City of Demons (Città dei Demoni)

di redeagle86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Regali ***
Capitolo 3: *** In una torre d'avorio ***
Capitolo 4: *** Suo figlio ***
Capitolo 5: *** Alicante dalle torri di vetro ***
Capitolo 6: *** Un mondo troppo grande e cattivo ***
Capitolo 7: *** Oscurità senza fine ***
Capitolo 8: *** Passi avanti, passi indietro ***
Capitolo 9: *** Peccati senza perdono ***
Capitolo 10: *** Bevenuta in questo mondo ***
Capitolo 11: *** Nulla di naturale ***
Capitolo 12: *** Non questa volta ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


City of demons
Città dei demoni

La vita e la morte sono un unico incastro, aveva detto Erbrow.
La morte degli uni è incastrata nella vita degli altri”
(L'ultimo elfo)

Prologo

-Noi abbiamo lo stesso sangue, Clarissa. Puoi continuare a negare e a raccontarti che non ci somigliamo, ma siamo entrambi dei Morgenstern.
Clary si volse a guardare Sebastian, seduto su un muretto con la veduta di Parigi che si stagliava alle sue spalle: sarebbe stato bello poter pensare d'essere lì in vacanza con il proprio fratello, ma la verità era ben diversa.
E Jonathan Christopher Morgenster non sarebbe mai stato suo fratello.
Il sangue non creava amore, altrimenti lei non avrebbe ucciso suo padre senza provare rimpianti, senza versare una sola lacrima.
Lui aveva sangue di demone nelle vene, lei d'angelo. Non avevano nulla in comune.
Lei lo odiava, lui non provava sentimenti quindi non odiava. Non avrebbero mai avuto nulla in comune.
-Un cognome non può legare due persone. Specialmente se una delle due è un assassino.
-Lo siamo entrambi, sorellina. Anche se aver ucciso Valentine non ti sembra un omicidio. Le nostre mani sono fatte per stroncare vite: non c'è altra via per noi.

Sebastian si trascinava sanguinante lungo il sentiero che portava alla casa in cui era cresciuto: sapeva che quell'edificio non esisteva più, come tutto ciò che aveva a che fare con il suo passato, ma sentiva il bisogno di recarsi lì per esalare il suo ultimo respiro. Una seconda volta.
Sua sorella alla fine si era rivelata per ciò che era: una Morgenstern fino al midollo, come lui le aveva ripetuto durante la loro convivenza. Uccidere ciò che si riteneva il male non cambiava la realtà dei fatti e loro erano due assassini: l'unica differenza era che Sebastian non giustificava le sue azioni con il paravento della giustizia.
E Clarissa era una vera puttana: prima si era fatta travolgere da un ritardato risveglio di coscienza nel vederlo senza un braccio, poi lo aveva trapassato con una spada nella speranza di eliminarlo. Aveva davvero un amore di famiglia: prima suo fratello e dopo sua sorella. Essere trafitto dai famigliari stava diventando un'abitudine, ormai. Se aggiungeva l'odio di sua madre e le frustate di suo padre, aveva uno splendido quadretto.
-Una vita che farebbe invidia a chiunque- pensò, crollando a terra. Aveva perso troppo sangue da troppe ferite e l'unica mano che era riuscito a salvare nella battaglia era la sinistra, con cui non era in grado di tracciare marchi.
Con la testa posata sulla terra umida e il respiro leggero, il giovane si chiese se la sua storia avrebbe potuto prendere una strada diversa se fosse cresciuto come Clary, circondato dall'amore di un genitore, dagli amici, con una ragazza di cui innamorarsi...
Forse non sarebbe cambiato nulla, forse il suo sangue avrebbe macchiato ogni cosa perché lui era corrotto ancor prima di venire al mondo.

Brucerà la sua umanità, come il veleno brucia la vita nel sangue.

 Valentine aveva scelto per i suoi figli ed aveva pagato con la vita; Sebastian pagava per una natura che non aveva voluto e non poteva combattere.
-Andate tutti all'Inferno...- imprecò, tentando inutilmente di rialzarsi. Era la fine: aveva perso, i suoi sogni di gloria erano crollati come castelli di carte e lui moriva con la faccia nel fango. Un finale epico, senza ombra di dubbio.
Clary e i suoi amichetti avrebbero avuto il loro “per sempre felici e contenti” e tutti si sarebbero presto dimenticati della sua esistenza. Non c'era nessun segno del suo passaggio, solo una sconfitta.
-Ave atque vale- sussurrò.
Non è ancora giunta la tua ora, Jonathan Christopher Morgenstern.

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Capitolo 2
*** Regali ***


1cap
Per gli amanti e per gli scheletri
Parte Prima

Inoltrarsi nell’armadio di casa, allo stesso tempo, conforta, sorprende, scuote.
Gli armadi fanno paura.
Scricchiolano di notte, sono i nascondigli per gli amanti e per gli scheletri.
La gente sa che, in fondo all’armadio, in quei cassetti segreti
che si conoscono e che ciclicamente si rimuovono, esistono,
come oggetti di un puzzle che non si completerà mai,
quei vestiti acquistati e mai messi.”
(Gianfranco Brevetto)

1
Regali

La musica martellante che scuoteva le pareti del Pandemonium rimbombava anche all'esterno, dove i ragazzi attendevano impazienti di poter entrare nel locale. Era una notte come tante altre a New York. Una notte come tante altre nel mondo dei mondani.
Ma per la ragazza distesa sull'asfalto di un vicolo buio, non ci sarebbero state altre notti. Era sdraiata a terra in modo scomposto, gli occhi spalancati in un'espressione di puro terrore e nessuna ferita sul corpo.
-Credi sia opera di un Nascosto?
William Herondale, chino sul cadavere, scosse la testa: vampiri e licantropi lasciavano chiari segni sulle loro sfortunate vittime, le fate erano ben controllate dalla Regina e non c'erano indizi che portassero agli stregoni.
-No, direi piuttosto un demone, anche se non saprei di che tipo- rispose, abbassando le palpebre della fanciulla e notando un oggetto scintillare vicino a lei.
-Hai trovato qualcosa?
-Non lo so, forse nulla di importante- disse. La sua mano raccolse una piccola sfera trasparente poco più grande di una biglia: la rigirò tra le dita e per un istante gli sembrò di scorgere un'ombra al suo interno. Durò meno di un secondo e, vedendo che non si ripeteva, il giovane pensò di averlo immaginato.
Forse negli ultimi tempi stava lavorando troppo, ma non poteva fare diversamente: con sua madre al termine della gravidanza e suo padre in perenne stato d'ansia, l'Istituto si ritrovava con tre Cacciatori invece di cinque. In effetti avrebbe potuto chiedere un aiuto ai suoi zii che di certo non si sarebbero tirati indietro, ma non erano più dei ragazzini: la vita da Shadowhunters era un ricordo per loro.
Ovviamente sarebbe morto piuttosto che farsi sentire a pronunciare una cosa simile.
-Che poi è la fine che farei se lo sapessero- pensò, alzandosi e riponendo la sfera in una tasca.
-Torniamo a casa, Ron. Non c'è più niente che possiamo fare qui. A meno che tu non voglia fare un salto dentro senza bisogno di fare la fila.
-William, possibile che divertirti sia il tuo unico pensiero?- ribatté il compagno.
-Viviamo una volta sola e facciamo un lavoro schifoso di cui nessuno si accorge- brontolò l'altro. -Vuoi forse invocare Raziel perché punisca il mio desiderio di divertimento?
-Oh, piantala- sbottò l'amico. Affondò le mani nelle tasche dei pantaloni e uscì dal vicolo, voltandosi ad attendere William. -E sentiamo, genio: conti di lasciare le armi al guardaroba?
-Dici che mi conviene chiedere il numero per poterle ritirare? Viviamo a New York, dopotutto: chiunque gira armato- affermò con tono serio.
-Ora ho capito perché hai voluto essere il mio parabatai: volevi avere qualcuno da tormentare fino all'ultimo dei tuoi giorni, ammettilo.
L'interpellato gli rivolse un sorriso smagliante, che si estese ai suoi occhi verdi, mentre intrecciava le dita sulla nuca.
-Mi hai scoperto, anche se il mio piano era di essere la tua croce anche dopo la morte.
-Che l'Angelo me ne scampi- implorò Ron, camminando al suo fianco. -Muoviamoci: dobbiamo fare rapporto sul ritrovamento e...
-E sperare che mio padre abbia finalmente recuperato la ragione. O che mia madre l'abbia legato e spedito a Idris per un viaggio di sola andata.
-Non ti fa piacere sapere che sono ancora così innamorati? Non sono molte le coppie come loro, oggigiorno: ti invidio molto per questo.
William lo guardò, mordendosi la lingua: non pensava mai prima di parlare ed era un difetto che l'avrebbe portato alla rovina. Dimenticava sempre che i genitori del compagno erano separati da anni al contrario dei suoi che sembravano due adolescenti alla loro prima cotta. Li trovava vomitevoli ed imbarazzanti, ma crescere in mezzo a mille litigi doveva essere molto peggio.
-Cavoli, Ron, non posso nemmeno regalarteli per un po' così ti sorbisci i loro cuoricini: viviamo insieme e sei già pervaso dal loro mondo rosa e romantico- si lamentò, gonfiando le guance in un modo che strappò una risata sincera al suo parabatai.
-Ah, Will... - sospirò, scuotendo la testa. -Temo che questo sia niente in confronto a quando nascerà tua sorella.
-È questo che mi spaventa.

-Jonathan Christopher Herondale, se non ti siedi immediatamente, convocherò il Conclave perché ti rinchiudano ad Alicante!
-Ma... Clary, sono preoccupato per te e per nostra figlia...
-Jace, tu sei preoccupato e me sta venendo un esaurimento!
Clarissa Adele Morgenstern era ufficialmente stufa di quella creatura assillante ed insopportabile in cui si era trasformato suo marito. Da quando gli aveva annunciato d'essere incinta, il suo spavaldo e coraggioso Cacciatore era diventato una mamma-chioccia che a malapena le permetteva di alzarsi dal letto. Ogni giorno di quei lunghi nove mesi era stata sul punto di creare una Runa che lo mettesse fuori gioco fino al parto, ma poi si ricordava le complicazioni avute con William, il terrore che aveva letto negli occhi di Jace... e tutto si concludeva con un respiro profondo.
Dopotutto era stata lei ad insistere per avere quella bambina e le erano occorsi sedici anni per convincere il compagno che non le sarebbe accaduto nulla.
-Andrà tutto bene- gli ripeté per la centesima volta. -Sei stato talmente attento a tutto che è impossibile che qualcosa vada storto. Come puoi darmi forza se sembri sempre seduto su una bomba pronta ad esplodere?
-Hai ragione- ammise, prendendole le mani nelle sue. -Sto diventando un vecchio paranoico.
-No, solo un vecchio.
Jace sollevò un sopracciglio, osservandola.
-Non dovresti assecondarmi. Avresti dovuto rispondere: “No, Jace, sei ancora stupendo, affascinante, meraviglioso e io sono la donna più fortunata del mondo a stare con te”.
-Certo, Jace, certo.
-Era forse un tono ironico quello?
-No, ma cosa vai a pensare?
La discussione venne interrotta dal rumore delle porte dell'ascensore, seguito a breve dall'ingresso nella stanza di due ragazzi.
-Ehi, sei ancora qui, papà- commentò William, avvicinandosi a sua madre e baciandola su una guancia. -Credevo che fossi riuscita a spedirlo in missione a chilometri da qui. O su qualche pianeta sperduto.
-La verità è che sono troppo buona- rispose Clary.
-Avete finito di tramare alle mie spalle?- chiese l'interessato, incrociando le braccia al petto e spostando lo sguardo dalla moglie al figlio. Si somigliavano molto: William aveva gli stessi lineamenti fini di Clarissa, gli stessi capelli rossi e gli stessi occhi smeraldo. Da lui aveva preso le mani dalle dita lunghe e affusolate, l'amore per i libri, l'eccitazione in battaglia... e la sua pungente ironia.
Alec diceva spesso che il nipote aveva la bellezza della madre e tutta la lingua del padre.
-Com'è andata la pattuglia?
-Abbiamo trovato il cadavere di una mondana vicino al Pandemonium- raccontò Ron. -Nessuna ferita, nessun indizio che possa portare ai Nascosti. Sembra opera di un demone, ma continueremo le indagini. Per il resto non... - iniziò, interrompendosi subito nel vedere il cassettone della camera ormai carico (o meglio sovraccarico) di vestitini, tutine, biberon, giocattoli e ogni oggetto di puericultura che esistesse nell'universo. C'erano perfino cose di cui non capiva l'uso. -Non ditemi che Magnus è passato a portare un altro regalo.
-Alec non è riuscito a trattenerlo- spiegò Jace con un gesto che voleva dire “sai com'è fatto”.
-Dovrebbe portarlo in qualche centro di recupero per shopping-dipendenti.
-Ti immagini la scena?- esclamò William, divertito. -Tutti riuniti in cerchio e lui che parte con: “Ciao, sono Magnus Bane e di mestiere faccio l'Alto Stregone di Brooklyn. Adoro i glitter e impazzisco davanti alle cose per neonati”.
La semplice idea fece ridere tutti, al punto da attirare nella camera una ragazza dai corti capelli biondi ed incredibili occhi verde-azzurro, scintillanti come le acque di un lago.
-Si può sapere che state combinando?
-Oh, ciao, Cat. Will ne ha detta una delle sue.
-Allora non mi sono persa niente. Ah, zia Aline e zia Helen ti mandano questo- aggiunse, porgendo a Clary una scatola avvolta in una sottile carta rosa. -Sperando che Magnus non le abbia anticipate anche se sembra che abbia comprato tutto ciò che è stato inventato... e anche no- valutò con occhio critico.
Catherine Blackthorne immerse una mano in quella massa informe, quasi aspettandosi che si aprisse su un'altra dimensione: a suo avviso, quello stregone dall'aspetto appariscente aveva bisogno di una regolata. Alec era decisamente troppo permissivo nei suoi confronti: se avesse cominciato a chiudergli in faccia la porta della camera da letto, l'Istituto di New York non sarebbe stato invaso da articoli per neonati.
Dopotutto stava solo nascendo una bambina, non un esercito di infanti: il fatto che i figli di Lilith non potessero procreare, non giustificava l'entusiasmo eccessivo di Magnus Bane.
-Siamo sicuri non ci sia roba che arriva da qualche dimensione demoniaca?
-Cat, a volte sei più cinica e perfida di me- replicò Will. -Sono innocui: sarà anche eccentrico, ma non regalerebbe mai qualcosa di pericoloso alla mia sorellina. Non stiamo parlando di te.
-Cosa staresti insinuando, William Herondale?
-Basta voi due- intervenne Jace, mettendosi tra loro. -Sembrate dei bambini quando litigate così.
-Non sono io quello che è stato cacciato da Idris per aver lasciato aperto un portale su Los Angeles
-William- lo riprese suo padre, dandogli un'occhiataccia. -Ho detto di finirla.
Il ragazzo borbottò qualcosa di incomprensibile prima che il suo parabatai prendesse lui e Cat sottobraccio.
-Andiamo a dormire: per stasera avete litigato abbastanza. Buonanotte.
-Buonanotte, ragazzi.
Clary li seguì con lo sguardo, dopodiché si portò una mano al ventre gonfio, sentendo scalciare la sua bambina: aveva già il caratterino di Jace, senza dubbio.
-Stai bene?- le chiese il marito apprensivo.
-Sì, Jace. Come tutte le altre centinaia di volte che me l'hai chiesto nell'ultima ora- concluse, tirandosi il lenzuolo sulla testa.

La stanza di William era il regno del disordine totale: tanto suo padre era un maniaco dell'ordine, tanto lui viveva nell'assoluto caos.
Alcuni libri spuntavano da sotto il letto con dei pugnali infilati a casaccio tra le pagine; i vestiti erano buttati sul pavimento o pendevano dalla sedia e dai mobili; sulla scrivania erano collocati altri libri, impilati in modo precario, mentre il cestino straripava di cartacce e vecchie confezioni vuote di biscotti.
Appena entrò nella stanza, Will si levò la maglietta e la gettò da qualche parte senza prestarvi troppa attenzione; raccolse un pugnale da terra e lo lanciò contro la parete che condivideva con la camera di Catherine: sapeva che questo faceva infuriare la Cacciatrice, ma era proprio quello il divertimento.
Si sdraiò sul letto, avvertendo qualcosa nella tasca posteriore dei pantaloni: vi infilò la mano e tirò fuori la sfera che aveva raccolto nel vicolo. Non aveva mai visto niente di simile, ma era certo che non avesse nulla a che fare con l'omicidio. Probabilmente apparteneva alla vittima ed era qualche strana ed inutile diavoleria di moda tra i mondani.
La posò tra le cianfrusaglie sul comodino e si preparò ad andare a dormire.

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Capitolo 3
*** In una torre d'avorio ***


2
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In una torre d'avorio

-Magnus Bane, se non posi immediatamente quel catalogo giuro che torno a stare all'Istituto e non mi vedrai mai più.
Alexander Lightwood incrociò le braccia al petto, aspettando che la sua ben poco convinta minaccia sortisse qualche effetto; il suo compagno alzò gli occhi, concedendogli il lusso di uno sguardo quasi attento, poi tornò a dedicarsi alla rivista sui neonati.
-Sei eccessivo, Alec- commentò. -Che male c'è se faccio dei regali alla tua nipotina? Non sarai geloso di lei, spero: credevo che questa fase l'avessimo superata anni fa.
Lo Shadowhunter si passò una mano tra i capelli, sospirando: perché doveva fargli continuamente lo stesso discorso? Non si trattava affatto di gelosia, dei regali o di altro: si trattava di Magnus e della sua posizione che, negli ultimi tempi, si era fatta piuttosto precaria. Non c'era bisogno che la rendesse ancora più vacillante senza ragione.
In passato la loro relazione non aveva attirato le simpatie di nessuno, anzi: i Figli di Lilith avevano guardato con sospetto l'Alto Stregone di Brooklyn e la sua decisione di frequentare un nemico. Perché per quanti Accordi potessero firmare Nascosti e Cacciatori, per quante generazioni potessero succedersi sui seggi del Consiglio, le vecchie abitudini non morivano mai e i due schieramenti erano e restavano nemici naturali con cui allearsi solo in caso di estrema necessità. Come la fine del mondo, ad esempio.
Poi le acque si erano calmate e per alcuni anni nessuno si era interessato particolarmente a loro; ma si era trattata della quiete prima della tempesta, anche se quello che li aveva investiti aveva le proporzioni di un disastro naturale. Diventando mortale, anche Magnus subiva l'incessante scorrere del tempo e qualcuno iniziava a mormorare che non fosse più in grado di ricoprire la sua carica.
-Se continui così, penseranno tutti che stai comprando i voti dei Cacciatori per le prossime elezioni.
-Io non ho bisogno di mendicare voti: sono abbastanza carismatico e affascinante da sapere già di vincere.
-I Nascosti ti voteranno contro, sempre che si limitino a questo.
-Peggio per loro: si vede che meritano d'essere rappresentati dalla feccia- ribatté l'altro. -E poi non è certo questo il mio pensiero principale, anzi non è neppure tra i miei pensieri- precisò, perdendo l'aria ironica di poco prima. -Dovrebbe essere lo stesso per te.
Alec incassò il colpo, lasciandosi cadere sul divano di pelle nera che ultimamente arredava il salotto: sapeva benissimo a cosa si riferiva, ma non era sicuro che fosse un argomento più sereno rispetto alle imminenti elezioni. Tra un catalogo dell'infanzia e l'altro, infatti, c'erano libri poco rassicuranti sui demoni: le loro pagine oscure incutevano timore e in alcuni parevano rinchiuse creature che il Cacciatore avrebbe preferito non incontrare.
Erano mesi, se non anni, che doveva parlarne con Jace, ma continuava a rimandare: quando la nascita di Will aveva creato dei pericoli per Clary, il suo parabatai gli aveva confidato di non volere altri figli se questo significava rischiare la vita della moglie. Alec si era sentito sollevato: aveva accantonato e dimenticato il discorso che avrebbe dovuto fargli e aveva guardato William crescere forte e sano.
Ma gli uomini non hanno voce in capitolo quando si tratta di certi argomenti e Clary si era impuntata finché non aveva ottenuto ciò che voleva: un altro bambino.
Ed ora Magnus gli lanciava occhiatacce ogni volta che tornava a casa senza aver parlato con Jace.
-Ti ucciderà, lo sai vero? Se ne fregherà di tutti i giuramenti fatti all'Angelo e ti ucciderà- affermò lo stregone, rialzando gli occhi truccati con l'eye-liner.
-Lo so, ma potremmo anche essere fortunati com'è accaduto con Will. In fondo, quante probabilità ci sono? L'1%, il 10%... ?
-Basta anche lo 0,01% perché esista la possibilità. E loro lo dovrebbero sapere, anche se tu temporeggi come una verginella alla sua prima notte di nozze.
-Ma come faccio a dirglielo?
-È facile: prendi il telefono e componi il numero. Quando ti risponde, dici: “Ciao, Jace, sono Alec. Devo parlarti di una cosa di importanza vitale. E no, non si tratta dell'ultimo paio di pantaloni che si è comprato Magnus, anche se dovrebbe essere messo sulla copertina di Playboy.”
Lo Shadowhunter si coprì la faccia con le mani, pregando Raziel e tutti gli angeli perché vegliassero su di lui e sulla sua nipotina.

I pugnali si conficcavano a fondo nel bersaglio, lanciati dalla mano di un'infuriata Catherine: lei non era la persona che descriveva William, non era affatto spregevole o crudele. Solo perché non faceva la stupida come quel buffone, non significava che fosse cattiva.
-Cretino- mormorò, continuando a lanciare finché il bersaglio non si ruppe a metà.
-Io sono innocente qualsiasi sia l'accusa- disse Ron, entrando nella sala con le mani alzate in segno di resa. -Soprattutto se tu hai in mano un coltello.
-Non sei tu quello che vorrei usare come bersaglio.
-Ti ricordo che Will è il mio parabatai.
-E io ti rinnovo le mie condoglianze.
Il ragazzo scosse la testa con un mezzo sorriso, iniziando ad estrarre i pugnali: quei due non sarebbero mai riusciti ad andare d'accordo, erano totalmente incompatibili. Fossero state due cavie da laboratorio chiuse nella stessa gabbia, si sarebbero di certo uccisi a vicenda.
William a volte era eccessivo, fin troppo burlone ed ironico, mentre altre feriva sapendo di far del male: non era sempre semplice stare con lui parecchie ore al giorno, ma Ron gli avrebbe affidato la sua vita ad occhi chiusi.
Si erano conosciuti per caso ad una festa ad Alicante, dieci anni prima, ed erano diventati subito amici al punto che, poco dopo, si era trasferito nell'Istituto di New York senza alcun ripensamento: i suoi genitori in quel periodo si stavano separando ed aveva accettato con gioia l'offerta di cambiare ambiente e vivere con la famiglia del suo compagno.
-Secondo me, l'Angelo ti mette una mano sulla testa ogni volta che stai con William, altrimenti non riusciresti a sopportarlo per più di dieci minuti.
-Forse- rise il coetaneo, porgendole le armi.
Cat alzò la testa per poterlo guardare in faccia: Ronald, anche se tutti lo chiamavano Ron, sovrastava sia lei che Will di parecchi centimetri; aveva un corpo massiccio con muscoli perfettamente scolpiti che la maglia che indossava non riusciva a nascondere. Ma, a dispetto del fisico imponente, aveva un animo gentile, portato alla risata e al buonumore.
-Grazie.
-Non prendertela per ogni cosa che dice Will: dovresti sapere com'è fatto. Non sempre la sua lingua e il suo cervello lavorano al meglio.
-Dubito che il suo cervello possa lavorare dato che non ne ha uno.
-Può darsi, ma in battaglia non vorrei al fianco nessun altro.
-Battaglia... l'ultima volta in cui sono stata in una situazione che potesse definirsi “battaglia”, dovevo mettermi le ciglia finte- ribatté, rimettendo i pugnali al loro posto. -Dopo la guerra di vent'anni fa, non ci sono più state grandi minacce da affrontare.
-Per fortuna: significa che il mondo finalmente è un posto un po' migliore. Era questo il desiderio di Jonathan Shadowhunter, no?
-Immagino di sì- rispose, fissando gli occhi scuri dell'amico velati da un ciuffo di capelli castani.
-Ma se avesse saputo che noia abissale è un mondo in pace, si sarebbe dato al giardinaggio invece che diventare Cacciatore.
La voce pungente di William fece sussultare Catherin che non l'aveva sentito arrivare, un comportamento che il ragazzo non mancò di notare: sulle sue labbra si dipinse un sorrisetto malizioso.
-Ho forse interrotto qualcosa?
-Stavamo solo parlando.
-Sì, vi ho sentiti. E non sarei così convinto che le battaglie appartengano al passato: il corpo di mio zio non fu mai ritrovato, dopotutto, proprio come la prima volta.
-Ci fu un grande incendio durante il combattimento e moltissimi corpi finirono carbonizzati- intervenne la giovane. -Sebastian poteva essere tra quelli.
-È l'ipotesi più probabile- convenne Ron. -Se si fosse salvato, sarebbe già riapparso da tempo.
-Lo penso anch'io, ragazzi, non fraintendetemi. È solo che rifugiarsi in certe vecchie storie è l'unico modo per sperare in un po' di azione. Queste armi stanno facendo la muffa: a parte un Nascosto ribelle ogni tanto e un demone una volta l'anno, non succede mai nulla.
Ronald guardò oltre le spalle del suo parabatai, verso il corridoio e la figura che era appena passata, sperando che quelle non fossero le fatidiche ultime parole famose. William si voltò in tempo per scorgere suo padre in tenuta da Consiglio che si avviava all'ascensore. Quella tunica nera gli faceva sempre uno strano effetto e non solo perché significava sempre guai: dava al genitore un aspetto diverso, quasi fosse un'altra persona.
Nei suoi ricordi Jace indossava la divisa da Shadowhunter quando andava in missione, mentre quando restava all'Istituto portava un paio di jeans e delle camicie chiare attraverso cui si intravedevano i segni neri dei marchi.
Quell'abbigliamento insolito lo inquietava.
-Papà- lo chiamò, raggiungendolo in poche falcate. -Dove stai andando?
-Di certo non ad una festa.
-Ci sono dei problemi?- insistette, ignorando la sua risposta. Non aveva voglia di scherzare in quel momento.
-Niente di cui tu debba preoccuparti, Will. Vado a portare un po' del mio fascino ad Idris, ma starò attento alle folle di donne in adorazione- rispose allegramente. -Stai vicino a tua madre mentre sono via e chiamami immediatamente se succede qualcosa.
-Lo farò- promise. -Tu... stai attento.
-Non corro pericoli ad Alicante, tranne quello di morire di noia.
William si lasciò scompigliare i capelli in un gesto di saluto, poi guardò suo padre svanire dietro le porte: si sentiva addosso un'ansia che non riusciva a spiegarsi. Se avesse potuto, lo avrebbe fermato, avrebbe cercato di dissuaderlo dal partire. Ma non poteva: il Conclave non aveva in simpatia l'Istituto di New York che in passato si era reso troppe volte colpevole di gravi mancanze e violazioni della Legge. Il fatto che ora fosse in mano al figlio, seppur adottivo, di Valentine, non aveva contribuito a migliorare la situazione.
-Ehi, tutto bene, Will?
Il ragazzo mosse la testa in un no; dietro di lui Ron e Cat si scambiarono uno sguardo allarmato: sapevano gestire un William ironico, sarcastico o arrogante, ma quando assumeva quell'espressione distante non avevano idea di cosa fare. Sembrava chiudersi in una torre d'avorio di cui non possedevano la chiave, una torre in cui esistevano solo lui e i suoi pensieri.
-Sta soltanto andando a una riunione, William, non a combattere schiere di demoni. Se si stesse mettendo nei guai, avremmo sentito urlare tua madre anche a chilometri di distanza- tentò Catherine, posandogli una mano sulla spalla. -E poi, non si vanta sempre d'essere il miglior Shadowhunter mai esistito?
-Sì...
Ma anche il migliore poteva cadere. Malgrado il sangue d'angelo, erano mortali e bastava un attimo perché la loro vita terminasse. I pericoli facevano pare dell'essere un Cacciatore e loro affrontavano la morte a testa alta, con un sorriso sulle labbra e una spada in mano. Will lo sapeva perfettamente, era la strada che lui stesso aveva scelto di seguire per quanto dura e cosparsa di rischi; ma quando erano i suoi genitori a indossare la divisa, la situazione cambiava e il ragazzo si sentiva tremare.
Era la sua unica e più grande paura: non vederli tornare da una missione.
-Dobbiamo scoprire cosa sta accadendo. Chi viene con me ad Alicante?
-Ci cacceremo nei guai come sempre- obbiettò Ron. -E poi hai promesso di restare con Clary.
-Chiamerò il nonno: gli farà piacere prendere il posto di mio padre- ribatté, prendendo lo stilo. -Allora, siete con me?
-Sono già stata bandita dalla città: non può succedermi di peggio.
-Non abbiamo ancora combinato il nostro casino settimanale e ne sento la mancanza.
-Muoviamoci.

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Capitolo 4
*** Suo figlio ***


3
3
Suo figlio

Appena la porta si era chiusa alle spalle di suo marito, Clary aveva reclinato la testa all'indietro e fissato il soffitto: il motivo per cui era stato convocato era talmente serio che lei non aveva nemmeno dovuto insistere per convincerlo a partire per Idris.
Gliel'aveva detto quella notte a letto, anche se la moglie aveva già intuito che qualcosa lo turbava: lo aveva sentito nel suono della sua risata mentre scherzava con i ragazzi, nel modo in cui l'aveva stretta poco dopo e le aveva cercato la mano per intrecciare le dita con le sue.

-Domani vado ad Alicante. C'è una riunione del Consiglio- sussurrò alle sue spalle, coperto dal buio della notte.
-Sta succedendo qualcosa, vero?- gli chiese senza voltarsi.
Jace esitò un attimo, indeciso: non voleva farla preoccupare, ma era una Cacciatrice, come lui, e c'erano cose da cui non poteva proteggerla semplicemente non parlandone.
-Sì. Il cadavere che hanno trovato Ron e Will non è un caso isolato. È un fatto che ultimamente si sta ripetendo spesso in tutto il mondo: mondani uccisi in modo inspiegabile da qualche forza demoniaca che non conosciamo. E il Conclave si è deciso a prendere dei provvedimenti.
-Di che genere?
Clary non aveva un buon rapporto con il Conclave e il sentimento era reciproco: non capiva buona parte delle decisioni che prendeva e, generalmente, era in totale disaccordo con ogni cosa uscisse dalle sue stanze.
-Riunisce il Consiglio, tutti discutono e urlano, poi si torna a casa e si continuano a trovare mondani morti. Lo sai come vanno queste cose- rispose con tono ironico. -La loro priorità è il ventesimo anniversario della sconfitta di Sebastian, non certo una catena di delitti.
La donna emise un lieve brontolio, agitandosi nell'abbraccio di Jace.
-Ci pensi ancora... - affermò, baciandola tra i capelli rossi. Non glielo stava chiedendo, perché sapeva già la risposta: conosceva le ombre della compagna almeno quanto le sue. -Hai fatto la cosa giusta e io sono fiero di te. Mi basta guardare ciò che ho adesso perché ogni dubbio svanisca.
-Lo so ma... a volte penso che lui non sia morto, che sia da qualche parte e progetti di tornare per vendicarsi. Io e lui, dopotutto, siamo simili: lo ripeteva spesso. E aveva ragione.
-Clary, Sebastian non esiste più e il suo corpo è stato carbonizzato dall'incendio. Non tornerà e io non sono così stupido da riportarlo in vita una seconda volta. Inoltre tu non gli somigli affatto, altrimenti non ti amerei così tanto.

Guardò per l'ennesima volta il calendario: mancava davvero poco a quella data fatidica, troppo poco per chi come lei tremava al semplice accenno.
Ogni volta che quel ricordo tornava a galla, Clary riviveva quella notte e le sue mani tornavano calde ed umide del sangue di suo fratello.
Il suo stesso sangue.
I primi giorni dopo la fine della battaglia, la morte di Sebastian era un incubo ricorrente che le levava il sonno: né Jace, né Simon, né un incantesimo di Magnus riuscivano a scacciare quell'immagine dalla sua mente e a concederle un riposo ininterrotto.
Poi pian piano si era attenuato tutto, come una ferita che lentamente si cicatrizzava e non lasciava alcun segno sul corpo. Ma dentro il cuore i segni c'erano ancora: aveva avuto paura il giorno delle sue nozze con Jace; aveva avuto paura quando era nato William e aveva paura ad ogni anniversario. Paura che lui ricomparisse, paura di rivedere quegli occhi neri, quei capelli di neve e ghiaccio, quel volto troppo simile a quello di Valentine. E al suo.
Fu un delicato rumore alla porta a distoglierla da quelle riflessioni.
-Avanti- disse, regalando un sorriso radioso al suo patrigno. -Luke, ciao! Non dirmi che è stato Jace a chiederti di venire a controllarmi.
-No, veramente è stato tuo figlio- spiegò. -Non voleva che restassi qui da sola, così eccomi qui.
-Sono contenta che tu sia venuto. Tutto bene a casa?
-Sì- rispose, indugiando un attimo prima di proseguire. -A lei... dispiace questa situazione.
Il sorriso scomparve dalle labbra della donna, sostituito da un'espressione dura.
-Doveva pensarci prima di crearla.
-Voleva solo proteggerti.
-Controllando che William non fosse nato come Jonathan?!- esclamò, dandogli un'occhiata di fuoco. -Ai suoi occhi Jace sarà sempre il figlio di Valentine, sarà sempre come mio padre. Ed io sarò sempre una stupida che commette i suoi stessi errori.
Luke rimase in silenzio, posandole una mano sulla sua con uno sguardo colmo di tristezza e comprensione: aveva rimproverato spesso Jocelyn per il suo atteggiamento, l'aveva avvertita che stava rischiando d'essere odiata da Clary, ma era stato inutile ed ora sua moglie ne pagava le conseguenze.
Quello sciocco accanimento nei confronti di un ragazzo che non aveva altre colpe se non quella d'essere stato una cavia in mano a Valentine... il lupo mannaro non l'aveva mai capito. Jace amava Clary molto più della sua vita, lo aveva dimostrato più di una volta e continuava a farlo: cos'altro poteva desiderare un genitore per la propria figlia?
-Allora, avete deciso il nome per questa piccolina?
Clarissa si rilassò, ringraziandolo per aver cambiato argomento: sua madre era un capitolo chiuso, soffocato sotto troppe cose che non poteva perdonarle.
Credeva di poter superare il fatto che le avesse tolto i ricordi e impedito di vivere la vita che le spettava; era riuscita a non soffrire troppo per la sua intolleranza verso Jace; ma quando aveva visto i suoi occhi scrutare William un centimetro alla volta in cerca di segni demoniaci, per Clary era stato come ricevere un pugno nello stomaco. Aveva stretto al seno il suo piccolo e le aveva chiesto di uscire dalla stanza e dalla sua vita.
E in quel momento aveva compreso di non poterle perdonare niente. Nemmeno ciò che aveva fatto a Jonathan.
Dopo essere diventata madre, quelle azioni e quei sentimenti che prima aveva giustificato, le apparvero in una luce diversa. Dopo aver messo al mondo Will, aver tenuto in braccio quella creaturina che era cresciuta in lei per nove mesi, non aveva potuto provare che orrore per il comportamento di Jocelyn.
Anche se aveva una natura demoniaca, era pur sempre suo figlio, ma lei lo aveva rifiutato, rigettandolo come se fosse immondizia, lasciandolo in balia della crudeltà di Valentine.
Essere così non significava essere madri, ma vigliacchi.
Essere così significava essere peggio di Valentine: lui aveva forgiato il carattere di Jonathan con la frusta, lei con l'odio.
-Sì, abbiamo deciso. Dopo una lunga consultazione di alberi genealogici e archivi, abbiamo finalmente deciso.
-Bene, ma non dirmelo: voglio che sia una sorpresa. Però dillo a Magnus, così comincerà a ricamare le iniziali su tutto quello che le ha regalato.
-Non so cosa gli prenda: con Will si era fermato a un centinaio di cose, mente con lei non ha limiti: l'Istituto non può contenere altri doni- replicò, guardando le pile che suo marito aveva ormai rinunciato a sistemare.
-Sarà l'età- ribatté Luke. -Ma dov'è Jace? Non l'avrai chiuso in uno stanzino.
-No, è ad Alicante. Riunione del Consiglio.
-Da quando non faccio più parte del Conclave, non sono aggiornato su quello che accade.
-Non ti perdi molto. Le cose non sono cambiate: si combatte, si salva il mondo, pensi di meritarti un attimo di pace e invece il mondo si caccia di nuovo nei guai- affermò la donna. -È come badare a Will e a Jace, insomma.
-Non faccio fatica a crederci.
-Immagino che nemmeno tu andrai alla festa- continuò. Luke annuì: non si festeggiava un figlio morto, per quanto malvagio potesse essere e lui rispettava la volontà della moglie. -Jace è convinto che sia in cima alle priorità del Conclave e temeva che la riunione fosse per decidere quali tovaglie si abbinassero meglio alle tende o quale dovesse essere il colore d'obbligo per abiti degli invitati.
-È una festa del Conclave, non a casa di Magnus Bane. Non penso che qualcuno noterà la biancheria.

Jace alzò gli occhi al cielo terso di Alicante, facendosi schermo con la mano: era da tempo che non vi metteva piede, ma la città degli Shadowhunter era immutabile ed eterna. Né le guerre, né il tempo, né la natura potevano intaccarne l'aspetto antico e solenne, intervallato dalle alte torri antidemoni che si innalzavano verso l'alto come lunghissimi aghi.
-E tu pensi che William ti ubbidirà?
Il Cacciatore allungò le gambe e portò indietro la schiena facendo leva sulle mani: seduti sulla scalinata che portava alla Sala degli Accordi, lui ed Alec attendevano pazienti l'inizio della riunione.
-Se mi somiglia come temo, avrà già aperto un Portale per Idris e tra poco sarà in un mare di guai.
-Come facevi tu alla sua età.
-È sangue del mio sangue in fondo- ribatté con un sorriso fiero.
Alla parola “sangue” il suo parabatai si irrigidì: improvvisamente i gradini erano diventati irti di chiodi e freddi come il ghiaccio. Doveva approfittare di quel momento, ma come? Come entrare nell'argomento... e uscirne vivo?
Ricordò il loro giuramento, la runa che li legava e di colpo tutto apparve troppo flebile di fronte al segreto che serbava nel cuore.
-Che fine ha fatto Magnus?- domandò Jace, ignaro dei pensieri dell'altro. -Ha forse dimenticato come si arriva qui?
-Certo che no. Gli si è avvicinata una ragazza e si è fermato a parlare con lei dicendo che mi avrebbe raggiunto.
L'amico si voltò, sollevando un sopracciglio scettico e lo scrutò come se di colpo l'uomo accanto a lui si fosse trasformato in una creatura a due teste con sei o sette braccia.
-Chi sei?
-Cosa?- replicò. Sbatté le palpebre, confuso da quella domanda.
-Di certo non sei Alec. Il vero Alexander Gideon Lightwood starebbe facendo fuoco e fiamme all'idea di Magnus che parla con qualcuno. Sarebbe qui con una faccia da funerale e il fumo che gli esce dalle orecchie, brontolando cose come...
-Piantala, Jace, sono io. Ho smesso di essere geloso di ogni persona che gli va vicino. Dopo vent'anni e dopo che ha rinunciato all'immortalità, non ho bisogno di altre prove del suo amore.
-Credevo non sarei vissuto abbastanza da sentirtelo dire- commentò il diretto interessato, arrivando alle loro spalle.
Le guance di Alec si colorarono di rosso, come quand'era ragazzo; si girò con l'intenzione di replicare, ma si bloccò: malgrado il sorriso che incurvava le sue labbra, gli occhi dello stregone non erano affatto allegri. C'era un'ombra scura nello sguardo felino, un chiaro turbamento che non aveva prima di incontrare quella ragazza dai lunghi capelli castani.
-Va tutto bene?
-Sì... o forse no. Ma non è questo il momento per parlarne.
-Ehi, so quando la mia presenza, per quanto incredibile ed illuminante, è di troppo- esclamò Jace, alzandosi e spazzolando la tunica nera con una mano.
-Io non mi riferivo a te- si corresse Magnus. -La riunione sta iniziando e sarebbe un peccato perdersela per stare qui a discutere: potremmo non sapere mai che colore va di moda adesso ad Alicante. Non sopporterei di arrivare alla festa con l'abito sbagliato.
I due Shadohunters si guardarono rassegnati e, con un sospiro, iniziarono a salire i gradini.
-Speriamo non sia il rosa: non credo mi doni molto- affermò Jace.
-Puoi sempre attingere al mio armadio- propose lo stregone che, quando si parlava di abiti sgargianti e appariscenti, era un maestro indiscusso. E una fonte inesauribile di vestiti. -E ovviamente anche tu, fiorellino.
-Lo stesso stilista per tutti e tre, insomma.
-Certo, il migliore.

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Capitolo 5
*** Alicante dalle torri di vetro ***


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Alicante dalle torri di vetro

William guardava incuriosito tutto ciò che lo circondava: al contrario dei due amici, lui non si recava spesso ad Idris e ai suoi occhi erano tutte cose nuove. Il suo parabatai e Catherine erano nati e cresciuti lì e le loro famiglie vivevano ancora ad Alicante, mentre l'ultima volta che il giovane era stato lì risaliva a dieci anni prima, alla festa dell'anniversario dove aveva conosciuto Ron; da allora non era più tornato nella terra dei Cacciatori.
Non puoi dire di aver visto una città finché non hai visto Alicante dalle torri di vetro.
Sua madre lo aveva scritto a margine di un disegno che rappresentava la città, appeso nella biblioteca dell'Istituto. Ed era vero: quel paesaggio non somigliava a niente che avesse visto prima.
Lui poteva ammirare la città di New York da prospettive che i mondani non avrebbero mai scoperto, come il lato di Central Park riservato agli Shadowhunters o attraverso i vetri magici della Corte Seelie.
Ma non era nulla in confronto ad Alicante.
Pareva uscita da un'altra epoca o dalle pagine di uno dei libri di favole che gli leggevano da bambino: non si sarebbe stupito se gli fosse passato davanti un principe a cavallo di un unicorno o se un drago gli fosse volato sopra la testa. Lì sembrava che tutto potesse accadere.
Soprattutto l'impossibile.
Si diceva che per ogni Cacciatore, Alicante fosse un luogo familiare, una parte ritrovata di sé, la tessera mancante di un puzzle; Alicante era casa, sia per chi viveva lì, sia per chi vi entrava per la prima volta.
-Will, non siamo qui per fare i turisti- lo rimproverò Cat. -È meglio se ci sbrighiamo prima che qualcuno ci noti.
Il ragazzo annuì a malincuore, rimandando l'esplorazione e seguendo l'amica che si muoveva sicura tra strade che a lui non dicevano nulla: New York era molto più semplice, forse perché ne conosceva ogni centimetro.
-Da questa parte.
Dopo la Guerra Morale e la firma degli Accordi, il Conclave non controllava più strettamente gli ingressi magici, ma le torri antidemoni impedivano comunque di aprire varchi all'interno della città. I tre ragazzi erano arrivati attraverso un Portale nei pressi di Alicante, poi erano entrati a passo svelto facendo attenzione ad evitare le strade principali ed abbassando velocemente le teste ogni volta che incrociavano qualcuno.
-Non ci faranno mai entrare nella Sala degli Accordi, siamo minorenni- disse Ronald che, con le sue lunghe gambe, faticava a tenere l'andatura della compagna.
-E se tramortissimo un Cacciatore e gli rubassimo la tonaca?
-Will, lo so che è difficile, ma prova a ragionare: ci scoprirebbero nel giro di un secondo.
-Zitti, sta arrivando qualcuno.
I due si chiusero immediatamente nel silenzio, passando accanto a una ragazza vestita di bianco che camminava nella direzione opposta; William si girò a guardarla e sussultò nello scoprire che anche lei lo fissava con un misto di stupore e confusione. La stessa espressione che era certo di avere anche lui sul viso.
-William- lo chiamò Catherine, afferrandogli una mano e trascinandoselo dietro. -Che ti è preso? Non hai mai visto una ragazza?
-Non graziose come lei- ribatté, anche se non era quello il motivo per cui si era voltato. -Conosco solo maschiacci come te.
-Se vuoi andare a chiederle di sposarti, fa pure. Io e Ron andiamo a scoprire cosa trama il Conclave e poi ce ne torniamo a casa.
Il giovane assunse un'aria pensierosa, come se stesse valutando veramente l'affermazione della coetanea.
-No, sono troppo giovane per sposarmi e troppo vecchio per essere abbandonato come una infante sulla porta di una chiesa- affermò. -Ma se non ci facciamo venire un'idea su come entrare, possiamo anche rinunciare.
-Io ho appena avuto un'idea- intervenne il suo parabatai.

La Sala degli Accordi era cambiata dopo la Guerra Mortale: conservava ancora le sue pareti bianche e oro, ma era stata adattata per essere il luogo ufficiale delle riunioni del Conclave.
Al centro, dove un tempo c'era stata una fontana con una sirena, era stato costruito un piccolo palco circolare leggermente rialzato, dove prendeva posto il Console; tutt'intorno c'erano file di panche concentriche interrotte solo da corridoi d'accesso che le dividevano in quattro spicchi.
Ma era ancora il salone usato per le feste: in quelle occasioni, il pavimento veniva abbassato e, attraverso una serie di incantesimi attuati dagli stregoni, appariva un secondo pavimento composto di piccole piastrelle disposte a formare il simbolo del Coclave disegnato da Clary dopo la firma degli Accordi. Lo stesso motivo era ripreso nella disposizione delle panche e nel grande vetro che si trovava sul soffitto.
Jace venne raggiunto dai genitori di Catherine e da quelli di Ron e si trattenne a parlare con loro mente Magnus ed Alec si accomodavano.
-È successo qualcosa con quella ragazza?
-Niente di grave, Alec. Sul serio.
-Non voglio impicciarmi dei tuoi affari, ma sembravi un po' scosso.
-Ne parliamo quando torniamo a casa, promesso.
Il Cacciatore sospirò, sentendosi trattato come un bambino che faceva i capricci davanti a un giocattolo: era solo preoccupato, possibile che non lo capisse?
-Alec- lo chiamò, posandogli una mano sulla gamba. -Non è davvero nulla, non devi preoccuparti. E no, non riguarda le elezioni. Diciamo che è una cosa... personale.
-Personale?
-Sì, ma non nel senso che intendi tu.
Gli alti tacchi del Console risuonarono nella grande sala, anticipando il suo arrivo: tutti si accomodarono nelle panche mentre Isabelle Lightwood faceva il suo ingresso. Percorse con passo deciso il corridoio, collocandosi al suo posto e rivolgendo un rapido sguardo ai fratelli prima di iniziare.
-Benvenuti a tutti. Ci troviamo qui oggi per discutere una questione molto seria che riguarda tutti noi: ogni notte, mondani di tutto il mondo vengono uccisi da forze oscure che non riusciamo ad identificare e comprendere- spiegò la donna. -I Cacciatori pattugliano costantemente le zone assegnate loro, eppure non c'è modo di mettere fine a questa strage.
-Forse semplicemente non fate bene il vostro lavoro- intervenne una fata con un sorriso mellifluo.
-O magari è il Popolo Fatato a nascondere qualcosa- replicò Raphael dalla parte opposta. -Sappiamo tutti che siete sempre pronti a cambiare bandiera a seconda di come tira il vento.
-Perché tu sei un esempio di fedeltà e fiducia, vero succhiasangue?- continuò il rappresentante dei lupi mannari.
Isabelle strinse una mano a pugno, esasperata: non era questo che si era aspettata quando aveva accettato la carica di Console. Da ragazza aveva infranto spesso le leggi assurde del Conclave, aveva subito la sua opprimente ed antiquata presenza; da Console sperava di poter cambiare le cose, di rinnovare preconcetti superati ed essere vicina ai problemi reali. Ma non era andata così.
Prima di organizzare quella riunione, ad esempio, aveva dovuto aspettare che i cadaveri raggiungessero un numero inimmaginabile: solo a quel punto anche gli altri si erano convinti che fosse il caso di intervenire.
-Basta!- urlò. -Nessuno è qui per lanciare accuse! Vi abbiamo convocati perché serve l'aiuto di tutti per risolvere quest'emergenza: non ho bisogno di ricordarvi cosa accadrebbe se i mondani scoprissero il nostro mondo, no?- proseguì, respirando profondamente per recuperare la calma. -Bene, allora inizieremo analizzando alcuni dei rapporti più dettagliati, sperando di trovare qualcosa che ci aiuti nelle indagini. Poi decideremo come procedere e dividere i compiti.

-Ron, non è un'idea: è una follia- fu il commento secco di Catherine dopo aver sentito la proposta dell'amico.
-Io la trovo fantastica, invece.
-Non avevo dubbi, Will: tu non sei una persona ragionevole, ma qualsiasi idiota saprebbe che questa è una follia e non possiamo farlo!
-Allora trova un altro sistema, visto che improvvisamente sei diventata il genio del trio.
-Bhe... - tentennò, presa alla sprovvista. -Lasciatemi il tempo di pensarci...
-Non abbiamo tempo, quindi si segue l'idea di Ron.
William Herondale svanì in mezzo alle fronde di un alto albero che cresceva accanto alla Sala degli Accordi, imitato dal suo parabatai.
-Ci toglieranno i marchi e diventeremo dei mondani, me lo sento- brontolò ancora la ragazza, arrampicandosi. -Oppure passeremo la vita nella Città Silente... o mi costringeranno a diventare una Sorella di Ferro.
-Una Sorella del Silenzio è impossibile, dato che non stai mai zitta- ribatté Will, saltando agilmente sul tetto senza fare il minimo rumore. -E ormai è tardi per tornare indietro.
Sopra alla Sala degli Accordi era stata realizzata una grande vetrata circolare, progettata a modello delle vetrate gotiche; era divisa in quattro spicchi che raffiguravano i simboli delle razze di Nascosti che sedevano nel Conclave e, a separarli, c'era una croce composta da piccoli frammenti di vetro uniti insieme da un sottile filo di adamas. Ogni pezzetto apparteneva alla precedente Città di Vetro, danneggiata durante la Guerra Mortale, e vi erano disegnate tutte le rune del Libro Grigio.
Nelle calde giornate soleggiate, gli spicchi venivano sollevati come ante di una gigantesca finestra e quella era proprio una mattina di sole: i tre ragazzi si avvicinarono al vetro, sporgendosi sull'apertura per poter vedere cosa accadesse di sotto.
Riconobbero subito la chioma nera di Isabelle ed i suoi gesti nervosi segno che, come al solito, la riunione stava diventando una gara di insulti tra Cacciatori e Nascosti.
Will individuò il luccichio dei glitter che Magnus insisteva per mettersi sui capelli nonostante l'età; accanto a lui c'erano suo zio e, soprattutto, suo padre pronto ad ucciderlo se avesse scoperto dove si trovava.
-Sbaglio o stanno parlando di mondani morti?- disse Ron. -Come quello che abbiamo trovato ieri sera.
Era una delle cose che il suo compagno di battaglia proprio non riusciva a capire: perché erano abbastanza grandi da farsi ammazzare nelle perlustrazioni, da saper uccidere in duemila modi diversi, da combattere contro qualsiasi creatura si annidasse nei vicoli oscuri... ma erano troppo piccoli per entrare nel Consiglio? Perché in quella sala c'era gente che non impugnava un'arma da almeno mezzo secolo, e non c'era chi lottava ogni giorno e vedeva con i suoi occhi ciò di cui stavano parlando?
Non era giusto: erano loro a rischiare la vita, a proteggere gli ignari (ed inutili) mondani, eppure venivano esclusi dalla riunione, lasciati al parco giochi come bambini di cinque anni. Sua zia Isabelle aveva tentato di abbassare l'età d'accesso, ma si era scontrata con il muro delle tradizioni e aveva dovuto fare marcia indietro.
Forse perché pensava alle ingiustizie del Conclave, forse perché il destino aveva scelto quel momento per muovere i suoi fili ed uscire allo scoperto... Qualunque fosse il motivo, il discendente dei migliori Shadowhunters mai esistiti perse l'equilibrio e si ritrovò a precipitare velocemente verso il basso, verso una morte decisamente dolorosa.
Udì a malapena gli amici urlare il suo nome, poi il pavimento della Sala si avvicinò ad una velocità sorprendente... e lui si bloccò ad un soffio dall'impatto con il suolo.
-William Gabriel Herondale.
Sentendo Jace pronunciare il suo nome completo, William si chiese se schiantarsi nel mezzo della Sala degli Accordi non fosse una fine migliore di quella che lo aspettava.

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Capitolo 6
*** Un mondo troppo grande e cattivo ***


5
5
Un mondo troppo grande e cattivo

L'aveva riconosciuta nell'istante stesso in cui era apparsa in fondo alla strada. Avevano attraversato il tempo insieme, dopotutto, e condiviso troppe cose per dimenticare il suo viso. Eppure, quando aveva notato la rabbia contenuta nei suoi occhi grigi, aveva capito immediatamente che qualsiasi cosa ci fosse stata tra loro era ormai svanita.

-Le voci corrono, Magnus, ma per tutti questi anni ho creduto che sbagliassero.
-Tessa... - mormorò, non sapendo come proseguire. Era il responsabile di quella furia trattenuta a stento dietro l'etichetta vittoriana: non c'era niente da dire, nessun paravento dietro cui nascondersi.
-Invece era tutto vero. Ogni singola parola. Sei diventato mortale e potrai vivere ed invecchiare con la persona che ami- proseguì. -Per te non valgono le frasi che mi hai ripetuto? Quel “devi vivere perché è questo che loro vorrebbero”? Il tuo amore ha forse più diritti di quanti ne aveva il mio?!
Aveva alzato man mano la voce e quelle ultime parole erano state urlate con ira e rancore. Lo stregone se ne sentì trafitto: lui era stato il suo appiglio nei momenti di sconforto, a lui aveva chiesto aiuto per ricucire sé stessa dopo che era andata in pezzi, da lui aveva trovato la forza per ricominciare una volta terminate le lacrime.
-No- rispose soltanto, abbassando la testa. -Ma allora non avevo idea di dove si trovasse il Libro Bianco, né se al suo interno esistesse davvero un incantesimo del genere o fosse solo una leggenda. So che non è una giustificazione, ma...
-Ma niente, Magnus. Io mi fidavo di te, sono riuscita ad andare avanti solo perché c'eri tu, perché tu eri rimasto lo stesso di allora. Invece mi hai soltanto ingannata.
-Non ti ho mai impedito di seguirlo nella morte. Sai anche tu che essere immortali non significa non poter morire.
-Davanti alla sua tomba mi hai detto di essere forte, che la prima volta era quella che faceva più male e che l'immortalità era costellata di addii. Hai tirato in ballo anche il destino: ero nata immortale perché il fato aveva qualcosa in serbo per me, hai detto- continuò, sperando che ogni sillaba potesse fargli male fisicamente. -E io ci ho creduto, come una vera stupida. Come una scema ho pensato che fossi mio amico, invece non ti è mai importato nulla di me. Non ti è mai nemmeno venuto in mente di accennarmi la possibilità che ci fosse un modo per essere mortali: in fondo, allora non c'era ancora il tuo Cacciatore, non c'era nessuno per cui valesse la pena invecchiare.
-Tessa- tentò ancora, bloccandosi dopo aver pronunciato il suo nome, perché quelle accuse erano maledettamente vere e non poteva smentirle. Avrebbe potuto usare una risposta tagliente, ma non con lei: in quei lunghissimi anni, Tessa era davvero diventata un'amica preziosa, qualcuno che rivedeva sempre con piacere, con cui parlare di tante cose non solo del passato. La ragazza aveva una mente acuta e vivace, una curiosità che la spingeva ad avere molti interessi e per lo stregone era una compagnia a cui preferiva soltanto quella di Alec.
Sapere di averla ferita, di averla persa, era un dolore immenso.
-Ma ora ho aperto gli occhi e posso giurarti che rimpiangerai il giorno in cui hai perso l'immortalità. Te ne farò pentire amaramente, Magnus Bane- promise, passandogli accanto in un fruscio di tessuto bianco, lasciandolo più solo che mai.

Nel silenzio del salotto di casa, Magnus ripensava a quell'incontro. Dopo aver impedito a Will di sfracellarsi al suolo, aveva abbandonato Alicante mentre Alec e Jace gestivano le conseguenze di quel “fuori programma”. La riunione dopotutto era terminata e lui era comunque troppo distratto per prestare attenzione a quanto era stato detto nella Sala degli Accordi. Quindi se ne era andato alla prima occasione, rifugiandosi nella quiete del suo appartamento a confrontarsi con i propri sensi di colpa.
Aveva immaginato spesso quel momento, il giorno in cui Tessa avrebbe scoperto che era diventato mortale: nei suoi ipotetici finali, lei capiva le sue inesistenti ragioni e gli augurava d'essere felice. Ma era decisamente un'utopia, una conclusione troppo semplice che non lo faceva sentire un verme.
Theresa Gray non era affatto una sciocca: gli anni le avevano indurito il carattere e gli addii le avevano gelato il cuore. Al contrario di lui, che era svolazzato da un amante all'altro per più di 800 anni, lei aveva amato un solo uomo: il suo primo amore era stato anche l'unico e l'ultimo.
Non aveva avuto bisogno di secoli per incontrare il grande amore, ma erano stati proprio gli anni e l'impossibilità di fermarli a portarglielo via.
Magnus era un vigliacco: le aveva ripetuto di essere forte, ma quella stessa forza lui non la possedeva di fronte alla prospettiva di veder morire Alec. Sopravvivere a un dolore simile gli sembrava inconcepibile ed ora gli pareva crudele averlo chiesto a Tessa.
Perché non le aveva permesso di raggiungere il suo amato?
Forse aveva avuto bisogno di quella ragazza, di qualcuno con cui dividere i ricordi di Londra, qualcuno che, come lei stessa aveva affermato, fosse rimasto lo stesso di allora.
Perché di quella nebbia inglese e di quella fosca quanto tormentata vicenda non gli rimanesse solo una fotografia sbiadita.
Perché era e sarebbe rimasto un egoista.

-Questa non la passi liscia, Will, puoi star certo. E lo stesso vale per voi: mio figlio è un incosciente, ma mi aspettavo un po' più di buonsenso da parte vostra.
-Papà, ho avuto io l'idea: loro mi hanno solo seguito- intervenne William, deciso a tener fuori gli amici da quella storia. Era solo lui quello da punire: Ron e Cat non avevano alcuna colpa.
-Will... - iniziò Ron.
-E poi cosa abbiamo fatto di male? Siamo noi ad uscire in perlustrazione, dopotutto: era un nostro diritto sapere cosa sta accadendo. Non siamo più dei bambini da dover tenere all'oscuro di tutto.
-William, tu hai ragione- ribatté Alec, più propenso a mantenere la discussione su un tono calmo e ragionevole. -Ma le leggi del Conclave...
-Saprei io dove possono infilarsi le loro leggi della malora- brontolò, sedendosi con poca grazia su una panca ed incrociando le braccia. -E comunque perché ieri sera non ci hai detto niente?
-Aspettavo di capire quanto fosse grave il problema prima di gridare al lupo.
-Nessuno vi avrebbe tenuto all'oscuro, ragazzi. Non c'era bisogno di precipitarsi qui come se fosse la fine del mondo, Will... ma l'irruenza è un difetto di famiglia, vero Jace?
L'interessato se ne stava seduto sul palco del Console, sostenendo lo sguardo di suo figlio: gli somigliava troppo, anzi, somigliava troppo sia a lui che a Clary. Pareva un concentrato di tutti i loro difetti, come se avesse preso da loro solo il peggio. Ne aveva combinate tante da quando era nato, ma quella era la più grossa di tutte e, sinceramente, non aveva nemmeno idea di cosa sarebbe successo: contava sulla magnanimità di Isabelle, ma sapeva anche che non spettava a lei il verdetto finale.
-Io potevo permettermi di esserlo- rispose. -Il Conclave mi ha sempre detestato. Voi siete troppo giovani e inesperti per farvi nemici tanto potenti.
William aprì la bocca per replicare, ma la richiuse nel veder arrivare sua zia con una faccia che non prometteva niente di buono.
-Jace, Alec... ragazzi- esordì.
-Avanti, dicci subito la condanna così prepariamo i bagagli per la Città Silente.
-Niente visita ai Fratelli per questa volta.
-Allora cosa?- chiese Ronald, stupito. -Dobbiamo pulire tutte le strade di Alicante con uno spazzolino da denti?
-No, non c'è nessuna punizione di questo tipo.
-Nessuna punizione?- ripeté il nipote, basito di fronte all'insperata fortuna. -Zia, sei fantastica.
-Will, non ho detto che non ci sono punizioni. Io ho fatto tutto il possibile, ma sapete anche voi che non ho molta voce in capitolo nelle decisioni.
Jace fissò la donna con un certo nervosismo: la conversazione stava prendendo una piega che non gli piaceva per niente ed era pronto a passare sopra ad ogni stupido membro del Conclave pur di difendere il sangue del suo sangue.
-Will... la tua punizione è la runa del dolore.
-Cosa?!- esclamò Alec, balzando in piedi. -Izzy, sei impazzita? È solo un ragazzino e non ha fatto nulla di così grave! Quelli che dormivano durante la riunione allora, verranno decapitati?!
-Alec, la maggioranza...
I tre ragazzi erano letteralmente gelati e nessuno di loro riusciva anche solo a respirare: la runa del dolore era una punizione durissima inflitta ai Cacciatori che si macchiavano di crimini ben più gravi dell'intrusione nel Consiglio.
-La maggioranza di chi, Isabelle?! Di vecchi imbecilli?!
-Guarda che ci sono anch'io tra quei vecchi imbecilli!
Jace si concesse un ghigno mentre si toglieva la tonaca nera: quella era un vendetta del Conclave contro di loro, era una sorta di "risarcimento" per tutte le volte che avevano agito senza informarlo, mettendolo in imbarazzo o in posizioni scomode.
Ma quei "vecchi imbecilli" avevano fatto i conti senza di lui.
-Bene- disse, bloccando il litigio tra i fratelli. -Ho passato di peggio.
-Jace, non avrai...
-Papà, no!- esclamò William, alzandosi. -Non devi farlo, sono io l'unico colpevole. Ho fatto una stronzata ed è giusto che paghi.
-Sì, ma non è giusto che sia tu a pagare per ciò che non hai commesso- proseguì, levandosi anche la camicia e lasciandola al ragazzo. -È questione di pochi minuti. Alec, prendi lo stilo.
-Non accetteranno questa soluzione- obbiettò Isabelle.
-Che vadano a farsi fottere.
Will si morse un labbro a sangue mentre suo zio posava lo stilo sulla schiena di Jace per iniziare a tracciare la runa: vedere suo padre prendere la punizione che spettava a lui faceva più male che riceverla sulla propria pelle.
Lo guardò spalancare gli occhi una volta finito il marchio, poi sbiancare ed iniziare a sudare copiosamente, stringendo i pugni per non urlare.
Quella runa era tra le più terribili del Libro Grigio: il dolore che causava, oltre a essere paragonabile a quello di centinaia di pugnali che rigiravano all'interno di altrettante ferite, non era solo fisico, ma anche mentale e psicologico. Era un dolore totale, una sofferenza che coinvolgeva ogni fibra, ogni centimetro, ogni neurone; un'esperienza che non si poteva descrivere in nessun modo se non vivendola.
Durava pochi minuti, ma rimaneva impressa in eterno nella mente di chi la subiva.
Alec fu subito pronto a sorreggere il suo parabatai, e Isabelle avvolse nella tonaca il suo corpo bagnato e tremante; William, Ronald e Catherine, invece, rimasero immobili, sconvolti: tutte le loro proteste, il loro sentirsi adulti... era tutto rinchiuso in un angolo del cervello, spazzato via da quanto era appena accaduto nella Sala.
Non erano adulti, non più: erano spaventati, incapaci di aiutare, impotenti davanti a quel finale della loro avventura.
Non erano adulti. Erano solo dei bambini in un mondo troppo grande e cattivo.

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Capitolo 7
*** Oscurità senza fine ***


6
6
Oscurità senza fine

Nella camera confusionaria regnava il silenzio: nemmeno il respiro dei tre ragazzi era percepibile. Si udiva solamente il mormorio lontano delle voci di Clary e Jace, l'una preoccupata e l'altra stanca.
Sdraiato tra Ron e Cat, William non aveva pronunciato parola dopo aver lasciato la Sala degli Accordi; giunto a casa, si era ritirato nella sua stanza dove, poco dopo, lo avevano raggiunto i due amici: senza parlare si erano accomodati accanto a lui, condividendo quell'angolo di mondo. Non c'era nulla da dire: erano dei bambini, quel giorno ne avevano avuto la prova.
Bambini stupidi, per giunta, capaci solo di combinare guai.
-È stata colpa mia, Will: ho avuto io l'idea di arrampicarci.
-Io avrei dovuto trovare un altro sistema- aggiunse la ragazza.
-No, voi non c'entrate- rispose lentamente, cercando conforto nel calore dei loro corpi vicini. -Non mi sono fidato di mio padre, è questa la verità. E ho creato problemi a tutti: Magnus avrebbe dovuto lasciare che mi sfracellassi.
-Certo, e poi a chi pensi sarebbe toccato ripulire il macello?- scherzò il suo parabatai, dandogli una leggera spallata.
Ma il coetaneo non raccolse la battuta: vedere suo padre soffrire in quel modo, sapere d'esserne il responsabile, per Will era stato tremendo. Si vantava d'essere grande, pretendeva d'essere trattato come un adulto, ma era un ragazzino infantile.
-Non devi... - iniziò Ronald, interrotto dall'ingesso di Jace.
-Devo rimboccarvi le coperte e leggervi una storia?- chiese il Cacciatore con il suo sorrisetto, anche se gli occhi tradivano l'affaticamento di quel giorno.
-No, noi... stavamo andando- disse Cat, tirandosi a sedere.
-Restate: quello che devo dire riguarda tutti e tre- continuò, liberando una sedia da un cumulo informe di vestiti, resistendo di fronte al caos assoluto che dominava tra quelle quattro pareti. -Quello che è accaduto oggi non è colpa di nessuno. Io per primo mi sarei comportato come voi, quindi non mi riesce di punirvi o farvi delle prediche. Ma io non ci sarò sempre per salvarvi dal Conclave, perciò dovete essere più prudenti, solo questo.
-Non avresti dovuto prendere la punizione al mio posto: il Conclave sarebbe stato soddisfatto e non se la sarebbe presa ancora con noi- replicò il figlio. -Ora aspetteranno un passo falso per saltarci addosso.
-Will, non me ne frega niente se il Conclave non ha avuto ciò che desiderava: se provano ad alzare un dito su uno di voi, li manderò a guardare i fiori dalla parte delle radici- affermò serio, posando lo sguardo su tutti e tre. -E lo stesso farebbe Clary, perché noi siamo una famiglia. E in una famiglia nessuno viene abbandonato o dimenticato.
Una famiglia.
La loro famiglia: confusa, rumorosa, folle... ma era la famiglia che amavano e che avrebbero difeso ad ogni costo. Ognuno di loro, con i suoi pregi e i suoi difetti, era importante e fondamentale.
-Non dimenticatelo mai- concluse. Si alzò e rimise al suo posto la sedia, rivolgendo poi loro un'ultima occhiata. -Ora dormite, Cacciatori: è stata una giornata dura anche per voi- li salutò, uscendo.
-Tuo padre ha ragione- disse Ronald, cercando nel buio lo sguardo smeraldo del suo parabatai. -È il caso di dormire un po' o domani sarà impossibile uscire in perlustrazione e restare svegli.
William allungò le braccia, stringendo prima la mano di Ron e poi quella di Catherine: li voleva vicino quella notte, voleva avere loro a cui aggrapparsi in quell'oscurità senza fine. Malgrado le parole di Jace, il suo animo era turbato da una strana inquietudine, come i bambini quando erano convinti che dei mostri abitassero nel loro armadio o si nascondessero negli angoli bui della stanza.
Aveva paura, ma non sapeva di cosa: era una sensazione che scivolava lenta sotto la sua pelle, gelandogli il sangue nelle vene; paura di qualcosa di inspiegabile, che pareva minacciare la sua vita per il semplice fatto di esistere.
Stare con i due amici lo rendeva più sicuro, gli dava l'illusione d'essere al sicuro. E, per il momento, gli bastava questo.
-Buonanotte, ragazzi- sussurrò Catherine.

La notte a New York non riusciva mai ad essere buia, tra le luci dei grattacieli e il traffico costante che intasava le sue strade. Eppure quella notte pareva oscura anche se si sostava sotto un lampione. I mondani lo percepivano appena come una sorta di disagio che li spingeva ad accelerare il passo e raggiungere in fretta la propria dimora; per i Nascosti era più di una sensazione e si trascinava da diversi giorni.
Magnus Bane sorseggiò lentamente il suo the caldo, riflettendo sul modo migliore di agire in quella situazione: la sua natura gli suggeriva di prendere Alec, metterlo in valigia e partire verso una lontana località in cui attendere la fine degli eventi. Purtroppo aveva per compagno un Cacciatore e questo significava convivere con i rischi e i pericoli della sua vita. O temere di non vederlo più tornare ogni volta che usciva.
Ma quello era il suo destino, ciò per cui era nato e lo stregone non gli avrebbe mai chiesto di smettere di dar la caccia ai demoni, perché in fondo amare era anche accettare l'altro in ogni sua sfumatura, in ogni suo aspetto. Incluso restare ad affrontare nuovamente la fine del mondo o qualsiasi altra minaccia stesse per bussare alla soglia della città.
Perché alcuni destini erano incisi a fuoco sul libro della vita e non potevano essere cambiati, soprattutto quelli avversi. E solo una catastrofe di tale portata poteva spingere il figlio di Lilith a sgusciare fuori dal letto come un ladro per consultare i tarocchi nel cuore della notte.
Non era una cosa che facesse abitualmente: leggere le carte era una pratica da mondani imbroglioni che spillavano soldi alla gente ingenua. Li aveva visti anche in televisione: uomini e donne conciati in modi inguardabili che davano previsioni più errate di quelle meteorologiche, ingannando le persone e facendosi pagare cifre astronomiche. Non che lui si vendesse a buon mercato, ma i suoi servigi erano autentici, non erano specchietti per le allodole.
I suoi tarocchi inoltre erano speciali: Clary li aveva disegnati appositamente per lui, ritraendovi persone note, amici e nemici. Per Magnus aveva un significato importante, era tutta la sua vita rinchiusa in un piccolo mondo. Peccato li usasse principalmente per prendersi gioco di Alexander e fargli credere, ad esempio, che se non avessero fatto l'amore per tutto il giorno, terribili sciagure si sarebbero abbattute su di loro.
Stavolta non c'erano interpretazioni fantasiose da poter inventare: c'erano tutti i segni, anche se aveva preferito ignorarli, e quanto stava accadendo tra i mondani non era che un'ulteriore conferma.
La Carta degli Amanti era uscita rovesciata: erano promesse non mantenute, inganni e il rinvio di una decisione, di una scelta impellente. La seconda era la Carta della Morte, su cui era raffigurato Jonathan, o Sebastian, o come cavolo lo si voleva chiamare: significava la fine di qualcosa, un momento per distruggere e non per costruire. Sempre che ci fosse ancora qualcosa da distruggere.
L'ultima era la Carta della Luna: era un invito a riflettere, un annuncio di pericoli imminenti e l'incontro con persone del passato. Solo per un istante aveva collegato tutto questo a Tessa e alla sua minaccia, ma i tarocchi non davano previsioni su cose già avvenute. Inoltre, per quanto arrabbiata e delusa, Magnus era convinto che la giovane fosse incapace di fare del male.
Quindi qual era la minaccia da cui bisognava guardarsi?
Forse la misteriosa potenza che stava uccidendo i mondani? O c'era qualcosa di ben più grosso dietro quella faccenda?
Se i Cacciatori di tutto il mondo non erano riusciti neppure a vederne la causa, pareva logico pensare che fosse quello il pericolo annunciato, però lo stregone non ne era convinto e una vocina nella sua testa gli ripeteva che non era altro che la punta dell'iceberg. C'era altro e molto più pericoloso, un burattinaio che muoveva i fili di ogni cosa con cura, studiando ogni mossa prima di compierla.
Istintivamente il suo sguardo cadde sull'immagine del vecchio nemico: poteva essere che... ? No, Jonathan Morgenstern era morto. Carbonizzato. Non era una morte da cui si potesse facilmente resuscitare: nemmeno riunendo tutti i demoni era possibile riportare in vita un mucchietto di cenere. Anche perché era impossibile distinguere le ceneri di una persona da quelle di un albero o di qualsiasi altra cosa!
Eppure... eppure le carte non mentivano, né davano informazioni fuorvianti o casuali: un'ombra si stava allungando su di loro, nutrita dai segreti e dalle cose non dette.
Terra delle tenebre e dell'ombra di morte, terra di caligine e di disordine, dove la luce è come le tenebre.
Gli incubi di sangue ed ossa erano tornati e le tenebre si stavano avvicinando più fitte che mai. E non era sicuro che questa volta esistesse una luce tanto forte da diradarle.
-Magnus... - lo chiamò una voce impastata di sonno. Alec era fermo nel vano della porta con i capelli scuri scompigliati e si stava sfregando gli occhi nel tentativo di tenerli aperti.
Lo stregone lo fissò con un sorriso dolce, riponendo ogni pensiero tetro: lui era la sua luce e avrebbe fatto di tutto perché continuasse a brillare. Anche in un mondo dove i morti carbonizzati tornavano a camminare sul suolo dei vivi.

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Capitolo 8
*** Passi avanti, passi indietro ***


7
Tutto è immobilità e silenzio
Parte Seconda

In realtà nelle sette stanze si avvicendavano senza posa miriadi di sogni.
E questi, i sogni, si torcevano qua e la',
assumendo colore nelle stanze e provocando la sensazione
che la musica ossessionante dell'orchestra non fosse che l'eco dei loro passi.
Ed ecco che ancora la pendola d'ebano, nella sala del velluto, batte le ore.
Ed ecco che ancora per un attimo tutto è immobilità e silenzio,
tranne la voce dell'orologio.
I sogni s'irrigidiscono e si raggelano nel punto in cui stavano volteggiando,
ma gli echi della suoneria muoiono lontani,
non sono durati che un istante, e un riso sommesso, leggero,
fluttua e l'insegue mentre essi si dileguano."
(La maschera della morte rossa, Edgar Allan Poe)

7
Passi avanti, passi indietro

-Perché, gira e rigira, noi ci ritroviamo sempre tra questi vecchi libri polverosi invece che fuori, per le strade, a dare la caccia a quella cosa?- brontolò William. Sepolti dietro pile di volumi, il Cacciatore e i suoi compagni sfogliavano pagine e pagine fitte di descrizioni sulle creature esistite ed esistenti che gli Shadowhunters avevano affrontato dalla notte dei tempi.
-Ho sempre detto che usate metodi antiquati. Non potreste mettere le informazioni in rete in modo che tutti gli Istituti possano accedervi?- propose Simon. Ma si interruppe nel sentirsi osservato da sguardi confusi e scosse la testa borbottando cose su gente che viveva nel Medioevo.
-E tu non ti sei preso i rapporti- ribatté Ronald, stirandosi sulla sedia e allungando le braccia verso l'alto. -Mi sembra di leggere sempre lo stesso. Ma Izzy cosa si aspetta che troviamo?
-Francamente non lo so, Ron. Non sa più nemmeno lei dove sbattere la testa. Forse spera che abbiate una mente più acuta rispetto a quei vecchi bacucchi del Conclave.
-Su questo non c'è ombra di dubbio, mi pare.
Ad essere onesti, se gli avessero dato un dollaro ogni volta che Isabelle gli comunicava i suoi pensieri, ora il vampiro si sarebbe ritrovato poverissimo. Non c'era molto di cui parlassero le rare volte in cui lasciava Alicante e si degnava di rientrare a New York, da quello che avrebbe dovuto essere il suo compagno; ma era il Console, aveva delle responsabilità, quindi Simon accettava anche quella situazione per amor suo.
Improvvisamente si sentì un rumore di porte sbattute, poi qualcuno che correva e la voce concitata di Jace: il Daylighter si alzò, ma William gli posò una mano sul braccio e lo costrinse a sedersi nuovamente. Dopo un istante, infatti, l'Istituto recuperò la sua calma.
-Un falso allarme- commentò il ragazzo, riprendendo il suo studio sui demoni. -Ultimamente succede almeno una decina di volte al giorno: appena mamma apre bocca, papà pensa sia il momento e pare a razzo. Ormai è questione di poco.
-Capisco... Jace è sempre stato protettivo nei confronti di Clary.
-Ha paura che le succeda qualcosa come quando sono nato io. Ho iniziato a far danni ancor prima di venire al mondo: è un record.
Ronald e Catherin alzarono gli occhi su di lui: era trascorsa una settimana, ma il ricordo della Sala degli Accordi bruciava ancora nel cuore dell'amico e lo spingeva a quell'atteggiamento insolito. William era uno che combatteva tutto con un pugnale tra i denti, una spada per mano e qualche arma di riserva nella cintura: non era uno che si arrendeva, che crollava.
-Veramente, si comportava così anche quando dovevi nascere tu, Will: ci telefonava ogni ora per avvertirci che Clary stava per partorire- raccontò. -Ed è andato avanti una settimana, finché Isabelle non si è trasferita qui per poterlo frustare ad ogni allarme. Jace è in grado di uccidere cento demoni bendato e con una mano legata dietro la schiena, ma quando si trova a dover affrontare qualcosa su cui non ha alcun potere perde la testa e diventa indifeso, inerme. Tua madre è diversa, lei farebbe qualsiasi follia per lui. E le ha fatte, credimi.
-Stai annoiando i miei piccoli Cacciatori con il racconto del tuo ultimo torneo di Dungeons and Dragons, Stafford?
-Simon, Magnus. Simon. Possibile che dopo vent'anni tu non abbia ancora imparato il mio nome?!
-Non riesce a restarmi in testa, vampiro- si giustificò lo stregone, che in realtà ricordava perfettamente il nome corretto.
-Comincio a credere che tu non voglia ricordarlo.
-Come puoi credermi capace di un gesto simile, Silvan?- proseguì teatralmente l'altro, prendendo posto a un capo del tavolo.
-Basta, mi arrendo- mormorò Simon, passandosi le mani sul viso.
-Dicci che hai scoperto qualcosa che non sapevamo già, ti prego- lo implorò Cat, che stava portando un'altra decina di libri da consultare. -Tutta questa roba è totalmente inutile e non ci ha portati avanti di un solo passo.
-In effetti ho qualcosa di nuovo per voi, ma non ho idea di dove porterà- ammise Magnus. -Il Conclave mi ha permesso di dare una sbirciatina all'ultimo cadavere ritrovato. Non che avessero molte alternative, dato che sono con l'acqua alla gola e non sanno cosa fare.
-E hai capito che demone li ha uccisi- concluse Will, chiudendo di colpo il libro e sollevando una nuvola di polvere.
-Sono eccezionale, ma non fino a questo punto. Però ho scoperto che sono stati uccisi in seguito a una possessione demoniaca.
-È una sorta di sifilide demoniaca?
-La sifilide demoniaca non esiste, Ron- replicò il suo parabatai, intrecciando le mani sotto al mento. -È solo una leggenda.
-Dovresti ridare un'occhiata alla storia- obbiettò il figlio di Lilith. -La sifilide demoniaca esiste e non la auguro a nessuno, anche se chi se la prende... bhe, se la va a cercare. C'è gente che si è ritrovata trasformata in un verme gigante.
-Oh, che orrore- commentò Simon, disgustato. -Pensavo succedesse solo in Buffy.
-Comunque, stavo dicendo... sono morti dopo che un demone si è insinuato nel loro corpo.
I Cacciatori lo fissarono in attesa di altre spiegazioni: i demoni usavano artigli, zanne, veleno; erano esseri dotati di strumenti per fare a pezzi le loro vittime, non certo per possederle. Quella era un'inutile perdita di tempo. C'erano rituali per evocarli e forse per legarli a certe persone, ma demoni che si appropriavano di corpi umani era una novità.
-La mia ipotesi è che in giro ci siano spiriti demoniaci, ovvero demoni con la consistenza dell'aria in grado di insinuarsi nei corpi dei mondani. A quale scopo non è ancora chiaro e io stesso non riesco a pensare a una motivazione valida. In ogni caso, non è che un'ipotesi che potrebbe rivelarsi del tutto errata.
-Quante volte ti sei sbagliato, Magnus?
-Poche e mai su questi argomenti.

Ad Alicante, Isabelle stava esponendo la stessa teoria al Conclave, ricevendo in risposta facce perplesse, poco convinte e, nel peggiore dei casi, addormentate. Avrebbe potuto consegnare loro la testa del colpevole su di un piatto d'argento, e avrebbe ottenuto lo stesso risultato.
La verità era che non la rispettavano, non si fidavano di lei, soprattutto i membri più anziani: il passato e la sua turbolenta adolescenza erano più indelebili di un marchio e la accompagnavano ad ogni passo.
Se si aggiungeva la sua convivenza con un vampiro, o il fatto che suo fratello fosse gay e frequentasse uno stregone, si arrivava alla conclusione che le uniche persone di cui potesse fidarsi erano quelle che avevano combattuto al suo fianco e che conoscevano il suo valore.
Una volta di più si chiese se ne valesse la pena, se non fosse più saggio mandare all'inferno tutto e tutti e riprendere la sua vita da Shadowhunter; tornare a New York da Simon e magari pensare seriamente a una famiglia. Ma avrebbe mentito affermando che era quello il suo desiderio.
In realtà aveva accettato la carica di Console perché era un'ottima scusa per evitare i progetti a lungo termine, per non gettarsi nell'incognita di un legame così serio come una famiglia.
Amava Simon, quella non era una menzogna: lo amava e non avrebbe potuto immaginare nessun altro al suo fianco, però non era pronta a spingersi più in là. Il semplice pensiero le stringeva la gola e le impediva di respirare.
Ormai passava più tempo ad Alicante che nella sua città: la loro relazione aveva fatto solo passi indietro e nessuno in avanti. C'erano giornate in cui tornava a casa sperando che lui fosse giunto al limite e avesse deciso di andarsene, di cercare qualcun'altra. Erano i giorni in cui le sue quotidiane battaglie nella Sala degli Accordi erano particolarmente dure e lei arrivava a sera troppo stanca per sopportare ore di sproloqui inutili sull'ultimo videogioco uscito sul mercato.
In quelle occasioni andava a letto pensando che a Simon occorresse un'altra donna. Magari immortale, magari che non facesse niente tutto il giorno e fosse sempre fresca e riposata, pronta ad andare ad ascoltare quell'accozzaglia di rumori stonati che lui aveva la presunzione di chiamare concerti.
Una così, sempre bella, sempre felice, sempre disponibile.
Isabelle non ce la faceva, invece: una vita così le andava bene quand'erano ragazzi, ma ora erano cresciuti e il fatto che il vampiro fosse immortale non giustificava il suo atteggiamento infantile. Poteva avere l'aspetto di un sedicenne, ma gli anni erano passati ed era ora di svegliarsi, di essere un uomo, di essere l'uomo di cui lei aveva bisogno.
Non era questione di immortalità come nel caso di Alec: il problema era che Izzy si era scoperta fidanzata con Peter Pan, con qualcuno che aveva fermato l'orologio e non strappava le pagine dal calendario. Come poteva pensare a dei bambini se era già un bambino lui?
Così si tratteneva nella Città di Vetro più del necessario, tirando la corda nella speranza di spezzarla.
-In conclusione, ho comunicato ai Cacciatori di prestare la massima attenzione: siamo in stato di allarme generale e ogni minimo dettaglio può aiutarci a bloccare questa strage. Se avete altre proposte, siamo qui per ascoltarle, altrimenti la riunione è sciolta.
Nessuno parlò, com'era prevedibile: in caso di fallimento avrebbero scaricato addosso a lei tutta la responsabilità e l'avrebbero sollevata dall'incarico. In fondo era il capitano che affondava con la sua barca, non il suo meschino ed ipocrita equipaggio.
La donna sospirò, incamminandosi verso le sue stanze con l'unico desiderio di un bagno caldo e di buone notizie, su qualsiasi argomento. La migliore sarebbe stata la nascita della sua nipotina, ma andava bene anche altro, purché fossero buone notizie.
-Izzy, aspetta un attimo.
-Aline, cosa c'è?- chiese, voltandosi verso l'amica.
-Vorrei che tu mi facessi un favore.

La città bruciava.
Lingue di fuoco si levavano alte, illuminando una notte oscura. Attorno a lui si susseguivano urla e versi di creature che non aveva mai udito, portati dal vento e dal rumore di una battaglia.
William era confuso e soprattutto disarmato; non riconosceva quegli edifici in fiamme e non sapeva da cosa dovesse difendersi.
Poi qualcosa lo colpì alle spalle e vide una lama nera spuntargli dal petto, grondante il suo sangue. Cadde a terra, riverso nel suo sangue che lentamente diventava infinito, diventava un lago in cui precipitò.
Sempre più a fondo...
Un sangue denso, scuro, dal sapore acre che bruciava la gola come un acido.

William si svegliò di colpo, sudato e agitato: era stato un incubo, solo un incubo. Respirò profondamente, cercando di calmarsi e di recuperare un battito cardiaco normale: in fondo non era stato altro che un brutto sogno e niente di più.
Però... però gli era sembrato dannatamente reale e sulla lingua avvertiva ancora il bruciore di quel sangue.

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Capitolo 9
*** Peccati senza perdono ***


8
8
Peccati senza perdono

Il sole era sorto da poco quando scoprì una figura impegnata ad allenarsi nella solitudine di Central Park. L'incubo di quella notte aveva lasciato addosso a William la spiacevole sensazione d'essere sporco e ogni tanto si tastava il petto aspettandosi di trovarvi qualche segno di una ferita. Ma non c'era nulla oltre alle cicatrici di vecchi marchi, nessuna traccia di quanto era avvenuto nel suo sogno.
Eppure si sentiva nervoso ed inquieto: non riusciva a cancellare quelle immagini e ciò che aveva provato. La città in fiamme... a mente lucida riusciva a darle un nome: era Alicante, l'indistruttibile città dei Cacciatori. Ed era tutto così vivido...
Ci fu un fruscio alle sue spalle e, un secondo dopo, una foglia si ritrovò inchiodata ad un tronco da un pugnale decorato con un motivo di uccelli in volo.
-Ottimi riflessi- commentò la Regina del Popolo Fatato con un sorriso falso e studiato.
-Grazie, ma non penso tu sia qui per elogiarmi o per seguire il mio allenamento.
William non la temeva, pur conoscendo i suoi poteri. Non la rispettava nemmeno, anzi, la disprezzava apertamente. Vampiri e licantropi erano abbastanza affidabili o, almeno, sapevi cosa aspettarti da loro; i figli di Lilith non si schieravano mai, nonostante gli Accordi. Ma le fate erano un altro discorso: le fate potevano sorriderti, stringerti la mano e giurarti fedeltà mentre il tuo nemico ti pugnalava alla schiena. Le fate si alleavano con chiunque, garantendosi la certezza d'essere sempre dalla parte dei vincitori: stringevano e rompevano accordi praticamente in contemporanea e contare su di loro non era certo salutare.
A meno che non si andasse in cerca di una morte orribile, ovviamente.
Perché le fate erano meravigliose, ma potevano indurre alla pazzia se solo lo desideravano; per un loro capriccio potevano costringere una persona a danzare fino alla morte. Se scoprivano ciò che desideravi con tutto il cuore, eri condannato.
-Se il tuo complimento era un patetico tentativo di comprare un favore, invece, hai fallito.
-La tua impudenza supera quella dei tuoi genitori.
-Sono stati degli eccellenti maestri, in effetti. Inoltre ti ricordo che non sei nel tuo territorio, ma in quello degli Shadowhunters, quindi ti conviene restare buona. Ho ottimi riflessi, l'hai detto tu stessa.
Il sorriso non svanì dal volto etereo della fata, anzi si estese e acquistò una sfumatura diabolica: un pessimo segno che portò il giovane a stringere la presa sulle armi. Poteva presentarsi nella sua forma migliore e vestirsi d'oro e d'argento, ma lui sapeva che mostro si nascondesse sotto il travestimento.
-Speravo avessi più buon senso rispetto a tua madre e capissi che non è saggio negare qualcosa a me.
-Non sono un tuo suddito, non ho debiti nei tuoi confronti e, qualsiasi cosa tu possa offrirmi, ha un prezzo troppo alto. Puoi trasformarmi in quello che ti pare, tanto è solo un trucco: è tutto nella mente- ribatté. -Fai leva sulle paure e sui desideri finché le tue vittime non cedono. Ma proprio perché ho buon senso so che le tue tattiche non funzionano con me.
-Sei scaltro per essere uno Shadowhunter. Quasi quanto una fata: non a caso condividiamo lo stesso sangue.
-Solo in parte. In noi nulla ha origine dall'Inferno- precisò.
-Sicuramente vale per tutti gli altri, ma non per te. Il tuo sangue non è angelico e puro come credi.
-Non possiamo essere tutti angeli come Raziel, malgrado ci abbia donato il suo sangue.
La Regina rise, un suono fastidioso e malevolo quanto un gesso sulla lavagna, un suono capace di far rizzare i peli sulla nuca perché era l'annuncio di qualcosa di terrificante.
-I miei favori non saranno ad un prezzo che ritieni accettabile, ma nemmeno quelli che si aggiudicò tuo nonno sono privi di conseguenze. Ci sono peccati senza perdono, Cacciatore.
-Ma cosa... - iniziò William, arretrando di un passo.
-Will- lo chiamò Ronald, giungendo nel parco.
Il ragazzo si volse un istante verso la voce dell'amico e, quando tornò a guardare la Regina, scoprì che era già svanita: del loro dialogo non restava altro che la foglia inchiodata all'albero.
-Sei mattiniero- continuò il suo parabatai, arrivandogli accanto. -Non hai nemmeno fatto colazione.
-Non riuscivo a dormire, così sono uscito ad allenarmi- spiegò semplicemente, evitando di nominare il suo incubo.
-Va tutto bene?- Ronald intuiva che c'era dell'altro dietro il suo comportamento e che doveva essere accaduto qualcosa nel parco: gli uccelli non cantavano, tutto era immerso nel silenzio. Uno strano silenzio.
-Io... io sto bene. Sarà mancanza di zuccheri- minimizzò, riponendo le sue armi nella cintura e recuperando il pugnale di famiglia. -Mi avete lasciato qualcosa da mangiare?
-Mmm... forse qualche briciola è rimasta.

Magnus Bane era alle prese con un altro tipo di problema: chiuso nel suo appartamento, aveva era chino sul tavolo, tra vecchi libri e mucchi di fogli su cui aveva scarabocchiato una serie di appunti. La causa di tanto lavoro era l'oggetto che Isabelle gli aveva chiesto di studiare: era stato ritrovato accanto ad una delle vittime e non ne restavano che pochi frammenti.
Ad una prima occhiata non gli erano sembrati altro che pezzi di vetro senza importanza: aveva pensato che appartenessero a una bottiglia o a qualche fanale d'auto andato rotto in un incidente. Poi aveva notato dei piccoli segni incisi sulla superficie che avevano attirato la sua attenzione.
Armato di lente d'ingrandimento, lo stregone li aveva copiati fedelmente, arrivando a capire che si trattava di un'iscrizione e che quei frammenti erano forse la chiave per comprendere quanto stava accadendo e riuscire così a fermarlo.
Purtroppo, nonostante le ore di ricerca, era stato in grado di tradurne solo una piccola parte, quanto bastava per scoprire che si trattava di una sorta d'incantesimo sigillante, usato solitamente per rinchiudere i demoni in qualcosa.
Alcuni di quei simboli, infatti, li aveva visti spesso sulle Pyxis, un tempo molto diffuse tra Cacciatori e non. Una pratica che, per fortuna, era andata in disuso con il trascorrere dei secoli e che Magnus non aveva mai compreso né approvato: che razza di mente malata si teneva in casa un demone sottovuoto? Non era certo una confezione di sottaceti o un simpatico soprammobile con cui far morire di invidia amici e ospiti: erano demoni e, anche se in scatola, restavano pericolosi.
Già in condizioni normali non erano tra le creature più amabili e piacevoli, ma quelli che restavano rinchiusi per anni erano anche peggio: una volta liberi non si sedevano sicuramente a prendere il the e a fare salotto, scambiandosi gli ultimi pettegolezzi. I più svegli si sbrigavano a scappare e a riprendersi la libertà; quelli un po' meno furbi si mettevano a lottare contro gli Shadowhunters che li avevano imprigionati e facevano una brutta fine.
Ma in nessun caso si impossessavano dei corpi dei mondani per ucciderli. Non si era mai sentito niente del genere.
Si passò una mano sul viso, sfregandosi gli occhi stanchi e gettando uno sguardo all'orologio: era già tardi ed Alec non era ancora rientrato da Alicante. A distanza di una settimana, il Conclave aveva organizzato una nuova riunione nella speranza che ci fossero novità o fosse emerso qualche minuscolo risultato dalle ricerche.
E alla fine tutti avrebbero insultato tutti come al solito. Ormai era diventata una tradizione.
Se si fosse conclusa in un altro modo, i partecipanti non avrebbero capito che era terminata e sarebbero rimasti lì ad aspettare di potersene andare.
Una firma su un pezzo di carta non cancellava odi secolari.
Lui non aveva mai preso parte a quelle gare di insulti, perché non aveva nulla contro gli altri: non nutriva alcuna simpatia per il Popolo Fatato (ma chi ne aveva?) e alcuni dei Cacciatori non erano in cima alla lista dei suoi amici del cuore, ma in generale non aveva mai avuto dei veri contrasti.
Il fatto che molti, tra Shadowhunters e Nascosti, gli dovessero dei favori o dei soldi, contribuivano a renderlo una figura inattaccabile: chi lo criticava aveva l'intelligenza di farlo fuori dalla portata delle sue orecchie. E la stupidità di farlo vicino a quelle di Alec.
Il suo compagno sarebbe tornato di pessimo umore dopo aver trascorso tutto quel tempo a fare da bersaglio ai commenti sull'assenza di Magnus. Gli dispiaceva per lui, ma quando si aveva per fidanzato il meglio degli stregoni era normale essere sulla bocca di tutti: essere così potenti e fantastici poteva diventare una croce.
Diede ancora un'occhiata al suo lavoro, poi sbadigliò e decise di aver fatto abbastanza: la mattina dopo si sarebbe alzato presto e avrebbe ripreso da dove si era interrotto. Ora si meritava qualche ora di sonno: per una volta avrebbe dormito senza doversi preoccupare per Alexander, senza svegliarsi ogni cinque minuti nella speranza che fosse rientrato dal suo giro di perlustrazione. Finalmente avrebbe avuto un riposo senza interruzioni.

-Stai bene?
-Ehi, non vorrai prendere il posto di tuo padre, spero- rispose Clary con tono ironico. -Ho appena iniziato a respirare e non intendo essere soffocata un'altra volta con centinaia di domande.
William le sorrise, sedendosi accanto a lei e lasciandosi avvolgere dal suo caldo abbraccio: la chiacchierata con la Regina l'aveva messo ancor più in agitazione, così aveva fatto capolino nella camera della madre, sperando di mettere a tacere ogni dubbio.
-C'è qualcosa che ti turba, tesoro?
-Non ti accadrà niente, vero?- Sapeva che era una domanda infantile, ma all'improvviso aveva sentito il bisogno di porla e di sentirsi rispondere che sarebbe andato tutto per il meglio. Il suo incubo, le parole sibilline della fata... nulla era così importante di fronte all'incognita del futuro.
-Will... - sospirò la donna, accarezzandogli i capelli rossi. -Le complicazioni che ho avuto e i rischi che ho corso... bhe, c'è una ragione. Quando sono rimasta incinta, io e tuo padre eravamo felicissimi. Ma purtroppo non fu una gravidanza tranquilla perché iniziammo quasi subito ad avere paura.
-Paura di cosa, mamma? Di non essere pronti a fare i genitori?
-Eravamo giovani e, certo, avevamo un po' paura di questa nuova vita, ma soprattutto avevamo paura del Conclave. Temevamo che ti portassero via da noi per farti chissà cosa.
-Che cosa poteva volere il Conclave da me?- domandò, confuso. Era solo uno Shadowhunter come tanti altri, forse più in gamba di altri, ma non certo così incredibile.
-Io e Jace abbiamo più sangue d'angelo di qualunque altro Nephilim ed il Conclave era ansioso di scoprire come sarebbe stato nostro figlio. Non ci davano tregua, il Console veniva qui almeno una volta a settimana per informarsi e noi eravamo sempre più nervosi e preoccupati- proseguì, ricordando quei giorni terribili in cui non aveva fatto alto che litigare con il compagno per poi rifugiarsi tra le sue braccia. -Finché... finché non prendemmo la decisione di fuggire. Lasciammo l'Istituto, aiutati da Magnus e dai Lightwood, tentando di mettere più strada possibile tra noi e il Conclave. Ma non durò molto.
-Vuoi dire che riuscirono a trovarvi?
-No, tu eri pronto a venire al mondo. Ero terrorizzata, non riuscivo a calmare tuo padre che non sapeva cosa fare... e chiedemmo aiuto alle nostre famiglie. Purtroppo tutto quello che avevo passato ebbe delle conseguenza sul parto e su di me, ma non mi sono mai pentita di niente.
-Ma poi?- volle sapere il figlio, curioso.
-Il Console non era contento della nostra bravata, affermò anche che non eravamo in grado di accudire un bambino... Jace gli saltò al collo e venne rinchiuso nella Città Silente, Isabelle ed Alec si presero cura di me e di te, mentre Maryse affrontò il Conclave.
La signora Lightwood aveva preso in mano la situazione e parlato ai membri riuniti, a quegli uomini e a quelle donne che prima d'essere Cacciatori erano padri e madri; aveva spiegato tutta la vicenda, esposto il dolore di due genitori di fronte al pericolo di vedersi strappato il proprio figlio. Nessuno aveva avuto il coraggio di puntare il dito contro di loro ed ogni cosa si era conclusa per il meglio.
William era stato comunque sottoposto ad un controllo ed era risultato che in lui non c'era una quantità maggiore di sangue d'angelo né, per il momento, caratteristiche o doni particolari: era un Cacciatore nella norma, che il duro e costante allenamento aveva reso uno dei migliori.
-Quindi non c'è niente di speciale in me.
-Tu sei speciale per tutti noi, Will- ribatté Clary, baciandolo sulla fronte. -E non ha nulla a che vedere con il sangue d'angelo.
-Mamma, secondo te... esistono dei peccati senza perdono? Come quelli di Valentine, ad esempio.
La donna restò in silenzio, riflettendo su quella domanda. Suo padre aveva commesso azioni orribili, aveva ucciso il padre di Jace, cresciuto i suoi figli con una rigida disciplina, rischiato di distruggere Alicante e tutto il loro mondo... Ma non aveva agito per crudeltà: era convinto di inseguire uno scopo nobile e giusto.
-Nessuno può giudicare i peccati di una persona, Will. Nemmeno l'Angelo- rispose infine. -Valentine credeva di fare il bene, credeva d'essere dalla parte della ragione.
-Ma ha ucciso papà, ha ucciso suo figlio...
-L'ho visto piangere sul cadavere di Jace. È difficile da capire, tesoro, me ne rendo conto: ci ho messo anch'io del tempo a comprenderlo- continuò. -Ma se mi stai chiedendo se io l'ho perdonato... bhe, gli sono solo grata perché senza di lui non ci sarei io. Nient'altro. Per il resto, se Dio esiste, è l'unico che può giudicarci.
William annuì, confuso quanto prima: stava per dire a sua madre dell'incontro con la Regina quando la sentì sussultare ed emettere un lieve gemito.
-Mamma?

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Capitolo 10
*** Bevenuta in questo mondo ***


9
9
Benvenuta in questo mondo

William prese il telefono con le mani che gli tremavano per l'agitazione: più di una volta, la cornetta rischiò di sfuggirgli mentre componeva il numero e aspettava, implorando l'Angelo che qualcuno rispondesse.
-Ti prego... ti prego... - ripeté, mentre nel corridoio si susseguivano i passi di Ron e di Cat. -E dai...
Al ventesimo squillo, forse cedendo all'insistenza del Cacciatore, una voce assonnata accolse le sue preghiere.
-Pronto... ?
-Magnus, mia madre! Devi venire subito!
-Will... sono le quattro del mattino- mormorò lo stregone, che aveva afferrato solo poche sillabe confuse. -Torna a dormire... Ne riparliamo domani.
-Magnus! Sta per nascere mia sorella!
-E perché non l'hai detto subito?- ribatté, svegliandosi di colpo.
-È mezz'ora che te lo sto ripetendo- replicò, esasperato.
-Mando un messaggio ad Alec e arrivo. Tu non farti prendere dal panico.
-Sì... va bene- concluse. Come se fosse facile: suo padre era stato in mezzo ai piedi per tutti i nove mesi, stressando sua madre, ed ora che avrebbe dovuto esserci e starle accanto, aveva avuto l'idea geniale di trattenersi ad Alicante.
A volte il destino aveva un umorismo tutto suo.

I tre giovani Cacciatori erano nel corridoio e aspettavano impazienti: avevano camminato avanti e indietro, si erano seduti sul pavimento, si erano rialzati... Quell'attesa snervante li stava uccidendo ed erano trascorsi solo una ventina di minuti da quando Magnus Bane era entrato nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle e lasciandoli lì con il ricordo del suo pigiama verde acido.
Nell'Istituto non si sentiva volare una mosca e i ragazzi si scambiavano occhiate sempre più preoccupate: si fidavano ciecamente dello stregone, ma non ci stava mettendo un po' troppo? Si era forse trattato di un altro falso allarme? Eppure Clary era sembrata sicura quando aveva chiesto loro di chiamare Magnus perché era il momento ed era troppo tardi per l'ospedale.
-Cat, secondo te è tutto a posto?- domandò Will.
-Perché lo chiedi a me, scusa? Non ho ancora avuto dei figli: come faccio a saperlo?!
-Sei una donna, di sicuro ne sai più di noi su certi argomenti.
-Will, è in buone mani- intervenne il suo parabatai, mettendosi al suo fianco. -Cerchiamo di restare calmi: ci sarà già tuo padre ad essere in ansia per tutti.
-Sì...
In quell'istante un vagito si levò dalla camera e risuonò per i corridoi silenziosi.

-Se non avessi conosciuto gli avi di Jace, penserei che tu ed Alec dobbiate spiegare qualcosa- commentò allegramente, mettendole tra le braccia una bimba dalla chioma nera.
-Magnus, non puoi credere davvero... - iniziò, sorpresa. Alec era un uomo bellissimo, ma Clary non l'aveva mai guardato in quel senso.
-Sto scherzando, biscottino- ribatté lo stregone, sedendosi sul bordo del letto. - Inoltre ha il marchio degli Herondale: non può che essere figlia di Jace. Ed è bellissima.
Clarissa osservò la piccola con un sorriso dolce, sfiorandole piano il contorno del viso e poi i piccoli pugnetti che teneva stretti al corpicino: era meravigliosa, semplicemente questo. Sentì un'ondata d'amore invaderle il petto e le posò un lieve bacio sulla testolina piena di capelli scuri, voltandosi poi verso Magnus.
-Grazie.
-E di cosa? Non sapevi che sono anche un perfetto ginecologo?
-Di essere qui.
L'altro la fissò, cercando una risposta adatta e non trovandola: era forse la prima volta che restava senza parole, ma la scena che aveva di fronte era tanto dolce che non gli importò più di tanto.
-Clary!
Jace si precipitò nella stanza come un tornado, bloccandosi poi sulla porta con una mano sulla maniglia e la bocca spalancata: quella cosina in braccio a sua moglie, quell'esserino accanto all'unica donna della sua vita...
-Sei arrivato, finalmente- commentò lo stregone, entrando nel campo visivo del Cacciatore per un istante e imprimendosi nella sua mente come un'indistinta macchia verde acido.
Lo Shadowhunter scosse la testa e avanzò verso Clary, lo sguardo concentrato solo su di lei; si inginocchiò accanto al letto e i suoi occhi incontrarono il volto di sua figlia.
-Allora? Non dici niente?- domandò la donna.
Jace non stava mai in silenzio, amava parlare e non riusciva a tacere per più di due secondi consecutivi. Ma in quell'attimo aveva la gola più arida di un deserto e ogni parola era fuggita dalle sue labbra.
-Jace?- lo chiamò preoccupata.
Anche Magnus, che stava per lasciare la stanza e concedere loro un po' d'intimità, li guardò con una punta d'ansia: che pensasse davvero che lei ed Alec... ?
-Io... ho perso il momento più importante della sua vita- pronunciò infine, sciogliendo la tensione che si era creata nella camera.
-Amore mio... - mormorò la moglie, sollevata. Gli carezzò la guancia e gli sorrise, un sorriso così dolce che Jace si sentì turbato nel profondo. Sorrise di rimando, e Maguns pensò che nella sua espressione c'era una fiducia che non aveva mai visto su un volto umano. Non di recente, almeno.
Rassicurato, il figlio di Lilith uscì, sicuro che fuori dalla stanza avrebbe trovato altre persone da dover tranquillizzare. E forse poteva anche giocare un piccolo scherzo.
Jace nel frattempo si era accomodato al fianco di Clary, passandole un braccio attorno alle spalle e baciandole la testa: era felice come poche volte gli era capitato di essere, felice ed entusiasta. Era di nuovo padre ed era già innamorato della sua bambina.
-Benvenuta in questo mondo, Cecily Herondale- sussurrò, avvolgendo lei e la moglie nel cerchio protettivo delle sue braccia.

-Zio, allora cosa è saltato fuori dalla riunione? Ci sono novità?
-No, nessuna- rispose Alec, che attendeva nel corridoio con i ragazzi, mangiandosi le unghie fino alla carne per il nervosismo. -Magnus sta esaminando un oggetto che è stato ritrovato nei pressi di un cadavere, ma è presto per poter stabilire se ha qualche legame con le vittime e le loro morti.
-Insomma si aspetta finché non ci saranno più mondani.
-Qualcosa del genere, Will- fu costretto ad ammettere. O finché il Conclave non avesse iniziato a ragionare, cosa probabile quanto la colonizzazione di Marte entro l'anno.
Quella sera Isabelle aveva annunciato a tutti la causa di quelle morti, suscitando l'ilarità generale e una pioggia di commenti che era scesa su Alec come una frana di pietre. L'età cominciava a farsi sentire, avevano detto alcuni. La possessione demoniaca aveva come conseguenza la nascita degli stregoni e Magnus si confondeva con l'idillio tra i suoi genitori, avevano detto altri.
E questi erano tra i più gentili.
Sua sorella aveva atteso paziente che tutti tacessero, poi aveva affermato che nessun altro nella sala aveva tirato fuori un'idea intelligente da quando era cominciata quella storia; il figlio di Lilith era stato l'unico ad alzare il suo vecchio sedere mezzosangue per fare qualcosa e aiutare le indagini. Ma i commenti non si erano spenti: erano proseguiti, anche se ridotti a sussurri scambiati alle spalle del Cacciatore.
Aveva cercato di ignorarli, di convincersi che non fossero altro che acqua e lasciarseli scivolare addosso, ma era stato inutile: quell'acqua era peggio dell'icore demoniaco e bruciava pur senza lasciare segni sulla pelle.
Dopo era arrivato un messaggio di fuoco indirizzato a lui e il cuore aveva smesso di battere: persino le voci insistenti e maligne erano svanite di fronte alle poche parole contenute nello scritto.
Muoviti e prega il tuo Angelo” diceva. Abbastanza perché Alec capisse e pregasse, implorandolo ininterrottamente dal momento in cui aveva messo piede nell'Istituto, lasciando che Jace si precipitasse dalla moglie. Pregava Raziel che i suoi incubi non divenissero realtà, perché altrimenti l'intero esercito angelico non sarebbe bastato a placare la furia del suo parabatai. E nessun luogo sarebbe stato sicuro.
Tra la salvezza e la dannazione c'era quella bambina e il sangue che le scorreva nelle vene.
Tra la vita e la morte c'era ancora Valentine e i suoi folli esperimenti da dottor Frankenstein.
E a dividerlo dal verdetto, solo una porta chiusa che pian piano si stava aprendo; il suo compagno uscì con un'espressione indecifrabile.
-Stanno bene?- chiese, travolto poi dalle domande degli altri.
-È bella?
-Possiamo vederla?
-Mi somiglia?
-Sì, Alec, stanno bene. E Sì, Cat, è bella. Ron, penso che tra un attimo potrete entrare senza rischiare il diabete. E Will... - S'interruppe, guardando il giovane: William lo fissava con un sorriso e gli occhi grandi, come un bimbo in attesa di un regalo. -No, non ti somiglia affatto.
-Vuoi dire che ha preso da papà?
-Nemmeno quello. Somiglia ad Alec.
I ragazzi si voltarono all'unisono verso Alexander, con espressioni che andavano dallo stupito all'allibito fino all'assolutamente sconvolto.
-Zio Alec, come hai potuto? Tradire la fiducia di mio padre, del tuo parabatai...
-L'Angelo ti farà delle cose orrende- continuò Cat. -Verrai maledetto, fatto a pezzi...
-E le tue ceneri saranno sparse nelle dimensioni demoniache.
-Oh, sembra davvero orrendo- commentò Ron con aria sofferente. -Spero che ne valesse la pena, Alec.
-Ehi ehi ehi!- esclamò il Cacciatore, portando le mani avanti. -Cos'è questa storia?! Io non ho fatto niente, posso giurarlo sull'Angelo! Magnus, che razza di voci metti in giro?!- urlò paonazzo.
Lo stregone scoppiò a ridere, guadagnandosi un'occhiata furiosa da parte del compagno.
-Ragazzi, siete davvero divertenti. Jace non ha un palco di corna e sulla fedeltà di Alec non ho il minimo dubbio- spiegò, calmandosi. -Un tuo antenato, Will, aveva i capelli scuri e gli occhi azzurri proprio come Alec. Infatti c'è un po' di sangue Herondale nei Lightwood.
-Quindi mia sorella ha ereditato l'aspetto dei precedenti Herondale?
-Esatto. La prossima volta che vieni da noi ti mostrerò una foto che ritrae proprio quella persona. Ora è il caso di avvisare i Fratelli Silenti: dovranno preparare il rituale di protezione per la piccola.
-Ci penso io- decise Alec, intenzionato a sbrigare al più presto quella formalità. Una volta apposti gli incantesimi, avrebbe potuto dormire di nuovo tranquillo e preoccuparsi soltanto delle candeline sulla torta di compleanno del suo amato. -Dirò loro di fare il prima possibile- assicurò, allontanandosi diretto alla Città Silente. Sapeva che non era gentile nei confronti di Jace, che certo ci teneva alla sua presenza in quel momento tanto importante, ma ci sarebbe stato tempo per coccolare e viziare la nipotina: ora doveva preoccuparsi di ritrovare la quiete e gettare in un angolo ogni angoscia.
-Poteva anche aspettare cinque minuti- commentò William, inarcando un sopracciglio: quella di suo zio pareva una fuga e anche piuttosto precipitosa. -A mio padre dispiacerà.
-Tornerà prima di quanto pensi. Inoltre, sai anche tu quanto sia importante questo rituale, no? Prima lo si fa e prima saremo tutti certi che la piccola è al sicuro- rispose Magnus, tentando di spostare altrove l'argomento. -Ora, piccoli Shadowhunters, che ne dite di conoscere il nuovo acquisto dell'Istituto?

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Capitolo 11
*** Nulla di naturale ***


10
10
Nulla di naturale

William si lasciò cadere sfatto sul letto: sua sorella Cecily aveva un giorno solamente e lui aveva già stabilito senza alcuna ombra di dubbio che cacciare demoni per 48 ore di fila era meno faticoso che occuparsi di un neonato.
-Se un giorno dovessi dirti che voglio diventare padre, sei autorizzato a trapassarmi con una spada- annunciò, affondando il viso nel cuscino e sollevando un braccio. -E, possibilmente, uccidimi.
-Tralasciando il dettaglio che fare un figlio con te non rientri nella lista dei miei desideri... non capisco cos'hai da lamentarti: Cecily è un angioletto- replicò il suo parabatai, sedendosi a terra e raccogliendo uno dei tanti libri sul pavimento.
-Non parlavo di Cecily- ribatté, alzando la testa con una smorfia disgustata. -Mi riferivo ai miei genitori.
-Cos'hanno combinato? Hanno già in cantiere un altro fratellino?
-Per l'Angelo, no!- esclamò atterrito. -Sono già abbastanza insopportabili così... tutti zucchero, bacetti e frasette che farebbero cariare anche una dentiera. Che razza di esempio vogliono dare alla mia sorellina? Ho dovuto tenerla lontana da loro per evitare che assistesse a scene rivoltanti e non oso immaginare cosa stiano combinando adesso. Si staranno rendendo ridicoli davanti a Fratello Zaccaria.
Ronald scoppiò a ridere, immaginando l'amico alle prese con biberon e pannolini: era un peccato esserselo perso per dare la caccia al loro nemico.
-Ho bisogno di un bel racconto da Cacciatori. Dimmi che avete ingaggiato una sanguinosa e cruenta battaglia contro un qualche demone raccapricciante.
-Mi dispiace deluderti, Will, ma è stata una vera noia. Probabilmente la notte più tranquilla da quando sono nati i Nephilim- replicò, osservando le pile di libri disposte in precarie strutture accanto alla scrivania. -Però potrebbe essere emozionante rimettere in ordine questa stanza: scommetto che non ricordi nemmeno più che c'è un pavimento sotto tutte queste cose.
-Davvero spiritoso, sembri mio padre. E poi non c'è così tanto disordine.
-Tu dici?- ironizzò, volgendo lo sguardo tutt'intorno. -Quella cos'è? Una riproduzione della Statua della Libertà fatta con le cartacce? E quelli? Mi chiedo se hai ancora dei vestiti nell'armadio, visto che sono tutti sparsi ovunque. Dai, ti darò una mano se ti decidi ad alzarti e iniziare.
William sospirò valutando che forse Ron non aveva tutti i torti: in mezzo a quel caos si sarebbe potuta annidare tranquillamente una squadra di demoni. Ed era un modo come un altro per non pensare a quanto fossero imbarazzanti e mielosi i suoi genitori.
-Affare fatto, ma hai promesso di aiutarmi.
-Finalmente rivedremo com'è fatta la stanza- commentò il compagno, alzandosi. -Vado a prendere dei sacchi per lo sporco: ne avremo bisogno.
-Vedi di tornare, però- gli urlò dietro l'amico. -Non usarlo come scusa per sparire e lasciarmi tutto il lavoro.
Ronald rispose qualcosa dal corridoio, ma William non lo sentì; brontolò un'ultima volta prima di abbandonare il letto e decidere da che parte iniziare: c'era solo l'imbarazzo della scelta, dopotutto. Effettivamente era passato un po' dall'ultima ripulita generale. Forse un po' troppo.
-Cominciamo- si incitò, avvicinandosi al comodino e scostando i libri per metterli insieme agli altri e riporli poi sulla mensola. -E questo cosa... ?
Sul piccolo mobile c'erano dei frammenti di vetro sparsi tra le cianfrusaglie, e il ragazzo si ricordò della piccola sfera raccolta nel vicolo alcune notti prima: probabilmente vi aveva appoggiato sopra qualcosa e l'aveva rotta inavvertitamente.
-Poco male- concluse, prendendo il cestino e gettandovi i cocci. -Era solo uno stupido giocattolo mondano.

-Alec, ti vuoi calmare, per favore? Non riesco a concentrarmi con te che continui avanti e indietro per la stanza come il fantasma di Canterville- brontolò Magnus, facendo voltare la sedia girevole per guardare in faccia il compagno. -Il rituale inizierà a breve e il suo esito non cambierà solo perché hai fatto un solco nel pavimento.
-Lo so benissimo, ma non riesco comunque a restare tranquillo come fai tu. Cecily...
-Cecily è al sicuro e nessuno le farà del male. In qualsiasi caso.
Alexander annuì, sedendosi scompostamente sul divano e dedicando più attenzione ai fogli caduti dalla scrivania dello stregone: il fidanzato stava ancora lavorando ai simboli rinvenuti sui frammenti di vetro. Era decisamente più bravo di lui nell'arte della tolleranza e dell'indifferenza: riusciva ad aiutare anche chi sputava su di loro e sulla loro relazione, mentre il Nephilim trovava già arduo uno stentato saluto poco convinto. Certo, era pur vero che il figlio di Lilith si impegnava anche per il Cacciatore; anzi, forse il motivo di tanta solerzia era solo quello: se Alec non fosse stato il suo innamorato, Alicante avrebbe dovuto svuotare le casse per pagare uno solo dei servigi del Nascosto. O avrebbe mandato l'Inquisitore a fare minacce, come sempre: erano l'arma più potente del Conclave. E anche l'unica.
Sua sorella Isabelle era a capo di un fragile castello di carte dalla funzione puramente simbolica e, malgrado i suoi sforzi, non poteva tenere insieme qualcosa che era sfasciato da anni di contrasti e incomprensioni. La guerra contro Sebastian e i suoi Cacciatori oscuri li aveva resi ancora più divisi e diffidenti: c'era sempre chi non mancava di evidenziare quelli tra loro che avevano voltato le spalle a Raziel e li avevano traditi.
Alec non voleva pensare a cosa sarebbe potuto accadere se una nuova battaglia avesse bussato alle porte di Alicante, se ancora una volta gli Shadowhunters fossero stati chiamati a scegliere da che lato schierarsi. Costretti a scegliere se uccidere un demone o un fratello.
Il Nephilim sperava che quel giorno non arrivasse mai perché aveva ancora davanti agli occhi le immagini di quella lotta assurda e violenta; ma la serietà con cui Magnus svolgeva le sue ricerche lo spingeva a credere che non ci fosse più spazio per le preghiere.
L'Angelo era sordo anche alle voci dei suoi figli.

Clarissa strinse al petto la sua bambina, gettando occhiate preoccupate a Fratello Zaccaria e alla Sorella di Ferro che l'uomo aveva presentato come Sorella Lucie: sapeva benissimo quanto fosse importante il rituale, ma non poteva fare a meno d'essere nervosa. Ci era già passata con William, conosceva quell'angoscia e quel senso di soffocamento di fronte all'ignoto: Cecily aveva sangue d'angelo, era la loro figlia. Poteva essere eccezionale, avere poteri fuori dal comune.
In quel caso il Conclave avrebbe potuto nutrine strani e pericolosi progetti su di lei.
-Non c'è niente da temere- disse Jace, quasi le avesse letto nel pensiero.
-Ci hanno già provato.
-Già e il Console si è ritrovato un braccio rotto, per non parlare di una marea di lividi e maledizioni.
-E tu sei stato rinchiuso nella Città Silente. Non ci tengo a ripetere l'esperienza.
-Eravamo dei ragazzini, Clary. Ora siamo in grado di affrontare qualsiasi cosa.
-Sì, forse hai ragione tu.
-Jonathan, Clarissa, siamo pronti- annunciò Fratello Zaccaria, parlando nelle loro menti.
La donna scambiò un ultimo sguardo con il marito, poi posò la sua creatura sul letto ed uscì dalla stanza, stritolando la mano di Jace mentre quest'ultimo chiudeva la porta.
Tutto era avvolto da un silenzio irreale, tutto era immobile, cristallizzato nel tempo.
Poi un suono ruppe la quiete.
Cecily iniziò a piangere.
Un brivido gelato percorse l'intero Istituto e i suoi abitanti perché non c'era nulla di naturale in quel suono. Era stonato e agghiacciante quanto lo stridere di un gesso sulla lavagna.

Catherine lasciò cadere il pugnale, che si conficcò con la punta nel pavimento.
Ronald perse la presa sul sacco dello sporco e le cartacce si riversarono nuovamente sul tappeto.
William abbandonò a terra la pila di vestiti che stava sistemando nell'armadio.
Clary e Jace si precipitarono nella stanza in preda al panico.

Sorella Lucie alzò gli occhi su Fratello Zaccaria, avvertendo la sua stessa confusione ed incredulità: mai avevano assistito a qualcosa del genere.
-Che diavolo state facendo a mia figlia?!- ruggì Jace.
Il Fratello Silente osservò quei due che aveva visto crescere e costruire una famiglia, cercando dentro di sé le parole adatte, quelle meno dure.
-Purtroppo non ci è possibile completare il rituale.
-Che significa? Avete perso il manuale, forse?
-No, è sorta una complicazione che non ci aspettavamo.
-Ma Cecily sta bene?- chiese Clary, sentendosi mancare il respiro. Era come un incubo che diventava realtà.
-Sì, vostra figlia è sana e salva, ma...
-Ma cosa?! Non abbiamo tempo per questi giochetti, Fratello Zaccaria!
-Cecily è un demone.

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Capitolo 12
*** Non questa volta ***


11
11
Non questa volta

L'Istituto era avvolto dal silenzio e dalla tensione.
William ci si aggirava inquieto senza trovare pace: i suoi genitori erano svaniti nella notte insieme a Cecily, senza dare alcuna spiegazione e mille scenari catastrofici si affollavano nella mente del giovane.
-Perché non ci fanno sapere qualcosa, maledizione!- urlò, picchiando un pugno alla parete. -Non pensano che magari ci stiamo preoccupando per loro?!
-Will, forse ci stiamo fasciando la testa per nulla- tentò di calmarlo Catherine. -Forse tua sorella ha più sangue angelico rispetto a te.
-Fantastico, così il Conclave le farà tutti i folli esperimenti che non ha potuto fare su di me.
-Isabelle non lo permetterebbe mai, lo sai- ribatté il suo parabatai.
-Ma chi vogliamo prendere in giro, Ron? Non ha alcun potere in quella gabbia di matti, è solo un bersaglio per le accuse.
I due ragazzi si zittirono, incapaci di replicare: come potevano placare la tempesta nell'animo dell'amico se loro erano i primi ad essere spaventati? Il ricordo di quel pianto ghiacciava loro il sangue nelle vene: non era affatto quello di un neonato ma pareva più il verso di un demone che veniva ucciso.
-Cecily ha qualcosa che non va- disse infine il Nephilim, posando la testa contro il muro. Era quella la verità, era inutile girarci intorno e fingere che ci potessero essere altre ragioni: interrompere un rituale era sinonimo solo di una cosa grave e seria. Sua sorella aveva un problema, anche se Will non aveva idea di quale fosse.
-Qualcosa a parte un fratello come te, intendi?- affermò Ronald con un sorriso. -In questo caso non c'è che una soluzione: restare uniti, come sempre, perché siamo una famiglia e anche lei ne fa parte. Se il Conclave ha in mente di usarla come cavia, noi gli faremo cambiare idea: non ci fanno paura.
-Ron ha ragione: Cecily è una di noi.
William li fissò: il suo parabatai, suo fratello, una parte della sua anima, e la sua amica più cara, sua sorella, l'unica che potesse tenergli testa. Per lui si sarebbero gettati all'Inferno e ne sarebbero tornati, così come Will avrebbe fatto lo stesso per loro. Ma stavolta la loro lealtà e il loro coraggio non bastavano a scacciare i suoi timori: la sua sorellina era chissà dove, magari stava piangendo e nessuno la consolava. E se avessero rinchiuso di nuovo i genitori nella Città Silente o ad Alicante? Se il Conclave si fosse già impadronito di Cecily?
Lui doveva scoprirlo o sarebbe impazzito.
-Voi restate a guardia dell'Istituto- ordinò, lasciando il salotto a passo svelto. -Io torno il prima possibile.
-Will! Dove stai andando? Will!- esclamò Cat, tentando di inseguirlo. Ma Ron la trattenne, scuotendo la testa: per quanto gli volessero bene e fossero decisi ad aiutarlo, c'erano cose che doveva fare da solo e luoghi in cui non potevano accompagnarlo. Dovevano solo aspettare ed avere fiducia, in lui e nell'Angelo.

Jace teneva Clary tra le braccia, senza pronunciare parola: le aveva consumate tutte ormai e nessuna era servita a dargli delle risposte. Nessuna aveva lenito il dolore del suo cuore.

-Cecily è un demone.
Il tempo parve fermarsi a quella frase pronunciata con una semplicità disarmante: come poteva essere? Al massimo poteva essere un angelo, non certo un demone... era impossibile.
-Fratello Zaccaria, se è uno scherzo non mi fa ridere.
-Vorrei che lo fosse, Jonathan, ma purtroppo non è così. Vostra figlia ha una natura demoniaca che rifiuta il rituale- rispose l'uomo. -Continuare con gli incantesimi la ucciderebbe.
-Ma come può essere?- intervenne Clary, recuperando la voce. Non potevano dirle che la sua bambina era un demone e pretendere che lo accettasse senza chiedere una spiegazione. Non era Jocelyn che aveva semplicemente voltato le spalle al figlio una volta scoperto cos'era. -Può essere che sia solo... posseduta da un demone... ?
-È troppo presto per affermarlo con certezza, ma insieme ai Fratelli troveremo le risposte e una soluzione.
-Me lo auguro per voi- ringhiò il Nephilim.
Clarissa gli posò una mano sul braccio: aveva bisogno di lui e del suo sostegno in quel momento, non potevano permettersi di perdere la testa e creare altri problemi. Anche se dentro di loro ruggivano come leoni a cui veniva strappato un cucciolo.
-Fratello Zaccaria, una volta mi hai confidato di aver amato due persone in passato. Pensa a Cecily come ad una di queste, ti prego.
-Lo farò, Clarissa. Gli Herondale avranno sempre un posto speciale nel mio cuore.

Non avevano avuto né tempo né modo di avvisare i ragazzi e poteva ben immaginare quanto dovessero essere preoccupati: William non avrebbe atteso ancora per molto e a momenti si sarebbe precipitato lì o avrebbe rivoltato Alicante come un calzino pur di trovarli.
Ma cosa potevano raccontargli? Anche loro aspettavano da ore che i Fratelli uscissero dalla Sala delle Stelle Parlanti con un responso, ma per il momento tutto taceva.
Jace sopportava quell'attesa snervante solo per Clary, per restarle vicino e sostenere il suo dolore: non poteva abbandonarla per andare a sterminare demoni e sfogare quella furia che gli opprimeva il cuore. Non era più un ragazzino, aveva delle responsabilità e delle persone che contavano su di lui.
E, in ogni caso, estinguere demoni non avrebbe riaggiustato il suo cuore. Forse Izzy aveva ragione, forse quando un cuore si rompeva non c'era modo di rimettere insieme i pezzi. Forse quel dolore durava per sempre.
Improvvisamente udì della confusione all'esterno della Città e Fratello Zaccaria uscì dalla Sala con due confratelli.
-È arrivato Will- mormorò il Nephilim alla compagna.

Nel frattempo la notizia del rituale interrotto e del trasferimento di Cecily alla Città Silente aveva già raggiunto la casa dell'Alto Stregone di Brooklyn, come facevano tutte le notizie del mondo magico.
Come avevano predetto i tarocchi, le promesse non mantenute e le decisioni rimandate alla fine si erano rivelate in tutta la loro devastante potenza.
-Pensi sia come temiamo?- domandò Alec, torturandosi i capelli neri. Non poteva essere così, non voleva nemmeno concepire una simile eventualità.
-Non conosco molti motivi per cui non si possa svolgere il rituale, Alec.
-E ora che facciamo?
Magnus gli rivolse un'occhiata glaciale, facendo brillare i suoi occhi felini.
-Secondo te?- chiese con tono accusatore, pungendo sul vivo il compagno.
-Pensi che sia facile? Che mi piaccia questa situazione?
-A giudicare da come ti comporti, si direbbe di sì, Alec. Quando Clary era incinta di Will, hai avuto nove mesi per raccontare loro quello che avevamo scoperto e non l'hai fatto. Poi tutto è finito bene e tu hai preferito tacere. Ora hai avuto altri nove mesi, ma hai trovato ogni scusa possibile per evitare di parlargliene. Stavolta però non ti è andata bene- proseguì inclemente. -Adesso che intenzioni hai? Conti di restare lì ad aspettare che passi tutto? In questo caso la notizia del giorno è che non passerà, anzi, sarà sempre peggio. Se tutto questo ti piace sei libero di crogiolarti in quest'assurdità: io vado a parlare con Clary e Jace come avrei dovuto fare dall'inizio. Sappi però che mi deludi molto: ti credevo più maturo e responsabile.
Alec scattò: sapeva di essere nel torto e di meritare quelle accuse, ma sapeva anche che le sue azioni non erano state dettate dalla codardia come sembrava credere Magnus. Jace non era solo un amico o un fratello: era il suo parabatai, il loro era un legame che andava oltre ogni concezione di affetto o di amore. Lo stregone non poteva capire, non poteva comprenderlo: Alec stava soffrendo per l'amico, soffriva di quel dolore che, tacendo, aveva sperato di risparmiargli.
-Scusa se non ho più di 800 anni e me ne frega qualcosa dei sentimenti degli altri! Scusa se non ho la tua saggezza secolare e commetto degli errori!- urlò. -E scusa se sei stato costretto a diventare mortale per stare accanto ad una delusione come me!
Ma alle sue provocazioni rispose solo il rumore della porta che veniva chiusa.

-Questo non è il luogo adatto ad un bambino.
-Fratello Zaccaria, spostati o sarò costretto a fare qualcosa di cui poi mi pentirò di certo- ribatté William sfoderando una spada. Pretendeva delle risposte e non se ne sarebbe andato prima di averle avute. -Né tu né gli altri Fratelli mi impedirete di entrare e vedere se mia sorella sta bene.
-La piccola Cecily è al sicuro. Puoi tornare al tuo Istituto.
-Non puoi aspettarti che mi basti sentirtelo dire! È mia sorella, dannazione! Al mio posto riusciresti a fare il tuo lavoro come se niente fosse?!
-William Herondale... - pronunciò l'uomo con tono paziente. Entrando nella Confraternita aveva rinunciato a tutto. Aveva perso tutto. -Non credere che non sappia cosa stai provando. Ma compiere una strage nella Città Silente non sarà d'aiuto a tua sorella.
-Non m'importa quanti cadaveri dovrò calpestare per arrivare a lei. Io passerò, a costo di dover distruggere la Città.
Fratello Zaccaria si concesse un sorriso tra le pieghe del cappuccio: quella testardaggine incrollabile, quell'ardore indomito, gli erano ben noti. Vi aveva combattuto per anni quand'era un ragazzo. E un altro William si sovrappose a quello che gli stava di fronte, un William ormai uomo, dalla chioma nera e gli occhi di un blu profondo quanto il mare in tempesta...

-Non mi importa se i Fratelli Silenti dicono che è proibito e non te lo permetteranno: tu sarai lì quando nascerà mio figlio, a costo di dover distruggere la Città Silente per tirarti fuori.

Quanti secoli erano trascorsi? A lui parevano passati pochi istanti e quei ricordi erano ancora più vividi quando incontrava gli Herondale: in ognuno di loro c'era qualcosa dell'amico che aveva amato un tempo, a cui era ancora legato, quasi che non fosse mai morto.
-I Cacciatori sono nostri fratelli e tutti loro ci stanno a cuore. Non hai forse fiducia nelle nostre cure?
-Cure?- ripeté William con apprensione. -Cecily è malata?
-Non temere per tua sorella: io proteggerò sempre la vostra famiglia, anche se questo dovesse portarmi contro il mio stesso Ordine.
Il ragazzo abbassò l'arma, convinto. Fissò per un attimo la spada, chiedendosi cosa diavolo gli fosse saltato in mente: non avevano abbastanza guai? Avrebbe dovuto dimostrarsi maturo e gestire l'Istituto in attesa dei genitori, invece si comportava come un moccioso.
-Perdonami, non so cosa mi sia preso.
-La devozione che nutri verso la tua famiglia ti fa onore, non devi scusartene. Cerca però di non lasciarti travolgere dalle emozioni.
-Me ne ricorderò. Ora però voglio la verità.
La verità.
Era nei suoi diritti conoscerla. Ma come poteva confessargliela?
William ne sarebbe stato distrutto, avrebbe di sicuro commesso qualche follia o si sarebbe gettato in un'impresa suicida. D'altro canto, non avrebbe mosso un passo senza aver ricevuto quanto aveva chiesto.
-Seguimi, allora.

-Papà, mamma.
-Will- disse Clary, abbracciando il figlio.
Il ragazzo la strinse a sé, avvertendo il suo dolore in ogni singolo muscolo del corpo della madre: le sfiorò piano la schiena, cercando gli occhi di suo padre e trovandovi la stessa sofferenza.
-Cosa... cosa sta succedendo?- domandò. -Dov'è Cecily?
-È nella Sala delle Stelle Parlanti, con i miei Confratelli- rispose Fratello Zaccaria, avvicinandosi. -Nessuno di loro le sta facendo del male: i tuoi genitori possono confermartelo.
-Ma non mi avete ancora spiegato che diavolo sta accadendo- replicò William, stanco di quei misteri. Non era più un bambino: voleva sapere, voleva capire. Quelle mezze frasi gli stavano solo facendo perdere la pazienza.
Jace gli si portò di fronte, costringendolo a sedersi con un gesto deciso.
-Non ci sono molti modi per dirtelo. Tua sorella... è un demone.
Lo sguardo smeraldo del giovane si spostò rapido sui presenti, aspettando che uno di loro scoppiasse a ridere e ammettesse che si trattava soltanto di uno scherzo. Di pessimo gusto, certo, ma pur sempre uno scherzo. Ma i secondi scorrevano e nessuno accennava a un sorriso.
Quella era la verità che aveva cercato, quella per cui era disposto ad uccidere.
-Co... come?- balbettò incredulo. Non poteva essere, lui rifiutava di crederci: i suoi genitori avevano sangue d'angelo in abbondanza ed era assolutamente impossibile che dalla loro unione nascesse un demone.
Lui non era un demone, tanto per cominciare, quindi non poteva credere che Cecily lo fosse.
-Però sta bene? Posso vederla?
Fratello Zaccaria annuì e lo scortò con gentilezza fino alla Sala: la sua sorellina si trovava al centro e dormiva tranquilla in una sorta di culla un po' rudimentale. Will le accarezzò i capelli scuri e seguì i contorni paffuti del suo piccolo volto: come poteva celare in sé un demone? Sembrava il ritratto dell'innocenza, non del demonio.
-Troverete un modo per salvarla, vero?- chiese, senza staccarle gli occhi di dosso. -Non... non la abbandonerete al suo destino...
-Posso giurartelo, ragazzo. Io non la abbandonerò mai.
-Allora posso andare a casa- concluse, separandosi dalla sorella. -E... bhe, cerca di avere cura anche dei miei genitori: non sono forti come vorrebbero apparire.
-Cercherò di fare anche questo, William.
Il Nephilim lasciò la stanza, congedandosi dai genitori.
-Penserò io ad avvertire la zia e il Conclave: questo è più importante dei loro impegni.
-Will, so che non ha senso dirtelo, ma sii prudente, mi raccomando.
-Stai tranquilla, mamma, lo sarò- replicò con un sorriso. Perché nessun genitore che si rispettasse, mondano o Cacciatore, sarebbe stato disposto a farsi da parte e dire: “Certo. Rischia pure la tua vita. Dopotutto, qui c’è in ballo la salvezza del mondo.” -Voi cercate di darci notizie appena ci saranno dei... cambiamenti.
Li salutò ancora e poi lasciò la Città, scoprendo di non essere l'unico visitatore di quel giorno.
-Magnus?- lo riconobbe sorpreso. -Sei qui per Cecily?
-In un certo senso. Sono qui per dare il mio aiuto, anche se non so quanto sarà gradito.
-Scherzi? Tu sei l'Alto Stregone di Brooklyn, conosci tutto e sai tutto. Se c'è qualcuno che può aiutare mia sorella sei tu.
-Non questa volta- ribatté con tono stanco, posandogli una mano sulla spalla e superandolo.

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