City of Demons (Città dei Demoni) di redeagle86 (/viewuser.php?uid=18092)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Regali ***
Capitolo 3: *** In una torre d'avorio ***
Capitolo 4: *** Suo figlio ***
Capitolo 5: *** Alicante dalle torri di vetro ***
Capitolo 6: *** Un mondo troppo grande e cattivo ***
Capitolo 7: *** Oscurità senza fine ***
Capitolo 8: *** Passi avanti, passi indietro ***
Capitolo 9: *** Peccati senza perdono ***
Capitolo 10: *** Bevenuta in questo mondo ***
Capitolo 11: *** Nulla di naturale ***
Capitolo 12: *** Non questa volta ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
City of demons
Città dei demoni
“La vita e la morte sono un unico incastro, aveva detto Erbrow.
La morte degli uni è incastrata nella vita degli altri”
(L'ultimo elfo)
Prologo
“-Noi abbiamo lo stesso sangue, Clarissa. Puoi continuare a negare e a raccontarti che non ci somigliamo, ma siamo entrambi dei Morgenstern.
Clary si volse a guardare Sebastian, seduto su un muretto con la veduta di Parigi che si stagliava alle sue spalle: sarebbe stato bello poter pensare d'essere lì in vacanza con il proprio fratello, ma la verità era ben diversa.
E Jonathan Christopher Morgenster non sarebbe mai stato suo fratello.
Il sangue non creava amore, altrimenti lei non avrebbe ucciso suo padre senza provare rimpianti, senza versare una sola lacrima.
Lui aveva sangue di demone nelle vene, lei d'angelo. Non avevano nulla in comune.
Lei lo odiava, lui non provava sentimenti quindi non odiava. Non avrebbero mai avuto nulla in comune.
-Un cognome non può legare due persone. Specialmente se una delle due è un assassino.
-Lo siamo entrambi, sorellina. Anche se aver ucciso Valentine non ti sembra un omicidio. Le nostre mani sono fatte per stroncare vite: non c'è altra via per noi.”
Sebastian si trascinava sanguinante lungo il sentiero che portava alla casa in cui era cresciuto: sapeva che quell'edificio non esisteva più, come tutto ciò che aveva a che fare con il suo passato, ma sentiva il bisogno di recarsi lì per esalare il suo ultimo respiro. Una seconda volta.
Sua sorella alla fine si era rivelata per ciò che era: una Morgenstern fino al midollo, come lui le aveva ripetuto durante la loro convivenza. Uccidere ciò che si riteneva il male non cambiava la realtà dei fatti e loro erano due assassini: l'unica differenza era che Sebastian non giustificava le sue azioni con il paravento della giustizia.
E Clarissa era una vera puttana: prima si era fatta travolgere da un ritardato risveglio di coscienza nel vederlo senza un braccio, poi lo aveva trapassato con una spada nella speranza di eliminarlo. Aveva davvero un amore di famiglia: prima suo fratello e dopo sua sorella. Essere trafitto dai famigliari stava diventando un'abitudine, ormai. Se aggiungeva l'odio di sua madre e le frustate di suo padre, aveva uno splendido quadretto.
-Una vita che farebbe invidia a chiunque- pensò, crollando a terra. Aveva perso troppo sangue da troppe ferite e l'unica mano che era riuscito a salvare nella battaglia era la sinistra, con cui non era in grado di tracciare marchi.
Con la testa posata sulla terra umida e il respiro leggero, il giovane si chiese se la sua storia avrebbe potuto prendere una strada diversa se fosse cresciuto come Clary, circondato dall'amore di un genitore, dagli amici, con una ragazza di cui innamorarsi...
Forse non sarebbe cambiato nulla, forse il suo sangue avrebbe macchiato ogni cosa perché lui era corrotto ancor prima di venire al mondo.
Brucerà la sua umanità, come il veleno brucia la vita nel sangue.
Valentine aveva scelto per i suoi figli ed aveva pagato con la vita; Sebastian pagava per una natura che non aveva voluto e non poteva combattere.
-Andate tutti all'Inferno...- imprecò, tentando inutilmente di rialzarsi. Era la fine: aveva perso, i suoi sogni di gloria erano crollati come castelli di carte e lui moriva con la faccia nel fango. Un finale epico, senza ombra di dubbio.
Clary e i suoi amichetti avrebbero avuto il loro “per sempre felici e contenti” e tutti si sarebbero presto dimenticati della sua esistenza. Non c'era nessun segno del suo passaggio, solo una sconfitta.
-Ave atque vale- sussurrò.
Non è ancora giunta la tua ora, Jonathan Christopher Morgenstern.
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Capitolo 2 *** Regali ***
1cap
Per
gli amanti e per gli scheletri
Parte
Prima
“Inoltrarsi
nell’armadio di casa, allo stesso tempo, conforta, sorprende,
scuote.
Gli
armadi fanno paura.
Scricchiolano
di notte, sono i nascondigli per gli amanti e per gli scheletri.
La
gente sa che, in fondo all’armadio, in quei cassetti segreti
che
si conoscono e che ciclicamente si rimuovono, esistono,
come
oggetti di un puzzle che non si completerà mai,
quei
vestiti acquistati e mai messi.”
(Gianfranco
Brevetto)
1
Regali
La
musica martellante che scuoteva le pareti del Pandemonium rimbombava
anche all'esterno, dove i ragazzi attendevano impazienti di poter
entrare nel locale. Era una notte come tante altre a New York. Una
notte come tante altre nel mondo dei mondani.
Ma
per la ragazza distesa sull'asfalto di un vicolo buio, non ci
sarebbero state altre notti. Era sdraiata a terra in modo scomposto,
gli occhi spalancati in un'espressione di puro terrore e nessuna
ferita sul corpo.
-Credi
sia opera di un Nascosto?
William
Herondale, chino sul cadavere, scosse la testa: vampiri e licantropi
lasciavano chiari segni sulle loro sfortunate vittime, le fate erano
ben controllate dalla Regina e non c'erano indizi che portassero agli
stregoni.
-No,
direi piuttosto un demone, anche se non saprei di che tipo- rispose,
abbassando le palpebre della fanciulla e notando un oggetto
scintillare vicino a lei.
-Hai
trovato qualcosa?
-Non
lo so, forse nulla di importante- disse. La sua mano raccolse una
piccola sfera trasparente poco più grande di una biglia: la
rigirò
tra le dita e per un istante gli sembrò di scorgere un'ombra al
suo
interno. Durò meno di un secondo e, vedendo che non si ripeteva,
il
giovane pensò di averlo immaginato.
Forse
negli ultimi tempi stava lavorando troppo, ma non poteva fare
diversamente: con sua madre al termine della gravidanza e suo padre
in perenne stato d'ansia, l'Istituto si ritrovava con tre Cacciatori
invece di cinque. In effetti avrebbe potuto chiedere un aiuto ai suoi
zii che di certo non si sarebbero tirati indietro, ma non erano
più
dei ragazzini: la vita da Shadowhunters era un ricordo per loro.
Ovviamente
sarebbe morto piuttosto che farsi sentire a pronunciare una cosa
simile.
-Che
poi è la fine che farei se lo sapessero- pensò, alzandosi
e
riponendo la sfera in una tasca.
-Torniamo
a casa, Ron. Non c'è più niente che possiamo fare qui. A
meno che
tu non voglia fare un salto dentro senza bisogno di fare la fila.
-William,
possibile che divertirti sia il tuo unico pensiero?- ribatté il
compagno.
-Viviamo
una volta sola e facciamo un lavoro schifoso di cui nessuno si
accorge- brontolò l'altro. -Vuoi forse invocare Raziel
perché
punisca il mio desiderio di divertimento?
-Oh,
piantala- sbottò l'amico. Affondò le mani nelle tasche
dei
pantaloni e uscì dal vicolo, voltandosi ad attendere William. -E
sentiamo, genio: conti di lasciare le armi al guardaroba?
-Dici
che mi conviene chiedere il numero per poterle ritirare? Viviamo a
New York, dopotutto: chiunque gira armato- affermò con tono
serio.
-Ora
ho capito perché hai voluto essere il mio parabatai: volevi
avere
qualcuno da tormentare fino all'ultimo dei tuoi giorni, ammettilo.
L'interpellato
gli rivolse un sorriso smagliante, che si estese ai suoi occhi verdi,
mentre intrecciava le dita sulla nuca.
-Mi
hai scoperto, anche se il mio piano era di essere la tua croce anche
dopo la morte.
-Che
l'Angelo me ne scampi- implorò Ron, camminando al suo fianco.
-Muoviamoci: dobbiamo fare rapporto sul ritrovamento e...
-E
sperare che mio padre abbia finalmente recuperato la ragione. O che
mia madre l'abbia legato e spedito a Idris per un viaggio di sola
andata.
-Non
ti fa piacere sapere che sono ancora così innamorati? Non sono
molte
le coppie come loro, oggigiorno: ti invidio molto per questo.
William
lo guardò, mordendosi la lingua: non pensava mai prima di
parlare ed
era un difetto che l'avrebbe portato alla rovina. Dimenticava sempre
che i genitori del compagno erano separati da anni al contrario dei
suoi che sembravano due adolescenti alla loro prima cotta. Li trovava
vomitevoli ed imbarazzanti, ma crescere in mezzo a mille litigi
doveva essere molto peggio.
-Cavoli,
Ron, non posso nemmeno regalarteli per un po' così ti sorbisci i
loro cuoricini: viviamo insieme e sei già pervaso dal loro mondo
rosa e romantico- si lamentò, gonfiando le guance in un modo che
strappò una risata sincera al suo parabatai.
-Ah,
Will... - sospirò, scuotendo la testa. -Temo che questo sia
niente
in confronto a quando nascerà tua sorella.
-È
questo che mi spaventa.
-Jonathan
Christopher Herondale, se non ti siedi immediatamente,
convocherò il
Conclave perché ti rinchiudano ad Alicante!
-Ma...
Clary, sono preoccupato per te e per nostra figlia...
-Jace,
tu sei preoccupato e me sta venendo un esaurimento!
Clarissa
Adele Morgenstern era ufficialmente stufa di quella creatura
assillante ed insopportabile in cui si era trasformato suo marito. Da
quando gli aveva annunciato d'essere incinta, il suo spavaldo e
coraggioso Cacciatore era diventato una mamma-chioccia che a malapena
le permetteva di alzarsi dal letto. Ogni giorno di quei lunghi nove
mesi era stata sul punto di creare una Runa che lo mettesse fuori
gioco fino al parto, ma poi si ricordava le complicazioni avute con
William, il terrore che aveva letto negli occhi di Jace... e tutto si
concludeva con un respiro profondo.
Dopotutto
era stata lei ad insistere per avere quella bambina e le erano
occorsi sedici anni per convincere il compagno che non le sarebbe
accaduto nulla.
-Andrà
tutto bene- gli ripeté per la centesima volta. -Sei stato
talmente
attento a tutto che è impossibile che qualcosa vada storto. Come
puoi darmi forza se sembri sempre seduto su una bomba pronta ad
esplodere?
-Hai
ragione- ammise, prendendole le mani nelle sue. -Sto diventando un
vecchio paranoico.
-No,
solo un vecchio.
Jace
sollevò un sopracciglio, osservandola.
-Non
dovresti assecondarmi. Avresti dovuto rispondere: “No, Jace, sei
ancora stupendo, affascinante, meraviglioso e io sono la donna
più
fortunata del mondo a stare con te”.
-Certo,
Jace, certo.
-Era
forse un tono ironico quello?
-No,
ma cosa vai a pensare?
La
discussione venne interrotta dal rumore delle porte dell'ascensore,
seguito a breve dall'ingresso nella stanza di due ragazzi.
-Ehi,
sei ancora qui, papà- commentò William, avvicinandosi a
sua madre e
baciandola su una guancia. -Credevo che fossi riuscita a
spedirlo in missione a chilometri da qui. O su qualche pianeta
sperduto.
-La
verità è che sono troppo buona- rispose Clary.
-Avete
finito di tramare alle mie spalle?- chiese l'interessato, incrociando
le braccia al petto e spostando lo sguardo dalla moglie al figlio. Si
somigliavano molto: William aveva gli stessi lineamenti fini di
Clarissa, gli stessi capelli rossi e gli stessi occhi smeraldo. Da
lui aveva preso le mani dalle dita lunghe e affusolate, l'amore per i
libri, l'eccitazione in battaglia... e la sua pungente ironia.
Alec
diceva spesso che il nipote aveva la bellezza della madre e tutta la
lingua del padre.
-Com'è
andata la pattuglia?
-Abbiamo
trovato il cadavere di una mondana vicino al Pandemonium-
raccontò
Ron. -Nessuna ferita, nessun indizio che possa portare ai Nascosti.
Sembra opera di un demone, ma continueremo le indagini. Per il resto
non... - iniziò, interrompendosi subito nel vedere il cassettone
della camera ormai carico (o meglio sovraccarico) di
vestitini, tutine, biberon, giocattoli e ogni oggetto di puericultura
che esistesse nell'universo. C'erano perfino cose di cui non capiva
l'uso. -Non ditemi che Magnus è passato a portare un altro
regalo.
-Alec
non è riuscito a trattenerlo- spiegò Jace con un gesto
che voleva
dire “sai com'è fatto”.
-Dovrebbe
portarlo in qualche centro di recupero per shopping-dipendenti.
-Ti
immagini la scena?- esclamò William, divertito. -Tutti riuniti
in
cerchio e lui che parte con: “Ciao, sono Magnus Bane e di
mestiere
faccio l'Alto Stregone di Brooklyn. Adoro i glitter e impazzisco
davanti alle cose per neonati”.
La
semplice idea fece ridere tutti, al punto da attirare nella camera
una ragazza dai corti capelli biondi ed incredibili occhi
verde-azzurro, scintillanti come le acque di un lago.
-Si
può sapere che state combinando?
-Oh,
ciao, Cat. Will ne ha detta una delle sue.
-Allora
non mi sono persa niente. Ah, zia Aline e zia Helen ti mandano
questo- aggiunse, porgendo a Clary una scatola avvolta in una sottile
carta rosa. -Sperando che Magnus non le abbia anticipate anche se
sembra che abbia comprato tutto ciò che è stato
inventato... e
anche no- valutò con occhio critico.
Catherine
Blackthorne immerse una mano in quella massa informe, quasi
aspettandosi che si aprisse su un'altra dimensione: a suo avviso,
quello stregone dall'aspetto appariscente aveva bisogno di una
regolata. Alec era decisamente troppo permissivo nei suoi confronti:
se avesse cominciato a chiudergli in faccia la porta della camera da
letto, l'Istituto di New York non sarebbe stato invaso da articoli
per neonati.
Dopotutto
stava solo nascendo una bambina, non un esercito di infanti: il fatto
che i figli di Lilith non potessero procreare, non giustificava
l'entusiasmo eccessivo di Magnus Bane.
-Siamo
sicuri non ci sia roba che arriva da qualche dimensione demoniaca?
-Cat,
a volte sei più cinica e perfida di me- replicò Will.
-Sono
innocui: sarà anche eccentrico, ma non regalerebbe mai qualcosa
di
pericoloso alla mia sorellina. Non stiamo parlando di te.
-Cosa
staresti insinuando, William Herondale?
-Basta
voi due- intervenne Jace, mettendosi tra loro. -Sembrate dei bambini
quando litigate così.
-Non
sono io quello che è stato cacciato da Idris per aver lasciato
aperto un portale su Los Angeles
-William-
lo riprese suo padre, dandogli un'occhiataccia. -Ho detto di finirla.
Il
ragazzo borbottò qualcosa di incomprensibile prima che il suo
parabatai prendesse lui e Cat sottobraccio.
-Andiamo
a dormire: per stasera avete litigato abbastanza. Buonanotte.
-Buonanotte,
ragazzi.
Clary
li seguì con lo sguardo, dopodiché si portò una
mano al ventre
gonfio, sentendo scalciare la sua bambina: aveva già il
caratterino
di Jace, senza dubbio.
-Stai
bene?- le chiese il marito apprensivo.
-Sì,
Jace. Come tutte le altre centinaia di volte che me l'hai chiesto
nell'ultima ora- concluse, tirandosi il lenzuolo sulla testa.
La
stanza di William era il regno del disordine totale: tanto suo padre
era un maniaco dell'ordine, tanto lui viveva nell'assoluto caos.
Alcuni
libri spuntavano da sotto il letto con dei pugnali infilati a
casaccio tra le pagine; i vestiti erano buttati sul pavimento o
pendevano dalla sedia e dai mobili; sulla scrivania erano collocati
altri libri, impilati in modo precario, mentre il cestino straripava
di cartacce e vecchie confezioni vuote di biscotti.
Appena
entrò nella stanza, Will si levò la maglietta e la
gettò da
qualche parte senza prestarvi troppa attenzione; raccolse un pugnale
da terra e lo lanciò contro la parete che condivideva con la
camera
di Catherine: sapeva che questo faceva infuriare la Cacciatrice, ma
era proprio quello il divertimento.
Si
sdraiò sul letto, avvertendo qualcosa nella tasca posteriore dei
pantaloni: vi infilò la mano e tirò fuori la sfera che
aveva
raccolto nel vicolo. Non aveva mai visto niente di simile, ma era
certo che non avesse nulla a che fare con l'omicidio. Probabilmente
apparteneva alla vittima ed era qualche strana ed inutile diavoleria
di moda tra i mondani.
La
posò tra le cianfrusaglie sul comodino e si preparò ad
andare a
dormire.
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Capitolo 3 *** In una torre d'avorio ***
2
2
In
una torre d'avorio
-Magnus
Bane, se non posi immediatamente quel catalogo giuro che torno a
stare all'Istituto e non mi vedrai mai più.
Alexander
Lightwood incrociò le braccia al petto, aspettando che la sua
ben
poco convinta minaccia sortisse qualche effetto; il suo compagno
alzò
gli occhi, concedendogli il lusso di uno sguardo quasi attento, poi
tornò a dedicarsi alla rivista sui neonati.
-Sei
eccessivo, Alec- commentò. -Che male c'è se faccio dei
regali alla
tua nipotina? Non sarai geloso di lei, spero: credevo che questa fase
l'avessimo superata anni fa.
Lo
Shadowhunter si passò una mano tra i capelli, sospirando:
perché
doveva fargli continuamente lo stesso discorso? Non si trattava
affatto di gelosia, dei regali o di altro: si trattava di Magnus e
della sua posizione che, negli ultimi tempi, si era fatta piuttosto
precaria. Non c'era bisogno che la rendesse ancora più
vacillante
senza ragione.
In
passato la loro relazione non aveva attirato le simpatie di nessuno,
anzi: i Figli di Lilith avevano guardato con sospetto l'Alto Stregone
di Brooklyn e la sua decisione di frequentare un nemico. Perché
per
quanti Accordi potessero firmare Nascosti e Cacciatori, per quante
generazioni potessero succedersi sui seggi del Consiglio, le vecchie
abitudini non morivano mai e i due schieramenti erano e restavano
nemici naturali con cui allearsi solo in caso di estrema
necessità.
Come la fine del mondo, ad esempio.
Poi
le acque si erano calmate e per alcuni anni nessuno si era
interessato particolarmente a loro; ma si era trattata della quiete
prima della tempesta, anche se quello che li aveva investiti aveva le
proporzioni di un disastro naturale. Diventando mortale, anche Magnus
subiva l'incessante scorrere del tempo e qualcuno iniziava a
mormorare che non fosse più in grado di ricoprire la sua carica.
-Se
continui così, penseranno tutti che stai comprando i
voti dei
Cacciatori per le prossime elezioni.
-Io
non ho bisogno di mendicare voti: sono abbastanza carismatico e
affascinante da sapere già di vincere.
-I
Nascosti ti voteranno contro, sempre che si limitino a questo.
-Peggio
per loro: si vede che meritano d'essere rappresentati dalla feccia-
ribatté l'altro. -E poi non è certo questo il mio
pensiero
principale, anzi non è neppure tra i miei pensieri-
precisò,
perdendo l'aria ironica di poco prima. -Dovrebbe essere lo stesso per
te.
Alec
incassò il colpo, lasciandosi cadere sul divano di pelle nera
che
ultimamente arredava il salotto: sapeva benissimo a cosa si riferiva,
ma non era sicuro che fosse un argomento più sereno rispetto
alle
imminenti elezioni. Tra un catalogo dell'infanzia e l'altro, infatti,
c'erano libri poco rassicuranti sui demoni: le loro pagine oscure
incutevano timore e in alcuni parevano rinchiuse creature che il
Cacciatore avrebbe preferito non incontrare.
Erano
mesi, se non anni, che doveva parlarne con Jace, ma continuava a
rimandare: quando la nascita di Will aveva creato dei pericoli per
Clary, il suo parabatai gli aveva confidato di non volere altri figli
se questo significava rischiare la vita della moglie. Alec si era
sentito sollevato: aveva accantonato e dimenticato il discorso che
avrebbe dovuto fargli e aveva guardato William crescere forte e sano.
Ma
gli uomini non hanno voce in capitolo quando si tratta di certi
argomenti e Clary si era impuntata finché non aveva ottenuto
ciò
che voleva: un altro bambino.
Ed
ora Magnus gli lanciava occhiatacce ogni volta che tornava a casa
senza aver parlato con Jace.
-Ti
ucciderà, lo sai vero? Se ne fregherà di tutti i
giuramenti fatti
all'Angelo e ti ucciderà- affermò lo stregone, rialzando
gli occhi
truccati con l'eye-liner.
-Lo
so, ma potremmo anche essere fortunati com'è accaduto con Will.
In
fondo, quante probabilità ci sono? L'1%, il 10%... ?
-Basta
anche lo 0,01% perché esista la possibilità. E loro lo
dovrebbero
sapere, anche se tu temporeggi come una verginella alla sua prima
notte di nozze.
-Ma
come faccio a dirglielo?
-È
facile: prendi il telefono e componi il numero. Quando ti risponde,
dici: “Ciao, Jace, sono Alec. Devo parlarti di una cosa di
importanza vitale. E no, non si tratta dell'ultimo paio di pantaloni
che si è comprato Magnus, anche se dovrebbe essere messo sulla
copertina di Playboy.”
Lo
Shadowhunter si coprì la faccia con le mani, pregando Raziel e
tutti
gli angeli perché vegliassero su di lui e sulla sua nipotina.
I
pugnali si conficcavano a fondo nel bersaglio, lanciati dalla mano di
un'infuriata Catherine: lei non era la persona che descriveva
William, non era affatto spregevole o crudele. Solo perché non
faceva la stupida come quel buffone, non significava che fosse
cattiva.
-Cretino-
mormorò, continuando a lanciare finché il bersaglio non
si ruppe a
metà.
-Io
sono innocente qualsiasi sia l'accusa- disse Ron, entrando nella sala
con le mani alzate in segno di resa. -Soprattutto se tu hai in mano
un coltello.
-Non
sei tu quello che vorrei usare come bersaglio.
-Ti
ricordo che Will è il mio parabatai.
-E
io ti rinnovo le mie condoglianze.
Il
ragazzo scosse la testa con un mezzo sorriso, iniziando ad estrarre i
pugnali: quei due non sarebbero mai riusciti ad andare d'accordo,
erano totalmente incompatibili. Fossero state due cavie da
laboratorio chiuse nella stessa gabbia, si sarebbero di certo uccisi
a vicenda.
William
a volte era eccessivo, fin troppo burlone ed ironico, mentre altre
feriva sapendo di far del male: non era sempre semplice stare con lui
parecchie ore al giorno, ma Ron gli avrebbe affidato la sua vita ad
occhi chiusi.
Si
erano conosciuti per caso ad una festa ad Alicante, dieci anni prima,
ed erano diventati subito amici al punto che, poco dopo, si era
trasferito nell'Istituto di New York senza alcun ripensamento: i suoi
genitori in quel periodo si stavano separando ed aveva accettato con
gioia l'offerta di cambiare ambiente e vivere con la famiglia del suo
compagno.
-Secondo
me, l'Angelo ti mette una mano sulla testa ogni volta che stai con
William, altrimenti non riusciresti a sopportarlo per più di
dieci
minuti.
-Forse-
rise il coetaneo, porgendole le armi.
Cat
alzò la testa per poterlo guardare in faccia: Ronald, anche se
tutti
lo chiamavano Ron, sovrastava sia lei che Will di parecchi
centimetri; aveva un corpo massiccio con muscoli perfettamente
scolpiti che la maglia che indossava non riusciva a nascondere. Ma, a
dispetto del fisico imponente, aveva un animo gentile, portato alla
risata e al buonumore.
-Grazie.
-Non
prendertela per ogni cosa che dice Will: dovresti sapere com'è
fatto. Non sempre la sua lingua e il suo cervello lavorano al meglio.
-Dubito
che il suo cervello possa lavorare dato che non ne ha uno.
-Può
darsi, ma in battaglia non vorrei al fianco nessun altro.
-Battaglia...
l'ultima volta in cui sono stata in una situazione che potesse
definirsi “battaglia”, dovevo mettermi le ciglia finte-
ribatté,
rimettendo i pugnali al loro posto. -Dopo la guerra di vent'anni fa,
non ci sono più state grandi minacce da affrontare.
-Per
fortuna: significa che il mondo finalmente è un posto un po'
migliore. Era questo il desiderio di Jonathan Shadowhunter, no?
-Immagino
di sì- rispose, fissando gli occhi scuri dell'amico velati da un
ciuffo di capelli castani.
-Ma
se avesse saputo che noia abissale è un mondo in pace, si
sarebbe
dato al giardinaggio invece che diventare Cacciatore.
La
voce pungente di William fece sussultare Catherin che non l'aveva
sentito arrivare, un comportamento che il ragazzo non mancò di
notare: sulle sue labbra si dipinse un sorrisetto malizioso.
-Ho
forse interrotto qualcosa?
-Stavamo
solo parlando.
-Sì,
vi ho sentiti. E non sarei così convinto che le battaglie
appartengano al passato: il corpo di mio zio non fu mai ritrovato,
dopotutto, proprio come la prima volta.
-Ci
fu un grande incendio durante il combattimento e moltissimi corpi
finirono carbonizzati- intervenne la giovane. -Sebastian poteva
essere tra quelli.
-È
l'ipotesi più probabile- convenne Ron. -Se si fosse salvato,
sarebbe
già riapparso da tempo.
-Lo
penso anch'io, ragazzi, non fraintendetemi. È solo che
rifugiarsi in
certe vecchie storie è l'unico modo per sperare in un po' di
azione.
Queste armi stanno facendo la muffa: a parte un Nascosto ribelle ogni
tanto e un demone una volta l'anno, non succede mai nulla.
Ronald
guardò oltre le spalle del suo parabatai, verso il corridoio e
la
figura che era appena passata, sperando che quelle non fossero le
fatidiche ultime parole famose. William si voltò in tempo per
scorgere suo padre in tenuta da Consiglio che si avviava
all'ascensore. Quella tunica nera gli faceva sempre uno strano
effetto e non solo perché significava sempre guai: dava al
genitore
un aspetto diverso, quasi fosse un'altra persona.
Nei
suoi ricordi Jace indossava la divisa da Shadowhunter quando andava
in missione, mentre quando restava all'Istituto portava un paio di
jeans e delle camicie chiare attraverso cui si intravedevano i segni
neri dei marchi.
Quell'abbigliamento
insolito lo inquietava.
-Papà-
lo chiamò, raggiungendolo in poche falcate. -Dove stai andando?
-Di
certo non ad una festa.
-Ci
sono dei problemi?- insistette, ignorando la sua risposta. Non aveva
voglia di scherzare in quel momento.
-Niente
di cui tu debba preoccuparti, Will. Vado a portare un po' del mio
fascino ad Idris, ma starò attento alle folle di donne in
adorazione- rispose allegramente. -Stai vicino a tua madre mentre
sono via e chiamami immediatamente se succede qualcosa.
-Lo
farò- promise. -Tu... stai attento.
-Non
corro pericoli ad Alicante, tranne quello di morire di noia.
William
si lasciò scompigliare i capelli in un gesto di saluto, poi
guardò
suo padre svanire dietro le porte: si sentiva addosso un'ansia che
non riusciva a spiegarsi. Se avesse potuto, lo avrebbe fermato,
avrebbe cercato di dissuaderlo dal partire. Ma non poteva: il
Conclave non aveva in simpatia l'Istituto di New York che in passato
si era reso troppe volte colpevole di gravi mancanze e violazioni
della Legge. Il fatto che ora fosse in mano al figlio, seppur
adottivo, di Valentine, non aveva contribuito a migliorare la
situazione.
-Ehi,
tutto bene, Will?
Il
ragazzo mosse la testa in un no; dietro di lui Ron e Cat si
scambiarono uno sguardo allarmato: sapevano gestire un William
ironico, sarcastico o arrogante, ma quando assumeva quell'espressione
distante non avevano idea di cosa fare. Sembrava chiudersi in una
torre d'avorio di cui non possedevano la chiave, una torre in cui
esistevano solo lui e i suoi pensieri.
-Sta
soltanto andando a una riunione, William, non a combattere schiere di
demoni. Se si stesse mettendo nei guai, avremmo sentito urlare tua
madre anche a chilometri di distanza- tentò Catherine,
posandogli
una mano sulla spalla. -E poi, non si vanta sempre d'essere il
miglior Shadowhunter mai esistito?
-Sì...
Ma
anche il migliore poteva cadere. Malgrado il sangue d'angelo, erano
mortali e bastava un attimo perché la loro vita terminasse. I
pericoli facevano pare dell'essere un Cacciatore e loro affrontavano
la morte a testa alta, con un sorriso sulle labbra e una spada in
mano. Will lo sapeva perfettamente, era la strada che lui stesso
aveva scelto di seguire per quanto dura e cosparsa di rischi; ma
quando erano i suoi genitori a indossare la divisa, la situazione
cambiava e il ragazzo si sentiva tremare.
Era
la sua unica e più grande paura: non vederli tornare da una
missione.
-Dobbiamo
scoprire cosa sta accadendo. Chi viene con me ad Alicante?
-Ci
cacceremo nei guai come sempre- obbiettò Ron. -E poi hai
promesso di
restare con Clary.
-Chiamerò
il nonno: gli farà piacere prendere il posto di mio padre-
ribatté,
prendendo lo stilo. -Allora, siete con me?
-Sono
già stata bandita dalla città: non può succedermi
di peggio.
-Non
abbiamo ancora combinato il nostro casino settimanale e ne sento la
mancanza.
-Muoviamoci.
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Capitolo 4 *** Suo figlio ***
3
3
Suo
figlio
Appena
la porta si era chiusa alle spalle di suo marito, Clary aveva
reclinato la testa all'indietro e fissato il soffitto: il motivo per
cui era stato convocato era talmente serio che lei non aveva nemmeno
dovuto insistere per convincerlo a partire per Idris.
Gliel'aveva
detto quella notte a letto, anche se la moglie aveva già intuito
che
qualcosa lo turbava: lo aveva sentito nel suono della sua risata
mentre scherzava con i ragazzi, nel modo in cui l'aveva stretta poco
dopo e le aveva cercato la mano per intrecciare le dita con le sue.
“-Domani
vado ad Alicante. C'è una riunione del Consiglio-
sussurrò alle sue
spalle, coperto dal buio della notte.
-Sta
succedendo qualcosa, vero?- gli chiese senza voltarsi.
Jace
esitò un attimo, indeciso: non voleva farla preoccupare, ma era
una
Cacciatrice, come lui, e c'erano cose da cui non poteva proteggerla
semplicemente non parlandone.
-Sì.
Il cadavere che hanno trovato Ron e Will non è un caso isolato.
È
un fatto che ultimamente si sta ripetendo spesso in tutto il mondo:
mondani uccisi in modo inspiegabile da qualche forza demoniaca che
non conosciamo. E il Conclave si è deciso a prendere dei
provvedimenti.
-Di
che genere?
Clary
non aveva un buon rapporto con il Conclave e il sentimento era
reciproco: non capiva buona parte delle decisioni che prendeva e,
generalmente, era in totale disaccordo con ogni cosa uscisse dalle
sue stanze.
-Riunisce
il Consiglio, tutti discutono e urlano, poi si torna a casa e si
continuano a trovare mondani morti. Lo sai come vanno queste cose-
rispose con tono ironico. -La loro priorità è il
ventesimo
anniversario della sconfitta di Sebastian, non certo una catena di
delitti.
La
donna emise un lieve brontolio, agitandosi nell'abbraccio di Jace.
-Ci
pensi ancora... - affermò, baciandola tra i capelli rossi. Non
glielo stava chiedendo, perché sapeva già la risposta:
conosceva le
ombre della compagna almeno quanto le sue. -Hai fatto la cosa giusta
e io sono fiero di te. Mi basta guardare ciò che ho adesso
perché
ogni dubbio svanisca.
-Lo
so ma... a volte penso che lui non sia morto, che sia da qualche
parte e progetti di tornare per vendicarsi. Io e lui, dopotutto,
siamo simili: lo ripeteva spesso. E aveva ragione.
-Clary,
Sebastian non esiste più e il suo corpo è stato
carbonizzato
dall'incendio. Non tornerà e io non sono così stupido da
riportarlo
in vita una seconda volta. Inoltre tu non gli somigli affatto,
altrimenti non ti amerei così tanto.”
Guardò
per l'ennesima volta il calendario: mancava davvero poco a quella
data fatidica, troppo poco per chi come lei tremava al semplice
accenno.
Ogni
volta che quel ricordo tornava a galla, Clary riviveva quella notte e
le sue mani tornavano calde ed umide del sangue di suo fratello.
Il
suo stesso sangue.
I
primi giorni dopo la fine della battaglia, la morte di Sebastian era
un incubo ricorrente che le levava il sonno: né Jace, né
Simon, né
un incantesimo di Magnus riuscivano a scacciare quell'immagine dalla
sua mente e a concederle un riposo ininterrotto.
Poi
pian piano si era attenuato tutto, come una ferita che lentamente si
cicatrizzava e non lasciava alcun segno sul corpo. Ma dentro il cuore
i segni c'erano ancora: aveva avuto paura il giorno delle sue nozze
con Jace; aveva avuto paura quando era nato William e aveva paura ad
ogni anniversario. Paura che lui ricomparisse, paura di rivedere
quegli occhi neri, quei capelli di neve e ghiaccio, quel volto troppo
simile a quello di Valentine. E al suo.
Fu
un delicato rumore alla porta a distoglierla da quelle riflessioni.
-Avanti-
disse, regalando un sorriso radioso al suo patrigno. -Luke, ciao! Non
dirmi che è stato Jace a chiederti di venire a controllarmi.
-No,
veramente è stato tuo figlio- spiegò. -Non voleva che
restassi qui
da sola, così eccomi qui.
-Sono
contenta che tu sia venuto. Tutto bene a casa?
-Sì-
rispose, indugiando un attimo prima di proseguire. -A lei... dispiace
questa situazione.
Il
sorriso scomparve dalle labbra della donna, sostituito da
un'espressione dura.
-Doveva
pensarci prima di crearla.
-Voleva
solo proteggerti.
-Controllando
che William non fosse nato come Jonathan?!- esclamò, dandogli
un'occhiata di fuoco. -Ai suoi occhi Jace sarà sempre il figlio
di
Valentine, sarà sempre come mio padre. Ed io sarò sempre
una
stupida che commette i suoi stessi errori.
Luke
rimase in silenzio, posandole una mano sulla sua con uno sguardo
colmo di tristezza e comprensione: aveva rimproverato spesso Jocelyn
per il suo atteggiamento, l'aveva avvertita che stava rischiando
d'essere odiata da Clary, ma era stato inutile ed ora sua moglie ne
pagava le conseguenze.
Quello
sciocco accanimento nei confronti di un ragazzo che non aveva altre
colpe se non quella d'essere stato una cavia in mano a Valentine...
il lupo mannaro non l'aveva mai capito. Jace amava Clary molto
più
della sua vita, lo aveva dimostrato più di una volta e
continuava a
farlo: cos'altro poteva desiderare un genitore per la propria figlia?
-Allora,
avete deciso il nome per questa piccolina?
Clarissa
si rilassò, ringraziandolo per aver cambiato argomento: sua
madre
era un capitolo chiuso, soffocato sotto troppe cose che non poteva
perdonarle.
Credeva
di poter superare il fatto che le avesse tolto i ricordi e impedito
di vivere la vita che le spettava; era riuscita a non soffrire troppo
per la sua intolleranza verso Jace; ma quando aveva visto i suoi
occhi scrutare William un centimetro alla volta in cerca di segni
demoniaci, per Clary era stato come ricevere un pugno nello stomaco.
Aveva stretto al seno il suo piccolo e le aveva chiesto di uscire
dalla stanza e dalla sua vita.
E
in quel momento aveva compreso di non poterle perdonare niente.
Nemmeno ciò che aveva fatto a Jonathan.
Dopo
essere diventata madre, quelle azioni e quei sentimenti che prima
aveva giustificato, le apparvero in una luce diversa. Dopo aver messo
al mondo Will, aver tenuto in braccio quella creaturina che era
cresciuta in lei per nove mesi, non aveva potuto provare che orrore
per il comportamento di Jocelyn.
Anche
se aveva una natura demoniaca, era pur sempre suo figlio, ma lei lo
aveva rifiutato, rigettandolo come se fosse immondizia, lasciandolo
in balia della crudeltà di Valentine.
Essere
così non significava essere madri, ma vigliacchi.
Essere
così significava essere peggio di Valentine: lui aveva forgiato
il
carattere di Jonathan con la frusta, lei con l'odio.
-Sì,
abbiamo deciso. Dopo una lunga consultazione di alberi genealogici e
archivi, abbiamo finalmente deciso.
-Bene,
ma non dirmelo: voglio che sia una sorpresa. Però dillo a
Magnus,
così comincerà a ricamare le iniziali su tutto quello che
le ha
regalato.
-Non
so cosa gli prenda: con Will si era fermato a un centinaio di cose,
mente con lei non ha limiti: l'Istituto non può contenere altri
doni- replicò, guardando le pile che suo marito aveva ormai
rinunciato a sistemare.
-Sarà
l'età- ribatté Luke. -Ma dov'è Jace? Non l'avrai
chiuso in uno
stanzino.
-No,
è ad Alicante. Riunione del Consiglio.
-Da
quando non faccio più parte del Conclave, non sono aggiornato su
quello che accade.
-Non
ti perdi molto. Le cose non sono cambiate: si combatte, si salva il
mondo, pensi di meritarti un attimo di pace e invece il mondo si
caccia di nuovo nei guai- affermò la donna. -È come
badare a Will e
a Jace, insomma.
-Non
faccio fatica a crederci.
-Immagino
che nemmeno tu andrai alla festa- continuò. Luke annuì:
non si
festeggiava un figlio morto, per quanto malvagio potesse essere e lui
rispettava la volontà della moglie. -Jace è convinto che
sia in
cima alle priorità del Conclave e temeva che la riunione fosse
per
decidere quali tovaglie si abbinassero meglio alle tende o quale
dovesse essere il colore d'obbligo per abiti degli invitati.
-È
una festa del Conclave, non a casa di Magnus Bane. Non penso che
qualcuno noterà la biancheria.
Jace
alzò gli occhi al cielo terso di Alicante, facendosi schermo con
la
mano: era da tempo che non vi metteva piede, ma la città degli
Shadowhunter era immutabile ed eterna. Né le guerre, né
il tempo,
né la natura potevano intaccarne l'aspetto antico e solenne,
intervallato dalle alte torri antidemoni che si innalzavano verso
l'alto come lunghissimi aghi.
-E
tu pensi che William ti ubbidirà?
Il
Cacciatore allungò le gambe e portò indietro la schiena
facendo
leva sulle mani: seduti sulla scalinata che portava alla Sala degli
Accordi, lui ed Alec attendevano pazienti l'inizio della riunione.
-Se
mi somiglia come temo, avrà già aperto un Portale per
Idris e tra
poco sarà in un mare di guai.
-Come
facevi tu alla sua età.
-È
sangue del mio sangue in fondo- ribatté con un sorriso fiero.
Alla
parola “sangue” il suo parabatai si irrigidì:
improvvisamente i
gradini erano diventati irti di chiodi e freddi come il ghiaccio.
Doveva approfittare di quel momento, ma come? Come entrare
nell'argomento... e uscirne vivo?
Ricordò
il loro giuramento, la runa che li legava e di colpo tutto apparve
troppo flebile di fronte al segreto che serbava nel cuore.
-Che
fine ha fatto Magnus?- domandò Jace, ignaro dei pensieri
dell'altro.
-Ha forse dimenticato come si arriva qui?
-Certo
che no. Gli si è avvicinata una ragazza e si è fermato a
parlare
con lei dicendo che mi avrebbe raggiunto.
L'amico
si voltò, sollevando un sopracciglio scettico e lo scrutò
come se
di colpo l'uomo accanto a lui si fosse trasformato in una creatura a
due teste con sei o sette braccia.
-Chi
sei?
-Cosa?-
replicò. Sbatté le palpebre, confuso da quella domanda.
-Di
certo non sei Alec. Il vero Alexander Gideon Lightwood starebbe
facendo fuoco e fiamme all'idea di Magnus che parla con qualcuno.
Sarebbe qui con una faccia da funerale e il fumo che gli esce dalle
orecchie, brontolando cose come...
-Piantala,
Jace, sono io. Ho smesso di essere geloso di ogni persona che gli va
vicino. Dopo vent'anni e dopo che ha rinunciato all'immortalità,
non
ho bisogno di altre prove del suo amore.
-Credevo
non sarei vissuto abbastanza da sentirtelo dire- commentò il
diretto
interessato, arrivando alle loro spalle.
Le
guance di Alec si colorarono di rosso, come quand'era ragazzo; si
girò con l'intenzione di replicare, ma si bloccò:
malgrado il
sorriso che incurvava le sue labbra, gli occhi dello stregone non
erano affatto allegri. C'era un'ombra scura nello sguardo felino, un
chiaro turbamento che non aveva prima di incontrare quella ragazza
dai lunghi capelli castani.
-Va
tutto bene?
-Sì...
o forse no. Ma non è questo il momento per parlarne.
-Ehi,
so quando la mia presenza, per quanto incredibile ed illuminante,
è
di troppo- esclamò Jace, alzandosi e spazzolando la tunica nera
con
una mano.
-Io
non mi riferivo a te- si corresse Magnus. -La riunione sta iniziando
e sarebbe un peccato perdersela per stare qui a discutere: potremmo
non sapere mai che colore va di moda adesso ad Alicante. Non
sopporterei di arrivare alla festa con l'abito sbagliato.
I
due Shadohunters si guardarono rassegnati e, con un sospiro,
iniziarono a salire i gradini.
-Speriamo
non sia il rosa: non credo mi doni molto- affermò Jace.
-Puoi
sempre attingere al mio armadio- propose lo stregone che, quando si
parlava di abiti sgargianti e appariscenti, era un maestro
indiscusso. E una fonte inesauribile di vestiti. -E ovviamente anche
tu, fiorellino.
-Lo
stesso stilista per tutti e tre, insomma.
-Certo,
il migliore.
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Capitolo 5 *** Alicante dalle torri di vetro ***
4
4
Alicante
dalle torri di vetro
William
guardava incuriosito tutto ciò che lo circondava: al contrario
dei
due amici, lui non si recava spesso ad Idris e ai suoi occhi erano
tutte cose nuove. Il suo parabatai e Catherine erano nati e cresciuti
lì e le loro famiglie vivevano ancora ad Alicante, mentre
l'ultima
volta che il giovane era stato lì risaliva a dieci anni prima,
alla
festa dell'anniversario dove aveva conosciuto Ron; da allora non era
più tornato nella terra dei Cacciatori.
Non
puoi dire di aver visto una città finché non hai visto
Alicante
dalle torri di vetro.
Sua
madre lo aveva scritto a margine di un disegno che rappresentava la
città, appeso nella biblioteca dell'Istituto. Ed era vero: quel
paesaggio non somigliava a niente che avesse visto prima.
Lui
poteva ammirare la città di New York da prospettive che i
mondani
non avrebbero mai scoperto, come il lato di Central Park riservato
agli Shadowhunters o attraverso i vetri magici della Corte Seelie.
Ma
non era nulla in confronto ad Alicante.
Pareva
uscita da un'altra epoca o dalle pagine di uno dei libri di favole
che gli leggevano da bambino: non si sarebbe stupito se gli fosse
passato davanti un principe a cavallo di un unicorno o se un drago
gli fosse volato sopra la testa. Lì sembrava che tutto potesse
accadere.
Soprattutto
l'impossibile.
Si
diceva che per ogni Cacciatore, Alicante fosse un luogo familiare,
una parte ritrovata di sé, la tessera mancante di un puzzle;
Alicante era casa, sia per chi viveva lì, sia per chi vi entrava
per
la prima volta.
-Will,
non siamo qui per fare i turisti- lo rimproverò Cat. -È
meglio se
ci sbrighiamo prima che qualcuno ci noti.
Il
ragazzo annuì a malincuore, rimandando l'esplorazione e seguendo
l'amica che si muoveva sicura tra strade che a lui non dicevano
nulla: New York era molto più semplice, forse perché ne
conosceva
ogni centimetro.
-Da
questa parte.
Dopo
la Guerra Morale e la firma degli Accordi, il Conclave non
controllava più strettamente gli ingressi magici, ma le torri
antidemoni impedivano comunque di aprire varchi all'interno della
città. I tre ragazzi erano arrivati attraverso un Portale nei
pressi
di Alicante, poi erano entrati a passo svelto facendo attenzione ad
evitare le strade principali ed abbassando velocemente le teste ogni
volta che incrociavano qualcuno.
-Non
ci faranno mai entrare nella Sala degli Accordi, siamo minorenni-
disse Ronald che, con le sue lunghe gambe, faticava a tenere
l'andatura della compagna.
-E
se tramortissimo un Cacciatore e gli rubassimo la tonaca?
-Will,
lo so che è difficile, ma prova a ragionare: ci scoprirebbero
nel
giro di un secondo.
-Zitti,
sta arrivando qualcuno.
I
due si chiusero immediatamente nel silenzio, passando accanto a una
ragazza vestita di bianco che camminava nella direzione opposta;
William si girò a guardarla e sussultò nello scoprire che
anche lei
lo fissava con un misto di stupore e confusione. La stessa
espressione che era certo di avere anche lui sul viso.
-William-
lo chiamò Catherine, afferrandogli una mano e trascinandoselo
dietro. -Che ti è preso? Non hai mai visto una ragazza?
-Non
graziose come lei- ribatté, anche se non era quello il motivo
per
cui si era voltato. -Conosco solo maschiacci come te.
-Se
vuoi andare a chiederle di sposarti, fa pure. Io e Ron andiamo a
scoprire cosa trama il Conclave e poi ce ne torniamo a casa.
Il
giovane assunse un'aria pensierosa, come se stesse valutando
veramente l'affermazione della coetanea.
-No,
sono troppo giovane per sposarmi e troppo vecchio per essere
abbandonato come una infante sulla porta di una chiesa- affermò.
-Ma
se non ci facciamo venire un'idea su come entrare, possiamo anche
rinunciare.
-Io
ho appena avuto un'idea- intervenne il suo parabatai.
La
Sala degli Accordi era cambiata dopo la Guerra Mortale: conservava
ancora le sue pareti bianche e oro, ma era stata adattata per essere
il luogo ufficiale delle riunioni del Conclave.
Al
centro, dove un tempo c'era stata una fontana con una sirena, era
stato costruito un piccolo palco circolare leggermente rialzato, dove
prendeva posto il Console; tutt'intorno c'erano file di panche
concentriche interrotte solo da corridoi d'accesso che le dividevano
in quattro spicchi.
Ma
era ancora il salone usato per le feste: in quelle occasioni, il
pavimento veniva abbassato e, attraverso una serie di incantesimi
attuati dagli stregoni, appariva un secondo pavimento composto di
piccole piastrelle disposte a formare il simbolo del Coclave
disegnato da Clary dopo la firma degli Accordi. Lo stesso motivo era
ripreso nella disposizione delle panche e nel grande vetro che si
trovava sul soffitto.
Jace
venne raggiunto dai genitori di Catherine e da quelli di Ron e si
trattenne a parlare con loro mente Magnus ed Alec si accomodavano.
-È
successo qualcosa con quella ragazza?
-Niente
di grave, Alec. Sul serio.
-Non
voglio impicciarmi dei tuoi affari, ma sembravi un po' scosso.
-Ne
parliamo quando torniamo a casa, promesso.
Il
Cacciatore sospirò, sentendosi trattato come un bambino che
faceva i
capricci davanti a un giocattolo: era solo preoccupato, possibile che
non lo capisse?
-Alec-
lo chiamò, posandogli una mano sulla gamba. -Non è
davvero nulla,
non devi preoccuparti. E no, non riguarda le elezioni. Diciamo che
è
una cosa... personale.
-Personale?
-Sì,
ma non nel senso che intendi tu.
Gli
alti tacchi del Console risuonarono nella grande sala, anticipando il
suo arrivo: tutti si accomodarono nelle panche mentre Isabelle
Lightwood faceva il suo ingresso. Percorse con passo deciso il
corridoio, collocandosi al suo posto e rivolgendo un rapido sguardo
ai fratelli prima di iniziare.
-Benvenuti
a tutti. Ci troviamo qui oggi per discutere una questione molto seria
che riguarda tutti noi: ogni notte, mondani di tutto il mondo vengono
uccisi da forze oscure che non riusciamo ad identificare e
comprendere- spiegò la donna. -I Cacciatori pattugliano
costantemente
le zone assegnate loro, eppure non c'è modo di mettere fine a
questa
strage.
-Forse
semplicemente non fate bene il vostro lavoro- intervenne una fata con
un sorriso mellifluo.
-O
magari è il Popolo Fatato a nascondere qualcosa- replicò
Raphael
dalla parte opposta. -Sappiamo tutti che siete sempre pronti a
cambiare bandiera a seconda di come tira il vento.
-Perché
tu sei un esempio di fedeltà e fiducia, vero succhiasangue?-
continuò il rappresentante dei lupi mannari.
Isabelle
strinse una mano a pugno, esasperata: non era questo che si era
aspettata quando aveva accettato la carica di Console. Da ragazza
aveva infranto spesso le leggi assurde del Conclave, aveva subito la
sua opprimente ed antiquata presenza; da Console sperava di poter
cambiare le cose, di rinnovare preconcetti superati ed essere vicina
ai problemi reali. Ma non era andata così.
Prima
di organizzare quella riunione, ad esempio, aveva dovuto aspettare
che i cadaveri raggiungessero un numero inimmaginabile: solo a quel
punto anche gli altri si erano convinti che fosse il caso di
intervenire.
-Basta!-
urlò. -Nessuno è qui per lanciare accuse! Vi abbiamo
convocati
perché serve l'aiuto di tutti per risolvere quest'emergenza: non
ho
bisogno di ricordarvi cosa accadrebbe se i mondani scoprissero il
nostro mondo, no?- proseguì, respirando profondamente per
recuperare
la calma. -Bene, allora inizieremo analizzando alcuni dei rapporti
più dettagliati, sperando di trovare qualcosa che ci aiuti nelle
indagini. Poi decideremo come procedere e dividere i compiti.
-Ron,
non è un'idea: è una follia- fu il commento secco di
Catherine dopo
aver sentito la proposta dell'amico.
-Io
la trovo fantastica, invece.
-Non
avevo dubbi, Will: tu non sei una persona ragionevole, ma qualsiasi
idiota saprebbe che questa è una follia e non possiamo farlo!
-Allora
trova un altro sistema, visto che improvvisamente sei diventata il
genio del trio.
-Bhe...
- tentennò, presa alla sprovvista. -Lasciatemi il tempo di
pensarci...
-Non
abbiamo tempo, quindi si segue l'idea di Ron.
William
Herondale svanì in mezzo alle fronde di un alto albero che
cresceva
accanto alla Sala degli Accordi, imitato dal suo parabatai.
-Ci
toglieranno i marchi e diventeremo dei mondani, me lo sento-
brontolò
ancora la ragazza, arrampicandosi. -Oppure passeremo la vita nella
Città Silente... o mi costringeranno a diventare una Sorella di
Ferro.
-Una
Sorella del Silenzio è impossibile, dato che non stai mai zitta-
ribatté Will, saltando agilmente sul tetto senza fare il minimo
rumore. -E ormai è tardi per tornare indietro.
Sopra
alla Sala degli Accordi era stata realizzata una grande vetrata
circolare, progettata a modello delle vetrate gotiche; era divisa in
quattro spicchi che raffiguravano i simboli delle razze di Nascosti
che sedevano nel Conclave e, a separarli, c'era una croce composta da
piccoli frammenti di vetro uniti insieme da un sottile filo di
adamas. Ogni pezzetto apparteneva alla precedente Città di
Vetro,
danneggiata durante la Guerra Mortale, e vi erano disegnate tutte le
rune del Libro Grigio.
Nelle
calde giornate soleggiate, gli spicchi venivano sollevati come ante
di una gigantesca finestra e quella era proprio una mattina di sole:
i tre ragazzi si avvicinarono al vetro, sporgendosi sull'apertura per
poter vedere cosa accadesse di sotto.
Riconobbero
subito la chioma nera di Isabelle ed i suoi gesti nervosi segno che,
come al solito, la riunione stava diventando una gara di insulti tra
Cacciatori e Nascosti.
Will
individuò il luccichio dei glitter che Magnus insisteva per
mettersi
sui capelli nonostante l'età; accanto a lui c'erano suo zio e,
soprattutto, suo padre pronto ad ucciderlo se avesse scoperto dove si
trovava.
-Sbaglio
o stanno parlando di mondani morti?- disse Ron. -Come quello che
abbiamo trovato ieri sera.
Era
una delle cose che il suo compagno di battaglia proprio non riusciva
a capire: perché erano abbastanza grandi da farsi ammazzare
nelle
perlustrazioni, da saper uccidere in duemila modi diversi, da
combattere contro qualsiasi creatura si annidasse nei vicoli
oscuri... ma erano troppo piccoli per entrare nel Consiglio?
Perché
in quella sala c'era gente che non impugnava un'arma da almeno mezzo
secolo, e non c'era chi lottava ogni giorno e vedeva con i suoi occhi
ciò di cui stavano parlando?
Non
era giusto: erano loro a rischiare la vita, a proteggere gli ignari
(ed inutili) mondani, eppure venivano esclusi dalla riunione,
lasciati al parco giochi come bambini di cinque anni. Sua zia
Isabelle aveva tentato di abbassare l'età d'accesso, ma si era
scontrata con il muro delle tradizioni e aveva dovuto fare marcia
indietro.
Forse
perché pensava alle ingiustizie del Conclave, forse
perché il
destino aveva scelto quel momento per muovere i suoi fili ed uscire
allo scoperto... Qualunque fosse il motivo, il discendente dei
migliori Shadowhunters mai esistiti perse l'equilibrio e si
ritrovò
a precipitare velocemente verso il basso, verso una morte decisamente
dolorosa.
Udì
a malapena gli amici urlare il suo nome, poi il pavimento della Sala
si avvicinò ad una velocità sorprendente... e lui si
bloccò ad un
soffio dall'impatto con il suolo.
-William
Gabriel Herondale.
Sentendo
Jace pronunciare il suo nome completo, William si chiese se
schiantarsi nel mezzo della Sala degli Accordi non fosse una fine
migliore di quella che lo aspettava.
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Capitolo 6 *** Un mondo troppo grande e cattivo ***
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5
Un
mondo troppo grande e cattivo
L'aveva
riconosciuta nell'istante stesso in cui era apparsa in fondo alla
strada. Avevano attraversato il tempo insieme, dopotutto, e condiviso
troppe cose per dimenticare il suo viso. Eppure, quando aveva notato
la rabbia contenuta nei suoi occhi grigi, aveva capito immediatamente
che qualsiasi cosa ci fosse stata tra loro era ormai svanita.
“-Le
voci corrono, Magnus, ma per tutti questi anni ho creduto che
sbagliassero.
-Tessa...
- mormorò, non sapendo come proseguire. Era il responsabile di
quella furia trattenuta a stento dietro l'etichetta vittoriana: non
c'era niente da dire, nessun paravento dietro cui nascondersi.
-Invece
era tutto vero. Ogni singola parola. Sei diventato mortale e potrai
vivere ed invecchiare con la persona che ami- proseguì. -Per te
non
valgono le frasi che mi hai ripetuto? Quel “devi vivere
perché è
questo che loro vorrebbero”? Il tuo amore ha forse più
diritti di
quanti ne aveva il mio?!
Aveva
alzato man mano la voce e quelle ultime parole erano state urlate con
ira e rancore. Lo stregone se ne sentì trafitto: lui era stato
il
suo appiglio nei momenti di sconforto, a lui aveva chiesto aiuto per
ricucire sé stessa dopo che era andata in pezzi, da lui aveva
trovato la forza per ricominciare una volta terminate le lacrime.
-No-
rispose soltanto, abbassando la testa. -Ma allora non avevo idea di
dove si trovasse il Libro Bianco, né se al suo interno esistesse
davvero un incantesimo del genere o fosse solo una leggenda. So che
non è una giustificazione, ma...
-Ma
niente, Magnus. Io mi fidavo di te, sono riuscita ad andare avanti
solo perché c'eri tu, perché tu eri rimasto lo stesso di
allora.
Invece mi hai soltanto ingannata.
-Non
ti ho mai impedito di seguirlo nella morte. Sai anche tu che essere
immortali non significa non poter morire.
-Davanti
alla sua tomba mi hai detto di essere forte, che la prima volta era
quella che faceva più male e che l'immortalità era
costellata di
addii. Hai tirato in ballo anche il destino: ero nata immortale
perché il fato aveva qualcosa in serbo per me, hai detto-
continuò,
sperando che ogni sillaba potesse fargli male fisicamente. -E io ci
ho creduto, come una vera stupida. Come una scema ho pensato che
fossi mio amico, invece non ti è mai importato nulla di me. Non
ti è
mai nemmeno venuto in mente di accennarmi la possibilità che ci
fosse un modo per essere mortali: in fondo, allora non c'era ancora
il tuo Cacciatore, non c'era nessuno per cui valesse la pena
invecchiare.
-Tessa-
tentò ancora, bloccandosi dopo aver pronunciato il suo nome,
perché
quelle accuse erano maledettamente vere e non poteva smentirle.
Avrebbe potuto usare una risposta tagliente, ma non con lei: in quei
lunghissimi anni, Tessa era davvero diventata un'amica preziosa,
qualcuno che rivedeva sempre con piacere, con cui parlare di tante
cose non solo del passato. La ragazza aveva una mente acuta e vivace,
una curiosità che la spingeva ad avere molti interessi e per lo
stregone era una compagnia a cui preferiva soltanto quella di Alec.
Sapere
di averla ferita, di averla persa, era un dolore immenso.
-Ma
ora ho aperto gli occhi e posso giurarti che rimpiangerai il giorno
in cui hai perso l'immortalità. Te ne farò pentire
amaramente,
Magnus Bane- promise, passandogli accanto in un fruscio di tessuto
bianco, lasciandolo più solo che mai.”
Nel
silenzio del salotto di casa, Magnus ripensava a quell'incontro. Dopo
aver impedito a Will di sfracellarsi al suolo, aveva abbandonato
Alicante mentre Alec e Jace gestivano le conseguenze di quel
“fuori
programma”. La riunione dopotutto era terminata e lui era
comunque
troppo distratto per prestare attenzione a quanto era stato detto
nella Sala degli Accordi. Quindi se ne era andato alla prima
occasione, rifugiandosi nella quiete del suo appartamento a
confrontarsi con i propri sensi di colpa.
Aveva
immaginato spesso quel momento, il giorno in cui Tessa avrebbe
scoperto che era diventato mortale: nei suoi ipotetici finali, lei
capiva le sue inesistenti ragioni e gli augurava d'essere felice. Ma
era decisamente un'utopia, una conclusione troppo semplice che non lo
faceva sentire un verme.
Theresa
Gray non era affatto una sciocca: gli anni le avevano indurito il
carattere e gli addii le avevano gelato il cuore. Al contrario di
lui, che era svolazzato da un amante all'altro per più di 800
anni,
lei aveva amato un solo uomo: il suo primo amore era stato anche
l'unico e l'ultimo.
Non
aveva avuto bisogno di secoli per incontrare il grande amore, ma
erano stati proprio gli anni e l'impossibilità di fermarli a
portarglielo via.
Magnus
era un vigliacco: le aveva ripetuto di essere forte, ma quella stessa
forza lui non la possedeva di fronte alla prospettiva di veder morire
Alec. Sopravvivere a un dolore simile gli sembrava inconcepibile ed
ora gli pareva crudele averlo chiesto a Tessa.
Perché
non le aveva permesso di raggiungere il suo amato?
Forse
aveva avuto bisogno di quella ragazza, di qualcuno con cui dividere i
ricordi di Londra, qualcuno che, come lei stessa aveva affermato,
fosse
rimasto lo stesso di allora.
Perché
di quella nebbia inglese e di quella fosca quanto tormentata vicenda
non gli rimanesse solo una fotografia sbiadita.
Perché
era e sarebbe rimasto un egoista.
-Questa
non la passi liscia, Will, puoi star certo. E lo stesso vale per voi:
mio figlio è un incosciente, ma mi aspettavo un po' più
di
buonsenso da parte vostra.
-Papà,
ho avuto io l'idea: loro mi hanno solo seguito- intervenne William,
deciso a tener fuori gli amici da quella storia. Era solo lui quello
da punire: Ron e Cat non avevano alcuna colpa.
-Will...
- iniziò Ron.
-E
poi cosa abbiamo fatto di male? Siamo noi ad uscire in
perlustrazione, dopotutto: era un nostro diritto sapere cosa sta
accadendo. Non siamo più dei bambini da dover tenere all'oscuro
di
tutto.
-William,
tu hai ragione- ribatté Alec, più propenso a mantenere la
discussione su un tono calmo e ragionevole. -Ma le leggi del
Conclave...
-Saprei
io dove possono infilarsi le loro leggi della malora- brontolò,
sedendosi con poca grazia su una panca ed incrociando le braccia. -E
comunque perché ieri sera non ci hai detto niente?
-Aspettavo
di capire quanto fosse grave il problema prima di gridare al lupo.
-Nessuno
vi avrebbe tenuto all'oscuro, ragazzi. Non c'era bisogno di
precipitarsi qui come se fosse la fine del mondo, Will... ma
l'irruenza è un difetto di famiglia, vero Jace?
L'interessato
se ne stava seduto sul palco del Console, sostenendo lo sguardo di suo
figlio: gli somigliava troppo, anzi, somigliava troppo sia a lui che
a Clary. Pareva un concentrato di tutti i loro difetti, come se
avesse preso da loro solo il peggio. Ne aveva combinate tante da
quando era nato, ma quella era la più grossa di tutte e,
sinceramente, non aveva nemmeno idea di cosa sarebbe successo:
contava sulla magnanimità di Isabelle, ma sapeva anche che non
spettava a lei il verdetto finale.
-Io
potevo permettermi di esserlo- rispose. -Il Conclave mi ha sempre
detestato. Voi siete troppo giovani e inesperti per farvi nemici
tanto potenti.
William
aprì la bocca per replicare, ma la richiuse nel veder arrivare
sua
zia con una faccia che non prometteva niente di buono.
-Jace,
Alec... ragazzi- esordì.
-Avanti,
dicci subito la condanna così prepariamo i bagagli per la
Città
Silente.
-Niente
visita ai Fratelli per questa volta.
-Allora
cosa?- chiese Ronald, stupito. -Dobbiamo pulire tutte le strade di
Alicante con uno spazzolino da denti?
-No,
non c'è nessuna punizione di questo tipo.
-Nessuna
punizione?- ripeté il nipote, basito di fronte all'insperata
fortuna. -Zia, sei fantastica.
-Will,
non ho detto che non ci sono punizioni. Io ho fatto tutto il
possibile, ma sapete anche voi che non ho molta voce in capitolo
nelle decisioni.
Jace
fissò la donna con un certo nervosismo: la conversazione stava
prendendo una piega che non gli piaceva per niente ed era pronto a
passare sopra ad ogni stupido membro del Conclave pur di difendere il
sangue del suo sangue.
-Will...
la tua punizione è la runa del dolore.
-Cosa?!-
esclamò Alec, balzando in piedi. -Izzy, sei impazzita? È
solo un
ragazzino e non ha fatto nulla di così grave! Quelli che
dormivano
durante la riunione allora, verranno decapitati?!
-Alec,
la maggioranza...
I
tre ragazzi erano letteralmente gelati e nessuno di loro riusciva
anche solo a respirare: la runa del dolore era una punizione
durissima inflitta ai Cacciatori che si macchiavano di crimini ben
più gravi dell'intrusione nel Consiglio.
-La
maggioranza di chi, Isabelle?! Di vecchi imbecilli?!
-Guarda
che ci sono anch'io tra quei vecchi imbecilli!
Jace
si concesse un ghigno mentre si toglieva la tonaca nera: quella era
un vendetta del Conclave contro di loro, era una sorta di
"risarcimento" per tutte le volte che avevano agito senza
informarlo, mettendolo in imbarazzo o in posizioni scomode.
Ma
quei "vecchi imbecilli" avevano fatto i conti senza di lui.
-Bene-
disse, bloccando il litigio tra i fratelli. -Ho passato di peggio.
-Jace,
non avrai...
-Papà,
no!- esclamò William, alzandosi. -Non devi farlo, sono io
l'unico
colpevole. Ho fatto una stronzata ed è giusto che paghi.
-Sì,
ma non è giusto che sia tu a pagare per ciò che non hai
commesso-
proseguì, levandosi anche la camicia e lasciandola al ragazzo.
-È
questione di pochi minuti. Alec, prendi lo stilo.
-Non
accetteranno questa soluzione- obbiettò Isabelle.
-Che
vadano a farsi fottere.
Will
si morse un labbro a sangue mentre suo zio posava lo stilo sulla
schiena di Jace per iniziare a tracciare la runa: vedere suo padre
prendere la punizione che spettava a lui faceva più male che
riceverla sulla propria pelle.
Lo
guardò spalancare gli occhi una volta finito il marchio, poi
sbiancare ed iniziare a sudare copiosamente, stringendo i pugni per
non urlare.
Quella
runa era tra le più terribili del Libro Grigio: il dolore che
causava, oltre a essere paragonabile a quello di centinaia di pugnali
che rigiravano all'interno di altrettante ferite, non era solo
fisico, ma anche mentale e psicologico. Era un dolore totale, una
sofferenza che coinvolgeva ogni fibra, ogni centimetro, ogni neurone;
un'esperienza che non si poteva descrivere in nessun modo se non
vivendola.
Durava
pochi minuti, ma rimaneva impressa in eterno nella mente di chi la
subiva.
Alec
fu subito pronto a sorreggere il suo parabatai, e Isabelle avvolse
nella tonaca il suo corpo bagnato e tremante; William, Ronald e
Catherine, invece, rimasero immobili, sconvolti: tutte le loro
proteste, il loro sentirsi adulti... era tutto rinchiuso in un angolo
del cervello, spazzato via da quanto era appena accaduto nella Sala.
Non
erano adulti, non più: erano spaventati, incapaci di aiutare,
impotenti davanti a quel finale della loro avventura.
Non
erano adulti. Erano solo dei bambini in un mondo troppo grande e
cattivo.
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Capitolo 7 *** Oscurità senza fine ***
6
6
Oscurità
senza fine
Nella
camera confusionaria regnava il silenzio: nemmeno il respiro dei tre
ragazzi era percepibile. Si udiva solamente il mormorio lontano delle
voci di Clary e Jace, l'una preoccupata e l'altra stanca.
Sdraiato
tra Ron e Cat, William non aveva pronunciato parola dopo aver
lasciato la Sala degli Accordi; giunto a casa, si era ritirato nella
sua stanza dove, poco dopo, lo avevano raggiunto i due amici: senza
parlare si erano accomodati accanto a lui, condividendo quell'angolo
di mondo. Non c'era nulla da dire: erano dei bambini, quel giorno ne
avevano avuto la prova.
Bambini
stupidi, per giunta, capaci solo di combinare guai.
-È
stata colpa mia, Will: ho avuto io l'idea di arrampicarci.
-Io
avrei dovuto trovare un altro sistema- aggiunse la ragazza.
-No,
voi non c'entrate- rispose lentamente, cercando conforto nel calore
dei loro corpi vicini. -Non mi sono fidato di mio padre, è
questa la
verità. E ho creato problemi a tutti: Magnus avrebbe dovuto
lasciare
che mi sfracellassi.
-Certo,
e poi a chi pensi sarebbe toccato ripulire il macello?- scherzò
il
suo parabatai, dandogli una leggera spallata.
Ma
il coetaneo non raccolse la battuta: vedere suo padre soffrire in
quel modo, sapere d'esserne il responsabile, per Will era stato
tremendo. Si vantava d'essere grande, pretendeva d'essere trattato
come un adulto, ma era un ragazzino infantile.
-Non
devi... - iniziò Ronald, interrotto dall'ingesso di Jace.
-Devo
rimboccarvi le coperte e leggervi una storia?- chiese il Cacciatore
con il suo sorrisetto, anche se gli occhi tradivano l'affaticamento
di quel giorno.
-No,
noi... stavamo andando- disse Cat, tirandosi a sedere.
-Restate:
quello che devo dire riguarda tutti e tre- continuò, liberando
una
sedia da un cumulo informe di vestiti, resistendo di fronte al caos
assoluto che dominava tra quelle quattro pareti. -Quello che è
accaduto oggi non è colpa di nessuno. Io per primo mi sarei
comportato come voi, quindi non mi riesce di punirvi o farvi delle
prediche. Ma io non ci sarò sempre per salvarvi dal Conclave,
perciò
dovete essere più prudenti, solo questo.
-Non
avresti dovuto prendere la punizione al mio posto: il Conclave
sarebbe stato soddisfatto e non se la sarebbe presa ancora con noi-
replicò il figlio. -Ora aspetteranno un passo falso per saltarci
addosso.
-Will,
non me ne frega niente se il Conclave non ha avuto ciò che
desiderava: se provano ad alzare un dito su uno di voi, li
manderò a
guardare i fiori dalla parte delle radici- affermò serio,
posando lo
sguardo su tutti e tre. -E lo stesso farebbe Clary, perché noi
siamo
una famiglia. E in una famiglia nessuno viene abbandonato o
dimenticato.
Una
famiglia.
La
loro famiglia: confusa, rumorosa, folle... ma era la famiglia che
amavano e che avrebbero difeso ad ogni costo. Ognuno di loro, con i
suoi pregi e i suoi difetti, era importante e fondamentale.
-Non
dimenticatelo mai- concluse. Si alzò e rimise al suo posto la
sedia,
rivolgendo poi loro un'ultima occhiata. -Ora dormite, Cacciatori:
è
stata una giornata dura anche per voi- li salutò, uscendo.
-Tuo
padre ha ragione- disse Ronald, cercando nel buio lo sguardo smeraldo
del suo parabatai. -È il caso di dormire un po' o domani
sarà
impossibile uscire in perlustrazione e restare svegli.
William
allungò le braccia, stringendo prima la mano di Ron e poi quella
di
Catherine: li voleva vicino quella notte, voleva avere loro a cui
aggrapparsi in quell'oscurità senza fine. Malgrado le parole di
Jace, il suo animo era turbato da una strana inquietudine, come i
bambini quando erano convinti che dei mostri abitassero nel loro
armadio o si nascondessero negli angoli bui della stanza.
Aveva
paura, ma non sapeva di cosa: era una sensazione che scivolava lenta
sotto la sua pelle, gelandogli il sangue nelle vene; paura di
qualcosa di inspiegabile, che pareva minacciare la sua vita per il
semplice fatto di esistere.
Stare
con i due amici lo rendeva più sicuro, gli dava l'illusione
d'essere
al
sicuro.
E, per il momento, gli bastava questo.
-Buonanotte,
ragazzi- sussurrò Catherine.
La
notte a New York non riusciva mai ad essere buia, tra le luci dei
grattacieli e il traffico costante che intasava le sue strade. Eppure
quella notte pareva oscura anche se si sostava sotto un lampione. I
mondani lo percepivano appena come una sorta di disagio che li
spingeva ad accelerare il passo e raggiungere in fretta la propria
dimora; per i Nascosti era più di una sensazione e si trascinava
da
diversi giorni.
Magnus
Bane sorseggiò lentamente il suo the caldo, riflettendo sul modo
migliore di agire in quella situazione: la sua natura gli suggeriva
di prendere Alec, metterlo in valigia e partire verso una lontana
località in cui attendere la fine degli eventi. Purtroppo aveva
per
compagno un Cacciatore e questo significava convivere con i rischi e
i pericoli della sua vita. O temere di non vederlo più tornare
ogni
volta che usciva.
Ma
quello era il suo destino, ciò per cui era nato e lo stregone
non
gli avrebbe mai chiesto di smettere di dar la caccia ai demoni,
perché in fondo amare era anche accettare l'altro in ogni sua
sfumatura, in ogni suo aspetto. Incluso restare ad affrontare
nuovamente la fine del mondo o qualsiasi altra minaccia stesse per
bussare alla soglia della città.
Perché
alcuni destini erano incisi a fuoco sul libro della vita e non
potevano essere cambiati, soprattutto quelli avversi. E solo una
catastrofe di tale portata poteva spingere il figlio di Lilith a
sgusciare fuori dal letto come un ladro per consultare i tarocchi nel
cuore della notte.
Non
era una cosa che facesse abitualmente: leggere le carte era una
pratica da mondani imbroglioni che spillavano soldi alla gente
ingenua. Li aveva visti anche in televisione: uomini e donne conciati
in modi inguardabili che davano previsioni più errate di quelle
meteorologiche, ingannando le persone e facendosi pagare cifre
astronomiche. Non che lui si vendesse a buon mercato, ma i suoi
servigi erano autentici, non erano specchietti per le allodole.
I
suoi tarocchi inoltre erano speciali: Clary li aveva disegnati
appositamente per lui, ritraendovi persone note, amici e nemici. Per
Magnus aveva un significato importante, era tutta la sua vita
rinchiusa in un piccolo mondo. Peccato li usasse principalmente per
prendersi gioco di Alexander e fargli credere, ad esempio, che se non
avessero fatto l'amore per tutto il giorno, terribili sciagure si
sarebbero abbattute su di loro.
Stavolta
non c'erano interpretazioni fantasiose da poter inventare: c'erano
tutti i segni, anche se aveva preferito ignorarli, e quanto stava
accadendo tra i mondani non era che un'ulteriore conferma.
La
Carta degli Amanti era uscita rovesciata: erano promesse non
mantenute, inganni e il rinvio di una decisione, di una scelta
impellente. La seconda era la Carta della Morte, su cui era
raffigurato Jonathan, o Sebastian, o come cavolo lo si voleva
chiamare: significava la fine di qualcosa, un momento per distruggere
e non per costruire. Sempre che ci fosse ancora qualcosa da
distruggere.
L'ultima
era la Carta della Luna: era un invito a riflettere, un annuncio di
pericoli imminenti e l'incontro con persone del passato. Solo per un
istante aveva collegato tutto questo a Tessa e alla sua minaccia, ma
i tarocchi non davano previsioni su cose già avvenute. Inoltre,
per
quanto arrabbiata e delusa, Magnus era convinto che la giovane fosse
incapace di fare del male.
Quindi
qual era la minaccia da cui bisognava guardarsi?
Forse
la misteriosa potenza che stava uccidendo i mondani? O c'era qualcosa
di ben più grosso dietro quella faccenda?
Se
i Cacciatori di tutto il mondo non erano riusciti neppure a vederne
la causa, pareva logico pensare che fosse quello il pericolo
annunciato, però lo stregone non ne era convinto e una vocina
nella
sua testa gli ripeteva che non era altro che la punta dell'iceberg.
C'era altro e molto più pericoloso, un burattinaio che muoveva i
fili di ogni cosa con cura, studiando ogni mossa prima di compierla.
Istintivamente
il suo sguardo cadde sull'immagine del vecchio nemico: poteva essere
che... ? No, Jonathan Morgenstern era morto. Carbonizzato. Non era
una morte da cui si potesse facilmente resuscitare: nemmeno riunendo
tutti i demoni era possibile riportare in vita un mucchietto di
cenere. Anche perché era impossibile distinguere le ceneri di
una
persona da quelle di un albero o di qualsiasi altra cosa!
Eppure...
eppure le carte non mentivano, né davano informazioni fuorvianti
o
casuali: un'ombra si stava allungando su di loro, nutrita dai segreti
e dalle cose non dette.
“Terra
delle tenebre e dell'ombra di morte, terra di caligine e di
disordine, dove la luce è come le tenebre.”
Gli
incubi di sangue ed ossa erano tornati e le tenebre si stavano
avvicinando più fitte che mai. E non era sicuro che questa volta
esistesse una luce tanto forte da diradarle.
-Magnus...
- lo chiamò una voce impastata di sonno. Alec era fermo nel vano
della porta con i capelli scuri scompigliati e si stava sfregando gli
occhi nel tentativo di tenerli aperti.
Lo
stregone lo fissò con un sorriso dolce, riponendo ogni pensiero
tetro: lui era la sua luce e avrebbe fatto di tutto perché
continuasse a brillare. Anche in un mondo dove i morti carbonizzati
tornavano a camminare sul suolo dei vivi.
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Capitolo 8 *** Passi avanti, passi indietro ***
7
Tutto
è immobilità e silenzio
Parte Seconda
“In
realtà nelle sette stanze si avvicendavano
senza posa miriadi di sogni.
E
questi, i sogni, si torcevano qua e la',
assumendo
colore nelle stanze e provocando la sensazione
che
la musica ossessionante dell'orchestra non fosse che l'eco dei loro
passi.
Ed
ecco che ancora la pendola d'ebano, nella sala del velluto, batte le
ore.
Ed
ecco che ancora per un attimo tutto è immobilità e
silenzio,
tranne
la voce dell'orologio.
I
sogni s'irrigidiscono e si raggelano nel punto in cui stavano
volteggiando,
ma
gli echi della suoneria muoiono lontani,
non
sono durati che un istante, e un riso sommesso, leggero,
fluttua
e l'insegue mentre essi si dileguano."
(La
maschera della morte rossa, Edgar Allan Poe)
7
Passi
avanti, passi indietro
-Perché,
gira e rigira, noi ci ritroviamo sempre tra questi vecchi libri
polverosi invece che fuori, per le strade, a dare la caccia a quella
cosa?- brontolò William. Sepolti dietro pile di volumi, il
Cacciatore e i suoi compagni sfogliavano pagine e pagine fitte di
descrizioni sulle creature esistite ed esistenti che gli
Shadowhunters avevano affrontato dalla notte dei tempi.
-Ho
sempre detto che usate metodi antiquati. Non potreste mettere le
informazioni in rete in modo che tutti gli Istituti possano
accedervi?- propose Simon. Ma si interruppe nel sentirsi osservato da
sguardi confusi e scosse la testa borbottando cose su gente che
viveva nel Medioevo.
-E
tu non ti sei preso i rapporti- ribatté Ronald, stirandosi sulla
sedia e allungando le braccia verso l'alto. -Mi sembra di leggere
sempre lo stesso. Ma Izzy cosa si aspetta che troviamo?
-Francamente
non lo so, Ron. Non sa più nemmeno lei dove sbattere la testa.
Forse
spera che abbiate una mente più acuta rispetto a quei vecchi
bacucchi del Conclave.
-Su
questo non c'è ombra di dubbio, mi pare.
Ad
essere onesti, se gli avessero dato un dollaro ogni volta che
Isabelle gli comunicava i suoi pensieri, ora il vampiro si sarebbe
ritrovato poverissimo. Non c'era molto di cui parlassero le rare
volte in cui lasciava Alicante e si degnava di rientrare a New York,
da quello che avrebbe dovuto essere il suo compagno; ma era il
Console, aveva delle responsabilità, quindi Simon accettava
anche
quella situazione per amor suo.
Improvvisamente
si sentì un rumore di porte sbattute, poi qualcuno che correva e
la
voce concitata di Jace: il Daylighter si alzò, ma William gli
posò
una mano sul braccio e lo costrinse a sedersi nuovamente. Dopo un
istante, infatti, l'Istituto recuperò la sua calma.
-Un
falso allarme- commentò il ragazzo, riprendendo il suo studio
sui
demoni. -Ultimamente succede almeno una decina di volte al giorno:
appena mamma apre bocca, papà pensa sia il momento e pare a
razzo.
Ormai è questione di poco.
-Capisco...
Jace è sempre stato protettivo nei confronti di Clary.
-Ha
paura che le succeda qualcosa come quando sono nato io. Ho iniziato a
far danni ancor prima di venire al mondo: è un record.
Ronald
e Catherin alzarono gli occhi su di lui: era trascorsa una settimana,
ma il ricordo della Sala degli Accordi bruciava ancora nel cuore
dell'amico e lo spingeva a quell'atteggiamento insolito. William era
uno che combatteva tutto con un pugnale tra i denti, una spada per
mano e qualche arma di riserva nella cintura: non era uno che si
arrendeva, che crollava.
-Veramente,
si comportava così anche quando dovevi nascere tu, Will: ci
telefonava ogni ora per avvertirci che Clary stava per partorire-
raccontò. -Ed è andato avanti una settimana,
finché Isabelle non
si è trasferita qui per poterlo frustare ad ogni allarme. Jace
è in
grado di uccidere cento demoni bendato e con una mano legata dietro
la schiena, ma quando si trova a dover affrontare qualcosa su cui non
ha alcun potere perde la testa e diventa indifeso, inerme. Tua madre
è diversa, lei farebbe qualsiasi follia per lui. E le ha fatte,
credimi.
-Stai
annoiando i miei piccoli Cacciatori con il racconto del tuo ultimo
torneo di Dungeons and Dragons, Stafford?
-Simon,
Magnus. Simon. Possibile che dopo vent'anni tu non abbia ancora
imparato il mio nome?!
-Non
riesce a restarmi in testa, vampiro- si giustificò lo stregone,
che
in realtà ricordava perfettamente il nome corretto.
-Comincio
a credere che tu non voglia ricordarlo.
-Come
puoi credermi capace di un gesto simile, Silvan?- proseguì
teatralmente l'altro, prendendo posto a un capo del tavolo.
-Basta,
mi arrendo- mormorò Simon, passandosi le mani sul viso.
-Dicci
che hai scoperto qualcosa che non sapevamo già, ti prego- lo
implorò
Cat, che stava portando un'altra decina di libri da consultare.
-Tutta questa roba è totalmente inutile e non ci ha portati
avanti
di un solo passo.
-In
effetti ho qualcosa di nuovo per voi, ma non ho idea di dove
porterà-
ammise Magnus. -Il Conclave mi ha permesso di dare una sbirciatina
all'ultimo cadavere ritrovato. Non che avessero molte alternative,
dato che sono con l'acqua alla gola e non sanno cosa fare.
-E
hai capito che demone li ha uccisi- concluse Will, chiudendo di colpo
il libro e sollevando una nuvola di polvere.
-Sono
eccezionale, ma non fino a questo punto. Però ho scoperto che
sono
stati uccisi in seguito a una possessione
demoniaca.
-È
una sorta di sifilide demoniaca?
-La
sifilide demoniaca non esiste, Ron- replicò il suo parabatai,
intrecciando le mani sotto al mento. -È solo una leggenda.
-Dovresti
ridare un'occhiata alla storia- obbiettò il figlio di Lilith.
-La
sifilide demoniaca esiste e non la auguro a nessuno, anche se chi se
la prende... bhe, se la va a cercare. C'è gente che si è
ritrovata
trasformata in un verme gigante.
-Oh,
che orrore- commentò Simon, disgustato. -Pensavo succedesse solo
in
Buffy.
-Comunque,
stavo dicendo... sono morti dopo che un demone si è insinuato
nel
loro corpo.
I
Cacciatori lo fissarono in attesa di altre spiegazioni: i demoni
usavano artigli, zanne, veleno; erano esseri dotati di strumenti per
fare a pezzi le loro vittime, non certo per possederle. Quella era
un'inutile perdita di tempo. C'erano rituali per evocarli e forse per
legarli a certe persone, ma demoni che si appropriavano di corpi
umani era una novità.
-La
mia ipotesi è che in giro ci siano spiriti demoniaci, ovvero
demoni
con la consistenza dell'aria in grado di insinuarsi nei corpi dei
mondani. A quale scopo non è ancora chiaro e io stesso non
riesco a
pensare a una motivazione valida. In ogni caso, non è che
un'ipotesi
che potrebbe rivelarsi del tutto errata.
-Quante
volte ti sei sbagliato, Magnus?
-Poche
e mai su questi argomenti.
Ad
Alicante, Isabelle stava esponendo la stessa teoria al Conclave,
ricevendo in risposta facce perplesse, poco convinte e, nel peggiore
dei casi, addormentate. Avrebbe potuto consegnare loro la testa del
colpevole su di un piatto d'argento, e avrebbe ottenuto lo stesso
risultato.
La
verità era che non la rispettavano, non si fidavano di lei,
soprattutto i membri più anziani: il passato e la sua turbolenta
adolescenza erano più indelebili di un marchio e la
accompagnavano
ad ogni passo.
Se
si aggiungeva la sua convivenza con un vampiro, o il fatto che suo
fratello fosse gay e frequentasse uno stregone, si arrivava alla
conclusione che le uniche persone di cui potesse fidarsi erano quelle
che avevano combattuto al suo fianco e che conoscevano il suo valore.
Una
volta di più si chiese se ne valesse la pena, se non fosse
più
saggio mandare all'inferno tutto e tutti e riprendere la sua vita da
Shadowhunter; tornare a New York da Simon e magari pensare seriamente
a una famiglia. Ma avrebbe mentito affermando che era quello il suo
desiderio.
In
realtà aveva accettato la carica di Console perché era
un'ottima
scusa per evitare i progetti a lungo termine, per non gettarsi
nell'incognita di un legame così serio come una famiglia.
Amava
Simon, quella non era una menzogna: lo amava e non avrebbe potuto
immaginare nessun altro al suo fianco, però non era pronta a
spingersi più in là. Il semplice pensiero le stringeva la
gola e le
impediva di respirare.
Ormai
passava più tempo ad Alicante che nella sua città: la
loro
relazione aveva fatto solo passi indietro e nessuno in avanti.
C'erano giornate in cui tornava a casa sperando che lui fosse giunto
al limite e avesse deciso di andarsene, di cercare qualcun'altra.
Erano i giorni in cui le sue quotidiane battaglie nella Sala degli
Accordi erano particolarmente dure e lei arrivava a sera troppo
stanca per sopportare ore di sproloqui inutili sull'ultimo videogioco
uscito sul mercato.
In
quelle occasioni andava a letto pensando che a Simon occorresse
un'altra donna. Magari immortale, magari che non facesse niente tutto
il giorno e fosse sempre fresca e riposata, pronta ad andare ad
ascoltare quell'accozzaglia di rumori stonati che lui aveva la
presunzione di chiamare concerti.
Una
così, sempre bella, sempre felice, sempre disponibile.
Isabelle
non ce la faceva, invece: una vita così le andava bene
quand'erano
ragazzi, ma ora erano cresciuti e il fatto che il vampiro fosse
immortale non giustificava il suo atteggiamento infantile. Poteva
avere l'aspetto di un sedicenne, ma gli anni erano passati ed era ora
di svegliarsi, di essere un uomo, di essere l'uomo di cui lei aveva
bisogno.
Non
era questione di immortalità come nel caso di Alec: il problema
era
che Izzy si era scoperta fidanzata con Peter Pan, con qualcuno che
aveva fermato l'orologio e non strappava le pagine dal calendario.
Come poteva pensare a dei bambini se era già un bambino lui?
Così
si tratteneva nella Città di Vetro più del necessario,
tirando la
corda nella speranza di spezzarla.
-In
conclusione, ho comunicato ai Cacciatori di prestare la massima
attenzione: siamo in stato di allarme generale e ogni minimo
dettaglio può aiutarci a bloccare questa strage. Se avete altre
proposte, siamo qui per ascoltarle, altrimenti la riunione è
sciolta.
Nessuno
parlò, com'era prevedibile: in caso di fallimento avrebbero
scaricato addosso a lei tutta la responsabilità e l'avrebbero
sollevata dall'incarico. In fondo era il capitano che affondava con
la sua barca, non il suo meschino ed ipocrita equipaggio.
La
donna sospirò, incamminandosi verso le sue stanze con l'unico
desiderio di un bagno caldo e di buone notizie, su qualsiasi
argomento. La migliore sarebbe stata la nascita della sua nipotina,
ma andava bene anche altro, purché fossero buone notizie.
-Izzy,
aspetta un attimo.
-Aline,
cosa c'è?- chiese, voltandosi verso l'amica.
-Vorrei
che tu mi facessi un favore.
La
città bruciava.
Lingue
di fuoco si levavano alte, illuminando una notte oscura. Attorno a
lui si susseguivano urla e versi di creature che non aveva mai udito,
portati dal vento e dal rumore di una battaglia.
William
era confuso e soprattutto disarmato; non riconosceva quegli edifici
in fiamme e non sapeva da cosa dovesse difendersi.
Poi
qualcosa lo colpì alle spalle e vide una lama nera spuntargli
dal
petto, grondante il suo sangue. Cadde a terra, riverso nel suo sangue
che lentamente diventava infinito, diventava un lago in cui
precipitò.
Sempre
più a fondo...
Un
sangue denso, scuro, dal sapore acre che bruciava la gola come un
acido.
William
si svegliò di colpo, sudato e agitato: era stato un incubo, solo
un
incubo. Respirò profondamente, cercando di calmarsi e di
recuperare
un battito cardiaco normale: in fondo non era stato altro che un
brutto sogno e niente di più.
Però...
però gli era sembrato dannatamente reale e sulla lingua
avvertiva
ancora il bruciore di quel sangue.
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Capitolo 9 *** Peccati senza perdono ***
8
8
Peccati
senza perdono
Il
sole era sorto da poco quando scoprì una figura impegnata ad
allenarsi nella solitudine di Central Park. L'incubo di quella notte
aveva lasciato addosso a William la spiacevole sensazione d'essere
sporco e ogni tanto si tastava il petto aspettandosi di trovarvi
qualche segno di una ferita. Ma non c'era nulla oltre alle cicatrici
di vecchi marchi, nessuna traccia di quanto era avvenuto nel suo
sogno.
Eppure
si sentiva nervoso ed inquieto: non riusciva a cancellare quelle
immagini e ciò che aveva provato. La città in fiamme... a
mente
lucida riusciva a darle un nome: era
Alicante,
l'indistruttibile città dei Cacciatori. Ed era tutto così
vivido...
Ci
fu un fruscio alle sue spalle e, un secondo dopo, una foglia si
ritrovò inchiodata ad un tronco da un pugnale decorato con un
motivo
di uccelli in volo.
-Ottimi
riflessi- commentò la Regina del Popolo Fatato con un sorriso
falso
e studiato.
-Grazie,
ma non penso tu sia qui per elogiarmi o per seguire il mio
allenamento.
William
non la temeva, pur conoscendo i suoi poteri. Non la rispettava
nemmeno, anzi, la disprezzava apertamente. Vampiri e licantropi erano
abbastanza affidabili o, almeno, sapevi cosa aspettarti da loro; i
figli di Lilith non si schieravano mai, nonostante gli Accordi. Ma le
fate erano un altro discorso: le fate potevano sorriderti, stringerti
la mano e giurarti fedeltà mentre il tuo nemico ti pugnalava
alla
schiena. Le fate si alleavano con chiunque, garantendosi la certezza
d'essere sempre dalla parte dei vincitori: stringevano e rompevano
accordi praticamente in contemporanea e contare su di loro non era
certo salutare.
A
meno che non si andasse in cerca di una morte orribile, ovviamente.
Perché
le fate erano meravigliose, ma potevano indurre alla pazzia se solo
lo desideravano; per un loro capriccio potevano costringere una
persona a danzare fino alla morte. Se scoprivano ciò che
desideravi
con tutto il cuore, eri condannato.
-Se
il tuo complimento era un patetico tentativo di comprare un favore,
invece, hai fallito.
-La
tua impudenza supera quella dei tuoi genitori.
-Sono
stati degli eccellenti maestri, in effetti. Inoltre ti ricordo che
non sei nel tuo territorio, ma in quello degli Shadowhunters, quindi
ti conviene restare buona. Ho ottimi riflessi, l'hai detto tu stessa.
Il
sorriso non svanì dal volto etereo della fata, anzi si estese e
acquistò una sfumatura diabolica: un pessimo segno che
portò il
giovane a stringere la presa sulle armi. Poteva presentarsi nella sua
forma migliore e vestirsi d'oro e d'argento, ma lui sapeva che mostro
si nascondesse sotto il travestimento.
-Speravo
avessi più buon senso rispetto a tua madre e capissi che non
è
saggio
negare qualcosa a me.
-Non
sono un tuo suddito, non ho debiti nei tuoi confronti e, qualsiasi
cosa tu possa offrirmi, ha un prezzo troppo alto. Puoi trasformarmi
in quello che ti pare, tanto è solo un trucco: è tutto
nella mente-
ribatté. -Fai leva sulle paure e sui desideri finché le
tue vittime
non cedono. Ma proprio perché ho buon senso so che le tue
tattiche
non funzionano con me.
-Sei
scaltro per essere uno Shadowhunter. Quasi quanto una fata: non a
caso condividiamo lo stesso sangue.
-Solo
in parte. In noi nulla ha origine dall'Inferno- precisò.
-Sicuramente
vale per tutti gli altri, ma non per te. Il tuo sangue non è
angelico e puro come credi.
-Non
possiamo essere tutti angeli come Raziel, malgrado ci abbia donato il
suo sangue.
La
Regina rise, un suono fastidioso e malevolo quanto un gesso sulla
lavagna, un suono capace di far rizzare i peli sulla nuca perché
era
l'annuncio di qualcosa di terrificante.
-I
miei favori non saranno ad un prezzo che ritieni accettabile, ma
nemmeno quelli che si aggiudicò tuo nonno sono privi di conseguenze.
Ci sono peccati senza perdono, Cacciatore.
-Ma
cosa... - iniziò William, arretrando di un passo.
-Will-
lo chiamò Ronald, giungendo nel parco.
Il
ragazzo si volse un istante verso la voce dell'amico e, quando
tornò
a guardare la Regina, scoprì che era già svanita: del
loro dialogo
non restava altro che la foglia inchiodata all'albero.
-Sei
mattiniero- continuò il suo parabatai, arrivandogli accanto.
-Non
hai nemmeno fatto colazione.
-Non
riuscivo a dormire, così sono uscito ad allenarmi- spiegò
semplicemente, evitando di nominare il suo incubo.
-Va
tutto bene?- Ronald intuiva che c'era dell'altro dietro il suo
comportamento e che doveva essere accaduto qualcosa nel parco: gli
uccelli non cantavano, tutto era immerso nel silenzio. Uno strano
silenzio.
-Io...
io sto bene. Sarà mancanza di zuccheri- minimizzò,
riponendo le sue
armi nella cintura e recuperando il pugnale di famiglia. -Mi avete
lasciato qualcosa da mangiare?
-Mmm...
forse qualche briciola è rimasta.
Magnus
Bane era alle prese con un altro tipo di problema: chiuso nel suo
appartamento, aveva era chino sul tavolo, tra vecchi libri e mucchi
di fogli su cui aveva scarabocchiato una serie di appunti. La causa
di tanto lavoro era l'oggetto che Isabelle gli aveva chiesto di
studiare: era stato ritrovato accanto ad una delle vittime e non ne
restavano che pochi frammenti.
Ad
una prima occhiata non gli erano sembrati altro che pezzi di vetro
senza importanza: aveva pensato che appartenessero a una bottiglia o
a qualche fanale d'auto andato rotto in un incidente. Poi aveva
notato dei piccoli segni incisi sulla superficie che avevano attirato
la sua attenzione.
Armato
di lente d'ingrandimento, lo stregone li aveva copiati fedelmente,
arrivando a capire che si trattava di un'iscrizione e che quei
frammenti erano forse la chiave per comprendere quanto stava
accadendo e riuscire così a fermarlo.
Purtroppo,
nonostante le ore di ricerca, era stato in grado di tradurne solo una
piccola parte, quanto bastava per scoprire che si trattava di una
sorta d'incantesimo sigillante, usato solitamente per rinchiudere i
demoni in qualcosa.
Alcuni
di quei simboli, infatti, li aveva visti spesso sulle Pyxis, un tempo
molto diffuse tra Cacciatori e non. Una pratica che, per fortuna, era
andata in disuso con il trascorrere dei secoli e che Magnus non aveva
mai compreso né approvato: che razza di mente malata si teneva
in
casa un demone sottovuoto? Non era certo una confezione di sottaceti
o un simpatico soprammobile con cui far morire di invidia amici e
ospiti: erano demoni e, anche se in scatola, restavano pericolosi.
Già
in condizioni normali non erano tra le creature più amabili e
piacevoli, ma quelli che restavano rinchiusi per anni erano anche
peggio: una volta liberi non si sedevano sicuramente a prendere il
the e a fare salotto, scambiandosi gli ultimi pettegolezzi. I
più
svegli si sbrigavano a scappare e a riprendersi la libertà;
quelli
un po' meno furbi si mettevano a lottare contro gli Shadowhunters che
li avevano imprigionati e facevano una brutta fine.
Ma
in nessun caso si impossessavano dei corpi dei mondani per ucciderli.
Non si era mai sentito niente
del genere.
Si
passò una mano sul viso, sfregandosi gli occhi stanchi e
gettando
uno sguardo all'orologio: era già tardi ed Alec non era ancora
rientrato da Alicante. A distanza di una settimana, il Conclave aveva
organizzato una nuova riunione nella speranza che ci fossero
novità
o fosse emerso qualche minuscolo risultato dalle ricerche.
E
alla fine tutti avrebbero insultato tutti come al solito. Ormai era
diventata una tradizione.
Se
si fosse conclusa in un altro modo, i partecipanti non avrebbero
capito che era terminata e sarebbero rimasti lì ad aspettare di
potersene andare.
Una
firma su un pezzo di carta non cancellava odi secolari.
Lui
non aveva mai preso parte a quelle gare di insulti, perché non
aveva
nulla contro gli altri: non nutriva alcuna simpatia per il Popolo
Fatato (ma
chi ne aveva?)
e alcuni dei Cacciatori non erano in cima alla lista dei suoi amici
del cuore, ma in generale non aveva mai avuto dei veri contrasti.
Il
fatto che molti, tra Shadowhunters e Nascosti, gli dovessero dei
favori o dei soldi, contribuivano a renderlo una figura
inattaccabile: chi lo criticava aveva l'intelligenza di farlo fuori
dalla portata delle sue orecchie. E la stupidità di farlo vicino
a
quelle di Alec.
Il
suo compagno sarebbe tornato di pessimo umore dopo aver trascorso
tutto quel tempo a fare da bersaglio ai commenti sull'assenza di
Magnus. Gli dispiaceva per lui, ma quando si aveva per fidanzato il
meglio degli stregoni era normale essere sulla bocca di tutti: essere
così potenti e fantastici poteva diventare una croce.
Diede
ancora un'occhiata al suo lavoro, poi sbadigliò e decise di aver
fatto abbastanza: la mattina dopo si sarebbe alzato presto e avrebbe
ripreso da dove si era interrotto. Ora si meritava qualche ora di
sonno: per una volta avrebbe dormito senza doversi preoccupare per
Alexander, senza svegliarsi ogni cinque minuti nella speranza che
fosse rientrato dal suo giro di perlustrazione. Finalmente avrebbe
avuto un riposo senza interruzioni.
-Stai
bene?
-Ehi,
non vorrai prendere il posto di tuo padre, spero- rispose Clary con
tono ironico. -Ho appena iniziato a respirare e non intendo essere
soffocata un'altra volta con centinaia di domande.
William
le sorrise, sedendosi accanto a lei e lasciandosi avvolgere dal suo
caldo abbraccio: la chiacchierata con la Regina l'aveva messo ancor
più in agitazione, così aveva fatto capolino nella camera
della
madre, sperando di mettere a tacere ogni dubbio.
-C'è
qualcosa che ti turba, tesoro?
-Non
ti accadrà niente, vero?- Sapeva che era una domanda infantile,
ma
all'improvviso aveva sentito il bisogno di porla e di sentirsi
rispondere che sarebbe andato tutto per il meglio. Il suo incubo, le
parole sibilline della fata... nulla era così importante di
fronte
all'incognita del futuro.
-Will...
- sospirò la donna, accarezzandogli i capelli rossi. -Le
complicazioni che ho avuto e i rischi che ho corso... bhe, c'è
una
ragione. Quando sono rimasta incinta, io e tuo padre eravamo
felicissimi. Ma purtroppo non fu una gravidanza tranquilla
perché
iniziammo quasi subito ad avere paura.
-Paura
di cosa, mamma? Di non essere pronti a fare i genitori?
-Eravamo
giovani e, certo, avevamo un po' paura di questa nuova vita, ma
soprattutto avevamo paura del Conclave. Temevamo che ti portassero
via da noi per farti chissà cosa.
-Che
cosa poteva volere il Conclave da me?- domandò, confuso. Era
solo
uno Shadowhunter come tanti altri, forse più in gamba di altri,
ma
non certo così incredibile.
-Io
e Jace abbiamo più sangue d'angelo di qualunque altro Nephilim
ed il
Conclave era ansioso di scoprire come sarebbe stato nostro figlio.
Non ci davano tregua, il Console veniva qui almeno una volta a
settimana per informarsi e noi eravamo sempre più nervosi e
preoccupati- proseguì, ricordando quei giorni terribili in cui
non
aveva fatto alto che litigare con il compagno per poi rifugiarsi tra
le sue braccia. -Finché... finché non prendemmo la
decisione di
fuggire. Lasciammo l'Istituto, aiutati da Magnus e dai Lightwood,
tentando di mettere più strada possibile tra noi e il Conclave.
Ma
non durò molto.
-Vuoi
dire che riuscirono a trovarvi?
-No,
tu eri pronto a venire al mondo. Ero terrorizzata, non riuscivo a
calmare tuo padre che non sapeva cosa fare... e chiedemmo aiuto alle
nostre famiglie. Purtroppo tutto quello che avevo passato ebbe delle
conseguenza sul parto e su di me, ma non mi sono mai pentita di
niente.
-Ma
poi?- volle sapere il figlio, curioso.
-Il
Console non era contento della nostra bravata, affermò anche che
non
eravamo in grado di accudire un bambino... Jace gli saltò al
collo e
venne rinchiuso nella Città Silente, Isabelle ed Alec si presero
cura di me e di te, mentre Maryse affrontò il Conclave.
La
signora Lightwood aveva preso in mano la situazione e parlato ai
membri riuniti, a quegli uomini e a quelle donne che prima d'essere
Cacciatori erano padri e madri; aveva spiegato tutta la vicenda,
esposto il dolore di due genitori di fronte al pericolo di vedersi
strappato il proprio figlio. Nessuno aveva avuto il coraggio di
puntare il dito contro di loro ed ogni cosa si era conclusa per il
meglio.
William
era stato comunque sottoposto ad un controllo ed era risultato che in
lui non c'era una quantità maggiore di sangue d'angelo
né, per il
momento, caratteristiche o doni particolari: era un Cacciatore nella
norma, che il duro e costante allenamento aveva reso uno dei
migliori.
-Quindi
non c'è niente di speciale in me.
-Tu
sei speciale per tutti noi, Will- ribatté Clary, baciandolo
sulla
fronte. -E non ha nulla a che vedere con il sangue d'angelo.
-Mamma,
secondo te... esistono dei peccati senza perdono? Come quelli di
Valentine, ad esempio.
La
donna restò in silenzio, riflettendo su quella domanda. Suo
padre
aveva commesso azioni orribili, aveva ucciso il padre di Jace,
cresciuto i suoi figli con una rigida disciplina, rischiato di
distruggere Alicante e tutto il loro mondo... Ma non aveva agito per
crudeltà: era convinto di inseguire uno scopo nobile e giusto.
-Nessuno
può giudicare i peccati di una persona, Will. Nemmeno l'Angelo-
rispose infine. -Valentine credeva di fare il bene, credeva d'essere
dalla parte della ragione.
-Ma
ha ucciso papà, ha ucciso suo figlio...
-L'ho
visto piangere sul cadavere di Jace. È difficile da capire,
tesoro,
me ne rendo conto: ci ho messo anch'io del tempo a comprenderlo-
continuò. -Ma se mi stai chiedendo se io l'ho perdonato... bhe,
gli
sono solo grata perché senza di lui non ci sarei io.
Nient'altro.
Per il resto, se Dio esiste, è l'unico che può giudicarci.
William
annuì, confuso quanto prima: stava per dire a sua madre
dell'incontro con la Regina quando la sentì sussultare ed
emettere
un lieve gemito.
-Mamma?
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Capitolo 10 *** Bevenuta in questo mondo ***
9
9
Benvenuta
in questo mondo
William
prese il telefono con le mani che gli tremavano per l'agitazione:
più
di una volta, la cornetta rischiò di sfuggirgli mentre componeva
il
numero e aspettava, implorando l'Angelo che qualcuno rispondesse.
-Ti
prego... ti prego... - ripeté, mentre nel corridoio si
susseguivano
i passi di Ron e di Cat. -E dai...
Al
ventesimo squillo, forse cedendo all'insistenza del Cacciatore, una
voce assonnata accolse le sue preghiere.
-Pronto...
?
-Magnus,
mia madre! Devi venire subito!
-Will...
sono le quattro del mattino- mormorò lo stregone, che aveva
afferrato solo poche sillabe confuse. -Torna a dormire... Ne
riparliamo domani.
-Magnus!
Sta per nascere mia sorella!
-E
perché non l'hai detto subito?- ribatté, svegliandosi di
colpo.
-È
mezz'ora che te lo sto ripetendo- replicò, esasperato.
-Mando
un messaggio ad Alec e arrivo. Tu non farti prendere dal panico.
-Sì...
va bene- concluse. Come se fosse facile: suo padre era stato in mezzo
ai piedi per tutti i nove mesi, stressando sua madre, ed ora che
avrebbe dovuto esserci e starle accanto, aveva avuto l'idea geniale
di trattenersi ad Alicante.
A
volte il destino aveva un umorismo tutto suo.
I
tre giovani Cacciatori erano nel corridoio e aspettavano impazienti:
avevano camminato avanti e indietro, si erano seduti sul pavimento,
si erano rialzati... Quell'attesa snervante li stava uccidendo ed
erano trascorsi solo una ventina di minuti da quando Magnus Bane era
entrato nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle e lasciandoli
lì con il ricordo del suo pigiama verde acido.
Nell'Istituto
non si sentiva volare una mosca e i ragazzi si scambiavano occhiate
sempre più preoccupate: si fidavano ciecamente dello stregone,
ma
non ci stava mettendo un po' troppo? Si era forse trattato di un
altro falso allarme? Eppure Clary era sembrata sicura quando aveva
chiesto loro di chiamare Magnus perché era il momento ed era
troppo
tardi per l'ospedale.
-Cat,
secondo te è tutto a posto?- domandò Will.
-Perché
lo chiedi a me, scusa? Non ho ancora avuto dei figli: come faccio a
saperlo?!
-Sei
una donna, di sicuro ne sai più di noi su certi argomenti.
-Will,
è in buone mani- intervenne il suo parabatai, mettendosi al suo
fianco. -Cerchiamo di restare calmi: ci sarà già tuo
padre ad
essere in ansia per tutti.
-Sì...
In
quell'istante un vagito si levò dalla camera e risuonò
per i
corridoi silenziosi.
-Se
non avessi conosciuto gli avi di Jace, penserei che tu ed Alec
dobbiate spiegare qualcosa- commentò allegramente, mettendole
tra le
braccia una bimba dalla chioma nera.
-Magnus,
non puoi credere davvero... - iniziò, sorpresa. Alec era un uomo
bellissimo, ma Clary non l'aveva mai guardato in
quel senso.
-Sto
scherzando, biscottino- ribatté lo stregone, sedendosi sul bordo
del
letto. - Inoltre ha il marchio degli Herondale: non può che
essere
figlia di Jace. Ed è bellissima.
Clarissa
osservò la piccola con un sorriso dolce, sfiorandole piano il
contorno del viso e poi i piccoli pugnetti che teneva stretti al
corpicino: era meravigliosa, semplicemente questo. Sentì
un'ondata
d'amore invaderle il petto e le posò un lieve bacio sulla
testolina
piena di capelli scuri, voltandosi poi verso Magnus.
-Grazie.
-E
di cosa? Non sapevi che sono anche un perfetto ginecologo?
-Di
essere qui.
L'altro
la fissò, cercando una risposta adatta e non trovandola: era
forse
la prima volta che restava senza parole, ma la scena che aveva di
fronte era tanto dolce che non gli importò più di tanto.
-Clary!
Jace
si precipitò nella stanza come un tornado, bloccandosi poi sulla
porta con una mano sulla maniglia e la bocca spalancata: quella
cosina in braccio a sua moglie, quell'esserino accanto all'unica
donna della sua vita...
-Sei
arrivato, finalmente- commentò lo stregone, entrando nel campo
visivo del Cacciatore per un istante e imprimendosi nella sua mente
come un'indistinta macchia verde acido.
Lo
Shadowhunter scosse la testa e avanzò verso Clary, lo sguardo
concentrato solo su di lei; si inginocchiò accanto al letto e i
suoi
occhi incontrarono il volto di sua figlia.
-Allora?
Non dici niente?- domandò la donna.
Jace
non stava mai in silenzio, amava parlare e non riusciva a tacere per
più di due secondi consecutivi. Ma in quell'attimo aveva la gola
più
arida di un deserto e ogni parola era fuggita dalle sue labbra.
-Jace?-
lo chiamò preoccupata.
Anche
Magnus, che stava per lasciare la stanza e concedere loro un po'
d'intimità, li guardò con una punta d'ansia: che pensasse
davvero
che lei ed Alec... ?
-Io...
ho perso il momento più importante della sua vita-
pronunciò
infine, sciogliendo la tensione che si era creata nella camera.
-Amore
mio... - mormorò la moglie, sollevata. Gli carezzò la
guancia e gli
sorrise, un sorriso così dolce che Jace si sentì turbato
nel
profondo. Sorrise di rimando, e Maguns pensò che nella sua
espressione c'era una fiducia che non aveva mai visto su un volto
umano. Non di recente, almeno.
Rassicurato,
il figlio di Lilith uscì, sicuro che fuori dalla stanza avrebbe
trovato altre persone da dover tranquillizzare. E forse poteva anche
giocare un piccolo scherzo.
Jace
nel frattempo si era accomodato al fianco di Clary, passandole un
braccio attorno alle spalle e baciandole la testa: era felice come
poche volte gli era capitato di essere, felice ed entusiasta. Era di
nuovo padre ed era già innamorato della sua bambina.
-Benvenuta
in questo mondo, Cecily Herondale- sussurrò, avvolgendo lei e la
moglie nel cerchio protettivo delle sue braccia.
-Zio,
allora cosa è saltato fuori dalla riunione? Ci sono
novità?
-No,
nessuna- rispose Alec, che attendeva nel corridoio con i ragazzi,
mangiandosi le unghie fino alla carne per il nervosismo. -Magnus sta
esaminando un oggetto che è stato ritrovato nei pressi di un
cadavere, ma è presto per poter stabilire se ha qualche legame
con
le vittime e le loro morti.
-Insomma
si aspetta finché non ci saranno più mondani.
-Qualcosa
del genere, Will- fu costretto ad ammettere. O finché il
Conclave
non avesse iniziato a ragionare, cosa probabile quanto la
colonizzazione di Marte entro l'anno.
Quella
sera Isabelle aveva annunciato a tutti la causa di quelle morti,
suscitando l'ilarità generale e una pioggia di commenti che era
scesa su Alec come una frana di pietre. L'età cominciava a farsi
sentire, avevano detto alcuni. La possessione demoniaca aveva come
conseguenza la nascita degli stregoni e Magnus si confondeva con
l'idillio tra i suoi genitori, avevano detto altri.
E
questi erano tra i più gentili.
Sua
sorella aveva atteso paziente che tutti tacessero, poi aveva
affermato che nessun altro nella sala aveva tirato fuori un'idea
intelligente da quando era cominciata quella storia; il figlio di
Lilith era stato l'unico ad alzare il suo vecchio sedere mezzosangue
per fare qualcosa e aiutare le indagini. Ma i commenti non si erano
spenti: erano proseguiti, anche se ridotti a sussurri scambiati alle
spalle del Cacciatore.
Aveva
cercato di ignorarli, di convincersi che non fossero altro che acqua
e lasciarseli scivolare addosso, ma era stato inutile: quell'acqua
era peggio dell'icore demoniaco e bruciava pur senza lasciare segni
sulla pelle.
Dopo
era arrivato un messaggio di fuoco indirizzato a lui e il cuore aveva
smesso di battere: persino le voci insistenti e maligne erano svanite
di fronte alle poche parole contenute nello scritto.
“Muoviti
e prega il tuo Angelo”
diceva.
Abbastanza perché Alec capisse e pregasse, implorandolo
ininterrottamente dal momento in cui aveva messo piede nell'Istituto,
lasciando che Jace si precipitasse dalla moglie. Pregava Raziel che i
suoi incubi non divenissero realtà, perché altrimenti
l'intero
esercito angelico non sarebbe bastato a placare la furia del suo
parabatai. E nessun luogo sarebbe stato sicuro.
Tra
la salvezza e la dannazione c'era quella bambina e il sangue che le
scorreva nelle vene.
Tra
la vita e la morte c'era ancora Valentine e i suoi folli esperimenti
da dottor Frankenstein.
E
a dividerlo dal verdetto, solo una porta chiusa che pian piano si
stava aprendo; il suo compagno uscì con un'espressione
indecifrabile.
-Stanno
bene?- chiese, travolto poi dalle domande degli altri.
-È
bella?
-Possiamo
vederla?
-Mi
somiglia?
-Sì,
Alec, stanno bene. E Sì, Cat, è bella. Ron, penso che tra
un attimo
potrete entrare senza rischiare il diabete. E Will... - S'interruppe,
guardando il giovane: William lo fissava con un sorriso e gli occhi
grandi, come un bimbo in attesa di un regalo. -No, non ti somiglia
affatto.
-Vuoi
dire che ha preso da papà?
-Nemmeno
quello. Somiglia ad Alec.
I
ragazzi si voltarono all'unisono verso Alexander, con espressioni che
andavano dallo stupito all'allibito fino all'assolutamente sconvolto.
-Zio
Alec, come hai potuto? Tradire la fiducia di mio padre, del
tuo parabatai...
-L'Angelo
ti farà delle cose orrende- continuò Cat. -Verrai
maledetto, fatto
a pezzi...
-E
le tue ceneri saranno sparse nelle dimensioni demoniache.
-Oh,
sembra davvero orrendo- commentò Ron con aria sofferente. -Spero
che
ne valesse la pena, Alec.
-Ehi
ehi ehi!- esclamò il Cacciatore, portando le mani avanti.
-Cos'è
questa storia?! Io non ho fatto niente, posso giurarlo sull'Angelo!
Magnus, che razza di voci metti in giro?!- urlò paonazzo.
Lo
stregone scoppiò a ridere, guadagnandosi un'occhiata furiosa da
parte del compagno.
-Ragazzi,
siete davvero divertenti. Jace non ha un palco di corna e sulla
fedeltà di Alec non ho il minimo dubbio- spiegò,
calmandosi. -Un
tuo antenato, Will, aveva i capelli scuri e gli occhi azzurri proprio
come Alec. Infatti c'è un po' di sangue Herondale nei Lightwood.
-Quindi
mia sorella ha ereditato l'aspetto dei precedenti Herondale?
-Esatto.
La prossima volta che vieni da noi ti mostrerò una foto che
ritrae
proprio quella persona. Ora è il caso di avvisare i Fratelli
Silenti: dovranno preparare il rituale di protezione per la piccola.
-Ci
penso io- decise Alec, intenzionato a sbrigare al più presto
quella
formalità. Una volta apposti gli incantesimi, avrebbe potuto
dormire
di nuovo tranquillo e preoccuparsi soltanto delle candeline sulla
torta di compleanno del suo amato. -Dirò loro di fare il prima
possibile- assicurò, allontanandosi diretto alla Città
Silente.
Sapeva che non era gentile nei confronti di Jace, che certo ci teneva
alla sua presenza in quel momento tanto importante, ma ci sarebbe
stato tempo per coccolare e viziare la nipotina: ora doveva
preoccuparsi di ritrovare la quiete e gettare in un angolo ogni
angoscia.
-Poteva
anche aspettare cinque minuti- commentò William, inarcando un
sopracciglio: quella di suo zio pareva una fuga e anche piuttosto
precipitosa. -A mio padre dispiacerà.
-Tornerà
prima di quanto pensi. Inoltre, sai anche tu quanto sia importante
questo rituale, no? Prima lo si fa e prima saremo tutti certi che la
piccola è al sicuro- rispose Magnus, tentando di spostare
altrove
l'argomento. -Ora, piccoli Shadowhunters, che ne dite di conoscere il
nuovo acquisto dell'Istituto?
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Capitolo 11 *** Nulla di naturale ***
10
10
Nulla
di naturale
William
si lasciò cadere sfatto sul letto: sua sorella Cecily aveva un
giorno solamente e lui aveva già stabilito senza alcuna ombra di
dubbio che cacciare demoni per 48 ore di fila era meno faticoso che
occuparsi di un neonato.
-Se
un giorno dovessi dirti che voglio diventare padre, sei autorizzato a
trapassarmi con una spada- annunciò, affondando il viso nel
cuscino
e sollevando un braccio. -E, possibilmente, uccidimi.
-Tralasciando
il dettaglio che fare un figlio con te non rientri nella lista dei
miei desideri... non capisco cos'hai da lamentarti: Cecily è un
angioletto- replicò il suo parabatai, sedendosi a terra e
raccogliendo uno dei tanti libri sul pavimento.
-Non
parlavo di Cecily- ribatté, alzando la testa con una smorfia
disgustata. -Mi riferivo ai miei genitori.
-Cos'hanno
combinato? Hanno già in cantiere un altro fratellino?
-Per
l'Angelo, no!- esclamò atterrito. -Sono già abbastanza
insopportabili così... tutti zucchero, bacetti e frasette che
farebbero cariare anche una dentiera. Che razza di esempio vogliono
dare alla mia sorellina? Ho dovuto tenerla lontana da loro per
evitare che assistesse a scene rivoltanti e non oso immaginare cosa
stiano combinando adesso. Si staranno rendendo ridicoli davanti a
Fratello Zaccaria.
Ronald
scoppiò a ridere, immaginando l'amico alle prese con biberon e
pannolini: era un peccato esserselo perso per dare la caccia al loro
nemico.
-Ho
bisogno di un bel racconto da Cacciatori. Dimmi che avete ingaggiato
una sanguinosa e cruenta battaglia contro un qualche demone
raccapricciante.
-Mi
dispiace deluderti, Will, ma è stata una vera noia.
Probabilmente la
notte più tranquilla da quando sono nati i Nephilim-
replicò,
osservando le pile di libri disposte in precarie strutture accanto
alla scrivania. -Però potrebbe essere emozionante rimettere in
ordine questa stanza: scommetto che non ricordi nemmeno più che
c'è
un pavimento sotto tutte queste cose.
-Davvero
spiritoso, sembri mio padre. E poi non c'è così tanto
disordine.
-Tu
dici?- ironizzò, volgendo lo sguardo tutt'intorno. -Quella
cos'è?
Una riproduzione della Statua della Libertà fatta con le
cartacce? E
quelli? Mi chiedo se hai ancora dei vestiti nell'armadio, visto che
sono tutti sparsi ovunque. Dai, ti darò una mano se ti decidi ad
alzarti e iniziare.
William
sospirò valutando che forse Ron non aveva tutti i torti: in
mezzo a
quel caos si sarebbe potuta annidare tranquillamente una squadra di
demoni. Ed era un modo come un altro per non pensare a quanto fossero
imbarazzanti e mielosi i suoi genitori.
-Affare
fatto, ma hai promesso di aiutarmi.
-Finalmente
rivedremo com'è fatta la stanza- commentò il compagno,
alzandosi.
-Vado a prendere dei sacchi per lo sporco: ne avremo bisogno.
-Vedi
di tornare, però- gli urlò dietro l'amico. -Non usarlo
come scusa
per sparire e lasciarmi tutto il lavoro.
Ronald
rispose qualcosa dal corridoio, ma William non lo sentì;
brontolò
un'ultima volta prima di abbandonare il letto e decidere da che parte
iniziare: c'era solo l'imbarazzo della scelta, dopotutto.
Effettivamente era passato un po' dall'ultima ripulita generale.
Forse un po' troppo.
-Cominciamo-
si incitò, avvicinandosi al comodino e scostando i libri per
metterli insieme agli altri e riporli poi sulla mensola. -E questo
cosa... ?
Sul
piccolo mobile c'erano dei frammenti di vetro sparsi tra le
cianfrusaglie, e il ragazzo si ricordò della piccola sfera
raccolta
nel vicolo alcune notti prima: probabilmente vi aveva appoggiato
sopra qualcosa e l'aveva rotta inavvertitamente.
-Poco
male- concluse, prendendo il cestino e gettandovi i cocci. -Era solo
uno stupido giocattolo mondano.
-Alec,
ti vuoi calmare, per favore? Non riesco a concentrarmi con te che
continui avanti e indietro per la stanza come il fantasma di
Canterville- brontolò Magnus, facendo voltare la sedia girevole
per
guardare in faccia il compagno. -Il rituale inizierà a breve e
il
suo esito non cambierà solo perché hai fatto un solco nel
pavimento.
-Lo
so benissimo, ma non riesco comunque a restare tranquillo come fai
tu. Cecily...
-Cecily
è al sicuro e nessuno le farà del male. In qualsiasi caso.
Alexander
annuì, sedendosi scompostamente sul divano e dedicando
più
attenzione ai fogli caduti dalla scrivania dello stregone: il
fidanzato stava ancora lavorando ai simboli rinvenuti sui frammenti
di vetro. Era decisamente più bravo di lui nell'arte della
tolleranza e dell'indifferenza: riusciva ad aiutare anche chi sputava
su di loro e sulla loro relazione, mentre il Nephilim trovava
già
arduo uno stentato saluto poco convinto. Certo, era pur vero che il
figlio di Lilith si impegnava anche per il Cacciatore; anzi, forse il
motivo di tanta solerzia era solo quello: se Alec non fosse stato il
suo innamorato, Alicante avrebbe dovuto svuotare le casse per pagare
uno solo dei servigi del Nascosto. O avrebbe mandato l'Inquisitore a
fare minacce, come sempre: erano l'arma più potente del
Conclave. E
anche l'unica.
Sua
sorella Isabelle era a capo di un fragile castello di carte dalla
funzione puramente simbolica e, malgrado i suoi sforzi, non poteva
tenere insieme qualcosa che era sfasciato da anni di contrasti e
incomprensioni. La guerra contro Sebastian e i suoi Cacciatori oscuri
li aveva resi ancora più divisi e diffidenti: c'era sempre chi
non
mancava di evidenziare quelli tra loro che avevano voltato le spalle
a Raziel e li avevano traditi.
Alec
non voleva pensare a cosa sarebbe potuto accadere se una nuova
battaglia avesse bussato alle porte di Alicante, se ancora una volta
gli Shadowhunters fossero stati chiamati a scegliere da che lato
schierarsi. Costretti a scegliere se uccidere un demone o un
fratello.
Il
Nephilim sperava che quel giorno non arrivasse mai perché aveva
ancora davanti agli occhi le immagini di quella lotta assurda e
violenta; ma la serietà con cui Magnus svolgeva le sue ricerche
lo
spingeva a credere che non ci fosse più spazio per le preghiere.
L'Angelo
era sordo anche alle voci dei suoi figli.
Clarissa
strinse al petto la sua bambina, gettando occhiate preoccupate a
Fratello Zaccaria e alla Sorella di Ferro che l'uomo aveva presentato
come Sorella Lucie: sapeva benissimo quanto fosse importante il
rituale, ma non poteva fare a meno d'essere nervosa. Ci era già
passata con William, conosceva quell'angoscia e quel senso di
soffocamento di fronte all'ignoto: Cecily aveva sangue d'angelo, era
la loro figlia. Poteva essere eccezionale, avere poteri fuori dal
comune.
In
quel caso il Conclave avrebbe potuto nutrine strani e pericolosi
progetti su di lei.
-Non
c'è niente da temere- disse Jace, quasi le avesse letto nel
pensiero.
-Ci
hanno già provato.
-Già
e il Console si è ritrovato un braccio rotto, per non parlare di
una
marea di lividi e maledizioni.
-E
tu sei stato rinchiuso nella Città Silente. Non ci tengo a
ripetere
l'esperienza.
-Eravamo
dei ragazzini, Clary. Ora siamo in grado di affrontare qualsiasi
cosa.
-Sì,
forse hai ragione tu.
-Jonathan,
Clarissa, siamo pronti- annunciò Fratello Zaccaria, parlando
nelle
loro menti.
La
donna scambiò un ultimo sguardo con il marito, poi posò
la sua
creatura sul letto ed uscì dalla stanza, stritolando la mano di
Jace
mentre quest'ultimo chiudeva la porta.
Tutto
era avvolto da un silenzio irreale, tutto era immobile,
cristallizzato nel tempo.
Poi
un suono ruppe la quiete.
Cecily
iniziò a piangere.
Un
brivido gelato percorse l'intero Istituto e i suoi abitanti
perché
non c'era nulla di naturale in quel suono. Era stonato e
agghiacciante quanto lo stridere di un gesso sulla lavagna.
Catherine
lasciò cadere il pugnale, che si conficcò con la punta
nel
pavimento.
Ronald
perse la presa sul sacco dello sporco e le cartacce si riversarono
nuovamente sul tappeto.
William
abbandonò a terra la pila di vestiti che stava sistemando
nell'armadio.
Clary
e Jace si precipitarono nella stanza in preda al panico.
Sorella
Lucie alzò gli occhi su Fratello Zaccaria, avvertendo la sua
stessa
confusione ed incredulità: mai avevano assistito a qualcosa del
genere.
-Che
diavolo state facendo a mia figlia?!- ruggì Jace.
Il
Fratello Silente osservò quei due che aveva visto crescere e
costruire una famiglia, cercando dentro di sé le parole adatte,
quelle meno dure.
-Purtroppo
non ci è possibile completare il rituale.
-Che
significa? Avete perso il manuale, forse?
-No,
è sorta una complicazione che non ci aspettavamo.
-Ma
Cecily sta bene?- chiese Clary, sentendosi mancare il respiro. Era
come un incubo che diventava realtà.
-Sì,
vostra figlia è sana e salva, ma...
-Ma
cosa?! Non abbiamo tempo per questi giochetti, Fratello Zaccaria!
-Cecily
è un demone.
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Capitolo 12 *** Non questa volta ***
11
11
Non
questa volta
L'Istituto
era avvolto dal silenzio e dalla tensione.
William
ci si aggirava inquieto senza trovare pace: i suoi genitori erano
svaniti nella notte insieme a Cecily, senza dare alcuna spiegazione e
mille scenari catastrofici si affollavano nella mente del giovane.
-Perché
non ci fanno sapere qualcosa, maledizione!- urlò, picchiando un
pugno alla parete. -Non pensano che magari ci stiamo preoccupando per
loro?!
-Will,
forse ci stiamo fasciando la testa per nulla- tentò di calmarlo
Catherine. -Forse tua sorella ha più sangue angelico rispetto a
te.
-Fantastico,
così il Conclave le farà tutti i folli esperimenti che
non ha
potuto fare su di me.
-Isabelle
non lo permetterebbe mai, lo sai- ribatté il suo parabatai.
-Ma
chi vogliamo prendere in giro, Ron? Non ha alcun potere in quella
gabbia di matti, è solo un bersaglio per le accuse.
I
due ragazzi si zittirono, incapaci di replicare: come potevano
placare la tempesta nell'animo dell'amico se loro erano i primi ad
essere spaventati? Il ricordo di quel pianto ghiacciava loro il
sangue nelle vene: non era affatto quello di un neonato ma pareva
più
il verso di un demone che veniva ucciso.
-Cecily
ha qualcosa che non va- disse infine il Nephilim, posando la testa
contro il muro. Era quella la verità, era inutile girarci
intorno e
fingere che ci potessero essere altre ragioni: interrompere un
rituale era sinonimo solo di una cosa grave e seria. Sua sorella
aveva un problema, anche se Will non aveva idea di quale fosse.
-Qualcosa
a parte un fratello come te, intendi?- affermò Ronald con un
sorriso. -In questo caso non c'è che una soluzione: restare
uniti,
come sempre, perché siamo una famiglia e anche lei ne fa parte.
Se
il Conclave ha in mente di usarla come cavia, noi gli faremo cambiare
idea: non ci fanno paura.
-Ron
ha ragione: Cecily è una di noi.
William
li fissò: il suo parabatai, suo fratello, una parte della sua
anima,
e la sua amica più cara, sua sorella, l'unica che potesse
tenergli
testa. Per lui si sarebbero gettati all'Inferno e ne sarebbero
tornati, così come Will avrebbe fatto lo stesso per loro. Ma
stavolta la loro lealtà e il loro coraggio non bastavano a
scacciare
i suoi timori: la sua sorellina era chissà dove, magari stava
piangendo e nessuno la consolava. E se avessero rinchiuso di nuovo i
genitori nella Città Silente o ad Alicante? Se il Conclave si
fosse
già impadronito di Cecily?
Lui
doveva scoprirlo o sarebbe impazzito.
-Voi
restate a guardia dell'Istituto- ordinò, lasciando il salotto a
passo svelto. -Io torno il prima possibile.
-Will!
Dove stai andando? Will!- esclamò Cat, tentando di inseguirlo.
Ma
Ron la trattenne, scuotendo la testa: per quanto gli volessero bene e
fossero decisi ad aiutarlo, c'erano cose che doveva fare da solo e
luoghi in cui non potevano accompagnarlo. Dovevano solo aspettare ed
avere fiducia, in lui e nell'Angelo.
Jace
teneva Clary tra le braccia, senza pronunciare parola: le aveva
consumate tutte ormai e nessuna era servita a dargli delle risposte.
Nessuna aveva lenito il dolore del suo cuore.
“-Cecily
è un demone.
Il
tempo parve fermarsi a quella frase pronunciata con una
semplicità
disarmante: come poteva essere? Al massimo poteva essere un angelo,
non certo un demone... era impossibile.
-Fratello
Zaccaria, se è uno scherzo non mi fa ridere.
-Vorrei
che lo fosse, Jonathan, ma purtroppo non è così. Vostra
figlia ha
una natura demoniaca che rifiuta il rituale- rispose l'uomo.
-Continuare con gli incantesimi la ucciderebbe.
-Ma
come può essere?- intervenne Clary, recuperando la voce. Non
potevano dirle che la sua bambina era un demone e pretendere che lo
accettasse senza chiedere una spiegazione. Non era Jocelyn che aveva
semplicemente voltato le spalle al figlio una volta scoperto cos'era.
-Può essere che sia solo... posseduta da un demone... ?
-È
troppo presto per affermarlo con certezza, ma insieme ai Fratelli
troveremo le risposte e una soluzione.
-Me
lo auguro per voi- ringhiò il Nephilim.
Clarissa
gli posò una mano sul braccio: aveva bisogno di lui e del suo
sostegno in quel momento, non potevano permettersi di perdere la
testa e creare altri problemi. Anche se dentro di loro ruggivano come
leoni a cui veniva strappato un cucciolo.
-Fratello
Zaccaria, una volta mi hai confidato di aver amato due persone in
passato. Pensa a Cecily come ad una di queste, ti prego.
-Lo
farò, Clarissa. Gli Herondale avranno sempre un posto speciale
nel
mio cuore.”
Non
avevano avuto né tempo né modo di avvisare i ragazzi e
poteva ben
immaginare quanto dovessero essere preoccupati: William non avrebbe
atteso ancora per molto e a momenti si sarebbe precipitato lì o
avrebbe rivoltato Alicante come un calzino pur di trovarli.
Ma
cosa potevano raccontargli? Anche loro aspettavano da ore che i
Fratelli uscissero dalla Sala delle Stelle Parlanti con un responso,
ma per il momento tutto taceva.
Jace
sopportava quell'attesa snervante solo per Clary, per restarle vicino
e sostenere il suo dolore: non poteva abbandonarla per andare a
sterminare demoni e sfogare quella furia che gli opprimeva il cuore.
Non era più un ragazzino, aveva delle responsabilità e
delle
persone che contavano su di lui.
E,
in ogni caso, estinguere demoni non avrebbe riaggiustato il suo
cuore. Forse Izzy aveva ragione, forse quando un cuore si rompeva non
c'era modo di rimettere insieme i pezzi. Forse quel dolore durava per
sempre.
Improvvisamente
udì della confusione all'esterno della Città e Fratello
Zaccaria
uscì dalla Sala con due confratelli.
-È
arrivato Will- mormorò il Nephilim alla compagna.
Nel
frattempo la notizia del rituale interrotto e del trasferimento di
Cecily alla Città Silente aveva già raggiunto la casa
dell'Alto
Stregone di Brooklyn, come facevano tutte le notizie del mondo
magico.
Come
avevano predetto i tarocchi, le promesse non mantenute e le decisioni
rimandate alla fine si erano rivelate in tutta la loro devastante
potenza.
-Pensi
sia come temiamo?- domandò Alec, torturandosi i capelli neri.
Non
poteva essere così, non voleva nemmeno concepire una simile
eventualità.
-Non
conosco molti motivi per cui non si possa svolgere il rituale, Alec.
-E
ora che facciamo?
Magnus
gli rivolse un'occhiata glaciale, facendo brillare i suoi occhi
felini.
-Secondo
te?-
chiese con tono accusatore, pungendo sul vivo il compagno.
-Pensi
che sia facile? Che mi piaccia questa situazione?
-A
giudicare da come ti comporti, si direbbe di sì, Alec. Quando
Clary
era incinta di Will, hai avuto nove mesi per raccontare loro quello
che avevamo scoperto e non l'hai fatto. Poi tutto è finito bene
e tu
hai preferito tacere. Ora hai avuto altri nove mesi, ma hai trovato
ogni scusa possibile per evitare di parlargliene. Stavolta però
non
ti è andata bene- proseguì inclemente. -Adesso che
intenzioni hai?
Conti di restare lì ad aspettare che passi tutto? In questo caso
la
notizia del giorno è che non passerà, anzi, sarà
sempre peggio. Se
tutto questo ti piace sei libero di crogiolarti in
quest'assurdità:
io vado a parlare con Clary e Jace come avrei dovuto fare
dall'inizio. Sappi però che mi deludi molto: ti credevo
più maturo
e responsabile.
Alec
scattò: sapeva di essere nel torto e di meritare quelle accuse,
ma
sapeva anche che le sue azioni non erano state dettate dalla codardia
come sembrava credere Magnus. Jace non era solo un amico o un
fratello: era il suo parabatai, il loro era un legame che andava
oltre ogni concezione di affetto o di amore. Lo stregone non poteva
capire, non poteva comprenderlo: Alec stava soffrendo per l'amico,
soffriva di quel dolore che, tacendo, aveva sperato di risparmiargli.
-Scusa
se non ho più di 800 anni e me ne frega qualcosa dei sentimenti
degli altri! Scusa se non ho la tua saggezza secolare e commetto
degli errori!- urlò. -E scusa se sei stato costretto a diventare
mortale per stare accanto ad una delusione come me!
Ma
alle sue provocazioni rispose solo il rumore della porta che veniva
chiusa.
-Questo
non è il luogo adatto ad un bambino.
-Fratello
Zaccaria, spostati o sarò costretto a fare qualcosa di cui poi
mi
pentirò di certo- ribatté William sfoderando una spada.
Pretendeva
delle risposte e non se ne sarebbe andato prima di averle avute.
-Né
tu né gli altri Fratelli mi impedirete di entrare e vedere se
mia
sorella sta bene.
-La
piccola Cecily è al sicuro. Puoi tornare al tuo Istituto.
-Non
puoi aspettarti che mi basti sentirtelo dire! È mia sorella,
dannazione! Al mio posto riusciresti a fare il tuo lavoro come se
niente fosse?!
-William
Herondale... - pronunciò l'uomo con tono paziente. Entrando
nella
Confraternita aveva rinunciato a tutto. Aveva perso tutto. -Non
credere che non sappia cosa stai provando. Ma compiere una strage
nella Città Silente non sarà d'aiuto a tua sorella.
-Non
m'importa quanti cadaveri dovrò calpestare per arrivare a lei.
Io
passerò,
a costo di dover distruggere la Città.
Fratello
Zaccaria si concesse un sorriso tra le pieghe del cappuccio: quella
testardaggine incrollabile, quell'ardore indomito, gli erano ben
noti. Vi aveva combattuto per anni quand'era un ragazzo. E un altro
William si sovrappose a quello che gli stava di fronte, un William
ormai uomo, dalla chioma nera e gli occhi di un blu profondo quanto
il mare in tempesta...
“-Non
mi importa se i Fratelli Silenti dicono che è proibito e non te
lo
permetteranno: tu sarai lì quando nascerà mio figlio, a
costo di
dover distruggere la Città Silente per tirarti fuori.”
Quanti
secoli erano trascorsi? A lui parevano passati pochi istanti e quei
ricordi erano ancora più vividi quando incontrava gli Herondale:
in
ognuno di loro c'era qualcosa dell'amico che aveva amato un tempo, a
cui era ancora legato, quasi che non fosse mai morto.
-I
Cacciatori sono nostri fratelli e tutti loro ci stanno a cuore. Non
hai forse fiducia nelle nostre cure?
-Cure?-
ripeté William con apprensione. -Cecily è malata?
-Non
temere per tua sorella: io proteggerò sempre la vostra famiglia,
anche se questo dovesse portarmi contro il mio stesso Ordine.
Il
ragazzo abbassò l'arma, convinto. Fissò per un attimo la
spada,
chiedendosi cosa diavolo gli fosse saltato in mente: non avevano
abbastanza guai? Avrebbe dovuto dimostrarsi maturo e gestire
l'Istituto in attesa dei genitori, invece si comportava come un
moccioso.
-Perdonami,
non so cosa mi sia preso.
-La
devozione che nutri verso la tua famiglia ti fa onore, non devi
scusartene. Cerca però di non lasciarti travolgere dalle
emozioni.
-Me
ne ricorderò. Ora però voglio la verità.
La
verità.
Era
nei suoi diritti conoscerla. Ma come poteva confessargliela?
William
ne sarebbe stato distrutto, avrebbe di sicuro commesso qualche follia
o si sarebbe gettato in un'impresa suicida. D'altro canto, non
avrebbe mosso un passo senza aver ricevuto quanto aveva chiesto.
-Seguimi,
allora.
-Papà,
mamma.
-Will-
disse Clary, abbracciando il figlio.
Il
ragazzo la strinse a sé, avvertendo il suo dolore in ogni
singolo
muscolo del corpo della madre: le sfiorò piano la schiena,
cercando
gli occhi di suo padre e trovandovi la stessa sofferenza.
-Cosa...
cosa sta succedendo?- domandò. -Dov'è Cecily?
-È
nella Sala delle Stelle Parlanti, con i miei Confratelli- rispose
Fratello Zaccaria, avvicinandosi. -Nessuno di loro le sta facendo del
male: i tuoi genitori possono confermartelo.
-Ma
non mi avete ancora spiegato che diavolo sta accadendo- replicò
William, stanco di quei misteri. Non era più un bambino: voleva
sapere, voleva capire. Quelle mezze frasi gli stavano solo facendo
perdere la pazienza.
Jace
gli si portò di fronte, costringendolo a sedersi con un gesto
deciso.
-Non
ci sono molti modi per dirtelo. Tua sorella... è un demone.
Lo
sguardo smeraldo del giovane si spostò rapido sui presenti,
aspettando che uno di loro scoppiasse a ridere e ammettesse che si
trattava soltanto di uno scherzo. Di pessimo gusto, certo, ma pur
sempre uno scherzo. Ma i secondi scorrevano e nessuno accennava a un
sorriso.
Quella
era la verità che aveva cercato, quella per cui era disposto ad
uccidere.
-Co...
come?- balbettò incredulo. Non poteva essere, lui rifiutava di
crederci: i suoi genitori avevano sangue d'angelo in abbondanza ed
era assolutamente impossibile che dalla loro unione nascesse un
demone.
Lui
non era un demone, tanto per cominciare, quindi non poteva credere
che Cecily lo fosse.
-Però
sta bene? Posso vederla?
Fratello
Zaccaria annuì e lo scortò con gentilezza fino alla Sala:
la sua
sorellina si trovava al centro e dormiva tranquilla in una sorta di
culla un po' rudimentale. Will le accarezzò i capelli scuri e
seguì
i contorni paffuti del suo piccolo volto: come poteva celare in
sé
un demone? Sembrava il ritratto dell'innocenza, non del demonio.
-Troverete
un modo per salvarla, vero?- chiese, senza staccarle gli occhi di
dosso. -Non... non la abbandonerete al suo destino...
-Posso
giurartelo, ragazzo. Io non la abbandonerò mai.
-Allora
posso andare a casa- concluse, separandosi dalla sorella. -E... bhe,
cerca di avere cura anche dei miei genitori: non sono forti come
vorrebbero apparire.
-Cercherò
di fare anche questo, William.
Il
Nephilim lasciò la stanza, congedandosi dai genitori.
-Penserò
io ad avvertire la zia e il Conclave: questo è più
importante dei
loro impegni.
-Will,
so che non ha senso dirtelo, ma sii prudente, mi raccomando.
-Stai
tranquilla, mamma, lo sarò- replicò con un sorriso.
Perché nessun
genitore che si rispettasse, mondano o Cacciatore, sarebbe stato
disposto a farsi da parte e dire: “Certo.
Rischia pure la tua vita. Dopotutto, qui c’è in ballo la
salvezza
del mondo.”
-Voi cercate di darci notizie appena ci saranno dei... cambiamenti.
Li
salutò ancora e poi lasciò la Città, scoprendo di
non essere
l'unico visitatore di quel giorno.
-Magnus?-
lo riconobbe sorpreso. -Sei qui per Cecily?
-In
un certo senso. Sono qui per dare il mio aiuto, anche se non so
quanto sarà gradito.
-Scherzi?
Tu sei l'Alto Stregone di Brooklyn, conosci tutto e sai tutto. Se
c'è
qualcuno che può aiutare mia sorella sei tu.
-Non
questa volta- ribatté con tono stanco, posandogli una mano sulla
spalla e superandolo.
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