La protezione dell'ombra di Paradorn (/viewuser.php?uid=23604)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Piccolo ***
Capitolo 2: *** Novità ***
Capitolo 3: *** La Figuraccia Dei Serpeverde ***
Capitolo 4: *** Mare ***
Capitolo 5: *** You Say You Want A Revolution ***
Capitolo 6: *** Foga, Imprudenza e Passione ***
Capitolo 7: *** Parola d'ordine: praticità! ***
Capitolo 1 *** Piccolo ***
1. Piccolo
Il primo pugno mi colpisce
dritto al fianco facendomi sputare
l’aria dai polmoni. Non faccio neanche in tempo a
sorprendermi che una mano mi afferra saldamente da dietro il collo e mi
tiene in piedi. Nel frattempo il pugno torna spietato sulle mie costole
e una serie di flash luminosi esplode davanti ai miei occhi per il
dolore.
Altra scarica di pugni, seguita da un’altra scarica di flash.
I miei fianchi reclamano pietà con un brontolio sommesso e
la mano d’acciaio che mi tiene stretto finalmente molla la
presa e io cado giù sul pavimento di pietra come un sacco
vuoto, nonostante abbia l’impressione che il mio corpo pesi
una tonnellata.
Una voce mi sibila all’orecchio.
“Questo succede a chi si impiccia degli affari degli
altri.”
La frase è seguita da un bel calcione nello stomaco che mi
rivolta come un calzino. Mentre mi rotolo a terra per il dolore, vedo
le caviglie di quei bastardi allontanarsi velocemente.
“Ah se si potessero riconoscere le persone dalle
caviglie!” penso, ma non faccio in tempo a finire di
imprecare che già sento il buio avvolgermi. Sbatto un paio
di volte le palpebre e riesco a vedere nella foschia del mio vicino
svenimento un viso a pochi centimetri dal mio. Avverto a malapena un
braccio che cerca di sollevarmi circondandomi le spalle, poi lascio che
la stanchezza si riprenda il mio corpo e con lui i miei pensieri.
Quando mi risveglio sono steso su un letto che non riconosco, in una
stanza che non riconosco.
Stranamente mi sono svegliato lucidissimo. Ho un ricordo nitido di
ciò che mi è successo prima di svenire e il mio
sguardo è già vigile, mentre si inoltra nelle
pieghe della stanza, con la pretesa di poter vedere anche attraverso il
legno e la pietra.
Una lampada da tavolo accesa è l’unica fonte di
luce della stanza. Dalla finestra aperta proviene solo una fioca
fosforescenza che mi informa che è sera, forse notte. Devo
aver dormito parecchio, perché prima che quei 2 gorilla si
abbattessero su di me erano appena le 3 del pomeriggio.
La stanza è incredibilmente semplice, assolutamente
essenziale, quasi spartana. Il letto nel quale mi trovo in
realtà è una specie di brandina trasportabile che
mi ricorda i campeggi della mia infanzia con i miei amici, quando
vivevamo costantemente divorati dentro dalla nostra fame e fuori da
quella delle zanzare.
Sto cercando di alzarmi dal letto, tentando di ignorare le leggere
fitte ai fianchi, regalo delle già citate mani di fata (o
dovrei dire ‘pugni’ di fata?) di questo pomeriggio,
quando la porta della stanza si apre e mi rivela finalmente il buon
samaritano che ha portato me e i miei avanzi nella sua stanza.
Non posso dire di essere sorpreso. Una stanza così a
Hogwarts poteva appartenere solo a una persona.
“Salve professore” dico sorridendo allegramente.
Severus Piton non sorride. Mi guarda con la sua solita espressione
fredda e
distaccata, con una punta di disprezzo (falsa!) che non guasta mai, e
mi rivela la sua santa verità:
“Signor Trey, lei è la persona con meno giudizio
che abbia mai conosciuto.”
“Grazie” dico io. Detta dal professor Piton, una
frase del genere dovrebbe essere un complimento, immagino.
“Non è un complimento” si affretta lui a
precisare.
Io sorrido e alzo le spalle.
“E’ il pensiero che conta” rispondo, e
una strana smorfia gli compare sul volto. Non saprei dire cosa
rappresenti quell’anomala contrazione dei muscoli facciali,
ma la interpreto come una cosa positiva.
Sono 3 anni che mi aspetto sempre che un giorno Piton scoppi a ridere.
Non è possibile per un essere umano stare costantemente seri
e concedersi solo ghigni una volta ogni tanto. Per questo, mi adopero
ogni giorno, almeno una volta a lezione, e anche oltre se necessario,
affinché finalmente il suo viso venga agitato da una sana e
vera risata.
Una volta gliel’ho perfino detto, durante la prima di due ore
di pozioni.
“Professore io devo assolutamente ascoltarla ridere.
E’ di vitale importanza per me.”
La sua voce era poi risuonata più calma del solito,
perforando quel silenzio attonito che si era formato per alcuni secondi
nella classe.
“Sono anni che non rido, signor Trey, e non sarà
di certo lei a convincermi a riprendere quella pessima
abitudine.”
E’ da allora che continuo a perseverare nel mio intento,
convintissimo che un giorno ci riuscirò.
Piton, in ogni caso, a parte la smorfia sul viso, ignora la mia frase e
prosegue per conto suo, facendo leva sulla sua arma preferita:
l’ironia!
“E’ la terza volta questa settimana che i suoi
compagni le dedicano una dimostrazione d’affetto
così commovente, non è così?”
“Vero… e la settimana deve ancora
finire!” dico continuando a sorridere allegramente.
Le conversazioni con il professor Piton mi divertono da morire e ho il
sospetto che divertano anche lui, perché non perde mai
l’occasione per iniziarne una.
“Già, ma se continua così, signor Trey,
dubito che lei riesca ad arrivare a domenica…”
“Senta professore” lo interrompo “ne
abbiamo già parlato, no?”
E’ vero, ne abbiamo già parlato. E’
dall’inizio dell’anno scolastico, due mesi fa, che
lui e gli altri insegnanti cercano di convincermi a cambiare
atteggiamento, ma la risposta è sempre la stessa. Non posso!
“Le sono grato di avermi aiutato, ma non si deve preoccupare.
Non le fa bene alla salute” riprendo tra il deciso e il
divertito dirigendomi verso la porta, sotto la sua occhiata
inceneritrice.
Solo a me permette simili frasi. Posso affermare di essere il suo
alunno preferito di sempre!
“Ora si metta a letto, al calduccio sotto le coperte e faccia
sogni d’oro. Buona notte.”
E chiudo immediatamente la porta dietro di me per non dargli la
possibilità di urlarmi dietro o peggio ancora di tirar fuori
la bacchetta.
Sono il suo alunno preferito, è vero, ma non ci penserebbe
due volte a lanciarmi una qualsiasi delle maledizioni senza perdono!
Svolto a destra per il corridoio e ritorno velocemente alla mia sala
comune, dopo aver salutato la Signora Grassa che mi sorride
gentilmente, perché per una volta era sveglia e non le ho
dovuto urlare in un orecchio per entrare.
Ci sono ancora una decina di persone sparse tra i tavolini e i
divanetti della sala comune di Grifondoro. Sollevano lo sguardo dai
loro libri o dal fuoco puntandolo svogliatamente su di me. Un
po’ di interesse passa nei loro occhi appena mi riconoscono,
alcuni mi salutano, ma tornano quasi subito alle loro faccende, eccetto
una persona.
Lo zio mi viene incontro con aria insieme severa e preoccupata.
“Ehi piccolo, come stai? La McGranitt ci ha detto che hai
fatto un altro brutto incontro per i corridoi.”
“Niente di particolare, zio, i soliti tipi i cui pugni
volevano frequentare un po’ le mie costole, ma lo sai che io
non mi concedo a chiunque… almeno di solito!”
sghignazzo. “Stavolta è andata così, ma
la prossima volta non sarò io a finire svenuto sul
pavimento!”
Ames White mi guarda con i suoi grandi occhi castani, mentre
probabilmente riflette sulle mie disgrazie, sempre più
frequenti quest’anno.
Soprannominato da tutti lo zio White, ma chiamato apertamente in questo
modo solo da me, Ames è il più vecchio
diciottenne che si possa avere la fortuna (o sfortuna, dipende dai
casi…) di incontrare. Ha il viso segnato dalle intemperie
della vita, la voce profonda che sembra provenire ovattata dalle
profondità marine e lo sguardo di chi ha già
visto molte cose, cose irripetibili a quanto spiega lui ogni volta che
gli si pone una domanda sulla sua vita fuori Hogwarts. Praticamente
solo con me ogni tanto si è sbottonato e dopo pochi aneddoti
avevo già capito che la sua faccia non riflette neanche la
metà dei suoi veri anni.
Lo zio, fin da 4 anni fa, al mio arrivo alla scuola di magia, mi ha
preso sotto la sua ala. E che ala!
E’ un armadio di un metro e novanta, con corti capelli neri
che sta già cominciando a perdere (come non la smetto di
ricordargli io) e uno strano pizzetto che si unisce ai basettoni per
mezzo di una sorta di voluta. La sua pelle sembra più
corteccia che altro e io ormai ho diffuso in giro la voce che in
realtà è stato creato da un falegname piuttosto
megalomane, che deve aver scelto legno di quercia come materiale.
“Ma che tipo è?!” direte sconcertati
voi, ma l’unica cosa che vi posso dire, è che a
prima vista fa davvero paura.
Inoltre, la leggenda (per altro vera) che lo vuole “la
bacchetta più veloce di Hogwarts” lo rende ancora
più temibile.
E rendeva me praticamente intoccabile… almeno fino
all’anno scorso.
Purtroppo quest’anno è quasi interamente occupato
dalla sua preparazione ai MAGO e neanche una (no, dico, neanche una!
UNA!) delle nostre ore libere corrisponde. Questa spiacevole
coincidenza (o non coincidenza se preferite) ha
concesso ai miei
innumerevoli ammiratori (che però lasciano a me gli
autografi e non il contrario!) molti, anzi moltissimi più
‘incontri privati’ di quanti non ne avessi avuti
negli scorsi quattro anni.
Ma è il fatto che l’anno prossimo Ames nemmeno ci
sarà che mi fa pensare seriamente di lasciare Hogwarts con
lui!
Lui sembra pensare la stessa cosa e mi lancia un’occhiata
tra
il pietoso e lo scazzato.
Io comprendo il suo sguardo e lo tranquillizzo.
“Dai non farne un dramma! Piuttosto
zio…” cerco di cambiare argomento, “come
è andata a te la giornata? Non avevate una specie di esame
tu e Hèk?”
Lui mi accontenta e ci mettiamo a parlare della sua situazione
scolastica. Oggi ha fatto una verifica scritta e pratica in
incantesimi. Il vecchio professor Vitious non vorrebbe fare brutte
figure con gli esaminatori per i MAGO, così ha deciso di
testare le conoscenze del settimo anno e di cercare di aiutare gli
studenti con più lacune. Ames non è tra questi
per fortuna, perché aveva passato tutta la
settimana
ad ammazzarsi sui libri.
Un paio di studenti ci guardano male quando scoppiamo a ridere
sonoramente per una delle nostre solite cazzate, ma poi lasciano stare.
Ames è un po’ lo zio di tutti tra i Grifondoro. Si
può anche dire che ne è il capo indiscusso.
“Ahi, piccolo” comincia mentre la risata viene
inghiottita tra le sue enormi mandibole decorate da volute di peli,
“quand’è che prenderai un po’
di buon senso?”
Eccola. Ogni sera, alla stessa ora, immancabile, la paternale del
vecchio White.
E’ una tradizione ormai. Lui seduto sulla sua bella poltrona
e io davanti a lui, pendendo dalle sue labbra. Perché
è vero che ogni sera mi fa il suo discorsetto sullo stesso
argomento, ma il divertimento sta nel fatto che ogni volta adduce
motivazioni diverse, per le quali io dovrei ‘mettere un
po’ di sale in zucca’.
Ogni sera quindi non aspetto altro che sentire la sua nuova trovata per
‘tirarmi fuori dai guai’.
E qui forse è il caso di spiegarvi quali sono i guai dai
quali lo zio vorrebbe tirarmi fuori. Perché avrete
certamente capito che non sono proprio unanimemente ben voluto dagli
altri studenti, però non sapete il perché. In
realtà neanch’io l’avevo capito
all’inizio.
E c’è voluto Ames, che a quei tempi, il mio primo
anno, era zio solo di fatto, ma non ancora di nome.
Una sera mi ha beccato tutto solo, su una poltrona, con intorno il
deserto in un raggio di 5 metri. Ero incazzato nero, perché
non capivo come cavolo avevo fatto nel mio primo mese ad Hogwarts a
farmi odiare da una buona metà di studenti.
“La verità è che non sembra importarti
di niente, ragazzo” disse, sedendosi accanto a me, con
voce calma e pacata.
E parla proprio così lo zio, chiamandoti
“ragazzo” o meglio ancora
“piccolo”, come se ti trovassi di fronte un
ottantenne, un vecchietto, la saggezza in persona!
“Sei troppo diretto in tutto quello che dici, in quello che
fai,” aveva continuato ignorando le mie occhiatacce di fuoco,
“senza interessarti delle conseguenze. E se
c’è una cosa che ho imparato delle conseguenze
è che queste non si limitano a colpire solo la loro
causa.”
E così mi aveva portato, tirandomi praticamente per
un orecchio, in una stanza di ragazzi del terzo anno, dove uno
studente particolarmente gracile se ne stava ritto davanti allo
specchio circondato da qualche compagno più grande, mentre
si dava una ripulita alla faccia gonfia per le botte e costellata qua e
là da alcune ferite ancora aperte. Ames mi spiegò
che praticamente c’ero io alla base di quel pestaggio e di
una decina di episodi simili, andati a scapito di un po’
tutte le Case.
Io ero scioccato.
“La tua lingua è pericolosa, e la tua
sfacciataggine la rende ancora più letale,” aveva
proseguito lo zio sempre con la sua solita aria pacata, “ma
la cosa più preoccupante è che finora tu non ne
avessi idea.”
Io lo guardai colpevole, tormentato come quando da piccolo i miei mi
beccavano con le mani in un sacco particolarmente sporco e pesante. Ma
lui mi aveva sorriso, come ci si aspetta che facciano solo gli zii
bonaccioni, che non sono in grado di tenere il broncio per troppo tempo
ai loro nipoti.
“Ma non preoccuparti piccolo – il suo
primo piccolo! – a tutto si
può
rimediare!”.
E in parte avevo rimediato. Mentre nel mio primo mese, ero odiato da
metà degli studenti, e indifferente all’altra
metà, dall’intervento di Ames, la situazione
andò sempre meglio.
Oggi come oggi, gli unici dai quali sono odiato sono i Serpeverde. Ma
il loro commovente sentimento nei miei confronti, bisogna dirlo,
è aumentato a dismisura.
Perché, e lasciatemelo dire con una punta di orgoglio, io
sono uno dei pochi ad oppormi alle loro prepotenze. E l’unico
ad opporsi che non sia del settimo anno.
E questo argomento tocca molto in profondità le sensibili
corde del vecchio White.
“E’ colpa nostra…” dice ogni
volta che se ne parla, riferendosi a tutti i veterani. “Non
siamo riusciti a fare quello che generazioni di Grifondoro hanno fatto
prima di noi. Creare nuovi Grifondoro! E lo stesso
vale per i Corvonero
e i Tassorosso” e si infervorava a parlarne, spinto da una
sorta di rabbia e delusione, mescolate in ugual misura. Io facevo del
mio meglio per tirarlo su, ma d’altro canto non si poteva
negare che in parte fosse vero. Nessun Grifondoro all’infuori
del settimo anno infatti, faceva quello che aveva sempre
contraddistinto
i membri della Casa.
“Solo una cosa rende una persona un vero Grifondoro: avere
coraggio!” ripeteva spesso lo zio. “Ma non
c’è coraggio nell’abbassare la testa per
non vedere e affrettare il passo per non essere…
immischiati!” e sputava fuori l’ultima
parola come
fosse veleno.
“Quando andremo via noi, resterai solo tu,
piccolo… e questo mi preoccupa” aggiungeva alla
fine con una nota di tristezza nella voce.
Non gli dico mai che preoccupa anche me.
Ed ora eccolo qui, pronto per la solita paternale, con la sua voce
proveniente direttamente dalle profondità
dell’oceano Atlantico.
“Jeremy – ah già, non vi avevo detto che
è così che mi chiamo, Jeremy Trey -, tu sei un
vero Grifondoro, ma sei anche uno
stupido.”
Attacca così questa sera e io lo lascio fare. Deve ancora
arrivare il giorno in cui mi offenderò per una qualsiasi
parola dello zio.
“Non risolverai niente facendo da pungiball per quei
serpeverde. Prenderai solo botte.”
Mi lascio cullare da quella voce che sa di corallo e sabbia, ma non mi
concedo al sonno. La parte migliore deve ancora arrivare.
Ma qui Ames mi prende completamente di sorpresa. Sospira stancamente,
poi si stropiccia gli occhi con le mani e resta in silenzio per qualche
minuto, ma questo silenzio ha il peso di un macigno.
“Questa è l’ultima sera che affrontiamo
il discorso. Nessuna mia parola potrebbe mai convincerti,
perché tu sai che non sarebbe vera. Fai bene piccolo a
tenere testa a quei porci.”
Quelle frasi mi riempiono di un orgoglio smisurato e io mi sorprendo a
non esplodere dalla gioia. Ma lui deve aver capito, perché
mi guarda fisso negli occhi, appoggiandomi una mano sulla spalla e
aggiunge forse la frase più bella che avrebbe mai potuto
pronunciare: “E io sono fiero di te.”
Non mi lascia il tempo di dire niente, perché solleva
l’armadio che si ritrova al posto del corpo dalla sua
poltrona, si raddrizza sulle gambe stiracchiandosi e riprende a
parlare.
“Adesso andiamo a dormire, ché domani
sarà una giornatina per nulla leggera.”
Fine primo capitolo
Note dell'autore:
Ringrazio infinitamente lo zio Stojilkovicz e lo zio Thian, dalle cui
costole è nato Ames White, uno zio ben meno saggio dei suoi
padri.
Ringrazio anche Clara, il cui velluto si presterà agli usi
della mia
Hermione Granger… ahimè con ben meno fascino di
quanto facesse con la sua originaria padrona.
E un immenso “Merci” va a Benjamin, il cui puzzo di
capro si è trasmesso in parte al protagonista di questa
storia (fortunatamente per lui!).
Chi ha letto l’irraggiungibile eroe della letteratura
francese, sa…
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Capitolo 2 *** Novità ***
2. Novità
L’indomani infatti non si
presenta per nulla leggero.
Ripenso
al mio orario, mentre scendo per fare colazione, affiancato da Ames, ma
non appena metto un piede in Sala Grande, un brusio di voci diverso dal
solito attrae tutta la mia attenzione.
E’ un brusio che sa di
novità.
“Che succede?” chiede lo zio un attimo dopo
esserci seduti al tavolo dei Grifondoro.
E’ Hèk Thai-hè a rispondergli.
Hèk è l’ombra del vecchio White e non
è un caso che io l’abbia soprannominato proprio
così: Ombra.
Nessuno si sognerebbe mai neanche di sfiorare Ames anche per la
presenza costante del ragazzetto di origine vietnamita che gli orbita
sempre intorno.
Se lo zio è un tronco di quercia contro cui nessuno vorrebbe
mai sbattere la testa, Hèk è certamente i suoi
rami, robusti ma veloci, e sferzanti più di quelli di un
platano picchiatore. Le poche volte in cui i due sono stati tirati in
causa (fisicamente intendo) il primo ha distrutto e il secondo ha
ripulito, con una velocità impressionante per altro.
L’amicizia tra i due ha ormai i contorni della leggenda. Si
dice che si conoscano da molto prima di arrivare ad Hogwarts e che da
allora girino sempre insieme. Non tengono più il conto di
tutte le volte in cui si sono
salvati le chiappe a vicenda e io non tengo più il conto
delle storie che girano su di loro.
Ma neanche con me, lo zio ha mai parlato di questo argomento, non
facendo altro che alimentare la mia già enorme
curiosità in proposito.
“Guardate un po’ al tavolo dei
professori” dice Hèk.
“Non ve ne pentirete” aggiunge con il suo solito
ghigno ferino.
Ricorda molto un gatto sia nell’espressione che nelle
movenze, un grosso gatto del Vietnam.
Io e il vecchio White buttiamo subito l’occhio in direzione
del ghigno di Ombra e ci basta un attimo per scoprire di cosa si
tratta.
Eccola la novità. E’ in formato giovane donna e
sembra parlare amabilmente con Hagrid. E’ seduta alla destra
della McGranitt, la preside, e ogni tanto parla anche con lei,
illuminata dal sorriso più solare che mi sia mai capitato di
vedere, incorniciato da folti e mossi capelli castani che le scendono
lunghi fin sotto le spalle. Nonostante non abbia una visione completa
del suo corpo, posso assolutamente affermare che si tratta
dell’essere umano più bello che abbia mai visto.
“Chi sarà?” chiedo senza staccarle gli
occhi di dosso, proprio mentre il professore di cura delle creature
magiche scoppia in una sonora risata.
“E’ probabile che sia la nuova insegnante di difesa
contro le arti oscure” dice Rachel Joint, un'altra Grifondoro
del settimo anno seduta accanto a Hèk. “E
Jeremy…” aggiunge ripescando il mio occhio dalla
chioma castana al tavolo dei professori, “smettila di
guardarla in quel modo”.
Ridiamo un po’ tutti e io comincio a servirmi
un’abbondante colazione, lanciando solo ogni tanto occhiate
alla donna misteriosa.
Una volta riempiti quasi del tutto i tavoli delle case, la preside si
alza per prendere la parola. Il silenzio che cade nella sala sembra
urlare tutte le domande in testa agli studenti (soprattutto maschi)
sulla persona alla sua destra, ma la McGranitt pare non farci caso e ci
tiene sulle spine un’altra decina di secondi. Poi finalmente
inizia a parlare e tutta la sala ricomincia a respirare come un sol
uomo.
“Buon giorno ragazzi. E’ un grande piacere per me
annunciare l’arrivo di una nuova insegnante di difesa contro
le arti oscure, dopo la… delicata partenza del
precedente”.
Tutti sanno che la partenza del precedente insegnante di difesa non ha
avuto niente di delicato. Una litigata colossale a suon di urla tra lui
e la preside, infatti, è sfociata nel più
incredibile licenziamento che Hogwarts ricordi. Esistono diverse
versioni riguardo il motivo della discussione, ma nessuno sa
ciò che è successo in realtà.
“Diamo il benvenuto, anzi… il bentornato a
Hermione Granger.”
La ragazza si alza, leggermente imbarazzata, forse,
dall’esplosione di urla (maschili) di tutte le case. Sorride
gentilmente, china un poco la testa e si risiede subito.
Mi sono ampiamente bastati quei due secondi in cui è stata
in piedi per farle una radiografia completa di quel corpo mozzafiato
che si ritrova.
“La professoressa Granger è stata la studentessa
più brillante di tutti e 7 gli anni che ha passato qui a
Hogwarts nella casa di Grifondoro.”
Una nuova esplosione di urla, circoscritta questa volta solo al tavolo
rosso-oro, la fa ridere apertamente e anche Hagrid aggiunge la sua voce
alle altre, mentre ride forte.
Una strana forza magnetica mi spinge a spostare lo sguardo dalla scena
per posarlo sul professor Piton. Il suo di sguardo, è
rivolto
alla Granger e sarebbe in grado di distruggerla all’istante
se solo la donna si arrischiasse di incrociarne gli occhi.
Resto un po’ sorpreso. E’ vero che in generale
Piton sembra sempre odiare il mondo intero, e gli insegnanti di difesa
contro le arti oscure soprattutto, ma quell’occhiataccia
è molto più velenosa del solito.
Le parole della McGranitt mi costringono a voltarmi nuovamente verso di
lei.
“Sono sicura che sarà un’ottima
insegnante, nonostante sia molto giovane e questa sia una delle sue
prime esperienze.”
E ci credo! Avrà al massimo trenta anni!
“E sono sicura che voi studenti e il corpo docente”
aggiunge la preside facendosi sfuggire una velocissima occhiata in zona
Piton “la aiuterete ad integrarsi alla perfezione.”
La nuova attrazione di Hogwarts non ha abbandonato il suo bellissimo
sorriso neanche per un istante, ma anche la velenosità del
professore di pozioni non è diminuita di mezzo grado,
nonostante la frecciatina più o meno velata lanciatagli.
“Buona giornata a tutti, ragazzi” termina la
McGranitt tornando a sedere e scambiando qualche altra parola con gli
insegnanti.
Il mio sguardo è ancora posato su Hermione Granger
– bel nome! – ma la mia mente sta già
lavorando freneticamente alla ricerca della prima ora di difesa.
Questo pomeriggio alle cinque.
La bellezza della nuova insegnate tiene banco per tutta la colazione e
oltre. Anche quando mi dirigo verso la Sala Comune per recuperare i
libri della giornata, non sento parlare d’altro. Frasi come
“E’ uno schianto!”, “Hai
sentito? E' una Grifondoro!” o “La volete
smettere di sbavare come degli allupati?” risuonano per tutta
Hogwarts, fin quando un’espressione del tutto estranea al
clima creatosi non attira la mia attenzione.
“Ehi stupido mezzosangue! Ti sembra un metro e mezzo di
pergamena questo?”
Mi volto immediatamente in direzione della voce più
sibilante mai uscita da una gola umana.
Serge McLoyd, serpeverde di voce e di casa, sta scuotendo
indelicatamente un bambinetto del primo anno (mi pare sia di
Corvonero), circondato dalla sua solita scorta strisciante di idioti.
Mi ci vuole un attimo per liberare il ragazzo da quelle mani viscide e
puntare la mia bacchetta in direzione del gruppetto.
“Vai, ragazzino” dico guardando la sua faccia
impaurita con la coda dell’occhio. Quello non se lo fa
ripetere due volte e in un secondo ha già superato di corsa
un angolo.
Dopo un attimo di sorpresa, sul volto di McLoyd è ritornata
la sua espressione preferita: una maschera di scherno e disprezzo.
Alcune bacchette compaiono nella mani degli altri, ma lui non si muove.
“Trey” sibila con un ghigno perfido “non
ti è bastata la lezione di ieri? E di avantieri…
e di lunedì…”
Sembra pronto a elencare tutti i pestaggi che ho subito da quando ho
dato la mia prima occhiata sul mondo, ma non ci riesce
perché scoppia in una risata che, come tutte le sue frasi,
è più che altro un sibilo.
Un Tassorosso del quinto anno (Hebert? Herbert? Non
ricordo…), ci passa accanto con lo sguardo
all’altezza delle scarpe e il passo del maratoneta. Non che
sperassi aiuto da parte di quel fifone, ma odio il fatto che la gente
non mi guardi in faccia in queste situazioni. Preferirei di gran lunga
che mi lanciassero un’occhiata eloquente che stia a
dire: “Trey sei uno stupido, e non ci trascinerai nei tuoi
guai con te. Cavatela da solo!”
Mi limito a fissarlo con la più dura indifferenza di cui
sono capace, ma i nostri occhi non si incrociano neanche un istante.
Il gruppetto di Serpeverde non ha ancora smesso di ridere e la mia
irritazione sale alle stelle. Stringo ancora più forte la
bacchetta immaginando che sia le palle di quegli stronzi.
Ma le loro risate si spengono improvvisamente e una voce alla mie
spalle, proveniente direttamente dalle profondità marine mi
chiarisce il perché.
“McLoyd, dì ai tuoi di non ridere a bocca troppo
aperta, o qualche maledizione potrebbe casualmente finirgli in
gola.”
La calma in persona mi sta a fianco, ora, nella figura del vecchio
White. Due mani gentili da dietro si poggiano sulle mie spalle e
guardandole un attimo capisco che appartengono a Rachel. Non
è passato neanche mezzo secondo, ma quando riporto lo
sguardo davanti a me, Hèk è già di
fronte allo zio, bacchetta alla mano.
Il buffone che abbiamo di fronte mormora qualcosa di incomprensibile,
si volta verso i suoi e si allontana in tutta fretta.
“Grazie” dico guardando i miei tre salvatori che mi
sorridono. Ames fa per rispondermi, ma si ferma di botto e si volta in
direzione dei passi veloci che si avvicinano, e noi lo imitiamo.
Ci ritroviamo davanti Hermione Granger con accanto il Corvonero che ho
appena tolto dalle grinfie di McLoyd.
Lei ci guarda seria, poi si volta verso il bambino che le sussurra
qualcosa.
La professoressa sorride dolcemente e lui se ne va, felice come una
pasqua.
“Tutto apposto allora?” ci chiede.
La sua voce è calda e suadente, un velluto verdissimo e
liscissimo sul quale ogni parola rotola con la silenziosa evidenza di
una palla bianchissima*.
“Ho incontrato Regis qui vicino, gli ho chiesto cosa avesse e
mi ha raccontato tutto”.
Regis deve essere il nome del Tassorosso di prima, nome che ora deve
per forza appartenere allo studente più felice di Hogwarts.
Con la prontezza di riflessi degna di Ombra, mi riprendo dal mio muto
stupore e le sorrido di rimando.
“Non è successo niente professoressa, non si
preoccupi” dico rinfoderando la bacchetta che ancora tenevo
in mano.
“No, non è vero, Jeremy”.
Mi volto stupito verso Ames che ha appena parlato e che mi guarda con
aria di rimprovero.
Io comprendo le sue intenzioni e mi lascio sfuggire uno
“Zio…” annoiato e scocciato.
Il vecchio White si è messo in testa di cercare di
convincere i professori a fare qualcosa per la situazione creatasi a
Hogwarts, e per fermare i sempre più numerosi episodi di
prepotenze. Ci ha già provato con il precedente insegnate di
Difesa contro le arti oscure, ma le sole cose che ha ottenuto sono
state frasi di circostanza e vaghe promesse.
E lo zio parla per cinque minuti buoni, senza nessuna interruzione, la
sua voce abissale che scandaglia il lungo corridoio nel quale ci
troviamo.
Parla degli ‘incidenti’ più
significativi, del clima di generale disinteresse da parte di tutti e
perfino della mia condizione qui a Hogwarts!
Gli lancio un’occhiata malevola, parecchio imbarazzato,
mentre cerco di ricordare quale sia l’armatura più
vicina dalla quale prendere in prestito una bella arma affilata.
Sto ancora immaginando la testa di Ames rotolare per le scale di
Hogwarts, spruzzando di sangue le pareti e gli studenti atterriti,
quando il vecchio White, ignaro delle mie innocenti fantasie, termina
finalmente di parlare
La professoressa durante tutto il monologo è rimasta in
silenzio.
E’ un’ascoltatrice perfetta. E’ rimasta
immobile quando è dovuta rimanere immobile, ha annuito
quando ha dovuto annuire e un paio di volte ha messo su perfino una
faccia stupita o comprensiva.
Ora che il silenzio è tornato a regnare nel corridoio, lei
ha la testa leggermente bassa e con un dito giocherella con una ciocca
di capelli che le era ricaduta sul volto. Rimane così un
istante, prima di puntare il nocciola dei suoi occhi sullo studente
grosso quanto un armadio che ha di fronte.
“Grazie signor…” comincia con un gesto
della mano verso lo zio.
“Ames White.”
“Grazie signor White. Non credevo fossimo a questo punto. La
preside aveva accennato ad alcuni episodi che lei
ha citato prima, ma
la cosa è più grave di quel che
pensassi”.
Sospira e le sue labbra si separano leggermente per poi riunirsi in una
bocca carnosa e perfetta.
“Ai miei tempi le cose erano molto diverse”
aggiunge dopo un attimo con un’espressione nostalgica.
Ma poi
il suo viso si rischiara e uno sguardo deciso fa capolino nei suoi
bellissimi occhi nocciola.
“Va bene” dice, e batte e si sfrega le mani con
determinazione. “Vi aiuterò a sistemare le cose.
Mi dispiace che Hogwarts non sia più quella di una
volta…”
Il sorriso solare già visto in sala grande ricompare ad
illuminare il bellissimo viso.
Ci supera a passo svelto senza smettere di parlare. Non posso fare a
meno di guardare affascinato la meravigliosa pienezza del suo
fondoschiena.
“Ne discuterò con la preside. Ho già
qualche idea in proposito… ci vediamo a lezione” e
verso la fine del corridoio la sentiamo dire a sé stessa ad
alta voce “Una nuova avventura! Come allora!” e
sparire dietro un angolo.
Ce la ridiamo un po’, ma è tardi e manca poco
all’inizio delle lezioni, così torniamo di corsa
in sala comune.
Ma appena svoltato l’angolo che porta al ritratto della
Signora Grassa, due ragazze ci si fanno incontro, fermandoci.
“Era ora che arrivaste! Quanto diavolo vi ha trattenuti la
Granger?” chiede la più alta delle due, Alicia
Norton, Corvonero del settimo anno molto legata a Ames.
Un passo dietro di lei, la segue Key Bright, l’essere umano
più imperscrutabile del pianeta. Anche lei Corvonero, ma del
quinto anno come me, Key è la protetta di Alicia come io
lo sono dello zio.
Penso di non averla mai sentita parlare.
Ma in fondo mi va bene così. Anche in silenzio è
molto carina.
Ha lunghi capelli mossi che le scendono fino alle spalle, due iridi di
un nero così scuro dal confondersi quasi con le pupille e il
sedere più perfetto che abbia mai toccato.
Sì… ho avuto la fortuna di toccare con mano quel
capolavoro.
E’ successo proprio alla fine dell’anno scorso, una
cosa del tutto involontaria, ma che certo non è passata
inosservata a nessuno dei due.
Per farla breve è stato un incidente capitato in
un’ora congiunta (Grifondoro e Corvonero
dell’allora quarto anno) di erbologia.
Io ero al mio tavolo e lei era al suo. Tra di noi un mucchietto di
romantici bubotuberi bitorzoluti.
Il mio sguardo era del tutto concentrato sulla professoressa Sprite che
stava facendo rivedere a un mio compagno piuttosto negato come
strizzare uno di quei cosi. La mia mano destra si era spostata
meccanicamente per prendere un’altra pianticella, ma le dita
si erano richiuse su qualcosa di diverso. Voltando confuso la testa, mi
sono accorto di stare palpando il sedere di Key, che si era spostata
dal suo tavolo per cercare di liberare un bubotubero da quel groviglio
vegetale. Lei si è girata di scatto, sottraendosi alla
‘presa’ e mi ha guardato.
E’ stata la prima e ultima volta nella quale l’ho
vista sconvolta, e non impenetrabile come al solito.
Io ho balbettato qualcosa che doveva essere un misto di scuse e
giustificazioni, e lei è ritornata al proprio posto, di
nuovo indifferente.
Inutile dire che neanche allora, mi ha rivolto la parola.
Penso che mi odi.
Ora però, ogni volta che la incontro, non
posso fare a meno di ricordare quella meravigliosa giornata... come
adesso.
Le sorrido, ma lei non fa una piega. Allora rivolgo la mia
attenzione ad Alicia.
“E’ colpa dello zio. Si è messo a
parlare dei problemi di Hogwarts e lo sai che quando attacca non la
smette finché non lo si abbatte… o
finché non lo fermi tu”.
La mia frecciatina va dritta al bersaglio, e dal cielo sulla mia testa
casca un pugno di quercia.
Il dolore è solo in parte mitigato dalla risata allegra
della Norton.
Sono simpatico ad Alicia. E lo sono soprattutto per le mie battutine su
di loro.
In realtà i due non stanno insieme, almeno per quanto ne so
io e per quanto ne sanno loro, ma sarebbero una bella coppia, come
ripeto sempre a lui.
“Regis mi ha detto quello che hai fatto per lui, Jeremy. Ti
ringrazio” mi dice lei con un sorriso.
“Figurati, ma fammi un favore. Digli di avvertire qualcuno
quando dei Serpeverde lo costringono a fare i compiti per
loro.”
“Gliel’ho già detto… e ho
ribadito il concetto a tutti i nuovi. Finché ci siamo noi
non hanno nulla da temere… e forse neanche dopo” e
nel dire l’ultima frase guarda il vecchio White con aria
complice.
Io aggrotto visibilmente le sopracciglia per farle capire che non ho
afferrato, ma lei mi ignora e riprende a parlare.
“Ames, devo dirti un paio di cosette…”
sussurra con espressione da cospiratrice e aggiunge “in
privato”.
Lui sembra capire, ma il mio cervello no e in risposta le mie
sopracciglia si abbassano ancora di più.
Non devono suscitare grande interesse, perché anche questa
volta vengono trascurate.
“Cominciate ad andare, ragazzi” dice invece lo zio
e
anche se di malavoglia seguo Hèk e Rachel verso la Sala
Comune e una nuova faticosa giornata.
Prima di sparire dietro la Signora Grassa, però, mi volto
verso i tre che rimangono fermi in corridoio, puntando occhi e sorriso
sulla Bright.
“Ci vediamo Key” dico mentre il ritratto si
richiude alle mie spalle.
So di essere spudorato nel provarci, ma che m’importa?
Fine secondo capitolo
* Pennac dixit (grazie Maestro per avermi prestato la frase)
Note dell'autore:
Ringrazio infinitamente lo zio Stojilkovicz e lo zio Thian, dalle cui
costole è nato Ames White, uno zio ben meno saggio dei suoi
padri.
Ringrazio anche Clara, il cui velluto si presta agli usi della mia
Hermione Granger… ahimè con ben meno fascino di
quanto facesse con la sua originaria padrona.
E un immenso “Merci” va a Benjamin, il cui puzzo di
capro si è trasmesso in parte al protagonista di questa
storia (fortunatamente per lui!).
Chi ha letto l’irraggiungibile eroe della letteratura
francese, sa…
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Capitolo 3 *** La Figuraccia Dei Serpeverde ***
3. La Figuraccia Dei Serpeverde
Tutti pensano di essersi annoiati molte
volte nella vita.
Ma non ci si è mai annoiati
veramente finché
non si assiste a una lezione del
professor Fur.
Il professor Fur a Hogwarts insegna Storia della magia, che di per
sé non sarebbe una materia eccessivamente noiosa, ma la voce
monotonale e la mancanza della più piccola pausa
nell’intera lezione sono un abbinamento mortale per
l’attenzione di qualunque studente.
Così mi ritrovo a sonnecchiare con la testa appoggiata al
banco, con la speranza che l’ora termini presto.
E non so quale santo o mago ringraziare quando la campanella ci
annuncia che adesso tocca a Pozioni.
Balzo giù dalla sedia, improvvisamente sveglissimo, e
saltellerei anche per il corridoio, in una dimostrazione di gioia e
felicità, se non lo trovassi imbarazzante con intorno tutti
i miei compagni.
L’aula di Pozioni si trova nei sotterranei ed è la
stanza più buia di Hogwarts, ma io mi ci trovo bene, forse
perché adoro la materia (nella quale, mi dicono, sono un
fenomeno) e il professore che la insegna.
Piton ci aspetta dentro, ritto in piedi davanti ai nostri tavoli e
quando tutti abbiamo preso posto, chiude la porta con un gesto lento
della bacchetta.
“Oggi parleremo delle pozioni complesse”.
Non saluta mai il professor Piton e questo, aggiunto alla sua aria
fredda, garantisce che nessuno saluti lui. Penso gli piaccia
così.
“Qualcuno di voi sa qual è la caratteristica delle
pozioni complesse?” chiede con estrema lentezza. Sembra quasi
ci sfidi.
Conto lentamente nella mia testa e come ormai avevo assodato, ho
proprio ragione.
Ci vogliono esattamente 4 secondi perché Giulian Danberg
alzi la mano.
Sì, avete letto bene, e io non ho scritto male. Il ragazzo
di cui sopra, si chiama proprio DaNBerg. N e B una accanto
all’altra. Penso sia l’unica parola al mondo.
“Sì, signor Damberg?”
Sì, avete letto ancora bene, e io non ho scritto male
neanche questa volta. Piton ha proprio detto DaMBerg; ha proprio
sbagliato la pronuncia.
Ma come dargli torto? Provateci voi a dirlo correttamente quel cazzo di
nome, senza sembrare degli idioti a far forza su quella benedetta N! E
in realtà, è proprio così che Giulian
vorrebbe che fosse pronunciato il suo nome… ma come dare
torto anche a lui, per non volere che venga storpiato?
“Una pozione complessa è composta da due o
più pozioni diverse” risponde il ragazzo,
ignorando l’errore del professore, errore che sicuramente ha
notato, ma che, trattandosi di Piton, ha deciso intelligentemente di
non correggere.
“Esatto. Anche se in realtà dovrei cominciare
l’argomento solo nella seconda metà
dell’anno, in quanto non propriamente
semplice…” e qui si interrompe, perché
ha notato una mano alzata.
La mia.
Se fosse stata quella di qualcun’altro probabilmente
l’avrebbe ignorata o addirittura schernita e punita, ma io,
per lui, non sono qualcun'altro.
“Signor Trey, ha qualcosa da dire? Qualcosa di serio e
attinente, intendo?”
Certo il fatto che sia io, non gli vieta il suo solito sarcasmo.
Sorrido.
“Ma allora noi abbiamo già preparato una pozione
complessa quest’anno” dico semplicemente.
Tutti mi guardano interessati, alcuni sorpresi, altri dubbiosi. Non mi
faccio distrarre neanche dal ghigno di Piton e continuo.
“La pozione Veritaserum che abbiamo preparato due settimane
fa era una pozione complessa, se è vero che la loro
caratteristica è essere l’unione di due pozioni
diverse.”
Piton sembra colpito. Forse non si aspettava il mio intervento. Dopo un
attimo di silenzio, si lascia andare un debole sorriso e indugia su di
me.
“E’ vero signor Trey, il veritaserum è
una pozione complessa, perché uno dei suoi ingredienti
è lo sciroppo di Elleboro, una vera e propria pozione a sua
volta, che viene aggiunta solo alla fine e mescolata
all’altra pozione creata dai restanti ingredienti.”
Breve pausa.
“Mi sorprende che lei ci sia arrivato, signor Trey.”
E’ per questo che sono l’alunno preferito di Piton.
“Oh, io sono un tipo pieno di sorprese.”
E’ anche per questo.
Il resto della giornata trascorre nella logorante attesa delle cinque,
orario della mia prima lezione di Difesa contro le arti oscure con la
nuova insegnate, Hermione Granger. Il fatto che questa nuova
professoressa sia la più bella donna che abbia mai visto (e
che sembri anche simpatica) non fa che incrementare la mia
curiosità.
Quando finalmente entro nell’aula e mi siedo al mio solito
banco, in seconda fila all’estrema destra, resto un
po’ deluso. Lei non c’è ancora.
Arriva quando tutti siamo ormai ai nostri posti, chiude la porta
lentamente e poi si sposta verso la cattedra, rimanendo però
in piedi.
“Buon pomeriggio a tutti. Sono Hermione Granger, come sapete,
la vostra nuova insegnate di Difesa contro le arti oscure.”
Sorride amabilmente, spostando gli occhi da un viso
all’altro. Sembra elettrica.
“Bene. Per cominciare, vi dirò qualcosa su di
me.”
Mormorio di approvazione e per quanto mi riguarda esultanza interiore.
Sì bella, dimmi tutto!
“Dopo i miei sette anni ad Hogwarts, ho terminato gli studi
alla scuola per Auror, ma poi ho deciso di non proseguire su quella
strada e invece ho fatto il concorso per diventare insegnate. Ho
insegnato un po’ qua e un po’ là in
questi ultimi due anni, ma quando la professoressa McGranitt mi ha
proposto questo lavoro, ho mollato tutto e sono venuta a
Hogwarts.”
Sia ringraziato il cielo!
“Be’… che dire… ero una
secchiona ai miei tempi” dice e qualcuno ridacchia,
“quindi mi aspetto da voi soprattutto l’impegno. I
risultati, così, arriveranno di certo”.
I suoi occhi nocciola volano da una parte all’altra della
stanza, fissandosi su tutti i presenti, anche se solo per un attimo. I
lunghi capelli ondulati le accarezzano il viso, e il suo sorriso
abbagliante sarebbe in grado di illuminare a giorno perfino
l’aula di Pozioni.
“Bene. Direi di cominciare la lezione vera e propria. La
preside mi ha informato sul programma che avete svolto e sul metodo che
avete seguito finora.”
Fa una pausa significativa nella quale il suo sorriso sparisce del
tutto, e ci guarda con aria seria.
“E per prima cosa ho intenzione di testare la vostra
preparazione”.
Dal mio posto riesco a vedere la preoccupazione negli occhi di
metà classe, e la concentrazione in quelli
dell’altra metà.
Mi ci vorrebbe uno specchio per capire di quale metà faccio
parte io.
“E’ una cosa orale. Non vi serviranno altro che
attenzione e ragionamento”, dice cominciando a camminare per
l’aula. “Un’unica domanda. Alzate la mano
per avere la possibilità di rispondere.”
Pausa.
“Quali sono i 4 casi per cui terminano gli effetti di uno
Schiantesimo?”
Mentre la mia mente frulla le possibili risposte esatte, mi guardo un
po’ in giro.
A quanto pare non sono l’unico ad avere qualche problemino.
Probabilmente tutti si sono bloccati come me, su quel dannato numero 4.
Vediamo… ci sono gli incantesimi
‘Innerva’ e ‘Finite incantatem’
da lanciare sullo schiantato, e be’… poi ci
sarebbe la morte di colui che ha lanciato lo schiantesimo. E con questo
fanno 3…
“4 casi?” chiede Terese Guillible, seduta dietro di
me, dando voce ai dubbi di tutta la classe.
Noi guardiamo speranzosi la professoressa. Magari si è
sbagliata…
“4 casi, sì…” risponde invece
lei, gettandoci ancora di più nello sconforto.
Guarda tu se già nella sua prima lezione dobbiamo bucare
clamorosamente in questo modo, mostrandoci per gli asini quali siamo!
Passa un minuto buono e io mi sento sempre più un verme,
dentro e fuori, ma riesco a sollevare ugualmente lo sguardo sulla
Granger, aspettandomi una faccia delusa o peggio ancora disgustata.
Invece lei, inspiegabilmente, sembra stare divertendosi un mondo e a un
certo punto sembra proprio non farcela più, e si abbandona a
un’improvvisa risata.
Il suo volto ridente è una festa di luci alla quale ci
sentiamo tutti invitati.
“Scusatemi ragazzi. Questo è un giochino che
faccio sempre per presentarmi ai miei nuovi studenti, e finora
pochissimi sono riusciti a rispondere in modo del tutto corretto. Anche
gente più grande di voi non ce l’ha fatta. In ogni
caso, ditemi le risposte che avete pensato anche se non sono
tutte” dice guardandoci compiaciuta, sapendo che tutti noi
siamo fermi a 3.
Non passa neanche un secondo che le mani di mezza classe sono alzate.
L’alunno prescelto elenca i casi ai quali avevo pensato io,
così come il resto della classe, che annuisce
all’unanimità.
“Giustissimo” conferma lei, “ma immagino
che ora vogliate sapere quale sia il caso restante”.
Silenzio eccitato nella stanza.
“Quando ve l’avrò detto sicuramente vi
darete degli stupidi…”
Stupidi, scemi, somari, quello che vuoi tu tesoro!
“Praticamente nessuno ci arriva mai, forse perché
è troppo ovvio…”
Forse… ti daremo la nostra opinione quando ci avrai
informato a riguardo.
“Magari ci avete anche pensato, ma l’avete
considerato troppo semplice e non ci avete badato…”
Ce lo vuoi dire o no, dolcezza?
“Se io ora schiantassi uno di voi…”
E d’un tratto la risposta mi appare davanti agli occhi nella
sua banalità. Avrei quasi voglia di ributtarla nei meandri
incasinati del mio cervello, tra tutte le cavolate che me lo
annacquano, ma invece la fermo e me la rigiro tra le mie mani mentali.
Il tutto in una manciata di centesimi di secondo.
Alzo la mano, quella ‘vera’ questa volta.
Lei si blocca e mi guarda incuriosita. Poi mi dà la parola
dicendomi: “Signor Trey – si ricorda il mio nome!
Il mio nome! Grazie zio White, mi dispiace di aver immaginato la tua
decapitazione nei corridoi, appena questa mattina! – pensa
forse di aver trovato l’ultima risposta?”
L’incredulità nella sua voce mi fa esitare: non
sembra credere che io abbia potuto indovinare.
E ora ne dubito anch’io.
Sto per caso per spararmi la più grossa figuraccia della mia
vita?
“E anche se fosse?” domanda aspra la mia vocetta
interiore, quella che più delle altre ha il controllo sulla
mia voce ‘esteriore’.
Come sempre, mi ritrovo a darle ragione.
E anche se fosse?
“Se lei ora schiantasse uno di noi” ripeto la sua
ultima frase detta prima della mia interruzione, “me ad
esempio, io mi risveglierei qualora lei…
be’… morisse, qualora qualcuno utilizzasse gli
incantesimi “Innerva” o “Finite
Incantatem” su di me, e semplicemente quando il potere del
suo incantesimo si esaurisse… quindi praticamente senza che
nessuno dovesse fare niente. Basterebbe aspettare, ecco.”
Ecco, appunto.
L’ho detto.
La risposta è ovvia, nonostante nessuno ci abbia pensato
subito. E’ logico che gli schiantesimi non possano terminare
solamente con l’utilizzo dei due controincantesimi.
E non possono neanche durare così tanto da dover aspettare
la morte dello schiantatore, qualora si fosse impossibilitati a
utilizzare i controincantesimi!
Eppure sembra troppo ovvio, troppo banale, troppo… stupido.
Sarà la risposta esatta?
Tutti sembrano avere in testa questa stessa domanda, mentre spostano i
loro sguardi da me alla professoressa.
Lei mi osserva concentrata, il viso imperscrutabile. Poi batte una
volta le mani e quell’unico schiocco coincide esattamente con
il rumore delle mie budella che finalmente si distendono, liberandosi
da quell’attorcigliamento d’agitazione.
“E’ esatto, signor Trey!” esclama
impressionata e il velluto della sua voce solletica la mia
immaginazione… non posso dire in che modo.
“Lei è l’unica persona della scuola che
abbia risposto in modo del tutto corretto a questo piccolo
test” dice raggiante.
A questo punto la situazione tra i miei compagni diventa piuttosto
incerta. Alcuni mi guardano come se fossi un santo, altri come uno
sfacciatamente fortunato, altri ancora come se li avessi derubati di
quegli elogi, considerando la mia banale risposta non
all’altezza di tutte quelle cerimonie.
Dal canto mio, decido di sorridere ai primi, guardare male i secondi e
altezzosamente i terzi.
Dopo di ché, dedico tutta la mia attenzione alla Granger,
che non ha ancora smesso di parlare.
“Vediamo…” fa pensierosa.
“Direi di aggiungere 25 meritatissimi punti a Grifondoro e i
miei personalissimi complimenti al signor Trey” dice infine
dedicandomi un ultimo fantastico sorriso.
Urla d’esultanza, pacche sulle spalle e distensione generale.
Sorrido un po’ a tutti questa volta e mi accomodo meglio
sulla sedia per seguire il resto della lezione.
Forse ve ne sarete già accorti, ma ci tengo a precisarlo.
E’ vero, ho una mania per il sedere delle ragazze.
Non arriverei a chiamarla ossessione, ma è certamente una
fissazione. E’ senza dubbio la prima cosa che guardo in una
donna e spesso è la cosa che ricordo meglio.
E’ per questo che, mentre attraverso il grande ingresso di
Hogwarts, affollato di studenti diretti alla contigua Sala Grande per
la cena, riconosco immediatamente il sedere di Key Bright.
Lo vedo spostarsi proprio davanti a me, circondato da altri
fondoschiena vagamente familiari.
Resto un attimo ad ammirarlo, poi decido di rincorrerlo per provarci
ancora una volta con la sua proprietaria.
Sto ancora riflettendo su un modo elegante per farlo senza che sia
necessaria una sua risposta, che tanto non arriverebbe, quando, a un
paio di metri dalla meta, la mia visione paradisiaca di morbida
pienezza viene oscurata da quella che per un secondo rimane una massa
oscura e informe.
Risentito, metto a fuoco.
Un gruppo di Serpeverde mi ha tagliato la strada, e si è
piazzato proprio di fronte a me. Alla sua testa, l’indiscusso
capo dei verde-argento, Jason Matton, un gigante del settimo anno, che
in quanto a dimensioni, se la batte con lo zio Ames, di cui tra
l’altro avrei urgente bisogno in questo momento.
Se non sapessi che è impossibile farlo a Hogwarts, penserei
che gli studenti che mi accompagnavano si siano smaterializzati.
“Bene, bene… guardate un po’ chi abbiamo
qui” dice Matton ad alta voce, attirando un bel po’
di attenzione. Il corteo che lo segue ghigna armonicamente.
“Non è il tuo grande amico Jeremy Trey,
Serge?” chiede il capo verde-oro al leccapiedi più
sbrodoloso d’Inghilterra.
Tutti a Hogwarts conoscono il grande affetto che
lega me e Serge
McLoyd, fin dal nostro primo anno. E’ stato amore
a prima
vista!
“Amico?!” risponde lui, con
un’espressione disgustata sul volto. “A questo
sporco mezzosangue non farei toccare neanche il mio cane!”
Matton non mi dà il tempo di rispondere, perché
subito riprende, con voce falsamente pensierosa.
“Jeremy Trey… il cavaliere senza macchia e senza
paura della scuola, protettore di tutti…” e qui fa
una pausa significativa “tranne che di sé
stesso!”
Risate beffarde tra i serpeverde e sguardi preoccupati della folla che
comincia a formarsi intorno a noi.
“Hai qualcosa da dirmi, Matton, o vuoi soltanto enumerare le
mie qualità?” gli rispondo io calmo, ignorando del
tutto l’idiota che gli sta dietro.
Sono troppo abituato per preoccuparmi ancora.
“No, perché, nonostante la tua spiacevole
apparizione, non ho ancora perso l’appetito”
aggiungo.
Lui tira fuori la bacchetta, imitato dai cinque che lo seguono e il
cerchio di studenti intorno a noi fa istintivamente un passo indietro,
restando comunque molto vicino.
Io li lascio fare e alzo invece le sopracciglia, cercando di assumere
un’aria scettica e sprezzante insieme.
Da solo non ho alcuna possibilità di difendermi, tanto vale
aspettare che tutto finisca senza dargli alcuna soddisfazione.
Ma incredibilmente, niente inizia.
Proprio quando sono sicuro che gli incantesimi congiunti di quegli
stronzi mi colpiscano in piena faccia, le loro bacchette volano in
aria, quasi contemporaneamente, andando a ricadere sul pavimento a
pochi passi di distanza, sempre all’interno del perimetro
delineato dagli spettatori.
Non so dirvi chi sia più sorpreso, se io o loro , ma
senz’altro sono loro quelli a riprendersi più in
fretta dallo stupore. Lanciando qualche grugnito di rabbia, si gettano
sulle bacchette a terra, mentre Matton esplode in un inutile
“Chi è stato?”.
“Pfff… come se ti rispondessero!” vorrei
dirgli, ma lo penso solamente.
Ma prima di poter recuperare le loro armi dal pavimento, si verifica
un’altra cosa inaspettata.
I 6 serpeverde si irrigidiscono, uno dopo l’altro, e piombano
a terra come pezzi di legno.
Incantesimo di disarmo, seguito dal Pastoia Total-Body.
Nella sala, ora regna un’irreale silenzio (piaciuta
l’allitterazione?), ma io lo noto appena.
Mi sto guardando intorno per cercare di capire chi sia stato il mio
salvatore, ma l’unica faccia conosciuta che vedo è
quella di Key.
Ma ovviamente non può essere stata lei, per il semplice
motivo, per niente secondario, che lei mi odia.
La Bright è ferma alla mia destra, ‘in prima
fila’, con la sua solita espressione indifferente sul viso,
ma i suoi occhi si spostano freneticamente in tutte le direzioni,
probabilmente anche lei alla ricerca dell’autore degli
incantesimi. Poi quelle iridi nere quasi quanto le pupille, si
incatenano alle mie, e sono stranamente più espressive del
solito.
Ma io non sono mai stato molto bravo a capire le emozioni delle persone
dal loro sguardo e in ogni caso la voce della McGranitt interrompe le
mie elucubrazioni.
“Che sta succedendo qui?” domanda facendosi largo
tra la folla.
Quando vede i corpi rigidi dei 6 serpeverde e me in piedi davanti a
loro, isolato dal resto degli studenti, mi si fa incontro.
“Signor Trey, vuole spiegarmi per favore che cosa
è successo?”
Faccio per raccontarle tutto, o almeno tutto quello che sono riuscito a
capire, quando un’altra voce si incunea tra gli spettatori.
“Preside, ho assistito io alla scena.”
E’ la professoressa Granger a parlare. Si è
avvicinata ai Serpeverde a terra e ha mormorato qualcosa con in mano la
bacchetta. L’incantesimo Pastoia Total-Body si è
sciolto e quei 6 sono balzati in piedi in un attimo, Matton con un
dito, a suo modo minaccioso, puntato contro di me.
“E’ stato Trey, preside!” comincia a
sbraitare lui e mi accuserebbe anche del buco dell’ozono e
dell’assassinio Kennedy, se la Granger non lo interrompesse.
“Ragazzo, non so se te ne sei accorto, ma ci sono una
trentina di testimoni qui,” dice facendo un gesto vago con la
mano a indicare la folla attorno, prima di aggiungere “oltre
a me, ovviamente…”
Il serpeverde si zittisce in un attimo, ma il suo viso assume la
tonalità che contraddistingue le aragoste già
cucinate e i suoi occhi diventano furenti.
Non posso fare a meno di ghignare malevolo nel vedere la sua faccia e
soprattutto quella di McLoyd.
Non so dire se voglia lanciare incantesimi a raffica o se voglia
sotterrarsi per la vergogna!
Il risultato rimane comunque immutato. E’ diventato
più rosso di Matton!
E mentre la nuova professoressa di Difesa contro le arti oscure
racconta quello che ha visto, che è per filo e per segno
quello che ho visto io (nemmeno lei sa chi è stato a
lanciare l’incantesimo), torno a osservare gli spettatori,
sapendo che uno di loro non lo è stato completamente.
Uno spettatore attivo, si potrebbe dire.
Cerco, ma non trovo.
Allora dopo aver dato la mia versione dei fatti alla McGranitt, mi
dirigo stancamente verso la Sala Grande, rimuginando in silenzio sulla
faccenda.
Fine terzo capitolo
Note dell'autore:
Ringrazio infinitamente lo zio Stojilkovicz e lo zio Thian, dalle cui
costole è nato Ames White, uno zio ben meno saggio dei suoi
padri.
Ringrazio anche Clara, il cui velluto si presta agli usi della mia
Hermione Granger… ahimè con ben meno fascino di
quanto facesse con la sua originaria padrona.
E un immenso “Merci” va a Benjamin, il cui puzzo di
capro si è trasmesso in parte al protagonista di questa
storia (fortunatamente per lui!).
Chi ha letto l’irraggiungibile eroe della letteratura
francese, sa…
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Capitolo 4 *** Mare ***
4. Mare
Due settimane dopo, quella che è
stata ribattezzata
‘la figuraccia dei serperverde’ tiene ancora banco
per tutta Hogwarts.
Ovunque vadano Matton e i suoi compari, le voci sulla loro
‘performance’ li seguono come ombre, nonostante le
continue rappresaglie da parte degli stessi.
Un Grifondoro, sorpreso a imitare (anche piuttosto bene) la faccia
arrabbiata di Matton con l’indice puntato minaccioso verso un
ipotetico me, è adesso in infermeria per farsi ricrescere le
ossa del braccio destro. Uno sfortunato Tassorosso semplicemente al
posto sbagliato al momento sbagliato è servito da sfogo per
la frustrazione del capo dei serpeverde, e anche
lui adesso si trova in infermeria.
Altri numerosissimi episodi si sono succeduti con
regolarità, e Madama Chips ha avuto il suo bel da fare.
Nonostante questo, le voci hanno continuato imperterrite a circolare
per la scuola, e come tutte le voci che si rispettino, solo alla base
c’è qualcosa di vero.
Fino all’incontro tra me e i serpeverde, ci siamo.
Poi, già sulla nostra conversazione, le opinioni cominciano
a divergere.
C’è chi è convinto che Matton abbia
insultato me e la mia famiglia fino alla settima generazione e
c’è chi pensa, invece, che sia stato io a
provocarlo con offese irripetibili.
Ma su una cosa, per fortuna, sono tutti d’accordo (e a
ragione): non sono stato io ad averli
‘pietrificati’.
L’unanimità di questa versione, mi ha evitato
grossi guai, in primis ripercussioni da parte dei serpeverde (o almeno
non più del solito) che invece, hanno cercato di darsi da
fare nella furiosa quanto infruttuosa ricerca del colpevole.
Anche per quanto mi riguarda, non ho fatto altro che pensare al mio
misterioso salvatore.
E come sempre nella vita, la curiosità è stata
più forte della gratitudine.
Quindi per ben due settimane, ho indagato qua e là, facendo
domande a chi diceva di aver assistito alla scena.
Ma solo la professoressa Granger, tra tutte le persone che ho
‘interrogato’, al termine di una lezione di Difesa
contro le arti oscure, mi era stata di un qualche aiuto, facendomi
notare un dettaglio, a cui non avevo pensato,
da stupido quale sono.
“Le voglio fare una domanda signor Trey” mi aveva
detto in un tono da studentessa saputella.
“Dalla posizione…” scelse accuratamente
la parola “privilegiata nella quale si trovava, è
riuscito per caso a vedere le scintille di luce dei due
incantesimi?”
E senza neanche aspettare risposta aveva continuato.
“No, vero?”
Poi, abbassando la voce calda in un’ancora più
sensuale sussurro, aveva aggiunto il suo ultimo consiglio.
“Ci rifletta, signor Trey… potrebbe essere
importante.”
Così ci avevo riflettuto, ma tutto quello che ero riuscito a
capire era stato che la professoressa sapeva qualcosa che io non
sapevo, forse addirittura l’identità del mio
salvatore!
Allora, quella stessa sera in Sala Comune, assetato di evidenze come un
naufrago di acqua dolce, ho chiesto il parere del Vecchio White e di
Hèk Thai-hè.
Dopo aver riferito le parole della Granger, mentre lo zio affondava nel
suo profondo silenzio (perché anche il silenzio del vecchio
White è profondo, proprio come la sua voce), Ombra
è rimasto tranquillo.
“Be’, non ci avevo pensato… ma questo
non fa altro che confermare quello che già
sapevamo” mi ha detto calmo Hèk.
In realtà non l’ha detto proprio a me,
perché quasi ogni volta che apre bocca, Hèk
sembra sempre rivolgersi a una sola persona.
E non penso ci sia bisogno di specificare chi.
“Il fatto che nessuno abbia notato la luce partire da una
qualsiasi bacchetta” aveva continuato “vuole
semplicemente dire che la persona ad aver lanciato gli incantesimi era
veramente molto vicina ai serpeverde, e la distanza percorsa dalla luce
molto breve, tanto da non essere notata.”
Allo zio sembrava non piacere quell’interpretazione, ma non
abbastanza da criticarla.
Poi, poco prima di sparire dietro la porta del suo dormitorio, diede la
sua prima e ultima opinione sulla faccenda.
“Ma perché suggerire a Jeremy una soluzione tanto
ovvia?” disse riferendosi alle parole della professoressa
Granger.
“No” aggiunse poi scuotendo la testa,
“deve esserci qualcos’altro sotto”.
Rimase un attimo sulla porta, per poi entrare seguito dalla sua ombra
personale e lasciandomi solo con le mie riflessioni.
Ma a me, la spiegazione di Hèk era bastata eccome, ed
è per questo che stasera mi trovo davanti
all’ingresso di Corvonero ad aspettare Key Bright,
contemporaneamente al primo, al secondo e al terzo posto nella mia
personale classifica (che tra l’altro è una top
three) di sospettati.
Era lei l’unica persona che conoscessi nella folla di
studenti che circondava me e i 6 serpeverde
‘pietrificati’ sul pavimento.
Era lei ad essere ‘in prima fila’ a quello
spettacolino, abbastanza vicina da lanciare gli incantesimi senza che
nessuna scintilla di luce si notasse.
Era lei a spostare freneticamente gli occhi scurissimi, da destra a
sinistra, per controllare se qualcuno l’avesse vista (e non
per cercare l’autore degli incantesimi, come avevo pensato
live).
Si dice che due indizi facciano una prova, no?
Be’ io ne ho tre! Che altro mi serve?
La cosa che mi preoccupa adesso, è come affrontare il
discorso con Key.
Il fatto che non mi parli è un ostacolo da non sottovalutare
quando si tratta di confessioni.
Sto ancora cercando una soluzione a questo piccolo problema, quando due
figure che non riconosco subito a causa della poca luce, voltano
l’angolo e si dirigono verso l’entrata di
Corvonero, verso di me quindi, chiacchierando allegre tra loro.
Eppure è solo una la voce che sento.
Davanti a me, ora immobili e in silenzio, si sono fermate la mia
sospettata numero uno, due e tre, e Alicia Norton.
Ma io ho occhi e orecchie solo per la prima.
L’ho appena sentita parlare, per la prima volta nella mia
vita.
Se la voce dello zio White ha la profondità degli abissi
marini, allora quella di Key ha la limpidezza del mare
d’agosto, quando quello che c’è sotto la
superficie dell’acqua sembra più nitido di quello
che c’è sopra.
E’ una voce calma, placida, che non ti travolge.
Ti avvolge piuttosto.
Sa di conchiglie e di rive deserte, di brezza profumata e sabbia
finissima, in cui l’orecchio si lascierebbe sprofondare in
eterno.
Mi accorgo solo ora di essere rimasto a bocca aperta a fissarla da
quando è arrivata, meravigliato.
Lei sembra imbarazzata come se l’avessi appena sorpresa nuda
alla luce della luna.
Le sorrido, come un miracolato di fronte al suo santo benefattore, ed
in effetti è proprio così che mi sento.
Ma la risata vivace di Alicia spezza l’incanto e i miei occhi
a malincuore si spostano su di lei.
“Dovresti vedere la tua faccia Jeremy!” mi dice
dopo un istante.
Io le rispondo allegro.
“Immagino sia la solita… con in più
l’espressione estatica di chi ha appena sentito parlare il
mare!”
La Norton mi guarda sorpresa per un attimo, poi ride divertita
dall’immagine che ho evocato nei nostri occhi. Mi
dà una pacca sulla spalla e saluta con un cenno della mano e
un sorriso la sua amica. La osservo sparire nella sua Sala Comune, che
intravedo appena.
Penso mi abbia dato la sua benedizione, come si dice in questi casi.
Quando mi volto nuovamente indietro, Key sta cercando di riacquistare
la sua espressione indifferente di sempre, ma lampi di nervosismo,
imbarazzo e chissà che altro attraversano i suoi occhi a
intervalli regolari. Dopo un po’, lei sembra accorgersene e
abbandona il suo proposito.
In compenso però, è la collera a farsi largo a
gomitate tra le sensazioni contrastanti, e alla fine è lei
ad occupare prepotentemente il suo viso.
E quella rabbia è tutta per me, come tutto per lei era il
mio sorriso di miracolato!
Key non sembra avere intenzione di parlare ancora, forse in onore dei
vecchi tempi, e per un attimo, il motivo iniziale per il quale mi trovo
di fronte a lei torna a galla.
Mi affretto a ricacciarlo da dove è venuto. I sospetti su di
lei sono passati decisamente in secondo piano nella mia testa.
Ignorando il suo sguardo infuocato, mi decido a rompere quel silenzio.
Ma cosa potrei dire?
“Parlare eh? E poi che altro? Ti metterai a ridere e a
ballare per i corridoi?” è l’unica frase
che mi viene in mente, ma proprio non mi convince, e quindi in mente, ci
rimane.
Per la prima volta nella mia vita, la mia ironia non ha più
tanta fiducia in sé stessa, il mio sarcasmo si sente
vagamente a disagio e la mia sfacciataggine è andata a
cercare la sua presunta utilità.
Allora la voce abissale del vecchio White mi viene in aiuto, con il
'consiglio' che più spesso mi ha rivolto in questi anni.
“Chiudi quella bocca, piccolo!”
Va bene zio… mi affido alla tua centenaria esperienza. Non
mi deludere!
Faccio un passo verso Key e ora il mio corpo è praticamente
a dieci centimetri dal suo.
La sua rabbia vacilla e vedo quello che riconosco come panico fare
capolino nelle sue iridi nere.
Non sarà un po’ di panico a fermarmi, penso,
mentre annullo la distanza che ci separa, baciandola ardentemente.
La sua arrendevolezza mi spinge a continuare e non sono per nulla
sorpreso quando sento che Key risponde al mio bacio con uguale
intensità.
Due mani di fuoco si arrampicano fino al mio viso (o è il
mio corpo ad essere infuocato?) e dopo pochi secondi mi trascinano
verso il ritratto che conduce alla sala comune di Corvonero.
Il sussurro di Key che ci apre il passaggio, è come altra
benzina gettata sull’incendio che mi brucia dentro.
Non ci curiamo di niente e di nessuno mentre saliamo di corsa le scale
che portano alla sua stanza.
E’ la passione a rincorrerci, ma noi siamo un passo avanti a
lei.
Apriamo la porta e notiamo con soddisfazione che non
c’è anima viva dentro la stanza, nonostante sia
parecchio tardi.
“Ti amo, Alicia!” è l’urlo che
sale nella mia testa e mi riprometto di convincere
quell’idiota dello zio a sposarla il prima possibile.
Dopo di ché, mi ritrovo nudo contro Key, nuda contro di me.
Non mi do il tempo di stupirmi di tanta inspiegabile naturalezza (non
so lei, ma io non mi sono mai spinto così tanto…
anzi a dirla tutta, non mi sono mai spinto!) che stavolta sono io a
trascinarla, sul primo letto che mi balza all’occhio.
Lì, ricominciamo a baciarci avidamente, come fossimo amanti
separati da troppo tempo, che non hanno fatto altro che covare il loro
desiderio l’uno dell’altra.
E in un certo senso è così.
Le mie mani trovano finalmente quello che stavano cercando da un bel
pezzo (diciamo dalla lezione di erbologia dell’anno scorso) e
le dita si richiudono sul suo morbido sedere, che sembra riconoscere il
mio tocco con un tremito.
Quando siamo entrambi all’apice del piacere, affondo la testa
tra i suoi capelli profumati.
“Jeremy…” grida lei in un
sussurro (non ho idea di come ci riesca), ed è in tempesta
il mare che mi parla stavolta!
La sua onda mi travolge e la mia risata annega felice sulla sua spalla.
Riemergo dal nero dei suoi capelli per affondare in quello dei suoi
occhi, e per vedere la risata di Key in quelle iridi scurissime. Ma non
posso aspettare. Devo sentirla nella sua voce.
“Niente a che vedere con l’esperienza dei
bubotuberi” dico, e lei non mi delude.
E’ una risata antica la sua, una dolce increspatura su quelle
acque eterne.
Rido anch’io.
“Sono felice” sussurro poi, guardandola ancora
fisso negli occhi e la bacio di nuovo prima di rotolare di lato accanto
a lei.
E’ l’odore del mare a svegliarmi, trasportato dalla
voce trasparente di Key.
Le parole si fanno strada tra le lenzuola calde e la pelle nuda, fino
ad arrivare alle mie narici e alle mie orecchie.
Sorrido inebriato, pur non afferrandone il senso, mentre apro gli occhi
e la cerco con lo sguardo.
La trovo accanto a me, seduta sul letto, con le lenzuola stropicciate
che le coprono solo in parte il corpo nudo.
“Adesso devi andare, Jeremy” dice sorridendomi.
Io mi stiracchio leggermente, socchiudendo gli occhi, e in un attimo
balzo in piedi, sveglissimo e pieno di forze. Anche lei è in
piedi adesso e siamo nudi l’uno di fronte all’altra.
La guardo.
Le energie che prima sprizzavano da tutti i pori del mio corpo, adesso
sembrano evaporare come sudore e improvvisamente mi sento molto stanco,
perché Key non sorride più.
E sembra anche un po’ imbarazzata.
Glielo dico, diretto così come l’ho pensato.
“Key, sembri un po’ imbarazzata”.
Lei distoglie lo sguardo.
“Posso sapere il perché?” aggiungo con
una punta di preoccupazione.
Lei riporta gli occhi su di me e con un gesto della mano sposta una
ciocca dei capelli neri dietro l’orecchio.
“No, Jeremy, è una cosa sulla quale devo
riflettere da sola.”
Creatura riflessiva la donna.
“Capisco” dico, ma in realtà non
è vero.
“Ti ha detto proprio così?”
“Gia.”
“Ma che vuol dire?”
“Ah, non chiederlo a me…”
“E tu che hai fatto?”
“Niente… me ne sono andato... dopo averle detto che
la lasciavo… e che era stato tutto un
errore…”
Sono questi gli stralci di conversazione che raggiungono il mio orecchio
mentre scendo le scale del dormitorio di Corvonero per raggiungere
l’uscita. Ci sono due ragazzi che parlano tra loro, ai piedi
della scala vicina.
Quando mi riconoscono si zittiscono immediatamente, sorpresi. Un
Grifondoro nella Sala Comune di Corvonero non è cosa da
tutti i giorni…
Io faccio per avvicinarmi a loro (avrò bisogno di qualcuno
per far aprire il ritratto), ma una mano si appoggia sulla mia spalla,
costringendomi a voltarmi.
Davanti a me, ora, Alicia Norton mi guarda con espressione ansiosa.
Abbozza un sorriso.
“Ciao Jeremy…” dice e sembra pensare a
come formulare la sua domanda.
Si butta sul classico.
“Come è andata?”
Io la guardo un po’ stralunato, ancora intontito dalle parole
di Key, questa volta più per il loro significato che per il
loro suono.
“Non so…” mormoro piano senza rispondere
al sorriso.
“Ci devo riflettere un po’ su…”
Che sia un po’ donna anch’io?
Fine quarto capitolo
Note dell'autore:
Ringrazio infinitamente lo zio Stojilkovicz e lo zio Thian, dalle cui
costole è nato Ames White, uno zio ben meno saggio dei suoi
padri.
Ringrazio anche Clara, il cui velluto si presta agli usi della mia
Hermione Granger… ahimè con ben meno fascino di
quanto facesse con la sua originaria padrona.
E un immenso “Merci” va a Benjamin, il cui puzzo di
capro si è trasmesso in parte al protagonista di questa
storia (fortunatamente per lui!).
Chi ha letto l’irraggiungibile eroe della letteratura
francese, sa…
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Capitolo 5 *** You Say You Want A Revolution ***
5. You Say You Want A Revolution*
E ci rifletto. Ci rifletto metodicamente,
scrupolosamente, come un
ragioniere, quale è mio padre, babbano di nascita e di
vocazione, molto più legato al suo mondo di numeri e cifre,
piuttosto che a quello di magie e incantesimi, al quale è
legato solo per via di mia madre.
Conto, quindi.
Sommo, sottraggo, moltiplico, mi guardo bene dal dividere, e alla fine
il totale è preciso al centesimo.
Key mi ha scaricato.
Non ho sbagliato il calcolo e non ho tralasciato nessun fattore.
Key mi ha scaricato.
Certo ha usato un metodo carino, velato, originale forse (non ho tante
esperienze alle spalle per dirlo con certezza), ma evidente, dopo
un’attenta riflessione.
E’ bastato analizzare due cose.
La prima sono i giorni passati da quella notte senza che lei mi
rivolgesse la parola, nonostante la mia persistente, ma discreta,
presenza. Sono 6 (i giorni dico) e il conto non si ferma.
La seconda è la sua ultima frase, quella mattina, e per
studiarla correttamente ho bisogno di spogliarmi dei panni di mio padre
(grazie ragionier Trey…), per mettere invece quelli di un
esimio professore, un linguista per così dire.
“No,
Jeremy, è una
cosa sulla quale devo
riflettere da sola.”
Le parole chiave di questa proposizione sono semplici da trovare e da
comprendere, e sono tre: ‘no’,
‘sola’ e ‘riflettere’.
Penso sia superfluo esaminare la prima, la più risoluta
delle negazioni; ma ben più interessanti da approfondire
sono le altre due.
‘Sola’ esprime alla perfezione la condizione di
‘single’ alla quale è destinata a
tornare lei, una volta uscito di scena io. E’ chiara nella
sua semplicità.
E poi c’è ‘Riflettere’.
Ecco a voi il cliché, lo stereotipo nel quale anche la mia
Key è caduta!
Donne di carta, di celluloide e di carne hanno usato
l’espressione ‘pausa di riflessione’ fino
alla nausea! Lei non poteva di certo spezzare quella che agli occhi
delle donne deve sembrare una tradizione, o forse un rituale
d’iniziazione!
Dev’essere così. Le donne si tramandano, di madre
in figlia, quest’antica usanza, sin dall’alba dei
tempi. E’ un po’ come le mestruazioni: non sei una
vera donna finchè non scarichi qualcuno utilizzando la
fregnaccia della riflessione!
Be’, grazie tante genere femminile! Voi diventate donne e noi
perdiamo quel poco di autostima che tenevamo stretta tra i denti!
Rimugino tutto questo, mentre mi dirigo a passo svelto verso la mia
Sala Comune.
Anche se non sono dell’umore giusto, non posso mancare a
quella che si annuncia come una rivoluzione Grifondoro in grande stile.
E’ giunta, infatti, la sera dell’importante
riunione indetta dal vecchio White, tre giorni fa, e non
sarà di certo la mia prima fregatura in amore a farmela
perdere.
A questa misteriosa assemblea devono partecipare tutti, nessuno
escluso, come ha precisato più volte lo zio dando inizio al
passaparola. Questioni urgenti devono essere discusse e per farlo
c’è bisogno della presenza di ogni singolo
Grifondoro. Inutile dire che la segretezza è della massima
importanza. Non una parola di quello che verrà detto deve
essere pronunciata oltre il ritratto della Signora Grassa.
Quando giungo a destinazione, la Sala Comune è piena come
non l’avevo mai vista e rumorosa come non l’avevo
mai sentita.
Non un unico centimetro di pavimento è visibile tra la
moltitudine di gambe incrociate che mi si dispiega davanti e non una
sola parola è comprensibile nella confusione generale.
Mi ci vogliono due minuti buoni per fare i dieci metri che mi separano
dallo zio.
Il vecchio White è in piedi sulla scala di pietra del suo
dormitorio, e appena sotto di lui, sono seduti Hèk
Thai-hè, con il solito ghigno stampato sul volto, e Rachel
Joint, tutta presa dallo sgridare l’altro per
chissà quale ragazzata.
I due in realtà si amano, ne sono convinto io e forse anche
loro, ma comunque, sotto un implicito e tacito accordo, tutti fingiamo
ostinatamente di non saperlo.
Ames riesce a vedermi in mezzo alla folla e mi fa un gesto per farmi
avvicinare.
Non appena mi siedo qualche gradino sotto di lui, Ombra si alza in
piedi, riesce miracolosamente a zittire la brulicante massa informe
della sala, e con un foglio in mano comincia a fare l’appello.
La soddisfazione del vecchio White è ben visibile sul volto
segnato, quando gli viene comunicato che nessuno è assente.
Il viso di quercia si distende in un sorriso.
“Bene” dice e la sua voce risuona forte in tutta la
stanza, riportando immediatamente il silenzio.
Se non è la forza di un leader questa, non so quali altri
leader siano esistiti, perché mi riesce difficile immaginare
qualcuno che più di lui abbia ‘presa’
sugli altri.
Sembra un politico pronto per il suo discorso, o forse un prete per il
suo sermone.
Ma tra i due, in fondo, c’è qualche differenza di
solito?
“Che cosa succede, Ames?” chiede William Goblet del
settimo anno.
“Perché siamo qui?” gli fa eco una voce
qualche metro più indietro, alla quale, però, non
riesco ad associare una faccia.
Dal suo pulpito di pietra la voce dello zio risuona più
forte che mai.
“Perché siamo qui, mi chiedete?”
Pausa. La pausa dei grandi uomini.
“Jerome, per favore, potresti alzarti?” chiede
gentilmente rivolgendo lo sguardo verso la sua destra.
Un istante dopo, un pezzo di massa informe sembra staccarsi dal resto,
un ragazzino si alza in piedi e sul viso ben illuminato appaiono
bruciature da bacchetta e piccole abrasioni. Non sembra per nulla
imbarazzato o stupito, nonostante tutti gli occhi siano puntati su di
lui. Ames deve averglielo detto che avrebbe fatto una cosa del genere.
“Ora, Vince, per favore”.
Stessa scena di prima, stesso movimento tra gli studenti ammassati,
stessa faccia scottata e graffiata.
E il rito si ripete altre cinque volte, senza la minima variazione.
Dopo aver dato a tutti noi Grifondoro, il tempo necessario per
imprimere quei visi nella nostra testa, il vecchio White fa cenno ai
ragazzi di sedersi e riprende a parlare.
“Ecco perché siamo qui” dice
solennemente. “Siamo qui per fermare tutto questo. Questi
pestaggi, queste minacce, queste prepotenze che durano da troppo tempo.
E’ ora di cambiare le cose.”
Sulla folla cala il silenzio dell’interesse, e Ames, da bravo
oratore quale è, gli lascia fare il suo compito prima di
continuare con una domanda a bruciapelo.
“Che cos’è che dà tutto
questo potere ai serpeverde, secondo te
Jeremy?”
Si rivolge direttamente a me, e questo mi mette per un istante in
difficoltà.
Poi la mia mente inizia a formulare decine di risposte.
Dopo qualche secondo, quella corretta caccia via tutte le altre e si fa
strada verso la mia bocca.
“La paura, credo.”
Lo zio sembra soddisfatto.
“Esatto. E per quale motivo, secondo te, noi abbiamo
paura?”
Mi scappa una smorfia al sentire quella prima persona plurale.
Né io, né tu abbiamo mai avuto paura di loro,
penso, ma decido di non correggerlo, e mi dedico invece a riflettere su
una risposta.
“Credo sia perché loro girano sempre in
gruppo” dico alla fine e il mormorio della platea sembra
darmi ragione.
Lo fa anche il vecchio White.
“Esatto” dice tornando a rivolgere la sua completa
attenzione sulla folla.
“I serpeverde sono come lupi. Girano sempre in branco e
attaccano prede isolate.”
Altro mormorio d’approvazione. Il paragone deve essere
piaciuto.
“Contemporaneamente a me, anche Alicia Norton di Corvonero e
Sebastian Coen di Tassorosso ne stanno discutendo con le loro
Case” riprende Ames, riportando il silenzio nella sala.
Mi ero sbagliato allora… non è solo dei
Grifondoro la rivoluzione! Stiamo facendo proprio una cosa in grande!
“Sono settimane che ne parliamo, noi tre, e finalmente
crediamo di aver trovato una soluzione, o meglio la sua attuazione.
Perché in verità, la soluzione è
sempre stata semplice, ma era una possibile messa in pratica che ci
frenava.”
A questo punto arriva la solita pausa d’effetto e se quelli
di prima li avevo definiti silenzi, adesso mi devo ricredere.
Perché questo che si presenta ora alle
mie orecchie
è un vero silenzio.
Penso che tutti abbiano smesso di respirare, io compreso.
La soluzione… anzi, la sua attuazione come dice lo zio,
è a un passo dall’essere rivelata.
Il vecchio White ci tiene ancora un po’ col fiato sospeso,
poi ricomincia a parlare e davvero sembra non esistere altro che la sua
voce oceanica.
“I serpeverde girano sempre in gruppo, come ha detto
giustamente Jeremy… basterebbe che lo facessimo anche
noi.”
Non sono l’unico ad aver aggrottato le sopracciglia. Se
questa è la tua ‘attuazione’, zio,
allora stiamo freschi.
Lui ignora le facce scettiche della folla e continua tranquillamente.
“So che questo non è sempre fattibile e non
può essere una soluzione al problema.”
Adesso siamo tornati alla soluzione, eh?
“Quindi, io Alicia e Sebastian abbiamo pensato a un modo per
informarci quando siamo nei guai. Abbiamo già testato il
metodo e con grande soddisfazione posso dirvi che funziona alla grande.
Ero andato dalla professoressa Granger con in mente la telepatia, ma
lei mi ha dato un’idea migliore. La telepatia sarebbe
perfetta, ma ci vuole grande concentrazione e preparazione, e dubito
fortemente che un qualsiasi studente del primo anno o anche del quarto
o del quinto, possa riuscirci… e sicuramente non in tempi
brevi.”
Pausa.
“Così lei ha pensato ai telescambi.”
Dalle facce dei Grifondoro, noto con una punta di sollievo che non sono
l’unico a non avere idea di cosa siano questi cosi.
“Un telescambio” spiega Ames,
“è uno strumento magico molto potente.
Può essere qualsiasi cosa, un orecchino, una sciarpa, un
libro, proprio come delle passaporte, e serve a metterti in contatto
con le 5 persone più vicine dotate di un
telescambio.”
Ora l’idea del vecchio White comincia a prendere forma nelle
teste della platea che come un sol uomo cominciano a registrare ogni
parola come se da questo dipendesse la loro sopravvivenza… e
in parte è vero…
Riesco limpidamente a vedere tutti quei cervelli lavorare a pieno
regime.
“Basta toccarlo appena e pensare intensamente a una parola
prestabilita per attivarlo, e immediatamente, la vostra esatta
posizione viene inviata ai 5 telescambi più vicini, che
informano telepaticamente il loro possessore.”
Tutta la sala è sbalordita. Lo zio sceglie una bocca aperta
a caso e gli lancia piano un pacchetto di cioccorane, che viene preso
al volo a mezz’aria.
“Tienilo un attimo in mano, Mark” dice con la sua
voce profonda. Poi tocca un istante qualcosa che tiene al collo e
aggiunge: “che cosa hai sentito?”
Mark Upton del sesto anno, ha gli occhi sgranati e la bocca aperta.
Deglutisce rumorosamente e poi esclama a voce alta per
l’eccitazione: “Ames White, Sala Comune di
Grifondoro, Torre Nord!”
A quel punto scoppia il putiferio. Tutti sembrano avere qualcosa da
dire al proprio vicino e Mark, che è appena diventato
l’attrazione principale di Hogwarts, conferma che,
sì, una voce nella sua testa gli ha proprio detto
così, ‘Ames White, Sala Comune di Grifondoro,
Torre Nord!’, con una voce un po’ metallica forse,
ma no, no, non è stato spiacevole… ecc. ecc.
Il pacchetto di cioccorane fa il giro completo della sala e la mano
dello zio adesso è fissa su quello che mi sembra un ciondolo
appeso a una collanina. Molte facce scettiche si illuminano dopo aver
preso il pacchetto e poi lo fanno passare ancora.
Mai vista una confezione di cioccorane passare per più di
tre paia di mani e rimanere ancora piena, e addirittura intatta!
Dopo qualche minuto, arriva nelle mie di mani. Le lancio
un’occhiata indifferente e prima di poter sentire
alcunché la restituisco a Ames che mi dedica un sorriso di
rimprovero.
Scusa zio, ma non m’ispirano proprio le cioccorane parlanti.
Questa volta è più dura riuscire a riportare il
silenzio, ma alla fine il discorso del capo dei Grifondoro
può riprendere.
“Come avete potuto capire, questo” dice sollevando
i dolcetti sopra la sua testa, quindi a ben più di due metri
d’altezza, “è un telescambio,
così come questo ciondolo, dal quale ho lanciato il segnale.
L’ho fatto semplicemente toccandolo e pensando con decisione
alla parola ‘Aiuto’. Ed è a questa
parola che si attiveranno tutti i telescambi, nessuno
escluso.”
Riappoggia a terra il pacchetto e poi prosegue calmo, la voce abissale
che scandaglia tutta la Sala Comune.
“Io, Alicia e Sebastian li abbiamo provati per tutta la
scuola e abbiamo costatato che sono veramente molto precisi. Ti
informano della stanza, del corridoio e del piano; funzionano fino al
limitare della foresta proibita, e i telescambi
‘riceventi’ si attivano anche tenuti in tasca, non
per forza a diretto contatto con il corpo. Potete capire quindi, quanto
utili ci possano essere.”
La sala annuisce in un unico gesto d’assenso, eccitata dalla
prospettiva di finire l’anno scolastico con
quell’oggetto in tasca.
“Deve esservi chiara una cosa, però”
dice lo zio, strappando i Grifondoro dai loro sogni di pace e
tranquillità.
“Se prendete un telescambio avete il diritto di ricevere
aiuto, ma allo stesso tempo avete anche il dovere di darlo. Io, Alicia
e Sebastian abbiamo un…” esita “uno
strumento, che registra costantemente tutte le volte che i telescambi
entrano in azione. In pratica possiamo sapere sempre chi ha chiesto
aiuto e a chi. Basta poco per sapere se l’aiuto è
stato ricevuto o no.”
Si interrompe un attimo per far risaltare meglio le parole seguenti.
“E chi non aiuta senza una scusa valida, sarà
punito” e nella sua voce è ben udibile la
minacciosità di quell’avvertimento.
“Mi sembra comunque uno scambio equo” aggiunge poi
sorridendo e allargando le braccia in un gesto del tutto amichevole.
Per la prima volta dall’appello iniziale, interviene
Hèk alzandosi in piedi e attirando gli sguardi di tutti.
“E’ fondamentale che i serpeverde non lo
scoprano” dice con il suo solito ghigno sul viso.
“Sarebbe un disastro. Quindi anche se siete presi dal panico,
non cominciate a toccare continuamente il vostro telescambio mormorando
‘Aiuto! Aiuto! Aiuto!’
ininterrottamente”, e qui la sua imitazione perfetta della
povera studentessa aggredita fa scoppiare a ridere non poche persone,
“perché sono praticamente infallibili, quindi una
volta sola basterà.”
Incassa senza fare una piega l’occhiataccia di Rachel e
dà nuovamente la parola all’attore protagonista.
“La discrezione è molto importante”
interviene quindi Ames, annuendo per confermare le parole della sua
ombra personale.
“Ora, se qualcuno ha qualche domanda da
fare…” continua lui parlando un po’ a
tutti, ma rivolgendo a me una lunga occhiata.
Mi conosce molto bene lo zio, e questo mi fa piacere. Sa che non mi
accontenterei mai solo di queste informazioni.
A quanto pare, però, mi conosce meglio di Hèk che
invece mi guarda sorpreso e aggrotta le sopracciglia quando alzo la
mano, in un innaturale attacco di ‘educazione’.
Scusa Ombra, ma qualcosa in tutta questa storia dei telescambi non mi
convince.
“Sì Jeremy?” mi chiede il vecchio White
per niente stupito.
“Hai appena detto, zio, che la discrezione è
importante, ma io non vedo come possano non capire niente i serpeverde,
quando ogni volta che proveranno a infinocchiare qualcuno, vedranno
piombarsi addosso cinque studenti. Sono stupidi, è vero, ma
non così tanto!”
Lui non ci riflette neanche un istante. Deve aver già
pensato alle obiezioni che avrei potuto fargli.
Sono così prevedibile zio?
“La particolarità dei telescambi è che
quelli che si attivano dopo una richiesta d’aiuto sono i 5
più vicini. Questo può voler dire molte cose.
Prima di tutto, ci sono buone probabilità che quegli
studenti appartengano a case diverse, per non parlare di anni diversi.
E poi ci sarebbe l’incognita del tempo. Non è
detto che gli studenti arrivino tutti contemporaneamente,
perché le distanze tra loro e il telescambio ad aver
lanciato il segnale potrebbero essere diverse. Per questo sarebbe molto
difficile per i serpeverde scoprire che c’è
qualcosa sotto, e ancora più difficile scoprire che cosa sia
questo qualcosa.”
La risposta di Ames non fa una grinza. Sembrerebbe impossibile per i
verde-argento capirci niente.
Eppure ci sarebbe un’altra cosa da valutare, anche se non
ritengo opportuno farlo ora, davanti a tutti.
Ne parlerò allo zio più tardi.
Mentre sono perso nei miei pensieri, altri studenti alzano la mano e
pongono le loro domande.
Io ritorno su questa terra appena in tempo per sentire
l’ultima.
“Cosa facciamo se il telescambio ci avverte di qualcosa
mentre siamo in classe e il professore di turno non ci dà il
permesso per uscire?”
E’ stato ancora William Goblet a parlare, e la domanda non
è da sottovalutare.
Prendiamo Piton per esempio… lui non sa neanche cosa voglia
dire la parola ‘permesso’!
Ma ancora una volta, la risposta del vecchio White è
immediata.
“In tal caso non possiamo fare proprio niente. Avevamo
pensato di avvertire i professori in modo da poterci concedere qualche
libertà in più, ma alla fine
abbiamo scartato
l’idea. Qualcuno potrebbe approfittarne.”
A questo punto interviene nuovamente Hèk, con di nuovo la
sua perfetta imitazione della studentessa media, la cui voce somiglia
pericolosamente a quella di Rachel, che in risposta mette su una faccia
disgustata.
“‘Professoressa devo uscire un attimo…
capisce vero?’, e poi invece è solo una scusa per
filarsela dalla lezione.”
Alcuni volti sono delusi, forse perché avevano
già immaginato questo possibile scenario, ma alla fine
quando a piccoli gruppi si avvicinano allo zio per ricevere il loro
personale telescambio, tutti sembrano soddisfatti.
Io non lo sembro, come mi ha fatto giustamente notare un Hèk
piuttosto irritato.
“Cazzo, Jeremy, ma che ti prende? Perché diavolo
sei così contrario a questa idea?” mi ha detto
ieri sera, poco dopo che io avessi terminato di esporre al Vecchio
White la mia interminabile serie di obiezioni.
E Ombra ha ragione. Non so neanch’io perché, ma
sto cercando qualunque scusa (anche la più stupida) per
ostacolare ‘l’immissione sul mercato’ di
questi maledetti cosi.
Lo zio, da parte sua, non ne è per niente stupito. Lui
sapeva quale sarebbe stata la mia reazione ancor prima di me! E i suoi
occhi mi dicono che ne sa anche il motivo!
Ho parlato della loro presunta fragilità in quanto oggetti
normali, dei rischi che correremmo se ne finisse uno in mano ai
serpeverde, e della possibilità che gli studenti li usino
per stupidaggini, futilità, o peggio ancora scherzi.
Ma in realtà nessuna di quelle critiche si reggeva in piedi,
ed era stato facile per Ames dargli la spintarella decisiva per farle
crollare.
Anche il mio ultimo baluardo, nonostante fosse un po’
più credibile degli altri, alla fine aveva ceduto.
“Allora, zio, dimmi solo una cosa. Perché mai gli
stessi studenti che in tutti questi anni si sono sempre disinteressati
di tutto, gli stessi che hanno abbassato la testa, gli stessi che non
hanno voluto essere immischiati, perché mai adesso
dovrebbero scegliere di combattere i serpeverde con noi? Rispondi solo
a questo, zio, e io non dirò più una sola parola,
e prenderò uno di quei maledetti aggeggi!”
E lui aveva risposto, tranquillamente e senza neanche rifletterci tanto.
“Sceglieranno di combattere per due motivi, Jeremy.”
‘Addirittura due, zio?’ avrei voluto dire io, ma
invece sono stato zitto.
“Combatteranno perché adesso in cambio di aiutare
qualcuno riceveranno protezione invece di botte, e perché il
sapere che non saranno da soli ad opporsi a qualcosa cui fa loro paura,
darà loro coraggio.”
Eccola lì, la risposta che ti sega le gambe, che ti butta a
terra e non ti dà la possibilità di rialzarti.
La risposta del saggio del villaggio allo scemo del villaggio!
Una spiegazione perfetta per una conclusione perfetta delle mie
obiezioni imperfette.
Ho guardato un attimo Ames in cerca di qualcosa da ridire, poi mi sono
arreso e mi sono avvicinato con riluttanza al mucchio di telescambi
rimasti, dando un’occhiata distaccata alla ricerca di
qualcosa che potesse andarmi bene. I miei occhi sono caduti su un
semplicissimo braccialetto a elastico nero che poi ho preso e infilato
al polso sinistro, lanciando un’occhiataccia allo zio, a
Hèk e a Rachel.
Ed è qui che mi aveva raggiunto la domanda di Ombra.
“Cazzo, Jeremy, ma che ti prende? Perché diavolo
sei così contrario a questa idea?”
Non lo so Ombra, non lo so…
Bisogna che lo chieda al Vecchio White. Lui sembra conoscermi meglio di
me!
“Perché diavolo sei così contrario a
questa idea?”
Non ne ho proprio idea Hek…
Sarà perché non ho grande fiducia nel coraggio
degli altri studenti?
Sarà perchè ho grossa fiducia, invece, nella
bastardaggine dei serpeverde?
O sarà forse per tutta la preoccupazione che ho accumulato a
causa di Key, la stessa Key che ora mi sta di fronte, in questo
corridoio deserto, ferma con le mani incrociate dietro la schiena e
un’espressione imbarazzata sul volto?
Fine quinto capitolo
*Il titolo viene dall'inizio di una canzone dei Beatles, 'Revolution'.
Note dell'autore:
Ringrazio infinitamente lo zio Stojilkovicz e lo zio Thian, dalle cui
costole è nato Ames White, uno zio ben meno saggio dei suoi
padri.
Ringrazio anche Clara, il cui velluto si presta agli usi della mia
Hermione Granger… ahimè con ben meno fascino di
quanto facesse con la sua originaria padrona.
E un immenso “Merci” va a Benjamin, il cui puzzo di
capro si è trasmesso in parte al protagonista di questa
storia (fortunatamente per lui!).
Chi ha letto l’irraggiungibile eroe della letteratura
francese, sa…
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Capitolo 6 *** Foga, Imprudenza e Passione ***
6. Foga, Imprudenza E Passione
C’è una differenza
notevole tra il pensare una
cosa e il sentirsela dire.
Questo vale per qualunque cosa, certo, ma per alcune vale di
più: i complimenti, le critiche e la verità.
Nel mio caso, è quest’ultima che sto per sentire.
Attraverso il mare.
E proprio per questo, perché me la dirà il mare,
non dubiterò neanche per un istante che sia una
‘verità vera’.
“Esistono sempre - per ogni cosa piccolo - tre
verità” mi dice spesso lo zio White, “la
mia, la tua e quella vera.”
E’ molto raro poter sentire quest’ultima, ma a me
sta per succedere.
E mi raggiungerà attraverso il mare di Key.
Key alla quale ho pensato per tutta la settimana, Key che dopo quella
notte da sogno non mi ha più rivolto parola e sguardo, Key
che ora, al limitar della notte, è ferma davanti a me.
Mi ci sono voluti sei giorni per capire quello che è
successo esattamente, sei giorni per scavare qualche centimetro sotto
la superficie delle parole ed arrivare al loro significato.
Ma alla fine mi ha colpito quel significato, con la forza centrifuga di
uno sciacquone.
Key mi ha scaricato.
E ora il mare sta per confermarmelo.
Spero solo che faccia in fretta, che vada dritta al punto, senza
tentare di addolcire la pillola.
Subito la pillola, grazie. Meglio una cosa veloce.
E invece il discorso sarà lungo, me lo dicono gli occhi
nerissimi di Key e la sua prima frase.
“Ciao Jeremy.”
Inutile formalità.
“Ciao.”
Sembra un po’ incerta. Fa per parlare un paio di volte e poi
si ferma, mentre la mano destra tortura quella sinistra, in movimenti
plastici che la mia non potrebbe mai fare. Anni di pianoforte, immagino.
‘Vai dritta al punto, tesoro! Dritta al punto!’
è il pensiero nella mia testa, e spero che dai miei occhi
lei possa individuare la mia preghiera.
“Potresti venire con me?”
Questo non è il punto e la cosa mi fa incazzare.
“Non possiamo farlo qui?” chiedo allora allargando
le braccia a indicare il corridoio deserto nel quale ci troviamo.
Lei ha una reazione che non comprendo immediatamente. Sgrana gli occhi
e spalanca la bocca, con sul viso un’espressione scioccata.
Il suo è uno sguardo che uccide.
Io aggrotto le sopracciglia confuso. Faccio per parlare ancora, ma
finalmente capisco che diavolo le prende.
La mia domanda…
Ha pensato… ha pensato che io volessi…
A quel punto l’ilarità della cosa mi prende alla
sprovvista.
Ha pensato che volessi farlo qui?
Inizio a ridere, prima piano, poi sempre più forte,
finché la situazione e la verità vera
dietro
l’angolo mi ricordano che non è il caso.
Dovrei essere furioso io!
Riesco allora a trasformare la mia risata in un ringhio rabbioso.
“Intendevo parlare! Non possiamo parlare
qui?” le
dico a voce molto alta e faccio un passo avanti, rosso di collera.
Lei non indietreggia, ma la sua faccia ritorna ad essere quella di
prima, senza più l’espressione scioccata.
Il rosso imbarazzato del malinteso si somma all’imbarazzo
precedente, e adesso il suo colorito ha definitivamente abbandonato la
tavolozza dei rosa, per salire decisamente di qualche
tonalità.
E io non mi fermo qui. Ora che è leggermente in
difficoltà ho intenzione di approfittarne.
“Pensavi che avrei avuto voglia di fare sesso?” la
guardo, scioccato io adesso. “Ma sì! La scopata
d’addio! Tanto per ritardare il momento in cui mi
scaricherai!”
L’ho detto. Ecco. Tutto d’un fiato.
Ho evitato che fosse l’infallibilità del mare a
farlo.
Eppure, ancora una volta la sua espressione cambia, e non come mi sarei
aspettato.
Appena pronunciata la fatidica parola infatti, mi guarda sorpresa
prima, confusa poi, e scioccata (di nuovo!) alla fine.
A questo punto, ho un attimo di esitazione, e il dubbio mi si insinua
nel cervello.
Ma come sempre, nel dubbio si può esitare, sì...
ma non ci si ferma.
Nel dubbio si continua.
“Sì, scaricare! E’ questo che stai
facendo, no? Mi stai lasciando! Mi stai gettando via come una scopa da
corsa col manico spezzato! Mi stai lanciando giù dalla
finestra come si fa con la roba vecchia a Capodanno! Mi stai cacciando
come fa la mamma gatta con i suoi cuccioli cresciutelli! Mi stai
buttando via come la cartaccia dopo esserti presa la
caramella!”
A questo punto straripo. Rompo gli argini.
Invento così tante espressioni per dire la stessa cosa, da
restarne meravigliato io stesso.
E non risparmio niente e nessuno! Spazio da un argomento
all’altro con una facilità disarmante: utilizzo
animali, piante magiche, calamità naturali, cibo e bevande.
Passo per la letteratura, la mitologia, l’arte, la storia e
cito anche una canzone dei Beatles!
Alla fine sono quasi senza fiato, ma lo sfogo mi ha fatto bene. Mi
sento più rilassato.
Key è stata in silenzio tutto il tempo e già dopo
i primi 30 secondi del mio monologo aveva riacquistato la sua solita
compostezza.
“Hai finito?” mi chiede dopo un po’.
“Sì” le rispondo subito e incrocio le
braccia sul petto come a dire che niente di ciò che
dirà potrà farmi nessun effetto, semplicemente
perché l’avrò già detta io.
Ma non avevo fatto i conti con una cosa.
“SEI UNO STUPIDO!” esplode lei in un’onda
altissima che mi travolge e mi bagna dalla testa ai piedi.
Per un attimo avevo dimenticato di avere a che fare col
mare. E con la sua furia, in questo momento.
Errore imperdonabile a cui tento di rimediare cercando riparo da
qualche parte con gli occhi, ma lei riesce a incatenare i nostri
sguardi.
“’Capisco’, hai detto prima di andartene
quella mattina, e invece non avevi capito proprio niente! Mi hai
ascoltata almeno? Avevo semplicemente detto che volevo
riflettere!”
Io cerco di difendermi e inizio a parlarle di ragionieri, linguisti e
riti d’iniziazione femminili, ma lei mi interrompe alzando un
dito verso di me.
“Silenzio” dice e io chiudo la bocca.
“Penso tu abbia parlato abbastanza per oggi, non
credi?” mi domanda riferendosi al mio lunghissimo monologo
precedente.
Succede sempre così.
Si crede sempre di dover rimanere imbarazzati finchè
l’imbarazzo di un altro non sostituisce il tuo.
Ora sono io ad essere impacciato, e lei, per questo, si sente in
diritto a non esserlo più.
“Bene. Adesso tocca a me” dice e alla sua immagine
per un attimo si frappone quella della professoressa Granger.
E’ la prima volta che noto la somiglianza, non solo fisica,
tra loro, eppure in questo momento mi sembra evidente.
Ma l’onda torna e immediatamente lava via la sensazione.
Due voci così belle e così diverse!
Il mare di Key Bright e il velluto di Hermione Granger.
“Io avevo solamente bisogno di tempo per
riflettere” ripete lei, forse per trovare le parole seguenti.
Mi guarda fisso negli occhi, e in risposta sento il mio stomaco
irrigidirsi. E’ determinata come non l’ho mai vista.
Restiamo così, in silenzio, lei con ancora
l’indice per farmi tacere alzato, per quelle che sembrano
delle ore.
E come ogni volta che dalle parole si passa a un brusco mutismo, sono
le immagini ad imporsi.
Anche nella semi-oscurità del corridoio, Key è
davvero carina. I suoi occhi sono scuri come la notte che avvolge il
castello e i suoi capelli forse poco meno. La chioma nera le cade in
fitte onde sopra le spalle esili, e attorno al suo collo brilla
debolmente una collanina d’argento che registro mentalmente
come un telescambio.
Non posso fare a meno di pensare al suo sedere.
Se lei fosse di spalle, potrei ammirarne la forma morbida attraverso la
gonna della divisa di Hogwarts.
Al solo pensiero mi accendo come la torcia alla fine del corridoio,
qualche metro davanti a me.
E quando lei riprende a parlare c’è una strana
atmosfera nell’aria.
”Volevo capire come diavolo era potuto succedere che io mi
lasciassi trascinare in quel modo da te. Tu… tu mi piacevi
già da un po’ di tempo, ma non avevo mai pensato
di fare… quello che ho fatto. Non avevo mai neanche pensato
di rivolgerti la parola!”
Pausa.
“Ma ieri ho capito che non è importante come
è successo… quello che conta è come
è stato…”
L’affermazione mi lascia stupito ed estasiato allo stesso
tempo.
Vorrei dirle che ha ragione, che sono d’accordo con lei, che
le spiegazioni sono la morte delle sensazioni e che le uniche cose che
hanno importanza sono le sensazioni stesse!
Ma l’ombra del dito che ha alzato per zittirmi è
ancora sulla parete alla mia sinistra.
Vorrà dire che rimanderò il mio intervento.
Tanto il mio sorriso (il mio primo vero sorriso dall’inizio
della discussione) parla per me.
Anche lei sorride adesso.
“Ed è stato bellissimo” aggiunge.
Ancora una volta, senza sapere come, ma senza che ce ne importi un
accidente, ci ritroviamo avvinghiati, l’uno nelle braccia e
tra le gambe dell’altra, nel corridoio deserto.
Ci divoriamo a vicenda, nella curiosa impazienza di ritrovare quello
che avevamo perso, senza avere dimenticato, nella settimana di
lontananza.
Non potrei immaginare un comportamento diverso dal nostro, e neanche
risultati più allettanti.
L’amore deve essere questo: foga, imprudenza e passione.
Mi affido completamente a loro e lei fa lo stesso.
E quando mi abbandono, stremato, sul pavimento, non esiste
nient’altro che il suo corpo contro il mio.
Dopo due ore di estasi supina, riprendo coscienza di tutto il resto e
mi rendo conto che non è il caso di rimanere in quel
corridoio.
Ce la svignamo allegramente e ci infiliamo nella prima aula in
disuso che ci capita a tiro.
Decidiamo di aspettare lì il vicinissimo risveglio di
Hogwarts, parlando, anche perché è veramente
troppo tardi per fare altro.
Chiarire la nostra relazione non è affatto
semplice… ma è molto divertente. Inoltre Key
sembra tenerci particolarmente a questa sorta di titolo.
Abbiamo già scartato parole come
‘fidanzata’ (“Ma dove vivi Jeremy? Anzi,
quando? Di che epoca sei?”) e ‘amante’
(“Il nostro non è mica amore, Jeremy! E’
piuttosto un rapporto… passionale ecco.”), e
‘ragazza’ (“Potrebbe andare…
forse…”) l’abbiamo messa da parte per
ora, alla ricerca di qualcosa di meglio.
Alla fine la nostra inventiva comincia a esaurirsi e decidiamo di
gettare la spugna per il momento.
La conversazione scivola liscia da un argomento all’altro e i
pochi silenzi che fanno da intervallo alle nostre voci sono carichi di
complicità.
Dopo un po’, Key mi permette una nuotata nella sua vita e nei
suoi ricordi.
E’ l’unica figlia di una coppia di maghi. Il signor
Bright è un traduttore di lingue antiche, mentre la signora
Bright lavora al ministero della magia. Sono affiatatissimi, mi dice. Si conoscono da quando erano bambini e poco dopo già stavano
insieme.
Ne parla con un’allegria da bambina e per questo capisco che
debba essere e essere stata felice. Hanno un appartamento nella Londra
babbana, dove solitamente vive anche Key quando non è a
Hogwarts.
Ma il luogo che lei considera veramente casa, la sua casa, è
il Vercors (Il Vercors, non nel Vercors, ci tiene a precisarlo), una
regione montuosa nel sud della Francia. Quando ne parla, il suo viso
illumina tutto intorno nel raggio di dieci metri.
Il Vercors è la sua casa, dice, e il suo nascondiglio dal
mondo, quando gliene serve uno.
Ci va ogni volta che può e vive per un po’ a
contatto con la natura, lontana dai fumi di Londra.
Stiamo parlando proprio di questo, quando ci accorgiamo che manca poco
all’orario della colazione.
Usciamo dalla stanza un po’ controvoglia e mentre mi richiudo
la porta alle spalle, lei mi afferra per un braccio e mi fa voltare.
“Devo chiederti una cosa” dice.
“Spara”
Deve essere una cosa seria.
“Era ‘Rocky Raccoon’ la canzone che hai
citato prima?”
Infatti è seria. E molto.
L’esito di questa conversazione potrebbe avere enorme
influenza sulla nostra relazione futura.
Finora, lei si è comportata bene, indovinando la citazione
del mio monologo di qualche ora fa.
“Sì” rispondo io cauto. ”Ti
piacciono i Beatles?” chiedo.
“Li adoro” mi dice con entusiasmo.
Bene. La prossima risposta sarà cruciale.
“Se mi dici che adori anche Joseph Roth, ti sposo
domani.”
Lei mi guarda un attimo seria, poi ride piano, e ancora una volta quel
suono che sa di eternità mi riempie l’anima fino
all’orlo.
“Chi è Joseph Roth?” chiede.
Sospiro sollevato.
Non sono mica pronto per sposarmi domani!
Le spiego chi è Joseph Roth mentre l’accompagno
all’ingresso dei Corvonero.
“Non lo si può definire uno scrittore”
le dico. “Lui è La Letteratura! E ‘La
Cripta Dei Cappuccini’ è Il Romanzo!”
Mentre le parlo dello stile equilibrato, delle atmosfere decadenti e
della metafora storica, lei sorride, divertita nel vedermi
così animato.
“Lo voglio leggere” dice sinceramente interessata.
“Lo leggerai” rispondo allora soddisfatto.
“Te lo presterò oggi stesso. E puoi tenerlo quanto
vuoi, non preoccuparti. Tanto l’ho riletto di
recente.”
“Grazie. In effetti non credo di potertelo restituire subito.
Ho un sacco di compiti da fare, e Piton mi uccide
se…”
Ma non può terminare la frase. Si interrompe
improvvisamente, spaventata e sorpresa, e io so esattamente
perché.
Una voce è appena esplosa nella sua testa.
Lo so perché è esplosa anche nella mia.
Junior Pollard, stanza dei trofei, primo piano.
Guardo il braccialetto nero al mio polso sinistro come se non
l’avessi mai visto prima.
Avevo completamente dimenticato di averlo. E’ passato solo un
giorno in realtà dalla riunione nella sala comune di
Grifondoro, ma fino a quel momento, a quanto mi aveva detto lo zio
White, nessun telescambio era mai stato attivato.
Resto un attimo indeciso, poi mi volto verso Key, che tiene in mano la
sua collanina per un attimo prima di incrociare il mio sguardo
determinato come il suo.
Saliamo di corsa le scale e svoltiamo a destra. La stanza dei trofei
è solo due corridoi dopo e noi bruciamo la distanza in men
che non si dica. Rallento un attimo in prossimità
dell’entrata, costringendo Key dietro di me a fare lo stesso,
e delle voci si fanno strada fino alle mie orecchie, nonostante il
suono martellante del mio cuore.
Riconosco il sibilo di McLoyd, serpeverde del 5° anno, e allora
estraggo immediatamente la bacchetta, imitato da Key. Le rivolgo un
cenno e le faccio capire che al mio via, entriamo e ci scateniamo. Le
mie dita simulano un countdown e quando la mano è chiusa a
pugno, ci precipitiamo dentro.
Lo spettacolo che raggiunge i nostri occhi non è affatto
piacevole.
Quattro serpeverde ci danno le spalle mentre cercano di sghignazzare il
più silenziosamente possibile, mentre un ragazzino che
intuisco debba essere Junior Pollard, levita a un metro da terra,
piangente… e completamente nudo.
Io e Key eseguiamo contemporaneamente l’incantesimo di
pietrificazione e in un attimo i bastardi si ritrovano rigidi sul
pavimento, faccia a terra.
“AH!!!”
E’ alla mia bocca, o dovrei dire forse alla mia memoria, che
è sfuggita l’esclamazione.
La familiarità della scena, infatti, mi ha ricordato che
devo chiedere alla mia… ragazza, se è
stata lei a difendermi all’ingresso del castello, ormai tre
settimane fa.
Me ne ero completamente dimenticato!
Ovviamente non è questo il momento, non mentre le
nudità di un ragazzino mi penzolano davanti al naso.
Lo faccio atterrare delicatamente con un gesto accompagnato della
bacchetta e mi avvicino a lui, scavalcando i corpi rigidi dei
serpeverde, tra cui quello di McLoyd, che avevo riconosciuto dalla
voce, ancor prima di entrare nella stanza.
Mi trattengo dal calpestare quell’odiosa testa di cazzo
(tanto non gli farebbe niente nello stato pietoso e pietroso in cui si
ritrova) e invece raggiungo la divisa appallottolata alla sua destra.
“Mettila… su… e non ci
pensare” dico a Junior porgendogliela e sorridendo
confortante.
Lui se la infila velocemente, si asciuga le lacrime e farfuglia un
ringraziamento prima di correre verso la porta. Esita un attimo nel
vedere Key ancora sulla soglia, con gli occhi discretamente bassi, poi
ringrazia di nuovo e esce di scena.
A quel punto lei mi si avvicina e lancia uno sguardo d’odio
nei confronti dei 4 impastoiati, che intanto io privo delle bacchette.
Fa per dire qualcosa, ma la fermo in tempo, le faccio capire di tacere
e la trascino fuori.
“Non parlare” le sussurro oltre la porta.
“Non ti hanno vista, né sentita, e voglio che
rimanga così.”
Le sue sopracciglia aggrottate mi suggeriscono che non ha capito il
perché, così glielo spiego.
“Ora fai venire la McGranitt mentre io sto qua a tenerli
d’occhio. McLoyd si vorrà vendicare per quel che
è successo, e io non voglio che si vendichi su di
te.”
Lei sembra grata, ma anche un po’ scocciata.
‘Non ho bisogno di essere protetta’ dicono quegli
occhi scurissimi.
“Non vorrei neanche si vendicasse su di me, che ti
credi!” aggiungo allora ridendo piano. “Ma ormai mi
ha sentito parlare!”
La mia risata deve averla convinta, perché, dopo un attimo,
fa un cenno affermativo con la testa, mi bacia appassionatamente e
torna sui suoi passi, diretta all’ufficio della preside.
Mi godo ancora un istante il sapore del suo mare sulle mie labbra, poi
rientro nella stanza dei trofei e mi piego sulle ginocchia verso il mio
nemico numero uno, che purtroppo non posso scrutare in volto,
perché, come gli altri, è caduto faccia a terra.
Peccato… mi sarebbe piaciuto fissare la sensazione di
impotenza nei suoi occhi.
Be’, almeno può sentirmi, no?
“McLoyd, McLoyd… come mai mi sembra di ricordare
una scena simile? ”
L’arrossarsi delle sue orecchie mi dice che ha sentito
benissimo.
Fine sesto capitolo
Note dell'autore:
Ringrazio infinitamente lo zio Stojilkovicz e lo zio Thian, dalle cui
costole è nato Ames White, uno zio ben meno saggio dei suoi
padri.
Ringrazio anche Clara, il cui velluto si presta agli usi della mia
Hermione Granger… ahimè con ben meno fascino di
quanto facesse con la sua originaria padrona.
E un immenso “Merci” va a Benjamin, il cui puzzo di
capro si è trasmesso in parte al protagonista di questa
storia (fortunatamente per lui!).
Chi ha letto l’irraggiungibile eroe della letteratura
francese, sa…
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Capitolo 7 *** Parola d'ordine: praticità! ***
7. Parola d'ordine: praticità!
Poche cose riescono veramente a manipolare
il tempo.
Una giratempo può permetterti di portarlo avanti o indietro,
un pensatoio può fartelo rivivere e un incantesimo di
memoria può cancellarlo, in un certo senso.
Ma solo una cosa riesce a bloccarlo. E non ha niente a che fare con la
magia.
Solo la consapevolezza, la consapevolezza del suo scorrere
può bloccarlo.
Ed è quello che sta succedendo ora, durante questa lezione
di Erbologia.
Il tempo si è fermato esattamente alle sette meno cinque e
non sembra minimamente intenzionato a riprendere la sua marcia.
Purtroppo è colpa mia, lo so. Sono io che l’ho
fermato, continuando a guardare l’orologio, a contare i
secondi, a riempire di istanti il barattolone infinito sul quale
è scritta a lettere cubitali la parola
‘PASSATO’.
E il fatto che io sia a conoscenza del mio errore non aiuta affatto,
perché non posso fare a meno di comportarmi così!
Il problema è che ho una cosa urgentissima da fare, non
appena il suono di quella campanella deciderà finalmente di
raggiungere le mie orecchie.
Devo andare dalla Granger per chiederle che cosa voleva farmi capire
dieci giorni fa, riguardo l’ormai leggendaria figuraccia dei
serpeverde e l’identità del mio salvatore.
“Le voglio fare una domanda signor Trey. Dalla
posizione… privilegiata nella quale si
trovava, è
riuscito per caso a vedere le scintille di luce dei due incantesimi?
No, vero? Ci rifletta, signor Trey… potrebbe essere
importante” aveva detto.
E io l’avevo fatto. Ci avevo riflettuto.
Ma la conclusione alla quale ero arrivato si è rivelata
incredibilmente sbagliata!
Incredibilmente perché ne avevo quasi la
certezza…
Mi ero convinto che fosse stata Key Bright, la mia attuale…
ragazza a lanciare gli incantesimi di disarmo e di
pietrificazione sui
serpeverde che mi tenevano sotto tiro con le loro bacchette, ma questa
convinzione è andata in frantumi poco più di
un’ora fa.
Alla mia richiesta di conferma alla diretta interessata, infatti, era
seguita una decisa negazione.
“No” mi ha detto Key.
“No cosa?” ho chiesto io, il sorriso gelato sul
volto.
“Non sono stata io ad aiutarti quella sera.”
Sono rimasto inebetito qualche secondo, a bocca aperta, poi mi sono
ripreso e ho deciso di srotolarle davanti gli indizi che mi avevano
portato a lei. Era lì, era vicinissima, era
l’unica persona che conoscevo in quella folla e…
be’… le piacevo (e le piaccio ancora).
Ma Key ha continuato a negare, guardandomi fisso negli occhi, e nei
suoi era ben visibile la verità.
“Non sei stata tu?” ho chiesto allora.
Ha scosso la testa.
“Non sei stata tu.”
Ho annuito un attimo, pensieroso.
“E… per caso sei riuscita a vedere chi
è stato?” ho domandato pur sapendo già
la risposta, che è arrivata puntualmente con
l’ondeggiante movimento orizzontale dei suoi capelli
nerissimi.
Un istante dopo correvo come un forsennato per tutta Hogwarts fino
all’aula di difesa contro le arti oscure, solo per poi
tornarmene deluso da dove ero venuto. La Granger stava facendo lezione,
così ho dovuto rimandare il nostro incontro alla fine delle
lezioni.
E cioè alla fine di Erbologia.
Ma mi sembrano anni che sono seduto a questo tavolo, anni che sto
travasando queste maledette mandragole, anni che quella fottutissima
lancetta dei minuti è ferma a 55!
Mando al diavolo una pianticella gettandola forte sul tavolo (tanto
stava già strillando come una pazza!), e con lei il tempo e
i cinque minuti restanti di erbologia.
Chiedo alla Sprite il permesso di uscire e lei dopo qualche
tentennamento me lo concede.
Appena fuori dalla porta della serra n°1, abbandono a terra i
paraorecchie (necessari per difendersi dal pianto delle mandragole) e
mi dirigo a passo svelto verso l’aula di difesa.
Inutile dire che non faccio neanche dieci metri, prima che quella
fottutissima campanella suoni, annunciando la fine delle lezioni.
Mi rifiuto categoricamente di guardare di nuovo l’orologio
per scoprire se è suonata prima, o se in quei dieci metri
sono passati 5 minuti, e sto ancora maledicendo me stesso e la mia
consapevolezza del cazzo, quando imbocco il corridoio che conduce alla
mia meta.
La luce nella stanza, ormai solo qualche metro più avanti,
mi dice che sono fortunato.
La Granger è ancora qui, nonostante tutti gli studenti
abbiano abbandonato le classi.
Aumento l’andatura pregustando già le risposte che
otterrò, ma poi sono costretto a fermarmi.
La voce che proviene dall’aula di Difesa non è
quella della professoressa.
E’ quella di Piton.
In un primo momento, la sorpresa blocca tutti i miei sensi e non riesco
neanche a capire che cosa stia dicendo, ma dopo un attimo è
la stessa voce del professore a risvegliarmi.
“…un’arrogante e presuntuosa ragazzina
che non ha mai capito niente.”
Sento solo la parte finale della frase, ma non mi è
difficile immaginare cosa possa essere venuto prima.
Un bel litigio tra professori, ecco in cosa sono incappato!
“Proprio come allora… proprio come lui!”
continua il professore di Pozioni, e la sua voce è calma e
allo stesso tempo furiosa. Non so come ci riesca…
Severus Piton è rabbia gelata.
La risposta della Granger arriva immediatamente, e questa volta non
è il solito fruscio di velluto.
E’ arrabbiata e la sua voce si è alzata di qualche
tono, sia d’intensità che di timbro. E’
acuta adesso.
“E lo lasci in pace una buona volta! Possibile che dopo tutti
questi anni…”
‘MERDA!’ è l’urlo che sale,
per fortuna solo nella mia testa.
Non ho idea di come sia potuto succedere, ma il mio zaino si
è inspiegabilmente aperto e ha lasciato cadere i due grossi
tomi di Trasfigurazione e Storia della magia sul pavimento, provocando
un gran tonfo e facendomi trasalire.
La professoressa si interrompe all’istante, perché
ha ovviamente sentito il rumore, così come mezza Hogwarts.
A questo punto non posso far altro che uscire allo scoperto, dichiarare
la mia colpevolezza e attendere l’esecuzione.
Faccio un passo in avanti e mi affaccio alla porta proprio mentre Piton
fa lo stesso, e per un pelo non mi rifila una testata.
Magari ci fosse solo una bella capocciata nel destino che mi aspetta!
E invece la capocciata non c’è, e non
c’è niente di ciò che avrei potuto
immaginare.
Un sorriso furbo, che incredibilmente non ha niente di un ghigno, si
affaccia per un attimo sul volto di Piton che mi prende per un braccio
e mi mette a sedere sulla prima sedia che trova.
“Bene, bene, signor Trey… stavamo giusto parlando
di lei” dice lasciandomi visibilmente incredulo.
Di me? Allora ero io lui? Ma…
‘dopo tutti questi
anni’ cosa diavolo vuol dire?
Non è che questo è un patetico tentativo di
sviare la mia attenzione da quel ‘un’arrogante e
presuntuosa ragazzina che non ha mai capito niente’, vero
professore?
“Di me?” dico semplicemente, dando voce solo in
parte ai miei pensieri.
Non sono ancora pronto a confessare di avere origliato.
La professoressa Granger ha l’espressione indifferente,
eppure sembra sollevata. Guarda un punto imprecisato della stanza, ben
lontano dalla mia sedia e da Piton.
Dal canto suo, il professore non sembra avere occhi che per me, anche
se il sorriso è sparito dalla sua faccia alla
velocità della bacchetta di Ames.
Questo mi mette a mio agio. E’ tornato il Piton che conosco:
niente sorriso, niente calma furente.
Nascondo il nervosismo sotto un piccolo ghigno e mi lancio in picchiata.
“Professore. So che stavate…” esito un
attimo per scegliere accuratamente la parola “quantomeno
litigando. Ma, nonostante sia molto curioso, non sono affari miei. E se
stavate veramente parlando di me, sia nel bene che nel male, in questo
momento non m’interessa. Oltretutto non credo proprio che lo
raccontereste a me” dico e la Granger spalanca la bocca,
enormemente stupita.
Penso non abbia mai sentito nessuno parlare così al
professore di Pozioni.
Ma io me lo sono guadagnato questo diritto.
Durante il mio primo mese a Hogwarts, non c’è
stata lezione in cui Piton non mi abbia tolto punti o inflitto
punizioni, anche molto severe. Ma si è accorto ben presto
che niente di ciò che faceva aveva il minimo effetto sulla
mia parlantina e sul mio… chiamiamolo
così… buonumore.
Il fatto è che, nonostante lui mi punisse, insultasse o
anche ignorasse, io non riuscivo ad odiare Piton. Mi era (e mi
è) geneticamente simpatico, e trovo la sua
personalità complementare alla mia. Mi dico spesso che se
fossimo coetanei, sarei probabilmente il suo migliore (e forse unico)
amico.
Ed è per questo che ha dovuto arrendersi.
Sono l’unica persona al mondo, per quanto ne so almeno, ad
averlo battuto sul suo stesso campo da gioco.
Era convinto di conoscere le regole. ‘Io li punisco, loro mi
odiano.’
E’ un tipo semplice Piton.
Ma, come già detto, con me questo non ha funzionato
minimamente.
Allora mi ha dato partita vinta e ha deciso di giocare al mio di gioco.
Come adesso.
“Ah non le interessa? E io che credevo che la cosa che
più le importasse fosse sé stesso, signor
Trey…”
Io amo l’ironia di quest’uomo!
“E comunque,” continua dopo aver lasciato il tempo
al mio sorriso di fare nuovamente la sua entrata in scena,
“ha ragione. Non lo racconteremmo a lei, vero…
professoressa?”
L’ultima parola e il tono di scherno e disgusto, non sembrano
neanche scalfire l’indifferenza della Granger, ma io ancora
una volta mi chiedo perché diavolo Piton la odi
così tanto.
Un attimo dopo, lui è fuori nel corridoio.
Se n’è andato così, senza aggiungere
nient’altro e senza salutare ovviamente. Non che mi
aspettassi qualcosa di diverso, ma stavo cominciando a divertirmi.
La professoressa, ora che lui non è più a portata
di orecchio, occhio e bacchetta, si sente libera di mostrare il suo
vero stato d’animo anche sul volto, oltre che nella voce.
Sul suo viso, solitamente illuminato dal sorriso smagliante, ora
imperversano nubi temporalesche.
E se Severus Piton era rabbia gelata, Hermione Granger è
senz’altro l’opposto.
Quando comincia a parlare sembra che un incendio di collera la stia
divorando dall’interno e abbia carbonizzato il velluto.
Spero solo che non lasci che divori o carbonizzi anche me!
“Perchè è qui, signor Trey?”
Vacillo un attimo sotto quell’ondata di calore, ma mi faccio
forza, ricordandomi il motivo che mi ha portato da lei.
Sostengo il suo sguardo infuocato.
“Professoressa, lei sa chi è stato a salvarmi da
quei serpeverde quella sera all’ingresso di
Hogwarts?”
Le nubi non sembrano intenzionate a cambiare rotta per ora, e restano
ferme ad oscurare il viso della bella professoressa.
Poi improvvisamente un sussulto, come se qualcuno le avesse
appoggiato le mani sulle spalle per rassicurarla, e lei
gradualmente si calma.
Alla fine fa un respiro profondo e un sorriso incerto fa capolino sul
suo volto, un tenue raggio di sole che filtra nel cielo plumbeo.
“Domanda legittima…” dice mentre il
sorriso si allarga progressivamente. “Ha riflettuto su
ciò che le ho detto l’ultima volta che ne abbiamo
parlato?”
“Ci ho riflettuto… male, ma ci ho
riflettuto” è la mia risposta.
“Bene, continui così.” dice lei
soddisfatta, sorprendendomi.
Bene?
“E’ l’impegno che conta per me”
spiega “come ho detto alla mia prima lezione. Oltretutto il
suggerimento che le ho dato non è semplice come
sembra” dice e dalla mia memoria ritorna a galla la frase del
Vecchio White, che come al solito aveva visto giusto.
‘Deve esserci qualcos’altro sotto’ mi
aveva detto la sera in cui gliene avevo parlato. Mi riprometto di
chiedergli nuovamente un consiglio, mentre la professoressa riprende a
parlare.
“Sono stata un tantino troppo ermetica,
forse…”
“Sono d’accordo” le rispondo ridendo e la
sua risata si sovrappone alla mia.
Ride così come sorride, Hermione Granger. Uno sfavillio di
luci sul volto.
La sua non è una risata da sentire. E’ una risata
da vedere.
“Per tornare alla sua domanda, signor
Trey…” dice di nuovo seria, “io so chi
è stato a proteggerla quella sera.”
E’ così che sgancia la bomba.
“Ma non intendo dirglielo”
Ed è così che non la fa esplodere.
Niente esplosione quindi, ma mi sento scombussolato più di
quanto lo sarei stato sotto un bombardamento, mentre mi trascino
stancamente verso la Sala Grande e la cena.
La fine della conversazione mi ha stremato.
I miei attacchi al silenzio della Granger sono stati tutti bloccati.
Una fortezza impenetrabile quel silenzio, che le mie parole non hanno
minimamente scalfito. Dieci minuti di tentativi, ma neanche una parola
utile.
“Io non avrei neanche dovuto darle quel consiglio riguardo la
luce degli incantesimi” aveva detto prima di aggiungere la
frase che mi ha tolto le energie, molto più di tutti i miei
sforzi per farla parlare.
“E’ una cosa che deve scoprire da solo”.
Questa espressione mi ha così abbattuto, fisicamente
proprio, che non sono neanche riuscito a ribattere, nonostante le
argomentazioni non mancassero.
Ha importanza come si scopre una verità? No!
Indubitabilmente e indiscutibilmente no!
E’ la verità stessa che ha importanza!
E’ il fatto che venga a galla, in qualunque modo, che ha
importanza!
Bisogna essere pratici! Ecco la parola d’ordine:
praticità!
Sia pratica! Sia concreta, professoressa e mi dica chi cazzo
è stato a proteggermi quella maledettissima sera! Non
è una caccia al tesoro questa! Non è un percorso
spirituale che devo percorrere! Molli queste stronzate
simboliche-astratte e mi dica chi è stato!
Ma questo monologo da politico infervorato ha avuto luogo solo nella
mia testa, perché il resto del corpo si è
rifiutato di continuare quella battaglia persa in partenza.
Alla fine ho gettato le armi e mi sono concesso una semi-dignitosa
ritirata, cercando di non mostrare alla Granger il morale sotto le
scarpe delle mie truppe.
Non appena metto un piede in Sala Grande, mi accorgo che
c’è qualcosa di diverso dal solito.
Uno strano mormorio d’agitazione raggiunge le mie orecchie
nonostante la stanchezza.
Vedo studenti spostarsi da un tavolo all’altro a passare
misteriose informazioni e immediatamente dopo, tutto il tavolo a
discuterne sottovoce.
Qualcuno si accorge di me e mi indica di nascosto, aumentando la
quantità di bisbigli, ma non il loro volume.
Aggrotto visibilmente le sopracciglia e mi siedo velocemente al tavolo
dei Grifondoro, già pienissimo, accanto a Ames e di fronte a
Hèk e Rachel.
Cerco di captare qualche parola del brusio circostante, ma poi opto per
la strada più semplice.
“Che cavolo succede?” chiedo incerto ai miei vicini
che mi salutano.
Il ghigno di Ombra è tutto un programma.
“Succede che espellono McLoyd” dice sghignazzando
allegramente.
Sarà forse la stanchezza, ma a me non va di ridere.
“Davvero?” chiedo mentre i miei occhi intercettano
quelli nerissimi di Key al tavolo dei Corvonero.
“E’ solo una voce, per ora” mi risponde
Rachel.
Fa una pausa durante la quale mi scruta attentamente.
“E mi sa che ha ragione Ames” dice dopo qualche
istante.
Il ghigno di Hèk si restringe un tantino, ma solo per un
attimo. In una frazione di secondo torna quello di prima.
“Ma dai! Dagli solo il tempo di assimilare la
notizia… tra cinque minuti lo vedremo saltellare sul tavolo
e strillare la canzone di Hogwarts!”
Io li guardo confuso.
Non ci sto capendo una mazza e glielo dico.
“Non ci sto capendo una mazza”.
“Ames dice che non saresti contento di vedere McLoyd sbattuto
fuori” mi spiega Rachel, il tutto con di fronte un
silenziosissimo zio, come se si trovasse a chilometri da noi, come se
non ci fosse a quel tavolo, come se fosse assente. Io mi volto verso di
lui e lo guardo per un istante, non ricambiato, perché lo
zio sembra completamente immerso nel libro di Trasfigurazione che tiene
aperto sul tavolo.
Come fa a conoscermi così bene?
Non so neanch’io il perché, ma non sono felice.
Dovrei esserlo, questo lo so. Quello stronzo di McLoyd mi rende la vita
qui a Hogwarts ben più complicata di quanto non lo sarebbe
se non ci fosse. E con tutte le bastardate che ha fatto a me e ad
altri, se la meriterebbe anche una punizione del genere.
Eppure…
“E’ per la storia di questa mattina?”
chiedo dopo un attimo riportando la mia attenzione su Rachel, che
annuisce piano.
Ovvio.
E’ per la storia di Junior Pollard, il Tassorosso (come ho
scoperto poi) che io e Key abbiamo salvato dai serpeverde nella stanza
dei trofei. Quindi in pratica sarebbe colpa mia, visto che sono stato
io a consegnare McLoyd e i suoi alla McGranitt.
Lancio uno sguardo ai verde-argento e ai quattro posti vuoti. Qualcosa
mi spinge a spostare gli occhi verso destra, verso il centro del loro
tavolo e verso due occhi infuocati che mi guardano minacciosi.
Jason Matton, il capo dei serpeverde, è furioso.
“Non so da chi sia partita questa indiscrezione, ma ci
basterà aspettare qualche minuto per la conferma da parte
della preside” continua la Grifondoro. “In ogni
caso, l’importante è che i telescambi abbiano
funzionato.”
Il vecchio White alla parola ‘telescambi’ solleva
la testa dal libro e guarda Rachel con aria soddisfatta.
“In realtà” dice subito fallendo il
tentativo di sembrare modesto “l’importante
è stato che Jeremy era già in piedi, questa
mattina presto. Le altre quattro persone i cui telescambi si sono
attivati stavano dormendo e non hanno sentito la richiesta di
aiuto.”
Mi lancia una lunga occhiata, ma io riesco a non distogliere lo
sguardo, nonostante sia un po’ imbarazzato.
Scusa zio… ho mentito anche a te riguardo Key. Sono anche
andato a parlare personalmente a Junior, poco dopo l’arrivo
della McGranitt nella stanza dei trofei, per farmi promettere che
avrebbe parlato solo del mio intervento.
“Nessuno a Hogwarts deve sapere che c’era anche
Key, hai capito?”
Il Tassorosso aveva promesso, garantito, giurato e spergiurato e sono
sicuro che non dirà niente.
Ames mi sta ancora scrutando attentamente, evidentemente non del tutto
contento delle mie spiegazioni, quando la preside si alza in piedi,
facendo cessare qualunque mormorio nel raggio di chilometri…
o così sembrerebbe.
E’ ritta dietro il tavolo dei professori, rigida come un
manico di scopa, lo sguardo severo dietro il suo paio di occhiali dalle
lenti squadrate.
Una donna di classe, non c’è che dire…
“Buonasera ragazzi” dice
nell’immobilità più assoluta.
“Prima che questa cena abbia inizio, ho il dovere di
comunicarvi la mia decisione riguardo allo spiacevole episodio accaduto
nella stanza dei trofei questa mattina.”
Il silenzio di preoccupazione dei serpeverde si scontra con quello
d’aspettativa degli altri studenti, ma è come
cercare di mescolare olio e acqua. E’ impossibile!
Sono di densità completamente diverse quei due silenzi, che
si potrebbe dire abbiano due suoni opposti.
La voce della McGranitt attraversa la sala e li separa perfettamente
come una linea nera su una tela metà gialla e
metà bianca.
“Gli studenti Serge McLoyd, Patrick Donovan, William Gross e
Vince Fontana, ritenuti responsabili dell’accaduto, sono
sospesi dalle lezioni per la durata di due settimane, devono lasciare
immediatamente Hogwarts e al loro ritorno…”
Ma non riesce a terminare la frase, o se ci riesce, nessuno riesce a
sentirla, perché dal tavolo dei serpeverde esplodono grida
altissime di esultanza.
Convinti dell’espulsione, a chi importa di una patetica
sospensione di due settimane?
Agli altri studenti, a quanto pare (i Tassorosso per primi), visto che
si lanciano in proteste e reclami, inutili per altro.
“Deve espellerli!” urla Ombra sconcertato davanti a
me.
E io mi ritrovo a sorridere di un sorriso soddisfatto, e senza neanche
sapere perché!
Bisogna che lo chieda allo zio, dato che mi conosce tanto bene, da aver
predetto questo, il mio errore nel ‘sospettare’ Key
di avermi difeso dai serpeverde, e il mio odio per i telescambi.
Glielo domanderò, ma non questa sera. Questa sera ho ben
altro in mente.
Mi appoggio allo schienale della sedia, cercando di rilassarmi.
E’ vero che sono esausto, ma stanotte ho bisogno di stancarmi
ancora un po’, ma in maniera diversa.
Sposto gli occhi su Key che mi sta già guardando, e vedo il
mio stesso desiderio nelle sue iridi nerissime.
Fine settimo capitolo
Note dell'autore:
Ringrazio infinitamente lo zio Stojilkovicz e lo zio Thian, dalle cui
costole è nato Ames White, uno zio ben meno saggio dei suoi
padri.
Ringrazio anche Clara, il cui velluto si presta agli usi della mia
Hermione Granger… ahimè con ben meno fascino di
quanto facesse con la sua originaria padrona.
E un immenso “Merci” va a Benjamin, il cui puzzo di
capro si è trasmesso in parte al protagonista di questa
storia (fortunatamente per lui!).
Chi ha letto l’irraggiungibile eroe della letteratura
francese, sa…
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