Amor, ch'a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona

di _Char
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Ricordati il mio nome ***
Capitolo 2: *** 2 - Un tipetto particolare ***
Capitolo 3: *** La maturità è un'opinione? ***
Capitolo 4: *** Tutti i nodi vengono al pettine ***
Capitolo 5: *** Nulla da temere ***
Capitolo 6: *** Una seconda occasione ***
Capitolo 7: *** L'arte dei giochi ***
Capitolo 8: *** Wish you were here ***
Capitolo 9: *** Whispers in the rain ***
Capitolo 10: *** Desiderio, Passione, Gelosia ***
Capitolo 11: *** Soltanto la verità? ***
Capitolo 12: *** Giocando col fuoco ***
Capitolo 13: *** Dream on, if you want it ***
Capitolo 14: *** Come Amore e Psiche ***
Capitolo 15: *** Improvviso... quanto inaspettato ***
Capitolo 16: *** Tra realtà e delirio ***
Capitolo 17: *** Rivelazioni ***
Capitolo 18: *** Confusione ***
Capitolo 19: *** Quando l'indifferenza non basta ***
Capitolo 20: *** A tutti i costi ***
Capitolo 21: *** Insegnami ad amare ***
Capitolo 22: *** Heaven out of hell ***
Capitolo 23: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1 - Ricordati il mio nome ***


                                                                                     CAPITOLO 1 
 
La sveglia suonò immancabile alle 7 precise. Del perché non l’avessi programmata una mezz’ora dopo, non lo so neanche io. Avrei potuto svegliarmi più tardi, lasciarmi cullare dal calore delle coperte, alzarmi quando mi sembrava opportuno, andare alla finestra e guardare fuori un sole ancora splendente, desiderosa di dare il buongiorno al mondo intero con un sorriso a trentadue denti. Proprio come nella pubblicità della Nutella. Ma siccome non vivevo nel Mulino Bianco, dovevo realizzare che l’estate era ormai finita da un pezzo, che non c’era nessun sole splendente di prima mattina e che mi toccava alzarmi non eppena quell’aggeggio infernale avesse smesso di gracchiarmi nell’orecchio, interpretando il suo modo dolce e amorevole di darmi il buongiorno con l’annuncio che la scuola era alla fine tornata ad esistere nella mia realtà.
Per l’ultima volta nella mia vita.
Da allora in poi, le cose sarebbero andate in modo diverso. Era il mio ultimo anno di liceo. L’anno in cui, in genere, ci si sente padroni del mondo, capaci di fare tutto, i più grandi, quelli che hanno in mano tutto. Non era la scuola a controllare noi, eravamo noi a controllare la scuola. I professori? Eravamo ormai vecchi conoscenti, quasi amici si potrebbe azzardare a dire. Quel rapporto, insomma, un po’ frivolo, un po’ fuori dalle norme scolastiche, quel non so che di confidenza che spuntava quando, armeggiando con una penna sul registro, ti minacciavano di prendere nota di un avvenimento particolarmente memorabile che avevi concluso trenta secondi prima, e tu ironizzavi con un “andiamo, professò!” e un ghigno sarcastico a trentadue denti. Ecco, l’unico sorriso a trentadue denti che si poteva fare di prima mattina non era quello stile “pane e nutella” ma quello che svisceravi quando volevi accattivarti la penna del professore. 
Mi alzai con un verso indistinto dal letto, simile a un cane che uggiola sul tappeto quando capisce che lo stanno per portare dal veterinario, e trascinai i piedi in bagno. 
-’Giorno Bianca- sentii dirmi distrattamente da mia madre mentre mi passava affianco nel corridoio. “Sì, buongiorno” pensai, contrariata. 
Non era che odiassi la scuola; era il dovermi alzare di prima mattina che detestavo.
Se la scuola l’avessero fatta iniziare dalle nove invece che dalle otto sì che sarebbero spuntati fuori i sorrisi stile pane e nutella.
Mi stiracchiai le braccia indolenzite ed avvertii un piacevole brividino lungo la schiena, segno che anche i miei muscoli si stavano svegliando. Mi sciacquai il viso con l’acqua fresca e mi preparai a dovere per affrontare il mio ultimo primo giorno di scuola da liceale. Tornai in camera e mi vestii: i pantaloni stretti beige, una maglia sblusata rosata sopra una canottiera bianca abbastanza spessa e le mie solite scarpe. Sebbene il tempo non fosse splendido faceva ancora un po’ caldo per essere settembre e a volte mi chiedevo se non abitassi in Sardegna piuttosto che nella mia amata penisola ancora attaccata ad un pezzo di terra. Mi ravviai i capelli, ancora abbastanza decenti per un vago ricordo della piastra fatta due giorni prima e mi sistemai sommariamente davanti allo specchio grande nel corridoio.
-Muoviti Coco Chanel, o farai tardi- disse mia madre senza espressione, ma sapevo che lo faceva per stuzzicarmi. 
-Meglio arrivare tardi che presto ed essere indecenti- le rimbeccai, fingendo di essermi stizzita. 
-Oh, c’è qualche galantuomo che ti aspetta?- stette al gioco.
-No, ma sarò una delle ragazze più grandi in tutto il liceo, quindi ci tengo a presentarmi come si deve. Se la tua direttrice arrivasse in ufficio messa peggio di te le daresti ancora della superiore?-
-Ma guarda come ce la tiriamo- commentò, passando per il corridoio, -non stai andando a fare una sfilata di moda, il tuo professore non è Christian Dior e tu non sei Angelina Jolie, quindi per quanto vuoi dare insegnamenti alle ragazzine del primo anno ti conviene muovere quel bel culetto che ti ritrovi e di filare a scuola-
-Sì madre- sdrammatizzai in tono grave.
Il mio rapporto con mia madre non è mai stato idilliaco, ma nemmeno troppo vago. 
Era ancora abbastanza giovane, aveva 48 anni e si comportava in maniera abbastanza giovanile per la sua età: mi punzecchiava come avrebbe fatto una donna più grande di me ma non ancora in avanti con gli anni da sembrare ridicola. Adoravo questo di mia madre. 
Quel comportamento un po’ da giovane le donava. I capelli scuri, gli occhi chiari, le labbra sottili. In giovinezza era stata davvero una bella donna, e lo era tuttora. Solo, aveva assunto un po’ l’aria da “donna in carriera” che la mattina ti sfila per la casa in cerca della giacca, del rossetto e della borsa per correre a lavoro nel traffico del lunedì mattina. E mentre lei sfrecciava tra la macchina e le scale di casa per recuperare una cartella d’ufficio dimenticata in salotto, tu dovevi alzarti, prepararti e restare a scuola per cinque o sei ore sei volte alla settimana. Direi davvero magnifico.
Mentre mi osservavo ancora allo specchio in cerca di qualche altro particolare da aggiustare mi sentii arrivare una manata sul sedere e Caterina si diresse in camera da letto con una lieve risata di sarcasmo.
-Smettila mamma- bofonchiai, seccata. 
Tornai in camera a prendere la tracolla, e nel farlo sentii la sua voce chiamarmi dalla stanza:
-Hai visto il mio rossetto tesoro?- fece indaffarata.
-No- risposi senza mezzi termini, -prova a cercare in bagno-
Passai davanti alla cucina e sbirciai l’ora sull’orologio appeso al muro: 7:40. Perfetto. Avevo tutto il tempo. Andai alla porta e presi il portachiavi dell’Hard Rock di Barcellona a cui erano appese le mie chiavi e me lo infilai nella borsa insieme al cellulare. 
-Torno all’una oggi, Bianca- alzò la voce mia madre per farsi sentire dalla camera da letto, -cerca di non fare tardi-
-D’accordo- asserii, uscendo di casa.
Il tempo era abbastanza freschetto, ma era solo la brezza mattutina delle sette che svanisce già dopo due ore; con il giubbino leggero però non sentii tanto il freddo. 
Mi incamminai verso la scuola, prendendo il cellulare in mano dalla tracolla, e composi un messaggio indirizzato alla mia amica Carlotta:
“Dove sei?”
Inviai. Pochi istanti dopo il telefono vibrò, in segno di risposta.
“Sono davanti alla scuola. Buongiorno eh?”
Scossi la testa e sorrisi leggermente, ma mi affrettai a far sparire il mezzo sorriso dalla faccia prima che qualcuno mi vedesse per strada e pensasse che fossi fuori di testa.
“Come fai ad essere già lì?? Non sono ancora le otto! C’è Luca che ti aspetta?”, la punzecchiai.
“Smettila bella addormentata, non farmi venire i nervi appena mattina. Muovi il culo e arriva davanti scuola, ti sto aspettando”
“Con calma e per piacere, cara” risposi ironica, “ e di’ ai tuoi nervi di calmarsi. Non rovinarti il tuo ultimo primo giorno di scuola per uno stronzo” 
“Perché? Tanto non sa manco che esisto. Non mi fila più, ormai”
“Ecco perché devi amorevolmente mandarlo a farsi fottere e devi fregartene della sua esistenza”
“Come sei sadica” 
Capii che stava ridacchiando, faceva sempre così quando usavo certi termini tutti insieme più in una frase che in un mese. 
“Ehi, sta arrivando anche Marghe. Sbrigati” mi richiamò poi subito dopo.
Mancava poco alla scuola ormai, dovevo solo imboccare una salita e poi sarei giunta dinnanzi all’inferno che avrebbe rinchiuso le nostre anime dannate per nove lunghi mesi. 
La scritta, “Istituto d’Istruzione Superiore Dante Alighieri” alias Liceo Classico Dante Alighieri, agli occhi di noi studenti appariva come “Lasciate ogni speranza, voi ch’ entrate”. I canti dell’Inferno della Divina Commedia dello zio Dante studiata fino a pochi mesi prima stava fortemente influenzando il nostro modo di pensare, come quando appena finisci di vedere un film al cinema il giorno seguente ripensi a tutte le battute divertenti che ti hanno fatto ridere in sala.
Arrivai finalmente nei pressi della calca di studenti che erano intenti a chiacchierare tra di loro, chi arrivava in quel momento e si lasciava andare a forti strette di mano tra amici o abbracci confidenziali, chi davanti all’imponenza del liceo lo fissava estasiato pensando che di lì a poco avrebbe passato cinque anni della sua vita a fare il pieno del suo bagaglio culturale tra quelle mura e chi invece pensava già ai bordelli che avrebbe fatto, trovandosi agli ultimi anni, per godersi al meglio quei pochi anni ancora a disposizione. Noi ragazzi del quinto anno sembravamo più maturi, osservavamo i ragazzini del ginnasio e commentavamo tra di noi frasi come “ricordi quando c’eravamo noi al ginnasio?” oppure “avranno tempo per imparare a fare casino come si deve”, e lasciavamo correre le grida e le emozioni che correvano tra i vari adolescenti di entrambi i sessi, una specie ancora in evoluzione dagli ormoni impazziti e incontrollati, che bastava un ragazzo carino più grande sfiorasse loro un braccio passando che già partivano risatine e sorrisetti tra le ragazze mentre sussurravano alle amiche “oh mio Dio, avete visto chi è passato?? Mi ha sfiorato il braccio, mi ha sfiorata!!” oppure una bella ragazza per far partire tra i maschi sguardi ambigui e dita a indicare il suo belvedere o il suo posteriore. Sinceramente, i ragazzini che sbavavano dietro il sedere di una ragazza del quarto o del quinto anno mi infastidivano. Mi sdegnavano addirittura, certe volte. Sembravano tutti così piccoli, rispetto a noi. I ragazzi della mia età, invece, li trovavo attraenti se parlavano di una ragazza. C’era qualcosa nei loro modi di fare che li rendeva estremamente attraenti anche se parlavano del culo di una ragazza o del suo davanzale. Forse perché erano più maturi anche fisicamente, con le spalle ben piazzate e il torso ben strutturato,  non ancora dai lineamenti e dalla fisionomia incerta, che sta ora ora iniziando a formarsi. 
Sembravano uomini. Non ragazzini. Si adattava meglio a loro un comportamento del genere, che a dei ragazzi di sedici anni. Certo, non che mi piacesse sentire i loro discorsi tipo “ehi, guarda che culo che ha quella”, però era il senso di attrazione che ti fa sentire dei formicolii nello stomaco, che te lo fa sentire vuoto. Non farfalle nello stomaco. Brividi di eccitazione. Nulla di perverso, la sana (se così si può definire) stimolazione che invade il corpo di una ragazza alla vista del comportamento attraente di un ragazzo. Avevamo anche diciannove anni, porca miseria, non eravamo più bambini. Era ora che lasciassimo andare di più gli ormoni. 
Beh, forse i ragazzi li lasciavano andare anche troppo. Ma per noi ragazze è un discorso diverso: non è facile dover ammettere che qualcuno ti abbia fatto invadere di calore per tutto il corpo in modo così naturale come avrebbe fatto un ragazzo.
I ragazzi non si vergognano dei loro desideri sessuali. 
Le ragazze sì.
E quelle che non se ne vergognano vengono chiamate troie. Come puoi manifestare le tue emozioni fisiche senza apparire una troia? 
La voce di una ragazza mi distolse dalla ricerca che avevo avviato tra i gruppetti di ragazzi e ragazze, alla ricerca delle mie amiche. 
-Bianca! Ehi, Bianca!-
Sorrisi raggiante non appena intravidi la figura di Margherita che quasi si sbracciava per farsi notare in mezzo alla folla di studenti. 
Affrettai il passo e le saltai letteralmente addosso.
-Marghe!- esclamai, entusiasta.
Margherita si mise a ridacchiare in risposta, ricambiando l’abbraccio.
-Hai visto Carlotta?- le chiesi, sciogliendomi dalla stretta.
-Era qui dieci minuti fa, l’ho persa di vista- rispose, guardandosi attorno.
-Come l’hai persa? Non era con te?- feci notare, un tantino perplessa.
-È voluta andare a dare un’occhiatina ai ragazzi- alzò gli occhi al cielo.
Mimai un “ah” con le labbra, ironica.
Manco a dirlo qualcosa come trenta secondi dopo Carlotta ci piombò addosso.
-Bianca!- mi urlò quasi nell’orecchio, facendomi sussultare si scatto; nemmeno il tempo di girarmi che me la ritrovai addosso, come se fossi stata un pezzo di cioccolato appena scartato.
-Calmati Car- la ammonii, ricambiando tuttavia l’abbraccio con un sorriso.
-Ti ho vista di sfuggita poco fa- disse, -ma stavo controllando una cosa e non potevo assolutamente mollarla-
-Cosa?- feci, incuriosita. 
Margherita alzò gli occhi al cielo, come per dire “ci siamo, ecco che riparte coi ragazzi”.
-C’è un ragazzo nuovo- annunciò, entusiasta, -dovresti vederlo! È davvero uno schianto!-
-Chi?- m’interessai, sbirciando nel gruppetto dei ragazzi. 
Precisiamo, non che avessi lo stesso innato interesse di Carlotta per il sesso opposto, però quando c’è un nuovo studente la curiosità è più che lecita. Trattandosi di un ragazzo poi, la curiosità aumentava naturalmente.
Mi trascinò un po’ più a lato per il braccio e mi indicò con lo sguardo due o tre ragazzi in particolare.
-È lì- disse, entusiasta, -dove ci sono Luca e Pietro, dietro di loro-
Intravidi i due ragazzi e riuscii a scorgere anche qualcun altro. All’inizio non lo vidi bene, ma poi Pietro si spostò più a lato e lo guardai direttamente in viso. Non avevo mai visto un ragazzo dai suoi stessi tratti. Erano ben delineati, che richiamavano quasi  i tratti stranieri, come quelli degli spagnoli. Seducenti, ammalianti. Era uno di quelli per cui saresti uscita dalla classe fino al corridoio per vederlo. Uno di quelli che ti calamitano con lo sguardo. Con cui avresti voluto fare l’amore subito. No.
Non amore.
Sesso. Focoso, caldo, passionale, in cui s’intrecciavano gemiti e sospiri. 
Sesso. Sesso puro.
I capelli scuri, dal taglio corto, gli occhi intensi e profondi, le labbra carnose, una lieve barba ad incorniciargliele perfettamente. 
Carlotta mi distolse dai miei pensieri:
-Allora?- fece maliziosa.
Rimasi senza parole, sentendomi morire. Ma non per lui. Per me. Cosa stavo facendo?? Andavo a sbavare dietro a un tizio che non avevo mai visto in vita mia solo perché era possibilmente scopabile? Possibilmente scopabile?! Ma che avevo in testa?! 
Ero confusa, troppo. Non ero abituata ad emozioni così forti. Nessun ragazzo fino ad allora era riuscito a risvegliarmi tutti gli ormoni in una sola volta, con un solo sguardo. 
Mi sentii a disagio e non risposi alla mia amica, che continuava ad osservarmi in attesa di una risposta, una di quelle facce che dicono “dillo, avanti, è figo eh?”
-… è carino…- dissi soltanto, sviando lo sguardo.
-“Carino”?- ripetè, destabilizzata, -senti, “carino” si dice di un ragazzo di sedici anni, “carino” si dice di un orsacchiotto di peluche, “carino” si dice di un tizio che incontri alla stazione e ti offre un caffè mentre aspettate il treno. Lui è sexy, altro che semplice carino- disse, con il tono di quella che la sa lunga e vuole farti la ramanzina istruendoti a dovere.
Guardai il “seducente - sexy - tizio in incognito - altro che carino”, stavolta più a lungo. 
A Carlotta non sfuggirono i miei movimenti. 
Lui, Pietro e Luca sembravano stessero parlando amichevolmente, come si conoscessero da tempo. Incrociò le braccia sul petto, portando la mano sinistra sul braccio destro, e rimase per un po’ ad ascoltare i discorsi degli altri, spostando l’attenzione solo attraverso gli occhi.
-A me sembra… dolce…- mormorai dopo un po’, tornando in me. Ora che avevo abbandonato i panni di “ragazza arrapata ed eccitata” sentivo di essere di nuovo normale. 
-“Dolce”?- fece, contrariata, -come fai a dirlo? Ti ha appena risvegliato gli ormoni…-
-Per me non è solo sexy ed eccitante come per qualcun’altra- ribattei, lanciandole una frecciatina, -insomma guardalo…-
Stavolta stava ridendo; a labbra un po’ dischiuse, gli occhi che ridevano con la sua bocca. 
-Non sembra… carino, quando fa ridere gli occhi in quel modo?- continuai, sorridendo a vedere la sua reazione. 
-Mia cara e romantica fanciulla- fece in tono grave Carlotta, -hai ancora tanto da imparare. Possibile che non ti lasci mai andare? 
-E tu possibile che non ti controlli mai?- le rimbeccai, stando al gioco.
-A mezza dozzina di ragazze ha praticamente eccitato gli ormoni e tu te ne esci che è solo “dolce e carino”? Dio, ragazza, stai messa proprio male…-
-Non ho detto che è dolce e carino- ribattei seccata, -neanche lo conosco. Ho detto che può essere anche altro, oltre che scopabile, sexy, seducente e ammaliante come sembra lo abbiate descritto tu e l’altra mezza dozzina-
-Andiamo, Bianca- sdrammatizzò, -stavo scherzando, mi conosci no?-
 Non dissi niente. Alla fine realizzai un piccolo, insignificante particolare.
-Carl…- iniziai lentamente, per attirare le sua attenzione.
Lei sembrò avermi sentita.
-Mh?- fece interrogativa.
-Se sta parlando con Pietro e Luca… e ha attorno gli altri ragazzi che conosciamo… starà in classe con noi?- feci, guardandola intensamente.
Lei sembrò pietrificarsi alle mie parole, poi dischiuse le labbra trattenendo un sorriso a quarantacinque denti, al che scoppiammo a ridere entrambe. 
-Oh mio Dio!!!- esclamò Carlotta, stupefatta, -oh mio Dio!!!-
-Voglio vedere come farai, con i tuoi ormoni- la stuzzicai, ridacchiando.
-Se ci vedrai sparire entrambi per più di cinque minuti Dio, contaci che stiamo ripassando matematica assieme!-
Ridacchiai come un’idiota:
-Matematica eh?-
-A cosa si deve tutto quest’entusiasmo?- sentimmo dirci da una voce dietro di noi, con tono petulante.
-Marghe, Marghe, Marghe!- la riprese Carlotta, posizionandola in mezzo a noi, -guarda lì… il principe azzurro dei tuoi futuri sogni!-
Su una cosa siamo d’accordo io e Margherita: i ragazzi non sono solo sesso. Per paragonarci ad un personaggio della letteratura, io e lei eravamo come Elizabeth Bennet, mentre Carlotta era come la Kitty o la Lydia dello stesso romanzo. 
Lei non aveva problemi ad ammettere se un ragazzo le faceva accendere il fuoco della passione, non come me e Marghe. Io e lei ci sentivamo sempre fuori luogo, imbarazzate a dover ammettere “sì, in effetti è proprio un figo della madonna” . Comunque sia Carlotta non aveva niente a che vedere con quelle sciacquette che accentuavano i loro pensieri personali su un ragazzo scendendo magari su particolari evitabili. Non era così volgare. Aveva autorizzato me e Margherita a darle un ceffone ogni volta che le sarebbe capitato (se le sarebbe capitato) di comportarsi come loro. 
Non che ci volesse il suo permesso per farlo, l’avremmo fatta ragionare a modo nostro anche di nostra libera volontà. Non era fortunatamente mai successo, almeno per il momento. Perché con il nuovo signor Iosonofigoammiratemiamatemi avrebbe avuto diversi problemi, ci avrei scommesso.
A proposito, il suo nome era…?
-Ehi- distolsi Carlotta dalla sua celestiale visione scuotendola leggermente per un braccio, -sai come si chiama?-
-Credo sia Francesco- rispose, sorridendo, -un nome così comune, eppure lui è particolare, non trovi?-
Già, proprio particolare. 



Salve :) per chi ha avuto la pazienza di leggere tutto il capitolo fino a qui innanzitutto lo ringrazio, siete dei santi se vi siete trattenuti dal chiudere la pagina e cambiare storia; spero che questo primo capitolo/introduzione vi abbia incuriosito e vi spinga a leggere avanti :) grazie per aver letto e per chi vorrà al prossimo capitolo.
_Char 

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Capitolo 2
*** 2 - Un tipetto particolare ***


CAPITOLO 2



Quando la campanella suonò, con un acuto e sordo tintinnio, noi del terzo liceo eravamo già tutti in classe, in attesa del professore. Dalla porta aperta si intravedeva tutto il via vai di studenti che si riversavano nei corridoi, in cerca della classe o più semplicemente per fare casino.
Non ci volle molto che il professore di arte, già a noi noto dall’anno precedente, entrò in classe, poggiando simultaneamente la sua borsa con i libri sul banco:
-Sedetevi, ragazzi; la professoressa di matematica non è ancora arrivata, e per il momento vi terrò d’occhio io-
Sbuffò, osservando la situazione del corridoio.
-Ehi prof- fece Mirko, andandosi a sedere tra i primi banchi, -siete un tantino in agitazione?-
I ragazzi ridacchiarono, seguiti da alcune ragazze che volevano fare le civettuole.
-No Iannace, fammi la cortesia di sederti; sta per venirmi un mal di testa atroce e non sono ancora le nove- rispose lui stancamente.
-Allora- riprese poi, andando a dare un'occhiata al registro, -ci siete tutti?-
Se lo rilesse con attenzione, aggrottando lievemente le sopracciglia: era il suo modo di manifestare il suo interesse verso qualcosa.
-Sbaglio o siete aumentati?- azzardò poi, un tantino perplesso.
-A parte Giovanni e la sua splendida forma che si prende due posti in uno, c’è qualcun altro tra noi in effetti- fece Mirko, suscitando un ridacchiare tra i ragazzi.
-Ehi, Iannace- lo richiamò Giovanni, contrariato, -chiudi quel cesso di bocca-
Si voltò verso il professore, realizzando che la sua uscita non era stata proprio formulata in un perfetto italiano degno di uno studente del Classico, ma questi non gli fece tanto caso.
-Mh, e chi sarebbe questo nuovo arrivato?- continuò il professore, ignorando la battuta.
Mirko si girò verso le ultime file, come per indurlo a seguirlo con lo sguardo, e sentii palpitarmi il cuore dall’emozione, mentre Carlotta mi cercava con lo sguardo.
-Francesco- rispose, mentre la maggior parte degli altri si voltava al penultimo banco davanti al termosifone.
-So dire da solo il mio nome, grazie Mirko-
Fu la prima volta che sentii la sua voce parlare.
Era magnifica.
Bassa, profonda quando bastava, suadente quasi. Quel non so che che ti dava l’impressione avrebbe potuto dire tutte le frasi del mondo, di qualsiasi genere, di qualsiasi natura, con qualsiasi tono, ma ti avrebbe lasciato una scossa dentro. Una di quelle voci belle, piacevoli da ascoltare. Una di quelle voci che avresti ascoltato all’infinito pur non vedendo nessun volto. O forse ero io che stavo sopravvalutando le sue capacità vocali, influenzata dalla precedente prima impressione. Non mi voltai, incerta.
-Francesco. Francesco…?- riprese il professore, con tono vago.
-Borrelli- rispose lui, capendo dove volesse andare a parare
-Borrelli. Come mai ti sei iscritto qui, proprio all’ultimo anno?- proseguì.
-Beh, questo liceo ha la reputazione di fornire una solida preparazione per la maggior parte delle università. Il liceo in cui andavo non… mi soddisfava molto-
Vidi con la coda dell’occhio che aveva rivolto lo sguardo su una ragazza della fila opposta alla mia, e mi voltai a vedere la reazione di quest’ultima: al solo vedere la sua faccia quasi estasiata mi venne da mandarla a farsi un giro senza mezzi termini. Che cosa credeva? Nemmeno la conosceva.
Non ne ero gelosa. Le ragazzine fanno le gelose per un’occhiata che un ragazzo riserva ad un’amica o a una conoscente meno che loro, quelle che credono nell’amore a prima vista fanno le gelose. Io no. Mi dava semplicemente fastidio che credesse che davvero Francesco le avesse messo gli occhi addosso. In realtà ci avrei scommesso lo faceva per accattivarsi l’ammirazione dei ragazzi.
Di fatti, pochi secondi dopo la sua performance, i ragazzi si misero a ridacchiare, divertiti. Ridevano dell’espressione da seduttore che il ragazzo aveva palesemente assunto per scherzare. Mi sentii più sollevata del fatto che avessi ben interpretato i loro movimenti, e mi venne da sorriderne. Vivere con quattro cugini maschi mi aveva evidentemente aiutata ad entrare nella psicologia maschile.
-Dovrei quindi credere che hai liberamente scelto di cambiare scuola per poter consolidare al meglio la tua cultura, di modo da permetterti l’accesso un domani ad un’università prestigiosa o di giusta importanza?- chiese il professore, con un sorrisetto provocatorio.
-Andiamo prof, siamo in un liceo classico: se avessi voluto fare il muratore o il disoccupato avrei scelto un’altra via più sicura- rispose lui a tono, al che si procurò l’ennesima approvazione del resto dei ragazzi, che si voltavano verso di lui sorridendo con sarcasmo, mentre alcune ragazze gli sorridevano.
-Bene …- approvò compiaciuto il nostro insegnante, -a quanto pare sei uno con la testa a posto-
-Sì, Francesco è un bravo ragazzo- commentò petulante Mirko, assumendo il tono commosso di una madre, -non trasgredirebbe alla scuola per nessuna ragione al mondo-
-Sì Francesco, divulga la tua cultura in mezzo a noi- lo sostituì un altro dal fondo della fila opposta, immedesimandosi con enfasi in un discepolo rivolto al maestro; Francesco sorrise, divertito. Non potei fare a meno di notare i suoi occhi che sorridevano con le labbra. Aveva un’espressività incantevole nello sguardo.
Era 
dolce. Lo sguardo da seduttore a calamita aveva lasciato il posto ad un altro più naturale e spontaneo. Era questo che lo rendeva dolce. Non aveva gli occhi da cucciolo indifeso, come un cagnolino. Era ancora affascinante come se l’avessi visto ancora per una prima volta, ma aveva una luce diversa. Faceva lo stesso effetto di un modello in una posa magari meno da “cattivo ragazzo”, senza sigaretta e sguardo spiazzante negli occhi, più spontanea, meno da fotografia. E quelle labbra… piegate agli angoli come solo lui sapeva farlo. Il suo sorriso di quella mattina, davanti alla scuola, mi era rimasto stampato nella mente come un fotogramma.
-Tarantini, cos’hai da guardare?- mi richiamò la voce del professore all’improvviso.
Scattai immediatamente a guardarlo, come una molla.
-Eh?- mi uscì spontaneo, abbastanza stupidamente; non mi sfuggirono le risatine delle ragazze, che mi osservavano in attesa del seguito.
-So che la finestra è abbastanza interessante di prima mattina, ma ciò non ti da la facoltà di distrarti ulteriormente dall’argomento di discussione-
Per un momento, quando avevo sentito pronunciare le sillabe “fi-ne”, ero andata nel panico che stesse per dire “Francesco”, e mi venne spontaneo domandarmi se per “finestra” intendesse realmente l’infisso o “il posto vicino alla finestra, terza fila, penultimo banco, di fronte al termosifone”. Dovevo calmarmi. Dalle risatine che sembravano non voler desistere ad accompagnare la mia figuraccia intuii che avrei dovuto ribaltare la situazione a mio favore.
-Quale argomento di discussione, del perché un nuovo studente sia venuto nella nostra scuola ad onorarci della sua presenza?- ribattei, cercando di assumere tutta la naturalezza possibile, come se l’argomento non mi avesse minimamente toccato.
Carlotta sorrise alla mia reazione, intuendo la situazione, imitata dai ragazzi e da Margherita, che sedeva accanto a me. Anche Francesco sorrise; evidentemente aveva capito che stavo solo al gioco. Ma il professore non fu così abile.
-Mi sorprendi. Eppure sei una ragazza, dovresti avere una certa delicatezza- commentò, vuoto di espressione.
-È una legge della natura, che le ragazze debbano essere fini e delicate e i ragazzi possano dar dimostrazione della loro abilità linguistica con appellativi non esattamente garbati?- feci allora, sentendomi incoraggiata dalla breve risata di Pietro e Luca, al secondo banco della fila alla mia sinistra.
-A quanto pare la natura ha delle eccezioni- disse secco, fissandomi senza batter ciglio.
-Gran belle eccezioni- disse Pietro col tono di chi la sa lunga, guardandomi interessato.
-Silenzio, Pellino- lo rabbonì stancamente il professore.
-Avanti prof… non è stata così inopportuna- disse una terza voce.
La sua voce.
Mi girai istintivamente verso di lui, e anche lui ricambiò lo sguardo.
Quegli occhi tremendamente espressivi…
-È un bel tipetto- riprese infine la parola il professore, guardandomi con lo sguardo di sbieco, -ha dormito per cinque anni tra i banchi di scuola e adesso si sta svegliando-
La faccenda si chiuse lì, senza troppi ghirigori.
Intanto, la prof di matematica sembrava dispersa. Stavamo quasi per suggerire di inviare una squadra di soccorso per trovarla quando entrò tutta trafelata in classe.
-Ah, il traffico! Maledetti automobilisti del c…-
Si bloccò, realizzando di non trovarsi in sala professori dove poteva dare libero sfogo ai suoi pensieri; alcuni cercarono di trattenersi dal ridere, fallendo miseramente assumendo un’espressione distorta in viso, altri le facevano silenziosamente il verso.
-… Elena, credo sia meglio se ti avviassi verso la seconda liceo: sta per suonare ormai e finiresti per non arrivare in tempo neanche lì- disse con tono calmo il professore, consapevole che lo stavamo ascoltando. La professoressa di matematica non sembrò cogliere la frecciatina, e si limitò a girare sui tacchi e ad uscire, dopo aver salutato con un “buongiorno ragazzi” piuttosto nervoso.

Tutti gentili di prima mattina” pensai.



Francesco POV

Continuai ad osservare quella ragazza al terzo banco della fila centrale; una ragazza che risponde a tono alla provocazione del professore era qualcosa di estremamente sensuale.
Di solito sono i ragazzi che cazzeggiano con il professore, le ragazze se ne stanno zitte ad ascoltare e ammiccano con dei sorrisi civettuoli ad ogni battuta che fanno. Ascoltare una donna che non si fa mettere i piedi in testa neanche dal professore è eccitante. Quel tono un po' distaccato, una leggera non curanza tipicamente femminile. Ammaliante.
Quella ragazza non si comportava come una ragazzina.
Si comportava come una donna.
La guardai ancora, punto sul vivo di stamparmi nella memoria il suo corpo e il suo viso.
I lunghi capelli castani, le mani poggiate sul banco quasi intrecciate tra loro, come per cercare un punto di sicurezza a cui appigliarsi, le spalle coperte da una maglia larga dalla quale non sfuggiva però la vista della sua pelle, proprio all'altezza della clavicola. Coperta solo da una canottiera. Al solo pensare quando potesse essere facile spogliarla avvertii un movimento nei piani inferiori dei jeans. I capelli che le accarezzavano il viso, gli occhi attenti al professore. Avrei voluto farle avvertire le mie labbra sul suo collo, mentre scivolavano a coprirle quella parte scoperta della spalla. Solo per vedere la sua reazione. Non ero uno che si scopava la prima che glielo faceva alzare. Certo era solo che mi sarebbe piaciuto metterla alla prova. Era davvero la ragazza accattivante e distaccata che dava a vedere?
Mentre ero preso nei miei pensieri avvertii una leggera gomitata da parte di Antonio, seduto alla mia destra; staccai gli occhi da lei e guardai i suoi, mentre mi faceva cenno con il mento di guardare una ragazza seduta al primo banco, nella fila opposta alla nostra, accanto al muro.
Lunghi capelli biondi e posteriore ben tornito, si intravedeva bene anche dal fondo.
Non mi colpì minimamente, non per il suo sedere almeno: avere un bel culo non è il lasciapassare che ti indica che sia una bella tipa abbordabile. La faccia di Antonio invece sembrava dire il contrario. Tornai a guardare quella ragazza della fila centrale, stavolta per un desiderio di curiosità che non di attrazione fisica; la ragazza accanto a lei l'aveva chiamata in un sussurro e le stava dicendo qualcosa di evidentemente degno di nota siccome le sue parole erano miste a un sorriso sulle labbra. L'altra dischiuse leggermente le labbra, e le ci vollero pochi secondi per imitarle il sorriso, punta sul vivo anche lei dal racconto.
Le sue labbra.
Mi sentii invadere di un calore improvviso e da un fremito nei boxer.
La mia immaginazione stava già lavorando istintivamente, ritrovandomele a toccarmi ogni centimetro del mio corpo, mentre si avvicinava sempre più pericolosamente al punto evidente del mio desiderio.
Brividi.
Mi ritrovai a dover rilasciare la tensione dalle sopracciglia, che solo in quel momento capii le avevo leggermente aggrottate in un moto di sorpresa, sgranando stupito gli occhi.
Davvero avevo appena immaginato che una ragazza vista appena meno di quindici minuti prima mi avesse fatto una bocca? Mi stavo lasciando andare troppo spesso. Dovevo darci un taglio ai miei istinti invadenti. Ero io a dover controllare il mio corpo, non esso che controllava me.
Almeno sperai di riuscirci.





Bianca POV



-Ehi Bianca, Francesco ti sta fissando- mi mormorò Margherita accanto all'orecchio con aria maliziosa. Come prima cosa mi venne spontaneo girarmi e controllare, ma mi limitai a sospirare in cerca di auto-controllo. Non dovevo farmi vedere da lui. Sentivo che non sarei riuscita più a fare una cosa in modo spontaneo, ora che avvertivo la sua vigile presenza dietro di me.
Fortuna volle che pochi momenti dopo la campanella suonò, segnando la fine della prima ora. Al solo pensiero che ne avrei affrontate altre quattro mi sentii morire.
Sarei riuscita a sopravvivere?



Francesco POV



-Allora, che ne pensi?-
Antonio mi richiamò, indirizzando la mia attenzione su di lui.
-Di cosa?- fu la mia risposta.
-Di quella tipa- disse con tono ovvio, e realizzai cosa intendesse dire.
-Ah, quella... Ti dirò, ho visto fondoschiena migliori- commentai, vago.
-Nah, non ci siamo. Devi svegliarti, Francesco, rifatti gli occhi. Guarda quante belle ragazze ci sono qui. Non dirmi che non ti ha interessato nemmeno una, non ci crederei-
Beh, una era riuscita quasi ad alzarmelo.
Feci finta di niente.
-Secondo me me l'hai fatta notare perché ti ha risvegliato il tuo amico, una volta- dissi con sarcasmo. Antonio assunse un'espressione divertita.
-Dici?-
-Beh, l'ho capito io che sono da sessanta minuti nella tua stessa stanza- dissi, -figurati se lei non se ne è accorta-
Scosse la testa, guardando la ragazza in questione fingendo profonda amarezza.
-Quattro anni che stiamo chiusi tra le stesse mura e nemmeno uno sguardo-
-Non si può dire sia il tuo forte...- commentai, ironico.
-Quello è campo tuo, naturalmente- mi provocò, -quante te ne sei fatte fino ad ora?-
-Quante bastano per batterti in esperienza- risposi.
Lui ignorò la mia risposta a tono e si concentrò su qualche altra ragazza degna di denotazione, scegliendo con attenzione.
-E Bianca? Mi sembravi interessato, poco fa-
-Chi è Bianca?- domandai, senza troppa espressione.
-Il “tipetto particolare” del professore. Sai, non è facile come ragazza... È piuttosto particolare davvero- spiegò, con naturalezza.
-Che vuoi dire?- chiesi, cercando di non dare a vedere il minimo interesse che mi aveva suscitato.
-È una tosta, niente a che vedere con le altre... Credimi, non te la da facilmente. Riuscirebbe a liquidarti senza troppe cerimonie, se non le interessi. Anche se vai a scolpirti gli addominali in palestra-
-Parli per esperienza personale?- gli rinfacciai malizioso.
Mi scoccò uno sguardo assassino.
-Stronzo- fu il suo commento.
Una ragazza non facile, eh? Proprio il genere di sfida che preferivo.









Saalve:) sono molto contenta del fatto che il primo capitolo abbia già interessato qualcuno, vi ringrazio :) da qui in poi la storia avrà delle sorprese... ma non vi anticipo niente, lasciando che scopriate da voi nei prossimi capitoli. Un bacione
_Char


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Capitolo 3
*** La maturità è un'opinione? ***


                                                         CAPITOLO 3

 

Me ne stavo in camera mia a leggere, con le gambe accavallate lungo il bordo del letto, quando sentii il telefono vibrare sulle coperte; sbirciai il display e storsi le labbra: Carlotta.
Non mi aveva mai chiamata per cellulare. Di solito aspettava mi connettessi o mi inviava messaggi. Doveva avere una ragione per chiamarmi. Presi il cellulare e mi rialzai dal letto:
-Pronto?-
-Ehi Bianchina- la sua voce mi arrivò raggiante.
-Car, sai che non mi piace quando usi quel nome- dissi, senza particolare emozione, girando per la stanza.
-Ecco perché ti ho chiamata in quel modo- ribatté petulante, - allora, che cosa combinavi?-
-Niente di interessante- sviai la domanda, -te?-
-Ero connessa e... sai che ho visto?-
Il suo tono emozionato mi preannunciava qualcosa di estremamente disinteressante e banale.
-Dimmi tutto- dissi, attendendomi un seguito.
-Marta e Giulio del quinto scientifico si sono messi insieme- rivelò, entusiasta.
Rimasi inespressiva.
-Oh, fantastico- commentai, palesemente disinteressata.
-Ehi, ci hanno messo tre mesi per diventare una coppia. È tutta l'estate che Giulio la corteggia, ma Marta è troppo timida per ammettere i suoi sentimenti- iniziò a raccontare come una comare.
-Senti Car, non per fare l'uccello del malaugurio che ti rovina la festa, ma francamente non me ne importa nulla se hanno deciso di cinguettare insieme quei due- sbottai, fermandomi nella stanza.
-Nemmeno a me ha interessato più di tanto, ma è bello sentirlo dire. Finalmente si sono decisi- si mise sulla difensiva.
-Già... vorrei vedere noi quando ci sbrighiamo a trovarci un fidanzato- sorrisi ironicamente.
-Mmh, io direi che abbiamo una vasta scelta- mi assecondò.
-Certo, se ti riferisci al liceo che troveremo solo dall'altra parte del mondo- continuai, riprendendo ad andare su e giù per la stanza.
-Beh, qualcuno c'è- ammiccò.
-Nah, è solo acqua fresca- non mi lasciai abbindolare, senza fermarmi.
-Dici?-
-Massì, non vedi che non è interessato a nessuna? Credimi, finiremo solo per penarci inutilmente... Non abbiamo chance-
-Margherita mi ha detto che ti guardava, oggi in classe- continuò maliziosa.
O porca... gliel'aveva detto. Ma Margherita non sapeva non spifferare qualcosa che non riguardasse i fatti suoi?
Feci finta di niente.
-Si stava solo memorizzando le nostre facce- minimizzai, facendo le spallucce.
-Io preferirei se si memorizzasse i nostri numeri di telefono- scherzò allegra.
-Ah, ma guarda un po', Carlotta, che cosa combini bambina?- la presi in giro, - sei troppo piccola per queste cose-
-Di certo quanto te- mi rinfacciò.
-Ecco perché dobbiamo continuare a fare finta di niente e aspettare i prossimi due secoli fino a quando non troveremo uno decente-
-Sei cattiva- finse di prendersela, come i bambini.
-Che fai oggi?- cambiò poi discorso, senza mutare l'umore allegro.
Carlotta era sempre stata una ragazza solare, non c'era da ridire. Ti contagiava con la sua allegria anche in una giornata particolarmente pesante; di solito era lei che ci tirava su il morale con le sue battute.
-Niente, penso farò le ragnatele in camera. Ti va di uscire?-
-Al “Bistrot”?- fece immediatamente lei.
-Perfetto-
Sbirciai l'orologio: le tre e un quarto.
-Ci vediamo fra un'ora- chiusi la chiamata.

 

-Niente male...-
Sollevai lo sguardo dal bicchierone di frappè al cioccolato che stavo sorseggiando e mangiando contemporaneamente.
Il cucchiaio di Carlotta affondò nella pallina di gelato.
-Niente male davvero- commentò ancora, portandoselo alle labbra.
-Avevi nostalgia dell'estate? La Banana Splint si ordina quando fa caldo, ti pare?- feci notare.
-A differenza tua io non faccio differenze nel magiare a seconda delle stagioni, carina- mi rimbeccò puntuta, al che aggrottai lievemente le sopracciglia.
-Io non faccio differenze di stagione- replicai, presa sul vivo.
-Allora, com'è il tuo frappè?- cambiò argomento, indicandolo con il mento.
-È buono-
Standard. Il miglior modo di rispondere.
Fissò intensamente il mio bicchiere; accennò un sorrisetto estasiato e continuò a fissarlo come volesse mangiarselo da un momento all'altro.
-A me quel cioccolato ricorda i capelli di qualcuno...- si finse vaga, con tono impertinente.
Smisi di succhiare dalla cannuccia e sospirai, alzando gli occhi al cielo.
-Proprio non vuoi finirla?- feci, esasperata.
-Che c'è di male?- replicò con naturalezza.
-Mi hai trascinata fin qui per parlare di Francesco?- sottolineai contrariata.
-Shh, cosa gridi!- mi zittì, guardandosi attorno, -e anche se fosse?- continuò poi.
-Tu sei matta- gettai la spugna, - un giorno andrai al manicomio, te e i ragazzi-
-Eddai- fece, -non ti va di divertirti un po'?-
-A fare cosa?- ribattei.
-Immagina che fosse il tuo ragazzo: che cosa gli faresti?- mi punzecchiò, senza arrendersi.
Mi piegai in avanti, di modo che mi sentisse solo lei.
-Gli direi di sparire dalla circolazione e gli darei amorevolmente un calcio in culo- risposi ammiccante.
-Daai, non puoi essere seria per una volta!- si lamentò anche lei, -Voglio solo che ci divertiamo un po'... è un bel ragazzo, non puoi negarlo-
Tentava di farmi cadere nella sua trappola. Voleva indurmi a risponderle, così avrei ammesso che un minimo interesse ce l'avevo davvero per lui.
-Ah, che adescatrice...- commentai, sorridendo.
-Come pensi di sopravvivere? Dovremmo avere la sua presenza intorno per dieci lunghi mesi- prese un'altra cucchiaiata di gelato.
-Si può sopravvivere, credimi. Ci abitueremo alla sua presenza e al suo fisico- feci vaga, poggiandomi allo schienale della sedia.
-Al suo fisico mai- ironizzò, -chissà che pettorali deve avere-
-Perché, hai prestato particolare attenzione al suo petto? Complimenti, Carlotta, ti stai rivelando...-
-E piantala. Possibile che tra noi due debba sempre apparire io quella perversa? Assecondami un po'!- replicò, metà scherzando metà parlando sul serio.
-Cosa vuoi che ti dica? “Uuh Francesco, quanto sei sexy, ti scoperei subito se potessi!”- assunsi un evidente tono sottile da ragazzina infatuata e Carlotta si mise a ridacchiare.
-Puoi anche tenertele, queste performance- disse.
-È solo... che non sono una che ha il pallino per i ragazzi- dissi, seriamente questa volta, -non vado a sbavare dietro ogni figo della scuola. E nemmeno tu- le lanciai un'occhiata ammonitrice.
-Va bene mamma, la smetto- alzò gli occhi al cielo, - Ma non ti va di divertirti un po'? Insomma, siamo grandi ormai... dovresti smetterla di comportarti come se avessi quattordici anni-
-Quattordici anni??- ripetei, sopresa, -stai scherzando?! Io non ho niente a che vedere con i quattordici anni. Che c'è, solo perché non mi comporto come una puttana vuol dire che ho comportamenti infantili??-
-Avere quattordici anni non significa essere infantile- mi corresse, ma scossi contrariata la testa, -Lo so, ma tu lo dici come se significasse questo- ribattei.
-Hai ragione, va bene, scusa, ho sbagliato- alzò le mani con tono colpevole piuttosto marcato, -Riformuliamo il concetto: ti comporti come se avessi ancora diciassette o diciott'anni- proseguì, -Sai, gli anni in cui stai per avere la patente, la tua firma sulle giustifiche della scuola e sugli acquisti di Ebay, le prime esperienze in tutto quello che non potevi fare prima da minorenne...-
-Non dire stronzate, Car- ribattei, piuttosto infastidita, -sei tu che credi sia rimasta una bambina. Essere maturi si dimostra in forme diverse, non solo prendendo dieci a scuola ed evitando di fare le tre di notte il sabato sera-
-Perché, tu fai le tre di notte?-
-Era un modo per dire le cose standard. Credi che una ragazza matura sia soltanto quella che non la da al primo che passa ed evita di frequentare posti piuttosto discutibili? Ma in che vivi, nel Medioevo?-
Stavo iniziando a prenderla sul serio, come faccenda. Se c'è una cosa che odio è quando mi danno della bambina o quando mettono in gioco la mia persona.
-Okay, okay calmati- mi fermò, avendo ascoltato abbastanza, -parliamo d'altro, ti va?-
-Sì, decisamente- replicai, con una punta di stizza.
-Pensi di andare alla festa di sabato prossimo?- mi chiese incuriosita.
-Quale festa?- drizzai le orecchie, dimenticando la faccenda della maturità.
-Non lo sai? Gemma ci ha invitate su Facebook, è il suo diciottesimo; siccome Andrea è il suo ragazzo...-
-Momento, momento, momento- la fermai, sentendo nominare un nostro compagno di classe, -Andrea sta con Gemma??- mi stupii.
-Sì, e da un anno anche- alzò gli occhi al cielo. “Ma questa non si aggiorna mai?!” sembrava dire la sua faccia.
-Credevo si fossero lasciati...- mi misi sulla difensiva, ma lei iniziò a spiegarmi precipitosamente:
-Sì, si sono lasciati per sei mesi, ma giusto sei mesi fa si sono rimessi insieme, comunque non siamo qui a fare il Beautiful della serata. Fatto sta che ci ha invitate, e siccome Andrea è il suo ragazzo l'ha convinta ad invitare anche gli altri della nostra classe, che sarebbero cioè i ragazzi. Ha invitato tutte le ragazze. Le altre vanno, manchiamo solo noi. Tu che ne pensi?- concluse, partendo da dove mi aveva lasciata.
Gemma era una nostra amica da tempo, non ci vedevo niente di male ad andare.
Inoltre avevo bisogno di staccare la spina per un po', prima di potermi buttare a capofitto sui libri.
-Okay- asserii, -per me va bene. Margherita sa già tutto?-
-Sì, tranquilla, le invio un messaggio poi. Sai, sono contenta- sorrise smagliante.
-Perché?- sorrisi, lasciandomi contagiare dalla sua spensieratezza, mentre riprendevo a sorseggiare il frappè.
-Perché così ci svaghiamo un po'. È il nostro ultimo anno, poi finirà la pacchia- rispose serafica.
Continuai a bere la deliziosa bevanda, guardandomi attorno per vedere quello che facevano le altre persone: una giovane donna che conversava animatamente con un uomo, un uomo di mezz'età che sorseggiava un caffè, con l'espressione concentrata e pensierosa, e un gruppo di studenti che studiavano con i libri aperti prendendo schemi e appunti sui quaderni o sui fogli, il tavolino pieno di evidenziatori, penne, borselli e diari. Sorrisi, ricordando che anche io, Carlotta e Margherita facevamo spesso la stessa cosa a quei tavolini del bar, noto tra gli studenti appunto perché potevi startene lì seduto a studiare senza che ti dicessero nulla; un po' come quel famoso bar a Parigi, celebre per essere stato il preferito luogo di ritrovo tra gli intellettuali.
-Ehi- mi richiamò allegramente come un uccellino la mia amica, mentre finiva di armeggiare con il telefonino, -dobbiamo andare a fare shopping per l'occasione-
-Va avanti tu, io ti seguo- feci annoiata.
-Ah no, cara mia. Tu il vestito te lo metti, non provare a venire in jeans e maglietta perché so che lo faresti. Hai diciannove anni, un bel culetto e le tette, se non ti metti ora tacchi e vestitini quando speri di metterteli??- mi fece la ramanzina.
Sorrisi leggermente; Carlotta non si smentiva mai.

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Capitolo 4
*** Tutti i nodi vengono al pettine ***


                                                         CAPITOLO 4 

 

-Eddai, Car- richiamai la mia amica, -rallenta-
-È inutile- mi soffiò all'orecchio Margherita, -dalle un negozio e dei bei vestiti e ti sei giocata Carlotta-
-Andiamo ragazze, sbrigatevi!- ci richiamò la terza in questione, da poco distante, -abbiamo tutto il pomeriggio per girare!-

Eravamo andate al centro commerciale della città, il più fornito. Quando avevo chiesto a mia madre se potevo stare fuori casa fino alle sette di sera dalle tre in poi le era quasi venuto un colpo.Che devi fare, per così tanto tempo?! Non dovrai mica andare a casa del tuo ragazzo?”
Mamma!” la rimbeccai, vergognandomi. Non perdeva occasione per punzecchiarmi.
Sai che non ce l'ho il ragazzo, devo andare in centro. Ho i diciotto di Gemma tra due settimane” spiegai, sentendo il bisogno di rimettermi l'anima in pace dopo quella sua uscita in doppiosenso.
Okay, topino, fai pure” aveva risposto tranquilla, “Io sarei comunque andata dallo zio, tua zia ha finito di aggiustarmi la giacca che si era scucita e devo passare a riprendermela. Non combinare troppi casini”
Ma' sono grande ormai” avevo borbottato infastidita, “a te serve qualcosa?”
No, divertiti e non spendere troppo” mi aveva solo raccomandato.
Non spendere troppo. Che cosa credeva, che avessi il budget della regina d'Inghilterra nel portafoglio?
Carlotta continuava a volteggiare entusiasta; se fosse stata su un palcoscenico avrebbero potuto scambiarla per una ballerina di danza classica senza troppi problemi.
-Smettila Car, ci stanno osservando tutti- mormorai preoccupata, guardandomi attorno.
-Sì Car, dacci un taglio- mi seguì Margherita, preoccupandosi quanto me.
Date a Carlotta in mano una carta di credito e il centro commerciale più frequentato e la vedrete fare tranquillamente shopping, il più esuberante comportamento per cui potreste rimanerci secchi è il vederla tornare con la maggior parte della roba in vendita.
Date a Carlotta in mano una carta di credito e il centro commerciale più frequentato di un'altra città o almeno distante chilometri da casa sua e darà il massimo delle sue performance sulla regola morale del “tanto qui non ci conosce nessuno”.
Di solito si attua questa tattica in spiaggia. Lei si scatenava nel centro commerciale. Era fatta così.
-Va bene, ragazze, la smetto- tornò vicino a noi, quietandosi.
Sembrava un topolino in mezzo ad un vassoio pieno di formaggio oppure un gatto in una stanza piena di buste.
-Ti converrà farlo davvero, perché poi dovrai entrare nei negozi e guardare in faccia la gente che ti stava osservando- le dissi, ferma sulla mia posizione.
-Dai Biancaa, scatenati un po'! Divertiamoci!- mi rimproverò frivolamente.
Io e Margherita ci guardammo, lasciando correre. Carlotta – shopping era un caso seguito da anni ma ormai abbandonato.
Nell'ora e mezza successiva non avevamo ancora combinato niente. Entravamo e uscivamo dai negozi più abbattute di prima, destabilizzate dalla vista del cartellino su cui era appuntata la taglia o il prezzo impronunciabile; ci sedemmo su una panchina blu tutta inferriata.
-Uffa ma che hanno le ragazze di oggi, il corpo da manichino??- sbuffò contrariata Carlotta.
-Evidentemente non sono tutte prosperose come te- le rimbeccai, facendo ridere Margherita.
-Zitta tu, topolino- mi scoccò un'occhiataccia, -che con quel musetto non volevi neanche venire a fare shopping-
-Io continuo a sostenere che cercare il vestito perfetto sia una perdita di tempo. Non troverai mai il modello che cerchi, ogni vestito avrà la sua pecca: o ti fa il sedere più grande, o ti scolla troppo davanti, o ti stringe troppo le gambe. È così, inutile negarlo-
-Siamo qui per cercare qualcosa di decente da indossare, non per perderci in chiacchiere- ci richiamò ad un tratto Margherita.
-Infatti Bianca, finiamola- ammise Carlotta.
Ah, da quale pulpito arrivava la predica.
-Che ne dite di quello?- ci chiese Margherita, indicando un negozio poco distante.
-Non è male- commentai osservando la mercanzia all'interno.
-Già, se non ricordo male la roba non costa neanche parecchio lì- disse in segno di approvazione Carlotta.
-Allora andiamo- proposi senza perdere tempo.
Ci fossimo andate prima.
Margherita trovò un vestito verde, che risaltava il suo corpo snello e le donava in tinta con gli occhi, Carlotta invece preferì uno di un color lavanda con il corpetto morbido intrecciato, entrambe a prezzi accessibili. Solo io non avevo trovato ancora il vestito adatto a me.
-Certo che hai una fortuna, Bi- fece Margherita quando uscimmo dal negozio.
-Già- affermai.
-Oh mio Dio, guardate quel vestito!!- ci distolse dalla conversazione Car fermandosi ammaliata a guardare una vetrina.
Era un vestito splendido, non c'era che dire: di un color blu elettrico, con una sola spallina a fascia doppia che tagliava trasversalmente sino al corpetto, l'altra cingeva morbidamente il braccio destro del manichino. Abbastanza corto per essere elegante ma giovanile, con la gonna morbida tutta a balze di diversa lunghezza. Davvero incantevole.
-Bianca potresti prendertelo tu- mi diede dei colpetti sul braccio con una mano.
-Non dire sciocchezze- protestai, - hai visto che stile? Chissà quanto costa-
-Andiamo a dargli un'occhiatina?- tentò di convincermi Margherita.
Cedetti ai loro incoraggiamenti, avvicinandomi alla vetrina.
Quando vidi il prezzo di partenza bannato da una riga mi rincuorai appena, leggendo in seguito il prezzo scontato sotto il primo. Non era tanto. Ma neanche poco. Se avessi voluto quel vestito avrei dovuto chiudere il portafoglio per circa altri tre mesi stando lontana da qualsiasi tentazione di acquisti.
Finii con l'aprire il portafoglio, uscendo dal negozio con una busta in mano e il vestito della mia taglia.
-Ti sta benissimo- mi sorrise Margherita.
-Sembri un'attrice sul Red Carpet- ammiccò Carlotta.
-Volete finirla di imbarazzarmi?- le ripresi, un tantino imbarazzata davvero.
-E se fosse troppo appariscente per una festa?- continuai incerta.
-Ma stai scherzando? Non c'è occasione migliore per indossare un vestito del genere!- replicò esperta Car.
-Chissà se a Francesco piacerà la nostra piccola vestita tutta carina come nei jeans- fece provocatoria Margherita.
Mi bloccai di colpo.
-Che cosa hai detto??- esclamai sorpresa, mentre il cervello già iniziava a lavorare su quanto avesse appena lasciato trapelare.
-Non... non glielo hai detto?- si rivolse all'altra mia amica.
La sua espressione maliziosa era svanita di colpo, lasciando il posto a una perplessa.
Le guardai entrambe, accigliata.
-Detto cosa?- feci, con tono stizzito.
Ci aspettavamo entrambe una risposta da Carlotta. Che dal canto suo era rimasta un momento spiazzata.
-... Viene anche Francesco alla festa, non è così?- realizzai, guardandola bieca.
-Non credevo fosse un problema... e poi ti avevo già detto che sarebbero venuti tutti i ragazzi della nostra classe- si difese, perplessa anche lei.
-Che ti succede? Non avevi detto che non ti interessava, un tipo come lui?- continuò poi riacquistando tono.
Uno come lui. Che cosa voleva dire??
-Che cosa vuoi dire?- feci, inviperita. Chissà cos'altro sapevano della festa e di lui.
-Calmati Bi- mi chiamò Margherita, ma arretrai di un passo:
-Calmarmi?? Che cos'altro sapete che io non so??- non mi fermai.
-Ti sta andando il sangue alla testa, siediti e parliamone con calma- tentò di calmarmi Carlotta.
Mi sedetti, confusa.
-Mi spiegate che cosa sta succedendo, in dettaglio grazie?- sbottai, -Cos'è questa storia che ci sarà anche Francesco alla festa?-
-Beh, è un amico di Andrea- rispose Margherita per Carlotta, -è naturale che venga anche lui-
-Un amico di Andrea?- ripetei, scandendo bene la parola come per sottolineare un concetto, -è arrivato da meno di due giorni e già si può definire “amico” di Andrea? Devo rivalutare alcuni concetti dei modi di fare maschili, allora-
-Si conoscevano già- lo difese Carlotta, -conosce già qualcuno dei nostri. È così strano? Anche noi conosciamo Gemma, che ha un anno in meno di noi e va allo Scientifico-
Non dissi niente.
Sapere che avrei avuto la sua presenza attorno anche in quella serata mi mandava in stato confusionale come non mai.

 

 


Ciao:) siamo quasi arrivati al punto di svolta... Pazientate ancora un po', dal prossimo capitolo in poi entrerà in scena un ritmo più incalzante e pieno di colpi di scena... Ho già detto troppo. Vi rimando ai prossimi capitoli, sperando di avervi incuriosito:)

_Char

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Capitolo 5
*** Nulla da temere ***


                                                               CAPITOLO 5

 

 

-Allora, andiamo insieme stasera?-
La domanda squillante di Carlotta mi rintronò letteralmente nelle orecchie, lasciandomi come sospesa in una bolla d'aria per qualche momento. Era tutta la settimana che stavo pensando alla festa, e ogni volta che mi sorprendevo a porvi l'attenzione mi pregavo di pensare ad altro. Da quando, una settimana prima, mi ero prefissata di trovare una soluzione per non lasciarmi intimorire dalla presenza di un certo qualcuno, non avevo trovato ancora rimedio, forse avevo addirittura perso tempo convincendomi che ce ne fosse ancora per decidere sul da farsi.
Non volevo andare a quella festa. Non ora che avevo scoperto ci sarebbe andato anche Francesco.
Volevo togliermelo di torno senza indugi, meno ci stavo a contatto meglio sarebbe stato.
Come se non fosse già abbastanza facile scorgere di sfuggita in classe quei suoi occhi tremendamente attraenti che ti mangiavano con lo sguardo. Non avevo paura perché non mi aveva interessato. Avevo paura perché mi aveva interessato anche troppo. Ma a chi volevo darla a bere? Fin dal primo momento in cui gli avevo posato gli occhi addosso quel primo, maledetto, giorno di scuola ero stata sempre palesemente attratta da lui. Trovavo solo più facile non darlo a vedere, con le mie amiche, anche se loro non si facevano troppe preoccupazioni a manifestare il loro interesse alla sua presenza.
Sopratutto Carlotta. Che era sempre stata attratta dai ragazzi era noto fin dall'antichità, ma mai in un modo come quello. Sembrava davvero infatuata di lui. Infatuata. Non innamorata. Era attratta solo dal suo fisico. Non a dire che le sarebbe dispiaciuto conoscerlo caratterialmente, ma sembrava focalizzarsi solo sui suoi pettorali. Diamine. Se li aveva.
Basta! Non dovevo pensarci. Mi stava mandando in confusione. Anch'io ero attratta dal suo corpo, non potevo negarlo per quanto volessi farlo con tutta me stessa. Ero stata, fino a quel momento, la ragazza che non si faceva troppa fissa per i ragazzi, che pensava ad uscire il sabato sera con le sue amiche e che preferiva starsene a fare qualcos'altro che appostarsi nei bar e commentare ogni tizio degno di nota che ti passava davanti. Mi sentivo male, non mi ero mai sentita così interessata ad un ragazzo come per Francesco. Quei capelli scuri, che solo gli occhi potevano eguagliare per profondità, quelle sue labbra dannatamente sexy. Gli occhi che parlavano.
E le sue mani.
Sentivo un brivido scuotermi ogni volta che posavo distrattamente lo sguardo su di esse. Ogni cosa sembrava parlare di lui. Ogni cosa. Francesco non era un fisico. Era un'opera d'arte. Una statua ellenistica in movimento, la meraviglia del corpo che si univa alla fluidità e alla morbidezza dei gesti. Me le ricordava più di ogni altra cosa.
Non avrei potuto resistergli a lungo. Non se ci fossimo trovati insieme in uno stesso posto, per lo stesso tempo senza vie di uscita.
Sentivo sarei crollata, di fronte alla sua presenza.
Mi augurai vivamente il contrario.

-Bianca? Ci sei?- mi riportò alla realtà Carlotta, prendendomi per un braccio.
-Sì, stavo solo pensando alle macchine- dissi, mentendo spudoratamente. Ci mancava solo che si accorgesse dei miei pensieri.
-Per le macchine possiamo andare con la mia- propose pacatamente, -Siamo in tre, l'auto di mia madre basterà anche se qualcuno avesse bisogno di un passaggio. Ma che hai?- domandò poi, perplessa.
-Niente, sono solo stanca. Due ore di biologia con Monviso non si affrontano- risposi spossata. Cercai di convincerla della mia interpretazione, che sembrò funzionare a dovere.
-Già- disse, -per fortuna dobbiamo fare solo l'ultima ora-
Diamine.
L'ora del patibolo si avvicinava sempre di più.
-Passo a prenderti alle otto. Per te va bene?- continuò il suo discorso.
Annuii, dandole uno sguardo.
-Ottimo- commentò, ma dal tono neutro con cui lo disse capii che stava cercando qualcosa nei miei gesti, focalizzando la sua attenzione su di me come un mirino di una macchina fotografica.
-Buongiorno ragazzi- la voce della professoressa di matematica ci arrivò alle orecchie improvvisa come inaspettata.
-Ha dimenticato di perdersi oggi nei corridoi?- sentimmo dire a bassa voce da qualcuno con tono beffardo.

Un'ora dopo avevamo finito anche di assopirci sulla ripetitiva lezione di fisica.
Non appena sentii la campanella vibrare sgranai gli occhi, atterrita.
Margherita non sapeva più come raccapezzarsi riguardo alle mie espressioni particolarmente poco eloquenti di quella mattina.
Uscii dalla scuola quasi di corsa, implorandomi tuttavia di rallentare e fermarmi come se avessi potuto fermare anche il tempo, mentre la calca di studenti sorpassavano, spingevano e si precipitavano lungo le scale per uscire da quel purgatorio eterno.
-Ci sentiamo più tardi, Bi- mi aveva richiamata Margherita, squadrandomi perplessa anche lei.
Evitai di camminare lungo il marciapiede affollato e sviai il percorso lungo la strada almeno per il tratto più intasato di persone, con lo sguardo che girava da solo dappertutto, ansiosamente, finendo poi per ricadere sul marciapiede.
Mi affrettai a camminare, sperando di arrivare il prima possibile a casa.

 

 

Francesco POV


Era la seconda volta che distoglieva lo sguardo. Quella mattina oggi in classe, poi mentre si allontanava. Dovevo fare un certo effetto su di lei, a quanto pareva. Avevo iniziato ad abituarmi, se così si può dire, ad essere osservato dalle ragazze della scuola. Avevo visto sguardi attratti, maliziosi, imbarazzati. Ma il suo era uno sguardo incerto.
Sembrava avesse paura. Paura di manifestare qualcosa che evidentemente sentiva premerle dentro di sé. Paura di me.
Ero consapevole di fare sempre un certo effetto, sulle ragazze. Ma quelle come loro non mi interessavano, nemmeno per una botta e via. Sfoderavano sorrisi adescatori e sguardi impertinenti, in modi tutti diversi ma che dicevano solo una stessa cosa: scopami.
Si riconosceva facilmente il sesso delle puttane, e ce n'erano parecchie in giro. Se avessi voluto farmi una scopata come si deve per sfogare i miei desideri sessuali sarei andato in un locale notturno dove sapevo ci sarebbero state delle puttane che te l'avrebbero data anche meno per un sorriso malizioso.
O forse di più. Dipendeva dal prezzo che gli attribuivano.
Ma a differenza di quello che credevano non ero uno di quelli che sapendo di far sbavare tutte le ragazze del liceo dietro il suo corpo ben delineato si portava a letto tutte le sciacquette del liceo.
Lei aveva paura. Temeva il mio sguardo, temeva di caderci dentro anche lei.
E se solo avesse saputo che, Dio, avrei voluto prenderla prima che passasse via e dirle che non c'era nulla da temere, non avrei saputo neanch'io cosa le avrei fatto.

 

 

Bianca POV

 

-Sei pronta amore?-, Carlotta mi parlava entusiasta al telefono.
-Dammi solo 5 minuti e sono pronta- risposi, poggiando il telefono sulla scrivania ancora in modalità chiamata.
-Uffa, voi donne siete tutte uguali- sbruffò, -se tra 5 minuti non sei pronta giuro ti vendo a prendere su-
E allora vieni.
Avrei preferito mi trascinasse legata come un sacco di patate piuttosto che camminare di mia volontà in quel locale.
Mi accostai allo specchio, cercando di salvare il salvabile.
-Margherita è già con te?- alzai la voce per farmi sentire, parlando frettolosamente.
-Ehiii, ti stiamo aspettando qua giù!- la voce della mia amica mi ritornò altrettanto alta, capendo mi ero messa a distanza dall'apparecchio.
-Andiamo Bià, muoviti o faremo tardi- si lamentò l'altra.
-Arrivo- borbottai, prendendo la pochette nera da sopra le lenzuola.
-Muoviti Bià, o salgo sul serio a prenderti-
Mi assicurai di spegnere tutte le luci prima di uscire e chiusi la porta a chiave: mia madre sarebbe tornata per le otto e mezza, e avrei dovuto muovermi se non avessi voluto trovarmela in mezzo alle scale.
-Finalmente la signorina ci degna della sua presenza- sbottò Carlotta non appena mi vide arrivare.
-Zitta e accendi il motore- dissi senza giri di parole.
-D'accordo, Vossignoria- fece seccamente.
Venti minuti dopo eravamo in mezzo all'autostrada.
-Perché fanno sempre le feste di compleanno lontano dal centro?- fece Margherita, che sbucava dai sedili posteriori in mezzo a me e Carlotta, sedute davanti.
-Dovremmo esserci quasi- le dissi in risposta, prendendo coscienza delle mie parole solo in un secondo momento.
-Sta calma Bi- mi rabbonì Carlotta, tenendo il volante, -la so la strada-
Merda.
Carlotta aveva stoppato nel parcheggio, cercando un posto dove sistemare la macchina.
-Vedete posto?- domandava a me e Margherita. L'unico posto che vedevo era quello del poggiapiedi della macchina.
-Lì, accosta lì- le indicò Margherita da dietro.
Potevo ufficialmente definirmi fottuta.

 

Tre ore dopo

 

La musica della sala rimbombava nelle orecchie a volume altissimo. Le luci erano fortunatamente abbassate, così da evitare di riconoscere la gente a prima vista, motivo per cui la maggior parte di noi se non tutti si erano buttati a ballare fregandosene della figura che avrebbero fatto poiché momentaneamente irriconoscibili se non a contatto diretto. Per lo stesso motivo mi ero buttata anch'io in pista, cosa che non avrei mai fatto se le luci fossero state normalmente funzionanti, e, diamine, dovevo ammettere che se l'avessi saputo prima avrei fatto la stessa cosa anche alle altre feste trascorse per la maggior parte ai tavolini del buffet, seduta a chiacchierare con qualcun'altra rimasta fuori dai giochi.
-Allora Bianchina, ti stai divertendo stasera eh?- sentii praticamente gridare da Margherita, nonostante fosse vicina a me, per sovrastare il livello della musica.
-Avreste dovuto trascinarmi prima- ridacchiai, -dovevate prendermi e buttarmi dentro senza troppe cerimonie-
-L'avremmo fatto se non fossi stata armata della borsa pronta a malmenare chiunque tentasse di farti svagare di più- mi rimbeccò Carlotta.
Le feci la linguaccia in risposta, sentendo un'ebrezza diversa.
Per una volta, finalmente, ero tornata ai vecchi tempi se non di più, lasciandomi andare alla musica e alle luci pulsanti senza troppe preoccupazioni.
-Ehi ragazze, io torno ai tavoli- gridai alle due, per farmi sentire, -ci vediamo dopo-
-Okay!- disse Margherita con entusiasmo.
Riuscii a superare la calca di persone che si riversavano in pista e raggiunsi i tavoli, come un marinaio sopravvissuto a un naufragio. Mi sentivo ancora tremare per tutto il corpo le scariche di adrenalina, motivo per cui avevo un sorriso a quarantadue denti senza curarmi troppo delle reazioni altrui.
-Ehi Bianca!- sentii richiamarmi da poco distante. Girai lo sguardo in cerca dell'interlocutore nascosto nel buio e sorrisi non appena lo riconobbi:
-Flavia!- esclamai, senza perdere il sorriso.
Okay, stavo andando di testa. Sembravo Alice caduta nel Paese delle Meraviglie.
Si avvicinò e mi schioccò un bacio sulla guancia:
-Non ti avevo mai vista così carica, prima di stasera- fece, ammiccante.
-O scarica- la corressi, al che ridacchiò.
-Ti conviene stare lontano dai drink allora, ci andresti giù pesante e ti basta essere fuori di testa già normalmente-
-Ma guarda un po', non si saluta eh?- arrivò da dietro di noi Margherita, fingendosi offesa.
-Buonasera anche a voi- mimò una riverenza sarcastica Flavia, -Ci conosciamo, prego?- continuò poi fingendosi perplessa nei confronti di Carlotta.
-Bianca, chi è costei?- rispose a tono lei, indicandola stranita.
-E poi sarei io ad essere fuori di testa- commentai, divertita.
-Come te la passi, Fla?- riprese un tono normale Carlotta, tenendo in mano un bicchiere pieno.
-Non male- rispose lei, abbozzando, -anche se Enzo se la passa meglio- aggiunse poi.
-Enzo?- si stupì Margherita.
-Vincenzo- la illuminai stancamente, al che ebbe la rivelazione che le fece accendere la memoria.
-È venuto anche lui stasera?- continuò.
-Sì, mi ha accompagnata. Dovrebbe essere da quelle parti- indicò con il dito in fondo, al che la seguii istintivamente. Il sorriso a quarantadue denti mi si spense di colpo.
Cazzo.
Lo sguardo mi ricadde impulsivamente su qualcuno appoggiato sul fondo della sala, insieme agli altri ragazzi. Dove c'è una festa femminile i ragazzi tendono a starsene in gruppo per i fatti loro, a buona ragione. A buona, dannata, ragione.
Mi si fermò quasi il battito cardiaco, persa.
La sua camicia nera, scollata sulle clavicole, lo risaltava nelle luci pulsate della sala, creandogli un'ombra di celato e di rivelato allo stesso tempo. Solo la cintura argentata delineava lo stacco dal busto ai pantaloni, neri anch'essi. Aveva in mano un bicchiere, simile a quello di Carlotta, e ogni tanto vi faceva scorrere le dita attraverso l'impugnatura.
Tentai di distogliere lo sguardo, stregata da quelle dita, ma non feci in tempo che lo osservai portarsi il bicchiere alla bocca, per poi riabbassarlo mentre si leccava le labbra.
Mi sentii morire.
Ecco lo stato confusionale che ritornava. Non so cosa avrei dato per potergli sfiorare quelle maledette labbra estremamente sensuali, accarezzargli il petto maliziosamente simile a una calamita per via di quella scollatura accattivante.
Abbassai lo sguardo, assumendo nuovamente il controllo di ogni cosa.

 

 

Francesco POV

 

-Ehi, guarda chi c'è- sentii dire da Antonio, mentre indicava col mento qualcuno davanti a noi.
Mi voltai verso la sua direzione, e la vidi.
Era insieme ad altre ragazze, la chioma scura tendente al castano inconfondibile in mezzo alle altre more.
Le gambe scoperte, le spalline quasi abbandonate oltre la spalla.
Merda. Mi stavo eccitando di nuovo. Sentii un calore familiare nei piani inferiori del mio pantalone e istintivamente chinai lo sguardo, cercando di non farmi sorprendere dagli altri a tenere d'occhio il mio amico. Sentivo il membro pulsare insistentemente; cazzo, dovevo fare qualcosa.
-Ragazzi ci vediamo dopo, vado a farmi un giro per la festa- dissi ad Antonio e agli altri.
-Cerca di non farti un bicchiere- mi raccomandò con tono da mamma quest'ultimo, suscitando un ridacchiare generale.
-Sì mamma- sorrisi furbetto, dirigendomi verso l'uscita della sala.
Bagno. Sospirai, cercando di calmarmi, in piedi davanti allo specchio che ricopriva l'intera parete, con le mani appoggiate al lavandino. Possibile che mi bastava vederla per andare in escandescenza? O era particolarmente provocante quella sera o ero io che stavo avendo più erezioni del solito. Aprii l'acqua del rubinetto e chinai lo sguardo nel lavandino, osservando il liquido che sgorgava come un fiumiciattolo nello sgorgo. Dovevo calmarmi. Non potei fare a meno di ripensare a lei quando, quella mattina, era andata via accelerando il passo. Dovevo fermarla. Prima che lei avrebbe definitivamente fermato me.

 

 

Bianca POV

 

Accelerai il passo, in cerca di salvezza.
Mi tornarono in mente le parole di Margherita dette pochi istanti prima:
Andiamo, resta un po'” aveva detto con tono solare.
No, ho bisogno di una boccata d'aria” mi ero limitata a dire, dileguandomi dalla sala. Stavo già programmando del come avrei potuto andarmene da lì senza dare troppo a vedere la mia voglia di evadere, sopratutto nei confronti della festeggiata. Maledetta lei e quando si era messa con Andrea; chi cazzo glielo aveva detto a lui di invitare i ragazzi?? Comunque era mezzanotte passata, quindi l'orario era consono per una dipartita improvvisa causata da un inaspettato malore di mia madre.
Gemma io devo scappare, mia madre mi ha appena chiamata perché ha avuto un giramento di testa ed è a casa da sola, non vorrei le succedesse qualcosa, grazie di tutto”
Stop. Rapido e conciso.
Uscii dal locale, respirando l'aria fresca della serata.
Camminai per un paio di passi, guardando nel parcheggio, quando mi sentii stranamente osservata.
-Che cosa ci fai tu qui?- sentii dire da una voce alle mie spalle, scherzosa.
Sgranai gli occhi dalla sorpresa e mi girai, trovandomi a tu per tu con... Francesco. Proprio lui.
L'ultima persona che avrei voluto vedere a quella festa, la persona a cui stavo cercando di sfuggire. Lui.
-Non si può nemmeno uscire liberamente fuori?- ribattei, cercando di ignorare i suoi modi affabili.
-Da sola?- mi fece notare, guardingo.
-Sì- la mia risposta trapelava indecisione, -non è concesso? Bisogna sempre essere con qualcuno per poter prendere un po' d'aria?-
-In due?- fece notare, sorridendo.
Mi sentii in imbarazzo.
-E tu che ci fai qui?- presi la palla al balzo, manifestando simulata nonchalance.
-Non si può prendere una boccata d'aria?- riprese le mie parole, senza smettere di sorridere.
Diamine che sorriso che aveva.
-Vuoi seguirmi?- gli chiesi, mostrandomi fredda e distaccata.
-Se è un invito hai sbagliato di grosso a chiedermelo- sorrise.
Sentii vacillare di fronte alle sue parole. Di solito quando non ce n'è bisogno riusciresti a dire tutti i discorsi ben strutturati del mondo, con quel tocco di pepe che ti permetteva di guadagnarti un'uscita in grande stile. Ma fu come se avessi dimenticato ogni parola e ogni frase.
-Voglio solo parlare- abbassò il tono, parandosi di fronte a me.
Lo osservai, incerta.
Lui non si spostava, in attesa di una mia risposta.
Dai Bianca, un'occasione come questa non ti capiterà più” mi sollecitava il mio cervello.
-Perché?- dissi soltanto, a bassa voce.
-Non ti fidi di me?- domandò a bruciapelo. Stavolta nel suo tono sensuale c'era una punta di dolcezza. Sarei potuta cadere fra le sue braccia.
-Devo?- restai sul tema, avvicinandomi di un millimetro, guardandolo negli occhi.
Non mi rispose; furono i suoi occhi a parlare.
Volevo scoprire cosa aveva in mente. Nel peggiore dei casi sarei scappata via per non farmi più vedere dalla circolazione. Non avevo niente da perdere, se non un'occasione.

-Perché mi hai seguita?-
Ci eravamo allontanati dall'ingresso, appostandoci in una zona piuttosto riservata. “Oh cazzo” fu il mio primo pensiero. Se fosse arrivato al dunque non avrei saputo cosa fare in una situazione come quella.
-Voglio soltanto parlare- ripeté.
-Di cosa?-
Mi sentii tremare.
-Di te-
Fu come una frecciata al cuore. Che cosa voleva da me?
-Di me...?- ripetei, incerta.
-Sì...- disse, avvicinandosi; sentii chiudermi ogni via di uscita. Anche mentale.
-E che cosa vuoi, da me?- mormorai, andando in panico. Non eravamo mai stati così vicini. Avevo timore anche solo a sfiorarlo, per non ritrovarmi nelle sue grinfie.
Mi guardò dall'alto al basso, come per studiarmi.
-Potrei farti anch'io la stessa domanda- disse infine.
Il suo tono era calmo. Forse voleva davvero soltanto parlare, senza preludiare qualcos'altro.
-Che vuoi dire?- chiesi, perplessa e interessata. Non mi sarei mai aspettata un'uscita del genere da lui.
Appoggiò la mano al muro dietro di me, di modo da trovarsi terribilmente vicino al mio viso.
-Perché scappi?- sussurrò, mentre il suo tono ritornava ad essere caldo e suadente, -Si scappa quando si ha paura di qualcosa. Di cosa hai paura?-
I miei occhi incerti cercavano rifugio nei suoi. Le mie mani tremanti desideravano aggrapparsi al suo corpo. Mi aveva messa completamente in trappola.
Di te. Ho paura dei tuoi occhi, del tuo viso, e delle tue labbra fottutamente sexy”
Non seppi cosa rispondergli.
-I-io...- balbettai, guardando il brecciolino sulla strada, -io voglio solo... voglio solo fare la cosa giusta-
Merda. Mi era uscito così, all'improvviso. Non l'avevo nemmeno pensato.
Aggrottò le sopracciglia.
-“Fare la cosa giusta”?- si sorprese, -cioè allontanarti da me? È così? Ma perché vuoi scappare, Bianca?-
Aveva pronunciato il mio nome accoratamente, quasi per dargli peso più di ogni altra parola della sua frase.
Sentii di non poter più parlare, le parole che mi si stroncavano nelle labbra come bloccate da una grossa pietra.
-Okay, senti...- disse ancora, -Non so cosa pensi, nella tua testa. Non so se ti faccio così... timore, da voler scappare via ogni volta che mi incontri- aveva pronunciato “timore” dopo una frazione di secondo, quasi a voler correggere un altro vocabolo, -Ma voglio solo farti capire che non ne hai bisogno. Chissà cosa pensi di me- abbozzò poi un sorriso a labbra chiuse, quasi a sdrammatizzare.
-Non penso niente di te- mi affrettai a ribattere, scuotendo leggermente la testa come per aiutarmi a convincerlo.
-E allora cosa c'è?- mormorò di nuovo, con tono paziente. Anche quando era perfettamente calmo riusciva ad avere qualcosa nella voce di inconsciamente eccitante.
-Io... - mormorai, non riuscendo a sostenere il suo sguardo negli occhi; scivolai sul contorno scuro della leggera barba sotto le narici, perdendomi sulle sue labbra, -Francesco io... io voglio...-
-Che cosa vuoi...?- sussurrò senza spostarsi, seguendomi con lo sguardo.
Un vuoto allo stomaco e un calore improvviso che mi pervadeva il corpo dalla vita in giù; sentii cedermi le ginocchia, sforzandomi inutilmente di non cedergli.
-Tu cosa vuoi da me?- ribaltai la domanda, ritornando lucida in un breve risveglio dei sensi.
-Voglio quello che vuoi tu...- sussurrò con la sua maledetta voce sensuale, eccitandomi incontrovertibilmente.
-E se non fosse la stessa cosa?- mi sforzai di ribattere.
-Chi ti dice che non lo sia...- gli sfuggì un sorrisetto malizioso.
-Ne rimarrai deluso allora, perché non tutto va come prevedi- rivelai, mentendo spudoratamente, sperando che almeno uno dei due ci credesse sul serio.
-In ogni caso io sono qua...- non si abbatté; si avvicinò ancora al mio viso, tanto che riuscii a sentire il calore del suo respiro sul mio collo, che tremava ad ogni soffio, -sempre disponibile in un cambio di opinione-
Rimasi a fissare le sue labbra, respirando quasi a fatica dallo sforzo di tentare di restare calma; dopo pochi secondi che mi parvero un'eternità si scostò dal muro, lasciando scivolare via la mano, senza tuttavia smettere di guardarmi mentre si allontanava, diretto a raggiungere i ragazzi. 

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Capitolo 6
*** Una seconda occasione ***


 

                                                             CAPITOLO 6


Qualcuno mi schioccò le dita in faccia. Mi risvegliai dal sonno ad occhi aperti, girandomi distrattamente verso l'artefice di quell'uscita.
Margherita mi fissava stranita:
-Dio santo Bi, svegliati- borbottò, -sembri demente stamattina-
-Scusa- bofonchiai, non avendola quasi ascoltata. Tornai a poggiarmi sul banco con le braccia conserte: nonostante avessimo tutti fatto le ore piccole, quella notte, io sembravo ancora un panda in overdose di sonniferi mentre le altre al mio confronto sembravano fresche come delle rose.
-Che c'è, ti ha fatto male ieri sera lasciarti andare?- sorrise maliziosa.
-Fottiti- replicai lapidaria, quasi fulminandola con lo sguardo.
Inclinò la testa.
-Hai il ciclo?- chiese perplessa.
-No- bofonchiai, -ho solo sonno-
-“Ho solo sonno, sono solo stanca” … Vuoi riprenderti, Bi?- mi rimproverò seriamente, dandomi uno sguardo ammonitore, -cosa credi, che tutto ti passi per magia? Devi prenderti un pomeriggio intero, chiuderti in camera e dormire fino a che quel tuo nervosismo tanto carino e gentile non scompare, capito?-
-L'avrei già fatto, Marghe- sospirai, - se non avessimo tanto da studiare e tanto da fare-
-Ti riferisci a...?- mi guardò intensamente.
Aggrottai le sopracciglia, sorpresa.
-Cosa?- replicai, stupita.
-Bianca, a me non la dai a bere chiaro? Puoi ingannare Carlotta, puoi ingannare te stessa ma non me. Lo so che c'è qualcosa che non va, lo vedo. E scommetto quanto vuoi che già so anche cosa riguarda. O forse dovrei dire chi-
-Per favore, non mi va di parlarne- mormorai, accasciandomi sulle braccia.
-A me sì invece, quindi sturati le orecchie e ascoltami. Lo so che ti piace, non negarlo. Vedo il modo in cui lo guardi. E so anche...- azzardò poi, perdendo un po' il tono fermo e deciso, -che sei confusa. Ti capisco, Bianca, puoi parlarne con me-
-Lo dici per esperienza diretta?- la punzecchiai, seccamente. Ma bastò un suo sguardo per farmi crollare.
-Scusami- mormorai, -è che... non dormo da tre giorni ormai. Mi dispiace comportarmi così da stronza-
-Non preoccuparti- sorrise dolcemente, - sei adorabile anche quando fai la stronza-
Sorrisi, rasserenata. Per fortuna c'era qualcuno con cui parlare seriamente.
-Allora, dimmi tutto- riprese, -parlamene, Bianca. Ti farà bene. O finirai per scoppiare dentro-
Stavo già scoppiando dentro.
-...È che non so cosa fare- dissi, -Non lo so, sono confusa... Ogni volta ricomincia tutto d'accapo... -
Stette in silenzio, osservandomi.
-Sai qual'è il problema, secondo me?- disse lentamente, dopo un po'.
La guardai interessata.
-Che non vuoi ammettere di esserne attratta. È così, te ne vergogni con te stessa oppure non vuoi che succeda- disse, guardandomi seriamente, -ma devi lasciarti andare Bianca. Vivi. E amalo. Perché so che lo ami-
-Amare è una parola grossa- dissi soltanto.
-Sarà, ma è tanto improvvisa quanto significativa- replicò.
Scossi la testa.
-Ho paura- mormorai, -ho paura che sia solo sesso. Non conosco niente del suo carattere, è solo un'attrazione fisica-
-Allora perché non lo conosci un po'?- fece maliziosa, -così puoi vedere se è il tuo principe azzurro-
-Scordatelo, Margherita, non credo veda qualcosa più che una ragazza in me-
-Provare non costa nulla...- concluse, con sguardo vago.
In quel momento entrò il professore di arte in classe, e la porta si richiuse, portando via tutti i pensieri e le parole degli studenti.


-Grazie- dissi soltanto, una volta finita l'ora.
-Per cosa?- fece Margherita al mio fianco.
-Per avermi ascoltata- sorrisi, e lei ricambiò il sorriso.
-Allora, gli parlerai?- continuò, addolcendo la voce.
-Vorrei...- ammisi, -ma non so come fare...-
-Usa la tua immaginazione- consigliò, -prima o poi qualcosa salterà fuori-
-... Ci proverò- sospirai, sperando mi venisse in mente qualcosa.

 

L'ora di uscita si avvicinava sempre di più. Questa volta attendevo il suono della campanella con una studiata pazienza; al solo pensare che ventiquattr'ore prima mi stavo agitando nervosamente nello stesso banco mi fece comparare la situazione attuale, ben decisa a restare calma.
Ascoltai con attenzione la lezione del professore, cercando di concentrare il mio interesse altrove, e dopo un po' mi sentii meglio. Ciò mi diede una spinta ad andare avanti.
Quando la campanella suonò, decisi di dover entrare in azione.
Bene” pensai, “è il mio momento. O la va o la spacca”
Margherita mi guardava, sorridente ma un po' incuriosita.
Sospirai intensamente e guardai gli altri studenti precipitarsi all'uscita, aspettando il momento giusto. Carlotta ci aspettava alla porta, ma Margherita le fece cenno di uscire senza di me, dandomi un sorriso d'incoraggiamento.
Misi lo zaino in spalla e mi diressi verso il fondo della classe, decisa ad intercettare i ragazzi che stavano uscendo.
Francesco era quasi a chiudere la comitiva.
Mi scostai da Giovanni e Mirko, che passando avanti stavano quasi per travolgermi incuranti, senza dare troppo nell'occhio, e mi posizionai fermamente dietro di loro.
-Ehi- dissi, per richiamare l'attenzione. Gli occhi dei ragazzi si concentrarono su di me, mentre continuavano ad uscire; cercavano di capire a chi mi rivolgessi. Ma l'interessato della conversazione intuì subito di essere il destinatario. I nostri occhi si incontrarono.
-Vorrei... parlarti di una cosa di ieri sera- continuai, abbassando il tono. Capì che voleva essere una conversazione in privato, e tornò a guardare gli altri, lasciandoli andare con un cenno di capo; non mi sfuggirono le loro frasi nel corridoio simili a “oh ooh, Francesco sta per avere un appuntamento ragazzi” “preparate lo champagne” o anche “Dio gliene scampi”.
Coraggio Bianca” pensai, cercando di farmi forza.
-Di cosa vorresti parlarmi?- iniziò, con tono morbido.
-Beh ecco, niente in particolare...- svincolai, -Il fatto è... che... quando ti sei allontanato, ieri sera, ti è caduta una cosa dalla tasca- sviai lo sguardo, per agevolarmi le cose.
-Una cosa?- ripeté, perplesso. Evidentemente stava intuendo che ci fosse qualcosa sotto.
-Sì- confermai, tornando a guardarlo, -beh, ecco...-
Mi avvicinai a lui e gli infilai delicatamente un piccolo foglietto nella tasca dei jeans.
-Chissà come mi sarà caduto- commentò sarcastico, dopo aver osservato bene i miei movimenti.
-Chissà- feci vaga, -forse era in fondo alla tasca. Capita di trovare delle carte, quando si comprano i pantaloni, e magari non ci se ne accorge prima-
Mi guardò, incuriosito.
-E non potevi lasciarla lì?- fece, stuzzicandomi, -Non aveva nessuna importanza-
-Beh ci tenevo a ridarti ogni cosa di te- feci, accostandomi leggermente, -Non mi sembrava opportuno lasciarla lì-
Sorrise, guardandomi interessato.
Gli diedi un mezzo sorriso per uscirmene e mi tirai indietro, tornando verso la porta.

 

-Gli hai dato il tuo numero di telefono?!- esclamava Margherita al telefono, più che sorpresa.
-Hai detto di inventarmi qualcosa, è tutto quello che mi è venuto in mente- replicai, camminando nervosa per la stanza.
Mi aspettavo una reazione perplessa.
Fu per questo che quasi trasalii quando la sentii alzare entusiasta la voce.
-Ma è fantastico!- gridava quasi, -ce l'hai fatta Bià!! Non pensavo avresti fatto una cosa del genere- si congratulò, felice.
Sorrisi, sollevata dalla sua reazione: in un certo senso mi aveva rassicurata il suo entusiasmo. Almeno non avevo fatto proprio una cazzata.
-A quando l'appuntamento?-
-Calmati Marghe, non so nemmeno se l'ha visto...- rimasi con i piedi per terra, cercando di non farmi contagiare troppo dalla sua contentezza.
-Oddio, non posso crederci!- sorrise ancora, -chissà che dirà Carlotta quando lo saprà-
Rimasi interdetta, per un minuto.
-Senti- feci poi, abbassando la voce, -non dirglielo, okay? Non voglio, per ora...-
-Perché?- si stupì lei.
-Non voglio che rovini tutto- risposi, -so come si comporterebbe. Non dirglielo ancora, per favore. Ci penserò io a farlo-, anche se in realtà non ne avevo l'intenzione.
-D'accordo- asserì, poco convinta, -starò zitta. Fammi sapere come va però- s'impuntò, curiosa.
-Sì, se avrò una speranza- sorrisi, passando oltre.
D'un tratto sentii un colpetto di vibrazione nell'orecchio, che cessò subito dopo averlo avvertito.
Sussultai.
-Credo mi sia arrivato un messaggio... ti dico dopo- dissi, morendo dalla curiosità.
-Davvero?? Bianca, fammi sapere tutto- fece apprensiva, e riattaccò la chiamata.
Abbassai il telefono dall'orecchio e premetti il pulsante di fine chiamata, nonostante l'avesse già fatto lei. Vedere o non vedere? E se poi era solo un messaggio promozionale della scheda telefonica, arrivato con un tempismo perfetto nel momento sbagliato come sempre?
Mi decisi, e riattivai lo schermo diventato buio.
C'era un messaggio in arrivo da un numero che non avevo mai visto.
Andai in fibrillazione.
Aprii l'icona della posta e mi sentii tremare le mani mentre attendeva il breve caricamento.
Sì, credo di aver perso quel foglietto”
Ripresi battito, lasciandomi andare in un sorriso liberatorio. Inviai un messaggio a Margherita.
L'ha letto sul serio!”
Cavolo Bianca!” diceva la sua risposta, “prepariamo fiori e champagne”
Non riuscivo a smettere di sorridere, sollevata.
Non sapevo cosa rispondergli.
È una fortuna che l'abbia trovato, allora” feci infine, ammiccante.
Fortuna per te o per me?”
Più che fortuna, combinazione”
Una combinazione piuttosto fortuita, allora...”
Mi bloccai, realizzando. Davvero stavo parlando con Francesco?? Non riuscivo a crederci.
Che ne diresti se ci creassimo un'altra combinazione fortuita?” arrivò un altro messaggio subito dopo.
Rimasi spiazzata. Mi stava chiedendo un appuntamento? Lui?
Le combinazioni non puoi programmartele” risposi.
Vogliamo chiamarle occasioni, allora?” ribatteva ancora, “una seconda occasione. Come ieri sera”
Una seconda occasione”. Quelle parole si ripetevano nella mia mente come un ritornello.
Posai il telefono, incerta. Che cosa dovevo fare? In fondo Margherita mi aveva consigliato di conoscere Francesco, poteva essere l'occasione giusta. Occasione. Di nuovo quella parola.
Tamburellai con le dita, pensierosa. E se poi me ne sarei pentita? Intanto erano due minuti che non rispondevo. Il telefono giaceva silenzioso sulle lenzuola.
Alla fine lo presi e composi il messaggio.
Se riuscirai a guadagnartela”
Posai di nuovo il telefono, come se scottasse. Tuttavia controllavo ogni momento un possibile segnale di un nuovo messaggio da leggere.
Ecco, era arrivato di nuovo.
Presi rapida l'apparecchio e lessi avidamente.
Dovrò meritarmela, allora. Vedo che non hai intenzione di cedermela facilmente... Una prova? Proviamo a farlo, e poi mi dirai se merito una seconda occasione...”
A quanto sembrava non stava andando poi così male. Mi decisi a scrivere.
Proviamo allora. Ma sarò inflessibile, sappilo”
Giudice imparziale. Staremo a vedere”
Era andata. Almeno era servito a qualcosa. Solo in un secondo momento realizzai che non ci eravamo detti praticamente niente.
E il luogo designato per questa tua “seconda occasione”?” scrissi poi, vincendo il timore e sperando di apparire neutra.
Non avevi detto che saresti stata inflessibile? Perdi già punti”
Diavolo. La colpa era sua.
Ma poi arrivò un secondo messaggio.
Non correre, bambina. Ci vuole tempo per ogni cosa...”
Intendi dire che rinunci?” lo istigai.
Ogni cosa a suo tempo. Sempre se non vuoi tirarti indietro”
Potrei farti la stessa offerta”
La conversazione finì lì. Ci sarebbe stato tempo, per la sua seconda occasione.

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Capitolo 7
*** L'arte dei giochi ***


                                                           CAPITOLO 7 



Me ne stavo davanti alla macchinetta della scuola, mezza insonnolita e totalmente assente alle lezioni che si erano finora svolte e che sarebbero dovute ancora venire.
Pigiai stancamente il tasto del caffè e attesi che la macchinetta facesse sgorgare il liquido bollente dall'inconfondibile aroma deciso. Un concentrato di caffeina per svegliarmi era quello che ci voleva. Non appena feci per alzare la lastra per prendere il bicchiere qualcos'altro di caldo mi avvolse i sensi. La mano di qualcuno sopra la mia.
-Cerchi di svegliarti, bella addormentata?- mi chiese una voce impertinente, ma da un timbro inconfondibile quasi quanto l'aroma del caffè.
Girai gli occhi e mi ritrovai a riconoscere il proprietario di quella voce. Non che non l'avessi già riconosciuta.
-Guarda guarda, che cosa ci fai lontano dai ragazzi?- lo provocai, mostrandomi impassibile.
Francesco abbozzò un sorrisetto malizioso.
-Ho altro da fare- rispose, col tono di uno pieno di impegni che riesce a trovare un attimo per respirare, -non dovresti bere il caffè, ti fa male- variò poi, distogliendosi dall'argomento precedente.
-Come sai che è caffè? Non l'ho ancora preso in mano- ribattei, perplessa.
-L'aroma è decisamente caffè. Si sente prima ancora di alzare la lastra- si avvicinò con la mano, scostandola dalla mia, e sollevò la lastra, prendendo il bicchiere in mano come se nulla fosse.
-Ma guarda un po', ho indovinato...- continuò, fingendosi compiaciuto delle sue ipotesi.
-Potresti lasciarmi il caffè, grazie?- bofonchiai.
-Ti fa male- ripeté, portandosi il bicchiere alle labbra; prima ancora che compisse l'atto ebbi la certezza che sarei morta se solo avessi continuato a vederlo. Francesco inclinò leggermente il bicchiere e ne bevette un sorso con naturalezza, guardandomi per pochi attimi prima di abbassarlo di nuovo, con ancora il bordo delle sopracciglia a risaltargli gli occhi. Sembrava che ogni cosa di lui si fosse coalizzata per mettermi fuori gioco.
-Dolce eh?- commentò, intuendo il livello di zucchero.
Allungò la mano verso di me per rendermi il bicchiere, e mentre ero distratta dal prenderlo si avvicinò al mio orecchio con fare suadente:
-È dolce quasi quanto il tuo profumo...- sussurrò, al che non potei astenermi dal sentirmi una vampata di calore dappertutto.
Si tirò indietro, guardandomi negli occhi, e si girò di schiena facendo per andarsene, lasciandomi lì con il bicchiere in mano, spiazzata. Per l'ennesima volta.

 

Mentre ritornavo a casa, dopo le lezioni, sentii improvvisamente prendermi per la vita e portarmi dietro di me; non feci neanche in tempo ad avere una reazione di sorpresa che mi ritrovai a scoprire chi diamine fosse stato.
Ancora. Non gli bastava avermi messa fuori gioco quella mattina.
-Ciao- sussurrò con voce calda, guardandomi dolcemente.
Socchiusi leggermente lo sguardo, come incantata dalla sua voce.
-Ciao- dissi a mia volta, con un'espressione leggermente interrogativa che portava in sottotitolo qualcosa come “che diavolo ti salta in mente di prendermi e portarmi via così?”
Inclinò la testa:
-Torni al nido?- fece, leggermente beffardo.
-Davvero credi sia così piccola e spaventata?- colsi l'allusione.
-Che ne diresti se ti accompagnassi questa volta, invece di lasciarti andare via come sempre?- propose.
Qualcosa mi metteva in guardia. Strano che facesse così il carino. Qualcosa non mi tornava.
-So tornarmene da sola al nido, grazie comunque aquila reale- feci beffarda, facendo per andarmene.
-Alla fine l'hai bevuto il caffè?- mi richiamò, provocandomi.
-A che servirebbe fartelo sapere?- risposi a tono, voltandomi nuovamente verso di lui.
Sorrise, accettando il pareggio. Nonostante mi avesse sempre scombussolato la sua presenza in quel momento mi sentii stranamente a mio agio, lasciando che mi tenesse ancora per la vita.
-Allora... mi merito una seconda opportunità?- si finse vago, arrivando al dunque.
Per tutta risposta gli feci una linguaccia e mi scostai via dalle sue mani, tornandomene sulla mia strada: mi piaceva tenerlo sulle spine in maniera così maliziosa. Proprio come lui faceva con me.

 

 

Qualche giorno dopo...

 

Banco. Ora di biologia.
Mentre ci addormentavamo tutti sui banchi, cullati dalla voce soporifera del professore, sentii il cellulare vibrarmi in tasca. Sobbalzai, colta di sorpresa.
Attenta a non farmi vedere, estrassi il telefono dalla tasca e controllai il messaggio:
Se ti chiedessi di concedermi un'opportunità rifiuteresti?”
Francesco.
Sentii battermi il cuore a mille.
Mi girai verso di lui, ma a parte uno sguardo complice non lasciò trapelare altro agli occhi del professore.
Ti sei deciso a darti una mossa. Non dicevi che ci voleva tempo?” presi tempo, approfittando della situazione per punzecchiandolo un po'.
Comunque sia voglio solo parlare”
Parlare? E di cosa?”
Di te. E di me.”
Sbarrai gli occhi, il respiro bloccato in gola.
Ma alla fine mi feci coraggio: non potevo perdere questa chance.
Quando?”
Adesso.”
E credi possiamo uscircene indisturbati dalla classe?” feci notare.
Corridoio, alla fine dell'ora. Ci stai?”
Francesco io...”
Dimmi solo se ci stai”
Tornai a girarmi, un po' incerta. Ma alla fine annuii nella sua direzione, accennando i movimenti per non farmi beccare dal professore.
Il panico che provai nei minuti che seguirono fu indescrivibile. Faceva sul serio? O ero solo uno svago? C'era solo un modo per scoprirlo.
Dopo qualche minuto della fine dell'ora mi diressi in corridoio, cercandolo con lo sguardo.
Ma non lo vidi.
Mi arrivò un altro messaggio:
Sicura di non volerti tirare indietro?”
Mi guardai attorno, cercandolo ancora.
Tu piuttosto sembri essere il primo a scappare di fronte alla parola data”
Guarda davanti a te”
Mi sorpresi e alzai gli occhi.
Era effettivamente lì, con ancora il telefono in mano.
Aveva evidentemente scelto di fare un'entrata in grande stile.
-Allora...- si fece vago, venendo vicino a me, -cosa ti ha spinto ad accettare?-
-Volevi parlarmi- andai al sodo, senza troppi giri di parole; incrociai le braccia sul petto e lo guardai con attenzione.
-Ti piace fare l'indifferente?- mi stuzzicò, con un sorriso sul viso.
Il suo sorriso. Mi scioglievo letteralmente ogni volta che lo vedevo.
-Dovrei controllare più spesso le tasche dei miei pantaloni...- disse poi, ammiccante.
-Chissà, forse ci troveresti dei biglietti da parte di belle ragazze...- lo assecondai, con tono disinvolto, - o forse se davvero fosse così dovresti essertene già accorto, avendo le tasche piene-
-Mph- abbozzò un sorrisetto, - stai insinuando che ho un certo talento per queste cose?-
-Solo che hai la conquista facile- dissimulai, facendogli cogliere la frecciatina.
Restò a guardarmi interessato, riflettendo forse sul doppio gioco delle mie parole.
-Strano. Fino a poco tempo fa volevi tenermi il più lontano possibile da te e adesso ci ritroviamo allo stesso posto nello stesso momento. Hai avuto una rivelazione notturna?- disse poi, sarcasticamente.
-Ho solo deciso di darti una possibilità- risposi, fingendo di essere perfettamente calma mentre in realtà sentivo il cuore battermi come un tamburo ad ogni suono delle sue parole.
-Una possibilità?- ripeté, socchiudendo lievemente lo sguardo.
-Un'occasione-
-Ah- si finse stupito.
-Ho fatto male, a dartela?- feci petulante, avvicinandomi a lui.
-Dimmelo tu- rispose.
La sua voce. La sua maledetta voce. Mi induceva a cadergli fra le braccia in quell'esatto momento.
Portò una mano sul muro dietro di me, come aveva fatto quella sera alla festa.
-Non credi sarebbe un problema, se capissi che in realtà non sono quello che credi?- mi provocò, osservando i miei movimenti.
-Che vuoi dire?- mi venne spontaneo, anche se avevo capito benissimo la domanda.
-Voglio dire- si avvicinò, -che dovrai sopportare la mia presenza cinque ore al giorno per sei giorni, a pochi metri dietro di te-
Pochi metri. Mi soffermai su quelle parole istintivamente, attratta.
-Correrò il rischio- dissimulai la mia ansia, -e comunque non credere che sia interessata così tanto a te. Mi hai solo colpita dalle tue parole, e volevo metterle in chiaro-
-Però sei qui- mi fece notare, -dovrei credere che realmente non t'importa nulla di me? Nemmeno una minima attrattiva? Anche inconscia?-
-Giochi a fare lo psicanalista?- feci freddamente.
-Il mio lavoro- si limitò ad ammiccare, tornando indietro con la schiena.
Dio. Come era bello.
Avrei tanto voluto smetterla con quei battibecchi di copertura, avvicinandomi quando più possibile al suo viso e dirgli realmente cosa avrei voluto dirgli.
-Il tuo lavoro, eh?- riprendo tono, -ti piace crederti così abile?-
-Mi piace pensarlo- fece mestamente.
-Allora, hai intenzione di continuare a fare la disinteressata ancora a lungo oppure parliamo seriamente?- domandò poi.
-Ma io sto parlando seriamente- sorrisi beffarda.
-No, non è vero...- mi osservò ancora con quello sguardo, -Perché altrimenti non mi avresti concesso una possibilità-
-È così strano? Deve andare sempre come pensi che debba essere?- feci di rimando.
-Parliamo seriamente, a questo punto... così puoi darmi dimostrazione delle tue teorie- fece ancora con aria da seduttore.
Non avevo scampo. D'altronde non potevamo starcene lì all'infinito.
-Bianca...- sussurrò, guardandomi in viso.
Il calore della sua voce era quasi soporifero. Era capace di metterti una debolezza addosso anche se ti stesse parlando del cosa aveva fatto quella mattina appena sveglio.
-Dimmi la verità...- abbassò lo sguardo dai miei occhi alle mie labbra.
-Io...- boccheggiai quasi, avvertendo l'ossigeno venir meno.
-Tu...?- continuò a fissare le mie labbra.
Fece per avvicinarsi ancora, e ci ritrovammo a pochi millimetri di distanza. Un solo minimo spostamento e mi sarei ritrovata a sfiorare le sue labbra con le mie.
-Mi hai detto che potevo fidarmi di te. Devo crederlo?- mormorai, sforzandomi di parlare.
-Francamente non mi interessa se tu ti fidi di me o meno- mormorò, con una passione e un desiderio nella voce che mi fece tremare le gambe, -perché non faccio altro che desiderarti dal primo istante in cui ti ho vista-
Un brivido di eccitazione mi scorse per il corpo.
Non feci in tempo nemmeno a mormorare il suo nome che mi aveva già tappato la bocca con la sua, lasciandomi sorprendere nei sensi e nella ragione. La sua lingua si infilò nella mia bocca, accarezzando dolcemente la mia e facendola roteare con desiderio. Prima che potessi rendermene conto stavo già facendo scorrere una mano sul suo braccio, quasi strusciandogliela addosso, persa nel desiderio. Si avvicinò con il bacino al mio corpo e mi venne quasi istintivo approfondire quel contatto toccandogli una gamba con la mia. Quando mi resi conto di cosa stessi facendo mi staccai dalle sue labbra, realizzando solo in quel momento cosa fosse accaduto. Non riuscivo a crederci. Mi guardai ansiosamente attorno per controllare nervosamente se qualcuno ci avesse osservato ma fortunatamente non c'era neanche un professore in giro.
Francesco ebbe un sorrisetto compiaciuto.
Mi sentivo sempre più in imbarazzo ogni volta che scorgevo le sue labbra sorridere.
-A quanto pare mi sono meritato una seconda occasione- disse, tornando in classe.
Merda. Mi ero lasciata andare così facilmente a lui, dopo tutto quello che avevo fatto per convincerlo del contrario. Iniziai a prendere coscienza che ormai, dopo il suo gesto, ascoltavo soltanto il calore che aveva immesso dentro il mio corpo.

 

Ormai era fatta. Con quel sotterfugio del bacio era riuscito a capire che lo volevo davvero. Sentii un impulsivo odio verso di lui: ero riuscita ad architettarmi tutto con precisione e grande classe e lui mi aveva destabilizzata soltanto facendomi sentire quella sua fottuta lingua scorrere sulla mia.
Più ci pensavo più mi sentivo imbarazzata. Ed eccitata.
Lo volevo. Ardentemente. Ma la domanda era: lui voleva me?
Non sapevo se fidarmi ancora. Un'altra persona al mio posto avrebbe iniziato a fare i salti di gioia e avrebbe stappato felicemente lo champagne dopo che il ragazzo che desiderava più di ogni cosa al mondo l'aveva baciata passionalmente. Dicendole che la voleva a sua volta.
Era questo il punto su cui mi focalizzavo maggiormente. Sentivo che qualcosa non andava.
Nonostante quel bacio mi avesse risvegliato i sensi non riuscivo a pensare che fosse vero.
Non sarei riuscita a dire “lui mi ama”. Perché non sapevo niente di lui. Non ancora almeno. 

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Capitolo 8
*** Wish you were here ***


                                                            CAPITOLO 8

 

Fu dolorosamente chiaro che dovetti ricredermi.
Come ero stata ingenua. Avevo sperato fino alla fine che in realtà potessi avere una minima speranza con Francesco. Ma è quando ti sollevi verso l'alto che la realtà di sbatte di nuovo in basso.
Successe tutto pochi giorni dopo, un venerdì.
Ero uscita normalmente da scuola, quando Margherita mi richiamò con voce grave in mezzo agli altri studenti:
-Bianca, c'è qualcosa che dovresti sapere...- iniziò, con tono abbattuto.
-Che cosa c'è?- mi misi in allerta, pensando subito al peggio.
-Seguimi e basta-
La seguii, facendomi largo tra l'ammasso di ragazzi e ragazze davanti al liceo, e la raggiunsi sul marciapiede libero.
Continuammo a camminare per qualche metro, il suo sguardo mortificato che non incrociava il mio, incuriosito e perplesso.
-Si può sapere che ha...-
-Guarda davanti a te- mi zittì fermamente.
Un brivido mi corse lungo la schiena.
Francesco, appoggiato ad un muro poco distante da un bar. Una ragazza davanti a lui, ferma sul muro. La ragazza sorrideva, sfiorandogli maliziosamente i capelli accanto al collo con le dita, mentre lui portava il viso dietro il suo come per baciarla, le mani sui suoi fianchi, un pollice all'interno della tasca dei jeans anteriori di lei.
Non so cosa provai. Se prima angoscia, rancore, rabbia, sconforto o disgusto. Certe erano soltanto le mie lacrime, che si riversavano nei miei occhi con una rapidità incontrollata.
Rimasi in silenzio, ferma. Ad osservare. A guardare il ragazzo che amavo flirtare con un'altra ragazza che non ero io. Sentii dentro di me il mio cuore spezzarsi.
Margherita rivolse lo sguardo su di me:
-Ho fatto male a dirtelo- mormorò, in colpa, -ma dovevi saperlo. Mi dispiace Bianca...-
Non le diedi tempo che già mi stavo allontanando via, quasi correndo.
Mi sforzai di non piangere mentre continuavo a camminare per strada, desiderosa soltanto di non vedere più nessuno sulla faccia della Terra.
Iniziai a correre. Avevo bisogno di chiudermi al più presto dentro casa.
Non mi fermai nemmeno quando sentii chiamare il mio nome.
Faceva male. Ma faceva male di più sentire il mio nome cercato dalla sua voce.
Mi arrestai soltanto quando mi ero ormai accostata ai pulsanti del portone, per aprirlo.
-Aspetta!- mi fermò Francesco, ansimando per la corsa, -non è come pensi. Lascia che ti spieghi...-
-No!- mi voltai, in lacrime e nella più totale rabbia, -Vattene! È questo quello che fai? Chiedi seconde occasioni a tutte, per poi mandarle a farsi fottere con la prima che passa?? Io non sono così ingenua Francesco- dissi il suo nome con rabbia, come non avevo mai fatto, -e non sto a farmi prendere per il culo-
-Ti prego...- provò a prendere la parola con un cenno di mano.
-Ti prego un cazzo! Cosa credi, che solo perché mi hai baciata sia in tuo possesso ormai?? Che mi lasci trattare come una troia mentre tu vai a scoparti una puttana?!- gridai ancora, la rabbia che sovrastava la mia delusione e il mio dolore.
-Bianca- disse abbassando la voce, prendendomi per le braccia nonostante tentassi di divincolarmi, -Ascoltami...-
-Ti ho ascoltato abbastanza- mi liberai con uno strattone, -e ora so cosa sei. Fingi di fare il carino solo per illudere le persone. Dio, come sono stata ingenua...-
-Piantala con queste stronzate, mi vuoi ascoltare?!- s'innervosì anche lui.
-Hai avuto la tua occasione. Non credere che te ne conceda un'altra. Vattene. E non venire più a cercarmi- dissi gelidamente, con le lacrime che mi rigavano il volto.
Premetti il pulsante ed entrai, lasciandomi alle spalle le mie parole suggellate dallo sbattere del portone.

 

Il giorno dopo...

 

-Preparati Bianca, che tra poco dobbiamo andare- mi ricordò la voce di mia madre da dietro la porta chiusa della mia camera.
-Mamma ti ho già detto che io non vengo- dissi senza espressione, un tantino stizzita.
-Sì che vieni- replicò, -sai che tua cugina ci tiene-
-Ti ho detto che non vengo!- esclamai, esasperata.
-Si può sapere qual'è il problema?- fece allora, un tantino perplessa e presa contropiede, -Silvia ci tiene, tesoro. È tua cugina, per la miseria! Siete sempre state così legate!-
-Ho da studiare- mentii, restando sulla difensiva.
-Studierai dopo- fece, fermamente, -si tratta solo di meno di un paio d'ore. Se ci ha invitate è perché è affezionata a te e ci tiene a presentarti il suo fidanzato-
Che se ne vada al diavolo.
Una patetica riunione di famiglia sotto la copertura di una tranquilla cena , ecco cos'era. Il tutto solo per introdurre i parenti più stretti al suo fidanzamento; lei e il suo ragazzo avevano avuto la brillante idea di presentarsi reciprocamente ai parenti, così da poter dire ufficialmente di conoscere anche i membri delle loro famiglie. Del perché mia cugina non si fosse limitata al presentarlo ai suoi genitori era un mistero. Evidentemente volevano fare le cose per bene, conoscendo la maggior parte dei parenti tutti in una botta. E sinceramente io non avevo la minima intenzione di sorbirmi le romanticherie di quei due, ora che ero totalmente depressa per quello che era successo. Al solo pensare di dover assistere ai cinguettii della coppietta mi veniva da vomitare. Ne avevo abbastanza di carinerie, dopo quello che avevo visto. Iniziavo ormai a credere che l'amore non esisteva. Sono tutti pronti a mettere le corna.
-E cerca di metterti qualcosa di carino, che in jeans ti possono vedere tutti i giorni- continuò ammonitrice mia madre da dietro la porta.
-Mamma la vuoi finire?- sbottai.
Ci mancava anche che mi trattasse come una bambina di dieci anni.
Silvia aveva diciassette anni, ed era legata al suo ragazzo da almeno due anni. Ci teneva molto a presentarlo alla famiglia; sopratutto a me. Nelle giornate d'estate, quando passavamo più tempo insieme, non faceva altro che ammonirmi di essere presente quando ci avrebbe presentato il suo ragazzo. Ma mai ad immaginare che ce l'avrebbe fatto conoscere proprio in un momento del genere. Come sempre, la fortuna era dietro l'angolo.
Ma non potevo deluderla. Era mia cugina, e gliel'avevo promesso. Ci sarebbe rimasta davvero male, altrimenti.
Mi alzai tristemente e aprii l'armadio, cercando qualcosa di decente da indossare.


-Alla fine anche Silvietta è diventata grande- commentava mia madre, con un sorriso.
-Era anche ora, no?- fece mia zia.
-Dove vi siete conosciuti?- volle sapere Sara, la mia cuginetta più piccola.
-Lasciala stare, Sara- la rimbeccò la madre.
-Eravamo per strada: ero uscita da un bar, dove c'era anche Davide, e avevo lasciato una banconota da cinque sotto lo scontrino che avevo dimenticato di prendere. Li ha presi entrambi ed è corso a riportarmeli- sorrise raggiante Silvia, evidentemente contenta. Le diedi un mezzo sorriso di circostanza, tornando a guardare basso nel mio piatto il pezzo di pizza quasi ancora intoccato.
Non stavo ascoltando quasi metà della conversazione e me ne stavo lì con sguardo assente.
-Beh non potevo lasciarli lì, ti pare amore?- fece dolcemente Davide, sorridendo alla sua ragazza che gli riservò uno sguardo innamorato.
Sentii di non poter sopportare oltre; mi alzai discretamente e andai in bagno, per scollarmi via tutte quelle moine di dosso. Facevano male, bruciavano come fuoco. Pensare che mia cugina avesse una felice e lunga storia d'amore mentre io ero reduce da più che una forte delusione in campo era insopportabile. E aveva anche due anni in meno di me. Iniziai a provare un profondo odio.
Dovevo andarmene da lì.
Tornai nella sala da pranzo e feci discretamente cenno a mia madre di seguirmi in cucina.
-Mamma mi ha appena chiamata Carlotta... è una cosa seria, devo correre subito da lei- dissi, mettendo a dura prova le mie capacità interpretative per fingere un tono abbattuto e ansioso.
-Per la miseria, che è successo??- s'inquietò lei, ascoltando attentamente le mie parole.
-Niente, non posso spiegarti adesso, devo correre . Ti spiegherò tutto al ritorno- tagliai corto, facendo per andare a prendere il giubbino.

Aria. Ero libera. Mi affrettai a camminare lungo il marciapiede, poggiando i piedi con decisione sulla strada. Avevo bisogno di svagarmi. Basta con tutti quei problemi, basta con i pensieri. Dovevo togliermeli dalla mente. Avevo bisogno di bere qualcosa di forte.
D'un tratto sentii il cellulare vibrare con decisione nella tasca del giubbotto. Lo afferrai fulminea, nervosamente.
-Pronto?- scattai, aspettandomi che fosse mia madre.
-Bianca?- fece invece una voce femminile diversa.
Margherita.
Cazzo, ci mancava solo lei.
-Che c'è??- continuai, senza variare tono.
-Che c'è? Tu mi chiedi che c'è? C'è che mi sono stancata delle tue stronzate, adesso noi parliamo un po'-
-Mi sono stancata di parlare sempre! Parlo, parlo, parlo con te, parlo con Carlotta ma alla fine finisco solo per farmi male! Mi sto uccidendo, Margherita- scoppiai, alzando il tono, -vaffanculo te e a quando mi hai persuasa ad avere un approccio con Francesco!-
-Senti, se lui è un puttaniere sono cazzi suoi, va bene?!- scattò anche lei, innervosendosi, al che mi vennero quasi le lacrime agli occhi alle sue parole, -Io non ti ho chiamata per parlare di lui-
-Beh, allora riattacca. Non ti darò corda, stavolta-
Rallentai il passo quando mi trovai di fronte all'insegna luminosa di un bar. Era uno di quelli aperti a tutte le ore della notte, che accoglieva chiunque chiedesse ricovero sotto la sua ala. Dove non importava chi eri, nessuno ti chiedeva perché te ne stavi lì con un bicchiere in mano.
Mi sentii stranamente meglio, al solo pensiero di scollarmi via tutti i pensieri. Dimenticare. Dimenticare tutto. La mente libera, pulita. Avevo trovato quello che cercavo.
-Tu non mi dai mai corda!- si irrigidì, -se tu mi avessi dato ascolto a quest'ora non staresti urlando! Dove sei?? Ti ho cercata a casa ma non risponde nessuno-
-Se proprio vuoi saperlo sono nel posto giusto, dove dovrei essere e dove sarei dovuta andare già da tempo- dissi seccamente, sostando davanti all'ingresso.
-... Cos'è questa musica?- fece poi, ascoltando attentamente. Veniva dal locale.
Merda” pensai. Se avesse ascoltato ancora un po' avrebbe riconosciuto la musica.
-Bianca, se combini stronzate giuro che io...- iniziò, intuendo la situazione.
-Puoi giurare quello che vuoi, ormai non ti ascolto più-
-Vieni via da lì! So dove ti trovi, ti vengo a prendere-
-NO, TU NON MI VIENI A PRENDERE- gridai quasi, -LASCIAMI IN PACE, MARGHERITA!-
Chiusi la chiamata, prima che replicasse altro.
Guardai l'insegna del locale, per un breve lasso di tempo. Poi mi addentrai all'interno.

 

 

Un'ora dopo...

 

 

Francesco POV

 

Ero ancora in macchina, guidando lungo la strada che sembrava non finire mai. Ancora poco e sarei arrivato. Improvvisamente il cellulare iniziò a vibrare dal sedile accanto, dove l'avevo lasciato per prenderlo più facilmente mentre guidavo.
Accostai in una zona di servizio, odiando il momento in cui quell'affare aveva iniziato a suonare.
-Pronto?-
-Ehm...- balbettò una voce femminile dall'altra parte del telefono, -s-sei Francesco?-
-Sì... chi parla?- risposi, perplesso.
-Sono Margherita... un'amica di Bianca- rispose lentamente la ragazza, imbarazzata, - ma tu non mi conosci. Volevo...-
-Come fai ad avere il mio numero?- mi venne spontaneo chiedere, stupito.
-Del come abbia avuto il tuo numero non deve importartene- ribatté lei, ma non riuscì a nascondere un certo imbarazzo, -senti, ti ho chiamato solo per una ragione. Si tratta di Bianca-
Rimasi in silenzio.
-Io... so che probabilmente potrà non importartene nulla, ma ci tengo a mettere le cose in chiaro. Per lei- continuò, con voce più ferma stavolta, -È una cosa seria, quindi stammi a sentire e non riattaccare. Bianca è all' Oblivion-
-Cosa?!- esclamai immediatamente. Non tanto per quanto mi avesse detto, quanto per il nome del locale. Mi si accese una lampadina.
-Oh cazzo... Margherita, senti io...-
-Sta zitto!- gridò quasi con rabbia, sorprendendomi, -Non provare a dire che ti dispiace, chiaro?? Con me non attacca! Potrai dirlo a quelle troie che ti scopi ma non a Bianca!-
-Ehi, piano coi modi- iniziai a mettere in chiaro, con voce forte, -Si può sapere che vuoi?-
-Voglio che adesso tu muovi il culo e la vai a prendere. Adesso!-
-Ma che cazzo stai dicendo??- esclamai. Una sconosciuta mi chiamava al telefono e pretendeva urlandomi addosso di andare in un locale notturno come se fosse stata un comandante d'esercito.
-Dico solo che mi sono stancata! Tu non sai come stanno le cose!- continuò, senza perdere tono.
-E allora mi fai il favore di spiegarmelo, di grazia?- replicai stizzito, con tono sarcastico.
-Ehi, stammi a sentire!-
La sua voce era autoritaria. Sembrava aver dimenticato l'imbarazzo di prima.
Non ribattei, restando in silenzio.
-Se è successo questo è solo per colpa tua. Sai che ti dico? Che sei un vero stronzo, ecco cosa. Sei solo uno stronzo. E Bianca non ti merita. Lei, che ti ha messo gli occhi addosso fin dal primo istante in cui ti ha visto, che era attratta... dai tuoi modi, dal tuo carattere, e non dal tuo culo o dai tuoi addominali, e tu cosa fai?! Vai a scoparti una puttana?! Lei ti ama, Francesco.- aveva pronunciato il mio nome con un certo ribrezzo, stavolta, -Ma evidentemente ha sbagliato persona di cui innamorarsi-
-Senti- dissi, cercando di calmarla, -io non ho scopato nessuno, chiaro? Non sono il tipo che si va a fare la prima che gliela da-
-Strano, perché così sembrava l'altro giorno- ribatté freddamente.
-Non è come pensi- spiegai, -ma porca misera, perché sto qui a scusarmi con te?? Non ti conosco nemmeno!-
-Hai ragione- affermò lei, -non mi conosci. E io non conosco te. Ma so abbastanza di Bianca da poter parlare al posto suo, mentre lei è al tavolo di un bar a farsi di drink per colpa tua-
Mi sentii in colpa, per cui non risposi.
-Senti- mormorò quasi, calmandosi, -so che forse non te ne fregherà niente, ma io ci tengo a Bianca. E al solo pensare del come si è ridotta per te sto male sul serio. Lei... lei non è una puttana, Francesco. Lei non apre le gambe solo per farlo. Lei ti apre prima il cuore, e poi le gambe. Ma tu evidentemente conti solo la seconda parte-
-Davvero mi credi così stronzo?- dissi.
Lei stette un momento in silenzio.
-Vorrei non crederlo- rispose infine, -ma tu sai cosa sei. E lei... lei ci tiene davvero a te. Lei non ti vuole per il tuo corpo. Ti vuole per quello che sei. L'hai fatta innamorare, idiota che non sei altro- alleggerì tono, mantenendosi tuttavia ancora seria -... beh ecco, forse ti vuole anche per il tuo corpo...- si corresse poi incerta, un tantino in imbarazzo a doverlo dire, al che sorrisi, -ma di certo non ti va a sbavare dietro solo per scoparti. Le puttane fanno così, le troie fanno così. Quelle te le scopi e poi se ne vanno via come se niente fosse, non chiedendoti quasi chi sei. Lei invece dopo aver fatto l'amore con te resterebbe nel letto, a ridere e a coccolarsi con la persona che la rende felice-
Non dissi niente, al che Margherita probabilmente cominciò a pensare che mi stesse seccando.
-Non l'hai fatta dormire per notti, le hai fatto versare lacrime e adesso la stai facendo anche ubriacare. Rifletti su questo. Anche se non ti importa niente di lei- arrivò al dunque, fredda come il ghiaccio.
-Cosa ti fa pensare che non m'importi niente di lei?- dissi infine a bassa voce, stanco di essere considerato soltanto come il puttaniere della situazione.
-Beh, se davvero è così allora muoviti. Va da lei. Perché ne ha bisogno. Tu hai bisogno di lei... e lei ha bisogno di te. Non sai quanto- disse, tristemente.
Abbassai lo sguardo sul volante dell'auto.
-Grazie- mormorai dopo un tempo che sembrò ad entrambi più di un'eternità, -per avermi avvertito-
-Voglio solo che le cose tornino apposto. E che si aggiustino in meglio. Sono precipitate troppo in basso, stavolta- disse soltanto, senza andare al di là del tono formale, come avevo fatto io.
Chiuse la chiamata, lasciandomi lì con i miei pensieri.

 

 

Bianca POV

 

Il telefono squillò. In realtà vibrò, ma mi sembrò stesse suonando come una sveglia dal volume fastidiosamente alto. Lo presi e feci partire la chiamata:
-Pronto?- feci, con il tono basso e che mi moriva in gola.
-Ti ho inviato quindici messaggi, vuoi rispondere?!- esclamò immediatamente la versione più isterica di Carlotta.
-Avevo altro da fare, evidentemente- sbottai, non esattamente in vena di assecondare le sue isterie.
-Come rimorchiarti bei ragazzi?- mi fulminò, secca.
Rimasi di sasso.
-Che stai dicendo?- domandai confusa.
-So tutto, non serve che fingi di fare la finta tonta- sibilò, -E così credevi di fare come se niente fosse? Dai il tuo numero a Francesco e non mi avvisi nemmeno??-
-Perché avrei dovuto avvisarti, tu non centri un cazzo con la mia vita, si può sapere che cazzo ti prende??- scattai, innervosendomi. Ci mancava solo una scenata di gelosia da parte di Carlotta.
-A Margherita l'hai detto però- mi rimbeccò acida.
-E tu che ne sai? Te l'ha detto lei?- continuai, sentendomi salire la rabbia.
-Ho letto i suoi messaggi e cazzo se ho fatto bene- spiegò, per nulla in imbarazzo a dover ammettere di aver spiato le conversazioni dell'amica.
-E adesso che vuoi fare? Spararmi? Fa pure, tanto non ci ricaverai niente- dissi con un mezzo tono di ironia in mezzo alla rabbia.
-Sapevi che piaceva anche a me. Avresti dovuto dirmelo- disse dopo un momento, con tono meno adirato e più abbattuto.
-No, Carlotta. Tu vuoi solo scopartelo. Io lo amo- e dovetti provare una dolorosa fitta al cuore ripensando alla scena che avevo visto impotente.
-Credi che io non lo ami?? Cristo, Bianca, ma credi di esistere solo tu al mondo??- scattò nuovamente lei, esasperata. Mi venne da piangere: stavamo litigando per un qualcuno che era totalmente indifferente a ogni cosa. Era solo un approfittatore. Un seduttore. Niente di più. E io ero caduta dentro le trame della sua ragnatela. Ma le emozioni che sentivo di provare per lui non potevano essere minimamente paragonate ad un vago interessamento per i suoi pettorali, come per Carlotta. Perché ci avrei messo la mano sul fuoco, a lei non importava niente di Francesco. Se non del suo corpo.
-Perché non mi lasci in pace?! Vattene, Carlotta, e non farti più sentire da me!!- esclamai, -Se proprio vuoi saperlo il suo cazzo è già impegnato con qualcun'altra, quindi piantala di tormentarmi e lasciami in pace!!-
Richiusi la chiamata, scoppiando in lacrime. Era troppo, troppo da sopportare. Sentii di non poter sopportare altro, dopo quello che era successo.

 

 

Francesco POV

 

Dieci minuti dopo ero arrivato davanti al locale.
Porca miseria” imprecai, scendendo dall'auto. Mi diressi con passo deciso all'interno, e iniziai a guardarmi attorno. Non ci volle parecchio tempo che la scorsi, al tavolo del bar.
Oh porca puttana” maledii ancora, iniziando a sentirmi sul serio nervoso.
Svincolai dai tavoli e dagli altri ragazzi che se ne stavano a bere e a fumare, a volte spostandoli con fare deciso per farmi passare, mentre mi lanciavano sguardi torvi e contrariati.
-Bianca- la chiamai con tono fermo, mentre mi avvicinavo al bancone.
Lei si girò, ma non guardava me, guardava davanti a sé come se faticasse a capire chi avesse davanti.
Oh cazzo!”
Se qualcuno avesse preso nota di tutte le imprecazioni che mi stavo maledicendo avrebbero potuto scrivere un libro intero.
-Bianca- la chiamai ancora, intuendo che fosse sotto l'effetto dell'alcool.
Lei sbatté le palpebre, aggrottando le sopracciglia, e dopo qualche secondo ebbe una strana espressione sul viso, come quando ti sbatte la testa e non riesci a trattenere il dolore. Provò ad alzarsi e si diresse verso una porta in fondo al bancone, camminando di fretta come se non riuscisse a reggersi bene in piedi, e la seguii quasi correndole dietro.
-Bianca!- alzai la voce.
Entrai nel bagno e dal silenzio che c’era intuii che non doveva esserci nessuno. D'un tratto sentii qualcuno tossire sommessamente, quasi non riuscisse nemmeno più a respirare. Pochi secondi dopo riuscii a distinguere dei tremolii di una voce femminile. Era come se volesse gemere ma le si strozzasse la voce in gola. Abbassai lo sguardo verso il vano delle porte chiuse dei gabinetti color verde acido rovinato e scorsi dei tacchi scuri da cui spuntavano delle gambe chiare, in contrasto con la sporcizia del pavimento. Riconobbi quelle gambe.
-Bianca?- feci, a mezza voce, avvicinandomi al gabinetto chiuso.
La ragazza chiusa dentro di esso ebbe un mezzo respiro di sorpresa, presa alla sprovvista. Dopo alcuni istanti sentii lo sciacquone del bagno scaricare via e la porta si aprì; come avevo ben immaginato, Bianca apparve di fronte ai miei occhi. Si stava ancora passando il dorso della mano sulla bocca, come per pulirla. Non ci voleva l’arte della scienza per capire che aveva rimesso.
Aveva i capelli scompigliati e il viso pallido, gli occhi lucidi; solo il vestito non era disfatto ed era rimasto fortunatamente immacolato.
-Stai bene?- sussurrai una volta che mi fu vicino.
Lei annuì precipitosamente con la testa, incrociando le braccia sul busto.
-Ti ho sentita vomitare- dissi, preoccupato.
Non mi rispose, e mi guardò atterrita negli occhi.
La guardai ancora, realizzando ogni particolare. Occhi lucidi, sguardo scomposto, rimessa nel gabinetto.
-Dimmi solo che non ti hanno scopata…- la rimproverai con lo sguardo.
Le sue sopracciglia ebbero un moto di reazione e si contrassero in un’espressione atterrita.
-Ho vomitato, Francesco, ho vomitato tutto…- scoppiò, quasi sciogliendosi in lacrime.
-Lo so- dissi con tono fermo, cercando di calmarla, -non è niente…-
-Ho visto il sangue… mi è uscito il sangue dalla bocca, sputavo sangue…- continuò, stavolta con le lacrime che le bagnavano gli occhi. La presi per le braccia e mi accorsi di quando fosse fredda.
-No, no, non è niente- sussurrai, attirandola a me, mentre lei si rifugiava sul mio petto, -non è niente piccola-
-Era orribile… ho visto il sangue… era sangue…- singhiozzava lei, spaventata.
-Shh…- sussurrai ancora.
Alzai il collo e le poggiai il mento sulla testa; le sue dita si stringevano con forza sulla mia maglietta, e sentivo il suo respiro penetrarmi attraverso il tessuto direttamente sulla pelle; cercai di controllare il mio istinto che mi portava ad avvertire un brivido nei piani inferiori ad ogni suo sospiro e giurai che avrei sbattuto la testa contro il muro più vicino se mi fossi lasciato andare in una situazione di quel genere.
Chiusi gli occhi e ripresi le distanze, scostandomi dal suo viso:
-Va tutto bene piccola: ci sono io, adesso. Guardami, ci sono io- le presi con dolcezza il volto tra le mani e glielo alzai verso di me.
-È meglio se ti riporto a casa, adesso- dissi, guardandola fermamente negli occhi.
Ma lei scosse la testa, impaurita.
-Se lo sapesse mia madre mi butterebbe a calci di nuovo in strada- disse con la voce tremolante, -e mio padre! Se lo sapesse lui, mi ammazzerebbe! Oh Dio, perché sono venuta qui, perché?!-
-Beh, non puoi dormire per strada, ti pare?- feci notare. Lei non sembrava calmarsi.
-Senti- sussurrai, portandola vicino a me, -i miei sono fuori per il week-end e non torneranno di sicuro, stanotte. Per questa notte… potresti venire da me, solo per questa notte. Ti porto da me, d’accordo?-
Mi guardò negli occhi; nei suoi lucidi riuscivo a scorgere un ringraziamento sincero misto a una titubanza non ancora superata. Evidentemente non sapeva se fidarsi. Era ancora sotto l’effetto dell’alcool, ma sembrava ragionare ancora a mente lucida, da una parte.
-Voglio aiutarti, Bianca- mormorai, cercando di apparire sincero, -l’hai detto anche tu, i tuoi ti ammazzano se torni ubriaca a casa. Fidati di me. Fidati-
Sembrò funzionare; annuì, ancora impaurita.
-Okay- dissi, con un cenno di testa, -andiamo, dai-
Le cinsi le spalle con un braccio e la feci uscire dal gabinetto umido; la condussi direttamente per l’uscita, cercando di evitare di farla notare dagli altri ragazzi: se qualcuno si fosse incuriosito a lei, mazza ubriaca e con solo un vestitino a coprirla addosso non avrei saputo come poterla proteggere senza lasciarla andare.
Scendemmo nel parcheggio e ci dirigemmo verso la mia auto; eravamo quasi arrivati quando Bianca traballò accanto a me e si accasciò sulle gambe, stando per cadere a terra; la sorressi rapido e la aiutai a rimettersi in piedi.
-Piano- sussurrai, più a me stesso che a lei, -adesso ti porto a casa-
Le poggiai la mano sulla vita e le aprii lo sportello, sollevandola leggermente per aiutarla a sedersi sul sedile. Tornai al posto di guida e le diedi uno sguardo: mi sentivo sprofondare nella mia stessa colpa ogni volta che guardavo di sfuggita il suo viso semi-incosciente. Era colpa mia. E lei non se lo meritava. Misi in moto e mi preparai alla manovra, sperando di arrivare in tempo per non permettere all'alcool di consumarle ancora la mente.
Cinque, dieci, venti minuti. “Dai, cazzo, dai!” imprecai, come nelle ultime dieci volte in quella sera, le dita che stringevano nervosamente il volante. Bianca si era accasciata al lato del sedile, spossata e confusa. Non avrei potuto sopportare ancora quella vista.
Finalmente, casa.
Spensi il motore e mi accostai dolcemente a lei.
-Bianca...?- mormorai, cercando di assumere un tono controllato, -svegliati, non cadere adesso... Siamo arrivati-
Era ancora molto pallida e aveva gli occhi chiusi, ma respirava a brevi tratti con la bocca, un'espressione sofferente in viso, quasi le stessero facendo un prelievo molto lungo e doloroso. Era sicuramente in stato confusionale. Ci ero passato anch’io.
La presi in braccio e andai verso l'ascensore, fortunatamente al piano terra.
Resisti Bianca. Resisti” pensai, mentre cercavo le chiavi di casa.
Ma non resse, e la sentii accasciarsi sulla mia spalla; ebbi per un momento l'impressione che fosse addirittura svenuta.
-Oh, Cristo- imprecai, -quanto cazzo hai bevuto??- persi il controllo. Dovevo restare calmo. Essere nervosi non sarebbe servito a niente.
Dischiusi la porta con un piede e andai direttamente nella mia stanza, vicino al mio letto; posai Bianca giù sulle lenzuola e andai a chiudere la porta. Quando tornai in camera aveva ancora gli occhi chiusi. La osservai per qualche momento, un po’ amareggiato.
Le portai delicatamente una mano alla fronte e subito sentii il palmo scaldarsi al contatto con il calore di essa; le ci sarebbe voluto un po’ per smaltire la sbornia.
Le sfiorai i capelli e la tempia con le dita e Bianca ebbe un mugolio indistinto, piuttosto infastidito, ma non era dovuto al mio gesto. Era la fronte che scottava, pulsava, doleva come l’inferno. Dischiuse gli occhi con fatica, come se le costasse dolore, e mi guardò con ancora gli occhi un tantino lucidi:
-Fran… Francesco…- mormorò, debolmente.
-Sono qui- mormorai, per rassicurarla, -ti ho portata via da lì-
-Dove siamo?- fece ancora.
-A casa mia, sei al sicuro adesso. Non ti succederà più niente, niente più ragazzi- le risposi.
Le sfuggì un sorrisetto:
-Ci sei tu però- ribatté, al che sorrisi leggermente.
-Che ci fai qui?- continuò, cambiando tono. O porca… era ancora l’alcool a parlare. Per un attimo mi ero illuso fosse tornata sobria.
Sospirai, conoscendo il seguito.
Continuava ad avere un sorrisetto sghembo; iniziai a pensare che l’essermi ubriacato fradicio una volta mi stesse aiutando in quel momento.
-È casa mia- risposi cambiando tono, passando a uno più fermo.
Lei mosse maliziosamente le gambe, strusciandole fra di esse, e dovetti trattenermi dal prenderle e bloccarle con le mie mani, per non indurmi ad accarezzargliele e a salirle addosso.
-Secondo me volevi ammazzarti di seghe…- fece maliziosa, prendendosi il labbro inferiore tra i denti. Non le risposi e continuai a guardarla, in attesa del seguito.
-Oh sì, ho indovinato vero?- disse poi, impertinente.
-Smettila Bianca- dissi, severo. Ci voleva mano ferma, nient’altro.
E una massiccia dose di auto-controllo. Molto, molto massiccia.
-A proposito, dove ce li hai?- fece, petulante, continuando a sorridere in modo sghembo.
-Che cosa?- sospirai quasi.
-Quei film che ti piacciono tanto...- ridacchiò quasi lei di rimando.
Non dissi niente, per evitare di assecondarla.
-Sai anche a noi ragazze piace godere…- ammiccò, ancora con tono scherzoso.
Continuava a mordicchiarsi il labbro inferiore, come per attirarmi.
Si mise a ridacchiare:
-Stasera me lo sono quasi scopato- fece con aria maliziosa, come se si stesse divertendo.
-Chi ti sei scopata?- feci, da una parte standole dietro, dall’altra un po’ preoccupato: cazzo, e se si fosse davvero scopata qualcuno?
-Il barista- rispose, ridacchiando, -ti faceva venire voglia di sbatterlo contro il muro e godere su ogni suo centimetro di pelle- continuò, con tutta la naturalezza del mondo, quasi stesse parlando del come avesse appena perso l’autobus, -ci avresti fatto un pensierino anche tu, secondo me…-
-Smettila Bianca- dissi, non dandole retta stavolta, -sei sotto l’effetto dell’alcool, non fare stronzate-
-Fare cosa?- fece, fingendosi sorpresa.
Mi aspettava tanto lavoro.
-Okay, smettila adesso- feci, stancandomi di quella farsa, -adesso smettila-
-No, ma cosa...?- non si diede per vinta, ma avvertii con un certo senso di sollievo che stava richiudendo gli occhi e le stava venendo a mancare la voce.
-Niente...- mormorai, approfittando di quel momento di debolezza per farla calmare, -chiudi gli occhi adesso...-
-No, non voglio- ribatté, come fanno i bambini, ma aveva già gli occhi socchiusi. Le portai una mano alla fronte, ancora calda, mentre lei aveva chiuso definitivamente le palpebre e respirava a fior di labbra, il viso declinato di lato.
Aspettai per un po', il tempo che le ci voleva per cadere in dormiveglia, mentre la osservavo con una leggera tenerezza. Riusciva ad essere incantevole anche quando dormiva. Le spostai delicatamente la mano sui capelli prima di ritirarla nuovamente.
Sarebbe stata una lunga notte.

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Capitolo 9
*** Whispers in the rain ***


                                                                               CAPITOLO 9

 

Bianca POV

 

Capii di essere caduta nel sonno solo quando riaprii lentamente gli occhi, sentendo le palpebre pesanti come se mi avessero versato del collante. Mi guardai attorno, confusa e perplessa, ancora con gli occhi che dolevano.
-Ah, buongiorno milady- sentii dirmi dal fondo dalla stanza; il suono era un po’ ovattato, come se avessi del cotone nelle orecchie.
Mi sforzai di tirare su la testa, arricciando leggermente il naso e gli occhi; mi sentivo come se fossi appena passata in un campo di bombardamenti e avessi ancora addosso il fremito del terreno che senti tremare sotto i piedi quando esplode una bomba.
Avvertii di avere le gambe fresche, e tastandomi con le mani intuii di avere addosso solo l'intimo. Sopra indossavo solo il reggiseno e una canottiera, del vestito nessuna traccia. Mentre mi domandavo a chi appartenesse quella canotta Francesco comparve nella mia visuale, con indosso solo i pantaloni e i calzini; nella mano destra, abbandonata al suo fianco, portava una maglietta nera.
-Oh mio Dio…- mormorai, osservandolo, - dimmi che non l’abbiamo fatto-
-Cos…?- fu la sua prima reazione, unita ad uno sguardo perplesso, poi scoppiò a ridere, -no, ci mancherebbe altro… Anche se non mi sarebbe dispiaciuto…- ammiccò poi, con tono suadente.
Mi portai una mano alla fronte, chiudendo dolorante gli occhi. Si avvicinò e si sedette accanto a me sul letto:
-Come ti senti?- domandò, abbassando il tono stavolta.
Quando dischiusi gli occhi riuscii a mettere a fuoco la sua maglia nera addosso al suo torso, pochi istanti prima, nudo.
-Cosa… cosa è successo?- domandai, ancora stordita.
-Non ricordi niente?- continuò lui, senza mutare tono.
Scossi debolmente la testa, guardando la libreria sopra di me e realizzando di essere raggomitolata sotto delle coperte pesanti e un plaid che mi arrivava fin sopra il viso.
-Niente…- mormorai, stranita.
-… niente?- ripeté, cercando di farmi concentrare, -Mi sei sembrata lucida, per qualche momento…-
-Ricordo… ricordo solo un parcheggio- dissi, -ho iniziato a vedere tutto distorto… sfocato, come se mi stessero tirando le palpebre verso l’esterno… girava tutto…- riuscii a bofonchiare ancora, prima di immergermi nelle coperte.
-E non ricordi niente... di quello che è successo prima, o dopo?- incalzò, speranzoso in una mia improvvisa ripresa di lucidità.
-No- risposi, scuotendo la testa, -ho come... come un vuoto, non ricordo niente eccetto il fatto di aver riaperto gli occhi poco fa... Che è successo?-
Francesco mi guardò con un sorriso dolce, come se gli avessi fatto tenerezza.
-Ti ho presa in braccio e ti ho portata a casa mia- disse, al che mi venne spontaneo reagire stupita, -non potevo riportarti a casa o i tuoi te l’avrebbero fatte sentire, ricordi?- fece poi, quasi volendo trovare una scappatoia a ciò che aveva fatto.
Rimanemmo in silenzio per un po', il tempo di farmi riacquistare totalmente piena consapevolezza della realtà. Il tempo di far riaffiorare il mio risentimento, le mie debolezze e il mio dolore.
Lo guardai di sbieco:
-Perché sei venuto in quel bar?
Non mutai espressione nemmeno per gli istanti che seguirono, mentre dentro di me sentivo di voler urlare a squarciagola fino a quando non avrei avuto nemmeno più voce per emettere un minimo suono. Frustrata.
-Perché non meriti questo- rispose, dopo alcuni momenti.
-Cosa vuoi saperne tu??- non mi lasciai abbindolare, aumentando la fermezza nella voce, - hai anche il coraggio di fare l'eroe, dopo quello che è successo??-
-Lo so- disse, -hai ragione. Non dovrei essere io a parlare-
Lo fulminai con lo sguardo; uno sguardo freddo come il ghiaccio.
Si avvicinò a me e mi prese delicatamente il viso fra le sue mani:
-Sono stato uno stronzo, non lo nego- mormorò, guardandomi in viso, -Ma credimi, non volevo... non è come pensi...-
Sfuggii dalle sue mani, affranta.
Aspettò un po', forse cercando di capire se l'avessi interrotto ancora.
Mi sfiorai le gambe, scoperte sotto le lenzuola. Solo allora mi passò per la mente un pensiero preoccupante:
-Senti...- mormorai, guardando sulle coperte, -non è il momento opportuno per chiedertelo... ma... posso... posso chiederti come...?-
Lui ebbe una faccia perplessa.
-Mh?- fece, inducendomi a proseguire per spiegare meglio.
-Insomma... ecco, mi hai spogliata tu?- dissi infine, sentendomi sprofondare nell'imbarazzo non appena finii di dire velocemente le ultime parole, ancora gli occhi incollati al lenzuolo.
Riuscii a vedere con la coda dell'occhio che aveva un sorrisetto spontaneo all'angolo delle labbra, ma non rispose. “Dio, ti prego fa che non l'abbia fatto” supplicai.
Alla fine decise di porre fine alla tortura.
-No- rispose, con tono calmo, -non mi permetterei mai-
Lo guardai.
-Ho chiesto un favore a mia sorella, è tornata stamattina presto- continuò. Aveva il tono stanco.
Stamattina presto? Ma che ore erano?
-Che ore sono?- mormorai, un po' stranita.
-Le dieci e un quarto- rispose, dopo aver dato una rapida occhiata all'orologio sul polso. Ma non si soffermò molto a controllare l'orario, come se lo sapesse già orientativamente. Come se l'avesse controllato da poco.
-Da quanto tempo sei sveglio?- chiesi ancora, intuendo cosa fosse realmente successo.
Sorrise, ma non rispose. Rimanemmo un breve momento in silenzio.
-... Sei stato sveglio tutta la notte...vero?- mormorai infine, realizzando tutto.
Non disse niente.
Allentai l'espressione contratta sul mio viso, avendo intuito la risposta.
Era stato sveglio tutta la notte. Per me.
Fu come se il suo gesto mi avesse raddolcito: mi sentii immediatamente meno irata nei suoi confronti. E, improvvisamente, come se la mia rabbia si stesse lentamente sopendo, anche un po' in colpa.
-Non avresti dovuto- mormorai, scuotendo lievemente la testa, -non...-
-Ehi- mi bloccò lui, avvicinandosi, -va tutto bene. Va tutto bene-
Mi guardò negli occhi, con uno sguardo rassicurante.
-E poi sarebbe stato comunque quello che mi meritavo- sussurrò quasi poi, distogliendo lo sguardo.
Lo guardai incerta, perplessa delle sue parole.
-Bianca...- mormorò, tenendosi vicino a me, -non avresti dovuto farlo-
Mi guardò severamente negli occhi, con sguardo fermo.
Abbassai lo sguardo, timorosa. Non poteva dirmi cosa non potevo fare per colpa sua.
-Non farlo mai più. Chiaro?- mi sollevò il mento con la mano, cercando il mio sguardo.
Andava a rimorchiarsi una perfetta sconosciuta e poi pretendeva da me, dopo avermi spezzato il cuore, di non fare niente di stupido che lo riguardasse.
Non alzai gli occhi.
Mi guardò con rammarico in viso, spostando la mano dal mento sulla mia guancia, sfiorandomela con le dita. Lo guardai con tristezza, desiderosa soltanto che la smettesse. Mi tirai indietro.
-Non giocare con me- dissi soltanto, freddamente.
-Non voglio giocare con te- disse, con tono calmo.
Sentii le lacrime pungermi le palpebre.
Rimasi in silenzio, deviando soltanto il suo sguardo e spostandolo intorno per la stanza.
Sentii il calore della sua mano sotto la mia spalla nuda, scoperta come un uccellino indifeso agli artigli del predatore, e mi voltai quasi simultaneamente, con le lacrime agli occhi.
-Perché vuoi farti così male?- mormorò.
Aggrottai le sopracciglia, sforzandomi di non sbattere le palpebre per non far scivolare via le lacrime. Guardai il suo viso maledetto, che mi aveva attratto come una falena con la luna e che mi aveva perseguitata come un'aquila con un passerotto. Mi scesero le lacrime sul viso.
-Devo andarmene da qui- dissi quasi senza voce, facendo per alzarmi dalle coperte.
-No- disse lui con voce ferma, bloccando le coperte con le mani, -tu resti qui. Fino a quando non rispondi alla mia domanda-
Mi stava mettendo sotto pressione, e mi stava anche spaventando.
-Ti prego smettila- scoppiai in lacrime, portandomi una mano sugli occhi, -mi stai facendo paura...!-
Sentivo il suo sguardo su di me, nonostante mi stessi coprendo da lui con la mano.
-Hai ragione...- sussurrò, con voce dolce stavolta, avvicinandosi lentamente, -sono stato aggressivo... non volevo...-
Mi prese fra le braccia con dolcezza, mentre io continuavo a piangere.
-Scusami piccola...- sussurrò accanto al mio viso, -mi dispiace...-
Le sue mani mi scaldavano la vita e la spalla, e mi rifugiai istintivamente accanto a lui.
-Shh...- sussurrò dolcemente, -mi dispiace...-
Si scostò leggermente da me e mi portò una mano al viso, piegando l'indice della mano destra per spazzarmi via le lacrime.
-Non piangere...- mormorò, con voce morbida, -andrà tutto bene. Te lo prometto. Te lo prometto, piccola...-
Lentamente, smisi di singhiozzare, scaldandomi sulla sua spalla.
Mi teneva a sé con delicatezza, quasi fossi stata fatta di cristallo e avesse timore a toccarmi per non farmi rompere; sentivo il suo calore coccolarmi la schiena.
Il suo petto caldo trasmetteva sicurezza e cinta dalle sue braccia mi sentivo istintivamente più rilassata. Rimanemmo così per un po'; quando capì che non mi sarei più ribellata e che l'avrei ascoltato chinò lo sguardo e si scostò piano da me:
-Vogliamo ricominciare? Stavolta con calma, senza prenderci a mazzate, mh?-
Alla sua frase mi venne spontaneo sorridere e lasciarmi andare ad una breve risata, sollevata. Anche lui sembrava meno teso, e mi sorrise dolcemente.
-Mi ha chiamato Margherita, ieri sera- disse lentamente, restandomi vicino, -e mi ha messo al corrente di... una certa cosa. Ma voglio saperlo da te, e non da un portavoce- mi guardò negli occhi.
Mi sentii tremare.
Dovevo ragionare a mente fredda. Ma l'unica cosa fredda che sentivo era il mio cuore. La sua vicinanza in quel momento mi faceva sentire solo più confusa: lo amavo ancora. Sentii la rabbia crescere dentro di me, per me stessa: era questo il problema. Che nonostante mi avesse fatto soffrire e addirittura mi avesse condotto al bancone di un bar non riuscivo ad odiarlo. Avrei dovuto odiarlo, odiarlo a morte, sbattergli la porta in faccia ogni volta che avrebbe tentato di farsi rivedere e non permettergli nemmeno di guardarmi negli occhi. Perché me li aveva già rubati, tempo prima, ma non aveva voluto restituirmeli.
Rimasi in silenzio, guardando il pavimento.
-Perché stavi con quella ragazza?- domandai infine sollevando lo sguardo, quasi perdendo la voce.
-Lei non era niente per me- rispose Francesco in un mormorio, -libera di non credermi. La stavo liquidando-
Sviai lo sguardo prima di riportarlo su di lui, interdetta.
-Hai dei modi di fare piuttosto spinti, mentre liquidi una ragazza che non ti interessa- replicai, puntuta.
-Volevo togliermela di torno. È una cosa... è una cosa che non puoi capire se non sei...-
-Un ragazzo?- lo anticipai, senza smuovermi, -o forse è l'arte del seduttore, quella di baciarsi una ragazza per poi togliersela di torno?-
-Non l'ho baciata- si schermì, serio, -anche perché non sarei mai riuscito a farlo-
Mi guardava con occhi sinceri. E ogni volta che mi perdevo nei suoi occhi capii che stavo tornando nelle sue mani, incline a credergli. E ad amarlo ancora.
-Vuoi farmi credere che sai anche amare?- domandai gelida, sentendomi le lacrime tornare agli occhi. Non erano lacrime di dolore. Erano lacrime di speranza. Speranza e sconforto, insieme.
-Tu credi che sia solo un puttaniere, non è così?- rispose.
Abbassai lo sguardo.
-Non so più cosa sei... non l'ho mai saputo veramente...- dissi, con la voce che mi tremava.
Sentii prendermi ancora il viso sulla sua mano, in modo morbido. Mi guardò per un breve lasso di tempo, quasi a volersi stampare nella memoria il mio viso rigato dalle lacrime.
-Non sono quello che credi- mormorò, -Ti sei fidata di me ieri sera, sai che non c'è nulla di cui aver paura con me-
-Mi ero fidata dall'inizio- ribattei, sollevando lo sguardo, -ma tu hai deciso di giocare con i miei sentimenti. Mi hai trattata come una bambola di pezza, ero solo un giocattolo per te...-
-No- ribatté, -no, non lo eri. Non lo sei mai stata. Ero sincero, e lo sono ancora-
-Anche quando mi hai spezzato il cuore eri sincero?- replicai, cercando di ricacciare dentro le lacrime con rabbia.
Mi scostò i capelli dietro l'orecchio, guardandomi con amarezza.
-Mi dispiace...- sussurrò.
Scostai via il viso, respirando intensamente per non permettere alle lacrime di scendermi sul volto ed evitai di incrociare ancora il suo sguardo, affranta.
Ma lui mi riportò il viso davanti a sé, senza vacillare nello sguardo.
-È questo quello che vuoi nascondermi? Il tuo viso?- fece, assumendo un tono calmo e rassicurante nonostante l'intensità delle parole.
Chiusi gli occhi e provai a scostarmi via, ma la sua mano me lo impediva:
-Guardami Bianca. Guardami- disse, con voce ferma.
Con le sopracciglia aggrottate e le palpebre chiuse, mi sforzai di non dischiudere la bocca in un sospiro di dolore, pronta a lasciare che il pianto mi portasse ancora con sé.
-Non piangere...- sussurrò, con voce morbida, -non devi... Guardami...-
Le sue parole rassicuranti mi indussero a dischiudere leggermente le palpebre; Francesco mi guardava, con un'espressione... rassicurante. Come quando si assume un tono carezzevole con i bambini quando si sbucciano un ginocchio e non riescono a smettere di piangere, quei modi di fare sicuri e protettivi che ti infondono sicurezza, così era il suo viso, su cui era dipinta un'espressione ferma ma dolce allo stesso tempo, gli occhi che sembravano socchiudersi leggermente in una maschera di meravigliosa maturità.
-So che è per causa mia- continuò, senza staccare lo sguardo, -e devo assumermi le mie responsabilità-
-Quali responsabilità?- mormorai, con sguardo perplesso. Responsabilità? Ma che aveva fatto, era corso a 180 all'ora davanti all'Autovelox??
Scosse la testa abbassando lo sguardo, come per scollarsi un peso da dosso.
Mi sfuggì un sorrisetto.
-Che fine ha fatto il seduttore della scuola?- dissi, ironica.
Sorrise.
-Non se n'è mai andato- rispose stando al gioco, -ma ha capito che non può lasciare che una ragazza si ubriachi per colpa sua. Specialmente se... tiene a quella ragazza- rivelò infine.
Sgranai istintivamente gli occhi.
-Bianca- mormorò, accostandosi al mio viso, -da quando ti ho vista la prima volta ho capito che non sei fatta per farti mettere i piedi in testa- sostò un momento dal continuare, spostando lo sguardo sul mio viso; abbozzò un sorriso all'angolo destro delle labbra:
-Permettimelo di dire, hai le palle- fece scherzoso.
Sorrisi, e in quel momento nessun'altra frase avrebbe potuto eguagliare lo svolazzare incessante delle farfalle che mi vibravano nello stomaco, nemmeno se fosse stata romantica e sdolcinata come nei film, dove tutto è perfetto.
-Però...- mormorò poi, guardandomi con dolcezza, -hai bisogno di qualcuno accanto a te...-
Si fece più vicino, portandomi delicatamente l'indice sotto il mento, -qualcuno che possa proteggerti... Sei così spaventata...-
-Ti faccio compassione?- chiesi, mettendo alla prova la verità delle sue parole.
-La compassione è per chi è troppo oppresso dalla vita da non saper reagire. Tu invece reagisci, non ti fai mettere in testa i piedi da nessuno. E non sai quanto ti rendi attraente-
L'aveva detto così, all'improvviso. Sentii l'imbarazzo avvamparmi sul viso.
Distolsi lo sguardo dal suo viso, per non mostrargli la mia faccia presa alla sprovvista.
Francesco sorrise.
Dio, il suo sorriso. Sentivo sciogliermi ogni volta che vedevo le sue labbra sorridere e i suoi occhi ridere con esse. Era meraviglioso.
Mi ritrovai a guardare le sue labbra prima che potessi accorgermene.
-Non dire niente- disse, abbassando lo sguardo sulle mie labbra e sul mio corpo.
Lo guardai in viso e gli diedi un sorriso, un sorriso che era tutto per lui.
-Da quando ti ho vista arrivare in corridoio giorni fa... Credimi, non ho fatto altro che pensare a te, quella notte... Non sai quanto ti ho desiderato...-
La sua voce non suonava perversa. Sembrava quasi dolce. Una dolcezza che avrebbe eguagliato allo stesso modo un tono sensuale e suadente. Da una parte ero già persa nella sua voce, dall'altra ero ancora restia a tirarmi indietro. Non ero sicura di ciò che stava facendo. Chi gli impediva di fare il doppiogioco solo per avermi?
Aggrottai lievemente le sopracciglia.
-Sicuro che non sia solo...
-Sesso?- sorrise; ero quasi paonazza per l'imbarazzo, ci avrei scommesso. Sentirlo dire da lui faceva un certo effetto. Ma lui non mutò espressione.
-Se fosse così me ne sarei già andato in uno strip club o qualcosa del genere tempo fa... Io voglio te, Bianca- mi guardò negli occhi, - e so solo che non riuscire più a toccare nessun altro corpo e nessun altre labbra di qualsiasi altra ragazza, pensando a te-
Pose una mano accanto al mio orecchio, guardandomi con dolcezza.
-Credi che sia ancora un puttaniere, per te?- disse, continuando a guardarmi intensamente.
Feci un mezzo sorriso come per negare la sua affermazione e mi portai sulle sue labbra, chiudendo gli occhi nel momento in cui toccai la sua carne. Francesco mi tenne il viso sulla sua mano, con un gesto morbido e fermo allo stesso tempo. Il bacio che suggellava ogni parola detta fino ad allora; un bacio dolce, morbido. Niente a che vedere con la passione con cui mi aveva baciata la prima volta, colma di desiderio e sensualità. Quello era amore.
Si staccò dalle mie labbra lentamente, e sentii il suono della sua bocca che schioccava leggermente, quasi a volermi ricordare che pochi momenti prima ero persa sulle sue labbra. Lo guardai, sentendo come un fiume in piena la felicità scorrere nelle mie vene, e gli sorrisi di nuovo. Lui ricambiò il sorriso, per poi tornare a baciarmi con più tatto, portandomi una mano sulla vita e l'altra oltre il collo, inducendomi a stendermi dietro di me. Gli sfiorai il volto, accarezzandogli con le dita i capelli accanto all'orecchio, lasciandomi andare ad un altro sorriso quando si portò dalle mie labbra al lato della bocca, risalendo lungo la guancia lasciandomi un tratto di baci. Mi guardò ancora, facendo sorridere anche gli occhi. Gli accarezzai lievemente la spalla e la scapola.
Si accostò con il naso accanto al mio, senza staccare lo sguardo.
La punta delle mie dita si spostò sui suoi capelli, mentre gli sorridevo ancora.
Amore.
Ormai ne ero sicura. Non voleva il mio corpo solo perché ne era attratto; voleva anche ciò che il corpo nascondeva, voleva le emozioni che mi scorrevano nelle vene, voleva sentire l'incalzante battere del mio cuore quando vedevo il suo viso. E quella era forse la cosa più bella che avessi mai provato da quando avevo visto i suoi occhi e mi ci ero persa dentro.
Dopo avermi guardata per qualche istante Francesco riprese a baciarmi con dolcezza, lentamente, e sentii un brivido pervadermi dalla vita in giù; si portò sulle mie spalle, scendendo poco sopra i seni, stavolta dando alle labbra un trasporto più caldo e passionale, desideroso.
Il movimento sensuale della sua bocca mi rapì fin dentro le ossa.
Fece risalire desideroso una mano lungo la mia coscia, insinuandosi nelle coperte, tornando ad incollare le labbra sulle mie; la sua bocca si stava già spostando a lato del mio collo.
Le mie mani gli stavano già cingendo le spalle, sopraffatta dal piacere.
-Francesco...- sussurrai, presa da un calore incontrollabile.
-Sì...- sussurrò quasi senza voce, in una maniera tremendamente eccitante.
I suoi occhi, con quello sguardo incorniciato dalle sue sopracciglia mi fecero morire dentro di me.
Avrei potuto fargli qualsiasi cosa, in quel momento.
Letteralmente.
Potevo, in qualsiasi momento avessi voluto.
Mi scostai dalle coperte e feci per raggiungerlo a carponi, senza smettere di guardarlo con desiderio.
-Sei... sei così tremendamente eccitante- mi lasciai sfuggire, iniziando a perdere lucidità della mente.
Sorrise affabilmente, spostando lo sguardo sul mio corpo coperto solo da una misera canotta e dalle mutandine.
-Vieni allora...- sussurrò sensualmente, facendomi definitivamente perdere il controllo.
Il suo respiro caldo mi rapiva i sensi e realizzai di essere a pochi millimetri dalla sua bocca.
Mi cinse la vita con le mani, lasciando che mi mettessi a carponi su di lui, distendendosi sul letto.
Guardava con impazienza il mio corpo, mentre iniziava a far scivolare le mani sui miei glutei.
Fece per mordermi le labbra con desiderio quando lo fermai, ponendogli una mano sul petto.
-Ma voglio essere sicura di quello che faccio- ripresi con fatica la realtà in mano, al che lui si arrestò. Mi portai via dal suo corpo:
-Non so come tu abbia fatto a parlare con Margherita- dissi, -ma sappi che quello che ti ha detto era la verità. Io... voglio quello che vuoi tu- continuai, -ma non so se sia realmente quello che voglio-
-Che vuoi dire? Bianca, smettiamola con questa farsa... sappiamo entrambi cosa vogliamo- ribatté.
-Ti ho dato una seconda occasione. Ora tu dalla a me- feci.
Mi guardò, confuso. Stavamo quasi per fare l'amore e adesso chiedevo di ritirarmi per pensare. Dio, come sono strane le ragazze... stava sicuramente pensando. E non potevo che dargli ragione.
Ma avevo bisogno di capire. Capire se davvero era quello che dava a credere. O se stesse ancora fingendo. Ero sicura delle sue intenzioni, ma volevo metterlo alla prova un'ultima volta. Noi donne abbiamo bisogno di certezze, per lasciarci andare completamente. Non chiediamo altro che certezze, poi possiamo donarci con tutto il cuore. E io volevo donarmi a lui più di ogni altra cosa al mondo.
-D'accordo...- fece a bassa voce, senza perdere il suo tono passionale; si accostò al mio viso, quasi a volermi tentare ancora, -un momento per riflettere, uhm?-
-Smettila- lo rimbeccai, -perché potresti dissolvere anche le speranze che hai...- portai maliziosamente le labbra accanto al suo orecchio, per aumentare il suo desiderio.
-Allora consolidiamo queste speranze- fece, ma capii con soddisfazione dal suo tono destabilizzato che stava bruciando di passione per il mio gesto, -sai dove trovarmi- sussurrò sensualmente, guardandomi con quello sguardo da seduttore tremendamente sexy.
Feci un mezzo sorriso e mi rialzai dal letto, dirigendomi maliziosamente verso il bagno come se niente fosse.


-Dove sei stata??- fu la domanda lapidaria di mia madre, non appena misi piede sulla soglia di casa.
Era circa mezzogiorno della domenica mattina, non esattamente l'orario di tornare a casa.
Mi limitai ad alzare gli occhi al cielo.
-Te l'ho già detto- risposi con naturalezza, -ieri sera...
-Ieri sera sei andata via dicendo che dovevi andare da Carlotta, ti ho aspettato tutta la sera ma stanotte non ti seri ripresentata a casa! Ma a chi vuoi prendere in giro, Bianca?? Che cosa dovevi fare??- alzò il tono, senza quietarsi.
-Era una cosa seria- mi difesi, -e mi ha invitata a restare da lei. Si tratta di Luca... quel deficiente la sta facendo soffrire ancora. E non le andava di passare la notte da sola. Scusami se non ti ho avvisata che non sarei tornata, ma è successo tutto così in fretta. Non ne ho avuto il tempo. Mi spiace-
Sperai che credesse al mio tono abbattuto.
Mi guardò con cipiglio severo e poi indicò dietro di sé.
-Entra- disse freddamente, -e che non succeda mai più. La prossima volta che vuoi fare la piccola psicologa con le tue amiche avvisa il capo reparto che non torni a casa, è chiaro?-
Era andata bene, almeno.
Mi diressi in fondo al corridoio, per scapparmene finalmente in camera mia.
-A proposito, quei vestiti da dove saltano fuori?- la sentii dire, dall'altra parte.
-Sono di Carlotta- mi limitai a dire.
Sì. Carlotta.
Ero sgattaiolata via da casa di Francesco prendendo in prestito un jeans e una maglietta della sorella, dato che non potevo camminare per strada come se niente fosse con un vestitino da sera in pieno giorno. Fortuna che avesse una sorella, altrimenti ci sarebbero stati più di due inconvenienti.
A partire dal fatto che mi aveva spogliata.
Sentii avvamparmi il viso al solo pensiero che, non fosse stato per lei, avrebbe potuto farlo Francesco. Al solo pensiero che avrei potuto avere il suo corpo, le sue labbra e i suoi occhi guardarmi con quello sguardo meraviglioso che aveva mi sentii morire. Lo desideravo, Dio se lo desideravo. E adesso avevo la certezza che mi desiderava anche lui. Ma non volevo dargli l'impressione che ero caduta fra le sue braccia solo perché aveva un corpo desiderabile. Io lo amavo. Era diverso. Se ci fossi andata a letto sarebbe stato solo per amore.
Cosa che avrei realizzato molto presto.

 

 

 

Un doveroso grazie è per tutte voi ragazze che avete recensito i capitoli; vi ringrazio davvero siete dolcissime, mi avete detto delle cose meravigliose :)
Spero di non deludervi con i prossimi capitoli... un bacio a tutte e a chi segue questa storia
_Char

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Capitolo 10
*** Desiderio, Passione, Gelosia ***


                                                                            CAPITOLO 10



Non facevo altro che pensare a quello che mi aveva detto Francesco.

Io voglio te, Bianca”
Quella sua voce sensuale ed eccitante.
Me.
Allo stesso tempo continuavo a pensare a quando, poco tempo prima, se ne stava appoggiato ad un muro con una ragazza ad accarezzargli i capelli. Tuttavia non mi faceva più così male, ripensare a quelle visione.
Io voglio te”
Da una parte volevo cadere fra le sue braccia, dall'altra qualcosa mi teneva in allerta.
Sembrava essere stato sincero. I suoi occhi non mentivano. Potevo fidarmi ancora?
Guardai il telefono, sentendo dentro di me il desiderio lampante di scrivergli un messaggio per parlargli ancora. Qualcosa mi diceva che mi avrebbe risposto. Potevo chiederglielo, potevo chiederglielo di nuovo che cosa ci facesse con un'altra ragazza proprio quando sembrava manifestare un certo interesse per me. Volevo sentirglielo dire ancora, volevo sentire la sua voce sussurrarmi all'orecchio che esistevo solo io per lui, e che avrebbe voluto farmi sua, in quel momento.
Mi appoggiai stancamente al cuscino, chiudendo gli occhi ; dopo tutti quegli avvenimenti avevo bisogno di rilassarmi e di calmarmi, scombussolata fisicamente e psicologicamente. Sopratutto fisicamente. Non riuscivo a togliermi dalla testa le sue mani che mi sfioravano con desiderio, le sue labbra che mangiavano letteralmente le mie. Avvertii ancora una volta la sensazione che avevo provato poco meno di un mese prima, quando l'avevo visto per la prima volta davanti alla scuola.
Solo che adesso sapevo che ad avvertire quel desiderio eravamo in due.
Sentii la mia passione aumentare. Al solo pensare che stava morendo di desiderio, volendo soltanto sbattermi su un letto e dedicarsi completamente a me per le ore che sarebbero seguite capii che stavo diventando accaldata. Ed eccitata.
Sensazioni più profonde accompagnavano il mio desiderio.
Mi precipitai al telefono di casa, non trovando mia madre da nessuna parte.
-Dove sei finita?- le chiesi, impaziente.
-Al centro commerciale con tua zia, doveva comprarsi un paio di scarpe e mi ha chiesto di accompagnarl...-
-Quando pensi di ritornare?- la ignorai, sentendo crescere dentro di me l'impazienza.
-Quando finiremo, non ne ho idea... perché me lo chiedi?-
-Vado da Margherita, a studiare per il compito- mentii, per la seconda volta in quella giornata.
Dio, al solo realizzare che stavo mentendo per coprire il fatto che stavo andando a fare sesso con Francesco mi pervase un brivido di eccitazione.
-D'accordo, ma cerca di ritirarti, stavolta. E non fare tardi- mi ammonì, e richiusi all'istante la chiamata. Afferrai letteralmente il giubbino, le chiavi e il cellulare e mi catapultai fuori di casa.
Presi in fretta il cellulare e toccai lo schermo fino a che non comparve l'icona del nuovo messaggio; le mie dita si muovevano febbrilmente sul display.
Ti prego rispondimi”
Sperai che lo facesse davvero.
Cosa c'è?”
Il cuore iniziò a battere a mille, accompagnato da una pulsazione più profonda.
Ti voglio, Francesco. Ti voglio adesso
Pochi secondi dopo riapparve la sua risposta.
Ci hai messo un po' per capirlo, eh?”
Smettila di fare l'idiota e scendi sotto casa tua”
Non chiedermi altro”
Non chiedermi altro. Dio, se solo avesse potuto sentire quando mi aveva eccitato quella frase.
Quasi correvo per la strada, tanto non avevo più la pazienza per aspettare.
Ancora pochi metri e sarei arrivata.
La sua casa.
Cercai impaziente la sua figura, mentre sentivo le pulsazioni aumentare dentro di me.
Le sue mani.
Era comparso dietro di me, prevedendo le mie mosse.
Il loro calore sulla mia vita, il suo petto caldo dietro le mie spalle.
Mi voltai e gli affondai il viso nel collo. Era bollente.
Gli cinsi la schiena con le braccia, accarezzandogliela desiderosa con le mani.
-Bianca...- sussurrò sospirando, mentre al suono della sua voce sospiravo con appagamento sulla sua pelle.
-Voglio solo te, adesso. Ne sono sicura- dissi, sforzandomi di non sospirare ancora dal piacere. Al solo vederlo su di me sentivo che avrei potuto venire.
-Andiamo allora- disse lui con tono suadente, scivolando sul mio collo.
-Abbiamo campo libero?- mi fermai; capì a cosa alludessi.
-Anche se non ce l'avessimo non m'importerebbe nulla, Bianca...- sussurrò ancora il mio nome, con voce sensuale, -voglio farti urlare dal piacere fino a che non riuscirai a muovere più un muscolo, ora-
Cercai avidamente le sue labbra, iniziando a baciargliele con passione; gli ci vollero pochissimi istanti per iniziare a leccarmi la lingua con la sua, unendo le labbra nelle mie con un trasporto che sapeva di sesso. Le nostre lingue si intrecciavano, si univano, come se stessero danzando. Una danza passionale. Un tango.
Mi staccai da lui, lasciandomi sfuggire un mezzo sorriso impertinente, e corsi ad aprire il portone con il pulsante, mentre Francesco mi raggiungeva celermente.
Salimmo le scale di corsa, e arrivati al pianerottolo Francesco mi prese con decisione per i fianchi, portandomi a sbattere contro il muro; le sue labbra scendevano, risalivano e leccavano ogni centimetro del mio collo, mentre le mie mani si intrecciavano tra i suoi capelli scuri, la mia bocca semi-dischiusa dal piacere mentre mi sforzavo di non sospirare. Volevo dimostrargli che non mi aveva in mano. Ero io che mi concedevo a lui.
-Apri la porta- sussurrai, respirando a fatica.
Estrasse le chiavi dalla tasca dei jeans e le infilò nella toppa; uno, due, tre giri. Ad ogni schiocco mi sentivo morire.
-Avevi paura ti entrasse un ladro in casa?- lo beffeggiai.
-Volevo essere sicuro che ci saremmo stati solo noi- rispose senza perdere il suo tono ammiccante.
Dio, lo avrei sbattuto sul letto in quel preciso istante.
Richiuse la porta alle nostre spalle e, neanche il tempo di voltarmi, mi cercò con le labbra per continuare a baciarmi, mentre mi induceva ad indietreggiare lungo il corridoio. Avvertii lo stupite della porta dietro la mia schiena.
-Ti piace sbatterti ogni ragazza contro qualcosa?- lo provocai ancora.
-Sta zitta- soffiò a un centimetro dalle mie labbra, mentre con la lingua andava a toccarmele nel centro.
Lo spinsi indietro con le braccia, restando attaccata alla sua bocca, e gli presi il colletto del giubbotto facendoglielo scivolare dietro le spalle, di modo da spogliarlo dell'indumento. Mi attirò verso la camera dietro di lui, cingendomi la vita con le mani e cominciò a togliermi rapidamente il giubbino; fece scivolare il lembo della maglia lungo la spalla, e spostò la sua bocca su di essa, avvicinandosi pericolosamente alla piega del collo. Declinai la testa e mi lasciai andare alle emozioni, permettendogli di avvertire il mio sospiro appagato. Mi spogliò rapido della maglietta e della canotta, facendomi cadere sul suo letto.
Riprese a baciarmi il collo, scivolando giù tra i seni e sul ventre, mentre mi contorcevo convulsamente sulle lenzuola.
-Togliti la maglietta- dissi, tentando di avere la voce ferma, cosa impossibile dato il suo impeto di desiderio. Gli alzai i lembi della maglietta dalla pancia ai pettorali, mentre lui piegava leggermente le braccia per far scivolare via il misero indumento. Portò le braccia accanto alle mie spalle e si piegò su di me, facendo risalire lentamente la lingua lungo il mio collo; gemetti, socchiudendo lo sguardo, tentando di eccitarlo con i miei sospiri almeno quanto lui faceva eccitare me con la sua lingua.
Si fermò, guardandomi da sopra, ancora su di me.
Gli sfiorai lievemente la guancia con la punta delle dita, leggendo nei suoi occhi il desiderio puro.
-Bianca...- sussurrò, quasi ansimando.
Mi sollevai e mi strinsi al suo corpo, una mano lungo la sua schiena e l'altra giù ad accarezzargli i pettorali; continuai a farla scendere ancora, ancora, e ancora.
Capì dove volessi arrivare, e m'istigò mordicchiandomi il lobo dell'orecchio sinistro.
Tentai di scivolare nei suoi pantaloni, ma il bottone impediva l'accesso, come un importuno ostacolo.
-Dio, che esistono a fare quei cazzo di bottoni?!- esclamai, fremendo impaziente mentre Francesco si lasciò andare a un sorrisetto misto a un breve ridacchiare.
Portai le mani sulla cintura dei suoi pantaloni e presi a slacciarglieli, lentamente. Il contatto con le mie dita e il cavallo dei suoi pantaloni gli causava un fremito nei boxer, quasi di impazienza.
Tirai giù la zip e gli accarezzai la sua eccitazione con due dita da sopra il tessuto.
-Non istigarmi... - sussurrò impaziente da sopra di me, colto nel vivo.
Gli bloccai le parole nelle labbra con la mia bocca, mentre immergevo la mia mano nei suoi boxer.
Dopo pochi secondi si tirò leggermente indietro dalle mie labbra, sospirando con eccitazione.
-Non fermarti...- sussurrò con la voce che gli tremava dal piacere, e approfittai della sua debolezza per portarlo sotto di me.
La mia mano continuava a muoversi con lentezza, quasi a volerlo istigare.
Velocizzai il movimento, ponendo fine alla tortura di farlo attendere, e non mi fermai fino a che non venne. La sua espressione di godimento mi appagava.
-Già stanco?- chiesi maliziosa dopo qualche istante.
Ribaltò rapidamente le posizioni, quasi l'eccitazione non avesse fatto altro che eccitarlo ancora, invece che spossarlo, e prese a liberarsi dei miei jeans; infilò le mani sotto la mia schiena ed avvertii le sue dita manovrare con i ganci del mio reggiseno. Lo tolse via senza troppi problemi e non appena ne fui libera usò ancora quella maledetta fonte di piacere per leccarmi un seno con veemenza.
La sua mano scivolò abile verso il mio bacino, mentre spostava la sua attenzione sul mio viso riempendolo di baci passionali.
Sentii le sue dita pericolosamente vicine alla mia intimità.
Pochi secondi dopo le muoveva abilmente, scivolando nel centro della mia femminilità.
-Fr-Francesco...- sussurrai, in preda al piacere.
-Dillo ancora...- disse con voce sensuale, guardandomi in viso.
Gemetti per tutta risposta in modo poco trattenuto, mentre sentivo scivolare via anche l'ultimo indumento che impediva ogni cosa.
Le sue braccia si spostarono accanto al mio corpo, incontrollato per le emozioni, e sentii il contatto più intimo tra noi due; dopo pochi secondi assunsi un'espressione di fastidio sul viso, bloccata da un lieve dolore, ma lui continuò a scendere dentro di me fino a che, poco alla volta, non arrivò col petto il più vicino possibile al mio; mi coccolò con un bacio dolce, che non aveva niente a che vedere con la passione fiorita fino ad allora, sulle labbra e sulla guancia, prima di iniziare dolcemente.
-Ah...- sussurrai dopo pochi momenti.
Velocizzò il movimento; -Bianca...- sussurrò, senza fermarsi.
I nostri gemiti si intrecciavano, sfiorandosi nell'aria, avvicinandosi nella carne.
Una sua ultima spinta appagante segnò il culmine del piacere per entrambi.
Riprendemmo lentamente il respiro, sospirando ancora lievemente; gli portai una mano al viso, guardandolo negli occhi.
-Ti amo- mormorai con dolcezza, mentre lui si abbandonava accanto a me. Mi attirò a sé con un braccio sulla vita e mi baciò dolcemente la tempia, mentre chiudevo gli occhi accanto alla sua spalla.

 

-Dimmi che non è vero- esclamò Margherita.
Eravamo al tavolino di un bar, davanti a due tazzine di caffè. Il cielo bluastro annunciava l'arrivo imminente della sera.
-Non urlare, Marghe- sbottai stancamente.
Si guardò attorno, nervosamente.
-Ne hai parlato con Carlotta?- si abbassò verso di me.
-Scherzi? Mi uccide se lo viene a sapere!- replicai, nervosamente.
Dovevo andare a dirle solo questo. Se in quel momento si sarebbe limitata a fucilarmi dopo una notizia del genere mi avrebbe gettata giù da un dirupo stile spartano senza troppi complimenti.
Margherita notò la mia espressione abbattuta.
-Ascolta Bianca, non ne hai colpa. Tu ami Francesco, e lui ama te. Non puoi costringerti a non amarlo solo perché un'altra ne è innamorata- parlò in tono ragionevole.
-Ma è la mia migliore amica! Tu e Carlotta siete tutto per me: ci conosciamo da anni ormai, non riesco a gettare al vento un'amicizia del genere- ribattei tristemente.
-Hai ragione, tesoro, hai ragione. Ma guarda la situazione, Carlotta dovrebbe capirlo; invece no, continua a restare sulla sua posizione. Se le importasse davvero di te dovrebbe rinunciare a Francesco, o almeno a non provarci ancora. Ormai tu e lui state insieme, no?- continuò, addolcendo la voce.
La guardai, senza mutare espressione.
-Dai Bianca, non guardarmi con quell'aria da cagnolino... mi viene voglia di prenderti in braccio e coccolarti- sorrise furbetta.
Sorrisi debolmente.
-Visto? Sono riuscita a farti sorridere- si vantò, fingendo di aver conseguito una grande vittoria.
-Cosa dovrei fare secondo te?- ripresi il discorso.
-Parlale. Ne hai bisogno. E ne ha bisogno anche lei- rispose tornando seria, con un sorriso di conforto.
-Mi odierà a morte- sospirai abbattuta, accasciandomi sullo schienale della sedia.
-Se è quello che deve succedere allora lascia che succeda- si limitò a dire lei, -dovrete parlare prima o poi. Come hai fatto con me-
Fissai la tazzina di caffè, ancora mezza piena.
-Se deve uccidermi dovrà farlo, prima o poi- dissi.

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Capitolo 11
*** Soltanto la verità? ***


                                                                        CAPITOLO 11 

 

 

Il mattino seguente mi diressi a scuola, abbattuta e amareggiata.
Mi ero svegliata alle sei e non ero riuscita più a riprendere sonno, troppo ansiosa e confusa per starmene placidamente nelle coperte.
Quando svoltai l'angolo e imboccai la salita verso l'edificio iniziai a sentire il timore prendermi le ginocchia, incerta.
Ogni passo portava alla scuola. E alla classe. Nonché ai banchi. Dove c'era Carlotta.
Riuscii ad arrivare ancora incolume da una crisi di nervi davanti all'ingresso, quasi trascinando i piedi.
La prima rampa di scale mi apparve come una condanna a morte. Cominciai a salire i gradini, sperando che Carlotta non fosse ancora arrivata, e finii di salire anche la seconda rampa.
Passai di fronte ai distributori senza accorgermi che stavo passando davanti a qualcuno.
-Ehi- una voce bassa e calda mi rapì le orecchie; mi girai istintivamente e mi ritrovai ad essere trasportata di schiena sul muro nel momento in cui un bacio dolce mi toccò le labbra, per attirarmi alla sua attenzione.
Solo un paio di labbra sapevano baciare così.
Mi sfuggì un lieve ridacchiare:
-Proprio non riesci a stare senza sbattermi su un muro ogni volta?-
-Shh...- bisbigliò lentamente, facendo durare il suono a lungo.
Mi lasciai andare, portando la punta delle dita sulla sua guancia, sentendomi via via sempre più rilassata ad ogni suo tocco. Si staccò lentamente, con ancora il calore delle sue labbra a sfiorare le mie, e riaprii gli occhi.
-Non si saluta?- fece a bassa voce, ironico.
Gli diedi uno sguardo, senza avere il tempo di nascondere l'espressione preoccupata che mi stavo portando avanti dall'intera mattina.
-Ciao- mormorai; mi costrinsi a fare un sorriso, per compensare il saluto senza troppa espressione.
Ma non gli sfuggì ugualmente la cosa.
Inclinò la testa di lato, socchiudendo lievemente gli occhi.
-Che c'è?- domandò, tenendomi per le braccia.
Scossi la testa, senza aggiungere altro.
-Sono solo un po' stanca- risposi, - non ho dormito bene stanotte-
-Perché non mi hai chiamato a dormire con te, mh?- disse tentando di farmi sorridere, avvicinandosi con il volto per darmi un altro bacio sui capelli.
-Non sapevo se avresti risposto- stetti al gioco, abbozzando un sorriso, spontaneo stavolta.
-Forse eri troppo impegnata con il libro di Monviso- disse lui.
-Forse- dissi, con tono vago.
-Dai, andiamo- sorrise, invitandomi a seguirlo in classe.
Mi pietrificai quando misi il piede sulla soglia, attenta ad ogni minima presenza in quella stanza.
Di Carlotta nessuna traccia.
Mi andai a sedere rapida accanto a Margherita, che era già al suo posto.
-Allora, come è andata?- volle sapere subito.
Non risposi, vaga.
Il professore entrò in classe:
-Seduti ragazzi, cominciamo-
-Non ci siamo ancora tutti prof- ribatté un ragazzo in fondo all'aula.
-La campanella è suonata, ergo si inizia a fare lezione- proseguì inflessibile l'insegnante.
Guardai tristemente tutti i ragazzi e le ragazze che andavano a prendere posto, cercando ancora Carlotta tra i loro visi.
Nessun segno di lei.
Il professore prese il registro:
-Allora, siete pronti? Barballi...
-Presente- rispose con voce assente un ragazzo.
-Barrocchio-
-Presente-
Si andò avanti così fino alla fine, il tempo scandito di tanto in tanto dalla penna del professore che appuntava sul registro le assenze. Carlotta era tra queste.

 

Il giorno prima..

 

-Rispondi cazzo, rispondi...-
Imploravo me stessa di chiudere la chiamata allo stesso tempo del convincermi a parlare in quel maledetto telefono.
Un altro squillo. Ancora. Finalmente rispose.
-Pronto?- la voce non particolarmente emozionata di Carlotta mi perforò il cuore come una lama; non avrei mai avuto il coraggio di dirle quando stavo per dirle.
-Car sono io- dissi, cercando di calmare la voce tremante per l'emozione. Non disse niente.
-Ascolta, ti prego, non riattaccare. Ho bisogno di parlare con te-
-Non iniziare a dire che ti manco e che vuoi che torni tutto come prima, non attaccherebbe- partì prevenuta, con tono secco.
-No, no, non lo direi- dissi senza mezzi termini, -voglio solo parlare-
-Di cosa?- continuò senza variare tono.
-Di te. E di me. Sopratutto di me, io... mi dispiace per quello che è successo-
-Già- commentò sarcastica senza pronunciarsi troppo.
-Voglio che le cose tornino apposto. So che non potrà essere come prima, non sono così ingenua. Però voglio che le cose si aggiustino- continuai con calma, cercando le parole giuste.
-Comincia col sparire di torno e siamo già un passo avanti- la sua lingua velenosa mi mandò acidamente una frecciatina.
Avrebbe voluto saltarmi al collo e sgozzarmi già quando non le avevo ancora detto niente, figuriamoci quando le avrei detto che avevo fatto l'amore con Francesco.
Non potevo dirglielo.
O sì? Era giusto che lo sapesse? O dovevo celarlo nell'ombra, sperando che un giorno le sarebbe passata la rabbia e non avrebbe accennato più a quello che era successo?
Le parole di Margherita mi tornarono in mente.
Puoi farcela, Bianca. Puoi farcela.
-Carlotta... io... so che sei arrabbiata con me... Ma devo dirti una cosa...- mi bloccai, incerta e spaventata. Spaventata.
-Che cosa?- sputò senza interesse.
-Ho fatto l'amore con Francesco- dissi, quando il secondo di incoraggiamento mi era partito a stimolarmi mente e cuore. Mi morsi le labbra, impaurita.
Non arrivò nessun suono dall'altra parte. Nemmeno un grido.
Capii che la situazione stava precipitando.
-Carlotta io...- dissi rapidamente, in cerca di spiegazioni, ma la sua voce mi bloccò.
-Non dirmi che ti dispiace, so che non è vero- disse soltanto, con tono amaro.
Amaro. Mi sarei aspettata un tono furioso, arrabbiato, ferito. Amaro.
-Spero che ti sia piaciuto farti scopare sopra e sotto dal tuo caro Francesco, perché è questo quello che fa: si scopa tutte, per poi mollarle-
-Non è vero- ribattei, cercando la forza per continuare, -lo stai dicendo solo perché sei arrabbiata-
-Oh sì, sono arrabbiata- confermò, inflessibile, -tanto anche. Vi amate? Bene, fate quello che volete, andate a fare i piccioncini, scopate pure. Ma non venire più a cercarmi-
-Carlotta io...-
Stop. Aveva riattaccato la chiamata.

 

Una lieve scrollatina da parte di Margherita mi riportò alla realtà, distogliendo lo sguardo dal banco vuoto di Carlotta. Capì che le cose non erano andate bene e mi guardò tristemente.
Non marcai nessuna espressione sul viso e tornai a guardare avanti, a seguire una lezione che non avrei ascoltato.

 

 

 

Francesco POV

 

Aspettai con pazienza quando sarebbe uscita, già attento a non perderla d'occhio nonostante non fosse ancora arrivata. Quando finalmente la vidi attesi il momento giusto prima di scivolare alle sue spalle e cingerle la vita con le braccia, una volta che fu fuori dal cancello.
Lei si lasciò coccolare, ma aveva un'espressione tirata in viso.
Mi scostai dal suo corpo, continuando a tenerla fra le braccia, un po' perplesso:
-È da stamattina che fai così. Che succede? - domandai.
Lei non rispose.
-È per qualcosa in classe?- provai, osservando la sua reazione.
Scosse la testa, senza guardarmi negli occhi.
-Ehi- la richiamai, portando il viso davanti al suo, -cosa c'è?-
Alzò lo sguardo, finalmente.
-Ti va di parlarne sotto le coperte?- mormorò, ma non c'era niente di perverso nella sua voce. Sembrava stanca. Aveva bisogno di me.
-Va bene- mormorai, portandola a me per la vita, -andiamo-

 

-Allora, si può sapere cos'hai?-
Feci quella domanda con un certo alleggerimento di tono, per indurla a parlare senza farle pesare la domanda. Si era accoccolata sul mio petto nudo, una mano che mi delineava le costole; lo sguardo ancora vago.
-È solo... è solo...- provò a parlare, ma si trattenne.
-Quando le donne dicono “solo” c'è da preoccuparsi- sorrisi, riuscendo a strapparle un sorrisetto, -Mi trascini sotto le coperte e non mi dici neanche perché sei così in ansia. Cercavi un calmante facile o ti mancavano i sonniferi?-
-E piantala- mi rimbeccò, un po' punta sul vivo stavolta.
-Sono solo preoccupato per te. Mi sembri strana- mormorai, scegliendo bene i termini. Unii al mormorio della mia voce una carezza lenta al lato del suo viso, e lei sorrise socchiudendo gli occhi, rilassata. Avevo una certa esperienza con il delicato equilibrio femminile. Bisognava trattarle con le pinze, le donne, quando erano nervose. Avrebbero potuto assalirti con un mitra per una sola parola fuori luogo, e volevo sinceramente evitare di arrivare a farmi sparare addosso a raffica.
Si rannicchiò ancora di più sul mio petto, cercando il calore delle coperte e l'appoggio del mio corpo.
-Si tratta di Carlotta...- disse infine, lasciandosi finalmente andare.
Mi tirai su con la testa:
-Carlotta?- ripetei.
-Il fatto è che lei... ha sempre avuto una... un certo...- smozzicò, continuando a parlare.
-... interesse?- la anticipai, cercando di assecondarla.
-Sì... per te- alzò gli occhi sul mio viso, quasi a cercarmi.
-E tu credi che possa allontanarmi da te?- intuii la situazione, guardandola intensamente.
Annuì, dopo qualche secondo.
-Senti piccola- mormorai, con tono caldo e rassicurante; mi portai più profondamente nelle coperte, cercando di farle avvertire la mia vicinanza, -non devi avere paura. Non pensare subito a male. D'accordo?-
Annuì, meno tesa stavolta.
-Perché hai paura?- feci, interessato. Non l'avevo mai vista così interdetta.
-Perché... perché lei ti vuole- rivelò tristemente, -e non posso impedirglielo. Ma io... amo te, non vuole farsene una ragione. Io...-
-Ehi- mormorai, interrompendola, -io ti amo. Ti amo, Bianca. Ti amo...- sussurrai, baciandola dolcemente sulla testa. Si strinse a me, in cerca di un appiglio sicuro, e si accoccolò nelle coperte.
-Non permettere che ti rovini la vita per causa sua. Non sei sottoposta a quello che fanno gli altri, e non lo sarai mai- le dissi accarezzandole la vita.
-Dai, adesso basta con questa storia. Hai ancora voglia di studiare o preferisci farmi compagnia?- feci poi, alleggerendo il tono.
Sorrise, rilassata questa volta, e mi stampò un bacio sulle labbra.

 

Qualche ora dopo ero tornato in strada, con il sole al tramonto che mi illuminava in pieno viso, creando un'ombra scura sul muro accanto a me; svoltai l'angolo e trovai Antonio proprio davanti a me, di spalle, mentre se ne stava a parlare con un altro del gruppo. Non sembrava essersi accorto del mio arrivo.
Mi venne spontaneo un sorrisetto malizioso e gli altri capirono immediatamente le mie intenzioni, non lasciando trapelare niente sui volti ad eccezione di un sorriso simile al mio, attendendo il seguito; aspettai qualche secondo e poi assalii Antonio direttamente da dietro la schiena, quasi facendolo cadere a terra. Non ci voleva nemmeno un sottotitolo per descrivere la sua faccia.
-Porca miseria, Francesco!- esclamò, scontroso sebbene colto di sorpresa, -la smetti di fare lo stronzo?-
-Scusa Antonio- dissi con tono per niente dispiaciuto, unito ad un sorrisetto bastardo, -me lo ricorderò la prossima volta-
Gli altri sghignazzavano senza ritegno.
-Piantatela voi- ringhiò Antonio nella loro direzione.
-Eddai- feci, passandogli bonariamente un braccio attorno alle spalle, -goditi la bella vita per un po', non ne avremo ancora per molto-
-Francesco Il Filosofo- mi schernì, mentre le risate di sottofondo andavano attenuandosi, -tu ne hai anche troppi di svaghi-
-So gestire il mio tempo- risposi con naturalezza, alzando le spalle, -tu invece dovresti uscire di più da quel cunicolo di casa tua-
-Ehi, solo perché non vado a rimorchiare ragazze come te non vuol dire che non mi goda la bella vita- fece, un po' seccato nonostante avesse capito che scherzavamo.
-Non sono io a rimorchiare ragazze- replicai, sfilando una sigaretta dal pacchetto che uno dei nostri mi porgeva, senza dire niente, lasciando parlare i gesti, -sono loro che cercano me-
-Ah, guardate signori, Francesco Il Magnifico Conquistatore- commentò Antonio con un gesto plateale del braccio, mentre io gli lanciavo uno sguardo da sotto le sopracciglia senza rialzare il viso dal livello a cui l'avevo portato, per far accendere la sigaretta sull'accendino, -dimmi, come te la passi con Bianca?- fece poi con un sorrisetto.
Mi bloccai di colpo.
-Che vuoi dire?- feci, abbandonando le vesti scherzose.
-Andiamo, sappiamo tutti che te la sei scopata- rispose, senza variare tono.
-E cosa te lo fa pensare?- lasciai trapelare una soffiata di fumo dalle labbra, guardandolo serio in volto.
-Sai com'è, voci che circolano... I corridoi sono pieni di malintenzionati che si lasciano volontariamente sfuggire qualcosa...- si finse vago, con ancora quel sorrisetto bastardo sulle labbra.
Sembrava divertirsi un mondo a prendermi per il culo. Ma io no.
-Ehi, stammi a sentire- lo richiamai, accennando fermamente un passo, -prova a ripetere quello che hai detto e giuro che ti sfondo il culo a calci, è chiaro?-
-La prendi sul serio allora- sorrise ancora, in quel modo che ti fa venire una dannata voglia di spazzargli via il sorriso con un pugno ben assestato.
Mi limitai a stare fermo, in silenzio, con uno sguardo assassino.
-Allora è vero- si rivolse agli altri, -se l'è davvero scopata. Ragazzi, abbiamo una nuova comparsa sulla lista delle sbattut...-
Non ebbe il tempo, né l'opportunità di finire la frase perché lo avevo già scaraventato sul muro con un pugno sulla spalla, assestandogli bene il colpo.
Lo bloccai sul muro con decisione:
-Senti stronzo- ringhiai quasi, in un sussurro sinistro, -vedi di chiudere quella cazzo di bocca se non vuoi che ti meni come si deve. Prova soltanto a chiamarla ancora con quel nome e io ti giuro, credimi, che non ti rivedrà nessuno più in strada, è chiaro??-
-Ma che cazzo fai?!- alzò la voce, dolorante per il mio colpo, -Si può sapere che cazzo t'importa di lei?? La stai solo usando, non dirmi il contrario. Lo sappiamo tutti qui-
-Ti sbagli- mollai violentemente la presa, provocandogli un dolore ai polsi, -e non sai quanto-
-Calmo Francesco- tentò di placarmi uno dei nostri, avvicinandosi; sentii la sua mano sulla mia spalla.
-Sai com'è Antonio... fa sempre a modo suo-
-Dovrebbe imparare a fare anche a modo degli altri, quando il suo non è richiesto- commentai sprezzante, lanciandogli un'occhiata prima di voltarmi di spalle.
-Insomma, si può sapere che ti prende?- chiese poi, dandomi tempo di sedermi su un muretto in pietra; gli altri mi osservavano incuriositi.
-Dovreste farvi i cazzi vostri- risposi gelidamente, chiudendo la questione sul nascere.
Antonio si massaggiava la spalla dolorante.
-Cazzo Francé, mi hai beccato proprio sull'osso...- si lamentò, buio in volto.
-Ti sta bene- dissi tagliente, -e sappi che questo è solo un assaggio se continuerai a dire quelle stronzate, è chiaro??-
I ragazzi mi fissavano in silenzio.
-Ti è caduta la sigaretta- commentò poi Lorenzo, che aveva parlato prima.
-Non mi frega- risposi, -non la voglio-
Dal silenzio che seguì capii di avere gli occhi di tutti incollati a me, ma non me ne curai: meglio essere stronzi che piegarsi alle dicerie altrui.
Dopo il giusto tempo che gli ci voleva per convincersi, Antonio riprese la parola.
-Ehi- disse, apatico. Mi limitai a sollevare lo sguardo.
-Non volevo fare lo stronzo della situazione- disse poi.
-È apposto. In questo periodo me la prendo con chiunque mi innervosisca più del dovuto- ribattei dopo un po', con tono risoluto ma di nuovo più cordiale.
-Fa niente- mi confortò; mi pose una mano sulla spalla.
-...ma te la sei davvero scopata?- fece poi, abbozzando un sorrisetto sghembo.
Stavolta gli avevo dato un sorrisetto.
-Senti, Francesco- mi richiamò poi, abbassando la voce, -forse non dovrei dirtelo... ma... beh è vero-
-Che cosa?- m'irrigidii, interessato ma provando un certo senso di allarme. Niente di buono.
-Quello che ho detto prima. Sai, le voci malintenzionate... È stata Carlotta. Ho sentito parlare le ragazze all'uscita del bagno, hanno fatto il suo nome. Da lì ho saputo che...-
Lasciò in sospeso il discorso; capii subito a cosa si riferisse, realizzando la situazione.
-È stata Carlotta?- ripetei.
Fece un cenno di testa, indicando la strada.
-Dovrebbe essere laggiù, al bar. L'ho vista entrare prima che tu arrivassi- continuò.
Zoccola che non è altro...”
Mi rialzai e mi diressi oltre di lui, sentendo la sua voce richiamarmi quasi subito:
-Non fare stronzate- mi disse, -torna qua-
Scordatelo”, pensai, “le zoccole vogliono essere pagate subito. E io sto andando a pagarla”
Entrai nel bar, cercando Carlotta quasi immediatamente con lo sguardo.
Eccola là.
Al tavolino del bar, con un'altra ragazza. Ridacchiava e chiacchierava con lei.
Hai fatto presto a dimenticare Bianca...” pensai.
Mi avvicinai a loro, calmo, senza fretta.
Quando si accorse della mia presenza Carlotta alzò gli occhi, guardandomi nel frattempo che mi avvicinavo al tavolino.
-Buongiorno ragazze- sfoderai un sorriso ammiccante, abbassandomi al loro livello.
-Ciao...- mormorò imbarazzata la ragazza di fronte a Carlotta, un po' disorientata. Carlotta al contrario sembrava disinvolta.
-Ciao Francesco- fece, sciolta, -come mai ci degni della tua presenza?-
Diedi un lieve sorriso alla ragazza prima di rivolgermi a Carlotta stessa.
-Un po' di tempo... tu invece? Niente libri oggi?-
-I libri possono aspettare...- ammiccò con un lieve sorriso.
-Mi dispiace chiedertelo- tornai a guardare per un istante la ragazza seduta di fronte a lei, -ma la tua amica potrebbe aspettare anche lei? Solo per un po'...-
Le sorrisi, come per farle intendere che in realtà non era davvero d'intralcio; mi sorrise a sua volta, con un sorriso di circostanza ma ancora imbarazzata.
-Perché?- fece Carlotta, girandosi per parlare a tu per tu.
-Andiamo...- sussurrai guardandola negli occhi, - ci metterò solo un minuto...-
Le portai l'indice sotto il mento, con fare malizioso.
Sorrise ammiccante, e tornò a guardare la ragazza.
-Puoi aspettarci un secondo?- chiese, alzandosi.
-Certo- rispose lei, chiedendosi forse ancora chi diavolo fossi.
Mi rialzai dal tavolo, facendole un leggero occhiolino prima di andarmene; sembrò imbarazzarsi ancora di più, mentre sorrideva cercando di nascondere gli angoli delle labbra piegate a scoprire i denti.
Uscii dal bar con Carlotta, fermandomi accanto al muro.
-Allora- si parò davanti a me, con aria di sufficienza, -che vuoi?-
-Niente- mormorai, spostando lo sguardo sul suo viso.
-Niente?- ripeté, beffarda.
-Beh- ammiccai, -in realtà c'è qualcosa che voglio chiederti...-
Mi feci più vicino a lei, riducendo notevolmente le distanze.
-Ah ha?- fece, inducendomi a parlare ancora, mentre mi osservava le labbra.
-Volevo sapere...- continuai a bassa voce, -se sei così dura come dai a vedere...-
-Che vuoi dire? “Dura”? Mi hai preso per un pezzo di cioccolato?- ridacchiò ironica.
-Forse... solo se decidiamo che il cioccolato non è così dolce e appagante quanto lo sei tu...- portai le dita fra i suoi capelli accanto al viso, giocherellando con la sua ciocca con lentezza.
-Appagante...?- ripeté, con uno strano sguardo.
-Ah ha...- sussurrai impercettibilmente.
-Sei piuttosto audace mentre parli con una ragazza...- mi fece notare.
-Solo perché so che la ragazza a cui sto parlando interesso... Allo stesso modo in cui lei interessa a me...-
Diedi peso a queste ultime parole, accostandomi al suo viso.
-Ti interesso?- fece, un po' stranita stavolta. La sicurezza sembrava che stesse lentamente svanendo.
Perfetto.
-Credi che non ti veda, in classe?- continuai senza smettere di tenere lo sguardo basso, inducendola a spalmare la schiena al muro mentre mi avvicinavo a lei con il corpo, -credi che non sappia cosa vuoi?-
-...che cosa voglio?- mormorò, persa nelle mie parole e nel mio tono sensuale.
Era facile da smuovere quanto avevo immaginato.
-Vuoi che ti sbatta su questo muro e che cominci a leccare ogni centimetro della tua pelle...- sussurrai con voce roca, soffiando le parole sul suo collo.
Il gesto ebbe l'effetto desiderato: sentii Carlotta cedere sotto di me.
-So che lo vuoi...- sussurrai ancora; portai le mani sui suoi fianchi, facendole scivolare sulla circonferenza del suo corpo e scendendo qualche centimetro più sotto.
-E tu cosa vuoi?- si sforzò di domandare, ma la sentivo già succube al mio corpo e alle mie parole.
La guardai intensamente negli occhi, per poi spostare lo sguardo sulle sue labbra.
Con un gesto quasi scattante portai le labbra sul suo collo, spostandomi su di esso a piccoli tocchi, quasi a farmi desiderare ancora; le sue mani si strinsero sulle mie spalle. Feci scivolare le mani sul suo sedere, stringendo i palmi attorno alle sue natiche, mentre mi permisi di stamparle un bacio languido sul suo collo. Stava cedendo.
-Teresa è rimasta dentro- mormorò, volgendo lo sguardo al bar, -non posso lasciarla lì da sola...-
Solo allora mi staccai da lei, riprendendo le distanze.
-È la stessa cosa che hai detto di Bianca?- feci, tornando ad avere un tono fermo e più incisivo, -è questo quello che hai provato quando l'hai abbandonata?-
Mi guardò perplessa, sorpresa e incerta allo stesso tempo.
-Cosa...-
-Cosa sto dicendo? Sai bene cosa sto dicendo- dissi, -Credi che non lo sappia? Credi di poterla trattare come un cagnolino come e quando cazzo ti pare? Puoi trattare lei così- accennai con il viso all'interno del bar, guardandola con disprezzo, -ma non Bianca-
-È così allora- disse, guardandomi con lo stesso disprezzo, -hai solo finto...-
-Sì- confermai, sentendomi come liberare da un peso non appena pronunciai quella parola, sicuro di aver rivelato infine le mie vere intenzioni, -e sarei pronto a rifarlo, se dovessi tornare indietro-
-Non ha le palle per parlarmi di persona? Ha mandato te, il suo scopatore notturno, per dirmelo?- si mostrò inflessibile, altezzosamente.
Il mio sguardo si fece più penetrante, come gli occhi di un rapace.
-Non mi sembra che hai dimostrato di avere le palle poco fa, quando di toccavo il culo- l'istigai, tagliente.
Mi guardò come un gatto a cui hanno pestato la coda.
-Prova a farle ancora qualcosa e giuro che sarà l'ultima cosa che farai- dissi con tono deciso.
La guardai freddamente negli occhi.
Dopo qualche istante mi tirai indietro.
-E se le dicessi che mi hai sedotta, credi che si fiderebbe ancora di te?- mi rispose a tono, mentre mi stavo già per allontanare.
-Io non ti ho sedotta- dissi freddamente, -sei tu che hai scelto di fare la puttana-
Detto questo me ne andai, tornandomene da dove ero venuto.

 

Poco dopo essermene tornato a casa, dopo aver passato il resto del tempo con i ragazzi, sentii qualcosa premermi dentro di me. Forse era dovuto a quanto mi aveva detto Antonio poco tempo prima; non appena ero ritornato da loro si era mostrato per primo, intercettandomi a pochi passi dagli altri.
-Ma che sei andato a fare di là?- volle sapere interessato, mentre raggiungevamo i ragazzi.
-Una ripassata ad una certa troietta...- risposi ammiccante, lasciandomi poi andare ad un breve ridacchiare per sdrammatizzare.
-No- aveva fatto incredulo, - non dirmi che ti sei fatto anche Carlotta-
-Nah, ho già la mia ragazza. Ma non volevo che gironzolasse ancora intorno- risposi, sorprendendomi di quanto fosse stato facile dire “la mia ragazza”. Anche troppo. Come se ormai fosse nella routine. Mi ero abituato ad avere il cuore legato solo ad un'altra persona.
-Ah già, dimenticavo, il tuo cazzo è già fidanzato- fece lui con naturalezza, al che gli diedi una leggera spinta sul braccio, ridacchiando con gli altri.
-Dovresti avere anche tu una ragazza- scherzai, restando a tono finalmente di nuovo allegro.
-Giada non mi fila da un po' ormai- alzò le spalle vago.
-Chiedile un'uscita allora-
-L'hai fatto anche tu?-
Sorrisi, ma non risposi. Più che un'uscita avevo intrecciato un rapporto con Bianca facendo sesso...
Bianca. Solo a pensare a lei desideravo che fosse con me in quel preciso istante, per poterla baciare, sfiorare ed accarezzare ancora una volta, prima che quella giornata avesse fine.
Afferrai rapido il cellulare e inviai un messaggio.
Dormi?”
Pochi momenti dopo mi comparve la risposta.
Non senza di te”
Sorrisi.
Vengo a farti compagnia?”
Stavolta la sua risposta aveva un non so che di più preoccupato.
Sai che non puoi... se qualcuno ci beccasse insieme ti farebbero fare un volo dalla finestra”
Correrò il rischio”
Francesco ti prego... non farlo”
“Va bene piccola. Stavo solo scherzando...” la rassicurai, senza smettere di sorridere.
Era adorabile quando si preoccupava.
Sei già in pigiama o sei abbastanza presentabile per scendere sotto casa tua?”
Non vado a letto con le galline”
Questo lo so”
Immaginai il suo viso imbarazzarsi a quella frecciatina.
Sei già qui?” chiese poi.
Ti manco?” feci scherzoso.
Dai, sbrigati... non ho molto tempo...”
Lasciai in sospeso la conversazione, tornando in strada.
Non mi ci volle molto tempo che ero già davanti casa sua. Non appena mi vide accennò qualche passo per raggiungermi, mentre la osservavo con un lieve sorriso stampato sulle labbra.
Mi abbracciò forte, stringendomi a sé, e quando sentii i suoi capelli sfiorarmi il viso non potei fare a meno di ripensare a quello che era successo con Carlotta. I capelli di Bianca mi riportarono alla realtà, mormorandomi come una carezza che era ormai finito.
-Voglio vederti in pigiama...- mormorai dolcemente accanto al suo orecchio, al che lei mi strinse ancora.
-Strano, dopo avermi visto senza adesso vuoi anche il pigiama?- disse lei.
-Cercavo di essere delicato... subito passi al sodo, eh?- la punzecchiai.
-Solo con te- disse con voce dolce, appoggiandosi alla mia spalla.
Le accarezzai la schiena con le mani, tenendola a me, e chiusi gli occhi per un momento, per ricordarmi quel momento così spontaneo.
-Sicura che non possa salire un momento?- chiesi poi, spostando la testa.
Mi accarezzò la clavicola, sorridendo leggermente.
-Non sono sola...- rispose.
-Allora farò in modo che ti ricorderai di me stanotte, anche se sei sola soletta in quel letto...- dissi affabilmente, avvicinandomi lentamente alle sue labbra.
Spostò lo sguardo dai miei occhi alle mie labbra per qualche secondo prima di abbandonarsi su di esse; la baciai con un trasporto intimo, con molte riprese, senza mai staccare le labbra.
La portai sul muro accanto a lei e approfittai della posizione per intensificare il bacio, aspettando pazientemente il momento giusto per approfondirlo introducendo la lingua nella sua bocca, accarezzando la sua con dolcezza. Si staccò dalle mie labbra, ancora persa nel bacio.
-Voglio dormire con te...- mormorò, stringendosi al mio petto.
Le cinsi le spalle con un braccio.
Lo sguardo mi cadde sull'orologio: le sette e mezza quasi passate. Potevo avere ancora una possibilità.
-Se ti portassi nella mia macchina e ti tenessi sotto custodia per un po' i tuoi penserebbero che ti abbia sequestrata?- sorrisi, scostandomi da lei per guardarla in viso.
Le sfuggì un sorriso; bene, avevo la mia possibilità.

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Capitolo 12
*** Giocando col fuoco ***


                                                                              CAPITOLO 12  

 

Brividi. Per tutto il corpo. Il solo vedere le gambe di Bianca divaricate sul mio bacino mi provocava un fremito incontrollabile nei boxer, ormai quasi del tutto sudati da quelle emozioni.
Le sue labbra si spostavano con desiderio sul mio collo, baciandomelo con passione, mentre le mie mani scivolavano sulle sue natiche sode, attirandola verso di me.
Si strusciò sul rigonfiamento dei miei pantaloni, provocandomi un bruciore ardente nel petto, desideroso soltanto di sospirare e di liberare quel calore che mi stava consumando dentro.
I nostri sospiri si accarezzavano nell'aria, vicini, impazienti.
Le sue mani armeggiarono con la cintura dei miei pantaloni, ritrovandosi pochi attimi dopo a stuzzicare la mia evidente eccitazione con un movimento abile e incalzante.
Ancora. E ancora.
Sospirai sensualmente, sentendo ormai cogliermi dall'orgasmo. Le sue mani si stringevano sulla mia maglietta, il suo corpo incollato al mio.
Le nostre labbra si incontrarono ancora, in un movimento quasi fulmineo, più breve che intenso, mirato soltanto a suscitare ancora quei brividi di eccitazione nei nostri corpi; le baciai il collo, sentendo la sua pelle rabbrividire sotto i miei sospiri accaldati, e preso da una passione incontrollabile la ribaltai sul sedile anteriore, sentendo un rumore nitido e secco alla mia destra.
Bianca si girò a guardare, ridacchiando.
-Hai preso lo sterzo- ridacchiò maliziosa.
-Non solo uno...- sussurrai chinandomi su di lei.
La distanza tra i nostri bacini si assottigliò notevolmente. Ormai era in preda al delirio.
Le labbra dischiuse, un'espressione di intenso piacere sul viso, le sue gambe strette attorno alle mie.
-Francesco...- bisbigliò, in un sospiro appagato.
Adoravo quando sussurrava il mio nome in quel modo. Avevo la certezza che volesse avermi.
Non mi fermai, continuando a istigarla con baci intensi su tutto il suo corpo.
Sbottonai impaziente il suo jeans, abbassandoglielo con un gesto deciso; la mia mano scomparve dentro le mutandine. Pochi istanti dopo Bianca si dimenava, la testa che girava dal mio viso al sedile, sprofondando sul tessuto come se potesse aggrapparsi ad esso per sottrarsi a quel piacere immenso. I suoi gemiti mi facevano provare ancora più eccitazione.
Un tocco abile delle mie dita la portarono all'orgasmo, nel modo più sensuale che avessi mai visto.
Riprendemmo fiato, spossati. Un fremito pulsante si scatenava nel mio basso ventre.
Mi accasciai sullo schienale del sedile, portando indietro la testa.
Bianca riemerse accanto a me:
-Sei... sei capace di farmi venire anche solo con le dita...- fu la prima cosa che disse, ancora ansante.
-Mph- mi sfuggì un sorrisetto, mentre chiudevo gli occhi, -solo perché siamo in macchina... non posso dare mostra delle mie totali capacità in un posto del genere...-
-Ti detesto- sospirò ancora, -adesso è sicuro che stanotte non riuscirò a dormire, pensando che potresti rifarlo ancora...-
-Se vuoi possiamo anticipare qualcosa adesso- sussurrai, con uno sguardo ammaliante.
-Rischieresti di istigarmi a venire sotto casa tua per saltarti addosso, quando te ne andrai- rispose, tornando lentamente a riacquistare lucidità della mente.
Respirai ancora, a lungo stavolta. Fare sesso con Bianca era forse la cosa più eccitante che avessi mai fatto in tutta la mia vita. Riuscivo sempre a sentirmi appagato come non mai. E dai suoi gemiti sapevo che riuscivo sempre a farla venire nel modo più soddisfacente.
Guardai l'orologio: ormai i suoi si stavano sicuramente chiedendo che fine avesse fatto, dato il tempo che ci impiegava a risalire.
-Vuoi andartene?- girò lo sguardo su di me, osservando i miei movimenti.
Non le risposi e le diedi un bacio.
-Si staranno chiedendo dove sei finita- dissi.
-È meglio che vada allora?- fece, con il tono piuttosto stanco.
-Io però vengo con te- portai il volto accanto al suo.
-Sai che non puoi- disse, senza darsi per vinta, -neanche sanno chi sei-
-Allora mi farò conoscere- sorrisi, mordendole lievemente la guancia.
-Smettila di scherzare, non puoi- non si smosse, imperturbabile.
-Però posso non farmi scoprire. Solo io e te. Per una notte. Che ne dici?- la guardai negli occhi, cercando di essere convincente.
Rimase pensierosa, stavolta. Un pensierino lo stava facendo.
-Come?- chiese poi, interessata.
-Salgo dalla finestra. Non lo sapranno mai-
Mi guardò ancora, incerta.
-Ce la faresti?-
-Se non hai il muro di Berlino per appartamento credo che riuscirei a farlo- risposi.
-Giochi troppo ai videogiochi...- scosse la testa, mollando la spugna.
-Tu fammi provare. E non te ne pentirai- la convinsi.
Sospirò.
-Va bene- si arrese infine, -ma cerca di non romperti niente. All'ospedale non ti porto, è chiaro?-
-Come sei inflessibile...- mi finsi stupito, con un sorrisetto malizioso.
-Allora, da dove posso raggiungervi signora?-
Guardò dal mio finestrino:
-Svolta l'angolo e raggira la casa. Vediamo se riesci ad essere abile quanto dici...-
-Ci vediamo tra poco- aprii lo sportello con fare disinvolto.
-Preparo le bende-
-Mph, staremo a vedere- ribattei, richiudendolo.
Fu più facile di quando credessi. Mi aspettavo un muro abbastanza alto, e invece la distanza dalla finestra era poca. Per di più c'era un appiglio a cui potevo afferrarmi per aiutarmi a salire.
Un gioco da ragazzi.
-Ce la fai?- sentii chiedermi dalla sua voce sopra di me, un po' preoccupata.
Afferrai il parapetto e mi piegai per salire.
Bianca era tornata già dentro, e aveva richiuso prontamente la porta.
-E così...- mi feci vago, guardandomi attorno, -questa è la tua stanza...-
Incrociò le braccia sul petto, sorridendomi dolcemente.
-Volevi vedermi in pigiama. Ne avrai l'occasione adesso-
-Sai, comincio a ripensarci sul pigiama...- ammisi, con un sorriso allusivo.
-Non ti basta la macchina, per darmi dimostrazione delle tue capacità?- si finse disinteressata.
-No- mormorai, portandola sul letto, -adesso abbiamo un materasso. E sarà una cosa del tutto diversa- 

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Capitolo 13
*** Dream on, if you want it ***


 

                                                                      CAPITOLO 13

 

Un fremito delle palpebre mi costrinse a riaprire gli occhi, ancora pesanti dal sonno; un respiro tiepido e morbido mi indusse a chinare lo sguardo: Bianca dormiva, la testa appoggiata sul mio sterno, stretta a me come si abbraccia un cuscino; la sua chioma color cioccolato mi pizzicava gli addominali.
Sorrisi, intenerito, e le sfiorai i capelli con le dita, cercando di non svegliarla.
Girai la testa per controllare l'orologio che mi ero sfilato dal polso, appoggiato sul ripiano dietro di me: le sei e mezza.
Quasi stentavo a credere ancora a quello che era successo. E non solo quella notte, ma anche nei giorni trascorsi. Io e Bianca stavamo consolidando un rapporto. Avevamo intrecciato i nostri sentimenti per unirli in un solo battito, un solo respiro. Sentivo che qualcosa non andava.
Non che me ne vergognassi, o che ne avessi paura. Ma sentivo che qualcosa era cambiato, e faticavo a crederlo per davvero. Fino a una settimana prima non faceva che allontanarsi dalla mia presenza, e adesso ci ritrovavamo a dormire nello stesso letto dopo aver passato la notte insieme.
Declinai il viso verso di lei e a vederla dormire serenamente fra le mie braccia non potei fare a meno che ripensare a quel giorno quando, in lacrime e nella più totale rabbia, mi aveva sbattuto la porta in faccia.

 

-Oh scusami!-
Abbassai istintivamente lo sguardo sul mio piede, dove sentivo il peso di qualcosa che ci era appena caduto sopra. Una ragazza dagli occhi verdi e i capelli ramati si era chinata a terra, per recuperare il libro che le era sfuggito di mano.
-Mi dispiace, non l'ho fatto a posta..- tentò di scusarsi, imbarazzata. Ma avevo imparato a riconoscere gli sguardi che celavano un'intenzione. Essendo io il primo ad esserne un maestro, scorgevo subito i dettagli che smascheravano una messa in scena.
Decisi di stare al gioco, dandole un lieve sorriso per rassicurarla.
-Non è niente, figurati- replicai.
Aveva ricambiato il sorriso, ancora un tantino imbarazzata.
-Mi sembra di averti già visto, una volta- attaccò la conversazione, osservandomi dalla testa ai piedi con uno sguardo mezzo incuriosito.
-Davvero?- le sorrisi ancora, osservando i suoi movimenti.
-Sì... non sei dello Scientifico, vero?- continuò, cercando di carpirmi qualche informazione.
Mph” pensai, sorridendo tra me e me, “donne”
Proprio non riuscivano ad avere lo stesso tocco di classe degli uomini. Riusciva loro difficile fare le disinvolte, parlare con una voce intrigante e guardare negli occhi con fare maliardo. Perché non è nella loro natura sedurre: sta all'uomo fare il don Giovanni. O quanto meno, riesce più facile agli uomini. Non a caso, si chiamano “donnaioli”.
-No, non lo sono- risposi, aggiungendo al tono della mia voce una punta di mistero, di modo da interessarla ancora, -Dovrei supporre che invece tu lo conosci bene?-
Le sfuggì un sorriso misto ad una lieve risata, prima di annuire.
-Sì- disse, -mph, ma a te che potrà importare...- continuò poi, più incerta, senza però perdere il sorriso.
-Chi ti dice che non m'importi?- lasciai trapelare un sorriso all'angolo delle labbra, con fare ammiccante. Unito ad uno sguardo spiazzante la lasciai interdetta.
Ci avrei messo ancora poco per togliermela di torno. Non che mi dispiacesse incontrare una ragazza come lei, ma avevo ben altro da fare che starmene a fare il marpione della situazione con una sconosciuta senza che mi interessasse. Però non volevo lasciarla così, senza un minimo di conversazione; almeno avrebbe avuto la consolazione di essere riuscita a tentare un approccio senza che la liquidassi in partenza. Non era da tutte provarci: molte mi guardavano, ma raramente tentavano un approccio diretto. Si meritava un piccolo premio di consolazione.
-Così... appena finito con biologia?- accennai al testo che portava tra le braccia, volontariamente finito sul mio piede pochi attimi prima e reso un piccolo incidente.
-Sì- abbassò lo sguardo, senza smettere di sorridere leggermente.
-E ti piace?- continuai, con un sorriso negli occhi.
Alzò di nuovo lo sguardo; sembrava che stesse per andare nel panico, presa dalla situazione. Evidentemente si era preparata soltanto le prime battute di scena.
-Abbastanza- rispose poi, con tono incerto.
-E... t'interessa quanto t'interesso io?- ammiccai spudoratamente, senza perdere la calma nella voce e nei gesti.
Non riuscì a nascondere un lieve rossore sul suo viso.
-Ah, che modesto- commentò, ma la sua voce diceva tutt'altro.
Stava andando fuori gioco.
Accentuai il sorriso, affabile.
-Mi stai dicendo che non sono carino?- le tentai con una sfrontatezza esagerata, fingendomi deluso.
-No... cioè sì, ecco io, insomma... non volevo intendere questo...- annaspò, in imbarazzo.
Le regalai un lieve sorriso.
-Sai anche a me sembra di averti già vista- continuai la conversazione, dopo un po', -Di sfuggita credo, all'uscita da scuola... Di tanto in tanto lo Scientifico esce al nostro stesso orario...-
-Sul serio?- si stupì lei, -Insomma, sul serio mi avevi già vista?- specificò poi, cercando di non farla passare come una domanda apparentemente idiota.
Annuii.
-Ho degli amici, allo Scientifico- continuai, avvicinandomi leggermente a lei, -ma non mi avevano mai accennato ad una bella ragazza come te-
-Oh... g-grazie- balbettò, abbassando lo sguardo.
-E di cosa, scusa?- sorrisi con nonchalance, -Le belle cose vanno sempre apprezzate... sopratutto se meritano di essere ammirate davvero...-
Ci avrei messo ancora poco. Dovevo solo giocare le mie carte migliori.
La ragazza non rialzò lo sguardo se non per un attimo, il tempo di mostrarmi un sorriso che tentava di nascondere per poi cadere di nuovo con gli occhi sul marciapiede.
-Ti ho messa in imbarazzo?- provai a farla parlare, cercando di essere rassicurante.
-N-no è solo che... nessuno mi aveva detto una cosa del genere, prima d'ora... I ragazzi della mia scuola non sono così...-
S'interruppe prima di aggiungere un aggettivo significativo, perplessa e timorosa.
-...intriganti?- ammiccai, suscitandole una sincera risata.
-“Intriganti?” Hai scelto un termine- commentò ironica.
-Non puoi non ammettere che finora sono stato il ragazzo più interessante che tu abbia mai incontrato- ammiccai ancora, suadente.
La sua titubanza sembrò riaffiorare, solo per un istante.
Avvertivo il tempo scorrere nella mia testa: anche se non avevo ancora visto l'orario intuii che stavo sprecando tempo. Dovevo cercare di arrivare al dunque.
-Allora, come ti chiami?- chiesi, continuando ad avere modi affabili.
-Marika- rispose lei, -... e tu?-
Le diedi un sorriso.
Forse interpretò il mio sorriso come un declino alla domanda, perché non aspettò una risposta.
-Sei talmente misterioso che non vuoi farmi sapere il tuo nome?- mi provocò scherzosamente.
-Non mi hai dato nemmeno il tempo di rispondere- ribattei, avvicinandomi a lei, -o forse devo credere che non t'importi sul serio il mio nome perché vorresti tutt'altro da me?-
L'avevo portata sul muro dietro di lei, continuando a guardarla con fare maliardo; sentivo stava andando sotto pressione per quella vicinanza così improvvisa.
-Perché dovresti credere che desideri qualcosa da te?- chiese, ma capii che cercava di prendere tempo.
-Non ho detto che lo desideri. Ti ho chiesto se devo pensarlo- ribattei.
Non mi rispose, guardandomi intensamente in viso. Adesso subentrava il fascino.
Spostava continuamente lo sguardo dai miei occhi ai lineamenti del mio viso, ma finiva sempre per tornarci ancora, come un punto di partenza per un nuovo cerchio.
Approfittai del momento per osservare anche lei: aveva dei begli occhi verdi, di un colore vivo, le labbra carnose al punto giusto, i capelli ramati di un mosso ben definito. Sembrava una femme fatale del Rinascimento o giù di lì, come le matrone romane. Accettando il compromesso che nel Rinascimento le donne si tingessero i capelli di rosso e avessero gli occhi verde prato come i suoi, invece che tutte bionde occhi chiari. Del perché me ne stessi lì per lì a liquidarla senza troppe carinerie mi risultò improvvisamente un mistero. Altri tempi avrei fatto di tutto per abbordarla.
Ma adesso sentivo qualcos' altro impedirmi di desiderare quelle labbra. Il ricordo di un altro paio di labbra, anch'esse carnose ma ai miei occhi ancora più sensuali, sopratutto quando si dischiudevano leggermente con l'intento di lasciare trapelare un mormorio di parole da quella voce dolce e ammaliante, gli occhi che le brillavano alla luce del sole e ancor di più nell'oscurità.
-Scommetto che non sono la prima ragazza che ti fermi su un muro- disse dopo un po', facendomi tornare alla realtà.
-Che cosa intendi?- la indussi a spiegarsi, solo per sentire quelle parole dette da lei, invece che ben comprese solo nella mia testa.
-Un ragazzo come te ne avrà avute di ragazze...- disse, sfiorandomi delicatamente il lembo del giubbotto tra l'indice e il medio, facendolo scorrere tra le sue dita prima di fermarsi a metà strada.
-Mh, ma davvero?- commentai.
-È un po' difficile pensare il contrario- mi guardò di nuovo in volto.
-Potrei dire la stessa cosa di te, non credi?- la provocai in attesa di una sua reazione.
-Non di me- scosse la testa, sorridendo amareggiata.
-Andiamo, non è così impensabile- feci ancora.
-Dai, smettila di scherzare- ridacchiò, lasciandosi andare dalla precedente tensione.
Cominciava ad apparire più disinvolta.
-Perché, ti sembra che stia scherzando?- ribattei ironico.
-Puoi togliermi una curiosità?- fece poi, un po' maliziosa.
-Dimmi- risposi, guardandola attentamente.
-Ma t'interesso davvero?- sorrise, ponendomi la domanda con fare scherzoso.
Mi sfiorò dolcemente i capelli in maniera cortese, come per rassicurarmi di rispondere nel modo giusto se avessi voluto darle una risposta affermativa.
Sorrisi e mi accostai al suo viso, inducendola a ridacchiare ancora leggermente.
Tornai ad essere meno sfrontato.
-Non sono il tipo che si rimorchia la prima che incontra per strada la mattina- risposi poi, tornando ad assumere un tono più controllato.
Sembrò sorprendersi a quell'uscita.
D'altra parte, come non avrebbe potuto?
-Non credere che mi basti una scollatura ben evidente per soggiogarmi- alludei al suo seno messo ben in mostra dalla maglietta.
-Stronzo!!- sentii improvvisamente gridare da dietro di me, poco lontano.
Mi girai perplesso e sorpreso, incontrando subito la figura di Margherita che se ne stava immobile su un marciapiede poco distante.
-Credi che non ti abbia visto?? Ti consiglio di sparire dalla circolazione, e sopratutto tieniti lontano da Bianca altrimenti ci penserò io a ricordartelo!!- urlò a gran voce, parlando freneticamente.
Bianca. Bianca. Perché aveva accennato a lei? Forse le aveva parlato... a meno che...
-Ehi!!- gridai, avvicinandomi a passo svelto, -dov'è Bianca??-
-Sta' lontano da lei!!- gridò in risposta, arrabbiata ed amareggiata come solo un'amica sa essere nel momento del bisogno.
La raggiunsi rapidamente.
-Era qui con te vero??- continuai, senza placare il pensiero sulla rivelazione che avevo avuto.
-Se vuoi fare l'eroe della situazione hai sbagliato momento- disse accigliata, -ormai se n'è andata. E non pensare di rincorrerla, peggiorerai soltanto la situazione-
Guardai istintivamente dietro di lei, e non mi sfuggì la visione di una ragazza dai lunghi capelli castani che si allontanava via correndo prima di svoltare l'angolo in fondo alla strada.
-Maledizione!!- imprecai, scattando a correre come un ghepardo.
-Lasciala in pace!!- sentii gridarmi ancora da Margherita, quasi isterica, -l'hai fatta soffrire anche già troppo, non sei ancora soddisfatto delle cazzate che hai combinato?!-
-No- risposi, continuando a correre, -perché non ho mai fatto nessuna cazzata fino ad ora!-

 

Mi risvegliai da quel momento perso nei miei pensieri, ritrovandomi a fissare il soffitto.
Se non fosse mai accaduta quella vicenda forse a quell'ora non mi sarei risvegliato nel letto di Bianca, a sentire il suo respiro sfiorarmi il petto.
Chinai la testa verso di lei, accertandomi che stava ancora dormendo.
Guardai ancora l'orologio, un po' urtato nel constatare che la lancetta si era spostata di parecchi minuti; non avevo molto tempo.
Le sfiorai dolcemente la spalla, avvicinandomi con il viso al suo:
-...Bianca...?- la chiamai quasi senza emettere suono, in attesa di una sua reazione.
Non sembrò funzionare.
La scossi lievemente per la spalla, quasi in modo impercettibile, e provai ancora:
-Bianca?-
Stavolta sembrò riattivarsi; si mosse un po' nelle coperte, ma non aprì ancora gli occhi.
Affondò ancora di più la testa sul mio petto, senza svegliarsi.
Le portai una mano fra i capelli, per stimolarla ad abbandonare le braccia di Morfeo.
-Mh...- fece a mezza voce, come per darmi un segnale che fosse sveglia.
-Svegliati- mormorai, cercando di non farmi sentire troppo.
Respirò intensamente prima di spostare la mano dalla mia clavicola, sfiorandomi il busto.
Proprio non ne voleva sapere di riaprire gli occhi.
La stuzzicai con un dito sulla guancia, sfregandoglielo sulla pelle.
-Che c'è?- bisbigliò assonnata.
-È tardi- continuai poi, abbassando la voce -devo andarmene-
Rialzò la testa, come se si fosse improvvisamente svegliata.
-Che ore sono?- fece, allarmata.
-È l'ora giusta per lasciarti in camera- risposi, cercando di essere rassicurante, -Non dovrei essere qui-
-Mh... non andartene, sei comodo come cuscino- bofonchiò, tornando ad appoggiarsi al mio petto.
-Non credo che i tuoi pensino la stessa cosa- replicai.
-Allora te ne vai?- mormorò, tornando a guardarmi in viso.
Riappoggiai la testa al cuscino, guardandola. La maglia del pigiama disfatta, le gambe intrecciate nelle mie sotto le coperte.
Nonostante non provassi nessuna stanchezza fisica avevo ancora una lieve pesantezza negli occhi, dovuta all'aver fatto le ore piccole quella notte.
Le portai il palmo della mano sull'orecchio, scostando i capelli con le dita, e avvicinandomi a lei le diedi un bacio sulla fronte; mi staccai dal lei, mentre con l'altro braccio già scostavo via le coperte per uscire dal letto.
-Non fare rumore...- mi raccomandò tesa.
-Tranquilla...- mormorai, dandole uno sguardo morbido. Mi riallacciai la cintura, stirandomi la maglietta sul busto per disfare le pieghe.
Ripresi a infilarmi le scarpe.
-Secondo te ci hanno sentiti?- la provocai, malizioso.
-Shh! Abbassa la voce che ti sentono!- mi zittì, preoccupata.
-Non dicevi la stessa cosa quando ti ho fatta venire però- replicai furbetto, sorridendo nel vedere la sua reazione apatica.
-Sei sempre il solito...- bofonchiò.
Mi avvicinai di nuovo al letto, cercando di attutire i passi.
Cercai le sue labbra per baciargliele con morbidezza; quando mi ritirai un rumore vellutato ci separò nel silenzio della camera.
-Non dormire fino a tardi- finsi di ammonirla, dirigendomi verso il parapetto della finestra.
Iniziai a calarmi al di fuori, portando le gambe oltre il parapetto.
-Francesco- sentii richiamarmi in un bisbiglio.
Tornai a rivolgerle il busto.
-... Non cadere- disse infine, ma con un tono incerto. Sembrava volesse dire tutt'altro.
-Sono un esperto- mi pavoneggiai; le feci un leggero occhiolino con un sorriso complice.
Non appena toccai terra sentii il terreno duro sotto la pianta dei piedi stamparmi un leggero fastidio piatto. Era arrivato il momento di dare inizio a un altro giorno.

 

 

 

Bianca POV

 

 

Era da un pezzo che stavo fissando il soffitto ormai, pensierosa e preoccupata.
Che cosa sarebbe successo adesso?
Non eravamo più semplici innamorati, ma non sentivo nemmeno di essere la sua ragazza.
Era una via di mezzo terribilmente contorta. Non avrei potuto andare da lui, davanti a tutti gli altri, e salutarlo con un bacio sulle labbra o una carezza sul viso. Nessuno sapeva. Qualcosa mi diceva che avrebbe detestato essere sfigurato davanti agli altri parlandomi e coccolandomi come facevamo quando stavamo insieme; oppure no. Non lo sapevo. Ero terribilmente confusa. Il nostro era amore. Ma allora perché non rivelarlo, lasciandolo invece nascosto nell'ombra, illuminato soltanto dal calore delle coperte? Perché alla fine, non potevo negarlo, ogni volta che ci incontravamo o veniva a farmi una visitina finivamo sempre per fare sesso. Gli unici testimoni della nostra passione erano soltanto i brividi e i sospiri appagati che uscivano dalle nostre labbra. Mi rannicchiai nelle coperte, appoggiandomi al cuscino ancora caldo della sua presenza e istintivamente immaginai che ci fosse il suo corpo accanto a me, invece di un tessuto tiepido a sostenermi la testa.
E se in realtà... fosse sempre stato solo sesso?
Questo avrebbe spiegato perché provavo tutte quelle sensazioni.
No, non era possibile: mi ero concessa a lui solamente quando avevo avuto la certezza che non sarebbe mai stato solo sesso tra di noi, non potevo andare a pensare un paradosso del genere.
Margherita avrebbe saputo cosa dire. Era sempre stata lei quella che ci faceva la ramanzina ammonitrice, e i suoi comportamenti di riguardo mettevano a proprio agio chiunque le desse ascolto.
D'altra parte era un po' che non ci frequentavamo; sarebbe stato il momento giusto per farmi un'uscita con lei come ai vecchi tempi.

 

-Ti sei ricordata finalmente che esisto- fu la prima cosa che disse quando, quel pomeriggio inoltrato, ci incontrammo per la strada come da programmato.
La guardai un po' abbattuta, ma ci pensò lei a togliermi dallo sconforto quando sorrise ironica.
-Stavo solo scherzando, figurati se me la prendo- mi rassicurò serenamente.
-Allora, come stai?- continuò poi, prendendo a camminare.
-Bene... tu invece?- risposi, standard. Volevo cercare di arrivare alla questione senza troppe preoccupazioni, tenendomi sul vago.
-Ti ho chiesto come stavi, non di dirmi una bugia- mi rimbeccò lei, frantumando le mie intenzioni. 
Sospirai. Margherita mi conosceva meglio di chiunque altro. A volte sembrava una seconda madre.
Capì che sotto c'era qualcosa.
-Guai in vista?- fece interessata, dandomi uno sguardo.
-Non lo so. È questo il punto-
-E ti sei ricordata dell'esistenza della tua vecchia amica per tirarti fuori, vero?- continuò, col tono da esperta.
-Piantala- borbottai.
-Con Francesco come va?- volle sapere, curiosa.
-Non credo ti sorprenderesti se ti dicessi che il punto della questione è proprio lui-
Scosse la testa.
-Non ho esperienza con uomini del genere. Di solito quelli che ho conosciuto erano nella norma, sta a te vedertela con le eccezioni del genere maschile. Capiti male bella mia. Qual'è il problema, ad ogni modo?- chiese.
-È che... non so come comportarmi. Insomma, ho sempre pensato che un ragazzo cercasse di evitare di fare certe cose in pubblico davanti agli altri, con la sua ragazza, non credo possa baciarsela quando vuole come gli pare, se ne vergognerebbe... almeno credo... Non lo so, non riesco a capire...-
-Tu vorresti che lui lo facesse?- chiese addolcendo il tono.
-Non ci tengo ad essere sbaciucchiata da lui davanti a tutti per forza. L'amore non è solo questo... Solo vorrei sapere cosa gli piacerebbe fare senza che se ne vergogni...-
-Sotto le coperte credo che lo conosci già abbastanza bene- ridacchiò.
-Marghe- la richiamai con tono piatto.
-Perché ne parli con me?- chiese poi, -dovresti parlarne con lui. In fondo è tra voi la cosa... riguarda lui, non me-
-Lo so, ma non sapevo cosa fare- sospirai.
Rimanemmo in silenzio per un po', poi riattaccò il discorso:
-Con Carlotta come va?- fece.
Scossi la testa.
-Può andarsene dove le pare, per quanto mi riguarda- risposi con tono piatto, -e non so se la cosa peggiore che abbia fatto sia stata provare a riallacciare un rapporto con lei o averle detto che l'ho fatto con Francesco- continuai seccamente.
Abbassai lo sguardo.
Margherita mi osservò per un po', continuando a camminare in silenzio, poi si fermò di botto.
Mi costrinse a rialzare lo sguardo su di lei.
-Tu hai paura che te lo porti via, non è così?- mormorò poi.
Abbassai di nuovo lo sguardo, dandole la conferma.
-Credo che ne sarebbe capace- mormorai tristemente.
Rimase zitta.
-Io non voglio perderlo, Margherita- rivelai con tristezza, tornando a rialzare lo sguardo demoralizzata, -Perché ormai sta diventando ogni cosa per me. Ogni cosa. Io lo amo-
Sorrise dolcemente alle mie parole, intenerita.
-Sai essere adorabile, sai?-
Ma vide che il suo commento dolce non mi aveva minimamente confortato, perché continuavo a guardare a terra in silenzio.
-Senti- disse quindi, -se potessi fare in modo che Carlotta non vi stia tra i piedi lo farei, lo sai. Ma non dipende da me nemmeno questo. Questo è un problema che riguarda te e Francesco, nessun altro. Devi parlargli, è l'unica cosa da fare-
-Ho paura che pensi che sia solo piccola e indifesa- scossi la testa, -che non sappia affrontare da sola le situazioni-
-Non si tratta di dimostrare quanto riesci a cavartela senza di lui, ma di risolvere qualcosa insieme. Come fanno tutti i fidanzati. Perché alla fine siete innamorati entrambi, non siete scopamici- mi fece notare.
-È questo il punto Margherita, io non so cosa siamo. Insomma, ogni volta che ci incontriamo finisce sempre per...-
Mi interruppi, non sapendo come ammetterlo, ma lei capì meglio con il mio silenzio cosa volessi dire che esplicitamente.
-Sì ma diamine, Bianca, non è solo sesso. Sarà anche il sesso più fantastico che tu abbia mai fatto in tutta la tua vita ma se c'è sentimento sotto, anche se finite sempre per rintanarvi sotto le coperte, lo senti che non è solo quello-
Aveva ragione. La risposta era così semplice. Eppure facevo fatica a comprenderla.
-Senti- disse infine, con tono serio, -parlagli. Perché è quello che devi fare. Metti da parte il tuo orgoglio e chiediglielo-
Alzai lo sguardo verso di lei: come sempre aveva ragione.

 

Appena ne ebbi l'occasione, il lunedì seguente, mi recai davanti alla scuola un paio di minuti prima che suonasse la campanella, per avere l'opportunità di parlare con Francesco senza interruzioni di qualsiasi genere.
Non dovetti aspettare molto che lo vidi già comparire mentre scendeva dall'auto, gli occhiali da sole inforcati sul viso e il giubbotto di pelle che lo facevano sembrare un modello.
Sorrisi tra me e me per un momento, non potendo fare a meno a quanto riuscisse ad essere bello anche di prima mattina, e accennai qualche passo per farmi notare senza essere troppo invadente.
Pensavo che se fossi stata la prima immagine che gli compariva davanti agli occhi appena sveglio gli avrei dato fastidio; invece mentre stava per appostarsi al muro con altri due ragazzi si accorse di me e dopo aver dato loro un cenno di mano come per dir loro di aspettare un momento deviò nella mia direzione, raggiungendomi.
Mi tese il braccio, inducendomi a prendergli la mano per avvicinarmi a lui.
Non appena lo guardai meglio in viso colsi un particolare che non avevo notato:
-Ti sei fatto la barba?- sorrisi.
-Stava crescendo troppo- rispose lui.
Gli sfiorai dolcemente l'estremità delle labbra:
-Perché non te la lasci crescere, una volta?- lo tentai.
-Ci penserò- rispose facendosi vago.
-... che vuol dire no- misi in forma esplicita la risposta.
-Che vuol dire “ci penserò”- fece lui, poggiando la fronte accanto alla mia.
Potevo approfittare del momento per dargli quella domanda. Sembrava essere calmo.
-Hai un po' di tempo?- iniziai.
-Non chiedermelo nemmeno- rispose suadente, guardandomi negli occhi intensamente.
-Beh ecco io... mi chiedevo insomma se... se tu...- proseguii, meno sicura man mano che arrivavo alla questione.
Il suo sguardo mutò in uno incuriosito.
-Se tu credessi che in realtà siamo amanti e basta- dissi infine, vincendo il timore.
Ebbe un moto di sorpresa.
-Cosa?- gli uscì spontaneamente.
-Non puoi negarlo: ogni volta facciamo sempre e solo sesso- spiegai.
-Non mi sembra ti sia mai lamentata- non perse il suo charme.
Mi sentii in imbarazzo.
-Sì ma- insistei, accorgendomi di avere il tono preso alla sprovvista, -il fatto è che...-
Mi bloccai ancora.
Il suo sguardo si fece più paziente e meno curioso.
-Il fatto è che non so cosa siamo- mormorai infine sviando lo sguardo, lasciando trapelare le mie incertezze, -non so come comportarmi, insomma è tutto così confuso... Fino ad ora non me l'ero mai chiesto, ma dall'altra sera non ho fatto altro che ripensare a quella notte... Voglio dire so che non esiste un genere prestabilito di modi di comportarsi per determinare un rapporto, ma non...-
La sua bocca m'impedì di continuare a parlare, trasportandomi in un bacio che mi fece dimenticare ogni pensiero.
-Ti preoccupi troppo- mormorò poi con fare rassicurante, facendomi avvertire una scossa dentro le ossa alla sua voce calma, -e pensare che è stato proprio questo tuo essere perennemente insicura che mi ha fatto interessare a te- sorrise con tenerezza.
-Allora mi aiuterai tu?- mormorai guardandolo negli occhi, in cerca di verità.
Declinò leggermente la testa di lato, preparandosi a darmi una risposta:
-Solo perché ci capita così spesso di farlo non vuol dire che sia solo questo- disse, restando a tono.
Mi sentii improvvisamente più sollevata.
-Davvero?- dissi, come speranzosa.
Gli sfuggì un sorrisetto sul viso.
-Allora è vero- sorrisi allo stesso modo con sarcasmo, -ti ho fatto proprio innamorare-
-Beh, la colpa è tua- disse, infilando le mani nelle tasche posteriori dei miei jeans, -sei tu che mi fai perdere la testa- si avvicinò pericolosamente al mio collo, lasciandomi un bacio tra lo stacco delle clavicole.
Rabbrividii come percorsa da una scarica di corrente.
-Per un momento ho pensato... che in realtà non ci fosse nient'altro...- confessai, sentendomi in vena di liberare finalmente i miei pensieri.
-Non dirlo troppo altrimenti mi fai cambiare idea- mi ammonì.
-Tanto riuscirei a farti cambiare nuovamente idea- lo punzecchiai.
-Era meglio se non ti avessi detto niente- borbottò.
Sapevo di comportarmi in maniera così idiota perché ero felice.
Di solito le persone hanno paura di essere troppo felici, perché un momento dopo succede l'evento che rovinerà ogni cosa andata per il verso giusto fino ad allora.
Fu per questo che in quel momento di sollievo dimenticai che il destino è sempre in agguato e credetti che sarebbe potuto andare avanti ancora per un po'.
Fu l'inizio della fine.
D'un tratto vidi quasi al rallentatore Carlotta in persona sfilarmi davanti agli occhi, mentre camminava indisturbata davanti agli altri studenti; si girò verso di me soltanto quando mi fu tanto vicina da potermi sfiorare un braccio e mi riservò un'occhiata gelida che mi fece dimenticare il sorriso a trentadue denti e quel momento di realizzazione.
Guardò anche Francesco, manifestando le sue emozioni in maniera identica, semmai con una punta di stizza in più. Se per me provava odio per lui provava rancore vero.
La osservai allontanarsi per tutto il tempo.
-Lasciala perdere- disse Francesco con tono freddo e piatto non appena si accorse che mi ero scossa a quella visione.
Mi scostai leggermente da lui, come in colpa.
Non gli sfuggirono le mie movenze.
-No, Bianca- disse con tono fermo, prendendomi per un braccio, -basta con questa storia-
-Ma...-
-No. Non correre da lei. Se ci tiene davvero, è lei che dovrà venire da te- continuò risoluto.
-È successo tutto a causa mia- replicai.
-Ma è stata lei a spingerti a farlo-
Rimasi in silenzio per un breve lasso di tempo.
-Di chi vuoi fidarti, Bianca?- mormorò infine con tono paziente, abbassando il viso verso di me, -di me o di lei?-
Non c'era nemmeno da chiedermelo.
-Sai già la risposta- risposi.
-No, non la conosco- ribatté al contrario, -una volta credevo di conoscerla. Ma adesso mi rendo conto che forse non la conosci nemmeno tu-
Mi sentii come scoperta, a quelle parole. Come se fossi vestita soltanto di veli e uno di essi mi avesse lasciato nuda per inseguire un soffio di vento, come la titubanza che alla minima incertezza non fa altro che diventare più fondata e permanente.
-Io amo te- mormorai sincera, guardandolo ancora una volta negli occhi scuri, -e non voglio allontanarmi da te per nessuna ragione-
-Allora non inseguirla- mormorò lasciando che mi stringessi a lui, -ti faresti soltanto del male. Lei non vuole il tuo bene; vuole il suo, e soltanto il suo. Ti ha già mollata una volta, cosa credi possa impedirle di farlo ancora?-
Strinsi fra le dita un lembo della sua maglietta, appoggiata in silenzio al suo petto, come una bambina timorosa e spaventata che desidera soltanto protezione e sicurezza; in fondo aveva ragione, e io avevo bisogno del suo sostegno in quel momento più che mai.   

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Capitolo 14
*** Come Amore e Psiche ***


                                                                          CAPITOLO 14


Qualche mese dopo...
 

 

I gemiti di piacere aleggiavano per tutta la casa ormai, vuota e silenziosa.
Mi bloccò gli avambracci con le sue mani, dedicandosi a mordicchiare lievemente il mio collo, alternando ai morsi baci carichi di passione e desiderio.
Mi perdetti sotto le sue labbra, che scendevano e risalivano senza fermarsi, contorcendo le gambe l'una sull'altra; feci risalire il bacino in avanti, come per goderne ancora. Sentii la sua erezione premere contro la mia coscia.
Si piegò su sé stesso per affondare il viso tra i miei seni coperti solo dal reggiseno, iniziando e leccarne uno con movimento abile ed esperto.
Andò a sganciare il reggiseno da dietro la schiena, mentre al contatto con la sua erezione tra le mie gambe mi sfuggì un sospiro di piacere.
-Bianca... non sai cosa ti farei- lo sentii sussurrare in un suono gutturale e provocante.
La sua lingua iniziò ad occuparsi del mio capezzolo; le mie gambe scivolarono tra le sue, ormai incastrati l'uno sull'altra.
Lasciò che lo spingessi all'indietro sul materasso, posizionandomi su di lui.
Affondai sul suo bacino, il mio corpo che desiderava conoscere la sua passione come non mai.
Lasciò che andassi avanti per un po', prima di prendermi con decisione per i fianchi e ribaltarmi sul materasso per determinare lui ogni cosa.
-Fallo, adesso- smozzicai in preda agli spasmi di piacere.
Si aggrappò alle coperte sopra la mia testa, penetrandomi con tutta la forza che aveva in corpo.
Quasi urlai dal piacere smisurato, abbandonandomi inerme sul letto.
Continuò a spingere con veemenza, le lenzuola tirate dallo sforzo delle sue mani.
Ogni istante mi portava all'orgasmo; le mie grida appagate sovrastavano il silenzio della casa.
La sua mano accarezzava e stringeva il mio seno, il suo volto nascosto nel mio collo mentre alla forza del suo bacino univa la foga della sua bocca, che toccava con irruenza ogni centimetro della mia pelle.
Una vivida esplosione in tutto il corpo di lussuria mi costrinse a gemere un'ultima volta, declinando la testa all'indietro in sospiri accaldati. Eccitata. Sudata.
Piegò un braccio accanto alla mia spalla sinistra e si stendette sul lato destro, riprendendo anche lui a controllare il respiro.
-Sei... sei incredibile- dissi, mentre lui si appoggiava col gomito al materasso, sostenendosi la testa con una mano.
-Te l'avevo detto che sono sempre una scoperta- disse sensualmente steso fra le lenzuola con i capelli arruffati ad incorniciargli il volto.


Quegli ultimi mesi si erano dimostrati essere rivelatori: mi ci era voluto un po' a costringermi a dimenticare Carlotta, più per una forza morale che non di volontà. Ritrovarsela ogni mattina davanti agli occhi e vicino al cuore non faceva altro che farmi stare male come non mai.
Avevo abbandonato le insicurezze e le debolezze che mi portavano a vivere il mio rapporto con Francesco in maniera così timorosa; agli inizi la confusione dell'avere la paura di fare la cosa sbagliata, la tentazione di voler abbandonare tutto e tutti partendo via, lontano da quei supplizi, erano state entrambi forti, più di una volta mi ero ritrovata a cedere sotto i pesi di quelle torture.
Ma adesso le cose erano cambiate.
Avevo capito che il tutto era solo un problema da risolvere alla radice: mi stavo attenendo troppo agli “schemi da routine”, impedendomi di vivere la mia vita come desideravo. Mi confrontavo spesso con ciò che altre coppie, felicemente insieme da lungo tempo, facevano e non facevano nella loro relazione, senza capire che stava a me decidere cosa fare o meno nella mia.
Quando capii che dovevo essere io a prendere il timone in mano la situazione si capovolse nettamente. Se prima avevo il timore che il mio stare con Francesco significasse solo avere una botta e via, adesso era ciò che rendeva unica la nostra intimità.
Perché era sempre stato quello, in realtà. Attrazione. Desiderio.
Sesso.
Fin da quando gli avevo incollato gli occhi addosso la prima volta che avevo visto il suo volto e il suo fisico mozzafiato non avevo fatto altro che desiderarlo come non mai; per tutto quel tempo le cose non erano cambiate. Si erano solo offuscate dalla razionalità e dagli schemi rigidi della logica.
Ma l'amore non è logica, la passione non è logica, il sesso non è logico.
Quando capii che avrei dovuto solo lasciare andare i miei sentimenti e le mie emozioni senza riserve, tornai, se si può dire, alle origini, riscoprendo i piaceri che mi stavo negando fino ad allora.
Così tra me e Francesco tornò ad esserci quella complicità che aveva intrecciato i nostri sguardi sin dal primo istante.
Fino ad allora vedevo i nostri rapporti come una colpa, una coltellata che davo a Carlotta e a me stessa, lasciandomi dominare dalla confusione senza tentare di controllarla.
Ciò che mi mandava ancor di più in confusione era Francesco stesso: non avevo mai conosciuto un ragazzo come lui. Non era sdolcinato, né troppo romantico, ma ti faceva sentire sua in un modo inconfondibile. Era meraviglioso. Era spontaneo e spensierato. Ecco perché stando con lui mi sentivo meglio, perché trovavo in lui quella spontaneità che mancava al mio realismo con i piedi per terra. Desideravo spiccare il volo e volare in alto, senza pensieri; e Francesco mi stava permettendo di farlo.

 

-“Francesco aiutami tu, non ce la faccio ad andare avanti, non voglio che sia solo il sesso più strabiliante che abbia mai fatto”- mi canzonò imitando una voce sottile.
-Piantala- bofonchiai seccamente, dandogli un'occhiata ammonitrice.
-Ti sei stancata stavolta, bambina?- chiese poi con un sorriso morbido.
-Lo rifarei immediatamente, se non fossi ancora in fase post-orgasmo- sospirai.
Lo sentii ridacchiare a labbra chiuse.
Gli lanciai un'occhiata:
-La colpa è tua, che non riesci a startene nemmeno un minuto buono e tranquillo- lo rimbeccai.
-Scusami tanto se ho preferito coccolarti invece di starmene con le mani in mano- commentò divertito enfatizzando la parola “coccolare” per farmi intendere a cosa alludesse, poggiando un gomito accanto al mio fianco sinistro per tenersi più vicino a me con il suo petto e per stamparmi una scia di baci lungo la linea del collo.
Dio, se solo avesse saputo quanto mi sentivo bene a stare con lui.
Gli accarezzai la nuca con una mano.
-Sai, non ti credevo così facile all'orgasmo- mi stuzzicò con un sorrisetto beffardo.
Gli diedi un colpetto sul braccio, infastidita.
-Guarda che sei tu che mi fai venire subito- risposi a tono, -con quel tuo dannato corpo così sexy-
-O forse sono abile nel procurarti il paradiso terrestre- replicò maliardo.
-Finiscila- borbottai.
Sorrise e si stese sul letto affianco a me.
-Dovresti vederti con i capelli tutti arruffati- disse divertito.
-Come se la tua situazione sia messa meglio- ribattei sarcastica.
-Francamente non m'importa che aspetto abbia dopo averlo fatto- si portò più vicino a me riservandomi uno sguardo accattivante, -perché so che in ogni caso ti farei morire lo stesso dal desiderio-
-Che modesto- commentai assecondandolo.
Mi lasciò appoggiare al suo petto con la testa.
-Hai mai avuto... un'altra ragazza?- domandai poi, incerta nel porgli quella domanda un po' scomoda.
Sentii il suo sguardo su di me, come se si stesse accertando che gli avessi realmente posto quella domanda.
-Non dovresti chiedermi certe cose, bambina- rispose senza dilungarsi troppo.
Mi rialzai dal suo busto.
-Allora l'hai avuta?- provai a farlo rispondere, interessata.
Mi rivolse lo sguardo.
-Sarebbe comunque finita da tempo ormai, no?- disse infine senza andare oltre, sistemandosi meglio sulle coperte con le braccia dietro la testa.
Lo guardai in attesa ancora un po', poi quando capii che non avrebbe fatto più parola sull'argomento
tornai ad appoggiarmi al suo petto, nascondendo il volto sulla sua pelle; sbirciai il suo viso che mi osservava con il lato sinistro della mia guancia, scoprendo soltanto l'occhio sinistro.
Sorrise facendo ridere anche gli occhi, lasciandomi incantata alla sua espressività; nonostante fossero passati già alcuni mesi non avevo perso l'abitudine di incantarmi di fronte a lui.
-Vorrei che tu fossi una ragazza per farti capire quanto sei eccitante con soltanto un misero pezzo di lenzuola a coprirti addosso- feci maliarda accarezzandogli lentamente il petto, poggiandogli il mento sui pettorali.
-Mph- sorrise con uno sguardo sensuale, -preferisco rimanere quello che sono per poterti spogliare... e portarti sul letto ancora...- ridusse il tono ad un suono roco, le sue mani che già scivolavano sulla mia vita fino a contornarmi i fianchi, la sua bocca che sembrava voler mangiare la mia in quel preciso istante.
La sensualità di quel bacio mi fece offuscare i sensi.
-Non ti sei ancora stancato, amore?- mormorai dolcemente.
-Adesso voglio solo stare con te- mormorò in risposta, -e rimanere su questo letto fino a che non saremo troppo stanchi per rialzarci...- continuò dandomi dei bacetti sulla tempia e sul viso.
Sorrisi intenerita.
-Stai diventando romantico...- l'ammonii.
-Rimangiati quello che hai detto- mi fece rabbonire con lo stesso tono, un po' seccato.
-Stavo scherzando- lo rassicurai dandogli un bacio sulla guancia.
-Allora- fece poi dopo un po' che mi ero nascosta nell'incavo della sua spalla, -che ti va di fare, adesso?-
Fosse stato per lui conoscevo già la risposta.
Mi portai fuori dal letto per portarmi alla libreria, sotto il suo sguardo interessato.
Tornai indietro con un libro dalla rilegatura color bordeaux, rimettendomi a carponi vicino a lui.
-Che cos'è?- chiese incuriosito, sbirciando verso di me per scoprire una risposta.
-Una cosa che a te non interessa- risposi sarcastica.
Alzò gli occhi al cielo quando scoprì ciò che avevo tra le mani.
-O mio Dio- gli uscì spontaneo.
-“Dopo aver fatto sesso tu vuoi metterti a leggere?”- feci beffarda portando alla luce i suoi pensieri, -sì, voglio mettermi a leggere- gli feci la linguaccia portandomi sul suo addome con la schiena.
-Vuoi smetterla di leggere che sai anche già troppo, biblioteca di Alessandria che non sei altro?- mi rimproverò scherzosamente prendendo il libro dalle mie mani.
-Ah è così?- gli diedi un'occhiata malevola, -beh mio caro donnaiolo, se hai scelto di prendere me prendi anche tutto il pacchetto, cultura compresa-
-Eddai- mi sorrise con fare complice.
Mi finsi offesa.
-Che c'è, solo perché sai fare la faccina sorridente credi che possa perdonarti così?- dissi decisa, incrociando le braccia con fare offeso.
Abbassò lo sguardo su di me, rendendosi alla portata del mio campo visivo.
-Non guardarmi così- lo ammonii, vedendo i suoi occhi guardandomi con sguardo languido, come per far fallire un suo tentativo di smuovermi, -non ci riusciresti-
Non diminuì l'intensità dello sguardo.
Diamine.
Riuscivo a crollare solo a vederlo.
E non mi ci volle molto.
Francesco mi sorrise di nuovo, un po' ironico stavolta.
-Te la sei presa davvero?- chiese in un mormorio rilassante.
Mi sfiorò il braccio con l'indice della mano destra, senza smettere di guardarmi negli occhi.
Scossi lentamente la testa e mi avvicinai al suo volto per lasciargli un piccolo bacio sulle labbra.
Mi guardò con tenerezza mentre mi accoccolavo sul suo busto, accompagnando l'espressione a un riso silenzioso.
Mi voltai verso di lui:
-Che c'è?- chiesi notando la sua reazione.
-Mi sembri un pinguino che si rannicchia nella pelliccia per il freddo- sorrise con fare intenerito.
Feci le spallucce con disinvoltura.
-Buffo- disse quasi rimproverandosi tra sé e sé, -uno va a tenersi gli addominali ben fatti per fare da cuscino ad una ragazza-
-Vai a farti gli addominali e lasciami leggere, a me- feci appoggiando anche la testa sul suo petto, al che lui ebbe un altro riso silenzioso osservando i miei gesti.
Il sole entrava tiepido dalle finestre ampie, scaldando l'ambiente con un dolce tepore.
Infilata sotto le lenzuola, le gambe piegate e appoggiata di schiena con il libro tra le mani e un braccio sulla vita, mi lasciai scaldare da quel calore rilassante.
-... hai finito?- d'un tratto la voce di Francesco mi risvegliò dalla lettura silenziosa, scandita solo dal delicatissimo rumore delle pagine che venivano sfogliate.
-No- risposi senza scollare lo sguardo dalla pagina che stavo leggendo, -e piantala di chiedermelo, che è già la quinta volta-
-Scusa se qualcuno qua dietro si sta scartavetrando i maroni ad aspettarti- sbottò stancamente; lo sentii stiracchiarsi la gamba destra distendendola dalla posizione leggermente flessa con cui se ne stava fermo da un po'.
-Che c'è, non t'interessano le mie letture?- lo presi in giro.
-La Favola di Amore e Psiche- proclamò con un certo tono palesemente enfatico, portandosi indietro con la testa con fare disinteressato, -che grande interesse culturale-
-Beh solo perché a te non interessa non vuol dire che non possa leggerlo- replicai tornando con lo sguardo al libro.
-Decisamente- capii che stava sorridendo con sarcasmo dal tono di voce che aveva assunto.
-Pensa ai pinguini intanto, magari ti distrai- lo rabbonii.
L'idiozia di quella frase mi suscitò un lieve ridacchiare; si può essere così idioti?
-Ho qualcosa di meglio a cui pensare- disse suadente accanto al mio viso, guardandomi con quello sguardo di cui ormai era un maestro.
Sorrisi spontaneamente a quella frase, mostrandomi indifferente ma in realtà scaldata al cuore da quelle parole.
Mi strinse le braccia attorno alla vita per attirarmi a sé, mentre riprendevo o a leggere da dove mi ero interrotta.

E mentre Psiche, con desiderio insaziabile e anche con una certa curiosità, osserva e accarezza, ammirandole, le armi del marito, tira fuori dalla faretra una freccia e per provarne la punta ci appoggia sopra il pollice; ma siccome preme troppo forte perché il dito ancora le trema, si punge un po' in profondità, così che dalla superficie della pelle stillano piccole goccioline di sangue rosato

Mentre leggevo Francesco si era avvicinato alla mia spalla con il volto, portando gli occhi sul libro, ma conoscevo troppo bene le sue intenzioni per credere che fosse realmente interessato alla lettura.
Infatti, quando ero arrivata più o meno alla metà del paragrafo, sentii le sue labbra poggiarsi con dolcezza sulla mia spalla, lasciandomi un bacio, per poi avvertirle di nuovo leggermente più all'interno verso la clavicola.
Mi sforzai di ignorarlo, senza smettere di leggere come se potessi scacciare via quei brividi di piacere aggrappandomi alla lettura di quelle pagine, mentre lui continuava a baciarmi la clavicola, spostandosi a piccoli tocchi sempre più verso il collo, con una lentezza snervante e appagante.
-La smetti di sbaciucchiarmi?- mi distolsi dal libro, voltandomi verso di lui.
-Non dirmi che non ti piace, so che non è vero- disse lui furbetto in risposta, senza smettere.
-Mi stai distraendo. Sto leggendo- dissi, fingendomi stizzita.
-Tu continua a leggere, che a rilassarti ci penso io...- non si diede per vinto, ammiccante.
Gli diedi un'occhiataccia e ripresi a leggere.

E fu così che spontaneamente, senza accorgersene, Psiche si innamorò di Amore

Mi fermai un momento sollevando lo sguardo dalla pagina, sorridendo tra me e me a quella frase. Sembrava descrivermi completamente.
-Perché hai smesso?- sentii chiedermi poi dalla sua voce, mentre era sceso di nuovo lungo la mia spalla; il suono morbido delle sue labbra mi rilassava come nemmeno una terme avrebbe potuto fare con il suo calore.
-Niente- minimizzai, nascondendo un sorriso.

Allora, bruciando sempre più di desiderio per il dio del Desiderio, china su di lui e desiderandolo perdutamente, prende a riempirlo, a divorarlo di baci pieni di passione, con furia, temendo che il suo sonno sia troppo breve

Francesco. Vedevo lui in Eros, Amore, vedevo il suo corpo tra le lenzuola e il suo viso che, come Psiche, avrei voluto riempire di baci passionali senza mai esserne soddisfatta.
-Leggi ad alta voce...- lo sentii sussurrare con dolcezza ancora intento a coccolarmi la spalla.
-Non dirmi che ti stai appassionando alla storia di Amore e Psiche- lo presi in giro, con un lieve senso di umorismo nelle mie parole.
-Nah- ribatté disinteressato, -ma voglio vedere cosa c'è di tanto interessante che ti ha incollata a quelle pagine-
Riportai gli occhi sul libro, preparandomi a manifestare la mia lettura silenziosa.
-“Ma mentre, eccitata da quel piacere immenso” … - mi voltai con un sorriso furbetto verso Francesco, - adesso capisco perché volevi che leggessi-
-Sta' zitta e continua- fece in risposta.

... eccitata da quel piacere immenso, vi si abbandona completamente, ferita al cuore, la lampada, forse per vile tradimento, forse per malvagia gelosia, o forse perché anche lei desiderava toccare e quasi baciare un corpo così bello, lasciò cadere dalla sua punta luminosa una goccia d'olio bollente sulla spalla destra del dio. Ah, lampada sfrontata e temeraria! Tu che sei solo un volgare strumento dell'amore, che certamente sei stata inventata da qualche innamorato che voleva godere più a lungo, anche di notte, dell'oggetto del suo desiderio, tu osi bruciare colui che è il dio di ogni fuoco?
Al sentir la scottatura, il dio balzò su e, scoperta la macchia della sua fede tradita, senza dire neanche una parola, volò via dai baci e dalle braccia della sua infelicissima moglie.

M'incantai di fronte alla bellezza di quelle parole, che mi avevano rapito sin dalla prima volta che le avevo lette. Nessun amore è ormai più come quello di Amore e Psiche. Ecco perché riuscivo a ritrovarlo leggendo quelle righe incantevoli che ti strappavano dalla realtà.
-“Un volgare strumento dell'amore inventato da qualche innamorato che voleva godere più a lungo”? - ripeté Francesco, sbirciando le parole sulla pagina, -credo di aver inventato la lampada-
-E ti pareva- commentai senza espressione, in realtà divertita dal suo commento.
-Hai mai considerato la luce di notte? Forse dovremmo provarci- commentò pensieroso, sicuramente nella sua mente stava prendendo vita un progetto dalla natura alquanto discutibile.
-È più eccitante immaginare il tuo corpo sotto di me che vederlo chiaramente- risposi con fare maliardo, le nostre labbra quasi a sfiorarsi, mentre sorridevo quasi impercettibilmente a labbra dischiuse.
-Ah sì?- fece allusivo, sorridendo furbetto.
Era bellissimo. Forse ancora più attraente di quanto era stato fino ad allora.
-Spiegami la storia di Amore e Psiche, visto che ti piace tanto da tenermi incollato al materasso invece di usarlo per altri scopi ben più interessanti- disse riportandomi alla realtà da quelle riflessioni a occhi aperti.
-Beh, Psiche è la figlia di un re, che nonostante sia la più giovane delle sue due sorelle supera entrambe e tutte le altre ragazze della sua età in bellezza, al punto da venire considerata una sorta di Venere; quando la dea stessa viene ad udire i discorsi sulla ragazza si adira a tal punto che ordina al figlio Amore di farla innamorare con le sue frecce dell'uomo più rozzo e volgare di tutti per punire la sua beltà che le ha rubato l'appellativo della più bella fra le dee, ma Amore porta Psiche nella sua reggia, innamoratosi di lei, e la rende sua moglie- spiegai lasciandomi andare per un momento alla letizia di parlare della trama di un libro, una delle cose che mi riempivano maggiormente di emozioni.
-La rende sua moglie?- ripeté senza scollarsi il sorrisetto dalla faccia.
-Una passione ardente che si consuma ogni notte, se è questo che vuoi sentirti dire- sbottai perdendo la magia di quel momento idilliaco.
-Quindi la fa sua- riassunse assecondandomi, sfiorandomi i capelli accanto al viso con le dita.
-In pratica sì... è la più grande passione che Psiche abbia mai provato- continuai riprendendo un tono narrativo, -D'altra parte Amore è il dio del desiderio...-
-Ti piacerebbe averlo come amante?- mi stuzzicò malizioso.
-Ho già te come amante- risposi avvicinandomi al suo volto, -e sei meglio del dio Eros- sorrisi.
Gli lasciai un bacio sulle labbra, che volle continuare con le sue.
-Sai piccola- mormorò sul mio collo, -abbiamo la casa libera ancora per un po'...-
-Ah, davvero?- finsi di assecondarlo.
Aspettai il momento giusto per scostarmi da lui, lasciandolo spiazzato per un momento.
-Tu puoi aspettare ancora un po', il mio libro no- feci sarcastica.
Scosse la testa con fare rassegnato, rinunciando temporaneamente all'impresa.
-Tipico- bofonchiò.
Appoggiai il dorso del libro sul suo addome, delicatamente per timore di fargli male, e continuai la lettura, lasciandomi rapire da quelle pagine e cullare dalla posizione confortevole, forse un po' troppo: l'unica cosa che sembrò riaffiorarmi in mente erano le dita di Francesco che mi sfioravano dolcemente i capelli, prima di svegliarmi definitivamente da un sonno senza sogni.
Mi ritrovai sola fra le lenzuola, coperta da queste e dal calore che trasmettevano fino alla vita, un braccio affianco a me ancora a tenere con un dito il segno fra le pagine che nascondevano la lettura interrotta. Non ricordavo di essermi addormentata. Quando feci per prendere in entrambe le mani il libro, ancora perplessa di trovarmi da sola nel letto, notai un lieve chiarore dalla mia mano sinistra.
Un cerchio rotondo color d'argento, e mentre lo osservavo capii con stupore che cosa fosse.
Un anello.
Al mio anulare sinistro.
Un bellissimo anello del colore della luna. Bello proprio perché semplice. Niente fronzoli, niente ghirigori. Ma luminoso come solo un anello sapeva essere.
E sapere che era stato lui a infilarmelo tra le dita mi fece quasi salire le lacrime.
Non mi sarei mai aspettata proprio da lui un anello, il conquistatore che faceva cadere ai suoi piedi tutte le ragazze della scuola. Un anello. Che suggellava i nostri sentimenti.
Sentii una lacrima scivolarmi sul viso, e non impedii che mi bagnasse la guancia e le labbra.
Vidi il suo viso in quell'anello, e nelle mie lacrime vedevo il mio.

 

 

 

Scusate l'enorme ritardo, non ho potuto postare prima il capitolo.
Spero di non avervi ammorbato troppo con questo capitolo un po' “sdolcinato”, devo ammettere che mi sono lasciata andare stavolta :) per i meno romantici non abbiate a male, non saranno tutti così 'Romeo e Giulietta' i prossimi capitoli..
Ci saranno delle belle, spero che continuiate a seguire interessati :)
Un bacio

_Char

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Capitolo 15
*** Improvviso... quanto inaspettato ***


                                                                             CAPITOLO 15 

 

 

Avrei dovuto saperlo, avrei dovuto smetterla di vivere nel mondo dei sogni e confrontarmi con la realtà, avrei dovuto smetterla di tentare di sfuggirle. Perché come Amore, che si ritrovò costretto a fuggire via dalla finestra per punire il tradimento di Psiche a cui aveva fatto promettere di non vedere mai il suo volto, avrei imparato a fuggire anch'io nascondendo il mio viso, per la paura e la speranza di non rivedere mai più quell'amore maledetto non dal destino, ma dalla natura umana.

Inutile dire il come, dove, quando e perché successe. Forse non so spiegarmelo nemmeno io.

Mi ritrovai semplicemente nel posto sbagliato al momento sbagliato. O forse sarebbe meglio dire nel posto giusto ma al momento sbagliato. O potrebbe essere stato anche il contrario.
Ciò che conta, è che quello che accadde in seguito segnò per sempre la mia vita.

Come dicevo, ero nel posto giusto al momento sbagliato.

 


-Ehi piccola- sorrise Francesco.
Mi voltai verso di lui, appoggiato alla sua macchina in quella calda giornata di Marzo, e avvertii le sue mani prendermi morbidamente per i fianchi.
Mi ritrovai a baciargli le labbra intensamente, assaporando ogni centimetro di quella carne afrodisiaca.
Si staccò da me, e malgrado cercassi i suoi occhi non riuscii a trovarli, nascosti dalle lenti degli occhiali da sole scure.
-Pigro come al solito?- feci ironica, accennando alla sua auto, -non abiti molto lontano, potresti venire a piedi ti pare?-
-Diciamo che me la so prendere comoda, quando posso- si limitò a commentare, -perché non ti fai riaccompagnare da me oggi?- aggiunse poi malizioso.
-Io al confronto tuo cammino, e non rischio di mettere su peso- scherzai.
-Per una volta potresti saltare la tua routine, visto che hai già le curve al punto giusto- ammiccò soffiando le parole sul mio collo.
-Preferisco attenermi al programma- l'assecondai carezzandogli i capelli sulla nuca.
-Sempre secondo le regole?- mi punzecchiò a un millimetro dalla mia bocca.
-Quello che non fai tu- risposi di rimando, dandogli un bacetto sulle labbra.
Sorrise affabilmente.
Mi toccai istintivamente la giuntura dell'anulare sinistro con il mignolo, e il contatto mi fece abbassare lo sguardo sulle dita, attraendomi come il nettare con le api.
-Stai ancora pensando a quell'anello?- fece notando il mio sguardo.
-Sai non... non ti ritenevo capace di farlo- risposi con un sorriso nascosto sulle labbra.
-Ti ho detto che sono sempre pieno di sorprese- non variò tono, lasciandosi prendere le dita della mano tra le mie.
Lo sguardo mi cadde sulla sua mano; portava anche lui un anello, da sempre si sarebbe potuto dire, all'anulare destro, nero e grosso. Talvolta lo spostava tra le dita; a volte lo vedevo al mignolo, altre al medio.
-Avresti preferito questo?- decifrò il mio sguardo sulla sua mano.
-È troppo grande- ribattei, -e poi è tuo, tienitela tu quella patacca- feci scherzosa.
-Sei così femminile- mi prese palesemente in giro.
-Uhm davvero?- finsi un tono indifferente, allacciandogli gli avambracci attorno al suo busto.
Mi guardò per un momento con un sorriso represso, facendosi un tantino pensieroso.
-C'è anche un'altra ragione per cui ti ho dato quell'anello- disse poi, con tono più fermo stavolta.
Lo guardai in attesa di un seguito.
-Avevo pensato... che viste le circostanze...- iniziò lentamente, come cercando cosa dire.
Il mio sguardo si fece perplesso.
-Quali circostanze?- esortai una spiegazione.
Rimase un momento in silenzio.
-Sto per partire- disse infine in un'unica frase. Senza esitazioni. Fermo e conciso.
Le mie labbra si schiusero leggermente da sole.
-Che cosa?- mi venne spontaneo, stupita, ma la perplessità superava la sorpresa.
-Federico mi ha chiesto una mano, con le sue carte di università- spiegò, -ha un esame tra poco ed è un po'... incasinato con tutto il resto. Gli serve qualcuno che possa stare da lui per un po', di modo da poter sbrigare anche altre cose mentre studia-
-Federico?- ripetei per arrivare al punto.
-Mio fratello- chiarì un po' seccato.
Il mio stupore lasciò il posto a una lieve confusione, e gli lasciai il fianco.
-Quando?- mormorai.
-Domani- rispose.
-Domani??- ripetei sorpresa.
-Perché non me lo hai detto prima?- incalzai, con un'espressione tirata in viso.
-Non ero sicuro di potertelo dire- rispose senza variare tono, -non sapevo come l'avresti presa. Ci pensavo da due mesi ormai...-
Non gli diedi nemmeno il tempo di continuare, realizzando le sue parole.
-Due mesi??- ripetei, sorprendendomi ancora, -è da tanto che lo sai e non mi hai mai accennato niente??-
-Sono obbligato?- sbottò seccato. E spontaneo. Troppo spontaneo.
Non replicai altro, guardando il suo viso presa in contropiede.
Rimanemmo in silenzio, riflettendo entrambi su quanto avessimo detto.
-“Obbligato”?- ripetei palesemente allibita, -quindi è così che la pensi?? “Obbligato”?? Cazzo Francesco, sei il mio ragazzo non mio fratello!!- esclamai alzando la voce.
-Mi vuoi spiegare qual'è il problema?- si urtò anche lui, -O devi sempre fare le tragedie greche per ogni cosa che faccio o non faccio?- continuò seccato.
-Ah, e così faccio le tragedie greche- ripetei sarcastica, -beh scusami se mi sto incazzando perché un certo qualcuno sta per partire e mi avverte solo il giorno prima della partenza considerandomi come il bloc notes dell'ultimo momento- proseguii mentre sentivo salirmi la stizza ad ogni parola.
-Cristo Bianca, vogliamo finirla?- alzò gli occhi al cielo con fare liberatorio, come se si fosse liberato di un enorme macigno dalle spalle, -vuoi smetterla di innervosirti senza un cazzo di motivo??-
-Ma io mi sto innervosendo perché tu non mi hai detto niente!- replicai esasperata, -La vuoi finire di fare lo stronzo?!-
-Datti una calmata- mi rabbonì freddamente con una mano a mezz'aria, come per rendere meglio il concetto.
Lo fissai con rabbia.
-Sei uno stronzo- dissi con le labbra infuocate dalla stizza.
-Lo so- mi guardò beffardamente negli occhi, in un modo di superiorità, -e non mi vergogno di dirlo-
-Non ti vergogni nemmeno di dire che non ti sai tenere una ragazza come si deve?- lo provocai sentendomi infuocare dalla rabbia.
-Io so tenermi una ragazza- mi guardò con uno sguardo assassino negli occhi, -ma evidentemente lei non sa convivere con ciò che sono-
-Sarebbe?- feci altezzosamente, guardandolo dall'alto al basso.
-Uno spirito libero- disse soltanto, senza vergogna, -che vuole essere lasciato in pace quando lo richiede-
Sentivo che stavo per esplodere.
-E così io ostacolo la tua libertà, i tuoi liberi sfoghi?- dissi a metà tra il sarcastico e l'irato, -beh, scordati che io sto qua a fare sempre come cazzo pare e piace a te- assunsi istintivamente un tono più incisivo, -se vuoi solo scopare senza che entri nella tua vita scordatelo, esistono le puttane per questo. Perché io non sono disposta a farla per te-
-Sai, sarei dovuto partire senza dirti nemmeno una parola- mi sorpassò andandosene verso una macchina bianca a cui erano appostati alcuni ragazzi in attesa, che evidentemente aspettavano il suo ritorno, -E dire che era stata una partenza all'ultimo minuto. Non credere che non ci abbia pensato- continuò come per beffeggiarmi, -ma ho preferito essere onesto, almeno con te-
-Che cosa?- esclamai, -che cosa, è così che la pensi?!-
Al vederlo procedere il suo percorso ignorandomi completamente sentii che avrei potuto assalirlo con una mitragliatrice.
-Sei ancora tanto orgoglioso della tua stronzaggine??- gridai quasi, colta più che mai nel vivo dei miei sentimenti, -perché dovrebbero darti una medaglia onoraria come il più grande coglione mai esistito!!-
Scomparve all'interno dell'auto, lanciandomi un'occhiata simile a un fulmine pronto a distruggere ogni cosa trovi sul suo passaggio.
Mi morsi le labbra, sentendole bruciare come fuoco.
-Vaffanculo Francesco!!- gridai senza trattenere la rabbia, facendo girare istintivamente alcuni ragazzi e ragazze presenti davanti al portone d'ingresso.

 


Giorni dopo..

 

-Smettila di picchiare la testa sul banco, mi innervosisci- sbottò Margherita affianco a me.
Rialzai la testa, seccata di dover interrompere quell'attività che mi permetteva di sfogare la mia stizza.
-Hai parlato con Francesco?- arrivò al dunque, manifestando una certa seccatura.
Il solo sentire il suo nome mi mandava ancora più in bestia.
-No- sbottai lapidaria.
-Da quanto è partito?- incalzò.
-Tre giorni- risposi senza troppa espressione, -e comunque non m'interessa, può andarsene anche nel Burkina Faso per quanto mi riguarda-
-E così il grande amore di Romeo e Giulietta è finito...- commentò.
Le diedi un'occhiata storta.
-Sapevo che non sarebbe durato a lungo- dissi con tono deciso, -non era da lui fare il romantico.
Si sta rivelando per quello che è, e il tempo non fa altro che scoprirlo gradualmente-
-Quindi cosa pensi di fare?- fece interessata.
Rimasi a pensare per qualche momento.
-Alla fine abbiamo solo litigato...- ragionai a mente fredda, -non siamo di certo del parere che basta un litigio per poter interrompere tutto, su questo ne sono certa... Non siamo così ingenui-
-Parli ancora al plurale- mi fece notare maliziosamente.
Trattenni un sospiro seccato alzando gli occhi.
-Alla fine cosa vi siete detti, di preciso?- disse mutando tono in uno meno scherzoso, anche se non ancora del tutto seria.
Stavolta ci pensai a lungo, e non le risposi. Ripensai a ogni parola, a ogni gesto.
E mi sentii in minima parte responsabile di quella vicenda.
-Beh lui... lui...- iniziai, ma dovetti interrompermi, assalita da ragionamenti freddi e concisi che solo la logica sapeva produrre in tal modo.
-Ha ragione- mormorai poi, sentendomi colpevole con me stessa, -sono sempre stata troppo timorosa... Avevo sempre il timore che... che lui...-
Non portai a termine la frase, ma lei capì ugualmente.
-Bianca, tesoro non fare così- mormorò dolcemente, con voce carezzevole, -Sbattere la testa al muro adesso non serve a niente. Adesso calmati, mh?- mi mise una mano sulla mia, richiamando il mio viso alla sua attenzione.
Rimasi in silenzio, riflettendo su ogni cosa successa in quegli ultimi sette mesi.
Mi ero innamorata.
La sola frase bastò a far cancellare tutti gli altri pensieri, trovando nel senso di quelle parole ogni lacrima, ogni dolore, ogni gioia e ogni piacere che avevo avuto fino ad allora.
-A quanto pare non sei così indifferente a lui come vuoi far credere...- commentò lentamente con tono basso.
La guardai negli occhi, prima di incollare lo sguardo sul banco.
-Voglio raggiungerlo, Margherita- mormorai, -lo voglio-
-Allora vai, prendi il primo treno e parti- disse lei, ma il suo tono non trapelava niente di realmente intenzionata a dire quelle parole. Sembrava dire piuttosto “ti pare che puoi partire così, da un momento all'altro e senza nemmeno un biglietto??”
-Bianca, stiamo parlando di Firenze, non dietro l'angolo. Ci rimarrà solo un paio di settimane; cos'è tutta questa fretta di rivederlo? Perché non lo lasci in pace, per una volta?-
Le lanciai un'occhiata più velenosa di una vipera aizzata a mordere.
-Non voglio andare da lui perché mi manca. Senti Marghe, non ti ci mettere anche tu adesso! Già sto parecchio nervosa, ci manchi solo tu che mi fai il terzo grado senza cognizione di causa!- ribattei innervosita.
-Raffredda i motori- mi rabbonì, -in questi ultimi mesi non hai fatto altro che stare in ansia. Sai che ti dico? Che vi farà bene a tutti e due starvene lontani per un po'. È nato tutto per il sesso, e adesso vi ritrovate a fare gli innamorati di turno- sbottò.
Le diedi una scrollatina istintiva al sentire la prima parte della sua ultima frase, non esattamente incline a fare una cronaca della mia vita ai quattro venti nella mia classe, a portata di orecchie dei primi Tizio, Caio e Sempronio richiamati dalla parola magica.
-Che mi ci urli!- la zittii sottovoce con una faccia contrariata, -guarda che ti sentono qua- sbottai seccata.
-Bene, che sentano allora, così tutti quanti capiranno quanto sei idiota!- ribatté contrariata, - Mi spieghi a che serve raggiungerlo a Firenze?? No sai, perché io non ci arrivo- incrociò le braccia in attesa che parlassi.
-Voglio cercare di riaggiustare le cose- risposi, -sento... non lo so, sento di doverlo fare-
-E non puoi chiamarlo a telefono?- sputò lì la cosa seccamente.
-Ho bisogno di sentirlo con me- risposi abbassando la voce.
Rimase zitta, osservandomi.
Dopo un po' scosse la testa, sospirando rassegnata.
-Anche se mi mettessi a discutere con te non avrei speranze, visto che hai la testa più dura di un mulo- fece contrariata, -va bene signorina, io vengo con te-
Dire che la guardai stranita era il minimo d'espressione.
-Che?- feci sorpresa e contrariata allo stesso tempo.
-Vengo con te, che c'è sei sorda? Credi che ti lasci partire così, da sola, senza nemmeno un appoggio nel caso le cose si mettano male? Credi davvero che andrà tutto bene?-
-Non l'ho mai detto- feci le spallucce, -ma non sei tenuta ad accompagnarmi, non ho dieci anni-
-All'anagrafe magari ne dimostri quasi venti, ma mentalmente ne hai quattro, credimi- disse fingendo di assecondare una fuori di testa.
-Ho imparato tutto dalla migliore- risposi a tono.
-Beh, allora quando partiamo?- scattò con tono meno severo.
Scossi la testa:
-Tu non vieni- ripetei, - e non costringermi ad incollarti alla sedia, perché credimi lo farei- la ammonii.
-Ehi!- scattò allora, -ho l'opportunità di farmi un viaggio a Firenze per una volta nella mia umile vita da scrivano di biblioteca, puoi assecondarmi per una volta e dire “Sì Margherita, tu vieni obbligatoriamente con me”?-
Ecco cosa voleva in realtà.
Scossi la testa di nuovo, con un mezzo sorrisetto ironico in viso.
-Tutto questo solo per Firenze?- sbottai, -è una fortuna che ci sia andato allora-
-Credimi, non avrei insistito tanto a venire altrimenti- disse mezza ironica e mezza seriosa.
-Ti pare il momento comunque? Io vado a Firenze per tentare un'impresa e tu te ne stai tranquillamente in giro per la città ad ammirarti i monumenti?- la ripresi.
-E cosa hai intenzione di dire a tua madre? “Mamma vedi che parto per Firenze, tornerò quando sarà e se va tutto bene ho un albergo a casa del fratello del mio ragazzo?”- mi fece notare quasi canzonandomi.
-Posso anche dirle che vado a fare i test per l'università- replicai senza lasciarmi sconvolgere, -dì la verità, tutto questo teatrino è solo per convincermi a farti venire con me-
-“Ho dimenticato di dire che scoperò con lui per tutta la notte e i giorni a seguire”- continuò a fingere una mia imitazione con tono provocatorio.
In effetti se avessi detto di andare a fare i test per l'università ciò non avrebbe spiegato del perché sarei rimasta lì qualche giorno. Avrei dovuto trovare una sistemazione. E dirle che quella sistemazione era il letto di Francesco era un'idea da pazzi.
Margherita almeno mi assicurava una copertura.
-D'accordo- bofonchiai ancora restia, -ma vedi di non crearmi problemi, intesi?- l'ammonii.
-Ehi, non sei la mia balia- mi rimbeccò fingendosi stizzita, -e poi non preoccuparti per me, sarò in buona compagnia con zio Dante-
Stavolta le lasciai un sorriso. Avere Margherita al mio fianco anche se in una situazione del genere mi dava sinceramente un po' di conforto.

 


Il giorno dopo, Firenze

 

-Caspita, Bianca!- esclamava Margherita a bocca aperta davanti Santa Croce, -è meraviglioso!-
Era fuori di sé dalla gioia. Coronare gli studi classici andando a Firenze, terra natale dei più importanti letterati del Rinascimento e culla di meravigliosi monumenti, chiese e palazzi era il suo sogno da almeno l'inizio del liceo. Margherita era sempre stata attratta dall'arte e dalla storia.
Ma non avevo tempo per fermarmi a contemplare quelle meraviglie architettoniche con lei.
Dovevo trovare Francesco.
O almeno era questo il mio obiettivo fondamentale. Se le cose fossero andate bene, nulla di cui preoccuparsi; io e Margherita avevamo trovato una sistemazione last minute in un albergo poco distante dal centro storico. E potevamo anche rilassarci con un giro per la città, un sogno a occhi aperti.
Se invece le cose fossero male poco importava per le conseguenze di quella giornata, saremmo andate a farci un giro per il centro storico come consolazione.
Affascinante la logica di quei ragionamenti.
-Bianca!- mi richiamò, mentre già mi stavo allontanando da piazza Santa Croce, -vieni qui! Aspetta un momento!-
Sembrava un bambino davanti al pacco di Natale da scartare.
-Non ora Marghe- sbottai nervosa, -ti ho già detto cosa stiamo facendo qui a Firenze; avrai tutto il tempo per innamorarti dei monumenti in un secondo momento-
-Mamma mia come sei- sbruffò venendomi dietro, -ti ricordo che sei tu quella che sta girando mezza Italia solo per uno stronzo-
-Intanto questo tuo stronzo ti sta facendo avere un viaggio nella tua città dei sogni- le feci notare freddamente, continuando a camminare alterata.
-Ricordami di ringraziarlo- fece sarcastica.
Era una cosa da pazzi. E non solo perché presentarmi davanti a lui, dopo averlo seguito una regione lontano da casa mia, solo per chiedergli di riaggiustare le cose era già folle di per sé. Ma anche perché mi stavo impegnando a cercare una persona su circa una città intera, affollata di turisti e passanti, senza nemmeno una mappa del posto.
Avevo visto abbastanza spesso una carta di Firenze, da bambina, quando mio padre me l'aveva mostrata una volta che ci erano andati i miei zii portandosela dietro come ricordo. Ma non era sicuramente abbastanza per poter dire di conoscere le vie della città con precisione.
-Ti ha detto dove abitava il fratello?- tentò Margherita.
-Certo, con pure l'indirizzo postale- risposi sarcastica, -Non preoccuparti, torneremo a Santa Croce molto presto- dissi poi prevedendo il fallimento dell'operazione.
-Sei arrivata fin qui, continua a provare almeno- mi incoraggiò senza perdere la calma, -allora, io direi di andare a dare un'occhiata all'Università per cominciare. È probabile che suo fratello abiti lì vicino, dato che la frequenta-
-Sì ma dimentichi che l'Università si trova qualcosa come nella parte totalmente opposta a dove ci troviamo noi adesso- le ricordai.
Inoltre sapevamo entrambe che non c'era nemmeno da provarci, tanti potevano essere gli appartamenti in cui viveva Federico.
-Non ti resta che chiamarlo- disse infine Margherita, guardandomi seria in volto.
Ricambiai l'intensità dello sguardo.
-E... se non volesse vedermi?- ribattei dubbiosa.
-Tentar non nuoce- rispose soltanto alzando le spalle.
La guardai ancora per una volta, prima di prendere il telefono in mano... per poi lasciarlo abbandonato nel palmo.
-No, mi sento una stupida- scossi la testa con dissenso, -non ce la farò mai-
-Ti sei etichettata come idiota dell'anno quando hai incollato il tuo sederino su un treno e sei venuta qui- disse con tono perentorio, -chiamalo-
La guardai a lungo negli occhi.
E stavolta lo feci.
-Pronto?- sentii rispondere alla chiamata dall'altra parte. La sua voce. Mi scaldò come un'ondata di sole, nonostante mi sentissi fredda come il ghiaccio.
-Francesco?- mormorai quasi, incerta. Non replicò.
-Volevo parlarti- iniziai a prendere tempo, sotto lo sguardo attento di Margherita, -io...-
-Lo so- la sua voce suonò distaccata, -quando ho letto da chi veniva la chiamata-
Silenzio.
-Senti- mormorai più sicura stavolta, -non so cosa sia successo. Ma è stata tutta una stronzata. Mi sono comportata come... una stupida. So che lo pensi. Odio questa situazione, sembra che abbiamo quindici anni. Ti va di smetterla di fare i bambini e di parlare da persone mature?-
Margherita continuò ad attendere il seguito.
Non arrivò niente per alcuni secondi, poi sentii la sua voce bisbigliare di nuovo al ricevitore.
-Mph- mi sembrò che sorridesse, -sei eccitante quando parli così...-
Sorrisi un po' imbarazzata a incrociare lo sguardo di Margherita dopo quella frase.
Nel frattempo sentii uno strano rumore di sottofondo.
-Dove sei?- chiesi innocentemente, dando un segno a Margherita per farle capire che ero al dunque.
-Da nessuna parte- minimizzò, -tu invece scommetto stai facendo la polvere sui libri di biologia come al solito-
Se solo sapessi che sono praticamente dove sei tu” pensai.
I rumori si distinguevano meglio dopo averci fatto un po' di orecchio. Sembrava Piazza della Signoria, dove eravamo passate poco prima. Stessi rumori. Stessa melodia di chitarra che suonava impugnata da un ragazzo che si esibiva in dolci melodie per racimolare un po' di soldi.
-È a Piazza della Signoria- mimai con le labbra a Margherita per farle capire.
-Ci vediamo più tardi- rispose abbassando al minimo la voce, -vado un po' a Santa Croce, ormai conosco la strada-
La vidi incamminarsi lungo la via, intenta a raggiungere la piazza che l'aveva così affascinata non appena arrivate.
-Sei fuori?- continuai a fingermi indifferente, mentre iniziavo ad incamminarmi anch'io sul mio percorso.
-Un po' di amici- rispose vago.
-Guarda che adesso non devi dirmi ogni cosa che fai per evitare di farmi arrabbiare- lo presi in giro, procurandogli un sospiro misto a un sorriso.
-Sai ho una sorpresa per te...- feci con tono misterioso, sperando di incuriosirlo.
-Non mi dai neanche il tempo di partire che già mi prepari sorprese di ben tornato?- ammiccò.
-Credo che forse potrebbe piacerti...- sorrisi a tono.
Ero ormai arrivata a Piazza della Signoria.
Mi guardai attorno, cercando un segno familiare che richiamasse la mia attenzione.
E non appena lo riconobbi mi sentii pietrificare.

 

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Capitolo 16
*** Tra realtà e delirio ***


                                                                             CAPITOLO 16

 

 

Per un attimo credetti di avere una visione. Un'allucinazione.
Carlotta. Davanti a me. Confusa tra la folla, ma chiarissima ai miei occhi. Camminava spedita, talmente sicura di sé che ciò fece diventare ferrea la mia convinzione di averla confusa con qualcun'altra. Non poteva essere a Firenze. O sì?
Scossi la testa per sviare lo sguardo, e quando lo rialzai verso di lei non c'era più.
-...Bianca? Ci sei?- la voce di Francesco continuava a parlarmi nell'orecchio.
-Sì... sì, ti sento- mormorai, continuando a cercare la ragazza con lo sguardo.
-Tutto bene? Sei diventata strana- disse con tono perplesso.
-No, va tutto bene- risposi, e nel frattempo che vagavo con lo sguardo lo vidi. Era di profilo, a contemplare la facciata di Palazzo Vecchio. Sorrisi raggiante e accelerai verso di lui.
Non m'importai dei turisti e delle persone che si trovavano lì e lo abbracciai forte di slancio.
Si voltò con mezzo secondo di ritardo, fermandomi tra le sue braccia con un'espressione sorpresa.
-... Bianca??- esclamò non appena riconobbe il mio viso, -che cosa ci fai qui??- fece perplesso, ancora meravigliato.
Lo strinsi forte, cercando la sicurezza di rispondere sulle sue spalle.
-Volevo dirti... che mi dispiace- mormorai vicino al suo orecchio, -non volevo arrivare a questo, perdonami... Mi sono comportata come una stupida...-
Ad ogni parola sentivo la sicurezza fluire dalle mie labbra con un impeto diverso.
Rimase in silenzio un momento, realizzando cosa fosse successo.
-Ancora non ci credo- disse poi ancora interdetto,-sei venuta a Firenze solo per questo?-
Annuii con il viso nell'incavo della sua spalla, stringendolo ancora.
-Voi ragazze siete matte- scosse ironicamente la testa, arrendendosi a quella trovata.
Mi scostai da lui, guardandolo in viso in cerca di una risposta.
-Stai aspettando che ti perdoni?- sorrise beffardo.
Vedendomi ancora in attesa mi portò l'indice sotto il mento, avvicinandosi con il volto.
-Io mi limiterei a non farci più caso... e basta...- disse abbassando il tono di voce, chiudendo il discorso stampandomi un bacio sulle labbra.
Mi lasciai trasportare dal momento, assecondando la sua bocca per un po'.
Si tirò indietro, senza nascondermi la vista mentre si leccava le labbra.
-Mi erano mancati i tuoi modi sexy- commentai, metà scherzando metà parlando sul serio.
-A me invece mancavi tu- disse in un mormorio attirandomi a sé per i fianchi, -quel tuo corpo dannatamente eccitante...- mi fece avvertire un brivido al suono gutturale della sua voce, mentre mi lasciava un bacio sulla bocca, lento, prendendosi tutto il tempo.
-Ci guardano amore- gli ricordai mezza divertita.
-Allora andiamo dove non possono vederci...- sussurrò sensuale senza scoraggiarsi, guardandomi il collo come se volesse baciarmelo da un momento all'altro.
-Siamo a Firenze e l'unica cosa a cui pensi è sbattermi sulle lenzuola?- lo provocai facendomi restia.
-Avremo tutto il tempo di fare qualcosa dopo, adesso voglio soltanto fare pace con te- sorrise malizioso.
Fece per avvicinarsi di nuovo alla mia bocca ma lo bloccai tirandomi leggermente indietro.
-Non posso- dissi amareggiata, -Margherita... non posso lasciarla da sola- scossi la testa.
-Margherita?- ripeté perplesso, guardandomi con un'espressione che sembrava dire “c'è qualcosa che mi sfugge o è una mia impressione?”
-È venuta anche lei- spiegai guardandolo negli occhi, -Firenze è la sua città dei sogni... Non potevo dirle di no-
Capii che cercare di svincolare dalle spiegazioni non sarebbe servito a niente, perché non parve abbattersi a quell'uscita.
-Quindi non posso sperare di farti da bed&breakfast, stasera?- riassunse ironico la situazione.
-A quanto pare no- risposi assecondandolo, -ma abbiamo un po' di tempo per noi, se vuoi- strinsi gli avambracci sulle sue spalle, con un sorriso complice.
-Vuoi trascinarmi a vedere i monumenti?- sorrise allo stesso modo.
Prima che potessi replicare altro riprese la parola, soffiando le parole in un sussurro.
-E il tempo in cui potremmo restarcene in giro per la città non possiamo impiegarlo a casa mia, nella mia stanza?- fece malizioso.
-Non ti arrendi mai eh?- commentai divertita, -non voglio lasciare Margherita da sola, se fossimo restati in giro a vedere i monumenti si sarebbe potuta aggregare, la tua stanza basta solo per due- ribattei per stuzzicarlo.
-Dì a Margherita che sono ancora arrabbiato con te- tentò di convincermi con tono suadente, -e che tra dieci minuti... torniamo da lei-
-Se sai essere puntuale allora va bene- dissi stavolta, fingendo di essere finalmente scesa a patti.

 

-Federico dov'è?- chiesi diventando improvvisamente preoccupata, ricordandomi che non viveva di certo da solo in quella casa.
-È andato a studiare in biblioteca- rispose senza scoraggiarsi, come di suo solito, -dice che si sente più rilassato circondato dagli scaffali silenziosi dei libri che qui a casa su una scrivania- continuò con una vena sarcastica nella voce.
-Almeno lui condivide la mia idea di studio impegnativo- commentai.
-E io devo ringraziarlo, perché altrimenti non avrei mai avuto la casa libera- commentò di rimando malizioso, circondandomi la vita con le sue mani.
Il sapore della sua bocca. Dio, quanto avevo desiderato sentirlo ancora sulle mie labbra.
-Bianca...- sussurrò con voce rauca, riprendendo a baciarmi intensamente con più tatto introducendo la sua lingua nella mia bocca. La sua voce per me era il miglior afrodisiaco.
Non bastò altro per accendermi la miccia della passione: feci scivolare dolcemente le mani sotto la sua maglietta, accarezzandogli il petto e la schiena prima di indurlo a farla scivolare via.
Non persi l'attimo per farlo stendere dietro di lui.
Lo osservai come incantata, la meraviglia del suo viso con quello sguardo intrigante negli occhi e il suo torso nudo messo come in evidenza dal blu scuro dei jeans.
-Mi mancavi steso su un letto con quel tuo sguardo sexy...- mormorai accoccolandomi lentamente su di lui, sfiorandogli un braccio con un dito.
-Mai quanto sei mancata tu a me- sussurrò tornando a baciarmi con trasporto.
Mi spogliò della maglia, lasciandomi in reggiseno; gli sfuggì uno sguardo appagato, notandolo con più attenzione.
-Pizzo eh?- commentò alludendo al tessuto nero del mio intimo.
-Te ne intendi a quanto pare?- lo apostrofai, mentre mi accarezzava la schiena con una mano.
-Sai come attirarmi...- commentò, giocherellando maliziosamente con l'attacco della spallina.
Mi prese per le cosce e mi ribaltò sul letto. Si dedicò a baciarmi il collo con piccoli tocchi, facendo aumentare il mio desiderio.
Sospirai con un bruciore rovente nel petto, contorcendomi sulle lenzuola.
-Cristo Bianca- sussurrò appagato, -ho avuto i tuoi gemiti rimbombarmi nella testa da quando abbiamo iniziato a farlo insieme-
Mi sbottonò rapido del jeans, abbassandomelo con un movimento netto.
Le nostre bocche ardevano di passione.
Prese a baciarmi il ventre con un movimento infiammato della sua bocca, di un calore ardente che bruciava ogni ragione e ogni logica.
Appoggiai le mani sulle sue braccia, distese a sostenerlo sul materasso, ma non riuscii a tenergliele a lungo che stava già scendendo a procedere il suo percorso.
Che dopo qualche istante compresi quale fosse.
E oltre a un brivido di eccitazione mi pervase un brivido di timore.
Lo bloccai prima che potesse toccarmi il lembo delle mutande con la sua bocca:
-E se arrivasse Federico?- divenni immediatamente più tesa.
-Non credere che sia il fratello maggiore innocente e casto- rispose di rimando, senza perdere il suo charme.
Ero ancora restia, stavolta per un motivo diverso. Nessuno si era mai spinto a tanto.
Tornò al mio viso, parlandomi dolcemente.
-Rilassati bambina...- sussurrò, coccolandomi con un bacio sul viso.
-Francesco...- lo richiamai leggermente allarmata. Sapeva che il suo nome, detto in quel modo, e con quel tono di voce poteva significare soltanto una cosa.
-Bianca...- disse stavolta di rimando, -tu non sai quanto desideri farlo-
Il suo volto tornò sul mio, e quasi imprimendo le labbra lasciò parlare soltanto la sua lingua, che sfiorava e toccava la mia con un impeto di desiderio incalzante, caldo, passionale.
Sentii la sua mano manovrare nelle mie mutande; carezze del genere non le avrei mai immaginate nemmeno nei miei sogni più celati.
La tensione che provavo iniziò ad affievolirsi, lasciando posto soltanto al piacere dei sensi.
Quando avevo pensato che fare sesso con lui sarebbe stato il migliore di ogni altra cosa.
Se solo avessi saputo che fare sesso con lui significava andare anche oltre il meglio di qualsiasi altra cosa.
Ancora la passione, ancora il piacere puro.
Iniziò a scendere di nuovo sensualmente con la bocca sul mio ventre, togliendo via la mano dalla mia intimità insieme all'intimo... e sostituendola con la sua bocca.
Dire che mi sentissi l'inferno in corpo era soltanto il minimo.
Non sapevo quanto avrei resistito a quell'attesa.
Gemevo vergognosamente ad ogni movimento della sua lingua, aggrappandomi alle coperte fino a quasi far sbiancare le nocche dalla forza con la quale le stringevo. Le mie dita gli percorrevano la schiena, imprimendo con forza i polpastrelli sulla sua pelle mentre risalivano verso la sua testa, prima di confondersi tra i suoi capelli, stringendoli, affondando le mani su di essi.
-Non ti fermare...- lo pregai quasi, -ti prego continua...-
L'appagamento puro mi rapì in tutto il corpo quando con un ritmo veloce e incalzante la sua lingua smise di istigarmi e di esplorare il centro pulsante della mia femminilità.
Gemetti sonoramente, un suono misto ad un mezzo sospiro per il respiro che era venuto a mancarmi; Francesco mi aveva fatto conoscere il paradiso. Inferno e paradiso, come solo lui sapeva fare. Come nessun altro avrebbe saputo fare.
Respirai a lungo, ancora scossa da quelle emozioni, sentendo un calore umido sulla pelle.
Il suo corpo affondò accanto al mio nel materasso.
-Stai ancora pensando di tornare in città?-

 

 

Quando tornai a Santa Croce, trovai Margherita così assorta ed ammirare la facciata della Chiesa che mi venne spontaneo sorridere; picchiettai un dito sulla sua spalla, e non appena si girò non sembrò far caso al fatto che l'avevo lasciata lì da quasi un'ora.
Anzi, era raggiante.
-Bianca!- esclamò, investendomi con la sua solarità, -ho appena visitato il Chiostro, è qualcosa di bellissimo! Dobbiamo tornarci, tutte e due la prossima volta-
Continuai a sorriderle, senza prendere parola su quanto fosse successo.
-Non ti ho mai vista così felice- commentai dolcemente.
-Si vede così tanto?- fece un po' timidamente, ma senza perdere l'entusiasmo.
-Sei adorabile- dissi intenerita, poggiandole una mano su una spalla per incitarla ad andare.
Nonostante fossimo entrambe serene e quasi allegre, non le sfuggì una lieve preoccupazione e perplessità nei miei lineamenti.
-Cosa c'è?- domandò dubbiosa ed incuriosita.
Riflettei un istante prima di risponderle.
Scossi la testa.
-No, non è nulla- risposi.
Si accontentò di quella risposta.
-Sai, mi sembra di aver visto Carlotta di sfuggita, prima- dissi poi, facendo passare la mia reale inquietudine per una semplice osservazione disinteressata.
La vidi irrigidirsi a quelle parole. In modo strano, come se l'avessi scoperta a fare qualcosa che non avrebbe dovuto fare.
-Ne sei sicura?- chiese poi, titubante.
Annuii lentamente, osservando attentamente la sua reazione.
Sospirò, tornando ad essere perfettamente calma.
-Probabilmente l'avrai scambiata per qualcun'altra- lasciò naufragare la cosa.
-Sì, l'ho pensato anch'io- la appoggiai, più in maniera meccanica che riflettendoci sopra davvero. Approfittai della copertura di quelle parole per poterla osservare meglio.
Ma sembrava essere tornata esattamente allo stato d'animo precedente, felice e spensierata.
-Allora, domani che facciamo?- sorrise con una carica di vitalità.
Abbandonai ogni pensiero, concentrandomi soltanto su come trascorrere quella sera.
-Visto che Santa Croce ti è piaciuta così tanto da tenerti inchiodata lì per tutto il tempo, domani andiamo un po' altrove che ne dici?- proposi.
Non sarebbe servito nemmeno che mi rispondesse apertamente per capire le sue intenzioni.

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Capitolo 17
*** Rivelazioni ***


                                                                     CAPITOLO 17

 

Il mattino dopo mi svegliai con Margherita che mi urlava nell'orecchio.
-Alzati Bianca!!- urlava tutta raggiante, -Firenze ci aspetta!!-
Per poco non la maledii con tutte le mie intenzioni. Mi girai dall'altra parte nel letto borbottando qualcosa.
La delicatezza e la dolcezza di Margherita trovarono modo di esprimersi quando mi tirò le coperte da dosso fino ai piedi, scoprendomi tutta al freddo mattutino della stanza.
-Cazzo, ma sei matta??- inveii riacciuffando le coperte da terra, con uno sguardo contrariato.
-Eddai Bianca- mi canzonò, senza darsi per vinta, -non essere sempre così pigra. O forse ti serve Francesco per svegliarti per bene la mattin...-
Le gettai il cuscino addosso, accattivandomi una sua risata divertita.
Mi misi a sedere ancora contrariata in viso.
-Sembra sia l'unica cosa per farti alzare- civettò provocatoria.
Non mutai espressione.
Era già vestita, e di certo aspettava solo che imitassi le sue azioni.
Diedi un'occhiata al suo orologio ancora sul comodino.
-Sono solo le nove- bofonchiai assonnata, -non potevi dormire almeno un'altra mezz'ora prima di assalirmi come un carro armato?-
-Il sole di prima mattina è sicuramente migliore di quello di mezzogiorno- rispose mestamente, -poi non venire a lamentarti se hai caldo-
-D'accordo, andiamo cucciolo da scampagnata- borbottai arrendendomi.
Ma fu quando incominciai a vestirmi che mi accorsi di un particolare inaspettato.
-Cazzo- imprecai, sentendo un senso di vuoto assalirmi.
-Ho lasciato il telefono a casa di Francesco- mormorai allibita.
-Va a riprenderlo!- m'incito febbrilmente, -di corsa!-
Non c'era certo bisogno di un altro incoraggiamento; dire che mi precipitai per strada con la stessa rapidità di una gazzella era il minimo, preoccupata più che mai a recuperare il prezioso apparecchio.
Quando arrivai finalmente sotto l'appartamento di Federico dovetti fermarmi un minuto buono a riprendere fiato; e realizzai la situazione che mi era precedentemente sfuggita. L'appartamento era di suo fratello.
E non avevo nemmeno il telefono, per l'appunto, per avvertirlo che ero sotto casa sua.
-Cazzo- imprecai preoccupata.
Mi decisi a citofonare, sperando con tutta l'anima che non rispondesse Federico.
Ci volle un bel po', ma alla fine una voce rispose.
-Sì?-
Francesco. Dio, ti ringrazio.
-Francesco?- mormorai titubante, ancora ansante per la corsa -scusami se disturbo, ma... ieri sera... ho lasciato il telefono qui da te...-
Gli scappò una risatina.
-Sali-
-Sicuro?- feci ancora restia, -non vorrei disturbare...-
-Piccola, Federico non c'è. E tranquilla, che anche se ci fosse non si stupirebbe tanto a vedere suo fratello portarsi una ragazza in casa- mi rassicurò.
La calma e la sicurezza che provavo mi abbandonarono completamente quando mi ritrovai Francesco completamente bagnato, coperto dai fianchi in giù da un asciugamano largo.
Mi sentii stranamente imbarazzata.
Gli sfuggì una risata.
-Sei abituata a vedermi soltanto a letto?- ridacchiò senza perdere il suo tono sensuale.
-Non mi aspettavo che stavi facendo la doccia- mi schermii.
Sorrise affabilmente.
-Allora, l'hai visto?- cambiai argomento, ancora paralizzata a trovarmelo mezzo svestito davanti agli occhi di punto in bianco.
-Credo sia in camera mia- rispose con tono ovvio, ridacchiando sarcasticamente.
Lo seguii nella camera già familiare, un po' imbarazzata.
Non ci volle troppo che individuò il telefono, adagiato sul comodino, e tornò a girarsi verso di me con il cellulare in mano e un'espressione ironica in volto come se gli avessi lanciato una sfida a ritrovarlo.
-Okay- ridacchiai nervosamente mentre glielo sfilavo dalla mano, sfiorando le sue dita per un momento.
Sentii palpitarmi il cuore.
-Okay- disse lentamente, guardandomi negli occhi. Sembrava voler dire “allora la chiudiamo qui?”.
Non potei fare a meno di sorridere.
-Sai che sei ancora più attraente, con i capelli bagnati?- gli sfiorai dolcemente i capelli accanto alla nuca, scostandoglieli con le dita.
Mi diede un lieve sorriso.
-Oggi hai in programma di startene in giro a scorrazzare ovunque per il centro storico o posso sperare di farti da albergo, stavolta per tutta la notte?- sussurrò accostandosi con il viso.
-Dipende cosa combina Federico, non voglio che ci senta stanotte- mi feci più maliziosa e autoritaria allo stesso tempo.
-Mh, sembra allettante...- sussurrò interessato con un sorrisetto, -se riesco a mandarlo via?-
-E se non ci riuscissi?- continuai a mostrarmi diffidente.
-Tu vieni lo stesso... e in quanto a Federico lascia fare a me- rispose dandomi un caldo bacio sul collo.
Sorrisi ammiccante.
Alzò lo sguardo sul mio viso, tornando a guardarmi in maniera accattivante.
-Io torno sotto la doccia, hai bisogno di qualcos'altro o posso restarmene sotto l'acqua senza interruzioni?- bisbigliò con voce calda, tentandomi a capire cosa volesse dire.
Gli diedi un sorrisetto furbetto ma malizioso.
-Non penso di volermi fare un'altra doccia- dissi facendomi indifferente, -e comunque puoi restartene quanto tempo vuoi, ora devo andarmene-
-Come vuoi- disse, -in ogni caso la porta non è chiusa a chiave...- mormorò sul mio collo, tornando poi a chiudersi nel bagno.
Non ci volle molto che sentii lo scroscio leggero dell'acqua rimbombare nella doccia; lo stomaco quasi mi vibrava dall'emozione, al solo pensare al suo corpo bagnato dalle gocce d'acqua che gli scivolavano addosso in una maniera tremendamente sensuale. A pochi metri da me.
Guardai l'orologio, stavolta leggermente allarmata: si stava facendo tardi.
Feci mente locale per ricordarmi qualche altra cosa che avevo potuto ipoteticamente lasciare in camera sua, e mentre stavo per andarmene notai all'improvviso sul display l'avviso di un nuovo messaggio.
Aggrottai lo sguardo, sorpresa.
Non poteva essere.
Carlotta.
Allora, vieni o no?”
Ma che cosa voleva dire?
Si può sapere che stai dicendo?” le inviai una risposta, già mezza nervosa che mi avesse contattata.
Dopo la sua apparizione a Piazza della Signoria del giorno precedente ci mancava solo che mi venisse a cercare.
Il telefono vibrò non molto dopo, con la sua risposta.
“Francesco smettila di fare l'idiota, stavamo parlando di questo meno di venti secondi fa. Allora, vieni o no?”
Mi sentii gelare.
Francesco? Stava messaggiando con il mio telefono? Con Carlotta?
Ehi non so se ti è sfuggito qualcosa, ma questo è il mio telefono Carlotta. Si può sapere che vuoi??” risposi sentendo la stizza sorgere insieme ad una vaga inquietudine.
Stavolta ci volle un po' perché lei rispondesse.
Ah, sei tu Bianca? Non avevo idea che stavi leggendo... credo che avrai capito con chi stavo parlando, potresti lasciarci parlare per un momento da soli?”
Le sue parole altezzose mandarono la mia perplessità a farsi fottere.
E tu speri che gli dia anche il telefono?! Ma dico, sei pazza o cosa?? Di che cosa stavi parlando? E perché stavi messaggiando con il mio telefono??”
Mi morsi il labbro dalla rabbia e aspettai.
Ma non ci fu nessuna risposta.
Qualcuno mi raggiunse nella stanza:
-Perché ci metti tanto? Hai scordato qualche altra cosa?- sentii chiedermi da Francesco, riapparso nella stanza appena uscito dalla doccia.
Stavolta il tono suadente della sua voce mi fece innervosire come non mai.
-Ti diverti anche a prendermi per il culo?- scattai, girandomi verso di lui con un'espressione contrariata in volto, -in effetti ho dimenticato anche un'altra cosa, ho scordato di chiederti perché stavi parlando per telefono con Carlotta!- continuai veementemente.
-Che cosa?- scattò lui, perplesso ma anche incisivo nel tono di voce. Una provocazione era più che necessaria per aizzarlo ad andare in escandescenza.
-Stavolta non puoi fingere, ho le conversazioni salvate nel telefono. E non dirmi che stavi liquidando anche lei, ormai è vecchia questa storia- dissi decisa più che mai.
-Di che cosa stavate parlando?-
-Ma che cazzo stai...-
-Dimmelo- gli intimai senza diminuire l'intensità della voce.
-Dirti cosa?- chiese seccato, diventando anche lui più audace nei toni, -Che c'entro io con le tue conversazioni a telefono! Stai andando fuori di testa?-
-Fai anche il finto tonto adesso?? Neghi l'evidenza?- lo istigai con voce tagliente.
-Ma che cazzo dici, io avrei preso il tuo telefono per avere il numero di Carlotta e inviarle messaggi per parlarle??- esclamò allibito.
-Allora lo ammetti- colsi la palla al balzo senza fermarmi un attimo, -hai detto “per avere il numero di Carlotta”, e io non ho nemmeno accennato a questo prima. Ti sei rivelato da solo-
Rimase in silenzio, come se stesse riflettendo.
-Senti- iniziò a dire con tono risoluto, -è inutile farsi questi film mentali...-
-Film mentali un cazzo!- esclamai interrompendolo, portandomi più indietro rispetto a lui nella stanza, -Carlotta è qui a Firenze, e questi messaggi ne sono la conferma! E qualcosa mi dice che sei stato anche tu a farla venire qui- continuai con veemenza.
-Che cosa?- ripeté apparentemente stranito, e ciò non fece altro che farmi innervosire ancora di più davanti alla sua messa in scena che ormai si arrampicava sugli specchi, -che motivo avrei per farla venire qui?!- s'irritò anche lui.
-Lo stesso per cui stavi parlando con lei cinque minuti fa!- esclamai irritata.
Più ce l'avevo davanti agli occhi più mi saliva la voglia di prenderlo a schiaffi: mi credeva così stupida?? Era anche abile a progettare ogni cosa per non farsi scoprire, ma quel messaggio aveva detto fine alla sua recita.
Infilai il cellulare nella tasca dei jeans e me ne andai furiosa, seguita dal suo sguardo infuocato di rabbia.
-Puoi prendere in giro Federico, tua sorella, chi cazzo vuoi tu, ma non me. Ti conosco bene ormai, e so quando stai macchiando qualcosa; prevedo le tue mosse prima ancora che tu le faccia- dissi stizzita prima di uscire dalla porta, -quindi non credere di potermi ingannare-
-Sai essere una vera puttana lo sai?- sbottò nervosamente.
Non risposi alla sua provocazione e me ne andai, sbattendo la porta con forza dopo avergli dato l'occhiata più malevola che potessi mai fare.
Sentii la sua voce richiamarmi dalla tromba delle scale, rimbombando nelle pareti.
-E piantala di sbattere ogni cosa che trovi, la porta è la mia!!- gridò.

 


Nel pomeriggio..

 

-Perché no?-
-Perché non mi va- risposi, -voglio restare qui-
Margherita fece le spallucce.
-Non sai che ti perdi- commentò.
-Piantala Margherita- le lanciai un'occhiata assassina che andava a sottolineare il tono duro della mia voce.
Non disse altro fino a che non se ne andò, richiudendo la porta dietro di sé.
Incazzata com'ero non ero minimamente in vena di farmi un tour culturale in giro per la città, cosa che Margherita bramava da quella mattina.
Non appena fui certa che si fosse allontanata abbastanza iniziai a fare la valigia; ero andata a Firenze unicamente con lo scopo di tentare di riallacciare i rapporti con Francesco. Ora come ora non aveva senso restare lì.
Mentre già ero a metà dell'opera il cellulare vibrò avvertendomi di un messaggio.
Lo afferrai nervosamente, e lessi senza interesse il messaggio di Margherita:
Mi raggiungi a Ponte Vecchio? Almeno qui, non puoi perderti anche questo. Per favore.”
Pensai che il suo messaggio era solo una scusa per farmi uscire.
Sospirai, più rassegnata che realmente intenzionata a seguirla:
Va bene, arrivo lì tra poco”
Presi gli accorgimenti necessari per la camera e uscii dall'albergo, dirigendomi verso il Ponte.
Non ci misi molto che arrivai già nei pressi; inviai un messaggio a Margherita, chiedendole dove fosse. Tre, cinque, dieci minuti.
Non rispondeva.
Scrissi nervosamente un altro messaggio, intimandola di farsi vedere, quando qualcosa attirò la mia attenzione. O meglio dire, qualcuno.
E non solo uno.
Sbarrai gli occhi, incredula.
Oh mio Dio.
Invece di Margherita mi stava aspettando una sorpresa.
Una sorpresa che non avrei mai immaginato.
Carlotta. Insieme a Francesco. Con le braccia attorno al suo collo. E le labbra incollate alle sue, in un bacio tutt'altro che casto.
Carlotta che stava baciando Francesco. E lui non dava minimamente a vedere l'intenzione di allontanarsi o di reagire al suo abbraccio. Anzi, sembrava assecondarla, con le mani a sostenerle la vita.
Continuai ad osservare la scena, la stessa scena che avevo osservato qualche mese prima.
Come un flashback che ritornava.
Ma se la prima volta avevo sentito cedermi le gambe, la mente e il cuore allo spettacolo, adesso mi sentivo soltanto fredda. Delusa.
Amareggiata come non mai.
Non mi ritenevo più nemmeno essere un' ingenua. Perché avevo ormai capito che l'ingenua non ero io, ma lui. Era lui che credeva potesse prendermi in giro come se nulla fosse.
Un fuoco di collera mi pervase ogni istinto.
Andare a fargli una scenata davanti a Carlotta non ci tenevo proprio.
Stanca.
Mi ero stancata di corrergli dietro, di essere sempre io quella in cerca di spiegazioni.
Aveva ragione Margherita, quando l'aveva visto la prima volta. Era solamente un puttaniere. Nulla di più. E io, che mi ero fidata di lui e mi ero donata al suo cuore con tutta me stessa, non avevo ricevuto in cambio altro che un tradimento. Delusione.
Ecco qual'era il mio premio.
Essere presa per il culo ancora una volta.
Ma adesso mi ero stancata. Che facesse il puttaniere, che andasse a fare il donnaiolo con chi volesse. Ma non con me.
Abbassai lo sguardo sul display del telefono, ancora attivo.
Si può sapere dove diavolo sei?”
Stavo per rinviare il messaggio. Destinato a Margherita.
Al diavolo dove fosse, non si era fatta nemmeno vedere.
Decisi di aspettare fino a che Francesco non si fosse allontanato da Carlotta, intenzionata più che mai a dare un taglio a quella storia, appostandomi vicino alla Fontana del Nettuno affianco a Palazzo Vecchio.
Non ci volle molto che lo vidi attraversare Piazza della Signoria, diretto probabilmente all'appartamento di Federico.
Affondai le unghie nella carne talmente in profondità che iniziai ad avvertire un dolore sordo nel palmo della mia mano e lo richiamai furiosa:
-Ehi!- gridai con tutta la voce che avevo in corpo, pronta a sputare anche l'anima.
Si voltò di scatto, riconoscendo probabilmente il suono della mia voce.
Mi diressi verso di lui con passo deciso, impaziente di spaccargli letteralmente la faccia con le mie mani.
Caricai il braccio pronta a colpirlo ma mi precedette nelle mosse, afferrandomelo a mezz'aria proprio mentre stavo per andare a segno.
-Sei impazzita??- sbottò spontaneamente, sorprendendosi.
-No non sono impazzita!!- esclamai a voce alta, quasi gridandogli addosso, -ti sto dando quello che ti meriti!!-
-Per aver fatto cosa?- rimase talmente indifferente alla mia rabbia che ebbi uno scatto d'ira e iniziai a picchiargli i pugni sul petto.
-Smettila!! Sai benissimo a cosa mi riferisco!!- gridai quasi isterica.
Mi prese i polsi con forza, trattenendomi dall'assestargli altri colpi.
-Si può sapere che vuoi??- esclamò serio.
-Voglio che tu non ti faccia più vedere- sibilai con voce tagliente, affilata come una lama, -e dì al tuo cazzo che con me ha chiuso ogni porta. Ma non credo che avrai problemi a trovarti una puttana da scopare, dietro l'angolo c'è una certa persona già pronta ad allargare le gambe per te- lo fulminai con lo sguardo.
-Ma di chi cazzo stai parlando?- il tono duro della sua voce m'indurì nei modi alla stessa maniera.
-Di Carlotta!!- gridai esasperata, -non credere che mi sia rimasta indifferente la scena mentre le infilavi la lingua nella sua schifosissima bocca!!-
Sgranò gli occhi, scoperto. “Fai bene a sorprenderti” pensai furiosa, “perché questa è l'ultima sorpresa che tu hai fatto a me”
-Bianca...- iniziò lentamente a parlare, ma mi portai qualche altro passo indietro lontano da lui, liberandomi dalla morsa delle sue mani dai miei polsi.
-Ora basta- mormorai risoluta, capendo in quell'istante di essere arrivata al limite dal tono leggermente incrinato della mia voce, -ti ho visto con i miei occhi. Non hai più scuse per rifilarmi altre bugie, come hai sempre fatto-
Sentii afferrarmi l'avambraccio dalla sua mano ma glielo sfilai di mano con decisione.
-Non pensarci nemmeno- lo ammonii gelidamente.
Rimase in silenzio, senza ribattere altro stavolta.
Mi avvicinai al suo viso, fissandolo con odio.
-Spero che stanotte Federico possa sentirla gemere come una puttana- sibilai provocatoria, -perché così capirebbe come il suo fratellino bastardo si scopa le troie-
I suoi occhi erano freddi.
Mi tirai indietro senza diminuire l'intensità dello sguardo e gli diedi le spalle, andandomene da dove me ne ero venuta.
Tornai in albergo e finii di fare le valigie, decisa più che mai a lasciare Firenze.

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Capitolo 18
*** Confusione ***


                                                                       CAPITOLO 18

 

 


Margherita sedeva davanti a me sul mio letto, in silenzio e con lo sguardo basso.
Dal canto mio, con le braccia incrociate e lo sguardo vuoto, non le rivolgevo nemmeno la parola.
Da quando avevamo lasciato Firenze era diventata stranamente silenziosa e apatica, come se le costasse troppo manifestare un sentimento.
Inizialmente non avevo neanche provato a collegare gli eventi al suo comportamento, tanto ero ancora arrabbiata per quello che era successo e decisa a pensare solo a me stessa.
Poi, quel giorno, era venuta a casa mia.
E mi aveva spiegato la sua versione dei fatti. Credeva che così avrei potuto sentirmi più sollevata, ma la sua aspettativa era completamente sbagliata. Adesso ce l'avevo anche con lei, forse in modo maggiore che con Carlotta. Perché dietro le sue mosse c'era lei.
Aveva rivisto anche lei Carlotta, a Santa Croce.
E Carlotta era riuscita a manipolarsela per bene, facendole credere che il suo supporto le sarebbe servito per riconquistarsi la mia fiducia. Ciò che Margherita non sapeva era che si sarebbe meritata soltanto il mio risentimento.
L'aveva convinta a non dirmi niente della sua venuta a Firenze, unicamente per il motivo che se avessi saputo dal principio che lei era venuta apposta, seguendomi, in quel luogo non avrei voluto nemmeno provare a rivederla. E così l'aveva supportata, avvertendola sui nostri spostamenti e, cosa che più mi aveva lasciata spiazzata, lasciandole usare il suo telefono liberamente, forse convincendola che le sarebbe servito a riprendere contatti con me in qualche modo.
Se era stata Carlotta o meno ad attirarmi a Ponte Vecchio non aveva importanza per me: ciò non avrebbe cambiato il mio rancore verso Francesco. Carlotta poteva essere anche l'artefice di quell'incontro appositamente architettato, ma il complice era lui. E, al contrario di Carlotta, si era fatto scoprire.
-Bianca?- sentii richiamarmi in un mormorio da Margherita, ancora demoralizzata sul mio letto.
Non le rivolsi lo sguardo.
-Mi dispiace...- mormorò abbattuta, e i lineamenti del suo viso provavano che era la verità.
-Ti dispiace?- ripetei atona, dandole finalmente lo sguardo, -avresti dovuto pensarci prima; sai che razza di stronza è Carlotta, se le fai girare le palle riuscirebbe a trattarti come un essere indegno anche solo di farle sbavare lo smalto dai piedi- ribattei acida.
-E tu credi che non lo sappia?- mormorò con tono colpevole, -Per una volta ho pensato che davvero potesse essere tornata a quello che era, e che sarebbe potuto tornare tutto come prima. Mi ha solamente usata, e io non me ne stavo nemmeno rendendo conto- la sua voce era quasi incrinata dall'emozione.
La osservai, restando in silenzio. La fragilità di Margherita mi faceva sentire un po' in colpa a trattarla in quel modo. Ma era quello che si meritava. Si era lasciata impietosire da Carlotta, e io non avrei fatto la stessa cosa con lei.
-Dì la verità, anche se fosse finita in questo modo per un altro motivo tu ne saresti stata comunque più sollevata, non è vero?- dissi poi lentamente.
Lei si rifiutò di rispondere per un po', ma poi la vidi annuire.
-Preferisco rivedervi tornare insieme ai vecchi tempi, che separate solo per uno stronzo- ammise infine.
Abbassai lo sguardo, stavolta sentendomi io colpevole.
Era solo uno stronzo, su questo non aveva nessun torto ma solo il mio sostegno.
E stavolta toccò a me sentirmi usata.
Mi tornarono in mente tutte le volte che eravamo rimasti a coccolarci nelle coperte, a ridere, a scherzare tra noi, alla dolcezza dei suoi gesti. Mai come in quel momento facevano male.
Le sue labbra che si posavano sui miei capelli lasciandomi un bacio prima che mi lasciassi cullare dal calore delle coperte, quel pomeriggio a Firenze.
Lo odiavo, cazzo se lo odiavo. Ma il mio sguardo vacuo lasciava trapelare anche un'emozione diversa.
-Non mi sarei mai aspettata che ci avesse seguito solamente per rovinare il tuo rapporto con Francesco- sentii dirmi dalla voce di Margherita da qualche parte nella stanza.
Se la ascoltai fu solo per una volontà del mio corpo presente in quell'ambiente.
-Ha manifestato soltanto ciò che stava succedendo in realtà- ribattei fermamente, -Francesco voleva tenermelo nascosto. E ci ha pensato lei a farmelo sapere-
Margherita si zittì.
Il silenzio in quella stanza era lacerante.
-Ho bisogno di un po' d'aria- dissi soltanto, e uscii da casa.
Avevo un urgente bisogno di restare da sola, a riflettere sui miei pensieri.
Il Bistrot, con il suo clima un po' familiare, sembrò accogliermi come un vecchio amico.
Sorseggiai stancamente una bibita, più che altro per aiutarmi a distrarmi un po' che realmente assetata, e non mi stupii nel vedere il bicchiere già praticamente vuoto dopo nemmeno due minuti.
Sospirai e spostai lo sguardo in giro, cercando di distrarmi osservando le movenze altrui per sfuggire a quel vuoto che mi opprimeva dentro: agli altri tavoli c'erano due signori anziani, due ragazzini... e un ragazzo e una ragazza. Mi morì il cuore in petto al solo scorgerli.
Seduti vicini. Il braccio di lui sulle spalle di lei, un sorriso amorevole sulle labbra della ragazza e del ragazzo che la guardava con intensità.
Osservai pietrificata la sua mano coccolare il viso della fidanzata con una carezza; cercavo di distogliere lo sguardo ma ero come attratta incontrovertibilmente da quella scena, cercando con gli occhi ogni minimo particolare mentre mi sentivo morire dentro di me.
Sembrarono non accorgersi del mio sguardo insistente sulla loro immagine, perché lui iniziò a baciare la ragazza con trasporto, senza preoccuparsi delle reazioni degli altri clienti, come se esistesse solo lei e fossero soli in mezzo al bar. Una lacrima mi scese sul viso, mentre osservavo ancora quei due innamorati che si baciavano dolcemente, sorridendosi e guardandosi con complicità, le carezze che si perdevano sul viso, l'amorevolezza del bacio.
Mi accorsi di aver iniziato a piangere quando un singhiozzo mi si strozzò in gola, e portai le mani al viso per nascondermi.
In ogni gesto di quel ragazzo vedevo Francesco.
Cercavo le sue mani in quelle di lui.
E sentivo le sue labbra sfiorarmi quando guardavo le loro unirsi con amore.
Mi obbligavo a smetterla di piangere allo stesso tempo che non riuscivo a trattenere le lacrime.
Distrutta.
Fortuna che avessi già pagato il conto, perché così potei alzarmi e andarmene dal locale, con ancora una mano a nascondermi dalla vista delle altre persone. E da quell'amore.
Fu per questo che non vidi di andare a sbattere dritta dritta sul busto di qualcuno, proprio sulla porta.
Rialzai lo sguardo atterrita, assistendo quasi al rallenty alla vista di un ragazzo che si stava chinando a terra per raccogliere qualcosa.
-Mi-mi dispiace, non ti avevo visto... Non l'ho fatto apposta, scusami- mi scusai in fretta, con la voce tremante.
-No no, figurati, non importa- mi rassicurò lui, tornando a rialzarsi, -nemmeno io ti avevo vista-
-Ti ho fatto male?- mi preoccupai, guardandolo con attenzione.
-No, tranquilla. È tutto apposto- mi confortò con un sorriso sulle labbra.
Osservai degli spiccioli nella sua mano prima che la richiudesse in un pugno.
-Scusa, ti ho fatto perdere qualcosa?- chiesi inquieta, lasciando spazio alla tensione al posto delle lacrime.
-No, niente. È apposto- ripeté.
Feci un mezzo sorriso di circostanza e mi diressi verso la porta dietro di lui, per andarmene.
-Aspetta- mi richiamò, prima che potessi aprire la porta.
Mi girai ancora preoccupata, credendo si fosse accorto di qualcosa che gli mancasse.
-Non per non farmi i fatti miei ma... è tutto okay?- chiese osservando il mio viso.
-Cosa?- mi stupii, diventando anche un po' nervosa.
-Non voglio insistere ma stai piangendo. So che è una cosa tua personale ma... stai bene?-
Rimasi stranita alle sue parole.
-Sì, grazie comunque- tagliai corto, facendo per prendere la maniglia.
-Comunque- mi richiamò, notando che stavo uscendo dal locale, -credo vorresti riavere questa-
Mi cadde lo sguardo sulla sua mano, che mi porgeva la borsetta. Doveva essere caduta per il contraccolpo.
Merda.
-Oh gr-grazie- balbettai, presa dall'imbarazzo.
Mi sorrise di rimando.
-Se ti importunassi per un drink in segno di scusa mi considereresti sfrontato?- provò a chiedermi, lasciandomi rimanere sulla soglia.
-Ma la colpa è mia- feci notare.
-Beh, è anche mia che non mi sono fermato prima. Avrei dovuto lasciarti uscire, prima di entrare- ribatté con tono tranquillo.
Rimasi interdetta: uno sconosciuto mi offriva da bere tralasciando il fatto che l'avevo appena urtato, come se fosse normale. Da una parte sembrava essere gentile, non sembrava avere mali intenzioni. Era anche piuttosto carino: i capelli castani, il naso dritto, gli occhi neri.
Mi vide timorosa e mi sorrise ancora, quasi a volermi rassicurare:
-Non ti mangio mica- disse ironico, -è solo un segno di scuse. E magari mi racconti anche perché stavi piangendo, perché non credo proprio che vada bene come dici- continuò con tono pacato.
Ero ancora restia ad accettare, ma in fondo mi sentivo più confortata dalle sue parole. Non sembrava essere un cattivo ragazzo. E la sua presenza mi metteva un non so che di rasserenante addosso, quasi a pelle.
Alla fine sorrisi, accettando.
Ci ritrovammo davanti a due tazzine di caffè, seduti ad un tavolino in un angolo.
-Quindi- iniziò, -perché piangevi prima?-
Rialzai lo sguardo, incerta.
Non risposi.
-Ah, ho capito- fece con tono vago, -un ragazzo-
Sgranai gli occhi; non appena vide la mia faccia gli sfuggì un ridacchiare silenzioso.
-Sì, ho indovinato- disse affabilmente.
-Sai, non ci vuole un mago- continuò poi, -quando le ragazze soffrono e piangono è al 90% per il fidanzato. Poche volte per un'amica, meno ancora per la famiglia. È sempre un ragazzo il motivo che vi fa diventare così-
Continuai a guardarlo stupita. Quel ragazzo serbava più sorprese di quanto immaginassi.
-Allora, ti va di dirmi almeno il tuo nome?- chiese poi addolcendo la voce.
Il suo tono mi indusse a rispondergli, certa di poter dargli un po' di confidenza.
-Bianca- risposi in un mormorio.
-Bianca- ripeté, come per ricordarselo, -io sono Roberto-
Sorrise.
Ma il suo sorriso non si sminuì mentre mi osservava in viso.
-Che c'è?- chiesi con un sorriso.
-Stai pensando che sono un'idiota, vero?- disse con fare amichevole.
-No, perché?- risposi per rassicurarlo.
-Beh, starai sicuramente credendo che voglia tentare un approccio con te nonostante sia appena successo qualcosa con il tuo ragazzo... o chiunque egli sia...- disse infine.
Non avevo nemmeno considerato questa possibilità. Sembrava essere spontaneo.
Non sembrava voler nascondere qualcosa per fare colpo su di me.
-Ma se non ti conosco nemmeno- ribattei.
-Una cosa a cui spero di rimediare- sorrise amichevole, strappandomi un naturale sorriso.


Rimanemmo a parlare tenendoci un po' sul vago per un po', a partire dalla scuola che frequentavamo arrivando a cercare conoscenze comuni tra i due istituti, il suo Scientifico che brulicava di conoscenze ben note al Classico.
-E Antonio Barballi? Lo conosci?- mi chiese ancora.
-Come no, la sua presenza allieta le nostre ore di studio per sei ore al giorno- sbottai.
Gli sfuggì una risata.
-Sì, non molti lo sopportano... Ma in fondo non è così male. Fa così solo perché non ha ancora avuto una ragazza e deve sorbirsi gli altri che non possono uscire con lui il sabato sera per stare con la fidanzata- commentò.
Ebbi un istintivo moto di tristezza.
Non gli sfuggì la mia espressione.
-Scusa non volevo... essere indiscreto...- mormorò.
Scossi la testa con decisione: dopo quello che mi aveva fatto non dovevo nemmeno permettergli di onorarlo della mia presenza a cinquanta metri di distanza.
-Venti minuti che parliamo e non mi hai ancora detto niente. Posso sapere perché ti abbatti tanto? Magari è una cosa da niente, io sono un ragazzo e posso capire certi comportamenti... potrei darti una mano...- chiese poi, leggermente titubante nel pormi quella domanda.
Nonostante lo conoscessi da solo trenta minuti potevo affermare che era un bravo ragazzo davvero.
Era gentile, dolce, premuroso.
-La tua ragazza è davvero fortunata ad averti accanto- mormorai con un sorriso.
-Non ho una ragazza- sorrise amaramente, appoggiandosi allo schienale, -Forse è per questo che riesco a capire alcune cose che ad altri ragazzi sfuggono. Ma non parliamo di me, stavi dicendo?-
La sua esortazione mi spinse ad andare avanti.
Non che gli potessi rivelare la mia storia come acqua fresca, ma non era un così grande segreto di Stato da rimanere celato come negli Archivi Segreti del Vaticano.
Sorrisi per un momento alla sua gentilezza, prima di abbassare lo sguardo sul tavolo.
-Ci siamo presi un momento per... pensare- dissi infine. Meglio tenersi sul vago, ad ogni modo, tanto non sarebbe cambiata molto la cosa per lui se gli avessi detto che tra noi era finita o se volevamo soltanto non vederci per un po'.
-Ma a quanto pare non durerà molto questo momento...- commentò pensieroso.
Alzai lo sguardo.
-Insomma, ti ho vista piangere... Vuol dire che ci tieni ancora a lui- si spiegò, per non farmi cadere in un errore di comprensione.
-Beh io... preferirei non parlarne- mormorai.
-Sì capisco- mormorò.
Rimanemmo in silenzio per un po'.
-Quindi voi... vi siete lasciati?- chiese poi; bingo.
Sospirai.
-Diciamo che preferiamo starcene ognuno per conto proprio- mi mostrai ferma e decisa.
-Capisco- commentò, -Scusa se te l'ho chiesto ma... ecco, mi dispiace... Anche se non ti conosco bene non vedo il motivo di far soffrire una ragazza come te-
Lo guardai sorpresa, per l'ennesima volta in quella serata.
Sorrise.
-Sei così dolce e carina- disse in un mormorio.
Sentii istintivamente di arrossire in volto a quelle parole.
-Sei arrossita- sorrise, divertito stavolta, -o forse fa troppo caldo qua dentro- tentò di mettermi a mio agio poi, strappandomi una leggera risata insieme alla sua.
Guardai il cellulare per scorgere l'orario sul display: le sette e mezza.
-Devo andare- dissi cercando di mostrarmi cortese, -grazie per il caffè, sei stato davvero gentile- gli sorrisi, -e grazie per avermi ascoltata- aggiunsi poi.
-Questo non è niente- sorrise leggermente, -quando vuoi puoi sempre chiedermene un altro, occhio solo a non farmi cadere il portafoglio-
Risi leggermente alla sua battuta che sdrammatizzava il momento, rialzandomi.
-Allora ciao- dissi poi, più incerta, -spero di rivederti in giro-
-Ti accompagno o preferisci tornare da sola a casa?- chiese.
Mi colse impreparata.
-Beh io... ecco...- smozzicai, imbarazzata.
-Non farò mica lo stalker, tranquilla- cercò di sdrammatizzare, -solo è già buio fuori e mi sentirei scortese a lasciarti andare da sola-
Era sempre più affabile nei modi, e iniziava a ispirarmi fiducia.
Tuttavia, quando stavamo per arrivare di fronte casa, mi fermai all'inizio della traversa: nonostante tutto non sapevo se fidarmi di lui. Era gentile, carino, giudizioso e maturo ma facevo sempre un passo indietro anche davanti agli insospettabili, ormai.
-Beh, grazie- lo ringraziai, voltandomi verso di lui.
-Di nulla- disse amichevole, -che ne diresti se ci scambiassimo i numeri di telefono?- fece poi arrivando ad una svolta, prendendomi un po' in contropiede, -Così possiamo programmarci un altro caffè, quando ti va- continuò.
Pochi istanti dopo compariva un nuovo contatto nella rubrica del mio cellulare.
-Magari ci incontriamo per caso all'uscita dalle lezioni, qualche volta- sorrise cordialmente.
-Mi farebbe piacere- sorrisi allo stesso modo.
Ricambiò il sorriso e si voltò per andarsene.
Mi accorsi di essere rimasta a guardarlo allontanarsi:
Mi farebbe piacere” mi feci il verso da sola, sdegnata con me stessa per quella risposta melensa.
Che figura da stupida. Chissà cosa avrebbe pensato di me.
Un momento. Ma a me cosa importava che ne pensava di me?
Se non altro era riuscito a non farmi pensare a Francesco ancora una volta, distraendomi per un po'. Era stato solo un piccolo svago. Lo stavo usando allora? No, non ne avevo intenzione.
Allora ciò significava solo che m'importava di fargli una bella impressione.
La domanda che mi faceva tremare le ginocchia era: perché?
Fino ad un momento prima me ne stavo ad un tavolino di un bar a deprimermi e a singhiozzare disperatamente per Francesco, ora invece mi preoccupavo di apparire piacevole e gentile con un ragazzo conosciuto appena meno di un'ora prima.
Non facevo altro che sentirmi confusa. E una sgualdrina. 
Una sola cosa però mi sembrava certa: se avessi ancora realmente amato Francesco in quel momento avrei dovuto avere una stretta al cuore, pensando a lui. Invece l'arrivo improvviso di Roberto aveva soltanto alleggerito quel peso. Chissà cos'altro mi sarebbe capitato, vista la situazione.

 

 

 

Francesco POV

 

-Sicuro che vuoi andartene?- la voce maschile bassa e matura di Federico mi sembrò un po' delusa, entrandomi nelle orecchie con un suono nitido e preciso.
Rimasi in silenzio, osservando la valigia che stavo chiudendo appoggiata sul materasso.
-Mi spiace, Fede- mi accorsi di mormorare quasi, -ma non posso restare ancora. Ho già perso troppi giorni di assenza, con l'esame di quest'anno non vorrei che incidesse-
-La prossima volta chiamo Letizia- scosse ironico la testa, strappandomi un sorriso identico.
-Beh, lei potrebbe essere maggiormente interessata ad aiutarti con le scartoffie, da topo di biblioteca che è- commentai ironico suscitandogli un sorrisetto di scherno. Se mia sorella ci avesse sentito in quel momento ci avrebbe come minimo fucilato per quei complimenti.
-A proposito di topi di biblioteca- incrociò le braccia appoggiandosi allo stipite della porta, -non mi sembra che ti sia mai interessato ai tuoi voti di scuola così tanto. Perché vuoi andartene?- chiese poi con uno sguardo che sottolineava il tono fraterno della sua voce.
Lo guardai alcuni istanti.
-Puoi dirmelo, sono tuo fratello Franci- incalzò con voce calma.
Di solito detestavo quando mi chiamava in quel modo, ma non ci feci molto caso stavolta.
-A quanto pare il mio fratellino è nei guai...- fece, intuendo che non era tutto esattamente rose e fiori nell'aria, -che hai combinato stavolta?-
-Non si tratta di noi- sviai lo sguardo.
-... qualche ragazza di mezzo?- provò allora, senza darsi per vinto.
Ci aveva azzeccato in pieno. Mio fratello aveva un certo talento per intuire qualcosa, motivo per cui sospettavo da tempo ormai che non era stato un caso che fosse il maggiore di casa.
-Andiamo fratellino- mi esortò, -di che si tratta?-
Sospirai a labbra serrate.
-Si tratta della mia... ex- sbottai infine, un po' nervosamente.
-Ex?- ripeté, intuendo che però non c'erano molti collegamenti con la parola.
-Non sono stato io a causare tutto- mi discolpai risoluto.
-Fammi indovinare... ti ha lasciato- concluse conciso.
-È questo il punto, quello che si becca il benservito in culo sono io e la cosa che mi fa incazzare di più è che non so nemmeno come è successo!- scattai a rialzarmi con foga, camminando nervosamente nella stanza.
-Si può sapere che cosa è successo?- chiese allora, seguendo i miei movimenti.
Mi fermai accanto all'armadio, guardando basso, come se il pavimento potesse suggerirmi cosa dire.
E rialzai gli occhi, rabbiosi stavolta.
-È stato per una puttana- dissi, sentendomi salire il sangue alla testa, -è stata gelosa fin dall'inizio, e ha perseguitato Bianca per tutto il tempo. È riuscita a portarla dalla sua parte... e ad allontanarla-
-Una donna è più pericolosa di quanto credi- fece Federico sospirando, -sopratutto se è una donna gelosa... scatena capacità che non potresti nemmeno immaginare nei tuoi sogni più inconsci-
-Sì ma che vuole da me? Crede che allontanando Bianca possa avere qualche speranza con me, dopo quello che mi ha fatto?? È questo il suo modo di sedurre? Bella puttana- ribattei, esasperato.
Mi lasciai cadere sul letto, di fronte a Federico.
-Il problema, fratellino, è che della famiglia sei sempre stato tu quello carino- fece petulante mio fratello, -L'esperto in materia sei tu, io posso solo inginocchiarmi alla tua altezza quando mi chiedi umilmente consiglio in merito-
-Ah, chiudi il becco- lo zittii, seccato, -se non vuoi aiutarmi esci pure dalla stanza, non sei obbligato-
-Sì invece, perché sei mio fratello minore e devo badare a te come una balia. Siccome sei ancora giovane e inesperto hai bisogno di un mentore che, modestamente, credo di poter trovare nelle mie capacità e nella mia sapienza- replicò, sarcastico.
Abbozzai un leggerissimo sorriso.
-Sei sempre il solito- scossi la testa.
-Beh anche tu non mi sorprendi- rispose senza perdere l'umorismo, -sempre costantemente nei guai. E io a tirarti fuori. Avanti, parla. Ti ascolto-
-Non so come abbia fatto- dissi, -ma sono certo che non è stato un caso che Bianca fosse lì mentre...-
Mi interruppi, incapace di ammettere di aver baciato Carlotta in quel modo.
-...mentre?- incalzò Federico, seguendo il discorso interessato.
-D'accordo, l'ho baciata- ammisi nervosamente, -ma non è partita da me la cosa. È stata lei a provocarmi- gli diedi uno sguardo nervoso, tamburellando con le dita sulle ginocchia.
-In che senso?- aggrottò le sopracciglia perplesso, appoggiandosi in una posizione più comoda allo stipite in legno.
-Mi ha attirato a Ponte Vecchio fingendosi Bianca- spiegai le cose dall'inizio, per dargli un'idea della situazione in maniera più chiara, continuando a tamburellare con le dita, -diceva di aver preso il telefono di una sua amica perché il suo era scarico, e mi aveva chiesto di parlarmi-
Non aggiunsi il motivo per cui avevamo litigato quella mattina, onde evitare rivelargli che mentre lui faceva ricerche in biblioteca io stavo facendo sesso con la mia ragazza in casa sua.
-Ma invece di lei mi sono ritrovato davanti Carlotta. Ha cercato di prendere tempo all'inizio dicendomi che aveva seguito Bianca qui unicamente per potermi parlare e dirmi che nonostante tutto non le importava molto chi mi scopassi, perché non le interessavo più ormai. Poi però ha tentato di baciarmi, al che mi sono tirato indietro e stavo per andarmene, quando lei mi ha provocato dicendomi che Bianca mi aveva rammollito, che dal ragazzo che tutte desideravano portarsi a letto ero diventato il fidanzatino premuroso di una ragazzina e che avevo perso la mia virilità, non essendo più capace nemmeno di baciarmi una ragazza senza che mi interessasse o solo per sfogare i miei desideri, al che l'ho presa e l'ho baciata istintivamente, incapace di sopportare ancora quelle provocazioni. E sono più che convinto che è stata lei a far venire appositamente Bianca mentre eravamo lì; credo abbia voluto riscattarsi per una certa cosa che le ho fatto tempo fa-
Preferii non rivelare a mio fratello la parte sui messaggi inviati al telefono di Bianca per agevolarmi le cose, ma ero quasi certo anche lì che non era stato un caso nemmeno la tempistica che aveva sfruttato per mettere in scena la sua performance; aveva dovuto sapere in qualche modo che Bianca aveva lasciato il telefono da me, e l'aveva indotta a farle credere che la stessi tradendo messaggiando con lei. E Bianca ci era cascata in pieno.
-Sa dove colpirti- commentò, -ha giocato con il tuo carattere impulsivo, fratellino. Sei sempre stato orgoglioso, e lei ha sfruttato questo punto a suo favore. Non male la ragazza-
-Piantala- borbottai dandogli uno sguardo assassino, non riuscendo a reggergli il gioco nemmeno per scherzo.
-Mi piacerebbe conoscerla- commentò vago, fingendo di non sentirmi, -comunque sia torniamo a noi, non mi sembra sia molto leggera la situazione-
Alzò gli occhi al cielo, come per concentrarsi meglio.
-La tua ex ti ha beccato mentre ti baciavi con la ragazza che più detestava al mondo e ha creduto ci fosse qualcosa tra di voi, al che ti ha lasciato ad è tornata indietro a casa-
Non replicai.
-Quindi è per questo che vuoi tornare a Roma?- arrivò al punto di partenza di quella discussione.
Mi ci volle un po' a rispondere.
-Non servirebbe a molto, dato che mi odia a morte- dissi stancamente, -solo non riesco più a stare qui a Firenze, dopo quello che è successo. È passato un po', ma comunque dovrò tornare prima o poi. Meglio farlo ora che ho bisogno di starmene tranquillo per un po'-
Federico annuì, passandosi l'indice sopra le labbra.
-Toglimi una curiosità, però- disse poi.
Lo guardai in attesa del seguito.
-La ami ancora?- azzardò infine.
Non dissi niente, non sapendo cosa rispondergli.
-... e lei ti ama?- continuò poi.
Stavolta mi limitai a fissarlo.
-Beh, fratellino, le cose da fare sono due- si scostò dalla porta, -la prima: se la ami ancora l'unico modo per scoprire se ci tiene ancora a te è parlarle. E la seconda... Se neanche a te importa più di lei, e vuoi chiuderla con tutte queste preoccupazioni... svagati un po'. Ne hai bisogno Franci, forse stare dietro a una sola ragazza ti sta snervando. Cambia aria. Ora più che mai che non ha esitato a mollarti su due piedi, falle vedere chi sei, mostrale che non ti sottometti a nessuno. Sei un uomo libero. Non farti troppi pensieri per lei-
Non sapevo se mostrarmi impassibile al suo consiglio oppure manifestare quel barlume di conforto che Federico aveva acceso in me con quelle parole; ci pensò lui a togliermi dall'impiccio: dopo avermi fatto un cenno con il capo fece per tornare nel corridoio, intenzionato ad andarsene.
-Federico- lo richiamai con voce assente.
Si fermò sullo stipite, voltandosi a guardarmi.
-Grazie- mormorai, guardandolo con occhi sinceri.
-Sempre disponibile fratellino- fece un mezzo sorriso, e dopo avermi fatto l'occhiolino uscì dalla stanza, lasciando brillare dietro di sé la luce che entrava dal corridoio.

 

 

 

Perdonate il ritardo, non ce l'ho fatta a postare prima il capitolo.
Spero di non aver deluso le vostre aspettative, con queste rivelazioni... Continuerò a postare con maggiore regolarità, ai prossimi capitoli

_Char

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Capitolo 19
*** Quando l'indifferenza non basta ***


                                                                       CAPITOLO 19

 

 

-Non ti vedo così da quando sei andata in overdose di adrenalina alla festa di Gemma. E dopo quell'episodio l'altra unica volta che mi hai cercata è stato per dirmi che avevi fatto sesso con Francesco. Cosa stai per combinare, stavolta?- la voce petulante di Margherita non prometteva niente di buono.
-Non mettertici pure tu, Margherita- dissi senza espressione, la guancia spalmata al tavolo a cui eravamo sedute.
Rialzai la testa, sentendo il suo sguardo su di me.
-Non c'è niente su cui scherzare, stavolta- dissi fermamente.
-Con te ogni volta non c'è da scherzare- mi corresse a tono, -Comunque non mi hai convocata qui alle otto e mezza di mattina per litigare, presumo- mi rabbonì, dandomi una controllata ai nervi che sentivo esplodere.
-No, infatti- affermai, alzandomi nervosa dalla sedia per iniziare a camminare per la stanza.
Margherita mi seguiva con lo sguardo.
-Sputa il rospo, che succede?- sbottò.
Mi ci volle un momento prima di fermarmi al ripiano in legno della cucina.
-Mi sono vista con un ragazzo- buttai lì la faccenda senza mezzi termini.
La sua faccia si contrasse in un'espressione attonita.
-Prima di defenestrarmi, perché so che vuoi defenestrarmi, permettimi di darti spiegazioni- fermai il suo sbigottimento con un cenno di mano, riprendendo la parola.
-Ma che...- non riuscì a trattenersi, stavolta stranita.
-Ci siamo incontrati al caffè ieri sera- la intercettai prima che potesse continuare, -È successo tutto per caso, io stavo andando via ma ci siamo incontrati per un malinteso; alla fine è andata che abbiamo preso un caffè insieme, parlando un po'-
Il mio tono vuoto pari a quello di una telecronaca giornalistica le fece intendere che non mi ero entusiasmata come aveva presumibilmente supposto.
Mi guardò fermamente.
-Un caffè insieme- ripeté, atona.
-Sì- confermai con lo stesso tono.
-Ed è stato per caso-
-A quanto sembra- incrociai le braccia.
-Bene- sbottò, -sono proprio fiera di te, Bianca. Cos'altro hai in mente di fare? Dirgli anche dove abiti?-
Mi pietrificai a quelle parole, in modo troppo istintivo; non le ci volle più di un secondo per interpretare la mia espressione.
Rimase un momento scioccata.
-No...- fece poi, incredula, -tu hai... l'hai portato a casa tua??-
-Non l'avrei mai fatto!- mi difesi, scattando a rispondere per discolparmi.
-E allora perché quella faccia?? Ti conosco troppo bene per riconoscere quando ho ragione, e questo è uno di quei casi!- esclamò risentita e anche un po' autoritaria, -Adesso rispondimi seriamente: questo tizio, chiunque egli sia, sa dove abiti?-
Scandì le ultime tre parole per bene, quasi a volermi imprimermi il loro significato nella mente.
Scossi nervosamente la testa e mi diressi ai fornelli, dove giaceva la caffettiera del caffè ancora mezza piena, per versarmi un'altra tazza di puro concentrato di caffeina al fine di tenermi reattiva a quell'apocalisse: non mi sarebbe dispiaciuto fronteggiare un cobra piuttosto che l'irritazione di Margherita, sopratutto se di prima mattina quando in genere si è tutti premurosi e amorevoli.
-Bianca!- scattò alzando la voce, -smettila con questo cazzo di caffè, ascoltami!! Lui sa dove abiti?-ripeté, inflessibile.
Il mio sguardo si fermò sulla sua immagine.
Dopo alcuni secondi di silenzio si arrivò al dunque.
-Ah, magnifico- sbottò sarcastica, schiaffando i palmi delle mani sulle cosce con fare rassegnato, -proprio fantastico, Bianca, non ti smentisci mai!-
-A fare cosa? A fare la puttana che si porta a casa ogni tipo di ragazzo?!- alzai arrabbiata la voce, innervosita da tutta quella teatralità.
-Così fai intendere che sia!- esclamò rapida, aumentando anche lei la fermezza nella voce, -senti Bianca, fortuna Dio che ti conosco, altrimenti non saprei più che pensare di te. Adesso, no, adesso spiegami come per la miseria ti è successo di portarti a casa uno sconosciuto appena lasciata con un pezzo di ragazzo come Francesco, spiegamelo perché io non capisco!-
-Non l'ho portato a casa- puntualizzai seccamente, -a stento l'ho fatto arrivare qua davanti. Non mi fido di lui, cosa credi. Non sono così ingenua che do confidenza al primo che si dimostra gentile e carino-
Oh porca... carino.
Carino.
Mi imprecai maledizioni da sola al solo vedere l'espressione di Margherita farsi più acuta e penetrante:
-E come altro è, questo sconosciuto? Alto, moro, occhi intensi, uno pseudo Orlando Bloom immagino?- continuò beffarda.
-Tutto il contrario- dissi senza mezzi termini, senza dilungarmi troppo, -niente a che vedere con un playboy-
-Ah già dimenticavo, ormai hai abbandonato quelle preferenze- mi lanciò una frecciatina, inviperita.
-Si può sapere che ti prende?- scattai ancora, fulminandola con lo sguardo, -non dovresti nemmeno farmi da mammina, dopo quello che mi hai fatto!!-
I modi autoritari di Margherita si spensero dopo che ebbi toccato quel tasto.
E capii che nonostante tutto non potevo parlarle in quel modo: avevo bisogno di lei. Avevo bisogno di qualcuno che mi trattenesse dallo sbattere la testa contro il muro, perché non sapevo più cosa fare. E Margherita era sempre stata con me in quelle situazioni.
-Scusami...- mormorai a bassa voce.
-No- scosse la testa con un cenno di mano, -hai ragione. Anch'io ho sbagliato-
La sua voce risoluta mi fece capire che aveva già chiuso la faccenda.
E io non volevo di certo riaprirla adesso.
-Ci sono stati troppi casini ultimamente- riprese a parlare con tono fermo, -quindi cerchiamo di metterli alla luce in modo chiaro. Ancora non capisco cosa diavolo ha questo nuovo Orlando Bloom di così speciale da averti fatto perdere la testa così di colpo rispetto a Francesco- continuò.
Non replicai, sentendo un fiume di parole gorgogliare dentro di me ma incapace di dirle una per volta in un ordine sensato.
-Lui è diverso- dissi poi, -e se lo conoscessi capiresti perché mi sento così confusa adesso-
Sperai che con quelle parole ci desse un taglio a quella scenata; in parte, aiutò a sminuire la tensione.
-Sentiamo, com'è questo tizio?- sbottò, arrendendosi al mio tono di voce più che realmente volenterosa di assecondarmi.
-Lui è gentile, cortese, niente a che vedere con quelli che conosci- dissi, guardandola seria in viso per farle intendere che non ero in vena di parlare frivolamente, -E nonostante non ci conoscessimo ha fatto di tutto per consolarmi, senza conoscere la mia storia-
Aggrottò le sopracciglia.
-Okay, ma non mi sembra sufficiente per poterti buttare di nuovo a capofitto in una relazione- bofonchiò restia.
-Non ne ho l'intenzione- la intercettai non appena sentii quelle parole uscire dalle sue labbra, con un moto di rapidità che stupì anche me, -ma... non ho potuto fare a meno che sentire qualcosa ieri sera, quando se ne è andato. Nulla di che, però... ecco era come quella sensazione di non desiderare cose spiacevoli per una persona. Se ad esempio fosse caduto e si fosse fatto male mi sarebbe dispiaciuto, ecco...-
Stavolta Margherita mi guardava diversamente. Sinceramente senza parole.
-Margherita io non mi sto innamorando- misi stancamente in chiaro la situazione, -non voglio nemmeno che succeda. Non adesso almeno. Semplicemente, Roberto è arrivato in un momento sbagliato con una bella entrata in scena. Tutto qui-
Mi sarei potuta anche convincere maggiormente a quelle parole se non fossero seguite quelle di Margherita.
-Roberto? Adesso lo chiami anche per nome?- mi fece notare.
-Oh porca puttana Margherita, smettila!- esclamai, sentendo i nervi riaffiorarmi sulla pelle, -non mettertici pure tu! Pensavo che avresti cercato di capirmi, invece di giudicare soltanto cosa ho fatto e cosa avrei potuto fare!-
-Se tu fossi al posto mio che faresti?- capovolse la situazione senza darsi per vinta, -ti sembrerebbe normale?-
Rimasi in silenzio, per la seconda volta.
Stavolta si zittì anche lei.
Non incrociammo lo sguardo se non dopo un po', quando lei riprese l'iniziativa di parlare.
-So che quando finisce una storia- disse abbassando la voce in un tono più controllato, -ci si sente persi... Si ha un crollo, si sta male, si soffre... Ma non così, Bianca- rialzò lo sguardo, incontrando subito i miei occhi, -non riesco a trovare un motivo per cui di punto in bianco tu ti stia interessando ad un altro subito dopo quello che è successo con Francesco. Non dovresti nemmeno fidarti dei ragazzi, se stare con lui ti ha insegnato qualcosa. Magari potrebbe farti bene, se davvero è riuscito a non farti pensare a lui per il tempo che è stato con te; così come potrebbe farti male-
Rimasi ammutolita, a braccia incrociate.
-Di certo, non è amore. È come un antidolorifico, una sorta di narcotico insomma. Ti fa annebbiare la ragione per farti sentire meglio, ma non prenderla troppo sul serio questa storia. È un po' come una medicina: un po', nelle giuste dosi, ti fa star bene, ma se presa troppo scattano gli effetti collaterali. Di certo non puoi essere seriamente innamorata di lui, di questo mi rendo conto e te ne rendi conto anche tu- mi guardò negli occhi come per sottolineare quelle parole.
-Che cosa dovrei fare, insomma?- tentai di chiudere la discussione, tesa e stanca allo stesso tempo.
-Lascia decidere il tuo istinto. Fa ciò che senti di fare. Ma non dimenticarti che non è la cura, è solo una terapia d'urto. Non potrà essere la rinascita definitiva. Non adesso- rispose a mo' di fare filosofico.
Abbassai lo sguardo e feci un cenno di testa.
-Sì, lo penso anch'io-

 

Terapia d'urto. Non la rinascita definitiva.”
Pensavo a questo quando, la mattina seguente a quella domenica, mi ritrovai a incrociare lo sguardo di Francesco per una frazione di secondo, una volta che misi piede in classe.
Per un momento ebbi l'impressione di perdermi nuovamente nei suoi occhi, ma non appena me ne accorsi sviai altrove lo sguardo stizzita: cadere nuovamente in quel pozzo sarebbe stato come inabissarsi in un fondale alla ricerca di qualcosa che non avrebbe mai potuto esserci.
Il suo cuore.
Gli avevo dato la chiave del mio, ma lui l'aveva usata per chiuderlo in un forziere, per dargli uno sguardo solo per ammirarlo, come le dame un tempo custodivano i loro gioielli per poi ammirarli alla sera, nella loro camera, gingillandosi del loro luccichio e del loro valore.
Ma io non ero un monile, non ero un soprammobile.
Il suo sguardo mi lacerò come una lama, sebbene tentassi di nasconderlo; feriscono più due occhi a guardarsi che la lama di un coltello affilato.
Potevo leggere nei suoi occhi il mio stesso odio; mi sedetti al banco, fissandolo di sbieco, e distolsi lo sguardo solamente quando la mia occhiata inviperita gli arrivò a destinazione.
Per il resto della mattinata mi sforzai di ignorarlo, fingendo di non vederlo nemmeno per caso, ma sentivo il suo sguardo bruciare come fuoco sulla mia pelle ogni volta che ero consapevole mi stesse fissando.
Al termine delle lezioni (totalmente ignorate anch'esse), la mia rabbia e la mia frustrazione ebbero modo di esprimersi per un improvviso incontro.
-Bianca!- sentii richiamarmi da un'allegra voce familiare, -Bianca!-
Mi guardai attorno, a orecchie tese, e riconobbi il volto di Roberto in mezzo a quello degli altri studenti; non appena si accorse della mia reazione si avvicinò tra la calca di ragazzi.
-Hai un momento?- chiese, affabile come me lo ricordavo.
-Certo- sorrisi in risposta. Fui così rapida a rispondere senza pensarci troppo anche perché sapevo che Francesco non era molto distante, e quella era un'occasione più che opportuna per lanciargli una frecciatina. Avrebbe imparato cosa significava vedere la persona che un tempo gli stava a cuore flirtare con un altro ragazzo davanti ai suoi occhi.
-Hai finito anche tu adesso?- continuò cordialmente.
-A quanto pare- risposi ironica.
-Senti... beh, sono un po' imbarazzato a dirlo- disse poi con tono meno sicuro, portandosi una mano sul collo, -ma quel pomeriggio sono stato bene, insieme a te-
-Anche a me ha fatto piacere- gli sorrisi leggermente per incoraggiarlo, accorgendomi solo dopo quelle parole di stare iniziando ad essere un po' troppo confidenziale. “Terapia d'urto, Bianca, non è la cura” mi ripresi severamente, tenendo a freno le emozioni con la rigida cinghia della psiche e della logica.
-Allora... ti andrebbe di passare un altro po' di tempo insieme?- arrivò al punto, cercando una mia risposta sul mio viso.
-Quando?- sorrisi dolcemente.
-Adesso?- rispose lui quasi subito, al che scoppiammo a ridere entrambi un po' imbarazzati, -Scusa, non volevo essere precipitoso- si corresse poi.
-Non mi hai infastidita- lo rassicurai. Anzi, era quello che volevo sentirti dire.
-Allora... ti va bene?- chiese infine, guardandomi speranzoso.
-Certo- abbozzai un altro sorriso, allietata da quella domanda.
E sperai con tutta l'anima che Francesco ci stesse vedendo in quel momento.

 

-Bianca? Posso farti una domanda un po'... indiscreta?-
Stavamo camminando per la strada, senza una meta precisa, seguendo il corso dei marciapiedi e dell'asfalto.
Volsi il viso verso di lui, aspettando che continuasse.
-Dimmi- lo sollecitai per distoglierlo dall'imbarazzo. O forse era solo un incipit di introduzione. Non capii bene cosa volesse esprimere con quel tono.
-Potrei sapere... chi era il tuo ragazzo?- mi guardò in viso in cerca di una mia reazione.
Divenni istintivamente più restia, e non risposi. Potevo dirglielo? Sembrava essere affidabile... d'altra parte però, se non fosse stato per quel pomeriggio al bar, non potevo dire nemmeno di conoscerlo.
Roberto interpretò il mio silenzio, percependo la mia tensione.
-Non importa, se non vuoi dirmelo... Non credo sia...-
-No no, figurati- mi affrettai a interromperlo con garbo, -è solo che... non sto più dando importanza alla faccenda e preferirei non parlarne-
Sì, proprio non ci stai dando importanza, Bianca, c'è mancato poco che ci cadessi di nuovo dentro stamattina; sai proprio come ignorare con nonchalance, dovresti tenere un corso.
Scossi la testa per mandare via quelle ridicole osservazioni del mio amato cervello, e tornai alla realtà incontrando l'espressione perplessa sul volto di Roberto.
-D'accordo, non c'è problema- commentò, ma sembrava un po' deluso dalla mia risposta.
Iniziai a pensare che dopotutto non c'era motivo di tenerglielo nascosto così gelosamente, dato che avrei dovuto davvero non dargli più importanza, quando la sua voce mi richiamò dalle mie riflessioni.
-Conosci quel tipo?- la domanda mi suonò un po' perplessa.
Rialzai lo sguardo dal marciapiede.
-Chi?-
-Quello lì, ti sta fissando da quando abbiamo imboccato la strada-
Spostai lo sguardo nel punto indicato dal mento di Roberto e persi un battito.
Francesco.
Ovviamente chi altri potevo incontrare, quando mi ero decisa a dimenticarlo con tutte le mie forze?
Non ebbi modo di spostare altrove lo sguardo con decisione come avevo fatto quella mattina perché sentivo i miei occhi totalmente rubati dalla sua immagine, capace soltanto di restare a guardare.
Spostava lo sguardo da me a una ragazza al suo fianco, soffermandosi ad osservarmi per alcuni momenti; ma i suoi occhi non rivelavano nessun interessamento. Che fosse un abile seduttore glielo riconoscevo, ma addirittura passare da Carlotta ad una ragazza qualunque non l'avevo neanche calcolato.
Mi guardava con sfida, insidioso, quasi a provocarmi a guardarlo ancora.
Roberto continuava a guardarci entrambi senza capire, alla ricerca di qualche collegamento.
-È lui?- azzardò infine, intuendo la situazione.
Ma non lo stavo ascoltando.
Francesco rialzò ancora lo sguardo su di me: sembrava non fare minimamente caso al fatto che mi trovavo insieme ad un altro ragazzo, ma i suoi occhi serbavano rancore nei miei confronti.
Lo fissai stizzita, odiandolo come non mai.
La ragazza affianco a lui gli disse qualcosa, e lui tornò a rivolgerle il viso.
Tra loro ci fu un breve scambio di battute, poi la ragazza gli portò la mano accanto alla fronte, come per fargli una carezza, e lo vidi sorridere in risposta al suo sorriso.
Sentii ribollirmi il sangue dalla rabbia; lui non aveva problemi a rimorchiarsi una sconosciuta praticamente da un giorno all'altro, io invece a stento riuscivo ad uscire con un ragazzo che mi ritrovavo a pensare di nuovo a lui, mentre lui mi aveva completamente dimenticata.
-Bianca- mi richiamò inaspettatamente Roberto, con un tono semi serio, -lascialo perdere-
Mi voltai verso di lui, perplessa.
-Ho visto come lo guardi- continuò, serio, -E lui non ti merita-
Tornai a guardare Francesco, che stavolta non sembrava nemmeno far caso alla mia presenza.
Soltanto allora realizzai quanto mi avesse appena detto Roberto; presa com'ero non mi ero neanche accorta del peso di quella frase.
Non seppi se darmi prima dell'idiota o sentirmi imbarazzata per quell'uscita inaspettata.
-Oh beh... gr-grazie- balbettai stupidamente la prima cosa che mi venne in mente.
Il sorriso tornò a materializzarsi sul viso di Roberto.
-Ti va qualcosa da bere?- propose affabilmente, forse per sminuire la tensione.
-Ti ringrazio- mormorai un po' imbarazzata.
-Okay, aspetta qui- disse, prima di infilarsi in un bar situato poco avanti al posto in cui ci eravamo fermati. 
Dopo un po' che mi costrinsi a tenere la schiena alla scena melensa di Francesco e di quell'anonima sconosciuta tutta sorrisi e smancerie iniziai a guardarmi attorno, attendendo che Roberto ritornasse; stranamente, quando mi girai nella loro direzione non vidi nessuno.
Mi sorpresi quindi a cercare un certo qualcuno ovunque posassi gli occhi.
Piantala Bianca” mi rabbonii da sola gelidamente, “ti ha fatto soffrire e ti ha pure cornificata con Carlotta in persona. Non dovrebbe nemmeno esistere per te”
Rimasi a fissare altezzosamente un punto morto nel vuoto, come se potessi dimostrare la mia superiorità e la mia indifferenza in quel modo assurdo; o forse cercavo soltanto un appiglio a cui aggrapparmi per farmi forza.
Inutile dire quindi che non riuscii minimamente a concentrarmi e a restare ferma in quel modo, e fu forse per questo che quando un rumore dietro di me si fece più nitido e insistente ero totalmente reattiva a reagire. Un rumore di passi. Che si avvicinavano nella mia direzione. Non mi sarebbe nemmeno servito girarmi per capire chi fosse.
Mi voltai, assumendo un'espressione ferma e decisa nel vedere gli occhi di Francesco minacciare i miei con la sua presenza.
-Ah, guarda chi si rivede- sbottai con sarcasmo, incrociando le braccia sul petto, -Che cosa vuoi?-
-So perché mi fissi così- ignorò la mia provocazione, ma non riuscì a nascondere la stizza facendomi capire che gli stava costando un certo sforzo a non replicare a tono, -e sai, sarebbe carino da parte tua piantarla con queste cazzate-
Lo fissai con odio.
-La colpa è tua- sibilai, -dovresti essere abituato ad avere sbattuta una porta in faccia, è la tua specialità essere lo stronzo della situazione-
Feci per allontanarmi via da lui ma mi bloccò rapidamente per l'avambraccio con decisione, tenendomi ferma davanti a lui.
-Non ci hai messo molto a rimorchiarti qualcuno- commentò seccamente dando un'occhiata al bar.
Lo fulminai con lo sguardo.
-E tu allora?- chiesi con tono tagliente, -come mai tutto solo adesso? Che c'è, Carlotta è troppo avara con la sua virtù? O forse quella ragazzina melensa non ti soddisfa abbastanza?-
-Allora ti da ancora fastidio se me ne vado con un'altra- commentò suadente con un sorrisetto bastardo nascosto all'angolo del labbro destro.
Mi morsi le labbra dal nervoso.
-Ti avevo detto di non farti più vedere da me- sibilai sentendomi il sangue alla testa, -quale parola di “vattene affanculo” non ti è chiara??-
-Smettila di provocarmi- soffiò con voce gutturale, avvicinandosi pericolosamente al mio collo. Il calore del suo corpo mi rapì i sensi, offuscandomi la ragione.
-Sai bene quanto me che più mi fissi con quello sguardo più desidero prenderti ora, qui, in mezzo alla strada e sentire i tuoi gemiti entrarmi nelle orecchie...- sussurrò maliardo.
Sentii cedermi alla sua voce suadente, riprovando per un istante le stesse sensazioni che mi avevano totalmente rapito nel corso di quei mesi.
-Una volta ti ho chiesto una possibilità. E me l'hai concessa. Poi mi hai chiesto un po' di tempo. E te l'ho dato. Ma adesso, non m'importa cosa diamine sia successo, io ti desidero... E so che sotto sotto non hai mai smesso di desiderarmi anche tu...-
Le sue labbra ormai mi parlavano a un millimetro dall'orecchio, il suo respiro che mi sfiorava il collo, facendomi rabbrividire a fior di pelle.
-Perché non te ne vai da quella puttana, ci sono una marea di ragazze che aprirebbero le gambe solo per te...- lo provocai, ma in cuor mio speravo che non provasse nemmeno a farlo.
-Perché io voglio te- stavolta fece quasi toccare le sue labbra sul mio collo, provocandomi un brivido inaspettato, -le altre ragazze muoiono dalla voglia che me le scopi. Tu invece non cedi, non vuoi più neanche vedermi... Perché sai che ti saprei far raggiungere il paradiso solo con un tocco...- mi provocò di rimando.
Lo odiavo per come si era comportato, con tutta l'anima, ma non potevo fare a meno di provare un'attrattiva verso di lui. E per questo mi stavo detestando come non mai.
-Ancora una volta, Bianca- sussurrò maliardo, guardandomi negli occhi desideroso, -non ti chiedo nient'altro. Sai che lo vuoi...-
-Io non provo più niente per te- capii che non ero riuscita ad essere convincente dal tono insicuro con cui avevo pronunciato quelle parole, tentando di apparire ferma e decisa allo stesso tempo, -e se proprio vuoi saperlo mi sto vedendo con un ragazzo ora. Che mi ha fatto capire quanto sei stronzo e meschino- sottolineai le ultime parole con un tono incisivo, guardandolo fermamente.
-Non m'interessa- disse di rimando, -e comunque non potrai resistere a lungo... Perché tu mi vuoi-
-Non sarò la tua puttana, Francesco- riuscii a dire con tono più freddo.
-Staremo a vedere- chiuse la faccenda con tono deciso, allontanandosi da me proprio nel momento in cui Roberto tornava con due bibite dal bar.
-È successo qualcosa?- domandò perplesso.
-No- risposi fermamente, -è tutto apposto-
Ti odio Francesco. Ti odio.

 

 

 

Un piccolo appunto per scusarmi riguardo un disguido di trama e titolo con chi ha avuto modo di leggere il capitolo precedente in un primo momento, è piuttosto imbarazzate per me aver dovuto apportare modifiche solo dopo averlo postato. Ma in fondo, "errare humanum est" :)
Alla prossima lettura,
_Char

 

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Capitolo 20
*** A tutti i costi ***


                                                                          CAPITOLO 20

 

 

-Non va bene Bianca- commentò amareggiata Margherita, guardandomi dall'alto al basso con sguardo deciso, -non va bene per niente. Dovevi essere più spigliata e determinata nel farlo-
-Come se fosse facile essere sicure di sé alla sua presenza- borbottai ricambiandole lo sguardo, -prova a immaginarti nei miei panni, come faresti a respingere qualcuno che ti ha interessato fino a due settimane fa e che amavi con tutta te stessa? Capisco le tue ragioni, ma prova a vedere le cose anche dal mio punto di vista...- aggiunsi tristemente.
Di nuovo faccia a faccia, di nuovo nella mia casa.
Lo scenario era lo stesso, e l'argomento di discussione non si discostava molto dall'ultimo trattato in precedenza.
Lei restò in silenzio a braccia incrociate, e scosse la testa con disappunto.
-Potevi almeno fingere- replicò un po' contrariata, -se gli fai intendere che stai ancora cascando ai suoi piedi ti userà ancora. E finirà per convincerti a passare di nuovo un po' di tempo insieme nelle lenzuola del suo letto, invece che accennare un semplice saluto da quasi estranei-
Era già arrivato a chiedermelo.
Ciò accese una scintilla di rabbia dentro di me, e la fulminai con lo sguardo.
-Guarda che io non ho intenzione di andarci di nuovo a letto- dissi decisa, come a ribadire il concetto anche a me stessa, -nemmeno per una botta e via. Ci manca solo che gli faccia anche da puttana personale, adesso- incrociai le braccia come per rendere meglio la mia posizione restia.
-Anche... o ancora- mi corresse con tono fermo.
Un vuoto mi assalì le gambe, e nel guardare di nuovo i suoi occhi non potei fare a meno di vacillare anche con lo sguardo, come se la mia vista fosse vittima di un lieve annebbiamento.
-Adesso ti ci metti pure tu a farmi sentire una vera puttana- mormorai a bassa voce, abbassando sconfortata lo sguardo.
Margherita rimase a guardarmi un momento, prima di venirmi accanto e cingermi le spalle in un abbraccio.
-No Bianca, scusami... Non volevo dire questo...- mormorò con tono un po' ansioso, come se si affrettasse a ritirare ogni accusa, -Non sei una puttana... Non lo sei per niente-
-Sì invece- replicai afflitta, aggrappandomi con le mani ai suoi avambracci in cerca di conforto, -ho ceduto ai suoi desideri... Mi ha stregata con il suo charme, e io ci sono rimasta fottuta. Mi ha sedotta, niente di più. Ero la stupida che lo confortava ogni volta quando ne aveva bisogno, non ero nient'altro che la scopata sicura della notte per lui...-
-No, tesoro, no- mormorò Margherita stringendomi forte, -il puttaniere è lui. È lui che cerca ragazze in continuazione per sfogare i suoi desideri e soddisfarsene ogni volta. Tu non hai assecondato nessuno. Tu lo amavi. Ti sei donata a lui solamente quando hai avuto la certezza che non stava giocando con te. E forse... anche lui ti amava- disse poi un po' tristemente.
-Come fai a dirlo?- replicai, cercando di calmarmi.
Lei rimase in silenzio per un breve momento, come se stesse valutando se fosse meglio rispondermi o lasciare celate le sue motivazioni.
-Niente- disse infine lasciando correre; mi sfiorò la punta dei capelli con la mano.
-Adesso calmati, va bene?- disse addolcendo la voce, continuando a stringermi con tenerezza.
Annuii sulla sua spalla e mi lasciai stringere ancora un po' prima di tirarmi indietro; spazzai via le lacrime dagli occhi, più sicura di me stavolta.
-Stai bene?- chiese un po' incerta.
Annuii, con convinzione.
-A volte fa bene piangere per sfogarsi un po'- accennò un sorriso amichevole, -non vergognartene-
-Non per lui- ribattei con tono freddo, -ho sprecato troppo tempo ad angustiarmi per la sua stronzaggine-
Si soffermò per un po' a vedere il mio viso dai lineamenti induriti, che nascondevano la scia luminosa delle lacrime che sarebbero dovute comparire se non avessi impedito il fiume dalla sorgente.
-Brava Bianca, così mi piaci- disse approvante, -Per prima cosa devi togliertelo dalla testa. Guarda lui: se la sta già spassando con un'altra ragazza come se niente fosse. E credimi che non sta pensando più a te. Fa come lui, mi sembrava che Roberto ti stesse interessando...- continuò incuriosita.
-Beh sì, è una bella persona...- bofonchiai senza dilungarmi troppo.
-E anche carino- sorrise maliziosa, -Andiamo, non ti sto chiedendo se ti piace. Obiettivamente non è male... vi siete visti già due volte in meno di una settimana- mi fece notare poi, come per incoraggiarmi.
-Arriva al punto, Marghe, non mi va di giocare agli indovinelli- sospirai stancamente.
Sorrise in maniera accattivante, come se si stesse preparando ad annientare gli eserciti nemici senza pietà in una partita a Risiko.
-Fagli vedere quanto vali, se c'è una cosa che gli è piaciuta di te è il tuo non farti mettere i piedi in testa da nessuno- rispose provocatoria, -E lui rientra in questi nessuno, adesso. Battilo al suo stesso gioco. Più ti vede scoraggiata e sofferente più continuerà a fare il bastardo. Ritorna in te, Bianca- mi spronò, come un allenatore al suo atleta migliore prima della gara, -Adesso crede che tu gli sia ancora succube. Fagli recepire il messaggio che sei tu ad avere la meglio su di lui, in tutti i sensi-
Oltre a farmi riflettere le parole di Margherita mi fecero riacquistare più sicurezza e fiducia in me stessa.
-Cosa dovrei fare, quindi?- domandai interessata ascoltandola con attenzione, quasi deliziata da quella proposta.
-Ti ho già dato un indizio- gongolò con un sorriso ammiccante, con aria furbetta, -comunque se non ti va di pensarci troppo ti do la pappa già pronta-
Attese un istante prima di riprendere a parlare, come per creare un momento di suspance nei miei confronti.
-Frequentati un po' di più con questo Roberto... e... assicurati che lui lo venga a sapere...- disse infine, compiacendosi visibilmente della sua trovata.
Aggrottai le sopracciglia insieme ad un mezzo sorriso.
-Tra noi due la più sadica sei tu, a quanto pare- sorrisi divertita.
-Ti sto solo indirizzando sulla retta via- replicò umilmente, ma enfatizzando il tono in modo sarcastico, -ho già perso un'amica, tempo fa. E non voglio che succeda la stessa cosa con te- disse poi, graduando il tono in uno più serio e con sempre meno sfumature ironiche.
Capii a chi si riferisse, amareggiata.
-Margherita... devo... ringraziarti- mormorai seria, un po' abbattuta, -Se hai scelto di chiudere con Carlotta lo hai fatto per me. Non volevo metterti in questa situazione, non volevo che si arrivasse a questo punto per causa mia- iniziai, ma lei scosse la testa per interrompermi.
-È stata lei a mettersi in questa situazione. Ha scelto di tirarmi dentro solo per vendicarsi su di te. Se credeva che fossi una stupida solamente perché poteva contare sul mio appoggio senza farmi intendere niente di ciò che stava succedendo in realtà, ha sbagliato persona a cui affidarsi. Più il tempo passa più si apre un abisso fra noi: non credere che non intenda fargliela pagare, per mio conto. E poi dovevo sdebitarmi con te, per ciò che è successo. Semmai sono io nella parte del torto-
Mi limitai a fare un cenno di testa per chiudere l'argomento, come aveva fatto lei.
-Allora, vediamo un po' come prepararci a dovere- tornò ad avere un tono allegro, sfregandosi le mani con fare compiaciuto; mi misi a ridere non appena vidi la sua espressione furbetta.
Sembrava uno scienziato da laboratorio in procinto di creare la sostanza rivoluzionaria per un estinzione di massa dell'intera umanità, un'immagine piuttosto buffa vista la situazione.
-Senti, Roberto non è il mio fidanzato, non posso chiedergli di fare qualcosa con la facilità di chiedere mezzo chilo di pane al fornaio- replicai sarcastica.
-Alt alt, frena bella mia- alzò una mano per rabbonirmi, -Non ho detto che devi considerarlo il tuo fidanzato. Chiedigli di uscire insieme, e accertati che Francesco sia in giro da quelle parti.
Per il resto... hai capito dove voglio arrivare-
-E come faccio a sapere dove se ne va Francesco?- commentai con tono ovvio.
-Tu pensa a convincere Roberto- non si diede per vinta, -che a scoprire dove se ne va quello ci penso io-
-E come faresti, sono curiosa- dissi con tono petulante, sorridendo ironica.
-Ho più mezzi di quanto pensi- mi fece l'occhiolino con fare complice.

 

Non ero affatto sicura di poter giocare con nonchalance con Roberto allo stesso modo in cui faceva Francesco con una totale sconosciuta; forse perché non ero una che prendeva in giro chi si dimostrava carino e disponibile nei miei confronti come una certa persona.
Fatto sta che quella sera stessa Margherita mi chiamò al telefono, più entusiasta di me. Forse si sentiva un agente dell'FBI a compiere quell'impresa.
-Francesco andrà al Melancholia stasera con gli altri ragazzi- squittì euforica, -L'informazione è sicura, quindi vai tranquilla-
-Ancora non mi spiego chi sia il tuo informatore- sbottai perplessa, apatica rispetto al suo entusiasmo.
-Lo stesso che stando alle voci di corridoio ha un' infatuazione per me- ammiccò scherzosa.
Sgranai gli occhi.
-Hai chiesto a Mirko di dirti dove andavano?- esclamai sorpresa.
-Imparare a fare gli occhi dolci quando serve tornerà utile anche a te- rispose semplicemente.
Scossi la testa alzando gli occhi al cielo.
-Sbrigati se vuoi riuscire a raggiungerlo in tempo- mi sollecitò, -hai chiesto a Roberto se vuole accompagnarti a fare un giretto insieme, stasera?-
-Beh ha accettato... Ma non so che reazione abbia avuto... Gli ho mandato un messaggio...- mi schermii.
-L'importante è che ha accettato- sospirò, -i ragazzi tirano tardi, quindi puoi evitare di fare la brava bambina stasera, esci tardi... Anche perché non credo che tu e Roberto abbiate tanti argomenti di cui parlare, mentre aspetti il momento giusto-
Mi si dipinse in volto un'espressione apatica.
-Ricordati quello che ti ho detto oggi- mi ricordò tornando ad un tono meno frivolo, -puoi farcela Bianca. So che ce la puoi fare. Fagli recepire il messaggio e stop. Il resto riguarda lui-
Sospirai a labbra serrate.
-Sì- affermai, -ci riuscirò-
A tutti i costi.

 

La tensione che provavo al telefono non poteva essere minimamente paragonata alla tensione che mi faceva tremare le gambe una volta che incontrai Roberto nel luogo stabilito.
-Cominci a ripensarci su quello che mi hai chiesto?- Roberto azzardò la domanda quasi sarcasticamente, osservando con attenzione i miei movimenti.
-Perché me lo chiedi?- gli diedi un mezzo sorriso, un po' stranita.
-Sembri un po' tesa... Sicura di voler stare con me per una sera?- rispose placidamente.
-Non ci vedo nulla di male- risposi, avvicinandomi a lui, -Finora a qualche ora siamo sopravvissuti entrambi. Il numero di emergenza lo sappiamo- sdrammatizzai, e ci venne spontaneo ridacchiare alla mia battuta, un po' nervosi entrambi.
-Okay- sfoderò un sorriso amichevole sulle labbra, -hai già qualche proposta di dove andare o... ci teniamo così, sul vago?- chiese poi.
Non potevo chiedere un'opportunità migliore.
-Avevo pensato al Melancholia- iniziai a sbirciare l'espressione sul suo viso mentre parlavo, -ma se non ti va...-
-No, va bene- replicò affabile, -andiamo allora-
Mentre ci dirigevamo verso il locale di tanto in tanto occhieggiavo di nascosto il suo volto per carpirne qualche espressione che lasciasse trapelare il suo stato d'animo, ma sembrava essere tranquillo. Non sembrava infastidito dalla trovata.
Forse mi stavo facendo film mentali inutili; d'altra parte ero parecchio nervosa, ed è lecito sentirsi nervosi quando di lì a poco dovrai iniziare a mettere su un teatrino per far credere al tuo ex che vivi splendidamente la tua vita senza di lui e sei totalmente disinteressata alle sue conquiste.
A proposito, chissà se avesse portato anche quella ragazza tutta smancerie.
Meglio, così non avrebbe potuto nemmeno lasciarla lì su due piedi per venire a parlarmi; ci mancava solo che volesse anche parlarmi di nuovo.
-Come mai il Melancholia?- Roberto si decise a rompere il silenzio che ci accompagnava da dieci minuti.
Feci le spallucce.
-Così- dissi vaga, -mi andava di passarci un po' di tempo. Ci sei mai stato?-
-Chi non c'è mai stato almeno una volta?- rispose sarcastico, senza pronunciarsi troppo.
-Lo conoscono così in tanti?- mi stupii, anche se non mi interessava realmente sapere la frequenza di quel locale serale.
-Non tra le ragazze- mi diede un'occhiata un po' strana, -sono più i ragazzi che ci vanno... Anzi, forse solo i ragazzi-
Il suo tono aveva un non so che di allarmante per le mie orecchie.
-Perché?- chiesi con un lieve senso di preoccupazione.
-Beh- iniziò, ma poi si interruppe con un sonoro sospiro, come a darsi un incoraggiamento per proseguire, -a meno che tu non sia interessata ad alcool e ragazze facili non penso che hai mai avuto modo di entrare in quel locale-
Il genere di locali che si addicevano ad uno come Francesco.
Avrei dovuto immaginarlo.
Mi venne spontaneo imprecare sul perché Margherita si era limitata a indirizzarmi ad un locale del genere senza mettermi in guardia di che razza di posto fosse.
A notare la mia faccia a metà tra la sconvolta e l'interdetta Roberto si mise a ridere.
-Dai scherzavo- disse ridacchiando, -anche se ti ho detto mezza verità-
Sospirai, rincuorata. Non dovevo ancora uccidere Margherita, grazie al cielo.
-Che intendi per... mezza verità?- chiesi poi, perplessa.
-Il Melancholia si trova in un quartiere abbastanza... discutibile- mi guardò negli occhi come per leggerne la paura, -Quello che ti ho detto si trova nel bar in realtà si potrebbe trovare nei dintorni... Magari in altri locali...-
Mi sentii quasi rabbrividire a quelle parole, come se un vento gelido mi avesse perforato lo stomaco.
-Ehi- si accostò più vicino al mio viso, -non aver paura. Non volevo spaventarti-
Si fermò in mezzo al marciapiede, scrutandomi con attenzione.
-Parlavo un po' in generale... non volevo impaurirti- mormorò dolcemente, ponendomi una mano sul braccio con fare morbido.
Storsi le labbra rialzando lo sguardo sul suo viso, un po' allarmata sul serio.
-Ti ho fatto paura?- mormorò con tono comprensivo.
Abbassai lo sguardo, mentre i suoi occhi scuri mi guardavano dolcemente.
-Se vuoi andiamo da qualche altra parte...- mi rassicurò.
Non voglio andare da nessun altra parte se non dove si trova quel bastardo, ora”
-No, va benissimo quel locale- risposi convinta.
Sorrisi, e gli diedi un lieve bacio sulla guancia.
-Andiamo?- lo incitai dolcemente.
Sorrise come soddisfatto, e mi seguì sul marciapiede; ora che avevo avuto l'impressione che non gli desse tanto fastidio qualche carezza mi sentivo più sicura su quanto stavo facendo.
Arrivati al Melancholia mi misi a occhieggiare febbrilmente in cerca dei ragazzi, ma ovunque posassi lo sguardo non c'era nemmeno qualcuno che somigliasse a uno di loro.
-Cerchi qualcuno?- chiese Roberto un po' perplesso, notando le mie occhiate sospette.
-No, volevo solo controllare se ci fosse qualcuno che conoscevo- risposi dissimulando, terminando la mia ricerca nell'insuccesso.
Accennò con il viso all'interno del locale.
-Preferisci metterti fuori o entriamo dentro?- chiese.
Non avevo dubbi.
-Fuori, si sta più all'aria aperta e dentro fa troppo caldo- risposi sciolta.
Non stava andando molto male: sembrava che non avesse notato nulla di strano in me.
Ora dovevo solo aspettare.
Per un po' Roberto iniziò a parlare di qualcosa riguardante il locale, ma anche se fingevo di ascoltarlo la mia mente era totalmente assente, tenendo d'occhio la situazione con ansia.
Mentre parlava sviava di tanto in tanto lo sguardo altrove, e d'un tratto accennò un saluto con la mano alla sua sinistra.
Seguii il suo sguardo quasi in fibrillazione, e in quell'istante capii che avevo fatto centro; riuscii a voltarmi un istante dopo il saluto di Roberto, quindi non mi sfuggì il saluto ricambiato di Mirko e degli altri ragazzi della sua cricca. Finalmente.
Margherita aveva azzeccato in pieno a chi chiedere l'informazione.
Mirko si avvicinò a noi, con l'aria di aver ritrovato il suo figliol prodigo, e strinse con forza la mano di Roberto, afferrandola amichevolmente a mezz'aria.
-Ehi, guarda un po', chi non muore...- disse sarcastico, e i due ridacchiarono divertiti.
-Sei sparito da un po' dalla circolazione- riprese Mirko, guardando Roberto sorpreso e interessato, -che fine hai fatto?-
-Se tu non ti limitassi a stare solo con gli altri e conoscessi anche qualcun altro, avresti più posti dove passare il sabato sera- rispose con sarcasmo lui di rimando.
Solo allora rialzò lo sguardo sulla sedia opposta a quella di Roberto, e mi riconobbe come non aveva fatto in un primo momento.
-Ciao Bianca- mi salutò con un cenno di capo.
D'un tratto sembrò realizzare la situazione, e gli si dipinse in volto un'espressione perplessa.
-Ma tu non stavi con Francesco?- fece stupito.
-Non te lo sarai portato appresso, spero- bofonchiai con tono incisivo incrociando fermamente le braccia.
Lui rimase in silenzio per un po', valutando la mia risposta, ed infine sorrise compiaciuto.
-Ma guarda un po', persino Casanova ha fallito con te. Complimenti Bianca- mi porse la mano come per congratularsi, ma non mi diede nemmeno il tempo di muovere un muscolo che l'aveva già ritirata, -sai, sinceramente, se posso darti un consiglio da... amico- disse poi un po' incerto nel pronunciare l'ultimo appellativo, perché io e lui amici non eravamo mai stati, -Ammiro il fatto che non ti basti un bel corpo per farti cedere, ma ogni tanto lasciati andare altrimenti non coglierai mai l'occasione giusta per rimorchiarti il minimo ragazzo decente che ti fila dietro-
Diede uno sguardo complice a Roberto.
-Come questo baldo giovine, te lo garantisco io è oro- mentre parlava gli aveva messo una mano sulla spalla e gli si era avvicinato come se mi stesse suggerendo di ascoltarlo.
Roberto gli diede un'occhiata seccata.
-Dimmi un po', chi sarebbe questo “Casanova” di cui parli tanto?- sbottò, ignorando i suoi modi scherzosi.
Li osservai entrambi in silenzio.
-Bianca lo sa bene- rispose Mirko facendo una faccia furbetta nella mia direzione, -fattelo spiegare da lei-
Una mia occhiata omicida lo rabbonì all'istante.
-Okay, se ti vergogni tanto di dirlo ci penso io- alzò gli occhi al cielo fingendosi rassegnato, -allora, Robertino, la prossima volta che vedi quel bel giovane lì- lo prese per le spalle e lo fece voltare nella direzione degli altri ragazzi che parlavano tra loro, disinteressati a quanto stava succedendo al nostro tavolo, -Ricordati di dirgli soltanto “Come abbordare una bella tipa incontrata in meno di venticinque secondi per la strada: lezione uno” e capirà al volo. Digli che ti ho mandato io e stai apposto- gli diede due pacche amichevoli sulla spalla.
Lui osservò il ragazzo che Mirko gli stava indicando con un cenno di mano per alcuni istanti, come se volesse imprimersi la sua faccia nella mente.
Da parte mia non si sentiva nemmeno un respiro.
-Cioè è un rimorchiatore professionista?- fece Roberto ridandogli lo sguardo, tirandosi indietro sullo schienale della sedia.
-Già, peccato che non divulghi i suoi insegnamenti in mezzo ai suoi apostoli- commentò Mirko tornando un po' più serio, -Credimi, ti farebbe comodo-
-E perché?- fece sarcastico l'altro, al che Mirko lo riprese per le spalle e gli fece guardare nella mia direzione davanti sé.
-La vedi questa? Questa è una delle ragazze più toste che abbia mai conosciuto nella mia carriera amorosa. Non che l'abbia fatto personalmente, intendo, ma sa farsi rispettare, la bambina. Soltanto Francesco è riuscito a smuoverla- sbirciò la reazione di Roberto sul suo viso, -quindi appuntati su un bloc notes con chi stai uscendo la sera, giovane innamorato-
Io e Roberto ci guardammo perplessi per alcuni secondi.
-No, aspetta, vai piano- lo ammonì Roberto portando le mani davanti a sé come per schermirsi.
-Noi non ci stiamo affatto frequentando sul serio- mi affrettai a ribadire.
-Ah no?- fece Roberto tornando a guardarmi.
-Beh, cioè, sì- sentii avvamparmi in viso dall'imbarazzo della figuraccia, -però... ecco non...-
Mirko ci guardò compiaciuto.
-Ah ha... guarda guarda...- commentò sornione, -Devo avvisare gli altri allora... sopratutto il Gran Maestro-
Aveva una faccia da ebete da prendere a schiaffi.
Avrei anche evitato di trattenermi se Roberto non lo avesse allontanato con un gesto secco del braccio.
-La vuoi smettere di fare il cretino?- borbottò infastidito.
-Sì, sì- replicò Mirko senza dargli conto, allontanandosi di nuovo, -Ehi Bianca- si rivolse a me d'un tratto, -ricordati cosa ti ho detto, vai tranquilla- alzò entrambi i pollici e mi fece l'occhiolino con fare complice, tornando a raggiungere gli altri, mentre Roberto lo osservava scuotendo la testa.
-Due parole: Iannace. Tipico- commentò con tono grave.
Ridacchiai.
-Senti a proposito di prima...- disse poi tornando a guardarmi intensamente, -Quando hai detto che non ti interessava frequentarmi sul serio... Eri sincera?-
Mi sentii un po' a disagio: non mi dispiaceva affatto frequentarlo, e su questo ero sincera, ma in realtà non avevo mai pensato di frequentarlo seriamente, per poi arrivare un domani ad intraprendere qualcosa di più impegnativo. Sopratutto durante quella sera poi, il mio obiettivo era far ingelosire Francesco, non tanto uscire con lui.
-Volevo dire... insomma, Mirko ci credeva già interessati l'uno all'altra... Volevo mettere le cose in chiaro e fargli capire che in realtà ci stiamo solo frequentando un po'...- mormorai un po' abbattuta.
Lui sorrise dolcemente con gli occhi.
-Chi ti dice che non sia interessato a te?- disse con tono morbido, guardandomi intensamente.
Sentii che stavo arrossendo di nuovo. Per la seconda volta.
-Sai, avevo intuito anch'io fin dall'inizio che non eri una facile- poggiò i gomiti sul tavolo, avvicinandosi con il busto per parlarmi a tu per tu, -Forse è per questo che lo hai interessato-
-Chi?- finsi di non capire, cercando un modo per tirare in ballo l'argomento.
Lui fece un cenno di testa alla sua sinistra.
-Il tuo Casanova- commentò, con una nota di sarcasmo nella voce.
-Oh... lui- commentai senza espressione, voltandomi senza farmi notare troppo per controllare i suoi movimenti; Mirko stava parlando con i ragazzi che lo ascoltavano un po' tutti in generale, ma non mi sfuggirono alcune occhiate sospettose di Francesco nella mia direzione. O meglio dire, nella nostra direzione.
Almeno Mirko era servito a qualcosa; stava iniziando a funzionare.
-Ai ragazzi piace avere a che fare con una ragazza così di carattere- continuò con tono tranquillo, senza scomporsi troppo all'intensità delle parole, -però sai, devo ammettere... che quando ti ho vista piangere, in quel bar... E confrontando quello che è successo con quello che ha detto Mirko... Mi fai tenerezza- sorrise come intenerito.
Sorrisi un po' imbarazzata.
-Come mai?- chiesi stupidamente, non sapendo come uscire da quella situazione.
Lui rifletté un momento prima di rispondere.
-Forse perché ti descrivono come una ragazza forte e sicura di sé, ma io credo di essere stato uno dei pochi a vederti piangere in maniera così spontanea. Non penso che loro ti abbiano mai vista piangere-
Hai bisogno di qualcuno accanto a te... Sei così spaventata”
Il caldo mormorio della voce di Francesco mi ritornò in mente con amarezza.
-No- dissi fermamente, sbirciando nella sua direzione, -non mi hanno mai vista-
D'improvviso sentii qualcosa di caldo scostarmi i capelli dietro l'orecchio.
Mi voltai a guardare e osservai con mio grande stupore la mano di Roberto accanto al mio viso, ancora intenta nell'atto di sfiorarmi i capelli con leggerezza.
-Forse nessuno ti ha mai detto quanto sei carina- mormorò con un sorriso.
-Dai smettila- mi schermii imbarazzata, -mi stai solo facendo complimenti, non sono così perfetta-
E nemmeno così carina come diceva.
-Indubbiamente avrai anche i tuoi difetti- non cadde dalle nuvole lui, e con mio sollievo senza scendere troppo nello sdolcinato, -però non posso trovarti carina?- sorrise furbetto.
Sorrisi ironica.
-Stiamo parlando solo di me, perché non parliamo un po' di te?- feci allo stesso modo furbetto, suscitandogli un sorrisetto divertito.
La mia coda dell'occhio entrò in funzione e mi compiacqui nel vedere che Francesco ci stava ormai quasi tenendo d'occhio in maniera costante.
Ecco, adesso toccava a me vendicarmi.
-Per esempio questo tuo essere così comprensivo con le ragazze... Sai che Mirko non ha tutti i torti?- continuai con disinvoltura.
Rimase ad osservarmi interessato.
-Un dono di natura- commentò modestamente.
-C'è stata già qualche fortunata?- ammiccai con un lieve sorriso.
Sorrise di rimando.
-Alcune potrebbero vedere questo comportamento ideale solo per un amico- non si sbilanciò troppo nella risposta.
-Eppure secondo me alle ragazze interessa questo lato comprensivo nei ragazzi- proseguii facendomi più audace, -possibile che ti vedano tutte solo come un amico?-
-Tu come mi vedi?- domandò a bruciapelo, ma non riuscì a reggere a lungo l'espressione interessata che scoppiamo a ridere entrambi.
-... come un amico. Vedi, nemmeno tu sei interessata realmente a me- sorrise mestamente.
Avremmo potuto ribaltare la situazione, per una sera.
-Però ci stiamo frequentando- gli feci notare con aria vaga, -e ti ho già detto che trovo interessante un lato comprensivo nei ragazzi-
-Hai detto le ragazze in generale- mi corresse.
-Io sono una ragazza- sorrisi ammiccante.
Rimase un momento spiazzato, ma poi sorrise compiaciuto come aveva fatto prima per strada.
-Sai non è male...- mormorai avvicinando lentamente un dito alla sua mano rimasta a giacere sul tavolo, -una ragazza si sente protetta...-
Gli sfiorai con la punta del dito le falangi delle sue dita, guardandogli la mano come ammaliata.
-E a noi ragazze piace sentirci protette- continuai sullo stesso tono, tornando a guardare i suoi occhi con intensità.
Ora entrava in scena il tocco di classe.
Finsi di sbirciare nella borsa, come se avessi sentito un rumore, e presi il cellulare in mano con un'espressione perplessa.
-Potresti scusarmi un attimo? Mi è arrivata una chiamata...- dissi poi, con tono meno audace ma senza perdere lo charme.
-Certo, fa pure- disse lui senza scomporsi, al che sorrisi e mi avvicinai al suo volto mentre mi rialzavo.
-Grazie- gli regalai un sorriso e gli diedi un bacio sulla guancia, scostandomi poi da lui per raggiungere il bagno del locale all'interno.
Cercai Francesco tra gli altri ragazzi, e il mio compiacimento salì alle stelle quando notai con soddisfazione che quella scenata gli stava andando giù di traverso, e i suoi occhi infuocati di rabbia mi fissavano con astio.
Quando tornai dal bagno, qualche minuto dopo per non dare troppo nell'occhio, Roberto colse al volo l'occasione per intercettarmi prima che potessi sedermi.
-Sai, stavo pensando... Di andare a farci un giro un po' qui intorno, ti va?- chiese affabilmente.
D'improvviso mi ricordai quanto mi avesse detto sui locali lì in giro.
Mi vide restia e aggrottò le sopracciglia.
-Preferisci rimanere qui?- dedusse una mia risposta dall'espressione del mio viso.
-No, stavo solo... pensando a quello che mi hai detto prima- rivelai, sincera. Potevo anche dirglielo, dato che stavamo arrivando a parlarci in maniera più schietta.
-Ho solo detto che bisogna stare più attenti, in posti del genere, non che arriva un kamikaze pronto a farsi esplodere- disse con ironia.
Sorrisi.
-E comunque non sei da sola, sei con me- sorrise leggermente ammiccante.
Un'uscita di scena adatta alla situazione, senza ombra di dubbio.
Ci allontanammo dal locale, dirigendoci nella direzione opposta.
Poco dopo Roberto rallentò il passo nei pressi di un vicolo, non molto illuminato dai lampioni.
Mi misi istintivamente in allarme.
-Non preoccuparti, è una via secondaria sicura per tornare in centro senza passare troppo per le strade di questo quartiere- mi rassicurò con voce calma e controllata.
Mi vide diffidente.
-Fidati- incalzò tranquillo.
Lo seguii un po' incerta, turbata dall'oscurità e dal silenzio di quel posto; ad un tratto sentii un rumore secco e forte dietro di me e sobbalzai istintivamente, afferrandogli il braccio.
-Cosa c'è?- si voltò di scatto, un po' ansioso anche lui.
Rimasi ferma a guardare verso la strada.
-Non è niente- scossi la testa, -mi sto facendo prendere troppo...- dissi quasi più a me stessa che a lui.
-Ti ho detto che non c'è da preoccuparsi- mormorò accanto al mio viso, -Ci sono io a proteggerti-
Le sue parole mi arrivarono in un soffio all'orecchio.
Gli ricambiai lo sguardo negli occhi, e lui mi osservò intensamente.
-Hai paura?- chiese in un mormorio.
Scossi lievemente la testa.
-No- risposi.
Gli diedi un sorriso, che ricambiò.
La distanza dei nostri volti si era quasi azzerata.
Dietro di me sentii un altro rumore, familiare stavolta. Un rumore che si ripeteva a ritmo regolare, battendo sul brecciolino.
Mi voltai a guardare e scorsi qualcuno allontanarsi di spalle, senza mai voltarsi indietro.
Lo osservai per alcuni momenti, fiera di vederlo così lontano da me.
Segnati questo punto sulla tua lista, Casanova” pensai con sarcasmo.    

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Capitolo 21
*** Insegnami ad amare ***


                                                                           CAPITOLO 21

 


Francesco POV

 

Non sarò la tua puttana, Francesco”
Gli occhi di Bianca fiammeggiavano puro odio, le labbra inferiori arrossate dalla foga con cui si era morsa il labbro.
No, su questo aveva ragione. Non avrebbe fatto la puttana solo per soddisfare sé stessa. Anche se sapevo che ci mancava poco così per farla cedere.
Qualcuno ritiene che l'arte del donnaiolo, del seduttore e dell'approfittatore siano doti che s'imparano dopo una dura lezione di vita, dopo che sei stato gettato a terra con un calcio nello stomaco da ciò che i mortali chiamano amore.
Ma non era così, per me. Essere un seduttore, far cadere le ragazze ai miei piedi, non aveva niente a che fare con la vendetta o la rabbia repressa. Ero così di natura.
Mi piaceva la bella vita, lasciarmi andare ai piaceri che essa riservava.
Praticavo solo ciò che fino ad allora credevo fosse chiamato vivere.
Le notti passate con gli amici, le donne, il sesso.
Era tutto così semplice, senza rimorsi e senza vergogna.
Sopratutto l'amore. Quando mi calai in quest'avventura, in questo tunnel senza fine e senza uscita, avevo diciassette anni. E Monica ne aveva altrettanti.
Uno a diciassette anni non è che se ne sta con le mani in mano: la prima volta era stata con lei.
Eravamo andati avanti così per circa un anno, tempo in cui le fondamenta del nostro rapporto si basavano unicamente sull'appagamento e il piacere dei sensi.
Poi era arrivata Bianca.
Quella ragazza riusciva a mandarmi in confusione solo a vederla.
C'era qualcosa in lei che mi attraeva, eppure mi metteva in guardia: come un fuoco indomato, che ti affascina per la sua esplosione di fiamme ma devi stare attento a non avvicinarti troppo per non bruciarti. Ben presto capii cosa fosse.
Lei sapeva che non esisteva sesso senza amore, e lo sapeva in maniera così spontanea che ne restavo quasi interdetto, spiazzato di fronte a tanta certezza.
Dentro di me ardevano desiderio e curiosità.
Desiderio.
Era una figlia del fuoco, imprendibile, sfuggente. Proprio ciò che riusciva a farmi salire la bramosia a mille. Più di una volta mi ero ritrovato a svegliarmi in piena notte, sudato, dopo aver immaginato di riuscire a prendere quel fuoco. Volevo sentire quella carne bruciare sotto di me.
Curiosità.
Per quel suo modo di vedere la realtà, così estraneo al mio.
Un tempo avrei lasciato correre ogni cosa, ritenendo questo comportamento solamente da frigida e in astinenza da emozioni forti, ma non riuscivo a pensare lo stesso per Bianca.
Era impossibile che una ragazza come lei fosse a tal punto frigida da nascondere le sue insicurezze e le sue incertezze dal farsi una bella scopata dietro la scusa del “sesso senza amore”.
C'era qualcosa in lei di autentico.
Lo sentivo a pelle. Lo sentivo bruciare come fuoco; lo stesso fuoco che emanava la sua essenza.
Bianca mi aveva stregato.
In breve tempo mi accorsi che desideravo soltanto seguirla e comprendere come riuscisse a pensarlo, come potesse vivere con quella certezza.
Niente è certo a questo mondo. Ma lei non la pensava allo stesso modo.
Bianca era la chiave per rispondere ai miei interrogativi irrisolti.
Stava andando tutto alla perfezione, ed ero quasi giunto a una risposta certa.
Se non fosse stato per quella sera.
Margherita, la prova vivente che esiste ancora un sentimento ad unire un'amicizia, mi aveva chiamato alla sprovvista nel bel mezzo dell'autostrada, limitandosi a dirmi che Bianca stava andando giù di testa e su ad alzare il gomito in uno squallido locale notturno.
E le mie certezze e risposte s'incrinarono come un pezzo di vetro lesionato da una scheggia appuntita.
La domanda era: è meglio restare su una spiaggia sicura o buttarsi a capofitto nel vuoto soltanto per soddisfare una curiosità su quel senso di ignoto, continuando a cercare una risposta che forse non sarebbe mai venuta? La mia testardaggine decise il resto.
Una stretta di rimorso mi opprimeva ogni volta che la vedevo dormire sul mio letto, serena nell'incoscienza e nella confusione.
Ma insieme al rimorso si stava accendendo in me anche un altro sentimento; non appena quelle emozioni divennero sempre più in sintonia con il cuore che con la mente, capii che quelle emozioni erano una cosa diversa, nuova eppur ricordata in passato.
Avevo amato Monica, ma ora sentivo che c'era qualcosa di diverso.
Qualcosa che non riuscivo a spiegarmi.
L'amore del sesso e l'amore della confusione, dell'incertezza, del dubbio.
D'un tratto, anche la mia spiaggia sicura divenne un deserto.
Un deserto silenzioso, arido, secco.
Senza più nemmeno una brezza di vento.
In quell'immagine leggevo il tempo che si fermava, che stava rallentando per darmi una scelta.
Potevo continuare a far finta di niente, trascorrere i giorni a venire come se niente fosse successo, oppure potevo prendere lo slancio e spingermi finalmente a soddisfare le mie domande.
Non ero certo di potermi fidare di lei: se l'avessi fatto le avrei permesso di prendere il sopravvento su quelle emozioni, ed io, un animale selvatico che non doveva dar conto niente a nessuno, non le avrei dato l'opportunità di comprendere il mio cuore così facilmente.
Ero uno spirito libero: nessun legame mi avrebbe incatenato a delle scelte.
Il suo sguardo irato il mattino dopo, i suoi singhiozzi e le sue lacrime che le scorrevano lungo il viso, il suo sorriso che mi lasciava interdetto ogni volta.
Qualcosa dentro di me voleva che prendessi quella scelta.
Il sangue che mi pulsava nelle vene.
Quando è il desiderio a possederti, perdi completamente la testa.
Mi aveva fatto perdere ogni lucidità mentale, suggerendo al mio subconscio di prendere quel fuoco tra le mani senza timore, lasciandomi guidare da lei. Ero rimasto ammaliato come uno sventurato marinaio in balia di un'incantevole sirena, rapito dal suo dolce canto.
Solo in seguito il marinaio riuscì a svegliarsi dall'insidia della sirena: lei voleva che restasse con sé per sempre. E il mio istinto tornò passo dopo passo a riprendere il sopravvento.
Ma se io ero uno spirito libero, Bianca era uno spirito ribelle: quella dannata ragazza era fatta per primeggiare, come un vero comandante. Riusciva ad essere dolce e amorevole quanto pericolosa come un serpente. Bella quanto temibile e incostante.
E il mio spirito dannato non poté negare di essere rimasto ancora succube al suo fascino: per quanto m'imponessi la realtà di essere libero da ogni vincolo verso di lei, non riuscivo a non pensare che era stata la stessa persona che mi baciava e mi accarezzava in un letto, una volta.
Non sarò la tua puttana, Francesco”
No, piccola, tu non saresti mai stata la mia puttana. Perché io non volevo scoparti, non volevo sentirti gridare e lasciarti sfinita tra le lenzuola di un letto.
Volevo vedere ancora quella luce nei tuoi occhi, sentire le tue mani coccolarmi per tutto il corpo, sentire ancora una volta la tua voce sussurrarmi che, per te, esistevo solo io e nessun altro sarebbe riuscito a portarti via da quel letto, non nel mio stesso modo.
Malgrado tentassi di rifiutarlo e di nasconderlo a me stesso, ti avevo permesso di conoscere il mio cuore nel modo più profondo, ed era successo nello stesso modo spontaneo con cui tu credevi che non ti saresti lasciata andare con nessuno se non per amore.
Quando capisci di voler fare l'amore, invece di voler fare sesso, capisci di essere caduto in quel tunnel.
E in quel momento capii di non doverla più cercare, amareggiato con me stesso per aver permesso al fondo di quel tunnel di diventare il terreno su cui camminare.
Avevo vissuto credendo nel sesso, non nell'amore.
Dovevo tornare ad essere quello che ero sempre stato.
E se era al sesso che dovevo finire, non avevo bisogno di lei per farlo.

-Sì tutto bene- cinguettava seraficamente Letizia nell'altra stanza, intenta a parlare a telefono, -come vanno gli studi?-
Rivolsi lo sguardo su di lei, interessato da quella parola. Studi?
-È Federico?- le feci sottovoce.
Lei annuì, lasciandomi piacevolmente sorpreso.
-Okay... va bene, ti lascio studiare allora- disse dopo un po', intenta a chiudere la chiamata.
Non le diedi nemmeno il tempo di scostarsi il telefono dall'orecchio che glielo strappai di mano, lasciandola sinceramente esterrefatta.
-Ma che cazzo...?!-
-Federico- dissi con voce forte a telefono, ignorando la sua reazione allibita, -sei ancora lì?-
-Sfortunatamente sì- sentii rispondermi dall'altra parte con tono calmo.
-Devo parlarti- continuai, non facendo caso agli sguardi perplessi di Letizia.
-Fammi indovinare, non ha funzionato rimorchiarti una bella tipetta- gongolò mezzo compiaciuto, -guarda guarda, il mio fratellino alle prese con una relazione seria...-
-Vaffanculo- lo rabbonii, lasciandomi sfuggire uno sguardo astioso nonostante non potesse vedermi a telefono, -si può sapere che cazzo devo fare?-
-Non abbatterti, fratellino- mi consolò fraternamente Federico, -è ora che passi un po' più di tempo nel mondo degli adulti-
Ascoltai in silenzio.
-Ti conviene farti un giretto in discoteca o dove sai che puoi spassartela indisturbato- continuò con tono affabile, -E ringraziami, perché non lascio detto niente al caso. Te la ricordi quella discoteca di cui ti parlavo sempre quando tornavo lì a casa dopo gli esami? Vai lì, goditi un po' la bella vita... e domani mattina dimmi come ti senti. Tranquillo, che non accenno niente a mamma e papà- mi canzonò alla fine col tono da fratello maggiore, come se avessi appena rubato la macchina e le chiavi a mio padre per farmi un giro senza patente.
Fulminai il ricevitore con lo sguardo.
-Puoi anche smetterla di trattarmi come un deficiente, ho solo due anni in meno di te- dissi piccato.
-Calmati, fratellino, e ascolta tuo fratello maggiore. Credi che non sappia cosa combini giù a casa? Ti ho istruito a dovere, non puoi rubare i segreti al vero maestro- si pavoneggiò senza perdere la sua cordialità.
Sospirai con fare scontroso, nonostante l'affabilità di mio fratello mi avesse sinceramente sollevato, sentendomi tornare ai nostri vecchi tempi.
-Trovati una bella compagnia con cui passare la serata... e trattieniti per un drink a casa sua, se te lo offre. Non credo che con quel faccino avrai problemi a conseguire l'impresa- continuò scherzoso.
-Una botta e via, insomma?- riassumei.
-Non consumartela troppo- mi raccomandò con tono ammonitore -forse non sei andato abbastanza a fondo... devi togliertela dalla testa- m'incitò facendomi riflettere sulle sue parole.
Attesi un momento prima di replicare altro.
-Dove si trova questa fantastica discoteca?-

 

 

Due ore dopo

 

 

-Ehi- mi richiamò una ragazza avvicinandosi a me, -non ti ho mai visto qui. Sei di queste parti?-
La prima cosa che mi calamitò di lei furono i suoi occhi e i suoi capelli. Di un intenso marrone cioccolato. Il viso dai lineamenti dolci, un corpetto che le risaltava i seni sui pantaloncini corti.
-In genere le belle ragazze come te le trovo anche da qualche altra parte- ammiccai, -tu invece ci vieni spesso?-
-Ogni tanto- sorrise radiosa, -Quando voglio svagarmi un po'-
Non replicai.
-Sono Laura- si presentò porgendomi una mano.
-Paolo- dissi di rimando prendendogliela nella mia; meglio stare sul sicuro. Una copertura ben saldata dal primo istante mi permetteva di svincolare con maggior facilità.
-Ti va qualcosa da bere?- m'incoraggiò senza perdere il sorriso.
Andava subito al sodo.
-Solo se posso offrirti qualcosa in cambio...- mi avvicinai a lei di modo da passare a una conversazione a tu per tu.
L'espressione sul suo viso dava a vedere un assenso ben predisposto.
Una bella moretta in meno di cinque minuti da quando ero entrato in quella discoteca.
Non male come inizio.
Tre giri dopo iniziava già a dare i primi segni di un principio di sbronza.
-Hai una ragazza?- chiese con uno strano sorriso, dovuto ai bicchieri di alcool troppo pieni.
-No- risposi senza pensarci troppo, -e scommetto che il tuo ragazzo mi sarebbe già piombato addosso prendendomi a calci se fosse anche lui in discoteca-
Capì il senso della mia frase e si mise a ridacchiare.
-Che intuito, tesoro- fece beffarda.
Mi scolai un altro bicchiere di mojito .
-Sai la tua ragazza sarà molto fortunata, quando arriverà...- disse con tono vezzeggiante guardandomi dolcemente, già mezza appoggiata sulla mia spalla.
Le sorrisi allusivo.
-Sei davvero carino- riprese con lo stesso tono, avvicinandosi al mio volto per stamparmi un lieve bacio sulle labbra.
L'alcool iniziava a funzionare.
Ridacchiai silenziosamente.
-Davvero?- le portai una mano al fianco senza perdere l'occasione, sentendomi annebbiare nel frattempo la lucidità della mente.
-Mh hm- continuò a sorridere dolcemente, guardandomi con un uguale riguardo negli occhi.
Si appoggiò nell'incavo della mia spalla, chiudendo gli occhi con fare serafico.
-Oh- finsi un tono sorpreso, sfiorandole la testa accanto alla fronte, -qualcuno sta cominciando ad avere sonno...- mormorai morbidamente, suscitandole una lieve risata senza che riaprisse ancora gli occhi.
-Ti porto a casa?- mormorai dolcemente, abbassando le labbra accanto al suo orecchio; quando riaprì gli occhi capii immediatamente che era fatta.


Le dita della sua mano scorrevano sulla mia nuca, facendomi rabbrividire dal piacere.
Scivolai sul suo collo, dedicandomi a baciarle la scollatura del corpetto prima di farglielo scivolare via con un gesto abile delle mie mani, mentre lei respirava ansante sul mio collo.
Sentii le sue labbra baciarmi il collo, nel frattempo che con le dita continuava ad accarezzarmi e a massaggiarmi la nuca; la presi per le cosce, facendola ricadere sul divano dietro di lei.
Mi sollevò la maglietta desiderosa, baciandomi gli addominali per poi risalire sui pettorali, arrivando a togliermela del tutto. Approfittai della posizione per sganciarle il reggiseno, permettendomi di bearmi per un momento della vista dei suoi seni e del suo corpo, mezza nuda sopra di me. Continuò a baciarmi le labbra, lasciandosi accarezzare la schiena nuda.
Le sbottonai il pantaloncino nello stesso attimo in cui la sua mano scivolò sul cavallo dei miei pantaloni, accarezzando il mio membro senza ancora privarmi dei jeans.
Bianca. Sentivo la sua mano coccolarmi in quel modo.
Per un momento si spense ogni ardore, lasciandomi un vuoto sia nella mente che nel mio basso ventre, ma non durò a lungo; niente pensieri.
La portai sotto di me, sentendo di dover riprendere in mano la situazione.
Nessuna emozione.
Approfittai di un suo breve momento di spossamento per infilare un preservativo.
Goditi questa vita.
Quando fummo abbastanza accaldati da poter proseguire la penetrai senza pensarci troppo, continuando a sostenere il ritmo dettatomi dalle sue urla di piacere, lasciando vivere soltanto i nostri desideri l'uno sull'altra. Rallentai soltanto quando ebbi la certezza che fosse venuta, mentre ancora gemeva in preda agli spasmi di godimento.
-Sei l'amante ideale- sospirò ancora scossa dall'orgasmo.
Mi sfiorò il petto con le dita, lasciandomi abbandonare sullo schienale.
-Sai come trattare una ragazza...- mormorò avvicinandosi al mio petto.
Mi cinse l'addome con l'avambraccio, dopo avermelo accarezzato dolcemente con le dita.
La guardai accoccolarsi beatamente sulla mia spalla, sfiorandole i capelli oltre la spalla.
Amareggiato.
No, non sapevo come trattare una donna. L'amante ideale non è quello che ti fa godere come una dannata per una sola notte, sparendo dalla circolazione non appena si fa giorno. Le donne non hanno bisogno di amanti, per sfogare i loro desideri rimasti celati con il marito o il ragazzo; i loro uomini dovrebbero già essere i loro amanti.
E solo allora capii che se anche avessi fatto raggiungere altre due, tre, cento ragazze l'orgasmo procurando loro la pace dei sensi non sarei mai stato in grado di amare davvero.
Bello e dannato, ecco qual'era il mio destino.
Incapace di vivere in solitudine, incapace di amare.
C'era stata una persona, e una soltanto con cui riuscivo a fare sesso senza sentirmi vuoto dopo aver soddisfatto ogni passione. Perché lì c'era qualcos' altro.
E in quel momento capii cosa dovevo fare. 

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Capitolo 22
*** Heaven out of hell ***


                                                                    CAPITOLO 22

 

 

-Allora, come è andata ieri sera?-
Rimasi in silenzio, la mia mente totalmente vuota e assente dal dargli una risposta.
-Solito- risposi poi con una certa lentezza, come se avessi la voce impastata dal sonno.
-Cos'è questo tono stanco? Mi chiami da casa o sei ancora nel letto di qualche amabile sconosciuta?- continuò Federico con il suo solito tono canzonatorio.
Mi limitai a sospirare.
-Per cominciare sei stato tu a chiamarmi- gli ricordai , -e comunque sono a casa, ti pare che sia ancora nel letto di quella?-
-Andiamo, era per dire- si schermì con disinvoltura, -quindi, tutto bene? Ti senti meglio?-
Non risposi.
-Sei silenzioso come un convento stamattina. Che è successo, ti ha tagliato anche la lingua?- riprese.
-Sono solo un po' frastornato, è normale di ritorno da una discoteca- borbottai strizzando gli occhi.
Federico fece uno strano suono, come quando si schiocca la lingua contro i denti in un modo di dissenso, e mi prese in contropiede.
-Dimmi come è andata. Senza farti troppi problemi, sii un libro aperto. In fondo possiamo parlarne apertamente, no?-
Parlarne apertamente; se solo avesse potuto vedere dentro di me avrebbe visto tutto fuorché un libro aperto. Ero più un libro chiuso, sigillato anche alla mia comprensione.
-Beh lei c'è stata. È successo a casa sua, poi me ne sono andato. Che c'è da dire?- dissi infine.
-E che cosa hai provato? Nulla di strano?- incalzò interessato.
Mi presi un momento prima di rispondere.
-Niente- mi ritrovai a parlare con una voce d'oltretomba, come se fossi stato distante dal ricevitore.
-Niente?- ripeté, assecondandomi.
Il vuoto ci avvolse.
-Niente di niente? Cioè è tutto normale? Non ti faresti problemi ad andartene con un'altra tipa stasera stessa?- insistette ancora.
Le mie labbra si rifiutavano di muoversi, bloccate da una pietra troppo solida e spessa da poter contrastare.
Sentii Federico sospirare dall'altra parte del telefono, e qualcosa mi assalì come un senso di colpa ingiustificato.
-C'è stato un momento- mi accorsi di dire con rapidità, -in cui credo... di aver sentito qualcosa, in realtà-Nemmeno un rumore da parte sua.
-Che cosa?- domandò poi secco, con tono deciso.
Una sottile tensione cresceva nel silenzio del mio respiro.
Scossi la testa più volte.
-Niente- mormorai.
-Che vuoi dire con “niente”?- fece perplesso, ma anche un po' inquieto, -che significa?-
Mi sforzai di fermarmi a riflettere prima di rispondere impulsivamente, sentendo crescere la tensione nel mio corpo.
-Niente, Federico. È questo il punto. Non ho sentito niente. Dopo esserti fatto una scopata ti senti appagato, no? Dovresti sentirti in pace con te stesso. Ma non è successo. C'era come qualcosa che me lo impediva- spiegai nervoso.
E io credevo anche di sapere a cosa era dovuto.
Ma avevo paura ad ammetterlo.
Paura come un cane.
-Hai pensato a lei?-
Stavolta il tono di mio fratello era più calmo.
Aggrottai le sopracciglia.
-Cosa?-
-Mentre eri lì, a letto con quella ragazza, hai pensato a lei?-
Non c'era bisogno di un chiarimento per capire a chi si riferisse con così tanta decisione.
Abbassai lo sguardo sul pavimento, come se potesse suggerirmi cosa dire.
-Sì- dissi infine con amarezza, chiudendomi poi nel silenzio più totale.
Nemmeno Federico disse qualcosa per un breve momento, ma poi lo sentii sospirare soddisfatto.
-Mph- mi sembrò addirittura che sorridesse, -il mio fratellino è innamorato-
Rimasi a tal punto sorpreso dalla sua reazione che quasi non diedi conto alle sue parole.
Si lasciò andare ad una leggera risata.
-Come sei tenero, Franci, sei proprio un amore- commentò a metà tra il finto commosso e l'ironico.
Sospirai a fondo, in cerca dell'auto-controllo che mi avrebbe impedito di scaraventare il telefono a terra.
-Se non la pianti di fare il deficiente giuro che vengo lì a Firenze e ti spacco il culo a calci, è chiaro??- ribattei sentendomi scattare i nervi.
-Risparmia il biglietto e resta dove sei- il tono improvvisamente serio che assunse Federico mi lasciò sinceramente sorpreso, per la seconda volta. -Ascoltami Francesco. Adesso con attenzione-
La voglia di assalire mio fratello scomparve all'improvviso così come era comparsa.
-Ora voglio parlare seriamente con te. Apri bene le orecchie e stammi a sentire-
Non replicai, accorto a captare ogni vibrazione della sua voce.
-Le hai mai detto di amarla?-
Un'attenta ricerca nei ricordi scattò prima ancora che potessi avere il tempo di assimilare la frase più di una volta.
E mi ritrovai a scuotere nuovamente la testa nell'insuccesso.
-No- dissi infine.
No.
-Davvero mai?- sembrava sorpreso, -per tutto il tempo che siete stati insieme non le hai mai detto di amarla?-
Forse si stupiva più immedesimandosi nei panni di Bianca che nei miei; una ragazza ha bisogno di sentirselo dire, almeno una volta. Ma non era mai successo. Se non...
-È successo solo una volta- replicai, -era così impaurita che ho dovuto dirglielo. Ma in realtà... mi è venuto così spontaneo che non ne ho avuto davvero l'intenzione-
-Quindi non lo pensavi davvero?- concluse con tono comprensivo.
-Non lo so- ammisi, sinceramente.
-Se potessi tornare indietro glielo diresti di nuovo?-
Guardai nel vuoto di fronte a me, e stavolta avevo la risposta ben chiara nella mia testa.
E nei miei sentimenti.
-Io voglio dirglielo adesso. Non ha importanza averglielo detto quella volta-
-Allora sai cosa devi fare-
-Non credo di essere pronto per questo- mormorai amareggiato.
-Pronto per cosa? Per amare seriamente? Fammi capire una cosa- disse lui senza mutare tono, -tu che cosa vuoi davvero, Francesco? Credi di essere immortale, di poter vivere la tua vita con tutta questa spensieratezza e senza criterio, è così che la pensi? Pensi che la notte sia giovane, che ti divertirai per tutti gli anni della tua vita senza prendere niente sul serio?-
Rimasi in silenzio, sentendomi non poco chiamare in causa.
-Puoi trascorrere la tua adolescenza così, la tua prima giovinezza. Ma un giorno, quando arriverai a trent'anni e ripenserai a tutte le ragazzate che hai combinato in quegli anni, rimarrai soltanto deluso da ciò che hai fatto. Quelli che chiamavi amici un giorno potrebbero non essere più al tuo fianco; il tempo che hai sprecato potresti rimpiangerlo, perché non ne avrai più; e la ragazza che ti amava potrà averti dimenticato, perché non l'avevi mai amata-
Si fermò, dandomi il tempo di cogliere appieno la profondità di quelle parole.
-È questo che vuoi?-
Continuai ad ascoltarlo, amareggiato.
-Pensaci bene, Francesco.
Perché questa risposta determinerà chi sei veramente.
-Vuoi davvero mandare tutta la tua vita a puttane?- la voce di mio fratello mi suonò quasi come una sfida. 
-Parla quello che è stato il primo a dirmi di andarmene a puttane in una discoteca- gli rinfacciai allora, stanco di dover subire tutte quelle accuse senza diritto di difendermi.
-Ma ti è servito a capire che nonostante tutto provi qualcosa per lei, o mi sbaglio?- replicò dopo un momento, quasi avesse riflettuto su cosa dire.
Toccò a me restare in silenzio.
-Tu volevi sin dall'inizio che si arrivasse a questo?- azzardai poi, giungendo al termine delle mie riflessioni. 
-No, io non ne sono responsabile. Io ti ho soltanto aiutato come avrei fatto in qualsiasi altra situazione; tu hai fatto il resto. Se non sei riuscito a non pensarla ieri notte non è stato per causa mia- rispose lui, con tono calmo.
Sapevo che arrivati a quel punto non avrei dovuto dire nient'altro. Dovevo solo ascoltare.
-Se questa ragazza è così speciale per te, va da lei. Adesso. E diglielo. E se ti ama ancora... potrebbe perfino perdonarti. Le donne sono pazze, Francesco, riuscirebbero a fare cose impossibili per chi sta loro a cuore. Solo per amore. Questa ragazza deve aver sofferto tanto, io al suo posto non so cosa avrei fatto. Ed ha sofferto per te-
Uno squarcio mi lacerò il petto esattamente all'altezza del cuore.
-Tu non vuoi che lei si meriti questo, lo so di certo. Perciò va da lei, e prenditene cura. Perché so che in fondo, anche se non lo ammetteresti mai, tu vuoi questo. Non perdere l'occasione, Francesco, perché il treno non passa due volte. L'hai già persa una volta; non è sicuro che possa esserci ancora, quando ti accorgerai che sarà troppo tardi-
Aspettavo il suono di fine chiamata provenire dal suo telefono, ma invece di un clic sentii nuovamente la voce di Federico.
-Un'ultima cosa-
Il telefono scottava sulla mia pelle.
-Se davvero ti ama ancora congratulati con lei da parte mia. Perché deve essere proprio innamorata pazza per farlo-
Serrai le labbra, senza dire una parola.
E stavolta sentii il rumore di fine chiamata rimbombarmi nella testa.

 

 

 

 

 

Bianca POV

 

Il telefonino vibrò sulla scrivania con un sibilo serpeggiante.
Rialzai la testa dalla pagina del libro e sciolsi le gambe dalla posizione intrecciata per dirigermi verso la scrivania; quando presi in mano il telefono e lessi sul display il mittente non potei fare a meno di aggrottare le sopracciglia in un moto di perplessità: Roberto. Che cosa voleva da me a quell'ora?
Avviai la chiamata e mi avvicinai il telefono all'orecchio:
-Pronto?- dissi senza nascondere la mia incertezza.
-Ciao, sono io- la voce di Roberto non sembrava nervosa, -ecco, so che non è opportuno chiamarti a quest'ora ma non l'avrei fatto senza un motivo; ricordi quando siamo andati in quel bar, l'altra volta, aspetta... il Melancholia?-
Parlava lentamente, come se stesse cercando le parole giuste per esprimersi meglio.
-Sì- asserii, rivivendo alcune immagini di quella sera nella mia testa come un inevitabile flashback, -e quindi?-
-Beh, ecco... quella sera ho dimenticato una cosa lì al locale. Volevo andare a prenderla da solo ma poi ho pensato che forse i gestori potrebbero non ricordare la mia faccia, e se venissi anche tu potresti agevolare la situazione... Una volta sei entrata dentro per andare in bagno, ricordi? Da lì ho pensato che forse... potrebbero ricordarsi di entrambi, vedendoci insieme...-
Nonostante tentasse di nascondere la sua agitazione si intuiva perfettamente che non era così calmo come voleva farmi credere.
-Capisco- biascicai, in attesa che continuasse a spiegarsi.
-Quindi per te va bene?- chiese poi, intuendo di dover riprendere la parola.
-Ma certo, non è un problema- lo rassicurai con tono cordiale, -dimmi solo quando vuoi andare e andiamo-
-In realtà io... intendevo adesso- disse poi, un po' perplesso nel dover correggere le mie aspettative evidentemente fraintese.
-Adesso?- esclamai dando un'occhiata all'orologio, -Ma sono quasi le undici e mezza!- replicai stupefatta.
E meno male che non ho ancora messo il pigiama” pensai quasi simultaneamente in maniera istintiva.
-Beh ecco... si tratta di una cosa molto importante- disse con tono serio, -ci tengo molto, sai. E qualcuno potrebbe prenderla prima che riesca ad andare in quel locale-
-Di che si tratta?- domandai facendomi più accorta.
-È il portachiavi di mia sorella- rispose , -non posso lasciarlo lì perché... perché è un ricordo di lei. È molto importante per me, e solo sapere che può averlo preso qualcuno senza che sappia il valore di quell'oggetto...-
D'un tratto la mia durezza si sciolse come un gelato al sole.
-Oh capisco- mormorai, -va bene, se è così importante per te andremo stasera. Non preoccuparti-
-Sei sicura?- chiese un po' stupito, come se non si fosse aspettato la mia collaborazione.
-Sì, sono sicura- risposi con convinzione, -dimmi solo dove ci incontriamo-
-Vengo a prenderti sotto casa, se vuoi- propose affabile, -così andiamo direttamente insieme al locale-
-Sì, mi sembra una buona idea- commentai, -allora ti aspetto-
-Non tarderò-
La chiamata si chiuse subito dopo le sue parole.
Era una fortuna che i miei non fossero in casa; sperai che non ci avremmo messo troppo, ad ogni modo, non mi andava proprio l'idea di dover riattraversare i vicoli di quel quartiere.
A quest'ora poi sarebbe l'ideale” pensai un po' nervosa.
L'ultima volta c'era stato Roberto con me; mi aveva riaccompagnata a casa senza difficoltà, anche se per quando tentassi di dare a vedere che non ero rimasta turbata dal silenzio e dal buio di quei quartieri devo ammettere di non essere riuscita a restare perfettamente calma di fronte a lui.
Rilassati Bianca, non sarai sola, non potrà succederti qualcosa... almeno non facilmente” tentai di calmarmi, sentendo di tornare ad essere tesa come quella sera.
Respira, Bianca, respira.
Mentre provavo a scendere in una sorta di trance meditativo il mio tentativo venne interrotto da una vibrazione del telefono; ora di andare. Sperai solo che avremmo fatto alla svelta.
Respirai profondamente e una volta spente le luci e chiusa la porta scesi giù per le scale.
-Grazie per aver accettato- Roberto abbozzò un lievissimo sorriso che scomparve non molti secondi dopo che era comparso.
-Di nulla, era il minimo che potessi fare- replicai.
Restammo un momento in silenzio, guardandoci pensierosi.
-Andiamo?- propose infine gentilmente.
Feci un cenno di testa, dirigendo i piedi accanto al percorso che tracciavano i suoi.
Che diavolo fai, ti imbamboli pure di fronte a lui adesso?” mi ripresi con decisione, continuando a camminare.
Ci mancava solo che cadessi come una pera cotta alla sua presenza.
Era dalla sera del Melancholia che sentivo di non riuscire più ad essere disinvolta nei suoi confronti come una volta. Roberto aveva un fare protettivo che non passava inosservato; oltre ad essere gentile, amichevole... okay, e anche carino.
Era un mix di tutte quelle qualità che sono pericolose trovare in un ragazzo solo, perché non puoi far altro che innamorartene. E io dovevo stare alla larga dagli innamoramenti dopo tutto quello che era successo. Margherita aveva ragione a dirmi di frequentarmi con Roberto, ma adesso si stava passando ad una seconda fase. La fase in cui la medicina sta per diventare una droga.
Ed io volevo francamente evitare un'altra overdose di delusioni.
Rischiare di innamorarmi di nuovo sarebbe stato proprio ciò che mi avrebbe portato alla rovina; eppure poteva un ragazzo gentile come lui essere la causa delle mie lacrime, invece che del mio sorriso? D'improvviso mi sembrò tutto un enorme paradosso.
Scossi la testa per aiutarmi a scacciare via quei pensieri, e mi rivolsi a Roberto; solo allora mi accorsi che non ci eravamo allontanati molto da casa. Ci stavamo dirigendo verso un vicolo, lo stesso per cui avevamo tagliato la strada la sera di ritorno dal locale.
Non si vedeva nessuno per strada, e tutto era avvolto dall'oscurità.
-Se non sono troppo sfacciata... hai detto che quel portachiavi...- dissi con delicatezza, cercando di non essere troppo invadente.
-Era di mia sorella. È successo due anni fa. Incidente col motorino- disse con tono assente, privo di un'emozione che avrebbe potuto smascherare il suo stato d'animo.
-Mi dispiace- mormorai, -non intendevo...-
-No, è ovvio che volevi saperne di più. In fondo, ti ho fatta uscire di casa alle undici e mezza passate...-
Non c'era particolare espressione nella sua voce; mi sarei aspettata un tono più cordiale, conoscendo i suoi modi di fare. Non che dovesse sprizzare entusiasmo da tutti i pori parlando della scomparsa della sorella, ma era un tono già diverso da quando mi aveva consolata nel bar in cui ci eravamo incontrati la prima volta. Mi sarei aspettata un tono più simile a quello.
-Sai, effettivamente... Questa è la prima volta che siamo da soli-
Aveva un tono strano. Come se volesse indurmi a cogliere qualcosa di celato nelle sue parole.
-Che vuoi dire?- feci perplessa, senza capire. Eravamo stati soli praticamente dal nostro primo incontro. Nessun altro era mai stato con noi.
-Intendo dire... soltanto noi due- rispose con naturalezza. Una naturalezza inquietante.
Sentii un brivido scorrermi dalla spina dorsale alle ginocchia.
-N-no, ti sbagli, noi siamo sempre stati da soli- lo corressi sforzandomi di parlare calma, ma non riuscii a nascondere un'incertezza nella voce che smascherò il mio timore.
Ma invece di rassicurarmi come aveva sempre fatto Roberto non disse niente, e continuò a camminare indifferente, tenendomi sott'occhio. Sentii di rabbrividire a fior di pelle.
-Pensaci bene: la prima volta che ci siamo incontrati è stato in un bar. Con un sacco di gente. Poi è stato a scuola, e anche quando siamo riusciti a liberarci di quella massa c'era qualcun altro che ti teneva d'occhio. E poi l'altra sera... quando anche se per un momento ci siamo infilati in un vicolo non eravamo completamente soli. Ora non c'è nessuno. Nessuno che conosci... né che non conosci-
Il suo discorso non faceva una piega. Ma ogni sua parola graffiava come un'unghia su una lavagna. Quell'improvviso passaggio al “tu” dal “noi” continuava a pizzicarmi a pelle come qualcosa di inquietante e sinistro.
Rimasi ammutolita per la tensione, guardandolo impaurita.
Roberto fece un sorrisetto compiaciuto, ma non era un sorriso come quello che aveva fatto quando l'avevo baciato sulla guancia per strada; era un sorrisetto sadico. Allusivo.
-Non pensi di essere stata avventata, a darmi il tuo numero di telefono senza quasi nemmeno conoscermi?- proseguì poi, come compiaciuto dalla mia reazione impaurita; il tono quasi sarcastico della sua voce mi suonava come qualcosa di preoccupante.
Mi rivolsi a lui un po' intimidita:
-Che vuoi dire?- mormorai, sentendomi la voce morire dalle labbra ad ogni parola, -Sei stato tu a chiedermelo...-
-Avresti potuto non darmelo, ti pare?- stavolta le sue labbra si contrassero in un ghigno che mi fece rabbrividire fino alle ossa.
Mentre parlava si era fermato quasi di colpo, avanzando verso di me fino a farmi sbattere la schiena contro il muro freddo, afferrandomi gli avambracci in una morsa come se volesse bloccarmeli a forza.
-Che cosa fai??- mormorai, sgomenta.
La luce che emanavano i suoi occhi mi incuteva soltanto più paura. Atterrita. Spaventata come non mai. Sentii di iniziare a tremare.
-Povera ragazzina- disse fingendo un tono dispiaciuto, con un sorriso beffardo ancorato alle labbra, -ti è bastato sentire che avevo bisogno del ricordo della mia adorata sorellina per uscire di casa a quest'ora senza il minimo sospetto... Non volevi mostrarti scortese con un tizio che è stato carino con te, forse? O non volevi deludere le aspettative di un ragazzo che ti ha detto semplicemente di essere dolce e carina?-
Feci per andarmene ma la sua mano mi bloccò il braccio, spingendomi nuovamente di schiena. Sentii mancarmi la voce in gola, mentre tentavo di emettere un suono terrorizzato.
-Credevi davvero che fossi così patetico?- la sua voce mi suonò più propensa ad una domanda retorica che ad una domanda reale.
-L-lasciami ti prego...- supplicai terrorizzata, sentendomi accelerare il battito cardiaco come se stesse per esplodere.
Lasciami ti prego”- mi fece beffardamente il verso, con tono sottile, -sai che ti dico, carina?- si avvicinò malignamente al mio viso, facendomi tremare violentemente per tutto il corpo, -Non c'è nessun portachiavi, in realtà. E non ho nemmeno una sorella. Ma ti lascerò andare soltanto dopo averti scopata sopra e sotto come si deve, finché non mi avrai soddisfatto completamente. Urla se puoi, chiedi aiuto, tanto non ci sarà nessuno a salvarti-
-Smettila!!- riuscii a gridare, sovrastando la mia paura in un modo che non so ancora spiegarmi, -Qualcuno mi aiuti!!- gridai ancora, voltando la testa verso la strada; ma non c'era nessuno. In quel momento avrei preferito trovarmi sottoterra in una tomba piuttosto che farmi violentare di notte per strada.
E non da un ragazzo qualsiasi, ma da uno sconosciuto che credevo di conoscere: perché in realtà, Roberto mi era sconosciuto quanto un qualsiasi altro ragazzo; non sapevo niente di lui, se non il suo nome.
E la maschera che portava a coprirgli il viso.
E questo faceva ancora più male dell'essere violentata da un ragazzo qualunque.
Mi salirono le lacrime agli occhi: mai mi ero sentita più ferita in vita mia. Mi aveva soltanto usata. Per approfittare di me. Usata. La sola parola mi lacerava il cuore come una lama tagliente. Non era sua intenzione farmi innamorare di lui, ma di sedurmi. Sedurmi giocando ad impersonare il ruolo del ragazzo dolce e premuroso, che ti guardava con occhi sinceri. Occhi sinceri, che trapelavano soltanto un sentimento puro. Puro quanto più falso di qualunque altro.
Ecco cosa significava giocare, ecco cosa significava sfruttare. Tradimento.
Non era quello che credevo avesse fatto Francesco, quando l'avevo sorpreso con una ragazza per strada.
Non era mai stato come quello che credevo avesse fatto.
Riuscivo a sentire il mio cuore a pezzi sotto il duro acciaio di una lama invisibile che lo trafiggeva, lo tagliava, lo sbrindellava. Questo era tradimento. Al confronto ogni cosa che aveva fatto Francesco sembrava diversa. Ma il ghigno sul volto di Roberto sapeva di male, sapeva di sadico. Inferno.
Un tremolio del mio respiro anticipò l'iniziare di singhiozzi e lacrime amare.
-Piangi? Non dovresti, non ti avevo interessato fino ad ora?- continuò lui, bastardamente.
-Lasciami!!- urlai, divincolandomi dalla sua stretta, ma lui aumentò la forza nelle braccia e sentii cedermi le forze, abbandonandomi sul muro.
-Io non credo proprio, tesoro mio- replicò beffardo, -e ora dammi ciò che ho aspettato a lungo per avere-
Sentii la sua mano palparmi la vita, per poi risalire sul mio seno.
Iniziai a piangere, singhiozzando sommessamente.
-E piantala!- gridò con voce forte, -smettila di fare la bambina, dovresti aver imparato da tempo ad allargare le cosce-
-E tu hai già imparato a trattenerti le palle?-
Una terza voce interruppe quel momento così terrificante.
Mi girai non appena sentii quella voce, e trasalii dal sollievo e dallo sconvolgimento non appena capii a chi appartenesse.
Scorsi il viso di Roberto distorcersi dall'odio e il disgusto, nonostante fosse mezzo girato verso un ragazzo dietro noi due, i cui occhi fiammeggiavano di risentimento.
-Ah- commentò, sprezzante, -toh guarda chi si rivede... Sei qui per fare una cosa a tre o vuoi soltanto sbatterti la tua ragazza?-
-Lasciala andare- lo ignorò lui, la sua voce ferma e decisa.
-Se permetti io e questa amabile ragazza abbiamo da fare- si distolse dalla discussione, tornando a voltarsi verso di me; il solo gesto mi fece rabbrividire dal disgusto e dalla paura.
-No, lasciami!!- gridai, cercando di assestargli un calcio, ma una morsa della sua mano nella mia carne mi costrinse a desistere, sofferente per il dolore e totalmente impotente a reagire.
I miei singhiozzi strozzati furono bruscamente interrotti nel momento in cui Roberto venne letteralmente scaraventato via, cadendo con forza a terra.
Il suo viso si era contratto in una smorfia di dolore.
C'era qualcun altro davanti a me ora, ma la sua presenza era tutt'altra cosa rispetto al terrore che mi incuteva Roberto; guardai con gli occhi bagnati dalle lacrime Francesco, che dal canto suo osservava il ragazzo a terra, in silenzio.
-Sei solo un illuso- fece Roberto a terra con voce strozzata, -e soltanto uno scopatore bastardo-
Vidi un tratto del viso di Francesco irrigidirsi, e subito dopo gli mollò un calcio dritto allo sterno senza troppi complimenti.
Lui quasi non sputò l'anima.
-Ne hai ancora per molto?- lo provocò Francesco, piegandosi sulle ginocchia per portargli la testa nella sua direzione con una mano, -o preferisci che ti spacchi subito le palle, così finirai una volta per tutte di andare a violentare ragazze??-
-La tua ragazza lì non sembrava tanto contraria- ebbe il coraggio di istigarlo ancora, con un sorrisetto bastardo, e l'atto non fece tardare la reazione, ritrovandosi ad urlare senza ritegno per il naso sanguinante.
-Prova solamente a toccarla ancora e non rivedrai mai più né i tuoi coglioni né la tua faccia, sono stato chiaro??- lo intimidì Francesco di rimando, con più rabbia di quanto l'avessi mai visto in tutta la mia vita.
Roberto tremava; gli si leggeva la paura negli occhi.
Mi sforzai di non singhiozzare ancora, tenendomi incollata una mano alle labbra per soffocare le convulsioni che mi si strozzavano in gola con un dolore ardente.
Dopo qualche secondo Francesco mollò violentemente la presa, rialzandosi dai calcagni; il suo viso era una maschera di odio e rabbia.
Mi sciolsi in pianto dal sollievo, lasciando scorrere le lacrime come un fiume in piena; Roberto si rialzò a fatica, tenendosi piegato sullo sterno con la mano a sostenersi l'addome.
-Vattene- sibilò tagliente Francesco, non muovendo un muscolo.
Lui non se lo fece ripetere più di una volta; si allontanò rapidamente, zoppicando sulle gambe con ancora il naso sanguinante.
Sentivo tremarmi le gambe, prese da un fremito incontrollabile, mentre guardavo Roberto scappare via, osservato dall'occhio vigile di Francesco, in quel momento simile all'occhio di un falco che tiene d'occhio la sua preda dall'alto prima di scendere in picchiata per assalirla.
Deglutii un singhiozzo e mi diressi con le ultime forze verso di lui, crollando fra le sue braccia non appena si voltò verso di me.
Stavo cedendo.
Francesco mi sostenne per i fianchi, lasciandomi affondare il viso nella sua maglietta.
-È finito- mormorò, -va tutto bene-
Continuai a piangere, stringendomi ai suoi vestiti; provai la stessa sensazione che si prova quando, dopo essere tornato a casa da un lungo viaggio in una meta lontana, ritorni nella tua stanza e ritrovi con sollievo le coperte del tuo letto a scaldarti la notte, con quell'inconfondibile senso di personale a sfiorare le proprie lenzuola invece che delle anonime coperte di un albergo o una casa sconosciuta.
Strinse le braccia attorno alla mia vita e lasciò che mi tenessi a sé, senza dire una parola.
Rimanemmo così per un po', nel frattempo che mi costringevo a calmarmi.
-Stai bene?- mormorò poi, senza lasciarmi andare.
Annuii, appoggiandomi in profondità al suo petto.
Mi scostai da lui, tenendo lo sguardo basso.
-Che cosa... insomma, che cosa ci fai qui? Perché sei venuto?- chiesi poi sforzandomi di reprimere i singhiozzi e di tornare a comprendere appieno chi avevo davanti, confusa più che mai.
E completamente devastata dentro di me.
Il suo sguardo non vacillò.
-Per te- rispose con voce bassa.
Rimasi a labbra dischiuse, sorpresa.
Lui mi diede il tempo di replicare, ma al mio silenzio attonito riprese a parlare, calmo.
-Ho bisogno di parlare con te- mormorò.
-Con me?- ripetei, quasi con voce afona. Era tornato a prendermi ancora in giro?
Sentii risalirmi le lacrime agli occhi, sentendo una pugnalata trafiggermi il cuore.
-Smettila di scherzare...- mormorai rifiutandomi di guardarlo in volto.
-No- disse lui, cercando di richiamare l'attenzione del mio viso con un tono più morbido, -no, non sto scherzando-
Non so dire se quando rialzai lo sguardo riuscì a scorgere la disperazione nei miei occhi.
-Non ho mai scherzato da quando sono qui- disse adattando la voce a un tono più basso, guardandomi con attenzione.
-Da quando sei qui, hai detto bene- dissi gelidamente, -perché in realtà non sei stato così sincero fino ad ora-
-Forse è stato così- replicò senza darsi per vinto, -o forse avevo bisogno solo del momento giusto per farlo-
Non replicai, restandomene a fissarlo.
-Forse ne avevamo bisogno entrambi- aggiunse poi, con tono più marcato.
Avevamo.
-Quindi anche tu non neghi di essertene pentito?- dissi leggermente provocatoria, rientrando nella difensiva. Non poteva avermi di nuovo così facilmente. Non sarebbe bastata una frase ad effetto delle sue solite per potermi lasciare andare.
Le mani mi tremavano come non mai.
-Pentito di aver preso il tuo corpo, di averti resa mia?- disse con la sua passione nella voce che sembrava non spegnersi mai.
-No- sussurrò, accostandosi a me, -o forse pentito di averti visto andartene, di averti odiata e desiderata allo stesso tempo?-
-Io non voglio essere la tua puttana- mormorai, negandomi la vista del suo sguardo.
-Nemmeno io voglio che tu lo sia- disse lui senza vergogna, lasciandomi esterrefatta.
Attese un momento prima di parlare, come se si stesse decidendo se dire davvero quello che aveva intenzione di dire.
-Quando ti ho chiesto di tornare ancora sotto le coperte... io non mi riferivo al sesso-
Sgranai gli occhi, senza smettere di fissarlo confusa.
-Io volevo soltanto... te. In tutti i sensi- rivelò infine.
Dire che mi sentissi tremare era solo una parte di tutte le sensazioni che mi assalirono in quel momento.
Francesco non si scompose; tornò a riavvicinarsi, e stavolta non lo allontanai.
-Bianca- sussurrò; sentii il tocco della sua mano sulla mia, e i suoi occhi scuri mi guadarono con intensità.
-Voglio stare con te- mormorò -sei tutto ciò che voglio-
Non tentai di divincolarmi dalla sua mano; una nota di tensione sembrò svanire dai lineamenti sconvolti del mio viso.
-Sei sincero?- chiesi, quasi speranzosa in una risposta affermativa.
Lui annuì, senza proferir parola.
-Come posso essere sicura di potermi fidare di te?- sussurrai tristemente.
-Non puoi- mormorò avvicinandosi, -devi solo fidarti, se lo vuoi-
-Mi hai detto così anche la prima volta, e ho sbagliato a farlo- ribattei. La sua vicinanza mi permetteva di percepire il calore del suo corpo e l'intensità del suo sguardo, mandandomi ancor di più in confusione.
-Non si può sbagliare due volte però, non credi?- disse di rimando, continuando a guardarmi negli occhi.
Allora lo credeva sul serio.
-Stai dicendo che lo vuoi davvero?- mormorai allibita.
-È quello che ti sto dicendo da un po', non ti pare? - rispose ironico, ma non nascose un tono di dolcezza; mi cinse la vita con le mani, dandomi un bacio sulla fronte.
Avrei voluto abbracciarlo a quelle parole, baciargli le labbra e il volto, stringerlo a me, sentire il calore della sua pelle sulla mia, ma non riuscii a muovermi perché ero bloccata fino ai piedi, sopraffatta da una marea di sentimenti, simili tra loro ma che portavano tutti lo stesso nome: felicità.
Gioia. Non avevo visto mai in maniera così limpida e chiara l'orizzonte del mio futuro e delle mie speranze.
Mi guardò intensamente negli occhi, chinando lo sguardo su di me.
-Io ti amo, Bianca. E so di poterti amare allo stesso modo in cui mi hai amato. So che posso-
Mi salirono le lacrime agli occhi, e mi lasciai andare ad un sorriso liberatorio.
Io ti amo.
Mi strinsi a lui come se temessi che ogni cosa svanisse come in un sogno, e sentii le sue braccia tenermi a sé per la vita.
Feci scivolare una mano sul suo petto, e dopo qualche secondo ci accorgemmo entrambi di qualcosa; era la mia mano sinistra.
-... Ce l'hai ancora..?- si sorprese, quando chinò lo sguardo sulla mia mano.
Guardai il mio anulare sinistro, cinto da un sottile anello color d'argento, e sorrisi:
-Non l'ho mai tolto- mormorai, sentendo dentro di me rinascere un calore familiare. Un sentimento. Che non si era mai sopito.
Sentii le sue labbra avere un sospiro di sorpresa, misto a un sorriso, e mi accarezzò il braccio con una mano.
Dopo qualche minuto sentivo di essere tornata di nuovo calma e rilassata. E felice.
Gli accarezzai i capelli accanto all'orecchio prima di tornare a rivolgergli il viso e baciargli le labbra con intensità; non m'importava se mi avesse fatto soffrire ancora, non mi importava se fossi tornata al bancone di un bar per causa sua. Io ero innamorata di lui. E non c'erano parole migliori per descrivere la scarica elettrica che mi stava scuotendo fino alla punta dei piedi, delle mani, e delle labbra che continuavano a cercare le sue come se non avessero altra ragione di vita.
Gli accarezzai il viso e mi scostai dolcemente dalle sue labbra, ma il sorriso che stavo per avere mi si spense sul nascere non appena vidi un graffio sul suo viso; aggrottai lievemente le sopracciglia, stranita:
-Oh Francesco...- mormorai, sfiorandoglielo delicatamente con le dita, -ti ha graffiato...-
-Non preoccuparti- mormorò, scostando la mia mano con la sua dal suo viso, -è tutto apposto-
Se non fosse stato per la vicinanza e il lieve bagliore dei lampioni sarebbe stato quasi impossibile da vedere al buio.
-Quando è successo?- chiesi perplessa, ripensando alla successione dei momenti che si erano verificati in quel lasso di tempo.
Sorrise dolcemente.
-Non dovresti sapere certe cose- rispose attirandomi a sé per la vita, soffiando le parole sul mio collo in un caldo mormorio.
Un mio sguardo più insistente lo convinse a spiegarsi.
-Mentre lo gettavo a terra si è istintivamente protetto con le mani avanti e mi ha preso sulla guancia- disse poi.
Lo osservai ancora, scostandomi leggermente.
Gli accarezzai lievemente la guancia, ancora un po' interdetta, e contrassi le labbra.
-Devi metterci qualcosa su... o potrebbe aggravarsi...- lo intimai, osservando il suo graffio.
-Non è niente- ribadì risoluto, -non lo sento nemmeno-
-Ma si vede- gli rinfacciai senza darmi per vinta, -hai bisogno di disinfettarla...-
Gli sfuggì un sorriso interessato.
-Vieni su- dissi, avvicinandomi al suo viso, -così possiamo sistemare questa ferita-
-La finirai di fare l'infermiera, poi?- stette al gioco, parlandomi dolcemente.
-No- risposi con voce morbida, -perché poi voglio sommergerti di baci-
Mi avvicinai e gli diedi un lieve bacio sulle labbra.
Sorridemmo entrambi, mentre mi appoggiavo per un momento alla sua spalla, stringendomi ancora al suo corpo per un istante.
-Beh, prima finiamo meglio è- disse ironico, -vogliamo andare?- aggiunse guardandomi dolcemente.
Lo presi per mano e mi misi a correre per la strada, girandomi con un sorriso verso di lui nel momento in cui raggiungemmo il portone della mia casa e premetti il pulsante per aprirlo, inducendolo a seguirmi dietro di esso. E a tenere la mia mano ancora stretta nella sua.

 

 

 


Scusate se vi ho fatto attendere tanto, mi spiace aver fatto passare tutto questo tempo!
Non vi nascondo che il prossimo capitolo sarà l'epilogo; sono un po' triste all'idea che la storia sia finita, ma credo sia arrivato il momento di dire la parola “fine” anche per questa storia.
Ringrazio tutti coloro che l'hanno seguita, che si sono interessati e che hanno continuato a leggerla fino alla fine; un grazie in particolare va a tutte voi ragazze che avete recensito.
Spero di riuscire ad aggiornare presto!
_Char

 

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Capitolo 23
*** Epilogo ***


                                                                                  EPILOGO 

 

Qualche tempo dopo..

 

 

 

-Dai, stai fermo...-
-Tanto non ci riesci-
-Se ti stessi fermo forse ci riuscirei-
Pigiai ancora il tasto sul joystick, unendolo ad un altro comando nello stesso lasso di tempo; dopo la seconda volta finalmente riuscii a far partire i comandi esatti.
-Toh guarda, dicevi?- lo stuzzicai, con una faccia impertinente.
-Prima o poi ce l'avresti fatta, contando che hai impiegato qualcosa come quattro tentativi- mi rinfacciò Francesco, impassibile.
-Tre- lo corressi.
-Non cambia molto il concetto- rimase inamovibile, al che gli feci la linguaccia.
Tornai a guardare lo schermo:
-Secondo te se vado di là taglio la strada?- chiesi, osservando la panoramica del videogioco.
Non mi rispose, mentre avvertivo il suo sguardo su di me; sentii scostarmi i capelli e sfiorarmi da una carezza giù per la vita scoperta.
Mi voltai verso di lui.
-Dai, ti ho chiesto un parere non una coccola- mi finsi offesa, con un tono seccato.
-Vai dritto, salta sui tetti- rispose lui, finalmente, con un sorrisetto interessato.
Seguii le indicazioni, destreggiandomi con abilità nell'impresa.
-Dai... dai che ce la fai... cazzo, Cristo no! Non cadere adesso!- esclamai ad un tratto, alla sprovvista.
Francesco ridacchiò silenziosamente.
-La mia ragazza che gioca al mio videogioco e impreca come una camionista- sospirò compiaciuto, abbandonandosi sulla schiena.
-Perché, avevi qualche dubbio?- feci disinvolta, -guarda che so giocare meglio di te-
-Questo è da vedere- ribatté, -se facessimo un multiplayer ti straccerei piccola-
-Io però so metterti fuori gioco in un altro modo- ribattei maliziosa, accoccolandomi a cavalcioni su di lui.
Gli sfuggì un breve ridacchiare a labbra chiuse.
-È ancora acceso- accennò al televisore, -potresti pentirtene. Se ti beccassero ti attaccherebbero-
Feci un sorrisetto e tornai indietro, sedendomi nuovamente sotto le coperte.
Continuai a guidare i comandi per un po', poi mi fermai, perplessa.
-Si può sapere dove devo andare? Il segnale è qui ma non c'è un'entrata...-
-Prova dall'altra parte- mi guidò lui, col tono di chi sa già tutto.
-Ho aggirato l'edificio due volte, e non c'è niente- lo rimbeccai, puntuta.
-Beh, forse è il momento di smettere allora- disse con malizia.
-Perché, se ci provo più tardi sbuca miracolosamente qualcosa?- finsi di assecondarlo, capendo dove volesse arrivare.
-Può darsi...- sorrise con fare complice, -magari adesso sei nervosa e non riesci a trovare il segnale-
-E che facciamo mentre aspettiamo?- mi avvicinai maliarda, tornando a provocarlo sedendomi di nuovo su di lui, suscitandogli un sorrisetto all'angolo della bocca.
Mi baciò morbidamente le labbra, accarezzandomi per tutta la schiena e le spalle; andai a colmare il vuoto fra il suo petto e il mio con gli avambracci, sfiorandogli i pettorali e toccandogli delicatamente il collo e i capelli con le dita, mentre la sua testa si abbassava sui miei seni, le sue mani a cingermi la schiena nuda. Sorrisi, inebriata, e gli accarezzai la nuca; rialzò il viso su di me, e mi guardò intensamente.
-Non hai messo start...- disse, lanciando un'occhiata al televisore.
Ripresi in mano il joystick e pigiai il triangolino al centro del controller, scendendo contemporaneamente sul suo corpo e inducendolo a stendersi completamente sul letto.
Mi osservò con dolcezza, riservandomi una carezza nell'incavo della sua mano:
-Sei bellissima..- sussurrò. Sorrisi con tenerezza, e mi appoggiai al suo corpo:
-Stai cercando di accattivarti di nuovo il joystick?- lo provocai, chiudendo gli occhi.
-Sì- ammise, ma quando lo guardai di nuovo in viso i suoi occhi dicevano tutt'altro.
Era tutto così bello; e non perché era tutto perfetto o tutto sdolcinato e romantico. Era bello perché sentivo dirmi parole che sapevo venivano direttamente dal cuore, e non da un discorso prestabilito. Era bello perché stavamo sotto le coperte a giocare alla playstation dopo aver fatto l'amore, invece di fare del semplice sesso mirato alla soddisfazione dei soli piaceri. Era bello perché sentivo il suo corpo accanto al mio, vicino, e io avevo il mio viso e la mia pelle appoggiati alla sua; perché avevamo messo a nudo i nostri sentimenti, in tutti i sensi. Perché sentivo le sue labbra baciarmi il volto, le sue mani accarezzarmi la schiena e la sua barba pungermi la pelle. Perché Francesco era, ora lo sapevo, l'amore che avevo sempre voluto. Perché lo amavo.
D'un tratto sentii la serratura della porta scattare, e mi prese un colpo che quasi saltai dal letto.
Ma non potevo impedire che accadesse ciò che sarebbe accaduto: un rumore di passi precedette la figura di mia madre, che si materializzò sulla soglia della mia camera.
-Ancora a letto a quest'or...- iniziò, ma si bloccò di colpo non appena alzò gli occhi sulla scena che aveva davanti.
Nonostante il momento cruciale non resistetti a lungo che scoppiai a ridere, tra la sua faccia allibita e quella di me e Francesco totalmente spiazzati.
-Mamma- presi la parola dopo un momento di imbarazzante silenzio, ridacchiando ancora leggermente, -questo è Francesco-
Mi voltai verso di lui per un momento, prima di riprendere la parola con uno spontaneo sorriso di dolcezza.
-Il mio ragazzo-
-T-tuo ragazzo?- le uscì spontaneamente, osservando ancora sorpresa il torso nudo di Francesco steso accanto a me.
-Buongiorno signora- disse Francesco ancora sorpreso da quella situazione, lanciandomi un'occhiata che chiedeva soccorso, -credo che Bianca non le abbia mai accennato di me-
-Beh, se lo avesse fatto non credo che a quest'ora te ne staresti comodamente spaparanzato nel suo letto senza una maglietta addosso- commentò accennando al suo petto con il mento.
La fissai con gli occhi sgranati.
-Mamma!- la richiamai, stavolta toccando a me restare allibita.
-Che c'è?- fece finta di niente, -non dirmi di non esserti accorta di chi tu abbia come fidanzato-
-E da quanto state... insieme?- continuò poi, tornando all'interdetta fase iniziale.
Io e Francesco ci scambiammo uno sguardo allusivo, che comprendemmo soltanto noi due.
Gli presi una mano da sotto le coperte.
-Dal tempo necessario che ci è servito ad amarci- risposi con un sorriso.
-Okay, segreti di Stato- commentò mia madre alzando gli occhi al cielo, -poi se vi ritrovate con un bambino non venite dalla legittima nonna materna a dire che non eravate pronti-
-Veramente ci stavamo pensando- la voce di Francesco mi arrivò calma all'orecchio, e non appena sentii quelle parole mi voltai verso di lui sorpresa. Ma il suo sorriso negli occhi manifestava un ovvio commento scherzoso. Tuttavia la dolcezza di quelle parole mi lasciò meravigliata. E sinceramente quasi commossa.
-Ah, se è programmato allora va bene- stette al gioco, facendoci un sorriso complice, -comunque sia io sono Caterina, la madre di Bianca come avrai ben capito- si avvicinò cordiale tendendogli la mano.
-Francesco- si presentò ufficialmente lui prendendogliela nella sua, anche se tentava di mascherare un certo imbarazzo, -è un piacere conoscerla-
-Anche per me- sorrise affabile, -hai un certo occhio per i bei ragazzi, Bianca- si rivolse poi a me senza perdere l'umorismo.
-Mamma...- bofonchiai, presa sul vivo stavolta.
-Allora tavolo per tre, oggi?- cambiò poi argomento, sollevando l'atmosfera di tensione.
-Ti va di fermarti a pranzo?- si rivolse a Francesco, ancora accoccolato accanto a me.
Lui guardò prima mia madre, poi me, infine fece per rispondere.
-Mi piacerebbe- disse affabilmente.
-Allora vado a buttare la pasta- Caterina sfoderò un sorriso quasi intenerito quando rivolse lo sguardo su entrambi, prima di uscire dalla camera.
Mi appoggiai sotto la spalla di Francesco, respirando il profumo e il calore della sua pelle.
-È andata bene- mormorò accanto al mio orecchio.
-Non poteva non interessarsi a te- dissi in un bisbiglio, tornando a perdermi nei suoi occhi intensi.
-Non dirmi che ho fatto colpo anche su tua madre- gli venne da ridacchiare.
-Sai, è molto probabile che le sei piaciuto- ribattei dolcemente, appoggiandogli la guancia accanto al mento.
-Beh, se ha scelto di provarci anche lei si sbaglia di grosso- sussurrò dolcemente di rimando, baciandomi la guancia con morbidezza, -perché solo tu sei mia-

 

 

 

 

 


Un sincero grazie va a tutti voi che avete letto, seguito e recensito questa storia: è stata la mia prima esperienza qui su EFP, e sono sicura che non potrò dimenticarla facilmente.
Spero che la mia storia vi sia piaciuta e, almeno in parte, possa avervi fatto affezionare a Bianca e Francesco.
Beh, che dire, grazie. Davvero. E chissà, magari a risentirci con un'altra storia :)
Un bacio a tutti
_Char 

 

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