Italian Girls (We will drive you crazy)

di Fog_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Roma ***
Capitolo 2: *** Concerto ***



Capitolo 1
*** Roma ***



1.Roma

Quando il treno lasciò la stazione, probabilmente per la prima volta da quando mi ero svegliata ripresi a respirare regolarmente. Anzi, ripensandoci erano giorni che avevo salutato la tranquillità e neanche il mio sonno mi aveva dato tregua. Come avrei potuto anche solo provare a rilassarmi? Stavo facendo l’ultima cosa che mi sarei mai aspettata nella mia vita.
Stavo scappando.
Io.
La brava ragazza di turno.
Nessuno si sarebbe mai aspettato una cosa simile, non da me.
«Alla fine ai tuoi che hai detto?» chiese Greta dal sedile di fronte al mio, sistemando il comodo borsone straripante di roba che si era portata per soli due giorni nell’apposito scomparto. La guardai scuotendo la testa divertita, non sarebbe cambiata mai.
«Ho detto che sta mattina andavo in gita con la scuola e che non sarei tornata prima delle otto, poi che era il tuo compleanno e ci avevi invitato a passare da te la serata. Purtroppo succederà qualcosa e dovrò restare a dormire a casa tua, mentre per domani inventerò qualcosa. Non avranno scelta» esposi il mio piano, accompagnandolo con fin troppi gesti delle mani come mio solito. Era sempre stata una mia caratteristica, ma in quel momento, con tutta l’adrenalina che mi circolava in corpo, era quasi triplicata. Tanto che svegliai quel poveretto che mi ronfava accanto e Greta dovette poggiare i suoi palmi sulle mie nocche per farmi placare. Mi guardò comprensiva, invitandomi a seguire il suo esempio e fare un respiro profondo.
Facile per lei, sua madre non aveva avuto niente da ridire quando lei le aveva chiesto se poteva andare a Roma per un concerto. Per il concerto. Il concerto di Conor Maynard.
«Ok, stiamo solo andando a Roma, noi due, da sole, a sedici anni, per andare a vedere il concerto di Conor. Ok, tutto normale, no?» dissi cercando di uscire da quella piccola crisi che mi era presa realizzando davvero quello che stavamo facendo. Perché fino a quella mattina mi era sembrato tutto un gioco, una cosa astratta, una delle nostre tante fantasie fatte nei momenti di noia. Poi c’era stato il treno, la partenza e tutto era diventato reale. Io e Greta eravamo reali. Conor sarebbe stato a reale.
Stavamo facendo davvero quella pazzia.
E mi sentivo fottutamente viva.
Il treno viaggiava a velocità incredibile e con lui andavano i miei pensieri. Cambiavano i paesaggi, passavano le ore e noi eravamo sempre lì, pronte a scherzare su qualsiasi cosa e ad intonare la strofa di qualche canzone. Il dormiglione al mio fianco ormai aveva rinunciato al suo sonnellino come anche metà del resto dei passeggeri in carrozza, qualcuno ci aveva anche intimato di fare silenzio e ci avevamo provato, ma davvero stare calme sembrava impossibile. Non era solo perché quella sera saremmo state al concerto di Conor Maynard, o almeno non solo.
Erano tante cose messe insieme.
Mi sentivo grande e libera e capace anche di conquistare il mondo se solo l’avessi voluto. Per una volta avevo deciso io cosa fare senza dover essere sottomessa dai miei troppo apprensivi genitori. Ero io e avevo la mia strada davanti.
E, soprattutto, quella mi sembrava proprio la strada giusta.
Dopo innumerevoli canzoni, passeggiate per i vagoni del treno, figure di merda a catena e maledizioni ricevute da quei poveretti che volevano riposarsi, finalmente il treno cominciò a rallentare. Io e Greta ci zittimmo per un po’, cominciando a fissarci con gli stessi pensieri che ci passavano per la testa. Noi, Roma, concerto. Era la combinazione vincente, la cosa più eccitante da…da sempre. Non c’erano rimpianti o sensi di colpa, nessuna voglia di tornare a casa o paura di essere scoperta dai miei. Avevo voglia di viverla quell’avventura, anche se l’unico risultato sarebbe stato essere in punizione a vita.
Per certe cose, per certe persone, per certe emozioni, ne valeva la pena.
Quando finalmente arrivammo alla stazione tutti quei sentimenti si triplicarono. li sentivo appesantire il mio corpo più dell’enorme zaino che avevo in spalla, ma al tempo stesso mi rendevano libera.
Era una cosa strana e meravigliosa.
La stazione era piena di gente, valige ovunque e gli ultimi saluti prima di andare. Greta mi camminava accanto e lottava con il suo borsone  - non avevo neanche il coraggio di chiederle cosa ci fosse dentro-. Ci scambiammo un sorriso veloce. Infondo, c’eravamo dentro insieme.
«Ok, cerca mio cugino» annunciò una volta sotto il mega cartellone degli arrivi/partenze. Gettò tutto per terra, lasciando evidentemente il borsone da due quintali vincere, e prese a guardarsi intorno con smania.
«Vorrei ricordarti che io non conosco tuo cugino.» controbattei pensando a quel pazzo che si era preso l’incarico di badare a noi due per i successivi due giorni. Probabilmente non aveva idea di cosa lo aspettava. Due come noi non erano facili da gestire.
«Vai a senso»
Greta e le sue idee geniali.
Cominciai a dare un’occhiata in giro, cercando qualcuno che mi ispirasse fiducia per poi sperare che fosse lui il fatidico cugino. Trovai un barbone, un tipo dai capelli blu, uno vestito alla “Man in black” che sembrava sul punto di far esplodere una bomba, un ragazzo bellissimo che ci fissava, un uomo intento a leggere il giornale e…
Tornai di scatto con gli occhi al biondino appoggiato ad una colonna che guardava dalla nostra parte. E ci sorrideva. Anzi, sorrideva a Greta.
«Aleeee» l’urlo che quest’ultima lanciò avrebbe potuto svegliare mezza Roma, infatti tutte le persone in quella stazione seguirono con lo sguardo la mia amica mentre correva ad abbracciare il suddetto cugino da infarto. Si vedeva che la bellezza era di famiglia. Tutti e due biondi, tutti e due perfetti, tutti e due super sorridenti. Quasi mi dispiaceva intromettermi nel quadretto.
«Jess, vieni»quando Greta mi chiamò, istintivamente l’attenzione del ragazzo cadde su di me. Mi sorrise ed io arrossii. Da vicino era ancora più bello.
«Alessandro, piacere» si presentò allungandomi una mano. Vidi uno scintillio, nei suoi occhi, che mi fece capire che conosceva l’effetto che aveva sulle persone.
«Jess» risposi stringendola. Una stretta decisa, da “vero uomo”.
«Allora, questo è il vostro unico bagaglio?» disse indicando con un cenno della testa lo zaino che portavo in spalla. Io e Greta scoppiammo a ridere contemporaneamente.
«Ale, lo sai che ti voglio bene, vero? Bene, quello è il mio bagaglio»
Così, io, Greta e suo cugino in versione facchino, uscimmo finalmente all’aria aperta.
Il sole era alto nel cielo; la giornata era calda e meravigliosa; i palazzi, la gente e le strade illuminate dalla luce. Era Roma, la città eterna, e noi eravamo lì per il concerto di Conor.
C’era qualcosa di meglio?
Nah.
«Gre, che ore sono?»
«Mezzo giorno, perché?»
«Perché vuol dire che mancano solo nove ore al grande evento»


Fog's corner
Ssssalve ragazze :)
Ok, calma, tranquilla... WAAAAAAA.
non ci credo, sono tornata a scrivere fan fiction!
Bene, forse dovrei presentarmi, sono Fog e sono una mayniacs, una directioner, una belieber e chi più ne ha, più ne metta. Ho scritto tipo diecimila fan fiction sui one direction, ma ne ho cancellate la maggior parte perchè erano davvero TROPPO inbarazzanti, ma sono tornata per Conor.
La verità è che l'altro giorno ho comprato i biglietti per il concerto di Roma e giuro che non riesco a pensare ad altro, così scrivo. se non scrivo, impazzisco.
Non so da dove sia uscita questa storia,#takeiteasy
Però non prendetela come la solita fic dove la protagonista va al concerto e il cantante in questione si innamora di lei (senza sminuire le storie del genere). sarà qualcosa di più elaborato, più complicato. Non vi basta che continuare a leggere per scoprirlo ;) (occhiolino mafioso per invogliarvi a seguire la storia ahahaha)
So anche che questo è solo un prologo, ma mi piacerebbe davvero tanto sapere cosa ne pensate perchè se non vi piace è inutile continuare :(
Potete anche dirmi che faccio schifo a scrivere o cosa posso o dovrei migliorare, accetto tutti i pareri e le critiche.
Ma, sopratutto, vi pongo una domanda. Andrete al concerto? Mi dispiace da morire per chi non andrà - so come ci si sente e fa davvero schifo- ma per chi è riuscita a convincere i propri genitori/trovare i biglietti dove andrete? let me know :)
Un bacione e alla prossima :*
Fog_

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Capitolo 2
*** Concerto ***


2.Concerto

I primi toni del tramonto coloravano il cielo che si estendeva davanti a noi dall’ultimo piano di quel palazzo da qualche parte a Roma.
Non avrei saputo dire dove eravamo o come ci eravamo arrivate, non avevo prestato attenzione alla strada, ma finchè era un posto sicuro dove dormire, non avevo niente di cui lamentarmi. Non avrei mai ringraziato Alessandro abbastanza.
Greta mi raggiunse sul balcone con un pacchetto di sigarette e mi obbligò a farle spazio sul divanetto di paglia di cui mi ero impossessata. Ci accendemmo una sigaretta, qualcosa di rilassante prima della serata che ci sarebbe toccata, ed in silenzio restammo ad ammirare quello spettacolo.
«Abbiamo una sola occasione» disse Greta ad un certo punto, lasciando che la nuvola di fumo bianco fuoriuscisse dalle sue labbra. Rabbrividii, ma probabilmente non fu per il freddo.
«Un’occasione per fare cosa?» domandai conoscendo già la risposta. Era una prospettiva che un po’ mi spaventava, un po’ mi eccitava. Era qualcosa di troppo grande per due ragazzine qualunque come noi.
Mi strinsi le gambe al petto, espirando dalla sigaretta per non abbandonare lo stato di assoluta tranquillità che mi circondava. Stavo cercando di rimandare tutte le emozioni a più tardi.
«Conor, dobbiamo conoscerlo.»
Ecco, infatti.
Greta non era una di quelle persone che si accontentavano della situazione, no, se c’era un modo per rendere tutto ancora più eccitante lei non esitava nel metterlo in pratica. Forse era per quello che ci trovavamo bene insieme. Lei mi trascinava nell’esagerato, io sapevo quando era il momento di fermarsi.
«E come Gre? È una star internazionale, ha migliaia di fan, perché dovrebbe cagarsi noi?»
«Guardaci, Jess» come sempre, dopo le mie solite lagne, lei intraprendeva la campagna di convincimento. Si mise in ginocchio sul divanetto, completamente girata verso di me, con i capelli biondi che le cadevano sul viso e un sorriso che andava da orecchio a orecchio. «Non siamo ragazze che passano inosservate. Pensaci, dai. I ragazzi a Londra che ci fermarono per farsi una foto con noi? E quell’agenzia di casting per modelle? Oppure dai, quella volta a Milano, che nell’Abercrombie ci scambiarono per due che lavoravano lì? Qualsiasi festa, per strada, in spiaggia, ovunque, noi non passiamo inosservate Jess»
A pensarci meglio, lei era anche la mia autostima. La sua valeva per entrambe e, soprattutto, sapeva quando sfoderare quegli episodi nei momenti giusti. Purtroppo aveva ragione.
Noi non passavamo inosservate.
Greta era bella, davvero bella, con i suoi capelli biondi e gli occhi castani.
E a quanto pare anche io ero “bella”. Non sapevo cosa la gente ci vedeva in me, oltre delle tette troppo grandi e dei capelli troppo lunghi, però evidentemente lei aveva ragione.
Attiravamo l’attenzione.
Ma questo valeva anche per una pop star?
Non ne ero sicura.
Era una situazione diversa dalle solite, diversa da qualsiasi altro momento della mia vita. Avremmo visto una persona importante, una di quelle che incontri una volta e poi via, una di quelle che cantano per tutta la notte per centinaia di persone e tu invece pensi sia solo per te, perché prendi quelle parole, quelle note, quei sentimenti, e li fai tuoi. E allora, considerando che avevamo una sola chance anche solo provare a passare qualche minuto in più con Conor, forse sarebbe stato uno sbaglio non provarci.
Non avevo neanche la più pallida idea di cosa aveva in mente Greta, ma più i secondi passavano, più la sigaretta finiva e più pensavo di doverla assecondare.
«Tu a cosa pensavi di preciso?» domandai guardandola di sottecchi, sperando di non darle troppe false speranze, ma rendendomi conto che era troppo tardi considerando che aveva già iniziato a saltare per tutto il balcone.
«Dovrà pure cambiarsi da qualche parte, no? Deve esserci un backstage, una stanza, un qualcosa, e i cari vecchi film americani insegnano che a  quel “qualcosa” si accede sempre dal retro del locale»
«Cioè, noi stiamo cercando di conoscere/barra/abbordare Conor Maynard seguendo i consigli di qualche filmetto per ragazze?» domandai fingendomi scettica agli occhi della mia amica, la quale alzò le spalle con fare innocente.
«Esatto, ci infiliamo nel suo camerino o qualcosa del genere» rispose come se fosse la cosa più normale del mondo. Fece gli occhi da cucciolo vedendo la mia espressione contrariata, ma niente mi avrebbe fatto cambiare idea. In realtà, avevo già deciso da molto tempo, da quando avevo detto a Gre del concerto, da quando avevamo comprato i biglietti.
Le sorrisi all’improvviso, facendole venire un colpo.
«Facciamolo»
Mi sentii tirare e presto fui al suo fianco e saltammo insieme e ridemmo anche per troppo tempo.
Si stava bene lì, a farsi illusioni e progetti che non si sarebbero mai realizzati, ma che ci davano la convinzione anche per un secondo di essere in grado di conquistare il mondo.
Facemmo le stupide, ballando su canzoni che erano solo nella nostra testa, finchè Alessandro non venne a chiamarci.
Mancavano tre ore al concerto, era arrivato il momento di prepararsi.
Ci chiudemmo nella stanza degli ospiti che Alessandro ci aveva offerto e cominciammo a sbirciare tra i vestiti che ci eravamo portate. Il famoso borsone di Greta era completamente svuotato sul letto e occupava l’intero materasso da una piazza e mezza, mentre per il mio una sedia bastava e avanzava.
«Manca un’ultima cosa da risolvere, maglia stupida o maglia seria?» fece Greta tirando fuori dalla catasta entrambe le opzioni. Scoppiai a ridere ancora una volta alla vista della “maglia stupida”.
Ero un fottuto genio.
«Maglia stupida tutta la vita»
La maglia in questione aveva scritto sul davanti “Italian Girl (better than Vegas)” e sul retro “italians do it better”. Una maglia poco patriottica.
Stranamente, impiegammo pochissimo a vestirci. Forse perché avevamo quei vestiti pronti da almeno due settimane, forse perché prima saremmo arrivate, più tempo avremmo avuto per le nostre ispezioni da film americano. Dr Martens, collant, pantaloncini a vita alta, maglietta stupida e maglioncino per me, converse, minigonna a vita alta, maglietta stupida e giubbotto di pelle per Greta. Lei liscia, io mossa. Lei bionda, io castana. Era bello il fatto che fossimo diverse in tutto e per tutto, tanto nell’aspetto quanto nei vestiti.
Probabilmente, unite, saremmo state la ragazza perfetta.
Magari l’avrebbe pensato anche Conor.
 
Un quarto d’ora dopo eravamo in macchina, sulla strada per il locale del concerto.
Alessandro guidava fin troppo veloce e Greta, al suo fianco, cambiava stazione alla radio ogni cinque secondi. Io avevo il cellulare attaccato all’orecchio e il “bip bip” del segnale libero scandiva i secondi. Stavo per dire la balla più grande della mia vita.
«Jess, ciao! Come va? Com’è andata la gita? Sei da Greta ora?» la raffica di domande di mia madre mi investì come un treno prima che potessi rendermi conto che aveva risposto. Tirai un sospiro per riorganizzare i pensieri e il discorso che mi ero preparata, poi partii all'attacco.
«Ciao mamma, si, la gita è stata bellissima, ora siamo a casa di Greta» 5, 4, 3,2, 1… «ma c’è stato un problema, la mamma di Greta ha avuto un imprevisto, è fuori città e non tornerà prima di domani. Non posso lasciarla dormire da sola, ti prego, posso restare a dormire da lei?»
Greta si sporse dal sedile davanti e mi incoraggiò con lo sguardo, pronta ad intervenire se fosse stato necessario, mentre Alessandro se la rideva di brutto.
«Siete tremente….» sussurrò scuotendo la testa contrariato, sovrastando i ragionamenti strani di mia madre sul fatto che non avesse senso “restare a dormire da lei”. Se solo avesse saputo dov’ero in realtà…
«Non credo sia una buona idea, Jess. Dovresti tornare a casa» disse e il mio cuore perse uno, due, almeno tre battiti. Con le mani che iniziavano a sudare, cercai un argomento che potesse convincerla.
«Immagina se fossi stata io al suo posto» improvvisai obbligandomi a non farmi prendere dal panico «Tu mi lasceresti dormire sola a casa senza nessuno a cui poter chiedere aiuto per qualsiasi cosa, o preferiresti che un’amica mi facesse compagnia?»
Sapevo che con quel discorso sarei riuscita a convincerla.
Ci vollero vari battibecchi, troppe preoccupazioni e altre centinaia di cazzate per finalmente convincerla che “dormire da Gre” era la cosa giusta da fare, a dirlo a papà poi ci avrebbe pensato lei.
«Ciao mami, ci sentiamo domani» la salutai con il sorriso stampato sulla faccia, senza riuscire a credere che ci fosse davvero cascata. «Ah e…mi faccio sentire io. Sai, visto che domani non c’è scuola, ne approfittiamo per dormire e magari anche passare un altro po’ di tempo insieme. Del resto, è il suo compleanno»
Chiusi la chiamata prima che potesse anche solo provare a rispondermi. Io e Gre ci guardammo per due secondi, poi l’urlo che lanciammo fu lecito. Neanche Alessandro trovò niente da ridire.
Eravamo a Roma, al concerto di Conor, e i miei non sapevano niente.
Ah, e avremmo anche provato ad infilarci nel backstage.
Quante altre persone potevano dire di aver fatto lo stesso a sedici anni?
«Arrivati» annunciò Alessandro all’improvviso, interrompendo la nostra performance su una vecchia canzone dei Queen passata alla radio. Rallentò fino a fermarsi in un piazzale stracolmo di auto e persone. «Quella è l’entrata, riuscite a cavarvela da sole?»
Dovetti ammettere che in quel momento, un po’, mi sentii sperduta.
C’erano troppe persone lì, troppa confusione, ma me lo sarei dovuta aspettare considerando che era un concerto. Annuii non troppo sicura.
«Si Ale, tranquillo, veni a prenderci per mezzanotte» Greta si sporse a dare un bacio sulla guancia a suo cugino, io mi limitai a sorridergli. Scendemmo dall’auto e lui ripartì alle nostre spalle, lasciandoci sole in balia della folla di ragazzine eccitate.
«Bene, abbiamo due ore per trovare una fottuta porta in questo bunker»
Il locale, visto dall’esterno, non era altro che uno squallido prefabbricato interamente stuccato di bianco. Percorremmo l’intero perimetro correndo avanti e indietro, scansando le persone, gettando sempre un’occhiata all’entrata in caso dell’arrivo di Conor –sempre che non fosse già dentro-. Ci mettemmo troppo tempo a realizzare che i film americani avevano torto. Che non c’era sempre un’entrata dal retro e, se c’era, era completamente sprangata dall’interno –come nel nostro caso-. Era inutile anche solo provale a buttarla giù. Persino Greta non trovò niente da ridire.
«Forse è meglio tornare all’ingresso e mettersi in fila per entrare» disse dopo l’ennesimo giro senza risultati. Eravamo dalla parte opposta rispetto alla folla e i suoni arrivavano ovattati, lontani. Le persone normali erano tutte lì ad aspettare che Conor arrivasse in macchina, non a cercare di intrufolarsi nel suo spazio privato, e nonostante noi non potessimo esattamente definirci “normali” forse era arrivato il momento di seguire la massa.
C’era qualcosa, però, che non quadrava.
Ok, eravamo abbastanza lontane dalla folla di ragazzine urlanti, ma le loro grida era davvero troppo lontane. Stava succedendo qualcosa.
Afferrai la mano di Greta e la trascinai al mio fianco, cominciando a correre a perdifiato fino all’ingresso del locale. Ingresso dove, stranamente non c’era quasi più nessuno. Erano tutti davanti al cancello del parcheggio, tutti in attesa della fatidica macchina.
«Che sta succedendo?» domandò Greta alla prima ragazza che ci trovammo davanti, afferrandola per la manica del giubbotto. Quando questa si voltò, ci guardò strano, probabilmente chiedendosi come facevamo a non sapere perché all’improvviso tutti avevano deciso di migrare vicino al cancello, ma non fece domande.
«Conor ha appena postato una foto su instagram di un cartello che è a meno di un chilometro da qui, sta arrivando» spiegò con il fiatone prima di riprendere la sua corsa verso il cancello. Greta fece per seguirla, ma la bloccai prima che potesse fare anche solo mezzo passo. Non dovevamo muoverci da lì.
«Che senso ha vederlo arrivare in macchina?» le domandai con  il cuore che riprendeva la sua corsa e il cervello che si sforzava di trovare un qualcosa da fare. Niente porta sul retro, che fare allora?
Con lo sguardo seguii tutto il perimetro della recinzione del parcheggio, finchè non trovai una minuscola, seconda entrata. Bingo. «quanto ci scommetti che entra da lì?»
Sarebbe stato molto più facile arrivare tutto intero e senza problemi all’interno del locale passando da lì, magari con una macchina che non avrebbe dato nell’occhio. Io avrei fatto così, almeno.
Poi, per due secondi, non si capì davvero più niente.
Le ragazze al cancello cominciarono a gridare contro una macchina che stava passando, le poche rimaste lì all’ingresso del locale presero a saltare da parte a parte, gridando l’una contro l’altra, chiedendosi se fosse il caso di raggiungere le altre, ma nel frattempo nessuno si accorse del macchinone nero che stava entrando da quella rientranza che avevo notato.
Strattonai Greta, tenendola dal giubbotto, appoggiandomi a lei.
«è lui, sicuramente» gridò lei seguendo con lo sguardo la jeep che si avvicinava sempre più a noi, ovvero all’entrata. Fu come vivere una scena a rallentatore. Noi, un'altra decina di ragazze e lui, oltre quei vetri oscurati. Non avrebbe potuto non notarci.
Purtroppo, però, le ragazze al cancello non ci misero molto a capire che nella macchina che inseguivano non c’era Conor e che lui, semplicemente, era arrivato all’entrata indisturbato.
Come una mandria di bufali urlanti, cominciarono a correre verso di noi.
Ero confusa, disorientata e non sapevo cosa fare.
Mi lasciai trascinare da Greta contro le transenne che creavano un varco davanti all’entrata del prefabbricato, finendo schiacciata contro il duro metallo, ma allo stesso tempo consapevole di essere in prima fila, proprio dove lui sarebbe passato entro pochi minuti.
Quando la macchina si fermò a qualche metro da noi pensai che il mio cuore potesse da un momento all’altro scoppiare di gioia e di felicità e di ansia e di emozione.
Le mie dita erano fossilizzate tra quelle Greta ed ero più che certa che se le avessi lasciate, sarei potuta impazzire. Erano il mio unico legame con la realtà, tutto il resta assomigliava più ad un sogno.
Soprattutto quando lo sportello della macchina si aprì.
E vidi Conor.
E Conor sorrise alla folla.
E un boato fatto di urla si alzò intorno a noi.
Gridai anche io, senza neanche sapere perché o volerlo fare. Gridai perché era l’unico modo per lasciar uscire almeno un po’ i sentimenti che mi soffocavano. Avevo immaginato quel momento tante di quelle volte che per un secondo temetti che anche quella fosse solo una mia fantasia, ma quando lui cominciò a camminare nel corridoio creato dalle transenne e il mio cuore, se possibile, prese a battere ancora più forte, mi ricordai che era tutto vero. Il problema era che, nelle mie fantasie, lui aveva occhi solo per me ed io ero spigliata, divertente, capace di farlo innamorare con uno sguardo, mentre in quel momento il mio cervello era completamente in tilt.
Lui era lì, jeans attillati, maglia scura e felpa grigia e camminava con disinvoltura, facendo foto e firmando autografi ovunque.
Ed era a soli pochi metri da noi.
Se non mi guarda almeno per un secondo,mi sparo pensai mentre continuavo a gridare. Andava da una parte all’altra, ridendo, saltellando, e più si avvicinava, più il mio cuore pompava.
Poi, all’improvviso, ci fu davanti.
Non so cosa lo spinse a soffermarsi con noi.
Non l’avrei mai capito, ma lo fece. Prese il pennarello che gli stavo porgendo, fece un autografo, poi ci sorrise.
«Cos’ho qui? Due …”Italian Girl”?» scherzò leggendo la scritta sulle nostre magliette. Conor. Stava. Parlando. Con. Noi. «Ma non era “Vegas Girl”?»
Aria, avevo bisogno di aria.
«No, le “Vegas girl” le puoi trovare ovunque, noi siamo ciò che ti manca» rispose Greta ammiccando, sicuramente stava gestendo la situazione meglio di me perché io potevo giurare di essere sul punto di svenire. Lui era davanti a noi ed era quel qualcosa di perfetto che non avevo mai visto in nessun’altro.
«Ciò che mi manca? Allora che dovrei fare?» chiese lui, sembrando divertito dalla situazione. Le ragazze intorno gridavano, la musica dall’interno del locale cominciava a pulsare, ma a me non importava. Vedevo solo Conor, Conor vedeva noi. Non potevo sprecare l’occasione.
«Dovresti darci un bacio» gettai lì con l’ultimo fiato che mi era rimasto in corpo, poi i suoi occhi si puntarono nei miei e tutto si fermò. Il cuore, il tempo, la terra. Tutto. Finchè non sorrise di nuovo.
Fece per protestare, mai noi lo precedemmo.
«and you can’t say no» gridammo in coro, lanciandoci un’occhiata complice che mi fece calmare, come le nostre dita ancora strette.
«Voi siete in due, dovreste darmelo voi un bacio» rispose pronto, la sua voce sovrastava senza fatica tutti gli urli forse perché a me interessava solo quella.
Il suo accento inglese mi faceva sciogliere.
Greta tirò fuori dalla tasca il suo cellulare ed accese la fotocamera interna mentre ci sporgevamo verso Conor. Posammo le labbra sulle sue guancie, una da una parte e una dall’altra, e nonostante tutti spingessero contro di noi, schiacciandoci contro le transenne; nonostante Conor sapeva di dover accontentare altre centinaia di ragazze, riuscimmo a fare almeno cinque foto scattate a ripetizione. In quel momento il cellulare di Greta era la cosa più preziosa che avevamo.
«Ci vediamo, Italian Girls»
Quelle furono le ultime parole che ci rivolse prima di continuare il suo percorso tra la gente che lo acclamava. Probabilmente non avrei mai provato un’emozione come quella.
Avevamo avuto Conor Maynard tutto per noi, anche se per pochi minuti, ed era quanto di meglio avessi potuto chiedere. Forse non eravamo riuscite ad intrufolarci nel suo backstage, ma a chi importava?
Abbracciai Greta, incapace di dire o fare qualcosa, e da dietro la sua spalla intravidi Conor stringersi tra le braccia di altre ragazze che, come noi, si stavano sentendo al settimo cielo.
Anche se, forse, loro non gli avrebbero dato un bacio.
Sorrisi ripensando al ricordo delle mie labbra contro la sua guancia morbida.
E pensare che il concerto non era ancora iniziato.
Chi sarebbe riuscito a sopportare altre emozioni?
 
La folla lo acclamava, gridava contro di lui, cantava le sue canzoni, saltava.
Facevamo tutti parte di una massa di gente che non aveva niente in comune, se non il ragazzo che dava tutto se stesso su quel palco.
Il mio cuore, quello di Greta, quello di tutti in quella sala e quello di Conor, per una volta, battevano allo stesso modo, spinti dai bassi che rimbalzavano sulle pareti.
Una cosa sola, eravamo una cosa sola.
E la sua voce, dio, faceva venire i brividi.
Quando finì di cantare Animal, Conor si fermò a riprendere fiato per cinque secondi.
Cominciò a guardare tra la folla, sorridendo, prendendosi tutte le urla, tutti i complimenti, godendosi l’esaltazione di centinaia di ragazzine tutte lì per lui.
«Allora, italian girls, fatevi sentire» esclamò e il pavimento sembrò tremare tanto forte fu il grido. E tra quelle voci c’erano anche la mia e quella di Greta, ma non ci avrebbe riconosciute, non quella volta.
«Ok, ok, ho capito» rise, passandosi una mano tra i capelli. Si sistemò un attimo il microfono, poi prese un respiro profondo. Continuava a scrutare tra la gente. «Prima che inizi la prossima canzone, vorrei sul palco due ragazze. Vi amo tutte, ma loro… be’, loro dicono di essere migliori delle Vegas. E che sono ciò di cui ho bisogno. Per favore, mie italian girls, potete raggiungermi qui sul palco?»
Silenzio totale.
Come un robot, priva di battito cardiaco, salivazione o qualsiasi altra cosa, mi girai verso Greta.
Ci guardammo intensamente mentre il pubblico cercava di capire chi fossero le due ragazze che Conor voleva al suo fianco in quel momento.
«Ma parla di noi?»
Quello, era decisamente meglio di intrufolarci nel suo backstage.

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