Sotto l'ala dell'Aquila

di O n i c e
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La lince del deserto ***
Capitolo 3: *** Smeraldo e turchese ***
Capitolo 4: *** Dubbi ***
Capitolo 5: *** La lettera ***
Capitolo 6: *** Passato ***
Capitolo 7: *** Verso la fortezza ***
Capitolo 8: *** E fa inspiegabilmente male ***
Capitolo 9: *** Bugie e mezze verità ***
Capitolo 10: *** Rivelazioni ***
Capitolo 11: *** Il Maestro ***
Capitolo 12: *** Tagliente come una lama ***
Capitolo 13: *** L'aquila a due teste ***
Capitolo 14: *** Perdono ***
Capitolo 15: *** In frantumi ***
Capitolo 16: *** Iniziazione ***
Capitolo 17: *** Il sicario ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



I
Prologo
 

 

Aprile 1187
 
Il sole splendeva ancora alto nel cielo nonostante si stesse approssimando l’ora di cena. La maggior parte della gente stava lasciando lentamente le strade per tornare alle proprie abitazioni. La brezza della sera soffiava leggera e le scompigliava i mossi e lunghi capelli color mogano lasciati ricadere fluenti sulle spalle coperte da un leggero cotone arancione. Afferrò con le dita sottili un dattero e l’avvicinò elegantemente al viso, inspirandone il delicato profumo.
«Sono freschissimi mia signora» le disse il mercante, osservandola speranzoso che quella giovane bellezza acquistasse quei frutti deliziosi. «E dolcissimi.» aggiunse ammirandola.
La ragazza sorrise. «Oh, non ne dubito.» rispose alzando gli occhi sul fruttivendolo, che subito abbassò lo sguardo riconoscendo in quegli occhi così insoliti l’identità di chi aveva di fronte.
«Mia signora» s’inchinò ossequioso. «Perdonate la mia mancanza, ve ne prego. Non vi avevo riconosciuta, non avrei mai voluto mancarvi di rispetto.»
La giovane sorrise invitandolo a rialzarsi. «Non inchinatevi, non dovete scusarvi di nulla.» lo rassicurò sorridendo. «E, vi prego, datemi cinque o sei di questi datteri, vorrei tanto portarli alla mia nutrice.» aggiunse tirando fuori dalla sacca che portava legata alla cinta alcune monete.
«Oh grazie mia signora. Grazie infinite!» esclamò inchinandosi nuovamente. «Prendetene quanti ne volete!» consentì mentre la ragazza lasciava cadere le monete nei palmi aperti a coppa del mercante. L’uomo gliene porse una decina che posizionò nella cesta che la giovane teneva al braccio. «Grazie ancora mia signora, tornate presto.»
«Grazie a voi, buon uomo.» si congedò inclinando la testa prima di voltarsi e incamminarsi lungo la strada ormai quasi deserta. Doveva cercare Latifa, la sua vecchia balia, per tornare insieme al palazzo, ma non aveva idea di dove trovarla. Si erano separate di fronte alla bancarella di un venditore di stoffe, ma era evidente che non fosse più lì; percorse velocemente la strada principale guardandosi attorno e sperando di notarla tra la folla e andava via via disperdendosi. Si agirò per diverso tempo per il mercato fino a che notò il cielo tingersi di scuro. Era ormai il tramonto, dove accidenti si era cacciata quella donna? Si erano date come luogo di ritrovo l’angolo di fronte alla bottega del ciabattino, ma di Latifa neanche l’ombra. La ragazza stava iniziando a preoccuparsi: presto avrebbe fatto buio e doveva sbrigarsi a tornare, ma non sarebbe di certo tornata sola lasciando la sua nutrice chissà dove.
E se le fosse successo qualcosa? Pensò a un certo punto. L’attesa le faceva prudere le mani e così, incosciente come tutti i ragazzi di sedici anni, decise di andare a cercarla.
Percorse per un po’ le strade principali, sviando poi in vie secondarie, fino a che sentì alle sue spalle un rumore di passi. Accelerò leggermente il passo e svoltò varie volte in stradine perlopiù deserte.
Destra, sinistra, destra, ancora destra, sinistra…
Stava iniziando a preoccuparsi, percepiva ancora quei passi dietro di sé e, anzi, parevano appartenere a più di una persona.
Accidenti a te, Latifa! Dove sei?
Si rese conto solo troppo tardi di essersi persa ed essere finita nel distretto povero della città, svoltò l’ennesimo angolo e si ritrovò in un vicolo cieco. Un brivido di paura le corse lungo la schiena quando si accorse che chi la stava seguendo era fermo alle sue spalle.
«Bene, bene. Sembra che questa signorina si sia persa.» sibilò un uomo alle sue spalle, qualcun altro ridacchiò. La giovane si era irrigidita e sentiva la paura stringerle le viscere. «Forza dolcezza, girati!» ordinò la stessa voce di prima.
Deglutì due volte e, veloce, afferrò dalla cesta un dattero senza farsi notare. Doveva mantenere la calma o non avrebbe avuto speranze. Si voltò lentamente, alzando gli occhi solo all’ultimo e sbiancò quando si accorse che i suoi inseguitori erano ben sei. Sentì il fiato mancarle al solo pensiero di quello che le sarebbe potuto accadere. No, non ne aveva proprio di speranze, ma non voleva cedere alla disperazione.
Certo, facile a dirsi.
«Guarda chi abbiamo qui…» ricominciò viscido quello che doveva essere il capo di quei bastardi. «Non hai paura ad aggirarti tutta sola per questa città?» continuò facendo scoppiare altre risa.
«Najib…» gli si avvicinò uno degli uomini, «sai chi è lei?» chiese dubbioso.
L’altro esplose in una risata sguaiata. «Certo che lo so idiota, sarà più divertente no? Avanti, inizia tu Shafi.» l’energumeno gli diede una spinta verso la ragazza, che indietreggiò ancora, con il cuore che le esplodeva nel petto. «Guarda che ti sto concedendo un grande onore: prenderti per primo la verginità di una donna, di una come lei poi… dovresti essermene grato!»
L’uomo, che sembrava il più giovane –dimostrava poco più di vent’anni,- esitò guardando la ragazza a diversi metri da lui che lo fissava tremante e con gli occhi sbarrati, in preda al terrore.
«Avanti che aspetti!» lo incitò un altro della banda. «Vuoi che lo faccia io per primo?» continuò un altro. Altre risate. Il ragazzo non si mosse.
Il capo si stava innervosendo. «Levati di mezzo!» lo scansò con una spallata. «Quando ti capiterà ancora di fotterti la figlia del defun…» ma non poté completare la frase perché la giovane, in un ultimo disperato tentativo di reagire, l’aveva colpito in pieno volto con il dattero che aveva afferrato prima dalla cesta.
«Maledetta! Come osi?!» gridò prima di scagliarsi contro la figura esile della ragazza, ma prima che potesse avventarsi su di lei un pugnale lo colpì con incredibile precisione alla tempia, facendolo crollare a terra. La ragazza lanciò un urlo, mentre gli scagnozzi dell’assalitore si guardavano attorno sconcertati, pronti a sguainare le spade.
Un lampo bianco atterrò proprio di fronte a lei con un tonfo sordo. Lo sconosciuto si voltò un istante e tutto ciò che la ragazza vide fu un sorriso accennato sotto al cappuccio che gli celava per metà il volto.
I cinque uomini sobbalzarono prima di estrarre le armi dai foderi, ma un altro di essi perì ancor prima di rendersi conto che un altro uomo vestito di bianco era atterrato alle sue spalle, silenzioso come un gatto, trafiggendolo con una lama celata nell’antibraccio sinistro.
Assassini.
I quattro rimasti si posizionarono spalla contro spalla, pronti a combattere. Nonostante fossero in superiorità numerica, non fu difficile per i due assassini eliminarli: altri due crollarono dopo pochi e letali attacchi. Il terzo uomo sembrava essere il più abile, riusciva a schivare affondi decisamente potenti e attaccare con incredibile velocità, tant’è che riuscì a ferire il secondo assassino al labbro con un colpo di spada. L’affondo successivo arrivò fulmineo e inaspettato. La ragazza trattenne il fiato, rapita dalla maestria e fluidità con cui si muovevano i due assassini.
L’incappucciato ferito schivò all’ultimo istante e così l’assalitore si ritrovò sbilanciato in avanti, perse l’equilibrio e si fu trafitto dalla spada dell’avversario. «Muori bastardo.» pronunciò con accento siriano prima che il cappuccio gli scivolasse dal capo scoprendone il viso giovane. L’assassino si apprestò a tirarlo nuovamente su, ma non fu abbastanza veloce nell’evitare che il suo sguardo si incrociasse con quello della giovane a cui lui e il suo compagno avevano salvato la vita. Fu un attimo, ma sufficiente perché quegli occhi così particolari gli marchiassero l’anima.
L’ultimo a morire fu il più giovane degli assalitori, Shafi. Durante lo scontro non aveva tentato una sola volta di attaccare, si era limitato a parare i potenti fendenti dell’altro assassino, il primo che era intervenuto.
«Mi… dispiace» furono le sue ultime parole, prima di accasciarsi a terra senza vita con la lama del suo carnefice che ancora gli trapassava le membra e la spada che aveva in mano tintinnava a contatto con il suolo.
Solo in quell’istante la ragazza crollò a terra, scossa dai singhiozzi che aveva trattenuto fino a quel momento. «State tranquilla, ora è tutto finito.» cercò di rassicurarla uno degli assassini, avvicinandosi e inginocchiandosi di fianco a lei.
«Malik, avanti andiamo!» lo riscosse l’altro, che con una mano si tastava la ferita al labbro. Il primo non gli diede retta
«Come vi chiamate?» continuò invece, senza curarsi del compagno.
La ragazza prese un respiro profondo. «Vi…» iniziò, ma si sentì chiamare da una voce familiare e si interruppe. «Latifa…» sussurrò voltandosi di scatto.
«Muoviti Malik!» l’assassino ferito strattonò l’altro per un braccio.
«Latifa sono qui!» urlò la giovane. Quando si girò nuovamente verso i suoi salvatori il vicolo era vuoto, fece solo in tempo a scorgere un bagliore bianco prima che scomparisse sui i tetti.
«Virginia, mia signora!» sentì la voce della sua balia e si sentì svuotata della paura che aveva provato fino a poco prima, corse ad abbracciarla mentre la donna realizzava con terrore la carneficina che era stata compiuta nel vicolo. «Mio Dio, stai bene bambina mia?» le chiese piena di apprensione.
«Sì, Latifa, non preoccuparti. Sono salva grazie a due angeli.» le disse trascinandola via da quel maledetto vicolo.
«Due angeli?» chiese sconcertata la donna.
«Sì.» confermò.
Due angeli. Due Angeli della Morte. 

 






 

Note autrice:

Buona sera a tutti!
Eccomi qui con una nuova fanfiction (decisamente orribile a mio parere xD) che spero che voi possiate apprezzare.. l'idea mi è saltata in mente per caso ma ce l'ho già ben delineata in mente :) Ringrazio già tutti coloro che leggeranno questo mio sclero senza pretese, e che altro dire? Recensite se volete, che non costa nulla ;)
Baci,

O n i c e


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Capitolo 2
*** La lince del deserto ***



II
La lince del deserto



 

 
 

Quattro anni dopo

Un’aquila volteggiava solitaria nel cielo azzurro e terso di fine luglio mentre le sue grida si confondevano con il clangore metallico che proveniva, diverse decine di metri più in basso, dallo spiazzo sterrato e circolare posto ai margini di un piccolo villaggio tra le aride colline del deserto palestinese, a quattro giorni di cammino da Gerusalemme.
Due figure stavano combattendo già da qualche ora in mezzo all’arena improvvisata. L’uomo, vestito di bianco con una fascia rossa stretta in vita, si avventò con forza sulla sua avversaria che parò il colpo con abilità, ritrovandosi però leggermente sbilanciata, il suo maestro ne approfittò per farle uno sgambetto, facendola crollare a terra e puntandole la punta della spada alla gola. «Ottimo Nadirah, quello di oggi lo definirei il miglior allenamento degli ultimi mesi.» si congratulò con il fiato grosso rinfoderando la spada e porgendole una mano. «Non è facile farmi stancare.»
«Come sei modesto.» gli rispose, anch’ella con il fiatone, afferrando la mano del vecchio. «Però devi ammettere che non sei più quello di un tempo.» scherzò.
«Razza di insolente! È questo il rispetto che porti al tuo caro maestro?» la rimproverò con lo stesso tono scherzoso. La ragazza rise afferrando da terra la spada che le era scivolata di mano mentre era ruzzolata sul suolo e la infilava nel fodero che le pendeva al fianco destro.
«Abbiamo già finito?» chiese vedendo il vecchio scavalcare la cinta e dirigersi verso la modesta abitazione costruita con mattoni essiccati.
L’uomo si voltò osservandola impassibile, ma la giovane ormai lo conosceva abbastanza bene per capire che era rimasto stupito dalla sua domanda. «Ah Nadirah, tu sei giovane, ma come hai detto tu questo povero vecchio non ha più l’età per sostenere ore e ore di allenamento. Se vuoi però puoi allenarti un po’ da sola, torna qui prima del tramonto, per quell’ora sarà pronta la cena. Sii puntuale perché devo parlarti.»
«Certo maestro, a dopo.» annuì la ragazza inclinando il capo e voltandosi per raggiungere di corsa la stalla.
Devo parlati”, chissà che avrà in mente… Pensò mentre, dopo aver preso arco e faretra, montava sulla sua cavalla grigia e con un fischio chiamava i due levrieri persiani del vecchio maestro.
Si va a caccia!
 
Nadirah aveva un talento naturale per il tiro con l’arco: aveva una mira infallibile, grazie alla vista acuta e all’udito estremamente fine riusciva a scorgere da notevoli distanze i suoi bersagli. La caccia la usava come allenamento cercando di colpire le prede in movimento da sempre più lontano.
Era stato il suo maestro a regalarle il suo primo arco, ricordava ancora i suoi primi e inaspettati successi quando colpiva i bersagli disposti in cerchio attorno a lei.
“Immagina che siano i tuoi nemici, manda a segno più in fretta che puoi”, così le aveva sempre ripetuto e lei l’aveva fatto, diventando ogni volta più veloce e precisa, fino a raggiungere il livello a cui era arrivata, nessuno era più abile di lei nel raggio di cento miglia: neppure gli arcieri di Salāhal-Dīn, da sempre considerati i migliori, erano al pari di lei.
“Ho saputo che tuo padre era un ottimo arciere, sono certo che saprai eguagliarlo” le aveva detto una volta il maestro.
“Era anche migliore come spadaccino, voglio che m’insegniate a diventare come lui” aveva ribattuto lei pronta. Erano passati diversi anni da quel giorno, ma lo ricordava ancora alla perfezione. Ora quella ragazzina spaurita che aveva accolto come una figlia –che gli ricordava così tanto la sua, scomparsa quindici anni prima,- non esisteva più: aveva lasciato il posto a una giovane donna dall’aspetto elegante come quello di una regina, ma dalla grinta di una leonessa.
Negli anni in cui l’aveva allenata, giorno dopo giorno l’aveva preparata a quello che sarebbe stato il suo destino, l’aveva istruita al meglio, insegnandole tutto quello che sapeva, affinché fosse pronta ad affrontare la sua vita, nuovamente da sola.
Quel giorno era giunto e Nadirah era pronta, lo era da tempo ormai.
Il vecchio salì le scale che conducevano alla terrazza della casa e scrutò l’orizzonte: il sole stava calando e tutt’intorno colorava il paesaggio di calde tinte arancioni; inspirò profondamente e si beò di quella vista, poi i suoi occhi, riparati dalle folte sopracciglia ormai ingrigite e contornati da una fitta rete di rughe, scorsero all’orizzonte la figura inconfondibile della sua allieva che tornava dalla caccia.
Si accomodò sulla sgangherata sedia di legno e accarezzò distrattamente la testa del grosso felino dalla pelliccia rossiccia che si era acciambellato al suo fianco. L’animale facendo le fusa si strusciò sulle sue gambe e poi si avviò giù per le scale.
L’uomo sorrise mesto ripensando alla figlia: il caracal, conosciuto anche come lince del deserto, era considerato come l’essere che incarna lo spirito dei morti, e lui era certo che in quel felino che anni addietro aveva trovato, ancora cucciolo, davanti alla propria casa albergava l’anima di sua figlia, della sua adorata Aidha.
Sentì la porta di casa aprirsi e la voce della sua allieva risuonò tra le pareti. «Eccomi a casa maestro!» annunciò il suo arrivo accompagnata dai guaiti dei cani e dal soffiare irritato del felino acciambellato su uno sgabello.
«La caccia è andata bene vedo.» osservò una volta giunto al pianterreno.
«Già, qui ho due tordi e fuori c’è una lepre selvatica.» spiegò, fiera del suo bottino.
Il maestro avanzò nella stanza e prese dalle mani della ragazza i due volatili. «Dammi, ci penso io a pulirli, tu va’ a sciacquarti e poi torna qui e apparecchia per la cena.»
«D’accordo.» disse prima di poggiare l’arco e la faretra sul tavolo e correre fuori, diretta al pozzo.
«L’arco e le frecce!» le urlò, ma Nadirah era già lontana. Scosse la testa sorridendo, quanto gli sarebbe mancata quella ragazza. Si chiedeva spesso cosa sarebbe successo se avesse insegnato anche a sua figlia a combattere: forse non sarebbe stato necessario fare tutto ciò che stava facendo ora.  
La cena trascorse tranquilla. Nadirah raccontò di com’era andata la caccia e delle tecniche che aveva utilizzato per scovare le prede grazie ai levrieri. Il suo maestro l’ascoltava attentamente, riflettendo e valutando, nelle parole della sua allieva, quanto fosse pronta ad ascoltare ciò che aveva da dirle. Riusciva a cogliere semplicemente dal tono o da come tendeva o aggrottava i muscoli del suo viso quanto fosse in ansia e rosa dalla curiosità per sapere ciò che l’uomo aveva da dirle. Nadirah era ormai come un libro aperto per lui, un libro su cui lui aveva scritto tutto ciò che ora lei sapeva: molto, ma non abbastanza. C’era ancora qualcosa che lei doveva apprendere e che lui non sarebbe mai stato in grado di insegnarle…
Per un attimo all’uomo mancò il coraggio di dirle la verità, fu un istante, ma sufficiente per fargli perdere quella sicurezza e impassibilità che lo aveva sempre caratterizzato: tutti al villaggio lo temevano e lo rispettavano, per questo si era guadagnato l’appellativo di “saggia lince del deserto”: mai si era mostrato incerto, timoroso o insicuro di qualcosa, mai fino a quel momento.
«Nadirah, bambina mia…» iniziò, accorgendosi degli occhi attenti che la ragazza aveva posato su di lui. «sappi che quello che sto per dirti mi causa un tremendo dolore.» continuò percependo la sua allieva trattenere il respiro. Con un tonfo sordo il caracal era saltato sul tavolo a fianco di Nadirah, come a voler essere partecipe anche lui di ciò che il maestro aveva da dirle.
«Quattro anni fa ti accolsi qui come fossi mia figlia, ti ho amata come una figlia e ti ho insegnato tutto ciò che so, ma è giunto il momento che le nostre strade si dividano.» pronunciò lentamente, in modo che Nadirah potesse assimilare tutte le informazioni. Gli si strinse il cuore nel vedere il volto della ragazza trasformarsi in una smorfia di delusione e rabbia: cosa le stava facendo? In quello sguardo rivide le stesse emozioni che lui con fatica era riuscito a cancellare dagli occhi di lei.
«So che mi odierai per questo, ma è giusto che sia così…»
«Perché?» lo interruppe, quasi ringhiando. Non si era mai permessa di interrompere il suo maestro mentre parlava, ma ora era proprio fuori di sé.
«Nadirah io ti ho dato tutto, ma tu devi lasciare questa casa. Ti prego di accettare ciò che ti sto offrendo.»
«E cioè cosa? Non ho nulla maestro, a parte te.» sbottò.
L’uomo prese un profondo respiro. «Nadirah, io in questi anni nei miei insegnamenti indirettamente ti do dato gli indizi necessari perché tu possa trovare la giusta via.» le rivelò. Lei lo guardava stranita, non riusciva a capire di cosa stesse parlando il suo maestro.
«Non pretendo che tu comprenda ora, ma un giorno capirai. Ora voglio solo che tu prenda questo.» le disse porgendole un ciondolo a forma di A stilizzata. «Lo riconosci vero?»
Nadirah annuì. «Ma non capisco, perché vuoi che lo tenga io?»
«Prima, mentre attendevo il tuo ritorno sono salito sul tetto osservando l’orizzonte: ti ho vista arrivare, ma ho visto anche altre due figure a cavallo.» spiegò.
«Io non ho visto nessuno.»
Il maestro ridacchiò. «Questa è un’abilità che non posso insegnarti. In ogni caso sappi che stanno venendo qui per me, sono qui fuori da un po’ e tra poco entreranno. Quando sarà il momento voglio che tu starai già galoppando via da qui.» la pregò alzandosi e prelevando una boccetta di ceramica dalla credenza.
«Ma…»
«Niente ma, avanti abbracciami ora, come farebbe una figlia con il proprio padre.» le disse amorevolmente e Nadirah obbedì, abbracciandolo come non aveva mai potuto fare, se non da bambina, con il suo vero padre.
«Dove andrò?» chiese dopo che si furono sciolti dall’abbraccio.
«Il tuo cuore conosce già la risposta.» le comunicò prima di stappare la boccetta. «Avanti vai ora.» la incitò.
Nadirah lo osservò con le lacrime agli occhi. «Addio, Fahd.» lo salutò, pronunciando per la prima e ultima volta il nome del suo maestro. Si chiuse alle spalle la porta che conduceva alla stalla un attimo prima che il suo maestro ingoiasse in un solo sorso il veleno.
Fahd vide i due assassini irrompere nell’abitazione qualche istante prima che il buio lo avvolgesse spegnendo anche il suo ultimo pensiero: Nadirah era in salvo.
Galoppava nel freddo della notte diretta verso la sua meta.
“Il tuo cuore conosce la risposta”
 Gerusalemme.









 

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Capitolo 3
*** Smeraldo e turchese ***




III
Smeraldo e turchese




 

 
 

Era passato poco più di un mese da quando Nadirah era fuggita a Gerusalemme alla morte del suo maestro e ripensava spesso a quella notte e ai discorsi che Fahd le aveva fatto prima di bere il veleno per sfuggire agli Assassini. Non riusciva a capire cosa le avesse voluto dire, come non riusciva a capire per quale motivo la Setta di Masyaf avesse inviato dei sicari per eliminarlo; dopotutto a quanto sapeva, Fahd era appartenuto agli Assassini e lo dimostravano il suo anulare mancante e il ciondolo che le aveva lasciato e che ora la ragazza teneva legato al collo. E poi se lo volevano morto perché si sarebbe dovuto uccidere lui con del veleno? Cosa per altro aborrita dagli Assassini?
Più tentava di darsi delle risposte e più i suoi dubbi aumentavano.
Non aveva pianto la morte di Fahd, neanche una lacrima. Era stato lui a convincerla che piangere fosse una cosa inutile, le lacrime non avrebbero cambiato nulla.
“Avanti ragazza non piangere.” Erano state quelle le prime parole che Fahd le aveva rivolto, ma lei non l’aveva neppure sentito. L’unica cosa che udiva era l’eco dei suoi singhiozzi che rimbombavano nel vuoto che si era fatto spazio intorno a lei e nel suo animo. Sembrava passata una vita intera invece che quattro estati.
Il sole filtrava dalle fessure delle persiane chiuse e come tutte le mattine la svegliava insieme al vociare familiare di Gerusalemme: la città che aveva nutrito e poi ucciso l’altra parte di lei. Aveva giurato di non tornarci, ma non era mai stata brava a mantenere le promesse.
 Si stiracchiò di malavoglia con un forte cerchio alla testa: la sera prima era sfuggita per puro miracolo a un manipolo di guardie e aveva riportato alcuni tagli, fortunatamente superficiali, sulle braccia. Si alzò per osservarsi allo specchio ma un giramento la costrinse a risedersi sul letto: una delle guardie era riuscita a colpirla alla nuca e, solo Dio sa come, era riuscita a non perdere i sensi e mettersi in salvo. Gerusalemme era blindata da diversi giorni per i funerali di Majd Addin, ma lei non vi aveva dato peso e come una novellina si era fatta notare. Non capitava certo tutti i giorni di vedere qualcuno che non fossero le guardie armato di arco e frecce, una donna per di più, e così si era fatta inseguire e braccare come una stupida dai soldati.
Dove li ho lasciati gli insegnamenti di Fahd?
Attese ancora qualche minuto con gli occhi chiusi e poi decise di alzarsi; la testa le doleva ancora ma fortunatamente riuscì a reggersi in piedi.
Si sciacquò con cura il viso togliendosi la polvere depositata sul viso; l’acqua fresca le risvegliò i sensi e finalmente si poté specchiare, aveva un aspetto orribile: i capelli mossi e scarmigliati erano secchi e sfibrati e due profonde occhiaie le scavavano il viso pallido. Da quanto tempo non si faceva un bagno? Ne aveva un disperato bisogno, ma certamente nella topaia dove alloggiava non poteva certo permettersi un lusso del genere. Sospirò e dopo essersi legata i capelli con un nastrino di cuoio raccolse l’arco e le frecce, infilò la spada nel fodero e chiudendosi la porta della stanza alle spalle si avviò fuori giù dalle scale.
Di sotto il proprietario della locanda già era indaffarato a pulire e sistemare la sala al pianterreno e quando Nadirah gli passò accanto si limitò a lanciarle uno sguardo sconcertato. Se non fosse stato per la cospicua somma di denaro che gli lasciava ogni sera sul bancone, probabilmente il locandiere non avrebbe certamente ospitato una donna che girava armata, per non parlare dell’abbigliamento: dei pantaloni che le arrivavano sotto al ginocchio e una casacca bianca dalle maniche corte, erano abiti del tutto inusuali per il genere femminile e il locandiere a una prima occhiata l’aveva scambiata per un ragazzino.
Varcata la soglia della locanda si apprestò a coprirsi il capo con il hijab per celare il volto e si mischiò alla folla che già riempiva le strade del distretto medio. Camminò per qualche tempo guardandosi intorno guardinga senza curarsi troppo di dove stesse andando fino a che si ritrovò nel distretto ricco: da quando era tornata a Gerusalemme non aveva ancora avuto il coraggio di metterci piede. Inspirò profondamente e un brivido le corse lungo la schiena mentre vecchi ricordi le riaffioravano ancora vividi alla memoria. Scacciò quei cupi pensieri e raccogliendo tutto il suo coraggio proseguì mentre un velo di malinconia le adombrava gli occhi nell’osservare e riconoscere intorno a sé ogni strada, ogni piazza che l’aveva vista crescere.
Al suo orecchio giunse una voce che la riportò alla realtà. «Ho sentito in giro che Roberto di Sable arriverà questa mattina in città, si dice che sia qui per i funerali di Majd Addin.» diceva qualcuno alla sua destra. Nadirah fu incuriosita dal tono e dall’atteggiamento circospetto di un uomo completamente vestito di bianco con un copricapo del medesimo colore che parlava con qualcuno che dalla posizione in cui si trovava non riusciva a vedere.
«Questo lo so. Tu dimmi dove posso trovarlo.» parlò l’interlocutore.
Nadirah si bloccò un istante. Quella voce era sicura di averla già sentita. Il tono profondo e l’accento siriano…
Ma certo!Si ricordò all’improvviso, ma quando si voltò si accorse che entrambi gli uomini erano già spariti tra la folla. Si guardò intorno ma non scorse nessuno.
            Volse lo sguardo verso il cielo e osservò la sagoma di un’aquila planare sopra i tetti della città.
Che fosse una coincidenza? Aveva galoppato fino a Gerusalemme lasciandosi guidare dall’istinto, cosa che faceva raramente, ma forse per una volta aveva agito bene. Che Fahd avesse previsto tutto? O che sapesse? Impossibile. Lei non gli aveva mai parlato di sé e lui non aveva mai fatto domande, eppure qualcosa le diceva che Fahd era a conoscenza del suo passato.
Senza rendersene conto aveva ripreso a camminare facendosi guidare dai ricordi della sua infanzia che fluivano alla mente. Camminò ancora per diverso tempo fino a che si ritrovò nei pressi del cimitero nella zona ovest della città. Una fitta folla di gente era ammassata nella piazzola antecedente le gradinate che conducevano al camposanto per assistere ai funerali di Majd Addin, compresi alcuni generali degli eserciti cristiano e musulmano.
Tra cui Roberto di Sable.
Nadirah si aggirò per un po’ tra la gente cercando di non farsi notare e osservando con attenzione i volti delle persone accanto a sé e sperando di intercettare il volto dell’Assassino: quella volta sarebbe riuscita a fermarlo. Non era più una ragazzina che non sapeva neanche come si reggesse una spada, dopo quattro anni di estenuanti allenamenti era in grado di tenere testa a uomini armati, l’aveva dimostrato più di una volta quando Fahd l’addestrava “sul campo” portandola a Damasco con sé. Non gli aveva mai chiesto cos’avesse da fare lì e perché tutte le volte le chiedeva di guardargli le spalle mentre si infiltrava negli gli antichi palazzi della città.
“Devi tenere sempre gli occhi aperti Nadirah, mai distarti. È fondamentale concentrarsi sull’obbiettivo ma anche su ciò che accade intorno se si vuole conservare la testa attaccata al collo.” Le aveva detto senza troppi giri di parole la prima volta che l’aveva portata con sé a Damasco.
“Maestro, siete sicuro che io sia pronta?” aveva quindi cercato di prendere tempo mentre deglutiva a vuoto. Fahd l’aveva guardata dall’alto della sua imponente figura e aveva annuito prima di lanciarsi giù dal tetto e atterrare in un cumulo di fieno sottostante. Nadirah aveva sgranato gli occhi temendo che il suo maestro fosse stato in preda a un raptus suicida. Solo successivamente aveva appreso che quello era un Salto della Fede e che ogni membro della Setta degli Assassini lo compiva nel momento in cui giurava fedeltà al Credo. Nadirah era affascinata da tutte quelle informazioni che Fahd le spillava raramente e con riluttanza e ogni volta che voleva sapere di più il suo maestro troncava la discussione e se ne andava. Nadirah non ne aveva mai capito il motivo.
Ritornò alla realtà nel momento in cui qualcuno la urtò, distogliendola dai suoi pensieri; nel piccolo cimitero si era scatenato il caos: mentre la folla correva a destra e a manca spaventata nella piazzetta accorrevano numerose guardie con le spade sguainate. Non le ci volle molto per individuare il bersaglio dei soldati: l’incappucciato di bianco che da solo riusciva a tenere testa a un numero esorbitante di uomini armati fino ai denti.
Decise di togliersi da lì e posizionarsi più comodamente su un tetto da dove, armata di arco e frecce, riuscì a trafiggere quasi una mezza dozzina di guardie.
Ma che diavolo…
«Maledetto assassino!» urlò qualcuno alle spalle della ragazza che fece appena in tempo a spostarsi e con la coda dell’occhio vedere una lama conficcarsi a pochi centimetri dal suo piede destro. Con rapidità ruotò su se stessa e colpì con una gomitata e poi con l’arco il crociato alle sue spalle sbilanciandolo e facendogli perdere la presa sulla spada. Nadirah non esitò e dopo aver estratto la sua spada dal fodero trafisse l’uomo strappandogli la vita all’istante. Tutto era successo nel giro di pochi secondi e Nadirah per la seconda volta in quella giornata si era lasciata guidare dall’istinto; mollò la presa sull’arma ancora infilzata nel petto del soldato mentre il suo cuore batteva all’impazzata. Deglutì un paio di volte e cercò di riprendere il controllo di se stessa mentre sentiva delle goccioline di sudore imperlarle la fronte.
«Uccidete l’assassino!» sentì gridare dalla piazza e veloce si affacciò al parapetto osservando il massacro che un uomo solo –un Assassino- era stato in grado di compiere. Nadirah lo vide arrampicarsi come un gatto e saltare agilmente da un tetto all’altro; senza pensarci troppo si lanciò al suo inseguimento facendo attenzione a non farsi notare celandosi alla vista delle guardie che erano decise a non lasciarsi scappare l’Assassino.
Si nascose per un attimo alla vista di un arciere che aveva già incoccato una freccia in direzione dell’Assassino; con incredibile velocità Nadirah tese l’arco a sua volta puntandolo verso l’uomo ma poggiò il piede su una mattonella instabile e quell’attimo fu sufficiente perché l’arciere ferisse il bersaglio e lei sbagliasse. Si morse il labbro e incoccò la seconda freccia, andando questa volta a segno, dritto nella gola del soldato. Dai tetti non riuscì più a scorgere nulla ma alle sue orecchie arrivò il suono inconfondibile di armi che cozzavano tra loro. Si diresse verso la fonte del rumore riuscendo a percepire anche il vociare delle guardie. Sporgendosi dai tetti poté osservare lo scontro che si stava svolgendo in una delle tante piazze di Gerusalemme.
L’Assassino combatteva con scioltezza nonostante fosse evidentemente ferito a una spalla riuscendo a contrastare una mezza dozzina di guardie insieme, trapassò con forza una guardia da parte a parte, ma impiegò troppo tempo per estrarre l’arma e venne colpito al fianco destro da una seconda guardia. Cadde a terra perdendo la spada e sul viso gli si dipinse una smorfia di dolore.
«Ah ah, ti abbiamo preso assassino!» sghignazzò qualcuno.
«Il topo è in trappola.» aggiunse un altro mentre assieme agli altri accerchiava l’Assassino, puntandogli la spada alla gola. «E ora dì le tue preghiere maled…» ma non poté terminare la frase che una freccia gli si conficcò alla base del collo, mozzandogli il respiro e facendolo crollare in avanti. Dai tetti saltò giù una figura minuta con la spada sguainata che senza esitazione attaccò la prima guardia che aveva di fronte; questo, spiazzato, non riuscì neppure a contrattaccare mentre la lama d’acciaio gli trapassava le carni.
«Scappa assassino.» ordinò Nadirah ponendosi fra lui e le guardie rimaste in posizione di attacco. L’assassino rotolò su un fianco lasciando dietro di sé una copiosa macchia di sangue e alzandosi a fatica cercò di protestare. «Chi sei?» domandò in un sussurro strozzato che lei però riuscì a udire.
«Avanti vattene!» gli urlò per tutta risposta girandosi per un attimo prima di scansarlo da un fendente ben piazzato che tagliò l’aria tra i due. Fece appena in tempo a vederlo allontanarsi che un nuovo colpo più preciso del primo le calò sulla testa. Nadirah parò all’ultimo istante e le due lame a contatto produssero una pioggia di scintille. Scartando di lato riuscì a sbilanciare l’uomo e con un rapido scatto ferire alle gambe l’altro che si stava lanciando all’inseguimento dell’assassino. Un attimo dopo era già balzata indietro e usando come base di appoggio il primo soldato ancora steso a terra si diede lo slancio per colpire la terza guardia che però evitò il fendente e riuscì a ferirla superficialmente a una gamba. Nadirah la sentì cedere, ma ingoiando il dolore scattò nuovamente verso l’uomo e dopo una serie di attacchi e parate in cui il soldato sembrava averla messa alle strette fulminea si abbassò e dal basso trafisse l’uomo esattamente al di sotto dello sterno. Questi crollò a terra esanime mentre Nadirah si avventava sugli altri ancora vivi; sarebbe potuta scappare ma voleva dare il tempo all’Assassino di mettersi in salvo. Con pochi e rapidi attacchi riuscì a eliminare anche l’ultima guardia rimasta e scappare giusto un attimo prima che altre guardie accorressero.
Non le fu difficile ritrovare l’Assassino in un vicolo, le bastò seguire le tracce di sangue che aveva lasciato. Era accasciato a terra mentre con una mano si premeva il fianco ferito; Nadirah gli si avvicinò di corsa sfilandosi dal capo il velo e premendolo contro il taglio profondo che aveva esattamente due dita sopra alla spessa cintura di cuoio.
«Chi siete?» chiese stringendo i denti mentre Nadirah si occupava anche della ferita alla spalla.
«Se sopravvivrai ti spiegherò tutto Assassino. Ora dimmi dove si trova la Dimora!» esclamò alzando gli occhi e scontrando il suo sguardo con quello dell’Assassino.
Il siriano sgranò gli occhi. «Ma voi siete…»  iniziò, ma Nadirah non gli permise di terminare.
«Non c’è tempo! Dov’è la dimora?» insistette mordendosi il labbro nervosa.
«Come fate a sapere della …» ma si interruppe a causa dell’ennesima fitta di dolore. Si convinse, «laggiù.» indicò. «In fondo a questa via, ma l’entrata è sul tetto»
«Non c’è un altro ingresso?» chiese aiutandolo ad alzarsi.
L’assassino strinse nuovamente i denti mentre sentiva i muscoli essere trafitte da altre scosse dolorose.
«Sì.».
Nadirah lo sorresse lungo tutto il percorso, pregando tutti gli Dei che conosceva affinché non incrociassero delle guardie. Man mano che procedevano la ragazza sentiva sempre più il peso dell’assassino addosso, ancora qualche metro e ce l’avrebbero fatta. In quel momento lo sentì essere quasi abbandonato dalle forze. «Avanti, fai un ultimo sforzo!» lo pregò.
Raggiunsero la piccola entrata della dimora e Nadirah gli si gettò contro. Batté più volte la mano contro la porta di legno fino a che da una fessura vide l’ombra di un uomo e dopo qualche secondo il rumore di una serratura e la porta si aprì rivelando la figura di un giovane uomo dai capelli corvini e… un braccio mancante.
«Altair!» eruppe il rafiq fiondandosi contro il confratello e aiutando Nadirah a sorreggerlo e portarlo all’interno della dimora. «Che è successo?» chiese una volta chiusosi la porta alle spalle volgendo lo sguardo verso la ragazza.
I suoi occhi incrociarono quelli di lei, uno verde e l’altro azzurro, e la sua mente corse a oltre quattro anni prima, in un vicolo di Gerusalemme, dove aveva salvato insieme ad Altair quella ragazza che ora aveva davanti. «Virginia…» pronunciò in un sussurro.
Lo sguardo della giovane di fece di ghiaccio. «Virginia non esiste più. Ora il mio nome è rara, Nadirah.» disse impassibile esteriormente, mentre dentro di lei l’incubo di un passato che aveva voluto cancellare tornava a violarle la mente.
«Perché mi stai… aiutando?» chiese Altair ormai allo stremo delle forze e un attimo dopo Nadirah lo sentì crollarle addosso, privo di sensi.













Note autrice:
Innanzi tutto mi scuso per aver ritardato così tanto con questo capitolo.
Devo dire che mi è risultato piuttosto difficile scriverlo, in quanto non riuscivo a renderlo come volevo e effettivamente non sono molto soddisfatta di come sia venuto. In ogni caso spero che voi possiate apprezzare.
Grazie a tutti coloro che hanno recensito, messo tra le seguite e preferite questa storia.
Al prossimo capitolo.

Salute e pace,
O n i c e

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Capitolo 4
*** Dubbi ***


IV
Dubbi

 

 
«Si sveglierà presto, non temere.» Malik interruppe il silenzio che da diverse ore regnava nella dimora. Nadirah sobbalzò, colta di sorpresa distogliendo veloce lo sguardo dal volto e dal petto segnato da innumerevoli cicatrici dell’uomo disteso su vaporosi cuscini posti in centro alla stanza; ora l’Assassino respirava con regolarità e il suo viso rilassato aveva ripreso colore. La ragazza sentì il Rafiq ridacchiare. «Altair ha la pelle dura, ne ha passate di ben peggiori.» continuò poi.
Lei si limitò a lanciargli un’occhiata e Malik proseguì, «ma certamente questa volta gli resterà il segno di ciò che è successo.»
Nadirah stirò le labbra come a dire che le ferite non sparivano certo per magia. Ovvio no?
«E non mi sto riferendo alle cicatrici che porta.» aggiunse l’uomo.
«Che vuoi dire?» parlò lei infine, dopo diversi istanti.
Malik le si affiancò, sposando lo sguardo da lei ad Altair. «Quello che hai fatto oggi per lui non lo dimenticherà di certo. Nessuno gli aveva mai salvato la vita, non che ne abbia mai avuto davvero bisogno in realtà, ma tu l’hai fatto… e non so dire se ciò sia un bene o un male.»
Nadirah aggrottò le sopracciglia. «E che avrei dovuto fare? Lasciarlo lì a morire?» sbottò indispettita.
«Perché l’hai fatto?» chiese severo.
Nadirah si ritrasse al tono del Rafiq. «L’ho visto in difficoltà, era ferito a una gamba e faticava a contrastare le guardie, così sono intervenuta.» spiegò cercando di mantenere la calma.
Malik le lanciò uno guardo freddo come il ghiaccio e Nadirah s’irrigidì. «Le notizie corrono più veloci di voi: la gente oggi parlava di due Assassini, uno che ha attentato alla vita di De Sable e un altro che gli copriva le spalle dai tetti. Vorresti dirmi che c’è un altro Assassino in giro per Gerusalemme?» domandò sarcastico.
Nadirah non disse nulla e girò la testa di scatto sentendo le guance imporporarsi.
Nasconditi alla vista, sii un tutt’uno con la folla.
«Io non sono un’Assassina!» eruppe, non sapendo come giustificarsi.
Malik la guardò interrogativo. «Ah no? E come lo spieghi questo?» chiese duro afferrando con due dita il ciondolo che pendeva dal collo della ragazza.
Nadirah lo allontanò con una spinta. «Non sono affari tuoi. E se fossi un’Assassina mi mancherebbe un dito, non trovi?!» esclamò a voce troppo alta.
«Taci!» la rimproverò Malik gettando uno sguardo su Altair e poi le fece segno di seguirlo.
Lei attese qualche secondo prima di muovere qualche passo in direzione di una piccola porta che conduceva oltre il bancone e dietro la quale Malik era sparito. Portò istintivamente mano all’elsa della spada ma si accorse di non averla con sé. Girò gli occhi la vide poggiata insieme ad arco e faretra dalla parte opposta della stanza.
Avanzò ancora e una volta varcata la soglia della porta sentì un braccio afferrarla da dietro e stringerla al collo. Nella posizione in cui si trovava le venne difficile tirare una gomitata al suo aggressore e infatti lo colpì debolmente; caricò per un altro colpo ma si sentì lasciare e spingere in avanti, si ritrovò sbilanciata e solo dopo un paio di passi recuperò l’equilibrio in tempo per voltarsi e vedere Malik scagliarsi contro di lei. Rimase spiazzata e riuscì a evitarlo solo all’ultimo secondo afferrandogli l’unico braccio e torcendoglielo dietro la schiena.
«Che stai facendo?!» esclamò Malik storcendo la bocca e Nadirah rimase interdetta.
Io che sto facendo?!
E quell’attimo fu sufficiente perché lei si distraesse e il Rafiq ribaltasse le loro posizioni, schiacciandola contro il muro. «Hai ragione, non sei un’Assassina.» le disse prima di mollare la presa e incamminarsi fuori dalla stanza.
Nadirah raccolse la provocazione e si scagliò contro Malik, colpendolo alle spalle. Nonostante fosse privo di un braccio era decisamente abile, e la ragazza dovette faticare per metterlo alle strette. Era pur sempre un uomo e la superava in altezza di quasi una testa.
«È qui che sbagli. Ti sei lasciata prendere dalle emozioni e ciò ha influenzato la tua abilità.» le disse Malik con il fiato grosso. «In ogni caso sei brava. Mi chiedo da chi tu abbia imparato.»
«Mi hai messo alla prova?» chiese spiazzata.
«Che credevi?» ridacchiò. «Comunque non hai ancora risposto alla domanda che ti ho fatto prima.» aggiunse. Nadirah lo guardo interrogativa e lui precisò: «Perché hai seguito Altair e l’hai aiutato?»
La ragazza sollevò gli occhi al cielo. «Questa mattina ho sentito la sua voce per caso e l’ho riconosciuto. Sentivo che parlava di Roberto di Sable e non ci ho messo molto a capire dove avrebbe probabilmente colpito. Volevo solo… ringraziarlo, tutto qui. Poi per come si sono evolute le cose oggi, be’ non ci ho pensato e ho agito d’istinto.»
Malik sollevò un sopracciglio, confuso. «Ringraziarlo?»
«Quattro anni fa non riuscii a ringraziarvi per avermi salvata e oggi nel sentire casualmente la sua voce ho pensato che fosse volontà del destino che l’incrociassi ancora… e a quanto pare così è stato. Quindi grazie Malik, anche a te.» cercò di spiegarsi, non riuscendo a esprimersi come avrebbe voluto, imbarazzata.
Il Rafiq ridacchiò.
«Io ti ho spiegato perché ho aiutato Altair. Ora tocca a te dirmi perché quella sera nel vicolo siete venuti in mio soccorso.»
Malik si strinse il mento con le dita riflettendo su cosa dirle. «Vieni a mangiare della frutta intanto.» la invitò a seguirlo e dopo che lei si fu accomodata su uno sgabello afferrando un dattero il Rafiq iniziò: «Quella sera stavamo partendo da Gerusalemme per tornare a Masyaf e per caso ti ho vista svicolare per le vie povere della città, Altair era avanti a me di qualche decina di metri e mi intimava di muovermi e l’avrei anche fatto se non avessi visto quegli uomini che ti inseguivano. Gli ho detto che dovevamo aiutarti e senza curarmi se mi stesse venendo dietro ho cercato di raggiungerti, il resto lo sai.»
Nadirah annuì. «Quindi la cicatrice che ha Altair sul labbro…»
Malik sollevò svelto lo sguardo su di lei.«Già, sapessi quanto si è lamentato poi…» affermò ridendo.
Nadirah si lasciò scappare un sorriso e Malik rimase qualche istante a osservarle le labbra carnose che carezzavano delicate la frutta fresca che le aveva offerto. Si ritrovò a pensare che al posto dei datteri, quelle labbra accarezzassero le sue e si immaginò di poterne sentire il dolce gusto. Scosse la testa scacciando quei pensieri quando, improvviso come un lampo, il ricordo di Najla si fece strada nella sua mente. Najla era la donna che l’aveva accettato per come era, che l’aspettava a Masyaf e che l’amava, e allora perché si era ritrovato a desiderare le labbra di un’altra donna? Di quella donna?
Già, perché Malik non aveva mai pensato ad altre donne, se non lei. Non l’aveva mai dimenticata. Virginia –Nadirah,- e quei suoi occhi impari così vivi e limpidi gli illuminavano i sogni. Anche a distanza di quattro anni gli capitava di ripensare a quella sera nel vicolo, dove quella ragazza con un solo sguardo era riuscita
Ritornò alla realtà quando si accorse che Nadirah si era riavvicinata ad Altair e, inginocchiatasi al suo fianco gli passava una mano sulla fronte e il viso.
«La febbre sembra essere scesa.» annunciò voltandosi verso il Rafiq.
Malik sorrise e decide di proporle ciò che gli era appena venuto in mente. «Nadirah vuoi unirti agli Assassini?» le chiese.
Lei si girò di scatto guardandolo sgranando gli occhi.
Malik solo dopo qualche istante si rese conto realmente di ciò che le aveva chiesto: le stava offrendo una possibilità senza che sapesse nulla di lei, oltre la sua identità non sapeva altro.
Nadirah rimase qualche secondo interdetta. «Be’ ecco… Malik io… io non lo so. Chiedermelo così…» poi lo guardò. «Ho bisogno un po’ di tempo per rifletterci…»
Malik si sforzò di sorridere e alzandosi dal bancone su cui era poggiato si avviò nell’altra stanza. «Tutto il tempo che vuoi. Ora scusa ma devo assentarmi un attimo, tornerò tra meno di un’ora.» le comunicò prima di chiudersi la porta alle spalle.
Nadirah rimase con lo sguardo fisso sulla porta, il Rafiq non le aveva neanche lasciato il tempo di replicare. Fuori il sole era calato da un pezzo e lei si chiese dove fosse andato a quell’ora di notte. Sulla città era calato il silenzio e tutto ciò che sentiva era solamente il frinire delle cicale, cullata da quel timido suono si accoccolò su dei vaporosi cuscini poggiati in un angolo della stanza e, dopo aver gettato un’ultima occhiata all’Assassino, il sonno ebbe la meglio su di lei.
 
Il mattino seguente fu svegliata da un vociare confuso che proveniva dallo studio del Rafiq; si stiracchiò e si rese conto di aver dormito decisamente più del solito, osservando la posizione del sole dovevano essere passate già diverse ore dall’alba.
«… le cose sono cambiate. Tu devi tornare a Masyaf, non possiamo agire senza il permesso del maestro. Potrebbe compromettere la confraternita, pensavo… pensavo che l’avessi imparato». Nadirah riconobbe la voce del Rafiq.
«Non nasconderti dietro le parole Malik! Reggi il credo e i suoi principi come uno scudo. Al Mualim ci sta occultando delle cose, cose importanti! Sei tu che dicevi che non puoi mai sapere qualcosa, solo sospettarlo. Bene io sospetto che questa storia con i Templari nasconda ben altro. Quando avrò finito con Roberto mi recherò a Masyaf in cerca di risposte, ma forse puoi andarci tu.»
La ragazza drizzò le orecchie e si concentrò sulla conversazione piuttosto accesa che stavano avendo i due uomini.
«Non posso lasciare la città.» ribatté il Rafiq.
«Allora cammina tra la sua gente, cerca chi era al servizio di quelli che ho ucciso, scopri ciò che puoi. Ti reputi perspicace, forse vedrai cose che a me sono sfuggite.»
«Non saprei. Devo rifletterci su.»
«Fa come devi amico mio, ma è ora che io vada ad Arsuf.» concluse l’Assassino.
Prima che potesse muovere qualche passo però Malik lo fermò. «Che hai intenzione di fare Altair?! Sei pazzo a volertene andare nelle condizioni in cui sei!»
Altair gli lanciò uno sguardo di fuoco. «Ogni istante che passa, il nemico compie un passo avanti, non possiamo aspettare.» replicò l’Assassino.
«E invece aspetterai!» ordinò secco il Rafiq. «Non sono trascorse neanche ventiquattro ore da quando la ragazza ti ha portato qui, hai perso molto sangue e la ferita si riaprirà se compirai sforzi troppo intensi. Vuoi farti ammazzare? O addirittura morire dissanguato per la tua incoscienza?» sbottò Malik.
 Altair strinse i pugni ma acconsentì. «Attenderò fino al tramonto, poi partirò e non ti permetterò di trattenermi oltre.»
Il Rafiq scosse la testa. «Quella ferita al fianco ci metterà giorni a rimarginarsi, e settimane per guarire del tutto.»
«Malik, non troverò difficoltà spostandomi di notte, la ferita avrà il tempo di rimarginarsi a sufficienza.» insistette Altair prima di riavvicinarsi al bancone e afferrare un fico dalla cesta. «E che mi dici di lei?» chiese Altair facendo un cenno con il capo in direzione di Nadirah.
Malik volse lo sguardo in direzione della ragazza e sorrise. «È sveglia già da qualche minuto.»
Nadirah serrò le palpebre e si irrigidì. Beccata.
«Avanti, alzati e mangia qualcosa…» la invitò il Rafiq. Nadirah si decise a riaprire gli occhi e alzarsi sotto lo sguardo divertito di Malik e quello impenetrabile di Altair. Si sentì avvampare dall’imbarazzo e a testa china si avvicinò al bancone.
«Buongiorno.» si limitò a dire. Prese un fico e iniziò a sbucciarlo tenendo gli occhi bassi, imbarazzata per essersi fatta trovare a origliare; che poi, si chiese, come accidenti aveva fatto Malik ad accorgersene?
«Dormito bene?» cercò di metterla a suo agio, notando il suo disagio.
«Sì, abbastanza.» confermò la ragazza.
Il silenzio calò nuovamente nella stanza. Nadirah in quel momento si sentì estremamente fuori luogo e ripensò alla domanda che Malik le aveva fatto il giorno prima. Con la coda dell’occhio notò come Altair, nonostante fosse stato ferito piuttosto gravemente, stesse perfettamente dritto in tutta la sua fierezza, senza mostrare il minimo segno di dolore o fastidio sul viso rilassato.
«Nadirah…» il Rafiq attirò la sua attenzione. «Non vorrei mancarti di rispetto, ma mi sono permesso di prepararti un bagno caldo.» Sul volto della ragazza a quella notizia spunto un lieve sorriso di ringraziamento. « Se ne hai bisogno va’ pure, è oltre quella porta e troverai anche degli abiti puliti. Spero siano della tua misura.» aggiunse.
 Nadirah ringraziò, imbarazzata dalle ultime parole di Malik.
L’idea di potersi concedere finalmente un bel bagno la allettava parecchio, anche se era leggermente turbata dal fatto che nella stanza accanto ci fossero ben due uomini, non che avesse timore ad affrontarli –istintivamente nel dirigersi nell’altra stanza aveva recuperato le sue armi, ma si trattava pur sempre di due uomini… Di cui in realtà si era fidata senza problemi, dopotutto le avevano salvato la vita una volta. Ma quella strana inquietudine nel stare accanto a un uomo, o, come in quel caso, due, ancora non le era passata da una lontana notte a Gerusalemme che con tutta se stessa aveva cercato di dimenticare. Voleva cancellare il suo passato, ma ancora non riusciva a non pensarci e, nel chiudere gli occhi, non rivivere tutto l’orrore che aveva vissuto.
Si immerse quasi completamente nell’acqua ancora calda e profumata da essenze delicate e vi rimase a mollo per diverso tempo, si rilassò completamente e riuscì a svuotare la mente.
Rimase lì a crogiolarsi in quel piacevole tepore per diverso tempo, finché percepì l’acqua farsi più fredda. Uscì dalla vasca in pietra e si avvolse in corpo snello in un enorme telo candido.
Si sentiva rinata. Finalmente.
Dopo essersi asciugata osservò la sua figura riflessa nello specchio e rimase meravigliata da come il suo corpo sembrava cambiato: più tonico, più vivo. Così come il suo viso.
Forse ora capiva cosa aveva voluto dirle Fahd con le sue ultime parole.









Note autrice:
Ehilà, buonasera a tutti!
Rieccomi dopo un tempo infinito *me si scusa*
giusto una precisazione su questo cap: è un capitolo di passaggio e so che non accade nulla di che, avrei voluto aggiungere un'altra parte più diciamo interessante, ma ho preferito tralasciarla e inserirla nel prossimo capitolo :) che prometto postero più in fretta di questo.
In ogni caso spero che possiate apprezzare anche questa parentesi di 'tranquillità'.

Salute e pace
O n i c e 

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Capitolo 5
*** La lettera ***



V
La lettera
 




 

 
Quando Nadirah riapparve nella stanza Malik era con la testa china su un libro, immerso nel silenzio, di Altair neanche l’ombra. Il Rafiq alzò lo sguardo su di lei e dovette sbattere un paio di volte le palpebre per mettere a fuoco lo splendore che aveva davanti: Nadirah indossava il pregiato abito di lino verde lungo fino ai piedi e il leggero mantello bronzato a maniche lunghe che il Rafiq era riuscito ad acquistare la sera prima al suq; i lunghi capelli erano sciolti e lucidi e quando la ragazza gli passò accanto lasciò dietro di sé un delicato aroma floreale.
«Ti ringrazio Malik, sei stato davvero gentile. Avevo proprio bisogno di un bagno caldo.» esordì Nadirah spostando lo sguardo, che fino a quel momento era rivolto a terra, sul Rafiq.
«Spero che gli abiti che sono riuscito a recuperare ti vadano bene.»
Nadirah annuì. Le andavano fin troppo bene. «Perfetti.» commentò.
«E quelle non le abbandoni mai?» osservò Malik inarcando un sopracciglio, facendo riferimento alla spada che pendeva al fianco destro della ragazza e l’arco che teneva tra le mani.
La ragazza rise. «Be’ effettivamente no. E anzi, ora che mi ci fai pensare dovrei anche fare scorta di frecce, sono rimasta senza.» rifletté.
Il Rafiq si fece subito serio. «Non se ne parla, Nadirah.»
Lei lo guardò accigliata. «Per quale motivo?» chiese scocciata dal tono di Malik.
«Per sicurezza…» iniziò, lei lo guardò scettica ma non lo interruppe. «L’imprevisto, definiamolo così, di ieri ha causato un bel trambusto in città. È stata aumentata la sorveglianza e ci sono guardie a ogni incrocio e persino sui tetti qui intorno, non posso rischiare di lasciarti uscire almeno finché non calerà l’allerta.» spiegò.
«Quindi sono costretta a rimanere qui per un tempo indefinito, esatto?» domandò, e inevitabilmente il suo tono risultò lievemente inacidito.
Malik se ne accorse. «Te l’ho detto, per la sicurezza della Dimora e di tutti coloro che sono tra le sue mura, te compresa.» disse serio prima di riportare l’attenzione sul tomo polveroso che aveva davanti.
«Come desideri, Rafiq.» si arrese, anche se il suo tono era ancora scocciato.
  Il silenzio calò nuovamente nella stanza. Malik osservò con la coda dell’occhio la ragazza che senza il minimo rumore si era allontana dal bancone per accomodarsi sui morbidi cuscini dalle tinte vivaci che coloravano la stanza immersa nella penombra. La vide poggiare l’arco a terra con cura ed estrarre la spada dal fodero; il sole che filtrava dal pergolato si rifletté sul lucido acciaio della lama. Malik osservò come Nadirah maneggiava l’arma; l’elsa finemente decorata splendeva alla luce del sole così come gli occhi della ragazza che brillavano di una luce che Malik non aveva mai visto, che non era in grado di interpretare.
Restò diverso tempo a guardarla percependo ogni più insignificante gesto che lei compiva.
Fu Nadirah a spezzare nuovamente il silenzio. «Altair?» chiese solamente e Malik si riscosse in un attimo.
«È sul tetto, alla piccionaia1.» fece una pausa. «Mi aveva chiesto di mandarti da lui non appena ti fossi sistemata ma, perdonami, mi è sfuggito di mente.» le comunicò scrollando il capo.
Bugiardo.
E i suoi pensieri erano in linea con quelli di qualcuno che si trovava sul tetto sopra di loro e che stava ascoltato la loro conversazione.
Sul volto di Altair si dipinse un mezzo sorriso mentre tendeva il braccio di fronte a sé. Un’ombra passò rapida sopra la sua testa prima di dispiegare le ali e poggiarsi leggiadra sull’avambraccio teso dell’Assassino. Altair sorrise e attese, accarezzando distrattamente la morbida testa piumata della sua aquila.
«Bene, da che parte è la scala?» sentì chiedere la ragazza.
«In realtà devi passare per forza da là sopra.» la interruppe Malik.
Ci fu un attimo di silenzio.
«Come?» domandò incredula. «Ma come faccio con i vestiti che indosso?  Finirò per inciampare nell’abito e ritrovarmi stesa sul pavimento!» obbiettò.
«Un vero Assassino sa adattarsi in ogni situazione. Il tuo maestro non te l’ha mai insegnato?» la provocò e Altair poté solo immaginare lo sguardò di fuoco che sicuramente la ragazza aveva riservato a Malik.
Difatti qualche istante dopo la sentì avvicinarsi alla fontana interna e iniziare ad arrampicarsi. Impiegò solo pochi secondi e qualche imprecazione prima di raggiungere l’entrata del pergolato ed issarsi in piedi.
«Dannato vestito.» la sentì borbottare e sorrise prima di riacquistare la sua solita espressione impenetrabile.
«Salute e pace, Nadirah.» la sua voce risuonò seria, dura.
«Altrettanto, Altair.» ricambiò con lo stesso tono, per nulla intimorita dall’atteggiamento dell’Assassino. Avanzò di un paio di passi e lo affiancò; attese qualche istante prima di alzare lo sguardo sul suo volto e lo ritrovò ad osservarla. Le fu abbastanza difficile sostenere quello sguardo indagatore, scuro e profondo che sembrava sondarle l’anima. Lottò con tutta se stessa per non cedere: voleva vincere quella muta conversazione, ma quegli occhi che lei intravedeva da sotto il cappuccio le trasmettevano un senso di inquietudine che non riusciva a spiegarsi… e perse. Distolse lo sguardo da quello di Altair e lo gettò lontano, come a voler guardare oltre l’orizzonte.
Non seppe quanto tempo trascorse, ma si rese conto che le ore più calde della giornata erano ormai passate e il sole già aveva iniziato la sua lente discesa a ovest. Altair con uno slancio del braccio accompagnò il decollo del rapace e Nadirah lo seguì con lo sguardo, ammirandolo volare in alto, padrone del cielo.
«È meravigliosa.» disse in un sussurro.
Altair rispostò l’attenzione su di lei, limitandosi a osservarla inarcando un sopracciglio e aspettando che continuasse.
 «Volevi parlarmi?» chiese invece.
L’assassino tacque per un lungo momento. «Ho chiesto a Malik di inviarti da me, non che desideravo parlarti.»
Nadirah assunse un’espressione corrucciata in volto, ma prima che potesse replicare Altair continuò: «comunichi molto di più con gli occhi che con le parole ragazza, esse non renderebbero giustizia a ciò che veramente si vorresti intendere.»
Nadirah abbassò lo sguardo imbarazzata e confusa: che diavolo le stava dicendo Altair?
«Hai coraggio da vendere.» la voce di Altair riacquistò l’attenzione di Nadirah. «Conosco Assassini che non avrebbero mai compiuto un gesto come il tuo, troppo codardi o troppo stupidi per rischiare un simile confronto…»
Nadirah cercava di seguire il discorso di Altair, confusa, non capendo se si riferisse al fatto che gli aveva salvato la vita oppure ad aver osato sfidarlo in quello scontro di sguardi.  
Non volle chiedergli a cosa si riferisse, temendo di passare per una sciocca. Si limitò a osservarlo di sottecchi, certa che Altair se ne fosse accorto. Era scortese e poco educato, lo sapeva bene, ma non riusciva a togliergli gli occhi di dosso: quella cicatrice che gli tagliava il labbro aveva un che di magnetico, ma ciò che più di tutto attirava il suo sguardo erano i suoi occhi, neri e profondi come la notte più buia, impenetrabili e misteriosi, inquietanti e affascinanti.
Come la morte.
Nadirah ebbe un fremito. Si chiese come la sua mente era giunta a una simile conclusione e cercò di cacciare quell’immagina dalla sua testa. Non riusciva neppure a immaginare il numero di vite che Altair aveva strappato a questa terra.
Decine? Centinaia?
Eppure non provava paura, ne avrebbe dovuta avere? La verità era che i suoi sensi sembravano urlarle quanto quell’uomo in realtà fosse pericoloso, una macchina progettata per uccidere, ma lei… lei aveva sempre amato il pericolo. E ne aveva pagato le conseguenze, certo, ma nonostante ciò non riusciva a rinunciarci, era come una droga. Sentire l’eccitazione scorrerle nelle vene era qualcosa cui non poteva fare a meno. Per questo era tanto attratta da Altair: non aveva nulla a che fare con l’aspetto gentile e innocuo –almeno all’apparenza.- del Rafiq, tutto di lui incuteva timore. Non come la prima volta che i loro occhi si furono incrociati nel vicolo, allora quello sguardo penetrante non le era apparso così nero, così vuoto. Privo di quella luce di chi ha una vita intera da vivere. Ora tutto ciò che riusciva a vedervi era oscurità, oblio. era dannatamente affascinante. L’attirava a sé con una forza invisibile. Nadirah la percepiva, ma non ne aveva paura, per questo si convinse.
«L’altra notte, mentre eri incosciente, Malik mi ha fatto una proposta.» iniziò voltandosi e riacquistando l’attenzione di Altair.
«Accetto.» continuò.
L’Assassino voltò il busto nella sua direzione, posizionandosi perfettamente di fronte a lei. «Cosa?»
«Accetto di unirmi agli Assassini.»
La maschera impenetrabile che portava Altair si crepò. La sorpresa di quella rivelazione gli fece perdere la sua solita freddezza. Per un attimo fu tentato di opporsi.
No, non…
«Non sai quello che dici.»
Nadirah inarcò un sopracciglio. «Tu credi?»
«Nessuna donna è mai appartenuta alla Setta.»
«Perché?» insisté curiosa.
Altair sbuffò. «Perché non sopporterebbe tutto ciò che siamo.»
«Come fai a dirlo?»
«Lo so.» sussurrò allontanandosi di un passo.
«Credi che io non ne sia in grado?» continuò imperterrita la ragazza.
L’Assassino eluse la domanda. «Perché vuoi farlo?»
Nadirah rimase un attimo spiazzata. Già, perché? Non lo sapeva bene neanche lei, era una sensazione che sentiva: stava facendo la cosa giusta. Ne era certa.
«Sento che è la cosa giusta.» disse sicura.
Altair la guardò scettico. «Giusta? Nulla di quello che facciamo è giusto. Uccidere può essere necessario, ma mai giusto.»
«E allora perché lo fai?»
E in quel momento fu Altair a rimanere spiazzato. Non si era mai chiesto il perché, lo faceva perché gli veniva ordinato, perché era l’unica cosa che sapeva fare bene. Ma come una goccia dopo l’altra scavava la roccia, ogni morte gli logorava a poco a poco l’anima e non voleva che a lei toccasse la stessa sorte, non avrebbe sopportato di vedere nei suoi occhi lo stesso vuoto che riempiva i suoi. Eppure un altro insulso e ingiustificato pensiero gli invase la mente. Scrollò la testa prima di rompere nuovamente il silenzio.
«Sono in debito con te.»
Nadirah si voltò verso di lui, afferrando a cosa si riferisse. «Tu non mi devi nulla. Siamo pari ora.»
L’Assassino scosse la testa. «Ah Nadirah, io non ti ho salvato la vita quella notte, è stato Malik a farlo. Fosse stato per me non ora non saresti qui.» le disse impassibile.
Nadirah sentì qualcosa dentro di lei incrinarsi. Non seppe dire cosa, ma le parole di Altair, l’indifferenza con cui le aveva pronunciate, l’avevano trapassata in pieno petto. Ad Altair non era importato nulla, l’aveva fatto semplicemente perché era stato Malik a insistere. Quella consapevolezza le fece male, più male di quanto si aspettasse. Ma tutto quel tumulto di rabbia, delusione, non lo diede a vedere, troppo orgogliosa per mostrarsi debole.
Stava già per rispondergli quando una terza figura raggiunse il tetto della dimora. Altair, colto di sorpresa si voltò di scatto e estrasse fulmineo la spada puntandola verso quello che riconobbe solo un istante dopo essere un Assassino. Il ragazzo calò il cappuccio mostrando il viso giovane.
«Salute e pace anche a te Altair.» salutò a metà tra il divertito e il preoccupato lanciando uno sguardo all’arma ancora puntata verso di lui.
«Salute e pace, Jalil.» ricambiò Altair rinfoderando la spada.
Il ragazzo si accorse solo in quel momento della ragazza e con un mezzo inchino si congedò. «Altair, banou2 vogliate scusarmi ma ho una lettera da parte di Al Mualim da consegnare personalmente al Rafiq.»
L’Assassino e Nadirah lo seguirono.
«Jalil, cugino mio, che piacere rivederti!» lo salutò Malik.
«Altrettanto.»
Malik lo invitò ad accomodarsi. «Allora cosa ti porta qui?» domandò.
Il ragazzo estrasse da una sacca legata a una cintura una lettera. «Al Mualim ha detto che è molto importante, per questo mi ha mandato personalmente da te.»
«Bene, fa vedere.» disse, decisamente incuriosito. Cosa poteva volere il Maestro per non fidarsi a usare i piccioni?
Jalil gliela porse e Malik la srotolò e la lesse in un attimo, restando allibito e sconcertato per quello che vi lesse. Alzò lo sguardo sui presenti, soffermandosi forse troppo su Nadirah, e poi riportare l’attenzione sul Maestro Assassino. «Altair, credo che tu abbia visto giusto su Al Mualim.» disse greve.
 
 
 











Note:
1non so se in AC si sia mai fatto riferimento a ciò, ma mi sono detta “tutti i piccioni che inviava Al Mualim dovevano pur avere un posto dove stare, no?” mi sembrava abbastanza credibile come cosa, e nel caso non fosse mai esistita me la sono inventata di sana pianta :)
2banou in arabo significa signora.




 

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Capitolo 6
*** Passato ***




VI
Passato
 


 

Altair impiegò pochi secondi per far scorrere gli occhi sulla scrittura curata ed elegante del Maestro. Il suo volto non tradiva nulla, ma Malik era convinto che la richiesta di Al Mualim avesse convinto Altair ancor di più che il vecchio nascondesse qualcosa.
«Come si chiamava il tuo maestro?» la voce di Altair risuonò più come un ordine che come una domanda.
Nadirah sbatté un paio di volte le palpebre prima di rispondere. «Fahd Al-Shafir, per-?»
Lo sguardo di Altair si fissò sul volto di Malik, mentre quello di quest’ultimo osservò l’espressione stupita della ragazza. «Credi che c’entri il Tesoro?» chiese con voce leggermente scioccata.
«Sì.» rispose incolore Altair.
Che diavolo poteva volere Al Mualim da una ragazza come Nadirah?
La giovane nel compenso non capiva cosa stava succedendo. Tesoro? Quale tesoro?
Nella stanza calò il silenzio mentre Altair si armava velocemente, pronto a lasciare la città e dirigersi verso Arsuf. «Malik raduna gli Assassini e galoppa più veloce che puoi verso Masyaf, ti raggiungerò il prima possibile.»
Il Rafiq tentò di fermarlo, ricordandogli che era ancora debole, ma l’assassino non lo volle ascoltare. «Fa come ti dico!» ordinò, «e tienila al sicuro.» aggiunse a voce più bassa rivolgendo un’occhiata alla ragazza, prima di voltarsi e scalare agile la parete della dimora e scomparire oltre il tetto.
Quando rientrò nello studio, Malik trovò i ragazzi con gli sguardi fissi su di lui. «Jalil.» chiamò e il giovane in mezzo secondo fu in piedi e lo raggiunse al bancone. «Voglio che rintracci tutte le nostre spie e gli dica di raggiungere la Dimora, è di estrema importanza.» ordinò.
«Certo Rafiq.» disse chinando il capo e avviandosi fuori dalla stanza.
«Jalil!» lo richiamò.
«Sì?»
«Fa’ attenzione.» gli raccomandò.
Si riavvicinò al bancone e vi si appoggiò di peso, sospirando profondamente. Jalil… ah, gli ricordava così tanto Kadar, avevano lo stesso sorriso e lo stesso taglio degli occhi. Erano così simili.
Un altro sospiro.
Il tempio di Salomone. Devono recuperare il Tesoro dei Templari per ordine del Maestro. Devono agire con cautela. Altair non gli dà ascolto. Lui lo segue. Dice a Kadar di fare attenzione. Si scontrano. Altair… dov’è finito? Un colpo al suo braccio. Dolore… lancinante. Una lama trapassa suo fratello. Le sue raccomandazioni non sono servite. Kadar crolla a terra. Altro dolore, più profondo.
Un fruscìo al suo fianco lo riporta alla realtà.
Nadirah l’aveva affiancato silenziosa come un gatto e gli aveva posato una mano sul braccio sano. «Malik? Stai bene?» chiese, ma lui non ascoltava.
Rosso. Tutto è rosso intorno a lui. Sangue, tanto sangue, suo… di suo fratello. Roberto de Sable l’ha ucciso. Quel maledetto deve pagare.
«Malik?» un soffio alle sue orecchie, una voce femminile.
 Ora l’assassino di suo fratello morirà. Ora Roberto di Sable morirà. Altair vendicherà Kadar.
Non si era neanche reso conto delle lacrime che gli rigavano il volto se non quando percepì qualcuno scuoterlo per le spalle. Gli occhi di Nadirah lo osservano, dolci e profondi, e sembravano cullarlo in quel mare in tempesta che erano le sue emozioni.
«Mi manca.» disse in un sussurro talmente flebile che Nadirah non riuscì a comprenderlo.
«Come?» chiese sorpresa.
«Kadar. È passato così tanto tempo da quando è morto.» Nadirah lo osservava in silenzio, aspettando che continuasse. «È stata colpa di Altair, lui non mi voleva dare ascolto, ha fatto di testa sua e mio fratello è morto. Morto, capisci? E non ho potuto neanche seppellirlo, è rimasto là, nel tempio, a marcire…» le sue parole furono interrotte dai singhiozzi. Chissà da quanto tempo desiderava sfogarsi con qualcuno. «Finalmente Roberto de Sable morirà e mio fratello sarà vendicato.» concluse sollevando il capo e rifuggendo dallo sguardo comprensivo di Nadirah. Le diede le spalle e si avviò nella sua stanza personale rimanendovi fino al tramonto.
Nadirah approfittò del tempo che trascorse da sola per riflettere sullo sfogo del Rafiq, cercava di visualizzare nella sua mente ciò che era accaduto e ciò che poteva provare Malik e scoprì che lo capiva benissimo. Riusciva a immaginare fin troppo bene il dolore che si prova nel perdere un fratello.
Era notte fonda e regnava una calma innaturale, un silenzio irreale, precursore dell’inferno che si sarebbe scatenato di lì a poco. Virginia osservava l’immensità del cielo, le stelle che illuminavano quella notte mite di inizio ottobre sembravano volerla avvisare del pericolo che stava per fare breccia nelle mura della Città Santa.
Erano giorni che Salahal-Din aveva posto l’assedio a Gerusalemme e in città la calma apparente che regnava tra gli abitanti innervosiva la giovane principessa. Per questo ogni notte si affacciava alla terrazza della sua stanza e lasciava che il vento lambisse con le sue dita invisibili ogni centimetro della sua pelle, svuotandole la mente, liberandola dall’opprimente vita di palazzo. Lei non era nata per quella vita, lei amava stare tra la gente e per questo sgattaiolava via spesso dalla reggia del sovrano passando dalle cucine, in modo che nessuno la vedesse. L’avrebbe fatto anche quella sera se non fosse rimasta ipnotizzata dal quel cielo buio che si era riempito all’improvviso di tanti, tantissimi bagliori. Era uno spettacolo affascinante e terrificante allo stesso tempo, quando si rese conto che quei bagliori altro non erano che enormi proiettili infuocati.
 
Il cigolio dei cardini di una porta e un vociare confuso la destarono dai pensieri in cui era sprofondata qualche minuto – ora?- prima.
Lo studio del Rafiq si riempì in fretta di persone, tutte indossanti la tunica bianca degli Assassini e il capo celato da cappucci o turbanti. Erano circa una mezza dozzina e sembrava non si fossero neppure accorti della presenza della ragazza.
Fu Jalil ad avvicinarsi a lei e dopo averla salutata le chiese del Rafiq.
«Poco dopo che te ne sei andato il Rafiq si è ritirato nel suo studio privato e non è ancora uscito.» comunicò sentendo improvvisamente su di sé lo sguardo di tutti gli uomini presenti nella stanza. Percepì una morsa serrarle lo stomaco e un senso opprimente schiacciarla contro la parete. Si sentiva in trappola. Il panico si impossessò di lei e sentì le membra venire percorse da tremiti.
Jalil allarmato la afferrò per le braccia a la scosse. «Banou che avete? Mia signora Nadirah!»
Ma tutto ciò che lei riusciva a pronunciare era “aria”. Per questo Jalil la condusse nella stanza d’ingresso e la ragazza, illuminata dai raggi che filtravano dal pergolato inspirò subito profondamente e parve riprendere colore sulle guance pallide.
«State bene banou?» chiese il giovane, allarmato.
Nadirah gli sorrise leggermente e confermò. «Grazie Jalil, ma ti prego chiamami Nadirah e basta.»
«Come volete.» disse piegando il capo. «Ma se non sono invadente, ban- Nadirah, che vi è accaduto poco fa?» chiese
Nadirah scosse il capo, «nulla, un giramento di testa.» mentì.
«Siete diventata improvvisamente pallida, volete che informi il Rafiq?»  domandò.
«O no, no Jalil, grazie. Ora ti prego però di lasciarmi sola un attimo.»
Il ragazzo piegò il capo e indietreggiò di un paio di passi prima di voltarsi e lasciarla sola.
Quella sera Malik e gli Assassini si ritirano in una piccola stanzetta in cima alle scale e vi rimasero fino a notte fonda. Dallo studio Nadirah e Jalil, che non poteva prendere parte alla riunione in quanto era ancora un novizio, sentivano il vociare degli uomini al piano di sopra. Le voci erano confuse e Nadirah riuscì a percepire solo alcuni tratti del discorso. Parlavano del Maestro, di ciò era certa, e di Masyaf. Sentì pronunciare chiaramente “Altair” e riconobbe la voce del Rafiq in mezzo a tutte quelle di sconosciuti.
“… Tesoro… Masyaf non è più sicura…
Dubiti di Al Mualim?
… Tu gliela portasti Malik!
Quella sfera è opera di Shaytan1…” fu l’ultima cosa che udì, prima di addormentarsi sugli enormi cuscini sparsi sul pavimento della dimora.
Alla conclusione della riunione il Rafiq ordinò a Jalil di tenere al sicuro la ragazza e rimanere entrambi nella dimora fino a che non avessero ricevuto altro ordine esclusivamente da parte sua Lui e gli Assassini partirono alla volta di Masyaf quella notte stessa.
 
La mattina seguente i soliti rumori della città destarono Nadirah dal sonno, stirò i muscoli indolenziti delle braccia e delle gambe e rotolò di lato, finendo addosso a Jalil che dormiva a un cuscino di distanza da lei. Si alzò di scatto e l’osservò per un attimo, sperando di non averlo svegliato. Si aggirò per qualche minuto nella dimora silenziosa e dopo essersi sciacquata il viso con dell’acqua fresca, confusa dall’assenza del Rafiq, decise di bussare alla porta della sua stanza personale, ma non ottenne risposta. Non osò oltre e cercò un’altra occupazione: aggirò il bancone e osservò gli scaffali pieni di volumi e rotoli di pergamena. Ne estrasse uno e lo srotolò sul bancone, osservando la meravigliosa carta geografica che riproduceva minuziosamente il Medioriente, l’ammirò facendo scorrere lo sguardo sulle linee irregolari che tracciavano i confini tra la terra e il mare. Trascorse così le prime ore della mattinata, ammirando con quanta cura e precisione i cartografi erano riusciti a riprodurre il mondo e riconoscendo su una carta geografica la sua terra d’origine, la penisola italica.
Riordinò tutto solo quando Jalil si svegliò, annunciandole la partenza del Rafiq e degli altri Assassini. Nadirah lo guardò allibita. «E noi che facciamo?»
«Il Rafiq ha ordinato di rimanere qui in attesa di altri ordini.»
«Stai scherzando, vero?»
Jalil scosse la testa. «La volontà del Rafiq è incontestabile, tranne che per il Maestro, certo, ma non credo che…»
«Il Maestro? Al Mualim, giusto?»
«Esatto, è stato lui a mandarmi qui personalmente, di solito per dare disposizioni invia i piccioni, ma questa volta mi ha inviato personalmente, dicendo che se gli avessi portato ciò di cui informava Malik nella lettera sarei salito di rango, raggiungendo il primo livello di Assassino» spiegò con fierezza.
«E cosa sarebbe ciò che il Maestro vuole?» chiese. Nella sua mente un insignificante pensiero la tormentava dalla partenza di Altair, esattamente quando l’Assassino, dopo aver letto il messaggio di Al Mualim, le aveva chiesto in nome del suo Maestro.
«Non ne ho idea, il Maestro mi aveva detto che sarebbe stato Malik a darmi le informazioni e gli strumenti per trovare e portargli ciò che vuole.»
«Capisco.» la discussione cadde lì, anche se Nadirah non era soddisfatta e la curiosità la consumava. Osservò il giovane avvicinarsi al cesto della frutta e afferrare tre fichi e due datteri e accomodarsi con aria soddisfatta sui cuscini: aveva un bel viso, seppur leggermente scavato, un accento di barba sul mento e folti capelli neri che gli ricadevano scompigliati sulla fronte. Sorrise nel vederlo quasi ingozzarsi con un dattero. Doveva essere davvero affamato.
Ma a Masyaf hanno del cibo?Pensò inevitabilmente posando lo sguardo sul corpo magrolino del ragazzo e guardandolo tornare verso la cesta e fare rifornimento di altra frutta.
«D’accordo.» Nadirah ruppe il silenzio portando l’attenzione su di sé.
«Co-cosa?» chiese Jalil a bocca piena provocando il riso della ragazza.
Aggirò il bancone e si diresse verso le sue armi poggiate in un angolo. «Quando hai finito di abbuffarti che ne dici di provare qualche colpo?» chiese maliziosa.
Jalil sgranò gli occhi. «Voi? Ma siete…»
«Una donna, lo so. Che c’è, pensi di non essere all’altezza?» lo provocò.
Il ragazzo resse il gioco. «E va bene, vediamo cosa sapete fare.» approvò alzandosi e afferrando la spada.
Si studiarono qualche minuto girando in tondo nella piccola stanza del Rafiq. «Dici che Malik si arrabbierà se gli rompiamo qualcosa?» scherzò Nadirah.
«Mi inventerò qualcosa.» rispose l’altro un attimo prima di scattare in avanti e piazzare un fendente al fianco sinistro che la ragazza parò con facilità. «Siete mancina!» si accorse Jalil.
«Già! Stai combattendo con una donna, e addirittura mancina, quando ti ricapita?» lo distrasse e mirò alle gambe, Jalil fu colto di sorpresa e dovette indietreggiare prima di ripartire all’attacco. Continuarono così per parecchio tempo alternandosi in una danza di colpi e parate, schivate e contrattacchi fino a che Nadirah gli scivolò alle spalle e dopo avergli fatto lo sgambetto facendolo crollare a terra gli puntò la lama al petto. «Non siete stata leale!» protestò afferrando la mano che Nadirah gli porgeva.
«Nei combattimenti, nella vita vera, non c’è lealtà. Se ti fosse capitato in uno scontro con una guardia, a quest’ora saresti morto.» lo ammonì.
«Siete bravissima. Dove avete imparato?» chiese, sinceramente curioso, dopo essersi rimesso in piedi.
Nadirah gli sorrise. «Ognuno ha i suoi segreti, se non vuoi nessuno saprà che ti ho battuto.» disse strizzandogli l’occhio. «E comunque non sono bravissima, sicuramente non quanto Altair, o Malik…» aggiunse ricordando il breve corpo a corpo di due giorni prima.
«A dispetto di quanto possano dire altri, sono stato onorato di aver combattuto con voi.»  confessò chinando il capo.
Nadirah rimase stupita della sua ammissione. «Jalil?» lo chiamò.
Il ragazzo alzò lo sguardo su di lei. «Ditemi.»
«Perché mi tratti come se fossi superiore a te? Mi fai sentire a disagio.» Fin da piccola Nadirah non aveva mai amato essere trattata come il suo rango richiedeva, come se sapeva che l’avrebbe portata alla rovina. Anche quando viveva a palazzo… Oh, no. Nadirah non aveva mai vissuto a palazzo, quella era Virginia non lei…
Jalil la riportò alla realtà. «Alla fortezza fin da quando si è bambini si impara il rispetto verso le donne. Il Maestro dice che esse sono creature che discendono direttamente dal cielo, sono in grado di vedere nell’anima degli uomini e portare lo spirito della vita sulla terra.»
Nadirah inarcò un sopracciglio, perplessa. «Tu credi a ciò?»
Jalil annuì e Nadirah decise di continuare. «E io? Credi che io possa vedere l’anima di un uomo?»
«Certo, tutte le donne sanno vedere e portare l’anima dell’uomo in paradiso.»
«Come?»
«Non lo so, il Maestro dice che lo scoprirò quando diventerò Assassino, solo allora mi sarà concessa l’essenza della loro grazia.» spiegò.
«Ci sono delle donne nella fortezza?»
«Sì, ma non sempre si vedono, e sono sempre lontane, nel giardino dove non ci è permesso andare.»
Nadirah non capiva, Fahd le parlava della setta, ma mai aveva fatto accenno a delle donne, anzi, diceva che alle donne era proibito accedere alla fortezza.  
«Quanto anni hai Jalil?»
«Sedici.»
Sedici. Quel numero le rimbombava nella testa. Perché tutto ciò che le stava intorno sembrava urlarle addosso il suo passato?
Si portò le mani alle tempie come per calmare il silenzio assordante che le sibilava nelle orecchie. Inspirò profondamente e dopo interminabili istanti riuscì a riportare a un battito regolare il suo cuore.
«Nadirah state bene?» chiese preoccupato il ragazzo, ma la ragazza ignorò la domanda.
«Ho bisogno di una dozzina di frecce.» disse iniziando ad arrampicarsi sulla parete all’uscita della dimora.
«Non potete andare!» protestò Jalil afferrandola per un braccio. Nadirah guardò la mano del ragazzo stretta intorno al suo esile polso ed egli la ritrasse velocemente. «Perdonatemi, ma il Rafiq mi ha ordinato di non farvi uscire, per… per il vostro bene.» disse imbarazzato. «E in ogni caso, se vi servono delle frecce posso recuperarle io.» aggiunse imbarazzato. «Nella Dimora il Rafiq tiene sempre delle armi.»
Detto ciò il ragazzo si avviò all’armeria e Nadirah ne approfittò per scalare il muro della Dimora e saltare agile sul tetto, inspirando a pieni polmoni l’aria frizzante che soffiava da ovest.
Aria di tempesta.
Lasciò che il vento le scompigliasse i capelli e i vestiti mentre lo sguardo rivolto all’orizzonte vagava solitario e malinconico.
Jalil di sotto impiegò qualche minuto prima di tornare sui suoi passi con il bottino saccheggiato dall’armeria del Rafiq e quando non vide più Nadirah si allarmò. «Oh, cazzo! Dov’è finita! Se le succede qualcosa Malik mi ammazza!»
Scalò rapido il muro e una volta appoggiatosi con le braccia sul ciglio dell’ingresso e le gambe a penzoloni nel vuoto la vide davanti a sé, che rideva sommessamente della sua espressione scioccata.
«Nadirah mi avete fatto prendere un colpo!» disse facendo forza sulle braccia e issandosi in piedi sul tetto della dimora.
«Sta arrivando una tempesta.» commentò Jalil osservando le dense nubi nere che si avvicinavano minacciose. «Forse è il caso di ripararsi dentro.» suggerì.
«Tu va pure Jalil, io resterò qui ancora un po’.»
Il ragazzo la guardò confuso. «Siete sicura?»
«Non preoccuparti, non scapperò.»
Per ora.
Il ragazzo non sembrò molto convinto, ma la lasciò comunque sola.
Trascorse lassù il resto della giornata, immersa nei suoi pensieri, riflettendo su ciò che le aveva raccontato il ragazzo e comparandolo con i racconti di Fahd. Rimase sdraiata supina a osservare il cielo plumbeo, anche quando iniziarono a scendere le prime gocce di pioggia e il vento freddo le fece venire la pelle d’oca non si mosse. Concentrata su se stessa ignorava il suo corpo che le chiedeva di mettersi al riparo. La sua mente pretendeva di essere libera e solo sotto all’immensità del cielo riusciva a domare l’istinto di correre via, lontano, verso la libertà.
Ricomparì nella stanza solo quando cominciarono a cadere i primi lampi, trovando Jalil intento a mangiare della carne essiccata.
«Ne volete un po’?» le chiese porgendole il piatto.
Nadirah allungò la mano e ne prese un pezzo, andandosi poi ad accomodare sul bancone accanto alla boccetta dell’incenso che emanava un profumo pungente.
«Siete sempre così silenziosa?» domandò il ragazzo dopo aver ripulito il piatto.
Nadirah gli sorrise, semplicemente, confermando la sua domanda. «Ora scusami ma credo che andrò a farmi un bagno.»
«D’accordo, a dopo.» la congedò osservandola scendere le scale e chiudersi la porta alle spalle.
Si immerse lentamente nell’acqua fumante della vasca, circondata da vapori di incenso e, dopo essersi rilassata per alcuni minuti, si deterse con cura il corpo e i capelli con oli profumati provenienti dal nord Africa, beandosi di quel momento solo suo, ignorando la lunga cicatrice rosea che aveva sulla coscia sinistra, che era lì a urlarle quanto lei fosse sporca, marcia.
Per questo Virginia non c’era più, troppo pura per lei… troppo in tutto per lei.
Quando risalì nello studiolo lo trovò immerso nel buio, mentre fuori il cielo era rischiarato da bagliori e tuoni improvvisi. Jalil dormiva rannicchiato in un angolo, accoccolato sui cuscini.
Nadirah si avvicinò al bancone, prese una penna e vi immerse la punta nel calamaio scrivendo su frammento di pergamena un messaggio per il ragazzo, poi nel silenzio più assoluto raccolse le sue armi e lasciò la dimora.
 
Non fu difficile attraversare le stradine fangose e deserte di Gerusalemme e raggiungere la porta nord. Solo un paio di guardie assopite e riparate sotto una merlatura stavano a guardia delle mura, per Nadirah non fu difficile superarle senza farsi notare e raggiungere le stalle dove la sua cavalla araba era lì in attesa, dove l’aveva lasciata un mese prima. Montò in sella e si lasciò alla spalle la città, spronando la giumenta al galoppo. Solo quando raggiunse un’altura si guardò intorno e, quando un lampo squarciò il cielo e illuminò l’intera valle, i suoi occhi scorsero una figura rossiccia osservarla da lontano, a nord.
La lince le stava indicando la via.
L’avrebbe guidata fino alla sua meta.
Masyaf.
 
 







 
 

Note autrice:
1Shaytan è il nome che gli arabi attribuiscono al diavolo.




Rieccomi qui dopo un sacco di tempo. Lo sono sono in ritardissimo e vi chiedo umilmente scusa, mille volte scusa! ma gli esami e poi le vacanze mi hanno tenuto lontana dalla tastiera, vi prego di peronarmi! Prometto che la prossima volta pubblicherò più in fretta. Spero che nonstante tutto questo tempo mi seguiate ancora, be' che altro aggiungere... Spero che il capitolo vi sia piaciuto! 
Alla prossima!

Salute e pace,
O n i c e

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Capitolo 7
*** Verso la fortezza ***




VII
Verso la fortezza




 
 
Il sole splendeva alto nel cielo terso illuminando le aride valli del regno. Nadirah procedeva al passo lungo lo stretto sentiero fangoso, osservando il paesaggio brullo intorno a sé. L’insolita tempesta della notte precedente se n’era andata lasciandosi alle spalle solo l’aria frizzante e carica di ossigeno che le risvegliava i sensi ed enormi pozzanghere lungo i margini dei sentieri cosparsi di sassi e rocce.
Facendo vagare lo sguardo sulle basse colline che la circondavano a volte i suoi occhi scorgevano l’inconfondibile figura del caracal che la guidava verso nord.
Aveva già percorso quasi settanta miglia, doveva essere all’incirca a un quarto di strada. Se proseguiva di quel passo la mattina successiva, entro mezzogiorno, sarebbe giunta in prossimità di Damasco ed entro un paio di giorni avrebbe raggiunto Masyaf. Sentì l’eccitazione scorrerle sotto la pelle: solo un paio di mesi addietro non avrebbe mai immaginato di compiere in simile viaggio da sola, eppure un sacco di cose erano cambiate, le carte erano state rimescolate e il suo destino era mutato.
Mentre rifletteva il suo stomaco la distrasse, ricordandole che era dalla sera precedente che era a digiuno. Per questo proseguì ancora qualche chilometro prima di smontare da cavallo e legare la giumenta a un albero in prossimità di una piccola oasi e, dopo aver fatto scorta d’acqua, aggirarsi nei dintorni armata di arco e frecce.
Intercettò un paio di volte dei volatili, ma dopo aver preso la mira li mancò entrambi. Il terzo tentativo andò a segno e di corsa si diresse verso il punto in cui il tordo era caduto. Estrasse la freccia dal corpo del pennuto e si accertò che fosse morto prima di alzarsi e tornare verso l’oasi. Dei rumori indistinti però attirarono la sua curiosità; acquattandosi sul terreno, come un felino che ha fiutato la preda, si avvicinò alla fonte del rumore.
Gettò lo sguardo oltre la collina e trattenne un urlo alla vista dell’accampamento degli uomini di Saladino. Sentì un brivido correrle lungo la schiena mentre il suo istinto le urlava di andarsene da lì il più velocemente possibile. Un rumore sordo alle sue spalle l’allarmò, si voltò di scatto e a pochi metri da lei una sentinella dell’esercito musulmano la osservava con la spada sguainata.
«Guarda un po’ chi abbiamo qui.» commentò squadrandola dalla testa ai piedi e avanzando verso di lei.
Nadirah si rizzò svelta in piedi sfoderando a sua volta la spada, decisamente più sottile e leggera della scimitarra che aveva il soldato. Sentì il fiato mancarle e il panico farsi strada dentro di lei.
            Il soldato si scagliò contro di lei con forza, mirando un potente fendente che la mancò per un soffio. Nadirah non sarebbe mai stata in grado di batterlo con la forza, doveva agire con agilità; per questo si scansò alla destra dell’uomo e cercò di colpirlo al ginocchio, non protetto dall’armatura, ma la sentinella contrastò il colpo sbilanciando Nadirah all’indietro. Grazie alla pendenza del terreno, però, la ragazza riuscì a darsi la spinta con il braccio e rimettersi in piedi, evitando per un soffio la spada del soldato che si andò a conficcare nel terreno sabbioso. Riuscì ad aggirarlo e cercò di colpirlo nuovamente al ginocchio, ma questi fu più veloce e voltandosi la colpì violentemente con una gomitata. Nadirah rovinò a terra perdendo la presa sulla spada, mentre percepiva qualcosa di caldo colare lungo la sua guancia sinistra.
            Sangue.
            Il soldato ghignò, mentre un lampo di vittoria illuminò i suoi occhi scuri. «Sei una spia di Riccardo?» abbaiò puntandole la spada alla gola. Nadirah deglutì, in trappola.
            «Rispondi!» ordinò spingendo di più la punta della spada contro la carne della ragazza.
            «N-no.» rantolò. Dovevano essere stati i suoi tratti europei, i suoi occhi chiari, a insinuare il dubbio nell’uomo.
            «Non sento!» sbraitò l’altro.
            «No.» ripeté Nadirah a voce più alta.
            «Allora non è necessario che tu viva.» commentò sollevando la spada e impugnandola con entrambe le mani, perpendicolare al corpo disteso della ragazza.
            Tremava come una foglia: davvero la sua vita sarebbe finita così?
            Con la coda dell’occhio Nadirah notò due soldati sbucare dal crinale della collina e lo stesso soldato se ne accorse. Una distrazione che gli costò la vita, perché Nadirah, fulminea afferrò la spada a pochi centimetri da lei e con estrema precisione l’affondò nella gola dell’uomo, ancora intento a guardare i suoi compagni che gli stavano urlando qualcosa che per lui divenne un fischio sordo nelle orecchie, mentre il buio lo avvolgeva.
            Nadirah con uno scatto si rimise in piedi estraendo la spada insanguinata e senza voltarsi cominciò a correre a perdifiato verso l’oasi, pregando con tutta se stessa che la giumenta fosse dove l’aveva lasciata.
            Sentiva le gambe cedere e il cuore scoppiare nel petto, ma non doveva permettersi di rallentare. Non appena la raggiunse tentò di slegarla senza successo: le mani erano scosse dai tremiti e sentiva in lontananza le grida dei soldati, così prese la spada e con un colpo netto tagliò la corda. Spronò la cavalla al galoppo ancor prima di essersi ben issata sulla sella. Solo quando fu sicura di non perdere l’equilibrio si permise di voltarsi: in lontananza vedeva gli arcieri prendere la mira e scagliare le frecce che sentì sibilare accanto. Per puro miracolo nessuna di queste colpì lei o la sua cavalcatura e si rilassò solamente quando fu certa di essere fuori gittata.
            Non era ancora in salvo, certo, ma la cavalla era veloce e non credeva che sarebbero riusciti a raggiungerla, quegli uomini probabilmente andavano verso Arsuf, a ovest rispetto alla sua direzione ed era improbabile che la seguissero. Almeno lo sperava.
            Si portò una mano alla guancia colpita, lo zigomo le doleva terribilmente e il sangue le rimase anche sulle dita. Se l’era vista veramente brutta e sentiva ancora il cuore galopparle nel petto.
Ancora tormentata dalla paura di essere raggiunta dagli uomini di Saladino, Nadirah decise di non accamparsi per la notte, per questo si fermò solamente nei pressi di un piccolo villaggio per far rifocillare la cavalla e scambiare il tordo che aveva catturato con poca carne essiccata che consumò non appena si rimise in viaggio.
La galoppata folle e il non essersi fermata le fecero guadagnare molto tempo e raggiunse Damasco alle prime luci dell’alba. Ora che l’adrenalina che le si era irradiata nelle membra durante la fuga era stata completamente assorbita dall’organismo la stanchezza si fece sentire, non ricordava nemmeno più da quando non dormiva. Sentiva le palpebre chiudersi e la testa farsi pesante, mentre il taglio sullo zigomo pulsava incessante.
Incitò la sua cavalla a continuare, accarezzandole la criniera e dandole due leggere pacche sul collo. Si impose di continuare, ma poche ore dopo, un forte mal di testa la costrinse a fermarsi nei pressi di un boschetto dove scorreva un piccolo ruscello. Legò la cavalla e la liberò dalla sella prima di adagiarsi su una distesa di erba e crollare addormentata, cullata dal fruscio delle foglie scosse dal vento.
Nonostante il caldo asfissiante e l’aria umida, all’ombra del palmeto Nadirah riposò durante le ore più calde della giornata. Il suo corpo non impiegò molto tempo a ristabilirsi completamente e quando si ridestò si stupì di vedere il sole ancora alto nel cielo, oscurato momentaneamente da qualche nuvola passeggera. Si tirò in piedi e dopo essersi stirata i muscoli si avvicinò all’acqua del ruscello dove si specchiò: il volto stanco era contornato da una massa informe di capelli arruffati e lo zigomo sinistro era cosparso di sangue. Con le mani a coppa si sciacquò con cura la ferita e la pelle del visto e poi si occupò dei capelli, sciogliendo i nodi con attenzione.
Dopo essersi sistemata e aver sellato la cavalla ripartì a un trotto sostenuto, sicura di aver perso comunque troppo tempo: fremeva per raggiungere la fortezza. Anche se si chiedeva che tipo di accoglienza le sarebbe stata riservata, nessuno si aspettava il suo arrivo. Gli Assassini come avrebbero accolto una donna tra loro? Sempre se l’avrebbero accettata.
Cercò di immaginarsi il Maestro, Al Mualim, ricordando le parole che Altair e Malik si erano scambiati qualche giorno prima.
Intanto il giorno lentamente lasciava il posto alla notte, il cielo si tingeva di nero e le stelle facevano la loro comparsa, indicandole la via. Procedeva con cautela al passo, a volte smontando da cavallo e impugnando le redini quando il terreno era particolarmente impervio. Era entrata nella regione montuosa della Siria e ciò significava che Masyaf non era molto distante. Ce l’aveva quasi fatta.
Decise di riposarsi qualche ora appartandosi dietro un costone di roccia che creava uno spazio abbastanza ampio e riparato dal vento che in pochi minuti aveva preso a soffiare impetuoso, portando dal deserto fitte nubi di sabbia. Nadirah fece stendere a terra la cavalla e dopo essersi sdraiata a sua volta, stese sopra le loro teste un mantello per ripararsi dalla sabbia, accarezzando il muso della fedele compagna per mantenerla tranquilla.
Quando la tempesta di sabbia fu passata, era ancora notte fonda, ma Nadirah decise di rimettersi in cammino, trascinando la cavalla per le briglie e sondando il terreno per evitare di scivolare sul sentiero ghiaioso e instabile. Solo dopo qualche tempo intercettò il corso di un fiume che, secondo i ricordi della ragazza sugli studi delle mappe del regno, doveva essere uno degli affluenti dell’Oronte che sfociava da quei massicci rocciosi e che passava direttamente per Masyaf, o così avrebbe dovuto essere.
Proseguì seguendo il corso del fiume e incrociando, man mano che il giorno si avvicinava, uomini che si dirigevano nella direzione opposta trascinando i muli carichi di sacchi pieni di chissà cosa. Fermò un uomo e gli chiese quando fosse distante Masyaf e i suoi occhi lampeggiarono di eccitazione quando l’uomo le disse che era soltanto a poche ore di cammino da lì.
Rimontò in sella e tenne la cavalla al trotto. Trascorse tutto restante tragitto a fare congetture e ipotesi su come fosse la fortezza e i suoi abitanti, ma quando, in lontananza, riuscì a scorgere le merlature e i torrioni comprese che la fortezza era come se l’era immaginata, solo molto più imponente.
Spronò la giumenta al galoppo, ma una voce alle sue spalle che chiamava il suo nome la bloccò. Nadirah si volò velocemente e fu sorpresa di vedere Jalil che correva verso di lei.
Il giovane assassino la raggiunse e fermò il cavallo a pochi metri dalla ragazza. Aveva il volto paonazzo e il fiatone.
«Jalil! Sei riuscito a raggiungermi!» esclamò raggiante.
«Mia… signora… non provate più… a farmi una cosa… del genere… Malik mi ucciderà!» cercò di essere severo, ma la sua voce era interrotta dai pesanti respiri.
Nadirah trattenne un sorriso e lo rassicurò. «Tranquillo Jalil, dirò a Malik che mi hai scortato fin qui perché ti ho chiesto di portarmi dal vostro Maestro, non dirò che sono scappata.»
«Non avrei dovuto farlo lo stesso.» rispose dopo aver recuperato fiato.
Nadirah rise. «Avanti Jalil, non essere così legato alle regole!» gli urlò partendo al galoppo.
Il ragazzo le andò dietro e l’affiancò solamente quando Nadirah rallentò in prossimità dei cancelli della fortezza.
«Lì ci sono le scuderie.» le indicò il ragazzo, guidando il cavallo in quella direzione e Nadirah lo seguì.
Mentre entrambi smontavano dai palafreni una voce dall’alto della torretta di guardia li richiamò.
«Chi è là?» chiese un uomo con calato sul volto un cappuccio grigio.
«Asif! Sono io, Jalil!» rispose il ragazzo.
«E chi c’è con te?»
«Ella desidera vedere Al Mualim.»
La guardia tacque prima di fare cenno a un suo sottoposto di avvicinarsi, questi dopo aver ascoltato ciò che Asif aveva da comunicargli, scese di corsa dalla torretta e si diresse a tutta velocità verso la fortezza.
«Allora non hai saputo…» commentò dopo qualche istante la guardia.
«Cosa?» domandò il ragazzo.
«Te l’ho dirà Malik, o Altair in persona.» tagliò corto. «Ora ritirate le due bestie nelle scuderie.»
Nadirah e Jalil fecero come era stato ordinato e dopo aver dato la biada ai propri cavalli varcarono i cancelli. Nadirah sentiva l’eccitazione percorrerla dalla testa ai piedi, come la prima volta che Fahd l’aveva portata con sé a Damasco.
Attraversarono il villaggio che a quell’ora pullulava di vita: bancarelle che vendevano ogni genere di merce, dai tessuti al cibo agli attrezzi da lavoro; superarono la piazzetta principale e si avviarono su per una salita che costeggiava il costone di roccia e incrociarono scendere tutto trafelato dalla fortezza il ragazzo con cui aveva parlato Asif.
Quando arrivarono ai piedi della maestosa fortezza Nadirah percepì un brivido correre lungo la spina dorsale mentre osservava sbalordita l’imponenza del castello.
Avanzarono con passo deciso fin quando davanti all’ingresso trovarono Malik, serio e con uno sguardo impenetrabile, che li fissava. Li scrutò con attenzione entrambi e al suo occhio attento non sfuggì lo zigomo livido e il taglio ancora ben evidente sul volto di Nadirah e i suoi abiti macchiati di sangue. Il Rafiq stava per aprire bocca ma Nadirah decise di rompere il silenzio per prima. «Malik ho chiesto io a…»
Ma la mano alzata dell’uomo la interruppe. «Non qui e non ora. Seguitemi»
I due ragazzi si scambiarono un’occhiata preoccupata prima di andare dietro al Rafiq che li conduceva all’interno della fortezza. Nadirah ad ogni passo sentiva su di sé gli sguardi degli uomini che si trovavano nel cortile della fortezza; persino i due Assassini che stavano duellando nell’arena si voltarono verso di lei. Nadirah sibilò, a disagio, e Malik se ne accorse; si voltò verso i presenti e con fare autoritario li rimise in riga. «Che c’è? Non avete nulla di meglio da fare? Tornate ad allenarvi, svelti!»
La ragazza rabbrividì al suo tono: non sembrava proprio il Rafiq che aveva conosciuto solo qualche giorno prima.
Quando varcarono il portone di ingresso Malik li fece fermare esattamente sopra un meraviglioso mosaico, preziosi tasselli in oro e rosso componevano il simbolo degli Assassini.
Ma Nadirah non ebbe tempo di poterlo ammirare ulteriormente perché Malik richiamò la sua attenzione. «Nadirah, tu andrai con lei.» ordinò indicando una donna di colore abbigliata con un lungo abito rosso, dall’aspetto regale che dimostrava circa trent’anni e le sorrideva cordiale, mostrando una dentatura perfetta. Nadirah chinò il capo e si avviò, preceduta dalla donna, verso l’ala est del castello.
«Tu vieni con me.» ordinò secco a Jalil che solo in quel momento si decise ad alzare la testa e seguirlo. Fece un cenno a mo’ di saluto alle due guardie in cima alla prima rampa di scale prima, una di queste mimò con il labiale qualcosa tipo “l’hai fatta grossa”, ma Jalil non era certo di aver capito. Quando raggiunsero lo studio del Maestro il ragazzo fu sorpreso di non trovare Al Mualim, ma Altair intento a parlare con due degli anziani consiglieri del Vecchio della Montagna.
«Ci riuniremo in consiglio e delibereremo, non ti garantiamo nulla però ragazzo.» si congedarono così i due vecchi prima di allontanarsi. Jalil fremeva dalla voglia di chiedere dove fosse Al Mualim, ma esitava a parlare per paura di peggiorare la sua situazione, tanto tra poco l’avrebbe saputo, no?
«Ti starai chiedendo cosa ci faccio io qui al posto di Al Mualim. Lui è morto.» spezzò il silenzio Altair.
Ecco appunto
«Cosa?!» sbottò, non riuscendo a trattenersi.
Altair si voltò fulminandolo con lo sguardo. «Resta al tuo posto novizio!» tuonò il Maestro Assassino. «E non osare rivolgerti mai più così a un tuo superiore!»
Jalil chinò il capo. «Certo, scusatemi.» balbettò.
«In ogni caso ora la tua priorità non è sapere il perché.» continuò.
Il ragazzo sentì le mani sudate e il ventre attorcigliarsi dall’ansia. L’aveva fatta grossa, era vero. Non aveva adempiuto a un compito datogli da un superiore, non era riuscito a fare la guardia a una ragazza.
«Malik ti aveva ordinato di tenerla alla Dimora, perché l’hai portata qui?»
«Io… io, insomma è stata lei a chiedermelo. Voleva vedere Al Mualim, non pensavo che…»
Ma questa volta fu Malik a interromperlo. «Non mentire Jalil! I suoi abiti erano sporchi di sangue e ha un livido sulla guancia! Che è successo?»
Prima che il ragazzo potesse discolparsi Altair era piombato su di lui sbattendolo contro il muro. «Augurati che la ragazza non abbia nient’altro, novizio.» ruggì fissandolo a una spanna dal viso e puntandogli la lama celata alla gola. «O sarà peggio per te.»










Note Autrice:
Ehilà! Ecco tornata con un nuovo capitolo.
Non c'è molto da dire a riguardo, semplicemente voglio ringraziare tutti quelli che leggeno questa storia, l'hanno inserita tra le seguite e preferite e in particolare a chi recensisce. Grazie davvero a tutti. Un bacio e a presto con il prossimo capitolo

Salute e pace,
O n i c e

 

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Capitolo 8
*** E fa inspiegabilmente male ***





VII
E fa inspiegabilmente male
 



 
 
Nadirah seguì la donna lungo uno stretto corridoio illuminato da qualche piccola feritoia lungo il muro di pietra; sentiva il suono dei loro passi rimbombare nell’angusto spazio che percorreva chiedendosi dove la stesse conducendo quella bellezza africana che procedeva davanti a lei.
Dopo qualche decina di metri sbucarono in una stanza più luminosa, un ingresso per la precisione, come suggeriva il portone alla sua destra che dava sul cortile di allenamento e l’imponente scala a chioccola che si arrampicava come un’enorme bestia mitologica su per le pareti millenarie della fortezza.
La donna batté le mani e riportò l’attenzione di Nadirah su di sé. «Avanti, seguimi.» la incitò prima di darle le spalle nuovamente e precederla in una stanza decisamente più ampia, dall’alto soffitto a volte sorretto da innumerevoli colonne. La ragazza si guardò intorno e capì di trovarsi nell’infermeria: numerose brande erano posizionate per tutta la stanza e su di esse più di una dozzina di uomini vi erano adagiati sopra, mentre una ragazza dai lunghi e lisci capelli neri andava avanti e indietro con bende e lenzuola pulite. Si guardò intorno prima che la donna l’afferrasse per le spalle con forza e la spingesse a sedere su una brandina.
«Voi chi siete?» domandò Nadirah.
La donna la scrutò con i suoi occhi color del deserto per qualche istante. «Mi chiamo Amani.» rispose semplicemente immergendo una pezza di cotone in un liquido verdastro e poi applicarglielo sulla ferita sullo zigomo. Il taglio ancora aperto bruciò al contatto con quella soluzione e Nadirah si ritrasse.
«Stai ferma ragazza!» protestò la donna sporgendosi verso di lei.
«Chiamatemi Nadirah.» puntualizzò lasciandosi afferrare per il mento e tamponare la ferita che percepì essersi riaperta. «Cos’è questa roba?» chiese poi.
«È un distillato che usiamo per disinfettare le ferite, sai qui siamo sempre impegnate in cose del genere.» spiegò con un leggero accento esotico alludendo con un cenno del capo agli altri Assassini nella stanza.
«Cos’è successo?»
La donna sorrise. «Sei curiosa, vedo.»
Nadirah arrossì e voltò il capo. «Non volevo essere impertinente, scusatemi.»
Amani finalmente poggiò la pezza di stoffa su una mensola li vicino e si accomodò sullo sgabello a fianco al letto. «Non spetta a me dirtelo, quando sarà il momento sarà il maestro Altair a chiarire i tuoi dubbi, ora ha faccende più importanti a cui pensare.»
Prima che Nadirah potesse replicare la ragazza dai capelli neri chiamò la donna dal fondo dell’infermeria, allarmata. «Amani! Vieni presto!»
«Kamila cosa c’è?» domandò accorrendo la donna.
«Issam!» disse solo e il volto di Amani si trasformò in una maschera di orrore quando vide le lenzuola candide macchiate di sangue, tanto sangue. Le afferrò e le gettò via scoprendo il busto nudo dell’uomo su cui svettava una profonda ferita poco sopra l’ombelico da cui il sangue usciva copioso.
«La ferita si è riaperta! Presto portami ago e filo, devo ricucirlo!» ordinò mentre le mani le tremavano visibilmente.
Kamila si diresse verso Nadirah che era rimasta immobile a osservare la scena con un espressione scioccata stampata in faccia. In preda alla corsa la scansò con una spallata e recuperò ciò che Amani le aveva chiesto.
«Presto Kamila! Portami anche le bende!»
La donna fece per tornare indietro ma Nadirah la precedette afferrando sulla panca vicino a lei tutte le pezze di cotone e dirigersi verso Amani, chinata sul corpo scosso dai fremiti dell’uomo.
«Issam tieni duro! Non mi lasciare, ti prego!» lo supplicava la donna mentre tentava di ricucire la ferita con l’aiuto di Kamila che le teneva vicini i lembi dello squarcio.
«Non… non ce la faccio!» esclamò stremata la donna quando vide il colorito scivolare via dal volto dell’uomo.
«Devi farcela Amani! Io non sono in grado. Sei l’unica…»
«Posso farlo io.» intervenne Nadirah, attirando su di sé e avvicinandosi.
Kamila la squadrò con i suoi occhi color tempesta. «Credi di esserne in grado, ragazzina?» l’aggredì.
Nadirah ignorò l’intervento della ragazza e prese il posto di Amani, prendendo a bucare ripetutamente la ferita dell’uomo ormai svenuto con estrema precisione. Impiegò diversi minuti prima di terminare il lavoro e quando ebbe finito si preoccupò di ripulire con cura il ventre dell’uomo con dei panni umidi e poi si lavò le mani in una ciotola.
«Non ti ringrazierò mai abbastanza.» disse rivolta a Nadirah, con sguardo pieno di riconoscenza. «Se non fosse stato per te…» si interruppe mentre una lacrima le rigava il viso.
Nadirah si limitò ad annuire, con un mezzo sorriso stampato in faccia.
Strano, si ritrovò a pensare, le era capitato più volte di uccidere qualcuno, ma mai salvare una vita.
Anzi no. Un’altra volta sì.
«Andiamo, lasciamoli soli.» disse Kamila afferrando Nadirah per un braccio e trascinandola con sé fuori dall’infermeria. «Dove hai imparato?» continuò.
«Be’ ecco…» e ora che le raccontava? Non poteva dirle che era stata addestrata da un ex Assassino per diventare essa stessa come lui e che Fahd le aveva anche insegnato a ricucire le ferite, no?
«Me l’insegnò anni fa la mia nutrice.» inventò.
Kamila la guardò colpita. Poi la sua espressione mutò e le labbra si piegarono in un sorriso. «Che stupida! Ti prego di perdonarmi, non ci siamo neanche presentate: io sono Kamila, anche se credo tu lo abbia già capito. E tu sei?»
«Puoi chiamarmi Nadirah.»
Intanto stavano percorrendo nel senso opposto il corridoio, dirette all’atrio principale. «Vuoi che ti mostri la fortezza?» domandò Kamila una volta uscite dallo stretto passaggio scarsamente illuminato.
«Se non ti è di disturbo, volentieri.» rispose, anche se avrebbe preferito un’altra opzione.
 
Da quando aveva congedato Jalil, Altair non faceva altro che fare avanti e indietro per la stanza borbottando qualcosa di incomprensibile con lo sguardo fisso a terra e un’espressione rabbiosa sul volto.  «Tuo cugino è stato fortunato.» ringhiò.
Malik si passò la mano sul volto, scuotendo la testa con un mezzo sorriso. «Tu sei troppo aggressivo Altair.» commentò.
«Tu come avresti reagito?» sbottò fermandosi –finalmente- in mezzo alla stanza. «Non sappiamo perché, ma Al Mualim voleva averla dopo che Fahd Al-Shafir si è ucciso, ciò vuol dire che la ragazza deve sapere qualcosa che interessava al vecchio.»
«È solo per questo che per poco non ammazzavi mio cugino?» chiese leggermente infastidito.
Altair lo guardò storto. «Che intendi?»
«Hai capito benissimo.» commentò l’altro.
Le labbra di Altair si tirarono in un sorriso malizioso. «A quanto mi risulta quello che è palesemente attratto dalla ragazza sei tu, non io.»
«Stai eludendo la domanda.» insisté l’altro.
Altair ghignò. «È gelosia la tua? Ricorda che hai già una donna, Malik.» lo ammonì.
Malik non replicò e si limitò a guardarlo in cagnesco, così Altair continuò dove era stato interrotto poco prima.
«Comunque ripeto: credo che Al Mualim volesse portarla qui per il Tesoro.
«Cosa te lo fa pensare?» domandò.
Altair socchiuse gli occhi. «Non vedo altra spiegazione. Il vecchio era assuefatto dal potere della Sfera e penso che ci fosse un motivo valido per ordinare la cattura di un ex Assassino.»
«Forse lo voleva solo condurre qui per ucciderlo, ha abbandonato la Setta dopotutto. E probabilmente cercava Nadirah per riservarle la stessa sorte.» disse neutro, nascondendo bene il suo ribrezzo se ciò fosse realmente accaduto.
«Non ha senso.» continuò Altair riprendendo a camminare e massaggiandosi le tempie. «Al Mualim aveva espressamente ordinato la sua cattura, non il suo assassinio, e non aveva mai menzionato la ragazza. Deve esserci un’altra spiegazione, ne sono certo. Solo non so da dove cominciare. Credi che la Sfera possa rilevarci qualcosa?»
Malik si alzò dallo scranno in pregiato legno africano su cui si era seduto e si avvicinò al Maestro Assassino. «Ho potuto dare un’occhiata agli appunti di Al Mualim e vi ho trovato parecchie cose strane.»
«Spiegati.» ordinò Altair.
Malik arretrò di un passo e fu lui che prese a girare per la stanza. «Parlava di visioni, di voci in una lingua sconosciuta e scriveva di aver visto un futuro grandioso dove Ordine e Pace regnavano sull’uomo. E poi chiamava la Sfera Mela, o Frutto dell’Eden…»
«Non mi sorprende. Abbiamo visto cos’è in grado di fare quella cosa, ha soggiogato le menti di tutta Masyaf, il suo potere mi teneva incatenato senza che mai il vecchio mi avesse toccato, non so come Al Mualim riuscisse a controllarlo.»
«O forse era la… Mela a controllare lui?» obiettò Malik.
«Stai forse dicendo che Al Mualim era vittima della Sfera?» eruppe. «Io ho compreso quello che quel traditore voleva e quella cosa era solo il mezzo per ottenere i suoi scopi!»
«Non ne sappiamo a sufficienza per giudicare. E con questo non voglio assolutamente difendere Al Mualim, lo sai. La mia era solamente una supposizione. Potrebbe essere vera qualsiasi ipotesi per quanto ne sappiamo» replicò Malik.
«Dici che qualcuno potrebbe chiarirci di più le idee?»
Malik lo guardò interrogativo per qualche istante prima di capire a cosa –meglio a chi- si stesse riferendo Altair. «Vuoi che la faccia chiamare?» domandò.
«No, non oggi, ha fatto un lungo viaggio ed è giusto che riposi. Dopotutto non è un male che sia arrivata qui.» rispose. «Anche se questo non toglie che Jalil dovrà rispondere delle sue azioni.» aggiunse, più severo.
«Sei stato troppo duro con lui.» commentò.
«Credi che Al Mualim avrebbe fatto correre una simile mancanza?» puntualizzò l’altro.
Malik batté il pugno sul tavolo. «Accidenti a te Altair! Smettila di paragonare ogni tuo gesto a quello di Al Mualim. Lo disprezzi per il suo tradimento eppure continui a fare presente ogni sua azione! L’avrai pure ucciso, ma non sei tu il Maestro. Hai rifiutato la carica, per cui non spetta a te prendere le decisioni, sarà il consiglio a deliberare anche su questo!» lo aggredì.
Altair lo guardò impassibile, mentre dentro di sé faticava a non reagire. Cercò di darsi un contegno, ma dopotutto Malik aveva ragione. I fatti degli ultimi giorni si erano susseguiti con una velocità impressionante e l’avevano travolto come un fiume in piena, senza lasciargli il tempo di riflettere con lucidità. Aveva agito prima per dovere e fedeltà, poi per vendetta. Ed ora, a poco meno di due giorni dall’assassinio del Maestro sentita la stanchezza pesargli addosso come un macigno. Aveva bisogno di liberare la mente e poi finalmente, riposarsi come avrebbe dovuto. Non ricordava neanche più da quanto non dormisse.
Per questo si congedò da Malik dicendo qualcosa che doveva essere parso al suo interlocutore come delle scuse sputate tra i denti e dirigendosi verso l’ala più a ovest del castello, che si affacciava in parte sul giardino retrostante la fortezza e in parte sullo strapiombo che dava sul lago sottostante.
Altair percorse in fretta i corridoi e che ormai conosceva alla perfezione e infine la pregiata scala a chiocciola di marmo presieduta da due guardie che conduceva all’elegante porta intarsiata che da novizio, insieme a Malik, aveva sempre desiderato varcare per accedere alle stanze delle Grazie. Solo quando furono promossi ad Assassini poterono scoprire quel mondo di piacere a cui non erano ammessi fino a che non fossero stati pronti.
Le due guardie lo lasciarono passare salutandolo con un cenno del capo che Altair non si curò di ricambiare e si lanciò a grandi falcate su per la scala a chiocciola fino a ritrovarsi di fronte alla porta delle Grazie. Abbassò la maniglia e non si stupì di trovarla aperta; varcò la soglia e subito fu investito da un’intensa fragranza di oli profumati diffusi nella grande stanza circolare in cui, adagiate su degli enormi cuscini, stavano una decina di giovani fanciulle vestite di seta colorata intente a conversare. Altair riservò un’occhiata ardente a ciascuna di loro, tendendo infine le mani a due giovani che, dopo essersi lanciate uno sguardo malizioso e un risolino, allungarono le prorie e afferrarono quelle tese dell’Assassino che senza sforzo le tirò in piedi e poi fece passare le proprie braccia sui fianchi di entrambe.
Si stavano avviando lungo il corridoio quando il cigolio della porta attirò l’attenzione di Altair e delle altre presenti e si sorprese quando vide Nadirah, preceduta da Kamila, entrare nella stanza e incrociare il suo sguardo. Fu un solo istante, poi Nadirah imbarazzata spostò lo sguardo sulle ragazze presenti nella stanza, ma ad Altair bastò quell’attimo per leggere lo sgomento e qualcos’altro che non riuscì a decifrare, troppo stanco e acceso di passione e desiderio per analizzare ciò che gli occhi di Nadirah esprimevano così chiaramente.
La mente infine gli si appannò mentre le due grazie lo conducevano nella prima stanza disponibile e iniziavano a spogliarlo, lasciandogli sensuali baci lungo il collo, il petto –ancora segnato dalle ferite inferte a Gerusalemme e Arsuf-, lungo gli addominali scolpiti e poi più giù ancora, lambendolo e portandolo all’apice del piacere.
Altair le condusse sul letto e sovrastò entrambe, affondando in una e stuzzicando l’altra, beandosi del loro calore e della loro morbidezza, mentre la sua mente, inconsapevolmente correva al viso più bello che avesse mai visto, con due occhi magnetici che gli avevano incatenato l’anima. Era meraviglioso e avrebbe tanto desiderato avere quel viso davanti ai suoi occhi, quell’esile corpo sotto il suo. Conosceva a chi appartenevano quel viso e quel corpo, così unici, così rari.
Solo, in quel momento, non lo ricordava.






Note autrice:
Tà dan! Rieccomi qui, questa volta sono stata decisamente più veloce a pubblicare.
So che non vedavate l'ora ;)
Allora che ne pensate di questo capitolo? 
Credo di aver chiarito qualche dettaglio, o forse vi ho solo incasinato di più i pensieri? Be' devo dire di essere molto soddistatta di questo capitolo e vorrei tanto sapere cosa pensate anche riguardo l'ultima scena, diciamo che è la prima in assoluto che scrivo del genere e quindi non ho idea di come possa essere uscita, be' spero non un distastro totale! Eeeh questo Altair? Poverino si tratta bene no?
Va be' direi che ho finito.
Alla prossima.

Salute e pace a tutti
O n i c e

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Capitolo 9
*** Bugie e mezze verità ***




IX
Bugie e mezze verità




 
 
Kamila richiamò l’attenzione di Nadirah presentandole le ragazze presenti in quella meravigliosa stanza circolare, perfettamente illuminata dalle ampie finestre alternate a splendidi arazzi –probabilmente di origine persiana- che donavano colore all’ambiente.
Nadirah sorrise a ognuna delle ragazze che si alzavano e si presentavano, e costrinse la sua mente ad associare correttamente le otto ragazze ai loro nomi. Rasha, la più giovane, dai ricci e corti capelli bruni e gli occhi color cielo, Farida, dalla carnagione bronzea e gli occhi blu e Delen, dalle evidenti origini nordiche suggerite dalla sua pelle lattea spruzzata di efelidi e i capelli color del rame, erano le tre che a Nadirah che le avevano chiesto di sedersi accanto a loro; poi Ambar, Samira, Maysun, Leila e Widad.
«E le altre due che stanno intrattenendo il Maestro Altair sono Zahra e Yasmin.» precisò Maysun, o forse era Samira?
«Maestro?» domandò stupita Nadirah dopo essersi accomodata tra Kamila e Delen.
Non era Al Mualim?
Anche Amani l’aveva definito Maestro, ma inizialmente non ci aveva fatto caso.
            «Sì, Altair ha ucciso il vecchio Maestro, Al Mualim, e di conseguenza ha preso di diritto il suo posto.» continuò Leila con aria distratta.
            «Ah.» riuscì solo a dire, mentre nella sua mente si ammucchiavano i pensieri.
            «In realtà Altair non ha preso il posto di Al Mualim, ha rinunciato l’incarico.» intervenne Rasha. «Me l’ha detto Rayhan l’altra sera.» puntualizzò.
            «Be’ poco importa, sta di fatto che quelle due andranno avanti per mesi a vantarsi di essere andate a letto con Altair, come se fossero le uniche quelle due!» sbottò Widad. «A te non dà infastidisce Delen?»
            La ragazza, sentendosi chiamata in causa sollevò lo sguardo. «N-no, perché dovrebbe?» domandò imbarazzata con un delicato accento straniero. Nadirah l’avrebbe definita sassone.
            Widad ghignò. «Sai, sembrava che tra voi ci fosse un’attrazione più profonda, da parte tua almeno…»
            «Assolutamente.» tagliò corto, abbassando rapidamente lo sguardo.
            «In ogni caso!» prese la parola la ragazza dai capelli color caramello, Ambar. «Nadirah dicci un po’ di te. Da dove arrivi?»
            «Vengo da Gerusalemme.»
            «La città eterna! Se veramente di lì?» domandò affascinata Rasha. «Non ci sono mai stata.»
            «Sì, è la città dove sono cresciuta.» rispose neutra.
            «E chi ti ha mandato qui?» continuò ancora Ambar, con un sorriso comprensivo.
            «Nessuno.»
            Le ragazze presenti la guardarono stupite. «Stai dicendo che hai scelto di venire qui di tua volontà?!» esclamò Farida sorpresa.
            «Stai scherzando spero. Chi sceglierebbe di venire qua, di propria iniziativa, per fare questa vita?» commentò amaramente Delen.
            Nadirah allora comprese. «No, no. Ferme un attimo! Io non sono arrivata qui per fare ciò che credete voi…»
            «Per cosa allora? Non vorrai fare la serva? Sempre meglio noi a quelle fallite che stanno nelle cucine e rassettano su e giù per tutta la fortezza.» sibilò malignamente Widad cercando il consenso alle sue parole da parte delle altre presenti.
            Il tono di Widad le diede parecchio fastidio, come si permetteva di rivolgersi a lei così?  
            Per fortuna ci pensò Kamila a venire in suo soccorso. «Widad abbi un po’ di rispetto, se non fosse per loro, saresti tu a doverti sistemare la stanza e farti da mangiare; e poi chi ti farebbe tutti i massaggi che ami tanto?» la riprese azzittendola.
            «Però non ci hai ancora detto perché sei qui Nadirah, se non è neppure per fare la serva, per cosa allora?» domandò curiosa Rasha.
«Ehm…» Fregata per la seconda volta.
Che si inventava ora? «Be’ è un po’complicato, necessitavo vedere il Maestro, non mi aspettavo fosse stato ucciso.» iniziò, dopotutto era vero anche quello: aveva lasciato Gerusalemme con quell’intento.
«Quell’uomo era un vecchio pazzo! Negli ultimi tempi soprattutto: da quando Altair e Malik fallirono la loro ultima missione insieme. È stato un bene che Altair l’abbia ucciso.» intervenne Ambar.
Nadirah notò lo sguardo di Kamila oscurarsi quando la ragazza nominò i due Assassini, e riprendere immediatamente il controllo di sé un attimo dopo. «Per quanto pensi di rimanere qui a Masyaf?» le domandò.
«Finché qualcuno non mi caccerà via.» rispose con un’alzata di spalle e facendo ridere le ragazze, tutte tra Widad che rimase seria e che non sfuggì all’occhio attento di Nadirah.
«Allora non ti dispiacerà se ti mostro la tua stanza.» riprese Kamila.
Nadirah la guardò stupita. «Certo.» acconsentì alzandosi; già le avevano riservato una stanza?
La ragazza seguì la mora su per le scale in legno che seguivano l’andamento circolare della stanza e conducevano al piano superiore. Proseguirono sulla passerella di legno che si sviluppava attorno alle pareti e permetteva di osservare dall’alto tutta la sala e su cui si affacciavano una mezza dozzina di stanze. Kamila la condusse all’ultima sulla sinistra e, dopo aver girato la chiave nella toppa, spalancò la porta e la invitò ad entrare.
Nadirah avanzò di qualche passo, sufficiente per permettere a Kamila di entrare a sua volta e chiudersi la porta alle spalle. La stanza era enorme, certo non quanto quella a palazzo a Gerusalemme, ma sicuramente il doppio, se non di più, di quella nella modesta abitazione di Fahd. Alle fredde pareti in pietra erano appesi numerosi arazzi dai colori vivaci e con motivi che Nadirah non aveva mai visto. Il letto era gigantesco, con una montagna di cuscini gettati sopra, senza contare quelli sparsi per la stanza; opposta al letto stava una pregiata scrivania in legno e le ampie finestre, ornate da leggeri tendaggi rossi e gialli, illuminavano l’ambiente.
«Questa è la vecchia stanza di Amani.» spiegò Kamila.
Nadirah si voltò di scatto, sorpresa. «Cosa?!» eruppe. «Mi stai dicendo che Amani era…»
«Una puttana, sì. E lo ero anch’io.» completò la frase senza abbassare lo sguardo.
Calò per qualche istante il silenzio. Poi Kamila si decise a spiegare. «Amani era come tutte quelle che hai conosciuto poco fa. Non so come ne quando arrivò qui, ma so che anni fa un assassino si innamorò di lei e lei di lui, così l’uomo fece richiesta ad Al Mualim di sposarla. Inizialmente il Maestro non volle, ma poi acconsentì e lei lasciò quest’ala del castello, non ha più messo piede qui.»
«E ora dove sta?»
«Nella stanza di suo marito.»
«Issam?» chiese e l’altra annuì. «E tu invece?» domandò ancora, curiosa.
Kamila sorrise. «Io sono qui da quasi cinque anni, abitavo in un paese qui vicino e la mia famiglia era povera, avevo sedici anni quando mio padre decise di vendermi ad Al Mualim…»
Nadirah sgranò gli occhi, sconvolta, ma non la interruppe.
«Non sono stata altro che un oggetto per tutti gli assassini con cui sono stata, utile solamente a renderli più uomini piuttosto che animali addestrati per uccidere quali erano. Poi però venne un ragazzo, passò la sua prima notte con me ed io ero ancora abbastanza inesperta, eppure fu l’unico che non mi trattò per quello che ero e capii che era diverso da tutti gli altri. Era gentile, premuroso, e il suo cuore era nobile. Tutte le volte che tornava da qualche missione veniva in queste stanze e cercava me, e io solo con lui riuscivo a sentirmi veramente una donna. » Kamila parlava con lo sguardo vacuo perso nel suo passato, e Nadirah avrebbe giurato di leggere nelle pupille della ragazza che le stava di fronte ogni singola emozione che aveva vissuto con quell’assassino.
«Te ne sei innamorata?» la interruppe.
Kamila annuì, «già. Finii per innamorarmi di lui, ma non glielo dissi mai: avevo paura che esternando i miei sentimenti mi avrebbe abbandonata e così mi tenni sempre tutto dentro, sfogandomi dopo che lui lasciava la mia stanza, immaginando il suo volto quando altri uomini occupavano il mio letto; e poi, finalmente, arrivò il giorno che avevo sempre sognato: Malik prima di partire per una missione venne da me e mi disse che quando sarebbe tornato mi avrebbe portato via da queste stanze, in modo che potessi essere solamente sua…»
Nadirah trattenne a stento la sorpresa a sentire nominare il Rafiq di Gerusalemme e sospirò di sollievo quando constatò che Kamila non si era minimamente accorta della reazione della ragazza e continuava a raccontare.
«… ma quando Altair tornò solo da Gerusalemme sentii la terra franarmi sotto ai piedi e la disperazione assalirmi, mi chiusi in camera e piansi tutte le lacrime che avevo, fin quando qualcuna delle ragazze venne ad avvertirmi che Malik era tornato, solo in pessime condizioni. Roberto di Sable fuori teneva sotto assedio la fortezza, ma l’unica cosa che m’importava era vedere Malik e assicurarmi che stesse bene. Quando raggiunsi l’infermeria, mi trattennero fuori e riuscii entrare solo diverse ore dopo; rimasi sconvolta nel vedere il suo corpo martoriato e, soprattutto, il suo braccio mancante, ma lui era vivo ed era quello ciò che contava. Mi occupai di lui per tutta la sua convalescenza, fin quando il Maestro decise di trasferirlo a Gerusalemme ed io potei andare con lui. Rimasi alla dimora per diversi mesi fin quando la situazione in città si fece tesa e pericolosa, con continue incursioni da parte delle guardie e conseguenti esecuzioni, e Malik mi rispedì qui dove nessuno si azzardò più a toccarmi.» concluse ritornando a contemplare la stanza.
«Non è stato facile immagino, un po’ tutta la tua vita intendo.» commentò Nadirah, mentre dentro di sé quella frase le suonava familiare, come una lenta litania che fungeva da sottofondo ai suoi pensieri e i suoi ricordi.
«E la tua di vita, Nadirah?» s’interessò l’altra. «Com’è stata?»
E ti pareva!
La ragazza prese un lungo respiro. «Complicata, decisamente complicata.» si limitò a dire serrando le palpebre e Kamila decise di lasciar perdere. Non sapeva nulla ma poteva capire che per qualsiasi motivo lei fosse lì, alle spalle non doveva aver avuto un passato piacevole.
«Se vuoi ti lascio sola.» le disse.
Nadirah si voltò verso di lei, riacquistando il sorriso. «Oh non volevo scacciarti, perdonami.»
«Aah tranquilla.» le strizzò l’occhio. «In ogni caso tra poco le donne ci chiameranno per la cena, solitamente suonano una campanella, non puoi non sentirla. Ma se preferisci non scendere, non preoccuparti te la posso portare io la cena, in caso contrario saresti la benvenuta.»
«Ti ringrazio, ma per questa sera preferisco stare sola e riposarmi, grazie dell’invito comunque.»
«Figurati! Se hai bisogno sono nella stanza qui a fianco.» le disse abbassando il pomello della porta.
«Aspetta!» la richiamò.
«Sì?»
«Mi chiedevo: ma le ragazze non lasciano mai queste stanze?» chiese curiosa.
«Oh sì, escono spesso da qui. Soprattutto durante le giornate d’estate il Maestro le invitava fuori nel giardino per intrattenere i suoi assassini migliori dopo avergli somministrato una buona dose di oppio.» le comunicò con un ghigno.
«Oppio?!» esclamò allibita Nadirah.
«E certo!»
«Ma perché?» domandò, ancora scioccata. Fahd non le aveva mica detto che le droghe erano vietate nella Setta? Certo le aveva anche detto che alle donne era categoricamente vietato entrare nella fortezza, eppure a quanto pare non era così.
Perché, diamine, Fahd non le aveva detto la verità? Certo erano due cazzate, ma se le avesse omesso anche dell’altro?
«Aah lo scoprirai da te!» le rispose ridendo. «Ora ti lascio, a domattina.» la salutò prima di chiudersi la porta alle spalle e lasciarla nell’assoluto silenzio di quella camera. Rimase immobile per qualche secondo prima di prendere la rincorsa e gettarsi su quel letto vaporoso che sembrava urlare morbidezza in cui, difatti, affondò, sommersa dai cuscini. Era talmente comoda in quella posizione che voglia di alzarsi e sfilarsi di dosso i vestiti logori del viaggio proprio non ne aveva e così, beandosi del momento, finì per addormentarsi di sasso.
 
Il mattino seguente il sole che filtrava tra le tende la destò dal sonno. Nadirah si stiracchiò per bene sul grande letto colorato e, dopo diversi minuti in quello stato di dormiveglia, si trovò costretta a tirarsi su quando Kamila irruppe nella stanza. «Avanti signorina! Sveglia, è ora di alzarsi.» la spronò con quella sua voce squillante.
Nadirah si stropicciò gli occhi e, solo dopo un profondo sbadiglio, si decise a scendere dal letto. «Buongiorno anche a te Kamila.» borbottò.
«Tieni, ti ho portato ora qualcosa da mangiare siccome ieri sera quando sono venuta a portarti la cena già dormivi.» le disse poggiando sulla scrivania un vassoio strabordante di frutta, dolci al miele e mandorle, accompagnati da una tazza fumante di tè nero.
La ragazza la ringraziò e si fiondò su quelle prelibatezze, riuscendo finalmente ad avere un pasto decente come non ne aveva da tempo. Kamila la osservò in silenzio, e solo quando Nadirah ebbe concluso decise di riprendere la parola. «Spero che la colazione sia stata di tuo gradimento.»
«Fantastica, grazie.» rispose bevendo l’ultimo sorso di tè.
«Bene, ora vieni con me.»
«E la stanza?»
«Ci penseranno le donne a rassettare tutto. Tu seguimi.»
Nadirah obbedì e le andò dietro, chiudendosi la porta alle spalle. Nella grande stanza circolare regnava il silenzio e delle grazie nemmeno l’ombra.
«A quest’ora staranno tutte dormendo.» dichiarò Kamila facendo scattare il più silenziosamente possibile la serratura della porta d’ingresso prima di proseguire giù per la scala a chiocciola dove due guardie, diverse da quelle della sera precedente, montavano di guardia.
«Banou» le salutarono chinando il capo e Kamila e Nadirah ricambiarono con il medesimo gesto. Le due donne si ritrovarono nel grande atrio che dava accesso al giardino che Nadirah non aveva ancora avuto la fortuna di vedere e proseguirono ancora per la scala a chiocciola e scendeva nelle viscere della montagna.
«Ma dove stiamo andando?» chiese Nadirah quando percepì la luce naturale affievolirsi.
«Manca poco!» la incoraggiò l’altra e difatti, dopo un’altra decina di gradini sbucarono in una grande e lussuosa sala con al centro un’enorme vasca rettangolare, piena di acqua termale sorgiva, che sgorgava dalla roccia intorno alla quale era stata edificata l’intera stanza, sorretta da due file di sei colonne decorate in oro e rosso, che risalvata con il pavimento in marmo bianco. La luce proveniva dal colonnato aperto che delimitava il margine della stanza. L’acqua dalla roccia scorreva in una canalina che finiva nella vasca centrale. Nadirah, come un bambino che scopre per la prima volta qualcosa, si guardò attorno estasiata e seguì il percorso di un’altra canalina che dalla vasca centrale scorreva verso il ciglio del pavimento, per poi gettarsi nel vuoto, fino a raggiungere le gelide acque del lago sottostante diverse decine di metri.
«È spettacolare!» esclamò estasiata Nadirah.
«Puoi dirlo forte.» le fece eco l’altra. «Questa è una sorgente naturale che sta proprio sotto la fortezza, è una vera fortuna per noi. Ti ho portato qui perché credo proprio che tu abbia voglia di un bel bagno caldo, no?»
            Nadirah si voltò verso di lei con un’espressione estasiata che fece scoppiare a ridere l’altra. «È tutta per me?» chiese mentre le brillavano gli occhi, neppure a Gerusalemme aveva a disposizione una vasca così grande.
            «Certo.» confermò l’altra. «Ti ho fatto portare dei vestiti puliti e diciamo che quelli che indossi ora è il caso di buttarli, non trovi?»
            Nadirah gettò un’occhiata alle vesti che indossava, corte e pratiche, e poi a quelle ripiegate sulla panca addossata alla parete, sicuramente eleganti e raffinate, che poco si addicevano a lei. «Non credo di avere alternativa, mi costringerai a indossare quelle cose lunghe e scomode anche contro la mia volontà!» rispose scoppiando a ridere e contagiando anche la mora.
            «Avanti spogliati, non ti dispiace se mi occupo un po’ dei tuoi capelli mentre tu ti rilassi in acqua, vero?» chiese avvicinandosi con delle boccette ricche di oli profumati.
            «Certo!» rispose senza il minimo imbarazzo, iniziando a sfilarsi i vestiti ancora impolverati dal viaggio di quattro giorni che aveva concluso poco meno di ventiquattr’ore prima.
            Si immerse con calma nell’acqua calda, completamente nuda, e in apnea percorse tutta la lunghezza della vasca, avanti e indietro per un paio di volte, beandosi del calore dell’acqua che le accarezzava le membra e la lambiva completamente. «Mi ci voleva proprio!» esclamò emergendo dall’acqua, proprio davanti a Kamila.
«Quest’acqua è magica. Vedrai, quando uscirai da qui sarai come nata una seconda volta.» le disse iniziando a massaggiarle i capelli versandole sopra le essenze profumate provenienti dalle più disparate regioni dell’estremo oriente e del Nordafrica.
Kamila si occupò di Nadirah per più di un’ora: si preoccupò di pettinarle i capelli e stenderle l’ennesimo olio profumato su tutto il corpo, ignorando le proteste della ragazza.
«Dai Kamila, sono a posto così! Basta, davvero.» la supplicava la ragazza, mentre l’altra si divertiva nel ricoprirla di fin troppe attenzioni.
«Non dirmi che tutte le ragazze della fortezza impiegano sempre tutto questo tempo! Io non riesco a reggere, ti avviso.» sbottò rassegnata.
«No, no. Non preoccuparti, è solo che tu avevi proprio bisogno di una bella pulita.» commentò.
«Grazie tante.» sbuffò all’insulto velato della mora.
«Non avevi mica intenzione di presentarti al Maestro Altair in quello stato vero?» le chiese maliziosa, dandole una leggera spintarella con il braccio.
Nadirah per poco non rischiò di strozzarsi con la sua stessa saliva. «Ma che diavolo ti salta in mente?» tossì con le lacrime agli occhi mentre Kamila sghignazzava di gusto.
«Andiamo. Direi che sei finalmente pronta!» le disse tra le risate, afferrandola per il polso e trascinandola su per le scale senza lasciarle il tempo di protestare.
 
Raggiunsero lo studio del Maestro e ad attenderle stavano sia Altair che Malik, il primo dritto e rigido nella sua figura di un bianco immacolato era intento a osservare fuori dall’enorme vetrata, l’altro rigorosamente in nero era accomodato sullo scranno intendo a scrivere qualcosa su una pergamena.
«Maestro Altair. Malik.» salutò Kamila attirando l’attenzione dei due uomini.
Altair si limitò a voltarsi, mentre Malik si alzò e le raggiunse. «Banou, che piacere.» le accolse. «Kamila puoi pure andare, ti raggiungo dopo.» la congedò con una breve occhiata, catapultando la sua attenzione su Nadirah, cosa che non sfuggì alla mora che con uno sbuffo lasciò la stanza.
«Vieni pure avanti Nadirah.» la invitò Altair e la ragazza obbedì, posizionandosi di fronte alla scrivania. Altair le dava ancora le spalle.
«Dimmi Altair, o dovrei chiamarti Maestro?» chiese con una punta di acidità. Non aveva certo dimenticato la sera prima e lo sguardo che lui le aveva rivolto.
«Non ancora, e non per quello che credi tu.» le rispose ignorando il suo tono. «Ma a riguardo ti spiegherò in seguito. Ti ho fatta chiamare perché ho alcune domande da porti.»
«Cioè?» domandò.
Altair finalmente si degnò di girarsi e fissare Nadirah negli occhi: aveva bisogno di leggerli per trovare le risposte alle sue domande.
«In parte riguarda il tuo maestro.» iniziò Altair e nella mente di Nadirah già si affollarono una miriade di pensieri. «Sappiamo che Al Mualim ti voleva qui dopo la morte del vecchio…»
Fahd, diamine. Si chiama Fahd! Protestò dentro di sé Nadirah.
«… evidentemente tu hai o sai qualcosa che interessava al Maestro e crediamo che c’entri con il Tesoro dei Templari.»
Nadirah sbatté un paio di volte le palpebre. «Il cosa?» domandò.
A quel punto intervenne Malik. «Il Tesoro dei Templari, anche conosciuto come Mela dell’Eden.»
Mela dell’Eden. Eden…
Nadirah corrugò la fronte. «Fahd non ne me ha mai fatto parola…» disse perdendosi nello sguardo profondo e buio di Altair, incatenata alle sue iridi. Sapeva che le stava leggendo dentro, come quella volta, di non tanto tempo prima in effetti, in cui lui l’aveva fissata allo stesso modo, sul tetto della dimora.
E ancora una volta non provava imbarazzo, solo una muta preghiera di non scrutarla troppo a fondo, di non far emergere il suo passato più oscuro, come lo sguardo dell’Assassino che aveva di fronte.
Eden... Eden! Ma certo.







Note autrice:
ehilà, buonasera a tutti!
Rieccomi qui per la vostra gioia.
Be' il capitolo non è nulla di speciale, solo una piccola parentesi di apparente tranquillità, però mi sembrava carino introdurre altri personaggi e poi insomma, tadan ecco svelata la donna del car Rafiq, un tipino carino e delicato no? Non lasciatevi ingannare! Ahah e non temete l'azione arriverà tra non molto.
Mi scuso per quei rientri del testo, la formattazione mi fa impazzire, chiedo venia. 
Direi che non ho altro da aggiungere. Alla prossima (giuro tra non molto.)
Salute e pace a tutti.

O n i c e

 

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Capitolo 10
*** Rivelazioni ***


 



Rieccomi qui per la vostra gioia. 
Solitamente non scrivo mai l'introduzione ma rimando le note a fine capitolo,
ma mi sembrava doveroso informarvi del fatto che in questo capitolo ci sia una scena
un po' spinta, nel caso potesse urtare la sensibilità di qualcuno vi prego di saltarla.
Grazie e buona lettura! Ci sentiamo più sotto ;)

 




X
Rivelazioni
 





 
«Forse c’è una cosa…» riprese così Nadirah, riportando l’attenzione di Altair e Malik su di sé. «Tempo fa, durante i primi mesi che trascorsi con il mio maestro, egli disse qualcosa a proposito del… Giardino dell’Eden.»
«Cosa ti disse precisamente?» intervenne Altair, poggiando i palmi delle mani sulla scrivania in legno e avvicinando il viso all’altezza di quello della ragazza.
«Be’, ecco…» balbettò. Non era sicura di essere pronta a rivelare tutto, non a loro, non ora. Fahd non l’aveva forzata e le aveva lasciato il suo tempo e inoltre con lui non aveva avuto bisogno di raccontare tutto, lui aveva visto cos’aveva vissuto, lui sapeva. «Quattro anni fa Gerusalemme fu presa da…» prese un profondo respiro. Il solo pensiero di quell’uomo le faceva ribollire il sangue nelle vene, «…Salah Al-Din. Ordinò ai suoi soldati di fare razzia di tutto ciò che trovavano…»
«Ma le cronache parlano di una presa pacifica della città!» la interruppe Malik.
Nadirah si voltò con gli occhi socchiusi, affilati come due lame. «Menzogne!» ringhiò. «Io ho visto cos’hanno fatto a… alla mia gente.»
Alla mia famiglia.
A me.
Altair intercettò il suo sguardo e fu sicuro di aver letto nei suoi occhi quel muto dolore. Non volle indagare oltre, per ora. «Nadirah spiegaci quindi cosa centra l’Eden.» la invitò il Maestro Assassino.
«Giurai vendetta contro Salah Al-Din, e per questo Fahd decise di addestrarmi. Mi parlava di voi Assassini, del Credo e tutto il resto, o quasi. Ma non parlò mai di Frutto dell’Eden o cose simili, fu una notte in preda alla febbre che lo sentii nominare il Giardino dell’Eden: disse che quando sarebbe giunto il momento lui avrebbe varcato le soglie dell’Eden e per riprendersi ciò che Allah gli aveva tolto e poi sarebbe tornato indietro, in questa terra, e aggiunse che sarei stata io il mezzo che l’avrebbe condotto al suo scopo. Pensai che delirasse a causa della malattia e quindi non feci domande, ora però voi me ne parlate…»
Alle sue parole gli sguardi di Malik e Altair si scontrarono, sconvolti.
«Ora capisco…» sussurrò tra sé il Rafiq, assorto nelle sue riflessioni, iniziando a camminare per la stanza.
«Malik.» lo chiamò, ma l’uomo non sembrò dargli ascolto. «Malik!» ripeté a voce più alta, attirando lo sguardo dell’uomo. «Grazie a lei abbiamo informazioni che ci potranno essere utili, ma ora non è il momento. L’affronteremo con più calma dopo il consiglio. D’accordo?»
Malik si fermò. «Sai come la penso, ma, comunque, come preferisci Altair.» acconsentì. «Vogliate scusarmi.» si congedò poi lasciandoli soli.
Altair riportò l’attenzione su Nadirah e rimase qualche istante in silenzio osservando il suo viso. «Desideri veramente unirti a noi?» le chiese, brusco.
Nadirah volse lo sguardo dritto negli occhi neri dell’uomo. «Più di qualsiasi altra cosa al mondo.» confermò.
«Non è la tua razionalità a parlare.» osservò nuovamente l’Assassino.
«Ti sbagli.»
Altair scosse il capo, incrociando le braccia sul petto. «Tu credi che sia tutto facile, non è così? Prendere, andartene da Gerusalemme per venire qui da sola. Di’ un po’, che ti è successo alla guancia?» domandò, severo.
«Nulla.» rispose portando il suo sguardo smeraldino e turchese in quello buio dell’Assassino.
Altair assottigliò gli occhi. «Dimmi che ti è successo!» ordinò.
«Ho detto nulla!» ribadì l’altra, scontrosa.
«Non usare questo tono con me, signorina! Te lo ripeto: dimmi cos’è successo.» ringhiò.
Nadirah sbuffò incrociando le braccia sotto il seno e sostenendo lo sguardo di Altair. «Sono stata attaccata.»
Altair contrasse la mascella. «Dove e da chi.» scandì bene, cercando di stare calmo.
«Dove non so con esattezza. Stavo cacciando quando ho visto un accampamento di saraceni e una sentinella mi ha attaccata.» spiegò.
«Ti avrebbe potuto ammazzare, lo sai questo?!»
«Non è successo. Guarda un po’ ora sono qui.» rispose, provocatoria.
Altair faticava a trattenersi. «Pensi che sia un gioco? C’è in ballo la tua vita e tu la prendi alla leggera! Non diventerai mai un’Assassina, non con questo atteggiamento.»
Nadirah scattò. «Non puoi impedirmelo! Io voglio essere un’Assassina, devo diventarlo!» sbottò.
«Perché? Per compiere la tua vendetta? Cos’è che cerchi qui Nadirah? La Setta non è come te la immagini. Non è fatta per una donna.»
Nadirah vide rosso. «Mettimi alla prova allora! Coraggio! Cos’è hai paura che possa farti male?» lo provocò, ancora.
«Stai parlando di paura con la persona sbagliata, ragazza!» ruggì. «Sei tu che dovresti averne. Fuori le armi, avanti!»
Nadirah rimase spiazzata. «Non ho armi!» protestò.
Altair ghignò. «Non è un mio problema.» sibilò estraendo la spada dal fodero e avanzando verso di lei.
E ora?
Con la coda dell’occhio notò, poggiata alla scrivania, la spada corta di Altair. Era la sua unica speranza. Scartò di lato proprio mentre il colpo dell’Assassino, ben calibrato, squarciava l’aria a poca distanza dalla sua spalla. Con un balzo e una mezza capovolta afferrò di slancio la storta1 e si voltò appena in tempo per scontrare la lama con quella di Altair, producendo un sibilo assordante. Con un movimento del polso deviò il colpo sbilanciando Altair, che però, mezzo istante dopo, già contrattaccava. Era veloce e preciso e Nadirah non riusciva a far altro che parare i fendenti impugnando la storta in modo che la lama le fungesse da scudo lungo tutto l’avambraccio sinistro. Sentiva i muscoli cederle e il fiato farsi sempre più corto e bruciante in gola.
«Avanti! È tutto qui quello che sai fare?» questa volta fu lui a provocarla e Nadirah non attese oltre. Si scagliò con forza contro Altair che però, con un lampo di soddisfazione negli occhi, si spostò agilmente di lato e le afferrò il braccio torcendoglielo dietro la schiena in modo che lei lasciasse la presa sull’arma e poi, mentre i loro corpi cozzavano l’uno contro l’altro, le portò la lama alla gola.
Sentiva il freddo dell’acciaio premere sulla pelle.
Battuta.
«Sei ancora sicura di voler diventare un’Assassina?» le sussurrò vicino all’orecchio, poggiando le labbra sui capelli. Nadirah chiuse gli occhi e deglutì, ignorando il battito furioso del suo cuore e il suo respiro affannoso.
«Sì.» confermò per l’ennesima volta.
Altair mollò la presa. «Bene, domani ti voglio qui due ore dopo l’alba. Sii puntuale.» le disse.
«Come?» credette di non aver capito mentre un largo sorriso le si dipingeva sul volto.
«Credo che tu abbia capito benissimo.» rispose Altair. «Adesso va’.»
Nadirah sentiva che sarebbe potuta esplodere di gioia da un momento all’altro.
 
 
***

Qualcuno bussò alla porta, distraendo Malik dalla sua lettura dei diari del Maestro. Nonostante Altair avesse detto di non scervellarsi troppo per il momento, Malik non riusciva a non pensarci, voleva arrivare il prima possibile a una soluzione o a qualcosa che li avrebbe portati a capirci di più.
«Avanti.»
La porta cigolò e un’aggraziata figura femminile entrò nella stanza. «Ciao Malik.» lo salutò suadente chiudendosi la porta alla spalle.
«Kamila!» esclamò l’altro alzandosi e avvicinandosi alla sua amata che gli si gettò al collo. Malik le cinse la vita con l’unico braccio e affondò il viso tra i setosi capelli della donna, inspirandone il profumo. «Che ci fai qui a quest’ora?» le sussurrò all’orecchio.
«Secondo te?» ammiccò Kamila arretrando di un passo.
Malik inarcò un sopracciglio, malizioso.
«Mi sei mancato così tanto in questi mesi, e da quando sei tornato non sono ancora riuscita a passare del tempo con te…»
«Ora avremo tutto il tempo che vorremo, mia cara.» le disse sporgendosi verso le sue labbra.
«Oh lo so…» mormorò prima di mordicchiare le labbra del suo uomo e giocando con le asole della sua casacca, infilando poi le mani sotto di essa e facendole scorrere sul suo petto nudo, solcato qua e là da diverse cicatrici. Malik chiuse gli occhi e sospirò di piacere quando le labbra di Kamila baciarono una vecchia cicatrice proprio all’altezza del cuore, mentre si preoccupava di spogliarlo con cura. Intanto la sua mano vagava indisturbata lungo la schiena della sua amata per poi insinuarsi tra i suoi capelli, fino a trovare l’asola che le teneva legato il vestito e scioglierla, lasciando che l’abito scivolasse a terra e scoprisse così le sue morbide forme. Malik la sospinse verso il letto e la mangiò con gli occhi prima di assaporarne nuovamente il sapore, chinandosi su di lei, sentendola sospirare al suo tocco e gemendo di piacere al contatto con la sua carne.
Scivolò dentro di lei con piacevole lentezza e ricoprì il suo morbido collo di baci e morsi, percependo le unghie della ragazza conficcarsi nella sua schiena, graffiarlo e poi stringerlo.
Stava per raggiungere l’oblio quando Kamila ribaltò le loro posizioni, ondeggiando sinuosa come una serpe sopra di lui. Malik sospirò e gemette mentre vedeva davanti a sé una giovane dai capelli color del bronzo e gli occhi color del mare. Fu allora che raggiunse l’oblio.
 

 
***
 
«Mio signore mi avete fatto chiamare?» chiese il capitano, appena varcato l’ingresso alla sala d’armi del palazzo reale ad Acri, inchinandosi davanti al suo generale.
L’uomo non si voltò neppure, ammirando la vista che dava sul golfo della città. «Manda una missiva a Costantinopoli, chiedi di inviarmi immediatamente delle truppe, voglio il doppio degli uomini di cui dispongo.» ordinò.
«Certo mio signore.» disse l’uomo scattando sull’attenti.
«Bene, puoi andare.» lo congedò. Attese qualche istante ma non sentì il capitano allontanarsi.
«Ehm…» tossicchiò infatti quello. «Se posso, perché ne avete bisogno, mio signore? Ad Arsuf i crociati di Riccardo hanno vinto, ora gli eretici sono in rotta e noi non abbiamo di che temere…»
Il generale ridacchiò. «Oh, lo so amico mio. Non è questo il motivo.»
«Per cosa dunque?»
Prima che l’uomo rispose il sole calò sulla linea dell’orizzonte e i suoi ultimi raggi come fiamme si rifletterono negli occhi del nuovo reggente di Acri. Corrado del Monferrato ghignò. «Un assedio.»
 
 
 



Note Autrice:
1”Storta” è il nome che indica una spada corta, diffusa in Europa nel Medioevo e introdotta proprio dagli arabi.

Buonasera a tutti gente!
Rieccomi con un nuovo capitolo. Innanzitutto mi scuso per la lunghezza/cortezza di questo capitolo, decisamente è breve rispetto ai miei standard, vi chiedo scusa. Però è denso di cose no? Almeno spero.. Nadirah finalmente ha iniziato a rivelare qualcosa di se (oooh ce n'è di roba da dire ancora!) e poi be', non ho idea di come sia uscita la scena.. ehm... un po' più spinta. Ho cercato di non esagerare troppo dato il rating arancione. 
E ve l'aspettavate la parte conclusiva? I nostri Assassini avranno di che pensare oltre alla Mela!
Un grosso bacio a tutti.
Alla prossima.

Salute e pace
O n i c e

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Capitolo 11
*** Il Maestro ***





XI
Il Maestro




 
 
Erano passate poco più di due settimane dal loro primo scontro nello studio del Maestro.
Nadirah aveva ricominciato ad allenarsi costantemente e Altair era diventato il suo nuovo maestro. La sottoponeva a dure sessioni di duelli nel giardino retrostante la fortezza, nello spiazzo delimitato dal colonnato che dava sullo strapiombo sul lago. L’Assassino voleva migliorare la resistenza della ragazza, ma anche quel pomeriggio, dopo alcune ore, Nadirah lasciò la presa sulla spada e si gettò a terra, stremata.
«Basta! Io per oggi ho chiuso.» protestò passandosi le mani sul viso sudato.
Altair le si avvicino e le batté il piatto della spada sulla gamba. «Avanti alzati! Non abbiamo ancora finito.»
«Fahd non mi ha mai fatto allenare così tanto!» si lamentò.
«L’ho notato.» commentò Altair, beccandosi un’occhiataccia di Nadirah che lo fece sorridere. «Forza, un’ultima volta.» la incitò tendendole una mano.
Nadirah l’afferrò e l’Assassino la tirò su senza sforzo. «In posizione.»
La ragazza fletté leggermente le gambe e si sporse con il busto in avanti, pronta a scattare. I muscoli le dolevano e il solo reggere la spada le faceva tremare il braccio. Non avrebbe retto un altro contrasto, ne era certa.
«Altair!» la voce di Malik giunse alle orecchie di Nadirah.
Grazie al cielo! pensò tirando un sospiro di sollievo e lasciando che la punta della spada sbattesse sulla pavimentazione di pietra. Era davvero senza forze.
Lei e Altair voltarono il capo simultaneamente, vedendo arrivare il Rafiq, accompagnato da un altro Assassino incappucciato, che non riconobbe. Nelle due settimane che aveva trascorso alla fortezza aveva imparato a riconoscere qualche volto degli Assassini e dei tanti novizi che popolavano Masyaf, ma quell’uomo non le pareva di averlo mai visto.
Altair accolse i due uomini con un cenno di saluto col capo. «Dimmi Malik.»
«I vecchi si stanno riunendo in consiglio, chiedono anche la nostra presenza.» annunciò.
Altair annuì. «D’accordo, tu inizia ad andare. Ti raggiungo tra qualche minuto.» concordò prima di voltarsi verso Nadirah. «Ti è andata bene questa volta.» le disse prima di avviarsi verso la fortezza, preceduto da Malik.
«A quanto pare Altair vi distrugge.» commentò l’Assassino con un mezzo sorriso che si intravedeva sotto il cappuccio.
«Già.»
«È strano sapete…»
«Cosa?»
«Avere una donna tra gli Assassini, una donna che vuole diventare un’Assassina, intendo.»
Nadirah non si stupì. «Non siete il primo che me lo dice.»
«Comunque vi ho raggiunta per ringraziarvi.» disse l’uomo abbassandosi il cappuccio sulle spalle e rivelando un viso brunito dal sole. Issam.
«Amani mi ha detto che siete stata voi a ricucirmi la ferita. Sono in debito con voi.»
Mmh, questa frase le suonava familiare. «Ma figuratevi. Assolutamente non dovete preoccuparvi!» protestò. Già non sopportava che le si rivolgessero con il voi, figurarsi avere qualcuno in debito con lei.
«Come volete. Però permettetemi almeno di accompagnarvi fino al villaggio. Amani mi ha chiesto di informarvi che vi voleva incontrare.»
«Oh certo, andiamo allora.» acconsentì, un po’ stupita, infilando la spada nel fodero e incamminandosi con l’Assassino.
Passarono per la sala principale della fortezza e poi per il cortile interno. Alcuni assassini, per la maggior parte novizi, si voltarono a guardarla, ma la maggior parte di loro era concentrata sul duello che si stava svolgendo nell’arena tra quello che sembrava essere un maestro assassino e un giovane adepto. Anche Nadirah si fermò qualche istante a guardare. Ma perché nessun Assassino appartenente ai ranghi più altri sembrava accusare la stanchezza? Al contrario suo che ancora sentiva la gola secca e il respiro accelerato.
«Chi è quell’assassino?» domandò.
«Il suo nome è Alec. È considerato il migliore della Setta, dopo Altair.» rispose l’altro riprendendo a camminare.
Alec, rifletté Nadirah, nome insolito per queste zone. Gettò ancora uno sguardo all’arena e vide il novizio che stava combattendo poco prima abbandonare sconfitto il campo, tenendosi un braccio ferito. «Ma quel ragazzo sta sanguinando!» sbottò sgranando gli occhi.
Issam si voltò e si limitò ad alzare le spalle. «È normale. Alec è un maestro molto severo, molto più che Altair, ma allenare i novizi lo annoia e quando non sono particolarmente abili finiscono per farsi male.» commentò neutro.
Nadirah corrugò la fronte. «Ma che modi sono? Come si può insegnare a qualcuno se lo si riduce così?» commentò indignata.
L’assassino sospirò. «Non stupitevi, è solo un normale allenamento. Ce ne sono stati di peggiori.»
«Non è giusto a parer mio.» insisté.
«Perdonate, ma la vostra opinione conta poco. E comunque anche il vostro maestro Altair ha sempre allenato in questo modo gli adepti. È con voi che sembra avere riguardo.»
Nadirah si zittì, ancora scettica nei confronti di quei metodi brutali.
Continuarono il tragitto in silenzio, fino a che giunsero nella piazza principale del villaggio dove Amani li attendeva.
Si avvicinarono alla donna e Issam prima di congedarsi le rubò un fugace bacio sulle labbra. Nadirah distolse lo sguardo e aspettò che Amani l’affiancasse.
«Allora, come ti sembra la vita alla fortezza?» domandò facendole cenno a seguirla.
«Dura!» commentò Nadirah, pensando inevitabilmente agli allenamenti con Altair.
Amani ridacchiò. «Ci credo, hai deciso di diventare una di loro!» commentò, ma il tono con cui pronunciò quelle parole non sfuggì a Nadirah.
«Che c’è di male in questo?» chiese infatti.
Amani chinò il capo. «Nulla, solo che… non è la scelta che farebbe qualunque ragazza della tua età.»
Nadirah storse il naso. «Ho i miei motivi.»
«Non ne dubito, ma gli Assassini non sono meglio degli altri uomini Nadirah. Tienilo a mente.»
«Ne hai sposato uno a quanto pare, però.» replicò, piccata.
Amani si voltò verso di lei, stupita. «Come... ah, Kamila immagino.» comprese.
Nadirah annuì.
Camminarono entrambe in silenzio, curiosando tra le bancarelle del mercato. «È per ciò che mi hai detto prima che volevi vedermi?» chiese dopo un po’ Nadirah.
«Sì, però volevo anche stare un po’ in tua compagnia.» ammise.
Sul volto di Nadirah si disegnò un sorriso accennato. «Dunque hai intenzione di prendere qualcosa in questo mercato o solo guardare?» domandò, cambiando argomento.
«Effettivamente c’è una cosa!» rispose cambiando velocemente direzione. Nadirah si apprestò ad andarle dietro e quasi andò a sbattere contro un passante. Si scusò e ripartì alla rincorsa della donna.
Amani raggiunse la bottega del tessitore e chiese che le mostrasse alcune stoffe, chiedendo consiglio a Nadirah su quali fossero le migliori e dopo aver fatto una selezione, ne ordinò il doppio e pagò in anticipò.
«Ma per cosa ti serve tutto quel tessuto?» chiese la ragazza, ma Amani restò sul vago, così Nadirah decise di lasciar perdere. Si aggirarono ancora per il mercato e la donna acquistò per Nadirah una piantina di menta. «Tieni, questa è per te.»
«Amani! Ma perché? Non devi.» protestò, non aveva nulla con cui sdebitarsi.
La donna la zittì con una mano. «Non preoccuparti, è un piacere.»
Nadirah cedette e prese il vasetto ispirando il profumo. Le ricordava la sua infanzia in Italia, quando suo padre la portava a cavallo con sé per i campi e tutt’intorno poteva sentire quella stessa fresca fragranza. «Ti ringrazio Amani. Davvero.»
Raggiunsero nuovamente la piazzetta del villaggio e si sedettero su un muretto, iniziando a parlare del più e del meno, fino a che la conversazione non si spostò sui componenti di spicco della setta e Nadirah chiese qualche informazione in più su quel tale Alec.
Amani si irrigidì. «Ti consiglio di stargli alla larga. È un uomo pericoloso.»
«Più di tutti gli altri assassini della fortezza?» chiese ironica, ma Amani non sembrava cogliere l’ilarità.
«Non sto scherzando. Quasi due anni fa, durante un allenamento, per poco non mandò al creatore un novizio.»  disse seria.
«Cosa?!» eruppe Nadirah.
«Si disse in giro che i due la sera prima avessero avuto una discussione e Alec avesse voluto fargliela pagare.» spiegò.
La ragazza era allibita. «E poi?»
«E poi nulla, il poveretto per poco non ci lasciò le penne e ora è relegato a fare la guardia alle porte del villaggio. E per quanto riguarda Alec, Al Mualim lo spedì da qualche parte a oriente per svolgere una missione particolare ed è tornato solo poche settimane fa.»
«E prima?» insistette ancora, curiosa.
«Perché ti interessa tanto?» domandò Amani.
«Mi ha incuriosito il suo nome, non è originario di qui.» osservò.
La donna annuì. «Hai intuito bene, credo che provenga da qualche luogo a nord del Mar Nero, non so con esattezza, ma il suo accento è tipico di quelle zone.»
«E come ci è arrivato qui?»
«Non ne ho idea, quando giunsi qui parecchi anni fa lui apparteneva già alla Setta. Non so dire neppure quanti anni abbia. Il suo volto in dieci anni non è mai cambiato.»
Nadirah annuì e tacque, volgendo lo sguardo verso il cielo che iniziava a scurirsi. Il suo stomaco rumoreggiò e le scappò un risolino.
«Hai fame?»
«Non mangio da questa mattina a dirla tutta. Altair mi tiene a digiuno!» si lagnò facendo ridere Amani.
«Va bene, torniamo alla fortezza. Tanto tra poco sarà ora di cena.»
«Parole sublimi per il mio stomaco!» ridacchiò Nadirah avviandosi con la donna in direzione del castello che si ergeva minaccioso come un titano nel buio della sera che avanzava.
 
La mattina successiva qualcuno bussò alla sua porta prima del solito. La voce di Altair risuonò da oltre la porta e Nadirah si tirò in piedi in un attimo, rischiando di inciampare nelle lenzuola che nella fretta erano scivolate dal letto.
Si scaraventò verso la porta e girò la chiave nella toppa, aprendola. Si ritrovò davanti Altair, perfetto nel candore delle sue vesti –e con il cappuccio insolitamente abbassato-, che la osservava curioso.
Doveva avere un aspetto orribile, con i capelli aggrovigliati e due occhiaie da far paura. Si passò le mani sul viso e si stropicciò gli occhi. «Sono in ritardo?» biascicò con voce impastata cercando di capire perché l’assassino fosse venuto a svegliarla.
«Non proprio, ma il Maestro ti aspetta.» rispose.
Nadirah annuì meccanicamente, e solo dopo qualche istante la sua mente afferrò ciò che l’Assassino le aveva detto. «Cosa?!» esclamò.
«Forza, datti una sistemata e raggiungimi nell’atrio non appena sarai pronta.»
«Faccio in un attimo!»
Altair si allontanò e Nadirah, dopo essersi chiusa la porta alle spalle, si precipitò a sciacquarsi il viso e a cambiarsi la corta tunica da notte che le arrivava sopra il ginocchio. Solo in quel momento si rese conto di essersi presentata conciata il quel modo ad Altair e si sbatté una mano sulla fronte arrossendo e imprecando tra sé.
Dopo essersi sistemata e aver optato per un sobrio e anonimo abito ocra stretto in vita da una fusciacca color bistro si precipitò fuori dalla stanza e poi giù per le scale, rischiando di inciampare più volte nei suoi stessi piedi.
Giunta all’ingresso trovò Altair ad attenderla. «Eccomi!» si annunciò.
«Bene, andiamo.» le disse prima di avviarsi su per la scala che conduceva allo studio del maestro.
Ad aspettarli trovarono Malik e un vecchio dall’aria bonaria che si accarezzava distrattamente la barba brizzolata. «Prego, venite avanti.» li accolse.
«Salute e pace Maestro.» salutò Altair chinando la testa e Nadirah lo imitò.
«Salute e pace a voi.» ricambiò l’uomo.
Altair affiancò Malik a lato della scrivania e Nadirah rimase immobile difronte al nuovo Maestro. «Dunque tu saresti Nadirah, giusto?» iniziò il vecchio. Aveva una voce calda e profonda, che infondeva sicurezza.
«Sì, Maestro.» rispose prontamente la ragazza.
L’uomo congiunse le mani e poggiò i gomiti sulla scrivania. «Io sono Jawad al-Himar, è un piacere conoscerti. Altair e Malik mi hanno parlato di te…»
Nadirah dedicò uno sguardo fugace ai due Assassini prima di concentrarsi nuovamente sul Maestro. «Mi hanno detto che sei abile nel combattere. È così?»
«Non ne sono così certa, non più abile di quanto potrebbe esserlo un novizio probabilmente.» rispose sorreggendo lo sguardo di Jawad.
Il vecchio sorrise. «Oh, io invece sono del parere che tu abbia grandi capacità. Devi solo essere un po’ più consapevole di te stessa. Altair mi ha detto di Gerusalemme, non è cosa da novizi affrontare un manipolo di guardie e uscirne indenni…»
«È stata fortuna.» replicò.
«Abbi più fiducia nelle tue potenzialità. In queste due settimane ho visto come ti alleni, e ti posso assicurare che chi ti ha insegnato l’ha fatto bene. Solo, hai bisogno di migliorarti, ciò che sei in grado di fare ora non basta per essere un’Assassina…»
Nadirah rimase un istante stupida dalle parole che le stava rivolgendo il Maestro. «Aspettate. Aspettate un attimo…» lo interruppe. «Voi mi state parlando come se io già facessi parte della Setta.»
«Non è quello che vuoi?»
«Ovvio, ma…»
«Ma?»
«Da quando sono qui molti Assassini non fanno altro che farmi notare che mai una donna ha fatto parte della Setta, come se io non fossi ben accetta. E dubito del contrario, in effetti.»
Jawad socchiuse gli occhi. «Non sbagli. Molti qui non sono d’accordo sul fatto che tu rimanga con noi. Ma io ritengo che sarebbe un grosso errore cacciarti, e non solo perché sai qualcosa che Fahd ti disse tempo fa…»
«Voi sapete…»
«Sì, Altair me ne ha parlato, ma sarei curioso di sentire da te ciò che hai rivelato a loro.» disse Jawad indicando con un cenno i due Assassini.
«Certo.» esordì Nadirah prima di ripetere nuovamente ciò che aveva detto un paio di settimane prima a Malik e Altair. Mentre lei parlava il Maestro annuiva e si appuntava le informazioni su una sottile pergamena ingiallita.
«Sono informazioni preziose.» constatò infine il Maestro. «Conto che non si diffondano.» si augurò volgendo lo sguardo al Rafiq e all’Assassino.
«Certo Maestro.» risposero.
Qualcuno però, riparato da una colonna, aveva ascoltato la loro intera conversazione. Solo quando tutti lasciarono lo studio la figura si dileguò come un’ombra, scomparendo tra i corridoi della fortezza.


 





Note autrice:
E rieccomi dopo neanche una settimana! 
Sono stata superveloce no? So che non vedavate l'ora.
Capitolo di passaggio ma abbastanza significativo. Spero lo gradiate.


O n i c e

p.s. perdonate ma sono di fretta!

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Capitolo 12
*** Tagliente come una lama ***





XII
Tagliente come una lama
 





 
Erano trascorse altre settimane. Altri giorni di intensi allenamenti che, forse, iniziavano a dare qualche risultato in più. I muscoli non le dolevano più come prima, riusciva a resistere per più tempo e a contrastare con maggior precisione gli attacchi del suo maestro. Si era allenata per tutta la giornata precedente e quella mattina aveva il permesso di saltare gli allenamenti e farsi un giro fuori dal villaggio.
Nadirah si era alzata presto e si era concessa un buon bagno caldo prima di indossare le solite pratiche vesti da allenamento e recuperare arco e frecce. Le era mancato andare a caccia e per questo raggiunse di corsa le porte del villaggio, diretta verso la scuderia, dove la sua cavalla era rimasta ferma troppo a lungo.
«Ehi, bella mia, ti sono mancata?» parlò alla cavalla mentre la sellava e le metteva i finimenti. La condusse fuori e montò rapidamente in sella, spronando la giumenta al trotto.
Mantenne l’andatura per un po’, passando tra le strette gole di un sentiero che s’inerpicava tra le montagne. Intorno a lei regnava il silenzio e solo lo scalpiccio degli zoccoli sul terreno roccioso era ciò che si poteva udire.
Proseguì per diverso tempo fino a che il sentiero iniziò ad allargarsi, mostrando in lontananza delle vecchie rovine romane. Si avvicinò e decise di smontare, lasciando la cavalla libera di pascolare tra gli arbusti mentre lei incoccava la freccia e, dopo aver intercettato un albero non troppo distante, prese la mira e scoccò, centrando in pieno il tronco.
Troppo facile. Pensò.
Si aggirò un po’ nei dintorni alla ricerca di un bersaglio più lontano. Superata una collina sabbiosa, notò del movimento tra gli steli d’erba secca. Assottigliò lo sguardo e si accucciò senza far rumore, tendendo l’arco, in attesa. Aspettò che qualche animale uscisse allo scoperto ed effettivamente, dopo qualche istante di immobilità, una piccola volpe del deserto zampettò fuori dalla propria tana annusando l’aria in cerca di pericolo. Nadirah, contro vento, chiuse un occhio e prese la mira, ma prima che potesse scoccare la freccia dall’erba alta saltò fuori una lince che con un balzo raggiunse il povero animale. Nello stesso istante, dal cielo, un’aquila piombò in picchiata sul felino. I due animali presero a combattere tra loro: l’aquila artigliava la pelliccia della lince che a sua volta la colpiva con potenti zampate, cercando di atterrarla. Nella confusione la volpe corse a rifugiarsi nella sua tana mentre Nadirah rimaneva incantata da quello spettacolo della natura.
Un soffio di vento però, le gettò della sabbia negli occhi, che si serrarono per riflesso, e quando riportò la sua attenzione sul combattimento, si accorse che tutto intorno a lei era in perfetta tranquillità. I due animali erano spariti e sulla sabbia non c’erano tracce dello scontro appena avvenuto: né orme, né piume, né altro.
Che diavolo…
Tornò alle rovine dove la sua cavalla la aspettava tranquilla e, dopo averle accarezzato il muso, le montò in sella e ritornò al galoppo alla fortezza mentre nella sua mente rivedeva le immagini di poco prima, chiedendosi se si fosse immaginata tutto.
 

Impiegò diverso tempo per tornare a Masyaf, rendendosi conto di essersi allontanata parecchio. Alle porte del villaggio trovò Jalil e altri due novizi intenti a dare una pulita alle scuderie e, una volta sistemata la giumenta, si offrì di aiutarli.
«Oh no, banou non preoccupatevi, abbiamo quasi finito.» intervenne uno dei ragazzi.
«Sì, non disturbatevi Nadirah.» aggiunse Jalil riportando nelle stalle due cavalli.
«Lasciate almeno che vi aiuti a riportare i cavalli dentro!» si propose ignorando le opposizioni dei ragazzi. Si avvicinò a uno stallone nero e con calma iniziò a sciogliere il nodo che lo teneva legato allo steccato, sussurrandogli qualche parola all’orecchio, per tranquillizzarlo.
«Fate attenzione! Quel cavallo è indemoniato!» cercò di fermala il terzo novizio.
«Oh, tranquillo. So come fare.» lo rassicurò passando una mano tra la lucida criniera e sul collo possente dell’animale, per poi grattarlo dietro l’orecchio. Il palafreno scalciò un paio di volte, ma Nadirah riuscì a calmarlo accarezzandogli la testa possente, percorsa da una sottile lista bianca, e condurlo nella propria stalla.
I tre ragazzi la guardavano allibiti. «Nessuno, oltre Altair, è mai stato in grado di mantenere così calma quella bestia!» esclamò Jalil.
«È suo?» chiese Nadirah, continuando a fissare l’arabo che trottava in circolo nell’angusto spazio della scuderia.
«Già.» confermò uno dei tre.
«È magnifico!» commentò. In quel momento la sua cavalla nitrì, come contrariata, e Nadirah scoppiò a ridere. «Avanti torniamo alla fortezza.» aggiunse prima di uscire dalla scuderia e avviarsi, seguita dai ragazzi, al castello.
Mentre procedeva su per la salita, alle sue spalle sentiva il brusio dei ragazzi che parlottavano tra loro.
«Ah, ma piantala!»
«Quanto sei palloso Jalil, che c’è di male?»
«Vi ho detto di stare zitti! Non chiedetele nulla…»
Nadirah ascoltò i sussurri alle sue spalle e sorrise tra sé, ma non disse nulla. Voleva prima raggiungere i cancelli della fortezza.
«Cosa ti cambia a te?»
«Ho detto no! Fatevi i fatti vostri!»
«Non sei mica il capo, io faccio quello che voglio.»
«Non farmi…»
A quel punto la ragazza si voltò. «Che c’è ragazzi? Dovete dirmi qualcosa?» chiese con un sorriso divertito mentre i tre arrossivano.
«Beh… ecco… ehm…» balbettarono
«Allora?» domandò ancora.
«Sì, insomma… noi… noi abbiamo sentito in giro…»
Nadirah inarcò un sopracciglio, in attesa.
Fu Jalil a intervenire. «Si chiedevano se… fosse vero che voi…» ma non riuscì a terminare la frase che un Assassino gli diede uno spintone, facendolo cadere a terra.
«Avanti alzati razza di idiota!» ruggì l’uomo. «Muoviti. Nell’arena.» ordinò con quel suo accento nordico.
Gli altri due novizi arretrarono, come a voler scomparire, mentre Jalil impallidiva nel riconoscere chi fosse l’assassino che aveva di fronte.
Tentò di alzarsi, ma l’uomo spazientito per la troppa lentezza lo afferrò di peso per un braccio e lo trascinò verso l’arena al centro del cortile.
«Muoviti novizio se vuoi che la testa ti resti attaccata al collo.» abbaiò il maestro assassino. Jalil era pallido come un lenzuolo ma raccolse quel poco di coraggio e scavalcò la staccionata, posizionandosi nell’arena.
L’Assassino ghignò. «Vedremo se dopo avrai ancora la forza di parlare, figlio di cagna!» lo insultò.  
«Vi diverte comportarvi così? Che razza di maestro siete?!» la voce di Nadirah risuonò nel silenzio che era calato, attirando l’attenzione di tutti, compresa quella dell’Assassino.
Due occhi di ghiaccio saettarono dall’arena alla ragazza. «Cos’hai detto?!» ruggì avanzando verso di lei, minaccioso.
«Non ho intenzione di ripetermi.» lo provocò alzando fiera lo sguardo.
«Come osi parlarmi così, puttana!»
Fu un attimo e la spada di Nadirah sibilò nell’aria, andando a scontrarsi con la lama celata dell’Assassino. Era livida di rabbia, mai nessuno aveva osato rivolgerle una tale offesa e ora l’assassino non l’avrebbe passata liscia.
L’Assassino contrastò il suo attacco e Nadirah arretrò con un saltello, mentre ghignava nel vedere l’espressione confusa e offesa del suo avversario.
«Non ti conviene metterti contro di me.» la minacciò mentre l’ira gli deformava i lineamenti e estraeva la spada dal fodero.
Nadirah non attese altro e scattò in avanti. Quello non era un semplice allenamento, la ragazza sentiva bruciare nelle vene l’offesa che l’assassino le aveva rivolto, e stava diventando un duello vero e proprio.
Attaccò con forza e il contrasto con la lama dell’avversario produsse una cascata di scintille che si rifletterono negli occhi di entrambi. «L’hai voluto tu!» sibilò maligno l’assassino ma Nadirah lo ignorò, attaccando nuovamente. Andarono avanti così per diversi minuti, mentre l’unico rumore che si poteva sentire era il sibilo metallico delle spade che cozzavano tra loro.
L’assassino tentò più volte di rompere la difesa della ragazza, ma Nadirah era svelta e riusciva a opporre la sua spada a quella dell’avversario un attimo prima che la colpisse. I duellanti sembravano essere alla pari e l’assassino attendeva soltanto che la ragazza si stancasse, certo che non avesse la sua resistenza ed effettivamente così era, Nadirah iniziava a sentire la fatica nelle braccia, ma non aveva intenzione di mollare. Si rendeva conto che non sarebbe riuscita a batterlo se avessero continuato così e un’idea le balenò in testa. Aspettò che l’uomo l’attaccasse e fulminea passò di mano la spada. Quell’improvviso cambiamento non lasciò il tempo all’assassino di correggere la traiettoria dell’attacco e il contrasto opposto, seppur debole, permise a Nadirah di scivolare alla sinistra dell’uomo. La sua spada non trovò ostacolo, se non la morbida stoffa della veste, e la lama fendette precisa il braccio dell’assassino.
Nadirah colse l’espressione furiosa dell’uomo, cui era scivolato il cappuccio rivelando una chioma color del grano. «Che c’è? Non te lo aspettavi, Alec?» lo sfidò calcando apposta il suo nome e tornando in posizione, mentre un ghigno vittorioso non le abbandonava il volto.
«Maledetta puttana!» ringhiò scattando verso di lei.
I suoi colpi erano più precisi e più forti di prima, alimentati probabilmente dall’umiliazione appena subita. Non le dava tregua e Nadirah iniziò a parare i fendenti dell’uomo con crescente difficoltà. A ogni attacco arretrava e si trovò presto con la schiena contro lo steccato dell’arena. Fu costretta a chinarsi e rotolare di lato, rischiando di perdere la presa sulla spada, per evitare un colpo che le sibilò pericolosamente vicino.
Si rimise in piedi in fretta, ma non fu abbastanza veloce da schivare o parare il fendente di Alec. Il filo della lama avversaria le aprì un taglio netto dal fianco a sotto il seno sinistro. Sentì un forte bruciore invaderla e annebbiarle per un attimo la vista mentre arretrava stringendo i denti.
La voce di Alec le arrivò ovattata alle orecchie e sembrava aver riacquistato il suo solito tono strafottente. «Oh, senti dolore?» le domandò maligno, riprendendo fiato.
Nadirah trattenne un sibilo sofferente e cercò di concentrarsi. Non gliel’avrebbe data vinta, di questo era certa. Mise a fuoco il suo avversario e tentò un altro attacco che sorprese Alec, che si ritrovò a schivarlo all’ultimo istante. Lo sforzo però le causò un dolore acuto al fianco che le fece perdere la presa sulla spada piegandosi poi sulle ginocchia e portandosi una mano alla ferita sanguinante.
Con la coda dell’occhio notò la figura di Alec farsi più vicina, vittoriosa, con la spada che puntava verso di lei. Chiuse gli occhi e inspirò, cosa che le causò un forte bruciore, pronta a schivare l’ennesimo fendente che sarebbe arrivato. Ma così non fu. Si sorprese nel sentire il familiare cozzare metallico di due spade.
«Ora basta Alec!»
Altair.
Nadirah sospirò e si lasciò scivolare a terra, mentre Malik si precipitava su di lei. «Nadirah! Stai bene?» domandò con voce preoccupata.
La ragazza si limitò ad annuire, concentrata sui due maestri assassini con le spade sguainate.
«Altair, che piacere!» iniziò sarcastico. «Dimmi, sei venuto a salvare la tua sgualdrina?»
L’assassino strinse la presa sull’elsa della spada. «Non azzardarti a chiamarla così.» sibilò con finta calma.
«Perché te la prendi tanto?» lo provocò.
«Ti avverto, non sono dell’umore giusto! Non provocarmi.»
Il biondo ghignò. «Altrimenti?»
Prima ancora che potesse rispondere, la spada di Alec squarciò l’aria, andando a scontrarsi con quella di Altair, che lo contrastò con facilità, avvantaggiato dal fatto che l’assassino era già affaticato dal combattimento con Nadirah, che era anche riuscita a ferirlo.
Brava ragazza.
Entrambi erano agili, veloci, precisi e –soprattutto- letali, ma Altair era sempre stato il migliore, il prediletto di Al Mualim, un gradino superiore a lui. E questo ad Alec non era mai andato giù, sempre la seconda scelta: se Altair non c’era, allora toccava a lui, altrimenti doveva stare al suo posto e aspettare, e Altair sapeva come si sentisse.
Si alternarono con attacchi e parate ma Altair riuscì in fretta a fargli perdere l’equilibrio e puntargli la spada al petto. La tensione tra i due era talmente tanta che era quasi palpabile.
Alec scansò la lama con un braccio e gli dedicò uno sguardo di fuoco. «Tra me e te non finisce qui.» sibilò alzandosi e urtandolo con una spallata, lanciando un’ultima occhiata a Nadirah mentre dentro di sé sentiva bruciare l’umiliazione di una doppia sconfitta, decisamente troppo per il suo orgoglio, e abbandonava a passo spedito la fortezza.
«Altair!» tuonò la voce del Maestro, azzittendo il brusio che echeggiava nel cortile.
L’assassino sussurrò a Malik qualcosa che a Nadirah parve essere “vi raggiungo dopo” e si avviò velocemente da Jawad, che lo precedette dentro il castello.
Malik e Jalil, che nel frattempo si era avvicinato a Nadirah, l’aiutarono ad alzarsi.
«Sto bene.» protestò, mentre una smorfia di dolore le si dipingeva in viso.
«Non direi proprio!» replicò Malik gettando uno sguardo alla ferita. «Forza Jalil, portala in infermeria.»
«Ce la faccio da sola.» si oppose la ragazza, barcollando leggermente, mentre alle sue orecchie arrivavano i commenti ammirati dei giovani assassini.


In infermeria Amani la fece sdraiare su una branda in fondo alla stanza protetta da un paravento, ordinando poco gentilmente ai due uomini di aspettare fuori.
«Allora Nadirah, che hai combinato?» le chiese mentre la aiutava a sfilarsi la corta tunica macchiata di sangue e le analizzava il taglio.
«Credo che tu abbia quantomeno sentito che cos’è successo.» le rispose trattenendo una smorfia quando Amani le tamponò la ferità con delle garze impregnate di alcol.
«Sei fortunata che non sia profondo, ma devo ricucirtelo comunque.»
«Cosa?» eruppe Nadirah, e la sua reazione le provocò altre fitte al fianco.
«Sta’ ferma!» la rimproverò afferrando dallo scaffale una boccetta che conteneva un liquido verdastro e versandolo in una tazza. «Tieni, bevi questo.»
Nadirah afferrò il contenitore e l’annusò. «Cos’è?» chiese arricciando il naso.
«Ti farà bene! Bevi.»
Scettica, lo mandò giù in un sorso, percependone il sapore amaro. «Fa schifo!»
Amani la ignorò. «Ora stenditi.» le disse prendendola per le spalle e spingendola supina sulla branda.
A Nadirah sfuggì un altro sospiro mentre dalla ferita fiottò altro sangue. Chiuse gli occhi e avvertì il delicato tocco delle mani di Amani sulla sua pelle, in contrasto con il bruciore che avvertiva dal fianco al seno e intervallato da punture brevi e ravvicinate, che le facevano serrare i pugni.
«Ti avevo detto di stare alla larga da lui.» le disse severa e un po’ delusa, intanto che continuava a ricucirla, ma Nadirah non aveva intenzione di risponderle.
Amani non c’impiegò molto e una volta terminato con l’ago, si preoccupò di fasciarle con attenzione tutta la parte lesa e poi darle una leggera e corta veste di lino.
«Come va ora?» le domandò una volta terminato il suo lavoro.
Nadirah si tirò leggermente più su con la schiena, sentendo la stretta fasciatura impedirle di respirare profondamente. «Mi sento un’inferma.» commentò acida.
Amani rise. «Vado ad avvisare Malik che ho finito, d’accordo?»
«Come vuoi.» rispose volgendo lo sguardo oltre la grande finestra che illuminava la stanza. Si morse involontariamente il labbro ripensando al duello di Alec e alla furia che aveva letto nei suoi occhi dopo che l’aveva ferito. Si ritrovò a chiedersi se mai qualcuno oltre lei fosse riuscito a farlo… che stupida, sicuramente…
«Nadirah?» la voce di Malik la chiamò. «Come ti senti?»
La ragazza roteò gli occhi. Quante volte gliel’aveva già chiesto?
«Secondo te?» replicò senza neanche guardarlo.
Passò qualche minuto in silenzio, finché sentì stridere le gambe di uno sgabello sul pavimento e percepì la presenza del Rafiq accanto a sé.
«Sei qui per farmi la predica?» sbuffò.
Malik la guardò con dolcezza prima di porre la sua mano sul polso freddo della ragazza. Nadirah fece per ritrarlo, ma il Rafiq la trattenne. Stava per risponderle ma qualcuno lo fece al posto suo.
«Lui no, ma io sì.» Altair affiancò Malik, che svelto ritrasse la mano tra le pieghe della tunica. Gesto che non sfuggì ad Altair, ma che decise di ignorare. «Gradirei la tua attenzione.» le fece presente, severo.
Nadirah si decise finalmente a considerare i due uomini che aveva a fianco. «Prego, ora ce l’hai.» rispose strafottente.
«Che diamine ti è saltato in mente?» iniziò, cercando di non far trapelare la rabbia e la preoccupazione che il comportamento avventato di Nadirah gli aveva causato.
«Si può sapere che ho fatto di male?» sbottò.
Altair la guardò in cagnesco. «Ma ti diverte rischiare di farti ammazzare ogni volta?!»
«Quello mi ha insultato, Altair! Hai sentito bene anche tu…». Non riuscì a concludere a causa dell’ennesima fitta.
Fu Malik a intervenire a quel punto. «Altair, forse è il caso di lasciarla riposare, va bene?» disse rivolgendosi al maestro assassino, che si limitò ad annuire.
«Ma non credere che io abbia finito!» la ammonì Altair prima di allontanarsi con il Rafiq che le lasciò una carezza sulla testa.
«Certo! Non vedo l’ora.» sputò tra i denti girandosi lentamente sul fianco sano, attendendo il sonno che non tardò ad arrivare.
 

Passarono due giorni prima che potesse lasciare l’infermeria, non tanto perché stesse meglio fisicamente ma piuttosto perché Amani non ne poteva più delle sue continue insistenze circa il tornarsene nelle sue stanze.
Quella sera, dopo aver passato finalmente del tempo insieme a Kamila, Delen e Rasha nella stanza circolare, Nadirah stava passeggiando sola per il giardino quando Malik le venne incontro.
«Salute e pace, Malik.» lo salutò con un sorriso.
«Vedo che hai imparato finalmente.» commentò.
«Be’, il mio insegnante insiste particolarmente anche su queste cose oltre a insegnarmi come si maneggia una spada.» spiegò.
Malik si passò la mano tra i capelli. «Oh, certo non ne dubito.» mormorò avvicinandosi al parapetto che dava sullo strapiombo.
«Ehi, che c’è Malik? Tutto bene?» gli chiese Nadirah, notando il tono mesto del Rafiq.
L’uomo parve tornare al presente. «Sì, certo. Scusa stavo solo pensando.»
Nadirah annuì. «Tranquillo. Dimmi, perché mi cercavi?» domandò e attese.
«Ecco… domattina parto per tornare a Gerusalemme.» disse tutto d’un fiato.
La ragazza si bloccò per un attimo. «Ah» riuscì a dire, spiazzata, «capisco. Torni alla dimora giusto?» chiese abbassando lo sguardo. Quella rivelazione le fece male: se Malik se ne fosse andato, un suo punto di riferimento alla fortezza sarebbe venuto meno, le sarebbe rimasto solamente Altair, con cui, tra l’altro, più che allenamenti e litigare non faceva.
«Già.» rispose facendola voltare verso di sé. «Mi mancherai, sai?» le sussurrò a una spanna dal viso e Nadirah si sentì avvampare.
Erano troppo vicini, decisamente troppo. Deglutì a vuoto, mentre il suo cervello cercava di mettere insieme pensieri decenti. Avrebbe giurato di sentire il respiro di Malik infrangersi sul suo naso e le labbra sfiorare le sue.
«M-malik!» balbettò arretrando di un paio di passi, sfuggendo alla mano delicata poggiata sul suo fianco. «Io… tu e… io che c’entro?»
Il Rafiq si riscosse dopo un attimo di smarrimento. Cosa gli era saltato in mente?
Un perfetto idiota, ecco cos’era. Credeva davvero che Nadirah si sarebbe gettata tra le sue braccia?
Idiota. Idiota. Idiota. Cento volte idiota.
Poteva avere una speranza e l’aveva gettata al vento così…
E poi c’era Kamila. Il senso di colpa non tardò a farsi sentire. Dopotutto era la donna che non l’aveva mai abbandonato, anche quando aveva toccato il fondo lei era rimasta per aiutarlo a risalire. E come la ripagava?
«Nadirah, ti prego… io… fa finta che non sia successo nulla, d’accordo? Mi dispiace. Addio.» le disse sconvolto prima di allontanarsi a passo spedito, lasciandola sola nel giardino silenzioso, mentre si portava involontariamente le dita a toccare le labbra ancora umide di quel bacio appena accennato.


«Malik.» la voce di Altair gli giunse alle orecchie non appena il Rafiq gli passò accanto a testa china.
Fece finta di nulla e continuò a camminare. Non era dell’umore adatto per sostenere una discussione con lui, avrebbe rischiato di esporsi troppo.
«Malik!» il tono autoritario con cui lo chiamò lo costrinse a voltarsi.
«Che vuoi?!».
Infatti. Non avrebbe dovuto ignorarlo?
Altair forzò sulla spalla con cui era poggiato al muro e si tirò dritto, avvicinandosi. «Si può sapere che ti passa per quella testolina che ti ritrovi?»
«Non ti riguarda!» sbottò sulla difensiva.
Altair abbassò il tono della voce. «A me no, ma forse alla tua donna sì.»
«Mi stai minacciando, Altair?».
«Ti sto avvisando, Malik
«Di cosa? Di starle alla larga in modo che possa essere tu ad averla? Ti conosco Altair, non prenderti gioco di me.» ringhiò.
«E tu invece ti prendi gioco di te stesso, e di lei
Il Rafiq abbassò lo sguardo. «Già, certo… comunque non importa, tanto da domani non mi vedrà più per chissà quanto tempo, quindi il problema non si pone. Sarai contento, immagino.» commentò.
«Non crederlo Malik, non parti più.» lo informò Altair.
Malik sgranò gli occhi. «Come scusa?»
«È arrivato poco fa un informatore da Acri. Pare che il nuovo reggente, il figlio di Guglielmo del Monferrato, abbia radunato diverse centinaia di soldati e si stia mettendo in marcia verso nord. Il Maestro pensa che sia diretto qui e voglia la Mela, per questo ha intenzione di richiamare alla fortezza tutti gli Assassini. Domani lo annuncerà all’intera Setta.» spiegò.
«Ah, capisco.» mormorò passandosi due dita sugli occhi e appoggiandosi con la schiena al muro.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, fino a che Malik si decise a riprendere il discorso precedente. «Altair, dimmi una cosa…» iniziò chiudendo gli occhi e inclinando all’indietro il capo fino a toccare la pietra fredda delle pareti.
«Cioè?»
Non era convinto, non era sicuro di voler conoscere la risposta, ma ormai aveva lanciato il sasso, non poteva tirarsi indietro e nascondere la mano.
«T’importa veramente di lei?» chiese d’un fiato.
L’aveva detto. Quelle quattro parole gli erano scivolate dalle labbra in un rapido sussurro colmo di ansia. Rimase in attesa di una risposta che però non arrivò.
Solo quando aprì gli occhi si accorse di essere rimasto solo nel corridoio ormai deserto. Altair se n’era andato senza dargli una risposta, ma a Malik quel silenzio gli apparve tanto come una conferma.









Note autrice:
Buonasera bella gente!! Per la vostra felicità rieccomi qui a distanza di più o meno una settimana ad aggiornare.
Inizio dicendo che, nonostante mi sia impegnata parecchio per scrivere questo capitolo, non sono soddisfatta di quello che ne è uscito, non l'ho reso come avrei realmente voluto. Ovviamento spero tanto che a voi non paia così ma che vi piaccia ;)
Be' per quanto riguarda il capitolo in sè ho cercato di lasciar trapelare qualcosina. è.è so che qualcuno vorrebbe probabilmente uccidermi per come si è evoluta la parte finale, ma che ci volete fare, l'autrice sono io! ahahaha
Ringrazio tutti voi che continuate a seguire questa storia e niente, grazie davvero ^^ (come sono sdolcinata oggi! strano non è da me.)
Al prossimo capitolo :)

Salute e pace
O n i c e

 

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Capitolo 13
*** L'aquila a due teste ***




XIII
L’aquila a due teste





 
 
La notte è così densa che il buio è palpabile. Le stelle non brillano nel cielo, la luna non illumina la valle dell’Oronte, inorridita dall’inferno che sta per scatenarsi.
Regna l’oscurità, ma non per lui. La sua vista acuta ha scorto l’esercito Templare all’orizzonte.
Regna il silenzio, ma non per lei. Il suo udito fine ha percepito il ritmo cadenzato dei nemici in avvicinamento.
Gli occhi e le orecchie della Setta sono lì, insieme, appostati sul torrione più alto della fortezza.
Il cuore le batte forte nel petto.
È questa, dunque, la fine?
Prova a parlare, ma un groppo alla gola le blocca le parole.
Percepisce una mano che stringe la sua. Si volta.
Lui è lì, fermo, che guarda dritto di fronte a sé. Il cappuccio gli cela metà del volto. Un sorriso accennato gli si stira sulle labbra mentre osserva l’esercito templare che si avvicina, incurante di quello che sta succedendo.
Il perfetto ritratto della morte. Pensa, indugiando con lo sguardo su di lui.
L’uomo, stringendole con più forza la mano, si mette di fronte a lei, fissando con i suoi profondi occhi neri quelli della giovane, che paiono d’acquamarina.
“Non finirà oggi, non per gli Assassini.” dice l’assassino con voce profonda, che le tocca il cuore.
“Ma per noi sì, vero?” si stupisce nel sentire nuovamente la sua stessa voce.
“Conosci già la risposta.” le dice sollevandole il cappuccio, sorridendo mestamente.
La Mela. Essa li distruggerà, se già non l’ha fatto.
Improvvisamente la sfera che ha nella sacchetta legata in vita sembra farsi più pensante. Così come il peso della responsabilità che grava su di loro.
“No, io non posso… non ce la faccio.” indietreggia tremante.
“Sì che puoi. Devi… dobbiamo farlo”. Annulla la distanza tra loro. Le stringe i polsi e avvicina le sue labbra a quelle della ragazza, dapprima sfiorandole e poi premendole sulle sue con più decisione. La giovane le dischiude e lui la imita, sentendo il dolce profumo della sua bocca infrangersi sul palato. Lei gli avvolge le braccia intorno al collo, abbandonandosi completamente a quel bacio lento, passionale e malinconico che sa di troppe parole non dette, di sentimenti  troppo a lungo repressi.
Sanno entrambi che sta per compiersi il fato, ma non lo vogliono accettare.
Guardano verso l’orizzonte. Ormai l’esercito è quasi giunto alle porte di Masyaf.
“È giunta l’ora” proclama lui.
“No, non sono pronta!” implora lei.
Lui la guarda triste. “È il nostro destino.” ha paura, l’hanno entrambi, di cosa possa succedere dopo.
Con uno scatto l’Assassino le strappa dalla cinta la sacca che contiene il Potere di Dio.
“No!” grida lei, ma lui le afferra una mano ed estrare la sfera dorata.
Entrambe le loro mani sono a contatto con il Frutto.
“Devi essere forte.”
La luce della Mela pare pulsare come un cuore, sempre più freneticamente.
Un calore immenso si diffonde nelle loro membra.
Si guardano negli occhi.
Gli occhi di un’aquila e quelli di una lince si riflettono gli uni negli altri.
Una luce accecante li avvolge e squarcia il buio della notte.
Un boato assordante riempie il silenzio che regnava sulla valle.
Il cielo sembra sbriciolarsi.
La terra trema.
Le loro anime si incarnano in un rapace e un felino.
Tutto viene spazzato via come sabbia, tutto crolla e diventa polvere.
E nel silenzio che segue, echeggiano solamente il grido dell’Aquila e il ruggito della Lince.
 
La stanza era ancora immersa nell’oscurità quando Nadirah si svegliò di soprassalto, sudata e ansimante, a causa dello stesso identico incubo che ultimamente la tormentava.
Si passò le mani sul viso e si lasciò cadere sul letto, cercando di calmare il cuore che batteva frenetico. Rimase immobile in quella posizione per diverso tempo, cercando di scacciare quelle immagini dalla mente. Eppure quella sensazione di calore che aveva percepito, il dolore che aveva provato sembravano… reali. Stava forse impazzendo?
Fuori il vento di novembre ululava freddo e furioso, impendendole di riprendere sonno, così decise di alzarsi e, dopo essersi avvolta un pesante mantello sulle spalle, avanzò nella penombra e si avvicinò alla finestra, scostando i tendaggi e permettendo alla luna, per metà oscurata da nubi color della pece, di illuminare con la sua fredda luce la stanza.
Poggiò le mani sul davanzale in marmo e guardò fuori. I suoi occhi vagarono sul buio orizzonte, senza fissare nulla di preciso, alla ricerca di una distrazione, fino a che il silenzio venne interrotto da qualcuno che bussò con insistenza alla sua porta.
Nel cuore della notte?
Aprì la porta e di fronte a sé trovò Kamila che le si gettò tra le braccia.
«Nadirah.» sussurrò contro la sua spalla mentre la ragazza ricambiava spaesata la stretta. «Sono qui… i nemici sono arrivati a Masyaf!»
«Cosa?!» esclamò allibita scostandola piano da sé. «Non è possibile, le sentinelle avevano detto che erano ad almeno due giorni da qui…»
«Lo so, eppure sono quasi alle porte del villaggio!» singhiozzò in panico. «Siamo perduti!»
Nadirah cercò di calmarla. «Ehi, ascolta…» iniziò afferrandola per un braccio e facendola sedere sul letto. «Ascoltami! Sta’ tranquilla, va bene? La fortezza è sicura, non corriamo alcun pericolo tra queste mura, d’accordo? E poi non puoi mica stare così, se ci sarà bisogno di aiuto devi essere nelle condizioni di farlo. Quindi adesso sta’ qui un attimo e cerchi di calmarti, poi sveglia le altre ragazze e ripeti loro questo mio discorso, capito? Ci potrebbe essere bisogno di chiunque.»
«Va bene.» acconsentì tirando su col naso.
«Bene. Io vado dal Maestro.» le comunicò raccogliendo le sue armi.
«Aspetta!» la bloccò Kamila. «Sono venuta da te perché è stato Malik a dirmi di svegliarti per darti queste.» le disse porgendole degli abiti familiari. «Li ha fatti fare Amani, apposta per te.»
«Grazie». Nadirah dispiegò le vesti nel momento i cui il suono cupo di un corno da guerra echeggiò tra le mura della fortezza.
I templari erano giunti.
In fretta indossò, sopra la tunica, la veste estremamente simile a quella di Altair, solo più corta e stretta che si adattava alle sue lievi forme. Si legò in vita la fusciacca rossa e si allacciò la cinta mentre Kamila si preoccupò di legarle i capelli in una croccia, su richiesta di Nadirah, in modo che potesse avere qualcosa da fare ed evitare un altro attacco di panico.
«Sta’ attenta!» la pregò Kamila, prima di abbracciarla nuovamente.
Nadirah annuì mentre si armava con attenzione. «Non preoccuparti.» la rassicurò prima di lasciare la stanza e avviarsi di corsa verso il cortile principale.
 
 
In pochi minuti raggiunse il piazzale già gremito di Assassini di ogni rango e si guardò attorno alla ricerca di Altair. Notò il Rafiq accanto al Maestro, concentrato nel suo discorso, mentre Altair era dietro di loro di un paio di metri.
Nadirah si avvicinò al suo maestro che le riservò un’occhiata ammonitrice. «Ce ne hai messo di tempo.» commentò con un ghigno.
«Lo so, scusa.» replicò in un sussurro.
«A dir la verità non pensavo di vederti qui, anche se potevo immaginarlo.» continuò Altair.
«Perché?»
«Mi era sembrato di essere stato abbastanza chiaro: non voglio che ti cacci nei guai.»
«Come posso dimostrare quanto valgo se non me lo permetti?» sbuffò. «Posso farcela.»
«Avevi detto di avermi ascoltato.»
«L’ho detto, ma non che ti avrei obbedito.» ribatté con un sorriso malandrino
Altair scosse la testa. «Non impari mai, vero?»
«Cosa?»
«A dar retta a chi ne sa più di te.»
Nadirah rise. «A quanto pare no.»
«Non voglio che tu ti unisca a noi oggi.»
«Io chiusa qui dentro non ci sto, Altair.»
«Non avevo dubbi.» commentò.
«Non ce la farei a stare qui mentre tu e gli altri siete là fuori a rischiare di farvi ammazzare!» confessò arrossendo, e ad Altair non sfuggì quel tu appena sussurrato. Le fu grato di aver dimostrato preoccupazione nei suoi riguardi.
«Non preoccuparti per noi, piuttosto sei tu che mi daresti una preoccupazione in più. Resta qui con Malik, almeno, e non fare azioni avventate.»
«No!» il solo nome del Rafiq la allarmò: da quella sera in cui tra loro c’era –e non c’era- stato qualcosa, Malik aveva preso a evitarla, e Nadirah non aveva neppure tentato di parlargli: sarebbe stato troppo imbarazzante. Era fuori discussione. «Te l’ho già detto, non voglio chiudermi tra le mura della fortezza.»
«E invece sì, anche fossi costretto a legarti per tenerti ferma!»
Nadirah strinse i pugni. «Scordatelo!» ringhiò prima che un boato sovrastò i loro sussurri.
Le porte del villaggio avevano ceduto.
«Assassini proteggete la nostra Casa e suoi abitanti! Ricacciate gli invasori!» urlò il Maestro con enfasi. «Andate!»
Altair tentò di bloccare Nadirah, ma questa gli sfuggì e si gettò in mezzo alla mischia di assassini che si precipitava fuori dalle mura.
Troppo tardi.
L’assassino le corse dietro e riuscì a intercettarla solo quando raggiunsero il piazzale del villaggio.
«Nadirah!» le gridò dietro, sperando che lo sentisse. L’afferrò per un braccio e la costrinse a voltarsi verso di lui.
La ragazza si divincolò allarmata, fino a che non riconobbe Altair di fronte a lei. «Al…»
«Stammi vicino.» ordinò l’assassino trascinando Nadirah con sé, mentre le prime luci dell’alba rischiaravano la fortezza.
Nel villaggio i soldati templari avevano fatto irruzione nelle prime case e già si sentivano le urla degli abitanti che, disperati, cercavano di fuggire verso il castello.
I due Assassini si mossero agili e veloci, fino a che raggiusero un’abitazione su cui Altair prese ad arrampicarsi. «Riesci a starmi dietro?» domandò voltandosi verso la ragazza.
«Tu mi sottovaluti!» rispose raggiungendolo sul tetto.
L’assassino si voltò verso di lei e le tirò sul volto il cappuccio. «Sta’ qui e fa’ quello che sai fare meglio.»
«D’accordo.» annuì estraendo dalla faretra una freccia e piegandosi sulle ginocchia in modo da poter essere il meno visibile possibile. «Abbi fiducia.»
«Ce l’ho». Altair socchiuse gli occhi e si sporse dalla loro postazione. «Ma fa’ attenzione!» le raccomandò prima di far scattare la lama celata e gettarsi nel vuoto, piombando con estrema precisione su un Templare di cui Nadirah riuscì a sentire un grido soffocato.
Un fremito di tensione le corse lungo la schiena. Doveva stare concentrata: era la sua occasione per dimostrare di essere all’altezza di ciò che aveva scelto di essere.
Incoccò la freccia e individuò un primo soldato.
Seguì con attenzione ogni movimento dell’uomo, tenendolo sotto tiro e facendo attenzione a non intercettare nella traiettoria l’assassino contro cui stava combattendo. Prese la mira e scoccò.
Il soldato cadde a terra con una freccia conficcata nella gola.
Stessa sorte toccò a un secondo e a un terzo, e via seguendo. L’ennesimo Templare finì all’inferno trafitto a un occhio.
Dall’alto della sua posizione, Nadirah si guardò intorno osservando lo scontro tra i vicoli del villaggio. Assassini e Templari si davano battaglia, senza che l’uno o altro desse rimostranza di cedere. Numerosi corpi dell’una e dell’altra fazione giacevano a terra feriti o senza vita.
Dannazione! Aveva perso di vista Altair.
Aveva intenzione di cercarlo, ma il suo sguardo venne attirato da quattro soldati che, brandendo le spade, avevano accerchiato una  ragazza e una bambina. Alla mente le ritornarono vivide le immagini di oltre quattro anni prima, quando, nella stessa situazione, due Assassini era giunti a salvarla.
Portò istintivamente la mano alla faretra, ma si accorse che era vuota.
Merda. Aveva finito tutte le frecce, ma non poteva lasciare quella ragazza al suo destino.
Un tuonò ruggì minaccioso in lontananza, mentre la pioggia iniziava a cadere, sempre più fitta. Nadirah, senza neanche pensarci, mollò la presa sull’arco e agile come un felino saltò tra i tetti fino a lasciarsi cadere nel vicolo alle spalle dei quattro templari.
Il tonfò che provocò fece voltare i soldati, Nadirah approfittò di quell’attimo di smarrimento per recidere con un colpo preciso la giugulare di uno e trapassare, dopo un facile contrasto, il secondo da parte a parte. Estrasse la spada dal corpo dell’uomo con qualche difficoltà, tant’è che dovette arretrare di diversi passi per evitare il fendente dell’altro soldato che colpì il suolo. Prendendolo alla sprovvista gli riservò una gomitata colpendolo sotto il mento, stordendolo, e ne approfittò per scagliarsi contro l’ultimo soldato. Il templare però strattonò la donna che in lacrime mollò la presa sulla mano della bambina, e la frappose tra lui e l’assassina, come scudo.
Nadirah fu costretta a ruotare il braccio in modo innaturale per evitare di colpire la ragazza, ma lo slancio le fece perdere l’equilibrio e la presa sulla spada, che tintinnò lontano, mentre il cappuccio le scivolava dal capo e rivelava la sua identità femminile.
Il templare ghignò da sotto l’elmo, spingendo via la ragazza che finì contro il muro. Ordinò a lei e alla bambina di andarsene, ma non lo compresero.
Nadirah invece sì, lei comprendeva quella lingua…
«Svelte, andate via!» urlò loro, mentre la punta della spada dell’uomo premeva fredda nell’incavo della sua gola.
L’attenzione del crociato ritornò a lei. «Tu! Tu conosci la nostra lingua, maledetta!». Il ceffone di rovescio che la colpì sul viso le spaccò il labbro e la lasciò un attimo intontita.
«Iktafi maniak1» sputò tra i denti mentre percepì un rivolo di sangue colarle dal labbro.
Un secondo colpo arrivò potente allo stomaco, togliendole il fiato. «Questo è per prima, puttana!» ruggì il secondo templare, piegandosi sulle ginocchia di fronte alla ragazza afferrandola per i capelli e sguainando la spada.
Nadirah strinse le palpebre e trattenne il fiato.
«No, fermo.» lo bloccò l’altro soldato. «Capisce la nostra lingua e per me la parla anche. Io dico di portarla dal generale. Poterebbe tornarle utile…»
L’energumeno grugnì, in segno di assenso, voltandosi verso il compagno e Nadirah ne approfittò. Fulminea estrasse lo stiletto infilato nello stivale e sfregiò il templare che le stava di fronte. L’uomo con un urlo si portò le mani al volto sanguinante, mentre lei cercava di rialzarsi e correre via. Un colpo alla nuca però la fece crollare a terra ancor prima di rimettersi in piedi.
Cadde a terra, poi il buio.
 
 
«I templari si ritirano!» urlò qualcuno degli Assassini, mentre i crociati battevano in ritirata sul suono del corno da guerra.
Altair trafisse al cuore il soldato che aveva di fronte prima che potesse scappare. Guardò gli occhi dell’uomo diventare vacui, la bocca ancora spalancata in un muto grido di dolore. Estrasse la spada e lasciò che il corpo cadesse a terra, mentre l’elmo rotolava via, scoprendo il volto di un ragazzo. L’Assassino rimase un attimo a fissarlo, aveva ucciso un ragazzo che probabilmente non aveva neppure vent’anni. Inspiegabilmente gli venne in mente Kadar, anche lui era un ragazzo quando fu ucciso. Lo sarebbe ancora se fosse stato ancora vivo.
Si calò il cappuccio impregnato di pioggia e volse il viso al cielo lasciando che l’acqua gli scorresse tra i corti capelli e lungo il profilo della mascella lavando via il sangue, suo e non, che aveva addosso.
«Maestro Altair!» la voce di un novizio, fastidiosa, lo chiamò.
«Che vuoi Jalil?!» domandò assottigliando gli occhi.
Il ragazzo avanzò con cautela. «Ecco… si tratta di Nadirah.» disse con voce tremante.
L’Assassino scattò in avanti e lo afferrò per il bavero del cappuccio. «Cosa le è successo?!» eruppe, mentre sentiva l’ansia attanagliargli lo stomaco.
«Non si trova.» mormorò.
Altair credette di aver ricevuto una stilettata in pieno petto. O forse no, una stilettata avrebbe fatto meno male.
«Che cazzo vuol dire che non si trova?!» ruggì strattonando il povero novizio.
«Altair!» la mano di un assassino si poggiò sul suo braccio, invitandolo a mollare la presa sul ragazzo. «Altair, lascialo! Non prendertela con lui!»
«Lasciami tu Rayhan! Levami le mani di dosso.»
«Cercate la ragazza, vero? L’hanno presa i soldati». Una voce femminile intervenne, facendo calare il silenzio.
Altair si voltò verso una giovane che teneva per mano una bambina che, tremante e bagnata fradicia, si stringeva alla sua gamba.
«Ha salvato me e mia sorella, e i soldati l’hanno portato via.» continuò, ignara di ciò che le sue parole stavano scatenando del maestro assassino.
«Vado a prenderla.» dichiarò a nessuno in particolare, dirigendosi verso le porte del villaggio.
«Aspetta Altair!» lo bloccò nuovamente Rayhan parandosi davanti a lui. «Ragiona… non ce la faresti mai da solo in questo momento. Se vuoi ti aiuterò anche, ma aspetta almeno il buio! Non fare cazzate e andiamo dal Maestro prima. D’accordo?»
Altair strinse i pugni e, in un gesto di rabbia, infilzò la spada del terreno fangoso con forza, pregando che il momento in cui avrebbe versato altro sangue templare giungesse in fretta.
Per salvare lei.
«Sei patetico, Altair» lo schernì Alec, qualche metro dietro di loro, mentre trafiggeva un templare che ancora respirava. «Patetico.» ripeté pulendo la lama sulla veste e avviandosi verso la fortezza.
 
 
Nadirah si risvegliò in un luogo sconosciuto. Aveva la vista annebbiata e sentiva un dolore pulsante alla nuca. Ci volle qualche secondo perché alla sua mente tornassero i ricordi dello scontro.
La ragazza nel vicolo.
I templari.
Lei che si precipita a salvarla
Il colpo, forte, alla testa.
Tentò di muoversi, ma si accorse di avere i polsi legati dietro la schiena.
Era prigioniera.
Dei templari.
Cazzo, cazzo, cazzo!
Si trovava in posizione fetale, inerme e spogliata di tutte le armi che possedeva, in una squallida tenda militare. Che avevano intenzione di fare con lei?
Non c’era nessun altro lì, se non una guardia che non appena la notò sveglia si precipitò fuori e disse qualcosa a qualche compagno, ma la ragazza non riuscì a cogliere il breve scambio di battute.
Qualche minuti dopo sentì dei passi e due mani forti afferrarla per le braccia e tirarla in piedi. «Adesso vieni con noi, dolcezza.» sussurrò lascivo uno dei due soldati spingendola fuori dalla tenda. La luce stava lasciando il posto alle tenebre e Nadirah si trovò a chiedersi per quanto fosse stata priva di sensi.
I soldati la condussero a una tenda più grande e lussuosa, al centro dell’accampamento, la cui entrata era presidiata da uomini molto meglio armati, sicuramente le guardie del corpo del generale. «Cosa volete?» domandò uno dei due.
«Dobbiamo condurre questa infedele dal Generale.» annunciò il soldato che alle spalle di Nadirah le teneva puntata una lancia alla schiena.
La guardia annuì. «Il Generale vi aspetta.»
Varcarono l’ingresso e Nadirah si sentì immediatamente avvolgere dal calore emanato dai bracieri appesi ai pali che sorreggevano la struttura, in contrasto con il freddo pungente dell’esterno. Si guardò intorno e la sola cosa che le risaltò alla vista fu l’uomo che, accomodato su uno scranno riccamente decorato, la osservava curioso.
Il soldato alle sue spalle le diede una spinta e Nadirah cadde in avanti, soffocando un’imprecazione.
«È lei mio signore, capisce la nostra lingua.»
L’uomo si avvicinò, imponente e maestoso come un re, e si piegò su un ginocchio per trovarsi con il volto all’altezza di quello della ragazza. «Bene, bene. Una donna, che sorpresa!» esclamò afferrandole il mento e costringendola a guardarlo.
Nadirah si ritrovò a fissare quel volto conosciuto. Quel volto che le ricordava la sua infanzia. Quel volto identico a quello di suo padre.
Il generale osservò minuziosamente il viso di quella ragazzina che sembrava tanto fragile e delicata. «Sai, c’è qualcosa in te che non mi è nuovo.» le disse a una spanna dal viso.
Nadirah non fiatò. Era nei guai, molto più di quando si sarebbe immaginata.
«Potrei sbagliarmi, ma in ogni caso potrebbe essere un bene per te. Di solito tendo a non essere troppo crudele con chi conosco, e quanto a te, sai cosa succede agli infedeli come voi, vero?» sibilò maligno, guardandola con finta sufficienza. «Potresti anche salvarti la pelle se collabori.» le propose in un sussurro. «C’è un motivo se sono qui: credo che tu sappia cosa stia cercando, giusto bellezza?» le chiese alzandosi.
La Mela.
Nadirah deglutì, non avrebbe mai tradito gli Assassini, né avrebbe svelato la sua identità. Corrado del Monferrato non avrebbe saputo nulla da lei.
Il generale attese una risposta che però non arrivò. «Avanti ragazzina, so che capisci quello che dico, non costringermi a usare la forza per farmi dire qualcosa da te.» la minacciò estraendo la spada e facendone scaldare la punta sul fuoco di uno dei bracieri. «Sarebbe un peccato rovinare quel bel visino, non trovi?» domandò, retorico, facendo sghignazzare i due soldati. «Voi! Andatevene!» ordinò alle guardie, infastidito dalle loro risa sguaiate.
«Sì mio signore.» obbedirono scattando sull’attenti e sparendo in fretta oltre la tenda.
Corrado ghignò avanzando verso Nadirah, che si irrigidì fissando come ipnotizzata la spada rovente, e chiamò all’interno della tenda uno della sua guardia personale. «Tienila ferma, non si sa mai.» ordinò avvicinando l’arma al volto della ragazza.
Nadirah serrò le palpebre e trattenne il respiro mentre sentiva il proprio cuore battere impazzito. Poteva percepire il calore della lama vicino alla sua guancia arrossata, su cui scivolò solitaria una lacrima. Contava i secondi che la separavano da quello che sarebbe stato un dolore atroce, ma Corrado parve cambiare idea e la colpì con il pomo della spada, con forza, sbilanciandola di lato.
«Sei ostinata vedo!» le urlò contro afferrandola per il cappuccio, così facendo però la sua mano agganciò anche il sottile laccetto che portava al collo e quando la sollevò di peso i due ciondoli scivolarono fuori, attirando l’attenzione di Corrado.
Nadirah impallidì. Uno era il simbolo degli Assassini, ma era l’altro che aveva catturato lo sguardo del reggente di Acri. Era un anello che riportava l’effige della sua casata.
L’aquila a due teste con il petto colorato di bianco e rosso: il simbolo dei Monferrato.
«Come fai ad averlo!?» eruppe colpendola con uno schiaffo che la fece cadere a terra, di schiena. «Parla! Dove l’hai preso?» urlò fuori di sé, colpendola allo stomaco con un calcio che la piegò in due e le mozzò il respiro.
«Figlio di puttana…» gracchiò Nadirah tossendo.
Solo allora, quando Corrado udì quella voce, ricordò. Quegli occhi impari, come aveva fatto a non pensarci. Era davvero lei, la figlia di suo fratello Guglielmo.
Si chinò su Nadirah accarezzandole la fronte sudata, mentre lei cercava di ritrarsi. «No, non avere paura di me Virginia.» le sussurrò.
Nadirah si tese al suono del suo nome. «Non sapevo che fossi tu. Cerca di capirmi» continuava Corrado, con tono compassionevole. Che diavolo gli era preso?
«Non mi toccare!» protestò inorridita quando la mano di suo zio le sfiorò la guancia livida.
L’uomo sorrise, comprensivo. «So che ora sei spaventata, ma non preoccuparti, col tempo saprò farmi apprezzare mia cara.»
«Cosa stai dicendo? Credi che mi unirò a te? Mai!»
Corrado parve stupito. «Perché? Non è quello che vuoi?»
«Tu sei pazzo. La morte piuttosto che unirmi a voi templari!» replicò con orgoglio.
A quella rivelazione suo zio riprese lucidità, dopo quell’attimo di pazzia. «Se è davvero quello che vuoi.» sibilò con letale freddezza prima di richiamare la sua guardia privata. «Ludovico.»
«Sì, mio signore?»
«Manda un messo alla fortezza, digli di informare gli Assassini che voglio la Mela e che uno solo di loro dovrà portarmela se rivogliono riavere viva la mia nipotina.» disse accarezzando le ultime due parole. Nadirah tremò, e non per il freddo.
 
 
 
 
 
 


Note autrice:
1dovrebbe significare fottiti bastardo in arabo, l’ho trovato su internet e spero sia attendibile, se così non fosse mi scuso per qualsiasi altra cosa ci sia scritta.
Forgive me.

Ehilà! Buonasera a tutti quanti. 
Inizio dicendo che questo capitolo è molto importante per me, il sogno all'inizio è ciò che mi ha fatto venire l'idea di scrivere questa storia. Ebbene sì, quel sogno che non doveva essere tale è nato come oneshot senza senso mentre mi ascoltavo "skyfall" di Adele, e poi ne è uscito tutto questo. wooo maggico! ah beata la mia ispirazione! Ahahah 
E' un capitolo fondamentale, finora il più importante. Non ve l'aspettavate questo colpo di scena finale, vero? Eppure è sempre stato così fin dall'inizio, un'altra idea per cui è nata questa storia.
Spero di non avervi deluso e che continuiate a seguirmi!
Grazie come sempre a tutti e a presto con il prossimo capitolo!

Salute e pace
O n i c e

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Capitolo 14
*** Perdono ***




XIV
Perdono






 
 
Fu solo quando il messaggero dell’esercito templare ebbe lasciato la fortezza parecchio tempo dopo il tramonto, che Jawad convocò i migliori assassini presenti a Masyaf nel suo studio.
«Maestro, che vi è stato detto?» iniziò Rayhan non appena Altair gli si fu affiancato.
Il vecchio si alzò dallo scranno e aggirò la scrivania incrociando le braccia e osservando con accuratezza i sette maestri assassini che gli stavano di fronte, scrutando le loro espressioni.
 «È una situazione delicata, Monferrato chiede la Mela…» iniziò.
«Non avrete intenzione di dargliela!» lo interruppe uno dei sette avanzando di un passo.
Jawad gli scoccò uno sguardo severo e riprese «e propone uno scambio.»
Ad Alec scappò un grugnito, immaginando di che scambio si potesse trattare, e ad Altair non sfuggì. Strinse i pugni e contrasse la mascella, cercando di trattenersi dal mollargli un cazzotto in faccia.
«Di che scambio si tratta?» domandò un altro.
Gli occhi del Maestro saettarono su Altair mentre con due dita si accarezzava la lunga barba argentata. «La sua allieva per il Frutto.» disse indicando con un gesto della mano il miglior assassino della Setta. Lo stupore si dipinse sul volto dei presenti.
Altair digrignò i denti. Gliel’avrebbe fatta pagare a quel bastardo, qualsiasi cosa le avesse fatto.
Il risolino ironico di Alec incrinò maggiormente il suo autocontrollo. «Che se la tengano pure, quella sfera vale mille volte di più.»
Quello era davvero troppo. Stava per saltargli addosso e staccargli quella dannata lingua che si ritrovava, ma rimase spiazzato quando fu qualcun altro a replicare.
«Non osare Alec!» ruggì Malik, che fino a quel momento era rimasto in silenzio a osservare fuori alla grande vetrata dello studio, immerso nelle sue riflessioni.
«Non prendo ordini da te,» ringhiò il biondo, «mezzo assassino!» aggiunse maligno.
«Ora basta!» tuonò il Maestro. «Non accetto simili comportamenti in mia presenza! È chiaro?»
Alec chinò la testa, in segno di rispetto, ma quel ghigno velenoso non accennava ad andarsene dal suo volto angelico.
«E, Alec, io non sacrifico nessuno dei miei assassini.» precisò Jawad.
«Ma lei non è…» protestò, ma la mano alzata del Maestro lo interruppe.
«Lei lo è come tutti gli voi.» disse ponendo fine alla questione. Nessuno dei presenti osò ribattere. «Ad ogni modo, all’alba Corrado del Monferrato vorrà una risposta.»
Rayhan si fece avanti. «Cos’avete deciso di fare, Maestro?» domandò.
Gli occhi del vecchio si posarono sull’interlocutore. «In verità non ho ancora preso una decisione, sto valutando le varie possibilità. Ma mi stupisco, Altair ancora non hai aperto bocca, è la tua allieva dopotutto, tu cosa faresti?»
L’Assassino, tirato in causa, sollevò lo sguardo che fino a quel momento era rimasto fisso a terra. «La mia parola vale ben poca cosa in confronto alla vostra, Maestro. Certo, ho pensato di penetrare nell’accampamento con il buio e riprendere la ragazza…»
E uccidere Monferrato.  
«E come la troveresti? Non puoi sapere dove si trova con esattezza, accampamento è enorme!» lo interruppe un altro dei maestri assassini.
Altair ghignò. Ho i miei metodi… «Non sarà difficile come sostieni.» replicò.
Jawad riprese la parola, «e cos’è che non ti convince in questo, Altair?» domandò incuriosito.
L’assassino si voltò verso il Maestro. «Non è me che non convince, se fosse per me non esiterei oltre, ma è la vostra parola quella che attendo.» disse chinando il capo.
«E dici bene Altair. Il tuo piano non funzionerebbe, o meglio, potrebbe anche, ma una volta tornati indietro Corrado del Monferrato non esiterà ad attaccare un’altra volta. Ha a disposizione parecchi uomini, molti più di noi, ed è preparato a un’eventualità del genere. Potresti ucciderlo, certo, ma i generali al suo servizio sono sicuramente a conoscenza dei suoi piani, e non credo avrebbero problemi a sacrificare i loro uomini per prendersi ciò che vogliono.»
Altair assottigliò gli occhi. «Cosa contate di fare allora?» domandò secco, mentre l’ansia non accennava ad abbandonarlo. «Non avrete intenzione…»
«Taci!» lo ammonì. «Ho già detto che non abbandonerò nessuno dei miei Assassini. Prima dell’alba porterai la Mela all’accampamento e Monferrato manterrà la sua parola…»
«Come fate a esserne sicuro? Quell’uomo è un Templare!»
Jawad contrasse la mascella. «Non lo sono, infatti, ma conto su di te.»
«Non sarebbe più saggio lasciare la Mela a…» tentò, ma il Maestro non lo lasciò continuare.
«No, ci ha dato disposizioni precise: un solo uomo, nessun altro o la ragazza è morta.» disse con freddezza.
Altair strinse i pugni fino a conficcarsi le unghie nella carne.
Morta. No, non l’avrebbe mai permesso. «Come ordinate Maestro.»
 
 
Le prime luci dell’alba stavano iniziando a rischiarare il cielo ancora coperto di nubi quando Altair raggiunse i margini dell’accampamento Templare. Smontò da cavallo e attese.
Non passò molto che vide venire verso di sé un uomo ben armato, sicuramente un capitano, scortato da alcuni soldati. «Alla fine quel vecchio pazzo ha accettato.» iniziò l’uomo con una smorfia ironica sul volto. «Avanti.» aggiunse poi con un cenno e i soldati accerchiarono l’assassino puntandogli contro le lance.
Altair si lasciò scappare un ghigno mentre il capitano gli faceva segno di seguirlo.
Stolti…
Avanzarono tra due ali di soldati che indicavano e si scambiavano battute in una lingua che l’assassino non capiva, certo però che facessero riferimento a lui.
Raggiunsero in poco tempo il centro dell’accampamento dove era posizionata una tenda militare, alla vista più imponente e lussuosa delle altre. Altair strinse i pugni, teso, mentre dentro di sé fremeva per vedere in faccia quel maledetto templare.
Se solo si fosse azzardato a farle qualcosa.
Doveva mantenere la calma o sarebbe saltato tutto e si sarebbe fatto uccidere come un idiota.
«Generale.» chiamò il capitano posizionandosi di fronte all’entrata. «Abbiamo il Tesoro.» annunciò non appena Corrado del Monferrato fece la sua uscita trionfale dal suo alloggio privato.
L’uomo, dai folti capelli neri e la barba perfettamente curata, gettò una rapida occhiata all’Assassino, prima di sorridere compiaciuto. «Bene, bene. Vedo che non è così difficile ottenere ciò che voglio con questi infedeli.» osservò in latino, stringendo orgogliosamente l’elsa dello spadone a due mani che gli pendeva al fianco sinistro. «Forza, il Frutto.» ordinò tendendo l’altra mano con il palmo rivolto verso l’alto.
«La ragazza prima. Dov’è?» si oppose Altair, rispondendo nella medesima lingua, celando la tensione.
Corrado lo guardò stupito. «Oh, giusto! Me ne stavo dimenticando. Portatela fuori!» disse mentre un ghigno sadico gli deformava il volto.
Fa’ che non sia morta.
Altair fremette quando vide i tendaggi muoversi e due soldati uscire trascinando di peso Nadirah.
La lama celata scattò a vuoto, mentre gli occhi dell’Assassino non si staccavano da lei. Aveva il viso sporco di sangue che le colava dal sopracciglio spaccato, le vesti lacere e strappate e i polsi legati dietro la schiena. Il suo petto di alzava e abbassava con irregolarità: dovevano averle rotto qualche costola. Pregò che si fossero fermati solo a quello.
Nadirah, in ginocchio, teneva lo sguardo fisso a terra. Solo quando Monferrato l’afferrò per i capelli reclinò il capo all’indietro e i loro occhi si poterono incrociare.
«Soddisfatto assassino?»
Ma Altair non lo aveva neanche ascoltato, troppo concentrato sulle labbra di Nadirah che sussurravano “mi dispiace”, mentre una lacrima precipitava dalle sue ciglia. L’assassino avrebbe voluto precipitarsi da lei, ma era come bloccato, incatenato ai suoi occhi che chiedevano perdono.
Corrado estrasse la spada e la poggiò alla gola della ragazza. «Ora dammi la Mela.» ordinò.
Altair si riscosse e portò la mano alla sacchetta legata alla spessa cinta di cuoio. «Voglio lei prima.» replicò e Corrado rise.
«Non credo tu sia nelle condizioni di dare ordini, assassino.»
«Sono solo contro un esercito. Non credo di volerti fregare: dammi lei e avrai la Mela.» insisté, sganciando la sacca.
«Come vuoi assassino.» ghignò il templare e tagliò le corde che tenevano legata la ragazza.
Nadirah crollò in avanti, facendo peso sui polsi piagati e rialzandosi barcollando. «Avanti, vattene prima che cambi idea, nipote.» sottolineò bene l’ultima parola Corrado, e Altair sgranò gli occhi. «Ora la Mela.» ringhiò.
L’assassino attese che Nadirah fosse a pochi passi da lui e lanciò la sacca con il Frutto ai piedi di Corrado, prima di afferrare la ragazza tra le braccia e arretrare velocemente trascinandosela dietro. Nell’istante in cui la strinse a sé percepì la tensione abbandonarlo mentre il corpo della ragazza veniva scosso dai singhiozzi. «È tutto finito ora.» le sussurrò all’orecchio mentre notava il Templare rigirarsi soddisfatto il bottino tra le mani e di ritirarsi nella sua tenda dopo aver urlato un “lasciateli andare” che gli garantiva il via libera.
Si allontanarono dall’accampamento e furono affiancati da Rayhan e altri quattro assassini che non li avevano mai persi di vista, penetrati silenziosamente tra le schiere nemiche e pronti a intervenire.
«È tutto a posto ragazzi.» li rassicurò Altair. «Andate avanti, vi raggiungiamo.» disse prima di richiamare con un fischio la sua cavalcatura.
«Come vuoi Altair.» acconsentì Rayhan facendo cenno agli altri.
Altair annuì scambiandosi uno sguardo con il ragazzo e poi si voltò verso la giovane assassina.
«Nadirah.» la chiamò, ma la ragazza non accennava ad alzare lo sguardo, seduta a terra con le braccia strette attorno al corpo. «Nadirah guardami, ti prego.» la supplicò piegandosi alla sua altezza e sollevandole con dolcezza il mento, affinché lo guardasse.
Poteva sentire i respiri brevi di lei infrangersi sul volto, tanto erano vicini. Ma erano in suoi occhi quelli che lo spaventarono: vuoti e freddi, senza quella luce che vi aveva sempre visto.
«Perdonami Altair.» fu un soffio quello che uscì dalle sue labbra.
Perdonami se mi sono cacciata in questo guaio…
Perdonami perché hai perso la Mela…
Perdonami se non ti ho mai detto tutta la verità…
Fu questo che Altair comprese di quel perdonami quasi impercettibile, e gli fece male. Più di quanto si aspettasse. Non era lei a dover chiedere scusa, era lui a sentirsi tremendamente in colpa. Lui avrebbe voluto scusarsi, solo non sapeva come… e la loro vicinanza non aiutava di certo. Il suo sguardo indugiò sulle labbra secche di lei e la voglia di assaggiarle si fece largo dentro di lui.
Scosse la testa, cercando di scacciare quel pensiero. Si alzò e afferrò dalla sella del suo stallone una borraccia d’acqua e gliela porse. «Tieni, bevi.»
Nadirah l’afferrò incerta e ne trasse un lungo sorso.
Aspettò che ebbe finito e le tese la mano. «Vieni, torniamo alla fortezza.»
«Aspetta». L’ennesimo sussurro. «Prima devi sapere.»
L’Assassino scosse la testa. «Ci sarà tempo, ora hai bisogno di…» ma la frase gli morì in gola, scosso dal pensiero di sapere cosa avesse subito.
«No, voglio che tu sappia la verità su di me, su chi sono.» insisté debolmente, quasi non avesse la forza e Altair si limitò ad annuire e inginocchiarsi di fronte a lei, in attesa.
«Corrado ha detto la verità prima, sono realmente sua nipote, figlia di Guglielmo del Monferrato, conosciuto come Spadalunga…»
«Il re di Gerusalemme?» la interruppe Altair, stupefatto, e la ragazza annuì. «Tu saresti la sua erede?» domandò ancora.
Nadirah accennò un sorriso mesto. «No, no. Io sono sua figlia bastarda, mia madre era una puttana ed è morta dandomi alla luce vent’anni fa. Così mio padre mi prese con sé e crebbi alla corte dei Monferrato, in Italia, e lo seguii in Terrasanta perché doveva sposare Sibilla. Quella donna mi ha sempre odiato, mi tenne con sé solo perché l’aveva giurato a mio padre in punto di morte».
Un singhiozzo interruppe il suo racconto.
«Perché mi stai raccontando tutto questo?» le chiese Altair, e solo quando vide le lacrime sgorgare dai suoi occhi si rese conto di quanto fosse stata stupida la sua domanda.
«Avevo sette anni, e da lì Sibilla non ha esitato a farmi presente quanto io fossi sbagliata, indegna… Ho pregato tante volta affinché pagasse per tutto il male che mi aveva fatto, ma quando ne ebbi l’occasione non…» Nadirah tacque un attimo, mentre Altair le raccolse una lacrima prima che cadesse nel vuoto. «Era la notte in cui Gerusalemme cadde, fu l’unica volta che mi si inginocchiò di fronte e mi supplicò, fui quasi felice di vederla in quello stato, sai?… mi chiese di uccidere suo figlio perché i saraceni non lo catturassero e io… io feci ciò che mi chiese… Era mi fratello, Altair, mio fratello!» confessò scoppiando in lacrime mentre le braccia dell’Assassino circondavano il suo corpo esile. Fu un gesto istintivo, di cui Altair non si pentì, e Nadirah si aggrappò a lui come fosse il suo solo porto sicuro. La strinse a sé, scosso dal suo sfogo, e si chiese come avesse fatto a tenersi dentro un peso simile per tutto quel tempo.
«Non lasciarmi, Altair, non ora…». Il sussurro flebile della ragazza giunse alle sue orecchie e Altair si concesse di lasciarle un tenero bacio sulla fronte.
«Sta’ tranquilla, sei al sicuro.»








 

Note autrice:
Buonasera miei cari lettori, vi chiedo immensamente scusa per il ritardo (sono passate ben due settimane, me ne rendo conto), ma sono stata sommersa dallo studio. Chiedo venia.
Ebbene eccoci qui con le ultime rivelazioni sul passato della nostra cara Nadirah, dovrebbero essere le ultime, a meno che la mia mente non partorisca qualcos'altro, ma in linea di massima non dovrebbero essercene più. Sconvolti? Be' spero di sì. Ahaha
Questo capitolo mi ha dato tra l'altro un bel da fare, non pensavo mi venisse così difficile scriverlo, soprattutto perché fosse coerente e avesse senso. Spero di esserci riuscita.
Ringrazio come sempre tutti coloro che seguono, preferiscono ecc, e soprattutto chi recensisce! Vi adoro.
Lo so, sto smielando perché devo farmi perdonare ;) 
Alla prossima (spero di non farmi attendere troppo)

Salute e pace
O n i c e

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Capitolo 15
*** In frantumi ***


XV
In frantumi
 
 
 
Quant’era passato dal giorno dell’attacco dei Templari?
Nadirah non avrebbe saputo dirlo con esattezza. Da quando Altair l’aveva riportata alla fortezza, la ragazza non aveva messo piede fuori dalla nuova stanza adiacente all’infermeria in cui era stata relegata, sia perché il cerusico le aveva espressamente detto che non avrebbe potuto riprende in mano la spada per diverso tempo, a causa delle costole fratturate e la spalla slogata, sia perché lei personalmente non ne aveva per niente voglia. E così, passando giornate tutte uguali, aveva perso la cognizione del tempo.
Sbuffò coprendosi gli occhi con il braccio sano, disturbata dai raggi del sole che filtravano dalla finestra, mentre sentiva il torace dolerle a ogni respiro.
Era stata fortunata, le aveva detto Amani, a non aver riportato lesioni agli organi interni, e andava da lei ogni giorno ad accertarsi delle sue condizioni, così come facevano anche Kamila e Rasha, preoccupate per lei. Nadirah però non gradiva poi così tanto quelle visite, avrebbe volentieri preferito essere lasciata in pace a rimuginare sul suo passato. Già, perché da quando aveva confessato la sua colpa ad Altair, non passava istante in cui non le tornassero alla mente i ricordi di quella notte. Sentiva le suppliche della sua matrigna trasformarsi in urla nel momento in cui irrompevano i saraceni, un attimo dopo che lei si era macchiata le mani del sangue di suo fratello.
Da quella notte Virginia era morta con suo fratello. E sembrava di essere di nuovo in quel momento, come se lo stesse uccidendo un’altra volta, come se si stesse uccidendo un’altra volta.
Si passò entrambe le mani sul viso e scosse la testa. Non avrebbe mai dovuto esporsi così. Aveva sepolto il suo passato dietro un nome nuovo, come se Virginia non fosse mai esistita, così come la sua colpa. Ma sentire la sua stessa voce accusarla di fratricidio… aveva reso tutto reale, non l’incubo che lei s’illudeva che fosse.
Dolore, ecco quello che sentiva. Dolore che bruciava, straziava, corrodeva.
Un rumore di passi nel corridoio attirò la sua attenzione. Troppo leggeri per essere quelli di un uomo, ma troppo brevi e incerti per essere quelli di Kamila, che ormai aveva imparato a riconoscere. Cercò di immaginare chi potesse essere, sperando che chiunque fosse non si stesse dirigendo da lei.
Nadirah a fatica si girò su un fianco, ignorando il dolore al torace, e dando le spalle all’ingresso si tirò le lenzuola fin sulla testa.
I passi si bloccarono in corrispondenza della sua stanza.
Come non detto.
Sentì bussare alla porta ma non rispose, sperando che il suo silenzio facesse intendere che voleva restare sola.
Appunto.
Il suono si ripeté, seguito da una voce sottile. «Nadirah? Sono Delen… sei sveglia?»
Delen?
Nadirah sgranò gli occhi. Non aveva mai avuto uno stretto rapporto con quella ragazza, anzi, probabilmente era colei con cui parlava meno, le sere che si trovavano tutte insieme nella stanza circolare della Torre delle Grazie. Per questo rimase stupita nel sentire la sua voce.
«È aperto.» bofonchiò e, nonostante il tono, era sinceramente curiosa di sapere perché la giovane avesse deciso di farle visita.
Sentì il cigolio dei cardini della porta e i passi leggeri della ragazza avanzare nella stanza in penombra.
Nadirah si tirò su a fatica, mentre stringeva i denti e ignorava le fitte al costato. «Siediti pure.» la invitò cercando di essere gentile e indicando con un cenno uno sgabello lì vicino.
Delen annuì e si accomodò, silenziosa come un gatto. «Come ti senti?» le domandò la rossa congiungendo le mani in grembo.
Nadirah sollevò un sopracciglio. «Sei sicura di volerlo sapere davvero?» pronunciò con sarcasmo, facendo abbassare lo sguardo alla sua interlocutrice, e pentendosene poco dopo. «Perdonami, ignora la mia maleducazione.»
Delen assentì con un lieve sorriso sulle labbra. «Non preoccuparti, posso capire come ti senti…»
Oh, non credo proprio. Pensò lasciandosi sfuggire una risatina nervosa.
Nessuno avrebbe mai potuto capire. Nessuno avrebbe mai compreso l’inferno che le bruciava dentro.
«Sai, mi piacerebbe davvero che qualcuno capisse come sto in questo momento, ma non credo sia possibile.» disse socchiudendo malinconica gli occhi.
Delen le strinse amichevolmente il polso, per rassicurarla. «Anch’io sono finita prigioniera in un accampamento.»
Nadirah sorrise sinceramente, ma scosse la testa. «Non c’entra nulla questo, Delen. Non puoi comprendere, dico davvero». Tacque un istante prima di scompigliarsi con una mano i capelli e riprendere, «però grazie.» concluse.
«Non comprendo la causa, ma sembra che i tuoi occhi abbiano visto Hel1
«Come?» domandò sconcertata Nadirah.
La rossa si apprestò a spiegare, «credo che voi lo chiamiate jahannam – inferno.»
«Ah, capisco. E cosa ti fa pensare questo?»
Questa volta fu Delen a sorridere. «I tuoi occhi parlano più di quanto tu voglia.»
Nadirah irrigidì la mascella e socchiuse gli occhi. Non era per niente un bene che le persone riuscissero a capirla così facilmente. Questo voleva dire che era palese la sua fragilità in quel momento e, per lei che aveva sempre cercato di dimostrarsi forte, mostrava la sua sconfitta.
Un’improvvisa fitta al costato interruppe i suoi pensieri funesti e Delen colse il lamento che le sfuggì dalle labbra.
«Senti tanto dolore?» le chiese allarmata scattando istintivamente verso di lei
Sì, le avrebbe voluto rispondere, ma non dolore fisico. Quello è fin troppo sopportabile.
«C’è della curcuma2  sul tavolino, puoi scioglierla nell’acqua e passarmela?» chiese ignorando la domanda della ragazza.
«Certo.» si apprestò a rispondere facendo ciò che le aveva chiesto Nadirah. «E’ questa?» domandò stringendo tra le dita un sacchettino di tessuto.
«Sì, esatto. Versane una manciata nella ciotola e aggiungici dell’acqua.»
Delen fece come le aveva chiesto e poi le porse il miscuglio. «Non ha l’idea di essere gradevole, almeno dall’odore.» osservò.
Nadirah arricciò il naso. «Non farmici pensare, in questi giorni me l’hanno fatta bere a forza…» disse prima di buttar giù d’un fiato il contenuto della ciotola. «E’ disgustosa.» commentò con una smorfia schifata, facendo ridacchiare Delen che afferrò la ciotola e la ripose sul tavolo.
Continuarono a ridacchiare per qualche tempo, parlando di argomenti futili e delle altre ragazze della torre, e Nadirah si rese conto di quanto quella ragazza in realtà fosse timida, e non altezzosa come aveva creduto inizialmente. Certo, era probabile che prima di arrivare a Masyaf avesse vissuto in qualche corte europea, e Nadirah lo capiva dal suo modo di esprimersi e gesticolare, con la tipica raffinatezza delle dame.
Era intenzionata a sapere qualcosa di più sulla sua vita ma, prima che potesse chiederle qualcosa, Delen deviò l’argomento.
«Nadirah… ecco ho da dirti una cosa.» iniziò. «oltre per assicurarmi della tua salute, c’è anche un altro motivo per cui sono passata qui oggi.»
«Continua.» la spronò incuriosita.
Delen prese un respiro profondo prima di continuare. «Ecco, ieri sera Altair è venuto alla torre…»
Bum… un battito.
Bum… un altro battito.
Bum. Bum. Bum. Martella nel petto con una lentezza assordante.
Nadirah sente che sta trattenendo il respiro.
«… abbiamo parlato in privato e…»
«Parlato?» domandò inarcando sarcastica un sopracciglio.
A Delen sfuggì un sorriso. «Solo parlato.» precisò. «Ultimamente Altair si fa vivo raramente e si trattiene solo per qualche ora.»
Nadirah nascose l’imbarazzo con un colpo di tosse, che le causò l’ennesimo dolore. «Ehm… sì, certo». Non aveva proprio voglia di sapere quali abitudini Altair avesse a riguardo.
Delen riprese. «In ogni caso, mi ha detto di riferiti che è partito.»
«Come scusa?!» esclamò allibita.
«A quanto ha detto, è stato il Maestro a mandarlo in missione con un altro assassino. Non ha voluto dirmi il nome di costui, né ha saputo dirmi quanto starà via.»
Nadirah tacque un attimo, valutando ciò che le stava passando per la mente. «Delen. Prendimi l’abito che sta in quella panca.» le ordinò indicando il semplice mobiletto basso di legno chiaro addossato al muro sotto la finestra. «Vado dal Maestro.»
«Ma Nadirah…» tentò di protestare ricordandole le sue condizioni, ma lo sguardo che l’allieva di Altair le riservò la fece tacere. Delen lo paragonò alla sguardo di una regina, oppure a quello di una leonessa, che era meglio non far adirare più del dovuto. «D’accordo, aspetta che ti aiuto.» acconsentì prima di darle una mano ad alzarsi dal letto e cambiarsi.
 
Nadirah varcò la soglia dello studio del Maestro senza nemmeno farsi annunciare, procedendo a passo spedito ignorando i dolori che sembravano essere diminuiti. «Salute e pace Maestro.» lo salutò con un tono che più che pace, sembrava voler dichiarare guerra.
«Salute e pace a te Nadirah. Chissà perché non sono sorpreso di trovarti qui.» commentò per nulla intimorito dall’atteggiamento della giovane, mentre sotto la barba si delineava un lieve sorriso divertito. «Sono felice di vedere che stai meglio. Altair era preoccupato per le tue condizioni.»
Nadirah perse tutta la sua grinta iniziale.
Altair era preoccupato. Era preoccupato. Preoccupato.
Scosse la testa riprendendo in mano l’ascia di guerra. «È proprio per lui che sono qui. Ho saputo per vie traverse che lui è partito, perché non sono stata informata personalmente della sua partenza.»
«Posso sapere a quale titolo rivendichi certe pretese?» domandò retorico Jawad, e Nadirah si sentì una stupida.
Già, che diritto aveva riguardo l’essere informata su ciò che il suo maestro faceva?
Preferì tacere, mentre sentiva su di sé la rabbia dell’umiliazione per essersi dimostrata così infantile.
«Sai, ora capisco cosa vide Fahd in te.»
Nadirah sollevò nuovamente lo sguardo su di lui, mentre i ricordi del suo vecchio maestro le tornavano alla mente. Erano passati quasi cinque mesi dalla sua morte, eppure quel giorno le sembrava così lontano.
«Avanti, siediti. Credo sia giunto il momento che tu sappia.» la invitò, e Nadirah obbedì. «Si chiamava Aidha, e tu le somigli molto fisicamente, aveva i tuoi stessi capelli, il tuo stesso taglio degli occhi e soprattutto aveva il tuo stesso carattere, per niente docile, orgogliosa come un uomo dovrebbe essere, non certo un temperamento che dovrebbe appartenere a una donna. Ed era sua figlia.»
«Come?» domandò Nadirah per lo stupore riguardo ciò che Jawad le stava dicendo.
«Perse la vita più di quindici anni fa, durante l’assedio da parte di Salah al-Din. Fahd non si perdonò mai di non essere riuscito a salvarla, per questo lasciò l’ordine subito dopo i funerali.»
«Perché mi dite questo?»
« Io credo che in te abbia rivisto lei e, nel tuo desiderio di vendicarti di Salah al-Din, la sua stessa sete di vendetta.»
Nadirah rimase in silenzio, riflettendo sulle parole di Jawad. «E’ assurdo.» fu tutto ciò che riuscì a dire, scossa da quelle rivelazioni, prima che il Maestro riprendesse la parola.
«Comunque non era per questo che sei venuta. Vuoi sapere di Altair.» osservò.
La ragazza si ridestò dalle sue riflessioni. «Sì, ma anche per altro.»
Jawad assunse un’espressione incuriosita. «Cioè?»
«Prima di tutto vorrei sapere cosa vi ha detto Altair dopo che mi ha riportata alla fortezza.»
Al Maestro non sfuggì una nota ansiosa nella sua voce. «Vuoi sapere cosa penso riguardo alle tue origini e l’intera vicenda, vero? Nadirah, io credo in te e nella tua fedeltà, non è il nostro sangue a dirci chi siamo, è ciò che facciamo a farlo.»
Nadirah sentì su di sé pesare un macigno. «Io ho ucci…»
«Lo so.» la interruppe, «ma non logorarti l’anima più di quanto non dovresti. Sei una donna forte, non lasciarti sopraffare dal passato.»
«Come dite voi, Maestro.»
Jawad la guardò severo. «Non è questo il modo giusto per superare ciò che ti ho detto. Più convinta, più forte!» la spronò.
Nadirah alzò gli occhi nei suoi. «Certo Maestro.» esclamò con più vigore nella voce.
Jawad parve soddisfatto, prima di chiederle cos’altro le tormentasse la mente.
«La Mela, maestro. Per salvare me l’avete data in mano ai templari… potrebbero distruggerci.»
«Quella sfera è molto potente, certo. Ma è un’arma complessa, in questi pochi mesi abbiamo provato a studiarla e persino Altair che sembra immune, o per lo meno più resistente al suo potere, fatica a controllarla. Avrebbe potuto usarla contro l’esercito templare, ma aveva paura di far del male a qualcun altro.»
Nadirah non colse subito l’allusione, per questo continuò. «Ma tra i templari potrebbe esserci qualcuno in grado di usarla.»
«Non spetta a te preoccuparti di questo, ma se può farti sentire meglio, ricorda che abbiamo occhi e orecchie ovunque, e che dubito che esistano molte persone con capacità simili a quelle di Altair.»
La ragazza lo guardò interrogativa, ma Jawad non le diede altre spiegazioni. «In ogni caso sei venuta per sapere dove ho inviato Altair, o no?»
«Sì, Maestro.» confermò, ritrovando un po’ della sua solita grinta.
«Sta andando ad Alamut, insieme ad Alec.»
Nadirah sgranò gli occhi, ma si trattenne da qualsiasi esclamazione, sentendo tendersi i muscoli e il successivo dolore alle costole. Dalle labbra le sfuggì un’imprecazione, che Jawad fortunatamente non comprese, nella sua lingua natìa.
«Perché ad Alamut?»
«Alamut ha le più fornite biblioteche dell’intero medio oriente. Sono conservati manoscritti antichissimi, tra cui penso potremo trovare informazioni sulla Mela e sul Giardino dell’Eden di cui ci hai parlato.» spiegò.
Nadirah annuì. «Capisco.» disse, mentre nella sua mente l’immagine di Altair e Alec che cercavano manoscritti e volumi tra gli scaffali di una biblioteca assumeva dei contorni a tratti ironici, a tratti drammatici: già i due maestri assassini faticavano a sopportarsi, c’era il rischio che si ammazzassero a vicenda.
Ci pensò Jawad a rassicurarla, seppur ignaro delle sue riflessioni. «Ho scelto loro perché hanno bisogno di tollerarsi, non posso permettere che ci sia rivalità tra i miei due migliori assassini. Sono certo che una missione del genere permetterà loro di confrontarsi senza l’uso della spada.»
Nadirah avrebbe voluto ribattere, ma il sguardo del Maestro le fece intendere che il loro colloquio era concluso.
Nadirah si alzò e chinando il capo si congedò.
 
Aveva bisogno di riflettere dopo l’incontro con Jawad per questo raggiuse il giardino della fortezza e, poggiandosi al parapetto, osservò il vuoto sottostante immerso nel buio del crepuscolo.
Nella mente le vorticavano le parole del vecchio, soprattutto quelle sul suo vecchio maestro, e non riusciva a capire perché si sentisse come uno strumento in mano a qualcuno che era stato in grado di ingannarla, perché si sentisse così sola, vuota. Si chiese cos’avesse scatenato tutta quella rabbia dopo le parole di Delen.
In quel momento tutto ciò che aveva sentito nel pomeriggio le permetteva di ignorare il dolore che aveva provato in quei giorni, solo non ne capiva il motivo.
Aveva una sensazione, insignificante quasi, ma che spiegava il vuoto che sentiva dentro, e non c’entrava nulla con il suo passato, bensì con il suo presente.
Era un vuoto causato da una mancanza. Una mancanza che non aveva mai creduto possibile, o forse sì, dalla prima volta che aveva incrociato quello sguardo buio come la notte, come la morte.
Altair le mancava, sì. Ma in modo ossessivo, viscerale…
«Malik.» la sua voce risuonò atona dopo aver riconosciuto i passi inconfondibili del Rafiq.
«Scusa, non volevo disturbarti.» rispose l’uomo indietreggiando.
«Aspetta.» lo fermò. «È parecchio che non parliamo io e te.»
Nadirah percepì il suo sospiro a metà tra l’affranto e l’ansioso.
«È che sono stato impegnato, il Maestro mi ha affidato compiti importanti e non ho avuto molto tempo a disposizione.» mentì, e Nadirah lo sapeva bene, l’aveva evitato per lo stesso identico motivo. La infastidiva quell’atteggiamento, eppure in quel momento non si sentiva arrabbiata con lui.
«Non sai mentire Malik.» sussurrò suadente quando percepì la sua presenza accanto a sé. Non era completamente in sé, se ne rendeva conto, solo non sapeva attribuire quel suo improvviso comportamento al suo stato d’animo o a ciò che il medico le aveva fatto fumare. Cos’era poi, non ne aveva idea.
«Cosa te lo fa pensare?» domandò l’altro sfiorandole il braccio.
Decisamente, anche Malik doveva essersi fumato qualcosa.
Nadirah si volse verso di lui, guardandolo con attenzione. C’era qualcosa che non tornava nel suo volto, gli occhi erano troppo scuri, e quella leggera cicatrice all’angolo della bocca non ricordava di averla mai vista…
«Nadirah non sei in te…» tentò di bloccarla mentre la mano della ragazza corse al suo viso, accarezzandone la mascella ruvida di barba.
«Nemmeno tu lo sei.» mormorò a un soffio dalle labbra prima di afferrarlo per il bavero della cappa e attirarlo a sé con impeto. Le lingue si cercarono bramose, la mano di lui corse su e giù per la schiena della ragazza, facendola aderire al proprio corpo, mentre lei non si staccava dal suo viso, troppo concentrata su un volto che fluttuava offuscato nella sua mente.
Per un attimo Nadirah si perse completamente in quel bacio ardente, passionale, che aveva mescolato i loro sapori e li aveva fusi insieme e che, per un attimo, la fece sentire terribilmente in colpa.
Fu solo quando si accorse dell’effetto che aveva provocato su Malik, che la sua mente riprese lucidità. Si staccò da lui cercando di non essere troppo brusca e di nascondere l’imbarazzo.
Il Rafiq le si avvicinò ancora e, dopo averle accarezzato una guancia con il dorso della mano e sfiorato il naso con il  proprio, le sussurrò qualcosa che però non comprese e la lasciò lì, immersa nell’oscurità che calava sulla fortezza.
Rimase immobile finché la figura dell’uomo non scomparve all’interno della fortezza, troppo concentrata sul pizzicore che avvertiva sulla nuca, come se qualcuna l’avesse osservata.
 
Malik partì all’alba il giorno seguente e fece ritorno a Gerusalemme.
Nadirah non seppe perché, ma si sentì terribilmente sollevata a quella notizia, temendo che altrimenti quel loro incontro della sera precedente si potesse sapere in giro o, peggio, si potesse ripetere. Non aveva dormito per tutta la notte, pensando e ripensando a cosa le avesse fatto compiere un gesto tanto impulsivo e quel lieve senso di colpa non sembrava deciso ad abbandonarla.
Inoltre non aiutava il fatto che Kamila sembrava sempre più fredda nei suoi confronti, il più delle volte la ignorava o le rispondeva con acidità e Nadirah credeva che sospettasse qualcosa. Non aveva il coraggio di chiederle il motivo del suo comportamento, temendo l’accusa che avrebbe potuto rivolgerle.
Con Delen invece i rapporti si erano intensificati: trascorrevano molto tempo insieme, anche a causa dell’impossibilità di Nadirah di allenarsi, erano diventate molto più intime e la giovane nordica le aveva parlato del suo passato, raccontandole della sua vita alla corte dell’imperatore Federico Hohenstaufen dove aveva imparato a comportarsi come una dama di alto rango e aveva conosciuto l’uomo di cui si era innamorata.
«E ora lui dov’è?» le chiese Nadirah, curiosa.
La rossa si limitò a un’alzata di spalle. «Chi lo sa. Dopo la morte dell’imperatore il contingente con cui viaggiavamo venne assalito dai Saraceni. Così finii in mano loro e successivamente agli Assassini». Lo disse con una certa malinconia, e Nadirah si pentì di quella domanda e preferì deviare il discorso raccontandole di averlo conosciuto, ancora bambina, quando i Monferrato si allearono con lui contro i comuni milanesi.
«Subirono una sconfitta clamorosa. Fu la peggior umiliazione che il Barbarossa potesse subire3.» ridacchiò con un ghigno prima di raccontarle con precisione lo svolgimento della battaglia, così come le aveva raccontato suo padre.
«Nadirah, perdonami, ma non credo di seguirti più.» le disse vagamente imbarazza. «Diciamo che le battaglie non sono la mia specialità.»
«Hai ragione, perdonami. È che spesso mi perdo troppo nei dettagli.» si scusò con un sorriso.
Fu proprio grazie a Delen che Nadirah riuscì a relegare nell’angolo più remoto della sua mente ciò che accadde quella dannata notte a Gerusalemme, parte di un passato che però non le raccontò mai.
Trascorse un mese dalla partenza del Rafiq, così come dalla quella di Altair, di cui Nadirah sentiva terribilmente la mancanza. Di entrambi in verità. Ma era troppo orgogliosa per ammettere a se stessa che anche Malik aveva lasciato del vuoto. 
Una mattina, quando la neve attecchì al suolo, mentre passeggiavano nel giardino innevato Delen le disse si essere incinta e da quel momento l’attenzione e l’affetto di Nadirah nei suoi riguardi si intensificarono. Alla ragazza non importava chi fosse il padre, voleva solo che suo figlio potesse essere felice, e Nadirah si rese conto di non aver mai conosciuto una donna più forte di lei.
Quella stessa mattina Kamila sparì senza lasciare tracce e inutili furono le ricerche. Non si seppe di lei per diversi mesi.
Trascorsero altre settimane poi, finalmente, Altair e Alec fecero il loro ritorno alla fortezza.
Varcarono le soglie del villaggio malconci e sporchi di sangue, e Delen dovette trattenere Nadirah prima che si mettesse in ridicolo.
«Sì, hai ragione. È solo che…»
Delen le fece passare un braccio attorno alle spalle. «Credimi, questa volta so bene come ti senti.»
Nadirah ricambiò l’abbraccio e dopo averle lasciato un bacio sulla guancia si allontanò. Raggiunse il torrione della fortezza, quello del suo sogno, e attese, poggiata di schiena a una delle massicce colonne, lasciando vagare lo sguardo verso l’orizzonte montuoso che si estendeva per miglia e miglia.
Non trascorse molto tempo che avvertì dei passi avvicinarsi e raggiungerla.
«Nadirah». Il suono della sua voce le fece trattenere il fiato. Si voltò verso di lui e con la grazia di un felino gli si gettò tra le braccia.
«Altair…» singhiozzò contro la sua cappa che sapeva di polvere e sangue.
Le braccia dell’assassino le circondarono la vita e le sue labbra affondarono nei suoi capelli.
«Mi sei mancata».

 
 
 











 
Note Autrice:
1) non ho saputo resistere a inserire qualcosa che riguardasse la mitologia norrena -che amo- e ho approfittato del fatto che Delen, così come il nostro bell’imbusto Alec, provengono da zone imprecisate del nord Europa.
Per chi non lo sapesse Hel, o Hella, sarebbe la dea degli inferi, e l’inferno norreno prende il nome da lei.
 
2) stando alle mie conoscenze la curcuma è una spezia di origine indiana dalle proprietà curative come antidolorifiche, antitumorali e antinfiammatorie. Ora, non so come si somministrasse, ma ho pensato che potesse essere credibile berla sciolta in acqua. E per quanto riguarda il sapore, l'ho assaggiata e proprio non mi piace. Bleah, xD
 
3) sto parlando della battaglia di Legnano del 29 maggio 1176, dove Federico Barbarossa fu sconfitto dai comuni della Lega Lombarda.



Buongiorno a tutti miei cari lettori!
Lo so, sono perfettamente perfettamente consapevole di essere una persona orribile.
Due mesi, e dico due mesi che non aggiorno. Mi dispiace veramente tanto e non ho scuse decenti, semplicemente è stato un periodo un po' di m. sia perché ero letteralmente senza ipirazione e perchè ho avuto qualche problema di salute sia perchè lo studio ultimamente non mi dà tregua.
Vi chiedo umilmente scusa e spero che continuiate a seguire questa storia. 
Prometto di non impiegarci più così tanto e spero che questo capitolo sia di vostro gradimento, così che possiate perdonarmi per il ritardo xD
A presto (spero)

Salute e pace
O n i c e

 

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Capitolo 16
*** Iniziazione ***






XVI
Iniziazione








 
 
 
Nonostante fosse passato un intero giorno da quando si erano salutati, Nadirah percepiva ancora il suo odore addosso.
Era stato via per oltre un mese e in quel periodo si era preparata decine di discorsi da fargli. Eppure nel momento in cui l’aveva rivisto le erano mancate tutte le parole e, segregando per un attimo il suo autocontrollo, gli si era gettata tra le braccia dimostrandosi una ragazzina sentimentale. Se n’era vergognata subito, ma le parole che Altair le aveva rivolto un attimo dopo le avevano fatto scordare anche il minimo imbarazzo.
Aveva trascorso tutta la mattina a rotolarsi tra gli enormi cuscini del suo letto e ripensava a ciò che le aveva detto l’Assassino, ma soprattutto al comportamento che aveva avuto con lei: non le aveva staccato gli occhi di dosso per tutto il tempo, con uno sguardo che, come sempre, non riusciva a decifrare.
Si era sentita lusingata e aveva l’impressione di sentire ancora la stretta di Altair sul polso quando, prima che andasse via, l’aveva trattenuta per un attimo incrociando i suoi occhi e poi aveva mollato la presa congedandola con un “va’ pure”.
Nadirah sorrise per l’ennesima volta con lo sguardo perso nel vuoto, prima di riprendere il controllo dei suoi pensieri e decidere di alzarsi. A giudicare dall’altezza del sole sull’orizzonte doveva essere quasi l’ora nona1, e ciò significava che aveva sprecato gran parte della giornata.
Fantastico. Pensò con sarcasmo prima di avvicinarsi allo specchio; si osservò per un attimo e si rese conto di aver bisogno di un bagno caldo.
Raggiunse la sala termale carica di teli e vesti pulite e non si sorprese di trovarvi Delen, immersa nell’acqua fino alle spalle, intenta ad accarezzarsi il ventre ancora piatto dentro cui stava crescendo una nuova vita.
«Salute e pace Delen» la salutò e ridacchiò quando la vide sobbalzare per la sorpresa. «Scusa, non volevo spaventarti» aggiunse.
«No scusa tu. Ero sovrappensiero e non mi sono accorta del tuo arrivo» spiegò la rossa sistemandosi qualche ciocca che le sfuggiva ribelle dalla crocchia con cui si era legata i capelli, «È da molto che sei qui?» chiese.
«No, sono appena arrivata.» le rispose Nadirah spogliandosi e raggiungendola nella vasca mugolando di piacere a contatto con l’acqua calda.
«Poco fa c’era qui Rasha…»
Nadirah annuì. «Sì, l’ho incontrata un attimo fa sulle scale, mi ha detto che ti avrei trovata qui. Come ti senti?»
«Grazie all’intruglio che mi prepara Amani che devo prendere mattina e sera, nausee e giramenti non ne ho, però quella roba è davvero disgustosa da bere.» le disse assumendo un’espressione schifata.
«Non ne dubito, ne so qualcosa anch’io. E spero di non essere più messa male al punto di dover prendere qualche altro dei suoi preparati. Chissà cosa ci metterà dentro!» esclamò facendo scoppiare l’amica a ridere.
«E invece tu come ti senti?» chiese Delen, sposando l’oggetto della conversazione a Nadirah.
«Riguardo a cosa?»
Delen si strinse nelle spalle. «In generale… Ieri notte ho sentito ritirarti in camera tardi, ho pensato che magari fossi stata impegnata altrove…» osservò maliziosa.
«Delen!» Esclamò scandalizzata e si apprestò a spegnere qualsiasi sospetto della ragazza, «No, no! Ma che ti viene in mente? Non è successo nulla di ciò che pensi tu… In realtà non è successo proprio niente, ci siamo solo salutati, tutto qui» ammise con un sospiro.
«Sicura?» insisté.
«Sì» soffiò dalle labbra.
«E ti dispiace?»
«Perché dovrebbe?»
Questa volta fu Delen a sospirare. «Perché, come l’ho nominato la prima volta che sono venuta a trovarti in infermeria, mi hai lanciato uno sguardo che temevo mi avresti sbranato.» disse ridacchiando.
«Dove vuoi arrivare?» chiese, capendo che con quella frase Delen aveva intuito molto più di quanto Nadirah sperasse.
«Be’, è evidente che ti importa di lui, intento molto più di quanto dovrebbe essere tra un maestro e un’allieva.» rispose sorridendo.
«E come fai a sapere quanto dovrebbe importarmi realmente?»
«Gli occhi non mentono mai.» le rispose facendole l’occhiolino.
Nadirah sbuffò roteando gli occhi al cielo e si immerse completamente nella vasca, trattenendo il respiro. Possibile che chiunque fosse in grado di capirla così bene?
Mannaggia. Mannaggia. Mannaggia!
Riemerse dopo qualche secondo, trovando Delen a osservarla divertita. «Ad ogni modo non hai risposto alla domanda.»
L’altra le rivolse uno sguardo interrogativo e la rossa puntualizzò: «ti dispiace o no?»
Nadirah la guardò indignata prima di schizzarla con l’acqua calda della sorgente e scoppiare a ridere per la faccia sorpresa dell’amica. «Chi può saperlo» aggiunse, «ti lascio con il dubbio.»
Ridacchiarono entrambe, ma prima che Delen potesse rispondere il suono grave di un corno riecheggiò per due volte tra le mura della fortezza.
Assassini di ritorno.
 
Jawad era in piedi, con lo sguardo che vagava oltre i finestroni del suo studio, concentrato sulle parole dei tre giovani assassini che stavano facendo rapporto, appena rientrati da Gerusalemme.
Altair, in disparte, ascoltava in silenzio, riflettendo su quelle informazioni.
A quanto pareva Corrado del Monferrato non era ancora riuscito ad attivare la Mela. Si vociferava tra le guardie di un incidente che l’aveva visto coinvolto poco dopo il rientro dall’assedio a Masyaf: il sovrano aveva provato a toccare il Frutto dell’Eden e la sua mano era rimasta ustionata, da allora aveva iniziato a maneggiarla indossando sempre degli spessi guanti in cuoio, terrorizzato che l’evento potesse ripetersi…
Da dove diavolo può arrivare un oggetto del genere… rifletteva Altair, mentre dentro di lui conservava ben vivido il ricordo del potere che il Frutto aveva esercitato su di lui.
«… si dice che già due dei migliori studiosi al seguito dell’esercito del Monferrato siano morti carbonizzati quando sono entrati in contatto con il manufatto. Un altro invece è finito sulla forca per essersi rifiutato di toccarla, memore della fine dei suoi due predecessori. Adesso dovrebbe esserci un francese a studiare la Mela, ma per il momento sembra non stia compiendo passi avanti.» concluse Jalil chinando la testa e arretrando di un passo.
«Molto bene, sono informazioni utili e ci danno un vantaggio sul nemico.» osservò il Maestro. «Bene, per ora potete andare.» li congedò prima di rivolgersi ad Altair. «Tu che ne pensi?»
L’Assassino volse l’attenzione al vecchio. «Sapete già come la penso Maestro. Se mi deste il consenso partirei  anche ora per andare a Gerusalemme, recuperare la Mela, piantare una lama nel cuore di Corrado e mettere fine a questa storia.» rispose con i pugni chiusi.
Jawad sospirò. «È vendetta quella che cerchi, ragazzo?»
«Ho sperimentato sulla mia pelle il potere di quell’oggetto! Più resta in mano ai Templari e prima arriverà la fine. Va distrutta!» ribatté.
«Credi di essere l’unico a essere stato controllato dalla Mela? Tutta Masyaf era soggiogata dal suo potere, quindi so bene anch’io come ci si sente. Ma non posso rischiare una missione suicida, ho già perso troppi uomini durante l’assedio. Dobbiamo attendere il momento propizio.» concluse.
«E quando credete che verrà? Quando sarà riuscito a capire come si usa il Frutto? Così in un batter d’occhio ci spazzerà via. Ed eccolo lì il vostro momento propizio.» Altair ora faticava a mantenere la calma.
Il Maestro si accarezzò la barba brizzolata socchiudendo gli occhi, valutando le parole del giovane. «Corrado sa di essere il nostro bersaglio principale al momento, per questo ha sicuramente intensificato la sorveglianza, oltre che in città come ci è stato riferito, anche intorno a sé. Abbiamo molti informatori in città, e Malik sa fare bene il suo lavoro. Dovessero esserci degli sviluppi stai certo che verremo a saperlo.»
«Certo. Come preferite.» sibilò tra i denti
Jawad ignorò il tono. «Ora, se non ti dispiace, dovrei dare disposizioni per la cerimonia.»
Altair sgranò gli occhi. «Cerimonia?» ripeté interdetto.
«Esatto.» confermò riacquistando il suo solito sorriso benevolo. «Domani due novizi verranno iniziati.» aggiunse prima di congedarlo.
 
Era da tutta la giornata che le Grazie andavano su e giù per la torre, a destra e a manca per le stanze, alcune di loro erano anche andate al villaggio alla ricerca di abiti adatti all’evento. Non capitava spesso ultimamente che dei novizi venissero passati di grado, o almeno così le aveva detto Rasha mentre si rilassava nella stanza circolare tra un bagno e un massaggio.
«Dopo la cerimonia ci sarà un grande banchetto, con musica e balli. Vedrai, ti divertirai un sacco! A dopo…» le disse prima di alzarsi e di corsa dirigersi verso la stanza dei massaggi.
L’aria della stanza era impregnata di una miriade di profumi diversi che le facevano venire il mal di testa, per questo Nadirah decise di uscire e andare a farsi una passeggiata in paese. Già dal sentiero che dalla fortezza portata al villaggio, la ragazza poteva vedere un gran numero di persone che, indaffarate, procedevano in entrambe le direzioni cariche di stoffe, addobbi e quant’altro. Rasha aveva detto il vero, l’iniziazione era un grande evento, e non solo per gli Assassini: tutti gli abitanti erano in fermento e già si sentivano per le viuzze del paese i musici intenti a strimpellare i loro strumenti e i bambini che saltavano e ballavano a ritmo di quel motivo improvvisato.
Quell’atmosfera di festa le metteva allegria e sovrappensiero si ritrovò a vagare per il villaggio fin quando un bimbo, tutto concentrato nella sua corsa, non si scontrò contro la sua gamba e si ritrovò con il sedere per terra. Nadirah si precipitò su di lui, prendendolo in braccio. Non doveva avere più di due o tre anni e aveva gli occhi sgranati e lucidi per lo spavento. «Ehi cucciolo, stai tranquillo. Non è successo niente.» gli sussurrò prima di dargli un tenero bacio sulla fronte. Lui si girò verso di lei e la osservò con i suoi occhioni blu allungando le manine per tirarle i capelli. «No, piano! Sta’ fermo.» ridacchiò lei allontanandolo leggermente prima di rimetterlo a terra. «Fai attenzione!» aggiunse mentre il bambino si allontanava ridendo.
Altair sorrise da sotto il cappuccio prima di avvicinarsi alle spalle della sua allieva. «Nadirah.» la chiamò e la vide sobbalzare dalla sorpresa prima di voltarsi nella sua direzione.
«Salute e pace, Altair.» lo salutò arrossendo leggermente. L’Assassino si domandò del motivo. «Mi cercavi?» chiese la ragazza.
«Sì.» confermò, «Il Maestro vuole che tu partecipi alla cerimonia.»
Nadirah lo guardò allibita. «Come scusa?»
«Credo tu abbia capito bene.» le rispose prima di incamminarsi verso la fortezza. La ragazza gli andò dietro, guardandolo di tanto in tanto di sottecchi.
«C’è qualcosa che vorresti dirmi?» domandò Altair quando raggiunsero il cortile di addestramento. Nadirah distolse lo sguardo da lui, imprecando mentalmente per essersi fatta beccare.
«In realtà mi chiedevo perché dovrei assistere anch’io a questa cerimonia.» disse dopo qualche istante di silenzio.
Altair ridacchiò. «Chi ha parlato di assistere?» chiese voltandosi a guardarla.
Nadirah sbiancò quando colse ciò che il suo maestro le stava dicendo. «Scherzi vero?» continuò bloccandosi in mezzo al piazzale. «No. Scordatelo. Io questa cosa non la faccio.» aggiunse con le mani tremanti.
L’Assassino si piazzò di fronte a lei e la prese per le spalle, avvicinando i loro visi a una spanna l’uno dall’altro. «Non eri tu quella che diceva di voler diventare un’Assassina? Dov’è finito tutto il tuo coraggio?» soffiò a un palmo dal suo naso e la sentì irrigidirsi.
«Io… ecco…» balbettò.
Altair sorrise e la liberò dalla sua stretta. «Sta’ tranquilla. Non è ancora giunto il tuo turno.» la rassicurò. «Ad ogni modo ti aspetto qui al tramonto. Ora va’ a darti una sistemata, e sii puntuale.»
Nadirah ubbidì e corse via con la testa affollata di pensieri.
 
Il freddo vento invernale frustava senza sosta le mura esterne della fortezza, eppure nella cripta cerimoniale il caldo era quasi asfissiante e l’aria densa di fumo che si alzava dai bracieri le dava la nausea. Nadirah era in piedi a fianco di Altair, entrambi in disparte, semi nascosti dalle possenti colonne che sorreggevano la volta. Nella navata centrale della cripta tutti gli Assassini della Setta erano immobili, rivolti verso il Maestro e i due novizi che sarebbero stati iniziati. Regnava un silenzio tombale. Il crepitare dei bracieri era l’unico suono che si sentiva.
Nadirah percepì Altair emettere un lungo sibilo e contrarre i muscoli e capì che era giunto il momento. L’atmosfera era carica di trepidazione e la voce del Maestro tuonava possente. Stava assistendo a una cerimonia sacra per gli Assassini e, ascoltando le parole del Maestro, comprese che non era stato Jawad a volere che lei partecipasse, ma Altair. Lui voleva che comprendesse cosa volesse dire essere un Assassino, che lo custodisse nel profondo del suo cuore…
«Quando gli altri seguono ciecamente la verità, ricorda: nulla è reale». La voce degli Assassini riecheggiò tra le mura della cripta.
«Quando gli altri si piegano alla morale o alla legge, ricorda: tutto è lecito». La voce di Altair era come una bassa litania che la cullava.
Aveva i sensi attutiti, i suoni attorno a sé le giungevano ovattati, ma dentro di sé percepiva vividamente quelle parole, come fossero un essere vivo che le indicava la via da seguire.
«Agiamo nell’ombra per servire la luce, siamo Assassini». Quelle ultime parole le rimbombarono nella mente mentre con lo sguardo fisso vedeva il Maestro calare la lama tra le dita dei due novizi.
Agiamo nell’ombra… per servire la luce… siamo Assassini.
Assassini…
Assassini… nulla è reale… tutto è lecito…
Aveva la mente ancora offuscata quando si rese conto di trovarsi a girovagare tra i numerosi tavoli imbanditi della sala dei banchetti reggendo un bicchiere mezzo pieno di un liquido scuro. Domandandosi cosa ci facesse in mano sua ne trasse un lungo sorso.
Vino.
Scorse intorno a sé qualche volto conosciuto e parecchi mai visti, molti intenti a gustarsi le pietanze che i servi porgevano dai vassoi, vide Widad e alcune delle Grazie appartate con degli Assassini. Non fece in tempo a domandarsi chi fossero che Rasha le si fiondò addosso e, sfilandole il bicchiere, la trascinò con sé a ballare.
«Andiamo! Sciogliti un po’…» le urlò per sovrastare la musica, ma prima che Nadirah potesse rispondere la ragazza fu afferrata per un braccio e trascinata in mezzo alla calca da qualche Assassino.
Sorrise tra sé e andò alla ricerca di un altro bicchiere per placare la sete. Si sentiva euforica e, dopo aver recuperato un calice colmo di vino, riprese a girovagare tra i tavoli alla ricerca di qualche viso amico. Trovò Jalil seduto a un tavolo insieme a altri novizi intento a raccontare chissà quale missione.
«Salute e pace, iniziato!» lo salutò arrivandogli alle spalle e cogliendolo di sorpresa.
«Mia signora, qual buon vento ti porta qui tra noi?» l’accolse di rimando il neo Assassino.
Nadirah ridacchiò. «Se devo essere sincera è per questo.» rispose sporgendosi ad afferrare una brocca con del vino e versandosi il contenuto nel bicchiere.
«Il vino non credo sia appropriato per una donna.»
La ragazza rise ancora. «Secondo me neanche per chi ha appena perso un dito.» constatò.
«Ma in qualche modo dovrò pur contrastare il dolore, non credi?» disse con un sorriso.
«Touché.» acconsentì lei cogliendo un altro sorso dal calice.
I novizi la guardarono senza capire, ma prima che potesse spiegarsi la voce di Altair risuonò alle sue spalle. «Per una volta credo di dover concordare con lui.» le disse sfilandole il bicchiere. Nadirah tentò di protestare e solo un istante dopo si rese conto della mano del suo maestro premerle sul fianco e trascinarla fuori dalla sala.
«Dove stiamo andando?» si lamentò, mettendo il broncio.
Altair sospirò roteando gli occhi al cielo. «Fuori di qui.» le rispose infine.
Trascorsero qualche tempo in silenzio, in lontananza rimbombava la musica della festa e nei corridoi deserti l’unico suono percepibile era il ritmo cadenzato dei loro passi. Con uno sbuffo Nadirah si decise a interrompere quel mutismo. «Sai, credevo che per voi il vino fosse vietato.» osservò.
L’Assassino si voltò a guardarla da sotto il cappuccio. «E io pensavo che le nobildonne non lo tollerassero.» ribatté.
«Vero, ma io non sono una nobildonna.» obiettò dandogli una spintarella con il gomito. «Te l’ho già detto.» aggiunse ridendo.
«Come vuoi.» concesse. «Ma ad ogni modo non mi pare che tu sia in grado di reggerlo molto bene.»
La ragazza risolse con un’alzata di spalle. «Comunque sono contenta che tu sia tornato, però non saresti dovuto partire senza dirmi nulla.» disse, rendersi conto solo dopo un istante di ciò che le era sfuggito dalla bocca e di quanto patetica potesse sembrare.
Dannato vino.
«E perché mai?» domandò Altair fermandosi.
Nadirah proseguì oltre fingendo di ignorarlo. E adesso?
«Ti ho fatto una domanda.» insisté.
La ragazza sbuffò di nuovo, arrestandosi a sua volta e volgendo lo sguardo oltre le bifore da cui entrava la pallida luce della luna. «Fa freddo qui…» sussurrò stringendosi nella veste di cotone che indossava. Forse Altair aveva ragione, aveva esagerato con il bere; le girava la testa, eppure si sentiva così bene. Poteva essere merito solo del vino? Tutto quel fumo nelle cripte…
Con la coda dell’occhio vide l’uomo fare un passo verso di lei e scioglierle le braccia dalla posa rigida in cui le aveva serrate per scaldarsi. Un brivido le scosse le membra e sentì la presa di Altair farsi più stretta intorno ai suoi polsi. Poteva percepire il suo corpo caldo a un passo da lei. Sentiva il suo sguardo penetrante su di sé e il suo fiato solleticarle le labbra.
«Cosa vuoi, Nadirah?» chiese suadente a un soffio da lei. «Cosa vuoi realmente?»
Lo sapeva fin troppo bene, eppure in quel momento, con l’aria fredda che le risvegliava i sensi, la sua mente non riusciva a lasciarsi andare.
Nel silenzio assordante in cui erano avvolti l’eco di un urlo riecheggiò nella fortezza, assordante. Un urlo di donna.
 






 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 1- l’ora nona corrisponde alle 15.00

Note autrice:
Ehm... sì ecco, salve a tutti. Rieccomi di nuovo qui dopo quanto? Un anno e mezzo? Qualcosina di più forse.
Chissà chi di voi che seguiva questa storia sarà tornato per questo nuovo capitolo. Se la risposta è nessuno, beh un po' me lo sono meritata, perchè è passato davvero troppo tempo. Sono sincera, in questi mesi non ho buttato giù neanche mezza riga. Zero voglia, zero ispirazione, con il lavoro che mi porta via un sacco di tempo il mio ultimo pensiero era quello di mettermi a scrivere. Però settimana scorsa riordinando i file sul pc ho ritrovato questa storia e, dopo essermela riletta, mi sono convinta a continuarla.. così questo capitolo è il risultato.
Spero che ci sia ancora qualche anima pia che dedicherà qualche minuto a leggerla.
Non so quanto passerà per il prossimo aggiornamento, dico solo che ho intenzione di concludere questa storia. 
Spero di non impiegarci diec'anni.

Salute e pace,
O n i c e

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Capitolo 17
*** Il sicario ***


XVII
Il Sicario
 
 
 
 
 
 
 
Vedeva Altair che le stava parlando, ma non lo sentiva. Non riusciva a capire cosa le stesse dicendo, le fischiavano le orecchie e tutto intorno a lei sembrava girare...
Tradire il proprio sangue è peccato.
Così recitava lo stralcio di pergamena che in quel momento stringeva convulsamente tra le dita.
 
«È scritta nella tua lingua. Traduci.» le aveva ringhiato il Maestro, mettendole tra le mani quel pezzo di carta macchiato di sangue, trattenendo a stento l’ira che gli deformava i lineamenti.
Per un attimo Nadirah non aveva reagito, impietrita dal capo mozzato adagiato con cura appena oltre l’enorme portone d’ingresso. Le orbite dell’uomo erano vuote, due pozzi di dolore affacciati sull’inferno, e la ragazza per un attimo aveva sentito il terrore serrarle lo stomaco. Aveva la croce templare marchiata a fuoco sulla fronte, come ultimo oltraggio prima di essere strappato al mondo dei vivi.
Non era riuscita a staccare gli occhi da quel volto sconvolto da chissà quali torture e, nella sua mente, quei tratti mutavano e rivedeva il proprio viso, in un’alternanza che le aveva messo i brividi.
Solo quando Altair le aveva sfiorato le mani tremanti, si era riscossa e aveva tradotto ad alta voce il contenuto del messaggio. La voce le era uscita atona, lo sguardo fisso nel vuoto. Tutto ciò che le stava intorno era apparso sfocato, come le voci della piccola folla di assassini che si era radunata lì intorno.
Parlava di lei, ne era sicura.
Quel messaggio era stato vergato da Corrado in persona, probabilmente. Per gli assassini e per lei
La voce di Jawad era arrivata confusa alle sue orecchie, sovrastata da un sibilo continuo. Troppo sconvolta non aveva neppure cercato di afferrare le disposizioni del Maestro e quasi non si era resa conto di essere stata condotta all'esterno, nel cortile di allenamento.
 
È tua la colpa…
Nella sua testa c’era spazio solo per la testa decapitata di quell’uomo.
E poi, all’improvviso, quel volto mutò di nuovo. Ma i tratti che vi scorgeva non appartenevano più a lei…
Altair
Fu come un pugno allo stomaco…
“Colpevole” le diceva. E lei avrebbe voluto urlare.
Si strinse la testa fra le mani.
«Nadirah?» la voce dell'assassino le giunse ovattata e mal celava una nota di preoccupazione. Lei si sforzò di alzare lo sguardo su di lui. «Nadirah, dannazione, riprenditi!» insisté scuotendola dalle spalle.
«Chi... Chi era?» fu l'unica cosa che riuscì a domandare, mentre sentiva il gelo di gennaio insinuarsi nelle ossa e risvegliarla lentamente da quel limbo in cui era scivolata.
«Una delle nostre spie di Gerusalemme.» le rispose guardandosi intorno. «Ora però ho bisogno che torni in te.» Aggiunse lanciandole una rapida occhiata.
Una moltitudine di uomini sfrecciava frenetica tutt'intorno a loro e anche con l'oscurità della notte Nadirah riusciva a scorgere le iridi scure dell'assassino saettare su chiunque, illuminate dal sinistro alone rossastro delle poche torce che vi si riflettevano.
«Maestro Altair, noi cosa possiamo fare?» dal nulla si erano avvicinati un paio di novizi. Erano giovani, constatò la ragazza, tredici, forse quattordici anni, eppure erano determinati mentre stringevano in pugno delle spade che a malapena riuscivano a sollevare.
Altair li squadrò con una rapida occhiata, innervosito dalla distrazione. «Tu.» indicò il più robusto dei due, «da' una mano ai tuoi fratelli. Non deve uscire nessuno dalla fortezza!».
Nadirah sgranò gli occhi a quelle parole: le aveva già sentite, le stesse, in un altra lingua, in un altro luogo, in un altro tempo...
Le ricordarono quel fiero e imponente comandante che le ripeteva sempre quanto lei fosse speciale.
Sii forte bambina mia...
Padre…
Sei sangue del mio sangue, qualsiasi cosa tu faccia.
Quel padre che, in quel momento, le mancava così tanto.
«... portala alla torre...» stava continuando l'assassino, rivolto all'altro.
L'avrebbe stretta in un abbraccio giurando di proteggerla. Sì, l'avrebbe fatto, ma suo padre era morto -da molto tempo ormai- e lei non era più la bambina che, spaventata dagli incubi, si rifugiava tra le sue possenti braccia nelle notti in cui fuori infuriava il temporale.
Qualcosa stonò nella frenesia che li circondava e un rapido luccichio catturò il suo sguardo. Intercettò una figura muoversi a testa bassa oltre il portone, intenta a calare un pugnale nelle carni di un giovane novizio che gli ostacolava la via. L’uomo si voltò e per un istante la luce di una torcia illuminò il suo volto, Nadirah lo riconobbe: Ludovico di Acqui, il miglior sicario di Corrado. Questi ricambiò il suo sguardo e ghignò prima di riprendere la fuga.
Nadirah riprese completamente lucidità e, mossa dall’istinto, sfilò rapida la spada corta di Altair e si lanciò al suo inseguimento un attimo prima che l’assassino potesse trattenerla.
«Fermatelo!» sentì gridare qualcuno alle sue spalle dopo qualche attimo, ma il sicario era dannatamente veloce, Nadirah cercò comunque di stargli dietro, nonostante fosse ostacolata dalla veste che aveva addosso dalla cerimonia, e imprecò tra sé quando sentì alle sue spalle dei passi avvicinarsi. Altair, ne era certa.
Raggiunsero la piazzetta del villaggio in pochi secondi, ma un uomo a cavallo aspettava il sicario che, con impressionante velocità, montò sul secondo palafreno ed entrambi si lanciarono al galoppo verso le porte del villaggio. Altair gli stette dietro per qualche passo, per poi tentare di colpirli con i pochi pugnali da lancio che in quel momento aveva con sé. Non ci riuscì, erano fuori portata.
Nadirah allora, in un moto di frustrazione, sottrasse l’arco e una freccia a un giovane assassino che le si era appena affiancato e tentò il tutto per tutto. Non erano ancora fuori gittata… poteva farcela.
Incoccò la freccia.
“Diventerai un buon arciere, Virginia, ne sono certo.”
Tese l’arco.
“No padre…”
Prese la mira.
“Diventerò la migliore.”
Scoccò.
Seguì la traiettoria. Andò quasi a segno.
La freccia colpì Ludovico di Acqui di striscio, sul volto, per poi conficcarsi nel collo del cavallo del suo complice, che gli cavalcava a fianco. L’animale cadde in un nitrito di dolore, trascinando a terra l’uomo che lo montava. Urla di approvazione si sollevarono alle sue spalle, ma lei aveva mancato il vero bersaglio, che proprio in quel momento superava le porte del villaggio e si allontanava nella notte.
«Le sentinelle di guardia dove accidenti sono! Perché non l’hanno fermato?» gridò qualcuno.
«Svelti, catturate l’infedele!» urlò qualcun altro, e subito diversi assassini si precipitarono verso il complice del Templare.
«L’ho mancato.» disse Nadirah in un sussurro quando Altair le si affiancò. «Mi dispiace.» aggiunse consegnandogli la spada corta che gli aveva sottratto.
L’assassino la osservò per qualche istante in silenzio. «Dannazione, Nadirah…» iniziò, costringendola a guardarlo. 
La ragazza socchiuse gli occhi e sospirò.
La voce di un veterano li raggiunse: «Gli uomini di guardia sono stati uccisi!».
Altair imprecò e la scansò malamente di lato. «Portate qui il templare.» ordinò.
«Altair…» lo chiamò la ragazza afferrandolo per un braccio.
«Resta dove sei.»
 Rayhan trascinò il templare ai suoi piedi. Aveva già un sopracciglio spaccato e sanguinante e una gamba piegata in modo innaturale, rotta probabilmente nella caduta.
Due assassini trattenevano l’uomo per le braccia e Altair lo afferrò per il bavero; gli si parò a una spanna dal viso. «Allora templare, cos’hai da dirci?»
L’uomo lo fissò tremante. «Je… je ne vous comprends pas… Est-ce que vous voulez?… »
«Come? Credo di non aver capito…» disse prima di sferrargli un pugno dritto in faccia. «Vediamo se sarai più chiaro.»
L’uomo urlò dal dolore, mentre il naso grondava sangue, e Altair continuò a infierire su di lui.
Nadirah indietreggiò, ma qualcuno l’afferrò per le spalle e la trattenne, facendola sussultare. «Calma, Altair. Non vorrai mica ammazzarlo, il Maestro sai che non approverebbe.» disse l’uomo, sarcastico, mollando la presa su di lei.
Alec.
Nadirah strinse i pugni allontanandosi da lui.
«Cedo a te l’onore, allora. Magari sarai più persuasivo.» rispose con un sorrisetto allargando le braccia e lasciandogli il posto.
«Con piacere.» accettò il biondo facendosi avanti e riprendendo da dove Altair si era interrotto.
«Credete che riuscirete a sapere qualcosa da lui?» domandò Nadirah quando l’assassino le fu di nuovo a fianco.
Lui la guardò serio: era ancora adirato con lei. «Non lo so,» ammise, «ma quanto è successo stasera ha scosso gli uomini, e non sarà un bene per lui.» aggiunse indicando con un cenno il templare che gemeva sotto i colpi di Alec.
«Forse potrei…» azzardò, e si sentì il suo sguardo addosso. Non si voltò.
«No. Hai già fatto abbastanza per stasera.» ribatté, duro.
Provò a replicare, ma sentì il templare rivolgersi direttamente a lei.
«Aidez-moi,» la supplicò. «S’il vuos plaît, Madame, aidez-moi…»
La ragazza tentò di fare un passo avanti, ma Altair la bloccò. «Sta’ ferma.»
Lo ignorò. «Parle, ou tu mourras.»
Gli assassini presenti la osservarono.
L’uomo sgranò gli occhi, poco prima che Alec lo colpì nuovamente, per poi voltarsi verso di lei. «Ma che…» esclamò stupito, «tu capisci quello che dice questo stronzo?»
Nadirah annuì. Alec ghignò
«Non se ne parla». Altair anticipò i pensieri di entrambi.
In quel momento dalla fortezza giunse un novizio. «Il Maestro ordina di rientrare al castello e di portare nelle segrete il prigioniero. Vi attenderà lì.»
Alec si alzò soddisfatto e li superò, dirigendosi verso la fortezza. «È un vero peccato che tu non la voglia con noi, Altair, stava iniziando a piacermi.» disse lanciando uno sguardo enigmatico alla ragazza.
Fulmineo, Altair lo trattenne puntandogli contro la lama celata. «Attento a te» sibilò, prima di abbassare il braccio e lasciarlo passare, per poi rivolgersi a Nadirah. «Tu vieni con me.»
 
Sbatté la porta e si apprestò a chiuderla a chiave.
Uno…
Due…
«Maledizione, Altair!»
Eccola.
«Apri questa dannata porta!» le grida di Nadirah arrivavano leggermente attutite dal legno che li divideva. «Giuro che ti uccido! Fammi uscire!»
L’assassino sospirò, allontanandosi nel corridoio, diretto alle segrete.
Non avrebbe voluto farlo, ma Nadirah non gli aveva lasciato altra scelta: testarda com’era aveva insistito per fare la sua parte e rendersi utile, così Altair si era visto costretto a chiuderla dentro la propria stanza, trascinandosela a spalla, mentre lei continuava a riempirlo di insulti e pugni.
Non aveva intenzione di lasciarla girovagare per la fortezza con metà degli assassini assuefatti dal troppo vino e l’altra metà assetata di vendetta per gli uomini uccisi dal sicario di Corrado.
Strinse i pugni, pervaso dalla rabbia. Come diavolo aveva fatto quel maledetto templare a infiltrarsi nella fortezza?
Sicuramente i preparativi per l’iniziazione avevano attirato l’attenzione quantomeno dei villaggi vicini, visto l’andirivieni di mercanti e commercianti degli ultimi giorni, ed era anche possibile che il Maestro l’avesse comunicato anche alle varie dimore.
Ad ogni modo era certo che la spia di Gerusalemme, sotto tortura, avesse parlato.
Era quasi giunto alle prigioni quando vide il Maestro venirgli incontro.
Altair lo salutò, chinando il capo.
L’uomo rispose con un cenno, fermandoglisi di fronte. «Ho mandato degli uomini all’inseguimento del sicario, voglio che vada anche tu. Ho già dato ordine di sellare il tuo cavallo.»
Si stupì, ma non disse nulla. Jawad era ancora visibilmente furioso per tutto ciò che era accaduto, e non era il caso di obiettare.
«Certo Maestro.» accettò congedandosi.
Raggiunse le scuderie di corsa e, nel tragitto, notò dei novizi riportare alla fortezza i corpi martoriati delle due sentinelle uccise.
Ludovico di Acqui l’avrebbe pagata.
Con agilità montò in groppa al suo stallone, spronandolo al galoppo, diretto verso il cuore del regno. La lieve luce della luna illuminava il sentiero tra le montagne e gli permetteva di vedere le tracce lasciate dagli inseguitori del sicario. Cavalcò per un bel pezzo prima che riuscisse ad avvistare due degli assassini mandati dal Maestro, nei pressi di alcune rovine romane. Si avvicinò rallentando l’animale.
«Cos’è successo qui?» domandò, guardandosi intorno.
I due iniziati si guardarono, poi uno prese la parola: «un cavallo si è azzoppato, ci siamo dovuti fermare. Solo Jalil ha proseguito.»
«Da solo?!» tuonò Altair.
L’altro annuì, arretrando, ma l’assassino era già ripartito.
Dopo poche miglia in piano il sentiero iniziava a inerpicarsi tra le montagne e la luna, dapprima alta nel cielo, iniziò la sua discesa verso l’orizzonte svanendo dietro i costoni di roccia. Altair fu costretto a rallentare l’andatura, procedendo al passo per un lungo tratto, fino a che colse dei rumori in lontananza.
Decise allora di smontare da cavallo e, conducendolo per le redini, proseguì tenendosi il più vicino possibile alla roccia, fino a che, dall’oscurità, notò quello che doveva essere il cavallo di Jalil. Il giovane doveva essere lì vicino e, infatti, non ci mise molto a individuarlo poco distante acquattato tra i cespugli. Si avvicinò di soppiatto e senza il minimo rumore estrasse la spada, puntandogliela alla nuca. Jalil si irrigidì.
«Se fossi un crociato saresti già morto.» gli sibilò chinandosi al suo fianco.
Il ragazzo si voltò nella sua direzione, spaesato. «Altair, mi hai fatto prendere un colpo.» confessò rilassandosi.
«Ritieniti fortunato.» disse, per poi volgere lo sguardo al piccolo accampamento nella valle sotto di loro.
«È un avamposto di Corrado, ne sono certo, si riconoscono dalle casacche. E credo che il sicario li abbia raggiunti qui.»
«Credi?» chiese Altair.
Jalil annuì. «Già, gli sono stato dietro seguendo le tracce lasciate dal suo cavallo, e mi hanno condotto fino a qui.»
«Non ti ha visto nessuno?»
«Non ho visto guardie qui intorno.»
«Non vederle non vuol dire che non ci siano.» fece presente Altair guardandosi attorno. «Hai notato qualcosa di strano da quando sei qui?»
Il ragazzo scosse la testa. «Nulla. Gli unici movimenti che ci sono stati erano per il cambio della guardia, poco prima che arrivassi tu.» spiegò.
Altair tacque, riflettendo sul da farsi. Poteva tentare di introdursi nel campo, ma si sarebbe potuto rivelare uno spreco di tempo e di energie: da quella posizione non aveva molta visuale e non riusciva, nonostante i suoi finissimi sensi, a vedere il sicario. Poteva già essersi dileguato.
Dopo qualche minuto di silenzio l’assassino si tirò in piedi. «Torniamo alla fortezza» ordinò.
Arrivarono al castello proprio mentre a est iniziavano a vedersi i primi bagliori del mattino e Altair, nonostante sperasse di potersi ritirare per riposare, dovette prima fare rapporto al Maestro, il quale gli comunicò anche che il prigioniero non era sopravvissuto alla notte, morto in preda di atroci dolori.
Veleno.
«Ora va’» lo congedò infine, e Altair poté finalmente trarre un sospiro di sollievo, rincuorato dal fatto che, nonostante tutto, Jawad fosse meno adirato rispetto a come l’aveva lasciato.
Solo quando si ritrovò di fronte alla sua stanza, si ricordò di un altro problema: Nadirah. Era sicuro che non avrebbe retto un confronto con lei in quel momento, per questo decise prima di bussare leggermente. Nessun rumore dall’altra parte: buon segno.
Aprì il chiavistello cercando di fare meno rumore possibile ed entrò, richiudendosi la porta alle spalle. La stanza era appena rischiarata dalle prime luce dell’alba, e l’assassino notò la ragazza profondamente addormentata sulla sua branda; gli dava le spalle e Altair la osservò a lungo, mentre con cura si spogliava delle armi e della tunica. Non poté resistere dall’avvicinarsi. Percepiva il suo respiro regolare e il dolce profumo che emanava la sua pelle: era tentato, dannatamente tentato, ma si limitò ad osservarla, adagiato sui cuscini dall’altra parte della stanza, fino a che il sonno s’impossessò di lui.
 
«Il messaggio è stato recapitato, Signore.» esordì l’uomo non appena si ritrovò al cospetto del suo re.
Corrado sorrise, maligno. «Ce ne hai messo di tempo»
«Vi chiedo perdono, ma sono stato rallentato.»
«E l’uomo che avevi portato con te? Hai fatto come d’accordo?» indagò avvicinandosi alla vetrata che dava sul porto di Tiro.
«Sì signore. Ormai sarà morto da giorni.» confermò.
«Molto bene.» fece una pausa. «Che hai fatto al volto?» domandò indicandolo.
Ludovico si portò la mano alla guancia, sfregiata dallo zigomo all’angolo della bocca. «Niente di grave.» rispose.
Corrado lo congedò.
Niente di grave. Certo.
Ma gliel’avrebbe fatta pagare, eccome, alla cara nipote del suo re.














 

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