XIII di Frances_May (/viewuser.php?uid=32426)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Nowhere ***
Capitolo 2: *** II. Awakening ***
Capitolo 3: *** III. Existence ***
Capitolo 4: *** IV. Meeting ***
Capitolo 1 *** I. Nowhere ***
I.
Nowhere.
Cielo
terso, strade deserte, luci al
neon ed una quiete innaturale. I palazzi si ergevano silenziosi sotto i
raggi
fiochi della luna, immoti, rischiarati nel loro nero pece solo dalle
flebili
luci gialle che provenivano dalle finestre, e dalle fredde luminarie
che
spandevano i loro colori intensi lungo le larghe strade buie.
L’atmosfera era
immobile, e tutte quelle luci sembravano combattere con le monolitiche
ombre
dei palazzi per non farsi oscurare; era come se quella città
fosse morta da
tempo, eppure non soffiava un filo di vento, e la luna piena, maestosa
nel
cielo della notte, pareva essere l’unica testimone
dell’esistenza di quei
palazzi disabitati, delle buie strade deserte e di quelle luci
artificiali che
risaltavano come disegni di fuoco nell’ombra della notte.
Oltre
quelle cupe costruzioni,
risaltava nella notte solo una grande fortezza, che sorgeva a
mezz’aria,
dominando l’intera città. Svettava avvolta in una
luce inquietante, con i
pinnacoli che si innalzavano fin quasi a voler sfiorare il cielo
nuvoloso;
lucida e brillante, immersa in un gioco complesso di ombre e
chiaroscuri,
rifletteva i raggi plumbei della luna, tanto da sembrare risplendere di
luce
propria, avvolta da un sottile banco di nebbiolina opaca. Le pareti
esterne
erano lisce e lamate, e oltre lo spesso muro di cinta, si potevano
intravedere
le torri più alte, avvolte in intricati sistemi di scale che
si attorcigliavano
fra loro creando disegni sinuosi ed eleganti.
L’interno
del castello era luminoso, di
un bianco quasi abbagliante che dava l’idea di essere stato
creato per
assuefarsi alla luce soffusa del cielo che filtrava dalle finestre e
dai
soffitti di vetro che talvolta si aprivano su quegli ampi ambienti; la
pittura
e la pavimentazione marmorea spiccavano ancora di più sotto
i raggi freddi
delle luci azzurrognole che tappezzavano le pareti dei lunghi e vasti
corridoi
che si snodavano per l’edificio, formando un complicato
labirinto di vicoli in
cui era facile perdersi. L’intera fortezza era costruita in
maniera irregolare,
dove ogni stanza poteva condurre ad un luogo completamente diverso, o
anche a
corridoi senza fine lungo i quali delle croci stilizzate osservavano
gli eventi
accendendosi di un biancore metallico.
Fra
due di quelle tante pareti, si
poteva udire distintamente il tacchettio ritmato di alcuni passi, che
si
sovrapponevano fra loro andando a scandire il tempo di una marcia
decisa;
rimbombavano sul pavimento lamato di tutto l’androne come
rintocchi di un
grande orologio.
Quattro
figure avanzavano l’una dietro
l’altra, in silenzio, avvolte da un lungo mantello nero che
lambiva i loro
piedi ad ogni passo, e tintinnava ogniqualvolta il moto spostava i
pendagli di
metallo che stringevano il cappuccio e la catena intarsiata che
ricadeva a
mezza luna sul loro petto.
Ad
un tratto il primo della fila si
fermò, e quelli che lo seguivano fecero altrettanto. Una
lunga chioma di
capelli gli ricadeva lungo schiena e sul petto, brillando di un
insolito grigio
freddo, e delle ciocche gli incorniciavano il viso inespressivo color
dell’ebano. Sollevò lo sguardo, silenzioso, poi
annunciò:
«Ne
è nato un altro.» la voce profonda
e piatta risuonò in un eco lungo tutta la sala, mentre i
suoi occhi aranciati
risplendevano di una strana luce, sotto le fini sopracciglia bianche.
I
tre che gli stavano al seguito lo
fissarono per qualche istante, dubbiosi, poi uno di loro si scosse e
annuì
aggrottando la fronte, smuovendo la lunga frangia di capelli azzurri
che gli
nascondeva in maniera disordinata l’occhio destro:
«Ora
lo sento anche io.» mise le
braccia conserte e diresse lo sguardo verso l’uomo che stava
davanti a lui
«Xemnas?» si limitò a chiamarlo per
nome, in attesa che desse le direttive.
Gli
altri due si guardarono,
leggermente disorientati. Uno di loro era una giovane donna dalla
corporatura
minuta; il suo corpo avvolto nell’attillata veste nera
disegnava una sinuosa
silhouette che risaltava sullo sfondo bianco. Scosse il capo,
esternando il suo
disappunto con un sospiro di stizza:
«Io
non sento nulla.» disse,
sistemandosi una ciocca dei corti capelli biondi e guardando verso i
due uomini
davanti a lei, mentre l’ultimo del gruppo, un ragazzo che
pareva dimostrare
poca esperienza, rimaneva in silenzio per nascondere
anch’egli il proprio
disagio.
«La
cosa non mi piace, Zexion.»
continuò ancora la donna, aggrottando le sopracciglia verso
il giovane dai
capelli azzurri «Perché non riesco
a…?»
«Larxen,»
la voce di Xemnas risuonò
nuovamente, sovrastando ogni altro piccolo rumore «Non essere
così impaziente.»
parlò senza guardarla, ma le sue parole imposero un silenzio
remissivo ai due
inesperti, che si arresero a capo chino di fronte alle parole calme di
Zexion,
che si voltò a loro e disse:
«Sarete
in grado di sentirlo anche voi,
fra non molto…non siate così ansiosi.»
chiuse l’occhio azzurro, chinando il
capo di lato «Ogni cosa a suo tempo…»
«Ve
lo assicuro, è un vero tormento…!»
una voce si fece largo subito dopo quella di Zexion, con tono
leggermente
canzonatorio. Larxen e il suo compagno si voltarono
all’unisono, mentre su una
della pareti bianche si spandeva velocemente una spessa ombra nera. Si
ingrandiva a macchia d’olio, come se fosse viva, simile al
lugubre scrosciare
dell’acqua corvina che rifletteva in bagliori e screziature
blu la luce del cielo.
Avvolta da quello strano vortice d’oscurità,
videro apparire un'altra figura
con indosso la loro stessa veste, e che avanzando alcuni passi verso il
piccolo
gruppo, continuò:
«…sapete,
alla fine è snervante sentire
nella testa un campanello d’allarme ogni volta che ne nasce
un altro.» si
sporse in avanti, muovendo le braccia in ampi gesti
«“Informazione gratuita! Ne
è nato un altro!”, “Attenzione! Nobody a
dritta!”...capite?» sospirò
poggiandosi due dita sulla fronte nascosta dal cappuccio nero
«Beati giovani
inesperti, non sapete a che stress siano costretti i vostri
superiori…!»
«VIII…»
lo richiamò Zexion con tono
esasperato, interrompendolo «Per
favore…!»
«Oh,
ti prego non chiamarmi in quel
modo…!» continuò l’uomo
incappucciato, senza smettere di gesticolare, per poi
poggiarsi un pollice sul petto con fare orgoglioso «Almeno un
nome ce l’ho,
sai?»
Zexion
sospirò, stringendosi ancor più
fra le sue braccia conserte. Quell’uomo lo faceva
spazientire, ma come sempre
doveva cercare in qualche modo di trattenersi. Se ne usciva sempre con
quelle
battute teatrali e fin troppo ironiche, dopo essere apparso nella
maniera più
improvvisa e plateale possibile. Con quei suoi modi gli ricordava il
numero II,
e per questo cercava sempre di ignorarlo…quel tipo era
difficile da sopportare
anche per uno dall’indole calma come la sua. Larxen guardava
il nuovo arrivato
con sufficienza, squadrandolo da capo a piedi con un sopracciglio
inarcato,
mentre il suo compagno se n’era completamente disinteressato
e non smetteva di
spostare gli occhi da una parte all’altra del corridoio.
L’incappucciato
fece un gesto ampio con
le braccia, mentre sul viso oscurato gli appariva un leggero sorriso:
«Dove
andate di bello, ragazzi?» poggiò
un gomito su di una mano, mentre con l’altra muoveva le dita
coordinandole alle
parole « Mi pareva un allegro corteo, eh? Qualcosa di
divertente?»
«…cosa
ti porta ad onorarci con la tua
presenza…?» di nuovo Xemnas, con quel suo tono che
imponeva rispetto e non
ammetteva repliche. A quel repentino richiamo, l’uomo
incappucciato non poté
fare altro che interrompersi e rispondere:
«Sai,
“capo”, sarò anche un completo
ignorante in materia “sentimenti umani”, ma so alla
perfezione cosa voglia dire
“annoiarsi”» si fermò un
attimo, poggiando una mano sul fianco e portandosi il
dito indice dell’altra all’altezza della tempia
«N-O-I-A. Memorizzato?»
«Oh,
per favore!» esclamò ad un tratto
l’ultimo membro del piccolo gruppo, scuotendo i capelli di un
castano ramato
«La smetteresti di gesticolare? Ci prendi per
imbecilli?»
«
Marluxia, non dargli corda, o non la
smetterà mai.» lo ammonì Zexion,
rimanendo immobile con lo sguardo distratto,
rivolto verso nessun punto in particolare. Il giovane si
zittì stringendo i
pugni, ma nello scorgere lo sguardo di Larxen, comprese che non era
l’unico ad
essersi spazientito.
«E
cosa intendi fare per…» Xemnas
rimase un attimo soprappensiero, prima di riprendere, voltando
leggermente il
capo verso il numero VIII e sollevando le sopracciglia
«…come dire, placarti?»
Tutti
si voltarono all’unisono verso
l’uomo che continuava a nascondere il volto sotto quello
spesso cappuccio nero,
impazienti, mentre quello si stringeva nelle spalle con fare noncurante:
«Oh,
non saprei…» si finse assorto per
un attimo, prima di continuare, dirigendo a Xemnas un gesto veloce
della testa
e della mano «…vado a prendere il nuovo,
mmh?»
Zexion
sollevò gli occhi di botto,
mentre la bocca gli si dischiudeva in un’espressione di
gelido stupore:
«Non
ci pensare neanche.»
«Avanti,
perché no?» ribatté quello,
spostando il proprio peso da un piede all’altro «
Ho già preparato un così bel
comitato di benvenuto…dovrei sprecarlo?»
Zexion
rimase spiazzato, cercando
disperatamente le giuste parole per contrastarlo, ma tutto quel suo
gesticolare
gli confondeva le idee; si voltò verso Xemnas in cerca di
appoggio, ma le
parole che gli uscirono di bocca lo lasciarono letteralmente basito:
«Vai
pure…per me non fa differenza.»
«Grazie
mille.» senza farselo ripetere
due volte, con un leggero sorriso malizioso che gli illuminava il viso
adombrato, l’VIII salutò il gruppo con una rapida
mossa della mano e venne
nuovamente avviluppato da spirali di fumo nero che lo inghiottirono e
poi si
dissolsero, lasciando i quattro a fissare il vuoto.
Dopo
pochi istanti di quiete, Xemnas
riprese ad avanzare, come se nulla fosse successo e i suoi tre
compagni,
seppure un po’ riluttanti, si voltarono verso di lui e
tornarono a seguirlo.
«Xemnas,
non mi fido di lui…» fece
Marluxia, fissandosi i piedi che andavano l’uno davanti
all’altro, alternandosi
«Perché gli hai dato il permesso?» al
suo fianco, Larxen annuì
impercettibilmente, mentre continuava a guardare i due uomini davanti a
sé con
cipiglio altezzoso.
«L’VIII
non è poi così poco affidabile,
in fin dei conti.» Zexion rispose senza guardarli, ignorando
il movimento di
Larxen che aveva scorto per un attimo con la coda dell’occhio
«Tra noi è uno
dei più abili in battaglia...e se la cava anche con le
parole.» guardò il
soffitto, lasciando che le braccia gli ricadessero lungo i fianchi
« Voi due
avete ancora molto da imparare
sull’Organizzazione.»
Oo°*°oO
«Ah…
Finalmente riuscirò a sgranchirmi
un po’ le gambe e a respirare un po’
d’aria nuova!» un paio di stivali neri
saltarono oltre un’ombra che sembrava essere apparsa dal
nulla, fluttuando a
mezz’aria, quasi fosse sorretta da un filo invisibile, e
che all’interno
luccicava di bagliori e lampi dai mille colori screziati. Il numero
VIII
atterrò sull’asfalto con eleganza, senza
scomporsi. Quando il Portale si restrinse
e scomparve lentamente oltre le sue ampie spalle, coperte dalla lunga
veste
corvina, sospirò poggiando le mani sui fianchi con
scioltezza:
«Non
ne potevo più delle teorie di
Vexen. Mi ripete sempre le stesse cose almeno una decina di volte
e…Ah, vecchio
burbero e logorroico che non è altro! Quando inizia a
spiegarmi tutti i suoi
noiosissimi esperimenti, dopo un po’ non lo reggo
più. È soporifero. Ha un tono
di voce che mi mette addosso un sonno…!...non lo sopporto.
Brrr.»
Alzò
lentamente il volto incappucciato,
orientando lo sguardo proprio davanti a sé, dove si
stagliava una parete buia e
grigia a poco meno di un metro di distanza da lui. Sotto il lungo
copricapo
nero che gli oscurava in parte la visuale, aggrottò le
sopracciglia e arricciò
la punta del naso, sconcertato.
«Mmmh.»
Facendo
scorrere la vista alla sua
destra, con fare guardingo, riusciva solo a scorgere un angolo
strettissimo,
che collegava l’ampia parete che si ergeva davanti a lui ad
un altro muro
spoglio e ingrigito. E la stessa visuale si prospettava alla sua
sinistra.
Tornò a fissare l’ostacolo che si innalzava
proprio davanti al suo naso, ancora
più turbato di prima. Qualche istante dopo, alzando le
braccia al cielo e
gesticolando con le mani, urlò, scuotendo il capo:
«Si
può sapere dove diavolo sono
finito?!»
Ruotandosi
di centottanta gradi,
spazientito, si accorse che il posto dove era atterrato era un vicolo,
rigorosamente cieco. Incamminandosi risoluto verso
l’uscita della viuzza,
prese a massaggiarsi il collo con la mano sinistra, borbottando tra
sé e sé.
«Mpf!
Ma tu guarda se quel coso mi doveva
far sbucare nel pieno di
un lercio budello di…Crepuscoli?!»
Il
numero VIII osservò il rustico
paesaggio urbano che si espandeva sotto i suoi occhi, illuminato da una
luce
rosseggiante che tingeva ogni cosa del suo colore tenue. Sorrise,
avanzando
intraprendente per la larga via ciottolata dove l’aveva
condotto il piccolo e
buio vicoletto, e seguì l’istinto, che, come un
sesto senso, gli indicava la
strada da percorrere.
«Ma
tu guarda…uno dei posti più
suggestivi al mondo, eh? Crepuscoli, la città
dell’eterno tramonto, dove la
giornata è un perenne pomeriggio! Interessante. Assomiglia a
una di quelle
località paradisiache dove vanno a rifugiarsi le coppiette
sdolcinate…! Ah,
penso proprio che mi gusterò per bene questa allegra
gita…se avessi ancora un
cuore, ci farei un salto più spesso, qui a
Crepuscoli!»
Procedendo
a passi ritmati,
l’incappucciato notò che ad attraversare la
città rischiarato dalla luce
aranciata del sole calante, vi era esclusivamente lui. Il borgo era
silenzioso
e per la strada echeggiava solo l’insistente incedere dei
suoi stivali; i
battenti di molti edifici erano chiusi, e oltre i lucidi vetri di
qualche
finestra dalla persiana aperta, si potevano scorgere solo i
drappi tirati
delle tende.
«Dormono
a quest’ora?...bah. Tanto
meglio per il sottoscritto “Numero
VIII”!
Io, fortunatamente, ce l’ho un nome, e gradirei essere
appellato per mezzo di
quello, e solamente quello! Non sono mica stato marchiato con quel
numero
perché sono una cavia da laboratorio, eh! Stupido
Zexion… quando è così formale
sembra proprio il cocco del “capo”. Xemnas lo ha
proprio addestrato come un
cagnolino da riporto… certo che il Signor VI potrebbe anche
mostrarsi meno leccapiedi,
ma comunque stiano le cose, rimane sempre troppo rigido per i miei
gusti. Anche
se non è poi così tanto
antipatico,
anzi: quando non lecchina Signor “Tono Altezzoso”
è abbastanza gradevole la sua
compagnia. Scommetto che adesso direbbe “Numero VIII,
anziché blaterare idiozie
sui tuoi superiori, goditi la scampagnata”. Ci puoi giurare,
“Ciuffo Azzurro”.»
Si fermò presso uno svincolo, lanciando occhiate fulminee
sul circondario, per
individuare su quale direzione avviarsi. Inspirò
profondamente, per sfiatare
poi l’aria raccolta con foga. Alzò il palmo
sinistro verso il cielo, e con
l’altra mano si carezzò la tempia, con aria
scocciata e un po’ frustrata, e
riprese «Dannazione. Quel nanetto mi ha distolto
dall’obbiettivo e ora non
riesco più a localizzare dove si trovi il
novellino…Sarà meglio fermarsi un
attimo…»
La
risposta, giunse rombante alle
orecchie dell’incappucciato numero VIII: una goccia di
pioggia sul suo guanto
nero, seguita da un fragoroso tuono che squarciò la quiete
della città, lo fece
quasi trasalire, destandolo dalle sue riflessioni.
«Il
che è tutto dire, eh?» Domandò al
nulla, abbassando l’arto sinistro con flemma. Puntuale,
giunse un altro tuono,
come il rintocco di una campana. «E va bene,
d’accordo: vado a prendere il
XIII, ho capito. Non mi è concesso svagarmi, oggi. Prima lo
trovo, meglio è.»
Mentre
riprendeva a camminare, le gocce
di pioggia iniziarono a susseguirsi una dopo l’altra, sempre
più velocemente,
scivolando lungo il suo giaccone scuro e insinuandosi oltre i bordi
dell’ampio
cappuccio. Il vespro scomparve all’orizzonte, lasciando posto
ad un cielo
monotono e alle nuvole plumbee che estendevano la loro ombra grigia
lungo le
strade e i palazzi. Il numero VIII avanzava col capo chino per la sua
strada,
sentendosi appesantito dall’incessante piovigginare e
leggermente infreddolito.
Un altro tuono lo incitò ad incalzare il passo.
«Altro
che gitarella!» sibilò,
spazientito «Novellino…ti sto alle calcagna come
un segugio è sulle tracce
della sua preda: lasciati trovare! Non sei tanto lontano, no?»
L’VIII
si portò una mano alla tempia,
vacillando «Riesco quasi a…»
avanzò di qualche passo, fermandosi di colpo, come
se qualcosa avesse attirato fortemente la sua attenzione. Alla sua
destra si
apriva una stradina buia e silenziosa, apparentemente deserta.
Strizzò gli
occhi e tese l’orecchio non appena percepì un
affannoso respiro provenire dal
fondo della stradina, seguito dal rumore metallico di qualcosa che
cadeva a
terra. Ai suoi piedi rotolò il coperchio di un bidone della
spazzatura, che si
era rovesciato a pochi metri di distanza. Avanzando con cautela fra il
sudiciume del vicolo, finalmente riuscì a distinguere
qualcosa che risaltava
oltre tutto quel buio; una massa indefinita e bianchiccia tremava
raggomitolata
su un angolo, nascosta da un paio di bidoni e da qualche sacchetto
della
spazzatura, e gemeva mugolii gutturali di timore e angoscia: un
bambino. Quando
l’incappucciato gli fu davanti, lo squadrò,
protetto sotto la sua veste
fradicia, puntandolo con cattiveria.
«Salve,
marmocchio.»
I
grandi occhi blu del ragazzino
tremarono alla vista di quell’alta ombra nera, e si strinse
ancora di più fra
se. Si spaventò ulteriormente quando
l’incappucciato si chinò su di lui, e si
voltò contro il muro, dandogli le spalle, impaurito.
L’altro lo osservò bene,
prima di aprir bocca nuovamente; era molto giovane, con i tratti del
viso
ancora troppo puerili per definirlo un ragazzo. Era completamente nudo,
e si
riscaldava raccogliendo le gambe a se stesso e stringendole con forza
sul
petto. Era parecchio trasandato, sporco e provato, e tentava di
nascondersi il
volto oltre una frangetta spettinata tra il castano e il biondo,
più spaventato
e spaesato che mai. Il numero VIII abbozzò un sorrisetto
ironico nel vedere
quel bamboccio dalle membra malferme, e lo appellò
freddamente.
«Pare
proprio che sia tu il novellino a
cui Xemnas da la caccia, eh?...Non c’è
dubbio.»
Sentendo
quella voce, il bambino mandò
un’occhiata fugace alle sue spalle, terrorizzato, ma nascose
subito il volto
fra le ginocchia non appena notò un movimento
dell’incappucciato che gli si era
fatto più vicino.
«Alzati.
Non ho tempo da perdere.»
L’VIII
lo richiamò nuovamente con tono
gelido, ma il ragazzino non ne volle sapere ne di rispondergli ne di
alzarsi
dal suo lercio angolino. L’incappucciato, in
quell’istante di silenzio, provò
una strana avversione nei suoi confronti. Gli stava facendo perdere
tempo, lo
stava ignorando e lo guardava di sbieco con quei grandi occhi profondi,
come se
la sua presenza in mezzo a tutta quella spazzatura significasse meno di
niente.
Una delle cose che l’VIII odiava di più al mondo,
oltre bagnarsi, era lasciar
scorrere via inutilmente tutto quel tempo prezioso.
Alzò
una gamba, deciso a spronarlo con
un calcio, ma si bloccò pochi istanti dopo. Gli si
mozzò il respiro,
mentre percepiva lievemente una strana sensazione all’altezza
del petto, una
sorta brivido bollente che lo ghiacciava sotto quella lunga veste nera,
sotto
la sua pelle, e gli raggiungeva la gola…era un qualcosa che
non riuscì a
spiegarsi. Non sapeva per quale motivo, ma alla sola idea di dover
picchiare
quel bambino gli si erano tesi i muscoli…
Sbuffò,
accigliandosi, mentre poggiava
il piede sulla schiena del ragazzino, smuovendolo leggermente.
«Dai,
alzati! Dobbiamo muoverci! Non
vedi come piove? Ehi, ma mi stai ascoltando?»
Il
bimbetto non reagiva né alle sue
parole, né alla lieve pressione che sentiva sulle scapole.
Tremava come una
foglia, e sembrava quasi che da un momento all’altro potesse
dissolversi nel
buio cupo di quel vicolo.
Confuso
ed un po’ irritato, l’VIII
continuò a squadrarlo dall’alto, incerto sul da
farsi, mentre sollevava il
piede e lo riportava al fianco dell’altro, caricandovi sopra
il proprio peso.
Con fare indifferente, portò i pugni lungo i fianchi,
stretti sotto la lunga
veste che accentuava le linee morbide e sinuose della sua figura
snella.
«E’
inutile che fai finta di non
vedermi,» disse con tono teatrale «Io non me ne
vado da qua fino a quando non
ti deciderai ad alzarti. Devi venire con me: punto e basta! Non hai
diritto di
replica. Comprendi?»
Il
numero VIII si accovacciò con le
gambe leggermente divaricate davanti al ragazzino, sostenendosi con le
punte
dei piedi, e scaricando il peso delle lunghe braccia poggiando i gomiti
sulle
proprie ginocchia e intrecciando fra loro le dita affusolate. Il
bambino poté
scorgere con la coda dell’occhio due labbra schiuse in un
lieve sorriso che ad
un tratto gli parlarono con gentilezza, quasi cercando di confortarlo.
«Guarda
che non ho alcuna intenzione di
farti del male. Te lo giuro…»
Con
un gesto fluido, sollevò la mano
sopra la sua testa, sfiorando il tessuto lucido della veste e facendo
scivolare
il cappuccio sulle spalle larghe.
«Il
mio nome è Axel…» il sorriso
divenne leggermente più ampio
«Memorizzato?»
Il
gracile biondino si voltò verso il
suo interlocutore, osservandolo nei minimi particolari con quei suoi
occhi
luminosi come zaffiri.
Ciò
che vide era un giovane viso
sorridente dalla carnagione chiara che spiccava sul buio circostante.
Il capo
leggermente inclinato, dalla posa ingentilita, lasciava ricadere sui
tratti di
quel volto amichevole lunghe ciocche di un insolito colore rosso, che
la
pioggia aveva appesantito e spettinato. Due grandi occhi espressivi dal
taglio
lievemente allungato lo fissavano di rimando sotto le sottili
sopracciglia: le
iridi dalle screziature smeraldine incorniciavano una piccola pupilla
nera,
contornata da sprazzi di un verde chiaro e fresco, che brillava in
maniera
diversa ad ogni sua espressione. Sotto gli zigomi, spiccavano due
piccoli segni
rossi che parevano lacrime di sangue.
Un
tuono gli illuminò il volto, e la
pioggia si fece più insistente, tanto che il giovane vide i
capelli vermigli
scivolargli sul volto, limitandogli la vista. Alcune ciocche si
insinuarono
assieme a numerose fredde gocce lungo il profilo del suo collo, che
scompariva
oltre il colletto del cappuccio.
Il
ragazzino continuava a fissarlo,
disorientato. Senza il cappuccio a celargli il viso,
l’aspetto di quell’uomo
non sembrava più così ostile, e
quell’espressione conciliante che gli leggeva
sul volto gli infondeva una strana sensazione di sicurezza. Distolse un
attimo
lo sguardo e starnutì, socchiudendo gli occhi. Quando li
dischiuse, vide un
grande palmo nero aprirsi proprio sotto il suo naso.
«Se
ti fiderai di me, ti condurrò in un
posto sicuro…» la voce cambiò
leggermente tono « …e soprattutto caldo
e
asciutto, protetto da questa odiosa pioggia incessante e
particolarmente
fastidiosa.» gli occhi tornarono allegri
«…che ne dici?»
Il
biondino allungò lentamente il
braccio con titubanza, ed un attimo dopo Axel lo afferrò per
il polso e lo tirò
su con un forte strattone, riportandolo in piedi.
Il
giovinetto iniziò nuovamente a
tremare per il freddo e abbassò il capo, quando,
improvvisamente, sentì
qualcosa di caldo ricadergli sulle spalle; sorpreso, si
ritrovò sul capo lo
stesso cappuccio nero che aveva nascosto il volto di Axel pochi istanti
prima.
Raccolse i drappi fra le mani e davanti a sé vide il giovane
dai capelli rossi
vestire solo una canottiera e dei pantaloni neri, le cui pieghe
scomparivano in
due lunghi stivali, mentre la pioggia incessante gli bagnava le braccia
nude.
«Mettitelo
e cammina. Se non ci
muoviamo mi prenderò una bella strigliata da
“Ciuffo Azzurro”.»
Mentre
il piccoletto si accingeva ad
indossare la lunga veste, i cui risvolti pendevano da ogni parte e gli
imponevano un’andatura goffa, Axel avanzò risoluto
verso l’uscita del vicolo,
senza voltarsi, né tanto meno arrestarsi ad aspettarlo.
Quando
il ragazzino lo ebbe raggiunto,
si fermò al suo fianco ed iniziò a studiarlo dal
basso, incuriosito. Axel lo
fulminò di sottecchi, e il marmocchio sobbalzò,
impaurito, piantando gli occhi
a terra. L’VIII sorrise con aria divertita e si
passò una mano fra i capelli,
raccogliendoli all’indietro per facilitarsi la visuale.
«Non
temere, ti troverai bene.»
bofonchiò Axel, scrollandosi l’acqua dai capelli
scompigliati «Se non ti
caccerai nei pasticci e farai il bravo, non è detto che tu
non riesca ad
accattivarti il rispetto di qualcuno…anche se è
difficile intenerire qualcuno
che non sa nemmeno cosa significhi…come noi
Nobody.»
Mentre
lo ascoltava, il ragazzino si
accigliò, senza riuscire a comprendere appieno il
significato delle sue
parole.
Axel
lanciò al novellino un’ultima
occhiata, quasi soddisfatto del suo disorientamento, poi tese un
braccio dritto
davanti a sé ed aprì la mano. Mentre il bagliore
bluastro del Portale si
espandeva oltre le sue dita, chinò leggermente il capo di
lato, impaziente,
cercando di ignorare i sobbalzi atterriti che scorgeva al suo fianco,
dal
gracile nuovo Nobody che si teneva stretto in quella veste fin troppo
lunga.
Lasciò
ricadere la mano aperta lungo il
fianco, mentre osservava con aria compiaciuta lo squarcio
d’oscurità che aveva
appena terminato di aprirsi tra le gocce di pioggia, attraversato da
sprazzi di
luce che si muovevano come il moto del mare. Un solo passo, e sarebbe
stato
finalmente all’asciutto.
«Si
parte, marmocchio. Andiamo
all’Organizzazione.»
Avanzò
qualche passo deciso e immerse
la metà destra del suo corpo tra quella massa informe di
luci e colori che
sembrava inghiottirlo lentamente, quando si accorse che il piccolo
biondino era
rimasto impalato a qualche passo di distanza da lui e osservava la
scena
spaventato e quasi inorridito, portandosi le mani tremanti alla bocca e
sgranando i grandi occhi femminei color del cielo. Axel gli tese una
mano,
invitandolo a seguirlo con un cenno.
«Su,
aggrappati: se mi stai vicino non
ti succederà nulla, promesso.» vedendo che il
ragazzino non accennava a
muoversi di un millimetro, l’VIII dischiuse le labbra in un
sorriso lievemente
intenerito «Imparerai che questo squarcio gelatinoso che
galleggia a mezz’aria
è un utilissimo mezzo di trasporto per noi Nobody. Non devi
averne paura…anzi,
è divertente. Ogni volta che ci salto dentro…mi
sembra di fluttuare, come se
fossi una nuvola. E poi…credimi: se una cosa
l’approvo io,» proseguì,
puntandosi il pollice sul petto «allora è
brevettata per chiunque su questo
mondo.»
Il
biondino si aggrappò al braccio del
ragazzo, stringendolo con forza prima di venire inghiottito dal
Portale, il
quale era effettivamente di una consistenza impalpabile, come aveva
affermato
Axel;venendo anch’egli avviluppato da quelle spirali liquide
multicolore gridò,
ammonendo il bambino che gli si era appioppato sull’arto
sinistro:
«Se
ti appiccichi così mi stacchi un
braccio! Guarda che non vado da nessuna parte, eh?!»
Lo
squarcio si restrinse e scomparve
oltre il guanto del numero VIII lasciando un’umida Crepuscoli
nel silenzio.
|
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Capitolo 2 *** II. Awakening ***
II.
Awakening
Zexion
dischiuse le
palpebre e con un sospiro lasciò ricadere le braccia lungo i
fianchi,
osservando con aria assorta le sfumature del cielo notturno attraverso
il
soffitto traslucido; lo stesso nero, schiarito dai raggi fiochi della
luna
seminascosta dalle nuvole di un’inconsueta giornata coperta,
che si era
ritrovato a contemplare per tutti quei giorni monotoni. Li vedeva
trascorrere
silenziosi, fra le mura di quella fortezza incolore, mentre lentamente
dimenticava
il vero aspetto del cielo riscaldato dagli ampi raggi del sole, gli
odori e i
suoni trasportati dal vento.
Erano
giornate che
morivano l’una dopo l’altro, trascorrendo quasi
senza tempo in eterne notti prive
di stelle, mentre dentro il suo petto sentiva dissolversi sempre
più in fretta
il debole ricordo di quella breve vita consumata.
Il
giovane si scosse,
riportando lo sguardo verso il basso, mentre un bagliore riflesso sul
pavimento
metallico gli attraversava il viso, ricalcando i tratti morbidi di un
volto
puerile rimasto quasi intatto.
Sbuffò,
sistemandosi
con un gesto veloce
del braccio le
pieghe dello scuro soprabito ed alzando la mano subito dopo,
proseguendo lo
stesso movimento. Davanti a lui sorgeva uno delle tante pareti
disadorne della
fortezza, sul lato est di un corridoio che proseguiva silenzioso fino
ad una
stretta porta contornata da spessi stipiti di acciaio opaco.
Zexion
rimase un
attimo ad osservare il fondo del passaggio, tenendo la mano aperta tesa
verso
la parete. Due, tre, quattro corridoi più o meno lunghi
esattamente quanto
quello; cinque larghe stanze vuote che servivano solo e soltanto ad
allungargli
la strada.
Sospirò,
spazientito,
ripercorrendo mentalmente tutti quegli spazi immensi e decisamente
eccessivi,
arrivando alla conclusione che spesso e volentieri non servivano ad
altro che a
fargli sprecare fiato in lunghe e inutili camminate.
Batté
le palpebre, e le
sue dita si mossero impercettibilmente, mentre già allungava
il primo passo
verso il Portale che si espandeva come una macchia liquida oltre i suoi
polpastrelli coperti da uno spesso guanto nero. Si mosse con fare
deciso,
riabbassando la mano, mentre la nebbia lo inghiottiva, e dopo un istante riemerse
fra le pareti di un salone
circolare. Non smise di avanzare, accompagnato dall’eco
freddo dei suoi stivali
che battevano sul pavimento; un secondo passaggio
si aprì davanti ai suoi occhi senza che avesse fatto alcun
gesto, e lo stesso
fece un terzo,
quasi come comandato da quella sua
risoluta marcia.
Continuava
ad attraversarli uno dopo l’altro senza esitazioni,
imperturbabile, passando rapido
di stanza in stanza, mentre i Portali si succedevano incessantemente
sulla
superficie fredda delle pareti, e si dissolvevano non appena Zexion
muoveva un
nuovo passo energico e ne oltrepassava l’oscurità.
Ad
un
tratto il giovane percepì uno strano rumore al suo fianco,
accompagnato da una
sensazione sgradevole che lo solleticava all’altezza del
braccio sinistro. Ruotò gli occhi al cielo,
mentre
si arrestava ed osservava un nuovo Portale aprirsi al fianco di
quello che aveva appena
attraversato.
I
bordi
dei due squarci si sfiorarono per un attimo, attorcigliandosi fra loro
in una
serpeggiante danza di fumo, poi Zexion vide il proprio dissolversi,
mentre
dall’altro emergeva una figura umana dai contorni confusi.
Non appena anche il
secondo passaggio
si
fu
chiuso, il giovane numero VI vide il nuovo arrivato incespicare in
maniera
scomposta e gettarglisi letteralmente addosso, afferrandolo
precipitosamente per
una manica e costringendolo a piegarsi leggermente di lato.
Zexion
deglutì e voltò lo sguardo con espressione
infastidita, cercando invano di
divincolarsi da quella stretta opprimente.
Un
ragazzo con indosso
la sua stessa lunga veste lo tratteneva per un braccio, fissandolo con
due
grandi occhi limpidi dalle sfumature color
acquamarina. Un particolare taglio di capelli biondo
scuro, corto sulle
tempie con numerosi ciuffi spettinati che dalla fronte si allungavano
all’indietro, carezzandogli la nuca, gli incorniciava il
volto pallido. Era
poco più alto di Zexion, e dimostrava qualche anno in
più di lui.
Non
appena il ragazzo
realizzò a chi realmente si fosse aggrappato, non si
trattenne dallo stupore,
sorridendo euforico nella direzione del giovane dai capelli azzurri.
«Zexie!
Che bello
rivederti!»
«Spiacente
di non
poter dire altrettanto,» sbottò Zexion,
liberandosi bruscamente dalla stretta
dell’altro e ricominciando ad avanzare
«Demyx.»
Se
dapprima rimase
interdetto dalla cattiveria che gli era stata rivolta, pochi istanti
dopo Demyx
non mancò di sfoggiare un altro sorriso raggiante verso il
suo compagno «Siamo
di cattivo umore oggi, eh?» commentò sarcastico,
poggiandosi le mani sui
fianchi.
«Io
piuttosto direi
pessimo.» lo corresse Zexion, con tono autorevole
«E tu invece si può sapere
cosa hai da essere tanto vivace come tuo solito? Immagino che tu stia
gironzolando per la fortezza senza uno scopo, anziché
rimanere a studiare con
Vexen, non è così?»
«Veramente
uno scopo
lo avrei, Zexie.» riprese l’altro, scuotendo
lievemente il capo e
sollevando le mani quasi come per schermarsi «Sto
cercando Axel. Per caso…sai
dov’è?»
Non
appena le labbra
di Demyx mimarono quel nome, Zexion si indispettì
«Non lo so e non ci tengo a
scoprirlo. Non mi interessa affatto di dove va a cacciarsi quella testa
calda.
Sappi che è a causa sua se oggi sono così
irritabile.»
Zexion
riprese a
camminare superando Demyx con noncuranza, e quest’ultimo,
vedendo che il
giovane dagli occhi glaciali lo ignorava, subito lo raggiunse,
spiccando un
saltello divertito e sbarrandogli la strada, sfoggiando un sorriso
luminoso.
«E
tu invece dove stai
andando, Zexion? Posso venire con te?» incalzò
Demyx «Mi porti a fare un giro
con te, Zexie? Dai, andiamo a divertirci! Io mi annoio con
Vexen!»
Zexion
freddò il
numero IX con lo sguardo, scansandolo con un rapido movimento del
braccio e
sorpassandolo nuovamente «Ho da fare al momento,»
lo ammonì, repentino «e non
intendo dedicarti un minuto di più.
Vexen…»
«E
dai, Zexie!» il
biondino sventolò le sue ciocche ribelli sul volto del suo
interlocutore
infastidito «Per una volta…ribellati un
po’, come fa Axel! Usciamo dalla
fortezza e andiamo a goderci…»
«Demyx.»
il tono
infiammato di Zexion, che celava lo sguardo oltre i fluenti ciuffi
dalle
sfumature quasi metalliche, sovrastò l’esuberante
Demyx, che si zittì,
lasciando la frase a mezz’aria, con le labbra dischiuse e la
voce che
lentamente gli moriva in gola «Ti ho detto,»
continuò, alzando lo sguardo
minaccioso «che non voglio sentire parlare di Axel. E ti
ripeto che sono
impegnato e che non voglio perdere tempo con le assurdità
che escono dalla tua
bocca quando non la colleghi al cervello. Almeno quello…ti
dovrebbe essere
rimasto, numero IX.»
Il
ragazzo rimase
basito al tono perfido che Zexion aveva infuso in quelle sue parole. Si
lasciò
superare, abbassando a terra lo sguardo.
«Axel
non è qui,
comunque. Ma credo…che rientrerà presto. Ora
torna da Vexen, probabilmente ti
starà cercando…» Zexion
abbandonò Demyx con quelle ultime parole un po’
raddolcite rispetto a prima, continuando nel suo deciso incedere e
scomparendo
oltre il Portale che si aprì come uno squarcio a
mezz’aria.
Rimasto
solo in
compagnia del suo regolare respiro, Demyx, un po’ scosso da
quel Zexion incattivito
che non aveva mai conosciuto, riprese a camminare a scatti fino a
quando non
spalancò il palmo aprendosi la via grazie al Portale,
immergendosi lentamente
nella superficie liscia di quello strano specchio di ombre. Poco prima
di
scomparire, sollevò il cappuccio sul capo, e voltandosi
sorrise tristemente, dischiudendo
le labbra rosate:
«Non
ci è
davvero…rimasto altro, Zexion?»
Oo°*°oO
Una
luce morbida filtrava attraverso delle leggere
tende che ondeggiavano seguendo il debole soffiare di un vento pigro,
rischiarando l’interno di una piccola stanza rettangolare. Le
pareti erano
nude, e gli angoli giacevano in una penombra immota, mentre uno
slanciato
tavolino intarsiato proiettava la sua lunga ombra sul pavimento,
sorretto da
tre piedi finemente lavorati.
Un
fruscio lieve sibilava tra i vetri semiaperti di
un’alta porta finestra, disperdendosi poi oltre gli stipiti
di una spessa
soglia bianca che si ergeva sulla parete
opposta. Oltre la balaustra lucente di uno stretto terrazzo, non si
scorgeva altro
che un baratro senza fine, nelle cui profondità si potevano
intravedere le luci
al neon della vuota e silenziosa città sottostante;
sfiorava i fianchi levigati della grande fortezza, per poi disperdersi
oltre
gli edifici più alti.
Avvolto
nelle lenzuola di un letto accostato ad una
delle pareti, si distingueva la minuta sagoma di un ragazzino; scosso
da
violenti tremiti, si stringeva forte nelle sue coperte, con la testa
immersa
fra le pieghe di un cuscino bianco ed i capelli dorati che gli
invadevano il
volto arrossato. La bocca gli si storse in una leggera smorfia, mentre
una
ciocca bionda gli scivolava sugli occhi: ebbe un sussulto, e
aggrottando
profondamente le sopracciglia si strinse ancor più in
sé stesso. Sentiva la
nuca inumidita dal sudore e le orecchie in fiamme.
Una
miriade di pensieri confusi gli invadevano la
mente, lo disorientavano e lo rendevano inquieto, incapace di
tranquillizzarsi
o di ritrovare le soglie di un sonno tranquillo.
Ricordi che non gli appartenevano, continue immagini e rimembranze
senza senso,
suoni, voci sconosciute, gesti,
gli
affollavano la testa in
maniera disordinata, senza
che lui riuscisse a dare loro un significato. Gli bruciavano gli occhi, e non sopportava
quel ronzio nelle orecchie, mentre i sensi gli mandavano continui
impulsi di
cui non riusciva a capacitarsi…gli sembrava quasi di dover
ancora imparare ad
utilizzarli nella giusta maniera.
Poi
alcuni istanti vissuti, forti come se si
stessero nuovamente svolgendo davanti ai suoi occhi.
Il volto di quell’uomo, sotto la pioggia cupa di quella
città sconosciuta, la
sua mano che lo invitava a seguirlo, e la sua voce leggermente
alterata…il
freddo dell’acqua battente sulla sua pelle sottile…
D’un
tratto gli occhi blu gli si spalancarono, e
lui balzò a sedere con un solo rapido movimento, stringendo
forte nei pugni i
lembi del lenzuolo, che si sollevò in un ampio sbuffo.
Si
guardò intorno, allarmato, con le pupille dilatate,
ma poi lentamente si rilassò, ingobbendosi ed allentando la
presa sul lenzuolo,
mentre cercava in tutti i modi di frenare quell’ansioso
affannare che non
smetteva di scuotergli il petto.
Stava
voltando lo sguardo, rincuorato, quando d’un
tratto vide oltre il lenzuolo che lento si adagiava nuovamente sulle
sue gambe
accompagnato dal venticello, apparire un’ asciutta ombra
nera. Strozzò un grido,
sobbalzando all’indietro sul materasso, mentre il fiato gli
si mozzava in gola impedendogli
di proferir parola o di sfogare il suo sgomento come avrebbe voluto.
Un
ragazzo lo stava osservando con le braccia
conserte sul petto, puntando su di lui i suoi occhi freddi e
leggermente
astiosi, lasciando che le punte irregolari di alcune ciocche azzurre
gli
carezzassero il profilo del naso.
Il
giovinetto biondo rimase a fissarlo con terrore
per alcuni istanti, con le mani che tremavano leggermente, poi
mandò giù il
groppo che gli ostruiva la gola, e finalmente riprese a respirare.
Guardando la
veste che quell’uomo indossava, per un attimo gli era tornato
in mente l’uomo che
lo aveva aiutato quel giorno, sotto la pioggia.
Stava
per aprir bocca, quando lo sguardo dello
sconosciuto si fece più minaccioso e le sue labbra si
mossero, accompagnate da
una voce stranamente giovanile:
«Alla
buon’ora.»
«C-chi
sei tu?» si azzardò a domandare il biondino,
incerto.
L’altro
si limitò a sorridergli fugacemente. Si
voltò, e con un rapido gesto della mano, afferrò
delle vesti scure ripiegate
sul tavolino al suo fianco, lanciandole con sufficienza sul letto.
Incrociò
nuovamente le braccia sul petto, scuotendo impercettibilmente i lunghi
e
disordinati capelli blu cobalto che gli celavano l’occhio
destro e lasciavano
intravedere quello sinistro, sentenziando:
«Alzati
e mettiti questa roba.» sciolse l’intreccio
delle sue braccia, posando una mano sul fianco e lasciando che
l’altra dondolasse
verso il basso, prima di continuare, con aria infastidita
«Dobbiamo muoverci.
Il nostro capo vuole riceverti al più presto, ma prima ti
devo portare alla
Prova. Perciò, spicciati.»
Sulle
prime, il ragazzino lo ascoltò con aria
stranamente incuriosita, seppur dimostrando sempre una certa riluttanza
nei
confronti di quella persona; poi raccolse un po’ di coraggio
e, stringendo le
coperte fra le dita minute, contestò subito il volere di
quello strano ragazzo
«Io...non vado da nessuna parte se non
c’è…» mentre quelle poche e
azzardate
parole gli morivano in gola, si guardo attorno spaesato: oltre a lui e
a quell’inquietante
sagoma nera, nella stanzetta non vi era nessun altro.
«Dov’è…quel
ragazzo…» voltò gli occhi al suo
interlocutore, mentre quel suo blu
ingenuo si
accendeva di un leggero turbamento «…lui ieri mi
ha aiutato a lavarmi e poi…ha
detto che si sarebbe seduto là,»
continuò, indicando una sedia vicino al
piccolo tavolino treppiedi «e che avrebbe vegliato su di me
stanotte,
perché…forse non sarei stato…troppo
bene.» Riportò lo sguardo aggrottato sul
giovane «Lui si chiama…Axel, non è
così? E allora dove…»
«Ti
consiglio di lasciarlo perdere.» lo interruppe
l’altro, socchiudendo le palpebre «Axel non
è un individuo a cui bisogna dare
troppa corda, se non si vogliono passare guai più o meno
seri… Dimenticatelo.
In questo posto c’è gente molto più
competente di Axel. E io sono il primo
della lista.» riaprì i grandi occhi tristi, senza
neppure accennare un sorriso
«Vestiti o faremo tardi.»
«Non…»
il giovinetto esitò. Lo sguardo freddo e il
tono perentorio dello sconosciuto gli imponevano obbedienza, e quando
tentò di
ribellarsi, si accorse di non averne le forze. Guardò con
riluttanza il
soprabito nero che giaceva scomposto sul fondo del letto, e i lunghi
stivali
afflosciati ai piedi del tavolino.
Gli
unici ricordi chiari che aveva erano tutti
ricollegati a quella medesima lunga veste; prima Axel, poi il giovane
che non
lo perdeva un attimo con il suo sguardo severo. Ora avrebbe dovuto
indossarla
anche lui.
Quasi
guidato dall’istinto, un impulso che non gli
riuscì di riconoscere, allungò la mano ed
avvicinò il mantello, afferrandolo
per il cappuccio. Dei pendagli di metallo tintinnarono, accompagnando
il
leggero frusciare della stoffa. Il ragazzino rimase ancora qualche
istante a
fissare le pieghe di quella stoffa spessa, sfiorandola con le dita, poi
risollevò lo sguardo verso lo sconosciuto.
Rimase
zitto per un attimo, poi azzardò, con tono
incerto:
«Come…?
»
«Zexion.»
l’altro lo precedette, battendo le
palpebre «Mi chiamo Zexion.
Numero VI.»
si strinse nelle spalle con atteggiamento
affranto «Ora pensi di riuscire a darti una mossa?»
Il
biondino dischiuse le labbra, ma la sua gola non
emise alcun suono. Poggiò entrambe le mani sul materasso e
si avvicinò al bordo
del letto, toccando il pavimento freddo con i piedi nudi. Non capiva bene
ciò che stava succedendo, né conosceva
il posto in cui si trovava, ma non poteva fare altro che obbedire. Si
alzò,
reggendosi a malapena sulle gambe ancora malferme, e non appena si
accinse ad
alzare lo sguardo, sentì una morsa al livello del petto. Una
mano volò sul
cuore, e le dita stropicciarono con forza la stoffa di una leggera
maglietta.
Tossì,
mentre sentiva d’un tratto lo stomaco
contrarsi e una forte nausea invadergli la gola. Si piegò in
due, premendosi un
braccio sulla pancia e sforzandosi per non rimettere.
Un
vuoto, sentiva un enorme vuoto pesargli sulle
spalle e sui polmoni in maniera insopportabile; non riusciva a
spiegarselo, e
non capiva il perché di quella assurda sensazione. Come se
d’un tratto gli
fosse stato strappato qualcosa di fondamentale…qualcosa
senza la quale sapeva
di non poter vivere. Cadde in ginocchio, strizzando gli occhi.
Era
doloroso. Insopportabile.
Per un
attimo si sentì morire. Ogni parte di sé si
contraeva in silenzio, si contorceva, e la sua testa sembrava
scoppiare. Voleva
solo che finisse…
Ansante,
continuò a sopportare quelle continue
fitte al petto, ogni volta più violente e dolorose,
stringendo forte i denti e
soffocando quella sofferenza con
gemiti sommessi. Perché?
Cosa gli mancava? Sentiva una fastidiosa
sensazione di freddo nei
polmoni che gli
indolenziva i muscoli e gli confondeva la vista…non era
certo di riuscire a
resistere ancora a lungo.
«Succede
sempre.» la voce di Zexion gli giunse alle
orecchie leggermente atona «Non durerà a
lungo.»
Zexion
osservava gli spasmi del ragazzino
dall’alto, senza dimostrare alcun tipo di emozione. Mosse un
passo verso di
lui:
«Il
tuo nuovo corpo si stabilizza e tu prendi
consapevolezza di ciò che sei diventato. Ci siamo passati
tutti.» fece una
pausa, prima di posargli una mano sulla fronte, fra le ciocche bagnate
di
sudore freddo «E’ fastidioso, ma ti ci abituerai,
tranquillo.»
Non
appena il ragazzino riuscì a percepire il tocco
del guanto tiepido di Zexion sulla pelle, sentì un ultimo
fremito percorrergli
la schiena, poi il dolore affievolirsi, disperdendosi.
Sollevò
lentamente gli occhi pieni di lacrime,
mentre Zexion ritirava la mano e tornava composto; il piccolo si rizzò in
piedi con fatica, destabilizzato, poi si
asciugò il viso con la manica della maglietta, mentre la
voce incerta si
disperdeva in un ansimare sostenuto.
«“Chi
sono?” “Cosa mi è
successo?”» fece Zexion,
fissandolo negli occhi «Ti
stai chiedendo questo…non
è vero?» ebbe
un guizzo nello sguardo «Lo so
perché tempo fa anche io mi facevo le stesse
domande.»
Il
ragazzino lo guardò con gli occhi persi. Non
capiva. Le lacrime che gli avevano inondato il viso non erano
né di paura, né
di dolore…e anche in quel momento, seppure avrebbe voluto
sfogarsi, non
riusciva ad esternare nulla.
«Perché…»
balbettò «…non riesco più a
piangere…?»
Zexion
lo guardò in silenzio, poi scuotendo il capo
come a scacciare un ricordo sgradito, chiuse gli occhi e gli diede le
spalle:
«Vestiti
e andiamo.»
Il
giovinetto lo seguì con lo sguardo mentre gli
voltava le spalle, e rimase in silenzio. Gli occhi erano tornati
asciutti,
quasi aridi, e gli angoli della bocca si inclinarono a delineare un
profilo
inespressivo.
Afferrò
l’abito nero ed iniziò a indossarlo,
sentendocisi stranamente a proprio agio. Sistemò le pieghe
delle maniche, poi
affiancò gli estremi di una lunga cerniera e la
tirò con un solo gesto, fino in
fondo. Il cappuccio gli ricadeva
sulle spalle, e
la catena sul petto. Poi infilò gli stivali, uno dopo
l’altro, lisciando le
grinze sui polpacci tirandoli per il bordo argentato.
Sollevandosi
dal letto su cui si era riseduto, cercò
Zexion con lo sguardo, il quale, fermo in attesa vicino alla porta,
annuì
impercettibilmente:
«Bene.»
la sua voce vagò un attimo, sospesa, mentre
il ragazzino gli si avvicinava a grandi passi, prima di aggiungere, in
un
sussurro:
«XIII.»
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Capitolo 3 *** III. Existence ***
III.
Existence
«Dove
stiamo andando?»
«Te
l’ho già detto: andiamo alla Prova.»
Due
voci distinte riecheggiavano tra le mura
marmoree di un lungo corridoio luminoso, sul quale un ampio soffitto
vetrato
lasciava passare i raggi tiepidi del cielo. Una aveva un accento
ansioso ed
incuriosito e l’altra gli rispondeva in modo atono ed
impersonale, un po’
seccato.
«Ma
io…»
«Vuoi
sapere come ti chiami o preferisci essere
etichettato come “marmocchio” per tutta la tua
“esistenza”? Ci siamo passati
tutti quanti prima di te: la fase della Prova è fondamentale
per entrare a far
parte dell’Organizzazione.»
Zexion
camminava risoluto al fianco del ragazzino
biondo che quasi arrancava alla sua sinistra, faticando nel seguirlo;
continuava
ad impartirgli un silenzio indiretto che il piccolo pareva proprio non
afferrare, incalzando la conversazione a monosillabi e con domande che
il suo
compagno interrompeva e a cui rispondeva con riluttanza.
«Organizzazione?
Ma veramente…»
«E’
come ci facciamo chiamare. Apprenderai presto
cosa voglio dire.»
«Ma…»
la voce del piccolo sollecitò nuovamente
«Dove ci troviamo, Zexion?»
«Nella
nostra fortezza; Appartiene a noi
dell’Organizzazione ed è l’unico posto
in cui ci è permesso stare.»
Zexion
svoltò a sinistra, mentre il ragazzino lo
seguiva stanco.
«Perché…tu
non usi…quell’apertura…?»
chiese ancora,
affannando; riusciva appena a stare al passo « Axel mi ha
detto che…» La
risposta di Zexion si confuse con un leggero sospiro, irritato da tutte
quelle
domande incessanti e anche in gran parte inasprito dall’aver
udito ancora il
nome di Axel.
«Forse
intendi dire il Portale…?» disse, d’un
botto,
per poi soffocare una risatina «Se cercassi di spiegartelo in
maniera che tu
possa capirne almeno il cinque per cento, allora ti direi che
è una alterazione
della materia che comprime l’aria e distorce la
realtà, estraendone le ombre.
Inoltre,» mosse una mano «solo noi siamo in grado
di servircene.» lo guardò «
Ti è chiaro?»
Il
biondino aggrottò la fronte,
limitandosi a balbettare
«Voi…cosa…siete?»
Zexion
lo fulminò bieco, senza accennare però a
fermarsi per rimproverarlo, sentenziando:
«Nobody.»
«Nobody?»
Il
giovane dai capelli azzurri rallentò il passo,
lasciando che il ragazzino lo raggiungesse «Si.
Esseri costituiti da carne e intelletto, capaci di intendere, di
volere, di
parlare e di creare...»
sul suo volto si dipinse un’espressione ambigua che
accompagnò il suo freddo
tono di voce «…non ti ha affatto stupito il fatto
di aver perso il tuo Altro, eh?
Allora ti sei quasi…»
«C-che
cosa?» lo interruppe bruscamente il
ragazzino al suo fianco, cercando di trattenerlo afferrandolo per una
manica
«Io…Io non ho perso nulla! E non so che cosa siano
i Nobody e gli Altri
e…insomma, perché non dici come stanno
chiaramente le cose? Io non mi fido di
te!» al piccolo mancò il respiro, poi
bloccò Zexion per le braccia mettendoglisi
di fronte e continuando a gridargli in faccia, arrabbiato «Io
voglio sapere
dove sono e perché mi trovo in questa strano posto! Voglio
sapere dov’è Axel!
Perché mi sono sentito male? Perché non ho potuto
piangere alla sensazione di
dolore forte che stavo provando? Rispondimi!»
Zexion
lo fissò gelido dall’alto, scansandolo
bruscamente alla sua destra. Il biondino barcollò,
aggrappandosi al muro: la
spinta di Zexion non era molto forte, ma essendo ancora leggermente
provato
dalla sera prima, nonostante Axel gli avesse offerto un abbondante
pasto, gli
venne difficile reggersi in piedi.
«Semplicemente,»
sbottò Zexion, riprendendo a
camminare e lasciando indietro il compagno «non ho motivo di
dilungarmi in
queste spiegazioni, dato che molto presto capirai da solo tutte queste
cose e
allora…»
«Io…Io
non c’entro nulla in questa storia!»
gridò
il bambino, sostenendosi al muro con i palmi «Io sono me
stesso e basta!»
«Ne
sei davvero convinto?» Zexion si fermò
poggiandosi svogliatamente con la schiena contro la parete fredda, come
se
stesse aspettando che il ragazzino si decidesse a raggiungerlo
«E allora…come
riesci a spiegarti il fatto che non conosci la tua vera
identità e…che hai
anche paura di svelarla a te stesso?» alzò il capo
e abbozzò un sorriso,
lasciando che le ciocche disordinate gli scoprissero a tratti il viso
«Non
sei riuscito a piangere...perché non ne hai la
facoltà: è il prezzo da pagare
per chi perde il proprio Altro,
il vero sé stesso, e
diventa un Nodody. In superficie non cambia praticamente nulla,
poiché il vero
mutamento...avviene all’interno: un corpo dotato di
vita...senza un’essenza.»
fece una pausa, ritornando serio, prima di concludere «I
Nobody sono esseri che
non hanno...»
«…l’anima…»
Zexion
lo fissò per un istante, con le labbra
dischiuse, poi decretò, risollevandosi dal muro:
«Ti
facevo più stupido.» gli si avvicinò a
passo
svelto e prima di fargli segno di risollevarsi gli rivolse
un’occhiata fugace «Ma
dopotutto è normale che una parte di te ne sia
già consapevole.»
«…non
capisco…» il biondino si passò una mano
fra i
capelli, afferrando con forza alcune ciocche fra le dita
«…cosa significa…?»
«Ora
basta con le domande. Avrai tutte
le risposte che cerchi quando sarà il momento…ora
non servono ad altro che a
far sprecare fiato sia a me a che a te.» il tono di Zexion
era perentorio, non
ammetteva repliche, ed imponeva il silenzio.
Il
ragazzino lo osservò mentre gli dava le spalle e
riprendeva ad avanzare, dirigendosi con passo risoluto verso
un’imponente
portone che dominava sull’intero corridoio, dalla parete
più lontana.
Era
confuso, ed il ricordo della terribile mancanza
che aveva provato qualche attimo prima, nella “sua”
camera, se così poteva
chiamarla, lo infastidiva, e lo faceva sentire vulnerabile. Era in un
luogo che
non conosceva, assieme a gente di cui non capiva le
intenzioni…Organizzazione,
Nobody, Portali…erano tutte parole senza senso, e continuava
a chiedersi perché
cercasse ancora di dare loro un significato. Non c’era
più neanche quell’unica
sicurezza a cui si era disperatamente aggrappato un attimo prima di
prendere
sonno, e quella voce che gli diceva “Non ho alcuna intenzione
di farti del
male. Te lo giuro.”
Deglutì,
mentre con un grande sforzo si rimetteva
in piedi e raggiungeva Zexion, incespicando. Aveva ancora tantissime
domande da
porgergli, ma si sforzò di tenerle per sé.
Continuava
ad osservare il suo compagno
mentre procedeva per il largo androne illuminato da sei alte vetrate,
animato dal
ritmico incedere dei loro passi.
«In
cosa…» azzardò ancora il ragazzino, a
bassa
voce «…in cosa consiste…questa
Prova…?» il tono era incerto
«E’ qualcosa
di…impegnativo?»
A
questo punto Zexion non mostrò alcun
segno di irritazione, né di stanchezza; si limitò
a rispondere con voce piatta:
«Dipende
da cosa intendi per “impegnativo”»
diresse gli occhi verso la porta che si faceva sempre più
vicina «Se vuoi dire faticosa
al livello fisico, allora la risposta è no. Devi solo
imparare a parlare con te
stesso…e puoi riuscirci anche senza muovere un dito.»
Finalmente
entrambi si fermarono. Su di loro si
ergeva una maestosa porta su cui v’erano incise innumerevoli
croci, alcune in
rilevo e altre scavate, che si sovrapponevano andando a formare un
motivo
confuso ed allo stesso tempo affascinante. Il bambino ne
cercò l’estremità,
abbagliato, per poi
riportare gradualmente gli occhi verso il basso fissando quasi con aria
affranta la propria ombra sul pavimento lucido.
«Ora
ti aprirò la porta, e tu entrerai.»
spiegò
Zexion, liberando le braccia dal loro intreccio
«Rimarrò qui fuori ad aspettarti,
e quando avrai terminato verrò a riprenderti.»
poggiò una mano su di un
battente «Non preoccuparti di nient’altro che della
Prova. Dentro di me sentirò
quando sarà il momento di
aprirti nuovamente le
porte.»
Il
biondino annuì impercettibilmente,
senza spostare lo sguardo da terra. Una
mano volò quasi istintivamente al petto, con lentezza,
mentre dalle sue labbra
sibilavano alcune fioche parole:
«Cosa
mi sta…succedendo…?»
Zexion
lo guardò per un istante, poi la sua
attenzione tornò all’enorme portone; un attimo
prima di spalancare i battenti,
spingendoli con un ampio movimento di entrambe le mani,
sussurrò in risposta:
«La
verità… » fece una pausa
«… è che né tu,
né io
saremmo mai dovuti esistere.»
Non
appena il ragazzino mise piede nella stanza,
mentre l’eco delle porte che si chiudevano alle sue spalle
gli invadeva ancora
le orecchie, si sentì inizialmente pervaso da una fastidiosa
sensazione di
claustrofobia, ma già dopo pochi istanti il suo respiro
tornò regolare ed i
suoi occhi presero a studiare l’ambiente, curiosi ed inquieti.
La
sala era di dimensioni
ridotte, tanto
piccola che per un attimo
si chiese come fosse possibile che le enormi porte che aveva appena
attraversato le facessero da ingresso; i muri convessi si curvavano
verso
l’alto in maniera così
fluida da sembrare vivi, e andavano a formare un soffitto
bombato,
animato dai
bagliori dei neon che mandavano
scintille da alcune fessure ai margini delle pareti.
Al
centro di un lucido pavimento in pendenza
sorgeva una lunga ed ampia scalinata, delimitata in entrambi i lati da
tre
larghi gradini, su ognuno dei quali erano posizionate alcune lastre di
marmo. Il
ragazzino mosse un passo, avvicinandosi maggiormente a quello strano
monumento,
cercando di ignorare
l’insistente brivido che gli
pervadeva i palmi delle mani,
non ancora
cessato dalla discussione che aveva appena tenuto con Zexion.
Ognuna
di quelle lapidi sembrava essere
posizionata secondo un preciso ordine
che non gli riusciva di comprendere. Si avvicinò ad una di
esse, e prese ad
esaminarla in maniera più approfondita. Sulla cima era
inciso un numero, gli
parve di scorgere un dieci stilizzato, sopra il quale risplendeva la
stessa
croce di metallo che aveva già visto sull’ingresso
e su alcune pareti di quell’assurda
fortezza.
Salì
di alcuni gradini e raggiunse la seconda serie
di lastre, fermandosi davanti ad un sette inciso nella stessa identica
maniera,
e sbirciando oltre, verso l’ultimo ripiano, riconobbe altri
due piccoli
monoliti marmorei che troneggiavano sugli altri vestigi, su cui erano
incisi un
due ed un tre.
In
tutto erano undici. Il biondino si accovacciò
davanti alla settima lapide, lasciando ricadere la testa di lato per
studiarla
meglio. Guardandola con più attenzione, la sua superficie
non sembrava
solida…era diafana, ed emanava un sottile riflesso del color
dell’acqua. Rimase
ancora un po’ fermo ad esaminarla, seguendo con gli occhi
ogni suo minimo
fremito, poi avvicinò titubante le dita vibranti,
incuriosito.
Il
contatto con la sua pelle fu leggero e delicato,
un po’ esitante, e il ragazzino ritirò subito la
mano, sentendosi percosso da
una sferzata fredda lungo tutto il braccio. La superficie della lapide
si
increspò, mentre tutt’intorno si allargavano in
movimenti fluidi innumerevoli
cerchi concentrici.
Il
numero XIII si sentì mozzare il respiro, mentre
stringeva le dita raggelate nell’altra mano.
Saïx.
Quella
parola gli salì in gola improvvisamente.
«Saïx.»
la
pronunciò a voce bassa, come a volerla rendere viva. Senza
volere continuò a
ripeterselo mentalmente, quasi all’infinito; non sapeva
perché, ma più la
udiva, più gli suonava familiare…quasi come se
l’avesse sempre avuta fra le
labbra, immobile senza che riuscisse in nessun modo a liberarla.
«Saïx.»
il fiato si interruppe, poi, incerto,
aggiunse «…Numero VII.»
Per un
attimo la vista gli si annebbiò, e sentì un
flusso intenso di pensieri invadergli la testa, tanto impetuoso da
fargli
perdere l’equilibrio.
Erano
parole sussurrate a bassa voce nelle sue
orecchie, che si sovrapponevano e si sovrastavano, faticò a
comprenderle,
finché non le udì svanire gradualmente,
affievolendosi, lasciando nella sua
testa solo una scia di echi e brevi fischi.
«Non
spiare gli altri.» la bocca del biondino si
aprì da sola, a pronunciare quella frase, senza che lui
riuscisse a comprendere
pienamente ciò che stava accadendo.
“Non
spiare gli altri”. Sapeva di metallico, ed era
venata di un leggero tono d’ammonizione.
Il
ragazzino cercò di mettersi in piedi, confuso;
si sorresse la testa con una mano, mentre con l’altra cercava
un appiglio per
risollevarsi. In quei brevi istanti durante i quali aveva poggiato le
dita
sulla superficie liscia di quella lapide, si era sentito stranamente
fuori
posto...come un intruso. E anche tutti quei pensieri che gli avevano
affollato
la mente…sapeva benissimo che non gli appartenevano.
Si
massaggiò la testa, battendo le palpebre per
riprendersi, mentre a passi lenti cercava di allontanarsi dalla tenue
luce che
vedeva riflessa in ognuna di quelle spoglie lastre, ma quelle parevano
osservarlo
da ogni direzione, biasimandolo.
Per un
attimo aveva visto con gli occhi di un’altra
persona. Gli pareva assurdo, ma inciampando sulle scale si accorse che
era
proprio ciò che gli era appena successo. Era come se per
quell’istante avesse
toccato con mano l’essere
di qualcun
altro.
Il suo
sguardo volò da una lapide all’altra,
esterrefatto. Ciò significava che ognuna di quelle lastre
fosse collegata ad
altrettante persone?
D’un
tratto il biondino spalancò gli occhi, e balzò
in piedi. Possibile che tra quelle undici lapidi ce ne fosse almeno una
che
potesse condurlo ad Axel? Fece volare gli occhi da un numero
all’altro,
chiedendosi se fosse possibile. La sola idea di poterlo ritrovare lo
riempiva
di una strana speranza.
Mentre
ancora esaminava quasi febbrilmente ognuno
di quei freddi numeri, percepì un fastidioso formicolio
lungo tutta la spalla
destra, mentre con la coda dell’occhio intravedeva una tenue
luce espandersi
vicino alla lapide numero dodici.
Si
voltò, cercando di ignorare il braccio intorpidito;
una miriade di piccole luci apparivano e si spegnevano, dondolavano e
volteggiavano, poi si incontravano e si fondevano, quasi come attratte
da una
qualche insolita forza. Si posarono lentamente sul pavimento,
sovrapponendosi
l’una all’altra, fino ad andare a delineare le
forme abbozzate di una lastra
simile a quella che sorgeva lì vicino.
Il
numero XIII osservò le piccole luci, quasi
abbagliato. Continuarono a brillare, come polveri di piccoli cristalli,
risplendendo di riflessi e rifrazioni. La vide come
un’interferenza, una
distorsione in quell’ambiente immobile…e pareva
quasi che lo chiamasse.
E lo
chiamava per nome; il ragazzino se ne accorse all'istante.
Lo sentiva pronunciato da ogni parete, gli giungeva sussurrato da ogni
direzione, ma tuttavia non riusciva a coglierlo completamente.
Avanzò verso
quella lapide di luci, con passo lento ma deciso, finché non
l’ebbe davanti a
sé. Rimase immobile a fissarla, mentre
quell’irritante sensazione di
intorpidimento diventava più intensa e lentamente gli
penetrava in tutto il
corpo.
D’un
tratto sentì il bisogno di conoscere quel
nome, quasi come un assetato capisce che morirà se non
berrà abbastanza acqua.
Era quasi come se quel nome rappresentasse ormai l’unica
fonte di ogni certezza,
un punto fermo…l’unica prova che lui esistesse
ancora.
Si
inginocchiò di fronte alla lastra, e con gli
occhi che assorbivano senza battere ciglio tutti quei riflessi,
poggiò entrambe
le mani sulla superficie incolore, senza un’esitazione.
Il
ragazzino non fu ostacolato da alcuna
resistenza, e le dita vennero lentamente avvolte da quei barbagli,
mentre
sentiva chiaramente di conoscere il perché di tutto
ciò che gli stava accadendo
La
Prova
dell’Esistenza.
Oo°*°oO
Giganteschi
scaffali ricolmi di
schedari invadevano le quattro pareti di una stanza dagli angoli
smussati come
se fossero carta da tappezzeria. Una sobria mobilia arredava
l’intera stanza,
ma uno sfarzoso soffitto, piastrellato come un mosaico, completava
l’opera,
dando un tocco di eleganza. L’unica fonte di luce, che come
un ombra aranciata
macchiava ogni cosa incontrasse, proveniva da una porta finestra
provvista di
balconata che dava su due paesaggi contrapposti: da una parte, delle
colline
verdeggianti incorniciavano il tramonto quasi fosse un quadro, e
dall’altra si
snodavano le anguste e buie strade della Città.
Due
pensierosi occhi color oro, spaziavano fra quei
due paesaggi opposti con fare flemmatico, soffermandosi a lungo in vari
punti,
cercando di coglierne i minimi particolari, quando
d’improvviso si sgranarono
leggermente. Due labbra sottili si dischiusero per un attimo, poi
tornarono
immobili, senza espressione, mentre le guance colorite si accesero di
un rosso
tenue, che si confondeva con le sfumature dei raggi del vespro.
«Che
seccatura.» disse, mentre con una mano si
massaggiava la nuca, lasciando che i suoi lunghi capelli violacei si
intrecciassero in ciocche alle sue dita «Detesto quando la
gente non sa farsi
gli affari propri.» sospirò, alzando gli occhi,
interrompendo il movimento
della mano poco al di sotto dell’attaccatura dei capelli.
«Abbi
un po’ di pazienza…» Xemnas stava
poco più in là, eretto davanti ad uno degli
scaffali, mentre sfogliava le
pagine di uno spesso fascicolo, tenendolo aperto sul palmo «I
nuovi fanno
sempre così, lo sai anche tu…»
Voltò impercettibilmente il capo di profilo,
cercando il compagno con la coda dell’occhio
«…È perciò inutile reagire a
questo modo per l’ennesima volta, Saïx.»
Poi fece una breve pausa, riprendendo
la lettura.
Il
sommesso frusciare delle pagine voltate
flemmaticamente dalle dita di Xemnas determinavano il tempo regolare di
un
pomeriggio silenzioso già da alcuni minuti. Rigido nel suo
soprabito, Saïx si
era fermato a guardare quell’insolito tramonto senza quasi
accorgersene, come
colto da una profonda nostalgia. Una nostalgia che sapeva di fittizio,
come una
rimembranza confusa che non gli riuscì di individuare
appieno.
Gli
capitava spesso. Erano piccoli frammenti, brevi
attimi di una vita che non gli apparteneva, che emergevano come
fantasmi in ogni
momento, vividi o sbiaditi, come macchie che si allargavano nella sua
mente e
che, per quanto tentasse, non riusciva a cancellare.
A
qualcuno piaceva guardare il tramonto, un tempo.
Gli piaceva farlo perché gli dava la sensazione di essere
libero. Saïx socchiuse
gli occhi.
Essere
libero, essere vivo, essere felice. Ormai
erano tutte cose che non gli erano più concesse. Eppure
c’era il ricordo, gli
era rimasta solo un’idea confusa di come ci si potesse
sentire.
Il
Numero VII scosse il capo, come a scacciare quei
pensieri scomodi, quindi lasciò che la mano ricadesse lungo
i fianchi. Voltò lo
sguardo verso Xemnas, rivolgendogli un leggero sorriso obliquo:
«Ti
sta a cuore il ragazzino?» fece, muovendo un
braccio in un gesto ampio «Ti vedo fin troppo
accondiscendente.»
«Uhm…Strano
modo di vederla.» stabilì l’altro, con
una risatina atona, rimanendo
poi in silenzio per un
attimo «Direi piuttosto che mi comporto in una certa maniera
solo perché
ce n’è la
necessità…» si interruppe, poi fece
cadere il discorso, con gli occhi
che seguivano le righe d’inchiostro sul fascicolo che aveva
fra le mani.
«Xigbar
sta davvero iniziando a scantonare.»
esordì, voltando pagina, dopo aver letto alcune parole
«Mai che riesca a
leggere un suo rapporto scritto per bene.»
Saïx
gli si avvicinò, sporgendosi oltre la sua spalla.
Il suo sguardo cadde immediatamente su di una pagina bianca su cui
spiccavano i
caratteri scomposti dell’inconfondibile frettolosa
calligrafia del numero II. Li lesse a fatica, strizzando
a tratti gli occhi.
Dopo
una lunga serie di resoconti accurati di
missioni concluse brillantemente, iniziava un elenco di messaggi privi
di alcun
tipo di formalità; a volte non si trattava altro che di
frasi incomplete, o
anche di poche parole isolate, o di commenti monosillabici che
esprimevano una
pesante insoddisfazione, mista ad una nota di sarcasmo che nessuno
aveva mai
visto sparire neppure per un attimo da qualsiasi suo gesto.
Rapporto
N°23
TOTALE
fallimento. Causa un’enorme palla al piede da cui il
“SUPERIORE” non si decide
a liberarmi.
Rapporto
N°24
Nota
per il
futuro: Se vuoi che mi riesca qualcosa, allora levami di torno Signor
Rose&Fiori.
Rapporto
N°25
No. La
prossima volta lo AMMAZZO. Prendo la mira e lo faccio secco.
Rapporto
N°26
Ti
pare che
io abbia mai sbagliato un colpo?
Rapporto
N°27
XI non
sa
fare un emerito cazzo.
Rapporto
N°28
Vedi
sopra.
Rapporto
N°29
Per
cominciare, la prossima volta che mi mandi XI nel poligono, Xem, non
potrò
assicurarti la sua incolumità. Secondo, affidalo ad VIII,
che fra incapaci ci
si intende.
Rapporto
N°30
Penso
che
smetterò di scrivere il rapporto. Ne va del mio orgoglio.
Rapporto
N°31
Si
smetto di
scriverlo, ho deciso.
Xem, o
mio
“SUPERIORE”, eliminiamo XI tutti insieme!
Saïx
distolse lo sguardo, interrompendo la lettura,
che proseguiva ancora per molte pagine:
«Marluxia
è solo inesperto.» si volse a Xemnas «
Xigbar
sta esagerando, a mio parere.»
«Se
fosse per lui,» fece Xemnas,
chiudendo il fascicolo e riponendolo
in uno degli scaffali «non farebbe altro che starsene nel suo
poligono, o a poltrire fra i
corridoi della Fortezza, e tutti noi
potremmo anche completamente dimenticarci dell’esistenza di
un Numero II.»
voltò le spalle a Saïx, dirigendosi verso un altro
schedario «Piuttosto, come
va con Larxen? Anche tu hai da farmi reclami dello stesso
genere?»
Saïx
scosse il capo:
«E’
abbastanza brava…penso che fra breve potresti
anche affidarle missioni individuali…» mosse
leggermente il capo «Non potrà
stare per sempre sotto la mia ala.»
Xemnas
annuì, osservando con aria assorta una lunga
serie di libri:
«Certo.
Dopotutto, ho già in mente un certo
servizio da affidare a XI e XII.» si toccò il
mento con due dita e non disse
nient’altro.
Saïx
rimase anch’egli in silenzio per qualche
istante, poi riprese, tornando quasi senza rendersene conto
sull’argomento di
poco prima:
«
E XIII? A chi hai intenzione di affidarlo?»
«Non
saprei.» Xemnas alzò lo sguardo e voltò
il
capo verso il compagno «Tu hai qualche idea?»
Sulle
labbra di Saïx apparve un
silenzioso sorriso,
e tutto il suo volto si colorò di un’inquietante
sfumatura di divertimento:
«Te
ne sei accorto, vero?» fece, a bassa voce «Ti
sei reso conto dell’aura incerta che circonda XIII?»
«…pensavo
di affidarlo a Zexion.»
proseguì Xemnas, interrompendolo
«Oppure…anche ad
Axel non farebbe
male avere una qualche tipo di
responsabilità…» alzò gli
occhi verso il suo interlocutore, continuando a
fissarlo con un cipiglio senza espressione, ma bastò quel
suo unico sguardo a
far capire a Saïx che quello non era né il momento
né il luogo adatto per
parlare di quell’argomento.
Il
Numero VII lasciò che i suoi lineamenti
tornassero immoti e, incrociando le braccia sul petto, annuì
con fare
rassegnato.
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Capitolo 4 *** IV. Meeting ***
IV.
Meeting
«Lo
odio! E’ insopportabile! Proprio non lo tollero!
Mi ha veramente stufato!...»
Mentre
Larxen con tono maligno continuava a zufolare
fra sé, alzando la voce e a volte gesticolando con le mani,
senza accorgersene
continuava a fare avanti e indietro per la sua stanza, e quando
incalzava il
passo, la sua acuta voce non mancava di diventare ancora più
risoluta e
convinta. Quando, per l’ennesima volta, la pallida ragazza
sorpassò il divano
sbraitando, Marluxia sobbalzò sul cuscino e alzò
repentinamente gli occhi al
soffitto, distogliendosi definitivamente dalla sua lettura, riprendendo
la
compagna di stanza con tono seccato e arrogante.
«Larxen,
potresti gentilmente piantarla di
tormentarti…e di tormentarmi,
soprattutto…» sbottò, richiudendo un
vecchio e
spesso fascicolo e accavallando le gambe, lasciando ricadere il
documento sul
grembo, stiracchiando le ossute braccia
«…continuando a parlare di VIII? E’
inutile che tu gli rivolga tanti insulti se lui non è
presente, non trovi?»
«E
sai che m’importa!» si imputò
l’altra,
fermandosi in mezzo alla stanza e stringendo i pugni, squadrando
Marluxia con
un sopracciglio biondo lievemente inarcato «Ma mi spieghi
come fai a rimanere
così calmo sapendo come si è comportato
prima?» e sfiatando, diede nuovamente
le spalle al ragazzo, con fare offeso «Si permette davvero
troppe libertà per i
miei gusti e…»
«Hai
frainteso, XII.» la interruppe Marluxia, con
tono glaciale «Sei arrivata qua da poco e ancora non hai ben
capito come ci si
comporta con quello. Persino io, come hai potuto notare, spesso perdo
il
controllo in sua presenza. Forse, la prima impressione che ti sei fatta
è che
tutti lo difendano, o lo lascino libero di fare ciò che
più lo aggrada, ma la
verità…e che nessuno in questa Fortezza sopporta
Axel.»
«Immagino
tu intenda ciò escludendo Demyx.» riprese
Larxen, voltandosi con flemma e sistemandosi elegantemente una ciocca
platino
dietro l’orecchio sinistro, socchiudendo le iridi cristalline
come il cielo
terso del mattino, mutando la sua espressione incattivita in un
sorrisetto
sardonico «Gli lecca i piedi quasi fosse un
cagnolino!» concluse, senza darsi
un minimo di contegno mentre prendeva a ridere sguaiatamente in
direzione
di Marluxia, il
quale, non avendo nulla
contro IX, chiuse i grandi occhi dai riflessi bicromi, scotendo a
tratti la
testa in modo impercettibile, come per negare, fra sé e
sé, le parole acide
della ragazza. Poi si alzò, emettendo un sonoro sbadiglio
annoiato.
«Comunque,»
continuò il giovane, stropicciandosi
gli occhi inumiditi «presto ti accorgerai che le mie parole
erano più che
veritiere e capirai che la maggior parte delle volte conviene
ignorarlo,
piuttosto che accumulare pretesti per lasciargli tenere aperta quella
boccaccia
o in movimento quella sua lingua biforcuta.»
Sorpassò
Larxen con noncuranza, dirigendosi verso
uno scaffale nell’intento di riporre il fascicolo che prima
teneva sulle gambe
accavallate e che aveva tentato di leggere, senza successo, quando
proprio la ragazza
iniziò a schernirlo, puntandogli un indice
contro.
«Sai,
XI» ridacchiò, malefica «a parole sei
tanto
bravo, ma a giudicare dall’espressione arrabbiata di Xigbar
stamane, in
battaglia non sei un granché! Cos’era quello,
l’ennesimo divertentissimo
rapporto di II sulle vostre brillanti
missioni?»
«Sai,
XII» la rimbeccò Marluxia, rispondendogli a
tono «anche tu stai iniziando a prenderti un po’
troppa libertà coi tuoi
superiori, come fa Axel. Se non la smetterai, presto sarete compagni di
sventura: entrambi tagliati fuori dall’Organizzazione. Che ne
dici?»
Seguirono
pesanti attimi di silenzio; Marluxia
lasciò i pochi millesimi di secondo necessari a Larxen per
capire la
provocazione in tutte le sue sfaccettature, prima di sfoggiare un
ghigno di
compiacimento, alla quale Larxen reagì estraendo due
stiletti con una rapidità
innaturale, quasi felina, facendoli scattare come una molla in
direzione del
compagno immobile davanti alla libreria.
Proprio
quando le due lame affilate furono vicinissime
al volto divertito di Marluxia, davanti a lui si aprì un
Portale e due piccoli
palmi neri afferrarono con sicurezza gli stiletti fra le dita. A poco a
poco,
oltre l’Acqua Nera, si materializzò la bassa e
inespressiva figura di Zexion,
mentre lentamente lo squarcio immateriale si riassorbì alle
sue spalle.
«Larxen,
sei un po’ troppo suscettibile ultimamente.»
disse con tono grave, lanciando i pugnali alla ragazza, che li
afferrò con
sicurezza malferma, indietreggiando di qualche passo «Sei
esagitata. Vedi di moderarti.»
«Zexion!»
esordì Marluxia allegro, con un ampio
gesto dalle braccia «Cosa ci fa da…»
«Guarda
che lo stesso vale per te, Marluxia. Dateci
un taglio. Tutti e due.»
A
quelle parole, Marluxia sorpassò il suo superiore
scuotendo il capo e alzando i palmi al cielo sconsolato, coronando con
una
risatina sarcastica le sue parole mentre si posizionava al fianco di
Larxen.
«Anche
tu oggi sei particolarmente irritabile, eh.
Chissà di chi è la colpa.»
La
ragazza invece più che divertita come il suo
compagno, sembrava essersela presa parecchio per i gesti e gli
ammonimenti di
Zexion. Socchiuse gli occhi chiari sospirando, e con
l’ennesimo gesto
scattante, fece scomparire i due stiletti oltre i lembi della manica
destra della
lunga veste scura.
«Io
non sopporto affatto le personalità come te,
Zexion.»
VI
mosse qualche passo in direzione dei due
principianti con la testa lievemente inclinata sulla sinistra, mentre a
poco a
poco i muscoli facciali gli si contraevano in una smorfia maligna, che
accompagnò il fluido movimento del suo braccio destro,
mostrando un pugno
semiaperto ai due presenti. Alzò l’indice
affusolato e disse:
«Errore
numero uno. Mi spiace tanto deluderti, ma
credo che “personalità” non sia proprio
il termine adatto per presentarmi. Ciò
che hai citato, in realtà, è esattamente quello
che mi manca per essere
chiamato “Completo”.» Larxen e Marluxia
seguirono silenti il gesto di Zexion
che segnava un due con le dita «Errore numero due.
Mai,» scandì bene quella
negazione, facendo risuonare la sua voce per tutta la stanza
«usare quel tono
con un tuo superiore. Specialmente con me. Vedi, non solo questo ti
mette in
cattiva luce sotto i miei occhi e mi implica a riferire la tua condotta
a
Xemnas, ma ti esclude completamente da
un’esistenza… diciamo,
“tranquilla”
all’interno di questa Fortezza. E’ vero, sono un
tipo pacato, ma se istigato
sono capace di diventare cattivo quanto basta per renderti
l’operato
all’interno dell’Organizzazione un
inferno.»
Nuovamente
un glaciale Zexion rivolse il suo
sguardo ai due subordinati mentre abbassava la mano destra lasciandola
ricadere
sul fianco. Abbozzò un sorriso, soddisfatto della reazione
ottenuta.
«Spero
di essere stato abbastanza chiaro ed
esauriente.»
«Tsk.»
commentò Larxen, aggrottando la fronte e
poggiandosi di schiena contro il freddo muro più vicino a
lei «Naturalmente,
Signor VI.» ancora una volta socchiuse gli occhi e si
sistemò i capelli. Per
lei era come una specie di tic. Non amava affatto il disordine e le
cose mal
riposte, ed era una sua particolare e personalissima fissazione essere
sempre
presentabile, come le piaceva vanitosamente definirsi. Marluxia rimase
in piedi
al suo fianco in braccia conserte con espressione tranquilla e al
contempo
seria, sospirando fra se e se cose come Non
si rende conto che se continua a rispondergli in questo modo lo sta
solo
provocando? Certo che ha un bel coraggio a parlargli così! Alla
fine,
decise di sviare l’attenzione di Zexion.
«Come
mai sei da queste parti?» domandò con tono
incuriosito al giovane dai capelli azzurri che stava in piedi davanti a
lui con
le mani sui fianchi e lo sguardo apatico rivolto in direzione di una
Larxen
completamente disinteressata e noncurante della cosa, notando quanto
fosse
basso in confronto a lui. Quasi due teste
e mezzo, si disse. «Sono certo che se sei venuto
qua avrai certo un
qualcosa da riferirci…»…dato
che dubito
che la tua sia una visita di cortesia, nanerottolo.
«Infatti.»
confermò Zexion, senza distogliere lo
sguardo dalla figura longilinea di Larxen «Saix ti reclama,
XII. Ti sta
aspettando al Belvedere del Crepuscolo. Pare che il Capo abbia deciso
di
assegnarti la tua prima missione da singola.» sorrise con
stizza «Mi
raccomando, XII». Al
contrario, Marluxia
tentò di incoraggiarla, nonostante questa
“promozione” di Larxen significasse
solo che una sua subordinata lo aveva “sorpassato”,
tentando di infonderle un
po’ di entusiasmo esclamando « Congratulazioni! Fai
del tuo meglio, eh. Buona
fortuna!»
«Non
me ne faccio nulla degli auguri o le
raccomandazioni dei miei superiori.» replicò
subito la biondina, sorpassandolo
a braccia conserte prima Marluxia e poi Zexion, dirigendosi verso
l’uscita
della stanza. Poi aprì la porta e fece un gesto con la mano,
mentre lasciava i
due suoi superiori dando loro le spalle «Bye
bye.»
Non
appena Larxen richiuse la porta alle sue
spalle, Marluxia sospirò sconsolato «Eh, beata
lei. Ormai ho perso il conto dei
giorni da quando sto aspettando che una cosa del genere accada a
me…»
«Non
scoraggiarti troppo, XI» riprese VI, aprendo
un Portale a mezz’aria «Non è ancora
certo che Larxen svolga quella missione completamente
da sola. Non so quanto
lontano potreste andare, sia tu che lei, dato che non siete ancora
capaci di
controllare appieno le vostre doti.
Ad esempio, non siete nemmeno in grado di fare uno di questi. Un
Portale.»
Poco
prima di lasciarsi completamente inghiottire
da quei fluidi filamenti impalpabili disse «Ah, quasi me ne
dimenticavo.
Xigbar,» fece un impercettibile cenno con la testa
«vuole vederti. Non farlo
aspettare troppo. Sai che è suscettibile,no?»
Dopo
che anche Zexion se ne fu andato, rapido
Marluxia lasciò la stanza, dirigendosi risoluto verso il
Poligono, luogo
prediletto dal suo Istruttore.
Oo°*°oO
Ed
ecco in arrivo le dolci lodi del tuo Istruttore, Marluxia si
disse
sarcastico XI, mentre avanzava a passo deciso, e la voce silenziosa
delle sue laconiche
riflessioni era l’unico suono nelle sue orecchie. Devo solo prepararmi ad una nuova allegra sfuriata
e ad un ennesimo
gentile reclamo al Signor “Superiore” in merito
alla mia “ineluttabile
incompetenza” si lasciò sfuggire un
grugnito d’irritazione, mentre
stringeva i pugni facendo crepitare la pelle dei guanti Ma
che Xigbar si preoccupi di correggere le sue pericolose turbe
caratteriali prima di trattarmi a zerbino…! Se
l’unico modo per farmi
apprezzare da lui è leccargli i piedi come pretende che
faccia… le sue
labbra si contrassero in una smorfia di leggero disgusto si
sbaglia sul mio conto, non mi farò mai mettere i piedi in
testa da
quella specie di cecchino!
Voltò
l’angolo con un movimento
repentino ed elegante, smuovendo un lembo della veste in un gesto
deciso. Dopotutto
continuare a rodersi a quel modo non lo avrebbe di certo aiutato a
mostrarsi
tranquillo ed insofferente di fronte ai rimbecchi del Nobody che lo
attendeva
oltre la porta che si ergeva sul fondo del corridoio. Se aveva imparato
anche
una sola cosa durante il suo apprendistato sotto l’ala di
Xigbar, era l’esser
diventato abilissimo nel nascondere i propri pensieri. Non un movimento
delle
labbra, o un’espressione negli occhi, fasulle che fossero,
avevano mai fatto
intendere uno qualsiasi degli insulti pesanti e silenziosi che molto
frequentemente indirizzava al suo superiore.
Si
fermò davanti alla porta, senza
smuovere un attimo gli occhi dalla fine linea argentata in cui i due
battenti
sembravano fondersi. Quante volte gli era stato vietato di varcare quel
limite?
Eppure tutte le circostanze facevano sempre sì che per
Marluxia fosse
indispensabile disobbedire; sembrava quasi che Xigbar lo facesse di
proposito,
giusto per ritrovarselo sempre lì, pronto per essere
sgridato come più gli
aggradava.
Lentamente,
ancora un po’ titubante,
premette una mano sull’alto battente aprendo appena lo spazio
necessario a
passare, sperando di non far rumore. L’attimo seguente fu
dentro e la porta
tornò immota e chiusa come prima che arrivasse.
Prima
di azzardare qualsiasi movimento
diede una veloce occhiata alle pareti tutt’intorno.
Quello
era il regno di Xigbar. Avrebbe
potuto apparire ovunque, anche sul soffitto, appeso a testa in
giù come un
pipistrello, anche in quel preciso istante, senza che Marluxia si
accorgesse dei
suoi spostamenti, o di come diavolo avesse fatto a muoversi in maniera
così
silenziosa.
Perché
Xigbar? Marluxia
avanzò di qualche passo circospetto, tenendo gli occhi
fissi sui bersagli metallici che sorgevano in fondo alla sala: delle
sagome i
cui contorni delineavano una forma quasi umana.
Perché
un misero numero II e non il Superiore? Di
colpo le sopracciglia dell’XI si
aggrottarono in un’espressione maligna Perché
Xemnas mi ha considerato così poco? Perché mi ha
affidato ad un suo misero
subordinato?
Di
colpo il pensiero volò a Saix, e la
mente gli si riempì di cupi rimembranze di cosa significasse
provare un’invidia
profonda.
Solo
il numero VII. Perché solo lui e poi nessun’altro?
Si
ricordò di quando aveva ascoltato il
blaterare del suo tutore per ore intere, prestando attenzione a
ciò che diceva
solo quando sembrava accennare ad argomenti che gli interessavano.
I
Portali. Kingdom Hearts. Gli
Heartless.
Xemnas.
Marluxia
neppure si accorse di essersi
immobilizzato proprio nel bel mezzo della sala. Non fece caso neppure
al fatto
che stando fermo a quel modo era più vulnerabile che mai a
qualsiasi attacco da
parte dell’irritatissimo ed intrattabile numero II.
Perché
gli aveva rivolto quell’occhiata
di sufficienza non appena gli si era presentato davanti, appena
superata la
Prova dell’Esistenza?
Perché
non aveva detto nulla mentre gli
comunicava il proprio nome, inginocchiato al suo cospetto e, tremando,
si
chiedeva se quell’uomo dall’aria così
autorevole potesse in qualche modo
decidere l’esito della sua sorte?
Perché
lo aveva ignorato mentre usciva
dalla sala, congedandolo con un semplice e sbrigativo cenno della mano?
Perché
non si accorgeva dell’ardore e
la fatica con cui Marluxia tentava in tutti i modi di compiacerlo?
Marluxia
digrignò i denti, stringendo
forte i pugni.
E
soprattutto,
perché il numero VII era sempre in piedi al suo fianco
quando lo incontrava?
Quando andava a fare rapporto? Quando c’era bisogno di
prendere una decisione
importante?
Marluxia
non riusciva a capire.
Cos’aveva
Saix che lui non riuscisse ad
ottenere? L’esperienza? L’abilità con
cui riusciva a portare a termine i suoi
compiti senza neppure macchiarsi il soprabito di sangue? La
crudeltà ed il
divertimento che mostrava quando sentiva che era il momento di agire?
Perché
dopo aver addestrato Saix,
Xemnas non aveva più preso nessuno sotto la sua supervisione?
Perché
non
aveva scelto Marluxia come prossimo discepolo?
I
cupi pensieri del numero XI vennero
bruscamente interrotti. Il giovane vide un guizzo di luce bianca
ferirgli gli
occhi ed un istante dopo si ritrovò a fissare
l’inquietante unica iride dorata
del suo tutore.
Le
sopracciglia sottili erano
aggrottate in maniera preoccupante e le cicatrici tiravano la pelle del
volto
trasformandolo in una maschera grottesca. I capelli neri strati di
grigio
ricadevano verso il pavimento, legati in una lunga e sottile coda di
cavallo,
ed i pendagli del soprabito scivolarono verso il basso con dei brevi
tintinnii.
Era
a testa in giù, come c’era da
aspettarsi. Purtroppo a Xigbar erano sempre piaciute le entrate in
scena fin
troppo teatrali.
Marluxia
aprì bocca per assicurarsi la
prima parola in quello che già prometteva di diventare un
litigio all’ultimo
sangue fosse sua, ma l’altro fu molto più rapido.
«
Fammi indovinare, Fiore di Campo.»
Marluxia
si impettì, fissando l’unico
occhio di Xigbar quasi con sfida:
«
Prego.» lo invitò, strafottente.
Il
numero II sembrò non farci caso:
smise di guardarlo, lasciando che gli occhi vagassero verso un punto
indefinito, massaggiandosi una tempia:
«
Sei entrato nuovamente nel mio Poligono.»
scosse il capo, gesticolando « Mi pareva di averti ripreso
innumerevoli volte,
Rosa Selvatica.» nel modo in cui Xigbar riusciva a trovargli
quei taglienti
soprannomi nel giro di pochi istanti c’era un che di
canzonatorio « Chi esattamente
ti ha dato il permesso di
entrare senza il mio permesso?»
Marluxia
dischiuse le labbra ma non ne
uscì alcun suono.
Nessuno.
Zexion non aveva accennato a
nulla di simile. Il numero XI deglutì:
«
E’ il primo luogo in cui penso di
recarmi se…»
«Si,
si, va bene, non mi interessa.» lo
sguardo irato di Xigbar lo trafisse ancora, questa volta con maggiore
violenza
« Il punto è: non dovevi
farlo!»
Marluxia
abbassò il capo. Avrebbe
voluto non dover chiedere scusa in maniera così umiliante,
ma se voleva
togliersi quel Nobody dai piedi al più presto, non poteva
fare altro.
«
Scusami, Xigbar.»
«
E’ da un po’ che me lo chiedo,
Fiorellino.» Lentamente Xigbar levitò su
sé stesso e tornò a posare i piedi sul
pavimento, poco lontano da dove se ne stava immobile il suo subordinato.
Il
numero XI non riuscì a trattenere
una smorfia nell’udire l’ennesimo insulto che
l’altro gli aveva tranquillamente
regalato con quel nuovo nomignolo.
Mi
chiamo Marluxia.
Avrebbe
voluto gridarglielo forte in
faccia, mentre qualcosa di molto simile a ciò che
riconduceva al concetto di
“rabbia” gli faceva ardere gli occhi azzurri.
«
Ascoltami con attenzione, perché
voglio un tuo parere.» continuò Xigbar, con aria
assorta. Marluxia non poté
fare altro che annuire, pazientando.
«
Bene.» esordì il II, riprendendo
teatralmente a gesticolare « In questa Organizzazione eravamo
in dieci prima
che tu arrivassi a far germogliare i tuoi bacelli
lungo i corridoi e sui balconi delle tue stanze.»
Marluxia
attese, in ascolto. Cercava in
tutti i modi di sovrastare quell’irritante Nobody con le sue
spalle larghe, ma
non capiva come fosse possibile che Xigbar riuscisse a metterlo
così in ombra
nonostante il suo fisico smilzo e i tre centimetri che lo rendevano
leggermente
più basso.
Xigbar
continuò sospirando:
«
Beh, a quel tempo ero uno dei
migliori, lasciatelo dire, non un solo Rapporto negativo.»
scosse il capo e le
mani fecero lo stesso movimento mentre il suo occhio si chiudeva in una
smorfia
nostalgica « Il capo non si lamentava, non gli creavo
problemi, stavo per i
cazzi miei. Si fidava di me, sapeva che avrei svolto il lavoro come
dovevo. E
soprattutto,» fulminò
«era-chiaro-a-tutti-che-sconfinare-nei-miei-spazi-equivaleva-a-ritrovarsi-un-maledetto-proiettile-conficcato-in-mezzo-agli-occhi.»
marcò ogni singola parola. « Pensa, anche Axel e
Demyx non osavano scassare i
coglioni.» aggiunse, stringendosi divertito nelle spalle
« Il che è strano,
ammettilo.»
Su
questo Marluxia gli dava ragione:
«
E’ vero, signore.» lo seguì con lo
sguardo mentre gli girava intorno, grattandosi pensieroso il mento. Non
riusciva a capire dove quel discorso volesse andare a parare.
«
Bene, Germoglio primaverile,»
Marluxia digrignò i denti silenziosamente « ora la
domanda sorge spontanea.»
Xigbar
si voltò di scatto verso il
discepolo ed il suo occhio da rapace sembrava volerlo squartare sul
momento:
«
Cosa diavolo ho fatto di male, per
meritare te come
sottoposto?»
Marluxia
deglutì, stringendo forte i
pugni:
«
Era un ordine del Superiore.» il
pensiero di Xemnas e Saix gli fece fare una smorfia, ma smise di
pensarci.
«
Oh, caro, questo è molto bello.»
flautò sarcastico l’altro « Ma
analizziamo bene la situazione, Petalo di rosa.»
sollevò una mano, portando l’altra sul fianco.
Iniziò a contare sollevando le
dita ad una ad una « Primo, ma guarda, al tempo Xemnas non
aveva nessun pargolo
a cui badare. Perché non risparmiare l’agonia di
starti appresso a chiunque
altro e addossarsi l’impresa?» fece una pausa,
guardandolo « Magari eri davvero
troppo poco per lui?»
annuì, convinto
« Beh, molto probabile.»
Nell’udire
queste parole, Marluxia
sentì ogni singolo muscolo del corpo tendersi. Gli
tornò in mente ciò che prima
diceva di riconoscere come “vergogna”.
Se
solo Xigbar non fosse stato il suo
maledetto tutore, non avrebbe atteso altro tempo prima di sguainare la
falce e
mostrargli quanto potessero essere impietosi i fiori che denigrava
tanto.
«
Bene!» Xigbar sembrava divertirsi,
deliziandosi della sua stessa crudeltà « Passiamo
al prossimo: l’assatanato
amante delle maledette lance.» sollevò un altro
dito « Si era appena liberato
di quell’essere ultranoioso che risponde al nome di
“Luxord”. Hai presente,
quello che sparisce nei meandri più reconditi della Fortezza
dicendo che “deve
studiare nuove tattiche di combattimento”, ovvero farsi una
partitina a
Solitario? Perché non affibbiarti a lui?» strinse
nelle spalle « Oh, beh, sono
motivazioni troppo alte perché i miseri numeri al di sotto
dell’I possano
comprenderle.»
Marluxia
continuò ad ascoltare Xigbar
mentre infieriva, senza intervenire una sola volta.
Si
fece sfuggire un lieve sorriso.
Anche
dopo che il numero II ebbe finito
di sfogare l’ira repressa ed iniziò a dettargli i
nuovi ordini, non riuscì a
trattenere un ghigno di soddisfazione.
L’avrebbe
pagata. Oh, si.
Xigbar
l’avrebbe pagata, avrebbe pagato
quella sua irritante abitudine di considerarlo meno di niente.
Anche
Xemnas l’avrebbe pagata.
Xemnas
che non si era accorto di lui, e
sembrava continuare a non rendersi conto del suo potenziale. Xemnas che
lo
aveva subito etichettato come un’incapace e non gli dedicava
le attenzione che
davvero meritava.
Presto
il servilismo non sarebbe più
servito e tutti coloro che non facevano altro che insultarlo sarebbero
stati
costretti a prostrarsi ai suoi piedi, supplici, per chiedergli di
risparmiarli.
Si
allontanò, uscendo dal Poligono,
senza dire una parola.
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