Le Ferite nell'Acqua

di Beads and Flowers
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le Gemelle ***
Capitolo 2: *** L'Alchimista ***
Capitolo 3: *** La Promessa ***
Capitolo 4: *** Il Coltello ***
Capitolo 5: *** L'errore ***
Capitolo 6: *** Il Prezzo ***
Capitolo 7: *** Il Delirio ***



Capitolo 1
*** Le Gemelle ***



Le Ferite nell’Acqua

 
1. Le Gemelle
 

 Love is like sailing by moonlight
Reading the stars, navigating by night
I know tomorrow I'll be closer to you
You are the one that I want
No one but you


"No One But You", di Erutan

 


 Le due ragazze erano piuttosto strane. Molti abbassavano lo sguardo quando le incrociavano per le strade del villaggio. Ma nessuno al paese di Litanie poteva negarlo: erano sorelle bellissime e di ineguagliabile virtù.
 Quando si recavano al villaggio in visita a parenti ed amici, quando tornavano a casa dal mercato del Venerdì, in Chiesa durante la Santa Messa. Sempre si erano contenute in un decoroso silenzio, limitandosi a lanciare qualche sguardo interessato ai ragazzi più giovani o discorrendo graziosamente con le loro amiche.
 Jehanne, i lunghi capelli rossi raccolti in una treccia, aveva occhi sereni e del colore di una notte senza stelle. Delle due gemelle era la più operosa, riservata e silenziosa. Sarebbe stata senz’altro preferita alla sorella, se avesse avuto entrambe le mani. Era nata senza la sinistra, e questo difetto era abbastanza grave da allontanare ogni uomo dal suo cammino.
 Il suo destino era di vivere all’ombra della sorella Myrlene, una stella caduta in quel piccolo villaggio di pastori e contadini. Tutto in lei era perfetto: i suoi splendidi capelli biondi, gli occhi neri come lune nuove, il sorriso radioso e la grazia di una danzatrice. La luce del suo volto era quella degli angeli, la sua bellezza apparteneva al Sole.
 Ma innumerevoli dicerie contaminavano la sua delicata figura. Strane usanze le erano attribuite, le sfumature di parole ambigue erano impresse sulle sue labbra. Il suo sorriso era inquietante, seppur meraviglioso, come quello di una fata in Estate.
 Erano le figlie del Vecchio Amis, un pastore che abitava in solitudine sull’Ame de la Neige, un monte ai cui piedi era stato fondato il villaggio. Il Vecchio Amis non era particolarmente ricco. Il suo gregge con contava più di trentacinque pecore.  Abitava in una casa modesta e dall’arredamento sobrio. La sua unica proprietà di qualche valore decorativo era il grazioso pozzo di pietra, accanto al quale le due sorelle solevano passare il loro tempo libero. Quel terreno era stato affidato all’uomo da una potente famiglia di proprietari terrieri, che non avevano trascorso in quelle terre più di cinque o sei mesi della loro vita. Vivevano negli eleganti quartieri di Parigi, tra balli in maschera e gloriosi frammenti della città di Olimpo, spendendo il denaro che accumulavano grazie alle fatiche dei loro sottoposti.
 Le gemelle non avevano i ricchi abiti delle loro nobili padroncine, i gioielli splendenti o le costose acconciature alla moda. Tuttavia, sapevano trovare grande gioia in semplici collane di margherite e nelle canzoni della loro infanzia. Jehanne aveva una splendida voce, ma era troppo timida per cantare in pubblico. Era sempre reclusa in un silenzio tombale, degno di un cadavere, e non lasciava mai che qualcuno udisse il suono della sua voce. Riservava quella dolce musica alla sorella, a nessun altro. Non parlava con altri se non lei.
 La madre delle gemelle era morta mentre dava alla luce Jehanne, o per lo meno così aveva detto l’anziana nutrice che le aveva cresciute. Il Vecchio Amis, invece, passava le sue giornate sulle altitudini delle montagne, pascolando il gregge. Quando tornava a casa con le pecore, la sera, mangiava velocemente il suo pasto e andava subito a letto. A volte salutava Myrlene, le faceva qualche domanda, le sorrideva. Ma non si era mai rivolto a Jehanne, se non per rimproverarla o insultarla. La ragazza, quando questo accadeva, non poteva rispondere che con il silenzio.
 “Brutta strega! Hai ucciso mia moglie, mangi il mio pane senza ripagarmi di nulla, sei malefica e rivoltante, e osi ripagarmi con una risposta? Vai a cantare ai diavoli dell’Inferno, se lo desideri!”
 Myrlene soffriva più di Jehanne stessa, quando questo accadeva. Ma cosa poteva fare? Nient’altro che chiudere gli occhi e pregare. La sua cara sorella non reagiva in alcun modo alle grida del padre. Il capo abbassato, le labbra serrate, piangeva senza emettere un suono. Con il passare del tempo aveva incominciato a credere alle malefiche parole del genitore. Era stata lei a uccidere la defunta madre, e doveva rappresentare agli occhi di tutti una maledizione divina. Era questo il suo destino, non poteva fare a meno di accettarlo. Aveva imparato a convivere con questa presunta realtà. Passava le sue notti in preghiere di perdono e di misericordia.
 Suo padre diceva che lei apparteneva all’Inferno. Diceva di essere figlia del demone Lilith. Suo padre era Satana in persona. Lei non era altro che un rifiuto dei diavoli e dei mostri. Tanto brutta da non essere accolta neanche nella casa del Male, che cosa sperava di ottenere nel mondo degli uomini se non odio e disprezzo? Jehanne ascoltava, accettava e scuoteva lentamente il capo. Aveva il terrore dell’Inferno. Aveva visto un’immagine dipinta sul muro della Chiesa. I dannati erano gettati in fiumi di ghiaccio nero, le loro membra venivano sciolte dai respiri dei diavoli, le loro suppliche erano ignorate e le loro carni straziate. Satana regnava in quella casa oscura, mangiava i corpi dei peccatori, e Lilith al suo fianco stuprava e graffiava nutrendosi del loro dolore.
 Jehanne guardava quelle pareti con occhi sgranati, carezzava le pietre dipinte, si mordeva le labbra per trattenere gemiti di terrore. Era quella la sua casa? Sì, la sua casa. Lei era il Male, lei era ciò che andava evitato e su cui bisognava sputare. Lei doveva soffrire, espiare una colpa così profonda da infettare il suo stesso sangue.
 Ma aveva paura.
 “Preferirei gettarmi nel pozzo, piuttosto che tra le braccia di Satana.”
 “Sorellina, non dire così! Tu non meriti nulla del genere. Sei l’angelo più bello del Paradiso.”
 “No, Myrlene. Io sono una delle figlie dell’Inferno, e nessuno può salvarmi se non Dio.”
 Se, per qualche motivo, la famiglia non poteva recarsi in Chiesa, Jehanne ne provava un tale rimorso da picchiarsi con una frusta di cuoio, appesa nella stalla. Myrlene, quando questa accadeva, gridava e piangeva fino a chiamare il padre, che afferrava Jehanne a la rinchiudeva in una stanza. Non le permetteva di mangiare o bere per due giorni. Quando usciva, la fanciulla era esausta e stravolta, ma uno strano sorriso era sempre impresso sul suo volto, come se avesse ricevuto un regalo inaspettato. Myrlene, alla vista di quel ghigno, piangeva in silenzio, e con il tempo aveva smesso di chiamare il Vecchio Amis quando Jehanne impugnava la frusta.
 Quando la sorellina terminava, stanca e sanguinante, Myrlene era sempre lì per sostenerla. La abbracciava, tremando e singhiozzando. Non diceva nulla. Non poteva dire nulla, perché sarebbe stato come persuadere un bambino innocente o un anziano morente. Jehanne non l’avrebbe mai ascoltata. Lei era il Male, e ne era consapevole. Ma continuava a cantare per la sorella, intrecciando per lei delicate collane di margherite.
 Myrlene cercava di resistere a tutto quel dolore, e non abbandonava mai la sorella.
 L’unica eccezione a quella sua regola erano le giornate di pioggia. Allora, la ragazza non riusciva a restare reclusa in casa come Jehanne. Una voce la chiamava. La chiamava verso la montagna, verso i ruscelli e le fonti nutrite dal Cielo. Era la voce di una danza. Una danza di acqua e di pioggia. E lei era chiamata a parteciparvi.
 Corri, corri sul monte, Myrlene! La pioggia è arrivata, e ti chiama a lei!
 A nulla servivano i rimproveri del padre, le preghiere della sorella. Myrlene non poteva fare a meno di correre attraverso le foreste montane, godere la fresca pioggia, ridere e scherzare con il suo rumore. Correva, scivolava sull’erba bagnata, affondava le mani nelle pozze e nei ruscelli. Parlava con il suo riflesso negli specchi d’acqua, distorto e confuso dalle piccole onde causate dalle gocce trasparenti. Cento, mille riflessi la circondavano, cadevano dal Cielo con sussurri assordanti. Le raccontavano le storie del Paradiso e delle fonti, delle nuvole e dei torrenti. E lei rispondeva con argentee risate.
 Quando il Sole riconquistava il suo trono celeste, Myrlene era costretta a svegliarsi da quel sogno piacevole. Ma per quei pochi minuti, per quei rari temporali, il suo cuore tornava alla sua vera natura. L’acqua era il suo elemento, la sua gioia, il suo unico conforto.
 Quando tornava a casa, stanca, i capelli e gli abiti bagnati, cercava di evitare il padre, e di andare subito a letto. Suo padre non le avrebbe mai fatto del male, e non l’avrebbe sgridata come faceva con Jehanne. Se la rimproverava, era solo perché era sinceramente preoccupato per lei. A volte Myrlene raggiungeva la sua camera, non vista dal genitore, e faceva finta di dormire. Allora, dopo qualche minuto, Jehanne entrava nella stanza. Si sedeva sul letto accanto a lei, e le parlava a bassissima voce. Sapeva che Myrlene non stava dormendo veramente? Oppure voleva semplicemente aprirsi a lei, confidarsi in quegli strani momenti di presenza assente? Gli ossimori avevano sempre caratterizzato la vita delle due gemelle, ed in momenti come quelli affollavano la mente di Myrlene come neri uccelli notturni.
 “Sorellina mia,” sussurrava Jehanne “Non lasciarmi mai più. Mi ha picchiato oggi, mentre eri via. Mi ha detto che sono sporca, che non merito di vivere. Tu credi che il papà si sbagli sul mio conto, ma la verità è diversa. Io sono un demone. Ho ucciso una donna prima ancora di venire al mondo. Dio mi odia, il papà mi odia, tutti mi additano come un mostro feroce. Solo tu non mi guardi con orrore. Myrlene, io ti amo. Non lasciarmi mai e poi mai. Io ti amo.”
 Si sdraiava accanto a lei, carezzandole i capelli bagnati. I loro respiri si univano in un ritmo regolare, e si addormentavano insieme. Al villaggio nessuno conosceva il dolore che le rendeva così unite. Tutti le vedevano come semplici, pure, bellissime sorelle da ammirare e di cui vociferare. Tutti ridevano della mano di Jehanne, ed erano gelosi del suo affascinante silenzio. Nessuno osava sfidare la grazia di Myrlene, ma sussurravano con sospetto delle sue corse nella pioggia.
 Le due gemelle, tanto belle quanto odiate. Questa era l’amara verità, che rendeva le sorelle ancora più unite. Quando udivano i pettegolezzi sul loro conto, quando notavano le mani tese nella loro direzione, quando sguardi curiosi e spaventati le esaminavano come animali sconosciuti, loro sorridevano con la gioia naturale di due bambine. Sorridevano, e pensavano al pozzo profondo, in cui mille collane di margherite erano state gettate da mani infantili. Erano state sacrificate alla Promessa. La Promessa di una futura, sincera felicità.
 “Sorella, sorellina mia. Non lasciarmi mai più.”
 “Finché il Sole illuminerà il tuo volto d’angelo, Jehanne, io non ti abbandonerò mai.”
 “Perché non mi porti con te, sulla montagna, quando piove?”
 “Perché tu non senti le voci, Jehanne. Non riusciresti a capire quello che provo. C’è qualcosa che mi chiama su quella montagna, ma non riesco a capire cosa sia.”
 “Forse è un angelo. Un angelo di Dio.”
 “Forse.”
 “Forse è la mamma.”
 “Sciocca. Che cosa dici?”
 “E’ la mamma. Per questo tu riesci a sentirla, e io no. Lei non ti odia per averla uccisa. E così ti canta tutte le canzoni che non ha potuto in vita. Ti carezza con la pioggia, i sussurri dell’acqua sono i suoi messaggi dal Cielo. La mamma ti vuole davvero molto bene, e tu sei fortunata ad avere l’amore di un angelo.”
 “Sta zitta, Jehanne. Non è la mamma che mi chiama sull’Ame de la Neige. E’ solo la mia immaginazione, nulla di più. Ascoltami, non voglio che tu dica più queste brutte cose su nostra madre. Lei non ti odia, non ti potrebbe mai odiare. Papà non sa quello che dice. E’ uno stupido a chiamarti la figlia di Satana. Tu non sei un demone, sei la mia sorellina. Ti voglio bene. Se smetterai di farti del male con quella frusta, ti prometto che ti porterò con me sulla montagna. Staremo sempre insieme, dico davvero.”
 “Ci proverò, Myrlene.”
 Ma, ad ogni Messa mancata, ad ogni insulto del Vecchio Amis, Jehanne tornava a confortarsi con il sangue delle sue ferite. E Myrlene si rifugiava nel richiamo della pioggia, nella musica e nella danza che mandava via ogni dolore.

 
 
 Una notte, quando tornò a casa dalla danza e si mise a letto, Jehanne non entrò nella camera per addormentarsi accanto a lei. Myrlene attese, attese nel buio. La sorella non venne. Non era mai accaduto prima di allora. Che cosa poteva essere successo? Myrlene si alzò, scese in silenzio al piano inferiore della casa. Jehanne non era lì. Nella calma della notte, Myrlene si rese conto di non avvertire il pesante russare del padre. Doveva essere uscito. E Jehanne? Dov’era la sua Jehanne? Avventurandosi nel freddo della notte, Myrlene cercò all’orizzonte un qualche segno della sorella. Tra le ombre oscure degli alberi, accanto al pozzo di pietra, nel recinto delle pecore: non c’era nessuno. Non una figura, non un rumore.
 Ad un certo punto, la ragazza vide una luce. Una luce proveniente dalla piccola stalla della fattoria. La ragazza si avvicinò alla costruzione, i piedi nudi bagnati dalla rugiada notturna. Dall’interno proveniva uno strano rumore. Gemiti. Myrlene esitò qualche istante sulla porta di legno, cercando di capire chi o cosa stesse emettendo quei suoni. Per un attimo, le parve di riconoscere la voce di Jehanne. Non riusciva a capire. Che cosa significava?
 Aprì la porta, tenendola leggermente socchiusa. Guardò all’interno della stanza.
 E vide.
 Suo padre, disteso sulla paglia secca. Il suo vecchio corpo era nudo. Sotto di lui, Jehanne guardava il vuoto, una mano premuta contro la bocca. Una o due lacrime le solcavano il viso. Nulla di più. Non si dibatteva, non cercava di scappare. Restava semplicemente lì, mentre il Vecchio Amis si muoveva sopra di lei.
 “Brutta puttana. Schifosa, viscida puttana. Hai ucciso mia moglie, figlia di Satana? Be’, ecco il mio messaggio per l’Inferno. Che tu possa morire. Lurido verme, che tu possa morire!”
 Jehanne si lasciò scappare un gemito di dolore. Suo padre la colpì alla bocca, e sputò sul suo volto.
 “Muori! Vai all’Inferno!”
 All’Inferno.
 La mano di Myrlene tremava. Il suo braccio, il suo corpo, il suo cuore, tutto tremava dal ribrezzo e dalla vergogna. Codarda. Era una codarda. Perché non fermava suo padre? Perché non aiutava Jehanne? Che cos’era quell’apatia negli occhi della sorella, perché non chiamava aiuto o cercava di liberarsi?
 Codarda.
 Myrlene era una codarda.
 Chiuse la porta alle sue spalle. Corse piangendo verso casa.
 Si rifugiò nella sua stanza, nascondendosi tra le coperte del letto. Gridò. Cercò un cuscino, lo morse con rabbia, e soffocò un altro urlo. Il grido le morì in gola, ma le lacrime continuarono a scendere copiose sul volto della ragazza. Singhiozzando come una bambina, Myrlene si rannicchiò su se stessa, pensando al vuoto negli occhi di Jehanne.
 Momenti, minuti, ore. Il tempo passava con una lentezza straziante. Il mondo intero scorreva nella mente di Myrlene, come sabbia in una clessidra. Solo dopo molti dolorsi sospiri, la ragazza riuscì finalmente ad addormentarsi.
 Sognò.

 
 
 Una figura camminava nella foresta. Avvolta in un vecchio mantello, barcollava sotto il peso della neve. Teneva qualcosa tra le mani, fasciato con stracci e bende macchiate di sangue. L’uomo ansimava dalla fatica e dal freddo. Piccole nuvole di vapore salivano al Cielo dalle sue labbra. I suoi piedi, nudi sul suolo innevato, erano lividi e rigidi come pezzi di ghiaccio. Gli occhi distanti di Myrlene osservavano la scena come da una finestra offuscata dalla nebbia. Aveva riconosciuto il luogo: era l’Ame de la Neige. Sotto a quel mantello, lei in qualche modo lo sapeva, c’era suo padre. Il vecchio pastore si stava recando alla fonte più alta della montagna.
 Che cosa stava tenendo in mano? Perché aspirava a quella meta? Myrlene decise di seguirlo, delicata e silenziosa come uno spirito di cristallo.
 Dopo molti minuti raggiunsero un piccolo specchio di acqua ghiacciata, ed il Vecchio Amis si fermò. Si chinò sulla fonte, afferrò una piccozza che teneva legata alla cintura e prese ad infrangere la superficie del ruscello. Aveva gettato rudemente al suolo il mucchietto di bende, e gli dava le spalle. Myrlene voleva avvicinarsi al fagotto per osservarne il contenuto, ma che cosa avrebbe fatto se suo padre si fosse voltato? Nonostante la concezione che aveva di quell’atmosfera onirica, temeva comunque la figura meschina del genitore.
 Si nascose tra alcuni cespugli di rovi, e guardò in silenzio la scena. Aveva freddo. La notte era oscura, e la foresta a lei così cara in quel momento appariva come un luogo sinistro e minaccioso. C’era qualcosa di strano nell’aria, tra le spine delle piante invernali, nella profondità ghiacciata della fonte. Qualcosa, o qualcuno.
 Il Vecchio Amis aveva scavato una piccola buca in quella dura barriera. Le immobili acque erano come immerse in un torpore mortale, pronte a risvegliarsi nella furia di uno Stige terrestre. Myrlene si sentiva attratta da quella pozza oscura. Era la sensazione di una vertigine sull’orlo di un pozzo profondo.
 Improvvisamente, riconobbe la voce. Stridula, potente e musicale. La avvertiva più forte che mai, in quel sogno frutto di un’illusione. Non proveniva dal Cielo, ne’da una pioggia immaginaria o dalla neve che li circondava.
 No.
 Era l’acqua oscura della fonte. L’acqua le stava parlando.
 Il Vecchio Amis aveva raccolto da terra l’oggetto abbandonato. Lo teneva con poche dita, ad una certa distanza dal suo corpo. Sembrava disgustato da ciò che le bende nascondevano, quasi si trattasse della carogna di un ratto. Portò il fagotto alla fonte, tenendolo sospeso sopra la pozza di morte. Fu allora che Myrlene udì un gemito provenire dal mucchietto di stracci. Il gemito di un bambino, un’esile richiesta di aiuto. Una piccola mano, rosea e paffuta, si agitava timidamente nell’aria. La ragazza non ebbe esitazioni nel riconoscerla.
 “Jehanne!”
 Gridava, gridava. Nessun suono usciva dalle sue labbra. Doveva fare qualcosa, doveva salvare Jehanne. Ma come fare? Il suo corpo era inchiodato al suolo, paralizzato dall’orrore. Il Vecchio Amis sorrise, deliziato dai gemiti della piccina.
 “Torna all’Inferno, lurido verme.”
 Lasciò cadere la bambina. Le acque nere la inghiottirono.
 “Jehanne! Jehanne. Perdonami, Jehanne.”
 Le bende ed i pezzi di stoffa che avvolgevano la bambina si sciolsero nell’acqua, e si dispersero trascinate dalla forza invisibile della sorgente. Il corpicino esamine galleggiava nella tranquillità della morte. Gli occhi di Myrlene erano accecati dalle lacrime. Era stanca, confusa e terrificata. Non capiva. Non riusciva a capire. Guardava il cadavere di sua sorella.
 Così piccola. Era così piccola…
 Perché quel sogno uccideva Jehanne prima del tempo? Che cosa voleva significare, quale segreto le voleva rivelare? Quale peccato aveva commesso la sua sorellina?
 Myrlene guardava. Piangeva e guardava. E vide. Vide gli occhi sbarrati di Jehanne, i suoi radi capelli rossi di neonata. Vide i suoi piedini e le sue piccole gambe, abbandonate al dolore del gelo. Vide il suo piccolo ventre nudo, le sue braccia delicate, la sua mano destra.
 E vide.
 Vide la mano sinistra.
 In quel sogno, Jehanne aveva entrambe le mani. Ma come poteva essere? La nutrice aveva sempre raccontato che la bambina era nata senza la mano sinistra al momento del parto. Che cosa significava quella visione? Che non si trattasse di Jehanne? No, era proprio lei, ne era sicura. Non sapeva come potesse riconoscere sua sorella in quella bimba nata da poco, ma per qualche ignoto motivo Myrlene ne era assolutamente convinta: era Jehanne.
 Stava ancora cercando di risolvere quel mistero, quando le acque della fonte si risvegliarono. Gli striduli sussurri della Voce si erano fatti acuti urli di rabbia. Le acque nere della sorgente, innalzandosi dalla pozza come ignobili demoni dell’oltretomba, si agitavano in grandi onde di spuma nera, innalzandosi verso il Cielo con grazia e furore. Stavano chiamando il nome del Vecchio Amis con terribili grida.
 Il liquido cristallo nero lo scherniva con la voce di uno spirito.
 Una voce.
 Una voce di donna.
 No, non era una donna.
 Ma erano parole.
 Parole.
 Parole fatte di aria ed acqua, che nessuno aveva potuto pronunciare se non uno spirito. E fu allora che la vide. Fu allora che vide la bellezza stregata del demone.
 Era comparso tra le acque agitate del ruscello, veloce e maestoso come la Morte stessa. Il suo corpo era diafano e del colore delle perle più pure, screziato di acquamarina e schegge dorate. I suoi bianchi capelli si confondevano con la schiuma allegra delle onde, fluttuando nell’aria imitando i serpenti della Medusa. Nei grandi occhi neri l’iride e la pupilla erano totalmente assenti, lasciando la liscia profondità di un’oscura pietra lunare. Era come se gli occhi fossero stati estratti dalle orbite, per essere immersi nel colore della notte e restituiti con un sorriso al demone delle acque. Le labbra esangui del mostro erano piegate in una smorfia vagamente simile ad un ghigno.
 
 “
Uomo mortale, sciocco essere privo di alcun intelletto! Perché hai gettato questo sporco essere nelle mie acque? Osi infangare il mio ruscello con il corpo di un sacrificio indegno! Lurido essere, devi esser punito dalla mia furia segreta. Io che uccido i miei nemici e premio i miei amanti, lo spirito di questa sorgente! Il mio nome è stato oltraggiato dall’azione di un piccolo insetto come te. Sporco umano, sarai spedito all’Inferno dal veleno del mio bacio. Così imparerai a sfidare il nome di Avent, l’Ondina!”
 
 Myrlene osservava quella scena, gli occhi ricolmi di orrore, nascosta tra cento rovi e mille lacrime confuse. Cercò di urlare, ma l’unica voce che risuonava nel freddo della notte era quella del demone. Il demone che per sedici anni l’aveva chiamata a sé, sulla montagna.
 


 Myrlene si svegliò, aprendo di scatto gli occhi nel buio della sua stanza. Ansimò, confusa e spaventata. Cercò con la mano una candela da accendere, un sostegno a cui aggrapparsi. Le lacrime precedenti al sonno si erano asciugate con il passare del tempo, ma la paura e lo sdegno erano ancora vivi nel suo cuore.
 Tutto era buio. La ragazza tese una mano sul comodino di legno, cercando con occhi di cieca una semplice candela. Non riuscì a trovarne. Probabilmente ve ne sarebbero state al piano inferiore. Cercò di alzarsi, ma in quel momento avvertì una presenza sul letto. Qualcuno era seduto ai piedi di Myrlene, le mani sul grembo, l’espressione celata dall’oscurità.
 Jehanne.
 Il feroce ricordo di ciò che era stato tornò, crudele nella sua improvvisa comparsa. Myrlene non sapeva cosa fare. Restò perfettamente immobile, gli occhi fissi sulla sagoma nera della sorella. Avrebbe tanto desiderato non essersi svegliata, agitata nel sonno, richiamare l’attenzione su di sé con quell’urlo che aveva accompagnato il suo risveglio. Avrebbe dato qualsiasi cosa per far credere alla sorella che lei, in realtà, stava ancora dormendo. Troppe domande danzavano nella sua mente, troppe verità che avrebbe tanto voluto tacere ed ignorare. Ma un terribile senso del dovere la spingeva a rivelare tutto quello che sapeva alla sorella. Lei aveva visto il Vecchio Amis, quella notte, violare il corpo di Jehanne, e sapeva che questo non escludeva atti precedenti.
 Aprì debolmente la bocca per confessare il peccato scoperto. Ma la timida domanda di Jehanne le impedì di proseguire, riempiendola di sorpresa:
 “Myrlene, stai dormendo?”
  Perché le rivolgeva quella domanda? Non l’aveva sentita, quando aveva tentato di alzarsi per scendere al piano inferiore? Aveva urlato e singhiozzato al suo risveglio, l’aveva guardata con occhi spalancati nella notte oscura.
 “Se non stai dormendo, allora non dire nulla.”
 Avvertì la sorella chinarsi su di lei, cercando con le dita il suo volto. La mano di Jehanne era morbida e fragile. Le sfiorava con delicatezza gli occhi, le guance, le labbra. Il suo respiro era calmo e regolare, ma vibrava di paura ed esitazione.
 “Myrlene.”
 “Tu…”
 “Myrlene, ti prego. Non parlare. Non dire nulla. Facciamo finta che tu stia dormendo, che questo sia un sogno. Ti prego.”
 Sulle labbra di Myrlene, la mano tremante di Jehanne ricordava i pulcini impauriti che i ragazzi del villaggio squartavano per gioco.
 “Ci hai visto, non è vero? Il papà ed io.”
 La risposta era il silenzio. Era ciò che entrambe desideravano, in quel momento.
 “L’ha fatto altre volte. All’inizio non volevo, urlavo e cercavo di scappare. Lui era più forte di me, ed io avevo solo dieci anni. Pioveva. Tu eri sulla montagna. Non eri lì per mandarlo via. Ho capito che l’unica cosa da fare era sopportare, senza emettere un suono. In questo modo tutto sarebbe finito prima, e lui mi avrebbe lasciato andare. In quel momento avevo giurato a me stessa che ti avrei detto tutto, che saremo fuggite insieme, che non saremo mai più tornate in questo luogo orribile. Ma tu sei tornata dalle montagne sorridendo. Sorridevi, Myrlene, sorridevi con gioia pura e sincera. Ti ho guardato negli occhi, quel giorno. Ti guardai, pronta a rivelarti tutto, a chiederti in ginocchio di fuggire via con me. Ma i tuoi occhi, Myrlene, risplendevano nella luce dell’Estate, e capii che tu non sapevi, che non avresti mai saputo che cosa si provava e che cosa volesse dire. Myrlene, io allora compresi di amarti. Compresi, e non dissi nulla. Ho aspettato nel dolore per sei anni, sempre esitando, sempre tacendo. E tu, finalmente, hai respinto la musica della pioggia per me. Sei tornata per me, Myrlene. Ed io posso finalmente dirti che ti amo.”
 “Jehanne…”
 Le loro labbra si sfiorarono nella pallida imitazione di un bacio. La mano di Jehanne carezzò delicatamente i capelli della sorella, avvertendo il morbido calore di quei riccioli dorati. Le sue labbra si spostarono sulla fronte di Myrlene, e questa volta il bacio fu più concreto e sicuro.  
 “Posso dormire con te, stanotte?”
 Myrlene annuì, ed avvertì il corpo della sorella accoccolarsi timidamente accanto al suo. Si abbracciarono con tenerezza, ed entrambe chiusero gli occhi, provate dalla stanchezza e la paura. Un improvviso pensiero portò Myrlene a cercare la mano della sorella, solo per vederla, toccarla, capire che era una ed una sola. La trovò, avvertì che si trattava della mano destra. La sinistra mancava.
 “Jehanne.”
 “Sì?”
 “Tu sai cos’è un’Ondina?”
 “Era una delle fate che compariva nei racconti della nostra nutrice. Se incontrava degli uomini, li uccideva. Oppure si infatuava di loro, e li baciava in cambio di ricchi sacrifici.”
 “Si tratta di una favola?”
 “Sì. Una favola.”
 “Allora è così semplice.”
 “Myrlene, un giorno fuggiremo insieme?”
 “Insieme. Te lo prometto.”
 Myrlene sorrise. Una favola. Quel sogno era il frutto di una favola, un’illusione generata dal ricordo di una bimba impaurita. Non era nulla di cui preoccuparsi. Strinse a sé il corpo di Jehanne, e si preparò ad abbracciare le più belle realtà di un mondo onirico.
 Ti porterò via di qui, tesoro mio. Devi solo pazientare un poco.
  Si addormentarono insieme, cullate dal ritmo dei loro respiri.





Angolo dell'Autrice:

Oh, mio Dio, il blocco dello scrittore è improvvisamente scomparso! Cosa più unica che rara (grazie, Thomas Mann, grazie per aver scritto La Morte a Venezia!), chissà se potrò scrivere ancora abbastanza per finire questa storia? A proposito, se avete consigli, rimproveri, critiche o commenti da fare perché non mi lasciate una  allegra recensione o un messaggio privato? Io stessa ho molti dubbi: il rating è quello giusto? C'é qualcosa che doveva essere chiaro e invece l'ho espresso in maniera confusa? Errori (orrori) di ortografia? Oppure ho magicamente indossato il guanto della perfezione e questa storia vincerà il premio Nobel? Be', sempre megli puntare in alto che mangiare patatine fritte intinte nell'elettricità.
Comunque, questa è la canzone da cui ho tratto la citazione a inizio capitolo. 'No One But You', cantata dalla fantastica Kate Covington.
http://www.youtube.com/watch?v=10vtevd__IM
Dunque dunque dunque, grazie mille a tutti voi! Spero che questa storia continui, lo spero davvero, ma dubito di essere nella corretta sanità mentale per farlo. Fatemi sapere che cosa ne pensate! A presto,
Beads.








 

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Capitolo 2
*** L'Alchimista ***


2. L’Alchimista

 

There's a ballad-singer here
And a fiddler there
Nut-men and spice-men
At Copshawholme Fair.

 ‘The Market Song’, dei Faun

 
 
 

 Se c’era una persona a cui non dispiacesse parlare con Myrlene e Jehanne, quella era Alexiane. Suo padre possedeva la taverna più frequentata della città, e lì la ragazza era cresciuta tra i più raffinati pettegolezzi e le meno evidenti bugie. Aveva imparato a distinguere una semplice diceria da una valida informazione da utilizzare a suo vantaggio, secondo il glorioso metro dell’insignificante.
 Vedeva ogni frase come un guscio vuoto dalle estremità appuntite, che andava maneggiato con estrema cautela. Le dicerie potevano essere sorgente di grande divertimento, ma erano prima e soprattutto prive di alcun reale significato. Rideva alle spalle di chi credeva alle semplici parole, a chi sgranava gli occhi di fronte alle foglie morte, vendute come piume dorate.
 Era quindi rimasta piacevolmente sorpresa all’atteggiamento delle sue sorelle. Jehanne e Myrlene sorridevano semplicemente ai pettegolezzi, che avevano il potere di lapidare il loro futuro nel villaggio.  Per Alexiane questo le ammirava, e le aveva prese sotto la sua protezione. Spesso le ragazze andavano a farle visita, dopo aver visitato il mercato del Venerdì.
 In quel momento di difficoltà, dunque, Myrlene sapeva esattamente a chi rivolgersi. Svegliò Jehanne piuttosto presto quella mattina. L’aiutò a vestirsi e le disse di prendere la pecora che il Vecchio Amis le aveva chiesto di vendere al mercato. Si sarebbero recate al villaggio.
 Scendendo lungo la stradina scoscesa, carezzando la corteccia degli alberi montani, Myrlene ascoltò la sorella cantare per lei. Non parlò per tutto il tragitto. Stava pensando, meditando su un piano efficace per fuggire da quella casa maledetta, e portare Jehanne con sé. Non potevano allontanarsi troppo dal villaggio, erano vincolate a quelle terre per contratto dei loro antenati con i loro padroni. E poi, che cosa avrebbero potuto fare, al di fuori di Litanie? Nessuno le conosceva, probabilmente tutti le avrebbero evitate a causa della mano di Jehanne. La soluzione doveva trovarsi dunque all’interno di quel paese, cercando contemporaneamente di allontanarsi il più possibile dal Vecchio Amis.
 Giunte in prossimità del villaggio, le due sorelle incontrarono una vecchia conoscenza. Si trattava di Estienne, un giovane contadino di Litanie. Era un ragazzo solare e dalla pelle leggermente abbronzata, con un sorriso contagioso ed occhi ridenti. Salutò le ragazze con un allegro cenno del capo, e tornò a cercare i funghi autunnali ai piedi degli alberi. Myrlene ridacchiò tra sé e sé. In quello sguardo fiero ed aperto, la ragazza aveva scorto una delicata sfumatura di dolce timidezza.
 “Tu gli piaci” disse Jehanne, mentre si allontanavano.
 “Non essere sciocca.”
 “Non c’è nulla di cui vergognarsi.”
 “Sei proprio una testolina vuota. Come pensi che io potrei mai interessarmi ad un ragazzo del genere?”
 “Di quale genere?”
 “Sai, Jehanne, lui è così…”
 “Bello, affascinante e gentile?”
 “Oh, sta zitta.”
 Myrlene diede un leggere colpetto alla spalla di Jehanne, ridendo. La sorella, invece, non rise. Guardava il sentiero ai suoi piedi, un’espressione contrariata sul volto. La sua mano stringeva il manico del cestino in un pugno serrato.
 “Ti mariteranno, un giorno. Ed io resterò sola.”
 “Perché dici questo? Io non ti lascerò mai e poi mai, Jehanne.”
 “Dovrai farlo, invece. Andrai via in un abito bianco, con fiori profumati tra i capelli. Sarai bellissima, ed io piangerò per la tua bellezza. Chi mi amerà, Myrlene, quando ti porteranno via da me? Resterò sola. Nessuno sposerebbe mai una ragazza come me, e sarò costretta a vivere per sempre con il papà.”
 “Non sposerei mai un uomo che mi conduca via da te, sorella mia. E, piuttosto che lasciarti sola con nostro padre, appiccherei il fuoco alla fattoria. Per quanto riguarda il matrimonio, c’è sempre tempo. Vedrai che un giorno anche il tuo principe verrà.”
 Jehanne sfiorò appena il suo braccio sinistro, scuotendo lentamente la testa.
 “Io non voglio nessun principe, Myrlene. Dovresti saperlo. Oh, siamo arrivate” mormorò. Di fronte a loro, il villaggio di Litanie si svegliava con il sopraggiungere dell’alba.
 
 
 Il Bouvreuil era particolarmente pieno, quel giorno. La sua insegna attirava sempre numerosi clienti, particolarmente nelle ore che precedevano il lavoro. Myrlene mandò Jehanne al mercato per vendere la pecora, ed entrò nella taverna. Avvertì subito l’odore dolciastro del sudore, mischiato a quello del fumo e del liquore. Un muro di clienti scorbutici separava la ragazza dal bancone dove, lei lo sapeva, Alexiane stava servendo tutti con diligente sveltezza.
 Avanzò nel locale, e subito poté avvertire i sinistri sussurri che si levavano nella sua direzione.
 E’ lei! E’ Myrlene, la figlia del Vecchio Amis.
 Accidenti, quanto è bella.
 E’ stata vista correre per i monti durante le giornate di pioggia.
 Che cosa strana!
 E’ tanto bella quanto indecente. Che razza di persona farebbe una cosa del genere?
 Non voglio avere niente a che fare con Myrlene.
 Myrlene.
 Myrlene.
 La ragazza si girò di scatto verso uno dei tavoli, dove una donna anziana stava sussurrando qualcosa alla figlia. La stavano fissando di nascosto, gli occhi socchiusi in sguardi accessi dall’odio e dall’invidia. Myrlene sorrise nella loro direzione, con una cortesia ed una gentilezza sconosciuta ad ogni essere umano. Le due donne distolsero immediatamente lo sguardo, imbarazzate e colte sul fatto del loro pettegolezzo.
 Raggiunse con non poche fatiche il bancone, dove Alexiane stava aiutando suo padre. Asciugava alcuni bicchieri, sorridendo e parlando a bassa voce con alcuni uomini.
 “Dicono che venga da un paese lontano. Le sue vesti sono letteralmente intessute nell’oro e nell’argento. Ma avete visto che razza di rubino porta al dito? In giro si sussurra che abbia qualche strano potere magico. Forse impedisce l’avanzamento della vecchiaia. Non mi stupirebbe, in vita mia non ho mai visto giovane più bello. In fondo, viene da terre dove la magia svolge il ruolo della religione. Tutti dicono che abbia accumulato tali ricchezze per le sue conoscenze alchemiche.”
 “Alexiane…”
 La ragazza si voltò con un largo sorriso a trentadue denti. Lo scartò per sostituirlo con uno più sincero, non appena vide che si trattava di Myrlene.
 “Ma guardate un po’ chi è sceso dal monte per renderci l’onore della sua onorevole presenza! Nientemeno che la dolce Myrlene. Perdona la confusione, oggi il locale è particolarmente pieno. Uno straniero è arrivato al villaggio, un giovane alchimista dalla pelle scura come l’ebano. E’ tanto peculiare quanto ricco, mia cara, e dovrebbe restare con noi per un po’. Dicono che stia cercando una magica pianta, che cresce proprio da queste parti, e tutti sono convinti che…”
 “Scusami, Alexiane, ma non mi interessa. Ti devo parlare.”
 “Sono qui proprio per questo, mia cara.”
 “No, non qui. In privato.”
 Il tono fermo e serio di Myrlene lasciò Alexiane non poco perplessa. Lanciò uno sguardo veloce al genitore, che stava servendo del vino alle sue spalle. Gli lanciò un’occhiata interrogativa, e ne ricevette un permesso altrettanto silenzioso.
 “D’accordo. Precedimi nella cantina della taverna. Dammi un attimo e sono da te.”
 
 
 “Allora, è così.”
 “Sì.”
 “Ne hai parlato con Jehanne?”
 “E’ stata lei a introdurre l’argomento. Lei si è accorta che ero lì. Il papà no.”
 “E’ terribile. Povera Jehanne. Aveva solo dieci la prima volta che è accaduto?”
 “Esatto.”
 La cantina della taverna era buia e fredda, ma era l’unico posto in cui le due amiche potevano trovare un poco di pace. In quella camera oscura Myrlene poteva quasi avvertire l’abbondanza che regnava in quella casa. Grossi pezzi di carne appesi alle pareti e barili di legno ricolmi di vino, il profumo del latte fresco e del formaggio speziato. Il benessere era quasi percepibile nell’aria, saturo e grasso fino a risultare insopportabile.
 La mano di Alexiane carezzava appena le sue, in un timido gesto di amicizia e comprensione. Myrlene riusciva a distinguere i suoi occhi verdi, illuminati dalla calda luce di una candela. Tutto era immerso nella calma irrealtà di quella stanza sotterranea.
 “Capisco che tu abbia voluto parlarmene. Deve essere un peso impossibile da sopportare in solitudine. Puoi stare tranquilla, comunque, non lo rivelerò a nessuno.”
 “No, non lo farai. Mi fido di te.”
 “Che strano. Tu e Jehanne sembrate ignorare sempre qualsiasi cosa si dica sul vostro conto. Ma ora mi è sembrato di distinguere una nota di paura nella tua voce.”
 “Questa volta è diverso. Quest’informazione potrebbe compromettere seriamente un certo progetto che ho in mente.”
 “Un progetto che, presumo, dovrà rimanere un segreto?”
 “A dire il vero, per attuarlo avrò bisogno del tuo aiuto. Non c’è altro modo.”
 “Sono lusingata. Di che cosa si tratta?”
 “Devo assolutamente portare Jehanne via da quella casa. Non posso rimanere ininterrottamente al suo fianco per impedire a nostro padre di farle del male. Sai bene che io e mia sorella non possiamo abbandonare Litanie, ma se ci nascondessimo all’interno del villaggio lui ci troverebbe dopo poco tempo. Devo trovare una soluzione diversa dalla fuga o dal nascondiglio. Devo pensare a qualcos’altro.”
 “Farò del mio meglio per aiutarti. Che cosa avevi in mente?”
 “Forse, il matrimonio.”
 La mano di Alexiane si ritrasse bruscamente. Evidentemente, era rimasta scioccata e sorpresa.
 “Il matrimonio? Non capisco. Vuoi forse maritare Jehanne?”
 “Sai bene che nessuno la sposerebbe. La gente di questo villaggio è cieca. Tutti la disdegnano a causa della sua mano, ed ignorano la sua vera bellezza. No, io a dire il vero parlavo di me stessa. Mi voglio maritare.”
 “Non vedo come questo possa aiutare Jehanne.”
 “Ragiona. Nessuno la sposerebbe, ma se avessero una buona ragione per farlo potrebbero ospitarla nella loro casa o assumerla in qualche impiego. Ora, chi ingaggerebbe mai una ragazza con una sola mano? Non può lavorare nei campi, ne’svolgere i lavori più pesanti. L’unica alternativa che le resta è quella di prostituirsi, e questo io non lo permetterò mai. Quindi, che cosa può fare, se non apettare che nostro padre muoia o la dia in sposa ad un maiale peggiore di lui, per offenderla e gettarla in un perpetuo stato di degrado? No, deve essere portata via da quella casa, ospitata nell’abitazione di qualcuno al villaggio. E, poiché nessuno accetterà mai di prenderla con sé, io troverò un marito che mi ami abbastanza da accogliere anche mia sorella nella sua casa. Questa sarà la mia unica condizione. Il mio sposo non potrà sottrarmi a Jehanne, ma dovrà salvarci entrambe dal Vecchio Amis.”
 “E’ una buona idea. Ma come pensi di attuarla?”
 “Avrò bisogno del tuo aiuto. Tu conosci ogni cosa su tutti gli abitanti del villaggio. Devi dirmi esattamente chi è il miglior partito che possa servire allo scopo, che mio padre approvi e che possa portare contemporaneamente me e Jehanne il più lontano possibile dalla nostra vecchia casa.”
 Alexiane abbassò lo sguardo, leggermente imbarazzata.
 “Myrlene, tu credi che gli uomini del villaggio vedano la tua bellezza e la tua diligenza nel lavoro, e per questo ti preferiscano a tua sorella o alla maggior parte delle ragazze. Ma la realtà è ben diversa. La gente parla, e le parole portano con loro tante menzogne e conseguenze. Sai bene cosa si dice sul tuo conto al villaggio.”
 “Alcune di quelle voci sono vere.”
 “Lo so. E so anche che non c’è nulla di grave nelle tue azioni. Anche io vorrei evadere da quella casa, ogni tanto, se quelle atroci realtà mi circondassero senza darmi tregua o respiro. Ma la gente tende a fermarsi alle apparenze, e spesso sono le persone buone come te a rimettere la propria felicità. Myrlene, se devo essere totalmente sincera, non credo ci sia alcun uomo al villaggio disposto a sposarti. Per lo meno, non a condizioni così elaborate. Sarebbe già una grande spesa e motivo di sospetto sposare una delle due figlie del Vecchio Amis. Chi ospiterebbe mai nella propria casa persino la gemella?”
  “Sei convinta di quello che dici?”
 “Temo di sì, mia cara.”
 “E quindi, non c’è altra soluzione?”
 Alexiane scosse la testa, la pura desolazione che le adombrava il volto. Myrlene abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore. Non si poteva fare nulla, dunque. L’unica vera amica disposta ad aiutare le due gemelle era Alexiane, e lei non aveva idee diverse dalle sue ne’poteva assumere Jehanne come sguattera alla taverna. Sarebbe stato chiedere troppo. La sua famiglia, seppur fosse benestante, non avrebbe potuto permettersi di ospitare Jehanne. Le due ragazze non potevano far altro che cercare rifugio altrove, attendere un miracolo o tentare di fuggire dal villaggio, solo per trovare la fame e la morte nel giro di poche settimane.
 Myrlene si alzò, avvolgendo le spalle in un corto mantello di lana. Faceva freddo, nella cantina. Sua sorella aveva probabilmente già venduto la pecora, in quel breve periodo. Una carestia stava rapidamente dimezzando i greggi dei pastori, e la bestia che le sorelle avevano portato al mercato era di buona qualità. Forse Jehanne era riuscita ad ottenere un buon ricavato dalla vendita. Si diresse lentamente verso la scala della cantina, seguita dall’amica.
 “Vengo con te. Oggi c’è il mercato. Posso dire a mio padre che devo fare acquisti per la cantina. Sarà una scusa sufficiente per passare ancora un po’ di tempo assieme a te.”
 Uscirono dalla taverna, tenendosi per mani come due bambine. Affrontarono insieme gli sguardi che si posavano, veloci e leggeri come farfalle, sulla figura affranta di Myrlene. La ragazza non riusciva a crederci. Le voci che giravano sul suo conto erano divenute così potenti da toglierle ogni possibilità di salvare Jehanne? Avrebbe voluto sprofondare nella terra, morire soffocata piuttosto che abbandonare la sorella alle mani del Vecchio Amis. Ma quale scelta aveva? Doveva essere il loro destino.
 Giunsero alla piazza del mercato. Lì una gran quantità di bancarelle e carri scoperti allestiva ogni sorta di prodotti, dalla frutta di stagione ai merletti finemente ricamati. Una piccola folla di clienti e mercanti si era riunita in uno strano quadro di voci e colori, immergendo l’intera piazza in richiami risonanti e risate cristalline. Qui e lì, in piedi su piedistalli improvvisati o cantando e danzando a piccoli gruppi, zingari e cantastorie suonavano i loro strumenti, innalzando la loro arte in nome di una magra elemosina.
 La campana della piccola Chiesa di pietra stava suonando gli ultimi rintocchi, e Myrlene si rese conto che presto sarebbe giunta l’ora del pranzo. Il tempo era passato in fretta. Dovevano affrettarsi e cercare Jehanne. In poco tempo la ritrovarono proprio accanto alla Chiesa, intenta ad ascoltare le canzoni di alcuni musicisti girovaghi. Aveva scambiato la pecora con vari prodotti alimentari e qualche moneta di bronzo. Myrlene la lodò: il ricavato era stato buono.
 Alexiane salutò con affetto l’amica, e le chiese dolcemente se per caso avesse sentito le ultime notizie. Aveva incontrato lo straniero? L’uomo riccamente vestito, con le mani appesantite dal peso dei gioielli, i capelli avvolti da uno strano turbante nero.
 “Sì, l’ho visto. E’ entrato nella Casa del Signore, per chiedere rifugio e un posto dove passare la notte. Non è abituato alle stalle della povera gente, glielo si legge sul volto, sulla pelle morbida e immacolata. Non credo abbia mai lavorato un giorno in vita sua. Davvero non capisco che cosa ci faccia un uomo del genere in un villaggio così povero. Ha bisogno di una pianta misteriosa, si dice, ma allora perché non ha inviato un emissario a cercarla? E perché viaggia senza scorta e senza lussi, girando come un vagabondo ma vestito da sceicco? Quell’uomo non mi piace. E’ strano, e non è cristiano. E’ un alchimista, probabilmente pratica magia nera.”
 “Io non sarei così veloce nel giudicarlo, se fossi in te. Ho scambiato qualche parola con lui, e mi è sembrata una brava persona. E’ educato, gentile e rispettoso. Non riserva i suoi modi cortesi solo ai nobili, anzi sembra nutrire un profondo interesse per la povera gente. E poi, una persona così bella non può essere del tutto cattiva. Ho un’idea! Perché non presentarvelo? Sono sicura che vi piacerà, dopo aver parlato un po’ con lui.”
 Myrlene sorrise, ed annuì con viva curiosità. Era un’occasione per divertirsi, aggiungere un po’ di novità alle loro vite prive di alcun piacere, e per dimenticare per qualche istante i loro problemi. E, in fondo, era sinceramente interessata alla misteriosa figura dell’alchimista. Un oscuro mago pagano, ingentilito dai modi di un principe cristiano. Sembrava un sogno ad occhi aperti, una favola per una bambina fantasiosa. Si voltò verso Jehanne, rivolgendole un sorriso incoraggiante, ma la ragazza scosse con decisione la testa.
 “No, io non vengo. Non voglio immischiarmi in certa gente. E neanche tu dovresti, Myrlene. Sai bene cosa accade a chi simpatizza con i miscredenti. Alexiane fa male ad incoraggiarti.”
 “Su, Jehanne, non dire così. Stai esagerando.”
 “Io starei esagerando?” la ragazza lanciò uno sguardo agitato attraverso la piazza. I mercanti urlavano alla folla i pregi della loro merce, ed i clienti osservavano con meraviglia i prodotti ed i colori del mercato. Una piccola folla di bambini stava giocando con una palla di pezza, mentre accanto alla fontana giovani madri e vecchie comari si sorridevano e bisbigliavano parole segrete, l’una all’orecchio dell’altra. Ogni tanto, una di loro si girava timidamente nella loro direzione, cercando di non farsi cogliere nell’atto di fissare, con crudele interesse, le due gemelle.
 “Certo. Sono io ad esagerare. Allora tornerò a casa, da sola. Non voglio disturbarvi con le mie prediche.”
 Iniziò ad incamminarsi verso le porte del villaggio. Sorpresa da quello strano comportamento, Myrlene la trattenne per la manica vuota del suo vestito. Da quando Jehanne dava tanta importanza alle voci che giravano sul loro conto? La sorella si voltò verso Myrlene. Nei suoi occhi risplendevano le lacrime, trattenute in silenzio.
 “Ci guardano, Myrlene. Ci additano nell’ombra, ed è tutta colpa mia.”
 “Jehanne, ascoltami. Loro non sanno quello che dicono. Tu lo sai bene, le loro parole sono vuote.”
 “Soffri, e la colpa è solo mia. Perdonami, Myrlene.”
 Si liberò dalla sua presa, e corse via verso la casa del Vecchio Amis. Myrlene trattenne a stento l’impulso di seguirla, di chiamare ad alta voce il suo nome, di afferrarla e stringerla al petto, mormorando sincere parole di conforto. Sarebbe stato infantile, sciocco e ridicolo da parte sua. Ma vedere la sofferenza negli occhi della sorella era quanto di più doloroso vi fosse al mondo.
 Avvertì Alexiane, alle sue spalle, scuotere la testa e sospirare.
 “Lasciala andare, Myrlene. La paura che quell’angelo ha provato quando è stata scaraventata nell’Inferno è sconosciuta agli esseri umani. Su, vieni. Entriamo in Chiesa.”
Il piccolo edificio in pietra era stato costruito anni addietro, molto prima della costruzione dell’antica stradina che conduceva alla casa delle due gemelle. Non era arricchita che da due semplici colonne ai fianchi dell’entrata, e da vetri variopinti raffiguranti scene del Vangelo. Tutto, all’interno, era stato realizzato dalla pietra o dal legno, e le vesti dei sacerdoti erano povere quanto quelle dei contadini. Tuttavia, quest’austero ambiente era così familiare alle due amiche da sembrare quasi più accogliente delle loro vere case. Quante splendide giornate avevano seguito i tediosi minuti delle messe in latino? Quante preghiere, sussurrate a bassa voce, avevano nascosto messaggi in codice che le amiche si erano scambiate per passare il tempo?  Con quanta dolce innocenza avevano osservato l’unico affresco della Chiesa, raffigurante le pene e le torture dell’Inferno, immaginando i piccoli regali e le sorprese con cui i loro genitori le avrebbero viziate? Erano ricordi preziosi e segreti, da seppellire nel profondo della mente per le giornate più oscure.
 Accanto all’altare, due uomini discutevano sottovoce. Uno era Frère Paul, il rigido e severo custode della Chiesa, che durante la settimana svolgeva il ruolo di maestro per i bambini più ricchi della città. L’altro, avvolto in un ricco mantello intessuto in argento, con il misterioso turbante nero a coprirli il capo, era l’alchimista. Ai suoi piedi, un sacco era stato appoggiato al pavimento. Doveva trattarsi del suo bagaglio, un involucro oscuro, dove semplici oggetti quotidiani si confondevano con esoterici strumenti di culto, spezie ed erbe sconosciute, libri proibiti.
 Gli occhi dello straniero erano calmi e fissi in quelli del custode. Il tono di quest’ultimo era fermo e piuttosto scortese, sembrava arrabbiato nei confronti del visitatore. Avvicinandosi in silenzio, segnandosi accuratamente la fronte prima di procedere lungo la navata centrale, Myrlene poté distinguere alcune parole:
 “Qui non c’è posto per voi, straniero. Ora vi prego di lasciarmi ai miei compiti.”
 “Vi prego, non mi sembra di chiedere troppo. Un po’ di paglia dalle vostre stalle andrà più che bene, dico davvero. Lasciatemi stare qui per qualche tempo, ve lo chiedo unicamente per il pericolo che correrei dormendo per le strade. Sono disposto a pagarvi bene.”
 “Non abbiamo ospitalità da offrire ad un uomo che rifiuta il Signore.”
 “Sono disposto a pagare.”
 “Andate via, voi qui non potete…”
 S’interruppe, vedendo le due ragazze arrivare con la testa chinata e gli occhi accesi da viva curiosità. Sorrise con paterna simpatia alle amiche, e rivolse loro qualche affettuosa parola di saluto. Alexiane rispose a bassa voce, con un sorriso angelico stampato sul volto. Myrlene la conosceva abbastanza da capire che stava fingendo.
 “Padre, perdonate la nostra intrusione. Volevo solo presentare la mia cara amica al nostro visitatore, che avrete sicuramente onorato con la misericordiosa accoglienza degna del vostro nome.”
 Frère Paul distolse lo sguardo, irritato dalla frecciata celata con un innocente sorriso da bambina.  Myrlene si trattenne a stento dal ridacchiare all’espressione del prete, che dopo una frettolosa alzata di spalle si allontanò, borbottando tra sé e sé qualche irritata parola di commiato.
 “Mio caro Tyerns, a quanto vedo non avete avuto fortuna con il nostro amato pastore. Ne sono profondamente rammaricata. Ma, naturalmente, potrete sempre contare sull’ospitalità del mio locale. Anche se sbocciata da poco, la mia amicizia nei vostri confronti non ha nulla da invidiare a quella di una sorella fedele.”
 “Siete sempre dolcissima, mia cara Alexiane. E temo che dovrò approfittare della vostra troppo indulgente bontà.”
 “Sarà mio piacere ospitarla. A proposito, volevo presentarle una mia carissima amica.”
 L’uomo sorrise con gentilezza, e si rivolse direttamente verso Myrlene. Fu allora che la ragazza vide con chiarezza i suoi occhi. Non poteva fare nulla, ne’resistere ne’reagire. Era completamente incantata dalla loro bellezza, attratta dalla profonda sfumatura di nero che regnava in quello sguardo. Ricordava l’ombra sepolta delle acque in un pozzo, il riflesso del cielo notturno catturato in uno specchio. Erano un mondo a parte, dove la liquida sostanza del mare abbracciava i frammenti delle stelle cadenti.
 Lei aveva già visto quegli occhi. Da qualche parte, nel segreto dei suoi sogni più lontani, quello sguardo si era posato su di lei, l’aveva ammaliata e condotta in una trappola da cui non era mai fuggita. Ma dove? Quando?
 Chi era quell’uomo?
 “Myrlene… Myrlene, mi ascolti?”
 “Come dici? Oh, certo, Alexiane. Certamente, ti ascolto.”
 “Non essere scortese, ora. Voglio presentarti Tyerns Izvor, un nobile scienziato dalle terre orientali. Mio Signore, questa cara giovane è Myrlene, la figlia dell’uomo che qui tutti chiamano il Vecchio Amis. Non trovate che sia una ragazza semplicemente splendida?”
 “Oserei dire incantevole.”
 Il suo sorriso era strano quasi quanto il suo nome. Era un uomo inquietante. Parlava, ma sembrava lontano, irreale, privo di alcuna consistenza. Ed era la persona più bella che Myrlene avesse mai visto in vita sua.
 “Ditemi, mio Signore” sussurrò Myrlene “Che cosa vi porta nel nostro povero villaggio?”
 “Sono impegnato nella ricerca di una pianta speciale, chiamata ‘troisaube’, che stando ai miei libri può trovarsi solo in questa parte della Francia. Si tratta di un esemplare piuttosto raro, estremamente difficile da trovare a causa della sua somiglianza con il più comune dei fiori: la margherita. L’unica differenza visibile è nel gambo, che nel troisaube assume una delicata sfumatura violacea.”
 “Non credo di averne mai visti. E quale funzione avrebbe questo fiore, nel vostro esperimento?”
 “Lo vedrete voi stesse quando l’avrò portato a termine.”
 “Dateci per lo meno un indizio.”
 Tyerns sorrise, e Myrlene provò una strana sensazione. Era come se quel sorriso la riguardasse nel profondo, come se, con un semplice movimento delle labbra, l’alchimista avrebbe potuto distruggere tutto ciò che la ragazza era ed amava.
 “Ve lo darò, e con piacere. Ha a che fare con l’acqua. L’acqua, la terra e la pietra.”
 “Emozionante” commentò Alexiane con una punta di ironia.
 “Sono sicuro che cambierete opinione, quando ne osserverete le conseguenze. Ora, passando ad argomenti più pratici, a quale prezzo sareste disposta ad ospitarmi per qualche settimana?”
 “Resterete solo per qualche settimana!”
 Myrlene si stupì delle sue stesse parole. Aveva conosciuto quell’uomo da poco più di qualche minuto, ed aveva stretto subito con lui un legame tanto forte? La sola idea di una sua partenza, anche se così lontana, aveva acceso in lei una delusione assoluta. Alexiane era sconcertata, ma guardandola dritta negli occhi Myrlene si rese conto che le sue parole avevano generato una profonda riflessione in lei. Che fosse alimentata dalla ragione o dalla fantasia, questo la ragazza non poteva capirlo. La mente di Alexiane era simile alle stelle nel cielo: non tutte erano visibili agli occhi umani. Anche Tyerns Izvor sembrava sorpreso, ma il suo impeccabile comportamento lo portò a sorridere con semplicità, rispondendo con cortesia:
 “Resterò più a lungo, qualora la mia ricerca dovesse prolungarsi e l’esperimento rivelarsi più complicato del previsto. Comunque, non ho nessuna fretta di ritornare alle mie terre. Non ho parenti o amici cui tornare. Le persone a me care non sono mai state più interessanti dei miei studi. Per lo meno, fino a questo momento.”
 “Sono… sono sicura che la fortuna vi assisterà, mio Signore. Nella vostra ricerca, intendo. Vi… vi do la mia benedizione.”
 “Ed io l’accetto con gioia.”
 “Io avrei un’idea per agevolare la vostra ricerca, mio Signore” esclamò ad un tratto Alexiane “Perché, invece di stabilirvi nel locale della mia famiglia, non alloggiate nella casa di Myrlene?”
 Myrlene si voltò verso l’amica, gli occhi sgranati in un’espressione sconcertata.
 “Che cosa hai detto?”
 “Ascoltatemi, la mia idea è buona. Se il nostro Signore vivesse nella casa del Vecchio Amis durante il suo soggiorno a Litanie, alloggerebbe in un luogo molto più vicino al bosco in cui cresce la rara pianta. I vostri viaggi dalla vostra residenza alla foresta si accorcerebbero notevolmente, e potreste concentrarvi con maggior efficienza nella quiete della casa di Myrlene. Perlomeno, la calma sarebbe di certo maggiore rispetto a quella che, purtroppo, è così inusitata nella mia locanda. E sono sicura che la vostra presenza non causerà alcun problema. Il Vecchio Amis trascorre la maggior parte del suo tempo con i greggi sulla montagna. Myrlene e la sua cara sorellina, invece, saranno liete di assistervi, magari in cambio di qualche racconto sui suoi viaggi.”
 Myrlene non credeva alle sue orecchie. La sua migliore amica le stava affidando un incarico tanto impegnativo quanto inaspettato, che avrebbe causato infiniti problemi alla sua famiglia ed aumentato le dicerie che circolavano sulle loro conto. Una ragazza priva di alcun buon senso, al punto da correre sui monti nelle giornate di pioggia, con una sorella priva della mano sinistra, che ospitavano nella loro povera casa nientemeno che un ricco alchimista straniero. Le avrebbero prese per streghe. Le avrebbero bruciate prima di avere la minima possibilità di difendersi.
 La cosa che più la lasciava stupita non era che Alexiane non le avesse chiesto il permesso di ospitare Tyerns Izvor nella sua casa, o che non sembrasse neanche concepire le terribili conseguenze che ciò avrebbe comportato. Più che altro, Myrlene era sconcertata dalla gioia che quella proposta aveva acceso nel suo cuore. Myrlene era contenta di portare in casa un perfetto sconosciuto.
 E tutto questo, perché? Perché aveva un paio di begli occhi? Doveva essere impazzita.
 Non controbatté nulla alle inaspettate parole di Alexiane. Solo l’alchimista, con un timido sorriso, sembrava leggermente preoccupato per la reazione sorpresa di Myrlene.
 “Sarei più che felice di stabilirmi nella vostra casa, sempre che per voi non ci siano problemi.”
 “Certo che no. Sarò lieta di ospitarvi.”
 Myrlene si morse le labbra, sconvolta da quella risposta che le era sfuggita senza pensiero, senza riflessione o volontà. Quell’uomo la stava incantando, e quella situazione era così irreale da farle quasi paura.
 “E’ perfetto, allora!” esclamò Alexiane, il viso illuminato da un sorriso raggiante “Immagino che il nostro ospite vorrà restare ancora un po’ in città. Intanto Myrlene vi precederà e vi preparerà un letto degno del vostro rango. Datele pure il vostro bagaglio. Oh, coraggio, non fate quella faccia! E’ una ragazza forte, sarà perfettamente in grado di portarlo. Più tardi io stessa vi indicherò la strada per raggiungere la casa in cui alloggerete.”
 “Siete entrambe troppo gentili. Rendete tanti onori ad un uomo che non ne merita la metà. Vi ringrazio, e ringrazio la vostra amica. E, se non vi dispiace, sarò io a portare il mio bagaglio. Sarebbe uno scandalo se un uomo adulto come me lasciasse il suo carico ad una ragazza tanto giovane e graziosa come voi, mia cara Myrlene.”
 La ragazza annuì appena, non cogliendo neanche il complimento esagerato che quel perfetto sconosciuto le aveva rivolto. Afferrò rudemente la mano di Alexiane, e dopo un frettoloso saluto all’alchimista, costrinse l’amica a seguirla fuori dalla Chiesa.
 “Ma che cosa ti è saltato in mente?” mormorò a denti stretti, cercando di non farsi sentire dagli altri abitanti del villaggio “Caricarmi sulle spalle un peso simile, così all’improvviso e senza consultarmi! Come se non sapessi benissimo che le voci che girano sul mio conto sono già abbastanza gravi, ora vuoi peggiorare la situazione mettendomi in casa un miscredente. E c’eri anche tu quando Jehanne ha detto di non fidarsi dello straniero, tuttavia hai completamente ignorato la sua volontà. Come se non avessimo già abbastanza problemi! Ma che razza di amica sei?”
 Alexiane sorrideva semplicemente, divertita dall’ira così diversa nelle parole di Myrlene.
 “Che strano… Ed io che ero convinta di aver trovato la soluzione perfetta al tuo problema.”
 “Ma che cosa stai dicendo? Parli forse di Jehanne? Che cosa c’entra l’alchimista con lei?”
 “Davvero non capisci?”
 “Capisco che non posso più fidarmi di te.”
 “No, ascoltami” Alexiane guidò l’amica in un vicoletto deserto ed appartato, dove nessuno avrebbe potuto sentirle “Lui è la soluzione al tuo problema. E’ tutto quello di cui hai bisogno. Pensaci bene: è straniero, e non resterà qui a lungo. Non appena avrà trovato la pianta che cerca, se tornerà alle sue ricche terre e ai suoi possedimenti lontani. Se ne andrà via, Myrlene, lontano dalla tua casa, da Litanie e dalla Francia stessa. Più lontano di quanto qualsiasi persona in questo villaggio abbia mai viaggiato. Nessuna voce, ne’il Vecchio Amis lo raggiungerebbe lì. Mi sembra ovvio, dunque, che tu e Jehanne dobbiate seguirlo. Ma come convincerlo a portarvi con sé? Che cosa potreste fare voi, in quelle terre, se non svolgere il ruolo di serve e, quindi, di prostitute? Andreste dalla padella alla brace, perdendo così ogni traccia del vostro onore e della vostra umanità. Ma se tu, ospitandolo, arrivassi a conoscerlo meglio, a parlare con lui con maggiore familiarità, interessandoti ai suoi esperimenti, lui sarebbe senz’altro contento ed incuriosito da te. Noterebbe il tuo fascino molto più di quanto non lo avverte ora. E tu, che sei la ragazza più bella che io abbia mai conosciuto, la più dolce e laboriosa, potresti fare in modo che lui si innamori di te. Basta che tu giochi molto bene le tue carte, e con un pizzico di fortuna non ti sarà difficile sottoporlo al tuo fascino.”
 “Mi stai forse proponendo di sedurre l’alchimista?”
 “E perché no? E’ tutto quello che cerchi. Non ha moglie, o almeno così si dice. Le sue vesti parlano da sole, e rivelano le ricchezze e le numerose terre che possiede nel suo lontano paese. E vorrei sottolinearlo, Myrlene: il suo paese è lontano. Più lontano di quanto il Vecchio Amis potrebbe mai immaginare. Certamente, vostro padre non vi potrà raggiungere, o almeno non tanto frequentemente da far del male a Jehanne. Negli occhi dell’alchimista la saggezza si legge chiaramente come la luce del Sole sulla neve, ed i suoi esperimenti sono prova di grande cultura. All’apparenza pare un ragazzo calmo e gentile, e scambiando qualche parola con lui ho notato quanto sia raffinato il suo linguaggio. Con tutte queste qualità, come potrebbe tuo padre opporsi ad una vostra unione? Per quanto riguarda la tua cara sorellina, l’alchimista mi pare così ricco e potente, che il mantenimento di una persona esile e mingherlina come Jehanne non dovrebbe essere un problema.”
 “Io non lo amo.”
 “Non dire sciocchezze. Ti piace, te lo si leggeva chiaramente negli occhi. Non facevi altro che fissarlo, come se fosse stato l’apparizione di un angelo custode. E lui guardava te, stanne pur certa. Vi piacete, che cosa volete di più? Imparerete ad amarvi sempre più profondamente, con il passare del tempo.”
 “Alexiane, non potrebbe mai funzionare. Jehanne lo odierebbe.”
 “Dovrà scegliere tra un miscredente gentile, sapiente e rispettoso o l’uomo che l’ha violentata ed insultata sin da piccola. Credo che la ragazza possegga un minimo di buon senso. E, se non potrà accettarlo per il suo bene, per lo meno potrà farlo per te. Tutta questa situazione ti sta distruggendo, Myrlene. Stai morendo, stai vendendo corrosa dall’interno. L’unica soluzione è evadere.”
 “C’è un altro ostacolo, Alexiane, e non è da poco.”
 “Quale sarebbe?”
 “E’ un miscredente. Non potrei mai sposare un uomo che non ha fede in Dio.”
 Alexiane sembrò improvvisamente ostacolata nella sua fanciullesca fantasticheria. Si voltò verso l’amica, lo sguardo serio e profondo, le labbra piegate in un vispo sorriso.
 “Mia cara, a te la scelta. E’ il Signore che ti manda questa opportunità. O seguirai l’alchimista, oppure dovrai trovare il coraggio per guardare negli occhi Jehanne, e ricordare come l’hai abbandonata al suo destino. Scegli: o la fuga, o la morte.”
 
 
 Il suo piano era semplice e chiaro: avrebbe dovuto esercitare tutto il suo fascino per sedurre l’alchimista ed ottenere i suoi favori durante il suo soggiorno nella casa delle due gemelle. Qualora fosse riuscita, infine, ad incantarlo in un maleficio chiamato ‘amore’, l’avrebbe convinto a sposarla ed a condurre lei e Jehanne nella sua terra di origine.
 Semplice.
 Chiaro.
 Non c’era bisogno di grande abilità, solo di moltissima fortuna. La sua bellezza ed il suo fascino avrebbero pensato al resto. Certo, Myrlene aveva paura. Non sapeva assolutamente nulla di quest’uomo, quali fossero le sue usanze o le sue credenze. Avrebbe potuto facilmente avere più di una moglie, i suoi esperimenti cadere nelle più sporche delle immoralità, la sua apparente cortesia essere una semplice maschera per invisibili costumi barbarici.
 Se anche avesse avuto successo nel suo piano, se fosse divenuta la moglie di questo miscredente, questo non avrebbe impedito il ricco scienziato di farle del male e mancarle di rispetto. E cedere alla tentazione di una ricompensa per mentire ad un uomo e comprare il suo amore con le arti della seduzione, era un peccato pari alla prostituzione. Ma Myrlene avrebbe fatto qualsiasi cosa per la sua sorellina. Avrebbe portato a termine la sua missione, e avrebbe salvato Jehanne dalle mani di suo padre.
 Sapeva che Jehanne non avrebbe accettato il suo piano con un sorriso di riconoscenza. Si sarebbe ribellata, con pianti, grida, preghiere e minacce. Mentre scavalcava il muretto di pietra che delimitava le loro terre, ignorando il vecchio cancelletto che i rituali dei suoi giochi infantili le avevano insegnato ad evitare, Myrlene pensò a quale fosse il modo migliore per spiegare il suo progetto alla sorella. Lei non avrebbe mai acconsentito ad una sua unione con un pagano straniero, e certamente non l’avrebbe mai seguita. Myrlene decise che avrebbe rimandato a qualche settimana la rivelazione del suo piano, limitandosi per il momento ad informare Jehanne del soggiorno dell’alchimista nella loro casa.
 Non ho altra scelta, sorellina. Ti prego di perdonarmi. Ho scelto tutto questo unicamente per la tua salvezza.
 Arrivando in prossimità della loro casa, la ragazza poté distinguere facilmente gli alberi in fiore che circondavano la stalla ed il recinto delle pecore.  Il freddo dell’Inverno era ancora nell’aria, come uno spirito che si ribellava debolmente alla morte, ed un vento leggero trasportava attraverso i campi i segreti del Cielo. Jehanne era seduta accanto al pozzo, una collana di margherite nel grembo, il viso tra le mani. Non appena vide quella piccola figura rannicchiata nell’erba, Myrlene capì all’istante che qualcosa non andava. Lasciò cadere a terra un sacchetto di noci che aveva comprato al villaggio, e corse verso la sorella.
 Non appena fu al suo fianco, notò che la sorella aveva attinto dell’acqua dal pozzo. Eppure, il secchio in cui era stata contenuta era stato rovesciato a terra, e il liquido si era disperso tra i fiori di campo. Jehanne continuava a nascondere il volto tra le mani. Sembrava voler evitare il suo sguardo. Myrlene la osservò con attenzione, e vide che il suo vestito era macchiato. Era una macchia dal colore strano, ed emanava un odore rivoltante.
 “Jehanne…”
 “Lui mi farà del male. Andrò all’Inferno, e lì tortureranno le mie carni per punire ciò che sono. Farà tanto, tanto male. Perdonami, mio Dio. Ti prego. Perdonami. Farà tanto male.”
 “Dovresti pulirti. Sei sporca, Jehanne. Dovresti pulirti.”
 “Ho attinto l’acqua dal pozzo” rispose la sorella in un sussurro “L’ho attinta per pulire via il vomito. Poi ho capito che cosa significava. Ho avuto paura, e ho lasciato cadere il secchio a terra.”
 Che cosa significava. Myrlene sapeva bene che cosa volesse dire, ma non aveva il coraggio di ammetterlo. Non voleva, non poteva accettare una realtà così improvvisa. Era troppo presto, era troppo presto perché il suo incubo peggiore diventasse realtà.
 “Entriamo in casa. Vieni.”
 Le afferrò un braccio e tentò di tirarla su, ma Jehanne premette con maggior forza le mani sul volto. Non voleva mostrarle il viso.
 “Vattene.” mormorò “Non guardarmi, Myrlene. Vattene via, non toccarmi mai più.”
 “Ma che cosa stai dicendo? Dobbiamo pulire via la macchia, Jehanne, o non andrà più via.”
 “Sono sporca. Sono sporca, e ti infetterò se mi toccherai. Myrlene, anche tu andrai all’Inferno se avrai a che fare con me. Satana farà del male anche a te, a te che sei innocente, che non hai fatto nulla di male. Non toccarmi. Sono sporca.”
 “Jehanne… Jehanne, ascoltami. Basta un po’ d’acqua e andrà tutto via. Non fa nulla, ti presterò il mio vestito buono. Quello che indosso per la Domenica, così bello, che ti piace tanto. Lo indosserai tu, Jehanne, e sarai più bella che mai. Sembrerai una principessa. Non sei contenta? Su, alzati. L’acqua pulirà tutto. Andrà tutto via.”
 “Non può pulire il mio peccato, Myrlene” le mani ora nascondevano lacrime e singhiozzi “Non può farlo.”
 “Tu non hai peccato.”
 “Ti sbagli, Myrlene. Quelle cose che io faccio con papà… lui le faceva con la mamma, non è vero?”
 “Sai bene che è diverso, Jehanne.”
 “Le faceva con la mamma. Non è vero?”
 “… Sì. E’ vero.”
 Jehanne abbandonò le mani sul grembo, rivelando un viso pallido e scavato, rigato da due lacrime silenziose. Nei suoi occhi scuri nulla regnava se non il vuoto. E sorrideva. Sorrideva come un’orfana alla morte dei suoi sogni, come il Cielo quando la nebbia nasconde il Sole.
 “Le cose che faccio con il papà hanno sporcato la mia anima, Myrlene. Quando l’ho capito sono stata così disgustata da imbrattarmi il vestito di vomito. Ora sono completamente sporca.”
 “Non dirlo, tesoro mio. Ascoltami: si può pulire facilmente.”
 “Sono completamente sporca, Myrlene. Il mio vestito, la mia anima, il mio ventre. E’ tutto sporco.”
 “Non dirlo.”
 “Quello che ha fatto con la mamma, l’ha fatto con me. Ed ora sono sporca.”
 “Non dirlo.”
 “Sono sporca, Myrlene. Sono incinta.”






Angolo dell'Autrice

Ehrm... ciao... non uccidetemi! *Scappa via*
*Ritorna ansando*
Questo è il link della canzone ad inizio capitolo. http://www.youtube.com/watch?v=IzoNPHNb0h8 
Mio Dio, quanto adoro i Faun. Ripeto: non uccidetemi.
*Scappa via di nuovo, e fino al prossimo capitolo resterà nascosta sotto terra*.
A presto!

 

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Capitolo 3
*** La Promessa ***



3. La Promessa

 
 

Are we kind or are we vicious?
Nectar poison or delicious?
That, my sweet, you will discover.
Fairy foe, or fairy lover?

 
Gary Stadler, ‘Dance of the Wild Faeries’

 
 
 
 Ogni spirito silvestre era in fermento.
 Il Sole tramontava oltre l’orizzonte, agitato come non mai, tingendo il suolo di una luce sanguinea. La grande quercia sussurrava le ultime novità alle ghiande ed alle foglie, mentre i suoi rami si stendevano fino al massimo per permettere agli scoiattoli di passare con più velocità. Autentici messaggeri della foresta, il loro compito era riferire ad ogni spirito e animale la notizia stupefacente.
 I Tre Saggi si riunivano in consiglio.
 Ciò non accadeva da più di mille anni. La selva era stata mantenuta nell’equilibrio e nella serenità per un periodo che era parso infinito. Ma, recentemente, sempre più spiriti avevano avvertito un cambiamento nell’aria. Un presagio di ferro e fuoco, i segni della catastrofe. Qualcosa stava sopraggiungendo. Era l’avvenire della distruzione.
 “La foresta è in pericolo!” squittivano gli scoiattoli “Una grande sciagura incombe su di noi. Presto! Presto, alla fonte, ad ascoltare le parole dei Tre Saggi.”
 E così, ogni spirito si recava quel giorno alla sorgente, per individuare la causa di quel presentimento oscuro ed estirparlo per sempre. Tutti erano accorsi. Non vi era allora fantasma che, riunito al proprio Saggio, non gridasse al vento il proprio selvaggio terrore. Ogni occhio invisibile era puntato sulle tre grandi entità, in attesa che quelle sacre anime prendessero per prima la parola.
 A capo dei folletti e degli spiriti degli alberi, Doua era il re di tutte le piante ed i fiori di quella terra. Se ne stava comodamente seduto su uno stelo d’erba, guardando in silenzio la sorgente. Le sue minuscole dimensioni non traevano nessuno in inganno, ed il suo aspetto delicato non incuteva meno paura delle altre creature lì presenti. La sua pelle era semplice erba intrecciata, i suoi occhi due splendenti bacche rosse, che brillavano di una luce spettrale. Indossava un’elaborata armatura di corteccia, e la sua corona era decorata da esili spine avvelenate. Un vero Saggio Principe della foresta, il sovrano di ogni filo d’erba e degli alberi più imponenti.
 Sull’altra riva, accovacciato su di un’antica roccia, il Fauno guidava gli animali con il suo feroce ruggito. Era il più adirato tra gli spiriti. Il suo popolo era stato decimato senza alcun criterio o rispetto per il Sacro Equilibrio. Intere cucciolate erano scomparse, madri gravide erano state trovate squartate dalle pietre di una fionda, migliaia d’insetti erano stati bruciati da strani pezzi di vetro. Senza il calore delle piume materne, uova ancora chiuse sarebbero rimaste tali in eterno. Erano state scoperte trappole sempre più micidiali, ed il pericolo che ciascun animale correva non era mai stato così forte. Ora il Fauno piangeva, e la sua rabbia gridava vendetta.
 Il Terzo Saggio troneggiava regalmente tra i due compagni. Circondata dalle sue ancelle di spuma, dalle sue innumerevoli figlie di madreperla, Avent l’Ondina esaminava tutti i presenti con il suo sguardo immortale. La sua leggendaria bellezza era immutata nel corso dei millenni, nella prova del suo sangue divino donatele dal Padre Oceano.  La sua nobile origine le permetteva ora di considerare l’intera situazione con estrema sufficienza. Era lo spirito più antico ed orgoglioso della foresta, lunatico e tenebroso al punto da inquietare persino l’animo selvaggio di quelle creature. Glielo si leggeva nel suo sguardo disinteressato: se la foresta si fosse salvata, sarebbe stato solo grazie al suo intervento.
 “Capisco le vostre intenzioni,” sussurrò l’Ondina, e la sua voce fu il sospiro delle onde “E so chi vi ha indotto ad idearle. Dunque, non vi  è altro modo. Gli esseri umani non possono continuare ad esistere.”
 “Dobbiamo distruggerli!” gridò il Fauno “Li rinnego come figli del mio popolo. Nessun animale mancherebbe mai di tanto rispetto alla legge del Sacro Equilibrio. Essa governa la foresta, e tutti noi l’abbiamo sempre osservata. Ma ora è chiaro che la colonia umana dovrà essere spezzata per sempre.”
 “Concordo!” ridacchiò vispamente il Saggio Doua “Quel formicaio di scimmie ammaestrate sta spogliando la mia foresta dei suoi alberi, e di questo passo non avrò che folletti autunnali al mio comando. Per conto mio, sono pronto a combattere. La forza di un albero adirato può essere spaventosa.”
 “Doua, ogni animale sosterrà in battaglia il tuo verde popolo. Non ci sarà dente che non tenterà di lacerare la carne umana, ne’becco che non la penetrerà o artiglio che non la graffierà. Piante ed animali, uniti in questa guerra, contro gli uomini!”
 “E gli spiriti dell’acqua saranno al vostro fianco,” disse l’Ondina “Il mio popolo può penetrare con maggior facilità in quel labirinto di pietra e legno morto che gli uomini chiamano ‘villaggio’. Si scavarono una tomba con le loro stesse mani, quando crearono pozzi e canali d’acqua per arare i loro campi.”
 “Avent!” ringhiò il Fauno “Possiamo fidarci di te? Ogni spirito conosce le attenzioni che hai sempre riservato agli uomini. Non starai forse progettando di aiutarli? Chi ci dice che sarai dalla nostra parte?”
Gli occhi dell’Ondina si accesero nella potenza delle maree lunari, ed i suoi capelli di spuma si innalzarono come onde trascinate dal maremoto. Qualche coniglio e molti folletti fuggirono via, spaventati, avvertendo la sua rabbia crescente. Sfidare l’orgoglio di Avent non era saggio.
 “Non osare insultare il mio nome con le tue sciocche insinuazioni, insulsa creatura che non cammina su questa terra da più di mille anni! Ho conquistato un’anima immortale sin dal primo Sole di questa Terra, quando con maestria indussi uno dei diavoli infernali a baciare le mie labbra di spuma. Nutrendomi della sua carne ho ottenuto il mio corpo di Dea, forse non te ne rammenti? Quando mio padre Aegir e mia madre, la Gigantessa Ran, mi donarono la vita, non lo fecero certo con l’intenzione di generare una traditrice mortale. Ascolta molto bene le mie parole, oh Fauno, non osare mai sfidare Avent l’Ondina, perché saranno i tuoi stessi sudditi a pagare le conseguenze delle tue azioni. Rammentalo con gran cura.
 Il Fauno accolse questa minaccia con una smorfia.
 “La fama dei tuoi baci mortali, che spesso concedi agli uomini, ti precede notevolmente. E non hai tu nascosto nel cuore del villaggio la tua più grande ricchezza?”
 “In effetti, dici il vero. Io custodisco un autentico tesoro tra le loro fragili pietre di fuoco. Ma non ho fatto questa scelta per mia sola volontà. Un patto antico mi lega ad un uomo di quella colonia. Ma ora le catene che mi legano a quella promessa si sono indebolite, e presto non avranno più alcun valore. Finalmente potrò riconquistare ciò che avevo perso, riprendere ciò che avevo donato nella follia di un istante innamorato. In quanto ai baci mortali, sono solo un piccolo piacere di cui farò volentieri a meno, se potrà salvare la nostra casa.  Vi chiedo solo un po’ di tempo per riprendere il possesso di ciò che era giustamente mio.”
 “Quanto tempo ti occorrerà?”
 “Datemi  un anno.”
 “E’ troppo!”
 “Questo è il prezzo per la forza dell’acqua” rispose tranquillamente l’Ondina.
 “Lasciamola fare, caro il mio irascibile caprone!” sghignazzò Doua, terribilmente divertito “Come potrà danneggiarci una piccola attesa? Non facciamo adirare la bella Avent della fonte. In fondo, chi di noi sopravivrebbe, senza la dolcezza delle sue chiare acque? E ciò che richiede le è naturalmente lecito.”
 “Ti ringrazio, mio piccolo Principe Verde. E vorrei ricordare al popolo del Fauno la natura di chi io ricerco. Il sangue versato in mio onore si è rappreso da molto tempo, ormai. Il tempo concesso per godere del mio dono è terminato. Ora io esigo che l’umano mi renda ciò che è anche mio.”
 “Regina delle Acque, come recupererai questa tua ricchezza? Svelaci il tuo piano!”
 “Quello che ho predisposto, verrà presto messo in atto. Con l’aiuto delle mie fedeli ancelle, con la grazia degli Spiriti Ancestrali, entro la fine del tempo concessomi, io farò in modo che lei torni a me.”
 E fu tutto. Sorse il lamento del vento tra gli alberi, comparve il volo aggraziato dall’aquila, si udì il dolce sussurro della fonte. Ogni spirito si dileguò nella foresta, cantando con selvaggio silenzio i loro antichi inni di guerra. Gli umani sarebbero morti tutti, e già i fantasmi pregustavano il delicato sapore del sangue.

 
 Myrlene stava lavando in silenzio il vestito della sorella, strofinandolo nell’acqua fredda che aveva attinto dal pozzo. Nella sua stanza, Jehanne dormiva profondamente, pulita e cambiata d’abito per la notte. Myrlene era restata al suo fianco fino a che non si era addormentata. Insieme, con voci deboli e fioche, avevano cantato sottovoce le nenie della loro infanzia. Entrambe erano state così stanche da non avvertire neanche il dolore che le opprimeva. E se ora Jehanne ignorava l’angoscia con l’aiuto del sonno, la sorella cercava conforto nel lavoro.
 In fondo, non aveva altra scelta. Presto sarebbe arrivato l’alchimista. Lei doveva essere pronta a riceverlo, ed era ancora molto indietro con le sue faccende. Doveva finire di lavare l’abito, preparare la stanza per Tyerns Izvor, rendersi presentabile per non fare una brutta impressione sul futuro marito. Le poche stanze separate da muri di terra e legno avrebbero sicuramente inorridito lo straniero, ma lei aveva fatto tutto il possibile per rendere quella povera casa un poco più accogliente. Aveva appeso delle coperte colorate alle pareti di fango, sostituendo quelle sui letti con alcune più semplici e confortevoli. Aveva acceso delle speciali candele che non emanavano fumo eccessivo, di quelle che la gente del villaggio utilizzava solo nelle occasioni più importanti. Aveva anche decorato qualche angolo della capanna con delicati fiori di campo, appendendo al muro principale della casa un piccolo crocefisso di ferro, un antico e prezioso cimelio della sua famiglia. Non lo esponevano spesso, nel timore che qualche vicino o vagabondo potesse rubarlo.
 Qualcuno bussò alla porta. Doveva trattarsi del suo ospite. Myrlene guardò con angoscia il lavoro incompleto, le sue mani rovinate dall’acqua e dal lavoro, i suoi capelli spettinati e le sue vesti sgualcite. Era orribile. Che cosa avrebbe pensato di lei il forestiero? L’avrebbe disgustato. Cercò di nascondere velocemente la tinozza, dove stava lavando il vestito, di rassettarsi l’abito che indossava e pettinarsi alla meglio i capelli sfibrati.
 “Arrivo!” gridò, mentre il bussare dell’alchimista colpì nuovamente la porta.
 Myrlene si avvicinò all’ingresso ed aprì. Un sussulto la scosse. La sorpresa fu grande quando, invece del giovane volto di Tyerns Izvor, vide suo padre. Si ritrasse, con una smorfia istintiva di disgusto e terrore, fissando il genitore. L’accolse con  l’espressione destinata ad un demone infernale. Il Vecchio Amis entrò in casa, avanzando a passi lenti ed esitanti. Gli anni rendevano il suo lavoro sulle montagne sempre più faticoso, e la stanchezza era impressa su ogni ruga del suo viso. Spesso il vecchio contrastava il dolore e gli acciacchi con l’aiuto del liquore, ma quella sera appariva piuttosto lucido. Alzò lo sguardo sulla figlia, che continuava a fissarlo inorridita.
 Myrlene stava cercando invano di celare l’odio e la rabbia nel suo sguardo. Quell’uomo aveva fatto del male a Jehanne. Quell’uomo era crudele e malvagio. Avrebbe voluto uccidere quell’uomo, suo padre, nei cui occhi la ragazza non leggeva altro che dolcezza e serena bontà. Come poteva essere? Come poteva credere a sua sorella? Il Vecchio Amis le aveva messe al mondo, le aveva cresciute e nutrite, donando loro tutto ciò che i suoi poveri mezzi permettevano. Aveva sacrificato tanto per loro, per amor loro non aveva mai ripreso moglie, dedicandosi completamente al suo ruolo di padre.
 Eppure, l’uomo che la sera aveva visto nella stalla era proprio lui. Proprio lui, che ora la guardava con tanto affetto. Proprio lui, che sarebbe morto per lei. Solo per lei. Myrlene era la sua gioia, il suo tesoro più grande. Al contrario di Jehanne, Myrlene era una principessa, un angelo caduto dalle stelle nella vita di un povero pastore.
 Ma Jehanne non era altro che una cagna, ai suoi occhi.
 “Myrlene, cara. Dai un bicchiere di latte al tuo vecchio padre.”
 Ti darei una pugnalata nel ventre, se solo avessi il coraggio necessario.
 “… Sì, papà. Te lo porto subito.”
 L’anziano pastore si sedette accanto al fuoco che illuminava la stanza. Myrlene gli portò una ciotola ripiena di latte freddo, e lo pose accanto ai piedi del vecchio. Rimase in piedi, al suo fianco, cercando pazientemente il miglior modo per dire al padre ciò che aveva taciuto anche alla sorella. Infine, esitando e misurando bene le parole, mormorò:
 “Papà, devo confessarti una cosa.”
 “Che cosa ti turba, figlia mia?”
 Non sono tua figlia! Bastardo, non osare infangare più il mio nome con un’affermazione simile, come hai sporcato il corpo di mia sorella.
 “Vedi… Oggi, al villaggio, è arrivato uno straniero. Uno studioso, che proviene da terre lontane. All’apparenza sembrerebbe essere molto ricco. Ho scambiato qualche parola con lui. E’gentile, con modi cortesi, ma non ha un posto in cui stare. Ho pensato di ospitarlo qui, per carità cristiana, anche se sono convinta che quest’uomo saprà ricompensarci bene. Gli cederei la mia stanza, io dormirei nella stalla.”
 Sul volto del Vecchio Amis si dipinse una smorfia contrariata. Myrlene impallidì. Non mai avrebbe acconsentito. Aveva introdotto l’argomento troppo bruscamente e le sue ragioni non erano state sufficientemente convincenti. Eppure, per la seconda volta, fu sorpresa dalla sua risposta.
 “D’accordo.”
 “Davvero! Oh, papà! Davvero, possiamo?”
 “Se è cosa gradita a Dio, possiamo e dobbiamo. Ma tu non dormirai nella stalla. Mandaci Jehanne.”
 “No! Questo mai!”
 Il vecchio Amis alzò di scatto lo sguardo sulla figlia, sorpreso ed irato dal suo tono.
 “Come sarebbe a dire, ‘no’? Io non ti lascio da sola nella stalla, con uno straniero in casa.”
 “Ma Jehanne sì, non è vero?”
 “Jehanne è…” ma si trattenne. Qualcuno aveva bussato alla porta.
 “Va bene” mormorò “Sarà lo straniero a dormire nella stalla. Siamo già abbastanza buoni ad ospitarlo. Va’ ad aprire.”
 Myrlene avrebbe voluto protestare, ma i colpi stavano aumentando. Si avvicinò alla porta e, questa volta, aprendola, incontrò il volto sorridente di Tyerns Izvor. Quando lo vide, dolce e fiducioso come l’eroe di una favola antica, provò un tale senso di conforto da ritrovare tutto il coraggio perduto. Lo accolse serenamente, prendendogli il mantello e presentandolo a suo padre. L’alchimista si inchinò con tutto il rispetto che la sua cultura riservava alle persone anziane, ma il Vecchio Amis non sembrò apprezzare il suo gesto. A suo parere, i ricchi ed i potenti dovevano restare al loro posto. Se si fossero abbassati al livello della sua povera gente, non sarebbero stati migliori di semplici smidollati. Non rivolse neanche uno sguardo all’uomo, mantenendosi in quel decoro contenuto che caratterizzava la sua età avanzata.
 “Benvenuto, la mia casa ti è aperta.” disse solo “Immagino che Myrlene non te l’abbia detto per non metterti a disagio, ma in questa casa ci siamo solo io e le mie due figlie. Non vogliamo problemi, e soprattutto non abbiamo bisogno di un giovanotto come te ad importunare due ragazze innocenti come loro. Quindi, per motivi di sicurezza, sarai costretto a dormire nella stalla. Spero che tu capisca, e che sopporterai la mia decisione con la virilità di un uomo piuttosto che con la fragilità di un principe viziato. Sembri un ragazzo intelligente, anche se estraneo alle nostre usanze. Sono certo che capirai l’amore che un padre prova per le sue figlie.”
 Myrlene avrebbe voluto sputargli addosso. Come osava mentire loro in quel modo spudorato, senza la minima ombra di vergogna negli occhi? Strinse i pugni, per portarsi subito le mani al viso, strofinandosi gli occhi simulando una profonda stanchezza. Non poteva tradirsi di fronte al suo ospite, lui non doveva assolutamente sapere il vero motivo della sua residenza in quella povera casa. Non doveva cogliere affatto l’ostilità che Myrlene nutriva verso il padre.
 Quando la ragazza guardò il signor Izvor, si sorprese nel vederlo così calmo di fronte alle aspre parole del Vecchio Amis. Se fosse stato uno dei loro padroni, avrebbe avuto il diritto di uccidere quel rozzo ignorante, dandogli la lezione che si meritava. Per una volta, Myrlene maledisse l’eccessiva pazienza del giovane. Se avesse ucciso il padre, se lui avesse avuto il coraggio, allora tutti i loro problemi sarebbero terminati in un istante.
 Invece, la peggior reazione con cui il ragazzo poté accogliere le parole del pastore fu:
 “Mi dispiace di avervi causato qualche incomodo. La vostra stalla andrà più che bene, durante il mio viaggio ho avuto più di un’occasione per dormire fuori, all’aperto, con l’unico riparo del mio mantello. Ho conosciuto la privazione di un tetto, dunque, ma preferirei evitare la ripetizione di quest’esperienza. Dunque, vi ringrazio profondamente per la vostra graziosa ospitalità.”
 Myrlene arrossì dalla vergogna. Stava esagerando. Un uomo così riccamente vestito non poteva certo essere abituato alla povertà di una stalla. Eppure, il gradevole sorriso dell’alchimista sembrava sincero. La ragazza, cercando di rimediare in qualche modo a quella situazione imbarazzante, cercò di offrirgli qualcosa da mangiare. Con suo immenso sollievo, l’uomo accettò.
 “Sono contenta di sentirvelo dire. Prego, sedetevi accanto al fuoco. Vi porterò delle uova. Vi piacciono le uova? Un po’ di pane?”
 Il ragazzo annuì, ringraziandola. Myrlene si affrettò a preparare e portare il tutto ai due uomini, che nel frattempo avevano preso a parlare del più e del meno, Il Vecchio Amis aveva chiesto al signor Izvor che cosa ci facesse in quella parte della Francia, così lontana dalla sua casa. Il giovane rispondeva cortesemente, rendendo il suo racconto più vivace con qualche episodio divertente che aveva caratterizzato il suo viaggio. Il padre della ragazza pareva divertirsi. Sorrideva, a volte scoppiava persino in una rumorosa risata. Eppure, non si voltava mai verso il suo ospite.
 Myrlene ascoltava a bocca aperta i racconti di Tyerns Izvor. Era stato il medico di corte nel suo paese d’origine, compiendo esperimenti scientifici e curando tutti i membri di quella sconosciuta famiglia reale. Era estremamente dotto, il più colto del suo paese, e veniva pagato così profumatamente da essere ricco quanto il re stesso. Un giorno, in uno dei suoi libri, aveva trovato informazioni riguardo ad un principio magico secondo il quale, grazie all’assunzione di una certa pozione, si sarebbe potuto ottenere il controllo assoluto sull’elemento acquatico. Con semplici parole, pronunciate in un lieve sussurro, l’alchimista avrebbe potuto evocare l’acqua nel deserto più arido, generare cascate nelle montagne più spoglie e creare fontane e giochi d’acqua per il giardino dei suoi amati principini. Per impadronirsi di questo immenso potere aveva speso tutta la sua vita ricercando la formula che l’avrebbe legato all’acqua per l’eternità. Aveva composto una pozione che, mischiata al suo sangue e versata in una quantità indeterminata d’acqua, avrebbe legato la sua volontà ai movimenti del liquido. Gli occorreva un unico ingrediente per portare a termine il suo esperimento, e quello era la troisaube.
 “Il nostro paese sarebbe ricchissimo, se solo non fosse nascosto tra le sabbie del deserto oltre l’ecumene. Il mio popolo conosce la posizione di antiche miniere sotterranee, dove si possono trovare infiniti ruscelli d’argento e di diamanti, dove i rubini spuntano come fragole in Primavera e gli smeraldi sono i testimoni delle leggende più meravigliose. Ma nonostante l’immenso splendore che ricopre i nostri palazzi e le nostre strade di granito, l’acqua è così rara da essere stimata più di qualsiasi pietra, ed il suo pallido colore è più ricercato dell’intenso blu che ricopre la figura di un re. Per questo, mio caro ospite, qualora riuscissi a trovare l’ingrediente necessario per portare a termine la mia missione, sarò più che felice di ricompensare voi e la vostra famiglia della vostra ospitalità con tanto oro ed argento quanto è stata profonda e sincera oggi la vostra carità nei miei confronti. Vorrei ringraziarvi ancora, se me lo permettete.”
 “No. Questo mai” la voce del Vecchio Amis si era fatta improvvisamente dura e molto seria “Sono felice di ospitare nella mia casa una bravo giovane come te. Sono sicuro che i tuoi fini siano buoni ed il tuo animo aperto al nostro stile di vita. Ma da te non voglio più del necessario per ripagare il cibo e la paglia che userai come letto. Nulla di più. Qui le tue pratiche sono considerate al pari di magia nera. Io non voglio averci nulla a che fare, e non accetterò soldi che potrebbero venire da mani infernali.”
 “Mi dispiace. Non era mia intenzione offendervi.”
 “Sono sicuro che hai solo buoni propositi. Ma se accettassi anche solo una moneta da te, la gente del villaggio parlerebbe male di me. E Dio non avrebbe pietà della mia anima. Ti prego di non parlare più dei tuoi esperimenti in mia presenza. Non mi interessano, li trovo anzi strani e pericolosi. Ad essere totalmente sincero, non ero neanche sicuro di volere…”
 “Vi prego, siate onesti con me. Non voglio recarvi alcun disturbo. Se la mia presenza vi causa dei problemi, me ne andrò via all’istante.”
 “No, no. Non è necessario. Mia figlia si fida di te, e questo mi basta. Ti prego solo di non praticare in nostra presenza la tua magia, e di non parlare alle mie ragazze di cose che potrebbero turbare loro o la loro innocenza. Venite, ora, seguitemi. Vi farò vedere il giardino e la stalla in cui alleggerete. Qui ci svegliamo molto presto, dobbiamo portare le pecore sulla montagna all’alba, e quindi dobbiamo coricarci il prima possibile. Prego, seguitemi.”
 Si alzarono ed uscirono dalla casa. Il Vecchio Amis continuava a non rivolgere lo sguardo all’alchimista. Myrlene si chiedeva il perché. Poi si ricordò della sua pelle dell’uomo, e d’improvviso si rese conto di non aver mai visto una carnagione simile prima di allora. Era quasi strano: la prima cosa che aveva notato di Tyerns erano stati i suoi occhi, così profondi e misteriosi da ricordare la luna nuova. Tutto il resto, la sua voce, il colore della sua pelle e dei suoi abiti, il valore dei gioielli che indossava, tutto era venuto dopo, lentamente, come risvegliandosi da un sogno in quello sguardo.
 Si sedette, esausta e stanca dagli avvenimenti di quell’ora. Erano state due giornate d’Inferno. Ma, tutto sommato, anche se suo padre sembrava contrario alla presenza dell’alchimista nella loro casa, non era lui che Myrlene doveva convincere. Il giorno dopo, non appena Tyerns Izvor si sarebbe incamminato nella foresta per cercare la troisaube, lei l’avrebbe seguito. Con qualche domanda, qualche sguardo d’intesa, magari un piccolo e timido gesto, avrebbe iniziato la sua seduzione.
 Improvvisamente, l’innocente bontà nella misteriosa figura dell’alchimista sembrò colpirla con tutta la sua fiducia, e il suo cuore s’infiammò nella vergogna del gesto che stava per compiere. Ingannare un uomo, macchiarlo del segreto di un’ignorante famiglia di contadini e gettarlo nell’infamia, tutto questo per una donna che avrebbe maledetto quel tentativo di condurla lontano dalla punizione divina. Jehanne non l’avrebbe mai seguita, di questo era certa. Come convincerla? Come permetterle di fidarsi dell’alchimista? Era forse un problema maggiore della stessa seduzione, che all’apparenza poteva sembrare più ardua di qualsiasi impresa. Ma le convinzioni di chi sia stato gettato nell’oscurità più profonda sono quanto di più imperituro ci sia al mondo. Come uno scoglio, Jehanne si aggrappa a quella sua idea di angelo dannato, indegno persino dell’Inferno. Era la sua consolazione, un’illusione che le permetteva di vivere. Senza quell’idea, senza i colpi e le violenze di suo padre, che cosa rimaneva di lei se non una rozza contadina, priva di una mano?
 “Myrlene…”
 La timida voce alle sue spalle la fece sussultare. La ragazza si girò, e vide i grandi occhi di Jehanne fissarla dal piano superiore delle scale. Era inginocchiata, le sue pallide mani stringevano la bianca camicia da notte che la sorella le aveva prestato. Nel suo sguardo, la paura e l’incredula rabbia ricordavano l’espressione di una fata, quando un viaggiatore distratto schiaccia la sua minuscola capanna di funghi e corteccia. Era uno sguardo che intimidiva, malediva, e contemporaneamente chiedeva perdono per ogni peccato.
 “Jehanne… Ti sei svegliata.”
 “Ho sentito le voci. Il papà sembrava arrabbiato. Poi sono venute altre voci, lunghi silenzi rotti ogni tanto da una risata imbarazzata. Poi è venuto un uomo, che spiegava qualcosa con tono calmo e gentile, e il papà rispondeva. Ma non sentivo la tua voce. Non volevo scendere, avevo paura che papà fosse ubriaco e avesse portato un amico.”
 “Non ha mai portato un amico, qui.”
 “Non sempre. Solo quando tu sei sulla montagna. Papà si vergogna di se stesso quando beve. Ma non si cura di nasconderlo a me. Quella voce però non era simile a nessuna di quelle dei suoi amici. Era dolce, pacata, e infondeva tranquillità. Ma era strana, con un accento sconosciuto. Solo dopo un po’ ho capito di chi si trattava.”
 I suoi occhi neri erano ora carichi di accusa. Fissavano Myrlene con tutta la rabbia che un essere umano poteva contenere. Erano pieni di lacrime trattenute, testimoni di un tradimento aspettato con ansia. La ragazza si alzò improvvisamente in piedi, quasi spaventando Myrlene, e le sue parole furono cariche d’ira:
 “Come hai potuto? Avrei dovuto saperlo, avrei dovuto sapere che avresti invitato quell’uomo. Qui, in casa nostra, dopo che io ti avevo detto di odiarlo. Non mi fido di lui, Myrlene, nessuno al villaggio ha fiducia in quello straniero. E tu, sciagurata, dopo tutto il dolore e la vergogna che hanno macchiato la nostra famiglia, dopo tante parole sussurrate alle nostre spalle, tu hai ancora il coraggio di alimentare il fuoco di quelle menzogne? Chi ci resterà amico, Myrlene? Chi? Nessuno ci aiuterà nel momento del bisogno, e quando nascerà il bambino tutto crollerà, e sarà la fine.”
 Myrlene si era aspettata quel rimprovero, ma non poteva rimediare in alcun modo. L’unica soluzione era aspettare in silenzio, e sperare con tutto il suo cuore che Jehanne non intuisse la vera motivazione per ospitare l’alchimista. Invece, era stata un’altra frase della sorella a sorprenderla.
 “Se sarà la nostra fine, Jehanne, sicuramente non sarà a causa del bambino. Non possiamo permetterci che venga al mondo, con o senza la presenza del nostro ospite. Sarebbe un’autentica follia tenerlo in vita, permetterti di affrontare questa gravidanza pubblicamente. Dovrai abortire in segreto, oppure restare reclusa in casa finché non nascerà. Allora lo uccideremo insieme.”
 La ragazza sgranò gli occhi. Le orribili parole di Myrlene l’avevano lasciata senza parole. Si portò con fare protettivo la mano sul ventre, e scosse debolmente la testa. Indietreggiò di qualche passo, incontrò il primo gradino della scala e cadde a terra, il volto tra le mani, un singhiozzo spaventato che riuscì a sfuggire le sue labbra esangui.
 “Oh, ti prego! No! Myrlene, no. Tu non puoi chiedermi questo.”
 “Devo farlo.”
 “No! No! Questo mai! E’ il mio bambino. Sarà sporco, sarà inviato da Satana, ma è pur sempre il mio bambino.”
 “Jehanne, ascoltami!” si chinò accanto a lei, afferrando le gracili spalle in una stretta decisa “Non abbiamo altra scelta.”
 La ragazza riprese a singhiozzare violentemente, senza controllo. Tutto il suo corpo tremava. Il pensiero di un tale omicidio la spaventava a morte. Alzò la mano, la poggiò sulla schiena di Myrlene e si aggrappò ad essa, come ad uno scoglio. Il suo terrore trapelava in ogni lacrima, in ogni sussulto, in ogni preghiera. Cercò disperatamente il corpo della sorella, il suo calore, la sua presenza. Myrlene non sapeva cosa fare. La strinse a sé, cullandola, cercando di calmare i suoi singhiozzi. Anche la sorella aveva paura. Presto il Vecchio Amis sarebbe tornato.
 “Vai a letto, su. Ne parleremo quando il tempo verrà, quando comincerà ad essere evidente che sei incinta. Nessuno per il momento lo sa. Tu va’ a letto, ora. Vai.”
 “Prima voglio sapere cosa ci fa qui l’alchimista.”
 “L’ho solo ospitato per carità cristiana, Jehanne.”
 “Menti.”
 “Devi credermi. Posso giurarlo.”
 “Non bestemmiare con le tue bugie, Myrlene. Dio ci punirà.”
 “Cosa ha mai fatto Dio per noi?” quasi gridò la ragazza “Nulla! Non ha mai fatto nulla. Ti punisce per un peccato che non hai commesso, ci condanna ad una vita di miseria e discordia con gli altri. Quell’uomo non serve Dio, ma per lo meno non ha sputato sulla mia persona. Mi sorride, è caro e gentile, a differenza di nostro padre. Impara a conoscere i tuoi veri nemici, Jehanne, e smettila di vivere in un mondo di penitenza inutile. Ora vai a dormire. Anche io sono stanca, e non posso starti sempre a presso. Vai!”
 “Non ti permetterò mai di seguire quell’uomo. E ti posso assicurare che io non ucciderò il mio bambino.”
 “Lo farai, invece.”
 “No.”
 “Farai ciò che è giusto. Se accadrà altrimenti, non ti potrò salvare.”
 “… Salvarmi?” mormorò la ragazza.
 La sorella si maledisse subito per ciò che aveva detto. Era terribile, la parte più segreta di quel piano era stata rivelata alla persona che meno di tutte avrebbe dovuto scoprirlo così presto. E, pronunciandola, Myrlene non se ne era neanche accorta. Si morse le labbra, con rabbia, e distolse frettolosamente lo sguardo. Non sapeva che cosa inventarsi.
 “In che senso, vuoi salvarmi?”
 “Portarti via.”
 “Portarmi via? E dove?”
 “Lontano da questo posto e da nostro padre.”
 “Ma cosa dici, sorellina? Come potremo mai fuggire dalle nostre terre? Dove andremo?”
 “Hai ragione, è una sciocchezza.”
 “Mi stai nascondendo qualcosa, Myrlene. Esattamente, come hai intenzione di fuggire?”
 “Non ho nessuna intenzione di fuggire! Stavo solo scherzando, ecco tutto.”
 “Stai mentendo. Vuoi solo guadagnare tempo. Dimmi esattamente come pensavi di fuggire.”
 “Dio mio, non avresti dovuto scoprirlo subito! E’ troppo presto, ora non è il momento adatto.”
 “Myrlene” l’espressione di Jehanne era agitata quanto quella della sorella “Dimmi come saresti fuggita.”
 Myrlene sospirò. Non aveva altra scelta.
 “Mi sarei maritata. O meglio, mi mariterò. Non posso continuare a vederti soffrire, Jehanne. Non posso.”
 “Ti sposerai?”
 “Sì. E tu mi seguirai. Lontano da questa casa, e da nostro padre.”
 Gli occhi di Jehanne si mossero con uno scatto verso la porta. Tutto le era chiaro, adesso.
 “Oh, Myrlene…” gemette “Per questo l’alchimista è qui. Tu vuoi seguire quel servo del Male, non è vero? E per causa mia. Nella tua eterna bontà vuoi anche aiutare un terribile mostro come me. Come potrà mai Dio perdonarmi? E’ tutta colpa mia. Oh, Satana, padre mio, perché continui a maledire un demone sporco come me? Che cosa posso fare, io, se non rovinare la vita di colei che più mi sta a cuore? Mio Dio, mio Dio, che il mio lurido corpo possa essere distrutto dalla tua giustizia! Per me sarebbe meglio morire. Nessuno soffrirebbe tanto, con la mia scomparsa.”
 “Jehanne, basta.”
 “Sono un mostro. Un mostro!”
 “Smettila. Ti ho detto di finirla.”
 “Tu non sai quello che si prova, Myrlene. Ad essere un demone che non merita le cure di un angelo come te. Non sai cosa voglia dire essere un verme lurido, degno solo di strisciare nella melma.”
 “Ora basta!”
 “No! No! Non ti permetterò di toccarlo. Non ti permetterò di sporcarti ancora una volta le mani, dopo che hai macchiato la tua anima pura con la mia carne intrisa di peccato.”
 Myrlene strinse i denti e i pugni. Questo era troppo. Lei era esausta. Jehanne era confusa. La stava confondendo per impedirle di distinguere cosa fosse il meglio per loro, e come raggiungerlo. Ed ogni sua parola faceva troppo male. Un colpo di frusta sarebbe stato meno doloroso. Sospirò, stanca ed irritata dai lamenti della sorella. Jehanne continuava a piangere, a gemere, a riempirle la testa di preghiere vane e nomi infernali.
 Basta. Ora ne aveva davvero abbastanza.
 Si avvicinò alla sorella, che nel frattempo di era accucciata in un angolo, piangendo senza controllarsi minimamente. Le sfiorò il viso, sollevandolo delicatamente con le pallide dita. Lo colpì con quanta forza aveva in corpo. Le afferrò i capelli e la gettò rudemente a terra, ignorando i pianti e le preghiere della ragazza.
 “Non mi hai mai amato, allora!” urlò Myrlene, gli occhi ormai colmi di lacrime “Non mi hai mai amato! Hai ragione, sai, a dire che sei un mostro. Un mostro crudele che non fa altro che ferirmi con le sue parole di veleno! Credi che abbia preso la mia decisione a cuor leggero? Mi sto abbassando al ruolo di una prostituta pur di aiutarti, e tu mi ripaghi in questo modo? Ma non sai il male che mi fa ciò che dici, Jehanne? Davvero non lo sai?”
 “Io… io non capisco cosa…”
 “Invece capisci benissimo. Eppure ti ostini a ripetere all’infinito quegli inutili insulti. Continui a definirti un mostro infernale, la figlia di Satana, un verme indegno persino di nutrirsi di terra e melma. Offendi te stessa, ma così facendo fai del male anche a me. Complimenti, Jehanne, sei riuscita a convincermi. Solo un mostro farebbe tanto male alla propria sorella. Vergognati. Vergognati e rifletti, perché se oserai ripetere ancora una volta quelle cose, io me ne andrò via per sempre.”
 “… No... No, ti prego… questo no…”
 “E tu resterai sola, per sempre. Ascolta Jehanne, io ti amo con tutta me stessa. Ma non posso permetterti di abusare della mia pazienza in questo modo. Continuando di questo passo, sarai tu ad uccidermi con le tue parole. Per me sono come veleno, capisci? Sono troppo dolorose da sopportare, ti prego di capirmi. Ti prego. Non farmi del male solo perché ti voglio bene.”
 Jehanne non parlò. Fissava semplicemente la sorella, la bocca socchiusa ed ansante, il dolore più assoluto negli occhi. Dopo un poco riabbassò lo sguardo, si alzò con un sospiro e salì lentamente al piano di sopra. Poco prima di entrare nella sua stanza, si voltò verso Myrlene. Sorrideva. Era un sorriso amaro, il ghigno malinconico di una sirena che cerca ovunque il suo principe di terraferma. All’improvviso, la sorella si sentì terribilmente in colpa per averla colpita. Si rese conto con orrore di non essere migliore di suo padre.
 “Tu mi sottrai tutto ciò che sono, Myrlene. Vuoi salvarmi, ma fino ad ora mi hai solo picchiata e privata della mia unica consolazione.”
 “L’idea dell’inferno sarebbe dunque la tua consolazione?”
“Non credi che sia meno doloroso pensare ad una punizione divina, piuttosto che affermare l’inesistenza di una qualsiasi risposta? Prendendo su di me questa responsabilità, indossando il nome di ragazza infernale, ho fatto in modo che nessuno soffra eccessivamente per la morte della mamma. Tu questo non riesci a comprenderlo, anche se in fondo io lo faccio solo per te. Perché la mamma è morta? Grazie a me, tu hai sempre avuto una risposta a questa domanda.”
 “Io non ho mai creduto alle tue parole, e non ti ho mai chiesto nulla.”
 “Ed io non ti ho mai chiesto di portarmi via da qui. Ti stai sacrificando allo stesso modo con cui io ho dato la mia vita per allontanarti dal peso della colpa. Ma tu non comprendi le mie intenzioni. Non le hai mai comprese. Come hai potuto tradirmi in questo modo, dopo tutto quello che ho fatto per te?”
 “Sai bene che è diverso.”
 “Ma davvero? E come?”
 “Tu hai agito per tua convinzione. Le mie azioni erano semplicemente dettate dal dolore sul tuo volto.”
 “Sono solo belle parole.”
 “No, Jehanne. Io ti amo, dico davvero, sopra ogni altra cosa al mondo. Voglio che tu mi faccia una promessa. Devi promettermi di non ripetere mai più quegli insulti. Te ne prego.”
 “Solo se tu giurerai di non seguire il miscredente.”
 Myrlene la guardò a lungo, in silenzio. Scosse infine la testa, e non rispose. Quelle di Jehanne erano semplici parole di convenienza. Probabilmente neanche colei che le aveva pronunciate vi credeva pienamente. Invece i lividi sul viso di Jehanne erano prove sufficienti per il dolore che causava il Vecchio Amis. E così era per il bambino che cresceva nel ventre della ragazza, quel povero innocente destinato alla morte, ancora prima di nascere.
 “Non m’importa se tu ti stai accorgendo del dolore che ci consuma. Non starò a guardare mentre morirai sotto i colpi di nostro padre. Se ti ostinerai ad ignorare il sangue che ha versato, i segni sulla tua pelle, l’orrore nei tuoi occhi dopo gli stupri, sappi che non mi abbasserò al tuo livello. Ti porterò via, che tu lo voglia o no.”
 “Come pensi di convincermi, sciocca?”
 “Con una promessa.”
 “Che genere di promessa?”
 “Io ti giuro che seguirò l’alchimista. Tu sei libera di venire con me, oppure di perdermi per sempre.”
 E con questa, fu fatta. In fondo, entrambe lo sapevano: Jehanne avrebbe seguito la sorella, a qualsiasi costo. Se avesse potuto fare a meno di perderla, avrebbe rinunciato alla sua casa, alle sue poche amiche, e persino ai suoi ideali.
 Entrambe lo sapevano.
 Myrlene aveva vinto quella discussione.
 Jehanne si portò una mano sul ventre, gli occhi ancora lucidi dalle lacrime versate.
 “Tu mi togli tutto, Myrlene. Ogni cosa.”
 “No, non è vero.”
 Anche lei salì le scale, e raggiunse la sorella. Si scambiarono un lungo sguardo, carico di dubbi e di emozioni mai provate prima di allora. Myrlene tese le braccia, timidamente, aspettandosi un rifiuto. Ma Jehanne non aveva più la forza di opporsi, e si abbandonò a quell’abbraccio, cercando conforto nella forza della sorella. Nessuna della due piangeva, ne’provava rabbia o dolore. Erano semplicemente stanche. Stanche di quegli avvenimenti così irreali, che tuttavia erano la prova concreta della loro miseria.
 “Io sarò sempre al tuo fianco, Jehanne. Ti chiedo solo di fidarti di me.”
 “Ora lo capisco, Myrlene. Ti chiedo scusa per ciò che ho detto.”
 “No. Io ti chiedo scusa. Non avrei mai dovuto colpirti, è stato orribile da parte mia. Vorrei non averlo mai fatto.”
 “Non fa nulla.”
 Myrlene la strinse più forte a sé.
 “Ti giuro, sorellina, vorrei che ci fosse un altro modo.”
 “Myrlene… posso chiederti una cosa?”
 “Tutto quello che vuoi.”
 “Tu mi ami?”
 “Più di qualsiasi altra persona al mondo.”
 “Più dell’alchimista?”
 “Io non amo l’alchimista. Non gli avrei neanche rivolto la parola, se non fosse stato per proteggerti”
 “Dici d’avvero?”
 “Lo giuro.”
 Jehanne si scostò leggermente da lei, senza sciogliere tuttavia il tanto atteso abbraccio. Da quanto tempo aveva desiderato questo momento? Ora tutto era così diverso da come aveva immaginato nei suoi sogni più segreti. In quelle due giornate, tutto ciò in cui aveva creduto, tutto ciò che l’aveva sostenuta, era stato distrutto. Eppure, era convinta di non aver provato mai tanta gioia prima di allora. No, Myrlene non l’aveva lasciata a mani vuote. In fondo, lei era ancora al suo fianco. Era questa la cosa più importante.
 Nessuna delle due se ne accorse prima che accadde. Le labbra delle due gemelle si sfiorarono, si toccarono, e finalmente si unirono in un unico, dolce bacio. Ed anche quel bacio fu una promessa, il segreto di un messaggio di amore, da offrire in sacrificio all’altare di una sposa.
 





Angolo dell'Autrice:

Ecco a voi la canzone a inizio capitolo! http://www.youtube.com/watch?v=QCUCgbhMKRI
Perdonatemi, mi sono completamente dimenticata di ringraziare Black Air per aver inserito la storia tra le sue seguite e LadyAndromeda per averla inserita tra le 'da ricordare'. Grazie ragazze, siete mitiche! :D Naturalmente, ringrazio anche tutti coloro che seguono la mia storia,e grazie a DreamNini per aver recensito sempre con tanta costanza.
A presto a tutti voi!

Beads.





 

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Capitolo 4
*** Il Coltello ***


 


4. Il Coltello

 ‘Qui est ce diable qui m'appelle père?
Dis moi, qui est-il sur le champ?’
‘C'est ta fille, ta chère fille Jehanne.
Ta fille, morte et enterrée’


Cécile Corbel, ‘La Fille Damnée’

 
 
 
 Da poco le luci dell’alba avevano sfiorato la terra di Francia. Tyerns Izvor, armato di un semplice pugnale e con un rotolo di papiro ingiallito, stava uscendo con circospezione dalla stalla, per dirigersi verso la foresta. L’aria fredda della mattina non sembrava turbarlo, nonostante le infinite giornate di Sole e calura passate nel deserto della sua patria. L’ecumene, come un invisibile filo di morte, era il confine proibito per ogni uomo d’Europa, oltre al quale le rosse sabbie dell’Africa avrebbero incenerito i viandanti temerari. Eppure, lui era la prova che quella folle paura non era altro che leggenda. Il deserto oltre l’ecumene era la sua casa, o almeno così aveva detto ai suoi ospiti.
 Tyerns Izvor sapeva che non era stato creduto da coloro a cui aveva rivelato la sua origine. Chi affermava di poter sfidare i limiti imposti da Dio era un eretico, oppure un folle privo di senno. Ma l’alchimista sapeva che, in fondo, l’opinione che questa gente si sarebbe fatta di lui non aveva davvero alcuna importanza ai fini della sua missione. Non poteva distrarsi, adesso che era molto vicino, così vicino da poter quasi allungare la mano per afferrare ciò che cercava. Ma doveva portare pazienza, senza cadere nella tentazione di compiere azioni avventate. Bastava uno sbaglio per compromettere il suo esperimento. L’essenziale, adesso, consisteva nel raggiungere il luogo delle sue ricerche. Come aveva detto a quella famiglia di contadini da cui era ospitato, infatti, il fiore della troisaube cresceva facilmente vicino alle fonti d’acqua. Doveva essere vicino, ormai. Sapeva che, dopo molto camminare, avrebbe raggiunto una sorgente nascosta nel bosco, nelle altitudini della montagna.
 Quello che non sapeva era che qualcuno lo stava inseguendo. Una figura esile e minuta, avvolta in un mantello scuro, che avanzava in silenzio dietro ai passi dell’uomo. Era protetta dalle ombre degli alberi, nascosta dalla quiete dei suoi passi e dalla profonda conoscenza di quella foresta. I suoi graziosi piedi nudi calpestavano un tappeto di foglie secche, lasciando impronte leggere ma visibili. Erano la prova di una natura umana e mortale. Ma nei suoi occhi la paura era quelle di un cerbiatto inesperto, il battito del suo cuore seguiva lo scorrere agitato del ruscello. Ignara, silenziosa, impaurita. Myrlene inseguiva quell’uomo dal nome promesso.
 Dopo molto camminare, i due ignari compagni raggiunsero finalmente il luogo cercato. L’alchimista si fermò accanto alla riva del ruscello, chinandosi accanto alle acque carezzata del vento. Sembrava scrutare quell’elemento incolore con un’intensità sconosciuta. Ma la ragazza, nascosta poco lontano, dopo un poco capì che in realtà stava frugando tra le erbette che lì crescevano rigogliose. Myrlene si avvicinò ancora di più ad Izvor, procedendo cautamente per non farsi scorgere. Temeva di essere intravista dall’abile mago. Si nascose velocemente tra alcuni cespugli vicini alla sorgente, trattenendo il fiato, ma poco dopo si accorse con sollievo che l’alchimista non l’aveva notata. Sollevata dalle sue paure, prese ad osservare intensamente Tyerns Izvor. Il giovane era ancora inginocchiato per terra, lo sguardo basso, le braccia incrociate sul petto, come se il riflesso di un angelo fosse comparso nelle acque. Non si muoveva. Era come se un incantesimo l’avesse colpito, tramutandolo in pietra prima di alzare gli occhi dal suo specchio di cristallo liquido.
 Il vento stava crescendo d’intensità, il freddo era pungente. Myrlene cercò con la mano una croce che portava legata al collo, adagiata sul seno, e la strinse. Quel luogo non le piaceva. Era una parte del bosco che aveva raramente visitato, situata sulla parte più alta della montagna. Era quasi paradossale che, pur essendo così vicina al cielo, più vicina a Dio, lei qui si sentisse sempre trasportata in un mondo diverso da quello mortale. Era irreale, oscuro e pericoloso. Aveva la sensazione di avvertire delle creature, degli spiriti dannati, che chiamavano il suo nome, per portarla tra le braccia di un demone.
 Un demone. Un demone sognato.
 Improvvisamente, Myrlene si accorse di qualcosa di orribile. Qualcosa che avrebbe dovuto attrarre la sua attenzione molti anni prima.
 Tutte le voci venivano da qui.
 In quel momento, Myrlene si accorse con orrore di riconoscere quel luogo, quella fonte, quei cespugli. I rami che sfiorava, che la toccavano, in realtà non erano che rovi dimenticati, e quella sorgente era un frammento del suo sogno passato.
 Un sogno, un ricordo. Suo padre aveva condotto qui Jehanne, una bimba con due mani sane e forti, per gettarla nel ghiaccio mortale dell’acqua. Non appena il suo corpo aveva sfiorato la fonte, da essa era sorta la figura di un mostro. Un mostro la cui voce ancora risuonava nella mente della ragazza. Avent, l’Ondina. Perché Tyerns Izvor l’aveva condotta proprio in questa parte della foresta, perché stava fissando l’acqua con tutta la sua forza?
 Fu allora che Myrlene vide le labbra dell’alchimista, agili e silenziose. Si muovevano. Emettevano fiochi sussurri. Pronunciavano parole, recitavano formule. Una lingua indistinguibile, quasi irreale, aleggiava nel vento, entrava nello spirito di Myrlene, portava alla mente la figura dell’Ondina. E tornarono le voci. Le voci senza pietà, comprensione o dolcezza, che con furia inaudita urlavano il suo nome.
 Myrlene.
 Anni. Erano stati anni di nenie e canzoni apprese da voci materne. L’avevano sempre accolta, giocato con lei, divertita con il ritmo musicale della pioggia. Erano voci di madri e sorelle, di acqua e spirito. Per la prima volta, Myrlene provava terrore nell’udirle. Chi erano? Non l’aveva mai saputo.
 Myrlene, vieni a noi.
 Vieni a noi.
 Myrlene.
 No. Non dovevano avvicinarsi. Avrebbe ucciso chiunque si sarebbe avvicinato.
 Myrlene.
 Odiava quelle voci. Quelle voci avevano ucciso Jehanne. Le avrebbe uccise a sua volta. Era giusto così. Le odiava. Le avrebbe uccise. Nessuno doveva avvicinarsi. Nessuno doveva toccare sua sorella.
 Myrlene.
 Il tuo nome non è umano. Le voci che senti non sono umane.
 Ti chiamavamo nei giorni di pioggia.
Le nostre voci.
 Il tuo nome.
 Myrlene.
 Voci amate, sognate, dimenticate.
 La aspettavano nei giorni di pioggia.
 
 
 “No. Non uccidermi. Non ancora.”
“Chi ti ha dato il permesso di parlare? Mi fai schifo. Perché non muori e non te ne vai all’Inferno? Muori!”
 Non mi piace quando il papà mi sgrida così. Non mi piace quando mi stringe e mi sporca con il suo vecchio corpo. Stringe, stringe forte, vuole farmi perdere il fiato. Vuole uccidermi.
 “Stai zitta, Jehanne! Perché non muori?"
 Un altro colpo. Papà mi fa cadere a terra, le spalle contro il muro. Io gemo appena. Non deve sentirmi. Se faccio rumore mi picchierà ancora più forte, ed io non voglio. Devo essere forte. Devo pregare. Unire le mani in segno di preghiera, senza dire nulla, neanche in un sussurro. Non gli piace quando le mie parole sono intrise di rassegnazione. Lo odia. Papà vuole il silenzio. Vuole il silenzio mentre mi stringe a lui.
 Vuole uccidermi, lo so.
 No, papà, non muoverti così. Sei brusco. Farai tanto male al bambino. Il nostro bambino, papà. Non ricordi? Sei stato tu a regalarmelo. In quella notte d’Inverno, quando mi hai rinchiuso nella stalla. Hai urlato il mio nome, e mi hai ucciso. Il dolore è stato atroce. Morire fa male. Ma io sono un demone, e risorgo sempre tra le tue vecchie braccia. Mi hai donato un figlio, padre. Vorrei urlare questo segreto a gran voce, gridarlo nella notte. Ma Myrlene non vuole. La tua Myrlene, che tu hai sempre amato più di me. Perché lei è bella. La tua bella bambina. Non le faresti mai del male.
 Ma per me va bene. Io non sono tua figlia.
 Sono un mostro, e tu sei tanto buono da punirmi quando lo merito. Myrlene non capisce. Non conosce i miei peccati quanto te. Sì, tu mi conosci, perché mi odi. Neanche in questi momenti sono la tua preferita. Il tuo sdegno è la mia benedizione. Lo sai, non è vero? Per questo mi hai donato un bimbo, urlando a gran voce il mio nome. Hai sempre disprezzato la mia persona, ma ami il mio nome. Era il nome della mamma. La mamma era bellissima, e tu l’amavi. Io non sono bella, e mi odi.
 Ma va bene così.
 Va bene se mi uccidi.
 Sono felice quando accade.
 Ma tu non sai cosa cresce dentro me. Myrlene mi ha detto di tacere. Non devo rivelare a nessuno questo segreto tra me e lei. E’ pericoloso. E’ pericoloso, dice lei. Una creatura minuscola, immobile, che vive nel segreto del mio ventre. Piccola, piccola. Più piccola di un fiocco di polvere. Come può essere pericolosa? E’ mia, solo mia, e Myrlene vuole togliermela per sempre. Lo fa per me, dice lei. Dice che mi ama. Anche io la amo, ma come può chiedermi di uccidere mio figlio? Non è giusto.
 Myrlene! Myrlene, come puoi chiedermi questo?
 "Che razza di sciagurata sei? Mi disgusti. Non sai neanche scopare decentemente.”
 No, non muoverti così. Farai male al bambino.
 Il nostro bambino, papà.
 Non deve nascere.
 
 
 Suo padre si alzò con un sospiro. Jehanne invece rimase a terra, il corpo coperto di lividi, la bocca aperta nel tentativo di respirare. I colpi del Vecchio Amis avevano reso difficile anche qualcosa di così naturale. La ragazza si portò una mano tremante sul ventre. Una preghiera si levò al Cielo, silenziosa come le lacrime sul suo volto. Che il suo bambino potesse vivere. Che i colpi del padre non l’avessero ucciso.
 Il Vecchio Amis era alle porte della stalla. Si era fermato a guardare il giardino illuminato dall’alba, un filo di paglia tra le vecchie mani. La montagna si stagliava come una muraglia tra lui e le pallide luci del mattino. Tutto era silenzio. La calma adombrava il volto dell’anziano pastore. Era tranquillo come un bimbo innocente tra le braccia della madre.
 “Sai perché Myrlene ha seguito quel maledetto stregone?”
 Non ci fu risposta.
 “Perché ti frequenta. Non ha mai avuto altra compagnia che quella lurida puttana di sua sorella. E’ naturale che abbia preso il cattivo esempio. Ed ora dovrei andare a cercarla? Arriverò mai in tempo per salvarla da quell’uomo?”
 Jehanne strinse i denti, ma non disse nulla. Avrebbe tanto voluto dire a suo padre delle intenzioni di Myrlene. Non poteva sopportare il pensiero di sua sorella al fianco di quell’uomo. Era possibilmente il simbolo stesso del male, un inviato dalle profondità della Terra più oscura, un diavolo dal sorriso malefico. Come poteva Myrlene accettare la sua compagnia, sapendo che sarebbe stata infelice, sapendo che avrebbe ferito persino se stessa? Non era normale. Nulla in quei giorni era stato normale. Se non avesse fatto qualcosa, avrebbe condotto sua sorella ad una tomba di fuoco.
 ‘Sarà tutta colpa mia.’
 Quel pensiero era intollerabile, Aveva già ucciso sua madre. Come poteva rovinare anche la vita di sua sorella? Dio la stava punendo in maniera troppo dolorosa. No, non era per niente giusto. Forse in questo Myrlene aveva avuto ragione. Forse Dio non aveva fatto davvero nulla per loro, in tutti quegli anni. Forse erano davvero tutti maledetti dal Cielo.
 Doveva trovare una soluzione. Ma quale?
 Fu allora che vide qualcosa appeso ai muri della stalla. Qualcosa di cui non si era mai accorta, prima di allora. Era nero, lucido, appuntito. Era bello, splendeva nel buio, traendo forza dalle luci dell’alba. I neri occhi di Jehanne erano come incantati da tanta bellezza. Era meravigliosa, pericolosa. Ma sarebbe servita allo scopo?
 “Puoi uccidere per me?” sussurrò appena.
 “Che diavolo hai detto?”
 “No… nulla, papà.”
 “Stai zitta, la tua voce gracchiante mi da’ il voltastomaco. Oh, Cristo. Dove si troverà adesso la mia bambina? Se quel porco di un mago l’ha anche soltanto toccata, giuro che gli spacco la faccia.”
 “Non aver paura, papà” ridacchiò piano Jehanne, senza farsi sentire. Si carezzava dolcemente il ventre. Era felice della sua trovata. In questo modo non avrebbe dovuto uccidere il bambino. Così Myrlene non avrebbe dovuto sposare quell’uomo oscuro e pericoloso. Così il papà non avrebbe più avuto paura. Ci avrebbe pensato lei. Lei avrebbe risolto ogni cosa.
 “No, non aver paura. Presto non dovremo più preoccuparci dell’alchimista.”
 Jehanne era felice.
 Era tutto perfetto. Aveva trovato la soluzione.
 Appeso sulla parete della stalla, il coltello sembrava quasi sorriderle.
 
 
 “BASTA! Andate via! Andate via, tutte voi! Io non vi conosco. Non sono vostra. Andate via!”
 “Vi prego, signorina… non fate così…”
 “No! No! Andate via! Ho paura!”
 “Signorina… svegliatevi, signorina… è tutto finito…”
 Myrlene aprì gli occhi di scatto, un urlo ancora impresso sulle labbra esangui. Era distesa a terra, foglie morte e fiori appassiti tra i capelli biondi, il Sole che sorrideva oltre le foglie dei rami. La foresta la circondava. Calma, silenziosa, reale. Le voci erano scomparse. Accanto al corpo della ragazza, Tyerns Izvor le teneva con dolcezza una mano. I suoi cari occhi neri erano il riflesso della preoccupazione e dell’affetto.
 “Vi siete svegliata. Ne sono davvero contento. Ho avuto molta paura per voi, signorina.”
 “Voi… che cosa è successo?”
 “Parola mia, temo di non saperlo. Stavo cercando la pianta che mi occorre accanto a questa riva, quando vi ho udito gridare tra questi cespugli di rovi. Sembravate impaurita. Quando ho scostato i rovi per trovarvi lì, annidata tra le spine, gli occhi chiusi, era come se foste stata in preda ad un incubo. La visione di un demone si nascondeva nei vostri occhi, e voi tremavate di paura. Vi agitavate tra quei cespugli. Urlavate e gridavate senza controllo, lasciando che le spine vi ferissero.”
 Le mostrò la mano che reggeva tra le sue, pallida e rovinata da graffi sanguinanti. Myrlene non capiva. Nel momento stesso in cui aveva riconosciuto quel luogo come quello nel suo sogno, aveva udito delle voci tra quei rovi. Voci familiari, che l’avevano accudita dalla più tenera infanzia, nei giorni di pioggia. Voci tenere, materne. Ma ora non c’era la pioggia, e le voci l’avevano aggredita, attaccata. L’avevano sopraffatta a tal punto da farle avere degli incubi. Erano state visioni degne dell’Inferno.  Quelle voci maledette, una droga amata per distoglierla dal male del mondo. Perché si erano accanite contro lei? Erano state violente. Come se avessero voluto trascinarla via, in un passato oscuro, terribile.
 Senza uscita.
 Ma era stata stupida e debole. Si era lasciata spaventare da quelle apparizioni, come una sciocca bambina.
Doveva aver spaventato terribilmente l’alchimista. Questo poteva compromettere il suo piano, senza via di ritorno. Cosa avrebbe mai pensato di lei? Si era lasciata travolgere da un semplice sogno, scoprendosi nell’atto di spiare l’uomo che avrebbe dovuto essere suo marito.
 “Che cosa stavate facendo qui, signorina?”
 “Io… io non sapevo… che voi foste qui…”
 “Va bene. Ma non vi ho chiesto questo. Perché siete qui?”
 “Io… ecco… volevo vedervi. Lo volevo, dico davvero. Volevo chiedervi cosa… se io… io… se ci fosse qualcosa che avrei fare per voi, durante la giornata. Portarvi del cibo, una coperta, un po’ di compagnia. Avrei anche voluto sapere quando sareste tornato a casa.”
 “Oh, capisco. Siete davvero molto gentile, signorina.”
 “Non è nulla. E non dovete preoccuparvi per me, sto bene. Devo essere caduta, sbattendo la testa. Dovete sapere che sono terribilmente sbadata. Perdonatemi.”
 “Non c’è nulla da perdonare. Ma spero sinceramente che stiate bene. Ho avuto molta paura per voi.”
 “Vi ringrazio. Siete davvero molto gentile.”
 Rimasero in silenzio per un poco, entrambi ammaliati dalla stranezza di quella situazione. Myrlene abbassò lo sguardo, intimidita dagli occhi intenti dell’uomo. Si rese conto che l’alchimista non aveva ancora lasciato andare la sua mano. La stringeva delicatamente, con dolcezza, in modo protettivo. Era così grande ed abbronzata attorno alla sua. Quella di Myrlene, fragile e bianca come una colomba in Inverno, tremava dall’emozione.
 “Se non sono indiscreta, signore… mi piacerebbe… ecco, vorrei tanto assistere a qualcuno dei vostri esperimenti. Potrei rendermi utile nel lavoro. Conosco questa foresta da cima a fondo, so dove trovare le più grandi distese di fiori. Anche se devo ammettere di non aver mai  visto il fiore che cercate. Ad essere sincera, non ne avevo mai sentito parlare prima del vostro arrivo.”
 “La cosa non mi stupisce. Il libro in cui ho trovato il nome della troisaube è estremamente antico, ed anche tra le sue pagine ingiallite era menzionata la rarità della pianta. Temo che la sua esistenza sia stato il regalo di un tempo lontano. I miei esperimenti non possono richiamare alla vita le creature nascoste nella cenere, e forse il raro fiore resterà il segreto di un’era passata.”
 “Non perdiamoci d’animo ancor prima di avere incominciato. Vi aiuterò io, signore. Sarei estremamente felice di rendermi utile.”
 “Non credo che vostro padre approverebbe nel vedervi con me. Ci ha persino proibito di dormire sotto lo stesso tetto.”
 Le rivolse un sorriso adombrato da malcelata malinconia. Doveva sentirsi molto solo, pensò Myrlene, in quell’oscura dimora di gente strana e diversa. Sapeva che il sacerdote nella chiesa non era l’unico a vedere con sospetto l’alchimista. Sarebbe bastato un niente per scatenare la furia della gente al villaggio. La morte di qualcuno, un incendio, un contratto violato. La colpa sarebbe ricaduta su di lui.
 “No. Non ascoltate le parole di mio padre. Lui non capisce. Lui non sa quanto io… tenga a voi.”
 Mentire era così semplice, pensava Myrlene. Bastava tenere impressa nella mente un’immagine diversa. Il volto di Jehanne, le sue lacrime, il suo sorriso. Quando rivedeva la paura nei suoi occhi alla vista del Vecchio Amis, un’energia sconosciuta si accendeva nella ragazza. E così tutto diventava un gioco per salvare la sorella. Sì, anche il mentire. Affrontare il peccato. Era tutto un bellissimo gioco.
 “Vi prego, tenetemi al vostro fianco.”
 Strinse la mano che l’uomo l’aveva sfiorata. Era davvero molto grande. L’uomo ricambiò il sorriso con tenera simpatia, e l’aiutò ad alzarsi. Myrlene conosceva bene la foresta, e sapeva dove trovare le più vaste distese di fiori. Propose di andare un poco più a valle. S’incamminarono così lungo i sentieri invisibili della foresta, ascoltando i gemiti delle foglie morte sotto i loro passi, udendo i canti degli uccelli pronti a spiccare il volo nelle ore del giorno.
 Myrlene si accorse con immensa soddisfazione che l’uomo non aveva ancora lasciato andare la sua mano. La teneva con tanta delicatezza che lei non l’aveva neanche avvertita. Nonostante la sua forza, possedeva la leggerezza di una farfalla. Lei la strinse con ben simulato affetto, ed avvertì il piacere nascosto nell’animo dell’alchimista. Scorreva nelle vene dell’uomo, come il sangue vivo di un cerbiatto sotto la mira del cacciatore. E lei ne era incantata.
 Arrivarono alla prima distesa di fiori. Ce n’erano moltissimi, nonostante la stagione autunnale. Centinaia di colori sbiaditi dal tempo nascevano in un morente tappeto di foglie autunnali. Le fresie profumate, i convolvoli bianchi, le innumerevoli margherite sorridenti sembravano voler sfidare i due cercatori con il loro labirinto di colori. Subito si chinarono alla ricerca  della troisaube,mentre Tyerns Izvor ricordò alla compagna la forma dalla pianta e la sua principale caratteristica.
 “Ricordatevi, signorina, che stiamo cercando un fiore simile alla margherita. Ma il gambo sarà violaceo, quasi azzurro. Nel mio libro c’era uno schizzo del fiore, ma era talmente rovinato e scolorito che ho preferito lasciarlo nella mia terra. Non mi sarebbe stato comunque di grande aiuto. Era praticamente distrutto dal tempo.”
 “Può cambiare davvero molto, non trovate?”
 “Parlate del tempo? Certamente. Soprattutto per quanto riguarda le persone.”
 “Non mi dispiacerebbe venire trasformata dal tempo.”
 “Perché dite questo? Siete una giovane incantevole… anche se un po’sbadata.”
 “Oh, che vergogna!” Myrlene rise “Avete ragione ad rimproverarmi, sapete? Solo in questo modo potrò migliorarmi.”
 “Voi non dovete migliorare nulla di voi stessa. Siete perfetta così come siete.”
 “Lo credete davvero?”
 “Ne sono sicuro.”
 “Mi lusingate. Non merito simili complimenti.”
 Myrlene sorrise, ed alzò lo sguardo in quello dell’alchimista. Subito notò che c’era qualcosa di strano nella sua espressione. Si era fatta improvvisamente seria, assorta in quello specchio di sguardi. L’uomo indossava una maschera di stupore.
 “Conosco i vostri occhi.” mormorò Tyerns “Sono familiari.”
 “Come dite? In che senso?”
 “Sono bellissimi… come quelli di una fata.”
 “Sono semplicemente molto scuri.”
 “Sì. Nascondono un segreto.”
 La ragazza lo guardò divertita. Le sue parole erano davvero molto strane.
 “Un segreto, voi dite. Forse. Ma quale?”
 “Cosa avete visto tra i rovi?”
 “Come?” Myrlene era sorpresa. Quello che aveva avuto l’aria di un delicato corteggiamento si era dissolto come la nebbia sul mare, lasciando solo una distesa di pericolose acque nere. Ora l’alchimista si stava riavvicinando avventatamente a quei momenti di confusione, di terrore, di incubi senza significato. Quelle che erano state delizie nascoste ora dovevano rimanere segreti letali. Non poteva certo confessarsi con tanta libertà a quell’uomo. Cercò di cambiare discorso, ma era difficile. Gli occhi dell’alchimista la fissavano con tanta insistenza.
 “Vi prego di non parlarne più. Non era nulla, solo un mio momento di debolezza.”
 “Cosa avete visto? Voi dovete dirmelo.”
 “Non ho visto nulla. Sono caduta e ho perso i sensi.”
 “Mentite.”
 “Lasciatemi la mano. Mi state facendo male.”
 “Potresti essere tu. Sapevo che ti avrei trovato. Sei davvero tu?”
 “Non capisco cosa state dicendo. Lasciatemi, vi prego!”
 “Cosa hai visto? Devi dirmelo. Sei davvero tu?”
 “Ho male! Vi prego!”
 Solo allora l’alchimista liberò la ragazza dalla stretta dolorosa. Myrlene si alzò in piedi di scatto, guardandolo con orrore. Che cosa era successo? Perché Tyerns Izvor le aveva fatto tanto male, perché voleva conoscere la natura delle sue visioni? Ora l’uomo aveva distolto lo sguardo. Fissava le acque del ruscello. Sembrava volerle rimproverare di qualcosa, come se gli avessero suggerito una bugia dolorosa da giocare. Myrlene si accorse di avere paura.
 Aveva davvero paura di quell’uomo.
 Indietreggiò di qualche passo, finché non incontrò la corteccia ruvida di un albero. Ancora prima di accorgersene, stava obbedendo al suo primo istinto. Fuggire. Corse via, lontano da quel luogo, mentre l’alchimista si alzava improvvisamente in piedi per richiamarla a sé. Ma Myrlene non si fermò, non si voltò nemmeno. Quella sua stupida, odiosa idea. No, non poteva farlo. Non avrebbe mai potuto sposare quell’uomo. Voleva morire per aver abbandonato in quel modo codardo i suoi piani, dopo aver lasciato Jehanne al suo destino, ma quale scelta aveva? Quel momento in cui Tyerns Izvor le aveva stretto la mano, e le aveva fatto male, il modo in cui l’aveva guardata, tutto l’aveva confusa al punto da spingerla alle lacrime.
 Corse via, in silenzio. Corse finché non fu esausta al punto da accasciarsi a terra, tremando e singhiozzando di dolore. Allora il volto sofferente di Jehanne le ritornò alla mente. Ricordò quando, pochi giorni prima, era entrata nella sua stanza per consolarla, per mandare via la verità con un semplice bacio. Lei avrebbe fatto davvero qualsiasi cosa per lei. E lei, come la stava ripagando?
 Stava fuggendo. Non era che una codarda.
 Stupida, stupida piccola Myrlene. Non faceva altro che sbagliare, mandando tutto il suo piano in fumo. Senza dubbio si era sbagliata, doveva aver frainteso le parole dell’alchimista. Per questo non avevano avuto senso, per questo si era spaventata quando la sua stretta si era fatta così dolorosa. L’aveva lasciata andare, con quell’espressione desolata, pentendosi del suo sbaglio.
 Lei l’aveva abbandonato.
 ‘Devo tornare’ pensò ‘Tornare da lui, chiedergli perdono. Devo cercare di riparare al mio errore’.
 Si alzò lentamente in piedi, cercando di calmare il tremito che l’aveva invasa. Ma dovette fermarsi subito sui suoi passi. Tesa davanti a lei, nera come la morte, c’era la lama di un coltello da macellaio. A tenerla era una mano che Myrlene conosceva.
 La conosceva anche troppo bene.
 “Ho sentito qualcuno che urlava nella foresta. Per caso eri tu, Myrlene?”
 “… Estienne, sei tu.”
 
 
 

 
 
Angolo dell’Autrice:
 
Giustificazione suggerita: blocco dello scrittore, per tantissimo tempo. Se sono riuscita a ‘sbloccarmi’ lo devo unicamente a DreamNini, alla Toscana (vorrei tanto viverci, quella regione non fa che bene alla salute) ed alla bellissima, unica Katherine Mansfield. Grazie a tutti voi!
 La canzone ad inizio capitolo è di Cécile Corbel, in assoluto la mia cantante preferita da circa cinque anni. Chi di voi ama lo Studio Ghibli la riconoscerà come la compositrice del Soundtrack per il film ‘Arrietty’. Ad essere sincera, io la conoscevo da un bel po’ di tempo prima dell’uscita del film, perché i miei cari genitori mi hanno da sempre cresciuta a pan di musica celtica, irlandese, bretone e scandinava. Potete immaginare la mia gioia quando ho scoperto che la mia cantante preferita avrebbe cantato in uno dei miei film preferiti! ;D Ma sto divagando.
 Questo è il link della canzone:
 
http://www.youtube.com/watch?v=oPCXFC1pmnc
 
Ed ora cerchiamo di darci da fare per il prossimo capitolo. Vedrò di consegnarvelo il prima possibile, senza questi due mesi di ritardo.
 A presto, a tutti voi!

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Capitolo 5
*** L'errore ***


5. L'errore

And when will ye return again?
When will we get married?
When broken shells make Christmas bells
We might well get married.


"As I Roved Out", canzone popolore d'Irlanda.



 “Che cosa è successo, Myrlene?”
 La ragazza lo guardò meravigliata. Estienne era in piedi di fronte a lei, lo sguardo vigile che osservava la foresta attorno a loro. Era illuminato dal Sole, che filtrava attraverso i rami degli alberi, e la sua voce era dolce come lo scorrere del ruscello. Sembrava un bimbo chinato premurosamente sulla sorella minore. Impugnava il suo coltello con aria quasi innocente.
 “Non dovresti andartene in giro per la foresta, sola e senza un’arma per proteggerti. Conosci quanto me i pericoli che si nascondono tra gli alberi. E’ pericoloso.”
 Non riuscì neanche a rispondere. Era ancora inginocchiata accanto a lui, la mano che stringeva quella del giovane con la forza di un bimbo spaventato, lo sguardo perso nei ricordi della sua infanzia. Una mela raccolta per lei da mani baciate dal vento, un sorriso fresco come le acque dei ruscelli. La presenza serena e fedele di un amico. Un vero amico, che per lei avrebbe fatto qualsiasi cosa. Myrlene ricordava ancora quel timido sorriso, incontrato all’ombra di un albero autunnale, quando i funghi si nascondevano tra le risate di fate morenti. Quel sorriso poteva salvarla.
 “Estienne… sono così felice di vederti.”
 Il ragazzo si voltò verso di lei, lo sguardo acceso da tenero affetto. Si slacciò il mantello che gli copriva le spalle e vi avvolse il gracile corpo di Myrlene. Le sue mani forti si muovevano con delicatezza e premura, come se cogliessero il più fragile dei fiori.
 Tu gli piaci.
 Così bello, affascinante e gentile?
 Ti mariteranno, un giorno. Ed io resterò sola.
 Non sposerei mai un uomo che mi conduca via da te, sorella mia.
 Si erano scambiate quelle parole solo il giorno prima. Come potevano sapere che avrebbero segnato per sempre il loro destino? Eppure, la risposta era di fronte a lei. Semplice, chiara e perfetta. Non sarebbe più dovuta ricorrere all’alchimista. Sua sorella Jehanne non avrebbe più guardato con orrore al giorno del matrimonio, perché questo non l’avrebbe separata dalla gemella, dal suo villaggio, da Dio.
 Era perfetto. Sembrava il piano di un angelo celeste. Un angelo dai capelli biondi, dal viso ingenuo e sottile.
 “Ti prego, Estienne. Portami a casa.”
 “Va bene, amica mia.”
 Myrlene evitò accuratamente d’incamminarsi lungo la via da cui era venuta. Il suo passo era veloce, agitato. Non poteva permettersi di incontrare Tyerns Izvor. Doveva restare il più a lungo possibile con il suo amico d’infanzia, da sola. Ogni sua mossa doveva essere studiata e precisa. Doveva essere certa che il suo piano avrebbe funzionato anche in questo modo. Ogni tanto riusciva a catturare lo sguardo del giovane, attenta che i suoi occhi scuri riflettessero la luce del Sole, dipingendo l’espressione del suo volto con tinte tenere e seducenti. Liberava una risata per qualcosa che il suo compagno le diceva, stringeva con affetto la sua mano. Una volta fece finta di inciampare, e si aggrappò al suo petto per non cadere. Lui la strinse con le braccia. Non faceva altro che seguire un istinto, ma bastò per confermare i pensieri di Myrlene. Ora non aveva davvero più dubbi. Aveva capito che aveva il ragazzo era davvero suo.
 Suo. Lo era sempre stato, dall’inizio.
 Non doveva far altro che prenderlo.
 Quando arrivarono in prossimità dei possedimenti del Vecchio Amis, Myrlene chiese ad Estienne di lasciarla andare avanti da sola. Non occorreva che lui la seguisse. Scorse subito il dispiacere nel suo sguardo, e questa fu un’altra prova della sua sincera fedeltà. Premette con dolcezza le esili dita attorno alla mano del giovane, sorridendo. Era un ringraziamento più che sufficiente per averla aiutata, se ne accorse dal leggero rossore che colorò le guance di Estienne, in quella fredda mattina di Autunno.
 “Allora, ti lascio qui. Ma tu sei sicura che starai bene?”
 “Certo. La mia casa si trova appena oltre questi alberi, non ricordi?”
 Il ragazzo annuì, senza distogliere lo sguardo da lei. Myrlene si sottopose a quell’esame tanto tedioso quanto voluto, tenendo bene a mente la meta ormai vicina. Estienne non sospettava nulla. Forse non sapeva neanche della presenza dell’alchimista. Questo non poteva che andare a suo favore.
 “Volevo chiederti, amico mio, se per caso ti piacerebbe vedermi ancora. Così, noi due da soli. Sono felice di averti incontrato questa mattina. Sono felice che tu sia stato al mio fianco quando ero sola e spaventata.”
 Notò come il rossore sul suo viso si accentuava. Era troppo facile.
 “Mi… mi farebbe molto piacere. Tu non… non me l’hai… mai chiesto prima d’ora.”
 “Ci conosciamo da tanti anni. Ma non puoi farmi di questo una colpa. Fino all’anno scorso non ero che una bimba, non provavo alcun interesse se non per le mie bambole, per i miei giochi. Spero che tu riesca a perdonare una bambina, Estienne.”
 Erano parole pronunciate con ironico rimprovero, ma il ragazzo annuì con la solennità di un giuramento. Prese le mani di Myrlene tra le sue e le strinse con gioia. Poi si voltò, e corse via tra gli alberi, verso la strada che conduceva al villaggio. La giovane udì il rumore dei suoi passi farsi sempre più distante, soffocato dal soffice tappeto di terra e foglie. Chiuse gli occhi per conservare quel suono nel cuore. Era il suono di una decisione. Avrebbe udito di nuovo quei passi, era pronta a tutto pur di conquistare quei piedi, quel corpo, quella persona. Lei e Jehanne sarebbero state finalmente insieme, al sicuro da tutto ciò che le aveva oppresse in quegli anni. Estienne avrebbe pensato a questo.
 
 Quando arrivò a casa, trovò Tyerns Izvor sull’uscio della stalla, intento a parlare con il Vecchio Amis. L’alchimista guardava il terreno ai suoi piedi con aria avvilita. Sembrava ricevere in silenzio un rimprovero di qualche sorta. Solo dopo essersi avvicinata Myrlene capì che suo padre stava urlando. Era rosso in volto, le mani strette attorno agli stipiti della porta, come se stesse soffocando due esili omini di legno. Myrlene si chiese dove fosse Jehanne. Non sembrava essere nella stalla, la gracile figura del padre non poteva nasconderla. Non era nel giardino.
 Solo dopo qualche istante scorse un movimento impercettibile alle finestre del piano superiore. Un’ombra tra le ombre, un volto pallido ed una lunga treccia rossa. Jehanne non si sporse per salutarla, ma Myrlene vide una mano agitarsi nella stanza, come una colomba spaventata nella sua gabbia di ferro. A volte Jehanne danzava quando era triste.
 “Se le è capitato qualcosa, giuro che ti ammazzo!” stava urlando il Vecchio Amis “Come hai pensato di lasciarla da sola nel bosco, nelle ore più pericolose del giorno? E chi mi garantisce che sia stata davvero lei a seguirti di sua iniziativa? Bastardo, se hai osato anche solo toccarla ti ammazzo. Hai capito? Ti ammazzo!”
 “Vi giuro che quanto ho detto è la verità. L’ho aiutata a liberarsi dai rovi, lei mi ha confessato di volermi assistere nei miei esperimenti ed io le ho chiesto di guidarmi fino alle zone fiorite di sua conoscenza. Quando le ho chiesto che cosa l’avesse spinta a nascondersi proprio tra le spine di quel cespuglio, si è agitata ed è scappata via. Ho provato a cercarla, ma non sono riuscito a rintracciarla. Ho chiamato a gran voce il suo nome fino a che la gola non mi fece troppo male per continuare. Non ho potuto fare più di questo da solo, e così ho pensato di venire a cercarvi e di chiedere aiuto.”
 “Dice la verità, padre.”
 Solo in quel momento i due uomini notarono Myrlene, che a occhi bassi si dirigeva verso lo sguardo severo di suo padre. Tyerns Izvor parve sorpreso nel vedere la ragazza sostenere la sua versione dei fatti. Aveva mentito. Myrlene era scappata quando l’alchimista le aveva afferrato la mano, quando l’aveva stretta a tal punto da farle male. Le aveva posto quelle strane domande. Erano domande da rivolgere ad un’amante persa molti anni prima, a lungo cercata e mai ritrovata. Ad una sorella tradita ed abbandonata in un attimo di follia. L’avevano terrorizzata, il modo in cui erano state pronunciate era carico di angoscia e d’impazienza, come un padre che picchia il figlio per avere delle risposte. Myrlene aveva tremato, allora, ma adesso non aveva più nulla da temere. Non aveva niente da spartire con quell’uomo, la sua presenza non rientrava più nei suoi piani. Era solo un povero uomo in terra straniera. Non aveva bisogno di affrontarlo. Non doveva far altro che lasciarlo andare, come il personaggio di una favola tanto amata, che aveva abbandonato nelle notti della sua infanzia. Che pensasse quello che voleva su di lei, che la guardasse o la desiderasse per i suoi rituali, lei non l’avrebbe più guardato in viso. Doveva solo concentrarsi sul suo compito, sulla meta che ora non aveva più il volto di quell’uomo.
 “Ho seguito Tyerns Izvor perché ero semplicemente incuriosita dai suoi esperimenti. Sono inciampata nel cespuglio di rovi e il nostro ospite mi ha cortesemente aiutato a rialzarmi. Dopo averlo guidato ad una zona della foresta che conoscevo per essere particolarmente fiorita, l’ho lasciato perché mi sono ricordata solo in quell’istante di avere delle faccende che mi attendevano qui. Ma nel tornare mi sono persa nel bosco, ed è stato allora che ho incontrato Estienne, il figlio maggiore del nostro vicino. Lui mi ha aiutato a tornare a casa, e poi è ritornato dai suoi genitori. Mi dispiace, padre, mi dispiace davvero. Ti prometto che non mi allontanerò più senza il tuo permesso.”
 L’espressione del Vecchio Amis era contrariata, ed insieme rassegnata. Scosse debolmente la testa, agitando una mano verso i due giovani come per allontanarli da sé.
 “Non sono le tue passeggiate a farmi paura, Myrlene. Ti sei sempre diretta nella foresta durante le giornate di pioggia. Non mi hai mai chiesto il permesso. A volte mi chiedo se la natura di queste voci un giorno ti porterà via da me, e per sempre. Ma sei libera di andare, se lo desideri. Non posso costringerti in questa casa. Sei la benedizione che Dio mi ha inviato, lo sai anche tu. Non voglio obbligare un dono divino a restare per sempre al mio fianco.”
 Myrlene cercò il suo sguardo, senza rispondere. Un tempo quegli occhi tristi e velati l’avrebbero impietosita. In loro avrebbe visto l’immagine di un padre amato, del suo stesso riflesso immerso nella vecchiaia, della morte. Un tempo avrebbe venerato quella figura. L’avrebbe rispettata nel nome di un timore atroce, di quella malinconia per i giorni passati che le annebbiava la mente.
 Ora guardava, e non vedeva altro che fango e polvere.
 “Allora vi lascio. Ho delle faccende che mi attendono. Jehanne è nella sua stanza, vero?”
 “Sì, vai pure, Myrlene…” mormorò il Vecchio Amis.
 Mentre suo padre ritornava nella stalla, Myrlene si voltò per incamminarsi verso casa, cercando di ignorare lo sguardo dell’alchimista posato con discrezione su di lei. In quel momento maledì Alexiane e tutti i suoi consigli. Fino a che quest’uomo non se ne fosse andato, oppure fino al giorno della sua unione ufficiale con Estienne, Myrlene sarebbe stata costretta a vedere ogni giorno quel volto, a ricordare la paura provata nella foresta quando lui l’aveva guardata con quegli occhi, quando le loro mani si erano strette con la passione della follia, quando lui le aveva detto di averla sempre cercata, di averla trovata solo dopo tanto tempo.
 “Che strano” disse ad alta voce la ragazza “In questi due giorni ho tanto desiderato la vostra attenzione. Ma solo quando l’ho ottenuta, ho capito che esisteva una via più semplice per raggiungere la felicità. Ho capito che non ho più bisogno di voi, straniero.”
 L’uomo non si fermò. Continuò a camminare in silenzio.
 “Oh, potrete certamente continuare ad alloggiare qui. Sarete il benvenuto. Ma vi prego di non avvicinarvi mai più a me, non sarebbe giusto. Sono stata una sciocca a sorridervi, oggi, quando mi avete liberato dai rovi. Sono stata una sciocca, è tutta colpa mia. Vi prego di perdonarmi, in fondo sono stata io a rivolgervi il primo sguardo d’intesa. Ma ho sbagliato. Sappiate che cercherò di non rivolgervi più la parola, da oggi in poi. Mi auguro che riusciate a trovare quello che state cercando.”
 “Posso sapere che cosa avete provato?”
 Myrlene si sforzò di procedere, di non voltarsi nella sua direzione.
 “Quando mi avete presa per mano e stretta a voi?”
 “Sì.”
 “Paura.”
 “Non è vero. Non solo quella. Ero lì, ho visto i vostri occhi.”
 “Vi consiglio di prestare più attenzione a quello che vedete, Signore. Potreste trarvi in inganno e confondere le idee dei vostri ascoltatori. Non voglio più pensare a quello che è accaduto oggi. Voglio dimenticare. Non voglio pensare allo sbaglio che ho commesso quando vedo il vostro volto.”
 “Quale sbaglio, signorina?”
 “Non sono tenuta a parlarvi ancora. Lasciatemi in pace.”
 “Quale sbaglio?”
 “Andatevene.”
 “Myrlene? Quale sbaglio?”
 La ragazza si morse un labbro. Le lacrime trattenute le bruciavano nella gola. Non voleva parlare, non poteva rispondere, altrimenti lui se ne sarebbe accorto.
 “Ditemi quale errore avete commesso. Io capirò. Sono nato per capire.”
 “Lo sapete benissimo. Mi sono lasciata incantare da voi. Dai vostri occhi, dalla vostra magia oscura che mi ha annebbiato il cuore. Per un attimo mi ha distolto da ciò che è veramente importante.”
 “Io vi avrei incantata con della magia?”
 “Non appena avete catturato il mio sguardo.”
 “Dite davvero?”
 “Sì.”
 Myrlene ricordava ancora come il suo cuore battesse forte nel petto. Di paura, di stupore, di gioia. Di gioia, come la più pazza tra le innocenti. Aveva amato il tocco di quelle dita, aveva desiderato il sospiro che nascondeva negli occhi dell’alchimista. Chi cercava veramente? Un fiore, a suo dire, raro come un angelo. L’aveva trovato?
 “Ma non siete stato abbastanza abile. E’ questo che mi fa paura. Non posso fare nulla, perché non vi amo abbastanza. Non posso rinunciare a ciò che è mio, per voi. Non ne siete ancora degno. Ed io non voglio che lo siate. Lasciatemi in pace, ve ne prego.”
 “Non potete rinunciare a ciò che è vostro?”
 “No.”
 “Neanche se il mio amore per voi fosse profondo quanto il vostro verso Dio?”
 “Neanche allora.”
 “Amate a tal punto vostra sorella?”
 “… Voi sapevate dell’affetto che ci lega? Per tutto questo tempo, voi sapevate?”
 “Per questo che mi avete ospitato, non è vero? La volevate portare via da qui tramite una nostra unione. Un piano ingegnoso. E’ stato escogitato quando avete scoperto del figlio di vostra sorella?”
 “Anche questo? Ma come avete fatto a capirlo?”
 “Le mie scienze sono vaste e complesse. Devo intendermi anche di medicina per esaminare le mie piante e compiere i miei esperimenti. Sono pur sempre l’uomo più colto del mio regno. Sarebbe un disonore per non capire al primo sguardo quando una donna è incinta.”
 “Ma voi non l’avete mai vista” mormorò la ragazza, sconvolta.
 “L’ho intravista quando uscivo dalla stalla. Era affacciata alla sua finestra. Mi guardava in maniera piuttosto strana. Non aveva esattamente un’espressione cordiale sul volto.”
 Myrlene era arrivata alla porta dell’edificio. Stringeva le mani attorno agli stipiti e guardava il pavimento di terra ai suoi piedi. Voleva scappare, andare al piano superiore per  ritrovare Jehanne, vederla, toccarla, stringerla a sé e trovare finalmente conforto. Doveva ignorare le parole di un uomo che voleva solo ingannarla con battute ironiche e promesse che non voleva mantenere.
 “Bene, allora sapete che volevo solo ingannarla. Ma ora ho capito che c’è un altro modo per evadere, e voi non dovete farne parte. Con permesso.”
 “Andate pure. Ma sappiate che io avrei acconsentito al vostro piano, anche se nel frattempo voi non vi foste innamorata di me. Non vi avrei mai lasciata al vostro destino. Anche io vi amo, Myrlene. Voglio che voi siate felice.”
 Si avvicinò a lei, lentamente. Myrlene ebbe l’impulso di scappare, di urlare il nome della gemella, ma la grande mano di Tyerns Izvor si posò su di lei. Era forte ed ampia sulla sua spalla. Era calda, e lei non poteva ignorarla.
 “Se volete, potete venire via con me, adesso. Vi prometto che Jehanne starà bene. Venite via con me.”
 “No. Non posso, non posso.”
 “Voi non amate quel vostro amico. Estienne, non è questo il suo nome? Non potete amarlo più di me.”
 “Se vengo con voi, Jehanne sarà infelice fino alla fine. Non potrà mai perdonarmi per averla condotta via dalla sua casa, dalla sua gente e dal suo credo. Si toglierà la vita per il dolore. Lo farebbe, ne sono certa. Avrebbe solo bisogno della certezza che io stia bene.”
 “Ma voi starete bene con me, Myrlene.”
 “No, non senza lei. Ascoltatemi, ve ne prego. La vostra influenza è stata forte, tanto potente da spaventarmi, e voi avete lanciato il vostro incantesimo in pochi istanti. Sarebbe semplicissimo per me amarvi. Fuggire via con voi, in terre ricche e generose, succube di vizi e lussi dalle morbide catene, sarebbe la massima aspirazione di ogni ragazza in questo villaggio. Se solo potessi, vi amerei fino al giorno della mia fine. Ma per Jehanne sarei disposta anche a morire. E Jehanne è diversa da qualsiasi donna a questo mondo. Pur di riscattare la sua immagine di fronte a Dio, sarebbe disposta a vivere nel fango. Non potrebbe mai venire con noi. Ora lo so. Si ucciderà prima che io possa muovere un dito per salvarla.  Non potrei sopportarlo. Ciò che voglio veramente è vederla felice, e con voi non lo sarebbe, mio Signore.”
 “Potrebbe imparare ad accettarmi. Potrebbe farlo per voi.”
 “No, voi non potete capire. Ma sono sicura che Estienne invece potrà. Mi ama da anni, ci conosciamo da quando siamo molto piccoli, e sono certa che sarebbe disposto a fare questo per me. Non è crudele e non abbandonerebbe Jehanne al suo destino. Non dovremo cambiare nulla. Il villaggio continuerà ad essere il nostro, potremo conservare le nostre abitudini e il nostro credo. Forse potremo persino di tenere il bambino. Potrei far finta che sia mio, farlo vedere agli abitanti del villaggio solo dopo il matrimonio. Il gregge di Estienne è abbastanza grande per sostenere sei persone. Sì. Deve essere così. Per noi quel ragazzo è la soluzione migliore.”
 Avvertì la mano dell’uomo stringersi attorno alla sua spalla, come per imprimere il ricordo di quella stoffa ruvida sulla pelle. Scivolò lentamente sulla schiena, lungo le curve del suo vestito, sfiorando appena i capelli di Myrlene. Conservava una delicatezza irreale anche quando il desiderio lo pervadeva. Si chinò su di lei, avvicinando le labbra all’orecchio della ragazza, sospirando come l’Inverno sui fiori.
 “Tu verrai con me. E’ scritto nel sangue versato alla tua nascita, Myrlene. Il tuo destino non si può cambiare. Non basterà l’amore che provi per tua sorella a cancellare le ferite nell’acqua.”
 Sussurrò quelle parole, carezzando la mente della giovane, sfiorando appena la sua memoria.
 Poi, senza aggiungere altro, l’alchimista svanì.
 
  Non appena Myrlene entrò nella sua stanza, trovò Jehanne ad aspettarla, seduta sul letto. Si stava districando i nodi dei capelli con le dita, raccogliendoli abilmente nella lunga treccia che usava portare. Stava guardando il Sole. che dalla finestra le illuminava il pallido volto. In quei momenti la ragazza appariva tanto serena da ricordare gli angeli dipinti nel Vangelo. Non appena si accorse della presenza della gemella, si alzò subito in piedi con un sorriso e l’abbracciò.
 “Ho sentito tutto, Myrlene!” mormorò dolcemente “Ho sentito quello che hai detto all’alchimista. Davvero non lo seguirai? Davvero mi renderai felice?”
 “Sì. Sì, Jehanne, te lo prometto. Ma se hai sentito il nostro discorso, saprai anche che non ho abbandonato totalmente il mio piano. Mi mariterò nonostante tutto.”
 “Con Estienne, non è vero? Ascoltami, so bene che non potrai essere solo mia per sempre. Un giorno o l’altro nostro padre ci donerà a uomini diversi, e non voglio neanche immaginare a chi potrebbe darti. Vuole solo il meglio per te, ma non mi fido del suo metro. Tra tutti quelli che ti vogliono Estienne è il migliore. Hai scelto bene.”
 “Lui mi ama dal profondamente, sono certa che sarà disposto ad ospitarti. Pensavo che se  ci avrebbe dato il consenso potremo addirittura tenere il bambino, nascondendoci in casa fino alla sua nascita e mostrarlo al mondo come mio figlio. Siamo sorelle, l’aspetto del bimbo non dovrebbe creare problemi. Che ne pensi?”
 “Penso che non potrò mai ringraziarti abbastanza. Sei la sorella migliore della Terra, Myrlene. Dio ti ha creata con il cuore di un angelo, e nelle mie preghiere mi sono sempre rivolta a te.”
 Le baciò la fronte con tenerezza perduta, posandole la mano tra i capelli biondi. Com’era bella Myrlene quando la guardava con quegli occhi, simili all’ossidiana delle collane che le loro padroncine portavano durante le Santi Messe estive. La sua pelle abbronzata profumava di fiori. Era sua, la ragazza più buona e bella del mondo era sua, e lei poteva abbandonarsi tra le sue braccia e toccare la sua pelle e sentire il suo odore. Myrlene le apparteneva come il più splendente tra i gioielli.
 “Voglio farti vedere una cosa!” le disse la gemella separandosi da lei. Corse nella stanza accanto, dove anni prima Myrlene aveva nascosto il suo tesoro più prezioso. Aprì il tessuto del suo materasso e rovistò tra l’imbottitura di muschio e paglia all’interno. Non appena trovò ciò che stava cercando lo portò in fretta a Jehanne.
 “Chiudi gli occhi” le disse ridendo, e non appena la sorella ebbe obbedito, le prese la mano tra le sue e le consegnò quel piccolo segreto. Permise a Jehanne di guardare, e subito gli occhi della gemellasi sgranarono per la sorpresa. Teneva in mano una piccola scatola di legno. I bordi erano stati decorati con goffi intagli di fiori e foglie, era chiaramente un lavoro eseguito con poca maestria. Già i primi segni del tempo erano visibili sul legno scheggiato. Jehanne sorrise.
 “Ricordo ancora il giorno in cui Estienne te la diede. Eravamo sedute accanto al pozzo, vero? Intrecciavamo collanine di erba e margherite. Lui arrivò così velocemente da farci urlare per la sorpresa. Non l’avevamo visto perché si era nascosto dietro un albero.”
 “Già, ma non appena ci fu di fronte perse all’istante tutto il suo coraggio, Ricordi come ci guardava, senza parlare, la bocca spalancata per la paura? Era così timido! Sembrava un cagnolino sperduto. Ci sono volute le urla del papà per spaventarlo del tutto e farlo scappare via. Non prima di aver lanciato questa ai miei piedi, però.”
 “Che ragazzo romantico!”
 Le due gemelle scoppiarono a ridere, tenendosi per mano come due bambine. Da quanto non erano così spontanee l’una con l’altra? Così felici? Erano passati solo pochi giorni da quando avevano riso insieme, ma sembravano anni.
  “Aprila!” disse Myrlene con un sorriso.
 Jehanne ubbidì. All’interno c’era un piccolo frammento di carta colorata. La ragazza lo sollevò delicatamente, fissandolo con un sorriso malinconico. Quel ricordo era diverso, distante, il più dolce tra i riflessi di uno specchio dimenticato. Il colore sulla carta era di un blu sbiadito, che un tempo doveva essere stato il più intenso e brillante di un libro.
 “Questo è… il vestito della Principessa.”
 “Sì, dal libro di fiabe di Mademoiselle Litanie.”
 Era stato un Carnevale particolarmente noioso per le loro padroncine, costrette a visitare i loro futuri possedimenti accompagnate dai loro genitori. Costrette ad abbandonare i balli gloriosi ed i lussi regali della capitale, erano finite in mezzo a contadine cenciose e pastorelle senza cultura. La più giovane delle due, Annette, aveva portato con sé un costoso libro di fiabe illustrate. Lo sfoggiava come un vestito dal tessuto prezioso, mostrando alle altre bambine la rilegatura elaborata, i colori brillanti dei disegni, i gioielli delle fate e le zanne argentate dei lupi. Ma, a detta di tutti, la figura più incredibile del libro era la Principessa delle Nuvole, dal viso roseo come l’alba e con l’oro del Sole tra i capelli.
 Ma ciò che rendeva veramente speciale la Principessa era il suo vestito. Splendeva della luce delle stelle, ed il blu che impreziosiva quel cielo era il colore di una corona divina. Dio doveva aver sfiorato con un dito quell’immagine, rendendo il tessuto reale, la seta morbida sulla superficie di carta, le decorazioni di vero argento ed oro. Tutte le bambine del villaggio avrebbero voluto poter vedere quel vestito, e restavano incantate dai racconti della padroncina, che diceva di averne uno uguale alla sua casa di Parigi e di averlo addirittura indossato numerose volte. Loro, invece, dovevano accontentarsi di guardare quell’illustrazione, che Annette non permetteva neanche di toccare. Non appena se ne sarebbe andata, il sogno di quel libro sarebbe partito con lei.
 Ma Jehanne aveva fatto l’impossibile. Sapeva di avere un vantaggio sulle altre bambine, perché Annette era tanto divertita dal suo strano braccino da lasciarla sedere proprio accanto a sé, per toccarlo quando ne aveva voglia e coccolare quella povera, piccola bimba. In genere Jehanne cercava di evitare le attenzioni della padroncina, ma quando aveva vista il desiderio negli occhi di Myrlene si era decisa a fare un piccolo sacrificio. Aveva sorriso ad Annette e, con fare divertito, le aveva chiesto se per caso volesse vedere come riusciva a voltare le pagine di un libro con una mano sola.
 Annette era stata tanto emozionata dall’idea che aveva deciso di fare uno strappo alla sua rigida regola e le aveva dato subito il libro. E, mentre Jehanne voltava le pagine con grande velocità, scatenando le risate delle bambine, aveva strappato quel frammento dall’immagine della Principessa, in un gesto così rapido che nessuno se ne accorse. L’aveva nascosto in tasca all’istante, per darlo solo in seguito alla sorella. Quel giorno le risate della padroncina non le avevano fatto male al cuore. Non appena aveva visto la sorpresa deliziata sul volto di Myrlene, Jehanne aveva dimenticato all’istante il dito puntato sul suo braccio, le parole maledette che la rincorrevano sin dalla nascita. Nessuno aveva mai osato quanto lei per la propria amata. Nello squallore in cui abitavano, quel frammento era stato un brandello di sogno, uno specchio sugli abiti eleganti delle damigelle di corte e le maschere dei cavalieri. Per questo quel regalo era stato una prova di affetto senza limiti, il dono del vento ai suoi fiori più amati.
 “Myrlene, tu… hai conservato questo frammento per tutti questi anni… l’hai sempre tenuto con te…”
 “Come avrei potuto fare altrimenti? Sei stata così coraggiosa nel prenderlo per me, è il mio tesoro più grande.”
 Glielo prese dalle dita e lo depose con delicatezza nella scatola.
 “Ora sarà Estienne a contenere il nostro futuro. Ma il vero tesoro della mia felicità sarai sempre e solo tu, Jehanne.”
  “E l’alchimista?”
  “Non può far parte di questo. Stai tranquilla, lo dimenticheremo. Dimenticheremo insieme il mio errore. Io voglio essere felice, tesoro mio, con te al mio fianco. Vedrai che ce la faremo. Alla fine ce la faremo.”




Angolo dell'Autrice

Diciamo che il ritardo dovuto a... *tira il pulsante delle scuse-a-random-generator per nascondere il fatto di essere una pigrona insuperabile"... mancanza d'ispirazione. Comunque, avrete notato che ho spostato la storia nella sezione 'Romantico'. Il motivo è piuttosto ovvio, questa storia era partita come un fantasy apocalittico e si sta rivelando una soap opera di prima categoria. Vabbe', speriamo di migliorare con il tempo.
Nel frattempo, ecco a voi il link della canzone citata:


http://www.youtube.com/watch?v=z0MyeeigtZ8

Per lo meno, questa è la mia versione preferita. Ma Loreena Mckennitt e The High Kings sono stati bravissimi nell'eseguirla a modo loro.
Detto questo, vi saluto e vi auguro di sentirvi anche al prossimo capitolo!
A presto,
Beads.

 

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Capitolo 6
*** Il Prezzo ***


 6. Il Prezzo

Shteyt a bocher, shteyt un tracht,
tracht un tracht a gantze nacht.
Vemen tsu nemen un nit far shemen,
vemen tsu nemen un nit far shemen.


'Tumbalalaika', canzone popolare Russo-Ebrea
 


 “Allora, come pensate di procedere con Estienne?”
 Alexiane era venuta fin su dal paese, quella Domenica, per parlare con le gemelle. Le sorelle le avevano subito confidato i cambiamenti che avevano apportato al piano originale, eliminando completamente Tyerns Izvor e la sua unione con Myrlene dalla scena. Al suo posto, la presenza giovane e solare di Estienne avrebbe permesso alle ragazze di essere ancora ben viste dalla società in cui erano cresciute, senza essere costrette ad abbandonare la loro casa.
 “E’ un buon piano, quello di sedurre il ragazzo. Ma devi essere certa al cento per cento che sia perso per te, Myrlene. Avrai una sola possibilità con lui. Se per caso dovessi fallire, non potrai fare affidamento sulla carità di nessuno: entrambe conoscete le opinioni di Litanie sul vostro conto. Tu devi essere prudente, ragazza mia, e riflettere bene sulle parole che userai quando gli proporrai la cosa.”
 “Lo so bene. D’altro canto, ultimamente sono stata così costretta a mentire che sono diventata un’attrice provetta. E’ strano, ma è diventato quasi facile per me.”
 “Chi l’avrebbe mai detto! Una santarellina come una delle due gemelle che mente come una cospiratrice!”
 Le due amiche risero a quel paragone, che ai loro occhi appariva tanto irreale. Invece Jehanne abbassò semplicemente il capo sul fondo del pozzo, da cui stava attingendo l’acqua per lavare i pavimenti. Sapeva dei sacrifici che Myrlene stava affrontando per salvarla. Non pensava di meritare tanto.
 “Pensavo di frequentarlo per dargli dei bei momenti, per fargli capire che la mia presenza non potrebbe portargli altro che piacere e bei ricordi. Sono sicura che sia quello che si aspetta dal matrimonio. Una ragazza giovane e bella, gentile, che può farlo sentire come una specie di cavaliere giunto dal nulla per salvare me e Jehanne. Be’, in un certo senso è vero, se ci salveremo sarà solo grazie a lui. Ma dovrò fare in modo che tragga soddisfazione dalla sua posizione nei nostri confronti. Non deve pensare alle conseguenze che la nostra unione potrebbe portare. Voglio che sia completamente accecato dal suo ruolo di salvatore, come un Santo che scende dal Paradiso per aiutare i deboli e i soppressi.
 “Perché desideri questo, Myrlene?” chiese Jehanne, al colmo della meraviglia.
 “Perché Estienne è un uomo, cara sorellina, e come tutti gli uomini vuole che gli altri gli siano grati. Lo vedo nei suoi occhi: non è diverso. Vuole l’onore e l’ammirazione per ogni suo atto, è ciò che desidera più di ogni altra cosa.”
 “Ben detto, ragazza!” rise con gusto Alexiane.
 “A proposito, sono delle settimane che non vedo lo straniero. Ora che ci penso, l’ultima volta che l’ho incontrato è stato proprio il giorno in cui te l’ho affidato, Myrlene. Che fine ha fatto?”
 Le due ragazze non risposero. La verità era che non lo sapevano, e non lo volevano sapere.
 Da quando l’alchimista aveva sussurrato quelle minacce misteriose all’orecchio di Myrlene, era sparito senza lasciare alcuna traccia. Gli strumenti che aveva condotto con sé dalle sue terre lontane erano scomparsi, nulla di ciò che aveva lasciato nella stalla era ancora lì quando le due sorelle erano andate a controllare. Myrlene non l’aveva incontrato durante le sue passeggiate nel bosco o mentre lavorava, non ne aveva avuto notizie dagli altri abitanti del villaggio.
 Ma non intendeva farsi domande sul suo conto. Per quanto la riguardava quell’uomo non era mai esistito.
 
 
 Ora la ragazza scendeva spesso a Litanie, lasciando a malincuore Jehanne a casa per trascorrere un po’ di tempo da sola con Estienne. I due ragazzi si concordavano per un appuntamento lungo la strada bianca e, con la scusa di vendere qualche fiore o un cestello di funghi, passavano un’intera mattinata al paese. Qui, non appena riuscivano a mettere insieme qualche soldo da portare a casa come prova del loro impegno, entravano nella taverna di Alexiane per fare colazione insieme. A volte scendevano fino ai campi ai piedi del monte e rubavano le castagne dei contadini più anziani, ridendo di quelle piccole avventure e sfoggiando come trofei manciate intere di frutta secca.
 Ma il tempo passava e il ventre di Jehanne cresceva. Myrlene non poteva concedersi il lusso di continuare a fare la bambina alla presenza di Estienne, era necessario agire. Aveva un piano. Era avventato, forse un po’ infantile, ma era l’unico modo. Poteva significare una vittoria schiacciante sul destino o la perdita di ogni cosa, persino la vita delle due gemelle. Probabilmente, se si fossero sparse le voci sulla condizione di sua sorella, l’ira dei paesani non si sarebbe abbattuta solo sul Vecchio Amis. Jehanne era sempre stata una storpiatura per il villaggio. E solo perché quella storpiatura aveva un bel volto, nulla toglieva alla sua natura di mostro. Il villaggio avrebbe lacerato le carni del suo bambino, per poi lasciare che fosse il dolore a ucciderne la madre. Questo lei non poteva permetterlo.
 Il piano poteva funzionare, ma era stato ormai rimandato a lungo. La gravidanza era già al secondo mese, e sulla povera figura scarna di Jehanne quel ventre morbido e leggermente prominente era troppo sospettoso. Myrlene invitò Estienne per passeggiare con lei lungo i sentieri del bosco, per parlare e raccogliere legna da vendere.
 Quella mattina la ragazza indossò una mantella piuttosto lunga e pesante. Durante la notte c’era stata la prima nevicata dell’anno e l’intero paesaggio era sprofondato nel sonno più candido. Respirando quell’aria pura e pungente, Myrlene si disse che Dio le aveva mandato il segno di un mutamento. Doveva essere così. Era l’inizio di un tempo nuovo, in cui tutto sarebbe cambiato.
 Prima di uscire passò dalla camera di Jehanne. La ragazza dormiva sul suo letto, i capelli sciolti, le mani  avvolte attorno al grembo. Se ne stava raggomitolata tra le coperte, come per difendersi dal mondo esterno a quel calore. Il mondo esterno: un posto terribile, che voleva separarla da tutto ciò che aveva di più caro. Era la sua punizione per essere una donna maledetta. Nascere era stato il suo primo peccato, ed ora doveva espiarlo con la vita.
 Myrlene si chinò per lasciarle un bacio sulla fronte.
 Faccio tutto questo per te, si disse. Solo per te.
 Uscì nel freddo del mattino. Aveva ripreso a nevicare, faceva freddo. Le voci che la chiamavano verso la montagna avevano ripreso a cantare. Ma la loro voce era più debole, forse perché l’acqua che scendeva dal cielo era mista all’aria invernale. Non era che un lieve mormorio: era facile da ignorare. Da quando le voci l’avevano assalita al suo incontro con Tyerns Izvor, Myrlene era stata decisa a tutto pur di allontanare da sé quella natura inquieta e soprannaturale. Non poteva più fidarsi di quelli che un tempo aveva creduto angeli, che tutti chiamavano fate, ma che in realtà erano demoni. Per questo non si sarebbe più recata al ruscello, non sarebbe più uscita nei giorni di pioggia. A volte era difficile resistere al richiamo, c’erano momenti in cui le voci gridavano con tale insistenza da procurarle dolore. Ma se questo voleva dire crescere e liberarsi delle storie che giravano sul suo conto, avrebbe semplicemente ucciso due passeri con una pietra sola. Doveva farlo. In fondo, chi poteva desiderare una moglie posseduta? Resistere avrebbe solo migliorato le cose con Estienne.
 Si presentò puntualmente al luogo dell’appuntamento e lo trovò già lì, che realizzava un bastone da passeggio. Lui la salutò con un sorriso e le mostrò il regalo che aveva realizzato per lei. Aveva intagliato nel legno centinaia di piccoli scoiattoli che correvano in cerchio lungo il bastone. Alcuni tenevano in mano delle noci. Non appena li vide, Myrlene scoppiò a ridere.
 “Ma non sembrano scoiattoli!” disse.
 “Dici davvero?”
 “Non sono mai stata più seria: sembrano dei bambini grassi che giocano a palla.”
 “Non sei molto carina” disse Estienne, ma anche lui rideva. Rideva e rideva come se ubriaco e a disagio, felice nel suo imbarazzo immotivato. Continuarono a ridere e lui le prese una mano. Myrlene capì che anche lui era pronto, non aveva senso continuare ad aspettare.
 “Estienne” disse “Io ti amo.”
 Il ragazzo abbassò lo sguardo sulle loro impronte nella neve. Sul viso era rimasta l’ombra del suo sorriso, volata via nel vento invernale. Faceva veramente molto freddo.
 “Ti amo, Estienne. Ti amo più di qualsiasi altra cosa.”
 “E’ lo stesso per me. Anche io ti amo. Ho voglia di te, Myrlene.”
 “Voglio essere felice al tuo fianco.”
 “Lo sarai. Posso provvedere a te, devi solo accettare la mia mano. Ma mi pare di capire che non ci sia alcun problema, vero? Sei pronta ad accettarmi. Ne sono felice, questo rende tutto meno complicato. Sei stata gentile a dirmelo.”
 Il suo sorriso era raggiante. Strinse la mano che reggeva tra le sue, e si chinò su di lei. Ma non poteva permetterglielo, Myrlene fu costretta a fermarlo. Era ancora troppo presto per cantar vittoria. Doveva essere certa di avere il ragazzo tra le sue mani. Doveva accettarsi di essere al sicuro.
 “No, Estienne, aspetta. Ti prego. Io non posso sposarti.”
 “Che cosa? Ma perché?”
 Era sorpreso, questo era chiaro. Forse era riuscita persino a ferirlo. I suoi grandi occhi da cucciolo avrebbero impietosito qualsiasi donna al villaggio, tanto era forte la loro preghiera. Ma ora non erano altro che un ostacolo da superare.
 Concentrati.
 “Perché non posso essere felice senza Jehanne.”
 “L’andremo a trovare quando vorrai. E’ difficile abbandonare la casa paterna, lo posso capire, ma non puoi lasciarmi. Questo lo puoi capire anche tu. Come faresti a vivere senza di me? Hai bisogno di un uomo, Myrlene. Non puoi sopravvivere a questo mondo senza rinunciare ad un matrimonio, e tu stessa hai confessato il tuo amore per me. E’ perfetto. Possiamo sposarci anche il prossimo mese, se lo desideri. Sai che non puoi fare a meno di me.”
 Se tu morissi, non verserei lacrime. Sei tu che non puoi fare a meno di me.
 “Hai ragione, Estienne. Non sono nulla senza di te.”
 “Vedo che sai ascoltare la ragione. Questo mi piace. Temevo che, siccome non fai altro che frequentare quella poco di buono di Alexiane, anche tu avessi strane idee in testa. Quella donna sa mentire. E’ pericolosa, e fa girare strane voci sul tuo conto. Va in giro a dire che sei pazza, che quando piove scappi sui monti per danzare con gli spiriti, che strappi alle donne i loro mariti per dormire con loro. Ma io sapevo che erano tutte bugie. So che in te non c’è nulla di malvagio.”
 “Come hai saputo che è stata Alexiane a far girare queste voci sul mio conto?”
 “E’ stata mia sorella Georgette a dirmelo.”
 Georgette, naturalmente. Era una ragazza troppo bella e troppo amata per essere considerata una pettegola. Aveva un bel sorriso e modi gentili. Avrebbe ingannato persino il diavolo, quando sfoggiava il suo vestitino della Domenica, quello azzurro che metteva in risalto i suoi occhioni da cerbiatta. Nessuno poteva immaginare che odiasse alla follia Myrlene per essere più bella di lei. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di metterla in cattiva luce.
 “In effetti, Georgette è veramente una ragazza accorta. Sono felice che si fidi di me, ma sono ancora più contenta della tua fiducia, Estienne. Il tuo parere mi sta molto a cuore, lo sai.”
 “Allora, è un sì?”
 “Dipende. Come ti ho detto prima, non posso lasciare mia sorella sapendo che vive nel dolore e nella sofferenza. I sensi di colpa sarebbero troppo acuti da sopportare.”
 “Ma cosa dici? Perché parli di Jehanne in questo modo?”
 Un respiro. Ora non poteva più tornare indietro.
 “Nostro padre la violenta.”
 Il gelo bruciava sulle sue guance. Il mormorio della neve si agitava nel suo cuore: perché non riusciva ad ignorarlo, neanche ora?
 “E’ incinta. Da lei nascerà un figlio che sarà anche suo fratello. Io voglio proteggerla, non posso lasciarla al suo destino. La amo troppo per abbandonarla, per lasciare al suo destino un nipote che presto verrà ad un mondo troppo crudele per accoglierlo. Ti prego di capire quello che provo, Estienne. Sei la mia unica speranza.”
 Ora era lei a cercare la sua mano. Non appena la strinse ebbe il desiderio di piangere. Le sue lacrime caddero al suolo, lasciando solchi che imitavano le ombre dei bucaneve. Chi avrebbe mai detto che Myrlene sarebbe stata un’attrice tanto dotata?
 “Ti prego, Estienne. Aiutami.”
 Si portò la mano del giovane al viso, curandosi di bagnarla delle sue lacrime. Trattenne il respiro per imitare un sospiro di dolore. Emise dei gemiti che interruppe subito, per mimare i singhiozzi. Sentì la mano tra le sue che tremava di pietà.
 “Non piangere, Myrlene. Ti prego, non piangere.”
 Lui l’abbracciò teneramente per calmarla. Lasciarsi andare, ed allo stesso tempo stringere con passione il corpo tra le sue braccia, era particolarmente difficile. Eppure Myrlene era costretta a premere il suo corpo contro quello del ragazzo.  Premere forte, forte, con tutta la forza che possedeva, accendendo in lui il desiderio addormentato.
 “Ti prego, ti prego. Non lasciarci.”
 “No. No, certo che no. Ascoltami, Myrlene: io ti amo. Ti terrò al mio fianco fino alla fine, non permetterò a nessuno di fare del male a te o a tua sorella. Sono qui. Sono qui per proteggerti e lo sarò sempre. Te lo prometto, Myrlene. Non vi abbandonerò.”
 “Oh, Estienne! Estienne! Dammi un bacio.”
 Il ragazzo si chinò su di lei, stringendo con forza maggiore il suo corpo. Lo strinse con tanta forza da farle male. Ma Myrlene non disse nulla. Quando sentì quelle labbra rudi e cariche di passione che la costringevano ad aprirsi a lui, non poté far altro che chiudere gli occhi e resistere alla paura. Sapeva benissimo che cosa stava per accadere. La cosa terribile era che avrebbe sofferto, e soffrire era sempre stato lo scopo della sua missione.
 Accadde velocemente. Lui la costrinse a stendersi sulla neve. Le aveva lasciato il suo mantello perché non si bagnasse troppo.  Quando lei avvertì l’aria gelida sulle gambe nude, pensò a Jehanne. Pensò al suo volto, al suo sorriso tranquillo, alle dita della sua mano. Sapeva che non poteva essere la stessa cosa.
 Il dolore fu atroce.
 Lei pianse, e pensò a Dio. Voleva vomitare.
 Le nebbie nascondevano il Sole, ma lei si sentì comunque osservata e giudicata. Ogni cosa aveva un paio d’occhi, tutti avevano guardato. Gli alberi, il ruscello, la neve: non era altro che una puttana per ciascuno di loro. Avrebbe voluto bruciare tutto, distruggere quel mondo sporco e rivoltante. Voleva uccidere suo padre, l’alchimista, l’uomo sopra di lei. Voleva suicidarsi.
 Quando ebbero finito, Estienne si alzò e la salutò con un bacio. Sorrideva come un bambino molto stupido. Se ne andò via barcollando e gongolando di piacere. Era disgustoso. Grande, muscoloso e idiota: sembrava un toro troppo ammalato per essere portato al macello. Lei si asciugò le lacrime e si alzò tremando, cercando di sopportare il dolore. Il sangue le macchiava le cosce. Prese un po’ di neve tra le mani e cercò di ripulirsi quanto più poteva. Quando ebbe finito prese la strada verso casa, ed ogni passo era una fitta al cuore.
 Era strano. Non sentiva più le voci nella sua mente.
 Era così strano. Insopportabile.
 Le voci non c’erano più.
 Erano morte nel vento.
 
 
 “Vecchio Amis, voglio sposare tua figlia.”
 “Non posso dartela, è ancora troppo giovane. E’ il mio conforto nella vecchiaia, è sempre al mio fianco, è bella e ubbidisce ai miei ordini. E’ il dono che Dio mi ha mandato quando mi ha sottratto mia moglie. Certo, non possono esserci paragoni tra lei e quella stupida di sua sorella. Per averla dovrai passare sul mio cadavere.”
 “E’ lei a volermi, Vecchio Amis.”
 Dal pozzo, Myrlene e Jehanne cercavano di capire quello che i due uomini si dicevano nei pressi della stalla. Per l’occasione Estienne si era lavato i capelli e aveva indossato una camicia nuova, bianca e di lavata di fresco. Sorrideva timidamente alla risolutezza del vecchio nel negargli una vittoria semplice. Se voleva Myrlene, avrebbe dovuto lottare.
 “Saprai che io e lei ci conosciamo sin da piccini. Giocavo spesso con lei e le regalavo dei piccoli doni. Ero suo amico.”
 “Un amico non è un marito.”
 “Posso mantenerla con il mio lavoro e la mia terra. Ti prometto che con me non soffrirà la fame.”
 “Un ragazzo che gioca alle bambole con delle bambine non è un uomo.”
 “Sono il cacciatore più esperto del villaggio. Certo, ti ricorderai del cinghiale dell’anno scorso. L’ho ucciso io, da solo: una freccia nella testa. Sfido chiunque a fare altrettanto.”
 “Sei vanitoso.”
 “E’ il mio miglior pregio.”
 Il Vecchio Amis parve esitare. Jehanne cercò la mano della sorella e la strinse. Entrambe trattenevano il fiato.
 “Non posso offrirle una dote. Non potrei darti niente di più che qualche pecora e le cose della ragazza: le federe e i lenzuoli, il vestito del matrimonio di sua madre, i tesori di poco valore che tiene nella sua stanza. Non ne ricaverai altro che pochi soldi, che non ti sarebbero sufficienti neanche per pagare la cerimonia.”
 “Ho già parlato con Myrlene riguardo a questo. Siamo disposti a rinunciare alla dote e ad una cerimonia elaborata. Mia madre le preparerà un corredo. C’è solo una condizione che vorrei proporti, Vecchio Amis. Ne resterai sorpreso, ma sono sicuro che potrai certamente vederne i lati positivi se saprai rifletterci bene sopra.”
 “Dimmi di che si tratta. Sto ascoltando.”
 “Voglio sposare Myrlene e condurla via con me. Lei accetterà, a patto che sua sorella Jehanne venga con lei nella sua nuova casa.”
 Il Vecchio Amis parve sorpreso. Si portò pensosamente una mano al mento, cercando di concentrarsi.
 “Non capisco, ragazzo. Dove vuoi andare a parare? Perché dovrei permetterti di portarmi via entrambe le mie figlie, allo stesso tempo? Solo un pazzo starebbe a questo genere di patti. Come farò a mandare avanti la casa?”
 “Rifletti, Vecchio Amis, rifletti. Chi sposerebbe mai quella strana ragazza? E’ nata senza un braccio, ha il viso scarno e pallido come se fosse malata. E’ tanto magra da sembrare uno spirito, i suoi occhi sono così neri e profondi da mettere in soggezione chiunque incroci il suo sguardo. E’ brutta. Nessuno la vuole.”
 Il padre delle gemelle non rispose.
 “La prendo per pura compassione e per l’affetto che la mia amata nutre nei suoi confronti. Credo che questa sia la soluzione migliore per tutti noi. Se non te ne liberi, porterai una croce insopportabile per il resto della vita.”
 Un lampo attraversò lo sguardo annebbiato del vecchio.
 “E’ pur sempre mia figlia. E’ roba mia, chi ti da’ il diritto di decidere cosa voglio o non voglio fare delle mie cose?”
 “Non pensavo che tenessi tanto a lei.”
 “Non ci tengo. Vorrei che fosse stata lei a morire, non sua madre.”
 “Posso capirlo. Ma allora che cosa t’impedisce di darla a me?”
 “Una questione di principio. Inoltre, la casa diventerà un porcile senza una donna a ripulirla.”
 “Se vuoi ti manderò le ragazze ogni giorno per qualche ora, per fare le pulizie e prepararti un pasto caldo. Mi sembra una proposta ragionevole.”
 L’uomo abbassò il capo, assorto. Sapeva di essere stato sconfitto. Il peso degli anni sembrava gravare improvvisamente su di lui, lasciandolo senza forze. Era troppo vecchio e stanco per continuare a lottare contro quel ragazzo, così giovane e bello. Senza dubbio aveva incantato il cuore di sua figlia, che non poteva vivere senza la sorella.
 Ricordava ancora i giorni quando, molti anni fa, le vedeva giocare e cantare accanto al pozzo. Indossavano bellissime coroncine di fiori intrecciate da loro, cantavano e giravano su se stesse fino a cadere a terra con una risata. Erano così belle. Myrlene era così bella. Era così dannatamente bella che lui non aveva mai avuto il coraggio di toccarla. Sarebbe stato come violentare un angelo. L’unico modo in cui era stato in grado di dare sfogo alla sua voglia era Jehanne: senza il suo corpo scheletrico e nodoso, tanto brutto da dargli la nausea, sarebbe sicuramente esploso dal desiderio per la gemella.
 Ma il suo piccolo angelo, quella visione benedetta mandata d Dio aveva continuato a cantare e ballare nel suo giardino, donandogli i suoi sorrisi più belli. Il Vecchio Amis aveva sempre saputo che un giorno se ne sarebbe dovuto separare. Gli era stato detto tutto il giorno della sua nascita, ma non aveva immaginato che sarebbe accaduto così presto. Be’, il giorno era arrivato.
 “Myrlene, vieni qui.”
 La ragazza strinse la mano della gemella, lasciandola con una carezza. Si avvicinò ai due uomini tenendo lo sguardo fisso a terra, senza parlare o sorridere. Quel che sarebbe stato, lei avrebbe dovuto accettarlo.
 “Oggi questo ragazzo è venuto da me per chiedere la tua mano.”
 Nessuna risposta. Non ancora.
 “Guardalo. Ti piace?”
 “Sì, papà” ma non aveva alzato lo sguardo.
 “Vi sposerete la prossima settimana. Domani mattina ti recherai da lui per iniziare i preparativi. Ti lascerò in dote il vestito bianco di tua madre e le lenzuola meno ruvide. Spero che tu sia felice al suo fianco, bambina mia, ma anche tu conosci quanto la vita sia insidiosa. Non aspettarti la felicità. Quella non posso lasciartela in dote.”
 La ragazza annuì e, trattenendo il disgusto, abbracciò il genitore con un sorriso. Invece alzò appena gli occhi sul suo futuro marito, ringraziandolo velocemente con lo sguardo.
 “Ah, e un’altra cosa. Jehanne verrà con te. So che il pensiero di entrare in una nuova casa ti rende timida. Posso capirlo, quindi consideralo un mio regalo di nozze.”
 “Ti ringrazio, papà.”
 “Va bene. Ma sappiate che al posto della ragazza non vi donerò neanche una pecora. Di questo potete stare sicuri.”



Angolo dell'Autrice

Ehilà! Buon Samhain a tutti voi (cerca di evitare abilmente il fatto che non ha aggiornato dall'inizio di Settembre).
Dunque dunque dunque, che dire? Mi piacerebbe tantissimo sentire come a vostro parere sta procedendo la storia, se le situazioni sono gestite bene (oppure se sono caduta nel ridicolo, come temo), se forse dovrei cambiare qualcosa, se va bene, male, si no e ni, se volete il dolce o il salato e se vi piacciono gli unicorni. Comunque, grazie a tutti voi per la vostra attenzione e per la vostra pazienza, e un grazie speciale a DreamNini che è sempre al mio fianco con una parola gentile.
Questa è la (splendida) canzone citata a inizio capitolo.

http://www.youtube.com/watch?v=_k1x1TJG5Sg

Massì, già che ci sto faccio anche un po' di pubblicità al film che figura nel video: 'Prendimi l'Anima' è un film meraviglioso, anche se dal titolo potrebbe sembrare un cinepanettone. Fidatevi, in realtà merita tutti gli onori di un film da Oscar. :)
Spero di aggiornare al più presto (tanto un ritardo peggiore di questo non potrò mai realizzarlo... furono le sue ultime parole famose).
Un bacione a tutti voi,
Beads.

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Capitolo 7
*** Il Delirio ***


7. Il Delirio

 
 
“What are those hills yonder, my love?
They look as white as snow!”
“Those are the Hills of Heaven, my love,
You and I’ll never know.”
 
“The Daemon Lover” anche detta “The House Carpenter”
Antica ballata scozzese, versione musicata di Mick McAuley
 
 
 Jehanne aveva le mani piene di fiori. Li gettava con frenetica allegria nella culla del suo bambino, che la guardava e rideva senza capire. Rose, margherite, violette, il profumo di erba tagliata nei campi. Tutto per la culla di Olivier, che agitava le manine nel suo nido di Primavera. Madre e figlio, nella complicità di un sorriso silenzioso, giocavano con i doni della terra, portando in casa spighe e ghirlande con cui giocare in segreto. Myrlene si era tanto raccomandata di non farlo, perché Estienne poteva arrabbiarsi. Olivier poteva mettersi in bocca un pezzetto di corteccia o una foglia molto sporca e farsi male. Ma la mano di Jehanne era pronta e veloce: prima che il bambino potesse avvicinare la manina alla bocca, subito lei l’afferrava per baciarla, ridendo e piangendo di gioia.
 Olivier era lì con lei. Era vivo, il suo bambino era nato dolce, bello e senza difetti, con gli occhi più azzurri della Francia, con il più solare dei sorrisi. Non avrebbe mai permesso che gli accadesse qualcosa di brutto. Era suo, era suo! Era il suo bambino!
 Inoltre, non correva certo il rischio di farsi sorprendere da Estienne, che stava lavorando nei campi lontani, con la moglie. L’uomo di sua sorella non capiva niente di queste cose: non era pericoloso per un bimbo giocare con delle piante, neanche così piccolo. Se non altro, gli avrebbe fatto del bene. Lei e Myrlene erano cresciute nei boschi e nei campi, libere di toccare, indossare e diventare tutto quello che i prati e le foreste avevano da offrire. Jehanne aveva molti problemi, questo era vero, ma non era colpa dei fiori. Myrlene, invece, era la donna più affascinante e amabile del villaggio.
 Al dolce pensiero del viso di sua sorella, Jehanne trattenne a stento un sospiro di contentezza. Anche lei, come il suo bambino, era sua. Era soltanto sua. Forse, nei libri e nelle parole della Chiesa, la sua cara sorella poteva essere del marito, ma entrambe sapevano che questa era una bugia. Una bugia che Dio aveva il potere di perdonare e che avrebbe perdonato, anche se era stata pronunciata nella sua casa divina. Myrlene era di Jehanne e Jehanne era di Myrlene, com’era sempre stato. La violenza del Vecchio Amis, la breve presenza dell’alchimista ed il nome di Estienne, nulla avevano potuto contro il sacro legame delle gemelle.
 Nonostante le loro incertezze, nonostante le loro paure, alla fine il piano era perfettamente riuscito: si erano sottratte al potere abusivo di un padre che non le aveva mai amate, rifugiandosi nell’ingenuità di un ragazzino inesperto, che aveva creduto alle lusinghe di Myrlene. Tyerns Izvor, invece, era scomparso nel nulla. Aveva parlato di una lunga ricerca per una pianta miracolosa, che avrebbe potuto durare qualche mese o molti anni. Perché, dunque, era partito dopo pochi giorni, senza lasciare nulle dietro sé?
 Quando Jehanne ne aveva parlato alla gemella, lei aveva dato segno di non voler ricordare quell’uomo:
 “Se n’è andato, volatilizzato nell’aria come il respiro di una cascata. Non dimenticherò mai il suo sguardo quando lo vidi l’ultima volta, Jehanne. Non scorderò mai le sue parole. ‘Tu verrai con me’ aveva detto ‘E’ scritto nel sangue versato alla tua nascita. Non basterà l’amore che provi per tua sorella a cancellare le ferite nell’acqua’. Sembravano le parole di un sortilegio, e la sua voce era spaventosa. Non capisco, tutto ciò che lo riguarda è così confuso.”
 “Hai ragione. E’ venuto fin qui dalla sua terra per un fiore. Eppure, è scomparso senza averlo trovato, o per lo meno così è parso. Ma non solo: è andato via dopo quel vostro strano incontro nella foresta, dove sono successe tutte quelle cose bizzarre. Così almeno mi hai raccontato.”
 “E’ così. Quel giorno si era recato ad un punto del ruscello che io, stranamente, avevo visto due notti prima nei miei incubi. Un sogno in cui c’eravate tu e nostro padre. Tu eri una bimba, una bambina con due braccia. So che può sembrarti strano, ma nel sogno sapevo che eri tu. E papà cercava la tua morte, e solo allora compariva un’Ondina.”
 “Ti ricordi che cosa faceva o diceva l’Ondina?”
 “… No, non ricordo.”
 “Che rapporto può esserci tra il tuo sogno e l’esplorazione dell’alchimista?”
 “E’ strano. Ti ho già detto che sono svenuta, e lui mi ha trovato urlante, come in preda ad un delirio. La verità era che potevo chiaramente udire le voci, Jehanne, quelle stesse voci che mi hanno cresciuta e che mi hanno sempre chiamato nelle giornate di pioggia. Sembravano venire dalla fonte. E, non appena l’alchimista si è chinato sull’acqua, i sussurri armoniosi delle voci si sono subito trasformati in grida assordanti, che chiamavano il mio nome. E continuavano a ripeterlo, a ripeterlo. ‘Myrlene! Myrlene!’ dicevano. Dicevano che non era un nome umano. Loro stesse, dicevano, non erano umane.”
 “E poi, lui ti ha trovato. Ti ha soccorso.”
 “Esatto.”
 “Avete parlato.”
 “Abbiamo riso, scherzato. Io volevo indurlo a stare con me.”
 “Grazie a Dio non è accaduto.”
 “Sì, ma lui… lui ha visto qualcosa in me, nel mio volto. Non so cosa. So solo che prima stava ridendo, come un bambino spensierato, mentre il momento seguente i suoi occhi avevano assunto delle sfumature diverse. Sembrava colpito da qualcosa, qualcosa nel mio sguardo. Sembrava che avesse scoperto qualcosa di straordinario. Da quel momento in poi il suo interesse in me è cresciuto in maniera smisurata, sembrava quasi ossessionato dal condurmi via con sé. In fondo, era quello che pensavo di desiderare. Grazie al Cielo, Estienne mi ha condotto in salvo.”
 “Quel povero ingenuo è capitato proprio nel momento opportuno. C’è tuttavia un’altra cosa che non capisco: se l’alchimista ha visto qualcosa in te che desiderava tanto, allora perché è scomparso nel nulla in quel modo? E’ passato molto più di un anno: nessuno l’ha più visto.”
 “C’era qualcos’altro di veramente strano: lui ti ha intravista solo una volta, quando ti sei affacciata un attimo da un finestra. Eppure, questo gli è bastato per capire che eri incinta.”
 “Era un mago, uno stregone. Non avresti mai dovuto accoglierlo in casa nostra, sorella mia.”
 “No, forse no. Ma qualcosa in lui mi affascinava. Era come se l’avessi sempre conosciuto. C’era qualcosa nel suo sguardo, nei suoi occhi.”
 “Qualcosa che ti ammaliava?”
 “Qualcosa che mi apparteneva.”
 “Le sue ultime parole avevano l’aria di essere una minaccia. Ma, visto e considerato che nessuno l’ha più incontrato, credo che possiamo dirci al sicuro. Si vede che altro non era che la promessa di un pazzo.”
 “Giusto. Un pazzo che non posso dimenticare, ma che per lo meno potrò ignorare. Ora che ho l’occasione per vivere tranquillamente con te ed il nostro Olivier, non ho intenzione di restare oppressa da falsi presentimenti. In fondo” aveva detto con un sorriso “Devo pensare alla mia famiglia. L’intero villaggio deve considerarmi una madre esemplare.”
 Aveva sposato Estienne con una cerimonia molto semplice e silenziosa. Gli invitati erano stati pochi, e Jehanne era stata lasciata in casa con la scusa di un malessere. In realtà, i due sposi non volevano che qualcuno notasse le dimensioni del suo ventre. Reclusa in casa per sette mesi, la giovane madre aveva finalmente dato alla luce un meraviglioso bambino, a cui Estienne aveva provveduto a scegliere il nome. Ne aveva tutto il diritto. In fondo, la ragazza poteva restare nella sicurezza di quella casa solo grazie a lui, e se non fosse stato per la giovane coppia, che avevano promesso di mostrarsi al villaggio come i veri genitori del bambino, il piccolo Olivier probabilmente sarebbe stato cresciuto come un bastardo. In questo modo, invece, il bambino non sarebbe stato accusato di non avere un padre, ma avrebbe avuto la ricchezza di due madri. L’amore che Jehanne poteva dare al suo bambino le permetteva di non pensare più agli anni oscuri della sua infanzia, e le sue crisi di pianto e di terrore erano notevolmente diminuite. Certo, nulla avrebbe mai potuto curare le ferite della sua anima, ma per lo meno Myrlene non l’aveva più sentita chiamarsi la ‘figlia di Satana’.
 Jehanne terminò di disegnare un cerchio di camelie attorno al piccolo Olivier, che strappava via i petali di una rosa per poi gettarli in aria. Quando ricadevano a terra, sfiorando il suo nasino e le guance paffute, lui si affrettava ad afferrarne quanti più ne poteva prima che toccassero terra. Quando riusciva a prenderne almeno uno, sua madre esclamava di gioia.
  Tutto, nella sua vita, era stato orrore e mistero. Ora era giunto il momento di sorridere alle cose più semplici, senza preoccuparsi del passato o del futuro. Che le rose cadessero! Ci sarebbe sempre stato un bambino pronto a lanciarle di nuovo in aria.
 
 Quando Myrlene e suo marito tornarono dai campi, stanchi e sporchi di terra, Jehanne aveva fatto sparire ogni traccia dei fiori e dei fili d’erba. Sorridendo, portò ai due sposi un secchio d’acqua e delle fette di pane con formaggio. Poi si sedette, senza parlare, sulla panca dove aveva lasciato Olivier. Alla giocosa domanda del suo silenzio, Estienne sospirò e si passò una mano callosa sul viso.
 “Il Sole oggi spaccava le pietre.”
 “Veramente, Jehanne, saresti dovuta venire con noi. Far prendere un po’ di Sole al bimbo. E’ così pallido…”
 Myrlene era stanca, ma sorrideva, e stringeva affettuosamente la mano ad Estienne. Lei davvero non poteva essere più contenta. Era sempre la donna più bella del villaggio, e ora poteva anche vantare un figlio meraviglioso, il matrimonio con l’eroe del villaggio e grandi distese di ottima terra da coltivare. Tutti questi doni comportavano molto lavoro per mantenerli degni d’invidia, e Myrlene non era donna da starsene con le mani in mano. Lasciava la casa alla sorella, ed al fianco di Estienne lavorava con la prontezza e la forza di due uomini. Voleva ripagare con il suo impegno la fortuna che le aveva donato tutte quelle possibilità.
 Ma Estienne era di altro avviso.
 “Un giorno” mormorò “I nostri padroni pagheranno la loro pigrizia. Le loro gracili donne non pensano ad altro che a profumarsi, a splendere nei loro vestiti nella gloria dei balli di corte. E noi restiamo con le mani coperte di fango e schegge appuntite.”
 “Dio ha voluto così.”
 “Dio non ha niente a che fare con questo.”
 “Qualcuno l’avrà desiderato, Estienne.”
 “Certamente! I nobili! Voi donne non capite nulla di queste cose, e non posso aspettarmi che comprendiate. Ma siamo al pari degli schiavi, Myrlene, proprio come quelli del Faraone in Egitto, molti secoli fa. Dio ha liberato i nostri antenati, ma allora perché noi dobbiamo spaccarci la schiena per pochi eletti?”
 “Non lo so, Estienne. E’ come dici tu: io non so capisco nulla di queste cose.”
 Il vero problema era che qualcos’altro occupava la mente di Myrlene. Qualcosa che pensava di aver dimenticato, molti mesi prima, con la fine delle sue disgrazie. C’era qualcosa che non andava, qualcosa di grave. Aveva un brutto, terribile presentimento.
 “Jehanne! Vieni con me nella mia stanza per qualche minuto. Devo parlarti. Devo parlarti in privato.”
 Sorpresa, la sorella si alzò subito in piedi, stringendo tra le braccia il piccolo Olivier. Sia lei che Estienne guardavano la ragazza con preoccupazione.
 “Nulla di grave, è solo che… credo che sia accaduto qualcosa…”
 “Cosa stai dicendo, Myrlene?”
 “Giusto! Cosa c’è che non puoi dire davanti a tuo marito?”
 “Andiamo, Jehanne, solo un istante.”
 Con l’angoscia dipinta sul volto, Myrlene spinse la sorella all’interno di una stanza contigua, ogni respiro una nota d’ansia che cresceva, sconvolta come un’ammalata nel delirio della febbre. I suoi occhi erano sgranati nell’orrore di qualcosa che gli altri non potevano vedere, le sue orecchie tese per udire qualcosa che gli altri non potevano sentire. Si affrettò all’interno della stanza, chiudendosi subito alle spalle la porta di legno.
 “Myrlene, che cosa succede? Dimmelo, cara, dimmelo subito.”
 “Jehanne… Jehanne, le voci…”
 “Le voci? Myrlene, non starai dicendo che…”
 “Sono… le voci sono…”
 “No! No, non ora! Erano svanite, svanite nel nulla il giorno in cui hai perso la verginità con Estienne!”
 “Sono tornate, Jehanne…”
 “Ma questo non è giusto! Durante l’arco di un intero Inverno sono state soppresse nel silenzio, nonostante la neve e la pioggia, ed ora che siamo agli inizi di Maggio ritornano!”
 “Mi stanno chiamando, Jehanne. Chiamano il mio nome, sulla montagna!”
 “Non lo permetterò!”
 La ragazza si precipitò sulla sorella, stringendo il suo corpo in un abbraccio violento. Le sue mani la cercarono disperatamente, chiedendole con forza di restare al suo fianco. Quelle voci erano il male. Quelle voci volevano sottrarle per sempre Myrlene. Non dovevano fidarsi di loro, sua sorella non doveva ascoltarle.
 “Tutte le volte che queste voci ti hanno condotto via da me, è successo qualcosa di orribile. Nostro padre mi ha violentato, l’alchimista ha cercato di portarti via per sempre. L’hai detto tu stessa, Myrlene, non sono umane. Dobbiamo fare in modo di tenerti qui, al sicuro. Non devi andare sulla montagna.”
 “Lasciami, Jehanne. Jehanne, ti prego! Devo andare!”
 “NO! Tu sei mia, mia! Hai capito? Non ti lascerò a nessuno. Mai. A nessuno, Myrlene, perché tu sei mia, sei la mia gemella, il mio amore, il mio tesoro, la mia salvezza! Come puoi chiedermi di darti a degli spiriti infernali?”
 “Accadrà qualcosa di orribile, Jehanne! Sta per accadere, devi lasciarmi andare!”
 “Ho detto che non lo farò mai!”
 “Devo andare, ti prego. Devo fermarli.”
 “No!”
 “Non sono solo delle voci, Jehanne. Stanno gridando il mio nome. Stanno urlando, come cacciatori. Vogliono qualcosa, vogliono me.”
 “Chi sono, Myrlene?”
 “Devo andare. Devo fermarle.”
 “Dimmi a chi appartengono queste voci, Myrlene, e ti lascerò andare.”
 “Non lo so! Non so cosa siano.”
 “Tu menti!”
 “Non… non lo so… non sono… non sono umane…”
 “Tu sai a che cosa appartengono. Sono state queste voci a crescerti.”
 “Solo il mio nome… Non hanno mai detto nulla che non fosse… il mio nome…”
 “Chi sono?”
 “Jehanne, lasciami! Mi stai… mi stai facendo male… lasciami…”
 “Mi vuoi abbandonare, Myrlene? Perché non mi ami più? Perché ti stai lasciando condurre via da loro?”
 “Vogliono me… loro vogliono soltanto… soltanto… me.”
 “Non farmi ridere, Myrlene! Tu sei mia!”
 “No, non ridere… Non è divertente, Jehanne! Non è divertente… No, no! Non fa ridere, moriremo! Moriremo tutti! Devo andare… Devo andare, o moriremo… tutti…”
 “Che cosa sta succedendo, qui?”
 Un rumore di passi, la forza con cui Estienne aprì la porta, il tempo non sufficiente a Jehanne per sciogliere l’abbraccio. Il ragazzo le guardò con occhi sgranati, non sapendo che cosa pensare o dove guardare. Lo sguardo di sua moglie era assente, quello della sorella era disperato. Il modo in cui i corpi delle gemelle erano premuti l’uno contro l’altro era strano. Estienne non sapeva se essere turbato o furioso. Era chiaramente accaduto qualcosa, ma nulla era sufficiente a spiegare il modo in cui Jehanne stringeva Myrlene. Troppo sensuale, morboso, esperto.
 Il silenzio era terrificante. Si potevano solo distinguere il respiro pesante di Myrlene, che teneva la testa reclinata all’indietro, gli occhi scuri sbarrati, fissi sul soffitto. Olivier era stato posato a terra. Il piccolo cercava qualcosa nella tasca della camicetta, appartenuta al padre quando era un bambino. Era una camicetta bella e forse anche costosa. Nessuno l’aveva mai chiesto, in fondo. Era vecchia, come moltissime cose a Litanie. Alcune storie, ad esempio, erano così vecchie che non erano più raccontate. Eppure, continuavano a vivere nel sangue dei loro incubi.
 Ci fu un improvviso bussare alla porta della casa. Nessuno si mosse per andare a vedere chi era. Attesero tutti qualche istante. La persona alla porta continuò a bussare. Jehanne allentò dolcemente la presa sul corpo di Myrlene, sostenendo lo sguardo indeciso di Estienne. La moglie si accasciò tra le braccia della gemella, priva di sensi, la cascata di biondi capelli che le andarono a coprire, come un velo dorato, il viso sconvolto.
 Continuarono a bussare.
 “E’ permesso? Jehanne? Myrlene? Qualcuno mi faccia entrare, vi scongiuro! E’ urgente! Aprite la porta! Jehanne?”
 “Questa è la voce di Alexiane.”
 “Va’ ad aprire. Penserò io a lei” mormorò il ragazzo, prendendo dalle mani della ragazza il corpo della moglie. Entrambi sapevano che nulla sarebbe stato dimenticato. Delle spiegazioni sarebbero state necessarie, ma non ora.  Se Alexiane era venuta fin dal villaggio, durante una giornata lavorativa, solo per portare qualche notizia, doveva veramente trattarsi di un’emergenza.
 Quando Jehanne aprì la porta, in effetti, si ritrovò di fronte ad un’estranea. Alexiane aveva il volto pallido e sporco di fango, cosparso di sangue e sporcizia bagnata. I capelli rovinati dall’acqua erano incrostati di terra, il suo vestito di buona lana era strappato in numerosi punti, le braccia erano lasciate nude al Sole di Maggio.
 “In nome di Dio, Alexiane!”
 “Jehanne, aiutami. Aiutami, ti prego.”
 “Che cosa è accaduto?”
 “Ma come? Non hai sentito il boato? La terra che tremava?
 “No… no, noi non abbiamo sentito nulla…”
 “Ma come può essere? Come? Un terremoto così forte, Jehanne, così forte, e voi non l’avete sentito? Non è possibile.”
 “Che cosa è successo?”
 “Devi aiutarmi, Jehanne. Devi aiutarmi.”
 “Tu prima devi dirvi cosa è accaduto!”
 “Il terremoto ha distrutto gli argini… ha distrutto ogni cosa… Le case crollavano, la montagna sembrava spaccata in due… e tutti urlavano, gridavano… piangevano…”
 “Ma che cosa è accaduto?”
 “L’acqua era ovunque. Ovunque, noi fuggivamo e lei ci inseguiva. Come a nascondino, non è buffo? Proprio come a nascondino. E l’acqua ci trovava sempre.”
 “Torna in te! Dio, ti prego! Devi dirmi che cosa è successo!”
 “Un terremoto così violento… voi non l’avete sentito?”
 “Ti dico che non abbiamo sentito nulla!”
 “Allora avevano ragione. Avevano sempre avuto ragione. Voi siete delle streghe, non è vero? Siete voi che avete scatenato la mano d’acqua? Prima al villaggio lo dicevano. Parlavano di voi come streghe. Forse avevano ragione.”
 “Non ne so nulla, ti dico! Che cosa ha portato il terremoto? Perché non vuoi rispondermi, Alexiane?!”
 “Ha portato il male. Le acque hanno portato il male.”
 “Le acque? Di che parli?”
 “Avresti dovuto vederle, Jehanne. Le acque giocavano a nascondino con noi.”
 “Perché parli delle acque?”
 “Il terremoto…”
 “Parla!”
 “Non era un terremoto, Jehanne. Era una mano. Una grande mano d’acqua che si sollevava dalla foresta.”
 “Cosa?”
 “Una grandissima mano d’acqua, come quella di un gigante… un gigante marino… Le acque giocavano a nascondino.”
 “No. Cosa stai dicendo? Stai delirando!”
 “Si è sollevata dal ruscello, sopra la montagna. Ha fatto cadere la pioggia sul villaggio. E poi, le sue dita. Così grandi, così tante, sopra di noi. Un dito, due dita, tre quattro e cinque dita sopra le nostre case. Una grande mano d’acqua su Litanie. Ci ha trovati tutti.”
 “Sei impazzita. Alexiane, tu sei impazzita!”
 “Sono morti tutti.”
 “No.”
 “Il villaggio, la Chiesa, i campi. Ha distrutto ogni cosa, tutto quello che ha trovato. Ogni cosa.”
 “No.”
 “Tutti… sono morti tutti…”
 “Stai zitta.”
 “Come a nascondino, non è buffo? Proprio come a nascondino… ci rincorreva ovunque, dentro le case, su per il monte… una mano d’acqua che scuoteva la terra e uccideva gli uomini… solo gli uomini…”
 “Stai zitta. Sei pazza, una pazza. Stai zitta.”
 “Io sono scappata. Sono riuscita a raggiungervi. Ho pensato: ‘Se sono veramente delle streghe, l’acqua non le avrà trovate’ E guarda qua! Voi non avete sentito neanche la terra che tremava, e che ingoiava il villaggio in una stretta d’acqua. Siete davvero delle streghe, non era solo una voce. Siete delle maledette streghe, ed io mi sono sempre fidata di voi. Mi sono sempre fidata di voi, Jehanne, non è buffo? Voi siete delle streghe! E’ così buffo!”
 “Alexiane, perché stai dicendo tutto questo? Perché continui a mentire? Il tuo è solo un delirio. Devi stare zitta. Stai zitta, Alexiane!”
 “Streghe, streghe cattive! Ah ah! E’ così buffo! Le gemelle ci hanno ammazzati tutti… Tutti quanti! Streghe cattive! Ora sono tutti morti… tutti quanti…”
 Jehanne la guardava, capiva e non capiva. Non piangeva, non poteva piangere. Non poteva fare altro che gridare. Gridare. Entrò in casa, appoggiandosi ai muri per non cadere. Gridava e gridava e gridava. Intravide Estienne, che correva nella stanza per capire che cosa fosse accaduto. Sentì appena Alexiane, che nel giardino rideva e piangeva come una bambina spaventata. Lei gridava. Non poteva far altro che gridare, pensando a Myrlene, alle voci che la possedevano, che evocavano la morte e le ferite che l’acqua portava con sé.
 Gridava. Gridava.
 Prima di perdere i sensi, l’ultima cosa che vide fu suo figlio. Il bambino aveva trovato, nascosta nella tasca della sua camicetta, un’ultima piccola rosa. L’aveva nascosta su di sé, perché la madre non la trovasse e  non la buttasse via, nel giardino. Ora la guardava con tenerezza. Tra le mani stringeva i petali del fiore, e li strappava, lanciandoli in aria come mille coriandoli rossi. Allora cercava di afferrarli e, se uno per caso cadeva a terra, lui rideva battendo le mani.
 

 
Angolo dell’Autrice.
 
Sì, lo so, non mi smentisco mai. Sì, lo so, ho fatto un po’ (tre mesi) di ritardo. Sì, lo so, vanno nell’angolo della classe a riflettere sulla mia mancanza di rispetto nei vostri confronti. Addio!
Per farmi perdonare, comunque, ecco a voi la versione musicata di McAuley di una delle più belle ballate medievali mai scritte nella storia (ogni volta che la leggo sono orgogliosa di potermi chiamare madrelingua inglese). Ci sono numerose versioni altrettanto belle (i fan di Bob Dylan, di Joan Baez e di Natalie Merchant sanno di chi parlo) ma ho pensato di condividere una versione meno conosciuta. E’ comunque sicuramente tra le mie top five.

https://www.youtube.com/watch?v=jTl0p-efeXI

Non so se aggiornerò… o se aggiornerò presto. Ero a tanto così da abbandonarla definitivamente. Comunque, grazie per il vostro supporto, speriamo di continuare!

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