Guardian.

di Fog_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Essere un custode fa schifo. ***
Capitolo 2: *** Seth e Bliss ***
Capitolo 3: *** Crush 90.95 ***
Capitolo 4: *** Segreti sepolti ***
Capitolo 5: *** Problemi, adrenalina e giardinaggio ***
Capitolo 6: *** Fratello scomparso ***
Capitolo 7: *** Vampiri pt1 ***
Capitolo 8: *** Vampiri pt.2 ***



Capitolo 1
*** Essere un custode fa schifo. ***





1.
Essere un custode fa schifo.

 



Svegliati Seth, devi svegliarti. Ora.

La voce di Benjamin risuonò nella mia testa, ferma e autoritaria come lo era poche, davvero poche volte. Dovevo aver combinato qualcosa di grosso sta volta, eppure non ricordavo cosa. Aprii gli occhi e un raggio di sole mi colpì in pieno viso, costringendomi a sbattere le palpebre più volte prima di riuscire a vedere qualcosa di più che numerose macchioline colorate dannatamente fastidiose. Mentre mi guardavo intorno, cercando di capire dove fossi e cosa stessi facendo lì, mi concentrai sui respiri regolari di qualcuno sdraiato al mio fianco. Una ragazza. Nuda. Allungai una mano verso di lei e i ricordi riaffiorarono alla mente mentre osservavo i suoi lunghi capelli biondi sparsi disordinatamente sul cuscino e sulle sue spalle, come a voler proteggere il suo corpo inerme. Che poi, proteggere da cosa? Io ero un angelo, io proteggevo le persone, non erano loro che si difendevano da me. Sorrisi maliziosamente e mi alzai dal letto costatando che si, anche io ero nudo e, guardando il mio riflesso in uno dei tanti specchi della stanza, che avevo passato una notte decisamente tormentata. Beh, piacevolmente tormentata s’intende.
«Amico, sei nei guai» non sobbalzai quando la voce di Benjamin giunse alle mie orecchie, più reale e meno autoritaria di prima. Era alle mie spalle, a braccia conserte e con aria rassegnata, quasi afflitta. Avrei voluto dire che lo sapevo grazie a qualche potere straordinario, ma, in realtà, era grazie allo specchio. Essere un angelo non era poi questa gran cosa.
«Ho sentito questa frase fin troppe volte perché possa turbarmi» affermai girandomi verso di lui con aria strafottente. Benjamin sostenne il mio sguardo, gli occhi verdi ridotti quasi a fessura, le ali bianche spiegate alle sue spalle. Erano candide da far venire il vomito, le mie non erano così da un pezzo. Un demone mancato non diventa angelo senza difficoltà.
«Che ci fai qui?» chiese Benjamin sospirando e lasciandosi cadere su una poltrona nell’angolo della stanza, tutta sui toni del rosa e bianco. Puah.
«Penso sia chiaro» risposi indicando con un cenno del mento la biondina che ancora dormiva tranquilla.
«Seth, scusa, non potresti vestirti? Il tuo coso all’aria non è proprio una bella vista» Ben increspò le labbra per evidenziare il suo disgusto e la cosa mi fece ridere. Cercai con lo sguardo i miei boxer, erano ai piedi del letto, sommersi da un tanga in pizzo e un super push-up rosa pallido con una spallina strappata. Carino.
«Allora? Cosa avrei fatto di così grave?» domandai mentre mi infilavo i boxer neri, saltellando prima su una gamba poi sull’altra.
«Avresti dovuto essere con Michelle ieri sera, ora che non sei assegnato a nessuno ti hanno messo di vedetta con lei, lo sai questo vero?»
«Oh andiamo, non succede mai niente di interessante! Ho pensato di andare in giro a divertirmi con Matt»
«Mat… lo sai che non possiamo avere contatti con gli angeli caduti»
«Andiamo Ben, vai al sodo»
«Michelle ieri sera è stata ferita, ha cercato di salvare un gruppo di ragazzi da un demone e questo l’ha graffiata. Sai cosa significa.»
«Ma che palle, per una volta che non ci sono arriva l’azione!»
«Non scherzare, sei stato convocato dal consiglio»
«Da Alaric?»
«Devi dargli del lei, è uno dei massimi esponenti del consiglio»
«Beh, se Alaric voleva vedermi bastava chiamare»
«Basta, sei senza speranza, ci vediamo al cancello»
Ben sbuffò scocciato del mio ghigno divertito e, esasperato, scomparve dalla mia vista prima che potessi controbattere, lasciando solo una folata di vento come segno del suo passaggio.
Probabilmente, in qualità di angelo e ancora prima di essere umano, avrei dovuto sentirmi in colpa per ciò che era successo a Michelle, ma in realtà me ne sbattevo altamente. Quella brunetta sotuttoio non l’avevo mai sopportata più di tanto, che differenza poteva fare un angelo in più o un angelo in meno? Soprattutto se si trattava di Michelle. 
«Chi sei?» una flebile voce ruppe il silenzio della stanza, accompagnata dal fruscio delle lenzuola di seta.
Mi affrettai a cercare il resto dei vestiti, avevo solo qualche minuto, poi la ragazza di cui non conoscevo neanche il nome si sarebbe svegliata. I jeans erano sulla poltrona dove prima era seduto Ben, la maglietta grigia accartocciata sul comodino. «Dove vai?» continuò lei agitandosi nel letto. Infilai velocemente la maglietta e abbottonai i jeans, poi mi affacciai alla finestra un’ultima volta, prima di andare su.
La città dormiva sotto le prime luci dell’alba, solo poche macchine occupavano le strade, i più mattutini già correvano lungo i marciapiedi. L’aria gelida di novembre sembrava attraversare i vetri ed entrarti nelle ossa, assomigliava molto a cosa sentivo abitualmente. Niente. Il vuoto. Il gelo.
Tirai un sospiro profondo cercando di scacciare quella sensazione ma non accadde niente, così abbassai lo sguardo sul bracciale di pelle nera che mi circondava il polso, lo scostai per scoprire le due piccole incisioni scure, due ali, le sfiorai con un dito e in un attimo la stanza scomparve. 
 
«Seth, promettimi che sarai gentile ed educato»
Benjamin correva per tenere il mio passo, era almeno mezz’ora che continuava a ripetermi cosa dovevo e non dovevo fare, come se avessi davvero potuto ascoltarlo. La sua ingenuità mi colpiva sempre.
«Seth!» il suo grido venne coperto dai cigolii che produsse il grande cancello dorato aprendosi. Davanti ai nostri occhi comparve il giardino fiorente dell’enorme palazzo del consiglio, un posto che gli angeli, di solito, si sognano di vedere. Beh, per me questo non valeva. Gli angeli venivano richiamati dal consiglio solo per due differenti motivi: 1) Buona condotta, e questo prevedeva una promozione e 2) Pessima condotta e si, era il mio caso. C’erano troppe regole da seguire in quel posto, anche volendo non sarei mai riuscito ad impararle tutte –Ben ci era riuscito, non chiedetemi come-, quindi visitavo quel posto molto spesso, potevo quasi chiamarlo “casa”, anche perché…
«Ehi zio» salutai non appena spalancai il possente portone dell’ingresso. Sentii Benjamin sbattersi una mano sulla fronte e metà della sembrò volermi lapidare con lo sguardo –probabilmente ne erano anche capaci-. L’uomo in cima alla grande scalinata, invece, si girò con tutta la calma del mondo e mi sorrise confortevole, sbattendo le grandi ali bianche in segno di saluto.
«Giovane nipote, benvenuto»
Ecco, Alaric era un mio pro pro pro pro zio.
Anche gli angeli avevano delle parentele, lui era nel mio albero genealogico sulla terra e continuava ad esserlo qui, nel suddetto Aldilà. Probabilmente era grazie a lui che mi ritrovavo qui su anziché all’inferno, anche se essere un demone doveva essere diecimila volte più divertente che fare da balia a stupidi umani.
«Grazie Benjamin per averlo portato qui»
«Non si preoccupi, Arcangelo»
Zio Alaric sembrava tutto fuorché un arcangelo. Insomma, voi come vi aspettereste che fosse un angelo dei ranghi più alti? Vecchio, barba bianca, aria saggia? Sbagliato. Alaric parlava come se fossimo nell ‘800, ma sembrava un uomo che aveva appena passato i trenta, capelli scuri e occhi color oro, barbetta incolta che lo faceva sembrare più figo. Ah, e se ve lo state chiedendo no, gli angeli non indossano lunghe tuniche bianche, ma di solito prediligono abiti dai colori pastello. Tranne me, s’intende.
«Volevi vedermi?»
«Ti prego di seguirmi, Seth» Alaric mi fece cenno di seguirlo, così sbuffai alla vista di tutte quelle scale e lo raggiunsi, borbottando lamentele sotto voce. Superata gli infiniti gradini seguii Alaric in un lungo corridoio illuminato da qualche lampadario sparso qua e la, sulle pareti erano dipinti affreschi raffiguranti le numerose imprese degli arcangeli – e credetemi, erano davvero tante-
«Credo che Benjamin ti abbia riferito cosa è accaduto a Michelle l’altra notte» disse zio mentre apriva una porta identica a tutte le altre. Mi lasciò passare per primo, poi si richiuse la porta alle spalle e schioccò le dita, illuminando la stanza con piccole fiaccole tutt’intorno.
«Si riprenderà?» chiesi, non che me ne fregasse più di tanto, ma per quanto non riuscissi proprio a dare del “lei”a mio zio, un po’ più di rispetto verso di lui lo nutrivo. Era più forte di me.
«Preghiamo perché guarisca, ma conosci i rischi di un graffio di demone» rispose con sguardo sinceramente addolorato, tanto da farmi venire il vomito. «Tuttavia ti ho contattato per un altro motivo. Il consiglio è preoccupato per te, Seth. La tua condotta ci sta agitando, potrebbero strapparti le ali»
La notizia non mi sconvolse più di tanto, sapevo che sarebbe stata un’opzione possibile e, a dirla tutta, non mi sembrava poi una cosa così tremenda. Vivere sulla terra, senza regole e turni di baby-sitting. Insomma, una pacchia.
Zio Alaric notò il mio sorrisetto e mi fulminò con lo sguardo, consapevole del fatto che farmi strappare le ali non mi sarebbe dispiaciuto più di tanto.
«è molto disonorevole per un angelo farsi strappare le ali e non posso permettere che ciò accada a qualcuno della mia stirpe, quindi ti do un ultima possibilità» la voce di Alaric si fece grave e un lieve battito delle grandi ali mi confermò la sua agitazione. Voleva davvero salvarmi.
«Perché dovrebbe interessarmi?»domandai guardandolo con sfida .«perché pensi che io voglia essere salvato?»
«Perché infondo so che non aspetti altro»
«Cosa dovrei fare, sentiamo»
«Al momento non sei affidato a nessuno, vero?»
Sorrisi, l’ultimo umano che mi avevano affidato era impazzito e al momento era rinchiuso in una clinica psichiatrica perché “una voce lo tormentava”. Chissà di chi era.
«No» risposi semplicemente, cercando di nascondere il mio ghigno.
«Michelle invece si, era la custode di una ragazza. Bliss. Vorrei affidarla a te» negli occhi di Alaric notai un luccichio sinistro che non mi disse niente di buono, mi fece quasi rabbrividire, e per far rabbrividire me ce ne voleva. Non volevo tornare a fare il baby sitter, eppure qualcosa mi spinse ad accettare. Fu come un comando interno, un obbligo posto dalla mia coscienza, mettendo che gli angeli avessero una coscienza.
«Come la trovo? Dove devo andare?» domandai incrociando le braccia al petto, il “si” era nascosto tra le righe.
«Sapevo che avresti accettato» zio Alaric fece un enorme sorriso e mi diede una pacca sulla spalla, rassicurante. «Sono sicuro che ti piacerà, anche perché torni nella tua città, torni a Brighton»
Fu strano sentirselo dire, non mettevo piede in quella città che consideravo “casa” da tanto, troppo tempo.
Non c’era niente di strano in quella scena, eppure un formicolio alla base del collo mi indusse a pensare che il mio incarico sarebbe stato più difficile del previsto.

Note autore:
Ciao!
Beh, grazie a chi è arrivato a leggere fin qui prima di tutto ahahaha
Ok, se che è una cagata, però ero ispirata e ho steso questo capitolo.
Ho pensato che, dopo le centinaia di libri sovrannaturali che ho letto, scrivere qualcosa di vagamente simile - o almeno provarci- sarebbe stato carino :)
Non vi annoio con altre parole, solo lasciate un segno del vostro passaggio con qualche parola, io sono qui ad aspettare!
Alla prossima, Fog_



 

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Capitolo 2
*** Seth e Bliss ***



2.
Seth e Bliss


Un mese dopo

 

BLISS

Un urlo squarciò il silenzio.
Spalancai gli occhi e mi guardai intorno, stordita dal battito frenetico del mio cuore. Sentivo lo stomaco contorcersi e una sensazione di panico farsi strada dal centro del petto, ma nella stanza tutto sembrava normale. Dovevo essere stata io a gridare.
Nascosi la faccia contro il cuscino e chiusi gli occhi mentre frammenti dell’incubo mi riaffioravano in mente. Questa volta era diverso dagli altri, ma alla fine il soggetto era sempre lo stesso. Un paio di occhi verdi che conoscevo fin troppo bene, forse perché erano identici ai miei. Quelli di mio fratello.
Troppo scossa per tornare a dormire scalciai le coperte fino a liberarmene completamente e mi costrinsi a mettermi seduta per poi alzarmi e trascinare i piedi fino allo specchio. Due occhiaie violacee incorniciavano gli occhi, più spenti del solito, e il trucco della serata precedente era colato lungo le guancie. I capelli erano trattenuti da una treccia scomposta, la pelle sembrava più bianca del solito.
Dovevo smetterla di tornare così tardi a casa.
Constatai che una doccia era l’unico rimedio a quel disastro, così scesi le scale in punta di piedi e attraversai il corridoio senza far rumore. Una volta chiusa in bagno lasciai scivolare gli enormi pantaloni del pigiama lungo le gambe e feci passare il top da sopra la testa, poi aprii l’acqua bollente e mi ci gettai sotto. Magari tutto quel calore sarebbe riuscito anche a calmarmi i nervi.
Mezz’ora dopo ero di nuovo davanti allo specchio, ma il mio aspetto era leggermente migliorato. I capelli, ancora umidi, scendevano oltre le spalle formando piccole onde, un po’ di fard aveva donato colore alle mie guancie e stavo ripassando la matita lungo tutto il contorno occhi. Un gesto di routine ormai. Ad opera completata mi osservai un’ultima volta e quasi mi sembrò di riascoltare la voce di mio fratello che diceva «sembri un panda», ma scossi la testa e mi convinsi che era solo immaginazione. Ultimamente il mio cervello mi giocava brutti scherzi.
Sospirando mi diressi all’armadio e indossai il primo paio di pantaloni che trovai, non che ci fosse tanta scelta dato che erano tutti rigorosamente a sigaretta, poi indossai un reggiseno qualunque e mi coprii con una di quelle familiari felpe nascoste nell’ultimo cassetto. Felpe grandi il doppio di me, con un buon profumo di cannella e altre spezie. Felpe piene di ricordi.
Il suono di un clacson mi distolse dai pensieri e capii che era ora di andare. Arrivai al piano terra senza produrre il minimo scricchiolio, non volevo svegliare i miei, poi mi allungai per prendere la tracolla di pelle dal divano e, tirandomi il cappuccio sui capelli, uscii in quella nuvolosa giornata invernale.
Allyson, la persona che più assomigliava ad una migliore amica nell’ultimo periodo, mi salutò con il solito sorriso splendente da dietro il parabrezza. La raggiunsi nella sua Mini, felice della positività che si portava dietro, e mi sedetti sul sedile del passeggero. Ally non mi diede neanche il tempo di salutarla che poggiò sulle mie gambe un sacchetto di carta bollente. L’odore che ne fuoriusciva mi fece subito pensare alle ciambelle. La mia felicità improvvisamente si smorzò.
«Ho comprato una dozzina di ciambelline glassate, giusto per iniziare bene la giornata» disse inserendo la retromarcia per uscire dal vialetto di casa. Mi guardò in attesa dei salti di gioia che, però, non arrivarono. A malapena riuscii a fingere un sorriso.
«Dai Bliss, facciamo a metà! Sono solo ciambelle, sai quanto sono buone» continuò lei guardandomi con aria supplichevole. Le restituii lo sguardo, tutt’altro che felice, e ingoiai il groppo che mi si era formato in gola. Accettai la sua proposta nonostante il mio stomaco si fosse chiuso soltanto all’idea di mangiare quelle cose vomitevoli e aprii la busta con una lentezza surreale, tanto che Ally staccò una mano dal volante e la gettò a capofitto nel sacchetto, stanca di aspettare. Ne estrasse un cerchietto di pasta fritta ricoperto di glassa rosa. Non mangiavo una cosa del genere da almeno un anno. Avevo voglia di riprendere in quel momento? Assolutamente no.
«Ally…» dissi ancora, ma lei mi fulminò con lo sguardo prima che potessi aggiungere altro. Lo faceva per il mio bene. Mentre la macchina attraversava il lungomare in tutta la sua lunghezza per raggiungere la nostra scuola, mi decisi a mangiare almeno una ciambella. La ficcai tutta in bocca e dopo averla masticata si e no due volte la buttai giù, senza pensarci. Subito però me ne pentii. Il mio stomaco non riusciva più a sopportare cose come quella.
«ho capito, da’ qui» borbottò Ally che doveva aver notato la mia aria disgustata. Afferrò la busta di carta e se la poggiò sulle gambe, poi mangiò un’altra ciambella, soddisfatta. Ally era un pozzo senza fondo, seriamente. Mangiava cibo in quantità industriale dalla mattina alla sera e qual’era il bello? Non ingrassava mai. Avevo sempre voluto essere come lei, di certo non mi sarei cacciata nei guai in cui ero.
Sperando che la musica riuscisse ad alleggerire l’aria che si era creata mi allungai verso la radio e la accesi, era programmata sulla nostra stazione preferita: “Wave”. Le note di una vecchia canzone dei Queen si diffusero nell’abitacolo. Io ed Ally ci scambiammo uno sguardo d’intesa, poi un sorriso e, come nostro solito, iniziammo a cantare a squarciagola. Ora si che la giornata poteva iniziare.
 
Allyson parcheggiò la Mini nell’aria riservata agli studenti del quarto anno e insieme attraversammo il cortile anteriore del grande palazzo in mattoni rossi comunemente chiamato Brighton High School. Era una struttura a tre piani, quattro se si contano la colonna della campana, in corrispondenza del grande portone d’ingresso, e le due stanze adiacenti, una a destra e una a sinistra. Sul retro c’era la mensa, una costruzione a parte rispetto all’edificio principale, e i campi di rugby e lacrosse. Insomma, era un posticino tranquillo. L’avevo sempre considerato casa.
Tranne nell’ultimo mese.
Al solo pensiero un brivido mi percorse la schiena.
Era un po’ di tempo che qualcosa di strano circolava nell’aria. Avevo un brutto presentimento ogni volta che mettevo piede a scuola, come se ci fosse qualcosa di diverso, ma non riuscivo a capire cosa. Era piuttosto snervante, non mi sentivo al sicuro, anche se probabilmente era solo la mia immaginazione. Una conseguenza agli eventi degli ultimi mesi.
Presi a guardarmi intorno frettolosamente mentre Ally mi parlava del suo ultimo viaggio in America, ispezionai ogni centimetro di spazio davanti a noi, eppure non vidi niente di sospetto. Tirai un sospiro di sollievo… sospiro che si smorzò non appena incontrai un paio di familiari occhi color nocciola. Logan.
Era seduto sugli scaloni di marmo davanti al portone, i capelli biondi sempre perfetti e il famigliare maglione blu con lo stemma della sua famiglia che indossava sempre in quel periodo. Era con Cher e Zach, come loro solito, quindi non mi salutò. Si limitò a un mezzo sorriso e fu più di quanto potessi sperare.
«è bellissimo» esclamò Abby stoppando il suo discorso e fermandosi improvvisamente. Puntò lo sguardo nella stessa direzione della mia e sospirò.
«Lo so» concordai sicura che si riferisse a Logan, anche se non ricordavo che Abby lo apprezzasse così tanto. A lei piacevano i tipi misteriosi, i cattivi ragazzi… come non detto. Mi bastò far scorrere lo sguardo di poco per trovare il vero soggetto del desiderio di Ally. Camminava con le mani in tasca e lo sguardo fermo davanti a se, il cappuccio della felpa lasciava intravedere un ciuffo di capelli castani e i lineamenti perfetti del viso. Doveva essere il ragazzo nuovo, era qui già da un mese e quella era la prima volta che lo vedevo. Si stava avvicinando agli altri e Logan si alzò per andargli in contro, gli allungò la mano e si salutarono. Il novellino era più alto e più asciutto dell’altro, ma meno muscoloso. Sembrava bello, se non fosse che trasudava pericolo da tutti i pori.
«Si chiama Seth Porter, si è trasferito qui dal nord Inghilterra, viveva in un paesino chiamato Paradise City» Mi sussurrò Ally nell’orecchio, come se lui avesse potuto sentirci «ho saputo certe storie sul suo conto…»
All’improvviso, come se sapesse che stavamo parlando di lui, Seth si girò a guardarci. No, non a guardarci, a guardarmi. Incrociai i suoi occhi, dannatamente terrificanti, e per un secondo mi sentii disorientata.
Dal sorrisetto beffardo che indossava capii che lui, in qualche modo, sapeva di essere al centro dei nostri discorsi.
«Da lui si che mi farei fare di tutto» commentò la mia amica beccandosi una mia occhiataccia.
«è inquietante» dissi con tono autoritario come a mettere una pietra sul discorso. Un ultimo brivido mi percorse mentre mi giravo per dargli le spalle, così afferrai Ally per il gomito, la trascinai su per gli scaloni e subito dopo oltre l’imponente portone di scuola. Ci mischiammo tra la folla degli altri studenti di Brighton e già mi sentii più tranquilla. Lontana da Logan, lontana dal tipo misterioso, lontana dai guai. Per ora.
 
 
 
 
 
SETH
 
«A cosa è dovuto quel sorrisetto?» chiese Cher dopo avermi osservato attentamente, gli occhi carichi di malizia. Pensava di essere sempre nei miei pensieri. Non che mi dispiacesse, ma avevo cose più importanti di cui occuparmi in quel momento.
«Niente, pensavo» risposi vago, tornando a guardare Bliss. Era la prima volta che ricambiava il mio sguardo in un mese, era un giorno da festeggiare. Comunque continuavo a pensare che ci fosse qualcosa di strano in lei. Per prima cosa nessuno, lì alla Brighton, sembrava sapere niente di lei o, almeno, fingevano. Secondo, non l’avevo mai vista fuori da scuola: niente locali la sera, niente passeggiate al parco, niente vita sociale. A pensarci bene l’unica persona con cui l’avevo mai vista parlare era quella sua stramba amica dai capelli rossi, Allyson Sutton. Punto tre, era fin troppo magra e fin troppo alta per gli standard di una ragazza normale. Dovevo anche ammettere che era anche piuttosto bella, il che mi rimandava alla domanda principale: Perché tutti sembravano evitarla? C’era una fitta coltre di nebbia intorno a Bliss Strathmore, ma, ehi, io ero il suo angelo custode, chi meglio di me poteva scavare nel suo passato?
«Seth, sta sera sei dei nostri?» la domanda di Logan mi riportò con i piedi per terra. Lo guardai interrogativo mentre cercavo di ricordarmi cosa ci fosse quella sera. Non mi venne in mente niente.
«Oggi è venerdi, è il giorno del Crush» spiegò Zach sporgendosi dal gradino superiore delle scale. Un campanellino si illuminò nella mia testa. Il Crush 95.90 era uno dei locali per ragazzi più esclusivi della città, caratterizzato dalla fascia di età limitata e reso inaccessibile a chiunque non ne fosse degno grazie all’elevato prezzo d’entrata. Per Zach, Logan e Cher naturalmente i soldi non erano un problema e andavano al Crash ogni venerdì notte, dove ormai avevano un tavolo riservato nel privè.
«Sarà la tua iniziazione» continuò Logan per convincermi «non puoi essere uno di noi a tutti gli effetti se non hai il pass del Crush»
«E poi, sarai al nostro tavolo, dovresti considerarti fortunato» aggiunse Cher. A quei tre sembrava davvero impossibile poter dire di no.
Infondo non vedevo niente di male nel passare una serata di divertimento, anche perché con loro ci si divertiva sicuro. E poi Cher era davvero un bel bocconcino, potevo sfogare su di lei la frustrazione che mi provocava il non riuscire a scoprire niente di Bliss.
«Sono dei vostri» annunciai sorridendo nel preciso istante in cui suonò la prima campanella. Cher mi si gettò al collo, contenta della mia decisione, e Logan fece un cenno di consenso.
«Vengo a prenderti per le nove, preparati alla serata migliore della tua vita.» fece Zach alzandosi dalle scale. Ci salutò con un cenno della mano e scomparve oltre il portone, tra la folla degli studenti che si affrettava ad andare in classe.
«Devo sbrigare una cosa prima della lezione, ci vediamo sta sera» dissi non appena Cher si staccò da me. Risposero entrambi con un sorriso prima che gli dessi le spalle, poi mi incamminai tranquillo verso l’ingresso senza una vera meta. Volevo solo qualche secondo per riflettere sulla mia prossima mossa. Era vero che non mi era mai importato più di tanto degli altri a cui avevo fatto da custode, ma con Bliss era diverso. Agli altri dovevo solo fare da balia, ora invece avevo un mistero da svelare. Ma come fare?
La risposta era più vicina di quanto immaginassi e, in quel momento, era ferma davanti a me. Allyson Sutton.
Eravamo al primo piano e il corridoio era praticamente deserto, se non fosse stato per la rossa intenta a prendere delle cose dal suo armadietto e un paio di ragazze che chiacchieravano tranquille. Un’idea mi balenò in mente.
Allyson chiuse l’armadietto e iniziò a camminare proprio verso di me, perfetto. Alzai lo sguardo su di lei e aspettai che lo ricambiasse. Non appena incrociò i miei occhi le trasmisi l’impressione di cadere nel vuoto, così lei barcollò e subito fui da lei, pronta a prenderla nelle vesti del supereroe. La ragazza si strinse tra le mie braccia e sbattè gli occhi un paio di volte, stordita. Non appena si rese davvero conto di chi la stava tenendo le guancie le diventarono dello stesso colore dei capelli.
«Tutto bene?» chiesi con voce ammaliante, non che servisse a molto. Era bastato uno sguardo ed era già perdutamente innamorata di me
«Si, credo di si» rispose balbettando mentre cercava di rimettersi in piedi. La sua mano rimase stretta attorno al mio bicipite qualche secondo più del dovuto, poi si scostò imbarazzata. Aveva un’aria così innocente che quasi mi dispiaceva sfruttarla. «tu sei il ragazzo nuovo, vero? Non ti avevo mai visto prima» domandò risparmiandomi la fatica di intavolare un discorso con lei.
«Sono qui già da un mese, peccato che non ti ho incontrata prima» dissi ammiccando e se possibile diventò ancora più rossa. Non avevo voglia di trattenermi a lungo quindi meglio andare subito al punto, anche perché la seconda campanella era appena suonata. Era ora di andare. «Senti, io sta sera sono al Crush 95.90, mi piacerebbe davvero tanto vederti lì» dissi con un sorriso.
«non sai neanche come mi chiamo» protestò poco convinta, ma sapevo che stava scoppiando di felicità per il mio invito.
«importa?» chiesi retorico, lei scosse il capo da destra a sinistra. Ecco, appunto.
Un terza voce, poi, si unì a noi.
«Ally» gridò preoccupata un’inconfondibile Bliss Strathmore mentre attraversava il corridoio verso di noi a grandi falcate. La rossa la fulminò con lo sguardo.
«Allora a sta sera» le dissi con un occhiolino per liquidarla. Bliss ci guardò interrogativi.
«Contaci» rispose lei con un sorriso a diecimila watt. La superai e passai accanto a Bliss per andarmene, lei distolse lo sguardo appena incrociò il mio e corse dalla sua amica, forse preoccupata che il lupo cattivo avesse potuto importunarla. Che ingenua, non era certo Allyson la preda.
Attenta, Bliss Strathmore, scoprirò tutto sul tuo conto.

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Capitolo 3
*** Crush 90.95 ***


Riassunto capitoli precedenti: Seth è un angelo custode che fa di tutto tranne custodire chi dovrebbe e Bliss, il suo nuovo incarico, è una ragazza piena di segreti. Il fatto che non riesce a scoprire niente sul suo conto lo affascina quindi inizia ad indagare sul suo oscuro passato partendo da Allyson, la migliore amica di Bliss, invitandola in quello che viene ritenuto dai suoi amici il miglior locale di sempre. Il crush 90.95


3
Crush 90.95

BLISS
 
«ti prego, ti prego, ti prego, ti pregooo» mi implorò per la decimillesima volta Allyson, ormai in ginocchio già da un pezzo. «solo per sta sera, te lo prometto, poi non rivedremo più quel posto che inspiegabilmente odi»
Già, inspiegabilmente , a volte quasi mi scordavo che Allyson non conosceva davvero tutta la mia storia.
«no» risposi secca, come alle altre preghiere. La mia vita di prima era legata a quel locale e di certo non avevo voglia di tornarci.
«Dai, per favore» continuò imperterrita, doveva davvero pensare che quel Seth fosse il ragazzo migliore del mondo per fare tutto quel casino «e poi lo sai, si dicein giro che il venerdì ci va sempre Logan»
«Altro buon motivo per non andare» controbattei, ma non prima di sentire il mio stomaco arrovellarsi. Sapevo che il venerdì era giorno di Crush per Logan, Zach e Cher, lo sapevo meglio di chiunque altro, forse perché una volta uno dei posti sul loro divanetto era mio. Sembravano essere passati secoli da quei momenti.
Mi rigirai nel letto e affondai la testa nel cuscino per soffocare quei maledetti pensieri. Non pensare a loro. Non pensare a loro. Continuai a ripetermi.
«Ascoltami, Seth è il ragazzo più bello che io abbia mai visto, e ha chiesto a me – a me! – di uscire. Cioè, non è proprio un appuntamento, ma ha detto che gli avrebbe fatto piacere vedermi e non puoi neanche immaginarti quanto piacere possa fare a me. Quindi, sai che non ti chiedo mai niente, sai che non invado mai la tua privacy facendoti domande alle quali non vorresti rispondere, ma te ne prego, vieni con me al crush sta sera, sai che non ci andrei mai senza te.» Abby usò quel tono da cucciolo bastonato a cui non potevo non dare retta quindi mi costrinsi almeno a guardarla. Era inginocchiata per terra davanti al letto e i capelli rossi le cadevano sul viso più scompigliati che mai, dandole un’aria da bambina. Sorrideva speranzosa, negli occhi leggevo tutta la sua determinazione. Non potevo dirle di no…
Così mi alzai dal letto senza darle una vera risposta. Attraversai la stanza e con due falcate raggiunsi l’armadio, lo aprii e mi ci gettai dentro finchè le mie mani non trovarono ciò che stavano cercando: uno scatolone di carta perfettamente impacchettato.
«Cosa stai facendo?» chiese Abby allungando il collo per cercare di capire cosa stavo combinando, ma prima che potesse domandare altro sollevai il pacco e glie lo lasciai davanti ai piedi. Lei iniziò a fissarlo curiosa.
«Se vuoi andare al Crush,» iniziai cercando di togliere lo scotch per mostrare alla mia amica il contenuto del misterioso scatolone «avremo bisogno di questi»
Abby si sporse per poter vedere cosa nascondevo con tanta cura e quasi non le venne un colpo, non potei che sorridere alla sua reazione.
«O porca...» esclamò esterrefatta gettandosi a capofitto nel mio paradiso personale. O meglio, il paradiso di un tempo, perché quelli lì dentro erano i miei vecchi vestiti del venerdì sera al Crush ed era quasi un anno che non li indossavo.
 
Un’ora dopo io e la mia amica, vestite, pettinate e truccate di tutto punto, scendemmo dalla sua Mini appena parcheggiata in un posto riservato solo a quelli in possesso del pass per il privè con non poca sorpresa da pare sua, eppure non fece domande. Ecco perché era mia amica.
Coprimmo lo spazio di marciapiede che ci separava dall’ingresso del locale in pochi passi accompagnate dal solito rumore dei tacchi sul cemento e Ally fece per mettersi in coda tra le altre decine di persone, ma le afferrai il polso e la allontanai dalla folla superando lateralmente tutta la fila. Una volta davanti al bodyguard dell’entrata aprii la pochette di pelle verde e ne estrassi un cartoncino plastificato che non ebbi neanche il tempo di mostrargli perché aveva capito e subito si era affrettato ad aprire un varco per farci entrare. Le persone con un pass come il mio lì venivano trattate meglio della famiglia reale. 
Superato l’ingresso in vetro oscurato entrammo in una familiare saletta con il pavimento in linoleum nero e le pareti rosse. Lì si iniziava già a sentire la musica, ma grazie alle pareti insonorizzate era come un ricordo lontano. Mi guardai intorno e qualcosa mi prese lo stomaco, non avevo più messo piede in quel posto dal sedicesimo compleanno di mio fratello. Sembravano passati decenni anziché pochi mesi e, per quanto potesse sembrasse una cosa stupida, quel posto mi era mancato. O forse erano le persone con cui ci andavo un tempo a mancarmi?
«Non posso crederci! Bliss? Bliss Strathmore?» chiese una voce familiare dall’interno della biglietteria che occupava gran parte della stanza. Sorrisi con un tuffo al cuore e mi avvicinai al bancone invasa dai ricordi.
«Scott Belling» dissi al ragazzo dai capelli corvini che se ne stava seduto lì dietro per dimostrargli che per lo meno mi ricordavo di lui «si, sono proprio io»
«Bella come sempre» Sorrise e scorsi i suoi occhi divertiti da sotto la visiera di un cappellino degli Yankee. Scott aveva sempre avuto un debole per me e, se non ricordavo male, una notte era anche riuscito a strapparmi più di un bacio, ma al tempo avevo un ragazzo più importante a cui badare e a cui tenevo più che a lui. Non che il brunetto non fosse bello, ma…
Un colpo di tosse di Ally mi riportò con i piedi per terra. Quella sera ero decisamente troppo pensierosa.
«Devo mostrarti il pass VIP o ci  lasci passare?» gli chiesi scherzando e lui fece di “no” con la testa, indicandoci poi la porta a due ante che dava sulla sala. Mi girai verso la mia amica che si guardava intorno disorientata e le feci cenno di seguirmi, ma prima che potessimo lasciare quell’anticamera la voce di Scott mi fermò.
«Si è sentita la tua mancanza qui, senza di te il Crush non è lo stesso» disse in tutta la sua semplicità, togliendosi anche il cappellino così che riuscissi a guardarlo negli occhi. Non potei fare altro che sorridergli mentre dentro di me un mix di sensazioni diverse facevano a cazzotti tra loro. Avrei voluto dirgli che anche a me mancava tutto quello, ma sarei sembrata debole e Bliss Strathmore non era debole. Assolutamente no. Gli mandai un bacio prima di tornare a fissare la porta che mi si presentava davanti. Ci poggiai le mani sopra ricordando tutte le altre cento volte che l’avevo fatto e aprii entrambe le ante, come d’abitudine.
La musica improvvisamente alta ci catturò nella sua bolla e dando un’occhiata veloce in giro mi resi conto che tutto era come prima. Le stesse facce, la gente che ballava, le luci soffuse, il bancone illuminato, i divanetti in pelle, il privè sopraelevato.
Come se niente fosse successo. Come se niente fosse cambiato.
«Benvenuta al Crush 90.95» dissi alla mia amica cercando di nascondere il groppo che mi si era creato in gola.
Ehi, sono tornata a casa.
 
SETH.
 
Quando entrai al Crush capii che tutti gli aggettivi positivi che quei tre fissati usavano per descriverlo non erano esagerati, anzi. Insomma, quel locale aveva qualcosa di più rispetto agli altri… forse era per la gente, forse  perché quel divanetto sul soppalco che faceva da privè era davvero la fine del mondo, forse perché ero lì da ore e non avevo ancora ascoltato una canzone fuori posto, uno sbaglio del Dj o cose di quel genere o forse perchè al bar mi avevano fatto un cockail davvero assurdo. Fatto stava che ero lì da quasi un’ora e già mi ci ero affezionato.
«Ti farò avere il pass VIP quanto prima amico, con quello puoi entrare quando vuoi e portare chiunque. Naturalmente a questo tavolo puoi starci solo con noi, ma per il resto fai quello che cazzo ti pare.» mi spiegò Zach per la decima volta, troppo esaltato che finalmente non erano più solo in tre. Probabilmente era tempo che speravano nell’arrivo di un tipo come me che movimentasse la situazione, del resto cosa poteva mai succedere di interessante in una città come Brighton? Della mia vecchia vita lì ricordavo il sabato sera al molo  e le mitiche feste nella mega palestra di scuola, ma niente di più. Tanto era noioso che per movimentare la mia vita ero addirittura riuscito a farmi uccidere…
«Ragazzi guardate chi c’è» la voce stridula di Cher attirò la mia attenzione. La guardai  e notai un sorrisetto strano sul suo viso, quasi malvagio. Fissava un punto indefinito nella folla. No, non un punto, qualcuno. «la piccola Bliss»
Improvvisamente una parte del mio cervello sembrò illuminarsi. Bliss. Aveva detto Bliss.
La cercai con lo sguardo tra i corpi che si dimenavano, imperlati di sudore, ma di lei  non c’era traccia. Semplice, era giusto un po’ più in là, lontana dalla marmaglia.  Se ne stava seduta su uno sgabello del bar, le gambe accavallate coperte a malapena da una sottile calza di pizzo, lo sguardo ostile, come se nessuno in quel posto fosse davvero degno di lei. O, più semplicemente, come se non le interessasse niente di loro.
Tornai di qualche secondo indietro con i pensieri. Era stata Cher a nominarla, quindi…Cher conosceva Bliss. Forse solo per sentito dire, ma la conosceva. Era la prima persona che la nominava da quando ero in città.
«Dai Logan, è tutta sola, vai a farle un po’ di compagnia» scherzò Zach e con la coda dell’occhio lo vidi dare una gomitata al biondino. Lui, di tutta risposta, borbottò un “vaffanculo” e si alzò dal divanetto. Sparì tra la folla in meno di un minuto con un'aria seriamente turbata. Che cazzo gli aveva preso?
«Chi è Bliss?» chiesi facendo finta di niente. Spostai lo sguardo da Cher a Zac e viceversa, penetrandoli con i miei occhi e usando una pressione maggiore del necessario. Avrei potuto farne a meno, ma non avevo voglia di perdere tempo. Nonostante la mia insistenza, comunque, Cher ci mise un bel po’ a rispondere. Era come se stesse facendo di tutto per evitare di dare una risposta a quella domanda.
«Una vecchia amica» disse piano, misurando una ad una le parole che si lasciava sfuggire. Guardò Zach e catturai un briciolo di preoccupazione nei suoi occhi. Qualcosa non quadrava.
«Vecchia? Cosa è successo?» continuai deciso a non mollare, non a quel punto. Magari erano loro la chiave di tutto. Magari sarebbero riusciti a spazzare il caos che non mi lasciava conoscere niente di lei.
«Sei nuovo qui» rispose Zach alzando le spalle come se bastasse a spiegare tutto. “sei nuovo qui” ripetei nella mia mente. Ci avrei riflettuto più tardi sul significato di quelle parole, ammesso che ne avessero uno. Avevo bisogno di pace e tranquillità, che non erano esattamente gli aggettivi giusti per descrivere quel posto. Lì c’era bisogno d’azione e di certo non me ne sarei rimasto con le mani in mano.
«Ho una cosa da sbrigare, torno tra un po’» feci liquidando i due. Mi alzai e scesi tra la gente comune, poi calcolando approssimativamente le mosse di chi mi stava accanto riuscii ad attraversare la sala senza subire neanche una minima spinta e, una volta che fui abbastanza vicino alla mia preda, feci in modo che lei mi guardasse.
Bliss posò lo sguardo su di me, un po’ stordita, e fui improvvisamente invaso da un senso d’angoscia. No, non era mio. Era suo. Lo sentivo grazie al legame che ci univa. Lei aveva paura di me. Fico.
Montai un sorrisetto malizioso e mi avvicinai al bancone, poggiandomi proprio al suo fianco. Un brivido la percorse.
«Ehi, tu sei l’amica di Allyson vero?» chiesi allungando ancora di più le labbra. Bliss si mise una ciocca dei lunghi capelli castani dietro le orecchie e sentii il suo respiro farsi più lento. Stava cercando di convincersi che io non ero un pericolo. Sbagliato.
«A quanto pare…» commentò lei fredda, anzi, gelida. Mi rivolse uno sguardo stroncante, ma io non ci cascai. Quella doveva essere la sua procedura per allontanare la gente, peccato per lei che io non fossi come tutti gli altri. Povera, piccola, Bliss.
Mi sporsi verso l’interno del bancone e schioccai le dita per attirare l’attenzione del barman. «Due White Angel» gli gridai. Il rossiccio mi guardò storto e fece per avvicinarsi a chiederci i documenti, ma bastò una mia occhiata a fargli cambiare idea.
 «Senti, Allyson ti sta cercando, dovresti andare da lei» mi suggerii Bliss non provando neanche a nascondere il ribrezzo che provava nei mie confronti. Dovetti ammettere che un po’ mi diede fastidio, infondo non mi conosceva neanche.
«Non sai niente di me» affermai ignorando la sua proposta precedente. «Mi guardi come se fossi una minaccia, ma non abbiamo mai parlato prima d’ora quindi mi sembra lecito chiederti: perché?»
La ragazza iniziò a fissarmi, studiando ogni singolo particolare di me. Vidi il suo sguardo soffermarsi sulle mie labbra, deglutì, poi tornò sui miei occhi.
«Che lenti usi? I tuoi occhi fanno troppa paura per essere veri» commentò cercando di sviare il discorso. Ghignai.
«Sono veri e si, lo prenderò come un complimento»
«Se fossi il tuo medico ti prescriverei un’iniezione di  umiltà, hai picchi di egocentrismo che mi spaventano»
«Oh, quindi vuoi giocare al dottore? Io ci sto»
«Si voglio giocare. Io sono il medico legale e tu il cadavere da sottoporre all’autopsia»
«Hai una lingua tagliente»
«posso fare di peggio»
Quello scambio di battute aveva risvegliato un qualcosa in me e mi faceva sentire euforico, come se potessi fare tutto, davvero tutto, anche ciò che era oltre le mie capacità da angelo-balia. Quando i due cockail arrivarono brindammo senza distogliere lo sguardo dai nostri occhi e bevemmo tutto d’un sorso. Quasi non sentivo più il calore dell’alcol che mi bruciava in gola, il mio corpo lo espelleva prima che riuscisse ad entrare in circolo nelle vene, ma quello lo percepii. O forse era colpa dei suoi occhi che, ostinati, non volevano lasciare i miei. Avrebbe significato sconfitta e da quello che vedevo Bliss non era una che accettava sconfitte. Era un’informazione che avrei dovuto aggiungere nel suo portfolio.
«Oh guarda, ecco Allyson» la ragazza indico il profilo dell’amica tra la folla con un cenno del mento. In realtà già sapevo che era lì, ma non volevo lasciare Bliss da sola. O meglio, non volevo lasciarla e basta. Forse per ottenere informazioni sul suo conto potevo semplicemente farla ubriacare, magari sedurla, farla rispondere alle mie domande mentre gridava il mio nome. Solo la prospettiva sapeva di eccitante. Ma non potevo giocarmi subito quella carta, prima dovevo sondare meglio il territorio, ed Allyson era lì che aspettava solo me, pronta a regalarmi qualsiasi informazione.
«è stato un piacere conoscerti» le sussurrai avvicinandomi al suo orecchio, poi afferrai la sua mano e portandomela alle labbra lasciai un bacio sulle sue nocche.
«Vorrei poter dire lo stesso» rispose con un sorriso strafottente. Se nel mondo ci fosse stato qualcuno come me, quel qualcuno sarebbe stato lei, che mi assomigliava in tutto e per tutto.
Quella tra noi due sarebbe stata una lotta ad armi pari.
Con Allyson, invece, era tutta un’altra storia. La raggiunsi da dietro e le posai una mano sul fianco, facendola girare verso di me.
«Ciao bellissima, per fortuna ti sei decisa a venire» le sussurrai senza neanche dovermi sforzare a fare una voce sexy. Sentii il brivido che la percorse, poi il battito accelerato del suo cuore accompagnato da un sorriso.
Praticamente, era già mia.
 
 
BLISS
 
L’aria nel locale quella sera sembrava particolarmente soffocante, o forse ero io che ero stata stupida a non mangiare niente prima di uscire e quindi a bere con lo stomaco vuoto. Certe cose sembravo non impararle mai. Poi, per la prima volta nella mia vita, mi sentii a disagio su quello sgabello, in quella sala. Era stata la mia seconda casa per molto tempo, ma sembrava non appartenermi più. C’era qualcosa fuori posto e quel qualcosa, più che sicuramente, era il brunetto che aveva Ally spiaccicata addosso. Quel Seth non mi piaceva per niente.
Decisa a prendere una boccata d’aria mi allontanai dalla zona bar e mi avvicinai al soppalco del privè, cercando di confondermi tra la gente per non farmi vedere da Zach e Cher. Una volta superato indenne il loro divanetto raggiunsi il corridoio sulla destra che solo in pochi conoscevano e salii le scale che mi si presentavano davanti quasi di corsa, come se mi sentissi affogare e la porta lì in cima fosse l’unico modo per poter respirare ancora.
Quando uscii sul terrazzo il vento tirava impetuoso e le luci di Brighton sembravano oscillare nel buio di quella notte. Faceva un freddo cane, eppure qualcun’altro aveva avuto la mia stessa idea. Una figura appoggiata alla ringhiera, alta, ben vestita, con i capelli biondi scompigliati e un buon profumo familiare che riuscivo a percepire anche da lì. Una persona che avevo incontrato fin troppe volte su quel terrazzo. Una persona che mancava ad ogni atomo del mio corpo, ma con cui non avevo intenzione di parlare. Non in quel momento. Feci dietrofront e cercai di tornare dentro, ma la sua voce mi bloccò.
Era tanto che non la ascoltavo.
«Bliss, non scappare» gridò girandosi a guardarmi, i nostri occhi si incontrarono nella penombra «non da me» aggiunse mostrando per la prima volta come si sentiva davvero.
Frustrato.
Spento.
Solo.
Proprio come me.
 

 



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Capitolo 4
*** Segreti sepolti ***


3
Segreti sepolti

 
BLISS
 
«è passato un anno dall’ultima volta che io e te ci siamo incontrati qui» disse Logan non appena gli fui abbastanza vicina. Mi appoggiai sulla ringhiera che costeggiava il terrazzo, al suo fianco, e lasciai che lo sguardo vagasse lungo i profili tozzi dei palazzi di Brighton e poi oltre, sulla ruota panoramica, lungo la fine del molo, nel mare. Tutto, pur di non guardare Logan.
«Erano i sedici anni di Josh» sussurrai sperando che le mie parole si perdessero nel vento. Erano passati dodici lunghi mesi, eppure non mi credevo ancora abbastanza forte per parlare con lui, con loro, di quella notte.
«hai giurato di amarmi» la sua frase mi entrò lentamente nel cuore, riscaldandomi. Per un attimo ero tornata a quel momento, con Logan che sorrideva e le sue braccia che mi stringevano, la figura spigolosa di mio fratello che aveva interrotto tutto per avvisarci dell’arrivo della torta. Sorrisi amaramente. Se avessi saputo cosa sarebbe successo dopo sicuramente non l’avrei mandato a quel paese in tutte le lingue del mondo. «Ti manca?»
Pensaci Bliss, ti manca tuo fratello? Ti manca Josh?
A quella domanda, però, non potevo rispondere e basta. Mi costrinsi a guardarlo, almeno per qualche secondo. Era Logan, era lui, era l’amore della mia vita. Stare lì come due estranei non sembrava da noi. Noi che passavamo insieme intere giornate, noi che ci conoscevamo troppo bene per poterci mentire, noi che eravamo sempre stati un “Noi”. E nello stesso posto in cui per la prima volta eravamo riusciti a capirlo ci fronteggiavamo, niente carezze, niente abbracci. Bliss e Logan, una cosa separata.
Il minimo che potevo fare era dirgli cosa provavo davvero.
«Si Logan, mi manca. Mi manca tanto che ho incubi e attacchi di panico, tanto che ormai come vestiti uso solo le sue felpe, tanto che non riesco neanche ad entrare in camera sua. Mi mancano le piccole cose, la colazione della domenica al nostro solito bar e le gite in campagna, il modo in cui mi chiedeva consigli e mi confessava le sue paure, anche quel suo fare geloso non appena qualcuno mi si avvicinava»
«C’è da dire che in quello lo aiutavo anche io»
Riuscì persino a farmi ridere con quella stupida interruzione. Perché lui era così, lui era proprio come credevi che fosse. Un ragazzo forse un po’ troppo buono, viziato, spendaccione, megalomane e nonostante tutto genuino, con quel sorriso che riusciva ad illuminarti la giornata e gli occhi d’oro fuso in cui leggevi ciò che pensava. E in quel momento li vedevo spenti, nonostante stesse combattendo per mantenere un’aria spensierata.
«Manca anche a me. Mi manca Josh, mi manchi tu, mi mancano i vecchi tempi e anche se non lo ammettono manchi anche agli altri» confessò quando si arrese alla malinconia. Una malinconia buona però, di quelle che senti quando parli di qualcosa che un tempo ti ha reso felice e ti lascia crogiolare per un po’ nelle gioie passate. Forse è sbagliata, ma ti fa sentire meno solo.
Un messaggio interruppe il silenzio pressante.
Era di Allyson e mi avvisava che sarebbe andata via con Seth. Mi chiedeva anche se riuscivo a trovare un passaggio a casa o volevo che mi riaccompagnassero loro, ma piuttosto di rivedere gli occhi glaciali di quel ragazzo mi sarei fatta volentieri un paio di chilometri a piedi.
«Problemi?» domandò gentile Logan notando forse la mia faccia corrucciata. Era impressionante come il solo pensare a Seth mi rabbuiasse.
«Niente di che, forse mi toccherà tornare a casa a piedi»
E stare in ansia per Allyson tutta la notte aggiunsi mentalmente.
«Ma che sciocchezze dici? Ti riaccompagno in limousine. Sai che il venerdì sera è sempre a nostra disposizione.»
Un’altra ondata di ricordi mi investì come uno tsunami e mi impedì quasi di muovermi, ma la mano di Logan si poggiò sulla mia spalla e quel contatto così familiare mi riportò alla realtà. Troppe emozioni tutte insieme.
«Tranquilla, mi ricordo ancora dove abiti» mi lasciai guidare da lui di nuovo all’interno del Crush e, mentre speravo di non incontrare Cher o Zach, mi resi conto di come quel posto sembrava diverso solo perché Logan era lì a camminare al mio fianco. In realtà non era mai stato solo in locale in se per se ad essere la mia seconda casa, ma erano loro, loro e tutto ciò che eravamo un tempo.
 
 
SETH
 
La camera di Allyson era buia e silenziosa, intrisa di un profumo di rose e decisamente patriottica dato che c’erano stampe con il motivo della bandiera inglese ovunque.
Fissavo il soffitto mentre lei dormiva al mio fianco, interamente coperta dal piumone. Respiri lunghi e profondi, il segno che era già al settimo sonno.
Non ero stato io a voler andare a letto con Allyson. Io mi sarei accontentato di entrare in camera sua, poi il piano era farla addormentare lasciandole credere  che avessimo passato una notte di fuoco mentre cercavo indizi sulla sua migliore amica in giro per la stanza, ma non appena l’avevo vista tirarmi nervosamente verso il letto non avevo saputo resistere. Mi aveva guardata speranzosa, come se quasi non ci credesse che uno come me potesse essere attratto da una come lei, mi aveva baciato ed io l’avevo accontentata.
Ma il tempo dei giochi era finito.
Mi alzai cercando di non fare rumore e mi rivestii, poi iniziai la ricerca. Non sapevo esattamente cosa stavo cercando, ma doveva avere a che fare con Bliss e il suo oscuro passato, sempre che ci fosse davvero qualcosa di oscuro da scoprire. Qualcun altro avrebbe pensato che fosse solo una persona poco socievole o, che so, una sfigata, una con la lebbra, ma io no. Sentivo che c’era qualcosa di più, qualcosa di lasciato in sospeso, e me ne convincevo sempre di più con il passare dei giorni. Avevo ancora i suoi occhi stampati nella mente e ne ero certo, quegli occhi avevano qualcosa di particolare. Un indizio, ecco cosa mi serviva. Un suggerimento.
Girai a vuoto per la stanza almeno una decina di volte, non sapendo dove vedere, andando alla cieca. Un’occhiata nell’armadio pieno di vestiti dai colori offuscati dal buio, una al cassetto della scrivania, una sulle mensole accanto al letto. Lì tutto aveva un tocco alla Allyson, che si trattasse di un fiocchetto o dei soliti colori rosso, bianco e blu. Niente sembrava fuori posto, mentre qualcosa di Bliss lo sarebbe stata. Lei sembrava sempre essere fuori posto. Anche in questo ci assomigliavamo.
Alla fine finii con l’osservare minuziosamente tutte le foto appese sulla parete dietro la scrivania. Sembravano tutte recenti e più della metà erano foto delle due ragazze insieme, come se la vita di Allyson fosse davvero iniziata solo quando aveva incontrato Bliss. Allyson e Bliss al mare, Allyson e Bliss in diverse capitali europee, Allyson e Bliss ad un concerto, Allyson e Bliss ovunque. Ma mentre la prima era sempre uguale, la seconda appariva sempre diversa. Talvolta non sembrava neanche lei, con il viso più magro di quanto già non fosse e delle occhiaie violacee sotto gli occhi, poi già nella foto successiva sembrava bellissima e con un sorriso a diecimila watt. Era tanto fotogenica che avrebbe potuto fare la modella.
Accarezzai le pellicole lucide con la punta delle dita e mi lasciai trasportare dall’istinto, il mio cervello stava lavorando così tanto che sembrava fare rumore. Bliss. Fino a quella sera nessuno l’aveva mai nominata. Cher però aveva parlato di lei. Logan era sembrato turbato. In quelle foto sembrava un’eroinomane, un’insonne, uno zombie. Qual’era la connessione tra tutte quelle informazioni?
Allyson si rigirò nel letto, inquieta, ma non mi preoccupai che potesse svegliarsi. Piuttosto tornai alla mia ricerca lasciando cadere la mano sulla scrivania e riprendendo a tastare ovunque. Il computer, decine di post-it sparsi, libri di scuola, una pila di album fotografici e riviste. Qualcosa doveva pur esserci però.
«Seth» la voce della ragazza mi fece quasi sobbalzare e nel girarmi verso di lei con il braccio feci cadere tutta quella catasta. «Seth, cosa stai facendo?»
«Niente Ally, non riesco a dormire» le risposi con tono dolce, improvvisando un sorriso nel buio. Ci fu un frusciare di coperte e un respiro profondo, poi la ragazza sprofondò con il viso nel cuscino ed io tornai al disastro che avevo combinato. Raccolsi gli album colorati e gli rimisi al loro posto, disposti esattamente com’erano prima, poi mi piegai sulle riviste e mi bloccai.
Il cuore perse un battito.
Su una delle copertine era attaccato un foglietto bianco, la firma spigolosa di Bliss spuntava nell’angolo a sinistra e il resto del testo era stato scritto con mano incerta,come se la penna avesse creato dei solchi sul foglio.
Fa ciò che vuoi di questi, tutto purché spariscano dalla mia vista.
Se fossi stato umano, probabilmente, mi sarebbero tremate le mani mentre aprivo la rivista.
La sfogliai lentamente, pagina per pagina, con quella maledetta curiosità che cresceva ogni secondo che passava e il fatto che a metà del plico non avessi ancora trovato niente mi innervosì abbastanza.
Poi, improvvisamente, eccolo lì.
Il nome di Bliss accanto a quello di Cher, Logan e Zach, nero su bianco, come se niente fosse. Sentivo di poter impazzire.
Quello che seguiva era un articolo, anzi, il primo numero di una rubrica intitolata “Brighton life” curata da loro tre. Parlavano dei locali più in, dei negozi che non ci si poteva perdere, delle bancarelle migliori giù al molo. Seguiva una guida illustrata ai “must” della stagione con foto di un certo Josh Strathmore, un qualche parente di Bliss, dove posavano appunto i tre ragazzi. Forse fu allora che il mio cuore scoppiò.
Lì, su quelle pagine, c’era una bellissima Bliss che sorrideva abbracciata a Cher, la stessa Cher che l’aveva schermita non appena era entrata al Crush, la stessa Cher che non guardava neanche in faccia chi non si vestiva come diceva lei. Anche Logan era con loro, la faccia spensierata di un bambino, delle fossette che non gli avevo mai visto sugli zigomi e gli occhi di chi non aveva altro da chiedere dalla vita. Doveva essere innamorato, forse di Cher. Tutti erano innamorati di lei.
“Sei nuovo qui” aveva detto Zach solo poche ore prima, ma mi resi conto di ciò che voleva dire solo in quel momento. Ero mancato decenni da Brighton, non potevo pretendere di tornare e scoprire tutti i segreti che con tanta fatica erano stati seppelliti in pochi giorni. Dovevo essere paziente, avvicinarmi a Bliss, tenermi stretto i miei nuovi amici e le cose sarebbero venute da se. Alla fine, alla base dell’allontanamento della ragazza dagli altri, avrebbe potuto esserci qualsiasi cosa e non era il caso di agitarsi per così poco. Forse mi ero solo fatto troppi film.
Passai il resto della notte a leggere gli altri articoli e guardare i loro scatti. Sembravano davvero felici.
Chissà cosa voleva dire stare così bene.
«Non te lo saresti mai aspettato, vero?» disse Allyson intorno alle quattro, la voce assonnata soffocata dai cuscini.
«Cosa? Bliss passione modella?» scherzai chiudendo l’ultima rivista, improvvisamente stanco. Raggruppai le decine di settimanali e li rimisi sulla scrivania, consapevole di poterli riprendere ogni volta che avessi voluto. Allyson mi avrebbe sempre lasciato entrare.
«Io mi riferivo a Bliss e Cher insieme, ma si, penso che anche vederla in versione modella sia abbastanza shoccante»
«Perché hai tu quelle riviste?»
«Lei sta cercando di dimenticare»
«Cosa? Perché?»
«Scusa, ma ho promesso di non dire niente. E comunque non so molto neanche io.»
Sentii nelle sue parole il penso di quella promessa, come se una catena di ferro legasse le due ragazze. Nessuno sarebbe riuscito a spezzarla, neanche io. Lei non mi avrebbe detto niente di preciso, ma potevo andare sul vago.
«Perché scrivevano quella rubrica?» le domandai mentre mi infilavo sotto le coperte, lei si avvicinò e poggiò la testa sul mio petto. La lasciai fare.
«Cher diceva di voler aiutare la povera gente comune a vestirsi meglio, Logan scriveva da dio e Josh era un fissato di fotografia. Ci sono scatoloni pieni di sue foto a casa loro .»
«Chi è Josh?»
«Il fratello di Bliss»
«E lei cosa faceva?»
Uno sbadiglio coprì metà della mia domanda. Allyson strofinò la guancia contro la mia maglia, chiuse gli occhi. Stava per lasciarmi.
«Lei era il critico culinario, ma..»
«Ma cosa?»
«Ma…» le parole rimasero sospese nel silenzio mentre la ragazza si riaddormentava definitivamente. Lo capii dal suo respiro, dalla sua mano inerme poggiata accanto alla mia, dalla sua improvvisa staticità.
Magari al suo risveglio sarei riuscito a cavarle qualcos’altro, per il momento però potevo ritenermi soddisfatto. Anche la mossa successiva era ormai chiara. Vedere altre foto avrebbe contribuito alla mia ricerca e Allyson aveva detto che a casa Strathmore c’erano scatoloni pieni di scatti di quel Josh, quindi mi sembrava lecito dover andare a fare un sopraluogo e vedere cosa riuscivo a scovare. Un nuovo dubbio mi si insinuò in mente, come mai non avevo mai visto questo fatidico fratello?
Dovevo decisamente entrare il quella casa.
Nel frattempo, mentre chiudevo gli occhi, il cellulare della ragazza avvisò dell’arrivo di un nuovo messaggio. Era per terra, vicino al letto, così grazie allo schermo illuminato riuscii a leggere.
Era Bliss.
 
BLISS


Io e Logan non parlammo molto durante il viaggio di ritorno.
Bevemmo qualcosa dalla riserva di alcolici di Zach, qualcosa di illegale in almeno venti stati, e parlammo del più e del meno imbarazzati.
Più che altro ci guardammo.
Mi erano mancati i suoi sguardi.
«Buonanotte»mi salutò non appena la macchina si fermò davanti al giardino di casa. Tutto sembrava silenzioso, ma la finestra del salone era ancora illuminata.
«’Notte Logan» risposi sorridendogli mentre un pezzo di me sarebbe volentieri rimasto con lui. Sarebbe sempre stato così.
Allungai la mano e feci per aprire la portiera, ma lui mi bloccò e in un attimo scese dalla macchina e venne dalla mia parte per aprirmi lo sportello. Il solito Logan fissato per il galateo.
Afferrai la mano che mi offriva e mi lasciai tirare al suo fianco. Quando le sue labbra si posarono sulla mia fronte qualsiasi problema improvvisamente sparì e per un attimo tornammo ad essere i Logan e Bliss di sempre. Solo per un attimo però, perché quando si staccò fu come se niente fosse successo.
Rientrò in limousine e mi lasciò con un ultimo sorriso. Non avrei potuto chiedere di più.
Una volta in casa attraversai il corridoio fino al salone, intenzionata ad avere anche la buonanotte dei miei genitori.
«Stanno finendo le scorte, abbiamo bisogno di altro sangue. Morirà altrimenti.»
Non era una novità sentirli parlare di certe cose, ma mi fecero venire la pelle d’oca. Odiavo il sangue, odiavo la morte, di certo non avrei seguito la loro carriera da medici.
«Ormai è vicino…»
«Se state parlando del mio compleanno sì, è molto vicino, e voglio un regalo fantastico» esultai gettandomi sul divano tra loro che non avendomi visto entrare si presero un mezzo infarto.
«Amore, sei tornata» disse mio padre, accarezzandomi la testa.
«Tranquilla, sarà un regalo magnifico» fece invece mia madre, sorridendo tranquilla. Amavo la mia famiglia.
«Com’è andata? Duro il ritorno al Crush?»
«Oh, Allyson ha incontrato l’amore della sua vita e…Logan mi ha riaccompagnato a casa»
«Logan, il ragazzo perfetto»
«Già»
Nei momenti di silenzio che seguirono ci perdemmo tra le immagini che trasmetteva il mega televisore appeso alla parete. Il tele giornale, come sempre. Un’abitudine che avevamo preso un tempo nella speranza di avere notizie di Josh.
«Ah Bliss, oggi è venerdì, hai già preso il ferro?»
«No papà, me ne sono dimenticata»
«Tranquilla, te lo vado a prendere»
 
Quella notte mi svegliai di soprassalto.
Un altro incubo, come sempre.
Mi misi seduta sul letto e strinsi con la mano l’incavo del gomito dove un cerotto copriva il buco fatto dalla siringa. Pulsava come non mai.
Un bel regalo per i miei sedici anni sarebbe stato quello di smettere le iniezioni di quel dannato ferro. Ogni volta era una tortura.
L’orologio sulla parete indicava le quattro di mattina, fuori dalla finestra il vento sbatteva contro la serranda. Chiusi le palpebre per un secondo e un paio di occhi color del ghiaccio invasero il buio. Rabbrividii.
Era stato su di loro il mio incubo quella notte.
Un pensiero mi passò per la testa e mi fece scattare verso il cellulare poggiato sul comodino. Mandai un messaggio ad Allyson, nonostante fossero le quattro di notte, nonostante sicuramente stesse dormendo.
Dovevo togliermi il brutto presentimento che mi stava corrodendo.
Stranamente, però, Allyson rispose.
 
Tranquilla Bliss, è sana e salva e dorme beatamente. Tu piuttosto perché sei ancora sveglia?
Smettila di pensarmi.
 
Immaginai il ghigno sulla faccia di Seth e mi venne voglia di lanciare il cellulare contro il muro. Dannazione, odiavo quel tipo.
Nonostante l’impulso di mandarlo a quel paese lasciai cadere il cellulare tra le coperte e tornai sdraiata. Mi strinsi nella felpa di Josh che tutte le notti mi proteggeva e presi a fissare il soffitto.
Il cuore, per qualche strano motivo, mi batteva all’impazzata.
Sicuramente non mi sarei riaddormentata.


Logan Arrow




Bliss Strathmore





Seth Porter

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Capitolo 5
*** Problemi, adrenalina e giardinaggio ***




4
Problemi, adrenalina e giardinaggio

 

 
SETH

Quella notte non avevo chiuso occhio.
Non c’ero riuscito, preso com’ero dal cercare di capire qualcosa di più sulla mia protetta.
Verso le sei avevo deciso di andarmene, lasciando un biglietto ad Allyson tra le lenzuola, e avevo camminato lentamente fino ad arrivare a scuola. Costeggiare tutto il lungomare mi aveva sempre fatto bene, avevo preso le mie scelte più importanti con i piedi immersi in quella sabbia fine e con il rumore delle onde come sfondo. Era uno di quei posti che mi ricordava di quand’ero umano, di quando la vita non era altro che un gioco, di quando ero riuscito ad uccidere la persona a cui più tenevo al mondo.
Una volta tra le mura scolastiche decisi che se proprio dovevo fare il malinconico, dovevo farlo per bene. Salii quasi di corsa le due rampe di scale che portavano i biblioteca e poi, improvvisamente agitato, raggiunsi gli scalini di legno ormai praticamente nascosti da una tenda di velluto rosso che portavano a quello che un tempo potevo considerare il mio rifugio speciale.
Dopo la mia morte mi era stato pesino dedicato.
La stanzetta sopra la biblioteca era esattamente come la ricordavo, il divanetto in velluto sulla parete di fronte all’entrata, la finestrella con la panca incavata che si affacciava sul cortile della scuola, la scrivania al centro e tutto il resto dello spazio occupato da libri ormai dimenticati da tutti.
Nessuno ci andava mai lì.
«L’assassino torna sempre sul luogo del delitto» esclamò una voce familiare seguita da un fruscio d’ali e subito dopo la figura esile di Benjamin comparve sul divanetto. Arrivare di soppiatto era la sua passione.
«Peccato però che io non sia l’assassino, bensì la vittima. Almeno qui» controbattei girandomi a guardarlo. Era un bel po’ che non lo sentivo, non mi ero accorto di quanto effettivamente mi mancassero le sue ramanzine.
«Smettila, lo sappiamo entrambi che non sei stato tu ad ucciderlo, altrimenti marciresti all’inferno»
«Infatti è proprio lì che dovrei essere, tra i lussuriosi forse, o…come si chiama quel girone per chi uccide i propri migliori amici?»
«Sono passati quasi diciassette anni, va’ avanti Seth»
Io e Ben avevamo fatto quel discorso così tante volte che ci aveva portato alla nausea. Sempre le stesse domande, sempre le stesse risposte. Non puoi cambiare il passato, non è colpa tua, bla bla bla.
In realtà cosa pensava lui non importava, la colpa era mia e la pura verità era che mi ero ritrovato quelle ali sulla schiena solo perché discendevo da un Arcangelo.
«Perché sei qui? Non credo di star facendo troppi casini. Sto solo cercando di sbrogliare l’incasinatissima situazione di quella Bliss.» domandai schietto, giocherellando con un libro poggiato sulla scrivania. Una vecchia edizione di Amleto stranamente non impolverata, qualcuno doveva essere stato lì negli ultimi giorni.
«Sta succedendo qualcosa Seth, lì su sono tutti preoccupati, persino Alaric si sta comportando in modo strano» spiegò Benjamin, tormentandosi tra le dita la sua maglietta celeste chiaro. Incrociai il suo sguardo e capii che era una cosa seria, non il solito gruppetto di demoni che cercava di rivoluzionare la situazione. «Dicono che è vicino, ma non so a cosa si riferiscano» continuò precedendo la mia domanda.
Aggrottai la fronte per qualche secondo, cercando qualcosa che avrebbe potuto fare riferimento al discorso di Ben, ma non mi venne in mente niente. Era da un mese che non avevo notizie di ciò che accadeva lassù.
«Tienimi aggiornato, ok? Io intanto chiedo informazioni qui in giro»
«Sta attento Seth, se per avere informazioni devi evocare un demone preferisco aspettare e vedere cosa succede»
«Tranquillo paparino, ho dei cari e buoni amici che mi diranno tutto ciò che voglio sapere» dissi ironico, con una mezza smorfia. Avevo davvero qualcuno che mi avrebbe potuto informare, ma quegli aggettivi non erano esattamente adatti a ritrarli. Anche solo pensarlo sarebbe stato eresia.
Ben mi lanciò un ultimo sorriso e mi mimò con le labbra l’ennesimo “stai attento”, poi si alzò la manica della maglia e premette le dita sulla cicatrice sul polso, scomparendo dalla mia vista con un battito d’ali.
Prima di lasciare a mia volta la stanza mi avvicinai alla finestra che dava sul cortile d’ingresso e lasciai che le parole di Ben mi vagassero nel cervello, in cerca di una risposta che però non conoscevo. Cosa stava succedendo?
Poggiai la testa contro il vetro freddo e tenni gli occhi chiusi, aprendo completamente la mente, ma non trovai ciò che stavo cercando. Piuttosto con l’udito avanzato intercettai una voce tra le altre, quella di Cher, che si stava lamentando di Logan con Zach. Perché aveva qualcosa contro di lui? Non che c’era da sorprendersi molto, lei aveva da ridire su tutti.
Le mille voci tra le pareti scolastiche si accavallavano l’una sull’altra, eppure due parole ricorrevano in quasi tutti i discorsi. Il gossip del momento, due nomi che venivano sussurrati da un orecchio all’altro perché si aveva quasi paura di pronunciarli.
Logan e Bliss. Logan e Bliss. Logan e Bliss. Logan e Bliss.
Cosa?
Restai a bocca aperta, dovevo essermi perso qualcosa.
Un altro suono, ancora più forte delle voci, prese a martellare nelle mie orecchie, distraendomi. Un cuore arrabbiato, un cuore frustrato, un cuore che non avrebbe dovuto battere così veloce.
Nel momento in cui realizzai a chi appartenesse, corsi via da quella stanza per andare a cercarlo.
Anzi, cercarla.
 
BLISS

Andare a piedi da casa a scuola, quella mattina, mi aveva fatto bene.
Nonostante la nottataccia, l’aria fresca di Brighton all’alba mi aveva svegliato completamente e in quel modo avevo anche posticipato il fatidico momento in cui Allyson mi avrebbe assalito con le sue dettagliatissime descrizioni della nottata passata con Seth. Lei non era mai stata una tipa facile, una di quelle che te la davano al primo appuntamento, però quella notte lui aveva dormito da lei. Non avevo idea di che razza di incantesimo le aveva fatto per prenderla in quel modo in così poco tempo, ma potevo sempre continuare a sperare che non avessero fatto niente di… compromettente.
Quando superai il portone di scuola mancavano più di dieci minuti all’inizio delle lezioni, così mi diedi tutto il tempo di raggiungere l’armadietto senza dover correre per le scale o affannarmi verso l’aula della prima ora. Non feci neanche due passi, però, che mi resi conto di qualcosa di strano. Una sensazione sulla nuca, un formicolio strano, che un tempo conoscevo bene.
Lì nel corridoio mi fissavano tutti.
E credevo di sapere anche perché.
«Buongiorno» la voce di Logan mi arrivò all’orecchio nel momento esatto in cui riuscii ad aprire l’armadietto. Sussultai esageratamente, richiudendo di botto lo sportello con un rumore metallico, e incenerii il ragazzo con lo sguardo. Lui fece la sua risata cristallina, poi si appoggio agli armadietti sul fianco, cercando di sembrare sexy. Non che non lo fosse, certo, ma non era il primo aggettivo che ti veniva pensando a lui. Logan era più bellissimo, carino, dolce e perfetto che sexy. Seth era sexy.
Non crebbi possibile aver pensato una cosa del genere.
«Che c’è?  Stai cercando di far aumentare la voglia di fare gossip agli studenti di questa città?» borbottai scrutandomi intorno e maledicendo tutte quelle stupide ragazzine che si fermavano a guardarci ad occhi spalancati, come se il fatto che io e Logan stessimo parlando fosse un chissà quale peccato capitale.
«Non è una novità per noi, no?» ribattè lui, avvicinandosi ancora di più proprio per vedere come reagivano gli altri. Un tipo lanciò un mezzo urlo. Logan si faceva amare da tutti.
«Logan, non so se te ne sei accorto, ma sto cercando di scomparire dalla faccia della terra. La tua bellezza, la tua popolarità e il tuo essere dolce non mi aiutano»
Riaprii l’armadietto e presi ciò che mi serviva poi, con le mani forse un po’ tremanti, lo richiusi e feci per andarmene. Ero riuscita a resistere un anno senza parlargli, perché doveva ripresentarsi da me? Non lo volevo di nuovo nella mia vita, non potevo. Mi avrebbe continuamente ricordato Josh.
«Ok, scusa, non volevo rovinare il tuo piano per diventare invisibile» Logan mi raggiunse facendo neanche due passi e mi afferrò il polso, costringendomi a guardarlo. «volevo solo darti questo, te l’avrei lasciato nell’armadietto, ma tu eri lì e ne ho approfittato»
Il biondino mi allungò un sacchetto di carta con la mano libera, accompagnando il gesto con uno di quei sorrisi della Logan-special-and-limited-edition che ti scaldavano il cuore. Non potevo che accettare.
«Me ne vado prima che ti incazzi, buona giornata» le sue parole si accavallarono l’una sull’altra e prima che potessi anche solo reagire si sporse a darmi un bacio sulla guancia e corse via, sempre sorridendo sornione.
Sconsolata, aprii il sacchetto senza aspettarmi chissà che cosa. Conteneva un cupcake al cioccolato con la scritta “eat me” di glassa blu e aveva un profumo che si avvicinava a come credevo fosse il paradiso. Mi si chiuse lo stomaco.
Non mangiavo più cose di quel genere, lo sapeva. Era stato proprio per colpa sua che avevo smesso di mangiarle. Quello era un colpo basso. Inoltre era sabato, il giorno dopo le iniezioni di ferro, e se mangiavo qualcosa al novantanove per cento vomitavo. Lo sapeva, dannazione.
Sbattei con forza quell’orrore calorico nel bidone più vicino e gridai contro a due ragazzine che non facevano altro che fissarmi di smetterla e di farsi una vita. Mi sentivo molto Cher in quel momento, o semplicemente molto incazzata, non che le due cose fossero molto diverse.
Sentivo una strana adrenalina scorrermi nelle braccia, come se avessi potuto tirare un pugno al primo che passava e stenderlo all’istante. Forse non me ne sarei neanche pentita.
 Non era la prima volta che mi capitava, ma non era mai stato così forte.
E mi faceva male l’incavo del gomito.
Il familiare profumo di Allyson raggiunse le mie narici prima che i miei occhi potessero catturare la sua figura stravagante attraversare di corsa il corridoio e fu come una specie di calmante. Riuscì almeno a fermare il tremolio alle mani.
«ieri sei andata a letto con Logan?» domandò investendomi e afferrandomi dalle spalle, cominciando a scuotermi. Quindi era quello che la gente andava a dire in giro? Che avevamo fatto sesso?
«Buongiorno anche a te, Ally»  le risposi seccata, improvvisando un mezzo sorriso. Allyson mi mise un braccio intorno alle spalle e mi trascinò con se al suo armadietto, contagiandomi con la sua aria rilassata. Sembrava felice.
«Andiamo, rispondi, quale delle versioni è vera? Dopo che avete lasciato insieme il crush ti ha portato al molo per una passeggiata romantica, siete andati a casa tua o non ci siete neanche arrivati a casa e avete utilizzato la sua limousine per le vostre sconcerie?»
Non sapevo se ridere, piangere o apprezzare la fantasia altrui, forse un po’ di tutti e tre sarebbe andato bene. Mi ero scordata come la gente riuscisse a distorcere gli eventi e quello, beh, era un particolare della mia vecchia vita che non mi mancava affatto.
«Da chi hai sentito queste storie?» le chiesi mentre apriva l’armadietto. Distesi le braccia per darle una mano a prendere i libri.
«Ho incontrato Jonny Tresh  che ha saputo da Lerry Crow della squadra di lacrosse di Logan la versione della limousine; un gruppetto di ragazzine cotte di Logan dicevano che era troppo buono per scoparti così, quindi sostenevano la questione del molo e Caroline Lanou delle cheerleader ha fatto una foto di voi due che entravate nella limousine fuori dal Crush e poi di lui che ti apre la portiera davanti a casa tua, quindi ha messo in giro la voce della sveltina lì. Ma Caroline non è attendibile, sai, è stata con Logan qualche mese fa ma lui l’ha scaricata dopo neanche tre giorni e a lei è rimasto sullo stomaco» Allyson mi guardava divertita, lo era sera sempre stata dalle questioni come la popolarità o i pettegolezzi, solo che non ci dava importanza.  Ci avviammo verso le scale e più sentivamo la gente parlottare più ci veniva da ridere.
«Non è successo niente Ally, Logan mi ha riaccompagnato a casa dopo che mi hai scaricato per Seth e basta. Piuttosto tu devi raccontarmi qualcosa o sbaglio?»
Probabilmente Ally non aspettava altro che le ponessi quella domanda perché le si illuminò il viso e poco ci mancò che si mettesse a saltare dalla gioia.
«Al crush mi ha baciato»
Bene.
«Mi ha detto che ero la sua ragazza ideale»
Puzzava di cazzata.
«Siamo rimasti lì a ballare per un’infinità di tempo e lui era così bello sotto quelle luci, così sexy, e mi guardava come se fossi l’unica persona in quella stanza»
La situazione peggiorava.
«Gli ho proposto di andare da me perché l’aria si era fatta troppo…calda per stare tra tutte quelle persone»
Il mio cuore cominciò ad accelerare i battiti. Mi stavo agitando per niente, ma non riuscivo a smettere.
«Bliss, è stato così eccitante»
Ecco che ricominciavano a tremarmi le mani.
«Credo che sia stati il sesso migliore della mia vita.»
L’avevano fatto.
L’adrenalina riprese a scorrermi nel corpo. Mi sentivo di nuovo incazzata, elettrica, inquieta.
Non capivo come mai mi stessi arrabbiando in quel modo, era Ally, aveva diciotto anni, poteva fare quello che voleva. Eppure c’era qualcosa, come un martelletto nel cervello, che mi spingeva ad essere aggressiva.
«Ally, lo conoscevi si e no da qualche ora e te lo sei portato a letto? Cosa succede alla dolce e innocente Allyson?» le feci la predica con un tono più rude di quanto avrei voluto, tanto che lei mi guardò come se fossi pazza. Non ero io la pazza, ma lei, lei che si scopava uno al primo mezzo appuntamento. No? Seth poi, cosa ci trovava in lui? Era un ragazzo terrificante.
«Bliss non hai ancora sedici anni, è presto per capire» ribattè mantenendo la calma, nel frattempo mi guardava e cercava di capire cosa mi stesse succedendo. Come poteva se non lo sapevo neanche io?
Avevo voglia di sfogare la mia rabbia su qualcosa.
«Andiamo Ally, cosa c’è da capire? Sei andata a letto con il primo che passava»
A quel punto la faccia di Ally diventò rossa come i suoi capelli.
«Non puoi capire, non lo hai mai provato» ripetè per la seconda volta, facendo traboccare il vaso.
Una miriade di “non puoi capire” mi tornarono in mente tutti nello stesso momento, spiazzandomi.
Tesoro, è mio figlio ed è scomparso, non puoi capire quello che sento.
Si mamma, ti capivo, era mio fratello e stavo provando tutto quello che provavi anche tu.
Non puoi capire quanto ti amo.
Si Logan, lo potevo capire, ti amavo allo stesso modo.
Non puoi capire, non lo hai mai provato.
E invece ti sbagliavi Ally, lo sapevo cosa significava fare l’amore, ma era diverso da quello che avevi fatto con Seth.
Perché tutti pensavano che non fossi all’altezza di capire?
Non riuscii più a trattenermi.
Dovevo colpire qualcosa o sarei potuta impazzire. Non Ally, non un qualche povero studente che passava da quelle parti. Il muro.
Mi girai e troppo incazzata per potermi rendere davvero conto di ciò che stavo facendo, feci per lanciare la mia mano contro il muro del corridoio del secondo piano con una forza uscita da chissà dove.
Le mie nocche, però, non raggiunsero mai quel ripiano duro.
Erano intrappolate nel palmo di un’altra mano.
«Calma i tuoi istinti da Rocky Balboa, piccola Bliss. Il fight club si riunisce in palestra»
Seth, ci mancava solo lui. Quando era arrivato?
Il fatto che fosse lì, a bloccare il mio unico modo di sfogarmi con il suo solito ghigno in faccia, non fece altro che amplificare tutto ciò che avevo dentro, qualsiasi cosa fosse.
Almeno finchè non sentii come una calma improvvisa persuadermi da testa a piedi, partendo dalle dita di Seth strette intorno al dorso della mia mano.
Lui sorrise, come se sapesse ciò che stavo provando in quel momento.
Cosa stava facendo?
«Ciao bellissima» disse qualche secondo dopo, riferendosi ad Allyson. Si sporse verso di lei e le diede un bacio veloce mentre lasciava andare la mia mano. Mi venne da vomitare.
Ero spossata, le braccia che prima raccoglievano fin troppa energia al momento ciondolavano dalle mie spalle senza la minima intenzione di fare ulteriori sforzi, le mani tremavano essenzialmente, la mia testa era vuota.
«Bliss, ma che ti ha preso? Chiamami quando ti calmi» la mia migliore amica mi girò le spalle per la prima volta da quando la conoscevo, lanciandomi un ultimo sguardo scioccato prima di sparire dietro l’angolo che l’avrebbe portata in classe. Seth fece per seguirla, ma una volta che incontrò i miei occhi qualcosa gli fece cambiare idea. Sembrava preoccupato.
«Dai Bliss, se proprio vuoi sfogare la tua rabbia, ti ci accompagno io alla riunione del fight club» avevo sperato che dicesse qualcosa di sensato, ma quella fu l’ennesima prova che Seth non avesse un briciolo di cervello. Prima di andarsene mi sfiorò la spalla con le dita, facendolo passare come un gesto involontario mentre si aggiustava la cartella. Sapevo che l’aveva fatto a posta, lo sapevo perché subito dopo mi sentii ancora più stordita e più calma. Era strano che il suo tocco mi provocasse una tale sensazione.
Averi voluto mandarlo a quel paese, dirgli che non si doveva neanche permettere di toccare me e tantomeno Ally, ma sparì prima che riuscissi ad aprire bocca. Restò solo il suo profumo nell’aria, profumo di aria fresca, di mare e di qualcosa di dolce senza però essere stucchevole che non riuscii a riconoscere. Era il primo punto a favore che gli davo, aveva un profumo paradisiaco. Anzi, il secondo, perché nonostante me ne fossi pentita, pochi minuti prima avevo pensato che fosse sexy.
Lui e quei dannati occhi color ghiaccio.
Era entrato nella mia vita da pochi giorni e già lo odiavo.
 
Una volta suonata l’ultima campanella della giornata l’unica cosa che avrei voluto fare era andare a casa e gettarmi sul divano a vedere film finchè i miei sensi non si fossero completamente assopiti e il sonno avrebbe preso il sopravvento, così da poter dormire tutto il tempo e non essere neanche tentata dal mangiare qualcosa.
Vomitare non era esattamente la mia materia preferita.
Non ero ancora pronta a chiedere scusa ad Ally, così cercai di evitarla quando una volta fuori dal portone attraversai il parcheggio per poter raggiungere la strada. Mi nascosi sotto il cappuccio del felpone di Josh anche perché, se Logan mi avesse visto, non avrebbe esitato a chiedermi se volevo un passaggio a casa sulla sua vespa da bravo ragazzo e io davvero non avevo voglia di creare altri pettegolezzi. L’unica persona che non avevo pensato di sviare, però, fu proprio quella che interruppe la mia tranquilla passeggiata attraverso le stradine animate della città per raggiungere casa.
«Sali» un macchinone argentato inchiodò davanti a me prima che potessi attraversare l’incrocio tra la Lexton e la Vegar. La voce del guidatore giunse forte e chiara nonostante i finestrini fossero completamente alzati.
Suonò come un ordine, un ordine a cui non potevo sottrarmi, e anche se avessi voluto, mi sentivo troppo debole per dire di no.
Sapevo anche da chi proveniva, così non mi sorpresi quando una volta sul sedile del passeggero vidi i soliti capelli neri spettinati e le labbra increspate che lo caratterizzavano. Seth.
«Ma quanta gentilezza» borbottai mentre mi allacciavo la cintura, lui si girò a guardarmi sorridendo.
«La gentilezza è la mia vocazione» rispose sarcastico poi, senza neanche guardare per strada, accelerò di botto facendo stridere le ruote sull’asfalto. Non scherzerei se dicessi che arrivammo a casa mia in un minuto, tra semafori presi al volo prima che diventassero rossi e slalom tra i poveri pedoni che attraversavano. Non feci in tempo ad abituarmi al suo buonissimo profumo che si espandeva per tutto l’abitacolo che già dovetti lasciarlo.
«Come fai a sapere che abito qui?» gli domandai rendendomi conto che non glie l’avevo mai detto.
L’avevo detto che era un tipo inquietante.
Naturalmente Seth non rispose, piuttosto si parcheggiò davanti al cancello d’entrata e scese dalla macchina per raggiungerlo a piedi. Suonò al citofono. Che diavolo stava facendo?
Lo raggiunsi frettolosamente, ma non abbastanza per sentire cosa aveva detto a mia madre per farsi aprire.
«Seth che diavolo stai facendo?» il suo silenzio mi fece innervosire ancora di più, eppure non abbastanza per farmi tornare la sensazione di quella mattina. Anzi, stargli accanto mi faceva da calmante più di qualsiasi altra cosa.
Attraversai il sentiero di ciottoli quasi correndo per potergli stare al passo e una volta che raggiungemmo il patio, mia madre ci aprì sorridente la porta.
«Oh tesoro, tu devi essere Seth?» gli chiese gentile, rendendomi ancora più confusa.
Forse il mondo si era capovolto e non me ne ero accorta, forse ero finita in uno pseudo universo parallelo, forse il profumo di Seth era in realtà una qualche droga e quello era solo un viaggio mentale. Tutto sarebbe stato più facile che credere a quella scena.
«Si, salve signora Strathmore, sono Seth Porter» fece il brunetto allungandole la mano, lei rispose ammiccando. COSA?
«Chiamami pure Stella, tesoro. Trevor ti sta aspettando in giardino» Trevor? Cosa centrava il giardiniere? «Bliss, puoi mostrare a Seth il bagno degli ospiti così può cambiarsi?»
Annuii senza avere la forza di rispondere. Quella doveva essere un’illusione. Per forza.
Seth mi sorrideva divertito, in attesa che lo portassi dove mi aveva chiesto mamma, così lo accontentai afferrandolo per il gomito e trascinandolo con me.
«Cosa ci fai qui? E rispondi sta volta» probabilmente quello fu il tono più minaccioso che avevo usato in tutta la mia vita. Ed era frustrante il fatto che non riuscissi ad andare su tutte le furie. Non riuscivo a raggiungere quell’adrenalina che, per una volta, mi sarebbe stata utile. Perché? Perché a me?
«Ehi mi serviva un lavoro, Trevor aveva bisogno di un aiutante, ho saputo solo ieri che era questa la casa in cui lavorava»
Ci fu qualcosa, nel suo sguardo, che mi convinse che non stava assolutamente dicendo la verità, ma fu sopraffatta da un pensiero più importante.
Trevor veniva a curare l’immenso giardino di casa tre volte a settimana.
Seth doveva lavorare con Trevor.
Seth sarebbe stato a casa mia, per tutto il pomeriggio, tre volte a settimana.
Seth aveva deciso di rovinarmi la vita.
 

 


 

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Capitolo 6
*** Fratello scomparso ***




6
Fratello scomparso.

SETH
 
Ero in quella casa da più di quattro ore e non ero ancora riuscito a metterci piede dentro.
Trevor, per quanto in teoria era stato facile soggiogarlo, aveva un senso del lavoro così forte che non importava quanto giocavo con la sua mente, ogni volta che mi vedeva con le mani in mano mi faceva una paternale degna di Benjamin; la cara mamma di Bliss era impegnata a lavorare in cucina, stanza che aveva una visuale completa sul giardino, e Bliss era gettata sul divano proprio accanto alla porta che dava in salone e mi lanciava occhiate truci ogni dieci minuti circa. Ero intrappolato, frustrato e obbligato almeno a fingere di lavorare. Io e le mie idee geniali.
C’era una persona, però, che non avevo ancora visto. Una delle ragioni che mi aveva spinto a volermi intrufolare in quella casa. Quel Josh Strathmore che aveva scattato le foto di Bliss, Georgia e Logan per la loro rivista; quello che era presente nei registi scolastici fino all’anno precedente – avevo controllato quella mattina – e poi puff, niente più sul suo conto; quello che, ancora più di Bliss, era rimasto nell’oscurità.
Non era una famiglia che dava nell’occhio, nonostante la casa maestosa volesse suggerire il contrario. Era tutto troppo strano, tutto ancora da chiarire, ma mi sentivo troppo elettrico per poter pensare lucidamente.
Era colpa della forza sottratta a Bliss per farla tranquillizzare, mi era entrata in circolo e mi sentivo capace di conquistare il mondo. Il da dove le era uscita quella potenza era ancora sconosciuto, ma si aggiungeva all’elenco di cose su cui indagare, insieme alla questione che stava morendo di fame e si ostinava a non mangiare. Per quanto non mi piacesse, ero il suo angelo custode, eravamo collegati, e se lei aveva fame, mi sentivo come se ce l’avessi anche io. Se non si fosse decisa a mettere del cibo sotto i denti, le avrei ficcato qualcosa in bocca senza fare troppe cerimonie. Era insopportabile e nettamente in contrasto con la forza che sentivo. Cozzavano tra loro e mi spossavano, rendendomi debole e l’attimo dopo invincibile.
A cosa mi ero ridotto.
Quando io e Trevor ci ritrovammo a lavorare alla stessa siepe, lontani dalle vetrate di casa e da chiunque altro avesse potuto sentirci, decisi che era arrivato il momento di agire.
«Cosa sai su Josh?» azzardai mostrandomi spavaldo, chiamandolo per nome così che lui pensasse che sapessi già un fondo di verità. Pregai che mi rispondesse qualcosa di sensato .
«Dove sei stato nell’ultimo anno?» rispose Trevor con la sua risata gutturale, dandomi un indizio anche senza volere. Un anno, qualsiasi cosa fosse successa, era successa nell’arco di un anno. Almeno era una restrizione.
«Sono nuovo di qui e, sai, volevo sapere qualcosa di più sulla famiglia per cui lavoro» con l’aria da ragazzo di campagna appena arrivato in città l’avrei subito conquistato, ne ero certo. Sorpassando sulla questione del lavoro, Trevor era davvero facile da soggiogare. Era stato semplice convincerlo che aveva bisogno di un aiutante, che aveva bisogno proprio di me, e se non avesse voluto aggiungere altro, l’avrei convinto anche a vuotare il sacco. Se fosse stato così semplice con tutti, al momento avrei già scoperto tutto ciò che c’era da scoprire e mi starei prendendo un cocktail al bar anziché darmi al giardinaggio.
«Ragazzo, ti dico solo una cosa. Lavoro in questa famiglia da ben dieci anni, la piccola Bliss è come una figlia per me ed è stata molto male per il fratello, azzardati a chiederle qualcosa su di lui e ti mando subito via. Piuttosto te ne parlo io»
Quindi doveva essere una cosa seria se non voleva che ne parlassi con Bliss. La faccenda si faceva ancora più interessante.
«Non avevo intenzione di chiederle niente, ma speravo davvero in una tua…versione dei fatti» improvvisai, chiedendomi come mai non avessi mai preso in considerazione l’idea di fare l’attore. Bello ero bello, carismatico ero carismatico, e recitare, a quanto pareva, era il mio punto forte. Magari dopo che il Grande Capo si fosse deciso a liberarmi dal mio contratto di baby-sitter a tempo pieno, avrei potuto cercare di sfondare a Hollywood.
Ma forse non era il momento adatto per pensarci.
«Josh è... Josh è scomparso.» spiegò abbassando automaticamente la voce. Forse non avevo capito bene.  Scomparso? In che senso comparso?
«Continua» lo incitai, morendo dalla voglia di conoscere tutto e subito. Finalmente qualcuno che sembrava disposto ad andare oltre la fitta coltre di nebbia attorno alla famiglia Strathmore e al non fermarsi  a “sei nuovo qui”. Non era certo colpa mia se mi ero perso tutto il divertimento.
«L’anno scorso, dopo la festa per i suoi sedici anni. Hanno ballato tutta la notte, si sono divertiti, hanno cantato tanti auguri, spento le candeline, fatto le solite foto e poi puff. Nessuno ha visto più Josh. Tutti pensavano che si fosse appartato con la sua ragazza, ma lei sostiene di non essere stata con lui dopo la festa. È semplicemente scomparso, senza nessuna lettera, senza alcuna richiesta di riscatto dai possibili rapitori, senza indizi. So che sono cose che succedono, ma lui era un bravo ragazzo. Non ci saremmo mai aspettati una cosa del genere. E Bliss è quella che se l’è passata peggio.»
Per un attimo, solo un attimo, un po’ mi dispiacque per Bliss. Certo la questione “Josh” non rispondeva a molte delle mie domande, ma almeno capivo come mai aveva sempre quell’aria distaccata, come se non potesse fidarsi di nessuno. Infondo era una reazione normale per una che aveva visto il proprio fratello scomparire. Forse avrei dovuto aiutarla. Gli agenti non avevano trovato niente, ok, io però ero pur sempre un angelo. Forse un angelo leggermente più intelligente e cattivo degli altri, ma in qualità di creatura divina sicuramente  me la sarei cavata meglio di un semplice umano.
«Hai detto che probabilmente l’ultima persona ad averlo visto è stata la sua ragazza. Chi era?»
Magari avrei potuto iniziare ad indagare da lei, così da non includere Bliss. Era una ragazza ed in quanto tale da lei potevo ottenere qualunque cosa volevo senza neanche dover usare un qualche tipo di pressione o sottomissione.
«Un bel bocconcino, l’hai sicuramente vista a scuola. Non passa facilmente inosservata»
«Andiamo, voglio il nome»
Trevor controllò l’orologio e abbassò il braccio con le cesoie, tirando un sospiro.
Il sole stava tramontando alle sue spalle e il cielo si era tinto di una strana tonalità di rosa, quasi tendente al viola. Il nome che pronunciò venne portato via dalla folata di vento che ci colpì e che  fece volare le ormai poche foglie secche rimaste intrappolate tra l’erba, ma nonostante tutto riuscii a comprenderlo. Non senza prima rimanerne folgorato.
Cher Clochard.
Cher era stata la ragazza di Josh.
Cher era anche stata amica di Bliss.
E chi se lo sarebbe mai aspettato che la chiave di tutto poteva essere proprio quella stupida biondina?
«Seth, è ora di staccare, tu sei autonomo vero?»
Annuii senza dargli peso, con il cervello che lavorava a mille e le braccia che tremavano prese dall’eccitazione. C’ero vicino, ero vicino alla verità.
«Trevor, mamma è uscita. I soldi sono sul bancone della cucina» Bliss comparve oltre la porta finestra del salone, l’aria di chi era stata costretta ad alzarsi dal divano e i capelli arruffati. Aveva in mano un mezzo panino, finalmente stava per placare quell’orrenda sensazione.
«Va bene, non preoccuparti, torna a poltrire sul divano» rispose lui sorridendo affettuoso. Doveva volerle bene davvero.
Aiutai Trevor a riporre gli attrezzi nel gazebo e quando mi diede il venti per cento del suo incasso buttò lì un “sono contento di lavorare con te, sei un bravo ragazzo” che mi spiazzò. Odiavo la gente che mi definiva così, mi faceva sentire in colpa, come se in qualche modo dovessi davvero esserlo.
Ma me e “bravo ragazzo” nella stessa frase davvero non potevano coesistere.
Decisamente no.
Quando anche Trevor lasciò quella casa, mi resi conto che finalmente era arrivato il momento di iniziare l’operazione “sonda” in casa Strathmore. Eppure, nonostante avevo chiaramente visto Bliss con quel panino in mano, nonostante quella sensazione di fame acuta si fosse placata per qualche minuto, all’improvviso qualcosa di ancora più forte mi prese allo stomaco. Un allarme fin troppo chiaro che mi fece agitare.
«Bliss» gridai automaticamente, correndo su per le scale che dominavano il salone. Non ero mai salito al secondo piano, non sapevo neanche quale fosse la sua camera, ma un rumore dal soffitto mi suggerii che le scale infondo al corridoio portavano da lei. Superai anche quelle, due scalini per volta, fino a ritrovarmi in una soffitta dal tetto spiovente.
E Bliss era lì, seduta per terra con la schiena appoggiata al lettone matrimoniale, le ginocchia al petto e una vaschetta di plastica accanto. Era bianca come un cadavere.
«Cosa diavolo ci fai tu qui?» domandò guardandomi da dietro la mano che le reggeva il viso. Già Seth, cosa ci fai lì? Come le spiegavo che mi sentivo come se lei stesse per morire?
Ciao, sono Seth, sono il tuo angelo custode,se tu stai male, io sto male, ma non c’è niente di romantico in questo.
«Ho sentito dei rumori strani e sono venuto a controllare» improvvisai avvicinandomi un po’, giusto per riuscire a guardare all’interno della vaschetta. Era piena di vomito. «Stai bene?»
«No Seth,guarda, sto benissimo. Perché non andiamo a berci qualcosa al Crush?»
«Il tuo sarcasmo fa pena, piccola Bliss»
«Se non l’avessi notato, sto seriamente male»
Un conato la scosse e si accasciò con tutto il corpo sulla vaschetta blu, senza però rimettere niente. Mi piegai su di lei per mantenerle la fronte, quasi dispiaciuto. Fosse stata un’altra me ne sarei fregato, ma lei era in mia custodia e sembrava così piccola e indifesa, soprattutto dopo ciò che avevo saputo.
Quando si riprese, mi sedetti al suo fianco, dalla parte opposta rispetto alla sua nuova amica “vaschetta”.
«Prova a vomitarmi addosso e non so se riuscirò a trattenere la mia forza omicida»
«Nessuno ti obbliga a restare qui,anzi, starei meglio con te fuori dai piedi»
E invece si sbagliava, qualcosa che mi obbligava a restare lì c’era, però non sapevo neanche io cos’era.
Così semplicemente restammo in silenzio, seduti per terra uno accanto all’altra.
Non riuscivo a trovare un aggettivo che riuscisse a descrivere quel momento, forse non esisteva neanche. Perché quel silenzio non era imbarazzante, ma neanche del tutto rilassato; perché avrei voluto fare qualche battuta spiritosa, ma avevo paura di ferirla e davvero non volevo farla stare peggio di come già si sentiva.
Era tutto strano.
Ecco, si, strano.
Non sapevo esattamente da quanto eravamo seduti lì, ma quella meditazione in stile Buddha venne interrotta dalla suoneria del mio cellulare. Numero sconosciuto, eppure sapevo perfettamente di chi doveva trattarsi.
«Riley  allora? Possiamo vederci oggi?» domandai schiarendomi la voce, sorprendendomi come sempre del fatto che tipi come Riley avessero un telefono. Per intenderci, Riley era un vampiro. Una specie di boss mafioso nella sua gang di vampiri tutto fumo e niente arrosto.
«Periferia di Brighton, solito vicolo, tra non più di un’ora» il tempo di dire il necessario e riattaccò. Pensandoci, i primi due aggettivi che mi venivano in mente per descriverlo erano gentile e socievole. Si, decisamente quelli.
Mi girai verso Bliss, le sue guancie cominciavano a riprendere colore.
«Perché stai vomitando?» le domandai beccandomi un’occhiataccia alla “ti preferivo quando stavi zitto”. Sorrisi colpevole.
«Una stupida medicina. O non mangio per tutta la giornata o mangio e vomito ciò che ingerisco.»
«Ma le medicine non dovrebbero farti stare meglio?»
«Sono iniezioni di ferro o qualcosa del genere, le prendo da sempre, ma più cresco e più hanno questi effetti collaterali»
Sinceramente non avevo mai sentito una cosa del genere, ma di certo non mi sarei messo a fare il suo dottore oltre che l’angelo custode. Sapevo, però, che dovevo raggiungere Riley entro mezz’ora e che se davvero Benjamin aveva ragione e stava succedendo qualcosa di strano ai piani alti, lui ne era a conoscenza. Ma sapevo anche che non potevo lasciare Bliss sola in quelle condizioni. E se fosse svenuta? Se si fosse strozzata con il vomito?
«A che ora tornano i tuoi?»
«Torneranno sta notte, ma a te che importa?»
Mi alzai e cominciai a camminare per la stanza, cercando una soluzione al problema. Davvero non potevo lasciarla in quello stato.
Così ebbi un illuminazione.
Forse era una cosa stupida e idiota, ma tanto ormai ero abituato alle mie idee stupide e idiote.
Mi abbassai verso Bliss e le misi un braccio intorno alle spalle per sollevarla mentre lei mi guardava ad occhi spalancati, come se mi stesse gridando di metterla giù.
«Cosa stai facendo, Seth?» domandò spingendomi via una volta in piedi. Il fatto che una ragazza così minuta avesse la forza di allontanarmi mi fece per qualche motivo ridere, era carina così tutta incazzata. Diciamo dolce.
«Vieni con me dai, non posso lasciarti sola»
«ma che te ne frega a te di me? Me la so cavare da sola»
«no, non ce la farai»
«e invece si»
Alla fine avrebbe anche potuto avere ragione, magari era abituata a quel genere di cose, ma anche solo per il gusto di vincere l’ennesimo battibecco non l’avrei lasciata. Così mi avvicinai a lei e la sollevai di forza sulla mia spalla, cominciando a correre per le due rampe di scale e verso la mia macchina mentre la mia schiena sopportava pugni che facevano più male del previsto. Presi anche in considerazione di metterle un calzino in bocca se non avesse smesso di gridare.
«Seth lasciami andare!»
Aprii la portiera del passeggero e la lasciai scivolare sul sedile dalle mie braccia, allacciandole subito dopo la cintura di sicurezza. Quando fui al posto di guida misi la sicura agli sportelli, neanche fosse una bambina piccola, e subito partii in quarta.
Bliss non sembrava spaventata, lei non sembrava mai spaventata, solo infastidita. E non aveva più neanche la faccia di una che stava per vomitare perchè probabilmente aveva già espulso quel misero panino che aveva mangiato.
La guardai con in ghigno quando mi mise il broncio incrociando le braccia sul petto e lanciandomi uno sguardo omicida.
«Mi dici almeno dove stiamo andando?» domandò scontrosa in versione “Boss del quartiere”.
L’attimo prima sembrava così piccola e debole, l’attimo dopo aveva la forza di sfidare il sottoscritto. Non era da tutti.
Niente Bliss, andiamo a chiedere informazioni su un’ipotetica ed ennesima sommossa del male sul bene ad un gruppo di demoni-vampiro che si credono i padroni dei  sottoborghi di Brighton. Ma tutto tranquillo, eh.
«Devo sbrigare una commissione, poi magari passiamo da Abby»


Buona sera gente :)
So che è passata un'eternità dallo scorso aggiornamento e so che questo capitolo è corto e non è un granchè, però non volevo farvi aspettare ancora e ho buttato tutto giù in un paio di giorni. Una combinazione di interrogazioni di fine quadrimestre, pc che fa i capricci e un viaggio a Parigi non mi hanno permesso di scrivere per molto, però sono tornata e il prossimo capitolo arriverà molto più velocemente, promesso :)
non ho risposto ad un paio di recensioni ma lo farò in serata, in attesa (si spera) delle altre!
Grazie a tutti quelli che leggono, davvero, mi fate felicissima.
Alla prossima!
Un bacio a tutte, fog_

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Capitolo 7
*** Vampiri pt1 ***


 


7
Vampiri pt.1

BLISS
 

Quando avevo immaginato il mio pomeriggio, quella mattina, mi ero subito vista gettata sul divano a poltrire comodamente tutto il pomeriggio, lontana dal cibo, dal vomito e da qualsiasi altra cosa avesse potuto turbarmi. Io e il mio oziare. Naturalmente i miei piani erano andati in frantumi quando quell’amore di Seth si era fatto venire una passione per il giardinaggio, ma da lì a finire sbattuta nella sua macchina, legata al sedile come una neonata,  ce ne voleva. Era troppo anche per lui.
«Sei nella mia macchina per la seconda volta in un giorno, piccola Bliss. Dovrei considerarlo un onore?» domandò il pessimo guidatore con il suo rivoltante tono sarcastico e un ghigno dipinto sul viso. Dieci minuti, eravamo lì da dieci minuti e non aveva fatto altro che punzecchiarmi mentre vecchie canzoni si succedevano placide alla radio e la città ci scorreva accanto. Sembrava che stessimo uscendo da Brighton, ma non avrei saputo dire con precisione dove ci trovavamo.
«Ti prego, per una convivenza civile in questo abitacolo, smettila almeno di chiamarmi “piccola Bliss”.» gli dissi tirando un enorme sospiro. Poggiai la testa sul sedile e chiusi gli occhi, fingendo di non notare l’ennesima sterzata della vettura. Certo, il vomito era finito, ormai non avevo più niente nello stomaco, ma se avesse continuato a guidare in quel modo giurai a me stessa che gli avrei rigurgitato addosso quando mi sarebbe tornato. E con quell’andatura non ci avrebbe messo tanto. «che poi, “piccola”, perchè tu quanti anni?»
«Diciassette, tu?» distolse lo sguardo dalla strada e si girò regalandomi un’altra espressione dalla sua gamma personale. Quella doveva essere la divertita/barra/ah-ah-ti-ho-fregata.
Espressività dieci, simpatia zero.
«Sedici tra un mese» un sorrisetto si dipinse sulle sue labbra e mi fece venire voglia di aver mentito, perché in quel modo praticamente gli avevo dato carta bianca per aggiungere “piccola” al mio nome. Mi ero messa nel sacco da sola.
«Ma se hai solo diciassette anni, perché guidi una macchina? Non potresti avere la patente»
Nuova mia domanda, nuova sua espressione divertita. Mi chiesi se se le provava allo specchio tutte quelle facce o gli uscivano naturali.
«Ci sono tante altre cose che devi imparare su di me, piccola Bliss»
«Oddio, imparare? Perché? Passeremo altro tempo insieme?»
E per la prima volta da quando lo conoscevo, almeno per qualche secondo, riuscii a zittire Seth Porter. Non controbatté, semplicemente scoppiò a ridere trascinando anche me con lui, perché dovevo ammettere che quando rideva diventava almeno sopportabile. Mi piaceva il modo in cui le sue labbra si distendevano, non era né strafottente né sul punto di dire una delle sue battute da far saltare i nervi. Sembrava solo un bel ragazzo spensierato, e se fosse stato così tutto il tempo magari mi sarebbe anche piaciuto. Ma, ehi, parlavamo sempre di Seth, e dopo quel breve momento di pausa tornò ad essere l’essere misterioso dagli occhi color ghiaccio che era sempre.
C’era qualcosa, in lui, che sembrava dannatamente fuori posto. Come se stesse bluffando tutti. Come se ci stesse nascondendo qualcosa proprio sotto il naso, eppure nessuno sembrava in grado di scovarlo.
Era strano.
Ogni parte del suo corpo, ogni suo modo di fare, suggeriva pericolo.
Eppure non mi ero mai sentita al sicuro come quando c’era lui nei paraggi e questo mi dava fastidio.
Ma, più di tutto, mi dava fastidio il fatto che  non mi riuscissi a spiegare come mai uno sconosciuto potesse avere quell’effetto su di me.
Odiavo non avere risposte e c’era già una grande incognita nella mia vita con cui dovevo fare i conti tutti  giorni, non avevo bisogno che il grande, possente e oscuro Seth si aggiungesse ai miei problemi.
«La smetti di fissarmi? Mi distrai» la voce di Seth mi fece rendere conto che erano cinque minuti buoni che stavo lì a guardarlo imbambolata, tutta persa nei miei pensieri, e per nascondere il fatto che mi avesse fatto arrossire tornai a mettere il broncio fissando la strada oltre il parabrezza. Lui ridacchiò.
«Sono i tuoi occhi. Te l’ho detto, mi mettono in soggezione. Sono troppo…grigi.» improvvisai sbottando scontrosa. «Ti regalerò un paio di occhiali da sole»
«e tu sei troppo magra, ma non te lo faccio notare ogni minuto»
Probabilmente non l’aveva detto con cattiveria, anzi, sicuramente non aveva neanche immaginato cosa ci fosse dietro quell'affermazione, ma qualcosa mi si mosse dentro facendomi chiudere ancora di più. Lui non sapeva. Avevo fatto delle scelte sbagliate in passato e me ne ero pentita, però avevo cercato di rimediare per quanto possibile. Non era colpa mia se un giorno alla settimana lo passavo digiunando o che il mio corpo si fosse abituato a non mangiare determinate cose. Non potevo farci niente.
Non si usciva facilmente dai disturbi alimentari.
Una pioggerellina fastidiosa cominciò a battere contro i vetri dell’automobile, così ne approfittai per perdermi nel rumore che produceva, una delle poche cose che riuscivano sempre a rilassarmi. Appoggiai la testa al finestrino, chiusi gli occhi e semplicemente svuotai la mente facendo finta che Seth non fosse lì accanto. Mi sentivo stanca anche se a lui non volevo darlo a vedere e l’unica cosa che desideravo era sbrigare il più in fretta possibile il servizio che doveva fare e tornare a casa a dormire. Non volevo neanche passare da Allyson, non avevo le forze per affrontarla.
«non volevo offenderti» disse Seth dopo qualche minuto di silenzio. Sentii il suo sguardo su di me e rabbrividii, ma mi girai solo dopo che mi accorsi che non sembrava intenzionato a distoglierlo. Considerando che stava guidando e che la nostra vita era nelle sue mani, non era una bella idea.
E poi rimasi colpita.
Mi persi nel suo ghiaccio e lo trovai libero dalle solite barriere, sembrava quasi… dispiaciuto? Pentito?
Seth provava sentimenti del genere?
«è ok» balbettai leggermente spiazzata, cercando di tornare nella mia bolla nonostante cominciassi a sentirmi a disagio. Lo preferivo nella versione sarcastica piuttosto che in quella così vera da far venire la pelle d’oca.
Passarono altri dieci minuti in cui ci crogiolammo nel gelo che si era creato, rinchiusi nei nostri mondi, con la radio che ancora andava e la pioggia che continuava a cadere. Non parlavamo, non ci guardavamo, e quando finalmente sembrò rallentare la sua corsa pazza ringraziai il cielo che fosse finita.
Seth accostò davanti ad un vicolo come tanti altri che avevamo superato. Non avevo idea di dove fossimo, non era abbastanza per uscire da Brighton, ma troppo per considerarci in piena città. Le strade erano lunghe e desolate, piene di palazzi dai mattoni rossi, portoni abbattuti  e insegne spente. Pregai che non fosse lì che doveva svolgere la sua “commissione”, ma questa volta non fui esaudita.
Seth spense la macchina.
«Ascoltami piccola Bliss, questo non è un bel posto quindi ora io esco e tu ti chiudi qui» cominciò a spiegare, facendomi venire un buco allo stomaco. Aprii la bocca per protestare, ma lui mi precedette tappandomela con la mano. Si fece più vicino, fissando i miei occhi nei suoi. Non scherzava. «tu non ti muovi di qui, neanche un passo, non ti avvicinare proprio alla portiera. Io cercherò di fare in fretta, ma se non torno entro mezzora mettiti al posto del guidatore e scappa, io me la caverò. Fa niente che non hai la patente. Non.venirmi. a.cercare.per.nessun.motivo»
Non avrei voluto farmi prendere dal panico, non ero il tipo, eppure la situazione cominciava ad agitarmi. In cosa ero andata a cacciarmi?
Qualcosa, nel modo in cui mi guardava, mi suggerì di ascoltarlo almeno per quella volta.
Seth tolse la mano per due secondi per poi riavvicinarla al mio viso, sta volta per coprire gli occhi.
Quando lo sentii avvicinarsi pensai oddio, adesso mi bacia e il mio stomaco cominciò a torcersi. Percepivo il suo profumo tanto forte da stordirmi, quel buonissimo profumo, mentre il suo respiro era sul mio viso e il suo corpo allungato verso di me. Avrei voluto muovermi, ma ero come immobilizzata.
Il cuore mi stava uscendo dal petto.
Oddio. Seth. Odio. Allyson. Profumo. Respiro. Oddio.
Nell’abitacolo si diffuse il rumore di qualcosa che si apriva, come uno sportellino. Il braccio di Seth sfiorò il mio e i suoi muscoli presero a guizzarmi accanto. Oggetti cozzavano tra di loro. Stava cercando qualcosa.
Nel contenitore davanti al sedile del passeggero.
Quando lo richiuse finalmente tirai un sospiro, consapevole di essermi solo fatta prendere dall’immaginazione, che Seth non aveva intenzione di baciarmi e mai l’avrebbe avuta, che si sarebbe subito allontanato perché aveva finito di fare ciò che doveva.
Però il suo profumo era ancora lì.
E sicuramente continuava a guardarmi, perché avevo la pelle d’oca.
«Non eccitarti troppo, piccola Bliss»
Sentii il fruscio della sua maglietta, sussurrò quelle parole con le labbra che sfioravano il mio orecchio, e l’attimo fu già fuori dalla macchina, sotto la pioggia, lasciando me lì seduta, interdetta, con il cuore che pulsava nelle orecchie e il cervello che lo malediceva. Io che mi maledicevo.
Rimasi a fissare le sue spalle possenti, i jeans che gli scivolavano morbidi sulle gambe e i capelli scuri scompigliati che si confondevano del buio di quel vicolo.
Prima di scomparire completamente, però, lo vidi sistemare qualcosa tra i jeans e la maglietta.
Doveva essere ciò che aveva preso dallo scompartimento.
Guardai meglio e mi spaventai ancora di più.
Capii perchè mi aveva coperto gli occhi.
Perché potevo giurare di aver visto un paletto di legno tra le sue mani.
E non era possibile anzi, non era normale.
Allora o io avevo le allucinazioni o Seth aveva letto troppi Twilight.
Cercai di calmarmi, nascondendo il viso tra le mani fredde e cambiando stazione alla radio. Presi un respiro profondo.
Cominciai a contare i secondi, i minuti, sperando che quella mezzora passasse in fretta.
Seth aveva lasciato le chiavi nel cruscotto, me ne sarei potuta andare quando volevo, anche se non sapevo guidare, anche se in fondo avevo anche paura per lui. La cosa migliore sarebbe stata vederlo riemergere da quel buio.
Cercai di concentrarmi sulle canzoni che mandavano per tenermi impegnata, perché la verità era che non mi sentivo affatto tranquilla e stava tornando l’adrenalina di quella mattina.
Adrenalina mista a paura, paura per tutto.
Un quarto d’ora dopo una scorsi una figura tra le gocce di pioggia che oscuravano la visuale del parabrezza. Seth pregai silenziosamente, ma in fondo sapevo che non era lui.
Lo sapevo e basta, come anche mi sentivo minacciata da quella persona.
Una sensazione.
Istinto di sopravvivenza.
Era un uomo, sicuramente, forse un ragazzo data la sua statura minuta.
Avanzava a passo sicuro senza curarsi della pioggia, puntando la macchina.
Con i nervi saldi e il cuore in gola mi dissi che farmi trovare lì dentro non sarebbe stata una buona idea, ma uscirne sarebbe stato anche peggio.
In realtà quel tipo poteva anche essere un passante qualsiasi, però era meglio pevenire che curare, così decidi di nascondermi.
Avevo intenzione di infilarmi tra il sedile e il cruscotto, ma prima avevo bisogno di qualcosa con cui coprirmi e una giacca di pelle di Seth trovata dietro mi sembrò perfetta, così semplicemente scivolai là sotto e utilizzai il giubbotto come copertura per lo spazio sopra la mia testa. Lì era tutto buio e intriso dell’odore di Seth.
Non c’era nessun rumore a parte quello della pioggia, di passi troppo vicini e… merda.
Avevo lasciato la radio accesa.

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Capitolo 8
*** Vampiri pt.2 ***




7
Vampiri pt. 2

 

SETH
 
Il vicolo era stretto e buio.
Sapeva di piscio e pioggia misto all’inconfondibile puzzo di morto che i vampiri si portavano dietro.
Camminavo a testa alta, per niente spaventato, forse solo un po’ infastidito. Il legno del paletto nascosto tra i jeans e la maglietta cozzava contro la pelle e la graffiava, ma l’adrenalina attutiva il dolore.
Avevo voglia di uno scontro, una di quelle scazzottate epiche che ti facevano sentire vivo, però ero lì solo per parlare.
E poi, Bliss era in macchina ad aspettarmi.
E Benjamin si sarebbe incazzato, anche se le sue paternali mi scivolavano addosso come olio.
Mi imposi di calmarmi almeno per quella volta, solo perché avevo meno di mezz’ora per sbrigare tutto.
Arrivato alla fine del vicolo trovai un paio di cassonetti puzzolenti gettai all’aria e una porta verde che si apriva nel palazzo di destra. Chiunque si sarebbe aspettato di vedere Riley uscire da lì, ma io no. Io lo conoscevo.
Per questo non sobbalzai neanche un po’ quando mi comparve alle spalle.
La sua figura esile interamente fasciata di nero, i capelli rossi, gli occhi dello stesso colore. Aveva un qualcosa nello sguardo, nel modo in cui piegava gli occhi, che sapeva di malvagio. Magari, se fossi stato umano, un po’ di paura me l’avrebbe fatta. In quel momento, però, sapevo solo di essere dieci volte più agile e scattante di lui. Nessuno poteva battere Seth Porter. E lui lo sapeva.
«Seth, il mio angioletto preferito, quale onore vederti da queste parti» mi salutò allungando le labbra in un forzatissimo e finitissimo sorriso che non provai neanche a ricambiare. Piuttosto gli lanciai un’occhiataccia mentre mi andavo a poggiare al muro con aria scazzata. Qualcosa dovette impaurirlo, perché in meno di mezzo secondo Riley fu circondato da altri due vampiri più grossi e imponenti di lui. Jack e Blithe.
Dovevano aver fiutato la mia voglia di divertirmi.
«Le tua ali sono putride, Seth! Sono del tutto grigie, cosa diavolo hai combinato?» l’affermazione di Jack mi fece sorridere. Andavo fiero delle mie piccoline, due ali che non avevano più niente di candido, sporche di tutti i miei sbagli e dei miei torti verso il paradiso. A chi le vedeva suggerivano pericolo. Io ero il pericolo.
«Mi conosci Jack, non sono fatto per stare buono» risposi con noncuranza a quello che una volta era stato uno dei miei compagni di avventure. Eravamo stati dei grandi puttanieri, degli stronzi stratosferici e dei maghi del divertimento, poi lui aveva incontrato Riley e la sua setta e bla bla bla. Riley non accettava che i suoi vampiri avessero rapporti con angeli o demoni di altro genere, tranne per casi speciali come il mio. L’eccezione.
«Ho sentito delle storie su di te negli ultimi tempi» continuò Riley, evidentemente in vena di chiacchiere. «Il tuo ultimo protetto è finito in clinica psichiatrica, la gente crede sia pazzo. Quello prima ancora è morto di crepacuore. A chi toccherà ora? Perseguiterai anche la povera ragazzina fragile che ti porti sempre dietro?»
Bliss. Riley sapeva di Bliss.
Nessuno l’avrebbe notato, ma la mascella mi si contrasse  automaticamente.  Quello schifo di istinto di protezione nei suoi confronti mi tormentava.
«è solo una ragazzina, mi divertirò con lei poi le rivolterò contro le sue paure» dissi e mi maledii quando mi resi conto di stare mentendo. Non avrei mai fatto qualcosa del genere a Bliss e non sapevo neanche perché.
Cosa aveva lei più degli altri?
Riley rise. Una risata ruvida e gutturale che veniva dal profondo della gola.
«mi chiedo come tu faccia a non essere ancora caduto» 
«Me lo chiedo anche io»
Seguirono attimi di silenzio che sembrarono infiniti. La pioggia continuava a scendere sempre più fitta, ma lì eravamo riparati dai panni stesi tra un palazzo e l’altro sopra le nostre teste.
L’aria tutto ad un tratto si era fatta pesante.
Riley continuava a fissarmi.
«Tu vorresti cadere?» mi domandò incuriosito, accarezzandosi il mento con le dita. Gli occhi rossi sembravano nascondere gli  infiniti progetti e macchinazioni nel suo cervello, eppure a me sembravano chiari. Voleva che cadessi. Voleva, per la prima volta da quando aveva fondato la sua banda, avere un angelo caduto dalla sua parte. Chi non avrebbe voluto un tipo come me come alleato?
Non risposi.
Sapevo che prima o poi sarei passato dalla parte del male, ma non sapevo se ne ero pronto.
Semplicemente chiesi il perché di quella domanda.
«perché se tu volessi, io saprei come fare»
Gli feci un cenno per invitarlo a continuare.
«Dovresti fingerti innamorato della tua protetta. Il consiglio odia gli affari amorosi angelo-umano  e li punisce severamente, ma ancora di più non sopporta che un custode si innamori del suo protetto. Non sei mai stato un bravo angelo, per una cosa del genere ti strapperebbero le ali senza troppe cerimonie.»
E saresti dei nostri.
Non lo disse, ma sicuramente lo pensò.
Mi fece sorridere.
Non avevo mai pensato a quella eventualità.
Fingere di essere innamorato di Bliss avrebbe portato a svolgimenti allettanti considerando che  la sua migliore amica era completamente cotta di me.
Le mie labbra si allargarono ancora di più.
«comunque, non siamo qua per parlare di me» presi in mano la situazione, spostando l’attenzione su altre questioni che in quel momento mi interessavano più che passare al lato oscuro. «State muovendo qualche rivolta verso gli angeli? Avanti, a me puoi dirlo»
Vidi i muscoli di Blithe muoversi istintivamente e l’attimo dopo le sue braccia mi inchiodarono il muro. Non provai neanche a ribellarmi, non mi interessava, ma se avesse provato a colpirmi a quel punto niente mi avrebbe trattenuto dal lasciar sfogare i miei istinti.
«Cosa sai, angioletto?» mi soffiò in faccia, il suo alito sapevo di sangue e morte. Mi venne una battuta stupida da fare, ma a quel punto nessuno mi avrebbe preso sul serio.
«Niente, sento qualcosa nell’aria» risposi vago, cercando di non mettere Ben nei casini. «ma tu hai cinque secondi per togliermi la mani di dosso»
Poi, all’improvviso, sentii davvero qualcosa nell’aria.
Anzi, la sentimmo tutti.
Il rumore metallico di qualcosa che veniva dilaniato, strappato via, disintegrato riempì le nostre orecchie, ma sentii ancora più forte una fitta allo stomaco che confermò i miei dubbi: Bliss era in pericolo.
«I cinque secondi sono passati» annunciai sferrando un calcio a quella montagna che mi sovrastava. Subito dopo cercai di uscire da quel vicolo malamente illuminato e corsi a perdifiato finchè una forza sovraumana non afferrò il mio polso e mi scaraventò di nuovo infondo a quell’inferno.
Ero contro un cassonetto puzzolente, incazzato e finalmente avevo un valido motivo per spaccare la faccia a tutti. Anche perché un indizio l’avevo avuto: qualcosa stava succedendo. Ed era anche qualcosa di grosso.
Mi alzai e mi spolverai i vestiti sotto lo sguardo divertito dei tre vampiri mentre la sensazione aumentava sempre più ogni attimo che passava.
Avrei voluto andare a vedere cosa succedeva, ma quei tre mi avrebbero fermato, allora avrei dovuto ucciderli e ci avrei messo troppo tempo. Dovevo sapere che Bliss stava bene. Subito.
Dal buio del vicolo sbucò una quarta figura, molto più minuta delle altre che però puzzava allo stesso modo.
La ragazzina castana si dimenava tra le sue braccia, scalpitando ed urlando.
La prima cosa che mi venne da fare vedendola, però, non fu correre a salvarla o altro. Piuttosto scoppiai a ridere.
Era buffa, assomigliava ad un moscerino intrappolato nella tela del ragno, un moscerino molto incazzato e molto carino. Quando i suoi occhi trovarono i miei, mi lanciarono uno sguardo che avrebbe potuto uccidermi.
«Ti odio, Seth!» gridò continuando la sua lotta al vampiro. Naturalmente, lei odiava me. Non quello che l’aveva catturata tra le sue braccia, non il terrificante Riley che la guardava sghignazzando, non qualsiasi altra persona sulla terra che avrebbe potuto farle del male, no. Me. Il suo angelo custode.
Risi ancora più forte. «Smettila di fare il coglione e aiutami»
«Senti, scusa, visto che ci sei, tappale anche la bocca» scherzai gettandole un’occhiata distratta per poi tornare a Riley. Avevo altre domande da porgli, altre curiosità, ma evidentemente non era destino.
Perché sentii dentro di me il battito accelerato del cuore di lei, di Bliss.
Lo sentivo furioso, agitato, come quella mattina, come quando stava per prendere a pugno il muro nel corridoio di scuola. Quella forza che non sapevo da dove uscisse, perché da una ragazzina così non ti aspetteresti neanche che riesca a sfiorarti o anche solo possa pensarci.
Ma lei no.
I suoi occhi inchiodarono i miei e cominciarono a guardarmi con sfida mentre tutte le mie, sue, nostre sensazioni continuavano ad aumentare. Finchè non ci fu un momento in cui sentii qualcosa spezzarsi.
Poi il vampiro che la teneva gridò.
Bliss era riuscita a liberarsi dalla sua stretta di ferro.
Mi fece un ultimo sorriso prima di sparire nel buio del vicolo e prendere a correre furiosamente verso lo sprazzo di luce che proveniva dalla strada. Blithe scattò verso di lei, ma impiegai qualche secondo di troppo per riuscire a capire cosa fare. Guardavo il vuoto, incredulo. Non ci sarebbe stato niente di strano nel riuscire, magari grazie ad un po’ di fortuna, a scappare dal mortale abbraccio di qualcuno, di un umano. Quello, però, non era un umano. Lo era stato, ma non lo era più. Era forte quasi quanto me. E Bliss era riuscita ad evitarlo.
Ripresomi dallo shock, con uno slancio raggiunsi Blithe e frenai la sua corsa trattenendolo dalla manica del giubbotto di pelle. Non doveva arrivare a Bliss e io avevo altre domande e solo quella occasione per porle.
La prima che mi passò per la testa, per qualche motivo mi sembrò quella più giusta da fare.
Guardai Riley dritto negli occhi, senza lasciarmi incantare dal rosso sangue delle sue iridi.
«Che mi sai dire su Josh Strathmore?» gli chiesi come se fosse la cosa più naturale del mondo, ma evidentemente per lui non lo era. Un luccichio, nei suoi occhi, mi mise all’erta.
«è meglio che te ne vai, Seth» rispose freddo, cercando di restare composto. Feci per controbattere, ma lui mi precedette. «vattene» gridò.
Per la prima volta nella mia vita/non vita, lo ascoltai. Perché Bliss era tutta sola nel quartiere più malfamato di Brighton in preda ad una crisi stile supereroe dovuta a qualcosa tipo allenamento da super sayan,  perché alla fine le mie risposte le avevo avute, anche se indirettamente, e anche perché capii che c’era davvero qualcosa di grosso sotto e quelle cose andavano trattate con calma.
«tanto lo sai che prima o poi saprò tutto» dissi scrollando le spalle e regalandogli un ultimo, tirato sorriso. Guardai tutti e quattro i vampiri, studiando le loro espressioni, i loro volti, poi diedi loro le spalle e me ne andai.
Appena fui lontano dai loro occhi presi a correre.
«Bliss» gridai cercandola con lo sguardo, ma non ci misi molto a trovarla. Era al centro della strada, sotto la pioggia, completamente fradicia. «Bliss» la chiamai più piano, quasi più spaventato da lei che dai quattro vampiri del vicolo.
Non si girò a guardarmi.
Quando le fui abbastanza vicino, le posai una mano sulla spalla e la feci voltare verso di me, sentendo tutta l’energia di prima defluire velocemente dal suo corpo. Aveva gli occhi vuoti e un’espressione smarrita, i capelli castani appiccicati al viso ed il trucco sbavato. I vestiti, aderiti completamente al suo corpo, la facevano sembrare ancora più piccola.
«non lasciarmi cadere» sussurrò guardandomi senza emozione, improvvisando una smorfia che doveva assomigliare ad un sorriso. Mi chiesi cosa volesse significare quella frase, se qualcosa di poetico o una metafora, una qualche promessa, magari di quelle che di solito si fanno sotto una pioggia come quella, ma alla fine non indicava niente di ciò che mi ero immaginato.
Semplicemente svenne.
Ed io rimasi lì, pronto ad afferrarla, a tenerla tra le mie braccia.
Forse quello semplicemente  era ciò che avrei dovuto sempre fare con i miei protetti: non lasciarli sprofondare nell’oscurità.
Forse essere un angelo custode significava semplicemente quello.
A me però me riusciva bene solo con lei.
 
Bliss aprì gli occhi solo quando la posai sulle lenzuola di cotone blu del suo letto. Non era stato difficile entrare, dato che i suoi non erano ancora tornati non mi ero neanche preoccupato di non fare rumore. La casa era vuota e silenziosa, c’eravamo solo io e lei. Solo noi.
«Bliss mi senti?» le chiesi sedendomi al suo fianco mentre con le nocche le davo piccoli schiaffetti sulla guancia. Lei, probabilmente inconsciamente, avvicinò la sua mano alla mia e la spinse verso il suo viso, a ‘mo di carezza.
Bliss si rigirò nel letto, mettendosi in posizione fetale. I lunghissimi capelli ancora bagnati si sparsero sul cuscino, le lenzuola si stropicciarono e la maglietta si alzò leggermente. Sembrava quasi innocente così, silenziosa, senza il sarcasmo o le risposte taglienti o lo sguardo assassino. Fu automatico per me far scivolare le dita sui lineamenti duri del suo volto, continuando quella carezza che mi aveva imposto, e lasciare che vagassero lungo gli zigomi spigolosi, la linea soffice della guancia e la quella perfetta delle labbra. Poi, come se mi fossi reso conto improvvisamente di cosa stavo facendo, ritrassi la mano. Ero stato già fin troppo carino a prendermi cura di lei, non potevo anche mostrarmi debole nei confronti della sue bellezza.
«Seth, sei tu?» mormorò dopo un po’, schiudendo appena le labbra.
Mi sentii finalmente sollevato.
«Si, e chi altri?» risposi con il solito tono distaccato, come se mi pesasse stare lì a guardarla. Sbuffò scocciata. Mi chiesi se anche lei stesse fingendo, proprio come me.
«cosa è successo? Chi erano quei tipi?»
Non avevo voglia di rispondere, non avevo voglia di parlare. Volevo solo stare lì, sapere che stava bene, vegliare sul suo corpicino ossuto. Finchè non parlava, era la compagnia migliore del mondo.
«ne parliamo domani, tu stai bene? Posso andare?» le domandai, anche se mi sarei fregato della risposta, come sempre. Sarei rimasto lì, rendendomi invisibile se fosse stato necessario.
«no»
«cosa no?»
«non sto bene»
Mi domandai se fosse mai stata bene, nella sua vita. Era stata felice? Era stata spensierata? Quella che vedevo io, era solo una Bliss che si nascondeva dietro certi atteggiamenti solo per nascondere un’anima fragile e un forza quasi sovraumana. Ecco, la sua forza, un’altra cosa alla quale avrei dovuto pensare.
«Vuoi che resti?»
Non mi rispose, semplicemente anziché stare al centro del suo enorme letto, si spostò verso il lato destro.  Mi voleva lì con lei? Non era esattamente ciò a cui avevo pensato io, a me sarebbe bastato girovagare per casa o stare lì in camera sua a cazzeggiare tutta la notte. Mi era andata più che bene.
Mi sdraiai al suo fianco, togliendo solo le scarpe nonostante avessi tutti i vestiti bagnati.
Bliss si girò verso di me e aprì leggermente gli occhi, fingendosi contrariata.
«Solo perché non sto bene e ho paura di svenire quando sono sola» sussurrò cercando di giustificarsi, arrossendo. Risposi con un ghigno divertito che non sembrò apprezzare.
Nonostante tutto, però, non si girò. Rimanemmo sdraiati così, in posizione fetale, l’uno verso l’altro.
Puzzavamo di pioggia, di umido e di vampiro, ma sentivo più calore lì che in quel posto spoglio e freddo che mi ostinavo a chiamare casa. Lì, in quel letto, con una persona che conoscevo  a malapena.
«Ti odio, Seth» disse Bliss prima di addormentarsi definitivamente. Strofinò la guancia contro il dorso della mano, sporse il labbro inferiore all’infuori e il suo respiro si stabilizzò. Sorrisi. La stavo tranquillizzando con i miei “superpoteri da fighissimo angelo custode”, ma in qualche modo anche lei tranquillizzava me.
Mi addormentai subito e quando mi risvegliai i toni tenui dell’alba illuminavano la stanza. Non avevo freddo perché non potevo sentirlo, ma lei aveva la pelle d’oca. Lasciai il letto senza fare rumore e con ancora più calma cercai di gettarle la coperta addosso per poi sedermi al suo fianco.
Le posai una mano sulla fronte e chiudendo gli occhi racimolai tutti i suoi ricordi della giornata precedente in me. Li aspirai, come fa un’aspira polvere. Ero stato troppo buono e non dovevo esserlo.
Io non lo ero con nessuno.
Del resto, l’unica persona a cui avevo voluto bene, in quel momento era chissà dove in paradiso o all’inferno.
Per me e per lei, era meglio che dimenticasse tutto.
Lasciai Bliss e il suo calore alle mie spalle, buttandomi giù dalla finestra e cominciando a camminare nell’aria fredda dell’ennesima mattina.
Avevo l’odore di Bliss impregnato addosso.
E lo stavo odiando.

Buona sera gente!
Saluti da Fog con almeno due settimane di ritardo che si dispiace per non riuscire MAI ad aggiorare in orario, ma non parliamo di questo, dai.
So che non è un gran che questo capitolo, ma volevo mostrare il contrasto tra come si presenta Seth quando c'è da mostrarsi spavaldo e quando è con Bliss. è come se si sentisse in dovere di proteggerla.
in questo capitolo ci sono abbastanza input per farvi riflettere, ma non ho voglia di analizzarli e spiegarli qui, preferirei che arrivaste da sole alle vostre conclusioni :)
Nient'altro da dire, solo che sia Seth che Bliss sono personaggi da scoprire!
Cercherò con tutta me stessa di aggiorare presto, ci proverò davvero, ma non assicuro niente ahahahah e lo so che sembra stupido, ma le recensioni mi danno una spinta in più a scrivere.
Un bacione e grazie a tutte per essere ancora qui con me, Seth e Bliss.
Ciao :D

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