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"In cui si
parla di un'illusione, di un vaneggiare e di un manoscritto."
“Il tempo assume una
posizione particolare: esso si rivela alleato del mondo e del suo ordine
imperscrutabile, e pertanto è anch'esso ingannatore nei confronti dell'uomo. Le
profezie, che dovrebbero avverarsi in un tempo definito, in realtà si attuano
senza seguire una logica temporale comprensibile; non esiste una continuità tra
passato e presente, bensì al contrario, con il passare del tempo, svaniscono
tutte le certezze che ci sono in principio…” (Edipo Re, Sofocle)
La prima cosa che pensò dopo
essersi svegliato fu che era un purosangue, un Malfoy
e aveva ormai venticinque anni, e che non c'era modo per cui
dei mocciosetti di infimo grado potessero rovinargli
la giornata. Ancora prima di capire che cosa avrebbe indossato quel mattino,
prima del sacro rito della doccia, lui aveva pensato questo. Subito dopo, lo
sguardo gli era caduto sulla soffice luce che illuminava diffusamente la
stanza, e aveva cercato di ricordarsi la teoria dei colori di
cui suo padre era uso parlare. Riuscì a ricordare un' immagine
di due prismi affiancati che scomponevano e ricomponevano la luce, ma nulla sui
raggi che vi passavano attraverso. Considerò la debolezza della memoria se
paragonata all'immortalità del tempo: infine, stanco di tutto quel pensare,
scansò le coperte e si alzò.
Il libro stava ritto sulla
scrivania come un piccolo soldatino da guardia fedele al suo padrone,
ma riottoso per indole. Dunque la copertina rossa recava un mortificante
spazio vuoto là dove un titolo avrebbe dovuto essere
esibito con tipica baldanza. Il manoscritto era rimasto senza un titolo, lui
senza una motivazione, e l'uomo che gli stava davanti, con una mano sulla
maniglia della porta, senza le sue tipiche movenze giocose.
- Signor Malfoy,
credo che dovremmo parlare. -
- In merito al mio lavoro o a
qualcos'altro? -
- Ah! - Silente sobbalzò. - Così
non vale, signor Malfoy: mi costringe a scoprire le
carte per primo. -
- Come se non stessimo tutti
girando intorno alla stessa cosa. - considerò il biondo, gettandosi il pigiama
alle spalle senza alcun rimorso. Si stirò pigramente sul posto, evitando
deliberatamente gli sguardi che l'altro gli lanciava ogni tanto, rimanendo di
spalle. - Solo un attimo. -
- Certo, certo. -
- Dunque,
Silente? E' venuto qui per decidere se i miei
abbinamenti cromatici sono consoni al luogo di lavoro? -
- Il suo vizio, signor Malfoy, è sempre stato l'impertinenza.
Mai che sia riuscito a levarla per un istante dai suoi occhi,
o dalla piega della sua bocca. Niente: mi sorrideva nicchiando ben
nascosta dentro le sue parole, giocando con un vecchio impotente. -
- Un vecchio impotente. - Draco considerò per un istante quelle parole, ridacchiando.
- Lo stesso vecchio impotente che ha sconfitto Voldemort
tre anni fa, o che mi ha costretto ad insegnare pozioni in questa scuola?
Quello stesso vecchio impotente? -
- Se
fossi stato giovane e vigoroso, signor Malfoy, avrei
sconfitto Voldemort quando lei e il signor Potter eravate ancora al primo anno, evitando a tutti… - si
fermò un attimo. - … delle spiacevoli situazioni. -
- Certo, spiacevoli situazioni. -
ghignò l'altro scuotendo la testa, dondolando i capelli biondi prima a destra e
poi a sinistra.
- Oppure, avrei saputo sconfiggerlo quando ancora voi non eravate nati. Così che avrei avuto tante, troppe valide persone al mio fianco.
E allora sarebbe stato tutto diverso. -
- Peccato che alla fine niente di
tutto questo sia successo, e noi siamo ancora qui in
attesa di arrivare all'argomento che interessa entrambi. Lei è qui? -
- Certamente. Come miglior intenditore
di erbe, sia chiaro. -
La luce arrivò infine a ghermire
l'intera stanza, illuminando le lenzuola bianche di un alone opalescente. Draco socchiuse gli occhi, appena infastidito dal riverbero
mattutino. Si scrollò di dossi gli ultimi residui di sonno della notte
precedente, e dunque non ebbe nient'altro da fare che rimanere in piedi, perplesso, a guardare l'uomo davanti a lui.
- Si aspetta che io dica
qualcosa, professore? -
- Alla fine quel libro è rimasto
senza titolo. Un vero peccato. -
- Non sempre le cose vanno come
ci si aspetta, vero professore? - il doppio senso latente fece sollevare appena
gli angoli della bocca del vecchio, che canticchiando gli diede le spalle.
- Fra un'ora a colazione, signor Malofy. - annunciò.
- Come mancare. - non avrebbe mai
potuto vedere i suoi occhi sollevarsi al cielo, ma di certo il tono della voce
non si risparmiò. La risata sgorgò pura.
E poi fu
tutto silenzio.
***
Filosofi di ogni
tempo avevano cercato qualcosa d'immutabile. Un materiale, un
concetto, anche solo un'idea che non cambiasse col passare del tempo. DracoMalfoy sapeva poco di
filosofia. Non conosceva nulla di quella materia, e quel
poco che poteva affermare di conoscere gli veniva da letture solitarie.
Probabilmente non avrebbe saputo riconoscere l'immortalità nemmeno se se la fosse trovata di fronte, le labbra pallide e il
viso marmoreo fossilizzato in un'espressione spenta, quasi compassionevole -
forse l'avrebbe evitata pensando a quanto noioso potesse essere quel volto.
Eppure entrare a distanza di anni dentro la
Sala Grande di Hogwarts
fu come rivedersi a capo di un branco di adolescenti inselvatichiti dalla vita,
nonostante la seta nei loro letti e sulla loro pelle.
Non capiva come gli stendardi potessero essere ancora così colorati, così vivi, nonostante
l'attacco impietoso e costante sferrato dal tempo: eppure erano lì, spiegati
sopra le rispettive tavolate, a fare ombra agli alunni mattinieri già immersi
nel ripasso mattutino, rigidi come vecchie statue di marmo. Non ondeggiavano;
rimanevano fissi, apparentemente trattenuti a terra da fili invisibili, altri
soldatini a guardia del piccolo castello. Gli ricordarono il suo romanzo, in
piedi sulla scrivania, orgoglioso come solo un libro avrebbe mai potuto essere.
Rimase immobile a scrutare gli stendardi fino a qualche minuto prima delle
otto, interiormente colpito di fronte a quello sfoggio di immonda
e sovrumana resistenza. Ma in fondo, si disse, che
senso avrebbe avuto resistere così ottusamente fino alla fine di questa scuola,
se non per l'onore e la gloria? Non avrebbe dovuto spingersi oltre: quello era
il ragionamento che l'aveva condotto lì, di nuovo in Sala Grande dopo otto
lunghi anni, a rimirare pezzi della propria gioventù smarrita, e dunque
qualsiasi domanda successiva avrebbe potuto colpirlo a tradimento, chiedendogli
"Perché fai questo?", o "Perché sei di nuovo qui? Vieni a fare
lo stendardo, ad ammuffire nel bel mezzo di questo posto immutabile,che ormai sa di
vecchio quasi quanto il pane stantio?"
Lui a quelle domande non avrebbe
saputo trovare risposta. Si sentì vecchio: un attimo prima era uno stendardo
orgoglioso,una
Sala immortale, un granello di polvere, inutile eppure costante. E adesso, cos'era? Adesso era un DracoMalfoy abbandonato a se stesso, senza risposta ma fin
troppe domande, e un'immagine dipinta sul viso che non riusciva ad abbandonare,
per quante strade facesse. La portava appiccicata al cuore come un piccolo
promemoria, che continuamente sussurrava "E' tutto vero".
Peraltro, come al
solito era tutto falso. La coscienza lo pensò, ma quella percezione non
raggiunse mai il cervello di Draco, ancora perso fra
il pulviscolo mattutino. Dietro a quell'immagine c'era una didascalia che sottolineava in maniera quasi imbarazzante l'ovvio: Pansy, settimo anno. Il tempo avrebbe dovuto prenderne i
tratti e manipolarli a proprio piacimento. Eppure entrambi erano gli stessi di otto anni prima, neppure una ruga a solcare i due visi.
Era tutto vero. Eppure, drammaticamente falso.
- Signor Malfoy.
Le piacciono gli stendardi? -
- Sì, professoressa Mcgranitt. Sono ancora così coloriti,
suppongo sia merito della magia. - magia che sosteneva
il loro mondo e che al contempo lo manipolava, perché era quello che la magia
faceva abitudinariamente. Trasformava il volere in successo materiale.
Faceva apparire tutto vero.
Così reale.
- Oh, ne abbiamo
ordinati di nuovi, quelli vecchi ormai erano sbiaditi. - una risata dal tavolo
degli insegnanti accompagnò quella frase, lui si voltò insieme ad un paio di occhi scuri che parevano assorbire ogni
traccia di colore dal viso.
Invece
era tutto fottutamente falso.
***
Lui del famoso "Cosa farai da grande?" non se ne era mai fatto niente,
anche perché l'intelletto brillante di cui era dotato gli aveva sempre
dischiuso numerose porte. Quella mattina invece rimase a contemplare quegli occhi, domandandosi che cosa avrebbe risposto lei, se
qualcuno, anni prima, le avesse chiesto "Che cosa sarai, da grande?".
Già, guardati. Che cosa sei, adesso?
L'indecisione si era dipinta nei
suoi occhi scuri, spalancati come pozzi profondi nel deserto: eppure lei era
stata lesta a ricacciarla indietro, seppellendola dietro a quel sorriso lezioso
che era la sua maschera migliore per proteggersi dal mondo. Distrattamente, una
voce ricordò a Draco che lui stesso,
tempo prima, aveva bevuto da quelle labbra. Che aveva
agognato, bramato addirittura per un suo cenno di simpatia. Che aveva atteso, solo, nella notte, perché il sonno finalmente lo
accogliesse tra le sue schiere, una sola immagine fissa nella sua mente, sempre
viva ed accesa. Un sorriso tenero, coperto immediatamente da un ghigno.
Quella era stata lei. E adesso? Cosa sei, adesso?
Mentre lei si alzava per andargli
incontro, lui colse ogni singolo aspetto della sua figura: a
partire dai capelli mori, scurissimi, tagliati corti appena sopra le
orecchie. La fronte leggermente spaziosa, le sopracciglia
arcuate, brune, prepotenti sulla sua pelle lattea. Gli
occhi senza trucco, vagamente imitato dalle ciglia folte, la piega delle labbra
incerta, come pronta ad esibirsi in una smorfia, oppure in un sorriso. Andava bene, si disse. Era giusto che il tempo avesse
preteso qualcosa anche da lei. Giusto che ne avesse
modificato le fattezze, pur lasciando l'ombra di quell'animale stupendo,
scattante e nervoso che era stata durante gli anni di scuola.
Scivolò oltre il collo, appena
sorpreso dall'assenza della sua catenina d'argento con un cuore sbalzato appeso
a mo' di ciondolo. Rapido il suo sguardo si perse verso il basso, certo di
trovare nell'avvallamento del seno un appiglio su cui fermarsi. Invece la
camicia a righe scivolava tranquilla sul suo petto, come se veramente nonintuisse il peccato
commesso, insito in quell'essere così tranquillamente posata sul niente. Incapace di fermarsi, il mago fu
costretto ad osservare il desolato spettacolo che si offriva involontariamente
ai suoi occhi: pantaloni stretti in vita - una vita
che ricordava sottile, delicata - da una cintura qualsiasi. Scarpe da uomo a coprire
i piedi. Piedi che quando lo sfioravano, sotto il letto, riuscivano sempre a
farlo sussultare, perché costantemente gelati. Piedi di cui
aveva sentito la mancanza, suo malgrado, perché sapevano identificare quella
che per lui era sempre stata "casa".
Cosa era
successo, in quegli otto anni? Perché il tempo era sfuggito alle strade
abitudinarie che era solito prendere, e si era
distorto proprio ai piedi di lei, che non aveva saputo sfuggirgli?
Per un attimo si
illuse di essere abbastanza bravo per mentire anche a se stesso. Sarebbe
bastato poco, si disse: evitarla accuratamente durante gli spostamenti per il
castello, mangiare nella sua stanza, proibire ai suoi studenti di parlare in
aula, così da rimanere all'oscuro di voci che - ne era
sicuro - sarebbero prima o poi giunte.
In fondo, Hogwarts
era così: un miscuglio di menti e personalità diverse, spesso dedite al
pettegolezzo. In quello, di sicuro, non era cambiato niente. Non seppe se dirsi
contento o frustrato della cosa.
Con la coda dell'occhio la vide
avvicinarsi, lentamente, camminando senza quel particolare ancheggiare che da
sempre l'aveva contraddistinta. Con una breve imprecazione, si preparò ad
andarle in contro. E mano a mano che si avvicinava,
già sentiva dei sussurri contorcersi rabbiosi alle sue spalle. Sarebbe sempre andata
così. Qualunque spazio lui avesse deciso di lasciare vuoto alle sue spalle, sarebbe stato immediatamente riempito di chiacchere.
A tredici anni, era stato deriso
per il suo interesse verso di lei. A sedici, il loro fidanzamento aveva
provocato una tale marea di origami
volanti che il povero Gazza non era mai riuscito a far sparire - non tutti, per
lo meno. A venticinque, il loro incontro aveva calamitato l'attenzione di tutta
la Sala Grande.
Lui sarebbe rimasto per sempre il
famoso Slytherin la cui vita si era distrutta perun errore. La
domanda era, di nuovo: cosa farai adesso? Cambierai
ritornando ai tuoi splendori, o sarai per sempre un insulso professore?
Maledicendo il tempo un'ultima
volta, digrignò i denti: cambiava troppo, o non cambiava
affatto.
***
Lei si schiarì la voce con un
colpo di tosse. Lui fece altrettanto. A dire il vero, per un istante gli parve
come se fossero rimasti fossilizzati in quella posizione per otto lunghi anni,
sorpresi da un incantesimo durante la colazione, e infine liberatisi dalla
morsa del tempo solo adesso.
- Ciao, Draco.
- esordì lei con un tono di voce che lo fece immediatamente rabbrividire. Si
ritrovò a desiderarla ancora con un'impellenza che non gli
apparteneva affatto. La domanda che si pose fu semplice: cambiare oppure no?
Lui era un Purosangue, uno dei
più perfetti che si potessero ancora trovare nel mondo magico. Aveva sempre
avuto le sue idee, la sua rosa di concetti ben
impartiti durante la gioventù, secondo cui diverso era fondamentalmente uguale
a sbagliato. Non aveva mai tentato un approccio diverso ma, d'altra parte, che
cosa gliene sarebbe venuto in mano? Quelle erano le
sue idee, quello il suo futuro, e poco male.
- Ciao… -
- Paul.
-
Sobbalzò, colto alla sprovvista. Ma perché doveva essere così dannatamente difficile
lasciarsi prendere da qualcosa? - Come, scusa? -
- Il nome con cui mi presento adesso. È Paul. -
- Capisco. -
Lei, rise. Lasciò andare il capo
all'indietro, flettendo leggermente la schiena e mantenendo rigide le ginocchia
per non perdere l'equilibrio. Non era la più solita risata e di questo parve
accorgersi anche lei, che improvvisamente smise di contorcersi nell'aria,
ritornando a fronteggiarlo. - No, questa volta non puoi capire. -
- Forse no. - concesse Draco, mentre stringeva con accurata dedizione le mani a
mo' di pugno.
- La solita mania di stringere le
mani quando sei nervoso. Sei rimasto uguale a quando eravamo adHogwarts, Draco, nemmeno
una virgola diversa sul tuo sopracciglio. Beh, ti ammiro. -
- Ti ammiro? Questo sì che fa
ridere, Paul.
- sputò quel nome come fosse stata spazzatura sulla
sua bocca profumata dal dentifricio alla menta. - Si vede, che mi hai preso
come modello. - ironizzò con la lingua tagliente.
- Non rendermi le cose più difficili
di quanto già non siano, ti prego. Non è facile stare nel bel
mezzo di questa sala, tu lo sai benissimo. Fortunatamente il preside
Silente… -
- Il preside Silente ha sempre
avuto la mania delle buffe bestioline, se ben
ricordo. Prima un idiota, poi un lupo mannaro, un centauro. A
quanto parequest'anno va di moda lo scherzo
di natura, a Londra. -
Lei si irrigidì,
corrugando le sopracciglia. Draco osservò la labbra tendersi in una smorfia, e per un attimo fu certo
di ritrovarsi davanti la ragazza per cui aveva atteso insonne molte delle sue
notti da adolescente. Quella smorfia sarebbe stata riconoscibile anche fra
mille, cento, espressioni. L'altra parve accorgersene perché improvvisamente la
sua mimica facciale si appiattì di colpo. - Stammi lontano, - sibilò - mi fai
ricordare cose a cui non dovrei pensare. Tu rischi di farmi ritornare indietro,
Draco. -
Sussurrò quel nome come si sussurra il nome dell'amante perso fra le lenzuola e
ritrovato solo dopo decenni: come quando si è ubriachi del suo fascino anche
dopo vent'anni di lontananza forzata. - Adesso torno
alla colazione. -
Perfetto, borbottò lui. L'aveva
lasciata a metà del settimo anno perché aveva trovato in lei qualcosa di
orrendamente monco, come un pezzo di personalità perso nel niente, mancante.
Adesso se la ritrovava davanti, dopo otto anni passati a scrivere un romanzo
assolutamente inutile e ad un punto morto, mentre cercava di recuperare il
rispetto perduto per le frequentazioni con quella.
Diverso uguale a sbagliato. Eppure c'era qualcosa di inquietantemente perverso che lo
spingeva a parlarle di nuovo, nonostante il ribrezzo istantaneo che lei gli
provocava.
Avrebbe dovuto mandare un
biglietto a Paul, o a come diamine avesse
deciso di farsi chiamare adesso. Mentre si
avvicinava al tavolo degli insegnanti, la canzoncina "diverso uguale a sbagliato" continuò a martellargli dentro la
testa senza sostare nemmeno per un istante. Il problema sussisteva. Cosa fare adesso?
Diverso uguale a sbagliato, ma vaffanculo, mica le comandava lui, le sue pulsioni
sessuali.
Maledisse
il giorno in cui PansyParkinson,
dopo otto anni di completo silenzio e lontananza dalla sua vita, gli si era
presentata davanti con quel solito sorriso osceno sul viso, asserendo di
chiamarsi Paul.
Note: questa fanfiction nasce come
progetto da presentare per il concorso di Betagemy,
che è tutt'ora in corso: causa tempi dilatati, ho comunque ottenuto il
permesso di pubblicare.
Ho passato da un po' di tempo il
periodo del "non conosco perciò non scrivo". Ho deciso di trattare di
un argomento difficile. Mi sono documentata e ho svolto parecchie ricerche, ma
più di così non ho potuto fare. Se ho offeso qualcuno,
non era mia intenzione.
Il concorso in sé era molto
difficile: qui di seguito incollo tutte le condizioni da seguire X°D
- Il fandom
sarà a scelta, ma obbligatoriamente etero.
- Obbligatori tre capitoli da 5/6 pagine cadauno.
- Obbligatori i seguenti tre generi: 1) drammatico, 2)
introspettivo, 3) romantico/sentimentale. (a scelta
del fanwriter quali utilizzare. Es.: si possono scegliere i primi due, oppure solo il terzo; o
viceversa.)
- Obbligatorio l’unhappy-ending.
- Obbligatorio l’ultilizzo del font Times New Roman, carattere 12.
- Vietate storie eccessivamente smielate e/o banali.
- Vietato la scrittura sms.
- Vietata la tecnica copione. Le battute dovranno essere accompagnate da periodi
non stroncati e/o asettici.
- Vietato lo stile comico/demenziale.
- Vietate PWP, e V.M.18. Accettate le R
I tre capitoli che, ripetiamo, dovranno
essere di 5/6 pagine ciascuno (ergo, dalle 15 alle 18 pagine di Word) dovranno seguire una traccia: - Primo capitolo: “…”
“Il tempo assume una posizione particolare: esso si rivela alleato del mondo e
del suo ordine imperscrutabile, e pertanto è anch'esso ingannatore nei
confronti dell'uomo. Le profezie, che dovrebbero avverarsi in un tempo
definito, in realtà si attuano senza seguire una logica temporale
comprensibile; non esiste una continuità tra passato e presente, bensì al
contrario, con il passare del tempo, svaniscono tutte le certezze che ci sono
in principio…” (Edipo Re, Sofocle) N.d.A.: Ovvero i
personaggi che sceglierete dovranno sentirsi combattuti dentro, vorrebbero
cambiare le cose ma il destino imperscrutabile non lo si può cambiare, e alla
fine attuerà nel terzo capitolo il suo disegno (spiegata la necessità di un unhappy-ending)
- Secondo capitolo: “….”
“E' proprio il tempo, unitamente all'attuarsi della realtà, che sconfigge
l'eroe e che fa in modo che, oltre a perdere il potere e a scoprire il suo
tremendo destino, egli perda anche la fiducia nelle capacità della sua
ragione.” (Edipo Re, Sofocle) N.d.A.: I personaggi, in balia del tempo e
degli avvenimenti, perdono le proprie certezze e cominciano a pensare al
proprio futuro, a ciò che inevitabilmente deve accadere.
- Terzo capitolo: “……”
“L’uomo si sforza di conoscere, e, quando finalmente possiede la conoscenza, il
suo coraggio sta nell'accettare e saper sopportare la sua tristezza,
dimostrando così la sua saggezza. L'uomo passa perciò
dall'inconsapevole felicità alla triste verità.”(Edipo Re, Sofocle) N.d.A.: I personaggi non possono far altro
che abbassare il capo davanti l’ineluttabilità del Destino, non arrendersi, ma,
al contrario, cercare di ricominciare accettando la realtà della vita.
TRAMA: PUNTI SALIENTI
Capitolo 1
- La scena si apre in una camera
Capitolo 2
- I due personaggi principali in questo secondo capitolo si dovranno lasciare.
Il luogo è a vostra scelta, ma più sarà originale più il punteggio salirà.
Capitolo 3
- Obbligatoria la descrizione di un luogo all’aperto
INDICAZIONI GENERALI
- La storia passata dei personaggi si deve intuire nel corso della lettura,
quindi sono proibiti i flash back che, in questo caso, occuperebbero solamente
spazio: vi ricordiamo, infatti, che devono essere massimo 5/6 pagine di Word
per capitolo^^
- Sono vietate le incongruenze. Ad esempio non sono accettate frasi come: “ ***
prese sottobraccio *** e si smaterializzarono, per trovarsi subito dopo nella
sala comune del ragazzo”, perché adHogwarts non ci si può smaterializzare; oppure evitate di
far comparire speciali cellulari immuni alla magia e quant’altro,
perché nella storia cose di questo tipo non vengono menzionate e, anzi, i maghi
sono sempre molto stupiti alla vista dei vari oggetti tecnologici babbani; un’ultima cosa: niente sigarette! Sappiamo che
l’idea di un bel ragazzo con una sigaretta penzolante dalle labbra fa sbavare
chiunque, ma non crediamo sia una cosa molto credibile.
PAROLE VIETATE
- Ci saranno 5 parole da evitare, e cioè:
. Bacio
. Dolce (inteso caratterialmente, non come gusto)
. Addio
. Amore
. Lacrime (è concessa LACRIMA, ma niente plurale) / Pianto
/ Piangere
HarryPotter non m'appartiene. Tutti i diritti riservati. E
ovviamente io da tutto ciò non guadagno proprio nulla.
"In cui si
parla di un dialogo, di alcune parole bandite e di un
funerale."
“E' proprio il tempo,
unitamente all'attuarsi della realtà, che sconfigge l'eroe e che fa in modo
che, oltre a perdere il potere e a scoprire il suo tremendo destino, egli perda
anche la fiducia nelle capacità della sua ragione.” (Edipo Re, Sofocle)
Il sole era sorto alle sei di
mattina, cogliendolo impreparato: la sera precedente era stato così preso dai
suoi pensieri che si era dimenticato di tirare le tende di broccato sui vetri
della finestra. Male.
Le lezioni del giorno precedente
erano state condotte in modo soddisfacente. I mocciosi avevano provato ad
azzardare qualche commento sull'incontro svoltosi in Sala Grande, ma in fondo
non era figlio di un Malfoy
e di una Black per niente; li aveva gelati con un'occhiataccia e fine di ogni
preoccupazione. Bene.
A contribuire all'odioso
risveglio si era aggiunto il caloroso saluto da parte della fredda copertina
del suo libro, ancora senza unnome. Nel silenzio più totale, Malfoy aveva creduto di sentire il libro urlare con dolore
parole di lamentela e di fiacchezza, ovviamente rivolte a lui e alla sue inettitudine. Male.
A quanto pareva, nemmeno PaulParkinson aveva avuto alcun
problema durante le lezioni. D'altro canto, non si veniva
sorteggiati tra gli Slytherin per zuccherini,
considerò lui. Bene.
Preso da una
foga che non riconosceva come sua, aprì il libro e scrisse, disordinatamente e
con una brutta grafia, numerose volte una singola parola proibita, che aveva
giurato di non menzionare mai. Male.
Un gufo picchiettava sulla sua
finestra, grattando il becco appuntito contro le decorazioni in
ferro battuto degli spigoli laterali. La carta da lettere che sorreggeva con
delicatezza aveva un sigillo in cera lacca che avrebbe riconosciuto fra mille.
Anche il gufo, ora che faceva uno sforzo di memoria, gli era sicuramente famigliare;
gli occhi scuri lo scrutavano al di là del vetro,
vigili ed attenti, come per suggerirgli qualcosa. PaulParkinson doveva avere qualcosa di cui discutere con
lui. Molto bene. O
molto male?
Aprì la finestra e il gufo,
seccato da tutta quell'attesa, gli beccò molto poco
gentilmente la pianta del piede sinistro, per poi involarsi attraverso lo
spiraglio aperto della finestra, lasciandolo lì a dondolaresu un piede solo con una lettera scottante
stretta in mano. Lo sguardo argento gli cadde
improvvisamente sullo specchio di fronte a lui. E tu, che hai da guardare?
Per un istante, odiò se stesso
con tutte le sue misere e precarie forze. Per quanto tempo ancora avrebbe
dovuto annegare in quel mare di mediocrità in cui le sue stesse scelte
l'avevano spinto, qualche tempo prima?
DracoMalfoy:
un colossale errore di calcolo alle spalle che lo aveva portato alla rovina più
completa. Durante le notte aveva sognato lei,
di nuovo: immersi nel giardino della scuola, Pansy si
dimenava sotto di lui, mentre piano ogni sua barriera cadeva, distrutta dalle
dita esperte del ragazzo. Ancora una volta, la sensazione di freddo sui piedi
lo aveva fatto sentire compreso. Lo aveva fatto
sentire a casa. Si ricoprì eccitato.
Il biglietto diceva
che Paul - e non Pansy -
sarebbe salito per le sette e un quarto di mattina nella sua camera. Draco gettò un'occhiata allarmata all'orologio a pendolo
mollemente poggiato sul pavimento, traendo immediatamente un sospiro
di sollievo. Le sei e mezza di mattina. Aveva
ancora tutto il tempo per farsi una doccia, e magari, se il ricordo di quelle
notti passate tra le lenzuola non fosse venuto a
fargli visita nel momento peggiore, anche per decidere come comportarsi.
S'infilò nel bagno con il
desiderio di dimenticare tutto, persino l'odore di quella pelle serica che non
avrebbe mai potuto pensare di scordare: speranza vana. Dopo meno di tre minuti,
il suo respiro aveva già superato la fase di "eccitazione" ed era
ormai un singulto alternato a brevi gemiti di folle lussuria, che gli aveva
preso i lombi con indesiderata passione. Nella sua mente sfrecciavano immagini
di Pansy, infine di Paul.
Chi avrebbe desiderato sotto di lui, intorno a lui, era un mistero anche per Draco stesso.
***
QuandoPaul entrò nella stanza, preceduto da due leggeri colpi di
nocche sulla porta, si stupì del disinvolto odore di sesso che aleggiava nella
stanza, così come di quanto lui mostrasse disinvoltamente
di saperlo. - Volevi parlarmi, Paul? -
Spostò lo sguardo dalla copertina
muta del libro e lo posò su di lui. - Sì, volevo parlarti. E perdonami per
l'ora estremamente mattiniera, ma non volevo che
qualcuno ci vedesse insieme. -
- Ti stai preoccupando per me, Paul? -
- A dire il vero, - lo corresse
lui sedendoglisi a fianco sul letto, come esausto,
provato da una lunga corsa che ne aveva debilitato
l'intero fisico già magro - mi sto preoccupando per entrambi. -
DracoMalfoysi infilò pigramente una
maglietta sul petto nudo, continuando a fissarla con occhi indemoniati. - E'
carino che tu cerchi di proteggermi, Paul, quando
otto anni fa sei stato proprio tu, o forse dovrei dire "sei stata"?, a rovinare tutta la vita che avevo faticosamente costruito
e progettato per me. -
Come dimenticare quel giorno,
quando si era presentata a tavola con un'uniforme maschile malamente
poggiata sulle spalle, e i meravigliosi capelli d'ebano tagliati alla cieca, a
formare una ridicola parrucca da cui tutti subito erano stati attratti? Il
giorno in cui lo aveva fissato negli occhi per più di
due minuti che gli erano parsi interminabili, alla fine dei quali aveva
sussurrato solamente "Mi dispiace, Draco."?
PansyParkinson, Caposcuola Slytherin. Praticamente perfetta, tinteggiata sul quadro della realtà
con una precisione quasi maniacale, tanto che spesso lui si era chiesto quanto
fosse stato difficile convivere con una simile prospettiva. Il pittore
purtroppo le aveva donato un eccesso di bellezza, dimenticandosi dell'ingegno: motivo per cui il dipinto, dopo qualche anno, aveva perso un
po' di smalto. D'altra canto, con grande meraviglia di
tutti, al quarto anno aveva scoperto di essere geniale con le pozioni. Aveva un
istinto tutto particolare che le suggeriva quale ingrediente aggiungere, e
quando. Al sesto anno, quando si erano fidanzati, Draco
era riuscito a cogliere quel pezzo mancante che Pansy
non possedeva, o che meglio, aveva cercato per anni senza risultati: era un
quadro senza il suo piedistallo.
Piedistallo che
pareva aver finalmente trovato dopo anni, e su cui si era felicemente
accomodata, completando l'opera. Inutile mentire a se stesso: adesso Pansy, o Paul, aveva un tale
fascino recondito che l'idea di annientarla immediatamente, facendola
precipitare sotto di sé, fu così forte da impressionarlo. Fortunatamente
l'altro diede segno di non essersi accorto di nulla.
- Te ne prego,
potresti cercare di non rendermi la vita impossibile? È stato difficile
venire da te,questa
mattina, come d'altra parte tu sai benissimo. E non è stato nemmeno semplice
alzarsi,ieri
mattina, e venirti incontro come una semplice compagna di classe - no, compagno
di classe - salutandoti da vecchio conoscente, per quanto la cosa sia
effettivamente questa. Chissà cosa avranno pensato tutti: "gli rivolgerà la parola, oppure la ignorerà per
riconquistare il posto che ha perduto, tempo fa, a causa sua?" -
Paul
sciorinò tutta quella serie di frasi senza nemmeno riprendere fiato, come
impaurito dalla situazione che gli era sfuggita immediatamente di mano.
- E' per questo
che sei qui, Paul? Per fami questa stessa
domanda? -
L'altro annuì di rimando,
scrollando le spalle. - Non è stato facile affrontare tutto questo, Draco, e sono sicura che da questo punto di vista, anche tu
hai passato altrettanto. Però
tu hai potuto riaffacciarti al mondo, mentre io sono rimasta isolata da tutti. Famiglia, amici, conoscenti,tutti scomparsi nell'esatto istante in cui mi sono mostrata per quello
che ero. Ho sofferto come un cane ma ho tirato avanti,
perché era la mia vita che volevo vedere migliore, la mia e solo la mia. Eppure
sono giunta qui, dopo anni di depressione e bisbigli
alle spalle, solo per sentirmi ancora più incompresa di quanto già non fossi.
Prima che decida che cosa fare di me, potresti dirmi
che cosa intendi fare tu? -
Il biondo inclinò elegantemente
un sopracciglio. - Hai detto bene, Paul. - disse con
una smorfia. - Io mi sono riaffacciato al mondo con una nuova prospettiva, più
bassa di almeno due gradini rispetto a quella a cui ero
abituato. Ho cercato di ritornare sulla vetta, ma con te
nascosta come un'ombra dietro alla schiena, mi è stato impossibile.
Sebbene tu non ci fossi, era chiaro che la tua presenza era
come un fantasma per tutti. Indelebile. Dunque, sono venuto qui,
ad insegnare ad Hogwarts, per riprendere tutto quello
che mi è stato sottratto. Però, prima che tu giunga a
conclusioni affrettate… -
Paul
scivolò inconsapevolmente sul suo viso, catturata dal bagliore magnetico dei
suoi occhi.
- Sappi che questo mio tentativo
ha ragionevoli margini di insuccesso. E che l'odore
che senti qui, ora, presente come un acaro, è dovuto a
te. Anche quello, è dovuto a te. - indicò il libro con
indifferenza. Paul era scosso fin dentro all'anima. Draco aveva appena ammesso di aver pensato a lui come un
tempo, di averlo concepito come possibile partner nelle notti buie, e lui si
sentiva completamente destabilizzato. - Il libro? -
sussurrò con voce strozzata.
- Già, quello senza titolo. -
l'amarezza nella sua voce era dura e schietta, compatta come un esercito. Si
sentiva di nuovo teso, eccitato dal profumo che Paul
si portava appresso.
- Com'è la storia? -
- Un uomo e una donna, stanno
insieme. Si lasciano, si rincorrono per anni senza capire cosa vogliono l'uno
dall'altro, infine si ritrovano di fronte e non possono fare a meno di capire
che sono dipendenti dall'altro. -
- Beh, è una storia d' -
- Ah! Non dire quella parola. - Draco prese in mano il libro, evidentemente scosso. - Stai attento, per favore, questo libro non deve sentirla
pronunciare. -
- Ma… -
l'altro lo guardò dal letto, sorpreso. Quasi sconcertato. - … perché? -
- Perché quando ho iniziato a scriverlo, ho pensato che ne sarebbe stato
privo. Perché era un infantile modo di dire che per te
non avevo mai provato nulla di più profondo che non fosse stata semplice
attrazione, per quanto ovviamente sapevamo tutti che era falso. -
- Dunque,
non ha un titolo per quello? Perché è un libro che
parla di quello, giusto? - cercò di capire, sporgendosi verso di lui.
- Non è solo questione di titolo.
- sussurrò Draco, poggiando il manoscritto ritto
sulla scrivania com'era solito fare, perché ogni mattina lo guardasse con aria
di rimprovero e dolorosa accettazione. - Non c'è una sola volta in cui compaia, in tutte queste pagine. Mai. Nemmeno in forme
composte, in verbi, o altro. È semplicemente scomparso dal mio vocabolario. -
No, maledizione.
Avrebbe voluto dire vita. Avrebbe
dovuto dire vita. Così entrambi avrebbero capito che
per loro due, in quel mondo,non c'era
più spazio, che sarebbe stato meglio salutarsi adesso e rincontrarsi solo per
sbaglio, qualche volta, giusto per non dare sospetti.
- Tutto questo… - disse Paul in un sussurro - …è molto triste. -
Fu un attimo di
indecisione che gli fece tremare la voce, un attimo di indecisione in
cui i suoi occhi si fecero improvvisamente lucidi e commossi. Un attimo e Draco piombò su di lui, impossessandosi della sua bocca
come un predatore a lungo digiuno.
Paul
mugolò per un istante, poi lasciò che la forza dell'altro prendesse il
sopravvento; si lasciò andare lungo il materasso, concedendo a Draco - che non gli aveva dato tempo di parlare ancora, per
un'ultima volta - il piacere di rimirarne il corpo da qualsiasi posa e
angolatura.
Si lasciò andare perché il giorno prima aveva vomitato l'anima nel suo bagno
personale, inondando la vasca del proprio sangue rosso vermiglio. Si lasciò
andare perché non poteva più sopportare gli sguardi saccenti e derisori di
tutti i maghi che finiva per incontrare per strada. Si lasciò andare perché non
aveva mai smesso di pensare a Draco. Si lasciò andare
perché voleva battezzare questa sua nuova forma del corpo, convinto che forse
così il tormento che lo dilaniava da anni sarebbe scomparso. Si lasciò andare
perché aveva paura del futuro e aveva bisogno di un istante, un misero, piccolo
istante, che lo convincesse del fatto che andava tutto
bene. Che era semplicemente giusto così. Che anche se
non c'erano speranze di essere accettato, Draco l'avrebbe voluto, pur con disprezzo legittimo.
Draco. Draco che lo divorava dall'alto, che gli succhiava la pelle
appena sotto il labbro, che infilava le mani sotto i suoi pantaloni,violento come
sempre.
Draco
che si lasciò andare perché quello era Paul e non Pansy, e
irrazionalmente pensò che non era più comeil passato, quando era stato allontanato per aver frequentato lei.
Perché aveva visto il suo mondo offuscato, per sempre ricondotto ad un angusto
laboratorio sotterraneo, in cui la luce del sole era solo
un misero, fatiscente ricordo. Perché aveva bisogno di
un nuovo appiglio, e quello era Paul, non Pansy.
***
- Ma
dove stiamo andando? - sbottò Paul, malamente vestito, mentre veniva trascinato da Draco lungo il giardino principale di Hogwarts.
- Stiamo andando qui. - si fermò
il biondo, piantando risolutamente i piedi per terra. Immobile, contemplava una
piccola lapide marmorea, dalle iscrizioni ormai cancellate dall'arbitrio del
tempo.
- La vecchia tomba senza nome? -
Paul si
rodeva le labbra in un movimento che a Draco sembrò
improvvisamente familiare, e che gli ricordò con dolorosa intensità gli anni di
scuola. Finse d'ignorare quel messaggio, concentrandosi esclusivamente
sull'uomo che aveva davanti.
- Esattamente Paul.
La vecchia tomba senza nome. -
Era una vecchia leggenda di Hogwarts, secondo cui quella tomba apparteneva ad un demone
che, innamoratosi perdutamente di un'umana, aveva finito per perdere i suoi
poteri, passando così ad una vita mortale. Era l'angolo più bello del giardino,
adornato da fini campanule bianche a cui mancava solo il suono celestiale per
apparire perfette. Un piccolo zampillo di acqua
sorgiva adornava inoltre il lato destro della tomba, che per l'appunto in
quello spigolo era particolarmente consumata.
- E cosa
facciamo qui? -
DracoMalfoy sogghignò, prepotente come solo un bambino smanioso
del giocattolo nuovo poteva fare. Pensò per un attimo agli stendardi immutabili
che aveva creduto eterni, sostituiti da nuovi pezzi di stoffa, più colorati e
perfetti. Pensò a quello che avrebbe voluto essere e che, in fin dei conti,
aveva capito non sarebbe mai stato. Al
libro, anche, mancante come lui, semplicemente incompleto, che con le sue urla
silenziose aveva cercato di fargli capire in ogni modo che lui era solo.
Semplicemente questo. Solo.
Aveva davanti un destino orrendo,
eppure, improvvisamente cieco di fronte alla ragione, spaventato da quello che
gli si prospettava davanti, sorrise.
- Un funerale. -
***
Aveva alzato la becchetta, e con impeccabile precisione aveva scolpito sul
freddo marmo un nome.
PansyParkinson.
In un solo istante aveva trasformato
la tomba di nessuno nella tomba della sua ex
fidanzata, preannunciando così un definitivo cambiamento nella sua - nella loro
- vita.
- Draco…
- sibilò Paul, i denti talmente contratti che per un
attimo temette di essere sul punto di spezzarseli l'uno contro l'altro.
- Draco…?
-
- Paul…
? -
L'aveva colto, il dolore dentro
la sua voce. Improvviso, fatale, il panico aveva assalito entrambi, spazzando
via l'euforia, che per un attimo aveva preso uno, e la
curiosità dell'altro.
- Draco,
che cosa hai fatto? - lui teneva gli occhi inondati di tenebra inchiodati su
quella tomba, su quel nomeche definitivamente cancellava un pezzo della sua esistenza e lo
condannava all'oblio. O forse, semplicemente, ad un
doloroso ricordare eterno.
- Ho cancellato quella parte di
te che non ti serviva più. Io devo dedicarmi a questa
adesso, e con essa, con te, alla mianuova esistenza. Non importa quanto mediocre possa essere, se tu sarai qui al mio fianco, come uomo. Pansy ricordava momenti fatti di dolore, di bramosia, di abbandono. Mentre tu, Paul… tu, sei diverso. Sei giusto. -
L'uomo al suo fianco tremava
impercettibilmente. Le labbra tirate in una smorfia, digrignava i denti,
mugugnando. - Che cosa hai fatto? -
- Paul?
-
- Che cosa hai fatto?!? -
- Io, Paul,
non capisco! -
- Proprio quando mi rendo conto
che avrei voluto averti dentro di me come donna, proprio
quando capisco che il mio destino è starti accanto come donna, proprio
quando ho sentito il mio corpo maschile vuoto… - gli occhi di Draco si dilatavano, annegando in quella consapevolezza - …
proprio quando ho capito che sarei stata per sempre incompleta, ma che lo sarei
stata di meno, con te come donna, piuttosto che da uomo col tuo velato
disprezzo, tu, mi uccidi? -
Rimasero silenziosi entrambi,
sfatti dal destino che prima li aveva uniti, poi separati, poi uniti e separati
di nuovo, come un gioco crudele fatto solo per ucciere.
Infine, Draco
tentò di parlare. Dalla gola uscì solo un verso rauco e tremulo.
Paul, o
Pansy, si voltò verso di lui, schiudendo le labbra in
una smorfia vecchia di secoli. - Mi dispiace. Il destino ci ha accecato,
distruggendoci. -
A passò
svelto si allontanò da lui, cercando disperatamente di non voltarsi indietro.
Draco
rimase lì, a fissare quel cadavere appena fresco.
La bacchetta gli cadde dalla
mano, atterrando sul marmo consumato della tomba in uno schiocco secco.
Fine di tutto.
Ottengo qualcosa da tutto questo? Ovviamente
noXD
HarryPotter non m'appartiene, e dubito m'apparterrà
mai.
"In cui si
parla di un tentativo fallito, di un futuro insormontabile, di un po' di sana
tristezza. E, ovviamente, di una fine."
“L’uomo si sforza di conoscere, e,
quando finalmente possiede la conoscenza, il suo coraggio sta nell'accettare e
saper sopportare la sua tristezza, dimostrando così la sua saggezza. L'uomo
passa perciò dall'inconsapevole felicità alla triste verità.”
(Edipo Re, Sofocle)
Aveva fatto i bagagli di fretta e
furia. Quasi riusciva a vederla, la gonna malamente indossata e la collana col
cuore di metallo penzolante sul suo collo, mentre arraffava vestiti
dall'armadio in noce e li ributtava, senza alcuna cura, all'interno del
gigantesco baule con il blasone dei Parkinson ancora impresso a fuoco. Piccoli
dettagli che la tradivano, ancora una volta, che la esponevano per quello che
era veramente, rendendola vulnerabile agli occhi della gente.
Un essere incompleto, fatto per
essere così e destinato a rimanere tale. Questo era stata Pansy
Parkinson, questo era stato Paul Parkinson.
E con desolante mollezza, questo
era quello che Pansy Parkinson si apprestava a ridiventare.
Demolita dagli eventi, distrutta
dalle situazioni. Cadavere putrefatto ancora una volta solo a vomitare dentro
il water, senza nemmeno un soffio di vento a reggerle la testa vacillante.
Ubriaca. Ubriaca di se stessa, del mondo, delle situazioni che l'avevano
costretta a ritrovare ciò che aveva dimenticato, anche solo per un istante. Era
stato bello, sì. Perdersi nel niente di quella nuova sensazione, annullarsi
nella consapevolezza d'essere un nuovo uomo a questo mondo, di essere
desiderato per quello che realmente era - o forse, più semplicemente, non era.
Non era niente. Era essenza pura,
indecisione totale, mancanza di fibra interiore.
Con un sussultò, Draco Malfoy
ricordò che di sogni non era mai vissuto nessuno, e di rimpianti nemmeno.
L'aveva vista trascinare il suo baule per le scale del castello, completamente
dimentica del mondo che l'aveva sempre accolta - quello della magia - una mano
stretta su una maniglia in ferro battuto, l'altra serrata intorno al suo
fianco, come per sostenersi ed incitarsi a fare un misero passo in più.
Aveva provato pietà?
No, o forse sì. Aveva provato
pietà per quella donna che aveva ucciso, o per quell'uomo morto
improvvisamente suicida sotto gli occhi di tutti, intento ancora a dissanguarsi
rantolante appena sotto le suole delle sue scarpe?
No, o forse sì. Per la prima
volta nella sua vita di scettico antimoralista Draco Malfoy - il principe dello
Slytherin, il sovrano dei Ghiacci - pensò che era tutto da imputare al
destino.
Non aveva saputo trovare un'altra
motivazione. Nemmeno una. Non una parola per scagionarlo, per allontanare tutto
quel dolore, quella sofferenza che con un gesto aveva improvvisamente causato,
non un sinonimo per mettere la mente a riposo - già il cuore riposava in pace,
sepolto sotto coltri di cenere nera.
Fino a che, sibillino nella sua
mente, quell'insieme di lettere gli si era attaccato addosso e aveva resto
tutto molto, molto più semplice. Draco Malfoy: essere umano privo di sentimenti
per scelta volontaria, privo di fede per scelta necessaria, privo di morale.
Così. Semplicemente privo di morale.
Là dove il cuore smetteva di
gridare, là dove la mente si acquietava dopo ore di lavoro continuo, allora
subentrava il subconscio pronto a liberarlo da ogni peccato.
Ed era di nuovo libero. Come il
vento.
Libero dalle catene che lo
tenevano legato a qualcosa. Libero. Non si sfugge al destino. Libero. Non.
Libero. Si. Libero. Sfugge. Libero. Al. Libero. Destino.
Libero come aria di filtrare attraverso i muri della scuola, di permeare
attraverso le menti di tutti, di sconvolgere quegli stendardi permanentemente
impettiti.
Libero di essere mediocre come il
destino aveva voluto che fosse.
Una volta Draco avrebbe pensato
diversamente. Avrebbe battuto la testa contro lo spigolo di un tavolo. Avrebbe
pensato che era colpa di qualcun altro, forse in ultima analisi anche un poco
sua, ma mai, mai avrebbe ceduto di fronte all'eventualità di un destino
inoppugnabile ed incontrovertibile.
Questo perché aveva sempre dovuto
contare solo sulle sue forze, in qualsiasi momento della sua vita. E non c'era
allenamento migliore di quello, per convincersi che la volontà e la dedizione,
per la riuscita, erano quasi tutto. La fortuna influiva nei giochi solo se eri
tu a concederglielo. La fortuna era solo un elemento in più da portare ai
propri comandi, da assoggettare alla propria volontà.
Oggi invece Draco Malfoy
sosta davanti al portone principale rimuginando su una sola parola, destino,
che stranamente non lo schiaccia, ma anzi, lo rende libero. Lo slega dalle sue
responsabilità come uomo, come amante, come persona.
Gli concede di pensare che quello
che è successo il giorno prima, con Paul, non è stato affatto colpa sua, bensì del
malevolo gioco di molte, troppe coincidenze improvvisamente scontratasi fra di
loro. Nulla di più, nulla di meno.
Coincidenze. Banali coincidenze.
La vita della donna - dell'uomo -
che gli scivola davanti, il baule nella mano, è andata distrutta da delle
coincidenze. Vorrebbe provare a dirglielo, per farla sentire meglio.
Ma dai tratti ferini che le
distorcono il volto solitamente uso all'indifferenza, capisce che Pansy
Parkinson non la pensa affatto così. E Paul nemmeno.
Dunque, rimane nel suo angolino,
saggiamente zitto.
***
Prima di ritornare ad Hogwarts,
Pansy - anzi Paul - aveva avuto una vita. Desolante, fatta di insulti e di
prese in giro più o meno volgari. Eppure, una vita.
Un insieme di abitudini a cui
affidare il proprio sistema nervoso mentre con il cervello si lambiccava su
questioni etiche che mai, mai avrebbe pensato di dover affrontare.
Giusto, non giusto, corretto o
non corretto? A che pro tutte queste domande? A che pro fornire risposte che
sarebbero rimaste palesemente inascoltate?
Comunque, Paul rifletteva. Non
aveva avuto bisogno di riflettere così tanto nemmeno quando, una mattina, Pansy
si era alzata dal letto, aveva visto un paio di forbici posate sul tavolo della
sua camera, e all'improvviso aveva avuto voglia di vederle scintillare tra i
capelli scuri.
Forse perché era una decisione
che sentiva, in cuor suo, di aver preso già da tanto, immemore tempo. Non aveva
avuto difficoltà nel presentarsi alla tavolata di Slytherin, ricordava, non per
i primi dieci minuti, almeno. I dieci minuti che lasciano troppo sorpresi per
giungere a delle conclusioni che sono già il preludio di una sconfitta.
Della tua sconfitta.
A questo, tuttavia, Pansy era
preparata, e nel corso degli anni aveva come preparato, per osmosi, anche la
mente di Paul il quale, alle prime minacce, si era limitato a farle cadere nel
vuoto più totale. La perdita di Draco Malfoy era già stata messa in conto, e
dunque Paul Parkinson aveva affrontato un settimo anno di scuola esattamente
come se l'era aspettato: d'Inferno.
Quello che non aveva tenuto in
conto, invece, era stato l'impatto col mondo esterno, al di fuori di quella
piccola comunità che era Hogwarts. Si era aspettato maggiore libertà?
Sì. Però Paul aveva la propria
integrità morale e questo, seppur riduttivo, gli era sempre bastato. Dunque,
aveva una vita. Degradata, inutile, colle mani sempre a corrodersi tra le
pozioni che preparava clandestinamente. Però, era una vita.
Oggi Pansy sistema il
baule sul retro della carrozza, assicurandolo malamente con alcune cinghie di
sicurezza in pelle, ormai logorate dall'uso.
Ma sì, che cada pure, questo
cazzo di baule. E con lui, la mia vita di merda.
Si sente vuota, e ha tutti i
diritti di esserlo. In meno di due ore, la mattina prima, ha ucciso un pezzo di
se stessa e ne ha lasciato incustodito un altro, che facilmente le è stato
rubato. Non si è mai fidata delle persone giuste, Pansy, e questa è un'amara
considerazione che la coglie proprio in quel momento, mentre fissa quelle
cinghie sporche e pensa che - Cristo! - andrebbe bene fare anche quello, pur di
fare qualcosa.
La cinghia sporca.
Guarda l'orologio, infastidita:
ha promesso a Silente che aspetterà il suo ritorno dalla riunione del Comitato
Magico che si sta tenendo in quel momento a Londra. A occhio e croce, deve
aspettare ancora un'oretta. Forse qualcosina di meno, ma non osa sperare nella
fortuna. Non di recente, per lo meno.
Quella che doveva essere la sua
grande occasione per tornare alla normalità è sparita. Buttata nel niente. Dopo
due giorni di insegnamento - che sia un record? - si appresta a lasciare il
campo, come un traditore rigettato da entrambe le parti.
Se stesso e l'amico.
Sente gli occhi di Draco sulla
schiena e non fa niente per girarsi. Sa che proverebbe solo un'ulteriore
lacerazione, e in quel preciso istante il suo corpo ne è assolutamente saturo.
Di lacerazioni.
Di urla.
Di promesse infrante, di
malintesi cresciuti dentro le ombre della sua vita. Per un attimo chiude gli
occhi e sente un remoto bisogno di abbandonarsi contro quella carrozza in
legno. Di sbattere i pugni contro la sua fiancata liscia e perfetta nonostante
gli anni. Di urlare come un'isterica. Di sbattere la testa contro qualcosa di
freddo.
Non lo fa. Si limita a singhiozzare
qualche parola stentata, carica di rancore verso chi l'ha distrutta. - Io, io
ti… ti… -
E poi una mano calda che le si
posa sulla bocca, letteralmente planando su di lei, come un maestoso uccello
venuto per salvare un umile lombrico. Forse sono solo apparenze, pensa
lei. Prima mi salva, poi mi distrugge.
- Sai bene che non devi dire
quella parola, non in mia presenza. - la sua voce, roca ed inconfondibile, che
le oltrepassa il timpano colando fin dentro il cervello, riempiendolo di fiele
improvvisa che lei gli riversa contro.
- Tu, sei solo un idiota! Un
cretino! E pensare che io ti -
- Non dirlo, davvero. -
- Draco. -
- Se lo pronunci, se pronunci
quel nome: poi ti sembrerà di crederci davvero. -
Lei inclina lievemente un sopracciglio.
- Come ieri? -
- Proprio come ieri. -
- Beh, lasciami dire una cosa, e
ci tengo a specificare che ci credo davvero. Vaffanculo. -
Poi si gira di scatto, come a
voler nascondere qualcosa. Si precipita dentro la foresta alle sue spalle, che
l'accoglie, silenziosa e solerte come la Morte.
Draco fa un sospiro buffo, che
suona quasi come imbarazzato. Poi con una scrollata di spalle la segue. Mentre
la foresta lo inghiotte, sente improvvisamente sparire tutti i rumori, e pensa
che una morte così dovrebbero meritarsela solo i Santi.
Qualora esistessero davvero.
***
- Mi stai seguendo, Draco. Vuoi
distruggermi ancora un poco in più? Arrivare fino alla carne per vedere se ho
ancora sangue in corpo da perdere? Per vedere fino a quando resisto senza
morire dissanguata d'a -
- Non dirlo, ti prego, non farlo.
Rimaniamo in questo Limbo ancora per un po'. Solo noi due. -
Pansy scosta la testa,
interrompendo il contatto visivo fra i due. Si è sentita come se la stessa
essenza bruna della sua iride venisse risucchiata da quel pallido grigio
apatico impiantato nei suoi occhi sempre aperti.
Occhi che fanno quasi paura.
- Sono stanca, Draco. -
Pansy Parkinson è dannatamente
stanca di essere stanca. Non ne può più di passare da bruco a farfalla e da
farfalla a bruco in meno di due ore, e nemmeno può sopportare questa
lacerazione che la opprime da tempo.
Si sente totalmente incompleta,
come se di nuovo, dopo tanto tempo, si fosse risvegliata in lei quella
spiacevole sensazione che aveva guidato le sue mani attraverso i capelli.
Certo, potrebbe sopprimerla, ma per quanto?
È certo che prima o poi ci
ricascherà, e quando lo farà, sarà con tutte le scarpe. Questa volta ha saputo
controllare le proprie emozioni, ma come farà, quando sentirà l'impellente
bisogno di trasformarsi di nuovo?
Quando è donna non riesce a
sentirsi completa. È come se le mancasse qualcosa, un piccolo dettaglio che, in
quanto mancante, non riesce a sostenere la sua intera struttura.
Si sente debole, in questi casi.
Così debole che vorrebbe
morire.
Quando è uomo, il giudizio della
società lo attanaglia. E Paul, così come Pansy, non sa vivere senza la folla.
L'impressione lo schiaccia, gli occhi lo tradiscono. Il mondo ha paura dei
diversi.
E' in questi casi, quando tutti
lo fissano come se avesse una malattia incurabile, che lui si sente debole.
Così debole che vorrebbe morire.
Draco l'osserva, assorto. È di
nuovo quel bel quadro senza piedistallo con cui ha convissuto tempo fa, con cui
ha fatto sesso, per cui progettava ogni bene ed ogni futuro. Solo che il vizio
adesso salta maggiormente all'occhio: come quando bevi del vino mediocre per
tutta la vita, pensando che sia il migliore. Poi qualcuno ti presenta il Vino,
e allora tornare alle vecchie abitudini è frustrante.
Draco si sente così. Seccato
dalla situazione.
Non è stato bravo, nei giorni
precedenti: non ha saputo prevedere cosa e quando sarebbe successo, in poche
parole, ha sbagliato.
- Pansy, capisco che tu mi
ritenga responsabile -
- Perché è giusto che tu venga
additato come tale, Draco. Non è forse vero che hai distrutto tutto ciò che
avevo faticosamente creato in otto anni di vita? -
Lui si gratta una guancia, lei
sente il cuore che le scoppia dentro il petto. Nervoso, rabbia, funesta,
improvvisa ira.
Dentro alla foresta non si sente
che il battito dei loro cuori e dei loro ansiti spregiudicati, che come scoppi
di fuochi d'artificio schioccano, riecheggiando tra gli alberi e le fronde.
Non è la fine, non è l'inizio. I
due si scrutano come avversari.
- Se solo tu fossi stata più
chiara, Pansy, forse avrei potuto… -
- Non avresti potuto affatto,
Draco. Saresti rimasto lì, a guardarmi agonizzare, perché in fondo siamo serpi
fino al midollo. E non cambiamo. -
- Tu sì. Ma era desti -
- Non dirlo, ti prego, non dirlo.
Sarebbe come ammettere che esiste. -
E poi, risata consumata dal fumo
che si leva alta verso il cielo.
- Pansy. -
- E' tutto qui, Draco. Hai
distrutto la mia vita perché volevi vedere la tua splendere, volevi di nuovo
sentire quella cosa libera nel tuo sangue, nella tua mente. Non è così,
Draco? Eppure adesso guardati, sei solo. E ogni volta che mi rivedrai, o
penserai a me, cercherai di nuovo quel sentimento. E scoprirai che c'è.
Adesso perdonami, ma ho un
appuntamento con Silente. -
Si gira, piccola bimba vagamente
illusa delle proprie aspettative, eppure improvvisamente contenta. Incompleta,
ma contenta.
- Avada Kedavra. -
Poi il corpo scivola per terra,
leggero, e ricade sul manto di foglie di quel settembre eccessivamente freddo,
scompigliando il quadretto silenzioso della radura.
Draco Malfoy osserva quel
paesaggio bucolico e pensa che nessuno interferirà col destino. Dunque, lui
tirerà avanti nella vita senza affetto, senza consolazione, tutto preso da
quella mediocrità che ha sempre cercato di evitare, e che invece era la sua
ultima destinazione.
E Pansy non correrà mai il
rischio di diventare quello che non avrebbe mai dovuto essere: completa.
Il destino vuole, predispone.
L'uomo si spinge nel profondo
della foresta, fino a che il rumore del suo stesso respiro non viene cancellato
dal silenzio.
Poi chiude gli occhi e, contento,
sorride.
Owari.
A/N:
Dunque.
Questa
volta sono stata quasi brava: finire una fanfiction per un concorso con così
tanto anticipo mi crea una strana, stranissima sensazione.
Due
brevi note di chiarimento. Il cambiamento dei verbi – dal tempo perfetto al
tempo presente – è usato per meglio esprimere il contrasto all’interno del
capitolo. L’oggi in grassetto, dunque, serve per sottolineare il cambio di
visuale.
Ho
lasciato quattro spazi tra un paragrafo e l’altro, ma facendo un paio di conti,
sarebbero state cinque pagine lo stesso. Tra parentesi, non era menzionato
nulla a riguardo della separazione tra i paragrafi, quindi mi sono presa la
simpatica libertà di fare quello che volevo(L).
Se
sembra vagamente delirante è perché sì, è stata scritta tutta di notte, in un orario
che andava approssimativamente dalle due alle cinque di mattina. Cattive
abitudini tarde a morire, suppongo.
Comunque,
grazie sicuramente alla mia adorata Light [**] che mi ha tenuto compagnia in
queste notti in bianco, lei coi cuccioli, e io con le mie creaturine. È stata
preziosa fonte di ispirazione, con le sue sadiche battute a proposito del mondo
che ci circonda. Parte di Draco – così come parte di Pansy – prende spunto da
lei.
Niente
da dire, in più, se non: Pansy o Paul? Bella domanda. Io di certo non ci sono
ancora arrivata.
Grazie
anche a tutte le persone che mi hanno spinto a riprendere: Macrì, Linnie,
MiaSorella**, Harukachan.
Comunque,
originariamente, doveva essere Blaise mutato in Bett. [Voglio dire, non è un
nome adorabile?]
Chissà
mai che non lo faccia. Sarebbe assolutamente da morire.
Povero
Draco. Suppongo che alla fine del settimo libro dovrò dedicargli qualche
storiella – finisco sempre per maltrattarlo.
Meredith: grazie per i complimenti! Purtroppo ancora non sappiamo che
ne sarà del concorso^^
Ja
ne!
RoSs
Harry
Potter non m'appartiene, io non ci guadagno niente e il mondo continua a
girare! Solita solfa, genteXD