She came in through the bathroom window.

di out there
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** (1) I'm leaving home. ***
Capitolo 2: *** (2) Oops ***



Capitolo 1
*** (1) I'm leaving home. ***


She came in through the bathroom window.

(1)

 

'Parto. Lo so, vi darò un dispiacere ma non posso farci niente. La mia vita non è qui a Blackpool, sento di non appartenere a questo mondo, me vado. Non ho idea di dove andrò, non cercatemi. Mi farò sentire io, prossimamente. Abbiate fiducia in me.

Pam.'

Rilessi quel biglietto ancora e ancora. Speravo potesse dire di più, speravo potessero capirmi quando l'avrebbero letto. Speravo, speravo e basta. Sospirai e guardai l'ora, erano le 5 di mattina. Era il momento. Raccolsi da terra la borsa che poco prima avevo preparato inserendovi qualche vestito di ricambio: il viaggio sarebbe stato lungo, forse. Sgattaiolai fuori dalla porta, silenziosamente e mi affacciai alla camera dei miei. Li guardai dormire beati, un po' mi sentii in colpa, ma stavo per fare la cosa giusta. Non potevo continuare a vivere in quel modo: a scuola, con gli amici, in famiglia, non mi sentivo capita, mi serviva una rottura dalla mia routine quotidiana. Un giorno magari me ne sarei pentita, ma non allora.
Mandai un bacio con la mano ai due adulti assopiti e mi allontanai.
Scesi le scale, lentamente, accurandomi di non fare troppo rumore e poggiai il biglietto sul tavolo. Buttai un ultimo sguardo alla mia casa: non l'avrei rivista per un bel po'. Abbassai lo sguardo e girai la chiave nella toppa. Feci un passo in giardino, ero libera.
Corsi, come inseguita da qualcuno, in modo da allontanarmi il prima possibile da quella casa, da quella prigione in cui ero rinchiusa da troppo, troppo tempo; temevo che avessi svegliato qualcuno e che mi stessero venendo dietro, cercando di fermarmi. Ma non fu così. Quando fui abbastanza distante, mi voltai: non trovai nessuno. Ero felice, finalmente ero libera. Per le vie non c'era nessuno per via dell'ora, e il cielo era ancora scuro. Una brezza fresca mi accarezzò il volto, passando per i miei lunghi capelli color nocciola. Camminavo a passo spedito verso il centro, dove avrei trovato un po' di traffico, così da poter fare l'autostop. Un sorriso mi si aprì sul volto, dopo molto tempo stavo per tornare felice.


Mi sedetti su una panchina, in attesa che passasse qualcuno per la grande strada provinciale. Passarono minuti e persino ore, ma niente. Arrivarono le 6 e 30 e io ero ancora lì. Non avevo con me neppure il cellulare, l'avevo lasciato a casa in modo da troncare i rapporti definitivamente. Con me avevo solo delle foto e delle lettere, lettere della mia migliore amica che mi abbandonò in quella città da sola a causa di un trasferimento. Non ero nulla senza di lei, mi mancava da morire.
Si chiamava Cynthia e aveva la mia stessa età, quell'anno saremmo andate per i 18. Si trasferì a Liverpool quando aveva 12 anni e da allora non l'ebbi più vista. Mi mancava da morire.
Mentre ero assorta nei miei pensieri un rumore metallico mi distrasse. Stava arrivando un auto. Subito mi misi in piedi e tirai fuori il pollice; pregai si potesse fermare. Ma questa proseguì per la sua strada, evidandomi.
"Cristo, un po' di solidarietà!" urlai.
Pian piano che i minuti passarono il traffico si accese, ma nessuno sembrava volesse darmi un passaggio. Provai di tutto, ma niente.
Mi guardavo attorno, disperata e atterrita dalla situazione quando vidi un camioncino da muratore fermo ad un benzinaio poco distante. L'edile che lo guidava stava parlando e fumando tranquillamente una sigaretta all'interno del bar, così ebbi un illuminazione.
Potrei salire sul ribaltabile, non mi vedrebbe!
Così feci. Corsi verso la pompa di benzina, dovevo fare in fretta. Raggiunto il mezzo scaraventai in mezzo ai secchi la mia borsa e con fare un po' impacciato tentai di salire. Mi nascosi in mezzo ai sacchi di calce, ce l'avevo fatta. Pian piano mi appisolai, essendo stata in piedi tutta notte per programmare la fuga, mi ero stancata molto; gli occhi si fecero sempre più pesanti e velocemente caddi tra le braccia di Morfeo.

Una buca. Un salto. Improvvisamente mi svegliai, spaventata dallo strano movimento. Aprii gli occhi e venni accecata da un forte sole che mi picchiava in volto. Quanto amavo questo genere di giornate, così rare in Inghilterra. La brezza era calda, piacevole e gli uccelli cantavano: il Paradiso.
Osservai intorno a me, eravamo sull'autostrada. C'era molto traffico e il che era un buon segno, si stavamo avvicinando ad una città.
Quanto avrò dormito? Il sole è già alto.
Uscii dal mio nascondiglio e mi avvicinai al bordo del ribaltabile. Con cautela mi sedetti lasciando le gambe a pendoloni. Davandi a me solo strada, ero lontana finalmente.
Chissà i miei genitori come staranno.

*** 

"Anthony, guarda!" trovai un biglietto sul tavolo della cucina, rabbrividii nel vedere che la scrittura era di Pamela. Mio marito si avvicinò a me e io caddi a terra, singhiozzando.
"Martha, che succede? Cos'è quel biglietto!?"
"Nostra figlia è andata, non c'è più. Se n'è andata, ci ha lasciati, ci ha lasciati!"
Anthony sbarrò gli occhi, non credeva alle sue orecchie. Mi diede le spalle correndo velocemente al piano superiore, sentivo le porte sbattere, stava cercando ovunque.

Poi dei borbottii: "no, no, no"
Non riuscivo più a contenere le lacrime; cosa avevamo fatto di male? Perchè non voleva che la cercassimo? Perchè? Perchè a noi? Le avevamo dato tutto ciò che aveva bisogno.
L'uomo tornò in cucina, gli occhi lucidi e in mano un cellurare: quello di Pam.
"Ha lasciato pure questo." disse sbattendolo sul tavolo.
"Che facciamo?" chiesi mentre lui mi strappò dalle mani il biglietto.
"Niente." rispose stracciandolo. "Accontentiamola per qualche giorno, poi la cercheremo. E la troveremo, vedrai."


*** 

Il muratore si fermò ad una stazione di servizio, era l'una e doveva mangiare. Decisi così di fare quattro passi per sgranchirmi le gambe. Lasciai il borsone sul camioncino, sarei tornata in tempo.
Eravamo in una città, ma non sapevo precisamente quale. Intorno a me tutto era diverso da Blackpool. Negozi, bar, scuole, tutto pullulava di vita. Gli edifici avevano uno stile antico, bellissimo.
Passai davanti ad una rosticceria. Il profumo di carne mi inebriò le narici e subito lo stomaco brontolò. Che fame che avevo. Controllai gli spiccioli che avevo in tasca: pochi ma forse sufficienti. Molte persone mi passavano accanto e mi guardavano male, probabilmente pensavano a cosa ci facesse in giro un' adolescente a quell'ora, ma non ne diedi molta retta. Ero abituata ad essere sotto l'attenzione della gente. Fregandomene di tutto entrai nel negozio e senza parlare diedi un occhiata veloce al banco. Che buon profumo.
"Hai bisogno?" chiese qualcuno. Alzai lo sguardo e trovai di fronte a me un ragazzo sui vent'anni. Era molto carino, occhi azzurri e capelli castani portati lunghi sulle orecchie. Aveva due basette lunghe, non era molto alto. Aveva un sorriso dolce, rassicurante. Mi sentivo a mio agio.

"Ehm, a dir la verità sì. Ho molta fame, ma i soldi scarseggiano. Cosa potrei comprare con questi?" posai sul bancone i pochi spiccioli che avevo a lui scoppiò in una grassa risata.
"Questo." raccolse da sotto il bancone un panino e me lo diede. Mi demoralizzai ma era sempre meglio di niente. "Tu non sei di qui, vero?"
domandò prima che uscissi.
"Si nota molto?"
"Sì, non hai il nostro accento. Da dove vieni?"
"Lontano, penso. Che città è questa?" domandai persa nei miei pensieri. Mi ero trovata a parlare con questo tipo, senza nemmeno sapere chi fosse e dove mi trovassi.

"Liverpool."
Wow, ne avevo fatta di strada. "Allora, da dove vieni?"
"Lontano." non volevo dagli molta confidenza, d'altronde non lo conoscevo nemmeno.

"Ok, ragazza che viene da lontano che ne dici di un po' di petto di pollo, eh?"
"Non posso pagarlo..." abbassai lo sguardo e accennai un sorriso, morivo di fame, morivo di sete.

"Lo offro io, andiamo. Basta che mi dici il tuo nome." rispose sorridendo inziando a tagliare la carne. Io mi avvicinai a lui e tranquilla risi.
"Pam, tu?"
"Richard. Piacere!" addentai il panino e inziai a fare quattro chiacchere con lui. Mi sentivo bene, era come che di lui mi fidassi. Sarebbe stata una faccia amica per me. Intanto nella mia mente frullavano miliardi di pensieri fra cui il fatto che mi trovassi nella città di Cynthia, l'avrei potuta vedere, forse.
Che scuola frequenta? Il Liverpool College of Arts se non mi sbaglio. Dopo proverò a passarci dentro, se lo trovo. Il tempo di un saluto e dopo riparto. Dopo, dopo, dopo. Tutto dopo. Ma se dopo fosse troppo tardi? Accidenti, il camionicino.
"Accidenti il camioncino!" urlai scattando dalla sedia e dirigendomi verso la porta. "Devo scappare scusa, ci si vede Richard!"
Corsi a più non posso verso una meta sconosciuta, non sapevo dove stessi andando ma dovevo trovare assolutamente quella stazione di servizio. Avevo il fiatone, non riuscivo più a respirare.
Dove diamine era?
Mi guardai attorno, niente di niente. Mi ero persa. Avevo perso tutto: la borsa con i vestiti, le lettere, l'mp3, la macchina fotografica. Tutto.
Mi ritrovavo di nuovo sola in una grande città.
Accidenti a me.

Salve ragazzi, sono Chià :)
Spero che il prologo vi abbia incuriositi almeno un po' e che vi sia piaciuto. Fatemelo sapere in una recensione, mica vi mangio!
Ah, una precisazione: la storia è ambientata ai nostri giorni come avete potuto capire e i nostri Beatles al completo saranno presenti dal prossimo capitolo. ;)
Mi scuso per eventuali errori di battitura,

Baci,
Chià.

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Capitolo 2
*** (2) Oops ***


(2)

 

Mi guardai intorno, spaesata. Le persone passavano mi accanto indifferenti, senza sapere che di fronte a loro c'era una ragazza in difficoltà.
Cavolo. E' ora cosa faccio?
Non sapevo dove andare, non sapevo cosa fare. Cercai di agguantare un idea in breve tempo e l'unica cosa che sembrava potesse funzionare era andare alla scuola di Cynthia. Se l'avessi trovata, forse, lei avrebbe potuto darmi una mano.
Decisi, allora, di chiedere qualche indicazione stradale, ma non ad una persona qualunque, piuttosto a qualcuno che ispirasse sicurezza.
Notai subito un signore che attirò immediatamente la mia attenzione. Era un uomo anziano, brizzolato, alto e un po' ricurvo, vestito di tutto punto come sono un gentleman inglese sa fare.
Gli andai incontro, con un sorriso cortese.
"Mi scusi, potrebbe aiutarmi?" chiesi gentilmente.
"Dica." rispose altezzoso, con un po' di puzza sotto il naso.
"Mi potrebbe indicare la strada per il Liverpool College of Arts, per favore?" Lui, pacato, senza alcuna espressione sul viso, mi rispose spiegandomi dettagliatamente dove dovessi andare. Gesticolava in un modo così elegante, doveva essere un uomo d'affari, di sicuro.
Ringraziai facendo un leggero inchino e mi diressi nella parte opposta alla sua. Diedi una veloce occhiata all'orologio, dovevo sbrigarmi prima che le lezioni finissero.
Mentre camminavo, baciata dal sole splendente, nella mia mente passavano mille pensieri.
Mi riconoscerà? Mi aiuterà? Ah, oddio, Pam, non farti tutti questi problemi. Sei paranoica, lo sai?
Sbuffai, stanca del miei pensieri e mi godetti il paesaggio rustico che mi si parava davanti.

Saltellavo mentre camminavo per le vie, così calde e accoglienti di Liverpool. Se solo avessi con me la mia macchina fotografica per immortalarle. Dovevo ammettere che era veramente una bellissima città. Poco caotica, poco traffico, tanta tanta vitalità.
Qui le persone erano felici e si vedeva; mi balenò allora l'idea di fermarmi lì, di non allontanarmi ulteriormente. Mi sarei trovata bene, forse.
Rimasi a bocca aperta di fronte alla maestosità della scuola d'arte.
Che bell'edificio, enorme. Mi ero sempre interessata di architettura e questo luogo era proprio il paradiso per me. Una grande scalinata portava all'ingresso dell'istituto con una grande parete con mattoni a vista e finestre sparse. Un edificio antico, a quanto pare.
Scalai i gradini, velocemente e tentai di aprire la porta a vetri che mi si parava davanti. Chiusa. Non potevo essere talmente sfortunata, accidenti.
"Cristo, ce l'hanno su con me oggi!" urlai alzando le braccia al cielo per poi lasciarmi cadere sconsolata sui gradini. "E che cavolo, tutto sembrava funzionare e ora? Taac, un casino dietro l'altro."
Poggiai le testa tra le mani e mi lasciai coccolare dal vento. Tanto non avevo nient'altro di meglio da fare.
Sentivo le ciocche muoversi sulla mia schiena, dondolavano. Alcune mi accarezzavano il volto, il che mi faceva un leggero solletico e mi faceva sorridere.
Aprii gli occhi, scorsi un parchetto in lontananza. Pullulava di persone, di bambini. Si sentivano voci, schiamazzi di felicità. Decisi di andarci a fare un giro.
Un gruppo di bambini in mezzo all'erba stavano giocando a calcio, si divertivano, si scatenavano. Che bello avere la loro età. Quando si è piccoli si è spensierati, senza problemi, senza alcuna preoccupazione. L'adolescenza invece ti porta solo un sacco di casini. Le loro risate mi fecero tornare il buon umore. Vedendo loro divertirsi così, capii che non c'era motivo per essere tristi, per buttarsi giù. Di addentrarmi in questa situazione lo decisi io, e allora che mi trovavo in quell'avventura dovevo viverla. Con tutti i suoi momenti felici e dubbiosi. Dovevo viverla appieno.
"Hei, piccoli!" salutai il gruppetto di fronte a me, attirando la loro attenzione. "Io sono Pam, non è che..mi fareste fare qualche calcio?"
I ragazzini erano un po' impacciati, imbarazzati e io tentai di farli sentire a loro agio sedendomi a gambe incrociate davanti a loro. "So di non essere una grande calciatrice ma posso provarci! Andiamo, posso competere con voi professionisti?"
Si guardarono negli occhi, divertiti, poi uno di loro mi passò il pallone. "Pronti!" urlai strappandogliela dalle mani e mettendomi velocemente in piedi. Il gruppetto si mise a seguirmi tentando di rubarmi la palla.
Era da tempo che non mi sentivo così bene, mi stavo divertendo, finalmente.

Piano piano arrivò il tramonto, il cielo si colorò di rosso, era stupendo. Lentamente però le nuvole fecero capolino e qualche goccia mi bagnò il viso.
Stavo vagando, senza meta, per le vie di questa meravigliosa città. La gente stava tornando nelle loro case, nelle loro famiglie, per gustare un caldo pasto in compagnia. Mi prese una grande fitta allo stomaco. Avevo fame, sete, tutto. Cominciavo anche ad avvertire un leggero freddo; nonostante fosse la fine di marzo, le serate erano gelide, dal momento che la primavera qui tardava sempre ad arrivare.
Altre gocce sul viso. Alzai lo sguardo al cielo, era nero. Stava per arrivare uno dei soliti temporali inglesi; avrei dovuto trovare velocemente un riparo.
In lontananza vidi una casa, con una scala di ferro esterna che probabilmente serviva come uscita d'emergenza. Mi avvicinai e tentai di arramipicarmi, senza farmi nè sentire nè vedere dagli inquilini che all'interno dell'appartemento facevano un rumore infernale. Mi rannicchiai di fianco ad una finestra, aperta e portai le mie ginocchia verso di me, per scaldarmi leggermente. Nel frattempo l'acqua è iniziata a scendere e mi bagnò tutta. I capelli e vestiti erano fradici e quel leggero venticello pungente mi faceva tremare. Nonostante tutto adoravo la pioggia. Adoravo il ticchettio che aveva sull'ombrello, l'amavo.
"John, vuoi una sigaretta?" una voce mi distolse dai miei pensieri. Era di un ragazzo e proveniva dall'appartamento. Cercai di farmi piccola piccola.
"Adesso no. Sto finendo la mia birra e poi il Liverpool sta per segnare." rispose un altro.
"Dai, cazzo, segna!" ma in quanti erano in quella casa?
"Cyn, mi fai compagnia tu, allora?" Cyn? Forse la mia amica Cyn? No, non poteva essere.
"Ok." disse una voce femminile. Sentii dei passi farsi sempre più rumorosi rivolti verso la mia direzione. Mi schiacciai di più con il muro. Non ero molto alta e questo giocava sicuramente in mio favore. Vidi, con la coda dell'occhio, la ragazza che si sedeva elegantemente sul davanzale. Scorgevo solo la sua schiena e dei capelli non molto lunghi, che arrivavano alle spalle, biondi, mossi. I due giovani continuavano a parlare del più e del meno, ma io non diedi loro molta retta.

Dopo un paio di minuti i ragazzi si ritirarono in casa e a me venne in mente una strana idea.
Strisciai a gattoni fin sotto lo sbocco verso l'interno dell'appartamento per dare un occhiata. Alzai lentamente il capo e scrutai ogni minimo particolare. La finestra dava sul bagno. Un bagno decisamente ordinato e pulito. Tutto aveva un posto e tutto era al suo posto. La porta, aperta, mi permetteva di guardare una piccola parte di appartamento. Scorgevo un divano e i riflessi di una televisione accessa. Sentivo schiamazzi divertiti e odore di birra e fumo di sigaretta. Nell'aria c'era anche un profumo di pizza calda, forse ancora nel forno. Il che solleticò i miei sensi e fece brontolare il mio stomaco. Accecata dalla fame e dalla curiosità di scoprire se quella Cyn era la mia Cyn, entrai. Scavalcai, grossolanamente il davanzale e poggiando il piede sulla vasca, atterrai nel bagno con un saltello. Notai uno specchio. La stanza era piccola e buia, ma la voglia di specchiarmi era troppo forte. La mia figura era sciupata. I miei capelli lunghi, bagnati, si appiccicavano al volto e il cappello che indossavo, sempre a causa della pioggia, si era deformato. La matita, che a volte indossavo, era colata dandomi un leggero aspetto di panda. Non ero proprio un bel vedere in quel momento.
Improvvisamente una voce mi immobilizzò.
"E tu chi diamine sei?!" era un ragazzo, quello della sigaretta.
Merda.
"Oops." risposi voltandomi verso di lui.

 

Saalve ragazzi :)
Ecco il secondo capitolo. Spero sia di vostro gradimento e che non vi abbia ''deluso''. Beh, potete sempre dirmi ciò che pensate in una recensione; mi fanno molto piacere e inoltre mi spingono a continuare :)
Beh, alla fine del capitolo si entra, finalmente, nella storia e fanno il loro ingresso i fab *applausi*
Che altro dire? Al prossimo capitolo.
Baci,
Chià.
Peace&love.

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