Il Capitano Elena

di stillfreeit
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


CE 1

Note dell'autore:

1. Anche questa storia non è particolarmente attuale, è passato qualche anno da quando è stata scritta. Non sono l'unica autrice della storia, approfitto per ringraziare Lupa e Ldb, anche se probabilmente non leggeranno mai :D

2. Ancora sta storia del maschilismo, ma che sei fissata?? Eh, mi spiace, ma il contesto non poteva essere che questo! Chiedo scusa ai maschietti.

27 Marzo 1458

Lei era il Capitano della polizia locale.
Sì. Una donna.

Arrivata dov'era perché il vezzo femminile delle unghie lunghe non era solo un segno di femminilità, ma talvolta anche utili per farsi strada nella società, piantandole negli ostacoli per non cadere.
Li sentiva, alle spalle, i mugugnii degli uomini convinti che non fosse all'altezza, e delle donne, convinte che fosse un ruolo poco adatto ad una ragazza e per una moglie. Era compito dell'uomo portare la pagnotta, chi ci pensava poi alla casa, alla servitù, ai figli?
Conosceva a memoria questa litania, perché l'aveva sentita da più di una bocca. La prima era quella di sua madre.
Tuttavia, seppur qualche volta si era lasciata infastidire da quegli interminabili ronzii, col tempo aveva imparato a lasciarli dov'erano: alle spalle.

Era lì e finché portava a termine il suo lavoro nel modo corretto, lì sarebbe rimasta.
Non c'era una legge effettiva che glielo impedisse, e dell'opinione pubblica non sapeva che farsene.
Essere donna ed essere Capitano erano due realtà che facevano parte di Elena. Due realtà ben distinte, che convivevano, e non si escludevano a vicenda. Capitano e moglie.

A volte un po' più l'uno che l'altra, doveva ammetterlo... ma Francesco era un uomo paziente. Conosceva le sue responsabilità e rispettava i suoi desideri di carriera.
Aveva dovuto fare tanta gavetta per arrivare dov'era, partendo da giovane recluta a soli dodici anni, con estenuanti turni di guardia notturni, completamente gratuiti. Si conoscevano dai tempi dei giochi e delle battaglie con le spade di legno. Lo aveva sempre battuto, già da allora. Infatti, lui aveva scelto la carriera politica, molto più adatta. In sostanza, Francesco aveva sempre saputo ciò a cui sarebbe andato incontro scegliendola come moglie.

"Ah, Capitano... se ci fossero più donne come voi..." commentò allegro il Maresciallo, mentre prendeva la pergamena con sopra annotati i turni di difesa per i successivi due mesi che Elena stava organizzando da cinque interi giorni, comprese quattro notti insonni alla tenue luce della candela che avevano minato crudelmente al suo senso della vista.

Ci sarebbero, se non le soffocaste sotto il pugno... pensò Elena, ma si morse la lingua.
Sorrise fingendo di accettare il commento come un complimento. D'altra parte, conosceva il Maresciallo e non era un uomo cattivo. Per cui, sebbene di discutibile gusto, era da considerarsi pur sempre un commento in buona fede.

La mentalità di un'epoca è difficile da cambiare. Elena non aspirava a farlo, ma non sopportava di dover trascorrere le giornate a bere il tisane o a filare la lana solo perché le mancava una parte anatomica.

"Badate solo che vengano rispettati. Voglio essere avvisata di qualsiasi problema o trasgressione". Sapeva che non tutti i soldati apprezzavano di essere bacchettati da una donna, quando una volta tornati a casa erano loro a comandare, ma anche costoro non osavano mancare di rispetto al distintivo, alla divisa, e all'Istituzione.

Il Maresciallo scattò sull'attenti con il consueto saluto militare, sempre ligio all'etichetta. Elena rispose con un cenno, permettendogli di girare i tacchi ed uscire. Soprattutto di lasciarla sola.

Appena la porta del suo ufficio si richiuse, Elena si lasciò cadere sulla sedia in modo molto meno scomposto di quanto si addicesse ad un militare, o ad una donna.

Ma nessuno avrebbe giudicato. Era sola. Finalmente sola.

Decise di essersi meritata il diritto di godersi almeno mezzora di pace dopo l'ultima fatica portata a termine.

Sospirò, gettando via la stanchezza dai polmoni, mentre rigirava senza accorgersene la fede attorno all'anulare.
In effetti, stava pensando proprio a Francesco e al poco tempo che aveva passato a casa in quel periodo. Quella sera sarebbe stata praticamente la prima che avrebbe potuto trascorrere nel suo letto, dopo le quattro vissute allo scrittoio, eterne come mai era capitato nella sua vita. Sentiva proprio il bisogno di tornare ad un po' di coniugale normalità, ed era sicura di non sbagliare pensando che fosse lo stesso desiderio di Francesco.

Ancora un po' di pazienza e sarebbe tornata a casa...
A volte anche il vestito Capitano gli stava troppo stretto. Elena non era un muro di mattoni e faticava a mantenersi tale, per quanto fosse necessario per la sopravvivere in mezzo ad un mucchio di uomini. Solo fuori dalla Caserma poteva abbatterlo, e ormai aveva superato il numero di ore che la sua anima potesse sopportare.

Si tolse la fede e lesse l'incisione: canaglia. Poco romantico agli occhi dei profani, ma con un grande significato per loro. Era il soprannome con cui Francesco usava apostrofarla quando erano piccoli.

E aveva ragione... canaglia era e canaglia sarebbe rimasta.

"Capitano...".

Elena alzò in fretta lo sguardo scuro, cadendo dalle nuvole dei suoi mille pensieri. Ecco riedificarsi dal nulla il muro di mattoni, più imponente che mai.

Era il Maresciallo. Molto meno ilare di poco prima... pallido e sudato, come chi è scampato per un soffio ad una disgrazia.

Elena si alzò di scatto dalla sedia.

"Si usa bussare dalle mie parti, Maresciallo. E il vostro grado non vi esenta dall'educazione" rimproverò, con la durezza più adatta al suo ufficio.

Il Maresciallo abbassò lo sguardo mortificato, tuttavia era impossibile notare che ci fosse qualcosa che non andava nel suo atteggiamento.

"Mi rincresce, Capitano... ma..." balbettava trafelato, doveva essere giunto di corsa. "...c'è... c'è una cosa che dovete ass... assolutamente vedere...".
Solo allora Elena lasciò da parte la recita di donna di ghiaccio per guardarlo accigliata e perplessa.

Il Maresciallo le fece segno di seguirlo. Andò con lui.

L'aria mattutina era ancora fresca, ma il sole lentamente si alzava in cielo, pronta a riscaldarla. La vita in città era ancora abbastanza tranquilla, e solo poche botteghe avevano già aperto. Il panettiere, lui già sbadigliava di stanchezza.

Elena seguì in silenzio il Maresciallo, chiedendosi cosa fosse accaduto di tanto grave da scuotere un omone del genere, solitamente logorroico fino alle ossa, per lasciarlo senza parole.

Non camminarono molto, non giunsero neanche fino alla piazza.

Elena capì dove la stava conducendo ancor prima di arrivare, quando scorse da lontano una folla ammucchiata in uno stretto vicolo, e qualche guardia che tentava di mantenerla lontana. Alcuni parevano nelle stesse condizioni emotive del Maresciallo, pallidi come lenzuola.

La videro e si illuminarono.

"Lasciate passare il Capitano!" esclamarono alla folla spingendola indietro con la forza per fare in modo di aprirle un varco. La folla agitata e crepitante come un nugolo di vespe dovette obbedire, e tacque all'improvviso all'unisono quasi fosse un unico individuo, quando Elena diede uno sguardo a ciò che finora le era stato impossibile vedere.

Era stata la guerra vissuta tempo prima a temprarla di fronte alla morte, anche a quella cruenta, lenta e sofferente. Tuttavia, lo spettacolo fu senz'altro impressionante anche ai suoi occhi addestrati, fino a chiedersi come avesse fatto tutta quella gente a guardare senza svenire.

Il corpo di un uomo. Dire che fosse stato barbaramente assassinato era voler alleggerire la realtà.

Completamente nudo. Una coltellata in pieno ventre era stata di certo il colpo fatale, ma non fulminante. Ciò significava che la vittima aveva vissuto una morte lenta, lunga e chissà con quali sofferenze.
Non finiva lì... Il viso era sfregiato da un lungo taglio che partiva dal sopracciglio sinistro fino all'angolo destro del mento, ed era stato brutalmente e malamente castrato.

Negli occhi spettrali si leggevano paura e dolore, impressi nel vetro della morte.

Quando la nausea fece capolino, Elena decise che poteva bastare, e distolse lo sguardo.

Si voltò verso il Maresciallo, che evitava accuratamente di spendere ulteriori sguardi verso quel disastro.

"Chi era?" gli chiese. Si accorse di avere un filo di voce, e provvide immediatamente a schiarirsela.

"Non lo sappiamo, Capitano" rispose, da bianco si era colorato di un'inusuale ma comprensibile sfumatura di verde.

Elena era consapevole di quanto fosse necessaria la fermezza del Capitano davanti agli occhi dei suoi uomini. Doveva essere pronta, faceva parte del mestiere.
Avevano bisogno di ordini.
"Bene. Rimuovetelo da qui, e fatelo portare all'obitorio, in modo che qualcuno possa riconoscerlo. Informatevi quanto possibile e fatemi avere un foglio di appunti dettagliato. Dobbiamo capire chi è stato capace di compiere questo scempio" non che un promemoria fosse tanto necessario, avrebbe tenuto quell'immagine impressa nella sua mente e nei suoi incubi peggiori probabilmente per sempre. "E poi andate a vomitare dove potrete conservare la vostra dignità" disse infine, vedendolo più verde che mai.

"Grazie, Capitano"
.

"Ho l'immenso onore di avere mia moglie nel mio letto questa sera?".
Elena alzò lo sguardo dalla pergamena che stava leggendo verso suo marito, fermo sulla soglia della camera da letto.

Rivolse un debole sorriso all'uomo che era riuscito a cambiare così poco da quando erano ragazzini ad oggi.
Non aveva la forza di dire niente. Ritornò a guardare la pergamena, ripetendo mentalmente le parole che vi erano scritte che ormai conosceva a memoria. Le stava rileggendo da un'ora buona, seduta sul letto della loro stanza, alla ricerca di un nesso, di una logica, di un indizio.

"E no... abbiamo detto che non ti saresti mai portata il lavoro in camera..." protestò Francesco, la raggiunse e le tolse di forza la pergamena dalla mano. La sbatté sullo scrittoio sotto la finestra, senza neanche guardarla.

Ad essere sincera, quel gesto fu piuttosto liberatorio anche per Elena stessa. Gliene era grata.
"Hai ragione, scusami..." mormorò lasciandosi cadere sul materasso senza neanche tentare di opporsi.

Era stanca. E ciò che aveva visto quella mattina era stato un colpo di grazia che ancora non era riuscita a superare.

In guerra quella violenza la devi mettere in conto... ma per strada, tutta quella furia apparentemente non giustificata... Neanche un animale era capace di tanto.

E poi l'ultima cosa che voleva era far pesare maggiormente la sua vita su Francesco. Sapeva che essere il marito di un Capitano donna non era per nulla facile. Fuori era costretto a sopportare... ma almeno in casa, era giusto che Elena recuperasse il ruolo che in quel periodo aveva accantonato.

"Che cos'hai? Ti vedo turbata..." disse Francesco preoccupato, sdraiandosi accanto a lei. Doveva essere una sorpresa per lui vedere una canaglia così poco combattiva.

Elena gli sorrise mentre si avvicinava. A dire il vero, ora che il muro di mattoni non le era più necessario, sentiva il bisogno di parlarne con qualcuno, e lui era di certo la sua prima scelta.
Gli raccontò che cosa era successo, che cosa aveva visto, mentre lui ascoltava in silenzio mentre le accarezzava distrattamente i capelli castani.

"È terribile! Chi può aver fatto una cosa del genere?" era abbastanza turbato anche lui, ma mai poteva esserlo come chi aveva visto tutto dal vivo.

"Quando trovi una risposta, ricordati di avvertirmi" gli disse con un sorriso. Poi sospirò stancamente e tornò seria "Nel frattempo aumenterò le ronde notturne per la città. Non è più sicuro girare di notte, a quanto pare...".

"Immagino starai chiusa in quell'ufficio per almeno un mese..." fu il commento di Francesco, amaro quanto bastava per essere distinguibile. Elena ebbe la conferma di tutti i pensieri che aveva fatto durante quelle notti trascorse lontano da lui.

"Non ci penso neanche" rispose, recuperando dalla sua riserva personale la caratteristica caparbietà. "Lo so, non sono stata la moglie che avrei voluto in questo periodo e mi dispiace tantissimo... ma non intendo sacrificarmi oltre ed abusare ancora della tua pazienza. Essere tua moglie è molto più importante che essere il Capitano, lo terrò e lo farò presente" lo guardò fisso negli occhi mentre parlava.
Era proprio quello sguardo tipico di Francesco a non essere cambiato nell'arco di anni. Sempre lo stesso di chi è stato colto con le mani nel barattolo della marmellata. Appariva anche più pallido del solito, doveva essere stanco anche lui. Sapeva di essere più o meno dello stesso colore.

"Non... non devi rimproverarti... io... capisco quanto sia importante il dovere per te, e lo condivido, lo sai..." mormorò, ma Elena non lo lasciò finire.

"Lo so, ma non voglio che tu sia costretto a sopportare oltre... Mi farò perdonare" lo abbracciò affondando la testa sulla sua spalla. Non poté così notare gli occhi rossi del marito.

Francesco la strinse e le baciò la testa.

"Ti amo tanto, Elena..."

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Capitolo 2
*** 2 ***


CE 2

28 Marzo 1458

"Era uno scultore, un affezionato di taverne ed alcol. Di natura molto violenta a quanto mi dicono. Precedenti per risse aggravate e altri reati di questo genere" fu il resoconto orale del Maresciallo, quasi del tutto identico alla pergamena che le aveva consegnato come rapporto.
"Non una gran perdita, dunque..." fu il bassissimo commento di Elena mentre scorreva velocemente l'elenco del riconoscimento. C'erano anche accennate violenze su donne, furti di materie prime e vandalismo. Insomma, un bel soggetto. "Aveva famiglia, che si sappia?" Elena sperava vivamente di no.

"Oh no, viveva nella sua bottega, in pessime condizioni... a riconoscerlo sono stati dei vicini" rispose il Maresciallo. Elena annuì in segno d'approvazione.

Be', questo apriva decine di porte. Non era esattamente un soggetto che qualcuno si sarebbe stupito di vedere morto ammazzato. Era tutto quell'accanimento ad insospettirla...

"Siete giunta a qualche conclusione, Capitano?" chiese il Maresciallo dondolandosi sui piedi, evidentemente non soddisfatto della reazione della donna. Forse cercava un applauso?

"Sì... qualcosa..." accennò vagamente Elena poggiando il foglio sulla scrivania, insieme a quello che riportava la descrizione del cadavere. In essi le sue idee trovavano conferme e smentite. "Le ferite sanguinavano, sia quella sulla faccia che... l'altra. Perciò, sono state inferte che l'uomo era ancora vivo. Inoltre, la coltellata fatale non era mirata ad organi vitali, come il cuore, o i polmoni. Sì, certo un colpo del genere ucciderebbe ovunque, ma... se l'intento era quello di provocare la morte, perché non il cuore?" disse, svolgendo ad alta voce tutti i ragionamenti che le occupavano la mente.

"Dite che non voleva ucciderlo?" chiese il Maresciallo perplesso. Elena lasciò sfuggire un sorriso divertito. L'intuito maschile.

"Certo che voleva ucciderlo... Non mi crederete tanto folle da pensare il contrario".

"No, no, no, no... non ho detto questo!" si affrettò a precisare il Maresciallo arrossendo. Elena lo interruppe con una risata, solo allora riuscì a sorridere anche lui.

"Stavo solo dicendo... perché far soffrire la vittima in modo tanto cruento? Vuoi ucciderlo? Bene, coltellata al cuore, e stai certo che non si rialzerà facilmente la mattina seguente. Inoltre, dalla descrizione del soggetto mi viene facile pensare che avesse decine di nemici, perciò l'idea di una vendetta non è tanto strana. Ma per quale ragione? Rissa? Debiti?
Èstrano pensare a tutta quella violenza solo per qualche moneta. Ci deve essere una ragione più profonda, perché questo ha tutta l'aria di essere un omicidio premeditato" peccato che quella ragione non fosse tanto a portata di mano quanto avrebbe voluto.
"Sono d'accordo, Capitano... Che cosa mi consigliate di fare?". Il Maresciallo le piaceva molto come uomo. Sempre radicato nella cultura maschilista, certo... ma uno dei pochi al quale bastava usare un termine piuttosto che un altro per comunicarle il proprio rispetto, il quale non si fermava solo alla divisa. Anche solo un consigliare al posto di ordinare.

Ovviamente, niente di tutto ciò sarebbe pervenuto mai alle sue orecchie o a quelle di chiunque altro. Mantenere le distanze era la prima regola. Non doveva permettere abusi di confidenza a nessuno, neanche con chi ogni tanto se lo meritava.

"Be', indagate quanto potete a proposito delle inimicizie più profonde del soggetto, e mi raccomando di aumentare le guardie notturne, sebbene non mi pare che l'assassino colpisca a caso, non voglio mettere in pericolo nessun cittadino a causa di vendette tra criminali".

"Credete sia il caso di annunciare lo stato di allerta?" domandò il Maresciallo. Elena lo guardò per qualche secondo, pensandoci seriamente.

"No, non per il momento. I cittadini sono già abbastanza sconvolti, meglio tranquillizzarli che allarmarli. È
, tutto, potete andare".
"Agli ordini, Capitano...".

Una volta da sola, riprese il posto alla scrivania, ma non diede ulteriori sguardi ai fogli. Aveva bisogno di sgombrare la mente, e non esisteva nulla di meglio che rivivere la notte trascorsa con Francesco per farlo...

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Capitolo 3
*** 3 ***


CE 3

2 Aprile 1458

"Lo abbiamo trovato questa mattina, Capitano" l'anticipò la guardia, ancor prima che Elena vedesse effettivamente lo scempio.
Brutale esattamente allo stesso modo di quello che l'aveva preceduto qualche giorno prima.
Gli stessi tagli, lo stesso colpo. Perlomeno, Elena aveva avuto modo di preparsi a quello che avrebbe trovato, e il trauma fu molto più contenuto. Era la preoccupazione a crescere.

La situazione cominciava a farsi seria.

Avevano cominciato a cercare tra i nemici della vittima precedente, ma a questo punto le ricerche erano del tutto vanificate. Uomo diverso, giorno diverso, stessa modalità. Presumibilmente stesso assassino.

La sola fortuna su cui avevano potuto contare, era che il ritrovamento di questo corpo aveva destato meno scalpore. Erano state due guardie a trovarlo, troppo tardi per individuare anche il possibile assassino, ma avevano almeno potuto chiamare i rinforzi e portarlo via dal vicolo fino all'obitorio mentre la città era ancora immersa nel sonno.

"Si sa chi è?" chiese Elena alla guardia, mentre osservava preoccupata il cadavere. Era incredibile. Se non fosse stato evidente che fossero due persone diverse, avrebbe potuto pensare che qualcuno avesse trafugato il cadavere dell'altra volta per rimetterlo in strada.

Anche in quel caso, le ferite erano sporche di sangue rappreso e il colpo fatale era stato inferto all'addome, forse non tanto preciso sull'ubicazione, un po' più spostato verso il fegato, ma l'arma da taglio era sicuramente stata la stessa, come la forza impressa.

"Lo ha riconosciuto una delle guardie. Era un vecchio carpentiere, lavorava vicino al porto. Un caratteraccio ha detto..." rispose la guardia. Quell'ultimo commento, buttato quasi per caso, interessò invece moltissimo la mente frenetica di Elena.

"Precedenti penali?" chiese, sicura che avrebbe sentito la stessa solfa del delitto precedente.

"Sì, è stato al fresco spesso, ma solo per pochi giorni.
È per questo motivo che la guardia lo conosceva, l'ultima volta che è uscito è stato qualche settimana fa. Come ho detto, un caratteraccio, e non certo un gentiluomo...". Aveva avuto ragione. Stesso tipo di vittima...
Era maledettamente circondata da indizi che non riusciva a mettere insieme, per quanto si sforzasse.

Elena rimase in silenzio per un bel po' guardando il sole fuori dalla finestra che pareva allegramente farsi beffe di lei, che sentiva il cervello completamene al buio in quella faccenda.

"Ovviamente nessun testimone ha visto o sentito nulla...".

"Abbiamo chiesto. Ma la zona è quella che è... di urla e di liti se ne sentono a qualunque ora, probabilmente non ci hanno fatto caso...".

Il silenzio dilagò nuovamente, finché non le divenne evidente che non fosse quello il posto adatto per riflettere.

"Informatevi se le due vittime avevano qualcosa in comune, soprattutto dei nemici... Io ho bisogno di un po' di tranquillità per riflettere sul motivo che potrebbe spingere qualcuno a sfregiare in questo modo un uomo" disse, non senza una certa frustrazione e più rivolta a se stessa che al suo accompagnatore mentre si stropicciava gli occhi.

"Agli ordini, Capitano" scattò sull'attenti per il saluto, e subito uscì dalla stanza.

Lei fece lo stesso, dirigendosi verso la caserma. Verso il suo ufficio.

Non si era ancora decisa a dare l'allarme in città. Sapeva che la situazione si stava evolvendo in modo decisamente spiacevole, e sapeva anche che era stata fortunata che non ci fosse passato di mezzo qualche innocente oltre alle vittime puntate e ormai chiaramente premeditate dell'assassino.

Se qualcuno fosse passato di lì per caso e l'assassino l'avesse visto, questo si sarebbe sentito in pericolo e avrebbe potuto decidere di eliminare anche lui.

Era un rischio, ma non abbastanza forte rispetto a ciò che avrebbe causato lasciando dilagare il panico...

Chi diavolo c'era sotto? Quale uomo aveva avuto la freddezza ed il coraggio di massacrare così ferocemente due persone? Che cosa significavano quei tagli?

Era una vendetta per qualche motivo? Ma cosa potevano aver fatto quei due criminalotti da quattro soldi per meritarsi una morte così orrenda?

Seduta nel suo ufficio, non riusciva a pensare ad altro.

Due vittime... una sola morte. Un solo assassino.

Significava che avevano avuto qualcosa in comune durante la vita... avevano fatto qualcosa di simile... magari alla stessa persona...

In effetti le storie che aveva udito su di loro erano sommariamente simili. Due delinquenti di infimo rango... Che ci fosse in giro un qualche tipo di giustiziere della notte? Perché si era fatto vivo solo allora?

Elena ripensò alle ferite comuni delle due vittime... la castrazione e lo sfregio lungo tutta la faccia erano quelle non mortali, quelle inferte per puro sadismo, assolutamente non necessarie.

La punizione... e la firma... fu l'illuminazione finale del ragionamento.

La logica era ineccepibile. Persino la morte sofferente acquisiva un suo perché. Non un perché molto chiaro, a dire la verità. Di cosa erano stati accusati per meritare una punizione del genere?

Castrati...

Marito geloso e altresì vendicativo? Ma quale donna sceglierebbe mai due disgraziati del genere come amanti?

Bigotto folle intenzionato a mondare il mondo dagli empi? Non era da escludere. Sperava solo che in questo caso non ci fossero di mezzo preti... la faccenda sarebbe stata ancor più seria.

Alla fine del ragionamento aveva raggiunto tante conclusioni, ma nessuna che l'aiutasse ad individuare il colpevole.

La risposta era certamente nello sfregio sul viso delle vittime.: la firma.

Purtroppo non le ricordava proprio nulla...

Arrivò il tramonto, e con lui nessuna risposta. Quando la luce rossa cominciò ad entrare dalla finestra, decise che era arrivato il momento di tornare a casa.

Era armata ed era a cavallo, perciò si sentiva abbastanza sicura anche a girare a sole tramontato, ma aveva promesso a Francesco di incamminarsi che fosse ancora giorno... e soprattutto che sarebbe tornata ogni sera. E lo avrebbe, fatto... a dispetto di emergenze ed assassini. Le conclusioni che non afferrava in caserma prima del tramonto non le avrebbe acchiappate neanche a notte fonda. Tornare a casa era un bel modo per rilassarsi, e solo a mente rilassata poteva sperare di riuscire a capire qualcosa in più.

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Capitolo 4
*** 4 ***


CE 4

5 Aprile 1458

"Dissanguati?" domandò Elena in un sussurro stupito. La folla intorno a lei e al Maresciallo non permetteva loro di avere una conversazione a toni normali.
La Domenica mattina era quasi un obbligo abbandonare le divise e gli incarichi istituzionali di caserma, ad esclusione dei poveri sfortunati che avevano i turni di guardia. La giornata era splendida ma ancora troppo fredda per affidarsi alle illusioni dei primi soli di stagione, tuttavia, era un piacere dopo tanto grigiore dover stringere gli occhi per ripararli dalla luce.

Lei e il Maresciallo si erano incontrati quasi per caso nella piazza davanti alla Chiesa. Francesco aveva da poco preso la strada per tornare a casa dopo la funzione, mentre lei si era attardata per ulteriori aggiornamenti. Elena si era comportata da moglie esemplare negli ultimi giorni, per quanto permettessero le circostanze, perciò Francesco non ebbe nulla da obiettare, fuorché uno sguardo non troppo amichevole verso il Maresciallo.

"Così dicono..." confermò il Maresciallo mentre passeggiavano lentamente lungo la piazza. Era strano fare quei discorsi senza indossare un'arma o una divisa, quasi fossero due normali civili che chiacchieravano a proposito delle ultime novità. Il muro era ancora alto tra di loro, ma forse di un materiale un po' meno resistente. "Pare che il colpo all'addome non fosse abbastanza forte da essere mortale, per quanto dovesse esserlo nelle intenzioni dell'assassino".

"Un soggetto non particolarmente forte, dunque" fu la sua logica conclusione. Elena diede uno sguardo alla stazza del Maresciallo, e sorrise nascostamente. Di certo poteva escludere lui e tutti i suoi simili. Uomini del genere in un momento di follia o rabbia avrebbero ridotto in poltiglia le vittime.

"Ma come è possibile? La prima vittima non sembrava tanto facile da abbattere, a giudicare dal fisico" obiettò il Maresciallo, che dallo sguardo e dal tono quasi disperato pareva molto più confuso da tutti quegli indizi rispetto a lei.

"Considerate i soggetti. Considerate i loro abituali atteggiamenti rispetto a quelli dell'assassino. Lui ha premeditato tutto, era preparato ed intenzionato a colpire. Loro colti di sorpresa, facilmente in completa sbronza" spiegò Elena, in modo da dargli qualcosa su cui riflettere per il resto del pomeriggio. Intanto, in lontananza, già intravedeva il suo cavallo legato insieme ad altri.

Anche lei aveva qualcosa di più su cui riflettere. Aveva un elenco di persone che avrebbero avuto un movente di regolazione di conti con le vittime, ma sinceramente nessuna di esse la convinceva davvero. Soprattutto perché nessuna era in comune tra le due vittime.
Navigavano ancora nel buio più assoluto.

Mentre il secondo omicidio era ancora miracolosamente oscuro a gran parte dei cittadini, il primo era ancora oggetto di congetture da parte di tutti, in modo particolare il fatto che fosse ancora rimasto impunito. Figurarsi.

Elena non era preoccupata per questo. Era più una sfiducia verso l'intero corpo della polizia piuttosto che verso di lei in particolare. Certo, aveva molto da dimostrare ai suoi amorevoli concittadini.

"Credo che passerò dalla caserma questo pomeriggio... Dobbiamo cominciare a stringere il campo dei sospetti" disse mentre montava a cavallo rifiutando gentilmente l'aiuto del Maresciallo.

"Sissignora" la salutò lui, nonostante la mancanza di divisa ufficiale. Un cenno ed Elena partì al galoppo verso casa.

Ben presto, le case e le strade cominciarono a diradarsi per dare spazio ai campi coltivati e brulli. Diminuivano gli esseri umani, aumentavano gli animali tra domestici e selvatici. Lei e Francesco avevano deciso di prendere casa in campagna, a distanza di un quarto d'ora dalla città. Ciò li obbligava ad adoperare il cavallo ogni volta volessero raggiungerla, ma era un prezzo che valeva la pena pagare per un po' di tranquillità ed intimità.
Era difficile incontrare qualcuno lungo la strada, piuttosto qualche volpe o lepre, invece quella volta Elena scorse da lontano la figura di un bimbetto che correva al lato della strada da solo. Incuriosita e spinta dal suo senso del dovere lo raggiunse al trotto.

"Dove vai, piccolino?" gli chiese adeguando l'andatura del cavallo a quella del bambino, che dapprima spaventato dall'apparizione improvvisa della bestia, rallentò la corsa. Elena gli sorrise e lui parve tranquillizzarsi.

"Devo consegnare la lettera al messere Francesco che abita lì lontano" disse con un certo orgoglio incespicando nelle parole, indicò il profilo della loro dimora che si scorgeva già ma ancora piuttosto lontana. Elena lo guardò accigliata.

Chi aveva mandato un bambino tanto piccolo a fare tutta quella strada da solo e a piedi?

"Ma il messere Francesco abita davvero lontano da qui, non puoi raggiungerlo a piedi" gli disse. Di solito i mittenti delle lettere a suo marito utilizzavano messaggeri molto più esperti, e soprattutto muniti di cavallo per coprire distanze del genere. "Perché non dai a me la lettera? Gliela consegno io, lo conosco. Così puoi tornare a casa prima che faccia buio" gli propose e gli tese la mano. Il bambino la guardò sospettoso e si strinse la pergamena al petto.

"Ci prendo quattro monete se la consegno io" le disse, e ricominciò a camminare.

"E io te ne do altre quattro se la fai consegnare a me. Tu devi fare tanta strada, io come vedi ho il cavallo, vado più veloce. Giuro sul mio onore che la consegnerò" disse alzando la mano destra come promessa.
Il bimbo si fermò e la guardò, di certo valutando seriamente la proposta.
Non impiegò molto ad accettare, e tornò indietro con ben otto monete sonanti nelle tasche.

Arrivata a casa, lasciò il cavallo nel recinto accanto a quello di Francesco.

Non aveva pensato di chiedere al bambino chi l'avesse incaricato di consegnarla. Un pazzo di certo...

Guardò la pergamena. Era ben piegata, ma non imbustata e senza alcun sigillo. Molto strano, di solito le lettere per Francesco avevano un aspetto molto più ufficiale.

Elena ci pensò un po'... non era molto corretto come gesto ma... la curiosità è donna...

In fin dei conti, la lettera era già praticamente aperta.

Cominciò a leggere... e già dalla prima riga, l'aria fermò il corso lungo i suoi polmoni.

La sensazione fu quella di un pugno in pieno stomaco, una stretta ferra sulla gola e di una cascata di massi sulla testa...

Non si accorse neanche di essersi fermata all'ingresso di casa mentre leggeva.

"Mio adorato Francesco,

ormai giorni sono passati dal nostro ultimo incontro e il mio cuore è distrutto da questa folle lontananza.

L'ardore dei vostri baci mi ritorna chiaro alla mente e mi riscalda le labbra.

Quando potremmo rincontrarci?

Luce della mia vita, non lasciatemi al buio in questo mondo, senza la vostra guida.

L'unico mio desiderio è perdermi ancora nelle vostra forti braccia, sentire il respiro nel vostro petto che vorrei riempire di baci.

La vostra voce è l'eco dei battiti del mio cuore, se voi non mi parlaste più morirei.

Ascoltarci abbracciati, raccontarci e guardarci negli occhi fino a perdere la ragione, non chiedo altro dalla mia esistenza.

Vi amo come niente e nessuno prima d'ora

siete tutta la mia vita.

Per sempre vostra".

"Ho sentito arrivare il cavallo..." giunse dall'altra stanza. Era la voce di Francesco, ma le giunse all'orecchio come un suono estraneo.
Infondo, di ciò si trattava: un estraneo...
L'uomo che aveva sposato, quello che diceva di amarla, che rispettava lei e quello che era, che la incoraggiava sempre a migliorare, quello che conosceva da sempre non esisteva più... o forse non era mai esistito.
Chi aveva avuto accanto tutto quel tempo? "Ti ha trattenuto un bel po' quel Maresciallo...". L'aveva raggiunta all'ingresso. Elena lo vedeva sfocato in mezzo alle lacrime che le coprivano gli occhi, e in ogni caso non avrebbe riconosciuto più quel sorriso, che gli morì sulle labbra vedendola piangere immobile con in mano quel pezzo di carta stropicciato nel pugno. "Che cosa è successo?" soffiò preoccupato avvicinandosi di un passo.

Elena sentiva il pugnale conficcato al centro del petto che ad ogni respiro segava dolorosamente le sue ossa, il suoi organi... e non si decideva ad ucciderla una volta per tutte.

"
È  per te" riuscì a dire con quel poco di voce che le restava in gola, allungandogli la lettera.
Francesco la prese perplesso e sconvolto da quelle lacrime che così raramente avevano solcato il volto della moglie. Anche a lui bastarono le prime righe per capire. Impallidì.

"Elena..." cominciò, accartocciando la lettera in una mano.

Elena si sentiva piena. Sarebbe bastata anche una sola goccia in più, per fare esplodere il recipiente.

questa la donna che vuoi? Vuoi una donna che viva in funzione di te?" riusciva a mantenere ancora un tono contenuto, forse perché la delusione riusciva a mitigare l'ira, ma stava bruciando in fretta.
Aveva sempre creduto che l'accettasse per quello che era, a dispetto delle convenzioni. Non l'aveva mai messo in dubbio. L'aveva sposato perché convinta che lui fosse diverso dagli altri...
Ingenua. Ingenua a pensare che il diverso esistesse.

"No, non è affatto così. Elena, ti giuro che è qualcosa che non esiste più...". Oh, questo aggiustava veramente tutto, allora!

Le emozioni erano così tante, e così mal mescolate che le bloccavano le parole nella gola, senza lasciare che arrivassero alla bocca e solo per questo Francesco poté continuare con le sue inutili giustificazioni: "Mi sono comportato da vero egoista. Io... mi sono sentito messo da parte a causa del tuo lavoro, ma ti giuro che è stato solo un momento. Un momento di troppo, lo ammetto. Ho sbagliato, e sono stato uno stupido. Ma questo non significa che io voglia altre donne oltre te...".
Ogni sua parola era una goccia di veleno.

Francesco era sempre stata una certezza per lei. L'unica, forse. La sua bussola. E adesso che aveva scoperto che anche la bussola la conduceva nella direzione sbagliata... si era persa.

"Mi hai sempre detto che mi appoggiavi in queste scelte... che mi capivi quando dovevo sacrificarmi in caserma per stare lontana da casa... invece non hai mai capito niente!"
ringhiò, e già avvertiva il suo umore riscaldarsi in modo esponenziale. La rabbia schermava il dolore, ma la rendeva incapace di controllarsi: "Sei sempre stato davanti al mio lavoro. Se è capitato il contrario non è certo stata una mia scelta". 
Doveva andare via da quella casa... in fretta... non riusciva più a respirare, come costretta in un'armatura.

"Elena, sono sempre stato fiero di essere tuo marito" provò a dire Francesco afferrandole le braccia, lei si liberò con uno strattone.

Doveva andare via...

"Ho sbagliato io ad illudermi che fossi diverso dagli altri, e che fossi abbastanza forte da accettarmi per quello che sono" mormorò muovendo i primi passi verso la porta.

"Elena, ti prego..."
. Che preghi il suo Dio. Magari di restituirgli un minimo di dignità mentale.
Bastardo.
"Tieniti pure quella donna che si annulla completamente per te, se ti piace. Ce ne sono tante in giro..." ansimò, e la sua coscienza le suggerì che la tempesta di rabbia unita al suo addestramento alle armi non rendevano consigliabile rimanere nei pressi di una persona. Avrebbe dovuto darle retta, intanto che era ancora disposta a farlo.
Si tolse la fede dall'anulare e la lasciò su un tavolino dell'ingresso. Francesco impallidì. Forse aveva pensato che gli avrebbe concesso di spiegarsi, di rimediare... presumeva troppo. "Non venire a cercarmi, marito mio. Fa come se fossi vedovo".
Fu così che uscì in fretta dalla casa, ignorando i “ti prego, aspetta” di Francesco che tentava invano di fermarla.

Fu più veloce a salire in groppa al suo cavallo e a prendere la strada verso la città al galoppo, aumentando la distanza tra lei e lui.

Invece di sedarla, la delusione alimentava la rabbia a cui stava lasciando il posto, ed essa cresceva come l'edera attorno al suo cuore.

Il mondo che aveva intorno non aveva posto per una donna come lei. Cominciava a gettarle contro tutto il suo fango pur di vederla demordere e inginocchiarsi di fronte alla realtà.

Le aveva tolto in un solo gesto la sua famiglia, il suo migliore amico e l'uomo che amava... mostrandole chi in realtà vi aveva nascosto dietro. Un uomo non abbastanza uomo da reggere la sua vita.

Be', avrebbe dovuto fare di meglio.Il mondo non la voleva? Si sarebbe imposta. Era capace anche lei di gettare fango. Non avrebbe accettato compromessi. E si sarebbe inginocchiata soltanto di fronte al Creatore, una volta giunta la sua ora. Sarebbero stati costretti ad accettarla. Era così, e non avrebbe cambiato una virgola per nessuno.
Se non esisteva un uomo che potesse accettarla, ne avrebbe fatto a meno. Se stessa bastava, e non avrebbe represso più nulla.

Entrò nella caserma senza rispondere ai saluti delle guardie che incontrava. Lo sguardo era fisso davanti a sé e non lo abbassò finché non entrò nel suo ufficio.

Era una furia. Tesa più di una corda. Pugni stretti e le gambe che non decidevano a fermarsi.
Perché sarebbe arrivato il momento di piangere, molto presto. Di disperarsi e di chiedersi perché.
Ma non ancora.Se ne rendeva conto e sapeva che in quel modo non poteva ragionare. Se non ragionava, era solo un animale in gabbia. Un animale in gabbia è vulnerabile ad ogni minimo stimolo.
Bastava anche un:

"Capitano...".

"Che cosa c'è?!" ruggì l'animale, voltandosi di scatto verso un Maresciallo del tutto colto di sorpresa da quella reazione.

"Vi aspettavo molto più tardi" disse con una calma del tutto contrapposta al tono di Elena, mentre la guardava dubbioso e preoccupato. Una calma che in quel momento, Elena non era in grado di tollerare.

Niente aveva il diritto di mantenere la calma quando lei era arrabbiata.
"Non è mio dovere giustificare a voi i miei orari di arrivo o di uscita, sono io il Capitano o sbaglio?" sputava veleno peggio di una vipera irritata. Il Maresciallo ne fu nuovamente colpito.
"Sì, certo..." mormorò tentando di studiarla, ma senza evidentemente riuscire a scoprire quale diavolo avesse in corpo. Ben presto si arrese. "Che cosa è successo, Capitano?" si decise a chiedere infine, mandando alle ortiche la discrezione.
Il maresciallo non era notoriamente un esperto di donne...
"Direi che non vi riguarda, Maresciallo... ora se voleste essere così gentile da andare a...".

"Capitano" due guardie alquanto agitate giunsero di corsa, interrompendola sul più bello della frase.

Le bastò guardarli in faccia per capire, quasi potesse leggere nei loro pensieri. Proprio per questo motivo, non aveva alcuna intenzione di ascoltarli.
Purtroppo parlarono lo stesso: "Un pescatore ha trovato un altro corpo in riva al fiume... stesse ferite di tutti gli altri...".

Basta! Basta, per favore! MALEDIZIONE BASTA!!

Elena strinse gli occhi e i pugni, forse nella speranza di svegliarsi, di cancellare tutto, di renderli invisibili. Di tornare a qualche ora prima.
Non valse a nulla, ormai la goccia era caduta, e la sua rabbia era un fiume in piena che distrusse totalmente la diga del suo autocontrollo.

Urlò tutta la frustrazione che aveva dentro e una delle sedie andò a distruggersi contro il muro a causa di un suo potente calcio.

Le persone continuavano a morire e lei non riusciva ad arrivare alla conclusione che potesse fermare quel maledetto!
Le imprecazioni nella sua testa avevano raggiunto il limite della decenza.
I tre militari sulla porta avevano assistito alla scena sbigottiti, mentre lei si copriva il viso con le mani in cerca del buio e della tranquillità che le permettessero di mettere insieme i pensieri, emarginando quelli inutili.

Non li vide, ma le parve di udire sussurrare vagamente:

"Ma che le prende?".

"E che ne so? Sarà nel suo periodo...".

Quel tipo di provocazione era esattamente ciò che le serviva per trovare una vittima con cui prendersela in un momento del genere.

"Già, forse avete ragione. Ed è una fortuna che il Creatore abbia maledetto noi con la piaga del sangue, visto che degli insulsi vermi senza palle come siete voi non sarebbero mai riusciti a reggere neanche un giorno del dolore che ci capita di provare" il volume prendeva quota ad ogni parola come se sbattesse le ali. "Voi che pur di non confrontarvi con un vostro pari preferite costringerlo con la violenza al vostro volere perché sapete che se ci mettesse appena un po' più di cervello non ci sarebbe partita. Sbaglio o sei tu il soldato che è svenuto davanti a quei cadaveri?" l'indice accusatore puntò minaccioso uno dei due giovani militare, che come il suo compagno guardava il Capitano ad occhi sbarrati, rimpicciolendosi sempre di più ad ogni sua parola, come se la sua rabbia premesse forte sulle loro teste.
Il poveretto annuì lievemente, perché sapeva che non rispondere sarebbe stata quasi una condanna a morte. "E ALLORA FAMMI LA CORTESIA DI ANDARE A SVENIRE FUORI DALLA MIA VISTA IMMEDIATAMENTE!! E PORTATI ANCHE IL TUO COMPAGNO!! FILATE VIA!!" fu l'ordine, già eseguito ancor prima che finisse di parlare.
Che liberazione...

Più urlava, più aveva voglia di urlare.

"Capitano...?" fu la sola cosa che riuscì a chiedere il Maresciallo, l'unico rimasto lì ad assistere sconcertato a quella scena.

Lei non rispose e gli voltò le spalle.

Urlare e sfogare la rabbia era un piacere liberatorio che mai avrebbe potuto immaginare, ma non era un lusso che poteva permettersi.
Doveva riattivare la mente, e ragionare. Sapeva che le stava sfuggendo un particolare importante, che invece avrebbe dovuto avere a portata di mano per giungere alla conclusione... ma finché lasciava che la rabbia viaggiasse a ruota libera, non ci sarebbe riuscita.

Sospirò buttando fuori l'ultimo residuo della furia contro i due soldati, si poggiò alla scrivania con le nocche dei pugni stretti e chiuse gli occhi.

Calmati Elena... Calmati... Tu lo sai di cosa sei capace quando perdi le staffe... Ce ne sono già troppi di cadaveri in città, non c'è bisogno che ne aggiungi anche in caserma...

La rabbia è un animale che per scatenarsi deve mantenersi al buio, e basta una piccola luce a scacciarla... quella che si era appena accesa nella mente di Elena e aveva zittito la bestia, almeno per il momento.

Era tutto così chiaro.

Aveva sbagliato dall'inizio. Aveva puntato la testa in una direzione e non si era neanche posta il problema di voltarla leggermente da un'altra parte.

Un errore imperdonabile... soprattutto commesso da lei.
E adesso, adesso che la luce si era riaccesa, vedeva tutto così tremendamente chiaro che si stupì di quanto cieca fosse riuscita ad essere.
"
È  una donna..." mormorò guardando gli appunti sparsi sulla scrivania quasi ci fosse praticamente scritto.
"Come dite?"  tentò cautamente il Maresciallo, del tutto imbarazzato.

una donna!!" ripeté, più che sicurissima. Il Maresciallo la guardò senza capire. Ma per quanto ne sapeva lei, poteva anche spiegarglielo scrivendoglielo a chiare lettere sulla parete, non avrebbe mai capito. Era un uomo. E un uomo non avrebbe mai capito quello che stava capendo lei... Quella furia tirata fuori come solo una persona repressa poteva saper fare...
La castrazione... Non era difficile conoscere i motivi per cui una donna avrebbe potuto decidere di punire un uomo con quel gesto. Potevano essere molteplici, ma uno solo le veniva in mente. Quelle che per nessuna legge erano dichiarate colpe per gli uomini carnefici e invece lo erano per le donne vittime.

Lo sfregio... quante donne colme di cicatrici da violenza, sia fisiche che nell'anima, aveva già visto?

Persino i colpi non abbastanza forti che aveva inferto alle vittime trovavano infine spiegazione.

"Maresciallo, non vi affannate a chiedere, sono certa che anche questa terza vittima fosse un ubriacone violento come tutti gli altri. Piuttosto, voglio che cominciate ad indagare sulle donne che hanno subito stupri negli ultimi tempi. Controllate se ce n'è qualcuna magari sparita improvvisamente" La carovana di pensieri era partita e non si sarebbe fermata facilmente. Il Maresciallo la fissò interdetto da tutte quelle novità dell'ultimo minuto quando pochi istanti prima navigavano ancora nell'acqua alta.

"Capitano, ne siete sicura?" chiese infine.

"La pista è molto più logica di quella che abbiamo seguito fino a questo momento, Maresciallo. Fate come vi ho detto".

Il Maresciallo la fissò ancora qualche secondo.

"Mi fido ciecamente di voi, Capitano" ammise infine.
Quelle parole la scossero, fragile com'era. Ma durò solo un secondo. Era qualcosa che aveva sentito dire anche ad altri... che non avevano fatto altro che deluderla.

Il Maresciallo scattò sull'attenti e fece per andarsene, ma un altro soldato arrivò di corsa.

"Capitano... vostro marito chiede di entrare..." disse. Subito la rabbia che la luce dell'intuizione aveva esiliato lontano, tornò alla carica.

"Cacciatelo. Non voglio vederlo" rispose seccamente. Il soldato la guardò solo un momento perplesso, ma consapevole di non avere il diritto di porre alcuna domanda in merito, obbedì subito tornando all'ingresso.

Elena era diretta alla scrivania, quando si sentì bloccare da un braccio.

Si voltò stupita. Era il Maresciallo. Lo guardò basita, senza parole. Non avevano mai avuto un contatto fisico di alcun tipo.

"Che cosa vi ha fatto?!" le chiese, diretto e lasciando da parte il solito tono calmo e istituzionale con cui usava rivolgersi. Elena continuò a fissarlo senza riuscire neanche a rimproverarlo e rimetterlo al suo posto. Non aveva mai letto quella rabbia negli occhi del Maresciallo. Non trovò le parole per rispondere, e si limitò a scuotere la testa.

Lui le lasciò il braccio e d'improvviso corse verso l'ingresso seguendo la scia del soldato.

Elena gli corse dietro appena riuscì ad ordinare alle sue gambe di farlo.
Arrivò appena in tempo per vedere il pugno di pietra del Maresciallo posarsi in modo per niente delicato sul muso di Francesco.

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Capitolo 5
*** 5 ***


CE 5

5 Aprile 1458

"Rammentate di essere Maresciallo, vero?".
Era di nuovo seduta dietro la sua scrivania, mentre il Maresciallo le era di fronte, in piedi e sull'attenti, in perfetto atteggiamento militare.

Era passato giusto un quarto d'ora da quando Elena, aiutata da due guardie, aveva trascinato il Maresciallo dentro la caserma dividendolo da Francesco prima che scoppiasse la rissa vera e propria, episodio che sarebbe stato decisamente sconveniente per troppe persone.

"Sì, Capitano" rispose il Maresciallo con il solito tono pacato e sereno.

"Allora forse avete dimenticato cosa comporta essere Maresciallo? Aiutatemi a capire, vi prego" quello di Elena era freddo e severo.

Era stato un gesto immotivato, pericoloso ed irruento, che di certo non avrebbe giovato alla sua immagine. Ma come gli era saltato in mente? Un uomo ponderato come lui, che non osava respirare senza prima pensarci almeno tre volte.

"Mi assumo l'intera responsabilità del mio gesto, Capitano. Sconterò la punizione che ne consegue, perché è mio dovere dare il buon esempio, ma vi dico già da adesso che non sono affatto pentito del mio gesto" nessuno sembrava più tranquillo.
Certamente più di quanto fosse Elena.
"Perché?!" esclamò esasperata dalla ricerca di una ragione logica che potesse spingere una roccia come il Maresciallo ad un gesto così... idiota!!

Pensava che, dopo l'ultima batosta, il mondo avesse deciso di smettere di rivoltarsi davanti ai suoi occhi rendendo vero tutto ciò che non avrebbe mai creduto possibile. Invece sembrava avere ancora tanto da dimostrare...

"Perché vostro marito dovrebbe ringraziare il Creatore ad ogni ora del giorno e della notte per la fortuna che gli è stata concessa" fu la sua impassibile giustificazione.

Avrebbe dovuto essere un complimento? Sperava di no, perché ogni sorta di allusione a quel tipo di argomento non era altro che un'eruzione di rabbia dentro un cuore che aveva già cominciato a sigillare le proprie porte.

"Maresciallo, lasciate che sia io ad occuparmi dei miei problemi coniugali. Non ho bisogno né della vostra protezione né del vostro aiuto, sono stata chiara?" fu la sua tagliente risposta, per la quale non avrebbe accettato altro che:

"Cristallino, Capitano..." rispose, solo allora abbassando leggermente il tono di voce.

"Dunque cercate di adottare un comportamento più consono al vostro ruolo, d'ora in poi" lo rimproverò ancora una volta. "Siamo in emergenza e non posso permettermi di fare a meno di voi, perciò non vi sospenderò dal servizio". Era una fortuna. Nonostante tutto non voleva allontanarlo dalla caserma. Era un militare perfetto e un alleato prezioso, e per quanto le normali leggi lo avrebbero imposto, non le sembrava giusto sospenderlo per un unico e solo errore in una carriera immacolata. "Ora tornate all'incarico che vi ho assegnato prima. Potrebbe essere una sola, ma potrebbero essere di più, questo è tutto da vedere. Ho bisogno che indaghiate nelle campagne, nelle sartorie, anche nei bordelli se è necessario. E per cortesia, ascoltate quello che vi diranno, non posso essere con voi in ogni sopralluogo per assicurarmi che non vi facciate sfuggire nulla perché distratti da altro" il vago riferimento era abbastanza chiaro.
Il Maresciallo annuì, Elena lo congedò con un gesto. Girò sui tacchi ed uscì.

Elena attese di udire i suoi passi echeggiare nei corridoi di pietra fino a scomparire, poi si alzò anche lei e raggiunse l'esterno della caserma.

Trovò Francesco esattamente dove era convinta che sarebbe stato, seduto per terra con le spalle contro il muro dell'edificio. Scompigliato, con uno zigomo pesto e gli occhi arrossati non sembrava neanche più lui. Ma d'altra parte, era da quando aveva letto quella maledetta missiva che non riusciva più a riconoscere l'uomo che aveva davanti.

Scattò in piedi appena la vide uscire, fece per avvicinarsi e cominciare a parlare, ma lei lo bloccò con un gesto della mano. Toccava a lei parlare:

"Devi andartene da qui. Vai a casa e non tornare a cercarmi" gli disse, quasi fosse uno dei suoi soldati che nulla di meglio aspettava che ricevere degli ordini. Elena sapeva che con lui sarebbe stato diverso, ma l'atteggiamento che avrebbe ricevuto d'ora in poi sarebbe stato quello.

"Non vado via se non mi prometti di tornare con me" rispose lui. Faceva per avvicinarsi, ma c'erano due guardie poco lontane da loro pronte ad intervenire ad un solo gesto di Elena, gesto che sarebbe partito al minimo tocco.

"Non conosco le donne che frequenti tu, ma stai certo che se pensi che farò la moglie che sta zitta e si mette a cuccia davanti a questo tipo di cose, ti sbagli. Io sono il Capitano qui, e posso restare in caserma quanto voglio. Ironia della sorte tornavo a casa solo per te, ma a quanto ho capito non è che apprezzassi molto..." commentò convertendo la rabbia in freddo sarcasmo. Era contenta di non aver da versare più neanche una lacrima. Non aveva intenzione di mostrargli quanto le ferite che le aveva inferto le dolevano senza pietà.

"Ho sbagliato! Lo so che ho sbagliato e capisco la tua rabbia, ma io sono innamorato di te, solo di te, lo giuro! L'idea che tu rimanga qui con... con quello... mi fa impazzire, non lo sopporto" disse senza neanche provare a trattenere le lacrime, stringendosi dei ciuffi di capelli dentro ai pugni.

Non c'era nessuna pietà che smuovesse Elena davanti a quella scena. Il processo di autodifesa era completato, e il suo cuore si era chiuso a riccio, non avrebbe lasciato passare più nulla.

Al contrario, si infuriò.

"Dopo quello che hai fatto osi dubitare della mia fedeltà? Vai a casa, Francesco, o sarò costretta a prendere provvedimenti" minacciò con seria determinazione.

"Sei mia moglie..." solo udire quella parola che solo fino al giorno prima la riempiva di orgoglio, era come punzecchiare un grosso felino chiuso in gabbia.

"Su contratto, è vero, e la legge non mi consente di fare nulla in proposito. Ma non avrai altro da me. E ora, per l'ultima volta: vai via".

"Dovrai farmi arrestare. Oppure lasciare che quello mi uccida..." era altrettanto determinato. Per quanto la riguardava, intanto, quella conversazione era già finita. Di arrestarlo non l'avrebbe fatto arrestare di certo, né tanto meno avrebbe aizzato una nuova rissa. Se voleva lasciarsi morire lì, aveva tutto il tempo del mondo, tanto non l'avrebbe fatto.

Non le interessava più.

6 Aprile 1458 

Si era addormentata piegata sulla scrivania del suo ufficio. La candela si era già spenta da un bel po', ma ormai era la debolissima luce rosa dell'alba ad entrare dalla finestra, senza però toccare il viso di Elena, che seduta dava le spalle alla finestra. Perciò continuava a dormire, per quanto non fosse la posizione più comoda che potesse assumere. Era finita tra le braccia di Morfeo solo da poche ore, quando un rumore sordo entrò nei suoi confusi sogni come un colpo d'ascia.
Scattò in piedi sfoderando d'istinto il coltello, come aveva imparato durante la guerra. Ma il solo rumore che seguì fu quello della sedia dove poco prima stava dormendo che cadde sul pavimento con un tonfo.

Sudata e affannata dallo spavento si riprese dal torpore, e si guardò intorno alla ricerca della fonte del rumore.

Il vetro della finestra era stato infranto da un sasso che adesso giaceva sul pavimento.

Subito si affacciò dalla finestra, ma non vide nessuno. Non che si aspettasse il contrario, ma un po' ci aveva sperato.

Dovette stropicciarsi gli occhi prima di poter capire che la stranezza di quel sasso era dovuta ad un foglio di pergamena legato intorno ad esso con lo spago.

Stupita e ancora scombussolata dalla sveglia poco gentile, lo prese e districò il messaggio.

"Capitano,

vi aspetto questa notte al dodicesimo rintocco all'entrata del campanile.

Vi consiglio di venire. Da sola. Voi non avete da temere con me.

La sfregiata"

 
Lo rilesse più di una volta per essere sicura di non essere ancora in mezzo ai sogni.
Infine si convinse che quel messaggio era arrivato veramente e che la persona che stavano disperatamente cercando da giorni, le aveva appena dato un appuntamento per quella notte stessa.
La sfregiata... lo sapevo! Era una donna! Ormai non poteva essere altrimenti,  aveva ufficialmente eliminato anche il beneficio del dubbio. E aveva avuto ragione anche a proposito della firma dei delitti. Non si sarebbe stupita di vedere un taglio uguale a quello delle vittime sulla sua faccia.

E a questo proposito... che aveva intenzione di fare?

Quella donna aveva già ucciso tre persone, o almeno quello era il numero di cui erano a conoscenza. Non sarebbe stato di certo un appuntamento per bere una tisana. Che cosa voleva da lei? Perché farsi vedere? Perché rendersi tanto evidente al Capitano della polizia, tra l'altro? Non erano tanto vicini a lei da poter costituire un pericolo, almeno per il momento.

La curiosità era alle stelle ma... sarebbe andata davvero da sola? Avrebbe potuto essere veramente pericoloso.

"Capitano!" esclamò il Maresciallo precipitatosi nel suo ufficio. "Ho sentito dei rumori! State bene? Che cosa è successo??".
Elena gli diede un solo sguardo, il Maresciallo aveva il suo stesso aspetto di chi è stato buttato giù dal letto con la forza. Poi tornò a guardare dalla finestra.

Non la vedeva, ovviamente, ma aveva quasi la sensazione che i suoi occhi le ricambiassero lo sguardo da qualche parte.

Si rigirava nelle mani il sasso, sovrappensiero.

Dirlo al Maresciallo voleva dire assicurarsi un segugio per quella notte...

"Qualche vandalo annoiato..." mentì, stringendo il biglietto nel pugno perché non lo vedesse. "Nulla di cui preoccuparsi" disse infine.

Le ultime faccende della sua vita le avevano iniettato nelle vene uno sprezzo del pericolo che, sebbene avesse normalmente coraggio da vendere, non ricordava di aver mai avuto.

Non aveva bisogno della protezione di nessuno.
E se anche quella donna avesse avuto intenzione di ucciderla, si sarebbe difendesa da sola. Avrebbe trovato pane per i suoi denti. Una lezione che tutti avrebbero dovuto imparare.

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Capitolo 6
*** 6 ***


CE 4

5 Aprile 1458

Non si prospettava una bella serata.
Stava per piovere.
Quel clima, unito all'idea di ciò che stava per fare le pesava sul cuore facendola dubitare della decisione presa.
Percorreva a passo deciso i viottoli della città, completamente avvolta nel mantello perché nessuno la riconoscesse mentre andava.
Mancavano cinque minuti alla mezzanotte.
Aveva sbagliato ad andare da sola sgattaiolando dalla caserma senza essere vista per andare all'appuntamento con l'assassina che era l'incubo di tutta la polizia da un po' di tempo a questa parte? Avrebbe dovuto portarsi dietro la scorta? Infondo quella poteva essere l'unica occasione per fermarla...
Nonostante tutto ciò, l'orgoglio aveva ormai preso il suo trono nella mente di Elena, non esisteva altro che quello.
Non era la richiesta dell'assassina stessa ad averla convinta ad andare da sola. Semplicemente, era quello il modo in cui aveva deciso di proseguire e così avrebbe fatto.
Non aveva paura. E non sempre non avere paura è un buon segno. Perché significa che non te ne importa più nulla. Infondo era quella la sensazione che le trasmetteva tutto ciò che aveva intorno.
Riusciva già a vedere il campanile, e nelle colline lontane scorse addirittura la luce abbagliante di un fulmine, raggiunta da un tuono diversi secondi più tardi.
Aveva incrementato il passo, non voleva fare tardi. Stringeva convulsamente l'elsa della spada nella mano sinistra. Si sentiva osservata in ogni angolo, sebbene non ci fosse nessuno in giro.
Sapeva che lei era già lì ad aspettarla, a valutarla... magari pronta in un agguato. Be', aveva scelto la persona sbagliata da spalmare al suolo, così tesa sarebbe scattata al minimo soffio di vento.
La pioggia diventò fitta e regolare quando partirono i dodici rintocchi della mezzanotte.
Elena era già davanti alla porta dell'entrata, e quell'attesa era snervante.
Il tempo pareva essersi messo le stampelle nell'intenzione di rallentare maggiormente, e quei dodici rintocchi sembravano durare una vita.
Era già lì, ma non sarebbe apparsa prima dell'ultimo canto delle campane, che infine arrivò, lasciando dietro di sé il silenzio angosciante e teso.

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Capitolo 7
*** 7 ***


Si ringrazia Ldb per aver interpretato egregiamente la parte di una pazza squilibrata.

5 Aprile 1458

La sfregiata

Nascosta dietro l’angolo adiacente all’entrata del campanile, attendeva l’arrivo della donna che aveva visto tornando nei luoghi delle sue …opere d’arte.
Ma il cerchio ancora non era chiuso, molti altri andavano puniti, anche se sentiva che scrivere il finale di quella storia, di quella che era la sua storia, spettava esclusivamente a lei.
In cerca di una sorta di comprensione aveva deciso di rendere partecipe della sua follia proprio colei che avrebbe potuto arrestarla o peggio ucciderla in un batter d’occhio se
solo avesse voluto, ma lei avrebbe capito, ne era certa.
L’averla vista litigare e inveire in malo modo su diversi uomini, averla osservata da lontano piena di ammirazione l’aveva fatta arrivare a quella conclusione.
Lei avrebbe capito.
Andava fiera di quanto aveva fatto. E non le importava nient altro.
La sua unica ragione di vita.
C’erano momenti in cui si sentiva confusa, voleva tornare a casa, dove la mamma le avrebbe cantato una ninna nanna per farla addormentare….poi improvvisamente si
ricordava che sua madre non c’era più, che da molto tempo ormai non aveva più una casa, e riaffioravano alla mente ricordi recenti di stanze dalle pesanti tende rosse, di
lenzuola che sapevano di stantio, di corpi sudati che come lupi si gettavano sulla preda agonizzante per straziarne le carni.
La vide arrivare e posizionarsi proprio davanti all’entrata, mentre una pioggia battente le appiccicava i capelli lunghi e neri al volto sporco.
La osservò in silenzio ascoltando e scandendo i rintocchi della campana…appoggiata colpiva con la testa il muro ad ogni rintocco, gli occhi serrati persi nella confusione creata dai ricordi, reali e non.
L’ultimo rintocco.
Si decise a farsi avanti.
Una folata di vento la costrinse a stringersi in quello straccio sporco che usava come mantella e che anche se pur leggero le nascondeva di fatto fino alla vita, tenendo ben al
riparo le mani dal freddo, che soleva tenere ben strette in pugni , talmente strette che nei momenti di nervosismo le unghie le si conficcavano nei palmi delle mani.
Si aggiustò i capelli in modo da coprirsi bene i lati del viso, poi la mano tornò a sparire sotto la mantella, fece un passo avanti rendendosi visibile ma tenendosi a distanza….
"Capitano".
Guardò meglio la donna che aveva di fronte, e cominciò a tremare sotto il peso degli stracci fradici che portava addosso.
"Vi ringrazio per essere venuta Capitano"
Tornò nervosamente ad aggiustarsi i capelli con la mano sinistra, che nascose subito nuovamente sotto la mantella.
Vide che la donna si stava accingendo a fare un passo in avanti verso di lei, e arretrò come spaventata esclamando febbrilmente
"No, no! Vi prego no, non vi avvicinate, non vi avvicinate, vi prego, vi prego."
Si strinse nelle spalle, sembrò diventare piccola piccola, abbassò la testa e i capelli bagnati le nascosero quasi del tutto il viso.
"Io…io…ho una storia da raccontarvi Capitano. Vi prego non vi avvicinate"
Continuava a ripetere.
Lamento.

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Capitolo 8
*** 8 ***


cp 8 5 Aprile 1458

Il tempo trascorso dalla fine della vibrazione dell'ultima campana al suono di quella voce, confermò la teoria che l'assassina fosse già lì da tempo ad osservarla.
Era alle sue spalle, ed Elena si voltò di scatto, questa volta prendendo l''impugnatura della spada con la mano destra, pronta a sfoderarla. Una piccola figura incappucciata quanto lei uscì dall'ombra.
Tacque, non seppe determinare per quanto. Quella notte sembrava che il Tempo avesse abbandonato le normali regole preferendo ad esse il caos. Poteva correre spedito per un istante e poi arrestarsi per un'eternità.
"Vi ringrazio per essere venuta" le disse.
Teneva la voce bassa, appena più forte dello scroscio sempre più forte della pioggia.
Dopo aver immaginato per notti intere che aspetto avesse, infine era lì di fronte a lei ma avvolta in quel modo rimaneva ancora nella dimensione di sogno... o di incubo.
Si avvicinò di un passo, estraendo poche dita della lama dalla fodera.
Non si fidava affatto di lei. Già il fatto che non potesse distinguerne lo sguardo da sotto il cappuccio la rendeva un avversario inaffidabile. Non avrebbe abbassato la guardia.
D'altra parte, non vedeva l'ora che tentasse un qualsiasi attacco. A differenza del Maresciallo, lei non aveva avuto ancora occasione di prendere a pugni qualcuno.
La supplica partì che neanche aveva abbassato del tutto la pianta del piede.
"No, no! Vi prego no, non vi avvicinate, non vi avvicinate, vi prego, vi prego". Elena si fermò di scatto, quasi avesse estratto un'arma.
La guardò in un misto di disgusto e stupore. Era quella, quel ragnetto, ad aver seminato morte lungo il suo cammino? Ad aver brutalmente ucciso e mutilato tre uomini. Quella
che ora si rannicchiava dietro al mantello, quasi temesse le percosse di un genitore severo.
Era quasi delusa da ciò che vedeva.
Ricordò quando nel suo studio, aveva praticamente potuto vedere allo specchio la sua rabbia contro chi l'aveva ingannata, chi aveva denigrato il suo valore, chi avrebbe voluto che fosse solo uno strumento, come tutte le altre.
La guardò stringendo gli occhi a due fessure. A chi voleva darla a bere? Non certo a lei.
Elena sapeva che cosa era stata capace di fare quella donna, anche più di una volta. La parte dell'agnellino le veniva bene, ma non per questo ci sarebbe cascata.
Se era un modo per dettare le regole dello scontro, si stava sbagliando di grosso. Era lei il Capitano.
"Io…io…ho una storia da raccontarvi Capitano. Vi prego non vi avvicinate" continuò.
Elena scoprì di avere i denti scoperti in un ringhio quasi bestiale, e la mano che fremeva per sfoderare la spada in un moto di rabbia.
"La sola cosa che voglio sentire uscire dalla tua bocca è il motivo per cui hai voluto me qui stanotte, quando sai perfettamente che sono autorizzata ad arrestarti, ed anche ad ucciderti" disse, utilizzando il suo miglior tono da Capitano severo. "Non aspettarti di farmi compassione, quella l'ho persa già da tempo. Siamo avversari, non contratterò con te. E inoltre..." per la prima volta staccò la mano dall'elsa della spada, e si abbassò il cappuccio dal viso ormai fradicio. Il suo sguardo scuro continuava a scrutare nel buio del viso della donna che aveva di fronte. "Sono abituata a guardare le persone negli occhi quando ci parlo, anche quando sono nemici. Abbassa il cappuccio, e forse ascolterò ciò che hai da dirmi".

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Capitolo 9
*** 9 ***


La sfregiata:

8 Aprile 1458

Con un po’ d’esitazione si abbassò il cappuccio.
Le lacrime si confondevano con la pioggia.
Tremava sempre più e cominciò a singhiozzare.
Si aggiustava nervosamente i capelli, sempre a testa bassa, sempre con la mano sinistra.
"Ero povera, vivevo per strada" cominciò quando i singhiozzi si fecero più radi e le permisero di parlare "Un giorno, moribonda, non mangiavo da giorni, mi trovai davanti ad un grosso portone, non sapevo dove fossi. Quasi uccisa dai morsi della fame mi permisi di bussare. Mi fu aperto, ma svenni quasi immediatamente. Mi risvegliai in un letto, mi
avevano lavata, e accanto a me c’era ogni ben di dio. Ma prima che ebbi il tempo di rendermene conto, un uomo entrò in quella stanza senza neanche bussare e…"
I singhiozzi tornarono ad essere frequenti, scuoteva la testa con insistenza. "Abusò di me" disse con un filo di voce. "Tentai di fuggire, ma ero debole, mi riprese e … E mi fece molto male. Mi disse che oramai ero una sua proprietà, che avrebbe potuto fare di me ciò che voleva, che ero solo una poveraccia di cui non importava nulla a nessuno, e che
nessuno sarebbe venuto a cercarmi se mi avesse gettato nel fiume. La sera stessa fui portata in un'altra casa, all’apparenza fatiscente ma ciò che v’era dentro non rispecchiava affatto ciò che si poteva capirne da fuori… Fui…venduta ad una donna… Una donna che si faceva chiamare madame d’Ou. Fui legata e gettata in un luogo buio e freddo, ogni giorno venivano a portarmi del pane, e mi ripetevano che se non avessi fatto ciò che volevano mi avrebbero lasciato morire lì…dovetti cedere mi capite? Non avevo altra scelta capite? Madame d’Ou sembrò contenta, mi lavarono e mi vestirono come una signora, ciòche dovevo fare era solo starmene seduta nel grande salone e attendere che un uomo mi scegliesse… Ciò che ho visto…non posso…non posso raccontarlo, non posso io…io non ricordo…non posso…ciò che ho sopportato…loro…".
Si sciolse improvvisamente in un pianto liberatorio, e si lasciò cadere in ginocchio sotto gli occhi esterrefatti della sua interlocutrice.
"Capite? Io... io non potevo fare altrimenti. Poi ci fu un uomo, un uomo malvagio più degli altri…le altre ragazze ne avevano paura, mi avevano messo in guardia da lui,ma una sera fu inevitabile, mi vide e mi disse che avevo un bel viso, e che per quella sera sarei stata la sua duchessa…." Con un gesto secco si scostò i capelli dalla guancia mostrando il volto sfigurato da un taglio profondo che partiva dal sopracciglio e guardò finalmente negli occhi il capitano, tremando non più per il freddo e la pioggia, ma per la rabbia che provava. "Ecco! Ecco cosa mi ha fatto… Mi ha sfigurata…capite? Mi ha sfigurata! Urlava sempre più... E rideva…si faceva beffa di me! Delle mie urla! Dei miei pianti! Del mio dolore…della mia vergogna! Fui sbattuta fuori da quel posto quando ancora la ferita non si era rimarginata! Chi avrebbe voluto portarsi a letto una sfregiata! Persino le altre ragazze mi guardavano con pietà, con disgusto! Mi ritrovai di nuovo per strada…capite? Tutti gli uomini…tutti gli uomini sono
uguali, sono malvagi, animali, bestie! E io…io li ho puniti. Ho tagliato via loro ciò che li rende bestie, così che non potranno mai più fare del male a nessuno! Io per una volta alla fine ho riso di loro, delle loro smorfie di dolore, del sangue che gli usciva fuori copioso e del fatto che non potranno fare mai più del male a nessuna donna! Nessuna donna sarà più costretta a sentire i loro fiati puzzolenti, le loro mani sporche, i loro schiaffi, le loro urla! Mai più! Questo..." con rabbia estrasse la mano destra da sotto la mantella brandendo un grosso coltello da macellaio. "...Questo! E’ lo strumento della loro purificazione! Questo! E’ lo strumento dell’angelo vendicatore!" Oramai sembrava in preda al delirio. Non piangeva più, vedere quel coltello fra le sue mani la faceva sentire forte, guardava il capitano negli occhi, sembrava essersi trasformata in tutt’altra persona. La ragazzina smarrita non c’era più e aveva lasciato il posto alla donna vendicatrice che aveva compiuto quei misfatti. Brandiva quel grosso coltello e ondeggiava avanti e indietro, un espressione più che furiosa in viso. "Capitano io so che mi capisci"
Il tono di voce era cambiato, si era fatto più sicuro, e la voce era più roca per via della rabbia. "Sì…io so che mi capisci. Ti ho vista sai? Ho visto come tratti gli uomini che ti stanno intorno…tu…tu li odi…sì…li odi…proprio come li odio io…perché non ti unisci a me…insieme potremmo essere imbattibili contro quellla massa di sudici ubriaconi…"
Improvvisamente scoppiò in una fragorosa risata. "Sì…imbattibili…" ripetè quasi come un sussurrò. "Allora? Cosa mi dici?" Vide che fissava il suo coltello. "Non aver paura di me…vedi?" Alzò le mani "Non lo sto puntando contro di te…è solo che…mi fa sentire più sicura".
Rise di nuovo. "Più…forte".
Piegò la testa da un lato continuando a fissare il capitano negli occhi
"Allora? Capitano?…vuoi unirti a me nella mia vendetta? Sarà…" Fece una pausa, poi un lungo sospiro. "...divertente".
Un ghigno malvagio.

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Capitolo 10
*** 10 ***


Lo stomaco di Elena si rivoltò pericolosamente.
Non sarebbe dovuta andare, non avrebbe dovuto vederla e soprattutto non avrebbe dovuto ascoltare quella storia.
Era un insieme di elementi presi tutti contemporaneamente a provocarle quella nausea. Una sensazione persino peggiore rispetto a quella che aveva provato vendendo il corpo
martoriato della prima vittima.
La storia che le aveva raccontato non era poi così strabiliante in realtà. Purtroppo era una come tante nel passato, e come sarebbero state in un futuro che non accennava a cambiare... ma udirla raccontata direttamente da chi l'aveva vissuta, con quell'inevitabile emozione di dolore, e infine, vendetta, quell'odio colava dalle sue labbra insieme alle parole quasi si fosse condensato...
Lo sapeva, l'assassina lo sapeva che le stava facendo quell'effetto... sapeva che in cuore suo stava tremando di paura davanti a quelle parole, davanti a quello sfregio che le
sfigurava il viso da parte a parte. Lo sapeva.... sapeva che Elena non avrebbe mai avuto il coraggio di condannare quell'odio e quella rabbia, quella ricerca di vendetta...
Ecco perché l'aveva chiamata.
Ma che razza di Capitano era? Il suo dovere era proteggere la sua città, i suoi cittadini... e quella donna era una minaccia.
Non poteva sapere chi avrebbe trascinato nella sua vendetta, se solo i suoi... presunti colpevoli, o anche degli innocenti. Non poteva permetterlo.
Doveva far rispettare la Legge, non poteva lasciare che ognuno facesse quel che voleva: questo era comportarsi da Capitano. Ma Elena, la donna che c'era sotto, stava tremando...
"Sì…io so che mi capisci. Ti ho vista sai? Ho visto come tratti gli uomini che ti stanno intorno…tu…tu li odi…sì…li odi…proprio come li odio io…perché non ti unisci a me…insieme potremmo essere imbattibili contro quella massa di sudici ubriaconi…".
Fu un colpo preciso, mirato e potente allo stomaco. Simili a quelli che l'assassina aveva fisicamente inferto alle sue vittime, non abbastanza forte per loro, ma per lei pareva avere la potenza di un esercito.
Li odiava... sì, li odiava... e come poteva non farlo?
Come si può essere un umano e riuscire a non odiare chi vincola la tua libertà solo perché si è fatti in modo diverso? Chi non riesce ad apprezzare se non hai il bisogno di un
braccio che ti sostenga, se vuoi farcela da sola. Chi non capisce che tu possa avere diverse ambizioni oltre a quelle di accudire dei figli.
Pensava a tutto questo, e la mano ancora stretta attorno alla spada tremò.
Quanto avrebbe voluto che capissero quanto erano costrette a soffrire... quanto lei era costretta a soffrire.
"Allora? Capitano?…vuoi unirti a me nella mia vendetta? Sarà… divertente".
Elena la guardò intensamente per qualche istante, soffermandosi sullo sguardo reso folle da tutto quell'astio maturato in anni di reclusione, la peggiore, quella in cui smetti di
essere un umano, e diventi un oggetto. Riconosceva la luce della soddisfazione, di chi ha visto il proprio carceriere soccombere sotto i propri colpi, di chi lo ha guardato morire con piacere... di chi ha fatto pagare un prezzo salato a coloro che le avevano inferto tanta sofferenza...
Ed Elena? Anche lei cercava il suo riscatto... offesa e tradita... non come l'assassina, certo... ma anche lei per lo stesso motivo. Perché era una donna.
Elena... lei sì che avrebbe anche potuto accettare... Lo aveva promesso... aveva promesso che si sarebbe imposta al mondo...
"La mia guerra io l'ho già vinta" deglutì, ma la voce si era innalzata decisa e ferma. "Quando parlo, gli uomini rispondono “Sissignora” o “Agli ordini, Capitano” e non ho mai avuto bisogno di castrare nessuno perché lo facessero. E non mi importa quello che pensano o dicono dietro, perché davanti a me, davanti al mondo, mi devono trattare con il massimo rispetto. Quello che fai non salverà nessuna donna dal destino che hai subito. Una prova di forza non farà che aumentare la tensione, e quelle che pagheranno saranno le donne che il coltello non ce l'hanno a disposizione. Cerca la tua vendetta, ma non aspettarti che io ti lasci campo libero per farlo"
Si sarebbe imposta, sì, ma non come lei.

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Capitolo 11
*** 11 ***


La Sfregiata: "Nè tu, nè nessun altro può fermarmi!"
Il suo tono si feceva sempre più rabbioso, gesticolava sempre più velocemente. "Credevo potessi capirmi, e invece no…tu…tu vuoi arrestarmi tu…tu vuoi che io la smetta non è vero?!
Bhè…sappi che io non mi fermerò…e lo sto facendo anche per te
Lo capisci?!"
La pioggia continuava a battere incessante, il temporale non accennava a diminuire e alcuni lampi illuminavano il cielo…seguiti da fortissimi tuoni che la facevano sussultare
per lo spavento.
Nella sua mente folle cominciò a farsi strada un idea…aveva assolutamente bisogno del consenso di quella donna che tanto ammirava…
La sfregiata

"Ho bisogno di tempo". Cominciò a ripetere come una cantilena, quasi sottovoce, camminando avanti e indietro davanti al Capitano. "Sì tempo…devi darmi tempo….
Ho intenzione di dimostrarti che anche tu potresti approvare ciò che sto facendo…
No! Non ti avvicinare…non ti avvicinare.
Oppure potrei sfidarti….a prendermi Capitano…che ne dici? Questo gioco ti piace di più?"
Le sbraitò ridendo sguaiatamente. Sì…ti sfido Capitano…

"C’è una donna….che non merita di essere tradita…" iniziò a canticchiare come se fosse una filastrocca. "Vuoi sapere come continua? Bene capitano ti sfido a prendermi… c’è qualcuno che merita di essere punito….per averla….ferita!
Entro la mezzanotte di domani, Capitano, qualcun altro verrà punito….e allora sono sicura che mi ringrazierai!"

Di nuovo quell’inquietante risata si mescolò al picchettio della pioggia. D’improvviso urla e bestemmie si levarono nell'aria sovrastando la sua voce. Un gruppetto di uomini quasi sicuramente ubriachi si stava avvicinando nella loro direzione, due di loro si stavano prendendo a pugni.
Uno di loro tirò fuori un coltello, e tutti spinti dall’antica legge della sopravvivenza si allontanarono dal losco figuro, formando in cerchio irregolare intorno ai due.
Entrambe si voltarono a guardare la scena, vedeva che il Capitano era combattuta.
Fu il caos.
Approfittò della confusione e della momentanea distrazione del Capitano per dileguarsi, non era ancora il momento di farsi prendere…a dire il vero non lo sarebbe mai stato.
Avrebbe preferito morire e se fosse stato necessario, l’avrebbe fatto con le sue stesse mani.
Mentre cercava un riparo lontano dal mondo si chiese perché lei non volesse capire qual era la sua missione. L’avrebbe costretta ad approvare quanto stava facendo, ne era sicura.
Il prossimo omuncolo da punire….stavolta l’aveva scelto. L’apice del trionfo.
Sperava che il Capitano avesse capito di cosa stesse parlando. Non voleva essere fermata, voleva solo essere capita.
Si fermò in un vicolo lontano dalla vita, completamente fradicia e il coltello sempre stretto in mano nascosto sotto la mantella. Un buon odore di pane appena sfornato…e lo
stomaco che brontolava. Sbirciò nella piccola finestrella sopra la sua testa.
Pensò che non aveva nulla da perdere.

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Capitolo 12
*** 12 ***


"Sì, ti sfido Capitano".
Pazza. Non era solo il viso ad essersi sfigurato con quella ferita. Il coltello in qualche modo doveva averle lesionato anche la mente, non c'era altra spiegazione.
Forse cominciò a guardarla sotto la giusta luce, cioè una donna completamente fuori di senno. Cominciò ad averne quasi paura. Aveva visto che cosa era capace di fare: i pazzi non si battono alla stessa maniera di un normale essere umano... era come una bestia feroce e selvaggia.
In che modo aveva intenzione di sfidarla? Non certo un duello, con quel coltellino lì non sarebbe andata lontano confrontandosi con la sua spada... Elena avrebbe dovuto ucciderla. Ma nonostante la freddezza che tentava di tirare fuori dal suo ruolo di Capitano, non ne aveva il coraggio.
Com'era assassina, contemporaneamente era anche vittima... erano stati altri a ridurla in quelle condizioni, a renderla pericolosa. Non era colpa sua.
Ciononostante, Elena sapeva che doveva fermarla al più presto. Non poteva lasciarla in libertà.
Quando parlò di nuovo, Elena si rese conto di non aver ancora visto il fondo della sua follia. "C'è una donna... che non merita di essere tradita..." disse. Solo vagamente, Elena si accorse di essere quasi ipnotizzata da quelle parole, all'apparenza senza senso. Avrebbe dovuto disarmarla e trascinarla in vincoli in caserma.
"Vuoi sapere come continua? Bene, Capitano, ti sfido a prendermi...c’è qualcuno che merita di essere punito….per averla….ferita!
Entro la mezzanotte di domani, Capitano, qualcun altro verrà punito….e allora sono sicura che mi ringrazierai!" scoppiò a ridere.
Come poteva una persona ridursi in quel modo? Abbandonare a ragione ai demoni della vendetta. Vendetta che avrebbe logorato lei molto più che coloro che tentava di punire.
Non l'avrebbe cambiato il mondo, non certo in quel modo.
Alla fine Elena riuscì a comprendere perché l'aveva chiamata quella sera... e comprese quale sarebbe stato il suo compito.
"Lascia che ti aiuti" non sapeva bene come. Aveva ucciso delle persone, e questo comportava la condanna a morte, se l'avesse catturata. Ma se non l'avesse fatto, avrebbe continuato ad uccidere, fino a distruggere quel poco che restava di se stessa. La rabbia che aveva provato nei giorni precedenti verso quell'assassino che la faceva impazzire, si era del tutto convertita in pietà per chi aveva davanti.
Non seppe mai la risposta della donna, perché in quello stesso momento, nella locanda poco distante da loro scoppiò la scintilla di quella che sarebbe divampata presto in una vera e propria rissa. L'incantesimo si ruppe con quella distrazione come un bicchiere di cristallo lasciato cadere per terra.
Doveva intervenire... no, non poteva lasciarla fuggire... aveva intenzione di uccidere ancora, e lei non aveva idea neanche di dove cominciare a cercarla per poterla fermare.
Quell'indecisione durò un momento di troppo. Quando decise finalmente quale fosse la priorità, l'assassina si era già dileguata, e a nulla valse tentare di rincorrerla. Era come se il buio della notte l'avesse inghiottita, trasportandola più lontano di quanto avrebbero fatto delle semplici gambe.
Lo stridere metallico delle armi le suggerì l'arrivo imminente delle guardie per sedare la rissa. Non dovevano trovarla, non avrebbe mai dovuto essere lì e non aveva intenzione di dare spiegazioni in merito.
Solo in quel momento, lontano dall'incantesimo della follia dell'assassina, si rendeva conto della grave mancanza che aveva avuto nei confronti della polizia andando all'appuntamento da sola, e quanto lo fosse maggiormente l'essersela fatta sfuggire sotto il naso.
Si coprì lesta con il cappuccio e si allontanò a passo veloce dal campanile e dalla vista delle guardie, mimetizzandosi nella notte grazie al mantello nero.
E adesso? Pensava mentre tornava in caserma, ormai suo alloggio definitivo. Che avrebbe fatto? Dove l'avrebbe cercata?
Aveva tempo fino alla mezzanotte successiva per farsi illuminare da una brillante idea.
Se aveva detto che avrebbe ucciso, così avrebbe fatto... E se ci fosse riuscita, come avrebbe potuto perdonarselo? Gli altri omicidi erano sì sotto la sua responsabilità, ma istituzionale, non morale... non era stata avvertita... come era accaduto quella notte.
C'è una donna che non merita di essere tradita. C'è qualcuno che merita di essere
punito, per averla ferita. Non riusciva a capire. Troppo concentrata sul tono con cui l'aveva quasi canticchiata. Deliri di una fuori di testa, ma... se credeva che ci fosse qualcuno da punire, si sarebbe arrogata il diritto di farlo. Ma chi?
Doveva entrare nella sua psicologia, ma a differenza dell'assassina, lei era sana di mente... non era facile.
A quanto era riuscita a carpire da quel breve discorso, per lei nessuna donna meritava di essere maltrattata... e allora quale uomo avrebbe punito?
Doveva essercene qualcuno in particolare.
La guardia davanti alla caserma stava dormendo praticamente in piedi. Non avrebbe dovuto, ma per quella volta decise di chiudere un occhio. Doveva approfittare di quella svista, nessuno doveva sapere che era uscita.
A passo leggero rientrò nel suo ufficio buio.
Atmosfera adatta per pensare... no, non ci riusciva a pensare... doveva risposare. Si asciugò superficialmente i capelli fradici con un panno di stoffa e si sdraiò sulla brandina improvvisata accanto ad un archivio.
Guardò il vetro infranto della finestra... non riusciva a pensare... Era poco più lucida di quanto non fosse stata pochi minuti prima. Quella sfregiata era pazza, sì... ma una pazza furba. Sapeva di averle fatto effetto e che con l'immagine di quello sfregio lungo il viso, difficilmente sarebbe riuscita a concentrarsi in tempo su come risolvere quel caso.



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Capitolo 13
*** 13 ***


6 Aprile 1458

"Dove siete stata ieri notte?"
La domanda la raggiunse lontana e disturbata come se avesse avuto le orecchie tappate con del cotone.
Erano le sette e un quarto del mattino, mancavano sedici ore e tre quarti alla scadenza della promessa della sfregiata, ed Elena non aveva la più pallida idea di dove sbattere la testa.
Era affacciata alla finestra, dalla quale era stato eliminato il vetro rotto per essere sostituito in seguito.
Guardava la città avanti a sé. Ogni angolo le sembrava un possibile nascondiglio, ogni uomo che passava una possibile vittima. Quasi li vedeva camminare già nudi e sfregiati.
Di dormire non c'era stato verso. Appena chiudeva gli occhi, l'immagine vivida di quella cicatrice riaffiorava come se l'avesse avuta nuovamente di fronte. Quello sguardo folle, e quella risata maniacale la perseguitavano.
La domanda del Maresciallo non la colse affatto di sorpresa. Ormai credeva di aver dimenticato anche cosa significasse la parola “sorpresa”. Da un po' di tempo a questa parte aveva cominciato ad aspettarsi di tutto da tutti. Era passata dal ghiaccio duro e gelido, all'aridità dell'anima più totale, in cui non sarebbe mai potuto crescere nulla.
Quella notte, a mezzanotte, il mondo avrebbe segnato la definitiva sconfitta del Capitano Elena. Quelle sedici ore erano solo un'agonia.
Si voltò verso il Maresciallo.
Era un ritratto, come al solito. Non ricordava di averlo mai visto in qualsiasi altra posizione. Sull'attenti davanti alla sua scrivania, né più a destra e né più a sinistra del solito, quasi avesse messo la croce sul pavimento nel punto esatto in cui i piedi dovevano posizionarsi.
"Dove sono stata ieri notte?" domandò di rimando, quasi volesse che fosse lui a dirglielo. Lei era troppo stanca.
Stanca di ragionare. Stanca di cercare di interpretare le filastrocche di una fuori di testa.
Incredibile. Capitano della polizia, e una pazza totale riusciva a farla perdere in un bicchier d'acqua.
Si lasciò cadere sulla sedia, abbandonando la schiena all'indietro e le braccia sui braccioli di legno. Lo guardò con gli occhi gonfi cerchiati dal viola delle occhiaie, due borse che conservavano al loro interno decine di ore di sonno arretrate.
"Capitano..." c'era solo una leggerissima, quasi impercettibile nota di impazienza che risaltava rispetto al solito tono apatico. Scomparve, dopo qualche secondo di pausa e una schiarita di gola. "Vi è caduto questo dalla tasca ieri sera...".
Elena riconobbe il rotolino di pergamena ancor prima che il Maresciallo lo aprisse mostrandole il messaggio. Era quello dell'assassina, arrivatole insieme al sasso il pomeriggio precedente.
Se solo non l'avesse mai ricevuto...
Vedere quel biglietto nelle mani del Maresciallo, non le provocò alcun effetto particolare. Si limitò ad annuire lentamente, senza dire altro. "Ho mandato le guardie a controllare ieri sera, forse troppo tardi. Non ho detto niente a loro. Vi ho già detto che mi fido di voi... ma vi prego di spiegarmi per quale ragione siete andata...". Sembrava un padre paziente, che tentava in tutti i modi di arginare quello che avrebbe dovuto essere un rimprovero verso la figlia ribelle.
Senza volerlo, Elena ripensò a suo padre.
L'aveva odiata. L'unica figlia che invece di pensare a filare la lana, si divertiva con armi e bastoni, a giocare al soldato.
Quale uomo al mondo l'aveva mai amata?
Elena sospirò, cercando invano di buttar via quanta più depressione poteva.
"Riccardo, giusto?" gli chiese all'improvviso. Non gli si era mai rivolta dandogli del “tu” o chiamandolo per nome. Persino sul viso imperscrutabile del Maresciallo si intravide crescere un leggerissimo punto di domanda.
"Come dite?" chiese lui, riuscendo a stento a far uscire la voce dalla gola.
Elena sorrise con pazienza.
"Immagino sia questo il tuo nome, vero? Oppure i tuoi genitori avevano tanto senso dell'umorismo da battezzarti Maresciallo?" da dove uscisse questa nuova lei, non sapeva dirlo, soprattutto davanti a chi avrebbe dovuto trattare con la disciplina di Capitano.
Doppiamente sorpreso era lui stesso.
"Sì, Riccardo, Capitano". Continuava a chiamarla così, probabilmente nel tentativo di ricordarle quale fosse la realtà. Lei non ci badò affatto.
"Siediti" disse indicando una delle due sedie di fronte. La sorpresa del Maresciallo quadruplicò, se possibile. "Per cortesia" insistette dolcemente.
Ancora un secondo di esitazione, infine il Maresciallo capì che Elena non stava affatto scherzando. Obbedì.
"Bene, Riccardo... ora dimmi, quante donne conosci che hanno assunto una posizione cosiddetta di potere" gli disse, quasi lo stesse interrogando a proposito della cultura generale.
"Nessuna, oltre voi..." non si aspettava che il Maresciallo osasse prendersi la sua stessa confidenza chiamandola per nome o dandole del tu, perciò non gli chiese di farlo.
"Molto bene" approvò Elena annuendo vistosamente con il capo. "E quante assassine conosci?" la risposta a questa
domanda non arrivò veloce come quella precedente. Il Maresciallo la fissò a bocca semiaperta per qualche istante, poi balbettando parve trovare una risposta soddisfacente.
"Be'... be', le streghe..." cominciò, ma Elena interruppe quella frase alzando appena la mano destra.
"Riccardo, non stiamo raccontando favole ai bambini... Per cortesia, dimmi quante assassine reali conosci..." ripeté, sperando in una risposta migliore.
"Solo questa, Capitano..." disse accennando al rotolo di pergamena che ancora teneva tra due dita. "Spero non vogliate
paragonarvi a lei...".
"Sto solo cercando di fare un ragionamento... Sarà logico anche per te, Riccardo, pensare che un'assassina del genere, che per movente si vendica su stupratori, non si rivolgerà mai ad un membro maschile della polizia" rispose, tentando di
trascinarlo lentamente e con pazienza nel suo ragionamento. Solo in quel momento la frustrazione di non aver capito niente in quella storia, esplose anche nelle parole del Maresciallo.
"Gli assassini non si rivolgono alla polizia. Cercano di sfuggirle. E in ogni caso, non sareste dovuta andare da sola" ricominciò con il rimprovero, ma Elena lasciò che le scivolasse addosso, come stava facendo gran parte delle emozioni che avrebbero dovuto colpirla. Arida come un secchio di sabbia. "Che cosa voleva, in ogni caso? E perché non è qui?" insistette il Maresciallo quando capì che non avrebbe aggiunto altro.
"Mi è sfuggita" ammise stancamente Elena stropicciandosi gli occhi con due dita. "Credo volesse che comprendessi il suo gesto, da donna a donna, diciamo... che la incoraggiassi a continuare... magari che l'aiutassi anche".
"Ma...".
"Maresciallo, mi conoscete abbastanza per non dover neanche porre questo genere di domande" tornò bruscamente ai modi militari, quasi senza accorgersene. Non avrebbe messo apertamente in discussione la propria realtà proprio mentre era divorata dalla colpa proprio in tal senso.
Funzionò, il Maresciallo tacque, quasi imbarazzato di aver potuto dubitare per un secondo della lealtà di Elena verso la polizia, verso la sua città.
Elena sospirò di nuovo, crollando ancora in quell'apatia che ormai aveva conquistato il trono del deserto dentro di lei. "So di aver sbagliato a decidere di incontrarla senza scorta. Forse semplicemente sapevo che non mi avrebbe fatto del male, e infatti
non era sua intenzione, altrimenti, ti assicuro, ci avrebbe perlomeno provato".
Per un momento pensò anche di aggiungere della sfida che le aveva lanciato. Ma ci ripensò ancor prima di prendere fiato per parlare. Era inutile renderlo partecipe, non poteva aiutarla.
Qualcosa però, doveva pur dirla, per dare l'immagine di chi, al contrario di ciò che sentiva dentro, faceva qualcosa per proseguire le indagini. "Di buono c'è che l'ho vista in faccia... e ti assicuro che non è un viso che si mimetizza facilmente...".
Gliela descrisse, fingendo di acconsentire al suggerimento di mandare le pattuglie a cercare una donna del genere.
Non l'avrebbero mai trovata. Elena l'aveva vista solo perché era stata lei a decidere di mostrarsi, e non l'avrebbe mai fatto se non fosse stata comunque certa di essere al sicuro.
Era pazza, mica scema...

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Capitolo 14
*** 14 ***


cp 14 6 Aprile 1458

Le ore successive trascorsero di fretta.
Più pensava, più sentiva che non avrebbe afferrato la soluzione. Ma di smettere di pensarci, non c'era verso.
Il pigro viaggio del sole primaverile verso ovest non rallentava affatto la corsa di quella giornata che stava passando veramente troppo in fretta.
Erano solo le quattro e mezza del pomeriggio, e mancavano sette ore e mezza alla scadenza, ed Elena si sentiva ancora ferma al punto di partenza, incollata con le scarpe nella pece.
Aveva optato per una breve passeggiata in città, in mezzo alla vita comune. Quella vita che le scorreva rapida senza osare sfiorarla. Vedeva il mercato, le botteghe, il teatro, e
infondo, molto lontano, i campi coltivati.
Cosa sarebbe stato di lei a quell'ora se avesse seguito le parole di suo padre? Una contadina, dedita al ricamo per ammazzare il tempo nelle lunghe giornate invernali accanto al fuoco, dei figli, un marito da attendere, che lavorava e portava a casa il pane.
Di certo non avrebbe ricevuto missive da assassine con manie di grandezza.
Ma era inutile sognare una vita tranquilla quando sapeva che non l'avrebbe mai
sopportata. Il Creatore l'aveva maledetta con una foglia in più rispetto al resto del prato. La sua vita era per coraggiosi... stolti forse... affatto facile e tranquilla.
Tornò in caserma quando le strade cominciarono a svuotarsi.
Erano le sette di sera. Mancavano cinque ore. Nessuna idea per la testa.
Seduta alla sua scrivania, con le gambe che le dolevano dalla lunga passeggiata, fissava con occhi vitrei la porta chiusa di fronte a sé.
Ormai era chiaro: chiunque fosse in pericolo di vita quella notte, avrebbe fatto bene a scolarsi la sua ultima birra e pagare l'ultima buona donna... perché nessuno era mai tornato a testimoniare se l'inferno ne fosse fornito o meno.
Quella cantilena aveva ormai preso piede nel suo cervello, e la ripeteva nella mente come una ninna nanna, quasi davvero potesse conciliarle un sonno che non accennava ad
arrivare.

C'è una donna che non merita di essere tradita. C'è qualcuno che merita di essere punito, per averla ferita.

Ma chi? CHI??
Le aveva pensate tutte... dal più umile garzone, fino a pensare addirittura al Vescovo.
Temeva che avrebbe scoperto l'identità della premeditata vittima solo la mattina seguente, quando una delle guardie, pallida e in preda alla nausea, le avrebbe portato la notizia.
Sospirò, distogliendo infine lo sguardo dalla porta per guardarsi le mani... si accorse solo in quel momento che stava strofinando la base dell'anulare sinistro con il pollice e l'indice destro.
Una vecchia abitudine. Sì, se la ricordava... quando portava l'anello.
Scoppiò a piangere.
Che liberazione.
Scoprì di essere ancora capace di piangere... chiaro sintomo che fosse ancora in vita, quando aveva fermamente creduto di vivere ormai solo per inerzia.
Quasi come sanguinare... e in effetti, era altrettanto doloroso.
Rinunciò a tenere il conto del tempo che trascorse a singhiozzare e versare più lacrime di quanto probabilmente avrebbe mai pensato di fare in vita sua... poteva permetterselo... era da sola in quella stanza...
Era da sola. Completamente. Non aveva più nessuno su cui contare, e mai più si sarebbe fidata tanto di nessun altro.
Nessun essere umano merita di restare da solo!
E allora perché? Perché proprio a lei? Per quale motivo meritava quella punizione??

C'è una donna che non merita di essere tradita. C'è qualcuno che merita di essere punito, per averla ferita.

Oh... no...

Bhè…sappi che io non mi fermerò…e lo sto facendo anche per te.
Lo capisci?! ...
Ho intenzione di dimostrarti che anche tu potresti approvare ciò che sto facendo…
Entro la mezzanotte di domani, Capitano, qualcun altro verrà punito….e allora sono sicura che mi ringrazierai!
Bene, Capitano, ti sfido a prendermi...

Oh... no... no... no...

...vostro marito dovrebbe ringraziare il Creatore ad ogni ora del giorno e della notte per la fortuna che gli è stata concessa...

Di nuovo così stupida... di nuovo così cieca...
Non ricordava di averlo ordinato al cervello, forse non era stato quello a mandare l'impulso, in effetti... ma era scattata in piedi, ed era corsa fuori dal suo ufficio.
Aveva girato quasi l'intera città quel pomeriggio e non l'aveva visto... era stata lei a dirgli di andarsene.
Santo cielo, ancora non poteva credere che fosse possibile... era... un vero e proprio incubo.
Uscì fuori dalla caserma, dove avevano avuto la loro ultima conversazione... ma sapeva già che non l'avrebbe trovato. Non ci aveva neanche fatto caso quando era uscita, né quando era rientrata...
Corse di nuovo dentro, sotto gli occhi perplessi di una delle guardie di turno.
"Maresciallo!" esclamò quando lo vide nel corridoio. Subito scattò nel saluto militare quando la vide.
"Capitano" disse, ma lei non aveva tempo per i convenevoli.
"Avete una vaga idea di dove possa essere mio marito?"

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Capitolo 15
*** 15 ***


cp15 La Sfregiata

6 Aprile 1458

Il tempo scorre veloce tra le tue dita.
L’ennesima notte per strada, sei invisibile quando non sei nessuno e non vali niente.
Unico pensiero fisso….che il Capitano avesse capito.
Unica speranza, trovare l’omuncolo impunito.
L’aveva seguita, osservata.... da quando l’aveva vista la prima volta china sulla sua prima vittima, intenta ad analizzare il cadavere.
Sapeva dove abitava, sapeva che la sua vita era divisa fra la sua abitazione e la caserma.
Sapeva di suo marito. Ma non sapeva dove trovarlo.
Era riuscita a mangiare senza versare un'ulteriore goccia di sangue, e questo la faceva sentire stranamente sollevata.
Nascosta come sempre aveva ascoltato la conversazione fra lei e suo marito…ma disgraziatamente non le era venuto in mente di seguirlo.
Ancora non sapeva cosa avrebbe voluto fare.
Aveva vagato per la città tutta la mattina, sedendosi ai bordi dei viottoli, come in un precario stato di trance alzando lo sguardo di tanto in tanto, per vedere se il passante di
turno impietosito era adatto e disposto a sganciarle qualche ducato.
Spesso veniva insultata e schernita in malo modo ....
“Ehi non provare ad avvicinarti…feccia!”
Oramai era abituata a ciò.
Le scivolava addosso, esattamente come la pioggia battente della sera prima.
Se il Capitano avesse capito si sarebbe diretta immediatamente nel luogo in cui era suo marito, inizialmente ipotizzò che poteva essere tornato nella loro casa.
Seduta per l’ennesima volta si guardò i piedi, scalza, le facevano male, erano pieni di vesciche.
Il selciato di certo non aiutava.
Trovò rifugio in quella zona della città dove i bambini scalzi giocavano con le pozzanghere lasciate dalla pioggia, e dove il fetore degli escrementi degli animali che
circolavano liberi si mescolavano a quello delle persone. Dove le case erano fatiscenti e quasi costruite l’una sull’altra, dove se volevi vivere non avevi altra scelta che rubare,
dove chiunque con un po‘ di ducati in tasca e un po’ di avventatezza ci si avventurava per sbaglio, moriva senza essere più trovato. Ma a lei vestita di stracci quel posto non poteva che essere familiare, ci era nata e ci aveva vissuto prima di entrare a far parte della squadretta di madame d’Ou e dopo, quando era stata cacciata. Trovava riparo nei fienili, o in mezzo alle mangiatoie abbandonate, inutilizzate e sporche tra una baracca e un rudere.
Organizzò stranamente i pensieri. C’erano due possibilità, restrinse quindi il campo di ricerca alla loro abitazione e alle taverne della città. Decise che avrebbe lasciato per
ultima l’abitazione. Dopo quanto era accaduto era la meno probabile. Rimase a pensare seduta vicino ad una mangiatoia, rannicchiata, la testa fra le ginocchia tra le urla dei
ragazzini che ora litigavano, ora giocavano senza curarsi di lei e della loro mera condizione di vita. Quando rialzò la testa era quasi il tramonto. Le aveva detto
mezzanotte. Ma in realtà non sapeva quando sarebbe stata, quando sarebbe arrivata la mezzanotte. Avrebbe potuto regolarsi con i rintocchi delle campane della chiesa più
vicina, ma le capitava spesso di confondersi, com'era successo la sera prima...non sapeva definire bene quanto tempo avesse aspettato sotto al campanile. Si rese conto di essere un ‘incosciente, aveva parlato a vanvera spinta dall’enfasi della situazione e del momento.
Il suo girovagare continuo per la città l’aiutava, conosceva esattamente quante taverne c’erano in città.
Cinque.
Il crepuscolo.
Si alzò per raggiungere la prima.
A piedi scalzi e dolenti, cominciò con quella non molto lontana da dove si trovava. Una taverna frequentata per lo più da gente come lei, una taverna fatiscente e maleodorante, dove se volevi sederti dovevi chiedere permesso ai ratti.
Sbirciò dentro. Un uomo seduto con la testa appoggiata sul tavolo. Non era chi stava cercando.
La seconda taverna. Di media grandezza, frequentata per lo più da membri della giustizia cittadina, in effetti la trovò piena di soldati e gendarmi in splendente divisa, che invece di fare il loro lavoro si ubricavano lontano dagli occhi dei loro superiori.
Eccolo lì.
Diamine che fortuna.
Troppa fortuna.
Davvero troppa.
Inverosimilmente troppa.
Il solo guardarlo, le creava un moto di rabbia proveniente direttamente dalle viscere.
Quella sì che era feccia. Come poteva il mondo esser popolato da tanta feccia.
Come potevano essere loro-gli uomini- portatori della vita.
Come poteva quell’uomo con la testa ciondolante e i gomiti appoggiati sul bancone essere colui che quella donna che tanto ammirava, amava o aveva amato.
Si rese conto che non poteva saperlo e ebbe un momento d’indecisione. Lo osservava da quella finestrella sbarrata che dava dirtettamente sulla strada.
Era ubriaco, e parlava con un altro uomo. Un uomo che lei aveva già visto in quegli ultimi giorni.
Vide una donna avvicinarsi ai due con fare lascivo. Riconosceva quei modi, perché erano stai insegnati anche a lei.
Poi l'altro se ne andò.
La rabbia, il disgusto, il disprezzo, si fecero spazio nel suo stomaco infinitamente vuoto.
Lo vide mentre allungava una mano verso la donna, stava quasi per sbilanciarsi dallo sgabello quando quella stessa mano atterrò sul seno di lei.
L’avrebbe atteso uscire. Il coltello ben saldo nella mano destra sotto la mantella. Si sedette nel vicolo proprio accanto alla porta della taverna. Prima o poi sarebbe dovuto
uscire per far ritorno a casa.
Scende la notte.
Il coltello ben saldo nella mano destra.
Il momento era giunto.
Come le era accaduto nei giorni precedenti dimenticò ogni cosa. Dimenticò persino il Capitano. Una volta che l’obiettivo era focalizzato, non esisteva più nulla.
Solo lei, il suo coltello e chi sarebbe stato punito.
Seduta in quel vicolo buio, nascosta dal favore delle tenebre, si chiese se Aristotele approvasse quanto stava facendo. Una voce nella sua testa le disse di sì. Aristotele aveva
fatto sì che lei lo trovasse senza troppa fatica. Aristotele punisce i traditori. Lei era lo strumento della punizione divina.
La sua pazienza sembrò essere ripagata.
Udì la stessa voce che aveva implorato perdono il giorno prima, e si tenne pronta.
Sbirciò oltre l’angolo del vicolo per assicurarsi che il traditore fosse solo.
Con un boccale in mano, ciarlava da solo e piangeva quasi. Si sporse allungando la mano sinistra fuori dalla mantella
"Messer fate la carità ad una poveraccia messer, v’imploro fate la carità" Disse a testa bassa con voce tenera, quasi dolente
Lui d’apprima noncurante, si girò a guardarla avvicinandosi..
"Ehi…fatti vedere sotto quel cappuccio…magari possiamo…Aaaargh!"
Senza pensarci due volte, afferrò una sua mano per attirarlo a se nel vicolo, velocemente tirò fuori il coltello con l’altra e lo infilò nell’addome dell’uomo, che sentì l’urlo
scomparirgli in gola soffocato dal sangue che non trovò altra via d’uscita che dalla sua bocca. Lo pugnalò con talmente tanta rabbia e forza, che l’uomo rimase per alcuni istanti in piedi di fronte a lei, bloccato, sospeso fra la vita e la morte, trovando la volontà per scostare dal viso della sua truce assassina il cappuccio, per scoprire quel disgustoso sfregio che aveva in viso, guardarlo per un attimo e accasciarsi al suolo accompagnato dolcemente dal coltello che gli si rigirava nelle viscere.
Un ghigno soddisfatto e compiaciuto comparve sulle labbra della sfregiata.
L’osservò per un attimo agonizzare a terra, si chinò per afferrarlo per i piedi e trascinarlo nell’oscurità per terminare l'opera quando uno scalpitìo di passi e voci concitati si
avvicinava nella sua direzione….doveva fare in fretta.
Ma quell’uomo era davvero pesante per lei. E chiunque fosse passato di lì avrebbe notato una testa spuntare dal vicolo. Sperò nell'indifferenza dei passanti, colonna sonora della sua esistenza.

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Capitolo 16
*** 16 ***


Note: Il capitolo di Francesco è stato scritto interamente dalle mani sante di Lupa. Io ti odio! ç_ç

Francesco

6 Aprile 1458



Avrebbe fatto di tutto per poter tornare indietro per non aver mai compiuto mai quel passo.
Era un uomo sì ed era debole.
Non aveva saputo tenerle testa, lei era così migliore di lui.
Non avrebbe dovuto ascoltare i suoi amici quella notte di qualche settimana prima, per gioco dicevano, noi tutti abbiamo un’amante e mettevano in dubbio la sua virilità.
Da quanto tempo non stringeva Elena…
E Marietta non era affatto male, rotondetta e sciocchina, iniziò a corteggiarla per scherzo, qualche bigliettino, non avevano neanche consumato, qualche bacetto, per non perdere la faccia con Lorenzaccio, il Guercio e Ramon, il nuovo amico spagnolo che vantava conquiste in tutta la Castiglia e mezzo Impero.
Non voleva essere da meno ed era stato debole, Marietta era sciocca sciocca.
"Era bellina ma sciocca proprio come te" disse alla ragazza discinta al suo fianco, voleva avvicinarsi e spiegarle bene quanto era sciocca Marietta ma il poco sangue che gli scorreva nell’alcool che aveva nelle vene si raggelò quando, sbagliando mira, la appoggiò sul suo seno per non cadere dallo sgabello.
Avvampò.
"Si può sbagliare una volta, non due" le disse biascicando.
Ramon era stato a sentirlo per mezza sera, lo aveva fatto ubriacare ma deplorava le condizioni in cui Francesco si era ridotto. Per la moglie poi!
Così lo aveva abbandonato per andare a riempirsi di gonorrea in qualche altro bordello. Inconcepibile per quel collezionista di sottovesti piangere in pubblico per una donna, per una moglie, la compagna istituzionale, quella che doveva procreare e stare in un angolo, millantava machismo Ramon, era Castillano lui.
Ma lui non c’era la prima volta che aveva capito che Elena non era solo la sua compagna di giochi, la prima volta che aveva assaggiato il sapore delle labbra di lei, non c’era
quando per la prima volta aveva sentito il contatto con la sua pelle dopo quel giorno di balli e parenti, padre Onorio aveva detto “per sempre” proprio così, lo ricordava ancora Francesco.
Lo scosse un singhiozzo, guardò la ragazza:
"Tu non ti puoi chiamare Elena, non sai conversare come lei, li vedi?"
Indicò la platea di militari nella bettola.
"Tutti questi omaccioni tremano ad un suo sguardo e lei non mi ha mai tradito, mai, nonostante quel maresciallo, ah lui. Dev’essere innamorato di lei, dev’essere che mi vuole portare via Elena".
Poi trasse un plico di lettere. "Me le ha mandate lei in tutti questi anni, vedi com’è grosso il pacco? Le ho portate con me, avrei voluto che le rileggesse, che non dimenticasse, che non mi dimenticasse". Continuò a delirare finché la ragazza in silenzio non tirò fuori una boccetta da una tasca e gli applicò un po’ di unguento sull’occhio tumefatto.
Chiese solo: "E questo?".
"È stato lui, quel Maresciallo, ma aveva ragione forse, che mi uccidessero pure a questo punto, tanto a che valgo?" mugugnò Francesco tra il dolore per l’applicazione e il sollievo immediato che ne traeva.
"Sai," riprese la ragazza riponendo la boccetta, "con i lividi quelle come me ci devono convivere piuttosto spesso". Sorrise di un sorriso amaro che l’uomo colse nonostante l’ubriachezza.
Poi gli disse: "Sei un brav’uomo, normalmente quelli a cui accadono vicende come le tue vengono a sfogarsi e non a parole, con quelle come me. Torna a casa, domattina fatti un bagno e ripresentati da lei con le lettere. Sono sicura che neanche lei ti ha dimenticato, spiegale la vicenda, non aspettarti perdono immediato, dovrei seguirla piano piano.
Ora va che non voglio che si accorgano che sto a conversare, devo mio malgrado guadagnare qualcosa".
Francesco in uno sprazzo di lucidità le lasciò tutti i ducati che aveva in tasca.
"Così per un paio di giorni potrai stare tranquilla" le disse abbracciandola.
Ripose il plico delle lettere dentro la camicia, in modo da non perderle e uscì dalla taverna e stava come quegli ubriachi che dopo la malinconia pensano di avere finalmente
in mano la soluzione a tutti i loro problemi e nell’euforia della bontà ricevuta pensava di andare in giro a scambiare il favore.
Quando la mendicante gli si avvicinò non aveva più denari, ma voleva ugualmente sperimentare la sua nuova attitudine era incappucciata:
"Ehi…fatti vedere sotto quel cappuccio…magari possiamo…Aaaargh!" voleva vederla in viso ma lei fu più veloce.
Successe tutto in un attimo, i colpi alla pancia, le lettere tentava di mugugnare Francesco tra il dolore e l’alcool, le lettere.
Per il colpo la vecchia ulcera allo stomaco, frutto di pessimi ranci in tempo di guerra si riaprì, troppo alcool e digiuno in quei due giorni e il colpo fatale.
Vomitava sangue e sentiva dolore ai visceri, Elena non avrebbe più potuto leggerle quelle lettere, così rotte e imbrattate di sangue che ora sentiva scorrergli anche dall’addome.

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Capitolo 17
*** 17 ***


17 6 Aprile 1458

Le lame scintillano quando sono sotto la luce del Sole. Invece quando questa manca, diventano praticamente invisibili ma non intangibili, e il loro soffio delicato, lo si distingue
subito.
Così, quando il filo di una lama accarezzò quasi dolcemente la gola della sfregiata, questa si irrigidì.
"Come si dice: tra moglie e marito..." disse la voce di Elena dall'ombra, disumana come neanche lei avrebbe mai creduto di riuscire ad essere. Lasciò in sospeso il proverbio: "Stai ferma!" esclamò, sorprendendo se stessa della forza che impresse in quell'ordine, e del brivido di rabbia che le percorse il braccio fin quasi a far vibrare la spada. "Fai solo un altro passo verso di lui, e lo sfregio sulla faccia sarà la tua ultima preoccupazione, te lo prometto".

Era in una specie di trance. Aveva solo la vaghissima idea di ciò che realmente stava facendo.
Non sapeva che ore fossero, ma era cosciente che fosse maledettamente tardi. Se solo l'avesse capito prima, l'avrebbe raggiunto a casa, e magari convinto a non uscire.
Invece, il Maresciallo le aveva detto che lo aveva visto bazzicare nei dintorni di una locanda, una di quelle che sapeva essere frequentata anche da tanti suoi sottoposti.
Un posto affollato, certo, dove la sfregiata non si sarebbe mai neanche sognata di avvicinarsi... ma se solo ne fosse uscito...
"Nonostante tutto... siete ancora innamorata di lui..." commentò piano il Maresciallo mentre correvano dalla caserma per inoltrarsi nelle viscere più strette della città, dove l'occhio della legge non vedeva, o fingeva di non vedere.
Elena non si rese neanche lontanamente conto che quella non fosse il genere di domande che normalmente avrebbe apprezzato.
Sii sincera... fu l'eco nella sua mente.
Sincera come lo erano le gambe che correvano senza che la sua mente le guidasse. Sincera come la mano destra che impugnava la spada, pronta a sguainarla... La sincerità era la ragazza che stava correndo, non il Capitano che parlò:
"Se non arrivo in tempo... sarà tutta colpa mia" rispose. Era la verità. Una delle tante...
"Come fate ad essere certa che andrà da lui?" le chiese ancora il Maresciallo. Teneva perfettamente il passo di corsa di Elena grazie all'ampia falcata.
"Me l'ha praticamente detto". E se solo ci fosse arrivata prima, adesso non avrebbe patito la pessima sensazione che fosse già troppo tardi.
Perché? Perché non ci aveva pensato?
Sii sincera...
Sincera? Sincera voleva dire... ammettere di non aver pensato a lui tra le possibili vittime perché... perché non lo avrebbe mai messo tra i delinquenti che erano morti sotto la lama della sfregiata. Le aveva fatto male, certo, di una ferita che nessun unguento sarebbe stato mai capace di sanare. Sapeva che non si sarebbe mai più fidata di lui... sapeva di non poterlo perdonare, come non avrebbe mai perdonato se stessa se non fosse arrivata in tempo.
Sii sincera...
Ammettere che non sarebbe mai stata capace di amare nessun altro oltre lui... Ed era esattamente questo che da quando aveva letto quella maledetta missiva, la stava uccidendo.
Sincera così va bene? pensò con rabbia. Una sincerità che odiava. Preferiva di gran lunga l'altra spiegazione, quella dei doveri da Capitano della polizia che la spingevano a correre per salvare una vita, cosa che non era riuscita a fare le altre volte.
"Entrate nella taverna e recuperate i soldati più sobri che ci sono, se ce ne sono... poi seguite il suono della mia voce".

Elena parlava a voce alta e chiara, mentre grazie ad una lievissima pressione del filo della spada, spingeva di qualche passo indietro la donna, allontanandola dal corpo di Francesco.
Non osava guardare. Nella sua mente non era ancora tutto perduto, e così ancora avrebbe dovuto rimanere. Non era il momento adatto per crollare.
"Questa volta l'hai fatta fuori dal secchio. Potevo... capire... quando volevi vendicare te stessa, ma non permetto a nessuno di vendicare me... Quello resta un mio diritto inalienabile" aggiunse a voce più bassa. La sfregiata la guardò ma non disse nulla.
Infine i passi accompagnati dal rumore del ferro delle armi sguainate anticiparono ombre che accorsero nel vicolo.
"Capitano" si annunciò la voce del Maresciallo.
"Portate questa donna in caserma. È accusata di omicidio plurimo volontario..." gli rispose, senza staccare gli occhi da quelli della sfregiata. "E non osate neanche torcerle un capello... o ve la vedrete con me" aggiunse immediatamente.
Due guardie la presero per le braccia. La donna urlò e cominciò a divincolarsi, ma la stretta ferrea le impediva in qualsiasi modo di liberarsi.
Smise di guardarla ed infine si inginocchiò al fianco di Francesco. Sanguinava, e rantolava... era ancora vivo... ma non sapeva stabilire per quanto tempo, se non avessero fatto qualcosa.
Il cuore sbatteva contro le costole, quasi urlando di uscire. Forse poteva ancora fare qualcosa.
"Chiamate in fretta un cerusico... sbrigatevi!" ordinò alle altre due guardie, che non osarono farselo ripetere una seconda volta e corsero in direzione opposta agli altri due, per andare a svegliare il cerusico.
Come poco prima, mentre correva, lasciò che fosse l'istinto a guidarla... perché la ragione non avrebbe retto alla vista del sangue che sgorgava dalla bocca di Francesco.
L'istinto del militare che è stato in guerra, la portò a sbottonargli la camicia.
Elena, la ragazza che stava dietro il vetro ad osservare, riconosceva vagamente quel corpo... come riconobbe l'anello che portava legato ad una catenina al collo. Non poteva
leggere cosa ci fosse scritto, ma avrebbe scommesso la mano destra che fosse quello di canaglia. Quando un brivido le scosse le mani, si accorse che la campana di vetro si
stava infrangendo, e corse subito ai ripari.
"Vorrei sapere se anche l'altra dolcissima dama sarebbe stata in grado di provare a stabilizzarti mentre arriva il cerusico, marito mio..." commentò a mezza voce.
Diversi fogli di pergamena imbrattati di sangue fuoriuscirono dalla camicia quando l'aprì sul ventre, all'altezza della ferita.
Ma che diavolo...?
Non poteva leggere cosa ci fosse scritto, ma si trovò a benedirle. Era un plico di un certo volume, e gran parte della lama si era persa dentro di esso piuttosto che nell'intestino di Francesco... sebbene stesse comunque perdendo una quantità preoccupante di sangue, un bagliore di speranza si riaccese nella mente di Elena, sempre confinato al di là del vetro, ma presente.
"È meno grave di quanto pensassi..." disse la voce del Maresciallo, alle sue spalle. Elena sussultò, non si era accorta che fosse ancora lì. In effetti, si era dimenticata che il mondo stava continuando a ruotare intorno a lei, nonostante tutto.
Elena non rispose, finì di togliergli la camicia e gliela legò con un forte nodo all'altezza della ferita, per fermare l'emorragia, o almeno quella interna. Francesco urlò dal dolore
sputando ancora sangue.
"...ancora sette giorni e potrò tornare. E quando lo farò, voglio che sia per sempre..." disse ancora il Maresciallo, con l'espressività di chi legge qualcosa a fatica.
Elena si voltò di scatto verso di lui... vide che aveva raccolto una pergamena ed acceso un fiammifero per leggere... non era la prima volta che udiva quelle parole. "Riconosco la grafia" commentò rauco il Maresciallo mentre il fiammifero si spegneva inesorabilmente.
"Lo scrissi io..." disse Elena lasciando scorrere due lacrime.
Ormai il vetro si era infranto, ed erano state le sue stesse parole a farlo.
Le sue lettere avevano smorzato la violenza del pugnale. A quanto pareva, in qualche modo... era arrivata in tempo.
Ma non ci fu tempo per aggiungere altro, perché il cerusico e gli altri due soldati arrivarono di corsa nel vicolo.
Elena decise di fare spazio a mani più esperte, ma non prima di aver tolto la catenina con la fede dal collo di Francesco.
"Non ti posso perdonare..." pensò. Fu estremamente grata al Maresciallo, che si prese la briga di intervenire al posto suo. Non voleva alzare lo sguardo verso i soldati e mostrare loro che aveva anche un lato umano... era sbagliato... e controproducente.
"Tu raggiungi i tuoi compagni in caserma... tu, invece, aiuta me e il cerusico e portare quest'uomo in un posto più consono per essere curato" ordinò ai due soldati, che eseguirono senza osare proferire verbo.
Poté scambiare non più di un'occhiata di gratitudine con lui, prima che sparisse insieme agli altri.

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Capitolo 18
*** 18 ***


18 6 Aprile 1458

La Sfregiata

"Come si dice: tra moglie e marito..."
Quelle parole la raggiunsero affilate come la lama che sentiva premerle sulla gola. "Stai ferma! Fai solo un altro passo verso di lui, e lo sfregio sulla faccia sarà la tua
ultima preoccupazione, te lo prometto".
Avvertiva chiaramente la rabbia e la serietà che quella voce traspariva.
Il Capitano aveva capito. E l’aveva raggiunta prima che potesse portare a termine la sua missione.
Rimase pietrificata mentre la sua mente folle decideva se essere contenta oppure no di quanto stava accadendo.
Ma lei non voleva essere fermata. Voleva essere solo capita.
E da come il Capitano le premeva la lama sulla gola, capì che le cose non stavano andando esattamente come aveva sperato.
Il cuore sembrò fermarsi.
Il tempo sembrò fermarsi.
Sperò che quella lama le affondasse dentro.
Stranamente i suoi pensieri si concentrarono per un attimo sulla sensazione che le dava il sangue caldo che le rigava le mani dopo la ferita provocata alla vittima. Ogni volta
pensava che era una sensazione piacevolissima. Sentire la vita di qualcuno che ti scivola fra le dita.
Il Capitano continuava a parlare, stava dicendo qualcosa, impartiva ordini, percepiva la sua voce lontana…
"Potevo... capire... quando volevi vendicare te stessa, ma non permetto a nessuno di vendicare me... Quello resta un mio diritto inalienabile".
Come se fosse regredita improvvisamente ad uno stato infantile, non riuscì a capire e a cogliere fino in fondo il significato di quelle parole. O forse semplicemente non
voleva…e la sua mente faceva il resto. La guardava negli occhi, ma in realtà era come…assente.
"Portate questa donna in caserma. È accusata di omicidio plurimo volontario... E non osate neanche torcerle un capello... o ve la vedrete con me".
Cosa stava succedendo?
Era reale ciò che vedeva o era solo il frutto di un incubo?
Si trovava davvero in quel vicolo buio con una lama puntata alla gola?
A riportarla alla realtà furono le forti pressioni che sentì quando le due guardie la preserò per le braccia, quasi stritolandole per non lasciarla scappare.
Il suo corpo reagì istintivamente risvegliato da quello strano dolore.
"Lasciatemi!" Cominciò a cercare di divincolarsi, scalciando come un mulo e dimendandosi a più non posso. "Vi ho detto di lasciarmi! Luridi porci! Non avete il diritto di toccarmi!"
Le due guardie ridevano e la schernivano
"Stai buona assassina!"
"Lo sai che fine fa la feccia come te!"
"Saremo in prima fila quando ti faranno penzolare da una forca!"
Uno di loro la strattonò per farla camminare e insieme la trascinarono via, lontano dal capitano e da quella che sarebbe dovuta essere l’ennesima vendetta.
La forca…se avesse deciso di morire, era sicuro che l’avrebbe fatto accadere per sua stessa mano e volontà.
Doveva assolutamente trovare un modo per scappare.
Muovendosi alla cieca diede un calcio ad una delle due guardie con il tallone, e nonostante fosse a piedi nudi, riuscì a procurargli un certo fastidio.
"Ah! Brutta bagascia!"
Per tutta risposta la guardia colpita gli diede un manrovescio, e l’altra invece di tenerla, lasciò che perdesse l’equilibrio e andasse a sbattere contro il muro.
La sfregiata si accasciò a terra, stordita.
La guardia le si avvicinò e la tirò su prendendola per il collo, trovandosi faccia a faccia con lei, talmente vicino, che poteva sentire il suo alito fetido di alcool e la puzza della
taverna in cui era fino a qualche momento prima.
"Allora…" le alitò in viso "Lo vuoi capire che per te è finita?"
La sfregiata per tutta risposta gli sputò in faccia, e prima che la guardia facesse in tempo a dargli un altro ceffone gli diede una ginocchiata tra le gambe.
La guardia cadde in ginocchio dolorante e intervenne l’altra per tenerla ferma. Un grosso panzone lento e ubriaco, che provò a prenderla da dietro per fermare la sua fuga.
La sfregiata si trovò con la sua mano sulla bocca, e gliela morse come se fosse un cane rabbioso, così forte da fargli uscire il sangue. La guardia ritirò istintivamente la mano, ma un pezzo di carne rimase tra i denti della sfregiata, che aveva cominciato a correre per fuggire prima ancora di sputarlo via.
Fuggire…nascondersi…ma dove?

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Capitolo 19
*** 19 ***


19 6 Aprile 1458

Rimasta praticamente sola in quel vicolo, annegava nella confusione più totale. Quella giornata era stata... decisamente lunga. E aveva come la netta sensazione che non avesse ancora toccato il fondo.
Sperava che fosse solo un'impressione, perché ne aveva veramente abbastanza, almeno per quella sera.
Sapeva che la storia non sarebbe finita, che c'era ancora un'assassina di cui occuparsi.
Quale sarebbe stato l'epilogo? Non era difficile da immaginare. Non c'era pietà per gli assassini, e una del genere... nel giro di ventiquattro ore si sarebbe trovata nel caldo
abbraccio di un falò.
Era giusto così, si costrinse a pensare, quella sfregiata aveva ucciso delle persone, e come tutti gli altri doveva pagare... Ma ad essere sincera, Elena non era troppo convinta.
Sì, è vero, aveva appena tentato di uccidere suo marito, e non era molto chiaro se ci fosse riuscita o meno... tuttavia, non riusciva a bloccare la sua mente sull'odio, correva troppo veloce.
Il Capitano della Polizia è la legge, e deve farla rispettare, e ciò avrebbe fatto, ma nonsignificava che dentro di sé non potesse dubitarne.
La sfregiata (le veniva strano persino chiamarla in quel modo... doveva pur avere un nome normale), era una reazione. Una reazione perfettamente umana ad una condizione
sbagliata.
Certo, esistevano reazioni migliori rispetto a quella di castrare cadaveri... ma era semplicemente un'altra lingua con cui esprimersi. Una lingua barbara e brutale, ma
l'unica che avesse mai conosciuto nella sua vita. Senza contare la sua evidente infermità mentale.
Ma c'era ben poco di cui crucciarsi. La legge avrebbe fatto il suo corso, e la legge non ammette ribellioni. Quanto ad Elena non avrebbe osato impedire che il destino si
compisse. Forse era meglio così anche per lei: che cosa aveva da vivere in quel mondo oltre che la vendetta che le avrebbe soltanto corroso l'anima?
Pensava a questo, oltre che a quelle missive che aveva visto colare insieme al sangue di Francesco dalla sua pancia... perché diamine le aveva portate con sé? Cosa sperava di dimostrare? Che c'era stato un tempo in cui era innamorata di lui...? Se lo ricordava bene anche lei, e non era stato neanche troppo tempo prima...
C'era qualcosa che non andava nell'aria di quel vicolo... qualcosa di sbagliato...
Strinse gli occhi per scorgere due sagome contorcersi sulla strada, mentre un'altra, spettrale come un fantasma, stava correndo. Elena impiegò molto meno di un secondo a
risvegliarsi dal torpore e capire cosa stava accadendo.
Si ritrovò a correre dietro quell'ombra ancor prima che si rendesse conto di esserselo ordinato.
Piccola bastarda... pensò tra sé e sé.
Scavalcò di netto i due soldati, senza neanche curarsene, era certa che sarebbero sopravvissuti, erano solo appesantiti dall'alcol, e di questo la sfregiata come al solito
doveva aver approfittato. Ma non doveva essercene un terzo? Eh sì, il Maresciallo ne aveva mandato un altro, ma quell'idiota doveva aver pensato bene di prendersi un'ultima birra, che per quanto la riguardava poteva anche essere l'ultima della sua carriera.
Magra com'era quella maledetta era assurdamente veloce, ma gli anni di addestramento sulle spalle di Elena davano i propri frutti. Almeno riusciva a starle dietro.
Non poteva perderla di vista, anche un solo secondo di distrazione sarebbe stato di troppo. Avrebbe potuto sparire da un momento all'altro senza lasciare tracce come aveva già fatto in passato.
Chissà dove la stava conducendo. Era certa che sapesse perfettamente che la stava seguendo...
Salirono sul ponte a tutta velocità. Non accennava a rallentare.
Quando la vide correre di corsa verso la ringhiera, l'immagine che si generò spontanea nella sua mente era talmente agghiacciante che non riuscì a continuare a correre e frenò quasi in scivolata.
"Fermati!!" gridò. La donna sembrò pietrificarsi affacciata al parapetto del ponte. Sotto i loro piedi, impetuoso scorreva il fiume, veloce e menefreghista quanto il tempo.
La sfregiata si voltò lentamente verso di lei. Al buio era praticamente impossibile distinguere i tratti del suo viso, ma poteva perfettamente immaginarlo. Era scolpito nella sua memoria e lì sarebbe rimasto per sempre.
Elena trovò il coraggio di fare un passo in avanti, ma l'altra parve mettersi sulla difensiva. Si bloccò subito, prima che facesse qualche passo avventato. "Non voglio farti del male, lo giuro!".
Era strano... ma era vero.

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Capitolo 20
*** 20 ***


20 6 Aprile 1458

La sfregiata.

Era dietro di lei.
Ed anche maledettamente vicina.
Il coniglio che corre in fuga dal lupo.
Corri Agnes, non può finire così. O forse sì?!
In fondo non aveva nulla da perdere. Quanto valeva la sua vita?
Quanto valeva a quella missione che aveva intrapreso?
Quanto valeva la sua vendetta?
Stava nuotando in un mare di confusione. E proprio nel momento più alto della sua corsa sconclusionata, vide profilarsi per lei la soluzione di tutto.
Il ponte che attraversava il corso d'acqua principale e collegava quella zona più o meno malfamata della città al fetido borgo dov'era nata.
E' fondamentale che ci sia una spartizione netta tra i buoni e i cattivi.
Decise in quel momento che la sua fine sarebbe stata lì, nel mezzo, e si scagliò come una furia pronta a lanciarsi oltre quella ringhiera che la separava dall'inferno alla libertà eterna.
"Fermati!"
Il suo cuore si cessò di battere dinanzi alla vista del fiume che scorreva impetuoso sotto di lei a causa della pioggia della notte precedente, e della voce cristallina del Capitano
che le ordinava di fermarsi. Le stava ordinando di non buttarsi. Le stava chiedendo di rimanere tra i vivi.
Perchè? Per quale motivo? Cosa le sarebbe importato se fosse morta?
Rimase pietrificata a quella vista, il resto del corpo le si bloccò automaticamente, finchè i muscoli tesi dalla corsa non si rilassarono, e tutti i pensieri, tutte le sensazioni,
coinvogliarono in una sola: la rassegnazione.
Si voltò verso il Capitano, abbandonando quella visone di liberazione per ascoltare cos'è che aveva da dirle.
Perchè se le aveva chiesto di fermarsi, qualcosa sicuramente doveva dirle, pensò.
Sospesa a metà tra la bambina smarrita che era una volta, e la donna ferita che era ora, le venne spontaneo arretrare quando vide la sua inseguitrice avanzare verso di lei.
"Non voglio farti del male, lo giuro!".
"Non ti avvicinare!".
Le urlò con tutto il fiato che aveva in gola. Neanche lei si aspettava una reazione così isterica da se stessa. Tutto era precipitato in un istante, il solo non sapere cosa ne sarebbe stato di lei, aveva trasformato nuovamente le sue sensazioni. Reagiva di conseguenza.
"Che cosa vuoi, vuoi forse arrestarmi? Perchè.... Io non voglio più stare qui. Lasciami andare"
Si lasciò andare rapita per un momento dal rumore del fiume che scorreva sotto di loro, lasciando tutto sospeso in una pausa silenziosa.
"Lo amavi? Nonostante quello che ti ha fatto, come puoi amarlo ancora? L'ho capito dai tuoi occhi. Tutti mi hanno sempre detto che sono una stupida. Ma certe cose so capirle. Io non voglio più stare qui. Lasciami andare. Ti prego".

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Capitolo 21
*** 21 ***


21 6 Aprile 1458


Incredibile... incredibile come fosse facile distruggere una vita, fino a desiderare di vederla spegnersi.
Le sembrava una cosa inconcepibile.
Elena era stata costretta a pensare alla morte più di una volta... quando vai in guerra, i conti con la morte li devi fare, e ogni volta che arrivi a chiudere gli occhi la sera, ringrazi
chiunque ti abbia dato la possibilità di farlo, e la mattina dopo devi essere di nuovo pronto a ricominciare a pregare. L'idea di decidere di troncare volontariamente era estranea alla sua comprensione...
Cosa c'era dopo? Paradiso? Inferno? O peggio... nulla? Nessuno era mai tornato indietro per raccontarlo...
Prima o poi, dobbiamo tutti morire... ma andare così spontaneamente verso... verso qualcosa di indefinibile a priori...
Ma d'altra parte, Elena non poteva capire. Non poteva capire cosa avesse passato nella sua vita, tanto da preferire la morte... poteva immaginarlo, poteva sentirlo raccontare da lei stessa... ma non avrebbe mai capito.
Elena aveva visto il fango del mondo, ma sotto il fango, era riuscita a scorgere qualche fiore... qualcosa che le ricordasse che infondo, ne valeva la pena.
"Non voglio arrestarti" disse. Ed era la verità.
La sua divisa, il suo grado, il suo giuramento le imponevano di portare l'assassina alla giustizia... ma in quel momento... la divisa era solo un abito, il suo grado solo un'idea e il
suo giuramento... solo parole. Niente a confronto di chi aveva preso totalmente il sopravvento: soltanto Elena.
Ed Elena non avrebbe guardato una donna penzolare dalla forca, conoscendo la sua storia... i motivi che l'avevano spinta a tanto... nessun aveva l'autorità per punire altri
generi di crimini... e perché ciò non avrebbe dovuto spingere una persona a farsi giustizia da sola? "Non voglio farlo... Non ti chiederò neanche di rimanere da questa parte del parapetto" aggiunse con un tremore lieve della voce.
"Sei completamente padrona della tua vita e... della tua morte. Io da parte mia posso dirti che ogni respiro è degno di essere compiuto... ma parlo della mia esperienza. So cos'hai passato, e so quale faccia ti ha mostrato il mondo... so che qualcosa che non si vede, praticamente non esiste... e non ti costringerò a credere che un volto migliore del mondo esista, io l'ho visto. Non posso prometterti che te lo mostrerà se deciderai di buttarti da un ponte... Forse dovresti dargliene la possibilità" sospirò. Non sapeva da dove uscissero fuori quelle parole... anche lei si sentiva infuriata col mondo e con la società, ma sentiva di essere sincera mentre parlava. "Non ti arresterò" ripeté sicura. "Ti voglio dare la possibilità di scegliere... tra morire di mano tua... o scappare, allontanarti dalla città e non voltarti indietro. Mai. Una sola possibilità... Non ti voglio rivedere. Scegli" concluse. Aveva cercato di guardarla negli occhi... ma il buio le impediva di distinguere qualcosa di più che un luccichio umido... Sì, la sua coscienza le diceva che stava facendo la cosa giusta. Era l'unica grazia che poteva concederle... quella di essere padrona delle sue scelte.
Il silenzio dilagò, riempito unicamente dalla corsa sfrenata del fiume sotto di loro, unico testimone di quella chiacchierata.
La sfregiata non proferì parola.
Elena chinò leggermente il capo come ultimo saluto. Era un addio, in ogni caso. Sapeva che non sarebbe potuta essere più indulgente se l'avesse rincontrata in futuro.
Le voltò le spalle... a chiunque altro sarebbe parsa una mossa alquanto stupida. Si voltano le spalle al nemico solo quando è cadavere. Elena sapeva, come al loro primo incontro, che non le sarebbe accaduto niente.
Fece giusto cinque passi verso la caserma... si fermò e si voltò di nuovo...
Non c'era più nessuno.

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