Prima che il tramonto si dissolva dietro alla collina...

di Anael
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Prima che il tramonto si dissolva dietro alla collina…

 

 

Prologo

 

 

 

 

Il giovane Kevin Turner si rimboccò le maniche della spiegazzata camicia a bozzetti che indossava e volse lo sguardo alla gente intorno a lui che andava e veniva stringendosi nei cappotti e sgusciando ogni tanto sul ghiaccio non ancora sciolto dai mucchi di sale sparsi qua e là sulla strada stretta e gremita.

 

“Al diavolo!” imprecò contro la radio che da ore continuava a ripetere le stesse cose: incidenti a destra, incidenti a sinistra, pericolose lastre di ghiaccio, si prega gli automobilisti di fare attenzione. Presto avrebbe dovuto fermarsi a comprare delle gomme da neve, altrimenti non sarebbe riuscito ad effettuare quella consegna in tempo. Fortunatamente altri veicoli avevano già percorso quella strada prima di lui consentendo alle enormi pneumatiche del suo tir di sfruttare le tracce già esistenti, facendo perfettamente presa sul manto stradale. Se continuava a quella velocità non ci sarebbero stati problemi, e forse non avrebbe avuto bisogno di quelle stramaledette catene. Incrociò uno spazzaneve e, sebbene ormai non ne avesse più bisogno, ne fu talmente contento che lo salutò con un cenno del capo; si soffermò a guardare un’incantevole signorina dai capelli color sole, che avanzava sul ghiaccio sicurissima pur avendo i tacchi alti. Per lui che era nato e vissuto in Svizzera, vedere una testa bionda in mezzo ai giapponesi era una vera e propria consolazione. Le suonò il clacson, che rimbombò prepotente lungo la stradina silenziosa, ma la ragazza, probabilmente disgustata da quella faccia grassottella e ghignante, non rispose e passò oltre.

 

Turner sbuffò

“Sgualdrina!” berciò tornando a guardare la strada davanti a sé ed improvvisamente vide la scena. Pochi metri più avanti di lui una bambina di circa 7 anni era scivolata su una lastra di ghiaccio mentre tentava di attraversare la strada in bicicletta. L’uomo vide che non si rialzava, quasi certamente il peso della bici più tutto il carico aveva schiacciato le costole di quel corpicino eccessivamente esile ed infantile e le teneva le gambe imprigionate. Sperò che non si fosse storta una caviglia, o addirittura spezzata un femore: sapeva che su quella lastra di ghiaccio non avrebbe potuto frenare in tempo, o comunque non abbastanza da fermare l’autocarro prima di arrivare in prossimità della bambina, allora suonò il clacson più forte che potè, ma nessuno, una volta vista la situazione si azzardò a lanciarsi in strada.

“Dannazione!” gridò premendo il freno con delicatezza, poiché sapeva che in caso contrario le ruote si sarebbero bloccate, e mise in funzione anche i freni del rimorchio, ma non avvertì alcun rallentamento. Davanti a lui la ragazzina non accennava a rialzarsi, i passanti si erano fermati a guardare quel bestione di metallo sfrecciare sul ghiaccio fino ad arrivare in prossimità di quel corpo inerme, ma non poterono fare nulla. Ormai Turner, non aveva altra possibilità se non usare il freno della motrice, vi pigiò il piede, ma ci mise troppa decisione. Riuscì solo a pensare a quanto sarebbe stato meglio se avesse avuto le catene, ma prima che potesse imprecare le ruote si bloccarono e sentì le venti tonnellate di metallo che sfuggivano al suo controllo.

 

L’ultima cosa che vide fu una figura dai lunghi capelli ondulati sollevare la bicicletta dal corpo della bambina, e stringere quest’ultima al petto

“Morirai anche tu!” bisbigliò e le fece cenno di andarsene, ma improvvisamente il rimorchio prese a scivolare sul lato destro urtando le automobili parcheggiate sul ciglio della strada ed investendo le due. Sbatté violentemente la testa, e delle schegge di vetro gli si conficcarono nelle braccia paffute, vide degli schizzi di sangue sul cofano e comprese che almeno una delle due non ce l’avrebbe fatta.

 

 

 

 

“RUKAWA!”

Il ragazzo dai profondi occhi blu si girò verso la giovane manager Ayako.

“Che c’è?” le chiese burbero come al solito, la bella ragazza dai capelli neri gli si avvicinò e lo guardò seriamente

“Ascoltami con calma…”

“Che diavolo succede?” insistette Kaede ansioso di tornare al suo allenamento. Ayako non s’infuriò come avrebbe fatto di solito, ma continuò a guardarlo negli occhi con quella strana espressione compassionevole

“C’è tua madre al telefono” disse semplicemente. Kaede si asciugò il sudore con l’asciugamano che gli porgeva la ragazza

“Ok”.

 

Rukawa sollevò la cornetta

“Mamma?”

“Kaede…” eccepì dall’altro capo del telefono con voce sommessa, forse aveva pianto,

“Che succede?” le chiese decisamente seccato il ragazzo: non aveva mai amato troppo i propri genitori, erano pesanti, sempre in pena, impiccioni ecc. Peggio ancora, pretendevano d’instaurare con lui il solito rapporto “I miei genitori sono i miei migliori amici”! A lui certe idiozie non interessavano per niente, non avrebbe mai sopportato di farsi vedere in giro per i pub a braccetto con suo padre, e suo padre l’aveva capito. Quelle poche volte che era a casa o lo ignorava completamente, o lo trattava con freddezza manco fosse un automa. Non si sentiva a suo agio a casa, non si sentiva a suo agio in camera, non si sentiva a suo agio la sera mentre cenavano assieme, c’era solo una persona in mezzo a quel caos che lo comprendesse, ed era solo la sua piccola Mi…

“La tua sorellina, Miyu ha fatto un incidente”…appunto, l’unica persona che contasse davvero per lui era solo la sua sorellina, se le fosse successo qualcosa sarebbe morto. Aveva solo 7 anni, ma nonostante questo…nonostante questo…

“C- cosa?”

“Ho detto che Miyu ha fatto un incidente!”

Sbiancò. Non aveva uno specchio sotto agli occhi, ma era certo di esser diventato esangue come un cadavere.

“Miyu…Miyu ha fatto un incidente?”

“Sono all’ospedale. Per favore raggiungimi subito”. Si passò una mano sul volto

“Come sta lei?” le chiese sforzandosi di nascondere il fremito che gli usciva dalla gola

“Kaede…”

“COME STA LEI?” sua madre dall’altra capo del telefono ammutolì: non aveva mai sentito suo figlio urlare prima d’ora…qualcuno avrebbe potuto dire “ma che razza di madre sei?” ma Kaede non era certo il figlio che tutti sognavano. Certo, lei lo amava ed era orgogliosa di lui, ma lui…perché si rinchiudeva in sé stesso a qual modo? Provare ad aprirlo era stato inutile, e anche tentare di diventargli amica. Spesso pensava che suo figlio la odiava…

“N- non lo so. La stanno ancora visitando. Ma è molto importante che tu venga qui subito!”

“Vengo” rispose il ragazzo e tagliò subito la conversazione. Appoggiò i gomiti sulla mensola che reggeva l’apparecchio telefonico e nascose il viso tra le mani.

“Va tutto bene? Stai tremando…” la voce di Mitsui lo fece sussultare, si girò

“Dì ad Akagi che sono andato via.” Mitsui gli poggiò una mano sulla spalla

“E’ successo qualcosa?”

“Niente!”.

 

Si scrollò di dosso la mano dell’amico e corse negli spogliatoi.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Prima che il tramonto si dissolva dietro alla collina…

 

 

 

Capitolo 2

 

 

 

Il corridoio era lungo, stretto ed illuminato dalle luci nivee del neon, proprio come quello in cui quel giorno di sette anni fa aveva passato la notte. Dieci ore passate su quegli scomodi sgabelli, a fissare il candore di quelle mura sterili , a contare i secondi che passavano, ad aspettare un fratello che dopotutto voleva, ma che già gli stava causando delle noie. Quando gli avevano detto che presto sarebbe arrivato qualcun altro in casa loro aveva subito pensato che avrebbero potuto giocare a basket insieme, che gli avrebbe insegnato cos’è un rimbalzo e quanto può essere eccitante effettuare uno Slam Dunk, e sentire la folla acclamare e la tensione diventare adrenalina pura, il sangue pulsare nelle vene, l’aria a trenta cm da terra. O semplicemente pensò che avrebbero avuto gusti diversi, così ognuno per conto proprio e chi s’è visto s’è visto. Forse i suoi genitori avrebbero potuto dire che erano orgogliosi di almeno di uno dei loro figli, e la convivenza con un introverso come lui sarebbe stata meno pesante. Infondo non c’era niente di male nell’avere un fratello, a parte il dover aspettare tutta la notte che sua madre partorisse e la finisse una buona volta di gridare “Mi fa male!”.

Invece quando l’ostetrica uscì dalla sala parto portando con sé un fagottino ululante e disse

“E’ nata Miyu Rukawa” si rimangiò tutto. Una femmina. Un’altra stupida ochetta era venuta la mondo e sta volta doveva tenersela in casa lui! Lui che avrebbe strozzato ogni esemplare di sesso femminile che incontrava perfino un cane! L’ostetrica gliela mise inaspettatamente fra le braccia e lui si ritrovò a fissare quegli occhietti luminosi e quella boccuccia rosa: doveva ammettere che era proprio deliziosa…Anche se aveva il faccino sporco era deliziosa, si deliziosa. Pensava che a lei forse avrebbe voluto bene. Ed infatti ogni giorno che passava gliene voleva sempre di più. Anno dopo anno l’amava sempre di più. Non sopportava le altra ragazze, ma amava lei. La sua sorellina. Faceva di tutto per farlo arrabbiare, ma lui non si arrabbiava mai con lei. Se tornava a casa volentieri da scuola era solo per vederla, ed ora la sua bellissima bambina…era di nuovo fra quelle mura, ma forse non ne sarebbe più uscita, non senza gravi contusioni. A volte la mattina entrava in bagno di soppiatto mentre lui si stava lavando i denti, gli si piazzava dietro con la macchina fotografica e , quando era sicura che il fratellone avesse la bocca ben sporca di schiuma, gli tirava un calcio negli stinchi così lui si girava e lei gli scattava un foto che poi vendeva in giro. Era riuscito ad evitare per un pelo che una di quelle finisse nelle mani di quel do ’aho di Sakuragi. Già essere chiamato baka – Kitsune non era proprio gratificante…E poi quanto si era emozionato la prima volta che l’aveva vista muovere i primi passi con quelle gambine esili…troppo esili. La costituzione era sempre stata il suo più grande problema. Decisamente troppo sottile e fragile, tanto da far fatica a trovare dei vestiti della sua taglia. Kaede non aveva mai dimostrato troppa enfasi per quella “SottoSpecieDiBertuccia”, come la chiamava lui, eppure le voleva bene. Era sua sorella. Una sorella che non aveva potuto proteggere mentre quell’ammasso di ferraglia le si fiondava addosso e schiacciava le sue deboli ossa.

 

Si passò le mani fra i capelli e strinse quelle ciocche nera con forza finché le sue nocche divennero bianche “Maledizione!”

“Kaede!” davanti a lui c’era sua madre.

“Si…” eccepì irritato dallo sguardo mortificato della donna: anche lui stava male, dannazione, ma postulare in corridoio con le mani congiunte stile Madonnina e gli occhi lacrimanti non serviva a niente! Non avrebbe certo variato le condizioni di Miyu…La donna gli si avvicinò e gli prese una mano

“Meno male che sei venuto …”

“Cos’è successo?” tagliò corto Rukawa impaziente di venire a conoscenza dei fatti. Sua madre prese un respiro…

“Credevo che fosse nella sua stanza a fare i compiti, io ero in casa ma non ho pensato minimamente che sarebbe uscita dalla finestra!”

“E’ uscita dalla finestra? Perché?”

“Sapeva che avevo molti lavori da svolgere e in più dovevo fare delle commissioni importanti, se non mi sbrigavo i negozi avrebbero chiuso…” lasciò la mano del figlio e scoppiò in un amaro singhiozzo “si era offerta di andare lei al posto mio, ma non glielo avevo permesso: sarebbe stato troppo duro per lei portare dei pacchi così pesanti da sola, e così l’ ho mandata in camera sua. Lei però è uscita lo stesso! Quando mi hanno telefonato hanno detto che accanto a lei c’era delle borse! Voleva farmi un favore ed invece è stata investita da un camion!” un altro folle scoppio di pianto. Kaede le diede le spalle e strinse di nuovo i pugni tentando di frenare la rabbia, ma quando ormai non ce la fece più tirò un calcio ad uno di quei sgabelli scomodi e lo rovesciò. Figuriamoci se una costituzione debole come la sua avrebbe sopportato di finire sotto ad un camion! Ormai non c’era niente da fare…ormai…

“A- aspetta Kaede…c’è una cosa che ancora non ti ho detto…” girò il capo

“Cosa?”

“Una ragazza l’ ha salvata! I medici dicono che è solo grazie a lei se non è morta…”

 

Stava per chiederle chi diavolo poteva essere quella ragazza, quando un medico uscì dalla stanza dove tenevano il corpo esanime di Miyu. La madre di Kaede subito gli andò in contro e gli chiese allarmata

“Come sta?” l’uomo accennò appena ad un sorriso e rispose

“Sta bene…a parte le costole rotte e la spalla lussata sta bene. Non è in pericolo di vita.”

“Come sono felice, e sa per caso…”

“Posso vederla?” s’intromise Kaede lasciando trasparire una nota di sollievo; il dottore scosse il capo

“E’ sotto sedativi, e per stanotte dovrà rimanere in osservazione. Potrete vederla domani, ma non temete, ormai non c’è pericolo.”

“Meno male” proseguì la donna “Stavo morendo di paura”

“Ma…” proseguì il medico “il problema è quella ragazza. La ragazza che l’ ha salvata.”

“Cosa le è successo?” chiese Rukawa

“Si è gettata su la piccola Miyu prima che il camion la investisse,solo che è arrivata troppo tardi, ed il veicolo le ha urtate. Le ha fatto da scudo con il proprio corpo: la costituzione di tua sorella è incredibilmente fragile, sarebbe sicuramente morta se quella ragazza non l’avesse protetta. Il problema è che…”

“Che?”

“Una ruota le ha schiacciato la gamba destra. Abbiamo dovuto amputare.” Kaede impallidì: quella ragazza…lei, voleva solo salvare un bambina…perché doveva rimetterci una gamba? Vide sua madre scoppiare di nuovo a piangere

“E adesso lei dov’è?”

“Anche lei è sotto osservazione. Però non è molto grave…”

“Quanto?”

“Cosa intende dire, signora?”

“Di quanto gliel’ hanno tagliata?”

“Non vedo cosa c’entri…”

“Quanto?!” afferrò il camice bianco dell’uomo e lo guardò con occhi imploranti “Ha perso anche la coscia?”

“No, solo il ginocchio.” Avrebbe voluto fare cenno a quella stupida di smetterla di dare scena, tanto non sarebbe servito a niente, però non lo fece…Dopotutto non sapeva nemmeno cosa pensare. Doveva essere contento di quello che aveva fatto quella ragazza? Doveva esserle grato? Oppure doveva provare compassione per lei? Tutto questo l’avrebbe scoperto solo quando lei si sarebbe svegliata ed avrebbe compreso che niente sarebbe stato più come prima…

 

“Venite con me” disse il dottore facendo segno ai due di seguirlo lungo quel corridoio sterile e li fece fermare davanti ad una stanza. La madre di Kaede come lanciò uno sguardo girò il capo di lato portandosi le mani al viso e mormorando

“Oh, mio Dio…” il ragazzo invece continuò a guardarla attraverso il vetro.

“Come si chiama?” il medico sfogliò la cartella azzurra che teneva in mano e con un sospiro rispose

“Keyko”

Numerosi tubi proveniente dai macchinari tutt’intorno le salivano su per il naso, nelle braccia ed in gola, una lampada illuminava di luce fioca ciò che rimaneva della sua gamba destra. Al suo posto, ora c’era solo un lungo pezzo di metallo. Vide una mappa di lividi ed escoriazioni deturpare quel volto pallido e quelle braccia lunghe e sottili, probabilmente aveva numerosi altri lividi sul corpo nascosto dal camice. I lunghissimi capelli castani le si appoggiavano in morbide onde sul petto ansimante ed erano incrostanti di sangue.

Di tutta l’energia di un tempo ora era rimasto solo un corpo martoriato.

E di sua spontanea volontà.

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