Secret Whispers

di LilyGranger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Cap. 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

Denise non sapeva cosa stesse facendo o dove stesse andando.
Sapeva solo che qualcuno o qualcosa la stava spingendo verso un posto in cui - se lo sentiva- non sarebbe successo nulla di buono.
Il bosco era buio e silenzioso. Talmente oscuro  che non riusciva a distinguere le sue scarpe dal solido terreno tappezzato da foglie morte. Così laconico che i rari rumori che sentiva di tanto in tanto- un ramo spezzato, un frusciare di foglie, un richiamo di un animale- la facevano sobbalzare. L'aria gelida era piena di tensione e la nebbia cominciava ad alzarsi fra gli alberi.
Un urlo la fece voltare.
Alle sue spalle un'ombra si mosse veloce.
Denise cominciò a correre. Si muoveva rapida, schivava gli alberi e saltava quelle poche radici che riusciva a distinguere nell'oscurità. A quelle che non riusciva ad evitare imprecava sotto voce e veloce si rialzava.
Correva a perdifiato. Correva lontano da quella presenza, lontana dal pericolo, lontana dalla morte.
Poi, la sua corsa si bloccò.
La terra spariva e il cielo imponeva la sua presenza. Era uscita dal bosco e si trovava davanti ad un precipizio.
La presenza avanzava e il cuore di Denise cominciava a colmarsi di un senso di disperazione talmente grande, talmente opprimente, che le sembrò di non riuscire a respirare senza massacrarsi la gola.
Braccata da entrambi i lati le rimaneva solo una scelta.
Un urlo si levò nel cuore della notte mentre saltava giù dal precipizio e la mano fredda e sanguinosa di un uomo l'afferrava.
 
Johnny aprì gli occhi e scattò a sedere. Ansimava ed era sudato. Il letto era ridotto ad un copri-materasso umido e le coperte erano stese sul pavimento di parquet.
Disorientato guardò la stanza, come per assicurarsi di non trovare nessun albero o tronco. Nessun uomo e nessun precipizio. Era tutto in regola. La sicurezza della realtà lo circondava.
Ma il sogno gli si impose nella mente e nel cuore, tanto da farlo scoppiare in un pianto disperato.
-Johnny farai tardi a scuola !-
La voce triste e fredda della madre lo chiamava dal piano di sotto, probabilmente dalla cucina. Il ragazzo, asciugandosi le umide e salate lacrime dal volto leggermente addormentato, si guardò intorno e, facendo un grosso respiro, si costrinse a scendere dal letto e prepararsi per un altra giornata di tortura scolastica.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1

L’edificio del Preston High School si ergeva su una piazzola cementata adiacente ad una piccola strada. Tra studenti che si affrettavano ad entrare e chi stava comodamente seduto sui gradini che portavano all’entrata a parlare di questo o di quello, regnava il tipico caos scolastico. Quel giorno in particolare ,poi, l’avvenimento che aveva sconvolto la piccola cittadina di Brandony soltanto una settimana prima regnava sulla bocca di tutti e dava adito a continue chiacchiere sull’accaduto. L’aria era grave e qua e là si potevano vedere persone aggrapparsi disperatamente alle braccia dell’altro, in cerca di un conforto che un adolescente non è ancora in grado di dare. Uno dei volantini che delle ragazze stavano distribuendo all’entrata finì nelle mani di Johnny. Il ragazzo lanciò un’occhiata al foglio giallo e nero, fece un sorriso amaro e , appena non fu più in vista delle ragazze, lo buttò nel cestino più vicino. Non ne poteva davvero più. Veniva additato e guardato con compassione da gente di cui ignorava persino il nome. A poco a poco, la pietà padrona degli occhi delle persone che lo osservavano, lo stava stremando.
Johnny Terrence era forse il ragazzo più solitario della scuola. Alto e con capelli di un rosso appena accennato, portava i suoi 18 anni meravigliosamente. Il bell’aspetto e ragazzine che sussurravano civettuole al suo passaggio non gli mancavano, ma la sua timidezza e la sua aria misteriosa gli rendevano difficile farsi delle amicizie.
Denise Terrence,la classica ragazza che , seppur carina, passa inosservata quasi fosse invisibile, era ora la ragazza più famosa di tutta Brandony. I suoi capelli rossi e ricci che incorniciavano il suo volto pallido e lentigginoso, facevano contrasto sul giallo dei fogli attaccati ad ogni angolo della scuola . La scritta in nero stampata a caratteri cubitali diceva :

"VEGLIA PER DENISE TERRENCE
AMICA PERFETTA, STUDENTESSA AMMIREVOLE E VITTIMA INNOCENTE."

I giornali continuavano a stampare notizie circa il suo rapimento. Le foto della ragazza, che i genitori avevano messo a disposizione dei mass-media, erano diventate a tutti familiari.
Denise e Johnny furono privati dei loro nomi. Per tutti divennero semplicemente “la ragazza scomparsa” e “il fratello della ragazza scomparsa”.
Nulla di più. Solo due appellativi carichi di silenziosa commiserazione che scomparivano nel vento.
L’ipocrisia regnava sovrana.
Gente che non aveva mai rivolto parola alla sventurata, si costringeva ad un lutto disperato rubando le attenzioni a chi veramente ne aveva bisogno.Ragazzi che fino a qualche giorno prima si erano divertiti a beffeggiare “il fratello della ragazza scomparsa”, si fingevano ora il suo più grande amico, dando alle telecamere un misero teatrino da riprendere.
L’unica che sembrava impassibile, che non si sprecava a bagnare il suo volto, era colei che celava il più grande tormento nel cuore. La disperazione, seppur ben nascosta, urlava dagli occhi di Eleonore, la migliore amica di Denise. Dalla scomparsa dell’amica, si aggirava come un fantasma per i corridoi della scuola. Il passo leggero e lo sguardo perso erano chiari segnali che imponevano a tutti di starle alla larga. Poco a poco, Eleonore si ritrovò avvolta nella sua bolla personale. Sempre più fuori dal mondo e sempre più lontano dall’interesse altrui.
La campanella della prima ora suonò e i corridoi si svuotarono. Comodamente seduto al proprio banco, Johnny si imponeva di non pensare a Denise.
Si impegnava a seguire il complicato volo di una mosca. Si sforzava di seguire le parole dell’insegnante o di trovare interessante il libro di testo, ma niente sembrava funzionare. La sua mente correva da quella ragazza che cercava disperatamente di salvarsi. Si aggrappava a quel tentativo di fuga e sperava in un lieto fine. Ma dopo eccoli. Gli occhi di Denise. Blu come l’oceano e colmi di terrore sembravano invocare il suo aiuto. La disperazione in quello sguardo era tale che invase anche il suo cuore. Oppresso da quelle immagini, Johnny cominciò a sudare.
E per un attimo dimenticò l’aula, la professoressa che chiamava il suo nome, i compagni che lo fissavano. Si trovava davanti a Denise, con il bosco alle spalle. Riusciva quasi a sentire il freddo pungente della notte e il fiatone della sorella.
Lentamente si avvicina e le tende una mano. E poi ecco che Denise decide di saltare giù dal precipizio. Ecco la mano insanguinata di un uomo senza volto afferrarla.
-NO!- Johnny si alzò di scatto , battè le mani sul banco e di colpo si ricordò del posto in cui si trovava.
-Qualche problema Terrence?- chiese la professoressa con fare dolce.
Voltandosi, Johnny vide le mani dei suoi compagni cercare la bocca nell’inutile tentativo di soffocare una risata e lo sguardo apprensivo di Mark, suo unico e vero amico.
Tornando a fissare la professoressa, Johnny annuì.
Il volto pallido e sudato non servirono nel suo tentativo di eludere alla domanda.
-Solo- disse Johnny per rispondere allo sguardo interrogativo della professoressa. – Solo, posso andare in bagno?-
Al consenso dell’insegnante, il ragazzo si catapultò fuori dalla classe. E mentre si chiudeva la porta alle spalle, potè sentire chiaramente le risate sguaiate di alcuni suoi compagni e il seguente ammonimento del resto della classe.
-Mostratevi più sensibili, gli hanno appena rapito la sorella! Cafoni!-
Le lacrime cominciarono a imporre la loro presenza. Correndo verso il bagno, quasi non si accorse della ragazza che aveva fatto cadere. Si fermò, sussurrò un flebile “scusa” e continuò la sua corsa.
Davanti allo specchio si fece pietà. Pallido e in lacrime non sembrava nemmeno lui. Si sciacquò il viso, ma le lacrime non smettevano di scendere. Il pianto silenzioso divenne a singhiozzi e soffocati gemiti si sforzavano di uscire dalla sua bocca. Questa debolezza, però, non se la sarebbe concessa. Per un momento si pentì di esser tornato a seguire le lezioni. Dopo,però, le immagini della madre disperata e del padre seduto al buio nell’attesa di un qualche miracolo, lo fecero ricredere.
Ora Johnny non riusciva a pensare ad altro che al sogno. Perché non faceva altro che rivedere quelle scene ? Ogni notte, da tre giorni a questa parte. Ora la tragedia della ragazza scomparsa si era insediata nella sua mente, piantando radici talmente grandi da occupare ogni suo pensiero.
Gli occhi carichi di orrore della sorellina erano incisi nel suo cuore.
Il riflesso di una ragazza allo specchio lo fece sobbalzare.
Si girò e istintivamente si portò un braccio agli occhi. Asciugati dalle lacrime, si accorse che quella era la ragazza che aveva praticamente scagliato sul pavimento qualche minuto prima. Si accorse che quella ragazza era Eleonore.
L’aveva vista crescere al fianco della sua sorellina. L’aveva vista abbuffarsi di torta ai compleanni. L’aveva sentita ridere nel corso dei numerossissimi pigiama party che Denise era solita organizzare. L’aveva detestata per gran parte dell’infanzia e considerata una seccatura per il resto del tempo. L’aveva presa in giro chiamandola “ brutto anatroccolo” e avvilito nel momento della crescita rendendo i rapporti fra i due sempre più freddi e burrascosi.Ma ora doveva ammettere che non era più la bambina paffuta di un tempo. Anzi, si ritrovò a pensare che da vicino era ancora più bella. I capelli neri le ricadevano in ordinate ciocche sulle spalle. Lisci e luminosi donavano un’intensità ai suoi occhi verdi non comune a tutte le altre sedicenni . Il volto, tondo e brillante, presentava un candore innocente e qualche bollicina si poteva scorgere sul mento, quasi a dimostrare che anche lei era umana.
Inclinando la testa come era solita fare quando non capiva una cosa, Eleonore schiuse le labbra colorate di un rosa pallido.
-Tutto ok ?-
La voce era sottile e dolce, ma comunque distante
-Si.- rispose secco Johnny.
-A me non sembra.- ribattè fredda lei.
Rimasero in silenzio per un po’ ma ,dopo, lo sguardo di Johnny si posò su uno di quei volantini dedicati alla veglia di Denise. Gli occhi luminosi e pieni di gioia, il sorriso a trentadue denti, i capelli rossi scompigliati dal vento. Stonavano completamente con il tetro significato del foglio.
Eleonore se ne accorse.
-Tu ci vai ?- domandò al ragazzo.
-No, non credo-
Eleonore sorrise. –Nemmeno io.-
Quelle parole bastarono per cancellare l’imbarazzo di Johnny e riaccendere il suo interesse. La curiosità era da sempre il suo più grande difetto.
-E perché ? Sei la sua migliore amica, non hai motivo per non andarci.-
- E tu ? Sei solo il suo unico fratello, non hai motivo per non andarci!- ribattè sarcastica Eleonore mentre incrociava le braccia al petto.
Johnny ghignò rassegnato.
Guardò ancora una volta il volto sorridente della sorella stampato sul volantino. Si ricordava di quella foto.
All’epoca lui aveva solo 16 anni e Denise 14, ma aveva già l’aspetto di una sedicenne. Il sorriso che ostentava era di quelli che la ragazza regalava solo alla sua famiglia . La foto l’aveva scattata lui. Nessuno avrebbe mai detto che fino a qualche ora prima, Denise era stesa sul letto immersa in un mare di lacrime amare. Era stata lasciata dal suo primo fidanzato. Di comune accordo, il padre e Johnny caricarono Denise in macchina. La portarono sulle aride montagne appena fuori città. Il suo posto preferito. Iniziarono a camminare, esplorare, scalare. E man mano che salivano, il cuore di Denise diventava più leggero e gli occhi meno umidi, fino ad arrivare alla cima dove ogni traccia di rammarico era sparito. La ragazza guardò giù e poi si voltò sorridente verso gli unici due uomini che avrebbe mai amato nel corso della vita: il padre e il fratello. In quell’esatto istante, Johhny premette un pulsantino e l’obiettivo della fotocamera immortalò per sempre quel momento perfetto.
Fece per andarsene, ma mentre passava accanto ad Eleonore per tornare in classe, questa parlò.
-Non è morta.- Johnny si bloccò.- E’ per questo che non vado alla veglia. Lei non è morta.- continuò Eleonore.
-Come lo sai ?- Gli occhi di Johnny vedevano tutto ma non guardavano niente. Continuava a tenerli puntati verso il corridoio e a rivivere gli istanti di quel giorno alle montagne.
-Me lo sento.-
Eleonore si allontanò a passi leggeri. Silenziosa com’era venuta, ora se ne andava. Johnny rimase a guardarla interdetto. C’era un qualcosa di misterioso nei suoi movimenti lenti e leggeri, nei suoi occhi e nelle sue labbra.
Johnny non sapeva cosa fosse, ma sapeva una cosa:
Il soprannome “ Fantasma” di cui la ragazza era divenuta padrona era più che azzeccato.
***
L’aria era nuovamente carica delle chiacchiere degli studenti. L’intervallo era scattato, perfetta occasione per respirare tra una lezione e l’altra. Dopo l’incontro con Eleonore, l’idea di entrare in classe, sotto gli occhi di tutti e seguire un'altra interminabile lezione d’inglese, divenne per Johnny così pesante che decise di fare una passeggiata nel cortile.
-Ti sei beccato una nota, complimenti amico.- Disse Mark non appena Johnny mise piede in classe.
-Ah si?- rispose indifferente lui mentre si sedeva al banco e tirava fuori un libro.
Mark lo guardò attentamente. Nel corso degli anni era cambiato. Erano cambiati entrambi. Ma infondo è così che funziona quando cresci con una persona. Quando passi i tuoi primi 12 anni di vita assieme ad un amico, questo, inevitabilmente, diventa un fratello. E come tra fratelli, ci convivi. Convivi con i suoi difetti, con i suoi pregi. Convivi anche con i suoi cambiamenti, positivi o negativi che siano.
Sbottò e prese “Il ritratto di Dorian Grey” dalle mani dell’amico.
-Hey!- esclamò Johnny.
-Ok, che ti ha preso oggi ?- chiese Mark puntando i suoi occhi verdi nascosti da sottili lenti, in quelli castani e disorientati di Johnny. – All’ora d’inglese.- specificò.
-Niente.- sussurrò lui.
Mark prese la sedia più vicina e la posizionò vicino all’amico. Ci si sedette e cominciò a guardarlo intensamente.
-Ancora quel sogno?-
Johnny annuì.
-Perché?Cosa significa? - chiese pur sapendo che una risposta non c’era.
O che ancora non era stata trovata.
O che ,semplicemente, non c’era bisogno di cercarla:
Il legame fra fratello e sorella era più forte di quel che si potesse immaginare.

***

-Jay,Jay! Prendimi avanti!- urlava gioiosa una ragazzina mentre correva lontano da un bambino.
-Denise, fossi in te correrei più veloce!- gli rispondeva di rimando il bambino.
-Tu hai le gambe più lunghe, non vale!.- esclamò ridendo la bambina. Fermandosi, si appuntò una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio e adagiò le sue mani sui fianchi.
I boccoli disordinati, le guance lievemente arrossate dalla corsa e il luccichio negli occhi, la rendevano più viva che mai.
Il bambino raggiunse Denise e, fingendo di riprendere fiato, ringraziò la bambina per averlo aspettato, mostrandosi più stanco di quanto fosse in realtà.
Denise, intenerita da quell’immagine, si avvicinò al bambino e gli stampò un dolce e affettuoso bacio sulla guancia.
Johnny provò a mostrarsi infastidito, addirittura schifato. Ma l’unica espressione che si presentava sul suo viso, era quella di un’inimmaginabile tenerezza.
- Johnny,Denise, venite  a casa!- gridò dall’interno della casa la voce di una donna. – Dobbiamo andare dalla nonna!-
Johnny si voltò in direzione della casa, poi verso Denise e poi ancora verso la casa.
-Mocciosa. Disse il bambino mentre con una mano scompigliava la capigliatura di Denise – A chi arriva primo?- propose scattando immediatamente a correre alla volta della voce della mamma.

Johnny si svegliò nel buio della sua stanza. Guardò l’orologio che segnava le 3:03 di notte. Si adagiò nuovamente sul suo cuscino, si portò le calde coperte fin sopra al mento e si fece cullare da quel dolce ricordo conservato per molto tempo da un lucchetto nel suo cuore.

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Capitolo 3
*** Cap. 2 ***


CAPITOLO 2

Il fascio di luce che si riversò nella stanza fu talmente improvviso che svegliò Johnny dal suo tranquillo sonno.
Mugugnando qualcosa, si tirò le coperte fin sopra la testa che affondò nel morbido cuscino di piume.
-Alzati pigrone- disse la madre prendendo i due lembi delle coperte e tirandole verso di sé.
-…E’ sabato- ribattè debolmente Johnny.
-Devi dare ripetizioni a scuola, ricordi?-
La voce forzatamente allegra che la madre cercava di mantenere,lo convinsero ad alzarsi dal letto.
Erano passate due settimane dell’annuncio della scomparsa d Denise. Due settimane di incubi e ricerche. Nessuno aveva ancora perso la speranza, ma ogni giorno che passava, manentenere l’idea che Denise fosse ancora viva era più difficile. La madre di Denise e Johnny era una donna giovane, di una bellezza rara, di cui gran parte l’aveva donata a Denise. Suoi erano i capelli rossi e gli occhi azzurri, le lentiggini e i ricci. Ma da quando quella sera la figlia non era tornata a casa, i ricci erano meno vivi e meno rossi. Il volto stanco e pallido e gli occhi circondati da due prepotenti occhiaie.
-Usa la macchina. Le chiavi stanno sul mobiletto all’entrata.-
Era stata proprio la madre a convincere Johnny, qualche mese prima, ad aderire ad un’iniziativa della scuola che offriva ripetizioni a chi più ne aveva bisogno. Ora, a due settimane dall’accaduto, Johnny si rendeva conto di dover continuare con la sua vita. Riprese, quindi, il volontariato.
Prendendo le chiavi, uscì sul portico della casa e attraversò i gradini con un unico salto. Prima di mettere in moto, lanciò uno sguardo verso la dimora
Era una casa come tante. Due piani, persiane di legno blu scuro e facciata bianca. Il tetto, come tutte le case del quartiere, era spiovente e circondato da una grondaia.
Se non fosse stato per pochi piccoli dettagli, nessuno avrebbe mai detto che lì vivevano, oltre a Johnny, una donna distrutta  e un padre tormentato . Entrambi, da quel terribile giorno in cui invano aspettarono il ritorno della figlia, non avevano mai perso la speranza. Tenevano accesa ,ad ogni ora, una lanterna per far trovare alla loro bambina la strada di casa. Ma una volta arrivata la notte , la forza che animava gli abitanti di quella casa li abbandonava. Un giorno trascorso senza notizie riguardanti Denise rappresentava una profonda sconfitta e apriva continuamente nuovi squarci nel cuore.
Come al solito, una volante della polizia era parcheggiata nel vialetto della casa. Senza pensarci, Johnny si portò una mano sulla guancia e partì alla volta della scuola.
La strada che collegava casa sua con la Preston High School era tranquilla e avvolta dall’ombra degli alberi che costeggiavano i lati dell’asfalto. Il boschetto adiacente alla strada aveva da sempre affascinato tutti i bambini della zona ed era spesso luogo di incontri e passeggiate. Il viaggio, né eccessivamente beve né troppo lungo, era un’ ottima valvola di sfogo per Johnny. Staccare la spina per concentrarsi solo sui freni e sull’acceleratore erano per lui efficaci quanto – o quasi- lo erano il disegno e la musica.
La scuola, resa ancora più triste dal grigio delle mattine invernali, era deserta.
Setacciando ogni angolo dell’edificio, Johnny non riuscì a trovare la classe dove avrebbe dovuto fare da tutor a qualche primino bisognoso. Entrando in segreteria si costrinse a chiedere informazioni e con grande disgusto apprese che era in anticipo di quasi un’ora.
“ Fantastico..”
Facendo un grosso sospiro, Johnny fece i primi passi verso il cortile della scuola. In genere non amava quello spazio della struttura. In genere…
Non lo amava solamente quando incarti di dolci e pacchetti di patatine tappezzavano il manto d’erba. Quando non si riusciva a trovare un angolo libero e tranquillo neanche a pagarlo e , quando, l’aria era resa pesante dal fumo di sigarette e da imprecazioni e bestemmie di studenti non proprio delicati.
Ma il sabato mattina cambiava tutto. Gli addetti alla manutenzione del cortile svolgevano il loro lavoro ogni venerdì pomeriggio. L’aria era tranquilla e silenziosa e ogni posticino sembrava quello giusto. Johnny optò per una grossa radice di un albero ombroso. Appoggiando la schiena al tronco, alzò la testa al cielo. Prometteva pioggia. Sbuffando, avvicinò a sé la cartella buttata un po’ più lontano dalla radice. Prese il libro di matematica e la sua fidata matita. Iniziò, così, a preparare la lezione per il suo “alunno”, Fred.
Nonostante odiasse svegliarsi presto nei giorni liberi, amava istruire Fred. Conosceva solo lontanamente i problemi con cui quel ragazzino era costretto a vivere, ma quello che sapeva era sufficiente a fargli sentire l’esigenza di aiutarlo. Madre morta, padre depresso. Topaia come casa. Sapeva che il suo “aiuto” non era quello di cui Fred aveva più bisogno, ma era il minimo che potesse fare e, questo minimo, gli regalava una tale soddisfazione da far desiderare a Johnny di poterlo vedere anche il giorno dopo, nonostante fosse domenica.
Il sole era riuscito ad affacciarsi da una nuvola e il calore si irradiò persino nel posticino appartato in cui sedeva Johnny. Grato di quell’improvvisa luce, si mise a scarabocchiare qualche appunto sul libro per rendere a Fred i termini un po’ più comprensibili.
Concentrato più che mai, non c’è da biasimarlo se non si accorse dei leggeri e piccoli passi che Eleonore stava muovendo verso di lui. Infastidita dalla sua indifferenza come una bambina che cerca inutilmente le attenzioni della madre, incrociò le braccia al petto e guardò intensamente il ragazzo.
-Hey!- disse questo una volta alzato, finalmente, lo sguardo.
-Che ci fai qui?- “salutò” Eleonore.
Oggi era meno agghindata del solito. Evidentemente nel weekend abbandonava l’idea di apparire perfetta. Teneva i capelli neri legati in una coda bassa. Alcune ciocche sfuggivano, rendendola ancora più graziosa. Il trucco c’era, ma era sicuramente meno pesante del solito, e le bollicine sul mento spiccavano sul volto pallido della ragazza.
Nei suoi occhi Johnny riconobbe il terrore padrone di una bestia braccata. Una certa agitazione era celata nelle sue parole. A disagio, il ragazzo si guardò intorno. Non c’era quasi nessuno.
-I-io… faccio parte dei volontari per il recupero. Sai, i crediti…- si giustificò. – Qualche problema?- aggiunse con maggiore sicurezza.
-No, assolutamente- rispose distaccata Eleonore.
Un’ombra nei suoi occhi suggeriva il contrario.
Senza dire nulla, senza essere invitata ed ignorando l’occhiata perplessa che il ragazzo le stava lanciando, si sedette accanto a lui, facendo ben attenzione a non appoggiarsi sulla resina fresca.
-E tu perché sei qui?- domandò Johnny per interrompere quell’assordante e imbarazzante silenzio.
Un ghigno si dipinse sul volto di Eleonore mentre si incantava a fissare il vuoto.
-Mia madre e la psicologa che mi hanno affibbiato sono convinte che mi serva, come dire, un passatempo. Hanno paura che passi le mie giornate a letto o a fare qualche atto spropositato.- disse con relativa leggerezza.
-Ed hanno ragione ?-
Gli occhi verdi e freddi della ragazza incontrarono quelli scuri e profondi di Johnny.
-Probabilmente- rispose con un dolce sorriso.
Una campanella si sentì in lontananza. Eleonore si alzò lentamente e, dopo aver sgrullato il terriccio dai suoi jeans, fece per allontanarsi.
-E comunque datti una mossa. Non sei qui per dormire, Terrence!- la sua voce era tornata estremamente acida.
Era tornata la ragazza di un tempo.
La ragazza che scansava tutti, che girava sola per i corridoi.
La ragazza che, nonostante tutto e tutti, era rimasta sempre al fianco di Denise anche quando nella sua vita entravano e uscivano persone nuove.
Ed ora eccole lì, tutte quelle persone le cui vite, per un istante, avevano incrociato quella di Denise, e poi erano andati oltre. Ora eccole lì tutte quelle persone. Artefici di quei volantini che tappezzavano la scuola. Volti in “lacrime” ai telegiornali, fautori di un’ ipocrita disperazione. Cercatori di telecamere e mittenti di messaggi di cordoglio alla famiglia della giovane disgraziata.
Pian piano, anche Johnny si alzò e si avviò all’interno dell’edificio.
Le  classi ora ospitavano- anche se in quantità minima- bambini affiancati da studenti più grandi. Tornò in segreteria dove la signora con cui prima aveva parlato, si vide costretta a interrompere la sua più che costruttiva lettura di Ten Vogue. Più acidamente del dovuto, consegnò a Johnny il foglio dove si sarebbero dovuti riunire gli studenti. Tornando alla lettura della rivista congedò il ragazzo.
Johnny diede una rapida occhiata al foglio, in cerca del suo nome e di quello di Fred. Una volta trovato e aver visto la classe corrispondente si avviò alla volta di quest’ultima.
Scorrendo rapidamente le classi, camminava spedito nel silenzio del corridoio desolato. Avvolto nei suoi pensieri, si accingeva a raggiungere la sua classe, quando vide Eleonore uscirne. La ragazza non diede segno di averlo notato e così Johnny entrò indisturbato nell’aula.
A presiedere la cattedra era il professor Eric Norman, il docente più amato della scuola. Con i suoi pochi anni di esperienza e i suoi metodi giovanili era riuscito a conquistarsi la stima degli studenti e l’ammirazione delle studentesse. Persino Johnny non risultava indifferente alla simpatia del professore.
-‘Giorno prof. – salutò passando dalla cattedra per raggiungere il ragazzino che lo guardava sorridente dall’ultimo banco della stanza. Il professore lo salutò affabile con la mano e poi tornò alla lettura del giornale. Tanto avrebbe dovuto intervenire solo in casi di emergenza.
Le due ore previste per la lezione di Fred, come al solito, passarono veloci anche se non prive di difficoltà. Il ragazzino era contento di avere al suo fianco Johnny, ma odiava lo studio e la scuola. Odiava i professori e i compagni, le materie e i libri. Odiava tutto.  Anche senza conoscerlo, tutti si affrettavano a giudicarlo. Arrogandosi questo diritto dopo una prima occhiata, scambiata in corridoio, alla sua giacca di pelle nera o alla sua maglietta a teschio.  A lui era anche attribuita la fama di spacciatore, ma Johnny sapeva che non era possibile.  Il padre era depresso e alcolizzato, ma Fred non sarebbe mai stato capace di drogarsi.  Nei primi giorni dopo l’inizio delle indagini, fu persino interrogato dalla polizia e valutato come possibile colpevole. Fu subito scagionato, ma Johnny, visto e considerato che Fred e Denise erano compagni di classe, era sicuro che questo avesse lasciato un’ennesima cicatrice nel cuore del ragazzo.
Mentre Fred si impegnava a svolgere l’esercizio che Johnny gli aveva assegnato, questo si mise a leggere il foglio con gli orari e le classi, nel tentativo di riconoscere qualche nome a sé famigliare. Nessuno nella lettera A,B,C… arrivato alla “E”  cercò il nome di Eleonore. Il suo turno iniziava una volta finito quello di Johnny. Era arrivata con più di tre ore di anticipo.
Fatto strano, ma sicuramente non degno di nota, così Johnny spostò la sua attenzione nuovamente verso Fred,che aveva appena finito l’esercizio assegnato.
-Bel lavoro!- disse amichevolmente Johnny. Fred sorrise e fissò i suoi occhi scuri in quelli di Johnny. C’era un conflitto che lo tormentava, una domanda inespressa stampata sul suo sguardo: “ Glielo dico oppure no? “
Non ci fu motivo di formularla. Un leggero movimento, di quelli involontari e di cui difficilmente ci si accorge, bastò a sollevare quel tanto che bastava della manica della maglietta. Lividi violacei si intravedevano sul polso.
Johnny si accigliò e con fare tanto brusco quanto veloce afferrò il polso del ragazzo. Sollevò la manica e vide che il braccio era pieno di quei segni. Nuovi e freschi.
La consapevolezza di cosa comportasse assalì Johnny e gli strinse lo stomaco in due tenaglie. Gli venne da vomitare.
-Te li ha fatti lui ?!- chiese con un sussurro rauco e rabbioso. Fred ritrasse velocemente il braccio e lo coprì con la manica. Distolse lo sguardo puntandolo sul suo zaino adagiato lì a fianco.  Johnny si alzò e lo prese per le spalle, costringendolo a guardarlo.
- Te li ha fatti lui ?!- urlò. Fred annuì guardando il basso.
-Che succede qui?- chiese il professor Norman alzando gli occhi dal suo giornale. Johnny non rispose. Una nuvola di rabbia si impossessò di lui, travolgente come un fiume in piena, ribollente come un manto di lava. Afferrò nuovamente il polso del ragazzo e raccolse le sue cose.
- Vieni con me!- disse con fare deciso mentre si trascinava dietro il ragazzino confuso.Il professore li guardò allontanarsi per poi tornare al suo giornale. Si fidava di Johnny e sapeva che non avrebbe fatto nulla di male, o almeno, lo sperava.
Johnny  fece salire sull’auto Fred . Una volta assicuratosi che la cintura fosse allacciata, partì a folle.
-Dove stiamo andando?- chiese Fred leggermente allarmato.
-Andiamo a casa tua, prendiamo le tue cose. Vieni a stare da me- rispose Johnny senza staccare gli occhi dalla strada.
Un raggio di sole scaldò il cuore di Fred. Una nuova speranza si estese nella sua mente,ma subito il terrore del padre la cancellò.
-No! Se andiamo lì mentre è ... “nel suo stato” ti ucciderà!- disse mentre provava ad afferrare il volante.
L’auto sbandò e Johnny fu costretto ad accostarsi al lato della strada.
Inspirò ed espirò profondamente. – Ascoltami Fred.- disse puntando i suoi occhi in quelli del ragazzino e prendendo nuovamente le sue spalle, questa volta con fare dolce e protettivo. – Non puoi continuare ad andare avanti così.Vivi rischiando di farti ammazzare. Tutti questi lividi che hai...non ha alcun diritto di farteli! Quindi o te ne vai da quella casa o lo faccio arrestare, e non penso sia quello che un ragazzo desidera per suo padre. Ascoltami bene. So che è difficile, e so che fa paura, ma è meglio per tutti. Tuo padre...lui lo manderemo in una clinica dove la gente gli presterà le cure che merita e a te ci penserò io, intesi ? –
Gratitudine. Era quel che si leggeva negli occhi lucidi di Fred. Il ragazzo annuì, sorridendo. Johnny si rimise sulla strada e continuò il suo cammino.
Arrivò ed entrò come un razzo nella casa di Fred. Arrivato nella sua stanza, aiutò il ragazzo a fare le valige il più velocemente possibile. La casa era silenziosa e buia. L’odore di chiuso impregnava le pareti e il soffitto, le cui travi erano fradice, sembrava cadere a pezzi. La polvere ricopriva gran parte dei mobili, segno di un lento e progressivo degrado.
-Preso tutto?- sussurrò Johnny a Fred.
-Si.- rispose di rimando quest’ultimo.
Stavano per uscire dalla stanza, quando un rumore di un vetro rotto li fece sobbalzare.  Si guardarono, Fred era terrorizzato e Johnny si portò un dito sulla bocca. –Sssh. Resta qui, vado io-
Il ragazzo scese lentamente le scale, guardingo. La puzza di sudicio e di alcool era più intensa di prima. Scendendo ancora qualche gradino, Johnny vide un uomo barcollare all’ingresso. I vestiti erano macchiati e stropicciati e la mano destra teneva il collo di una bottiglia mezza vuota. Il braccio si mosse e portò la bottiglia alla bocca. L’uomo trangugiò un bel sorso del liquido giallognolo prima di accorgersi di Johnny.
-Signore..- disse questo. – Sono venuto a prendere le cose di suo figlio, vorrei ospitarlo per qualche giorno se non le dispiace.-
L’uomo smise per un istante di barcollare, poi portò la mano che arreggeva la bottiglia in alto e indicò il ragazzo.
-Io lo so chi sei- disse,pronunciando quelle parole con estrema lentezza, cercando il modo di creare una frase di senso compiuto.- Sei il...il fratello di quella ragazzina sco..scomparsa..- continuò. – Come stanno mamma e papà ? –
Johnny serrò i pugni mentre la rabbia e la nausea comincavano a salire. Dilatò le radici e si costrinse a prendere fiato.
-Dov’è il moccioso ?- chiese l’uomo guardandosi intorno.
- Suo figlio- disse- Sta preparando la sua roba. Gliel’ho detto, verrà a stare da me per qualche tempo.-
- Lui non lascerà questa casa, te lo puoi scordare donnicciola!- urlò il padre di Fred.
Johnny scese le scale e si avvicinò a quello che nessuno oserebbe chiamre “ uomo”. In quel momento sembrava più un maiale sudicio che si crogiolava nel fango.
-Mi ascolti bene, Fred viene via con me, altrimenti giuro che la denuncio !- sbottò il ragazzo.
L’uomo fece cadere l’ultima bottiglia che gli era rimasta. Il liquido avanzato bagnò l’unta moquette.
-Chi diavolo credi di essere mocciosetto?!-  L’alito era pestinenziale, ma Johnny non si mosse da lì.
Fred, nel frattempo, era uscito dalla stanza e stava ora immobile sulle scale. Il cappuccio della felpa nera era calato di lato e lo sguardo supplichevole era fissato sul volto del padre.
-Papà..- sussurrò abbastanza forte da far girare Johnny.
Bastò questo. Bastò una piccola distrazione per far scoppiare il putiferio. L’uomo saltò addosso a Johnny e iniziò a riempire la sua faccia di pugni. Iniziò una zuffa sotto gli occhi sconvolti del ragazzino. Johnny si mise a cavalcioni sull’uomo steso a terra, bloccandogli il collo con entrambe le mani.
-Corri in auto!- gridò a Fred che raccolse i borsoni e corse all’esterno della casa.
La forza che le mani esercitavano sull’uomo era sempre più grande. La rabbia velò gli occhi di Johnny facendogli perdere il contatto con la realtà. Poi, la voce dell’uomo lo riportò in sè.
-D’accordo- disse con la poca voce rimasta – D’accordo portalo via, tanto non me ne frega nulla di lui!-
Johnny lo guardò schifato. Si alzò e si diresse fuori dalla casa. Aveva già attraversato metà del vialetto quando la voce dell’uomo, che era riuscito ad alzarsi, lo raggiunse.
-E salutami la tua sorellina!- ghignò malvagio e ubriaco.
Johnny si bloccò, si voltò e tornò sui suoi passi. Arrivato di fronte all’uomo, non ci pensò due volte prima di dargli un pugno talmente forte, talmente violento, da stenderlo a terra.
Corse in macchina e mentre metteva in moto una nuova certezza, terribile e atroce ,si insinuò nella sua mente:
Quell’uomo aveva fatto qualcosa a sua sorella.

 

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