Turn it off

di Nina Pierce
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Otto anni. Nove mesi. Sette giorni. ***
Capitolo 2: *** Chicago è più bella di notte ***



Capitolo 1
*** Otto anni. Nove mesi. Sette giorni. ***


Turn it off
 

 

Otto anni. Nove mesi. Sette giorni.


Otto anni.
Nove mesi.
Sette giorni.

Stefan sospira. Oramai è divenuto un gesto abituale.
Nessuno più è lì pronto a riprenderlo, a sgridarlo per quella mancanza di forza e dignità.
Nessun precettore.
Marino è morto da troppo tempo. Ora è solo polvere seppellita sotto la dura terra di Mystic Falls.  
Nessun padre.
Giuseppe Salvatore è spirato tra le braccia di un figlio che non considerava più tale. Di un figlio che gli aveva arrecato una delusione. Di un figlio in cui, in verità, non aveva mai confidato. Morto a causa di un pezzo di legno che aveva reciso il polmone destro.
Nessuna madre.
La dolce Marianne Dubois in Salvatore è deceduta troppo presto. Aveva quattro anni quando l’edema cerebrale l’aveva strappata dalle sue braccia. Ora non riesce più nemmeno a ricordare il suo viso. Né il sorriso. Solo la ninna nanna che gli cantava quand’era bambino. È impossibile dimenticarla.
Nessun fratello maggiore.
Damon l’ha abbandonato a se stesso. O meglio, Stefan non si è premurato di avvertirlo. Era semplicemente fuggito. Non un saluto. Non un biglietto. Non un avvertimento.
Era semplicemente salito sulla sua Triumph, la sua amata motocicletta, unico bene rimastogli di Lexi, e aveva percorso gli USA.
S’era fermato solo per rifornirla di carburante. Era arrivato a Baltimore. Lì era rimasto per otto anni.
Solo.
Senza amici.
Senza la sua famiglia.
Non aveva instaurato dei rapporti umani soddisfacenti, non aveva frequentato il liceo, non parlava veramente con qualcuno. Non ha nessuno. Aveva acquistato, ammaliato i proprietari per farli andare ai Caraibi per un tempo indeterminato, un monolocale nei dintorni del porto.
È anonimo, spoglio, senza nulla di particolare.
Proprio come lui.
Se tenta di pensare al futuro, non vede che un buco nero.
Non c’è più nulla per lui.
Per quello non si stupisce quando si accorge che l’unica persona che sembra tenere a lui è la vecchietta dell’appartamento affianco.

Otto anni.
Nove mesi.
Sette giorni.

Fuggire da Mystic Falls, dalle sue responsabilità, dal suo ruolo, da tutti, è stato un obbligo. Una necessità. Non ha potuto farne a meno.
Elena amava Damon.
Damon amava Elena.
Non c’era più spazio per lui.
L’asservimento era scomparso, se mai era davvero esistito, quando Elena aveva perso la sua umanità.
Allora lui aveva capito.
Elena non era mai stata sua.
Damon avrebbe vissuto meglio senza di lui, il fratello che l’aveva condannato alla dannazione perpetua.
Caroline era abbastanza forte da potersi occupare di se stessa da sola. Era una vampira sicura e potente. Stefan non poteva essere più orgoglioso di lei.
Lasciarsi quella città maledetta alle spalle era stato il gesto più assennato che aveva compiuto da molto tempo.
Ne era pienamente convinto.
Non gli mancava nulla della sua vecchia vita.
Forse solo Damon.
Sì, tra le tante persone verso cui potere nutrire nostalgia, suo fratello era l’unico ad aver fatto breccia nel suo cuore oramai spoglio.
Non Elena, e il loro amore che aveva sempre sperato eterno.
Non Caroline, e la loro amicizia che gli faceva tornare alla mente la sua protettrice Lexi.
Solo Damon.
E Klaus.
Non l’avrebbe mai potuto ammettere, ma Klaus gli manca.
I suoi occhi blu, che sotto particolari luci sfumavano verso un azzurro più chiaro o verso un grigio scuro.
I suoi capelli biondi e ricci, indomabili.
Le sue labbra rosee e carnose.
Gli manca Klaus.
E ogni giorno trascorso lontano da lui è come un cancro che si insidia nei recessi più reconditi della sua anima.
Un cancro al cuore.
Non c’è cura per la sua malattia.
La cura è al tempo stesso il carnefice.
Ironico.
Stupido.
Inutile.
È assurdo pensare a lui, ma indispensabile farlo.
Ed è sempre il solito circolo vizioso.
Innamorarsi della persona sbagliata.
Così sciocco e insieme così dolce.
Stefan sospira ancora mentre osserva il soffitto bianco, disteso sul suo letto matrimoniale, l’unico mobilio di cui non ha voluto disfarsi.
Poi chiude gli occhi.
Non saprebbe affermare con certezza nulla riguardo l’ora, anche se nota che albeggia già sull’Oceano, il mondo intero e la sua persona stessa.
L’unica certezza che gli rimane sono gli occhi blu di Klaus.
Una costante.
Ciò che ritrova sempre quando abbassa le palpebre.
Occhi di chi ha dimenticato cosa significa la parola amore.
Occhi di chi ha sofferto.
Occhi di chi non prova più nulla di umanamente comprensibile.
Occhi che Stefan non può fare a meno di amare e odiare allo stesso tempo.
Serra lo sguardo.
Vive di sogni oramai.
Non ha più nulla.
Non prova più nulla.
Ricade in quel buco nero che lo sta inghiottendo giorno dopo giorno.
E tutto l’universo si riduce a un punto.
Klaus.

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Capitolo 2
*** Chicago è più bella di notte ***


Chicago è più bella di notte



Chicago è più bella di notte.
La vita intera sembra più facile da condurre nell’oscurità di quella madre benevola che è ignara contemplatrice di un mondo che dinanzi ai suoi occhi ciechi si mostra incorrotto.
Stefan vive bene di notte. La ama. È la sua unica e vera compagna. Amica. Sorella.
Ha trovato nella notte, amante dei poeti maledetti e dei navigatori dei folli voli, ciò che aveva perduto quando aveva abbracciato senza remore le tenebre più buie.
Lo smoking gli cade perfettamente sulle spalle larghe e virili e sul corpo tonico e muscoloso.
Il riflesso dell’unico specchio presente nel monolocale delle consorelle, come era solito appellarlo per la posizione strategica in cui si trovava, gli restituisce la perfetta immagine di un avvenente e aitante ventenne dai capelli color sabbia e gli occhi verdi.
Un demone con il viso d’angelo.
A volte crede che il Destino lo stia beffando.
Ma sono solo attimi.
Lui è un vampiro, uno Squartatore, un conquistatore.
Nulla può beffarlo.
Soddisfatto di sé, sorride alla sua immagine riflessa ed esce, pronto per una nuova caccia, una nuova preda, un nuovo gaudio.
Il Gloria’s è uno dei pochi locali in cui si possa avere del divertimento a prezzi davvero competitivi.
È il Proibizionismo.
Bisogna essere cauti e a Chicago c’è un nuovo capo della polizia.
Dicono sia crudele e non abbia timore di infliggere delle punizione adeguate a chi infrange la legge.
Stefan ride quando sente quei discorsi privi di senso da parte dei ragazzi che si divertono con lui.
Sono degli sciocchi, pavidi bambini.
Stefan non può che sentirsi superiore a loro.
«Stefan, tu non hai paura? Tuo padre non ti chiede nulla quando esci di casa?»
La voce di Timmy lo riscuote dai suoi pensieri.
Timmy è il più piccolo del gruppo, il più benestante.
Il più terrorizzato.
Sa che se venisse imprigionato, suo padre gli impedirebbe di ottenere l’eredità che gli spetta solo per nascita, non per diritto.
Stefan sorride per quella richiesta così sciocca.
Giuseppe non può più fargli paura.
Giuseppe non può più impedirgli di vivere nulla.
Giuseppe non può più piantargli tre pallottole nel petto.
« Non ho padre, Timmy. E non ho paura.»
Un uomo ride.
Virile.
Potente.
Stefan non può impedirsi di sobbalzare, con un tuffo nello stomaco che ora sembra più pesante e attorcigliato.
È qui.
È lui.
Alza lo sguardo, lo allontana da quei ragazzini e lo trova subito.
Come se un filo rosso fuoco, rosso sangue, li legasse indissolubilmente, Stefan scorge il suo uomo con i gomiti poggiati sul corrimano di legno scuro del locale.
Lo sta guardando.
Un sorrisetto, un ghigno malandrino gli arcua le labbra più rosse del consueto, segno del recente nutrimento.
Lo sguardo furbo, attento, eccitante.
Più scuro del normale.
Stefan può sentire l’eccitazione da quei pochi metri di distanza.
È strano.
Dovrebbe esserlo. Perlomeno.
Stefan oramai non si interroga più su nulla che non riguardi il colore dei capelli della sua prossima vittima.
È solo.
Rebekah dev’essere da qualche parte della metropoli che non dorme mai, intenta a nutrirsi o a indossare qualche abito di alta moda francese in uno dei rinomati atelier della città più grande dell’Illinois.
Perfetto, non dovranno nemmeno inventare qualche giustificazione per sfuggire al perenne controllo della bella Originale gelosa e protettiva.
Un tacito accordo.
Uno scambio di sguardi durato un attimo.
Stefan sa già cosa lo aspetta per le prossime tre ore.
Abbandona quel gruppo di ragazzini senza una parola e avanza sicuro verso il suo uomo.
Klaus rimane lì, con i gomiti ancora poggiati sul corrimano, le braccia incrociate e quello sguardo che sembra urlare peccato da ogni angolo.
Un unico cambiamento nella sua espressione.
Il sorriso si distende maggiormente, divenendo un vero e proprio ghigno di superiorità.
E l’eccitazione di Stefan sale.
Perché Stefan lo sa.
Sa che Klaus è più potente di lui.
Sa che Klaus potrebbe ucciderlo, distruggerlo, disintegrarlo utilizzando soltanto un quarto della sua infinita forza da ibrido Originario.
Lo sa e questo non può che farlo bruciare di frenesia e attesa.
Stefan ama il potere, ama le persone potenti e ama le persone che non hanno paura di esserlo.
Klaus incarna tutto ciò che brama di più.
Inspira la sua colonia francese mescolata con il dolce e afrodisiaco nettare degli dei.
Deve essere stata bionda, la sua ultima vittima.
Klaus evita le brune.
Stefan, in cuor suo, se ancora può essere definito tale quel cratere nero che ha al centro del petto glabro, potrebbe asserire con certezza il perché di quella istintualità.
Il suo profumo lo riempie totalmente, non lasciandogli scampo.
È in trappola.
È sotto il giogo del suo carnefice.
Klaus ha le redini.
È sempre Klaus a decidere il ritmo della loro passione.
Stefan si abbandona totalmente a lui.
Sotto di Klaus non gli importa di mostrarsi potente.
Klaus lo è per entrambi.
Stefan gli rivolge un sorriso di circostanza, imponendosi la calma e l’imperturbabilità.
Klaus non ama le debolezze.
Proprio come lui.
Stefan ha oramai imparato, dopo le tante notti trascorse tra le gelide lenzuola illuminate da una luce soffusa, ciò che allontana Klaus da lui.
Klaus non ricambia, anzi scioglie il ghigno e diviene serio.
I tratti nordici del suo viso sono quanto di più perfetto sia mai esistito.
Stefan non può che pensare che suo padre dovesse essere stato un uomo di tutto rispetto.
Klaus gli fa cenno verso le scale del locale, verso il piano superiore, verso la loro stanza.
Oramai non vi è nemmeno più bisogno di domandare la chiave a Gloria.
La bella e potente strega la lascia sempre aperta.
I due si dirigono silenziosi, ognuno immerso nei propri pensieri.
Klaus chiude la porta alle loro spalle.
La stanza è quasi anonima.
La luce di candele e il letto dalle lenzuola bianche e sintetiche sono gli unici particolari che ritrovano ogni notte.
Gloria è solita utilizzare la stanza come studio personale.
Klaus, senza una parola, ma sorridendogli quasi con allegria, incomincia a sfilargli la giacca nera che cade sul pavimento con un fruscio.
Le sue grandi mani virili vagano sulle sue spalle larghe.
I polpastrelli si fermano sul collo prima di scendere verso il petto, slacciando il primo bottone.
Stefan deglutisce e chiude gli occhi.
« No. Non oggi.»
Stefan non sa perché lo ha detto.
Non è da lui.
Non sono parole che appartengono allo Squartatore di Monterey.
«Perché?»
Una domanda lecita.
Non è arrabbiato, né irritato o indispettito.
Solo consapevole.
Perché sa ciò che sta per accadere nel petto del suo amante.
L’amore.
Stefan potrebbe governare il mondo.
È potente, meticoloso, non ha umanità.
Può essere un vero re.
Potrebbe anche superarlo in arguzia perché Stefan è imperturbabile.
Ma Stefan ama.
È questo che non lo farà mai essere grande.
Un peccato.
« Voglio qualcosa di più del sesso, Nik. Non mi basta più.»
Sincero. Frustrato. Impotente.
Klaus non sembra stupito da quella richiesta.
Come se avesse sempre saputo che un giorno Stefan avrebbe desiderato qualcosa di più profondo.
Qualcosa che lui non può offrirgli.
Klaus non ama.
La Primavera del suo cuore è sfiorita secoli prima.
E non tornerà.
Non per lui.
« Non posso aiutarti allora, Stefan. Rivolgiti a mia sorella se vuoi essere amato.»
Glaciale.
Non può impedirsi di esserlo neanche con Stefan.
Finge che non lo ferisca.
Soffoca la coscienza che gli urla che sta pugnalando alle spalle, senza ritegno, la sua sorellina, l’unica che sia rimasta al suo fianco da sempre.
L’unica che rimarrebbe al suo fianco per sempre.
Finge di non provare gelosia e rabbia quando li scorge insieme, nello stesso letto, nudi al mattino sotto le lenzuola di seta nera, la preferita di sua sorella.
Finge di non sentire i gemiti di piacere del suo Stefan che filtrano dalle mura della camera di Rebekah.
Gli riesce piuttosto bene fingere di non provare nulla.
Ma è quello il perno.
Klaus finge soltanto.
« Per te è un gioco, vero? Io sono niente per te.»
La voce di Stefan è più alta ora.
È arrabbiato.
Ferito.
Confuso.
E Klaus non fa nulla per agevolargli il compito.
Perché a lui non importa.
Klaus è l’Ibrido invincibile.
Perché dovrebbe dar conto alle parole e ai desideri di un novellino come lui?
« Non osare insultare la mia intelligenza, Stefan. E non farlo con la tua.»
Vorrebbe replicare qualcosa di migliore, di più veritiero di quell’attentato all’intelletto di entrambi.
Vorrebbe dirgli che lui è importante.
Ma è Klaus.
Non può permettersi di sbagliare.
Non con Mikael a pochi metri.
Sa che dovrebbe fuggire dalla città del vento.
Sa che dovrebbe prendere sua sorella e chiuderla nel camion con tutta la loro famiglia e andar via.
« Mi porterai con te quando andrai via?»
Si è arreso.
E le mani di Klaus che hanno ripreso a vagare per il suo corpo, sfiorando i punti che più lo eccitano, hanno aiutato molto.
Klaus gli si avvicina fino a catturargli il respiro che lascia fuoruscire dalle labbra schiuse.
Poi poggia le labbra sulle sue.
Con la gentilezza di un amante fedele e appassionato.
Lo fa sentire amato.
Perché ha bisogno del suo perdono per ciò che ha intenzione di fare. 
È un bacio calmo, tiepido, inconsueto.
Innocente.
Come non sono più da molto tempo.
« Vedremo. Per ora sono qui.»
Ed entrambi sanno che Klaus andrà via senza di lui.
Ed entrambi sanno che continueranno a cercarsi anche da lontani.
Ma solo Klaus sa che gli farà dimenticare quei momenti.
È sempre lui ad avere le redini.
Questo nessuno dovrebbe dimenticarlo.
Neanche Mikael. 

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