The Ghost Client di kannuki (/viewuser.php?uid=1781)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The ghost client ***
Capitolo 2: *** Vuoto cosmico ***
Capitolo 3: *** Curiosity Killed the Cat ***
Capitolo 4: *** Occupy Wall Street ***
Capitolo 1 *** The ghost client ***
>Stiamo uscendo<
L'uomo con la
valigetta ha un'età stimata sulla trentina, altezza media,
caucasico. Occhi e capelli scuri, dal taglio ordinato e pulito. Si
intravede un cenno di stanchezza sul viso. La mano destra continua a
stringere la cinghia della borsa che scava la sottile imbottitura
della spallina sotto la giacca. I suoi occhi sono vacui, assenti.
Compie lo stesso tragitto quasi tutti i giorni, sempre accompagnato
dalla donna.
La donna che
cammina con passo felpato e svelto, indossa un completo fatto su
misura, scarpe basse, chiuse, adatte a correre. La camicetta manca
del secondo revers ma i lembi corrono chiusi lungo il torace
fino al primo bottoncino bianco. Fisico asciutto e snello. Ha
dimenticato di indossare la cintura, quella mattina. L'umidità
è insopportabile, le arriccia i capelli naturalmente ondulati
e corti che cerca in tutti i modi di tenere a bada con le classiche
forcine invisibili. La sua espressione è vigile e scandaglia
ogni persona che si frappone sul loro cammino. Sembra tenere molto
alla sicurezza dell'uomo che la distanzia di pochi passi.
> Rich, aggiornami<
>La strada è
libera<
Debra Sept pensa
'perfetto' e quando le porte scorrevoli della Borsa si aprono,
Messina spalanca la portiera della limousine. L'uomo entra e Debra
gira attorno alla macchina, lanciando occhiate furtive attorno a se.
L'autista riparte dolcemente, immettendosi nel traffico impazzito
della mattina. E' facile, il suo lavoro. Deve solo far restare in
vita quei ricchi paperoni fissati con la sicurezza.
“La cintura.”
Debra sposta lo sguardo
dal finestrino e lo posa cautamente sull'uomo e poi su se stessa. Lei
è il capo della sicurezza, dovrebbe dare il buon esempio. La
pagano fior di quattrini per presentarsi a lavoro in anticipo e in
ordine. “L'ho dimenticata. Mi scusi, signore.”
L'uomo richiude la
brossure che deve ancora leggere, la valigetta aperta sulle
ginocchia. La solita telefonata che resta senza risposta. La
stanchezza si accentua, il cliente allunga le gambe avanti e guarda
le macchine ferme al semaforo. “Sta per piovere... avete un
ombrello, Sept? Non deve prendere un malanno per colpa mia.”
La donna siede sul
sedile anteriore e, senza farsi notare, lo sottopone al solito esame
di fine giornata. La telefonata è andata a vuoto anche
stavolta. Debra non ha capito molto bene che lavoro fa, ma non la
pagano per fare domande. Il suo cliente conosce cose che gli altri
non conoscono ed è sempre un passo avanti a tutti. C'entra il
mercato della compravendita, ma per il resto è un fantasma: se
Google non riesce a rintracciarti, per il mondo, tu non
esisti. Il lavoro la costringe anche a parlare con quei ricchi
paperoni, ma non se la cava mai molto bene. Deve lavorare il doppio
di un uomo, per dimostrare di essere migliore. E' timida e non
stringe facilmente amicizia. Però è bravissima a
leggere le persone, e più di una volta si è
accorta che il cortese interesse di alcuni clienti nascondeva altro.
Il giorno in cui Mark Framboise non necessiterà più dei
suoi servigi, sarà il giorno in cui aprirà una
pasticceria. Questo le fa ricordare che il contratto sta per scadere
e DeBurgh non l'ha ancora chiamata. “Avete bisogno di qualcuno
all'interno, signore.”
Interno? Ah, la festa.
Mark Framboise chiude gli occhi e annuisce. Odia le feste, quelle
feste. Odia dover parlare del suo lavoro dopo l'orario di lavoro, e
odia presentarsi sempre solo.
“Rich si occuperà
di voi.”
Di quante guardie del
corpo ha bisogno un uomo qualunque? “Sì, signora.”
Ha ristrutturato
l'appartamento e cambiato macchina e guardaroba, da quando ha
accettato di proteggere quell'uomo che non sembra volerne sapere
nulla dello spiegamento di forze in suo onore.
“Ma se preferite,
sarò la vostra ombra. A che ora vuole uscire?”
“Possiamo
pensarci domani?”
E' stato educato, ma è
evidente che ne ha abbastanza di tutti. “Sì, signore.”
“Grazie, Sept...”
“Dovere,
signore.”
***
Il contratto non è
stato ancora rinnovato. Debra vede l'insegna della pasticceria
avvicinarsi sempre di più. Avrà una scritta elegante e
raffinata, pareti pastello... e un telefono che squilla. “DeBurgh,
dammi buone notizie” esclama lanciandosi sul cordless. Le
seccherebbe perdere quel cliente, però. E' uno dei migliori.
“Un altro lavoro?” Debra guarda il microonde aperto, ci
infila la pizza surgelata e imposta temperatura e orario. I capelli
ricci e corti sgocciolano acqua ma l'asciugamano rosa che tiene
attorno al collo le impedisce di avere le spalle bagnate. Posa i
gomiti sul tavolo, il planning del mese completo di incombenze
lavorative, cene con le amiche e appuntamenti dall'estetista.
Picchietta la penna sull'oroscopo del mese e quando il suo cacciatore
di teste personale le comunica il nome del nuovo cliente, Debra
smette di tormentare la ciocca che le cade sugli occhi. Il nome non
le dice nulla. “E' un ragazzino?”
>Uno di quei
geniacci che lavorano nell'ombra. Il governo li usa per hackerare i
sistemi informatici dei Paesi nemici<
“Mh... un nerd...
non li sopporto...”
>Questo perché
sai a malapena usare il bluetooth e la connessione wifi, bellezza<
“Gente stramba
che vive in un mondo a parte...” soffia trasferendo la pizza
dal microonde al piatto. “Parliamo delle faccende serie. Quanto
paga, il genio, per le mie prestazioni?”
>Il solito, nulla di
più<
Già, il compenso
pazzesco di Framboise può scordarselo.
>Scusa tesoro, non
ha ancora chiamato<
Debra sgranocchia la
crosta che il microonde non ha reso molliccia come il resto e alza le
spalle. “Mi piaceva la sua gratifica natalizia.”
***
Sta bevendo troppo. In
due anni di lavoro, non ha mai visto il suo cliente alterato
dall'alcool. Aveva una brutta faccia quando è salito sulla
limousine. Debra non crede ad un lutto in famiglia, quanto ad un
crollo del mercato invisibile per cui lavora. Scivola come un
fantasma fra gli invitati e di gorilla ne vede parecchi. Le escort
sono ancora più accorte di loro. Quasi nessuno porta la moglie
o la fidanzata a quelle feste. Framboise si presenta sempre solo, ma
Debra sa che ha una fidanzata da qualche parte. Una poetessa o una
scrittrice, non ricorda bene. La sua telefonata senza risposta delle
19 di sera. Il contratto non è stato ancora rinnovato e anche
se ha un rimpiazzo pronto, l'idea di non gestire più la sua
sicurezza personale la disorienta. Si avvicina all'uomo e lo saluta
educatamente.
“Vuole bere
qualcosa, Sept? Ah, già... è in servizio...”
Lo dice come se fosse
molto seccato della sua sobrietà. “Sono astemia,
signore.”
“Si diverte,
qualche volta?”
Il suo cliente deve
odiare il mondo intero, quella sera. “Sì, signore.”
“Ha un
fidanzato?”
“No, signore.”
Mark Framboise
annuisce, prende atto e indugia lo sguardo nel bicchiere di
champagne. “Lei non ride, lei non beve, lei non ha il
fidanzato...”
Lo dice come se la
detestasse, ma Debra è abituata ai clienti difficili, ed è
la prima volta che le pone tutte quelle domande. La conversazione con
gli alti papaveri deve essere stata inconcludente e noiosa. “Posso
parlare liberamente, signore?” mormora girando lo sguardo
intorno. “Il mio contratto non è stato rinnovato e
l'agenzia ha provveduto ad affidarmi un nuovo cliente.”
Mark Framboise smette
di guardare le bollicine formate sul bicchiere e sposta lo sguardo
sulla donna.
Debra pensa che è
un bell'uomo ma non è entrato in nessuna classifica perché
lui, tecnicamente, non esiste. “E' l'ultimo mese che ho
l'onore di riportarla a casa sano e salvo” annuncia
togliendogli il bicchiere dalla mano e posandolo sul primo vassoio
vuoto. “Vuole seguirmi, signore?”
“La festa non è
finita, Sept...”
“La festa è
finita, signore.”
E a volte, deve usare
le maniere forti.
Mark Framboise sa che
potrebbe stenderlo con una mano. Non ha mai avuto dubbi sulle sue
capacità, anche se è la metà di un uomo.
“Non mi costringa
ad usare la forza.”
E gli ricorda la
maestrina del primo anno di liceo che lo caricava di compiti. Si era
preso una mezza cotta per lei. Mark Framboise tace e la segue fuori,
mentre Debra chiama la macchina e lo piantona, neppure fosse un
carcerato in attesa di essere trasportato nel braccio della morte. Lo
infila nella limousine e sale davanti con l'autista. Il silenzio
dell'abitacolo è fastidioso, dopo il chiacchiericcio e la
musica della serata. Il capo della sicurezza non lo lascia mai solo
ma stavolta ha scelto di sedere sul sedile anteriore.
Quando Debra apre la
portiera, lo trova mezzo addormentato. “Siamo arrivati,
signore.” La sua residenza è in uno di quei grattacieli
che salgono fino a bucare le stelle. Debra non è mai stata
dentro l'appartamento e non ha mai oltrepassato il custode in livrea.
Ci sono diversi ascensori, Mark Framboise le indica quale prendere e
Debra sospira e si chiede se dovrà anche spogliarlo e metterlo
a letto. Sta in piedi da solo ma non si fida a lasciarlo andare. Non
le piacciono quegli ascensori che si aprono direttamente all'interno
delle abitazioni, fanno tanto centro commerciale e azzerano il
concetto di privacy. Il suo cliente è ben strano: tiene alla
sicurezza ma i vetri alle finestre non sono neppure antiproiettile.
Chi ucciderebbe un uomo che non esiste? “Siamo arrivati,
signore. Mi dia la giacca.”
“Posso farlo da
solo...”
“Non voglio
trovarla a dormire sul pavimento, signore” annuncia chinandosi
a slacciare le stringhe delle scarpe.
“Non siete la mia
cameriera personale, non ne ho mai avuta una e non comincerò
ora...” si oppone ricevendo un'occhiata perplessa.
“Bene, signore.
Mi faccia vedere.”
Debra si rialza e
incrocia le braccia. Lo sfida a chinarsi in avanti senza vomitare o
cadere lungo disteso. Resta fregata quando lo vede sedersi sulla
poltroncina, sollevare il ginocchio e slacciare l'altra scarpa con
aria soddisfatta. Sorride, per la prima volta in due anni. “Molto
bene, signore. Molto, molto bene.” Con estrema delicatezza, la
donna fa scivolare lo smoking dalle spalle.
Mark Framboise chiude
gli occhi e li riapre immediatamente. Quella sensazione non la
provava più da molto tempo. “Quante volte le è
capitato... di dover mettere in riga... un cliente?”
“Molte volte,
signore.”
Debra passa il suo
braccio sopra la spalle e lo costringe a rialzarsi dalla poltrona.
“Sono in molti a credere di comprare la persona, oltre i
suoi servigi.”
“E' il
mercato...”
“Col dovuto
rispetto, signore...” sussurra entrando in quella che crede sia
la camera privata “... è una cazzata.”
In due anni, Mark
Framboise non ha mai udito il capo della sicurezza esprimersi in
certi termini. In quei due anni, Debra Sept non ha mai sentito il suo
cliente ridere. Inspira e lo scarica sul letto. “Tolga il resto
dei vestiti e si corichi.”
“Agli ordini...”
Debra resta discosta e
ne osserva i patetici tentativi di slacciare la camicia. Ha messo a
dormire molte amiche e un numero infinito di compagni, al college.
Non fa alcuna differenza. Gli allontana le mani e slaccia i
bottoncini. Il suo cliente ha un buon profumo e la pelle scura da
lettino abbronzante. E' una persona molto curata. Le viene voglia di
vedere cosa contiene l'armadietto del bagno. Tira la cintura dai
passanti, sente il suo sguardo scuro addosso e crede, ma non è
certa, che sia eccitato. “Il resto non spetta a me”
dichiara a bassa voce. “Posso sapere perché il contratto
non è stato rinnovato? Ho gestito male il mio lavoro?”
sussurra, ben sapendo che è inutile parlare con un uomo
ubriaco che l'indomani mattina ricorderà meno della metà
di quel che è successo.
Anche se è
ottenebrato dall'alcool - ed ora eccitato da tutto quel movimento di
mani femminili – Mark Framboise può sentire la sua voce
passare dalla sicurezza alla timidezza. “Le dispiacerebbe...
non lavorare più per me... Sept?”
“Sì,
signore.”
“Perché?”
La verità? Si
affeziona ai clienti e lui non le ha mai dato problemi. “Per la
sua gratifica natalizia, signore.”
Mark Framboise sorride
e tira la camicia dai pantaloni eleganti. E' un bello sforzo ma una
volta libero, è felice di averlo fatto. Debra Sept ha gli
occhi grandi e di color nocciola. Anche quella sera i ricciolini le
sfuggono dalle mollette invisibili. Anche quella sera, ha addosso un
tailleur pantalone elegante e le scarpe basse. Confondersi come
un'ombra non le è riuscito molto bene. Spiccava fra tutte le
donne ingioiellate e in abito da sera. Mark Framboise risistema un
ricciolino e la fissa, con lo sguardo tipico dell'ubriaco che cerca
di riprendere il controllo. I suoi capelli sono morbidi e setosi e si
infilano fra le dita che è una bellezza. Ora i suoi occhi sono
di due taglie più grandi del normale e le labbra socchiuse si
serrano dopo un istante di incredulità.
Le è arrivato il
cuore in gola. La gratifica natalizia non è l'unico motivo per
temere la perdita del lavoro. “Potrebbe prendere la sua
decisione e comunicarla a DeBurgh?”
“Sì,
signora...” sussurra puntando di colpo le mani sul letto.
Troppo alcool. Decisamente troppo alcool per un mezzo astemio come
lui. “Domattina... sveglia alle sei...”
“Sì,
signore.”
“Potrebbe
prendere le aspirine nell'armadietto del bagno?”
“Certo, signore.”
Mark Framboise strizza
gli occhi cercando di metterla a fuoco. “Grazie...”
Debra si allontana
verso il bagno, le gambe le fremono e ha una gran voglia di scappare.
Non si sofferma a spiare il contenuto del locale, afferra quel che le
è stato chiesto, riempie un bicchiere d'acqua e lascia tutto
sul comodino. Il suo cliente sta dormendo alla grande sopra la
coperta. Debra spegne la luce, sospira e si infila nell'ascensore,
tirando le falde della giacca verso il basso. La musica delicata di
Chopin l'accompagna nella discesa. Non se la toglierà più
dalla mente.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Vuoto cosmico ***
Alle sei del mattino,
metà città sta ancora sognando di raggiungere le
stelle. Alle sei del mattino, l'ascensore che innalza Debra Sept
verso il trentesimo piano sta bucando il cielo. La limo è
ferma davanti al palazzo, il motore è acceso e Messina sta
fumando la prima sigaretta della giornata.
E' martedì
sedici Ottobre 2012.
E va tutto bene.
L'ascensore si apre
nell'appartamento 303 con un sibilo. La sera prima non vi ha fatto
caso. Ricorda solo la musica. Debra si accorge di sospirare, agguanta
la ciocca sfuggita alla forcina e trapassa il cuoio capelluto con
essa. Si immerge nel vuoto cosmico interrotto dal suono ripetuto di
una sveglia digitale, cammina rigida verso la camera da letto, la
mano pronta sulla pistola d'ordinanza. Non ha mai dovuto usarla,
spera di non dover cominciare quella mattina. L'insegna della
pasticceria torna a balenarle di fronte agli occhi. Debra osserva il
suo cliente che avrebbe dovuto essere sveglio e pronto, giacere fra
le lenzuola di seta ritorta. Sospira, schiaccia il pulsante della
sveglia e mette mano all'auricolare che è diventato tutt'uno
con l'orecchio sinistro, dopo tanti anni di lavoro. Debra ha 32 anni
e svolge quella mansione da sei. “Spegni la macchina. Trenta
minuti.” Debra osserva la schiena dell'uomo e si chiede se
ficcarlo sotto la doccia o gettargli un secchio d'acqua fredda
addosso, esuli dalle sue mansioni. “Messina ed io troviamo
inaccettabile che stia ancora dormendo, signore” dice ad alta
voce osservando un'evidente assenza di reazioni: un cliente morto non
segna punti in agenzia e ti fa retrocedere all'ultimo posto. Lo
scrolla. “Signore?”
“Cinque
minuti...”
Cinque... minuti? Ha
poche ore di sonno sulle spalle e lui chiede... “Sono le sei e
sette minuti, signore. E' in ritardo e non è ancora
vestito.”
Mark Framboise rantola
qualcosa nel cuscino e Debra alza un sopracciglio. Non può
colpire un cliente, per quanta voglia abbia di farlo. “Le
concedo quindici minuti per la doccia e la barba. Mi faccia attendere
ancora e dirò a Messina di chiamarle un taxi” esclama
tirando via la coperta.
Il corpo seminudo al di
sotto di essa si contrae con una scatto improvviso. Qualunque cosa
faccia quando non è con lei, sta dando i suoi frutti. E' una
gioia per gli occhi. Forse un po' troppo magro per i suoi gusti. Il
ricciolo evade dalla forcina che ha conficcato nel cuoio capelluto
venti minuti prima. Debra lo ignora mentre riempie il bicchiere
d'acqua nel bagno, apre la confezione delle aspirine, ne prende due e
torna nella stanza. La situazione non è cambiata molto e
neppure la sua posa. “Le sono rimasti otto minuti, signore.
Preferisce la ressa della metropolitana?”
“Mh...”
Lo sguardo è
nervoso e accompagnato da occhiaie profonde. Mark Framboise non
ricorda l'ultima volta che è stato svegliato da una donna con
la pistola di ordinanza. La camicetta non ha i revers e la
scollatura corre dritta fino al primo bottone. Ne conta tre prima di
soffermarsi sulla cintura che stamattina non ha dimenticato. Ne conta
tre prima di rendersi conto che è eccitato di brutto. Si
riappropria della coperta, sedendo a gambe incrociate sul letto.
“Odio la metropolitana...”
Debra sorride e apre
l'armadio. E' spaventosa la quantità di abiti che possiede
quell'uomo. “Che colore le piacerebbe indossare, stamattina?”
“Non è la
mia cameriera personale...” le ricorda ingoiando le pasticche.
Non la paga per stirargli le camice.
“Dovrebbe pensare
di assumere un valletto, signore. Le risulterebbe molto più
facile affrontare giornate come queste.” Debra allarga la veste
da camera. È sontuosa e deve tenere un gran caldo. “Le
faccio preparare la colazione.”
“Mi attenda in
macchina” borbotta con un gesto vago della mano. “Si
scusi con Messina da parte mia...”
“Mark, sono le
sei e trenta e ne ho già abbastanza di lei” esclama
ammutolendolo. “Si infili in quella fottuta doccia senza dire
un'altra parola!”
Quando smette di
gridare, Debra legge un intero repertorio di incredulità nel
suo sguardo. Entra nella cabina armadio, tira fuori un completo e lo
getta sul letto, insieme ad una camicia e una cravatta. Non ha idea
se sia adeguata o meno con il colore dell'abito. “Le faccio
portare la colazione fra dieci minuti!”
Le porte dell'ascensore
di chiudono alle sue spalle, Debra volta su se stessa e da una
craniata alla parete, portando le mani attorno alla nuca. Stropiccia
la pelle, la tortura e appoggia la fronte allo specchio lustro,
lasciando una gloriosa mano di fondotinta che si rileva per niente no
transfert. Quando Messina la vede comparire, ha già
riacquistato il controllo di se. “Partiremo in ritardo.”
L'uomo si accende
un'altra sigaretta e le passa il pacchetto che la donna rifiuta con
un cenno del capo. La licenzierà in tronco, non avrà
alcun rinnovo di contratto. Tanto vale cominciare ad arredare
mentalmente la pasticceria.
***
Debra è seduta
sulla sedia del tavolo della cucina e sfoglia cataloghi di
arredamento, i piedi puntati sulla sedia gemella. Mangia kebab da
asporto e sorseggia una Coca Cola Zero. Sa che dovrebbe cercare di
ottenere un finanziamento dalla banca prima di scegliere i mobili, ma
è più semplice cominciare dall'estetica. Inoltre, sono
le otto di sera e nessun consulente lavora a quell'ora. Se lo fa, si
fa pagare fiori di quattrini. “DeBurgh, dammi buone notizie.”
>Il tuo cliente ha
chiamato. Era incazzato nero<
Debra fissa il pensile
appena cerchiato col pennarello blu e gira la pagina.
>Ti ha riconfermato
per altri due anni<
Il tappo le cade di
bocca e nella cucina non si ode più il rumore di carta
sfogliata. “Solito compenso?”
>Ha aggiunto un
extra e ha fatto una richiesta<
Debra solleva le
sopracciglia e scaraventa il catalogo sul tavolo. Incrocia le braccia
sotto le stomaco e non è più sicura di voler lavorare
per quell'uomo.
>Vuole che sia tu a
tirarlo giù dal letto tutte le mattine<
“Mi occupo della
sua sicurezza, non...”
>Cristo, Deb! Ti
devo ricordare la situazione lavorativa, là fuori?<
Debra alza gli occhi al
cielo e incrocia una gamba sull'altra. “Dovrò anche
scegliergli i vestiti?”
>Non questionare con
me, ragazza!<
Pazzesco! “E
magari portargli la colazione a letto!”
>Non lo ha
specificato<
Debra tace e umetta le
labbra.
>Si fida di te.<
Lei non si fida per
niente di se stessa. “Di che cifra si parla? Possiamo
trattare?”
Quando DeBurgh le
risponde, le gambe di Debra crollano sul pavimento. Due anni di
lavoro e la pasticceria potrà pagarla in contanti. “Posso
spingere il carrello della colazione per quella cifra” ammette
sentendo la voce tremolare. “Porca vacca, Leslie. Sono una
montagna di soldi...”
>E sto parlando solo
del tuo compenso personale, la percentuale dell'agenzia è
qualcosa che non vedevamo dai tempi di Bush figlio.<
“Il piccolo
nerd?”
>Abbiamo già
provveduto a far subentrare un altro agente. Perché l'hai
fatto incazzare?<
“Ci siamo
presentati all'orario convenuto e stava ancora dormendo”
sussurra infilando un dito fra i riccioletti. “Ho perso la
pazienza.”
>Hai ripreso un
cliente?!<
Le labbra della donna
si stirano in una smorfietta. L'assenza di risposta è una
risposta.
>Ringrazia i tuoi
santi in Paradiso, piccola, ma non sfidare la sorte una seconda
volta<
Invece, lei aveva
proprio la sensazione che Mark Framboise avesse bisogno di essere
rimesso in riga e bacchettato. “Sì, signore.”
***
“Dove portate le
limousine, Sept?”
Il suo cliente è
pensieroso, quella sera. Debra gli scocca un'occhiata veloce e guarda
fuori del finestrino. “In un garage a pochi isolati dal suo
appartamento. I ragazzi fanno rifornimento, la puliscono e lasciano
le chiavi al vecchio Biff.”
“Lo conosce
personalmente? L'ha mai visto?”
“Sì,
signore.”
“Potrebbe farmi
una grande cortesia, Sept? Potrebbe mostrami il deposito?”
La costringe a fare gli
straordinari. Debra lo guarda apertamente. Non si preoccupa della
sicurezza? Istintivamente, tasca la pistola nella fondina. “A
che ora intende essere a lavoro, domattina?”
L'agenzia ha accettato
la clausola extra in nome del dio Denaro, ma il capo della sicurezza
deve aver pensato ad un capriccio da bambino viziato. “Non è
costretta ad acconsentire ad ogni mia richiesta.”
“La sua
abitazione ha tutte le comodità ma ci sono alcuni cambiamenti
che vorrei apportare.”
Elude tutte le domande
di carattere personale. O sul loro rapporto. “Riguardo?”
“Le finestre. I
vetri non sono antiproiettile.”
Mark Framboise annuisce
e torna a scrutare la strada.
“Non ha il
tappetino di gomma nella doccia. Vuole scivolare e fratturarsi l'osso
del collo?”
“Non credo,
no...”
“La sicurezza
nello stabile è praticamente inesistente! Chiunque può
attraversare la reception, prendere l'ascensore ed infilarsi
nell'appartamento per ucciderla nel sonno. A cosa pensava quando ha
scelto...” Debra si accorge di aver assunto un tono querulo e
del tutto fuori luogo. È un cliente, non un amico. “Mi
scusi.”
“Sa perché
la tengo con me, Sept?”
Non è per niente
sicura di volerlo sapere. “No, signore.”
Solo le sette di
giovedì sera, Mark Framboise ha allentato la cravatta e
slacciato il primo bottone del colletto bianco. Debra Sept ha una
camicetta nuova e il nastro che corre attorno al collo si esaurisce
in un candido fiocco. Non è regolamentare, ma non ha saputo
resistere. L'occhio di Mark Framboise continua a cadere sulla seta
annodata. “No, certo che no...” sussurra pigiando le dita
contro la bocca. Quando fermano di fronte allo stabile, Debra smonta
per prima, fa un giro attorno alla macchina e apre la portiera
continuando a scrutare il marciapiede semi deserto. “Sei
minuti” annuncia all'autista, scordando fino all'ascensore il
cliente. Due minuti per salire, due per controllare l'appartamento,
altri due per riscendere.
“Non troverà
alcun assassino in casa mia.”
La sua voce è
stanca. Forse anche lui risente della tensione che si è creata
in macchina. “A che ora vuole essere destato, signore?”
“Ho un servizio
sveglia piuttosto efficiente, Sept.”
Se ha una voce
registrata che gli da il buongiorno, per cosa è richiesta la
sua presenza? “Le uova come le gradisce?”
“Non mangio uova,
al mattino.”
“Le porterò
un caffè...”
“... e un dolce.
Alla frutta.”
Non è una strana
richiesta. Ne ha udite di peggiori.
“La sua camicetta
è molto carina.”
“Grazie, signore.
Non è regolamentare.”
“Posso chiederle
la cortesia di smettere di chiamarmi 'signore?'”
Debra lo guarda,
immobile, le mani congiunte dietro la schiena. Il suo cliente ha gli
occhi speranzosi. “No, signore” sussurra sciogliendo la
posa. “Sveglia alle sette, caffè forte e tortina alla
frutta. Si faccia trovare vestito, sbarbato e pronto ad uscire.”
“Sì,
signora.”
Debra risucchia il
labbro inferiore e per un istante accenna un sorriso che mantiene
fino all'ascensore. “Sa perché continuo a lavorare per
lei?”
“Per l'enorme
gratifica natalizia.”
Debra Sept sorride e
quando le porte si chiudono, le labbra si piegano all'ingiù.
Gira su se stessa, struscia il collo slacciando il fiocco di seta e
strappa un paio di forcine che risistema con cura, prima di
raggiungere il pianterreno.
“Sette minuti”
la canzona Messina che ha tenuto il conto sul cronografo da polso.
“Sta zitto”
sussurra inspirando l'aria della sera. “Guarda quante
stelle...”
***
La divisa regolamentare
di un agente della sicurezza impone giacca ad uno o tre bottoni, di
colore scuro, pantaloni – niente gonna, mai la gonna –
e scarpe basse, adatte a correre. Gli stivaletti sono ben accetti
purché siano lustri e privi di lacci sul dorso del piede. La
camicia, prettamente chiara, non ha limitazioni riguardo stoffa o
taglio. Si richiede che le signore curino con particolare attenzione
il make up che deve essere invisibile e impeccabile. Gli
agenti possono portare barba e capelli lunghi, purché la prima
sia regolarizzata tutti giorni e l'aspetto complessivo risulti
piacevole e ben curato.
Alle sei del mattino
del 19 ottobre 2012, Debra spalanca le ante dell'immenso armadio che
ha sostituito la cameretta del bimbo e passa in rassegna la
collezione: gli abiti civili sulla destra, i completi da lavoro sulla
sinistra. Due file di scarpe per lato. In mezzo, un comodo divanetto
privo di schienale. Debra vi siede sopra piegando la gamba destra e
finisce di bere il suo latte macchiato. I riccioli appena asciugati
dal fon, sfidano le regole delle forcine. Tre minuti dopo, sta
truccandosi allo specchio. Fondotinta nudo, cipria, fard –
appena un tocco per creare un effetto bonne minne delizioso –
rimmel nero, ombretto leggermente perlato. Ne troppo, ne troppo poco.
Il completo è blu notte e la camicetta delicatamente azzurra,
fil a fil. La giacca è chiusa in vita da un unico
bottone e i pantaloni non possiedono tasche, per non rovinare la
linea sui fianchi. Debra indossa la fondina sotto la giacca,
dimentica di appuntare i capelli con le forcine ed esce di casa
guardando insistentemente l'orologio. Ha venti minuti.
***
Il cliente non ha
specificato che tipo di frutta gradisce. Debra agguanta tre tortine,
ai frutti di bosco, all'albicocca, alle visciole. Sono ultra
zuccherate, un vero attentato alla linea, e sfidano le leggi del
diabete. Per il caffè ha meno problemi e fa preparare tre
confezioni: macchiato per il cliente, con una montagna di panna per
Messina che sta già strofinando le mani nei guanti di pelle,
appena zuccherato per lei. Alle sei e quarantacinque, Debra entra
nell'ascensore senza dare alcun riferimento temporale all'autista. La
fronte continua a pruderle e solo quando si guarda allo specchio
capisce: ha dimenticato le forcine e sembra un riccio in ammollo.
Sospira, sperando che il cliente non se ne accorga e non scambi la
dimenticanza con sciatteria. Appena entra nell'appartamento, il
fischiettio di sottofondo la ferma nel minuscolo ingresso. Suo padre
fischiava e cantava sempre, quando era piccolina. Non ha più
sentito nessuno farlo. Neppure i lavoratori della strada. Si
schiarisce la voce e il fischiettio svanisce. “Buongiorno,
signore.” Il suo ordine non è stato rispettato. Non è
pronto ad uscire, deve ancora annodare la cravatta. “Non è
in ritardo.”
“Ha portato la
colazione...”
“Come ordinato.”
Per una frazione di
secondo, ma forse l'ha sognato, Mark Framboise ha abbassato
impercettibilmente le braccia. Non ha usato termini forti o
sbagliati. Non capisce cosa lo butti giù di morale. “Non
ha specificato che tipo di frutta, così mi sono presa la briga
di scegliere per lei.”
“Vuole
sedersi...”
“Grazie, signore.
Ho già provveduto prima di prendere servizio.”
Servizio. Debra Sept è
sempre in servizio. La paga per stargli intorno. La paga
profumatamente per portargli le tortine alla frutta e il caffè
appena fatto. “E' un ordine.”
Debra deve sforzarsi di
non inarcare le sopracciglia, ma non le è sfuggito il tono
tremulo con cui l'ha detto. Non sembra abituato a dare ordini. Quando
si rivolge a loro, è sempre cortese ed educato. E' l'unico
cliente che usa 'per favore' all'interno della maggior parte delle
frasi. Sposta la sedia dell'enorme tavolo da pranzo che fino a quel
momento ha solo sostenuto mazzi di fiori e valigette colme di fogli,
e poggia i gomiti sulla superficie liscia incrociando le dita, il
mento delicatamente accostato.
Mark Framboise la
osserva di sottecchi. Ha dimenticato le regole fondamentali sul nodo
alla cravatta. Ha lo stomaco sottosopra e l'odore di caffè gli
solletica le narici. Tira via il lungo nastro sottile e lo getta su
una poltrona che non ha mai visto ombra di ospite. “Cosa ha
preso?”
“Albicocca,
frutti di bosco, visciole. Il suo allenatore personale la sgriderà
questa sera.”
“Non ho un
allenatore personale.”
Debra deve sforzarsi di
non alterare i muscoli del viso. Deve impedirsi di gridare. “Mi
sta dicendo che frequenta una palestra come tutti?”
Mark Framboise annuisce
e a Debra tocca l'ingrato compito di fissarlo negli occhi che ha
sgranato con aria colpevole. Sono molto scuri, quasi neri come i
capelli. Pensa 'è deficiente' ma si limita a fissarlo.
“Sta scherzando?”
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Curiosity Killed the Cat ***
“Sta scherzando?”
“No.”
Debra poggia le braccia
sul tavolo e si sporge un poco, aggrottando la fronte. “Dobbiamo
rivedere il suo concetto di sicurezza.” Se la finisce di
masticare quel boccone che lo fa assomigliare ad un criceto, forse
riesce anche ad arrabbiarsi. Ma quanti anni ha? Che lavoro fa? Perché
uno così fissato con la sicurezza se ne va in giro a fare
jogging nel parco, alla mercé di qualsiasi
ladro/stupratore/assassino?
“Non sta
mangiando.”
“Sto pensando a
che punizione impartirle” borbotta lasciando andare la schiena
contro la sedia. “Non va bene, Mark...”
E' nei guai, se lo
chiama col nome di battesimo. “Se non si fida, venga con me. I
giorni dispari sono dedicati al fitness.”
I giorni dispari sono
sempre dedicati al fitness. “D'accordo.”
Mark Framboise la
guarda ancora da sopra la tazza di caffè e poi osserva la
fronte che ospita una cascata di riccioli. “Perché li ha
tagliati? Per lavoro?”
E' una fashion
addict, non ha alcuna scusa. Debra sorride. La prossima domanda
sarà...
“Una delusione?”
Come volevasi
dimostrare. “E' più intelligente di così. Provi
ancora.”
Mark Framboise la
scruta da capo a piedi, si sofferma sulle mani ben curate e sorride.
“La risposta non può essere così semplice.”
“Le risposte
semplici sono sempre le più giuste.”
“Ma lei è
una donna, e le donne sono contorte...”
“Vuole che le
faccia ingoiare a forza quella bomba calorica?” sussurra
indicando graziosamente la tortina avanzata.
“Li ha tagliati
perché le piacevano così, perché l'ha visto su
qualche rivista di moda. Non centra un uomo. Non fa nulla per piacere
ad un uomo. E' timida e il nostro rapporto la mette a disagio”
spara a raffica facendo svanire il suo sorriso. “Sta
stritolando il bicchiere.”
Non se n'è
accorta. Debra umetta il labbro inferiore e osserva il bicchiere
cartonato piegato su se stesso. “Un brutto vizio.”
“Non è un
vizio, è tensione sessuale.”
La donna solleva un
sopracciglio e gli getta in faccia uno sguardo sorpreso.
I muscoli delle guance
di Mark Framboise guizzano impazziti. “Lo faccio anche io, dopo
ogni sua visita... con... la carta scoppiettina. Sembra che il mondo
viaggi avvolto da carta scoppiettina e poliestere gommoso... non so
perché ne ho sempre così tanta, in ufficio.”
“Per allentare la
tensione.”
Mark Framboise chiude i
pugni e li riapre, passando le mani sulle cosce. “Mh...”
Debra lo segue con lo
sguardo, attonita. “Sono le sette e un quarto, signore.”
“Potrebbe
attendermi giù, per favore?”
Debra schizza dalla
sedia verso l'ascensore, batte il palmo contro la pulsantiera e si
volta verso lo specchio. Poi preme il pulsante d'arresto e la sirena
silenziosa accende una spia rossa nella pannello di controllo della
reception. Le ci vorranno più di due minuti per riprendersi.
***
>Il cliente ha
versato metà della somma e nessun cliente versa
l'annualità sull'unghia in un unico assegno!<
Il suo rapporto con
Deburgh si svolge telefonicamente, all'ora di cena, sempre di fronte
ad un alimento di scongelare. Debra estrae la vaschetta di gelato al
pistacchio e crema dal frigorifero del supermarket e sospira.
>Hai avuto una
brutta giornata, bambina? Il tuo bello ti ha tirato il pacco? Il
cliente ti ha maltrattato?<
“No.”
>Capricci
femminili?<
Istinto di
sopravvivenza. “Lascia stare, era una semplice domanda.”
Debra fruga nelle tasche, il cellulare incastrato contro la spalla.
Deve imparare a collegare il bluetooth. Raccoglie lo scontrino del
gelato, il resto e si avvia per la strada. E' venerdì sera e
squadroni di amici riempiono i locali in cerca di divertimento. Le
coppiette si tengono per mano ed entrano in ristoranti alla moda. E'
venerdì, giorno dispari. Sono le sette di sera. Indossa un
vestito corto che mette in mostra le gambe e il clima è così
strano che le consente di sbarazzarsi delle calze. Due volte a
settimana indossa tacchi alti per ricordarsi che non vive di solo
lavoro, e per portare a spasso quelle meraviglie che giacciono quasi
inutilizzate nell'armadio. Il tacco e il plateau aggiungono
dieci centimetri alla sua modesta altezza stimata sul metro e
settanta, ad occhio nudo. Una corta giacchetta dal taglio vivo smorza
il tono romantico del vestito. Il gelato non si squaglierà, ma
quando raggiungerà la destinazione sarà morbido al
punto giusto.
***
L'ascensore si arresta
con sibilo. Appena mette piede nel salotto, ode della musica
provenire dalla stanza attigua. E' dura, frastornante, arrabbiata.
Debra si ferma accanto al dipinto di arte contemporanea che non
riconosce.
La borsa della palestra
giace aperta vicino la porta della stanza da letto. Ha appena finito
gli allenamenti ma non sembra averne avuto abbastanza. Forse la
tensione era troppa. Forse lassù si sono ricordati di
lei. E' un fascio di muscoli mentre flette le braccia. Le flessioni
con la destra sono buoni tutti a farli. E' la sinistra che... beh,
non ha problemi neanche col sinistro, pensa sentendo la bocca
asciugarsi, lo sguardo catturato dal quadrato di luce che lo taglia a
metà. Tutta quella fatica e lei sta per tentarlo con un
barattolo di colesterolo gusto misto.
Mark Framboise la nota
con la coda dell'occhio e reagisce con un gemito di sorpresa. Salta
di un buon mezzo metro e la guarda, spaventato ed imbarazzato. “Sept,
questo non è nel contratto!” rantola con voce ansiosa,
imbarazzato fino alla cima dei capelli.
E' passato molto tempo
da quando Debra ha visto un adulto arrossire in quel modo. “Speravo
in un sistema di telecamere interne ma sono rimasta delusa anche
stavolta” annuncia con voce ferma. “Dove trovo le ciotole
e i cucchiaini?”
“Non si presenti
mai più in casa mia senza...”
“Mi licenzi.”
Debra posa il gelato sul tavolo della cucina e lo guarda con le
palpebre socchiuse. “Avanti. Chiami l'agenzia e si riprenda
l'anticipo. E' già capitato in passato. Vuole più
pistacchio o più crema?”
“Ha sentito una
parola di quel che ho detto?!”
E' isterico. Per un
momento, Debra rabbrividisce e si chiede se qualcuno l'ha mai visto
discinto. Non può usare un'altra parola. E' nudo
nel vero senso del termine, anche se ha una maglietta e un paio di
pantaloncini. Succhia il pollice sporco di gelato e spinge la ciotola
nella sua direzione. “Non conta sulla tabella calorica della
settimana.”
Mark Framboise stringe
i pugni e li passa sui fianchi. Sembra stia facendo uno sforzo enorme
per riacquistare il controllo. “Entra sempre senza farsi
annunciare?”
“Il pinguino in
livrea non svolge il suo lavoro. Mi ha lasciato passare senza fare
domande e, a quanto vedo, non si è preoccupato di avvisarla.”
“Bateman sa che
lavora per me.”
“Ma noi non
sappiamo per chi lavora lui” sussurra leccando il cucchiaio che
ha usato per le porzioni. Debra chiude la vaschetta e la infila nel
freezer, occupata solo da una bottiglia di vodka ghiacciata. Lo
guarda, stupita.
“Per gli ospiti”
si giustifica a bassa voce.
“Alle ospiti
si offre vino o champagne, signore.”
“Ha sempre
l'ultima parola, vero?”
“Quasi sempre”
risponde estraendo la bottiglia e svitandone il tappo. Quei
bicchierini le danno l'idea di essere lì per bellezza. Debra
li osserva con occhio critico prima di riempirli di un ditale di
vodka. “In genere preferisco non bere, ma è venerdì
sera e ho fatto irruzione in casa di un cliente indossando una
gonna.”
Ed è seduta sul
suo tavolo con le gambe accavallate. I tacchi sparano nel vuoto come
coltelli acuminati. Mark Framboise la scansiona a settori, partendo
dalle caviglie nude. Inghiotte e le sopracciglia tremano al centro
della fronte. L'aria, in quell'appartamento, è sempre troppo
poca e le maledette finestre non si aprono. Finestre che non si
aprono! Trappole per topi evoluti. La sbircia mentre analizza la
cucina. La segue fisicamente quando scansiona tutto l'appartamento.
Solo di fronte alla sua stanza privata, chiede il permesso di
entrare. Fa un cenno con la mano e la precede. “Perdoni il
disordine.”
Ci sono persone che
sudano come cavalli e altre che perdono acqua. Il suo cliente
riesce ad essere piacevolmente asettico anche dopo ore di
allenamento. “Faremo solo dei piccoli aggiustamenti, nulla di
complicato. La squadra lavorerà mentre è fuori. Non
avrà alcun fastidio, signore.”
“Le finestre non
si aprono.”
Apriranno quelle
benedette finestre dopo averle dotare di vetri antiproiettile,
antisfondamento, etc. Debra memorizza i punti mentalmente.
“Sistemeremo qualche telecamera. Lì, lì e lì”
annuncia camminando velocemente verso il salotto. “Cambi
disposizione al portiere o la sorprenderò nel sonno, una notte
di queste.”
Mark Framboise la segue
fino all'ascensore, gli occhi inchiodati sull'orlo del vestito. “Sì,
signora.”
“Non mangi tutto
il gelato.”
“Sì,
signora.”
“E non mi prenda
in giro.”
Debra alza le
sopracciglia e spinge il pulsante di discesa. Appena le porte si
chiudono, si lascia andare all'indietro. Dove sono i bicchieri di
Starbucks da stritolare, quando ne ha bisogno?
***
E' lunedì,
giorno di paga. Debra fa l'estratto conto alla banca e ringrazia gli
dei per aver spedito sul suo cammino Mark Framboise. Cammina
distrattamente fino alla limo, urta un passante e si scusa a bassa
voce. Sta facendo i calcoli quell'anticipo che dovrà versare
per la pasticceria, ma ha bisogno di una calcolatrice. La giacca tira
un po' in vita e le scarpe nuove sono ancora strette. È una
giornataccia, fra l'umidità e quell'agenda che non vuole
saperne di far combaciare tutti i suoi appuntamenti.
“Solo le sei e
mezza, zucchero.”
Messina ha preso
l'abitudine di chiamarla 'zucchero' dopo aver visto un
blockbuster politicamente scorretto. “Mh”
risponde, succhiando dalla cannuccia il frappè al cioccolato.
Come tutti gli esseri umani, anche lei odia il lunedì. Il
lunedì è troppo lontano dal we. “E allora?”
Messina allarga le
braccia.
Oh,
il cliente! Debra spalanca gli
occhi e getta via il frappè. “Parti, che aspetti?!”
“Calma, zucchero.
Entra in macchina... senza sbattere la portiera” sospira
trasalendo al tonfo e
posando le mani sul
volante. “Ti dai troppe ansie per quell'uomo.”
“Ci paga
profumatamente per essere in anticipo e svegli!”
“Ma non ti ha
detto di saltare la colazione.”
“Mangerò
appena sarà al sicuro nel suo ufficio.”
Messina ha il contegno
di un lord inglese, il cognome italiano e una madre che si è
data molto da fare per trovargli un padre, quando era piccolo. Ha
visto parecchio e ha un'opinione e un giudizio su tutto e tutti. “Ti
piace, eh?”
“Mi piace leggere
l'estratto conto della banca tutti i mesi.”
“Mh...”
“Sta zitto”
sussurra sperando di non arrivare in ritardo.
***
Ha visto gli operai
appena uscita dall'ascensore e non ha neppure procurato la colazione.
Perché la gente confonde le sei del mattino con le
sette del mattino?! E' la volta buona che la licenzia.
“Buongiorno, signore. Ha passato un piacevole fine settimana?”
E' scuro, e non si
tratta della sindrome del lunedì. “Eccellente, Sept.
Nessuna visita improvvisa nel cuore della notte.”
E gliela sta
rinfilando. “Credo di aver comunicato l'orario sbagliato al
caposquadra, signore. Le porgo le mie più sentite scuse. Non
si ripeterà più.”
Mark Framboise non
risponde, l'aggira raggiungendo l'ascensore e Debra volta su se
stessa con un minuscolo sospiro. Tiene le braccia dietro la schiena e
il mento alto. A metà della discesa, il cliente pigia il
pulsante di arresto e la donna lo guarda. L'aria si fa irrespirabile
in meno di un tre secondi.
“La limo è
all'entrata?”
“Sì,
signore.”
“Si è mai
resa conto della distanza che percorre tutti i giorni?”
Farebbe prima a piedi,
pensa guardando la pulsantiera e la sua aria persa. “Vuole fare
una passeggiata, signore?”
“Mi piacerebbe
molto, Sept.”
“Sa che non posso
permetterlo.”
“Non mi aspettavo
nulla di diverso” sussurra spingendo nuovamente il tasto di
discesa. “Il suo compenso proviene dai fondi monetari della
Società per cui lavoro.”
“Tecnicamente
appartengo a loro.”
“Tecnicamente,
sta prestando un servizio alla Società” annuncia
sorpassando la reception e facendo appena un cenno al portiere.
“Capisce qualcosa di finanza?”
> Stiamo uscendo<
Ma che ha da correre in quel modo? “Tengo i risparmi sotto il
materasso, signore.”
Messina apre la
portiera con un sorriso elegante e rispettoso. Il cliente lo nota
appena e si infila in macchina. Debra lancia occhiate tutto attorno a
se e apre la portiera dall'altro lato. Appena dentro, Framboise
l'aggredisce con una nuova domanda.
“Si è mai
chiesta come funzionano i test di affinità dei siti internet
di incontri?”
“No.”
“Le risposte
vocali delle applicazioni nei cellulari con tecnologia Android?”
“So a malapena
accendere il bluetooth.”
“Sono un teorico
finanziario, Deb. Prevedo gli andamenti del mercato studiando gli
algoritmi...” Un'occhiata in tralice lo ferma dal proseguire
nella spiegazione. “Il lavoro mi costringe a vivere nell'ombra,
Sept. La società paga fior di milioni perché resti vivo
e serva un unico padrone.”
“Clausole
vessatorie in caso di uscita forzata?”
“L'unica uscita
forzata prevista è il decesso, Sept.”
“Mh. Quindi loro
la possiedono e la comandano a bacchetta” mormora un po'
spaventata dalla confessione. “Democratico.”
“Le persone
reagiscono diversamente, quando sono obbligate ed indirizzate. La
scelta non è mai un bene, la scelta è malvagia. Il
cinquanta per cento delle volte, una persona opta per la soluzione
peggiore in piena consapevolezza. Noi diciamo loro cosa fare e tutti
ne traggono beneficio.”
“Sta affermando
che le persone si auto-puniscono...”
“Siamo certi di
meritare il peggio che il mondo ha da offrire, per l'assurdo e
ridondante pensiero che l'uomo deve soffrire per elevarsi.”
“Non mi sento
elevata quando faccio qualcosa che non mi piace.”
“Eppure crede di
doverne sopportare il giogo, per raggiungere la meta.”
“A volte è
necessario...”
“Stronzate.”
“Sta seguendo lo
schema che tanto disprezza, signore.”
“Loro mi
danno quello che voglio, in cambio chiedono un servizio. La
rispettiva volontà è appagata.”
“E questo la
rende felice, signore?”
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Occupy Wall Street ***
Felice? Non si è
mai posto davvero la domanda per paura della risposta.
I polpastrelli le
dicono che è vero e sta tremando. Le dicono che l'abito ha un
tessuto troppo pesante per quel clima mite. L'ego a riposo ha un
sussulto eroico, quando Mark Framboise le domanda con voce
affievolita e cauta il motivo del gesto.
“La intimidisco,
signore?”
“La paura è
l'istinto più naturale dell'uomo...”
“Pensavo fosse la
caccia. O la riproduzione.”
“Nella scala dei
valori, la paura è di gran lunga...” Mark Framboise
inspira e si sposta di un centimetro verso la portiera, prendendole
il polso “... la smetta, per favore.”
E' piuttosto delicato
per essere un'entità evanescente. Le dita si contraggono fra
le sue e Debra osserva il movimento esitante e poco fluido. La
domanda rotola via dalla lingua, sfacciata. “Da quanto tempo
non tocca una donna? I massaggi al centro benessere non valgono.”
“Non mi piace....
parlare di queste cose... e non mi piace... essere preso in giro...”
E' impallidito, l'ha
messo fuori gioco. “Bene, signore.”
Le spalle calano di
colpo e Mark Framboise la guarda negli occhi che fino a quel momento
ha tenuto fissi nel vuoto. Liquido metallo incandescente. Non sono
passati neppure venti minuti e lei è già esausta da
tutta quella tensione sessuale. Non c'è mai stato tanto
traffico come quel giorno.
>Zucchero, c'è
un problema.<
La voce di Messina le
esplode nelle orecchie all'improvviso, facendola vergognare. “Che
problema?”
> Leggi i giornali,
di tanto in tanto? Quel gruppo rock che ha annunciato un concerto
davanti alla Borsa, la scorsa settimana, sta suonando davvero.*<
Debra Sept non ha mai
affrontato un simile problema. Fissa il vuoto cercando una soluzione,
quando il cellulare del cliente comincia a suonare. La notizia è
giunta anche a lui lasciando un'espressione perplessa e bramosa sul
viso.
La donna smonta dalla
limo e si guarda attorno. La strada è completamente bloccata e
le prime note lacerano l'aria e si confondono con le urla dei fans.
La polizia è in assetto da battaglia. Come capo della
sicurezza fa schifo. Torna dentro e serra la portiera. “Le
piace il rock, signore?”
***
“Mi stia dietro e
non faccia di testa sua. Cammini rasente alle pareti e non dia peso
ai manifestanti. Per favore, tolga la cravatta e slacci il primo
bottone. Tolga anche la giacca. Siamo due modesti impiegati statali
che si sono trovati a passare di qui.”
“Messina resterà
bloccato.”
“Se la caverà.
Mi faccia vedere.” Debra lo scruta da capo a piedi e con un
gesto inatteso gli spettina i capelli. “Passabile.”
“Mi dispiace.”
“Di cosa?”
“Del disturbo.”
“L'ha ordinato
lei, il concerto?” esclama indicando con il pollice alle sue
spalle.
Mark Framboise la
guarda e fa una smorfia. Debra lo prende sottobraccio e lo tira con
decisione. “Se la goda, pensi ai lati positivi” mormora
camminando tranquillamente sul marciapiede.
“Attenta!”
Debra si sente
trascinare via e scampa di poco un tizio enorme con un cartellone in
mano. Il seno destro ora è schiacciato contro il torace e
mezza faccia è affondata sulla camicia bianca del cliente. Il
suo fondotinta no transfert creerà un bel danno. “Sono
sopravvissuta al Lollapalooza per ben due volte, non si agiti
per un gorilla ipertrofico!” Si raddrizza facendo finta di
niente e uno altro spintone secco la catapulta addosso all'uomo che
sbatte dolorosamente contro la serranda di un negozio abbassato: la
polizia sta rimettendo in riga alcuni manifestanti troppo fomentati e
loro ci sono andati di mezzo. Se li arrestano, passerà dei
guai con l'agenzia. Forse sarebbe stato meglio restare nella limo.
“E' ferito?”
“Ho preso colpi
peggiori alla lezione di Kickboxing” farfuglia chiudendo le
braccia attorno alla sua schiena. “Sta tremando. Ha paura?”
Certo che ha paura!
Sono tanti, impazziti e potrebbero calpestarla come un ratto delle
fogne. “Sì, signore” risponde pensando che non ha
bisogno di mettere su quella vocetta tenera e sorpresa.
“Pensi al lato
positivo.” Mark Framboise la volta verso la folla assiepata,
verso il palco improvvisato, verso la polizia in tenuta
anti-sommossa. “Osservi con che forza si diffonde un'idea.”
Per udirlo deve farsi indietro. Deve lasciare che le sfiori
l'orecchio con le labbra. Deve smettere di respirare il suo
dopobarba. “D–di questo passo sarà difficile
arrivare in fondo alla strada.” Il ricciolo sull'orecchio viene
tirato via. Il musica si ferma di colpo, il frontman annuncia
qualcosa che Debra non capisce mentre le dita del cliente le
accarezzando il lobo, sistemando la forcina.
“Da quanto tempo
non tocca un uomo? Il corso di difesa personale non vale.”
Debra serra la labbra,
pallida e un po' seccata.
“Non eluda la
domanda. La pagano per soddisfare i miei capricci. Mi soddisfi, per
una volta.”
“Mi pagano per
tenerla al sicuro e in questo momento, nessuno di noi è al
sicuro!”
Mark Framboise sorride
di un pensiero nascosto. “Si volti. Che cosa vede?”
“Gente che salta,
canta e si ubriaca alle sette e mezza del mattino...”
“Non sta
guardando.”
Diosanto, ma cosa vuole
da lei?! Debra sospira e osserva le persone. Nessuno fa caso a loro.
Nessuno sa chi sono. Nessuno sa chi è lui. “E'
invisibile.”
“Siamo
invisibili” rettifica annuendo. “E siamo al centro della
città.”
“Lo vede?
Soddisfo ogni suo capriccio” ribatte ironica. “Mi stia
dietro mentre creo un varco.”
Il capo della sicurezza
è uno scricciolo tutt'ossa.
Debra legge una vena di
compatimento negli occhi, ma ancora prima di protestare, viene tirata
con decisione attraverso un buco nella folla. Oh, che diavolo! Se
vuole farsi ammazzare, non sarà lei a fargli da scudo umano!
***
Meno di un isolato ed è
fatta. Ma quanta gente abita in quella città? Il flusso umano
sembra non avere mai una fine! L'ufficio l'ha già chiamato tre
volte. Debra sta perdendo la pazienza perché il cliente si
ferma ad ogni passo per osservare, commentare e guardarsi attorno
come un bambino alla sua prima visita in un luna park. Dovrebbe
attrezzarsi con un guinzaglio a strozzo!, pensa un momento prima di
essere presa per il polso. Debra si volta di scatto e la mano scatta
sotto la giacca. Non frequenta la metropolitana perché è
claustrofobica, ha sviluppato un incerto fastidio per le stanze
sovraffollate e ha un terrore vero e proprio per la ressa umana, dopo
l'incidente.
“Sept...”
Debra abbassa lo
sguardo sul braccio destro, seguendo la direzione del cliente. Ha
quasi estratto la pistola.
“Ha la sicura,
quell'affare? Non vorrei che si sparasse accidentalmente su un
piede.”
“S-si intende di
armi?” balbetta battendo furiosamente le palpebre. “Non
la tocchi... signore... la prego, non... ” Debra inspira quando
le tocca il busto, aprendole la giacca. Stringe il pugno seriamente
intenzionata a mollargli un destro. “Mi lasci in pace e pensi a
camminare! Abbiamo perso fin troppo tempo!”
“La città
è bloccata.”
“Il centro
è bloccato!”
“Abita in
periferia?”
Debra inghiotte gli
ultimi residui di calma e il panico l'aggredisce. Estrae la pistola e
gliela punta contro. “Cammini o le sparo ad un ginocchio e la
trascino di peso!”
Mark Framboise alza le
mani e sbianca leggermente. “Tratta sempre così i suoi
clienti?”
Debra lo spinge avanti,
scurita. “E' capitato.”
“Posso vedere
dove abita?”
La donna sgrana gli
occhi e il polso si piega impercettibilmente. “Giuro su dio che
le faccio passare il più brutto quarto d'ora della sua vita,
se non riprende a camminare...”
“Vede cosa sta
succedendo?” sussurra piegandosi su di le e spostando il
braccio armato. “Chi ha voglia di rinchiudersi in un locale
asettico, quando la vita è qui e ora?”
“Poteva dirlo
prima di non aver voglia di andare a lavoro!” ribatte
allargando anche l'altro braccio. “Cristo santo! Cosa vuole
fare?! Mangiare un gelato e ascoltare il concerto?”
“Mi piacerebbe
molto.” Mark Framboise sorride e si guarda attorno. “Mi
aspetti qui.”
“Dove sta
andando?!”
“Un minuto!”
Debra lo guarda
allontanarsi, incredula. Se perde il cliente, la licenziano. Se
muore, la licenziano. Rinfodera l'arma e gira su se stessa,
strofinando il collo. Le grida, le sirene e la musica la stanno
rintronando. Eppure dovrebbe essere abituata a quello spiegamento di
abbaglianti e...
“Fragola o
vaniglia?”
E quelli dove li ha
presi?! Debra osserva il colore del frappè e sospira. “Fa
sempre quello che vuole, vero?”
“Mentirei se
dicessi sì” mormora succhiando lo shake alla vaniglia e
girando lo sguardo a terra. Si accomoda sul gradino alto della
vetrina di Gucci che ha serrato in fretta e furia in seguito
alla manifestazione, ma Debra resta in piedi, esausta. “Non va
bene, signore...”
“Facciamo un
cambio.”
Lo shake viene
sostituto e la donna lo guarda perplessa. “Si diverte a
rendermi la vita un inferno?”
“Preferiva il
cioccolato?”
“Preferivo
saperla al sicuro nel suo ufficio...”
“Sono al sicuro.
Ho il miglior capo della sicurezza al mio fianco.”
Che voglia di
rovesciargli quella delizia sui capelli e i vestiti! Debra scoperchia
il bicchiere e beve un sorso pastoso e ultra dolce. “Non lo
racconti in giro o non mi assumerà più nessuno.”
“La Società
ha già versato l'anticipo, dove crede di scappare? Per i
prossimi due anni, è tutta mia.”
Fa pure dell'ironia,
pensa gettandogli un'occhiataccia. Mia. Non accampiamo
pretese. “Un agente di sicurezza può rifiutare un lavoro
se lo trova al di sopra delle sue possibilità.”
Mark Framboise guarda
il fondo del frappè e sorride. “Lei è al
di sopra delle mie possibilità.”
Debra inspira e posa il
bicchiere vuoto a terra. Si sta agitando di nuovo. “Non lo
dimentichi.”
“Viene a cena con
me, stasera?”
E' impaurita ma è
così brava da non darlo a vedere. “E' contro la mia
etica, ma poiché non sono stata brava a condurla al sicuro...”
“Io mi sento al
sicuro.”
“La Società
la pensa diversamente. La sta chiamando un'altra volta.”
“Che si fottano”
sbotta allungando una gamba ed ignorando il cellulare che vibra nella
giacca. “Mi chieda qualsiasi cosa, Sept. Farò qualsiasi
cosa per lei.”
Potrebbe smettere di
metterla a disagio, per esempio. “Mi racconti la sua vita. Non
posso proteggerla adeguatamente se nasconde dei segreti...”
“Tutti nascondono
dei segreti. Anche lei. Vuole sapere il nome di mia madre o se dormo
più di sei ore a notte? Sta stritolando il bicchiere.”
Il cartone morbido si
piega sotto le dita, sbiancate dalla pressione. Lo segue con lo
sguardo quando si rialza e infila le mani in tasca. “La rendo
nervosa, Sept?”
I suoi occhi non sono
mai stati così vivi... di solito sono spenti, velati.
Annoiati. Il tic alla palpebra sinistra torna prepotente dopo
anni di assenza. “Il ritardo è diventato una vera e
propria assenza ingiustificata, signore.”
Mark Framboise ha
tentato inutilmente di capirla. Ha sparato alto, poi ha mirato nella
selva cercando di colpire qualcosa. E' riuscito solo ad infastidirla.
Vorrebbe toccarla per sentire se sta tremando. Chi glielo impedisce?
Il rispetto. La pistola sotto la giacca. “Non volevo
offenderla o metterla a disagio...”
“Non è mai
successo.”
Bugiarda. “Viene
a cena con me, stasera?”
“No.”
“Per colpa della
sua pessima organizzazione, ho perso una mattinata di lavoro. Il
minimo che può fare, è risarcirmi.”
Usare un tono leggero e
scherzoso non le farà cambiare idea. “Si riprenda
l'anticipo e chiami un taxi da solo!” Debra volta verso la
metropolitana e scende i primi scalini, dimentica della sua
claustrofobia. Attende sulla rampa esterna un quarto d'ora, prima di
tornare in superficie. Mark Framboise la sta aspettando e passeggia
pazientemente. Il viso si illumina quando la vede aggrappata
all'ultimo tratto di corrimano.
“La metro è
bloccata.”
“E' impossibile
trovare un taxi, con questa confusione.”
E' esausta dal carico
di responsabilità e sono solo le dieci del mattino. “Non
scherzavo sull'anticipo...”
“Neppure io sulla
cena.”
“E' contro le
regole.” La sua affermazione non ha molto impatto, se la voce
le trema. “Non è etico.”
“E' al di fuori
del suo controllo” sussurra e di nuovo la guarda negli occhi.
“Mi sento sempre così quando mi è vicino...”
“Lo vede? E' una
cattiva idea” insiste colmando la distanza fra l'ultimo gradino
e il marciapiede. Debra Sept assiste impotente alla riapertura dei
cancelli della metro, si lascia investire dalla folla e fa qualche
passo indietro, rischiando di cadere. Non può timbrare il
biglietto e tornare a casa. Non può lasciare il cliente
scoperto. E' costretta a combattere il flusso umano che
improvvisamente cambia direzione e la spinge avanti. Gli avventori
rimasti bloccati nei vagoni sono più pericolosi della folla
urlante del concerto. Debra sbianca di paura e avanza decisa verso
l'uomo, portandosi al suo fianco e incitandolo a proseguire. “Non
dobbiamo stare qui. Avanti, si muova.”
Mark Framboise la
lascia vincere ancora una volta, adegua il passo al suo e inspira. La
tensione è tale che gli impedisce di ragionare. Le sta
stringendo il braccio. L'ha quasi calpestata, voltandosi di scatto e
costringendola ad imboccare il primo vicolo umido e puzzolente.
Non si aspettava un
gesto simile. Debra Sept spalanca gli occhi e lo guarda. E' nervoso,
è spaventato, non ha idea di quel che sta facendo. Il cliente
la lascia di scatto e strofina le mani lungo i fianchi. La sua
espressione è così confusa da ricordarle un evento
dell'adolescenza, uno scherzo crudele a cui non aveva preso parte.
Dopo l'umiliazione pubblica con una mean
girl della scuola, il poveretto coinvolto aveva vagato per
i corridoi del liceo come un fantasma. “Mark...”
L'uomo trasale e la
guarda, battendo le palpebre.
“... torniamo a
casa. Oggi non si lavora.”
Anche se l'aria è
piuttosto fresca, sta sudando. Lo sente, il suo odore, sopraffatto
dalla colonia maschile che indossa. Dopo l'incidente non ha
più avuto alcun interesse per il sesso. Sono passati anni,
forse il letargo è finito. Debra sussulta quando si sente
toccare un angolo della mandibola, delicatamente. Ha più
paura lui di te, pensa inghiottendo.
“Vorrei...
essere... uno di quegli uomini che...” Mark Framboise sposta la
mano e stringe il pugno, frustrato. “Ha ragione, torniamo a
casa...” sospira e tutta la tensione scivola lungo le braccia
che ricadono attorno al corpo.
Debra lo osserva di
nuovo inghiottire e ne ricopia il gesto. “A che tipo pensava?”
“A quel genere di
uomo che ogni donna vorrebbe incontrare” annuncia, a bassa
voce. “Quel genere a cui non si può resistere.”
“Molto sicuro di
se, carismatico e formidabile a letto?” azzarda con un'occhiata
sarcastica. “E' una leggenda metropolitana.”
* Concerto dei Rage
Against The Machine (realmente avvenuto il 26 gennaio 2000
davanti Wall Street http://www.youtube.com/watch?v=z5hfI3sH-WM)
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1630230
|