltre la soglia, si intravedeva una sorta di gigantesca piscina attorniata da almeno un centinaio di rubinetti d’oro.
Un’alta pila di asciugamani era stata appoggiata in un angolo della vasca.
–Però, si tratta bene, il nostro Bambolo Diggory – commentò Jane in tono malizioso.
–Dai, piantala! Entriamo e cerchiamo di capire come funzionano questi rubinetti.
I due gemelli scivolarono silenziosamente nel bagno, liberandosi finalmente del Mantello dell’Invisibilità una volta che la porta fu chiusa alle loro spalle.
Harry fece un giro della vasca, aprendo alcuni rubinetti a casaccio.
Da ciascuno di essi prese a scaturirsi un liquido di colore diverso.
Alcuni buttavano bolle di sapone grandi come un pallone da calcio.
Altri, invece, si limitavano a far uscire acqua calda.
–Controlla che non arrivi nessuno – disse mentre si liberava degli abiti.
Jane annuì, concentrandosi sulla Mappa del Malandrino.
Va bene che era suo fratello, ma il fatto di trovarselo davanti nudo come un verme la faceva comunque sentire tremendamente in imbarazzo.
–L’uovo – disse a un certo punto Harry, una volta immerso fino al collo in una densa coltre di schiuma.
Jane glielo porse titubante.
–Se Diggory ti ha preso in giro, giuro che gli torco il collo – disse piano.
Suo fratello prese l’uovo d’oro tra le mani, poggiandolo sul bordo della vasca.
–Pronta?
–Pronta.
Con uno strappo deciso, Harry tirò un congegno sulla sommità dell’uovo, che si aprì in due con uno scatto secco.
Un istante dopo, l’urlo agghiacciante schizzò fuori dal suo interno completamente vuoto, facendo rizzare i capelli sulla testa ai poveri ragazzi.
–Richiudilo subito! – strillò Jane tappandosi le orecchie.
Con le mani tremanti, Harry riuscì a ricongiungere le due metà appena in tempo.
L’urlo cessò all’istante.
–Controlla che non abbia sentito nessuno – balbettò.
–Tutto tranquillo.
In quel momento, però, una risatina isterica li fece sobbalzare entrambi.
Seduta a un’estremità della vasca, le gambe penzoloni nell’acqua, stava il fantasma di una ragazza dai lunghi capelli neri e un paio di occhiali rotondi a cavallo del naso foruncoloso.
Jane si lasciò sfuggire un gemito.
Era Mirtilla Malcontenta, il fantasma che infestava il bagno delle femmine al secondo piano, nonché un’accanita spasimante di suo fratello.
–Ciao, Harry! – salutò infatti in tono malizioso. – Hai provato a mettere l’uovo sott’acqua?
–Eh?
–L’altro ragazzo ci ha messo tutta la notte per capire come funzionava. Erano sparite quasi tutte le bollicine…Poverino! Così ho pensato di darti una mano.
I due gemelli si lanciarono un’occhiata perplessa.
–Non è molto carino da parte tua spiare la gente che fa il bagno – le fece notare Jane.
–Ognuno ha i suoi hobby – rispose Mirtilla facendo le spallucce. – Coraggio, Harry! Mettilo sott’acqua, così potrai ascoltare l’indovinello!
–Devo proprio?
Harry era imbarazzato e confuso.
–Fallo almeno per lei, altrimenti ci tormenterà per tutta la notte – gli sussurrò Jane in un orecchio.
Il ragazzo annuì, prese l’uovo e sparì sott’acqua.
La sorella si protese oltre il bordo della piscina, cercando di scorgere qualcosa attraverso la coltre di schiuma colorata che copriva l’intera superficie. In effetti, nel punto in cui egli era sparito si stavano formando delle strane bolle, come se ci fosse qualcuno che parlasse sott’acqua.
Pochi istanti dopo, la testa di Harry tornò a galla.
–Funziona! – esclamò strizzando gli occhi. – Ѐ una specie di canzone. Dice che ci verrà sottratto qualcosa e avremo un’ora per riprenderlo. Aspetta, devo ascoltarla un’altra volta… – e sparì di nuovo sotto la superficie dell’acqua.
Il ragazzo ascoltò la canzone più e più volte, senza capire.
Jane restò perplessa sul bordo della vasca, incapace di cavare qualche informazione in più dal fratello.
Sembrava avesse deciso di imparare il testo a memoria, ma la ragazza sapeva quanto egli, così ansioso di avere sempre tutto subito, avrebbe avuto difficoltà nel compiere l’impresa.
Mentre Harry continuava a immergersi e riemergere, la ragazza prese a consultare la Mappa del Malandrino con aria annoiata.
E fu lì che notò qualcosa di veramente strano.
In quel momento, all’interno dell’ufficio di Piton, comparve una targhetta con scritto Barty Crouch.
Jane corrugò la fronte. Nelle ultime settimane, il signor Crouch si era dovuto assentare dal Torneo a causa di una grave malattia e aveva delegato tutte le sue mansioni a Percy Weasley, uno dei tanti fratelli maggiori di Ron.
Che diavolo ci faceva lì all’una di notte?
Se fosse stata una ragazza come tutte le altre, Jane si sarebbe limitata a sorprendersi delle circostanze e ci sarebbe passata sopra.
Ma lei sapeva bene che nel mondo magico non si poteva abbassare la guardia per nessun motivo, specie se c’era in giro un infiltrato deciso a mettere a repentaglio la vita di suo fratello.
Doveva indagare.
–Harry, ne hai per molto? – chiese a un certo punto, nel momento in cui il ragazzo emerse a mani vuote per l’ennesima volta. – Devo controllare una cosa. Tornerò fra poco, non ti preoccupare.
–Ma cosa hai da fare così urgentemente? Ti sembra questo il momento? – protestò il ragazzo.
–Scusami, ti spiegherò dopo. Ho notato una cosa che non mi piace.
–Mpf! Va bene. Sbrigati, però – Harry gettò un’occhiata nervosa a Mirtilla, che non aveva smesso un attimo di fluttuare sulle loro teste come un enorme palloncino perlaceo.
–Stai tranquillo, fratello. E vedi di comportarti bene, tu! – soggiunse rivolta al fantasma.
In tutta risposta, Mirtilla le fece una linguaccia spettacolare.
E fortuna che l’hanno soprannominata La Malcontenta, pensò la ragazza furibonda mentre indossava il Mantello dell’Invisibilità e spariva di nuovo nel corridoio.
Per fortuna, l’ufficio di Piton non era molto lontano da lì.
Le ci vollero cinque minuti per imboccare il lungo corridoio tappezzato di ritratti, i cui occupanti in quel momento dormivano tutti nella grossa, fermandosi davanti a una grande porta chiusa.
Alohomora – sussurrò Jane levando la bacchetta.
La serratura scattò con uno schiocco secco.
La ragazza si morse il labbro.
Il rumore avrebbe sicuramente messo in allarme il suo uomo.
Cercando di fare meno rumore possibile, Jane si intrufolò nell’ufficio, prendendo a strisciare lungo il muro.
L’interno era pieno di armadi alti fino al soffitto colmi di ampolle piene di liquidi colorati, in cui galleggiavano delle viscide creature luccicanti.
Improvvisamente, la ragazza udì un trambusto.
Aumentò il passo, scorgendo una figura ammantata nascosta dietro l’anta di una grossa credenza.
Levò la bacchetta, pronta a colpire, quando qualcosa di molto pesante la colpì in pieno petto, mozzandole il fiato in gola.
Poi tutto divenne buio.
 
***
    
Quando riaprì gli occhi, Jane si trovò a meno di venti centimetri dal lungo naso adunco di Piton.
Lanciò istintivamente un grido, scattando a sedere.
Improvvisamente, si rese conto di avere male dappertutto, come se fosse ricoperta di lividi dalla testa ai piedi, e aveva una terribile voglia di vomitare.
–Spero tu abbia una buona spiegazione per la tua presenza nel mio ufficio all’una di notte – disse il professore in tono gelido. – O, in caso contrario, ne sappia almeno qualcosa sulla scomparsa delle mie scorte.
In quel momento, Jane ricordò.
–C’era un uomo nel suo ufficio, signore – rispose. – Barty Crouch!
Piton levò un sopracciglio. – Interessante. E posso sapere come fai a esserne così sicura?
Jane si morse il labbro.
Si era rovinata con le sue stesse mani.
A quel punto sarebbe stata costretta a rivelare della Mappa del Malandrino, un manufatto sicuramente illegale.
Per non parlare del fatto che in  quel momento Harry stava sguazzando nel bagno dei Prefetti nell’ora del coprifuoco.
–Tu e tuo fratello dovete smetterla con queste vostre scorribande notturne! – continuò Piton, più livido che mai. – La vostra arroganza vi impedisce di accettare il fatto di essere come tutti gli altri. Come devo fare per farvi capire che le regole della scuola valgono anche per voi?
Nonostante stesse facendo una delle sue memorabili ramanzine, Jane non poté fare a meno di notare che nella sua voce non c’era il veleno che emergeva ogni volta che se la prendeva con Harry.
Con lei, il professore era sempre stato diverso.
La sgridava spesso, certo, ed era sempre molto più severo rispetto al resto della classe, eppure i suoi rimproveri erano associabili di più a un genitore preoccupato che a un professore.
–Mi dispiace – rispose Jane.
–Ti sembra sufficiente un “mi dispiace”? Dovrei come minimo spedirvi dal Preside, tu e tuo fratello, che sicuramente si troverà nei paraggi…
–Professore, io volevo solo aiutarla! Mi trovavo nel mio dormitorio, quando ho visto comparire il nome del signor Crouch su…una mappa di mia proprietà.
–Non ti starai riferendo per caso a quella diavoleria che l’anno scorso mi ha ricoperto di insulti, spero! Sapevo che non dovevo fidarmi della parola di Lupin, quando l’ha requisita a tuo fratello!
–In ogni caso, professore, sono venuta a controllare. E, in effetti, c’era un uomo nel suo ufficio. Poi sono svenuta.
–Su questo non posso darti torto, dal momento che ti ho trovata Schiantata proprio qui.
–Appunto per questo non posso essere stata aggredita da mio fratello, signore. Sa bene che Harry non lo farebbe mai.
Piton si morse le labbra sottili.
L’aveva messo con le spalle al muro.
–Chiunque sia stato, ha letteralmente saccheggiato la mia dispensa – mormorò stringendo le dita a pugno.
–Che cosa è sparito di preciso?
–Pelle di Girilacco e un barattolo di Formicaleone.
–Ma sono gli ingredienti per la Pozione Polisucco!
–Esatto.
–Cosa se ne fa il signor Crouch della Pozione Polisucco?
–Bella domanda. Ma sei proprio sicura che fosse il signor Crouch?
–L’ho visto con i miei occhi, signore.
Piton prese a passeggiare su e giù per l’ufficio, le braccia allacciate dietro la schiena.
–Stanno succedendo delle cose strane, davvero strane – disse a voce bassissima.
–Non lo dica a me. So che lo odia, ma io sono molto preoccupata per Harry. Qualcuno deve avere per forza messo il suo nome nel Calice di Fuoco e di certo non con intenzioni pacifiche. E poi c’è Moody. Mio fratello lo adora ma io…non riesco proprio a sopportarlo. Mi sento male ogni volta che entra in classe. E poi, ho come la sensazione che ci stia mettendo uno contro l’altra. Insomma, non sono mai andata così male a Difesa Contro le Arti Oscure in vita mia! Quell’uomo mi odia.
Piton si fermò all’istante, scrutandola con i suoi gelidi occhi neri. – Alastor Moddy l’Auror che odia proprio te? Curioso.
–Ѐ fissato con le Arti Oscure. Parla delle peggiori maledizioni come se fossero cosucce da nulla.
–Be’, quella è sempre stata una sua peculiarità. Però trovo molto strano questo suo atteggiamento nei tuoi confronti. Hai detto che con Harry è diverso?
–Semplicemente lo adora. Ѐ praticamente il suo cocco.
Entrambi si lanciarono un’occhiata carica di sorpresa.
Evidentemente il mondo stava andando a rotoli, se Jane parlava in quel modo dell’adoratissimo fratello di fronte al professore che più lo odiava.
–Ascolta, Jane, – disse Piton piano – il professor Moody è una persona molto rispettabile e Silente si fida ciecamente di lui. Tuttavia, ciò che mi hai rivelato stanotte è molto curioso. Perciò, lo terrò d’occhio. E anche tu farai bene a stare in guardia. Ho paura che stia per succedere qualcosa di grosso. Ora però farai meglio a tornare nel tuo dormitorio. Metti il Mantello e assicurati di non essere seguita. Se c’è qualcuno disposto ad aggredirti nel cuore della notte, girare per i corridoi a quest’ora non mi sembra la scelta più saggia.
–Sissignore.
–E di’ a tuo fratello di stare attento: la prossima volta che spariranno scorte dalla mia dispensa potrei far scivolare qualche goccia di Veritaserum nel suo succo di zucca mattutino!
Jane sorrise a quell’ultima frecciata, gettandosi il Mantello sulle spalle e sparendo nel corridoio.
Solo allora, quando si mise le mani in tasca, si accorse che la Mappa del Malandrino era sparita.
 
***
Carissima Lucy,
se fino a qualche mese fa ero convinta che i maghi fossero dei pazzi esaltati che definiscono uno sport divertentissimo il farsi arrostire da un drago, devo rettificare: sono dei barbari!
Ieri c’è stata la seconda prova.
Vuoi sapere che cos’era?
Durante la notte, le persone a cui i campioni tengono di più sono state prelevate dai loro letti, narcotizzate e spedite sul fondo del lago, dove sono state incatenate da un esercito di sirene e tritoni armati di lance.
Ed era proprio lì che i campioni sarebbero dovuti andare a ripescarli, il tutto con un’ora di tempo!

Jane mi ha detto che comunque Silente non avrebbe mai permesso che gli ostaggi (sì, li ha chiamati proprio ostaggi!) corressero rischi se i campioni non fossero arrivati in tempo, ma comunque, al solo pensiero di essere legata a una roccia con dei mostri squamosi che mi puntano una lancia alla gola, mi viene da star male dalla paura.
Ma poi giocare così sui sentimenti della gente!
Che bestie!

Insomma, anche questa volta Harry era nei guai.
Non conosceva nessun incantesimo che potesse aiutarlo in questa situazione e per di più non sa neanche nuotare!
Per fortuna, all’ultimo momento è intervenuto Neville, un nostro amico appassionato di Erbologia, che gli ha trovato un’alga (mi pare si chiami Algabranchia) che gli ha permesso di respirare sott’acqua.
Non so di preciso cosa gli sia successo, pare che gli siano spuntate delle branchie sul collo.
In ogni caso, è riuscito a salvare Ron (quell’egoista, sì, era proprio lui l’ostaggio!), ma non solo.
Infatti, dal momento che la francese non arrivava a salvare la sorellina, l’ha fatto lui per lei.
Per questo gli hanno dato la parità con Diggory!

Comunque sia, sono molto preoccupata per te.
Ti fai sempre accompagnare a casa dalla mamma di Charlotte, vero?
Non dirmelo per farmi contenta, lo sai che me ne accorgo subito se mi dici una bugia!
Scusami, non voglio sembrare appiccicosa, ma non voglio perderti, capisci?
Mi manchi tanto!
Non vedo l’ora che arrivino le vacanze di Pasqua per tornare da voi!

Sì, hai capito bene: io e Peter torniamo a casa per qualche giorno.
Sei contenta?

E tu come stai?
Hai manifestato qualche potere?

Non vedo l’ora di riabbracciarti, streghetta!
A presto!
Susan
P. S. se trovo ancora Charlie in giro per casa, se la vedrà con me!
 
 
   
   
      

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Capitolo 11
*** Questioni di famiglia ***



CAPITOLO 11

Questioni di famiglia
 
~
 
 
 
 
 
 
 
 
Uscire alla luce dopo mezz’ora di metropolitana ebbe per Susan un effetto straniante.
Non si trovava più nel quartiere periferico di Londra dove abitava insieme alla mamma, Peter e Lucy, dove le case erano tutte uguali, basse e con i mattoni rossi, ciascuna con il suo fazzoletto di prato circondato da siepi e staccionate dipinte di bianco.
La zona che circondava la stazione di King’s Cross era completamente diversa.
Alti palazzoni di inizio secolo costeggiavano le grandi strade trafficate e ovunque si udiva il frastuono del traffico impazzito.
La puzza di cherosene e rifiuti umani era insopportabile.
Ma a Susan non importava.
Era lì dove era andato ad abitare suo padre.
Anche dopo la separazione, lei e Philip si erano sentiti spesso.
A dire il vero, lei era l’unica della famiglia a intrattenere ancora rapporti con lui.
Si telefonavano di nascosto tutte le settimane.
Qualche volta si erano anche visti per andare a prendere un cappuccino insieme.
In fondo, Philip e Susan si assomigliavano tantissimo.
Era da lui che la ragazza aveva preso il volto ovale spruzzato di lentiggini, i folti capelli scuri, l’attitudine a essere sempre pratica e razionale in tutto ciò che le accadeva.
Era per questo che anche lei faceva fatica a sopportare sua madre, che il più delle volte preferiva arrendersi e fare la vittima piuttosto che affrontare le cose come stavano.
In fondo, Susan era l’unica a non rimproverare suo padre per averli abbandonati, non fino in fondo almeno.
Sapeva che non era facile essere costretti a convivere in quel manicomio di casa dopo la scomparsa di David, con una moglie esaurita che continuava a piangere e a urlargli contro tutte le sue frustrazioni, in aggiunta alla famiglia Scrubb, il cui astio nei confronti di lui era triplicato subito dopo la tragedia. 
Da quando però Susan si era iscritta a Hogwarts, i suoi rapporti con il padre si erano un po’ allentati.
Si erano visti giusto il sabato prima della sua partenza, in un caldo pomeriggio di fine agosto.
Lui si era detto fiero di lei, anche se nutriva qualche preoccupazione per quel mondo sconosciuto che anni prima gli aveva portato via un figlio.
Si erano abbracciati con affetto, poi il signor Pevensie aveva pagato il conto e ciascuno era tornato a casa propria.
Da quel giorno, lui e Susan si erano sentiti pochissime volte, in quei pochi fine settimana in cui la ragazza riusciva a usare l’unica cabina telefonica di Hogsmeade durante le sue gite scolastiche.
Di scrivere non se ne parlava, dato che Philip non sapeva usare la posta magica e per di più aveva paura dei volatili.
Ma, ora che Susan era rientrata a casa per le vacanze di Pasqua, doveva assolutamente parlare con suo padre.
Aveva urgentemente bisogno della sua vicinanza.
Era accaduto tutto il giorno prima, durante il pranzo a casa di zia Alberta, quando la mamma, a sorpresa, si era presentata in compagnia di Charlie.
La cosa aveva mandato la ragazza su tutte le furie.
Ma c’era di peggio: arrivati al dolce, la mamma aveva annunciato che la prima settimana di agosto lei e Charlie si sarebbero sposati.
Ciò che era seguito era stato sicuramente il quarto d’ora più brutto della vita di Susan, urla scandalizzate di zia Alberta incluse.
Innanzitutto, lei era l’unica a non sapere della faccenda.
Peter infatti era a già conoscenza che Charlie e la mamma si vedevano regolarmente tutti e giorni e che molte volte lui era rimasto a dormire a casa loro e Lucy, che era troppo piccola all’epoca del divorzio, era a dir poco in fibrillazione all’idea di avere finalmente un padre tutto per lei come i suoi compagni di scuola.
Per carità, Charlie le sembrava una brava persona, molto gentile e cordiale con tutti loro, nonché un lavoratore onesto e instancabile, tuttavia la ragazza non riusciva ad accettare un uomo diverso da Philip a fianco di sua madre, né poteva concepire il fatto che i suoi famigliari avessero potuto rimpiazzarlo così facilmente.
Furiosa, la ragazza aveva passato tutto il resto della giornata in un angolo, meditando vendetta.
Doveva vedere assolutamente suo padre, informarlo della cosa, magari chiedergli di tornare indietro.
Sapeva che era una speranza impossibile, ma doveva provarci, almeno per avere un minimo di conforto da parte sua.
Ecco perché in quel momento si stava arrampicando sugli scalini polverosi di quel vecchio palazzo, decisa a parlargli a tu per tu.
Si fermò a riprendere fiato al secondo piano, avvicinandosi alla prima porta sulla destra.
Con il cuore che le batteva forte, suonò il campanello.
Con sua enorme sorpresa, le venne ad aprire una ragazzina sugli undici anni, una zazzera bionda che le nascondeva parte del viso paffuto.
–Ehm, sto cercando Philip Pevensie – disse Susan imbarazzata. – Per caso non abita più qui?
In tutta risposta, la ragazzina le rivolse un largo sorriso. – Oh, certo che il papà abita qui! Adesso però è andato a fare delle compere con la mamma.
Papà? Mamma?
La ragazza restò di sasso.
–Vuoi che gli lascio detto qualcosa? – continuò l’altra innocentemente.
–No, no, non ce n’è bisogno. Va bene, in caso ripasso. Ciao – Susan fece per avviarsi lungo le scale, quando poi si voltò per chiedere una cosa molto, molto importante. – Da quanto tempo è che abiti qui?
–Sei mesi – rispose la bambina.
–Va bene. Ciao ancora.
Susan prese a scendere le scale, le orecchie che le ronzavano dolorosamente.
Si sentiva le gambe molli e le girava la testa, come se di colpo dovesse aprirsi dal nulla un baratro che l’avrebbe inghiottita.
Sei mesi.
Sei mesi che suo padre aveva un’altra donna e non le aveva detto niente!
Si era nascosto di fronte alla verità, proprio come era accaduto sei anni prima.
Ora sapeva perché tutti, in casa sua, odiavano Philip Pevensie.
E lei, che gli assomigliava così tanto, doveva stare molto attenta a non fare la sua stessa fine.
 
***
 
L’ultimo mercoledì di maggio, tutti i campioni vennero convocati nel campo da Quiddich per le nove di sera per conoscere quella che sarebbe stata la loro terza e ultima prova, che si sarebbe tenuta il 24 di giugno.
Dopo cena, Harry e Cedric salutarono tutti e si addentrarono nel parco, seguiti da Jane e Susan.
Fleur era già arrivata da qualche minuto, scortata da Madame Maxime, che teneva le grosse mani inanellate sulle sue spalle esili.
Non appena vide arrivare Harry, la ragazza gli rivolse un largo sorriso di gratitudine: in fondo, aveva salvato la vita di sua sorella durante la seconda prova. Susan, invece, le passò davanti con aria di sufficienza.
Per fortuna, non c’era traccia di Liliandil nelle vicinanze: a quanto pareva, dopo il Ballo del Ceppo le due cugine avevano litigato di brutto, poiché la Veela, ancora furiosa per non essere riuscita a conquistare Caspian, era riuscita a soffiarle via Roger Davies.  
–Mio Dio, che cosa è successo? – esclamò in quel momento Cedric.
Anche Harry si stava guardando intorno preoccupato.
L’intero campo da Quiddich era stato infatti sommerso da delle siepi talmente alte da ostruire la vista dei tre anelli che fungevano da porta.
–Niente paura, ragazzi: una volta finito tutto, riavrete il vostro campo da Quiddich com’era prima – disse una voce alle loro spalle. 
In quel momento, Silente apparve dietro di loro, seguito a ruota da Percy Weasley e da Hagrid, che aveva un’aria carica di soddisfazione.
Jane lo sorprese mentre lui e Madame Maxime incrociavano i loro sguardi, ma la sua attenzione fu catturata di nuovo da Silente.
–Dunque, ragazzi, finalmente saprete che cosa vi riserverà la prossima prova. Ma, prima di cominciare, dov’è il signor Krum?
–Eccomi, signore – in quel momento, Krum fece ingresso nel campo con la sua solita andatura ingobbita, seguito da Karkaroff e da Caspian.
Questi rivolse subito un’occhiata in direzione di Susan, alla quale lei rispose con uno sguardo raggiante.
Sapeva che quella sera si sarebbero visti.
–Perfetto, ora possiamo incominciare – proseguì Silente battendo le mani. – Vedete queste siepi? Fra pochi giorni saranno talmente alte da superare i venti metri d’altezza. Suppongo che abbiate intuito di che cosa si tratti, vero?
–Labirinto – rispose Fleur con noncuranza.
–Esattamente, signorina Delacour. So perfettamente che non sarà mai vasto e intricato come quello conservato all’interno del castello di Beauxbatons, ma non vi aspettate che sia meno insidioso. Al suo interno, infatti, il nostro guardiacaccia Hagrid collocherà alcune creature magiche che dovrete superare. Una prova che richiederà molto coraggio e sangue freddo, direi! Bene, l’appuntamento è il 24 giugno alle ventuno proprio qui davanti. Le partenze saranno in ordine di classifica, perciò il signor Diggory e il signor Potter avranno la precedenza. Seguirà il signor Krum e infine la signorina Delacour. Se qualcuno di voi si troverà in difficoltà e vorrà ritirarsi, dovrà sparare delle scintille rosse. Noi professori saremo di guardia attorno al perimetro e saremo pronti a giungere in vostro soccorso. Il vincitore sarà colui che toccherà per primo la Coppa Tremaghi, posta al centro del labirinto. Ci sono domande?
I campioni si guardarono attorno perplessi.
Nessuno sembrava voler dire qualcosa.
–Bene, allora potete tornare nei vostri rispettivi alloggi. Vi auguro una buona serata! – si congedò Silente.
I presenti salutarono, poi ciascuno di avviò per la propria strada.
Una volta fuori dal campo da Quiddich, Caspian mormorò qualcosa nell’orecchio di Karkaroff, poi restò indietro, all’ombra dei primi alberi della Foresta Proibita.
Susan lo raggiunse in un lampo, gettandosi tra le sue braccia.
Si ritrassero nell’ombra, stringendosi in quei preziosissimi istanti di intimità lontano da un mondo pronto ad additarli e giudicarli.
–Sono proprio carini insieme – commentò Jane sorridendo mentre lei e Harry tiravano dritto verso il castello, fingendo di non aver visto nulla.
–Sarebbe davvero bello se Caspian riuscisse a restare in Inghilterra. Chissà, magari Silente riuscirebbe a farlo diventare l’assistente di Moody o cose del genere – disse Harry.
–O magari licenziasse Moody e prendesse Caspian al posto suo – soggiunse la sorella in tono speranzoso.
–Ah, santo Moody! In questo mese avrò davvero bisogno di lui per affrontare la terza prova.
–Certo, senza di lui saresti perduto, giusto? Come se per te le creature fantastiche fossero una novità. Mi sa che allora non ero con te quando in primo anno abbiamo dovuto fare i conti con tutte quelle prove per arrivare alla Pietra Filosofale. O quando abbiamo affrontato il Basilisco. O quando ci siamo trovati a domare un Ippogrifo.
–Jane, te lo vuoi mettere in testa che quella è stata solo fortuna? Eravamo poco più che dei bambini, non sapevamo nulla su come ci si comporta con esseri del genere. Abbiamo affidato tutto al nostro istinto di sopravvivenza, tutto qui. Ora invece ho l’opportunità di essere seguito da un vero Auror, uno che ha affrontato questi mostri per tutta la vita. Lui può insegnarmi a difendermi come si deve. A vincere.
–E da quando vuoi vincere, scusa?
–Be’, visto che sono in netto vantaggio…
Jane incrociò le braccia con stizza.
–Ѐ stato Moody a metterti in testa tutte queste sciocchezze, non è vero? – chiese severa.
In tutta risposta, Harry abbassò lo sguardo a terra, prendendo a spostare ciuffi d’erba con la punta delle scarpe da tennis.
Era questo il suo modo di ammettere qualcosa che non voleva.
–Lo sapevo – sussurrò l’altra a denti stretti.
–Jane, lo capisci che senza Moody non ce l’avrei mai fatta ad arrivare fin qui? In tutto questo tempo mi è sempre stato vicino.
–Certo, e tua sorella e i tuoi amici dove li metti, scusa? Come avresti fatto se Hagrid non ti avesse detto di venire nella Foresta Proibita a vedere i draghi? Come pensavi di affrontare la seconda prova senza i consigli di Cedric e l’Algabranchia di Neville, eh? Solo perché quel vecchio pazzo ti riempie di lusinghe pensi di poterlo chiamare qualcuno su cui contare a prescindere, razza di ingrato?
–Cara sorella, penso che te la sei presa un po’ troppo per il fatto che tu sia l’unica del nostro gruppo a cui Moody non abbia raccomandato la carriera da Auror.
A quella frecciata velenosissima, Jane si voltò di scatto verso il fratello, facendo per scagliargli contro una delle sue piazzate più memorabili, quando improvvisamente un rumore di passi le fece levare lo sguardo.
Susan stava correndo verso di loro, la bacchetta levata.
Quel particolare mise subito la ragazza in allarme: sapeva quanto l’amica trovasse ancora poco istintivo usare la bacchetta al di fuori dalle lezioni.
–Che cosa è successo? – esclamò correndole incontro.
–Dovete venire a vedere subito! – rispose lei con il fiato corto. – C’è bisogno di rinforzi. Caspian lo sta tenendo d’occhio, ma non so per quanto potrà resistere da solo. Sembra grave.
–Facci strada – disse Harry sfoderando la sua bacchetta.
Jane fece altrettanto.
In pochi secondi, tre fasci di luce pallida presero a danzare nell’oscurità della Foresta Proibita, mentre i ragazzi vi si addentravano a passo spedito.
–Mi ero…ehm…appartata per qualche attimo con Caspian, quando di colpo ci siamo trovati di fronte al signor Crouch.
–Cosa? Ma non era malato da mesi? – chiese Harry sbalordito.
–In effetti, sta malissimo – rispose Susan senza fermarsi. – L’abbiamo trovato che delirava. Era come se stesse parlando con qualcuno che non potevamo vedere. Poi, improvvisamente, si è girato verso di noi e ci ha pregato di portarlo da Silente. Faceva spavento. Caspian mi ha mandata a cercare aiuto. Non sapevamo come fare altrimenti.
Dopo pochi minuti, raggiunsero una radura circondata da altissimi abeti.
La sagoma scura di Caspian si ergeva a pochi metri da un tronco caduto.
La luce della bacchetta rendeva spettrali i tratti misteriosi del suo volto quasi androgino.
Ai suoi piedi, un mucchio di stracci gemeva e si contorceva.
Non appena furono più vicini, Jane si rese conto che il mucchio di stracci in realtà era il signor Crouch.
Non avrebbe mai creduto che quello fosse lo stesso uomo che aveva visto all’inizio dell’anno.
Non c’era più traccia dell’aspetto compassato e curato del Bartemius Crouch che conosceva.
Al suo posto c’era un vecchio dalla barba lunga e gli abiti laceri, che si agitava sul terreno polveroso come una bestia ferita, gli occhi sgranati dal terrore, un filo di bava che gli colava dalla bocca.
 –Silente – gorgogliò nel momento in cui i ragazzi circondarono Caspian. – Devo parlare con Silente – poi rovesciò gli occhi all’indietro, prendendo a contorcersi con più foga, emettendo dei versi animaleschi.
–Fino a pochi minuti fa era convinto di essere in ufficio – spiegò Caspian senza cessare di tenerlo sotto tiro con la bacchetta. – Dava ordini e disposizioni come se niente fosse. Poi, improvvisamente, è ritornata la crisi. Sembra quasi che stia fuggendo da qualcuno.
–Non mi piace – intervenne Jane. – Bisogna portarlo da Silente!
–Le sue condizioni sono troppo gravi per muoverlo e io non sono un Guaritore – la interruppe il giovane. – Dovete far venire qui il vostro Preside e subito.
–D’accordo – assicurò Harry.
–Io resto qui, in caso ci fosse bisogno di aiuto – disse Susan mettendosi accanto a Caspian.
I due gemelli si scambiarono un’occhiata carica di sottintesi.
–Va bene, ma fate attenzione – assentì Jane sorridendo; poi lei e Harry presero a trottare alla volta del castello.
–Cosa credi che gli sia successo? – chiese il ragazzo una volta lontani.
–Non lo so. In ogni caso, questa storia della malattia non mi convince. Allora perché si aggirava per l’ufficio di Piton nel cuore della notte, lo scorso febbraio? – rispose Jane.
–Ma non hai visto in che condizioni versava?
–Stasera sì, ma prima? Non lo so, non mi sembrava in pieno possesso delle sue facoltà mentali. E se qualcuno lo stesse usando?
–In che senso usando?
–Avanti, Harry, usa il cervello! Con una maledizione o una possessione. Il che significa che potrebbe essere anche stato lui a mettere il tuo nome nel Calice.
 –Cosa? Avanti Jane! E, ammesso che sia stato stregato, bisogna trovare il fautore di tutto ciò.
 –Prima arriviamo nell’ufficio di Silente, meglio è! Corri!
 Attraversarono la Sala d’Ingresso, si arrampicarono su per lunghe scalinate e giunsero infine al secondo piano, di fronte a un grande gargoyle che sorvegliava un passaggio apparentemente cieco.
–Qual era la parola d’ordine? – chiese Jane.
–Non lo so. Una volta era Sorbetto al Limone, ma l’avrà certamente cambiata – rispose Harry.
In effetti, il gargoyle non si era mosso di un millimetro.
–Avanti, proviamole tutte! – incalzò l’altra. – A Silente piace mangiare, no? Perfetto, allora, se si escludono le Gelatine Tuttigusti +1, non ci resta che scatenare la nostra immaginazione.
Così, consapevoli di avere entrambi un’aria molto stupida, i due ragazzi rovesciarono sul gargoyle la loro intera conoscenza in campo di gastronomia magica: provarono con Api Frizzole, Cioccorane, Burrobirra, Bolle Bollenti, ma niente, nessuna sembrava essere la parola giusta.
Alla fine, Harry provò con un debole: – Scarafaggi al Grappolo.
Con loro enorme sorpresa, il gargoyle balzò di lato, rivelando una scala nascosta.
–Però, che gusti! – esclamò Jane mentre si arrampicava su per il passaggio.
Arrivarono in cima, trovandosi di fronte a una porta sprangata.
Harry levò il braccio per bussare, quando i cardini cigolarono da soli, rivelando l’ultima persona che in quel momento sua sorella avrebbe voluto trovarsi di fronte: Malocchio Moody.
–C’è Barty Crouch nella Foresta Proibita che chiede di parlare urgentemente con lei, signor Preside! – esclamò Jane prendendo a sbracciarsi oltre la tozza figura del professore, intravedendo la punta del cappello di Silente al di là della sua spalla.
–Signorina Potter, questa conversazione è riservata. Torna più tardi – la redarguì Moody.
L’espressione severa che gli stirava il volto lo rendeva se possibile ancora più brutto.
–Non c’è problema, Alastor – disse in quel momento la voce di Silente. – Io e Cornelius abbiamo appena finito.
Il Preside si accostò ai due ragazzi, costringendo Moody a farsi da parte.
Accanto a lui c’era un uomo alto dai corti capelli grigi e un lungo mantello di velluto verde: era Cornelius Caramell, il Ministro della Magia.
–Buonasera, cari ragazzi – li salutò cordiale, stringendo loro le mani; poi, una volta infilatosi in testa una tozza bombetta nera, sparì per le scale fischiettando.
–Allora, ditemi tutto – disse Silente.
–Signore, abbiamo visto Bartemius Crouch nella Foresta Proibita. Il professor Von Telmar lo sta tenendo sotto controllo, ma non so per quanto potrà resistere. Sembra molto malato e continua a ripetere che deve parlare con lei – raccontò Harry.
–A che altezza si trovano?
–Terzo macchione di alberi verso la nave di Durmstrang. Sono in una radura non molto grande.
–Perfetto, allora non c’è un minuto da perdere. Alastor, tu vieni con me. Ragazzi, sarà meglio che mi aspettiate qui. Penso che questo sia il rifugio più sicuro per voi.
–Va bene.
Harry e Jane restarono in silenzio mentre Silente e Moody sparivano oltre la porta.
Una parte di loro avrebbe tanto voluto raggiungerli nel parco, ma sapevano che quando il Preside dava loro degli ordini, la cosa migliore da fare era obbedire.
Passarono i minuti.
Il cielo fuori dalla finestra si faceva sempre più scuro e presto cominciarono a spuntare le prime stelle.
Harry passeggiava nervosamente per il grande ufficio circolare, fermandosi di tanto in tanto per accarezzare il dorso cremisi di Fanny, la Fenice di Silente, mentre Jane si soffermava a studiare gli strani congegni d’argento che ronzavano negli armadi.
–Ehi, Harry! Vieni un po’ a vedere! – esclamò a un certo punto la ragazza indicando un grosso bacile di pietra pieno di un denso liquido argenteo. – Siamo noi!
Il ragazzo si avvicinò a sua sorella. In effetti, aveva ragione.
All’interno del bacile erano comparsi due bambini pressoché identici, con la stessa zazzera scura, gli occhiali a cavallo del naso e i grandi occhi verdi.
Erano in fila insieme ad altri loro coetanei dall’aria nervosa.
    –Era il nostro primo giorno di scuola, ricordi? Poco prima che il Cappello Parlante ci assegnasse a Grifondoro – disse lui con il cuore che gli batteva forte per l’emozione.
–Bleah, ero orribile con gli occhiali! – esclamò Jane facendo la linguaccia. – E guarda com’ero cicciottella!
–Aspetta, fammi un po’ di spazio: non ci vedo, attraverso i tuoi capelli!
Senza volerlo, Harry assestò alla sorella uno spintone così forte, che lei perse l’equilibrio, immergendo una mano nel liquido, che schizzò ovunque.
In un attimo, il fondo del bacile si trasformò in un vortice multicolore, che prese ad allargarsi sempre di più, fino a tracimare dal suo contenitore di pietra e a inghiottire i due gemelli.
Jane cercò di urlare mentre un vento impetuoso le staccava i piedi da terra, facendola precipitare nel gorgo.
Tentò di afferrare la mano di Harry, senza riuscirci.
Entrambi presero a vorticare a tutta velocità, la vista accecata dalla luce sfavillante del vortice, simile a fuoco liquido, fino quando non si ritrovarono seduti sulla fila più alta di panche attorno a uno strano e cupo anfiteatro.
Era una stanza sotterranea, ma sicuramente non erano a Hogwarts: lo sfavillio di marmi verdi e gialli e gli strani simboli lungo le pareti erano di quanto più lontano potesse esserci dalla loro scuola.
Attorno a loro, maghi e streghe vestiti di nero parlottavano sommessamente, indicando di tanto in tanto un gruppo di sedie poste al centro della sala, dai cui braccioli pendevano delle sinistre catene luccicanti.
–Ehi, guarda! C’è Silente! – esclamò Harry accennando a qualcuno oltre la spalla di Jane.
La ragazza si voltò e sobbalzò per la sorpresa nel momento in cui si trovò davanti una versione più giovane del Preside, senza cappello e con i capelli leggermente più grigi.
–Professore… – provò a chiamarlo, ma questi, nonostante le fosse seduto accanto, sembrò non sentirla neppure.
–Ho capito di che cosa si tratta – disse Harry a quel punto. – Siamo in un ricordo.
–Un ricordo?
–Mi è già capitata una cosa simile, quando sono caduto nel diario di Tom Riddle. Io potevo solo assistere a quello che succedeva. Nessuno poteva percepire la mia presenza.
–Sarà, ma io spero solo che ci sia un modo per tornare indietro. Non mi piace questa cosa.
In quel momento, nella sala calò il silenzio.
Jane scrutò i volti che la circondavano.
A poche teste da loro c’era Malocchio Moody, decisamente più giovane, con qualche cicatrice di meno e il naso ancora intatto.
Su una tribuna in fondo alla sala, invece, si ergeva Barty Crouch.
Aveva ancora i capelli neri, ma i tic che gli segnavano il volto sembravano triplicati rispetto al solito.
In cuor suo, la ragazza sentiva che quell’uomo era sempre stato malato.
Al suo fianco, una donna singhiozzava sommessamente.
–Fateli entrare – disse in tono gelido.
Jane avvertì Harry irrigidirsi al suo fianco.
Quattro Mangiamorte erano appena entrati nella sala, sorretti da otto Dissennatori, le mani putride che scivolavano fuori dai mantelli laceri per conficcarsi nella carne dei prigionieri.
I loro volti erano esanimi e carichi di disperazione.
Tra loro c’era un ragazzo che non dimostrava più di vent’anni, il volto pallido seminascosto da un ciuffo di capelli scuri.
Sembrava sull’orlo di una crisi di nervi.
Nel momento in cui i Dissennatori lo costrinsero a sedersi sullo scranno, le catene presero improvvisamente vita, avvolgendosi strette attorno alle sue braccia come serpenti d’acciaio.
Fu allora che il ragazzo levò improvvisamente lo sguardo, fissando Barty Crouch con aria di sfida. Dalla sua bocca proruppe una fragorosa risata, folle, senza gioia, alimentata da una furia repressa.
Al suo fianco, una donna di una bellezza sconvolgente gli rivolse un rapido sorriso di complicità, stirando le labbra vermiglie.
Fu allora che Jane sussultò per la sorpresa e il terrore.
–Cavolo, Harry, è lei! – esclamò afferrando il fratello per un braccio.
–Lei chi?
–Oh, fatti vedere da un bravo oculista, una volta per tutte! Quella donna laggiù, sul primo scranno a sinistra. Ѐ la Strega Suprema!
–Ma no! Forse le somiglia un pochino, ma non credo sia lei.
–Dici?
In effetti, Harry non aveva tutti i torti.
La donna aveva la stessa carnagione diafana e lo sguardo folle della Strega Suprema, ma le mancava totalmente la grazia di quest’ultima.
I capelli neri erano lunghi e arruffati, era leggermente più piena e lo sguardo folle non lasciava trasparire un male radicato in anni e anni di magia oscura, ma dava l’idea di una gioia perversa, mescolata a un fanatismo senza limiti.
–Dopo lunghe e accurate consultazioni, – disse Crouch freddamente – il Wizengamot vi ritiene colpevoli del sequestro degli Auror Frank e Alice Paciock e di aver usato la Maledizione Cruciatus contro di loro per estorcere informazioni riguardo a Voi-Sapete-Chi. Per questo vi condanniamo alla reclusione a vita nella prigione di Azkaban.
I cinque accettarono la pena senza fiatare, gli occhi dilatati dal fanatismo, tranne il ragazzo, che, non appena si sentì di nuovo addosso le mani dei Dissennatori, si liberò dalla loro presa con una forza del tutto inaspettata in un corpo così gracile, schizzando in avanti e avventandosi contro Crouch.
–Allora, adesso sei fiero di tuo figlio? – urlò tentando di arrampicarsi sulla tribuna.
–Portateli via! Ordine! Silenzio! – si limitò a dire questi in tono glaciale, senza degnarlo di uno sguardo.
Al suo fianco, la piccola donna cadde svenuta.
Due Dissennatori furono in un lampo sul ragazzo, agguantandolo per le braccia e trascinandolo via.
In un attimo, il suo sguardo si fece più opaco, ma ciò non gli impedì di impiegare le ultime forze rimaste per esplodere in un’altra folle risata.
L’ultima a uscire fu la donna dai capelli scuri, che levò uno sguardo altero sul tribunale e gridò: – Il Signore Oscuro tornerà e ci ricompenserà per ciò che abbiamo fatto per lui! – prima di essere trascinata fuori dalla sala tra le urla e i fischi della folla inferocita.
Un attimo dopo, i gemelli Potter si ritrovarono di nuovo nell’ufficio di Silente, pallidi e tremanti.
Il Preside era a pochi passi da loro, fissandoli con aria severa.
–Ѐ stato tutto un brutto sogno, vero? – balbettò Jane, ancora sotto shock.
–Ѐ bene essere curiosi, ma anche la curiosità ha i suoi limiti – disse Silente serio in volto.
–Che cos’era? – chiese Harry.
–Un Pensatoio. Ѐ molto utile, specie se hai una mente molto affollata. Serve per riporvi i pensieri in eccesso, per poterli rivedere in un secondo momento – il mago si posò la bacchetta sulla tempia.
Quando la rialzò, un lungo filamento argenteo rimase incastrato nella punta.
Silente lo lasciò cadere nel bacile.
Immagini indistinte presero ad affollarsi sulla sua superficie.
–Cosa avete visto? – chiese.
–Sembrava un processo – rispose Harry. – Stavano condannando…possibile fosse il figlio del signor Crouch?
–Barty Crouch junior. Proprio lui – rispose Silente.
Improvvisamente, si era fatto pensoso.
–Fu lui a torturare fino alla follia i coniugi Paciock, insieme a un gruppo di Mangiamorte nostalgici.
–I Paciock? Vuole dire i genitori di Neville?
–Esattamente, Harry. Ma te ne sarei grato se non ne parlassi con altre persone. Ѐ una questione molto personale e dovrà essere Neville a decidere se confidarvela.
Jane abbassò il capo.
Era stato proprio Neville a svelarle il segreto dei suoi genitori e lei aveva mantenuto la parola data.
Ma, ora che aveva toccato con mano quanto era accaduto, il suo orrore verso quegli spietati torturatori e la vita a cui era stato condannato l’amico era a dir poco triplicato.
–Che ne è stato del figlio di Crouch? – chiese Harry.
–Fu portato ad Azkaban e vi morì poco tempo dopo, seguito dalla madre – rispose Silente.
–E la donna? La donna che era con loro, intendo – intervenne Jane.
–Il suo nome è Bellatrix Lestrange, forse una delle serve più devote a Voldemort. Ѐ ancora ad Azkaban. Tra lei e la sorella Alhena, non si sa chi abbia fatto più vittime durante il suo impero di terrore.
–La Lestrange ha una sorella, signore?
–Tre, per l’esattezza. La maggiore, Alhena, non si è mai sposata ed è stata forse la persona più vicina in assoluto a Voldemort. Dopo la sua caduta, è scomparsa nel nulla e nessuno ne ha più saputo niente. Alcune voci dicono sia andata a cercare ciò che resta di lui in Albania. La seconda, Bellatrix, è la donna che hai visto nel Pensatoio. La terza, Andromeda, ha tradito le sorelle, sposando un Babbano e vivendo in clandestinità. La quarta, Narcissa, è la madre di Draco Malfoy. Tutte discendono da una delle più antiche famiglie purosangue d’Inghilterra: i Black.
–Che cosa? Vuol dire che sono imparentate con Sirius? – chiese Harry sconvolto.
–Sì. Sono cugini di primo grado.
–Ah, che bella famiglia!
–E il signor Crouch? Ѐ riuscito a parlargli? – intervenne a quel punto Jane.
Gli occhi di Silente si fecero improvvisamente freddi.
–No, purtroppo – rispose. – Al mio arrivo, io e Moody abbiamo trovato la signorina Pevensie priva di sensi e il professor Von Telmar ferito pochi metri più in là. Qualcuno li ha aggrediti e, nel momento in cui sono sopraggiunti i soccorsi, il signor Crouch era sparito nel nulla.
–Come sarebbe a dire sono stati aggrediti?
–Stai tranquilla, Jane. In questo momento, si trovano entrambi in infermeria, ma le loro condizioni non sono gravi. Potete andarli a trovare anche adesso, se volete. Madama Chips si sta prendendo cura di loro.
–Sì, sì, andiamo subito!
–Buonanotte, allora. E state attenti.
–Grazie, professore. Anche a lei!
Dopo essersi congedati, i due gemelli si precipitarono a rotta di collo verso l’infermeria, che si trovava in un’ariosa ala del quarto piano piena di finestre che davano sul lago.
Una volta lì, trovarono Madama Chips, una strega alta e flessuosa con un lungo velo bianco che le celava i capelli grigi, china sul letto di Caspian, intenta a ultimare la fasciatura che aveva sul capo.
Seduta su una sedia accanto a lui, Susan stava sorseggiando febbrilmente una bevanda fumante da un’enorme tazza di ceramica, un braccio di Peter che le cingeva le spalle con fare protettivo.
Non appena vide l’amica, Jane si fiondò tra le sue braccia, baciandole i lunghi capelli neri e accarezzandole la schiena.
–Oh, Jane! – esclamò l’altra, scoppiando in un pianto a dirotto.
–Che cosa è successo? – chiese Harry rivolto a Caspian.
Il ragazzo trasse un lungo sospiro e prese a raccontare: – Non vi eravate allontanati che da pochi minuti, quando qualcosa ci ha presi alle spalle. Susan è caduta a terra priva di sensi al primo colpo. Io ho cercato in tutti i modi di rispondere all’attacco, ma l’aggressore tirava a distanza ed era protetto dagli alberi. Non sono riuscito a vederlo. Non penso sia stato solo per l’oscurità. Credo che avesse trovato qualche stratagemma per rendersi invisibile. Era come se cercasse di allontanarmi il più possibile dal signor Crouch. Poi, improvvisamente, sono stato attaccato lateralmente. Una maledizione mi ha preso un fianco di striscio. Sono caduto a terra, ma nel mentre sono riuscito ad afferrare qualcosa tra le mani. Aveva come la consistenza di un mantello. Ho provato a stringere la presa, ma un attimo dopo ho avvertito un dolore atroce alla tempia e un attimo dopo ho perso i sensi. Mi sono risvegliato qui, insieme a Susan. Silente mi ha detto che al suo arrivo non c’era più traccia del signor Crouch.
–Dannazione, dovevamo restare! – esclamò Harry furibondo.
–Non pensavo di avere a che fare con un aggressore così preparato, non lì. Ammesso che sia una persona sola, poi.
–Sicuramente avrà sfruttato il fattore invisibilità per potersi avvicinare senza essere visto – osservò Jane.
–Ѐ quello che penso anch’io. In ogni caso, quest’uomo dev’essere per forza nei paraggi. Ho detto a Silente di mandare qualcuno a perlustrare e comunque mi ha assicurato che, finché questo individuo non verrà catturato, il parco resterà zona di coprifuoco. Io stesso mi occuperò di informare Karkaroff e Madame Maxime di tenere i propri studenti sotto scorta quando vengono su al castello.
–Non penso che questo aggressore voglia far del male agli studenti a caso – osservò Jane. – Lui vuole Harry.
–Cosa intendi dire con questo?
–Ascolta, non so se con Susan ne avete mai parlato, ma mio fratello non ha mai messo volontariamente il suo nome nel Calice di Fuoco. C’è tanta gente in giro che lo vuole morto. Tanti fanatici che ancora sperano nel ritorno di Voldemort. Questa persona è sicuramente dentro le mura del castello e lavora per il Torneo Tremaghi o almeno controlla qualcuno che se ne occupa. Altrimenti sarebbe stato impensabile per lui attuare i suoi piani, mi spiego?
–Mi stai facendo venire in mente un dettaglio importante. Mentre ero solo, ho esaminato Barty Crouch e ho riscontrato gli effetti di un uso prolungato della Maledizione Imperius. Sapete, se utilizzata troppo a lungo, può causare una grave forma di demenza nella vittima.
–Aha, lo sapevo! – esclamò Jane in tono di trionfo. – Quindi abbiamo una pista: è probabile che Crouch abbia messo il nome di Harry nel Calice di Fuoco. La domanda ora è: chi lo ha stregato?
–Forse qualcuno esterno al castello. Magari si rifugia a Hogsmeade – ipotizzò Harry.
–Mmm, non lo so. Sapete, per un uso efficace della Maledizione Imperius, un mago deve stare il più vicino possibile alla propria vittima, in modo tale da poterla controllare meglio. E, specie in una missione così delicata, è molto più probabile che il nostro uomo si trovi all’interno del castello – smentì Caspian.
Accanto a Jane, Susan era diventata più pallida di un lenzuolo.
Era incredibile come il suo ragazzo riuscisse a mettere i brividi quando parlava di Arti Oscure.
Tutta la luce che illuminava i suoi grandi occhi neri svaniva di colpo.
–Io potrei avanzare un’ipotesi: Igor Karkaroff – disse la ragazza con decisione. – So per certo che è stato un Mangiamorte in passato, ma, messo alle strette dal Ministero, ha fatto dei nomi, così che si è assicurato la libertà.
A quell’accusa, gli occhi di Caspian si fecero più neri che mai.
–Non parlare in questo modo di Igor Karkaroff – disse in tono minaccioso. – Ѐ stato un Mangiamorte, è vero, ma quella vita ormai appartiene al passato. Karkaroff è una brava persona, con tanti difetti, d’accordo, ma è una brava persona. Ѐ stato lui il solo ad accogliermi a Durmstrang quando mio zio ha bandito la magia e mi ha sollevato contro la mia gente. Avevo diciassette anni e da principe ereditario quale ero mi sono ritrovato un nessuno, braccato in ogni dove come una bestia feroce. Lui mi ha dato una casa e un lavoro. E, inoltre, è un fermo sostenitore di Silente.
–Ma tu non pensi che lo faccia solo per interesse? Che non possa cambiare di colpo bandiera, se i Mangiamorte volessero richiamarlo a loro in un momento favorevole? – chiese Harry dubbioso.
–Un Mangiamorte è marchiato nel corpo, ma non nello spirito. Anche Piton, il vostro professore di pozioni, era un Mangiamorte. Qualche tempo prima di Karkaroff, quando Voldemort era ancora potente, ha deciso di cambiare vita e ha passato a Silente delle informazioni preziosissime, a suo rischio e pericolo. Questo per me li rende entrambi magnanimi. Hanno messo a repentaglio le loro vite per un bene più grande.
Harry gli rivolse un’occhiata dubbiosa. Jane e Susan restarono in silenzio, mentre Peter si massaggiava le tempie, seduto in un angolo.
–Quindi non pensi che siano stati loro? – chiese questi dubbioso.
–No, non credo. Sono certo che, se Silente si fida di loro, una ragione ci sarà. Ѐ un grande mago, Silente. E poi, in questa storia ci sono molte cose che non mi tornano. Innanzitutto, se il nostro uomo è intenzionato a uccidere Harry, perché non l’ha ancora fatto? Insomma, le prime due prove erano cariche di pericoli: draghi e creature marine pronte a trascinarti negli abissi. Sarebbe stato veramente facile commettere il delitto indisturbato per poi farlo passare per un incidente.
–Forse sta aspettando il momento giusto per colpire – osservò Jane.
–La terza prova – sentenziò Harry in tono funereo.
–Giusto, la terza prova. Harry è in vantaggio, no?
–Insieme a Cedric.
Caspian si grattò il mento, pensoso. – Mmm, non lo so, Harry, ma se quel tizio è intenzionato a farti fuori, quella del 24 giugno sarà la sua unica, grande possibilità. E, visto quello che ha combinato stasera, sappiamo bene che ha delle potenzialità da non sottovalutare.
–Se solo fossimo riusciti a interrogare il signor Crouch! – esclamò Jane furibonda.
–Non vorrei essere brutale, ma temo che non potremo contare più di tanto sul signor Crouch – intervenne Caspian. – Lui aveva la verità ed era proprio lui che il nostro uomo cercava questa sera. Ecco perché è uscito allo scoperto solo dopo che Harry si è allontanato.
–Vuoi dire che…
Il ragazzo annuì piano.
–Mi dispiace – sussurrò.
Un’atmosfera di gelo calò all’improvviso sull’infermeria.
Se il signor Crouch era morto, allora erano davvero nei guai. Stavano combattendo alla cieca contro un nemico spietato pronto a uccidere chiunque si sarebbe frapposto fra lui e i suoi scopi.
 –Sicuramente è un grandissimo mago oscuro, su questo non c’è dubbio – proseguì Caspian. – Per questo, da ora in avanti dobbiamo tenere tutti gli occhi aperti. Anche perché lui saprà sicuramente chi siamo e vorrà metterci a tacere.
Susan si lasciò sfuggire un gemito.
–Stai tranquilla, Sue – la consolò Jane mettendole un braccio attorno al collo. – Purtroppo è un rischio che si corre a essere amici dei gemelli Potter.
–Io volevo chiedere solo una cosa. Ѐ possibile che questi avvenimenti siano collegati con le sparizioni che stanno avvenendo nel mondo babbano? – chiese lei con la voce che tremava.
–Forse. Ma è ancora troppo presto per giungere a delle conclusioni. Il vostro Ministero sta seguendo due piste diverse, che io sappia – rispose Caspian.
–Aspetta, aspetta! – esclamò Jane. – Stasera io e Harry abbiamo trovato una cosa molto interessante nell’ufficio di Silente. Finalmente, la Strega Suprema ha un nome: si chiama Alhena Black!
–Strega Suprema? – chiese Caspian perplesso.
Tra un sospiro rassegnato di Harry e l’altro, Jane gli raccontò tutto per filo e per segno.
Il ragazzo ascoltò molto attentamente; poi disse: – La tua versione dei fatti è molto interessante e combacia in molti punti. Tuttavia, bisogna prima trovare qualche prova tangibile per vedere se è veramente lei l’autrice di queste nuove sparizioni. Solo il tempo, in questo caso, può aiutarci.
In quel momento, Madama Chips fece irruzione nella loro corsia con passo di marcia.
–Bene, per stasera ho chiuso un occhio su ordine del Preside, – disse asciutta – ma si dà il caso che sono le undici passate e questi ragazzi devono andare a dormire. Forza, signorina Pevensie, torna nel tuo letto. Signori Potter, signor Pevensie, nei vostri dormitori!
Anche se a malincuore, i ragazzi si dovettero salutare.
Caspian e Susan restarono abbracciati per diversi istanti; poi, dopo essersi scambiati un rapido bacio sulle labbra, la ragazza sparì oltre il paravento che la separava dal letto del ragazzo.
A quel punto, il giovane si voltò verso Jane.
Sai che avresti proprio la stoffa dell’Auror? – le disse sorridendo.
A quelle parole, Jane si sentì felice come mai le era capitato prima di allora.
 
 
 
 

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Capitolo 12
*** La donna con i guanti bianchi ***



CAPITOLO 12

La donna con i guanti bianchi

~

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Oliver Hampton si strinse ancora di più nel suo impermeabile grigio, tirandosi il bavero fin sopra i corti baffetti a spazzolino.
Nonostante fossero i primi di giugno, faceva un freddo da inferno e basse nubi di vapore si sollevavano dall’asfalto ancora bagnato per il temporale di quel pomeriggio.
I suoi occhi verdi saettarono attenti lungo il crocevia di viuzze tutte uguali, costeggiate da villette di mattoni rossi dai giardini ben tenuti.
Fino a quel momento, non sembrava esserci niente di strano.
–Ehi, doc, ti va una sigaretta? – domandò in quel momento la voce di Page dall’interno della volante della polizia parcheggiata a meno di un metro da lui.
–D’accordo, Stan – rispose lui sorridendo a quello scansafatiche del suo collega.
Il ragazzo gli allungò una Lucky Strike dal finestrino aperto dell’auto e gliel’accese.
In un attimo, il fumo e il pungente odore della nicotina gli invasero la gola.
Oliver inspirò forte. Nonostante fosse a conoscenza che quel pestilenziale antistress babbano fosse la causa di morte di centinaia di persone ogni anno, non gli dispiaceva affatto concedersi quel piccolo sfizio durante la ronda notturna.
Lo aiutava a restare sveglio. In fondo, se il fantomatico aggressore si fosse fatto vivo quella notte, lui sarebbe stato l’unico in grado di poterlo fronteggiare alla pari.
Mentre il suo compare era convinto che fosse un vecchio poliziotto un po’ rimbambito spedito in quella caserma di provincia chissà per quale motivo, Oliver era in realtà uno degli Auror più affermati del suo Dipartimento.
Negli anni Novanta, aveva riempito un po’ di celle di Azkaban con gli ultimi seguaci di Lord Voldemort.
Solo uno mancava al suo appello, il più sanguinario di tutti.
Era proprio lui che stava aspettando.
Un improvviso boato lo fece trasalire, la mano pronta sulla bacchetta, salvo scoprire che la fonte di quel rumore era proprio Page, che aveva appena acceso l’autoradio.
–Spegni quella subito quella diavoleria! – esclamò inferocito.
–Scusa, capo – rispose il giovane collega obbedendo all’istante, non senza una punta d’ironia nella voce.
–Si può sapere che cosa ti è saltato in mente, razza di idiota? – ringhiò Oliver furibondo.
In quel momento, avrebbe tanto voluto scagliargli contro qualche fattura particolarmente rivoltante. – Con tutta questa confusione, il nostro uomo a quest’ora sarà a dieci miglia da qui!
–Ehi, calma, calma. Era solo un po’ di musica! Del resto, perché mai dovrebbe piombare proprio qui?
–Tu pensa a tenere gli occhi aperti. Se ci hanno spediti qui nel cuore della notte, un motivo ci sarà!
Certo che c’era un motivo e Oliver lo sapeva fin troppo bene.
Avevano tracciato una mappatura dei rapimenti.
All’inizio erano all’incirca uno ogni due mesi, poi, improvvisamente, erano aumentati sempre più, con la puntualità di uno al mese.
Ma tutti avevano in comune una cosa: avvenivano sempre nelle notti di luna piena.
Per un mago, il plenilunio poteva celare dei significati molto importanti.
Segnava l’inizio e la fine di un ciclo, simboleggiava la fertilità.
Era il momento ideale per preparare una pozione particolarmente complicata.
A quel pensiero, Oliver rabbrividì.
Conosceva bene la Storia della Magia e gli orrori che avevano scatenato alcuni maghi e streghe dalla pessima fama.
Se i Babbani avevano preso a sterminare la sua comunità, in fondo non avevano tutti i torti.
Durante le indagini, erano emersi dei punti in comune tra le vittime.
Avevano tutte dieci anni ed erano prossime a compiere l’undicesimo.
Tutti maghi e streghe mezzosangue, appartenenti a famiglie che ignoravano completamente l’imminente scatenarsi dei loro poteri.
Proprio come in passato.
Solo che, questa volta, invece che un massacro indifferenziato, l’assassino sembrava aver scelto accuratamente le proprie vittime.
Una volta un maschio, una volta una femmina, che avrebbero compiuto undici anni proprio quel mese.
Strano.
E inquietante.
Per questo, al Ministero si procedeva per ipotesi.
Uno dei possibili bersagli si chiamava Robert Craven e abitava proprio in quella via, al numero diciassette.
Da quella distanza, Oliver poteva benissimo leggere il numero d’ottone posto davanti al cancelletto di legno bianco della sua casa.
In quel momento, qualcosa si mosse.
Una pallida luna piena aveva appena fatto capolino tra le nuvole, illuminando i giardini di una spettrale luce bluastra, i profili degli alberi allungati in lunghe ombre scure che li facevano apparire come tanti artigli protesi per ghermire la preda.
Fu allora che Oliver comprese che non erano soli in quella via.
Un’altissima figura stava ferma sul ciglio della strada, a un centinaio di metri da loro.
Sulle prime, il mago pensò si trattasse di una statua di ghiaccio, poi, man mano che la luna emergeva dalle nuvole, i suoi lineamenti diventarono più nitidi.
Era una donna, una donna alta più di qualunque altra donna Oliver avesse mai visto, con la pelle diafana e i lunghi capelli di un biondo perlaceo elegantemente acconciati sulla sommità del capo.
Era vestita completamente di bianco, dal lungo abito che le arrivava fino ai piedi ai guanti di velluto che le fasciavano le braccia lunghe e muscolose.
Reggeva in mano una lunga bacchetta dalla forma bizzarra, che terminava in una punta acuminata, simile alla lama di un pugnale.
Poi, all’improvviso, si udì un rumore di passi risuonare sul marciapiede.
Robert Craven si era appena richiuso il cancello di casa alle spalle, avviandosi verso la donna a passi incerti.
I suoi occhi chiari erano sgranati in un’espressione vacua e instupidita.
I movimenti meccanici indicavano che era sicuramente sotto qualche maledizione.
–Ehi, tu! – gridò Oliver balzando fuori dal suo nascondiglio.
Page lo imitò, uscendo goffamente dalla macchina, la pistola puntata verso la sconosciuta.
La donna li guardò con sufficienza.
Un’espressione velenosa tinse i suoi occhi di ghiaccio.
–Ѐ così che credete di fermarmi? – disse in tono sprezzante.
La sua voce aveva una leggera inflessione straniera.
–Stan, il bambino! – ordinò l’altro seccamente.
Il collega si precipitò verso Oliver, prendendo Robert per le spalle e tentando di trascinarlo verso la volante, ma a quel punto accadde qualcosa di terrificante.
Non appena avvertì il contatto del giovane, infatti, il ragazzino si voltò di scatto verso di lui, gli occhi rovesciati all’indietro, scagliandoglisi contro.
In un attimo, le sue piccole mani furono serrate attorno alla gola del poliziotto.
Stupeficium! – gridò Oliver puntando a malincuore la bacchetta alla schiena di Robert.
Il bambino si afflosciò a terra senza un lamento.
–Salite in macchina! Ora! – ordinò il mago, quando improvvisamente una tremenda esplosione aprì una gigantesca voragine sull’asfalto ai suoi piedi.
La donna vestita di bianco aveva levato la bacchetta aveva preso a scagliare una maledizione dietro l’altra contro di loro.
Oliver si gettò in avanti con prontezza, andandosi a Materializzare a meno di un metro dalla strega.
–Chi diavolo sei? – gridò facendo per Schiantarla.
–Non ti è dato conoscere il mio nome! – sibilò l’altra scagliandoli contro l’ennesimo sortilegio mortale.
Oliver lo schivò per un pelo.
Alle sue spalle, un bidone dell’immondizia saltò in aria con una tremenda esplosione.
–VATTENE, STAN! – urlò mentre la strega si preparava a colpire di nuovo. – METTITI IN SALVO!
Udì il fragore di un motore messo in moto; poi l’auto della polizia sparì in fondo alla strada, ormai fuori tiro.
Vedendosi sfuggire la preda da sotto il naso, la donna emise un grido di rabbia.
Oliver fece per prenderla alla sprovvista, quando una morsa d’acciaio gli serrò la gola.
 –Non ti è dato conoscere il mio nome! – ripeté la strega con una voce metallica, innaturale.
Con sommo orrore dell’uomo, il corpo di lei prese a trasformarsi, crollando sul marciapiede umido.
L’ultima cosa che Oliver vide in vita sua, fu un enorme serpente che torreggiava su di lui, pronto ad attaccare.

 
***
       
EDIZIONE STRAORDINARIA: TROVATO IDENTIKIT DEL SERIAL KILLER DI GIOVANI MEZZOSANGUE
 
Una scoperta che è stata pagata a caro prezzo.
Ieri notte, infatti, l’Auror Oliver Hampton, che collaborava con la polizia babbana, è stato trovato brutalmente assassinato nella periferia di Londra, di fronte all’abitazione di Robert Craven, una potenziale vittima del killer che sta terrorizzando l’Inghilterra.

Il bambino è fortunatamente fuori pericolo, anche se al momento è ricoverato al San Mungo per rimuovere gli effetti della Maledizione Imperius, che lo avevano spinto ad allontanarsi da casa ieri notte.
Stanley Page, collega di Hampton e testimone oculare dei fatti, ha riferito di aver visto chiaramente l’assassino.
Si tratta di una donna sui quarant’anni, alta circa un metro e ottantacinque, dai capelli biondi, vestita completamente di bianco.
Il suo modo di parlare tradisce un vago accento slavo, probabilmente russo.

Ѐ stato orribile – ha dichiarato Page questa mattina ai nostri intervistatori. – Quella donna aveva qualcosa di disumano. Il suo sguardo ti paralizzava lì dov’eri.
Secondo il Ministero, l’identikit dell’assassina non è riconducibile a nessuna delle possibili indiziate presenti nel nostro Paese.
Il fatto che provenga da fuori instilla in molti il dubbio che possa avere dei contatti con Tu-Sai-Chi, dichiarazione che è stata smentita immediatamente da Cornelius Caramell in persona.

 
–Ferma, ferma, ferma! Hai detto proprio bionda vestita di bianco?
Hermione smise all’istante di leggere ad alta voce.
Si erano tutti asserragliati in angolo del chiostro del cortile interno del castello, cercando riparo dalla pioggia incessante con cui si erano svegliati quella mattina.
I loro sguardi erano a dir poco carichi di sgomento.
Quella notte l’assassino era tornato a colpire alla periferia di Londra, a meno di due chilometri dalla casa dei Pevensie.
Era vicino, terribilmente vicino.
Ancora una volta.
–Sì, c’è scritto proprio così – rispose Hermione in tono asciutto.
–Non è possibile! La Strega Suprema è l’esatto contrario! – protestò Jane confusa.
–Forse sta usando la Pozione Polisucco per far perdere le tracce – ipotizzò Ron.
–Sarà, ma mi sembra uno stratagemma abbastanza stupido – osservò Harry.
–E, inoltre, aveva un accento straniero. Chissà, forse dopo che Alhena Black è stata tutti questi anni in Albania…
–Come fai a essere così convinta che abbia a che fare con Tu-Sai-Chi?
–Oh, andiamo! C’è scritto anche qui sul giornale!
–Ma lo sai che sul Profeta dicono sempre un mucchio di sciocchezze!
Jane sbuffò.
–Questo articolo non ci aiuta – sentenziò decisa. – Insomma, guardate anche voi. Dice tutto e niente. Sono tutte impressioni, supposizioni. Non ne verremo mai a capo se continueremo a leggere solo giornali.
–Ma cosa vuoi fare, scusa? – chiese Ron.
La ragazza gli lanciò un sorriso furbo.
–Si dà il caso che io abbia trovato qualcuno che può aiutarci – rispose estraendo una lettera dalla tasca del mantello.
–Cosa? Hai scritto a Sirius? – esclamò Harry, riconoscendo la calligrafia del padrino.
–Esatto! – rispose l’altra. – Il sabato prima della terza prova sarà il nostro ultimo fine settimana a Hogsmeade. Ci aspetta per mezzogiorno alla Stamberga Strillante.
–Cosa? Oh, Jane, e io che ti facevo una persona assennata!
–Perché?
–Ma come perché? Con l’intero mondo magico che lo cerca, tu attiri Sirius proprio qui solo per farti dare qualche informazione su una strega che forse è morta?
–Ѐ stato lui a insistere. In fondo, Strega Suprema o no, era comunque intenzionato a passare. Voleva essere qui per la terza prova, per assicurarsi che non ti accada nulla di male. I fatti della settimana scorsa l’hanno parecchio turbato. Anche lui crede che tu sia in pericolo.
–Già, ma a lui non pensa mai – brontolò Harry incrociando le braccia.
–Ovviamente, Susan verrà con noi – proseguì Jane.
L’amica trasalì. – Che cosa? – esclamò spaventata.
Conosceva bene la storia di Sirius, ma la sola idea di trovarsi di fronte a un ex galeotto la inquietava fin troppo.
–Hai diritto di sapere – sentenziò l’atra decisa.
Susan annuì in silenzio.
Aveva una paura tremenda, ma doveva farlo.
Per la memoria di David e per la sicurezza di Lucy.
–Bene – sospirò Harry. – Allora è deciso. Spero solo che non sia in arrivo qualcosa di peggio, anche se ho l’impressione del contrario.
–Prova a pensare positivo, allora – lo redarguì Jane senza troppi complimenti.
   
 
     
     

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Capitolo 13
*** L'incubo si ripete ***


 
CAPITOLO 13

L'incubo si ripete


~
 
 
 
 
 
 
 
 
 
I gemelli Potter avanzavano con decisione lungo il prato erboso che si arrampicava sulla collina, sulla cui sommità sorgeva una vecchia catapecchia dai muri scrostati e le finestre inchiodate.
La sua sagoma scura e contorta metteva letteralmente i brividi.
Susan non riusciva a capire come i suoi amici non ne fossero minimamente intimoriti.
Ron e Hermione camminavano al suo fianco, rivolgendosi di tanto in tanto qualche parola.
–Ci ha seguiti qualcuno? – chiese Harry non appena arrivarono sulla sommità della collina.
–No – rispose Hermione gettandosi una rapida occhiata alle spalle.
–Bene – si rivolse a Susan. – So che ciò che potresti vedere potrebbe sconvolgerti, ma ti posso assicurare che non c’è nulla da temere. Sirius è una delle persone migliori che conosco. Ma devi promettere che non rivelerai a nessuno ciò che accadrà oggi. Puoi farlo?
La ragazza si sentì stringere lo stomaco in una morsa.
Sapeva che ciò che stavano facendo andava ben oltre il regolamento scolastico. Avevano rubato dalle cucine del castello e si erano allontanati dai compagni in gita a Hogsmeade, raggiungendo una parte del villaggio il cui accesso era precluso a tutti gli studenti.
E ora si sarebbero incontrati con l’uomo più ricercato d’Inghilterra.
Fantastico.
–Mi fido di voi – rispose timidamente.
–Stai tranquilla – la rassicurò Jane prendendola sottobraccio. – Harry, facci strada.
Il ragazzo aprì una piccola porta sconnessa.
Gli altri lo seguirono ansiosi all’interno della catapecchia.
L’interno era sudicio e ricoperto di ragnatele.
Deboli filamenti di luce penetravano dalle imposte chiuse malamente, illuminando simili a squarci incandescenti le stanze avvolte dalla penombra.
Un terribile odore di polvere e stantio penetrava fin dentro le narici.
Dava quasi la nausea.
Ma la cosa più inquietante erano i mobili, rovesciati e squarciati.
Susan non osò immaginare quale mostruosa creatura fosse stata in grado di compiere quello scempio.
Rabbrividendo, la ragazza estrasse la bacchetta dalla borsa, pronta a fronteggiare qualsiasi cosa la stesse aspettando nascosta negli anfratti di quel posto orrendo.
Il quintetto aveva preso ad arrampicarsi su una stretta rampa di scale di legno, i loro passi che scricchiolavano pericolosamente sulle assi consumate dai tarli.
Speriamo che non crollino sotto il nostro peso, pensò Susan con orrore, cercando di arrivare in cima il prima possibile.
Uno zampettare convulso da qualche parte nel soggiorno sottostante la fece sobbalzare per la paura: sicuramente quel posto pullulava di topi, di cui la ragazza aveva una paura ingovernabile.
Finalmente, i ragazzi raggiunsero il pianerottolo, entrando in quella che un tempo doveva essere una camera da letto.
Sul pavimento polveroso era accovacciato un grosso cane nero dal pelo ispido, il lungo muso a punta appoggiato sulle zampe anteriori.
Non appena li vide entrare, il segugio drizzò la testa e corse loro incontro abbaiando.
Non li aveva ancora raggiunti quando, in meno di un attimo, il suo corpo prese ad allungarsi a vista d’occhio, trasformandosi completamente: al suo posto comparve un uomo sui quarant’anni dalla lunga chioma scura e arruffata.
I suoi occhi neri fiammeggiavano di un ardore selvaggio e il suo portamento fluido ed elegante aveva qualcosa di profondamente nobile, nonostante il suo corpo fosse segnato da dodici interminabili anni di prigionia.
–Sirius! – gridarono i ragazzi correndo ad abbracciarlo tutti insieme.
Susan rimase a osservarli in disparte, non senza trattenere un moto di tenerezza: i suoi timori erano scomparsi come la neve al primo sole.
In fondo, i gemelli avevano ragione su Sirius.
Nonostante l’aspetto inquietante, era davvero una brava persona.
–Ragazzi, quanto tempo! – esclamò il mago prorompendo una risata simile a un latrato. – Come state? Non posso lasciarvi soli un attimo, accidenti! – poi il suo sguardo cadde verso Susan, che si ritrasse prontamente nell’ombra. – E chi è questa damigella? – chiese incuriosito.
–Oh, lei è Susan Pevensie, una nostra carissima amica – rispose Jane invitando l’altra ad avvicinarsi. – Ѐ la ragazza di cui ti ho parlato nella lettera.
–Oh – Sirius si fece serio, lanciandole un’occhiata comprensiva. – Credo che sia il caso di parlarne, allora. Siete venuti per questo, no? E poi non abbiamo molto tempo…
Si sedettero in cerchio sul pavimento, stringendosi attorno al mago.
–Tieni – disse Harry porgendogli la bisaccia che portava al collo. – Visto che hai deciso di stabilirti qui per i prossimi giorni, volevamo assicurarci che comunque avessi un minimo di comodità.
–Che cos’è?
–Cibo. Lo abbiamo preso dalle cucine questa mattina. E anche un paio di coperte per la notte. Dobby ci ha coperto le spalle.
A quelle parole, Susan sorrise tra sé e sé.
Dobby era un elfo domestico che lavorava nelle cucine di Hogwarts.
Era molto amico di Harry, che due anni prima lo aveva liberato dai Malfoy.
Infatti, nel mondo magico gli elfi domestici erano considerati dei veri e propri servi.
Dobby era a dir poco un ribelle, se non l’unico della sua specie a percepire un vero e proprio stipendio da Silente in persona.
L’unica che sembrava aver preso a cuore la sua causa era proprio Hermione, che all’inizio di quell’anno aveva fondato il C.R.E.P.A., una piccola associazione volta alla liberazione degli elfi domestici.
Al momento, gli unici membri erano loro cinque, di cui Susan era l’unica a essersi iscritta volontariamente.
Non capiva perché i suoi simili trovassero ridicola tutta quella faccenda.
Per non parlare degli elfi domestici, che sembravano temere la libertà più di ogni altra cosa.
–Pollo e crostate alla crema! – esclamò Sirius deliziato mentre apriva la bisaccia. – Grazie, ragazzi! Anche se qualcuno ha già pensato alla mia sistemazione…
–Silente sa che sei qui? – chiese Harry.
–Oh, ma certo! Anzi, è stato lui a predisporre tutto quando ha saputo che sarei rimasto per qualche giorno. Mi ha fatto sistemare una stanza qui accanto e manda Hagrid tre volte al giorno a portarmi qualcosa da mangiare – rispose il padrino soddisfatto.
–Credo sia impossibile nascondere qualcosa a Silente – osservò Jane sorridendo.
–Ma veniamo a noi – proseguì Sirius rivolgendosi alla ragazza. – Dunque avete deciso di indagare sulle sparizioni senza chiedere la consulenza del Ministero?
–Diciamo che è una cosa che ci sta molto a cuore, dal momento che quattro anni fa siamo stati rapiti da Alhena – rispose lei.
–Cosa? – a quelle parole, Sirius sbiancò. – Non me l’avete mai detto!
–Allora non sapevamo neanche di essere fratelli, io e Harry. Ce la siamo cavata per pura fortuna. Era l’epoca delle sparizioni di figli di Babbani, proprio come adesso. Anche il fratellino di Susan è scomparso in quel periodo.
–Sì, mi ricordo – mormorò il mago. – Ho seguito tutta la vicenda da Azkaban. Dopo diversi mesi di inutili ricerche, gli Auror misero dentro una vecchia squilibrata, che tra l’altro non era neanche una Mangiamorte. Ma non avrei mai creduto che la colpevole fosse proprio mia cugina. Bellatrix non ha mai fatto parola di una cosa del genere. E poi, io ero convinto che fosse partita per l’Albania.
–Ti ripeto, somiglia moltissimo alla donna che abbiamo visto nel Pensatoio di Silente. Bellatrix Lestrange si chiama, se ricordo bene – disse Jane.
–Per questo ho deciso di portare qualcosa che potrebbe aiutarci – intervenne Sirius estraendo un grosso volume dal mantello. – In questi mesi, ho avuto modo di tornare dalle mie parti. Per fortuna, il vecchio album di famiglia non è andato perduto, nonostante i miei genitori e mio fratello siano morti da parecchi anni.
I ragazzi gli si strinsero attorno ancora di più, ansiosi di arrivare finalmente a capo del mistero.
Sirius pose il vecchio volume al centro del pavimento, prendendo a sfogliarlo lentamente.
–Ecco, lei è Alhena – disse a un certo punto, indicando una foto in bianco e nero sbiadita dal tempo.
Quattro ragazze vestite di nero fissavano l’obiettivo con un’espressione torva scolpita sui lineamenti diafani, perfetti.
I loro abiti e le loro acconciature facevano difficilmente credere che lo scatto fosse stato realizzato neanche trent’anni prima.
Alhena era la più alta, il corpo esile e flessuoso fasciato da un lungo abito di velluto nero che le arrivava fino ai piedi.
I lunghi capelli corvini e lisci erano sciolti sulle spalle, scivolando ai lati dell’ovale perfetto del viso, su cui si spalancavano due grandi occhi scuri, pervasi da una luce fiammeggiante.
Era di una bellezza selvaggia, di quelle che lasciavano sconcerto e turbamento negli occhi di coloro che avevano la sfortuna di incrociare il suo sguardo, uomini o donne che fossero.
In quella foto dimostrava sì e no vent’anni, eppure il male sembrava già profondamente radicato in quel corpo apparentemente così esile e fragile.
–Ѐ lei – sussurrò Jane a mezza voce.
Aveva i brividi.
Al suo fianco, Harry annuì lentamente.
Sirius si passò una mano sulla fronte, scostandosi una ciocca di capelli scuri che gli era scivolata davanti al volto.
–Dunque la sua follia è arrivata a questo – sussurrò.
–Spiegati meglio.
–Alhena è la maggiore delle figlie di mio zio Cygnus, il fratello di mio padre – prese a raccontare l’altro. – A trent’anni sposò Druella Rosier, discendente di una delle più antiche e aristocratiche famiglie di maghi d’Inghilterra. Lei aveva appena quindici anni, ma il suo matrimonio con mio zio era stato stabilito dalle nostre famiglie sin dalla sua nascita. Sapete, la priorità delle famiglie purosangue è quella di mantenere il sangue puro. Ecco perché si sposano tutti tra di loro, molte volte tra gli stessi consanguinei. Non bisogna perciò stupirsi di certi risultati – fece una smorfia. – Nonostante zia Druella fosse di costituzione minuta ed esile, in realtà era una donna estremamente fredda e crudele, temprata dalla spietata morale delle antiche tradizioni, con cui allevò con durezza tutte e quattro le figlie. E in casa Black la disciplina e il senso del dovere non dovevano mai mancare. La famiglia era sacra e nulla, dico nulla, andava anteposto a essa. Il padre e la madre erano come due sovrani e i figli erano votati al massimo dell’obbedienza, anche a costo della vita. La nostra educazione prevedeva una rigidissima etichetta e un codice comportamentale che non doveva essere mai infranto in alcun modo. Noi avevamo un onore da proteggere a qualunque costo e un nome da far rispettare e temere da tutti. Per tutta la vita non hanno fatto altro che ripeterci che noi siamo gli ultimi discendenti di una stirpe nobilissima, minacciata e perseguitata da un mondo corrotto popolato da traditori del proprio sangue. Per questo in casa Black non era considerato un crimine uccidere i Babbani. Il sangue e la violenza facevano parte della quotidianità. Quando uno dei nostri elfi domestici diventava troppo vecchio per portare i vassoi da tè, zia Druilla lo faceva decapitare in giardino e ne appendeva la testa in corridoio. Ogni mancanza nel nostro comportamento era pagata con punizioni durissime.
La nostra vita era un inferno. Alcuni, come me e mia cugina Andromeda, non ce l’hanno fatta e si sono ribellati alla nostra famiglia, scatenando la peggiore delle condanne da parte loro. Non vi dico neanche che cosa ci farebbero se ci trovassero. Ѐ una cosa talmente orrenda che non mi va di parlarne. Altri, invece, come Alhena e Bellatrix, furono talmente traviate da tutto quell’eccesso di violenza e ideali senza alcun fondamento, che presto da vittime si trasformarono in carnefici, seguendo la strada che zia Druilla aveva preparato per loro. Entrambe due streghe eccezionali, tutte e due assegnate a Serpeverde non appena il Cappello Parlante sfiorò le loro teste, non ebbero però il rapporto sereno che lega solitamente due sorelle. L’educazione d’altri tempi che aveva ricevuto mia zia, infatti, prevedeva che nella prole sopravvivesse il più forte e non necessariamente doveva essere il primogenito. Per questo aveva trovato un modo estremamente sottile quanto perverso di mettere le figlie una contro l’altra, per vedere, alla fine, chi sarebbe stata l’unica degna discendente dei Black.
Alhena era nata per prima e per questo aveva tutti gli agi e le attenzioni di nostra madre. Per conto, però, doveva mostrarsi sempre all’altezza delle aspettative della famiglia, primeggiando in tutto, senza mai vacillare. Lei era l’esempio, la perfezione. Le altre venivano dopo. Compresa Bellatrix, di un anno più giovane. Oh, tra loro due c’era una guerra continua. Non c’era risultato raggiunto da Alhena che Bellatrix non eguagliasse immediatamente. Non c’era mai pace, tra le mura domestiche. Non appena Bellatrix compiva qualcosa degno di lode, subito mia zia lo sbandierava ai quattro venti in maniera esagerata, tormentando in particolar modo Alhena, che si trovava ogni volta costretta a superarla, se non voleva perdere la sua benevolenza. Perché lei sapeva bene cosa succedeva a far perdere la pazienza a sua madre. Non so quante volte, durante la sua infanzia, la zia la fece rinchiudere in cantina per giorni interi. Più di una volta, per cose da poco, le scagliò contro la Maledizione Cruciatus.
–Che cosa? – esclamò Jane sconvolta.
–Vi ripeto, per anni ci fecero credere che fosse una cosa normale – riprese Sirius.
Il suo volto era segnato da rughe profonde, come se fosse improvvisamente invecchiato.
Era evidente che ridestare quei terribili ricordi era per lui una fonte di dolore indescrivibile.
–Fortunatamente, la spirale d’odio che logorava le due maggiori non sembrò avere effetti sulle sorelle più piccole, Andromeda e Narcissa. Evidentemente, zia Druilla le manteneva come pedine di riserva, in caso Alhena e Bellatrix avessero fallito. Questo allentamento di attenzioni fece sì che Andromeda, non senza il mio aiuto, fuggisse di casa e si sposasse con Theodore Tonks, un uomo privo di poteri magici ma dal grande cuore. Silente in persona si offrì di nasconderla nei primi tempi. Ebbero anche una figlia. Ora dovrebbe avere una ventina d’anni, più o meno. Narcissa, invece, non ebbe mai un carattere particolarmente avventato. Visse sempre all’ombra di Bellatrix, che venerava e temeva allo stesso tempo.
Una volta che Voi-Sapete-Chi salì al potere, le mia famiglia si schierò immediatamente al suo fianco. La loro folle idea di purificare il mondo da Babbani e Mezzosangue sembrava diventare finalmente realtà. Alhena e Bellatrix diventarono le Mangiamorte più devote e compirono crimini inenarrabili. Ma non pensavo che una di loro potesse proseguire un massacro sistematico di giovani innocenti dopo la caduta di Voi-Sapete-Chi.
–Perché? – chiese Jane. – Insomma, i presupposti per una cosa del genere ci sono tutti.
–Quando Voi-Sapete-Chi cadde, tra i suoi seguaci si scatenò il panico – spiegò Sirius. – Erano quasi tutti convinti che il loro padrone fosse spacciato e per questo si adoperarono per scagionarsi. I più si giustificarono dicendo di essere sotto la Maledizione Imperius mentre trucidavano Babbani a sangue freddo e molti di loro oggi lavorano al Ministero.
–I Malfoy – commentarono all’unisono Harry e Ron.
–Altri, invece, continuarono a coltivare la speranza del suo prossimo ritorno. Erano in pochi, dal momento che i seguaci di Voi-Sapete-Chi lo facevano più per paura che per sincera devozione. Ma tra questi c’erano dei folli che nutrivano un attaccamento nei suoi confronti che nemmeno immaginate. Qualcosa di ossessivo, disperato. Tra questi c’erano le mie cugine. E qui accadde qualcosa di veramente strano – a quel punto, Sirius tacque per qualche attimo, un’espressione pensosa che gli adombrava il volto; poi proseguì: – Circa un anno prima della caduta di Voi-Sapete-Chi, le mie cugine sparirono nel nulla. Alhena, che, a differenza delle sorelle, non si era mai sposata, né sembrava intenzionata a mettere su famiglia, così dedita com’era al suo signore, abbandonò la sua casa senza preavviso e nessuno ne ha più saputo nulla da allora. Bellatrix la seguì circa due mesi dopo e per quasi un anno se ne sono perse le tracce. Al suo ritorno, poco tempo prima della caduta di Voi-Sapete-Chi, ci disse che era andata in missione per suo conto e che aveva incontrato Alhena in Albania.
Il resto della storia lo sapete. Bellatrix fu arrestata e condannata alla prigione a vita per le torture ai coniugi Paciock. Alhena, be’, di lei nessuno ha più saputo nulla. Nemmeno i suoi compagni Mangiamorte, con cui dividevo la cella, me ne hanno mai parlato. La odiavano. Era la serva più fedele di Voi-Sapete-Chi, tutti invidiavano la sua posizione. Ma, conoscendo la sua astuzia e lungimiranza, sono sicuro che, ovunque essa sia, ha un piano ben preciso. Qualcosa che potrebbe aiutare il suo signore a tornare. Vista la situazione, forse lei era già a conoscenza che sarebbe caduto. Del resto, le voci non dicono che Voi-Sapete-Chi si sia rifugiato proprio in Albania? Ѐ evidente che lei lo stava già aspettando. E sicuramente ora lo sta nascondendo e se ne sta prendendo cura, preparando la prossima mossa. Per questo dico che mi sembra assurdo che ci sia lei dietro questi omicidi, sia in questo che nell’altro caso. Non è un tipo che si abbassa al livello di un criminale qualunque, per quanto spietata e squilibrata. Forse Bellatrix avrebbe fatto una cosa del genere, ma sono sicuro al cento per cento che si trova ermeticamente sigillata dietro tonnellate e tonnellate di pietra e acciaio, nel cuore del Mare del Nord, dove non può far del male a nessuno.
–Eppure, a quanto pare, è stata proprio Alhena l’autrice delle prime sparizioni – intervenne Jane. – In queste ultime, però, sembra che ci sia dietro un’altra persona.
–Sì, sono riuscito a sgraffignare qualche giornale, negli ultimi tempi – rispose Sirius. – Una donna vestita di bianco. Strano.
–Forse, dovendo occuparsi di Voldemort, ha deciso di farsi aiutare da qualcuno – ipotizzò Harry.
–Mi sembra alquanto improbabile. Alhena non ha mai voluto gente tra i piedi, ha sempre preferito agire da sola. Sapeva che gli altri Mangiamorte erano molto inclini al tradimento.
–A meno che non abbia qualcosa di più importante a cui pensare – disse Hermione. – Voglio dire, se si sta occupando di Voldemort e, di conseguenza, anche a dare la caccia a Harry, non pensate che possa essere stata lei a mettere il suo nome nel Calice di Fuoco?
Improvvisamente calò il silenzio, tutti gli sguardi puntati su di lei.
–E come avrebbe fatto a entrare nel castello, scusa? – domandò Ron perplesso.
–Crouch! – esclamò Jane. – Controllava Crouch tramite la Maledizione Imperius. Ci posso scommettere che è stato lui a mettere il nome nel Calice. Peccato che sia andato fuori di testa e per di più l’abbiamo visto tutti.
–Ma come faceva a controllarlo? Sicuramente deve trovarsi nei dintorni, per riuscirci – osservò Susan.
–Escludo possa trovarsi qui a Hogsmeade, non con Voldemort al seguito e magari qualche prigioniero da nascondere – disse Harry.
 –Dimentichi che quattro anni fa Voldemort non ha avuto problemi a intrufolarsi a Hogwarts senza che nessuno se ne accorgesse – intervenne Jane in tono polemico.
–Questa volta è diverso. Raptor era un professore, mentre Alhena è ricercata.
–Potrebbe usare la Pozione Polisucco.
–Per tutto questo tempo?
–Perché no?
–E da chi sarebbe camuffata, scusa? No, è troppo complicato.
–Sirius, a te non viene in mente niente? – azzardò Hermione.
–Mmmm…
–Dove vi ha portati Alhena quando vi ha rapiti? – chiese Susan rivolta ai gemelli.
–Sembrava un vecchio chalet abbandonato. Comunque, quando gli Auror sono intervenuti, non hanno trovato nessuno. Per precauzione, hanno distrutto la casa, per evitare che tornasse – rispose Harry.
–Complimenti per l’ennesima trovata del Ministero della Magia! – esclamò Sirius in tono sarcastico.
–Dove viveva, quando era ancora in Inghilterra? – chiese Hermione.
–Una volta maggiorenne, mio zio le regalò la tenuta di campagna nei dintorni di Cambridge – rispose il mago. – Si trovava in una zona di campagna e si poteva raggiungere solo pronunciando una parola d’ordine precisa. Era per scongiurare le visite indesiderate – girò diverse pagine dell’album fotografico, fino a fermarsi a una grande stampa in bianco e nero nascosta nelle ultime pagine.
Raffigurava una pianta dell’Inghilterra, in cui erano segnate con piccoli cartigli le varie residenze dei Black sparse per il paese.
–Ecco, dovrebbe essere questa – disse indicando la didascalia più vicina a Cambridge. – Ma è lontano, molto lontano da qui.
–Sempre più vicino dell’Albania – commentò Harry.
–Ehi, mi è venuta un’idea! – esclamò Hermione. – Se solo sapessimo dove abitava il signor Crouch…
–Ah, lo conoscevo bene, il signor Crouch, dal momento che è stato lui a sbattermi in galera! – intervenne Sirius in tono amaro. – E, ora che mi ci fate pensare, non abitava molto lontano da Cambridge.
–L’abbiamo in pugno! – esclamò Hermione lanciando un’occhiata d’intesa a Jane. – Alhena si trova lì.
–Non ne siamo sicuri, però – osservò Ron.
–Però è molto probabile – disse Sirius. – Se assomiglia alle altre tenute dei Black, è perfetta per i suoi scopi. Ѐ protetta benissimo, ha degli ambienti vastissimi e confortevoli, senza contare dei sotterranei nascosti e insonorizzati, perfetti per imprigionare qualcuno. Temo che siamo sulla pista giusta. Alhena è tornata a casa e non oso pensare a che cosa stia tramando. Dobbiamo assolutamente fermarla!
–Bisogna avvertire Silente! – esclamò Harry. – Prima che faccia altre vittime.
–Prima della terza prova – sottolineò Sirius. – Perché, se ha deciso di ucciderti, stai certo che aspetterà quella notte per agire. Dobbiamo essere tutti al tuo fianco, per allora. A meno che non riusciamo a catturarla prima.
–Torniamo al castello – sentenziò Jane levandosi in piedi. – Se ci muoviamo ora, avremo più possibilità di batterla sul tempo.
–Buona idea. Ma non tentate mosse avventate – si raccomandò Sirius.
Improvvisamente, i minuti avevano preso a correre come cavalli al galoppo.
Dopo delle rapide raccomandazioni, i ragazzi si congedarono da Sirius, uscendo dalla Stamberga Strillante e precipitandosi alla volta del castello.
–Ve l’avevo detto che la Strega Suprema esisteva davvero – disse Jane in tono petulante mentre si slanciava lungo il sentierino sterrato che collegava Hogwarts a Hogsmeade.
–Ah, sta’ zitta e corri! – la rimbeccò Hermione. – Se non fosse stato per me, a quest’ora staremmo ancora tutti a lambiccarci il cervello inutilmente.
In tutto questo, Susan restava in disparte, correndo a pochi metri di distanza dai suoi amici.
Finalmente, la misteriosa rapitrice di suo fratello aveva un nome e un cognome.
E, forse, presto sarebbe stata consegnata alla giustizia.
A quel pensiero, il suo cuore mancò un paio di battiti.
Finalmente avrebbe avuto la sua vendetta.
Per anni era stato il suo pensiero fisso, la sua maledizione.
Ma che cosa avrebbe fatto una volta che Alhena Black fosse stata catturata?
Ci sarebbe stato un processo a cui avrebbe dovuto presenziare, insieme alle famiglie delle altre vittime.
Si sarebbe trovata a pochi metri da lei, così vicina da poterla toccare, da poterle affondare le unghie in quelle guance di marmo, strapparle i capelli e sentirla urlare a pieni polmoni, così come aveva torturato quei poveri innocenti in tutti quegli anni, godendo del suo dolore, sorda alle sue implorazioni di pietà.
E poi, l’avrebbero sbattuta ad Azkban.
Forse un Dissennatore le avrebbe risucchiato via l’anima, come prescriveva il massimo della pena in quella prigione.
Troppo poco, per una come lei.
In quel momento, Susan comprese quanto i Babbani avessero ragione a bruciare vivi i mostri come quella donna, dopo che avevano terrorizzato la loro comunità con le loro sanguinarie stregonerie.
La sola immagine di Alhena Black legata a un palo, con le prime fiamme che le lambivano l’abito nero, la riempì di un’eccitazione amara quanto intensa.
Un attimo dopo, Susan si fermò lì dov’era, impietrita dall’orrore.
Era nauseata da se stessa, da quello che aveva potuto pensare in quei minuti interminabili.
Aveva augurato morte e sofferenza a un altro essere vivente, per quanto malvagio. Se solo avesse potuto, gli avrebbe arrecato un danno due volte peggiore di quello che aveva provocato alla sua famiglia.
E ne sarebbe stata contenta.
Per un attimo, aveva pensato come Alhena Black.
Quella donna era un demonio: anche il suo solo pensiero portava al male.
–Sue, sbrigati! – la chiamò Jane a una decina di metri di distanza.
Come se avesse preso la scossa, Susan scattò in avanti, gettandosi all’inseguimento degli amici.
Dopo pochi minuti, giunsero in vista del castello.
Ancora sudati e scarmigliati, i ragazzi superarono la Sala d’Ingresso e si arrampicarono su per la prima rampa di scale, andando quasi a sbattere contro la professoressa McGranitt.
Al suo fianco c’era Peter, più pallido che mai.
Aveva un’espressione indecifrabile dipinta nei suoi occhi azzurri.
–Signorina Pevensie, tu e tuo fratello dovete andare immediatamente dal Preside – disse la strega.
Qualcosa nel suo sguardo e nel tono controllato della voce fece accapponare la pelle a tutti loro.
Susan prese a sudare freddo, avvertendo che il terreno le mancava sotto i piedi.
Lo sapeva, lo leggeva nei loro sguardi, nelle labbra serrate che non riuscivano a trovare le parole giuste per rivelarle la terribile verità.
Poi Peter si fece coraggio.
–Hanno preso Lucy – disse con un tono innaturale, non suo.
Poi scoppiò in un pianto disperato.  

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Capitolo 14
*** Missione di salvataggio ***



CAPITOLO 14

Missione di salvataggio

~

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Era tutto di nuovo come sei anni prima: ovunque regnava il silenzio, rotto solo da pianti e mormorii, e persino gli ambienti più intimi sembravano invasi da perfetti estranei che insistevano nell’esprimere a tutti i costi il loro stucchevole cordoglio, quando invece Susan non desiderava altro che essere lasciata in pace.
E, ancora una volta, la ragazza aveva avuto piena responsabilità della scomparsa di un fratello.
Se quell’anno non avesse lasciato la sua casa alla periferia di Londra per imparare quattro stupidi trucchi di magia, sicuramente in quel momento Lucy sarebbe stata sana e salva a giocare nel cortile di fronte all’ingresso, senza dover temere l’aggressione di una pazza maniaca da un momento all’altro.
Non le era bastata la lezione di David.
E quella era la giusta punizione.
Lucy Pevensie era scomparsa quella mattina mentre era in compagnia di un’amica, Shirley Stephens.
L’aveva invitata per le undici, dal momento che il sabato non andavano a scuola.
Avrebbero fatto i compiti insieme e poi sarebbero andate a giocare nel parco sotto casa, perché Shirley abitava in un appartamento senza giardino.
Tanto li avrebbe accompagnati la madre di lei, una signora bionda e sorridente dall’aspetto impeccabile come quello delle modelle nelle riviste di gossip.
Le due bambine stavano appunto giocando sulle altalene, quando improvvisamente era diventato tutto nero.
Shirley lo aveva raccontato più e più volte tra le lacrime all’ispettore capo della polizia babbana, che ovviamente non ci aveva capito un accidente.
Era come se, a un tratto, il sole, gli alberi, le risate degli altri bambini e dei genitori che li accompagnavano fossero stati inghiottiti da un terribile nulla senza fine.
I pochi testimoni avevano detto che Shirley era semplicemente caduta dall’altalena e aveva sbattuto la testa, procurandosi un enorme bernoccolo sulla fronte.
–Ѐ meglio non lasciare andare i bambini su quelle trappole – aveva dichiarato l’ispettore capo.
Già, ma nel frattempo Lucy era scomparsa nel nulla e nessuno, tra tutti i presenti nel parco, aveva visto niente di strano.
Era difficile da spiegare: un secondo prima c’era e quello dopo non c’era più.
Volatilizzata.
Svanita.
In quel momento, la famiglia Pevensie non poteva definirsi più spaccata di così.
Evelyn e Charlie erano soli in casa, a Londra, attendendo invano notizie da Scotland Yard e dalla scuola.
Era ovvio che la donna non aveva ancora trovato il coraggio di svelare al nuovo compagno la vera natura dei figli, temendo che la prendesse per matta e la lasciasse su due piedi.
Peter e Susan, invece, erano ancora a scuola, intontiti dal dolore e completamente impotenti di fronte a ciò che stava accadendo.
Era dal primo pomeriggio che si trovavano confinati nell’ufficio di Silente, completamente inondato dalla luce dorata del sole di primavera che entrava dai grandi finestroni a tutta parete affacciati sul lago.
Le lacrime erano svanite da un pezzo, lasciando posto a un fastidioso torpore che impediva loro di rendersi pienamente conto di ciò che stava accadendo, per evitare che si abbandonassero alla disperazione più nera.
O alla rabbia.
Già, perché, a quanto pareva, la sparizione di Lucy stava diventando un affare politico.
Qualcosa che riguardava solamente i due maghi che in quel momento si stavano fronteggiando con rabbia, divisi solo da un’esile scrivania di ciliegio, ignorando completamente la presenza dei due fratelli rannicchiati in un angolo.
–Ciò che mi chiedi è una follia, una vera follia! – stava gridando il Ministro Caramell, ritto sulle punte dei piedi. – Che cosa cambierebbe se il Torneo continuasse?
–La tua carenza di orizzonti ti impedisce di vedere chiaramente ciò che sta accadendo, Cornelius – lo redarguì Silente in tono severo, immobile e imperturbabile come una statua gotica. – Possibile che non vuoi aprire gli occhi? Il Marchio Nero alla Coppa del Mondo di Quiddich, il nome di Harry Potter che viene estratto per il Torneo Tremaghi e ora questi orrendi omicidi. Sono tutti collegati a un solo uomo.
–Ti stai riferendo a qualche fanatico dalle manie tradizionaliste?
–A Voldemort, Cornelius.
Nel sentir nominare lo stregone più sanguinario di tutti i tempi, il Ministro della Magia divenne pallido come un cadavere.
–Da quando Harry Potter è arrivato a Hogwarts, Voldemort ha ripreso immediatamente a dargli la caccia, utilizzando alcuni suoi fedeli emissari per catturarlo ed eliminarlo. Non mi stupirei se cercasse di attentare alla sua vita proprio in una manifestazione così pericolosa come il Torneo Tremaghi – continuò Silente inflessibile.
–Oh, andiamo, Albus! Non starai forse esagerando un po’ troppo con la faccenda di Potter? Sembrerebbe quasi che tu ne sia ossessionato
L’espressione incandescente con cui Silente lo fissò di rimando avrebbe terrorizzato chiunque, forse anche lo stesso Voldemort.
–Sei un uomo spaventato, Cornelius, un uomo che, pur di non affrontare le proprie responsabilità, a costo di andare contro ciò che pensa la gente, preferirebbe mentire spudoratamente piuttosto che guardare in faccia la realtà.
–Come osi dirmi cosa devo fare e cosa non devo fare? – tuonò Caramell sputacchiando saliva in tutte le direzioni. – Ti sembra forse facile fare il Ministro della Magia? Fai presto, tu, a dare giudizi, seduto sulla tua poltrona di Preside. Eppure, tempo fa ti è stata offerta su un piatto d’argento la possibilità di essere al mio posto, nevvero? Ma l’hai rifiutata, nonostante le aspettative: troppo difficile, il mestiere del Ministro. Avrei tanto voluto vederti oggi, nelle mie condizioni…
–La paura ti sta annebbiando la mente, Cornelius. Stai attento – lo avvertì Silente.
Susan non avrebbe mai creduto di avvertire una nota di preoccupazione nella sua voce.
–BASTA COSÌ! – Caramell era fuori di sé dalla rabbia, rosso come un peperone. – Ne ho abbastanza dei tuoi consigli e dei tuoi discorsi altisonanti! Io sono il Ministro e io so che cosa accade là fuori. Non me ne sto di certo tutto il giorno a gingillarmi in un ufficio da Preside, dove al limite posso preoccuparmi del bagno che perde o degli scherzi di un Poltregeist indisciplinato. Questo Torneo si farà fino alla fine e, se Potter si fa male in qualche modo, la colpa sarà soltanto sua. E se solo scopro che hai aiutato il ragazzo in qualche modo, chiederò un ricorso!
Detto questo, il Ministro si cacciò con rabbia la bombetta sulla testa brizzolata, facendo per uscire, quando Susan, completamente scandalizzata per quanto aveva appena visto, balzò in piedi come una furia, sbarrandogli la strada.
–E mia sorella? – chiese, gli occhi che fiammeggiavano.
–Mia cara, a meno che tu non trovi il modo di convincere la totalità dei miei Auror a rimettersi sulle tracce di qualunque cosa stia rapendo i figli dei Babbani senza alcun timore di finire sgozzati nel bel mezzo di un marciapiede, allora puoi anche considerare perduta quella povera ragazzina. Mi rincresce, ma non posso fare nulla per aiutarla.
Prima ancora che Susan avesse potuto ribattere in alcun modo, Cornelius Caramell l’aveva già scansata con uno spintone, sparendo per le scale senza neanche voltarsi a salutare Silente, che lo fissava con uno sguardo gelido, terribile come quello di una tigre.
–BASTARDI! – gridò Susan pestando i piedi per terra.
Lacrime di rabbia presero a rigarle il volto paonazzo.
Quelle parole, dette da colui che avrebbe dovuto rappresentare la comunità magica intera, proteggendola da mostri come Alhena Black, l’avevano colpita con la forza di una pugnalata in pieno petto.
Lucy era perduta e ancora una volta per colpa dei maghi.
Oh, quanto avrebbe voluto vederli bruciare, tutti quanti!
–E tu! – aggiunse puntando il dito contro Peter, che se n’era stato per tutto il tempo rannicchiato sul divano insieme a lei. – Non fai altro che startene lì impalato, con quell’espressione da bravo ragazzo perennemente stampata su quella faccia che….io te la staccherei a pugni, razza di deficiente! Dov’eri quando David è scomparso? Dov’eri quando papà è andato via, lasciando la mamma da sola? E dov’eri quando lei ha incontrato quello sciagurato di Charlie Winston, che da ora in avanti pretenderà di essere nostro padre? In questa cazzo di scuola! – tirò un calcio a un tavolinetto a pochi centimetri da lei; gli strani congegni argentati che vi erano impilati si sparpagliarono ronzando per tutto il pavimento con un fragore metallico. – E quando ti sei azzardato a tornare a casa, non hai fatto altro che parlare di quanto erano alti i tuoi voti a scuola e di quanto eri bravo a volare su quella cazzo di scopa, mentre tutto il resto della famiglia preparava il funerale per tuo fratello! Ma tanto la mamma ti adora, papà ti adorava, tutti ti adorano! Ogni stronzata che dici, per loro è oro colato. Sei la perfezione, tu: chi ti potrà mai contraddire? Io invece sono una povera matta che in tutti questi anni si è presa le responsabilità sulle spalle. Ma per forza tu sei così popolare, in questo mondo di pazzi: guarda come ragiona il vostro Ministro della Magia! Tu sei proprio come lui, uno schifoso lavativo, voltafaccia e menefreghista. Pusillanime! Ma chi ci ridarà Lucy e David, adesso? Chi? – sentendo che nuove lacrime le stavano bruciando il volto, Susan si voltò e si precipitò fuori dall’ufficio di Silente, prendendo a correre a perdifiato giù dalle scale.
In un attimo, i volti attoniti del Preside e di suo fratello scomparvero nell’oscurità, ma il suo cuore era dilaniato da mille lame.
Lucy perduta…Lucy perduta…
Non le importava di aver insultato Peter Il Perfetto davanti a Silente, se ne fregava altamente se in quel frangente aveva pronunciato più parolacce di quante ne avesse dette in una vita intera, non si curava neppure di aver distrutto una buona parte dei misteriosi congegni presenti nell’ufficio.
Che cos’erano queste sciocchezze in confronto alla tragedia che l’aveva colpita per la seconda volta? Chi le avrebbe ridato i suoi fratelli?
–Susan!
La ragazza si bloccò lì dov’era.
Ebbe come la certezza che il suo cuore non stesse battendo più come doveva.
In quel momento, aveva di fronte l’ultima persona che avrebbe voluto vedere in una simile situazione.
E la prima su cui avrebbe volentieri alzato le mani. Caspian Von Telmar.
–Tu! – sibilò minacciosa, nonostante le lacrime adesso avessero preso a scorrerle lungo le guance come una cascata.
–Susan! – il giovane le corse incontro, stringendola tra le sue braccia con fare protettivo. – Ho saputo di tua sorella solo ora. Mi dispiace…
La ragazza si divincolò con veemenza.
–Non ti azzardare a toccarmi, demonio! – ringhiò.
–Ma che ti prende? – Caspian era confuso.
E spaventato.
Perché improvvisamente la sua dolce Susan era diventata così aggressiva?
I suoi occhi di ghiaccio facevano paura.
–Tu sei la causa di tutti i miei guai! – gridò la ragazza puntandogli un dito contro. – Se non fosse stato per voi maghi, a quest’ora la mia sarebbe una famiglia felice e soprattutto completa! Ma tu, tu sei peggio di tutti loro: Arti Oscure, eh? Ti sembra questa una materia da insegnare ai bambini? Per forza poi si mettono a massacrare la gente!
Prima ancora che Caspian potesse fermarla, Susan gli aveva sferrato una tremenda ginocchiata nel basso ventre.
Il ragazzo crollò a terra boccheggiando.
–Te la do io la Babbana dal sangue sporco – disse tremando da capo a piedi per la rabbia. – Non ti azzardare a ricomparirmi mai più davanti, dannato stregone! Tra noi è finita! Ti odio! Non voglio rivederti mai più!
Detto questo, la ragazza lo oltrepassò con decisione.
Fu allora che la soprese la paura.
Caspian era un mago.
Era molto più forte di lei.
Ci avrebbe messo un attimo a rialzarsi e farle pagare la sua aggressione.
Tremando come una foglia, la ragazza prese a correre come una forsennata per il corridoio, fino a quando non si trovò al sicuro nella Torre di Corvonero.
Si sigillò nel suo dormitorio, ancora vuoto: le altre ragazze con cui lo condivideva erano sicuramente a studiare da qualche parte, in biblioteca o in riva al lago, in vista degli esami di fine anno.
L’unica cosa che udiva in quel momento era il battito frenetico del suo cuore e il fragore rasposo del suo respiro.
Si afflosciò sul pavimento, abbandonando la testa sulle ginocchia.
Si sentiva svuotata di ogni cosa. Solo quella mattina, avrebbe potuto dirsi la persona più felice della terra.
Ora, tutto questo faceva parte di un sogno.
Aveva rovinato tutto.
Ancora una volta.
Il suo sguardo vagabondò nella penombra della stanza e cadde sul baule ai piedi del letto.
Dal coperchio socchiuso emergeva l’estremità di un arco.
 
***
 
Era ormai pomeriggio inoltrato e le prime ombre prendevano ad allungarsi lungo i prati del parco man mano che il sole scompariva dietro le montagne.
Gruppi di studenti si godevano le ultime ore di luce abbandonati sull’erba, simili a tante macchie scure che sorgevano nelle vicinanze dello scheletrico veliero di Durmstrang.
Nessuno fece caso all’alta figura ammantata di nero che si allontanava a passo spedito verso il sentiero che portava a Hogsmeade, un arco stretto nella mano destra e una faretra ricolma di frecce che le dondolava su una spalla.
–Ci lasci così senza dire nulla? – chiese improvvisamente una voce squillante.
Susan levò il capo d’istinto, incoccando una freccia.
Riabbassò subito l’arma, notando che l’essere appollaiato tra i rami del faggio era soltanto Jane.
–Se fossi stata una strega in procinto di attaccarti, quell’arco non ti sarebbe servito a nulla – disse la ragazza in tono serio, balzando a terra con l’agilità di un gatto.
–La magia non fa per me – tagliò corto Susan in tono sbrigativo. – Ti posso assicurare che me la cavo meglio con i metodi di difesa babbani.
–Sì, l’ho notato – sogghignò Jane. – Ho intravisto il tuo dolce Caspian mentre lo trascinavano in infermeria. Era conciato parecchio male…
–Per quello che insegna, sono stata anche troppo indulgente…
–No, dai, non dire così!
–Senti, Jane, non sono qui per ascoltare paternali. Ora ho…da fare. Perché non te ne torni al castello da Harry? Tanto ci vediamo a cena.
–No, non ci vediamo a cena – la interruppe Jane.
Aveva le braccia incrociate sul petto e, nonostante la piccola statura, le sbarrava la strada meglio di un muro di cemento armato. – Dove vai di bello?
–Volevo fare qualche tiro per sfogarmi, tutto qui! – replicò Susan, non senza arrossire.
–Con una bisaccia così piena al traino e il mantello da viaggio sulle spalle. Stai per caso partendo?
–Jane, per favore…
–Beccata! Lo sai bene che è impossibile nascondermi qualcosa…
Sorpresa con le mani nel sacco, Susan incrociò le braccia sul petto con fare spazientito.
–E ora? – chiese in tono di sfida. – Hai intenzione di spifferare tutto alla McGranitt?
–Uhm, no. Ero solo curiosa di sapere quale piano avessi in mente per andare a salvare Lucy – rispose Jane accarezzandosi il mento con noncuranza.
–Come facevi a…
–Semplice premonizione, tutto qui. Sai, anch’io l’avrei fatto, se fossi stata nei tuoi panni – la ragazza scrollò le spalle con fare ribelle; sembrava quasi nuotare all’interno dell’enorme maglietta stinta a righe rosa, così larga da sembrare una tenda. – Sai, ci sono state altre volte che Silente o comunque gli adulti in generale hanno abbandonato me e Harry. E ce la siamo dovuta vedere da soli. Anche contro Voldemort e Alhena Black. Perciò spero non ti dispiaccia se ti offriamo il nostro aiuto. Anche perché non credo che da sola tu abbia molte possibilità di farcela.
–Sono una persona con la testa sulle spalle, so quello che faccio.
–Vedo, vedo. Mi chiedevo però cosa avresti fatto, una volta a Hogsmeade. Di prendere il treno non se ne parla: ti riacchiapperebbero subito e ti metterebbero sottochiave. Di Smaterializzarti neanche: non si può fare all’interno dei confini della scuola e per di più non hai mai seguito il corso di Smaterializzazione.
–E allora? Devo restare per forza qui?
–Be’, potresti volare – rispose Jane come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
–Oh, certo! Ma se non so neanche andare su una scopa!
–E chi ha parlato di scope? Io mi riferivo a qualcosa di più veloce e affidabile. Un cavallo alato, per esempio. Si dà il caso che io ne abbia proprio uno.
Susan sgranò gli occhi esterrefatta. – Non vorrai che io…
–Vuoi salvare Lucy sì o no?
L’altra trasse un profondo respiro.
Certo che voleva salvare Lucy.
Avrebbe dato la vita, pur di riaverla indietro.
–Vieni, c’è un gruppo di Grifondoro volenterosi che ha deciso di sposare la tua causa – disse Jane mettendole una mano sulla spalla. – Ma non ti permetterò di venire se non sei armata di bacchetta.
Susan si morse il labbro.
Non sapeva come, ma la sua amica aveva indovinato anche questo particolare.
 
***
   
Era quasi buio quando Susan e Jane oltrepassarono i primi alberi della Foresta Proibita e sparirono nell’oscurità.
Fatti diversi metri, si fermarono in una radura, dove sembrava essersi creato una sorta di piccolo accampamento.
Ulisse era sellato di tutto punto, con una bisaccia colma di cibo e beni di prima necessità legata all’arcione.
Una coperta era arrotolata alla paletta della sella, fissata appena sopra l’attaccatura della coda.
Harry, Ron e Hermione li aspettavano all’ombra degli alberi.
I loro volti erano segnati da espressioni tese.
–Tornerò in tempo per la terza prova, è una promessa – disse Jane abbracciando forte il fratello.
–Non mi va di lasciarti andare da sola – rispose lui in tono protettivo.
–Macché da sola! – la ragazza rise facendogli l’occhiolino. – Ho la scorta migliore del mondo. E poi, stanne certo, mi dispiace ricordarti che il vero obiettivo di Voldemort sei tu. Preferisco che Ron e Hermione restino con te. Nessuno sospetterà della tua goccia gemella, questa notte.
In quel momento, un fruscio attirò la loro attenzione.
Dal profondo della foresta erano appena comparsi Neville e Peter, tenendo per le briglie due degli enormi palomini alati che trainavano la carrozza di Beauxbatons.
Nel vedere suo fratello, Susan spalancò la bocca per protestare, ma il ragazzo la zittì con un’occhiata di ghiaccio.
–Volevi che facessi qualcosa, no? – disse in tono serio, senza alcuna traccia del suo solito sorriso sul volto perfetto. – Bene, eccomi qua.
Sua sorella incrociò le braccia sul petto, prendendo a fissare il suolo umido.
Era ancora arrabbiata con il mondo intero, ma questa volta non trovava le parole giuste per ribattere.
–Neville e Peter sono tra i maghi migliori di Grifondoro e gli unici disposti a dare uno strappo alle regole per aiutarci – la tranquillizzò Jane mettendole una mano sulla spalla. – Vedrai, domattina a quest’ora saremo di nuovo tutti a Hogwarts e Lucy verrà con noi.
–Lo spero proprio… – la ragazza non osava pensare al contrario.
Non in quel momento.
–Bene, ragazzi, credo sia meglio se montiamo in sella – li esortò Neville con decisione.
Nonostante l’aspetto goffo, il ragazzo era già in groppa al suo splendido palomino, tenendo le redini con una mano sola.
Nei suoi occhi scuri brillava una luce nuova.
Forse, pensò Jane, era la consapevolezza di andare a fronteggiare la sorella di colei che gli aveva rovinato la vita per sempre.
I suoi genitori sarebbero stati fieri di lui, se solo lo avessero visto.
–Bene – disse la ragazza, anche se a malincuore.
Voleva salvare Lucy a tutti i costi, ma non se la sentiva di lasciare solo Harry in un momento così delicato, anche se lottava per non darlo a vedere. – Sue, tu monti con me.
A differenza di Peter, che aveva preso lezioni di equitazione da bambino, Susan non aveva la minima idea di come si cavalcasse e la sola idea di riprovare l’emozione di volare in sella a Ulisse le faceva venire la nausea.
Ma non aveva altra scelta.
Rassegnata, si lasciò guidare da Jane, montando goffamente in sella.
In un attimo, l’amica si accoccolò davanti a lei, invitandola a cingerle la vita sottile con le braccia.
–Sarò di ritorno prima ancora di quanto pensi – disse rivolta a Harry.
Le loro iridi di un verde intenso si incontrarono, brillando nell’oscurità che diventava sempre più profonda.
Si presero per mano, stringendosi forte in un silenzioso abbraccio.
Nel vederli così uniti, come se fossero una cosa sola, Susan rabbrividì: per quanto amasse i suoi fratelli, nulla era paragonabile al legame che esisteva tra i Potter.
Avevano entrambi un pessimo carattere ed erano litigiosi oltre ogni immaginazione.
Tuttavia, non sarebbero riusciti a restare lontani l’uno dall’altra per neanche cinque minuti, neppure dopo il peggiore bisticcio.
Erano assolutamente indivisibili.
L’atmosfera che si era creata nella radura era carica di tensione.
Jane aveva lo stomaco sottosopra: quella sarebbe stata la sua prima avventura affrontata senza la confortante presenza del fratello al suo fianco.
Negli anni passati, Harry c’era sempre, anche quando il resto del gruppo sembrava disperso: insieme erano arrivati nei sotterranei più profondi di Hogwarts, affrontando Voldemort in persona di fronte allo Specchio delle Brame e nella Camera dei Segreti.
Se Jane non fosse stata con lui in quei frangenti, sicuramente Harry non ce l’avrebbe mai fatta da solo.
Per questo la ragazza aveva paura.
Sentiva che qualcosa, quella notte, sarebbe cambiato per sempre.
Una spaccatura invisibile l’avrebbe allontanata definitivamente dal fratello.
 –Abbiate cura di lui! – si raccomandò a Ron e Hermione, fingendo un tono scherzoso.
L’amica scattò in avanti, circondandole il collo con le braccia e stampandole un bacio sulle guance.
–Mi raccomando, fai attenzione! – sussurrò trattenendo a stento le lacrime.
Nella semioscurità, Ron si limitò a grugnire timidamente qualcosa che Jane non afferrò.
–A Cambridge! – gridò la ragazza colpendo con forza i fianchi di Ulisse con i talloni.
Susan credette di morire d’infarto quando il cavallo alato partì improvvisamente al galoppo nella boscaglia, staccandosi da terra con un solo colpo dei suoi dodici metri di apertura alare.
Gli aghi degli abeti che crescevano tutto intorno le schiaffeggiavano il viso man mano che salivano, fino a sbucare nell’immensità del cielo color indaco, in cui le sagome nere delle montagne si distinguevano appena.
Un attimo dopo, i pegasi di Neville e Peter li seguirono.
I tre presero a volare in formazione, puntando verso sud.
Susan non ricordò mai per quanto tempo durò il loro volo.
Sapeva solo che stavano andando molto, molto velocemente, a un’altezza su cui non voleva indagare.
Il mondo scorreva sotto di loro come una macchia scura e indistinta, in cui si mescolavano caoticamente alberi, case e campi coltivati.
Un vento gelido frustava i loro visi e si infilava sotto i mantelli.
Presto Susan non avvertì più la sensibilità delle dita e della punta del naso, tanto era intirizzita. In poco tempo, il cielo si riempì di stelle, che luccicavano come tanti minuscoli brillanti incastonati nella volta celeste.
Se la situazione non fosse stata così disperata, la ragazza avrebbe notato che quella era una delle notti d’estate più belle che avesse mai visto.
Improvvisamente, Cambridge apparve sotto di loro.
Le luci della città erano come una distesa incandescente che si estendeva a perdita d’occhio nell’oscurità.
–Non dobbiamo farci vedere dai Babbani! – esclamò Jane tirando di colpo le redini.
Con un forte nitrito, Ulisse cambiò bruscamente direzione, puntando alla zona periferica, dove incominciava un’infinita distesa di campi coltivati.
Persero rapidamente quota, abbassandosi fino a che gli zoccoli dei loro cavalli non si posarono dolcemente sulla terra battuta di un polveroso sentierino di campagna.
Il silenzio della notte era rotto solo dal rumore del trotto sullo sterrato e dal tintinnio dei finimenti.
Lumos! – sussurrò Jane piano.
Il pallido bagliore scaturitosi dalla punta della sua bacchetta illuminò i primi metri di strada davanti a lei.
Gli altri la imitarono in pochi secondi.
Avanzarono per ancora diversi minuti, fino a quando non incontrarono un cartello sconnesso che indicava: STRADA INTERROTTA. PERICOLO DI MORTE.
–Ci siamo! – esclamò Jane fermando Ulisse al passo e spegnendo la bacchetta.
In un attimo, i ragazzi piombarono nella più totale oscurità, rischiarata appena dalla falce di luna che si era appena levata nel cielo stellato.
I cavalli abbandonarono il sentiero, prendendo a discendere una ripida collina erbosa.
Erano atterrati in una zona dove non sembrava esserci traccia di esseri umani per chilometri e chilometri.
Una volta arrivati ai piedi della collina, Jane si fermò fissando l’oscurità davanti a lei.
–Giù dai cavalli e fuori le bacchette – ordinò secca.
Allungò una rapida carezza sul muso di Ulisse, poi prese ad avanzare a testa alta sull’erba.
–Ti ricordi la parola d’ordine? – le sussurrò Neville in un orecchio.
–Non ne sono sicura – rispose lei levando la bacchetta. – Finitus!
Una scia di energia invisibile esplose dal nulla e schizzò in avanti con un sibilo sordo.
Ci fu una piccola esplosione, poi qualcosa di enorme prese a srotolarsi dal nulla, sollevandosi a tal punto da oscurare la luna.
Ben presto, nel cielo stellato si stagliò un tetto spiovente, simile a quello di un tempio greco, attorniato da un’altissima cancellata in ferro battuto che terminava in tante minacciose punte ricurve.
–Villa Black – disse Jane a mezza voce.
La testa le girava in maniera incontrollata e si sentiva le gambe molli, ma doveva andare avanti.
Avvertiva tutto il male che fuoriusciva da quella casa allo stesso tempo così bella e spaventosa, ma non poteva tirarsi indietro.
Aveva una missione da compiere.
–Sono qui – la rassicurò Neville mettendole una mano sulla spalla.
Lei gliela strinse d’istinto.
Quel contatto caldo e la presenza del suo migliore amico accanto a sé la riempirono di coraggio.
–Andiamo, Lucy è là dentro – disse decisa.
Si avvicinarono all’enorme cancello con circospezione, le bacchette levate davanti a loro, compresa Susan.
Alohomora! – esclamò Jane.
I battenti si aprirono senza opporre alcuna resistenza, cigolando lentamente sui cardini come se fossero mossi da mani invisibili.
Un sentiero ghiaioso costeggiato da alte siepi li invitava ad avviarsi verso l’ingresso della villa, avvolta da una debole velo di nebbia.
A quella vista, una morsa d’acciaio strinse lo stomaco di Jane.
Era esattamente come nel sogno: la villa, le alte siepi, il viale avvolto dalla nebbia…
Per un attimo, non senza reprimere un brivido, la ragazza si chiese se per caso, alla fine di quel sentiero, avrebbe trovato davvero il ragazzo dai capelli scuri che aveva sognato qualche mese prima.
Scacciò subito il pensiero con violenza: aveva cose più importanti di cui occuparsi quella notte.
–State in guardia – ordinò mentre muoveva il primo passo verso il viale.
Un attimo dopo, i quattro erano penetrati all’interno del parco della villa.
Il silenzio assoluto era appena interrotto dal canto dei grilli e dal gorgoglio di qualche fontana nascosta nei dintorni.
Jane si guardò intorno con circospezione.
Un tempo, quel posto doveva essere stato di una magnificenza straordinaria.
Era un vero e proprio castello, come quelli che aveva visitato tanti anni prima in una gita scolastica.
Ora, però, la sontuosa dimora sembrava trovarsi nell’abbandono più assoluto.
Le siepi non dovevano aver visto una potatura come si deve da anni e avevano raggiunto altezze vertiginose, assumendo le sembianze di una mostruosa e informe massa di vegetazione.
Le erbacce avevano preso il sopravvento sul prato incolto e i rampicanti si erano conquistati ogni centimetro a disposizione, abbracciando le statue e le panchine marmoree disseminate tra i vialetti ghiaiosi.
–Sttttt! Avete sentito? – sussurrò a un certo punto Peter.
–GIÙ!
Jane non aveva ancora finito di gridare, che una gigantesca gabbia di ferro schizzò fuori dal terreno, simile a un mostruoso innesto d’acciaio, imprigionando Peter e Neville.
Le due ragazze erano rotolate fuori tiro appena in tempo.
Susan incoccò d’istinto una freccia, mirando alla piccola figura che si stava avvicinando lentamente nella loro direzione.
–Fatti avanti! – gridò la ragazza.
–Sue, no!
Troppo tardi.
Il dardo era schizzato con un sibilo verso la testa della sconosciuta vestita di nero.
Le bastò sollevare una mano inguantata perché la minuscola freccia venisse ridotta in polvere.
Un attimo dopo, il mondo si capovolse.
Le due ragazze erano rimaste appese a testa in giù, le caviglie imprigionate da corde invisibili.
Jane si divincolò come una furia, tentando di liberarsi della maglietta che le era calata davanti agli occhi.
Fu allora che la vide.
Sentì che le si rizzava ogni singolo capello che aveva sulla testa.
Ciò che per anni era stato il suo peggiore incubo, ora si dispiegava lentamente nella nebbia, senza che potesse fare nulla per fermarla.
Alhena Black era a meno di un metro da lei, il volto deformato da un sorriso raccapricciante mentre ammirava il capolavoro che aveva ottenuto con il solo schioccare delle sue dita.   
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 15
*** Solo una parola ***



CAPITOLO 15

Solo una parola

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Il calice tremò nel momento in cui venne sollevato in aria, increspando appena il liquido trasparente che lo riempiva fin quasi all’orlo.
Alhena Black fissò il suo riflesso deformato dalla superficie di cristallo, poi, dopo aver tratto un profondo sospiro, bevve la pozione fino all’ultima goccia.
Lo studio semicircolare era buio e silenzioso.
I rami del parco di Villa Black si allungavano verso le finestre come artigli ricurvi pronti a ghermirla e trascinarla nell’oscurità.
Nulla era cambiato in quella stanza durante i quattordici lunghi anni di assenza.
La scrivania era ancora addossata al muro carico di scaffali e trofei di caccia.
Alhena non aveva osato spostare alcun oggetto dalla sua precipitosa fuga verso l’ignoto.
Persino il libro che Tom stava leggendo poco prima della notte più lunga della sua vita era ancora lì, aperto sullo scrittoio, le parole ormai illeggibili per via dello spesso strato di polvere che le ricopriva.
La strega non poté non rabbrividire ripensando allo stregone chino nella sua lettura, i riccioli di un nero lucente che rilucevano al lume delle candele accese tutte attorno a lui.
Si ricordava benissimo del momento in cui, improvvisamente, egli aveva levato lo sguardo dal libro per posarlo su di lei.
Non avrebbe mai dimenticato il modo in cui l’aveva guardata, né la sfumatura rossastra che aveva pervaso i suoi magnetici occhi blu.
I ricordi svanirono all’istante in un mare di nebbia.
I suoi muscoli si rilassarono e il suo intero corpo fu pervaso da un improvviso senso di calma.
Alhena soffocò a malapena un gemito. La pozione aveva iniziato il suo effetto.
Si appoggiò alla scrivania, massaggiandosi le tempie con le dita inguantate.
Non c’era traccia di Tom, del suono vellutato della sua voce e del suo profumo misterioso e inebriante.
La strega era completamente sola, in una villa enorme piena di polvere e ragnatele.
Nessuno sapeva della sua esistenza e nessuno avrebbe mai dovuto saperlo.
Quanti sacrifici ho dovuto sopportare per te, pensò avvicinandosi a una delle tre finestre che davano sul parco.
Il cielo era del colore del sangue e il sole era da poco scomparso dietro le colline, lasciandosi alle spalle le prime ombre che si allungavano sempre di più verso la villa.
Quattordici anni.
Quattordici anni di solitudine assoluta, di sofferenza e, soprattutto, di paura.
Alhena fece scorrere un dito sulla superficie fredda della finestra.
Erano lontani i giorni di gloria, quando era stata davvero la strega più temuta di tutti i tempi, attorniata da una cerchia di devote sanguinarie, sempre pronte a obbedire ai suoi ordini.
Solo uno riusciva a tenerle testa, se non a superarla, il mago e l’uomo che era stato la sua rovina.
Una rovina che lei aveva scelto di sua spontanea volontà.
Di lei non restava che poco più di un fantasma, un morto fra i morti.
Perché, dal momento in cui aveva fatto la sua scelta, Alhena sapeva fin troppo bene quale destino l’attendeva da un momento all’altro.
Un momento che ora era più vicino che mai.
Dove siete finite, maledette?, pensò ricordando una a una le sue perdute compagne e devote. Vi siete forse dimenticate di quando bastava udire il mio nome per tremare di paura?
Il solo pensiero la riempì di un’oscura eccitazione.
Assaporò di nuovo ogni delitto che aveva compiuto in nome della purezza del sangue e della stirpe magica quando Voldemort era ancora al potere.
Sparizioni.
Torture.
Omicidi.
Tutto per suo ordine, per servire il suo signore.
Nessuno si era mai spinto così oltre come lei.
Nessuno aveva mai osato sfidare in quel modo forze che non conosceva.
Il flusso vermiglio dei pensieri di Alhena si bloccò all’istante.
Forse era solo nella sua testa, ma le era parso di udire distintamente l’unico rumore al mondo in grado di farle accapponare la pelle dall’orrore: il pianto di un bambino.
Allora ricordò, con rabbia, di non essere sola nella villa.
I suoi sotterranei non erano mai stati così pieni negli ultimi quattordici anni.
Doveva agire e alla svelta.
Non aveva poi così tanto tempo a disposizione.
–Ho disturbato qualcosa? – chiese improvvisamente una voce femminile alle sue spalle.
Alhena si voltò di scatto, desiderando con tutto il cuore che la donna bionda vestita di bianco che aveva appena varcato la soglia del suo studio sparisse in una nube di fumo.
Ma quella si limitò a sogghignare, avvicinandosi ancora di più a lei.
La differenza di altezza tra le due era disarmante.
La Strega Bianca torreggiava sull’altra di almeno una trentina di centimetri.
–Pensavo che ti avessero insegnato a bussare – disse Alhena asciutta.
–Cosa c’è, siamo di cattivo umore stasera?
–Stai attenta, Jadis. Questa è pur sempre casa mia.
–Vedo, vedo – lo sguardo della strega bianca vagò sui ripiani impolverati. – Ma bando alle ciance. Sono qui solo di passaggio e non ho tempo da perdere. Ho notato che hai degli ospiti in più.
A quelle parole, gli occhi di Alhena sembrarono diventare ancora più grandi per la rabbia.
–Quei prigionieri non ti riguardano, Jadis – sibilò in tono minaccioso. – Hai avuto quello che volevi. Hai preso il sangue che ti serviva, agendo sotto mio nome. Ma ora basta. Torna dal tuo padrone.
Le labbra di Jadis si stirarono in uno strano sorriso.
–Padrone, eh? La tua visione limitata del mondo non ti permette di vedere altro che questo in colui che avresti dovuto servire al posto mio?
–Non ti permettere! – la mano destra di Alhena schizzò prontamente sotto le vesti, stringendo l’impugnatura della bacchetta.
–Per anni ha aspettato invano il tuo arrivo nelle foreste dell’Albania, nella speranza che lo trovassi e ti prendessi cura di lui. Mentre tu ti divertivi a uccidere i figli dei Babbani nella speranza di riconquistare un minimo della dignità infangata della famiglia Black, lui se ne stava solo e all’oscuro, condividendo la sua misera vita con le creature più nefande. Ci è voluta una strega del nord, ovvero me, che fosse disposta a vincere tutto l’orrore e il ribrezzo per accudirlo e curarlo, preparando una pozione che gli consentisse di tornare una volta per tutte. Oh, sapessi quante volte mi ha fatto il tuo nome, mentre lo nutrivo, guardandolo diventare di giorno in giorno sempre più forte! Alhena Black, la serva traditrice. Ma non importa. Ora lui ha me.
–Mi stai dando della codarda? – gridò Alhena estraendo la bacchetta.
Con la massima calma, Jadis levò la sua lunga verga d’argento, puntandola contro il petto dell’altra.
–Avresti avuto tutte le possibilità per trovarti al mio posto, stanotte – continuò implacabile. – Eppure non l’hai fatto. Hai sacrificato tutto per…
–Silenzio!
–E per cosa, poi? Come sei sciocca, Alhena…
–Cosa vuoi dire con questo, Jadis? Ricordati la tua promessa!
–Promessa? – la strega bianca scoppiò a ridere. – Di nuovo quell’errore fatale, Alhena?
Il volto dell’altra era diventato improvvisamente pallido come un cadavere. – Non oserai…hai fatto il Voto Infrangibile, cagna!
–Di non rivelare al mio signore che cosa nascondi giù in cantina? – Jadis scoppiò in una risata fredda, senza gioia. – In effetti, non gli ho detto nulla a riguardo. Ma gli ho comunque suggerito dove avrebbe potuto trovarti. Sai, in questi giorni ha espressamente desiderato di rivederti…
Alhena aveva preso a sudare freddo.
–Non gli avrai detto che mi trovo qui, non è vero? – il suo tono di voce sembrava il guaito di una bestia ferita.
–Lui stanotte verrà – tagliò corto Jadis, torreggiando trionfante su di lei. Ormai l’aveva in pugno. – Appena avrà concluso la questione in sospeso con Harry Potter. Voi siete i prossimi.
–Maledetta puttana! Avevi promesso! – gridò Alhena levando la bacchetta.
Un fiotto di energia invisibile schizzò fuori dalla punta, scagliandosi contro il petto di Jadis.
La sua lunghissima bacchetta simile a una lancia schizzò in avanti, dissolvendo la maledizione con un crepitio di elettricità; poi, con un movimento repentino, la Strega Bianca rispose all’attacco.
Alhena venne gettata a terra da una tremenda esplosione.
Il suo corpo esile ricadde oltre i resti della scrivania distrutta, trattenendo invano tra le dita i resti del libro che svanivano tra tante piccole fiammelle.
L’ultima traccia della presenza di Tom Riddle a Villa Black era svanita per sempre, così come la sua vita: bruciata, fino all’ultimo frammento.
Con un urlo selvaggio, Alhena scattò in piedi, allargando le braccia.
Il suo corpo prese a restringersi, le nere vesti vennero ricoperte da un soffice strato di piume del colore della pece.
Un attimo dopo, un gigantesco corvo si levò in volo nella stanza, tracciando ampi cerchi sul soffitto.
Ma Jadis non era stata a guardare.
In quel momento, al suo posto c’era un enorme serpente arrotolato sul pavimento, pronto ad attaccare.
Alhena continuava a planare vicino al delicato lampadario di cristallo, il grosso becco che luccicava nella semioscurità, cercando di individuare un punto debole nel corpo del serpente, la cui brutta testa triangolare dondolava a destra e a sinistra; poi, a sorpresa, si lanciò in picchiata. Jadis spalancò le fauci con un sibilo assordante, gettandosi in avanti.
Il becco e gli artigli di Alhena le ferirono il collo screziato, ma non furono altrettanto rapidi nello schivare le sue zanne velenose.
Un attimo dopo, il suo corpo di donna giaceva ansimante sul pavimento, reggendosi l’avambraccio ricoperto di sangue.
–Non è mio compito ucciderti – disse Jadis, di nuovo tornata donna, guarendole la ferita con un solo colpo di bacchetta. – Per tua fortuna, non riesco a portare con me tutti quei prigionieri. Ma non importa. Al Signore Oscuro farà piacere scoprire che sei riuscita a catturare la sorella gemella di Harry Potter, alla fine. Forse ti ricompenserà con una morte meno dolorosa – si accucciò accanto a lei, mettendole una mano sulla spalla esile. – Sai, alle volte mi chiedo che cosa ti abbia spinta a compiere una tale follia. Avevi tutto il mondo ai tuoi piedi e un potere che schiere intere di maghi e streghe non osavano neppure immaginare. Eppure hai buttato via tutto questo in un attimo, come se non te ne importasse più nulla. Perché?
Alhena respirava a fatica, ancora intorpidita dagli effetti del veleno.
Con uno sforzo sovrumano, riuscì a sollevare a stento la testa per fissare negli occhi la sua rivale.
–Tu conosci il potere, – sussurrò allo stremo delle forze – ma non saprai mai che cos’è…l’a-amore.
–Amore? – Jadis scoppiò nell’ennesima risata fredda. – Così è questa la tua risposta? Dopo tutti questi anni al servizio del Signore Oscuro? Deve esserti davvero andato di volta il cervello! Spero che sia davvero così, è meglio per te. Nessuno avrebbe mai compiuto una tale follia per una ragione così stupida.
–Tu non sei come me! – ringhiò l’altra.
–Appunto per questo lui, alla fine, ha scelto proprio me – sussurrò Jadis, vicinissima al volto di lei, facendo in modo che ogni sillaba avesse l’impatto di una lama conficcata nella carne. – Amore è solo una parola. Continua pure a trastullarti con i tuoi prigionieri, mentre sarò via. Gilabrik si assicurerà che tu non faccia scherzi.
Detto questo, la Strega Bianca si levò in piedi e, con estrema lentezza, uscì dalla stanza.
Alhena rimase distesa sul pavimento, il piccolo corpo abbandonato e immobile, il silenzio rotto solo dal suo respiro irregolare.
Quella notte Lord Voldemort sarebbe tornato.
Ma lei, al contrario di quanto aveva sempre desiderato nella sua vita, non sarebbe stata al suo fianco ad aspettarlo.
 
***
      
Jane si svegliò di soprassalto, scossa dai brividi.
Si sentiva tutte le ossa doloranti e aveva gli occhi cisposi per non essersi cambiata le lenti a contatto.
Senza contare che, dopo due giorni di prigionia, l’odore che aleggiava nella piccola cella in cui erano stati ammassati tutti quanti non era proprio dei migliori.
In ogni caso, poteva andare molto peggio: perlomeno non li avevano divisi dopo la cattura.
Anzi, c’era di buono che Lucy era ancora viva. In quel momento dormiva profondamente, la piccola testa fulva appoggiata al grembo di Susan, la cui spalla era abbandonata su quella di Peter.
La cosa peggiore, però, era che Jane non sarebbe mai potuta tornare in tempo per la terza prova.
E Harry, sicuramente in pericolo quanto loro, non avrebbe potuto contare sul suo appoggio.
Al solo pensiero, Jane lottò con tutte le sue forze per non scoppiare a piangere.
Sentiva la disperazione diventare sempre più insopportabile di minuto in minuto.
Ma non poteva crollare, non quando era il punto di riferimento di tutti i suoi compagni, che ora dormivano ammassati come tanti sacchi vuoti attorno a lei.
Prima ancora che se ne rendesse conto, il suo volto da folletto fu presto bagnato dalle lacrime che avevano preso a scorrerle senza controllo sulle guance.
Era finita.
Non sapeva come fare per riportarli tutti a casa sani e salvi, questa volta.
Alla fine, la Strega Suprema aveva avuto la sua vendetta.
Improvvisamente, un rumore di passi attirò la sua attenzione.
Li avrebbe riconosciuti fra migliaia e migliaia, anche se aveva avuto la sfortuna di udirli solo poche volte.
Distingueva nettamente il modo in cui i tacchi dei suoi stivali picchiettavano sulla nuda pietra.
Avvertì i capelli incresparsi per l’elettricità che aveva preso a scorrere nelle sue vene, pronta a darle l’energia sufficiente per affrontare qualsiasi prova l’avrebbe attesa di lì a pochi secondi.
Udì distintamente una pesante porta di ferro che veniva spalancata e poi richiusa alle spalle con un fragore assordante.
Poi iniziarono le urla.
Un fragore di mobili rovesciati esplose nel silenzio assoluto del sotterraneo.
La Strega Suprema urlava, urlava a pieni polmoni parole di rabbia che Jane non riuscì a decifrare.
Terrorizzata, la ragazza si rannicchiò ancora di più sul suo pagliericcio.
Poi, improvvisamente, un grido disperato squarciò l’oscurità.
Ma non era più la voce di Alhena a urlare.
Era molto simile, appena più bassa e leggermente roca.
E non esprimeva affatto rabbia.
Era dolore, un dolore disperato, incontenibile, inimmaginabile, che non accennava a cessare, diventando sempre più straziante.
In un attimo, tutti furono svegli.
Nel buio, Lucy prese a piangere, stringendosi ai fratelli.
–Stanno torturando qualcuno! – esclamò Neville inorridendo.
Jane si raggomitolò al suo fianco, pietrificata dall’orrore.
Non riusciva a muovere un muscolo.
Era già stato raccapricciante veder scagliare la Maledizione Cruciatus su un ragno, ma percepirne ora gli effetti su un essere umano era quanto di più atroce avesse osato solo lontanamente immaginare.
Voleva che quell’incubo finisse, che le urla cessassero e che lei si risvegliasse nel suo letto, al sicuro a Hogwarts.
Ma nulla di tutto questo accadde.
Erano sempre lì, imprigionati in quella umida cella sotterranea senza alcuna via di scampo.
Poi, improvvisamente, le urla cessarono.
Il silenzio tornò a stendersi come un sudario nelle segrete.
Si udì un lento cigolio di cardini, seguito immediatamente dopo dal rumore di una porta che si chiudeva.
La Strega Suprema comparve nell’oscurità, le spalle appoggiate al muro, i lunghi capelli neri che le scendevano sulla testa abbandonata sul petto.
Non sembrava esserci più traccia della strega sanguinaria che tutti conoscevano.
L’Alhena Black che in quel momento si mostrava ai suoi stessi prigionieri attraverso le sbarre della loro cella era una donna fragile e sfinita, esile come un fuscello che si sarebbe spezzato al primo soffio di vento.
Stringeva ancora la bacchetta nella destra abbandonata lungo il fianco, gli occhi arrossati e semichiusi.
Il suo respiro era un anelito debole e irregolare.
E fu allora che Jane la vide.
Appena percettibile alla debole luce delle torce, una piccola lacrima scese lentamente lungo lo zigomo della Strega Suprema, percorrendole l’ovale perfetto del viso e sparendo nell’oscurità.
Il suo pianto invisibile durò un solo attimo, poi i suoi occhi neri si posarono su quelli verdi di Jane.
E ritrovarono tutta la loro ferocia di sempre, ardenti come braci.
–Tu! – gridò Alhena scagliandosi contro la cella.
La porta si aprì di scatto con un solo colpo di bacchetta
–Vieni con me!
La ragazza si rannicchiò d’istinto sul pagliericcio, ma le dita della donna furono più rapide, afferrandola per i capelli e costringendola a levarsi in piedi con un doloroso strattone.
–Lasciala stare! – gridarono gli altri all’unisono, facendo per proteggerla, ma la Strega Suprema aveva già trascinato la loro amica oltre la soglia, chiudendo la porta con un tonfo.
–Avanti, cammina! – ordinò puntandole la bacchetta tra le scapole.
Jane si irrigidì per il terrore, prendendo a camminare con passi rapidi e veloci.
Avvertiva il male esplodere ovunque attorno a lei, intorpidendola e facendole salire una nausea insopportabile.
La fronte fu presto increspata di goccioline di sudore freddo.
–Togliti di mezzo, tu, o ti spedirò a fare compagnia agli elfi domestici di mia madre! – esclamò seccamente Alhena.
A meno di un metro da loro, un nano vestito di rosso con una grossa ascia in mano si andò a rannicchiare nell’oscurità del sotterraneo come uno scarafaggio spaventato.
–Non sa chi sono io – continuava a borbottare la strega mentre spingeva Jane su per gli scalini sconnessi che portavano di sopra. – Non sa di che cosa sono capace.
Attraversarono i corridoi bui e polverosi, i loro passi risuonavano ovattati sui tappeti verde smeraldo che coprivano i pavimenti di marmo.
Improvvisamente, Alhena spalancò una porta di legno chiaro, spingendovi Jane all’interno.
Era uno studio semicircolare, al cui centro campeggiavano i resti di una scrivania rovesciata.
Parecchie bruciature avevano aperto degli squarci sul ricco tappeto persiano, i cui ricami color verde e argento ricordavano le squame di un serpente.
Jane deglutì.
Quello era lo studio personale di Alhena Black.
L’antro della strega.
   
   
 
 
 
 

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Capitolo 16
*** Faccia a faccia ***



CAPITOLO 16

Faccia a faccia

~

 
 
 
 
 
 
 
 
 
L’Alhena Black che aveva di fronte era molto diversa da quella che ricordava.
Jane se ne rese conto nel momento in cui fecero ingresso nello studio, quando la donna accese con un colpo di bacchetta il grande lampadario di cristallo che si trovava sul soffitto.
Non c’era più traccia della Strega Suprema che per anni aveva abitato i suoi incubi.
La straordinaria bellezza e la grazia aristocratica erano come avvizzite.
Il suo corpo era più minuto e smagrito che mai e il perfetto ovale del volto appariva alterato dagli zigomi sporgenti.
L’elegante abito nero appariva floscio sulle membra sottili, come se fosse stato appeso malamente a una gruccia appendiabiti.
I capelli non erano più morbidi e setosi, ma erano radi e presentavano qua e là delle striature di grigio.
Ma la cosa più terrificante erano gli occhi iniettati di sangue, che ora sembravano più grandi che mai, risaltando sul volto scarno in tutta la loro follia omicida.
–Che cosa hai sentito? – chiese la donna voltandosi di scatto verso Jane.
–Niente – mentì la ragazza d’istinto.
–BUGIARDA! – Alhena scattò in avanti simile a un serpente, come se volesse mettere le mani addosso alla sua prigioniera, ma all’ultimo istante parve ripensarci. – Dalla tua cella era impossibile non accorgersi di nulla – proseguì torva.
–E va bene! Se proprio vuoi saperlo, ho sentito tutto, ogni singolo urlo di dolore emesso da chiunque stavi torturando senza pietà – sputò Jane con rabbia.
–Lo sapevo! – l’espressione sul volto di Alhena sembrò allargarsi ancora di più, fino a trasformarlo in una grottesca maschera di follia.
–Potevi stare attenta – proseguì la ragazza imperturbabile, dosando tutto l’odio possibile in ogni parola.
Quella creatura che si contorceva a meno di un metro da lei la ripugnava oltre l’immaginabile.
 –Non mi provocare, ragazzina!
–E anche se fosse? Tanto lo so che non mi ucciderai.
Nell’udire quell’affermazione, Alhena rimase come pietrificata.
Un sorriso mostruoso si disegnò sulle sue labbra sottili.
–Ah, davvero? – sogghignò. – E come fai a esserne così sicura?
–Perché sei tu quella che mi sta provocando – rispose Jane asciutta, lottando per mantenere tutto l’autocontrollo possibile. – Io non sono il tuo vero obiettivo, lo so. Avanti, dove vuoi arrivare?
La Strega Suprema prese a girarle intorno come una belva in trappola. – Nonostante siano passati quattro anni, la tua arroganza non è diminuita affatto.
–Lo so, noi Potter siamo famosi per questo.
–Io non scherzerei così tanto con il fuoco, se fossi in te.
–Ancora non mi hai risposto. Deduco che il fatto che mi trovi qui in questo momento sia il risultato di una trappola ben congeniata. Ho seguito costantemente i tuoi spostamenti negli ultimi mesi, lo sai? Ogni trenta giorni spariva un bambino. Un maschio e una femmina alternati, tutti Mezzosangue sul punto di compiere il loro undicesimo compleanno. Sapevo che c’eri tu dietro tutto questo. Mi chiedo solo perché uccidere tanti innocenti solo per divertirsi.
–Oh, sempre se non l’hai notato, non mi interessa più uccidere i figli dei Babbani per perpetuare il nobile progetto di purificazione di Salazar Serpeverde – rispose la Strega Suprema con un ghigno folle. La sua voce divenne improvvisamente grave e solenne, come se stesse recitando una formula magica – Osso del padre, donato a sua insaputa, rinnoverai il figlio.
–Ma che diamine…?
Carne del servo, donata con l’assenso, rinnoverai il tuo signore.
 –Oh, Dio!
Alhena continuava a inchiodarla con il suo sguardo spiritato. – Sangue del nemico, preso con la forza, farai risorgere il tuo avversario.
–Ma questa è follia!
–Ti piace? – la Strega Suprema sorrise soddisfatta. – Il Signore Oscuro in persona ha elaborato la formula di questa pozione per tornare più forte che mai – disse implacabile. – Per l’osso e la carne non ci sono stati problemi: alla fine dell’estate scorsa si è trasferito nella villa di famiglia, a pochi passi dalla tomba di suo padre. Per quanto riguarda la carne, be’, il suo fedele servitore Peter Minus provvederà a saldare il suo debito con lui.
Jane ascoltava ogni parola con gli occhi sgranati dall’orrore.
Tante volte aveva udito parlare di magia nera, ma non avrebbe mai creduto che potesse arrivare a certi livelli.
–Ma il sangue… – Alhena si concesse una pausa teatrale. – Insomma, capisci che serviva una vittima particolare, no? E qual è il nemico numero uno del Signore Oscuro? Ah, giusto: tuo fratello!
–AHA! – l’esclamazione che l’altra si lasciò sfuggire era un misto di rabbia e rassegnazione. – Ecco perché c’erano i Mangiamorte alla Coppa del Mondo di Quiddich! Li hai mandati tu, non è vero? Sei la persona più fidata che sia rimasta a Voldemort. Lo hai seguito fino in Albania e hai preso ordini da lui per continuare la sua opera fino a quando non sarebbe stato abbastanza forte da ritornare, non è così? Guarda caso, è stato proprio poco prima che io e Harry scoprissimo i nostri poteri magici che sono cominciati a sparire i figli di Babbani, compreso David Pevensie! E, l’anno successivo, a Hogwarts è stata riaperta la Camera dei Segreti grazie alla complicità di Lucius Malfoy, che, guarda un po’, ha sposato proprio tua sorella ed è un Mangiamorte a sua volta! E poi, quest’anno, visto che mio fratello è inavvicinabile, hai pensato di scatenare la tua furia omicida sempre su dei bambini innocenti!
–Sembrerebbe un piano perfetto, non è vero? – replicò la strega Suprema. – Ah, povera Jane! Quante cose ignori! Per esempio, sai che non sono mai stata in Albania?
Quell’affermazione ebbe sulla ragazza l’effetto di una secchiata d’acqua gelida in pieno viso, facendo crollare tutte le sue certezze. – Che cosa?
–Certo, ho ucciso quei bambini tanti anni fa e stavo per mettere a tacere una volta per tutte anche te e tuo fratello, se qualcosa non fosse andato storto – le sue labbra sottili si incurvarono in una piega orribile. – Forse, con la vostra morte e quella della prima generazione di maghi e streghe dopo la Guerra Magica, il Signore Oscuro mi avrebbe perdonata, una volta eliminato l’ultimo ostacolo alla sua ascesa.
–Perdonata?
Jane era perplessa.
Possibile che la serva più devota di Voldemort fosse in realtà una traditrice?
–Ma, dopo la vostra fuga, ho capito quanto il mio piano fosse inutile – riprese Alhena con un gesto brusco della mano. – Il Signore Oscuro aveva trovato il modo di rientrare in Inghilterra e progettare il suo ritorno anche senza il mio aiuto. Un professore di Hogwarts, giovane e sciocco, si era imbattuto nel suo cammino in Albania e lo aveva portato dritto a Hogwarts, a un passo da Silente e da Harry Potter. Allora si diceva che nel castello fosse stata nascosta nientemeno che la Pietra Filosofale, il cui elisir gli avrebbe permesso di tornare. Ma, anche questa volta, i suoi piani vennero ostacolati da voi due mocciosi.
Dopo la morte del professore, Lord Voldemort abbandonò il suo corpo e ritornò nelle foreste dell’Albania, possedendo serpenti e altri piccoli animali per poter sopravvivere. Fino a quando non incontrò Jadis, l’autrice di tutti gli omicidi di cui mi hai ingiustamente accusata.
Jadis è una strega del nord, proveniente dalle steppe più remote dell’Europa ed esperta di Arti Oscure. Le grandi gesta del Signore Oscuro erano arrivate anche nelle sue terre e per questo, sicura che dovesse trovarsi da qualche parte, decise di andare a cercarlo. Lo trovò, lo accudì e lo aiutò a diventare più forte, iniziando a formulare la pozione che gli avrebbe permesso di tornare. La vera manna dal cielo fu l’arrivo di Peter Minus, il traditore, e con lui Bertha Jorkins, una strega del Ministero che si rivelò una vera miniera di informazioni. Fu grazie a lei che il Signore Oscuro venne a sapere che il Torneo Tremaghi si sarebbe tenuto a Hogwarts. Quale migliore occasione per arrivare a Harry?
Per sua fortuna, grazie ai nuovi alleati, non fu difficile introdurre una spia all’interno delle mura del castello che permettesse a Harry di partecipare al Torneo Tremaghi e di vincere. Nel frattempo, per evitare fallimenti, Jadis ha iniziato a rapire i figli dei Babbani, utilizzandoli come cavie. In fondo, bisognava essere sicuri che all’occorrenza la pozione funzionasse, no?
–Ma non ha senso! Voldemort non vuole il suo sangue?
–Appunto, a lui Harry serve vivo – precisò la strega. – Ti ricordi per caso in che cosa consisteva la terza prova?
–Doveva superare il labirinto – rispose Jane meccanicamente.
–E poi?
–La Coppa…il primo che avrebbe toccato la Coppa Tremaghi avrebbe vinto!
–Eh, già. Peccato che la Coppa in questione sia stata trasformata in una passaporta che porterà il tuo Harry, non appena la sfiorerà, dritto a Little Hangleton, tra le braccia aperte del Signore Oscuro…
–NO!
–Questa volta tuo fratello non ha speranza di salvarsi: il Signore Oscuro prenderà il suo sangue e risorgerà. Poi lo ucciderà una volta per tutte e verrà qui. Esatto, hai indovinato, cara Jane. Non sarò io a ucciderti. Ci penserà lui e io potrò finalmente pagare il mio debito.
La mente di Jane galoppava alla stessa velocità del suo cuore.
A giudicare dall’obliquità dei raggi solari che penetravano dalle finestre alle spalle della Strega Suprema, dovevano essere quasi le nove e mezza.
Quanto ci avrebbe messo Harry a raggiungere la Coppa e finire nella trappola?
Non ce l’avrebbe mai fatta a tornare in tempo.
Ormai, l’unica speranza era quella di fuggire di lì e in fretta.
Doveva riavere la bacchetta, a tutti i costi.
–Perciò hai usato Lucy per attirarmi qui, non è vero? Lei non rientra affatto nei canoni delle altre vittime – chiese, decisa a prendere tempo. Nel mentre, i suoi occhi sondavano ogni centimetro della stanza, alla ricerca di qualsiasi nascondiglio fosse stato destinato ai suoi effetti. – Sapevi che sarei venuta a cercarla, visto che sono la migliore amica di Susan.
–Oh, il fatto che Jadis abbia scelto questa casa come sua base è stato di grande aiuto – rispose Alhena. – Diciamo che la nostra spia ci ha riferito molte più cose di quanto fosse necessario.
–E come mai questa sera non sei andata direttamente da Voldemort insieme agli altri, invece di startene qui a giocare con i tuoi prigionieri?
–Arrogante, ma sveglia – commentò la Strega Suprema in tono acido. – Ci sono cose che non puoi capire.
–Ma cosa? Una colpa imperdonabile, per caso? Ѐ per questo che ti sei fatta da parte?
–Io non…
In quel preciso istante, il volto già di per sé grottesco di Alhena si trasformò in una maschera di orrore.
La sua bocca si spalancò come una voragine informe, emettendo un grido di dolore lancinante mentre si strappava via il guanto sinistro, contemplando con gli occhi sgranati dal terrore il teschio che vomitava un serpente delinearsi sulla pelle diafana dell’avambraccio.
–Ѐ tornato! – gridò cadendo sulle ginocchia. La sua voce era strozzata. –IL SIGNORE OSCURO Ѐ TORNATO!
Senza neanche pensarci, colta da un improvviso quanto selvaggio istinto di sopravvivenza, Jane approfittò di quell’istante di debolezza per afferrare una lampada riversa a terra e colpire con forza la testa della Strega Suprema.
La donna crollò a terra senza un lamento, restando immobile sul pavimento verde.
Combattendo contro tutto il disgusto che provava verso quell’essere diabolico, Jane prese a frugare tra i suoi vestiti, fino a quando non trovò la bacchetta, nascosta accanto a un sottile pugnale d’argento.
La puntò con decisione contro Alhena.
Stupeficium! – gridò decisa.
Il corpo della Strega Suprema ebbe un debole sussulto, ma rimase completamente immobile.
Senza perdere un secondo, Jane afferrò il pugnale e tagliò con decisone la corda della tenda, usandola per legarle saldamente mani e piedi; poi levò di nuovo la bacchetta.
Accio bacchette! – esclamò.
Dagli scaffali della libreria, quattro bacchette schizzarono nel suo palmo proteso.
Con il cuore che le batteva per la paura, Jane si fiondò fuori dalla stanza, percorrendo a ritroso i corridoi polverosi della villa e scendendo di nuovo nel sotterraneo.
Il terrore che la Strega Suprema si fosse risvegliata e le stesse dando la caccia era più forte che mai.
Aveva appena imboccato la galleria sotterranea che portava alla cella dei suoi amici, quando dall’oscurità balzò fuori la figura ricurva del nano, l’ascia levata in alto pronta a colpire.
STUPEFICIUM! – gridò Jane d’istinto.
Il corpo privo di sensi del nano cadde a terra come un sacco di patate, seguito dal fragore metallico dell’ascia sul pavimento di pietra.
Jane lo scavalcò con le gambe che le tremavano in maniera incontrollata, continuando la sua corsa nel buio.
Improvvisamente, si fermò, voltandosi di scatto.
L’inconfondibile rumore di passi felpati dietro di lei si stava facendo sempre più vicino.
STUPEFICIUMSTUPEFIUCIUM!
I due Schiantesimi cozzarono contro il raggio di luce accecante che partì dall’imboccatura del sotterraneo; pietre e frammenti di calcinacci si staccarono dal soffitto con un tremendo fragore.
Stupeficium! – gridò ancora Jane in direzione di una sagoma indistinta che barcollava tra le macerie, determinata a finirla.
–Jane, no, aspetta! SONO IO! – gridò improvvisamente una voce familiare.
La ragazza abbassò immediatamente la bacchetta.
Caspian Von Telmar emerse dall’oscurità, completamente ricoperto di polvere bianca, scostandosi una ciocca di capelli neri dal viso accaldato.
–Accidenti! – esclamò il giovane scavalcando il cumulo di macerie che li divideva. – Non mi era mai capitato di farmi mettere in crisi da un paio di Schiantesimi. Conviene non farti arrabbiare!
–C-Caspian? – chiese Jane con voce tremante.
Gli eventi di quella sera l’avevano terrorizzata a tal punto da non riuscire a capire se il ragazzo davanti a lei fosse effettivamente l’amico o l’ennesimo trucco di Alhena.
–Stai tranquilla – la rassicurò lui sfoderando uno dei suoi incredibili sorrisi. – Sei al sicuro, ora.
–Col cavolo! – esclamò la ragazza inferocita. – Come hai potuto lasciare da solo Harry in un momento del genere? C’è una spia a Hogwarts e ora per colpa tua…
Già, ora.
Se Voldemort era tornato, allora Harry non si trovava più a scuola.
Probabilmente non era neppure vivo.
Al solo pensiero di non rivedere mai più suo fratello, Jane si lasciò sopraffare dalle emozioni.
Calde lacrime presero a rigarle il volto pallido.
Caspian la circondò d’istinto tra le braccia, stringendola forte  a sé.
La ragazza prese a singhiozzare senza freno, il volto premuto contro il suo petto.
–Ѐ tornato! – esclamò. – Voldemort è tornato! Ho visto il Marchio Nero…la Strega Suprema ha detto che ha catturato Harry e che a momenti sarà qui!
–Lei dov’è? – chiese Caspian.
–Di sopra. L’ho tramortita.
–E gli altri?
–In una cella qui vicino. Stanno bene.
–Portami da loro. Dobbiamo andarcene subito di qui!
Jane annuì piano, poi si scostò dal suo abbraccio, prendendo a fargli strada nel buio del corridoio.
In pochi minuti, giunsero di fronte alle sbarre della loro cella.
Gli occhi chiari di Susan brillavano guardinghi nell’oscurità.
–Jane, ma che cosa sta…? – si bloccò di colpo, non appena vide Caspian emergere dietro di lei.
Un’espressione di puro imbarazzo si dipinse sul suo volto.
–Non c’è tempo per le scuse – disse lui. Incredibilmente, sorrideva. – Se sono qui, un motivo c’è di sicuro – spalancò la porta con un solo movimento di bacchetta, poi porse la mano a Susan, invitandola a uscire.
Lei gli accennò un sorriso imbarazzato, intrecciando le dita con le sue e uscendo fuori dalla cella, portandosi dietro Lucy.
Peter e Neville le seguirono a ruota.
–Prendete le bacchette! – ordinò Jane restituendo i loro effetti. – Dobbiamo andarcene prima che quel mostro si svegli!
I ragazzi si lanciarono in una corsa precipitosa lungo il corridoio, dritti verso le scale che conducevano all’uscita, quando Jane improvvisamente si fermò.
Si era dimenticata che non erano soli in quella prigione sotterranea.
E che, dopo quell’evasione di massa, di certo non conveniva essere l’unico prigioniero rimasto lì dentro con Voldemort in procinto di arrivare.
Era tutto come nel suo incubo.
La grande porta di ferro puntellata con delle grandi borchie metalliche.
Il sotterraneo buio.
L’improvvisa voglia di entrare, qualunque cosa l’aspettasse là dietro.
Un brivido di eccitazione le percorse la schiena.
Aveva come l’impressione che, nel momento in cui avrebbe aperto quella porta, nulla sarebbe più stato come prima.
–Jane!
La voce di Susan bastò a riportarla alla realtà.
–C’è un altro prigioniero, dietro questa porta! – esclamò lei. – Abbiamo sentito la Strega Suprema che lo torturava!
–State indietro! – ordinò Caspian facendosi avanti. – Alohomora!
La serratura scattò con un sonoro clangore metallico, poi la porta girò lentamente sui cardini, rivelando una cella più grande di tutte le altre, completamente buia.
La luce delle bacchette prese a danzare lungo le pareti, incontrando prima una grande libreria, poi un letto sfatto, infine un tavolo e una sedia rovesciati.
Ovunque vi erano segni di lotta.
Poi, improvvisamente, la bacchetta di Caspian si fermò su due grandi occhi neri spalancati.
 
 

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Capitolo 17
*** Il prigioniero ***



CAPITOLO 17

Il prigioniero

~

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Jane serrò gli occhi d’istinto, pizzicandosi con foga l’avambraccio.
Sono di nuovo nel mio incubo, cercò di convincersi con tutte le sue forze. Ancora qualche istante e tutto questo sparirà.
Ma, quando riaprì gli occhi, il ragazzo era ancora riverso al centro del pavimento, gli occhi neri sgranati in un’espressione di puro terrore, un rivolo di sangue che gli sgorgava dal labbro inferiore spaccato, scendendogli lungo il mento e il collo.
La luce delle bacchette puntate contro il suo volto lo rendeva ancora più spettrale e cadaverico.
–Ѐ morto? – balbettò la ragazza, senza riuscire a staccare lo sguardo da lui, come ipnotizzata.
–No, ma il polso è debole e brucia di febbre – rispose Caspian, che gli si era inginocchiato accanto. – E ha un braccio rotto – osservò, indicando la strana angolatura che formava la spalla sinistra sotto il maglione.
–Ma chi è? – chiese Peter sospettoso.
–Non lo so – rispose Caspian dubbioso. – Non credo sia una delle vittime scomparse negli ultimi mesi.
–Io…credo di averlo sognato! – intervenne Jane d’istinto.
Si accorse troppo tardi di aver detto una sciocchezza.
Ora tutti gli occhi erano puntati su di lei.
–Oh, Jane! Ti sembra questo il momento di stare a pensare ai sogni? – esclamò a quel punto Susan con stizza.
Era stata l’unica a non entrare nella cella, tenendo il volto di Lucy premuto contro il suo petto per evitare che vedesse quell’orribile spettacolo.
–Gli hanno scagliato contro la Maledizione Cruciatus – disse Neville, pallido come un cencio.
–Chiunque egli sia, la Strega Suprema deve avercela particolarmente con lui – osservò Caspian. – E non credo sia un prigioniero come tutti gli altri. Guardate questa stanza, così ampia e arredata come la camera di un aristocratico.
–Non mi piace – gemette Susan alle loro spalle. – Andiamo via, per favore!
–E lasciarlo qui? –esclamò Jane, perdendo il controllo ancora una volta.
–Non abbiamo idea di chi sia, al di fuori dei tuoi incubi! – esclamò l’altra con decisione. – Che ne sappiamo di chi è? Potrebbe essere una trappola!
–I nemici di Voldemort sono nostri amici. E, se questo ragazzo è stato rinchiuso qui sotto, arrivando addirittura a subire delle torture così atroci, un motivo ci sarà, no?
–Jane ha ragione – intervenne Peter. – La cosa migliore è portarlo con noi e fare in modo che si riprenda. In fondo, chi meglio di lui può dirci perché mai si trova qui?
–Concordo pienamente – disse Caspian.
–Sbrighiamoci, però – intervenne Neville. – Voi-Sapete-Chi potrebbe arrivare da un momento all’altro!
L’esortazione del ragazzo ebbe l’effetto di una scarica elettrica.
Con un gesto repentino quanto delicato, Caspian sollevò il prigioniero tra le braccia e intimò agli altri di aprire la strada verso le scale.
In un attimo, furono tutti nel corridoio, il fiato corto per la paura, terrorizzati alla sola idea di veder sbucare fuori Voldemort da un momento all’altro.
Attraversarono le stanze buie della villa come in un sogno, gettandosi in una folle corsa lungo i viali ghiaiosi del parco, fino a oltrepassare il colossale cancello in ferro battuto.
Presto, si trovarono a correre nell’erba alta al disotto dell’immensità del cielo stellato, il silenzio rotto solo dal frinire dei grilli. I cavalli alati erano ancora lì, aspettando pazientemente i loro cavalieri.
A essi si era aggiunto un terzo palomino di Beauxbatons, evidentemente usato da Caspian per raggiungerli.
–Montate su, svelti! – intimò il giovane, balzando agilmente sulla sua cavalcatura.
Gli altri lo imitarono all’istante.
Un attimo dopo, i quattro pegasi si erano lanciati al galoppo nelle campagne, spiccando il volo con pochi potenti colpi d’ala.
Jane non ricordò mai quanto durò la traversata.
Vedeva scorrere il mondo sotto di lei, una grande macchia scura piena di luci incandescenti che la stordivano.
Solo quando capì di essere finalmente fuori pericolo, la ragazza si rese conto di quando fosse stremata.
Le ossa le dolevano e avvertiva le palpebre farsi sempre più pesanti, minacciando di chiudersi da un momento all’altro.
Avrebbe rischiato di cadere da cavallo, mettendo a serio rischio le vite di Susan e Lucy, strette attorno a lei.
No, doveva resistere, a qualsiasi costo.
Di tanto in tanto, i suoi occhi verdi cadevano su Caspian, che volava in formazione a pochi metri da lei, e sul misterioso ragazzo che stringeva tra le braccia.
Per quanto si sforzasse, non riusciva ad allontanare lo sguardo da lui.
Era come se fosse vittima di un sortilegio.
Improvvisamente, le luci delle città si fecero sempre più rade, fino a lasciare posto completamente all’oscurità delle foreste e delle montagne.
Fu quando Jane intravide finalmente i pinnacoli di Hogwarts che si specchiavano sul lago che venne riportata bruscamente alla realtà. Il Torneo Tremaghi.
Il Mangiamorte tra le mura del castello.
Harry.
Un attimo dopo, i pegasi planarono sull’immenso labirinto che occupava il campo da Quiddich, sfiorando le siepi più alte con gli zoccoli.
Alla fine, apparvero le prime tribune, illuminate dalle luci rossastre delle fiaccole.
La terza prova doveva essere finita da pochi minuti: la gente era scesa dagli spalti e si era riversata sull’erba di fronte all’entrata del labirinto.
Jane capì all’istante che qualcosa non andava.
C’era troppo silenzio per essere la fine di un evento come il Torneo Tremaghi.
Un capannello di persone sempre più numeroso si stava stringendo attorno a un unico punto, dove sembrava esserci qualcosa steso a terra.
Un solo pensiero colpì la mente della ragazza.
–No!
Con un potente strattone delle redini, Jane costrinse Ulisse a gettarsi in picchiata, atterrando bruscamente sul terreno erboso.
Susan e Lucy lanciarono un grido di paura, aggrappandosi spasmodicamente a lei. La ragazza non attese neanche che il fedele pegaso si fosse completamente arrestato: con un balzo si gettò dalla sella, slanciandosi in una folle corsa verso i suoi compagni che la fissavano attoniti, quasi si trovassero di fronte a un fantasma.
Un attimo dopo, due braccia forti le cinsero le spalle, stringendola a sé in un caloroso abbraccio.
Jane levò gli occhi stanchi, trovandosi a fissare le iridi celesti e rassicuranti di suo fratello Dennis solcate dalle ciocche dei suoi capelli biondi e ribelli.
Subito, due alte figure li raggiunsero di corsa.
Erano Albert e Wendy, coloro che per anni aveva considerato i suoi veri genitori, seguiti a ruota da Cecilia, la sorellina più piccola.
–JANE! – gridarono circondandola con le braccia.
Wendy aveva il volto rigato dalle lacrime.
–Tesoro! Oh, grazie al cielo sei viva! – esclamò Albert, più pallido che mai.
–Mamma! Papà! – si lasciò sfuggire lei con un filo di voce.
Il solo fatto che loro fossero lì con lei in un momento del genere la faceva sentire di nuovo a casa, al sicuro tra le colline della campagna inglese, lontani dal caos di Londra dove il papà lavorava in ospedale.
–Siamo venuti appena possibile! – disse Dennis. – Pensavamo di fare il tifo per Harry e invece…
–Harry? Dov’è Harry?
–Non riusciamo a spiegarci quello che è successo – rispose Albert in tono serio. – Sembrava che stesse filando tutto liscio, quando improvvisamente Harry si è materializzato all’ingresso del labirinto, tenendo stretto il cadavere dell’altro ragazzo della vostra scuola.
–Cosa? – fu a quel punto che Jane si rese conto che la cosa attorno alla quale si affannavano tutti era proprio Cedric.
Distinse nettamente Amos Diggory dimenarsi in preda al dolore, trattenuto a stento dalla moglie e dal padre di Ron.
Cho Chang era a pochi metri da loro, il volto rigato dalle lacrime e lo sguardo fisso nel vuoto, instupidita dall’orrore che aveva appena travolto la sua vita.
–E Harry? – incalzò. – DOV’Ѐ HARRY?
–Un attimo fa era qui. Poi è andato via con uno dei vostri professori, quello con un occhio finto…
–CHE COSA?
Albert non aveva nemmeno finito la frase che Jane si era già lanciata a rotta di collo verso l’uscita del campo, urtando con violenza la madre di Susan e quello che avrebbe dovuto essere Charlie, prendendo a correre più forte che le sue gambe esili le consentivano alla volta del castello, che in quel momento le sembrava più lontano che mai.
Tante volte il sospetto l’aveva tormentata e altrettante volte il buonismo degli altri l’aveva costretta a sotterrare quell’orribile sensazione che l’assaliva ogni volta che il professore faceva ingresso in aula.
Ma ora non poteva più negarlo: per quanto assurdo potesse sembrare, era Malocchio Moody il Mangiamorte infiltrato a Hogwarts.
Forse, se avesse avuto buonsenso, la ragazza non si sarebbe avventurata da sola alla volta del castello, ma avrebbe cercato perlomeno l’appoggio di Silente o della McGranitt.
Ma, in quel momento, Jane non pensava. Una furia cieca mista a terrore si era impadronita di lei, accecandola completamente.
L’unica cosa che contava era riavere suo fratello tutto intero, a qualunque costo.
Dopo minuti che le parvero ore, la ragazza prese ad arrampicarsi sulla rampa di scale d’ingresso, poi un’altra e un’altra ancora, fino a giungere di fronte alla porta dell’ufficio di Moody.
–FERMO! – gridò piombando all’interno come una furia, la bacchetta levata.
Il professore troneggiava al centro della stanza, mentre Harry stava rannicchiato contro una parete, cercando di proteggersi con un debole gesto della mano.
Era completamente ricoperto di sangue e fango.
Aveva la manica della maglietta recisa lungo tutto l’avambraccio, mostrando una ferita orribile.
Quello che accadde negli attimi successivi fu di una rapidità estrema.
Moody scattò in avanti con inaspettata agilità, afferrando Jane per la gola e immobilizzandola contro il muro.
La ragazza provò a urlare e a divincolarsi, ma la presa era troppo forte.
Quasi svenne dalla paura quando il professore estrasse un corto pugnale d’argento, levandolo in alto sopra la sua testa.
Jane urlò di nuovo, serrando gli occhi, in attesa del colpo mortale, ma quello non venne.
Ci fu invece una tremenda esplosione.
Lo spostamento d’aria gettò la ragazza a terra.
Un attimo dopo, Silente, la McGranitt, Piton e Caspian fecero irruzione nella stanza, le bacchette levate.
Caspian fu il più veloce, balzando addosso a Moody e disarmandolo con un calcio, poi gli sferrò un pugno in pieno viso, mandandolo lungo disteso sul pavimento di pietra.
Aiutato da Piton, il giovane sollevò il Mangiamorte di peso, legandolo a una sedia con delle corde apparse nel nulla.
–Il Veritaserum, Severus – ordinò Silente con calma.
I suoi occhi di ghiaccio emanavano lampi da dietro gli occhiali a mezzaluna.
Jane strisciò accanto a suo fratello, stringendosi a lui.
Harry l’attrasse a sé, facendole appoggiare debolmente il capo nell’incavo della sua spalla.
Caspian era balzato di fronte ai due gemelli, facendo loro da scudo.
Nel frattempo, Silente aveva afferrato Moody per il bavero.
–Sei Alastor Moody? – chiese scuotendolo con malgarbo. – Lo sei?
 –N-no! – sputacchiò lui.
–Ѐ in questa stanza?
–Sì – rispose Moody alludendo con la brutta testa al baule nascosto in fondo alla stanza.
Piton levò la bacchetta e sbloccò le numerose serrature.
L’interno non presentava un comune fondale di legno, ma un pozzo profondissimo, dentro il quale, privo della gamba e dell’occhio magico e con parecchie ciocche di capelli in meno, stava il vero Alastor Moody, profondamente addormentato.
In quel preciso istante, un rantolo attirò la loro attenzione.
Il finto Moody aveva preso a contorcersi in modo orribile sulla sedia, mentre il suo volto deforme veniva attraversato da delle disgustose contrazioni che ne deformavano i tratti, come se si stesse trasformando in un enorme budino gelatinoso.
–Ma questi sono gli effetti della Pozione Polisucco! – esclamò Harry esterrefatto.
Un attimo dopo, al posto del finto Moody c’era un giovanotto sui trent’anni, i capelli un tempo castani che gli ricadevano in ciocche rade e grigiastre.
Nonostante la permanenza ad Azkaban lo avesse irrimediabilmente segnato, era impossibile non riconoscere Barty Crouch junior.
–Tu? – chiese Silente aggrottando le sopracciglia argentee. – Com’è possibile?
Crouch lo fissò con uno sguardo folle, assumendo un’espressione che a Jane ricordò immediatamente la Strega Suprema.
–Credevate che mio padre mi lasciasse marcire in prigione? – sibilò. – Mia madre soffriva di un male incurabile già da tempo e presto sarebbe giunta la sua fine. Come ultimo desiderio, chiese di scambiare la sua vita con la mia. Mio padre acconsentì. Venni portato via travestito da mia madre, sotto l’effetto della Pozione Polisucco. Fui imprigionato nella villa di famiglia, a Cambridge, e per anni vissi sotto la Maledizione Imperius. Fino a quando il mio corpo divenne più forte e prese a respingere gli effetti della maledizione. Fu allora che iniziai a escogitare un piano per fuggire e iniziare la ricerca del mio signore, che non ho mai smesso di servire.
La Coppa del Mondo di Quiddich fu l’occasione che aspettavo. Convinto che fossi totalmente innocuo, mio padre acconsentì a lasciarmi andare. Fuggii appena potei, cercando di dileguarmi nella boscaglia attorno allo stadio, quando di colpo li vidi. Alcuni vecchi Mangiamorte che avevano rinnegato il loro passato pur di non finire ad Azkaban come me e tanti altri si stavano divertendo a incendiare le tende dei tifosi. Fui preso da una tremenda voglia di vendetta, deciso a mettere alla prova tutta la loro codardia. Sparai in aria il Marchio Nero. Come avevo previsto, non appena lo videro, quei sudici traditori si dileguarono immediatamente.
Fu a quel punto che mi accorsi di non essere più solo. A pochi passi da me c’era una strega di una rara bellezza, alta più di qualsiasi donna avessi mai visto, completamente vestita di bianco. Mi disse di chiamarsi Jadis e che aveva visto quello che avevo fatto. Ero proprio il servo fedele che il Signore Oscuro stava cercando per tornare di nuovo al potere, aggiunse. Fu così che la seguii. Trovammo il mio signore ed egli mi impartì le istruzioni necessarie. Dovevo portargli Harry Potter vivo e per farlo dovevo intrufolarmi a Hogwarts. Poco tempo prima, Bertha Jorkins, una strega del Ministero, era stata catturata da Peter Minus, un altro Mangiamorte, e interrogata. Dalle informazioni che le erano state estorte poco prima di morire, era saltato fuori che il Torneo Tremaghi si sarebbe tenuto a Hogwarts. E che, sempre lì, da quell’anno in poi sarebbe andato a insegnare nientemeno che Alastor Moody, l’ex Auror.
Fu così che io e Minus piombammo a casa di mio padre, controllandolo con la Maledizione Imperius affinché si comportasse come se niente fosse e non mi spedisse alle calcagna i suoi segugi, e poi andammo a fare una visita a Moody, i cui capelli mi erano indispensabili per la Pozione Polisucco, che mi avrebbe permesso di assumere le sue sembianze per il tempo necessario.
All’inizio, tutto andò liscio: Potter venne scelto come quarto campione di Hogwarts e io iniziavo a conquistare la fiducia del ragazzo. Poi, improvvisamente, la Maledizione Imperius iniziò a non sortire più gli effetti di un tempo su mio padre. Era come me, il sangue dei Crouch non mente. E, proprio come me, una notte riuscì a eludere la sorveglianza di Minus, fuggendo alla ricerca di aiuto. Per sua somma sfortuna, decise di recarsi proprio a Hogwarts. Per me fu uno scherzo trovarlo e ucciderlo, eliminando poi il suo corpo. L’unico intoppo furono due amici di Potter che lo avevano trovato, con cui diedi una breve battaglia. Nulla che però non potessi affrontare.
Da lì in poi, per fortuna, la strada è stata tutta in salita: Potter ha toccato per primo la Passaporta ed è finito tra le braccia aperte del Signore Oscuro. E ora, solo grazie a me, egli è tornato più forte che mai!
–Basta così! – tuonò Silente. – Severus, porta quest’uomo nel tuo ufficio e tienilo sotto stretta sorveglianza. Minerva, fai venire Caramell da me il prima possibile: dobbiamo parlare.
I due annuirono in silenzio.
Piton lanciò a Crouch un’occhiata di profondo disgusto, prima di slegarlo e costringerlo ad alzarsi, immobilizzandogli nuovamente le mani dietro la schiena e trascinandolo fuori dall’ufficio.
–Signor Von Telmar, è il caso che torni al più presto alla nave di Durmstrang. Temo che Igor sia fuggito non appena ha sentito bruciare il Marchio Nero. Ѐ suo compito ora offrire il sostegno necessario ai suoi allievi, come si addice a un vero capo. La chiamerò più tardi nel mio ufficio.
–Sì, signore – rispose Caspian accennando un rapido inchino con la testa; poi, dopo aver lanciato un’occhiata colma di preoccupazione ai due gemelli, scomparve oltre la porta con il suo consueto passo felpato.
–Bene, ragazzi – proseguì Silente una volta rimasti soli. – So che questa notte avete dato più del necessario, ma vi devo chiedere un ultimo sforzo. Per favore, venite con me.
I due annuirono debolmente, seguendo il Preside nei lunghi corridoi del castello, fino a raggiungere il suo studio, in cima a una delle torri più alte.
Non appena li vide entrare, Fanny lanciò loro un garrito di benvenuto e balzò sul grembo di Harry, nel momento in cui questi si sedette accanto alla sorella.
Calde lacrime presero a scorrere dalla sua testa cremisi lungo la ferita che il ragazzo aveva sul braccio, guarendola all’istante.
–Ora, finché la vostra memoria è fresca, vi chiedo di raccontarmi tutto quello che è avvenuto nelle ultime ore – disse Silente scrutandoli serio da dietro gli occhiali a mezzaluna. – Ѐ fondamentale affinché si possa decidere quali provvedimenti prendere, per quanto difficili possano essere.
I due ragazzi si lanciarono un’occhiata sconsolata, poi Harry iniziò a raccontare.
Disse di come lui e Cedric avessero deciso di toccare la Coppa insieme, essendo arrivati in parità, e di come, un attimo dopo, si fossero ritrovati nel cimitero di Little Hangleton.
Raccontò dell’assassinio di Cedric da parte di Codaliscia, dell’orribile preparazione della pozione, in cui era stato gravemente ferito a un braccio, di come Voldemort era emerso dal fondo del calderone.
Disse che aveva evocato i Mangiamorte: tra loro c’era anche il padre di Draco Malfoy. Poi lo aveva liberato, lo aveva torturato davanti a tutti e lo aveva sfidato a duello.
Nel momento in cui i loro incantesimi erano stati scagliati, però, era avvenuta una cosa strana: le loro bacchette si erano unite in una barriera incandescente e da quella di Voldemort erano emerse le ombre di tutti coloro che aveva ucciso, tra cui anche i suoi genitori.
Jane distolse lo sguardo, rossa d’imbarazzo.
A differenza del fratello, lei non era mai riuscita a concepire il fatto di essere orfana.
I suoi genitori c’erano eccome: erano Albert e Wendy, coloro che per tredici anni l’avevano accudita come se fosse davvero la loro figlia.
Le dava un’orribile sensazione di vertigini ascoltare suo fratello raccontare di come aveva parlato con sua madre, la loro madre.
Era come se stesse osservando da lontano la vita di un altro.
Poi Harry concluse dicendo che l’ombra di Cedric lo aveva pregato di riportare indietro il suo corpo e lui, approfittandone della distrazione di Voldemort, che sembrava non capire cosa stesse succedendo, era riuscito a fuggire appena in tempo.
–Prior Incantatio – commentò Silente. – Un altro legame tra te e Voldemort, questa volta attraverso le vostre bacchette, il cui nucleo proviene per entrambe da una piuma di Fanny.
–Cosa significa? – chiese Harry.
–Due bacchette gemelle si riconoscono come tali e per questo rifiutano di colpirsi a vicenda.
–Significa che non potrò mai colpire Voldemort direttamente, signore?
–Temo di no. Ma troverai lo stesso il modo per sconfiggerlo, stanne certo. Quando arriverà il momento, lo saprai. Ora però temo sia il turno di Jane.
E Jane raccontò tutto, ogni singolo avvenimento degli ultimi due giorni.
Si soffermò su Alhena, su Jadis e sul prigioniero, confidando anche i suoi sogni su di lui.
Alla fine del racconto, Silente annuì piano.
La ragazza non l’aveva mai visto così serio prima d’ora.
–Bene, ragazzi. Mi scuso ancora per come vi ho trattenuti questa sera. Adesso è il caso che scendiate giù in infermeria. Sono d’accordo con Madama Chips che, non appena vi coricherete, vi verrà somministrata una pozione che vi procurerà un sonno senza sogni. Avete davvero fatto molto più di quanto un ragazzo di quattordici anni potrebbe sopportare. Adesso è il caso che vi riposiate, per poter affrontare in forze ciò che sarà. Ma al momento non deve rientrare nelle vostre preoccupazioni. Andate, ragazzi. Sono davvero molto fiero di voi.
I gemelli si congedarono rapidamente, poi scivolarono nell’oscurità delle scale.
Avrebbero tanto voluto dirsi tante cose, abbracciarsi, anche piangere, dando sfogo a tutte le emozioni che si erano ammassate in quelle ultime ore come nubi tempestose, ma erano così stremati che l’unica cosa che riuscirono a fare fu camminare in silenzio, mano nella mano, fino a quando non giunsero in infermeria.
Madama Chips li accolse con il suo solito fare burbero, facendoli distendere su due letti diversi.
A fianco a loro, la famiglia Pevensie al completo stava attorno a Susan e Lucy, parlando sommessamente.
Non appena li videro entrare, lanciarono loro un’occhiata di saluto.
Pochi letti più in là, nascosto da un alto paravento, era disteso il prigioniero, ancora in stato di incoscienza.
Il vero Moody, invece, riposava in un angolo appartato dell’infermeria.
Madama Chips pulì e disinfettò i vari graffi e ferite che entrambi i gemelli avevano un po’ dappertutto e somministrò loro la pozione di cui aveva accennato Silente.
Non appena il liquido caldo, dal vago sapore di cioccolato, cominciò a scenderle nella gola, Jane si sentì invadere da un improvviso senso di calma.
Niente sarà più come prima, sussurrò una vocina lontana nella sua testa, poi tutto divenne più dolce e la ragazza sprofondò in un mondo dove non c’erano né mostri assetati di sangue né orride prigioni sotterranee da cui era impossibile fuggire.

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Capitolo 18
*** La nuova vita di Edmund Pevensie ***



CAPITOLO 18

La nuova vita di Edmund Pevensie


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Jane ricordava benissimo la fine di Le Streghe di Roald Dahl.
La Strega Suprema aveva architettato un piano perfetto per eliminare tutti i bambini d’Inghilterra: tramite una pozione nascosta all’interno di alcune migliaia di dolcetti messi nelle mani delle sue serve fidate e distribuiti alle ignare vittime, li avrebbe trasformati tutti in topi.
Peccato che la sua cavia, il povero protagonista, una volta trasformato era riuscito a sfuggire alla trappola messa nella sala dell’albergo destinata all’orribile sabba e, approfittando del suo essere così piccolo e invisibile, era riuscito a sgattaiolare senza essere visto nella camera della Strega Suprema, impossessandosi della pozione, che poco dopo venne rovesciata completamente nel pentolone destinato alla cena di lei e tutte le sue compagne.
In pochi secondi, il ristorante brulicava di topini bianchi, tra le urla degli ospiti e il sibilare dei coltelli dei cuochi.
La stessa Strega Suprema aveva finito i suoi giorni con un colpo di coltellaccio, vittima del suo stesso diabolico piano.
Quelle ultime pagine erano diventate il suo incubo diurno, dal momento che la notte poteva concedersi un minimo di tregua grazie alla pozione calmante che Madama Chips le aveva somministrato la sera precedente prima di coricarsi, ma, non appena Jane aveva riaperto gli occhi, le sue angosce erano tornate a tormentarla più spietate di prima.
Era perfettamente consapevole di essere andata ben oltre di quanto una ragazza di quattordici anni potesse sopportare e ciò aveva avuto un effetto deleterio sui suoi nervi.
Immagini spaventose continuavano a passarle davanti agli occhi, causandole dei veri e propri attacchi di panico.
E Harry non era da meno, anche se, dal momento che era un tipo molto orgoglioso, non voleva darlo a vedere.
Si era semplicemente chiuso in un silenzio forzato, spesso fingendo di dormire, senza rivolgere la parola a nessuno.
Solo di tanto in tanto Jane, Ron e Hermione riuscivano a cavargli fuori qualche monosillabo, ma per il resto del tempo il ragazzo stava sempre seduto di fronte alla finestra, le braccia incrociate sul petto, massaggiandosi la cicatrice che sembrava non smettere più di bruciare, un’espressione torva che gli stirava i lineamenti del viso.
Con i Collins, la famiglia adottiva di Jane, non si degnava nemmeno di alzare lo sguardo per salutarli, nonostante restassero in infermeria il più a lungo possibile.
Lo stesso valeva per i Pevensie, anche se Susan, Peter e Lucy erano stati dimessi la mattina seguente.
Nonostante i gemelli Potter stessero decisamente meglio rispetto alla sera prima, infatti, Silente li aveva come segregati nell’infermeria, lasciando fuori il mondo intero e permettendo l’ingresso solo ai parenti e agli amici più stretti, che potevano entrare a loro piacimento.
Era come se il Preside volesse tenerli lontani da tutto quello che stava accadendo là fuori, nonostante li coinvolgesse in prima persona.
Non a torto, Jane sospettava che lo scopo principale di quella segregazione fosse quello di evitare l’assillo dei curiosi.
Da quattro anni a quella parte, la ragazza sapeva fin troppo bene che, quando succedeva qualcosa di grave a Hogwarts, tutti gli occhi si puntavano su Harry, come se fosse lui il fautore di quanto stava accadendo.
In fondo, la ragazza non poteva che compatirli: a quanto pareva, la vita a Hogwarts era fin troppo tranquilla prima dell’arrivo del Prescelto.
Da quello che le avevano raccontato Ron e Hermione, nel castello c’era un trambusto da inferno.
La morte di Cedric aveva scosso tutti all’unanimità e di certo non era stata una buona decisione quella di allestire la camera ardente del ragazzo nella stanza adiacente alla Sala Grande: ora curiosi della peggior specie che non sapevano farsi gli affari propri circolavano a piede libero anche dove non erano ammessi, tutto era un tramestio di ragazze in lacrime, condoglianze formali e giornalisti indiscreti.
Senza contare che, cinicamente parlando, la morte dello studente non era il male maggiore, dal momento che Voldemort era di nuovo in circolazione più forte e potente che mai.
A quanto pareva, il Ministro Caramell non aveva ancora accettato di parlare privatamente con Silente, partendo per Londra immediatamente dopo la fine del Torneo Tremaghi come il più meschino dei fuggiaschi, lasciando Barty Crouch junior sigillato nella torre più alta del castello, che l’anno precedente era servita a custodire per qualche ora Sirius Black. Jane tremava al solo pensiero che quel pazzo esaltato si trovasse a poche centinaia di metri da loro, ma la rincuorava il fatto che sicuramente Silente aveva preso le dovute precauzioni per evitare che se la filasse, disponendo gli opportuni turni di guardia di fronte alla sua cella.
Ma lui era solo uno dei tanti criminali che quella notte erano tornati allo scoperto.
Tra questi c’era Alhena Black.
Nelle lunghe, interminabili ore di isolamento, Jane aveva pensato a lei molte volte, provando orrore verso se stessa: come poteva importarle qualcosa di un essere tanto crudele e perverso?
Non sapeva come, ma, da quando l’aveva vista la sera precedente, la ragazza non era più tanto sicura che le cose stessero esattamente come sembravano.
Nonostante la odiasse con tutta la sua anima, la Strega Suprema le era come sembrata un astro morente, una donna consumata dalla propria follia, vittima dell’ingranaggio arrugginito che la sua famiglia le aveva appioppato sulle spalle.
Jane odiava ammetterlo, ma provava pena verso di lei.
E in cuor suo sperava che, se mai quella donna terribile fosse stata catturata, non facesse la fine della Strega Suprema di Roald Dahl, decapitata con un coltellaccio.
Era una morte fin troppo orribile anche per lei, che non aveva esitato a dare la morte a degli innocenti.
Le faceva più paura Jadis, la nuova Strega Suprema.
In confronto, Alhena era una vera donna, piena di passioni brucianti che alimentavano la sua anima nera.
La Strega Bianca no.
Era un pezzo di ghiaccio privo di qualunque emozione.
E ciò la spaventava.
Forse, se Alhena si fosse mai trovata nelle condizioni di poter scegliere senza paura, probabilmente si sarebbe affidata al suo istinto animale e avrebbe cambiato vita.
Una donna come Jadis no.
Sarebbe andata fino in fondo, qualunque cosa le fosse stata chiesta.
E ciò, al servizio di Voldemort, faceva davvero rabbrividire.
Chissà, forse una scelta era stata proprio il ragazzo che ora giaceva a pochi metri da Jane, nascosto da un paravento bianco.
In quelle ultime ore, la ragazza si era chiesta più e più volte chi fosse e perché la Strega Suprema gli avesse risparmiato la vita così a lungo, nonostante le torture subite.
Continuava a fare ipotesi su ipotesi, ma alla fine ciascuna di esse crollava come un castello di sabbia, per quanto erano assurde.
Certo, l’unica cosa era attendere che il ragazzo si svegliasse, ma era già stato messo in conto che probabilmente non sarebbe mai riuscito a dare una spiegazione logica della sua condizione.
Nel momento in cui glielo avevano portato davanti, Madama Chips aveva sentenziato che sarebbe stato molto più saggio trasferirlo immediatamente al San Mungo, come era avvenuto durante la notte per Moody, dove avrebbero potuto occuparsene dei Guaritori molto più esperti di lei, le cui abilità si fermavano a curare i foruncoli causati dalle fatture maldestre e gli infortuni da caduta dalla scopa durante una partita di Quiddich.
Aveva guarito il braccio rotto del ragazzo con un colpo di bacchetta, questo lo aveva fatto fin troppe volte.
Ma le sue condizioni effettive erano ben più gravi.
A quanto pareva, quelle non erano le uniche torture che il prigioniero aveva subìto.
I suoi muscoli apparivano contratti in maniera spaventosa e la febbre non accennava ad abbassarsi.
Un trauma del genere avrebbe potuto benissimo causargli danni permanenti al cervello, riducendolo come i genitori di Neville: completamente apatico, privo della facoltà di parlare o addirittura di muoversi in maniera indipendente.
Un vegetale.
Nonostante queste catastrofiche previsioni, Silente si era imposto per farlo restare all’interno delle mura del castello.
Sembrava che ci tenesse particolarmente al prigioniero, o comunque che suscitasse la sua curiosità.
Era molto pensieroso.
Si era raccomandato caldamente di tenerlo d’occhio e di informarlo su qualsiasi cambiamento.
Fu quella una delle tante occasioni in cui Jane fu convinta che il Preside sapesse molte più cose di quanto dava a vedere.
 
 
***
 
    
Verso le tre iniziarono i funerali.
Una pioggerellina leggera picchiettava contro i vetri dell’infermeria, tormentando il nugolo di mantelli neri che si radunavano verso l’ingresso del castello.
I gemelli Potter assistettero silenziosamente all’ingresso del corteo funebre nella Sala d’Ingresso, poi si chiusero in un silenzio teso, seduti sulla stessa sponda del letto di Harry.
Di certo non andava loro di affrontare l’intera scuola, tuttavia si sentivano profondamente feriti per essere stati esclusi da una avvenimento così importante.
In fondo, entrambi avevano conosciuto Cedric, seppur arrivando a odiarlo in certe circostanze, e si sentivano in qualche modo responsabili della sua morte.
Il fatto di non essere presenti alla cerimonia sembrava confermare inevitabilmente questa constatazione.
I gemelli attesero in silenzio, senza neppure guardarsi in faccia.
Dopo un tempo che parve interminabile, il corteo di mantelli neri uscì di nuovo sotto la pioggia, questa volta trascinando con sé il feretro laccato di bianco.
Si distinguevano nettamente i genitori, la madre sul punto di svenire dal dolore, e Cho, che seguiva a distanza, il capo chino e le guance rigate di lacrime.
All’inizio della lugubre processione, procedendo appaiati, stavano Silente e Caramell.
Non si guardavano e l’espressione gelida sul volto del bonario Ministro suonò come un campanello di allarme.
Quando alla fine il corteo svanì oltre il lago, Harry dichiarò stancamente: − Vado a farmi una doccia, prima che l’intera scuola piombi qui.
Jane annuì piano.
Il ragazzo si alzò dal letto stiracchiandosi e si avviò verso l’ingresso dell’infermeria.
La sua voce e quella di Madama Chips risuonarono battagliere per pochi secondi, poi nella grande ala gotica intervallata da grandi finestre tornò il silenzio.
Rimasta sola, Jane si alzò anche lei, decisa a sgranchirsi un po’ le gambe.
Era ricoverata da diverse ore e, nonostante stesse decisamente meglio, non si era ancora liberata del pigiama.
Percorse per un paio di volte le corsie semivuote, poi si fermò di colpo di fronte al paravento bianco che celava la vista del ragazzo.
Una tremenda curiosità prese a formicolarle nella testa.
Aveva un’improvvisa voglia di vederlo, non sapeva neanche perché.
E se nel mentre si fosse svegliato e avesse bisogno di aiuto?
In fondo, era passata quasi un’ora dall’ultima visita di Madama Chips.
Cautamente, Jane oltrepassò il paravento in punta di piedi, sbirciandovi all’interno.
Il ragazzo giaceva supino sotto diversi strati di coperte, da cui sfuggiva il colletto del pigiama a righe azzurre che la signora Weasley, in preda alla compassione, aveva ripescato dal vecchio guardaroba di Ron.
Il labbro spaccato aveva smesso di sanguinare, lasciando un profondo taglio scuro che risaltava contro la pelle diafana appena cosparsa di efelidi.
Il torace si alzava e abbassava lentamente al ritmo con il suo respiro, meno rauco e irregolare della sera precedente.
Poi qualcosa cambiò.
Fu un movimento impercettibile del volto, come se un muscolo si fosse appena contratto.
Per un attimo, Jane credette che si fosse trattato di un gioco di luce, quando improvvisamente il ragazzo socchiuse gli occhi, lasciando intravedere le iridi scure.
Un attimo dopo, il suo sguardo esterrefatto e confuso era proiettato su di lei, lasciandole sfuggire un brivido.
−Finalmente ti sei svegliato! – esclamò a bassa voce. – Cominciavamo a preoccuparci.
Il ragazzo sbatté più volte le palpebre, stropicciandosi gli occhi con foga.
Evidentemente, non era più abituato alla luce del sole.
–Dove mi trovo? – balbettò.
Aveva una voce ancora da bambino, nonostante dovesse avere a occhio e croce la stessa età di Jane.
−Va tutto bene, sei a Hogwarts – rispose lei sorridendo.
Con sua grande sorpresa, il ragazzo assunse immediatamente un’espressione terrorizzata.
–Come sarebbe a dire a Hogwarts? – esclamò con un filo di voce. – No, non devo assolutamente essere qui!
−Perché mai? Sei al sicuro, qui, e nessuno ti farebbe del male.
−Non è vero! Qui c’è gente che mi vuole morto!
−Ah, sì? E chi ti ha detto una simile sciocchezza? Alhena Black, forse?
Nell’udire il nome della Strega Suprema, il ragazzo si irrigidì.
−È stata lei a farti questo? – domandò Jane indicandogli la spalla.
Il prigioniero non rispose.
−Ascoltami, − continuò lei sedendosi ai piedi del letto – se ti avessimo lasciato lì, sicuramente a quest’ora saresti morto. Voldemort sarebbe arrivato da un momento all’altro e, se la Black ti ha lasciato in vita per così tanto tempo, un’ipotesi ce l’avrei. Sai, anche io e mio fratello siamo sulla lista nera e tutti i suoi seguaci hanno l’ordine di catturarci vivi, in attesa che arrivi lui a finire il lavoro. Quindi ritieniti fortunato se abbiamo sentito le tue urla e ti abbiamo portato via.
−Ma…
−Preferivi forse restare là sotto? Non conosco molta gente disposta a fare a cambio.
−Anche tu eri prigioniera con me?
−Certamente. Se non avessi urlato, ti avremmo lasciato lì. Solo un essere perverso come Alhena poteva farti una cosa del genere.
−Non capisci, tu sei diversa! Insomma, non dovevi lasciarmi lì! Perché l’hai fatto? – il ragazzo si schermò il volto con la mano, come se volesse proteggersi dalla forte luce del sole e allo stesso tempo nascondersi. – Io mi sono meritato tutto questo…sono un mostro!
−Che cosa? – Jane sperò ardentemente che la febbre fosse sufficientemente alta per fargli dire una cosa simile.
−Lei me lo diceva sempre, specie quando mi torturava. È tutta colpa mia, se certe cose orribili sono accadute. Solo mia.
–Mi sa che stai delirando – disse la ragazza mettendogli una mano sulla fronte.
In effetti, scottava da morire.
A quel contatto, il ragazzo trasalì come se l’avesse sfiorato con un ferro rovente.
–Come ti chiami?
Silenzio.
−Come ti chiami?
Ancora silenzio.
−Non hai un nome? – incalzò Jane incrociando le braccia.
Sapeva che il suo atteggiamento era tutt’altro che cortese nei confronti di una persona che aveva patito così tante sofferenze, ma il suo sesto senso le suggeriva che il ragazzo non stava dicendo tutta la verità, per quanto nobili potessero essere le sue intenzioni.
Al suo ennesimo silenzio, non le restò che soggiungere: − Io sono Jane Potter, sorella gemella del molto più famoso Harry Potter.
La ragazza non seppe mai che cosa avrebbe voluto dirle il prigioniero, che saltò letteralmente sul cuscino, perché in quel momento un’esplosione di passi proruppe nell’infermeria, seguita dal fragore di una porta sbattuta.
Entrambi i ragazzi si acquattarono d’istinto nel loro nascondiglio.
 −Ehi, voi! Non avete il diritto di entrare qui dentro in questo modo! C’è gente che sta male! – abbaiò la voce inferocita di Madama Chips.
−È una vergogna, una vergogna! – tuonò la voce della professoressa McGranitt. – Era proprio necessario introdurre quella creatura all’interno della scuola?
–Le procedure vanno rispettate, signori! – rispose Caramell in tono piccato. – E di certo non avrei mai potuto interrogare il prigioniero senza un Dissennatore come scorta.
−Già, peccato che quel demone si sia avventato contro Barty Crouch non appena è stata aperta la porta della sua cella! E ora come pretende di avere delle prove, dopo che il nostro testimone è stato ridotto a un ammasso di carne e ossa?
−Non ho bisogno di ulteriori prove! – sbraitò il Ministro con un tono che Jane non avrebbe mai creduto di sentirgli. – Barty Crouch era un pericoloso Mangiamorte che ci ha imbrogliati tutti, è vero, ma non posso credere che la causa della morte di Cedric Diggory sia da attribuire a Voi-Sapete-Chi.
−Ancora una volta ti lasci guidare dalla stoltezza, Cornelius – intervenne in quel momento la voce calma di Silente. – La tua determinazione a seguire ciò che è facile rispetto a ciò che è giusto ti porta a chiudere gli occhi di fronte alla realtà. Abbiamo perso un importante testimone, è vero, ma ciò non toglie che anche Harry era presente al momento dei fatti.
−Che cosa stai insinuando? Dovrei credere alle parole di un ragazzo di quattordici anni, la cui sanità mentale è da mettere sicuramente in discussione?
A quelle parole, Jane fu come colpita da una scarica elettrica.
Ma come si permetteva quel pallone gonfiato ipocrita?
−Già lo scorso anno ho fatto fatica a sorvolare sulla faccenda di Sirius Black, ma ciò che Potter va affermando ora è inammissibile. Insomma, sappiamo tutti che soffre di manie di grandezza. Sicuramente, l’Anatema Che Uccide gli avrà provocato qualche danno al cervello quando era piccolo, figuriamoci poi ora che è cresciuto con la consapevolezza di essere sempre al centro dell’attenzione! Per quale motivo altrimenti avrebbe messo il suo nome nel Calice di Fuoco?
Quello era veramente troppo.
Senza nemmeno starci a pensare, Jane schizzò fuori dal suo nascondiglio, non importava che fosse scalza e scarmigliata, piazzandosi di fronte a Caramell.
–Mio fratello non è pazzo! – esclamò furibonda.
Il Ministro della Magia la squadrò da capo a piedi con aria di sufficienza. – Detto da una ragazzina in queste condizioni, che peraltro risulta essere sua sorella, non è molto convincente.
−Cornelius, − intervenne Silente – la questione è più delicata che mai. Voldemort è tornato, è ora che te ne fai una ragione. È il momento di mostrarti all’altezza dell’uomo in cui l’intera comunità magica crede, prendendo i dovuti provvedimenti e responsabilità. Siamo tutti in pericolo, da ora in poi, e dobbiamo essere pronti a difenderci al più presto.
−LUI NON È TORNATO! – gridò Caramell con rabbia.
−Rifletti, Cornelius. Da quando Harry è tornato a far parte della comunità magica, i segni di un possibile ritorno di Lord Voldemort non hanno cessato un attimo di aumentare. Basti pensare alle sparizioni di tutti quei bambini…
−Il caso è stato chiuso ieri sera, Silente, motivo per cui non ero presente al colloquio che mi avevi indetto a notte fonda. Delle tante sciocchezze che ho sentito nelle ultime ore, l’unica che si è rivelata attendibile è stata quella sull’identità dell’assassina. Di certo non poteva essere altri che la cugina di Sirius Black, guarda caso – lanciò un’occhiata di fuoco a Jane con i suoi sporgenti occhi bovini. – In effetti, i miei Auror si sono recati immediatamente nella tenuta di Cambridge che ci avevi segnalato, Albus. Fantasie dei Potter o meno, la Black è stata trovata.
−E dove si trova in questo momento? – chiese Silente.
−È morta – rispose Caramell. – I miei collaboratori sono arrivati troppo tardi. La villa era messa a soqquadro e il corpo era quasi completamente irriconoscibile a causa di un incendio che era scoppiato nella stanza dove si trovava. Ma abbiamo trovato questo, accanto a lei – estrasse dalla veste un piccolo pugnale d’argento ancora incrostato di sangue, identico a quello con cui Barty Crouch aveva tentato di uccidere Jane. – Probabilmente si tratta di un suicidio. Non si conosce il movente, ma abbiamo trovato le celle dei prigionieri. Il caso è ufficialmente chiuso.
−Capisco – rispose Silente con fare pensieroso.
−E anche la questione di Potter – proseguì Caramell riprendendo tutta l’aggressività di prima. – Cedric Diggory è morto nel corso della prova, non c’è altro da dire. Del resto, sono il primo ad affermare che il Torneo Tremaghi è una manifestazione barbara e pericolosa.
−Non cambierai la situazione fingendo di ignorarla – lo redarguì Silente. – Presto ne subirai le conseguenze.
−Attento a come parli, Albus, o dovrò prendere dei seri provvedimenti!
−A questo punto non abbiamo più nulla da dirci, Cornelius: le nostre strade si dividono. E mi dispiace molto, devo aggiungere.
Caramell rispose con un ringhio. – La vincita di tuo fratello – borbottò schiaffando nel palmo di Jane un sacchetto pieno di galeoni. – E bada che tenga la bocca chiusa – detto questo, se ne andò, curandosi di sbattere la porta dell’infermeria.
Subito cadde un silenzio colmo di tensione.
Jane fissava il vuoto sconvolta, lottando per non mettersi a piangere di fronte ai suoi professori.
Una rabbia cieca le devastava le viscere.
−Sì è svegliato – fu tutto quello che riuscì a dire, le mani che non riuscivano a smettere di tremare. –Il ragazzo si è svegliato.
Madama Chips si diresse con passo di marcia verso il paravento.
Gli altri la seguirono con discrezione.
Con un tuffo al cuore, Jane scoprì che il letto dove fino a pochi minuti prima giaceva il ragazzo era completamente vuoto, l’impronta della sua testa ancora visibile sul cuscino.
−Bene, − commentò Madama Chips incrociando le braccia sul petto – almeno ora sappiamo che è in grado di camminare.
 
 
***
 
   
Evidentemente la prigionia in condizioni disumane doveva averlo reso molto resistente, pensava Jane mentre scendeva a rotta di collo le scale che portavano all’ingresso.
Finalmente, Silente aveva concesso almeno a lei di uscire dall’infermeria per andare a cercare il ragazzo, dal momento che era stata l’unica a parlargli.
In effetti, con la scuola gremita di gente in quel modo, non era stato difficile non notare un tizio che girava con addosso solo un pigiama a righe di due taglie più grande.
Il primo ad averlo incontrato era stato proprio Neville, che era stato letteralmente travolto da lui un attimo prima che riuscisse a filarsela tra la folla di mantelli neri.
Sicuramente doveva aver trovato il modo per uscire all’esterno.
E fu proprio nel parco che Jane lo trovò.
Era arrivato fino alla riva del lago, dove era crollato a sedere con la testa tra le mani, in preda ai brividi di freddo per la febbre.
Ulisse pascolava a pochi metri da lui e gli annusava curioso i capelli bagnati dalla pioggia.
−So di non esserti molto simpatica – disse la ragazza avvicinandosi a lui e gettandogli il suo mantello sulle spalle. – Ma non capisco perché hai così tanta paura di noi. Lascia stare quello che hai fatto, non mi importa. E ti avverto: ho una specie di  senso che mi spinge a inquadrare subito le persone e, spero che la cosa ti faccia piacere, tu non rientri in quelle che eviterei d’istinto.
Il ragazzo levò debolmente la testa verso di lei. In quel momento, la sua espressione terrorizzata si era trasformata in tristezza.
–Mi chiamo Edmund – disse piano.
Jane sorrise istintivamente, cingendogli le spalle con le braccia.
Non sapeva perché, ma quella creatura instillava in lei una compassione e un affetto che mai aveva provato prima.
E, con sua somma sorpresa, egli ricambiò timidamente il suo abbraccio, quasi fosse una richiesta di aiuto.
−Ti sembro forse un mostro? – chiese la ragazza.
−No.
−Eppure Alhena Black aveva imprigionato anche me. E progettava di uccidermi. Ma questo non fa di me un mostro, se lei mi odiava. Io sono come te. Lo capisci, adesso?
Edmund la fissò negli occhi lungamente. – È vero che è morta?
−Sì. Non potrà mai più farti del male.
−Non è vero. Silente, lui lo avrebbe fatto. Me lo diceva sempre.
−Perché, per caso lei ti trattava bene? Non ho mai visto nessuno manifestare il proprio affetto rinchiudendo una persona in un sotterraneo e facendole subire le peggiori torture.
Edmund non rispose.
Fissava l’erba del prato che gli solleticava i piedi nudi.
−Non voglio forzarti a fare nulla, Edmund – disse Jane con un sorriso. – Ma sappi che nessuno ha il diritto di darti del mostro. Perché per me non lo sei. Sei come me, come mio fratello, come tanti altri ragazzini che sono stati uccisi per colpa di uno stupido ideale messo in giro da gente malata. So che hai subito un trauma terribile e che sarà difficile superarlo, ma voglio che tu sia consapevole che Alhena non stava bene. Era folle, non aveva più la padronanza delle proprie azioni, che ormai si concentravano sul mero piacere per la violenza. Eppure, per quanto io la odiassi, la notte scorsa ho visto la sua sofferenza e ho capito molte cose su di lei. Ecco, lei sì che era un mostro, eppure ha guadagnato il mio rispetto. Perché dovrei disprezzare proprio te?
Edmund ascoltò tutto in silenzio, la testa bassa e lo sguardo torvo.
−Ti va di ritornare dentro o vuoi bagnarti un altro po’? – chiese la ragazza sorridendo.
Il ragazzo le lanciò una smorfia di sfida.
–Se è così che la pensi – disse facendo per alzarsi, ma le ginocchia non ressero il suo peso.
Jane lo aiutò a sollevarsi in piedi, sorreggendolo con le braccia; poi lo accompagnò all’interno delle mura del castello.
Ignorò tutte le occhiate curiose che li seguirono fino all’entrata dell’infermeria, dove Madama Chips li accolse con un commento burbero e riaccompagnò Edmund a letto.
Il pigiama era completamente fradicio, perciò Jane dovette fare una corsa nel suo dormitorio per prendere quello di ricambio che usava Harry.
Restò seduta sul suo letto mentre Edmund si cambiava nascosto dal paravento, poi Madama Chips tornò per le medicazioni.
Finì tutto molto rapidamente, concludendo che il ragazzo aveva avuto una fortuna sfacciata e che, nonostante tutto, la febbre iniziava a calare.
Non appena se ne andò, Jane fu sicura di vedere Edmund sbirciare oltre il paravento e sussurrarle un “grazie” impercettibile con le labbra.
 
 
***
 
  
Harry tornò dalla doccia circa un’ora dopo, perdendosi tutto il circo che era avvenuto in sua assenza, tra l’irruzione di Caramell e la fuga di Edmund.
A quanto pareva, era rimasto sotto l’acqua bollente per un tempo interminabile, quasi fosse determinato a riempirsi di grinze da capo a piedi.
Quando rientrò in infermeria, aveva ancora i capelli umidi e un’espressione di disappunto dipinta in volto.
A quanto pareva, era passato prima nel suo dormitorio, dove aveva preso una tuta da ginnastica.
−Non trovo il mio pigiama di ricambio – brontolò crollando a sedere accanto a Jane.
−L’ho preso io per prestarlo a Edmund – rispose lei alzando le spalle.
−Edmund? Chi diavolo è Edmund?
Jane indicò con lo sguardo oltre il paravento. – Dice di chiamarsi così.
−Ah.
−Ti ho lasciato la vincita sul comodino.
−Non la voglio.
−Fai quello che credi. Ma non è questo ciò che mi premeva dirti – e gli raccontò in fretta e furia quanto era accaduto in sua assenza tra Silente e Caramell. – Pare che abbiano rotto – concluse tristemente. – Caramell non vuole ammettere che Voldemort sia tornato. E non sembra disposto a prendere i giusti provvedimenti contro di lui, o a credere a te.
−Poco male, sono sempre stato convinto che fosse un idiota. E poi ci ho fatto l’abitudine, a essere trattato come un deficiente.
−La vuoi piantare di fare la vittima, una volta tanto? Non capisci che la situazione è grave? Se Caramell non ci appoggia, siamo soli. Nessuno ci crederà e Voldemort avrà la strada spianata.
−Dimentichi che abbiamo Silente e, finché ci sarà lui, Voldemort non potrà mai arrivare fino a Hogwarts.
−La mia paura è che Caramell usi il suo potere per mandare via Silente. In fondo ha paura. Non mi piace.
−Stai tranquilla, Silente è riuscito a restare in carica in tempi più difficili di questi. Almeno su una cosa possiamo essere certi.
−Scusate…
In quel momento, Edmund si era levato in piedi, sbucando timidamente da dietro il paravento.
Nel momento in cui i suoi occhi castani incrociarono quelli di Harry, il Prescelto cadde all’indietro, premendosi le mani sulla cicatrice.
−Harry! – esclamò Jane spaventata.
Il ragazzo era riverso sul letto, il volto paonazzo contratto dal dolore.
Sembrava sul punto di scoppiare a piangere.
Poi, improvvisamente, tutto finì e Harry restò supino, il fiato mozzo.
–Harry! – sussurrò Jane atterrita.
−È arrabbiato – disse lui con un filo di voce. – Sono giorni che la cicatrice mi fa male, ma non così tanto. È come se non si desse pace per il fatto che gli sono sfuggito per l’ennesima volta. Ma non solo. Ha scoperto che gli è stata sottratta una cosa importante.
−Hai avuto un’altra visione?
−Non proprio…era più una sensazione, non so come spiegarlo.
−Devi parlare con Silente a tutti i costi. Non può tenerci chiusi qui dentro per sempre!
A quel punto, Jane levò lo sguardo su Edmund.
Nel panico generale, si era completamente dimenticata di lui.
Di certo, ciò che era appena accaduto e i loro discorsi avevano sortito in lui un effetto tutt’altro che rassicurante, considerato il fatto che non erano pienamente sicuri che egli fosse un mago, e comunque fino a quel momento non aveva avuto un’impressione molto positiva sull’uso della magia.
−Scusaci, Ed – disse costernata. – Purtroppo non l’abbiamo scelto noi di trovarci in questa situazione.
Edmund annuì piano.
Harry cercò di lanciargli un sorriso di rassicurazione, ma nel momento in cui levò il capo, la cicatrice riprese a bruciare.
–Scusami – gemette. – Non è colpa tua, sono coincidenze…tutte coincidenze. La vedi questa cicatrice? È il marchio che mi ha lasciato Voldemort, la prima volta che tentò di uccidermi.
−Conosco la tua storia. Mentre ero nel sotterraneo, Alhena me la raccontava spesso  – rispose Edmund a sorpresa. – Anch’io ho paura di Voldemort.
−Alhena? – disse Harry, questa volta evitando prudentemente di guardarlo negli occhi. – Com’è possibile proprio lei?
−Ti ha detto per caso che io e Harry siamo due serial killer? – scherzò Jane cingendo le spalle del fratello.
−Questo no. Però diceva che nessuno doveva sapere della mia esistenza, altrimenti mi avrebbero ucciso. Solo lei aveva avuto un minimo di pietà per tenermi in vita, perché chiunque mi avrebbe schiacciato come uno scarafaggio al solo vedermi. E di stare attento a Silente, soprattutto a Silente.
−Perché? E i tuoi genitori?
–Io non ho genitori.
I gemelli Potter si lanciarono una lunga occhiata.
Harry provò nuovamente a fissarlo negli occhi per dirgli una frase di conforto, ma l’ennesima fitta alla cicatrice gli mozzò il fiato in gola.
−Anche io e Harry siamo senza genitori – intervenne Jane. – Anzi, fino a quattro anni fa non sapevamo neppure di essere fratelli. Siamo stati cresciuti da due famiglie diverse per molto tempo. Per questo, nel mondo babbano, il mio cognome è Collins e non Potter. Giuridicamente, la cosa sarebbe valida anche tra i maghi, ma per comodità tutti mi chiamano Potter.
−È complicato – commentò Edmund.
−Anche tu sei…come noi? Nel senso che li hai persi? – chiese Harry.
−Non lo so, sinceramente. Non li ho mai conosciuti. Sono sempre vissuto con Alhena.
−Da sempre?
−Da quattordici anni, per la precisione. Quindici il prossimo settembre. Non ho mai visto nessun altro essere umano al di fuori di Alhena Black, se non si conta quella terribile donna in bianco.
−Stai dicendo che non sei mai uscito da quel sotterraneo in quattordici anni?
−No, fortunatamente. I primi anni della mia vita li ho trascorsi in un paese di cui neanche mi ricordo il nome, molto lontano da qui. Eravamo sempre in una casa molto grande, dove potevo girare a mio piacimento. Poi siamo tornati in Inghilterra, dove ci siamo spostati di anno in anno tra le varie tenute della famiglia di Alhena. Avevo tutto quello che si poteva desiderare, purché non uscissi mai dal muro di cinta, oltre la barriera. Lei non mi faceva mancare mai niente. Mi istruiva, anche: potevo leggere tutti i libri che volevo, soprattutto quelli sulla magia.
−Sei un mago, quindi? – chiese Harry.
A quella domanda, Edmund si fece triste.
–Io credo di sì – rispose. – Ma non nella misura che Alhena si aspettava, temo. Durante la mia infanzia, lei continuava a dire che io avevo un potere diverso da tutti gli altri, per questo mi volevano distruggere. Allora era troppo presto per esercitare la mia magia e per questo vissi per anni interi tra le più sfrenate fantasie su ciò che avrei potuto ottenere essa.
Ma poi, quello che sarei dovuto diventare si rivelò in tutto il suo orrore. Accadde poco dopo che ci trasferimmo a Cambridge, sei anni fa. Improvvisamente, Alhena si era fatta misteriosa. Mi aveva posto dei divieti, mi impediva di andare in determinate ale della villa o mi costringeva a stare in giardino per ore e ore prima di poter rientrare, durante le quali lei spariva nel nulla e io ignoravo dove andasse.
Poi, una notte, mi fece scendere per la prima volta nei sotterranei. E lì lo vidi. Era un ragazzino della mia età di allora, sui dieci anni. Mi costrinse a guardare mentre lo uccideva. Io provai un orrore talmente indescrivibile per quell’atto così barbaro e inspiegabile, che scoppiai a piangere. Per quanto sapessi che Alhena soffriva di accessi d’ira che molto spesso si ripercuotevano su di me, non avrei mai creduto che potesse arrivare a un simile gesto.
Fu allora che lei mi spiegò dell’assurdità della faccenda dei Purosangue e dei Mezzosangue, del motivo per cui aveva ucciso quell’essere così simile a me, un mago dal sangue sporco, quindi inferiore. Io trovai tutto questo assurdo e gridai con tutte le mie forze che odiavo la magia, la trovavo una cosa assurda e insensata, e che mai e poi mai sarei diventato un mostro del genere.
Quella fu la prima volta che provai la Maledizione Cruciatus sulla mia pelle. Il dolore fu qualcosa che non riuscirei mai a descrivere. Era come se stessi bruciando vivo. E fu anche la prima volta che finii nel sotterraneo, una settimana intera senza luce e poco cibo.
Alla fine della punizione, fui costretto ad assistere a un altro omicidio. Altri pianti, altre minacce, altro dolore. Alla fine, Alhena disse che ero uno scherzo della natura senza speranza, che quando aveva deciso di crescermi aveva visto qualcosa che in realtà in me non c’era. Ero un mostro e l’avevo delusa in tutti i modi possibili e immaginabili. Voldemort aveva ragione a volermi uccidere e ora lei avrebbe pagato a causa mia, per aver sporcato il suo sangue nel mantenermi in tutti quegli anni. Eravamo condannati tutti e due per causa mia.
Io, dal mio canto, mi sentivo un verme. Avrei tanto voluto sparire. Ero ferito nel profondo. Sapevo che Alhena aveva fatto delle cose terribili, ma era pur sempre l’unico essere vivente che si era occupato di me, che in fondo mi voleva bene. Non avrei mai potuto sopportare di essere la causa della sua morte. A quel punto, avrei preferito mille volte restare con lei, quando Voldemort sarebbe venuto a prenderci. Ma ora è troppo tardi.
Negli anni che seguirono, Alhena non mi parlò quasi più. Non so se commise altri omicidi, ma il fatto era che trascorrevo molto tempo da solo. Avevo smesso di studiare la magia e non ne volevo più sapere.
Poi, qualche tempo fa, mentre giravo per il giardino, ho visto una donna alta quasi due metri, bionda e vestita di bianco. Non ha fatto nessuno sforzo a entrare nel giardino e, quando Alhena l’ha notata, era troppo tardi. Mi ricordo ancora dello sguardo di fuoco che mi lanciò quando mi vide. Alhena tentò di allontanarla da me in tutti i modi, ma lei continuava a fare domande. Alla fine, si è trasformata in un enorme serpente e l’ha attaccata. Io, che ho il terrore dei serpenti, sono scappato a nascondermi e non sono rientrato per ore. Avevo paura che il mostro avesse ucciso Alhena e che stesse venendo a cercarmi. Mi ero appollaiato su un albero e trasalivo a ogni singolo fruscio.
Alla fine, con mio grande sollievo, è venuta a prendermi Alhena. Non sembrava ferita, ma non avevo mai visto un’espressione simile sul suo volto. Sembrava triste, sconvolta e furibonda allo stesso tempo. Quella stessa notte, fui costretto a prendere tutte le mie cose e a trasferirmi nel sotterraneo. Alhena non veniva quasi più. Non mi accorgevo neanche quando passava a cambiarmi i vestiti e le lenzuola e a portarmi da mangiare. Ogni tanto, trovavo qualche libro nuovo sul tavolo. Le pochissime volte che la vidi era solo perché era fuori di sé dalla rabbia e voleva scagliarla su qualcuno.
Poi, la notte che mi avete salvato, è entrata nella cella come una furia, spaccando tutto quello che trovava. È incredibile come una donna così piccola potesse essere allo stesso tempo così spaventosa. Io avevo capito subito cosa sarebbe successo e mi sono nascosto sotto il letto. Lei mi ha acciuffato e mi ha scagliato contro il muro. Credo di essermi rotto il braccio, in quel frangente. Avevo la bocca piena di sangue. Poi è arrivato il dolore e da lì il nulla. E mi sono risvegliato qui.
Edmund tacque, sedendosi su un letto di fronte ai gemelli.
Entrambi lo fissavano sconvolti.
Mai in vita loro avevano sentito un racconto tanto raccapricciante.
−Magari è un sogno – proseguì il ragazzo. – Sono veramente morto e tutto questo è nella mia immaginazione. O forse è così che deve essere il paradiso, ammesso che qualcuno abbia voluto farmici entrare.
−Oh, Edmund!
In un attimo, Jane gli fu accanto e lo strinse in un altro caloroso abbraccio.
–Va tutto bene, ora – sussurrò. – Non riesco a credere che tu abbia potuto vivere in questo modo per così tanti anni. Sei stato davvero coraggioso!
−E adesso cosa farò? Dove andrò? Non ho nessuno, là fuori.
−Ci siamo noi, qui con te. Almeno hai degli amici su cui contare. Poi partiremo subito alla ricerca dei tuoi genitori. Chissà, magari sono quattordici anni che ti stanno aspettando e ormai hanno perso tutte le speranze. Pensa come saranno contenti di vederti ritornare a casa!
−Ma come farete a rintracciarli? Io non so neanche il mio cognome. Sono sempre stato Edmund e basta.
 −Ci sono i registri – intervenne Harry. – La tua nascita dovrà pur essere registrata da qualche parte. La comunità magica è molto monitorata, per evitare che i Babbani scoprano la nostra esistenza.
−Vedrai che salterà fuori che manchi da qualche parte. Altro che il mondo intero ti vuole morto, Ed! La Strega Suprema lo faceva apposta per evitare che ti trovassero o che tu andassi a cercare loro. Avresti scoperto il suo inganno e per lei sarebbe stata la fine! – aggiunse Jane.
−Non posso credere che in tutti questi anni mi abbia detto solo bugie – sospirò il ragazzo scuotendo la testa. – Lei mi voleva bene. Ne avevo paura e mi maltrattava, ma le volevo bene.
–Ti ha strappato via dalla famiglia per fare di te un mago oscuro. Sono commossa da tanto amore!
−Era folle, completamente folle. Insomma, ti trattava come una sorta di esperimento. Faceva finta di volerti bene, ma in realtà tu eri solo una pedina nelle sue mani. Ti rendi conto?
Edmund si massaggiava le tempie.
Guardò i due gemelli uno a uno.
Due grosse lacrime presero a scorrergli lungo le guance lentigginose.
Si pulì il viso nervosamente con l’orlo della manica.
–Voldemort – gemette. – È stata tutta colpa sua se queste cose sono successe, tutta questa faccenda dei Purosague. E prima di lui Salazar Serpeverde. Io non voglio avere niente a che fare con loro. Ma per anni e anni non ho avuto alternative. Alhena lodava quello che hanno fatto. E diceva che sarebbe stato anche il meglio per me. Io non volevo, era sbagliato, non volevo! Ma se non avessi voluto, saremmo morti! – nuovi singhiozzi soffocarono le ultime parole.
Edmund si vergognava a piangere in quel modo davanti a due persone che negli anni era stato costretto a odiare, come chiunque altro potesse minacciare la sua prigionia: Voldemort, Silente, gli Auror…
Ma mentre parlava, mentre si trovava ad avere a che fare per la prima volta con degli esseri umani che non fossero suoi carcerieri, finalmente si rendeva conto di come stavano realmente le cose, osservandole dall’esterno.
Alhena era una pazza a cui Voldemort aveva consegnato il compito di allevarlo come un mago oscuro, chissà per quale motivo, forse in previsione della sua imminente caduta.
In tutti quegli anni gli aveva fatto il lavaggio del cervello, facendogli credere le peggiori assurdità, come per esempio che nessuno avrebbe mai voluto reclamare un essere schifoso come lui.
Eppure erano proprio quelli che aveva sempre creduto nemici che in quel momento si prendevano cura di lui, senza chiedere nulla in cambio.
Le carezze di Jane sulla sua spalla, le sue braccia che lo cingevano stretto come il più prezioso dei tesori nonostante si conoscessero appena; le parole di conforto di Harry, che, nonostante non riuscisse a guardarlo in faccia senza provare dolore, continuava a cercare di instaurare un contatto tra di loro per aiutarlo.
Tutto questo gli stava facendo comprendere, attimo dopo attimo, cosa significasse amare.
Niente torture, niente sotterranei.
Niente da chiedere in cambio.
Nessuna aspettativa da deludere.
Bastava esserci.
Era questo il dono più grande.
In quel momento, Edmund aveva paura che tutto questo potesse finire in un lampo, che i Potter si rivelassero davvero i due mostri che gli aveva descritto Alhena.
Eppure, in un angolo nascosto del suo cuore, il ragazzo aveva come la certezza che quello fosse davvero l’inizio di una nuova vita.
E, come a confermare questa certezza, improvvisamente un raggio di sole squarciò le nubi e illuminò i loro volti in una luce calda e incandescente.
 
 
***
 
  
Edmund migliorava a vista d’occhio.
La febbre prese finalmente a scendere e il ragazzo cominciò a mangiare di gusto, riprendendo un po’ di colore.
Nei giorni seguenti, i Pevensie e i Collins fecero immediatamente la sua conoscenza.
Lucy, che aveva stretto immediatamente amicizia con Cecilia e Nigel e che era letteralmente elettrizzata da quell’assaggio anzitempo di quella che sarebbe diventata la sua scuola, non mollava il ragazzo neanche un minuto, trascorrendo le ore seduta ai piedi del letto a fargli compagnia.
Il terzo giorno di degenza, gli regalò persino un disegno, che Madama Chips gli appese sopra la testata del letto.
I più grandi scherzavano sulla vicenda, dicendo che la piccola era cotta di lui.
Susan e Peter si erano subito affezionati a Edmund e la stessa cosa si poteva dire dei loro genitori.
In fondo, lo vedevano come David, anche lui sottratto alla famiglia in tenera età e mai più ritrovato.
Jane si ricordava fin troppo bene quando Evelyn era entrata per la prima volta in infermeria, scoppiando in lacrime non appena aveva intravisto il ragazzo privo di sensi dietro il paravento: avrebbe potuto benissimo esserci suo figlio, al suo posto.
Non appena si fu ripreso, passava molto tempo in loro compagnia.
Gli portava spesso dei dolci o dei libri, dal momento che era venuta a sapere che amava molto leggere.
Anche la signora Weasley non era da meno: il suo ingresso in infermeria era il preludio di una vera e propria festa.
Molly portava pasticcini e cioccolata per tutti.
Inutile dire che uno dei suoi primi regali a Edmund fu uno dei suoi maglioni fatti in casa, marrone scuro con una gigantesca “E” dorata al centro.
Dal canto suo, il ragazzo apprezzò molto il regalo, indossandolo immediatamente sopra il pigiama.
Anche gli altri amici dei Potter si affezionarono a lui in breve tempo.
Ron e Hermione lo coinvolgevano sempre nei loro discorsi insieme ai gemelli e scherzavano volentieri con lui.
Aveva stretto subito amicizia con Neville, in cui aveva intravisto una sorta di fratello a cui appoggiarsi.
E poi c’era stato l’incontro con Caspian, che era avvenuto verso la fine della settimana, dal momento che era stato completamente impegnato a risolvere le questioni lasciate in sospeso da Karkaroff dopo la sua fuga.
La prima cosa che aveva detto nel momento in cui era entrato in infermeria era stata che l’anno successivo sarebbe stato il nuovo insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure a Hogwarts, visto che Moody non voleva più saperne dell’incarico e che a Durmstrang era malvisto da tutti, essendo il pupillo dell’ex Preside.
La notizia era stata travolta dall’entusiasmo di Susan, che non aveva esitato a gettargli le braccia al collo e stampargli un bacio spettacolare sulle labbra, senza curarsi di trovarsi di fronte a sua madre e alla sorellina minore.
In ogni caso, Caspian era piaciuto moltissimo alla famiglia Pevensie.
Evelyn lo aveva immediatamente invitato al loro matrimonio e lui si era detto immediatamente entusiasta di partecipare alla cerimonia, anche a costo di affrontare le malelingue di zia Alberta.
Si sarebbe trasferito a casa loro dalla settimana seguente, in attesa di stabilirsi nel nuovo alloggio per l’inizio dell’anno scolastico.
Diceva che Silente credeva fermamente in lui.
Alla fine, il tetro ambiente dell’infermeria aveva acquisito un aspetto molto rilassato e familiare, arrivando a sorvolare più di una volta il rigido rigore di Madama Chips.
Quasi dispiaceva il fatto di dover tornare a casa e affrontare finalmente il mondo reale.
Almeno tutti gli altri avrebbero avuto un posto dove stare.
Edmund no.
Non aveva famiglia, non aveva nessuno.
E, mano a mano che si avvicinava il giorno della partenza, il groppo che gli attanagliava lo stomaco si stringeva sempre di più.
Dove lo avrebbero spedito, dal momento in cui la scuola sarebbe stata chiusa?
Lo avrebbero scacciato?
Al solo pensiero di trovarsi solo, con Voldemort e la Strega Bianca che gli davano la caccia, il ragazzo tremava di paura.
E poi, l’ultimo giorno, avvenne ciò che temeva di più: Silente lo mandò a chiamare nel suo ufficio.
Jane, che ormai era diventata la sua migliore amica, si offrì di accompagnarlo.
Lo scortò fino in cima alla torre, dove il Preside li aspettava sorridendo.
La prima impressione che Edmund ebbe di lui fu del tutto inaspettata: era molto diverso da come se l’era immaginato in tutti quegli anni e di certo il suo Silente non incuteva tanto rispetto e sicurezza al tempo stesso.
Dalla prima occhiata che gli rivolse, capì all’istante che avrebbe potuto fidarsi di lui, che avrebbe potuto confidargli qualunque cosa.  
−Sedetevi, ragazzi – li invitò con un ampio gesto della mano.
I due si sedettero di fronte a lui.
−Allora, Edmund, – esordì – ti trovi bene qui?
−Sì, signore. Ho trovato davvero dei grandi amici e mi dispiacerebbe tantissimo di doverli perdere, un giorno.
−Sono certo che, se continuerai a nutrire questi sentimenti verso di loro, ciò non accadrà. Le tue parole mi fanno un immenso piacere. Tuttavia, ti ho convocato per una questione che credo ti sia molto a cuore. Vedi, in questi ultimi giorni ho effettuato molte ricerche sulle tue origini nei registri del Ministero, ma in nessuno c’era il tuo nome. Nessuno tra i bambini scomparsi negli ultimi anni si chiamava Edmund. Ora ciò che ti chiedo è questo: sei sicuro che sia il tuo vero nome?
−Sì, signore.
Silente lo scrutò a lungo, per un tempo che a Jane parve interminabile, scorgendo sul suo volto un’espressione indecifrabile; poi il Preside riprese come se nulla fosse accaduto: − Stando così le cose, è davvero difficile risalire alla tua vera identità. A quanto pare, Alhena Black ha dimostrato ancora una volta le sue doti eccezionali di strega, arrivando a ingannare anche i sistemi di tracciamento più efficaci. Sai, quando un nuovo mago nasce in Inghilterra, viene subito contrassegnato da una Traccia che gli resta indelebile fino al raggiungimento della maggiore età.
−Ma io non sono nato in Inghilterra, signore.
−Ne sei sicuro? Quali sono i tuoi primi ricordi?
−Molto confusi. Ma posso affermare con certezza che vivevo già con Alhena.
Silente si prese qualche attimo di silenzio per registrare l’informazione, poi proseguì: − A questo punto, le ipotesi sono due, entrambi possibili: o sei stato rapito quando eri molto piccolo oppure Alhena ha usato un Incantesimo Confundus molto potente per farti dimenticare la tua vera famiglia. In ogni caso, è certo che i tuoi genitori non si trovassero in Inghilterra o perlomeno stessero escogitando un modo per non farsi localizzare, specie se Voldemort era interessato a te. Jane mi ha raccontato tutto. E sono davvero fiero di come hai agito in questi anni.
−Quindi ha idea di chi potrebbero essere?
−Non so di preciso i nomi, ma potrei tirare a indovinare. Evidentemente, erano tra i tanti maghi e streghe entrati in clandestinità durante la guerra, per evitare di essere scovati dai Mangiamorte. In quegli anni, molti bambini sono nati senza che nessuno sapesse della loro esistenza e solo dopo la caduta di Voldemort sono usciti allo scoperto. Molto probabilmente, tu sei tra questi. Ma non so dirti con certezza che fine abbiano fatto i tuoi genitori. Il fatto che in questi anni non si siano mai fatti vivi può far pensare che la loro memoria sia stata alterata, che non siano riusciti a ritornare in Inghilterra o, purtroppo, che siano stati uccisi. La ricerca continua, questo è certo, ma per il momento hai bisogno di una sistemazione stabile, con qualcuno che si occupi di te e ti aiuti a riprendere la tua vita, possibilmente restando al fianco dei tuoi nuovi amici. All’inizio, sfortunatamente, non potevo offrirti altre opportunità al di fuori di quella di finire in orfanatrofio o di restare a Hogwarts per tutto agosto, ma poi il caso mi è venuto in aiuto. Immagino che tu conosca la famiglia Pevensie, giusto?
−Oh, sì!
−Pare che Evelyn e Charlie siano rimasti molto colpiti da te e, d’accordo con i ragazzi, hanno chiesto di poterti adottare. Non ti chiedono di chiamarli mamma o papà e vogliono che il tuo cognome resti Pevensie come quello degli altri tre fratelli anche dopo il matrimonio. Ma vorrebbero occuparsi di te, aiutarti in tutti i modi possibili e immaginabili. Andrai a vivere vicino Londra, a pochi chilometri dai paesi dove si trovano Jane e Harry, che potrai andare a trovare quando vuoi. Ma non posso dare loro il permesso di adottarti senza il tuo consenso. Cosa ne pensi?
Edmund tacque.
Non riusciva a credere a quanto aveva appena udito.
Avrebbe avuto una famiglia, una famiglia vera!
Tutto ciò che aveva sempre desiderato si stava materializzando davanti ai suoi occhi.
–Sì! – rispose con il cuore che gli batteva all’impazzata. – Sì, per favore!
−Molto bene! – disse Silente. – Domani mattina prenderai con loro l’Espresso di Hogwarts. Ma c’è un’altra questione che vorrei porti prima di congedarti.
−Sono tutt’orecchie!
−Tu sei un mago e in quanto tale dovresti frequentare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Tuttavia non voglio costringerti a studiare la magia, come non ho costretto Susan quando è stato il suo turno. Se vorrai iscriverti in una scuola babbana, non farò nulla per dissuaderti. Se invece vorrai venire a Hogwarts avrai un piano di studi personalizzato, per metterti in pari con i tuoi compagni, e frequenterai serenamente cinque anni invece che sette. Cosa ne dici?
−Ci ho pensato lungamente in questi giorni e ho deciso che voglio continuare a studiare la magia. Ma ho paura di finire a Serpeverde, signore.
−Non preoccuparti. Il Cappello Parlante sa leggere il cuore di coloro che lo indossano. E poi, non guardare ai pregiudizi della gente. È vero, la maggior parte dei Serpeverde è passata alla Storia con una pessima fama, ma ciò non significa che la Casa in sé trasmetta dei valori sbagliati. Spesso è l’uso che se ne fa a distruggerli. Non preoccuparti per questo.
−Va bene, signore.
−Perfetto. Mi ha fatto piacere avere questa conversazione con te. Ora puoi tornare in infermeria a prepararti per domani, ma sappi che ci tengo a vederti a cena tra due ore. Puoi sederti con i gemelli Potter al tavolo dei Grifondoro, se lo desideri.
−Oh, grazie!
−Riceverai presto a casa tutte le istruzioni per iniziare i tuoi studi. Nel frattempo, ti faccio tanti auguri. E, qualsiasi cosa tu voglia chiedermi, sappi che sarò sempre disposto ad ascoltarti. Preferisco che tu sfoghi ciò che hai dentro, piuttosto che lasciare che ti annebbi la mente e ti porti ad agire per rabbia.
−Lo farò, stia tranquillo.
Silente strinse le mani a entrambi, poi li congedò.
Una volta soli nel corridoio, Jane lanciò un grido di gioia e prese a ballare attorno a Edmund, attirando le occhiate di parecchi curiosi.
Nonostante fosse un ragazzo molto schivo e riservato, anche lui si unì alle danze, fino a quando la professoressa McGranitt non uscì dal suo ufficio minacciando di metterli in punizione.
Quella sera, Edmund poté finalmente lasciare l’infermeria dove era stato confinato per quasi una settimana, mescolandosi insieme alla massa di maghi e streghe vocianti che sciamavano verso la Sala Grande per il banchetto d’addio e festeggiando insieme a loro la fine di un altro anno.
Una fine che per lui non era altro che un nuovo inizio, la festa di benvenuto alla vita che finalmente era venuta a portarlo via dalla sua prigione.
Da quel giorno in poi sarebbe stato per sempre Edmund Pevensie.
 


 
Fine prima serie
 
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(attenzione spoiler!!!!)
 

Epilogo
 
 
 
Edmund trattenne il respiro mentre la porta della Sala Grande veniva aperta, rivelando i tavoli delle quattro Case, i cui colori dardeggiavano sulle divise degli studenti: il rosso e l’oro di Grifondoro, il nero e il giallo di Tassorosso, il blu e l’argento di Corvonero e il verde e l’argento di Serpeverde.
In mezzo alla selva di teste, il ragazzo distinse nettamente la chioma arruffata di Jane, che applaudiva più forte di tutti, un’espressione sognante impressa nei suoi grandi occhi verdi.
Lucy si aggrappò ancora di più al suo braccio, salutando i fratelli con la mano.
Era eccitatissima e tremava per l’emozione.
Nelle ultime settimane, lei ed Edmund non avevano fatto altro che stilare ipotesi sulla Casa in cui avrebbero potuto essere assegnati: Grifondoro come Peter o Corvonero come Susan?
La risposta non era poi così scontata, visto che il Cappello Parlante guardava al cuore del mago e non alle sue origini.
Le uniche volte in cui era stato inflessibile, era accaduto perché gli si era presentato davanti l’erede di uno dei quattro fondatori o un mago dalle convinzioni talmente radicate che sarebbe stato quasi impossibile concedergli una seconda opportunità.
E l’unica convinzione che Edmund aveva era quella di non finire a Serpeverde per nessun motivo.
Harry era stato molto tranquillizzante a riguardo.
Gli aveva infatti raccontato più volte di quando il Cappello voleva assegnarlo a Serpeverde e lui, ostinatamente, si era opposto.
In fondo quella non era altro che una sfida per difendere i propri valori.
Ed Edmund sapeva che i suoi erano decisamente opposti da quelli di Salazar Serpeverde.
Il piccolo corteo di studenti del primo anno si fermò come di consueto davanti al tavolo dei professori.
Edmund era di gran lunga il più alto di tutti e molte occhiate erano rivolte a lui.
Le sue mani si strinsero ancora più forte attorno alle spalle di Lucy.
Una volta che la McGranitt finì il suo discorso, iniziò a chiamare i ragazzi uno a uno.
L’elenco sembrò durare un’eternità, fino a quando non arrivò il suo momento.
−Edmund Pevensie!
Con il cuore in gola, il ragazzo si avvicinò timidamente allo sgabello e si sedette, osservando preoccupato il Cappello che pendeva sulla sua testa come una mannaia.
−Serpeverde! – gridò questi prima ancora di sfiorare la sua testa.

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