I Ranger del Cielo - Parte Prima: L'Avionauta

di Shade Owl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap. 1: Il pacco della discordia ***
Capitolo 3: *** Cap. 2: Una seconda occasione ***
Capitolo 4: *** Cap. 3: Lavori di meccanica ***
Capitolo 5: *** Cap. 4: Reclutare l'equipaggio ***
Capitolo 6: *** Cap. 5: Il secondo membro ***
Capitolo 7: *** Cap. 6: La partenza ***
Capitolo 8: *** Cap. 7: Il meccanico di bordo ***
Capitolo 9: *** Cap. 8: Volo inaugurale ***
Capitolo 10: *** Cap. 9: Il primo lavoro ***
Capitolo 11: *** Cap. 10: Un'ombra alle spalle ***
Capitolo 12: *** Cap. 11: La storia del dottore ***
Capitolo 13: *** Cap. 12: Nel deserto ***
Capitolo 14: *** Cap. 13: La Chiave di Pael-Nur ***
Capitolo 15: *** Cap. 14: Il Golem ***
Capitolo 16: *** Cap. 15: Predatori di tesori ***
Capitolo 17: *** Cap. 16: Dark Phoenix ***
Capitolo 18: *** Cap. 17: Classe Belligerant ***
Capitolo 19: *** Cap. 18: Combattimento aereo ***
Capitolo 20: *** Epilogo: Il nuovo mestiere ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ooook... bene, prima qualche precisazione veloce, poi la storia.
Dunque: tanto per cominciare, a qualcuno avevo già detto qualcosa sulla storia che intendevo scrivere ma, per una serie di eventi particolari, mi ritrovo a pubblicare invece questa, che è la famosa "storia più lunga che abbia mai scritto", che ho già citato un paio di volte, così lunga che verrà, per così dire, "smembrata" e pubblicata come se fosse una serie. Così a) devo solo correggere, e non scrivere ex novo, qualcosa che tutti voi potrete godervi e b) ci campo di rendita per mesi, evitando di sentirmi in colpa per eventuali ritardi/mancanze di novità. A convincermi a pubblicare questa storia, principalmente, è stata una recente conversazione con Ely79, una delle mie lettrici più fedeli e accanite, che senza volere mi ha fatto venire una fottuta voglia di riprendere in mano questo mostro, persino più lungo di "The Dark Game". Quindi, se come penso stai leggendo queste righe, sappi che è colpa tua.
Un'altra piccola cosa: non è steampunk, anche se ci sono delle aeronavi (qui chiamate Avionatanti). Questo perché, a suo tempo, ho cercato di documentarmi su questo genere particolare, ma per quanto mi affascini, in materia ero e resto una pippa.
Ok, finito (credo... non c'è altro, no? Un secondo, consulto il mio Cavallo Invisibile... no, dice che non c'è altro). Bene, buona lettura!


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12/07/2195
Giovedì
 
Salve. Il mio nome è Abbigale Joanna Marshal. Abby, per tutti.
Io sono una bambina, ovviamente, e ho dieci anni… no, dieci anni e un terzo. Lo so bene, perché sono molto brava con la matematica, e le frazioni mi piacciono tantissimo. Pensate che prendo dieci a tutti i compiti in classe. Ma non penso che vi interessi più di tanto la mia vita scolastica, non è forse così?
Beh, a me non interessa comunque, quindi smetterò di parlarne.
Penso, invece, che parlerò di un argomento che mi sta molto più a cuore, e di cui non ho mai parlato prima con qualche estraneo. Quindi sentitevi onorati se, per la prima volta in assoluto, ho deciso di raccontare questa storia a voi che non mi conoscete.
Non so perché ho deciso di cominciare questa specie di diario biografico sulla persona che meno di tutti penso di conoscere e che, oltretutto, non ho quasi mai potuto incontrare prima d’ora. Eppure, per me è sempre stata una persona fondamentale, nonostante io non lo conosca quasi.
Mio padre.
Forse è solo il desiderio di ricapitolare la sua storia, magari perché voglio sentire di conoscerlo…
Forse perché mi ha dato due volte la vita.
La prima fu quando lui e mia madre fecero ciò che fanno tutti gli adulti quando vogliono avere dei figli, di qualsiasi cosa si tratti.
La seconda fu invece quando mi è venuto a riprendere nel bel mezzo della morte.
Esattamente quel giorno, conobbi mio padre.
Esattamente quel giorno, ho rischiato di morire.

Mmmh... boh, niente. Mi pronuncerò nel primo capitolo.

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Capitolo 2
*** Cap. 1: Il pacco della discordia ***


Tanto per sicurezza... accertatevi di aver letto il prologo.

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Tanti anni fa, quando ancora io non ero ancora nata, ci fu una guerra. Una brutta e lunga guerra, che coinvolse uno dei tre continenti del nostro mondo, spaccandolo in due esatte metà e trasformandolo in un campo di battaglia.
La sua conformazione è stata senz’altro d’aiuto nella scelta del territorio in cui combattere: esattamente al centro sorge un grande e vasto altopiano, l’Altopiano di Lord Aster, che ospitò per anni gli eserciti in guerra, e che ancora oggi porta i segni degli scontri che si sono sostenuti lì. La Federazione degli Stati dell’Ovest e la Lega delle Regioni dell’Est (dove si trova casa mia) iniziarono il conflitto per quelle che la mamma definisce “ragioni puramente economiche e politiche”, e quando interruppero le ostilità fu per via del fatto che le popolazioni di entrambe le parti erano stremate e le casse erano vuote. Dei soldati sopravvissuti alla guerra, migliaia ne uscirono profondamente segnati e psicologicamente turbati, e pochissimi riuscirono a trovare di che vivere.
La nostra storia comincia in un bar fumoso e un po’ sciupato, poco luminoso e pieno di tristi ubriaconi che affogavano ogni dispiacere nelle bevande più alcoliche che riuscivano a trovare.
Ma non erano gli unici clienti, ovviamente: talvolta, qualche Avionauta vi faceva una capatina, magari perché era di strada per raggiungere il centro della città, forse semplicemente perché qualcuno di essi era stato, a suo tempo, un soldato nella guerra e ogni tanto voleva stare con ciò che restava dei suoi commilitoni.
Uno in particolare si era fatto progressivamente più alticcio mano a mano che i drink scorrevano, e adesso era così ubriaco che probabilmente non sarebbe riuscito a contare nemmeno le dita delle sue mani.
Era uno dei più fedeli frequentatori di quel posto, ed era anche uno dei più malconci: erano passate circa tre settimane dal suo ultimo bagno, e i suoi vestiti erano gli stessi che si era messo dopo essere uscito dalla vasca quella volta, arrivando anche a dormirci dentro. La sua barba e i suoi capelli, oscenamente lunghi e incolti, erano in uno stato a dir poco indescrivibile. Probabilmente, se si fosse steso di fianco a un cassonetto, nessuno avrebbe notato la differenza.
- Dammene un altro.- grugnì con voce impastata, scansando il bicchiere di whiskey che aveva appena vuotato.
Il barista, un uomo corpulento dal naso schiacciato come una grossa patata, lo guardò da dietro il sudicio bancone di formica.
- Dì un po’, Disen, ce l’hai da pagare?-
- Certo che ho da pagare!- ringhiò lui - La pensione mi arriva ancora, cosa credi! È l’unica cosa che mi resta, accidenti…-
Lui si strinse nelle spalle e prese la bottiglia, quasi dimezzata, versandogli altro whiskey nel bicchiere.
- Lo spero per te, amico.- sbottò.
- Amico…- ridacchiò piano John, portandolo alla bocca - Ma che ne sai tu… non siamo mica amici, sai? Io sono un cliente, e tu sei un barista. Fine della storia.-
- Certo, perché di amici ne hai parecchi…- sghignazzò un altro uomo, ubriaco e malmesso quasi quanto lui.
- Bah…- sbottò - Cosa vuoi saperne, tu?- vuotò il bicchiere con un solo sorso e guardò l’altro ubriacone - Tu sei sol… solo un poveraccio!- borbottò, la voce oltremodo strascicata
- Poveraccio a chi?- fece l’altro di rimando.
- A te!- sbuffò John - I miei amici erano i soldati… quelli della settima divisione… gran bravi ragazzi…-
- La settima divisione?- ripeté il barista, pulendo un bicchiere sudicio con uno straccio ancora più sudicio - Era la tua?-
- No.- sospirò lui - Purtroppo no… io ci rimasi solo per un paio di settimane, poi tornai a terra…- fece una pausa per fare un rutto e proseguì - Loro sì che sapevano divertirsi, benedetti Avionauti… anche in mezzo a quell’inferno, erano sempre i più contenti di tutti noi… che ci vuole poco, quegli aggeggi erano fantastici…-
- Aggeggi?- ripeté l’ubriaco con cui stava parlando poco prima.
- Sei stato sopra uno di quelli?- chiese un secondo, al suo fianco.
- Eco… eccome!- esclamò John, prendendo il bicchiere che il barista gli aveva riempito di nuovo ed alzandosi per essere più visibile ai suoi interlocutori, anche se rischiò di cadere a terra - Io ho viaggiato sopra un Aviocoso… non mi viene il nome… bah, non importa!-
- Certo, come no…- ghignò il barista - E dimmi, ci sei stato tu o c’è stato l’alcool che hai in corpo?-
- Ci sono stato, invece!- gridò John. Ora, tutto il locale era in ascolto - Mi ha segnato per tuuuutta la vita…- pausa rutto e sorsino -  L’avrei anche pilotato, se avessi avuto l’occasione, ho fatto il croso… cioè, il corso… ma il pilota era troooopo geloso della poltrona che aveva… e ci credo…- altro rutto e sorsino - Un’esperienza, ecco cos’è!-
 
Gli Avionatanti: di questo stavano parlando John, il barista e gli altri clienti. Mi piacerebbe poterli descrivere in poche righe, ma semplicemente non ci riesco. Ovviamente ne ho visti tanti, ma proprio per questo mi è impossibile. Non ne esistono due uguali, se non quelli prodotti in serie, e vi garantisco che non meritano affatto attenzione, poiché sono usati solo per banali voli di linea. Gli altri, quelli privati, personalizzati o fatti su misura… loro sì che hanno le loro vicende nella stiva e la loro personalità nella strumentazione, pur essendo oggetti. Per parlare bene di un Avionatante, occuperei tutto il diario, e ora proprio non posso… mi serve per la storia.
 
Carsen Breeze, al momento in quello stesso locale, sedeva ad uno dei tavoli più in fondo e più isolati. A chi lo vedeva ricordava sempre un vecchio orso grigio, tanto era grosso. I suoi capelli recavano ancora tracce del nero che un tempo li tingeva, ma ormai solo pochi fili erano sopravvissuti all’avanzare dell’età. Sul mento e sulle guance gli cresceva una barba grigia perfettamente curata e ben tenuta, come appena messa a posto con la riga millimetrata.
Tuttavia, il suo aspetto non rispecchiava affatto il suo carattere: dentro di sé, lui si sentiva proprio come quando aveva vent’anni, e i suoi amici lo tenevano sempre in gran considerazione, proprio per questa sua energia e per la fiducia che ispirava istintivamente nelle persone che lo circondavano. Un brav’uomo, così lo descrivevano.
Era vestito in modo nettamente più ordinato degli altri avventori del bar, zotici ubriaconi che nessuno avrebbe mai pianto una volta: indossava una blusa nera sotto un gilet di jeans verde scuro e pieno di tasche, simili a quelli dei pescatori, e pantaloni neri così lisci da sembrare appena stirati. Ai piedi, invece, calzava stivali di cuoio, e in testa un vecchio colbacco verde militare con i paraorecchie alzati. Era incredibile come il suo abbigliamento riuscisse a mantenere una forma tanto precisa nonostante lui fosse seduto con una caviglia appoggiata sopra al ginocchio dell’altra gamba e le braccia incrociate.
Ascoltava il discorso di John con interesse, fissandolo con i chiari occhi azzurri, mentre il suo interlocutore cercava di attirare la sua attenzione.
- Ehi, Carsen!- esclamò, cercando comunque di tenere bassa la voce, come se non volesse farsi sentire - Carsen!-
Lui grugnì per fargli capire che lo ascoltava, ma non staccò gli occhi da John, che continuava a parlare della guerra e dell’Avionatante su cui aveva volato.
- Cerca di concentrarti!- sbottò - Sto cercando di dirti qualcosa di molto importante!-
- Io sono concentrato.- disse senza guardarlo lui, con la sua vociona vibrante e profonda.
- Certo, concentrato su un idiota ubriaco!- sbuffò l’altro, passandosi una mano nei cespugliosi ricci neri, in un gesto che tradiva il suo nervosismo.
- Non è un idiota.- replicò pazientemente Carsen - Sì, è ubriaco… ma soltanto per le cose che ha dovuto sopportare in vita sua… e se ciò che sta dicendo è vero, poteva essere un ottimo Aviopilota.-
- Sì, vabè, sarà pure quello che ti pare, ma vuoi ascoltarmi, accidenti a te?-
Sospirando, lui si voltò verso il suo interlocutore, e lo vide piuttosto sudaticcio. Il che, unito al suo essere tarchiato, lo faceva sembrare una specie di teiera sul fuoco.
- D’accordo. Cosa c’è?-
- C’è che sospetta qualcosa!- sibilò pianissimo l’uomo - Non ti immagini la fatica che ho fatto per arrivare fin qui senza portarmi dietro i suoi uomini! Sospetto che persino un paio dei miei siano con lui, adesso!-
- Lo so, lo so.- lo rassicurò Carsen, con aria cupa - Capisco perfettamente. Anche io avuto qualche incontro sgradevole, mentre venivo qui.-
- E cos’hai fatto?-
- Oh, mi conosci…- rispose ridacchiando lui - Seminarli è stato semplicissimo, credimi.-
- Bene, ma questo risolve il problema solo per ora!- sbuffò l’altro - Ti prego, Carsen! Finiamola e basta, dannazione!-
- E come?- chiese tranquillo il grosso omaccione - Se conosci la sua identità, allora basterà che tu me la dica, e io andrò ad ucciderlo. In caso contrario…-
- Andiamo, lo sai benissimo che non lo so!- ringhiò il suo compagno - Ma tu… insomma, che ti costa dargli ciò che vuole?-
- Mi costa tutto.- rispose Carsen - Non lo farò, né oggi né domani né mai. Quindi, dammi quella dannata cosa e finiamola qui.-
Sospirando, l’uomo prese la frusta borsa di cuoio che giaceva a terra e ne tirò fuori un pacchetto cilindrico, accuratamente avvolto nella carta da pacchi.
- Eccolo qui.- disse - L’ho perfezionato, in modo tale che non si apra in nessun caso. Niente può forzarlo senza danneggiare il contenuto, e l’ho chiuso nel modo che avevamo stabilito già dall’inizio.-
- Ottimo.- disse Carsen - Ora posso dormire sonni più tranquilli.-
- Non direi proprio.- sbuffò l’altro - Possono sempre indovinare il modo in cui si fa scattare la serratura. La cosa più intelligente che puoi fare adesso è nasconderlo all’inferno.-
Carsen fece un sorriso tirato.
- Già. Peccato che non ne conosca la strada.-

Uuuff... ok, ecco fatto. Ho cominciato ufficialmente questa storia, la prima di una lunga serie. Chissà cosa verrà fuori. In ogni caso, dico questo: a suo tempo la feci giudicare nello stesso gruppo di lettura incrociata con cui collaboro (solo, io mi occupo della sezione Fantasy, mentre questa andò nella Fantascienza) ed ebbi critiche... ehm... non esattamente piacevoli, specie considerando il fatto che la persona a cui capitò la storia non era proprio qualcuno di particolarmente aperto dal punto di vista intellettuale (o almeno così mi è stato descritto). In ogni caso, mi sono reso conto anche io che diversi punti oscuri qua e là ci sono. Farò del mio meglio per correggere tutto e rendere migliore l'insieme, ma vi dico che non mi aspetto sempre recensioni positive. A dire il vero, sono un po' preoccupato, sì...
Vabè... pazienza, come dice spesso qualcuno che conosco "non tutte le ciambelle possono riuscire col buco, ed è anche giusto così". Grazie per avermi letto, a domani!

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Capitolo 3
*** Cap. 2: Una seconda occasione ***


John Disen, l’uomo che si era vantato di essere salito su un Avionatante, in guerra, lasciò il bar solo a sera inoltrata, così ubriaco che a malapena si reggeva in piedi. In giro non c’era molta gente, e ormai i lampioni erano l’unica fonte di luce a rischiarare le strade. Con passo incerto si diresse verso la sua casa, un misero monolocale in affitto, ridotto da tempo al livello di una topaia, nonché l'unica cosa che poteva permettersi: la sua pensione da veterano gli garantiva un minimo di liquidità ogni mese, lo stretto indispensabile per tirare avanti. Non era certo un benestante, e quel poco che aveva di solito lo buttava via in alcolici, ma almeno campava.
Camminando, ogni tanto sbatacchiava di qua e di là lungo la strada, in preda alle vertigini, cantando una canzone stonata di cui sapeva solo metà delle parole. A malapena riusciva a mettere un piede davanti all’altro, e la vista gli andava fuori fuoco a momenti alterni.
Comunque, non era abbastanza sbronzo da non sentire gli schiamazzi che scoppiarono nella via vicina.
Si appoggiò ad un muro, cercando di snebbiarsi la mente, e tese l’orecchio: non riusciva a cogliere le parole (un po’ per l’alcool, un altro po’ perché erano troppo lontane), ma gli sembrava che due o più persone stessero litigando. Decise di dare un’occhiata, tanto per curiosità, e cominciò a muoversi verso la fonte del rumore, seguendo il muro accanto a sé con la mano per non perdere né la via né l’equilibrio. Svoltando l’angolo vide in fondo a un vicolo tre persone, una delle quali sembrava essere stato preso in trappola dagli altri due.
- Non ce l’ho più, vi dico!- gridò - L’ho data a Carsen Breeze, razza di idioti!-
- E noi come facciamo a crederti?- chiese uno dei due, quello più alto - Per quanto ne so, potresti anche averlo nascosto da qualche parte.-
- Ma certo, ora lascio incustodito qualcosa di così importante!- sbottò l’altro, facendo un gesto esasperato - Sentite, io non ce l’ho, punto e basta! Ora prendetevela con Carsen, e buon pro vi faccia! Voglio proprio vedervi, a inseguire lui!-
- Io dico che prima potremmo mandargli un messaggio, magari.- continuò l’uomo alto con tono minaccioso, accarezzandosi le nocche - Tu che ne dici, Secco?-
John, pur avendo la vista e la mente annebbiata, capì perfettamente che quello poteva essere soltanto un soprannome ironico: il Secco era più basso e, soprattutto, più robusto del suo compagno. Comunque, quello rispose con un grugnito e scrocchiò le nocche a sua volta.
- Ehi, no!- esclamò il terzo uomo - Levatevi dai piedi, accidenti! Io non c’entro più niente con questa storia!-
- Beh, forse possiamo fare finta di niente.- disse l’uomo alto - Però dovrai rispondere bene ad una domandina… una facile facile, e potrai tornartene nel tuo buco schifoso.-
- Che domanda?-
- Semplice.- rispose lui - Tu hai visto ciò che conteneva il pacco, o non avresti potuto chiuderlo nella sua bella custodia. Se ce lo descrivi nel più piccolo dettaglio, o se ci dici come aprire l’involucro, allora potremmo decidere di lasciarti andare via.-
- Eh, caschi male.- rispose secco l’altro - Carsen mi ha dato una di quelle sue schifezze chimiche perché la prendessi subito dopo aver finito il lavoro. Non ricordo un accidenti di niente riguardo al modo in cui si apre, né il contenuto del pacco.-
L’uomo alto annuì lentamente.
- Peccato…- disse - Peccato…-
John decise che era meglio intervenire. A dire il vero, da sobrio avrebbe pensato che quella non fosse una scelta saggia ma, in quanto soldato, era stato addestrato a intervenire nelle situazioni di bisogno, e con tutto l’alcool che aveva in corpo non riuscì a rendersi conto di non essere in condizioni per fare alcunché. Le sue gambe si mossero e basta, facendolo avanzare lentamente. La pioggia cominciò a cadere a poco a poco, mentre lui faceva di tutto per rimanere dritto e nel contempo andare avanti, cercando anche di assumere una postura minacciosa.
Non si rendeva conto di procedere chino e di rimbalzare praticamente da un muro all’altro, incespicando nei suoi stessi piedi.
- Ehi!- gridò con voce impastata.
Il trio si voltò a guardarlo.
- Chi è?- chiese il Secco.
- Oh, è solo un ubriacone.- rispose il suo compagno - E farà anche meglio ad andarsene.-
In quel momento l’uomo alle loro spalle decise di darsi da fare e, approfittando dell’attimo di distrazione, abbassò la testa e partì alla carica, investendo i due con la sua mole non esattamente sottile. Purtroppo l’effetto dello spintone durò solo per un momento, perché servì solo a farli barcollare contro le pareti e a dargli lo spazio per scappare e, dopo un istante e un paio di incitazioni reciproche, cominciarono a rincorrerlo. Gli furono addosso prima che potesse allontanarsi abbastanza e lo gettarono a terra, afferrandolo per il cappotto. John cercò di avvicinarsi di qualche altro passo, pronto a fare quanto poteva per aiutare, ma un istante dopo sentì un tremendo dolore all’addome e cadde a terra, colpito da un calcio vagante di qualcuno, e finì giù come una pera cotta. Intanto, l’uomo inseguito aveva ingaggiato un fiero corpo a corpo con i suoi assalitori, cercando di tenere loro testa contemporaneamente.
Riuscì a mandare al tappeto quello alto e smilzo, ma l’altro era ancora in piedi e sembrava molto capace nel combattimento, evitando uno ad uno i suoi colpi. John si alzò ancora, barcollante, e saltò addosso all’aggressore che gli dava le spalle, cingendogli il collo con le braccia. Quello cominciò ad agitarsi furiosamente, cercando di scrollarselo dalla schiena, ma ricevette un forte colpo all’addome e poi al volto da quella che avrebbe dovuto essere la sua vittima, cadendo finalmente a terra. John crollò con lui, incapace di coordinare bene i suoi movimenti, e si rialzò con molta lentezza, la testa che vorticava come se fosse salito su un ottovolante troppo veloce. L’uomo che aveva salvato andò in suo aiuto, prendendolo per un braccio e rialzandolo.
- Beh…- borbottò - Non so chi tu sia… comunque… ehm… grazie… credo.- disse in tono dubbioso, come se non fosse sicuro delle proprie parole.
John scosse la testa, incapace di parlare. Poi, sentì un forte dolore alla schiena, come una specie di perforazione, e cadde nuovamente in mezzo alle pozzanghere con un grido strozzato.
- Molto divertente…- ringhiò la voce del Secco, mentre anche il suo amico si rialzava - Ora però mi sono stufato…-
Un istante dopo, perse i sensi.
 
Si svegliò intontito, disteso sul letto in una stanza buia e sconosciuta. Era un locale grande e disordinato, pieno di attrezzi, pezzi di tubi o lamiere, teli polverosi e bulloni buttati in giro. Tre ampi finestroni inclinati si aprivano sulla parete davanti a lui, ma erano coperti da veneziane scure. Si alzò a sedere lentamente e sentì la pelle che tirava leggermente sulla schiena. Torse il braccio e ci passò una mano sopra: per prima cosa, si accorse di non indossare la camicia, e subito dopo sentì una medicazione coprirgli il punto in cui aveva sentito il dolore prima di svenire. Probabilmente era stato ferito.
Sospirando, scese dal letto massaggiandosi la testa pulsante e si avvicinò cautamente ai finestroni, così da guardare fuori per cercare di capire dove si trovava. Quando tirò la cordicella, fu investito da un fiume di luce che per qualche istante lo accecò, mentre la tempia gli diede una fitta talmente intensa da farlo gemere. Strizzando gli occhi e mettendo una mano davanti alla faccia, guardò la scena al di fuori della stanza.
Ovunque si trovasse, non era un appartamento come gli altri: fuori c’era un immenso hangar di lamiera, all’interno del quale si muovevano almeno una decina di persone diverse, tutte indaffarate a caricare alcune casse a bordo di qualcosa che lui riusciva a scorgere soltanto in parte. Probabilmente era un Avionatante, e pure bello grosso a giudicare dal poco che riusciva a vedere, ma non seppe identificarne il genere: lo scorcio che gli si presentava davanti era solo una massa nera e convessa, liscissima all’aspetto, che occupava quasi tutto l’angolo in alto a destra del vetro.
- Ti sei svegliato, finalmente.- disse qualcuno dietro di lui.
John sussultò e si girò di scatto: sulla porta della stanza, alla sua sinistra, oltre la fila di finestre, era comparso un uomo grosso e avanti con l’età, il cui aspetto gli ricordava vagamente quello di un orso.
- Dove sono?- chiese.
- Nell’Aviorimessa di un mio amico.- spiegò l’uomo - Il mio nome è Carsen Breeze. Tu chi sei?-
John esitò un momento prima di rispondere, chiedendosi chi diavolo fosse quel tipo e, soprattutto, perché lo avesse aiutato e dove lo avesse portato.
- John.- disse alla fine, decidendo che dopotutto non era un nemico - John Disen.-
- Molto piacere di conoscerti. Hai fame?- chiese, facendogli un cenno con la mano - Vieni, stavo proprio per pranzare. Sarei onorato se ti unissi a me. Ti presterò anche qualcosa da metterti.-
E uscì senza lasciargli il tempo di rispondere. Siccome non aveva motivo per rifiutare, ed anche perché voleva vederci chiaro in quella storia, seguì Carsen fuori dalla stanza. L’uomo lo condusse giù per una stretta scala di metallo fino ad una specie di piccola cucina incrociata con un salotto, dove un televisore di vecchio tipo riposava sopra ad un basso mobiletto, posto di fronte a un divano grigio sbiadito. Dall’altro lato della stanza c’erano dei fornelli, un forno a microonde e alcuni scaffali scheggiati carichi di scatolette.
Sopra a una frusta sedia di plastica c’era un vecchio giaccone, che Carsen prese e tirò a John, che cercò di afferrarlo al volo. Notò con piacere che i propri riflessi, quando era sobrio, rispondevano ancora piuttosto bene, anche se ebbe qualche difficoltà a serrare la presa sulla stoffa, sulle prime.
- Allora, come sono arrivato qui?- chiese, indossando l’indumento, mentre il suo ospite prendeva qualche scatoletta e delle stoviglie di metallo - E perché mi ci hai portato?-
- Potrei farti le stesse domande, in un certo senso.- rispose l’altro, aggrottando la fronte e sedendosi - Cos’è successo in quel vicolo?-
John inarcò un sopracciglio e cercò di ricordare: l’alcool non era molto d’aiuto alla memoria.
- Non ricordo benissimo.- disse - Stavo tornando a casa mia… e ho sentito qualcuno che litigava. Quando sono andato a vedere ho… ho trovato due uomini che ne minacciavano un altro, sì. Mi pare volessero… qualcosa da quel tizio, ma lui non ce l’aveva più… l’aveva data ad un suo amico, e questo non gli è piaciuto. Io mi sono messo in mezzo e c’è stata una lotta poi… boh, non so… ho sentito un dolore alla schiena, e sono svenuto.-
Carsen annuì cupamente, senza guardarlo, mentre apriva della carne in scatola e la metteva nei piatti di metallo.
- Capisco.- disse - Beh, sei stato coraggioso… e anche stupido.- lo guardò con un misto di compassione e divertimento - Dai, mangia qualcosa, che ti spiego più o meno come stanno le cose. Te lo meriti.-
John prese posto e afferrò il piatto che Carsen gli porgeva, accorgendosi soltanto in quel momento di quanta fame avesse.
- Dunque…- cominciò il vecchio - In pratica, è successo che quell’uomo che hai aiutato era un mio amico. Mi ha dato un oggetto molto importante, e i due che hai visto lavoravano per qualcuno che voleva portarmelo via.-
- E cos’era questo “oggetto”?- chiese.
- Questo non te lo posso dire.- rispose l’altro - Comunque era ciò che volevano, e il mio amico non ce l’aveva più. Purtroppo per lui, non l’hanno presa molto bene.-
- E ora come sta?-
- Molto peggio di te… o molto meglio, a seconda di come la guardi.- rispose cupamente Carsen - È  morto.-
A John andò per traverso la carne in scatola.
- Cosa?- gracchiò.
- Purtroppo è così.- sospirò - Io sono arrivato un’ora dopo con un paio dei miei, e ti abbiamo trovato pieno di sangue e svenuto. Intuire l’accaduto è stato semplice, così ti abbiamo portato qui e ricucito. Ti avevano accoltellato.- aggiunse, in risposta al suo sguardo interrogativo.
- Ah, sì…- grugnì John - Quello…- sospirò - Bene. Immagino che tu voglia un ringraziamento, ora.-
Ma Carsen scosse la testa, vagamente sorpreso.
- No.- disse - Chiunque rischi la vita per un perfetto estraneo merita un aiuto.-
- Bah…- grugnì lui - Sono un soldato, amico… o almeno lo ero. Mi hanno addestrato per aiutare chi è nei pasticci, una brutta abitudine che mi è rimasta anche adesso. Mi sono meritato una medaglia al valore perché ho salvato ventotto persone ferite da un proiettile esplosivo, dodici delle quali del fronte opposto.-
Omise di dire che quella medaglia, ormai, non ricordava più nemmeno dove diavolo fosse finita. Probabilmente l’aveva data in pegno per pagarsi qualche altro bicchiere, oppure era semplicemente scivolata sotto il letto. In ogni caso, scoprì che non gliene importava proprio niente.
- Comunque, che dice la polizia?- chiese invece.
Carsen fece una risataccia amara.
- La polizia… il tuo cervello deve proprio essere stato seriamente danneggiato dall’alcool, John: il governo ha praticamente finito i soldi con la guerra, e quelli che ha preferisce impiegarli in progetti militari. Hanno fatto un paio di rilievi, l’altro giorno, e poi hanno archiviato il tutto come una rapina finita male.-
- L’altro giorno?- ripeté John, bloccandosi con un boccone a mezz’aria - Ma… da quanto tempo sono qui?-
- Due giorni precisi.- rispose Carsen - Tranquillo, non ti cerca nessuno. Lo avrei saputo.-
John annuì, lo sguardo che gli si perdeva nel vuoto. Un omicidio era avvenuto in pieno centro e non importava niente a nessuno. Ormai, fatti del genere sembravano essere quasi all’ordine del giorno, e la parte peggiore era che non c’era una sola persona che sembrava preoccuparsene.
Che schifezza di mondo…Pensò.
Ignaro dei suoi pensieri, Carsen incrociò le braccia e si appoggiò allo schienale della sedia, guardandolo come se lo stesse valutando.
- Ora, tornando un momento a te… mi pare di capire che non stava parlando l’alcool, l’altro giorno, giusto? Sei davvero un veterano.-
- Eh?- chiese lui - Di che stai parlando?-
- Ero col mio amico in quel bar. È lì che ti ho visto la prima volta.-
John aggrottò appena la fronte, scrollando le spalle.
- Oltre la metà di quelli che hanno più di ventitré anni è stata nell’esercito, Carsen.- osservò - Non sono l’unico soldato sfigato di questa città.-
Lui non disse niente, annuendo con fare pensieroso. Rimasero in silenzio per qualche istante, mentre John finiva di mangiare.
- Bene…- sospirò questi alzandosi, quando il piatto fu vuoto - Ora credo che me ne andrò via.-
Carsen lo guardò, alzando le sopracciglia.
- E dove, sentiamo?-
- In giro… forse mi sbronzerò un altro po’… ma a te che importa?- chiese.
- A me niente, ma dovrebbe a te.- rispose - Ti stai rovinando la vita, nel caso in cui non te ne fossi accorto. Anzi, se fossi stato sobrio avresti anche potuto salvare il mio amico.-
- Ehi, mi stai accusando di qualcosa?- sbottò, appoggiando le mani sul tavolo e sporgendosi in avanti - Senti, mi dispiace per ciò che gli è successo, ma non mi riguarda, okay? Qualcun altro se ne sarebbe andato, e avrei dovuto farlo anch’io, visto com’è andata. Sono stato fortunato… molto fortunato.-
Carsen non fece una piega: si limitò a guardarlo negli occhi impassibile, con le braccia ancora incrociate sul petto. Alla fine, John scosse stancamente la testa e si ritrasse, scocciato.
- Posso aiutarti a rimetterti a posto, se vuoi.- disse il vecchio - Ti interessa?-
- Rimettermi a posto?- ripeté - Di cosa stai parlando?-
- Di tirarti fuori da questa cosa patetica che tu chiami vita, John.- rispose, con disarmante schiettezza - O preferisci ricominciare a devastarti il fegato? Io ti posso aiutare a creare qualcosa che ti permetterà di rifarti un’esistenza umana, se accetti. Forse sarà difficile e a volte anche pericoloso, ma un proiettile fa meno male di una cirrosi, te lo posso garantire. E dovresti sapere bene quanto possa essere dolorosa una pallottola, visto che eri nell’esercito.- spiegò - Ma se preferisci la bottiglia, prego…- aggiunse, indicandogli la porta con un cenno della mano - … non ti trattengo.-
Il primo pensiero di John fu quello di agguantarlo per i vestiti e spazzarci il pavimento, e per un secondo fu quasi sul punto di farlo davvero. Tuttavia, si rese quasi subito conto di stare ancora sragionando e si trattenne, sforzandosi di usare la testa, per la prima volta da anni.
Traendo un respiro profondo si passò una mano tra i capelli, pensieroso: doveva ammetterlo, Carsen aveva ragione. La sua vita, se così poteva chiamarsi, faceva schifo. Anche a lui non piaceva affatto, né lo allettava molto l’idea di continuare in quel modo. Piangersi addosso non era utile a nessuno. Se avesse rifiutato, probabilmente avrebbe sprecato quella che poteva essere l’occasione di cui aveva bisogno per rimettersi in gioco.
- Perché mi vorresti aiutare?- chiese alla fine - Noi non ci conosciamo nemmeno.-
Carsen fece un sorrisetto scaltro.
- Non per generosità.- ammise - Vedi… anche a me serve una mano.-

Ebbene sì, John sarà il nostro protagonista, e non una semplice comparsa di un minuto o due. Saranno sue le avventure che seguiremo tra queste righe e, se mi riesce di far bene il mio lavoro, vi affezionerete a lui.
Ringrazio Ely79 e LullabyMilla, che mi hanno già recensito, come sempre, sfidando miliardi di impegni pur di leggermi. Grazie, a domani!

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Capitolo 4
*** Cap. 3: Lavori di meccanica ***


Quali che fossero le sue intenzioni, Carsen si rifiutò di dirgli alcunché, all’inizio: prima pretese che John si rendesse presentabile al resto del mondo, quindi lo riaccompagnò a casa, dove prese le sue poche cose e i suoi vestiti. Nel mentre lui si cambiò, dandosi una lavata, e tagliò barba e capelli. Quando uscì dal bagno, pulito e rasato, sembrava un’altra persona: ora era di nuovo avvicinabile, sobrio e fresco di doccia, il volto solo vagamente ruvido per i peli. I capelli neri erano di nuovo a una lunghezza accettabile, e decisamente più ordinati di quanto non fossero solo un’ora prima.
Quanto all’affitto, parlò dieci minuti con lo scontroso proprietario, un vecchio acido e burbero che abitava due piani sopra di lui, e dopo aver saldato la quota del mese (dando fondo ai suoi risparmi, piuttosto miseri) liberò definitivamente l’appartamento.
Da quel momento John si trasferì di fatto nell’officina, il cui proprietario scoprì essere un giovane meccanico dalla pelle olivastra e gli abiti macchiati d’olio e di grasso, di nome Ryan. Era un uomo simpatico e capace, che si disse più che disposto ad accoglierlo per tutto il tempo necessario, liquidando le proteste di John con una scrollata di spalle e un semplice “Carsen mi ha detto tutto”.
Lui comunque gli assicurò che sarebbe rimasto il minimo indispensabile, e che era disposto anche a risarcirlo per l'ospitalità, offerta che Ryan declinò spiegandogli che non si sarebbe dovuto preoccupare di nulla, e di sbrigarsela col vecchio, che a quanto pareva si sarebbe accollato quelle e altre spese.
- Diceva davvero?- gli chiese John, quando rimasero da soli - Mi stai pagando l’affitto?-
Lui scosse la testa, serio.
- No, Ryan è il nipote di un mio caro amico.- spiegò - Le spese a cui si riferiva sono altre, e le considero un investimento. Comunque stai tranquillo…- aggiunse, dandogli una pacca e allontanandosi - I soldi non mi mancano, te l’assicuro.-
 
A sera, lui e John parlarono di cosa avesse intenzione di fare il vecchio per aiutarlo, seduti di nuovo al tavolo della cucina assieme a Ryan, intenti a cenare.
- Dunque, John…- esordì l’omone, smettendo per un momento di mangiare e guardandolo negli occhi - Io, come forse hai capito, sono un Avionauta.-
Lui non rispose, anche se dentro di sé si era immaginato una cosa del genere: dopotutto erano nella zona dell’Avioporto, e l’enorme hangar poteva ospitare soltanto il suo Avionatante, il quale adesso era chissà dove, essendo stato portato via ancor prima che potesse dargli una sola occhiata.
- Vuoi per caso offrirmi un posto sul tuo mezzo?- chiese.
- No.- rispose Carsen - Per niente. Gli uomini che ho mi bastano, e comunque non potresti mai venire dove ho intenzione di andare io.-
- E quindi?-
- Quindi, ti sto suggerendo di trovarti una tua ciurma e un tuo velivolo.-
- Un mio… velivolo?- ripeté John, allibito.
- Hai detto di saper pilotare, no?-
- Beh… sì, lo so fare… però non volo da un pezzo… parecchi anni, come minimo…-
- Oh, nessun problema.- disse Ryan - Posso farti fare qualche simulazione di volo con le macchine che usano i piloti governativi. Ne ho rimediata una l’anno scorso.-
- Ne hai rimediata una?- ridacchiò John - E come?-
Ma il meccanico scosse la testa.
- Fai una bella cosa, non chiedermelo.- prese una forchettata di pasta e continuò - Quanto all’Avionatante vero e proprio, mi sembra di capire che non hai una gran liquidità, ma forse posso trovarti qualche vecchio modello o roba del genere…-
- No, grazie.- disse lui.
- Perché no?- chiese spiazzato Ryan.
- Perché preferisco costruirmelo da me.- rispose.
- Costruirtelo da te?- ripeté Carsen - Con cosa?-
- Rottami.- rispose John - Parti scartate. Pezzi di ricambio buttati. Quelli non costano niente, li posso trovare più o meno ovunque e rimetterli insieme in un baleno.-
- Quindi vuoi usare rottami per risparmiare…- disse lentamente il vecchio, accarezzandosi la barba con una mano - Idea niente male, ma bisognerà mettercisi d’impegno, se vogliamo tirarne fuori qualcosa di buono.-
- Non c’è problema.- disse John - Ho una laurea in Scienze Politiche, ma da ragazzo ho frequentato l'istituto tecnico, e per cose del genere preferisco fare da me.-
- Davvero?- chiese impressionato Ryan - Come mai?-
John scosse la testa.
- Una… mia fissazione.- rispose vago.
- Ovvero?-
- Ehm…- si passò una mano tra i capelli, a disagio - Ecco… ora non prendetemi in giro… ma io penso che una cosa possa dirsi veramente mia unicamente se me la faccio da solo.- spiegò - Ero così anche da piccolo… comprarla non mi da la stessa soddisfazione. Mi sentirei fuori posto, su un mezzo che non considero mio.-
Carsen e Ryan si guardarono leggermente stupiti.
- Beh?- chiese John - Niente da dire?-
- No, nulla di che.- disse Carsen - Ma se la pensi così, avrai bisogno di aiuto. Un Avionatante non lo si costruisce da soli.-
- E cosa suggerisci?-
- Intanto, Ryan è un bravo meccanico, e può già aiutarci.- rispose il vecchio, mentre Ryan faceva un cenno col capo - Per la manodopera in generale chiederò al mio equipaggio. Non faranno problemi, sta tranquillo.-
- Quindi ora rimangono solo i materiali.- disse Ryan - Dobbiamo andare a cercarne un po’… un bel po’.-
 
Per giorni John, Ryan e Carsen fecero avanti e indietro tra l’officina e i depositi di rottami, tornando ogni volta con una montagna di pezzi utilizzabili. Il lavoro non era poco: dovevano setacciare i vari rifiuti, riconoscere le parti ancora buone, annotarle sulla lista che si erano fatti e poi caricarle sul furgone di Ryan. Una volta nell’officina, poi, cominciarono ad assemblare il tutto, talvolta addirittura risaldando i pezzi con la fiamma ossidrica o sostituendo alcune loro parti, che erano troppo danneggiate per essere tenute.
I compagni di Carsen li aiutarono ad ogni fase del lavoro. Erano quasi tutti nella sua stessa fascia d’età, e a prima vista John li giudicò una cricca di vecchietti con la smania degli Avionatanti. Ben presto, però, fu costretto a ricredersi: uno di essi, Hank, il barbuto e scarmigliato Hank, come si faceva chiamare, riuscì a sorprenderlo quando lo vide arrampicarsi su per un’impalcatura metallica con una chiave inglese tra i denti usando solo le sue nude mani.
Un altro, dai lunghi capelli crespi impastati di olio per macchinari e polvere, a cui tutti si rivolgevano con il nomignolo di Luk, all’inizio gli parve solo un vecchio strampalato, ma conosceva più cose sui motori di quante non ne conoscesse lo stesso Ryan, il quale confidò a John che quello strano tipo era suo zio; e un altro di loro, un uomo cupo e silenzioso, totalmente pelato e parecchio abbronzato chiamato “Piè d’acciaio”, un veterano come lui che aveva perso la gamba su una mina combattendo nella fanteria di prima linea, sotto la scorza ruvida mostrava aveva una mente aperta e geniale, più che disposta a dispensare consigli a John, il quale si ritrovò non di rado ad ascoltare il vecchio Piè d’acciaio che gli insegnava il modo corretto per tenere il suo Avionatante, una volta ultimato.
Ma a piacergli più di tutti (e non era poca cosa, siccome ognuno degli uomini lì presenti era interessante in un modo del tutto suo) era Carsen Breeze. Pur non essendo di certo il più vecchio della sua ciurma era lui il capitano, e tutti gli davano retta come se i suoi ordini fossero legge scritta su pietra. Aveva un’aura di autorità che John aveva visto di rado nei suoi comandanti, durante la guerra, e sembrava aver affrontato ogni genere d’esperienza durante la sua vita: tra le altre, secondo quanto gli raccontò, era stato anche lui nell'esercito, servendo a bordo di diversi Avionatanti da combattimento e persino sullo stesso che aveva adesso, ottenendo il grado di colonnello e diverse medaglie al merito.
- Colonnello?- ridacchiò John quando glielo disse, durante la cena, che consumarono nella stanza sopra la cucina, solo loro due.
- Sì.- rispose Carsen - Perché?-
- No, niente…- disse lui - Solo… vedi, anch’io ero colonnello, quando mi hanno congedato.-
- Ma davvero?- chiese il vecchio - Che buffa coincidenza.- si sporse sul tavolo, spostando il piatto, e lo guardò con sincera curiosità - E allora dimmi, colonnello Disen: come finisce un ufficiale in carriera ad ubriacarsi in una bettola come quella in cui ti ho visto?-
Lui si strinse nelle spalle, come se la cosa non fosse importante, anche se evitò lo sguardo dell’altro.
- Non c’è molto da dire.- rispose - Ho soltanto seguito il copione: finita la guerra non mi sono saputo adattare alla vita di tutti i giorni, e alla mia gentile signora la cosa non è andata affatto giù, specie quando mi hanno licenziato per la quarta volta, e così ha preso quello che poteva e se n’è andata. Poi ho perso la casa e mi sono ritrovato così.- prese un sorso della sua birra analcolica e guardò Carsen - Ecco tutto. Se ti aspettavi un’epica avventura triste, mi dispiace. Sono solo il solito perdente di cui tutti amano dimenticarsi.-
Il vecchio annuì serio e si appoggiò alla sedia, pensieroso.
- Capisco.- disse - Quindi hai ancora dei problemi con ciò che hai visto, dico bene?-
- Non ho proprio problemi…- rispose - Semplicemente, preferisco non pensarci. L’alcool mi ha facilitato la cosa.-
- E pensi che possa aiutarti ancora?-
John non rispose subito, fissando lo sguardo nel vuoto. Nelle sue orecchie risuonarono per un momento i suoni delle bombe che cadevano e dei proiettili sparati in aria, le grida dei soldati e i rombi dei motori che si avviavano. Sentì di volere qualcosa da bere ma, al tempo stesso, la sola idea gli diede la nausea.
- Non lo so.- ammise.
Carsen si accigliò, ritraendosi appena.
- Beh, vedi di saperlo in fretta!- sbottò, assumendo un atteggiamento ostile - Un buon capitano deve sempre sapere tutto. Non può ignorare le cose che gli capitano intorno.-
- Io non ignoro ciò che mi capita intorno!- replicò John, deciso a tenergli testa - Vuoi un esempio?- indicò Hank attraverso la finestra, che in quel momento sembrava intento a far divertire alcuni compagni facendo il giocoliere con alcuni attrezzi di Ryan - Hank è agile come una scimmia nonostante l’età, quindi o fa solo finta di essere vecchio o da giovane gli hanno immesso nel corpo un impianto cinetico. Poi Luk… non credo che straparli di broccoli ballerini e ciabatte parlanti tanto per divertirsi, vista la cicatrice che ha in fronte, seminascosta dai capelli. E Piè d’acciaio ha avuto una moglie, sul suo dito è ancora visibile il segno dell’anello. Però è morta, e anche male, visto che non accenna mai alla cosa.- incrociò le braccia e si appoggiò alla sedia - Come vedi, lo spirito d’osservazione ce l’ho, vecchio. Le uniche cose che non capisco ancora riguardano solo me.-
I due si guardarono per qualche istante, con sguardi feroci e carichi di sfida. L’atmosfera divenne di colpo tesa, e per un istante a John sembrò che stessero per mettersi a litigare.
Tuttavia, Carsen si sciolse improvvisamente in un sorrisetto scaltro e gli strizzò l’occhio, riprendendo a mangiare come se nulla fosse successo.
- Bene.- disse - In tal caso, staremo a vedere. Forse non sei una causa persa, John.-

Ok, bene... domani, promesso, presenterò il primo membro dell'equipaggio. E, ve lo dico, qualcuno potrebbe trovarlo, procedendo con la storia, abbastanza simile a un altro mio personaggio, appartenente a un'altra storia. Ma questa, appunto, è un'altra storia... semmai, ne parlerò più in là.
Ringrazio ancora Ely79 e LullabyMilla, che stanno recensendomi come sempre. Spero che non rimarranno le uniche, comunque. A domani!

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Capitolo 5
*** Cap. 4: Reclutare l'equipaggio ***


Passarono un paio di mesi, durante i quali i lavori di costruzione procedettero bene: il motore, al quale John, Luk e Ryan lavorarono alacremente, fu quasi pronto nel giro di poco tempo e i collaudi delle singole parti dettero esiti incoraggianti; la struttura intera fu molto ben curata e, nonostante l’Avionatante venisse costruito solo con dei rottami o parti vergini, il risultato si fece progressivamente più promettente. Quando però Carsen chiese a John di quali armi intendeva dotare il velivolo, lui dichiarò categorico di non volere niente di mortale: quello sarebbe stato il suo mezzo di trasporto e la sua casa, non un’arma. Il suo mezzo avrebbe dovuto donargli un minimo di quiete, di cui aveva disperatamente bisogno, e il pensiero di pilotare qualcosa capace di uccidere avrebbe solo peggiorato le cose.
- Quindi niente armi?- chiese Ryan, perplesso, quando lui gli spiegò la situazione.
- Guarda che fare l’Avionauta non è sempre facile, John.- lo ammonì Carsen, serio - Come ti ho già accennato, questo mestiere comporta seri rischi. Ci sono alcuni di noi che si sono dati alla pirateria, dopo la guerra, e alcuni lavori richiedono di essere pronti a combattere. Fornire una scorta, o trasportare persone importanti che viaggiano in incognito è faticoso, per non parlare di chi lavora nei campi dell’esplorazione o dell’archeologia.-
- Mi posso accontentare di roba non letale.- rispose John, stringendosi nelle spalle - Armi a ioni, arpioni EMP… avete capito, no? Voglio dire, so di dovermi procurare qualcosa per la difesa personale, ci ho già pensato, ma per l'Avionatante non voglio niente che possa uccidere.-
- Insomma, preferisci disarmare l’avversario che ferirlo.- tradusse il vecchio, accigliandosi - Non posso dire di essere del tutto d’accordo, ma l’Avionatante è tuo.- sospirò - Piuttosto, dobbiamo pensare a un’altra questione, anch’essa molto importante, forse persino di più.- aggiunse, quando Ryan si fu allontanato per andare a cercare ciò che John gli aveva chiesto - Il tuo equipaggio. Ti serve qualcuno a bordo, non puoi volare da solo.-
Lui annuì lentamente: ancora non aveva pensato alla ciurma, ma ora che i lavori di costruzione erano così a buon punto non poteva certo rimandare.
- Hai ragione.- disse - Da dove cominciamo?-
Lui si passò una mano sulla barba, pensieroso.
- Bisogna che cominci a spargere la voce.- rispose - Recati dove gli Avionauti si ritrovano abitualmente, e dì che stai cercando un equipaggio. Di certo conoscerai qualcuno, o qualche posto in cui…-
- Quelli che conosco li ho persi di vista, se non sono morti.- lo interruppe John - E i posti che frequento di solito non ospitano una clientela molto selezionata.-
- Non hai alcuna idea?-
John scrollò le spalle, mettendosi la giacca per uscire.
- Non è detto.- rispose - Forse so da dove cominciare. E credo anche di sapere di cosa avrò bisogno.-
 
In quanto veterano di guerra ed ex membro di un equipaggio di un Avionatante (anche se per poco tempo), John conosceva fin troppo bene i posti in cui gente come lui si faceva vedere abitualmente, e non solo poveri disgraziati allo sbando, ma anche semplici soldati in felice congedo impiegati negli Avioporti della città. I posti migliori in cui cercare, dunque, non erano proprio un mistero per lui. Decise di cominciare da uno degli alberghi in cui alloggiavano gli equipaggi degli Avionatanti di linea: magari avrebbe trovato qualcosa, o qualcuno con delle conoscenze.
Si recò al bar dell’albergo, semivuoto ma pulito e luminoso, e si avvicinò al lucido bancone di similmarmo, dove un barista calvo puliva alcune tazze. Si vergognò per un istante, sorprendendosi alla vista dello strofinaccio pulito e della totale assenza di avventori ubriachi.
- ‘Giorno.- disse John, sedendosi - Mi fa un cappuccino?-
- In arrivo, capo.- disse quello, prendendo il latte da uno scaffale e accendendo la macchina del caffè.
Mentre aspettava l’ordinazione, John si guardò intorno (anche per non far cadere l’occhio sulla scorta di alcolici oltre il bancone): c’erano più o meno una mezza dozzina di persone in tutto, là dentro. Se il barista non avesse avuto qualche nome da dargli, certamente avrebbe potuto chiedere a loro.
- Ecco.- disse l’uomo - Altro?-
- Sì, un’informazione.- rispose John - Sto cercando un equipaggio per il mio Avionatante. Lei conosce qualche nome che può interessarmi?-
L’altro parve riflettere intensamente mentre riprendeva ad asciugare una tazza.
- Qualcuno per un Avionatante, eh?- disse lentamente - Mmmh… qui sono tutti piloti in carriera e ufficiali dell’aeronautica. Tu cosa cerchi?-
- Tutto tranne un pilota.- rispose - Quello ce l’ho già.-
- Beh, io non conosco molte persone, sinceramente. Posso solo spargere un po’ la voce.- disse l’uomo - Però conosco un tipo… un medico, ha in cura molti ex militari. Non ti garantisco niente, ma forse potrebbe esserti d’aiuto.-
- Interessante.- disse John, bevendo il cappuccino - E come si chiama?-
- Lloyd Spencer.- rispose - Fa il medico in uno studio privato qui vicino.-
 
Mentre andava allo studio, John pensò a un paio di paroline da dire al barman per spiegargli quanto il suo “qui vicino” avesse bisogno di una piccola ricalibratura: si trattava di una tirata di quasi cinque chilometri, e dovette farla a piedi perché non aveva abbastanza soldi per l’autobus o il taxi. Quantomeno, pensò tra sé e sé, era già una fortuna che ci fossero mezzi pubblici. La guerra, anni prima, aveva causato molti danni in tante città, e alcune delle più vicine al fronte ancora non avevano ripristinato tutti i servizi urbani.
Ringhiando contro il mondo, finalmente si ritrovò davanti alla porta di un edificio a quattro piani e, sopra il campanello, assieme a tante altre, c’era una targa d’ottone leggermente ossidata che diceva “Dott. Lloyd Spencer, medico generico”.
Bene… ora che sono qui, che gli dico? Pensò John.
Rimase per un istante a guardare la targa, poi si lasciò scappare un sospiro ed entrò nell’edificio. Lo studio si trovava al terzo piano, e all’interno della minuscola sala d’attesa trovò una piccola folla che aspettava il proprio turno.
Molte erano madri con i propri bambini, marmocchi tossicchianti e annoiati, altri erano vecchietti che leggevano riviste datate prese dal raccoglitore per terra. Un uomo dalla pelle scura faceva le parole crociate in un angolo, mentre una signora sulla cinquantina si rigirava nervosamente tra le mani un pacchetto di sigarette, come se volesse prenderne una ma non osasse farlo.
Tutti, notò John,  avevano un aspetto malaticcio e tirato, e indossavano abiti pieni di toppe o cuciture fatte alla meglio, in particolare i bambini. Una madre di famiglia sedeva in silenzio accanto alla figlia di pochi anni, tenendole la mano con aria triste. La bambina, seduta in silenzio, il capo appoggiato contro la sua spalla, ogni tanto tossiva forte, dando l’impressione di avere una brutta bronchite.
- Posso darle una mano?- chiese qualcuno al suo fianco.
John sussultò e, voltandosi, vide un uomo seduto dietro un bancone. Non si era accorto di averlo quasi superato, tra l'altro senza neanche vederlo.
Lo guardava con scarso interesse da dietro le palpebre pesanti, i piedi appoggiati alla scrivania davanti a lui. Era un tipo molto magro e alto, dalla carnagione pallidissima. I suoi capelli erano schiacciati all’interno di un berretto di lana nera, ma qualche ciocca candida riusciva a scappare alla stoffa, facendo capolino qui e là. D’altra parte, non sembrava vecchio: sì, appariva stanco e provato quasi quanto le altre persone là dentro, ma a occhio e croce era persino più giovane di lui. A dire il vero aveva un'aria piuttosto malaticcia, a guardarlo bene.
Addosso portava un vecchio giubbotto verde scuro ed un maglione militare di lana, come se avesse freddo. Un accenno di occhiaie gli cerchiava le palpebre.
- Ehm…- disse John, esitante, avvicinandosi - Nulla, grazie. Volevo solo parlare con il dottor Spencer.-
- E chi lo desidera?- chiese l’uomo, riaprendo il fumetto che aveva abbassato per parlargli e ricominciando a leggere.
- Mi chiamo John Disen.- rispose lui - Sono qui su indicazione di un suo amico. Mi è stato detto che conosce delle persone con esperienza di volo, ed io ho bisogno di qualcuno che faccia parte del mio equipaggio.-
- Possiede un Avionatante?- domandò l’infermiere, inarcando un sopracciglio e scoccandogli un’occhiata.
- Lo sto costruendo da alcuni mesi.- spiegò John - Comunque, ne parlerò con il dottor Spencer. Pensa che potrà ricevermi?-
- Sarà fortunato se si degnerà di parlarle.- rispose l’uomo - Probabilmente la caccerà via. Se anche conoscesse qualcuno, dubito che la starebbe a sentire, è una persona un po’… scontrosa, ecco.-
John sospirò.
- Beh, tanto vale provare.- disse - Posso aspettarlo?-
L’infermiere lo guardò, posando il fumetto.
- Se vuol perdere tempo…- rispose - Altrimenti, credo di avere un’idea migliore. Le va di fare due passi?-
- Dove?- chiese John.
- Sul tetto.- disse lui, alzandosi.
Uscì dall’ambulatorio senza nemmeno aspettarlo, e nessuno parve farci caso: erano tutti presi dai propri problemi. John esitò un momento, pensando che il comportamento di quell’infermiere era decisamente poco professionale. D’altro canto, se non teneva alla qualità del proprio lavoro, la cosa non lo riguardava.
Ma poi, mi preoccupo della “qualità” di un lavoro in tempi simili? Pensò uscendo, sentendosi un idiota.
 
- Mi chiamo Dazy Mist.- disse l’infermiere quando lo ebbe raggiunto, alcune rampe di scale più in su - Dottor Dazy Mist.-
John aggrottò la fronte.
- Dottore?- ripeté.
- Sì. E prima che me lo chieda, il lavoro è lavoro.- disse lui, stringendosi nelle spalle - Ho trovato solo questo. Triste, eh?-
- Mh. Conosco uno con una storia peggiore…- brontolò John - Allora, cosa vuole?-
- Offrirmi volontario.- disse il dottor Mist, con semplicità disarmante - Preferisco fare il medico a bordo di un Avionatante che il segretario in questo posto schifoso. La avverto, non accetterò un “no” come risposta.-
John lo guardò sorpreso, mentre lui lo fissava di rimando con espressione seria e pacata al tempo stesso, incrociando le braccia. Solo in quel momento si accorse che, nonostante fosse così magro, aveva delle spalle piuttosto larghe.
- Ehm… vuole un posto a bordo?- chiese John, tanto per chiarire - Ecco… non so se…-
- L’Avionatante è suo, no?- osservò il dottor Mist - Sta a lei decidere. Se vuole conoscere il mio curriculum non ha che da chiedere. Sono stato nell’esercito, sa?-
- Davvero?-
Lui annuì.
- Non ho alcuna esperienza di volo, ma ero di stanza sulle portaerei, almeno finché non mi hanno spostato direttamente in prima linea.- spiegò - Sono stato addestrato a usare le armi e a combattere. Ho conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia, e ho maturato esperienza con ferite di ogni genere. Ho frequentato i corsi di preparazione per l’abilitazione a prestare servizio sugli Avionatanti, e anche se mi è scaduto l’attestato non significa che non mi ricordi come ci si comporta a bordo. Ho avuto in cura diversi piloti in passato e, non per arroganza, nessuno ha una mano ferma come la mia.-
- Ah, sul serio?- fece John, aggrottando la fronte.
- Se non mi crede, lo chieda al tizio che ho ricucito su una nave in balia della tempesta, anni fa. Ammesso che riesca a parlare con gli spiriti, gli spararono un anno dopo, a quanto ne so.- aggiunse poi - Bah, al diavolo… voglio salire a bordo. Mi creda, non se ne pentirà… e avrà senz’altro bisogno di un medico, visto che la vita di un Avionauta non è una passeggiata.-
John sospirò, incrociando le braccia a sua volta. La determinazione del dottore non sembrò vacillare minimamente, e aveva un’espressione così decisa che per un istante pensò di dirgli subito di sì.
- Come la mettiamo con l’esperienza di volo?-
- Quella verrà con calma.- disse il medico - Mi veda come un’apprendista.-
- Che grado aveva nell’esercito?-
- Tenente di vascello.-
John esitò ancora un momento, dubbioso: voleva davvero a bordo un uomo che non aveva mai conosciuto prima di allora, senza esperienza di volo e che aveva credenziali per le quali nessuno era in grado di garantire?
Poi si ricordò che lui era astemio da appena pochi mesi, e solo perché Carsen lo teneva sistematicamente sott’occhio, non aveva la più pallida idea di come sarebbe andata a finire quella storia dell’Avionauta e non aveva un’esperienza di volo poi così importante. Persino il suo brevetto era carta straccia, fino a poco tempo prima.
- D’accordo.- sospirò alla fine, pensando che dopotutto avrebbe potuto cacciarlo, in caso si fosse ritrovato scontento - Allora mi raggiunga a questo indirizzo il prima possibile… c’è ancora molto da fare, e mi piacerebbe conoscerla meglio, dottore.- disse, tendendogli uno dei biglietti da visita di Ryan - Entro quando crede di potersi presentare?-
- Mi dia un paio di giorni.- rispose lui, intascando il cartoncino senza neanche guardarlo - Il tempo di sistemare un paio di cose.-
Detto questo, tornò all’interno dell’edificio e lo lasciò solo, senza aggiungere altro.

Ecco qui il primo membro dell'equipaggio. Domani il secondo, per il terzo invece ci vorrà un po' più di tempo. Dio, come vorrei accelerare il tempo e pubblicare più rapidamente... ho già diversi capitoli riveduti e corretti, pronti pronti per essere inseriti...
Vabè... intanto mi accontento di questo, e ringrazio Ely79 e LullabyMilla, finora le uniche ad essersi palesate, anche se so che c'è qualcun altro a seguire la storia... il contatore delle visite non mente, gente!
A domani!

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Capitolo 6
*** Cap. 5: Il secondo membro ***


Dazy Myst fu di parola: esattamente due giorni dopo il loro incontro si presentò all’hangar di Ryan indossando abiti lisi e sporchi, adatti a lavori manuali, anche se non sembrava volersi togliere il cappello di lana. In quel lasso di tempo John aveva cominciato a preparare un piccolo ambulatorio di bordo, così che potesse operare in tutta tranquillità anche durante il volo.
Dopo una rapida ispezione, il dottore (che dopo poco tempo cominciò a pretendere lo chiamassero Daz) disse di essere soddisfatto: per il momento la stanza era quasi vuota, con solo qualche scaffalatura imbullonata qua e là, ma lui sembrò vederci dentro fin da subito una potenziale infermeria con i controfiocchi, dichiarando di poterla usare molto bene, con le giuste scorte.
Cominciò poi ad aiutare nei lavori di costruzione come meglio poteva anche se, ovviamente, non sapeva granché di meccanica, e dunque si preoccupò soprattutto delle scorte di medicinali che potevano tornare utili sull’Avionatante o di seguire attentamente le istruzioni che gli venivano date da chi aveva più esperienza in materia.
John scoprì di trovarsi molto bene con lui: si rivelò come una persona schietta e diretta, e quando esprimeva la propria opinione non si tratteneva. Parlando con lui, John capì ben presto che era un uomo piuttosto privo di sensibilità o tatto, ma anche pieno di razionalità e intelletto, e arrivò presto a parlargli anche di alcuni dettagli della sua vita privata, del suo matrimonio fallito o di alcune esperienze fatte nell’esercito, in camerata con i suoi compagni. Daz, per contro, si dimostrò sempre interessato e attento, anche quando sembrava concentrato su altre faccende, come aiutare Ryan a saldare alcuni pannelli, dimostrando di ascoltare in ogni occasione.
Probabilmente, pensò, avrebbe potuto fidarsi molto di lui e del suo giudizio, in futuro.
Da parte sua, John ebbe occasione di fargli qualche domanda sulla sua carriera nell’esercito e di approfondire la conoscenza che aveva di lui: venne a sapere che, non essendo mai stato un soldato di prima linea, non aveva mai avuto occasione di combattere in vere battaglie, ma un paio di volte si era ritrovato assegnato a missioni sul campo come ufficiale medico, mettendo di tanto in tanto in pratica il suo addestramento per difendere se stesso e i suoi compagni.
Finita la guerra, purtroppo, aveva avuto qualche problema personale (a cui fece solo qualche accenno, senza scendere nei dettagli) e, dopo averli risolti, si era fatto assumere nello studio del dottor Spencer in mancanza di un impiego migliore.
Tuttavia, la sua abilità nel campo della medicina non sembrava fattore di discussione: ben presto saltò fuori che alcuni membri della numerosa ciurma di Carsen, come Hank o Piè d’acciaio, lo conoscevano  di vista o di nome, e assicurarono a John che quanto diceva sul proprio conto era sostenuto da tutta una serie di persone le quali, senza le sue cure, sarebbero morte già da tempo.
Era un uomo senz’altro molto interessante, e più ci parlava più sentiva di considerarlo un amico.
 
- So che cercate un equipaggio.- disse l’uomo che si era presentato all’improvviso all’officina, proprio all’ora di pranzo, costringendo John ad alzarsi da tavola - Posso esservi utile.-
Erano passate quasi tre settimane da quando Daz si era proposto come medico di bordo, e durante quel periodo aveva continuato a cercare qualcuno che si aggiungesse alla sua ciurma. Finora, altre quattro persone erano arrivate a presentarsi, ma solo una di esse si era mostrata come un candidato credibile. L’unico problema era che, purtroppo, non era mai stato un militare, cosa che John scoprì ben presto di cercare nei suoi futuri compagni di viaggio: come soldato aveva finito con l’imparare a fidarsi esclusivamente di altri soldati, quantomeno per quello che riguardava lavori delicati e che richiedevano precisione. E, sfortunatamente, gli ex militari ancora in forze erano veramente pochi.
Tuttavia, il tipo che aveva davanti sembrava diverso da qualsiasi altro candidato che si fosse presentato fino a quel momento: mostrava una corporatura da soldato, con spalle larghe e portamento deciso, ma a differenza di quelli che aveva visto fino a quel momento non sembrava affatto uno sbandato alcolista e depresso. Anzi, a dire il vero il suo abbigliamento, curato e ordinato, richiamava quello degli impiegati di banca o dei direttori di grandi aziende: camicia azzurra perfettamente stirata sotto una giacca blu scuro e pantaloni in tinta, il tutto completato da un paio di scarpe lucide apparentemente d'alta moda e un foulard beige; i capelli, neri e acconciati con la riga laterale, erano perfettamente ordinati e lucenti, forse trattati con qualche costoso prodotto di farmacia. Sotto l’occhio destro aveva una piccola cicatrice bianca, forse ricordo di guerra (sempre che la sua impressione fosse giusta), unico tratto stonato nella sua figura seria e precisa, ma seminascosta dalla montatura quadrata degli occhiali da vista.
 - Ehm… sì.- ammise lui - Sì, starei cercando un equipaggio.-
- Ed ha ancora dei posti liberi?- chiese l’uomo, le mani giunte davanti all’addome, la schiena ben dritta.
- Beh… mi serve ancora qualche uomo.- ammise, sempre più dubbioso - Fino ad ora siamo solo in due. Io, pilota e capitano, e un medico di bordo.-
- Bene. Cosa le serve?-
John aggrottò la fronte.
- Sì… dunque… scusi, come ha detto che si chiama lei?-
- Oh, certo…- disse l’altro, sorridendo ed alzando gli occhi al cielo - Mi scusi, dove ho la testa… il mio nome è Sky Arsen.- gli tese una mano, e John la strinse.
- John Disen.- rispose - Come mai è interessato a far parte del mio equipaggio?-
- Ecco…- fece lui, imbarazzato - Sa, è una storia lunga.-
- Ormai mi sono alzato dal tavolo, e ai miei amici non mancherò.- disse John, facendogli cenno di seguirlo - Venga, facciamo quattro passi. Mi racconterà come mai è qui.-
 
- Lei conosce la famiglia Arsen?- chiese Sky, qualche minuto dopo, mentre passeggiavano lungo le piste sgombre dell’Avioporto.
- No.- ammise John - Dovrei?-
- Non per forza.- sorrise l’altro - Siamo diventati ricchi solo dopo l’inizio della guerra, anche se non siamo mai stati tanto famosi. Mio padre aveva una piccola azienda agricola: coltivava cereali ed alleava un paio di capi di bestiame, anche se per anni tutto rimase a livello familiare. Un giorno, il governo della nostra zona chiese ai coltivatori di vendere a prezzi di favore rifornimenti per l’esercito: latte, uova, cereali, carne… insomma, tutto ciò di cui i soldati avrebbero avuto bisogno. Mio padre, come molti altri, accettò l’offerta, e poco tempo dopo ebbe abbastanza soldi per ampliare il proprio giro d’affari, meccanizzando l’azienda. Nel giro di un anno, grazie ad una fortunata combinazione di eventi che sicuramente non le interessano, divenne il maggior fornitore di vettovaglie per l’esercito, cosa che gli permise di inglobare qualche altra azienda più piccola. Al giorno d’oggi, è il più grande proprietario di aziende agricole del sudovest.-
John annuì, impressionato.
- Sono molto felice per lui.- disse - Ma non capisco come questo…-
- Un momento, mi lasci finire.- lo interruppe Sky - Vede, io non rimasi a casa con lui: poco prima che iniziasse a fare fortuna… ero appena maggiorenne… mi arruolai nell’esercito, e vi rimasi fino al termine delle ostilità.-
- Davvero?- chiese John - In che reggimento era?-
- Oh, dubito che le piacerà saperlo…- sorrise Sky - Vede, so che lei ha combattuto a sua volta, ma io ero dall’altra parte del fronte. Gliel’ho detto, la mia famiglia viene dal sudovest. Ero un Federale.-
John aggrottò le sopracciglia, sentendo i muscoli irrigidirsi istintivamente: pur essendo passati anni, non riusciva a vedere di buon occhio l’ex Federazione degli Stati dell’Ovest.
- Sta scherzando, voglio sperare.- disse in tono serio, accigliandosi.
- Purtroppo no, mi dispiace.- rispose lui, sorridendo con aria di scuse - So che la cosa la disturba… al suo posto, anche io sarei arrabbiato. La prego di non pensare, comunque, che io sia qui per prenderla in giro o cose del genere. Il mio interesse a far parte dell’equipaggio è sincero, mi creda.-
John esitò, sentendo la rabbia montare, e per un istante desiderò soltanto prendergli la testa e sbatterla contro il muro dell’edificio alle sue spalle. Fu quasi sul punto di farlo, a dire il vero, ma durò poco: un momento dopo trasse un bel respiro e si impose di calmarsi, ricordandosi che quell’uomo, Sky Arsen, era venuto spontaneamente da lui, ammettendo immediatamente di essere stato un soldato della Federazione. Se avesse voluto prenderlo in giro, o comunque nuocergli in qualche modo, si sarebbe comportato diversamente. E lui doveva diventare un buon capitano, non un iroso bamboccio capace solo di prendere a pugni la prima persona antipatica che si trovava davanti.
- Perché è così lontano da casa?- chiese alla fine, cercando di non mostrarsi troppo ostile - Qui siamo molto lontani dalla sua patria… è un territorio… ehm… pericoloso… per una persona come lei.-
- Mio padre mi ha mandato qui per suo conto, a sbrigare degli affari.- rispose - Resterò solo fino alla fine del mese. So bene che gli ex militari di questo lato del fronte non amano quelli come me, ma di solito mi guardo bene dal rivelare le mie origini.- spiegò con un sorrisetto scaltro - Ho fatto un’eccezione con lei perché ci tengo davvero a quel posto, e voglio essere onesto, se mai mi accetterà.-
- D’accordo, ma come mai è venuto da me?- chiese John, le braccia conserte - Non posso prendere impegni con chi se ne andrà tanto presto, e per di più con un soldato Federale, specie considerando che io ero colonnello maggiore.-
Sky si voltò a fronteggiarlo, serio in volto.
- Non mi aspetto di piacerle, capitano.- disse - O colonnello, se vuole, visto che io ho ottenuto appena il grado di sergente. In ogni caso, la vita da uomo d’affari non fa per me. Sono pronto a lasciarla in qualsiasi momento, anche perché sarà mio fratello maggiore, probabilmente, a ereditare la direzione dell’azienda. Sono venuto qui solo perché nessun’altro poteva.-
John lo guardò negli occhi, leggendovi una risoluzione così salda che probabilmente non l’avrebbe smosso nemmeno un maremoto. Era convintissimo, proprio come si era mostrato Daz poche settimane prima.
- E perché proprio la mia ciurma?- chiese - Scommetto che dalle sue parti ce ne sono molti altri, come me, che cercano qualcuno da prendere a bordo.-
- Loro sono Federali.- rispose semplicemente Sky - Io voglio confrontarmi con chi l’ha sempre pensata diversamente da me. Lei ed io eravamo su due fronti opposti, forse abbiamo ucciso l’uno alcuni amici dell’altro, senza mai aver sentito cosa pensassero gli avversari della guerra e del motivo per cui è scoppiata. Il suo Avionatante è la mia occasione per scoprirlo, e se il resto dell’equipaggio vorrà ammazzarmi a suon di pugni tanto peggio. Non sono un vigliacco, né uno stupido. Saprò stare al mio posto, e non oserei mai denigrare qualcuno che un tempo ha rischiato la propria vita per difendere una causa in cui credeva. Anche io ho fatto altrettanto, dopotutto.- incrociò le braccia, ergendosi in tutta la sua altezza - Allora? Posso far parte del suo equipaggio?-
John non rispose subito, valutando una ad una tutte le parole che Sky gli aveva detto, meditando con attenzione: a prima vista, il suo poteva sembrare il capriccio di un ricco rampollo viziato, ma sentendolo parlare era facile rendersi conto che, in realtà, aveva uno spirito più simile a quello di un antropologo. Voleva il confronto, voleva la discussione, voleva le guerre verbali in cui due individui cercano di far valere il proprio punto di vista. Era una persona di cultura, non un piantagrane. D’altra parte, come avrebbe potuto prevedere cosa sarebbe successo a bordo, se un ex soldato dei ranghi Federali avesse fatto parte della ciurma?
Tuttavia, mentre pensava questo si accorse che una parte di lui non vedeva l’ora di scoprirlo.
Bah… al diavolo, se non mi piacerà potrò sempre suonargliele di persona, no?
- Che ruolo rivestiva nel suo reggimento?- chiese alla fine.
Sky sorrise con aria furba.
- Provi a indovinare.- lo sfidò.

E siamo a due. Non so bene perché, ma mi piaceva che Sky fosse un soldato proveniente dall'altra parte del fronte.
Ringrazio Ely79 e LullabyMilla, che seguono la storia e me la recensiscono a ogni capitolo. Sappiate tutti che non ho ancora finito di inserire personaggi, ma ci arriveremo con calma... purtroppo, prima ci sono altre cose di cui parlare.
A domani!

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Capitolo 7
*** Cap. 6: La partenza ***


Ad essere sincero, John non era del tutto sicuro di quanto buona fosse l’idea di prendere a bordo un ragazzo come Sky Arsen, ma una cosa gliela doveva concedere: era pieno di buona volontà e di energia.
Tornò il giorno dopo, di buon’ora, e fortunatamente aveva tolto di torno il completo scuro. Anzi, fu un po’ una sorpresa vederlo arrivare con addosso i pantaloni di una vecchia tuta scolorita e un maglione col cappuccio tutto pieno di toppe.
Si mise immediatamente al lavoro, ascoltando le istruzioni che gli venivano impartite con grande attenzione, senza mai interrompere finché il suo interlocutore non aveva finito di parlare, e solo allora poneva qualche domanda per chiarire i punti oscuri del suo compito.
Fin dal primo momento John lo tenne d’occhio con attenzione, e oltre a vederlo mantenere un comportamento impeccabile e assolutamente rispettoso, proprio come aveva promesso il giorno prima, poté osservarlo relazionarsi con tutti gli altri all’interno della rimessa, la cosa che gli premeva di più.
Ryan non sembrò considerare granché la presenza di quell’ex soldato Federale, limitandosi a trattarlo come aveva trattato anche Daz i primi tempi, dandogli istruzioni e giudicando il suo lavoro quando richiesto, talvolta consigliandolo su quale fosse il modo migliore per saldare un pannello o collegare un giunto di potenza.
L’equipaggio di Carsen, d’altra parte, fu meno bravo a nascondere la diffidenza, pur senza mostrare aperta ostilità nei suoi confronti. Lo trattavano con relativa cordialità, ma evitavano quanto più possibile di rivolgersi direttamente a lui, e quando lo facevano mantenevano dei toni piuttosto distanti. Una cosa a cui, comunque, Sky non pareva dare troppo peso, incassando talvolta qualche frecciatina senza battere ciglio né provare a rispondere a tono, come se volesse cercare di mantenere i rapporti i più distesi possibile.
E la cosa, incredibilmente, parve funzionare: dopo una settimana, anche se non gli offrivano certo il tè coi pasticcini, alcuni di quei  rudi e navigati veterani cominciarono a chiamarlo per nome e a usare toni meno diffidenti, quando parlavano con lui. Piè d’acciaio, addirittura, confidò a John che quel ragazzo, nonostante fosse un ex Federale, non gli stava particolarmente antipatico.
- Non ho mai visto qualcuno incassare così bene le battute di Madlow.- spiegò, riferendosi a un suo compagno, particolarmente ostile nei confronti della Federazione - E lui sa essere veramente caustico. L’unico motivo per cui non gli è ancora saltato alla gola è che Carsen ha ordinato a tutti di tenere bassa la testa.-
E, a proposito di Carsen, c’era da dire che nemmeno lui si mostrò troppo entusiasta della presenza di Sky nella rimessa. Non disse a John di cacciarlo, né dichiarò apertamente di odiarlo solo per le sue origini. Quello che disse invece fu di stare attento a quello che faceva, se realmente aveva intenzione di prenderlo a bordo.
- Hai visto come ha reagito la mia ciurma.- disse una sera, mentre erano solo loro due, seduti su un’asse sospesa a cenare - E loro sono uomini e donne ormai abituati a ogni tipo di situazione, capaci di stare al loro posto e di accettare le cose per come sono. Ma ti capiterà sicuramente di incontrare delle teste calde, e se sapessero chi è in realtà questo Sky Arsen…-
John annuì, staccando un morso al suo panino.
- Lo fo.- disse, la bocca piena di prosciutto - Però mi piace, quel ragazzo.- ammise, buttando giù il boccone - Ha fegato. Ci vogliono le palle per presentarsi a un colonnello in congedo e ammettere di aver combattuto dall’altro lato del fronte. E anche una discreta faccia tosta per chiedergli di salire sul suo Avionatante come artigliere.-
Sì, Sky Arsen era un artigliere, un artificiere e aveva la licenza per guidare mezzi pesanti. Di fatto, quindi, John lo aveva incaricato di procurare armi per rifornire l’armeria di bordo, che sarebbe stata sotto la sua responsabilità. Un giorno, oltretutto, Ryan arrivò con il furgone carico e coperto da un’incerata verde, e quando smontò chiamò immediatamente Sky.
- Dai un po’ un’occhiata.- gli disse, togliendo il telo.
Sotto c’erano due cannoni da combattimento, che subito il giovane cominciò ad osservare con occhio esperto, aggrottando la fronte dietro gli occhiali appannati di sudore (aveva appena finito di trasportare venti chili di peso morto).
- Cannone a Ioni modello SCF95 a media frequenza di fuoco. Ampio raggio d’azione.- dichiarò - E questo è un Fucile ad Arpioni EMP classe K37 a bassa frequenza di fuoco.-
- Bingo.- ridacchiò Ryan - Hai proprio occhio, eh? Se vieni ce ne sono altri, dove sto andando. Potresti darmi una mano.-
- Non so… lei che ne pensa, capitano?- chiese, rivolgendosi a John.
- Che mi hai rotto, Sky.- rispose lui, intento a stringere le guarnizioni del motore di destra - È quasi una settimana che te lo ripeto: dammi del tu. E sì, vai con Ryan, sarai più utile a lui.-
Ma a sorprendere realmente John fu la reazione di Daz, che per i primi tempi non parlò affatto col ragazzo, facendogli addirittura credere che lo stesse evitando. Tuttavia, un giorno, scoprì di essersi sbagliato e che, in realtà, il dottore avesse semplicemente avuto troppo da fare per perdere tempo in chiacchiere.
Poi, esattamente cinque giorni dopo l’arrivo di Sky, Ryan gli aveva affidato un compito semplice, saldare alcuni pannelli nella parte inferiore dello scafo. Così, Daz si trovava steso di schiena su una bassa impalcatura, la maschera calata sugli occhi. Di tanto in tanto interrompeva il proprio lavoro per bere un po’ d’acqua, accaldato dal cannello della fiamma e, molto probabilmente, anche dalla bandana con cui aveva sostituito il berretto di lana (sembrava non volersi scoprire la testa, per qualche strano motivo).
Poi, a un certo punto, la bottiglia era caduta a terra, durante un movimento di gomito poco attento, lasciandolo a secco.
- Ehi, tu!- esclamò, adocchiando Sky non lontano.
Il ragazzo si fermò, perplesso, le braccia cariche di valvole e tubi flessibili, e si voltò.
- Cosa?- chiese - Dice a me?-
- Sì, a te.- rispose - Mi passi la bottiglia?-
Lui la guardò con educata confusione per un momento, poi spostò il carico che portava su un unico braccio e si chinò per prendere l’acqua caduta, allungandosi per rimetterla accanto al dottore.
- Grazie.- disse questi - Allora, il capitano dice che eri sergente, giusto?-
- Sì, signore.- rispose - E lei era tenente di vascello in marina, giusto?-
- Sì, ma piantala di chiamarmi “signore”. Il capo ti vuole a bordo, no? Tanto vale bruciare le tappe. O sei timido, forse?-
Sky aggrottò la fronte, e a quel punto John, che aveva ascoltato dalla sala macchine (che in quel momento era ancora praticamente all’aria aperta, visto che mancavano ben tre pareti), decise di intervenire e di richiamarli all’ordine.
- Ragazzi, tornate al lavoro.- disse, distraendosi un momento dal modulatore di campo che stava installando con Luk - Avrete tempo per copulare dopo.-
Sky gli fece un sorrisetto scaltro.
- Scusi, capitano.- disse - Ma credo che il nostro dottore si sia innamorato di me.-
- Ti piacerebbe…- rispose Daz, tornando a saldare - Il mio unico amore è l’attrice Shanty Cleeds… tu al massimo puoi essere la mia groupie.-
- Solo le superstar hanno delle groupie.- osservò Sky.
- E FINITELA!- sbraitò John, scocciato, anche se non riuscì a non sorridere.
 
Col passare dei mesi, i lavori andarono avanti spediti e senza particolari problemi. Nel giro di poco tempo, il motore principale fu praticamente concluso, e la strumentazione di bordo poté dirsi operativa dopo solo altre tre settimane. Daz rifornì l’infermeria di tutti i medicinali generici che riuscì a trovare, e Sky procurò abbastanza armi da permettere all’equipaggio di potersi sentire sicuro in caso di scontri, una volta a terra. I sistemi di difesa di bordo, che comprendevano Cannoni a Ioni, Fucili ad Arpioni EMP e Lanciagranate Tesla a basso potenziale, oltre a uno scudo difensivo che John e Ryan misero a punto nell’arco di due mesi, vennero completati poco più tardi, e ormai le sole cose che ancora mancavano all’Avionatante erano alcuni collegamenti e un collaudo definitivo.
Nel frattempo, tuttavia, Carsen aveva cominciato a farsi più distante, più assente. Spesso usciva prima dell’alba, e tornava solo a sera inoltrata, quando ormai tutti si apprestavano ad andare a letto. Non diceva mai dove andava, e nessuno glielo chiedeva mai, ma John fu certo di una cosa: il loro saluto definitivo si stava avvicinando.
E così fu: una sera, esattamente il giorno prima che l’Avionatante facesse il suo primo volo, Carsen si recò da John. Lui era ancora in piedi, nonostante l’orario e la solitudine: Ryan, Sky e Daz dormivano già da un paio d’ore, e l’equipaggio del vecchio era tornato, come ogni sera, all’Avionatante che lui non aveva mai avuto modo di vedere. Tutto ciò che sapeva sul suo conto era che si chiamava Heavenly Eye, e probabilmente era piuttosto grande, visto che Carsen aveva ben venti compagni di viaggio.
John, in quel momento, si trovava nella cabina di pilotaggio, che il giorno dopo lo avrebbe visto nelle vesti di capitano, probabilmente per il primo di una lunga serie di voli.
Come ambiente era abbastanza spazioso, e lo aveva personalizzato in modo da renderlo unico nel suo genere: tanto per cominciare, il ponte era suddiviso in due livelli distinti, uniti da due scale che conducevano al ponte inferiore. La postazione di comando era incassata nel pavimento di quello superiore, e sospesa sopra il livello sottostante a un’altezza di almeno un paio di metri. La parte anteriore era sostenuta da una sorta di grande “X” di metallo saldata alle pareti, così da impedire scossoni e pericolose oscillazioni.
Nel ponte inferiore erano state sistemate tre postazioni computerizzate: quelle laterali erano in grado di controllare i sistemi d’arma, una funzione pensata principalmente a beneficio di Sky, così che potesse sparare direttamente da lì senza dovere andare personalmente ai vari cannoni, anche se in questo modo la mira sarebbe stata più lenta. Quella centrale, invece, era stata fornita di un sistema di navigazione, e attraverso di essa era possibile controllare le condizioni del motore, degli scudi e della struttura generale dell’Avionatante. Un’ottima postazione per un copilota, se e quando ne avesse trovato uno. A dire il vero aveva bisogno anche di un meccanico di bordo (lo aveva già chiesto a Ryan, ma lui aveva risposto di no: soffriva di mal d’aria e di terrore del vuoto), ma a questo avrebbe pensato con calma.
Il parabrezza, infine, era un reticolo piombato nel quale erano stati montati pannelli di un particolare materiale simile a vetro, altrettanto trasparente ma cento volte più solido, così da reggere sia la velocità che gli urti.
- Ti piace?- chiese il vecchio, avvicinandosi di qualche passo, una bisaccia di pelle a tracolla.
- Sì.- disse John, senza voltarsi - Mi sento soddisfatto.-
Carsen sorrise, guardando attentamente i vari dettagli del ponte di comando: l’avevano attrezzato con estrema attenzione, tanto che adesso, da lì, era possibile controllare tutto l’Avionatante senza nemmeno muoversi.
- Presto dovrai imparare a viverci dentro.- gli ricordò - E dovrai anche far vedere come lo sai pilotare.-
- Sì, lo so.- rispose John - Ho fatto molta pratica con il simulatore. Non sarà semplice, credo, ma so di potercela fare, anche se sono anni che non ne porto uno. Sento di esserne in grado.-
Carsen annuì ed incrociò le braccia, facendosi d’un tratto molto serio.
- Io non ci sarò, quando partirai.- disse.
John non ne fu particolarmente sorpreso, anche se aveva sperato di poter contare sulla sua presenza almeno per il volo inaugurale.
- Lo immaginavo.- ammise - Posso chiederti perché?-
- Purtroppo, devo partire domani.- rispose - Molto prima dell’alba.- sospirò e gli lanciò un’occhiata penetrante - John, ti ricordi il mio amico? Quello che hanno ucciso tempo fa, quando ti ho trovato?-
John annuì.
- Perché, posso dimenticarmi di una coltellata? Non ero così ubriaco, Carsen.-
- Giusta osservazione.- rispose lui. Aprì la bisaccia e ne trasse fuori un pacchetto cilindrico - Questo è ciò che cercavano i suoi assassini.- disse - Io l’ho preso per nasconderlo. Al suo interno vi è una custodia, e il suo contenuto e segretissimo. Nessuno, tranne me, conosce il modo per aprirlo. Se anche qualcuno ci provasse avrebbe una gran brutta sorpresa, poiché forzarlo è impossibile, non senza danneggiare gravemente quello che è al suo interno.- lo osservò per un momento, poi lo tese a John - Io sono l’unico a sapere dov’è al momento questo pacchetto. Nemmeno la mia ciurma lo sa, perché credono che sia a bordo dell’Heavenly. Di conseguenza, chi lo sta cercando inseguirà me.-
John aggrottò la fronte, guardando prima il pacco e poi il vecchio.
- Aspetta…- disse lentamente - Tu vuoi darlo a me? Vuoi che lo tenga io?-
Carsen annuì.
- Sei il solo a cui posso chiederlo.- rispose - Come ho detto, saremo gli unici a sapere che l’hai preso tu, e non dovrai temere niente.-
- Ma…-
- Ti prego, John.-
Lui guardò il vecchio, e nel suo volto lesse un bisogno quasi disperato di aiuto. All’improvviso, comprese pienamente perché lo avesse aiutato per tutto quel tempo, come mai avesse fatto tanto per dargli una mano.
- Era il tuo piano fin dall’inizio?- chiese - Per questo mi hai aiutato a costruire questo Avionatante?-
Carsen annuì lentamente.
- Sì.- ammise - Tu non sei famoso, non conosci nessuno nell’ambiente e, oltretutto, sei estraneo a questa storia. Senza offesa ma, per i miei avversari, tu non sei nessuno. Sei l’unico che possa farmi questo favore.-
John sospirò.
- Non posso accettare senza qualche dubbio.- disse - Insomma… sei certo che solo tu e io sappiamo cosa sta accadendo qui dentro in questo momento?-
- Assolutamente. Né tu né il tuo equipaggio correrete alcun rischio, se manterremo entrambi il segreto. Io farò da esca e, se anche dovessero prendermi, non dirò mai dov’è.-
- E se ti prendessero davvero, cosa dovrei farne?- chiese John.
- Lo dovrai aprire.- rispose semplicemente Carsen.
John aggrottò la fronte.
- Pensavo che solo tu sapessi come si fa.- osservò.
- Un giorno, forse, lo saprai anche tu, se sarai sfortunato.- rispose l’omone - Mi assicurerò che tu sia pronto, in quel caso. Ora, ti prego di aiutarmi, John. Se lo farai potrai considerare questo gesto come il modo per ripagarmi dell’aiuto che io ho dato a te per costruire il tuo Avionatante.-
John esitò ancora un istante, indeciso, guardando il pacco della discordia con un gran peso nel petto. Non gli andava davvero di prendersi a bordo quella patata bollente, ma su una cosa non si poteva discutere: Carsen l’aveva aiutato, e ora toccava a lui ricambiare il favore. E anzi, rifiutando si sarebbe sentito veramente una persona orribile.
Alla fine allungò la mano e lo prese.
- Nascondilo bene.- disse Carsen - E fai finta di non averlo. Non dirlo nemmeno a Daz e Sky. Se mai ci rincontrerassimo non dovremo parlarne affatto se non l’avrai prima aperto. Io stesso fingerò di non sapere di cosa parli.-
Non del tutto certo di aver capito, John annuì.
- Bene. Ora, passando a un argomento più felice… hai già pensato a come chiamare il tuo Avionatante?- chiese Carsen.
Lui annuì ancora una volta.
- Sì.- rispose - Un’idea ce l’ho.-
- Bene. Ti va di condividerla?-
John sorrise.
- Liberty Flight.-

Oook, ce l'ho fatta. E non è cosa da poco: l'altro giorno ho aggiornato l'antivirus, e quel bastardo ha cancellato il file della storia perché la riteneva "infetta". Per fortuna avevo ancora il file originale, ma privo di correzioni, e visto che ero già arrivato al capitolo 13-14 non è un danno da poco. Oltretutto, la giornata di oggi è stata abbastanza allucinante, tra pranzo di famiglia, discussioni e... ehm... il fidanzato di una certa persona che, col suo comportamento "maturo", mi ha un po' fatto alterare. Quindi, ancora una volta, mi sento un supereroe. E riparto coi deliri di onnipotenza...
Ringrazio Ely79 e LullabyMilla, che mi seguono... ah sì, e anche Kira16, che ha ricominciato a seguirmi pure con questa storia. Appena ho pronto il prossimo capitolo ve lo posto, se domani non succede niente potrebbe esserci già martedì. Anche se dipende tutto dagli impegni di voi lettori... dopotutto, siamo di festa, no?
A presto!

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Capitolo 8
*** Cap. 7: Il meccanico di bordo ***


Carsen Breeze non scherzava dicendo che sarebbe partito presto, quella mattina: il giorno dopo, quando i quattro cominciarono a ultimare i preparativi per il volo inaugurale, nessuno dei membri dell’equipaggio dell’Heavenly si presentò in officina, e lo stesso Ryan disse che suo zio gli aveva lasciato un biglietto di saluti (anche se, a dire il vero, c’era scritta una cosa tipo “i coniglietti saltellano via, quindi prepara le maniglie dell’amore, formiamo un trenino!”) che, a suo dire, era una sorta di addio. Come poi facesse a saperlo, visto il contenuto del messaggio…
In ogni caso, le cose da fare non erano molte, e per quanto fossero rimasti in pochi poterono ultimare i lavori nel giro di una giornata senza particolari problemi: John attivò definitivamente il computer di bordo principale, e Sky controllò un’ultima volta il buon funzionamento dei sistemi d’arma. Daz si accertò che tutto fosse in ordine all’interno dell’infermeria e di avere tutti i suoi strumenti, poi aiutò Ryan a saldare gli ultimi pannelli della fiancata, ancora un po’ lenti.
A fine giornata, il Liberty Flight era concluso.
- Direi che ci siamo.- disse Sky, passandosi un braccio sulla fronte sudaticcia e sporca di grasso.
Daz annuì, accanto a lui.
- Manca solo il nome sulla fiancata.- osservò.
John si strinse nelle spalle, pulendosi le mani in un panno.
- Beh, quello lo metteremo dopo.- disse - Ora riprendiamo fiato… partiremo domani mattina, oggi non me la sento di volare. Sono troppo stanco.-
- Ovvio che tu lo sia.- osservò Ryan, - Ma puoi ritenerti soddisfatto.- aggiunse, accennando all’Avionatante.
John lo guardò, sentendosi pieno di orgoglio: il velivolo occupava circa un terzo dello spazio dell’hangar con la sua mole, mostrandosi fiero e soddisfatto della propria, splendida forma.
A vedersi ricordava molto una razza, o un arco, a seconda di come lo si guardava: era piatto, con la parte anteriore che si incurvava arrivando verso i lati, così che pareva avere due ali ripiegate indietro. Nella sezione retrostante, invece, aveva tre sporgenze simili a punte smussate, due ai lati e una più lunga al centro. Cinque motori erano collocati lì dietro, tre nelle sporgenze e due negli spazi intermedi. Anziché a reazione, Ryan aveva consigliato John di installare dei motori a flusso, come li chiamò lui: erano una tipologia successiva alla guerra, e avevano il grande pregio di non lasciare residui nell’atmosfera, così da limitare enormemente l’inquinamento atmosferico. Una cosa estremamente importante, visto e considerato che in taluni paesi era proibito volare senza motori del genere. Quando l’Avionatante era in volo, poi, lasciavano ognuno due brevi scie color azzurro elettrico, che evaporavano nel giro di pochi secondi e roteavano e si avvitavano su se stesse come drappi di stoffa. O almeno, questo è ciò che diceva Ryan, perché nessuno di loro tre ne aveva mai visto uno in funzione.
Nella parte superiore e inferiore, esattamente al centro, si aprivano due grandi lucernari gemelli: essi erano parte dell’osservatorio di bordo, da cui era possibile guardare il cielo e il suolo sotto l’Avionatante.
Lo scafo, infine, era tinto nella sua parte superiore di un intenso arancione terroso mentre sotto, nella sezione inferiore (che Sky si ostinava a chiamare “pancia”), era di una vaporosa sfumatura bianca.
L’intero Avionatante poggiava al suolo tramite alcune zampe metalliche, che lo sostenevano in modo tale da distribuire uniformemente il proprio peso su ognuno di essi, senza gravare troppo su un unico punto. Non era un velivolo molto grande, tanto che un equipaggio di tre o quattro persone era più che sufficiente a farlo funzionare, e soprattutto non mostrava le armi di bordo, nascoste dietro pannelli scorrevoli montati appositamente, così da non apparire minimamente minaccioso.
- Mi piace.- disse Ryan, a sorpresa - Dico davvero, John. È uno splendore.-
John sorrise, contento.
- Grazie, Ryan.- disse - Ti prometto che troverò il modo di ripagarti per l’aiuto che mi hai dato in questi mesi.-
Il meccanico scosse la testa.
- No, no, stai tranquillo.- disse - Te l’ho detto il primo giorno, Carsen ha pensato a ogni cosa. Mi basta sapere di aver contribuito a costruire il Liberty.-
John annuì e si rivolse a Daz e Sky.
- Ho molto apprezzato anche il vostro lavoro.- disse - Siete stati preziosi.-
- Mah, speriamo di esserlo anche più avanti.- ridacchiò Sky - In fondo, non siamo meccanici.-
- Sì, questo si vede…- sbuffò una voce sarcastica.
Sorpresi, si voltarono tutti verso la rampa che permetteva di salire a bordo e, con loro gigantesco stupore, videro una persona scendere a terra, pulendosi alla meglio la faccia sporca di grasso con una manica.
Era una donna, una perfetta estranea che non avevano mai visto prima di allora. Indossava una vecchia pettorina logora e piena di macchie anche molto vecchie, e una maglia a maniche lunghe color verde militare. Un berretto da soldato con sopra lo stemma della Lega le raccoglieva quasi totalmente i lunghi capelli rosso fiamma, e attorno alla vita aveva una cinta piena di attrezzi, tra cui alcuni cacciaviti, un avvitatore a batteria, un martello e qualche chiave inglese. Appeso alle spalle aveva un saldatore elettrico.
- E tu… chi cavolo saresti?- esclamò John.
- Tenente Leeran “Lee” Gulley.- rispose lei - E, tanto per la cronaca, dovreste assumere un guardiano. Se avessi voluto fare danni non avevo che da provare.-
John sgranò gli occhi e guardò gli altri che, come lui, mostrarono solo facce sbigottite: doveva essere salita a bordo durante la giornata e loro, presi com’erano dai lavori, non l’avevano nemmeno vista arrivare.
- Cosa… perché sei qui?- chiese - E cosa vuoi?-
- Lavorare.- rispose, pescando un pezzo di carta da una tasca e ficcandoglielo in mano.
John non ebbe bisogno di guardarlo per riconoscerlo: era un trafiletto ritagliato da un giornale, uno degli annunci che aveva pubblicato in quei mesi.
- Sei qui perché vuoi un posto nell’equipaggio?- chiese - E perché dovrei…?-
- Perché ti ho appena sistemato gratis il motore, idiota.- sbuffò lei, incrociando le braccia - E ringraziami, di solito chiedo trecento datarie solo per cambiare l’olio.-
Daz aggrottò la fronte.
- Però, costi cara…-
- Cos’avresti fatto al motore?- chiese John.
- L’ho aggiustato.- disse - Il compressore a fusione era lento, e i giunti di potenza tre e dodici erano collegati male. Ho rattoppato anche l’impianto di distribuzione, ma senza una valvola adeguata…-
- Okay, okay, frena!- esclamò lui - Vuoi rallentare? Non ci sto capendo niente… insomma, da dove accidenti sei sbucata fuori? Chi sei?-
- Da casa mia.- rispose - E mi sono già presentata, direi… ma se è il mio curriculum che vuoi, basta chiedere.-
John le scoccò un’occhiataccia, sentendosi sempre più irritato. La donna sbuffò, roteando gli occhi.
- Okay… allora, come ti ho già detto ero Tenente. In servizio nell’unità meccanica per la divisione Avionatanti da guerra e mezzi corazzati d’assalto, con tanto di addestramento di volo, per la precisione. Circa settecento ore, un terzo delle quali passate ai comandi. Ti interessa altro?-
John scosse la testa.
- No.- rispose - Ma perché dovrei prenderti a bordo? La prima impressione non è certo…-
- Mi ci pulisco il culo con la tua prima impressione.- grugnì lei - Sappi che potrei averti salvato la vita. Con le riparazioni che ho fatto adesso il motore non ti mollerà a metà tragitto. Se avessi cercato di volare prima, nel migliore dei casi avresti dovuto fare un atterraggio di emergenza. Ora, almeno, sei sicuro di non schiantarti. Se davvero ti sto antipatica tanto peggio, ma pensa questo: preferisci un meccanico bravo ma stronzo o uno gentile ma incapace? Io appartengo alla prima categoria, e devo dire che ci sto bene. Adesso tocca a te: mi dai una possibilità o mi cacci via?-
John la squadrò per un momento, sempre più irritato, ma anche segretamente interessato: un meccanico gli serviva, e lei sembrava saperla lunga in materia. Tra l’altro, aveva un’esperienza di volo persino migliore della sua, e nessuno, fino a quel momento, poteva dire la stessa cosa, tra Daz e Sky.
- Ryan, hai i pezzi che le servono?- chiese.
Lui annuì lentamente, squadrandola con aria diffidente.
- Sì.-
- Daglieli e stalle dietro. E controlla anche il motore. Se è davvero così brava potrei prenderla.-
- Ottimo.- disse Lee, facendo per seguire Ryan - Finalmente un discorso sensato.-
- Sei sicuro di volerla a bordo?- rispose Sky, seguendola con lo sguardo - A me sembra un po’ prepotente.-
- Non mi interessa.- disse John - L’importante è che sappia fare il suo lavoro. Se poi non va, sei autorizzato a spararle.-
- E poi io mi ritroverei costretto a salvarle la vita.- sospirò Daz, sconfortato - Avete dimenticato che sono un medico?-
- Beh, potresti farlo tu, almeno per un paio d’ore.- osservò Sky.
John ridacchiò.
- Va bene, basta cincischiare.- disse - Fatevi una bella doccia, io metto il nome sulla fiancata e mi lavo a mia volta. Domani vedremo di partire.-
- Per andare dove?- chiese Sky.
- Ho un vecchio amico, che lavora in un museo di una città non lontana.- rispose John - L’ho sentito la scorsa settimana, e sembra che stia cercando qualcuno che lo accompagni in una spedizione archeologica. Ho pensato che forse potevamo offrirci noi. Vi sta bene?-
I due annuirono.
- Ho sempre sognato andare nella giungla.- disse Daz, andandosene.
- Saremo nel deserto, temo!- gli gridò dietro John, sorridendo.
- Oh, che barba! Altra sabbia?- sbuffò Sky, voltandosi prima di andarsene - L’Altopiano di Lord Aster ne era pieno!-
- Lo so, ma che vuoi farci?- rispose John - Ora fila, che ti sento puzzare da qui.-
- Sì, perché tu invece profumi…- sbuffò Leeran, che stava tornando a bordo con Ryan - E, giusto per fartelo sapere, ho già portato a bordo la mia roba. Ho preso la cabina in fondo a sinistra, mi piace avere privacy.-
John si morse la lingua per non risponderle ed andò a prendere la vernice.

Ecco qui il meccanico. Tuttavia, l'equipaggio ancora non è completo, ma ci vorrà un po' prima di vedere tutti i personaggi. Per il momento accontentiamoci di questi.
Ringrazio Ely79, LullabyMilla e Kira16, che mi stano seguendo. A domani!

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Capitolo 9
*** Cap. 8: Volo inaugurale ***


Leeran Gulley rappezzò il motore in modo impeccabile, a detta di Ryan, e la sua opera precedente aveva migliorato notevolmente il rendimento di tutto il mezzo, chiudendo le perdite di energia che loro non erano riusciti a bloccare fino a quel momento. Di certo ci sapeva fare e, comunque, a John serviva a bordo qualcuno capace di riparare eventuali danni o di intervenire in caso di guasti improvvisi. E, tra l’altro, un secondo pilota era altrettanto prezioso.
- Allora, me lo dai il lavoro o no?- chiese.
Era seduta a cavalcioni della poltrona del copilota, le braccia mollemente appoggiate allo schienale e il mento sul poggiatesta. Lo guardava con pacata curiosità, senza particolari manifestazioni di sarcasmo o prepotenza, almeno per il momento.
John, in piedi in cima alle scale, incrociò le braccia e sospirò, roteando gli occhi.-
- Ryan dice che te la cavi bene.- disse - E io ho un disperato bisogno di qualcuno con capacità come le tue… di meccanico e copilota. E se sei davvero capace di rivestire entrambi i ruoli, posso pagare uno stipendio in meno.-
Lei ridacchiò.
- Wow, non sapevo che fossi un genio della finanza…- disse - Quindi mi prendi a bordo?-
- Sì, ma mettiamo bene in chiaro alcune cose.- disse John - Non ti chiederò di tenere per te le tue opinioni, ovviamente, però mi aspetto la giusta dose di rispetto da parte tua. Quantomeno, dovrai comportarti bene, per dirla in termini più semplici. Puoi avere una personalità forte, okay, ma c’è un limite a tutto.-
- Okay, non ti scaldare…- rispose Leeran, alzandosi - Senti, facciamo così: io vedo di smorzare un po’ la mia vena acida… sì, riconosco di averla…- grugnì, vedendolo aggrottare la fronte - … ma sappi che sarò la prima a parlare, se dovessi sentirmi in disaccordo con te, chiaro?-
John annuì.
- Va bene.- disse - Cerchiamo di andare d’accordo e tutto andrà per il meglio.-
- Certo, capo.- disse - Ora ceniamo? Non so tu, ma ho fame.-
 
Il mattino dopo si svegliarono tutti di buon'ora e si prepararono alla partenza. John, finalmente, sedeva ai comandi del Liberty, e ne stava scaldando i motori, mentre Daz e Sky si erano sistemati alle postazioni laterali. Lee, invece, si trovava in sala macchine: almeno per quella volta avrebbe tenuto d’occhio il motore da vicino, mentre più avanti si sarebbe seduta al posto di copilota.
- Qui ponte di comando, com’è la situazione in sala macchine?- chiese John, parlando nel microfono della radio.
- Tutto regolare.- gracchiò in risposta Lee - Per ora dovrebbe funzionare, se supera il decollo siamo a posto. Se però ci schiantiamo è tutta colpa tua.-
Lui non la degnò di una risposta e passò sul canale degli altoparlanti esterni.
- Ryan, noi stiamo per partire.- comunicò.
Il meccanico, per tutta risposta, tirò una leva che fece scorrere via il tetto, così da consentire loro il decollo verticale.
- Okay, qui il capitano.- disse John, in modo che lo sentissero tutti, anche Lee e Ryan - Si parte!-
Strinse forte i comandi, dando potenza ai motori per il decollo verticale, e il Liberty si sollevò con un rombo, tremando leggermente.
Ben presto superarono il livello delle pereti e del soffitto, così che John potesse azionare i motori principali, lasciando attivi solo una parte di quelli secondari, in modo che il Liberty prendesse quota. Prese la radio e si rivolse a Ryan, che intanto era corso al proprio ricevitore.
- Qui Liberty. Decollo riuscito. Ripeto, decollo riuscito!- disse, colmo di felicità - Ci dirigiamo verso la nostra destinazione, adesso. Grazie dell’aiuto, Ryan. Ci rivedremo presto, te lo prometto.-
- Ci conto, John!- rispose il meccanico - Tornate quando volete, sarte i benvenuti!-
John chiuse la comunicazione, facendo librare l’Avionatante più in alto nel cielo e portandolo poi in posizione orizzontale. Lee entrò in sala comandi, sciogliendo i lunghi capelli rossi.
- Okay, a quanto pare vola.- disse lei, sorridendo tra sé - Bene. Ordini, capitano?-
- Sì.- rispose lui - Imposta la rotta, andiamo a Endopas.-
Lei annuì e si diresse al proprio posto per fare quanto richiesto.
- Endopas è la città del tuo amico?- chiese Daz, che invece si era alzato.
- Sì.- annuì John - Dovremmo arrivarci entro domani. Gli manderò un messaggio in giornata.-
- Bene.- disse il medico, salendo su per le scale - Allora io vado a farmi un toast, che non ho ancora mangiato, stamani… e poi credo che guarderò un po’ di tv. Sky, mi fai compagnia?-
Lui annuì e si alzò a sua volta.
- Se aspettate vengo anch’io.- disse Lee, senza distrarsi dal suo lavoro.
- E tu, capitano?- chiese Sky.
- Io resto un po’ qui.- rispose - Voglio fare l’asociale.-
- Bene, divertiti, allora.- ridacchiò Sky, mentre con Lee e Daz si allontanava in direzione della cucina - Goditi il tuo giocattolo nuovo.-
John sorrise tra sé: ne aveva tutte le intenzioni.
 
Il viaggio proseguì in maniera serena e priva di qualsiasi complicazione: il motore principale non ebbe noie, e il cielo era quasi completamente sgombro, appena costellato da qualche batuffolo lanoso di nuvole. John portò l’Avionatante sempre più in alto, mentre attorno a lui torri fumose e candidi sbuffi di vapore si ergevano come bastioni di inimmaginabile bellezza. Attraversò per gioco qualche figura particolarmente interessante, e ne sfiorò altre con i lati dello scafo, sfregiandole solo per il gusto di vedere come si sarebbero trasformate in seguito.
Scoprì che, lasciandosi la terra alle spalle, era riuscito a sbarazzarsi anche delle proprie preoccupazioni. Per la prima volta da anni non pensò minimamente alla bottiglia, alla guerra, al suo matrimonio fallito…
Ecco, ora gli stava tornando in testa Amber.
Ah, vai a quel paese! Le disse mentalmente, tornando a concentrarsi sulla rotta.
Non lasciò il ponte di comando prima di mezzogiorno, quando infine i crampi dovuti alla prolungata immobilità e la fame si fecero sentire, così mandò un messaggio a Endopas per confermare l’arrivo entro il mattino successivo e impostò il pilota automatico sulle coordinate che Lee aveva immesso nel computer, lasciando che fosse quello a guidare; poi andò nel cucinino, dove trovò gli altri già pronti per mangiare qualcosa.
La cucina era una stanza lunga e luminosa, dotata di fornelli elettrici e di un piccolo forno a microonde sistemato in un angolo. Poco lontano c’era un frigorifero, e nella parte superiore delle pareti si aprivano diversi scaffali che John aveva provveduto a far riempire di scatolette o di qualsiasi cosa fosse liofilizzata, e lo stesso si poteva dire della stiva, che era carica per mantenerli anche alcune settimane. Uno sportello in particolare era chiuso con un lucchetto: quello era l’armadietto degli alcolici, e l’unica chiave, al momento, la aveva John… ma meditava di consegnarla a qualcun altro il prima possibile, ad essere sincero.
I suoi tre compagni di viaggio erano seduti tutti al lungo tavolo rettangolare, e avevano preso ognuno qualcosa di diverso: Lee si era servita qualche costoletta (ovviamente senza fare complimenti), Daz stava finendo di mettere nel proprio piatto alcuni bastoncini di pesce e Sky aveva già iniziato a mangiare una zuppa di farro.
- … e non so come tu possa mangiare solo quello!- sbottò Lee, rivolta a Sky.
- Te l’ho detto, non ci riesco.- rispose lui, paziente - Sono cresciuto in mezzo agli animali, ci ho giocato e mi ci sono affezionato. Non posso mangiarli.-
Difatti, Sky era vegetariano, e non mangiava mai niente che contenesse carne, come aveva dimostrato più volte in quei mesi.
- Bah… secondo me, tu sei scemo…- disse lei, subito prima di afferrare la prima costoletta e strapparne un pezzo con un morso.
- Sai, non è che lui ti stia giudicando per il tuo pranzo, Lee.- osservò Daz, con la sua solita voce misurata - Né per il modo in cui lo mangi, aggiungerei…- disse, mentre staccava a suon di denti un altro pezzo di carne.
Lei si strinse nelle spalle, mentre John si sedeva a sua volta, dopo aver preso una tazza di caffè dalla caraffa appoggiata lì accanto. Decise che avrebbe mangiato dopo.
- Allora, stiamo facendo amicizia?- chiese.
- E tu, l’hai fatta con questo coso?- rispose Lee, ingollando un boccone particolarmente grosso.
- Ti pregherei di chiamarlo col suo nome.- disse John, accigliandosi - E poi, ricordati che sono il capitano.-
Lee sbuffò.
- Okay, hai fatto amicizia col Liberty, signore?-
- Ho preso familiarità coi comandi, sì.- annuì, bevendo il caffè - Allora, che ve ne sembra?-
- Mi pare funzionale.- rispose Daz, guardandosi attorno - Decisamente, è valso tutto il lavoro che ci è costato.-
- Almeno sta insieme.- concesse Lee.
- Ed è anche spazioso.- terminò Sky - Ci staremmo comodamente anche se fossimo il doppio.-
- Sì, ma a noi non servono altre quattro persone.- ridacchiò John - Allora, voglio dirvi un paio di cose sul lavoro che stiamo per fare. Sarà il primo, quindi vediamo di farlo andare bene, perché da questo dipenderà anche la nostra reputazione futura. E poi, il cliente è un mio amico di vecchia data, e rispetto molto la sua opinione.-
Tutti si fecero attenti, e persino Lee distolse lo sguardo dal piatto, anche se aveva ancora la bocca piena.
- Ancora non mi ha spiegato nel dettaglio di che si tratta.- disse - Di certo, ha bisogno di un trasporto e di manodopera extra per una spedizione nel deserto, e vuole avere qualcuno che abbia possibilmente esperienza di guerra. Noi siamo stati tutti nell’esercito, quindi ho pensato che fossimo perfetti. So che dovremo andare nel deserto, come ho detto, e che ci staremo per tutto il tempo necessario a trovare alcune antiche rovine dove, a quanto ho capito, si trova un importante reperto che il museo di Endopas sta cercando da anni.-
- E come fa a sapere che il reperto è lì, questo tuo amico?- chiese Sky.
- Pare che l’anno scorso siano stati ritrovati in una vecchia biblioteca alcuni documenti, sui quali era riportata l’ubicazione dell’oggetto.- disse John.
- Chi altri farà parte della spedizione?- domandò Daz.
- Ci sarà certamente qualcuno del museo, e credo anche un altro medico.- rispose John - Non so niente di più, non è stato molto chiaro. Voleva dirmi tutto di persona.-
- Okay, quindi stiamo per andare nel deserto con questo signor “tuo amico” a cercare un vecchio e polveroso rudere dove si trova un altrettanto vecchio e polveroso “coso” che lui smania di avere da chissà quanto.- disse Lee, tagliando corto - A noi che ce ne viene?- chiese, mandando giù un sorso d’acqua - E dove sono le birre?-
- Ce ne viene un guadagno netto di mille al giorno.- rispose John, ignorandola.
L’acqua le andò per traverso e cominciò a tossicchiare. Sky annuì, impressionato, e Daz sorrise.
- Mica male come primo incarico.- osservò - Se anche ci stessimo solo una settimana, in quel deserto, sarebbero settemila crediti in tutto. Un buon affare.-
John annuì.
- Sì, l’ho pensato anch’io.- rispose - Ma non credo che ci staremo così a lungo. È il primo lavoro, siamo ancora in rodaggio dopotutto.- bevve un altro po’ di caffè, poi guardò Lee - Ora, passando ad altro, perché non ci parli un po’ di te?-
Lei si strinse nelle spalle, guardandolo sorpresa.
- Cosa vuoi sapere?- chiese, continuando a mangiare.
- Beh, abbiamo capito che sei brava con i lavori di meccanica, e ci hai già detto che eri un Tenente. Però non è che sappiamo molto altro.-
Lee si strinse ancora nelle spalle.
- Non c’è granché da dire.- rispose - Ero nel secondo reggimento, fanteria, anche se spesso mi assegnavano agli Avionatanti da guerra. Eravamo tutti i giorni in prima linea, o quasi, e il mio lavoro non consisteva solo nell’aggiustare macchine, visto che ogni tanto mi affidavano anche intere unità per delle incursioni, o addirittura ci ritrovavamo a combattere in campo.-
- Un meccanico che combatte in campo?- si sorprese Sky - Non mi sembra molto regolare.-
- Ehi, ma c’eri o no su quel dannato altopiano?- sbuffò Lee alzandosi in piedi e sporgendosi verso di lui - C’era talmente tanto casino che non si poteva stare a pensare a quali fossero i tuoi veri compiti, chiunque sapesse usare un’arma doveva combattere! Non so più quante volte mi sono beccata una pallottola o una coltellata, o quante ossa mi si siano rotte! O forse dal tuo lato di campo le cose erano diverse?-
Sky aggrottò la fronte.
- Problemi con il fatto che ero nell’esercito Federale?-
Lee scosse la testa, ancora accigliata.
- No, per adesso. I soldati sono soldati, cambia solo la divisa, e anche se il colore della tua mi sta sulle palle posso far finta di niente, al momento.- rispose - Ma ti avverto, bamboccio: se ti azzardi a guardarmi storto, ti sfondo la testa con la chiave inglese.-
John sospirò.
- E dopo?- chiese per cambiare argomento - Quando la guerra è finita? Che hai fatto?-
- Ho tirato avanti.- rispose lei, acquietandosi un poco e tornando a sedere - Ho aperto una piccola officina, ho fatto qualche lavoretto, mi sono arrangiata… poi ho sentito che c’era un tizio che voleva gente a bordo del suo Avionatante, e sono venuta a cercarti. Mi stavo annoiando, e poi ero stanca di essere in arretrato con l’affitto.- concluse, stringendosi nelle spalle - Come diceva sempre mia madre: "se non sai approfittare delle occasioni, tanto vale che ti impicchi, Lee".-
Lui annuì ancora, posando la tazza ormai vuota. Guardò per un istante lo schermo del televisore spento di fronte a sé, incastrato nella parete della cucina, e il suo riflesso nero gli restituì uno sguardo identico.
- Sentite, voglio mettere in chiaro una cosa.- disse - E voglio farlo subito.- li guardò tutti, uno ad uno - Qui siamo stati tutti dei soldati. Ognuno di noi ha avuto esperienze diverse, o si è trovato a svolgere compiti che gli altri non sarebbero in grado di eseguire. Io personalmente non ho mai operato nessuno, non ho mai aggiustato niente di più complicato di un frullatore e non ho mai costruito una bomba, e non ho mai conosciuto nessuno di voi fino ad ora. Tuttavia, una cosa che ci accomuna ce l’abbiamo: ognuno di noi ha imparato ad affidarsi ai propri compagni, perché sul campo bisogna poter contare su chi ti copre le spalle. Voglio che questo principio venga applicato anche ora, tra di noi. Ci state?-
Ognuno di loro annuì, serio in volto, e non ci furono commenti nemmeno da parte di Lee, che parve prendere molto sul serio le sue parole.
Quel giorno, senza saperlo, sancirono un patto che li avrebbe portati lontano, molto più di quanto potesse fare il Liberty Flight in tutta la sua esistenza.

Il gruppo prenderà via via più coesione. Già oggi abbiamo fatto un importante passo avanti, e presto conosceremo altri personaggi che, seppur privi della centralità che hanno i nostri quattro eroi, saranno molto importanti. Un paio in particolare mi piacciono molto, e rileggendo le righe in cui compaiono mi sono chiesto "mio dio... ma perché mi sono scordato di loro?".
Ringrazio Ely79, LullabyMilla e Kira16, che mi stanno seguendo come sempre. Ci vediamo domani, ciao a tutti!

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Capitolo 10
*** Cap. 9: Il primo lavoro ***


Come previsto, arrivarono all’Avioporto di Endopas il giorno successivo, verso le nove di mattina, e sistemarono il Liberty in una rimessa pubblica, un luogo dove i proprietari di un Avionatante potevano lasciare il proprio apparecchio, pagando una giusta somma, per tutto il tempo necessario.
Intanto che il velivolo sostava nell’hangar, loro si recarono tutti insieme all’ufficio del dottor Edmund Fall, l’amico di cui John aveva parlato il giorno prima, situato al Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti Antiche, un grande palazzo bianco nel mezzo di una bella piazza lastricata, interrotta da un’area verde racchiusa in un rettangolo delimitato da piccole barriere di marmo.
Tutto intorno a loro c’erano numerosi studenti di ogni età che parlavano tra loro, correndo a lezione o in biblioteca, che studiavano seduti sulle panchine o ai tavoli dei bar. Tutti avevano un aspetto felice e spensierato, come se non avessero problemi che non riguardavano gli affari di cuore o gli studi, cosa comune a tutti i ragazzi della loro età. John si scoprì a invidiarli, per qualche secondo.
- Però…- commentò Daz - Avrei fatto meglio a diventare docente… il mio relatore me lo diceva che sarei stato un fantastico insegnante.-
- Ti lamenterai della tua vita dopo, ora dobbiamo andare.- sorrise John facendo cenno di proseguire.
Entrò nel palazzo, seguito dai suoi compagni, e si fece indicare l’ufficio del dottor Fall, situato al terzo piano. Raggiunto il pianerottolo trovarono una porta su cui era appesa una targa di ottone:
Dott. E. Fall
Con un po’ di apprensione (non lo vedeva da anni, e solo sentirlo per telefono gli aveva fatto un certo effetto) John bussò un paio di volte, poi entrò con tutti gli altri, dopo averlo sentito rispondere di accomodarsi.
L’ufficio si rivelò essere ampio e luminoso, ma incredibilmente ingombro e disordinato: la parete di fronte all’entrata era totalmente occupata da una grande scaffalatura piena di libri, tutti riguardanti la storia antica o le lingue morte di altre culture; accanto alla finestra, a destra, era appeso un planisfero geografico dagli angoli rovinati e strappato in più punti lungo i bordi. Era tutto scarabocchiato e segnato con puntine colorate, come se fosse stato usato più volte per appuntare note importanti su qualcosa.
Sopra la scrivania regnava sovrano il caos più totale: libri aperti, fogli scribacchiati in gran fretta, vecchie carte appallottolate e soprammobili dall’aria vissuta e origine incerta erano ammassati tutti insieme, persino sopra a un telefono a disco, ormai praticamente soffocato da quell’enorme carico di cianfrusaglie.
Seduto alla scrivania c’era un uomo, chino su una vecchia pergamena, così intento a studiarne i minuscoli simboli da non accorgersi nemmeno di chi fosse appena entrato. Aveva una lunga chioma grigia e liscia, anche se la sommità della testa era completamente pelata. Era magro, quasi sottile come un fuscello, e la camicia a righe con le maniche arrotolate fino ai gomiti era abbottonata storta, il che faceva ipotizzare che si fosse vestito in gran fretta. Una vecchia giacca color panna, tipicamente da insegnante, con tanto di scolorite toppe di pelle sui gomiti, era appesa ad un consunto attaccapanni in un angolo.
- Come vede sono molto impegnato, ma se è per la sua tesi le garantisco che potremo discuterne tra un paio d’ore.- disse, prima che John potesse aprire bocca - La prego di ripassare, adesso, sto aspettando una persona.-
Lui aggrottò la fronte, mentre Lee gli lanciava uno sguardo stupito.
- Non sapevo che ti stessi laureando…- sussurrò ironica.
- Sai Lee, ho preso la laurea già da parecchio, in Scienze Politiche, all’università militare di Endopas.- rispose ad alta voce - Ma poco prima ero studente di Archeologia. Vero, professor Fall?-
L’uomo alzò di scatto lo sguardo, facendo quasi cadere dal proprio naso i sottili occhialini di metallo, e sorrise vedendo chi fosse.
- John!- esclamò, alzandosi - John Disen! Che piacere rivederti, ragazzo mio! Quando sei arrivato?-
- Mezz’ora fa.- sorrise di rimando lui, stringendo la mano che il professore gli tendeva - Siamo subito venuti qui. Questo è il mio equipaggio.-
- Un equipaggio molto piccolo, mi sembra.- osservò il professore - Ma che maleducato, non mi sono ancora presentato… il mio nome è Edmund Fall… dottor Edmund Fall, per servirvi.- e fece un piccolo inchino.
- Sì…- disse John, accennando ai suoi compagni - Allora… lui è il dottor Dazy Myst, il medico di bordo. Questo giovane qui è Sky Arsen, il nostro artigliere, e lei è Leeran Gulley. Il nostro meccanico e la nostra scocciatrice.-
Lei gli scoccò un’occhia fiammeggiante, mentre il professore le stringeva la mano con un piccolo inchino, ma non disse niente. Fall, invece, ridacchiò appena.
- Oh, non dia peso alle parole di John, signorina.- disse con leggerezza - È sempre stato piuttosto indisciplinato.-
- Mi creda, prof, Lee non ha alcun bisogno di lei per difendersi da me.- sospirò lui - Allora, parliamo d’affari?-
- Ma certamente.- annuì l'uomo - Dunque, immagino che sia meglio arrivare subito al nocciolo della questione, vero, John?- disse, tornando alla scrivania e prendendo un foglio - Ecco… guarda questo.- aggiunse, tendendoglielo.
John lo osservò per un momento, poi rialzò lo sguardo.
- Ehm… il mio aramaico antico è un tantino arrugginito…- ammise infine, restituendogli il foglio.
- Sì, lo posso capire…- disse il professore, aggrottando la fronte - Ma questo non è aramaico, è la mia traduzione dal sumero.-
Lee, Sky e Daz scoppiarono a ridere. John li fulminò con lo sguardo.
- Okay, ve ne parlo io a voce.- disse Fall, chiudendo la porta del suo ufficio - Sedetevi, se riuscite a trovare dove…-
Presero posto su alcune vecchie sedie scompagnate, dopo averle liberate dalle pile di documenti e di libri sotto cui erano state seppellite, mentre il professore cominciava a parlare.
- Allora, come ho già accennato nel mio messaggio abbiamo trovato delle vecchie carte, l’anno scorso, che ci hanno rivelato il luogo dove è nascosto un antico manufatto.- spiegò - Tale manufatto consiste nella leggendaria “Chiave di Pael–Nur”. Immagino che nessuno di voi sappia cos’è…-
In effetti, tutti loro avevano un’espressione abbastanza ebete dipinta sul volto. Solo Sky sembrava più che altro interessato e vagamente sorpreso.
- Ne ho sentito parlare.- disse - Anni fa… non so di preciso cosa sia, tranne che è molto antica.-
Il professore annuì, impressionato, mentre John e gli altri lo guardavano stupiti.
- Non sono nato artificiere.- si giustificò lui, stringendosi nelle spalle - Sono stato in giro per musei, sapete?-
- Beh, visto che i suoi compagni non sembrano sapere di cosa io stia parlando, mi perdonerà se faccio un breve excursus per far capire anche loro.- disse Fall - In breve, la Chiave di Pael–Nur è un antico manufatto che, secondo la leggenda, fu forgiato in tempi remoti dai più colti uomini dell’impero del faraone Hamùr Ahkmèd II. Successivamente passò nelle mani dei babilonesi e poi, non si sa bene come, venne trasportato ad ovest, arrivando anche dagli aztechi, dai maya e dagli inca. Originariamente, secondo i documenti ritrovati, la chiave doveva servire per sigillare le tombe dei faraoni ed impedirne la depredazione, ma come ben sappiamo la cosa non funzionò: babilonesi, maya e tutti gli altri, conquistando la chiave in battaglia o rubandosela a vicenda, costrinsero il popolo che l’aveva posseduta precedentemente a modificare i sistemi di chiusura, adottando metodi meno efficaci. Dopo essere arrivata in mani inca, la chiave scomparve, rubata da un ladro ignoto che la portò via dai suoi ultimi proprietari. Si presume possa essere successo durante l’invasione dei Conquistadores. Fino ad oggi, si è ignorato chi l’avesse presa.-
- E i documenti che avete trovato l’anno scorso vi hanno detto dov’è?- chiese Lee.
- Sì.- annuì il professore - In qualche modo è tornata più ad est, finendo nel deserto. Pensateci… migliaia di anni di storia, decine di popoli, e quella chiave li ha visti tutti quanti. Riuscite a immaginare cosa significhi, per il mio museo, ritrovare quel manufatto?-
John annuì lentamente.
- Tanto onore all’istituto.- disse John - E un certo professore diventerà un’autorità nel mondo accademico.- aggiunse con un sorrisetto, che Fall ricambiò -  Ma perché vuole il nostro aiuto?- chiese poi - Solo per un passaggio nel deserto? Lei, che pur di non pagare un taxi, una volta, mi fece scarpinare per quasi trenta chilometri?-
Il professore sospirò.
- Purtroppo hai ragione. Il motivo è anche un altro.- ammise tristemente - Mesi fa, una notte, ho fatto tardi per studiare le carte. Ero appena uscito quando mi resi conto di aver dimenticato i miei occhiali sul tavolo e, quando sono rientrato, ho sorpreso un ladro che cercava di trafugare i documenti. Messo in allarme è fuggito, e fortunatamente non ha portato via niente di vitale. Purtroppo, però, è riuscito a trafugare alcune copie che avevo fatto dei miei appunti.-
- Beh, allora non c’è problema.- sorrise John - I geroglifici sono meno complicati da tradurre.-
- Sì, sei molto spiritoso, John, ma io voglio essere tranquillo.- rispose secco il professore - Mi servono persone che possano gestire situazioni anche imprevedibili, e di te mi fido. Allora, mi aiuterete?-
John guardò gli altri, che annuirono.
- Certo.- disse - Per quanto riguarda il compenso…-
- Non è cambiato niente.- lo rassicurò il professore - Mille al giorno, né uno di più né uno di meno… sempre che tu non voglia trattare.- aggiunse brevemente, in tono quasi speranzoso - Prevedo una permanenza non inferiore ai due o tre giorni, per studiare bene le rovine ed esaminare sul posto la chiave, quando l’avremo trovata.-
- Ottimo.- disse John - Quando si parte?-
- Ormai ho quasi finito di raccogliere il necessario. La mia assistente sta preparando le ultime cose, e per domani saremo pronti a partire.-
- D'accordo. In quanti saremo?-
- Oltre a noi ci sarà la mia assistente e un collega, il professor Michael Gellar, più i bagagli. Niente di particolare, sai… strumenti da scavo, alcuni libri, sacchi a pelo… siamo anche disposti a pagare per il passaggio.- disse poi, anche se un po’ amaramente.
- Non sarà necessario.- lo rassicurò John - Offre la ditta, per oggi, può tirare il fiato. Fatevi trovare qui, piuttosto.- disse, prendendo dalla scrivania carta e penna per segnare il numero del loro hangar - Noi saremo già pronti a partire.-
- Perfetto.- disse il professore - Allora ci vediamo domani alle cinque, John. Si parte presto.-

Il primo lavoro, quindi, comincia così. Cosa porterà, lo vedremo a partire da domani. Sappiate, comunque, che adesso sta quasi per cominciare la "vera" trama comune della serie...
In ogni caso, mi pare giusto precisare un paio di cose: i riferimenti archeologici che farò (e ne farò molti) sono tutti autentici o quasi (non esiste nessun Hamùr Ahkmèd, l'ho inventato io), il che significa che mi sono puppato mezzo sito di Wikipedia... a parte questo, voglio precisare che la storia si svolge in un contesto storico-culturale pressoché identico al nostro, così facilito le cose a voi, che non dovrete sforzarvi troppo per capire, e a me, che sennò divento matto a inventare nomi, popoli, eventi storici e quant'altro. A cambiare, qui, è più che altro la geografia (che tanto mi sta sulle scatole...).
Ringrazio Ely79, LullabyMilla e Kira16, che mi stanno seguendo. Ciao, a presto!

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Capitolo 11
*** Cap. 10: Un'ombra alle spalle ***


Il mattino dopo, di buon ora, il professor Fall si fece trovare di fronte all’hangar dove il Liberty Flight attendeva di partire, i motori già in fase di riscaldamento. John e Daz, a terra, aspettavano l’arrivo degli ospiti, che giunsero con i loro bagagli a bordo di un vecchio furgoncino carico di zaini e borsoni.
- Buongiorno, amici.- li salutò il professore, scendendo dal posto di guida. Quel giorno indossava un paio di pantaloncini color cachi, scarponi ed una vecchia camicia, anch’essa abbottonata male - Siamo pronti a partire?-
- Quando vuole, professore.- disse John - Daz ed io vi daremo una mano a caricare.-
- Perfetto. Ah, questo è il mio collega, ve l’avevo accennato…- aggiunse, mentre qualcuno scendeva dal posto del passeggero.
Era un uomo sulla cinquantina o poco più. Aveva folti capelli neri, probabilmente tinti, e tratti piuttosto anonimi, eccezion fatta per i baffetti ingrigiti sotto il naso, corto e sottile.
- John, lui è il dottor Michael Gellar.- lo presentò.
L’accademico gli tese la mano callosa, e lui la strinse.
- Dunque sarete voi ad accompagnarci.- disse l’uomo. Aveva una voce profonda, che veniva tutta dalla gola - Ditemi, quanta esperienza avete con gli Avionatanti?-
- Beh, io ho già volato quando ero nell’esercito, e il mio Primo Ufficiale è un meccanico con molte ore di volo alle spalle.- rispose John, sentendo subito che quell’uomo non gli piaceva - Se volete seguire il dottor Myst, vi mostrerà le vostre cuccette.- aggiunse, rivolgendosi a Fall.
Lui annuì, sorridendo, e passò un voluminoso zaino a Daz, che lo prese un po’ sorpreso.
- Avanti, dottore, faccia strada.- ridacchiò, passandogli un braccio sulle spalle con fare amichevole. Daz non rispose, leggermente sgomento - Ah, John, aiuti tu la mia assistente?- aggiunse.
- Sì, certo.- disse lui, mentre il dottor Gellar lo oltrepassava.
Si diresse verso il retro del furgone, da cui proveniva qualche movimento, e non appena ebbe oltrepassato l’abitacolo venne investito da un borsone lanciato a terra. Colto alla sprovvista cadde lungo disteso sotto il peso del bagaglio, che sembrava contenere qualcosa di simile a un martello pneumatico intero.
- Oddio…- esclamò qualcuno - Oh, mi dispiace… tutto bene?-
Lui si districò dalla cinghia del borsone, aiutato da un paio di mani sconosciute, e quando riemerse si trovò di fronte una ragazza occhialuta che lo guardava mortificata.
- Tutto a posto?- chiese lei.
- Un momento, lo chiedo alle costole…- gemette lui, rialzandosi cautamente.
La ragazza lo aiutò a tirarsi su. Era piuttosto sottile e pallida, e aveva fluenti capelli biondo cenere che le scendevano fino a metà schiena, in piccole onde lucenti. A giudicare da ciò che vedeva, doveva essere poco più giovane di Sky… venticinque, massimo ventisette anni.
- Mi dispiace…- si scusò - Non sapevo che fosse qui. È che si tratta di materiale molto pesante e robusto, ho pensato…-
- Non importa.- rispose John, prendendo il pesante borsone - Ma cosa c’è qui dentro, del ferro grezzo?-
- Sono attrezzi da scavo speciali.- sorrise lei, con aria di scuse - Volevo scaricarli subito, sono le cose più pesanti…-
- D’accordo, non fa niente.- disse - Venga, le mostro la stiva per i bagagli e la sua cuccetta.-
La ragazza prese il proprio zaino e seguì John su per la rampa. In cima ci trovarono Lee, che li guardava con la fronte aggrottata.
- Eccoti!- esclamò, rivolta al capitano - Ah, vedo che non hai perso tempo…- aggiunse, scorgendo la giovane assistente del professore.
- Perdoni Lee, è stata cresciuta dai lupi.- disse John rivolgendosi all’imbarazzata ragazza - Cosa vuoi?- le chiese.
- Sapere quand’è che sono diventata il tuo Primo Ufficiale.- rispose, incrociando le braccia - Fino a ieri ero solo il meccanico.-
- E ora ti ho promossa. Qualche problema?- rispose lui, oltrepassandola - Vai al furgone e prendi qualcosa, così ti rendi utile.-
Lee annuì e se ne andò.
- Bene… ma ne riparleremo!- gli gridò dietro.
- Mi chiamo John Disen.- disse poco dopo - E quella specie di orchessa era Leeran Gulley, il Primo Ufficiale.-
- Io mi chiamo Lirie Summer.- rispose lei - Sono l’assistente del dottor Fall.-
- Sì, me l’ha accennato.- annuì lui - Ecco, qui è dove dorme lei.- disse, fermandosi davanti a una porta, nella zona notte - Le cabine in fondo al corridoio sono del resto dell’equipaggio. La mia è quella più lontana.- le indicò - Si sistemi con comodo, quando ha fatto le mostro dove teniamo questa roba.-
- Grazie.- disse Lirie, entrando nella cabina.
Quando John raggiunse l’ampio vano di carico del Liberty Flight trovò Daz e Lee, entrambi intenti a sistemare i bagagli dei nuovi arrivati in modo tale che non andassero a spasso durante il volo, bloccandoli con le cinghie apposite agli anelli fissati nel pavimento.
- Allora, quand’è che mi avresti promossa?- sbottò subito lei, appena lo vide.
- Quando ho deciso che volevo farlo. Ora taci o ti degrado.- rispose John - Gli ospiti?-
- A prendere le ultime borse con Sky.- disse Daz, che aveva ignorato la loro conversazione, come se non gli interessasse - Oltre a quelle, non rimane altro.-
- Bene.- disse lui, posando gli attrezzi e fissandoli con delle cinghie al resto della roba - Impressioni da comunicarmi?-
- Sì, quel Gellar è un rompipalle.- rispose subito Lee, raccogliendo i capelli sotto il proprio berretto con un gesto seccato - Non ha fatto altro che chiedermi delle nostre esperienze di volo precedenti… e io che gli dico? Che ci hai assunti ieri? Mi sa che non gli piacciamo, ecco cosa.-
John sospirò.
- Beh, può capitare.- disse, avviandosi fuori dalla stiva con i due compagni.
- Sarà, ma se continua lo butto fuori bordo.- sbuffò - Ora, seriamente… mi spieghi perché mi vuoi come Primo Ufficiale? Daz è entrato nell’equipaggio per primo.-
- Ma non ha esperienza di volo.- rispose John - Scusa, dottore.-
Lui si strinse nelle spalle.
- Perché, ti sembra che sia offeso?- rispose con tranquillità.
 
John fece partire il Liberty verso le coordinate fornitegli dal professor Fall, scoprendo con piacere che il cielo era solo poco meno libero del giorno precedente e che non sembrava esserci troppo vento, per fortuna. Gli unici fastidi che avrebbero potuto avere, al massimo, sarebbero dipesi da eventuali vuoti d’aria. Probabilmente sarebbero arrivati nel giro di un paio di giorni, tempo permettendo.
Stava per impostare il pilota automatico quando notò qualcosa sul radar di bordo: era appena una traccia di segnale, che scomparve subito, ma attirò la sua attenzione.
Cominciò ad armeggiare con gli strumenti e scese leggermente di quota, ritrovando ancora il segnale, che stavolta rimase un po’ più a lungo prima di andarsene nuovamente. Ancora non sapeva di cosa si trattasse, ma ebbe un’idea.
Sollevò un interruttore sul quadro davanti a sé, e uno schermo si accese subito, mandando una serie di coordinate e scritte varie, oltre ad alcune immagini. Diede qualche comando, digitando un po’, fino a che non ottenne l’effetto sperato, identificando di nuovo lo strano fenomeno, ora con un po’ più di chiarezza. Questo gli permise di comprenderne la natura.
Mentre sollevava nuovamente il Liberty Flight oltre le nuvole, prese il microfono della radio per comunicare le novità.
- Qui è il Capitano che vi parla.- annunciò - Vi comunico che il cielo è limpido, l’aria è ferma ed il Liberty fila a meraviglia. Se continua così, arriveremo in due giorni circa. Intanto, chiedo cortesemente al Primo Ufficiale di fare il proprio lavoro ed inserire le coordinate nel pilota automatico.-
L’interfono gracchiò, e la voce di Lee gli rispose stizzita:
- Sei già lì, perché non lo fai tu?- sbottò.
- Perché io sono il Capitano e ti chiedo di venire qui. Ho bisogno di parlarti.- rispose.
Poco dopo Lee entrò scocciata, pestando il pavimento nella cabina di comando per far capire di essere seccata, e andò al proprio posto per inserire la rotta.
- Che vuoi?- chiese in tono acido, senza guardarlo.
- C’è un’Avionatante che ci segue.- rispose John.
Lee sgranò gli occhi e si voltò di scatto, il dito sollevato a metà della digitazione. Ogni traccia di rancore era sparita.
- Cosa?- chiese - Come? Dove?-
- Beh, quanto al come, credo in volo. Il dove, se non vado errato, è proprio dietro di noi…-
- Piantala!- esclamò l’altra, facendo tuttavia uno sforzo per non ridere - Come fai a saperlo?-
- Fortuna.- rispose cupamente lui - Hai finito con l’automatico?-
Lee si voltò per terminare il lavoro, permettendo al capitano di alzarsi e scendere.
- Poco fa ho notato un piccolo segnale sul radar.- spiegò - Non c’è voluto molto perché scomparisse, ma ho fatto una verifica.-
- Se vola sotto la quota del radar, come sei riuscito a trovarlo?- chiese Lee, appoggiandosi alla propria consolle e incrociando le braccia.
- Un vecchio trucco militare.- rispose lui - Ho usato i fotosensori.-
Lee aggrottò la fronte. Come esperta di meccanica ed ex soldato conosceva di certo quei particolari dispositivi: erano utilizzati dall’Avionatante per riconoscere i luoghi adatti a un atterraggio, sfruttando il fenomeno di rifrazione della luce per determinare la pendenza del terreno rispetto alla verticale del velivolo, se esso era sufficientemente vicino a terra.
- Quando ero di servizio sulle corazzate da battaglia, il mio Comandante mi insegnò a non fidarmi totalmente del radar.- continuò - I fotosensori sono perfetti per riconoscere le forme a terra. Questo permette di identificare anche gli Avionatanti avversari, se li si orienta nel giusto modo.- le lanciò un’occhiata ironica - Non dirmi che tu non lo sapevi?-
- Io ero Tenente!- protestò lei, imbronciandosi ed incrociando le braccia - Cosa conti di fare?- chiese, rilassandosi.
Lui si strinse nelle spalle.
- Per il momento credo che mi limiterò a tenere d’occhio l’Avionatante con le strumentazioni e il binocolo.- rispose - Ma vorrei che tu facessi qualcosa.-
- Dimmi cosa e lo farò.- annuì subito Lee - Dammi un ordine, uno qualsiasi… purché non sia nulla di osceno… e sarò felice di darti una mano.-
- Voglio che tu faccia qualcosa per le difese del Liberty.- rispose John - Gli scudi che ho costruito con Ryan sono ottimi… oh, credimi, saresti sorpresa…- disse, vedendo la sua faccia scettica - Dagli un’occhiata, se non ci credi, così magari puoi cercare di migliorarli, casomai. Voglio essere preparato, in caso di attacco. E accertati che sia tutto in ordine.-
- D’accordo.- annuì lei - Pensi che sia il ladro di cui ha parlato il professore?- chiese, mentre lasciavano il ponte di comando.
- Se è lui, ha una bella ciurma con sé.- rispose John - Perché, dal poco che ho visto, quell’Avionatante ha una stazza non indifferente.-
- Quanto “non indifferente”?-
- Almeno tre volte la nostra.- rispose cupo lui - Se ci abbordassero saremmo finiti. Per questo voglio che gli scudi funzionino al massimo.-
- D’accordo.- disse seria Lee - Allora io scendo in sala macchine…- e fece per voltare a destra, in un altro corridoio - … ci pensi tu a dirlo agli altri, capitano?-
- Ne ho tutte le intenzioni.- annuì, scuro in volto.

Ecco qui, inizia già a delinearsi un'altra importante situazione... e, meraviglia delle meraviglie, sappiate che finalmente sono riuscito a rimettere tutto a posto, tornando al punto in cui ero quando l'antivirus ha deciso di remarmi contro: giusto oggi ho finito di correggere il capitolo 13, e sono proprio all'inizio del 14. Salvo imprevisti, ormai siamo a posto.
Ringrazio Ely79, LullabyMilla e Kira16, che mi stanno seguendo. A domani!

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Capitolo 12
*** Cap. 11: La storia del dottore ***


Il misterioso Avionatante continuò a seguirli per il resto del viaggio, senza mai avvicinarsi abbastanza perché John riuscisse a identificarlo, mantenendosi appena fuori della portata dei radar e delle apparecchiature identificative che ancora poteva usare per controllarlo. La sola cosa che gli rimase per non perderlo d’occhio fu il binocolo, ma anche quello non servì a molto: presumibilmente, a bordo di quel velivolo c’era un dispositivo di occultamento con il quale impedivano alla luce di rimbalzare indietro, rendendo pressoché invisibile il mezzo. Questo, oltre a rendere inutile i fotosensori del Liberty, limitò parecchio anche l’utilità del binocolo: benché non fosse possibile impedire a John di intravedere l’Avionatante (era comunque in grado di scorgere un contorno poco definito), oscurava la maggior parte dei dettagli, fornendogli una visione molto ristretta.
Passava circa dieci minuti ogni ora nel punto d’osservazione inferiore del Liberty, tenendo sott’occhio i loro inseguitori. Non ne parlò con nessuno, nemmeno con il professor Fall, ritenendo che fosse inutile riferirgli una cosa del genere tanto presto. Tanto valeva attendere di arrivare, e intanto di rimanere in allerta.
Sky era ovviamente attento quanto lui ai movimenti dell’Avionatante misterioso, e spesso lo affiancava nelle sue soste nell’osservatorio, aiutandolo a controllare che fosse ancora lì. John non era certo del perché volesse accertarsi di essere ancora seguito, ma se fossero spariti avrebbe dovuto pensare che avessero in mente qualcos’altro. Magari così ne avrebbe potuto prevedere le mosse.
Lee, invece, si occupò come promesso degli scudi del Liberty: fu ben presto costretta ad ammettere che il generatore costruito e istallato da John e Ryan era decisamente buono, ma era convinta di poterlo migliorare, con qualche settimana di duro lavoro e i componenti adatti.
John non ne fu molto contento: i componenti abbondavano a bordo (ne aveva fatto incetta, poco prima di lasciare Ryan), ma erano le settimane a mancare, in quel momento.
Daz, dal canto suo, fece finta di niente: lui era il medico di bordo, e fino a quando non ci fosse stata un’emergenza non era utile affannarsi troppo. Si limitò ad intrattenere gli ospiti, i quali facevano quasi tutti del proprio meglio per non essere d’intralcio alle attività dell’equipaggio. Il professor Fall trascorse molto tempo con John, rievocando alcuni aneddoti sui suoi giorni da universitario e sui motivi che l’avevano portato a passare dall’Archeologia alle Scienze Politiche, divertendo gli altri con i suoi racconti, come quello di quando lo aveva dovuto riaccompagnare lui fino agli alloggi per gli studenti, siccome John si era sentito male a una festa.
- Spiegami solo una cosa, Capitano…- disse Sky, tra le risate generali - … come mai hai accettato un passaggio proprio dal tuo insegnante? E che faceva lui lì?-
- Primo: questa non è una cosa, sono due.- grugnì lui, mentre cucinava la cena di quella sera - In secondo luogo, non ho mai capito cosa facesse da quelle parti, ma scommetto che cercava di imbucarsi.-
Qui Fall preferì non ribattere.
- E poi, io non ero in grado di rifiutare.- concluse, brandendo un cucchiaio di legno - Ero appena un ragazzo, ed ero anche così stupido da mescolare alcool e spinelli. Ora dammi una mano, o ti metto a pulire i rifiuti della toilette!-
Lirie, dal canto suo, si dimostrò piacevole e curiosa al tempo stesso: non aveva mai conosciuto personalmente degli Avionauti, e quindi era piuttosto interessata alla vita di bordo, benché essa fosse molto meno eccitante di quanto potesse immaginare. In fondo, le uniche cose da fare erano tenere in ordine i rispettivi ambienti di lavoro.
Tuttavia, questo non sembrava smorzare l’entusiasmo della giovane accademica, la quale era stata cresciuta da un padre soldato, convinto del fatto che gli Avionauti civili fossero solo pallide imitazioni paramilitari, deviate dagli originali, soldati altamente specializzati per il combattimento aereo. Non aveva ereditato tutta l’avversione del genitore, fortunatamente, ma le era comunque sorta una profonda curiosità su un mondo che, a detta di suo padre, era da evitare.
Di conseguenza, fece l’impossibile per rendersi utile: spazzò il ponte, controllò che i bagagli fossero sempre in ordine, aiutò a inventariare la fornitura di fucili e munizioni conservate nell’armeria e costantemente sorvegliate da Sky (il quale parve manifestare un certo interesse per lei), e una volta tentò persino di entrare nella sala macchine, incontrando però la totale ostilità di Lee: non permetteva a nessuno di entrare, e persino John, verso la fine del viaggio, quando andò laggiù per verificare i progressi fatti fino a quel momento con gli scudi, fece molta fatica a farsi aprire la porta. Era gelosissima del motore e del proprio compito, che prendeva molto sul serio.
L’unico a manifestare apertamente una profonda antipatia per loro quattro era il dottor Gellar: a quanto disse Fall, un gruppo di pirati aveva abbordato un Avionatante di linea, qualche anno prima, e lui aveva avuto la sfortuna di trovarvisi a bordo. Da quel giorno, la categoria degli Avionauti privati gli era rimasta sullo stomaco.
Era quasi impossibile parlare con lui, e nelle poche occasioni in cui si lasciava avvicinare dai membri dell’equipaggio si faceva vanto dei propri successi accademici, delle sue pubblicazioni e dei suoi attestati di merito. Pareva essere convinto di essere l’uomo più intelligente a bordo (o, per dirla con i termini leggermente più crudi che usò Lee, aveva l’aria di chi ha un’intera biblioteca ficcata su per il sedere), ed effettivamente era piuttosto colto in campo storico e artistico. Questo spiegava come mai il professor Fall, avesse chiesto la sua partecipazione, nonostante lo ritenesse a sua volta una spina nel fianco, arrivando a confidare a John di non averlo portato per la simpatia che gli suscitava.
Ma anche il suo ego, per fortuna, dovette rientrare nei ranghi, a un certo punto: una sera il dottor Gellar, come al solito, stava parlando di sé, stavolta in relazione a un precedente lavoro sul campo, durante il quale aveva rinvenuto i perduti rotoli di ComeSiChiamaQuestoQui:
- … e mi resi conto che c’era una nicchia nella parete.- stava dicendo - Infilata la mano trovai un gancio che, una volta tirato, aprì una botola segreta, nella quale si trovava tutta la raccolta di testi del re Ghulamnèt secondo.-
- Mh.- aveva commentato Daz - Re Gulash secondo… complimenti.-
- Ghulamnèt!- corresse stizzito l’accademico, mentre John dava forti manate alla schiena di Fall per impedire che si strozzasse con la cena, andatagli per traverso quando aveva iniziato a ridere - Ed era uno dei più autorevoli e importanti monarchi dell’epoca precoloniale delle isole del nordest. Il suo impero…-
- D’accordo, vedo che non ha colto l’ironia.- sospirò Daz, alzando il suo sguardo pigro su di lui - Io stavo scherzando. Non me ne frega niente del suo re Glucosio… o come cavolo si chiama. Speravo solo che la finisse con la sua conferenza.-
Dopo quest’ultima affermazione dello schietto medico, il dottor Gellar si chiuse in un cupo ed astioso silenzio. Nessuno commentò, e Sky prese a parlare delle condizioni atmosferiche che avrebbero potuto trovare all’arrivo con il professor Fall, ma tutti, persino Lirie, dovettero fare un po’ di fatica per non far vedere che stavano per mettersi a ridere.
 
John andò a letto con un po’ di ritardo rispetto al resto dell’equipaggio e dei passeggeri, perdendo tempo nell’osservatorio per cercare (senza successo) di tenere d’occhio anche col buio i loro misteriosi inseguitori. Passando davanti alla cabina di Daz, tuttavia, scorse uno sbuffo di fumo uscire da sotto la porta.
- Daz?- chiamò, bussando un paio di volte - Tutto a posto?-
- Sì, sì… entra, se vuoi.- rispose lui.
John aprì la porta ed entrò nella cabina. L’oblò era aperto, ma anche così la cortina fumosa non riusciva minimamente a diradarsi. Proveniva tutta dal medico che, steso in branda, fumava pigramente, leggendo uno dei suoi soliti fumetti. Pur essendo in maglietta e calzoncini da notte portava ancora il suo berretto di lana.
Annusando brevemente l’aria, John comprese che non si trattava di tabacco.
- Ehm… Daz… che cos’è quella?- chiese.
Lui aggrottò la fronte.
- Erba.- borbottò, prendendo lo spinello tra le dita - Vuoi un tiro?-
John sgranò gli occhi.
- Non ti facevo tipo da canne.- disse.
Daz si strinse nelle spalle.
- La cosa ti crea problemi?-
- Ehm… no, ma… non me l’aspettavo.-
- Ho cominciato un paio d’anni fa.- ammise lui, sistemandosi meglio contro il cuscino - Lo trovo molto rilassante. Tranquillo, non fumo mai troppo.-
- E perché avresti bisogno di rilassarti?-
Lui sospirò.
- Te l’ho detto, capo… ho avuto qualche problema.- rispose.
- E non hai voglia di spiegarmi di cosa si tratta?-
Daz trasse un altro profondo respiro e mise via il fumetto, sedendosi sul materasso.
- Immagino di doverlo fare, o ti resterà il dubbio. Esatto?-
John non rispose, ma la sua espressione parlò da sola.
- Bene, d’accordo.- disse - Allora… in pratica, si torna a parlare di quando ero un soldato. Mi hanno mandato in congedo forzato, sai? Stress post traumatico.-
John annuì lentamente, ma Daz non parve farci caso.
- Cercai di aprire un mio studio, di andare avanti e tutto, ma… beh, diciamo che non è andata.- continuò - Alla fine, venni sottoposto a un Trattamento Sanitario Obbligatorio. Venni ricoverato in una clinica psichiatrica, ci rimasi qualche anno… tre, mi sembra. Quando mi dichiararono guarito, ovviamente, non potevo più esercitare, e così andai a lavorare per il dottor Spencer. Un modo come un altro per entrare in uno studio medico.- ridacchiò.
Allungò una mano, togliendosi il berretto di lana, e John trattenne a stento un sussulto: i suoi capelli, appena un po’ lunghi, erano stoppacciosi, simili a fili di lana messi in disordine, e completamente bianchi, privi di qualsiasi colore.
- Un ricordino della degenza.- disse - Per questo vado sempre in giro a testa coperta.-
Si rimise il cappello, sospirando, e lo guardò direttamente in faccia.
- Volevo entrare nel tuo equipaggio proprio per questo.- disse - Come medico di bordo avrei potuto operare di nuovo. Ne sono in grado, te lo posso garantire.-
John incrociò le braccia, abbassando lo sguardo, e appoggiò la schiena alla porta dietro di lui.
- Ero un alcolista, sai?- disse.
Daz aggrottò la fronte.
- Ma non mi dire…- rispose - Capo, io sono un medico. Le noto, certe cose. E poi, l’armadio degli alcolici è chiuso a chiave, e tu bevi solo acqua o bibite analcoliche, durante i pasti.-
John annuì lentamente, infilando una mano in tasca e prendendo una chiave. Se la rigirò tra le mani per un momento, poi gliela lanciò.
- Tienila tu.- disse.
Daz la guardò per un momento, aggrottando la fronte.
- Sai che non la rivedrai più, finché sarò io il medico di bordo, vero?- chiese.
- È quello che spero.- rispose - Non m’importa cosa ti è successo in passato, Daz… abbiamo tutti i nostri spettri. Scommetto che anche Sky e Lee hanno avuto delle brutte esperienze. Non sei diverso da noi… e di certo, io non posso giudicarti. È merito di Carsen se ho smesso di bere, non mio. Ho sputtanato il mio matrimonio, dopotutto.-
Detto questo fece per uscire. Mentre chiudeva la porta, poté giurare di sentire Daz mormorare un “grazie”.

Capitolo finito, per oggi. Ringrazio Ely79, LullabyMilla e Kira16, per ora le sole che so stanno seguendo questa storia. Ci vediamo al prossimo capitolo!

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Capitolo 13
*** Cap. 12: Nel deserto ***


La sera del secondo giorno raggiunsero la loro destinazione, il campo base della spedizione. Atterrarono in una spianata tra le dune, non lontano dalle tende, sollevando una gran nube di sabbia nell’aria fredda della sera. Alcune persone dalla pelle scura corsero incontro all’Avionatante, capeggiate da una donna con i capelli grigi stretti in un chignon e gli occhiali appesi al collo. Era decisamente rugosa e incartapecorita, come se la pelle le si fosse seccata addosso all’improvviso.
- Professore, finalmente.- disse scocciata la donna, quando scesero dal Liberty - Se l’è presa comoda, vedo.-
Il professore sorrise mestamente.
- Salve a lei, dottoressa Jonas.- disse lui - Allora, come procedono i lavori?-
- Benissimo, ma abbiamo bisogno degli strumenti che le avevo chiesto. Li avete portati con voi, vero?- aggiunse, sollevando un sopracciglio.
- Ma certamente… John?- rispose, rivolgendosi a lui - Siete stati soprattutto tu e Lirie a prendere i bagagli… sono nella stiva, no?-
Lui annuì.
- Sky e Daz li stanno prendendo ora.- disse.
- Perfetto… ah, ma dove ho la testa…- aggiunse - John, questa è la dottoressa Miranda Jonas, è stata la responsabile degli scavi in mia vece fino ad ora. Dottoressa Jonas, lui è il Capitano John Disen, il suo equipaggio ci fornirà l’assistenza di cui abbiamo bisogno.-
- Piacere.- disse John, non del tutto certo che lo fosse: quella donna lo fissava con aria ipercritica, come se stesse guardando un possibile fidanzato per la giovane figlia.
Lei aggrottò la fronte, squadrandolo da capo a piedi, soffermandosi sui dettagli del suo aspetto che lo rendevano poco ordinato: in quei giorni non si era rasato, e aveva la camicia fuori dai pantaloni. Quando distolse lo sguardo, sbuffò un poco e borbottò qualcosa che suonò molto come un “accontentiamoci”.
Intanto, Daz e Sky stavano portando a terra il borsone con gli attrezzi, che fu prontamente raccolto dagli scavatori. Dietro di loro, Lee trascinava tre diversi zaini da sola.
- Il mio equipaggio.- disse John - Sky Arsen, il dottor Dazy Myst e il mio Primo Ufficiale, Leeran Gulley. Ragazzi, la dottoressa Miranda Jonas.-
Daz mormorò un “buonasera” piuttosto distratto, Sky sorrise conciliante e Lee si limitò a guardarla appena, mentre passava con gli zaini. La dottoressa Jonas osservò le loro reazioni in modo tutt’altro che entusiastico e poi, dopo aver gettato uno sguardo di disapprovazione al professor Fall, si affrettò a tornare alle tende.
- Non farci caso…- disse tranquillo Fall, passando un braccio sulle spalle di John e conducendolo verso le tende nella scia della donna - Non le piace nessuno, nemmeno io. Non è una cattiva persona, ma non ama molto gli altri in genere.-
John non commentò.
 
Furono sistemati tutti in tre diverse tende: Lee, con suo grande disappunto, si ritrovò con Lirie, mentre John finì assieme a Sky e Fall. Daz, stoicamente, accettò di dividere la sua con il dottor Gellar, il quale fu assai meno bravo di lui a nascondere il rammarico.
La cena venne consumata attorno ad alcuni fuochi da campo, ma solo John, dell’equipaggio, vi prese parte: Lee voleva stare da sola a bordo del Liberty, sul quale si sentiva molto più a proprio agio (sicuramente voleva evitare il più possibile Gellar e la Jonas), Daz fece conoscenza con il medico del campo e si cimentò con lui in una disquisizione accademica su cose che solo loro due parevano comprendere, e Sky trovò il modo di appartarsi da qualche parte con Lirie.
John, dal canto suo, trovava quella cena alquanto noiosa, ma pensò che come Capitano doveva presenziare, o quantomeno far finta di interessarsi. E poi, magari, sarebbe riuscito a ricavare qualche informazione utile per svolgere meglio il proprio compito.
Quando finalmente fu l’ora di andare a dormire, sapeva che in tutto c’erano più o meno una trentina di persone: la dottoressa Jonas, il medico del campo, loro quattro con relativi passeggeri e gli scavatori. I lavori, iniziati da qualche mese, erano arrivati ormai al punto massimo che potevano sperare di raggiungere senza gli strumenti che Fall aveva portato, i quali sarebbero serviti ad aprire chissà che porta sotto la sabbia e le rovine. Oltre, probabilmente, avrebbero trovato la  Chiave di Pael–Nur.
- Probabilmente?- sbottò Sky, la maglia mezza sfilata, quando sentì John dire quella parola, mentre andavano a dormire.
- Beh, ovviamente può essere stata spostata o danneggiata.- concesse Fall, poco prima di lavarsi i denti - Deve capire, signor Arsen, che l’archeologia non è una scienza esatta. Possono succedere cose imprevedibili: noi ci basiamo sui documenti scritti che riusciamo a trovare, e dobbiamo affidarci ad essi per le nostre informazioni, ma talvolta possono dimostrarsi inesatti o scarsamente dettagliati, o possono verificarsi errori di traduzione dovuti all’inesperienza di chi esegue il lavoro o al pessimo stato del documento… o anche ad errori di grammatica e ortografia commessi di chi lo ha redatto.-
- Insomma, potreste aver solo perso tempo?- chiese Sky.
- Possibile, ma ne dubito.- sorrise Fall, mettendosi lo spazzolino in bocca.
- Dai, tanto che te ne importa?- ridacchiò John - Noi verremo pagati lo stesso, dopotutto.-
L’altro sorrise a sua volta e si strinse nelle spalle.
- Sì, però sai… sarebbe una delusione, e a me piacerebbe parecchio vedere quella Chiave.-
John fece un sorriso stanco e si lasciò cadere sulla branda, abbastanza provato da potersi permettere una bella dormita prima di una nuova giornata di lavoro.
 
- Sono andata a fare un giretto, stamattina presto.- disse Lee, prendendo John alla sprovvista, mentre si rasava, entrando senza nemmeno farsi annunciare nella tenda - Ho trovato qualcosa che forse può interessarti.-
- Davvero?- chiese lui, riprendendo a passarsi il rasoio sulle guance - E sarebbe?-
- Ricordi l’Avionatante che pensavi ci stesse seguendo?-
- Che c’è, l’hai visto?-
- No, credo che il dispositivo di occultamento sia tutt’ora attivo…- rispose amaramente lei - Ma penso che sia atterrato in zona, almeno per far scendere qualcuno: ho trovato delle impronte nei dintorni del campo.-
- Qualche intruso?-
- Ho controllato, no.-
- Allora ci stanno sorvegliando.- concluse John, sciacquandosi il volto - D’accordo, dirò a Sky di tenere gli occhi aperti. Tu trova Fall e mettilo al corrente, ma ricordati la discrezione.-
- Nessun problema.- annuì Lee, uscendo.
John uscì a sua volta, poco dopo, e per un pelo non si scontrò con la dottoressa Jonas, che andava nella direzione opposta a passo sostenuto, quasi fosse un predatore alla ricerca di un pasto particolarmente succulento.
- Ah, proprio lei!- esclamò la donna - Dobbiamo parlare. Venga con me.-
Lui annuì, seguendola tra le tende del campo fino al sito dello scavo vero e proprio: era un’enorme fossa, simile a un formicaio gigante rovesciato, dove gli scavatori spalavano la sabbia con zelo. Qua e là affioravano mozziconi di colonne e obelischi spezzati, oltre che i rimasugli di diverse pareti ormai consumati, i quali disegnavano a terra i contorni di quello che, un tempo, doveva essere stato un edificio veramente grande.
Soprattutto, gli sforzi di tutti si concentravano su un punto in particolare, da cui si riusciva quasi ad intravedere la parte più alta di una porta incassata in una parete di pietra viva.
- Quello è il santuario dove si ritiene sia nascosta la chiave.- disse la dottoressa Jonas - In mattinata saremo in grado di aprire la porta. Useremo l’attrezzatura che avete portato qui, ma ci servirà l’aiuto di qualcuno che sappia maneggiare strumenti meccanici, e questo gli scavatori non sanno farlo, sono uomini del deserto, usano poca tecnologia nel loro quotidiano. Posso contare su di voi?-
- Siamo qui per fare ciò che ci viene chiesto.- rispose John - Di che attrezzature si tratta?-
- Venga, gliela mostro.- disse lei, facendogli cenno di seguirlo.
Nella tenda più vicina, sopra a un tavolo tenuto su da un paio di cavalletti, riposava un marchingegno che John, in tutta onestà, non poteva dire di aver mai visto in vita sua: aveva un’impugnatura a “T” simile a quella di un martello pneumatico, connessa ad un cilindro più largo e pieno di bottoni, spie e interruttori. In fondo, dove normalmente ci sarebbe dovuta essere una punta, tuttavia, c’era un’altra “T”, più grande ma più sottile della prima, dalle braccia più lunghe e il gambo più corto e piatto. Un cavalletto, ripiegato verso l’interno, era visibile lungo il fusto principale.
- Questo è un lontanissimo discendente del piede di porco.- spiegò la donna - I cardini della porta sono bloccati dalla sabbia e dal tempo. Li libereremo con i getti d’acqua, ma il peso la terrà comunque bloccata dov’è. Non possiamo aprire con i mezzi normali, e l’esplosivo è, naturalmente, fuori discussione, c’è il rischio di causare danni al reperto.-
- E quest’affare a cosa può servire?- chiese John.
- “Quest’affare”, come lo chiama lei, ci permetterà di forzare la porta senza particolare sforzo. Vede questo perno?- chiese, indicando la seconda “T”.
- Certo.-
- Si inserisce nella fessura tra i battenti… così.- disse, prendendolo e mettendolo in modo tale che le braccia fossero perpendicolari al terreno - Mi aiuti, per favore… è pesante…- aggiunse. John lo prese assieme a lei - E poi, bisogna spingere questo interruttore.- continuò, indicandone uno.
Lui eseguì. Il gambo della “T” si allungò leggermente in avanti e poi si girò, sistemando le braccia in posizione parallela rispetto al suolo.
- Poi bisogna metterlo a terra, piantando saldamente i cavalletti nel terreno, e spingere un altro bottone. Al resto penserà la macchina.-
- E allora io e il mio equipaggio per cosa serviamo?- chiese, mentre mettevano di nuovo al suo posto il marchingegno.
- Se c’è un difetto nel macchinario, è che si inceppa spesso.- spiegò la donna, con aria critica - Non è fragile, ma è snervante. Questo è un altro motivo per cui volevamo gente che fosse stata nell’esercito, perché avete già usato tecnologia tanto avanzata.-
- Beh, non sono poi così esperto.- ammise John - Comunque, il mio meccanico è all’altezza, glielo garantisco.-
- Vorrei ben vedere.- annuì seria lei, incrociando le braccia - Mi aspetto un lavoro eccellente, visto quanto il professor Fall sembra considerarla.-
A questo, lui preferì non rispondere, limitandosi a fare un cenno non compromettente con la testa: Fall non aveva mai saputo dei suoi trascorsi dopo l’esercito, non avevano avuto più contatti da allora, e sinceramente lui non se l’era sentita di aggiornarlo, specie dopo che gli aveva offerto un lavoro.
- Entrerà con noi?- chiese dopo la dottoressa Jonas, mentre uscivano dalla tenda - Nella rovina intendo. O manderà qualcun altro?-
- Perché uno di noi dovrebbe entrare?- chiese John.
- Potrebbe essere necessario l’aiuto di qualcuno che sappia usare i muscoli.- spiegò la donna - E, se vuole saperlo, non mi fido molto degli scavatori. Tra loro c’è chi venderebbe sua madre pur di mettere le mani su qualcosa di prezioso, e Dio solo sa quanto lo è la Chiave di Pael–Nur.-
- E si fida di quattro mercenari che non conosce?- domando, aggrottando la fronte.
- Non è ciò che ho detto.- rispose lei - Ma lei è stato uno studente di Edmund, e lui di certo ha grande stima per le sue capacità. Meglio un estraneo per cui può garantire un mio amico e collega, pagato per proteggerci e aiutarci, che un estraneo per cui non può garantire nessuno.-
John annuì ancora, e insieme tornarono al sito dello scavo, in attesa che la porta fosse liberata dalla sabbia: i lavori di disseppellimento erano già a buon punto, e più di metà dell’uscio di pietra era stato riportato alla luce.
Poco dopo furono raggiunti da Lee, Sky e il professor Fall, che lo guardò con un’aria ora decisamente seria e guardinga, molto diversa dalla sua solita espressione allegra e distratta. Lee l’aveva certamente messo al corrente della situazione.
Verso mezzogiorno, finalmente, gli scavatori finirono di lavorare, e loro poterono scendere per ultimare l’opera: aprire la porta e recuperare la Chiave di Pael–Nur.
- Lee, in quella tenda c’è un congegno simile a un martello pneumatico, vallo a prendere.- disse John - Sky, trova immediatamente Daz, ho del lavoro per voi.- aggiunse, prima di scendere con Fall e la dottoressa Jonas.

Domani entreremo nelle rovine, e scopriremo alcune cose molto curiose. Ma, soprattutto, cominceremo a conoscere qualcosa di più di quello che sarà il tema più importante all'interno della serie, anche se procederemo a piccoli passi, per il momento...
Ringrazio Ely79, LullabyMilla e Kira16, che mi stanno seguendo. A domani!

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Capitolo 14
*** Cap. 13: La Chiave di Pael-Nur ***


Due scavatori forzarono quanto meglio potevano le ante di pietra della porta, aprendo con fatica uno spiraglio a malapena sufficiente a far entrare il congegno, che Lee aveva chiamato “Apriporta a Forzatura Automatica” (in breve AFA… e qui, a John scappò quasi da ridere: usare un “AFA” nel deserto, a mezzogiorno, col sole a picco…).
Il meccanico lo piantò per bene nel terreno e lo attivò, tenendolo saldamente per l’impugnatura. La “T” si inserì nella fessura e ruotò di quarantacinque gradi, poi cominciò a tirare delicatamente ma con decisione. I cardini della porta iniziarono a cigolare, e il cavalletto strisciò leggermente nel morbido suolo sabbioso, producendo due solchi gemelli. La porta si stava aprendo, ma l’AFA rischiava di scivolare, e John lo afferrò a sua volta.
- Ce la faccio.- sbuffò Lee.
Lui la ignorò. Entrambi tennero duro, mentre diversi scavatori infilavano le dita nella fessura sempre più aperta per aiutarli, e alla fine i cardini furono abbastanza ammorbiditi da consentire alla sola forza umana di aprirla del tutto. John e Lee spostarono l’AFA e Fall sbirciò dentro la rovina quasi totalmente buia, accendendo una torcia.
- Mi sembra a posto.- sentenziò - Okay, entriamo. Vieni tu, John?-
Lui guardò Lee, che scosse la testa.
- Odio la polvere.- sbuffò, andando via.
- Sì, vengo io.- rispose lui, sospirando e prendendo una sacca di attrezzi sulle spalle.
Insieme a Fall, Gellar e alla dottoressa Jonas, entrò nell’androne buio e silenzioso; un potente odore di chiuso, di aria decomposta e riformatasi nel tempo, di polvere accumulatasi per millenni li avvolse quasi all’istante.
John si sentì quasi soffocare da quell’immensa quantità di dati olfattivi, ma riuscì a darsi un contegno prima di fare la figura del principiante e seguì Fall, mentre il dottor Gellar si metteva ad esaminare attentamente le pareti, prendendo un taccuino e cominciando a fare schizzi di ciò che vedeva: ovunque, attorno a loro, c’erano pitture e incisioni che John non era in grado di decifrare, consumate dal tempo e dalle stagioni, ma evidentemente ancora leggibili per l’accademico, che li ricopiava fedelmente fin dove poteva.
Una parete era quasi totalmente crollata, e diverse macerie si facevano largo a forza nella pietra, cancellando la maggior parte delle scritte su quel lato. A quella vista, Fall emise un lieve gemito.
- Beh, temo che dovremo accontentarci di quello che ci rimane.- sorrise poi a John.
- Edmund!- gridò la dottoressa Jonas, dal fondo della sala - Presto, venga a vedere!-
Lui e John si affrettarono a raggiungerla, stando però attenti a dove mettevano i piedi: la stanza era piena dei resti di colonne secondarie e macerie che avevano ceduto, scheggiando la pavimentazione e creando piccoli ostacoli in grado di fare inciampare molto facilmente. Se avessero fatto un passo falso là dentro avrebbero potuto rompersi qualcosa.
La donna era inginocchiata a terra, vicino alla parete di fondo, davanti a una struttura ad arco che affiorava dal muro, interrompendo l’altrimenti continua serie di segni che erano stati tracciati su tutta la sua superficie. All’interno c’era un pannello di pietra scura, su cui erano state praticate incisioni il cui stile pareva essere completamente diverso da quello dei geroglifici lì attorno.
- Mmmh… curioso.- commentò Fall, guardando prima la parete e poi di nuovo la pietra scura.
- Cosa?- chiese.
- Vedi questi simboli?- disse lui, indicando la parete - Sono di origine Egizia. Ma quelli sulla tavola mi ricordano molto il sumero e, se guardi sulla parete che sta esaminando il dottor Gellar…- e indicò il collega - … troverai dei segni tipici della cultura maya. E scommetto che quelli della parete crollata appartengono ad un’altra popolazione ancora.-
- Credevo che egiziani e maya non si fossero mai incontrati.- osservò John, memore dei suoi studi di archeologia e, soprattutto, delle cose imparate fin dalle elementari.
- Anche io.- ammise Fall.
- E tutta la comunità archeologica.- fece eco la dottoressa Jonas - Vi rendete conto di quanto sia importante questa scoperta?-
Fall annuì, sorridendo come un bambino che ha appena ricevuto un nuovo giocattolo.
- Credo che dovremo aspettarci un bel po’ di pubblicazioni, Miranda, mia cara.-
Lei non rispose e cominciò ad esaminare le iscrizioni sulla tavola di pietra.
- Sa cosa dicono?- chiese John, posando la borsa.
- Sì.- rispose lei - Anche se il mio sumero è un po’ arrugginito… ad ogni modo, c’è una maledizione sulla chiave.-
- È qui dietro? Così vicina all'uscita?-
- Se non l’hanno spostata…- annuì la donna - Consideri che questa stanza è stata creata in una grotta naturale riadattata per le esigenze del luogo, e che prima, qui fuori, sorgeva un imponente edificio con molte stanze. Ma ora basta cincischiare! Si dia da fare, piuttosto!- sbottò un attimo dopo.
- Okay, si calmi…- disse John, prendendo un piede di porco dalla borsa - Piuttosto, non è che per caso le andrebbe di dirmi a cosa vado incontro?-
- Ah, sì, la maledizione.- annuì Fall, mentre lui e la Jonas si spostavano per fargli spazio - Cosa diceva?-
Lei si strinse nelle spalle e John infilò lo strumento nella fessura tra la pietra e la parete.
- Non so bene cosa significhi.- rispose - Più o meno, era qualcosa come: “chi la chiave della regina profanerà/il Dio di Pietra ridesterà”.-
- E… questo… che vuol… dire?- chiese faticosamente John, cercando di smuovere il lastrone di pietra, che era ben conficcato nel muro.
- Non lo so, come ho detto.- disse la dottoressa Jonas.
John, finalmente, riuscì a forzare la pietra, che si staccò dal muro con un piccolo scatto. Lui e Fall la afferrarono al volo per evitare che cadesse, ma mentre quella si spostava udirono un rumore in soffocato in lontananza, come se fosse dietro la parete davanti a loro. Rimasero un momento in ascolto, guardandosi attorno, mentre tutta una serie di scatti risuonavano di seguito, e persino Gellar alzò lo sguardo dal suo lavoro, incuriosito. Poi, di botto, si fermarono.
- Cos’era?- chiese John.
Fall scosse la testa.
- Non so, ma non sta succedendo niente.- rispose - Forza, vediamo questa chiave.-
John si voltò verso la nicchia del muro, dentro la quale riposava un cofanetto in legno intarsiato, di forma rettangolare e piuttosto appiattita. Incredibilmente, gli parve essere perfettamente conservato, come se fosse stato deposto lì poco tempo prima.
- Come fa ad essere ancora intero?- chiese stupito.
- La sabbia lo ha protetto.- rispose critica la dottoressa Jonas - Ha sigillato completamente questo posto. Lo saprebbe se non avesse abbandonato Archeologia.-
- Che vuole, mi piaceva di più sparare alla gente…- rispose con leggerezza John, mentre Fall tendeva le mani verso il cofanetto e lo prendeva delicatamente.
Mentre lo sistemava a terra, il dottor Gellar si avvicinò a loro, scorrendo rapidamente i suoi appunti.
- Ho raccolto dati interessanti.- annunciò - E voi?-
- Abbiamo trovato questo.- disse Fall, guardando con reverenza il cofanetto - Stia a vedere collega… qui dentro c’è la Chiave, ne sono sicurissimo.-
Lentamente, aprì lo scrigno, sollevandone il coperchio con attenzione, come se avesse paura che potesse esplodere da un momento all’altro. Anche John, incuriosito, si inginocchiò accanto a lui per guardare.
All’interno, sistemata su un vecchio giaciglio di stoffa consumata e scolorita, c’era una chiave di pietra. Era grande un po’ più della sua mano, e spessa un paio di centimetri. In fondo c’era una sorta di anello squadrato dagli angoli smussati, che probabilmente serviva da impugnatura, mentre sulla cima aveva sei denti per lato, sagomati in modo differente. Varie scanalature percorrevano tutta la superficie dell’oggetto, ma John non seppe dire se si trattasse di semplici decorazioni o di qualcosa con una sua utilità pratica.
- Quindi è questa?- chiese - La Chiave di Pael–Nur?-
- Sì, è questa!- annuì estasiato Fall - Ce l’abbiamo fatta!-
- Dieci anni di lavoro…- disse la dottoressa Jonas.
John si guardò attorno, aggrottando la fronte: i tre accademici che erano con lui non staccavano gli occhi dalla chiave, e sembravano incapaci di dire una sola parola. Lui sorrise tra sé: in effetti, era facile capirlo, visto quanto tempo aveva speso ognuno di essi a cercare quel particolare manufatto.
Comunque, non gli andava di rimanere ancora a lungo in quella rovina che puzzava di chiuso e di polvere, con la sola compagnia delle pietre.
Allungò la mano e chiuse con un colpo secco lo scrigno, e tutti sembrarono ridestarsi da un qualche incantesimo.
- Forza, usciamo.- disse John, alzandosi - Credo che anche gli altri vorranno vedere questa Chiave.-
Fall raccolse il cofanetto e si avviarono tutti insieme verso la porta oltre la quale li aspettavano i loro compagni. Quando furono quasi all’altezza della parete crollata, comunque, sentirono un leggero tremore nel pavimento, tanto che alcuni sassolini caddero dalla pila di detriti. Si fermarono immediatamente, sorpresi, e fissarono la frana con apprensione.
- Cos’è?- chiese John.
- Io… non lo so.- ammise Fall, stringendo convulsamente lo scrigno della chiave contro il petto.
Il tremore si intensificò, mentre un rumore sordo si faceva sentire: era cadenzato e regolare, e somigliava molto ai passi di qualcosa di enorme.
- Andiamo!- esclamò John, spingendo Gellar e la dottoressa Jonas verso l’uscita.
Avevano mosso appena due passi, però, quando le macerie della parete crollata vennero spinte furiosamente via, colpite da una poderosa spallata.
John cadde a terra, e quasi venne colpito da un detrito che stava per arrivargli in testa. Si rialzò a sedere prontamente, e vide con suo enorme stupore una creatura in pietra ergersi di fronte a loro.
 
Ma che cazzo… sono di nuovo ubriaco? Fu la prima cosa che pensò.
Era alto almeno un paio di metri, ed aveva un aspetto molto simile a quello umano. Ciononostante, era quasi del tutto privo di lineamenti: la sua testa era una sorta di liscissimo uovo di pietra, senza occhi o orecchie, con appena un accenno del labbro superiore e un naso privo di narici.
Il suo corpo, nudo e liscio, presentava alcuni tratti muscolari che lo facevano somigliare a un uomo piuttosto grosso, uno di quelli che John, tanto spesso, aveva visto durante la guerra: persone che, pur di aumentare la propria massa muscolare e la loro forza fisica, ricorrevano a droghe e sostanze particolarmente pericolose, le cui crisi di astinenza si manifestavano con scoppi di violenza e irritabilità. Era sempre una brutta esperienza, trovarsi da soli con uno di quei tipi, specie se erano arrabbiati e tu non gli andavi a genio.
In quelle occasioni, poteva contare sul fatto che si trattava solo di persone stordite dalla mancanza delle droghe e a malapena capaci di reggersi sulle gambe. Ora si trovava di fronte a qualcosa che non sapeva spiegarsi, perfettamente sano e che, soprattutto, era fatto di pietra.

Finalmente, un po' d'azione. Domani John dovrà darsi un po' da fare.
Ringrazio Ely79, LullabyMilla e Kira16, che mi stanno seguendo... e anche, da oggi, Ciccibu, che ha appena inserito la storia tra le seguite. A domani!

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Capitolo 15
*** Cap. 14: Il Golem ***


Qualunque cosa fosse, quel colosso di pietra era furioso, e soprattutto era vivo.
Con un’agilità sorprendente per la sua stazza, il gigante colpì violentemente una colonna solitaria lì accanto con un braccio, spezzandola di netto e facendola crollare contro la parete più vicina. Subito dopo alzò il pugno roccioso e lo abbatté contro di loro.
John si rialzò rapidamente e spinse via Fall che, bloccato per la sorpresa e la paura, si trovava precisamente sulla traiettoria del mastodonte; quello lo mancò veramente per un soffio, mentre loro due rotolavano via. Qualcuno lanciò un grido terrorizzato e, a giudicare dalla voce, sembrava essere Gellar.
- Cerchi di mettersi al riparo!- esclamò John, rimettendo Fall in piedi - Io penso a lui!-
Il professore annuì meccanicamente, e con uno spintone John lo spedì verso la dottoressa Jonas, lì vicino. Era anche lei paralizzata dalla vista del gigante, e non sembrava volersi muovere.
- Andate!- esclamò John, chiedendosi nel contempo come avrebbe fatto a risolvere la situazione.
Si voltò verso l’avversario, che si era sistemato proprio nel mezzo della strada che avrebbero dovuto percorrere per uscire di lì. Dall’esterno non giungeva alcun suono.
Ma che cosa diavolo stanno facendo? Pensò. Stiamo facendo un baccano tremendo! Dove sono finiti tutti?
Purtroppo non aveva il tempo di uscire e scoprirlo: se davvero non avevano intenzione di raggiungerli per aiutare, doveva trovare da solo il modo di tirarsi fuori da quel pasticcio.
Il mostro di roccia, intanto, si chinò per raccogliere un frammento particolarmente grande della parete e lo scagliò contro di lui; John si gettò subito di lato, evitando di poco che quel pietrone gli schiacciasse una gamba, e si portò dietro a una colonna caduta, appena in tempo per evitare una terza pietra. Subito dopo sentì i pesanti passi della creatura che si allontanavano e, sbirciando, vide che sembrava aver perso interesse per lui. Ora era più attratto dal professor Fall che, in fondo alla sala, continuava a stringersi al petto la Chiave fissando terrorizzato il gigante.
Beh, è ovvio che ce l’abbia con lui. Pensò. In fondo, cos’altro potrebbe proteggere un mostro di pietra?
Prese dalla cintura la pistola, l’unica arma che aveva preso dal Liberty prima di scendere, e si diede dell’idiota per non aver pensato a portarne altre. Ma, dopotutto, come avrebbe potuto immaginare una cosa del genere? Insomma, doveva solo entrare in una vecchia rovina sigillata da secoli, cosa avrebbe dovuto esserci di pericoloso?
Un Golem, ecco cosa!
- Ehi, Testa di Pietra!- gridò, puntando l’arma - Tu e io non abbiamo ancora finito!-
Aprì il fuoco, colpendo la schiena e la nuca del mostro, riuscendo a far saltare via piccole schegge di pietra dalla sua pelle coriacea. Quantomeno fu sufficiente a distrarlo, e infatti si voltò nuovamente verso di lui, girando il volto privo di faccia con un gemito pietroso. Se avesse potuto, John era sicuro che avrebbe aggrottato la fronte come per dire “Beh?”.
- Ehm…- mormorò incerto, abbassando la pistola - Come non detto.-
Il mostro afferrò un moncone di colonna con entrambe le braccia e lo appoggiò sulla spalla, cominciando a correre verso di lui.
 
John si buttò ancora una volta a terra, schivando una mazzata del suo avversario, che tuttavia andò a schiantarsi contro una parete, scheggiandone la superfice e distruggendo almeno la metà delle iscrizioni riportate là sopra.
- Oh, no!- gemette Fall, fissando atterrito il danno.
- Ah, grazie tante, prof!- sbottò John, scocciato.
Il Golem si erse di fronte a lui, brandendo la clava improvvisata tra le mani di pietra. John, ancora seduto a terra come un idiota, si guardò freneticamente intorno per cercare qualcosa da usare contro di lui.
Pensa… non può essere poi così invincibile, no?
Purtroppo, i suoi occhi continuavano a finire sulla colonna con cui intendeva schiacciarlo, sulle sue dita serrate e le braccia alte…
E questo gli suggerì un’idea.
Il Golem abbatté al suolo la colonna, e John la schivò rotolando di lato. Lo schianto fu troppo per lei, stavolta, e finì con lo sbriciolarsi all’impatto. Nel frattempo John tornò in piedi e riprese la pistola, mirando stavolta contro un punto preciso del corpo del mostro: un ginocchio.
Non poteva essere una massa compatta e massiccia di pietra: qualunque cosa fosse, quella ceratura doveva essere cava, all’interno, o quantomeno doveva avere dei punti vuoti. In caso contrario, non avrebbe mai potuto avere delle giunture capaci di piegarsi. E quando era soldato aveva imparato che, in qualsiasi caso, una giuntura era un ottimo punto di attacco.
Prima che il nemico potesse scansarsi, John fece fuoco tre volte. Uno dei colpi non andò a segno, ma gli altri lo presero proprio al ginocchio, che si scheggiò. Non abbastanza per inabilitarlo, ma un piccolo frammento saltò via rivelando che, come aveva immaginato, il suo corpo non era in pietra massiccia, ma solo un guscio con dentro meccanismi che lo facevano muovere: vedeva chiaramente quelle che sembravano piccole ruote dentate e sottili tubicini di legno flessibile. Poteva farcela.
Deciso a non dargli tregua, John gli corse incontro e sgusciò sotto le sue gambe, facendo una capriola. Il Golem si voltò per seguirlo, e lui balzò subito dalla parte opposta, costringendolo più e più volte a rincorrerlo per poi cambiare di colpo direzione. Si assicurò di fargli sforzare il più possibile la giuntura intaccata, che cominciò lentamente a crepare ogni volta che il suo roccioso proprietario faceva una simile manovra. Tanto per accertarsi di fare quanti più danni possibili, John usò ancora la pistola, sparando qualche altro colpo. Sfortunatamente non era mai stato un gran tiratore, e dei quattro proiettili che gli rimanevano nel caricatore solo due andarono a segno, ma almeno la scalfittura si aggravò un poco.
Purtroppo, a quel punto la sua fortuna parve esaurirsi: a differenza del Golem, lui era soggetto alla fatica e, rallentato da tutto quel continuo muoversi a destra e a sinistra, esitò un momento di troppo prima di spostarsi, finendo col farsi finalmente colpire dal braccio del mostro, che lo sollevò da terra e lo spedì gambe all’aria.
L’urto col pavimento di pietra gli mozzò il fiato, lasciandolo lievemente stordito e boccheggiante, mentre il colosso si avvicinava a lui, sollevando un pietrone da terra sopra di sé.
Oh, grandioso… Pensò John.
- Ehi!- gridò Fall, mentre un sasso colpiva la testa del mostro.
Altre piccole macerie vennero lanciate contro di lui, che si voltò appena per guardare: Fall, la dottoressa Jonas e, in misura minore, il dottor Gellar (che piuttosto sembrava cercare di nascondersi dietro i colleghi) avevano iniziato a bersagliare il gigante con quel poco che avevano intorno, nel tentativo di distrarlo.
Grato di quell’attimo di tregua, John si rialzò in fretta e corse verso una colonna lì vicino: era inclinata contro la parete, incastrata in una sporgenza appena sotto il soffitto.
E raggiungimi qui, adesso! Pensò, salendo il più in fretta possibile.
Il Golem, nel frattempo, aveva ripreso a concentrarsi su di lui e, posato il macigno,  tornò ad avvicinarsi. Dopo un attimo di incertezza, decise di tentare a sua volta l’impresa, cominciando a salire su per il pilastro.
John, rannicchiato sulla sporgenza, si ritrovò senza via di fuga, ma comprese di essere comunque in una posizione di vantaggio. Prese l’unico caricatore di riserva in suo possesso e lo mise nella pistola, prendendo la mira. Sparò qualche altro colpo contro il ginocchio del Golem, arrivando a peggiorarne le condizioni, mentre la colonna scricchiolava e tremava sotto il peso del gigante. Purtroppo, quello fece in tempo ad avvicinarsi a lui, e già stava tendendo il braccio nel tentativo di afferrarlo.
- John, salta!- gridò Fall.
Certo… non vedo l’ora…
D’altra parte, una caduta di quasi quattro metri sarebbe stata decisamente preferibile a un incontro troppo ravvicinato con il Golem.
Prendendo un bel respiro, strinse i denti e scivolò giù dal cornicione, un istante prima che le grosse dita del nemico lo agguantassero, atterrando sul pavimento coperto di pietre. Piegò le ginocchia per assorbire l’urto e rotolò a terra, ma gli si mozzò ugualmente il fiato; comunque, questo fu niente rispetto a quanto accadde al Golem: proprio un attimo dopo che lui si era lanciato (Tempismo perfetto, eh?) la colonna cedette del tutto, spezzandosi praticamente in due sotto il peso del gigantesco mostro di pietra.
La creatura cadde rovinosamente giù, puntando le gambe nel tentativo di atterrare in piedi come aveva fatto lui, ma non provò nemmeno ad assorbire l’impatto. L’urto gli spezzò definitivamente il ginocchio già indebolito, staccandogli di netto il polpaccio di pietra, mentre un viscoso liquido scuro cominciò a zampillare all’esterno. L’unica gamba rimastagli non riuscì a tenerlo in piedi e, com’era ovvio, il gigante crollò come una pera cotta, facendo tremare il pavimento.
 
Dolorante e sfiatato, John si rialzò massaggiandosi le costole, certo di essersene incrinate almeno un paio, con quel salto. Fall gli corse subito accanto, strepitando gioioso, e gli diede una bella manata sulla schiena, minacciando di spaccargli definitivamente le ossa.
- Ben fatto!- gridò, scuotendolo per la spalla e causandogli altro dolore - Ottimo! Sei stato… cosa c’è?- chiese, vedendo la sua espressione dolorante.
- Lasciamo perdere…- gemette lui, raccogliendo la pistola - Voi state bene?-
Fall annuì, mentre la dottoressa Jonas e il dottor Gellar si avvicinavano di corsa. Entrambi sembravano illesi.
- È stato grande, capitano Disen.- disse la dottoressa Jonas - Grazie davvero.- e gettò uno sguardo di fuoco a Gellar, impalato al suo fianco.
- Ehm… sì.- disse lui - Bravino.-
John fece un sorrisetto.
- Beh, sempre meglio di niente…- osservò Fall, stringendosi nelle spalle.
Lui sospirò e guardò il colosso di pietra steso a terra, che ancora cercava di trascinarsi verso di loro, ma con movimenti sempre più fiacchi e lenti. Dalla gamba rotta continuava a uscire liquido, e più quello si riversava sul pavimento più il Golem sembrava indebolirsi. Forse funzionava a con la pressione di un qualche liquido interno, il che avrebbe spiegato le pessime condizioni in cui versava oltre che il… “sanguinamento”.
- Qualcuno sa dirmi cosa accidenti è questo coso?- sbottò, indicandolo.
- Forse il Dio di Pietra.- rispose la dottoressa Jonas - Anche se non so dirle come sia stato realizzato.-
John annuì e prese un grosso pietrone da terra con entrambe le braccia; era tanto pesante che fece fatica a sollevarlo, ma lo portò barcollando fino al mostro e lo sollevò sopra di sé, per poi scagliarlo con forza sulla zucca grigia dell’avversario. Qualche crepa si aprì nella superficie rocciosa, facendo uscire qualche stilla di liquido. John risollevò ancora il detrito e lo abbatté una seconda volta sul capo del mostro, per poi ripetere tutto ancora, fino a quando la testa di pietra non si spaccò definitivamente. Un grande foro irregolare si aprì nel cranio della creatura, facendo schizzare via altro liquame. Il corpo si fermò, accasciandosi definitivamente, e lui trasse un sospiro di sollievo.
- Bene.- commentò - Okay, direi che possiamo togliere il disturbo, statue animate permettendo.-
Fall gli diede un’altra pacca sulla schiena, stavolta meno vigorosa, e gli sorrise.
- Grazie.- disse di nuovo - Ci hai salvato la vita.-
- E mi sono quasi spaccato le ossa…- sospirò, asciugandosi il sudore con un braccio - Ma tutte le spedizioni archeologiche sono così movimentate?-
- No, di solito sono mortalmente noiose.- rispose la dottoressa Jonas - Almeno, per persone come lei.- aggiunse.
 
Quando finalmente uscirono dalla rovina trovarono Lirie ad attenderli, tesa e visibilmente nervosa. Camminava avanti e indietro come un leone in gabbia, e sudava vistosamente (anche se, tutto sommato, questo poteva essere più imputabile al caldo che alla situazione).
- Professore! Capitano!- esclamò, vedendoli arrivare e correndogli incontro - Cos’è successo? Abbiamo sentito dei rumori, e degli spari, ma non osavo entrare… gli scavatori erano terrorizzati, continuavano a parlare di “spiriti maligni”… e i suoi compagni non si trovano…-
- Loro sono a fare quello che devono.- disse John - Quanto a noi, siamo interi.-
- E abbiamo la chiave!- esultò Fall, sollevando lo scrigno sopra la testa, esultante.
Lirie sorrise contenta, tendendo le mani.
- Fantastico. La dia a me, ci penso io a metterla al sicuro.-
- No, non preoccuparti, Lirie…- disse lui, gongolante - Tanti anni di lavoro… ora non la mollo più!-
E si diresse a passo spedito verso il viottolo che lo avrebbe condotto fuori dalla fossa degli scavi, cullando lo scrigno come se fosse un neonato. John rise piano tra sé per non farsi vedere e fece per seguirlo, ma al suo orecchio giunse un rumore fin troppo chiaro e familiare, che conosceva sin dal giorno in cui si era arruolato: il rumore di una sicura tolta, e talmente vicina al suo orecchio da fargli venire un piccolo brivido gelato alla schiena.
No… Pensò tra sé. Ho appena steso un colosso di pietra per quella maledetta chiave polverosa, non dirmi che devo farmi puntare anche un’arma alla testa…
Ma, quando si voltò e vide la canna del lungo fucile d’assalto in dotazione all’esercito della Lega, non poté non desiderare, una volta tanto, di avere torto.

Sfortunatamente i guai sono appena all'inizio, e quelli passati oggi sono solo i primi di una lunga serie.
Ringrazio Ely79, LullabyMilla, Kira16 e Ciccibu, che mi stanno seguendo e/o recensendo. A domani!

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Capitolo 16
*** Cap. 15: Predatori di tesori ***


Lirie avanzò verso il professore, togliendosi gli occhiali e gettandoli a terra, mentre gli altri scavatori facevano comparire le armi da sotto i lunghi indumenti e le puntavano verso di loro. Fall sgranò gli occhi e guardò la sua assistente, che sorrise conciliante e allungò le mani.
- Non me lo faccia ripetere, professor Fall.- disse gentilmente - I miei amici non vogliono spararle così presto. Mi serve ancora la sua preziosa collaborazione.-
Meccanicamente, così parve, Fall passò il cofanetto alla ragazza, fissandola con occhi tanto spalancati e un volto così pallido che sembrava stesse per avere un collasso.
- Che sta succedendo?- chiese John, guardando negli occhi l’uomo che lo teneva sotto tiro - Cos’è questa storia?-
Lei scoppiò brevemente a ridere, aprendo lo scrigno per controllare la chiave.
- Diciamo che ci sono molti interessi in gioco.- rispose lei - E voi non avete la minima idea di cosa sia quest’oggetto, ve lo garantisco.- e scosse leggermente la cassetta di legno, guardandolo con aria innocente e felice a un tempo - Ora, Capitano, se gentilmente vuole seguire i miei uomini… oh, a proposito, vuol dirci lei dove sono i suoi o devo farli cercare?-
John fece un sorrisetto tirato.
- Perché rovinarti la sorpresa?- chiese - Vediamo quanto sei brava a nascondino.- disse, oltrepassandola per seguire Fall, Gellar e la dottoressa Jonas, che venivano condotti fuori dal gigantesco buco.
 
Vennero legati nella tenda che John aveva occupato con Sky e il professore; insieme a loro furono condotti lì anche il dottore del campo, che a quanto sembrava non era sul libro paga di Lirie, e un altro paio di scavatori estranei a quella faccenda. Per tenerli fermi usarono delle fascette di plastica, di quelle usate dai militari per immobilizzare i nemici disarmati. Erano spesse e robuste, e difficilmente avrebbero potuto forzarle.
Armi militari, fascette di plastica… questi non sono principianti. Pensò John, mentre un uomo si accertava che le sue man fossero davvero immobili. Chi è questa gente? Non sono semplici ladri.
- Dannazione…- grugnì Fall quando furono da soli, cercando invano di allentare i legacci - Dieci anni di lavoro e ricerche… tutto l’ultimo anno di traduzioni, permessi per gli scavi, litigi con il rettore, suppliche al Ministero… e mi vedo sfilare di mano la chiave subito dopo averla trovata!-
- Si rilassi, prof.- disse John, appoggiando la testa alla sponda della brandina alle sue spalle - Tanto non se ne dovrà separare troppo presto, l’ha sentita: Lirie ha ancora bisogno di lei, qualsiasi cosa significhi.-
- Significa che deve condurla a quelle tombe che ancora possono essere aperte dalla chiave e basta, probabilmente.- disse il dottor Gellar con stizza - E lei perché sembra così calmo?-
- Perché non ci hanno ancora presi tutti.- rispose John - Avete visto cosa so fare io, in quella grotta. Ora vedrete cosa sa fare il mio equipaggio.-
Gellar fece una smorfia e non disse niente, ma la dottoressa Jonas aggrottò la fronte.
- Nutre molta fiducia in loro.- osservò.
- Ma certo.- rispose lui - Ci tireranno fuori.- disse, fiducioso.
O almeno lo spero. Pensò.
Il difetto di un equipaggio che si conosce da pochi giorni è questo: non si sa bene cosa aspettarsi.
 
Poco tempo dopo Lirie tornò da loro, assieme a un uomo tarchiato, dalla pelle scura e folti capelli neri, con un fucile d’assalto tra le braccia. John lo guardò bene e, anche se non poteva esserne troppo sicuro, stabilì che si trattava di un modello AZ29, successivo agli AZ28 che aveva usato lui in guerra. E già quelli erano cattivi.
Dietro di loro c’erano altri due uomini, che però rimasero vicini all’entrata, senza entrare. Uno indossava un grosso cappello dalla tesa larga, leggermente calato sugli occhi, e aveva una grossa voglia di cioccolato sul mento. L’altro portava due enormi occhiali da sole e un berretto grigio. Anche loro erano armati.
Lirie, dal canto suo, si era cambiata d’abito, e adesso indossava una sorta di divisa nera a maniche corte. Anche il sui atteggiamento sembrava diverso: a guardarla aveva un’aria molto più sicura di sé, stava ben dritta in piedi, con le spalle alzate, e mostrava un contegno maggiore rispetto a prima. In qualche modo pareva anche un po’ più vecchia. La ragazzina impacciata e timida che aveva conosciuto era sparita.
- Che cambiamento.- commentò John - Ma ti preferivo prima. Quando non ci puntavi contro un’arma.-
La donna gli scoccò un’occhiata divertita, ma si rivolse a Fall.
- Professore, vorrei che mi seguisse.- disse - Abbiamo alcuni documenti relativi alla Chiave, con noi, e temo che non possano attendere. Mi serve una traduzione immediata.-
- Beh, puoi scordartela.- sbuffò Fall - Falla fare a qualcun altro.-
Lei scosse la testa e, dalla fondina che portava al fianco, trasse una pistola. La puntò rapidamente sul medico del campo e sparò. Lui cadde senza un lamento, mentre Gellar e la dottoressa Jonas, che erano più vicini, lanciavano un grido. Fall trasalì e John, invece, si accigliò.
- Ora, professore…- disse lentamente Lirie, senza cambiare espressione e puntando l’arma verso il dottor Gellar, che la fissò con orrore - … vorrebbe essere così gentile da seguirmi?-
Lui annuì lentamente e, quando lei ebbe tagliato i legacci che aveva alle caviglie e ai polsi, si tirò su e la seguì verso l’esterno, assieme al taciturno uomo tarchiato.
- Portate via quel cadavere.- disse con indifferenza Lirie ai due vicini all’uscita, prima di andarsene.
Quelli si avvicinarono al medico e si chinarono a osservarlo senza dire una parola, e quello con la voglia sul mento si chinò a tastargli il collo, come se stesse valutando se era morto davvero.
- Che c’è, non avete mai visto un cadavere?- chiese acidamente la dottoressa Jonas.
L’uomo si rialzò e scosse la testa.
- Non è questo. È che di solito non li lascio morire.-
Si tolse il cappello, mostrando il volto e la bandana che gli copriva i capelli: era Daz.
- Bene arrivato.- disse cupo John.
- Scusa per il ritardo, Capitano.- disse piano Sky, levandosi gli occhiali e il berretto - Abbiamo dovuto trovare due che avessero la nostra corporatura, sai…-
- E poi io ho dovuto dipingermi questa.- aggiunse Daz, indicando la voglia. Guardò un’ultima volta il cadavere, sospirando - Dannazione… mi era anche simpatico…-
- Lasci stare, pensi a come farci uscire di qui!- sbottò Gellar, sull’orlo dell’isteria.
- Abbassi la voce!- gli ordinò secco John - Ragazzi, ho un’idea, ma dobbiamo sbrigarci.-
Daz annuì.
- Qual è il piano?-
Lui accennò al cadavere.
- Pulitelo meglio che potete.- rispose - Fate in fretta.-
 
Dentro alla coperta in cui era avvolto si respirava a fatica, ma c’era comunque un piccolo foro sopra la sua testa che gli permetteva di non morire soffocato. Daz e Sky lo portarono fuori dalla tenda, cercando di non sballottarlo troppo, ma per lui fu una vera impresa riuscire a rimanere immobile e, soprattutto, inerte. Fortunatamente poté rilassarsi dopo pochi minuti, perché i suoi due compagni lo deposero a terra presto, poco lontano dal campo, oltre a una duna che li nascose alla vista. Si liberò rapidamente della coperta, traendo grandi boccate d’aria fresca (si fa per dire), sudato fradicio e indolenzito.
- Cavolo, capo.- ridacchiò Sky - Puzzi davvero come un cadavere.-
- La prossima volta stacci tu, avvolto in una coperta con quaranta gradi all’esterno!- protestò lui, alzandosi in piedi - Comunque, dov’è Lee?-
- Ha detto che andava a rompere qualche osso…- rispose Sky, stringendosi nelle spalle - Ma non penso che stia attirando troppo l’attenzione. Credo che stia cercando di distrarre le guardie.-
- Ottimo, un diversivo è quello che ci vuole.- annuì John - Okay, che armi abbiamo?-
- Quelle che vedi e le nostre pistole.- rispose Daz, brandendo l’AZ 29 - Non un granché. Il resto è tutto a bordo.-
- Io ho un paio di granate.- corresse Sky - Me le sono procurate dal Liberty, prima che lo piantonassero.-
- Già, il Liberty…- disse piano John.
- Tranquillo, è al sicuro.- disse lui - Dopo che ho preso le granate ho chiuso bene, non possono aprire senza i codici. Ci sono solo due guardie.-
- D’accordo, ma dobbiamo muoverci lo stesso. Quel cadavere non mi impersonerà molto a lungo.-
Avevano sistemato il corpo del povero dottore in modo tale che ingannasse chiunque gli avesse gettato un’occhiata distratta, ma se qualcuno fosse entrato di nuovo a controllare si sarebbero accorti subito del trucco. Gli altri (la dottoressa Jonas, lo scalpitante e isterico dottor Gellar e gli scavatori) erano rimasti lì, in attesa del loro ritorno.
- Cosa proponi?- chiese Sky.
- Spiegatemi qual è la situazione.- disse subito lui.
- Presto detto: quasi tutti gli scavatori erano in realtà uomini ingaggiati per prenderci tutti in ostaggio.- rispose Daz, stringendosi nelle spalle - Il piano, a quanto ho capito, prevede di ammazzarci tutti tranne Fall, non appena lui avrà decifrato non so quali carte che Lirie si è portata dietro da una cosa che ha chiamato “Dark Phoenix”.-
- Io credo che sia l’Avionatante che ci seguiva.- si intromise Sky.
- Concordo.- annuì John - Potrebbe essere lei il capitano?-
- No, ha chiamato qualcuno via radio.- rispose Daz - Solo allora le hanno detto cosa fare di noi.-
- Okay. Sentinelle?-
- Quattro, che pattugliano regolarmente le varie parti del campo.- disse Sky - Ma una era quella che impersonavo io, e penso che Lee sia già al lavoro con un’altra, perlomeno.-
- Bene, allora troviamo Lee e mettiamo in pratica qualche tattica da guerriglia.-
 
John si mosse silenziosamente tra le tende, approfittando del buco nella sicurezza creato da Sky e Lee, la quale si era fatta trovare seduta sopra ad una sentinella, legata come un salame e stordita, a circa cinquanta metri da loro. Dopo essersi riuniti, i quattro si erano sparpagliati per il campo, tutti con obbiettivi diversi: Daz avrebbe liberato i prigionieri, mentre Sky si sarebbe occupato di creare un diversivo con le sue granate. Lee avrebbe approfittato della confusione creata per togliere di mezzo un paio degli uomini di Lirie e John, nel frattempo, avrebbe recuperato la Chiave e, soprattutto, Fall.
Mentre sgattaiolava tra le tende, una coppia di guardie cominciò ad avvicinarsi parlando a bassa voce, avanzando inconsapevolmente verso di lui. Uno di loro era lo stesso uomo tarchiato con cui aveva visto Lirie poco prima, e da come l’altro si rivolgeva a lui comprese che fosse piuttosto alto nella catena di comando.
Scivolò in fretta sotto la tenda che gli faceva da copertura, mentre quelli continuavano ad avvicinarsi discutendo su qualcosa che non comprese. Sfortunatamente si fermarono proprio davanti all’ingresso del suo nascondiglio e, a giudicare dalle loro ombre, sembrava che stessero per entrare.
John strinse il calcio della pistola che gli aveva dato Sky, sperando di non doverla usare, rannicchiandosi proprio di fronte all’entrata e puntando l’arma, pronto a fare fuoco: non poteva sparare senza farsi sentire, ma non poteva nemmeno lasciare che gli sparassero loro…
Un’esplosione riecheggiò dall’altro lato del campo, e i due si ritrassero di scatto, stupiti. Si guardarono un momento e poi corsero via, affrettandosi verso il luogo del trambusto.
Tirando un sospiro di sollievo, John uscì di corsa dal nascondiglio, stando chino per non dare nell’occhio e dirigendosi verso la tenda di Lirie, sperando di poter trovare lì il professore. Intorno a lui, un gran viavai di persone scorreva rapidamente verso l’incendio che era scoppiato poco lontano, dove altri piccoli e grandi botti risuonavano ancora: probabilmente, Sky non si era limitato a far saltare una o due granate.
Entrò in silenzio nella tenda di Lirie, scoprendo con piacere di aver visto giusto, sperando di trovarla lì dentro. Lei gli dava le spalle mentre il professor Fall, chino su di un tavolo, era rivolto direttamente verso di lui, ma non lo notò, tropo preso dal suo lavoro.
- Non dovresti andare a controllare cosa succede?- chiese il professore, amaro, accennando al rumore all’esterno.
- No.- rispose lei - Ci sono anche troppe persone ad occuparsene.-
- E se fosse l’equipaggio di John?-
- Oh, sono solo tre, noi siamo quasi venti.- disse con leggerezza Lirie - Abbiamo molti uomini e molte armi. Loro cos’hanno?-
- Una pistola puntata contro il tuo cranio.- disse John, accostandola alla nuca della donna.
Lei s’irrigidì, mentre Fall si alzava di scatto, sciogliendosi rapidamente in un sorriso.

La situazione, sappiatelo, è ancora lontana dall'essere risolta. Ce ne vorrà, prima.
Ringrazio Ely79, LullabyMilla, Kira16 e Ciccibu, che mi stanno seguendo. Vi saluto tutti, a domani!

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Capitolo 17
*** Cap. 16: Dark Phoenix ***


Uscirono in fretta dalla tenda, John con quel sacco di patate che era Lirie, stordita, legata con le stesse fascette che aveva usato per lui e imbavagliata per bene. Fortunatamente non c’era nessuno nelle immediate vicinanze, vista l’ansia che provava John: fino a quel momento non aveva mai sequestrato nessuno e, per quanto fosse contento di averla fatta pagare a Lirie, aveva addosso una certa sensazione di disagio. In più, sapere che al minimo passo falso gli avrebbero sparato…
- Qual è il piano?- chiese Fall, seguendolo tra le tende, stringendo una valigetta metallica con dentro il cofanetto della Chiave.
- Raggiungiamo il Liberty.- rispose John, pregando silenziosamente di non incrociare nessuno - Se tutto sta andando come deve, Daz sta portando gli altri ostaggi a bordo. Non appena arriviamo anche noi due, Sky e Lee, togliamo le tende e li lasciamo qui a giocare con la polvere.-
- E perché ti stai portando dietro anche lei?-
- Perché voglio farle un paio di domande.- rispose John - E poi magari la gonfio di botte, mentre ci sono.- aggiunse amaro - Piuttosto, cos’era quella roba che le ha fatto tradurre?-
- Non so con esattezza… credo fosse qualcosa su delle coordinate geografiche, ma molto approssimative.- rispose lui - Comunque, ho potuto tradurre davvero pochissimo. Sei arrivato prima che potessi finire.-
John annuì, poi calò il silenzio mentre continuavano a muoversi. Di tanto in tanto furono costretti a fermarsi e a mettersi al riparo per non farsi scoprire, anche perché il diversivo sembrava essere stato fin troppo riuscito: qualsiasi cosa avesse combinato Sky, l’incendio era ben lontano dall’essere domato, e ancora si vedevano molti degli uomini di Lirie che correvano avanti e indietro trasportando coperte e taniche d’acqua, o si udivano grida agitate di incitamento. A quanto riuscì a capire, l’artigliere aveva fatto saltare in aria qualche jeep e la riserva di carburante del campo.
Fantastico…
Finalmente riuscirono ad arrivare fino al Liberty, miracolosamente senza farsi scoprire.  Daz aveva già fatto salire tutti gli scavatori, il dottor Gellar e la dottoressa Jonas, e li aspettava seduto accanto alla rampa d’accesso. Le guardie che secondo Sky avevano piantonato l’Avionatante erano sparite, forse accorse anche loro a dare una mano.
Fortunatamente la duna dietro cui erano atterrati li nascondeva parzialmente alla vista del campo, e non sarebbero stati notati finché non avessero acceso i motori.
- Qui siamo tutti pronti, Capitano.- disse Daz, vedendolo arrivare - Gli altri sono già saliti a bordo, stiamo aspettando solo Sky e Lee. Scaldo i motori?-
- No, è troppo sperare che non notino il polverone che solleveranno.- rispose John, depositando Lirie a terra - Dobbiamo aspettare che tornino anche quei due, prima di andarcene.-
- Forse dovresti andare a cercarli.- propose Fall - Qui possiamo cavarcela da soli.-
- D’accordo.- disse lui - Daz, mi raccomando, se vi trovano, o se prendono me…-
- … mi arrendo, perché non so pilotare.- disse subito lui.
John fece un sorrisetto, ma non rispose. Prese il fucile dell’amico e si voltò, tornando al campo.
Lì la situazione si stava stabilizzando abbastanza rapidamente: il fuoco appiccato da Sky, pur non ancora spento, era ormai parzialmente domato, soffocato con sabbia e pezze bagnate o innaffiato dall’acqua, e anche il viavai di persone che accorrevano era meno frenetico di prima. John si tenne ai margini della folla, cercando con lo sguardo i suoi compagni, che tuttavia non riuscì a scorgere a causa del gran numero di persone lì attorno. Sky sicuramente era ancora travestito, ma non era certo di come stesse Lee: l’ultima volta che l’aveva vista, poco prima di infiltrarsi nel campo, non si era affatto cambiata d’abito, ma non era detto che non l’avesse fatto poco dopo. In pratica, andava alla cieca.
Stava proprio maledicendo mentalmente quei due quando, svoltando un angolo, si trovò di fronte all’uomo tarchiato dai capelli neri.
 
Immediatamente, entrambi alzarono le armi l’uno contro l’altro.
- Abbassalo.- intimò laconicamente l’uomo tarchiato. Aveva una voce profonda e malinconica, di chi non è abituato a parlare molto - Quattro contro tutti noi. Che speranze hai?-
- Beh, sinceramente non lo so.- ammise John - Ma non mi va di farmi rimettere quelle fascette a polsi e caviglie.-
- Bene. Allora ti sparo.-
- Sparami e io sparo a te.- rispose lui. Non sapeva  bene cosa stava facendo, ma doveva guadagnare un po’ di tempo - Ascolta, proviamo a giocarcela senza armi, che ne dici?-
Lui parve riflettere un momento, indeciso, ma alla fine annuì.
Ovvio… dopotutto, sono io quello in svantaggio…
- Perché no?- disse l'altro - Comincia tu.-
- E farmi sparare?- disse John - No, grazie. Insieme. E lentamente, d’accordo?-
L’altro fece un sorrisetto e cominciò a piegare lentamente le ginocchia. John fece altrettanto e, senza staccarsi gli occhi di dosso, posero i fucili a terra. Poi, continuando a guardarsi, tolsero i caricatori e misero le sicure, gettando lontano i proiettili. Quando tornarono in piedi alzarono i pugni e si misero in guardia.
- Sai, mi ricordi qualcuno.- disse all’improvviso l’uomo.
- Ma davvero?- chiese John, sinceramente sorpreso.
- Sì… ci siamo già visti, noi?-
- Non che io mi ricordi…-
Si chinò per schivare un diretto al mento e colpì forte all’addome, facendolo indietreggiare.
- Ho passato gli ultimi mesi in un hangar a costruire il mio mezzo.- continuò poi, come se niente fosse - Quindi, non credo di averti mai incontrato.-
Stavolta fu lui a passare all’attacco, ma l’avversario gli afferrò la mano prima che riuscisse a colpirlo e gli torse il braccio, costringendolo in ginocchio; poi lo picchiò al volto, tanto forte da buttarlo a terra.
Un po’ intontito, John si rialzò più velocemente che poté, massaggiandosi il punto colpito: un solo pugno e lo aveva quasi fatto svenire.
- Sei un militare?- chiese, riconoscendo un addestramento da soldato nel suo modo di lottare - Forse ci siamo visti nell’esercito.-
- Dubito.- rispose l’altro - Servo sempre lo stesso Capitano di allora, quando aveva un grado militare. E non ricordo che tu fossi nella mia unità.-
- Mmmh… forse no.- ammise John.
L’uomo tarchiato menò un pugno che si rivelò una finta, per poi colpirlo all’addome con un montante destro che gli mozzò il fiato, finendo con un gancio alla tempia che lo stese. Atterrò sulla sabbia, intontito e stupito, e vide guizzare un coltello nella mano dell’avversario.
Proprio prima che potesse finirlo qualcosa lo colpì alle spalle, facendolo crollare come un castello di carte a cui hanno tolto una carta alla base: Lee, sbucata da chissà dove, lo aveva tramortito usando il calcio di uno dei fucili d’assalto che avevano messo a terra.
- Sei una schiappa.- commentò, tendendogli una mano.
- Ma che dici, ti avevo vista e ti stavo dando un’occasione…- borbottò lui, accettando l’aiuto - Sky?-
- Al Liberty. Credo.- rispose - Andiamo anche noi?-
- Potrebbe essere un’idea, sì.- annuì John - Anche perché credo che loro ce l’abbiano proprio con noi…- aggiunse, indicando tre uomini che li fissavano sbigottiti.
Lee si voltò rapidamente, puntando l’AZ 29 (che aveva già ricaricato), e sparò una raffica contro i tre, costringendoli a gettarsi al riparo, poi sia lei che John si diedero ad una rapida fuga tra le tende. Alle loro spalle ripresero le grida, ora per avvertire tutti della loro presenza e della fuga dei prigionieri, finalmente scoperta. John afferrò la radio portatile che teneva sulla cintura e se la portò alla bocca.
- Scaldate i motori!- gridò.
- Avete compagnia, eh?- sogghignò la voce di Daz - Okay, datevi una mossa, io avvio il Liberty… se capisco come si fa.-
- Mi spieghi cosa sei venuto a fare?- chiese Lee, mentre correvano.
- Venivo a riprendere voi due!- sbottò John - La prossima volta cercate di sbrigarvi!-
- Beh, scusa se erano tanti!- rispose Lee, scocciata.
Un proiettile le fischiò vicinissimo al volto, e lei si chinò istintivamente.
- Cazzo…- borbottò.
- Diamoci una mossa!-
Scivolando sulla sabbia oltrepassarono la duna e raggiunsero il Liberty. Sky scese di corsa dal velivolo, imbracciando una grossa mitragliatrice gatling portatile.
- E quella da dove sbuca?- esclamò John, voltandosi ma senza fermarsi.
- Dalla mia collezione personale!- rispose Sky, salendo in cima alla duna e cominciando a sparare.
La raffica di proiettili costrinse i loro inseguitori a disperdersi, e Sky lanciò un ululato gioioso, cominciando a retrocedere per salire a bordo. John non si trattenne oltre e corse sul ponte di comando, proprio mentre Daz scendeva dalla sua postazione.
- Fallo sollevare, dai.- gli disse calmo - Io non so come si fa.-
Senza rispondere, John saltò quasi tutta la scaletta, infilandosi al volo al suo posto, afferrò la cloche e poi prese la radio.
- Qui è il capitano, e vi pregherei di tenervi forte, perché il decollo non sarà piacevole!- esclamò.
Detto ciò, tirò forte verso di sé la cloche e il Liberty, con un sospiro dei motori e un gran sussulto, si sollevò rapidamente, salendo verso il cielo. Daz, sotto di lui, lanciò un’imprecazione, agguantando al volo il più vicino appiglio per mantenere l’equilibrio. Degli spari cominciarono a risuonare dall’esterno, ma l’Avionatante si stava già allontanando troppo, e presto fu fuori portata. Intanto, in lontananza, vide qualcosa sollevarsi nel cielo.
Somigliava a un gigantesco uccello. Un uccello nero, dalle ali spiegate e un feroce becco acuminato, con lunghe piume metalliche sulla testa.
Era un Avionatante. Ed era almeno tre volte più grande del Liberty.

Non so quanto apprezzerete nome e forma di questo nuovo velivolo (la descrizione arriverà domani), ma io personalmente l'ho sempre amato tantissimo. Specie per chi c'è a bordo... personaggi di cui non potrei fare a meno.
Ringrazio Ely79, LullabyMilla, Kira16 e Ciccibu, che mi seguono, e poi anche Alies, vecchia conoscenza che mi ha tra i preferiti e che ha cominciato a seguire questa storia a sua volta. A domani!

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Capitolo 18
*** Cap. 17: Classe Belligerant ***


Una delle spie del monitor iniziò a lampeggiare, indicando che c’era una trasmissione a corto raggio in entrata. John accettò la comunicazione, e subito sullo schermo comparve il volto scarno e affilato di un uomo.
- Qui è il Dark Phoenix.- disse con voce secca e nasale al tempo stesso - Mi chiamo Uxor, sono l’addetto alle comunicazioni. Vi ordiniamo di atterrare immediatamente. In caso contrario, verrete abbattuti.-
- Abbiamo la Chiave di Pael–Nur e una dei vostri a bordo, amico, credi davvero che vi convenga?- rispose John - Io invece credo che sarebbe meglio che voi scendiate immediatamente, o giuro che ve la butto fuori bordo.-
L’uomo aggrottò la fronte, guardando oltre lo schermo per poi riportare gli occhi su di lui.
- Mmmh… sì… temo che il nostro Capitano, in questo momento, se la stia ridendo di brutto.- sogghignò - Se proprio ci tieni, butta pure Lirie fuori bordo. Sempre che tu abbia le palle, ovvio.-
- Beh, questo lo vedremo presto, di questo passo…- sbuffò John - … ma ho comunque la Chiave. Se non volete raccoglierla con le pinzette tra la sabbia e rincollarla pezzo per pezzo sarà meglio che ci lasciate in pace.-
- Non forzi la nostra pazienza, Capitano Disen.- disse l’uomo - Non vi verrà fatto alcun male, ma possiamo disabilitarvi i motori in men che non si dica. Il difetto di quelli a flusso è che si bloccano con un colpetto leggero. Non dobbiamo nemmeno tirar fuori l’artiglieria pesante per costringervi ad atterrare.-
John non rispose subito: naturalmente non aveva intenzione di arrendersi senza combattere, ma non erano proprio nella posizione di trattare, al momento. Doveva prendere tempo per studiare la situazione e trovare una via di fuga.
- Dateci un po’ di tempo per pensarci.- disse.
L’altro aggrottò ancora la fronte.
- Tempo?- ripeté.
- Voglio sentire il mio equipaggio, prima.- spiegò - E anche il professor Fall. La Chiave ce l’ha lui, dopotutto.-
L’uomo guardò ancora oltre lo schermo, poi annuì e si rivolse ancora a John.
- Avete dieci minuti.- disse - Poi vi richiameremo, e farete meglio a darci una risposta definitiva.-
Senza nemmeno degnarlo di una replica, John chiuse la trasmissione e prese il microfono dell’interfono.
- Tutti quelli a cui pago lo stipendio mi raggiungano subito qui.- disse.
- Io posso chiedere un aumento?- chiese Daz - In fondo, sono arrivato per primo.-
- Eri già qui, non conti.- rispose John - E poi, ti sei seduto al mio posto.-
- Ma dovevo scaldare i motori!- protestò lui.
- Potevi farlo allungandoti dalla scaletta.-
Prima che Daz potesse aprire bocca di nuovo, Lee e Sky raggiunsero la plancia di corsa, ansimando. Senza alcun preambolo, John spiegò loro quale fosse la situazione.
- Beh, buttiamo fuori bordo quella dannata Chiave e finiamola qui.- disse Lee - Non so voi, ma non mi va di essere abbattuta.-
- Non dire idiozie Lee…- sbuffò John - Io a quelli non do proprio niente. Da voi voglio consigli, non stupidaggini.-
- Direi che dovremmo trovare il modo di seminarli.- disse Sky, mentre Lee apriva bocca per replicare (o insultarlo, più probabilmente) - Ma avete visto che bestione che è quel Dark Phoenix? Sono molto più grossi di noi, e di certo non montano dei semplici Cannoni a Ioni.-
- Credo che sia un modello standard modificato.- disse Lee, ancora accigliata - Uno di quelli dell’esercito. Non penso che sia fatto per i voli veloci quanto per le battaglie vere e proprie. Può prenderci solo se ci colpisce ai motori.-
- E lo farà tra una decina scarsa di minuti.- sbottò John - Situazione del generatore degli scudi?-
- Possono reggere per un po’, se non hanno armi al plasma da usare.- rispose Lee - Un colpo con quelle e ciao ciao alle difese. Quindi, ribadisco che…-
- Con la fortuna che abbiamo, probabilmente montano anche qualcosa del genere.- brontolò tra sé John, ignorandola.
Le armi al plasma non erano qualcosa con cui scherzare: si trattava di potenti mezzi offensivi illegali, capaci di causare danni superiori a quelli di un missile terra aria. Roba pericolosa, che in guerra aveva già incontrato e sperato di non rivedere, soprattutto con il rischio di trovarsi dalla parte sbagliata della canna da fuoco.
- Non puoi fare in modo che gli scudi reggano?- chiese Daz.
- Un corno!- esclamò Lee - Mi servirebbero pezzi che qui non ho! Insomma, è un ottimo generatore, quello, nonostante ci abbiano lavorato il Capitano e quell’incapace del suo amico…-
- Grazie Lee, anch’io ti voglio bene…- sbuffò John.
- … e posso rendere gli scudi pressoché impenetrabili con i giusti componenti, ma non li abbiamo, qui a bordo!- continuò lei, ignorandolo - E, in ogni caso, per resistere a un’arma al plasma di grosso calibro servirebbe una potenza degna di un reattore nucleare! Hai un reattore nucleare, dottore?-
- D’accordo, basta discussioni.- disse John, decidendo di prendere in mano la situazione - Sky, arma tutto quello che abbiamo e vedi di togliere a quella specie di avvoltoio quante più armi possibili.-
- Tenterò.- annuì, correndo alla sua postazione - Ma non sarebbe male avere qualcosa di diverso dai Mitragliatori a Impulsi o dai Cannoni Ionici.- aggiunse.
- Taci!- sbottò John - Questo è un trasporto, non un Avionatante da guerra, lo sai! Lee, tu vai al tuo posto e lancia un segnale alla stazione di sicurezza più vicina.-
- Ma è a seicento miglia da qui!- sbottò lei - E di certo hanno un Disturbatore di Frequenze a bordo! Non posso contattare nemmeno Paperinik!-
- Tu fallo e basta!-
Lei smise di protestare e andò al suo posto, anche se ormai stava letteralmente fumando di rabbia.
- Io che faccio?- chiese Daz - No, sai, mi sento un po’ inutile…-
- A meno che tu non sappia come far parlare Lirie e costringerla a dirci com’è armata la Dark Phoenix…-
- Perfetto. Scendi tu nella stiva o devo portarla qui?-
John lo guardò ad occhi sgranati.
- Cosa?-
Daz aggrottò la fronte.
- Devo ripetere?- chiese educatamente.
Lui scosse lentamente la testa, ancora basito, poi tornò a rivolgersi a Lee.
- Lee, quando hai fatto prendi il mio posto. Io devo scendere un momento.-
Lei lanciò un grugnito per dire che aveva capito, senza voltarsi. L’unico gesto che fece riguardò un certo dito…
 
Lirie era ancora legata mani e piedi, oltre che imbavagliata, ma ormai aveva riaperto gli occhi: si trovava nella stiva, strettamente legata tramite una robusta fune a un anello fissato al pavimento, dove nessuno avrebbe mai potuto essere disturbato dalle sue proteste. Soltanto Fall era lì con lei, imbracciando uno degli AZ 29 presi al campo: Daz gli aveva affidato la custodia della sua ex assistente, e lui era stato ben felice di occuparsene.
- Allora, Capitano, qual è la situazione?- chiese immediatamente Fall, vedendolo arrivare.
- Mah, siamo solo inseguiti.- rispose lui - Vada a riposarsi, restiamo qui noi per un po’.-
Fall annuì e se ne andò senza fare altre domande, consegnandogli il fucile. Daz pose la borsa di cuoio sulla cassa, mentre John toglieva a Lirie il bavaglio.
- E così il Dark Phoenix è dietro di noi, vero?- chiese - Bene, bene… in questo caso avrete capito quante possibilità avete. Il Capitano non è un uomo paziente, al mio posto vi avrebbe uccisi appena catturati. Se siete qui per chiedermi un consiglio, l’unico che vi do è quello di arrendervi.-
- Certo, contaci…- annuì lui - Oh, a proposito, hanno minacciato di abbatterci. E questo significa che ti schianterai con noi, se non ti getto fuori bordo prima.-
Lei fece un ghigno sarcastico.
- Già, perché ne saresti capace, magari…- ridacchiò.
- Ho fatto la guerra, signorina archeologa. Ho sparato anche a un uomo che prendeva semplicemente un caffè, una volta.- ammise - Non ne vado fiero, ma meglio lui che me. Tu hai però la possibilità di restare a bordo e di non schiantarti.-
- Ma davvero?- chiese - E tu cosa vorresti, in cambio?-
- Voglio sapere qualcosa sull’Avionatante che ci insegue.- rispose - Classe, modello del motore, equipaggio e armamenti.-
Lirie aggrottò la fronte.
- Nient’altro?-
- No.- rispose John - Anzi, siccome sono buono e non prevedo di scontrarmi con i tuoi amici sul campo ti abbono le specifiche sull’equipaggio. Non mi interessano, per il momento.-
Lei fece un verso sprezzante.
- Se pensi che sia tanto disperata da dirti qualcosa sei pazzo.- disse.
- Sì, prevedevo questa reazione.- ammise, rivolgendosi al dottore - Daz?-
Lui annuì e aprì la borsa, prendendo una fiala piena di un liquido chiaro. Riempì una siringa e la scosse leggermente, premendo poi lo stantuffo per far uscire le bolle d’aria.
- Ora si rilassi.- disse - Sono un medico.-
Lirie cercò di sottrarsi, scalciando con entrambe le gambe poiché le caviglie erano sempre legate assieme, ma Daz sembrava essere pratico di pazienti recalcitranti e non ebbe problemi: la agguantò saldamente per i capelli, le spinse indietro la testa e iniettò il liquido direttamente nella giugulare, con un movimento fluido e secco, quasi spietato. Forse lo aveva imparato sulla sua stessa pelle quando era in clinica.
Dopo aver passato una garza sterile sul suo collo si rialzò, mettendo via tutto senza nemmeno cambiare espressione. Lei fece un lieve gemito, torcendo appena il collo dolorante, e cercò inutilmente di strofinarselo con la spalla.
- Cos’era?- sbottò Lirie - Cosa mi avete dato?-
- Tiopental sodico.- rispose con leggerezza Daz - Ma quasi tutti lo chiamano Pentothal.-
Gli occhi di Lirie si fecero enormi.
- Cosa?- esclamò con voce strozzata.
- Allora, ricominciamo.- disse John, incrociando le braccia - Dimmi le specifiche tecniche della Dark Phoenix e dei suoi armamenti.-
Lirie trasse un vibrante sospiro, ad occhi chiusi, e prese a parlare.
- Okay…- disse piano - Si tratta di un vascello da bombardamento pesante e trasporto di truppe, classe Belligerant, in dotazione alle truppe della Lega. Cinque motori, il principale sotto la coda, altri quattro laterali. Non so il numero di matricola dei motori né dell’Avionatante.-
- Bene.- annuì John, cercando di non dare a vedere che sudava freddo: i Belligerant erano i più grossi e cattivi mezzi da combattimento aereo della Lega. Pur non essendo particolarmente veloci o maneggevoli, potevano vantare una considerevole potenza di fuoco e discrete capacità da battaglia. Contro un bestione del genere, il Liberty Fly non avrebbe avuto speranze concrete nemmeno con armi vere. Nessun mezzo da trasporto poteva competere con un Belligerant, in uno scontro aperto - Ora dimmi degli armamenti.-
- Quattro mitragliatrici, due per ala.- disse meccanicamente Lirie - Tre cannoni caricati a missili aria aria, due nel petto della Fenice e uno sotto le piume della testa.-
- Altro?-
- Una batteria di lanciarazzi sul petto e aperture per bombardamenti a tappeto sui fianchi.- disse subito lei - E il cannone al plasma nel becco.-
John sentì la testa che girava: ci mancava solo questo, un cannone al plasma.
Decisamente, non erano nelle condizioni di reggere il confronto.
- Okay…- sospirò - È tutto?-
Lirie annuì cupamente.
- Non so altro. Non mi intendo di meccanica, io sono solo un’archeologa.-
John annuì: cacciatori di tesori, ecco cos’erano. Bene attrezzati, certo, ma cacciatori di tesori. Per un momento pensò anche di chiederle qualcosa su tutta quell’operazione, ma decise che, in fondo, non gl’importava affatto: aveva ben altro a cui pensare.
- D’accordo…- disse - Daz, vieni, andiamo.-
Il dottore non disse niente e ripose le sue cose nella borsa, seguendo il capitano verso la scala che li avrebbe fatti uscire dalla stiva.
- Ma era davvero Pentothal?- chiese poi John.
- No, era fisiologica.- rispose Daz - Ma questo lei non lo sa.-

Mi duole dirlo, ma entro poco arriveremo alla conclusione i questa prima parte. Tra breve dovrò cominciare a pubblicare la seconda, il cui titolo vi verrà rivelato al momento giusto.
Ringrazio Ely79, LullabyMilla, Kira16, Ciccibu e Ailes, che stanno seguendo la storia. A domani!

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Capitolo 19
*** Cap. 18: Combattimento aereo ***


- Allora? Cosa avete deciso?- chiese l’uomo dalla faccia scarna.
John si accasciò contro il sedile, incrociano le braccia dietro la testa e respirando profondamente. Quella giornata di certo non gli sorrideva affatto: un Belligerant armato pesantemente era un avversario formidabile, e a dire il vero non aveva la minima idea di come fosse possibile che dei privati ci avessero messo sopra le mani. Quella non era roba che si comprava in fabbrica, veniva prodotta esclusivamente per l’esercito, paragonabile solo ai Destroier della Federazione. E nemmeno quelli li regalavano in giro.
- Beh… abbiamo parlato un po’ qui a bordo…- disse lentamente, cercando di scegliere con cura le parole - E… ecco… insomma, comprenderete che ho preso un impegno col professor Fall, il quale oltre che un cliente è anche un mio vecchio e caro amico… e tradire la sua fiducia non è facile… anche se, va detto, mettersi contro un Belligerant non è divertente.-
- Certo, capisco benissimo.- annuì l’altro, in tono comprensivo, anche se si capiva che stava facendo del proprio meglio per non sogghignare - Ma mi creda, non la biasima nessuno, Capitano, per la decisione che ha preso. Anzi, il mio Comandante sta dicendo proprio ora che vi tratterà con un occhio di riguardo, per rispetto nei confronti di persone coraggiose come voi.-
John sorrise.
- Grazie.- disse - Ma scommetto che cambierà idea sentendomi dire che non abbiamo alcuna intenzione di arrenderci.-
Prima che l’uomo potesse fiatare, Sky fece partire tutti i Cannoni Ionici e a Impulsi, puntandoli esattamente nello stesso punto, il becco della Fenice.
Il colpo concentrato e simultaneo perforò gli scudi il tanto che bastava da bloccare il meccanismo di apertura, rendendo impossibile usare l’arma nascosta al suo interno, pena un grave danno all’Avionatante che la portava.
Ci fu un piccolo contraccolpo a bordo del Dark Phoenix, che fece traballare Uxor, mentre la comunicazione subiva un lieve disturbo e veniva distorta per qualche secondo. Sempre sorridendo, John chiuse la comunicazione ed afferrò la cloche di comando. Sky, Daz e Lee erano già tutti ai propri posti, pronti a rispondere ai suoi ordini.
- Qui è il comandante Disen.- disse John nell’interfono e dando gas - Vi comunico che attraverseremo delle turbolenze, saremo bersagliati da proiettili d’ogni tipo e che forse verremo abbattuti, quindi siete pregati di allacciare le cinture di sicurezza e restare seduti. Non è possibile chiedere il rimborso del biglietto, visto che non l’ho mai fatto pagare, e se ci schianteremo riceverete una pacca sulle spalle per consolazione. Ora rimanete calmi e incrociate le dita. Ne avremo bisogno…- aggiunse tra sé, riponendo il microfono.
All’esterno cominciarono a risuonare spari e botti dei cannoni: il Dark Phoenix aveva iniziato a fare fuoco.
 
- Lee, gli scudi!- esclamò, muovendo il Liberty in modo da essere un bersaglio più difficile.
Lei fece scattare immediatamente un interruttore, e subito l’Avionatante venne avvolto da un invisibile campo protettivo che li avrebbe mantenuti al riparo, almeno per un po’.
- Tienimi aggiornato sullo stato dello scudo!- disse John - Sky, spara quanto vuoi!-
- Da qui sono lento!- disse lui - Dobbiamo salire e farlo manualmente!-
- Okay. Daz, come va la mira?-
- Sono tre anni che non sparo!- ammise, slacciandosi la cintura ed alzandosi - Ma ti saprò dire di più quando saremo a terra!-
- E se ci schiantiamo?-
- Avrai comunque una risposta, no?- esclamò, correndo via con Sky.
- Capitano, vado anche io!- disse Lee - Puoi tenere d’occhio gli scudi da lì, no?-
- Preferirei averti in sala macchine, se non vuoi stare qui!- rispose - Controlla che il generatore degli scudi e il motore principale reggano!-
Lei annuì e corse via a sua volta. John rimase da solo in plancia, ma sapeva bene come tenersi occupato, con tutto quello che stava succedendo là fuori. Inoltre, i vari monitor laterali potevano fornirgli immagini dalla sala macchine e dalle cabine dove Sky e Daz si erano infilati per sparare.
Le immagini che gli arrivarono mostrarono il suo meccanico intento a mantenere funzionanti gli scudi: ad ogni colpo, il generatore si sovraccaricava un po’ di più, e sapeva che oltre un certo limite si sarebbe spento per riprendersi. Oltre a ciò, vide i due compagni seduti su poltroncine reclinabili impugnare cloche munite di grilletto sparare all’Avionatante alle loro spalle.
- Capo, qui Sky!- esclamò lui, il volto contratto dalla concentrazione - Hanno scudi potenti, penetrarli con le armi che abbiamo richiederà parecchio. Il colpo concentrato di prima può perforarli, ma dalle postazioni manuali non possiamo effettuarlo!-
- Sentito Lee?- chiese John.
- Sì, cazzo, ma noi abbiamo sì e no una decina di minuti ancora, poi lo scudo andrà completamente a puttane!- esclamò lei, furiosa, impegnandosi come meglio poteva nel tenere in vita il generatore - Te l’avevo detto di gettare quella dannata Chiave fuori bordo!-
- I motori?-
- A posto, ma quando perderemo gli scudi dureranno poco!-
John digrignò i denti, cercando di pensare in fretta: erano riusciti a fermare la loro arma più pericolosa, ma la potenza di fuoco della Dark Phoenix ancora era perfettamente in grado di abbatterli e lì, in mezzo al deserto, a quasi seicento chilometri dalla più vicina stazione di polizia non potevano certo sperare di farcela. Potevano soltanto sperare di sfuggirgli contando sulla velocità, ma quella non sembrava bastare, al momento: gli armamenti dell’Avionatante nemico avevano un’ottima gittata, ed erano sicuramente manovrati in modo magistrale, specie se Lee dava appena dieci minuti agli scudi già ora. Oltretutto, sembrava che i motori avversari fossero stati modificati a dovere, dato che non riusciva a seminare la Dark Phoenix solo con la velocità. Doveva improvvisare.
- Sky, vieni qui!- esclamò - Daz, continua a sparare, attira la loro attenzione!-
I due non risposero, ma l’artigliere corse più in fretta che poteva in plancia, arrivando col fiatone.
- Uff…- esalò, fermandosi - Credo che sverrò…-
- Perché mangi poche proteine. Hai bisogno di carne.- disse John - Arma tutti i Cannoni a Impulsi e i Cannoni Ionici come hai fatto prima!-
- Ma non posso colpire bene, da qui!- esclamò Sky.
- Non importa, non devi prendere la mira, a quella penso io!- sbottò - Voglio che li concentri esattamente davanti a noi, nello stesso punto! Hai capito?-
- Sì, ma non so ancora cosa tu voglia fare!- rispose lui, lanciandosi al suo posto per eseguire gli ordini.
- Lascia perdere e preparati a far fuoco!- disse John, virando bruscamente per evitare un razzo sparato contro di loro - Daz, passa a un Fucile a Arpioni EMP e allacciati le cinture!-
Il medico corse rapidamente dove gli era stato richiesto, senza osservare che gli Arpioni EMP potevano solo rimbalzare un po’ addosso agli scudi della Dark Phoenix, visto che non erano sufficientemente potenti da penetrarli e che, inoltre, a differenza dei cannoni, erano a munizioni estremamente limitate. Forse non lo sapeva, o forse non gli interessava. Tuttavia, John apprezzò la sua cieca fiducia: non era quello il momento di protestare.
Stava tenendo fede al patto che tutti loro avevano stretto, ovvero affidarsi ai compagni.
- Capo, qui è tutto pronto!- esclamò Sky.
- Bene.- ringhiò John, prendendo il microfono - Qui è il capitano Disen. Se non vi siete ancora allacciati una qualche cintura, fatelo adesso, perché stiamo per fare qualcosa che ci farà andare il sangue alla testa. Lee, trova dove legarti, e tieniti stretta. Signorina Summer, le consiglio di sperare che la fune tenga.-
Aspettò di vedere Lee che si legava saldamente a una colonna metallica usando la propria cintura, poi guardò Sky.
- Fai fuoco quando vedi il motore.- disse.
Lui aggrottò la fronte.
- Che motore?-
John tirò la cloche con tutte le sue forze, azionando nel contempo i motori per il decollo verticale posti nella parte anteriore e disattivando completamente quelli nella sezione retrostante dell’Avionatante.
Il Liberty scattò verso l’alto con un guizzo, facendo un vero e proprio giro della morte, mentre il cielo e la terra scambiavano i rispettivi posti per un momento. John sentì lo stomaco andargli in gola, ma trattenne il moto di nausea che gli prese (in cuor su sperò che lo facessero anche tutti gli altri passeggeri), e Daz lanciò una protesta sorpresa: non si aspettava quel brusco cambiamento, e probabilmente aveva sbagliato almeno un colpo.
La manovra, comunque, portò l’Avionatante esattamente dietro il Dark Phoenix, giusto di fronte al motore principale, un grosso foro da cui usciva una fiammata arancione che testimoniava la natura a reazione della macchina. I fumi di scarico oscurarono un po’ la visuale, ma non avevano bisogno d’altro, al momento.
- ORA!- gridò.
Sky fece fuoco con tutto quello che aveva, mirando al motore principale.
 
Il colpo concentrato, proprio come il precedente, penetrò a sufficienza gli scudi del Dark Phoenix, colpendo in pieno il grosso motore principale. Immediatamente, la fiamma da esso prodotta prese a languire per poi spegnersi, facendo sparire rapidamente tutto il fumo che produceva. Il Dark Phoenix rimase in volo solo per mezzo dei quattro motori secondari, che non le avrebbero mai permesso di volare alla stessa velocità del Liberty, né di rimanere in quota molto a lungo: quel bestione era troppo pesante, e non sarebbe durato nemmeno dieci chilometri.
Sky lanciò un ululato di gioia, esattamente come Daz, mentre John sollevava l’Avionatante per evitare di tamponare gli avversari, e inviava una comunicazione video all’esterno.
A rispondere fu nuovamente l’uomo di nome Uxor, furente e pallidissimo.
- Lascerò la vostra amica alla più vicina postazione di polizia.- gli disse prima che egli potesse proferire verbo - La troverete lì, se vorrete tornare a riprenderla. Oh, e dì anche al tuo Capitano che se vi mettete di nuovo a spararci addosso, la prossima volta farò in modo di salire ad almeno tremila metri di altezza, e poi vi disabiliterò tutti e cinque i motori. Grazie e addio.-
E gli chiuse la comunicazione nel muso, mentre apriva la bocca per ribattere.
- Qui è il capitano Disen.- disse nell’interfono - Li abbiamo seminati. Ripeto, li abbiamo seminati! Ditemi, siete tutti interi?-
- Qui Fall!- esclamò il professore, dall’altra parte del filo - Tutti sani e salvi, anche se un po’ ammaccati! Ottimo lavoro, ragazzo mio!-
- Qui Daz.- disse il dottore, slacciandosi la cintura di sicurezza - Mi hai quasi fatto vomitare, ma sto bene.-
- Qui Lee.- disse lei, che si era slegata a sua volta - Sto alla grande, capo! MA VAI ANCHE A FARE IN CULO!-
- Bene.- rispose lui, ignorandola - Qualcuno vada a vedere se Lirie Summer è ancora intera, non voglio essere accusato di omicidio colposo.-
Lee borbottò qualcos’altro di poco educato, ma andò comunque nella stiva per fare quanto richiesto. Dentro di sé, lui sentì una tale soddisfazione che era certo di aver finalmente trovato ciò che cercava, in quella scommessa che era l’Avionatante che stava pilotando: una nuova vita.

Ok, signori e signore. Ve lo dico, domani si conclude questa prima parte. Non ho ancora corretto il capitolo, sono stati giorni piuttosto intensi (ora in particolare sto scrivendo con gli addominali devastati da una scarica di pugni del mio simpatico istruttore...) e ho avuto pochissimo tempo. Di conseguenza, potrebbe essere più che altro un epliogo e basta. Comunque sia, per quanto breve possa essere stata questa storia particolare, vi assicuro che andandola a sommare a quelle che verranno sarà una roba mastodontica, e avrete modo di godervi una long spezzettata che nulla ha da invidiare a storie come quelle di "Sangue di Demone" o a "The Dark Game" (di cui, dopo queste, scriverò il seguito, a meno che non mi subentrino altre idee malvage...).
Ringrazio Ely79 (che grazie a Dio finora non ha messo bandierine bianche, come invece temevo), LullabyMilla, Kira16, Ciccibu, Ailes e Crypto, che ha appena inserito la storia tra le ricordate. A domani!

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Capitolo 20
*** Epilogo: Il nuovo mestiere ***


Il ritorno a Endopas fu privo di ulteriori inconvenienti, e il Dark Phoenix non si fece più vedere né sentire, rimasto bloccato dal colpo al motore primario. Probabilmente, per farlo ripartire ci avrebbero messo anche tre giorni.
Il Liberty li portò rapidamente a destinazione, e persero tempo solo quando fecero scendere gli scavatori e Lirie, che venne presa in consegna dalle forze dell’ordine di una cittadina appena ai limiti del deserto. Prima di lasciarla le fecero qualche altra domanda, per capire meglio come avesse fatto a guadagnarsi la fiducia di Fall tanto da potersi permettere di accompagnarli fin lì.
Tirarle fuori le informazioni fu meno complicato, stavolta, e raccontò loro almeno una parte di quella che era (a quanto disse) la verità: si era fatta assumere dal professore due anni prima, prendendosi l’incarico di spiarlo da vicino, fino a quando lui non le aveva confidato che presto avrebbero trovato il sito dove era sepolta la Chiave di Pael–Nur. Confessò anche di essere stata lei a entrare nel suo studio per rubare le carte, senza però riuscirci del tutto, così in seguito si era accordata con i suoi compagni per tendere una trappola a Fall e rubargli la Chiave, avendo parzialmente fallito la missione. Salendo sul Liberty pensava di riuscire a manomettere in qualche modo il motore e gli scudi per evitare la fuga che poi si era effettivamente verificata, trovandosi tuttavia di fronte all’impenetrabile muro che era la gelosia di Lee per il suo ambiente e la sala macchine.
Una volta tornati a Endopas trovarono ad attenderli una delegazione del museo e una piccola scorta di forze dell’ordine che avrebbero garantito il sicuro arrivo della chiave fino alla sicura cassaforte, che la stava aspettando già da parecchio.
Rimasero a terra un giorno in più, poiché avrebbero ricevuto il loro compenso solo quando il reperto fosse stato portato al museo.
Quando fu tempo di riscuotere, John diede l’intera giornata di libertà all’equipaggio e andò all’appuntamento da solo, direttamente nell’ufficio di Fall. Il professore lo accolse festoso, abbracciandolo e offrendogli qualcosa da bere. John, naturalmente, declinò.
- Ecco qui.- disse il suo vecchio insegnante, tendendogli un assegno da dietro la scrivania - Sono certo che troverai la cifra più che onesta.-
John si sedette, prendendo l’assegno e, dopo averlo guardato per un momento, aggrottò la fronte.
- Ehm…- disse - Professore… l’accordo era mille al giorno, e ho detto che il trasporto sarebbe stato gratuito…-
- Lo so.- annuì lui.
- E allora perché, se siamo rimasti nel deserto solo due giorni, qui c’è scritto quattromila?-
- Non è stata una mia idea, te l’assicuro.- disse Fall, sospirando - L’istituto ha pensato che fosse il caso di pagarvi un extra per il modo in cui ci avete salvati tutti. Temevo ci sarebbero stati dei problemi, ma quello che è successo andava ben oltre le mie aspettative. Il Consiglio di Facoltà ha insistito per aumentare un po’ il compenso.-
- Abbiamo fatto solo il  nostro lavoro.- osservò John.
- Gliel’ho detto, ma è stato come parlare a un muro.- rispose lui - E, per quanto mi costi ammetterlo (e separarmi da tutti quei soldi), hanno ragione loro.-
John sorrise, intascando l’assegno.
- Grazie.- disse.
- Oh, grazie a te, John… no.- si corresse - Capitano Disen.- puntualizzò, sorridendo. Si appoggiò alla poltrona, guardandolo negli occhi, e per un momento un lampo di orgoglio balenò dietro le lenti dei suoi occhiali - Allora, che progetti hai adesso?-
- Non lo so.- ammise - Credo che cercherò qualcuno che ha bisogno di un passaggio per incassare qualche altra dataria, poi spargerò un po’ la voce per servizi di trasporto simili e cose del genere.-
- Perché non rimani nel campo archeologico?- chiese Fall - Te la sei cavata egregiamente, sia nella tomba contro il Golem che nel liberarci da quei pirati. Potresti fornire ancora servizi come questo, e a me darebbe un’ottima scusa per contattarti più spesso. Mi sei mancato, in questi anni.-
- Perché, ha intenzione di scavare da qualche altra parte?- ridacchiò John.
- No.- disse lui, sorridendo - Ovviamente no, non immediatamente. Devo studiare la chiave, e tornerò laggiù solo più avanti, stavolta con le dovute precauzioni, per decifrare i vari geroglifici e catalogare ogni scoperta. Ma non sono certo l’unico archeologo a cui servono ex militari come scorta.-
- Ma non conosco molta gente.- osservò John - A parte lei, il dottor Gellar e la dottoressa Jonas, intendo.-
- Beh, io ho parecchi contatti, invece.- rispose Fall - Spargerò la voce per te. Farò qualche telefonata, posso garantirti numerosi ingaggi in brevissimo tempo.-
Lui sorrise.
- D’accordo.- disse, prendendo carta e penna - Le do la frequenza del comunicatore a lungo raggio. Se mi trovassi in un centro abitato potrò rispondere subito.-
- Procurati una casella messaggi, magari.- suggerì il professore, prendendo il foglio - Così, se anche non fossi reperibile nell’immediato, potresti comunque sapere se ti hanno cercato.-
- Ne affitterò una.- annuì lui, alzandosi - Ora, se non c’è altro…-
- Sì, a dire il vero.- sorrise Fall - La prossima volta che fai un lavoro del genere, fatti pagare qualcosina in più. Io ho approfittato del fatto che siamo amici e della tua inesperienza sul campo.-
John scoppiò a ridere.
- Sì, avrei dovuto pensarci.- annuì, sghignazzando - Lei è sempre stato un taccagno.-
 
John fece proprio come il professore gli aveva suggerito: quello stesso giorno, appena uscito dal suo ufficio, andò ad affittare una casella messaggi, della quale comunicò poi il numero all’amico, così che potesse darlo in giro. Dopodiché si recò in banca per farsi cambiare l’assegno, e quando il resto dell’equipaggio si fece rivedere, dopo aver passato l’intera giornata a riposarsi, diede loro la parte di guadagno che si erano meritati.
- Questi sì che sono biglietti fortunati…- ridacchiò compiaciuta Lee, seduta al tavolo della cucina con tutti loro, sventolando le banconote - Altro che lotteria.-
- Sì, devo dirmi d’accordo con la signora meccanica.- annuì Sky - Cos’altro ci aspetta?-
- Ho fatto un giro per l’Avioporto.- disse John, sorridendo, le braccia incrociate - Ho trovato un paio di persone disposte a pagarci per un passaggio. Niente di impegnativo: le carichiamo, le trasportiamo e le scarichiamo. Compenso fisso, cinquecento crediti. Niente di esaltante, ma almeno è un’entrata. Poi dovremo aspettare.-
- Aspettare cosa?- chiese Daz.
- Qualcuno disposto a ingaggiarci.- rispose John - Il lavoro di scorta per archeologi è molto richiesto, negli ultimi tempi: dopo la guerra, la gente ha cominciato a interessarsi nuovamente alla storia, e questo significa un’impennata nei prezzi dei pezzi rari per collezionisti. Gli istituti come quello del professor Fall non vedono l’ora di assumere qualcuno che garantisca un minimo di protezione, e lui ha promesso di spargere la voce per noi.-
- E i privati?- chiese Sky - Scommetto che il Dark Phoenix e il suo equipaggio non erano lì solo perché volevano la Chiave per se stessi. Non avrebbero potuto sapere niente, senza qualcuno alle loro spalle a dire loro cosa cercare.-
- Sì, hai ragione.- annuì John - Beh, quelli dovranno essere valutati bene. Non mi va di depredare tombe e siti archeologici come hanno tentato di fare i nostri precedenti rivali. Non sono un ladro.-
- Ehi, perché, noi cosa sembriamo?- sbottò Lee.
- Sai cosa volevo dire, avanti…- sospirò lui - Comunque, il guadagno sarà cospicuo, in questo frangente. A voi sta bene?-
Tutti annuirono e mormorarono il loro assenso.
- Continuiamo ad usare solo armi inoffensive?- chiese Daz.
- Sì, se parli di quelle montate sul Liberty.- rispose John, serio - Per quanto riguarda l’armeria, sentitevi liberi di rimpolparla quando volete. Sono stanco della guerra e della violenza, ma non sono stupido. E dopo quest’esperienza, mi sa che ci siamo fatti dei nemici pericolosi. I Belligerant non si trovano ovunque, e loro erano tutti bene equipaggiati e con una disciplina degna di un gruppo paramilitare addestrato a dovere. Dovremo guardarci le spalle, in futuro.-
Sky annuì.
- Perfetto. Ho già delle idee…-
- Sì, ma vediamo di stare attenti alle finanze!- esclamò Lee - Dobbiamo mettere da parte ogni tanto un po’ di soldi, per far fronte alle emergenze.-
- Sì, Lee ha ragione.- annuì John, indicandola - Direi di istituire un fondo comune, in cui mettere almeno un terzo dei guadagni di ogni impresa, e usare quei soldi per le spese che riguardano l’Avionatante: armi, carburante, pezzi di ricambio, viveri…-
- Sapone…- aggiunse Lee.
- E medicine.- terminò Daz - Sì, per me va benissimo.-
John annuì ancora, più che altro tra sé.
- Allora, che si fa, adesso?- chiese Sky.
- Andiamo a comprare tutto quello che può servirci per partecipare a delle spedizioni archeologiche.- disse lui - Da oggi siamo in affari, ragazzi.-

E questo conclude la prima parte della storia. Appena potrò prometto di postare la seconda. Spero che mi seguirete ancora.
Ringrazio Ely79, LullabyMilla, Kira16, Ciccibu, Ailes e Crypto, quei lettori che hanno letto e/o recensito questi capitoli. Con mio grande piacere, sembra che il gradimento generale sia stato alto, e spero continui a rimanere così. Vi avverto fin da subito che inserirò, in futuro, elementi sovrannaturali più marcati, per via di particolari esigenze narrative. Ma questo è qualcosa di cui parleremo un'altra volta...
Per ora mi limito a ringraziarvi di nuovo tutti quanti. Spero di rivedervi presto!

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