L'amante

di V a l y
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


C'era come qualcosa di differente. I ragazzi del gruppo lo percepivano, ma nonostante i loro sforzi non riuscivano a portare questa intuizione ad una ragione più consistente. Forse era l'atmosfera del locale dove adesso si trovavano, che contrastava con quella esterna. Possibile. Probabile.
Era una giornata che splendeva in un sole di mezzogiorno che accoglieva caloroso tutto il paese di Wutai; neppure una nuvola dissacrava quel benevolo torpore. La grande stella si manifestava nella sua immensità nel periodo più grato dell'anno: la primavera era alle soglie, i boccioli cominciavano a fiorire sugli alberi, i volatili regalavano sinfonie a chiunque potesse avere orecchie per udirle; non era solo la natura a sollazzarsi per la benigna giornata, perché anche gli uomini si godevano il momento abbandonandosi nell'ozio. Ma la combriccola era voluta scappare dal dono del creato, rifugiandosi in una locanda buia e opprimente come una caverna. Non c'era niente che illuminava lo stretto luogo, tranne qualche fioca luce di candela posata sui tavoli bassi che danzava come una ballerina del ventre davanti agli occhi di tutti, dando a questi la sensazione stessa che le persone che avevano intorno danzassero al medesimo modo.
Era l'ambiente di quella locanda a rendere diverso quel qualcosa che apparteneva a tutti loro. Possibile. Probabile.
Ma non bastava.
E in men che non si dica, si era staccata da loro la causa di tutto quel frastornamento collettivo.
Yuffie si alzò dal cuscino su cui era seduta, avviandosi verso il muro che avevano davanti. Si fermò, voltandosi verso i compagni, permanendo eretta.
Ormai tutti sentivano di rasentare quel malefico motivo che non voleva essere capito.
Forse era l'aria calma, stranamente e troppo calma della loro amica ninja. Era un sorriso che non sembrava più appartenere a lei; un arriso lieve e fuggevole che non aveva nulla di infantile. Era la sua bocca di rosa, e la medesima tonalità sulle guance, che le coloravano dolcemente la carnagione chiarissima. Qualcosa era diverso, qualcosa era cambiato.
“Vi ho chiamato qui perché avevo tantissima voglia di vedervi, ma questo non è l'unico motivo...”
Persino la sua voce pareva differente. Ognuno di quei vecchi eroi che avevano salvato il mondo rizzò le orecchie come felini. Fare della suspense non era cosa che riusciva bene a una come Yuffie, un tipo di persona che quando voleva dire qualcosa la diceva subito e in fretta, qualunque cosa fosse stata. Eppure in quel momento le riusciva dannatamente bene. Altro elemento che stonava un po' con l'insieme...
“E' un po' strano da dire...”
Giocherellava nervosamente con le dita, guardava il pavimento sotto i suoi piedi. E le guance, di nuovo, presero un colore più vistoso, quasi simile a quello delle fragole.
“Ehi, piccola ninja, velocizzati che qui si fa sera!” ironizzò sguaiatamente Cid, facendo uscire dalle labbra, insieme alle sue parole, boccate di denso fumo del suo sigaro preferito, da cui mai si staccava. Qualcosa che era rimasto invariato, dunque, esisteva ancora...
“Silenzio, bestia!” replicò repentina la ragazza dal capello corto, una smorfia infastidita sul suo volto colorato di rosa. “Non è certo notizia che si dà così, su due piedi!”
“E quale notizia potrà mai essere?”
Stavolta a parlare era stato Barret. Sempre allo stesso modo sarcastico dell'amico fumatore.
“Vuoi per caso dirci che hai deciso di non fare più la ladruncola?! E' questa la strabiliante notizia, vero?!”
Di nuovo Cid. Quei due si trovavano molto bene insieme quando discorrevano: due scimmie con il medesimo tatto di elefante. Quando poi il loro argomento era Yuffie, oh be'... parevano quasi il cane e il suo padrone, da quanto concordavano su ogni cosa. Spesso a sfavore della povera ninja.
“No, scemo!” controbatté la giovane portando le braccia conserte. Eppure il suo broncio non era come quello di una bambina, come soleva sempre essere. Avrebbe continuato ad inveire contro il padrone dell'Highwind, ma optò per una scelta più matura: di rimanere cheta e contare mentalmente qualche secondo per calmarsi. Era seria come solo Cloud, Nanaki e Vincent potevano arrivare ad essere.
Sempre più diversa, sempre più strana.
Questa visione che avevano gli altri era così tangibile che quasi credevano di non avere una Yuffie davanti a loro, ma una sconosciuta appena familiare alla loro amica. Lei fece un movimento involontariamente aggraziato, portandosi la mano sulla bocca di rosa, con l'intenzione di mangiarsi le unghie per aiutarla a sopportare il silenzio oneroso dei ragazzi seduti al tavolo. Solo che quando dischiuse le labbra, queste non vennero usate per quel compito poco educato.
“Tra qualche giorno mi sposerò.”
La frase era stata leggera come il fruscio di un vestito che andava a sbattersi contro un altro, la mano ora non si posava più sulle labbra ma nascondeva una gota imbarazzata, un sorriso innocente e vergognoso per la notizia appena detta. Tutto questo accadde nel silenzio soffocante dei suoi amici, che increduli non sapevano cos'altro fare oltre che sgranare gli occhi e permanere immobili come statue di pietra.
Tifa era stata la prima a reagire, probabilmente per quella discrezione femminile che solo lei rispetto ai restanti maschili della combriccola poteva avere. Si alzò lenta e timorosa, e forse era vero o forse era solo l'effetto ottico che davano le luci delle candele, ma a Yuffie parve che mentre avanzava avesse barcollato.
Ed era sempre stata Tifa a cogliere l'irraggiungibile perché di tutta quella strana atmosfera di differenze, quando carezzò la testa dell'amica con la dolcezza di una madre, e la scrutò attentamente negli occhi. E poi sorrise; sorrise teneramente.
“Ma guarda... sei diventata una donna...”
La ragazza dagli occhi di rubino quasi non si commosse per quella constatazione. Abbracciò Yuffie con un'intensità quasi soffocante; per la piccola ninja quell'intensità era solo piacevole. Si aggrappò alla compagna dalla chioma lunga con la stessa foga. I restanti si avviarono con passo lento verso colei che aveva appena varcato il confine del mondo giovane per entrare in quello adulto, per augurarle, sempre ancora un po' impacciati, ogni felicitazione.
Yuffie stessa si accorse di essere diversa, solo quando scoprì di stare piangendo di gioia.
























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Hola a tutti ^^ Questa è la mia prima fanfiction a capitoli su Final Fantasy, dedicata ad una coppia che ho adorato col cuore già nel lontano '99, quando giocavo a FF7 e quando ancora non sapevo che data accoppiata piacesse un sacco alla gente (e io che credevo di essere l'unica! xD). Ma accorgendomi che qui su EFP ci sono un sacco di Yuffientine, be'... ne scrivo una e ne leggerò altre cento! E sinceramente non vedo l'ora! *_*
Il prologo è un po' corto, ma i capitoli saranno più lunghi... spero di avervi accesso un po' di curiosità! :P
Commenti, consigli e tutto son sempre ben accetti! ^^


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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


La luna, quella sera, era così intensa che il suo riverbero sui piccoli stagni di piantagioni era addirittura più splendente di quello di un sole. In quel terriccio agricolo e scabroso viaggiavano a piedi – girando attorno per avere come unica meta il solo passo avanti a loro, in un cerchio infinito – la compagnia degli otto eroi. Nessuno di essi si muoveva seguendo il termine esatto di passeggiata, poiché sarebbe stato più giusto descriverla come l'arrancata di un branco di predatori stanchi e affamati. Non perché lo fossero realmente: questo scombussolamento di equilibri era dovuto in seguito all'inaspettata novità da parte di Yuffie e, oltre a ciò, a qualche alzata di gomito per festeggiare l'avvenimento. Più a causa di quest'ultima ragione che quella precedente.
Tenevano compagnia a quelle forme antropomorfe più simili a bestie che uomini il manto di un cielo schiarito dalla luna che formava un sorriso – adatto più che mai allo stato d'animo collettivo di quel momento – e le sue stelle, e le lucciole che parevano la proiezione di queste ultime in forma animale. Il rumore perpetuo e ritmato di una canna di bambù movibile che andava a cozzarsi su una roccia, spinta dalla pressione di una fontana – un tipo di dinamico decoro che solevano avere tutti i giardini di Wutai con laghetto – era l'unico suono udibile dell'ambiente, assieme agli stramazzi felici della combriccola.
Una persona tra quegli otto manteneva in mano una bottiglia di sake, che poi veniva passata a quello vicino e a sua volta a quello ancora vicino, sino a tornare al punto di partenza. Con l'unica differenza di essere sempre più leggera a ogni giro che faceva.
Cid era così ubriaco che anche se l'orgoglio in una condizione sobria non glielo avrebbe permesso, diede dimostrazione di curiosità nei confronti dell'amica ninja. Le chiese, con l'angolo dell'occhio che brillava di interesse ed ebbrezza, che tipo fosse questo suo futuro marito. Yuffie rise, con la bottiglia di sake che le copriva il viso.
“E' un tipo per bene,” disse. “Un uomo serio, diligente ed adulto.”
Tifa Lockheart, proprio la più composta di tutti, domandò qualcosa di molto sfacciato:
“E' un bell'uomo?”
E sorrise di malizia, un'inclinazione che le era sempre rimasta nascosta. Yuffie rispose allo sguardo dell'amica con uno colmo della stessa poderosa eloquenza.
“E' più grande di me, ma è un uomo ancora molto affascinante.”
“Insomma come me!” esordì Barret, rubando la bottiglia semi vuota dalle mani Yuffie. Questo fece scaturire una rara e forte risata di Cloud, che si mantenne uno stomaco dolente per la contrazione muscolare. L'omone gigante, vedendolo, tradusse gli sghignazzi in un modo del tutto originale.
“Ehi biondo, non te la ridere così! Capisco bene che la cosa sa di barzelletta, perché nessuno può essere bello quanto me, ma esageri con i complimenti! E' vero che solo io sono affascinante quanto me!” si corresse il Wallace, rigurgitando parole ubriache allo stesso modo degli altri. Cloud si accasciò a terra con le lacrime agli occhi; Red XIII lo seguì senza neppure accorgersene. Così anche Barret, senza saperne la ragione, si aggregò al duo.
L'alcol è birichino, e può proprio far fare di tutto.
Quando quel liquido monello, man mano, cominciò a dileguarsi dal corpo degli otto, le risa si smorzarono, gli affanni si calmarono, le gambe si indurirono, la ragione ricominciò a prendere il sopravvento. Si stesero disordinatamente sulla strada di terra, nell'oscurità quasi totale, coperti dalle fronde di un albero che non permetteva il filtrare di alcun raggio luminoso della povera luna. Chiusero gli occhi, stanchi e spossati; alcuni di loro quasi non cominciarono davvero a dormire.
Davanti ad essi anche le lucciole stavano man mano spegnendosi, e il rumore del bambù che cozzava sulla pietra diventava sempre più assordante, e sempre più solitario. Tifa avvicinò la mano a quella di Yuffie, e gliela posò sul dorso. La Kisaragi aprì gli occhi, mandando lo sguardo sopra di sé, sulla fronda che veniva scossa da un tiepido e leggero vento primaverile, che suonava una musica di natura simile ad un'aria di violini. Non si guardavano, ma percepivano l'una la veglia dell'altra.
“Yuffie...” sussurrò la combattente di arti marziali, sommessamente. “Solo una cosa mi basta sapere, una soltanto...”
La ninja aspettò soltanto in silenzio che la compagna continuasse la sua frase.
“Sei felice, vero?”
Yuffie si voltò verso l'amica, arridendo teneramente. Bastò come risposta. La donna dalla chioma lunga e fluente le ricambiò benevolmente il sorriso.
Nessuno, dopo quel momento, le chiese altro.

Silenziosamente, uno alla volta si era defilato dall'albero sotto il quale si erano sdraiati, salutando il vicino compagno augurandogli una buona notte, certamente non tanto buona, visto il poderoso mal di testa che si sarebbero trovati il giorno seguente. Ma per abitudine e buona educazione, l'augurio venne ripetuto, sino al penultimo della banda. Red XIII mosse con il musetto rosso la spalla di Yuffie, destandola dolcemente. Le disse che era tardi, che tutti erano già andati, che stava andandosene anche lui.
“Resto un altro poco ancora qui...” si concesse la ninja, assonnatamente.
“Non fare tardi,” le consigliò premurosamente il quadrupede della comitiva, illuminandole il volto per appena una frazione di secondo con la coda fiammante, e allontanando l'infuocata luce – visto da lontano pareva quasi un fuoco fatuo – con l'allontanarsi stesso dell'animale parlante.
Yuffie era rimasta sola, insieme alle sue stelle, la sua luna sorridente e il rumore ritmico e continuato del bambù del giardino dell'abitante vicino.
Le lucciole. Già, c'erano anche le lucciole. Portò gli occhi sui magnifici insetti e trovò assieme a loro anche la figura alta e slanciata di un uomo che viveva sempre nell'ombra. Ed era quella condizione di oscurità che faceva come parte stessa dell'uomo, data la personalità che si trovava. Misterioso, obliato, arcano, impenetrabile. Ma soprattutto dannatamente silenzioso. Yuffie credeva che se ne fosse andato anche lui.
“Vincent!” lo chiamò, sorpresa. L'ombra riconosciuta si girò a guardarla. Non rispose, com'era logico che fosse, dato il suo essere solitario e di poche parole. Yuffie, ben sapendo che la discussione sarebbe cominciata e finita lì, decise allora di non proferire ulteriormente verbo. Adocchiò poco distante dai suoi piedi la bottiglia di sake vuota per metà, e l'afferrò con palese piacere. Quindi ne sorseggiò un po'.
“Forse è meglio se non esageri.” L'ombra aveva parlato. La ragazza smise un attimo di bere solo per poter dire:
“Non parli mai e quando lo fai lo fai sempre a sproposito!” e ricominciò la sua bramata tracannata d'alcol, portando la bottiglia da orizzontale a verticale, perché con la posizione precedente il sake non usciva più. Vincent se ne disinteressò completamente, ritornando a guardare le lucciole che come stelle e come comete si accalcavano sul piccolo laghetto stagnante, e si posavano sui giunchi attorno ad esso. A Vincent piacevano quei fulgidi, piccoli insetti dalla corta vita, bella in ogni attimo sebbene breve. Era affascinato. Affascinato perché le ammirava e rapito perché le invidiava. D'altronde, è così sottile il confine tra ammirazione ed invidia, proprio come quello tra l'odio e l'amore. Le contemplava rievocando con loro la sua vita passata, di amore e di odio, e di un'esistenza lunga ma fittizia, trascorsa nella tenebrosità di una bara.
Un risolino alle sue spalle lo deconcentrò. Si voltò a guardare la compagna ancora seduta sul terriccio, nuovamente vittima del famelico alcol.
“Io te l'avevo detto,” disse soltanto.
“Detto cosa?” chiese gaia la ragazza alticcia, sorridendo bonariamente e, soprattutto, senza motivo. Lui tacque; lasciò di nuovo perdere ogni possibile dialogo come fece in precedenza la ninja. Questa, per il disinteressamento dell'altro, mise un grosso broncio in faccia. Quindi gattonò – no, non camminò: troppo instabile di equilibrio per poterlo fare – verso un piccolo Budda posto sul lato sinistro del viottolo lubrico, e cominciò a discorrerci, come fosse una persona vera. Infastidì involontariamente l'intento mistico del uomo dal lungo mantello scarlatto. Non poté non domandare, denotando un eloquente tono di infastidimento:
“Che cosa stai facendo?”
“Chiacchiero, no?” rispose con normalità la giovane. “Chiacchiero con qualcuno con cui potrei avere un dialogo molto più interessante che con te!” e rise sguaiatamente, asciugandosi le lacrime, agitando in modo convulsivo le gambe sul terriccio, e regalando pacche amichevoli all'inanimata statua di pietra che aveva davanti.
“Stai proprio messa male...” giudicò con arguta sincerità Vincent. Mormorò appena, e non fu sentito. Persino il vento aveva un bisbiglio più forte del suo tono di voce. Si appropinquò lentamente a Yuffie e le strappò dalle mani un po' a malo modo la bottiglia di sake. La ragazza cominciò a frignare beceramente, cercando di raggiungere invano l'ombra dal mantello rosso, che si allontanava sempre più. Invano perché a ogni passo la posseditrice di tecniche ninja smorzava tutte le abilità della sua arte marziale incespicando da sola. Alcol... dispettosissimo finto amico alcol!
“Dammi la bottiglia!” strillava incavolata nera come l'ombra che aveva davanti l'abitante di Wutai. Pure la bocca e le parole, da quanto era ubriaca, le pesavano come le gambe. Vincent, con un solo, secco, brutalissimo gesto – agli occhi della compagna ubriaca – roteò il collo della bottiglia verso il basso, così da far fuoriuscire tutto il liquido trasparente del sake. Yuffie fece uscire l'urlo più disumano e disperato che avesse mai fatto. Si accasciò prona sulla terra polverosa. Piagnucolò.
“Non è giusto!”
Vincent sbuffò, stanco di quelle deliranti manifestazioni ebbre dell'amica ninja. L'agguantò per la spalla, sollevandola lentamente.
“Andiamo,” la incitò con la voce, assieme alla morsa della mano su di lei.
“Non è giusto...” ripeté nuovamente Yuffie. Ma non lo disse allo stesso tono lamentoso precedente. Il ragazzo l'alzò totalmente da terra, mantenendola salda, così da non farla vacillare su se stessa e inciampare di nuovo a terra.
“Sei solo ubriaca,” le fece notare il compagno atono.
“No, non cambierà niente se sono ubriaca!” urlò la ragazza, e si staccò brutalmente dalla presa di Vincent. Era ferma perché non si muoveva di un passo, ma non lo era letteralmente: traballava sul posto, oscillando a destra e a manca in maniera lenta e quasi ipnotica, come un serpente che ballava nel cesto di un suo incantatore.
“Non cambierà il fatto che sono la figlia di Godo!”
Urlò con un acuto quasi dissonante, come se l'incantatore avesse stonato con il suo flauto.
“Non cambierà il fatto che sono stata promessa!”
L'uomo dalla mano d'artiglio deglutì alla vista di lacrime. Non erano le lacrime gioiose di quel pomeriggio, all'abbraccio di ognuno, e neppure quelle frignanti di appena qualche minuto fa, per il suo sake bevuto dal terreno. Lei stava piangendo di una disperazione vera che neppure l'alcol avrebbe potuto guarire, ma solo fare uscire. Si coprì il volto con ambedue le mani, gocce di pioggia – così sembrava – durante una forte alluvione le bagnavano il viso. Il volto distrutto di qualcuno che da troppo stava soffrendo in silenzio.
“Neppure lo conosco quest'uomo! Come faccio a sposare qualcuno che neanche conosco, se non soltanto di vista?! No...”
Reclinò il capo verso il basso, vergognosamente, abbandonata, stanca. “Neppure mi ricordo il volto di questa persona...”
Lo disse con un irriso in volto, lo stesso di un pazzo che si accorge della sua pazzia. Vincent permaneva austero e silenzioso mentre l'ascoltava. In ogni caso non avrebbe potuto dire niente, e certamente non nello stato in cui si trovava lei.
“Vincent, non voglio sposarmi!” implorò, forse con la vana speranza di poter rimediare chiedendo un consenso a lui. Si aggrappò al suo mantello, per sostenere un corpo martoriato nel fisico e nell'anima. Cadde, addossata all'ombra che aveva davanti, e fu presa repentinamente da lui, che la mantenne per le spalle. E chiuse gli occhi, perché le lacrime ne avevano appesantito le palpebre.
L'alcol lasciò il posto alla quiescenza, e la piccola donna si lasciò catturare dal torpore del sonno. Si addormentò tra le braccia dell'uomo.
Vincent la guardò commiserevolmente, una mano sulla sua guancia rossa e sulla sua bocca di rosa. Era diventata una donna nel sopportare ogni cosa e restare tacita. Aveva varcato solo la parte sgradevole del mondo adulto.
Non lasciò che altri pensieri ancora gli affollassero la testa, e silenzioso e vuoto come sempre si mise sulle spalle la ragazza e l'accompagnò a casa.
























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Be'... avevo promesso un capitolo più lungo... ma non è che sia effettivamente granché lungo, guardandolo di per sé! xD
@Yuffie18: grazie! *_*
@Geko93: La tua recensione piena di entusiasmo mi ha commosso... ç_ç E' lo spirito Yuffientine, eh? XD Ti ringrazio tantissimo! Ho visto che anche te hai scritto qualche fanfiction di questa coppia... una l'ho letta solo per metà, ma tra poco finirò il lavoro! ** (Ho anche aggiornato abbastanza in fretta, visto? :P)
@Dastrea: questo capitolo a ben spiegato che non è granché positivo il fatto che si sposi! XD Grazie della recensione e felice che la storia per ora ti piaccia! ^^ (anche tu scrittrice Yuffientine! xD)
@vinnie_pooh: Grazie ** Un'altra ancora! Un'altra scrittrice Yuffientine! Oh! *_* la stessa cosa che vale per Geko93 la dico anche a te! xD
@Tifa: Figlia... oh... non aspettavo anche una tua visitina... *commossa* ç_ç che carina, grazie!! >*<

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Il mattino ha l'oro in bocca: così dice il proverbio. Ma il mattino che era arrivato a Yuffie era tutto fuorché con l'oro in bocca, per tre principali motivi: il primo e più ovvio di tutti per il cielo oltre la finestra con le sbarre, che era stato minacciosamente saturato dalle nubi, presagio di pioggia e nuvolosità; il secondo, più assurdo ma più letterale, perché la ninja non avrebbe mai potuto vedere nessun oro in bocca di nessuno – a malapena ne scovava qualche residuo nelle tasche di qualche sfortunato che si era imbattuto nella sua predona strada – e tanto meno lo avrebbe trovato nella bocca di un mattino. Ora che ci pensava, Yuffie non aveva mai visto in vita sua neppure la bocca di un mattino...
Il terzo ed ultimo motivo era che non c'era nulla di tanto splendente in quel suo mattino, anche se fosse stato il più solare e bello di tutti, per colpa di un'emicrania che aveva deciso di tamburellarle aggressiva la testa.
Non sarebbe stato in ogni caso un mattino con l'oro in bocca, ma il mattino di quel momento ne era senz'altro uno con al massimo del fango in bocca, e nulla più.
Scostò le coperte del futon e si mise con la schiena eretta, seduta a gambe incrociate, mantenendosi con entrambe le mani la sofferente testa martellata da mazze immaginarie. Protestò per far cessare il casino che aveva nel cervello, ma ovviamente non bastò per far cambiare la situazione.
“Perché questo fastidioso mal di testa?”
Ottima domanda. Piagnucolante, dolorosa, ma pur sempre giusta. Non rammentava nulla oltre i suoi sette amici che erano andati a trovarla il giorno precedente e la notizia che aveva da dichiarare a loro. Per il resto esisteva solo oblio totale, ma qualche frammento di memoria ancora dimorava nella sua testolina, come la frescura di una sera e il bagliore di una luna a spicco, il chiasso di una comitiva e, infine, una bottiglia...
Ricordò di essersi ubriacata.
Pensare troppo le affliggeva ancor più dolore, e quindi chiuse forzatamente gli occhi, per poter meglio sopportare l'emicrania; ma uno di loro, uno un po' più stravagante, aveva voluto aprirsi. E si accorse che oltre a essere un mattino col fango in bocca, oltre la sua piccola memoria perduta, oltre il tormentoso mal di testa, c'era ancora qualcos'altro che discordava malamente con i suoi soliti risvegli. Il colore delle pareti, il legno poco levigato; quella non era certo la sua stanza.
E solo a quest'ultima sciagura decise di cominciare seriamente a preoccuparsi.
Si alzò con scatto quasi felino, si appropinquò ad un vecchio mobile consunto e afferrò come momentaneo prototipo di arma una piccola statua di porcellana. Bella mossa, davvero. Un'eccellente ed intelligente tecnica ninja: aspettare il nemico e prenderlo alla sprovvista. Se suo padre fosse stato presente si sarebbe senz'altro complimentato con lei. Dapprima la ragazza considerò tra sé e sé un: “Che peccato!”, poi ritirò quel pensiero ribaltandolo a un: “Che fortuna!” per una grossa gaffe che aveva appena fatto: il detto nemico la stava osservando già da molto, seminascosto dalla porta scorrevole aperta per metà. Fortuna che non era un vero nemico, altrimenti a quest'ora sarebbe già stata colpita e riversa sul pavimento.
Solo una persona poteva restare così in silenzio senza che neppure una ninja come Yuffie riuscisse a sentirlo.
“Vincent!” urlò sorpresa ed imbarazzata, rimettendo vergognosamente al suo posto la statuina di porcellana. “Che... posto è questo?” chiese titubante, cercando con quella domanda ulteriori quesiti sottintesi, come perché era lì, cosa ci faceva e come ci era arrivata. Il vampiro rispose soltanto all'ultima delle tre domande:
“Questa è la stanza della locanda in cui alloggio, e ti ci ho portato io qui.”
La ragazza lo guardò stranita e cheta, dando segno di non aver comunque ben compreso.
“Tu... non ricordi nulla?” le chiese allora il Valentine, il volto austero come al suo solito e la voce – contraddittoriamente – flebile. La ninja se ne disinteressò, mutando la sua aria da confusa a salottiera.
“Pazienza, non avrò senz'altro fatto nulla di male a parte dire qualche parolaccia o frase senza senso!”
Furba, la ragazza. A discapito della sicurezza che si era dipinta in faccia, il tenebroso che aveva davanti si era accorto subito del tranello, messo in atto per far sì di avere, involontariamente e senza bisogno di domande, una risposta rapida e che le avrebbe levato ogni dubbio. Yuffie era troppo orgogliosa per mostrare agli altri della confusione.
Una volpe; lei era una piccola volpe dal capello corto e corvino e vestita come un uomo, ma di una padronanza di furbizia che solo l'animale rosso poteva possedere al pari. Lo era sempre stata. Ma chissà come Vincent vide in quella scaltrezza la stessa che non era di una volpe e neppure di Yuffie, ma di una donna. Un'astuzia più felina, più calcolata; più piccante.
Lo era diventata con naturalezza o era stata forzata?
Si ricordò del pianto di quella notte, e la risposta gli venne quasi naturale...
“Sì, all'incirca.”
Le disse tutto e le disse niente, per risponderle con la rapidità che lei cercava e allo stesso tempo per non cadere al suo tranello.
“Ah...” Yuffie, dal canto suo, non si accorse di nessun segnale strano e pensò che quell'informazione poteva bastare per essere positiva. Quindi si mise in ginocchio e prese la fascia per la testa, trovata subito perché era stata la prima cosa che aveva adocchiato al suo risveglio vicino al futon, antecedente alle pareti colorate di una tinta mai vista e precedente al legno consunto e ingrigito dalla polvere. Poi se la indossò, legandola con un nodo ferreo e deciso, che lei aveva imparato ad effettuare con il tempo fino a farlo divenire un gesto condizionato e perfetto, senza bisogno di appurarne il risultato con uno specchio.
L'ombra vivente si era avvicinata quatta, improvvisa e silente come fosse davvero solo oscurità, e si dipinse prepotente su tutto il quadro visivo della ragazza.
“Ti è passato il mal di testa?”
Vincent proferì un tipo di quesito del tutto inaspettato. Non era nel suo essere mostrare dell'interessamento per la giovane.
Yuffie rimase basita per quell'attenzione mai ricevuta.
“Un pochino!” gli rispose, sorridendo brevemente.
Che insolita domanda. Certo non le aveva mai chiesto lo stesso quando si trovavano sull'Highwind e quando lei sentiva un bisogno impellente di vomitare anche l'anima per colpa del suo non invidiabile mal d'aria. Non la considerò neppure quando passandole davanti la vedeva rigurgitare Dio solo sa cosa per poterlo descrivere, anzi se ne restava apatico e la sorpassava come se l'aroma nauseabondo che olezzava intorno fosse inodore alla stessa maniera dell'aria che respirava. Se respirava. Yuffie aveva qualche dubbio riguardo il suo essere un vivente.
“Quindi ora stai bene,” persistette il pistolero. Di nuovo, l'inaspettata, inusuale preoccupazione dell'altro. L'insistenza dell'uomo era così anormale che stavolta Yuffie non riuscì ad affrettarsi a rispondere.
“Sto bene, Vincent! Ma dai, cos'hai da preoccuparti!”
Si intenerì per lo strano comportamento del compagno. In fondo, quelle pressioni che lui faceva erano solo impacciate dimostrazioni di apprensione. “E anche se non stessi del tutto bene, tra qualche ora al massimo passerà!”
“Non passerà,” sibilò il fu Turk, soggiungendo con freddezza una reiterata litania:
“Non passerà, perché sei la figlia di Godo e sei stata promessa, e nulla cambierà.”
Ed era sottinteso che lui volesse intendere che, no, non poteva affatto stare bene.
La giovane ladra sgranò gli occhi, e rievocò in quell'affermazione cupa, dal timbro basso e sconosciuta per via di una voce che mai si prestava a farsi sentire dagli altri – proferendo verbo solo quando ne sentiva necessità – una frase già ricordata troppe volte nella sua mente; una frase che le era sempre rimasta incastrata nella gola, pesante e fredda come un mattone.
Un canto disperato e silenzioso fin troppo familiare.
“Perché continui a mentire?” chiese ancora lui.
“Cosa?” seppe soltanto chiedere a sua volta Yuffie, con incertezza. La sua era solo una domanda retorica, perché aveva il timore di sentire la risposta, fin troppo ovvia. Quindi si mise veloce le scarpe – di un'agilità che non aveva nulla da invidiare con quella precedente che usava per cingersi la fronte con la fascia – per poter scappare il prima possibile dalla risposta, dal luogo che non conosceva e dall'uomo di cui altrettanto poco sapeva. Le era sempre stato distante, sia che fosse stato per una missione e si trovasse nell'altro gruppo, sia che fosse stato a due o tre metri di distanza, come in quel momento. Ma il comportamento che lei aveva cominciato ad adottare, se ne rese conto persino da sola, era così dannatamente poco consono alle sue maniere che se ne meravigliò. In un altro momento avrebbe continuato a cianciare di sciocchezze per lenire il suo disagio, piuttosto che stare zitta. O addirittura se ne sarebbe lamentata; un po' infantile, ma l'avrebbe fatto. Adesso, invece, stava solamente fuggendo.
Fuggire: una parola che le suonava ormai familiare, assieme alla parola silenzio.
“Ehi,” la chiamò con voce piatta Vincent. La ragazza arrestò per un attimo ogni suo movimento, solo per potergli dire:
“Mi avevi detto che non era successo nulla di strano, stanotte!”
Si scavò da sola la fossa, intenzionalmente, perché non sarebbe cambiato niente. Il pistolero sapeva che lei non era felice del suo matrimonio venturo e avrebbe comunque continuato a sapere.
“Non ho detto che non era successo nulla,” le rammentò il mezzo vampiro, facendo spallucce alla stessa maniera svogliata di Cloud quando non riceveva mance nel suo lavoro da fattorino. “Ho detto all'incirca.”
Yuffie, rinvangando la frase per accertarsi che fosse effettivamente veritiera, riprese a ragionare troppo e la testa cominciò a dolerle nuovamente. Mugugnò per il dolore tamburellante, non riuscendo più a parlare. A stento sussurrò con sospiri.
“Sono solo un po' emozionata... è una cosa normale, capita a tutte quando stanno per sposarsi...” gli spiegò affabilmente, un sorriso imbarazzato e timoroso, lo stesso del giorno precedente alla notizia sconcertante che diede ai suoi amici. “Erano tutte balle! Le dico sempre quando sono ubriaca!” soggiunse animamente. Vincent non era ancora certo del potere che aveva l'alcol, se questo riusciva a portare i pensieri celati delle persone ad affermazioni compiute o spronava loro a dire la prima cosa che capitava, che fosse vera o falsa, ma lo strazio della compagna era così palpabile che dovette asserire di credere i deliranti urli della notte scorsa reali, e pure gravi. Molto gravi, data la persona.
Ma lui non s'intestardì, non insistette oltre e rimase tacito, guardandola avviarsi al corridoio principale della locanda, uscita dalla sconosciuta stanza. Si girò solo un attimo per salutarlo, ed incrociò gli occhi color fiamma che, inceneritori viventi, la disarmarono del tutto. Non perché l'uomo avesse in volto una smorfia accusatoria, ma la profondità di quei gioielli rossi, sebbene l'inespressività del resto del viso ne avrebbe detto il contrario, era così forte da scrutarle magistralmente l'animo.
Lei si arrese all'ovvietà della situazione e anche ai due fuochi scrutatori che brillavano sul viso di Vincent. E sospirò ancora, ma stavolta lasciando trapelare tutta la sua infelicità.
“Non potresti comunque capire...” sussurrò mestamente Yuffie.
“Invece capisco,” replicò il Valentine. Chi meglio poteva capire se non lui: un uomo che aveva vissuto le medesime esperienze che avevano avuto lo stesso, straziante, decisivo risultato? Vincent era l'altra parte che completava il quadro d'agonia: non il diretto interessato, ma l'osservatore silente che aveva visto la sua donna obbligata nelle braccia di un altro. Era un ricordo lontano a cui lui non aveva più voluto pensare.
“In che senso?” chiese confusa la ragazza che aveva davanti, un sopracciglio inarcato. L'uomo che non aveva mai parlato di sé non lo fece neppure in quel momento. Volse lo sguardo sul pavimento di legno vicino al fusuma, che faceva da divisorio tra lui e la compagna di avventure.
La ninja si accorse che l'ombra retrocesse di un passo, per poter chiudere la porta scorrevole. Sapeva che non le avrebbe di nuovo raccontato niente.
“Sei così misterioso, Vincent Valentine...” mormorò sovrappensiero Yuffie, rimasta incantata e sofferente al contempo alla vista di quell'uomo ancora così impenetrabile. “Almeno tu sei rimasto lo stesso di sempre.”
Lei se ne andò, scomparendo insieme all'apatia di Vincent che invece, solo quando le spalle di lei gli permisero di mostrarlo, si tramutò in amarezza.
























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“Il mattino ha l'oro in bocca”: un proverbio e pure un tributo al magnifico film di Kubrick! (Lui è un po' il mio sensei dell'ispirazione ** Anche se comunque i risultati non saranno mai geniali come i suoi! xD)
Questo capitolo, comunque, mi sembra scritto un po' maluccio rispetto ai due precedenti e non so perché... una sensazione strana... (forse un po' troppo confusionario) @_@ Ma mi riprenderò nei prossimi, giuro!! è_é
@vinnie_pooh: Addirittura tra le preferite? o.o Uh... grazie!! *-* Siete troppi gentili, voi recensori! XD Quasi credo di non meritarmi tutti i bellissimi complimenti che hai fatto... In ogni caso... ti ringrazio tantissimo! >***<
@Geko93: l'ho aggiornata un po' meno prestino, stavolta! XD
“In ogni caso, non so se ti conviene leggere le mie fic, è già un miracolo se non hai vomitato ora che ne hai letta metà (oppure l'hai già fatto? O_o)”
Vomitare?! xD A me piace un sacco “I will protect you”, invece! ** E come avrai ben visto l'ho proprio letta tutta tutta! xD Comunque, il tuo è un altro tipo di commento che mi lascia di stucco... un po' tra lo sbrilluccicoso così: *_* e il commosso così: ç_ç. Sto un po' vaneggiando, giusto un po'! XD Ringrazio tantissimo anche a te! ^_^
@Yuffie18: Yuffie è lollosa già di per sé, figuriamoci da ubriaca! XD
@BloodberryJam: che altro dire a parte... grazie? ç_ç
@Tifa: Brava, usa l'auto convinzione! XD E insieme ad essa un po' di sesso consolatorio con Vincent... >D (Per gli altri che leggessero: scherzo... è un po' il nostro abituale modo di parlare. Vero, figlia? xD)
Alla prossima!

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Vincent Valentine era sempre stato un uomo solo, a volte anche quando era con gli altri. Viveva con la solitudine senza compiacersene o dispiacersene, ma sentendosela addosso come parte complementare del suo essere, divenuta tale dal momento in cui mise piede nella bara per poi non uscirne più, fino all'arrivo dei sette eroi. Adesso si trovava nel giardino più incantato di tutti i giardini del piccolo paese di Wutai, e il cielo era così sconfinato che nessun catafalco avrebbe potuto racchiuderlo. Ma nonostante tutto si sentiva ancora prigioniero della bara, che si era presa metà della sua vita e ancora continuava a farlo, prosciugandogli l'esistenza, come fosse una sanguisuga.
Quel giorno come gli altri l'uomo dall'artiglio dorato era dedito a mantenere compagnia alla sua solitudine, che bastava e avanzava come amico da tenersi appresso. Era uscito dalla locanda e si era diretto verso un giardino pubblico dove i colori erano così tanti e così accozzati che l'occhio si perdeva a riconoscere una rosa o un tulipano o una ghirlanda. Vincent inalava i loro profumi tutti diversi e lambiva con l'unica mano ancora umana i loro petali. Contemplava le piccole bellezze di natura in silenzio, che erano l'unico inanimato spiraglio di luce della sua bara sempre presente, anche quando in realtà non c'era. Seguì un sentiero che portava verso un piccolo ponticello, sopra un ruscello dal letto piccolo quasi quanto quello di una pozzanghera, ricoperto da pietre e ciottoli che ingrigivano magnificamente tutto il grande ambiente colorato. Vide dal piccolo ponte la ragazza che quella mattina stessa aveva dormito nella sua stanza. Mostrava alla combriccola ogni genere di fiore del suo giardino, e ne descriveva il significato, e sorrideva spensierata come fosse il giorno più bello della sua vita. Ad attenderla ci sarebbe stato un destino spietato ed obbligato; lei che aveva da esserne felice?
“Vincent!” lo chiamò con il sorriso ancora stampato in viso, appena lo adocchiò sul ponticello di legno mentre si era voltata. Il vampiro dovette appropinquarsi al gruppo, una mano sulla ringhiera lignea per assaporarne il tocco, facendola scivolare al suo cammino, e le dita vicine al naso per annusarne l'odore familiare, sempre sentito nei suoi trent'anni di riposo.
Diede il buongiorno al gruppo che rispose a sua volta, tranne la ragazza dal capello corto e l'amico quadrupede, intenti ad affaccendarsi con giochi sconosciuti e un fiore in mano che sollevarono la curiosità del pistolero. Si avvicinò ancor di più, per meglio vedere ciò che stavano facendo. Yuffie aveva messo in testa all'animale parlante, tra le piume indiane, un piccolo fiore colorato. L'altro, però, sembrava un po' contrariato della sua idea, e vergognosamente mugugnava delle lamentele.
“Ma dai, ti sta bene! Di che ti lamenti?” continuava a ripetergli Yuffie, provando a convincerlo adulandolo.
“Starebbe bene a una donna, forse...” le rispose seccato Red XIII, mettendo il broncio.
“Ma tu sei tenero più di quanto può esserlo una donna!” le disse la ninja, raggiante. Nanaki considerò tra sé e sé se prendere l'affermazione appena sentita come un complimento o meno. La giovane abitante di Wutai scorse un altro fiore, e lo prese tra le mani.
“A Tifa una camelia rossa, che significa la più bella!” affermò, posando dolcemente il fiore sull'orecchio dell'amica, e questa le sorrise timidamente, considerando con modestia – e ce ne sarebbe voluta molta, pensò la ninja – che non se lo meritava. Allora la ragazza dal capello corto si avvicinò all'orecchio della compagna.
“Se ne avessi uno in giardino, darei un dittamo a quel tontolone di Cloud,” sussurrò, “che significa 'amore dormiente'. Solo un cieco ed imbranato come lui non si sarebbe accorto del bel pezzo di donna con cui abita assieme senza fare niente!”
Due risolini di donna, soffici e vellutati; sembravano usignoli. A quel canto di femmina, Barret si intromise curiosamente.
“Che avete da ridere?” domandò. “Yuffie, le hai raccontato di quella volta che ti ho zittita dandoti semplicemente della sciocca?” soggiunse ironicamente.
“Scimmione!” strillò adirata la ragazza con i pantaloncini. “A te un garofano giallo, che vuol dire disgustoso!” e anche quel fiore glielo mise, balzando a causa della colossale altezza del Wallace, sull'orecchio.
“Te lo sei inventato!” replicò quello di colore; ma con il garofano in testa pareva tutto fuorché minaccioso. Risero tutti.
Tutti men che Vincent.
Ancora, nonostante si trovasse in mezzo agli altri, era lontano con la mente chissà quanti luoghi più distanti. Non si concentrava in niente di ciò che aveva davanti, ma un pensiero aveva agguantato l'attenzione rimandandolo proprio in quel presente, e in quel luogo. Nella persona di fianco. Yuffie. Lei, così inutilmente solare, quasi obbligata a farlo; lei, che fingeva, ma che ci riusciva così bene da far sembrare tutto vero. Il sole la irradiava coi raggi così da trasformare tutta quella illusione in qualcosa di artificiosamente splendente e autentico, come tutti i fiori attorno a loro, che seppure di significati differenti e a volte spiacevoli erano belli allo stesso modo.
Una fitta nel cuore di Vincent; non gli succedeva chissà da quanto tempo. Ed era strano: l'organo del sentimento l'aveva perso nella sua prima vita, quando ancora era un uomo come gli altri.
“Yuffie...” la chiamò, sommessamente. Lei si voltò, smettendo per un attimo di ridere. La sua austerità era talmente forte da riuscire a contagiare persino un tipino vivace come la ninja. Raccolse un fiore, e glielo mise sull'orecchio, lentamente, facendo ausilio dell'unica mano che ancora pulsava di sangue. La toccò sulla gota con l'indice e il medio, per riporle addosso la piccola pianta di petali. Quella cortesia sembrò così inconsueta, a Yuffie, che restò sbalordita quasi più in quel momento che in quello della stessa mattina, quando il vampiro le confessò che sapeva tutto.
“Una datura,” affermò atono Vincent Valentine. “Significa ipocrisia.”
I sette la guardarono confusi; l'ottava, la femmina più giovane di tutti, si era invece impallidita.
“Vincent,” lo chiamò Cid, riuscendo a ridare un po' di colorito alla compagna appena l'uomo dai capelli corvini si volse a lui, che non le degnò altra più considerazione, “non sarebbe meglio darle della piattola, che si addice di più?” e dicendo ciò, sogghignò, solo dapprincipio, lasciandosi poi perdere in una fragorosa risata.
“Sei tu la piattola, non io!” contrariò risentita Yuffie, guardandolo torva. Highwind le mise un braccio attorno alla spalla, paternamente.
“E dai, dai! Io scherzo, scherzo sempre!” ma a discapito della frase appena detta, non smetteva un attimo di sghignazzare.
“A te darei un arancio, che però non ho!” esordì Yuffie, sbuffando all'uomo che le cingeva le spalle.
“E che vuol dire?!” chiese lui già infastidito, immaginando certo un significato non tanto carino del fiore. La ninja irrise furbamente.
“Non. Te. Lo. Dico.” sancì, cacciando dispettosamente fuori la lingua.
Probabilmente, con un po' di insistenza, il pilota dell'Highwind sarebbe anche riuscito a tirarle fuori la parola dalla bocca. Non era cosa semplice, visto che Yuffie era tra le più testarde e non di meno tra le più dispettose che avesse mai conosciuto, ma in ogni caso, anche se con una probabilità residua, ciò non successe a causa di un'interruzione esterna. Un uomo, un ambasciatore di Wutai, trottò con il proprio cavallo, sino a fermarsi davanti alla combriccola. Dunque la ninja si fece avanti, chiedendogli cosa fosse successo.
“Il signor Nishiguchi e i suoi uomini son tornati, signorina Kisaragi.” La ragazza rimase basita.
“Già di ritorno? Non sarebbero dovuti tornare domani?”
L'ambasciatore poté solo fare un supplichevole inchino di perdono, perché non ne conosceva il motivo. Yuffie gli disse che non importava, e che poteva andare.
Dalla strada polverosa e scabrosa principale di Wutai apparvero indistinte figure di uomini irriconoscibili in lontananza, ma accomunati tra loro da uno yukata color cielo con dei ghirigori neri, sulle maniche e sulla parte inferiore del vestito, a forma di foglie e scacchi. Erano talmente uguali che mentre avanzavano parvero un esercito in guerra, sebbene con lentezza ed eleganza, e non con con accanimento; sebbene con abiti semplici, e non con scudi e lance e katane; sebbene con sandali a infradito, e non con stivaloni in spesso velluto. L'impressione era stata dovuta per i volti ruvidi ed aspri di ognuno di loro, oltre che per la somiglianza collettiva nel vestiario.
Yuffie non disse una parola. Poiché non informò agli altri dei nuovi arrivati, come soleva sempre fare e facendolo con ingenuità bambinesca, Cloud chiese per tutti loro.
“Chi sono?” domandò, mettendosi affianco alla ninja.
“Loro sono...” rispose l'altra, sommessamente, “un gruppo di ricercatori. Hanno il permesso di restare nella nostra zona,” soggiunse, limitandosi a un mezzo sorriso. Come quasi per istinto si voltò verso Vincent, che la osservò cheto ed attento. Scostò da lui quasi subito lo sguardo.
“Il signore al centro, il signor Shigeo Nishiguchi, è colui che tra qualche giorno sposerò,” spiegò affabilmente.
I compagni scrutarono meglio che poterono per cogliere il viso della detta persona. Un uomo non tanto alto, e neppure tanto basso; aveva i capelli gellati, rigorosamente lisci e raccolti da un codino basso. Occhi piccoli, perennemente stanchi, e scuri come una notte senza luna e senza stelle. Il viso senza barba, rasato, e la pelle sciupata dagli anni, ma non per questo rugosa: una pelle che sapeva di corteccia di albero, ma soda come quella di un giovane. Quando delinearono bene il profilo dell'uomo, tutti sussultarono emozionati.
“E' davvero un bell'uomo!” osò convenire Tifa, rivolgendo lo sguardo a Yuffie.
“E' più vecchio di me!” commentò sfacciatamente Cid, il mento sorretto da una mano e il pollice e l'indice che lo circondavano.
“Non esagerare! Non è così vecchio!” scherzò Cait Sith.
“E' molto elegante e composto,” sostenne Nanaki, risoluto. Yuffie, a ogni loro parere, assentì con il capo, arridendo timidamente.
Il rassomigliante esercito arrivò, infine; giunse davanti a loro. Nishiguchi abbassò la testa alla combriccola, in segno di saluto; poi si rivolse alla Kisaragi, a cui invece dedicò un solenne inchino, lento e regale, senza guardarla. Lei lo ricambiò alla stessa maniera. Shigeo non badò ad altre formalità, ed ordinò al gruppo di continuare la propria marcia, sino alle loro rispettive case, tutte edificate vicine tra loro.
Un pensiero collettivo del gruppo di eroi fu quello di associare il carattere del Nishiguchi a Vincent Valentine, ma non portarono niente ad alta voce, per timore e vergogna. Solo a chi dimostrava una certa apertura e solarità con gli altri – come lo era Yuffie – era concesso dare un parere sincero; era invece più difficile darlo a qualcuno di cui nulla si conosceva. Ingoiando l'inadatto paragone nella gola, Barret propose:
“Ragazzi, perché non andiamo a cenare? Ho una fame da lupi!”
Cloud gli rispose senza ausilio di voce o di gesti. Il rumore del suo stomaco affamato bastava e avanzava come risposta. Tifa sorrise, teneramente.
“Direi che la pensiamo più o meno tutti come lui,” concordò Lockheart, simpaticamente.
“Chi arriva ultimo paga la cena a tutti!” urlò il baro robot con le somiglianze di gatto, perché propose il gioco già mentre stava correndo. A causa di ciò si infuriarono tutti, rincorrendolo e dicendo che non avrebbero partecipato, e intanto tentavano comunque di superarlo. Bambini. Erano tutti adulti perché avevano salvato la Terra e allo stesso tempo erano, nelle situazioni in cui mancavano dei mostri e mancavano le acclamazioni della gente che li chiamava eroi, dei bambini. E a Yuffie era quello il lato di loro che piaceva di più. Proprio lei, che era la più infantile di tutti, non fece neppure un passo quando cominciarono a correre come forsennati. Li guardò da lontano, con una sottile invidia in viso, e si voltò verso l'ombra vivente, che appena si accorse di avere il suo sguardo addosso, distolse anche lui gli occhi dal gruppo di zuzzurelloni, per donarli a lei.
“Quell'uomo...” disse Yuffie, concisamente, “quello Shigeo Nishiguchi, e anche tutto il resto della banda... loro non sono del tutto ricercatori. Loro sono un clan. Come i Turks.” La Kisaragi reclinò il capo in avanti, amaramente. “Ti dirò solo che questa volta, Vincent, non sposerò qualcuno per un capriccio di mio padre, ma per salvare alcune persone...”
Vincent Valentine si accorse solo in quel momento che l'intento di Yuffie non era una confessione e così un suo sfogo, ma ciò che avrebbe detto dopo:
“Ti prego, Vincent, non dire niente agli altri, non farli preoccupare!”
Si aggrappò con foga al suo mantello, proprio come successe la notte precedente, ma nonostante fosse sobria e non urlasse, la disperazione rimaneva la stessa. Il pistolero le prese i polsi, dolcemente, lasciando che lei si calmasse, per poi scostarli dal suo mantello.
“Va bene,” acconsentì lui. La ninja ne fu contenta, e sorrise beatamente. Però i suoi polsi non furono lasciati.
“Ma a te va davvero bene così?” domandò con tono vagamente amareggiato il pistolero. “Va bene lo stesso anche sorridendo per finta?”
“Io con voi non ho mai sorriso per finta,” fu la risposta pronta della ragazza. Guardò risoluta gli occhi di fuoco del compagno, per poi soggiungere: “Perché quando sto con voi, mi passa via ogni tristezza!”
L'ombra allentò per un attimo la presa che aveva sui polsi di lei, socchiudendo meravigliato la bocca muta, che di solito restava perennemente serrata e piatta, come una linea dritta di matita su carta.
“Vorrei poter assaporare questo tipo di gioia finché posso, Vincent...” gli confessò Yuffie, guardando davanti a sé, le sue mani mantenute dall'altro, poggiate sul petto ricoperto dal mantello scarlatto che svolazzava a ogni minima tirata di vento.
Il pistolero la lasciò dalla sua stretta. La ninja ritirò con lentezza le sue mani dal petto di lui, riportandole tese vicino alle proprie cosce.
“Vincent...” L'uomo riprese attenzione su di lei. “Grazie.”
“Ehi, voi due, porca miseria!” urlò qualcuno a loro, da lontano. “Datevi una mossa che qui moriamo tutti di fame!” Era Cid, e il suo originale modo di parlare un po' zotico.
“Arriviamo!” rispose allegramente Kisaragi, anch'ella con tono dirompente. Agguantò il mantello del pistolero e lo trascinò assieme a lei, in una corsa sfrenata. Era una di quelle poche volte che l'uomo inespressivo aveva in viso una smorfia di spavento per la piccola furia che aveva davanti, che aveva una forza alla pari di dieci persone grosse il doppio del doppio di lei.
Quando arrivarono, la prima cosa che fece Vincent fu quella di spianare con l'ausilio delle mani le piegature del mantello dove Yuffie aveva messo le sue, serrando la stoffa rossa in due forti pugni. Portò lo sguardo altrove, lontano dalla combriccola, e vide la maestosa casa dei Kisaragi. Vicino al fusuma dell'entrata erano posti nei lati dei vasi con fiori. Cloud, che si era distaccato un attimo dai discorsi della comitiva, si accorse dello sguardo del compagno ombra, e lo seguì. Vide dei fiori che non erano sgargianti di colori come quelli dei giardini visitati, ma erano invece pallidi, in confronto; scolorati. E bianchissimi.
“Yuffie, sbaglio o nei giardini di Wutai quei fiori non c'erano?” chiese il biondo, indicando con il pollice i due vasi vicino l'ingresso di casa.
“Già... quelli sono fiori d'arancio, me li ha portati Shigeo,” spiegò la ninja. Vincent quei fiori li aveva già visti, tempo fa.
“E che cosa vogliono dire?” chiese curiosa Tifa.
L'uomo dal mantello rosso sospirò al posto della Kisaragi, che invece riuscì a contenere dentro di sé ogni spiacevolezza. Riuscì a rispondere agli altri con noncuranza.
“Sono un augurio al matrimonio.”
























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Approfitto per spiegare agli altri che gli aranci e i fiori d'arancio, anche se non sembrano, son due cose differenti! :P E se qualcuno è curioso e vuole sapere il significato dell'arancio, il fiore che Yuffie voleva dare a Cid, be'... significa verginità! XD
@Youffie18: Vincent si sbrigherà, puoi contarci! **
@BloodberryJam: oh cielo, grazie! *_* Non preoccuparti, le tue minacce le prenderò senz'altro positivamente! ** Soprattutto quel Wahahahahah che a me piace tanto! xD
@terychan: riuscire a coinvolgerti? Davvero?? *-* Son contenta che sia arrivata a farlo... alla fine, è forse quello lo scopo reale di chi scrive! Ti ringrazio tantissimo per aver letto e commentato ^^
@vinnie_pooh: “(eh..le statuine di porcellana a volte aiutano!! XD XD)” è vero!! xDDD
“sto diventando "L'amante" dipendente!!! ^^(hug)” Uhhhh! *___* *commossa* E commossa anche per il resto del commento. Grazie :*
@Tifa: “Si sesso con VincentXD(eh già scherziamo noi due,quindi non la prendete a male^^).” Diciamo che QUALCHE VOLTA scherziamo! XD
“Vai mamy e aggiorna presto,che ti mando Reno(il tuo debole per i rossiXD).” *ç* Ma quanto mi conosci? *ç* E grazie del commento >*<
@Geko93: ç____ç e ancora ç____ç per tutto ciò che hai detto. *commossa, commossa, commossa*
Ringrazio i lettori che leggono e riringrazio i recensori! Giuro che il prossimo capitolo lo scriverò più velocemente >.<


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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Il cielo colorato d'arancio si anneriva sempre più. La luna era arrivata tarda, e aveva rischiarato con il bagliore tutta Wutai, e le sue colline di boschi e di laghi. Dal balcone alto della casa Kisaragi, Vincent aveva assistito a ogni piccolo passo di tempo della fine di un pomeriggio. Mentre osservava immobile e nascosto il panorama iridescente, udiva nella camera appena adiacente il chiasso dei compagni ovattato dal fusuma chiuso della balconata.
Era infastidito.
Non che fosse disturbato dal fracasso; se ne abituò subito, appena Cid gli aveva urlato la storia del suo velivolo la prima volta che lo conobbe, non potendo usare un tono di voce modulato a causa del motore arrugginito dell'Highwind che rumoreggiava il doppio del suo padrone. La grande risonanza aveva profanato il sacro silenzio a cui si era abituato per metà della vita, ma pian piano era riuscito ad adattarsene. Anche se ciò non fosse accaduto, sarebbe stato indispensabile per poter vivere con loro: dei casinisti, ecco cos'erano; i migliori di tutti. Soprattuto nei momenti di gioco. Come accadeva in quel momento.
Cominciarono che erano quieti come il panorama mozzafiato che ancora doveva calare nella notte; Vincent neanche si ricordava chi, ma qualcuno propose a Godo di giocare a scarabeo; ognuno iniziò a commentare ogni mossa dei due con voce chiassosa, anche se regnava il silenzio assoluto, e anche se i due giocatori non erano per niente sordi. E alzando la voce, l'altro l'alzava ancor di più, e l'altro ancora lo seguiva, e sorpassando tutte le voci crearono a loro insaputa un fracasso madornale. Solo Vincent se ne era accorto, perché era l'unico che rimaneva zitto. Seguiva il gioco tacito ed austero, e coloro che aveva intorno non capivano mai se quell'espressione immutabile era per inedia o per concentrazione. A volte il suo viso immobile si contorceva brevemente in una smorfia se una voce dirompente di qualcuno, ma più dirompente delle altre, si ripercuoteva fastidiosamente inaspettata.
Tuttavia, la ragione del congedo del Valentine non fu l'inutile baccano, ma la persona che subentrò poi nella stanza. Quando vide Shigeo Nishiguchi – e che strano paragone che gli venne – gli sembrò che avesse sorriso come Hojo. Una smorfia ben più maggiore, e il pistolero scomparì dalla stanza; assieme a lui era scomparso lento anche il sole. Ed era restato lì, anche dopo l'avvento della prima stella in cielo, e della seconda e della terza. E anche dopo che l'etere si diamantasse di migliaia di astri celesti. Anche dopo che sentì il chiasso allontanarsi, e l'anta del fusuma del salone accostarsi all'altra con un forte botto (a chiuderla o ora stato Cid o era stato Barret, senz'altro). Li vide tutti sotto il suo naso oltrepassare la porta d'ingresso dei fiori d'arancio, e fermarsi davanti ad essa.
“Papà si è innervosito perché ha perso contro un animale!”
Yuffie. Chiacchierava sempre così animatamente con gli amici.
“Non sono un animale, e comunque sono intelligente quanto un essere umano,” sostenne Nanaki.
“Certamente sei più intelligente di Barret!”
Di nuovo Yuffie. L'omone contrariò la cosa con un uso di termini così disdicevoli che Vincent cercò in qualche modo di non ascoltarli.
“Grazie per essere venuti tutti qui, stasera.”
Nella voce della ninja qualcosa era mutato: sempre sorridente, ma mancava della consueta briosità. Gli altri non se ne avvidero, e avevano convenuto mentalmente che la causa era sicuramente un intorpidimento da sonno; o forse erano loro stessi troppo assonnati per accorgersi veramente di qualcosa. Si salutarono tutti tra sbadigli, e se ne andarono verso la locanda.
Yuffie andò nella parte opposta. L'ex Turk la vide camminare con frenesia lungo la sponda del ruscelletto che passava dal suo giardino, e da sopra la balconata poté riuscire a vedere fin dove era arrivata. Wutai era proprio un paesino piccolo, ed era facile da una balconata alta come quella adocchiarlo tutto; ciononostante, non si ricordava proprio quale fosse quella piccola casetta vicino alla quale si era fermata la compagna. Era forse stato spinto dalla curiosità, quando decise di voler andare anche lui lì. Ma tre camere avanti e un piano di sotto si fermò ostacolato involontariamente da Godo, che lo fissò spaesato.
“Che spavento! Tu... tu sei...” borbottò, concentrandosi nel rammentare il nome di quel viso cupo che aveva davanti. Succedeva sempre, e il vampiro se ne era abituato: nessuno ricordava mai il suo nome.
“Vincent Valentine,” informò.
“Ah già! Scusami, Vincent. Forse l'età fa brutti scherzi!”
O forse il problema era solo la continua asocialità dell'altro.
“Yuffie è già andata ad accompagnare gli altri. Pensava che te ne fossi andato via prima,” spiegò il Kisaragi. “Vuoi una tazza di tè?” I suoi occhi sorridevano proprio come quelli della figlia.
“No. Grazie,” sussurrò sottovoce Vincent. Spostò gli occhi sul divano alla sua destra, sulla quale era seduto Shigeo, un bastone di cristallo tra le mani. Non si era proprio accorto, della sua presenza.
“Salve,” salutò sommessamente e concisamente Nishiguchi, riservandogli di nuovo il sorriso di Hojo.
Una smorfia, rapida, nascosta dal bavero del mantello rosso.
“Meglio che vada,” disse l'ombra, chinando per un attimo la testa.
Richiuse dietro di sé il fusuma, esaminando involontariamente i fiori d'arancio che aveva accanto. Poi avviò il passo, alla sinistra del solo ruscelletto di Wutai. E presto incontrò lei.
Girata di schiena, inginocchiata, era intenta a giocherellare con una piccola palla azzurra, e vicina ad essa una piccola palla di pelo ne seguiva ogni fluttuazione. L'uomo vide un gatto, una pallina rimbalzare verso di sé mossa dalla zampa dell'animale, e Yuffie seguirla con gli occhi, e posarsi infine su di lui. Aveva la pallina sotto i suoi piedi.
“Perché arrivi sempre così quatto?” domandò divertita. L'uomo non disse nulla. Non rideva mai alle battute degli altri, quindi neppure controbatteva. Yuffie, quel poco che conosceva di lui, lo conosceva appieno. E allora ricominciò a parlare.
“E' bello qui. Mi piace il rumore del fiume, ed è pieno di mici!” esordì contenta. “La chiamano la casa dei gatti, perché la abitano tutta loro.”
A Vincent non piacevano granché quei felini.
“Ti piacciono i gatti?” domandò la ragazza. Che tempismo: la risposta, il metà vampiro, l'aveva già pensata prima della domanda.
“Poco.”
“Poco? Perché?!”
Non esiste un perché se qualcosa piace o non piace.
“Non mi piacciono e basta.”
“Oh, Vincent...” sussurrò atterrita la ninja, “ma come si fa a non amare creature così graziose?”
Ne prese uno in braccio, si mise eretta e glielo porse. “Toccalo e cambi idea. E' sofficissimo!”
Ma l'uomo non si mosse di un millimetro, bloccato dall'irruenta euforia della giovane. Come sempre.
“Devo muovertelo io, il braccio?!” sentenziò allora Yuffie, afferrandogli l'arto, ma quello sbagliato. Si accorse in ritardo di aver agguantato l'artiglio dorato. Manciate di disagevoli secondi silenti, e la ragazza lo liberò dal suo tocco non sentito.
“Scusami...” sussurrò impacciatamente. L'imbarazzante silenzio sembrò comunque meno imbarazzante di molti altri, perché l'uomo era già silenzioso di suo, e lo stallo che incombeva tra i due veniva sminuito da ciò. Ma il muto compagno, inaspettatamente, parlò.
“Non è nulla.”
E lo stallo si affievolì ancor di più. Yuffie sorrise timidamente, riprendendo a giocare con un altro micio.
“A me invece piacciono tanto i gatti, però... in realtà non vengo qui per questo, ma per allontanarmi da casa mia, nell'unico luogo del paese dove non c'è nessuno...” confessò meditabonda.
L'uomo non parlò una, ma ben due volte. Fu qualcosa di strabiliante, e solo Yuffie ne fu testimone.
“Parlami un po' di più di quel Nishiguchi.”
Lo guardò con sbalordimento, e non riuscì a buttar giù né una risposta né un sorriso di circostanza. Ma il peso che aveva addosso la ragazza era così poderoso che non badò a nessuna formalità, neppure davanti al più improbabile di tutti gli interlocutori. Ogni frase le uscì come un consueto soffio di fiato.
“E' il capo di quella banda. Venne qui a chiedere a mio padre se fosse stato possibile controllare metà del nostro terreno. Wutai è un paese misero, ma occupa un territorio che arriva fino alle montagne del sud e i boschi oltre le colline del nord. E questo territorio è ricco di Materie. Mio padre non accettò, e loro dissero che non importava, che era diritto nostro decidere una risposta e che non avrebbero contrariato. La mattina seguente degli stallieri vennero a informarci che i chocobo erano stati malamente trucidati.”
La ninja strinse forte i pugni, rabbiosamente.
“Shigeo tornò con i suoi uomini, e ci disse che per compensare l'imprevista disgrazia avrebbero provveduto loro ad occuparsi dei terreni di Materie con i loro chocobo, per aiutarci. Aiutarci...”
La voce le tremò.
“Erano stati loro. Tutti noi sapevamo che erano stati loro, era evidente; e sapevamo che dopo quell'invisibile minaccia non avremmo più potuto dissentire a nessuna delle loro richieste. Così, mio padre accettò. Ma a Shigeo non bastava. Lui mirava al posto di governatore; il posto di mio padre...”
Il tremolio della voce neppure si sentì più, perché si affievolì al punto di diventare inudibile.
“Lo avrebbe ucciso silenziosamente, come aveva fatto con i chocobo. Mi spaventai tanto, mi spaventai tanto che mi venne un'idea pazza, ma ragionandoci da calma mi accorsi che era anche l'unica soluzione. Così, dissi a papà che avrei sposato Nishiguchi. Lui si oppose: lui, che non vedeva l'ora che questo tipo di frase mi uscisse dalle labbra. Ma non a questo modo, disse. Non volevo la sua approvazione, non cercavo questo; andai da Shigeo, e gli feci la proposta di matrimonio: metà del potere, equo a quello della carica di governatore, fino ad averlo totalmente, alla morte di mio padre.”
La fine della storia era ovvia all'uomo dal mantello scarlatto. Ma ascoltò comunque.
“Trovai il giorno dopo dei fiori d'arancio nel mio giardino.”
Un gatto che le si strusciò sui polpacci la distrasse dai suoi pensieri, facendole riprendere il vigore solito che le apparteneva. Così, si accucciò a carezzare il felino, e sorrise gaiamente alle fusa del piccolo animale, ridendo quando un altro ancora cercò di rubargli il posto. Vincent si acquattò anch'egli, e regalò al desideroso di coccole la sua mano ancora viva, carezzandolo con dita sottili e bianche – bianchissime, brillanti, che contrastavano col pelo nero del gatto.
“Ma a me, tanto, non cambierà niente,” sancì Yuffie al compagno, “perché sarà comunque un matrimonio fittizio, un accordo in comune. Una passeggiata, insomma!” soggiunse scherzosamente.
“Tempo fa,” affermò l'ombra, “una donna disse la stessa cosa, e se ne pentì amaramente.”
La ninja arrestò ogni movimento, ogni sorriso, ogni carezza, e condusse i suoi occhi, incerti, a quelli infuocati di lui, che la guardavano sempre alla stessa maniera. Una donna, disse. E che ruolo aveva per lui? I suoi occhi senza sentimenti la ingannavano sempre, rendendo vani i propositi di lei di scrutargli l'animo, anche per capirne solo una pennellata, una unica di tutto il quadro macabro che aveva creato lui della sua vita, e che aveva coperto con un telo agli altri. Non le avrebbe dato risposta, neppure quella volta. Se ne era abituata.
“E cosa dovrei fare?” domandò la ragazza, mestamente.
“Potresti cambiare idea,” rispose l'uomo.
“E' ciò che non farò mai,” sussurrò Yuffie, cercando di trarre un sorriso d'ironia alla ridicola affermazione appena sentita. Ma non le riuscì.
“Abbiamo salvato il mondo, possiamo subito toglierli di mezzo,” le propose Vincent.
“E' la stessa cosa che hai detto della Shinra, ma ancora sono qui a rovinare ogni cosa che toccano!” si adirò la ninja, scusandosi subito dopo appena vide l'uomo irrigidirsi il volto e le spalle, per un solo attimo. “E' che... sono in tanti... e forti. Neppure l'eroe più valoroso può combattere contro un potere tanto grande. Ed è anche perché... ho paura...” confessò amareggiata. “La paura di perdere una persona cara è tanto grande che in confronto la paura di rovinarsi la vita non è niente. E in che modo, poi? Non cambierà nulla, sarà la vita di sempre, ma con un anello sul dito come differenza.”
Una smorfia, lunga, che non riuscì più a nascondere sotto il mantello rosso.
Così lucida che per la prima volta da quando lo aveva conosciuto Yuffie vide gli occhi sempre uguali e il viso immutato dell'uomo rompersi in tante emozioni.
“Non è così facile...”
Non è così facile, disse soltanto, prima di ricomporsi e avviarsi verso la locanda, spronando la ragazza a seguirlo con un: “Andiamo”. Yuffie gli disse che si sarebbe avviata tra un po' e che lui poteva andare; Vincent sospirò.
“Dici che non è niente, ma già adesso ti stai nascondendo da quell'uomo.”
La ninja mise in volto la medesima smorfia che aveva fatto il Valentine un attimo prima. E allora cosa dovrei fare?, gli avrebbe chiesto nuovamente. Ma la risposta era inesistente perché era già chiara. Le cose non sarebbero cambiate. Ma...
“Allora consolami tu...”
L'uomo corrugò la fronte poco visibile – solo la parte bassa, quella vicina alle sopracciglia, perché il resto di essa era velato dalla fascia rossa attorno alla testa e dai tanti ciuffi corvini che si disperdevano in svariate direzioni.
“Non dico di fare chissà che... Anche come adesso, anche solo ascoltandomi...” soggiunse vergognosamente Yuffie. Vincent sospirò veloce la risposta:
“Va bene.”
La Kisaragi alzò per un lasso di tempo brevissimo lo sguardo su di lui, per ringraziarlo. Sì ammutolì totalmente quando vide – o forse gli sembrò soltanto di vedere – un altro tipo di smorfia sul volto dell'uomo.
Seminascosto dal mantello, lui sorrise.
























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Giuro che quando ho scritto dei chocobo trucidati, stavo cominciando a sentirmi male. In realtà volevo usare i cavalli, ma in Final Fantasy VII non esistono. Chochobetti poveretti... ç_ç
Parlando delle mafiate che in questo capitolo avete avuto modo di conoscere... ebbene, vi svelerò anche che il nome Shigeo Nishiguchi l'ho preso da quello di un noto ed esistito capo yakuza giapponese, tra i più famosi (se non il più famoso, forse!).
@Geko93: Grazie! ç_ç Davvero dici che l'attesa ha dato i suoi frutti? Potrai dunque perdonarmi anche quest'ultima che è stata il doppio più attesa della precedente? XD Ma scherzi a parte, grazie! :*
@Dastrea: Sì, quella del becchino è una delle sensazioni che volevo dare ai lettori, visto quello che, in questo capitolo, si scopre che fa! XD Spronerò io stessa a far dare una mossa a Vincent! Con frusta e manette! Ghgh... >D
@BloodberryJam: Ti ringrazio del commento e adoro la tua risata, se davvero è come la scrivi. XD E quindi ti risponderò: la prossima volta cercherò di aggiornare prima e cercherò di far sdolcinare un po' Vincent, WahhAHhaHAHhahaHAHah X°D
@vinnie_pooh: Oddio. Oddio. Non so che fare; ringraziarti? Mi sembra una cosa un po' sciocca rispetto a tutto ciò che scrivi sempre nelle recensioni con tanto entusiasmo, ma... che altro dire: troppo buona, grazie... *commossa* ç_ç
@Tifa: Hwoarang?? *ççç* Oh cielo, sbavo e mi stordisco! XD Sì, Vincent non lo batte nessun nuovo personaggio (ovvio!), neppure il più descritto di più qualità possibili (ma allora diventerebbe Gary Stu! xD) Grazie del commento! ^*^
@terychan: L'idea dei fiori è stata improvvisata molto, te lo devo confessare! XD Grazie della recensione! :*
@Fedbest: Astinenza Yuffinetine? XD Ok, mi metterò d'impegno! *decisissima* Grazie dei gentilissimi complimenti e della recensione, grazie grazie grazie >*< P.s. Ci ritroviamo anche qui su EFP! xD
@Keute: “sia perché spesso tende a essere più una YuffieXVincent che una VincentXYuffie”
Lì per lì non avevo capito (ma non per la complessità della frase, ma perché me scema xD), ma poi ho compreso ciò che volevi dire... Tento – perché sì, è un tentativo – di afferrare ogni vario aspetto della coppia, sia che c'entri con lui che con lei, e poi ricongiungerli in qualche modo. Riguardo al commento: ho adorato i tuoi bellissimi giri di parole! :3 (e ti ringrazio al cubo, anche xD)

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