Odi et amo

di Anael
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Figlia della neve, regina delle lande ***
Capitolo 2: *** Madrigale ***
Capitolo 3: *** Docvidanija... ***
Capitolo 4: *** Orfèus kài Euridìke ***



Capitolo 1
*** Figlia della neve, regina delle lande ***


Odi et amo. Quare id faciam fortasse requiris nescio, sed fieri sentio et excrucior.

 

Nota dell’autrice: il titolo significa “Odio e amo. Forse ti chiederai come sia possibile, non so, ma è così e mi tormento ”. I fatti iniziano durante la saga di Nettuno, ma poi c’è un ritorno indietro nel tempo, e si finisce a quando Cristal e Isaac stavano facendo l’addestramento in Siberia. Comunque non ci sono solo loro. J

 

 

 

 

 

 

ISAAC

 

Per tanto tempo, ma davvero tanto come fosse eterno, ho aspettato questo momento, il momento di potermi vendicare. Ormai mi sono abituato a questa maledetta cicatrice sul volto, e non mi fa più male, è un’altra la cosa che mi preoccupa…una ferita che non si chiuderà mai del tutto, una cicatrice che continuerà a farmi male in eterno. Tu non mi hai privato solo di un occhio, ma anche dell’orgoglio di un cavaliere, e della stima del proprio maestro. Tu, ingrato, hai osato fare del male perfino a lui, all’uomo al quale devi tutto. Dobbiamo tutto…Spesso penso che la colpa sia anche mia, perché non c’ero quando tu hai commesso quel disperato atto di ribellione. Sarei dovuto venire dagli oceani fino al Grande Tempio per fermarti; avrei dovuto farlo anche se Acquarius mi avrebbe detestato per questo.

Perché non ti ho lasciato morire quel giorno?

Perché? Tu lo meritavi!

Perché diavolo dovevo essere attaccato a te, come un uomo è attaccato al proprio fratello, nonostante tutto? Tu non volevi diventare un cavaliere di Atena, ma solo raggiungere la forza necessaria per spaccare i ghiacci. Quando me lo dicesti, pensai che ti avrei ucciso con le mie mani, ed avrei dovuto farlo. Il problema è che ero troppo attaccato a te. Tu arrivasti a colmare la mia solitudine; eri come un’alba, ho sempre adorato la tua amicizia, e ti tenevo nel mio cuore come una delle cose più care che avevo. Forse la *più * cara…Non avevo assolutamente niente, genitori morti, amici zero. Solo una grande aspirazione. Ma …a nessuno piace essere soli, ed un sogno non ti fa certo compagnia, certo, può dare un senso alla tua vita, ma sono altre le cose che danno quella sensazione di completezza… solo perché avevo trovato, solo perché avevo trovato un altro infelice come me pensavo di poter continuare a vivere. Quando seppi che anche tu ti saresti allenato per diventare cavaliere dello zodiaco, mi sentii bene come non ero mai stato: ora avevo qualcuno con cui parlare, qualcuno a farmi compagnia, qualcuno con cui condividere la mia aspirazione…o almeno, credevo che fosse così. La realtà era che tu ti comportavi solo da approfittatore. I tuoi scopi non erano nobili. E nonostante tutto volevi andare avanti…seppur sapessi che non avresti ottenuto l’armatura del cigno in quel modo, hai voluto insistere, e sei arrivato a destinazione. Tu ti sei lasciato guidare da un punto debole e sei arrivato in alto. Dove volevo arrivare io. Avrei dovuto lasciarti morire quel giorno, la tua follia ti aveva accecato, e stavi per morire. Perché mi sono tuffato per salvarti? Sono stato io a rimetterci! Ed ora sei qui di fronte a me, Cristal, con in faccia quell’espressione che conosco fin troppo bene, e le solite maledette lacrime agli occhi. Quegli occhi di ghiaccio, che a vederli sembrano quelli di un vero uomo, ma che in realtà tradiscono solo ipocrisia. È inutile che piangi, non hai ritrovato un amico, solo il tuo futuro carnefice. I ruoli si sono invertiti, Cristal, ora tocca a me strapparti ciò che hai di più caro. Il sogno, l’orgoglio, le aspirazioni di una vita, lei…tutto è andato in frantumi.

“Isaac…amico mio…” la tua assurda debolezza ti tradirà ancora. Sei già accasciato al suolo in lacrime, io mi avvicino

“Cristal…” e sferrò il mio potentissimo calcio con tutta la forza che ho. Tu voli all’indietro per qualche metro, il naso ti sanguina copiosamente; ti rialzi dopo un po’, il tuo sguardo si è fatto ancora più mortificato…

“Isaac…” ti butti in ginocchio ed inizi a farfugliare fra i singhiozzi

“Ti prego…prendi un mio occhio…”.

Giuro che non chiederei di meglio. Tu non sai cos’ ho provato quando ho sentito quella fredda punta di ghiaccio penetrarmi di prepotenza nell’occhio destro, ma non è questa la vendetta migliore. Sarebbe niente in confronto a quello che potrei fare, un occhio in meno non ti creerà molti problemi, mentre io voglio che la paghi cara.

“Se proprio insisti…” velocemente di colpisco alla palpebra, ma non ti ho accecato. Non pensare che l’abbia fatto per pietà, ma solo per non sprecare tempo in cose inutili.

“Perché…Isaac? Perché…?” Hai addirittura il coraggio di chiedere perché?! Ti darei dello sconsiderato, ma in realtà critichi qualcosa che non conosci…Non mi sembri affatto un uomo…non sei degno di quell’armatura, sembri piuttosto una donnicciola. Per me eri talmente importante, ma mi hai rubato tutto. E hai osato alzare la mano perfino su di lei…la mia bellissima Anya, figlia della Neve, che regna sovrana sui paesi del freddo eterno.

“Perché??”

“Pensa a lei! Cosa credi che ti direbbe?”

Questo non dovevi farlo! Ti aggredisco con rabbia e violenza, stavolta rischi davvero di morire per mano mia!

“Non osare mai più parlare di lei con le tue parole da traditore, non sei degno di pulirle le scarpe!” tu sei un burattino nelle mie mani: non ti opponi, non reagisci, davvero non ti importa se ti ucciderò?

“Come immaginavo, ce l’ hai con me, ancora per lei…Anya…”

Il solo sentir pronunciare quel nome mi fece tremare le mani.

Anya…figlia della Signora Neve, regina delle lande…non riesco più ad immaginarmi un mondo senza gli occhi della mia piccola, dolce bambina…l’amavo più di qualsiasi altra cosa…e l’ ho persa. L’abbiamo persa. Devo recuperare la calma…devo sapere una cosa importantissima…

“C’è una cosa che ho sempre voluto chiederti…perché hai lasciato che morisse? Come hai potuto…anche tu l’amavi…”

“Si, l’amavo…ma non potevo fermarla…” l’immagine dei suoi capelli inzuppati di neve…e i suoi occhi chiusi per sempre…mi feriva come una lama affilata.

 

 

 

“Là, nella lontanissima e fredda Siberia, Signora Neve piange per la perdita della figlia; e le lande desolate continuano a chiamare a gran voce la loro regina.”

 

 

CRISTAL

 

 

 

Il sangue mi brucia in un occhio, e tu quasi mi stai soffocando per la troppa foga. Anya…questo nome mi fa male…e quella parola... “Docvidanija”. L’unica cosa che ha detto prima di spegnersi come una debole fiammella al vento gelido. Lei, che era così regale e maestosa. Lei, che era la sovrana assoluta delle lande distese e ghiacciate.

Quell’immagine così dolce è come veleno per noi che siamo rimasti in vita, e non possiamo dimenticarla. Quei suoi fulgidi capelli…e gli occhi di quel colore così particolare e terribilmente bello,e la sua voce dolce…non potrò mai dimenticarla. Era così speciale: il suo sguardo attento quando leggeva, o scriveva, la sua risata cristallina, la sua dolcezza…Avrebbe potuto sciogliere perfino la montagna del ghiaccio eterno. Era impossibile non amarla, così bella ed intelligente, ma allo stesso tempo ostinata come una bambina e capricciosa a non finire. Entrambi l’amavamo più di ogni altra cosa, e perfino il maestro Acquarius ne era affascinato. Forse hai ragione tu, Isaac, sono solo un’ipocrita; io con i miei punti deboli ho acquisito ciò che non mi meritavo, la mia debolezza mi ha portato in un mondo che non sento mio, dove niente mi da conforto. C’era solo lei…. Mi manca come non mai. Ora lei è là, i ghiacci ospitano il suo corpo in modo che la sua giovinezza rimanga eterna. Signora Neve, la quale regna sovrana, piange ancora per la sua perdita. Lei era l’unica che mi desse un po’ di coraggio, che mi ricordasse che tutto non andava poi così male, ma ora che non c’ è più nemmeno Anya…. Non so cosa ti abbia spinto quel giorno a tuffarti nelle gelide acque per seguire uno stupido come me.

Perché l’ hai fatto?

Anche tu amavi Anya quanto l’amavo io, avresti potuto togliermi di mezzo per sempre.

E poi, io non mi meritavo di diventare cavaliere di Atena, se fossi morto per la mia assurda boria tu avresti ottenuto di diritto l’armatura del cigno. Invece ce l’ ho io, ma so che non me la merito quanto la meriteresti tu.

E adesso sei qui davanti a me, i tuoi capelli biondi come i miei, ma solo di qualche tonalità più scuri, il tuo occhio verde ed una cicatrice profonda al posto dell’altro. So quanto mi stai odiando, e hai ragione, non sono così codardo da non ammetterlo. Però io so che fra noi ci sarà sempre un’alchimia incomprensibile, odio e amore, siamo come fratelli e come estranei. Abbiamo significato l’uno per l’altro più di quanto possiamo immaginare. Almeno è stato così prima che arrivasse Anya. Non le posso attribuire nessuna colpa, lei non poteva immaginare cosa sarebbe successo, e poi l’amo troppo per condannarla.

Ma adesso un lugubre canto funebre risuona per i vasti banchi nevosi. Il ghiaccio piange per la perdita della sua regina. Un lutto infinito per il bellissimo gelo infuocato che le ardeva negli occhi.

 

Due anni prima

 

 

ISAAC

 

Anya è entrata nelle nostre vite un comunissimo giorno di allenamento. Sia io che Cristal non ci aspettavamo quest’arrivo improvviso, e, sinceramente, non l’avevamo chiesto, ma non ci aveva nemmeno sfiorato l’idea di avere qualcun altro lì con noi. Entrambi eravamo contenti per ciò che avevamo. L’uno aveva la compagnia e il sostegno dell’altro.

Ma quando quella mattina vidi il maestro Acquarius raggiungerci tenendo per mano una bambina della nostra età capii che qualcosa si sarebbe rotto, e qualcosa sarebbe nato.

“Questa è Anya, suo padre non c’è più, e mi ha chiesto di prendermi cura della sua bambina. Abbiamo bisogno di qualcuno che allievi la nostra solitudine ragazzi… qualcuno che si prenda cura di noi.”

Non so cosa provò Cristal in quel momento, ma io rimasi molto stupito da quelle parole: il maestro Acquarius aveva ammesso di avere bisogno di qualcuno. Anche lui, che sembrava così forte e pienamente soddisfatto anche se solo, sentiva chiaramente il bisogno di avere una figura stabile su cui appoggiarsi. Del resto, mentre ci allenava aveva pochissimi anni più di noi, lo si poteva definire un coetaneo. Io e Cristal avevamo circa otto anni ciascuno, mentre lui ne doveva avere circa dodici. Ma nonostante questo era già un uomo allora, un cavaliere fortissimo e stimato, ed un grande maestro. Io e quella strana bambina ci guardammo a lungo negli occhi: sembrava già che stessimo scoprendo di avere molte cose in comune. Fra noi si era subito creato un solido cordone ombelicale che ci avrebbe uniti per sempre. E fui stupito nel notare che ero geloso, quando vidi che se la intendeva anche con Cristal. Ma quello fu soltanto l’inizio. Durante l’infanzia non accadde niente di speciale fra di noi, eravamo solo bambini e troppo immaturi per poter comprendere un sentimento nobile come l’amore; ma una volta cresciuti le cose cambiarono. La vidi diventare una donna da un giorno all’altro, e piano me ne innamorai. Non ho mai saputo cosa provasse per me, ad ogni modo è sempre stata una donna strana ed incomprensibile; sapeva nascondere benissimo le emozioni e di conseguenza nessuno sapeva cosa provasse veramente. Tutto il giorno sui libri, adorava leggere più di qualunque altra cosa, e leggeva di tutto; poi scriveva anche dei racconti, che però non ho mai letto. Non si sapeva nemmeno dove li nascondesse, ma la notte la sentivo spesso alzarsi per uscire al freddo a scrivere o disegnare. I suoi disegni invece li vidi, non che fossero particolarmente belli riguardo allo stile e tutto, ma avevano quel qualcosa che li rendeva affascinanti. Anya trasmetteva la sua *propria * essenza su carta e vi dava forma. Poi li gettava miseramente. Ancora non capisco perché lo facesse, non sono mai riuscito a capirla, ma non ho mai potuto fare a meno di amarla. Nella sua natura così strana, ma dolce, era unica. Mi incantavo ogni volta a sentire la sua voce o la sua risata, poi quegli occhi…quanto amavo quel colore così raro e delizioso. Ma ancora di più amavo lei, più di qualsiasi altra cosa. La notte la guardavo dormire e ringraziavo Dio per avermi permesso di stare vicino a quell’incredibile creatura, ma allo stesso tempo soffrivo. Sembrava sempre triste, ed io che l’adoravo desideravo solo poterla stringere a me, dirle che l’amavo e baciarla ed amarla con tutto il mio corpo e tutto il mio cuore. Ma giuro di non aver mai osato toccarla.

Stavo bene se c’era lei con me, la sua presenza mi dava sicurezza e mi faceva sentire bene: mi piaceva sapere che c’era sempre qualcuno disposto ad accoglierti con gentilezza e con un dolcissimo sorriso. Sarebbe stato ancora meglio se quello fosse stato solo per me. Sapevo che anche Cristal era innamorato di lei. Solo che lui era più sfrontato ed impertinente, cercava sempre un’occasione per il contatto e di farle capire i suoi sentimenti.

Una volta ha osato perfino baciarla di prepotenza!!

Li stavo spiando da lontano, ma avrei tanto voluto essere là con loro per potergli spaccare la faccia ed obbligarlo a chiederle perdono in ginocchio!!

Non so di preciso cosa stesse accadendo, ero uscito per raccogliere della legna, e mentre tornavo li vidi parlare fuori al freddo. Erano l’uno poco distante dall’altra, Anya stringeva fra le mani un libro come al solito e lo guardava incuriosita, Cristal aveva qualcosa di strano. Stavano in piedi e non parlavano. Solo si fissavano ognuno con un’espressione diversa: lo sguardo attonito della mia dolce Anya contrastava con quello fermo di Cristal, e si prevedeva il disastro…Fu un attimo. Quel maledetto spergiuro si avventò su di lei, le prese con forza le spalle candide e sussurrò un “Ti amo” veloce ma comprensibilissimo prima di attaccare le sue labbra pallide a quelle cremisi di lei. Avrei voluto morire.

Come osava profanare quel candido giglio che era la mia dolcissima Anya?

Lei non si oppose ma non ricambiò nemmeno: continuava a stringere fra le mani il caro libro che probabilmente aveva già letto tre volte e fissava il vuoto con gli occhi sbarrati. Chissà cosa pensò in quel momento? Forse aspettava che io andassi là e la difendessi, oppure, desiderava che Cristal continuasse solo che non riusciva a reagire. Lui continuò per un bel po’ di tempo, e lei rimase sempre immobile. Io che guardai tutto da lontano mi sforzai di non imprimere un solo particolare di quell’orribile momento, ma era inutile, perché ogni istante passato con lei era sempre nella mia memoria. Ricordo ancora perfettamente quando il maestro ci spiegava delle mosse e lei faceva delle facce strane e torceva le sue belle labbra rosse in smorfie di disappunto buffissime…Quanto mi manca…

 

ACQUARIUS

 

Sapevo che i ragazzi avrebbero amato Anya più di qualsiasi altra cosa. Lo capii subito appena la vidi: ero andato in città per fare delle compere, quando sulla strada del ritorno vidi una uomo sbracciarsi verso di me come se mi chiamasse. Mi affrettai a raggiungerlo, e notai che era stranamente pallido e che tremava anche; si gettò ai miei piedi e mi supplico fra le lacrime. All’inizio non capii cosa voleva dire, perché in effetti era troppo debole perfino per stare in piedi ed aveva fatto un enorme sforzo nel richiamare la mia attenzione; ma riuscii a strappargli poche parole

“…la prego… la mia povera… bambina…” detto questo spirò. Lo presi in braccio e lo portai nella piccola capanna nella quale viveva, lo deposi sul suo letto quando vidi arrivare verso di me una fanciullina . M’incantai subito nell’osservare la fronte ampia e chiara, i capelli lunghi fino a metà schiena di un bel color castano chiarissimo – biondo, ed il portamento regale ed orgoglioso. Ma la cosa che mi colpì di più furono gli occhi. Un colore tanto bello quanto raro. Ci fissammo a lungo, così potei seguire attentamente con lo sguardo gli squarci color cielo terso partire dall’ iride perfetto e disperdersi in ramature verde acqua fino ad arrivare a delinearne il contorno con uno spesso tratto verde scuro – blu.

“Chi sei?” le chiesi titubante

“Sono la Regina delle lande”

Quanto solennità e quanta maestosità in quella melodiosa voce da bambina – adulta! Forse era suo padre che le aveva detto una cosa del genere

“Conosci quest’uomo, vero?”

“Era mio padre”

Mi stupii della sua lucidità e dell’apparente distacco con cui aveva parlato, in fondo era solo una bambina…Si avvicinò al letto e gli chiuse gli occhi con le sue manine bianche candide; io le circondai le spalle e mi sforzai di parlare il più dolcemente possibile

“Mi occuperò io di te, adesso…” lei annuì senza smettere di fissare il corpo esanime del padre

“Sai, ci sono già due bambini con me…li sto allenando per diventare cavalieri, vedrai che non ti annoierai…” lei proseguiva ad acconsentire senza scomporsi minimamente. Mi accorsi che nonostante fosse di almeno quattro anni più giovane di me, aveva già la maturità di un adulto quale ero io. Del resto in Siberia, dove tutto è luce e gelo, non ti puoi permettere di restare bambino troppo a lungo, e comunque non avrai mai un’infanzia simile a quella degli altri ragazzini.

“Come ti chiami?” le chiesi per rompere il silenzio che si era creato attorno a noi, lei coprì il volto del padre con il suo fazzoletto, si girò verso di me e sorrise cercando di mascherare il dolore

“Anya” rispose. Sorrisi a mia volta, poi la presi per mano e ci avviammo alla capanna che condividevo con Isaac, Cristal ed ora con lei.

Appena vidi come si guardavano reciprocamente, capii che sarebbe successo qualcosa, ma non avrei mai potuto immaginare cosa…Lei leggeva tutto il giorno, si nutriva di libri, e di scrittura. Scrisse dei racconti meravigliosi, che fece leggere solo a me: la cosa che mi colpì di più fu la poesia e la malinconia di quei racconti…non so perché li nascondesse agli altri, forse perché si sentiva più a suo agio in mia compagnia. Fra di noi c’è sempre stata un’incredibile intesa. Isaac e Cristal non se lo immaginavano nemmeno, ma Anya ed riuscivamo a intenderci anche solo con uno sguardo. Anya da bambina quale era, crebbe e divenne sempre più intelligente, sempre più unica e sempre più bella. La sera, quando gli allenamenti erano finiti, si metteva su una sedia a dondolo proprio davanti al camino e ci leggeva qualcosa con la sua voce melodiosa. Inutile dire che, totalmente persi nella contemplazione del suo viso dai lineamenti dolci, non ascoltavamo quasi nulla. Quando leggeva, i suoi occhi oltremare si approfondivano sempre di più e assumeva un’aria del tutto pacifica. Era più giovane di me di quattro anni, ma la sua maturità e la sua intelligenza erano inverosimili; era l’unica persona in grado di capirmi, di farmi capire che c’era un mondo al di fuori di quello dei saints, e … mi faceva sentire come un uomo qualunque che necessita solo della vicinanza delle persone che ama. Erano tre le persone che amavo più di ogni altra cosa: Isaac, Cristal e soprattutto Anya. Me ne accorsi solo quando divenne abbastanza grande da farmi notare che nonostante fosse molto più giovane di me ( quattro anni di differenza erano molti, dato che allora considerato già un uomo maturo) mi comprendeva e mi appoggiava. Ma il mio amore era diverso da quello degli altri due: io non l’amavo come un uomo ama una donna. No, non c’era egoismo nel mio affetto. Lei per me era sacra, ed insuperabile, un angelo candido… che di sogni è vissuto ed è morto.

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Capitolo 2
*** Madrigale ***


Odi et amo. Quare id faciam fortasse requiris nescio, sedi fieri sentio et excrucior.

 

 

 

Amami…sognami

Come neve su di te.

 

 

Il canto di una voce melodiosa, ed il suono della cornamusa.

 

Sfiorami… ali leggere nell’aria.

 

 

L’unico ricordo che ho dei miei genitori.

 

Parlami…pensami

Come l’unica tua idea.

 

E mentre una lacrima di cristallo mi accarezza la guancia… io rivedo i capelli fulgidi di mia madre.

 

Cantami… come una nenia nell’aria.

 

E gli occhi blu di mio padre, quel sorriso sicuro, quell’espressione di scherno. Peculiare di un uomo che sa di aver perso tutto, e di dover morire, ma che non vuole accettarlo.

 

Io sono in volo… sono libera

Non ho confini intorno a me.

 

 

Eppure, se solo ripenso ai pomeriggi passati con loro, i responsabili della mia nascita, non posso far a meno di ricordare una sonata triste e… leggera… come il canto di una farfalla, come il volo di un’aquila senza ali. E ritrovo ancora il cielo freddo e limpido della Siberia; incontaminato dalla luce del sole o della luna, spoglio di stelle, ma rivestito dalla magia di un mondo a parte. Un universo riservato a pochi. Una prigione dorata e un paradiso ultraterreno… ma che puoi toccare, respirare, amare, vivere.

 

Sono un pensiero, sono musica…

 

 

E mentre mio padre suonava la cornamusa, io m’incantavo nell’ascoltare la voce di mia madre innalzarsi, squarciare il freddo ed errare per le lande in cerca di qualcuno da scaldare, che la scaldasse. Ero una bambina allora, ma ricordo ancora quella canzone…

 

Amami…sognami

Come nuvola su te.

 

Mi teneva sulle ginocchia, avvolta in una pelle d’orso; ricordo ancora il suo calore, la sua disperazione, la sua voce. Eravamo soli fra quelle montagne di ghiaccio, dove tutto è candido. Dolce ma letale. Freddo e bollente. Amo svisceratamente questa terra, e questo ghiaccio inclemente… è il freddo della Siberia. Mi ha accolta alla mia nascita, mi ha vista crescere, ha visto morire i miei genitori, tutto scomparire e rinascere come la fenice.

 

Pensami come un luce lontana.

 

 

Una mattina mi svegliai, e corsi nella sua stanza per darle il buongiorno come facevo sempre; mi aspettavo di vederla pronta ad accogliermi sotto le sue coperte, nel suo abbraccio, invece vidi mio padre chinato davanti al letto. Mi sentì arrivare e si girò verso di me, aveva il volto solcato dalle lacrime… io capii subito, non ci fu bisogno di spiegazioni, quando vivi di compromessi, non puoi permetterti certe illusioni, anche se magari vivi solo grazie a quelle. Mi avvicinai : il suo volto candido appariva ancora più pallido e mi faceva paura, i suoi occhi di ghiaccio mi fissavano sgrananti, ma erano senza vita… vuoti e vitrei. Le labbra erano tirate in un ghigno ed si mostravano violacee.

 

 

Io sono in volo…sono libera.

Non ho confini intorno a me.

 

 

Quella non era mia madre. Era solo uno spettro. Un altro dei tanti demoni pallidi destinati a vagare in eterno lungo il deserto bianco, un’anima che non avrebbe trovato più pace.

 

Sono un pensiero, sono musica…

 

 

È stato crudele da parte di Dio portarmela via così, ma non solo… poco dopo persi anche mio padre. Sapevo che era malato, e mi ero già preparata. Però non avrai mai immaginato che la perdita della donna che amava avrebbe divorato le sue carni, la sua anima e soprattutto il suo cuore più velocemente di una malattia. Ho perso ogni contatto con questo mondo. Dal momento in cui lui esalò il suo ultimo respiro, io diventai un essere totalmente estraneo a me stessa, non c’era più nessuno che avesse veramente qualcosa di me.

 

È la mia fantasia che mi porta via

La realtà non è mai una verità.

 

 

E anche il trovare una persona disposta a salvarmi mi aiutò a colmare la mia infelicità. Mi sento legata a Cristal, ad Isaac e ad Acquarius come a questa terra di bianco e buio eterno, ma la mia anima è volata via con la vita dei miei genitori…

Nessun mondo è lontano ovunque tu sia.

 

 

Perdonami Cristal perdonami Isaac, perdonami Acquarius, io soffro. La mia mente vola via, libera come l’aria, il vostro affetto mi distrugge proprio perché non riesco ad andare avanti. Libera come una colomba, come un fiocco di neve, come il ghiaccio eterno, io morirò.

 

 

Ed anche se partire

Mi fa morire il cuore

Andare via vorrei ogni momento

Per questo immenso canto

Della vita che abbraccio nel ritorno

E così mille volte al giorno

Andare via vorrei

Per quanto amo i ritorni miei.

 

 

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Capitolo 3
*** Docvidanija... ***


Odi et amo. Quare id faciam fortasse requiris nescio, sed fieri sentio et excrucior.

 

 

 

 

 

CRISTAL

 

 

Ricordo ancora come se fosse ieri il giorno in cui potei dire di avere la forza necessaria per infrangere il muro di ghiaccio che mi separava dalla mia cara mamma. Avevo atteso quel momento trepidante, e mi ero allenato giorno e notte col solo scopo di poter avvicinare il mio viso al suo in modo da godere ancora della pace che aveva dipinta sul volto. Esatto, l’unico motivo per cui avevo deciso di diventare cavaliere, era di raggiungere mia madre. Non di proteggere Atena. La mia mamma, era l’unica ragione. So che non è giusto, e ancora oggi me ne vergogno un po’, Isaac ha tutte le ragioni di essere così adirato con me: io sono un debole. Mi do tante arie, e faccio grandi discorsi sull’onore, sulla fedeltà, sul valore… ma in realtà cosa sono io? Un ipocrita! E pure un ciarlatano…Non ho mai avuto l’appoggio di nessuno per la mia immorale impresa, e naturalmente so di non aver alcun motivo per meritarlo. Durante l’infanzia non ne avevo mai parlato con il maestro, né tanto meno con Isaac: lui che era così virtuoso, non poteva capire, ed infatti non capì. Quando glielo svelai, mi picchiò selvaggiamente, e in ogni suo insulto potevo scorgere il ripudio e il senso di vergogna che provava anche al posto mio. Dato che eravamo come fratelli, i dolori erano reciproci. Comunque, nonostante la rabbia non tentò di fermarmi perché tanto sarebbe stato inutile, solo mi mise in guardia contro le possenti correnti che alitavano in quelle acque. Anche il maestro ci aveva più volte ammonito al riguardo, ma era come se al momento io diventassi sordo.

Mi sentii molto in colpa con Isaac, e non solo perché non gliene avevo mai parlato con cura, ma soprattutto perché lui si agitava e si preoccupava per me. Anch’io sentivo di volergli bene naturalmente, ma non riuscivo a guardare al di là del mio naso. Probabilmente, se gli avessi spiegato con cura quello che provavo, in fondo mi avrebbe appoggiato. Solo con Anya riuscii ad aprirmi: una sera la presi in disparte e le confessai tutto, ma proprio tutto. Senza pudori o inutili eufemismi. Fu l’unica a conoscere la mia verità. Lei mi ascoltò in silenzio, senza mai interrompermi, solo fissandomi con i suoi magnifici occhi spalancati, ed io vidi ogni singola goccia dello stupore che le bagnò lo sguardo. Quando ebbi terminato, mi mise una mano sulla spalla e disse

“Cristal…lascia che ti dica ciò che penso. Non è giusto quello che stai facendo, e stai solo dimostrando la tua immaturità. Anche i miei genitori sono morti, e sono qui sepolti da qualche parte fra le lande, eppure io, sebbene desideri con tutte le mie forze riabbracciarli, non ho alcuna intenzione di andare a cercarli. Non puoi continuare a piangere in eterno una persona che è morta. Pensa a lei, secondo te sarebbe contenta di vederti così? Rinuncia Cristal, ti prego, è troppo pericoloso!”

Avrei fatto qualsiasi cosa per lei, ma rinunciare…no. Mai. Avrei tentato comunque. Non potevo tirarmi indietro dopo tutto quello che avevo fatto. E mi sono reso conto troppo tardi di aver sbagliato. Un giorno mi avventurai fra le lande desolate, nel punto più lontano possibile dalla capanna dove vivevo, ricordandomi però di non allontanarmi di molto o avrei rischiato di perdermi: non avevo detto niente a nessuno. Mi tolsi la pelliccia, e rimasi un istante immobile, illuminato dalla gelida luce della Siberia, a lasciarmi accarezzare dall’aria pungente tutt’intorno.

Il freddo della Siberia…può essere mortale, e spietato, ma è il “freddo” della mia terra. Quella fu l’ultima volta che mi lasciai abbracciare da esso. Feci un respiro profondo, poi raccolsi tutto il mio cosmo e sferrai un pugno al suolo. Vidi il ghiaccio infrangersi sotto le mie dite e precipitare nella pozza oscura che avevo creato. Quell’acqua gelata e di un blu profondo un po’ mi spaventò, è vero, lo ammetto, ma non potevo rinunciare!! Cercando di non pensarci troppo mi gettai fra quei flutti e mi misi alla ricerca del relitto che custodiva il corpo della mamma; man mano che mi avventuravo, il Mar della Siberia Orientale mi sembrava sempre più immenso, e l’aria non avrebbe tenuto ancora per molto, poi dovevo scendere in profondità se volevo trovare la mia cara mamma. Mi sentivo schiacciare dal peso dell’acqua e la paura in me aumentava sempre di più, tutt’intorno c’era solo buio ed un freddo selvaggio. Decisi di risalire per prendere un po’ d’aria quando una forte corrente gelida m’investì.

Le uniche cose che ricordo, sono delle violente spinte verso sinistra, e la terribile sensazione di soffocare, poi più niente…

 

 

ISAAC

 

Quando mi rivelasti la ragione per cui volevi diventare cavaliere, mi lasciai travolgere dalla rabbia e ti aggredii con tutta la forza che avevo: perché tu, che eri così importante per me, mi facevi soffrire e preoccupare in quel modo? Come potevi essere così egoista? Pensavi solamente ad una persona morta mentre ce n’erano tante in vita che si allarmavano per te! Per un attimo sperai addirittura che almeno l’amore per Anya ti fermasse, ma a quanto pare non ti interessava nemmeno la sua angoscia. Mi chiedo: hai visto bene la sua espressione preoccupata? Chissà, forse ti saresti commosso! Crudele…sei stato crudele sia con Anya, che con me, che con il maestro. Un giorno, senza dire niente ti sei avventurato fra quelle acque buie e ghiacciate da solo. Io ed Anya eravamo appena tornati dopo aver fatto compere in paese, quando ci accorgemmo che tu in casa non c’eri; il maestro non ne sapeva nulla, e pian piano la preoccupazione cominciò a salire, dove potevi essere andato? Si stava avvicinando l’inverno, e il cielo era quasi completamente tinto del buio illimitato che ci attendeva, dove potevi essere andato da solo? Capimmo subito. Mi precipitai fuori per correre a cercarti, quando Anya mi raggiunse e si attaccò alla mia pelliccia

“Ti prego…” mi disse cercando di trattenere le lacrime “ti prego portami con te!”. Vidi tutta la preoccupazione nei suoi occhi, e mi sentii morire. Avrei voluto ucciderti per tutto il dolore che le stavi procurando.

“E’ meglio di no . Non ti preoccupare, vedrai che non è successo nulla.” le intimai accarezzandole i capelli, ma come potevo calmare lei, quando io stesso tremavo dall’ angoscia? Lei mi guardava con aria supplicante, non era una sciocca, sapeva benissimo che nulla stava andando bene; mi si strinse ancora di più al petto ed appoggiò la fronte sulla mia spalle, così che io potessi sentire benissimo il profumo dolce ed enigmatico della sua pelle e dei suoi capelli. Se le avessi cinto le spalle, avrei potuto dire che quello era un abbraccio…

“ Anya, non fare così…te lo riporterò sano e salvo!” continuai sforzandomi di sembrare allegro e distaccato

“Anche tu devi tornare sano e salvo!” gridò lei stroncando sul nascere un singulto. Questo mi stupì non poco. Non so se lei mi amasse davvero, come una donna può amare un uomo, ma in quel preciso istante ebbi l’assoluta certezza di essere per lei più di quanto credessi. Il modo con cui aveva pronunciato quelle parole, e la paura nella sua voce…Mi riscossi subito: non dovevo farmi inutili illusioni, o dopo avrei dovuto sbatterci la testa e soffrire. Sicuramente Anya si preoccupava per me, come si preoccupava anche per Cristal. Avrei dato qualsiasi cosa purché mi amasse anche solo la metà di quanto l’amavo io, ma dovevo pensare a Cristal…lui probabilmente era in pericolo, e io dovevo salvarlo! Quell’uomo era per me come un fratello.

“Torna in casa. Tra poco, io e Cristal, ti raggiungeremo insieme.” Le dissi con lo sguardo più serio che seppi trovare, lei capì subito che non valeva la pena di ribattere ed ubbidì. Io mi misi senza indugio alla ricerca del mio amico dagli occhi di ghiaccio cercando di non pensare all’espressione colma di terrore della mia dolce Anya.

Come avevo previsto, Cristal non era stato tanto imprudente da allontanarsi troppo, altrimenti non l’avremmo più ritrovato; quindi mi accorsi immediatamente dell’enorme fenditura del terreno, che, a lui , aveva fatto le veci di un’ entrata per un inferno di ghiaccio. Per un attimo riuscii a pensare a quanto era forte per aver fatto una cosa del genere, e mi resi conto che solo lui avrebbe potuto ottenere l’armatura del cigno. Provai una rabbia indescrivibile: lui, che si lasciava trascinare dalle sue debolezze, aveva acquisito il potere dei ghiacci. Ma nonostante tutto non potevo abbandonarlo. Mi gettai subito in quelle acque oscure. La prima cosa che mi colse fu un gran freddo, di quelli che ti penetrano nelle ossa e le avvelenano dal loro interno più profondo; poi delle spinte fortissime. Feci per avventurarmi nelle profondità, quando vidi una figura nuotare freneticamente cercando di tornare in superficie: Cristal!! Probabilmente aveva finito l’aria, perché presto cedette contro la pressione della corrente e si lasciò andare, debole come un fiocco di neve; lo raggiunsi il più in fretta possibile e me lo strinsi al petto: era ancora vivo, ma c’era assai poco da sperare. Tutt’intorno c’era una buio funebre, riconobbi la fenditura dal quale ero passato solo grazie ad un debole spiraglio di luce che vi filtrava; mi affrettai verso l’uscita da quell’inferno d’acqua nuotando con tutte le mie forze contro i flutti, non vedevo quasi niente, e la paura in me era grande. Stavo per raggiungere l’apertura scavata da Cristal, quando sentii una fredda punta di ghiaccio penetrarmi nell’occhio destro ed un dolore atroce pervadermi. L’acqua scura intorno a me, improvvisamente si fece di un orribile rosso cremisi, e l’unico spiraglio di luce al quale potevo affidarmi si allontanò progressivamente. Probabilmente mi ero ferito con una sporgenza della cavità scavata dal mio biondo compagno. Non potevo perdermi d’animo, avevo giurato ad Anya che sarei tornato sano e salvo, e Cristal con me! Ripresi a nuotare, e sebbene ci vedessi molto poco riuscii a risalire in superficie. Accasciai Cristal per terra sentendomi decisamente sollevato nonostante tutto, quando l’orrore s’impossessò di me: dall’occhio ferito presero a sgorgare spruzzi di un porpora accesso ed inquietante, che si sperse su quella distesa immacolata. La terra del ghiaccio eterno era stata contaminata. Il manto regale di Signora Neve macchiato dal mio sangue. Cristal era sano e salvo, mentre io, che non ero ancora del tutto risalito, scivolai piano fra quei flutti. Ormai non avevo più forze, e nemmeno la forza di ragionare; ma fra le acque intravidi un’ombra immane avvicinarsi. Il Kraken. Il mostro leggendario di cui il maestro ci narrava a volte la sera. Io pensavo che lo facesse solo per spaventarci ed indurci a non entrare in acqua, ma Anya ci credeva e …in quel momento ci credetti anch’io. Poi mi ritrovai alla corte di Poseidone, il dio dei mari, dove ottenni un’armatura e la colonna del Mar Glaciale Artico. Non rividi mai più Anya. Se è morta è solo colpa mia, ma anche tua, Cristal. È colpa tua, che hai preferito seguire i tuoi sciocchi ideali piuttosto che curarti di chi ti stava accanto. E per questo io non ti ucciderò. Non sono diventato pazzo, voglio solo condannarti a vivere, vivere e soffrire. Invecchierai con il rimorso, e sconterai la pena più lunga che un uomo possa ricevere. Vivi, Cristal. E soffri.

 

 

CRISTAL

 

Mi risvegliai nel mio letto, al caldo. Non so chi mi avesse tratto in salvo, ma pensavo che fosse stato Isaac: era l’unico a conoscenza dei miei piani a parte Anya, ma naturalmente lei non avrebbe avuto la forza di salvarmi. Al mio risveglio vidi Anya seduta accanto a me, con in volto un’espressione che io non conoscevo, che non avevo mai visto. Neppure quando il maestro la portò fra noi subito dopo la morte di suo padre. Lessi la disperazione in quegli occhi angelici. Sollevai debolmente una mano verso di lei

“A- Anya…” lei mi guardò e disse a denti stretti

“Sei un perfetto idiota, lo sai? Non immagini come eravamo preoccupati! Meriteresti di essere morto!” detto questo lungo le sue guance delicate iniziarono a scorrere limpide gocce di pianto, io avrei voluto alzarmi ad abbracciarla, ma ero troppo debole; invece sospirai e le chiesi

“Chi mi ha salvato?” Anya si passò una mano candida sul volto

“Isaac…lui ti ha salvato, e adesso chissà dov’è!” nascose il viso tra le mani. Probabilmente stava per scoppiare in lacrime. Io non capivo, cos’ era successo? Entrò nella stanza il maestro Acquarius; prima mi lanciò il suo sguardo più severo, poi circondò le spalle di Anya e le parlò dolcemente

“Non ti preoccupare piccola, vedrai che tornerà. È un ragazzo forte, lo conosci anche tu, no?” lei annuì anche se poco convinta, lui la lasciò e mi si avvicinò

“Ti ho trovato in fin di vita vicino ad una fenditura del ghiaccio. Intorno a te c’era del sangue, penso che sia di Isaac.” Non potei trattenermi dallo scoppiare a piangere: Isaac mi aveva salvato! Ero vivo solo grazie a lui, lui era sempre stato pronto ad aiutarmi, ma io non c’avevo mai fatto molto caso. Era forse una punizione quella? Venivo punito per la mia superficialità? Quel rimorso…era normale, o era un castigo degli dei? Stavo facendo soffrire Anya, il maestro,ma soprattutto… Anya: perché eri così disperata per lui? Lo ammetto, sono stato talmente egoista da pensare al mio amore, e non alla vita del più caro amico che potevo trovare. Non l’avevo mai vista così, il volto sconvolto dalla disperazione, gli occhi grondanti di lacrime…In quel momento capii che lei lo amava quanto lui amava lei. E avrei tanto voluto essere io l’oggetto di quella voluttà travolgente. Anche quella era una punizione? Mi sentii male come non ero mai stato, il maestro ed io cercavamo di tranquillizzarla dicendole che ce l’avrebbe fatta, che sarebbe tornato, ma era inutile. Ormai era arrivato l’inverno, era calato il buio, e chiunque sarebbe morto congelato rimanendo fuori al freddo, soprattutto la notte.

Anya cambiò da un giorno all’altro: era sempre triste, non parlava, non mangiava, e non leggeva più. Questo era proprio il colmo! Non avevo mai visto Anya passare più di tre ore senza un libro! Perse tutti i suoi sogni e l’uomo che amava…per colpa mia. Avrei voluto gridarle “Guardami! Io sono vivo, sono ancora qui! Amami perché io ti amo da morire!” ma non sarebbe servito a niente. Se le avessi chiesto “Sei innamorata di Isaac?” lei forse mi avrebbe risposto onestamente di si…oppure no .

Penso che l’avrebbe negato. Se non l’aveva ancora detto a lui, figuriamoci se lo diceva a me!ormai non avevo più speranze di poter entrare nel suo cuore, non come Isaac…Questa fu la pena più grande.

 

ANYA

 

Non sarebbe più tornato da me. Sapevo benissimo come stavano le cose e non volevo illudermi. Isaac era morto, e non avrebbe mai saputo che anch’io lo amavo. Si, perché lui mi amava, l’ ho capito chiaramente quel giorno, prima che corresse incontro alla morte. Io mi ero aggrappata al suo petto,e lui mi aveva stretta a sé con le braccia dell’anima. Avevo letto nel suo cuore, senza però lasciare che leggesse nel mio. Ma tanto sarebbe cambiato qualcosa? No! Non avrebbe rinunciato a salvare il suo amico, e sarebbe morto comunque. Se solo gliel’avessi detto ancora tempo fa, quando mi accorsi di amarlo, almeno avremmo potuto vivere insieme quei pochi attimi che ci restavano;invece non avevo avuto il coraggio e lui non sapeva ciò che provavo. Isaac era tutto per me, l’unica persona che mi facesse sentire di contare davvero qualcosa, e l’unica ragione per cui sentivo di poter vivere nonostante l’assenza di genitori e parenti. Io lo amavo con tutta me stessa. Ma l’avevo perso per sempre. Stavo male, ma dentro di me continuavo a farmi delle illusioni: sognavo di lui e di me insieme, e per un attimo mi sentivo felice, poi tornavo alla realtà e il mondo mi crollava addosso. Penso che solo Acquarius capì quello che provavo, fra me e lui c’era un’intesa perfetta, ci bastava uno sguardo per capire l’uno i pensieri dell’altro. Lui non mi rifilava le solite stupide frasi di circostanza, né mi faceva tutte le moine che mi faceva Cristal per consolarmi, ed io lo sentivo più vicino di chiunque altro. Perfino più di Isaac. Certo, le sensazioni che mi dava lui, non me le avrebbe mai date nessuno, ma il rapporto che c’era fra me e Acquarius andava ben oltre l’amore o l’amicizia. Non saprei definirlo. Ad ogni modo, anche se al mondo c’era qualcuno in grado di comprendere, nessuno avrebbe alleviato il mio dolore.Solo una cosa…Mi svegliai in una mattina incredibilmente fredda, tutti stavano ancora dormendo ed io uscii senza nemmeno mettermi la pelliccia. Caddi in ginocchio sulla neve e rimasi lì ferma immobile. Il freddo penetrò in me lentamente, passando per i pori della pelle, e s’intaccò sulle mie carni fino a tritarle con tanti minuscoli, invisibili aghi; chiusi gli occhi per il dolore, e non li riaprii più per paura di riscoprirmi cieca, temevo che il freddo entrato in me si fosse trasformato in un pezzo di ghiaccio,che si era appoggiato ai miei nervi ottici sfondandoli. Naturalmente non poteva essere così, ma la mia immaginazione aveva sempre giocato brutti scherzi, ed aveva sempre avuto la meglio sulle mie azioni. Anche su quella. Era stata una vera sciocchezza uscire con quel freddo e mezza scoperta; sapevo che presto sarei morta e non aspettavo altro. Solo così avrei raggiunto il mio amato Isaac, solo così avrei ritrovato la pace persa di punto in bianco. Non potevo continuare a vivere così: non parlavo quasi più, trascuravo perfino i miei adorati libri, e non riuscivo più a dormire la notte, perché Morfeo non mi voleva accogliere fra le sue braccia.

Avrei potuto ricongiungermi alla sola persona che riuniva in sé tutto ciò a me necessario per vivere. L’unica cosa era che avrei fatto soffrire Cristal e Acquarius:loro mi amavano così tanto ed io li ripagavo lasciandoli; anch’io li amavo, ma non quanto amavo lui. E me n’ero accorta troppo tardi. Ma non aveva più importanza, presto sarei andata da lui e gli avrei confessato ogni cosa, poi avremmo potuto stare insieme per sempre.

Mi sembrava di non aver già più le gambe, e la mia testa si faceva sempre più leggera, poi sentii un morbido tonfo e la

sensazione di aver della neve candida e gelida sul viso. Era dunque così che si moriva assiderati? Comunque sia, non avrei avuto l’occasione di raccontarlo.

Poi il freddo scomparve ed un lieve torpore s’impossessò di me…Mi sentii scuotere con violenza proprio mentre credevo di star per raggiungere l’elisio ed aprii gli occhi: Cristal mi stava guardando in lacrime ed Acquarius vicino a lui. Allora non ero cieca, ed ero ancora viva. Cercai di muovermi ma sentii un terribile dolore provenire dal mio interno ed allora capii che non c’era speranza, che sarebbe mancato poco.

Mi sforzai di sorridere e pronunciai la mia ultima parola

“Docvidanija…”

 

 

CRISTAL

 

Si spense fra le mie braccia debole come una fiamma al vento. Mi girai verso il maestro e vidi che cercava di dirmi qualcosa, ma non sentivo: nelle mie orecchie continuava a riecheggiare la sua ultima parola “Docvidanija…”. Addio. La guardai, e vidi ogni singola ciocca dei suoi capelli alzarsi nel vento e cantare la disperazione di lasciarci e la gioia di tornare da colui che amava.

Non riuscivo a realizzare ciò che era successo, non volevo credere che proprio lei fosse morta,il maestro mi mise una mano sulla spalla e mi disse cercando di trattenere le lacrime

“Mostrale la tua forza Cristal. Crea un’altra fenditura, così che lei possa raggiungerlo.” Mi alzai e feci esplodere il mio cosmo, poi sferrai un pungo al suolo e lo infransi. Sinceramente non capivo cosa voleva fare Acquarius, ma vidi la mia dolce Anya venire avvolta da una luce di ghiaccio. Aveva creato una teca per lei. Non una bara, ma uno scrigno che racchiudesse per sempre il più prezioso dei suoi tesori.

Poi la gettò nelle acque.

In quel momento rabbrividii: e se avesse avuto paura là sotto? No, Isaac le avrebbe fatto coraggio.

Ma ora, ora che ho scoperto che sei vivo, cosa dovrei dire? Che la sua morte è stata inutile?! Il suo spirito non ha trovato la pace che sperava, e continua ad errare per le lande desolate in attesa di poter ricongiungersi a te,che significhi per lei più di quanto immagini. L’unico modo che ho per farle un ultimo regalo e ucciderti. Così andrai da lei. Anche tu non aspetti altro, vero? Ebbene ringraziami, perché voglio proprio dimostrarti quanto ti voglio bene!

E quando insieme raggiungerete il nirvana, voltatevi e sorridete pensando a me. Anche tu, amico mio.

Docvidanija.

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Capitolo 4
*** Orfèus kài Euridìke ***


Odi et amo. Quare id faciam fortasse requiris nescio, sed fieri sentio et excrucior.

 

 

 

 

ΟΡΦΕΥΣ ΚΑΙ ΕΥΡΥΔΙΚΗ…

 

( Orfèus kài Euridìke)

 

 

 

Prologo:

 

Tanto tempo fa, quando gli uomini ancora riposavano nel freddo grembo della madre, e gli animali erano troppo timidi per mostrarsi; tanto tempo fa, quando sulla terra c’erano solo le piante, quando i boschi erano ancora floridi, quando l’acqua zampillava felice dalle sorgenti e gioiva alla luce del sole, due alberi si amavano in silenzio. Ogni tanto il vento, che scuoteva le loro fronde, gli permetteva di accarezzarsi, ed il leggero aroma delle loro foglie si alzava e volava lungo il querceto bisbigliando a tutti del loro amore clandestino. I due avrebbero voluto stare vicini, liberare le radici dal terreno e correre l’uno verso l’altra, ma l’unica cosa che potevano fare era giacere fermi e guardarsi a vicenda. Passavano i giorni e passavano le notti, ma loro, instancabili, continuavano a sognare un grande amore libero, tanto da far arrossire il Cielo, da far sognare i fiori e gli uccelli che si posavano sui loro rami. In fondo, non c’era niente che avrebbero voluto di più. Anche se non potevano toccarsi, non potevano parlarsi, non potevano abbracciarsi, avevano l’uno l’amore dell’altro. Cosa potevano desiderare di meglio? Nulla avrebbe potuto dividerli. Passarono miliardi di anni, sulla Terra si succedettero i dinosauri ed infine gli uomini. E fu proprio a causa loro che una passione, creduta indissolubile, spirò. Un’ esile fiammella venne colta dal vento, viaggiò per i prati diventando sempre più grande ed alla fine arrivò ad uno dei due alberi, e pose alle fiamme il suo debole fusto. Il suo povero amante non potè far altro che osservare l’unico amore che avrebbe mai potuto avere mentre si contorceva per i dolori e si avvolgeva su sé stesso liberando mucchi di cenere. Il suo più caro tesoro perì proprio sotto il suo sguardo sconsolato: lui non aveva potuto fare niente, solo disperarsi per la sua perdita e sperare che accadesse a lui ciò che era accaduto a lei. Si rivolse al fuoco ardente che lo aveva privato della sua ragione di vita e lo pregò – Portami da lei…portami da lei…- le fiamme sorrisero tristemente, consapevoli di tutto il male che avevano arrecato e risposero – Lasciala andare -. Si abbassarono sempre di più fino a scomparire, e lasciarono l’infelice solo, a cantare il proprio dolore. Il povero albero si rattristò sempre di più, perse tutte le foglie, i rami, un tempo forti e vigorosi, si raggrinzirono, e, per quanto si sforzasse, nemmeno la sua linfa vitale potè restituirgli tutto il suo antico fulgore. Passarono gli anni, miliardi di anni, i boschi vennero completamente rasi al suolo, ma lui non venne mai reciso: era debole e malato. Rimase per millenni a soffrire per il suo amore perduto, mentre la malattia lo divorava. Intorno a lui vennero sradicati e piantati nuovi alberi, i bambini, vedendolo così triste e malconcio, si rifiutavano di giocarci vicino, nessuno uccellino si posò più sui suoi rami; ma lui non se ne curava affatto, aspettava solo che qualcuno comprendesse il suo dolore e lo liberasse da quello. Ed infatti un giorno, degli uomini con delle seghe recisero il suo misero tronco, e ne fecero tanti piccoli pezzettini per il camino. Solo allora capì, solo allora si rese conto di quello che aveva fatto e pensò “Ora che sto per morire mi rendo conto di non aver affatto vissuto. Il fuoco, che quel giorno mi ha portato via tutto ciò che avevo di più caro, ha voluto essermi amico e mi ha permesso di vivere ancora a lungo, ma io…? Come l’ ho ripagato? Infangando il suo nome, e sprecando ogni attimo prezioso di vita, in cui avrei potuto essere felice! Se il mio dolce amore mi avesse visto cosa avrebbe detto? Poverina, avrebbe sofferto moltissimo…io l’ ho fatta soffrire! Ti prego Zeus, se esisti veramente dammi un’altra possibilità! Giuro che sta volta non commetterò lo stesso errore, lasciami recuperare tutto il tempo perso! So di esser stato causa di grande delusione e grande dolore, ma ti prego…Oh no, ormai è tardi. Vedo le fiamme farsi sempre più vicine e ardenti…Che tristezza, io non voglio morire così…”

 

 

 

 

Invocazione (Ninfe dei boschi):

 

I tuoni si sono spenti, il cielo non è più uggioso, la fitta rugiada che ha rivestito il mondo si è sciolta, e uno sfolgorio di colori e luci ha attraversato la vostra terra di mortali.

Spruzzi di rosa, giallo, viola e oltre, hanno toccato il cielo disegnandovi un ampio, meraviglioso arco, e mentre sale la notte fregiata di stelle, noi, della nostra compagna vi racconteremo la storia.

Il suo nome fulgente era Euridice, la ninfa dai capelli fulvi come il sole, che danzava ai piedi dell’arcobaleno ed abbagliava uomini e mortali con la sua gentile figura.

Grande, Diana dona a noi le parole per narrare la storia di un amore ultraterreno, del quale gli uomini ancora non conoscono la reale natura, e ti invochiamo affinché tu faccia scendere un assoluto silenzio sulla terra in modo che il nostro racconto possa essere l’unica cosa udibile.

L’usignolo non canterà, ed il lupo non ruggirà. L’unica voce che viaggerà lungo i boschi e le montagne, e l’unica poesia che risuonerà fra le praterie, ed in mezzo agli oceani, sarà quella del vento, e noi divine, per mezzo di essa, ed attingendo dai pensieri altrui, narreremo una storia che bisogna udire.

Così che anche i mortali possano imparare, cosa vuol dire amare, soffrire e morire d’amore. E, mentre le nostre voci si ergeranno in cielo dritte come le ali del celeste Cupido, che dell’amore è l’artefice incondizionato, la loro cupidigia si intimidirà.

E la rilucente Persefone, dagli inferi più penetranti, ci accorderà un onore indescrivibile: dalle profondità remote della fossa in cui, da molto, giace, la voce inverosimile di un malinconico cantore ci accompagnerà nel nostro errare lungo sentieri mai calpestati prima d’ora.

 

 

 

 

 

 

ORFEO

 

Non so perché, ma era sempre stata mia abitudine quella di allontanarmi dagli abitanti del mio villaggio, anzi non solo da quelli, ma da quasi tutte le persone che conoscevo. Non mi piacevano i loro stupidi giochi, detestavo le feste, e non ero poi così fraterno e di piacevole compagnia, per poter stare insieme a degli ‘amici’, se così si possono definire…Io non ho mai avuto dei veri amici: sono sempre stato troppo scontroso, troppo timido, troppo individualista, o cose del genere. Ma soprattutto, ero troppo attaccato alla mia musica. Portavo sempre la mia arpa con me, e suonavo ogni volta che c’era la possibilità, oppure suonavo lo stesso …Perfino il mio maestro, quando vide quant’ero attaccato alla mia piccola arpa, decise che probabilmente avrei potuto usufruirne come strumento di offesa; lui comunque non mi sentì mai suonare, o meglio non mi sentì mai suonare qualcosa di diverso da un requiem di morte per i miei avversari. Nessuno mi sentì suonare. Nemmeno mia madre, e neanche gli abitanti del mio villaggio, sebbene mi chiedessero spesso di dimostrar loro la mia bravura. La verità era che io non volevo mettermi in mostra, e sinceramente non ho mai nemmeno saputo quali fossero le mie capacità. Non m’interessava ‘essere bravo ’, mi bastava solo intonare una musica che mi facesse sentire in pace con il mondo, e soprattutto con me stesso, e …si, con la mia solitudine. Uscivo di casa la mattina presto e tornavo solo la sera per dormire. Non mi piaceva stare con mia madre, né tanto meno col mio maestro o i miei vicini di casa: finiti gli allenamenti m’inoltravo nel bosco per stare a contatto con la natura e con la mia musica. Le piante, i fiori, gli animali…loro erano la mia compagnia ideale. Solo io ed un mondo totalmente incorrotto, dove tutto sembrava perfetto. E questo mondo non volevo condividerlo con nessuno, solo la mia musica. Un ragionamento piuttosto egoistico, lo ammetto, ma era il solo modo in cui potessi trovare un attimo di pace. Quando suonavo, quando sfioravo con le dita le morbide corde della mia fedele arpa, tutto scompariva, si liquefaceva, si sublimava in qualcosa d’indescrivibile. Tutte le mie paure, le mie preoccupazioni svanivano per lasciare il posto ad un senso di pace assoluta e pura. Più volte ho tentato di musicare quelle sensazioni, così da poter condividerle con i fiori che ospitavano le mie melodie, ma non ci sono mai riuscito, non come volevo io. La musica per me era tutto. Non m’importava che mi dessero dello scontroso, del pessimista, no, io avevo la mia musica, ed un mondo ideale. Sarebbe stato bello se quel mondo fosse esistito davvero, ma naturalmente era impossibile, certo non per la mia mente, ma per gli altri esseri umani. Chiudevo gli occhi e perdevo ogni cognizione della realtà: solo io, una dolce armonia, i fiori, gli alberi, e il cielo. Niente cattiveria, niente invidia, niente falsità. Forse era un po’ rischioso, ma non potevo farne a meno. Però, ogni volta qualcosa veniva a risvegliarmi dal mio sogno, allora tutto si stracciava come un dipinto, la dolce melodia diventata un orrendo sibilo, i fiori appassivano, gli alberi morivano, e il cielo piangeva. Io ritornavo alla normalità affranto: la mia chimera sembrava così vicina, che pensavo si potesse avverare. Soffrivo, eppure mi sentivo così felice. La verità era che non trovavo pace. Ero un sognatore, non avrei mai smesso di immaginare l’utopia di un universo a parte, un regno solo per me e la mia musica. Il mio maestro spesso mi sgridava, ma so che infondo apprezzava questa mia fervida immaginazione, mi diceva “Smetti di sognare, Orfeo, tu sei un cavaliere di Atena, non puoi concederti certe debolezze. Adesso sei solo un ragazzino, ma un giorno crescerai e capirai”. Disse proprio così, eppure io non cambiai mai: da adolescente quale ero diventai un uomo adulto, ma non smisi mai d’inseguire le mie illusioni. Appena potevo m’isolavo dalla comunità, e mi rifugiavo in mezzo alle piante baciate dal sole.

E fu proprio in un bellissimo giorno di sole che conobbi Euridice. Erravo per i prati in cerca della postazione ideale dove segregarmi, quando sentì delle risa gaie provenire dal folto del bosco. Mi avventurai fra i cespugli erbosi ed intravidi un gruppo di fanciulle ridere e schizzarsi con le acque di una sorgente limpida. Capì subito chi erano: Ninfe dei Boschi. I capelli come fili d’oro filati dalla Dea Afodite, quelle voci limpide e cantilenanti, le vesti regali e le braccia candide potevano far pensare solo alle fedeli accompagnatrici di Diana, la sovrana incondizionata della Luna. Feci per andarmene, non ero certo interessato ai loro giochi, quando il mio sguardo venne catturato da una figura fatta di alabastro e petali di rosa. Rimasi nascosto fra i cespugli, e, seppur con mio sommo stupore, la spiai in silenzio per un po’: anche lei era una ninfa, solo che se ne stava isolata dalle sue compagne. La prima cosa che mi colpì furono quei suoi capelli ribelli e riccissimi, e il modo in cui si arrotolavano su sé stessi, per poi ricadere morbidi ai lati del viso, e su quelle spalle spioventi e perfettamente dorate dal sole. La osservavo mentre giocava con qualche ciocca e mi ritrovavo ad immaginare come sarebbe stato passare le mani fra quei tessuti d’opale, e vedere come si attorcigliavano intorno alle mie dita e scivolavano via bellissimi e leggeri, come pioggia. E lei, tentava di portarli indietro con le mani, ma loro, capricciosi, non ne volevano sapere, e le ricadevano sbarazzini davanti agli occhi color smeraldo. Affilai lo sguardo e rimirai quelle labbra, rosse e fresche come fragole, contrarsi in leggeri sorrisi, ed incitare le sue compagne al divertimento. Arrossii leggermente, ma me ne andai, dopotutto come mi permettevo di fissarla in quel modo? Chi ero io per infastidire una divinità…. Mi sistemai lontano da loro ed iniziai a suonare, immediatamente avvertii dei fruscii scattanti nell’erba: le ninfe naturalmente si erano spaventate ed erano scappate. Io un po’ mi corrucciai di aver intimorito la splendida figura che mi aveva incantato, ma poi pensai che era meglio così, che non avevo alcun diritto su chi mi era superiore per nascita. Subito dopo però, percepii un altro fruscio, stavolta timido e lieve: socchiusi gli occhi e vidi la sublime creatura di prima nascosta dietro ad un albero. Istintivamente sorrisi, e continuai a suonare. Man mano che la mia musica andava avanti, lei si avvicinava sempre di più, sempre di più, ed alla fine si sedette accanto a me e mi fissò con curiosità mista ad ammirazione. Io, senza però smettere di suonare altrimenti avrei potuto metterle paura, aprì gli occhi e potei finalmente ammirare quello splendido viso in tutto il suo fulgore divino: mi parve di non aver mai visto niente di più bello neanche nei miei sogni. Quei riccioli d’opale le incorniciavano il viso e le spalle come se volessero dire “Hai visto quant’è bella la nostra signora?”, e quegli occhi verdi mi guardavano in quel modo un po’ sfacciato, ma dolcissimo. Un perfetto viso da bambina, ed una pelle color caramello. Una creatura immaginaria che aveva preso vita solo per me, perché sapeva quant’ero solo, e quanto desideravo qualcosa che mi facesse sentire bene, qualcosa che si potesse toccare, che esistesse veramente, qualcosa da poter amare sul serio più di qualsiasi altra cosa. Senza neanche rendermene conto le sorrisi dolcemente, come non avevo mai fatto con nessuno, e lei prima arrossì intimidita, poi ricambiò. Pensai che aveva qualcosa di speciale quella creatura, e non perché fosse una divinità, ma perché…perché…neanche io so il perché, forse la verità era che la sentivo più vicina di chiunque altro pur avendo scambiato con lei solo uno sguardo. Forse mi sbagliavo completamente, questo non lo saprò mai. Mi sentivo stranamente felice ora che lei era seduta vicino a me. Io andavo a suonare in quello stesso posto ogni giorno, ed ogni giorno lei era lì per me, per la mia musica. Mi sedeva accanto ed appoggiava il capo sulla mia spalla così che qualche ricciolo ribelle si spargesse sull’argento della mia armatura e mi sfiorasse il viso. Ora nel mio mondo immaginario la cosa più bella era lei, la cosa che amavo di più era lei. Non c’era momento della mia giornata in cui non pensassi a lei e non sognassi il momento in cui l’avrei vista e avrei potuto respirare a fondo il profumo della sua pelle, nel giro di poco tempo per me diventò tutto. Dove prima c’era stata la musica, ora c’era lei e nient'altro. Non che la musica non m’interessasse più, dopotutto era solo grazie a quella che avevo conosciuto la donna che amavo, ma ormai avevo capito qual’era l’unica cosa che contasse nella vita di un uomo. L’amore. Secondo me, era l’amore. Quando ami una persona tutto diventa più bello, tutto ti sembra magico, e niente ti può ferire, e rendere infelice, perché anche solo il fatto di saper amare qualcuno è speciale. Un giorno mi feci coraggio e le chiesi “Come ti chiami”, lei sorrise e mi rispose “Euridice”. Euridice…Euridice…quale nome più adatto di quello a lei! Così musicale e dolce, mi faceva pensare ad una melodia soave, ed effimera, proprio come lei. Potrà sembrare stupido il fatto che ci siamo presentati solo dopo qualche tempo che ci frequentavamo, ma …come dire, il nostro rapporto non era fra i più ordinari. Non avevamo bisogno di raccontarci a vicenda le proprio debolezze, i proprio gusti, i propri difetti, come fanno di solito tutte le coppiette: ci bastava stare vicini per sapere che ci amavamo, che non potevamo fare a meno l’uno dell’altra. O meglio, all’inizio pensavo di essere il solo a provare quelle emozioni, ma capì che le sentiva anche lei quando un giorno mi strinse con le sue candide braccia e mi disse

“Orfeo rimani con me. Voglio sentirti suonare l’arpa per sempre” io rimasi felicemente stupito e risposi

“Euridice io rimarrò sempre con te e suonerò per sempre. Anche se dovessi morire, continuerei a suonare”. La mia dolce Euridice nascose il viso sulla mia spalla, ma potei vedere chiaramente due limpide lacrime di felicità solcarle le guance rosse. Anch’io mi sentivo incredibilmente felice: a modo nostro, ci eravamo confessati il nostro amore. Ora sapevo cosa volevo veramente dalla mia vita, non la gloria di cavaliere, non il successo come poeta, non l’ammirazione e l’affetto di coloro che mi erano accanto, solo l’amore di Euridice. Solo quello.

 

 

NINFE DEI BOSCHI

 

Ma c’era una cosa che Orfeo non sapeva e, neanche lontanamente immaginava. Perso com’era nella sua beatitudine, non si era accorto del dilemma che affliggeva la sua dolce Euridice: Aristeo, un ragazzaccio dello stesso villaggio in cui abitava lui, li aveva visti insieme ed aveva subito iniziato a desiderare ardentemente la nostra bellissima compagna. Il suo non era amore, no, non era neanche lontanamente paragonabile a quel sentimento puro, tutto ciò che voleva era possedere con la violenza quel corpo d’alabastro e quelle labbra innocenti, che nessuno aveva mai osato disonorare prima. Spesso aveva tentato di avvicinarsi a lei, ma noi l’avevamo sempre protetta con l’aiuto della grande Diana, ciò nonostante lui, pur sapendo che chi ardiva alzare le mani su una di noi veniva ucciso crudelmente, non aveva mai rinunciato ad inseguire i suoi sporchi obiettivi. Quel maledetto spergiuro non aveva paura neanche di una divinità, ma per questo fu punito, eccome se fu punito, ma a quale prezzo?

Quel fatidico giorno, avevamo accompagnato la nostra signora Diana al fiume, e ci eravamo fermate a giocare fra di noi come al solito, solo Euridice era rimasta in disparte. Si avventurò fra gli alberi da sola, rassicurandoci sul fatto che non le sarebbe accaduto nulla, quando sentimmo delle urla di terrore. Diana inalberò il suo possente arco e volò verso il malandrino, che nel frattempo stringeva con la sua mano scura e grossolana il polso sottile e candido della nostra compagna, e scoccò una delle sue frecce dorate. Aristeo lasciò immediatamente la presa e cadde a terra fra atroci dolori. Finalmente aveva ottenuto la punizione che si meritava, e non avrebbe più ostacolato la felicità di Euridice. Non potemmo rallegrarci però, che subito la vedemmo distesa nell’erba. Ci precipitammo verso di lei, e capimmo che era morta. Gli occhi sbarrati, le labbra scolorite, le guance scavate e due puntini minuscoli sulla caviglia. Ci sforzammo di pensare a cosa era potuto accadere poi scorgemmo un guizzo giallognolo fra i cespugli: era stata morsa da una serpe velenosa ed era morta nel giro di pochi secondi. Era davvero così che doveva andare? Non c’era proprio un modo per farla stare insieme all’uomo che amava? Perché proprio ora che l’unico ostacolo al loro amore era stato abbattuto il fato doveva essere così severo?

Mandammo Mercurio ad avvisare Orfeo di ciò che era accaduto, il povero cantore fu colto da un terribile dolore, e si accasciò al suolo in lacrime: lui…non aveva mai pensato a quello che le succedeva, credeva che bastasse solo stare insieme per avere tutto, invece si sbagliava. In più,se n’era andata così, senza neanche dargli il tempo di salutarla ancora, e di chiederle scusa per il suo egoismo, senza neanche dargli il tempo di baciarla per la prima e l’ultima volta. Sentì di averle fatto del male, di aver fatto soffrire proprio lei che era tutto il suo universo, che era la cosa più bella che potesse mai desiderare.

Non poteva permettere che tutto finisse così, non poteva permettersi di perderla senza neanche aver suonato per lei un’ultima volta, non poteva…concedersi una possibilità per rimediare? Se solo gli avessero concesso di riprovarci, lui non sarebbe stato più così stupido, come credeva di essere stato, no, stavolta l’avrebbe protetta contro tutto e contro tutti.

E fu così che decise di andare nell’Ade.

 

 

 

 

Si rivolse al fuoco ardente che lo aveva privato della sua ragione di vita e lo pregò

- Portami da lei…Portami da lei…-

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