I'll protect you forever

di cyrusfiancee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ~ Prologo ***
Capitolo 2: *** ~ Capitolo Primo ***
Capitolo 3: *** ~ Capitolo Secondo ***
Capitolo 4: *** ~ Capitolo Terzo ***
Capitolo 5: *** ~ Capitolo Quarto ***
Capitolo 6: *** ~ Capitolo Quinto ***
Capitolo 7: *** ~ Capitolo Sesto ***
Capitolo 8: *** ~ Capitolo Settimo ***
Capitolo 9: *** ~ Capitolo Ottavo ***
Capitolo 10: *** ~ Capitolo Nono ***
Capitolo 11: *** ~ Capitolo Decimo ***
Capitolo 12: *** ~ Capitolo Undicesimo ***
Capitolo 13: *** ~ Capitolo Dodicesimo ***
Capitolo 14: *** ~ Capitolo Tredicesimo ***
Capitolo 15: *** ~ Capitolo Quattordicesimo ***
Capitolo 16: *** ~ Capitolo Quindicesimo ***
Capitolo 17: *** ~ Epilogo ***



Capitolo 1
*** ~ Prologo ***


                                                                                                                                                Prologo




'22 Settembre 2012.
Collegio St. Martin.

Caro Diario,
Non so perché, non so cosa, in verità non so niente.
Diciotto anni, questa è la mia età.
Meredith questo è il mio nome.
Numero 13 ho tatuato sulla mia pelle.
Avevo un anno, quando quell'uomo mi venne a prelevare da casa dei miei genitori, non ricordo niente di loro, non ricordo i loro nomi, i loro volti, ma ricordo il loro pianto.
Dicono che sono nata per uno scopo ben preciso, dicono che devo aiutare il prossimo, ma nessuno ha mai aiutato me a capire.
Qual è il mio scopo?
Dicono che non posso saperlo fino al giorno stabilito.
In qualunque caso, io, non voglio adempiere a qualcosa che non so, voglio cambiare le carte, voglio decidere da sola ciò che voglio essere.
Stasera scappo.
Abbandono queste mura, e vado via.
Vado a scoprire chi sono.
So le nozioni, ho passato la vita a studiare.
Dicono che sia importante, che servirà a capire la mia vita, ma la mia vita la voglio capire da me, non mi serve un libro di antropologia, mi serve una camminata e una chiacchierata con un amico, ma cosa sono gli amici?
Per questo scappo.
Per scoprirlo.
Voglio distendermi su un prato verde a guardar le stelle, come in quel film che da bambini ci fece vedere Miss Daisy.
La mandarono via Miss Daisy, lei voleva liberarci, ma noi siamo prigionieri.
Ed io scappo, mi ribello.'


Meredith chiuse le pagine del diario malconcio che l'accompagnava da quando ne aveva memoria, infilò anch'esso nella piccola borsa, legò in una coda i lunghi capelli lisci, e pronta alla fuga lasciò furtivamente la camera che sin dall'età di un anno l'aveva sempre ospitata.
Percorse il lungo corridoio cercando anche solo di non respirare, arrivò alle scale ed iniziò la discesa.
Ventisei piani da percorrere e avrebbe raggiunto la libertà.
Venticinque, e avrebbe visto la luce della luna fuori da un edificio per la prima volta.
Ventiquattro, e avrebbe sentito i gufi.
Ventitré, e avrebbe toccato l'erba umida.
Ventidue, e avrebbe corso per la strada.
Dieci, e avrebbe respirato aria limpida.
Nove, e avrebbe amato.
Otto, e avrebbe giocato.
Sette, e avrebbe scoperto chi era.
Sei, e si sarebbe affacciata alla vita.
Al quinto piano prese dalla borsa la carne, che aveva con fatica raccolto, rinunciando al suo pasto quotidiano, per sfamare i mastini posti di guardia nel cortile.
Uno, e la paura le mangiava le budella.
Ormai era davanti alla libertà.
Aprì la porta, e quando i cani le andarono in contro, tirò loro la carne e li vide allontanarsi in un attimo.
Corse gli ultimi metri che la separavano dalla libertà trattenendo il respiro, trattenendo le paure, nascondendo i timori che le attanagliavano la testa.
Saltò il cancello e senza mai smettere di correre si inoltrò per il bosco.



'22 Settembre 2012.
Casa Palminton.

Caro Diario,
Sono stanco.
La mia vita continua a girare attorno a ciò che sono e attorno a ciò che vorrei essere, e finalmente ho preso una decisione.
Sarò chi voglio.
Vado via.
Lascio casa Palminton, e ritorno ad essere chi sono, ritorno Justin Bieber.
Diciotto anni.
Adottato.
Orfano.
Dei miei genitori ricordo i loro ultimi sospiri, e poi le luci di un'ambulanza, che portava loro lontani.
Lascio questa casa per cercare di rincorrere i miei sogni.
Sogno di cantare davanti milioni di persone.
Sogno di cambiare la scena musicale.
Mi vedo con una chitarra ed un microfono.
Mi vedo lontano.
Scappo, per sempre.'


Justin nascose il diario sotto il letto, prese il giubbotto di pelle nero dentro l'armadio, la sacca contenente le poche cose sufficienti alla sopravvivenza, e mise la chitarra classica sulle spalle.
Aprì la finestra della piccola camera, saltò ed atterrò sul morbido prato.
Salì sulla sua Cadillac, regalatagli per il diciottesimo compleanno dai suoi genitori adottivi per colmare il vuoto di quell'affetto mai donato, mise in moto la macchina ed iniziò a sfrecciare per le vie della buia cittadina del Montana.












 

Spazio Autrice;

weilàààà gente, eccomi già tornata!
Proprio oggi ho chiuso una porta e adesso si apre un portone. 
Amatemi.

Non so cosa dirvi di questa storia, voglio che sia una sorpresa perché credetemi sarà piena di sorprese, ah ecco; preparate i fazzolettini.

ciaaauz,

sbii

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Capitolo 2
*** ~ Capitolo Primo ***


                                                                                                                                                     Primo Capitolo




Meredith corse fin quando le gambe glielo permisero, poi cercò un buon riparo per la notte e si accucciò sotto una grande quercia.
Le avevano vietato di uscire per tutta la sua vita, le avevano vietato di intraprendere rapporti.
I docenti trattavano i prigionieri come numeri; per loro non aveva importanza chi fossero, non importava se alla mattina la tal persona aveva pianto in mancanza di cibo, importava il fatto che quel tal numero di persona era in quella classe a studiare, a comprendere la vita da pagine composte da sole parole.
Le avevano vietato una vita normale, e adesso ne chiedeva una.
Era uscita dalla sua prigione.
Quel numero era scomparso.
Adesso era Meredith.
Meredith alla ricerca di se stessa.
Estrasse dalla borsa la barretta di cioccolato, che le avevano regalato per il compleanno, e ne mangiò metà, tenendo ben di conto di non ingurgitarla, nonostante la fame, così da averne un pezzo alla mattina.
Non aveva un piano.
Il suo piano era quello di cercare la libertà e scappare.
Non le importava di averne uno.
Da quel giorno iniziava il suo viaggio, iniziava la ricerca della felicità.
Così Meredith si accovacciò su se stessa e si addormentò, verso le prime ore del mattino, per la prima volta, senza pensieri.
E mentre una dolce creatura dormiva beatamente sotto un albero, una macchina nera sfrecciava per le strade del Montana.
Justin aveva una meta, e quella era il successo.
Lo avrebbe raggiunto, in qualunque caso.
La strada la conosceva; per mesi aveva progettato il viaggio, e il luogo di rifugio, ma privo di abbastanza soldi per un viaggio in prima classe su di un aereo, decise che avrebbe usato la sua macchina per raggiungere Atlanta, e lì avrebbe trovato fortuna, in un modo o nell'altro, al costo di dover suonare davanti tutti gli studi di registrazione della città.
Occupato dai suoi pensieri, schiacciò l'acceleratore quando una creatura, precisamente una ragazza attraversò di colpo la strada, uscendo da un bosco.
Justin accostò la macchina e la chiamò a se.
“Ehi tu, tutto bene?”.
“Si. . Scusa!” balbettò impaurita la ragazza.
Indossava una divisa scolastica, i capelli raccolti in una coda alta e perfettamente tirata e il viso corrugato dalla stanchezza.
“Sembri spaesata, ti sei persa?” chiese Justin preoccupato.
“No, davvero, grazie. Sai per caso dov'è la città più vicina?”.
“Sì, è a duecento chilometri da qui, non ti conviene di certo andare a piedi. Sali, ti do un passaggio” Justin scese dalla macchina e aprì la portiera alla ragazza.
“Non me la sento scusa” lei iniziò a tremare dal freddo.
“Siamo in autunno, qui alla mattina fa freddo, non puoi andare in giro così, dai fatti dare un passaggio”.
La ragazza salì, e si accucciò il più possibile lontano dal ragazzo, voltando lo sguardo verso il paesaggio.
“Senti freddo?”.
“Solo un po'” fece timida la ragazza.
“Allora alzo il riscaldamento. Comunque piacere, io sono Justin” il ragazzo le sorrise, sperando di farla sentire un po' più a suo agio.
“Io sono Meredith” fece un sorriso sghembo lei.
“Quanti anni hai? Di dove sei?”.
“Diciotto. Non lo so, dove siamo?”
chiese lei imbarazzata.
“Hai per caso sbattuto la testa?” ironizzò lui.
“No, perché avrei dovuto? Ti ho posto una semplice domanda” continuò la ragazza.
“Avrai preso una bella botta. Comunque siamo ad Alberton, nel Montana” fece finta di niente il ragazzo.
“Allora dovrei essere di Alberton, nel Montana” disse felice lei.
“Hai fame?” Justin tirò fuori dalla sacca un panino col salame, e glielo porse.
“Cos'è questo?” chiese incuriosita Meredith.
“Emmmh, salame” il ragazzo si sentì sempre più confuso.
“Oh, è buono?”.
“Oh beh, a me piace, poi non so, assaggia. Ma senti, sei sicura di star bene? Sei malata? Dove stai andando? Posso aiutarti?” Justin provava tenerezza per quella piccola figura seduta accanto a lui, sentiva di doverla proteggere.
“Oh mio Dio, ma è buonissimo questo satame, davvero” un enorme sorriso comparve sul viso della ragazza.
“Salame Meredith, non satame” rispose ridendo di gusto lui.
“Si beh, salame scusa” la faccia di Meredith prese visibilmente colore.
“Quindi, rispondi alle mie domande?”.
“Oh, si. Beh, in realtà non so niente. Non sono malata, e non ho sbattuto la testa. Sono scappata. Sono stata rinchiusa per anni in un collegio, e il mio scopo è quello di scoprire perché, vorrei trovare i miei genitori, ma non so nulla di loro, non so nulla neanche di me stessa” disse tutto d'un fiato la ragazza.
Se pur scettico il ragazzo non poté far altro che credere alla storia, non aveva un senso logico, eppure avrebbe spiegato le mancanze di quella poveretta, e in un certo senso ne fu colpito; Lui aveva perso i genitori da bambino, avendo comunque provato una grande sofferenza. Dio glieli aveva sottratti, tuttavia li aveva comunque avuti accanto, ma il dolore provato per la non conoscenza della propria famiglia, beh, quello non lo conosceva, ma intravide quanto potesse essere forte, dallo sguardo della ragazza.
“Mi dispiace, posso aiutarti se vuoi” Justin tese la mano alla ragazza.
“Oh davvero?” il volto della ragazza si illuminò.
“Certo. Lo prometto!” si strinsero la mano.
“Ti proteggerò per sempre” concluse Justin, immergendosi negli occhi della creatura meravigliosa che gli sedeva accanto.











 

Spazio Autrice

weee sciao beeeli,
aluuuuura, non so da dove iniziare lol.
Ah si, dalle undici recensioni al prologo, cristo dio ma voi mi fate prendere dei colpi cazzus hfbfjh, siete le più fighe yo.
Beh ringrazio come sempre le ragazze che mi seguono ovunque come ehibiwi, ciastin, belieber4choice e la mia fantastica bemydrew che insomma sono con me sin dall'inizio e che ringrazio con tanto amore.
Adesso ringrazio tutte le new entry che mi hanno omaggiato delle loro bellissime recensioni lasciandomi senza fiato wiiii.
Spero che questo capitolo vi piaccia come piace a me mlmlml.

Vi abbandono,
Adioooos,

sbii

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Capitolo 3
*** ~ Capitolo Secondo ***


                                                                                                                                               Secondo Capitolo



La macchina sfrecciò tra l'autostrada, sotto la pioggia, per tutta la mattina.
Il silenzio veniva interrotto sporadicamente dalla melodiosa voce di Justin, che cercava di comporre invano qualche strofa.
E Meredith continuava a guardarsi intorno meravigliata, senza dare attenzioni al suo nuovo compagno di viaggio.
“Senti, hai fame?” Justin avvistò un autogrill in lontananza.
“Un po', ma non devo mangiare per forza, non ne ho bisogno” fece spallucce la bionda.
“Beh, io non riesco a farne a meno perciò ci fermiamo un attimo in quell'autogrill, che è un posto dove si può rifocillarsi e poi torniamo in cammino, ti va?” propose lui.
La ragazza annuì, così Justin accostò la macchina ed entrarono.
“Justin puoi dirmi dove sono i bagni?”.
“Oh certo, ecco vai da quella parte”
le indicò lui.
Quando Justin prese i due panini, si girò in cerca della ragazza e la vide vicino al reparto vestiti che osservava meravigliata un semplicissimo paio di jeans e una camicetta corallo.
Provò di nuovo quella tenerezza che si era impossessato di lui, la prima volta che incontrò il suo sorriso.
“Ehi, vuoi comprarli?” Justin l'affiancò.
“Non ho soldi. Sai una volta la mia insegnante ci fece vedere un film e rimasi imbambolata ad osservare i vestiti della protagonista; indossava un pantalone, che credo si chiami jeans e una camicia proprio come questa” raccontò con occhi sognanti.
Justin prese gli indumenti dalle mani di Meredith e si diresse alla cassa.
“Su, vai in bagno a cambiarti” glieli porse.
La ragazza saltellò felice verso il bagno, uscendone qualche minuto dopo.
I jeans le davano un'aria meno nobile, secondo Justin, ma quando la vide non poté fare a meno di notare come il suo cuore avesse cominciato a rallentare.
Un battito in meno.
Due battiti in meno.
“Allora come sto?” fece una giravolta su sé stessa.
“Davvero bene”.
Lei lo prese per la mano e con una nuova luce negli occhi, uscì dall'autogrill.

Passarono altre tre ore, quando finalmente arrivarono davanti ad un motel e Justin posteggiò nel cortile.
“Questa è casa tua? Ma è enorme” la ragazza spalancò gli occhi.
“No Meredith, questo è un motel, qui la gente viene a dormire” soffocò una risata per non farla sentire in imbarazzo.
“Oh, scusa. . E noi stasera dormiremo qui?”.
“Sì, non ho abbastanza soldi per due camere quindi dormiremo insieme”
continuò lui.
“Tranquillo! Justin guarda, guarda!” la ragazza indicò un punto lontano.
“Non vedo, dimmi” rispose quasi incuriosito.
“Guarda là! Quel ragazzo e quella ragazza, si stanno baciando e lui le tiene la mano, non sono così carini Justin?” disse con occhi sognanti.
“Già, proprio carini” il ragazzo prese la ragazza dal braccio quasi infastidito e la trascinò dentro.
“Una camera singola per favore” Justin porse la carta d'identità all'uomo alla reception.
“Ecco a lei” gli porse una chiave.
I ragazzi salirono in camera.
“Sono stanca Justin, vado a dormire”.
“Oh, va bene. Io dormirò qui per terra, tranquilla”
sorrise lui.
“Va bene” e si diresse in camera.
Justin prese la chitarra ed iniziò a strimpellare, buttando giù qualche nuova strofa, quando sentì urlare, e corse subito in camera della ragazza.
“Tutto bene Meredith?” vide la ragazza contorcersi nel letto.
“Non riesco, voglio tornare indietro Justin, ho paura. Se dovessero trovarmi sarei nei guai fino al collo, sarebbe la fine” i singhiozzi risuonarono nella stanza.
“Ssssh, è tutto ok Meredith, sei al sicuro. Sei libera adesso, ci sono io, respira” Justin le si sedette accanto ed iniziò ad accarezzarle i capelli.
“Justin? Tu mi aiuterai vero?” chiese impaurita lei.
“Te l'ho promesso. Domani andremo a fare il test del DNA e cercheremo di rintracciare i tuoi genitori, scoprendo qualcosa in più su di te”.
“Grazie”
Meredith gli strinse la mano.
“Io ci sarò”.
“Non andare di là, dormi con me”.

Justin la strinse forte al suo petto, intonando una piccola canzone e cullandola tra le sue braccia, addormentandosi l'uno stretto all'altro.


“Ragazzo scappa di casa, ricercato nel Montana” il telegiornale rieccheggiava nel salone del motel, mentre il proprietario metteva a posto alcune scartoffie, ascoltando distrattamente le notizie.
“Stiamo cercando nostro figlio, non abbiamo notizie di lui ormai da 36 ore, questa è una sua foto” egli alzò lo sguardo e notò la somiglianza con il ragazzino presentatosi la sera prima, tuttavia continuò incurante il suo lavoro.
“Una ricompensa in denaro sarà data a chi darà notizie del ragazzo” l'uomo afferrò velocemente la carta d'identità lasciatagli la sera dal biondo e aspettò che al telegiornale dicessero il suo nome.
“Si chiama Justin Bieber. Per favore aiutateci”.
Il proprietario afferrò il telefono e compose il numero della polizia locale.
“Pronto?”.
“Polizia? Justin Bieber alloggia nel mio Motel. Strada Walker numero 4, Alberton, Montana”.











 

~Spazio Autrice

Hoooola amici e amiche, avete visto quanto sono brava a postare velocemente? mlmlmlmlml, amatemi.
ciemmeqqqqu, insomma vi amo, undici recensioni al prologo e nove al primo capitolo. . se questo arrivasse a dieci potrei andare a cantare we are the champions nuda per la piazza della mia città dhsbfjhdf, no beh ahaha.

ciaauz ragazzi,

sbii

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Capitolo 4
*** ~ Capitolo Terzo ***


Quando guarderò il cielo ed intravederò il tuo sorriso tra le nuvole, capirò di non averti mai perso.
Capirò di averti davvero per sempre accanto.
Capirò che quella promessa rimarrà nel tempo.
Il tuo cuore sarà sempre il mio.

                                                                                                                                                Terzo Capitolo



Mentre i ragazzi si rigiravano nel letto, cullati ancora dal proprio sonno, qualcuno bussò pesantemente alla porta.
Il ragazzo si alzò a fatica dal letto, dirigendosi verso essa.
“Polizia aprite” dallo spioncino Justin vide due agenti. Guardò Meredith, che si era appena svegliata e le fece segno di fare silenzio, e così lei fece.
“Aprite, stiamo cercando Justin Bieber”.
Erano in trappola.
Non c'era via di fuga.
Non sarebbe tornato a casa, non poteva adesso, non tanto per lui, ma per la sua amica.
Non l'avrebbe abbandonata.
Era una promessa.
Un'idea gli balzò in mente all'istante; prese la sedia, la posizionò davanti alla porta, così che i due uomini avrebbero impiegato più tempo nel sfondarla, e con un abile scatto prese in braccio la ragazza, aprì la finestra e si arrampicò sull'albero adiacente ad essa, ringraziando mentalmente l'agilità che aveva accuratamente coltivato, quando si sentiva solo e voleva solo scappare da quella casa, per strimpellare davanti al teatro della cittadina.
I due amici si appostarono su un ramo, mentre la ragazza tremava come una foglia.
“Ssssh, Meredith, andrà tutto bene. Stanno cercando me, non te. Dopo ti spiegherò tutto, adesso però devi fare silenzio. Aspetteremo qualche minuto, quando vedremo andar via la macchina della polizia da questo vialetto, scenderemo piano dall'albero e andremo via anche noi” la tranquillizzò il ragazzo.
Stettero una decina di minuti in silenzio, con le mani intrecciate, mentre piccole silenziose lacrime rigavano il volto della ragazza.
La paura di perdere quella possibilità di libertà.
La paura di perdere il suo compagno di viaggio.
La paura di perdere quelle nuove sensazioni.
Strinse forte la sua mano, facendo sibilare Justin, che la guardò sempre più intenerito, così da sciogliere ogni sua paura.
La volante sfrecciò dal vialetto dopo pochi minuti.
Il ragazzo si assicurò che non ci fosse più nessuno, scese dall'albero e incitò Meredith a saltare, senza ottenere risultato.
“Dai Meredith salta, non ti farai male”.
“Justin, io soffro di vertigini”
la bionda abbracciò l'albero.
“Io ti prendo. Chiudi gli occhi. Fidati”.
La paura di cadere, poteva superare la fiducia nei confronti del nuovo amico?
Si lasciò andare, e atterrò delicatamente tra le braccia del biondo, che l'afferrò con gran cura.
“Visto? Non ti lascerò cadere” le fece l'occhiolino Justin.
“Ummmh, ora puoi mettermi a terra, però” presero entrambi visibilmente colore, e il ragazzo appoggiò a terra la ragazza.
I will catch you if you fall 
But if you spread your wings 
You can fly away with me. Ti piace? 
canticchiò il ragazzo.
“E' bellissima Justin” sorrise lei.
Con quel sorriso che solo Dio sapeva donare.
Dopo mesi, finalmente Justin riuscì a comporre qualche nuova strofa, e dovette tutto a quel suo nuovo angelo.
Salirono in macchina, e velocemente si rimisero in cammino.

Poche ore dopo, quando Meredith si risvegliò dal suo riposino, cominciarono a chiacchierare, quando arrivò per Justin, la domanda tanto temuta.
“Perché la polizia ti sta cercando?”.
“Perché sono scappato”
cercò di rimanere impassibile lui.
“Da chi?”.
“Dai miei genitori adottivi”.

“Perché?” l'irrefrenabile curiosità di Meredith aveva preso inizio.
“Perché non mi lasciavano realizzare il mio sogno” Justin guardò la chitarra.
“Suonare e cantare?” chiese lei.
Justin fece cenno di sì, col capo.
“E i tuoi genitori veri?” abbassò un po' la voce, come per non ferire troppo i sentimenti del biondo.
“Sono morti, quand'ero molto piccolo” rispose in tono severo lui.
“Come?”.
“Ti prego Meredith, basta”.

Conclusero così la conversazione.
Parecchi minuti dopo Justin si ricordò di una cosa fondamentale.
“Merda. La carta d'identità” urlò il ragazzo.
“Neanche io ne ho una Justin”.
“Sì, ma senza la mia non possiamo fare niente. Non posso portarti a fare il test, e per farlo dobbiamo uscire dalla contea. Al momento sono un ricercato, ergo ci serve una carta d'identità”.

Meredith vide infrangersi tutti i sogni.
“Stai calmo Justin. Non puoi rifarla? Sarai ricercato, ma quando vai all'anagrafe puoi semplicemente dire che sei un altro” la ragazza poggiò la sua mano sulla gamba del ragazzo, come per tranquillizzarlo.
“Sei un genio Meredith! Un genio! Questo rallenterà il nostro piano, ma è comunque l'unico modo, perciò tentare non nuoce. Alla prossima cittadina ci fermeremo e faremo una carta d'identità anche a te” Justin fece un sorriso a trentasei denti, stampando un bacio fugace sulla guancia della ragazza.

“Justin, ho fame” una faccia fa cucciolo comparve sul volto della ragazza.
“Anche io Meredith, davvero tanta fame”.
“Guarda, c'è un autogrill, fermati, fermati”
lo pregò.
“Non possiamo. Non posso farmi vedere” disse sconsolato lui.
“Vado io. Tu aspettami in macchina” propose lei.
Il ragazzo accostò la vettura, e osservò ogni minimo passo della bionda, verso l'entrata, come per proteggerla anche solo mentalmente.
Pochi minuti dopo tornò con due panini enormi al prosciutto cotto.
“Tadaaaan” fece lei, tutta felice.
“Meredith, stai diventando una donna di mondo” la guardò fiera Justin.
“Ed ecco l'allievo che supera il maestro” fece un piccolo inchino.
“Beh, adesso non esagerare eh” ironizzò Justin.
“Questa cosa rosa dentro al panino è buonissima! La mia vita senza questo cibo è stata davvero una perdita di tempo” disse a fatica con la bocca piena.
“Sì, beh, sono contento Meredith. Ma chiudi quella bocca, altrimenti mi sporchi tutto la macchina” rise di gusto lui.
“Oh, scusa” Meredith prese un fazzoletto, ed iniziò a pulire ogni punto dell'auto.
“Stavo scherzando” ormai Justin stava letteralmente rotolando dal ridere.
“Non prendermi in giro” fece il broncio.
“Altrimenti?” assunse uno sguardo di sfida.
“Altrimenti ti rubo il panino” con un'agile scatto la ragazza, tolse di mano il panino al ragazzo, affondando i suoi denti tra il morbido pane, quando Justin poggiò la testa sulla spalla della ragazza, mostrando la faccia più tenera che potesse fare, così da sciogliere l'animo duro della bionda, che in men che non si dica, gli ridiede il panino.


“Meredith fai parlare me, e non entrare nel panico. Le bugie non sono il tuo forte, quindi fai fare tutto a me”.
I due compagni di viaggio fecero ingresso all'anagrafe, dirigendosi verso il primo bancone presieduto da una ragazza.
Justin aveva un piano.
“Ehi ciao bella” il ragazzo ammiccò alla donna sulla ventina, seduta sulla sedia di fronte a lui, che si sistemò una ciocca dietro l'orecchio e arrossì fortemente.
Meredith provò un impulso, inspiegato, di rabbia.
“Ciao caro, e salve a lei” rivolse uno sguardo disgustato alla bionda.
“Senta. . Io e mia cugina avremmo bisogno di un favore. . Abbiamo perso le nostre carte d'identità ad una festa ieri sera, e non vorremmo farlo sapere ai nostri . . Potrebbe gentilmente farcene due sul momento? Siamo entrambi maggiorenni. . “ Justin si leccò ripetutamente il labbro superiore, mandando in tilt la donna.
“Oh, beh certo. Mi dica i dati”.
“Ok. Allora io sono Derek Alien, e lei è Meredith Marlow. Entrambi diciottenni, nati a Londra, in Ontario, in Canada, ed entrambi l'uno marzo del 1994. Professione studenti. Io sono alto 1.72 metri e lei 1.60. Occhi castani, beh io, e lei verdi”.

La ragazza prese attentamente i dati, segnò tutto su di un foglio, si alzò dalla sedia e pochi minuti dopo comparve con le carte d'identità.
“Bene, arrivederci”.
I ragazzi si voltarono ed uscirono velocemente dalla grande sala.
“Ora dobbiamo cambiarci i vestiti, perciò stanotte alloggeremo qui, domani cercheremo qualche negozio e troveremo qualcosa di nuovo. Il proprietario del motel potrebbe descrivere i nostri vestiti, sarebbe più facile trovarci. Sei sicura di voler stare con un ricercato?” Justin rivolse uno sguardo d'attenzione alla compagna.
“E tu sei sicuro di voler stare con un ex prigioniera che non conosce nulla della vita, se non la felicità di stare con una persona speciale come te?”.











 

Spazio Autrice;

Sceeeeeeeo, mmmmeoooooww.
Ok, bene, dopo il mio ingresso da gatttttino parliamo della storiella; 
Alllluuuuura, questo capitolo ve gusta? respirate per un sì, toccatevi le sopracciglia con la lingua per un no *muahahahahah*
Beh, credo abbiate capito che aspetto le dieci recensioni per postare, ma ci tengo che questa storia sia seguita, recensita ecc, perché, boh, credo che meriti davvero *modestiamodeon*, lol.

Vi voglio beeeene.

sciaaauz,

sbii


 

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Capitolo 5
*** ~ Capitolo Quarto ***


                                                                                                                                     Quarto Capitolo




“Ricorda di chiamarmi Derek in pubblico” Justin scese dalla macchina e si richiuse la portiera alle spalle.
“Ok Justin. Oh, scusa, Derek” sorrise Meredith.
Entrarono mano nella mano dentro l'hotel, come se fosse naturale, come se due semplici amici potessero tenersi per mano durante un tragitto, ma Meredith non aveva la concezione di ciò che fosse l'amore, non sapeva quando fosse quel sentimento che si prova verso un amico, o quello per un ragazzo, non conosceva la distinzione, mentre Justin sì, e in quel momento avrebbe semplicemente preso la ragazza dai fianchi, l'avrebbe distesa su di un letto, e l'avrebbe baciata fino a prosciugare le sue labbra.
Fecero ingresso nella piccola stanza d'albergo e poggiarono le piccole borse sul tappeto rosso, posto davanti al letto matrimoniale.
“Vado a farmi una doccia” annunciò Justin, dirigendosi verso il bagno.
Meredith si tolse i vestiti, si sdraiò sul materasso, chiuse gli occhi, e immaginò i suoi genitori, immaginò le mani della madre che delicatamente le snodano i capelli, il padre che con una piccola polaroid scatta foto qua e là, per il prossimo album di famiglia, e poi Meredith immaginò un vestito principesco, uno di quelli da spose ottocentesche che indossavano le donne nei suoi libri di storia, ne immaginò proprio uno poggiato sulla sedia rosa vicino ad un possibile specchio, in una sua possibile stanza, in una sua possibile casa, dove una famiglia si occupa di lei.
Questo vestito, che il padre le porge delicatamente, e che la madre le stringe al busto, chiudendo la piccola cerniera sulla schiena.
Immaginò di pettinare i suoi capelli in una coda alta, ornata da una piccola coroncina, dalla quale fuoriescono boccoli biondi, che le incorniciano il docile viso.
Immaginò il suono di un campanello.
Immaginò di indossare velocemente le sue scarpette color panna, di correre giù per le scale, di aprire la porta e di vedere il viso di Justin, incantato nel vederla così bella.
Immaginò che lui potesse essere il suo principe, e che quella sera, come adolescenti normali, sarebbero andati al ballo della scuola, e che un piccolo bacio, magari, avesse rotto il ghiaccio, trai due.
Immaginò una vita perfetta.
“Ehi Meredith, ci sei?” un bellissimo Justin in accappatoio risvegliò la ragazza, dal suo sogno.
“Oh, si. Stavo facendo un sogno meraviglioso” continuò con occhi sognanti.
“Vuoi raccontarmelo?” il ragazzo le si sedette accanto.
“Oh, beh, è stupido in realtà. Ho immaginato mia madre e mio padre, una casa normale, e poi ho immaginato. . Beh . . “ si soffermò arrossendo lei.
“Hai immaginato?” la spronò lui.
“Niente, niente” Meredith rivolse lo sguardo fuori dalla finestra.
Un imbarazzante silenzio si impadronì della stanza, quando, fu di nuovo lei ad interromperlo.
“Justin, ma quanti soldi abbiamo?”.
“Aspetta che guardo” il biondo si alzò dal letto e prese dai pantaloni il portafoglio.
“Poco, davvero poco. Non ci basteranno per i vestiti, ho solo quelli per pagare la camera” sbuffò sonoramente il ragazzo.
“Ho un'idea” il viso della ragazza si illuminò.
“Spara”.
“Beh. Tu sai cantare e suonare, io me la cavo abbastanza. . Potremmo suonare in un locale per qualche sera, poi quando avremo soldi a sufficienza andremo via. Abbiamo tutto il tempo del mondo”.
“Ma non conosciamo niente da queste parti”
dovette ammettere lui.
“Oggi ho trovato all'anagrafe, mentre tu flirtavi con la tipa, questo foglio” prese dalla camicetta un volantino e lo porse al ragazzo.
“Sei un genio” lui le baciò la fronte, e dei brividi percorsero la schiena della ragazza.
“Lo so” alzò il naso verso l'alto, come una piccola principessa.
“Forza andiamo. Oggi assisterai alla mia prima esibizione su di un vero palco” il ragazzo si alzò dal letto, si vestì velocemente e trascinò, quasi a forza, la ragazza fuori dalla stanza.

“Salve” i due entrarono nel locale non tanto lontano dall'hotel.
“Siamo ancora chiusi” un uomo sulla trentina, completamente tatuato, sbucò fuori dal bancone.
“Siamo venuti qui per il lavoro. Quanto pagate?” chiese Justin.
“Siete in due?” squadrò entrambi i ragazzi dalla testa ai piedi.
“Sì” risposero in coro.
“Sono cinquanta dollari a testa per serata”.
“Iniziamo stasera?”
chiese euforico Justin.
“Iniziate esattamente tra dieci minuti. Mi raccomando, solo musica rilassante, niente di rock, niente di esagerato. Mantenetevi sul Pop. Ah, comunque io sono Mike” strinse la mano agli amici.
“Io Meredith, e lui Derek” disse la ragazza.
“Andatevi a preparare”.
Mike indicò loro il camerino, e si dileguò, nuovamente, verso il bancone.

“Sei nervoso Justin?” Meredith strinse forte la mano del ragazzo, che faceva fatica a non tremare.
“Un po'” confessò lui.
“Non devi. Sono qui. . E' una promessa ricordi? Ci aiuteremo sempre” sorrise lei.
“Mi chiedo come fai ad essere così forte” abbassò lui lo sguardo.
“Ho te”.
Quando Mike, ed un altro uomo brizzolato, li chiamarono sul palco, Justin sentì le gambe cedere, sentì di essere sul punto di vomitare, ma quello era il suo sogno, la sua strada, la sua vocazione, e accanto a lui c'era il suo angelo custode.
Salirono sul palco ed insieme intonarono alcune canzoni della Swift, che poco prima Justin aveva insegnato alla ragazza.
Cantarono Love Story.
Cantarono Mine.
Cantarono Red.
Si amarono sulle note di Long Live.
Alla fine qualcuno, in fondo alla sala, chiese loro di cantare qualcosa di personale, così Meredith preoccupata, diede il microfono al ragazzo, e decise di lasciare la scena al biondo, che fece suo il pubblico cantando la canzone che aveva scritto nelle ultime due notti, per il suo angelo custode, per la ragazza dai lunghi capelli biondi che lo faceva sorridere in ogni momento, che lo faceva sentire vivo.
Quando finirono, Justin era così pieno di adrenalina, che non avrebbe abbandonato il palco, neanche se l'avessero bombardato, ma era arrivata l'ora di andare, così intascarono i soldi, salutarono il nuovo amico e gli dissero che sarebbero tornati la sera dopo.


Arrivarono in hotel alle due di notte, aprirono silenziosamente la porta della camera, e si distesero l'uno accanto all'altro.
“Com'è stato?” chiese lei.
“Fantastico” disse Justin con la voce visibilmente stanca.
“Ti voglio bene Justin” Meredith si accucciò vicino al ragazzo.
Pochi minuti dopo, quando la ragazza iniziò a dormire, il ragazzo sussurrò, tra sé e sé, un 'ti amo' inaspettato.
E lo appese lì.
E lo avrebbe nascosto, forse.
E lo avrebbe tenuto stretto nel suo cuore.
'Ti amo, Meredith'.
E lo biascicò di nuovo.
Come per imprimerlo nella sua mente.












 

Spazio Autrice;

Buonasera patatine pelose hdsbhfsjdbjhds, no ok, è una scena orribile, patatine pelose, che schiiiiifi.
Vi piace il capitolo? *gente che batte le mani e urla felice*, aaawww, che teneri, grazie, grazie amiche.
Ok, basta cazzate lol;
Io vi amo, oki? okiz.
Undici recensioni al capitolo precedente, hjdsbhjfdbhjds.
Come sempre sapete la mia regola tassativa delle dieci recensioni, perciò belle bimbe recensite, dai dai daiiiiii *faccia da cucciolo*

mi dileguo,


sbii

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Capitolo 6
*** ~ Capitolo Quinto ***


                                                                                                                                          Quinto Capitolo




Passò una settimana e i ragazzi rimasero in quella cittadina, lavorando ogni sera, dimenticandosi dei problemi.
Justin sembrava essere così felice, tutto grazie ad un palco e ad un semplice microfono.
Meredith pareva spensierata, ormai niente la spaventava.
Entrarono nel locale alle ore venti, come ogni sera dell'ultima settimana, tuttavia questa volta sarebbe stata l'ultima, ed entrambi sapevano che avrebbero lasciato quel posto, e ne avrebbero avuto un po' di nostalgia.
Avevano raccolto abbastanza soldi per il viaggio, avevano acquistato qualche cambio, e tenuto da parte qualche banconota per i vari motel.
Tutto sembrava filare liscio.
“Ehi Mike” Justin salutò, con la solita stretta, il capo.
“Ehi ragazzi. Ultima sera eh?” sembrava quasi dispiaciuto.
“Sì” rispose, con un sorriso sghembo, Meredith.
“Stasera potete bere quanto volete, offre la casa. Rimanete anche dopo lo spettacolo, è sabato, verrà un sacco di gente, e abbiamo preso un buon DJ”.
“Certamente” dissero i ragazzi all'unisono.

Il biondo salì sul palco da solo; durante la giornata, lui e Meredith, non erano riusciti a preparare una qualche canzone da proporre insieme.
Lei era andata a fare le ultime commissioni, e il ragazzo era rimasto in camera a provare qualche nuova nota.
“Come sapete questa è la mia ultima serata qui, e so che a molti di voi non interessa, ma vi devo molto. Il mio sogno è quello di salire su un palco, un giorno, davanti a milioni di persone, e cantare per loro, donandogli magari un sorriso o una speranza. E non so se ci riuscirò mai, ma sappiate che grazie a voi, che ogni sera, in questa settimana, siete venuti a sentirmi, mi sono preso di coraggio, e sento di poter fare grandi cose. Per cui questa canzone la dedico a voi. Quando vi sentiti soli, o distrutti, o semplicemente demoralizzati, chiudete gli occhi e pregate”.
Intonò a gran voce, con qualche lacrima che gli usciva dagli occhi, una canzone composta da lui stesso, tempo prima.
'Pray' la chiamò.

Le due di notte arrivarono in un batter d'occhio, e il locale iniziò a riempirsi di gente; gente di tutte l'età, partendo da quindicenni in preda all'acne, arrivando a trentenni in preda alle prime occhiaie.
Meredith e Justin si avvicinarono al bancone, decisi a brindare su quella strana settimana.
Brindare per la loro amicizia.
Brindare per il futuro.
Brindare per i sogni.
Per la libertà.
Mandarono giù in un sorso un chupito.
E poi un altro.

E un altro ancora.
Fin quando la povera Meredith iniziò a vedere tutto annebbiato.
Justin non si accorse di nulla, così, tranquillo più che mai, la prese dal braccio e la portò con sé a ballare.
Ballava Justin.
Ballava perché era felice.
Perché era innamorato.
Perché doveva dimenticare.
Afferrò Meredith per i fianchi, e sotto le luci fucsia di quella discoteca, l'avvicinò a sé, puntò i suoi occhi su quelli della ragazza, e con un'abile scatto fece sue le morbide labbra della sua donna proibita.
Meredith, tuttavia, non si rese conto di nulla, si staccò velocemente dal ragazzo, e vomitò tutto quell'alcol che risiedeva da qualche ora nel suo corpo, infradiciando Justin, e svenendogli addosso.

“Justin, Justin” la ragazza urlò dalla camera da letto.
La testa le pulsava, e tutto ciò che ricordava era tutta quella calca, che la spintonava.
Per il resto, semplicemente, il vuoto.
Justin accorse dalla stanza accanto, portandole un caffé freddo.
“Tutto bene Meredith?” le chiese il biondo preoccupato.
“Non tanto. Non ricordo niente. Cosa è successo?”.
“Non ricordi proprio niente di ieri sera?”
Justin assunse un'aria dispiaciuta.
“Assolutamente niente. Ehi ma cos'hai? Hai piantato un muso!” la ragazza si raddrizzò sul letto.
“No, niente. . E' solo che. . Niente Meredith, davvero. Dai alzati che andiamo. Ho già messo tutte le valigie in macchina” il ragazzo si alzò dal letto e si diresse, a testa bassa, in auto.
Confusione.
Innata confusione, si era impossessata della bionda.
Non ricordava nulla, ma qualcosa era sicuramente successa; Justin non avrebbe fatto quella faccia, insomma sembrava così rattristito.
Scacciò via questi pensieri, affidando la colpa, probabilmente, a qualche piccolo problema personale del ragazzo, che sicuramente non riguardava lei, e che quindi non avrebbe minimamente toccato come argomento, in macchina.
Prese la borsa, dalla sedia accanto al letto, e raggiunse Justin in auto.
“Eccomi” aprì la portiera.
“Oh, bene. Pronta?” Justin non la degnò di uno sguardo.
“Certo”.
Esiste una cosa, che credo si chiami destino.
Una notte, una ragazza, decise di scappare dalla sua prigione, e in quella stessa notte, un ragazzo, prese la decisione di abbandonare per sempre la sua vita, per dedicarsi al suo sogno.
Quella ragazza percorse un bosco.
Quel ragazzo sfrecciò per le vie esterne alla città.
Quella ragazza sbucò dal nulla.
Quel ragazzo decise di aiutarla.
Esiste questa cosa, che possiamo anche chiamare fato, che rimarrà sempre un punto interrogativo nella nostra vita, eppure alcune volte, dobbiamo solo affidarci ad esso.
E Justin, non aveva nient'altro in cui sperare, se non nel destino.
E se fosse stato destino, quell'angelo dai capelli biondi, si sarebbe innamorata di lui.

“Justin, perché non accendi la radio?” Meredith appoggiò i piedi sul cruscotto della macchina, sapendo di far innervosire, di parecchio, Justin.
“Meredith, togli quei piedi di là” indicò le sue gambe.
“Obbligami” la ragazza, lo guardò in un modo, che probabilmente, neanche lei conosceva.
Qualcosa stava succedendo in lei.
La dolce bambina ingenua stava abbandonando il suo corpo, e a prenderne il posto era una donna sexy.
“Da quando sei così sexy tu?” Justin rise sotto i baffi.
Ho letto questa rivista, e dice che bisogna essere sexy per piacere ai ragazzi, e io avrò da qualche parte un animo sexy, no?” gli sbatté la rivista sotto il naso.
“Ah si? Chi lo sa, prova allora!” la sfidò lui.
“Mi stai tentando Bieber?” ammiccò lei.
“Forse”.
Meredith gettò indietro la testa, prese l'elastico dal polso, e legò i lunghi capelli lisci, in una coda alta, mostrando il bianco collo.
Afferrò la borsetta e ne fece uscire un mascara, aprì lo specchietto, e con piccole e delicate mosse lo applicò sulle ciglia, infine prese un rossetto rosso, e lo spalmò delicatamente sulle labbra.
Justin osservò, attentamente, ogni singola mossa della ragazza, sentendo crescere in lui la voglia di prenderla e farla sua.
Un tempo, l'avrebbe fatto senza problemi, ma adesso tutto era cambiato; lei era la ragazza che amava, non una semplice puttanella di turno, e non avrebbe sgarrato, o almeno, non fin quando lei non glielo avrebbe permesso.
“Meredith, è inutile che fai la gatta morta, tanto non mi inganni” rise di gusto, nascondendo l'eccitazione che si era impossessata di lui.
“Oh, beh, ci lavorerò allora” rise anche lei, poi prese un piccolo fazzoletto, e tolse dalle labbra il rossetto.
“E' davvero fastidioso questo coso, non mi piace affatto”.
E in un attimo ritornò l'angelo biondo che Justin tanto amava.
Il ragazzo si chiese come fosse possibile una tale trasformazione; quella creatura era capace di cambiare aspetto da un momento all'altro.
Sapeva farlo eccitare, sapeva far crescere la sua voglia d'amore, e poi in un secondo, tornava la fragile bionda di sempre, la principessa appena uscita da un castello, fatto di marzapane.


Due ore dopo, usciti finalmente dalla contea, trovarono la prima stazione di polizia, parcheggiarono la macchina e si diressero verso l'ingresso.
“Justin ho paura di scoprire la verità” una lacrime rigò il viso della ragazza.
“Non aver paura della verità. Ti porterà dai tuoi, e scoprirai finalmente chi sei”.
“E se non volessi scoprire chi sono?” lo guardò cercando un appiglio nei suoi occhi, tuttavia Meredith trovò la sua ancora nel cuore di quel biondo, che sembrava battere così forte, ogni volta che i loro corpi avevano un piccolo incontro.
“Allora torneremmo in macchina, e ti riporterei da dove sei venuta” sorrise lui, dandole fiducia.
“Non tornerò mai indietro. Vorrebbe dire perdere anche te”.












 

Spazio Autrice

hola bitcheeeZ, tutto bene?
Io no, ma dettagli. .
Volete sapere una cosa? Credo di essere fottutamente innamorata e sapete qual è la cosa orribile? Non essere minimamente ricambiata, e pensare che quel ragazzo è lo stesso che due settimane fa mi abbracciava e baciava. . va beh, niente depressione dai.

grazie per le undici recensioni, davvero, siete favoloserrime dhsbhjfsdbhdfgs <3 
Ma più di tutte ringrazio @neverlethimgo che mi sta sempre, sempre accanto, prima solo qui su efp e ora anche nella vita reale, perciò grazie mille Giulia <3

Alla prossima ragazze, 

vi voglio bene,
vostra,
sbii

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Capitolo 7
*** ~ Capitolo Sesto ***


                                                                                                                                               Sesto Capitolo



“Buongiorno” un uomo in divisa gli andò in contro.
“Buongiorno” risposero in coro.
Meredith aveva lo stomaco attanagliato dalle sue paure.
Scoprire chi fosse in realtà non l'attirava più così tanto.
Avrebbe dovuto prendere una propria coscienza come persona, avrebbe dovuto abbandonare quella semplicità con cui stava affrontando la vita, tuttavia non sarebbe rimasta con Justin a vita, e questo lo sapeva, doveva percorrere la propria strada, proprio come stava facendo lui, e per fare ciò doveva scoprire la sua identità.

“Avete bisogno di aiuto?” domandò il poliziotto.
“Dovrei fare il test del dna” esortò imbarazzata Meredith.
“Oh, allora dovete andare da quella parte”.
Li fece accomodare in una saletta a parte, fuori da un grande laboratorio.
La bionda era sul punto di scoppiare a piangere, quando Justin la cinse da dietro.
“Ehi, ehi. . Stai calma. . Andrà tutto bene! Non aver paura del tuo futuro” le sussurrò all'orecchio.
Un brivido percosse la schiena della ragazza, che si allontanò immediatamente da lui, non appena sentì l'imbarazzo crescere dentro di lei.
Justin puntò il suo sguardo negli occhi di lei, e stettero così per interi secondi, secondi che sembravano minuti, che sembravano per entrambi l'infinità, pareva quasi un viaggio in un mondo parallelo, quell'universo dove c'erano solo loro due.
“Scusate. .” una donna dai capelli rossi interruppe quel momento.
Entrambi si girarono di scatto.
“Lei deve fare il test?” chiese la dottoressa.
“Emmh, si”.
“Mi segua. Il suo ragazzo non può venire, deve aspettare di qua”.
“Oh. . Non è il mio ragazzo”.

Un tonfo al cuore, colpì Justin, e poi perse le parole, perse il suo sorriso.


“Non ti farà male”.
Meredith continuava a fissare, nervosamente, la piccola boccetta, contente un liquido sconosciuto, che la donna stava accuratamente versando in un piattino.
“Dai vieni qui” la chiamò la dottoressa.
La ragazza si avvicinò con cautela.
Le gambe le tremavano, senza una vera ragione.
Ma in quel momento, dentro di sé, sentì solo il bisogno di abbracciare Justin, di nascondersi nel suo petto.
“Ora devi semplicemente poggiare il dito qua, e premere” le spiegò la donna.
Appoggio l'indice e premette verso il basso.
“Bravissima. Abbiamo finito”.
“Di già?” chiese stupita lei.
“Te l'avevo detto che non ti saresti fatta niente” sorrise la donna, mentre attentamente stava analizzando il piattino, per controllare che non ci fossero stati errori.
“Puoi andare di là, qualche minuto e arrivo con tutte le informazioni dentro una busta” concluse, poi.
Meredith uscì dalla stanza, e si sedette affianco a Justin.
“Allora?” domandò preoccupato.
“Tutto ok. Pensavo mi dovesse torturare, e invece dovevo pigiare il dito contro una specie di liquido” raccontò lei.
“E adesso?”.
“E adesso aspettiamo”
la bionda appoggiò la testa sulla spalla del ragazzo, e chiuse gli occhi qualche minuto.
Justin non poteva far altro che ammirare quanta bellezza ci fosse dentro un'unica ragazza.
Era tutto ciò che aveva sempre aspettato, e adesso, che era là, appoggiata alla sua spalla, non poteva far niente, non poteva stringerla a sé, non poteva baciarla.
“Un giorno forse. .” sossurrò.
“Un giorno cosa, Justin?” chiese piano lei.
“Niente Meredith”.

“I risultati” la donna aprì la porta del laboratorio, e porse la busta sigillata alla ragazza.
“Grazie mille dottoressa” Meredith le strinse la mano.
I due uscirono, finalmente, dalla sala, ed entrarono in macchina.
“Forza aprila” Justin la guardò torva, mentre lei era intenta a fissare la busta.
“Aprila tu” la bionda tirò la busta a Justin, che se la vide svolazzare sotto il naso.
“Sicura?”.
Chinò il capo in segno di conferma.
Justin aprì la busta e lesse ad alta voce “Meredith Castle, nata ad Atlanta, il 13 dicembre 1994. . . -fece una piccola pausa- vuoi sapere il tuo gruppo sanguigno scherzò lui -?”
“No. Dai vai avanti, cose concrete Justin”.
“Beh, oltre questo c'è poco, dice chi sei, quando sei nata, e dove, e basta”.
“Siamo punto e a capo. E i miei genitori?”
mise il capo tra le mani, in segno di resa.
“Basta andare ad Atlanta, che è lo stesso posto dove devo andare io, e cercare un uomo di nome Castle” la guardò fiduciosa.
“Ce ne saranno a migliaia”.
“Se non provi neanche”.
“Mettiamo il caso io dovessi trovare mio padre, poi?”
urlò lei.
“Come poi? Potrai scoprire tutta la tua vita, tutto il tuo passato!”.
“Io voglio un futuro, il passato lo voglio eliminare”.
“Devi accettarlo il passato, e senza quello non avrai un futuro”.
“Ok, allora andiamo!”
prese un po' di coraggio.

“Ne sei certa?” le domandò speranzoso.
“Non lasceremo perdere tutto proprio adesso”.
Meredith guardò dritto negli occhi di Justin, ed insieme capirono che quella era davvero una promessa; Si sarebbero aiutati, costi quel che costi.


Erano, ormai, in viaggio da quattro o cinque ore, quando decisero, alle ore undici, di fermarsi da qualche parte per la notte.
Trovarono un piccolo motel, presero una camera e come sempre insieme si stesero sul letto.
“Justin? Stai dormendo?” Meredith gli diede una piccola pacca sulla spalla.
“S-s-ì, è così importante, non puoi dirmelo domani?” bofonchiò il ragazzo.
“Sì, è importante”.
“Allora dimmi” il ragazzo si girò verso di lei, e si appoggiò sui gomiti.
“Perché non vuoi parlarmi dei tuoi genitori?”.
La domanda spiazzò totalmente il biondo.
“Non ti fidi?” chiese la ragazza, quasi con timore.
“Si che mi fido, è solo che . . .”
“E' solo che?”.

“Mi fa male . . .” abbassò lo sguardo lui.
“Allora niente, non voglio farti stare male” sorrise lei.
“No, va bene, va bene, te lo racconto”.
“Davvero?” rizzò su anche lei.
“Sì”.
“Bene, sono pronta” si mise in posizione, pronta ad ascoltare il ragazzo.
“Ricordo tutto come se fosse successo ieri, ricordo la mamma che mi spingeva sull'altalena al parco, il papà che ci faceva le foto, e poi ricordo anche il buio. Era una domenica come le altre, avevo sei anni, e la mamma e il papà decisero di portarmi al parco. Ricordo che costrinsi i miei a comprarmi un palloncino a forma di Goku, un personaggio del mio cartone animato preferito, ed andavo in giro tutto felice con sto coso, quasi più grande di me, tra le mani. Comunque, si erano fatte le sette e mezza di sera, così ci infilammo in macchina, per tornare a casa. Purtroppo io, da bambino, ero abbastanza noioso, nel senso, avevo tutti i miei vizi, e mia mamma sapeva che mi sarei addormentato facilmente se avesse allungato la strada per tornare a casa. Sapeva quanto amavo addormentarmi in macchina. Così papà imboccò l'autostrada, e tutto filò liscio, poi nel vialetto di casa successe. Io vengo dal Canada, da un piccolo paesino, e lì la notte in giro ci sono tantissimi animali selvatici, ad un certo punto sbucò dal nulla un piccolo cervo, probabilmente della riserva, papà non se ne accorse e cercò di deviarlo, ma non ci riuscì i singhiozzi di Justin riempirono il silenzio della camera lui. . Lui. . Voleva solo salvare quell'animaleMeredith strinse più forte la mano del ragazzo, come a proteggerloma non bastò a salvare noi, o almeno loro. Andammo a sbattere contro il muro di casa, e ai tempi non esisteva l'obbligo della cintura ed eravamo così poveri da non avere neanche una macchina con gli airbag, così, ricordo che mi svegliai di soprassalto e vidi mamma fuori dal parabrezza con tutto quel sangue in testa, e il papà con il volante che gli spaccò la gabbia toracica, ed io ero un bambino di sei anni, sul segiolino, con tutte le lastre di vetro, del parabrezza, conficcate nelle braccia. E poi ricordo che vidi mio padre piangere, solo questo, stava piangendo, e nell'ultimo istante di vita, ciò che mi disse fu 'segui i tuoi sogni Justin, amati', poi ricordo che tutto finì, che il suo ultimo sospiro riempì quell'orrore di silenzio che c'era accanto a me. Ma alla fine svenni, per il colpo in testa, preso con l'urto. Poi ricordo anche il dottore che mi adagiò su una barella, ed io urlavo il nome di mia madre, e tutto mi sembrava impossibile, io non sapevo cosa fosse la morte, avevo visto morire solo il mio criceto, e quando morì, ricordo che la mamma gli aveva fatto una bellissima bara tutta in legno, con i fiorellini sopra, e ricordo che piansi così tanto. Mentre per i miei non ebbi neanche la forza di piangere, non ce la feci. Li lasciai andare, e mi chiusero in collegio per due anni, non andai al loro funerale, e non so dove siano seppelliti, non so niente, so solo che due anni dopo, fui adottato, ma che non avrei mai amato quella nuova famiglia, come amavo i miei genitori” Il biondo, era ormai in preda alle lacrime, non riusciva a smettere, e non c'era scampo, quella notte buia, aveva rimembrato dolori che teneva nascosti anche a se stesso.
Meredith non disse niente, non aveva parole.
Prese il viso del ragazzo tra le sue mani, e adagio avvicinò la testa, a quella del compagno, fin quando i loro visi, si ritrovarono a qualche centimetro di distanza, e poi poggiò le sue labbra su quelle del biondo, dando vita ad un bacio.












 

Spazio Autrice

Hola guuuuyyyZ, tutto bene?
Non sapete quanto tempo ho impiegato a partorire sto capitolo, davvero, che ansiaaa, ahaha, non mi usciva niente, perciò spero vi piaccia, perché boh, perché si cazzu.
Oggi a scuola abbiamo fatto assemblea, non sapete il casino lol, poi siamo andati fuori e c'era l'alcol e io come sempre che mandavo giù, massssi marti, ubriacati a scuola, no va beh, non mi sono ubriacata, stavo semplicemente bene ahahah. 
Poi è venuto il mio daddy a trovarmi, facendomi una sorpresa, lui vive a palermo io a milano, dshbkjsfhjdfs.
Ok, basta rompervi con la mia vita.

Ragazze come sempre aspetto le vostre opinioni e vi ringrazio per tutta l'attenzione che state dando a questa storia, davvero davvero.

Luv ya,

sbii

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Capitolo 8
*** ~ Capitolo Settimo ***


                                                                                                                                       Settimo Capitolo



Justin e Meredith, dopo tre lunghi giorni di viaggio, arrivarono ad Atlanta, pronti ad iniziare la loro ricerca.
'La città dei sogni' la definivano quando capitava l'argomento, la città che avrebbe portato i due ragazzi verso il loro futuro, ed erano pronti ad affrontarla insieme questa avventura.
Riguardo al bacio nessuno dei due proferì parola, decisero di lasciare tempo al tempo, decisero di concentrarsi nella loro vita, seppur, entrambi, da quella sera cambiarono atteggiamento; effettivamente non erano una coppia, tuttavia camminavano per mano, e la notte, ad ogni buonanotte, le loro labbra si sfioravano.
I loro corpi si cercavano.
I loro cuori si chiamavano.
Bensì era troppo presto per definire il loro rapporto.
“Fammi leggere l'indirizzo che hai trovato sulle pagine bianche” il ragazzo prese il foglio di carta poggiato sulle gambe della bionda.
“Mmmh. . Ok, se non mi sbaglio la mappa dice di andare per di qua. .” continuò lui.
“Justin, ricapitoliamo il piano!” la ragazza si lisciò la camicetta a fiori sgualcita.
“Allora, tu devi entrare in comune, dire che sei la figlia della famiglia Castle, e chiedere dei registri, poi faranno tutto loro. Il mio patrigno lavorava in comune, mi ha dato un po' di informazioni durante la mia vita”.
“Perfetto”.

Justin accostò vicino all'edificio, fece scendere dall'auto la ragazza, e si mise comodo, ad aspettare.

“Buongiorno” Meredith entrò nella grande sala interamente in legno.
Si sentì quasi a disagio, e le ricordava vagamente la grande mensa del suo college, ma represse i pensieri negativi e si avvicinò allo sportello in fondo al salone.
La signora parve non notarla minimamente, così Meredith tossì, per far notare la sua presenza.
“Oh, salve” una donna sulla cinquantina, con un naso aquilino e gli occhiali posti verso la punta di esso, salutò la bionda.
“Salve” Meredith si sistemò nuovamente la camicetta, e sentì un leggero imbarazzo crescere dentro di lei.
Respirò profondamente.
Doveva esserne all'altezza, non voleva deludere né se stessa, né Justin.
“Mi dica tutto” un grande sorriso, rassicurante, comparve sul viso della donna.
“Vorrei sapere dove vivono attualmente i miei genitori. . Sono la signorina Meredith Castle, e sono appena tornata da Londra. . Purtroppo essendo stata in un collegio di sole ragazze non c'era permesso utilizzare il telefono, e adesso ho perso tutti i contatti, e non so proprio come raggiungerli. .” Meredith pregò tutti i santi che quella scusa reggesse.
“Controllo subito trai nostri registri”.
La signora si alzò dalla sedia, e si diresse nella stanza accanto.
Pochi minuti dopo tornò con una faccia non troppo rassicurante.
“Signorina Castle. . I suoi genitori morirono diciassette anni fa. . Non so quanto lei sia stata in collegio, e mi dispiace davvero, davvero tanto. . Questo è l'indirizzo della loro abitazione, può provare a vedere se è rimasto qualcosa, perché a noi non è arrivato niente, nessun loro effetto personale. . Ne sono davvero rammaricata!” la donna toccò il braccio della ragazza come per rassicurarla, quando poi, dopo interi secondi di silenzio, la bionda cominciò a singhiozzare, ed in quel momento perse tutte le speranze.
“Oh, non faccia così . .” la spiacevole situazione, metteva in forte imbarazzo la donna.
“Mi scusi. . Grazie mille davvero”.
Meredith voltò le spalle all'enorme sportello, si asciugò alla bella e meglio le lacrime che le rigarono il volto, e tornò verso la macchina.

“Ehi” un enorme sorriso l'accolse dentro l'auto, per poi trasformarsi in una smorfia di enorme preoccupazione.
“Ehi. .” biascicò Meredith.
“Cosa succede Meredith?”.
La ragazza si fiondò tra le braccia del ragazzo, alzò lo sguardo verso il suo, e ricominciò a piangere quelle lacrime così amare, che implodevano dentro i suoi occhi.
Justin le spostò la solita ciocca ribelle che le copriva il viso, e le alzò il mento, accarezzandole, successivamente, le gote.
“Va tutto bene. . Non piangere. . Va tutto bene” con l'altra mano gli asciugò le lacrime che sgorgavano sul suo bel viso.
“Sono morti. .” pronunciò tra i singhiozzi.
“Oh. .Mi dispiace Meredith”.
Mille ricordi riaffiorarono nella mente del ragazzo, e di nuovo vide quei due corpi, sentì le ultime parole del padre.
“Ma la cosa strana è che sono morti esattamente lo stesso anno in cui mi hanno prelevato da casa. .” continuò lei.
“Tu credi c'entrino qualcosa. . . dico. . .le persone che ti hanno rapito?” chiese lui, cercando di mantenere il tono più calmo che poté.
“Credo. . Ma non ne sono sicura, ed io voglio esserne sicura” tirò su col naso e si rigirò il foglio, della donna, tra le mani.
“Cos'è quello?” domandò Justin.
“L'indirizzo dei miei genitori. . Dobbiamo andare là, e scoprire qualcosa Justin” prese coraggio lei.
“Allora allaccia la cintura e partiamo”.

Meredith bussò alla porta della villa parecchie volte.
“C'è nessuno?” urlò la bionda.
“Sembra disabitata. .e anche da tanto tempo” suppose il biondo.
“Che facciamo?” chiese lei.
“Sfondiamo la porta”.
Justin si allontanò di qualche passo, caricò sulla spalla destra, iniziò a correre e buttò giù la porta.
“Da quando sei così forte, tu?” rise lei.
“Tutta palestra, tzé” si aggiustò il ciuffo il ragazzo.
“Sbruffone” lo spinse lei.
“Dai entriamo. .Prima le femminucce” Justin le fece segno di entrare.
Entrarono nell'edificio diroccato, provando una certa paura.
“Io mi ricordo di questo posto. .” sussurrò Meredith.
“Davvero?”.
“Ti giuro Justin. . . Vieni, vieni con me”
prese il ragazzo dal cappuccio della felpa e lo trascinò su per le scale.
“Apri quella porta. . “ indicò lei.
“Non puoi aprirla tu?” la guardò stranito lui.
“No. . Dai forza apri. . Non ce la faccio. .”.
Il ragazzo aprì lentamente la porta, ed entrambi videro una culla ricoperta di veli rosa, e sopra il letto si trovava un orsacchiotto con un fiocchetto fucsia tra le orecchie. Disegni multicolore alloggiavano sopra le pareti, palle di vetro con esili ballerine poggiavano su uno scaffale, posto in alto al letto, e delle tende decorate con mille farfalle coprivano la grande finestra.
“Io mi ricordo tutto Justin”.
Meredith prese la foto raffigurante una donna e una piccola bambina, appoggiata sul comodino, anch'esso rosa.
“Guarda. .Questa è mia madre, e questa sono io, e questa è la mia camera. . Ma io non sono stata rapita qui. . Mi hanno preso dal letto dei miei genitori. . Vieni. .”.
Abbandonarono quella stanza e aprirono un'altra porta.
“Ecco. . Qui mi hanno preso”.
La stanza si presentava quasi come un alloggio reale, tutto era ricoperto di veli cuciti a mano, il lampadario di cristallo ancora legato al soffitto, creava una sorta di arcobaleno, quando la luce filtrava attraverso la finestra leggermente aperta, e sopra ogni comò presente sulla stanza, si trovavano piccoli angeli di swaroski.
“Wow. . Dovevano essere davvero ricchi i tuoi genitori” il ragazzo si stupì davanti tanto ben di Dio.

“Dobbiamo trovare qualcosa Justin. . Dividiamoci” propose la ragazza.
Il biondo iniziò a ispezionare tutto il piano di sopra, mentre la ragazza tornò al piano inferiore e iniziò a mettere tutto a soqquadro.
Ispezionarono i bagni, la cucina, la sala, tutte le camere, quando infine rimase una sola stanza, una sola.
“Meredith vieni” urlò Justin dal piano superiore.
Meredith corse su per le scale e raggiunse il ragazzo.
“Che c'è?” chiese emozionata.
“Questa è la nostra ultima spiaggia. . Abbiamo messo tutto all'aria, rimane solo questa stanza”.
Meredith chiuse gli occhi, e Justin appoggiò la mano sulla maniglia, quando, la porta non si aprì.
“E' chiusa a chiave!” esordì il ragazzo.
“Merda!” esclamò lei.
“Scusa che hai detto?” il ragazzo la guardò alquanto sorpreso.
“Guarda che ti sento quando imprechi contro i tuoi quaderni, quando non riesci a comporre”.
In qualunque momento, anche il peggiore, entrambi riuscivano a darsi gioia, e speranza.
“Ho un'idea”.
Meredith afferrò, per l'ennesima volta, il ragazzo dal cappuccio e lo trascinò fuori dalla villa.
“La stanza è quella” indicò lei.
“Bene, e come vuoi arrivarci da qui?”.
“Vedi quell'albero? Bene, mi è venuto in mente che tu riesci ad arrampicarti come una specie di scimmia, per cui basterà che tu salga lì su, e spacchi la finestra, tutto qui”
spiegò la bionda.
“Sei un genio! Tienimi la giacca” si tolse la giacca, e iniziò a salire sull'albero, fino ad arrivare davanti alla finestra.
“Bene, ora la spacco. . Allontanati” Justin diede un calcio alla finestra, fino a far rompere in mille pezzi il vetro.
“Sali che ti apro da dentro”.
La ragazza fece le scale di corsa, e arrivò davanti alla stanza, quando Justin aprì la porta.
Al centro della camera c'era una scrivania, piena di scartoffie, e un enorme libreria era appoggiata sulla parete destra.
“Qui c'è un bel lavoraccio da fare” notò lei.

“Diamoci una mossa”.
Passarono un'intera ora a cercare qualcosa di apparentemente utile, fin quando le forze furono svanite, le speranze furono dissolte e tutto fu perso.
Meredith si accasciò a terra e nascose il viso tra le ginocchia.
“Non ce la faremo mai Justin”.
“Ehi. . Guardami. .” lui le si avvicinò e le alzò il volto.
“Noi ce la faremo! Facciamo una pausa se vuoi” Justin le si sedette accanto, e nello stesso istante in cui appoggiò la schiena contro la libreria, un libro cadde a terra, facendo un gran tonfo.
“Ehi, magari è il destino” Justin lo prese ed iniziò a sfogliarlo.
“Meredith. . Questo è il destino” fece lui entusiasta.
Meredith rubò la lettera dalle mani del ragazzo e lesse in alto;

                                                                                   “Alla nostra cara Meredith, sperando che non sia troppo tardi”.

Chiuse gli occhi, prese un respiro profondo, e scartò la busta.











 

Spazio Autrice

Hooola guuuuyZ, come butta? yo.
Perché mi presento sempre con queste frasi di merda, davvero . . mi faccio pena, sorratemy dai.

Eccomi con un altro magnifico capitolo *modestia mode on*, no serio, questo mi piace davvero, infatti ho aggiornato dopo ben sei giorni, e non è da me, io sono una tipa puntuale che aggiorna subito, ma zero idee per la testa, mi sono arrivate ieri alle undici di sera quando era a letto, e dato che questo capitolo è alquanto pauroso, cioè almeno, a me la casa ecc fa paura, me la stavo facendo sotto. . lol

Beh, gente, sapete le regole, dieci recensioni e aggiorno <3

sceu,
sbii

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Capitolo 9
*** ~ Capitolo Ottavo ***


                                                                                                                                              Ottavo Capitolo


“25 Dicembre 1995
Villa Castle, Atlanta.

Cara Meredith, avrei milioni di frasi sdolcinate da scrivere in questa lettera, ma purtroppo non c'è più tempo, sappi, però, che mi sarebbe piaciuto vederti crescere, vederti sorridere, e magari anche piangere, in un giorno della tua adolescenza, perché un ragazzo ti ha spezzato il cuore, ma non ne avremo la possibilità.
Non esistono scuse, perché di nessuno è la colpa, o forse è di tutti noi, ma credo sia meglio iniziare dal principio questa storia.
Erano i lontani anni settanta, e tutto cominciò in Irlanda.
Purtroppo tu, piccola mia, non hai mai avuto l'onore di conoscere i tuoi nonni, ma per tutto c'è una spiegazione.
Non ebbi mai un buon rapporto con loro.
Provengo, anzi, sia io che tuo padre, proveniamo, da due famiglie aristocratiche, che per ragioni a noi sconosciute, a quei tempi, si odiavano.
I miei genitori erano dei grandi proprietari terrieri e desideravano allargare i loro possedimenti ai territori confinanti, che, come avrai ben capito, appartenevano alla famiglia di tuo padre.
Io non me ne preoccupai mai.
Gli affari dei miei genitori non furono mai di mio interesse, così vivevo la mia vita come una normale diciottenne, e come tale stavo frequentando il mio ultimo anno di scuola in città.
Avevano appena indetto un ballo, quando tuo padre, mi chiese di accompagnarlo.
Entrambi non conoscevamo la grande disputa delle nostre famiglie, così accettai e la sera del ballo mi venne a prendere.
Fu tutto quello che una ragazza può sempre sognare; ero abituata a vestiti suntuosi, a meravigliosi addobbi, tuttavia quella sera mi sentii una vera principessa, tra le braccia del suo principe.
Mio padre scoprì tutto esattamente un mese dopo, quando una lettera del mio amato arrivò a casa, ed io mi dimenticai di prenderla dalle mani del postino.
Papà si infuriò, mi vietò di uscire, e andò dalla famiglia di tuo padre, a chiedere un trasferimento scolastico, cosa che fecero subito.
Per due settimane non vidi tuo padre, ed il mio cuore si andava frammentando in piccoli pezzi, e non importava quanti regali potessero farmi i miei, o quanti ragazzi cercavano di farmi conoscere, perché nessuno poteva avere il mio cuore.
Erano gli anni delle moto da cross, gli anni dei DuranDuran, ma nella mia vita da rinchiusa in un castello, erano sempre i tempi di Mozart, i tempi del bustino.
Figlia mia, erano genti legati alle tradizioni, ed io, diciassettenne, cosa potevo fare?
Un giorno, dal nulla, tuo padre arrivò cavalcando la sua nuova moto scintillante.
Programmammo un viaggio, programmammo di scappare, non appena fosse finita la scuola, e lui mi promise il suo cuore.
Resistetti così altri due mesi, presi il mio diploma, e poi arrivo il fatidico giorno di metà giugno.
Mi calai dalla grondaia, salì sulla motocicletta e insieme scappammo.
Eravamo sicuri di poter sconfiggere il mondo, ma, ahimé, eravamo due ragazzini incapaci di vivere e di scegliere, vissuti negli adagi più grandi, nel lusso più sfrenato, e queste necessità, ad un certo punto, si fecero sentire.
Decidemmo di affrontare la situazione da adulti, e dopo tre mesi, tornammo dai nostri genitori e li riunimmo in un unico gran salone.
Esponemmo i nostri pensieri, e anche se riluttanti infine decisero di venire a compromessi.
Ci pagarono il matrimonio, e, poiché sognavamo l'America, ci comprarono questa grande casa qui, dove appena trasferiti, tuo padre riuscì a mandare avanti tutto, grazie al suo nuovo e importante lavoro.
Passarono anni felici.
Non avevamo bisogno di niente a parte l'uno dell'altro, ed eravamo noi, contro tutti, ma sempre noi.
Poi arrivò la notizia.
Da un paio di mesi provavamo ad avere un bambino, ma questa tanto aspettata gravidanza non arrivò mai, così facemmo degli esami, e tuo padre risultò, purtroppo, incapace di procreare, questo portò grande sconforto ad ognuno di noi, i suoi spermatozoi non riuscivano a passare nelle mie ovaie.
Questi, gli inizi anni novanta, erano gli anni in cui gli scienziati più pazzi iniziarono a lavorare sull'inseminazione artificiale.
Cominciammo ad informarci, e trovammo un uomo disposto ad aiutarci.
Così, dopo nove mesi, diedi alla luce una creatura meravigliosa, la mia piccola Meredith.
L'angelo che portò luce nella nostra famiglia.
Tuo padre all'inizio fu riluttante, tu non eri sua, ma lui ti amava come se lo fossi, e quell'uomo sparì nel nulla, o almeno così pensammo.
Tre mesi dopo la tua nascita arrivò una lettera.
Quell'uomo ti voleva per i suoi esperimenti.
Aveva appena aperto una ricerca sugli organi, e stava radunando migliaia di bambini.
Diceva che avrebbe aiutato la scienza e convinse tutti di ciò, convinse medici, scienziati, ricercatori, ne convinse così tanti da aprire un collegio, una specie di prigione, dove amore mio, tu purtroppo dovrai andare.
Ti nascondemmo a lungo, rispondemmo che non ti avremmo mai data via, che eri nostra, ma a lui non importò.
Raccontò tutto alla polizia, che ovviamente fu dalla sua parte, eri sua del resto.
E adesso stiamo aspettando, stiamo aspettando che ti venga a prendere, e non sappiamo cosa ci succederà, ha promesso di far vendetta, ha promesso di volerci morti, e forse ci ucciderà, ma piccola mia, spero di poterti mettere questa lettera nel tuo fagottino, di poterti informare di tutto, quando sarai in grado di leggere ciò.
Non avere paura del tuo futuro, mai.
Ho scritto così tante parole, senza dirti niente.
So che vuoi sapere cosa ti succederà e mi sento in dovere di dirtelo personalmente.
Morirai.
Morirai in un modo, per così dire, speciale.
Atroce.
Sai perché in questo collegio vi tengono lontani?
Sai perché vi nascondono il mondo?
Voi state crescendo, e vi state preparando a donare organi, a morire di questo.
Ed io vorrei salvarti da tutto ciò, ma so che non potrò più fare niente.
Mi mancherà avere la tua manina tra i miei capelli.
Mi mancherà vedere il tuo sorriso ogni volta che andiamo al parco.
Mi mancherà terribilmente cullarti tra le mie braccia, e vederti, poi, addormentare come un ghiro.
Mi mancherà sentire il tuo flebile tocco, la notte, quando impaurita, vieni e chiedi un po' di posto trai tuoi genitori.
Mi mancherà vedere increspare le tue labbra, quando, fai la testarda, e vuoi un giocattolo.
Mi mancherà la mia dolce bambina di appena un anno.
Il mio desiderio più grande è quello di vederti crescere, di vederti amare qualcuno, come io ho amato tuo padre, di proteggere la tua vita, e spero che il tuo destino possa cambiare, non sai quanto lo spero, amore mio.
Le mie lacrime bagnano queste pagine, e sono lacrime intrise d'amore.
Sorridi piccola mia, sempre.

Un bacio,
La tua mamma.”


Meredith richiuse piano la busta, e in uno sguardo pieno di paura incontrò quello di Justin, scioccato quasi quanto il suo.
Allora era quello il suo destino?
Allora da questo stava scappando?
E se l'avessero trovata?
Doveva cambiare tutto, e purtroppo, sapeva che questo sarebbe significato tornare indietro, andare dall'uomo che l'aveva procreata, e sputargli addosso tutte quelle cattiverie che aveva sempre tenuto dentro di sé.
Non sapeva se l'avrebbe ascoltata, ma tentare non nuoce.
Voleva cambiare il destino di tutte quelle ragazze là dentro.
E nonostante fosse completamente impaurita, completamente in lacrime, trovò una via di scampo perdendosi negli occhi di Justin, per l'ennesima volta.
“Vederti amare qualcuno”.
Ripensò alle parole della madre.
Guardò a fondo Justin, e capì che se avesse dovuto morire, l'avrebbe fatto avendo provato tutto quello che una normale adolescente deve provare.
E lui era il suo amore, e lo voleva solo per lei.
Lui era suo.
Si avvicinò lentamente e lo baciò, per l'ennesima volta, intensificando quel bacio, perdendosi nelle sue labbra.
Sentì il suo cuore perdere parecchi battiti, sentì le farfalle crescere dentro di sé.
Justin la strinse forte a sé, senza mai lasciare le sue labbra, ed iniziò ad accarezzarle i capelli.
“Ti amo Justin” sussurrò la ragazza, riprendendo poi a baciarlo.














 

Spazio Autrice

sciaaaaau gente.
Vi prego non mi uccidete per questa lettera, lo so che vi ho scioccato, non volevo lol, ma adesso avete capito tutto, o forse no, muahaha.
Beh, comunque sia, ho aggiornato prima del solito, amatemi belli ^o^

Grazie per le recensioni, davvero, siete meravigliose *o*

sciaaau,
sbii

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Capitolo 10
*** ~ Capitolo Nono ***


                                                                                                                                          Nono Capitolo



Morire non era nei piani, e non lo sarebbe stato.
Almeno, non quella notte.
Come se tutte le paure non ci fossero, come se tutto il mondo non esistesse, si lasciò cullare dalle labbra di Justin.
“Ti amo anche io” aveva pronunciato il ragazzo continuando a baciarle il collo.
Si alzarono da terra, e mano nella mano si diressero in camera da letto.
Socchiusero la finestra, e tolsero il telone che ricopriva il letto.
Meredith si distese, e in un attimo Justin le fu sopra.
“Chiudi gli occhi” le sussurrò lui.
Così lei fece.
“Adesso elimina ogni stupido pensiero” continuò lui.
“Fatto” sorrise lei.
“Ricordi Meredith?” parlò lentamente Justin, iniziandole a slacciare la camicetta.
“Cosa?” disse nascondendo un piccolo gemito di piacere.
“Ti proteggerò per sempre”.
Justin le baciò delicatamente la spalla destra.
“Anche io, Justin. Ti proteggerò sempre”.
Meredith tremò sotto le flebili carezze del biondo.
Pian piano, Justin la spogliò di ogni indumento, le prese i capelli e glieli acconciò in una coda.
“Amo quando porti i capelli legati” le disse mentre li legava.
“Adesso tocca a me Justin”.
Meredith sgattaiolò dalle braccia di Justin e gli si mise a cavalcioni.
“Chiudi gli occhi” ripeté lei.
Lui ubbidì.
“Ora lascia andare la mente, e sii mio”.
La ragazza gli sfilò la maglietta, iniziando a lasciare una leggera scia di baci per tutto il suo petto.
“Sei così perfetto” gli accarezzò una guancia.
A quella parola il ragazzo sussultò, sentendo aumentare dentro di sé, la voglia di far sua quell'angelo.
Mai nessuno gli aveva dato del ragazzo perfetto, era sempre stato il cattivo, ma solo perché nessuno si era mai degnato di amarlo davvero.
Finalmente Meredith raggiunse le sue labbra, e si scambiarono prima un dolce bacio, che man mano, si andava intensificando, fin quando il romanticismo lasciò spazio alla passione, e in un attimo i pantaloni e i boxer di Justin, raggiunsero la maglietta, sul pavimento.
Il biondo tornò alla posizione iniziale, sopra la bionda, e dopo averle spostato dal collo la ciocca di capelli che le ricadeva dalla coda, si fiondò su di esso, lasciandole piccoli succhiotti, che lei parve apprezzare, iniziando ad emettere piccoli gemiti.
Il ragazzo le aprì le gambe e le baciò l'interno coscia, salendo sempre più su, più su, fin quando non si fermò all'istante, tornò a guardarla negli occhi e tenendoli fissi nei suoi, entrò dentro di lei.
Un urlo riempì il silenzio della stanza, Meredith incrociò le gambe sulla schiena del ragazzo, mentre lui continuava con quel semplice movimento, iniziando a sentire anche lui, tutta quella eccitazione.
Lo strinse forte a sé, graffiandogli la schiena, tirando indietro la testa, e lasciandogli lo spazio necessario per continuare a baciarle il collo.
Poi la situazione si capovolse.
Justin non era più il comandante, in un nano secondo diventò l'umile servitore.
La ragazza cambiò le posizioni, e sempre avendolo dentro di lei, iniziò a baciargli il collo.
Si staccò piano da lui, per vedere la sua faccia delusa, e poi passò dal baciargli il collo, a scendere sempre più giù, più giù, quando non si trovò con le labbra vicino al suo ventre, tornò su e in un attimo rifece spazio al ragazzo, che entrò di nuovo dentro di lei.
Continuarono così per ore, e ore, come se la passione non potesse mai placarsi, fin quando, entrambi esausti, si addormentarono, uno accovacciato all'altro.
Con addosso solo il profumo del loro amore.

“Muoviti e fai silenzio”.
Un uomo incappucciato entrò nella casa, seguito da altri due.
“Cosa stiamo cercando signore?” chiese uno.
“Dovete trovare una lettera idioti, è la quarta volta che ve lo ripeto” li fulminò con lo sguardo il capo.
“Va bene” entrambi fecero segno di aver capito.
“Ora muovetevi” urlò lui.
Nello stesso istante però, Meredith ascoltò tutta la loro conversazione, svegliò velocemente Justin, si rivestirono ed ebbero il tempo di nascondersi sotto il letto, quando i due scagnozzi entrarono in camera.
“Capo” urlò il moro.
“Che volete ancora?” l'uomo con la pistola entrò nella camera.
Justin e Meredith iniziarono a sudare freddo, ma dovevano tenere duro, se la sarebbero cavati, insieme.
“In questa casa c'è qualcuno” esordì uno.
“Muovetevi, cercate ovunque, imbecilli!”.
Tutti e tre iniziarono a mettere a soqquadro la casa, più di quanto lo fosse prima, lasciando, però, il tempo ai ragazzi di sgattaiolare giù in cucina.
“Fermatevi voi due” l'uomo rise di gusto, nel sentire la paura crescere dentro i due ragazzi.
“Appena te lo dico io, tu scappa” sussurrò Justin all'orecchio della ragazza.
“Non me ne vado senza di te” cercò di convincerlo, ma senza successo.
Sentirono i due scagnozzi avvicinarsi a loro.
“Ora, vai!” urlò Justin, che nel frattempo si voltò ed iniziò a prendere a pugni i due, che in un attimo furono a terra.
Meredith arrivò fuori dalla casa e guardò attentamente ogni cosa dalla finestra.
Justin stava avendo la meglio, nonostante loro fossero in tre.
Ma quando l'uomo che sembrava essere il capo, prese parte alla rissa, tutto si capovolse.
Justin si ritrovò a terra, con quel gigante intento a prenderlo a pugni sul viso.
Del sangue iniziò a colare dal suo naso, e non riusciva più a respirare, poiché l'uomo era seduto sul suo sterno.
La ragazza doveva salvarlo, prese tutte le sue forze, si arrampicò sull'albero dove qualche ora prima il suo ragazzo era salito, entrò dalla finestra, staccò l'estintore dalla parete, e lentamente si diresse giù da Justin, che quando si accorse di lei, la guardò supplicandola di andare via, di lasciarlo morire, di non farsi del male.
Ma lei non l'ascoltò.
“Ti proteggerò” fece con il labiale.
Meredith arrivò dietro l'uomo e con un colpo secco lo colpì in testa, vedendolo cadere di lato, mollando la presa dal collo di Justin, che iniziò a tossire violentemente.
“Credo mi abbia rotto una costola” sputò sangue il ragazzo, gemendo per terra.
La bionda lo prese dalle spalle e lo alzò da terra, facendolo appoggiare su di lei.
“Ora ti porto in ospedale Justin” disse sopraffatta dalla paura.
“Prima scopriamo chi sono questi tizi” disse lui.
Meredith si avvicinò all'uomo e gli sfilò di tasca il portafoglio, infilandolo velocemente nella sua borsa.
“Meredith ora dovrai guidare” tossì Justin.
“Tranquillo, ci proverò”.
Delicatamente la ragazza, fece sdraiare nei sedili posteriori il ragazzo, sedendosi poi davanti e sfrecciando via dal vialetto di quella casa.
“Justin continua a parlare.. Non svenire, per favore” lo pregò la ragazza.
“Ok” cercò di parlare lui.
“Dai, raccontami qualcosa, qualunque cosa”.
“Sono così fiero di te, insomma se non fosse stato per te sarei quasi morto, se mi avessi ascoltato adesso sarei a pezzi, e poi boh, se ripenso al fatto che due settimane e mezzo fa eri una ritardata mentale, e oggi stai guidando una macchina, senza farci ammazzare, beh credo di essere così felice”
fece lui, interrompendo il discorso ogni qual volta gli veniva da tossire e sputare sangue.
“Ho imparato dal migliore” disse lei in un sorriso.
“Fai veloce amore, mi fa male la testa”.
“A-a-more?”
balbettò lei incredula.
“Sì Meredith, sei il mio amore”.
Lei sporse la mano indietro e afferrò la sua.
“Stiamo arrivando e starai meglio”.
Pronunciando quelle parole il ragazzo prese il respiro e poi chiuse gli occhi.















 



Spazio Autrice

sooorry per questo enorme ritardo, vi preeeego, non volevo giurin giurello, solo che non avevo idee.
Allloooora preciso che non cambierò il rating della fanfic, anche se questo capitolo è un porno, ma va beeeh, lolling, amatemi così, ma volevo dare un po' si arrrgh a justin.

Grazie mille per le sedici recensioni precedenti, siete davvero le migliori lettrici al mondo, vi amo pupe.

Adesso mi dileguo, sciaaau ^o^

sbii

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Capitolo 11
*** ~ Capitolo Decimo ***


                                                                                                                                            Decimo Capitolo



Meredith sostava su di una delle gelide sedie d'ospedale, osservando fuori dalla finestra, la neve che lentamente poggiava per terra, e ansiosamente picchettava, con l'indice, sul bracciolo della sedia.
“Signorina? Lei è una parente di Bieber?” un'infermiera le si avvicinò.
“Sì” mentì spudoratamente lei.
“Bene, allora.. Il ragazzo sta bene, non ha portato gravi danni di nessun genere, ha avuto una grande perdita di sangue, ma i globuli rossi funzionano alla meraviglia e tutto si sta rigenerando. Ha una piccola frattura alla costola quindi per stanotte lo terremo qui, ma domani mattina potrà uscire e ricominciare normalmente con le solite attività, semplicemente lo pregheremo di non esagerare con i movimenti, niente di brusco per ora” spiegò l'infermiera, che intanto era intenta nello scrutare qualche scheda, assai più importante di Meredith e Justin, dato l'interesse che mostrava.
Meredith la ringraziò e, immediatamente, si diresse nella stanza del biondo, trovandolo addormentato sul lettino d'ospedale, con indosso una buffissima tuta d'ospedale a righe.
Si sedette sul bordo del letto, tastando vicino al cuscino, per percepire quanto rumore potesse fare il letto, e quando sentì la stabilità, si sdraiò accanto al ragazzo, accarezzandogli i capelli biondi, e baciandogli delicatamente ogni piccola parte del viso, facendo attenzione a non svegliarlo.
Tuttavia, dopo pochi minuti, il ragazzo aprì gli occhi, ritrovandosi la faccia della sua amata ad una minima distanza dalla sua, la scrutò per un secondo e poi si lasciò dare un sonoro bacio sulle labbra dalla biondina.
“Come stai?” chiese lei.
“Abbastanza bene, un po' scosso, ma non potevo avere un risveglio migliore” Justin accarezzò il viso della ragazza, che prese visibilmente colore.
“Sono felice tu stia meglio. Questa notte dobbiamo rimanere qui e domani ti dimetteranno”.
“Meredith? Puoi farmi un favore?”.

Lei annuì.
“Vorrei mangiare qualcosa, ti va di andarmi a prendere un panino alle macchinette in ospedale?”.
“Certo, vado subito”
la ragazza prese la borsa ed uscì dalla camera.
Justin si alzò dal letto e si osservò, quasi spaventato, allo specchio.
I capelli arruffati, la tuta imbarazzante, niente era a posto.
Andò in bagno, si sciacquò il viso e i denti, si sistemò i capelli, ed indossò il suo solito pigiama: boxer e maglietta larga.
Ritornò in camera, spostò il mobiletto posto tra i due letti della camera, e li unì, formando così un letto matrimoniale, poi allargò le coperte e si rinfilò sotto di esse.
Meredith ritornò in camera pochi minuti dopo, con un panino per lui, e un caffé enorme per lei.
Si accoccolò tra le braccia del ragazzo e bevve la sua calda bevanda.
“Dobbiamo scoprire chi erano quei pazzi furiosi” attaccò discorso Justin.
“Lo so. Ma non ho voglia di parlarne Justin, godiamoci qualche momento solo per noi due” si strinse tra le braccia del ragazzo.
“Allora.. Beh, ieri notte sei stata fantastica” ammiccò lui.
“Davvero?” chiese lei, quasi entusiasta.
“Pensavo te la prendessi ad una mia esclamazione del genere ahahah. Comunque sì, davvero. Una delle migliori che io abbia avuto” continuò a stuzzicarla lui.
“Una delle migliori?” lei lo guardò torva.
“Io dico solo la verità” si strinse nelle spalle il biondo, noncurante delle sue parole.
“E se ti dimostrassi che sono la migliore?” una strana luce si accese negli occhi di lei.
“Tu sei pazza, non qui, non adesso” sbarrò gli occhi.
“Io credo proprio sia il posto più adatto”.
Meredith gettò il bicchiere nel secchio, poi tornando a guardare Justin si sbottonò il bottone del jeans.
“Dai Merdith non scherzare”.
Justin cominciò a sudare freddo, capendo, istintivamente, che la bionda non stava assolutamente scherzando, e un po' scosso, ma altrettanto eccitato si lasciò andare al tocco della ragazza che lentamente si impossessava del suo collo, facendolo rabbrividire ogni qualvolta lei lo sfiorasse.
“Non sto scherzando” lo provocò lei, cominciando a mordergli il lobo dell'orecchio, e passando la mano tra l'elastico delle sue mutande.
“Meredith” la rimproverò lui, ma più che un rimprovero parve una supplica, perché dopo tutto quel dolore, perché dopo tutto quell'aspettare quella ragazza, adesso lei era lì, e voleva ciò che lui desiderava da tempo, e non l'avrebbe lasciata andare.
“Solo... - continuò lui affannatamente – non urlare..”.
“Justin, sei tu che dovrai evitare di urlare” gli fece l'occhiolino, passando poi a riempire di baci gli addominali del ragazzo.
Una dolce ragazza stava facendo spazio ad un'esperta donna.
Si mise a cavalcioni su di lui, seduta, e sotto i suoi occhi attenti, si sfilò la maglietta, rimanendo in reggiseno, senza vergogna del suo corpo, con il quale aveva preso confidenza.
Lentamente, Justin, si sporse verso le sue labbra e prese a baciarla con foga, facendola tremare sotto le sue abili mani, che pian piano andavano insinuandosi tra i suoi jeans, facendoli scivolare via.
“Justin” emise lei, in un gemito.
“Meredith” rispose lui, con l'eccitazione che cresceva.
Le posizioni furono invertite, e adesso lui si trovava sopra la ragazza, chiedendo accesso alla sua intimità, dove lei gli fece spazio.
Justin le tolse gli slip, accompagnandoli lentamente sino alla fine delle gambe, baciando, nel frattempo, ogni singola parte di pelle che trovava sotto il suo naso, poi tornò su, e guardò negli occhi Meredith, che ormai, quasi, pregava Justin di farsi spazio nel suo ventre, e non se lo fece ripetere due volte; il ragazzo cominciò a baciare prima tutto intorno l'interno della coscia destra, passando poi a stuzzicarle la sua intimità, con la lingua, sentendo i gemiti strozzati della ragazza, che per non urlare teneva stretto il lenzuolo tra le labbra, poiché quelle di Justin erano impegnate in altro, ma quando stava per raggiungere l'apice del piacere, il ragazzo smise, sorridendo beffardamente, e tornando a fissare il suo incavo del collo, dove si fiondò in un nano secondo, provocando nella ragazza altre urla di piacere, da placare e fermare.
Era quasi una lotta a chi poteva fare meglio.
Meredith fermò Justin, cambiando, per l'ennesima volta, le loro posizioni.
La bionda si avvicinò ai boxer del ragazzo e glieli sfilò via, baciandogli vicino al ventre, ma mai così vicino da soddisfarlo, solo da farlo gemere sotto di lei, che incredula di quel potere, si sentiva così potente e importante.
Posizionò la sua intimità vicino quella di Justin, senza dargli, però, la possibilità di entrare finalmente dentro di lei, voleva farlo arrivare all'apice del dolore interiore, voleva portarlo all'esasperazione, e questo avvenne pochi secondi dopo, quando lui la spinse giù dal letto e la raggiunse, posizionandosi sopra di lei, e questa volta, deciso, entrò dentro di lei, facendola urlare, e non curante, urlò anche lui di piacere, quel piacere che nessuno avrebbe placato in quel momento.
Meredith inarcò la schiena, portando la testa indietro, invitando Justin a baciarle il collo, o forse a morderlo, e in pochi secondi il ragazzo si fiondò sul suo collo, lasciandole succhiotti, smettendo di baciarla solo per emettere qualche gemito di piacere, che forse poteva sembrare più un urlo di soddisfazione.
Movimenti precisi, ma mai secchi, sempre accompagnati da delicatezza infinita.
Non avrebbero mai smesso, e quella notte non lo fecero mai davvero.
Arrivati all'apice del piacere, entrambi, Meredith sembrava, ancora, non completamente soddisfatta, così tornarono sul letto, e ricominciò a strusciarsi delicatamente su di lui, che in un attimo fu di nuovo colpito da un'ondata di eccitazione, e dopo essere uscito da lei, da meno di dieci minuti, le fu subito dentro, ricominciando su e giù quel movimento, ricominciando a palparle il seno, mordendole i capezzoli fino a farli diventare turgidi, e lei di rimando, continuava a baciargli il collo, continuava a muoversi lasciandogli sempre più spazio dentro di lui, per fargli capire, che era davvero sua.
Poi, finalmente, entrambi estenuati, si accasciarono l'uno accanto all'altro, rimanendo così, nudi, per quelle poche ore di sonno che avrebbero passato.

Tre ore dopo, qualcuno, bussò alla porta.
Justin aprì gli occhi ancora assonnato, e con ancora il ventre che pulsava, si alzò dal letto, indossò i boxer e andò ad aprire la porta.

Sal..” quella parola morì nella gola dell'infermiera, che ne vedere Justin mezzo nudo ebbe un mezzo infarto.
“Salve” sorrise Justin, massaggiandosi i capelli, cosa che mandò in delirio la ragazza.
“Dovreste lasciare la camera” disse lei, cercando di non fissare troppo i muscoli del ragazzo, ma indicando la povera Meredith, che ancora inconscia dormiva beatamente nel letto.
“Ok...” annuì Justin.
“Ah, una cosa... - Justin fermò l'infermiera – può non raccontare a nessuno di.. beh.. questa storia?” fece il ragazzo, indicando sia se stesso, che la sua ragazza distesa.
“Ovvio, stia tranquillo” fece l'occhiolino la ragazza.
Justin si chiuse la porta alle spalle, per poi raggiungere Meredith.
“Ehi” la spintonò un po' lui, provando poi a baciarle dolcemente la fronte.
Niente.
La sua donna continuava a dormire.
“Meredith?” Justin si avvicinò alle labbra della bionda, iniziando ad inumidirle con la sua lingua.
La ragazza sembrò prendere subito conoscenza.
“Pensavo fossi morta” rise il ragazzo.
“Non ancora” disse lei con ironia, un'ironia che, però, fece rabbrividire Justin.
“Dai sto scherzando” continuò lei.
“Dobbiamo andare, perciò vestiamoci”.
Justin tolse le lenzuola di dosso alla ragazza, che rabbrividì dal freddo.
Ieri sera, quando mi eri addosso, non faceva così freddo.. torna qui Justin” sorrise beffarda lei.
“Dai Meredith, sembri una ninfomane.. Su, alzati”.
Justin raggiunse i jeans sulla sedia e li infilò, quando un biglietto gli cadde dalla tasca.
“Guarda che ti è caduto un biglietto” fece lei.
“Oh, hai ragione. E' per te, l'ho trovato nella lettera di tua madre, solo che mi sono dimenticato di dartelo” glielo porse.
La ragazza lo afferrò immediatamente, aprendolo di scatto e leggendo velocemente le poche righe.
“Allora? Cosa dice?” chiese interessato lui.
“Abbiamo la nostra prossima meta” sorrise lei.
“Cioè?”.
“Una mia certa zia Rosie. C'è scritto il numero e l'indirizzo di casa, e c'è scritto che saprà darmi qualche spiegazione in più e potrà aiutarmi” spiegò lei.
“Sperando che sia viva” sussurrò Justin, sperando che lei non sentisse.
“Non sei divertente Justin” lo fulminò con lo sguardo.
“Dai sto scherzando” Justin le lanciò i vestiti, che la ragazza indossò prontamente e in pochi minuti furono fuori dall'ospedale.
“Grazie al cielo non dovrò guidare” rise lei.
“Grazie al cielo non sono ancora sanguinante, direi” concluse lui, aprendo la portiera della macchina alla ragazza, aspettando che vi entrasse, e lasciandole poi un sonoro bacio sulle labbra.












 

Spazio Autrice

Scusaaatemi immensamente per il ritardo, ma sono stata in criiiiisi, non sapevo come continuare, cioè ho tutta la storia pronta, ma questo capitolo era proprio un problema, infatti non succede niente di particolare, solo un po' red ecco ahahaha, infatti chiedo umilmente perdono a coloro che non amano le scene rosse per questo capitolo.
Non so quanto sarà lunga questa storia, e forse non durerà molto, perché comunque siamo arrivati a buon punto, ma devo ancora pensarci, sinceramente, perciò stay tune gurls!

Alla prossima e grazie.

P.S. vi posto il link di una mia OS natalizia, non si sa mai che volete leggere qualcosa di nuovo:
 http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1454349&i=1

vostra, 
sbii

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Capitolo 12
*** ~ Capitolo Undicesimo ***


                                                                                                                                Undicesimo Capitolo



“La casa dovrebbe essere questa” Meredith chiuse la portiera della macchina, che emise un tonfo assordante, scese dalla macchina e si fermò ad osservare l'uscio.
“Sembra disabitata” constatò Justin affiancandola.
“Boh. Proviamo”.
Lentamente, si avvicinarono alla porta, poggiarono la mano sul campanello, sentendo piccoli brividi percorrergli la schiena, poi suonarono.
Il campanello emise due tocchi, simili al miagolato di un gatto, ma nessuno venne ad aprire la porta.
Suonarono nuovamente, aspettando ancora qualche minuto.
Justin sbirciò dalla finestra, scorgendo la figura di una donna parecchio anziana, avvicinarsi, finalmente, alla porta.
“Sta arrivando.. ma preparati” disse Justin.
Un'anziana signora, dai pochi capelli totalmente bianchi, lisci, che ricadevano, alcuni, lungo le ossute spalle, altri, lungo il viso, marchiato dalla vecchiaia, con parecchie rughe attorno agli occhi azzurri cielo, un po' spenti dall'età, aprì l'uscio, spaventando Meredith alla vista, che strinse forte la mano di Justin.
“Lei è Rosie Smith?” chiese la ragazza, senza mai puntare i suoi occhi su quelli della vecchietta ossuta.
“Si.. Tu sei Meredith?” rispose la signora.
“Come fa a...” la donna bloccò la domanda della ragazza, prima che potesse pronunciarla, e fece cenno d'entrare ad entrambi.
Quando Rosie si chiuse la porta alle spalle, fece quattro giri di chiave, richiuse le tende che davano sulla strada, e fece accomodare i ragazzi nella cucina, altrettanto buia, illuminata, esclusivamente, da una candela posta dietro alla finestra, dalla parte del muro, per non far filtrare luce all'esterno.
Si posizionò dietro ai fornelli, e prese a scaldare il tè, che, probabilmente, aveva lasciato a metà cottura, per aprire ai ragazzi.
“Allora.. come fa a sapere chi siamo?” insistette la bionda.
“Volete del tè?” domandò la vecchia, evitando di rispondere alla ragazza.
“No grazie” rispose Justin.
“Mi scusi... come fa a sapere chi sono? Da cosa mi ha riconosciuto?” chiese, nervosamente, Meredith.
La donna indicò il tatuaggio che sporgeva dalla manica della camicetta della ragazza, parendo, particolarmente, spaventata.
“Non capisco” Meredith scosse la testa.
“Quello” indicò meglio lei.
“Questo?” Meredith osservò torva il numero tredici disegnato sulla pelle.
“Non voglio avere a che fare con questo” la donna prese il telefono e iniziò a comporre un numero.
“Sono venuta qui per parlarle” continuò Meredith.
“Non posso parlarti, e non voglio farlo” sbottò la vecchia, sparendo nell'altra stanza, lasciando i due biondi da soli.
“Cosa le prende?” sussurrò Meredith al ragazzo.
“Non ne ho idea, ma so che mi fa esageratamente paura, e sono preoccupato. Finiamo al più presto e andiamocene” assentì Justin, smettendo subito di parlare, quando sentì la vecchia tornare in cucina.
“Chi ti ha detto di venire?” urlò la donna, come se un corpo estraneo fosse entrato dentro di lei.
I suoi occhi cambiarono colore dall'azzurro al rosso fuoco, e le rughe sottili e gentili, lasciarono spazio a milioni rughe d'espressione incattivite.
“Q-questa” Meredith le consegnò velocemente la lettera, cercando di mantenere la calma, senza farsi impossessare della paura, che invece aveva preso spazio in Justin, che si stava torturando le pellicine del dito medio.
“Voi non dovevate sapere niente di tutto questo, niente. Nessuno può aiutarti, non c'è modo, non c'è modo. Tu devi morire” sbottò la donna.
Delle sirene iniziarono a rimbombare fuori dalla villa.
E mentre la donna e Meredith continuavano a scambiarsi parole d'odio, Justin scrutò fuori dalla finestra vedendo due volanti della polizia, accompagnati da una lussuosissima limousine.
“Meredith muoviti” Justin urlò, tornando in cucina, e strattonando la ragazza cercò di spingerla fuori dall'abitazione, mentre la vecchia cercava, invano, di trattenerli.
“Cosa succede?” disse Meredith, atterrita da tutto quel frastuono.
“Sono venuti o per te o per me, perciò muoviti” Justin spinse la vecchia facendola cadere a terra, saltarono giù dalla finestra della cucina, e facendo meno rumore possibile, scapparono in macchina, mettendo in moto, e sfrecciando per le vie isolate della periferia di Atlanta.
“Io dovevo sapere come poter rompere il patto degli organi, dobbiamo saperlo, perché non possiamo sempre scappare, non voglio vivere nascondendomi, devo sapere come fare” disse Meredith, spezzando quel discorso a metà, quando il pianto si impossessò di lei.
“Meredith erano lì, e c'era la polizia, e una limousine, non so perché, ma dovevamo andare via.. Troveremo un altro modo.. Non vivremo così, scappando.. Promesso”.
Meredith, ancora immersa nel suo pianto, appoggiò la fronte sulla spalla di Justin, dando sfogo ai singhiozzi, mentre il ragazzo, con la mano libera, le accarezzava i capelli, e qualche volta, tenendo sempre lo sguardo fisso sulla strada, le lasciava piccoli baci sulla guancia.
E se in quel momento, non fossero stati lì, a farsi compagnia, forse tutto questo senso che davano alla vita, non l'avrebbero avuto.
“Lotto per te” sussurrò lei, asciugandosi le ultime lacrime.
Un flebile sorriso comparve sul viso del ragazzo, che a quelle parole rimase paralizzato.
“Sei la mia vita Justin. Senza di te avrei sicuramente abbandonato, sarei tornata in collegio e avrei donato gli organi, fin quando non sarebbe arrivata la mia umile ora”.
“Ti amo”
concluse Justin.
Con quello.
Con un 'ti amo'.
Perché altre parole non c'erano.

“Due uova e un toast” ordinò Meredith, sistemandosi sulle gambe il tovagliolo rosso.
“Anche per me, grazie!” esclamò il ragazzo.
“Secondo te in che mese siamo?” chiese, curiosa, la ragazza.
Era passato così tanto tempo, eppure non sembrava, ma le settimane erano passate, trasformandosi in mesi.
“Credo sia quasi Natale” sentenziò Justin, guardando le luci che scintillavano, fuori dalle case.
“E' il mio primo, vero, felice Natale” sorrise lei.
Le loro mani si intrecciarono, sopra al tavolo, ed entrambi si scambiarono sguardi pieni d'amore, per interi minuti.
La tv mandava in onda il telegiornale, quando la loro attenzione, fu attirata dai poliziotti che parlavano:
“E' una ragazza bionda, si chiama Meredith, e non sappiamo il cognome, sappiamo solo che è scappata, ed è necessario ritrovarla, questione di stato”.
Entrambi i ragazzi poggiarono le forchette sul tavolo, provocando un tonfo.
Tutto ciò significava solo problemi, altri problemi.
Adesso erano entrambi due fuggitivi, e dovevano ricominciare a scappare.
Si alzarono dal tavolo, facendo finta di aver finito di mangiare, quando, invece, avevano mandato giù solo due bocconi, poggiarono i soldi sul tavolo, e velocemente uscirono dalla caffetteria.



















 

Spazio Autrice

Buona Nataaaaaleeeeeeeeeeeeeeeeeeee!
Avete visto? Questo è il mio regalo per tutte voi!
Mi avete scritto tutte di aggiornare, e dopo tipo dieci giorni vi ho accontentate, però credetemi non ho avuto né tempo, né voglia, né fottute idee!
Questo capitolo è stato un parto, perché come sapete volevo far finire presto la storia, ma ho visto che sta facendo successo e che nessuno vuole, perciò mi sono spremuta le meningi e tadaaaan.

Vi devo dire una cosa molto brutta...
Non aggiornerò fino al sei di gennaio, perché il 27 parto e torno il 5, perciò tenete duro amiche!

Ancora auguri,

sbii

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Capitolo 13
*** ~ Capitolo Dodicesimo ***


                                                                                                                                                             Dodicesimo Capitolo



Fuggiaschi, ancora.
Fuggiaschi, di nuovo.
Scappare era l'unica cosa da fare, tuttavia Meredith e Justin erano semplicemente stanchi di tutto questo, avrebbero voluto vedere un futuro che andava oltre l'indomani, avrebbero voluto distendersi su un prato senza la paura di essere riconosciuti e catturati, ma più di tutto avrebbero voluto amarsi senza la paura di perdersi.
In macchina nessuno proferiva parola, entrambi troppo persi nei propri pensieri.
Justin immaginava una vita senza Meredith, e ogni volta che anche solo il pensiero che tutto sarebbe andato meglio, gli sfiorava la mente, scrollava il capo e le spalle, perché tutto quel dolore era sopportabile se accompagnato dal profumo di vaniglia di quella ragazza.
Meredith immaginava di ritornare in quella scuola, di aspettare la propria ora arrivare inesorabilmente, probabilmente se non avesse trovato qualcuno per cui lottare, allora sarebbe davvero tornata indietro, avrebbe davvero aspettato di chiudere i battenti.
“Dobbiamo fare qualche ricerca” interruppe quel silenzio Justin.
“Ci servirebbe una biblioteca” rispose di rimando Meredith, senza dare tanta attenzione a quel discorso, perché forse era meglio fuggire lontano e lasciare i problemi alle spalle, ma sapeva che Justin non avrebbe accettato.
“Qui io non sono un ricercato, posso entrare per le sette, prendere qualche libro e tornare in macchina, faremo le nostre ricerche stanotte” propose il biondo.
“Va bene” e Meredith chiuse così il discorso, perché troppo doloroso era continuare a sperare.
Se non fosse stato per un piccolo sussulto di Justin, quell'immobilità sarebbe rimasta tale per ore, tuttavia qualcosa fece sobbalzare il ragazzo che riprese a fatica il respiro.
“Tutto bene?” chiese preoccupata lei.
“Si, dolore intercostale credo” sorrise lui, con un sorriso un po' spento.
“Vuoi chiuderla qui Justin?” e d'un tratto tutto il mondo svanì, tutto si frammentò in piccoli e taglienti pezzi.
“Chiuderla qui cosa?” fece lui.
“Tutto. Noi due, io, te, che senso ha continuare? Fa sempre più male, ed io non voglio vederti soffrire” una lacrima rigò il viso di Meredith, intenta a trattenere le altre con fatica.
“Vuoi lasciarmi Meredith?” Justin accostò la macchina, si slacciò la cintura e puntò gli occhi su quelli della ragazza.
“Voglio semplicemente mettere fine a tutto questo dolore, a tutto questo fuggire”.
E come se un fiume in piena avesse spezzato la diga, dai suoi occhi uscirono milioni di lacrime.
“No. Non voglio”.
Justin la strinse forte a sé, cullandola dolcemente tra le sue braccia.
E se avesse dovuto scegliere un luogo dove morire, probabilmente sarebbe stato tra le braccia di quella ragazza, perché tutto era dannatamente perfetto.

Arrivarono le sette, Justin scese dalla macchina e si intrufolò furtivo dentro la biblioteca, lasciando la bionda in macchina, intenta a farsi una treccia laterale, cercando di domare i suoi ricci.
Il numero tredici tatuato sul braccio per la prima volta prendeva significato, un significato sconosciuto, che le incuteva terrore, ma che, probabilmente, era la chiave di un qualche mistero. Lo sfiorò lentamente con il polpastrello dell'indice, notando per la prima volta quanto fosse in profondità, come se fosse nata con quel numero sul braccio, come se fosse totalmente parte di lei, ed effettivamente lo era davvero.
Una decina di minuti dopo, Justin uscì dal grande edificio con uno scatolone pieno di scartoffie, che reggeva a fatica. Il ragazzo sembrava sempre più stanco, e Meredith preoccupava della sua salute.
“Ecco qua” Justin gettò tutto il contenuto dello scatolone sul sedile, si fece un po' di spazio e si accucciò tra la portiera e il volante, il quale gli stava quasi trafiggendo lo stomaco.
“Da dove iniziamo?” Meredith guardò estere fatta tutti quei libri.
“Da questo” Justin prese un giornale datato 1995.
“Lo strano caso di Manuel Dath” lesse lei.
Lo aprì e in prima pagina comparve la foto di un uomo a lei fin troppo familiare.

“Per la prima volta dopo anni un uomo è deciso a cambiare il mondo.
-
I donatori di organi continuano a scarseggiare, rimane solo una cosa da fare- dice Manuel Dath, fondatore della comunità di ricerca medica- aprire un collegio, dove alcuni giovani scelti verranno cresciuti in 'cattività', per poi donare gli organi al compimento della maggiore età- E se questo risulta scandaloso e malvagio, il signor Manuel dà una spiegazione che a noi pare nobile: -Per salvare delle vite devono morirne delle altre, purtroppo è il ciclo vitale, e la ricerca medica per adesso non può ancora fabbricare organi vitali- Quindi il presidente degli Stati Uniti non ha posto obiezioni, salvare vite umane è un bene immenso, perderne delle altre, per quanto doloroso, può portare avanti la ricerca. “

“Disgustoso” commentò Justin appena chiuso il giornale.
“Non capisco perché proprio una scuola e proprio me, sono sua figlia cosa gli ho fatto?” Meredith rimaneva comunque perplessa, e quell'uomo descritto come 'santo', a lei pareva semplicemente un demonio.
“Leggi questo” Justin le porse un altro articolo.
“La grave perdita di Manuel Dath” lesse lei, per poi aprire anche questo giornale.

“Manuel Dath, 35 anni, fondatore della comunità di ricerca medica, ieri, 13 Dicembre 1994, ha perso la sua primogenita, nonché unica figlia, Sophie Dath, di appena un anno.
-
Non voglio che la gente abbia pena di me, in questo momento voglio solo essere lasciato da solo- afferma l'uomo, appena uscito dal funerale, con gli occhi in lacrime.
La bambina di appena un anno aveva un solo polmone, nessun donatore disponibile, semplicemente la morte.
Ci auguriamo che Manuel si possa riprendere.
Condoglianze.”


“13 Dicembre 1994” rilesse la bionda.
“E' il giorno della tua nascita” commentò Justin.
“Già” soffiò lei.
“Credo di aver capito tutto Meredith” gli occhi di Justin presero una nuova luce.
“Quando Manuel seppe che l'altra sua figlia era nata il giorno della morte della primogenita, probabilmente qualcosa in lui scattò, e se fino a quel momento niente lo aveva portato ad essere malvagio, questo avvenimento cambiò qualcosa. Forse tu sei una semplice vendetta, forse la scuola gira tutta attorno a te, e non vuole uccidere gente, ma vuole solo uccidere te” spiegò Justin, tremando ogni qualvolta la parola 'uccidere' usciva dalle sue labbra.
“Forse hai ragione Justin, ma rimane il fatto che adesso non sappiamo comunque cosa fare” sentenziò lei.
“Non è vero. Leggi qua” il biondo cacciò fuori dalla tasca un biglietto stropicciato.
Meredith lesse a bassa voce il contenuto del biglietto.
“Se abita ancora qua, come dice il foglietto, possiamo trovarlo, parlargli e fargli capire, e se non dovesse arrivarci, gli mostreremo il nostro amore, e vedrai che cederà. Meredith ti prego, non perdere le speranze”.
La ragazza, guardò fisso Justin; era mai possibile che fosse lui quello a crederci davvero? Quello che ci stava davvero male?
“Va bene Justin” Meredith, si abbandonò di nuovo alle braccia del ragazzo, e con una nuova speranza, si addormentò cullata dal suo canto.
























 

Spazio Autrice

Buon salveeee!
Ok, voi mi odiate tutti ahahah, insomma non posto da quasi un mese, ma ragazze voi non sapete quanto sia dura scrivere questa fanfic, buttare giù le idee che ho in testa, metterle in forma decente, davvero per me è un macello, ma ci tengo troppo per buttare tutto all'aria.
Spero che non mi deluderete con le votre recensioni, vi amuzzo.
Alla prossima.

sbii

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Capitolo 14
*** ~ Capitolo Tredicesimo ***


                                                                                                                     Tredicesimo Capitolo




Justin e Meredith erano ormai certi di dirigersi all'abitazione, tuttavia riuscirlo a trovare sarebbe stato quasi impossibile; entrambi erano ricercati, in quella limousine c'era quasi sicuramente l'uomo, e uscire dal paese sarebbe stato azzardato.
“Justin, secondo me dovremmo progettare un altro piano..” pensò Meredith, intenta a spazzolarsi i lunghi ricci.
“Hai qualche idea?” il biondo si sistemò il ciuffo.
“Ci sarà un modo con il quale lui prende i bambini dalle famiglie, io ero un caso a parte, ma le famiglie degli altri ragazzi saranno sicuramente d'accordo, perciò dovremmo chiamare e fingere di voler affidargli nostro figlio, lo attiriamo da qualche parte e lo prendiamo di sorpresa” Meredith era quasi presa dall'euforia, quel piano la convinceva sempre di più, si sentiva così fiera di sé.
“Meredith, sei un cazzo di genio” Justin le stampò un bacio sulla fronte congratulandosi del piano.
“Bene, ora ci serve il numero” la bionda si sdraiò quasi totalmente sul sedile, appoggiando i piedi al cruscotto.
“Beh, chiama la scuola, non sai il numero?” propose Justin.
“Adesso il genio sei tu” entusiasta prese il cellulare dalla tasca di Justin, si concentrò sul numero da comporre, corrugando la fronte e mordendosi ripetutamente il labbro inferiore, facendo ridere di gusto il biondo.
“Sei fantastica, dovresti vederti” Justin imitò l'espressione della ragazza, facendo ridere anche lei.
“Ci sono!” urlò dopo qualche secondo lei.
Meredith compose il numero, portò il cellulare all'orecchio e aspettò la risposta.
“Pronto?” dall'altra parte rispose la segretaria.
“Salve” Meredith cercò di rendere la sua voce più profonda, così da sembrare più adulta.
“Mi dica” la donna dall'altra parte iniziò ad armeggiare con la penna.
“Vorrei parlare con Manuel Dath, per.. beh, sa cosa..” spiegò la ragazza.
“Il signor Dath al momento non è in città, le lascio un recapito telefonico?” chiese la donna.
“Oh grazie, aspetti che prendo carta e penna. - Meredith appoggiò il telefono sulle gambe, aprì il cruscotto e prese carta e penna – Vada pure”.
“Allora... 114008986” dettò la donna.
“Grazie mille, arrivederci” la bionda non aspettò neanche la risposta della donna, che chiuse la chiamata e compose il numero del padre.
Aspettò qualche squillo del telefono, con l'ansia che cresceva dentro di sé, fin quando l'uomo non rispose.
“Salve” una voce roca parlò.
“Oh, buongiorno” Meredith era totalmente nel panico, ma doveva mantenere la calma.
“Chi parla?” l'uomo tossì.
“Oh, sono la signora.. mmh.. la signora Veronica Rambati” la bionda pregò di essere abbastanza convincente.
“Mi dica”.
“Beh, direi di passare al dunque, ho una figlia di appena due anni, purtroppo io e mio marito non siamo in grado di darle niente, sono così dedita alla sua ricerca, che preferisco viva per qualcosa che ritrovarsi poi da grande con niente.. Vorrei.. ecco.. incontrarla, per parlare.. sì, per parlare” ad ogni parola il torace di Meredith si alzava ed abbassava in modo ritmato, l'ansia la faceva sudare e tremare come una foglia.
“Lei dove si trova?” chiese l'uomo.
“Emmh.. in questo momento sono a New York” incrociò le dita che anche questa il padre se la potesse bere.
“Io sono ad Atlanta, di solito non sono mai gentile, ma sento che lei ha problemi di famiglia, se le pagassi l'hotel? Lei si potrebbe pagare l'aereo. Senta, le prenoto l'albergo da stasera, e ci incontriamo tra due giorni al ristorante dell'hotel alle ore 20.00 per parlare meglio, ora mi scusi ma devo scappare... Per messaggio le invierò la via, arrivederci” il padre attaccò il telefono.
Meredith fece un sospiro di sollievo, eliminando mille preoccupazioni dalla testa, per almeno un minuto.
“Com'è andata?” chiese Justin curioso.
“Tutto bene, adesso aspettiamo un suo messaggio, ci sta prenotando una camera già da stanotte e tra due giorni verrà a parlare” spiegò lei.
“Beh, è andata bene” sorrise lui.
“Ora arriva il peggio”.
“Meredith rilassati, ce la faremo, te lo prometto”
Justin prese le mani della ragazza, le portò vicino alla bocca lasciandogli flebili baci, poi dopo uno scambio di sguardi, si fiondò, dopo ben due giorni, sulle sue labbra, Meredith schiuse le sue e fece entrare la lingua del ragazzo, mentre lei era intenta a mordergli il labbro inferiore, spostandosi poi sul collo, ed iniziando a mordere anche esso.
Dopo giorni tutto sembrava essere più facile, bastava solo quel bacio, che fu interrotto bruscamente dal messaggio del Signor Dath;

“Readly street numero 20, la camera è prenotata a nome Dath”


Justin mise in moto la macchina e a massima velocità si fiondarono in hotel.


Venti minuti dopo si ritrovarono in una suite di un lussuoso hotel, sulla più famosa via di Atlanta, stupefatti di ciò.
“Justin” urlò la ragazza.
“Dimmi” Justin corse nella stanza da dove urlava la bionda.
“Guarda” Meredith accese la luce, ed entrambi rimasero estasiati a fissare la piscina al chiuso, illuminata solo da qualche flebile luce qua e là.
“Ho un'idea”.
La bionda si tolse gli indumenti di dosso e totalmente nuda si gettò dentro.
“Che stai facendo?” Justin sembrava quasi imbarazzato.
“Vai di là a prendere la chitarra” fece lei.
Il ragazzo uscì dalla camera, mentre Meredith iniziò ad accendere le candele attorno alla piscina, chiuse le finestre, e aspettò il ritorno di Justin.
“Ma che cazz?” Justin trovò la sua ragazza sul bordo della piscina, con solo le gambe dentro l'acqua, per il resto fuori e completamente nuda.
“Vieni qui” Meredith lo invitò vicino a lei con una voce provocante.
“Tu sei pazza” rise lui, avvicinandosi alla bionda.
La ragazza entrò in acqua, mettendosi con le braccia incrociate sulle gambe di Justin, anche lui ormai nudo, mentre lo fissava dal basso.
“Ora suonami qualcosa” gli sussurrò lei, iniziando a lasciargli una scia di baci su tutta la coscia, provocando in lui un flebile tremolio.
“Ok” sorrise lui, iniziando a suonare la chitarra e intonando qualche nota, mentre la ragazza iniziava a passare dalle cosce, al torace, per poi fuoriuscire dall'acqua, posizionarsi dietro di lui e massaggiandogli le spalle, continuando a baciargli l'incavo del collo.
“Tu mi farai morire” fece lui smettendo di suonare.
“Oh, no, continua a suonare Justin, eri fottutamente sexy” sorrise lei.
“Non se ne parla Meredith”.
Justin si girò verso di lei, e cominciò a torturargli il labbro inferiore, intanto che lei continuava ad accarezzare lentamente i suoi addominali.
“Justin sei perfetto” sussurrò lei al suo orecchio.
“Ssssh, non parlare”, ed ecco che le baciò di nuovo le labbra.
Entrambi sul bordo, lui seduto e lei su di lui, intenti a baciarsi, mentre lei le accarezzava la schiena e lui con le mani salde sul sedere.
“Vieni con me” fece lei, alzandosi ed iniziando a correre per la piscina.
“Dove stai andando?”.
Ridevano.
Ridevano come due amanti.

Ridevano come due innamorati.
Come due bambini.
Come due persone felici.
Lentamente lei si infilò in acqua, fermandosi al terzo scalino, lui la seguì, e di nuovo presero a baciarsi, poi lui la prese per i fianchi, portandola in braccio, sempre più dove l'acqua diventava più alta, l'appoggio con la schiena sul bordo, e baciandole il collo, per poi scendere tra l'incavo del seno, entrò dentro di lei, facendola sussultare.
Movimenti lenti diventarono sempre più veloci e concisi, ritmicamente lui spingeva e lei sussurrava il suo nome all'orecchio, mentre lasciava brevi succhiotti sul tutto il collo del biondo, che continuava a sussultare ogni volta che la bionda lo sfiorava.
“Continua Justin” urlava lei poi, quando i suoi movimenti diventavano lenti e imprecisi.
“Baciami” sussurrava lui al suo orecchio, ogni qualvolta che la ragazza smetteva.
E sembrava che si fossero fusi.
Una fusione di corpi tale quanto la fusione del loro amore.
“Justin vorrei che questo durasse per sempre”.
L'orgasmo per entrambi era sempre più vicino, eppure nessuno lo voleva, nessuno lo desiderava, era già perfetto tutto così, il piacere totale non serviva.
Justin continuò ad entrare sempre più dentro di lei, e lei gli faceva sempre più spazio, poi il biondo passò a torturarle l'incavo del seno, mentre lei quasi aggrappata, con le unghie, alla sua schiena, urlava il suo nome.
“Ti amo Justin” disse lei, esausta, quando arrivò all'orgasmo.
“Ti amo Meredith” sussurrò lui, quando il piacere ebbe il sopravvento anche su di lui.





















 

Spazio Autrice

Hola guuuuyz, lo so mi odiate, tipo che non aggiorno da circa un mese ahaha, però va beh dai.
A parte che non sapevo cosa scrivere perché voglio allungare un po' la storia però capitemi, come faccio, cioè sono in crisi ahaha, comunque sia questo capitolo è un po'
RED, quindi spero vi piaccia e se non gradite attaccatevi a stogaaa ahahaha.
So che nessuno legge gli spazi autore però voglio proporvi l'altra mia storiella che ho iniziato da poco, tadddaaaan; 

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1483601&i=1

vi amuzzo e a presto.
sbii

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Capitolo 15
*** ~ Capitolo Quattordicesimo ***


                                                                                                                               Quattordicesimo Capitolo


 

Meredith aprì gli occhi quando ormai il sole era alto, una lieve folata di vento le colpì il corpo nudo provocandole un leggero tremolio, si voltò per nascondersi meglio sotto le coperte, quando si trovò a contatto con il corpo nudo di Justin, che ignaro di tutto dormiva pacificamente.
Non l’aveva mai osservato nel totale silenzio, e ora era lì tutto per lei, forse per l’ultimo giorno, se suo padre la sera li avesse divisi.
Il petto del biondo si muoveva su e giù seguendo il proprio respiro, e Meredith osservava i muscoli del ragazzo, che se pur prorompenti non facevano di lui un ragazzo robusto, anzi, lo rendevano maledettamente sexy; Meredith poggiò delicatamente i polpastrelli delle mani sul cuore di Justin ed iniziò a sfiorarlo fino ad arrivare al suo ventre, poi scrutò i lineamenti del viso; le labbra carnose a cuoricino, gli occhi con le lunghe ciglia, e il piccolo naso, si avvicinò a Justin lasciandogli un bacio proprio su quello, poi con l’indice accarezzò il labbro inferiore del biondo, per poi baciarlo anche lì.
Forse quelle erano le ultime attenzioni che poteva dargli, forse la sera stessa si sarebbero separati, ognuno per la sua strada e lei sperava così tanto che la strada di Justin fosse felice, e per lei sperava solo di non soffrire aspettando la morte, perché si immaginava su una sedia, in un ospedale, ad osservare il mondo da una finestra, mentre qualche lacrima le rigava il volto per poi tuffarsi nelle lettere di Justin che le raccontava di aver trovato qualcun altro di amare, che adesso si stavano per sposare, e lei incapace di camminare magari, che aspettava ansiosamente la morte.
Non voleva soffrire, avrebbe preferito una pugnalata al cuore, e nella sua mente stava già preparando tutto, una morte indolore, a nessuno sarebbe importato, Justin si sarebbe ripreso col tempo.
Le lacrime ormai sgorgavano dai suoi occhi, poggiandosi sul petto nudo del biondo, Meredith le raccoglieva sistematicamente, lasciando poi una scia di baci sulla nuda pelle del ragazzo, che ancora dormiva beatamente.
Lentamente Meredith si alzò dal letto, indossò la felpa del ragazzo poggiata sulla sedia, per rendere ancora più suo quel calore e quel profumo, raccolse i capelli in una coda alta e si diresse nella cucina della suite, per vedere cosa poteva preparare per la loro ultima colazione.
Voleva che quella giornata potesse essere perfetta, fatta di piccole gioie, se pur fasulle, ma almeno si sarebbero separati con un buon ricordo l’uno dell’altro.
Prese dal frigo le uova, il latte e dalla dispensa prese la farina, poi gettò tutto in una ciotola e iniziò a mescolare, appena finito lasciò riposare l’impasto, nel frattempo posizionò la padella sui fornelli, fece sciogliere un po’ di burro e infine versò un mestolino di impasto nella padella, fece così per quattro, cinque volte, ottenendo cinque frittelle, dalla dubbia bontà, ma sapeva che Justin avrebbe comunque apprezzato, poi ne mise tre nel piatto del ragazzo e due nel suo, afferrò lo sciroppo d’acero e lo versò sulle frittelle, dandogli un aspetto leggermente più gradevole, poi poggiò i piatti sul tavolo e, trovate le cialde, preparò il caffè, versandolo poi in due tazze abbastanza alte, infine prese un po’ di latte freddo dal frigo e lo aggiunse al caffè, poggiò il tutto in due vassoi, e prima portò il suo in camera da letto, lasciando, così, dormire ancora qualche secondo il ragazzo, poi si diresse in bagno, si sciacquò il viso ancora impregnato di lacrime, poiché nessun dolore doveva trasparire, e portò anche il vassoio del ragazzo sul comodino, si avvicinò al biondo e cominciò a baciargli il collo, facendolo mugugnare all’inizio, tuttavia quando capì chi fosse, la prese dal bacino e la fece distendere sopra di lui, prendendo a baciarle l’incavo del collo.
“Buongiorno” soffiò lei, tra le braccia del ragazzo.
“Buongiorno” sorrise lui, ancora assonnato.
“Ho preparato la colazione” fece lei, tutta entusiasta.
“Il tuo profumo è inebriante” Justin le spostò la coda dall’altra parte e prese a morderle la spalla.
“Dai, adesso basta, mangiamo” Meredith cacciò indietro le lacrime, e porse al ragazzo il vassoio, poi si sedette accanto a lui e prese il suo.
Justin sembrava apprezzare il tutto, poiché non proferì parola per almeno dieci minuti, e mangiò estasiato ogni boccone, assumendo buffe espressioni che portavano la bionda a ridere di sottecchi.
“Buone?” disse lei, quando ormai il ragazzo guardava desideroso anche le sue.
“Sì, sarai un’ottima moglie, e un’ottima cuoca” rise lui.
“Già..” quella era una di quelle frasi che la ragazza sperava che Justin non pronunciasse, e invece eccola là, ed il suo umore si incupì all’istante.
“Ehi?” Justin avvicinò la testa alla spalla della ragazza, lasciandole un piccolo bacio.
“Che c’è?” chiese lei, cercando di tornare alla normalità che sperava per quella giornata.
“Vuoi fare metà delle tue con me?” Justin assunse una faccia da cane bastonato.
“Sei un’animale, ne hai mangiate già tre e hai bevuto tutto il tuo caffè” sbuffò lei.
“Dai, dai, dai, dai..” ora lui la guardava di sottecchi, mentre lei rimaneva impassibile.
“Ma io ho fame” mise il broncio anche lei.
“Sei un mostro egoista” sbuffò anche lui.
“E tu diventerai ciccione” fece lei, con un’aria superiore.
“Meredith poggia il vassoio sul comodino”.
La ragazza incuriosita lo poggiò sul comodino, poi Justin si gettò a peso morto sopra di lei ed iniziò a torturarle le spalle affondando i denti e lasciando morsi quasi dolorosi, mentre lei indispettita cercava di liberarsi, e lanciava piccoli urletti che poi si trasformavano in grosse risate, poi finalmente, quando anche lui si stancò, la lasciò andare “Allora? Mi dai queste frittelle?”.
“Prenditele, basta che non mi mordi più”.
Ora lui, tutto felice, iniziò ad ingurgitare anche le sue frittelle.
Meredith andò in bagno, aprì l’acqua della doccia, tornò in camera e si svestì della felpa e delle mutande, mentre Justin, che ormai aveva finito di mangiare, la scrutava leccandosi e mordendosi le labbra, poi si accorse anche lui di essere nudo, affiancò la bionda e la seguì in bagno.
“Scusa che stai facendo?” chiese lei.
“Devo farmi la doccia, no?” sorrise lui.
“Ma ci sono io” fece lei, cercando di trattenersi dal ridere.
“La doccia da soli è noiosa, dai entra” Justin le diede una piccola spinta, facendola entrare dentro la doccia, poi diede un’ultima occhiata alla ragazza, ed entrò anche lui.
La doccia era abbastanza grande per stare comodamente in due, eppure Justin rimaneva attaccato al petto della ragazza, accarezzandole il seno.
“Sei bellissima” sussurrò poi.
“Grazie” sorrise lei, prendendolo in giro.
Justin afferrò il bagnoschiuma dal mobiletto accanto, ne versò un po’ sulla spugna, e lentamente iniziò a strofinarla sulla schiena della ragazza, che ogni qualvolta incontrava le dite affusolate di Justin, emetteva un leggero tremolio.
“Girati” fece lui, lei si girò e il biondo iniziò a strofinarle il petto, poi scese lungo il suo corpo, e durante la risalita si fermò sulla sua intimità, l’avvicinò a se e lasciò anche lì una scia di baci, che fecero gemere la ragazza, poi lei afferrò la spugna e, come il ragazzo, la strofinò prima lungo tutta la schiena, poi per il corpo e infine si fermò sul ventre del ragazzo, baciandolo appassionatamente, quando Justin le afferrò la testa e la avvicinò ancora di più alla sua intimità, gemendo anche lui.
Nessuno dei due venne, eppure entrambi ne avevano maledettamente voglia, così prima di sciacquarsi Justin la prese saldamente dal sedere la sollevò, facendola aderire con la schiena al vetro della doccia, ed entrò dentro di lei, e con pochi precisi movimenti entrambi giunsero al piacere, si tolsero la schiuma di dosso, e finalmente uscirono dalla doccia.

Il tramonto arrivò troppo presto, i ragazzi finirono di prepararsi, Justin indossò un paio di jeans scuri, una maglietta stretta bianca e una giacca di pelle, Meredith un abito lungo e aderente bianco, con la schiena scoperta se non unita da una piccola fascia che univa le due estremità dell’abito in argento, e un paio di decolté anch’essi argento, pensarono entrambi, che dopo la cena, comunque fosse andata, avrebbero passato una serata indimenticabile, proprio come tutta quella giornata.
Meredith si diede un’ultima occhiata, passò un po’ di rossetto rosso sulle labbra e legò i capelli in una coda alta ed elegante, poi vide Justin avvicinarsi a lei.
“Ho una cosa per te” sorrise lui.
“Per me?” chiese incredula lei.
Justin tirò fuori dalla tasca una lunga bustina, estraendo una collana a girocollo di perle, poi si posizionò dietro la ragazza e delicatamente gliela mise.
“Sei pazzo.. cioè, è stupenda… ma… insomma Justin… ti sarà costata un botto, dio sei un’idiota lo guardò negli occhi ma ti amo”.
“Ti amo anche io biondona sexy” l’avvicinò a sé e l’abbraccio, tenendola stretta, per non farla scappare, mai.
“Ora andiamo” Meredith afferrò la mano del ragazzo e si diressero al ristorante dell’hotel.
Da lontano scorsero l’uomo che fino a quel giorno avevano visto solo attraverso delle vecchie foto, gli fecero segnale e lui si avvicinò un po’ stizzito.
“Salve” fece lui.
“Salve” dissero in coro i ragazzi.
“Accomodatevi”, Justin e Meredith si sedettero vicino, tenendosi la mano sotto il tavolo.
“Allora lei è la signora Veronica?” chiese Manuel.
“In realtà sono tua figlia” disse con una strana tranquillità la bionda.
“Scusi come?” sgranò gli occhi lui.
“Si, sono tua figlia Meredith, e sono venuta per chiudere una volta per tutte questa storia, e so bene che sai chi sono, e so che la polizia mi sta cercando, e che forse sono stata idiota a praticamente consegnarmi, ma è arrivata l’ora della verità” la bionda strinse la mano di Justin, che delicatamente accarezzo la sua.
“Non c’è nessuna verità” fece lui, alzando le spalle, ma parecchio nervoso.
“C’è tanta verità, ed io la voglio tutta, poi se vuoi tornerò in collegio, aspetterò di morire così come tu hai designato per me, ma adesso esigo la verità” sbottò lei, faticando a trattenere le lacrime.
“Bene, cosa vuoi sapere?” la incalzò lui.
“Tutto” sospirò lei.
“Anni fa, come sicuramente saprai, perché non mi sembri stupida, persi una figlia, la mia cara bambina, perché non c’era nessun donatore di polmone, e morì. Ne soffrii così tanto, e non ero arrabbiato, ero solo ferito, poi scoprii che eri nata esattamente il giorno in cui lei morì, mi sembrò così crudele, tu dovevi pagarla, e pensai a un piano, e me ne venne uno geniale; un collegio di donatori, tutto a scopo benefico secondo il mondo, ma non volevo uccidere nessuno, volevo solo uccidere te, poi sei scappata, e dio solo sa quanta rabbia ho provato e adesso sei qua, finalmente” raccontò lui, con una luce crudele negli occhi, che fece tremare i ragazzi.
“Lei non può uccidere Meredith” sbottò finalmente Justin.
“E tu chi saresti?” chiese l’uomo ridendo dall’affermazione del ragazzo.
“Non importa chi sono, so che lei è il padre di questa ragazza, la guardi, guardi i suoi occhi, i suoi capelli, guardi quanto è bella, guardi quanto è fragile, come può pensare di farle del male, e se solo la conoscesse, lei saprebbe quanto è speciale, la prego” Justin sussurrò le ultime due parole, che uscirono come una vera e propria supplica.
“Ormai i patti sono fatti, quando Meredith morirà poi chiuderò il centro, non ho intenzione di uccidere nessuno a parte lei” disse semplicemente lui, come se quella frase fosse la più normale.
“Ma…” Meredith strinse la mano di Justin, facendolo tacere, “Justin basta, non importa. Morirò, lo accetto, ma ti prego, ti prego, prometti che chiuderai la scuola, e morirò felice e sicura di aver fatto almeno del bene”.
“La chiuderò se è questo che vuoi, ma devo avere la mia vendetta” sorrise sghembo lui.
“Va bene. Ma un’ultima cosa… Non voglio tornare in collegio, starò con Justin, e non appena troverai qualcuno che avrà bisogno dei miei organi io verrò, ma non togliermi questi ultimi giorni con lui” Meredith  asciugò le piccole lacrime che le stavano per sgorgare.
“Sarà fatto” sorrise lui, sentendosi, forse, una persona migliore.
“Grazie” Meredith si alzò, e seguita da Justin lasciarono il salone, ma non dopo aver dato il loro numero di telefono al padre.
“Tu sei pazza, potevamo farcela” urlò lui in mezzo alla strada.
“Non importa, per favore Justin, non urlare” adesso le lacrime potevano prendere il loro corso, e lei non ne aveva paura.
“Si che importa cazzo, hai fatto un casino Meredith, io senza di te non posso vivere, non lo capisci?” e anche lui adesso aveva il viso pieno di lacrime.
“Justin, ti prego, ti prego, questa deve essere la nostra serata” Meredith, si aggrappò alla giacca del biondo, supplicandolo.
“Non ci riesco” Justin si voltò ed iniziò a correre per la città, lasciando Meredith da sola su quel marciapiede, per poi accasciarsi al pavimento e piangere senza smettere.
Qualche minuto dopo il telefono di Justin, che aveva lei, iniziò a squillare.
“Pronto?” rispose lei, tirando su col naso.
“Salve sono il dottor Mike, è la madre di Justin?” fece l’uomo.
“No, ma sono la ragazza mi dica pure” Meredith cercava di trattenersi.
“Purtroppo abbiamo una brutta notizia, abbiamo appena preso in mano le analisi che Justin aveva fatto parecchi mesi fa, dato che ci aveva chiesto di non guardarle subito, purtroppo il soffio al cuore è diventato sempre più grande, e non rimane altro che sperare in un trapianto, o Justin morirà”.






















Spazio Autrice 

Hola.
Ok, mi volete sicuramente uccidere, scusatemi, vi giuro, mi sento in colpa in un modo assurdo, ma avete presente che sono piena di studio fino alle unghia dei piedi? ecco, esattamente così.
Poi questo capitolo è molto lungo, ed è molto bello secondo me, quindi siate fiere di me lol.
Mi raccomando le recensioni che ci tengo un saccchisssimo, vi amuz.

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Capitolo 16
*** ~ Capitolo Quindicesimo ***


Vorrei dedicare questo capitolo a voi, a voi che mi seguite sin dall'inizio, a voi che leggete, a voi che recensite, e a voi che avete un po' pianto con me.

Leggete questo capitolo con sotto Believe e Nothing like us, se vi va.







 

 



                                                                                                                                   





                                                                                                                                        Quindicesimo Capitolo




Ad un tratto la vita aveva perso quel tepore che Meredith provava da quando era iniziata tutta quell’avventura.
Ormai lei vedeva la morte come un’amica che lentamente stava arrivando, ma Justin, lui era così fragile, così indifeso, e adesso, adesso anche lui doveva lottare con questa dura realtà.
La bionda immaginò Justin nel momento in cui avrebbe appreso la notizia, lo immaginò accasciarsi per terra tremante e piangente.
Buffa la vita, lei stava salvando migliaia di vite dentro quella scuola e l’unica di cui si interessava si stava affievolendo.
Un’idea le balenò al cervello, ed era folle, pensò alle parole dette in passato, alle promesse fatte, e questa idea divenne l’unica soluzione plausibile.
Si sarebbero amati per sempre.
Lei non sarebbe mai morta davvero, il suo cuore avrebbe continuato a battere, e loro non si sarebbero mai lasciati, o dimenticati.
Meredith si alzò da terra, dove sostava da quasi due ore, e tornò in camera dove avrebbe aspettato con ansia il ritorno di Justin, per avvisarlo di tutto.
Entrata in camera, strinse forte il cellulare che aveva tra le mani, prese un respiro e compose il numero dell’uomo che un’ora prima le aveva svelato il suo destino, aspettò qualche secondo e poi sentì il padre accettare la chiamata.
“Pronto?” rispose un po’ assonnato lui.
“Sono tua figlia. Morirò, è una promessa, ma deciderò io a chi donare i miei organi, altrimenti chiamerò la polizia e svelerò tutto, tu non avrai una vendetta e io sarò libera” Meredith decise di non proferire parola sul suo futuro con Justin, prima che l’uomo decidesse di farla vivere, ma senza il suo biondo non ne sarebbe valsa sicuramente la pena.
“Dimmi tutto” sentì il padre tirare lo sciacquone del water.
“Justin ha bisogno di un cuore, io gli donerò il mio, morirò all’istante, così tu sarai felice” la ragazza sentì il sangue raggelarsi.
“Hahah, tutto questo per un ragazzo? Nell’oltretomba te ne pentirai, ma questo è ciò che vuoi, e questo sarà fatto figlia mia” l’uomo continuava a sghignazzare.
“Non sarò mai tua. Morirò al Sant Jude, London, Ontario. Se deve succedere succederà là, mi servono solo cinque giorni” Meredith scelse l’ospedale in cui era nato Justin.
“Come vuoi. Chiamerò e provvederò. Cinque giorni, hai solo cinque giorni, poi ti verrò a cercare e ti ucciderò io con le mie mani. Ti manderò un messaggio con l’orario. Ti saluto” Manuel riattaccò il telefono lasciando nuovamente Meredith nel silenzio, poi si voltò e nella penombra vide Justin, nascosto dietro la tenda, che aveva ascoltato tutto.
“Justin, ti prego, non scappare di nuovo, ti spiegherò tutto” urlò Meredith, quando il biondo stava per avviarsi verso la porta.
“Cosa c’è da spiegare? Perché non vuoi lottare? Non capisco” il ragazzo stava per aprire la porta.
“Justin tu stai per morire” sputò fuori lei, portandosi la mano davanti alla bocca non appena ebbe pronunciato quelle parole.
Justin si bloccò davanti all’entrata, immobile, come sarebbe diventato se Meredith non gli avesse donato il cuore.
“Quando sei scappato via avevo il tuo telefono tra le mani, squillava, allora ho risposto, – la bionda fece una pausa e inspirò un po’ d’aria – era il tuo dottore, diceva di aver analizzato gli esami, e il tuo cuore non regge più quel soffio che hai, – la ragazza raccolse le lacrime dalle sue gote, e andò avvicinandosi al biondo, prendendogli la mano – morirai Justin, se solo però tu ti lasciassi salvare da me, allora tutto cambierebbe e saprei di aver salvato la persona più importante della mia vita, – Meredith strinse Justin in un abbraccio – io morirei comunque, lo sai, una vita da fuggiaschi non la voglio, voglio il meglio per te, proprio come quello che tu mi hai dato, il meglio, perché credimi mi hai dato tutto, mi hai fatto vivere una vita normale, tu hai i tuoi sogni, la tua chitarra, la tua voce, tu devi salvare la vita di milioni di ragazze, raccontagli la nostra storia, raccontagli di noi, potrai farlo, ma potrai farlo solo se ti donerò il mio cuore, - ora la bionda accarezzava la guancia di Justin, ormai bagnata, mentre lui faticava a guardarla negli occhi  alla fine, - sorrise lei – io non morirò, il mio cuore batterà ancora dentro di te, e non ci divideremo mai così”.
Un pianto silenzioso continuò per interi minuti a riempire la stanza, Justin non poteva rispondere a tutto quello che aveva detto la ragazza, era suo volere, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per cambiare le condizioni di quella scelta, tuttavia Meredith era così sicura di sé, e la conosceva, non avrebbe mai cambiato idea.
“Meredith… Perché?” chiese semplicemente lui.
“Perché ti amo” lei alzo le spalle, come se quella fosse una cosa così ovvia.
“Perché proprio all’ospedale in cui sono nato?” Justin si sedette sul letto.
“Perché voglio che il tuo nuovo inizio parti dal tuo primo inizio, poi è ora che tu vada a far visita alla tomba dei tuoi genitori” lei lo raggiunse e appoggiò una mano sulla coscia del biondo.
“E perché cinque giorni?”.
“Perché voglio scegliere tutto per il mio funerale, e voglio essere messa al cimitero di Stratford, esattamente dove un giorno mi raggiungerai tu” una lacrima rigò il viso della ragazza.
“Non c’è modo di farti cambiare idea, vero?” sorrise lui, guardando la sua cocciuta e amata ragazza.
“Assolutamente no, ora per favore andiamo a dormire” lei si alzò dal letto e gli lasciò un bacio sulla guancia, dirigendosi in bagno.
Justin prese il bigliettino che un’ora prima aveva trovato per terra, lo rigirò tra le mani, e pensando e ripensando alle parole della sua ragazza, capì che doveva renderle onore, doveva far avverare i loro desideri, afferrò il telefono, e, nonostante l’orario, mandò un messaggio al numero scritto sul foglietto, guardò per interi minuti il display e poi, finalmente, premette invio, riappoggiò il telefono sul comodino, si spogliò e scivolò sotto le coperte.
Meredith tornò dopo cinque minuti passati in bagno con la mano sul cuore, e al solo pensiero che aveva solo cinque giorni rabbrividì, ma infondo stava per salvare l’unica persona per cui valeva la pena vivere, finalmente anche lei poté stendersi su quel letto che il giorno dopo avrebbero abbandonato, e dopo qualche secondo sentì il suo ragazzo stringerla dalla vita, appoggiare la testa nell’incavo del suo collo e iniziare a piangere, eppure stava dormendo.

Erano le 10.00 quando lasciarono l’albergo, montarono in macchina e si diressero in stazione per prendere il treno che in sei ore li avrebbe condotti a Stratford, salirono sul treno alle ore 11.15 per arrivare davanti al cimitero alle 19.20.
Immobili sostavano davanti al cancello in ferro battuto, il cimitero avrebbe chiuso entro meno di un’ora, dovevano muoversi, e adesso, davanti a quel cancello nessuno riusciva a muovere un muscolo.
“Justin?” Meredith strinse la sua mano per attirare la sua attenzione.
“Dimmi” rispose lui, con lo sguardo rivolto sempre verso il cimitero.
“Non lasciare che sulla mia tomba non ci siano mai fiori, per favore, e portami tulipani, margherite, rose rosse, tutto quello che vuoi” sospirò lei, Justin scosse la testa, poi afferrò saldo la mano della ragazza ed insieme si avviarono a cercare la tomba.
“Eccola” sussurrò Justin, quando finalmente la trovarono.
Meredith si abbassò e lasciò le rose rosse sulla tomba della madre, e i tulipani gialli su quella del padre.
“Ti assomigliano” disse la ragazza, osservando le foto.
“Già.. Non ricordavo neanche i loro volti, guardali, sono stupendi, così sorridenti” il biondo nascose il viso tra le mani.
“Quando li raggiungerò gli dirò quanto li ami” la bionda sfiorò delicatamente il braccio del ragazzo.
“Basta parlare della tua morte Meredith, per favore, non è affatto facile per me, smettila, abbiamo ancora tre giorni” Justin era così frustrato.
Un messaggio smorzò il silenzio che si era creato, la ragazza prese il telefono e lesse.
“Justin” lo chiamò, mentre lui lasciava qualche bacio sulla foto della madre.
“Dimmi” lui si alzò e sforzò un sorriso.
“Non abbiamo tre giorni, domani ci operano, mi è appena arrivato il messaggio” e questa frase venne fuori così, lasciando entrambi senza parole, senza fiato.

“No” urlò Justin, quando tornarono in macchina, dopo una pausa di almeno mezzora.
“No cosa?” chiese Meredith, che ormai passava le ultime ore della sua vita.
“Dovevamo scegliere tutto, i fiori, la bara, dovevamo scegliere tutto Meredith” esalò Justin tra le lacrime.
“Justin, ci sarai solo tu, la mia bara voglio che sia bianca, non voglio lunghe cerimonie, porta il mio corpo da qualche prete, dite qualcosa, e gettatemi sotto terra, io sarò sempre viva, vicino a te, dentro di te” la ragazza era stanca ormai, non vedeva l’ora arrivasse la sua fine.
“Va bene, - Justin sospirò – dove la porto adesso, signorina?”.
“In qualunque posto, voglio fare l’amore, per l’ultima volta” sorrise lei.
Justin mise in moto e dieci minuti dopo si fermarono in aperta campagna, sotto le stelle, il biondo abbassò i sedili, e lentamente si avvicinò alle labbra della ragazza, per unirle con le sue.
Avevano solo nove ore, e Justin aveva il compito di renderle meravigliose, lo doveva alla sua bionda.
Meredith prese ad accarezzare i capelli del ragazzo, mentre lui faticava con il reggiseno della bionda, alla quale scappò un risolino, che anche Justin ricambiò, poi quando furono entrambi privi di qualsiasi indumento si guardarono a fondo, per interi minuti, senza proferire parola, Justin le diede un bacio sulla fronte, spostandole una ciocca bionda dal viso, ed entrò dentro di lei.
Passarono minuti interminabili, ad ogni spinta seguivano baci, sguardi, e mille sussurri, le gote di entrambe diventarono rosse dal tanto sforzo e le loro tempie erano madide di sudore, eppure era la notte più bella del mondo, nonostante fosse l’ultima.
Il tempo volò ed entrambi, giunti al culmine di piacere, si accasciarono sui sedili, riprendendo lentamente fiato, poi Meredith si distese sopra al ragazzo, appoggiò l’orecchio sul suo cuore, e prese a lasciargli piccoli cerchi con le unghia sul petto.
“Domani qui dentro ci sarà il mio” sorrise lei.
“Vorrei non fosse così” sospirò lui.
“Io invece è tutto ciò che desidero, vivere dentro di te per sempre” Meredith alzò il mento e puntò i suoi occhi in quelli nocciola del biondo.
“Non mi innamorerò mai di nessun altra, te lo prometto”  Justin afferrò la mano della bionda e ne baciò il dorso.
“Un giorno, quando avrai raggiunto il tuo sogno, e quando meno te lo aspetterai, ti sembrerà di vedermi tra la folla, correrai disperato, mi cercherai, e poi eccolo, troverai l’amore” sussurrò lei, all’orecchio del ragazzo.
“Non potrei mai tradirti” lui scosse la testa.
Non sarà come tradirmi, perché io voglio che sia così, devi farlo per me Justin, non soffrirai per sempre a causa mia, ma questo non vuol dire che mi dimenticherai, o che non mi amerai, sarai semplicemente andato avanti, e poi io, io ti proteggerò sempre, e sarò sempre il tuo cuore” Meredith strinse forte a sé il ragazzo.
“Quando ti ho incontrata eri così fragile, debole, e adesso guardati, mi stai proteggendo, esattamente come feci io, sei diventata una donna, la donna più bella del mondo” Justin sorrise.
“Ti amo”, la bionda chiuse gli occhi e si addormentò sul petto di Justin, che rimase solo ad ascoltare la sua ragazza respirare, perché non c’era rumore più bello.

Nove ore dopo eccoli davanti alla sala d’aspetto, mancavano gli ultimi macchinari e poi si sarebbero divisi, per sempre.
“Hai paura?” disse lei.
“Sono terrorizzato, tu?”, Justin continuava a mordersi il labbro inferiore e a torturarsi le pellicine delle dita.
“No, è la cosa giusta da fare, non devo avere paura, sto salvando te” alzò le spalle la bionda.
Il silenzio calò, e la ragazza appoggiò la testa sulla spalla del biondo, che intanto le stava accarezzando la coscia.
“Lei è Meredith Dath e lei Justin Bieber?” un dottore sulla cinquantina uscì dalla sala operatoria.
“Si, siamo noi” rispose la ragazza, alzandosi dalla sedia.
“Bene, Meredith venga a prepararsi” la bionda si avviò dietro all’uomo e sparì aldilà di una tenda.
Quando tornò era distesa su una barella, e il ragazzo con lo sguardo fisso altrove, come per non vedere la realtà.
Come poteva permettere tutto questo?
Come avrebbe vissuto la sua vita da quel momento in poi?
Tutte risposte ignote seguivano quelle domande, ma ormai i conti erano fatti, la verità era davanti ai suoi occhi.
"Ricordi quelle promesse? – la bionda asciugò una lacrima dalla gota di Justin - dicevi che mi avresti donato la vita se fosse stato necessario" Meredith baciò la mano di Justin.
"Non voglio permettertelo" ormai le lacrime sfuggivano dagli occhi del ragazzo.
"Era una promessa; Ti proteggerò per sempre" e così Meredith entrò in sala operatoria, lasciando in quel freddo edificio da solo il suo unico vero amore.

























 

Spazio Autrice;

Prima di parlare del capitolo vorrei dirvi che sono stata molto veloce a postare, mi sono finite le tre settimane di scuola più infernali che io abbia mai avuto e ho avuto tempo per scrivere.

In realtà non so come sia venuto, forse dovevo dividerlo in più capitoli, o forse no, sta di fatto che siamo giunti al termine, o quasi... questo non è l'ultimo capitolo, e chi lo sa? Magari Meredith non morirà, magari troverò il modo di salvarli, non lo so, anzi io lo so, voi no.

Non voglio fare tutti i ringraziamenti qua sotto, per i ringraziamenti aspetteremo il prossimo capitolo, sappiate solo che sono immersa nelle lacrime, questa storia mi appartiene più di quanto voi possiate crederci, l'ho scritta e mi sento talmente dentro che adesso è come abbandonare un amico.

Alla prossima ragazze.
sbii

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Capitolo 17
*** ~ Epilogo ***


                                                                                                                                                       Epilogo



                                                                                            A year later


“22 Settembre 2014.
Madison Square Garden.

E’ ormai passato un anno da quando Meredith è andata via, è ormai passato un anno da quando Scooter, il mio manager, mi ha contattato, adesso non sono più Justin Drew Bieber il canadese alla ricerca di se stesso, ma Justin Drew Bieber la popstar più amata del momento; ogni mio sogno si è realizzato, la mia storia non è più solo mia, ma di milioni di persone che grazie a me e alle mie canzoni riescono a sorridere, tuttavia c’è qualcosa che non sanno, non sanno che il mio cuore è di qualcun altro, non sanno che la notte sotto le coperte non ho quel sorriso che sfoggio durante tutte le lunghe giornate davanti le telecamere, non sanno quanto faccia male avere dentro di sé il cuore di una persona amata, che non riuscirai mai a sostituire.
Sono nel backstage del concerto più importante della mia carriera, stanotte svelerò al mondo il mio segreto, perché le mie beliebers sono tutto quello che adesso ho, voglio condividere con loro il mio amore per la bionda riccioluta che riempiva il mio cuore di gioia sorridendo.
So che lei è in cielo, che mi fa da angelo custode, mi accudisce come faceva un tempo, so che questa benedizione è merito suo, le devo tutto.

Il Madison Square Garden mi aspetta.

Arrivo Beliebers”


Justin poggiò il diario sulla scrivania, si guardò un’ultima volta nello specchio del camerino contorniato di luci, si sistemò la giacca laccata nera, e con il microfono in mano percorse i lunghi corridoi dell’arena, trovandosi davanti tutta la sua crew, che da un anno a quella parte non lo aveva mai lasciato.
Kenny, Scooter, Alfredo, Allison, Carin, Scrappy e Usher lo accolsero nel cerchio, e insieme intonarono la solita preghiera rivolta a Dio e Meredith, che come sempre li avrebbe aiutati, tutti gli sorrisero e gli diedero una pacca sulla spalla lasciandolo poi da solo dietro il gran pannello nero.
Le luci si fecero soffuse nell’arena, le urla si infittirono, Justin appoggiò la mano sul cuore per invocare Meredith, fin quando non sentì una musica soffusa, segno che doveva entrare, scosse le spalle e si addentrò dentro la grande nuvola di fumo, iniziando a cantare e ballare canzoni che lui stesso aveva composto, canzoni che tutte quelle ragazze conoscevano a memoria.

Il concerto era quasi giunto al termine, era ora di dire la verità, Dj Tay James spense la musica, Justin lasciò qualche minuto alle Beliebers per urlare, poi avvicinò il microfono alle labbra e fece un bel respiro.
“Tutti sanno la mia storia, – le Beliebers urlarono più forte – vi prego ragazze fate silenzio, non è facile per me, – un brusio di sottofondo segnò l’agitazione tra le ragazze – vengo da una piccola città del Canada, sono stato adottato, i miei genitori sono morti, ma c’è qualcosa che stasera, proprio stasera devo raccontarvi.. – Justin notò una ragazza in prima fila che lentamente si asciugava le lacrime, le ricordò così tanto la sua piccola Meredith e le parole ora erano bloccate in gola, una lacrima rigò anche il suo volto e le Beliebers iniziarono ad urlare più forte – Per favore ragazze, non fate caso a me, ascoltatemi.. Tempo fa, quasi due anni fa, conobbi una ragazza, urla strazianti si alzarono in coro – ssssh state tranquille, nella mia vita ci siete solo voi ormai, - Justin sorrise – questa ragazza scappava da un collegio dov’era stata rinchiusa tutta la vita, io non ero ancora nessuno, avevo solo un sogno, che è quello che adesso si è realizzato, ma Dio me la fece incontrare per strada, indossava una divisa, usciva dal bosco e sembrava un miracolo.. – Justin fece una pausa per asciugarsi le lacrime – Abbiamo iniziato un viaggio insieme, io alla ricerca del mio sogno e lei alla ricerca della verità, era così solare, era così piena di vita, voleva solo scoprire il mondo, non conosceva nulla, ed io mi innamorai di lei, - dei piccoli ‘awww’ si alzarono al cielo – ci aiutammo a vicenda, e questo amore era perfetto, in realtà era pieno di difficoltà ma lei lo rendeva perfetto con i suoi sorrisi spontanei, - un’altra lacrime solcava il viso del biondo – poi purtroppo, come tutte le favole, successe qualcosa, lei era nata per donare organi, e non aveva altra scelta, e credetemi abbiamo provato qualsiasi cosa ma era nata per quello ormai, e da una parte devo esserne grato, perché se c’è qualcosa che voi non sapete è che io avevo una grave malattia al cuore, – le Beliebers ormai non riuscivano a trattenere le urla smorzate dalle lacrime di dolore – il cuore che batte dentro di me non è mio, è suo, è morta salvando me e tutte le altre persone chiuse in quel collegio, era una donna speciale, mi amava e mi ha salvato, e ha salvato chissà quante vite, per favore vorrei che per un minuto dedicassimo tutte una canzone a lei, lo so che solitamente durante questa parte del concerto una di voi sale qui e realizza il suo sogno, solamente che vorrei che questa volta sia lei la mia ‘Ollg’, per voi va bene? urla di assenso riempirono l’arena facendo sorridere Justin, che diede il segnale a Dj Tay James e tutto ripartì – Prima di cominciare vorrei ringraziare voi, e spero con tutto il cuore che voi troviate un amore come quello che avevo trovato io, e non lasciatelo andare”.

Finito il concerto, Justin si fece una lunga doccia calda, sorridendo al cielo, perché finalmente il mondo poteva amare Meredith, e nella sua vita, come lei aveva desiderato, era riuscita a salvare milioni di persone.
Una passeggiata avrebbe ancora di più rallegrato l’animo di Justin, che si vestì di fretta e furia e sgattaiolò dal retro dell’arena cercando di destare meno sospetto possibile.
Si addentrò per le strade della affollata New York, il sole era ormai calato e le stelle splendevano nel cielo, Justin sapeva che tra quelle c’era Meredith che lo proteggeva dall’alto, poi qualcosa successe, mentre camminava tranquillo tra la folla vide una chioma bionda, e si sentì chiamare, chiamare da dentro, quella era Meredith, ma com’era possibile? Iniziò a correre tra la folla, fece cadere chissà quante donne, ma non importava, doveva trovare Meredith, poi la vide, girata di spalle, che rideva davanti a un carrello di fiori, la raggiunse, e ormai era a due passi da lei, le toccò la spalla e quando la bionda si girò Justin capì che non era affatto Meredith, ma comunque un angelo biondo, che gli mostrò un sorriso che solo Dio poteva donare.
“Hai bisogno di qualcosa?” chiese lei.
“No scusa, non volevo spaventarti” il biondo era paralizzato.
“Oh beh, allora ciao” lei lo salutò e si voltò di nuovo verso la donna che le stava impacchettando delle bellissime rose rosse.
Justin ci pensò su qualche minuto, e ricordò le parole di Meredith prima di morire ‘Un giorno mi vedrai tra la folla, correrai verso di me, ma non sarò io, anzi, io ti porterò da lei, e l’amerai’, il biondo dopo due anni non credeva più in quella storia, ma adesso tutto quello predetto dal suo angelo stava accadendo, e mai, mai avrebbe lasciato andare una ragazza che sorrideva in quel modo.
“Senti, scusa ancora, ma –Justin prese un respiro profondo – ti andrebbe di prendere un caffè?” il ragazzo abbassò lo sguardo, chiuse gli occhi e aspettò la risposta.
“Certo, il mio nome è Selene” la bionda sporse la mano per stringere quella del biondo.
“Piacere, io sono Justin” un enorme sorriso si aprì sul volto del ragazzo.







                                                                                   THE END.








 








 

Spazio Autrice

Sto per morire affogata tra le lacrime giuro ahaha, ok, devo calmarmi... per me non è facile, insomma ho amato con tutta me stessa scrivere questa storia, la amo davvero perché credo davvero sia diversa e ho amato il fatto che voi l'abbiate notato e ringrazio tutte quelle che ci sono sin dall'inizio con me.

Avevo promesso di aggiornare presto ma purtroppo voi capite che un epilogo deve essere perfetto e ho impiegato parecchio tempo a partorirlo ahaha.

Spero che tutte voi gradiate quanto successo e come è finita, so che vi aspettavate Meredith ma una storia prende vita quando può assomigliare alla vita reale, e poi alla fine è comunque andata bene dai!

Vi prego riempitemi di recensioni perché questo è l'epilogo e io voglio il vostro caloroso addio.


vi amo,
sbii

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