Sunny day

di TooLateForU
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Leaving. ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


ossignur
okay, la storia è questa. io sono una '''''''scrittrice''''''' egoista. non mi va di aggiornare solo perchè devo farlo, non mi va di scrivere a comando e così via. lo so, lo so sono davvero pessima, e in giro ci sono autrici molto ma MOLTO più brave di me che sono puntuali e precise e via dicendo. ma io non sono una di loro. scrivo quando ne ho voglia, quando sento l'ispirazione, a seconda del mio umore..quindi o mi prendete per come sono, cioè un'incostante psicolabile, o chiudete questa pagina e andate a leggere la storia di qualche diligente autrice.
ENIUEI, questa storia è la mia prima originale. madò, che feelinggggg! non vi anticipo niente, vi dico solo che sarà diversa da tutto, ma proprio tutto, ciò che ho scritto.
boh, se fa cagare ditemelo, al solito.
vi amuzzo.
tutte quante.
PROPRIO TUTTE.
anche le più stronze tra voi.

e rachele sa che parlo di lei.

p.s. ringraziamo (o tiriamo mandaranci) mary, perchè mi ha spinto indirettamente a pubblicare anche se mi ero ripromessa di non farlo finchè non l'avrei finita. oh what a badass






Drin. Drin. DRIIIIN.
Mugugnai qualcosa, allungando una mano da sotto il piumone per spegnere quella..quella roba di merda che suonava sul comodino.
Mossi un po’ la mano alla cieca, urtando una bottiglietta d’acqua aperta che si rovesciò per terra.
DRIN. DRIIIN. DRIIIIIIN.
“Vaffanculo!” gridai, solo per il piacere di farlo. Trovai finalmente il telefono e spensi la sveglia, prima di lanciarlo oltre il letto.
Ricaddi pesantemente sul materasso duro come cemento murato morbidissimo, e richiusi gli occhi.
Io non ce la faccio a cominciare un’altra giornata. Giuro su tutti i soldi che non ho che un giorno, quando avrò una vita favolosa e una villa favolosa e vivrò solo lunghe giornate di sole e diventerò presidente, abolirò i lunedì mattina.
Sospirai, e mi alzai. Evitai di guardarmi allo specchio, cosa che mi venne molto facile dato che non avevo uno specchio. Non da quando Cheryl l’aveva venduto per pagare il conto del negozio di liquori.
Attraversai il corridoio a piedi nudi, nonostante la moquette fosse un vero schifo. Mi appuntai mentalmente di passare l’aspirapolvere.
Bussai secca alla sua porta, e senza aspettare risposta la spalancai “Svegliati, devi andare a lavoro.” dissi incolore a mia madre.
Borbottò qualcosa, e vidi la sua testa bionda sparire sotto alle coperte
“Cheryl, è tardi.” insistetti
“Nnn-on ci dvandr..”
Mi avvicinai, e le tolsi bruscamente la coperta di dosso. Ovviamente aveva ancora indosso i vestiti da strappona della sera prima, e considerate le macchie nere sul cuscino non si ne era neanche struccata.
“Piantala mamma, e alza il culo.”
“Stai ferma, stupida ragazzina!” gracchiò, dandomi una spintarella e riprendendo la coperta. Mise uno stupido broncio, dopo aver sbadigliato “Non ci devo andare al lavoro, ho detto.”
Mi paralizzai, mentre lei completamente disinvolta si sdraiava di nuovo
“Che vuol dire che non devi andarci?” chiesi, stridula.
Altro sbadiglio.
Le afferrai un polso esile (riuscivo a circondarlo con sole due dita) e la strattonai “Cheryl, ti sei fatta licenziare? Eh? Ti sei fatta licenziare di nuovo?”
“Mollami, cretina, mollami!” urlò “E fatti i cazzi tuoi!”
“I cazzi miei? I cazzi miei sono questi, perché se non tieni il tuo culo a lavoro chi le paga le bollette? Chi la fa la spesa? EH?”
Si liberò dalla mia presa, e mi guardò con odio “Trovatelo tu un lavoro allora, invece di lamentarti. Anzi vattene proprio, così la smetti di assillarmi.”
“Io ce l’ho già un lavoro, idiota!”
Strinsi le labbra, per evitare di continuare ad urlare o peggio, a piangere come una lattante. Dio, la odio la odio la odio.
Girai i tacchi, e tornai in camera mia come una furia. Aprii l’anta dell’armadio bruscamente e afferrai le prime due cose che trovai, che poi erano quasi tutti i vestiti che avevo, e me li infilai frettolosamente. Sentivo le lacrime pungere come degli aghi, e stringevo i denti.
Quando scesi in cucina mi sembrò che la pila di lettere dalla banca, dei reclami per mancati pagamenti, delle bollette, delle multe fosse cresciuta a dismisura là sul tavolo di legno scheggiato. Ma era impossibile, perché Cheryl non ritirava mai la posta.
Aprii il frigo, sperando di trovare qualcosa da mangiare o da bere, e vidi che era rimasto del latte. Presi a berlo dal cartone, ma appena mi arrivò il sapore sulla lingua lo sputai a terra.
“Che schifo, cristo.” mormorai, gettando il cartone nel lavandino. Era acido, scaduto chissà da quanti giorni.
Il frigo era vuoto, di nuovo.
E Cheryl era senza lavoro, di nuovo.
Guardai il cielo grigio del Massachusetts dalla finestra, e la mia lunga giornata di sole sembrava più lontana che mai.
 
Buttai fuori del fumo, e fissai insistentemente quelle due ragazzine che non facevano altro che lanciarmi strane occhiate. Appena si accorsero del mio sguardo si voltarono, arrossendo.
“Mi stavano fissando.” dissi, incolore
“Eh?”
“Le due nuove arrivate, quelle..” le indicai con la sigaretta “Mi stavano fissando.”
Suze socchiuse gli occhi scuri, per metterle a fuoco, poi tornò ad arrotolarsi la canna con un’alzata di spalle “E sticazzi, lasciale guardare. Avranno tredici anni.”
“Sono arrivate a Dennis da una settimana, e già questa cittadina di merda ha provveduto ad informarle su mia madre.” continuai, a denti stretti.
Suze smise di arrotolare, e mi guardò a lungo “Spettegolano tutti qui, Mel, lo sai. Tutti i vecchietti che non hanno niente di meglio da fare che farsi le seghe guardando la signora in giallo e parlando male delle..”
“Delle alcoliste puttanelle come mia madre?” completai per lei, buttando la cicca sul suolo del cortile.
Sembrò rifletterci per un attimo “Bhè sì, di loro.”
Feci una risatina, ma non c’era proprio niente da ridere. Suonò la campanella, ma né io né Suze ci muovemmo di un passo dal nostro muretto.
“Comunque, Chad mi ha detto che vuole invitarti ad uscire.”
Alzai un sopracciglio, mentre una folata di vento spostava un ricciolo nero sulla mia fronte “Chad? Chad Tyson?”
“No, Chad prosciutto di parma.”
“Ah ecco, mi sembrava strano che uno come Chad Tyson sapesse della mia esistenza.”
O meglio, tutti sapevano della mia esistenza a Dennis. La sedicenne figlia scellerata di quella poco di buono di Cheryl Miller, una trentaduenne poco raccomandabile che bazzicava per tutti i bar della città ubriacandosi e dandola via come se fosse pane. Ma questo di notte, durante il giorno faceva le pulizie in ospedale, almeno fino a ieri.
Fino a ieri.
Comunque Chad Tyson era il figlio del sindaco. Decisamente ricco, decisamente per bene, decisamente carino, decisamente fuori dalla mia portata.
“E invece ti conosce. Sta sempre al B&B, no?”
Il B&B. Originale nome da Ben e Barton Walles, i proprietari, per la paninoteca in cui lavoravo.
“E come mai Chad Tyson detto anche Santa maria vergine avrebbe dovuto parlarti?” chiesi, scettica
“Primo, perché sono gnocca.” cominciò, assolutamente seria “Secondo, è stato un caso. Io stavo attraversando la strada e lui per poco non mi investiva con il suo fottuto Range Rover, allora gli ho detto ‘Guarda dove vai, coglione!’
“Che principessa.”
“E lui tutto a scusarsi come un piccolo lord, e poi mi fa ‘Ma tu conosci Melanie Miller?’ e io ‘Cazzo se la conosco, è la mia migliore amica’ e lui ha sorriso.”
Restai in silenzio, aspettando che continuasse.
Ma non lo fece.
“E poi?”
“E poi niente, sono tornata a casa. Ma mi pare ovvio che voglia invitarti ad uscire. I ragazzi sorridono così solo per due cose: tette e football.”
 
 
“Sono a casa!” urlai, chiudendomi alle spalle la porta. Sapevo che non ci sarebbe stato nessuno, ma mi piaceva urlare che ero a casa ogni volta che tornavo.
Mi immaginavo di fare come quella serie, quella che mandavano un secolo fa sulla TV via cavo..non che io avessi la TV via cavo, ma se mi mettevo vicino la porta sul retro potevo vedere il salone dei vicini di casa, e lì c’era una televisione enorme.
Bhe insomma, era la serie di quella ragazzina bionda..Lizzie McGuire, ecco. Ogni volta che l’attrice entrava in casa urlava ‘sono a casa!’ e allora magicamente appariva la madre sorridente che stava preparando il pollo al curry e le chiedeva come era andata la giornata.
Da piccola a volte fingevo che ci fosse davvero. Non mia madre, che ogni volta che tornava era sempre di malumore e mi urlava contro, o nel migliore dei casi dormiva. Immaginavo ci fosse una mamma come quella di Lizzie McGuire e raccontavo la mia giornata, e mi lasciavo così prendere dall’immaginazione che quasi mi sembrava di sentire l’odore del pollo.
“Sei matta come un cavallo, Melanie.” borbottai a me stessa, lanciandomi sul divano che cigolò pericolosamente.
Stavo contando i buchi nella stoffa, quando mi ricordai che c’erano dei compiti di..qualcosa.
Per fortuna quel mio pensiero malsano venne stroncato sul nascere, perché mi addormentai.
E se avessi saputo ciò che mi aspettava il giorno dopo, avrei continuato a dormire per sempre.

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Capitolo 2
*** Leaving. ***


holla.
come va la vita? a me ‘na merda, ma proprio uno schifo forte eh, but everything’s gonna be aaaaaaaaaaaaaalright *sorriso cannato*
ebbboh, aggiorno sunny day ma sto scrivendo il nuovo capitolo di jump then fall
lettrici: cosa?
amministratrice: cosa?
mio nonno: cosa?
nuvole: cosa?
obama: cosa?
unicorni: cosa?
ebbene sì. terrestri tremate!
eniuei, in questo capitolo si evince la trama della storia. spero non vi faccia cagare, ma non ne sono troppo sicura. è molto tragico, jaa.
sapete che vado al concerto di conor maynard? per accompagnare un'amica. la scena si è svolta così.
amica: 'chi viene con me al concerto di conor maynard?'
sottoscritta 'io!'
amica 'aah!'
sottoscritta 'un attimo di chi?'
mi devo informare su conor maynard.
detto ciò, viva i piselli gialli #ilovemendel
 
 

 
 
 
“Ehi! Miller, lo so che sei là dentro, apri!”
Spalancai gli occhi, ed ebbi una terribile sensazione di vuoto nello stomaco, come se stessi per cadere.
E infatti caddi dal divano, rotolando sul pavimento.
“Che cazz..” borbottai, prima che i colpi sulla porta si facessero più forti.
“Ti ho sentita, stronza! Giuro su dio che se non apri faccio portare il tuo culo ossuto in centrale, sissignore, e vedi che ti levano pure la ragazzina una volta per tutte!”
Guardai ansiosamente per la casa, sperando che Cheryl spuntasse da qualche angolo, ma non venne nessuno.
E ora? Porca troia, quello là fuori sembrava King Kong..
BUM. BUM. BUM.
..ma se non avessi aperto magari si sarebbe stancato e..
BUM. BUM. BUM. BUM.
..potevo uscire dal retro, e andare da Suze, e chiamare Cheryl da..
“Ti avverto che sta arrivando il maresciallo!”
Mi alzai di scatto, e corsi alla porta. Quando aprii l’uomo tarchiato davanti a me aveva già il pugno alzato per colpire la porta di nuovo, ma quando mi vide si paralizzò.
“Oh, eehm..” tossicchiò, prima di abbassare il braccio ed accarezzarsi nervosamente i baffoni “Bella mossa Cheryl, mandare avanti tua figlia! Ma non mi fotti a me, hai capito? Nossignore non mi fotti!” riprese ad urlare, guardando astiosamente all’interno della casa.
“Cheryl non c’è. Qual è il problema?”
L’uomo mi squadrò, e nonostante il mio metro e sessanta ci impiegò parecchio. Poi sbuffò, e i baffi partirono all’impazzata “Senti, è indietro di due mesi con il pagamento del motore dell’auto, ora io non voglio dare l’orco cattivo ma..”
“Motore? Che..quale motore?” chiesi, confusa. Da quando aveva cambiato il motore?
“Quello della vostra macchina, la cinquecento. Ha detto che le serviva un motore più potente, io l’ho messo e lei mi ha detto che mi avrebbe pagato a fine mese. Poi è arrivato fine mese, e dei soldi neanche l’ombra, nossignore neanche l’ombra di un centesimo e io ancora paziente, perché sotto sotto sono un agnellino...”
Continuò a blaterare, ma già non lo ascoltavo più. Che cazzo ci doveva fare con un motore più potente? Dio, che stronza. “Quanto ti deve?” tagliai corto
L’uomo sembrò imbarazzato, e si mise le mani tozze nei jeans sdruciti “Bhè, facendo due calcoli veloci veloci..volendo pure fare uno sconto da bravo cristiano..duecentocinquanta verdoni.”
Non so se fu il terreno ad avvicinarsi o io a cadere, sentendo quella cifra.
“S-si okay, tanto lei sta..sta ritirando lo stipendio ora proprio ora, appena torna le dirò che è passato e..e arrivederci.” gli sbattei la porta in faccia, e lentamente feci qualche passo indietro.
Duecentocinquanta. Duecentocinquanta dollari, cristo santo. E scommetto che non era l’unico tipo a cui doveva dei soldi.
Duecentocinquanta verdoni.
Mi mossi per cercare il telefono di casa, ma non era al suo posto. Lanciai un’occhiata all’orologio, e mi accorsi che segnava le undici di mattina.
“Fanculo fanculo fanculo..” borbottai, entrando in cucina. Afferrai il telefono, quando notai che c’era un messaggio nella segreteria telefonica.
Chi cavolo lasciava messaggi ora? Sbuffai, e premetti il tasto per ascoltarlo.
‘Ehi dolcezza, se stai ascoltando sono già morta…naaah, burla! AHAHAH’ la risata isterica di mia madre invase la stanza, e in sottofondo si sentiva anche un’altra risata più profonda
‘Insomma ho deciso di prendermi una pausa, sai, lì era tutto così..soffocante, vero Gary? Vero che era soffocante quella cittadina del cazzo?’
‘Cristo Cheryl, li ho appena fatti pulire i sedili! Ora lo pulisci con la lingua il martini!’
Più il messaggio continuava, più sentivo le gambe cedermi. Di chi era la voce di quell’uomo? Dov’era mia madre?
“Mamma..” la chiamai, come se potesse rispondermi.
‘Shh, zitto, sto parlando! Dicevo Melanie..che dicevo? AHAH! Ah, cazzo, sì, dicevo che me ne vado un po’. Io e Gary gireremo un po’così..ma tanto tu sei grande, hai diciotto anni..’
‘Non ne aveva quindici tua figlia?’
‘Eh? Cazzo no, è del ’96, credi che non sappia quando sia nata mia figlia?’
‘Allora sono sedici, Cher.’
‘Oh..oh bhè, lei sa badare a sé stessa. Ci sentiamo dolcezza, ciao! Ah, la macchina ce l’abbiamo noi..e fai la spesa eh? Okay ciao!’
Un lungo e prolungato ‘bip’ mi avvertì che il messaggio era finito, ma non riuscivo neanche a sbattere le palpebre.
Sentivo le parole vorticarmi in testa, senza un senso logico. Pausa..giro..Gary..
No.
No.
NO.
Non poteva averlo fatto davvero, non poteva avermi lasciato da sola.
Da sola, e senza soldi.
Da sola.
“No, no, no, no..” mi alzai, e corsi di sopra. Entrai in camera di Cheryl, rovesciai il materasso, frugai tra le coperte, ma niente.
“Andiamo andiamo, ci deve essere qualcosa!” gridai strozzata, al vuoto. Ma non c’era nulla, neanche un centesimo, solo cianfrusaglie vecchie e polverose.
Aprii l’armadio, e tirai giù tutto ciò che era rimasto. Si infransero sul pavimento vecchie bottiglie vuote di alcolici che nascondeva lì, e delle scarpe. Ci infilai le mani, sperando che ci avesse lasciato qualche soldo, ma erano vuote.
Continuai a correre come una pazza per casa, rovesciando tutto ciò che mi capitava. Il bagno, le pillole antidepressive, gli smalti incrostati, le collane false, qualche straccio di vestito che si era dimenticata, ancora bottiglie, quel disegno che le avevo fatto alle elementari appallottolato in un paio di jeans..
“Vaffanculo, VAFFANCULO CHERYL!”
“Ti odio, io ti odio, sei un mostro, la peggior madre del mondo, IO TI ODIO!”
E scoppiai a piangere, scivolando sullo stipite della porta del bagno, stringendo ancora quei suoi vecchi jeans tra le mani. Mi bruciava la gola per come avevo urlato, mi bruciava il viso, mi bruciavano le lacrime, mi bruciava tutto.
Ero sola, senza un soldo, senza una madre, senza un padre, senza uno straccio di persona che si preoccupasse per me, piena di debiti, con gli strozzini che venivano alla porta. Dio, sentivo la testa pulsare, come se ci fossero cento pneumatici.
Senza un soldo, senza una madre, senza un padr..
Sentii qualcosa sotto le dita, sotto il tessuto dei jeans che stringevo. Stropicciai gli occhi, con le ciglia appiccicate per le lacrime, e frugai all’interno delle tasche.
Forse era qualcosa, magari cinque dollari, magari un biglietto che mi dicesse che era tutto uno scherzo, magari l’indirizzo di una casa famiglia..
Aggrottai le sopracciglia, quando tirai fuori una fotografia piccola, di quelle che si facevano con le macchinette non digitali. C’erano un ragazzo e una ragazza che sorridevano e stringevano due bicchieri di coca-cola, e la ragazza dava un bacio sulla guancia di lui.
Ma quella..quella era Cheryl, era mia madre. Con i capelli biondi a caschetto, e giovanissima.
Il ragazzo aveva qualcosa di familiare, tipo gli occhi..Avvicinai la foto al viso, per osservarlo meglio, ma non mi venne in mente niente.
Girai la fotografia, e dietro la calligrafia di mia madre diceva ‘Io e Jack, ottobre 1995’ e poi un cuore.
Il novantacinque. L’anno prima che nascessi.
Cominciai a contare, aiutandomi con le mani dato che come diceva quel frustrato di Mr Smith io stavo alla matematica come la cioccolata sta all’acido muriatico.
Io ero nata il quindici aprile del novantasei, la gravidanza durava nove mesi..
Voleva dire che Cheryl era rimasta incinta ad agosto del novantacinque, e la foto era stata scattata due mesi dopo. Era impossibile che lei non sapesse di essere incinta, no? E quello allora..
Girai di nuovo la foto, osservando il viso del ragazzo sorridente.
“Tu sei mio padre, pezzo di merda.” dissi a denti stretti, come se ce l’avessi avuto davvero davanti.
Da piccola Cheryl mi aveva sempre detto che papà semplicemente non c’era. Per questo quando a sette anni la maestra assegnò come traccia del tema ‘Parla del tuo papà’ io scrissi che Cheryl Miller era insieme sia mia madre che mio padre, ma senza barba.
Il giorno dopo la maestra convocò Cheryl, e quando lei tornò a casa mi mise su una sedia, si accese una sigaretta e prese a guardare fuori verso il niente.
Dopo cinque minuti finì di fumare, lanciò la sigaretta nel lavabo e si girò a guardarmi con sguardo assente.
“Tuo padre ci ha mollate quando sei nata e si è trasferito a Pittsburgh. Non voleva né me né te, voleva solo continuare a fare il cazzone. Scrivi questo la prossima volta, e ora va a letto.”
Quella notte me la ricordo bene, perché la passai sveglia a piangere. Ma dopo un po’ smisi di interessarmi a mio padre, come lui non si interessava a me. Anni dopo scoprii grazie ad un vecchio annuario impolverato che il suo cognome era Hoover.
Jack Hoover, di Pittsburgh. Il ragazzo con gli occhi azzurri della foto.
Era la mia ultima speranza.
 
“Me ne vado.”
Suze indossava il suo pigiama rosa con scritto ‘Go girls!’, era scalza e appoggiata allo stipite con aria assonnata, e non reagì. All’inizio pensai che stesse dormendo in piedi, come i cavalli, ma quando posò lo sguardo sul borsone accanto a me sullo zerbino strabuzzò gli occhi.
“Cazzo dici Mel? Te ne..ma dove vuoi andare?”
“Cheryl se ne è andata Suze, mi ha lasciato un messaggio nella segreteria telefonica per dirmi che è a troieggiare in giro per l’america e io non ho intenzione di rimanere qui a farmi portare via casa dalla banca o dagli strozzini.” spiegai, cercando di non guardarla nei suoi occhioni da cerbiatto.
Cerbiatto un po’ coatto, ma è uguale.
“E’ piena di debiti, ed io non ho praticamente nien..”
“SUZANNE, CHE STAI FACENDO?” la voce di Mrs Truman risuonò violenta dal piano di sopra.
“NON ROMPERE I COGLIONI MA’!” rispose lei, sempre urlando.
“Suzanne adesso vengo giù e vedi!”
“Sì sì, rotola pure qui se vuoi!” Suze ruotò gli occhi al cielo, poi tornò a me “Puoi venire a stare da me Mel, lo sai! Cioè staremo un po’ strette in due nel letto, e lo scaldabagno è rotto da un pezzo, però non c’è nessun probl..”
“Chi è che deve stare da noi?” Mr Truman spuntò dalla cucina, con ancora dei residui di bacon sopra le labbra e lo sguardo sospettoso.
“Melanie pa’, sei sordo?”
“Scordatelo. Melanie sei tanto cara, ma a meno che io non trovo ‘na miniera d’oro dietro lo scaffale dei pomodori pelati al lavoro non se ne parla.” borbottò, agrammaticalmente, prima di superarmi ed uscire.
Suze sbuffò “Stronzate! Melanie non lo ascoltare, dai retta a me..”
“No sul serio Suze, lascia perdere. Ho ancora sessanta dollari da parte, mi compro un biglietto del treno e vado..”
“Vai..?”
Presi un respiro “A Pittsburgh, da mio padre.”
Mi guardò a lungo, poi scoppiò a ridere. E continuò a ridere per un pezzo. Continuò così forte che apparve suo fratello minore per prenderla a cucchiaiate sulla schiena.
Seguirono due schiaffi e uno sputo, poi si accorse che ero seria.
“Mi prendi per il culo, Melanie? Ti prego!”
“Senti, è l’unico parente che abbia okay? I miei nonni sono crepati da un pezzo, mia madre è chissà dove con uno spacciatore ninfomane nel migliore dei casi e io sono senza una lira. Non voglio fare tipo Patty in bici per l’Argentina, ma lui è obbligato a occuparsi di me.”
“E chi è, la caritas? Come pensi di fare a dimostrarlo? E soprattutto, come fai a sapere chi è tuo padre?”
Le allungai precipitosamente la foto che tenevo in tasca, e Suze aggrottò le sopracciglia.
“Uhm..bel fighetto.”
“Mi somiglia?”
Mise la foto vicino al mio viso, e osservò con gli occhi semi-chiusi “Mmm..non saprei. Forse gli occhi. Ma considerata la qualità di questa foto potrebbe essere chiunque, anche mia zia Trudy.”
Ripresi la fotografia bruscamente “Bhe ormai ho deciso, ti sto salutando. Prendo il primo treno.” tagliai corto.
Restammo in silenzio, a guardarci di sottecchi. Avrei voluto davvero portarla con me, o meglio avrei voluto restare ad abitare con lei, anche dormendo nella loro vasca da bagno. Ma Suze era già abbastanza povera senza di me.
Mi sarebbe mancata. Mi sarebbero mancati i suoi ricci ribelli, la sua pelle cioccolata, le sue braccia muscolose che avrebbero steso uno gnu in corsa..
“Mi mancherai Melanie!” esclamò, abbracciandomi stretta. La strinsi anche io più forte che potei, tentando di imprimermi quella memoria a fuoco nella mente e di continuare a sentire il suo profumo sempre.
“Anche tu Suze, sei la negra più importante della mia vita.”
“E tu sei la puttana più importante della mia vita. E stai attenta okay? Non voglio sentire alla TV che la mia amica è stata ritrovata morta nel vicolo dei tossicodipendenti chissà dove.”
Sospirai, e sciolsi l’abbraccio per afferrare il borsone con tutte le mie cose. Il fatto che fosse incredibilmente leggero era piuttosto imbarazzante.
Cominciai a camminare indietro per il vialetto, a testa bassa
“Scrivimi spesso, mi raccomando!” mi urlò e mi girai, continuando però a camminare all’indietro come un gambero.
“Suze, siamo nel 2013, esistono i cellulari!”
“Bhè ma nei libri pallosi quando qualcuno se ne va urlano sempre ‘scrivimi!’ e allora..oh fanculo, chiamami tutti i giorni okay?”
“Tutti i giorni, prometto.” 
“E poi ti organizzo un appuntamento con Chad eh, quando torni!”
“Sì..sì con Chad.” risposi, sentendo un nodo formarsi in gola, e le diedi le spalle.
“Sì, quando torni..Perchè torni vero? Eh Melanie, torni vero?”
Non le risposi, asciugando frettolosamente una lacrima calda sulla guancia.
 

 
 
 

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