My Life As (Oasis') Roadie

di thewhitelady
(/viewuser.php?uid=116622)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Falling Down ***
Capitolo 2: *** She's Electric ***
Capitolo 3: *** Shakermaker ***
Capitolo 4: *** D'Yer Wanna Be A Spaceman? ***
Capitolo 5: *** Rock 'n' Roll Star ***
Capitolo 6: *** Velvet Goldmine- Cigarettes In Hell ***
Capitolo 7: *** There Is A Light That Never Goes Out - Part I ***
Capitolo 8: *** There Is A Light That Never Goes Out - Part II ***
Capitolo 9: *** Who Put The Weight Of The World On My Shoulders? ***
Capitolo 10: *** Take Me Away - The Passenger ***
Capitolo 11: *** Cigarettes and Alcohol ***
Capitolo 12: *** Going Nowhere ***
Capitolo 13: *** Bring It On Down ***
Capitolo 14: *** Headshrinker ***
Capitolo 15: *** Supersonic ***
Capitolo 16: *** She ***
Capitolo 17: *** Married With Children - If I Had A Gun ***
Capitolo 18: *** Digsy's Dinner ***
Capitolo 19: *** Chipper Son Of A Bitch ***
Capitolo 20: *** Take Me ***
Capitolo 21: *** Whatever ***
Capitolo 22: *** Some Might Say ***
Capitolo 23: *** Don't Look Back In Anger ***
Capitolo 24: *** Roll With It ***
Capitolo 25: *** Hey Now! ***
Capitolo 26: *** Your Pussy's Glued To A Building On Fire ***
Capitolo 27: *** Acquiesce ***
Capitolo 28: *** This Guy's In Love With You ***
Capitolo 29: *** Funky Monks ***
Capitolo 30: *** It's Gettin' Better (Man!!) ***
Capitolo 31: *** Live Forever ***



Capitolo 1
*** Falling Down ***


'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo 
a summer sun that blows my mind
is falling down on all that i've ever known
time will kiss the world goodbye
we're falling down on all that i've ever known
is all that i've ever known
a dying scream makes no sound
calling out to all that i've ever known
 

Percorsi trafelata il corridoio del backstage che portava ai camerini, spalancai decisa la porta pronta a dire come al solito che bisognava sbrigarsi. Ma non mi uscì la voce, la prima cosa che avvertii fu un’orribile stretta allo stomaco: una chitarra rotta. E non una qualunque, una Gibson E-J200, e poi proprio quella regalata da Nicole.
Merda…
Si guardai meglio attorno ed ancora, per la seconda volta in poco tempo, la stessa fitta: questa volta ad essere stata vittima di quella assurda guerra era stata la Gibson ES-335 degli anni 60’. Le cose non si mettevano affatto bene, mi dissi, mordendomi le labbra.
Non feci in tempo ad alzare lo sguardo che un diavolo mi passò di fianco rapido, spalancando la porta e andandosene il più lontano possibile. Aveva tenuto gli occhi bassi, ma vi aveva potuto leggere qualcosa di più forte che un brutto presagio. Mi dissi che sarebbe andato tutto a posto, che infondo il concerto non era ancora andato a puttane, poi ripensai a quegli occhi….
Merda… Quella parola sembrava essere l’unica risposta a tutto quella sera.
Alzai gli occhi solo per vedere Liam dare una scrollata di spalle, - Cazzo, vado a fumare -, anche lui mi passò accanto dandomi una strana sensazione di deja vù. Lui però si fermò, - Fa arrivare la macchina, voglio tornare in hotel –. Aveva parlato veloce usando il suo accento più marcato, qualcosa a metà tra uno scaricatore di porto e una ragazzina in delirio, difficile da spiegare.
- Questo vuol dire….? -
- Già -
- Ci sono migliaia di persone là fuori! -
Mi guardò truce, gli occhi azzurri imbestialiti con me, con il mondo intero, con il Papa, la Regina, Obama e con molte probabilità soprattutto con lui - Chiudi quella bocca, Cass. Non voglio mandarti a fanculo -. Mi sputò le parole in faccia.
Nella mia testa prese forma l’immagine della mia mano che gli fracassava la testa contro il muro, ma invece di mangiarmelo vivo e poi sputarne le ossa, accantonai l’istinto omicida, a quanto pareva avevo già abbastanza casini. – Bene – mi limitai a dire. E Liam scomparve a sua volta inghiottito nel corridoio. Fissai il vuoto davanti a me riempito solo vagamente da Andy e Gem, dall’espressione a metà tra sconforto e rabbia che sapevo di indossare a mia volta, in lontananza da qualche parte c’era pure il resto della crew. Sarebbe stata una notte lunga e senza musica, m’abbassai a raccogliere per il manico spezzato la ES-335 di Noel – Questa non si ripara – sentenzia alla fine con voce monocorde.
 
In lontananza si sentiva la voce del pubblico che si alzava come quella di un’unica persona davvero molto irata e delusa. Avevano appena letto dagli schermi giganti che il concerto non ci sarebbe stato e che non avrebbero visto i loro idoli, almeno non quella sera. E in più che avrebbero potuto forse riavere il prezzo del biglietto, poca soddisfazione in confronto all’amarezza appena subita. Li ascoltai per un secondo e mi sentii parte di loro, volevo la musica, ne avevo bisogno.
L’attimo dopo avevo però già ripreso a lavorare freneticamente, gettando al vento i pensieri e confondendoli con il vociare della crew che mi ronzava attorno. Era già successo altre volte. Tutto si sistema, tutto si sistema mi ripetei, che poi, perché diamine mi stavo arrovellando le cervella? Non ero io il loro fottuto manager… eppure continuai a tornare alla scena che mi si era parata davanti mezz’ora prima, maledetto cervello, feci persino scivolare una Les Paul rischiando di romperla. Dannazione ero stufa di chitarre rotte.
Infondo però nessuno aveva idea di cosa potesse succedere.
 
È con un po' di tristezza e grande sollievo che vi dico che questa notte lascio gli Oasis. La gente scriverà e dirà quello che vorrà, ma semplicemente non potevo lavorare con Liam un giorno di più. Le mie scuse a tutte le per­sone che avevano comprato i bi­glietti per Parigi, Costanza e Milano.
 
Lessi il comunicato di Noel come praticamente chiunque altro, un po’ mi sentii offesa a non aver saputo prima ma d’altronde quella situazione era paradossale e dopo gli avvenimenti del camerino non avevo avuto alcuna voglia di chiamarlo al cellulare, forse non mi avrebbe neppure risposto. Sorrisi con amarezza, infondo ero solo uno stupido tecnico. Ormai per quella sera non c’era più niente da fare, rientrai nella mia buia camera d’albergo, sembrava così tanto una tana di ragno. Per un po’ fissai dalla grande vetrata lo spettacolo che era Parigi di notte, giusto per fare qualcosa che non fosse l’inevitabile, quella città mi stava pure sulle palle, a dirla tutta.  Alla fine levai dal collo il badge con sopra il simbolo del tour, lo poggiai di malagrazia sul tavolo e gli diedi un’occhiataccia torva come se avessi potuto leggervi la predizione di quanto era successo. Non sapevo cosa pensare, se essere felice, arrabbiata, delusa. Non sapevo più un accidente, come d’altronde era sempre stato nella mia vita. Anzi… una cosa la sapevo: non ero più  una roadie degli Oasis,

catch the wheel that breaks the butterfly
i cry the rain that fills the ocean wide
i tried to talk with god to no avail
i call him up in and out of nowhere
said if you won't save me please don't waste my time
 
Titolo e testo della canzone da Falling Down (from Dig out your Soul) http://www.youtube.com/watch?v=iPcq0SBe6N4

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** She's Electric ***


 
Manchester era ammantata nel grigiore più totale, piovigginava da tutta la mattina ed ora, che era la una e mezza, il sole non accennava neppure a fare la sua comparsa. Avevo sentito parlare di popolazione nordiche che entravano in depressione per la quasi totale assenza di luce, e di quel passo probabilmente anche ai Mancunians sarebbe accaduto ciò. Era Aprile eppure era tutto così livido, un’atmosfera da film macabro, iniziai a pensare che quelli potessero essere degli effetti speciali messi da Tim Burton per il suo nuovo film.
Attraverso quella cortina vidi farsi largo un ragazzo, si fermò a rimirare la vetrina del negozio, del tutto incurante della pioggia – che idiota - e del fatto che avrebbe potuto osservare le chitarre appena arrivate anche dall’interno. Per qualche secondo rimase solo lì, imbambolato dalla bellezza di alcune delle sei corde. Poi lo vidi fissare i cartellini dei prezzi e con una smorfia tornare alla realtà. Finalmente si decise ad entrare.
- Jimmy, i fottuti pick up che mi hai montato fanno schifo. T’avevo detto che -, alzò lo sguardo quando ormai aveva già tirato fuori una bella Rickenbacker e l’aveva posata sul bancone, - che non li voglio da Taiwan… dove cazzo è Jim? -
Dall’altra parte del banco lo scrutai con grandi occhi blu, tenendo un sopracciglio inarcato: non sapevo se essere annoiata dal nuovo avventore oppure incuriosita. – Non lavora più qui -, risposi semplice cominciando a tamburellare un tempo sincopato con la penna.
- Come non lavora più qui?! -
- Crisi mistica –, lui però mi guardò scettico, non pareva molto sveglio, diciamo che l’espressione più vicina alla sua era quella di pesce preso all’amo, perciò aggiunsi - ha detto al capo che doveva andare e trovare il  karma per riallineare i suoi chakra -.
- Fottuto new age – inveì il ragazzo per poi riprendere – e tu da dove accidenti salti fuori? -
- Salto fuori che se continui a parlarmi così ti butto fuori a calci in culo, amico -. Eggià, il cliente ha sempre ragione, a parte che con me.
- Be’ neppure tu sei proprio una principessina, darlin’ -, osservò assottigliando lo sguardo e scrutandomi : sapevo di star sfoggiando un’aria supponente, davvero molto fastidiosa, che probabilmente se avessi incontrato una tizia con la mia stessa faccia in quel momento l’avrei presa a schiaffi. Ci fu una pausa, un momento abbastanza assurdo in cui a lui uscì uno sbuffo, un grugnito o qualcosa che mai e poi mai avrei ricondotto alla razza umana. – Elettrica -, mi parve quasi di cogliervi però.
Lui però fu più veloce e puntò gli occhi all’orologio che ticchettava alla parete, forse era in ritardo per il lavoro, osservai i suoi abiti: cappotto cargo, scarpe anti-infortunistiche, e dalla tasca dietro dei jeans spuntavano un paio di guanti da lavoro. Non capivo cosa potesse fare di mestiere, mi sembrava un po’ troppo esile per essere un ottimo muratore e gli occhi, ora che s’erano ripresi dalla modalità “pesce fuor d’acqua” mi sembravano svegli, non certo quelli di uno abituato ad un lavoro ripetitivo. Ciò che colsi però dalla smorfia infastidita sul suo volto era una certezza: il suo lavoro gli faceva schifo.
. – Ok, ok – cercò di mediare – non ho tempo per litigare. Dì solo al capo che questi pick up non vanno affatto bene, che voglio quelli americani e non quei pezzi di latta con cui voleva fregarmi, e digli di cambiarli immediatamente -, fece una pausa come se stesse cercando parole per sembrare più garbato, - mi raccomando eh… -, abbassò gli occhi per cercare il mio nome sulla polo con il solo risultato che sembrava mi stesse guardando il decolté. A quella parola ebbi la fugace immagine di Marilyn Monroe e me messe di fianco, ad indicare la bionda procace c’era una freccia luminosa con scritto “queste sono curve” mentre accanto a me avevano affisso un cartello malandato: “ tavola da surf, vendesi”. Mi dovetti riprendere dalle mie stupide fantasie, e lo trovai ancora lì a fissarmi, ok, ora aveva avuto tempo a sufficienza per capire che non portavo alcun cartellino di riconoscimento.
- Cass -, mormorai perciò sbattendo intanto un cacciavite sul bancone, giusto per farlo riavere da quel suo apparente torpore,  - E io sono qua in alto -. Un po’ mi aveva irritata, anche se da un tizio del genere di certo non mi sarei aspettata l’inchino e baciamano, di certo non mi piaceva essere fissata come un pezzo di carne dal macellaio.
Lui scosse leggermente la testa, - Certo… Ehi cosa fai con quell’arnese? -.
- Vedo di sistemarti i pick up –. No, decisamente tonto.
- Tu non toccherai la mia fottutissima chitarra! -
- E come pensi che farò ad aggiustarla? -
- Non hai capito la fai sistemare dal capo, se avessi voluto che un qualsiasi incompetente lo facesse, a quel punto l’avrei fatto io stesso -
- Il capo non torna fino a domani e ha già altri lavori più complicati da sbrigare per cui, se non ti dispiace… - e cominciai a svitare la mascherina dei pick up, - e poi dimmi quale competenza avresti tu per smontare una Rickebacker? -
- Sono stato il tecnico delle chitarre delgli Inspiral Carpets per tre dannatissimi anni -.
- Gli Inspiral Carpets, eh? – domandai con non curanza, non riuscendo però a nasconder del tutto la dannatissima curiosità che era insita in me almeno quanto il cinismo.
Il ragazzo diede l’ennesima occhiata all’orologio, sempre più impaziente. – Devo andare -, sbuffò, - non toccarla – sillabò ammonendomi con un’occhiata torva, aggrottando le folte, se mi passate l’eufemismo, sopracciglia. Dopo di che uscì dal negozio abbozzando appena un segno di saluto con la testa.
 
Si ritrovò ancora nell’umidità cittadina a cui era abituato, le gocce che gli picchiettavano addosso, era ormai arrivato all’angolo, quando una folgorazione lo colpì assieme al getto d’acqua creato dal passaggio di un auto troppo vicino al marciapiede. Per prima cosa imprecò e poi si diresse con passo spedito al negozio di strumenti. Ancora una volta però si fermò prima, davanti alla vetrina, anche da sotto il rumore della pioggia si potevano sentire le note penetranti di un assolo. Doveva essere qualcosa che conosceva, forse un pezzo dei T-Rex, ciò che lo colpì però fu che ad eseguirlo era lei. Se ne stava di spalle, i lisci capelli castani che le coprivano interamente il viso a suonare la sua Rickenbacker. Per un secondo ebbe il moto di sfondare la porta e strapparle la chitarra di mano, ma poi dovette ammettere che…be’ ci sapeva fare, seppure gli sembrasse muovesse in modo strano la mano sinistra. Decise che la porta l’avrebbe sfondata un’altra volta ed entrò nel modo convenzionale, aprendola. – Ho dimenticato di dire che vorrei ordinare un effetto EXJ della Fender -.
Mi voltai bruscamente facendo fare all’ultimo banding un rumore agghiacciante, - Ehm, va bene, annoterò….Stavo soltanto provandola per vedere cosa c’era che non andava, non deve essere solo un problema di pick up, ci deve essere qualcosa di incrinato –. Perché diamine dovevo avere quell’aria di scuse? Ok, forse m’aveva accennato di non taccargli la chitarra ma per ripararla serviva…Non me lo aspettavo. Lui aveva annuito e basta, non aveva inveito contro di me, e anzi stava per andarsene quando lo bloccai con una domanda: - Dimenticavo, a che nome devo segnare il tutto? –
- Gallagher -.
 Sentii comparirmi sulla faccia uno strano ghigno, - Il capo m’aveva avvisato di diffidare di quei teppisti dei Gallagher, quale sei dei tre? –
- Noel -, disse senza prendersela per il “teppista”, come se infondo fosse stato ancora un epiteto gentile, - E trattamela bene -. Questa volta prima d’uscire fece quasi un vero saluto.
Suonai ancora per un paio di minuti, la mano però cominciò a dolermi all’invero simile, per cui dopo altri due o tre accordi rimisi la Rickenbacker nella custodia. Ero davvero incazzata oltre ogni dire, come più ogni volta che avevo messo a posto una chitarra negli ultimi sei mesi. M’appoggiai al bancone, e scarabocchiai su un blocnotes gli ordini,e infine Noel Gallagher.
 
http://www.youtube.com/watch?v=04hcZwqYVpI <--- La canzone da cui è tratto il titolo, di chi? Oasis, ovviamente xD Cheers^^ Le recensioni sono sempre gradite u.u

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Shakermaker ***


Mister Sifter sold me songs
when I was just sixteen
Now he stops at traffic lights
but only when they're green
shake along with me

 
Trovavo che la musica fosse perfetta. Ecco, il modo in cui ogni singola nota si incastrava in quella dopo era pura e semplice magia – sarà che da bambina al posto che in Babbo Natale credevo al ritorno ogni anno del Festival Rock di Glastonbury -, però era così e non c’era niente da aggiungere; persino le pause nella musica non erano mai un’interruzione definitiva, una fine, erano solo il principio di qualcosa di meraviglioso. La musica era il viaggio, e allo stesso la compagna con cui viaggiavi. Quella che ti prendeva per mano e ti trascinava su strade sconosciute, senza mai mollarti, neppure quando ti si bucava la ruota dell’auto sotto un diluvio o ti ritrovavi ad aspettare in stazione il treno delle 2 e 35 di notte.
E il primo uomo, e assai probabilmente l’ultimo, di cui mi fossi mai innamorata era stato John Lennon, con la sua voce sottile che dal giradischi mi chiedeva scusa per avermi ferita, perché era solo un Jealous Guy, che mi incitava a risvegliare l’immaginazione per uscire da una società conformata o ancora che mi narrava la bellezza impossibile di una terra in pace. John era stato pure il primo a farmi capire come l’amore veramente girasse, come fosse una cosa bastarda, viscida, che ti sfugge tra le mani e che inevitabilmente ti delude: se ne era andato il giorno del mio compleanno quando ero ancora una bambina… Già, se non si fosse capito, non credo molto nell’amore. Almeno non come lo descrivono quelli della Disney e in neppure in quello che porta a vivere per cinquant’anni sotto lo stesso tetto con un tizio di cui eri, forse, stata innamorata una volta, ma che è praticamente da quarantanove anni, undici mesi e tre settimane che non riconosci più.
La musica era per me tutto ciò che non avrei potuto avere e che non sarei mai stata: equilibrio. Equilibrio che si erge sopra la follia di una vita traditrice, sempre in cambiamento, senza un porto dove attraccare per una sola notte, senza nulla che fosse più solido della nebbia che circondava la città. Stavo passando una mano sulle copertine dei dischi usati quando quell’equilibrio fu infranto da un paio di occhi azzurri, adombrati da delle sopracciglia troppo folte, con cui mi scontrai al di sopra di uno scaffale, precisamente tra la P di Procol Harum e la R di Ramones. Al primo impatto, mi toccò indietreggiare, e ok, non per il suo brutto muso ma perché mi aveva presa alla sprovvista. Sono facilmente spaventabile quando sono soprappensiero.
- Che ci fai qui?! -
- Ehi, ma allora non sai proprio rivolgerti alle persone in modo normale. Gallagher, Noel – osservai acida, in realtà però ero più divertita dal suo tono ruvido che non indispettita, poi, ricordandomi della sua palese difficoltà nell’eseguire passaggi logici per la gran parte della popolazione britannica, soggiunsi – Do un’occhiata ai dischi, se non fosse abbastanza palese. Tu invece? Cerchi un nuovo smalto per le unghie? -.
Mi diede una smorfia in cambio, intanto ci stavamo spostando ed eravamo ormai arrivati alla V di Van der Graaf Generator, - No, in compenso dall’aria che tira mi sa che troverò una bella dose di vaffanculo -.
- Perspicace -, ribattei un po’ smorzata mentre davo un’occhiata più ravvicinata ai cd. C’era qualcosa di interessante lì…Alla fine girai attorno allo scaffale e gli passai accanto, - Vieni a prendere la Rickebacker, abbiamo sistemato i pick up – e me ne andai lasciandogli una pacca sulla spalla. Noel rimase interdetto da quell’ultimo mio indecifrabile gesto ma un attimo dopo era già avviato verso l’uscita di Sifter Records, senza aver fatto nessun acquisto. Beh almeno così credeva lui, sogghignai, passando a dare un’occhiata allo scaffale – meglio io l’avrei chiamato sancta sanctorum – che conteneva i cd dei miei amati The Clash, purtroppo un po’ eccessivamente vicini a quei cosi… Sex Pistols, rabbrividii a leggerne solo il nome.
Cinque minuti più tardi feci per uscire ma una voce mi bloccò prima: - Ehi, tesoro, dove pensi di andare? I cd che hai preso si pagano, ti sembro forse vestito da Babbo Natale? -.
Mi girai e vidi il gestore del negozio, un uomo un po’ calvo e dalla pancia prominente,
In testa mi balenarono un sacco di risposte
In effetti senza il vestito rosso non t’avevo riconosciuto…Sì, e finalmente capisco di chi sono le renne là fuori…Cercai d’arginare la mia idiozia arrogante.
- Be’ se devo essere sincera… -. Grande cervello, esperimento zero presunzione fallito.
Quello si fece più vicino, rosso di rabbia, anzi, proprio incazzato - Fuori i soldi o il cd –
- Io non ho rubato un accidente – replicai appoggiandomi al bancone, la posizione era ben poco da guerriera gli occhi dardeggiavano.
- T’ho visto che armeggiavi attorno ai Van der Graaf. E la vista ce l’ho ancora abbastanza buona – intimò Mr. Sifter – Andiamo, non vorrai farmi chiamare la polizia -
Mi cavai di dosso il mio malandato giaccone e lo buttai sul banco, ostentando un’aria angelica - Controlla -, lo sfidai però con voce dura da camionista. Il gestore sembrava sospettoso, come se ci fosse un tranello, e di fatti trovò solo la carta di una cicca Brooklyn, un paio di biglietti della metro usati e pochi spiccioli. Lo vidi aggrottare le sopracciglia, e le rotelle dentro il suo cervello incepparsi. Eppure lui… era sicuro che…
- So cosa ho visto! – esclamò – Fammi controllare nelle altre tasche -, e fece per afferrarmi per il polso, ma sinceramente non potè nulla contro anni di esperienza in fughe. Come un fulmine agguantai la giacca e scattai fuori dalla porta. Mr. Sifter provò una breve, e a onor del vero, non troppo convinta corsa prima di arrendersi, io che mi allontanavo sempre più velocemente.
 
Noel stava passeggiando tranquillamente, la sua pausa pranzo sarebbe durata ancora una decina di minuti e per dirla tutta quel pomeriggio non aveva forse neanche troppa voglia di finire il turno, per cui se la prendeva con comoda. Arrivato alla fermata del pullman di Didsbury venne però praticamente placcato da una macchia colorata che gli caracollò addosso, fancendolo inciampare. – Che cazzo… -
- Già, che cazzo, lo dico anch’io – mormorai sfiatata pure io cercando di ricompormi – certo che con quelle gambette ne fai di strada, eh? Credevo quasi di non riuscirti più a ripigliare -
Noel era quanto mai perplesso, sarà stata la craniata che gli avevo fatto dare contro il palo della fermata, però era evidente come non ci capisse più – Perché dovevi ripigliarmi? Intendo a parte il tuo ovvio tentativo di uccidere un cliente –
Ebbi la tentazioni di rispondergli che l’idea d’ammazzarlo per prendersi la Rickenbacker non era male, però mi limitai a cacciargli una mano in una dei tasconi laterali del giubbotto cargo e a tirarne fuori un vinile: Godbluff.
- Che…? –, all’inizio non capì ancora, come se fosse la novità del giorno, ma poi dovette aver ripensato al mio avvicinamento al negozio, il buffetto sulla spalla - Tu hai fatto un casino tale per rubare un vinile dei Van der Graaf?! -.
Ammiccai - No, be’ già che c’ero mi sono presa anche Wonderwall Music di George -, dopo di che gli infilai invadente la destra nell’altra tasca per pescare questa volta un vinile consunto con disegnato sopra un uomo in bombetta e un gigantesco muro di mattoni. – E poi il ciccione aveva iniziato a tenermi d’occhio da quando ero entrata in negozio: non volevo andarmene senza qualche acquisto -.
Noel si fece sfuggire un mezzo sorriso, probabilmente per via delle espressioni bizzarre che sapevo di indossare quando parlavo. Solo poi seppi che aveva in realtà pure pensato a come anche lui da ragazzino avesse provato, con più scarsi risultati dei miei, a rubare a Mr. Sifter. Mi prese di mano l’ LP di Harrison, rimasi un po’stupefatta del tocco leggero che aveva avuto, di come me lo avesse sfilato quasi senza che me ne accorgessi. Se lo rigirò tra le dita, osservando il giardino misterioso e allo stesso tempo fantastico che abitava oltre il muro. – Be’ quanto meno ti sei salvata rubando un buon vinile su due. Ma… - e mi rivolse uno sguardo furbo – ora dov’è la mia parte di bottino? Come complice mi spetterà pur qualcosa –
Sbuffai, e cercai di non cogliere la provocazione se mai ci fosse stata, - Vieni con me, che apro il negozio e ti do la tua benedetta chitarra -.
Lo vidi guardare il cartello con gli orari del pullman, a giudicare dall’ora avrebbe dovuto essere di ritorno dalla pausa pranzo, ma come già avevo predetto non mi sembrava amasse così tanto il suo schifo di lavoro, o almeno di sicuro non lo tentava quanto l’idea di seguirmi e riavere tra le mani la Rickebacker. Lo presi per una manica e lui senza proteste si fece trascinare da me. Quando ci pensai più tardi trovai quanto fosse strana la cosa: non avevo mai guidato nessuno da nessuna parte.

I'm sorry but I just don't know
I know I said I told you so
But when you're happy and you're feeling fine
Then you'll know it's the right time
It's the right time
To shake along with me!
 


Questa è la Shakermaker del titolohttp://www.youtube.com/watch?v=JUoVQ-kB7DQ si vede anche Sifter Records, il negozio di dischi. Cheers^^

Dedico questo capitolo al culo pesante di Noel Gallagher che finalmente si è deciso ad andare a Los Angeles per registrare il suo album solista :)

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** D'Yer Wanna Be A Spaceman? ***


I haven't seen your face round
Since I was a kid
You're bringing back those memories
Of the things that we did
You're hangin round
And climbing trees
Pretending to fly
D'Yer wanna be a spaceman
And live in the sky

 

You got how many bills to pay
And how many kids
And you forgot about
The things that we did
The town where we're living
Has made you a man
And all of your dreams
Are washed in the sand

Facemmo la strada verso il negozio assieme. Io di tanto in tanto gli gettavo un’occhiata di sbieco giusto per assicurarmi che fosse ancora lì, scrutavo quel profilo spigoloso che ogni volta pur restando lo stesso mi appariva diverso. Anche questo mi affascinava… un momento, affascinava? Mentalmente scoppiai a ridere e richiamai alla briglia i miei neuroni, la mancanza di sonno di quei giorni mi avrebbe ucciso.
Formula un pensiero compiuto, mi dissi. - Non sei un tipo che parla molto -, avrebbe dovuto essere una domanda ma alla fine quella pessima riflessione non poté che uscirmi solo come affermazione.
- Quando non ce n’è bisogno -.
Facemmo qualche altro passo assieme.
- Io invece odio il silenzio, è così dannatamente vuoto -.
Silenzio.
Lui si voltò appena – Sai che con la lingua che ti ritrovi non l’avrei mai detto? -.
Per fortuna eravamo arrivati al negozio. – Ok, amico, con questa frase ti sei perso tutti i punti che avevi vinto apprezzando Wonderwall Music. Sappilo –
- Be’ tu li hai persi tutti nello stesso istante in cui hai deciso di spiaccicarmi alla fermata dell’autobus. Siamo pari -
- Me ne farò una ragione – dissi mentre cominciavo a tirar su la saracinesca con uno sforzo sovraumano, ormai sicura che con i muscoli che mi stavo facendo grazie a quell’aggeggio infernale avrei potuto partecipare pure alle olimpiadi: sollevamento pesi. Questa volta però mi venne con più facilità, troppa… Noel mi stava dando una mano, anzi praticamente stava sollevando la serranda lui per me. Accidenti non doveva iniziare a fare il gentile, oppure non sarei più riuscita a fare la stronza con lui. Grazie a Dio, finito quello sprazzo di eroismo da macho mi sorpassò appena ebbi aperto la porta del negozio per essere il primo ad entrare. Neanche a dirlo si fiondò subito sulla Rickenbacker che faceva mostra di sé su di un supporto, e dieci secondo dopo l’aveva già attaccata ad un ampli a caso per provarla. Sorrisi senza che lui se ne accorgesse, mi piaceva vedere quanto una persona potesse essere attaccata ad uno strumento, e non importava se il suddetto era una scassatissima chitarra che aveva come minimo passato due proprietari e a cui avrebbe dovuto cambiare i pick up ancora tra sei mesi.
Mi misi alla cassa a fare l’inventario dato che era un venerdì di fine mese e quel giorno mi sarebbero toccati tutti i conti, ma intanto le mie orecchie erano ben puntate ad ascoltare ogni singola nota che il mio burbero cliente stava producendo. C’era da dire una cosa, teneva il plettro tra le dita come uno zappatore e la tecnica lasciava abbastanza a desiderare, però era istintivo. E per me era una buona cosa, insomma si vedeva, o meglio sentiva, che ciò che stava suonando non gli arriva da anni di pratica meccanica. Ora non avrei detto che quel che suonava gli arrivava dal cuore - piuttosto che fare un’affermazione tanto idiota mi sarei volentieri affogata nel secchio dell’acqua sporca che usavo per lavare i pavimenti -, però le sue dita erano mosse dalla musica, non certo dalla voglia di dare spettacolo allucinandomi con una raffica di note in stile John Petrucci. Soprattutto sapevo che non lo stava facendo per esibirsi, al contrario di una dozzina di chitarristi, che avevo conosciuto nelle ultime settimane, che per cercare di impressionarmi avevano evidentemente tirato fuori il meglio del loro repertorio. Della serie se fossi stata un pavone m’avrebbero tirato fuori la coda colorata,  ma dato che sono una commessa in un negozio di strumenti mi dedichi un solo di Joe Satriani? Feci tra me e me uno sbuffo di disperato divertimento.
Noel si interruppe: a quanto pareva non doveva essere stato così tanto tra me e me quel principio di risata. Decisamente, dovevo piantarla con le mie stupide fantasie.
Si alzò in piedi, – Ah, già… - fece una pausa impastata – La chitarra mi sembra a posto, davvero un buon lavoro -.
Lo ringraziai con un accenno del capo. – La pedaliera con gli effetti non è ancora arrivata -.
- Be’ aspetterò, non è niente di urgente -
Piantai le unghie dentro al legno stagionato del bancone da lavoro, perché diamine lo stavo facendo? – Però dovrebbero consegnarla in giornata… -, insinuai lasciando in sospeso la frase. Dentro nel cervello, intanto, la mia coscienza, che per una delle mie tante turbe psicologiche era personificata nella Audrey Hepburn di Colazione da Tiffany, stava prendendo a testate la scatola cranica. Ancora una volta aveva miseramente fallito nel tentativo di farmi fare la cosa più logica, ovvero salutare Noel e riprendere il prima possibile a fare l’inventario. – Quindi… - stavo per proseguire ma…
- Pensi che sarebbe un problema se rimanessi qua un po’ a suonare? Solo finché non arriva la pedaliera – parlò come se fosse stato colpito al momento da un’illuminazione, come se io non avessi detto niente prima. Dovetti ammettere che lo adorai per questo, - Si può fare, almeno così non m’annoio – sentenziai abbastanza indifferente, la mia Audrey che si lasciava scivolare contro le pareti della scatola cranica rivolgendomi uno sguardo torvo.
Quello era un giorno chiuso ai clienti e a parte l’uomo delle consegne non avrei visto nessuno, dato che pure il capo era via. Non volevo restare da sola, avevo il terrore che il silenzio prendesse il sopravvento nel negozio, che mi lasciasse il modo di pensare, pensare a qualsiasi cosa che non fosse il lavoro. Se avesse vinto il silenzio tornare a casa quella sera sarebbe stato davvero impossibile. Noel riprese a suonare come se non fosse stato mai interrotto, con la stessa espressione seria, anche un po’ contrita di prima, mentre io mi mettevo senza preoccupazioni a fare i conti di fine mese. Semplicemente lasciai che mi trasportasse la musica, basta, niente di più.
 
Fuori dalla vetrina del negozio il cielo si era fatto, se mai possibile, sempre più scuro e tetro. Le mie teorie sulla depressione dei Mancuniani si ripresentarono nella mia testa, con Audrey che ci faceva a pugni per quanto erano assurde, ma quanto meno, con gesto pietoso, le risparmiai a Noel.
Ecco, Noel erano le sette di sera ed era ancora qui, il fattorino con le ordinazioni e quindi anche la sua pedaliera era arrivata circa un’ora e mezza prima. E lui era ancora qui. Dapprima aveva provato la pedaliera, giusto per vedere se funzionasse, e ovviamente minacciandomi dicendo di pregare che fosse così, ma per mia fortuna (?) ogni effetto veniva perfettamente riprodotto dalla Rickenbacker per cui potei gridare alla mia salvezza (?). Comunque, alla fine si era messo a scribacchiare appunti su di un foglio di carta, e dubitavo fossero per il suo tanto amato lavoro, non osai indagare però. A me serviva che ci fosse qualcuno nella stanza a distrarmi mica impicciarmi negli affari altrui.
Passò ancora un’ora di scribacchiamenti vari e mi ritrovai seduta sul pavimento, la schiena contro la parete e una pizza margherita consegnata a domicilio in grembo. Accanto a me Noel strimpellava un riffettino stupido, la chitarra adagiata sulle gambe.
Presi un sorso di birra da una delle sei lattine che avevamo a disposizione, - Sai che non ricordo più che cazzo ci fai qui? –
Noel si voltò appena verso di me – Sei tu quella che ostenta un’intelligenza superiore. Ti pare che lo possa sapere io? –
- Il discorso non fa una fottutissima piega -.
Lui fece in uno sbuffo una risata, ingollò un sorso dalla mia lattina che avevo lasciato sul pavimento. Strano come la birra unisca la gente.
– Diventi più volgare quando sei un po’ brilla -
- Non è per un cazzo vero – bofonchiai aprendo un’altra Guinness.
Questa volta si mise a ridere per davvero, anche se in una strana maniera discreta.
- Ok, lo ammetto: dovresti vedermi quando sono ubriaca per davvero -
- Potremmo provarci stasera ma ho quasi paura di vederti ubriaca, sei già aggressiva a sufficienza da sobria -.
Io mi appoggiai con la testa alla mia spalla, fissandolo, le palpebre un po’ pesanti. Com’è che eravamo arrivati lì? E ora non intendevo a passare un pomeriggio intero nella stessa stanza, oppure a mangiare pizza su di un pavimento, troppo brilli per capire persino che le nostre battute non erano questo granché. Volevo dire, com’è che ora ci intendevamo così? Lo guardavo e non vedevo più una persona a cui avrei potuto dire qualcosa di tagliente, solo per passare ancora un po’ di tempo in compagnia di quel mio stupido gioco fatto di battutine, improvvisamente Noel non era più una persona da cui difendersi. Nella mia vita di quasi adulta non ne avevo incontrata più una così da molto tempo, talmente tanto che forse era un mai.
E pensare che non ci eravamo detti poi chissà che cosa, insomma alla fine tra le poche parole (sue) e tante ma banali (mie) di minimamente consistente avevo scoperto solo che lavorava con una ditta che aveva un subappalto con British Gas. Niente male dopo aver passato sette ore assieme, no? Audrey scosse la testa, prendendo una boccata dalla sigaretta. Già, be’, almeno avevo confermato la mia teoria sul fatto che il suo lavoro gli facesse mediamente schifo.
- Io sono qua in alto – mormorò Noel ad un certo punto usando le mie stesse parole di qualche giorno prima, mi scossi ed alzai lo sguardo verso di lui che mi guardava con un’espressione indecifrabile. Diamine mi ero impallata senza accorgermene, sperai con tutta me stessa di non averlo fissato né per un tempo davvero esagerato né in punti troppo inopportuni, conoscendo la capacità del mio subconscio nell’elaborare pessime figure.
Non capivo cosa stesse dipinto sul suo volto ma di certo non era nulla di negativo, per mia fortuna.
- Dimmi, com’è che sei finita qui, nella ridente Manchester – fece un ampio gesto verso il sobborgo che si allargava oltre la vetrina del negozio – a riparare chitarre? -.
Mi tirai su un poco a sedere meglio puntellandomi sui gomiti, dato che ancora un po’ e sarei finita sdraiata per terra. – Ho iniziato ad occuparmi di strumenti rotti quando avevo tredici anni, lo facevo a pagamento tra i ragazzini della mia strada, all’inizio. Poi, dato che avevo un discreto talento – e sorrisi senza falsa modestia: ci sapevo fare con gli strumenti più che con le persone, era la dannata verità. – sono passata a riparare quelli delle band del posto, infondo ero molto più economica che un negozio e affidabile che non qualche chitarrista che non capiva niente di meccanica. A volte quando partivo con le band per dei piccoli tour d’estate non mi facevo neppure pagare: mi bastava un posto per dormire, birra, sigarette e assistere a qualche buon concerto -.
- Eri anche tu una roadie allora -
- Più o meno, anche se stavo in giro solo poche settimane. Di certo i migliori per cui abbia mai lavorato sono stati i Pogues -, al che Noel non poté che inarcare le sopracciglia, - era durante il tour scozzese, io ero ad un festival a cui dovevano suonare, ma non si riusciva a far funzionare gli amplificatori. Erano talmente disperati che quando hanno scoperto che tra il pubblico c’era una tizia che andava dicendo d’essere in grado di farli partire non si sono fatti troppe domande -.
Lui si passò un pollice sul labbro inferiore, scettico – E ci saresti riuscita? –
- Con Joe Strummer che ti fissa la schiena mentre lavori sarei riuscita oppure sarei morta tentando -. Risi ma intanto avvertii una stretta allo stomaco, ripensando al giorno più bello della mia stupida vita. Perché era così lontano, odiavo il fatto di star scordando lentamente la faccia stupita di Joe quando mi ero alzata, vincente dopo lo scontro con gli amplificatori. Mi stropicciai gli occhi – Per riconoscenza mi fecero rimanere in tour con loro per la seguente settimana -.
- Perché non lo fai più anche qui? Insomma con le chitarre ci sai fare – commentò Noel, rigirandosi un plettro tra le dita.
- Semplice perché al nord, a casa, mi conoscevano nel circondario e si fidavano. Qua sono solo una ragazzetta che sa aggiustare una Rickenbacker – mormorai vagamente irritata – e poi ho un affitto da pagare, non posso sprecare tempo aspettando che Joe Strummer si ricordi di me -, sorrisi amaramente a Noel. Era strano spiegare certe cose ad una persona più che vecchia di me che avrebbe già dovuto sapere come girava il mondo. E, ne ero sicura, lo sapeva, solo non lo ammetteva. Tirai fuori dalla tasca dei jeans una scatoletta, dentro c’era l’ultimo spinello che mi rimaneva, chissà quando avrei avuto soldi abbastanza per comprarmi altra erba. Cercai di non pensarci mentre tiravo fuori anche l’accendino per accendere.
Mi voltai verso Noel, di cui sentivo lo sguardo inquisitorio addosso, - Non dico che i sogni non esistano, ok? Solo non sono fatti per una come me – presi una boccata profonda, tenendomi il fumo dentro, tutto dentro. Inclinai la bocca in un ghigno, osservando lo spinello che avevo tra le dita – Ecco forse questo è l’ultimo sogno che mi rimane… vuoi condividerlo? –
Senza dire nulla fece pure lui un tiro, - Non so…  - sospirò con un filo di voce – A volte credo di non essere stato messo qui solo per sfasciarmi le mani lavorando in un cantiere. Qui per adeguarmi, perché non dovrei poter essere un fottuto astronauta se lo desiderassi? -. Gli puntai un dito addosso, punzecchiandolo sulla spalla – Non l’avrei detto! – esclamai un po’ troppo euforica, il mio sogno da rollare stava iniziando ad avere effetto – Sei un ottimista. Bene, la gente ha bisogno di questo genere di persone, non degli stupidi nichilisti come me -.
-
- Con questa frase ti auto-annichilisci e allo stesso tempo dai tu stessa prova di poter pensare ottimisticamente -, e mi scostò la mano dalla sua spalla, dato che ancora non avevo smesso di pungolarlo con aria ebete.
- Scusa ma l’ultima frase non l’ho capita, mi sono persa un po’ prima – strinsi gli occhi concentrandomi sull’idea  – davvero vorresti fare l’astronauta? -
Tacque. Si mise in piedi, stiracchiandosi, la Rickenbacker in mano - Forse, perché no? – mi domandò guardandomi dall’alto.
Risi, questa volta grazie a Dio non per effetto dell’erba, ma per la buffa espressione che m’aveva rivolto. Con quella faccia era impossibile non credergli.
- E ora prima che la tua lucidità scivoli via completamente -, mise la Rickenbacker nella custodia, - mi verresti a sentire suonare settimana prossima al pub all’angolo di Devon Street? -.
- Ammettilo, in realtà me lo chiedi ora proprio perché non sono padrona delle mie facoltà cognitive -.
Lui sorrise, con un sorriso davvero imperfetto, ma neppure quella perfettina della mia Audrey se ne curò, - Lo ammetto, allora verrai? –
- Settimana prossima, pub di Devon Street – ripetei convinta – E ora vattene che ho sonno -, gli lanciai addosso le chiavi del negozio colpendolo sul petto ma lui fu comunque abbastanza reattivo da afferrarle prima che cadessero – Chiudi tu, e lasciale nel vaso della pianta accanto alla porta – riuscii a bofonchiare in uno sbadiglio, il capo m’avrebbe licenziato in tronco se avesse saputo che davo le chiavi del negozio in mano a sconosciuti.
Noel mi osservò un attimo perplesso, probabilmente dal fatto che volessi dormire in negozio, ma poi fece spallucce e messosi la chitarra in spalla uscì nel buio di Manchester. Finalmente mi lasciai scivolare sul pavimento, esausta anche se non sapevo di cosa. Sentii lo sferragliare delle saracinesche che venivano chiuse a chiave, e forse un “buona notte” mormorato appena che però non riuscì a raggiungermi completamente, soppresso dal rumore di metallo.
Mi rannicchiai, e chiusi gli occhi. Sapevo che sarei stata scomoda e al freddo, ma non volevo rovinare quella giornata tornandomene a casa.
Quella notte sognai astronauti. 

Well it's alright, It's alright
Who are you and me to say
What's wrong and what's right
Do you still feel like me,  
We sit down here and we shall see
We can talk and find common ground
Or we can just forget
About feeling down
We can just forget
About life in this town.

It's funny how your dreams
Change as you're growing old
You don't wanna be no spaceman
You just want gold
All the dream stealers
Are lying in wait
But if you wanna be a spaceman
It's still not too late 


La canzone di questo capitolo è la B-side di Shakermaker http://www.youtube.com/watch?v=qaMY9hQ1Wcs
Questo capitolo è dedicato alla memoria di Joe Strummer, cantante dei Clash R.I.P.
Un ringraziamento a tutti coloro che leggono, e uno speciale a Buddy che ha aggiunto la storia ai preferiti =)
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Rock 'n' Roll Star ***


Live my life in the city
There's no easy way out
The day's moving just too fast for me
Need some time in the sunshine
Gotta slow it right down
The day's moving just too fast for me

Passai i giorni seguenti a riascoltarmi praticamente l’intera discografia dei Clash. Il resto del tempo in cui non lavoravo o dormivo, ovvero la pausa pranzo e poco altro, lo passavo con Noel. Non ci eravamo mai dati appuntamento, solo lui passava di lì e io mi limitavo a girare il cartello con scritto closed  ma a lasciare aperta la porta di modo che me lo ritrovavo dentro al negozio verso la una del pomeriggio. Devo ammettere che la prima volta il mio cuore, che si lasciava prendere alla sprovvista facilmente, rischiò un colpo, per fortuna ero ancora abbastanza giovane e quindi fuori pericolo infarti. Il problema era che oltre che nel negozio, lentamente stava entrando anche dentro di me – Audrey Hepburn ammiccò maliziosa, e meno male che era lei quella fine, io la mandai a quel paese – sotto la mia pelle, nei miei pensieri. Mi ritrovavo a fare qualcosa, magari pure di stupido, come venire a sapere dell’uscita di un nuovo amplificatore della Marshall, e subito sentivo l’impulso di averlo lì accanto al più presto per riferirgli la cosa e gettavo uno sguardo all’orologio che ormai probabilmente se sentiva messo sotto pressione dalle mie sempre più frequenti occhiate. Durante i nostri pranzi a base di schifezze varie e sigarette – lui fumava Benson&Hedges e io, che invece ero fedele da anni alle mie Chesterfield, mi ritrovai a passare a quella marca perché ormai ero troppo abituata a scroccargliele – non dialogavamo molto. Più che altro ero io a parlare, spesso di niente di che, e lui ascoltava. Scoprii che era un ottimo ascoltatore, e che soprattutto gli interessava ciò che gli dicevo, era come una spugna, assorbiva tutto. Per me questa cosa era assai strana, ero abituata ad essere ignorata, invisibile agli occhi altrui come a me stessa: semplicemente vivevo, anzi, vegetavo. Proprio come la piccola pianta di limoni che stava fuori dal negozio me ne restavo nel mio vaso, fatto da una casa che odiavo e da un negozio di strumenti musicali, e non mi importava un accidenti se c’era il sole o la pioggia, tanto per me sarebbe stato lo stesso, sarei rimasta lì. Immobile. A vedere la gente con la propria vita che mi sorpassava.
Ora invece c’era qualcosa che minimamente mi interessava e che soprattutto per una volta tanto non stava inciso su di un vinile o il lato riflettente di un cd. Bensì era una persona e mi ascoltava.
Come già detto Noel spiccicava ben poche parole, e eliminati tutti i suoi “fucking”, “you know what I mean” e “man” erano ancora meno. L’unico momento in cui si animava per davvero era quando si metteva a parlare di musica. Allora non lo si poteva quasi frenare, era talmente assorto nei suoi ragionamenti che era fin difficile capire se di tanto in tanto prendesse respiro mentre parlava oppure no. Io propendevo per la seconda, forse riusciva a sopravvivere senza ossigeno perché l’unica cosa di cui necessitava era il suo fervore. Avevamo discusso della musica che ascoltavamo, scoprendo che entrambi amavamo i Beatles in una maniera quasi fanatica tanto che ormai avevamo cominciato uno stupido giochetto: ogni volta che sentivamo un pezzo di frase che faceva parte di una canzone dei Fab Four attaccavamo a cantarla. Fino a quel momento eravamo abbastanza in parità, io a furia di starmene chiusa in camera mia con la sola compagnia di John, Paul, Ringo e Gorge sapevo a memoria praticamente ogni testo, ma Noel era anche in quel campo un ascoltatore davvero troppo bravo e non si lasciava sfuggire nessuna occasione. Nel mentre la mia Audrey scuoteva sconsolata la testolina, impotente davanti a cotanta idiozia.
Oltre che della musica che ascoltavamo, parlavamo anche della sua musica. Già, perché Noel era un compositore, ancora però non avevo elementi su cui basarmi per dire in quale categoria rientrasse: suonatore di strada con la stesse possibilità di diventare famoso quali quelle del Principe Carlo di diventare un giorno Re d’Inghilterra, oppure genio incompreso che prima o poi avrebbe dovuto sfondato. L’unica cosa di suo che gli avevo sentito suonare erano stati pochi accordi che si era fatto sfuggire alla chitarra mentre io ero in magazzino a prendere dei pezzi. Erano Sol, Re , La minore, Do, Re minore più l’aggiunta di qualche hammer on qua e là. Ma già per fargli ammettere che quella era opera sua avevo dovuto tormentarlo per mezz’ora sino quasi a portarlo all’esaurimento nervoso. Per sua stessa ammissione aveva dichiarato che l’ MI6 avrebbe dovuto assumermi come torturatrice. Sinceramente non capivo con esattezza perché mi tenesse nascoste tutte le sue creazioni, poteva essere timoroso – infondo aveva dimostrato d’essere un tipo abbastanza introverso – o, forse come lui stesso diceva, voleva che ascoltassi le canzoni la sera che sarei andata a vedere la sua band.al pub e non mi rovinassi l’ascolto con dei pregiudizi. Poi c’era una terza ipotesi, che ogni tanto mi galleggiava nella mente prevalentemente quando Audrey non aveva niente da fare come limarsi le unghie, ovvero che volesse impressionarmi. Voleva che rimanessi colpita la prima volta che li avessi ascoltati, per cui darmi una piccola anteprima in acustica avrebbe davvero rovinato l’effetto prima impressione sabato sera. A sostenere questa tesi però avevo solo il ghigno scaltro che ogni tanto gli sfuggiva quando lo costringevo a parlarmi delle sue canzoni, e che dava tutta l’impressione di uno che sapeva qualcosa di cui nessun altro era a conoscenza. Attesi, infondo mancava solo un giorno all’esibizione al pub di Devon Street.
 
La notte ammantò Manchester nel suo solito freddo abbraccio, nonostante fosse primavera da può, ma a quanto pareva la città inglese se ne sbatteva ampiamente. E io, per par condicio, sfidavo i suoi undici gradi andandomene in giro con solo un paio di jeans sdruciti e una lunga canotta dei The Jam, una giacca di pelle adagiata sul braccio come una sfida: l’aria gelida di Manchester non era nulla a confronto del clima della mia Scozia. Camminavo decisa, le Converse di tela che facevano uno scricchiolio caratteristico sull’asfalto umido della recente pioggia, e presto inquadrai l’insegna del Boardwalk Club.
Appena entrai la mia Audrey storse il suo nasino all’insù, io invece in quel pub un po’ malandato mi sentii a casa. Il pavimento di legno era macchiato dalla birra che era caduta per terra e di cui emanava un vago sentore, assieme a quello di fumo e di gente. Tutto sommato però era un posto abbastanza rispettabile,  con i suoi tavoli circondati da panche imbottite aveva molto meno l’aria della bettola che mi ero immaginata. Risate e musica risuonavano un po’ dappertutto. Era un posto vivo.
Mi guardai un po’ attorno giusto per vedere se riuscivo a trovare Noel in mezzo alla folla degli avventori che era piuttosto notevole, anche se l’ora era quella di picco massimo: le dieci e un quarto. Poi qualcosa attirò il mio sguardo in alto nell’angolo a destra del pub, si erano accesi dei riflettori che ora illuminavano la figura di un ragazzo che supposi dovesse essere di gomma, per come stava accanto al microfono.
- Enjoy this fookin’ music – disse veloce, impastando le parole. E in quel momento partì la batteria: potente, regolare.
Ero ancora impegnata ad osservare come il cantante stesse assumendo una posa improbabile, che Audrey avrebbe definito da gallina, quando inquadrai nella figura della prima chitarra Noel. Lui mi vide, feci appena in tempo a fargli un accenno con la testa poi iniziò a suonare gli accordi che avevo già sentito al negozio. Questa volta però fu diverso, con le due chitarre elettriche – lui aveva una Epiphone -, il basso, la batteria avvenne ciò che amavo della musica: quell’incastrarsi di equilibri e sfoghi di suono.
E poi la voce. Per quanto sembrasse un idiota, in quella posizione assurda con le mani dietro la schiena, il cantante aveva una voce che non avrei saputo spiegare, era abbastanza limpida ma allo stesso tempo malformata dalle pronunce strascicate. Suonava nasale, anche se sapevo che cantava di gola.
Alla prima strofa mi ritrovai piacevolmente meravigliata di come la canzone suonasse. All’arrivo del ritornello tenevo il tempo con il piede ondeggiando con la testa, seguendo il ritmo per tutta la seconda strofa. Durante l’assolo di chitarra e l’ultimo ritornello fu il delirio più totale. Mi ritrovai a saltare come quando partecipavo ad uno dei mie tanto adorati Festival Rock, alzando le braccia in aria, e nonostante fossi forse una delle più scatenate potevo assicurare che assieme a me un folto gruppo di persone si stava ubriacando di quella canzone. Mi piaceva persino come suonava il testo, e immediatamente seppi che era opera di Noel: c’era menefreghismo e ribellione, come anche gioia scellerata e la speranza in futuro, che seppure t’avrebbe potuto tradire era lì, pronto da essere vissuto.
Eseguirono qualche canzone che conoscevano tutti, come My Generation degli Who e la più bella cover di I am the Walrus che avessi mai sentito, con le chitarre distorte e una coda di strumentale che durò più di due minuti. Chiusero infine con un altro loro inedito, e da lì iniziai ad amare due cose: la vista del mondo dagli occhi di Noel, e la voce del cantante che con la sua pronuncia strascicata trasformava “sunshine” in Sunshiiiiiiiiiiineeeeeee.
- Tonight I'm a rock n roll star! – gridai a chi saltava accanto a me, gridai di rimando al cantante, gridai all’intero Boardwalk Club e al mondo. Mai mi ero sentita più giovane che in quei quattro minuti di esibizione e con più fottuta voglia di vivere.
Le luci si spensero solo per riaccendersi su un altro gruppo locale, io però non ci facevo più caso: avevo il fiatone ed ero decisamente impresentabile, tutta scarmigliata com’ero. Mi legai velocemente i capelli in modo che mi ricadesse appena qualche ciocca sulle spalle nude. Vidi Noel farsi largo tra la gente, un sorriso che gli guizzava sulla faccia dovuto all’energia che ancora gli scorreva nelle vene per via dell’esibizione, probabilmente ero lo stesso identico sorriso che avevo io. – Allora ti è piaciuto? – domandò appena fui a portata di voce.
Io annuii, ma poi giusto per non farlo montare troppo aggiunsi lapidaria, - Non ti pavoneggiare troppo però, qualche miglioria l’avrei fatta -. Lui però non se la prese per la mia frecciatina consapevole del mio hobby e del fatto d’essere uno dei miei bersagli preferiti, neanche gli avessi disegnato sulla schiena dei cerchi bianchi, rossi, e blu.
- Sentiamo, allora – ribatté.
Avrei voluto rispondergli che i suoi testi erano eccessivamente euforici, che si capiva come li avesse scritti sotto l’effetto di droghe dato che mancavano solo degli unicorni e un arcobaleno per completare il quadretto idilliaco. Anche se sapevo di mentire dato che fino a pochi minuti prima avevo ammesso con Audrey d’amare le sue parole. A trarmi in salvo, da una lotta interna  sull’essere sincera - mostrando quindi d’avere un lato tenero e ottimista – oppure mentire essendo maligna come da tradizione, arrivò un tipo ricciolo e dall’aria un po’ stordita seguito a ruota da un uomo abbastanza massiccio, lo scricciolo che era il bassista della band e poi il cantante.
La prima cosa a cui pensai fu la sua voce, che avvertivo vibrare ancora sotto pelle, poi a quanto non fosse affatto un tipo niente male ed infine alle sue sopracciglia. Già perché erano identiche a quelle di Noel. E la vaga somiglianza con Noel non si fermava solo alle sopracciglia un po’ troppo rigogliose ma raggiungeva anche il taglio degli occhi e una serie di altri dettagli – i quali mi fecero sospettare d’essere un tipo abbastanza fisionomista.
- Non mi avevi detto che tuo fratello faceva parte della band – dissi con tono interessato a Noel, lui scrollò le spalle: - Sarà che a volte provo a dimenticarlo pure io -.

I live my life for the stars that shine
People say it's just a waste of time
When they said I should feed my head
That to me was just a day in bed
I'll take my car and drive real far
To where they're not concerned about the way we are
Cos in my mind my dreams are real
Are you concerned about the way I feel

Tonight I'm a rock n roll star




 

La canzone di questo capitolo è Rock n Roll Star, prima track di Definitely Mìaybe (1994)http://www.youtube.com/watch?v=Ag-pvsKuhPQ
L'altra canzone, ovvero la prima ad essere stata suonata e quella che Cass sente per caso è Live Forever
Gli Oasis erano davvero soliti suonare al Boardwalk Club
Cheers^^

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Velvet Goldmine- Cigarettes In Hell ***


You got crazy legs, you got amazing head
You got rings on your fingers and your hair's hot red
You got wit from my tongue, name on the sun
I gotcha going to my breast
Cause you're the only one, who uses school to pleasure

You make me act real gone, you make me trawl along
I had to ravish your capsule, suck you dry
Feel the teeth in your bone, heal ya head with my own
Why if I don't have you home, we'll have to fight alone

- Non mi avevi detto che tuo fratello faceva parte della band – dissi con tono interessato a Noel, lui scrollò le spalle: - Sarà che a volte provo a dimenticarlo pure io -.
Al che il fratello gli tirò un pugno sulla spalla come vendetta, poi come se niente fosse stato mi allungò la destra che strinsi, - Comunque io sono Liam –
- Molto piacere, Cassandra -
- Nome da principessa, per una principessa – e si esibì in un mezzo inchino.
Ehi però! Allora uno dei due è stato educato in famiglia! Poi però notai l’occhiata lunga che il fratellino m’aveva gettato alla scollatura, dovevo sospettarlo: uomini, impossibili da ammaestrare da millenni… Il ragazzo aveva trovato però pane per i suoi denti, raccolsi la sfida e con una sfacciataggine che in occasioni normali non avrei mai usato gli diedi un sguardo ben poco velato al cavallo dei jeans. Quando infine alzai gli occhi lo trovai con in faccia un’espressione spiazzata, quasi scandalizzata da quel mio comportamento così poco femminile. Gli scoppiai a ridere in faccia e ben presto si unì a me anche Noel che in un primo momento era rimasto basito, il bassista e alla fine pure Liam si lasciò andare ad un sorriso, consapevole d’essere stato battuto sul suo stesso campo. – Tu non sei normale – mormorò scuotendo la testa.
Io di rimando lo fissai negli occhi verdi e ammiccai – E chi ha detto questo debba essere negativo? -. Cominciammo a muoverci verso di un tavolo in un angolo del locale.
- No, però non pensavo esistesse una donna tanto sfrontata -
Mi voltai appena verso di lui, - Dopo anni di uomini che mi lasciano il passo davanti ad una porta solo per potermi poi guardare il sedere, credo d’essere stata investita del diritto divino di comportarmi come se pure voi foste dei bei quarti di manzo -, e gli feci l’occhiolino. A questo punto Audrey, nella mia testa, stava prendendo la rincorsa per poi andare a schiantarsi contro la scatola cranica. Disperatamente impotente innanzi a quei miei comportamenti che andavano contro tutti i suoi preziosi principi della medio borghesia.
Al tavolo presi posto tra Liam, alla mia sinistra, e il bassista che con flebile voce si era presentato come Paul McGuigan, anche se tutti lì lo chiamavano Guigsy. Di fronte a me stava Noel e l’altro chitarrista, Paul Arthurs detto Bonehead a causa di quel suo strano taglio di capelli. Dopo una decina di minuti in cui ascoltai divertita i ragazzi che si scambiavano i pareri sull’esibizione, tra chi faceva suggerimenti su cambi del tempo o un nuovo riff, e in cui Guigsy affermò solennemente d’avermi vista saltare con le mani nei capelli – io arrossi leggermente, e negai fermamente la cosa, anche se a quanto pare il bassista non doveva essere stato l’unico ad aver notato il fatto: Noel in quel momento se la rideva sotto i baffi, che non aveva – decisi d’andare a prendere da bere. Dal tavolo si alzò un’ovazione nei miei confronti, con tanto di fischi, io mi inchinai al mio pubblico e vidi Liam che stava aprendo bocca quando Noel lo precedette dicendo che sarebbe venuto con me.
- Perdona mio fratello per prima – mi disse alzando un po’ la voce per sovrastare la musica e il vociare della gente – Ourkid ogni tanto è proprio un idiota -
- Come hai visto me la so cavare, e poi non è il primo della famiglia ad assumere certi comportamenti – insinuai appoggiandomi al bancone del pub, in attesa di ordinare. Noel alzò un sopracciglio, assomigliava ad una civetta, pensai. – Non crederai davvero… -
Ed ecco il ritorno di Noel Gallagher il tonto! Esclamò una voce nella mia testa, molto simile a quella degli annunci alla radio. – No – sorrisi – e quanto meno tuo fratello è carino, rispetto ai soliti tizi orrendi che tentano di abbordarmi in modi ancora più orrendi di loro -. Altra espressione da civetta, questa volta però indecifrabile.
Mi voltai verso il barman e ordinai sei pinte di birra scura, venendo servita un paio di minuti dopo con dell’ottima Guinness, e pagai per tutti. Io e Noel prendemmo tra le braccia tre boccali a testa, e lui soggiunse – Con questa credo che ti conquisterai la simpatia dei ragazzi a vita -.
- Siete quasi tutti d’origine irlandese, andavo sul sicuro! – esclamai sopra il rumore, e poi citai una frase che dalle mie parti era ben conosciuta – Dio creò gli irlandesi, e il giorno dopo la birra affinché non conquistassero il mondo -.
Noel rise nella sua maniera fanciullesca mettendo anche a serio rischio di traboccamento i boccali di bionda. Quando posammo finalmente la birra sul tavolo dopo aver serpeggiato per un bel po’ attraverso la gente come equilibristi con una preziosa reliquia da portare in salvo, un’altra piccola esclamazione di gioia si levò da parte dei ragazzi che quella notte dovevano essere particolarmente euforici.
- Spero che abbiate preso un boccale anche per me! – esclamò ad un certo punto una voce alle mie spalle, mi voltai e rimasi un attimo perplessa. Anche lei era un po’ perplessa, mi fissava con grandi occhi da cerbiatto e un sorriso sfavillante ancora impresso sul volto dalla pelle scura. Un attimo dopo ci stavamo stringendo la mano, io e la ragazza sconosciuta. Aveva una presa salda che mi piaceva.
- Mi chiamo Louise -, pausa con sorriso smagliante, che lavorasse per la Oral-B? – Sono la ragazza di Noel -.
What the fuck…?!a pensarlo non fui io ma la finissima Audrey, la cui la mascella era caduta fin giù per terra. Io invece rimasi impassibile, dato che me lo potevo aspettare, insomma, non m’aveva detto d’avere un fratello – assai figo – quindi era ovvio che non m’avesse mai raccontato nulla della solare Louise. In compenso sapevo che da bambino era stato l’unico trai suoi coetanei a portare i pantaloni lunghi perché aveva sofferto di un’infezione renale… il ragazzo era del tutto privo di qualsivoglia senso delle priorità.
- Io sono Cass, lavoro al negozio di strumenti musicali – risposi riprendendo il posto accanto a Liam che sorseggiava la sua birra e che come in quel momento si divertita a fissare la strana faccia di suo fratello.
- In tal caso dovrei odiarti allora -, si sedette accanto a Noel, - dato che da quando ha di nuovo la sua Ricken-cosa mi tiene sveglia tutte le notti -
-Tranquilla, per come è messa quella chitarra ha ancora poco da vivere –
- Ehi, a me questo non l’avevi detto! – esclamò Noel a metà tra il divertito e il preoccupato.
Io fece di rimando un ghigno malefico, - Business is business. Tu sei un cliente, se t’avessi detto che tra sei mesi quella tira le cuoia di certo non mi avresti fatto cambiare i pick-up –
- Scherzi, vero? – era abbastanza inquietato. Lo sarei stata anche io se la Rickenbacker fosse stata mia.
- Forse – e con fare cospiratorio presi un lungo sorso di birra, che dopo tutto il saltare di mezz’ora prima era un vero toccasana, sia per il corpo assetato che per la mia mente che quella sera, dopo una lunga serie di notte passate claustrofobicamente nella mia stanza, aveva voglia di evadere. Stavo per riprendere il discorso con Noel a proposito delle canzoni che avevo ascoltato quando notai quanto fosse già impegnato in una fitta conversazione con Louise. Con una stretta di spalle spontanea mi girai verso di Liam.
- Tuo fratello non mi ha neppure detto come vi chiamate – buttai lì per lì.
- O-a-sis – scandì con la sua buffa pronuncia Mancuniana – Anche se prima eravamo i Rain, il nome nuovo l’ho scelto io -.
Inclinai un po’ la testa cercando di capire se il nome mi piacesse. Era molto musicale soprattutto come scivolava sul suo palato, poi feci uno sbuffo divertito – Credevo che vi chiamaste qualcosa come Noel Gallagher & his guys, oppure NG Project –
- Hai già notato la tendenza dittatoriale di The Chief, non è così? -.
Io mi immaginai Noel in una divisa militare, vagamente somigliante a Fidel Castro, con un grosso sigaro in bocca… Be’, se avesse usato tutto il fervore che aveva negli occhi quando parlava della sua musica per assoggettare un paese straniero forse ci sarebbe riuscito. Annuii, stringendo tra le braccia una gamba, il piede sulla panca ed una guancia contro il ginocchio scoperto per via di un taglio nei jeans: la mia posa adolescenziale preferita.
Liam continuò, - Lui è nato per fare il so-tutto-io – disse con una vaga smorfia, gettando però un’occhiata divertita a me per vedere se stessi sorridendo.
- Tu per cosa sei nato? -
- A parte per far penare mia madre, la marijuana e fare risse nei bar? -
Questa volta risi, la sua sincerità era disarmante. – Già, a parte quello e tentare di sedurre ragazze –
Lui ammiccò e indicò un punto alle mie spalle, - Per stare lassù –.
Mi voltai e vidi la pedana su cui si erano esibiti poco prima, che ora se ne stava abbandonata ma illuminata da un riflettore dalla luce giallastra, mi girai ancora verso di lui.
- E non intendo solo il palco del Boardwalk Club, intesi? -
- Precisamente dove, allora? – replicai con un’altra domanda.
Liam fece una buffa espressione arricciando le labbra, come se la scelta che stava prendendo fosse particolarmente complicata. – Diciamo tra John Lennon e Dio -.
Fece un ghigno da sopra il ginocchio – Modesto… -, non c’era malignità nella mia voce però.
- Non per forza in quell’ordine però, mi va bene pure tra Dio e John Lennon -
L’ottimismo a quanto vedevo doveva essere di famiglia, ma quello di Liam era diverso da quello del fratello maggiore. Nel suo sguardo leggevo proprio l’assenza della modestia, il puro e semplice credere in se stessi, forse il ragazzo che avevo davanti aveva un ego così grande che era quasi impossibile che riuscisse a starci tutto nella piccola sala che era il pub, eppure sapevo che gli sarebbe servito se mai avesse dovuto davvero salire su di un pedana più grande. Avevo visto troppe rockstar esibirsi sul palco di uno stadio per non capire cos’era che riusciva a mantenerli in piedi, ovvero quel credere d’essere più grandi di tutto, dello stadio stesso, credere d’essere immortali. La gente lo capiva quando lo pensavano davvero e anche per questo li ammiravano. Io li ammiravo perché erano talmente grandi dal reggere uno stadio intero. Cosa te ne fai della modestia quando hai il rock n roll?
Nella mia testa avveniva tutto questo ragionamento, ma intanto continuavo a parlare con Liam: il discorso inevitabilmente si era spostato su John Lennon. Dico inevitabilmente perché con molte probabilità su quella panca stavano sedute due delle persone che più avevano innalzato Lennon a dio nella propria gioventù, a quanto pare non ero stata l’unica ad innamorarmi del genio di Liverpool.
Ecco, ora sarebbe il tempo di una riflessione perché qui si apre un gap nella serata, ma non penso ci siano spiegazioni psicologicamente accettabili per spiegare quanto segue. Stavamo parlando di Lennon. Un attimo dopo… Stavo a cavalcioni su Liam, il mio corpo appiccicato al suo, spinto da chissà quale forza che mi impediva di staccarmene, tanto vicina da sentire prima il torso magro e sotto le costole il cuore. La sua lingua guizzava in anfratti della mia bocca che neppure immaginavo esistessero. Le mie mani gli stavano tormentando i capelli, lisci sotto le dita, mentre le sue giocavano avide con i passanti del retro dei miei jeans e la pelle circostante.
Non avevo né il tempo né la voglia di accertarmi se gli altri al tavolo ci stessero guardando. So solo che dovevamo essere l’immagine dell’indecenza e della libidine. Presi una attimo d’aria sorridendo appena a fior delle labbra di Liam, che mi tirò un pizzicotto su una coscia, solo per riprendere un secondo dopo in maniera più approfondita il bacio. Anche se dubitavo che ciò fosse anatomicamente possibile.
Passò un battito di ciglia o forse l’eternità, tanto quelli mani sembravano capaci di annullare il tempo nei miei pensieri, quando alle mie orecchie arrivò Anarchy in the UK mi irrigidii leggermente. Le mani di Liam si fermarono sulla mia schiena contratta.
- Che c’è? -
- Odio questa musica, questa voce -
- Ehi, la mia voce assomiglia a quella di John Lydon! – esclamò indignato, ma abbastanza buffo da farmi dimenticare il sottofondo.
- Sì, ma tu non fai parte dei Sex Pistols -, dovetti aver usato un tono abbastanza serio perché lui intrecciò le sue dita con quelle della mia mano sinistra e mi condusse lontano dal tavolo, senza dire una parola. Io lo seguii come in trance, le parole di Johnny Rotten che mi affollavano la mente, facendomi condurre nei meandri del pub. Liam con in bocca una Benson appena accesa spalancò una porta di legno scricchiolante, e mi lasciò passare avanti, nel mentre alzò la testa al soffitto ed emise una nuvola di fumo.
Mi ritrovai in un antibagno angusto con una tremula luce al neon, m’appoggia ad una parete, Liam all’altra e mi fissava. La musica da lì si percepiva appena. Fece un ultimo tiro poi tenendo il filtro della sigaretta tra pollice e medio la gettò dietro di sé, ancora fumante. Ancora una volta non so di preciso come accadde, ma mi ritrovai incollata al suo corpo. Caracollammo in quell’antibagno come un groviglio di carne, vestiti e desiderio, stretti l’uno all’altra. Gli levai la t-shirt che indossava e lui fece lo stesso con la mia canotta lanciandola chissà dove, si fermò solo un istante per aprire la porta di una delle tre cabine bagno, intanto però io non perdevo tempo e gli sbottonavo i jeans. Altro taglio di scena che la mia mente ubriaca di birra ma ancor più di lussuria non riuscì a registrare. Mi ritrovai appoggiata al piccolo davanzale della finestra che c’era in quel bagno, Liam che mi sorreggeva per i fianchi. Avrei voluto dire che stavamo facendo l’amore, ma la parola sesso rendeva molto meglio la cosa. Perché come altro li descrivi due esseri furiosi, avvinghiati spasmodicamente tra loro, senza nessun altro pensiero in testa se non quello di volere di più da quell’ebbrezza?
Per un istante mi guardai attorno, i respiri rotti miei e Liam che avevo cancellato da tempo la voce di John Lydon. Ero circondata da piastrelle biancastre e sporche, rotte qua e là, nell’angolo stava un lavandino con uno specchio incrinato. Era tutto davvero molto squallido non c’era che dire, adatto ad una consumazione come la nostra. Io mi sentivo squallida? Diedi un’occhiata allo specchio che ci rifletteva ed ebbi un’illuminazione, che per fortuna fu scacciata via immediatamente dall’estasi, un piacere caldo e avvolgente.
Per prima cosa sentii Liam sotto di me venir fatto preda della stessa sensazione, e poi come lontano mille miglia un rumore di passi. Un cigolio, la porta del bagno accanto al nostro che si apre e si chiude. Guardai Liam alzare la testa in ascolto, le orecchie tese.
Il suono preciso di acqua (?) che precipita in altra acqua.
- Guigsy, brutto coglione! – esclamò a quel punto Ourkid, basito.
- Che c’è?! – ribatté una voce acuta, infastidita pure, da oltre la parete.
- Dovevi cambiare proprio ora l’acqua al pesce? -
- Ehi, quando scappa scappa! – rumore di sciacquone, rumore di zip che viene tirata su – E mi raccomando raccattate tutti i vestiti! -. Si sentì lo scroscio di acqua corrente in un lavandino, infine Guigsy se ne ritornò da dove era arrivato.
Liam mi guardò un po’ sconsolato, gli occhi verde azzurri oltre il velo della birra vagamente mortificati. Io ricambiai lo sguardo e dopo avergli scostato una ciocca madida di sudore, appoggia la mia fronte alla sua. – Eddai, guarda il lato positivo: se non altro si è lavato le mani! – mormorai facendolo scoppiare in una sonora risata, poi mi baciò velocemente, in un gesto amichevole del tutto differente dalla passione di pochi minuti prima, infine mi prendendomi per la vita mi fece rimettere i piedi per terra.
Qualche minuto più tardi, ritrovato ogni singolo capo del mio abbigliamento, stavo seduta ancora sul davanzale, messa di lato, Liam questa volta però era dietro di me, la mia nuca appoggiata contro il suo petto. Tutto era quieto, non silenzioso, il che per me era una piccola ma sostanziale differenza, infatti c’erano i nostri respiri, il suono acuto di un allarme antifurto che risuonava in lontananza ed infine il suono vago della voce di David Bowie che cantava Velvet Goldmine, peccato che Bowie probabilmente si stesse riferendo ad un uomo quando l’aveva scritta altrimenti sarebbe stata davvero la canzone perfetta per quella notte.
Guardai un’ultima volta lo squallido bagno in cui ci eravamo rintanati, poi chiusi gli occhi e presi un tiro dalla Benson che Liam mi aveva passato. Che cosa mi importava d’andare in paradiso, finché c’erano le sigarette all’inferno?

Velvet Goldmine, you stroke me like the rain
Snake it, take it, panther princess you must stay
Velvet Goldmine, naked on your chain
I'll be your king volcano right for you again and again
My Velvet Goldmine
(Velvet Goldmine)

Spend the night-life table-hopping
And trying to keep that bag of bones in trim

I don't mind not being immortal
'Cos it ain't all that as far as I can tell
I don't mind not going to heaven
As long as they've got cigarettes
As long as they've got cigarettes in hell

And by the time we start getting used to it
The dope that's forming on the windowsill
Now we know we've got ourselves into the cage
(As Long As They've Got) Cigarettes In Hell

Doppia canzone per un capitolo più lungo del solito :) La prima Velvet Goldmine è, come già scritto, di Bowie http://www.youtube.com/watch?v=EfRgd9REzAs
Mentrela seconda è una B-side degli Oasis (As Long As They've Got) Cigarettes In Hell da Go Let It Out http://www.youtube.com/watch?v=JmOfEYBIuKQ
Cheers^^ and enjoy music




Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** There Is A Light That Never Goes Out - Part I ***


Take me out tonight
Where there's music and there's people
And they're young and alive
Driving in your car
I never never want to go home
Because I haven't got one
Anymore

Io e Liam uscimmo mano nella mano, probabilmente, anzi sicuramente, da sobri non avremmo mai fatto una cosa del genere ma, ehi, potere dell’alcool – amen -. Che poi tanto valeva, io ero mille miglia distante, la testa che viaggiava con pensieri contorti e autodistruttivi: colpa del sesso, era sempre così, arrivi troppo in alto che poi inevitabilmente per tornare giù ci vuole una pericolosa caduta libera e uno schianto poderoso. Liam invece continuava a fumare, blaterando qualcosa che però io nel mio isolamento non ero disposta ad ascoltare, l’unica cosa che mi era venuta in mente guardandolo era che se continuava così con le Benson entro qualche anno avrebbe distrutto la sua voce.
In parte però benedicevo quel contatto tra le nostre dita – così sbagliato, così scomodo che non ci apparteneva – perché mi teneva incollata ad un terreno che altrimenti mi sarei sentita scivolare via sotto i piedi, e in qualche modo doveva servire pure a Liam. In un posto come la periferia di Manchester, dove non puoi avere niente al di fuori di una sniffata settimanale, persino una decina di minuti di sesso con una ragazza che conosci da un paio d’ore è grande cosa E di sicuro ero più economica rispetto alla cocaina. Feci un ghigno in onore del valore che mi autoriconoscevo. Davvero, era strano come in un qualcosa che doveva unire io vi leggessi solo un interesse unilaterale, quello sì che era squallido, altro che il bagno! Ma purtroppo molto spesso nella mia vita squallido era sinonimo di verità.
Fottuta depressione alcolica post-sesso… sentii mormorare tra le labbra a Audrey che con il tubino nero un po’ sgualcito – d’altronde io avevo un’aria sconvolta, lei che era la mia coscienza non poteva mica essere ancora impeccabile – e la sigaretta tra le labbra se ne stava seduta scomposta nella mia testa.
Fu solo quando tornammo al tavolo che guardai l’orologio, era la una passata da un pezzo.
Merda…
Salutai tutti al tavolo, Bonehead e McCarroll impegnati in qualche discussione di calcio, Guigsy che mi appellò come “bath-girl” e Noel… be’ Noel non c’era. Prima che me ne andassi Liam mi si accostò e scambiammo qualche parola veloce, un bacio abbastanza pieno d’ardore consumando come un fuoco di paglia l’ultimo briciolo di desiderio che avevamo in corpo ed infine Ourkid mi spiazzò un attimo augurandomi la buona notte come mi si era presentato: con un inchino.
- Ehi, non penserai mica che adesso per questa riverenza io verrò a letto con te? -
Fece una smorfia – Speravo funzionasse ancora –
Sbuffai, ma allo stesso tempo le labbra mi si inclinarono all’insù - ‘Notte, Ourkid –.
Uscii nell’aria ghiacciata della una del mattino, indossai velocemente la giacca di pelle perché va bene affrontare il freddo ma morire assiderati come Jack Nicholson in Shining, no grazie. Davanti a me la strada vuota veniva sfumata dalla nuvoletta di condensa emessa dal mio respiro, infilai le mani in tasca e cominciai a camminare a testa bassa. I pensieri nel gelo, come i sintomi della mia piccola sbronza,  stavano cominciando a ritirarsi rispetto alla dimensione gigantesca che avevano assunto all’interno del Boardwalk Club.
Tirai fuori il mio walkman – una ignobile copia di quello della Sony prodotta chissà dove, e che avevo provveduto ad aggiustare dopo averlo trovato in un cestino della spazzatura -, dentro c’era l’unica cassetta in cui mi ero arrischiata a investire le mie (esigue) finanze. Premetti play e la voce di Morrissey, cantante dei The Smiths, mi avvolse completamente. Non esisteva più la strada, forse non esistevo più neppure io, erano solo le sue parole e la chitarra di Johnny Marr. Dell’album, The Queen Is Dead, cercai d’ascoltare a pieno ogni singola canzone, ma non mi riusciva, continuavo a mandare avanti veloce e alla fine mi ritrovai a girare la cassetta per poter mettere il lato B, mi serviva quella canzone… Qualcosa si aggrappò al mio braccio, e il terrore misto alla sorpresa mi invase la gola come un groppo che risaliva dallo stomaco, quando però mi si pararono davanti due occhi azzurri dallo sguardo di civetta mi tranquillizzai un attimo, anche se il mio cuore non ne voleva sapere di smettere di pompare furiosamente. Avrei voluto ucciderlo.
- Ti ho trovata, finalmente -
- Brutto coglione… -
- E’ da un quarto d’ora che ti cerco -
-… testa di… -
- La vuoi smettere?! -, al che Noel mi staccò le cuffie del walkman dato che fino a quel momento non avevo sentito una sola parola, ma solo letto vagamente il labiale: ero troppo impegnata a trovare dei validi epiteti con cui insultarlo.
- …di cazzo! – conclusi inferocita. Con ogni probabilità neppure se fosse stato un vero assalitore sarei stata così rabbiosa, le parole non erano tanto, quanto più il mio tono glaciale. Persino Audrey dalla mia mente, dopo aver buttato via la sigaretta e averla spenta con un tacco a spillo, stava andando avanti ad aggredirlo verbalmente,
Io e Noel ci fissammo sospettosi, almeno io di sicuro ero sospettosa, dell’espressione di lui non mi fregava un granché, ero ancora troppo spaventata.
- Perché mi sei venuto dietro? -
In quel momento lui sembrò non sapere cosa rispondermi, vedevo le rotelline nel suo cervello girare mosse da un criceto – maledetti trip mentali da birra – e chiedersi: già, che ci faccio qui?
- Manchester a quest’ora di notte non è esattamente il paese dei balocchi, darlin’ – fece con un tono sprezzante di cui non l’avrei mai sospettato capace. Quel modo di pronunciare poi il “tesoro” finale mi aveva fatto imbestialire: sembrava una copia uscita male di suo fratello.
- Grazie del pensiero, me la caverò – ribattei concisa, e ripresi a camminare, le cuffie che mi penzolavano lungo i fianchi trasmettendo musica che ormai non ascoltavo più, e dire che probabilmente doveva essere arrivata quella canzone.
Noel restò fermo un momento, con la coda degli occhi lo vidi tirarsi un pugno su di una coscia ma poi dovette aver preso una qualche bislacca decisione perché in un paio di falcate mi raggiunse. Camminammo assieme per circa cento metri, una distanza assurdamente lunga considerando che ci guardavamo di sbieco e in cagnesco, l’uno ad aspettare la mossa dell’altra.
Strinsi le labbra, - Tranquillo: tu sei qui, tuo fratello e i tuoi amici al pub. Non corro alcun rischio, mio paladino senza macchia, praticamente la criminalità in questo momento è azzerata! –. La battuta non mi era venuta granché, dammit! Ma d’altronde non potevo pretendere molto alle due del mattino.
- Appunto, mio fratello: avrebbe dovuto preoccuparsi lui di te! -, lo guardai, ormai era evidente che non sapeva più neppure dove stava andando a parare.
Espirai dalle narici con un po’ troppa violenza - Prima di tutto, Liam mi ha chiesto se volessi che m’accompagnasse, ma io gli ho risposto che sono grande abbastanza per ritrovare la strada di casa da sola -, feci una pausa e senza neppure volerlo per davvero inchiodai in mezzo alla strada, cercai di raccogliere i pensieri – e ora, se non ti dispiace, tornatene da dove sei venuto –
Noel corrugò la fronte, palesemente dentro di lui c’era qualcosa che stava combattendo, - Perché devi comportarti come se avessi il mondo contro?! -, mi domandò infine gli occhi che saettavano pericolosamente.
Diamine, non volevo rispondere. No, perché rispondere a un tizio che conoscevo da una settimana?
Stetti zitta un attimo, le dita che mi si contraevano nelle tasche della giacca artigliando il tessuto delle fodere.
- Rispondi – aggiunse lui, scuro in volto – Anche se non credo che tu ne sia capace -
- Senti se stanotte ho scelto il Gallagher sbagliato non è colpa mia, per cui puoi anche smetterla di psicoanalizzarmi, dato che non penso tu sia la persona migliore per una predica – ribattei d’un fiato, soddisfatta a metà della mia risposta: la mascella di Noel si era stretta in maniera innaturale, come se stesse tentando di mandare giù un boccone troppo duro. Allo stesso tempo però seppi d’aver confermato la sua teoria, non avevo risposto alla domanda, preferendo mordere e fuggire.
Il volto irregolare di Noel si sciolse dall’espressione contratta di pochi attimi prima, - Be’, sì – rispose scoppiando in una breve risata sarcastica – Avresti almeno potuto aspettare di conoscere mio fratello  Paul, sai è un tipo simpatico -.
Rimasi impassibile davanti a quel comportamento, troppe cose mi rimbombavano in testa, sapevo solo che stavamo sbagliando entrambi alla nostra maniera. E per questo non riuscivo ad andarmene lasciando Noel lì in mezzo ad una tetra strada di periferia, né riuscivo a dire qualcosa di sensato per rimediare alla cattiveria delle ultime parole o all’insensatezza di tutta quella discussione. Perché stavo buttando quanto avevo scoperto di poter avere in quell’ultima settimana? Perché stavo gettando nel cesso l’amicizia di Noel? Perché avevo il gusto di gettare via sempre tutto? Mi faceva male la testa a furia di tutti quei perché.
Continuavo a guardare Noel, e lui faceva lo stesso con me, aveva uno strano sguardo: compassione? No, comprensione, forse era quella la parola che cercavo. – Ero preoccupato per te. Avevo paura che ti potesse succedere qualcosa -, mormorò infine sfinito, quasi risentito come se s’aspettasse che lo aggredissi ancora. In un primo momento pensai che faceva bene a pensarlo, poi però le sue parole raggiunsero davvero le mie orecchie: l’uomo che ascoltava aveva parlato, e disse una delle cose più stupide, banali, semplici, per me straordinarie, che avessi mai udito. Sentii di star arrossendo in volto, le guance come un termosifone, era così che ci sentiva quando sapevi d’importare a qualcuno? Non gli interessavano solo le mie parole, gli interessavo io. In un attimo di filosofia istantanea da sbronza credetti che quello doveva essere uno dei miracoli moderni, e che il mondo intero avrebbe dovuto essere reso partecipe della cosa. Era la mia piccola Fatima personale.
Realizzai di non aver proferito parola e che stavo fissando Noel da ormai troppo tempo, e sentivo che ormai avevo superato il limite tollerabile di pazienza, eppure mi sarei sentita stupida a parlare con così tanto ritardo. Per cui mi voltai e feci un paio di passi, tutto attorno a me era silenzio, la strada privata del suono della nostra discussione era temibilmente desolata. Mi fermai, feci un sorriso a me stessa, e mi voltai appena: lui se ne stava impalato, l’aria decisamente confusa. – Ehi, avevo capito che volevi scortarmi a casa. Che fai? Non vieni? – gli domandai in modo candido. Non ero capace di dire “grazie” nelle maniere usuali – forse perché nessuno me l’avevano mai insegnato -, ma in quel momento era tutto ciò a cui stavo pensando, sorridevo con gli occhi e persino il caro, poco perspicace Noel avrebbe capito il messaggio nascosto dietro la mia domanda. E difatti mi raggiunse, io lo aspettai, e lui mi raggiunse, infine ci incamminammo assieme.
La prima cosa che feci fu reinserire la musicassetta dalla parte del lato A. Porsi una cuffia a Noel, che accettò quella strana offerta di pace senza dire nulla, senza chiedere, senza mutare espressione come se quello che stavamo compiendo fosse un rituale, qualcosa che compievamo da sempre. Premetti play e la prima canzone fece la sua comparsa, da chissà dove: la tecnologia mi diceva da un nastro magnetico e qualche contatto fatto di fili di rame, qualcos’altro di non ben identificabile – eppure ben più forte – che invece arrivava da un paese lontano, esotico, meraviglioso, un posto dove avrei voluto scappare. Un attimo dopo l’attacco della batteria capii perché tutto fosse così familiare, non era niente di nuovo. Ero io e la musica. Lui e la musica.
Con la coda dell’occhio scorsi il profilo seghettato a cui mi stavo abituando, un qualche cambiamento c’era però nella solita quotidianità, eravamo io e lui, e un filo di musica ricoperto di plastica a unirci. E questa cosa aveva il buon sapore delle cose nuove unito a quello rassicurante delle vecchie.
Take me out tonight
Because I want to see people and I
Want to see life
Driving in your car
Oh, please don't drop me home
Because it's not my home, it's their
Home, and I'm welcome no more

And if a double-decker bus
Crashes into us
To die by your side
Is such a heavenly way to die
And if a ten-ton truck
Kills the both of us
To die by your side
Well, the pleasure - the privilege is mine

 
Eccovi servita la canzone del capitolo, l'originale dei The Smiths http://www.youtube.com/watch?v=mbg2AhnIDVM
Presto posterò il seguito di questo capitolo, che scusate ma sentivo di dover dividere in due xD

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** There Is A Light That Never Goes Out - Part II ***


Take me out tonight
Take me anywhere, I don't care
I don't care, I don't care
And in the darkened underpass
I thought Oh God, my chance has come at last
(But then a strange fear gripped me and I
Just couldn't ask)


Take me out tonight
Oh, take me anywhere, I don't care
I don't care, I don't care
Driving in your car
I never never want to go home
Because I haven't got one, da ...
Oh, I haven't got one

Casa mia era dispersa nella periferia più assurda ed inutile di Manchester, per cui anche se il Boardwalk Club non era esattamente quel che si sarebbe definito un rinomato locale del centro, ci toccò scarpinare un bel po’. Facemmo in tempo ad ascoltare tutto l’album tranne le ultime due canzoni – tra cui c’era quella canzone – anche se ormai provavo molto meno l’acuto bisogno di doverla sentire quella notte. Merito dell’aria notturna, della voce un po’ lamentosa di Morrissey o dell’effetto terapeutico del mutismo rassicurante di Noel, quando vidi la facciata anonima di quella che per un verso o per l’altro dovevo considerare casa, la mia confusa, cieca, inutile rabbia era svanita quasi del tutto. Spalancai il basso cancelletto in legno che recintava il giardino davanti e appena mi ritrovai davanti alla porta d’ingresso virai a destra, sulla schiena percepivo le occhiate perplesse di Noel.
Qualcosa, tipo il fatto che fossero le due di notte e che lui avesse una fidanzata a casa ad aspettarlo – cosa che Audrey stava cercando di comunicarmi da mezz’ora, ma per mia fortuna la voce di Morrissey aveva prevalso sulla sua nel mio cervello -, mi diceva che non c’era motivo per cui lui stesse ancora lì. Eppure non mi sorpresi di riuscire a sentire ancora i suoi passi felpati sull’erba del giardino mentre giravo l’angolo della casa e ne percorrevo per un pezzo la facciata laterale, sino ad arrivare davanti ad un piccolo porticato. Sotto la copertura in legno stavano quattro sedie e un tavolo, che abbandonati lì al loro destino per tutto l’inverno stavano iniziando a prendere un aspetto di muffito e dimenticato, come in generale un po’ tutta la casa. Salendo in piedi sulla ringhiera, anch’essa di legno - dipinta dal precedente proprietario di un amabile beige smorto - mi diedi una spinta verso l’alto, m’aggrappai e mi issai in cima al porticato. Subito andai a spalancare l’unica minuscola finestra che s’affacciava su quel lato della casa, mi ci infilai e appena misi piede a terra sentii sotto di me un asse di legno scricchiolare. Lo so, faceva molto film americano con ragazzini che la sera vanno a trovare il migliore amico-vicino di casa, ma era davvero l’unica via che avevo trovato per effettuare un rientro privo di pericoli e soprattutto problemi.
La stanza attorno a me aveva contorni indefiniti eppure io anche al buio trovai al primo colpo il pacchetto delle mie, ormai, Benson&Hedges lasciato su di un tavolo scheggiato. Alle mie spalle un altro rumore tetro del pavimento mi disse che Noel era arrivato.
A tentoni premetti un interruttore e dopo un paio di secondi una lampadina senza portalampada illuminò vagamente tutto attorno a noi, dopo tutto quel buio anche quella piccola luce fu in grado d’accecarci per qualche istante, io però a memoria guadagnai il bordo della mia branda e mi sedetti a gambe incrociate.
Lasciai a Noel tutto il tempo di guardarsi attorno: le pareti che parevano assemblate da dischi, LP, giornali, fumetti e libri ammassati catastroficamente ovunque, in pile che minacciavano di cadere, la scrivania ricoperta di tutto ciò che aveva risvegliato il mio interesse negli ultimi giorni – quindi più precisamente Combat Rock dei Clash, Lust For Life di Iggy Pop e Trainspotting, un libro davvero niente male che raccontava la mia Edimburgo e che avevo sgraffignato non molto tempo prima da una libreria -, in un angolo stava un piccolo frigorifero e un fornelletto da campo che utilizzavo quando avevo l’occorrenza di mettere qualcosa sotto i denti che non fosse fish & chips.
- Carino come posto – mormorò sarcastico ad un certo punto, voltatosi a guardarmi – Mi ricorda abbastanza i miei primi vent’anni -
- Belli? – chiesi andando a sistemarmi meglio con la schiena contro la parete.
Fece una smorfia, come a valutare tutti i pro e contro, - No – asserì apidario, ma senza alcuna vena di scontentezza – Uno schifo -. Passò una mano sulla mia chitarra acustica – l’unica che avevo tenuto dato che ormai non sapevo più suonare un’elettrica decentemente -, e fece suonare a vuoto le corde. Il Mi cantino e il Sol s’erano decisamente troppo abbassati, dovevo accordarla, presi nota mentale tra me e me.
Poi passando in rassegna uno dei tanti scaffali trovò qualcosa che ridestò la sua curiosità e che sollevò in aria, frapponendola tra sé e la lampada. Noel con il suo fare da civetta misto a quello di un dottore di qualche telefilm osservava con un cipiglio enigmatico una mai lastra. M’alzai dal letto di scatto non ancora certa di ciò che stavo o volevo fare, gli arrivai alle spalle e da lì – dato che era solo leggermente più alto di me – osservai gli stessi punti che venivano fissati dai suoi occhi. Da così vicina potei sentirlo dischiudere le labbra.
- Già – lo precedetti io – è la mia mano sinistra. I dottori si sono divertiti un bel po’ a rimettere insieme quel puzzle – e proprio con quella stessa mano indicai le linee bianche e spezzate che una volta erano state le mie falangi. Nella luce vagamente giallognola le cicatrici dell’operazione risaltavano ancora sulla pelle del dorso e del palmo.
- Cosa…? – a Noel sfuggì quella domanda ma io tanto ero assorta nei miei ragionamenti che quasi pensai d’essermela fatta da sola.
- Sei mesi fa, durante il trasloco. Il letto è scivolato giù dalle scale mentre lo reggevo e mi ha stritolato la mano contro il muro. Modo stupido per farsi male, no? – ribattei atona, detto questo gli tolsi la lastra dalle mani – vedeva già abbastanza attraverso di me, e senza l’aiuto dei raggi X - e tornai sulla mia branda, l’immagine era ritornata praticamente tutta nera, come mi piaceva che fosse. Un paio di secondi dopo Noel mi era di fianco, la rete che rischiava di cedere sotto il nostro peso. Ormai non mi chiedevo più che ci facesse lì, doveva essere in quella stanza con me e basta. Chissene frega delle ragioni.
Tacemmo per un po’. E poi lui pensò di sorprendermi per la seconda volta nella serata.
- Non dovresti odiare il silenzio -
- Che?! – ribattei io, scusate ma alle due e mezza di notte non sono né particolarmente reattiva né brillante, e quello era stato uno dei massimi esempi di dialettica che potessi raggiungere.
- Tu m’avevi detto che odi il silenzio, ricordi? – insisté paziente, flemmatico ma energico solo come sapeva fare lui.
Fissai il muro davanti a me, oh sì che me ne ricordavo, la cosa pazzesca era che se ne ricordasse lui, dopo che era passata più di una settimana da quella che era stata solo una frase buttata lì per così, o almeno questo avevo creduto di fare io. Era strano, come gettare un sasso in un lago, osservarlo mentre viene inghiottito dalle acque e poi invece vederselo rigettare indietro. Dico, quantomeno ci rimani spiazzato.
Comunque gli annuii muta.
- Ecco, non dovresti farlo -
- C’è una qualche ragione su cui tu basi questo, oppure vuoi approfittare del fatto che io sia mezza addormentata per potermi raggirare? -
Scoppiò a ridere, non tanto per quel che dicevo ma come lo dicevo, quel tono da ehi-tu-bastardo-non-credere-di-potermi-imbrogliare. Quando ebbe però consumato la risata, cominciò a torcersi le mani, - Nel silenzio puoi pensare, puoi creare materia… – disse a bassa voce, nell’evidente sforzo di spiegarsi. Tutto nella nostra testa sembra avere un senso, ma dicendola a parole ad un altro la nostra mirabile scoperta assume l’aspetto di un’idiozia, era questo che temeva lo fregasse.
- Io ho paura di quel che posso pensare, di ciò che la mia mente crea nel silenzio – sussurrai, non più alla carta da parati ma a Noel fissando un punto indistinto del suo viso.
- Il silenzio è come il fuoco: fa paura solo se non lo conosci, ma una volta che avrai imparato a maneggiarlo non potrai più farne a meno. Avrai luce, calore, tutto quel che puoi desiderare -.
Fu il mio turno per fare una mezza risata. Perché quella sera, l’unica volta in cui riuscivamo a sostenere una conversazione vera e propria, non potevamo che parlare di cose assurde oppure litigare? Non so ben dove, ma c’era nel comico in quella faccenda.
- Allora mettiamola così, io mi sono scottata troppe volte -.
Negli occhi di Noel lessi un’espressione tenace, voleva che prima o poi iniziassi ad amare il silenzio come lo amava lui. – Ti piacciono le canzoni che ho scritto? –
Scossi un attimo la testa, veloce, non capivo dove volesse andare a parare, ma ormai avevo perso ogni speranza di lucidità. Presi una boccata dalla Benson e ancora una volta mi limitai solo ad annuire.
- Be’ io scrivo sempre nel silenzio più religioso, zero distrazioni, niente rumore, niente Liam – sottolineò l’ultimo passaggio – Solo la musica in testa, quindi se apprezzi le mie canzoni dovrai pensare che il silenzio non è poi così male -.
Gli diedi una spallata – Dottor Gallagher la sua tesi non mi convince troppo –
- Fidati -
- Di te? -
- No – scosse la testa, la tenne un po’ di lato, lo sguardo furbo, maledetta civetta – della mia musica -.
Quell’affermazione era prettamente seria eppure entrambi dopo qualche secondo venimmo scossi da una stessa ridicola risata. Nessuno dei due quella notte poteva credere nella serietà, anche se io consegnai quell’ultima frase a Audrey che andò ad archiviarla in qualche angolo oscuro della mia mente.
Il sorriso era ancora impresso sulle labbra di Noel quando udii dei passi veloci battere il pavimento. Scattai in piedi come una molla e raggiunsi la porta, con una mano afferrai la sedia che stava davanti alla scrivania e la misi con gesto abituale sotto la maniglia, in modo che la bloccasse. La porta era già chiusa a chiave, ma lo stesso il legno venne scosso da una potente spinta, tremò mentre qualcuno tentava d’entrare.
- Apri! Apri, maledetta! – gridò una voce poderosa, biascicando solo un po’ – T’ho sentita! So che ci sei! Apri, puttana! -. Restai immobile davanti alla porta, ad una spanna di distanza fissavo il legno che pareva pronto a spezzarsi da un momento all’altro sotto la pressione che lo sollecitava. Eppure non muovevo un muscolo, il mio cervello era andato in reset, e persino l’immagine di Audrey Hepburn era scomparsa in un filo di fumo. – Apri! Prima o poi dovrai uscire! -. Andò avanti così ancora un minuto, poi le scosse persero d’intensità e i passi si persero lontano nel corridoio, giù lungo delle scale. Come se niente fosse stato, il mio cervello riprese a funzionare normalmente, lasciai la sedia dov’era – tanto per sicurezza – e mi sedetti sul letto, una gamba stretta nella morsa delle mie braccia.
Ricordai, c’era Noel ancora lì, lo fissai senza espressione e lui per tutta risposta prese il walkman che avevo abbandonato sul copriletto, mi scostò i capelli dall’orecchio destro e vi infilò una delle cuffiette e a sua volta ne prese una. Poi senza niente aggiungere chiuse gli occhi e appoggiò la testa al muro, una mano abbandonata accanto a me. Avrei potuto aggrapparmici, lo sapevo, ma stavo già scivolando via con Moz…
Poco prima che mi addormentassi udii lontana la fine della canzone e assieme ad essa una voce sconosciuta, che aveva anima, che condivideva il mio stesso dolore, che risuonava come un sussurro e che mi avvolgeva. – There is a light and it never goes out -, ripetuto all’infinito. Non sapevo esattamente dove e cosa fosse, ma mi lasciai portar lontano.
Poi Audrey spense gli interruttori nella mia mente.

And if a double-decker bus
Crashes into us
To die by your side
Is such a heavenly way to die
And if a ten-ton truck
Kills the both of us
To die by your side
Well, the pleasure - the privilege is mine

Oh, There Is A Light And It Never Goes Out
There Is A Light And It Never Goes Out
There Is A Light And It Never Goes Out
There Is A Light And It Never Goes Out
There Is A Light And It Never Goes Out
There Is A Light And It Never Goes Out

 
Continuo ideale dello scorso capitolo, stessa canzone a fare da colonna sonora, ma questa volta una versione cantata da Noel stesso che ha dichiarato che questa è la sua "favourite song ever", so enjoy it =) http://www.youtube.com/watch?v=1ZQHNEOIhZA

Dimenticavo, un grazie a Green Star 90 e Buddy, e uno gigante a Never lose my self che mi fa da betareader a qualsiasi ora del giorno :)

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Who Put The Weight Of The World On My Shoulders? ***


Who put the weight of the world on my shoulders?
Who put the lies in the truth that you sold us?

Lost behind a silver screen
are all the things you could've been to us

La mattina seguente mi svegliai tardi perché ormai i raggi del sole che filtravano dalla finestra aperta mi lambivano il volto, gli occhi. Mi tirai su a sedere, un potente ronzio in testa, e mi sfilai la cuffia del walkman dall’orecchio dove praticamente ormai si era impiantata. Perché avevo ascoltato la musica mentre dormivo? Audrey premette il bottone arrugginito del rewind nel mio cervello: musica, felicità, Liam, eccitazione, sesso, strada buia, Noel, rabbia, tranquillità, camera mia, paura, Noel, musica. Quando arrivai all’ultimo ricordo che avevo imprigionato nella mente ebbi una sensazione di vertigine e smarrimento. Da qualche parte in quel groviglio d’immagini c’era una voce. Non riuscivo a ricordarla precisamente, la sentivo aleggiare ma non capivo neppure cosa dicesse. Ricaddi sul letto a peso morto, spinsi la testa contro il muro e mi raggomitolai su me stessa, però era proprio come con i sogni: più mi sforzavo di richiamare quella voce a me e più lei mi sfuggiva… cazzo! Diedi un calcio al muro con conseguente dolore al mignolino. Cercai di frenare il mio moto di impotente rabbia, dovevo pensare. L’ultima cosa che avevo sentito prima della voce era stata un’altra voce: quella di Morrissey! E allora… era Noel? Sbuffai divertita, era la prima volta che lo sentivo cantare e mi ero addormentata. Ora che avevo capito da dove veniva quel canto mi concentrai nuovamente per riportarlo nelle mie orecchie, ma ogni tentativo era vano, quel che mi rimaneva era solo una strana, piacevole sensazione che mi prendeva lo stomaco. Sorrisi alla mia carta da parati, chiusi gli occhi e ripresi a dormire.
La settimana seguente arrivò senza intoppi ma con qualche novità, Noel non si era più presentato alla pausa pranzo ma in compenso il terzo giorno della sua assenza arrivò Liam. Lo osservai dalla vetrina mentre camminava scomposto, stravaccato sul marciapiede, guardandosi in giro sino a quando non incrociò il mio sguardo oltre il vetro. Entrò in negozio e quel giorno consumai il mio sacchetto di fish & chips con il più piccolo dei Gallagher. Liam mi disse che Noel era stato trasferito ad un nuovo cantiere, troppo lontano da dove lavoravo per continuare le sue visite ma che comunque mi salutava e mi diceva, testuali parole, “smettila di ascoltare i fottuti Smiths perché prima o poi cadrai in depressione, e con i soldi dell’erba comprati una fottuta scala!”. Mi misi a ridere pensando alla sua faccia, le sopracciglia contratte in un cipiglio da falco.
Liam si premurò comunque di dirmi che lui era disponibile a sopperire alla mancanza del fratello.
- Ehi, però non penserai che io sia disposto a passare tutti i giorni a parlare di decibel, corde rotte e di quel cazzone di Iggy Pop -, disse sistemandomi una ciocca di capelli dietro ad un orecchio.
Io alzai gli occhi al cielo ed andai a girare il cartello con scritto closed . Futile dire che le mie pause pranzo con Liam si fecero molto più lunghe, con meno parole e più movimentate. In effetti il nostro rapporto – Audrey scoppiò in un risolino e io non potei che darle ragione - come da premessa era qualcosa di piuttosto fisico. Diciamolo, una coppia di conigli d’innanzi a noi due si sarebbe scandalizzata a morte.
Facemmo sesso più o meno in ogni luogo che fosse concepibile da mente umana. Avete mai provato a farlo nel retro di un furgone del latte? Be’ neppure io, dato che ci hanno scoperti. Anche se devo dire che fu molto divertente scappare nell’abitacolo, uscire da uno dei finestrini e correre via con Liam che inciampava nei pantaloni slacciati, mentre inveiva contro ogni forma di vita presente sulla terra, lattaio compreso.
Sesso a parte, trascorrevo abbastanza volentieri il tempo con lui. Le giornate s’allungavano ed era piacevole passare le ultime ore del pomeriggio da qualche parte sdraiati su un prato, a fumarsi una canna o una Benson, parlando delle partite del Manchester City – e di conseguenza imprecando contro lo United – o facendo assurde classifiche sulle migliori canzoni, sul miglior stile che avessero mai avuto i Beatles, sulla migliore miscela della Twinings, tra parentesi vinse il Lady Grey ma la motivazione sarebbe dannatamente troppo lunga.
In quella maniera passavamo ore e ore, Liam parlava dei suoi sogni e intanto mi carezzava i capelli e io pensavo che se non potevo avere dei miei sogni allora avrei condiviso i suoi.
Stavo proprio riflettendo sui pomeriggi passati assieme e come infondo mi stessi affezionando al più piccolo dei Gallagher e ai suoi modi lunatici, impulsivi – e diciamolo, pure un po’ da coglione dato che erano due settimane che uscivamo assieme e già tre volte era riuscito ad attaccare rissa -, quando alla mia destra vidi qualcosa di scuro volare verso di me. Non mi abbassai in tempo: una forza inaudita mi colpì la mascella e caddi a terra.
 
- Che cazzo ci fa tu qui? -
- Ma guarda, ti stavo per fare la stessa domanda -.
Liam e Noel si gridarono da un capo all’altro della strada su cui stavano camminando, le macchine che sfrecciavano tra loro. Il primo schivando una berlina blu raggiunse il fratello, negli occhi una luce che indicava la sua voglia di cercare litigio. – Vado a trovare Cass! – esclamò con aria supponente.
- Anche io, è una vita che non la vedo… - disse riprendendo a camminare, arrivava da un turno di lavoro e non aveva proprio voglia di azzuffarsi con Liam, magari gli avrebbe fatto un occhio nero quella sera al pub.
- Be’ sappi che lei esce con me -, doveva essere un’affermazione ma piuttosto uscì un mezzo ringhio.
Noel alzò un sopracciglio – Tranquillo, Ourkid. Da quella notte al Boardwalk lo sa mezza Manchester che sei tu che esci con lei -.
Liam rimase un po’ spiazzato, non sapeva se offendersi o andare fiero di dell’affermazione del fratello, perciò si limitò a camminargli al fianco.
- E poi io sto con Louise, mi domando perché tutti si dimentichino di lei -
- Semplice, vi prendete e mollate ogni due giorni, se stessimo attenti ogni volta se siete assieme o no rischieremmo tutti l’esaurimento nervoso -.
Noel fece una mezza risata: Liam a volte sapeva proprio essere la voce della verità. Non per questo però avrebbe ammesso che aveva ragione.
Arrivarono davanti alla triste villetta a schiera che era la casa di Cass in meno di dieci minuti. In realtà Liam non ci era mai stato prima e Noel invece, oltre che a chiedersi se avrebbe dovuto scalare di nuovo il porticato, teneva alta l’allerta di certo non dimentico dell’ultima volta che era stato in quel luogo. Fu forse per questo che, appena qualche metro dopo che avevano varcato lo sgangherato cancello di legno, fu il primo ad accorgersi che qualcosa non andava: rumori sinistri, anche se attutiti, arrivavano da fuori della finestra aperta. Scattò immediatamente in avanti e percorse gli ultimi metri di giardino in un baleno, s’aggrappò alla maniglia, la strattonò ma era chiusa dall’interno. – Cazzo! – gridò alla porta tirandole un calcio. In quel momento arrivò Liam con in mano una delle grosse pietre che ornavano le aiuole della strada, e la scagliò contro il pomolo della porta che poi secondi fu aperta in uno schianto di legno. Corsero assieme lungo l’ingresso e il corridoio sino ad arrivare alla cucina.
 
Provai ad alzare lo sguardo solo quando udii il rumore di qualcuno che correva, cazzo, perché la testa mi doveva ronzare così forte? Abbassai un attimo la guardia e un calcio mi raggiunse dritto nello stomaco. Cercai un po’ di rifugio sotto al tavolo, tra le sedie: ero più agile di lui e sapevo che con un po’ di fortuna sarei riuscita a fuggire dalla porta sul retro. Da là sotto vidi un paio di gambe caracollare nella cucina. Insulti proferiti in un accento tanto stretto da essere quasi in capibile, rumore di vetri andati in frantumi, decisi di lasciare il mio angolo sicuro per uscire allo scoperto e vedere cosa era accaduto. Ebbi una fugace vista del bastardo inchiodato alla credenza da quello che supponevo doveva essere Noel, dato che non l’avevo mai visto così – una maschera d’odio, rosso in volto come se fosse appena scappato dall’inferno -, ma poi quest’ultimo fu scagliato via, come una bambola di pezza ricadde sul tavolo. Liam che aveva appena fatto in tempo ad avvicinarsi a me si voltò con una luce folle negli occhi, diversa però da tutte le volte che l’avevo visto far rissa, - Questo non lo dovevi fare, stronzo! – esclamò un secondo prima d’assestare un destro al bastardo. Rumore di cartilagine rotta, spruzzo di sangue. Questo era il massimo che potesse registrare il mio cervello congelato nell’adrenalina, mentre Ourkid tentava di sopraffare il bastardo – cosa assai difficile dato che, seppure ubriaco, lo stronzo poteva contare su un fisico imponente e un metro e novanta d’altezza – io mi girai a vedere come stava Noel. Be’ diciamo pure quel che ne rimaneva… praticamente accasciato sul tavolo si stava tenendo lo stomaco, sangue che gli colava dalla bocca. Nella mia testa Audrey ebbe un attimo di cedimento e svenne.
Non credevo di poter riuscire a pensare razionalmente, poi voltandomi vidi che pure Liam ormai era in serie difficoltà, mi mossi verso il fornello dove stava abbandonata una padella, la presi. – Spostati –, Liam non so come ma pure nel pieno della lotta udì il mio sibilo glaciale e s’abbassò improvvisamente, io non persi un attimo e abbattei la padella rapida, precisa, potente. Non ricordavo d’aver mai provato una soddisfazione così cieca, allo stato puro. Avevo colpito il bastardo alle costole che sotto il metallo si erano come minimo incrinate, e ora questi che era scivolato lungo la credenza sino per terra era completamente indifeso. Guardai i suoi occhi iniettati di sangue, la bocca che era un ghigno grottesco, il naso rotto… odiavo ogni singola sua parte, odiavo il suo nome, odiavo il fatto che esistesse. Odiavo e basta. Sarebbe bastato un solo colpo ben mirato, pensai, e sarà tutto finito. Strinsi la presa sulla padella ma in contemporanea indietreggiai, poi un paio di secondi dopo arrivò il calcio di Liam che colpendo il bastardo alla testa lo mandò direttamente.
Mi ritrovai ad andare sino al frigorifero, aprire il cassetto freezer e tirare fuori una borsa del ghiaccio, prendere assieme a Liam Noel sotto braccio, tirarlo su di peso e uscire nell’aria fresca del giardino. In lontananza grida di bambini che giocavamo a pallone. Dovetti aver fatto un paio di centinai di metri come uno zombie quando il mio cervello si riebbe finalmente dal torpore in cui si era ingabbiato. Facemmo sdraiare sul prato ben curato di una villetta Noel che non appena toccata terra diede di stomaco. Audrey che si era appena riavuta crollò di nuovo, bianca come un cencio.
Liam, seduto sul basso muretto di cinta, si tastava appena un po’ preoccupato un occhio che stava iniziando a gonfiarsi, gli passai il ghiaccio che il mio cervello ipnotizzato si era curato di farmi prendere e a mia volta mi passai la lingua sulle labbra rotte e il sapore ferroso del sangue mi invase la bocca. Constato che non ero ancora terminale e che oltre una serie di piccole dolorose contusioni non avevo nulla, mi chinai su Noel che dopo aver concimato il prato – dubitavo che i proprietari della casa sarebbero stati felici al loro rientro – sembrava aver ripreso quasi del tutto lucidità, ma si teneva ancora lo stomaco. Immaginavo il pugno che doveva aver incassato per avere una reazione così violenta e la rabbia mi montava.
- Perché? – domandò tra un paio di colpi di tosse convulsa.
Mi limitai a tacere e gli presi le mani tra le mie: le nocche spellate sino alla carne – come d’altronde pure quelle di Liam –, ma tastandole non c’era nulla che mi facesse pensare che potessero essere rotte. La Rickenbacker aveva ancora un padrone.
- Perché? – ripeté di nuovo, questa volta nella schiena sentivo come spilli gli occhi inquisitori pure di Liam.
- Per i soldi, suppongo – mormorai atona, completamente indifferente – Gli dovevo pagare l’affitto della stanza ieri -. La verità era che con ogni probabilità era così ubriaco da non ricordarsi neppure lui il perché. E dallo sguardo che mi rivolse Noel capii che pure lui intuiva qualcosa oltre le mie parole. Avevo ancora tra le dita le sue mani, erano calde, i calli da chitarrista sulla sinistra, fu allora che calò pure lui lo sguardo su quel punto e in quell’istante io sentii la prima bugia che gli avessi mai detto stracciarsi. – E’ lui che ti ha rotto la mano…? -, l’intonazione della domanda era così vaga che non necessitava risposta alcuna, così m’alzai veloce, ritraendomi all’indietro come se fossi appena stata colpita da una scarica elettrica. M’accorsi d’avere in faccia un’espressione smarrita, così provvidi immediatamente a sostituirla con una spavalda, sicura, gli occhi avvertivano il ragazzo davanti a me che non doveva superare il confine a cui si era avvicinato. Era come la frontiera con il Messico, tu oltrepassala e ti sparo.
- Devo andare -, mi voltai e feci appena in tempo a uscire dal cortile che venni artigliata al polso: Liam mi stringeva in una maniera che quasi mi faceva male.
- Non certo da quella parte, principessa -
- Mollami – gli ringhiai contro scandendo ogni singola sillaba. – Mollala – mi fece eco una voce più bassa, Noel si era alzato un po’ barcollante e s’era seduto a sua volta sul muro di cinta. Il fratello si voltò come colpito da uno schiocco di frusta, i limpidi occhi verdi spalancati – Vuoi davvero che le succeda come a mamma?! -
- Mollala e lasciale la sua autodistruzione – ribatté lui pacato.
- Sei il solito menefreghista, hai sempre avuto troppa paura… - iniziò Liam rosso in volto forse più di quanto non lo fosse stato mentre picchiava il bastardo. Una strana rabbia sedimentata affilava le sue parole.
Noel a quel punto perse la pazienza che sapevo era in grado di ostentare, come un vecchio saggio, ma che poi perdeva troppo facilmente - Non tirare in ballo mamma! – latrò a sua volta.
In quel momento mi divincolai dalla presa di Liam e provai ad andarmene nuovamente, le suole delle Converse che pestavano l’asfalto come un pedale sulla grancassa di una batteria, lasciandoli ai loro litigi fraterni convinta più che mai d’essere in quel momento solo l’ennesimo motivo per cui attaccarsi.
- Ferma – gridò Noel. Complimenti alla costanza! Non eri tu a dire a Ourkid di lasciarmi? Questa volta mi voltai, non ero più rabbiosa ero soltanto un pezzo di ghiaccio – Allora tu – indicai Liam – il fatto che mi sia entrato tra le gambe non ti da il permesso di mettermi un solo dito addosso o di impedirmi d’andare dove mi pare e piace. Tu, invece – e fu il turno di Noel per essere messo sotto tiro dal mio indice – il fatto che mi sia entrato nella testa non vuol dire che ora puoi giudicarmi, neppure se faccio la cosa sbagliata. Vuoi essermi amico? Bene, questo è il pacchetto: prendere o lasciare. E sappi che nessuno ti risarcirà mai -
Un paio di secondi di fottuto silenzio.
Liam era ancora zittito da quanto gli avevo detto – potere della dialettica – Noel era semplicemente rilassato la stessa faccia di prima, impassibile come una statua - Non mi hai ancora dato una risposta  - disse candidamente, lo stronzo. Non sapevo a quale delle tante si riferisse ma la cosa cambiava di poco.
Gli occhi iniziarono a pizzicarmi, affondai le unghie nelle palme, la sinistra che però non si chiudeva quanto avrei voluto, - E’ mio padre, porca puttana, Noel! – gli gridai esasperata, così forte come se lui se ne stesse dall’altra parte del mondo. La testa mi faceva male, e non era per le botte. Era una vita che non chiamavo così il bastardo. – Posso andare? – domandai infine, appena ebbi preso un po’ di fiato.
Vidi Liam provare a dire qualcosa, ma persino lui era rimasto senza una parola, per quanto stupida potesse essere, da dire. – Ero venuto a dirti che noi tra due giorni partiamo per la Scozia, c’è una buona occasione d’incontrare un produttore. Vuoi venire? -.
A quanto pareva tutto ciò che era successo negli ultimi cinque minuti era stato completamente cancellato dal cervello d’entrambi. Meglio così, ero stufa di sentire la testa premere come se stesse per scoppiare. Era meglio non dire le cose piuttosto che venirne feriti, so che in questo principio c’era qualcosa di malato ma con me funzionava, circa. Tirai su col naso impercettibilmente – Certo -.
- Ti passiamo a prendere noi martedì mattina, alle otto, ok? -
- Si, sì, perfetto – mormorai – ci si vede, ragazzi -. Era davvero tutto paradossale come mi sembrava oppure ero solo io? Comunque ripresi la strada verso casa, senza farmi troppe domande: cosa serviva dare una verità costruita su bugie?
 Quando rientrai nella cucina il bastardo era ancora sdraiato a terra, come un rifiuto, praticamente esanime. Mi frugai un attimo nella tasca interna della giacca, tirai fuori quattrocento sterline, più o meno quanto guadagnavo e prima di salire nella mia stanza gliele lasciavi cadere addosso.

So don't try to fuck up my head with your problems
I'm just tryin' to fix up my bed in the doldrums

Lost behind a silver screen
are all the things you could've been in Love and Life so

Help me out my friend
My head just started to hurt
I don't pretend
I've got all of the time in the world
So now she's gone
all alone in her own universe
I still walk on
'Til I hold you within my world 

Who put the weight of the world on my shoulders?
Who put the lies in the truth that you sold us?

 



Capitolo abbastanza lungo ma con un titolo ancora più lungo! link --->http://www.youtube.com/watch?v=mMqlXHp8-IY
Devo dire però che non so molto convinta se la canzone sia adatta, per cui forse cambierà o.O comunque ai posteri l'ardua sentenza :) Aggiungo anche una prova del perchè Cass paragoni spesso Noel ad una civetta xD
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Take Me Away - The Passenger ***


Bisogna assolutamente inserire la storia in codice html, altrimenti il testo verrà fuori tutto attaccato. Per istruzioni guardate il riquadro azzurro affianco e se non sapete cos'è l'html, ut

I am the passenger and I ride and I ride
I ride through the city's backsides
I see the stars come out of the sky
Yeah, the bright and hollow sky
You know it looks so good tonight

 

- Ehi, io spengo il motore. Non ci possiamo permettere di sprecare benzina, cazzo – borbottò Paul Arthurs detto Bonehead voltandosi verso i sedili posteriori del furgone – O non arriveremo a Glasgow – terminò tra sé innervosito, nessuno dei passeggeri lo stava ascoltando. Liam se ne stava stravaccato nel suo posto, le ginocchia che spingevano nello schienale del sedile di Bonehead, il che non aiutava il malumore del chitarrista. Noel era semplicemente assente, anche se continuava a muovere impazientemente una gamba su e giù ad una velocità tale che Guigsy, che lo stava osservando con clinico interesse, credeva anatomicamente impossibile. – Man – sbottò ad un certo punto – calmati, sono io quello nevrotico qui! -.
Noel gli gettò appena un’occhiata, ed era persino talmente impaziente da non notare l’estrema e inusuale loquacità del bassista: in due anni che lo conosceva l’aveva sentito parlare sì e no per un’oretta e tutto quel che diceva era “sweet” o “nice”. A quel punto Liam senza preavviso spalancò il portellone del furgone che avevano affittato e  saltò giù.
- Ehi che cazzo vuoi fare? – Noel fu subito alle calcagna del fratello, il tono mordace, mentre avanzavano lungo la strada tagliando per i giardini delle case.
- Che pensi? Quel che non hai il fegato di fare tu, brutto cazzone. La vado a prendere! -
Noel stava ancora pensando un modo alternativo al tirare un pugno a Liam per ripagarlo dell’insulto quando qualcuno interruppe il suo flusso di pensieri.
– Correte! – gridai a pieni polmoni, le gambe che mi dolevano nella corsa più folle della mia vita. – Correte, brutti stronzi! – ripetei mentre con mia somma incredulità i due fratelli continuavano a bisticciare tra loro. Il massimo che ottenni dopo un paio di secondi fu un “che…?” da parte di Ourkid. Nello slancio della corsa passai in mezzo ai due e arpionai entrambi per gli avambracci, trascinandoli via con me.
Ai lati del mio campo visivo vidi una strana luce scellerata scintillare negli occhi di Liam – Comunque guarda che con te non ho finito, cazzone! –
Noel alzò a sua volta i suoi di occhi al cielo, disperato – Corri, idiota, corri! -. Diamine se mi ricordava la frase di quel libro che avevo rubato qualche anno addietro con quel tizio un po’ tardo ma allo stesso tempo geniale, uno che aveva fatto i soldi con l’industria dei gamberetti. Peccato che mi sfuggisse il nome, ma d’altronde ero troppo occupata a pensare alla mia milza in fiamme e a quanto rimpiangessi l’essermi balzata praticamente tutte le lezioni di ginnastica per andarmi a fare una canna sulle scale antincendio. Per non parlare delle sigarette e del cibo spazzatura che ingerivo e che di sicuro stavano compromettendo le mie doti di staffettista. Nella mia testa persino Audrey era concentrata nello sforzo della corsa, di certo non aiutata dai tacchi a spillo, ma pure sempre con la sua sigaretta tra le labbra.
In quel momento da dietro l’angolo da cui ero comparsa io spunto la figura massiccia del bastardo, il quale mi aveva scoperto cinque minuti prima mentre scendevo dal porticato con in spalla uno zaino. Avevo sperato che fosse abbastanza brillo da pensare che stessi andando a scuola ma non tanto ubriaco dall’essere tentato di sferrarmi un destro. Ancora mi domandavo come avevo fatto a sgusciargli via. Spirito di conservazione, mi dissi.
- Scommetto che non gli hai chiesto il permesso di venire – commentò affannato Noel con un ghigno, coperto quasi del tutto dalle grida del bastardo che grazie a Dio arrancava nella sua vestaglia a quadri.
Mi concessi una mezza risata, mi era sempre piaciuto l’umorismo un po’ tetro – Ho pensato che non ci fosse bisogno di scomodarlo -.
Piombammo sul furgone e fu con immenso piacere che m’abbandonai sui i sedili sgangherati – anche se sarebbe più preciso dire che mi schiantai contro McCarroll prima, con suo gran disappunto -.
- Bonehead, a tavoletta! – ordinò Liam agitando una mano.
Il chitarrista girò le chiavi nel quadro e invece del rombo scoppiettanti che tutti si aspettavano, il motore ebbe un singulto e si spense nella più misera delle maniere. La mano a mezz’aria e l’incitazione di Ourkid che sembravano proprio una mastodontica presa per il culo in quel momento.
- Chief, serve una mano a questo piccolo bastardo – commentò Bonehead mentre riprovava – inutilmente – a far partire il furgone.
Mi trascinai verso il portellone, incurante delle proteste di McCarroll – mi sa tanto d’avergli calpestato una palla – e di Guigsy, e uscii dall’abitacolo. La prima cosa a cui pensai fu che il mio adorato padre era maledettamente vicino e la seconda che se non fossimo riusciti a far muovere il furgone mi sarebbe stato ancora più vicino.
Quando però le mie mani si poggiarono sul metallo freddo del bagagliaio notai di non essere sola: da un lato c’era Noel, e dall’altro Liam e il suo sguardo pazzo mi restituirono un ghigno divertito, per non dire di Guigsy il cui sorriso era però più che altro di chi se la sta facendo addosso. Così avrei fatto pure io ma ormai ero abituata alle urla del bastardo. Cominciammo a spingere, all’inizio il Vauxhall non ne volle proprio sapere di muoversi ma poi le ruote guadagnarono terreno un poco sempre di più, ad un certo punto ci ritrovammo praticamene a correre spingendo quel dannato furgone. Mi ricordava di quando correvo da bambina per far volare l’aquilone. Per la verità non c’ero mai riuscita ma per fortuna con i furgoni avevo più successo: al secondo tentativo di Bonehead il motore s’avviò rombante. Noi tutti ricevemmo in faccia con un sorriso i fumi di scarico.
- Vai, vai, non ti fermare! – esclamò Noel quando vide che il conducente stava iniziando a rallentare per farci salire, diamine se avesse fatto andare giù di giri il motore l’avrei ucciso! Guigsy, nonostante l’aspetto cagionevole di un pulcino rachitico bagnato fradicio, fu il primo a riuscire ad entrare dal portellone tenuto aperto da McCarroll, Noel – dimostrando ancora una volta di saper muovere in modo incredibilmente veloce le sue gambette – fu il secondo a saltare a bordo. Liam gli fu subito dietro.
Gettai un’occhiata indietro, mio padre ci rincorreva, distanziato di un centinaio di metri ma stava perdendo terreno. Alzai il dito medio nella sua direzione. Quando mi voltai trovai il braccio teso di Ourkid ad aspettarmi, m’afferrò per il polso e in un attimo mi issò. Anche questa volta la mia entrata fu abbastanza trionfale: riuscii a finire addosso a tre quarti della band, sino a caracollare su Noel. Alzai lo sguardo cercando di ricompormi dalla mia posizione da contorsionista, e lui mi stava fissando, assottigliando gli occhi, con il destro che tendeva a sfuggirgli all’esterno. Buffa civetta strabica. Provai a trattenermi gli angoli della bocca cominciarono a tremarmi ed infine – che liberazione! – gli scoppia a ridere in faccia, senza un motivo: sentivo solo la testa leggera e la voglia di ridere senza contegno. Tutti attorno a me si guardavano confusi, Noel per primo, ma io continuai a ridere lo stesso, forse solo un po’ meno sguaiatamente e m’appoggiai con la fronte all’incavo della sua spalla. Audrey gettava occhiate da un lato all’altro, con faccia da io-questa-non-la-conosco. Pensavo a mio padre che era rimasto a Manchester, a io che stavo viaggiando veloce verso la mia Scozia e ridevo. Le persone dentro al furgone avrebbero forse voluto una spiegazione per tutto ciò, ma, infondo, c’è forse bisogno di una ragione per essere felici?
    

I am the passenger
I stay under glass
I look through my window so bright
I see the stars come out tonight
I see the bright and hollow sky
Over the city's ripped backsides
And everything looks good tonight    

 

Qualche minuto dopo, finito di riorganizzare gli spazi nel furgone, mi ritrovai seduta in braccio a Liam, la testa appoggiata al finestrino semi aperto da cui il vento passando mi scompigliava i capelli. Noel che aveva appena finito di argomentare con McCarroll perché questi non voleva stare seduto davanti – lo so, pensavo d’essere su un furgone con una band, non con un gruppo di marmocchi – s’era messo a fissarmi, di nuovo. – Ho un annuncio da fare – fece con tutta la sua serietà, e così Liam che subito prese a canticchiare una marcia trionfale che spesso alla radio precedeva i discorsi della Regina, con poca convinzione io gli rifilai una gomitata nelle costole – Lascia parlare The Chief –
Noel nel suo momento topico da leader non ci fece tanto caso e disse, questa volta meno pomposo – Abbiamo la nostra prima roadie -.
Io mi voltai verso Liam, aggrottando le sopracciglia, poi ancora verso il fratello – Dici a me? –
- Sempre se credi d’esserne in grado -
Ehi bello, non mi starai mica sfidando? – Sempre se credete di riuscire ad avere mai un contratto discografico! – ribattei perfida.
- A questo ci pensiamo io, Ourkid e la band… ma tu che mi dici? -
Diamine, era serio. Come sempre facevo fatica a rispondere a delle domande che non avessero almeno un briciolo di idiozia intrinseca, di solito tergiversavo ma forse quella volta non ce ne sarebbe stato bisogno. La cosa era facile: ero sola, un lavoro scadente, famiglia inesistente e non avevo idea di dove fossero finite le persone che una volta avevo considerato “amici” quando abitavo a Edimburgo. Non mi restavano nient’altro che la musica e quei due pazzi fratelli.
Annuii appena il necessario per far capire che assentivo. Non avevo altre prospettive eppure sentivo che quella non era una scelta di ripiego: era quello che avevo sempre fatto, vivere una nota per volta e riparare strumenti. Amen.
Liam si batté una mano su una coscia, il sorriso euforico e da bambino – Questa sì che è una figata! La band ha la prima roadie e io la mia prima groupie! –
Io lo guardai in tralice – Facciamo sesso ma io non sono la tua ragazza-oggetto. Sono in momenti come questi che mi domando perché abbia ceduto alle tue avance – dissi gelida, una punta d’ironia appena percepibile. Ourkid ci rimase male, credeva davvero in quanto diceva? Andiamo, io non sarei mai stata una groupie almeno non nel senso basso che intendeva lui. La pausa di silenzio imbarazzato durò qualche secondo con Bonehead che s’era dimenticato di disinserire una freccia – che dopo la svolta fatta trenta secondi prima ticchettava ancora -, Noel che pareva quanto mai interessato ad un moscerino sul finestrino e infine Guigsy che fissava il vuoto, gli occhi da pesce sgranati. – Me lo chiedo ancora pure io – mormorò ad un certo punto.
- Cosa?! – sbottammo allora noi in coro.
Si voltò verso me e Liam, e soggiunse candido – Perché hai ceduto alle avance di Ourkid! -. Anche stavolta il bassista strappò un sorriso a tutti, McCarroll compreso – ehi, ma allora era ancora vivo! -, e Liam si sciolse dalla sua rigidità senza più badare a quella piccola ferita nel suo orgoglio ipertrofico da superuomo che gli avevo inferto. Subito dopo assunse però un’espressione altera e boriosa – Perché sono il più figo, ovvio – e mi schioccò a tradimento un bacio mordendomi un labbro. Per ripicca gli scompigliai i capelli e gli rubai i suoi amati occhiali alla John Lennon, inforcandoli e fissandolo da dietro le lenti con aria arrogante. Audrey si sbatté una mano in fronte, consapevole che sarebbe stato un lungo viaggio. Infine appoggiai la testa al finestrino e m’addormentai con un ultimo pensiero in testa. Come mai tutti i giorni della mia vita non potevano essere come quello?
 
Just when it falls apart
And when it’s time to start
Will you sit down here for another day
And when it’s time to be
All the things that we
Are wishing away for another day

 
Mi svegliai che era mattina inoltrata, i ragazzi dicevano che non m’ero svegliata neppure quando Liam s’era messo a litigare con Bonehead per via di un agguerrito discorso su United e City. Dissi che ero stanca, la verità era che non chiudevo occhio da due notti per il timore che il bastardo provasse a sfondare la porta, insomma, infondo, era quel genere di cose che non ti conciliano mica tanto il sonno. Avremmo già dovuto essere arrivati a Glasgow da un po’ ma la strada principale era interrotta da lavori in corso ed eravamo stati deviati su vie secondarie. Nei polmoni potevo già sentire l’aria gelida e limpida della mia Scozia, non ero mai stata particolarmente patriottica o attaccata a dove vivevo, avevo sempre saputo che casa era dove c’ero io, un po’ di musica e nient’altro. Eppure avvertivo con ogni singolo respiro di starmi avvicinando ad una qualche strana meta.
Fu allora che Noel fece una delle cose più furbe che gli avessi mai visto fare: tirare fuori una Cort acustica. In quel momento io ebbi una fugace visione della carta da parati in camera mia e di quanto l’avessi fissata concentrandomi sulla sua voce. Erano giorni che non ci pensavo più ma… diamine, volevo sentire cantare quella voce! Non per questo lo diedi a vedere, mi limitai a continuare a guardare fuori dal finestrino consapevole che se avessi spiccicato mezza parola avrei tradito la mia curiosità. L’unico ad accorgersi forse dello stato d’alta fibrillazione che attraversava fu forse Liam, che mi teneva ancora in braccio, e che se di certo era lontano dal comprendere la mia mente ormai era abituato ad ogni minima variazione del mio corpo. Lo sentii accostarsi al mio orecchio ma un accordo di Re lo interruppe. E poi iniziammo a viaggiare - e non intendevo il fatto che le macchine in colonna davanti a noi ripresero a muoversi – ma qualcosa di meglio. Forse avevo sbagliato a usare il plurale, forse l’unica a viaggiare con la mente ero io però non potevo che chiedermi come qualunque altro essere umano al mondo non potesse che farsi trascinare via da quelle note, da quelle parole. Non me ne curai poi tanto però, ripresi a viaggiare.
 
Cos in my soul we know where we’re goin
We’re goin where the grass is free, the air is clean and the good times are growin’
So take me away
Just for today
Cos I’m sad here on my own
I’d like to be
Under the sea
Where they’d probaly need a phone
 

Era tempo che non lo facevo, abbastanza quasi da essermi dimenticata che c’era un modo per staccarsi da terra senza neppure muovere un passo. Sentivo per la prima volta dopo anni di carcere il vento, l’aria di primavera – e chissene frega se era avvelenata dai gas di scarico delle auto – e gli uccellini cantare come le migliori seconde voci che un musicista potesse desiderare. Quand’era stata l’ultima volta che li avevo uditi? Erano loro che avevano smesso di cantare o io di ascoltare? Scoppiai a ridere – internamente, o gli altri avrebbero dubitato della mia sanità mentale -, uccellini che cinguettano, cosa cazzo era, un film della Walt Disney?!… Quando appena però quel genere di pensieri cominciavano a incarcerarmi le parole di Noel mi fornivano la chiave per aprire le catene e non riuscivo più neppure a essere cinica. Ero solo, in una maniera assai stupida, felice.

I could be you
If I wanted to
But I’ve never got the time
You could be me
And pretty soon you will be
But you’re gonna need a line
 

Quando terminò la canzone mi sembrò d’aver finito il più lungo e soddisfacente trip mentale della mia vita, solo allora azzardai un’occhiata a Noel. Lo guardai e capii che avrebbe voluto un qualche commento sulla canzone, sapere se gli accordi, il ritmo, la cadenza della voce funzionassero. Io non avrei saputo assolutamente rispondergli, non avevo più capito nulla, sapevo solo che da qualche parte in mezzo alla pace c’era un Re, non avrei saputo dare un giudizio musicale.
- Take me away – disse infine lui, assicurando il plettro sotto le corde.
Semplice, conciso. – Mi piace -. Ecco quello fu tutto ciò che seppi dire, e Audrey sgranò gli occhi anche lei reduce da un bel trip mentale. Mi sentii insulsa a dir poco, ma mi sarei vergognata assai di più a dirgli che aveva scritto una canzone che parlava di me, ancora prima che mi conoscesse. E che era lui che mi stava portando via, erano loro che mi portavano via. Ero cosciente del fatto che Noel non brillasse per perspicacia ma speravo che lo capisse senza aver bisogno di parlare.
Ero assai confusa, dovevo ammetterlo, per cui mi limitai a rubargli di sotto mano la Cort e mettermi a strimpellare qualcosa.
- Suona Norwegian Wood! – esclamò Liam allora, sorridendomi.
Io mi irrigidii un poco, era davvero molto che non la suonavo, - Serve il capotasto mobile –. O più che altro serve una mano sinistra funzionante. Dio, Allah, Shiva, Jawhè, John Lennon fa che non ci sia un capotasto nel giro di tre chilometri.
Troppo tardi, non avevo fatto in tempo ad incenerire con lo sguardo Noel che mi stava già passando il capotasto, e che quando si rese conto di ciò che stava facendo assunse l’espressione di uno che avrebbe tanto voluto seppellirsi sotto un cumulo di terra. Bravo, perché sennò lo farei io.
Imperturbabile presi in mano comunque il capotasto e lo posizionai sul secondo tasto della Cort. Cominciai a suonare, a quattordici anni ero in grado di suonare il pezzo dei Beatles anche sdraiata a testa in giù su di una poltrona, ora al primo spostamento sul primo accordo mancai la corda, il mignolo che non riusciva ad allungarsi più di tanto e che rimaneva con l’articolazione bloccata. Fottuti tendini tagliati. Sbagliai un’altra nota, la mano che cominciava a dolermi come anche la gola che m’ardeva come se avessi passato mesi in un deserto, senz’acqua. Liam cominciò a cantare, Noel invece fece per appoggiarmi una mano sulla spalla, o almeno penso dato che avevo la vista offuscata e non mi sarei mai voltata verso di lui, ma io continuai imperterrita a suonare, la canzone infondo durava poco. Accolsi la fine dell’arpeggio come una benedizione divina e appena Liam terminò di cantare misi giù la chitarra. Era stata proprio una brutta idea l’iniziare a suonare. Noel con l’abilità di un prestigiatore fece scomparire la Cort nella custodia.
Bonehead diede un colpo di tosse nervosa, persino dal posto di guida aveva intuito la brutta aria che tirava dietro. Accese la radio. E io sorrisi. Ora sì che eravamo in Scozia. Ricacciai indietro le lacrime come se non fosse successo mai niente, ringraziando la mia capacità di dimenticare in fretta, ringraziando Iggy Pop e la The Passenger. Quella sì che era una canzone per viaggiare.
 

Oh the passenger
He rides and he rides
He sees things from under glass
He looks through his window side
He sees the things that he knows are his
He sees the bright and hollow sky
He sees the city sleep at night
He sees the stars are out tonight
And all of it is yours and mine
And all of it is yours and mine
So let's ride and ride and ride and ride
Oh, oh, Singing la la la la lalalala 

Cheers a tutti! Capitolo di transizione e lo so, non è un granchè, per cui chiedo magnanimità e spero di recuperare punti con le canzoni xD Che sono The Passenger di Iggy Pop http://www.youtube.com/watch?v=QEY6_jcrzI8 
E la prima canzone che sia mai stata cantanta da Noel ufficialmente negli Oasis, la B-Side di Supersonic http://www.youtube.com/watch?v=QEY6_jcrzI8

Ps: un ringraziamento a Buddy e Green Star per i loro commenti, e grazie anche a Lie_to_me che ha aggiunto ai preferiti! =)
E per corrompere ulteriormente, un'immagine gigante di un giovane Liam pensieroso, affascinante (ma questo è un mio pensiero) e con un simpatico  ciuffetto di monosopracciglio, conosciuto come monospracciglio a "isola". Dopo queste castrronerie mi ritiro, cheers everybody

ilizzate la prima delle due opzioni, l'editor di EFP.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Cigarettes and Alcohol ***


 

Is it my imagination
Or have I finally found something worth living for?
I was looking for some action
But all I found was cigarettes and alcohol
You could wait for a lifetime
To spend your days in the sunshine
You might as well do the white line
Cos when it comes on top . . .
You gotta make it happen!

 
La vita decide di prendere una svolta inaspettata in varie maniere, e neanche te ne accorgi ma hai già lasciato il passato indietro di mille miglia. Per me – ma ancor più per Liam e Noel – all’incrocio del destino un cartello annunciava King Tut's Wah Wah Hut club, ovvero l’insegna del pub in cui gli Oasis erano stati invitati a suonare. Noel mi aveva detto che a chiamarli era stato il leader di una band chiamata Sister Lovers, gente che aveva conosciuto quando faceva ancora il roadie per gli Inspiral Carpets,  nessuno di tanto importante, solo quel genere di persone con cui ti fai una sigaretta nel backstage e a cui presti i plettri.
Quelli della band dicevano che doveva esserci il boss della Creation Records, Alan McGee, il che non era proprio come dire niente. L’avevo visto un paio di volte di sfuggita tanto che di lui mi ricordavo solo gli occhietti vispi e la pelata sfumata dai capelli rosso carota, così a vederlo non impressionava. Ti impressionava di più se venivi a sapere che era il produttore di gente come Jesus and Mary Chain, Ride, Slowdive e My Bloody Valentine, in pratica aveva scoperto metà dei gruppi d’alternative rock più importanti degli ultimi anni. E in pratica aveva prodotto lui quasi tutte le band che amavo ascoltare, e per questo non mi lasciavo mai scappare nessun cd targato Creation: non fosse stato che li rubavo praticamente tutti Mr. McGee mi avrebbe già inviato un premio fedeltà.
Vedevo Noel più teso di qualsiasi altra volta e al contrario Liam pareva solo avere l’incontenibile voglia di dimostrare quanto valesse. Bonehead fumava come una ciminiera, McCarroll – bo’, non avevo la più pallida idea di che stesse facendo – mentre Guigsy aveva proprio l’aria di uno a cui serviva un Tanax, o due. Erano ancora le quattro del pomeriggio quando arrivammo davanti al locale per cui mi limitai a dare una mano a Noel con gli strumenti, vedere di sistemarli al meglio, attaccando un amplificatore ad un piccolo alimentatore di corrente provammo pure gli effetti che stavano meglio con il genere di canzoni che avevano intenzione di suonare. Dopodiché non restava molto da fare, per cui decisi d’andare a fare quattro passi, Liam s’offrì d’accompagnarmi ma io rifiutai la proposta e m’avviai da sola sotto il cielo di piombo scozzese.
Avevo bisogno di rimuginare un po’. Odiavo dover pensare razionalmente alla mia situazione ma di tanto in tanto pure a me toccava fare mente locale sul casino della mia vita. Nel caos avevo una qualche vaga certezza: salendo sul furgone dei Gallagher avevo deciso di muovermi, prendere una direzione, insomma saltare su quel treno che dicono passi una volta ogni tanto nella vita e smetterla di fare trainspotting. Ora, il punto stava se quel treno avrebbe avuto come destinazione una bella isola felice – già, l’immagine della serenità nel mio subconscio era una spiaggia polinesiana con acque cristalline… be’, quello o una Gibson degli anni ’60 – oppure allo schiantarmi contro un muro. In ogni caso tornando a casa avrei avuto le mie grane, chissà perché ma avevo il sentore che il bastardo non mi stesse esattamente preparando una festa di ben tornato.... Mi stropiccia rabbiosa gli occhi, di pensare per quel giorno ne avevo fatto abbastanza era il momento di spegnere il cervello, o quanto meno quella parte che mi sussurrava maligna: “e adesso cosa farai?”. Vivere era dannatamente più semplice se lo facevi un minuto per volta, anzi, un secondo per volta. Inspira. Espira. Cammina. Facile, no? Tornare a Manchester ora mi sembrava un concetto davvero astratto.
- Come non ci fate suonare?! -. Non avevo ancora girato l’angolo che il latrato di Noel mi aveva già preannunciato una valanga di guai, percorsi veloce l’ultimo tratto di strada.
- Senti, amico – sospirò un tipo alto e allampanato – Non siete in scaletta, e io non faccio suonare sconosciuti -
- Ma i Sister Lover… - provò a ribattere Bonehead.
- Non è colpa mia, non avevano alcun diritto di offrirvi un posto sul palco. Decido io chi suona e voi – mosse la mano indicando l’intera band, sembrava stesse scacciando una mosca – voi non suonerete nel mio locale -.
Merda… Avrei voluto saltare al collo di quel tizio – che somigliava tanto al Lerch della famiglia Addams – e dirgli, gridargli che non capiva una beata…mi autocensurai affondando i denti nella lingua. Cristo santo. Sapevo che avrei potuto gridare con quanto più fiato avevo nei polmoni ma non sarebbe cambiato nulla. Non cambiava mai nulla. Vidi Liam sferrare un pugno al muro del  King Tut's Wah Wah Hut club, girarsi, fare una smorfia e dire che andava a cercarsi un altro pub per una pinta di birra perché a quei bastardi non avrebbe dato un solo centesimo.
- Bel tentativo comunque, Chief – commentò assestando una pacca al fratello. Avrebbe forse voluto essere più maligno ma erano entrambi troppo abbattuti per azzannarsi a vicenda. Fissai la porta chiusa del pub con un’intensità tale che forse non avrei riservato neppure a una persona. Avevo deciso. Eh no, questa volta il fottutto destino non me l’avrebbe fatta. Non per l’ennesima volta.
 
Erano le nove di sera e ci trovavamo ancora in quel pub dal nome improbabile e impronunciabile, McCarroll e Bonehead avevano insistito per tornare a casa dato che non volevano passare una notte nel furgone, ma io avevo convinto tutti a rimanere: Liam principalmente per il fatto che era tornato mezzo ubriaco dopo quella che era stata più di una pinta di birra, Guigsy – be’ lui non si era esposto sulla cosa, e dato che non spiccicava parola presi il suo silenzio come un assenso – mentre con Noel mi ero adoperata nell’arte-dello-sguardo-tenero, che contro ogni mia aspettativa funzionò. Forse anche lui come me sperava ancora in una possibilità di poter suonare
Ci sedemmo in uno dei posti più vicini al palco, che era di dimensioni ragguardevoli dato che nel pub ci potevano stare comodamente una o due centinaia di persone. Avevo gli occhi fissi sulla band che si stava esibendo – mediocri – ma intanto ero più che concentrata sull’uomo dai capelli rossi che se ne stava seduto un paio di tavoli più avanti rispetto a noi. A quanto sembrava mister Alan McGee aveva onorato per davvero il King Tut's Wah Wah Hut club della sua presenza.
Il frontman della band s’avvicinò al microfono scostandosi i lunghi capelli dal viso e annunciando l’ultima loro canzone per la serata e ringraziando il fantastico pubblico e bla bla bla… mi alzai in piedi e salii sul nostro tavolo, un boccale di birra in mano.
- Ma che cazzo…?– esclamò Noel afferrandomi una caviglia, io mi abbassai appena e gli gridai nell’orecchio: - Andate sul retro del palco! E prendete gli strumenti! -
- Che?!? -
Odiavo quando faceva così, – Ora! – ribattei in un ordine ferreo. Mi ersi in tutto il mio metro e settanta e presi un sorso di bionda facendomene colare deliberatamente un po’ sulla t-shirt che indossavo ed infine iniziai la mia trionfale passeggiata. Feci un po’ di slalom sui tavoli, gli insulti che mi raggiungevano appena tanto mi ero estraniata dal mondo, la gente che si lamentava perché coprivo la visuale oppure perché gli rovesciavo la pinta di birra. Con la coda dell’occhio vidi arrivare da dietro il palco tre o quattro energumeni, così accelerai il passo e in un paio di falcate raggiunsi il lunghissimo bancone del bar. Era come una passerella, pensai. Scoppiai a ridere e mi rovesciai addosso ciò che rimaneva della mia Guinness, mi strappai di dosso la maglietta che ormai mi stava incollata alla pelle. Qualcuno fischiava il mio show. Dovevo sembrare una pazza, forse lo ero. Ma quando infine mi voltai verso il palco, le chitarre di Noel e Bonehead che suonavano il riff di Get It On dei T-Rex, risi nuovamente con in sottofondo la voce di Liam che gridava “imagineshìììììion” e avvertii quella soddisfazione di quando si riesce a beffare anche il destino. Ecco, dopodiché fui scaraventata giù dal bancone del bar dagli uomini della security: manco fossi una terrorista.
- Ci diamo una calmata? – mi domandò uno, il suo brutto muso ad un centimetro dal mio naso.
- Se me l’aveste chiesto per favore sarei scesa volentieri – ribattei massaggiandomi un fianco, dove avevo sbattuto contro uno sgabello.
- Ok, sei un po’ alticcia, eh tesoro? – intervenne il padrone del locale, lo stesso che aveva negato l’accesso al palco agli Oasis, - Ti dobbiamo buttare fuori in malo modo oppure pensi di poter trovare l’uscita da sola? -
Mi guardai attorno, solo pochi avventori del pub avevano ancora gli occhi puntati su di me, la maggior parte era concentrata sul palco e sulla voce di Liam – sorrisi sotto i baffi – che quando terminò di cantare lo incitarono a cominciare una nuova canzone. Anche il proprietario del King Tut's Wah Wah Hut club si voltò ad osservare la band che si stava esibendo e che contro ogni sua previsione stava riscuotendo grande successo. Tornò a fissarmi assottigliando lo sguardo, - Tu eri con loro… - mormorò trai denti.
Mi rassettai i capelli disordinati da selvaggia – Già – mi limitai a dire ostentando un’occhiata sorniona, ora non sembravo davvero più tanto ubriaca, - Spero che questi ripaghino i danni – e gli cacciai in mano una cinquantina di sterline. – E ora se non vi dispiace vado a godermi la prossima canzone – dissi sfilando via indisturbata, sfoggiando per la seconda volta in poco tempo la mia falcata più regale, qualche ragazzo si girò per fare un fischio apprezzamento – in effetti stavo girando per un locale affollato in reggiseno, Audrey che si stava vergognando sino al midollo per me -. Risposi con uno sguardo gelido e  un – Non replico sino a domani sera alle dieci -.
Arrivai quasi sotto il palco in tempo per godermi la fine della mia Rock ‘n’ Roll Star e Bring It On Down. Un paio di minuti dopo dal retro del palco rispuntarono i ragazzi, Noel vedendomi alzò in alto l’Epiphone e fece per urlarmi qualcosa ma fu interrotto da un tipo non molto alto, capelli rossastri…Oh, cazzo! Corsi loro incontro, ma mi tenni a una certa distanza.
- Ragazzi avete un contratto discografico? – chiese McGee
- No, ma… -
- Ne volete uno? -
E in quel momento Liam interpretò a pieno ciò che stavano pensando tutti più o meno, e sbottò – Certo, ma sta a te coglione! -.
Il produttore della Creation lo guardò un po’ male ma poi fece un mezzo sorriso, guardò Noel in cui aveva inquadrato da subito il capo e gli tese un biglietto da visita – Qui ci sono il mio numero e indirizzo. Ho sentito che siete di Manchester, credete di poter passare già in settimana a Londra, in sede? –
Il più grande dei Gallagher rimase un attimo inebetito guardando quel piccolo insignificante pezzo di carta, ma poi frugandosi veloce in tasca disse – Sì,sì ovvio - tirò fuori una cassettina e la diede a McGee – Qua ci sono alcune delle canzoni che abbiamo fatto stasera e delle altre -.
Lo scozzese ammiccò – Ora scusate ma ho proprio bisogno di sigarette e dell’alcool – ed infine si allontanò dandomi appena un’occhiata un po’ incuriosita e un po’ dubbiosa. Un secondo dopo Noel emise un ruggito e mi ritrovai stritolata tra le sue braccia, rimasi un po’ interdetta: il tipo fisico era Liam, che invece sorrideva ebete e basta in quel momento. – Grazie – disse, soffocando una risata euforica tra i miei capelli.
- Sono la vostra roadie, o no? -
Già, sei la nostra cazzutissima roadie – mi rispose Bonehead dandomi una pacca sul braccio. Noel si era allontanato di un paio di passi ma aveva negli occhi una luce delirante, mai l’avevo visto tanto simile a Liam che adesso gli stringeva con una mano una spalla.
- Faccio solo il mio lavoro –, commentai con aria di sufficienza, – Ah, e mi dovete una t-shirt come potete vedere – conclusi sorridendo. Al che Guigsy fu tanto gentile da passarmi la sua giacca di jeans. Infine mi girai e marciai verso l’uscita. Pure Audrey aveva stampato in faccia un sorrisino malvagio, quello di quando fotti il destino e non è lui a fottere te. Dio, che serata!
 
Il giorno seguente passeggiavo per le strade di Glasgow, stretto in pugno un pacchetto di Chesterfield black come avevo fatto un tempo. Guardai il sole offuscato da nuvole scure, non doveva essere passato da molto mezzo giorno ed io mi ero svegliata un paio d’ore prima dopo aver passato la notte nel furgone assieme coi ragazzi. Già, un po’ troppo stretto e un po’ troppo puzzolente, anche se devo ammettere che quella che emanava lo steso amabile profumo di un barbone ubriaco ero io.
Ora mi godevo la sigaretta del guerriero, risi un po’ tra me pensando che forse avrei dovuto farmi pagare davvero un salario, dato che sopportavo pure i grugniti nel sonno di McCarroll o gli interessanti racconti di Guigsy che parlava più da dormiente che da sveglio. Comunque avevo deciso di abbandonare i ragazzi per un po’ e andare a fare una capatina in un grosso negozio di strumenti musicali, giusto per rifarmi gli occhi e rodermi il fegato – autolesionismo, lo so, è una malattia – rimirando le Gibson in vetrina.
Mi misi una Chesterfield in bocca e osservai il cielo grigio sopra di me. Mi tastai le tasche… ma dove diamine…? Oh fanculo, avevo dimenticato l’accendino! Quando arrivai nel piazzale dove avevamo parcheggiato il furgone per la notte notai che qualcosa non andava. O comunque che c’era qualcosa di strano. Un furgone Vauxhall non è in grado di muoversi da solo, vero? Be’ di certo non quello dopo tutta la fatica che avevamo fatto per farlo partire. Non è che si muovesse proprio proprio, però le sospensioni dovevano essere messe a dura prova da qualcosa. Arrivata davanti al portellone mi chiesi se era davvero il caso d’aprire, alzai gli occhi al cielo: come sarebbe stato vedere Guigsy in soli boxer? O peggio, sarei rimasta traumatizzata a vita da un McCarroll nudo? Secondo me apparteneva a quella terribile categoria d’uomini che non si tolgono neppure i calzini… Al diavolo, mi serviva il mio accendino, avevo bisogno di fumare! Spalancai: bionda procace, Liam. – Scusate –. Chiusi il portellone e mi allontanai di qualche passo nel piazzale e poi mi fermai. Non sapevo cosa pensare. Vuoto totale. Anche se… soffocai una mezza risata: Ourkid aveva ancora su i calzini. Poi prima ancora che Audrey intervenisse per farmi ragionare seriamente sulla cosa mi accorsi che qualcuno mi stava fissando da una ventina di metri di distanza. Salutai Noel con un cenno della testa e poi decisi di proseguire per la mia strada, anche se non avevo idea di quale potesse essere, infondo il mio accendino era ancora nel furgone. Che avesse visto la scena? Che avesse capito cosa avevo visto?
Noel mi raggiunse veloce – iniziai a pensare che il suo fare tonto fosse una posa -.
- Dove sei stata? -
- A Pepperland – risposi irritata, tanto per esserlo.
Mi fermai e mi sedetti sugli scalini davanti all’uscita secondaria di un bar. Noel mi guardava torvo.
Gli diedi in pasto un’espressione stupita – Non ci crederai ma i Biechi Blu hanno attaccato di nuovo! –, sbuffai, ancora lo stesso sguardo. – Ok, ti dispiace mettere giù quella faccia da moralista e prestarmi l’accendino? -.
Un secondo dopo presi al volo il benedetto oggetto che lui mi lanciò.
- Gli ronzava attorno da ieri sera dopo lo show – borbottò con nonchalanche.
- Chi? – domandai sincera, troppo presa dal sapore delle Chesterfield.
- La bionda con cui l’hai pizzicato -
- Ah – mormorai – Bene -. Conversazione interessante, eh?
Noel aggrottò le sopracciglia, non si capacitava del mio comportamento forse. Che si aspettava, una scenata? Magari sperava che tirassi una cinquina a Liam, conoscendo l’amore incondizionato che provava per Ourkid…
Lo fissai negli occhi azzurri, più chiari e più tendenti al grigio rispetto al fratello. – Cosa c’è? –
- Sicura che non ti dia fastidio la cosa? -
Strinsi le labbra e misi su la mia più convincente espressione pensosa – Mmm… No –
Ancora quei dannati occhi. Mi limitai a un mezzo sorriso – Ci tengo a Liam, ma – cercai la parola giusta, non parlavo mai di quelle cose così di solito non avevo bisogno di vocaboli per spiegare le cose a me stessa, rimanevano solo emozioni, sentori di un qualcosa – non mi ha lasciato, grazie a Dio, il tempo di affezionarmi a lui così tanto da lasciarmi basita trovandolo mentre scopa con una finta bionda -.
Noel si rilassò un po’. - E poi almeno adesso sarà felice: ha avuto la sua prima groupie! – soggiunsi io facendolo scoppiare a ridere. Aspirai dalla sigaretta e gettai un po’ della cenere a terra, standola ad osservare attentamente mentre ardeva ancora un po’ sul marciapiede. – Sai cosa ho visto la prima volta che sono stata con Liam, quella notte al Boardwalk? –, domandai alzando improvvisamente gli occhi.
Noel rimase un po’ spiazzato, vedevo che avrebbe voluto chiedere ma che allo stesso modo avrebbe desiderato essere mille miglia distante da quella domanda. Comunque non disse nulla.
- C’era uno specchio in un angolo, e ho visto noi due riflessi. Ma non eravamo proprio noi due, ho visto mia madre e mio “padre” – con le mani feci il segno delle virgolette – mentre avevano la bella idea di concepirmi -. Diedi un’occhiata a Noel, non m’aspettavo che dicesse nulla, solo che come il suo solito ascoltasse, confuso ma ascoltasse. Ma lui amava stupire… - Non ti riferisci a quell’idiota con cui vivi, non è vero? -
Sorrisi, o meglio, feci un ghigno – Ottima deduzione, Gallagher. Io non sono sua figlia, sono figlia di quella minuscola, insignificante percentuale di rischio di cui ti avvertono sui condom. Di quello sfortunato 3% - sospirai – be’ di quello e credo di una birra di troppo… Comunque, se devo raccontare la storia, lo faccio per bene. Mia madre ha deciso un mese dopo però di sposare Eugene Sheen, il suo promesso, che da bravo ragazzo qual’era ha riconosciuto la bambina nata da quella notte maledetta –
- Eugene Sheen è…? – provò a chiedere cercando di schiarirsi le idee. D’altronde pure io facevo fatica a ricollegare a quel mostro in vestaglia l’immagine di un amabile giovanotto.
Annuii e gli passai una Chesterfield e l’accendino, il fumo farà male ai polmoni ma almeno calma i neuroni – Gli anni passano, tu non sei in grado d’avere un figlio tuo e in compenso quello di un altro corre nel tuo cortile. Poi tua moglie muore, e in quella ragazzina vedi solo l’altro uomo… e il resto è storia – conclusi battendomi le mani sulle cosce.
- No, il resto è merda! -.
Osservai Noel stupefatta, da dove gli era uscito quel ringhio? Era così calmo sino un secondo prima.
- Perché non te ne vai?! Hai un lavoro, non ti potrai permettere un posto come Buckingam Palace, ma di sicuro c’è di meglio che vivere con uno stupido, fottuto... – non poté terminare gli aggettivi che gli avevo piantato addosso come spilli gli occhi, ma lui non si fermò e anzi mise avanti le mani come per difendersi – Lo so, è tuo padre. Però tu sei sua figlia e lui non si fa molte remore quando ti tira un destro! -
Questa volta non ebbi la forza di arrabbiarmi, non potevo farlo ancora con Noel quando non sapeva. La prima volta avevo voluto marcare il territorio ma adesso ero stata io a volermi aprire a lui, non potevo mentire.
Tirai fuori la mia carta d’identità dalla tasca posteriore dei jeans e gliela lanciai, lui l’afferrò al volo e l’aprì senza capire. Poi lesse.
- Hai diciotto anni? – sbottò incredulo.
- Leggi meglio -
- Non li hai ancora compiuti, li fai l’8 di dicembre – richiuse il documento e si arruffò i capelli, ma oltre quella cortina castana lo vidi alzare gli occhi al cielo.
- Non è una bella faccia la tua, quanti anni mi davi? -
- Giusto tre o quattro in più -, mi lanciò indietro la carta d’identità.
Ripensai al mio professore alle superiori che diceva che dimostravo la stessa mentalità di un camionista cinquantenne con l’ulcera… Forse aveva ragione, imbrogliavo bene la gente.
-  Cazzo – levai lo sguardo dal marciapiede – ho rapito una minorenne. Spero non mi denuncerai! – esclamò e mi fece sorridere lievemente, poi si sedette accanto a me. – Puoi andartene comunque di casa… chi se ne frega se dovresti avere il permesso di tuo padre. Quel genere di leggi non sono fatte per i tipi come noi -.
Lo guardai di sottecchi, - Non per gente che salta sui banconi del bar e si mette a fare spogliarelli –
- Hai un lato esibizionista che non avrei mai sospettato -
Buttai indietro la testa improvvisamente e scoppiai a ridere, ma in una risata fredda, del tutto priva di gioia. Quando tornai a guardarlo, Noel era estremamente all’erta, quella reazione non se l’aspettava.
- E’ strano come tu abbia nominato ora proprio quella parte di me… perché non me ne vado di casa? -
Lui era tutto orecchi, era strano come ci fossimo calati di nuovo in un’atmosfera gelida. Eppure il sole nel cielo cominciava a splendere per davvero.
- Mio padre ha in mano una perizia psichiatrica che dice che solo lui è in grado di decidere che cosa sia giusto per me, almeno sino alla prossima volta che avrò un incontro con uno psicologo, ovvero compiuti i diciotto anni. Sino ad allora senza il suo benestare non ho firma su niente: non posso ottenere un lavoro, non posso stipulare un contratto d’affitto -.
Noel sembrava turbato. In effetti la parola “perizia psichiatrica” scatenava più o meno quell’effetti su tutti.
- A quindi anni ho rubato l’auto del preside per scommessa ma mi sono andata a schiantare. Fecero accertamenti, e mi capitò uno specialista amico di mio padre, il quale aveva pensato bene che facendomi dichiarare mentalmente instabile mi avrebbe avuto in pugno. E di fatto non si sbagliava, è per questo che non voglio, non posso abbandonare casa. Per questo che non ho un cazzo di sogno -
Avevo parlato tutto il tempo senza smettere mai di osservare le reazioni di Noel, che in quel momento chissà perché mi sembravano l’unica cosa davvero reale in quello stupido mondo. Per la prima volta lo sentivo vicino anche fisicamente, stava per avvicinare una mano alla mia ma poi la strinse a pugno. – Ti credevo più forte -
Questo mi fece montare la rabbia dentro, non so bene perché ma so che qualcosa mi si chiuse dentro quando pronunciò quelle parole con… disprezzo.
- Be’ forse una volta lo sono stata, ma a furia di merda ti assicuro che perdi la voglia di lottare – sputai digrignando i denti davanti a quella sua faccia da cazzone, così pronto a dare giudizi.
Mi fissò per un lungo, infinito istante senza mutare espressione, - Non ti aspettavi mica che ti compatissi? Andiamo, io sono cresciuto sentendo ogni giorno una storia come questa. Vivendola. Credi che sia stato bello a sedici anni tirare un pugno in faccia a mio padre e intimare a mia madre di mollare quello stronzo? Oppure pensi che Guigsy sia stato felice quando si è rotto il crociato del ginocchio e gli hanno detto che la Premiere League se la scordava? -.
- Io… - riuscii a mormorare appena, la gola che mi ardeva per la rabbia, per la confusione, per… Noel. Nella mia testa Audrey stava giocando a freccette con un poster gigante di quello stronzo, ma non potevo che ammetterlo, aveva ragione lui. Aveva fottutamente ragione, e mi dava fastidio.
Poi inaspettatamente da quella maschera dura che aveva indossato spuntò un mezzo sorriso, - Tu non hai un cazzo di sogno, dici? Be’ allora io ti prometto che, volente o nolente, condividerai il mio -.
Scossi lentamente la testa, com’era possibile che non lo odiassi già più? I Gallagher mi stavano fottendo il cervello.
- E poi se firmeremo il contratto con la Creation dovrò comprare una chitarra migliore per registrare, quindi non avrò i soldi per comprarti qualcosa per il tuo diciottesimo compleanno. Così, ti regalo un sogno -.
Rimasi inebetita davanti a quelle bizzarre parole di quello strambo uomo quando lui bagnandosi le labbra riprese a parlare. – Sei sicura di non essere arrabbiata neppure un po’ con Ourkid -.
Gli restituì un sorrisino maligno, - Forse un poco, infondo noi donne non dovremmo essere gelose di natura… -
Noel inarcò le sopracciglia – o il monosopracciglio, dipende dai punti di vista -, comunque davvero buffo. Allora gli rubai di mano la bottiglia di Pepsi che stava sorseggiando quando mi aveva seguita, mi alzai e gli feci segno di venirmi dietro.
Raggiungemmo lo spiazzo e trovammo Guigsy e Bonehead che aspettavano che Liam liberasse il furgone. Mi ritrovai di nuovo davanti al portellone, ma questa volta non esitai. Spalancai e riversai all’interno l’intero contenuto della bottiglietta. Bionda procace, Liam. Completamente fradici e appiccicosi. Come la prima volta richiusi il portellone, ma al contrario non feci le mie scuse.
 

Is it worth the aggravation
To find yourself a job when there's nothing worth working for?
It's a crazy situation
But all I need are cigarettes and alcohol!
 
You could wait for a lifetime
To spend your days in the sunshine
You might as well do the white line
Cos when it comes on top . . .
 
You gotta make it happen!
 

http://www.youtube.com/watch?v=U6jhs6bF_JM <--- link di Cigarettes and Alcohol ;) Capitolo abbastanza lungo e spero che risolverà molti dubbi! 
Un grazie gigantesco come sempre a Buddy e Green Star, ma anche a chi legge in silenzio e uno in particolare a bacchides10 che ha aggiunto la storia alle seguite =)
Faccio (in ritardissimo) gli auguri per la pasqua e... be', commentate! ;) 
Ps: domandina tecnica, secondo voi il rating arancione è adatto a questa storia? o.O

Infine per par condicio con il fratello, questa settimana metto una foto di un Noel annata '92-'93 con una Epiphone da comune mortale, insomma come doveva apparire agli occhi di Cass xD
Ps: Evviva lo strabismo di familia :) 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Going Nowhere ***


Hate the way that you've taken back 
Eveything you've given to me 
And the way that you'd always say 
'It's nothing to do with me' 
Different versions of many men 
Come before you came 
All their questions were similar 
The answers just the same 


Mi svegliai di soprassalto, eppure quando fissai gli occhi ciechi nel buio sul soffitto della mia stanza…un momento: quella non era la mia camera da letto. Non era neppure casa mia. Mi bastò guardarmi attorno un secondo e anche confusa nel sonno ricordai. Mi misi sui gomiti e scrutai le ombre proiettate da dei mobili scompagnati nel salotto, e più in là i pensili della cucina, mi ributtai sul materasso del divano-letto in cui mi ero addormentata. A quanto pareva il mio subconscio aveva completamente cancellato il fatto che mi fossi trasferita a casa di Noel la notte prima… a casa di Noel e di Louise, per la precisione.
Mi misi a pancia in già soffocandomi quasi con un cuscino che sapeva un po’ di muffa. Ripensai a ventiquattr’ore prima quando ero ancora nel mio letto e subito mi trovai nelle orecchie di nuovo il ticchettio di alcuni sassolini contro il vetro della mia finestra. Infastidita mi ero alzata e sotto il portico avevo trovato Liam, Noel e Guigsy con in mano dei grossi sacchi della spazzatura. Era la prima volta che li rivedevo dopo un bel po’ di tempo. Dalla sera dell’esibizione e del mio striptease erano passate all’incirca due settimane o qualcosa i più, o di meno… non sapevo. L’unica cosa che sapevo era che avevo passato giorni in negozio senza vedere nessuno, il capo scontento di me perché facevo lavori mediocri – e io almeno quando si trattava di musica non ero mai mediocre – e che i miei lividi  avevano i lividi a loro volta.
Ero confusa, stupita, felice, intimorita, incazzata – odiavo essere svegliata nel sonno -, eccitata, un sacco di cose tutte assieme. Comunque li avevo fatti salire, Ourkid e il bassista avevano cominciato da subito senza dire nulla a mettere qualsiasi cosa gli capitasse a tiro dentro i sacchi, Noel invece mi si era avvicinato con il sorriso più stupido che gli avessi mai visto – stare troppo tempo con il fratello minore gli faceva male -.
- Ce l’abbiamo fatta – m’aveva detto, ed io per un attimo non avevo realizzato ma poi l’avevo guardato e spalancato gli occhi incredula, mi trattenni a stento dal tirare un urlo solo per l’estrema paura di svegliare il bastardo. Un conto era essere contattati da McGee un conto era firmare il contratto con la Creation Records. Ero stata tanto sopraffatta dall’idea che a Noel avevo risposto con un mezzo sorriso appena accennato.
- Un contratto da sei album – aveva precisato allora lui, pensando che forse non avessi capito molto bene.
- Avevi ragione – avevo allora ammiccato io – Sei diventato un fottuto astronauta -.
Noel era scoppiato a ridere, e il suono di quella risata fu come un ago che bucò la bolla in cui ero finita, solo allora mi domandai perché diamine stessero prendendo le mie cose.
- Ora potremo pagarti, per cui prima cosa verrai via di qui -
Senza neppure pensare avevo scosso la testa testardamente – Non se ne parla –
Lui mi aveva guardato duro – Sei la nostra roadie, no? Be’ dovremo averti sempre con noi, non possiamo rischiare ogni volta d’essere ammazzati da un pazzo se ci avviciniamo a dove vivi –.
Era stato davvero molto convincente, se l’avesse visto qualcuno avrebbe pensato davvero che lo faceva per lavoro. Invece non era così, tu di sicuro ci speri, m’aveva sussurrato maligna Audrey. Solo in quel momento avevo per la prima vera volta pensato al mondo al di fuori della mia stanza, ad un mondo senza la paura di scendere una scala per prendere del cibo nel frigorifero. Cazzo se doveva essere bello quel mondo. Da quell’istante in poi era stato facile lasciarsi convincere, acconsentire, prendere la strada che nel buio di quella notte, nei sorrisi di Noel, Liam e Guigsy mi era sembrata la più facile. Con in mano le ultime cose, tra cui un cd dei Ride intitolato Nowhere mi lasciai alle spalle quella che non era mai stata casa mia.
Ora che però mi ritrovavo in quel divano-letto dal materasso bitorzoluto rivedevo il sorriso di circostanza con cui m’aveva salutato Louise quando m’aveva trovato nel loro appartamento – mi ero domandata se sapesse del mio arrivo -; ripensavo alla faccia un po’ perplessa di Noel che contava i soldi dentro al portafoglio, oppure risentivo le grida di entrambi quando pensavano che io fossi uscita a fare quattro passi e la fastidiosa vocina di Audrey che insinuava che gli Oasis non ce l’avrebbero fatta, che io sarei tornata dallo stesso buco di ragno da cui me ne ero venuta. Che era il luogo che meritavo.
Mi concentrai nuovamente sul ticchettio dei sassolini che aveva tirato Liam, ma questa volta non mi riuscì, il suono nella mia testa fu sopraffatto da alcuni gemiti ovattati appena dalle pareti sottili. Oh, andiamo! Non anche il sesso riconciliatorio! Diedi una testata contro il muro sperando così di far uscire dalla mia testa quei rumori, ma niente. Superfluo dire che dormii assai poco quella notte.
Il mattino mi alzai davvero presto, sperando di fare una colazione veloce e d’uscire subito di casa senza troppi problemi. Non feci in tempo ad afferrare il cartone del latte che udii uno scricchiolio alle mie spalle, mi voltai: pelle scura, sorriso smagliante – ma pure al mattino?! -, capelli afro. No, decisamente, quello non era Noel.
Io abbozzai un sorriso. Strana situazione, davvero strana. Affogai le mie riflessioni nel latte parzialmente scremato dato che sotto mano non avevo nulla di più forte. Il mio regno per del Jack Daniel’s.
- Ti trovi bene? – domandò Luise da sopra una fetta di pane e marmellata.
Masticai a lungo il mio toast, all’apparenza ricordandomi improvvisamente di come mangiare lentamente fosse importante per la digestione. – Sì, sì ho dormito come un sasso – sorso di latte, molto lungo – Grazie dell’ospitalità -.
Dopodiché presi a interessarmi alle venature del legno del tavolo, che fosse di noce? Ma il gelo continuava ad ammantare me e Louise, un freddo polare scandito dal tintinnare dei cucchiaini sulla ceramica. Quando infine comparve Noel mi rilassai un poco, al contrario della padrona di casa. Pareva s’aspettasse che gli sarei saltata addosso da un momento all’altro. Va bene che ero un’adolescente con gli ormoni in subbuglio ma mi potevo ancora controllare davanti alla disarmante bellezza di Noel Thomas David Gallagher in assurda camicia a righe – residuato anni ’80? – pantaloncini e calzino lungo. Mi sfuggì un ghigno, ma per fortuna non lo notò nessuno dei due.
Incrociai le gambe sulla sedia e mentre finivo ciò che rimaneva della mia colazione mi ripetevo nella testa l’assolo di Fade To Black dei Metallica…
- Come va con Liam? -
Alzai appena lo sguardo, smarrita, non avevo capito una sola parola a parte il nome di Ourkid.
- Ho detto come va con Liam -.
- Ah – rimasi un attimo titubante, ma poi sfoderai un sorriso trentadue denti – alla grande, stiamo assieme! -
Noel che aveva tenuto le orecchie ben tese per un secondo o due si fermò sbigottito, poi i suoi neuroni fecero sinapsi. – Non vi dovete infatti mica vedere oggi pomeriggio? –
Io dentro di me scoppiai a ridere, sembrava una scena molto da Happy Days, mancavano giusto le risate pre-registrate del pubblico divertito dall’ottusità di The Chief.
- Mi porta a conoscere loro madre, Peggy – ammiccai in direzione di Louise. Noel da sotto il tavolo mi tirò un calcio sull’unica gamba che avevo lasciato giù a penzoloni. A quanto sembrava non apprezzava troppo la mia fantasia e la mia capacità d’inventare balle assurde: con Liam avevo scambiato giusto un paio di parole da dopo la storia della Pepsi. In realtà solo perché mi divertiva vederlo trotterellarmi intorno come un cucciolo in cerca di perdono, sapeva essere stranamente tenero quando aveva un qualche fine.
Dopo quel siparietto da cabaret Louise assunse un’espressione molto più benevola nei miei confronti anche se persisteva quel glaciale sorriso di circostanza che mi faceva pensare terribilmente al Jack Nicholson di Shining. Il cipiglio da serial killer aumentò esponenzialmente quando Noel le disse con preavviso di quattro ore che nel primo pomeriggio sarebbe dovuto partire per il sud del Galles, dove sarebbe restato qualche giorno con la band per perfezionare le demo e usare in seguito il materiale per la registrazione del disco.
- Prepara la tua roba – mi disse arrivando dal dietro, io ero affacciata alla finestra, la grigia Manchester davanti a me.
- Devo venire anche io? -
- Avevo capito che eri stata una roadie prima d’ora…non mi pare invece -
Gli diedi una gomitata, non sopportavo che la gente mettesse in dubbio le mie doti. – Ho capito, mi farete sfacchinare un po’ –
- Ehi, sono una stella ora, cazzo – mormorò, la sigaretta tra le labbra – Non posso più fare certe cose -.
Lo fissai attenta.
- E poi un altro paio di orecchie non fanno male – ammise alla fine, ma poi soggiunse immediatamente – Che c’è? -. Quella era la conferma. Avevo sempre pensato che se si guarda davvero una persona questa si accorge di qualcosa, come di una scarica elettrica, e quella era la conferma che avevo ragione.
- Niente – scrollai le spalle e gli rubai la B&H che aveva tra le dita per prendere una boccata – penso… credo che non dovrei essere qui -
- Se preferisci quella bella villetta abitata dal quel simpatico gentiluomo dal destro potente, non c’è che da dirlo e ti diamo una mano a fare le valige – commentò semplice.
Sputai fuori il fumo – Non fare lo stronzo – lo rimbeccai mollemente – E’ solo che… -. Mi bloccai pensai all’immagine che avevo nella testa: quel treno su cui ero salita e che ora non avevo la minima idea di dove mi stesse portando. – Hai mai avuto la sensazione di non star andando da nessuna parte? –. Io ero seria, molto seria, di una serietà che non dovrebbe appartenere a una diciassettenne. Lui invece mi rise in faccia, risata beffarda la sua.
- Quando? Decidi tu, quando mi chiudevo in stanza le ore a suonare fingendo che fuori di lì non ci fosse nulla? Oppure, magari, quando marinavo la scuola per andarmi a fare di colla? -
Domandava, domandava ma io rimanevo zitta.
- Darlin’, io sentivo di non andare da nessuna fottuta parte anche quando stavo viaggiando per mezzo mondo con gli Inspiral Carpets – si riprese il mozzicone di quella che era stata la sua sigaretta e lo gettò giù dal balcone. – Te l’ho detto, questa è la storia di tutti noi – borbottò, ma senza neppure essere tanto corrucciato - Persino il caro Liam ti direbbe che stiamo andando da nessuna parte se non fosse che è troppo idiota per accorgersene -.
Mi strappò un sorriso a fatica, - Non dovrebbe andare così – protestai testarda – Lo dici pure tu nelle tue canzoni, no? –
- Eppure va’ così… altrimenti a che servirebbero i sogni? -
Alla dialettica da balcone, alla filosofia da sigaretta di Noel infine non seppi più che obbiettare così mi stiracchiai e buttai lì – Metto assieme le mie cose –
- Dunque vieni con noi? -
- Verrò ovunque, anche da nessuna parte, sino a che ci sarà una chitarra da aggiustare o un amplificatore da potenziare per far saltare le cervella a qualcuno con l’overdrive – replicai prima di girarmi, giusto un paio di passi e mi fermai.
- Ah e grazie per aver detto a Louise quella cosa -
- Sempre al suo servizio, Chief -.

 
I'm gonna get me a motor car 
Maybe a Jaguar 
Maybe a plane or day of fame 
I'm gonna be a millionaire 
So can you take me there? 
Wanna be wilde 'cos my life's so tame 

Here am I, going nowhere on a train 
Here am I, growing older in the rain 
Hey 'ey

 

Eccomi! Allora prima di tutto chiedo ammenda per la lunghezza imbarazzante del capitolo ma prometto sul tamburello di Liam che il prossimo capitolo sarà più soddisfacente ;)  La canzone è una B-side presente in The Masterplan ed è stata scritta da Noel proprio dopo la firma del contratto con la Creation, quindi in un mondo parallelo e molto ipotetico potrebbe essere stata ispirata dal discorso con la giovane Cass xDhttp://www.youtube.com/watch?v=QB0B93FLS-M
Grazie a coloro che seguono, preferiscono, commentano ma anche leggono in silenzio. 
Ah e il capitolo lo dedico alla mia compagna di banco che sopporta i miei scleri da fan, che ha giurato d'essere pronta a bigiare persino la verifica di matematica se Noel dovesse fare un concerto e che m'ha fatto un regalo di compleanno stupendo! Thanks Cuguuu! 
Cheers^^
 

Ps: Foto del 92-93 circa, così finalmente ci sono tutti :)

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Bring It On Down ***


What was that sound ringing around your brain? 

Today was just a blur, you gotta head like a ghost train 
What was that sound ringing around your brain? 
You're here on your own who you gonna find to blame? 
You're the outcast, you're the underclass 
But you don't care because you're living fast 

 

La pennata: plettro su corda metallica. Energia che pervade i pick-up, risale attraverso il jack ed infine esplode attraverso l’amplificatore, accompagnata da una moltitudine di emozioni scosse che arrivano a non farti sentire più il battito del cuore ma solo quello della grancassa. Cazzo che roba! Questo era l’unico pensiero coerente che riuscivo a ripetermi all’interno della mia mente -la povera Audrey spazzata via dalla potenza di un ampli della Vox, tutta scomposta contro la mia scatola cranica - e intanto la musica continuava a diffondersi nell’aria come il più meraviglioso dei profumi, come l’aria d’estate in un campo immenso, sotto un cielo cobalto. Lo stesso che avrei potuto vedere se fossi uscita dalla sala prove ma andiamo, chi se ne importava di un cielo terso quando potevi startene con la musica a palla nelle orecchie. Liam stava finendo di cantare Columbia, di cui avevo coperto con mia grande sorpresa aveva scritto il ritornello, e se ne stava stravaccato sul microfono, una mano ad impugnarlo come se fosse stata l’unica ancora di salvezza possibile. Noel sulla coda strumentale del pezzo aveva preso ad ondeggiare e faceva ballare i piedi in una strana, buffa, indescrivibile maniera, alzò lo sguardo e mi fece l’occhiolino.

Eravamo arrivati in Galles quel pomeriggio e anche se era tardi eravamo subito andati in sala a provare: era stato un piacere dopo tanto tempo venire sfruttati come animali da soma, correre in giro alla ricerca di qualsiasi cosa i ragazzi avessero bisogno, litigare con una pedaliera difettosa e tutte quelle altre cose che facevano parte del mio lavoro ora. La sera avremmo pernottato in un angusto hotel di terza categoria, di cui potevamo permetterci appena due stanze il che implicava che due di noi avrebbero dovuto dormire sul pavimento. Musica frastornante, lavoro duro, notti insonni e cibo scadente: diamine questo sì che era rock and roll! Altro che riparare strumenti in un negozio di periferia.
Uscii un attimo dalla sala prove, per quel giorno non avremmo ancora registrato, sarebbe stato solo un po’ d’esercizio in vista del giorno successivo. Andai al distributore automatico e feci scendere sei lattine di Canadian, dopodiché me le caricai fra le braccia, prima di rientrare sostai un secondo fuori dalla porta – la birra in precario equilibrio – a scrutare attraverso la cortina della tapparella metallica che proteggeva da sguardi indiscreti. Bonehead e Noel stavano scherzando tra di loro, Liam fissava il vuoto pensando a chissà che cosa, mentre Guigsy invece sistemava il suo basso. Mi piaceva fermarmi alle volte ad osservare il mondo. Rientrai con la birra e venni accolta con un clamore che alla Regina Elisabetta di sicuro non sarebbe stato riservato, ognuno si aprì una lattina a parte McCarroll che preferì andare al bagno per la… diamine avevo perso il conto, che soffrisse d’incontinenza? Così approfittai per prendere il suo posto, le bacchette in mano: il mio luogo d’appartenenza era sempre stato alla chitarra, ma c’era qualcosa di stranamente ammaliante nella batteria che mi faceva ogni volta venire la voglia di provarla. Cominciai con qualcosa di leggero, un po’ alla Ringo Starr per capirci.
- Sai suonarla? – mi domandò un po’ titubante Guigsy.

- Me la cavo. Il mio primo e ultimo ragazzo era un batterista… - mormorai soprappensiero, infine feci un mezzo ghigno mentre colpivo un piatto, - in effetti se ci penso mi sa che ero più attratta dalla sua batteria che da lui -. Tralasciai la parte in cui avrei dovuto lodare i suoi lunghi fluenti capelli d’oro o il fisico scolpito, ma Liam mi stava fissando come un gallo cedrone in amore, il petto gonfio tanto da esplodere. Ma d’altra parte le uniche cose decenti che avevo tratto dal nostro rapporto era stato l’imparare a tenere un tempo sincopato sulla batteria e una scadente prima volta, più se si vogliono tenere da conto un tal numero di corna da far impallidire un branco di cervi, ma tralasciamo…
Poi un’idea cominciò ad attraversarmi il cervello, più che altro un’impressione che mi aveva raggiunto la notte dell’esibizione a Glasgow e che nelle due settimane successive si era sedimentata sul fondo del mio cervello: cominciai a battere più forte, due colpi sul rullante e uno sul tom 1, ogni tanto un richiamo sul timpano e il crash.
- Che diamine fai? – mi gridò Noel al di sopra del frastuono.
- Fate Bring It On Down – gli urlai io in risposta, i due chitarristi rimasero un po’ perplessi ma poi presero a suonare e man mano che il suono delle chitarre s’aggiungeva ai colpi della batteria la fantasia nel mio cervello prendeva forma, sistemavo qualche dettaglio qua e là e quando finalmente pure Liam prese a cantare tutto ebbe un senso. Tutti si lasciarono andare, trasportati più che altro dall’istinto, vidi Noel cambiare alcune cose al contrario della canzone originale e Bonehead andargli dietro. Stavamo creando quel flusso di note e suoni che si concatenavano perfettamente. E dettaglio non trascurabile ci stavamo divertendo. Io mi stavo divertendo, che cosa fuori dal comune.

- Bring it on down! – si mise Liam a gridare il ritornello nella mia direzione, un invito a pestare di più su quella maledetta batteria, - Bring it on down for me! – lo raggiunse Noel con la seconda voce anche se non avrebbe dovuto essere così. – Sfascialo, sfascialo per me -.
Alla fine, sull’ultimo accordo tirai un colpo così forte al crash da farlo incrinare e mandare la bacchetta letteralmente in pezzi… Dio mio, ma da dove mi usciva tutta quella forza? Liam raccolse mezzo divertito e mezzo sbigottito un’enorme scheggia di legno e rimase a fissarla inebetito per diversi secondi.
Nonostante il danno però tutti continuavamo ad aver stampato in faccia un ilare e assai stupido sorriso di soddisfazione. Diciamo tutti meno McCarroll che era rientrato in quel momento e non sembrava esaltato dalla cosa quanto gli altri, forse però era solo una mia impressione. Stavo per dirgli che gli avrei ripagato le bacchette quando mi latrò in faccia. – Vai via di lì, you twat -. Già, non l’aveva presa bene.

Stavo per rispondergli a tono però Noel fu più veloce di me, in realtà il pugno sinistro di Noel fu più veloce e colpì il batterista al plesso solare mandandolo a tappeto. Stava già per caricare un calcio quando Liam lo spinse via rudemente facendolo cadere addosso ad un Marshall che cadde dal supporto su cui si trovava. Un fracasso indescrivibile.
- Che cazzo fai?! -
- Che cazzo fai tu?! – ribatté Ourkid.
Noel mentre si riprendeva fissò un istante l’amplificatore da cui era saltata la mascherina che conteneva i controlli, lo vidi emettere un lungo respiro come a buttare fuori la rabbia. Grazie a Dio. Eh, no che caz… sbattei le ciglia e Noel era partito di nuovo con un sinistro deciso che puntava diretto alla faccia di Liam, questi gli intrappolò il braccio e l’attimo dopo i due fratelli erano a terra, avvinghiati: un secondo sembrava che stesse prevalendo uno e quello dopo l’altro assestava un colpo. – Prima non fai niente e ora che lui la insulta fai il cavaliere, sei un codardo –
- Piccolo bastardo irriconoscente -

- Sei solo uno stronzo vigliacco -
Per un po’ stetti a guardare congelata, non fosse stato che tenevo all’incolumità d’entrambi forse sarei rimasta senza muovere un dito: di solito le risse mi divertivano. – Bonehead, svegliati! Dammi una fottuta mano! – esclamai alzandomi e afferrando Liam per le spalle. Tirai per staccarlo dal fratello che gli stava sotto: diamine era più forte di quel che sembrava! Poi Ourkid si chinò su Noel e gli disse qualcosa che non riuscii a cogliere ma l’altro per tutta risposta gli sputò in faccia – Muori – borbottò. Finalmente poi insieme a Bonehead riuscii a dividerli.
Noel barcollò all’indietro, un taglio sulla fronte da cui era colata una cortina di sangue, era quasi irriconoscibile. Fece una smorfia e scomparì sbattendo la porta. Un secondo dopo Guigsy mi guardò indeciso e io allora gli feci segno con la testa – Seguilo, non vorrei finisse sotto un auto. Ci vediamo all’hotel -.
Bonehead si passò una mano trai capelli che già allora non abbondavano riprese in mano la sua lattina e, dopo essersela scolata in  paio di sorsate, la stritolò gettandola su di un tavolo. Prese McCarroll per un gomito e lo trascinò fuori con sé, anche se a dirla tutta il batterista non pareva aver comunque molta voglia di passare del tempo nella stessa stanza con me – mi sa che avevo tanto l’aria di una pronta a staccargli la testa a morsi – e Ourkid che probabilmente non aveva ancora esaurito la sua voglia di pestaggi.
Ecco, Liam mi fissava dal pavimento con quei intensi – strabici – occhi verdazzurro.

- Che c’è, non mi dai una mano ad alzarmi? -.  Aveva quella faccia strafottente che non sapevo se amare o odiare, ma in ogni caso avevo idea che ci avrei dovuto combattere per un bel po’ di tempo.  Assottigliai lo sguardo ma alla fine gli offrii la destra e lo aiutai a tirarsi su, gli pulii il sangue che perdeva dal labbro e gli passai la birra che era ancora abbastanza fredda per lenire il dolore.
- Bel casino, eh? – mi domandò circa un minuto più tardi, quando ormai ce ne stavamo appoggiati ad uno dei due amplificatori superstiti.
Anche questa volta lo bruciai con gli occhi, infastidita da quel suo fare così spensierato, ma lui continuò a fissarmi con il suo stupido sorriso sino a che non ammisi – Già, gran casino… Non penso che mi metterò a suonare una batteria per un bel po’ di tempo se sono questi gli effetti -.
- E’ lui ad essere il solito coglione -
- Non so perché ma ho idea che lui direbbe lo stesso di te. E comunque dovresti smetterla di dargli del codardo -.
Mi rise in faccia sguaiato – Cosa cambia se non glielo dico, quando tanto lo penso lo stesso e lui pure lo sa? -, un secondo di silenzio, - E non guardarmi così, so che ti si può toccare il tuo piccolo dolce Noel – mi canzonò.

Io arricciai le labbra disgustata, speravo davvero con tutta me stessa che fossero le tre lattine di birra bevute in auto a parlare in quel momento. Anche non fossero state quelle però, avevo conosciuto abbastanza a fondo Liam per sapere che stava solo tentando di provocarmi per vedere che avrei buttato fuori.
- Ok, sentiamo un po’: cosa ti ha raccontato davvero di quel che accadeva a casa nostra? -
Pensai un attimo. Noel aveva buttato giù frasi qua e là, e non ci sarebbe voluto un genio per capire come giravano le cose a casa Gallagher. Però mi concentrai sulla parola che Ourkid aveva calcato volutamente con la sua pronuncia biascicata. Raccontato? Nulla. Io mi ero aperta con lui e lui mi aveva capita, ma non viceversa. Era sempre stato così si da quando parlavamo per ore nel negozio, solo che ero sempre stata troppo presa dagli eventi per accorgermi coscientemente d’essere davanti a un muro. Mi stupii che avesse dovuto farmi accorgere di ciò Liam, ma infondo era lui suo fratello e doveva pur esserci qualcosa oltre ai cazzotti, e mi stupii ancora di più quando lui stesso la parola che avevo pensato.
- E’un fottuto muro. Ma d’altronde che t’aspetti da un cazzo d’eccentrico che invece di guardare la tv dal divano con la sua ragazza preferisce starsene da solo su una sedia? – bofonchiò togliendosi la Canadian dal labbro e aprendola, - Comunque, dicevamo? – riprese vivace.
- Te la faccio breve. Papà picchiava, picchiava duro… potrebbe essere divertente vedere uno scontro tra il mio stronzo e il tuo, sai?… tornava dal pub dopo aver speso tutti i soldi e sapendo d’essere il bastardo qual’era sfogava la sua rabbia su di noi. Mia madre la vedevo con un occhio nero e ci raccontava che aveva sbattuto contro una porta! –, rise amaramente ed io non potei che tornare con la mente alla balla che avevo raccontato a Noel sulla mia mano, - Le pigliavo un po’ tutti comunque, forse Paul e Noel un po’ di più ma ciò che conta è che non avevano mai le palle di fare qualcosa. Lui si rinchiudeva nella sua fottuta stanza ed ero solo io a mettermi in mezzo, a proteggere mamma -.

Audrey nella mia testa era stordita, com’era possibile che il ghigno divertito di Liam fosse scomparso per far posto a quella voce dimessa? Davanti ai miei occhi per pochi secondi lo rividi tornare il bambino di Burnage, risentii sulla pelle il suo pugno stretto di qualche settimana prima quando aveva tentato di impedirmi di tornare dal bastardo e seppi che una mano molto più piccola aveva fatto lo stesso un tempo con il polso di Peggy. Fu un’impressione fugace ma che rimase impressa nel mio cervello a lungo, spezzata solo quando Liam tornò  a parlare con voce di lama. – Non dico che se lui avesse fatto qualcosa le cose sarebbero cambiate, era anche lui solo uno stronzetto, però avrei voluto che ci provasse quanto me invece che ritirarsi nel suo mondo privato e fingere – concluse gettando la lattina vuota nel cestino.
- Capito -. Il mio cervello stava viaggiando ad una velocità così assurdamente elevata che non riuscii a rispondere niente di meglio, come se qualunque parola avesse potuto compromettere il flusso di pensieri.
- Ora spero che non mi dovrò sorbire i tuoi sguardi di fuoco ogni volta che gli darò del codardo – sorrise di sbieco – anche se devo dire che hanno un che di estremamente eccitante – e allungò una mano sino alle mie labbra, ma io rimasi immobile come una statua. Un pensiero aveva colpito improvvisamente la mia mente.
- Cosa gli hai detto per farti sputare in faccia? -
Anche Liam si riprese dal suo momentaneo picco di testosterone e fece – Solo la fottuta verità, se ti interessa -.
Rimasi immobile, s’aspettava che gli avrei chiesto cosa era questa fantomatica rivelazione ma non gli diedi la soddisfazione: se era una sua invenzione non volevo sentirla e se invece, come diceva lui, era il vero avrei voluto vederlo uscire dalla bocca di Noel e non dalla sua. Tagliai di netto la tensione, soprattutto fisica, che c’era tra noi e gli strinsi la mano che aveva messo a sostare sul mio collo – Sarà meglio che pure tu faccia ritorno in hotel: qua dell’amplificatore e del piatto rotto me ne occupo io. Ci vediamo là -.
Liam mi rivolse uno strano sguardo come un po’ smarrito prima d’afferrare anche quella che avrebbe dovuto essere la mia birra, - Comunque mi hai perdonato oppure devo avere sempre addosso il tuo cazzo di sguardo recriminatorio? -.
Era davvero così stupido da non essersi ancora accorto che per me era un gioco? – Vedi di non combinare altri casini – ribattei cominciando a staccare il crash dal supporto per vedere che si poteva combinare, poi però soggiunsi – Ah e dopo questo fantastico pomeriggio che m’avete fatto passare io non passo la notte sul pavimento, dormo con te nel letto -.
Audrey spalancò gli occhi a palla davvero molto confusa. Invece prima che se andasse mi pareva d’aver letto nello sguardo di Liam una punta di malizia.

 

You're the un-invited guest who stays 'till the end 
I know you've got a problem that the devil sent 
You think they're talking 'bout you but you don't know who 
I'll be scraping your ass from the sole of my shoe tonight

 

Mi ritrovai davanti alla porta di un bagno comune di un pessimo hotel di periferia alle dieci di sera – per essere precisi quello dove alloggiavamo – a fissarne il legno sciupato. Guigsy m’aveva detto che dopo aver faticato un bel po’ per riportare Noel all’hotel – da come l’aveva detto intuii che più che altro l’aveva seguito, sino a che The Chief non aveva deciso di sua spontanea volontà di tornare – questi s’era chiuso nel bagno con la sua Epiphone acustica e che non s’era più fatto vedere. Avrei potuto sospettare che Noel se la fosse battuta dalla finestra solo per essere lasciato in pace ma di tanto in tanto mi arrivano piuttosto chiari gli accordi di una chitarra. Fui quasi lì per lì dal bussare ma qualcosa nella pennata sulle corde mi diceva che non avrei ricevuto alcuna risposta. Mi guardai intorno, avvistai un carrello delle pulizie e presi uno degli asciugamani di carta che venivano messi nelle stanze, ne strappai un pezzo e con una penna che mi portavo in borsa scribacchiai un paio di righe. Rilessi un attimo, giusto per dare il tempo a Audrey di strabuzzare per l’ennesima volta gli occhi e poi lo feci scivolare sotto la porta.
Mi avviai lungo il tetro corridoio, decisa ad andare alla ricerca di un distributore di sigarette e di vagabondare un po’ sola assieme ad Audrey che nei meandri della mia testa faceva lo stesso, solo che lei era in cerca di una aspirina per calmare un mal di testa da Gallagher.

Bring it on down, bring it down for me 
Your head's in a fish tank 
Your body and your mind can't breathe

 

Tornai che dovevano essere circa le due, avevo passato il mio tempo fumando quasi metà del pacchetto di Benson & Hedges che avevo comprato e ad osservare dal tetto dell’hotel il caseggiato di fronte. Trovavo qualcosa di perversamente affascinante e hitchcockiano nell’osservare la gente dalla finestra e vedere come si svolgeva la loro vita in quei loculi. Mi sa che almeno su una cosa lo strizzacervelli  non aveva sbagliato: manie di controllo e complesso divino.
Comunque quando aprii piano la porta della stanza quasi neppure un filo di luce si proiettò all’interno, e così procedetti a tentoni nel più totale silenzio. Mi fermai: distinti potevo udire due respiri che s’alternavano pacifici. Doveva essere stato talmente buio quando uno dei due era tornato che non s’era neppure accorto che l’altra persona nel letto non ero io ma il fratello. Probabilmente me l’avrebbero fatta pagare se l’avessero saputo, trattenni a stento una risata. Se quello di dormire assieme poteva essere una cosa come un’altra per due persone normali per Liam e Noel era diventato un affare di stato quel pomeriggio, nessuno voleva condividere il letto con l’altro: preferivano me. Be’ me per metà li avevo accontentati, infondo, pensai mentre mi sdraiavo ad occupare lo spazio centrale che era rimasto. Chiusi gli occhi, feci un respiro profondo. Li riaprii, i miei occhi s’erano abituati un poco di più all’oscurità e ora potevo quasi distinguere le sagome dei due fratelli accanto a me. Mi rigirai sul materasso bitorzoluto di quel lurido hotel, c’era una strana pace dei sensi in tutto ciò.

 

You're the outcast, you're the underclass 
But you don't care because you're living fast 

 

Mi svegliai per il freddo. Diamine che cazzo di freddo! Nel dormiveglia tirai a me le coperte ma tutto ciò che feci fu solo arpionarmi una coscia… dove cazzo erano finite le fottute coperte?! Tastai tutto attorno sino a che non individuai una vaga fonte di calore, mi avvicinai, troppo rincoglionita dal sonno. Mi aggrappai con il pugno a della stoffa, ma non era quella gonfia del piumone, non faceva molta differenza però. Mi strinsi di più sino a quando non capii da dove arriva tutto quel tepore: un corpo. Dio, Liam per la prima volta in vita tua ti rendi utile!
Soddisfatta d’aver trovato il mio caldo, accogliente posto nel mondo almeno sino a quando non avrei dovuto alzarmi, mi rilassai, la testa contro la sua schiena. Aprii il pugno e lasciai scorrere la mano sin sotto alla t-shirt, abbracciati in onore dei vecchi tempi – che poi tanto vecchi non erano -, e cominciai a formare cerchi e spirali con la punta delle dita sulla pelle. Quella dei cerchi e delle curve era una mania – ok, una delle tante – che avevo e che sempre m’aveva aiutato ad addormentarmi. Mi fermai con la mano sull’osso un po’ sporgente del bacino, quando all’improvviso la mia stessa mano fu intrappolata da un’altra… e così lo stronzo era sveglio… Gli tirai un pizzicotto con le unghie e allora lui strinse di più la presa impedendomi ogni movimento, quasi facendomi male con quelle maledette mani callose. Un attimo: Liam non aveva mai avuto calli sulle mani, tanto meno calli da chitarrista. Devo ammettere che rimasi un attimo con il fiato intrappolato nei polmoni. Noel.
Finalmente il mio stupido cervello mi comandò di espirare. Solo allora mi accorsi che il pugno che aveva racchiuso la mia mano si era un po’ allentato, mossi un po’ le dita – un movimento minimo – e lo stesso fece lui per reazione, riprovai e fu ancora lo stesso: era un gioco stupido ma era forse anche il più intrigante che avessi mai fatto in vita mia. Allora non so per quale preciso motivo, desiderio o pensiero ripresi a disegnare i miei cerchi. Percorsi lo stomaco, il profilo delle costole, sfiorai appena l’elastico dei pantaloni per poi andare a lambire l’ombelico. E per tutto il tempo ci fu la presenza di quella mano, lì da qualche parte non ben identificata, accanto al mio braccio.
Un secondo dopo si rigirò su se stesso e mi ritrovai con la fronte poggiata al suo sterno, soffocata quasi nella sensazione ovattata della maglia sul viso. Posò un dito sul mio braccio destro e cominciò a sua volta a tracciare una curva. Non fece neppure una semicirconferenza che nella stanza risuonò lo squillo del telefono, saltò via e con impensabile rapidità si mise a sedere, un secondo dopo aveva già la cornetta in mano. Potevo sentire la voce del padrone dell’hotel che lo avvisava che c’era una telefonata in attesa, e quando Noel rispose a questa dal ricevitore uscì la voce squillante di Louise che gli augurava un buon compleanno.
Tagliai fuori dal mio cervello il sonoro.
Mi ritrovai stupita della velocità con cui era saltato a quel solo squillo, come se si fosse sentito scoperto, di cosa poi? Aprii gli occhi nella penombra mattutina, se qualcuno aveva la coscienza sporca di certo non ero io. Io ero rimasta dov’ero immobile, unica differenza il braccio abbandonato nel lieve avvallamento del materasso che lui aveva lasciato dietro di sé.
Mi voltai dall’altro lato, trovando Liam che dormiva pacifico nonostante il rumore provocato dal telefono e che se ne stava avvolto in un bozzolo di coperte. Alla fine il ladro era lui, piccolo bastardo, se solo non avesse rubato il piumone…
Chiusi gli occhi. Al risveglio avrei dovuto ricordarmi di fare gli auguri a Noel.
 

You're the un-invited guest who stays 'till the end 
I know you've got a problem that the devil sent 
You think they're talking 'bout you but you don't know who 
I'll be scraping their lives from the sole of my shoe tonight

 

Riecco il nuovo capitolo! Da parte mia non penso ci sia niente da aggiungere, di avvenimenti mi pare ce ne siano stati xD quindi ditemi voi! (sì, parlo a te oscuro lettore silenzioso u.u) 
Detto questo vi lascio con la disarmante modestia di Noel 
http://www.youtube.com/watch?v=sgbSHNC6ArM ("Questa è conoscienza! La conoscienza è potere! Sono il signore dell'universo!" cit. NG)
Cheers^^

Ps: per quanto detto da McCarroll ("you twat"), twat è una parola molto volgare dello slang Inglese, in particolare del nord, che potrebbe equivalere al nostro f**a e che riferito ad una ragazza prende un'accezione ancora più offensiva 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Headshrinker ***


I know a girl who's lost and lonely
Sits by the phone on her own
But the phone don't ring
And the birds don't sing in her tree
She lost herself in a haze of pity
And doesn't know where to run
Needs a headshrinker now
And I think its time we had some fun 


Prendete tanta musica, un appartamento senza aria condizionata, giornate passate prima sotto il sole cocente e poi a ripararsi dalla pioggia scrosciante, produttori malcontenti, lunghe attese a fermate di autobus, piccoli concerti serali con pubblico odioso, strumenti da riparare, marijuana, cibo stantio, registrazioni di demo, bollette da pagare; ora aggiungetevi eccitazione, serate passate bevendo birra, preoccupazione, delusione,  felicità senza un motivo, litigate furiose con fidanzate, In Utero dei Nirvana, pestaggi quasi sfiorati e risse non evitate. Ecco messo tutto assieme avrete ottenuto all’incirca la mia estate e gran parte del mio autunno. Dimenticavo, l’ingrediente segreto: due fratelli attaccabrighe e boriosi, possibilmente Gallagher. 
Da giugno in poi i sei mesi che seguirono furono i più altalenanti della mia giovane vita, tutto si era mosso ad una così alta velocità che non ebbi la tregua di fermarmi a pensare un solo dannato istante che cosa stesse succedendo, e sinceramente di saperlo non me ne importava nulla. Fu così però che un giorno di dicembre mi alzai e mentre infilavo la bustina del tè dentro la teiera a fiori di provenienza mamma Peggy mi cadde l’occhio sul calendario. Era l’8 Dicembre. In quella data erano successe parecchie cose: era stata combattuta la Battaglia delle Isole Falkland, gli americani avevano dichiarato guerra al Giappone, Mark Chapman aveva ammazzato John Lennon e lì in mezzo a tutto quel caos nello stesso giorno ero nata io. La teiera mandò uno sbuffo per farmi capire che era ora che la tirassi giù dal fuoco. Cazzo, avevo diciotto anni.

Mi versai una tazza e seduta al tavolo cominciai a rigirare il tè con il cucchiaino, così senza una precisa ragione dato che non ci avevo messo neppure lo zucchero. Essere maggiorenne implicava un po’ di cose - baggianate come poter guidare un auto, andare a votare… - ma soprattutto che quella settimana sarei dovuta andare da uno psichiatra per accertare il mio stato mentale. Gran bel regalo di compleanno.
Poco dopo si alzò anche Louise che doveva correre al lavoro, si limitò ad un accenno di saluto e trangugiò la propria colazione, meno di un quarto d’ora dopo usciva di casa mentre stava ancora tentando di infilarsi un orecchino. La situazione ormai era stabile da diverse settimane, sembravamo proprio una bella – disfunzionale – famiglia felice e malgrado gli alti e bassi tiravamo avanti. Lei lavorava e portava principalmente a casa lo stipendio che ci faceva campare tutti, Noel invece si occupava della band mentre io oltre ad adempire la mia funzione di tuttofare per gli Oasis avevo preso a fare piccoli lavoretti in nero qua e là, durante tutto novembre avevo fatto ad esempio la barista in un pub della zona. C’erano state un paio di volte in quei mesi in cui, dopo pesanti litigi tra Noel e Louise, ero persino sparita per qualche giorno: ad agosto ero stata via una settimana dormendo negli ostelli ed ero arrivata sino a Liverpool, mentre la volta seguente, in ottobre, avevo fatto quattro giorni vagabondando per Manchester sino a quando non m’aveva trovata Guigsy e m’aveva detto che stava impazzendo con quei due. Quel giorno mi ero detta che tornavo per risparmiare al poveretto l’ennesimo esaurimento nervoso, in realtà tornavo sempre perché era l’unico posto dove desiderassi davvero stare, l’unico posto che riuscissi ad immaginare.
Comunque ora era tornata la calma – quella prima della tempesta? Suggerì Audrey, al che sbattei una porta in faccia alla mia piccola coscienza snob – e sarà stata l’aria natalizia del massì-che-siamo-tutti-più-buoni ma pure i due piccioncini erano in un particolare stato di grazia.
Attraversai i giorni seguenti vivendoli come in una bolla d’ovatta dove tutto mi passava accanto indifferentemente, questo perché sapevo che il tempo che scorreva mi stava portando in un’unica direzione e questo in modo incontrovertibile. Fu così che mi trovai seduta sulla scomoda sedia della sala d’aspetto dello studio medico del dottor Rodolphus Americus Strauss-Woodhouse – nome interessante per uno psichiatra, no? Già, solo quello di sicuro era in grado di far andare in paranoia i suoi pazienti – che per un mio bisogno di sintesi chiamavo lo strizzacervelli e basta.
Ricordo solo che la pioggia picchiettava sul vetro della finestra dietro di me e che sul tavolino c’era una vecchia copia del Daily Telgraph.
- Cassandra Sheen -
Alzai lo sguardo e vidi di fronte a me l’assistente dello strizzacervelli, vestita di un’ amichevole divisa a fiori, che mi guardava un po’ perplessa – che mi avesse già chiamato una volta e non me ne fossi accorta? Probabile, ero troppo incantata dal rumore della pioggia per pensare che ci potesse essere un mondo lì fuori – Annuii e lei mi fece segno di seguirla.
Ci fermammo davanti ad una porta di legno scuro con sopra – ovviamente – la più lunga targa che un medico avesse mai avuto, e questo nonostante il nome fosse stato relegato alle iniziali e basta. L’assistente bussò, ottenendo un cortese “avanti”, ma non fece quasi in tempo a spalancare di un centimetro la porta che udimmo una voce. – Samantha, vieni subito qui, c’è un problema! – esclamò una voce femminile proveniente dalla sala d’attesa. L’assistente mi rivolse un sorriso gentile e s’avviò subito lungo il corridoio, ed io invece che entrare nello studio dello strizzacervelli – cosa che non mi entusiasmava per niente – la segui come se m’avesse attratto nella sua orbita e non potessi far altro.
- Se non mi dice chi è lei non la posso far entrare – sentimmo scandire per bene alla segretaria, mentre camminavamo. Era come se stesse parlando con un gorilla, forse era però l’abitudine di rivolgersi ai matti.
- Qual è il problema, Mary? – fece un po’ scocciata l’assistente.
La segretaria, una signora di d’età avanzata con una nuvola di riccioli d’acciaio, puntò un’unghia laccata davanti a sé. Nella fattispecie il problema era un nervoso, arrabbiato, in giacca di pelle Noel Gallagher.
- Eccoti, cazzo – constatò con malagrazia, come se fossi appena arrivata in ritardo ad un appuntamento… aspetta, noi avevamo un appuntamento? No.
- Che diamine ci fai qui?! – sibilai trai denti, ma prima che potessi fulminarlo con lo sguardo mi interruppe la segretaria – maledetta vecchia.
- Sostiene d’essere un suo parente, è così? -
Guardai la donna, Noel e poi ancora la donna, - Sì – mormorai esasperata – abbiamo tutti un cugino scemo, no? -.
- Ok, allora può passare – acconsentì la segretaria un po’ pomposa, come se non fosse seduta su una sedia girevole ma un trono, fissando insistentemente Noel, che grugnì un “grazie” che assomigliava molto di più ad un’imprecazione.
Per la terza volta mi ritrovai a fare il corridoio, però a distanza di qualche passo dall’assistente.
- Cugino idiota? – domandò Noel offeso
- Taci – ringhiai – Come facevi a sapere dove mi trovavo? -
Lui sfoderò un sorriso sornione, e devo dire che glielo avrei cancellato molto volentieri con un pugno, anche se avevo paura che a furia di cazzotti avrebbe perso quella parte di genio musicale che aveva. – Dio, dimmi che non m’hai pedinato –
Allora tirò fuori dalla giacca un agenda – la mia fottuta agenda – e me la sventolò sotto il naso. – Pedinarti sarebbe stato troppo dispendioso, quella sarebbe una cosa da Liam -.
- Perché rubare in una borsa, no? -
- Quella da Gallagher più che altro -.
Di nuovo davanti alla porta dello studio, di nuovo la targa che stava mettendo a dura prova la dislessia di Noel. Emisi uno sbuffo, non so se per il suo comportamento o perché dall’altra parte c’era lo strizzacervelli. Samantha aprì la porta e io rimasi del tutto congelata.
Il cuore in petto mi mancò un balzo e rimasi con il respiro mozzo, quando mi voltai verso Noel non riuscii a camuffare il terrore che riempiva il miei occhi.
- Signorina Sheen – fece gioviale lo strizzacervelli da dietro la scrivania – come vede suo padre è già qua -. Quel tono così aperto sembrava una terribile beffa.
Noel, rigido almeno quanto me, aveva gli occhi puntati sulla figura massiccia del bastardo che aveva abbandonato la sua vestaglia per indossare un ben più consono abito scuro gessato: era in tutto e per tutto una persona rispettabile. Per attimo vidi in quella sua immobilità la stessa di un secondo prima che sferrasse il pugno a Liam, quel giorno in sala prove, poi però passarono un paio di secondi e ancora nessuno si trovava a terra ad azzuffarsi così decisi che era ora di fare qualcosa. Qualsiasi cosa che non fosse il fissare ammutolita mio padre.
Tutta zucchero sorrisi allo strizzacervelli e mi accomodai nello studio, pure Noel fece per entrare ma il dottore lo ammonì: - Spiacente, ma durante la visita sono ammessi solo il paziente e il suo tutore -. Lui increspò le labbra, sapevo che stava pensando a quanto suonasse sbagliata quell’ultima parola: era stato molto più lui il mio tutore in quegli ultimi mesi che mio padre in anni.
Inclinai la testa, - Per favore – gli mormorai cercando di mescolare alla gentilezza il mio tono supplichevole. Tutto quel che mi serviva quel giorno era normalità, dovevamo essere persone normali che facevano cose normali, che dicevano cose e normali e mettersi a litigare con lo psichiatra non sarebbe stato per nulla normale. Noel replicò il mio sorriso affabile e se ne andò con l’assistente, e per questo gli fui infinitamente grata, per lui la vera pazzia era proprio l’essere così dannatamente normali, ordinari.
La stanza mi parve subito molto più piccola appena fui rimasta da sola con i due uomini. Sapevo che il bastardo era lì perché doveva fare il suo rapporto come genitore e tutore, ma la verità era che era venuto solo per mettermi ancora di più in ansia e sfruttare ogni mio minimo cedimento per poter vedersi rinnovata la patria podestà anche ora che ero maggiorenne.
Fissai lo strizzacervelli davanti a me: dita che erano rami di salice, occhiali a mezzaluna e il sorriso accondiscendente ma allo stesso tempo un po’ mellifluo. Non mi sarei fidata a prima vista di quell’uomo ma aveva pure un che di professionale che mi faceva sperare in un giudizio equo. Tra le sottili dita da pianista aveva la mia cartella clinica, - Allora, vediamo un po’ signorinella… - mormorò pensieroso, fermandosi solo quando ebbe letto la diagnosi, dopo di che appoggiò il plico sulla scrivania e mi fissò negli occhi come alla ricerca dell’origine di quel male. Io calai lo sguardo, perché non volevo che potesse neppure avere l’intuizione di averlo trovato, e inevitabilmente mi scontra con le parole stampate: tendenze suicide.
 
Pioveva ancora quando uscii dallo studio dello strizzacervelli Rodolphus Americus Strauss-Woodhouse e m’avviai lungo il corridoio, potevo percepire le gocce battere come la più spettacolare delle sinfonie nascoste dalla natura, e tutto questo non faceva che aumentare il senso di torpore che mi attanagliava come una comoda prigione. Ero stata con lo strizzacervelli all’incirca per un’ora, ed ora camminando su quei pochi metri tappezzati di linoleum mi sembrava di essere sospesa in un limbo e quando nella sala d’aspetto trovai Noel con la testa appoggiata sul petto, addormentato, non potei che farmi sfuggire un mezzo sorriso. Lo scossi leggera come se un movimento troppo brusco avrebbe potuto spezzare l’equilibrio del mondo intero e non  soltanto il suo sonno; quando alzò la testa vidi la speranza – be’ quella e il torpore da post-pennichella – sul suo viso. Rimasi in silenzio, ma lui dovette aver capito perché s’alzò e mi abbracciò, come dopo aver parlato a McGee a Glasgow, solo con un’euforia più pacata, garbata come se si fosse accorto che quel momento era troppo fragile per essere intaccato da urla da stadio. Doveva essere come un fiocco di neve leggero che avrebbe volteggiato nel vento di dicembre a lungo prima di toccare terra. Ma si sa, se nevica c’è sempre qualche stronzo che ti tira la palla di neve e ghiaccio ben compattata in testa…
- Non è finita -, alle mie spalle il bastardo aveva emesso un ringhio basso. 
 Temporeggiai ancora un secondo, le braccia strette contro la giacca di pelle di Noel su cui mi sembrava di poter scaricare tutta la stanchezza dei miei diciotto anni, quando alla fine disciolsi l’abbraccio mi girai con occh che erano schegge di ghiaccio. – No, ti sbagli – risposi calma – è finita molti anni fa -. Alla cieca afferrai il polso di Noel, che sentivo fremeva dalla voglia di un secondo scontro con il bastardo, e lo trascinai fuori dallo studio psichiatrico. Diedi un’ultima indifferente occhiata a Eugene Sheen, sarebbe dovuto passare molto tempo prima di rivederlo. Era ora che mi concedessi un regalo, infondo era stato il mio compleanno, no?
 
Il temporale era scomparso a nord della città, lasciando dietro di sé solo sporadiche goccioline impertinenti che di tanto in tanto mi sorprendevano cadendomi in testa, e nonostante fossero solo le sei del pomeriggio il sole era scomparso da tempo, una striscia vermiglio mischiato al grigio dell’orizzonte. La luce era appena sufficiente perché potessi leggere la scritta dipinta sopra la porta dell’edificio pubblico dove mi ero fatta portare da Noel, varcammo la soglia e rimanemmo in fila qualche minuto dietro a uno sportello, un distinto signore davanti a noi e i Ramones che provenivano suffusamente da una cassa. Fu il nostro turno.
- Cosa posso fare per lei? – mi domandò l’impiegata facendo scoppiare una gigantesca gomma da masticare.
Io allungai la mia carta d’identità sotto la protezione dello sportello di plexiglass, - Vorrei cambiare nome, credo d’essere nel posto giusto -.
La donna gonfiò un altro pallone roseo e mi riservò uno sguardo divertito, - La capisco, Acquiesce, i suoi erano dei bei burloni, eh? –
Assottigliai lo sguardo mentre di fianco a me Noel era quanto meno curioso, non gli avevo ancora detto perché mi ero fatta portare all’anagrafe, - Non sa quanto, comunque non è quello il problema: il cognome. Vorrei assumere quello di mia madre, Walsh -.
L’impiegata sembrò un po’ delusa dalla mia risposta pacata ma si mise a smanettare al computer, - In tal caso ci vorrà un po’ più di tempo per avviare la pratica. Mi servono i suoi dati anagrafici, e quelli dei suoi genitori -.
Io annuii accondiscendente, e con la coda dell’occhio vidi Noel strisciarmi alle spalle con un sorrisetto beffardo, il naso ad un centimetro dal mio orecchio – Cassandra Acquiesce Walsh, piacere di fare la tua conoscenza -.
 
- Posso sapere perché ti ritrovi un nome così assurdo? -
Eravamo usciti dall’anagrafe e finite le pratiche che entro un mese mi avrebbero fatta padrona del mio nuovo nome e il buio era ormai praticamente totale.
- Qualcuno potrebbe obbiettare che tu sei nato a maggio e che ti ritrovi con un nome natalizio – ghignai, ed ebbi chissà perché la fugace immagine di Noel con naso rosso e corna da Rudolph.
- Almeno il mio nome esiste – disse fissandomi con disappunto.
- Mia madre era diciamo… - cercai un aggettivo ma non credo che ne avessero coniato ancora uno per definirla totalmente – originale, ed io ho avuto la sfortuna di nascere in un momento in cui la sua vena hippy era ancora particolarmente sviluppata -
- E così se l’è inventato -
- A sua discolpa l’ha sentito durante un viaggio in treno mentre era incinta, e be’, io mi ritengo ancora fortunata: sarei potuta chiamarmi Weed -.
Noel rise sommessamente, fendendo con il viso la nebbiolina che stava calando sulla città, le mani immerse nelle tasche dei jeans, - C’è qualcos’altro che vorresti fare per il tuo compleanno? – mi domandò, un’espressione indecifrabile in volto ed io lo fissai per mezzo minuto bene senza riuscire a pensare, così alla fine buttai lì la prima cosa che mi venne in mente – Ubriacarmi, non pensare a nulla -.
Io l’avrò detto così per caso ma lui mi prese in parola e meno di mezz’ora dopo uscivamo da un piccolo supermercato con una bella bottiglia di whiskey irlandese, Noel la stappò e mi offrì il primo sorso al suono di un – Sei quasi un adulto adesso –
- Lo sono, e lo sarò sempre più di tutti voi messi assieme -
- E’ colpa di Ourkid che abbassa la media di serietà del gruppo -
Io increspai le sopracciglia e lo guardai supponente, infine lo presi a braccetto – Allora, dove mi porti a festeggiare? -.
Altra faccia impossibile da capire – Vedrai -. Audrey nella mia testa lo guardò sospettosa, era forse ora che smettesse di provare completino nella sua cabina armadio e alzasse la guardia?
Prendemmo così tanti autobus che persi il conto e dopo quasi tre quarti d’ora di viaggio ero sempre più convinta che era tempo di fare la patente, anche se non avendo i soldi per pagare un affitto una macchina mi pareva un miraggio in un deserto. Alla fine comunque arrivammo in una zona residenziale con casette a schiera con i muri di mattone rosso e con i loro piccoli prati recintati: non era un brutto posto, era solo l’ennesimo pezzo d’Inghilterra che non cambiava mai, sempre uguale ovunque tu potessi andare. Io con quei posti avevo un rapporto di amore odio, perché quella era la vera Gran Bretagna ma allo stesso tempo mi dava la sensazione di tante gabbiette prestabilite per ognuno.
- Benvenuta nella fottuta Burnage – mi disse Noel allargando le braccia, già un po’ brillo da che avevamo fatto fuori già metà bottiglia.
Si spiegavano molte cose, pensai un attimo prima che lui mi prendesse per un gomito e mi trascinasse lungo una strada secondaria che sboccava su un campo d’erba incolto, i giardini posteriori delle case alle nostre spalle. Rimanemmo in piedi per un paio di minuti, passandoci di tanto in tanto la bottiglia, sino a che non riuscii a mettere assieme due parole: - Bel…prato – feci non molto convinta.
- No, questo è il prato. Da bambino passavo le ore qui a giocare a calcio con gli amici -
Presi un sorso di whiskey – Non ti facevo così sentimentale, Mr. Gallagher –
Lui mi guardò di sottecchi, – Anche io ho i miei momenti neri – ribatté sghignazzando come un’idiota e dopo di che mi rubò la bottiglia.
- Non finirla tutta -
- Sono grande abbastanza per bere quanto cazzo mi pare – fece strafottente – e non sarà una stupida ragazzina a dirmi che devo fare – e prese a fare qualche passo all’indietro, allontanandosi nel prato.
- Non mi sfidare – lo ammonii
- L’ho già fatto, se non ti sei accorta, allora sei proprio stupida -
Emisi un respiro esasperato, ma guarda cosa mi toccava fare per un po’ d’alcol… quando cominciai a correre Noel era già scattato via e nel buio quasi totale del campo, con tanto di amata nebbia inglese, lui era poco più che un’ombra, un fruscio in mezzo all’erba che calpestava. Comunque arrivai a tallonarlo a una decina di metri di distanza: cazzo mi ero dimenticata di quanto fosse veloce quel nanetto. Cinque metri: i miei cinque pacchetti settimanali di B&H non aiutavano la mi prestazione atletica. Tre metri: lo acciuffo il bastardo, forza Cass! Un metro: ci son…chi cazzo ha fatto una buca  nel campo? Pensai mentre inciampavo ed infine cadevo di faccia in mezzo all’erba. Per i seguenti cinque secondi rimasi un po’ stordita, il sapore di terra umida in bocca e un dolore acuto al naso, comunque rimasi sdraiata per un altro paio di minuti, troppo rincoglionita e ubriaca per pensare d’alzarmi, sino a quando Noel non s’accorse che non c’era più nessuno a inseguire lui e il whiskey.
- Tutto bene? – mi chiese facendomi mettere a sedere.
- Una meraviglia – bofonchia io, in bocca mi raggiunse il sapore ferroso del sangue. Mi tastai cauta il naso: rotto, ma vaffanculo!
- L’avevo detto io che sei stupida – affermò scherzoso, riuscendo a stento a trattenersi dal ridere, avrei voluto arrabbiarmi ma non potevo biasimarlo, io avrei fatto lo stesso vedendo una tizia conciata come me.
- Non infierire -
- C’è qualcosa che posso fare? -
Feci un largo sorriso a trentadue denti – Passa il whiskey -, e lo guardai con fare intimidatorio. Infondo era pure colpa sua e del suo prato se mi ero mezza ammazzata. Alla fine Noel cedette e mi aiutò pure ad alzarmi.
- Meglio? -
- Ma sì,  alla peggio mi rimarrà un naso assurdo come… - e lo guardai mentre sospettoso si tastava il viso.
- E’ di carattere - protestò
- A me piace -
- Non prendere per il culo -
- Dico sul serio! – esclamai ridendo – Cazzo, e dire che pensavo fosse Ourkid il vanitoso -.
- Già, a volte penso che non sia una rockstar ma un fottuto stilista – borbottò ombroso, poi girò e chinandosi raccolse qualcosa da terra, un pallone. – Guarda che ho trovato mentre tu agonizzavi, lassù in Scozia sapete come funziona? -
Arricciai le labbra – Passa la palla, mancuniano, e nessuno si farà male –, Noel me la fece rotolare trai piedi e subito si fece sotto per tentare di scartarmi, così usai il più vecchio dei trucchi: spostai il peso a sinistra, dando l’idea di voler andare da quella parte, ma poi lo superai a destra.
Continuammo a giocare per un’eternità, dopo il primo scarto Noel prese a giocare più seriamente iniziando a considerarmi come un vero avversario, il che volle dire che riuscì ad averla vinta molte meno volte rispetto a lui, ma ciò che c’era d’importante era che avevo ottenuto quel che volevo per il mio compleanno: dimenticarmi per qualche ora chi ero, e poi dimenticarmi per sempre d’essere una Sheen. Finimmo di maltrattare quel povero pallone solo un’ora e mezza più tardi, quando nessuno dei due aveva più la forza neppure di tirargli un calcio, al che tornammo in strada, Noel che si era attardato solo qualche secondo in più per rigettare la palla nel campo.
Mi ritrovai per l’ennesima volta su di un rovinato seggiolino di un autobus che portava dall’altra parte di Manchester, un po’ assonnata e totalmente ubriaca, la testa appoggiata alla spalla ossuta di Noel.
- Non oso immaginare cosa dirà Louise quando ci vedrà tornare a quest’ora… -
- Che c’era fila -
-… in questo stato… e poi scusa, fila per dove? – domandai in uno sbadiglio, lui mi fissò allucinato e perplesso – Cass, mi hai fatto ubriacare: non puoi pretendere che dica cose di senso compiuto –
- Giusto -
- E comunque che s’azzardi a dirmi, o a dirti, qualcosa . E’ la mia vita –
- Lei però è la tua ragazza -
- Già, a volte mi chiedo perché cazzo stiamo ancora assieme -
A quelle parole nonostante l’alto tasso alcolico saltai seduta dritta all’improvviso e lo fissai negli occhi dura – Perché le vuoi bene, e lei pure –
- Litighiamo in continuazione, non pensavo fossi sorda -
- Devi ammettere che non è facile farsi il culo tutto il giorno per poi tornare a casa con un musicista con velleità da rockstar che ti parla di demo e quant’altro, quando tu sei uscita alle sette del mattino -. Noel, oltre la patina del whiskey, mi sembrava poco convinto e anzi, quasi sul punto d’arrabbiarsi, sapevo di poter dire tutto tranne male della sua musica, lui ci credeva troppo. Nonostante quello però continuai  - Non posso dire d’amare Louise, però è una tipa tosta e glielo devi questo Noel: lei si fa in quattro per mandare avanti la baracca -
Qualcosa nella sua espressione mutò, forse stava riflettendo su quanto gli avevo detto, o forse no: mai sottovalutare l’alcol irlandese.
Guardai fuori dal finestrino, - E’ la nostra fermata. Avanti culo pesante, scendiamo -. E poi accadde una di quelle cose che ti fanno pensare che cazzo, è davvero Natale! Perché per giorni, mesi non accade nulla e poi invece ti viene incontro tutto in sole poche ore. Che sensazione. Che canzone. Mentre attraversavamo l’autobus per andare alla porta la stazione radiofonica che teneva l’autista trasmise un rock potente, un po’ urlato.I can't tell you the way I feel / Because the way I feel is oh so ! new to me. Quanto aveva ragione. Era la prima volta che sentivamo per caso passare Columbia in radio, e non c’era davvero modo d’esprimere come ci si sentiva. Noel aveva un’espressione a metà tra l’euforico e l’imbambolato.
Prima di scendere diedi un’occhiata all’autista – Bella canzone, eh? – dissi sorridendo, Noel mi spinse giù ghignando.
- Fai pure marketing? -
- Sono una roadie molto versatile -
Ci fissammo.
- Pensi davvero quelle cose su Louise? -
- Certo, è una donna che non posso non ammirare, il fatto che mi odi non può modificare questa cosa – ammiccai scolandomi l’ultima goccia di whiskey.
- Sei imprevedibile -
- Una delle mie tante e indiscusse doti -, gli ficcai in mano la bottiglia vuota e gli schioccai un bacio veloce sulle labbra – Andiamo, Gallagher –. Mi avvia verso la via di casa, ondeggiando lungo il marciapiede, senza neppure accorgermi che Noel era rimasto metri e metri indietro, inchiodato all’asfalto.
 
 

 Lost in a fog
I've been treated like a dog
And I'm out of here
I got no name
And I feel no shame
And I got no fear
And I bow down
To the tears of a clown
Whatever's going down
Is coming around
I hope you don't regret today
For the rest of your lives 
 

 
Eccomi di ritorno, ma non potevo mancare d'aggiornare oggi perchè è IL COMPLEANNO DI NOEL, il vecchietto fa 44 anni =) Per cui il capitolo è ovviamente dedicato a lui (anche se standosene a 9 mila km di distanza se sbatte ampiamente, ma pazienza)
Per il resto, la canzone del capitolo presente su The Masterplan http://www.youtube.com/watch?v=4NgohzBmJ7c che non a caso si chiama Strizzacervelli
E poi Columbia, questa che linko è la White Label Limited, ovvero quella che appunto passarono in radio nel dicembre del 93 e che cominciò a far conoscere gli Oasis http://www.youtube.com/watch?v=GBQ-FNpIk1c
Note linguistiche: Weed, il nome che avrebbe potuto avere Cass vuol dire "Marijuana"
Credo non ci sia nient'altro per cui Cheers^^
Ps :Per chi avesse voglia, in questo video si vedono i Bros che tornano a Burnage e ne parlano un po' (se siete in grado di capire cosa dicono avete la mia stima) http://www.youtube.com/watch?v=dsem2aoSp60
248641_2075444531580_1408973324_2451808_7293983_n.jpg (377×566)

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Supersonic ***


 

I need to be myself 
I can't be no one else 
I'm feeling supersonic 
Give me gin and tonic 
You can have it all but how much do you want it? 
You make me laugh 
Give me your autograph 
Can I ride with you in your B.M.W ? 
You can sail with me in my yellow submarine 

You need to find out 
'Cos no one's gonna tell you what I'm on about 
You need to find a way for what you want to say 
But before tomorrow 


Avevo letto che una donna capisce dal primo bacio che cosa aspettarsi da un uomo, e che da esso poteva dipendere l’idea che in futuro si sarebbe fatta di lui. Io ero fottuta.
Per procedere con ordine bisognerebbe dire che il mattino dopo i festeggiamenti per il mio compleanno mi svegliai sul pavimento dell’appartamento – caduta nel sonno – con la più epica delle sbornie che avessi mai sperimentato e fidatevi, il mio fegato ne aveva già viste delle belle. Comunque, testa che minacciava di implodere e nausea mattutina a parte, ero un fiore – per l’aspetto cadaverico un crisantemo bianco un po’ moscio, ma pur sempre un fiore – ed ero pure pervasa da uno strano senso di soddisfazione e pace col mondo: al momento di preparare il tè pensavo d’aver raggiunto il mio nirvana.
Avevo tirato fuori la mia simpatica tazza, regalo di Liam, - c’era sopra Johnny Marr che sbottava: “Who the fuck are Man United?” – quando girandomi per posarla sul tavolo quasi andai a scontrarmi con un Noel rincoglionito almeno quanto me.
 - Attento – borbottai mettendomi a sedere, lui grugnì qualcosa in risposta che però poteva variare dallo “scusa” ad una parolaccia a scelta.
Sbadigliai. Risentii la sensazione d’aver Noel vicino così inaspettatamente. Rimasi congelata. Non era possibile per un cazzo, non era fottutamente possibile. Mi concentrai, stessa scena: io barcollante che scendo da un autobus, qualche battuta con Noel e poi… l’ho baciato? Doveva essere un sogno, per forza. Al che mi innervosii ancora di più: era più strano aver sognato di baciarlo o l’averlo fatto per davvero? Decisamente  la prima, insomma io ero una che sognava di mangiare barattoli di Nutella oppure di vivere in barca e al contrario – lo ammetto, vostro onore – tendeva a perdere ogni inibizione sotto l’effetto dell’alcol. Bevvi un lungo sorso di tè bollente e archiviai la cosa come una delle tante bravate da sbronza. Quel che succede da ubriachi non è mai successo… vero?
Nel frattempo avevo completamente ignorato Noel. Gli diedi un’occhiata rapidissima da sopra la tazza: era ancora intontito dal sonno e come me doveva soffrire un mal di testa atroce. Sembrava non ricordarsi nulla… o forse ricordava e s’aspettava che dicessi io qualcosa, oppure faceva finta di non ricordare per non tirare in ballo l’argomento o forse pensava che io non ricordassi o…Oh Cristo, il mio cranio era sul punto di rottura! M’alzai in fretta e furia, mi infilai il cappotto, ingollai un analgesico.
- Vado. Liam. Ciao – mormorai abbastanza incomprensibile e telegrafica e un attimo dopo ero fuori dalla porta, una sigaretta in bocca pronta per essere fumata.
I giorni che seguirono, nonostante i più orrendi scenari che mi ero prospettata dopo essere uscita di casa la mattina, tra cui Louise che aveva scoperto la cosa e mi accoltellava con una mannaia – ok, forse ero un po’ esagerata però la ragazza sapeva essere davvero inquietante alle volte -, furono fatti della più normale routine che uno potesse immaginarsi. E di fatto mie ubriacature, incidenti di percorso e litigate notturne a parte, gli Oasis stavano muovendo i primi passi nel vero mondo della produzione musicale e come mi disse Noel una volta, che dalla sua esperienza di roadie qualcosa aveva pur appreso, “ho conosciuto i responsabili delle case discografiche e i produttori di merda, e so che sono tutti facce da culo” e di fatto non tutto stava andando secondo i nostri fottuti piani. All’inizio dell’anno nuovo eravamo sempre in Galles, al Monnow Valley Studio a registrare l’album e a farci da produttore era un certo Dave Batchelor che The Chief aveva conosciuto ai tempi degli Inspiral Carpets… Devo dire la verità? Le cose non andavano bene, non andavano proprio: infinite ore in una stanza a suonare singolarmente, poi si andava ad ascoltare e quel che sentivamo era tutto fuorché ciò che gli strumenti e la voce di Liam avevano fatto esplodere in sala due minuti prima. Il suono era piatto, troppo pulito, era come se la musica nel tempo che impiegava dal passare dall’amplificatore al nastro registrato perdesse la sua anima. Era il rock più debole che avessi mai sentito forse, e agli Oasis avresti potuto dire di tutto, tranne che non avessero l’energia per spazzarti via la mente.
Le sessioni di registrazione costavano 800 sterline al giorno, io e Noel con una mano da Guigsy passavamo le notti a farci i conti in tasca e sapevamo che la Creation non avrebbe più aperto i cordoni della borsa se continuavamo ad essere così improduttivi. Sapevamo tutti di cosa si trattava, ciò che non funzionava era il fatto di suonare separatamente e anche se del senno del poi sono pieni i fossi, sia io che Noel l’avevamo realizzato quasi fin da subito, ma avevamo comunque deciso di continuare con Batchelor sino a quando non fu più che chiaro che in quel modo Definitely Maybe – il nome l’avevamo trovato su uno dei vecchi poster superstiti dallo svuotamento della mia stanza, e ora pensavamo fosse quanto mai premonitore sulla sorte dell’album che era un decisamente forse – non avrebbe mai visto la luce.
Per fortuna c’erano però episodi che ti facevano pensare quanto mai bene, che qualcuno da lassù ogni tanto invece di sorseggiare un Margarita su di un cumulonembo, buttasse un occhio a noi comuni mortali. Infatti era stato proprio sulla fine di dicembre che avevamo registrato una nuova canzone, di cui persino Noel forse dubitava l’esistenza negli spazi più reconditi della sua mente offuscata dalla birra. Quello sarebbe stato un grande giorno, in tutti i sensi.
Andammo a Liverpool per registrare al Pink Museum quello che sarebbe stato probabilmente il primo singolo della band per cui tutti sentivamo l’eccitazione e allo stesso tempo un certo peso per l’importanza della cosa – già, pure io anche se teoricamente dovevo solo attaccare qualche jack e accordare le chitarre -. Fu un assoluto disastro, persino il Manchester City aveva avuto più successo in quella stagione calcistica che noi nelle prime due ore di registrazione, il che è davvero dire tutto.
Arrivò la goccia che fece traboccare il già straboccante vaso: Liam gettò a terra il microfono e s’avviò alla porta con uno sguardo truce – Ho bisogno di una fottuta sigaretta -, io e Noel ci guardammo, ne avevamo bisogno pure noi. Sapevo cosa non andava nella canzone ma non sarei stata io a dirlo, non era né compito mio e in più la cosa detta da me avrebbe potuto scatenare qualche diatriba, o per meglio dire, rissa. McCarroll non sa suonare, rimasi abbastanza sbigottita: persino Audrey se ne era accorta, sarebbe quasi meglio se vi affidaste a una drum-machine. La raffinata Audrey interveniva spesso nella mia testa, lottando con i miei ragionamenti, ma seriamente mai si era espressa in qualcosa riguardante la musica, certo, Moon River a parte.
Fissai nuovamente Noel, quelli erano cazzi suoi, doveva esserci un buon motivo se lo soprannominavamo The Chief, doveva prendere le redini della situazione. E invece se ne uscì pure lui. Fuck off.
Per un attimo fui incerta, seguirlo, non seguirlo, fregarmene o no, poi i miei piedi imboccarono lo stesso uscio dei fratelli e mi feci strada senza sapere ancora che cosa stavo facendo. Nel tempo che avevo perso non sapevo neppure dove era finito, poi passai davanti ad una porta ad una velocità talmente elevata che quasi non mi accorsi che in quella stanza c’era qualcuno, solo con la coda dell’occhio catturai una figura. Feci un deciso retro front, ma poi mi avvicinai di soppiatto. Noel se ne stava con la testa china su di un blocco di carta, la penna nella sinistra e la destra ad arruffarsi i capelli, una chitarra sul pavimento. Alzai le sopracciglia e feci un mezzo ghigno, tutto era a posto, nel suo ordine naturale.
Tirai fuori dal pacchetto una B&H e me la misi tra le labbra, era ora anche per me di fare due tiri anti-stress. Finii contro qualcuno.
- Guarda dove cammini cazzo! – mi latrò addosso Liam. Sempre galantuomo.
- Stavo per dire lo stesso – sibilai di rimando, non però arrabbiata per davvero quanto lui, che dalla faccia aveva il sapore di bile in bocca. Ero solo stata offuscata da una sensazione, di nuovo quell’immagine.
- Dov’è lui? -
- Non ti preoccupare – gli risposi soprapensiero, nei suoi occhi riuscivo a percepire qualcosa di strano ma non avevo tempo, mi concentrai su quanto era accaduto pochi secondi prima, come se fosse stato il capo del filo che mi avrebbe portato a quel che era avvenuto più di due settimane prima.
- Andremo avanti a provare a registrare Bring It On Down? -
Cazzo, insisteva, non poteva stare zitto un attimo? Se fosse stato zitto forse sarei risucita…
- Merda, mi rispondi?! -
- No, non…non ne ho idea – feci vaga, lontana mille miglia e più 
- Perfetto, vai a farti fottere pure tu  - ribatté fiacco e irritato prima di tornare nella sala di registrazione.
Io al contrario ero troppo presa da quel che succedeva nella mia testa per insultarlo a mia volta. Era la prima volta dopo quella mattina nella cucina che mi tornava in mente la cosa – sì, Audrey aveva pensato bene di battezzare così il… bacio, se così si poteva chiamarlo – ed era stato come tentare di tenere fuori dall’uscio un fiume impetuoso che, inutile dirlo, appena socchiudi appena la porta ti travolge senza speranza. Io però non avevo nessuna voglia di affogare, non me lo sarei concesso.
Rifeci lo stesso corridoio di prima e questa volta trovai Noel al primo colpo che strimpellava, la testa praticamente poggiata sul corpo della chitarra. Rimasi immobile sulla soglia.
- Ho una canzone in testa -, disse dopo un paio di minuti che sostavo lì.
- Ma non ti esce fuori? -
Rise, - Al contrario, sono le fottute parole che mi sfuggono: non so che cazzo dire –
Fu il mio turno per ridere: che caso, di solito era un tipo così loquace, pronto ad esternare – Inventale, fai a caso -.
- Non dovrei dire qualcosa di profondo? Qualcosa che cambierà la vita del ragazzino che cammina là fuori per la strada? -
- A volte c’è bisogno solo della musica, il testo è nulla. I Am The Walrus non è esattamente un libro di aforismi. Se la musica è buona puoi anche dire che ti sei fatto un giro in BMW o che ti sei mangiato un pacchetto di patatine -.
Noel contrasse le foltissime sopracciglia e a quanto parve l’idea gli piacque, dato che s’incollò al foglio di carta, mente io mi lasciai scivolare per terra, le gambe strette al petto e con lo sguardo seguivo l’orrendo disegno geometrico del pavimento in linoleum.
Cinque minuti.
- Com’era quella cosa di prima? -
- Cosa? -
- Quella che m’hai detto potrei scrivere -
Strinsi le labbra dubbiosa – Che ti mangi le patatine? –
- L’altra -
- Che ti fai un giro in BMW? -. Non ottenni risposta per cui supposi d’aver detto quanto gli serviva.
Dieci minuti.
Me ne stavo con la testa a penzoloni, davvero non avrei saputo dire che vedevo, gli occhi erano aperti sulle mie Adidas nere ma non ne trattenevano l’immagine, rincorrevano soltanto la visione di una strada notturna, un autobus che s’allontanava e Noel piantato in mezzo al marciapiede. Non riuscivo a ricordare. Iniziai a perdere il controllo quando qualcosa di umido mi toccò la guancia. Alzai gli occhi.
- Oooh che schifo, Elsa! – esclamai allontanandomi un attimo prima che la grossa rottweiler mi leccasse per bene dopo avermi annusato per bene con il suo tartufo umidiccio. Stupido cane! Grazie al cielo non aveva pure…  
- No, brutta stronza – mi lamentai quando ormai non c’era più possibilità di ritorno: Elsa aveva subito mostrato la qualità per cui era famosa, ovvero – e sarò fine e eufemistica per descrivere la cosa – scoreggiare come un camionista affetto da meteorismo dopo aver mangiato tripla porzione di zuppa di fagioli. Io mi alzai e presi a mia volta una sedia mentre Noel, ignorando – chissà come – quell’odore nauseabondo, sorrideva pure sotto i baffi.
Cinque minuti.
Noel dopo aver alzato la testa mi guardava fisso, ormai non toccava più la chitarra da qualche minuto.
- E’ finita? -
- No – mormorò, sempre una strana espressione in viso, come se mi stesse facendo a fette e analizzando, - Manca ancora un pezzo… Qualcosa che faccia rima con supersonic? -
Mi grattai il naso: ero stanca morta. Non tentai neppure di dissimulare un grosso sbadiglio, - Gin and Tonic? – e intanto buttai lì tanto per dire.
- Wow, questa è davvero senza senso -
- Concordo -
- Mi piace – ammiccò mentre tirava su la chitarra e si avviava alla porta – Tu non vieni? -. L’immagine di lui sulla soglia mi colpì dolorosamente la mente, perché doveva essere così difficile ricordare?
- Certo -.


'Cos my friend said he'd take you home 
He sits in a corner all alone 
He lives under a waterfall 
No body can see him 
No body can ever hear him call 


Osservai Liam che fissava un po’ intontito il testo che avrebbe dovuto cantare, animare e storpiare con la propria voce. Un po’ come tutti era rimasto stupito che The Chief avesse scritto un rimpiazzo per Bring It On Down in circa mezz’ora, però poi, anche solo per un istante provai a smettere di pensare alla cosa e a decifrare invece l’espressione, andare più a fondo senza pensare che fosse solo la faccia di un’idiota che s’affoga nella birra.
Paura. Fottutissima paura allo stato pure. Ecco cos’è, ecco cos’era. La conoscevo quella paura, eppure ero talmente presa da me stessa per accorgermi che Liam temeva in parte il proprio futuro perché quel giorno non l’aveva più visto certo e delineato come prima. Come me tante volte, aveva paura di fallire, di non essere abbastanza. Nel suo ego borioso s’era forse fatta largo una vocina che gli sussurrava perfida il fallimento degli Oasis? Afferrai lo sguardo di quegli occhi tremendamente verdi. Ero stata davvero stupida a non capirlo prima e ora comprendevo pure l’espressione che aveva mentre leggeva le parole scritte da suo fratello: come faceva a cantare di sentirsi un dio, parlare come se si stesse facendo beffe di chi ascoltava, dicendo frasi senza senso, quando invece capiva che stava per affogare di nuovo nella sua vita? Avrei voluto essere utile, ma sapevo d’aver ignorato la mi occasione meno di mezz’ora prima nel corridoio.
Noel attaccò con il riff dell’intro.
Mi prese quindi di sorpresa quando la voce di Ourkid uscì dalla sua gola con il raglio potente e nasale che solo da lui avevo sentito, quello da cui mi ero fatta catturare sin dalla prima sera. E quando cantò di voler avere il mio autografo perché lo facevo ridere, o che infondo potevo pur sempre farmi un giro sul suo sottomarino giallo in cambio di uno sulla mia BMW, gli credetti perché era arrogante, sprezzante, divertente. Rock and Roll, babe.
Nell’esatto momento in cui tutta la canzone svanì risucchiata nel vortice creato dal solo di Noel sapemmo che la band aveva il suo primo singolo, ed era uno che avrebbe “spaccato il culo alla gente”, gentile concessione di Bonehead. Ma mentre tutti andarono a tirare pacche sulla schiena di The Chief e a chiedergli perché si era tenuto nascosto una canzone del genere, io m’avvicinai a Ourkid. Mi guardò senza capire – infondo non si poteva mica pretendere troppo dai suoi neuroni – ma io gli sorrisi lo stesso e mi strinsi forte a lui e alla stupida tuta dell’Adidas. Non sapevo chiedere scusa, tanto meno ne sarei stata capace con Liam ma i nostri corpi si erano sempre capiti al primo colpo per cui speravo che bastasse quell’abbraccio per fargli capire che ero stata una stronza. – Bella prova, Ourkid -.
 
Quel giorno di dicembre erano quindi successe molte cose: avevo visto che Liam poteva avere più di una faccia a parte quella dell’odioso bulletto e dello sciupa femmine, che Noel era capace di scrivere una canzone grandiosa nello stesso tempo che io impiegavo praticamene per fare un tè appena decente, ma soprattutto avevamo un singolo e io avevo scoperto di non riuscire ad arginare più la cosa.
Ormai non mi chiedevo più se Noel se ne ricordasse o no, tanto valeva dato che lui non aveva mai fatto cenno a quanto avvenuto, eppure dal giorno della registrazione di Supersonic sino a praticamente quando fu lanciata come singolo in aprile non passò giorno in cui non mi pensassi a come era stato. Perché se per l’appunto è il primo bacio a dirti tutto di un uomo, io come facevo? Dov’era il problema? Non ricordavo nulla, niente, nada de nada. Kaputt. E per quanto mi sforzassi l’ultima cosa che ricordassi era la sensazione di un corpo vicino, una sciarpa di lana che mi pizzicava il mento e poi niente, solo il mal di testa del mattino dopo. Fottuto alcol. Seriamente: stavo perdendo la testa. I miei pensieri erano confusi quanto il testo di Supersonic, senza senso, in più c’era ad innervosirmi ulteriormente il fatto che io non mi fossi mai fatta di tali problemi: un bacio era un bacio, niente di più, solo il punto di incontro tra due corpi. Non ero abituata a troppe fantasticherie frivole. E invece era un continuo viaggio mentale, persino Audrey era ormai stufa di ritrovarsi mentalmente in quella strada ad aspettare che nel mio cervello scattasse qualcosa che mi facesse rammentare tutto, e lei era una che ogni giorno faceva colazione davanti alla stessa gioielleria.
Insomma la situazione era un casino. Intanto però nonostante il mio evidente squilibrio mentale non avevo potuto fare a meno di notare ciò che stava avvenendo nel mondo, o meglio nel Regno Unito. Dopo tutto quel casino con la storia delle poll tax agli inizi degli anni 90’ e le dimissioni della Thatcher e l’elezione del sempre conservatore John Major, si poteva notare nell’aria un certo fermento, come se stesse succedendo qualcosa. Devo dire che era stato vagamente eccitante trovarsi a Londra per andare alla Creation in quei giorni, perché respiravi il sentore che qualcosa era in arrivo. Io poi avevo una mia personale teoria, in quanto al contrario di leggere giornali o guardare notiziari in tv preferivo di gran lunga seguire la musica, come avevo sempre fatto. Già, perché anche la musica poteva rivelarti molto più di quanto un comune borghese potesse pensare. Ora, normalmente persino dal mio menefreghismo per la sorte del paese potevo vedere che una specie di sentimento patriottico incominciava a permeare, ad esempio nonostante fosse uscito a settembre In Utero dei Nirvana e l’esibizione di Cobain all’ MTV Unpluggedsentivo la gente cantare per strada i Suede, nonostante il loro album fosse uscito nel marzo 93’ – ancora un po’ mi dannavo d’averlo perso nel trasloco -.
Il Paese stava forse cambiando e con esso pure la musica, qualcosa mi sussurrava che stava accadendo davvero qualcosa di imprevedibile. In quei giorni di marzo poi i Blur – cantante carino, rock alternativo – facevano uscire Girls & Boys singolo del loro terzo album, che aveva un non so che di dance. Misi il nome del CD nella mia lista mentale dei dischi da comprare – o rubare – e continuai a tenere le orecchie ben aperte per qualsiasi notizia la musica avrebbe deciso di portarmi. 
 
 

 You need to be yourself 
You can't be no one else 
I know a girl called Elsa 
She's into Alka Seltzer 
She sniffs it through a cane on a supersonic train 
She made me laugh 
I got her autograph 
She done it with a doctor on a helicopter 
She's sniffin in her tissue 
Sellin' the Big Issue 

 


 

 

Rieccomi! Finalmente la scuola è finita per cui potrò dedicarmi a qualcosa di realmente importante: scrivere! Spero di riuscire a tornare ai ritmi di un tempo, un capitolo a settimana magari, ma sopratutto che vi piaccia ciò che sforno ;) Ringrazio  Green Star 90 per le sue recensioni che mi fanno sempre come minimo sorridere se non rovesciare sulla sedia dalle risate, e anche la (virtualmente) defunta Buddy. 
Spazio pubblicità: perchè aggiungere alle preferite/ricordate/seguite e/o commentare? 1. Perchè sì 2. Perchè tra meno di una settimana Noel si sposa e un gesto da parte vostra mi tirerebbe su di morale xD 3. Perchè ormai sto diventando manzoniana e scartabello ovunque documentandomi sugli anni '90 e il Regno Unito e vi fornirò pure una (pseudo)cultura 4. Per il monosopracciglio di Liam  NB: il punto 4 è il più importante di tutti!
Scusa la pessima pubblicità che mi faccio u.u e pure se sono irritante, ma mi sono persa un concerto e quindi sono più sfasata del solito xD
Cheers^^
Ps: la foto sotto è la cosa più vicina che ho trovato all'immagine che ho di Cass nella mia testa, non state tanto sull'aspetto fisico della ragazza quanto più sull'impressione che trasmette :)
Pps: link alla canzone del capitolo http://www.youtube.com/watch?v=p29MG7wn4F8 Notare un Liam che all'epoca era innegabilmente figo xD

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** She ***


She...
She screams in silence
A sullen riot penetrating through her mind
Waiting for a sign
To smash the silence with the brick of self-control
 


 

- Devi andartene da qui -.

Erano le sette del mattino, mi ero appena svegliata e la notte prima avevo lavorato sino a tardi al pub, guardai l’immagine di Louise, gli occhi cisposi che non riuscivano bene a focalizzarla. – Come? -.

Lei ricambiò la mia occhiata assente con una fredda, pensava che la stessi prendendo in giro? Sì, infondo la ragazza era un tantino suscettibile nei miei confronti, ma io davvero non avevo capito cosa mi stesse dicendo.

- Che devi andare via da questa casa -.

Internamente Audrey sbuffò innervosita – secondo me non le era mai andata a genio Luise per quei suoi denti bianchissimi, più perfetti dei suoi – io invece diplomatica mi misi a sedere sul bordo del divano-letto. In effetti lo sguardo deciso di Louise un po’ mi preoccupava ma infondo magari si era alzata solo con la luna storta, più volte però, in uno dei suoi continui litigi con Noel, aveva minacciato di cacciarmi di casa, poi però le acque sbollivano, The Chief in qualche oscuro modo si faceva perdonare e vai con il sesso riconciliatorio. Ormai il nervosismo della signora Gallagher nei miei confronti era normale routine, non ero disposta ad allarmarmi ogni volta che lei l’avesse desiderato. L’avevo fissata abbastanza a lungo e abbastanza ottusamente – Devo? – domandai cercando di buttarla con un po’ d’ironia.

- La mia è un’affermazione, non una richiesta -

- Comprendo, ma… -

- Senti – disse sibilante, le narici allargate – Ti ho accolta qui per tutto questo solo perché eri minorenne e Noel m’aveva raccontato tutta la tua storia, e vedevo come era nervoso a causa tua. T’ho sopportata per quieto vivere, ma ora siamo quasi ad Aprile, hai diciotto anni da un po’, hai un lavoro…voglio che te ne vada -

Strinsi le labbra, in fin dei conti il suo ragionamento non faceva una piega. – Va bene, dammi…dammi solo il tempo di trovare un altro posto dove andare – commentai apatica, sapevo che un giorno tutto questo sarebbe accaduto e Louise questa volta faceva sul serio.

Lei sospirò soddisfatta, oltre i suoi occhi scuri vedevo come si era già preparata un bel discorsetto nel caso in cui avessi opposto resistenza alla sua decisione.

- E poi così finalmente magari, senza di te che continui a riempirgli la testa di cazzate, la smetterà con questa storia del disco, della fama, della band -.

In quel momento non seppi cosa mi impedì dal saltare in piedi e gridarle contro, ma al contrario usai la sua stessa freddezza, Audrey che si stava già scaldando abbastanza per me. – Cosa diamine vuoi intendere? -.

Lei si mise una mano sul fianco e sbuffò – Andiamo, ha ventisette anni e sa parlare solo della sua maledetta musica, mentre io sgobbo per pagare le bollette. E’ ora che la smetta con queste cose –

Un’idea cominciò a farsi spazio nella mia mente, fino a quel momento avevo rispettato Louise, certo non sarebbe mai stata la mia amica del cuore ma di certo non era una stupida e neppure così stronza, ma non ero sicura che lei vedesse in me qualcosa più che una parassita che aveva sin troppa intimità con il suo fidanzato.

- Un istante, un attimo solo…Noel è d’accordo? – chiesi assottigliando lo sguardo – Vuole che me ne vada? -.

E fu allora che Louise sfoderò il sorriso più smagliante della sua carriera, quello più compiaciuto e vittorioso così che seppi immediatamente che non stava mentendo – Lo sa, abbiamo deciso assieme che era ora -.

Sapevo d’essere incollata al pavimento dalla forza di gravità – grazie, Newton; grazie, mela – ma in quel momento di sicuro doveva esserci qualcos’altro che mi faceva provare l’opprimente sensazione d’essere inchiodata al suolo. Potevo comprendere l’essere sbattuta fuori dalla porta, per l’ospitalità di quei mesi sarei sempre stata riconoscente, però non riuscivo ad immaginare perché avesse dovuto dirmelo lei e non Noel. Rimasi in piedi senza saper che pensare, senza rabbia, senza delusione, solo una fastidiosa sensazione di vuoto. I miei occhi vuoti seguirono Louise salutarmi, uscire di casa, rientrare un secondo dopo – Hai al massimo un mese per trovare dove andare – e andarsene di nuovo.

Dopo cinque minuti buoni, quando ormai lo stare così immobile senza un motivo mi sembrò scomodo mi avviai verso la cucina, e feci colazione con il solo rumore dei passi nervosi di Audrey dentro la mia testa. Qualche minuto più tardi mi ritrovai davanti alla soglia dell’unica camera da letto che era avvolta nella penombra, così che tutto sembrava fatto da una nebbiolina grigia e densa, persino quel corpo avvolto nelle coperte. Restai a guardarlo mentre dormiva aspettando soltanto che qualcosa in me si risvegliasse, che mi sussurrasse le parole rabbiose che avrei voluto tirare fuori, che… non lo so. Avrei voluto gridare ma rimaneva solo l’apatia. Decisi che era ora d’uscire e andare a comprare la pedaliera che The Chief m’aveva chiesto la sera prima

 

 

Are you locked up in a world
That's been planned out for you?
Are you feeling like a social tool without a use?
Scream at me until my ears bleed
I'm taking heed just for you

 

 


 In primavera stavamo ancora registrando l’album – o almeno ci provavamo -, gli Oasis lavoravano ai Sawmills Studio, in Cornovaglia e questa volta i produttori erano lo stesso The Chief e Mark Coyle, sempre un tipo che aveva conosciuto ai tempi degli Inspiral Carpets – scoppiai a ridere quando seppi che quei due assieme un tempo avevano pure scritto e registrato assieme musica da ballo, impensabile – e che spesso ci faceva da tecnico del suono. Finalmente cominciarono a registrare le canzoni come una vera band: suonando tutti assieme.

In quei giorni il mio rapporto con The Chief in effetti non era dei più idilliaci, per la legge del contrappasso se ora andava d’accordo con Louise sembrava particolarmente maldisposto nei miei confronti, e più volte ci ritrovammo a discutere delle registrazioni in toni piuttosto tesi. Come un piovoso – be’ ovviamente, eravamo in Gran Bretagna – giorno di fine Marzo.

- Stai esagerando con quel fottuto overdubbing – commentai una volta, incisiva. Non capivo perché si divertisse così tanto a continuare ad aggiungere strati di chitarra su strati di chitarra, il suono stava iniziando ad essere esagerato, artificiale.

Stette in silenzio per un bel po’, continuando a fare quel suo stupido gioco. - Come faccio ad ottenere potenza se creo un muro di suono? – domandò infine retoricamente, non m’aveva neppure guardato ma era stato davvero tagliente, come le folate di vento che percuotevano le finestre quel giorno.

Capivo il problema ma non la soluzione. – Nel blues a volte basta una nota sola per creare la potenza di cui tu parli -.

- Che cazzo ne sai tu del blues? -

Perché diamine doveva fare così?

- Oh andiamo, suono blues da anni e lo ascolto da quando sono nata -

Si mise ad ascoltare la traccia in cuffia con espressione contrita e concentrata.

- Stai facendo una cazzata a sovraregistrare tutto così tante volte -

Mi diede una veloce occhiata, la più tagliente che gli avessi mai visto rivolgermi – Non prendi più in mano una chitarra da mesi. Cosa ne vuoi sapere, tu -, dopodiché se ne andò.

Diverse settimane dopo infine quando anche la seconda registrazione dell’album si rivelò insoddisfacente, Marcus Russell della Creation contattò l’ingegnere del suono e produttore Owen Morris che – rullo di tamburi, prego – per prima cosa rimosse gli strati di sovraregistrazioni di chitarra che The Chief si era ostinato ad aggiungere nella fase di overdub. Non ero orgogliosa per quella vittoria, infondo avrei preferito pure io che la seconda registrazione fosse stata quella buona e che tutto quell’overdubbing fosse servito a qualcosa perché almeno ci saremmo evitati lo spreco di molti soldi e altrettanti notti insonni. Ma quando Noel si voltò verso di me, mentre Morris disfaceva il suo lavoro, e mi guardò con espressione indecifrabile io non poteii che riferire al produttore la mia meraviglia per quanto stava facendo: in fase di registrazione ero così certa che l’uso dell’overdubbing fosse perfetto.

In ogni caso – soddisfazioni personali a parte -. non potevo negare che il rapporto di estrema confidenza che avevo avuto in inverno con Noel pareva proprio sciogliersi sotto i primi raggi caldi del sole primaverile, la crepa fra di noi si stava allargando ma, ad ogni modo, anche avessi desiderato arrabbiarmi non ne avrei avuto il tempo materiale. La Creation in quei mesi ci stava dando soldi per poter girare, fare piccoli tour con alcune tappe per far conoscere al pubblico la musica degli Oasis, ma da subito i ragazzi avevano preferito spenderne la maggior parte nell’affitto di stanze d’hotel che non potevamo permetterci e – diciamo soprattutto – nel bere e nella droga. E con bere intendo fiumi d’alcol. E con droga intendo non della semplice erba ma cocaina. All’inizio Liam e Noel e i ragazzi erano ubriachi o fatti solo i weekend, poi pure il lunedì e il martedì sino ad arrivare a non aver più bisogno di iniziare con il fine settimana dato che era solo un cerchio ormai, non c’era inizio e non c’era fine, semplice. Audrey vorrebbe tanto – credo per conservare le apparenze – farmi dire che io non abusavo di alcuna sostanza, la realtà era che dietro nel backstage tutti tiravano, e io non ero da meno. L’unica cosa che sinceramente mi impediva d’andare in giro fatta tutto il giorno era che non avevo mai apprezzato particolarmente l’effetto che la cocaina aveva sul mio organismo: troppo forte, troppo estraniante, troppo e basta. Per me una canna e un goccio di Scotch erano quanto di cui avevo bisogno. I ragazzi però volevano di più. Tutti all’epoca volevano di più.

Il secondo motivo, per cui ero l’unica che forse sarebbe stata ancora capace di fare lo spelling del proprio nome dopo un’esibizione in qualche pub, era che qualcuno doveva pur far andare avanti la baracca – normalmente era The Chief, ma pure lui era troppo preso dalla parte divertente dell’essere in tour a spese della Creation – e curarsi che nessuno s’ammazzasse e che gli Oasis davvero suonassero a qualche concerto, ogni tanto, dico non troppo. Quei mesi in giro con la band capovolsero ogni cosa che avevo conosciuto – e già allora erano ben poche -, era come essere salita su di una giostra, sui cui cazzo se ci si divertiva perché non mentirei mai dicendovi che quei giorni furono i primi dei più fottutamente divertenti ed eccitanti della mia sino ad allora piatta vita, e non aver neppure il tempo di scendere.

Agli inizi d’Aprile eravamo stati ad Amsterdam, e tutti avevamo goduto di quanto l’Olanda avesse da offrire – no, non mi riferisco ai mulini e neppure ai tulipani – e per una volta tanto avevamo fatto pure un paio di concerti che avevano spazzato via la testa quegli stupidi olandesi. Cazzo, se si erano divertiti! Liam al ritorno era ancora così su di giri che riuscì a farsi buttare giù dal traghetto che ci riportava in patria, ed espellere a vita da quella compagnia. Quel giorno fu uno di quelli in cui sentii Marcus Russell – il manager degli Oasis – più fuori di sé, con Noel che non sapeva che rispondergli. Ricordo che ne seguì un dannato e lunghissimo litigio tra The Chief e Ourkid, riuscirono ad insultarsi per quel fatto persino in Scozia durante un’intervista. Ormai avevo fatto il callo anche alle loro continue sfuriate e a quanto leggevo dai giornali di musica – essì, ormai meritavamo di comparire pure sulle riviste – persino la stampa si era accorta d’essere dinnanzi a una coppia di fratelli davvero fuori dagli schemi. Ciò era davvero molto divertente o forse ero solo io a trovarlo spassoso, dato che ormai Audrey da qualche tempo non era più con me domandarmi se tutto quanto ciò che avveniva era giusto. Una preoccupazione in meno, scoprii che era molto più scorrevole vivere senza una coscienza altezzosa a sussurrarmi cose che non volevo sentire. Il Jack Daniel’s era meglio di Audrey, per certi versi.

Certo, ci furono pure giorni un po’ più pesanti. Ricordo esattamente quando ad inizio del mese mentre eravamo a Glasgow per dei concerti e stavo ascoltando la radio quando interruppero una canzone degli Stones per una notizia dell’ultimo minuto. Kurt Cobain era morto. Cazzo. Fu come se la giostra si fosse fermata per un istante, pochissimo, ma abbastanza da farti ricordare come era difficile distrarsi se si era fermi mentre i pensieri viaggiavano veloci, molto più di quanto una stupida giostra avrebbe mai potuto fare. Chiusi gli occhi, negli occhi stampata l’immagine di Cobain che avevamo visto tutti assieme in tv all’MTV Unplugged, il casino del video di Smells Like Teen Spirit. Quando li riaprii guardai il palco, The Chief che mi faceva segno di portargli una bottiglia d’acqua, mentre Liam parlava delirante al pubblico. Alla radio – distante mille miglia – si parlava di un colpo di fucile, di una lettera. Afferrai una bottiglia di minerale e andai sul palco, mi fermai accanto al chitarrista, indecisa ma noncurante della gente del pubblico che mi fissava.

- Cobain è morto – gli dissi nell’orecchio, mentre lui sorseggiava l’acqua.

- Adesso? -

- Già -.

- Ok -.

Tornai dietro il palco, la bottiglia vuota stritolata dal mio pugno destro, e da lì osservai The Chief che dava l’annuncio al pubblico, potei udire alzarsi al di sopra dei mormorii confusi della gente le grida acute di sorpresa di un paio di ragazze. E mentre la band decideva di dedicare Live Forever al cantante dei Nirvana, io ripensavo a quanto ci eravamo detti io e Noel poco prima, non c’era sorpresa nelle mie parole né nella sua reazione. Forse la risposta stava nella canzone che stavano suonando in quel momento, che era stata scritta anche in risposta a I Hate Myself And I Want To Die di Cobain o forse nel fatto che la morte pareva poter essere l’unica soluzione ad una vita come quella di Kurt che stava bruciando talmente in fretta e con forza che quasi chi lo osservava non riusciva a cogliere interamente la potente luce che emanava. Spedito nell’etere dell’ è un grande artista al sarà per sempre prima di colazione.

Dopo quell’episodio ricordo che smisi per un po’ con l’alcol e con le droghe pesanti, qualcosa mi diceva che qualcuno doveva rimanere vigile e che quel qualcuno sarei stata io e così passavo le notti tra il riordinare la strumentazione e il sorreggere Liam mentre dava di stomaco in un qualche vicolo o curarmi che The Chief non smettesse di respirare nel sonno. Questo periodo di totale astinenza durò non molto, infatti quando l’11 Aprile uscì Supersonic, con tanto di video per la Gran Bretagna – Liam con tamburello a stella, Noel con capelli assurdamente corti e dinosauri giganti – e per gli USA – sembrava il rooftop concert dei Beatles – ritornai spedita alle mie vecchie abitudini dato che altrimenti sarei stata come una suora in un bordello. Nel frattempo non mi preoccupavo minimamente di cercare un posto dove andare a vivere, avevo altro per la testa che non il pensare dove avrei potuto dormire.

Era invece la sera del Bank Holiday di Maggio quando infine Morris terminò di remigare il disco, quando ce lo annunciò noi avevamo appena finito di suonare in un locale a sud di Londra. Io lo seppi prima del resto della band perché The Chief ricevette una telefonata da Marcus Russell mentre io mi stavo fumando una sigaretta seduta su di un ampli, appena dopo che avevo finito di sistemare la strumentazione. Non ero completamente lucida però quando lo udii parlare alla cornetta non riuscii a non origliare la conversazione, per prima cosa Russell gli fece ascoltare per telefono un paio di canzoni. Ovvero Digsy’s Dinner – la canzone più assurda che The Chief avesse mai scritto, ma che adoravo per la sua stupidità – e Slide Away, l’ultima ad essere stata registrata e l’unica canzone d’amore a comparire sul disco – Noel l’aveva scritta per Louise su una Les Paul che gli era stata regalata da Johnny Marr stesso -.

- E’ pazzesco – commentò Russell, la cui voce acuta potevo distinguere abbastanza persino da dove ero seduta – queste canzoni sono passate attraverso così tante mani eppure suonano così dinamiche! -.

The Chief rimase in silenzio a lungo, non lo vedevo in faccia ma potevo immaginare l’espressione, ogni singola piega sul suo viso. – Fottutamente incredibile –

- Sinceramente McGee non avrebbe preteso niente di meno che “fottutamente incredibile” per la cifra di settanta mila sterline! – esclamò per poi lasciarsi scappare uno strano sospiro.

Si stava mordendo le labbra, lo so. In effetti per quel disco la Creation aveva sborsato non poco contando che di quei tempi non navigava in acque troppo tranquille, e sì, Supersonic aveva avuto un buon risultato, si parlava della band sui giornali però quello della casa discografica era stato comunque un bell’investimento.

- Ne sono consapevole, Marcus – rispose Noel sospettoso – Parla chiaro se devi parlare, cazzo -

- Bisogna tagliare un po’ le spese -

- Sai anche tu che dobbiamo promuovere il disco -.

- Infatti, McGee vuole che si elimini personale che non è esattamente necessario al momento – pausa, la cenere cadde senza che io me ne accorgessi dalla sigaretta, scottandomi un poco le dita – Potreste chiamare un po’ meno Coyle, quando si sa che c’è già un tecnico del suono nel locale dove suonerete oppure usare uno dei roadie che sono già stipendiati dalla casa discografica e che sono usati anche dalle altre band -.

Noel non era esattamente quel che si dice una persona svelta a comprendere certe cose – soprattutto se mezzo fatto – ma non era neppure del tutto tonto. – Cassandra non guadagna poi così tanto –

- Però è sempre con voi, è una persona in più cui pagare l’albergo e il cibo -.

Aspettai che The Chief dicesse qualcosa. Ma non parlò.

- Lo so, non pensare che non dispiaccia pure a me, ti comprendo: è brava. Però in questo momento non è che una spesa in più, magari se le vendite dell’album andranno bene potremo assumerla di  nuovo in autunno -.

Perché non parlava? Loro spendevano chissà quanti dei soldi per il tour promozionale in alcol e droghe e all’improvviso ero io la spesa da tagliare? Parla, brutto stronzo, parla.

- Ok -. L’uomo che ascoltava aveva parlato e avrebbe fatto meglio a non farlo. Ricordavo che un anno prima esattamente da quelle stesse labbra avevo carpito quello che per me era stato un piccolo miracolo. Lui aveva detto che gli importava di me, ma avrei dovuto saperlo che i miracoli non esistevano.

Dopo quel monosillabo Russell continuò a parlare spedito come se dopo essersi tolto dallo stomaco quel peso ora la sua lingua si fosse sciolta. Rimasi nascosta dietro all’amplificatore sino a che non udii The Chief che chiudeva il cellulare.

Quando mi alzai sentivo che qualcosa che mi premeva contro le pareti dello stomaco, il sangue che scorreva come un fiume in piena nelle mie vene, la nausea. La carotide che pulsava frenetica sul collo a parte però non si sarebbe mai detto che fossi arrabbiata, ero sicura che quando mi ritrovai davanti a The Chief ero la rappresentazione esatta della calma.

Lui non poté non spalancare gli occhi azzurrissimi, in cui lessi una scintilla di paura quasi fanciullesca. Non gli diedi il tempo di aprire la bocca. Avrei voluto gridargli addosso ma al contrario mi ritrovai a formulare la sua stessa risposta di poco prima. – Ok – mormorai annuendo docile, un sorriso affabile che quasi mi spuntava sulle labbra. Dopodiché feci retrofront e me ne andai serafica.

Figurativamente  non avevo idea di dove stessi andando, forse aveva sempre ragione la teoria di The Chief: non me ne stavo andando da nessuna parte. Intanto però i miei piedi materialmente mi avevano portato all’albergo in cui alloggiavamo. Andai diretta in una delle stanze, consapevole che non sarei stata disturbata per un bel po’, seduta su una poltroncina coperta di broccato fissavo l’elegante carta da parati old england. Ingollai il primo di molti bicchieri di Scotch – amavo i frigobar – e ponderavo semplicemente quanto fosse paradossale che dodici mesi prima avessi alloggiato in un albergo orrendo ma sul cui letto bitorzoluto avevo conosciuto la felicità, e adesso che avevo delle belle coperte e un piumone tutto per me, non sapessi che farmene, se non fissarli.

Quando l’orologio sul comodino segnò le 03:05 decisi che era ora di dormire dato che non era ancora arrivata la visita sapevo nel profondo di me d’aspettare. Presi in mano il bicchiere e lo Scotch per rimetterlo a posto, ma presi dentro e la bottiglia cadde fragorosamente a terra. Sulla moquette intrisa degli ultimi residui di whiskey non si contavano i pezzi di vetro infranto. E io nella mia testa risentii mille volte ancora quello schiantò, e pensai a quanto era stato liberatorio. Feci cadere apposta pure il bicchiere e provai ancora quella stessa sensazione. Non so cosa, ma decisamente qualcosa scattò nella mia testa e andai ad infrangermi contro tutto ciò che c’era di materialmente tangibile in quella stanza: abbattei il televisore che era un grigio specchio, infransi una lampada della cui luce non volevo aver bisogno, graffiai la carta da parati che era messa lì solo per coprire la realtà di un brutto muro di cemento... Quando ebbi finito mi accasciai al centro della stanza e caddi subito in un sonno convulso.

Una mano mi si posò su di un braccio, non ancora del tutto sveglia la riconobbi subito dal tocco.

- Che cazzo ci fai qui, Cass? -

- Ti aspettavo -

Liam si guardò attorno nella luce che filtrava dalla finestra – Nessuno t’ha detto che sono io quello che rovina le stanze d’albergo – fissò la tv sfondata – e distrugge televisori? –. Accucciato davanti a me aveva proprio un’aria da bambino, nonostante le pupille dilatate e l’aria febbricitante che lo pervadeva.

Gli concessi un sorriso di sbieco, lui continuava a fissarmi furbo. Mi prese una mano e mi condusse sul letto matrimoniale, adagiando le coperte su entrambi. Passò un minuto, nel quale mi domandai fissando le palpebre chiuse di Ourkid se si fosse davvero già addormentato.

- Prendimi – mormorai muovendo appena le labbra che però inevitabilmente sfiorarono quelle di Liam. Un secondo, spalancò gli occhi verdi all’improvviso, fissandomi incuriosito.

- Sono già stato con una stronza di ragazza stanotte e ho un forte mal di testa -

- Prendimi -

Qualcosa in me continuava a incuriosire lo sguardo di Liam. – Sei sicura di volere che ti faccia questo? -.

Era impensabile, non credevo potesse formulare ancora pensieri così complicati. Glielo ripetei cogli occhi. Prendimi.

Non ci fu bisogno di riperterglielo una terza volta. – Bene, Principessa – commentò lo sguardo curioso veniva sostituito da uno famelico che gli si addiceva molto di più. Come ore prima mi ero scontrata contro tutto ciò che c’era in quella fottuta camera d’albergo, mi scontrai contro il corpo di Liam e dovetti fare la conoscenza di ogni singolo centimetro delle pareti della stanza prima di ricadere sul letto disfatto. Non avevo mai gridato con Ourkid, né mai con un altro uomo, eppure quella notte non potei farne a meno mentre lasciavo l’impronta delle mie unghie sulla sua schiena. Le mie erano grida mozze e che non avevano nulla a che fare con il sesso.

Quando finì non pensavo d’essere mai stata così grata per qualcosa a Liam, che intanto mi si era addormentato con la testa in grembo, i capelli un po’ umidi di sudore e anche nel sonno la faccia da pazzo scellerato. Era strano, per tutto l'autunno e gran parte dell'inverno avevamo continuato ad andare a letto – anche se la maggior parte delle volte non c'era un letto, per essere precisi - assieme saltuariamente e non lui non si era fatto alcun problema, al contrario di questa volta. Doveva essere stato davvero parecchio sballato per farsi venire tali ripensamenti. Che grandissimo stupido idiota. Mi feci sfuggire un sorriso, e fuori iniziava ad albeggiare quando finalmente presi sonno.

 

She...
She's figured out
All her doubts were someone else's point of view
Waking up this time
To smash the silence with the brick of self-control


 

 

Venni svegliata da un rumore ripetitivo che permeava attraverso le sottili pareti dell’albergo. Dapprima provai a riaddormentarmi, facendomi un poco più stretta a Liam, ma quando infine non riuscii più ad ignorarlo mi misi a sedere sul materasso fissando inebetita la sveglia: 07:07, cazzo. Mi infilai solo un paio di slip e andai alla porta, qualcuno da dietro di essa stava continuando a camminare lungo il corridoio come una cazzo di sentinella, spalancai appena l’uscio, un centimetro per poter vedere chi fosse. Sbuffai e aprii del tutto.

- Se vuoi sorvegliare una porta procurati un cappello peloso e un moschetto e entra nella guardia reale -

Noel si voltò di colpo dato che dandomi le spalle non si era neppure accorto della mia presenza, per prima cosa si stupì che fossi praticamente nuda ma poi vidi che stava provando a formulare una frase ma non gli riusciva, e questo non era certo dovuto al fatto che fossi quasi svestita.

Io con le parole, al contrario suo, ero molto più rapida. - Se hai qualcosa da dire fallo ora perché vorrei tornare a dormire -, m’appoggiai allo stipite e incrociai le braccia.

Passò un minuto senza che riuscisse a far altro che guardarmi con occhi stanchi e un po’ iniettati di sangue – residuo della nottata prima -.

- Non volevo… - borbottò con voce bassa – non doveva finire così. Non so come dire… -.

Ero stufa. – Ho capito, non ti preoccupare –, sorrisi condiscendente quasi, – Dovevo aspettarmelo, non potevo pretendere di poter competere con la musica o con…il successo. Sei innamorato del tuo  lavoro, di quel che fai, dovevo sapere che prima o poi sarei stata lasciata indietro –

Sul viso di Noel si dipinse la sorpresa più completa, si chiedeva forse come diamine fossi riuscita a comprendere così chiaramente cose che lui non riusciva neppure a mettere giù  a parole.

- Ti conosco bene, Noel Gallagher. Anche se avrei preferito sbagliarmi -, gli diedi un paio di secondi per controbattere, ma il tempo si stava dilatando così feci per andarmene.

 – Ah – esclamai però tornando indietro – ho trovato una sistemazione, dillo pure tu a Louise -. Chiusi la porta e subito vi scivolai contro con la schiena, non avevo più tanta voglia di tornare a dormire. M’allungai per prendere un pacchetto di B&H che era caduto fuori da una cassettiera la notte prima, me ne accesi una e fumai per un po’. Non era neppure vero che avevo trovato una casa. Buttai fuori l’ultima boccata di fumo e spensi la sigaretta sulla moquette, tanto peggio del casino che avevo già fatto…

 

Are you locked up in a world
That's been planned out for you?
Are you feeling like a social tool without a use?
Scream at me until my ears bleed
I'm taking heed just for you

 


 

Buona estate a tutti! Sono mancata per un po' causa problemi tecnici (leggi: pc che decide di morire mentre sei in vacanza, dover recuperare quanto scritto da quella santa di Never lose myself, grazie) Cooomunque questo è il capitolo, spero d'avervi stupito almeno un pochino e d' avervi intrattenuto con l'aiuto dei Bros =) La canzone del capitolo è She dei Green Day tratta da Dookie, album del 94' e per  cui ringrazio Green Star 90 per avermi fatto pure ricordare di quei punkettari californiani xD Questo è link per la canzone --->  http://www.youtube.com/watch?v=OnF0pkWD2Tc 
Un grazie va sempre alla resuscitata Buddy e pure a chemical_kira =)
Nel capitolo ho citato un'intervista che i Gallagher hanno rilasciato in Scozia durante la quale discuterono dell'incidente del traghetto. Quella intervista divenne Wibbling Rivalry, che il cd-intervista che ha raggiunto la più alta posizione in classifica in Gran Bretagna, il 52° posto, se non sbaglio. Per farvi un'idea delle assurde litigate dei fratelli qua c'è il link Youtube http://www.youtube.com/watch?v=wWU2ZQjQI-s  Ho una sola domanda da chiedervi, curiosità: voi leggete fic che sono state tradotte? Thanx anticipatamente a chiunque risponderà ;)
Cheers^^

 PsPs: e ricordate che Ourkid vi tiene d'occhio .u.u con sguardo da fattone e impermeabile alla Bogart, ma vi tiene d'occhio 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Married With Children - If I Had A Gun ***



There's no need for you to say you're sorry
Goodbye I'm going home
I don't care no more so don't you worry
Goodbye I'm going home

I hate the way that even though you
Know you're wrong you say you're right
I hate the books you read and all your friends
Your music's shite it keeps me up all night

 

- Pronto? –
- Ciao, Zia Beth! Sono Cas… -
- Oh, Cassandra! Come stai, tesoro? -. La domanda di mia zia Beth – che per essere puntigliosi non era affatto mia zia, dato che non avevamo legami di parentela – mi arrivò estremamente lontana, come se abitasse in Papua Nuova Guinea invece che in Scozia.
- Ti prendo in brutto momento, devo richiamare? – feci cortese udendo uno strano trambusto dall’altro capo dell’apparecchio.
- Oh, no, no, no. Figurati, sono solo…i… - rumori agghiaccianti – i bambini –, la cornetta fu poggiata su qualcosa – Jimmy, quante volte devo ripeterti di non pizzicare tua sorella?! -, sbuffò da orso grizzly – e Aaron, guarda tuo fratello un attimo per favore invece di startene sempre chino su quei libri -. Un fruscio, la cornetta era stata ripresa in mano da zia Beth.
- Dicevamo? –
In realtà non dicevamo un bel niente, quanto odiavo i clichè, ma comunque… - Ti volevo chiedere se potresti  ospitarmi per qualche mese questa estate – feci con voce piccola piccola che non era certo la mia. Silenzio. – Ovviamente darei una mano con le faccende di casa e -, un brivido mi percorse la schiena, - coi bambini… quanti sono adesso? Quattro? – azzardai, da che ero nata per me zia Beth era sempre stata una mongolfiera, perennemente incinta.
- Sì…e no: io e Ron aspettiamo il quinto – mi disse radiosa – Dovrebbe arrivare per Agosto, il birbante -.
Perennemente incinta, infatti. Iniziavo a chiedermi se in Scozia fosse davvero così difficile procurarsi un anticoncezionale. Sorrisi un po’ tiratamente, ma sorrisi per riflesso della gioia di zia Beth. – In tal caso una mano in più cogli altri non ti farebbe comodo? –
- Oh sì, certo che sì. Quando intenderesti venire? – chiese tutto uno zucchero.
Strinsi le labbra, davvero lo volevo fare? – Il prima possibile -. Sì, dovevo.
- Be’, fantastico! Preparerò la stanza, infondo basterà mettere Aaron a dormire con Jimmy, la piccola Sara con me e… ti dispiacerebbe dividere la stanza con Richard? –
Non stavo più seguendo i borbottii e i rimuginamenti tattici di Beth, avevo sentito solo vagamente ma lo stesso risposi – Affatto…adesso scusa ma devo proprio andare. E’ stato un piacere sentirti, saluta tutti. Mi farò sentire. A presto –

 There's no need for you to say you're sorry
Goodbye I'm going home
I don't care no more so don't you worry
Goodbye I'm going home

I hate the way that you are so sarcastic
And you're not very bright
You think that everything you've done's fantastic
Your music's shite it keeps me up all night


 
Erano passate diverse settimane ormai da quando ero stata licenziata e Giugno era alle porte e non potevo fare a meno di ripensare qual’era la mia situazione esattamente un anno prima. Ero appena arrivata a casa di Noel e Louise, ero frastornata, senza un soldo e indecisa su ciò che avrei fatto me o dove sarei andata. Ora invece avevo in tasca un biglietto del treno e qualche bella banconota che m’ero guadagnata lavorando nello stesso Bed&Breakfast dove alloggiavo, in più nella mia testa era ben segnato l’indirizzo di casa di zia Beth. Un anno prima non andavo da nessuna parte, adesso ero diretta al numero 8 di Box Road, Edimburgo. Avrei fatto cambio in qualsiasi momento, ma purtroppo per me la sfortuna dell’oggi era solo il metro di giudizio con cui riuscivo a riconoscere la fortuna passata.
Da quella mattina all’albergo avevo cercato di evitare il più possibile Noel, non per un reale odio ma per la necessità fisica: per me stare nella stessa stanza con lui era davvero qualcosa di impossibile. mi scatenava un tale turbinio di pensieri che davvero non riuscivo a reggere.  Alla sua presenza preferivo decisamente il silenzio vuoto e incombente della mia camera al B&B, il che per me era dire tutto. Purtroppo però mi era difficile evitare The Chief dato che, fanculo, non sarò pur più stata la loro roadie ma non avrei smesso di frequentare i ragazzi.
Con il tempo avevo imparato ad apprezzare il pacato silenzio di Guigsy e allo stesso modo le sue rare parole che erano dotate di particolari sfumature che potevano essere colte solo da un ascoltatore abituale; non riuscivo più a fare a meno della sagacia volgare e rozza di Bonehead che era capace anche di rivelare grandi verità quotidiane, con saggezza da santone del proletariato mancuniano. Persino il mio rapporto con Liam si era trasformato in qualcosa che…Dio, non ci posso davvero credere… che rassomigliava a una sincera amicizia senza doppi fini. Era da quella notte in albergo che non facevamo più sesso – tre settimane -, roba da Guinness dei primati. E nonostante persistesse tra noi due la solita tensione fisica, avevo sviluppato nei suoi confronti un sempre più profondo affetto.
Tormentavo il mio cervello – e la povera Audrey, che ora di tanto in tanto ricompariva, inutile dirlo, profondamente delusa dall’operato del suo sostituto Jack Daniel’s – con queste riflessioni mentre percorrevo con passo deciso una delle strade che più conoscevo di Manchester, quella che portava a casa di Bonehead. Quel giorno si sarebbero scattate le foto per l’album.
Bussai, ma nessuno – ovviamente – venne ad aprire per cui spalancai la porta senza farmi troppe remore, neppure quella di farla finire in faccia a Noel. – Porca puttana! – inveì, o meglio fu quanto interpretai io dal mugugno che emise mentre si teneva il naso dolorante. Per prima cosa notai quanto fosse stranamente vestito pseudo-elegantemente, il che gli donava molto più che la camicia a righe e il calzino lungo di lana, sogghignai, poi però gli scostai la mano: il naso era solo un po’ arrossato, niente sangue, niente di rotto. Quante scene per una botta.
- Mi dispiace. Il tuo profilo è ancora tremendo come al solito, se vuoi però possiamo riprovare –sentenziai, avrei voluto avere un tono del tutto gelido ma nella mia voce vibrava un che di divertito.
Lui mi posò lo sguardo addosso, forse cercando la gobbetta che era rimasta a me dalla caduta nel campo a Burnage in dicembre. Anche io ci stavo un po’ pensando. Abbassai gli occhi decisa sulla sua camicia bianca, un istante di scomodo silenzio, poi però prima d’andarmene commentai derisoria – Hai sbagliato ad allacciare la camicia, è storta -. Ero già sparita in salotto quando lui si chinò a ricontrollare i bottoni.
Il salotto di Bonehead era luminoso grazie a tre finestre belle ampie che stavano sul fondo, c’era un caminetto – con sopra un assurdo fenicottero di plastica comprato in Olanda - e un divano un po’ sgangherato ma dalla comprovata comodità dopo intere serate passate a berci su birra assieme. Tutto, dai muri al parquet, era contraddistinto dalle tinte tenui e neutre tipiche delle case in affitto. Per terra trovai un pacchetto di Benson, una foto di George Best – indimenticato calciatore del City – e quel che sembrava un mezzo bicchiere di vino. Sembrava una discarica più che un set fotografico. Ah, sul pavimento c’era pure Ourkid. Già, proprio una discarica.
- Che ci fai lì?  -
- Potrei dire lo stesso –
- Sei tu quello sdraiato per terra –
- Dal mio punto di vista tu sembri incollata al parquet a testa in giù. Sei tu, quella strana –
- Touschè - commentai aiutandolo a tirarsi su. Lui si sistemò gli occhiali da vista che in realtà non gli servivano, ma che gli stavano indubbiamente bene – Dio mi scampi da che lui lo scopra, o il suo ego già gigantesco si sarebbe gonfiato all’inverosimile -.
- Come mi stanno gli occhiali? – domandò un secondo dopo.
Appunto. Diedi una scrollata di spalle e ignorando il suo insulto per non avergli risposto andai in  cucina, c’erano Guigsy, McCarroll e il padrone di casa.
- Un goccio? – mi domandò Bonehead allungando la caraffa di rosso. Io guardai alle mie spalle, Noel stava arrivando cercando di lisciare una piega nella giacca, sotto braccio teneva un enorme mappamondo di carta. Annuii – Audrey che invece faceva segno di diniego col suo bel testolino fu ignorata -.
Bevvi sperando che il vino m'aiutasse a portar un po' su la giornata, ma scoprii dalla prima sorsata che si trattava di Ribena, fottuto succo di frutta. Questo non è per niente rock 'n' roll. - E’ ora di iniziare –, sentenziò The Chief, - E’ arrivato il fotografo della Creation -.
Erano tutti in salotto con colui che avrebbe scattato le foto – un ragazzetto tanto magro che secondo me sarebbe perito sotto il peso del cavalletto e della macchina fotografica -, mentre io gironzolavo per la casa di Bonehead curiosando qua e là sino a quando non lo trovai in una specie di andito. Un ritratto di Burt Bacharach. L’avevo visto una volta quando avevo sbagliato la porta per andare in bagno, avevo preso la destra invece che la sinistra. Lo presi in mano e dopo averlo spolverato per bene lo portai nell’altra stanza, sorseggiando dal mio bicchiere, molto soddisfatta della mia caccia.
- Aspettate un attimo – intimai, il fotografo si fermò un attimo prima dello scatto e mi guardò stupito, ma non irritato quanto The Chief. – Manca qualcuno nella foto –. Poggiai il bicchiere per terra e con un sorriso sistemai Burt.
Osservai in silenzio la mia opera, in sotto fondo solo la voce del film che avevano messo in tv: Il buono, il brutto e il cattivo. Il quadro l’avevo messo come quello dei Pink Floyd in Ummagumma, e ora che avevo dato sfogo al mio lato  progressive mai pienamente acquietato potei andarmene. – Riprendete pure – feci infine volontariamente saccente.
Finito il set ci ritrovammo in giardino a dare fondo ad una vera bottiglia di rosso. Stravaccata su di una sedia da giardino ricevevo con piacere le carezze dei raggi solari.
- C’è qualcosa che non va, Cass? –
Dapprima non capii chi avesse parlato, tanto la sua voce mi era poco usa, ma poi mi voltai verso Guigsy, che stirò le labbra in un sorriso discreto. Un piccola fitta tra le costole, - In effetti -, mi schiarii la voce sistemandomi più compostamente nella seduta, d’un tratto tutti gli occhi erano puntati su di me, - Ci sarebbe, c’è una cosa che devo dirvi: stasera ho un treno per Edimburgo -.
- Cosa?! – sbottarono tutti. La sorpresa più che altro per il fatto che avessi un posto preciso dove andare.
- Passerò un po’ di tempo da una vecchia amica di mia madre -, deglutii, - a fare la bambinaia e la ragazza alla pari -. Non ebbi tempo di terminare che lo stupore di poco prima fu rimpiazzato da sonore risate, con tutti che sghignazzavano immaginandomi alle prese con poppanti e pulizie varie, io che ero insofferente nei confronti di qualsiasi forma di vita al di sotto dei vent’anni – quindi compresa me stessa – e che vivevo nel disordine più totale.
Prosciugata la propria risata sguaiata Liam si voltò verso di me, gli occhi verdi inquisitori.
- Parto davvero –
- Allora immagino che dovrò accompagnarti alla stazione – e calcò volontariamente quel dovere per dimostrare che senza di lui sarei stata completamente allo sbando. Ancora una volta mi feci una risata sull’infinita stima che Ourkid provava nei propri confronti, ad ogni modo sorrisi condiscendente – Certo –. Non avevo alcuna voglia di trovarmi da sola alla banchina dei treni.
Liam però continuava a fissarmi imperterrito, e si muoveva nervoso sulla sedia come se sotto al culo invece di un cuscino avesse carboni ardenti, diamine. Stufa spalancai gli occhi e così finalmente si decise a parlare, - Però dovresti pure dirlo al coglione -. Il coglione per antonomasia nel vocabolario di Liam e attualmente nella mia mente era Noel.
Improvvisamente mi guardai attorno, ero stata talmente presa dal dovere dire della partenza ai ragazzi che mi ero dimenticata di sincerarmi che ci fossero tutti, e soprattutto lui. Purtroppo per me se c’era una categoria di persone che detestavo erano i senza palle, per cui non avrei sopportato l’idea di non dire a Noel che me ne andavo, dato che in gran parte era merito suo la cosa. Perciò m’alzai e andai di fianco a Bonehead, - Hai visto The Chief? –
- Che ho l’aspetto di una fottuta balia? -.
Lo fulminai con lo sguardo.
- Prima era fuori in strada a discutere col fotografo, sarà andato a casa -, e poi dovetti aver fatto una faccia profondamente scocciata, arrabbiata e delusa perché s’affrettò ad aggiungere – Ehi, mica è colpa mia… Ah, e porta via dal salotto quello stupido quadro che Kate non lo può soffrire -.
Io assentii un po’ mesta e me ne ritornai in casa, come da ordine di Bonehead e per la sua tranquillità coniugale presi sottobraccio Burt Bacharach e lo riportai dove l’avevo sottratto alla polvere. O almeno questa era l’intenzione.
 
 ....fade away
Give you back your life
.... on my way
....only fade away
 
Forgive me if I spoke too soon
But my eyes will only
Follow you around the room
Cause you're the only
God a man could ever need
Lead me to the.... sound of your
 
Forgive me if I spoke too soon
But my eyes will only
Follow you around the room
Cause you're the only
God a man could ever need
feeling ... it's only me 
 
Fu quanto riuscii a cogliere attraverso la porta e la voce mormorante di Noel, ma bastò per infondermi un’infinita tristezza e malinconia. E quella fu una delle uniche tre volte in vita mia che una canzone riuscì a commuovermi sino a farmi pizzicare gli occhi.
Dovetti rimanere dietro alla porta dell’andito per diversi minuti prima di riuscire a scrollarmi di dosso la sensazione di smarrimento che quella voce m’aveva fatto provare.E poi non volevo che lui sapesse che io lo avevo sentito, quando scriveva amava essere lasciato da solo. Lui e il suo silenzio.
Aspettai sino a quando non si mise a suonare The Butterfly Collector dei Jam e quindi bussai prima d’entrare. Lui scattò su come una molla, come se l’avessi beccato a fare qualcosa che non doveva.
Non so perché abbassai gli occhi ad osservare le fughe del pavimento – Dovevo portare a casa il vecchio Burt – borbottai un po’ burbera, sempre evitando il suo sguardo. Che stessi entrando a far parte di quella categoria di persone senza coraggio che tanto disprezzavo? Be’, infondo, non era raro che mi trovassi in disaccordo con la mia stessa persona…
- Stavo scrivendo una canzone ma questa volta mi riesce un po’ più difficile del solito -. Stavo ancora cercando di racimolare i pensieri per parlare quando mi precedette Noel, che seduto su di una sedia abbracciava la sua Epiphone acustica in una maniera che mi faceva torcere un po’ lo stomaco. Non era detto vero che stesse per forza parlando della canzone che avevo origliato?
- Ti manca l’ispirazione? – domandai indifferente, premurandomi di sistemare il quadro nel migliore dei modi, più e più volte, poi però mi voltai e soggiunsi velenosa: - O forse ti mancano le parole? Non sarebbe la prima volta d’altronde -.
Lui fece una smorfia volontariamente, come se l’avessi appena pugnalato alle spalle, ma poi sorrise un po’ sornione e un ingenuo, un po’ il bambino pestifero e sognatore che avevo conosciuto una sera in negozio. – Al contrario, ho fin troppa ispirazione e troppe parole -.
Interessante. A questo non sapevo come rispondere, strinsi le labbra sino a formare una un segmento rigido e perentorio, - Vado in Scozia per qualche mese – annuncia atona e irremovibile come un bollettino meteo e Noel apprese la notizia con il suo confacente muro di silenzio anche se vedevo che in bocca stava masticando parole che forse da lì non sarebbero mai uscite, o almeno non l’avrebbero fatto sotto forma di discorso.
Indietreggiai di un passo verso la porta, rimanendo però sempre voltata verso di lui, aspettando non so che, ma di certo aspettando qualcosa fosse un’occhiata triste o un insulto.
Sul suo volto vi fu un movimento burrascoso delle folte sopracciglia, quello che sembrava poter essere un minuscolo riflesso dell’agitarsi dei suoi pensieri. – Mi dispiace…-
Lo guardai impietosa nonostante sapessi quanto gli fosse stato difficile dar forma a quelle due parole.
-…e vorrei potermi scusare di qualcosa di più che un “ok”, magari di un fiume di parole sbagliate -.
Audrey nel mio cervello rimase un po’ folgorata, a me della canzone era rimasta solo la persistente malinconia di una stanza vuota, ma lei, essendo quella intelligente e istruita delle due, aveva registrato ogni singola parola che era sfuggita da quelle labbra e aggiungendoci la ormai conosciuta anche se ben velata ironia di The Chief si otteneva un risultato capace pure di lasciare perplessa una star di Hollywood, protagonista di intrecci complessi nella vita e sullo schermo. Perdonami se ho parlato troppo presto. Persino a me sfuggì un piccolissimo sorriso. Audrey avrebbe voluto andare avanti nelle sue congetture ma a me bastava quel frammento di frase, tanto più che dubitavo Noel capisse il mio sogghignare e stava per richiudersi come un fottutto riccio davanti a quella che pareva una mia presa in giro.
- Te l’ho già detto: ti capisco -, questa volta mi sforzai guardarlo in faccia, perché doveva essere complicato? Tra noi due tutto era sempre stato automatico, senza bisogno di pensare come se lo cose che ci dicevamo e soprattutto quelle che non ci dicevamo venissero fuori da sole. Lui ricambiò la mia occhiata con l’abbozzò di un sorriso, fatto cogli occhi però, le sue labbra sembravano incapaci di inarcarsi all’insù ogni tanto, almeno quanto le mie erano in grado di farlo senza sembrare derisorie.
Ora il mio istinto primario era portato non tanto al perdono propriamente, quanto più allo scordare: avevo dimenticato tante di quelle cose in vita mia che il tradimento di Noel sarebbe potuto sembrare solo una minuscola macchietta opaca sulla distesa infinita della memoria. Per una volta, una delle più difficili, però diedi ascolto a Audrey e rimasi immobile dov’ero invece che avvicinarmi a The Chief e stringerlo a me come avrei fatto una volta, come infondo mi mancava, come con Liam non poteva essere e semplicemente lasciar scorrere via le piccole colpe.
E allora ignora quel ramo d’ulivo che lui m’aveva teso sperando di rimettere i cocci a posto,– Mi ci vuole del tempo, non può tornare tutto come prima -.
 Per un attimo pensai che lui si sarebbe offeso, il borioso Noel Gallagher le cui scuse erano state vane, invece sogghignò appena, - Capito, un po’ me lo merito  - e cercando poi i miei occhi e non trovandoli capì che  quanto avevo detto era vero. Io in quel momento stavo fissando Burt cercando migliori propositi che non tardarono ad arrivare.
- Ho dimenticato a casa vostra Wonderwall Music – mormorai schiarendomi la voce, anche lui si ridestò, - Oh, certo. Credo che Louise l’abbia messo da qualche parte nella cassettiera – fece alzandosi e andando subito ad aprire la porta dell’andito. La luce della casa di Bonehead entrò invadente nella piccola stanza e ci strappò al limbo in cui ci eravamo calati. Era strano come per me là fuori, in uno stretto corridoio di una casa mancuniana, sembrasse iniziare il mondo, o come minimo un mondo diverso da quello che avevo conosciuto per mesi e che avrei dovuto attraversare senza la musica degli Oasis per la prima volta dopo più di un anno.
 
And it will be nice to be alone
For a week or two
But I know that I will be
Right back here with you

There's no need for you to say you're sorry
Goodbye I'm going home
I don't care no more so don't you worry
Goodbye I'm going home


 


Era pomeriggio inoltrato ormai e giù, nella tromba delle scale del condominio dove abitavano Noel e Louise un vento tagliente, entrato da una finestra rotta, frustò me e Liam che eravamo in attesa. The Chief era salito in casa a recuperare il mio vinile ed io ero stata ben felice di non dover salire ancora una volta in quella casa, erano passati poco più di due minuti quando udimmo una porta sbattere e poi riaprirsi per poi sbattere nuovamente. Io e Ourkid ci guardammo complici, avevamo entrambi una non troppo vaga idea di chi potesse essere e difatti…
- T’avevo chiesto una cosa, una sola schifossima cosa, Noel, cazzo! – sentimmo gridare dalla voce di Louise che saliva di un paio d’ottave quando era arrabbiata, questa volta forse le ottave erano pure tre, il che implicava guai assai grossi per The Chief.
- Aspetta un attimo – lo sentimmo sibilare – merda -.
- Dovevi solo pagare una fottutta bolletta e ora invece ci ritroviamo una penale per due mesi di ritardo, le tiri fuori tu duecento sterline? –
- Se serve a finirla con questa scenata, sì. Lo sai che sono occupato, cazzo –
Un momento di silenzio. – Non è questo, Noelie -, avrei giurato che la voce di quella leonessa di Louise era un po’ incrinata, - Non sono duecento fottutte sterline, è che non te ne frega niente di noi. E’ che t’importa soltanto di te e di quella merda della tua musica che mi dà il voltastomaco –
- Ehi! – esclamò Noel con un ruggito amplificato dalla tromba delle scale.
- Speravo saresti cambiato e invece…una delusione -.
La donna in risposta ottenne solo quelli che da dove ero io erano indecifrabili borbottii di imprecazioni.
- E’ finita –
- Bene – replicò lui strafottente allora.
- ‘Fanculo, Noel -.
Sentii i tacchi di Louise picchiettare sui primi gradini e allora immediatamente sia io che Ourkid ci appiattimmo di più contro la parete dell’atrio, ma lei ci sorpassò con talmente tanta foga che ugualmente non si sarebbe accorta della nostra presenza.
Liam mi guardò, aveva un che di divertito ma anche di saggio come a dire “ehi, io lo sapevo che sarebbe finita così, anche se speravo in un bel pugno da parte di lei”.
Aspettai un secondo, le orecchie tese a sentire casomai i passi stanchi di Noel, ma poi decisi di salire io stessa. Un ultima volta questa scala, mi dissi.
Lo trovai seduto sul pianerottolo con una sigaretta in bocca, il vinile di Wonderwall Music a fargli compagnia. La mano sinistra con le nocche spellate e un segno sul muro che ero sicura prima non esserci mi disse che il pugno c’era stato ma non del genere che sperava Liam.
- Sarebbe tanto stupido come sembra chiederti come va? –
Noel alzò il viso ancora rubizzo per la litigata e le grida, - Penso proprio di sì –, prese una boccata di fumo che trattenne in gola più del dovuto, - Sei anni buttati nel cesso, fai un po’ tu -.
Temporeggia e mi accessi pure io una sigaretta – una Chesterfield perché avevo deciso che era ora di smettere con le stupide abitudini degli stupidi Gallagher -.
Fissai il vinile. – Credo che dovresti tenerlo tu –
Lui inarcò le sopracciglia un po’ menefreghista e un po’ curioso.
- Infondo è stato in parte grazie a te se sono riuscita a rubarlo, diciamo che è una ricompensa per la collaborazione –
- Già, in effetti stavo ancora aspettando –
- Non sono un tipo molto riconoscente –
 Abbandonò lo sguardo sul pavimento per spegnere la sigaretta. – Nessuno di noi due lo è –
- E poi così magari ti farai una cultura musicale decente una volta tanto – soggiunsi io, inutilmente. Sapevo solo di star parlando a vanvera per rinviare più possibile un saluto che non ci sarebbe stato, così alla fine mi voltai e basta e scesi il primo gradino. Un attimo di indecisione, ma poi nella mia testa Audrey acconsentì bonaria. – Ah Gallagher, trattamelo bene perché lo rivorrò indietro -. Il resto della scala dopo di che fu molto più facile da scendere.
 
- Allora te ne vai –
- A quanto pare. Non dirmi che il piccolo Will è un sentimentale che odia gli addii –
Ourkid mi spintonò un po’ via, prendendomi solo per un braccio prima che cadessi giù dalla banchina numero 2 della stazione ferroviaria di Manchester.
- Tanto so che torni – fece testardo, e io mi immaginai il bambino cocciuto e peste con cui doveva aver lottato Peggy in vano, a quanto pareva.
- E perché dovrei? -. Perché sono sola.
Lui mi guardò furbescamente, una mano posata sulla mia vita. – Perché una volta che hai conosciuto i Gallagher poi non ne puoi più fare a meno – e aggiunse un ghigno che nelle sue intenzioni forse sarebbe dovuto essere da seduttore, ma che su di me non aveva alcun effetto. Di certo però scherzando una piccola verità l’aveva detta.
Da dietro le spalle di Liam lessi sul tabellone che il mio treno era in arrivo. Non volevo fare la sentimentale però lo abbracciai, lui e la sua vecchia felpa grigia che un tempo era stata nera. Mi sarebbe mancata la sensazione del suo corpo, di come ci capivamo subito con un guizzo delle membra. Un po’ animalesco ma di certo meno falso di molte parole.
Il treno era arrivato sferragliando, al che assestai una pacca sonora sul sedere di Ourkid che un po’ si stupì ma io non gli lasciai tempo di controbattere e salii subito sulla carrozza.
Liam Gallagher e il suo sedere erano decisamente una delle dieci cose di Manchester che non avrei voluto dimenticare.
 
 
 
I hate the way that even though you
Know you're wrong you say you're right
I hate the books you read and all your friends
Your music's shite it keeps me up all night



There's no need for you to say you're sorry
Goodbye I'm going home
I don't care no more so don't you worry
FUCK OFF I'm going home


 111111111jjvjecjk11111
Primo: WWAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH *_____* <-- sto sclerando perchè oggi Noel "culo di piombo" Gallagher si è deciso non a far uscire un album ma ben 2! Fuck yea! "Noel Gallagher's High Flying Birds"  (nome molto retrò ed egocentrico eh?) esce il 17 ottobre con conseguente tour =)
Ora che ho condiviso la mia gioia e fatto un po' di pubblicità a The Chief passiiamo al  capitolo. Link di Married with chilrend scritta proprio sui litigi con Louise http://www.youtube.com/watch?v=NJ8gMQK4-BQ 
e link di If I had a gun che finora era solo una vecchia demo registrata ad un soundcheck ma che comparirà nel nuovo album! http://www.youtube.com/watch?v=nApdayFAHjA 
 
 Cheers^^
 
 
 
  

   Ps: qui sotto la copertina (fronte e retro) dell'album


 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Digsy's Dinner ***


What a life it would be
If you would come to mine for tea
I'll pick you up at half past three
And we'll have lasagne
I'll treat you like a Queen
I'll give you strawberries and cream
And then your friends will all go green
For my lasagne

These could be the best days of our lives
But I don't think we've been living very wise
Oh no! no!


 

Il sole estivo della Gran Bretagna è qualcosa di speciale, bisogna esserci nati per viverlo a pieno. Era quel caldo piacevole che ti fa venire subito la voglia di buttarti sul prato di un parco, con l’erba che ti trasmette l’umidità delle piogge passate, e in mano una birra gelata, gli occhi chiusi a sentire solo le risate degli amici. Tutto il resto tagliato fuori.
Finora la mia estate non era stata nulla di tutto ciò e mi rimaneva solo la luce che riflettendosi sul bianco del mio vestito m’accecava, mentre i miei occhi erano occupati a rincorrere spezzoni di immagini.
Fine giugno, la melma di Glastonbury sotto gli anfibi indossati appositamente per l’occasione, mi trovo impigliata nelle orecchie la melodia di una canzone che potrebbe essere I’d Like To Teach The World To Sing – quella della Coca Cola, insomma –, ma che in realtà si chiama Shakermaker. La voce di Liam è più sguaiata che mai – chissà che aveva ingurgitato quel giorno? – e mi fa venire i brividi quando canta “Shake along with me”.
Mi viene un po’ da ridere a vedere com’è vestito quando finalmente riesco a farmi largo tra la folla del festival in delirio, con quegli occhiali da bancarella che dovrebbero essere dei Wayfarer e il maglioncino blu da bravo ragazzo che in realtà non è. E di fatti ringrazia prima di prendere una sorsata di birra e riattaccare con la canzone successiva, Fade Away, sotto un muro di chitarre. Tiro una gomitata a un ciccione per riuscire a sgusciare un po’ più avanti e guadagnarmi una vista migliore su quel che cercavo, devo lottare con una bionda con la permanente sino a fine canzone prima di riuscirci. Mi spunta un ghigno quando vedo come sia impalato Noel mentre suona la sua Les Paul, la prova di un festival come Glasto devono superarla tutti, mio caro, e gli occhiali da sole scuri da duro non ti possono aiutare. Intanto Ourkid tira fuori un tamburello – a forma di stella, e ripeto, a forma di stella – mentre parte quella stupida canzone. Digsy Deary non so debba andare fiero o meno d’avere ispirato il brano più cazzone registrato per l’album. In ogni caso alzo la mia birra in alto, spruzzando un po’ tutti attorno a me – ma questa è ordinaria amministrazione da festival – e mi metto a cantare pure io.
- These could be the best days of our lives, but don’t think that we’ve been living very wise, oh no, no, no! -.
Cambio scena. Sono in prossimità del retro palco, i capelli bagnati e sudati incollati al collo dopo aver pogato per almeno tre ore, Dio quanto amo i festival rock. Gettò a terra la lattina di birra ormai vuotamente inutile e m’avvicinò ancora di un paio di metri, il massimo che possa fare d’essere notata e allontanata da qualcuno della sicurezza. Tra le mille persone affaccendate nel backstage scorgo una una zazzera di capelli mossi che incorniciano un viso un po’ paffuto, dove balugina un sorriso vagamente isterico.
- Guigs! – prima ancora che mi possa controllare, il grido è partito. Subito mi maledico mentre il bassista si volta verso di me, ammicca e subito dà di gomito al suo vicino.
Ourkid si tira giù gli occhiali da sole e con un cenno della testa mi saluta, automaticamente un nodo mi si forma nello stomaco, ci vorrebbe dell’altra birra per scioglierlo… rispondo al saluto meccanicamente, Liam forse non lo nota neppure dato che si è voltato di scatto, come se qualcuno l’avesse chiamato. E solo nei confronti di una persona William John Paul Gallagher reagisce con tale repentinità, d’altronde lo chiamavamo The Chief mica per niente. Distinguo appena il baluginare dorato di una Les Paul cherry e decido che prima che sia troppo tardi sia meglio fare dietrofront e m’avvio decisa dalla parte opposta al palco.
Metà Agosto, sono in casa da sola con i bambini e sto imboccando Sara, la più piccola dei figli di zia Beth – senza contare ovviamente Josh, che  ancora se ne stava nel pancione della sopracitata -. In realtà non sto facendo un gran lavoro dato che sono molto più interessata a ciò che trasmette il canale musicale, infatti metà dell’omogeneizzato si trova sulla bocca di Sara – e zone limitrofe - e non nella bocca. Arriva la Top Ten della settimana. Live Forever, decima posizione. Tiro un urlo così acuto che sono sicura non possa essere mio, lascio cadere il cucchiaio con gran disappunto di Sara. Nel mentre arrivano nella cucina Aaron e James che tanto per cambiare stanno litigando, dovrei farli smettere o quantomeno sgridarli, invece afferrò il più piccolo per le ascelle, Jimmy, e mi metto a volteggiare per la stanza in preda a un delirio da baccante.
Fissai gli anfibi, che ancora indossavo dal Festival di Glasto, cercando di riprendermi dalle memorie che così spesso mi assillavano. Audrey da dentro la mia testa mi diede l’occhiata più truce del suo repertorio. Sbuffai, ok, in effetti tornare qui a Manchester non era esattamente la cosa migliore da fare: era settembre e ormai non potevo più stare a casa di zia Beth, tanto più che ora avevano una bocca in più da sfamare…tentai di scusarmi con la mia stessa coscienza. Forse in realtà non era la cosa migliore, però era l’unica che mi venisse in mente, starsene al nord in Scozia non mi pareva neppure un opzione.
Magari avrei provato a cercare lavoro nuovamente nel negozio di strumenti musicali, infondo mi piaceva stare lì, mi dissi sentendo però l’amaro della menzogna. In tanto di sicuro però non stavo facendo nulla per trovarmi un lavoro, certo almeno che fissare un prato –il prato, per essere precisi - potesse aiutarmi nell’impresa, sogghignai tra me e me.Gettai a terra il mozzicone di sigaretta e lo schiacciai sotto la suola pronta ad andarmene… Per gli occhiali di John Lennon!
- Non volevo –
Il cuore mi batteva ancora all’impazzata. 
- Scusa – ribadì l’idea Noel, come se non fosse del tutto convinto che avessi afferrato. Io però ero solo scossa ancora dall’essermelo trovato davanti così all’improvviso, quando ero certa d’essere l’unica persona presente in strada a quell’ora del mattino.
- Non so esattamente come si dovrebbe annunciare la propria presenza a una persona di spalle – bofonchiò seriamente, dopo una pausa di silenzio.
Aggrottai le sopracciglia, mi concederete che era uno strano preambolo dopo che non vedi una persona da tre mesi. M’immaginai cos’avrebbe detto invece una persona normale
Allora… sei stata a Glasgow?
Già, a quanto pare! Bel posto, passaci se puoi
Be’ il tempo deve essere stato buono come qui, avrai avuto belle giornate
Oh sì, cambiato pannolini, dato retta a donne isteriche e imboccato lattanti. Uno spasso!
Anche noi non ce la siamo passata male. Un singolo nella Top Ten, non so se hai sentito…
…Ok, ripensandoci la versione gallagheriana mi piaceva di più, s’adattava meglio a persone come noi due, qualsiasi cosa questo volesse dire e in qualsiasi categoria umana rientrassimo.
All’improvviso m’accorsi che non avevo spiccicato ancora una parola, per cui cercai di rimediare con un sorriso debole ma sincero.
Noel era ancora però molto greve, o almeno era quello che dava a vedere, prese una boccata di fumo dalla sigaretta che aveva in mano – Stavo pensando… -, contrazione molto vistosa delle sopracciglia, - che vita sarebbe se venissi a casa mia per il tè –
Una parte di me avrebbe voluto ucciderlo, l’altra scoppiargli a ridere in faccia. Compromesso, un po’ di sarcasmo: - Il successo inizia a darti alla testa se già cominci a fare auto-citazionismo –
Non colse la sfida nella mia voce. – T’ho vista cantarla a Glastonbury, eri lì –
Va bene, questa cosa m’ha stupita, non pensavo m’avesse vista.
- E ti piaceva, da quanto potevo vedere –
Assottigliai lo sguardo, - Se lo dici a qualcuno poi dovrò ucciderti, sappilo –
- Correrò il rischio, per il cadavere chiedi aiuto a Ourkid, sarebbe felice di darti una mano -.
Lunga pausa. Era davvero così assurdo come sembrava ritrovarci a cercare di comportarci come una volta? Sì, decisamente, ma non importava. Gli sfilai di mano la  B&H, fumai. Mi mancava. Mi mancava quella marca di sigarette, mi mancava quel prato che avevo visto una volta sola, mi mancava Manchester, mi mancava Ourkid, Guigs, Bonehead, persino McCarroll – più precisamente, lo sfottere e litigare con McCarroll – e mi mancava…
Noel interruppe il mio flusso di pensieri. – Allora? – chiese.
- Allora… cosa? –
- Se non te ne fossi accorta – fece saccente come sapeva essere – t’ho invitata a casa, non per forza per il tè, ma…vieni o no? –
Avrei voluto essere stronza, dirgli di no, affermare il mio tronfio orgoglio ma… - Va bene -. Infondo che male poteva farmi un pranzo? – Però niente lasagne – lo ammonii lapidaria.
- Ok, allora da mia madre per le sei e un quarto –
Feci in tempo solo ad annuire che lui s’era già voltato e con le mani in tasca si allontanava di buon passo. Audrey nel frattempo scuoteva il suo bel testolino fresco di parrucchiere.
 
- Oh -.
Margaret Sweeny Gallagher sapeva esattamente come falciarti con una sola sillaba, e non aveva paura d’usare questa sua capacità neppure d’avanti un ospite che sfoderava, sulla soglia di casa, il proprio miglior sorriso a trentadue denti, a quanto pareva, inutilmente.
- Buongiorno – replicai comunque senza badarci. In realtà era la prima volta che incontravamo in un modo, come dire, ortodosso. Le altre due, in un caso stavo sgattaiolando via dalla finestra dopo una notte passata con Ourkid, che però non ci teneva ancora a presentarmi a sua madre, – il mio osso sacro doleva ancora al ricordo della caduta nel cortile posteriore dopo averla vista spuntare alla porta della stanza, con quello sguardo che dice precisamente fornicatrice finirai all’Inferno -; mentre nell’altro ero soltanto semisvenuta per effetto sbronza nel giardino anteriore dopo aver “accompagnato” a casa sempre Liam. Forse un po’ di quell’oh me lo meritavo.
- Non credevo saresti venuta per davvero –
- Siamo in due, allora -. In effetti avevo ancora qualche dubbio sul fatto d’aver preso la decisione giusta.
Peggy tirò su col naso e arretrando in casa mi esortò – Su, entra -, fece cenno con la mano, - però lascia fuori quei cosi -. Fissai i miei anfibi con aria contrita prima di toglierli, infondo non erano così sporchi.
- Spero saprai che quei due hanno litigato per causa tua -, altra occhiataccia.
Dovetti contenermi per non sorriderle di rimando, chissà perché, nonostante il tono aspro che mi riservava Peggy mi stava simpatica. Forse perché sapevo cosa aveva passato e stimavo la sua tempra o perché aveva infondo contribuito a formare quei diavoli dei suoi figli, o a pensarci già per l’aver dovuto tenere in riga Ourkid – più o meno con successo - si sarebbe meritata un monumento. E poi era così diversa da mia madre…
Entrammo nella sala da pranzo e subito venni travolta da Liam – Cassandra! –, ruggì mentre mi sollevava dal pavimento, andammo a sbattere contro un paio di mobili ma non ci fece caso e continuò a stritolarmi sino a che non dovetti pregare per un po’ d’ossigeno. Mi mise giù.
- Ho la vaga sensazione d’esserti mancata –
Liam si tirò dritto e strofinò il naso, cercando quella che forse era la sua aria di contegno. – Sono solo felice che sia tornato qualcuno che possa rimettere in riga quel coglione – e puntò dietro di sé.
Noel gli soffiò un “vaffanculo” di ringraziamento, infine riprese a studiarmi con aria pensierosa e assorta, senza salutarmi. Quando voleva, sapeva come mettermi a disagio.
Feci finta di niente e andai piuttosto a scambiare un paio di battute con Paul, il fratello maggiore, c’eravamo incrociati di tanto in tanto al Boardwalk ma nulla di più. Peggy chiamò intanto sia Ourkid che Noel per dare una mano a portare in tavola, potevo sentire che era in atto una qualche scaramuccia su chi dovesse portare cosa che terminò in un sonoro scappellotto per entrambi.
Eravamo tutti a tavola, di fianco avevo Paul. C’era da dire una cosa, nessuno sapeva cucinare i cornish pasties meglio di Peggy e forse era proprio perché ero tanto concentrata su quelle delizie – alla cucina di zia Beth avevo preferito una dieta ferrea, tanto che tra cibo e vita sociale azzerata, in Scozia mi sembrava d’aver scelto una vita claustrale – che non mi pesava il silenzio opprimente che come una cappa era posato su tutti i commensali. A interromperlo fu Peggy, con quello che – andate pure a controllare – è segnato nel libro del Guinness come il preambolo più inopportuno e inimmaginabile di sempre: - Fai ancora sesso coi miei figli? -.
Un pezzo di carne si incastrò con incredibile tempismo nella gola mia, di Ourkid e pure di Noel. L’unico illeso fu Paul.
- Mamma… - mormorò The Chief a denti stretti.
Lei lo ignorò bellamente, e ancora fissava me in attesa di risposta.
- A onor del vero mi sono fermata a uno solo –
- E’ tanto che non lo fate? –
Liam – codardo – beveva un bicchiere d’acqua che sembrava senza fine. – Mamma! – ripetè di nuovo Noel, sempre in un basso ringhio.
Peggy si voltò verso il figlio – Che c’è? Sesso, ti da fastidio se dico la parola sesso? -, fece serafica. Lui sbuffò, le sopracciglia che formavano un segmento austero.
Io nonostante l’assurdità della cosa mi stavo invece cominciando a divertire, - In effetti non so bene, che dici Ourkid? – domandai spalleggiando Peggy che nell’incredulità della propria prole ormai faceva lo spelling di “fornicazione”. La scena del tè di Alice nel Paese delle Meraviglie al confronto era un esempio di urbanità, buone maniere e compostezza.
- Non mettertici anche tu – mi intimò Noel, fissandomi con occhi glaciali – Per favore. E passami l’insalata -.
Mi irrigidii contro lo schienale, - Non mi hai neppure salutato, di certo non ti passerò la fottuta insalata –
Imprecò a bassa voce, quasi tra sé, - L’insalata, prego –
- Dimmi ciao, Noelie –
Si tirò più avanti sul tavolo, mi puntò un dito addosso – L’ho già fatto – disse serio, sembrava un’accusa e io in quel momento seppi che era vero che l’aveva fatto, - Se solo guardassi più in là del tuo cazzo d’orgoglio, magari l’avresti notato -.
Tutti al tavolo eravamo ghiacciati nei nostri posti, me compresa. Sapeva imporsi maledettamente bene quando voleva.
Dovevo dargli punto, questa volta. Gli passai l’insalata, cercando di mantenere comunque l’aria più sprezzata che riuscissi a racimolare.
- Grazie -.
Riprendemmo tutti a mangiare. Da lì in poi non vi furono più domande materne inerenti la mia vita sessuale né richieste di passaggio di verdure.
 
Andai a fumare in salotto mentre gli altri sparecchiavano, godendomi uno dei privilegi degli ospiti: fare niente – o al massimo offrirsi di fare qualcosa e poi desistere al primo invito ad andarsi a rilassare -. Avevo sollevato con fatica una delle finestre a ghigliottina e avevo già acceso una Chesterfield  quando notai un movimento dietro di me. Ok, avevo tre possibilità su quattro, mi poteva andare bene, no? Sbirciai l’ombra: troppo magro, troppo basso, troppo poco donna. Era Noel.
Dovevo fare qualcosa prima che lo facesse lui, adocchiai il sacchetto che mi ero portata dietro e avevo posato sulla poltrona, quando m’accorsi che stava per aprire bocca andai a prenderlo e ne estrassi un pacco regalo rettangolare. La carta era spiegazzata, in un paio di punti pure bucata e il fiocco, con cui mi ricordavo d’essermi pure tagliata un dito nel tentativo d’arricciarlo, era andato perso in un qualche punto della tratta Manchester-Glasgow. Lo tesi a Noel che lo fissò come se si trattasse di un alieno.
- Te l’avevo preso per il compleanno –, feci monotono, - prima di quella cosa –. Lui mi guardò in cerca forse di un sorriso di distensione, - Non l’ho dato indietro solo perché ho perso lo scontrino – aggiunsi quindi io rapida.
Mi fissava ancora, senza la parvenza di un’emozione, - Grazie -. Quanto odiavo quando faceva l’educato. Capivo che stava per dire qualcosa.
- La carta non è un granchè, non so fare pacchetti e la scatola è schiacciata, però dovresti già ringraziare che cogli ottocento chilometri che s’è fatto non sia andato disperso e ora non ti ritrovi con la gabbietta di un coniglio – dissi tutto d’un fiato.
- Ok, basta con le puttanate – mi zittì pacatamente lui, poi riprese – Perché non rispondevi quando ho provato a chiamarti? –
- T’avevo detto che mi serviva del tempo. E’ questo che fa la gente quando ha bisogno di prendersi una pausa da qualcuno, non risponde al telefono e cose così –
- Erano passati due mesi –
- A quanto pare non era sufficiente – dissi cercando d’ammiccare – avremo due cognizioni del tempo diverse –
- Però sei venuta a Glastonbury –
- Amo la musica -, amo gli Oasis, avrei voluto soggiungere, - Non devo rendere conto a nessuno dei miei spostamenti – dissi testarda.
Fece un sorriso cinico – Va bene, ora dimmi la verità –
- Ok, basta con le puttanate -, gli feci il verso.
- Ti rivoglio indietro, – disse conciso – come roadie -.
Ecco come era Noel Gallagher: elementare, sicuro di sé, certo che sarei tornata a un solo schioccare di dita. E aveva ragione, e lo detestavo per questo.
- Per poi mollarmi quando ti farà comodo? –
Lo osservai, mentre lui se ne stava in silenzio, di solito riuscivo a capire – seppure in minima parte – cosa si muovesse dietro quegli occhi, ma non mi riuscì, mi metteva a disagio.
Un muro, era esattamente così. Felice? Una scrollata di spalle. Arrabbiato? Una scrollata di spalle. Triste? Una scrollata di spalle. Era in momenti come quello in cui apprezzavo sino infondo la fisicità spontanea di Ourkid.
Vedevo come stesse masticando in bocca parole che non riusciva a sputare fuori, come se di tanto in tanto in momenti come questi gli si ripresentasse la balbuzie di quando era bambino.
- Non… -, quanto sforzo per una frase, aspettai – Ti posso dire che cercherò di non fare più lo stronzo, o di essere perlomeno leale nella mia stronzaggine. L’hai detto tu: gli Oasis… la mia musica, sono la cosa più importante. In assoluto. – asserì con quel tono definitivo. – Tu fai parte degli Oasis, per questo vorrei tu tornassi indietro -.
In quel momento piombò nella stanza Liam con quella sua aria da cucciolo agitato, e diciamolo, un po’ cocainomane, solo allora m’accorsi di quanto effettivamente fossimo vicini io e The Chief. Interruppi il contatto visivo con lui e andai a prendere per un gomito il fratello minore, mi voltai verso Noel – Affare fatto -, ghignai prima di trascinare Ourkid verso il cortile posteriore
 
Il sole di inizio Settembre alle sette e mezza di sera non era esattamente quello più estivo però la sensazione dell’erba sotto la schiena, la voce di Liam e l’odore di sigarette spente nell’umidità del prato era quello giusto. Restammo così con gli occhi chiusi a chiacchierare come era nostra consuetudine per un bel po’, almeno sino a quando non sentii qualcuno sdraiarsi alla mia sinistra. Tenni le palpebre sbarrate, il chiarore dei raggi di sole che permeava ugualmente.
- Ha chiamato Alan McGee –
- Bene – ribatté Liam, sentii dal tono della voce che stava aspirando da una canna.
- Ha detto che abbiamo battuto il Three Tenors In Concert 1994 in classifica –
- Ovvio, sono solo dei cazzoni –. Non sapeva neppure di chi stesse parlando, troppo preso a fumare.
- Era stato dato come favorito in prima posizione – soggiunsi io, perplessa.
- Siamo primi in classifica –
Aprii gli occhi, accecata dal sole che riverberava sulle Adidas bianche nuove di zecca di Noel, sorrisi.
La voce tradì l’emozione stavolta, un mattone cadde dal muro. – Siamo l’album di debutto venduto più velocemente nella storia della Gran Bretagna – mormorò quasi incredulo.
A quel punto eravamo tutti storditi dalla notizia, completamente pietrificati, persino Liam non aveva mosso un muscolo. Io avevo una paresi facciale, e continuavo a sorridere come un’ebete.
- Che c’è? – mi chiese Noel con tono divertito, l’euforia che stava iniziando a salirgli nelle vene.
Lo guardai ancora un paio di secondi. Era una domanda stupida alla luce delle cose che aveva appena detto. Insomma, primi in classifica. Però… riappoggiai la testa sull’erba, - Niente -, chiusi nuovamente gli occhi, - E’ solo che è estate -.

What a life it would be
If you would come to mine for tea
I'll pick you up at half past three
And we'll have lasagne

These could be the best days of our lives
But I don't think we've been living very wise
Oh no! no!

 

 
  

Sono tornata! Dopo millenni, ma sono tornata! Il capitolo è stato un osso duro, e non voleva farsi scrivere e anche per questo  penso che non sia uscito un granchè, per cui gli associo la canzone più stupida di Definitely Maybe: Digsy's Dinner! http://www.youtube.com/watch?v=Ut4iv4HAaZM  Il link è al video del Live di Glasto 94'
Nient'altro da aggiungere, a parte buone vacanze, non scioglietevi sotto il sole (non so da voi, ma qua si muore) e... domani esce il singolo di Noel!!! (Ok, scusate lo sfaso noelliano xD)
Un grazie particolare va a NoeLIAm per aver aggiunto la storia alle preferite, e soprattutto perchè è una vera Madferit u.u
Enjoy yourselves and cheers^^

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Chipper Son Of A Bitch ***


I'm a chipper son of a bitch
I'm a chipper son of a bitch
I'm a chipper son of a bitch
 
Aprii gli occhi e venni investita da un'esplosione di luce accecante.
- Mike! Spegni quelle cazzo di luci! -
- Cass, sto facendo il mio lavoro! Tu pensa al tuo e non rompere le palle -.
Imprecai per l'ennesima volta conto quel maledetto tecnico, se continuava a puntari addosso quegli stupidi fari prima o poi avrei pensato di star per avere un incontro ravvicinato con il Padreterno. E prima o pi avri staccato la testa a quel dannato bastardo.
Mi dovevo calmare, forse era il jet leg, anche se ormai erano due giorni che ci tovavamo a Seattle e mi sarei dovuta abituare, probabilmente ero ancora scombussolata dalla settimana in Giappone - non schezano mica quando dicono che il saké é potente, e sfidarsi a chi ne beve di più in un karaoke bar non é esattamente la cosa migliore da fare, fidatevi -. Mal di testa dovuti a sbronze con alcolici orientali a parte, la vita continuava a scorrere, e pure dannatamente bene per una volta. Mi fermai un attimo a fissare dal palco il locale, non era grandissimo, ma i posti dove stavamo suonando stavano ingigantendo assieme alla fama dgli Oasis. Ripresi le mie mansioni.
Mi bloccai davanti alla porta, in ascolto. Sentivo le voci dall'accento cosi' estraneo e per me cosi' fastidioso degli americani, ancora non mi ci ero abituata. Sapevo che stava pensando, in quel periodo lo stava facendo spesso - sul tour bus, alle prove, mentre accordava gli strumenti - e ogni tanto desideravo ardentemente sapere che gli frullasse in testa. Ma non era facile, per nulla.
Feci irruzione nella stanza d'albergo con la grazia dell'A-Team al completo, la porta che ando' a sbattere contro il muro lasciandolo di sicuro segnato. Saltai direttamente sul letto matrimoniale, mentre mi lasciavo cadere rovinosamente sul materasso, vidi il terrore comparire sul volto di Noel che credeva l'avrei travolto, per sua fortuna pero' ero piu' atletica - espressione scettica di Audrey, che, tra parentesi, s'era opposta anche all'irruzione nella stanza - di quanto non sembrassi.
- Tu sei una cazzo di pazza -
- Te ne stai qua a guardare stupidi programmi yankee, dovevo far qualcosa per movimentare la serata - gli sorrisi, lui che mi guardava apposta truce. Alzai entrambe le mani, che reggevano ognuna il collo di una bottiglia. - Per questo ho l'onore di presentarti i miei amici Jack Daniel's e Johnny Walker -. Buttai lì un altro sorrisone da televenditore. Noel non faticò a socializzare con i nuovi arrivati e da buon irlandese prese subito un paio di lunghe sorsate. Un rivolo di liquido ambrato gli colò giù dal mento andandogli a macchiare la maglia - altro reperto anni '80 davvero tremendo -.
- Che cazzo di ubriacone che sei! - esclamai io lasciandomi sprofondare nel guanciale di piume d'oca. Lui guardandomi dall'alto mi concesse il primo vero sorriso.
- Qualcuno mi ha chiamato? -
M'alzai di scatto sui gomiti e vidi Ourkid che si affacciava sulla soglia della porta. noel diede un'occhiata di disappunto al fratello e una storta a me. Qualcuno aveva proprio la luna storta stasera!
- Sei stata tu a dirgli di venire? - domandò ignorando bellamente Liam che intanto s'era seduto a gambe incrociate sul bordo del letto. Stavo per ribattergli ma il fratellino mi precedette: - Non ho bisogno di nessuno per andare dove cazzo mi pare e piace - biascicò con una smorfia, e poi rubò di mano a Noel la bottiglia di Jack Daniel's nonostante l'altra stesse di fianco a me priva di proprietario.
Ormai ero abituata a quei piccoli battibecchi, ma non avevo alcuna voglia di assistervi quella sera: le cose stavano andando, in generale, toppo bene perché fossero rovinate da un occhio nero o peggio ancora un polso rotto.
Mi chinai sulla spalla di Noel. - Dai, non vedi che è completamente stonato? - gli strinsi il braccio leggermente - chissà che s'é sniffato prima con Bonehead -.
- É da quando siamo arrivati in America che non fa che creare problemi... L'hai sentito pure tu che non voleva cantare davanti ai fottuti Yankee! -
Su questo non potevo dargli torto, Ourkid aveva la passioe per cercare di complicare le cose. Mi limitai a fissarlo, Noel, in una muta richiesta, intanto Liam rimaneva sempre attaccato alla bottiglia, con la variante però che stava girando per l'intera stanza, come un'anima in pena. The Chief fece una smorfia che significava il suo assenso. - Però se s'addormenta, come l'altra volta, lo riporti tu in stanza! -
- Agli ordini - ribattei io impettita, tornando a sdraiarmi. E anche per quella sera il disastro era scampato...
 
Neanche un'ora dopo, quando ormai i dissapori erano stati per bene smussati dall'azione lenitiva dell'alchol, ci trovavamo allegramente a discutere tutti e tre sul letto. Ovviamente, Liam con la sua esuberante presenza fisica ne occupava - non chiedetemi come - più della metà e se ne stava tranquillamente sdraiato sopra di me di traverso, compromettendo parte di miei organi interni, e con un piede ad un centimetro dal naso di The Chief, che - grazie Jack Daniel's - sopportava però stoicamente.
Arrivò una pausa di silenzio. - Liam, che devo fare per convincerti a scendere dal mio pancreas? - chiesi retoricamente, lui al contrario però parve pensarci seriamente, con tutta la concentrazione che riusciva a racimolare - che era ben poca, considerndo il deficit d'attenzione di cui parva soffrire già da sobrio -.
- Una scommessa! - esordì infine.
Sbuffai.
- Lo sai che amo scommettere -
Purtroppo lo sapevo: era stato lui ad avviare la sfida con i giapponesi del karaoke bar. - Qualunque cosa per il mio pancreas - feci esasperata, gettai un'occhiata di leto, Noel se la stava ridendo sotto i baffi mentre sorseggiava ciò che rimaneva del Johnny Walker.
Finalmente Liam s'alzò ed io fui libera, si mise al centro della stanza e con aria compita, da vero arbitro, spiegò le condizioni. - Se vinco io - fece una pausa che nel suo intento doveva forse esser di suspence - tu vieni a letto con me -.
Gli scoppiai a ridere in faccia, la fantasia di Ourkid era davvero limitata. Lui però non batté ciglio; Noel si tirò su meglio a sedere contro lo schienale del letto e mise giù l'alcolico.
- Se perdo invece, rimango tutta la sera sul pavimento -
- Che tipo di scommessa facciamo? -
Liam aveva la sua aria spavalda - Scegli pure tu -.
Audrey nella mia testa scoppiò in una risata davvero malvagia - ma davvero malvagia, sui livelli di Mister X de "L'Uomo Tigre", per intenderci -. La mossa di Liam era stata davvero sconsiderata: far scegliere a me.
Dalla tasca posteriore dei jeans tirai fuori il portafoglio e intanto iniziai a spiegare - Farò scorrere radente il muro una moneta da due sterline, se riuscirai a bloccarla con la fronte prima che cada a terra vinci, in caso contrario prepara il tuo culo a passare una scomoda serata -, dissi perfida rigirandomi tra le dita l moneta.
Salii in piedi su di una sedia e misi le due sterline accanto alla parete, Liam mi fece cenno d'essere pronto. Le lasciai precipitare. E quella che seguì fu la più epica testata di tutti i tempi, il rumore dovevano averlo sentito fin giù alla reception. Neanche a dirlo la mia moneta era rotola placidamente sulla moquette, lasciando Liam con un pugno di mosche. Guardai Ourkid, che era ancora incredulo, solo vagamente proccupata che avesse riportato un trauma cranico e che nei giorni seguenti non potesse più cantare, ma sembrava stare bene, tanto che dopo un secondo di smarrimento esclamò: - Dammi la rivincita! Voglio riprovare, un'altra scommessa -.
Se avessimo giocato a soldi l'avrei reso povero in mezz'ora, ma dato che ero magnanima quella sera scelsi qualcosa di meno venale. - Se vinco riprendi a scrivere canzoni -, Liam s'era completamente disinteressato alla scrittura da quando era arrivato Noel, che intanto appariva sempre più interessato alla sfida, - se perdo, come prima: vengo a letto con te. Ok? -
- Va bene. Fa cadere la moneta -.
Due minuti dopo me ne stavo pacificamente stradiata sul matrimoniale senza nessuno addosso, ad osservare Liam che si tamponava un taglio sulla fronte. Moneta 2, Ourkid 0.
- Allora - dissi ostentando un tono altezzoso - quando pensi di iniziare? -
Lui sbuffò, infastidito oltre che dall'aver perso pure dallo sgignazzare del fratello.   - Dovrei forse scrivere una canzone su di te? Dato che ho perso la scommessa -
- Se è ciò che preferisci, anche se sono lontana dal desiderare d'essere lodata dai versi di Liam Gallagher - commentai in uno sbadiglio.
- É difficile scrivere canzoni d'amore -
All'improvviso scoppiai a ridere. - che c'entrano ora le canzoni d'amore? -
Ourkid sollevò le sopracciglia, come un bambino curioso, - Preferisci che ti dedichi una canzone d'odio -
Mi tirai su a sedere, e lo guardai - È stupido dedicare una canzone d'amore a una persona, è la cosa più senza senso e banale che si possa fare -, scossi la testa scetticamente lapidaria.
- E allora che mi dici di Something? -, a parlare era stato Noel. - Oppure di This Guy's In Love With You? Di quelle canzoni hai praticamente consumato il disco -
Feci una risata nervosa, sentivo come la mia affermazione di prima si stesse sgretolando. Cercai di evitare la domanda Noel. - Stiamo parlando di Bacharach e Harrison, dubito che Ourkid sia a quei livelli -. Liam fece una faccia offesa, l'alchol lo rendeva ancora più permaloso.
The Chief però era ancora abbastanza lucido per riconoscere una delle mie solite manovre evasive. - Non hai risposto a ciò che ho chiesto. Tutte le canzoni d'amore sono banali secondo te? -
Lo fissai un momento, pensai, rividi tutta la mia vita in un secondo. - Tutte quelle che sono state scritte pensando ad una persona in particolare, si salvano solo quelle sull'amore universale. É stupido dedicare ad una persona la rappresentazione di un qualcosa che o é destinato a svanire o che magari non è mai neppure esistito -. Non avrei avuto l'arroganza di sostenere che quanto avevo appena detto era la verità assoluta e inattaccabile - a quei tempi i miei deliri d'onniptenza erano ancora abbastanza limitati -, però sapevo bene quanto valesse per me. Non volevo che Liam mi dedicasse una canzone su di un sentimento inesistente.
Ma tanto Ourkid non pareva più tanto preso dalla questione, e osservava con spiccato interesse i motivi geometrici della moquette. Noel al contrario mi osservava particolarmente affascinato, lo sguardo reso liquido dal Jack Daniel's.
- E allora qual è la soluzione? -
- Che soluzione? -
- Come si può dedicare una canzone ad una persona? -
Avrei voluto dirgli che la "canzone d'odio" nominata da Ourkid non era infondo un pessimo escamotage, ma sapevo non avrebbe accettato una tale risposta: l'alchol lo rendeva più affabile, certo non meno testardo.
- Mettendo quella persona in quella canzone -
The Chief fece un ghigno - Penso vada contro qualche legge della fisica -. Postilla: l'alchol influiva anche sul suo senso dell'umurismo.
- Intendo la sua essenza - soggiunsi io però, senza badargli.
Noel mandò giù l'ultima goccia di liquore, gli occhi in alto a fissare il soffitto, quando li riabbassò su di me, con sguardo obliquo che aveva un non so che di strano e pure vagamente...inquietante.
- In effetti, hai ragione - borbottò, con un tono scuro che non era il suo solito da ubriaco, che di solito saliva di un paio d'ottave, dandogli la voce di una quattordicenne - non penso che in questo momento agli Oasis serva un pezzo che parla di ossessione, di frustrazione o che altro... -. All'improvviso puntò un dito contro Liam che tirò subito su la testa, fiutando aria di tempesta. - E tu, cazzo non pensavo d'ammetterlo, avevi ragione quel giorno alle prove. Quando tirai quel cazzotto a quel coglione di McCarroll. Avevi fottutamente ragione: non ho neppure il coraggio di sbattermela! - esclamò buttando indietro la testa in una risata sguaiata, che gli si spense lentamente infondo alla gola.
Intanto io ero rimasta pietrificata a guardare Ourkid, cercando di capire se ciò di cui parlava suo fratello fosse vero. Lui però mi riservò solo una veloce occhiata e riprese ad osservare in basso qualcosa, che da dov'ero io non potevo scorgere. Quando infine trovai il sangue freddo - costretta da Audrey - a voltarmi, Noel era caduto in un sonno profondo, probabilmente senza neppure più avere memoria di ciò che aveva sputato fuori un minuto prima. Per un paio di secondi mi sentti un'idiota, lì, seduta sul letto, con accanto un tizio che russava - bocca semiaperta con tanto di rivolo di bavetta -, e il fratello del tizio che pareva perso in un mondo suo. Non riuscivo neppure a pensare a che cosa potessi far per uscire da quella situazione. Poi decisi. M'allungai di scatto sul materasso e allungango le braccia giù dai piedi del letto afferrai per un polso Liam, bloccandolo. Ora avrei visto che diamine stava combinando la testa calda...
- Cazzo fai?! - gli latrai in faccia quando vidi cosa aveva tra le mani - Dammela e non toccare mai più il mio portafoglio! - continuai in un basso ringhio, ma Ourkid opponeva resistenza, e anche se mi fissò negli occhi per un paio di secondi poi tornò subito a a puntarli sulla fotografia. Sarà stata la sbronza, ma aveva un'espressione estatica appiccicata addosso. - É bellissima - gli sfuggì dalle labbra, ancora con quell'aria di contemplazione. La guardai. Il viso era come cesellato nel marmo più bianco, con grandi labbra rosse in boccio, naso delicato e occhi d'un castano profondo messo in risalto da sopracciglia chiarissime, come i capelli, grano in mano al vento. Liam interruppe la magia, - Tua madre -, non era una domanda. Malgrado non fossi bella forse neanche la metà di mia madre, in me c'erano alcuni dettagli che la richiamavano, cose come le labbra, o gli occhi grandi.
- C'era chi diceva che fosse la ragazza più bella di tutta Edimburgo -. Liam non mi rispose, ma, da come accarezzava cogli occhi le linee sinuose del corpo di mia madre, capii che lo pensava pure lui. Dopo qualche secondo tornò ad osservare me però, - É tanto che se ne é andata? - mi chiese con voce un po'instabile, a metà tra la curiosità e l'idea d'aver osato troppo. Io non parlavo mai della mia famiglia.
Inspirai ed espirai, pensosa. - A volte faccio fatica a ricordarmi bene come fosse... i dettagli -, guardai quel volto così bello, pervaso eppure da una strana tristezza, - per questo tengo una foto -. Forse suonai più affranta di quanto non fossi in realtà, perché Liam subito soggiunse - Ti manca molto? -
Prima di rispondere scesi dal letto, e mi sedetti accanto a lui, prendendogli di mano la fotografia. - A te manca tuo padre? - feci provocatoria.
Liam fece la peggiore delle smorfie, disgustato, una risposta vera e propria non era necessaria per cui si limitò solo a ribattere - Ti ha fatto del male? -
Scossi la testa, - Non in quella maniera, ma me ne ha fatto parecchio -. Mi voltai, Liam era ancora rapito dall'immagine.
- Come si chiamava? -
- Sally - risposi meccanicamente io, continuando a fissare quel pezzo di carta con impresse memorie di un passato ormai ingiallito, sul fondo d'erba verde si vedeva una casa, la nostra. Quando ero tornata ad Edimburgo l'estate passata avevo visto che l'avevano abbattuta, sostituita da una palazzina a cinque piani. Ma non mi dispiaceva affatto. Ourkid forse s'avvide di quel lasso di tempo silenzioso così fastidioso o forse solo stava aspettando il momento giusto per fare il suo commento. - Non pensavo che la testa di cazzo lassù avrebbe mai trovato i coglioni per dire ciò che ha detto - mormorò come se stesse cianciando di un argomento qualunque, - anche se in effetti, non vale: era ubriaco quando te l'ha detto! - rise gingillandosi con le due sterline con cui prima aveva perso la scommessa. Mi girai verso di lui, lo guardai e basta.
- Oh sì, darlin', é la fottuta verità. Sei la sua ossessione. Sessuale e non - disse tornando ad osservare la bottiglia di JW con una una sorta di risentimento, forse perché era vuota ormai.
Ancora una volta rimasi senza spere come reagire, e questa volta pure Audrey sembrava non potermi essere d'aiuto, andata in tilt com'era pure lei.
Un minuto dopo Liam cambiò mood di nuovo, e saltò in piedi reattivo come una molla nonostante - o forse, grazie - all'alchol che aveva in corpo. - Che dici di rasare i capelli a The Chief? - propose gioioso - rapiamolo un po'! - e poi cominciò a vagare per la stanza in cerca di un paio di forbici o di un rasoio elettrico, dando solo un'ultima occhiata a Sally mentre la rimettevo via nel portafoglio.
In quel momento ero convinta che tanto tutte le conversazioni di quella sera sarebbero cadute nell'oblio della sbronza, affogate in una bottiglia di liquore. Non pensavo che Liam avrebbe mai utilizzato i miei consigli nel comporre canzoni d'amore o che si sarebbe mai ricordato di quella ragazza angelica.  O che The Chief avrebbe rammentato le sue ammissioni. In realtà l'unica cosa che cambiò fu che non sentii mai più Noel suonare durante i soundcheck quella canzone che per la prima volta avevo udito dallo sgabuzzino di Bonehead.
 
 
Il Viper Room era il locale di Johnny Depp - sì, quel fighetto di poliziotto di 21 Jump Street e il mostro sensibile con mani contundenti in Edward Mani di Forbice - che si trovava sul Sunset Bolevard a Los Angeles, - la città poi che ve la nomino a fare? Un nome del genere lo potevano dare solo gli yankee, da noi le strade al massimo erano dedicate a Shakespeare, e lì finiva la nostra fantasia. Il night club era sfortunatamente famoso perché era stato teatro della morte di River Phoenix. E in quel momento probabilmente stavo fissando il punto preciso dove il giovane attore era stato portato via da un'overdose di coca. Ma non mi persi in pensieri troppo profondi, e quando Liam mi tirò per un gomito dentro il locale, l'immagine di un Phoenix agonizzante era già sbiadita.
Dentro l'atmosfera era quella tipica dei club di questa parte dell'Atlantico, niente a che fare con i nostri pub dai pavimenti in legno appiccicaticci, tutto un neon e luci colorate che si riflettevano sulle superfici nere e lucide dell'interno. A descriverlo così senbrava piuttosto uno stripclub, - prcis definizione di Audrey, lei però non faceva testo - ma aveva comunque un qualcosa di affascinante e rock 'n' roll, forse era il palco, del tutto rispettabile per un posto di quelle dimensioni, su cui era ammucchiato un bel numero di amplificatori. Ok, il Viper Room era stato promosso. Guardai un po' avanti, tra la gente, e arrivò uno dei proprietari. Johnny Depp. Ok, locale decisamente promosso...
Assieme a Liam,  MacCarroll, e Maggie - la nostra tour manager, ragazza dal cognome impronunciabile, ma veramente di spirito - avanzammo di qualche passo, facendoci largo tra gli avventori. E poi avvenne la cosa migliore di tutto il tour sino a quel momento: udimmo uno sparo potente provenire dalla strada e tutti per riflesso ci abbassammo. Poi vidi la faccia atterrita di Ourkid, gli occhi da cucciolo evidenziati dalle ciglia scure, che fissava me e il batterista. - Hanno ammazzato il nostro Noel - sbottò shockato nel silenzio della sala. Al che io non potei che scoppiare a ridere, la sua espressione era impagabile. The Chief era ancora fuori dal locale al telefono ma dubitavo fosse stato freddato da un colpo di pistola, nonostante le sue velleità da moderno John Lennon. Neanche mezzo minuto dopo l'atmosfera era ritornata alla normalità, e con somma delizia da parte di Audrey a far gli onori di casa venne proprio Johnny D. che fu felice d'accogliere uno dei cantanti più chiacchierati del momento, infondo gli Oasis erano sì una band nuova, ma erano pur sempre un vero e proprio fenomeno negli UK e parte della fama ce l'eravamo portati sin oltre l'oceano. Mentre Ourkid e Maggie discutevano con Johnny, e MacCarroll si godeva uno dei vantaggi dell'essere vagamente famoso, ovvero il poter rimorchiare con una facilità inusuale e altrimenti inspiegabile, io venni abbordata da un tipo non molto alto e con corti, ricci capelli viola e l'aria un po' schizzata - ma d'altonde all'epoca chi non ce l'aveva? -. Provai a concentrarmi sul volto che mi era famigliare, ma le maledette luci al neon m'accecavano, e un mal di testa da mancanza di sonno più lavoro oberante più birra più litigi dei Gallagher si stava facendo avanti.
- Qua é roba normale - mi disse con fare cordiale e ci piazzò pure un bel - si fa per dire, aveva uno spazio trai denti che un treno merci ci passava agevolmente - sorriso rincuorante. A quanto pare dovevo avere proprio una faccia atterrita - leggasi allucinata - per dover essere tranquillizzata da uno sconosciuto con qualche problema con le tinte per capelli. In quell'istante vidi entrare nel locale Noel assieme a Bonehead e un paio di bionde. Qualcosa mi si sbloccò dentro - maledetto Ourkid, mi faceva venire le paranoie- , mi rigirai verso il mio interlocutore, che ancora sorrideva beatamente, sorseggiando di tanto in tanto un mojito.
M'allungò una mano, la strinsi, aveva il palmo con dei calli durissimi, fin fastidiosi. Finalmente il mio cervello connesse.
- Piacere Micheal - diede un sorso al mojito, finendolo - tutti mi chiamano però...-
- Flea - conclusi io, ancora stupita di quanto fossi stordita. E dire che avevo tutti i cd dei Red Hot Chili Peppers, due o tre dei quali pure pagati, non per dire. Chicchierammo per un po' di musica, come era normale che accadesse, ma dopo un po' il mio cervello stava già pianificando un modo per lasciare Flea e tornare dai ragazzi: le serate libere in quel periodo erano poche e me le volevo godere. Poi però notai come stessero discutendo animosmente - leggasi principio di rissa - sul fatto che Liam, e questo era vero, stava facendo un pessimo lavoro sul palco. Non c'era da fraintedere, la sua voce era al top nonostante stesse su ogni notte a far baldoria, ma si divertiva a cambiare le parole dei testi delle canzoni in modo tale che risultassero offensive per gli yankee e in generale non faceva altro che insultare il pubblico. Una volta sputò persino. Certo era parecchio da rock 'n' roll selvaggio, ma pure parecchio da idioti, se volevi conquistarti il pubblico americano. Decisi che non volevo sorbirmi una litigata, tanto meno con un'emicrania epica, e d'altra parte era pure il mio di giorno libero, di quella questione se ne sarebbe occupata Maggie, la Creation la pagava per risolvere cazzi come quelli.
Così già che c'ero ne approfittai per farmi offrire da bere da Flea, che ormai avevo capito che non ci stava provando, bensì dava solo sfogo alla sua lingua lunga seppellendomi sotto una valanga di chiacchiere. Dopo un quarto d'ora passato così, inframezzato da alcune puntatine di gente che conosceva il bassista - tra cui Johnny, Audrey si diede al tripudio più assoluto -, Flea s'immobilizzò bloccando la propria parlantina per qualche secondo, il suo sguardo perso dietro le mie spalle, come se avesse appena visto un fantasma. Mi voltai per vedere che c'era di tanto interessante, e con mia sorpresa trovai per davvero il fantasma. Non aveva né catene né lenzuolo, però si muoveva tra la gente del locale come se fosse stato invisibile, trasciandosi via, praticamente affogato in un mucchio di vestiti.
- Ehi, Greenie! - esclamò Flea immediatamente dopo essersi ripreso. Il fantasma si voltò, la pelle biancastra pareva fin riflettere le luci al neon, e gli occhi spalancati, scuri e lucidi calavano su tutta la stanza, avvolgendola in un gelido abbraccio. Un brivido mi percorse tutta la spina dorsale.
Notai che qualcosa nel comportamento di Flea era cambiato, era come se si stesse sforzando di sembrare normale, gli ci volle un'altro mezzo mojito perché gli si sciogliesse nuovamente la lingua. Io andai a prendermi una Corona per poter lasciar conversare i due. Li osservai dal bancone, mentre aspettavo la mia ordinazione: il fantasma guardava quasi sempre fisso le proprie scarpe, e di tanto in tanto muoveva le labbra sottili ed esangui. Ne avevo visti parecchi così ad Edimburgo, soprattutto tra la gente più grande, erano le teste da ero. Avevano sempre tutti quell'aspetto un po' pallido e malaticcio, gli eroinomani. Presi la mia birra e tornai dai due, Flea aveva appena fatto una battuta e Greenie aveva riso - permettetemi l'iperbole -, scoprendo un sorriso timido e un po' impacciato, quando s'accorse della mia presenza con quegli occhi sfuggevoli indagò per tutto il locale. Era vagamente preoccupato, con l'espressione di uno che si sentiva in trappola. Io però non la smisi d'osservarlo, anche se questo con ogni probabilità lo infastidiva.
- Be', io vado Flea, salutami Anth e Chad - fece una pausa, come se indeciso sull'andarsene - e Navarro -.
Il bassista era tornato ad un'inconsueta serietà, ed annuì soltanto, dopodiché il fantasma riprese il suo viaggio attraverso la gente che indifferente non s'accorgeva probabilmente neppure della sua presenza. Io ripresi il mio discorso con Flea sull'andamento delle registrazioni per il nuovo album, lui senza più l'opprimente presenza di Greenie swmbrava essere tornato all'umore originale. Il mal di testa però non accennava a mollarmi un secondo, persino Audrey era talmente disperata che tirava testate alle pareti della mia scatola cranica. Approfittai della prima pausa più lunga di un secondo tra una parola e l'altra di Flea per dire che andavo a farmi una paglia fuori. Mentre mi avviavo verso l'uscita, gettai un'occhiata rapida al tavolo dei ragazzi: l'aria era ancora palesemente tesa ma perlomeno nessuno aveva ancora un labbro spaccato o un naso sanguitante.
L'aria tiepida dell'autunno californiano mi investì in pieno quando uscii all'aperto. Davanti all'entrata del Viper Room c'era un piccolo gruppo di gente che chiacchierava, qua e là qualche risata, anche solo con una scorsa veloce individuai un paio di volti noti di qualche serie tv. Per i miei gusti però c'era troppa calca per godersi in santa pace una sigaretta, così proseguii lungo il marciapiede per un centinaio di metri sino ad arrivare davanti ad un ristorante giapponese. Guardai incuriosita il cuoco che davanti ai clienti mozzava di netto la testa ad un tonno con un fare da samurai. Gesù, come diamine faceva la gente a mangiare quella roba non lo so, insomma il mio cibo io lo preferivo morto e ben cotto, non crudo e ancora guizzante. Mi sedetti per terra, come ero solita fare - qualche mio antenato doveva esser stato un barbone per certo - frugandomi tra le tasche alla ricerca del mio pacchetto di sigarette. Mi voltai soprappensiero, la mente ancora a quel povero tonno, e quasi mi ribaltai all'indietro quando notai che m'ero seduta proprio accanto al fantasma, senza minimamente accorgermene. Be' infondo la sua peculiarità era proprio quella, sfuggire all'attenzione altrui. Era il mio turno d'essere osservata con occhi sgranati e solo vagamente curiosi. Sapevo d'aver assunto un'espressione orrenda per lo spavento quando l'avevo visto.
Per far finta di niente m'accesi la sigaretta e presi una lunga boccata, esalai il fumo dalle narici.
- Che me lo potresti prestare? -. Mi voltai, ancora una volta mi stavo per dimenticare di lui. Aveva parlato con una voce quasi da ragazzino, così flebile che mischiandosi al vento notturno rischiava di perdersi. Era anche però una voce ricca di sfumature, carica di una vita stanca.Guardai l'accendino.
- Certo che é il colmo per uno come te viaggiare senza una fiamma - commentai, e subito mi pentii della mia uscita, anche se infondo avevo detto la verità: dovevo ancora conoscere una testa da ero che non si portasse dietro qualcosa per "cucinare".
Mi guardò serio, annullandomi - Sono un tipo all'antica. Preferisco le candele - alla fine però mi concesse un vago sorriso, la pelle così sottile da tendersi su quel teschio, gli occhi s'infossarono nelle orbite. Eppure aveva ancora un qualcosa di affascinante, quel sorriso stanco.
Aveva già tra le labbra una sigaretta, gliel'accesi io, come fossimo due vecchi amici. Infondo però io avevo una mia teoria sui marciapiedi e il fumare paglie assieme, era sempre una di quelle cose che accumunava la gente, chissà per quale motivo.
- Inquadri sempre così le persone? - mi domandò dopo un bel po', quando ormai io ero presa da tutt'altri pensieri.
Gli guardai le braccia, nonostante facesse abbastanza freddo portava ancora una t-shirt - logora e marrone, notò Audrey con sommo disgusto -, e le vene martoriate dall'eroina erano ben visibili, ingrossate, una ragnatela ben visibile sotto la pelle lattea. All'altezza del gomito destro aveva una via d'entrata permanente. Per la verità non ci voleva un genio a inquadrare uno come lui.
- No, penso solo che riconoscere quel che si é sia una delle poche cose indiscutibilmente giuste a questo mondo -, commentai spegnendo la B&H sull'asfalto. - Prendi me, sono una stronza problematica di prima categoria e pure un po' puttana. Ma almeno lo ammetto - soggiunsi autobiografica scrutando davanti a me, l'altro lato della strada. Il mal di testa nonostante la boccata d'aria, e fumo, non arretrava di un centimetro, il bastardo.
- Sono John, comunque - fece dopo aver assaporato per bene pure lui la propria sigaretta, senza guardarmi.
- Niente Greenie? -, non mi voltai.
- Niente Greenie - confermò lui. Se qualcuno c'avesse visti da lontano non avrebbe mai capito che stavamo parlando l'una all'altro.
Gli diedi un'occhiata di sbieco, giusto per accertarmi fosse ancora lì, e quando tornai a scrutare i passanti sull'altro marciapiede non poteii che sorridere leggermente. John. Era già la seconda volta che mi capitava nella stessa serata. Anche se c'era da dire che lui, al contrario di Flea, era cambiato parecchio, soprattutto dall'immagine del giovane chitarrista che avevo in mente. Subito dopo però venni inondata dalla sensazione d'ammirazione che provavo per l'essere che mi sedeva accanto in silenzio. - Niandra La Des And Usually Just a T-shirt - sospirai, buttando fuori il fumo, poi ci fu una pausa perché non sapevo che dire per descrivere la bellezza unica ed improbabile di quell'album così carico di un groviglio di sentimenti. - Ruvido -, mi decisi infine con il più stupido degli aggettivi che mi veniva in mente. John però si voltò appena dalla mia parte, smettendo di pensare per un attimo a qualsiasi cosa il suo cervello stesse correndo dietro, - Grazie -. Quella sola parola così bistrattata, così senza reali contenuti detta da lui assunse una scintilla di vita. Quasi - sottolineo quasi - mi fece sentire in imbarazzo.
- Però avresti dovuto scegliere una modella più carina per la copertina - feci per disincartarmi.
John replicò con un altro sorriso introverso, quasi colpevole. Per la cronaca, comunque, Niandra aveva come cover John stesso vestito come una donna degli anni '30... E fatevi una cultura musicale. Comunque avrei potuto abituarmici a quel sorriso improbabile, soprattutto alla soddisfazione che c'era nel suscitarlo.
Ripresi a guardare in basso, questa volta però dalla sua parte, concentrata sul modo vorticoso in cui roteava tra le mani il pacchetto di sigarette, delle Pall Mall, sino a quando questo d'improvviso non uscì dal mio campo visivo. John s'era tirato in piedi con un'agilità inusuale per uno nel suo stato, aveva un braccio levato in alto, e quando mi voltai dall'altra parte vidi un taxi giallo iniziare a frenare, sino a fermarsi proprio a qualche decina di centimeti dal mio ginocchio sinisto. Non m'aspettavo che se ne andasse, quasi fossi certa che avremmo aspettato l'arrivo dell'alba, assieme, su quel marciapiede, per cui avevo ancora una pronta per uscire, e lo fece - Buona quella marca? -. John, che aveva appena detto al taxista un indirizzo di Venice Beach, si voltò con quel suo sguardo vuoto ma allucinato, guardò il pacchetto di sigarette. Poi con flemma, ignorando il taxista, si piegò sulle ginocchia scheletriche e posò le labbra gelide sulle mie, mi ci volle un istante per capire quali fossero le sue intenzioni, poi le socchiusi appena e lui, tirando su il fumo che aveva intrappolato nei polmoni, me lo soffiò dentro, in un'esalazione di tabacco. Dopodiché si rialzò e andò a prendere posto sul sedile posteriore del taxi. La portiera si chiuse con uno schiocco sonoro che mi fece riprendere dal mio torpore. Certo che erano proprio strani questi yankee, gli chiedi una paglia e ti fanno un blowback. E ottime le Pall Mall. 
 
La mattina seguente feci fatica ad alzarmi, mi doleva ogni singolo osso, ogni singola articolazione e pure alcune parti anatomiche che non sapevo neppure d'avere. Mi guardai allo specchio, con una vera e propria pres di coraggio. Facevo schifo. Lo stesso però mi misi a lavorare sodo quel pomeriggio, litigando come al solito con il tecnico delle luci, trasportando oggetti tre volte il mio peso, senza contare il dover tenere alla larga quelle assatanate delle groupie americane, quelle non puntavano solo ai membri della band ma a qualsiai componente della road crew, a loro confronto mi sentivo una suara di clausura, io. In effetti negare con vera faccia da stronza il pass per il backstage a quelle - passatemi il francesismo - troie, vedendole supplicare, era uno dei miei passatemi preferiti. Quello, discutere con l'ingegnier del suono, bisticciare con Bonehead e Liam e rasare i capelli a The Chief.
Arrivò l'ora dell'apertura dei cancelli e mi stavo occupando delle ultime faccende, nonostante la stagione fredda ero in un bagno di sudore. Verso metà concerto notai che le bottigliette d'acqua iniziavano a scarseggiare, su Cigarettes And Alcohol decisi che ne avrei passata qualcuna a Noel e Liam. Calò la luce per dare il tempo alla band di sistemare la stumentazione e darsi un attimo di stacco tra una canzone e l'altra. M'avvicinai al palco, d'improvviso feci una giravolta, non so se lo feci anche fisicamente, però il contatto conpavimento fu duro, notai che era molto freddo. Sentii che i ragazzi attaccavano Columbia, ma perché diamine Mike non riaccendeva le luci? Anche il sonoro stava peggiorando, c'era uno strano ronzio. Buio. Fottuto tecnico delle luci.           

I'm a chipper son of a bitch
And I never get an itch
When I'm a chipper son of a bitch
I'm a chipper son of a bitch

 

Sono tornata! Dopo un lasso di tempo imbarazzante ma sono tornata u.u E spero che il capitolo sia soddisfacente :D Scusate ma avevo - parafraso The Chief - a family, friends and a football team to indulge. Qualche nota tecnica: la canzone presente è una sottospecie di scherzo, un motivetto inventato al momento in radio http://www.youtube.com/watch?v=E4zpqzsTTNg  
I personaggi introdotti nel capitolo sono Flea, grandissimo bassista dei RHCP (qui nel suo periodo fucsia)
 
e un altro importantissimo pezzo degli anni '90: John Frusciante (foto del 94' periodo in cui se la passava malaccio) e link per la versione donna di Niandrhttp://3.bp.blogspot.com/__JRSadFgL28/TILEfGsOMyI/AAAAAAAACIc/BD8_aeWMWXU/s1600/176142_1_f.jpg a
 
Infine vorrei ricordare che oggi è il 39° compleanno di Ourkid, Liam Gallagher :DDD
Ultimo  ma non per importanza devo esprimere tutta la felicità repressa per tutti gli avvenimenti di questo ultimo mese, per quanto riguarda Noel Gallagher's High Flying Birds, che ha rilasciato If I Had A Gun (se non l'avesse fatto l'avrei ucciso - immensa) e AKA... What a life! senza parlare della data di Milano all'Alcatraz (evviva! soffrire il freddo e la nebbia e la pioggia d'inverno e l'afa d'estate vale qualche privilegio nel campo concerti) e della sua prossima venuta in radio questa domenica *modalità stalker/fan attivata*
Ora la finisco con le ciance, e vi saluto. Cheers^^

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Take Me ***


Take me when I'm young and true
Was it me or was it you?
Take me when I'm not so strong
Why has it taken you so long?
Take me when you feel I've gone
I always knew I could be someone

 

Non volevo assolutamente svegliarmi, le coperte mi avvolgevano soffici, il cotone lavato di fresco che emanava un profumo accongliente. No, non volevo proprio uscire dal dormiveglia, soprattutto perché mi sembrava di non aver dormito per mesi. Era tutto così perfetto sotto quelle lenzuola, non volevo tornare alla realtà. Una voce però mi stuzzicava le orecchie portando alla coscienza totale la mia mente. Ero del tutto sveglia. Un secondo e capii che a parlare era Maggie, la tour manager. Era incazzata e nervosa.

- No, tu non hai capito, amico. Lo dovete trovare, non me ne frega una beata minchia di dove sia. Trovatelo e riportatelo. Ora! -. Il suo cognome era d'origine greca, ma secondo me Maggie doveva aver avuto qualche antenato tedesco, magari della Gestapo. Con quella sua voce metallica faceva venire i brividi.

Decisi di abbandonare il tepore delle coperte e mi tirai su un po' a sedere. In testa avevo uno strano senso di vertigine e stavo morendo di sete. All'improvviso mi domandai che ci facessi in quel letto.

Mi stavo ancora stropicciando gli occhi cisposi quando Maggie parlò, un vago sorriso in faccia: - Finalmente svegli, eh? -

- Che...? - provai ad articolare ma la gola era come il deserto del Mohave.

- Hai avuto una bella febbre a 39 e mezzo, così sei crollata l'altra sera durante il concerto. Hai dormito - guardò l'orologio - 14 ore -. Mi comunicò il tutto con il numero stretto ed indispensabile di parole, senza fronzoli, alla Maggie. - Ah e ti sei persa il momento clou della serata: Noel ha deciso di lasciare il gruppo per andare Dio solo sa dove - soggiunse con un finto sorriso.

Per via dei risiduati di mal di testa - mi toccai la fronte, scottavo un poco - non afferrai subito la notizia, ma quando m'arrivò colpì duro nello stomaco.

- Non ci sono più gli Oasis? -

- Per ora sono riuscita a posticipare di una settimana tutte le date del tour, ma se il coglione non torna presto potrebbe mandare a puttane tutto -

Il mal di testa stava aumentando, ma non c'entrava nulla la febbre. Chiusi un attimo gli occhi, serrando le palpebre, mi sentii smarrita davvero, per la prima volta in molti mesi. Poi rovesciai le coperte e saltai giù dal letto, l'aria fredda della stanza m'avvolse subitaneamente pizzicandomi le gambe. Mi diressi veloce dentro il bagno, ignorai il senso di vertigine che mi prendeva allo stomaco, presi una sorsata d'acqua per lenire il dolore lancinante alla gola, ma la situazione non cambiò di molto. Dallo specchio due occhi arrossati dalle iridi plumbee mi osservavano. Non dovevo cedere. Non...

- Sapete dov'é andato? - chiesi a Maggie mentre mi infilavo in un paio di jeans.

- Non ne abbiamo la più pallida idea - si massaggiò la fronte, - solo nella furia non si é curato di portare via con sé il passaporto, per cui non può aver lasciato il paese -

- É già qualcosa - finii d'allacciarmi le Adidas Gazelle e recuperato dal comodino l'anello che avevo comprato in un negozio di pegni in Giappone - Audrey trasalì a quella vista vista pacchiana - me ne uscii dalla camera, un cenno di saluto a Meggie - Mi farò viva nei prossimi giorni -. La nostra tour manager troppo esaurita per replicare una qualsiasi cosa. Scesi nella hall dell'albergo e stavo per imboccare l'uscita quando riconobbi qualcuno sdraiato accanto al bordo della piscina dell'hotel.

- Ehi! Allora stai meglio? - mi domandò subito Liam spalancando gli occhi, la mia ombra che l'aveva avvertito dell'arrivo di un qualcuno. Il sorriso era sincero e anche quei maledetti occhi verdazzurri, sottolineati dalle ciglia folte; non sapevo ancora cosa era successo la notte passata, se era colpa sua il fatto che Noel se ne fosse andato, ma certamente c'entrava qualcosa. Ourkid c'entrava sempre.

- Per tua fortuna non sono ancora in gran forma - feci tagliente, lui abituato com'era non ci fece caso e non replicò. - Come fai ad essere così fottutamente calmo non lo so - aggiunsi fremente di rabbia.

Riaprì gli occhi dopo che li aveva chiusi, - La colpa é sua, cazzo. Non ho scuse da fare -. Alzai gli occhi al Liam pensiero e feci qualche passo indietro, poi però ci ripensai, tornai da lui. - Queste cose sulle colpe valle a raccontare a Peggy - e lo ribaltai dentro la piscina, spingendolo da un fianco. - Sei un coglione, non ti rendi conto di quel che stai buttando via - asserii mentre lo guardavo boccheggiare nell'acqua. Cazzo, la band con l'album venduto più velocemente all'esordio! E che album, poi! Gli altri membri della band mi guardarono allibiti, non sembravo proprio una che aveva appena avuto una febbre da cavallo. Li fissai - Siete tutti dei coglioni, sì, pure tu Guigs -.

Uscii dall'albergo marciando come un generale. Ora non mi mancava solo che trovare anche Noel, per poter dire pure a lui quanto era coglione.

 

Noel una volta m'aveva parlato di una sua amica che aveva conosciuto quando faceva ancora il roadie per i Carpets, era una ragazza d'origini asiatiche che ora - se non erravo, e sapevo di non errare - abitava a San Francisco. E un'altra delle poche cose che m'aveva raccontato The Chief sul suo rapporto con l'America di zio Sam era che l'unica città che gli andava davvero a genio su quel lato di costa era quella. Diceva che sapeva ancora di Europa e non di MacDonald. E poi Noel non aveva la patente, non poteva scappare molto lontano a meno di farsi voler venire il culo a forma di sedile di autobus.

Fu così che due giorni dopo il mio risveglio mi ritrovai davanti alla soglia di casa di questa fantomatica amica, non chiedetemi come: ho i miei segreti da cacciatrice di teste (di cazzo).

Una ragazza carina dagli occhi leggermente a mandorla mi fissò incuriosita, dopo avermi aperto la porta. - Dov'é Noel Gallagher? - pochi preamboli , con una sola domanda infransi lo stereotipo che voleva noi britannici particolarmente bene educati.

La presi così alla sprovvista che mi rispose subito - É venuto a prenderlo un suo amico l'altra sera -, disse la poveretta, ancora atterrita dalla mia mordacità.

- Sai dove sono andati? -

- No... Ma chi sei tu? -

La ignorai. - Non hai neppure qualche idea? -

- Diceva che l'avrebbe fatto divertire un po', che doveva lasciarsi andare un attimo, smettere di pensare al tour -.

Il primo sorriso da due giorni m'increspò le labbra, appenna appena. Sapevo chi era il pirla che poteva pronunciare tali parole, e conoscevo pure un posto non tanto lontano per andare a divertirsi. - Grazie - feci per tornare all'auto che avevo noleggiato, ma poi feci retrofront. Strinsi vigorosamente la mano all'amica di Noel - Comunque piacere, Cass - e infine me ne andai per davvero. La città del peccato mi aspettava.

 

- Abbott! - latrai nell'apparecchio appena il poveretto che stava dall'altra parte alzò la cornetta.

- Che...? -

- Dimmi dove siete - gli intimai, con voce tagliente più d'un rasoio.

- Cassandra? -

Alzai gli occhi al cielo, speravo che Tim Abbott fosse un poco più perspicace, d'altronde era il tutto fare della Creation, uno che aveva contribuito grandemente alla crescita dell'etichetta discografica. Quindi le cose erano due: o era ubriaco oppure aveva molte ragazze inacidite che lo chiamavano all'una di notte. - Sì, sì, sono io... Ora dimmi dove vi siete cacciati voi due -

- Ci troviamo a Las Vegas - borbottò con un colpo di tosse. Guardai dal vetro della cabina telfonica da cui chiamavo, le luci m'accecavano per numero e intensità, mastodontici casinò che rigurgitavano ma soprattutto ingiottivano migliai di turisti venuti a caccia del sogno americano. Il mio era un incubo, più che altro.

- Ho davanti a me la fontana del Bellagio, darlin' - commentai annoiata - dammi indicazioni più precise -.

- Ma che lavori per la CIA?! - esclamò con tono alticcio.

- No, ma potrei ucciderti lo stesso e nessuno lo verebbe a sapere. Ora dimmi dove diamine siete -

Ci fu una pausa, chiacchiere in sottofondo, quella che mi sembrò una risata famigliare. Potevo fin immaginarmi il modo in cu aggrottava le sopracciglia, sempre più simile a una civetta.

- Tranquilla Cass, é tutto a posto, é con me. Si sta solo rilassando -

- Non sarebbe così rilassato se sapesse che potrebbero cancellargli le date del tour, Tim -

- Non ne vuole sapere di Liam o di questa cazzo d'America... - fece pensieroso, per quanto fosse brillo, sapeva pure lui che gran parte dl suo stipendio dipendeva dal successo degli Oasis. - Pensi di riuscire a convincerlo? - domandò con voce quasi fanciullesca.

- Ci posso provare -

- Stiamo al Mirage - fece serio, poi la voce assunse una sfumatura più divertita - abbiamo conosciuto una coppia, sono una ... -

Misi giù la cornetta, quella notte non ero in vena di sproloqui da parte di Abbott, neppure se la coppia fosse stata la Regina Elisabetta e il Principe Filippo.

 

Quando lo vidi, mi sentii un po' uno schifo: era seduto su di un alto sgabello, al bancone del bar. Sembrava rilassato, davvero felice. Forse non dovevo cercare di costringerlo a tornare, se non era questo che voleva. Accanto a lui c'era una giovane donna, un po' in carne ma parecchio carina, un uomo, in piedi dietro lei, le teneva una mano sulla spalla, al dito una fede scintillante. Carini come piccioncini. Inquadrai pure Tim che era alle prese con le slot machine. Decisi d'andare ad accupare lo sgabello accanto a quello di Noel, dopo due o tre secondi che m'ero seduta e avevo fatto segno al barista di servirmi quello che aveva preso lui, un White Russian, si voltò verso di me, lo sguardo un po' vacuo ma un bel sorriso stampato in volto. - Mi domandavo quando saresti arrivata... - fece in un soffio, non feci in tempo a rispondere - meglio così perché per una volta mi pareva d'aver perso la parola - che lui riprese, rizzandosi sulla sedia. - Loro due sono - indicò vagamente la coppia, pausa - be' in effetti non so neppure i vostri nomi, ma chi cazzo se ne frega! Loro due sono... a posto! - constatò. Sorrisi all'espressione d'alcolizzata vittoria che aveva. I due sposini credettero che quella mia esternazione fosse per loro e mi salutarono, poi ripreso a parlare con Noel, e io rimasi lì, sospesa in tutta la confusione del casinò a sorseggiare il mio White Russian, gli occhi puntati su di lui. In quei giorni non avevo solo cercato un componente della band, stavo cercando proprio Noel. Mi era mancato, cazzo. M'ero sentita abbandonata e per quanto ci fossi avvezza, non era una bella sensazione. Andammo avanti così sino a due White Russian e mezzo, ovvero - tradotto in una misura di tempo convenzionale - un'ora e mezza, infine gli sposi decisero che s'era fatto tardi e che dovevano andare. La donna schioccò un bacio sulla guancia di Noel - macchiandolo di rossetto, ora sì che era proprio ridicolo -. - Ripensaci, George - gli disse - magari non é ancora ora di mollare la tua band -, un sorriso radioso e se ne andò col marito, inglobati dalla gente che affollava la sala da gioco. Passò un minuto, in cui io osservai il ghiaccio sciogliersi nel mio bicchiere, mentre ci giochicchiavo, poi Noel mi toccò appena un gomito, inarcai le sopracciglia un po' assonnata. - Una boccata d'aria - mormorò finendo il mio White Russian in un sorso, quando ci incamminammo verso l'uscita Abbott chiese spiegazioni - E io che faccio? -

- Te ne stai da solo! - ribattei io

- C'é lo show delle conigliette di playboy al secondo piano - soggiunse Noel. Tim sembrò apprezzare molto di più questa opzione e rivalutar l'idea di starsene per conto suo.

 

- Come hai fatto a trovarmi? - chiese Noel aspirando una boccata di fumo dalla sigaretta, non appena fummo usciti dal vero e proprio casino di Las Vegas, trovandoci su una strada dove almeno ci si sentiva se uno parlava.

- Lo sai, ho molte doti nascoste: andare a riprendersi la rock star capricciosa é una delle tante mansioni che come roadie devo saper adempire -.

Lui annuì e basta.

- Perché quella donna t'ha chiamato George? -

Fece una mezza risata, - Abbiamo iniziato a parlare perché lei sosteneva che fossi molto somigliante a George Harrison -, mentre continuavo a camminare lo guardai meglio, il profilo irregolare, le sopracciglia folte, - La ragazza doveva essere parecchio ubriaca, eh? -

Lui fece una smorfia e mi diede uno spintone amichevole. Un minuto dopo come offerta di pace mi propose di fare mezzino con la sua Benson, conosceva i miei punti deboli... Chissà perché le sue sigarette erano sempre migliori...

La boccata d'aria che The Chief voleva prendere era proprio fredda, nel Nevada in quella stagione di notte si gelava. E per dirlo una scozzese vuol dire che erano proprio temperature proibitive, anche se in effetti indossare una gonna leggera che mi copriva a malapena le ginocchia non aiutava. Rabbrividii, porca puttana che gelo.

- Hai freddo? - mi domandò Noel con uno sguardo strano.

Annuii, - Se avessi le palle in questo momento sarebbero due pezzi di ghiaccio, me le ritroverei in gola - risposi con la mia spiccata finezza.

Rise, molto simil-civetta, facendo l'ultimo tiro e buttando la sizza a terra, spegnendola con un piede, poi si strofinò le braccia, lasciate scoperte dalla mezza manica della t-shirt, - Mmm... Credo che su per giù le mie si trovino da quelle parti -. Poi gli si illuminò lo sguardo, indicò un punto alla mia sinistra, addossati al muro c'erano dei distributori automatici. - Fa che ci sia dl té! - grugnì tirando su col naso.

Cominciai a rovistare nella borsetta a tracolla che m'ero portata dietro, misi assieme un po' di spiccioli e le inserii nella macchinetta delle bevande calde. Premetti il pulsante per il té, Twinings c'era scritto su... Sì, come no, e ora gli americani saprebbero fare un té decente?

S'accese una spia rossa, non mi piacque per niente questa cosa. Riprovai: ancora la stessa lucetta bastarda. Era finito, provai con la cioccolata calda allora, niente. The Chief imprecò dando una scossa al distributore, schiacciai tutti i bottoni, a caso, nella speranza che scendesse qualcosa di caldo. Infine la macchinetta parve ritornare alla vita, forse spaventata d'avere a che fare con due hooligan d'oltremanica. Quando finalmente potei prelevare il bicchiere, nel palmo della mano s'irradiò un piacevole calore, Noel da vero gentiluomo me lo rubò subito e ne prese una sorsata, e - denotando ancora più buona educazione - immediatamente sputò la bevanda per terra. - Ma che minchia é? - disse con una smorfia, come un bambino davanti ai broccoli.

Annusai il contenuto del bicchere sospettosa e poi diedi una scorsa alla lista di proposte del distributore. - Limonata di fragole, a quanto pare -. Solo gli yankee potevano inventarsi una cosa del genere.

- É tremendamente dolce, io non la bevo, meglio morire assiderati -. E con questo ottenni la totale supremazia sulla strawberry lemonade, che infondo non faceva poi così schifo, perlomeno mi scaldava lo stomaco.

Continuammo a girovagare per la città sino a che non arrivammo nelle zone più residenziali, zero turisti in vista, eravamo finiti a costeggiare un parcogiochi, che illuminato dalla fioca luce dei lampioni aveva un non so che di inquietante. - Vicino a casa mia c'era un posto del genere - commentai, al che Noel si fermò per osservare meglio il posto. - Ti piaceva? - mi chiese con voce bassa, vagamente gentile.

- No - risposi lapidaria - almeno non da quando Billy McIntosh si era autonominato re dello scivolo e non mi faceva più salire -, soggiunsi, appongiandomi ad uno dei pali della luce.

Noel corrugò la fronte contrariato - L'ho sempre detestata, la fottuta monarchia -. Risi facendo un giro attorno al palo, tenendomi con una mano al metallo, era una sensazione piacevolmente vertiginosa se lo si faceva da mezzi ubriachi. Certo non tanto vertiginosa quanto ritrovarsi davanti a Noel, che ti fissa con uno sguardo indecifrabile, e tu non sai più che fare o dire. Provai a spiccicare una parola qualsiasi, ma lo vidi appena chinarsi sopra di me e automaticamente chiusi gli occhi. Era caldo, e umido. Come qualsiasi bacio, d'altronde. Ma era anche una sensazione avvolgente, come stare sotto il piumone. Sapore di fumo,alcohol, fragola. Ero rimasta completamente immobile, e quando le nostre labbra si divisero fu come uscire nell'aria fredda del mattino. Non avevo ancora mollato il respiro...cazzo...

Riaprii gli occhi per vederlo osservarmi da vicinissimo, un po' divertito forse dalla faccia ebete che ero certa d'avere. - Questa volta t'ho presa io di sorpresa - mormorò, gettando un'occhiata di traverso alla strada e al parco, solo per smettere di fissarmi, forse.

- Te lo ricordi? - domandai ingenua.

- Ah, ah - fece un verso affermativo, sogghignando, e colmò nuovamente lo spazio tra noi due, questa volta ero preparata, ma la sensazione, quella sensazione, fu la stessa. La ligua passata sulle labbra, mi succhiò quello superiore, i nasi che si strofinavano, il sentire la barba appena un po' pungente. Decisamente il miglior secondo primo bacio di sempre. Sentii che la testa se ne stava andando via leggera... Merda, mi staccai, la mano di Noel ancora sul mio fianco sinistro. - Sono ubriaca -.

Fu il suo turno di fare una faccia idiota.

- E anche tu sei ubriaco. Non voglio non ricordarmi nulla domattina -.

Lui sembrò pensarci un attimo seriamente, - Be', se dici che sei ubriaca vuol dire che sei ancora abbstanza lucida per riconoscerlo, quindi non sei completamente andata, no? - sorrise beffardo.

Lo guardai, gli occhi azzurri resi un po' lucidi dall'alcohol, il ragionamento non faceva una piega. - Definitely - sussurrai, si fece un po' più vicino, la lussuria nello sguardo. - Maybe - completai, sentendo il suo respiro sulla pelle mentre rideva, - Avrei dovuto scegliere un titolo diverso a quel cazzo d'album -.

Mentalmente lodai la geniale idea - sì, sono parecchio volubile - di aver indossato la gonna quando Noel ci fece scivolare sotto l'orlo una mano, e la fece correre su, lungo la coscia. Rabbrividii, ma il freddo non c'entrava, in effetti non lo avvertivo più da qualche minuto, da quando eravamo entrati dentro il parcogiochi e il bacio s'era fatto più approfondito, entrambi più affamati.

Ad un certo punto, mentre camminavo all'indietro sul cemento, quasi inciampai: diedi un'occhiata veloce, senza praticamente neppure dividermi da lui - labbra arrossate e capelli scompigliati - la scaletta d'entrata per la casetta dello scivolo. Qualcosa nel frattempo sembrava aver preso vita e ribellarsi nella mancanza di spazio dei jeans di The Chief. Alzai un sopracciglio a Noel, che un po' impacciatamente aveva dichiarato guerra ai gancetti del mio reggiseno. - Pervertita - mormorò quando colse il mio sguardo. Risi mentre correvo su per la piccola scaletta, lanciandogli in faccia la mia maglietta. Mi raggiunse di scatto, trascinandomi quasi d'impeto sul pavimento di legno - mai che trovassi un posto comodo dove fare l'amore... Sesso, insomma -. Sopra di me gravava un peso leggero, quasi piacevole, rassicurante.

Ero alle prese con la sua cintura quando gli dissi sussurrando - Ce li hai? -. Si bloccò mentre mi stava rosicchiando un lobo - Retro dei jeans, tasca sinistra - borbottò riprendendo da dove aveva lasciato. Alla cieca andai alla ricerca del portafoglio, indugiando più del necessario forse, ma quando finalmente lo aprii non trovai quanto mi aspettavo. Noel lo capì dal mio sguardo di disappunto, e gemette d'impazienza quando ormai m'aveva già sfilato gli slip da sotto la gonna. - Sei l'unico ventisettenne sulla Terra ad andare in giro senza preservativi - commentai io, tastando poi il pavimento della casetta sino a trovare la borsetta e tirare fuori un pacchettino di plastica ricordo di una delle ultime visite a Londra.

Noel prima d'aprirlo lesse quanto c'era scritto sopra - "Want to see Big Ben?" -.

Non era come con Liam, non si creò subito quella sintonia animale, i nostri corpi assieme non erano armonici, faticavano ad incastrarsi l'uno con l'altro ma in qualche maniera funzionava, in qualche modo era fantastico. Non era come - lo ammetto - tutte le volte che me l'ero immaginato, ma non per questo era peggio. Solo era strano sentire le sue mani aggrapparsi a me spasmodiche, percorrere ogni singolo centimetro di pelle, udirlo gemere con voce arrochita nella piega del mio collo e poi vedere il suo sguardo sfuggirmi. Riusciva ad essere distaccato persino in una circostanza come quella... anche quel pensiero riuscì ad essere annullato però quando arrivarono le prime ondate di piacere, chissene frega, pensai. Fu il mio turno di cercare un appiglio per non tremare, e la sua spalla mi parve progettata apposta per quello scopo. Mi feci sopraffarre, e m'accorsi che era tutto finito - sempre troppo in fretta - solo quando riaprendo gli occhi mi ritrovai sovrastata da Noel, immobile, che respirava pesantemente e che con un ultimo fremito si lasciò rotolare di lato. Nell'esiguo spazio in cui c'eravamo cacciati le posizioni non cambiarono poi di molto, infondo. Mi girai su di un lato, di modo di poterlo vedere: aveva gli occhi chiusi. Per un attimo pensai che fosse bellissimo - Audrey fece una smorfia di disapprovazione -, e mi sentii davvero minuscola. Dopo un minuto buono quando ormai iniziavo a chiedermi se non si fosse addormentato, aprì gli occhi. - Perché abbiamo aspettato così tanto? - chiese infine con un'espressione impossibile a metà tra un sorriso sghembo e sofferente.

Soffocai una mezza risata, non so se per la sua faccia o per la domanda che anche a me era balenata un paio di volte, - Non ne ho idea... -. Chiusi gli occhi respirando l'aria gelida a pieni polmoni, ancora troppo accaldata per accorgermene. Sentii trafficare, la rotella di un accendino scattare e l'odore di fumo. Poi una mano m'accarezzò un fianco, e mi attirò a sé, ancora quella sensazione d'essere completamente persa in un oceano. Cominciò a disegnare con le dita cerchi e spirali sulla mia pelle, e il mio animo s'acquietò un poco. Mi rilassai con un mugugno soddisfatto, mentre avvertivo le sue labbra sottili da qualche parte, nelle vicinanze del mio orecchio destro. A quella distanza lo sentii persino dischiuderle, aspettare, deglutire, aspettare di nuovo. Io avrei potuto andare avanti così all'infinito, ipnotizzata dalle sue dita. Un secondo di indecisione - Su di te la limonata di fragole é più buona -.

 

Non volevo assolutamente svegliarmi, ma alla fine lo feci, al suono attutito delle corde di una chitarra che veniva suonata nel bagno. E una voce. Una canzone mai sentita prima. Mi rigirai sotto le coperte cercando di catturare il poco di caldo che rimaneva al mio lato. Era decisamente valsa la pena d'uscire dalle lenzuola qualche giorno prima.        

 

Take me if you think you're right
Do it now before it's light
Take me if you think I'm sweet
Though my life feels incomplete
Take me when I wish to live
For I still have this to give



  Hello! (it's good to be back) Finalmente ho aggiornato con questo benedetto capitolo che, davvero, m'ha fatto un po' sclerare, ma spero d'essere riuscita a scrivere una scena rating rosso (sarà rosso?) abbastaza decente. Per i resto quanto c'è scritto rispecchia il più possibile la verità che si conosce, tutta la storia dell'abbandono del tour americano, della coppia di sposi, di Tim Abbott e di Las Vegas, e pure la strawberry lemonade che non potevo non citare (Si guardi Talk Tonight --->http://www.youtube.com/watch?v=Ycaocta_OCw&feature=related  ). La canzone del capitolo è inveece una vecchia demo scritta da Liam e Bonehead (già, neppure io ci volevo credere) ed è davvero un ottimo pezzo molto Stone Roses e che i cospiratori vorrebbero con un testo con riferimenti alla gayezza di Liam, ciò che rimane però è una canzone particolare del repertorio Oasis e che sarebbe dovuta finire in Definitely Maybe se Ourkid non si fosse opposto (idiota!) http://www.youtube.com/watch?v=L-0symhe2VY  vale la pena d'ascoltarla.
NOOOOOOOOOOOOOOOOOELLLLLLLLLLLLLL... scusate lo sclero da bimbaminkia ma sono ancora davvero felice perchè finalmente sono riuscita a vedere The Chief in carne, ossa e sopracciglia :DDD e in più martedì esce l'album *___* che da quanto ho sentito in radio ecc è davvero qualcosa di spettacolare!
*si ricompone* Cheers

Ps: momento pubblicità: COMMENTATE, please

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Whatever ***


 
I'm free to be whatever i
whatever i choose and i'll sing the blues if i want
i'm free to say whatever i
whatever i like if it's wrong or right it's alright
always seems to me
you only see what people want you to see
how long's it gonna be
before we get on the bus and cause no fuss
get a grip on yourself it don't cost much 

 

 

I'

 

Schizzi d'acqua salata, sole battente, risate. Arrivò un'onda particolarmente poderosa che mi scaraventò giù dalle spalle di Liam. Avvolta nell'acqua e nella spuma, come in una bolla, riemersi dopo qualche secondo cercando di catturare aria fresca nei miei polmoni affamati e subito mi sentii insultare da Ourkid: - Sei una mezza sega! Basta una piccola onda a buttarti giù e perdere il round! - s'agitò, sballonzolando cercando di stare a galla, l'acqua che gli arrivava a metà del torace glabro, a parte un ciuffo di peli in mezzo al petto, molto stile preadolescenziale. - Non voglio stare in squadra con un'incompetente! - inveì di nuovo. In realtà eravamo solo a pari in quella strana gara di lotta libera acquatica, i nostri avversari erano McCarroll e un'attrice che ci ronzava attorno ormai da un paio di mesi, Patsy Kensit. La lotta consisteva nel buttare giù l'avversario - la bionda tettona Patsy - dalle spalle del suo compagno di squadra. Ora questo non é molto facile se ci si trova in spalla a Liam che continua a muoversi nelle maniere più assurde, travolti da cavalloni giganteschi dell'Oceano Pacifico e con una bionda ossigenata che sferra colpi con una french manicure d'acciaio e dall'apparente solidità fisica di un camionista, mentre io, pur nella mia spiccata mascolinità, pesavo comunque una cinquantina di chili e non avevo unghie con cui difendermi. Discutemmo per un po', io e Ourkid, sino a quando con un educato dito medio mi accomiatai, andandomene a nuoto verso riva. Arrancai nella sabbia molle della battigia e in quella incandescente - nonostante fosse quasi il tramonto - della spiaggia, per tutto il tempo avevo tenuto sott'occhio un puntino bianco steso su di un asciugamano blu. Noel sdraiato sulla pancia aveva tutta un'aria dormiente quando lo raggiunsi, gli occhi nascosti però dietro un paio di lenti scure. Vedendo che non dava segni di vita, molto simpaticamente m'adagiai su di lui ancora tutta gocciolante, usandolo a mo' di telo da spiaggia umano, la mia guancia pressata contro una delle sue scapole, al che ottenni un grugnito vagamente infastidito. Dovevo ammettere che io ero abbastanza comoda. - Lo sai vero che la camicia non ha bisogno d'abbronzarsi? - gli domandai dopo un po' strattonando leggermente un lembo di cotone bianchissimo, più o meno dello stesso colore della sua carnagione.
- Neppure io ne ho bisogno - grugnì liberandosi del mio peso, facendomi rotolare di lato per metà nella sabbia. Che stronzo!
Lo guardai mettersi a sedere, fissare in lontananza il mare in direzione di Liam. Avevo il naso leggermente arrossato, il che, nonostante l'espressione tipicamente arcigna, lo rendeva abbastanza ridicolo, ma di quel ricolo tenero, un po' come Bambi che non si regge sulle zampe. M'avvicinai a lui, tirandomi su dalla sabbia, e posai il mento sulla sua spalla - Paura di bruciare la tua pallida pelle irlandese? -, una mano lasciata casualmente - sottolinerei casualmente - sulla sua coscia.
Sbuffò, irrigidendosi però impercettibilmente quando le mie dita risalirono da sotto il tessuto dei bermuda, sfiorandolo appena. - Ti vorrei informare che sotto questa pallida pelle irlandese sono un dio bronzeo mediterranneo -. Scoppiai a ridere sguaiatamente difronte a cotanta idiozia, lui però rimase serissimo, forse per via di quei polpastrelli che s'avvicinavano sempre più all'inguine. I giorni che avevamo passato a Las Vegas dopo quella notte al parco erano stati castissimi, un continuo di mangiare, fare musica - lui ovviamente, aveva scritto ben due canzoni - e dormire. Mettiamo in chiaro, tutto ciò era dovuto al fatto che mi era tornata una febbre da cavallo - l'attività notturna non mi aveva giovato - e che quindi ero ridotta a poco più di uno zombie. Noel non osava manco avvicinarmi, un po' perché quando sono malata sono di un'acidità assurda e poi perché, penso, fosse un tantino ipocondriaco il ragazzo ai tempi. Poi eravamo andati in Texas, dove la band si era finalmente riunita - niente baci e abbracci eh, solo qualche grugnito trai fratelli - per registrare delle canzoni per un progetto natalizio che avevamo in mente. E così, al netto di tutto erano esattamente 8 giorni che non facevamo sesso. Noel continuava a fissarmi, s'era tolto gli occhiali da sole e li aveva appesi alla camicia. Ressi lo sguardo di quegli occhi sbilenchi, solo per vedere chi avrebbe resistito di più. Insomma, io gli sarei saltata addosso anche in quello stesso momento, ma in quei giorni avevo scoperto come mi bastasse poco più di un'occhiata per accenderlo e questo, signore - e signori, se siete di quel versante - é una cosa che una volta nella vita bisogna provare: avere in potere, almeno da quel punto di vista, un uomo. Esercitavo su Noel quello strano fascino che avevo provato sulla mia stessa pelle con Liam, soprattutto nei primi periodi e ciò mi intrigava assai. Era arrivato al punto di rottura, si stava chinando sopra di me, una mano che vagabondava per la mia schiena. - Ragazzi! Dovete prepararvi per l'intervista in radio! -.
Sapete quel rumore come se si fosse rotto un nastro di una cassetta all'improvviso? Ecco, penso proprio d'averlo udito in quel preciso istante, e credo pure Noel che si girò verso Paolo - Hewitt, un giornalista che ci seguiva quasi perennemente - con aria calma, ma con una scintilla di furia omicida nello sguardo. Paolo ci guardò perplesso, era la prima volta che qualcuno della crew - membri della band compresi - ci coglieva in quel genere d'atteggiamenti, e non mi piacque per nulla: strisciai indietro di qualche centimetro.
- É Maggie che m'ha mandato - bofonchiò il giornalista. Ambasciator non porta pena?... - Vado a chiamare gli altri - e s'allontanò di qualche passo a tirare un paio di grida verso il mare, a McCarroll e Liam.
Noel si tirò su in piedi, e diede una mano pure a me, famosa per la mia pigrizia cronica, negli occhi aveva qualcosa di strano, a parte lo smacco ovvio per l'interruzione. Io decisi comunque di infierire, e tirandogli una pacca sul sedere dissi - Sarà per la prossima volta, Chief -, provando a mascherare la mia stessa delusione.
Hewitt intanto stava tornando da noi e in viso aveva ancora quella strana espressione di perplessitudine, unita pure però a del divertimento. - Si sta stretti là sotto, eh? - domandò in una mezza risata prima di proseguire. In effetti il cavallo dei bermuda di Noel era messo a dura prova in quel momento, e forse era per quello che, quando pure lui si mise subito dietro a Hewitt per raggiungerlo, aveva una camminata strana. Pure io li segui, seppure a qualche passo di distanza. - Metti su carta questa storia e sei fuori - sentii dire a Noel, qualche secondo più tardi. Questo era il mantra che Hewitt si sentiva ripetere sempre da tutti, persino Guigsy, e non c'era nulla di insolito, senonché Noel era tremendamente serio.

 Diedi una sbirciata dal backstage alla folla, erano caldi e rumorosi a sufficienza, quando colsi un'occhiata di sbieco da parte di Noel, gli feci una smorfia mentre Liam finiva di cantare il ritornello di Columbia. Andarono avanti con una bella coda di strumentale per qualche minuto, poi uscirono di scena, Ourkid lasciando appeso al microfono il tamburello: per essere una band che aveva appena rischiato di sciogliersi, quella sera ce n'era d'alchimia musicale nell'aria, riflettei soprappensiero finendo d'accordare la chitarra che avrebbe dovuto usare dopo Bonehead per l'encore.
- Dieci minuti - mi disse una voce da dietro, nell'orecchio. Avrebbe dovuto esser un sussurro ma con la gente del locale che gridava, fischiava e quant'altro, Noel aveva dovuto alzare il tono parecchio. Mi voltai - Che? -, lui era ancora arrossato per via dell'esibizione.
- Dieci minuti prima dell'inizio del bis - mormorò dando qualche occhiata fugace in giro, ma tutti erano troppo presi dalle cazzate che stava dicendo Liam - e con cazzate si intende l'autoproclamarsi reincarnazione di John Lennon -, e poi mi tirò a sé.- Wow, dieci interi minuti? Sicuro di non essere troppo romantico? - ribattei.
Per un istante vidi come avesse pensato che fossi seria, rabbuiandosi un poco. Poi però notò il mio sorriso diabolico e allora mi prese il polso, lesse l'orologio - Cinque minuti, in realtà -, al che persi ogni voglia di scherzare e soffocai la risata che mi stava per venire mordendogli il labbro inferiore, mentre lo spingevo verso una porta di una stanza non meglio identificata dietro al palco. Da quel giorno iniziai ad amare ancora di più gli encore.

free to be whatever you
whatever you say if it comes my way it's alright
you're free to be wherever you
wherever you please you can't shoot the breeze if you want
it always seems to me
you only see what people want you to see
how long's it gonna be
before we get on the bus and cause no fuss
get a grip on yourself it don't cost much
free to be whatever i
whatever i choose and i'll sing the blues if i want


 
  Mi svegliai con quella che in termini tecnici é propriamente chiamata "sbronza da aftershow party selvaggio". Cazzo, non ci stavo proprio. Provai ad alzarmi ma venni colta subito da un senso di nausea e corsi verso la prima porta che avvistai, pregando fosse il bagno. Esultai alla vista della tazza di ceramica, ma prima di raggiungerla inciampai in qualcosa, o meglio, qualcuno. Finii praticamente faccia a terra, incastrata in un groviglio di braccia e gambe. Avevo chiuso gli occhi prima dell'urto, e quando li riaprii trovai quelli familiari di Noel. - Buon giorno -, per un attimo avevo dimenticato la nausea montante, ma ormai l'impulso era troppo forte per cui mi scaraventai ad abbracciare il cesso. Quando ebbi finito, un po' esausta, ma con lo stomaco che ringraziava - e il fegato che m'avrebbe preso a calci in culo per la nottata prima - mi voltai. Noel era seduto a bordo della vasca da bagno, completamente stonato, le occhiaie e i capelli rasati lo facevano sembrare l'internato di qualche lager, fissava il vuoto fumando una sigaretta - non esattamente la colazione completa che consigliano al mattino -. Gli lasciai fare un paio di boccate prima di rubargliela, infine guardò me e il cesso, e ancora me - Niente bacio del mattino -. Scoppiai a ridere buttando fuori il fumo, la vita può essere scioccamente divertente la mattina in un bagno non meglio identificato con Noel. Poi vidi il suo sguardo cambiare, e fissarmi sbigottito, - Cazzo hai fatto ai capelli? -. Questa é una delle cose che una donna non vorrebbe mai sentirsi dire, buttai un'occhiata rapida allo specchio e a rispondere allo sguardo ci fu una specie di ragazzetto coi capelli corti e arruffati e le labbra troppo carnose. Portai le dita tra le ciocche che sarebbero dovute essere vagamente rossicce e invece... Liam... quel bastardo, l'avrebbe pagata. Fu il turno di Noel per ridere, un po' troppo convulsamente - doveva essersi fatto una striscia di troppo - scivolando nella vasca da bagno. Mi fissai ancora un attimo, prima di venir colta dal mio sesto senso, sollevai il polso con l'orologio. Era Lunedì, quel Lunedì, cazzo. Ed erano già le otto, normalmente non ci saremmo fatti alcun problema a dormire fino alle 2 del pomeriggio ma quel giorno dovevamo girare il video per il singolo. E non sapevo manco dove fossimo. Noel intanto s'era assopito nella vasca, la risata idiota che non era ancora scomparsa del tutto. Avevo una missione da compiere: portarlo sul luogo delle riprese, ma prima...
Ci trovavamo in strada, le macchine che ci passavano di fianco creando un turbinio d'aria gelida, più di quanta non ce ne fosse già a Dicembre solo col vento. - Dovevi proprio aprire l'acqua per svegliarmi? - domandò infastidito Noel strofinandosi le braccia per scaldarsi, i capelli ancora leggermente bagnati, mentre attraversavamo finalmente il passaggio pedonale. Gli diedi solo uno sguardo di sbieco, lui imbronciato. Eravamo ancora nel bel mezzo di non si sa dove, nell'appartamento dove c'eravamo svegliati avevamo trovato solo un paio di modelle mezze nude, uno che mi sembrava essere un fotografo forse conosciuto e due tizi che avevamo conosciuto la sera prima all'aftershow, purtroppo nessuno era abbastanza sveglio o sobrio per dirmi dove fossimo. Cominciai ad avvistare una delle Ford blu della Creation, per fortuna nella borsa che avevo usato la sera prima c'era pure un paio di chiavi, le passai in mano a Noel che mi guardò perplesso. - Almeno d'aprirla sarai capace? -, alzò gli occhi al cielo ma come un bravo soldatino - mezzo ubriaco - andò ad eseguire l'ordine e si piazzò sul sedile sinistro. Io mi guardai in giro, quella non mi pareva Londra, ma non sapevo neppure che cosa fosse. Wolverhampton? Cardiff? Atlantide? Poi la risposta mi si parò davanti sotto forma di un ragazzo spilungone, magro da far impressione e una faccia da volpe. Lo bloccai mentre stava per attraversare la strada, il biondino che stava con lui scattò subito con un - Che cazzo...? -- Che città é questa, ragazzino? -. Avrà avuto qualche anno meno di me, ma così con la divisa scolastica sembrava appartenere a un mondo del tutto estraneo al mio, uno fatto di trucco sbavato e jeans tagliati.
- Lestò - disse un secondo dopo aver guardato il suo amico, con voce pacata. Tradotto dalla pronuncia delle Midlands, Leicester. Mi voltai immediatamente per raggiungere Noel alla macchina, avevamo un bel po' di fottute miglia da fare prima d'arrivare a Londra. Quasi non sentii la voce del biondino che mi gridava - Bei capelli! - e le risate dei due mentre continuavano a camminare.

Ancora oggi mi chiedo come feci ad arrivare in poco più di un'ora e un quarto a Londra nonostante fosse praticamente l'ora di punta sulla M1. Forse erano i rimasugli della sensazione che ti dà l'E, invincibile. Al momento però svaccata su una sedia in uno studio da qualche parte nella periferia londinese mi sentivo tutt'altro che invincibile. Mi sentivo pure inutile, a dirla tutta, a non fare niente mentre tutti erano all'opera sul set del video: tizi che controllano luci, Noel che ripresosi dalla nottata prima beveva un caffé scherzando con Bonehead - ok, questo non era molto utile, ma almeno si teneva sveglio con la caffeina -, e infine i suonatori d'orchestra che erano necessari alla canzone. Dio che stanchezza... Mi sentivo prosciugata mentre guardavo fuori nevicare, e lo ero senza una ragione. Be' c'era il Natale...ma quello non dovrebbe rendere le personi felici? Regali, cibo, luci, vecchi pancioni con renne, famiglia e tutto il resto? No, con me a quanto pareva non funzionava, anzi, effetto contrario: solo tristezza e nostalgia di qualcosa che neppure avevo mai avuto... Mi passò davanti Liam che mi fece una smorfia, alzando il labbro sinistro, una specie di ringhio che mi fece sorridere scioccamente un po'. Ecco quello che mi rimaneva: la sua faccia di idiota e i party senza freni che non conoscevano l'alba. E qualche ora rubata con Noel, dato che da quando eravamo tornati dal tour tutto si era fatto più complicato, non per reali motivi, ma solo per la natura di entrambi che capitava essere davvero di poco aiuto alla situazione. Che poi di quale situazione si trattasse davvero non lo sapevo, vedevo le espressioni dubbiose di chi ci conosceva quando io e lui stavamo assieme, comportandoci magari un po' più affettuosamente - io non lo prendevo per il culo continuamente e lui evitava di dirmi cattiverie - e capivo che erano le stesse che avevamo noi due una volta che il sesso finiva. Non sapevo che eravamo. Amici? Gli amici non fanno sesso nella cuccetta - scomodissima - di un tourbus ogni sera e soprattutto non come lo facevamo noi. Una coppia? Una coppia non lascia che uno dei due continui a uscire con chiunque gli piaccia. Amanti? Gli amanti non passano le mattine a ridere in bagni di sconosciuti e il seguente viaggio in macchina a cantare a squarciagola canzoni degli Stone Roses. Una qualsiasi cosa non identificata? Sì, quella mi andava bene come definizione, al momento era decisamente la mia preferita, perché dare un nome alle cose voleva dire ammettere che esistevano e che di conseguenza potevano finire. Un po' é come se dai un nome a un cane, una volta che l'hai fatto ti ci affezioni inevitabilmente, e poi se muore o lo devi dar via son cazzi. Audrey storse il naso davanti al paragone infelice, ultimamente Noel era entrato pure nelle sue grazie.
Ero così soprappensiero che non notai che proprio The Chief s'era seduto accanto a me, la chitarra di Johnny Marr in grembo pronta per il video, un adesivo "Oasis" che faceva mostra di sé sul battipenna.
- Vuoi entrare nel video? - mi domandò d'un tratto. Lo faceva spesso, e io con la stessa continuità gli rispondevo alla stessa maniera.
- Non é il mio compito, io pulisco per terra tutt'al più - feci un sorriso debole, il Natale mi stava portando via davvero ogni voglia di scherzare.
Lo osservai per qualche secondo, guardandoci a vicenda senza parlare come ormai avevo incominciato pure ad apprezzare. Aveva ragione a dire che il silenzio a volte serve, anche solo perché se avessi iniziato a parlare non so dove m'avrebbe potuto portare la malinconia. Anche lui sembrava voler dire qualcosa, ma alla fine quando si decise a parlare fu per dire qualcosa di parecchio banale e che quindi di certo non era nei suoi piani. Quando parlava Noel non era mai a caso - eccezion fatta per quando era ubriaco/fatto/entrambe le cose -.
- Domani é il tuo compleanno -
- Wow - commentai mollemente e questo non so perché lo fece sorridere, ormai con me cominciava a farlo spesso anche senza un motivo. La cosa mi preoccupava un po'.
- In scena, ragazzi! - esclamò qualcuno sul set.
Noel s'alzò svogliatamente, non amava girare video, pensava che la maggior parte delle volte fosse "una cagata in cui mi tocca scegliere tra una storyboard di merda e una ancora peggio"; si bloccò un attimo, in mano il manico della Les Paul. - Mi piacciono i capelli - e sparì raggiungendo gli altri in scena.Il video in principio consisteva nella band che suonava su un grande sfondo bianco assieme a un'orchestrina d'archi, il tutto per più di sei minuti.
Iniziarono a girare, ma dopo smisero per cui andai a vedere che succedeva, tanto per assicurarmi che i fratelli non si stessero azzuffando. Invece c'era solo il regista che parlava. - Non funziona, é Natale, cazzo! Non possiamo... - si guardò intorno poi vide me - lasciare la gente così - e mi puntò addosso un dito. Ehi! - A Natale la gente non deve essere depressa, un po'di vita, eh! Pure voi - e indicò i suonatori d'orchestra. Guigsy alzò la mano - manco fosse a scuola, che ragazzo suonato -.
- Vuoi dire che dobbiamo far sorridere gente come lei? -
Il regista mi fissò un secondo ancora - Esattamente -. E fece partire il playback.
Già dai primi attimi di musica Liam cominciò a cazzeggiare, Guigsy a sorridere vedendolo e forse sperando d'essere contagioso, Noel improvvisò qualche passo di danza e mi riservò qualche occhiata particolarmente da civetta mentre suonava o solamente girava per il set come da ordine del regista, bevendo caffé e manginado patatine fritte. E infine si mise pure a spazzare il pavimento.
Forse era l'effetto della canzone però mi tornò davvero il buon umore, certamente almeno per il temp delle riprese. Guardai Guigsy che ormai era un sorriso umano, Bonehead e Liam che se ne stavano seduti sul pavimento e ancora Noel imperterrito che puliva con una scopa. Mi passai una mano trai capelli, corti e azzurri. Aveva detto che gli piacevano. Decisamente era diverso da un cane.

here in my mind
you know you might find
something that you
you thought you once knew
but now it's all gone
and you know it's no fun
you know it's no fun
and you know it's no fun

 
   24 Dicembre 1994, ore 23.11 - lo so perché ho davanti a me un'enorme pendola -. Manchester - la freddissima e innevata Manchester, specificherei -, casa di Peggy.
M'avvicinai un po'di più al camino strisciando sul pavimento. Peggy aveva sempre desiderato una casa con un camino funzionante che facesse molto rustico inglese invece che casa con il termosifone rotto che faceva molto Manchester operaia e povera in canna. Per quel Natale i fratelli l'avevano accontentata, osservai guardando Liam che con sguardo soddisfatto fissava sua madre accanto al tanto anelato camino, la fiamma che le gettava sul volto una luce arancione. Noel sembrava mezzo addormentato, sprofondato in una vecchia poltrona che sapevo essere la sua preferita, tutti gli altri sul divano. A parte la sottoscritta che aveva sempre avuto una strana predilizione per i pavimenti. Momento di silenzio, solo lo scoppiettare del camino.
- Allora - esordì Paul gioviale - si gioca a scacchi? -.
- Cazzo, sono una rockstar e dovrei giocare a scacchi? -
- William! -
Ourkid guardò un attimo sua madre, - Scusa Ma' -, poi soggiunse con il suo proncio - a scacchi io non ci gioco, comunque -
- Solo perché non hai ancora capito le regole -
- Fanculo! -
- Liam! -
Io dal mio posticino appartato me la godevo ridendo sotto i baffi quella scenetta familiare. Il battibecco continuò per un po', mi domandai quando sarebbe stato tirato in mezzo Noel, ma questi mi stupì accendendo il televisore improvvisamente, in realtà nessuno l'aveva visto muoversi di un centimetro dalla sua precedente posizione e pure ora se ne stava immobile come una statua, ma evidentemente doveva essere stato lui. Oppure la casa era abitata da fantasmi.
Guardai lo schermo: scena in bianco-nero, quinta strada a New York, una donnina sottile in tubino nero. - Era il film preferito di mia madre - dissi in un fil di voce, non facendomi quasi sentire. In realtà però mi stavo chiedendo perché a Natae trasmettessero sempre gli stessi fottuti film. A memoria non rammentavo un solo 24 Dicembre che non fosse finito guardando "Colazione da Tiffany" appallotolata sul divano, certo, questo fino a un certo periodo però.
Improvvisamente un'onda di malinconia iniziò a riaffiorare, e dovetti distogliere lo sguardo dall schermo puntandolo sulle lingue di fiamma che ardevano nel camino sino a quando non mi bruciarono gli occhi per il troppo calore. Quando mi voltai di nuovo, Noel mi stava fissando. Non come faceva lui di solito, di sottecchi, ma apertamente, con un'espressione indecifrabile. Lo odiai. In quel momento preciso, lo odiai, per il modo in cui mi fissava senza battere ciglio, perché aveva acceso il televisore, perché se ne stava seduto da solo su una poltrona, perché era Natale, perché sembrava che mi stesse leggendo nel pensiero e sapevo che ci poteva riucire benissimo. Poi dopo qualche secondo quando ormai la cosa stava diventando seriamente strana, Liam distolse la propria attenzione dalla tv e dopo aver dato un'occhiata rapida alla pendola saltò in piedi con rapidità allucinante, considerando tutto quel che aveva divorato quella sera a cena.
Quando tornò stringeva tra le braccia un pacco particolarmente voluminoso, rettangolare, lungo un metro abbondante. La carta era quella marrone e spartana che si usa per spedire via posta, sopra in pennarello rosso c'era scarabocchiato in una grafia spigolosa "Liam x " e in una più rilassata e rotondeggiante "With lov, Noel". Sì, mancava pure la "e", vecchia cara disgrafia natalizia.
Iniziai a scuotere la testa - V'avevo detto che... -
- Non é un regalo di Natale - m'interruppe Ourkid - non é ancora mezza notte, é perché non t'abbiamo preso niente per il tuo compleanno -.
-... E per il buon lavoro che fai come roadie - soggiunse Noel, sistemandosi meglio sulla poltrona.
Fissai la scatola che m'aveva messo davanti Liam, lo guardai e lui dall'alto mi fece cenno con tutta l'aria del bambino che m'avrebbe scartato lui il regalo se non mi fossi sbrigata. Così presi a strappare la carta spessa, "Colazione da Tiffany" che continuava a scorrerere sullo schermo. Sotto scoprii una custodia beige, di pelle, profumava da morire. Sapevo che c'era dentro e nell'animo mio ero già combattuta, qualcosa dentro di me si stava incrinando e qualcosa allo stesso tempo però mi sta facendo aprire le cerniere dorate. Era stupenda, la più bella che avessi mai visto. Una semi-acustica 355 della Gibson cherry con rifiniture panna, ponte Bigsby...per mancini...
- Se sembra un po' rovinata é perché é vecchia, sai? - diceva intanto Liam - Del 1967, é una custom, qualunque cosa voglia dire -, mi osservò perplesso - É lui che l'ha voluta così - disse svelto, non volendo colpe, gettando un'occhiata a Noel mentre intanto io sollevavo la chitarra tra le mani. Era davvero un pezzo di perfezione artigiana, e chissà come sarebbe stato il suono... solo passando le mani sulle corde potevo già immaginarmi il suo calore avvolgendo, la precisione distinta delle note più acute e quella mormorante di quelle gravi. Un pensiero fisso però mi rimaneva in testa e neppure la bellezza di quella chitarra l'avrebbe potuto cancellare. Io ero destra e non avrei mai riiniziato a suonare. E nemmeno Noel Gallagher avrebbero potuto cambiare ciò. Lo guardai, lui che mi fissava di nuovo, i gomiti poggiati sulle ginocchia in attesa della mia prossima mossa. - Suona - mormorò dopo un istante, non era un'esortazione ma un ordine preciso. L'odio ritornò, chi si credeva di essere per dirmi che fare? Per farmi riimparare a suonare? Per affollare sempre i miei pensieri e credere che gli appartenessi? Chi?
Mi rigirai in grembo la chitarra, sino ad averla con il manico che puntava a sinistra, cominciai a suonare anche se aveva le corde sottosopra, un trucchetto che avevo imparato per gioco negli anni addietro. Tutto andò liscio per un minuto, poi la mano sinistra iniziò ad intorpidirsi, i movimenti a diventare difficoltosi e meccanici, dolorosi ad un certo punto. Le singol note con sempre più sbavature ed errori.
Nonostante tutto continuai a suonare e nel mentre reggevo lo sguardo di Noel, fregandomene di tutti gli altri, sbattendomene pure della sua espressione che lasciava trasparire una rabbia sottile. Sentii tutta l'ansia, la nostalgia e l'odio cominciare a fuoriuscire, gonfiandosi sotto forma di calde lacrime che se ne restarono in bilico, offuscandomi la vista, ma senza rotolarmi giù dalle guance. Quando proprio il dolore alla mano stava per diventare insopportabile e i suoni che producevo fastidiosi, Noel s'alzò di scatto, e con le mani affondate nelle tasche uscì dalla stanza. Smisi di suonare, e nell'improvviso silenzio in cui era calata la scala udii distinti i suoi passi che facevano scricchiolare la scala, mi sarei aspettata che avrebbe sbattuto la porta di camera sua. E invece ovviamente no, avevo applicato il teorema delle persone normali a Noel e quindi i conti non tornavano.
Non so esattamente quanto tempo dopo, ma Paul ad un certo punto chiese a Liam se voleva andare al pub e questi acconsentì senza dimenticarsi di chiudere con un calcio la custodia della chitarra prima d'uscire. Il rumore fu liberatorio, mi mancava, avevo bisogno di quella sanguigneità. Dopo di che sistemai la chitarra - della discordia - al suo posto, chiusi ogni singola cerniera e andai a sedermi sulla sua poltrona. In TV "Colazione da Tiffany" non era ancora finito, eravamo arrivati al punto in cui Holly canta "Moon River".
- Pensavo ce ne volesse ad essere più stronzi di Noel, ma tu l'hai battuto -. E Peggy Gallager parlò.
- Grazie - sorrisi continuando a guardare il film. - Il Natale tira fuori la parte migliore di me -.
Questa volta fu il suo turno per ridere, senza alcuna gioia, più che altro uno sbuffo. - Penso sia destino di famiglia allora stare assieme alle persone sbagliate -.
Questo raccolse un po' della mia attenzione, le immagine sul teleschermo caddero in secondo piano. - Non stiamo assieme, io e lui -
- Smettetela quindi di fare come se fosse così -. Stavo per replicare, ma lei chissà come lo capì e mi batté sul tempo, - Non tutti si tengono per mano e si scambiano parole dolci, ciò non toglie che voi sembriate una coppia -.
- Non lo siamo - ripetei fermamente.
- Allora non hai nessun diritto di fargli del male, e non sotto il mio tetto -.
I toni nonostante le parole erano particolarmente pacati. - Non l'ho ancora picchiato se é questo che intendi -, feci sprezzante e subito avri voluto mordermi quella cazzo di lungua che mi ritovavo.Sentii alle mie spalle Peggy muoversi sul divano leggermente.
- Tu, ragazza, hai dei problemi. E non hanno a che fare con mio figlio, per cui metti assieme la tua merda e risolvila perché al momento non ci stai neppure provando -, dopodiche s'alzò, raccattò le tre tazze di té da cui avevamo bevuto ed aggiunse - Puoi dormir sul divano - prima di salire al piano superiore.
Non riuscii a ribattere. Non riuscii a spegnere la tv e far tacere quello stupido "Colazione da Tiffany". Non riuscii a dormire.

 Non spevo che ore fossero, al buio la pendola non riuscivo a leggerla. Sapevo però che Liam e Paul erano rientrati da parecchio e che il fuoco nel camino era ridotto a solo qualche tizzone luccicante. Mi rigirai più volte sul divano. Poi mi decisi.
Ero riuscita a salire le scale senza fargli emettere rumori sinistri, avevo aperto la porta della camera senza cigolii, ma ora avrei dovuto avere una precisine chirurgica per infilarmi sotto il piumone senza svegliarlo. Alzai un lembo del lenzuolo e trattenendo quasi il respiro m'intrufolai. Pensai che era un po' come entrare di propria spontanea volontà nella gabbia del leone, insomma: una cazzata pazzesca, ma quella sera ormai ne avevo combinate parecchie. Il calore del suo corpo m'avvolse in un attimo, facendomi sentire quanto realmente fossi fredda. Mi spostai leggermente per essere più comoda, per quanto fosse possibile dato che mi trovavo sul bordo di un letto singolo.
- Ti spiacerebbe toglier quel piede gelido dalla mia gamba? - domandò all'improvviso Noel facendomi trasalire, era passato qualche minuto e pensavo che non si fosse accorto di me. Spostai il piede colpevole che automaticamente aveva cercato il tepore.
- Scusa - mormorai con un filo di voce, non mi volevo sentire nemmeno io.
- Mi stavi congelando...-
- No, non per il piede -, pausa sofferta, - per la scena di prima... -.
Passarono lentissimi un paio di secondi, il russare di Liam nel letto accanto ad accompagnarli. - Ok - fece monocorde.
- ...per tutti i giorni prima -.
Questa volta grugnì appena e mi passò un braccio sotto il fianco e uno sopra, mi strinse un po', assaporai l'odore che emanava dal piumone e dalla sua maglia. Cento per cento Gallagher. - Sappi che se mi interrompi ora, non so quando sarà la prossima volta che otterrai delle scuse - commentai guardandolo in faccia, o dove avevo idea che si trovasse, dato il buio più totale. - Correrò il rischio - parlando le labbra mi sfioravano la punta del naso, facendomi quasi il solletico, poi riappoggiò la testa sul cuscino con un verso stanco. - Ti è piaciuta la chitarra, almeno? -.
- Bellissima -
- La potresti suonare, se volessi. E intendo per il verso giusto -
- Non penso di poter più essere una chitarrista, o la chitarrista che vorrei, comunque... -. Qualcosa in me s'era rotto molto prima della mano.
Fece una risata leggera che avvertii sulla pelle, - E dire che sei una chitarrista migliore di me pure con la chitarra al contrario... In ogni caso - si fece spiù serio - puoi essere qualsiasi cosa tu voglia -.
- Non credo di volerlo, forse, allora...-
- Andrà bene così -
Lo abbracciai un po' più stretto ancora, quel piede gelido che cercò di nuovo riparo tra le sue gambe. Riflettei un attimo.
- Qualsiasi cosa? -
- Qualsiasi - mi rispose, la voce mezza assopita.
- Scegliete: o vi decidete a scopare, oppure statevene zitti. Vorrei dormire! - esclamò Liam dal suo letto, con tono impastato.Aprii gli occhi, che rimasero comunque ciechi. - É Natale - sussurrai, fragandomene dei moniti di Liam.- Non s'accettano battute - ringhiò trai denti Noel, passandomi una mano dalle dita familiarmente callose sulla schiena.Gli diedi un colpetto di naso e un bacio appena accennato sulle labbra, il sapore di sigaretta e té che si sentiva appena. - Auguri -.
Un verso di protesta si levò da Liam.
- Auguri, Ourkid - facemmo in coro.

 

i'm free to be whatever i
whatever i choose and i'll sing the blues if i want
i'm free to be whatever i
whatever i choose and i'll sing the blues if i want
watever you do
whatever you say
i know it's alright
watever you do
whatever you say
yeah i know it's alright

 
Rie Rieccomi! La canzone del capitolo è Whatever, e il pezzo in cui Noel si risveglia nella casa di uno sconosciuto il giorno delle riprese è totalmente vero, o almeno lui la racconta così. Whatever fu il singolo natalizio anche se non raggiunse la numero uno, e in alcune demo si sentiva cantare "All the young blues carry the news" un riferimento alla canzone di Bowie "all the young dudes" che qualcuno diceva fosse molto simile (caro vecchio Natale plagiatore), ogni tanto poi alla fine di whatever fatta live Noel era solito cantare un pezzo di Octopus's Garden. *enciclopedia mode off* link -->http://www.youtube.com/watch?v=8sl1daZGkHQ 
Per il resto, i due ragazzi incontrati a Leicester non sono due ragazzi qualunque, ma sarebbero Tom Meighan (=il biondino) e Sergio Pizzorno (=lo spilungone), rispettivamente cantante e chitarrista dei Kasabian. Scusate ma non ho resistito a non inserirli, non potevo aspettare gli anni 2000 dopo aver visto il loro concerto il 20 novembre. Mind blowin' u.u consiglio vivamente la loro musica.
Il capitolo è dedicato totalmente a Mr. Noel Gallagher che live è... *rimane senza parole*
Infine un ringraziamento a Ilip_9 per aver aggiunto la storia alle seguite, uno a Jade Blues per il commento e l'aggiunta alle preferite, e last but not least a Cloudburst :)  Auguro a tutti un buon Natale, in particolar modo a Buddy e Green Star 90!
Ora ho finito seriamente, sono troppo prolissa.
Cheers^^
 

Ps: Sti due che se la ridono sono Tom e Sergio

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Some Might Say ***


 
Some might say that sunshine follows thunder
Go and tell it to the man who cannot shine
Some might say that we should never ponder
On our thoughts today cos they will sway over time

Some might say we will find a brighter day
Some might say we will find a brighter day

Se mai nell'inverno a cavallo tra il 1994 e il 1995 avete visto una vecchia Mini Cooper color canna di fucile sfrecciare, alle due di notte, fottendosene beatamente di ogni limite di velocità e linea di sorpasso, sulla M1 da Manchester a Londra, probabilmente con i Led Zeppelin a palla, be'...non era un puffo alla guida, ero io ancora con quegli assurdi capelli azzurri.
Parcheggiai facendo stridere le ruote incurante di fare un baccano assurdo, tanto mi trovavo a Camden Town, la gente era abituata al casino: il punk era nato lì mica per caso. Affrettai il passo, mi dissi che era per il freddo, ma in realtà non si gelava poi così tanto – il freddo del Nord, quello di Manchester, era davvero troppo poco posh per i cockneys -, la verità era che avevo voglia di vederlo, Noel. Lui da Manchester era stato il primo ad andarsene, l'aveva fatto appena aveva potuto: negli ultimi giorni di Dicembre abitava già Chiswick, in un appartamento che gli affittava niente meno che Sua Maestà Johnny Marr, il ragazzo si stava facendo amici blasonati. M'accorsi che m'era comparsa una sorta di smorfia in volto, un ghigno, nel profondo sapevo che il mio animo di Northener deplorava questa sua scelta di scendere giù a Londra, come se stesse scappando da ciò che eravamo. Ma infondo era inutile mentire, non eravamo davvero più ciò che eravamo stati anche solo sei mesi prima, certo io ero ancora una ragazzetta che aggiustava strumenti, ma Noel – e Liam, e Bonehead e Guigsy – non erano più dei balordi che vivevano col sussidio che gli passava lo stato. Ok, erano ancora i soliti coglioni attacca briga, ma di sicuro non lavoravano più in un cantiere. In un certo senso quindi Noel non aveva fatto nient'altro che assecondare la natura delle cose, sapendo pure lui che il trasferirsi più vicino agli studi di registrazione, alla casa discografica, alla parte di Inghilterra che conta, avrebbe aiutato gli Oasis e la loro ascesa. Non aveva neppure finito la scuola, ma era scaltro, molto più di quanto il suo mutismo o, all'opposto, la sua parlata non esattamente forbita facesse intedere. Tutto questo me lo diceva il mio cervello, una parte di me invece molto più volubile – e che di solito era quella che mi faceva fare pure cazzate – si sentiva vagamente ferita nell'orgoglio.
In ogni caso mi stavo trovando a fare di buona lena le scale che portavano al suo appartamento, come ormai almeno un paio di volte la settimana, quando incrociai Hewitt che andava in direzione opposta, una bottiglia di scotch ancora stretta in mano, e i capelli neri scompigliati. Non una scena nuova, dato che il giornalista era diventato un frequentatore assiduo da quando Noel si era trasferito a Camden.
- Cassandra -, alzò la bottiglia in segno di saluto, biascicando leggermente.
- Paolo -, lo imitai io, - lo troverò ancora capace di intedere e di volere? -. Era un Venerdì sera di fine mese, il giorno in cui si riceveva lo stipendio, tre quarti di Inghilterra era affogata nell'achol in quel momento. Un Gallagher non avrebbe certo fatto meno a una tale tradizione.
Abitualmente Hewitt avrebbe fatto una qualche battuta in cui sarebbero state di mezzo le parole “Noel” e “cesso”, ma quella notte si limitò ad un soorrisetto, a metà tra uno inquietato e uno divertito, il suo solito. Non feci in tempo ad indagare oltre che però il giornalista aveva sceso tutta la rampa, lasciandomi con quel piccolo punto interrogativo, ma ero io stessa già troppo brilla e stanca per curarmene.
Salii l'ultima manciata di gradini un po' più svogliatamente – i mie polmoni da un paccheto e mezzo di sigarette al giorno non reggevano molto -. M'appoggiai un po' provata alla maniglia e aprii senza suonare – l'inventore del campanello fosse stato per me sarebbe morto di fame -, e immediatamente compresi a pieno il significato del sorrisetto di Hewitt, me lo dovevo immaginare. In quel momento in effetti però non mi servì più l'immaginazione per vedere Noel poggiato contro lo schienale del divano, e più in basso una massa di capelli biondi appartenenti alla donna che stava inginocchiata sul pavimento. La porta dietro di me si richiuse con un click.
- Ho idea d'aver interrotto qualcosa – commentai con nonchalanche.
L'espressione fino ad un attimo prima estatica sul volto di Noel si spense, ancora più velocemente di quanto la bionda fosse riuscita a balzare in piedi. Provò a dire qualcosa, ma la balbuzie che di tanto in tanto gli tornava si fece avanti dandomi il vantaggio.
- Scommetto che lei è inciampata, proprio mentre tu aspettavi lì che bollisse l'acqua del tè, vero? – dissi con una mezza risata. E credetemi, ero davvero divertita, come non avrei potuto davanti alla faccia scandalizzata e fintamente ingenua di Meg Matthews che provava a sistemare le sbavature di rossetto? Persino in faccia a Noel stava affiorando un mezzo ghigno.
Guardai esplicitamente la bionda. - Ciao, Meg -, feci affabile. La gente, in teoria, non dovrebbe prendere queste cose così, ma io le puttanelle arriviste come lei le prendevo con ironia. Lei arricciò le labbra nella parodia di un sorriso, a quanto pare era una di quelle che le stronze le prendevano con acidità. Poi nel giro del seguente minuto raccattò le sue cose e dopo aver mormorato un saluto, uno abbastanza malizioso per Noel, sgusciò fuori dalla porta. Ed infine fu il silenzio, di cui avvertii il peso abbastanza consistente ora che il sipario s'era chiuso e che gli unici due attori in quella scena senza pubblico eravamo io e lui, che non s'era ancora mosso di un millimetro.
Lo fissai con un sorriso stanco, spostai poi il mio sguardo sul parquet. - La prossima volta dille di non mettere gli stivali borchiati, oltre che volgari, ti rovinano il pavimento – dissi tirandogli su la zip e allacciandogli la cintura, alzando la testa però i miei occhi incontrarono i suoi, che nonostante l'arrossamento post-notte-da-bagordi erano ancora di un azzurro impressionante. E in quell'istante non avrei potuto negare il fatto che entrambi fossero confusi, e l'alchol non aveva colpe stavolta. Il fatto era che questo genere di cose andava avanti da un po', era metà febbraio, e anche se trovare una donna in procinto di fare a Noel un – farò uno sfoggio di bel parlare – servizietto era stato decisamente l'apice, durante i mesi passati non eravamo stati l'emblema preciso della monogamia. All'inzio di Gennaio lui aveva iniziato a uscire con una presentatrice di MTV, Rebecca De Ruvo, mentre io avevo una specie di tira e molla con il mio coinquilino a Manchester, Tommy...non ricordo esattamente il cognome, però era carino. Dopo di che aveva fatto la sua trionfale comparsa in scena Meg, un'amica di Rebecca, e nel frattempo una mattina io m'ero svegliata nello stesso letto di Liam, senza ricordarmi nulla della notte precedente. L'alchimia tra me, Ourkid e una superficie piana è risaputa comunque, ed i risultati della miscela immaginabili: i vecchi vizi non muoiono mai. Non so perchè ma mi rimaneva come la sensazione d'essere finita in una brutta – che ce ne siano di belle? - puntata di Beautiful, cazzo.
Quindi ne avremmo avute di cose di cui parlare, talmente tante che, mentre tra le dita mi strofinavo ancora l'orlo della sua camicia, decidemmo di non farlo proprio. - Una tazza di tè? - sbottò allora lui ad un certo punto. Io ammiccai – Yorkshire tea? -
- Ovvio -.

Cos I've been standing at the station
In need of education in the rain
You made no preparation for my reputation once again
The sink is full of fishes
She's got dirty dishes on the brain
It was overflowing gently but it's all elementary my friend


 
Ecco come risolvevamo i problemi, riflettei standomene sdraiata sul pavimento dell'appartamento di Noel, una tazza fumante alla mia sinistra, una coperta addosso, a fissare il soffitto e le sue ragnatele con il padrone di casa di fianco. - Mi dici che ci facciamo sul parquet? -
- Paura di graffiarlo? - chiese beffardo, io gli tirai una gomitata tra le costole, in un punto preciso che sapevo gli dava particolarmente fastidio. Il suo gemito ovattato di dolore fu una mezza soddisfazione. - Il letto è troppo lontano – soggiunse infine.
- Pure la poltrona? -, roteai lo sguardo, era proprio lì a mezzo metro da noi.
Sbuffò con una nota divertita infondo alla gola – Sono irrimediabilmente pigro -, ammise.
Certo, lo so, era il pigro per definizione.
Poi fece uno scatto, come se fosse stato improvvisamente folgorato da una rivelazione. - Ti devo fare sentire una cosa! L'ho fatto oggi pomeriggio. Dovevo farlo ascoltare ai ragazzi stasera, ma poi mi è passato di mente – con uno sforzo notevole, il tutto pur di non alzarsi, afferrò un registratore dal tavolino da caffè che c'era alle nostre spalle, lo mise tra noi due e poi lo fece partire. Musica, certo forse solo l'alchol e una striscia di coca potevano far dimenticare a Noel Gallagher la musica. Era una registrazione semplice, proprio artigianale come i primissimi demo che faceva sulla fine degli anni '80 e che m'aveva fatto sentire nei primi mesi che ci conoscevamo: la sua voce, una chitarra acustica, e una sovraincisione di chitarra solista. Era perfetto. Per me avrebbero potuto metterli in vendita pure così com'erano.
Non era la prima volta che ascoltavo quelle canzoni – erano soltanto due o tre -, ma erano davvero sbocciate rispetto allo stadio embrionale in cui si trovavano prima: c'era un testo strutturato, un'armonia e una melodia ben stabilita. Erano pronti per finire nel nuovo album.
Pensai che ero la prima persona che ascoltava quelle canzoni e una strana sensazione mi sommerse, per un momento desiderai che Noel avesse scelto di non dormire nel letto, non per pigrizia, ma in onore dei tempi in cui se ne stavamo così sdraiati in negozio o sul tetto di casa sua a Manchester. Pensai d'essere fortunata a poter sentire per la prima volta quelle canzoni che, ero certa, presto sarebbero finite in radio, nelle arene, tra le labbra della gente. Sarebbero state di tutti, per ora, invece, scusate, erano mie. Mie e di Noel.
Non sapevo se ero gelosa di lui, non capivo se mi fregasse di trovarlo con una bionda tra le gambe, ma di certo, poco prima d'addormentarmi, compresi che ero gelosa della sua musica.

 La mattina seguente mi svegliai per via di un gelido spiffero che mi stuzzicava la nuca. Che. Odio. Cazzo. Detestavo svegliarmi così, in generale detestavo i risvegli e basta. Aprii un occhio e inquadrai subito il motivo di quella indesiderata brezza mattutina: Noel s'era dedicato al campeggio, ed ora la nostra coperta era stata trasformata in un tendone da circo. Nonostante l'approssimarsi dei suoi ventotto anni la cosa gli capitava abbastanza spesso, ed io avevo imparato a prendere con filosofia questi freddolosi risvegli e pure a sfruttarli al meglio, infondo non tutti i mali venivano per nuocere.
Mi misi sulla sua pancia a cavalcioni e lui, non ancora del tutto sveglio, emise un verso contrariato, corrugando le sopracciglia. Mi piaceva vedere la gente mentre passava dal sonno alla veglia – probabilmente, per lo stesso malato motivo per cui mi piaceva sistemare i CD in base per colore delle copertine quando non avevo nulla da fare -, sembrava che non potesse fare o dire nulla di sbagliato. I Gallagher in particolare parevano degli angeli con quell'espressione pacifica che assumevano nel sonno. Certo, durava per tipo solo quei tre secondi di passaggio, poi tornavano ad essere le solite canaglie bastarde. Feci un ghigno: io li preferivo così.
- 'Giorno -
- Buon giorno – replicò Noel con voce impastata, io lo guardai un po' stupita: - Veramente io non mi rivolgevo a te – e lo pizzicai appena al di sotto dell'ombelico, dove cresceva quella zona di peluria che poi proseguiva fin sotto la banda elastica dei pantaloni. “Il Sentiero della Felicità”, così lo chiamava zia Beth. - Allora, 'sta storia della gloria mattutina? -.
Lui si limitò a poggiarmi una mano sul braccio e l'altra se la portò a grattarsi la nuca, con aria sorniona. In quel momento preciso mi tornò in mente la scena della notte prima, e mi passò un po' la voglia di fare del sesso mattutino. Rimasi così a fissarlo. C'era una differenza però tra me e Meg: io non mi ero mai inginocchiata per un uomo – sia letteralmente che non – e adesso di fatto ero lì in cima a Noel, a guardarlo di sopra in sotto. Lui stava iniziando probabilmente ad intuire qualcosa dei miei pensieri quando infine gli diedi in pasto un sorriso che diceva che io ero lì, se lui aveva il coraggio di venirmi a prendere. All'improvviso rigirò le posizioni – era un tipo che andava sul classico, lui - , e mi ritrovavo già sul pavimento freddo quando all'orecchio mi arrivò un suono acuto, ma che avevo imparato a conoscere bene. Noel al contrario di me, non se ne curò, troppo preso dalle sue esigenze mattutine, per cui mi toccò spingerlo un po' indietro con una mano. - Scusa, Chief – e allungai l'altra a rovistare nei jeans che la sera prima avevo gettato sulla poltrona, afferrai il cercapersone e in contemporanea udii uno sbuffo da parte di Noel, - E' sabato – si lamentò – che cazzo -.
- So che per te ormai è un concetto lontano quello di un lavoro regolare, però c'è gente che ancora si guadagna da mangiare in questa maniera – feci con ironia appena percepibile nel tono, mentre leggevo il display: era la Creation. - Devo andare – feci soprappensiero, era già la seconda chiamata, a quanto pareva la mia presenza era richiesta davvero. Noel non si mosse di un centimetro, aveva ancora un dito che indugiava sulle mie labbra e una mano dietro il collo, col passare dei mesi aveva imparato quali erano i miei punti deboli, il bastardo. Ero quasi tentata...altro squillo. Cazzo. - Devo andare, seriamente – sottolineai l'ultima parola, al che lui mi lasciò sgusciare via, e si mise a sedere sul garbuglio a cui avevamo ridotto le coperte.
- Vuoi fare colazione? - gli domandai mentre mi infilavo i jeans, Noel si stropicciò gli occhi e fece un verso d'assenso, la mattina s'esprimeva principalmente in quel modo. - Bene, hai tutto l'occorrente in cucina – asserii mentre cercavo dove fosse andata a finire la seconda delle mie Clarks. Lui aveva ancora un ghigno dipinto in volto quando mi domandò: - E invece che dovrei fare per questo? -. Diedi un'occhiata veloce, la tenda del circo non accennava ancora ad essere smontata, m'infilai il cappotto e poi m'abbassai per essere al suo stesso livello. Ci guardammo un secondo o due, poi lo baciai rapida ma aspramente, non proprio il bacio dell'arrivederci delle coppiette che vanno al lavoro. Gli scompigliai apposta i capelli che intanto erano ricresciuti, - Richiama alla memoria la tua adolescenza: vedrai che qualche idea ti viene -. M'alzai, e dopo averla raggiunta in un paio di falcate, mi richiusi la porta alle spalle.

 

Some might say they don't believe in heaven
Go and tell it to the man who lives in hell
Some might say you get what you've been given
If you don't get yours I won't get mine as well

Some might say we will find a brighter day
Some might say we will find a brighter day


All'inizio del tour di Definitely Maybe ero stata ufficialmente assunta dalla Creation, il che voleva dire che avevo uno stipendio fisso e che non potevo essere licenziata da Noel come e quando gli piaceva, e questo era ottimo. La parte che meno mi piaceva era il fatto che, una volta finito di viaggiare in giro per il mondo per fare concerti con la band, ero a disposizione dell'etichetta discografica almeno sino a quando gli Oasis non si fossero messi a registare materiale per il nuovo album. Fino a quel momento, io avrei dovuto rendermi utile come roadie per le altre band che avevano un contratto con la Creation. Detta così la cosa non sembrava affatto male – e di certo era sempre meglio che riparare chitarre nei sobborghi di Manchester -, però ora avevo a che fare con persone sconosciute e non con degli amici di cui sapevo perfino la marca preferita di birra. Era proprio come avevo detto a Noel, il mio ora era un lavoro fisso. Cazzo, stavo diventando quasi un adulto responsabile. Automaticamente per via di qualche strana sinapsi sentii nella mia testa Morrissey cantare:”I was looking for a job, and then I found a job/ And Heaven knows I'm miserable now”. Per mia fortuna, almeno di natura, ero meno pessimista di Moz o almeno aspettavo di vedere a quale gruppo di deficienti avrei dovuto prestare servizio prima di darmi per persa.
Alla Creation trovai infine Tim Abbott ad aspettarmi, appena mi vide fece un'espressione che era un misto tra scazzo, esasperazione e vaga accettazione della sorte che gli toccava, ovvero: avere a che fare con me. - Noel aveva un piccolo problema oggi -
- Non è un buon pretesto per ritardare di un'ora – sbuffò, cercando di fare il boss incazzato, la verità era che non ne era in grado, di certo non durava più di cinque secondi. Mi fissava inviperito: 5...4...3...2...1... - Gli hai dato una mano? - fece come previsto assumendo un'aria preoccupata, infondo parlavamo pur sempre della colonna portata della band che stava facendo far soldi alla Creation.
Dovetti trattenermi per non ridere a quell'involontario doppiosenso, - No – risposi – Ma credo sia in grado di cavarsela da solo – continuai rassicurandolo.
- Va bene, va bene -, m'allungò un foglio, - McGee ti vuole qui, c'è scritto dove devi andare e tutto il resto -.
- Ottimo – commentai sbadigliando e m'avviai alla sala di registrazione indicata sul foglietto. Decisamente sarebbe stato meglio restarmene sul pavimento dell'appartamento di Noel, e ne fui ancora più convinta quando spalancata la porta della sala 3 non trovai nessuno all'interno. Sbuffai e mi sedetti su di un'amplificatore.
- Ehi, l'hai vista quella lì? - domandò una voce all'improvviso, io mi girai di scatto, ma non c'era nessuno.
- Dici che è il sostituto per Nick? - replicò un'altra, questa volta avevo capito da dove proveniva: era aperto l'interfono con la sala di mixaggio, e quegli idioti non se ne erano accorti. Feci finta di niente, tanto per vedere quando se ne sarebbero resi conto, e presi a passeggiare per la sala.
- Quella? Ma figurati! Non deve essere neppure in grado di suonare il tamburello – rispose una voce dall'accento più nordico, - Sarà la nuova segretaria -. Mi dovetti trattenere per non far trasparire un'espressione indispettita sul mio viso.
- Io non so se sappia battere un tamburo, però so che me la batterei io volent... -. Quello era troppo, ero ormai davanti alla vetrata, che in quel momento era oscurata, della sala di mixaggio. Mi fermai davanti e feci un bel sorriso, non vidi che accadde all'interno, ma il ragazzo che stava parlando non terminò la frase.
Neanche mezzo minuto dopo mi trovai i tre componenti della band davanti, li avevo già visti in giro per la Creation altre volte ma niente di più, sapevo solo che erano gli Heavy Stereo e che m'avevano già fatto incazzare. - Scusa non intendevo offenderti – si fece avanti un po' impacciato uno. Lo guardai, lessi il biglietto di McGee, - Tu sei Nez, giusto? -
- Sì... il bassista -, lo spauracchio di un sorriso.
- Bene, sappi che pure io ti batterei, ma non nella maniera che gradiresti – ribattei mordace. Aveva ragione zia Beth, se continuavo ad essere così tagliente con gli uomini sarei crepata zitella, ma d'altro canto sarei morta pure nello stesso attimo in cui avessi deciso di accettare la corte da uno come Nez.
- Io sono Pete, piacere – si fece avanti un altro, a cui strinsi la mano perchè capii dalla voce che era semplicemente quello che m'aveva notato per primo nella stanza. Mi voltai verso il ragazzo che m'aveva dato della segretaria, aveva lucidi capelli castano scuro da cui spuntavano un paio d'orecchini sul lobo sinistro, dall'accento non avevo sbagliato: sembrava proprio un Northener. - E quindi tu devi essere Gem -
Fece un mezzo sorriso, - No, sono Gem. Con la G dura, come Guitar -.
Gli diedi una rapida stretta di mano, - Certo, come Gay Guy – feci sarcastica, lui però non smise d'avere quell'aria dannatamente affabile negli occhi color noce. Che strano. - Oppure – continuai – potrei chiamarti Colin -, l'avevo letto sempre su foglio.
- Nessuno mi chiama mai Colin -
- Allora perfetto, Colin –. Non so perchè mi comportassi così, però era troppo divertente per non farlo. Soprattuto con un tipo come Gem che, se avevo inquadrato bene – e l'avevo fatto -, era uno di quelli che vedevano il bicchiere sempre mezzo pieno, uno di quelli che il mattino ha l'oro in bocca e non vedono l'ora di saltare fuori dal letto. Insomma, l'Anticristo.
Ad ogni modo iniziammo a provare, io alla batteria contro ogni previsione degli Heavy Stereo. Tutto sommato facevano una musica che non mi dispiaceva, anzi, suonavano una sorta di glam rock aggiornato agli anni 90', richiami ai T. Rex e a David Bowie erano abbastanza frequenti. In definitiva, mi piacevano. Il bassista nonostante fosse un completo idiota – ormai così l'avevo eticchettato – ci sapeva fare e così pure il chitarrista, ma quello che mi colpì fu il signor Colin Archer, cantante e seconda chitarra. Non aveva una voce particolare e le sue doti di chitarrista erano buone, certamente al di sopra della media e più bravo che la chitarra solista. Quello che mi fece effetto fu la sua professionalità. Più volte durante la giornata c'eravamo fermati per sentire le registrazioni e discuterne con i tecnici del suono ed il produttore, ed ogni volta aveva avuto l'idea giusta per il sound che voleva dare alla canzone. Era un piccolo nerd del mixer, ed uno dei pochi primi veri musicisti sino al midollo che avessi visto girare lì alla Creation. Non aveva probabilmente l'istintiva vena melodica di Noel – all'epoca dubitavo ci fosse davvero qualcuno in tutta Londra, se non addirittura l'Inghilterra, che l'avesse -, nè il timbro di Liam, però accidenti se ci sapeva fare. Rimasi impressionata, tentai di non farglielo capire, lui lo intuì lo stesso: erano tremendamente furbi quegli occhi.
A fine sessione mi trovai appoggiata ad un muro, fuori da un'uscita laterale dello stabile dove aveva sede la Creation. Stavo fumando, giustamente. - Colin... - mi feci sfuggire con lentezza il nome dalle labbra, quando udii che era arrivato qualcuno alle mie spalle. Sapevo che era lui dall'odore, l'avevo percepito da subito anche nella sala, niente di particolare: odore di pulito. Avanzò quel poco che bastava perchè con la coda dell'occhio lo potessi vedere, indovinate? Aveva un sorriso discreto abbozzato in volto. - Sigaretta? - gli domandai tirando fuori il pacchetto di Benson, stava per rispondere ma io lo interruppi prima – Ah, vero... I tipi come te non fumano: ci tenete alla salute -. Non avrebbe saputo così tanto di pulito altrimenti.
Assunse per un attimo un'espressione stupita per via della mia intuizion, ma subito dopo fece un cenno d'assenso. - Sai, se mai avessimo bisogno di un batterista nuovo chiamerei te – mormorò soprappensiero, fece una pausa in cui spalancò leggermente gli occhi, - Be', se sapessi come ti chiami -
- Cass –, spostai la sigaretta da una mano all'altra, - se tu non fossi sposato, crederei che ci stai provando – soggiunsi guardandolo.
Lui automaticamente diede un'occhiata alla fede nuziale, - Potrei provarci con te anche se sono sposato, nessuno me lo impedisce -, sorrise divertito, ancora.
Scoppia a ridere e feci un tiro, - I tipi come te non fanno queste cose. Non tradiscono la moglie sposata...da quanto? Tre mesi? -
- Quattro – precisò, e poi mi guardò interrogativo.
- La Creation non è poi così grande, e non ci sono molti Gem -. Pronunciai giusto il suo soprannome solo perchè sino a quel momento non m'aveva ancora annoiata, e la gente lo faceva spesso.
- Quindi, riepilogando: sono un tipo che non fuma e che non tradisce. Questo mi fa rientrare in quale categoria umana? -
- Quella degli uomini che profumano di pulito – risposi candida, stritolando il mozzicone sotto il tacco della scarpa.
- Sei strana – sbottò dopo un paio di secondi di silenzio.
Un sorriso vago mi inarcò le labbra, - Fossi il primo a dirmelo – mormorai tra me e me.
Per un po' restammo lì a fissare le macchine che sfrecciavano per la via, il sole morto dietro i tetti aveva lasciato una striscia rosso sangue. - Tu sei confusa – esordì infine Gem, sorseggiando la Becks che s'era portato dietro.
Mi girai di scatto, m'aveva colto in un momento di spaesamento mentale. - No, che non... - presi a dire, poi vidi i suoi occhi sinceri come quelli di un cucciolo di cane. Lo so, il paragone è infelice però, andate dal vostro animale domestico, guardatelo bene, avrete di fronte l'espressione di Gem Archer in quel preciso istante. - Come fai a saperlo?! -
– Intuito maschile -
- Voi uomini non avete intuito – dissi lapidaria.
Alzò le spalle, - Non so... vivo con la mia moglie da tre anni ormai, la conosco da altri due. A questo punto capisco abbastanza bene voi donne – fece baldanzoso. Non fumatore, non fedifrago, che capiva le donne. Le cose erano due: o era davvero gay, oppure quello a cui mi trovavo davanti era una razza d'uomo più unica che rara. In ogni caso feci un verso di scherno.
- Non mi credere, ma tu sei confusa. Suppongo per via di un uomo -
Sbuffai e mi sedetti sul marciapiede, accesi un'altra sigaretta, anche se impiegai qualche tentativo a vuoto prima di farle prendere fuoco. - E' perchè non parlate, vero? -
Guardai in alto verso di lui e poi ancora oltre il cielo che stava diventando blu, l'aria notturna che avanzava. - Non siamo persone di molte parole, lui soprattuto. Preferiamo i fatti -
- Be' penso dovreste parlare, invece -
Risi nuovamente, diamine, lo conoscevo solo da una manciata d'ore! - Scusa, tu chi saresti? La mia Fata Madrina? -
- Forse, chi lo sa -, nella luce calante aveva uno sguardo enigmatico.
M'alzai in piedi di scatto, le giunture che scricchiolarono, - Eppure non vedo alucce nè spargimenti di polverina magica... -
- Sono in borghese -. I suoi occhi non si muovevano di un solo centimetro dai miei, gli piaceva quel gioco di analizzare la gente. In tal caso, avremmo giocato.
- Tu sei spaventato – sputai allora fuori, la sua espressione non mutò, - Spaventato dal fatto che non sai cosa accadrà della tua musica. Diventerai un numero uno oppure gli Heavy Stereo non vedranno neppure la luce del sole? - insinuai in un sussurro.
Le ultime parole strapparono a Gem un sorriso, in una certa maniera triste però, - E' faticoso lavorare quando sai già che non raggiungerai mai una Top Ten: il glam rock non è più così di moda. E' il momento di quello che chiamano Britpop. La gente per cui lavori tu, gli Oasis, o i Blur sono da numero uno -, diceva tutto ciò con una sorta di strana accettazione – Ma amo la mia musica, non potrei fare nulla di diverso. Per ora funziona, non mi lamento, al massimo continuerò a fare il portiere di notte a Chelsea. Troverò un giorno migliore -. Ed ecco che in poche parole l'uomo che mi trovavo davanti aveva riassunto il mood che avvertivo l'intera Gran Bretagna stava vivendo in quel periodo. Eravamo i figli del thatcherismo, quelli che erano cresciuti sentendo alla radio le notizie sullo sciopero dei minatori e sulla guerra delle Falkland, con le lotte dei laburisti che combattevano per i disocccupati, i loro discorsi su salari minimi, sanità e scuola nelle orecchie. E ora volevamo la riscossa, volevamo il nostro giorno al sole, volevamo una nuova Gran Bretagna, senza neanche chiederci come e se l'avremmo ottenuta.
Per la prima volta sorrisi genuinamente a Gem. - Ora devo andare, come m'hai ricordato tu, ho dei doveri coniugali a cui adempire. Ci si becca in giro -
- Ciao, Colin -
- Tu parla col tuo uomo -
- Certo, Colin – ripetei, e lui se ne andò accompagnato da una risata leggera.

 
Poco più tardi rientrai pure io alla Creation e con mia grande sorpresa quando ormai stavo per lasciare lo stabile vidi Noel di spalle che camminava giù per un corridoio assieme a McGee. Che strano. Sembrava parecchio occupato dalla conversazione così tirai dritto e prosegui sino all'uscita.
Tornai al suo appartamento e rimasi qualche secondo al buio, immobile, poi inquadrai sul tavolino da caffè la cassetta. Lì dentro c'era una canzone che incarnava proprio il sentimento di cui aveva parlato Gem. E lui non si sbagliava, gli Oasis erano da numero uno.
Mi venne in mente pure la notte di Capodanno, avevo condotto Noel a letto quando ormai cominciava ad albeggiare. Era stata una scena divertente: un'ubriaca che aiuta uno ancora più ubriaco. Con voce impastata m'aveva confessato che voleva tutto per il 1995. L'avrebbe ottenuto, sapete. O quasi...

Cos I've been standing at the station
In need of education in the rain
You made no preparation for my reputation once again
The sink is full of fishes
Cos she's got dirty dishes on the brain
And my dog's been itchin'
Itchin' in the kitchen once again



Buona befana a tutti! Vi eviterò le battute del caso e partiamo subito con il parlare un po' di Some Might Say (24 Aprile 1995): è stato il primo singolo degli Oasis u.u E non ha un vero e proprio video, ulteriori informazioni non fornisco perchè probabilmente le inserirò nel prossimo capitolo xD ad ogni modo qui il linkhttp://www.youtube.com/watch?v=4fLR3FRaFsQ 
La canzone a cui pensa Cass ad un certo punto è "Heaven Knows I'm MIserable Now" degli Smiths, non chiedetemi perchè l'abbia inserita, mi è solo saltata in mente o.ohttp://www.youtube.com/watch?v=SfkvPnjb9hs 
Il Gem Archer che appare nel capitolo è quell che diventerà in seguito il secondo chitarrista degli Oasis, che all'epoca aveva questa band, gli Heavy Stereo.

 

E con questo è tutto! Ringrazio come al solito tutti, _Misa_ in particolare che non l'avevo mai nominata. Se volete lasciare un commento la cosa è apprezzata e...dimenticavo, ora esiste una sezione Oasis in artisti musicali :) Fateci un salto se vi garba. Statemi bene, cheers^^

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Don't Look Back In Anger ***


 
Slip inside the eye of your mind
Don't you know you might find
A better place to play
You said that you'd never been
All the things that you've seen
Will slowly fade away

Novembre 1978.
La luce è giallognola e c'è un profumo caldo, mi entra nelle narici, e inspiro avida: biscotti. In sottofondo è sospeso un suono bellissimo, mi attira, ma mi mette di uno strano umore, non penso più tanto ai biscotti. Cammino verso l'affascinante melodia, i mobili svettano sopra di me, guardo avanti: sulla poltrona c'è mamma. Sta suonando il violino. Le tiro la gonna lunghissima, ma continua a suonare. Riprovo, questa volta mi guarda, ha la faccia di un angelo triste la mia mamma. Si ferma, mi tira su in braccio e riprende a suonare, mentre io infilo il viso sotto la cortina dei suoi capelli. Respiro, prosuma come i biscotti. Capisco cos'è: cannella. E capisco anche come sia quella musica: triste.
Il mio primo ricordo.

 
- All the lonely people/Where they do all come from?/All the lonely people/Where do they all belong? - canticchiai a mezza voce, mormorando appena parole che conoscevo a memoria. Eravamo nella sala comune di un albergo a Parigi, avevamo suonato lì con i The Verve e ora ci stavamo rilassando tutti assieme, birra, sigarette – per chi si accontentava di quelle - , e qualche chiacchiera sul calcio. I Verve mi andavano parecchio a genio, erano gente a posto che faceva musica con le contropalle, trovavo soprattutto interessante il loro leader, Richard Ashcroft, un tipo allampanato e un viso tutto asperità. C'era da dire che era strambo, e difatti era soprannominato dalla stampa e non Mad Richard, uno che aveva i sui alti e bassi e che poteva sembrare essere l'uomo più felice al mondo come quello più disgraziato. Un po' lunatico, ma un genio ed era davvero qualcosa di speciale vederlo discutere con Noel, di cui era diventato un ottimo amico. Come regola generale era piacevole essere seduta tra due delle menti musicalmente più brillanti di quel periodo.
- Ti dico che quella aveva due bocce così! - esclamò Richard ad un certo punto, tirandosi su dalla poltrona su cui era stravaccato. Già, mente brillante, sogghignai guardandolo mentre cercava ancora di fare capire a gesti a Liam e a tutta la sala quanto fossero epicamente grandi quelle tette. C'era da dire che era uno spasso Richard, quand'era così, e io non potevo lamentarmi dei discorsi che spesse volte si toccavano, dato che ero praticamente l'unica donna, o quasi, in un intero gruppo di una trentina di uomini tra membri di band e road crew. In America però c'avevo fatto il callo e, se già prima non l'avrei fatto, ora non mi scandalizzavo certo più. Anzi, Richard era stato abbastanza fine nel limitarsi a descrivere il decoltè di quella ragazza, di solito c'era ben di peggio.
Liam era in piedi a braccia conserte, quasi al centro del cerchio che s'era formato naturalmente con poltrone, divani e sedie, e scuoteva la testa come un giudice irreprensibile. Bevve l'ultima sorsata dal suo bicchiere di scotch, - Sì, ma c'aveva un culo che era uno sfascio totale! - rise, e così in coro più o meno tutta la stanza senza un vero motivo se non l'ebbrezza dell'alchol, io mi limitai ad un abbozzo di sorriso, persa ancora nei miei pensieri.
Cercai Noel e lo inquadrai dove era pure un quarto d'ora prima, quasi completamente sdraiato su una poltroncina rossa, i piedi poggiati ad un tavolinetto e la chitarra acustica in braccio. Ogni tanto lanciava un'occhiata in giro – una allucinata, dato la roba che s'era tirato -, senza realmente guardare, troppo preso a strimpellare sempre i soliti accordi. Do maj7, quello strano Sol di cui non ricorderò mai il nome, La minore, Mi, Fa maj7, Sol, Do maj7, La minore e ancora Sol in sequenza veloce. Non capivo che c'era tanto da continuare a ripeterli ma ormai m'ero arresa da tempo a cercare di comprenderlo in quei momenti di asocialità pura. Birra con la band? Orrore.
- Lei! -, all'inzio non registrai la cosa, ma quando notai che nella sala era calato il silenzio mi voltai al suono della voce di Liam e trovai proprio lui che mi puntava addosso un dito. E adesso che cazzo volevano da me...? - Lei – ripetè e si mosse verso di me con passo deciso, avevo perso il filo del discorso perchè ipnotizzata dal giro d'accordi di Noel, dal movimento che pareva perpetuo delle mani. - Aspetta – disse Liam con una strizzata d'occhio a Richard e a tutta la sua audience, più in generale. A dove ero arrivata io, i ragazzi stavano discutendo della donna più bella che avessero mai visto. Ourkid marciava ancora verso di me, non era possibile che...naaah...Me lo trovai di fronte e mi fece il suo sorriso un po' ottuso ma allo stesso tempo assassino, quello per cui la ragazzina sedicenne in prima fila si sarebbe strappata la maglia di dosso sulle note di I Am The Walrus, io lo ricambiai con una smorfia che diceva di non osare avvicinarsi un centimetro di più. Ma certe cose coi Gallagher sono proprio inutili: lui fece un sorriso ancora più ampio e mi mise le mani sul culo. La sala rimbombò di un ruggito generale. Per un attimo rimasi pietrificata da una rabbia che sgorgava direttamente dal mio orgoglio, e non mi mossi. Solo un'occhiata istintiva in direzione di Noel, che però pareva guardare la scena come tutti gli altri, giusto un sopracciglio leggermente inarcato.
Liam rimase lì attaccato, rafforzando soltanto un poco la presa. Lo guardai imbufalita, una voce nella mia testa – che suonava spaventosamente simile a quella di Gem Archer – mi suggerì di tirargli un ceffone memorabile. Non lo feci, c'era qualcosa di strano negli occhi di Ourkid, e di fatto... – Scusa, tesoro – mormorò e mi sfilò dalla tasca posteriore il portafoglio.
Ci misi qualche secondo a realizzare, e nel frattempo Liam lo stava già sventolando all'aria come un ambito premio, quando mi riebbi però immediatamente gli afferrai la mano che stringeva il portafoglio. - Mollalo – dissi in un basso ringhio, fredda come il ghiaccio ma pronta a mordere. Avevo capito quali erano le sue intenzioni e una parte di me s'era subito sentita nuda, senza uno scudo. Ourkid pareva intrigato dalla mia espressione rabbiosa e sembrò scordarsi della stanza attorno a noi, - Oppure? -.
Non meritava una risposta, per cui tirai di netto e basta, convinta che sarebbe bastato quello a fargli perdere la presa, ma lui non cedette. - Non pensarai davvero che basti questo -, fece in una risata breve, seppure fossi a un metro buono di distanza scorsi l'odore di alchol, - Dai, che ti costa, è solo una fotografia – continuò questa volta un po' più dolce, ma vedevo che sotto sotto era irritato. Era come un bambino, capace di sembrare bravo, ma appena gli si negava la cosa desiderata diventava irremediabilmente stizzoso.
Scossi la testa. - Molla, Liam – gli intimai calma, provando a non far più vedere quanto davvero mi interessasse quel dannato portafoglio, o il suo contenuto quantomeno. Nella sala era calato di nuovo il silenzio, qualche sorrisetto intrigato dalla nostra sfida sparso qua e là, Noel s'era spostato sul bordo della poltrona su cui sedeva e Guigsy si grattava la nuca nervoso.
Infine strattonammo assieme e ad un certo punto avvertii pure la presa di Liam cedere un poco, guardai meglio e vidi che era perchè stava per prendere dal dentro ciò che gli interessava, mi mossi mollando il portafoglio, che era solo una vittima innocente in quella lotta e all'ultimo afferai un angolo della fotografia di mia madre. Rumore di carta strappata. Tra le dita mi ritrovai un pezzo dove si vedeva solo il prato e lì in mezzo una gamba spezzata all'altezza del ginocchio. Mi fece più male di quanto una fotografia stracciata avrebbe dovuto, non c'era più la rabbia, era stata soppiantata da qualcosa di più cattivo, che affondava le sue radici parecchio più a fondo. Guardai Liam che solo in quell'attimo s'accorse d'aver fatto una grande cazzata, che pur nella sua confusione alcolica s'aspettava la mia reazione irosa era rimasto immobile con l'altra metà, il ghigno di prima ancora congelato sul bel viso. Ma in quel momento io stavo combattendo una lotta molto più ardua, rispetto a quella contro Liam, per rigettare indietro le lacrime rabbiose che minacciavo di scendere, sapevo che se lo avessi aggredito – verbalmente o fisicamente non importava – sarei scoppiata in pianto e quella era l'ultima cosa che desideravo fare. Così inghiotti tutto, rabbia, lacrime, orgoglio, quell'idea che mi suggeriva di trafiggere Liam alla giugulare con una delle forchette che stavano sui tavoli ancora apparecchiati, e mi avviai a passi decisi verso la reception cogliendo appena la figura di Noel che ancora era in bilico sul bordo della poltrona.
Nella mia mano c'era ancora quel pezzo di fotografia, nella testa la certezza di dovermi allontanare da lì il più velocemente possibile e andare a rintanarmi nella mia stanza.

 9 Dicembre 1980
E' tarda mattina e scendo le scale rapida, con addosso il pigiama e l'eccitazione che solo il giorno del mio compleanno può comportare. Il giorno prima non avevamo festeggiato perchè sia mamma che papà erano tornati a casa tardi, ma mamma oggi ha il suo giorno libero. Penso alla torta che mi prepara sempre, quella al cioccolato e il regalo che mi spetta.
Entro in cucina e trovo mamma seduta su di una sedia a fissare immobile lo schermo della tv, non mi saluta neppure, nessun abbraccio. Qualcosa non va, lo sento. Sto per parlare, un groppo di delusione e di risentimento in gola, ma poi sento che dice il signore del telegiornale, dice che un pazzo ha ucciso John Lennon. Deve essere qualcuno di abbastanza famoso se ne parlano alla tv, però penso che debba essere anche uno zio di mamma o un suo amico perchè lei parla di lui spessissimo. La fisso, deve essere per quello che sta piangendo, e lei s'accorge di me e allora mi solleva e mi mette sulle sue ginocchia, stringendomi a sè. Guardo anche io le immagini in tv, e non sento più la felicità per il compleanno, anzi sono triste, per John, non lo conoscevo bene ma da come ne parlano le persone nello schermo doveva essere un tipo a posto. E ora è morto. Fino ad allora erano morti solo la zia Rosie – ma lei era molto vecchia – e Jimmy, il mio pesce rosso, per loro non avevo sentito tutta questa insopportabile tristezza.
Io e mamma passiamo tante ore a guardare la tv quando ci sono i telegiornali e per il resto del tempo lei mette su i suoi vecchi dischi, mi piace vederli girare sotto la puntina. La sera sono seduta ancora in braccio a lei, che improvvisamente alza un poco il volume. Quelli della tv stanno facendo delle domande a un signore dai capelli scuri, che mastica la gomma americana, e guarda di qua e di là con gli occhi inquieti. Penso abbiano detto si chiami Paul. Gli chiedono qualcosa su John, doveva essere un suo amico - mi chiedo se verranno pure a fare delle domande a mamma -, e lui risponde veloce, sembra un po' stanco, ma non piange. E' come mamma nelle ultime ore, penso, c'assomiglia tanto.
Seguo con gli occhi le immagini sullo schermo, ormai so tante cose su John, tipo che ha una moglie giapponese e che ha un bambino della mia età. Eppure è morto lo stesso, era anche giovane. Per un po' mi mordo il labbro di sotto.
- Mamma -, mi giro, - tu non andrai via come John, vero? -
Lei mi sorride vagamente.
- Non fidarti se qualcuno ti chiede di fare una foto o la firma -, lei è molto bella, qualcuno potrebbe farlo. - Non andare via...promesso? -
- Promesso -.
Mi riappoggio al suo petto, continuo a guardare la tv. La risposta m'ha tranquillizzato un poco, ha promesso.
Quello che credetti essere il giorno più brutto della mia vita.
 

So I start the revolution from my bed
'Cos you said the brains I have went to my head
Step outside the summertime's in bloom
Stand up beside the fireplace
Take that look from off your face
You ain't ever gonna burn my heart out


Guardai la sveglia sul comodino, e sbattei le palpebre un paio di volte. Nonostante mi fossi addormentata qualche ora prima, non mi sembrava d'aver proprio chiuso occhio, mi rigirai dall'altro lato aspettando di trovare un corpo caldo accanto al mio quando ricordai che avevo una camera singola. Strinsi le coperte nel mio pugno insoddisfatto e sbuffai a me stessa. Tutti i pensieri di prima mi tornarono a vorticare in testa, sentii l'impulso di parlare con qualcuno, non ero il tipo, ma avrei voluto davvero scambiare quattro chiacchiere con Gem, anche solo per non riflettere più su quel che mi affliggeva. Discutere di qualsiasi cosa, di calcio, delle registrazioni, punzecchiarlo. Ma lui non era il tipo che riceveva telefontate alle fottute quattro del mattino per sentirsi sfottere sul fatto d'essere vegetariano.
Mi arrivò all'orecchio un bussare sordo e deciso, quasi saltai nel letto per l'effetto che mi fece nel silenzio notturno. Per un momento pensai di ignorarlo, ma sarebbe stato impossibile, per cui raccogliendo ogni briciolo di forza di volontà andai alla porta ad aprire, senza chiedermi chi fosse, assumendo per l'ora che era che doveva essere qualcosa di importante. Invece era Liam. Gli tirai un pugno nello stomaco, senza pensarci, così ad istinto, lui non se l'aspettava e si piegò leggermente lasciandomi l'opportunità di colpirlo pure a una spalla. Non sapevo quando avevo deciso di picchiarlo ma la sua sola faccia mi era bastata come pretesto, sentivo le mani bruciare e la rabbia di ore prima riaffiorare come se non fosse mai defluita. Gli sferrai un altro destro, ma questa volta lui m'afferrò rapido un polso, poi l'altro mentre stavo già caricando il sinistro. Per un secondo ci fissammo, aveva il labbro spaccato anche se io non l'avevo colpito in faccia, ma poco importava, la rabbia montava come una marea, sempre più ad ogni attimo che passava. Provai a liberarmi, lui mi stringeva forte, fin da farmi male ma io continuai ad agitarmi colpendolo con calci, ginocchiate e sgomitando. Tutto inutile, ma non m'arresi neppure quando mi strinse a sè con le braccia, continuai a lottare con quella forza che non pensavo neppure che Ourkid possedesse. Alla fine mi sentii annichilita e anche se non avrei voluto smisi quasi completamente di colpirlo, afflosciandomi tra le sue braccia vinta dalla stanchezza e dall'impotenza. - Sei... -, gli tirai un pugno sul petto, - ...uno... -, pugno, -...stronzo – finii di mormorare, la bocca arida contro il tessuto blu della sua camicia.
- Devi andarci giù più pesante, principessa, se mi vuoi offendere -.
Alzai un ginocchio e lo colpii vicino all'inguine. Emise un flebile grugnito. - Ok, questo ha fatto male – soffiò e in quel momento diedi un altro strattone per liberarmi ma lui non mollò la presa, anzi prese ad accarezzarmi la schiena mentre faceva qualche passo in avanti per entrare nella mia stanza, e con il tacco chiuse la porta e subito vi scivolò contro, portandomi giù con sè.
Non so quando, ma alla fine la sua presa su di me s'era trasformata in un vero abbraccio, con un brivido mi sciolsi dalla rigidità che fino a quel momento s'era impadronita di me, e dopo un mezzo minuto quando ormai era certo che non l'avrei più colpito, Ourkid mi mollò i polsi – che dolore, cazzo – e io mi aggrappai alla sua camicia. Tirai su col naso: neppure m'ero accorta d'essermi messa a piangere, eppure avevo le guance tutte bagnate.
- Se non ti dispiace – borbottò Liam carezzandomi i capelli – non usarmi come fazzoletto umano -. Sorrisi un poco e pure lui lo fece di riflesso.
- Rimani uno stronzo comunque -
- Grazie, Mohammed Alì -
- Sai d'esserlo -.
Fece un verso d'assenso, quasi con un tono orgoglioso a gonfiargli il petto. Sentii una delle sue mani abbandonare la mia schiena e, sul punto dove sostava prima, il gelo notturno. Dopo aver rovistato nella tasca dei jeans – cosa resa più complicata dal fatto che gli sedessi sopra – estrasse la foto mutilata di mia madre, provai una fitta allo stomaco.
- Hai ancora l'altra metà? - domandò con un'esitazione che se un giornalista di NME l'avesse vista c'avrebbe scritto su un intero articolo tanto non apparteneva al giovane Gallagher. - Se ce l'hai – si rigirò il pezzo di carta tra le mani – con un po' di scotch si rimedia -. Questa volta sorrisi a quella sua aria da bambino, accentuata dal bianco nero della stanza in cui eravamo calati, la luce proveniente dai lampioni della strada che lo lambiva appena. Gli presi di mano la fotografia, - E' tutto a posto -, dovetti inghiottire non poca rabbia sedimentata, ma la maggior parte l'avevo buttata fuori sfogandomi su di lui – Va bene così, non ti preoccupare – mormorai pacata. Passò qualche minuto, io che quasi mi stavo addormentando con la testa poggiata alla sua spalla e le nostre gambe intrecciate.
- Non va bene per un cazzo, Cass – mi svegliò quasi con un ruggito basso che gli partì dalla gola. - Devi sistemare certe cose -. Alzai la testa rapidamente, all'erta, non poteva riferirsi a Noel... nessuno sapeva veramente di noi, certo i ragazzi avevano notato ma... Liam che si fregava della situazione sentimentale del suo fottuto fratello era ancora più fottutamente surreale. Una puntata di Star Trek!
- Ho trovato questa -, il mio treno di pensieri venne interrotto da un pezzo di carta bianco che mi veniva sventolato davanti al naso. Realizzai subito cos'era e rimasi paralizzata, - L'hai letta? -. M'accorsi della vocina che m'era uscita, per cui cercai un tono più spavaldo: - O meglio, sai leggere? -, ma il mio era stato un tentativo patetico, dalla sua faccia seppi che persino Liam l'aveva capito.
- Dovresti sistemare questa cosa -
- Io penso di no -
- E invece sì – ribattè testardo, una mano che mi stringeva il braccio convinta.
- Perchè?! -. Altra cazzata.
- Perchè hai un padre, che cazzo! -.
Rimasi senza qualcosa da ribattere. Avrei fatto meglio a non sostenere discussioni notturne, non riuscivo mai a spuntarla. Neppure con Liam – che certo aveva la ragione dalla sua – ed è tutto dire.
La mano sul braccio diminuì la presa passando da “smettila di dire stronzate” ad “andrà tutto bene”, peccato non pensavo potesse essere così. La lettera che aveva trovato Ourkid me l'aveva data zia Beth il giorno della mia partenza dalla Scozia, dentro nella sua scrittura rotondeggiante c'era scritto che l'uomo che s'era sbattuto mia madre una notte di circa vent'anni prima aveva un nome e un cognome. Mamma l'aveva sempre saputo e l'aveva detto alla sua migliore amica, ovvio, non a sua figlia. In più zia Beth tra un travaglio e l'altro era riuscita pure a dare un indirizzo all'uomo del pub – questo era l'unico nome che ero riuscita io ad affibbigliargli -.
Eravamo in silenzio da un bel po' quando infine i miei occhi ricaddero in quelli di Liam, contornati da quelle ciglia scurissime che li facevano sembrare irresistibili. - Sei fortunata – mi disse, sincero e sobrio come poche volte l'avevo visto in quelle settimane – Sai d'avere un padre e non è più uno stronzo manesco -.
- Già, è solo uno che non regge bene la birra e che si cala facilmente i pantaloni - mormorai astiosa, non sapevo perchè ce l'avevo davvero con l'uomo del pub, infondo mia madre aveva fatto la sua parte. Forse desideravo solo che fosse rimasto con lei un po' più di quel quarto d'ora. Liam mi diede uno sguardo di dissapprovazione, con quei suoi stramledettissimi occhi da cucciolo. - Certo, non fosse stato così, ora il mondo intero non potrebbe godere dall'incommensurabile piacere della mia compagnia, ma... -
- Ma...? - insinuò sibillino davanti alla mia mancanza di parole. Stronzo.
- Ma, che vuoi che faccia? Che vada da Oprah assieme a lui per una bella puntata fatta di lacrime e abbracci? -
Sbuffò, - L'esibizionista qui sono io. Penso che andarlo a trovare possa essere un buon inizio, per esempio -
- Abbiamo un tour promozionale da fare. Non ho tempo – borbottai chiudendomi a riccio.
- Saremo a Sheffield tra soli tre giorni, potresti incontrarlo senza problemi -
Non c'era apparente via d'uscita, nonostante l'aria inconsuetamente dolce, il tono di Ourkid era deciso.
- Dio... non ci posso credere, sto prendendo consigli da Liam Gallagher! -
- Sei messa proprio male, Cassandra Lane -. Io lo guardai torva, ma lui mi schioccò un bacio sulla fronte innocentemente, così decisi di rimandare ogni sorta di pensiero al giorno dopo mentre mi sistemavo accoccolata tra le braccia di Liam. E da qualche parte nel mio stomaco, nel frattempo, una stramba sensazione aveva preso vita.
 

So Sally can wait, she knows its too late as we're walking on by
Her soul slides away, but don't look back in anger I hear you say

 
Quello sarebbe stato un giorno grandioso, lo sapevo perchè sarebbe stata la prima volta che gli Oasis avrebbero suonato in un'arena, una fottutissima arena! Insomma era un bel salto in avanti rispetto al Boardwalk, eppure io non ero minimamente eccitata all'idea di partecipare ad un evento su così grande scala, anzi percepivo un nodo allo stomaco che era comparso la notte prima del concerto e che, ora, al mattino era sempre più stretto e di fatto avevo persino saltato la mia mega colazione con bacon e uova – io, rinunciare a del cibo, la situazione era preoccupante -. Saremmo stati a Sheffield solo un giorno, sapevo che se non l'avessi fatto quel giorno, che se non mi fossi presentata alla porta di mio padre non l'avrei mai più fatto in vita mia, avrei archiviato la cosa in una zona angusta del mio cervello come la lettera era finita a ingiallire nel portafoglio.
Ad ogni modo, la mattina dovevo sistemare le attrezzature con il resto della crew e dare una mano a Noel con il soundcheck, e straordinariamente Sua Altezza Reale William John Paul Gallagher ci aveva gentilmente concesso la sua presenza alle prove nonostante lo facesse di rado – leggasi: mai – e che fossero solo le dieci del mattino. Sorrisi mentre lo vedevo aggirarsi sul palco come un bambino meravigliato mentre guardava la grandezza dell'arena da lassù, di certo lui era quello che palesava ancora costatemente lo stupore per quel che era successo in quei due anni. Faceva tanto il duro, come si addiceva ad una rockstar, ma poi lo beccavo a saltare sul letto king size. Agitò una mano veloce per salutarmi, mi tolsi le cuffie del lettore CD – regalo di Bonehead per Natale – perchè m'era sembrato che mi stesse gridando qualcosa, ma in un battito di ciglia s'era già diretto da un'altra parte. Premetti il tasto play e lasciai che la voce di Ray Davies tornasse a riempire i miei pensieri, cantandomi della bellezza del Village Green.
Mezz'ora dopo lo reinquadrai mentre era gomito a gomito con Noel, mi irrigidii un poco, Liam tendeva ad invadere per puro divertimento lo spazio vitale del fratello, cosa che spesso sfociava in una belle lite. Smisi di lavorare su quel dannato amplificatore che pensavo si potesse ancora salvare ma che non ne voleva sapere di farsi aggiustare, per dedicarmi a qualcosa di assai più interessante: i fratelli Gallagher che collaboravano. Se non avessi avuto la musica nelle orecchie, avrei chiesto ai miei astanti di fare silenzio per non disturbare quel così incredibile avvenimento che di rado si poteva apprezzare in natura. Avevo visto come Noel stesse suonando per l'ennesima volta quello stesso giro d'accordi e ora Liam gli si era avvicinato dicendo evidetemente qualcosa che d'apprima l'aveva contrariato, ma che poi una volta suonato sulla chitarra aveva, almeno all'apparenza, convinto The Chief che aveva gratificato il minore con un sorriso mentre quello aveva assunto una vera e propria espressione d'orgoglio. Per un attimo fui curiosa di sapere quale mirabolante consiglio – ci stava prendendo gusto, a quanto sembrava – Ourkid avesse dato, però poi mi dissi che certi fenomeni sono belli proprio perchè hanno il loro alone di mistero. Insomma, una cazzo di aurora boreale la guardi, mica ti chiedi perchè abbia tutti quei colori.

 
- Ripetimi ancora che accidenti ci fai qui – mormorai a denti stretti mentre guidavo attraverso le strade di Sheffield, diretta verso la periferia.
- Semplice: è stata una mia idea – fece serafico Liam sorseggiando la sua lattina di birra. Lo guardai in tralice, solo perchè non potevo fissarlo apertamente dato che questo avrebbe messo in pericolo la vita d'entrambi – avevo fatto una cosa del genere con Guigsy sulla M3, e ancora mi chiedo come abbiamo fatto a mancare quel tir; forse s'era spostato grazie all'onda sonora emessa dal grido del bassista -.
- Ma è mio padre! - esclamai costernata, battendo sul volante per esaltare il concetto. Mi si inserì la freccia, fanculo.
Liam si limitò a fare spallucce, un bel chi se ne frega che era il suo solito quando non aveva una buona motivazione da addurre a qualsiasi sua azione. A volte pensavo che infondo davvero non sapesse perchè faceva alcune cose, era solo pura carne, ossa e istinto e voce, più un pizzico di coglionaggine, il tutto rivestito con un bell'incarto.
Una decina di minuti dopo l'avvertii che eravamo arrivati all'indirizzo indicato sulla lettera di zia Beth e lui parve risvegliarsi dal torpore in cui s'era avvolto mentre osservava con occhi ciechi il paesaggio fuori dal finetrino. Ci trovavamo in una bella zona residenziale, con casette dalle ampie finestre, un po' tutte simili ma ognuna con il suo particolare a distinguerla. La caratteristica di quella al numero 11 di Barkley Road, che ci trovammo a fissare io e Ourkid, dopo aver fatto un centinaio di metri di strada dal parcheggio, era d'essere circondata da un giardino straordinariamente ben curato: prato verde, vialetto spazzato e una moltitudine di fiori a decorare le aiuole delimitate da blocchi d'ardesia.
- A quanto pare non hai ereditato il pollice verde da Mr. Rob Lane – commentò Ourkid, e io per abitudine lo fulminai con gli occhi, ma in realtà ero occupata a scrutare ogni singolo dettaglio di quella casa. Vagamente udii Liam dire – Ehi, che ci devo fare se sei riuscita pure ad ammazzare il bonsai che t'ha regalato Maggie? -, ma era solo un rumore di sottofondo. Chissà perchè mi ero immaginata un quartiere grigio e una palazzina, una rampa da salire fatta di cemento e una porta d'appartamento consunta a cui bussare, invece era davvero bella. Continuai a guardare, forse alla ricerca persino lì del motivo per cui quel Lane avesse lasciato mia madre, non avesse pensato neppure per un momento d'aver potuto magari averla messa incinta, e che poi sarebbe nata una bambina. Ero talmente persa in quelle assurde riflessioni che non m'ero accorta che sul tappeto d'erba erano posati degli strumenti per il giardinaggio e allo stesso modo quasi non notai, se non all'ultimo, che un uomo si stava dirigendo verso di noi reggendo una grossa pianta. Rimasi con il fiato intrappolato nei polmoni e pure Ourkid la smise di farneticare. Appena mise giù il sempreverde spuntò da dietro i rami una capigliatura rosso intenso. Questa almeno fu la prima cosa che notai, prima che una miriade di informazioni mi colpissero confusamente il cervello: alto, mani grandi, leggermente sovrappeso, stempiato, abiti casual, viso rubicondo, sui quarant'anni, maglione blu. Lui non pareva essersi accorto di due sconosciuti che lo fissavano insistentemente, troppo preso nel trapiantare l'alberello che aveva trasportato. Sentivo la gola arida, e per istinto m'aggrappai alla cosa più vicina, ovvero il braccio di Liam. Sentii la strana sensazione che m'ero portata appresso in quei giorni animarsi. - Scusi – feci esitante e lui fulmineo alzò lo sguardo, aveva gli occhi castani. Poi l'incantesimo fu interrotto, giunse di corsa dal retro della casa un ragazzo più o meno della mia età, coi medesimi capelli rossi - Pa', la mamma dice che è ora che la smetti con il giardino, è tutto il giorno che ci lavori -, fece una pausa in cui riservò un'occhiata distratta e un po' incuriosita a me e Liam - Ah, e ti chiede se vuoi il tè -
Rob Lane si sfregò le mani sporche di terriccio, - Certo, certo. Lo Yorkshire per me – corrugò le sopracciglia in una maniera che trovai caratteristica, - tua sorella dov'è? -
Il ragazzo alzò le spalle – E che ne so, sarà in città con le amiche. Ha tredic'anni ormai, mica devo farle da balia – dopo di che rientrò in casa, soffermandosi solo per poco un'altra volta su di noi. Stavo ancora fissando la porta da cui era sparito, una mano al viso chidendomi quanto fossero simili I nostri lineamente quando mi resi conto che l'uomo mi stava guardando. - Stava forse dicendo qualcosa? - domandò con un mezzo sorriso di circostanza, quello che si riserva agli sconosciuti.
Mi guardia un attimo attorno, mi strinsi le labbra sino quasi a farle scomparire, - Niente -, guardai il cortile e mi sfuggì un sorriso, - Volevo solo dirle che ha proprio un bellissimo giardino -. Qualcosa dentro di me morì. Ma lui parve sinceramente lusingato, e la sua espressione si scaldò, - E' il tempo di qua che rende tutto più facile, quando vivevo ad Edimburgo i fiori non venivano così colorati -. Questo era troppo. Mi limitai ad annuire, e anche lui capì che qualcosa non andava, vi fu un secondo di silenzio in cui avrei voluto andarmene ma non ci riuscii, allora parlò di nuovo, questa volta rivolto a Liam però: - Ha proprio una ragazza molto carina, fa bene a tenersela stretta – disse indicando il braccio di Ourkid che ormai si era serrato a me, - Non sa cosa sarebbero disposti a fare li uomini di Sheffield per un qualcosa di così grazioso -. Poi guardò ancora me, al che io feci lo sforzo più grande per sfoderare un sorriso di congedo e infine andarmene davvero lasciando persino Liam di stucco, che mi raggiunse solo dopo qualche secondo e aver mormorato una qualsivoglia forma di cortesia a Rob Lane prima di rincorrermi.
Feci in tempo appena a girare l'angolo che venni afferrata per il polso, - Dove vai? - fece basito Liam. Scossi la testa, come se il movimento bastasse a sbrogliare la matassa di pensieri che li dentro si aggrovigliavano, - In un qualsiasi posto che non sia qui -. Ad essere sinceri avevo proprio preso la prima strada che m'era capitata, l'auto era persino nella direzione opposta.
- Tutto qui? Gli dici che è bello il suo fottutissimo giardino e basta?! -, parlando mi scosse un po' il braccio così io lo ritrassi immediatamente, mettendomi sulla difensiva, pronta già a scoprire le zanne quando qualcosa dentro mi mancò, come se improvvisamente sentissi il peso di una stanchezza alimentata da tutti quei giorni d'aspettativa. - Non hai visto? – mormorai infine, scuotendo piano la testa – Ha un figlio della mia età, vuol dire che quando aveva incontrato mia madre Lane stava già con sua moglie...sono felici –, aggiunsi dopo una breve pausa, – perchè dovrei voler rovinare la loro esistenza? Così è meglio per tutti -
Vedevo che Liam avrebbe voluto ribattere qualcosa, ma si trattenne, infine indicò in direzione del parcheggio ma io non accennai a muovermi minimamente. - Ho capito – asserì – Do un colpo di telefono a Meggie, ci si vede più tardi al concerto – e tornò verso Barkley Road. Una parte di me di dimensioni non indefferenti avrebbe voluto accompagnarlo, anche solo per ripassare davanti a quella casa, magari rivedere Rob Lane che finiva di sistemare quell'alberello, magari rovinargli la vita... Diedi un taglio netto a quell'idea e mi dissi che non l'avevo conosciuto per vent'anni e che avrei potuto benissimo fare così per altri venti. Stavo giusto facendo questa considerazione quando i miei occhi colsero una figura famigliare dall'altro lato della strada, che diam...? Noel prese a camminare verso di me, evitando una berlina rossa giusto prima di raggiungermi sul marciapiede. Provai ad articolare una sola parola ma non riuscivo a decidermi su quale usare, quindi mi prese lui in contro piede: - Non avrai mica pensato che t'avrei lasciata andare da sola con Ourkid? -
Avrei potuto fargli una bella sfuriata perchè non si era fatto i cazzi suoi, ma non mi rimaneva la forza mentale per far altro che non fosse poggiare la testa tra la sua spalla sinistra ed il collo, lasciando le braccia inerti lungo i fianchi. Lo sentii irrigidirsi un poco, non se lo aspettava e di norma Noel Gallagher non era molto pratico nell'abbracciare gente, sopratutto me e in quel genere di situazioni. Si limitò a mettermi una mano sulla schiena, e mio malgrado sorrisi per quanto sapeva essere impacciato a volte. - Come facevi a sapere dov'eravamo? - chiesi non veramente interessata, solo per distrarmi dato che il cervello continuava a ripropormi l'immagine di quella perfetta villetta.
- Io so sempre tutto -
Gli tirai un colpetto, al che lui ridimensionò le sue manie di omniscienza – Me l'ha detto Liam -, si scostò un po' da me e indicò il sopracciglio destro, – Mi è costato questo -. Era spaccato e sinceramente in quei tre giorni non c'avevo fatto caso, forse perchè erano così folti... in ogni caso si spiegava pure il labbro rotto di Ourkid: si dovevano essere accapigliati dopo che avevo lasciato la sala d'albergo a Parigi. Tornai con la testa contro la sua spalla, indifferente come prima.
- Che hai intenzione di fare? - mi chiese dopo un paio di minuti, vedevo con la coda dell'occhio che la gente ci guardava strana per via di quell'improbabile posizione che avevamo assunto, - Be' oltre ad usarmi come pilastro d'appoggio – ghignò.
Arricciai il naso e strinsi gli occhi, come se a pensare ad un futuro mi facesse del male fisico – Non so –, sospirai, – Voglio solo riiniziare a girare per il mondo, andare ogni volta in un posto dove non so neppure se sarà giorno o notte -. Mi ci voleva proprio della sana vita da tour.
Noel emise una risata leggera, ma che da dove ero io potevo sentire benissimo fargli vibrare il petto – No, intendo cosa farai ora, in questo momento -. Quella frase chissà perchè mi diede la forza di scostarmi da lui, sperando che le gambe non mi tradissero, lasciandomi cadere.
- Solo... -, diedi brevemente un'occhia all'angolo da dove ero arrivata, oltre cui c'era la strada, la casa, mio padre, - ...non guardare indietro – dissi a bassa voce, ma con fermezza – Continuare a camminare, ecco cosa farò –, mi morsi per un secondo il labbro prima d'aggiungere: - Stasera non ci sarò al concerto -.
Noel appariva estremamente confuso, come pure prima suo fratello, ma feci appena in tempo a scorgere quella sua espressione che stavo già camminando, decisa ad andare quanto più possibile lontano da Berkley Road. Ne sentivo proprio il bisogno fisico. In testa mi continuavo a ripetere che mi sarebbe bastato camminare, camminare senza meta fino a che non avessi consumato la suola delle Converse.

 

Take me to the place where you go
Where nobody knows if it's night or day
Please don't put your life in the hands
Of a Rock n Roll band
Who'll throw it all away


- Tu hai idea di quando inizieranno a registrare? - mi chiese Jason, un tecnico delle chitarre – be' in effetti non era un semplice roadie, era stato il tecnico delle chitarre di Johnny Marr, mica cazzi – mentre ci dirigevamo verso la sala dove gli Oasis stavano provando. La domanda mi parve quindi un po' stupida, fatta da un tipo come lui, dato i recenti avvenimenti. - Be' penso che prima dovremo trovare un buon batterista -. Già – attenzione, signore e signori – McCarroll era stato definitivamente lincenziato, inutile dire come la mia persona non fosse minimamente toccata da quell'avvenimento. La cosa era scoppiata subito dopo l'esebizione con Some Might Say a Top Of The Pops, il batterista aveva avuto uno scontro ravvicinato con Liam e dopo poche ore s'era trovato fuori dalla porta. Messa così poteva sembrare una decisione presa all'improvviso, ma la verità era che Noel me ne parlava da tempo di buttare fuori McCarroll e pure lui poteva intuire di non essere molto ben visto da The Chief, che non a caso durante le interviste si divertiva a non citarlo neppure, come se non avesse fatto parte della band. Era anche meglio così, ora agli Oasis serviva un vero batterista per poter registrare il nuovo album, però l'annuncio della dipartita di McCarroll – che era stato dato proprio mentre il singolo invece raggiungeva il numero uno, strana la vita - era roba vecchia di sole ventiquattr'ore, per cui Noel aveva ancora un po' di respiro per scegliersi il suo nuovo uomo.
- Io stavo pensando a White -
Presi un sorso dala mia tazza di tè, - Il batterista di Paul Weller, Steve White? -
- No, no, il fratello minore, Alan -
- Ah sì, avevo sentito Noel parlarne bene quando l'aveva visto suonare per Idha -, l'espressione di Jason mi sembrava perplessa – Ma sì, la cantante svedese –
- Quella che si vede con Andy Bell dei Ride? - domandò ancora un po' troppo ingenuamente per i suoi standard. - Esatto – risposi mentre aprivo la porta della sala prove, i ragazzi che stavano evidentemente cazzeggiando dato che Bonehead era alla tastiera a suonare Imagine, stavo per scherzarci su quando Noel prese a suonare accordi diversi da quelli di Lennon, per l'esattezza quegli stessi accordi che aveva suonato ripetutamente per settimane. Il mio cervello riuscì soltanto a registrare che - diamine! - alla batteria c'era proprio Alan White e a dare un'occhiataccia a Jason che se la ghignava sotto i baffi, prima che Noel iniziasse a cantare. Poi non capii più nulla, persi la cognizione d'ogni cosa tra una nota di basso di Guigsy ed il tintinnare del tamburello di Liam che ritmico accompagnava le parole del fratello, parole che una ad una mi giungevano alle orecchie come se le avessi sempre conosciute, come se fossi io a raccontare la mia vita e non Noel a cantarmela. All'inizio pensai fosse una coincidenza, mi lasciai sfuggire un sorriso quando citò una frase proprio dello stesso Lennon che annunciava che avrebbe fatto partire una rivoluzione dal suo letto, ma poi arrivò il ritornello e lì, qualcosa mi si infranse contro, come un'onda del mare che mi spogliò di ogni cosa: Noel stava cantando di me. E di mia madre. Per un momento sentii che un'immensa rabbia dentro di me stava per esplodere, ma poi trovai lo sguardo di Ourkid che continuava a suonare il suo – inutile – strumento e mi bloccai sino a quando arrivarono le parole che chiarirono tutto. Le stesse parole che Noel ripetè più volte alla fine della canzone – But don't look back in anger, don't look back in anger I heard you say, at least not today... -, vi fu un solo singolo fottuto secondo di silenzio prima che io lo stringessi in un abbraccio come mai avevo fatto, completamente incapace di pensare a cosa volessi fare: piangere, gridare, picchiarli, ringraziarli, ridere. Qualcosa mancava però, per cui alla cieca allungai un braccio e arpionai pure Ourkid, che se ne stava lì col suo tamburello, così che potei stritolarli entrambi cercando di annullare in quel modo il bisogno di ogni parola.
- Puoi anche solo dire grazie, invece di soffocarmi – protestò Liam, quindi alla fine li liberai schioccando ad entrambi un bacio, uno sulla guancia per Ourkid e uno sulle labbra a Noel che pareva inebetito da quella mia reazione così espansiva. Dopo un paio di secondi notai come tutti nella stanza mi stessero guardando, per via del mio comportamento, per via di quella stupenda canzone di cui però non coglievano il significato più profondo, per via di quelle effusioni che mai avevamo avuto esplicitamente. Ricambiai la loro occhiata curiosa e infine fissai il mio sguardo su Alan White, - E così abbiamo un nuovo batterista? -.

 

Got I start the revolution from my bed
'Couse you said the brains I have went to my head
Step outside 'couse summertime's in bloom
Stand up beside the fireplace
Take that look from off your face
'Couse you ain't ever gonna burn my heart out


Agosto 1986
Sta piovendo, gli scrosci d'acqua sopra il tetto della casa sono come piccoli torrenti. Piove da giorni ormai, forse da tutta l'estate. E' notte fonda ma sono ancora sveglia, in camera mia cercando di tirar fuori gli accordi di Waterloo Sunset dalla chitarra, ma non mi riesce. Dalla finestra vedo la luce di un auto, è la polizia. Getto la chitarra sul letto e scendo rapida le scale, i piedi nudi sulla moquette, in testa il pensiero che forse hanno trovato mamma. Rumore di tuoni.
Sono in veranda, apro appena la porta per poter sentire che dicono i poliziotti a papà e a zia Beth che con quel pancione mi toglie parecchia visuale.
- L'auto era ridotta a sole lamiere – fa uno. Beth emette un verso, ma non capisco bene, la pioggia confonde tutto. - I medici hanno provato ma...- aggiunge l'altro tipo in divisa. Non capisco perchè non continui la frase, come sta mamma? - Condoglianze, Mr. Sheen – riprende l'altro. Questa volta lo sento chiaro come fosse mio il singhiozzo di zia Beth.
- Chi ha provocato l'incidente? - chiede papà.
- Non pensiamo sia stato un incidente: non c'erano segni di frenata -.
Il giorno più brutto della mia vita.

 

So Sally can wait, she knows its too late as she's walking on by
My soul slides away, but don't look back in anger I hear you say


Avevo detto a tutti che dovevo andare fuori a fumare, in realtà mi serviva tutto il contrario: una buona boccata d'aria. Ancora non riuscivo a credere alle parole e alla musica di quella canzone, mi ci sarebbe voluto un bel po' ad abituarmi all'idea che il nome di mia madre sarebbe stato cantato da...quante persone? Gli Oasis ormai erano davvero parecchio famosi, soprattutto ora con il singolo al numero uno, migliai di persone, forse decine di migliai, in ogni caso parecchie. Mi ritrovai a vagare per la strada sino a quando non mi scontrai proprio con l'immagine del singolo di Some Might Say che mi fissava dalla vetrina di un negozio. Sulla copertina c'era una scena da sobborgo di città inglese: un uomo con cariola, un mendicante – ci credereste che quel barbone era Liam? Quanto avevamo riso a vederlo conciato così! - e Noel sopra di un ponte. Mi ero quasi dimenticata come fosse, talmente ero stata presa da altri pensieri in quei giorni ed effettivamente non avevo neppure mai visto il CD fisico, e fu forse questo a spingermi ad entrare nel negozio e a prenderlo in mano. Lo osservai in ogni suo dettaglio come avrei fatto con il disco di una band che non conoscevo, sino a quando lessi le B-Side.
- Cass! -, mi voltai rapida, Noel era entrato a sua volta – Stiamo andando al pub coi ragazzi – finì di dire, ma s'accorse di cosa avevo per le mani e repentinamente assunse un'espressione seria. Vi fu un lasso di tempo silenzioso e alla fine i miei occhi cedettero alla tentazione di riguardare il retro del CD, come per accertarsi di non aver letto male la prima volta. Acquiesce. Non avevo mai sentito tra i demo una canzone che avesse quel nome, il mio nome. Noel negli ultimi mesi aveva avuto parecchie Untitled per cui non riuscivo neppure a ricollegarla ad un testo o a una melodia. Non sapevo veramente che dire, forse prima d'esprimermi avrei avuto bisogno di sentirla, quella canzone. Infine dovetti incrociare di nuovo il mio sguardo con il suo, - E' per te – disse con uno strano tono, che mai gli avevo sentito usare prima e che non mi aiutò certo a scegliere cosa rispondergli, non sapevo cosa la gente normale replicasse quando qualcuno le dedicava una canzone. Sbattei le palpebre un paio di volte, - Grazie – feci alla fine, abbastanza incerta. Rimisi giù il CD, quella situazione era decisamente scomoda per entrambi, guardando fuori vidi che nel cielo si stavano caricando grossi nubi temporalesche, provai ad uscirne: - Muoviamoci, sta arrivando la pioggia -.
Come se a due Northener fosse mai importato del maltempo.

Don't look back in anger
Don't look back in anger
Don't look back in anger
At least not today


 

Se siete arrivati sin qui, complimenti: avete perso almeno una diottria, ma avete finito questo capitolo insolitamente lungo e pieno di Angst! Passando alla parte tecnica, la canzone del capitolo è straconosciuta, ed è il primo singolo e la prima traccia di un album ad avere Noel alla voce. E' stata scritta (leggenda vuole) il 18 d'Aprile e suonata per la prima volta il 22 proprio a Sheffield quando ancora era in fase embrionale http://www.youtube.com/watch?v=l3AgQiyOLws  ed il pezzo ceh fa "so sally..." è stato suggerito da Liam a Noel
mentre così è da finita, vi metto un live perchè è come rende al massimo http://www.youtube.com/watch?v=jBbyc3t-Ctc  con Natale emozionato perchè torna dopo 20 anni in uno stadio in cui era stato da roadie :)
McCarroll è stato davvero licenziato subito dopo TOTP anche se non si sa bene quale sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, e dopo fu preso appunto Alan White fratello del batterista di Paul Weller (The Jam, Style Council). Anche tutta la storia della cantante svedese è vera e pure Jason esiste davvero, e poverino io lo continuavo a chiamare al concerto di Noel LOL l'ho traumatizzato, penso.
Penso sia tutto, mi scuso per la massiccia presenza di angst in questo capitolo, ma spero apprezzerete :D Ringrazio tutti quelli che leggono e recensiscono :))) Thanks, always
Cheers^^ Ps: dimenticavo, questo è Richard Ashcroft, mente e voce dei Verve (A Northern Soul, Urban Hymns se avete voglia di ascoltare della gran bella musica). Questa foto la adoro, perchè è sfocata, perchè questi due erano high as a kyte, perchè era il 1995 e questa era la Cool Britannia



Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Roll With It ***


You gotta roll with it 
You gotta take your time 
You gotta say what you say 
Don't let anybody get in your way 
'Cause it's all too much for me to take 
 
Don't ever stand aside 
Don't ever be denied 
You wanna be who you'd be 
If you're coming with me 
 

- Come va con le registrazioni? - mi domandò un oltremodo annoiato Jarvis Cocker passando un dito sopra il bordo di una pinta di birra, – Si sono già scannati i fratellini? -
Lo fissai negli occhi, attraverso le lenti incredibilmente spesse di un paio d'occhiali vistosi, senza realmente guardarlo. - Se speri che ti dica qualcosa di interessante per sapere come girerà l'aria dalle nostre parti, te lo scordi – mormorai buttando fuori il fumo della sigaretta. Era un amico Jarvis, un tipo eccentrico e simpatico, ma era pure il frontman dei Pulp e il 1995 si prevedeva essere un'annata di fuoco per la musica e sapere cosa stavano facendo quelli che infondo erano i tuoi rivali faceva sempre comodo. E comunque eravamo ancora alla prima settimana di registrazione, per ora avrei avrei potuto soltanto dire che le canzoni erano tra le migliori che The Chief avesse mai scritto e che suonavano tutte dannatamente alte, come se avessi avuto la cassa dello stereo dentro alla scatola cranica.
Spense il mozzico della sua Chesterfield nel fondo del boccale, - Per avere un così bel culo sei pure parecchio intelligente, purtroppo – e sorrise. Dimenticavo, era anche un porco con qualche perversione, ma almeno era uno di quelli sinceri: se ti voleva portare a letto te lo diceva in faccia, non si sprecava a regalarti un mazzo di rose.
- Ti aspettavi qualcosa di diverso? -
Fece una smorfia di diniego, - Se mi fosse andata bene avrei avuto un bello sguardo all'interno della testa di Noel Gallagher; se fosse andata male, come è stato, avrei passato un'oretta a chiacchierare con te -
- Avresti potuto chiedere direttamente a Noel -
- Non è carino come te. Sai com'è, le sopracciglia folte non sono il mio genere... -
Gli concessi il beneficio di una risata, e gli offrii un'altra birra mentre automaticamente cercai con lo sguardo i due fratelli. Quella notte come chissà quante altre di quella primavera ero entrata al “The Good Mixer” a Camden, appena di ritorno dall'appartamento che affittavo a Tottenham, e li avevo trovati seduti ad un tavolo con un po' d'altra gente mentre era in atto il festeggiamento per non so chi, ma tutte le occasioni erano infondo ben accette per sballarsi un po'. L'unica variabile era che questa volta assieme a loro c'erano sia Patsy – ormai ufficialmente la super cornificata ragazza di Liam – e Meg tutte tirate a lustro. Non potevo davvero sopportarle entrambe, allo stesso momento. Per quello me ne stavo già per andare, facendo gli auguri ad un semisconosciuto – poteva essere qualcuno di qualche etichetta discografica? - a cui li stavano facendo tutti. Ero arrivata alla porta quando m'aveva bloccato Jarvis e la sua parlantina, così m'ero concessa una pinta o due assieme al cantante di Sheffield.
La mano di Meg era andata a stuzzicare l'orecchio di Noel che le sorrideva con gli occhi arrossati tra una boccata e l'altra di Benson. Negli ultimi mesi avevamo stretto una sorta di tacito accordo io, lui e la cara Meg. Noel e quest'ultima uscivano ormai sempre assieme, andavano alle feste, si facevano fotografare dalla stampa musicale e non come una delle coppie più in voga di Camden e lui l'aveva pure nominata qualche volta nelle interviste. Io invece me ne rimanevo nell'ombra. E a me andava bene così, non mi interessava di finire su una qualunque pagina di Gossip come la ragazza di Noel Gallagher Chitarrista e Compositore degli Oasis, sino a quando avrei saputo che m'avrebbe chiamata nel cuore della notte perchè non trovava l'ultimo accordo di un bridge, m'avrebbe tenuta sveglia sino all'alba mezzi ubriachi a parlare per l'ennesima volta di quanto ci ricordavamo – o meglio, non ricordavamo - di Spike Island o come quelli del mondo discografico fossero tutti dei puttanieri. O sarebbe entrato nel mio letto mentre eravamo in tour, lasciando la sua camera da trecento sterline a notte vuota.
Senza contare che poi quelli della crew m'avevano sempre un po' guardata con sospetto da quando avevano intuito un mio affair con Noel, un po' come se loro fossero stati lì perchè sgobbavano notte e giorno sotto il peso di un amplificatore da montare e io, invece, come avevo sentito sussurrare da qualcuno, perchè “gliela davo”. Al pensiero di ciò, stritolai il pacchetto di sigarette accorgendomi all'ultimo di quanto stavo facendo.
In sintesi quindi – una notte, non riuscendo a prendere sonno, avevo fatto pure stilato una lista mentale dei pro e dei contro – andava bene così com'era. Sapevo che c'era qualcosa di sbagliato di fondo, ma me ne fottevo.
- Ehi, guarda chi è appena entrato – sibilò Jarvis, dandomi di gomito e accennando alla porta. Damon Albarn in occhioni blu, capello biondo e dolce metà di lungo corso a fianco, la perennemente in nero Justine Frischmann si trovavano sulla soglia in quel momento, all'apparenza in cerca di un tavolo dopo aver attraversato quella piovosa notte londinese. Sbuffai, c'era già troppa gente di cui sentivo sempre parlare per lavoro e un po' mi pentii di non essere andata a trovare Gem a Chelsea. Feci due conti, forse avrei fatto ancora in tempo...
- Ahia, qui butta male – soggiunse Jarvis con un tono di crescente divertimento nella voce, - Hai visto dove si sono seduti? -, cercai di nuovo il cantante dei Blur e quella delle Elastica e li localizzai seduti ad un tavolo, per un attimo non capii: nella scena c'era qualcosa di diverso, ma il mio cervello già un po' annebbiato non comprendeva cosa. Mi aiutò Jarvis: - Lì ci stavano seduti Liam e la sua donna -
- Sicuro? -, dalla risata che stava trattenendo si sarebbe detto che era completamente andato ormai
- Certo – fece serio, come se in una qualche maniera lo stessi offendendo, - ho occhio per queste cose, mica solo per i culi! Sono andati in bagno – e con ciò sapevamo tutti che Ourkid doveva aver tirato fuori per sè e la sua signora una buona striscia di coca. Non penso che nessuno a metà anni 90', che fosse di quel giro abbia mai usato un cesso pubblico per svuotarsi la vescica. - Per cui c'è da aspettarsi un bel combattimento tra galli al loro ritorno -, concluse il cantante ingollando poi una sorsata di birra.
Mi strinsi nelle spalle, - Ci sono molti tavoli liberi, dopotutto. Probabilmente non succederà nulla – e diedi un'occhiata di sbieco a Jarvis che s'era già girato sullo sgabello, i gomiti indietro sul bancone, per avere una buona visuale. Gli mancavano i popcorn, cazzo. - Sì, infondo sono persone accomodanti entrambe – commentò. Non ci credeva lui e non ci credevo neppure io. - Tu che ne pensi di quello lì? - si informò, un'altra delle caratteristiche peculiari di Jarvis era d'essere probabilmente l'uomo più pettegolo nel Britpop, se NME avesse fatto le nomination per tale carica, lui l'avrebbe vinta immancabilmente un anno dopo l'altro. Domandava per il puro gusto di sapere qualcosa, pure di inutile, che tu non sapevi.
- Damon? -, non mi aspettavo risposta ovviamente, ma mi servivano un paio di secondi per osservarlo ancora mentre parlava sottovoce con la sua Justine e decidere la mia sentenza su di lui. - E' bravo, musicalmente, davvero molto. Anche se dopo due album mi aspettavo di più da Parklife, avevano avuto il tempo per fare la differenza e invece l'hanno fatta solo in parte. Come persona, non so. Niente di ciò che dice o fa riesce a sottrarmi ad una certa indifferenza che provo nei suoi confronti -. Le mie parole avevano a quanto pare incuriosito Jarvis, dal momento che mi scrutava intensamente, ma un po' confuso. Provai a spiegarmi: - E' un po' come quel vicino di casa, che non vedi mai se non nel vialetto, di cui non te ne frega niente. Di altro posso solo dire che non deve essere un coglione completo -.
- Mmm... chi pensava d'avere un cantante mezzo coglione -. Mi girai d'istinto verso Jarvis, ma lui non aveva proferito verbo e anzi ora guardava alle mie spalle, con un sorrisetto enigmatico: - Non t'avevo notato, Graham -
- C'è qualcuno che lo fa? - domandò alla mia sinistra il chitarrista dei Blur, l'occhialuto Graham Coxon, tutto ingobbito sopra un bicchiere di scotch, che buttò giù impassibile mentre mi fissava negli occhi. Quel tipo di sguardo l'avevo già incontrato in vita mia, e ancora infestava alcuni dei miei incubi. Non avrei saputo sinceramente che dire o fare, ma poi un rumore di sedie che grattavano il pavimento risolse la situazione. Mi voltai in sincronia con Jarvis, e trovai Liam e Damon a fronteggiarsi, malgrado il rumore improvviso però sembrava che stessero discutendo civilmente – almeno per gli standard di Ourkid -, nessuno li stava osservando veramente come noi. Vidi un sorriso comparire sulla faccia di Damon, e stavo già per tirare una frecciata a Jarvis e ai suoi pronostici quando il biondo crollo sopra un tavolino. Questo colse di sorpresa tutti gli astanti. Quel che seguì fu un turbinio di spinte, e il casino generale, una parte della gente che brilla incoraggiava i due contendenti e l'altra che invece tentava di sedare gli animi.
Da dove ero ormai non capivo più nulla di quanto accadesse, alla fine saltammo giù dagli sgabelli tutti e tre, io, Jarvis e Graham. Ci facemmo largo tra la gente che s'era posizionata per istinto – perchè all'essere umano medio piace vedere questo genere di cose – a cerchio attorno ai due contendenti. Qualcuno tirò fuori una macchina fotografica e scattò veloce qualche fotografia.
Quando finalmente arrivai al centro c'era Liam con un occhio che stava prendendo una sfumatura giallastra, mentre Damon pur essendo a terra sembrava in uno stato migliore, i capelli appena un po' scompigliati.
- Su, ragazzi, smettetela! - esclamò Justine, la voce appena un po' incrinata. Un flash nella sua direzione.
- Ripetilo davanti a tutti, Albarn, se ne hai il coraggio – sputò in terra Ourkid, ma Damon si limitò a pulire con la lingua quell'unica traccia di sangue che gli macchiava il labbro inferiore e a continuare a sorridere. Avrei voluto dire qualcosa, ma una parte di me mi frenava dal farlo, e ciò si basava sia sull'espressione di Damon sia sulla mia sopportazione che in quel periodo era arrivata al limite nei confronti di Liam, e pure di Noel, che se ne stava a bere una birra all'interno del cerchio. Loro non erano bambini, ed io non ero una balia.
Liam avvicinò a Damon e lo tirò su per il colletto della camicia, quando gli arrivò un pugno alla tempia, nessuno capì da dove, ma poi gli occhi di tutti si puntarono su Graham Coxon.
- Due contro uno non vale! - esclamò Bonehead e si mise in mezzo nella cerchia, assieme ad un più silenzioso Noel che aveva lasciato rotolare a terra la birra. Non mi trattenni, mi buttai in mezzo pure io. Per una frazione di secondo credetti che il destro di Liam indirizzato a Graham m'avrebbe preso in piena faccia, ma per fortuna Jarvis aveva intuito cosa stesse per succedere e gli aveva afferrato il braccio. Ourkid deglutì, guardandomi negli occhi, i miei sbarrati, già pronta com'ero a incassare il pugno. - In questo cazzo di bar non ci si può bere una Guinness neppure in santa pace – sbottai d'un tratto, facendolo sorridere. Noel e Damon abbassarono la guardia, tutti parvero capire cosa stavano facendo dopo quei cinque minuti di completo blackout, il primo riafferrò la lattina che stava spargendo liquido ovunque e il secondo venne attorniato dal braccio di Justine che premurosa gli tampò un labbro che non sanguinava più. Scattò nuovamente il flash di una macchina fotografica, al che Jarvis mollò la presa su Ourkid, si sistemò il ciuffo castano scuro con un certo aplomb, e prese garbatamente di mano la macchina al fotografo dilettante. - E' una Canon? - domandò rigirandosela tra le mani, mentre fissava il proprietario che non proferiva parola, Jarvis era magro ma per niente minuto e quando voleva con il suo metro e novanta sapeva incutere un certo timore. Poi cominciò a svolgere il rullino, osservando la pellicola controluce – Non sei molto bravo, non vedo niente – commentò arriciando il naso e restituendola. Poi fluttuò via, diretto di nuovo al bancone.


I think I've got a feeling I've lost inside 
I think I'm gonna take me away and hide 
I'm thinking of things that I just can't abide 


Al The Good Mixer preferii la pioggia che cadeva battente da ore su Londra, e alla gente del locale la solitudine del mio appartamento. Stavo facendo l'inutile tentativo di accendermi una sigaretta sotto l'acqua – non ricordavo l'ultima volta che avevo comprato un ombrello – quando dovetti scartare rapida a destra per non andare a sbattere contro Damon, non avevo neppure notato che fosse uscito. Ci scambiammo una strana occhiata, inibiti da quanto era successo poco più di mezz'ora prima, e mi stavo già dirigendo verso l'auto quando lui aprì bocca: - Penso che forse dovrei ringraziare te, se non mi sono preso un bel pugno in faccia -, il tono era indecifrabile, ma il sorrisetto furbo era il suo, quello che aveva irritato Ourkid. Fermai il passo e rigirandomi dissi amichevolmente – No, non penso -, ammiccai, - Tu sei grosso quanto Liam e più agile, avresti potuto evitarlo senza problemi -. Osservai con soddisfazione l'espressione di Damon farsi più confidente, sicura dopo quella sottospecie di complimento, aspettai giusto quel tempo prima di fare il mio affondo. - Come d'altronde tutti gli altri, no? -
I muscoli del viso del ragazzo si congelarono, ma continuai – E' così divertente farsi prendere a pugni? Di sicuro è facile farlo con una testa calda come Liam -
- Aveva insultato Justine, pesantemente – commentò serio, prendendo un sorso dalla birra che stringeva in pugno – Solo perchè avevamo preso per sbaglio il suo posto -.
Gettai a terra la sigaretta ormai fradicia, e risi leggermente: da Liam non mi sarei aspetta nulla di meno. - Non ne dubito – replicai conciliante all'apparenza, senza però smettere di guardarlo con uno dei miei sguardi più freddi. Quella sera avevo scoperto in Damon una persona interessante, ma in una maniera che non ero certa se mi sarebbe piaciuta.
- Cosa c'è? - mi domandò dopo un attimo, quando prima invece era sembrato soddisfatto dalla mia risposta. Era forse un po' nervoso, a volte aveva la naturale propensione ad indisporre la gente con i miei atteggiamenti.
- Cosa gli hai detto? -, spostai il peso da un piede all'altro, la situazione era un po' assurda: io, sotto lo scroscio della pioggia, e Damon Albarn – vincitore di quattro Brit Awards, per dire poco – sull'uscio di un locale a discutere. - Intendo per farti colpire, sappiamo entrambi che persino un coglione come Liam non colpirebbe mai per nulla qualcuno, almeno non in un posto come The Good Mixer – soggiunsi una volta che il sorriso di Damon stava tornando ad affiorare, tarpandoglielo sul nascere. Lui stava per riprendere la parola quando un taxi nero accostò lungo il marciapiede, l'autista tirò giù il finestrino: - Mr. Albarn? Sono il taxi che ha chiamato -, il cantante parve ripredersi dal gelo in cui l'avevo calato e avvicinandosi alla macchina scambiò due parole veloci col taxista, dicendo d'aspettarlo una manciata di minuti. Tornò da me, l'espressione decisamente più rilassata, come se l'idea d'avere il suo mezzo di fuga lì pronto a partire lo rincuorasse un po'. - Tu sei la loro roadie, giusto? -
Feci un cenno di conferma con la testa, questa volta quella spiazzata ero io.
- In tal caso è un vero peccato, una persona come te mi farebbe piacere averla in tour -, lo scrutai bene e, per quanto l'acqua mi impedisse una visuale perfetta, compresi che non si stava facendo gioco di me, avrei giurato che pure lui provava nei miei confronti una certa curiosità. In quel momento uscì da The Good Mixer Justine, probabilmente in cerca del suo fidanzato, e si fermò al riparo sotto la tettoia del locale per non bagnarsi. Damon da qualche metro di distanza le riservò un'occhiata e il sorriso più vero che gli avevo mai visto fare, al che lei sfoderò un ombrello e si diresse immediatamente verso il taxi dove l'autista le aprì la portiera. - Arrivo subito – le aveva mormorato quando gli era passata accanto.
- Dicevo, veramente un peccato che tu stia lavorando con certe persone, Cassandra -. Il mio nome in bocca lui mi fece uno strano effetto, ed ero ancora congelata quando con disinvoltura mi posò le labbra su di una guancia, salutandomi, come se fossimo amici di vecchia data. Mi ritrovai a soffiare a mia volta un saluto e poi a seguire con lo sguardo il taxi che svoltava un angolo.
Quando mi girai trovai inaspettatamente gli occhi di Noel che mi fissavano senza battere ciglio. Prima ancora che uno di noi due proferisse verbo sapevo già come sarebbe andata a finire – conoscevo abbastanza bene il ragazzo, ormai -, e ciò non faceva altro che farmi andare sangue alla testa, più di quanto già non stesse facendo una volta compresi gli atteggiamenti derisori di Damon. Il fatto che poi il cantante non si stesse facendo gioco di me, era solo marginale.
- L'ha chiamato pezzente irlandese – esordì Noel dopo una manciata di secondi.
Annuii, ma dovetti controbattere – Non che lui abbia speso dolci parole per Justine -.
-E poi gli ha sorriso -. Ora, per gran parte della nazione quel sorrisetto che aveva Damon non contava nulla, anzi, era carino, affascinante, le ragazzine ne andavano matte. Ma per noi era diverso, quel sorriso era lo stesso che ti faceva il barista del pub quando tu gli ordinavi qualcosa con l'accento pesante che ti portavi giù da Nord, quello non te lo scolli dopo sei mesi di vivere a Londra, non te ne stacchi mai. Io non sapevo cosa volesse dire essere irlandese, sapevo però cosa significasse essere scozzese, e faceva abbastanza schifo. Siamo un po' la feccia, gli ubriaconi in gonna tartan che son stati abbastanza fessi da farsi colonizzare da dei tizi che sono ancora più fessi. Per cui vittoria agli Inglesi e Dio salvi la Regina e le palle del Principe Filippo. Ad ogni modo, quel sorriso non lo sopporti.
Fu quindi per tutto questo motivo che non trovai nulla da ribattere a Noel, che invece andò avanti consapevole del vantaggio – Tu però te ne stai qui a parlare con quella testa di cazzo -.
- E' simpatico, intelligente, perchè non dovrei? - feci arrogante, attribuendo doti ad Albarn di cui non ero neppure certa, però non mi piaceva quando Noel parlava a sproposito con quel tono paternalistico.- E poi parlo con teste di cazzo come Bonehead tutti i giorni, ci sono abituata -
Strinse le mani a pugno, e avanzò di un passo, lasciando che la pioggia gli si abbattesse in testa e sulle spalle, cominciando ad inzupparlo. - Perchè non voglio -.
Avrebbe potuto dire che era perchè non voleva dopo quel che aveva detto a Liam, invece doveva ribadire la sua egemonia del cazzo. In momenti come quello comprendevo perchè Ourkid odiasse così tanto le manie di controllo di suo fratello. - Oh, 'fanculo – mormorai, abbastanza forte perchè mi sentisse. Non avevo proprio voglia di andare ad impantanarmi in certi discorsi con lui mezzo fatto. Mi girai e presi a camminare, incurante. Qualcosa mi diceva che per un paio di passi mi seguì pure Noel, ma poi gridò – Dove cazzo vai?! -
Continuai a camminare, testa bassa per fendere la pioggia, - A casa! -.

 

I know the roads down which your life will drive 
I find the key that lets you slip inside 
Kiss the girl, she's not behind the door 
But you know I think I recognize your face 
But I've never seen you before 
 

- E quindi, lui ha scritto una canzone intitolata con il tuo nome e tu l'hai ringraziato? -, Gem gesticolava mentre riassumeva quanto gli avevo raccontato negli ultimi dieci minuti. Era un po' perplesso.
- Esatto – confermai.
- Be' – commentò con un'alzata scettica di sopracciglia – almeno sei stata educata -. Mi guardò con quei suoi occhi sorridenti, e dovetti trattenermi per non farlo a mia volta, lui invece scoppiò a ridere, alzando infine gli occhi al cielo.
Avevo detto che sarei andata a casa, ma nel momento stesso in cui l'avevo gridato a Noel sapevo che avrei guidato sino a Chalsea. Così ora mi trovavo seduta per terra, contro la parete di fondo della portineria del palazzo in cui Gem lavorava la notte. L'affitto non lo paghi facendo il cantate degli Heavy Stereo.
- Ti sembra normale? -.
Assunsi la sua stessa aria perplessa, ed alzai le spalle mentre sbadigliavo, comprendomi la bocca con una mano. L'orologio ticchettava sulle tre di notte.
- Tu sei affetta da misantropia terminale, sai? -
- Da che? -
- Il Misantropo di Molière – replicò lui, allungando le gambe sopra il banco della portineria per mettersi più comodo.
- Spiacente, Professor Archer -. Da quando mi stava diventando così intellettuale?
- Non pensar male, è mio fratello quello culturale che si legge tutta quella roba – tentò di spiegarsi – rimane però che tu ami incasinarti la vita -.
- Non mi incasino la vita, mica glielo ho chiesto io di scrivermi una canzone! -
- L'hai sentita, almeno? -
- No – borbottai, senza prendermi neppure la briga di mentirgli dicendo cazzate come la mancanza di tempo per scusa – So che McGee però la voleva come prima traccia del nuovo album, perchè ha dentro un sample delle canzone omonima a esso -
- Morning Glory? - domandò Gem, spiluccando da una ciotola l'insalata che qualche ora prima gli aveva portato lì sua moglie Lou. Mi facevano venire la glicemia da quanto eran affiatati e perfetti quei due, lei era l'ideale controparte di Gem - insomma, proprio l'altra metà della mela, se volete metterla così -, e mi stava decisamente simpatica, foss'anche solo perchè non andava in paranoia per il solo fatto che andassi a trovare suo marito in piena notte. Una volta s'era pure offerta di portare anche a me una porzione di zuppa calda. Le avevo risposto che a me piace la roba che da viva zampetta, cotta al sangue, possibilmente. Forse era a questo che si riferiva Gem quando diceva che sono misantropa.
- What's The Story? Morning Glory. Con tanto di parentesi di mezzo – precisai io, Noel aveva un po' la fissa per le parentesi e la punteggiatura a caso nei titoli.
- Ha ancora di questi problemi? - se la rise Gem, ma io gli restitui solo uno sguardo sottile di sfida, - Saranno tali per te e la tua signora...i problemi sono altri –, soggiunsi poi ripensando alla serata appena passata.
Gem fiutò subito dal tono che qualcosa non andava, ma non domandò nulla, si limitò a guardarmi con quei soliti occhi sinceri che parevano avere il potere di sciogliermi la lingua.
- Tira brutta aria con Damon Albarn e Graham Coxon, assieme ai ragazzi hanno messo su un bel teatrino al The Good Mixer -, gli evitai la restante parte con io che mandavo bellamente a fanculo Noel e la sua arroganza, altrimenti si sarebbe messo a pontificare come quel gran guru delle relazioni che si credeva. E che era, Freud delle mie palle.
Lui strinse un po' le labbra, - Non vi conviene attaccare briga con gente d'altri gruppi, tanto meno i Blur... -, per una volta era povero di consigli illuminanti, mangiò un paio di forchettate di insalata, - Tu che ne pensi? - bofonchiò mandando giù.
Mi strofinai gli occhi, creando davanti a me immagini pscichedeliche prima di riaprirli alla luce al neon della portineria. Ero stanca. - A me basta che non attacchino briga tra loro e che si finisca questo album, i Blur che si fottano -.
- Ah-ahn -, vidi qualcosa sul volto di Gem, e sapevo già che stava per arrivare la solita domanda. - Ci hai parlato? -.
- E' troppo impegnato a sbattersi Meg -
- Brava – commentò – continua a trovare scuse, sai che tanto ormai non torni indietro -
- Grazie -, gli risposi appena un po' irritata, anche se con lui avevo imparato che era praticamente impossibile esserlo. Almeno però ora non si sarebbe arrischiato più in là.
- Cass -, mi fissò dritto negli occhi, davvero enigmatico, troppo – ti voglio bene, lo sai? - domandò serio.
Rimasi dubbiosa, indecisa quasi se scoppiargli in faccia a ridere, alla fine comunque mi appiatti solo un po' di più contro il muro e mi lasci scivolare fuori un paio di sillabe, – Bene -.
Gem sorrise, come di fronte a qualcosa di tremendamente spassoso, - Interessante – disse.
- Cosa?! -. Odiavo quando mi prendeva in giro, non potevo neppure insultarlo perchè lo faceva sempre in una maniera un po' velata, tutta sua.
- Niente -.
Lo guardai torva, - Colin? -
- Sì? -
- Bruca, Colin, bruca che è meglio -. Almeno per me.

 

Don't ever stand aside 
Don't ever be denied 
You wanna be who you'd be 
If you're coming with me 

A registrare l'album ci trovavamo a Monmouth, ai Rockfield Studios spalleggiati sempre dal fido Owen Morris, che già c'aveva salvato la pelle durante le sessioni per Definitely Maybe, che faceva da produttore assieme a Noel, che lo faceva sia per dar sfogo alle sue manie di controllo che per smanettare coi mixer – cosa che lo divertiva oltremodo -. Da subito era stato qualcosa di... idilliaco! Sapevo di star assistendo a qualcosa di grandioso, in quei giorni stare in studio era come essere davanti al cantiere in cui si stava erigendo la Tour Eiffel: un ammasso di metallo, ma quando fosse stato ultimato si sarebbe eretto in tutta la sua bellezza. Tutti respiravamo quest'aria e ne eravamo influenzati positivamente, tanto che – fatti due calcoli, sì, so contare – avevo visto che stavamo registrando qualcosa come una canzone ogni ventiquattr'ore. Ok, i ragazzi erano supportati da anche un'ingente quantità di alcool e quella buona striscia di coca o due che non mancava mai, ma lì si trattava di musica. Musica e basta, tanto quanto mai prima.
E la musica che stavamo facendo suonava davvero forte, ascoltavo le tracce appena incise e capivo che il CD che ne sarebbe uscito sarebbe stato il più “rumoroso” di sempre, dato che Morris usava una compressione del suono molto pesante. Tornavo in albergo la sera e le orecchie mi ronzavano come se avessi avuto uno sciame d'api impazzito al posto del cervello, fastidioso sì, ma chi ha mai provato a tornare da un concerto dopo essere stato vicino agli amplificatori sa anche quanto quel ronzio potesse essere piacevole. In un certo senso, era come se quell'album non mi lasciasse mai, era sempre lì nelle orecchie a risuonare.
Noel non penso che si rendesse conto della musica che stava scrivendo – non all'epoca, almeno -, se lo avesse fatto sarebbe stato molto più arrogante di quanto non fosse già, o non fosse Liam. Io non glielo dissi mai quanto apprezzassi le sue canzoni, forse perchè non ce ne era neppure bisogno: potevamo litigare quanto volevamo, ma quando veniva il momento di suonare tutto il resto perdeva d'importanza. 'Fanculo Meg. 'Fanculo tutto il resto. Una sera, ad esempio, Noel si mise su di una sedia imbracciando una nuova e fiammeggiante Gibson acustica, una sigaretta accesa nella stessa mano del plettro. Nella stanza c'eravamo io, suo fratello, Morris, e McGee che si faceva vedere abbastanza spesso, come era giusto che fosse dato che gli Oasis eravano il suo miglior cavallo da corsa, il purosangue – il che mi faceva rabbrividire se pensavo a cosa era successo agli Stone Roses -. Comunque, The Chief ci disse che la canzone che ci voleva far sentire aveva intenzione di metterla come lato B per un prossimo singolo, che nell'abum non ce la vedeva. McGee alzò un sopracciglio, un po' annoiato da quelle chiacchiere, così Noel prese a suonare e quelli che seguirono furono alcuni dei minuti del silenzio più religioso che mai sentii in vita mia, solo la sua voce e la sua chitarra regnavano sovrane. Quando finì io ero completamente senza parole. - Com'è? - domandò Noel. Non potevo certo descrivergli lo sfarfallio che avevo nello stomaco, per cui chiusi gli occhi e cercai di riportarmi indietro a quella melodia e basta. - Quanto su 10? - continuò lui, chiedeva sempre di dare un punteggio da uno a dieci per sapere quanto fosse buona una canzone, ma neppure McGee pareva aver il sentimento di dargli una risposta – possibilmente troppo impegnato nel calcolare quanti soldi avrebbe guadagnato grazie a quell'hooligan di Manchester, e se era ancora in tempo a chiamare nei Caraibi per comprare quella villa sulla spiaggia che vista in vacanza gli piaceva così tanto -. Noel era quasi perplesso, sino a quando però Liam s'alzò in piedi con un ruggito e lo abbracciò, stritolandolo, gli scompigliò i capelli – per fortuna, il fratello era ancora troppo basito per protestare -, e gli fece: - Lascia che ti dica una cosa, amico, questa canzone è bella quanto può esserlo una dei Beatles; cazzo, neanche lo sai, quanto sei bravo -. Noel per tutto il tempo era rimasto a fissare il pavimento, timido, aspirando una boccata di fumo.
Liam infine si girò pure verso di noi, esaltato, e per ribadire il concetto come se noi non fossimo stati dotati di orecchie, esclamò – Ed è un brano da lato B! -
Purtroppo non tutti i giorni potevano essere così, le prime tensioni erano nate perchè Noel voleva cantare una canzone tra “Don't Look Back In Anger” e “Wonderwall” - strano titolo, eh? - , ma Liam era contrario, aveva detto che lui cantava di merda così il fratello maggiore non aveva esitato a controbattere che non era certo lui quello che non riusciva a prendere giusta neppure una nota alta. Qualcuno aveva provato a calmare Ourkid dicendo di lasciare a Noel almeno “Wonderwall” dato che l'aveva scritta per Meg, ma alla fine fu proprio Liam a cantare quest'ultima dato che The Chief si era mostrato davvero soddisfatto delle sua prova sulla canzone. L'ascia di guerra sembrava esser stata seppellita, ma come avevo detto a Gem, la cosa che più dovevo temere non erano altre band, ma l'autolesionismo dei fratelli.
Me ne stavo nella sala comune degli studi di registrazione, in mano una tazza di tè fumante a scaldarmi le palme, mentre alla tv stavo assistendo a un funerale su di un canale irlandese. Di solito non guardavo mai quel genere di cose, ma quel giorno si pagava tributo al mai abbastanza compianto e ricordato Rory Gallagher – che non era parente dei nostri Caino e Abele -, la miglior cosa che fosse mai capitata ad una Stratocaster, scusa Jimi. Ero davvero molto presa dall'inizio delle esequie, e fu per questo che non m'accorsi subito dei rumori che provenivano dalla sala di registrazione, m'alzai rapida e abbandonai la tazza sul televisore.
- Sai che ti dico? Vaffanculo! - sbraitò Liam, le vene del collo che gli pulsavano a fior di pelle.
Noel tentava di mantenere ancora la calma ma c'erano poche cose come solo suo fratello che sapevano mandarlo in bestia così. - Pensavo avessimo già discusso di questo – disse a denti stretti – William -. Cazzo.
- Cantatele tu le tue fottute canzoni, allora! Non ti servo! -
- Dove minchia vai, brutta testa di cazzo?! - Noel lo rincorse per un paio di passi ma Liam aveva già sbattuto la porta e se ne era andato. Lo sguardo che poi Noel gettò su tutti i presenti nella stanza fu glaciale, nessuno osò dire nulla, neppure io, che decisi saggiamente – o così mi consigliò il mio spirito di conservazione anche se uno opposto mi diceva di rimanere – di tornare nella stanza comune. Mi accompagnarono le prime note del pianoforte di Imagine, nella testa ancora l'espressione da bambino deluso e tradito di Liam.
Mi svegliai all'improvviso per via di alcuni schiamazzi, rimasi sospesa per qualche secondo in quel limbo dove non capisci neppure dove sei. Il cielo fuori dalla finestra era buio, il televisore era ancora acceso anche se il funerale di Rory doveva essere finito da ore, ed io mi dovevo essere addormentata subito di quello. Mi stropicciai e le mie orecchie vennero riempite nuovamente da quel vociare che m'aveva risvegliata, il tempo del limbo era finito, sapevo che non si preannunciava nulla di buono. Per la seconda volta in quel giorno mi ritrovai a fare di corsa il corridoio che portava dalla sala comune a quella registrazioni, con mia somma sorpresa quando però spalancai la porta trovai la stanza occupata da un gran numero di persone più o meno brille – cazzo, nessuno m'aveva avvisato che c'era un rave party! -. E ovviamente l'organizzatore era Liam – tipico -. che più ubriaco di tutti e rumoroso stava cercando di far innervosire Noel, che con la chitarra ancora a tracolla e uno sguardo assassino lo fronteggiava.
- Ho pensato di invitare un paio di amici incontrati al pub in città – sorrise mefistofelico, aspettando una reazione – leggasi pugno in faccia -, che però non arrivò per cui continuò – Problemi? -. Noel si accese una sigaretta, le mani che gli tremavano per la rabbia repressa. - Owen, caccia fuori questa gente, subito – ordinò al produttore che era entrato un momento dopo di me, questi annuì e cominicò a cercare di far scemare tutta quell'ammasso di persone vocianti, eccitate e semi-ubriache.
Il primo ad uscire dalla porta fu però Noel stesso, che mi passò accanto borbottando, forse più a se stesso che a me, - Ho bisogno di un tè -. Anche se da come l'aveva detto suonava molto più come un “ho bisogno di una mannaia per affettare quel bastardo”, un secondo dopo decisi di andargli dietro, ma nel corridoio venni spinta e poi superata da Liam di corsa. Cominciai a correre pure io, quando arrivai sulla soglia della sala comune però i due erano già avvinghiati a terra che se le stavano dando della buona. Merda, merda e merda.
Liam era sopra e stava avendo la meglio, e per un attimo pensai che non c'era nulla da fare e che anzi era forse meglio se avessero buttato fuori tutta la rabbia che avevano accumulato in quei giorni l'uno nei confronti dell'altro, poi però Noel da terra afferrò una mazza da crickett che se ne stava appoggiata ad una parete e senza remore l'abbattè sulla schiena del fratello, che cedette di peso e lo lasciò libero di tirarsi in piedi. Senza neppure accorgemene mi ero portata una mano alla bocca, la cosa stava decisamente degenerando, dal corridoio provai a chiamare Bonehead e Whitey. Mi rigirai.
Liam dal pavimento aveva tirato una caviglia a Noel che era crollato di nuovo e si trovava sormontato di nuovo da Ourkid, fece mulinare ancora la mazza di legno e colpì la mano dinistra del fratello che chiusa a pugno gli stava per arrivare addosso. Scricchiolio d'ossa, Liam tirò un ululato di dolore.
Una manciata di secondi dopo arrivarono sulla soglia richiamati da quel grido i ragazzi, e subito dietro di loro fece la sua comparsa in scena Paul Weller, che era venuto per jammare un po' su The Swamp Song, e col suo solito aplomb disse – Temo d'essere capitato in un brutto momento -


I think I've got a feeling I've lost inside 
I think I've got a feeling I've lost inside 
I think I've got a feeling I've lost inside 
I think I've got a feeling I've lost inside 


Premessa: ci sarà qualcuno che saprà com'è andata a finire la Battaglia del Britpop, per cui sappiate che ho fatto apposta a chiamare questo e non il prossimo capitolo Roll With It u.u (perdonatemi il ragionamento sconclusionato)
Un po' di facts: Jarvis Cocker è l'amabile e pervertito cantate/autore dei Pulp, che sono un po' meno famosi ma sono stati importantissimi nel panorama britannico http://www.youtube.com/watch?v=yuTMWgOduFM&ob=av3n questa è la loro Common People (consiglio tutto il loro "Different Class" :DD)


Gli altri due incontrati al The Good Mixer sono Damon e Graham dei Blur, e dalla foto si nota davvero poco come non andassero d'accordo con Noel e gli Oasis

L'ultimo personaggio presente in questo capitolo è Mr. Paul Weller (l'avrò già citato? mah) http://www.youtube.com/watch?v=x3HGxcZTsBw <-- la sua English Rose
Per capire qual'è dalla foto andate ad esclusione xD

Che posso dire...mmm.. il The Good Mixer esiste, Gem lavorava davvero come portiere e purtroppo la scena della mazza da crickett è vera, pensata che la mazza l'hanno venduta all'asta poco tempo fa, però è vera pure la storia di Noel che suona la B-side e Liam che gli fa i complimenti, e giusto per dirlo quella B-side era The Masterplan, mica palle xD
Questo capitolo lo dedico a Don't Look Back In Anger, a Don't Go Away (entrambe compiono gli anni oggi ^^) e soprattutto a Rory Gallagher http://www.youtube.com/watch?v=lUv-4dNX6Jw a cui, sinceramente e in my opinion, qualsiasi altro chitarrisa fa una pippa in quanto a carica emotiva u.u
Quando Cass parla dell'essere scozzesi è una sorta di parafrasi di un pezzo di Trainspotting che adoro :) lo stavo per vedere per la terza volta, per cui ero "leggermente" influenzata xD Voglio ringraziare le mie fedeli recensitrici: GreenStar90, Misa, Jade Blues e Cloudburst, ma anche coloro che hanno aggiunto la storia ultimamente: halftheworldaway e Acquiesce. Thanks :D
Beh, non mi rimane che dire Cheers^^

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Hey Now! ***


I hitched a ride with my soul
By the side of the road
Just as the sky turned black
I took a walk with my fame
Down memory lane
I never did find my way back


Erano passate quasi tre settimane e tutto quel che era successo si poteva riassumere in una singola parola: niente. Il niente sovrano. Anche se un polso rotto per Liam devo ammettere che era stato un bell'exploit, prima di quella distesa di apatia che furono i giorni seguenti alla sua lite con Noel.
Fissavo il bollitore elettrico, senza neppure accorgermi che l'acqua al suo interno si stava agitando già da diversi secondi, quando alla fine Noel si decise a spegnerlo con un click che mi riportò alla realtà. Sbadigliai, trascinando un'occhiata per scandagliare senza scopo ogni centimetro quadro dell'appartamento in cui vivevo – più che altro una tana in cui avevo rigurgitato oggetti quotidiani e memorie di un passato che doveva essere ancora cestinato -, e stavo ancora indugiando con vago disappunto sui mobili scompagnati quando mi venne versata una tazza di tè. Non fosse stato per il caldo che dalle tapparelle abbassate provava ad espugnare la stanza avrei detto che era inverno. Altro sbadiglio.
Noel mi sedette esattamente di fronte, e con un gesto che mi parve insolito, allungò una mano per scostarmi il ciuffo – sulle punte ancora qualche ciocca di azzurro – dal viso. Notai con una certa soddisfazione che sulla destra portava ancora il suo Claddagh Ring con la punta del cuore rivolta all'esterno.
- Che c'è? - mi domandò.
- Noia – risposi, mentre mandavo più a fondo con il cucchiaino la bustina di tè. Lui si spinse indietro contro lo schienale della sedia e si stiracchiò, con un certo fare felino, data l'espressione sorniona, - Dimmi -. Io lo guardai. - Secondo te cosa significa Wonderwall? -
Cazzo, Noel che iniziava coversazioni, questa me la dovevo segnare...dove accidenti sono i calendari quando servono?!
- Non sono un critico musicale – feci, un po' incuriosita dalla situazione.
- Non parla di Meg, lo sai, vero? -.
Wow, ora sperimentava pure con le domande retoriche! - Non è facile dire alla propria donna che una canzone non è su di lei, quando tutti gli altri lo credono, eh? -, ero abbastanza divertita ora, punzecchiarlo sulla bionda era una delle mie attività predilette, principalmente perchè non sapevo mai esattamente come avrebbe reagito Noel. Il che mi intrigava.
Lui sbuffò, sapeva che lo prendevo in giro. Ma poi mi diede una delle sue occhiate serie, quelle di quando vuole davvero una risposta e sa che la otterrà, allora usai l'arma tattica di prendere una sorsata di tè, giusto per avere il tempo di riflettere un secondo e lui per tutto il tempo non mi staccò gli occhi di dosso.
- Wonderwall –, cominciai, – è quell'amico che magari neppure esiste, ma che sai che verrà e ti salverà. Soprattutto da te stesso -
Mentre parlavo lui s'era alzato dal tavolo ed era andato a stravaccarsi sul divano, una gamba che pendeva dal bracciolo, il che m'aveva costretto a seguirlo con la testa, in una maniera quasi contorsionistica. Che bastardo.
- Nient'altro? -
M'alzai pure io e cominciai a cercare le chiavi della macchina che dovevano essere lì da qualche parte – in quel casino cosmico -, avendo la netta sensazione che Noel mi stesse fissando, seguendo ogni mio singolo movimento.
- Oh, be' –, interruppi il mio girovagare di botto quando trovai le chiavi, - dimenticavo, se mai la pubblicherete come singolo, renderesti più facili le dichiarazioni d'amore di un'intera generazione di teenagers brufolosi e con l'ormone impazzito – conclusi veloce, mentre mettevo la mia tazza nell'acquaio. Ero di spalle ma sapevo che Noel doveva avere un'espressione perplessa, era l'effeto che gli facevano quella mia sorta di complimenti alla sua capacità componitiva, misti a una grande quantità di nonsense. Difatti ci fu un secondo di silenzio, ma poi potei quasi essere in grado di sentire il ghigno che si formava sulle sue labbra: - Anche tu sei una teenager – osservò. Fanculo, pochi mesi e basta. Ma indubbiamente avevo ancora diciannove anni, per cui stetti zitta e andai verso la porta.
- Dove vai? - fece spiazzato Noel, che non aveva registrato veramente i miei movimenti precedenti
- A rendermi utile –, stavo per chiudere la porta quando tornai un secondo sui miei passi, - Chiudi a chiave quando te ne vai – aggiunsi – e lava la tazza prima -. Non feci quasi neppure in tempo a cogliere l'espressione sempre più perplessa e di disappunto di Noel.

You know that I gotta say time's slipping away
And what will it hold for me
What am I gonna do while I'm looking at you
You're standing ignoring me


Era pomeriggio tardo quando arrivai in Galles e il sole, per quanto ancora alto in cielo, era pallido e spento, per cui la casa davanti a cui parcheggiai mi apparve ancora più tetra e grigia di quanto non fosse realmente. Spinsi la porta a vetri, senza stupirmi che del fatto che fosse aperta – quando rientri a casa ubriaco non è già diffcile centrare la toppa per aprire, figurarsi avere culo due volte per chiudere anche -. Le luci dentro erano spente, e passando davanti alla cucina scorsi un sandwich mezzo mangiato che era segno inconfondibile della presenza di un certo inquilino. Allaungai la strada verso le scale per prendere il panino e finirlo, cosa che avrebbe fatto Noel, se solo fosse stato con me, questo pensiero mi riportò alla mente il motivo della mia visita; salii le scale ricoperte di moquette sino alle camere da letto, ed entrai nell'unica che aveva la porta completamente chiusa.
- Ti dispiace chiudere le persiane completamente? -. La stanza era praticamente al buio, c'era solo qualche lama di luce che filtrava dagli scuri socchiusi, ma a quanto pareva era indesiderata. - Aspettavi l'arrivo di qualcuno per chiudertele o pensavi di alzare il culo prima o poi, Liam? -, domandai al ragazzo che se ne stava accucciato contro il muro, mentre eseguivo la sua richiesta.
- Qualcuno prima o poi si sarebbe presentato -, borbottò predendo una boccata di fumo, che dopo esser stato esalato andò ad accumularsi assieme a quello di molte altre sigarette a livello del soffitto. - Anche se, personalmente, avrei puntato più su Russell -.
- Be' -, spalancai le braccia, - sorpresa! - esclamai sarcastica. Liam mi fissò con occhi dalle pupille estremamente dilatate – e non penso fosse solo colpa del buio -, aveva una strana aria da cucciolo indifeso. Mi inginocchiai per essere alla sua stessa altezza visiva, - Dov'è finito il gesso? - gli domandai con tono ingentilito, sfiorandogli appena il braccio, che per istinto lui ritrasse involontariamente. Poi però fece subito spuntare un sorriso sghembo e spavaldo, - L'ho tagliato via subito la sera dopo che me l'hanno messo, mica potevo andare al pub con quel coso! -. Tipicamente Ourkid.
Non mi presi neppure la briga di dirgli qualcosa, conscia che sarebbero state parole gettate nel cesso e che tanto Liam la stava già pagando con il dolore che di certo provava, per quanto potesse attutirlo con l'acool e le droghe. Lui mi guardò vacuo ancora per qualche secondo, infine con sforzo mal celato si tirò in piedi, e si cavò di dosso la maglia. Gettò quell'ammasso puzzolente sul letto. - Potresti farmi il favore di dirmi quel che mi devi dire? Così poi almeno vado al pub – mi disse con un'occhiata storta.
- Ok, avrei voluto farti un discorso molto ispirante, ma dovrò ridurre il tutto a un: muovi il culo, mettiti d'accordo con quell'altro coglione e torna a cantare -
Trovò una maglietta che gli andava a genio sul fondo della cassettiera e la indossò con impensabile destrezza, dopodichè mi applaudì un paio di volte, - Perfetto, vado al pub – commentò. Eppure rimase lì fermo dov'era per una manciata di secondi, così quando poi si girò io non poteri non richiamarlo, perchè avevo visto quello sguardo che avevo già incontrato durante le registrazioi per Definitely Maybe. - Hey! Ora non si torna indietro, idiota! Tira fuori le palle o sarà tutto perduto, il primo album avrà pure fatto record, ma di qui e un anno non si ricorderà più nessuno di voi. Il tempo è infame e non aspetta nessuno, neppure te -, feci una pausa per prendere un po' di respiro – Liam - . Al che lui tornò verso di me, e per l'ennesima volta mi trovai a fissare quegli occhi verdazzurri, - Bene -, mi prese gli occhiali da sole appesi alla scollatura della t-shirt – Me li presti, vero? -. Ero basita mentre lo guardavo camminare fuori dalla stanza con quella sua andatura. Forse pensavo che le mie parole avrebbero funzionato davvero, e invece ora mi ritrovavo a credere che Liam a volte fosse fin troppo rock star, che si fosse calato sin troppo in quei panni, lui faceva show anche quando non c'erano telecamere accese. Magari era vero che c'era nato per questo genere di cose.
Dalla finestra lo segui mentre s'allontava a piedi verso la città, o meglio, il pub più vicino. E per un attimo mi assalì la paura che finesse come Rory Gallagher, ammazzato da un fegato che lui stesso aveva provato ad affogare. Mi scossi via con un brivido quel pensiero e mi concedetti di ricadere sul letto. Girai la testa e mi ritrovai di fianco la maglia male odorante di Liam. Merda.
Mi svegliai con dei vaghi rumori, era tutto buio e dovevo aver dormito per ore, quando i miei occhi si abituarono alla mancanza di luce un'ombra mi apparve più consistente delle altre. Fruscio di vestiti, il rumore metallico della cintura che cade per terra. Liam si sdraiò accanto a me sul materasso, si rigirò a pancia in su. - Io non sarò dimenticato – disse con voce meno impastata di quanto mi aspettassi – Io vivrò per sempre -. Liam non cercava conferme, lui lo sapeva e basta. E lo sapevo anche io.
Anche per questa volta il pericolo era stato scampato, due giorni dopo ci trovavamo in quella specie di limbo che è una sala di registrazione.

I thought that I heard someone say now 
There's no time for running away now
Hey now! Hey now!


Il lavoro sull'album riprese a tempo di record, e senza ulteriori intoppi le sessioni terminarono, i due fratelli, una volta riappacificati erano pure parecchio affiatati. In effetti erano state profetiche le parole di Bonehead, che dopo il litigio aveva detto che sarebbe tutto tornato come prima, che coi Gallagher ci voleva solo tempo, pazienza, e molte sigarette durante l'attesa. Ed io probabilmente, negli anni a seguire non avrei mai cambiato quel metodo. Tutto sarebbe andato a posto, bastava aspettare. La post-produzione venne fatta a Londra, di modo che tutti noi potessimo tornare in quella che ormai era casa.Era di nuovo tutto perfetto, anzi più che perfetto se si pensava che nell'ultima canzone dell'album faceva comparsa con chitarra e voce Weller. C'erano momenti incui mi sembrava normale una cosa del genere, che fosse nell'ordine naturale delle cose avere il Modfather a due centimetri di distanza e occuparsi delle sue chitarre. Una volta m'era capitato di passare un pomeriggio afoso da sola, chiusa in casa, e a ripensare a quell'episodio mi venne quasi da ridere: dal riparare le chitarre nella periferia di Manchester a presenziare a una jam session con Paul Weller. Che pazzia. E allora mi chiedevo cosa pensassero Liam o Noel, da costruttore di recinzioni e operaio a rock star. Che fottuta pazzia. Per lo più però questa idea non sfiorava però il cervello di nessuno, eravamo troppo presi a viverla quella pazzia. Stavamo sognando e non volevamo che nessuno stronzo ci svegliasse, era troppo bello quello che vedevamo ad occhi chiusi.
La normale amministrazione di quei mesi estivi da festival – Glastonbury e Roskilde in Danimarca su tutti – fu pervasa da un'atmosfera di inquietudine crescente dettata da due schieramenti che si andavano formando, però. Oasis contro Blur. Nord contro Sud. Gli operai attaccabrighe contro i fricchettini da college. Caino contro Abele. Io la trovavo una cosa assurda, non tanto perchè fossi una pacifista o non volessi essere di parte – nel profondo dell'anima ero una Northerner e i miei pregiudizi li tenevo stretti, sopratutto dopo un paio di pinte -, ma semplicemente da un punto di vista musicale non credevo si potessero comparare le due cose. Era assurdo, ma alla gente piacevano le cose assurde e se quindi all'inizio era una cosa che era stata palesemente messa su dai giornali per vendere – e non avevo una laurea in marketing per capirlo -, ben presto parve che l'idea di uno scontro intranazionale fosse nato spontaneamente dal popolo. E così le notizie sui due gruppi più chiacchierati di Gran Bretagna erano sempre più ricorrenti in giornali e telegiornali, tanto che mi trovavo ad essere attorniata dal sorrisetto di Damon che ammiccava da un'edicola o dall'espressione arrogante di Liam che mi fissava dalle pagine del Daily Mail pure quando ero al cesso. La cosa m'avrebbe potuto fin dare sui nervi per quanto era stupida, ma alla fine tutto ciò era pubblicità, la migliore che Marcus Russell avesse mai potuto desiderare, e oltretutto era senza sforzo. Per cui io mi limitavo a vivere passivamente la cosa, tutt'al più a riderci sopra con Gem che, data la sua estrema e proverbiale saggezza, trovava ridicola la faccenda.
Noel e Liam erano troppo al centro della questione perchè gli importasse se la rivalità era stata creata a regola d'arte dai giornali o se era voluta da quello che ormai sembrava essere il loro popolo; per natura e grazie i precedenti avvenuti in un certo locale, si limitavano a odiare in maniera genuina i Blur. E più di tutti Damon e Alex James, il bassista dal ciuffo perennemente davanti agli occhi che aveva scalzato Graham Coxon nella lista nera dei Gallagher.
Poi nel caldo appiccicaticcio degli inizi d'Agosto il fenomeno esplose, stavo parlando con un roadie della Food Records quando venne fuori che i Blur avevano intenzione di posticipare l'uscita del loro singolo, Country House. All'inizio non ci credetti, se fosse stato così...no, era stupido... sarebbe uscito nella stessa settimana del nostro singolo. Due giorni dopo i giornali del settore e non, annunciavano che Country House sarebbe stato rilasciato sul mercato il 14 d'Agosto, esattamente lo stesso giorno di Roll With It, la canzone che Noel aveva scelto come secondo singolo. Tutto ciò oltrepassava l'assurdità, se fossero usciti i singoli in settimane diverse, pure adiacenti, la prima posizione sarebbe stata garantita per entrambi, invece così ora sarebbe stata battaglia aperta. E fu proprio così che la chiamarono i giornalisti: Battaglia del Britpop.
Se prima avevo pensato che alla cosa stessero dando dimensioni spropositate, nei giorni immediamente precedenti all'uscita dei singoli, essa crebbe a dismisura. Mentre sui tabloids si parlava della gente che veniva ancora ammazzata in Bosnia o di Saddam Hussein che a quanto pareva aveva voglia di giocare con il nucleare, le testate giornalistiche riuscivano ad infilarci dentro pure le ultime news su Oasis e Blur, il tutto condito con vari pronostici e analisi. Persino la BBC ne parlava, dando delle specie di bollettini di guerra giornalieri. Ci mancava solo un inviato al fronte, cazzo, magari avrebbero ben pensato di mandare un cronista a Burnage, non mi sarei certo più stupita, in effetti lo fecero. E be', la gente andava matta per tutta quella roba.
Un paio di giorni prima dell'uscita mi trovai a leggere una copia di NME da cui occhieggiavano sia Liam che Damon, “Campionato Britannico dei Pesi Massimi”. A quanto pareva si stava arrivando all'Armageddon, e chiusi la rivista lanciandola nel cestino della sala comune alla Creation, ero ormai quasi esasperata da quei volti e da quelle parole così ricorrenti. Era inutile sprecare così tanto inchiostro su una faccenda tale, le vendite avrebbero parlato da sole.
Io ero indifferente, Liam baldanzoso, McGee in uno stato di fibrillazione ansiosa, Marcus Russell paranoico e Noel semplicemente aspettava, determinato.
Il giorno dell'uscita arrivò e – sorpresa, sorpesa - il mondo non esplose, la Regina non morì e non accadde nulla di tanto catastrofico o sconvolgente come quello a cui sembrava che i giornali si stessero preparando.
In mezzo a tutto quel casino però trovò spiraglio un po' di sano cazzeggio in stile Gallagher, qualcuno in seguito avrebbe poi detto che quella era contestazione, che era ribellione nei confronti del sistema musicale britannico e un sacco di altre cazzate. Quel che vi dico io è però che quanto accadde il 17 Agosto negli studi di Top Of The Pops non fu altro che pura coglionaggine e voglia di farsi una risata alle spalle degli organizzatori del programma.
Entrai nel backstage di TOTP dopo che ero andata a farmi una sigaretta con altri della crew e capii che qualcosa non andava, forse il fatto che Liam stesse indossando la tracolla con annessa chitarra di Noel. Era un'immagine strana e parecchio ridicola quella di un Ourkid a stretto contatto con uno strumento diverso da un tamburello – a volerlo elevare a quel grado -.
- Cazzo fai? - gli chiesi, a metà tra il riso e la preoccupazione. Lui mi guardò placido, continuando a strimpellare accordi inesistenti.
- Mettila giù prima di far danni e far incazzare Noel – continuai, ma in quel momento il diretto interessato mi sfilò davanti dicendo che era ora d'andare, senza scomporsi alla vista del fratello minore che aveva deciso di rubargli il posto. - Ma che...? - balbettai appena, avrei giurato però che da dietro le lenti scure degli occhiali da sole Noel mi fece un occhiolin, allo stesso tempo delle voci dallo schermo che era appeso dietro le quinte mi fecero voltare. Erano Robbie Williams – in stile rapper con maglia da basket - e la presentatrice – una con la faccia da stordita - che annunciavano la prossima band che si sarebbe esibita in studio. L'immagine di Noel che alzava in aria il tamburello, strigendo una mano al microfono mi fece quasi piegare in due dalle risate, che intanto stavano rimbombando più o meno in tutta la stanza, feci uno sforzo per rimettermi in posizione eretta e asciugarmi le lacrime che mi offuscavano la vista, solo per poter vedere Noel che iniziava a cantare con voce che assomigliava decisamente troppo a quella di suo fratello, e muoversi con atteggiamenti che a lui dovevano sembrare da figo, da vero frontman. Liam nel frattempo si muoveva a ritmo di musica, suonando una chitarra che per fortuna dell'apparato uditivo di tutti i presenti era scollegata.
Se l'effetto del playback non fosse stato chiaro a qualcuno, Noel pensò bene pure di mostrare la propria lingua al pubblico mentre il cantato fuoriusciva ancora dalle casse. La cosa divertente era che la gente che assisteva in studio era ancora lì a comportarsi normale, cosa che trovavo incredibile quando io e i miei astanti a mala pena ci reggevamo in piedi. Mi stavo quasi per riprendere quando arrivò l'assolo di chitarra. Fatto da Liam. A quel punto cedetti del tutto e mi lasciai ad una risata perputua, accompagnata da Guigsy dallo schermo che come evidentemente non ce la faceva più a mantenere un vago contegno. Adoravo quei coglioni.
Quando finalmente tornarono tutti nel backstage io non m'ero ancora ripresa dai dolori a muscoli addominali, e da quanto mi dolevano avrei pensato che non sarebbero mai più tornati alla normalità. Noel con nonchalanche si sfilò gli occhiali, - L'ho sempre detto che avevo la stoffa del frontman -.
Quel pomeriggio poi quando infine terminai di caricare assieme agli altri tutta la strumentazione, e come ogni altro giovedì decisi di andare a fare un giro per Londra alla ricerca di un negozio di CD in cui entrare e girovagare senza un preciso intento. Finii per trovarmi nella centrale Soho, e poi in Berwick Street. Forse il mio cervello mi ci aveva trascinato perchè era ancora memore della scampagnata alle quattro e mezza del mattino che m'ero dovuta fare un paio di settimane prima per scattare l'immagine per la copertina dell'album. Brian Cannon, colui che si occupava dell'artwork, e Noel avevano scelto quella via dopo una piccola ricerca, e che ne dicesse The Chief, la scelta era caduta su quella perchè la Berwick era d'angolo con Noel Street. Egocentrico, altro che sentore urbano. Ancora mi domando con quale sforzo di volontà sia uscita dal letto per andare a recuperare il dj Sean Rowley e portarlo sul luogo per fare le foto, che furono ben trecento. Avrei voluto poi uccidere Cannon quando fu scelto per la copertina il primo scatto fatto.
L'unico lato positivo di quella mattinata fu che scoprii un negozio di dischi proprio in Berwick, erano mesi che abitavo a Londra, ma viaggiavo sempre e quando non lo facevo tendevo a tenermi a distanza dal centro della città. Entrai da Reckless Records, lasciandomi dietro lo scampanellio della porta, e mi aggirai dapprima senza una vera e propria meta, se non la ricerca di qualcosa che mi stuzzicasse la vista e la curiosità. Poi però i miei occhi temporeggiarono su di un disco che conoscevo sin troppo bene, con quella foto scattata sulla spiaggia, dei ragazzi con cappotti scuri che guardano diversi televisori piantati in mezzo alla sabbia. Presi in mano Roll With It, con un ghigno lo rigirai, tanto per sincerarmi che Noel non avesse piazzato tra le B-side un altra canzone in cui venivo tirata in causa, ma quelli che trovai furono solo i nomi familiari di It's Better People, Rockin' Chair e Live Forever. Rimisi giù il disco, ma poi continuai a fissarlo. Ero tentata di prenderlo. Alla vecchiai maniera? Infilandomelo in tasca, sperando che nessuno mi beccasse? A volte mi mancavano le cose che facevo nella vecchia buona Manchester.
Alla fine decisi di prendermelo, mi diressi verso l'uscita, ma prima deviai per la cassa. - Compro questo – dissi con aria allegra al proprietario del negozio.
- Anche tu ti schieri in questa Battaglia? - domandò lui, mentre mi metteva il CD in un sacchetto.
A quanto pareva sì.

Feel no shame - 'cause time's no chain
Feel no shame


58.000 era il numero di dischi di differenza fra quanto avevano venduto i Blur e gli Oasis. Abele alla fine aveva ammazzato Caino. Quando la notizia mi raggiunse tramite televisione, mi trovavo al pub sotto casa mia a bermi una birra in tutta tranquillità; la prima cosa che feci fu di tirare giù una sfilza di imprecazioni mentre la maggior parte dei presenti nel locale invece esultavano, perchè alla fine la parte d'Inghilterra che contava, aveva contato anche questa volta.
Presi la metro, sapendo d'essere troppo incazzata per guidare – l'avessi fatto, avrei messo in pericolo tre quarti di Londra – e raggiunsi Camden. Quando entrai senza bussare, trovai Noel seduto al tavolo in cucina, a fumare in solitudine, una bottiglia di whiskey che stava già pericolosamente a metà.
- Penso che dovrei tornare a Manchester – disse continuando a fissare la parete davanti a sè, senza levare lo sguardo su di me.
Scoppiai a ridere, lui che scriveva canzoni sullo scappare da quella maledetta città ora voleva tornarci? Ma, vaffanculo!
Eppure rimase tremendamente serio. Non scherzava. Mi sedetti di fronte a lui, solo per dare un senso a quel suo sguardo così fisso e vitreo e capii subito che allora non era lui a parlare. O almeno non il Noel che aveva mandato a 'fanculo Manchester.
- Sei un coglione – commentai, poi allungai una mano e bevvi un sorso di whiskey, più che altro per portarlo fuori dalla sua portata, - avessi messo un'altra canzone al posto di Roll With It gli avresti fatto il culo, a quel buffone di Albarn -, altra sorsata, - Magari quella con il mare in sottofondo...che, a proposito, faresti meglio a decidere il titolo -. Provavo a distogliere la sua attenzione dalla sconfitta appena subita.
- E' un po' tardi per quello, il punto è che i Blur hanno venduto di più -
Quello stronzo di Marcus avrebbe fatto meglio a smetterla con sta faccenda delle vendite, era ossessivo, stava riempiendo il cervello di merda pure a Noel. - Be', Roll With It costava anche qualche sterlina in più rispetto a Country House –, tentai di indorare la pillola, ma lui non mi ascoltava: quando voleva, sapeva essere più testardo di Liam, il che era tutto dire.
- Forse dovresti pensare alla proposta che ti ha fatto Albarn -, questa volta mi guardò davvero negli occhi, ed i suoi erano mortalmente freddi – smettere di lavorare con certe persone -.
Gli tirai un pugno dritto sul naso, o almeno questo è quanto feci nelle mie fantasie, in realtà rimasi completamente immobile. Noel doveva ringraziare il fatto di non essere sobrio o avrei potuto anche menarlo per le cazzate che andava dicendo. - Non sei in te – gli dissi solamente, poi lo feci alzare e traballante lo accompagnai nella sua stanza, che profumava vagamente di un qualcosa di estraneo. Meg. Lo lasciai cadere a peso morto sul materasso – non si meritava molta gentilezza – e gli levai le scarpe. Prima d'andarmene aprii il cassetto del comodino e vi trovai dentro un po' di bianca, Noel girò appena la testa e fece un verso stanco di disapprovazione quando me la intascai – l'ultima cosa che volevo era che quell'idiota si facesse, e poi soffocasse nel sonno -, ma era troppo ubriaco per prendermela di mano.
- 'Notte, Noelie -.

The first thing I saw
As I walked through the door
Was a sign on the wall that read
It said you might never know
That I want you to know
What is written inside of your head


Se mai fossi diventata una maniaca, penso che sarei stata un'ottima maniaca, non una di quelli che si fanno beccare dopo due minuti da Scotland Yard. Mi ci vollero un bel po' di telefonate e un numero giustamente proporzionale di monetine nella cabina telefonica per entrare finalmente in contatto con chi volevo.- Pronto? -. Era assonnato, e mi pareva giusto dato che erano le tre di notte. In lontananza sentii la voce di una donna che si lamentava. - Chi è? -
Il tuo peggior incubo, gli avrei voluto rispondere, ma sarebbe stato troppo melodrammatico, - Cassandra -.
Gli ci volle un po' di tempo evidetemente per connettere il nome a una faccia, ma infine Damon domandò – La roadie? -.
- Esattamente -.
Dall'altro capo del filo udii una breve conversazione tra lui e Justine, attutita dal fruscio delle lenzuola, poi silenzio. Potevo immaginarmi i piedi nudi del cantante che solcavano leggeri un parquet tirato a lucido, sino a raggiungere un bel divano di vera pelle, di quelli avvolgenti.
- Hai visto? -
Fui ingenua, - Cosa? -
- Abbiamo vinto noi -, mi rispose veloce lui, aveva quel sorrisetto divertito sulle labbra, lo percepivo anche a metà Londra di distanza – L'avevo detto a quelli dell'etichetta discografica di non preoccuparsi -.
Questa volta fui io a rimenere silenziosa, il ricevitore incollato al viso, - Un momento, sei stato tu a spostare la data di rilascio? -
- Mi pare ovvio, ero stufo di quei buzzurri attaccabrighe arrivati nel giro da due giorni e che volevano già spadroneggiare. Qualcuno doveva metterli a tacere -, era baldanzoso, ancora palesemente felice per la vittoria riportata quella sera stessa. - M'hai chiamato per quella proposta? Per diventare una nostra roadie? -. Se la prima volta era stato abbastanza serio, ora era soltanto una presa in giro.
Avrei voluto trovare una battuta fulminante, una di quelle che l'avrebbero congelato su quel fottuto divano di pelle in tinta con il resto dell'arredamento, - No -, risposi invece, - Per mandarti a 'fanculo. E per dirti che quei buzzurri hanno dieci volte la tua anima, che quella non te la danno con nessun diploma in nessun cazzo di college di questo merdoso Paese -, misi giù. Non ero stata di classe, non avevo trovato quella frase incisiva, m'ero ridotta ad un mucchietto di insulti, che erano stati pure meno fantasiosi di quanto avrebbe potuto fare Ourkid, però mi sentivo appagata. E lo sarei stata anche di più se avessi saputo che Damon era rimasto davvero bloccato sul divano, fosse stato anche solo perchè lui non aveva un solo roadie che avrebbe chiamato i Gallagher in piena notte per insultarli.

And time as it stands 
Won't be held in my hands
Or living inside of my skin 
And as it fell from the sky 
I asked myself why 
Can I never let anyone in?


Seguivo con lo sguardo le volute di fumo che, una volta espirate dal mio naso, andavano rapide a cercare una via di fuga verso l'unico spiraglio lasciato libero dalla finestra semichiusa. Eravamo sdraiati sul letto – o meglio, io ero sdraiata su Noel -, lui pareva essersi incantato nel movimento ripetitivo di carezzarmi i capelli, le dita che a volte si avventuravano più in basso, lungo la linea della mia mandibola. I polpastrelli erano ruvidi e, quando arrivano sino alle mie labbra per potermi rubare la Benson che ero impegnata a fumare, potevo riconoscere l'odore che portavano con sè, quello delle corde di chitarra, quasi ne sentivo il sapore metallico. Andammo avanti così a lungo, fino a un paio di sigarette, un numero inconsueto se consideravo che di solito uno dei due sarebbe caduto addormentato molto prima. Cominciai ad accorgermi che il corpo sotto il mio era in tensione , le mani presero ad esitare, per poi ricominciare a passare trai miei capelli come se nulla fosse stato. Il tutto si ripetè per alcune volte, abbastanza per me per quasi non farci più caso, per essere riuscita ad assumerlo nella routine.
Poi si fermò di botto, le mani poggiate sulle mie spalle. - Ti amo -. Forse non era lui ad essersi fermato, ma tutto attorno a me.
- Devo andare al bagno -. Mi scostai da Noel, m'alzai dal letto e gettai la sigaretta nel posacenere, senza neppure spegnerla, poi mi diressi verso la porta che fronteggiava il matrimoniale e che mai mi era sembrata tanto lontana. Me la chiusi dietro e m'attaccai allo specchio, dove una me con il respiro affannato mi scrutava. Forse era stata tutta la mia immaginazione, magari lui non aveva neppure parlato, eppure sentivo ancora le sue labbra vicine al mio collo, che si muovevano.
Quando facevamo sesso di solito non mi facevo mai la doccia prima della mattina dopo, mentre il tè bolliva, invece ora sentivo la pelle ardere, così mi buttai sotto l'acqua aperta, senza fregarmene se fosse calda o fredda. Un minuto, ma anche meno, dopo ero di nuovo fuori, non potevo fare così, affogare tutto sotto un getto d'acqua.
Rientrai nella stanza da letto che gocciolavo ancora, ma non vi trovai nulla se non una parte dei suoi vestiti ancora appallottolati sul pavimento e la mia sigaretta che esalava gli ultimi fili di fumo dal posacenere.

I thought that I heard someone say now 
There's no time for running away now
Hey now! Hey now!
Feel no shame - 'cause time's no chain
Feel no shame


Vado in America. Fu quanto lasciai scritto a Noel sul tavolo della cucina – aveva lasciato le chiavi di casa da me, prima o poi doveva tornare -, e quanto dissi a Tim Abbott per congedarmi per un po' dalla Creation, il mio tanto era un contratto che mi lasciava abbastanza respiro, e in un certo senso era come se l'etichetta mi potesse subaffittare. Per cui accettai il primo contratto a tempo determinato che mi potesse portare oltre Oceano nel più breve tempo possibile. Non ricordo neppure quale fosse il nome della band per la quale lavoravo, scaricavo soltanto amplificatori e accordavo strumenti, questo mi bastava.
Le notizie sulla Battaglia del Britpop, che però era diventata ormai meno cruenta una volta sancita la vittoria dei Blur con Country House, arrivano pure a migliaia di chilometri di distanza. Quando avevo toccato suolo americano era uscito da poco The Great Escape e pareva che sul campo si stessero contando morti e feriti, in attesa del verdetto finale, che sarebbe arrivato solo con l'uscita nei primi di Ottobre di Morning Glory. Nessuno si aspettava più nulla, ma nessuno neppure aveva probabilmente calcolato il fattore Gallagher. Noel Gallagher, per la precisione.
Spero che prendano l'AIDS e muoiano. Questa frase era riferita a Damon e a Alex James, a quanto pareva The Chief aveva avuto molta più fantasia di me in quanto a insulti da appioppare ai componenti della band rivale. Ero lontana, ma l'eco del vespaio che scatenò quella frase – un tantino azzardata, se si pensa alla campagna che si stava facendo all'epoca contro l'HIV – arrivò ben udibile sino a me. La prima cosa che pensai fu che ero felice d'essermene andata, per una volta non sarei dovuta essere io quella che doveva risolvere i casini, per una volta non c'entravo niente. Ero una roadie e facevo soltanto quello per cui ero pagata.
Certo, ero felice, però mi sentivo pure a disagio, c'era una parte di me che era attirata come da una calamita verso quella fottuta isoletta che spuntava nel Mare del Nord e che rispetto alla grande America non era che uno sputo. Era il mio giorno di riposo quando mi giunse notizia di quell'uscita scomoda da parte di The Chief, e saremmo rimasti con la band a L.A. ancora per un paio di giorni prima di dirigerci verso Nord. E non sapevo che fare, se non pensare a che cosa stava succedendo dall'altra parte del mondo, mentre passeggiavo nella parte Ovest della città, chiamata Venice Beach. All'improvviso il mio occhio si trovò a cogliere il nome di una via che era rimasta per quasi un anno incagliato da qualche parte nella mia mente, risalii quella Hollywood Boulevard sino al numero 8505, dove trovai una casa immersa in una macchia di verde. Camminai lungo il vialetto di pietra, il sole che stava scomparendo dietro le colline che stavano sul retro della casa.
Rimasi a fronteggiare la porta dipinta di verde scuro per un bel po', sino a quando la mia mano non decise di impugnare la maniglia e spingerla verso il basso. Non era chiusa a chiave, per cui mi avventurai con naturalezza nell'atrio di quella casa. Il dentro, come anche l'esterno, non era solo ricoperto da una strana patina di sciatteria, ma da una vera e propria confusione: i muri bianchi dell'atrio erano coperti di strisce di colore senza senso, alcune fatte propabilmente con delle bombolette spray che giacevano ancora, vuote sul pavimento di cotto.
In principio forse la casa doveva essere stata arredata in uno stile spagnoleggiante, come era tipico del posto, ma alcuni mobili erano scheggiati e altri come le pareti erano stati vittima di un attacco artistico, tanto che ora apparivano come opere grottesche. Un po' dappetutto erano sparse lattine di birra, cartoni di pizza, contenitori di take away cinese e mozziconi di sigarette da cui proveniva quel forte sentore di fumo e unto. E lì, in mezzo, nel salotto, come perfetto elemento finale di quell'arredamento era seduto un uomo, i capelli più lunghi, ma il volto scarno come me lo ricordavo.
- Ciao, John – dissi come se fossi appena tornata da una passeggiata di una mezz'oretta, e l'avessi lasciato indietro.
Lui si girò, e non era certo più stupito di me, inclinò appena la testa mentre fermava la penna con cui stava scrivendo su di un blocco di fogli, lo sguardo spiritato, - Era un po' che ti stavo aspettando -.
     

I hitched a ride with my soul
By the side of the road
Just as the sky turned black
I took a walk with my fame
Down memory lane
I never did find my way back     




Buona giornata! Iniziamo subito con un po' di informazioni: questo qui sotto è il Claddagh ring di Noel ( direttamente dal mio booklet di WTS?MG, scusate se è enorme), ed un tipico anello irlandese, quando la punta del cuore è rivolta verso l'esterno vuol dire che chi lo porta è single, e in generale simboleggia amore, amicizia, e fedeltà.
La storia di Liam che s'è tolto da solo il gesso è vera, e se ricordassi dov'è vi metterei pure la foto della lastra xD
Reckless Records esiste e in vetrina espone una foto della copertina di WTS?MG con una freccina che indica il negozio e dice YOU ARE HERE.
Chiedo scusa al povero Damon Albarn, spero di non averlo maltrattato troppo, ma d'altronde è sempre vero che è stato lui a spostare la data di rilascio di Country House u.u
La canzone del capitolo è questa http://www.youtube.com/watch?v=BZSV6z73RKc e di solito è considerata un filler nell'album, ma in my honest opinion ha uno dei testi più belli e personali che Natale abbia mai scritto, per cui, dategli un'occhiata, non ve ne pentirete ;)
http://www.youtube.com/watch?v=oUTL2jSRIgE il famoso video di TOTP in cui Noel e Liam si son scambiati i ruoli :D Io penso d'aver finito u.u Cheers^^

 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Your Pussy's Glued To A Building On Fire ***


 

Your pussy's glued to a building on fire
I paint my mind just 'cause I'm alive

- Colin? -.
Dall'altro capo del telefono udii vari rumori, fruscii, un'imprecazione quando chi teneva il ricevitore andò a sbattere contro qualcosa, una porta o un mobile. - Sei Cass? - replicò, era la prima volta che gli sentivo fare quel tono di voce irritato. Allora era umano!
- Sì, sono i... -, non mi fece finire.
- Hai una vaga idea di che ora sia?! - mi sibilò contro, mentre sentivo una sedia venir trascinata sul pavimento.
Guardai l'orologio da polso, accorgendomi troppo tardi dell'ovvio, mi sentii in colpa un po', ma neanche troppo, - Sei tu che vai a letto con le galline – ghignai, mentre uno sbadiglio veniva attutito dal ricevitore, dall'altro lato. Avevo praticamente la faccia indignata di Gem davanti, - Sono le dannate quattro del mattino! - fece esasperato, prima di fare un altro sbadiglio, poi con voce impastata, ma mansueta come al solito, mi chiese: - Sei in America? -
- Nella città degli angeli, baby -.
- Hai combinato qualche casino? -, continuò, - Devo chiamare un avvocato? -
- Sono una roadie, non una rockstar -
- Sì, ma sei pure una casinista -. Ok, stava sorridendo.
- Voi lì, piuttosto, come state? -
- Se proprio vuoi saperlo, dormivo molto bene prima che mi svegliassi. E anche Lou, che, per inciso, ha detto che preferibbe che mi facessi un'amante piuttosto che continuare a vedere te, almeno un'amante non avrebbe la sfacciataggine di chiamare in piena notte -.
Adoravo la Signora Archer.
- Se invece ti riferisci ai casini che stanno combinando i tuoi fratelli preferiti, sappi che Noel ha avuto l'intelligenza di scrivere subito una bella lettera di scuse per quella faccenda dell'AIDS. Il The Sun ne parlerà ancora per un po', ma presto la cosa verrà archiviata -
- Bene – commentai, senza cercare di tradire nulla.
- Ora che ti ho detto come girano le cose da questa parte del mondo, posso andare? -. Non gli diedi risposta, per cui lui mi pose l'ennesima domanda, anche se era palesemente stanco – Che c'è, Cass? -,
Esitai ancora un attimo, ma poi ebbi paura che la pazienza di Gem si esaurisse, per cui dissi: - Tu ami Lou? -
Ero certa che l'uomo dall'altro capo del telefono fosse rimasto spiazzato, me lo figuravo mentre spostava il peso da un piede all'altro, - Certo che sì -. Non mi aspettavo un responso differente, ma ciò era fondamentale.
- Come si fa allora a sapere d'essere innamorati? -. Questo mio nuovo quesito mi fece guadagnare una risata da parte di Gem.
- Oddio, Cass... -, la risata stava ancora scemando, - Che domande sono? -
- Solo...domande – replicai io, quasi offesa perchè sembrava che quell'idiota si stesse facendo beffa di me, - l'hai detto tu che sei innamorato di tua moglie, saprai come l'hai capito, no? Cos'è, ti batte il cuore all'impazzata, ti si torce lo stomaco, ti sudano le mani o che altro? -, provai ad elencare tutti quei sintomi che di solito si sentono dire nei telefilm, quei clichè da romanzetti Harmony che leggevano alcune mie compagne di scuola.
Mi parve di sentirgli dire dall'altro capo, tra sè e sè, “non ci posso credere...”, ma evitai di prenderlo a male parole perchè volevo avere una risposta, e pure presto. - Non è così semplice. Insomma, sì, ti succedono magari pure quelle cose, ma non è che ti si accenda una spia -. Oh sì, penso che avere una spia per capire se ero innamorata mi sarebbe piaciuto parecchio: tecnica, pratica, comoda, facile.
- Ok... - mormorai un po' delusa, non so, da Gem mi sarei aspettatta l'illuminazione. Doveva servire pur a qualcosa avere un amico odiosamente saggio, no?
- Senti –, riprese infine lui, - non so perchè tu mi faccia questa domanda...o meglio, lo so, ma non lo voglio dire perchè poi finirebbe che attraversi l'Oceano Atlantico solo per venire a darmi quattro calci in culo, e non ne ho voglia, non dopo esser stato svegliato a quest'ora... comunque, sappi che quando ti innamorerai non ti porrai alcuna domanda sul fatto d'essere innamorata o no, lo sarai e basta. Per queste cose non serve il libretto di istruzioni -. Stava scuotendo la testa, c'avrei scommesso.
- Magari non mi innamorerò e basta – suggerii, mentre tra le labbra tenevo in bilico una sigaretta, che ormai era ridotta solo al filtro.
- Magari -. Ok, ora mi stava prendendo in giro.
- Sono seria -
- Non penso proprio -
- Ma vaffanculo -
- Ci vado volentieri se lì non telefona nessuno. Posso? -
- Buona notte, Colin -

And if you see me roaming the hillside
Won't you come along?


Tornai in salotto e trovai John sempre nello stesso punto di prima, attorniato da quaderni pieni di scritte praticamente indecifrabili e da dischi che punteggivano il pavimento, ma che dovevano provenire da un grosso mobile che stava sulla parete di fondo e che era stracolmo di vinili come anche di CD. L'unica differenza era che non stava più scrivendo, bensì era piegato su se stesso, a gambe incrociate, con la fronte appoggiata al pavimento. Sembrava una qualche strana posizione da meditazione yoga.
- Grazie per avermi fatto usare il telefono – mormorai dopo qualche secondo in cui m'ero incantata a guardarlo, mentre sembrava che sgranchisse con movenze da sciamano ogni singolo osso del suo corpo, che in quella sua magrezza oscena dava mostra di sè sotto la pelle liscia. Continuò così ancora per una manciata di istanti, tanto che quasi mi pentii d'averlo disturbato, ma poi, come se nulla fosse, si ritirò su facendo scrocchiare il collo e mi guardò negli occhi, con uno
sguardo vacuo e infantile. - La casa è della mia findanzata, dovresti ringraziare lei -, dopodichè si mise in piedi e mi passò davanti senza degnarmi di un'occhiata, come se non esistessi, dirigendosi verso un'altra stanza. In automatico, lo seguii.
Scoprii che era la cucina il luogo in cui quel singolare individuo mi stava guidando, ma capii immediatamente che non aveva voglia di cucinare del cibo normale. O anche solo del cibo, la sua fame era un'altra. Negli ultimi dodici mesi avevo visto così tanta gente farsi che ormai non ci facevo più caso, però mai avevo visto un eroinomane. A Londra era considerato qualcosa come poco figo spararsi in vena della roba, oltre il fatto che c'era il rischio di pigliarsi qualcosa: l'HIV era ancora meno figo, non era bastato che ci morisse Freddie Mercury per farlo diventare di tendenza.
A John avrei voluto chiedere il perchè di quella frase che m'aveva rivolto appena ero entrata, invece mi trovai a formulare un – E' in casa la tua ragazza? -
Dopo aver allineato tutto il necessario sul piano della cucina, lui si stava tirando su la manica sinistra della camicia scarlatta che indossava, troppo larga per la sua corporatura. - No -, arrotolò ancora una volta il tessuto, - credo sia a fare qualche provino. Toni viene pagata perchè una lente le succhi l'anima per poi gettarla in pasto a persone sedute su un divano, a quanto pare a cui ne manca una -. Parlava fottutamente strano, il ragazzo, e non erano tanto le parole, ma il modo in cui le diceva, la naturalezza. Da un sacchetto mise un po' di polvere in un cucchiaino, le mani gli tremavano da qualche minuto eppure a quell'operazione prestò un'attenzione maniacale. Fu in quel momento, fissando quelle mani affusolate, ma nervose, con le vene ben esposte sotto la pelle pallida che notai l'asterisco che aveva tatuato sull'interno del polso destro. Avevo quasi dimenticato chi fosse la persona che mi stava davanti, sarà forse stato il fatto che quello spettro non aveva praticamente nulla a spartire con il giovane energico e dai capelli tinti di rosso che avevo visto suonare su di un palco, attorniata da gente sudata e odore di birra, che tentava di star dietro al ritmo impossibile dei testi quasi rappati di Kiedis. Era Marzo del 92', per il Blood Sugar Sex Magik Tour. Lo ricordo bene perchè fu l'ultimo concerto che vidi a Edimburgo. John stava per lasciare il gruppo, io la Scozia.
Forse gli occhi, quelli forse non dovevano essere cambiati, anche se sinceramente non avevo mai avuto ben in mente gli occhi di John Frusciante - l'unica cosa di cui mi importava erano i suoi riff di chitarra e il groove che trasmetteva allo strumento -, ma ancora avevano, pur sotto quel velo allucinato, un'intensa espressione di curiosità e, allo stesso tempo, saggezza. E ciò era un qualcosa che o si possiede da sempre, o non si può creare in nessun modo, e neppure uccidere, forse.
- Ti manca stare nei Peppers? -.
Anche lo sguardo di John cadde sull'asterisco che marchiava con l'inchiostro la sua appartenenza a un qualcosa a cui non apparteneva più da oltre tre anni Per un secondo però interruppe i suoi preparativi, infine scosse la testa lentamente e mi guardò sinceramente stupito, - Cosa dovrebbe mai mancarmi? -.
Sei un tossicodipendete, vivi in una casa in sfacelo, mentre prima eri una rockstar piena di soldi, che viaggiava nei più bei posti del mondo solo per suonare davanti a un'orda di fan urlanti per ogni tuo singolo tocco sulla tastiera di una chitarra. Mi veniva quasi da ridere, ma non lo feci, perchè lui mi fissava curioso, come un bambino. - Non so -, bofonchiai, messa in soggezione da quelle pupille dilatate che mi fissavano così direttamente – le groupies? -, domandai con un ghigno, lui lo colse e lo riflettè per una frazione di secondo, ma poi tornò serio.
- Quelle sono il peggior tipo di fan, forse -.
Avrei voluto vedere la faccia di Liam Gallagher davanti a tale asserzione, per Ourkid le groupies erano probabilmente una specie di manna divina e, scommetto, uno dei primi motivi per cui era voluto essere un frontman. Altro che voler diventare come Lennon. John dovette aver colto la mia espressione di incredulità, perchè cercò di spiegarsi: - I fan voglioni parlarti, toccarti, ma in realtà non stanno parlando, toccando te. Ma l'immagine che hanno di te. Per loro sei solo un poster in carne ed ossa che cammina. E be', con le groupie non è diverso, invece che parlarci, con quelle ci scopi. Ma allo stesso modo, quelle non stanno scopando con te. E nel momento in cui inizi invece a pensare che tutta quella gente si stia davvero rapportando con te, smetti semplicemente d'essere te stesso. Perchè allora dovrebbe mancarmi tutto ciò? -, mi domandò candido. Aveva ripreso ad armeggiare sul piano della cucina, e aveva spremuto un po' di acido citrico nello stesso cucchiaino della polvere che ora lentamente andava sciogliendosi. Mentre parlava, le sopracciglia gli si contraevano con fervore, come a sottolineare ogni singola parola.
- Non ti manca nulla della band quindi? -
Alzò la testa di scatto, mentre prima ce l'aveva chinata a guardare di sfilare la cintura dai passanti dei pantaloni. - Flea -, esalò dalle labbra esangui - lui mi manca, per mesi è stato l'unico motivo per cui stessi nella band. Mi piaceva suonare con Flea, e Chad e stare sul palco a guardare il mio amplificatore e tutta quella musica che ne usciva, forme, suoni e colori. Amo Flea... Ma comunque ogni tanto viene a trovarmi, e suoniamo pure qualcosa alle volte... -. Aspettò un secondo, in cui si stava legando la cintura al di sopra del gomito sinistro, ma più che altro mi sembrava intento a riflettere.
- Sento di più in effetti la mancanza di Clara –, mormorò infine, - come quando vivevamo tutti assieme nella casa infestata. Lei aveva un po' paura, ma io le dicevo che gli spiriti non erano cattivi...chissà perchè la gente ne ha paura, è stupido -, ogni tanto pareva un po' perdersi nelle sue stesse riflessioni, ma poi se ne accorse e passandosi veloce la lingua sulle labbra riprese - Clara è la persona più intelligente che esista. E' straordinaria, devo fartela conoscere un giorno -. Non sapevo chi diamine fosse Clara – anche se il suono non mi era estraneo -, ma quel solo nome era bastato per accendere il sorriso sul volto consumato. - Mi daresti una mano? -
Impiegai un paio di secondi per capire cosa sottointendesse quel punto interrogativo, ma infine mi ritrovai ad aggirare l'isola della cucina, per essere al suo fianco e stringere la fibbia della cintura e girare il cuoio attorno al bicipite, di cui rimaneva non molta massa muscolare. Suppongo che fosse una cosa sbagliata, l'aiutarlo, e per capirlo non mi serviva chiedermi se Gem avrebbe fatto la stessa cosa o no, ma c'era qualcosa in John stesso che mi impediva di fermarmi. Ad ogni modo, rimasi lì immobile anche quando si calò l'ago in vena e premette lo stantuffo, senza battere ciglio continuai ad osservare l'espressione di estasi pura che lo colse in pochi secondi, il “flash” che gli fece socchiudere le labbra e stringere gli occhi, come se il mondo al di fuori fosse troppo poco al confronto di ciò che gli stava esplodendo dentro.
Il tutto durò però talmente poco che meno di un minuto più tardi mi trovai a doverlo tenere su quasi di peso, affinchè non crollasse per terra, mentre era preso da brevi ma intensi tremori. Mi lasciai scivolare assieme a lui contro gli armadietti della cucina, la sua testa appoggiata alla mia spalla, mi guardava dal basso, gli occhi dal taglio a mandorla che scintillavano di una nuova, finta euforia e la curiosità che era sopravvissuta ancora a quell'ultima dose. - Hai lasciato anche tu la band? -, l'ultima parola quasi la boccheggiò mentre era preso da un'altra scarica di piacere che gli fece contrarre in uno spasmo i muscoli delle gambe. Nonostante tutto però non interruppe mai il contatto visivo.
- No – gli risposi io di botto. No. Non avevo mollato la band. Mollare gli Oasis mi sembrava la cosa più assurda che potessi mai pensare di fare. Ero solo...in pausa. Stavo ricominciando a pensare a cosa avrei dovuto fare una volta finito il tour lì in America, e non mi piaceva per niente, tentai di distrarre il mio cervello che invece voleva fare i conti con me, il bastardo.
- Come fai a sapere che lavoro per una band? - chiesi scettica.
- Flea m'aveva raccontato che eri una roadie degli... -, assottigliò le labbra, - ...Oasis – e snocciolò il nome con lo strano accento americano che mi suonava così alieno. Non mi piaceva molto in bocca a lui, preferivo la familiarità della pronuncia di Liam.
- Hai una memoria fottutamente buona per essere uno che si sta bruciando i neuroni –, osservai io con sarcasmo, ma John non smise di sorridermi in maniera infantile, ma non di quelle che ti fanno venire i nervi, ma di quelle pure: ti faceva venire voglia di proteggerlo da tutto, dal mondo, da quella casa, da se stesso – impresa ardua -. Forse era immune alle parole, ai giudizi della gente quanto il mio sarcasmo. Mi sentii un po' indifesa, e ancor di più quando all'improvviso, senza motivo apparente mi prese una mano tra le sue.
Mi faceva il solletico sentire quelle punte delle dita fredde sfiorarmi appena. - E poi, non è solo memoria -, si portò la mano al volto e annusò accuratamente il palmo, - sai di legno di chitarra, ferro e plastica surriscaldata -. Mi diede un colpetto con il naso e poi mi rimise la mano sul ginocchio dove prima stava, senza batter ciglio, come se fosse normale annusare la gente. Di certo era normale per lui.
Passammo diversi minuti in silenzio, in cui sentii soltanto i rumori delle auto in lontananza sfrecciare sulla strada sottostante, gli uccelli che si muovevano da un ramo all'altro fra le fronde degli alberi a ridosso della casa e i fremiti di John contro la mia spalla sinistra mentre canticchiava un motivetto un po' triste che gli pareva rimasto impigliato tra labbra e gola.
- Hai dello scotch? - gli chiesi in un filo di voce e lui, senza aver dato segno d'aver sentito, si limitò ad indicarmi l'anta di un pensile al di sopra dei fornelli. Lì tra un assortimento di altri liquori dalle bottiglie appiccicaticce trovai uno scotch – da scozzese mi piangeva il cuore a chiamarlo tale – che era praticamente nuovo.
- Hai voglia di lavorare un po'? -. Mi voltai con il collo della bottiglia stretta in pugno, la pelle bianchiccia di John riluceva nella luce notturna che veniva da una finestra aperta della cucina, come anche gli occhi, che s'erano fatti più lucidi man mano che la droga si faceva strada attraverso il suo sistema circolatorio. Alzai un sopracciglio inquisitorio. Lui rise senza un senso, era la prima volta che lo sentivo ridere davvero e come molte altre cose di lui pensai che non ci fosse un solo essere umano al mondo che lo facesse in maniera anche solo vagamente simile. - In salotto c'è la mia chitarra, me la porteresti? -.
Avrei dovuto dirgli di andare a prendersi da solo la sua chitarra, così almeno non ne sarebbe stato in grado, io avrei dato una sorsata a quello schifo di whisky e poi me ne sarei tornata al mio hotel . Invece, – forse realmente per deformazione professionale – gli portai quel dannato strumento.

You paint your eyes
Mine are in the sky


La luce che mi investiva il volto era di un giallo luminoso, fottutamente insolito per essere Autunno, mai avevo provato sulla pelle un fine Settembre così caldo in Inghilterra. Fu con quel preciso pensiero che realizzai che mi trovavo nella California baciata dal sole e non nella sfigata e umida terra di Sua Maestà. Mi doleva un po' la schiena per aver dormito sul pavimento di cotto, e la testa per aver bevuto un po' troppo scotch eppure avevo ancora in mente vivide le immagini della notte prima. O almeno rammentavo certe sensazioni, ma tutte si ricollegavano a un qualcosa, principalmente John che suonava la chitarra, il fiume di parole agrodolci che avevamo cantato sulle note di Jimi Hendrix – Dio, dopo una cert'ora sarebbe di legge non poter cantare Angel, almeno non dopo pure mezza bottiglia di scotch – e discorsi privi di capo e di coda su Ziggy Stardust, alias Mr. David Bowie
Stavo ancora sorridendo al pensiero di quella nottata priva di senso quando cercando una posizione più confacente alla mia schiena mi trovai a essere fissata dall'alto da due occhi d'acquamarina e un sorriso da Stregatto – anche se il felino di Alice non aveva il diastema -.
- Non sapevo che Johnny avesse già ospiti – sghignazzò, davanti alla mia espressione sorpresa, con quella faccia sbozzata nella pietra e così tanto da giullare di corte. Flea mi diede una mano a tirarmi su in piedi, mi stropicciai gli occhi e sbadgliai senza ritegno, dovevo aver dormito quattro ore ad essere generosi. Colsi solo vagamente il fatto che ora portasse i baffi, quell'uomo cambiava più stili di tutti i Take That messi assieme.
- Sai non dovresti essere così poco attenta, Toni è un tipino parecchio geloso – insinuò con voce maliziosa, e maledettamente allegra. Non ero abitutata all'allegria di prima mattina, in Inghilterra non funzionava così, era bandita almeno sino a mezzo giorno. Forse erano veri gli stereotipi che volevano noi Britannici un tantino chiusi, di certo non conoscevo nessun mio connazionale con quella parlantina. Forse Jarvis.
A Flea risposi con un basilare grugnito, che poteva essere inteso in qualsiasi maniera, tanto il bassista pensavo fosse capace di intrattenere una conversazione pure da solo, e difatti – Sì, sì, tranquilla, sto scherzando -, continuò, - tanto a quello non gli si alza neppure se gli schiaffi addosso tutte le conigliette di playboy – e scosse la testa. Io intanto m'ero data una sciacquata alla faccia con l'acqua del lavandino ed ero – quasi – tornata in possesso di tutte le mie capacità psicofisiche, anche se faticavo ancora a star dietro a ciò di cui ciarlava Flea. Esclusi l'audio. Mi chiesi dove fosse John. Poi realizzai che per quanto per me quello che stavo facendo non fosse vero lavoro, in realtà lo era: feci scattare in fuori il polso con l'orologio e capii che era fottutamente tardi, sarei dovuta essere a caricare il furgone da almeno due ore. Forse erano pure già partiti lasciandomi indietro. Cazzo, cazzo e cazzo.
- Devo andare – sbottai all'improvviso, interrompendo Flea che non mascherò il suo disappunto per essere stato interrotto nel bel mezzo di un monologo. Io mi scusai rapidamente, con una serie di formule molto gentili che noi Britannici sembrava avessimo immagazzinate nel DNA apposta per quelle occasioni scomode e sgusciai verso la porta, mentre il mio cervello cercava un buon motivo da addurre per non essere licenziata, perchè “mi sono ubriacata assieme a un eroinomane e ho passato la nottata a cantare e suonare con lui” non mi pareva un'opzione contemplabile.
Avevo già fatto qualche passo al di fuori della porta, quando questa si aprì di nuovo, mi voltai. Non so se fosse la luce del mattino, ma John mi apparve un po' meno tetro. Cazzo, John, mi ero già dimenticata di lui, non lo avevo neppure salutato! Tornai sui miei passi, anche se in testa mi rimbombava il ticchettio dell'orologio, e venni premiata con un sorriso appena abbozzato, ma vero.
- Vai via? -, mi chiese. Era troppo un bambino nelle vesti di un adulto.
- Devo -
Lui fece una smorfia, non penso che ormai capisse più cosa fossero i doveri, e magari mai neppure l'aveva saputo. E sinceramente se ne avessi avuto il tempo, nemmeno io avrei voluto credere nei doveri, come quello che mi diceva di andare via in una mattina soleggiata come quella, oppure quello più insistente e, misto a chissà cos'altro, che mi attraeva come una calamita verso la Gran Bretagna. O ancora meglio, verso due dei suoi abitanti più bizzosi.
- Ma c'è Clara... -, soggiunse infine in una specie di uggiolio, un po' deluso. M'aveva detto che un giorno me la doveva far conoscere, questa Clara, peccato che il giorno non fosse oggi. Avevo la sensazione che avrei voluto abbracciarlo.
Ma la gente non abbraccia persone che si conoscono da neanche un giorno. Be', la gente non entra neppure in casa di persone che sono praticamente sconosciute, e non passa le notti sui pavimenti di quelle stesse persone.
- Ci rivedremo – buttai lì, giusto per dare un senso a due persone che si fissavano nel bel mezzo di un vialetto.
La sua espressione non mutò, - Lo so, me l'hanno detto gli spiriti -. Avrei voluto domandarmi di che accidenti stesse parlando, ma stavo venendo sopraffatta di nuovo da quella voglia di stringermelo addosso, quindi mi affrettai a fargli un leggero segno di saluto con la mano e allontanarmi. Feci appena in tempo a vedere lui che rifletteva quasi specularmente il mio gesto.
E anche un altro stereotipo su noi Britannici veniva riconfermato: siamo persone fredde.

No worldly word I could say would be golden
The smile on my face isn't always real

 

Sapevo che non sarei potuta essere una raminga per molto a lungo, non me lo permetteva il mio contratto e non me lo permettevo io. Sapevo a dove appartenevo e che sarei tornata, per quanto cercassi di posticipare la cosa, prima o poi sapevo che sarei tornata. Peccato che durante tutto Settembre non avevo fatto che scegliere il “poi”, la mia tendenza a procrastinare all'epoca raggiungeva vette inimmaginabili. In realtà, nessuno avrebbe potuto capire quanto desiderassi essere a casa quel 2 Ottobre 1995, per poter sentire l'agitazione che ero certa stava permeando l'intera Creation, per vedere Liam che dava in pasto a tutti i suoi pronostici su come l'album sarebbe stato il più grande successo di tutti i tempi, e questo ovviamente grazie alla sua performance vocale. Per vedere Noel che faceva come se nulla fosse, ma in realtà gliene fregava più di tutti messi assieme. Noel...
Invece quel giorno lo passai a lavorare come ogni altro, stando attenta ai telegiornali, nella vana speranza che qualcuno dicesse qualcosa, ma dimenticavo sempre di trovarmi nel Paese sbagliato per quel tipo di cose. Non pensavo che mi sarebbe mai mancata la Battaglia del Britpop, con i suoi bollettini di guerra giornalieri. Mi ritrovai a chiamare Guigsy – con Gem mi sarei beccata una bella cazzo di paternale – per sapere come procedevano le vendite, e cosa ne diceva la critica, e una serie di altre domande che mi frullavano in testa dal momento esatto in cui sapevo che Morning Glory era sugli scaffali dei negozi. Quindi tra una domanda su come era il tempo in Inghilterra, e come andava con i suoi attacchi di nervi – non bene – scoprii che da HMV già dal primo giorno si vendeva circa un album ogni due minuti, fonte il Daily Mail.
- Quando torni? - mi domandava Guigsy, con quella sua vocetta nervosa e snervante.
- Prenditi cura di te, Guigs – gli avrei risposto allora io, tanto per non essere legata anche solo mentalmene da un vincolo di tempo, foss'anche una bugia bella e buona.
-Vedi di farlo alla svelta, quei due coglioni iniziano a darmi alla testa -. Fine delle conversazione. Scoprii un paio di giorni dopo grazie a Tim Abbott che in realtà Guigsy non era più con la band da un po' proprio a causa di un esaurimento nervoso, il cui merito si doveva propabilmente imputare a Ourkid che l'aveva preso a male parole durante un giro di interviste a Parigi. Povero vecchio Guigsy.
Ciò nonostante mi tenni alla larga ancora un po'. Almeno sino a quando gli Oasis non arrivarono nel mio stesso continente, in quel momento la distanza mi parve troppo esigua per continuare a temporeggiare, anche se a ben vedere non fui un figliol prodigo molto facile da far ritornare dato che pure “papà” Alan McGee si scomodò per farmi una telefonata delle sue, una di quelle in stile strigliata, in cui mi diceva di smettere di cazzeggiare e tornare al mio posto, in sunto.
Li raggiunsi a Boston a metà Ottobre, dopo praticamente un intero mese di latitanza. E l'unica cosa che potevo dire per riassumere come mi sentivo era che stavo una merda, per la maniera in cui me ne ero andata e ancor più per il modo in cui rientravo, ovvero senza una risposta. In un certo qual dire mi stupiva il fatto che l'essere andata a nove mila chilometri di distanza non fosse servito a nulla, una parte di me credeva davvero che l'analizzare il problema da una prospettiva più distaccata sarebbe servito a qualcosa. Nulla di più sbagliato. Ora mi sarei trovata pure con quattro settimane di arretrati da scusare.
Fu così che quindi rientrai dalla porta di servizio dell'Orpheum Theatre di Boston con nello zaino, nascosta sotto una pila di vestiti, la mia copia di Morning Glory – me l'ero comprata per vedere se per caso The Chief avesse fatto delle modifiche dell'ultimo minuto, magari con dei versi che mi insultavano -. Il primo che vidi fu Liam, e nonostante tutto il groviglio di pensieri e emozioni che avevo in testa, non potei non saltargli addosso, abbattendolo a momenti. Mi era mancata quella testa di cazzo. Per qualche secondo mi godetti la fisica espansività di Ourkid che mi versava addosso mille domande e mi stritolava – mi diede anche un pizzicotto sul sedere, ma quella era ordinaria amministrazione -, poi arrivò un colpo di tosse, calato come un machete. Mi voltai ancora accaldata per il saluto a Liam e vidi Noel che ci sovrastava dall'alto del palco, la chitarra acustica tenuta per il manico.
- Era ora –, commentò insipido, - C'è una spia che funziona male, quella di Bonhead. Dovresti andare a sistemarla – concluse, e se tornò da dove era spuntato.
Non era stato nè sarcastico nè maleducato, si sarebbe potuto sin definire gentile. Spesso avevo trovato divertente questo suo modo di fare apatico che congelava gli estranei meglio di un insulto pesante o un pugno in faccia, ma mai avevo sperimentato cosa volesse dire essere dall'altra parte.
Sarebbe stato un lungo inverno
.
 

But the way you make me feel is all that's really real
You little duck house

Come immaginerete la canzone (http://www.youtube.com/watch?v=99-Q1qE1AhM) non fa parte della discografia degli Oasis, bensì del giovane Frusciante. Questo captilo come anche la canzone è un po' strano: è corto,di passaggio e da parte mia sento che sia pure un po' "mozzo", ma ce l'avevo scritto da giorni per cui alla fine mi son decisa a pubblicarlo lo stesso, o sarei impazzita sul personaggio di Frusciante. Mmm qualche dettaglio, per quanto riguarda la canzone, se mai leggete i testi, è un po' astrusa però pure lei ha un senso e l'ho scelta perchè anche nella storia ha un suo senso. (La frase che ho appena fatto è senza senso però, vabbe')
Curiosità: Frusciante dice che la casa dove hanno registrato l'album (Blood Sugar Sex Magik) era infestata, o almeno così vuole la leggenda di Hollywood che aleggia sulla casa di Houdini.
Curiosità: Guigsy aveva davvero avuto una crisi di nervi tra Settembre e Ottobre, infatti nel video di Wonderwall non si vede lui ma Scott McLeod, che però avrebbe mollato ben presto, pure lui troppo esausto LOL
Grazie come sempre a chi legge, sia recensendo che in silenzio :) Cheers^^
Ps: un po' di Frusciante-spam

 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Acquiesce ***


I don't know what it is 
That makes me feel alive 
I don't know how to wake 
The things that sleep inside 
I only wanna see the light 
That shines behind your eyes 

 

 
Stressante, pesante, ripetitivo, stancante e soprattutto noioso. Queste erano le caratteristiche che mai il mio lavoro come roadie per gli Oasis nei precedenti due anni e mezzo aveva avuto, mentre ora mi accorgevo di come i pomeriggi si susseguissero lunghi e uguali, di come mi pesasse lo smontare l'attrezzatura la notte dopo i concerti, di come le vesciche sulle mani, o le corde bastarde che ti bucano i polpastrelli quando le cambi, facessero male. Cercavo di imputare tutto questo alla stanchezza fisica dello star lavorando senza orari praticamente da sei mesi, da quando era iniziata la stagione dei festival, e al fatto che il tour fosse più grande. In effetti era tutto più grande: i posti dove suonavamo, le folle, l'ego di Liam, le stanze d'albergo, il senso d'onnipotenza di Noel, il conto nei locali. E tutto questo pensavo si traducesse giustamente in stress.
La realtà era che forse però tutto mi veniva più difficile da sopportare perchè le serate non le passavo quasi più a cazzeggiare con Liam e Bonehead, e Noel non restava più con me a chiacchierare mentre finivo di smontare la batteria, magari dandomi una mano quando s'accorgeva che un amplificatore era troppo pesante per essere spinto solo da me. Mi mancavano quelle risate con Ourkid, quella compagnia e aiuto di The Chief e il mio “grazie” appena soffiato tra i denti perchè ero troppo indipendente per ammettere che non avevo forza abbatanza.
Iniziai quasi a domandarmi se non fosse vero quello per qualche tempo avevano sussurrato i maligni, che tutto quel che avevo era solo perchè andavo a letto con i Gallagher e che in realtà non ero neppure davvero capace come un vero tecnico delle chitarre, che ero solo una ragazzina qualunque che aveva aperto le gambe alle persone giuste al momento giusto. Non era da me pensare certe cose, ma nelle lunghe giornate di fine Autunno passate con la fronte incollata al finestrino del tourbus a guardare fuori le auto che si rincorrevano, non trovavo niente di meglio su cui riflettere. L'unico altro pensiero ricorrente di tanto in tanto era John, mi chiedevo che stesse facendo in quella casa che pur trovandosi nel bel mezzo della terra delle stelle pareva estraniata dal mondo come pure colui che vi abitava. Anche se nella mia testa me lo immaginavo perennemente seduto sul pavimento a gambe incrociate a scarabocchiare sul suo quaderno, mi domandavo se stesse facendo musica con quella sua chitarra sgangherata – che poi era una Martin degli anni '50, mi ci sarebbe voluto un anno di stipendio per comprarla – e se avrebbe mai scritto ancora qualcosa come Niandra LaDes & Usually Just A T-Shirt, o se si era ridotto solo ad un guscio vuoto... a proposito di Niandra, avevo scoperto dove avevo già sentito il nome Clara: era stampato sulla copertina dell'album, era a lei che era dedicato. Questa Clara dovevo proprio incontrarla una volta o l'altra, se aveva ispirato un tale pezzo di musica.
Le ultime due date che facemmo del tour 1995 furono a Los Angeles, la seconda proprio al Viper Room di Depp, con cui fratelli erano ormai entrati in confidenza, tanto che durante la mia assenza avevano registrato assieme a lui – e la sua fidanzata-grissino Kate Moss – una versione di Fade Away per Warchild. I Gallagher che incidono una canzone con un attore e una modella per beneficenza, me l'avessero detto a metà del 93' non c'avrei mai creduto.
Per un po' avevo sperato di veder comparire John, con quel suo passo strascicato, in una sorta di dejà vù, ma quella sera intravidi appena persino la zazzera colorata di Flea che era tutto preso a parlare con il suo cantante, Kiedis. Da quando ero tornata al lavoro, mi pareva d'essere tenuta piuttosto sotto torchio, non mi potevo permettere neppure una pausa sigaretta, apparentemente. Fatto sta che nei due giorni di passaggio a LA non riuscii neppure a muovere un passo, figurarsi inerpicarmi sino alla villa di Hollywood Boulevard. Avevo promesso che l'avrei rivisto, ma quando chiesi a Depp se sapeva qualcosa di John - i due erano stati amici quando River Phoenix camminava ancora su questa terra – lui diede semplicemente una scrollata di spalle dicendo che non lo sentiva da mesi. Mi diede sui nervi: abitava nella stessa città eppure mi aveva guardata come se non sapesse neppure se fosse ancora vivo o meno. Cazzo, era suo amico! Da quel momento quell'idea mi si avvinghiò allo stomaco e non mi lasciò più andare ogni volta che il mio pensiero ricadeva sul chitarrista, e lo fece con ancora più forza quando con l'aereo stavo decollando alla volta della Gran Bretagna. Avrei potuto non rivederlo mai più.
Nonostante il pensiero di John, mi sentii abbastanza sollevata quando finalmente tornammo a casa per le vacanze di Natale, l'atmosfera in tour stava diventando quasi insopportabile, e forse lo sarebbe stata se non avessi avuto almeno la compagnia del buon vecchio Coyley – che però si sarebbe ritarato, dato che un tecnico del suono mezzo sordo non è una buona cosa – e di Jason. I giorni successivi al rientro dovetti riaffrontare il mio vecchio appartamento, che era rimasto completamente immutato da quando me ne ero andata, considerato che non avevo avuto la forza mentale nè di sistemare il letto nè di vuotare il posacenere, e il solito casino che vi aleggiava. Qualcuno avrebbe potuto dire che vivevo nel degrado, o almeno così mi faceva notare Gem quando mi veniva a trovare, mentre con un piede spostava uno scatolone che mi ero ripromessa di svuotare ai tempi del trasloco, molti, troppi mesi prima. Gem però non era costretto a soffrire più di tanto il disordine della mia dolce dimora dato che ero più o meno perennemente a casa sua, ospite fissa, tanto che Lou aveva imparato ad apparecchiare sempre per tre. Dovevo dire che questo nostro triangolo non mi dispiaceva, anche se sapevo che più che altro mi serviva per non restare a casa da sola a fissare le pareti della mia camera da letto mentre me ne stavo avvolta a bozzolo, sotto le coperte perchè il riscaldamento era rotto. Presto tutto sarebbe dovuto finire, un po' perchè non mi potevo – forse – arrogare il diritto di invadere la privacy della famiglia Archer, ma soprattutto perchè Lou aveva scoperto d'essere incinta e entro fine estate in casa non ci sarebbe più stato spazio fisico per me. Non che l'idea di un pargolo urlante nella mia stessa stanza mi entusiasmasse granchè. Non un bambino qualunque, un mini-Colin oltretutto, diamine, ancora prima di mettere i denti da latte sarebbe stato di certo ostentatamente e odiosamente saggio come il padre. Me lo vedevo già con quegli occhietti castano scuro tanto sinceri.
Ad ogni modo, per quanto non avessi voluto, la vigilia di Natale mi ritrovai a un party che la Creation aveva organizzato per festeggiare quell'anno di grazia che pareva aver praticamente salvato la casa discografica e per brindare ad un 1996 ancora più straordnario, se possibile. Sarebbe dovuta essere un momento di euforia, ma mentre percorrevo il vialetto d'entrata della villa dove la festa era stata organizzata potevo ben percepire la sensazione di trovarmi nel posto sbagliato, al momento sbagliato con le persone più sbagliate che potessi immaginare. Per mia fortuna ero troppo impegnata a cercare di non uccidermi cascando da un tacco un dodici – cazzo servono sti cosi? - che mi aveva prestato Lou, assieme al vestito di pizzo nero effetto vedo-non-vedo – o così almeno l'aveva chiamato lei, io sapevo solo d'avere troppi spifferi da cui passava l'aria gelida – per poter riflettere seriamente sul perchè stessi andando a quella festa. Tanto più che Gem m'aveva gentilmente abbandonato dicendo che doveva andare a casa dai suoi nel Nord, anche perchè suo fratello s'era appena laureato e bla bla bla. Poche storie, in sintesi m'aveva paccato. Quasi scivolai sul ghiaietto del viale, mi vidi passare davanti tutta la mia vita, all'ultimo però mi aggrappai alla fiancata di un auto riuscendo a ristabilire l'equilibrio, per quanto precario. Mi accorsi che l'auto a cui stavo appoggiata non era una qualunque, ma una chilometrica Rolls-Royce tirata così a lucido che per soggezione levai le mie mani plebee per paura di sporcare la carrozzeria e continuai il mio arduo percorso verso l'entrata della villa.
Un'ora e mezza dopo mi trovavo con un gomito, poggiato al bancone del bar, praticamente in cancrena dato che non cambiavo posizione da non so quanto, a buttare giù le ultime gocce di birra da una bottiglia, il barman avrebbe voluto servirmela in un bicchiere, ma da quando mondo è mondo, se la birra non è alla spina, la si scola dalla bottiglia. Sinceramente i Gallagher ero riuscita appena a distinguerli in quella massa informe di persone, e ogni volta che avevo avuto la mezza intenzione di muovermi per andare almeno a scambiare un diplomatico augurio di buon Natale erano stati inghiottiti dai loro astanti. Una mezz'oretta prima mi ero intrattenuta per un po' con Whitey che pareva quanto mai euforico per la serata, ma il poveretto s'era allontanato dopo un po' notando come io non fossi sulla stessa sua onda. Penso sia stato colpa di quel paio di sbadigli che avevo esibito un po' troppo ostentatamente.
Alla fine riuscii ad inquadrare Liam, ed ero già saltata giù dallo sgabello del bar quando una voce amplificata da un microfono risuonò in tutta la sala, dopo un paio di secondi tutta la gente presente tacque, io mi avvicinai per verificare se era proprio colui che pensavo. Scorsi una pelata lucente spruzzata di capelli rossastri: McGee.
- Volevo solo dire che questo è stato un grandissimo anno per tutti qua alla Creation -, applauso, un paio di grida d'approvazione, McGee fece una pausa che voleva essere carica di pathos – e aggiungere, 'fanculo i giapponesi della SONY -. A quel punto non potei non unirmi pure io alla risata collettiva, McGee era un istrione ed io ero fiera d'essere Scozzese come lui, in quei momenti. Ma sì, 'fanculo ai giapponesi anche se erano loro i proprietari della Creation. Tutti levammo i bicchieri a brindare assieme a McGee, che concluse il proprio discorso con un esplicito invito a tutti a ubriacarsi fino a star male.
Io di mio ero già abbastanza brilla – quella sera avevo messo abbastanza alla prova il barista – e forse era quello il motivo per cui quando vidi tutti i membri degli Oasis radunarsi attorno a McGee, non feci dietro front ma rimasi in zona. Era giunto il momento di rompere la barriera di ghiaccio che s'era creata in quelle ultime settimane di tour. Dopo qualche birra e un White Russian mi sentivo abbastanza baldanzosa pure per affrontare Noel.
Rimasi discosta di qualche passo e osservai mentre McGee tirava fuori quattro scatolette ricoperte di velluto blu e le consegnava a tutti, The Chief escluso. Il discograifco aveva fatto le cose in grande, in ognuna delle confezioni si trovava un Rolex d'oro bianco. Mi trattenni dal ridere, mentre Liam rimirava il suo con espressione da bambino e se lo infilava poi – sbagliando ovviamente il verso, ma gli diedi il beneficio del dubbio per via dell'alcool che doveva aver ingerito -. Bonehead e Guigsy parevano altrettanto stupiti, anche se si prendevano in giro a vicenda
- Guigs, ora ti manca una bella pelliccia e sembrerai una vecchia signora di Chelsea – scherzò il chitarrista.
Il bassista sbuffò, - Per essere così aggiornato sui dettagli, dev'essere che te le scopi quelle vecchie -
- Non sono tanto male quanto pensi – grugnì Bonehead – almeno, tua madre non lo è -. I due ero certa che avrebbero continuato a insultarsi, ma in quell'istante ero concentrata di nuovo su McGee che dalla tasca interna della giacca estrasse un mazzo di chiavi scintillante.
- E questo per il nostro songwriter -, il tono era solenne e un po' mellifluo, sarà che avevo ancora ben in mente le grida di McGee quando Definitely Maybe non era ancora pronto e il “nostro songwriter” era più comunemente conosciuto come il “delinquente di Manchester”.
- E' la Rolls-Royce? - ribattè Noel serafico, come se per Natale non si aspettasse nulla di diverso. Quella specie di transatlantico era per The Chief? Io ero ancora un po' incrudula, come lo era di certo anche Liam che fissava alternativamente le chiavi e il suo orologio che tutto a un tratto non sembrava più poi così speciale, il che suscitò nel fratello maggiore una risata, quasi vagamente malvagia. Per una volta non era Ourkid al centro dell'attenzione.
McGee per qualche motivo era rimasto stupito che la sua sorpresa non fosse stata poi tanto sorprendente e cominciò a chiedere a tutti gli astanti chi diamine avesse rivelato la cosa a Noel. Anche il vecchio McGee aveva superato il bicchiere della staffa.
Era il momento di agire, avrei fatto gli auguri di Natale e poi me ne sarei tornata a casa, questo era il piano, che però dovetti rivedere da subito dato che Ourkid mi sgusciò da sotto le dita, ancora un po' imbronciato per lo smacco ricevuto ma con sotto braccio una mora che riconobbi come una certa Lisa Moorish – che di lavoro, se tale poteva definirsi, faceva la mangiauomini professionista -. Quindi mi trovai a fissare davanti a me Noel, potevo leggergli negli occhi gelidi, come ormai ero abitutata, che sapeva perchè ero lì. Volevo far sembrare che le cose tra noi due fossero tornate normali, volevo crederci almeno per quei due secondi che avrei impiegato per augurargli un buon Natale e basta. Ma compresi subito che lui non me l'avrebbe permesso, neanche dopo un giusto numero di birre e magari una striscia o due di coca. Noel Gallagher non perdona, anche se il realtà non sapevo neppure di che cosa mi sarei dovuta scusare. Va bene, me ne ero andata dopo che lui aveva detto che mi amava, ma era forse colpa mia se lui l'aveva fatto? Era adulto, avrebbe potuto accettare le conseguenze di quanto combinava. Qualcosa mi diceva che nel mio ragionamento c'era una falla, forse era il vedere davanti a me l'immagine di Gem che scuoteva con aria grave la testa – ripensandoci, i White Russian dovevano essere almeno un paio -.
Ci fissavamo da parecchio, ignorando la gente attorno che parlava, McGee che indagava da novello Sherlock Holmes, Bonehead e Guigsy che inspiegabilmente avevano preso ad insultare collettivamente Whitey, aspettando solamente che uno dei due facesse una mossa qualunque.
- Ho bisogno entro due giorni che mi riporti la pedaliera riparata – disse infine lui, con fare professionale. La pedaliera di cui parlava pensavo di ripararla entro la ripresa del tour, non gli serviva di certo entro un paio di giorni, e dovevo già controllare il resto dell'attrezzatura e potevano sempre chiamarmi quelli della Creation per del lavoro extra. Ora capivo perchè ero sempre oberata di lavoro, era lui che non mi lasciava un minuto di respiro.
- La darò a Jason – ribattei.
- Jason è a casa a festeggiare coi suoi -
E a me cazzo fregava cosa faceva Jason? A lui non era stata lasciata alcuna incombenza - E allora? -
- Tu non hai nessuno con cui passare le festività, non sarà un problema riparare la pedaliera -, commentò indifferente.
Come ero stata ingenua, me lo dovevo aspettare. Eppure perchè sentivo un cratere aprirmisi nello stomaco? Era forse peggio di quando m'aveva licenziata, almeno quella cosa l'avevo tenuta in conto come possibilità, questa no, non immaginavo potesse dire certe parole. Per una frazione di secondo mi parve di vedere nei suoi occhi che nemmeno lui lo immaginasse, ma forse era solo un'impressione.
- Sei uno stronzo – riuscii solo a balbettare, mi si stava formando un groppo in gola, e la cosa non mi piaceva per nulla. Io non piangevo, non l'avevo fatto neppure quando Melissa Crow m'aveva domandato sibillina perchè io non facessi il lavoretto per la festa della mamma, ma me ne stavo a disegnare un drago. Alla bastarda avevo tirato un destro sul naso.
- No, sei tu la stronza – replicò Noel a denti stretti, qualsiasi cosa avesse baluginato prima nei suoi occhi era sparita di nuovo, inghiottita dal grande gelo.
Risi senza gioia, - No -, vidi Meg che si stava facendo largo tra le persone e veniva verso di noi, - E' che non sono abbastanza bionda, o magari non ti lecco a sufficienza il culo come fanno questi coglioni qua attorno -. Non sapevo perchè sputassi fuori quelle cose senza senso, solo era che rivedevo le immagini del Natale passato da Peggy e tutto ciò non faceva che farmi arrabbiare di più, a quel punto avrei potuto rinfacciargli qualsiasi cosa, pure che m'aveva vomitato sui jeans una volta. Mi bastava che provasse anche solo un po' del dolore che avevo aggrovigliato nello stomaco io, in quel momento.
Ma non dovevo essere così brava con gli insulti, almeno non quanto lui dato che quando arrivò Meg dal dietro e intrecciare una mano con la sua, lui non pareva minimamente turbato dalle mie parole. Probabilmente non c'era nulla che potesse realmente toccarlo, turbarlo. Fottuto muro, Wonderwall di 'sto cazzo.
Mi girai e marciai decisa verso l'uscita, ignorando quei pochi che mi riconoscevano e che mi volevano fare gli auguri. Rischiai nuovamente la vita mentre scendevo la scalinata della villa, per cui decisi di togliermi i tacchi, e mi avviai a piedi nudi sulla ghiaia, passando accanto di nuovo alla Rolls-Royce. Improvvisamente, venni colta da una folgorazione, forse quelle maledette scarpe non si sarebbero rivelate poi tanto inutili...
Il novello proprietario della Rolls avrebbe trovato la macchina con i fanali rotti e un tacco dodici incastrato nel finestrino retrovisore infranto.

I hope that I can say 
The things I wish I'd said 
To sing my soul to sleep 
And take me back to bed
Who wants to be alone
When we can feel alive instead?

 



Ripensandoci, avrei potuto far di meglio invece di sfasciargli l'auto, magari una bella testa di cavallo mozzata nel giardino anteriore di quella sua nuova casa che aveva chiamato Supernova Heights. Perchè gli volevo bene, altrimenti avrei potuto pure tirar sotto con l'auto Benson o Hedges, i suoi gatti. Di certo sacrificare le scarpe di Lou era stata però una mossa azzardata dato che m'ero dovuta poi subire l'ira funesta della proprietaria – tutti quegli estrogeni in circolo le stavano dando alla testa – e poi accompagnarla a fare una seduta di shopping terapeutico, con grande disappunto di Gem. Avevo comprato o meglio, ero stata costretta a comprare pure io qualche cosa che m'andasse bene per delle serate, ed era per questo motivo che mi trovavo nuovamente in pericolo sopra dei tacchi e fasciata in un vestito a stampa optical ad una festa. Avevo un certo senso di dejà vù, ma a questa non ero potuta mancare: i Brit Awards erano l'evento dell'anno. L'invito ce l'avevo già da tempo, e comunque, a parte gli Oasis, si sarebbe esibito pure Jarvis con i suoi Pulp, quindi non è che fossi lì solo per loro eh, giusto per chiarire.
A presentare c'era quel pel di carota di Chris Evans, un tipo famoso per le cazzate che sparava in radio, e per questo decisi di escludere l'audio sino a che non avesse cominciato a dire qualcosa di vagamente interessante. Decisi di prendere posto accanto a Thom Yorke, certa che almeno lui non m'avrebbe rivolo parola per tutta la sera dato che pareva disprezzare più o meno l'intero genere umano. Mi stava simpatico.

Finalmente mi arrivò all'orecchio qualcosa che valeva la pena di sentire: Mastercard British Album. Nello schermo principale scorrevano le immagini dei vari gruppi che erano in lizza: Oasis, Blur, Pulp, Paul Weller e Radiohead. Pure l'algido Thom Yorke si raddrizzò un attimo sulla sedia.
Alzai appena gli occhi dalla mia coppa di champagne mentre Evans dichiarava il vincitore. (What's The Story) Morning Glory?. Tutta la sala esplose in un applauso composto, bevvi un sorso dal bicchiere: e una era andata. Intanto lo schermo mostrava un pezzo di Don't Look Back In Anger fatta a Earl's Court, la canzone era stata rilasciata proprio quel giorno come nuovo singolo, strinsi con forza superflua lo stelo della coppa di champagne. Forse avrei potuto mandarlo in frantumi se una mano non mi si fosse posata sulla spalla.
- Sei incantevole stasera – osservò una voce bassa, dall'accento dello Yorkshire, - dovresti mettere in libera uscita più spesso quelle gambe -.
- Non sono ancora abbastanza brilla, Jarvis -, mi voltai, - perchè tu ci possa provare con me -.
Lui alzò gli occhi al cielo, un sorriso leggero sulle labbra, - Prima o poi cadrai nella mia rete – ribattè lui, senza demordere, mandò giù un sorso di birra e poi indicò il palco da cui erano appena scesi gli Oasis. - Hai visto che ha in mente di combinare Micheal Jackson? -
- Stasera sono qui come ospite, niente lavoro -
- Be', vedrai più tardi -, Jarvis era un filo irritato, il che mi sembrava strano, ma non ci feci troppo caso.
- Mi devo aspettare qualche sorpresa? -. Stavo iniziando ad incuriosirmi, chissà che diavolo aveva in mente l'americano.
Con la coda dell'occhio colsi appena il sorriso enigmatico e furbo di Jarvis, - Forse -, appoggiò la lattina di birra vuota al mio tavolo – Scusami pupa, ma mi dicono che devo andare a far ballare un po' sta gente – e con le gambe lunghe si avviò a passi scattanti verso il backstage.
Subito dopo lo show dei Pulp, venne annunciato il miglior singolo, che venne vinto dai Take That. La categoria seguente era miglior video, ancora una volta scorsero le immagini dei contendenti per il titolo e per questo venne trasmesso uno spezzone di Wonderwall. Era un po' strano vedere quel video per me, di solito sapevo cosa c'era dietro ad ogni singolo videoclip, ma quello era stato girato dopo la mia fuga per cui non avevo idea di cosa fosse accaduto nel backstage.
A vincere ancora una volta furono gli Oasis, personalmente però alla categoria davo poca importanza, certo un video era importante però la cosa centrale era la musica, nient'altro. La cosa migliore era probabilmente la faccia leggermente scocciata di Damon Albarn che in quella categoria partecipava con ben due canzoni, e lui era un tipo che a quelle cose ci stava attento, ed effettivamente The Universal meritava parecchio, anche solo per vedere lui mezzo truccato.
Andai a fare rifornimento di alcolici e questa volta mi procurai una bella lattina di birra, tornai appena in tempo al tavolo, i Radiohead erano spariti, rimpiazzati da tre tizi un po' inquietanti uno con capelli tinti biondi e occhiaie profonde sottolineate dalla matita nera, uno un po' stralunato dalla capigliatura rosso pomodoro e un terzo che non mi degnai neppure di guardare attentamente dato che su uno dei palchi era cominciato lo show di Jackson.
Era una delle cose più pacchiane che avessi mai visto, decine e decine di comparse, quasi tutti bambini che cantavano, uno scenario quasi biblico e tra fumo e luci compariva Jackson su di una specie di palco sopraelevato che si muoveva gradualmente verso il basso. Poi la mia attenzione venne attirata da una figura vestita di nero che non si muoveva secondo l'elaborata coreografia, si piegava puntando il sedere in direzione del cantante, scappava dalla security e tirava su la camicia. Risi di gusto mentre Jarvis evitava per l'ennesima volta la sicurezza correndo in giro tra le comparse. Infondo lui l'aveva detto che ci sarebbe stata una sorpresa. Alla fine riuscirono ad agguantarlo e lui si fece portare via senza protestare, mantenendo il suo inconfondibile aplomb, quando mi passò di fianco mi fece il suo solito occhiolino da don giovanni.
Lo spettacolo di Jackson intanto andava avanti, mentre lui cantava Earth Song, tutto calato nella parte di un novello Messia, ma senza Jarvis il tutto era troppo tedioso, per cui ripresi ad osservare i tre tizi che sedevano al mio tavolo e che parlottavano tra di loro, ridendo, con l'inconfondibile accento californiano. Dovevano essere i Green Day, di loro avevo rubato pure un album o due...o forse l'ultimo l'avevo pure comprato? Non ricordavo molto bene...sì, Dookie l'avevo decisamente pagato – ero quasi sbalordita da me stessa -.
Ero talmente persa nelle mie elucubrazioni che quando rialzai lo sguardo sullo schermo gigante stavano già passando i volti dei contendenti per la miglior band di Gran Bretagna, cazzo! Non feci quasi in tempo a leggere che il nome venne annunciato. Accadde tutto tremendamente in fretta, nel giro di pochi secondi mi ritrovai a seguire Liam che camminava con la sua tipica andatura sballonzolante verso il palco, levando le braccia in segno di vittoria, e dietro di lui tutti gli altri membri della band che, nonostante fosse già la terza volta che venivano chiamati sul palco, esultavano grandiosamente.
Evans aveva piazzato in mano a Liam il premio a forma di dito medio dei Brits e mentre Noel provava a dire qualcosa che rassomigliasse anche solo vagamente a un discorso di ringraziamento, Ourkid con movenze da cavernicolo aveva preso a cercare di...infilarsi il premio su per il culo. Ero sbigottita, un po' come tutti, ma dopo un secondo inziai a ridere, subito accompagnata dai miei compagni di tavolo. Non tutti lo fecero, qualcuno era ancora sbalordito o come Thom Yorke arricciava dignitosamente il naso davanti a un'espressione di tale rozzeza. E lo era, diamine se lo era. Però per me, che avevo paura che i Gallagher venissero addomesticati dallo showbiz, quella era la prova che non bastava ancora qualche Rolex e delle feste lussuose per cambiare quello che erano: genuini, stupidi, buzzurri coglioni. I miei coglioni, riflettei asciugandomi una lacrima per il troppo ridere con il dorso della mano.
Alla fine Liam parve contento di quanto aveva mostrato alle telecamere e decise per cui d'andare a interrompere suo fratello e incominciare con il proprio di discorso. - Vorrei ringraziare tutte le persone... -. Sapevo dove voleva andare a parare, e pure Noel visto che all'unisono presero a cantare sguaiatamente: - All the people -, mi alzai pure io in piedi e inziai a cantare come anche altri attorno a me, - so many people -, Noel mi stava guardando e per un attimo dimenticai tutto e forse pure lui, – May all go hand in hand, hand in hand through their...SHITE-LIFE! -. Finito di cantare mi sentivo riempita da una strana euforia: gli Oasis avevano vinto tre Brits. Esitai ancora un attimo, il mio sguardo dritto in quello di Noel che era leggermente meno freddo, un sorriso idiota stampato in faccia. Ce l'avevano fatta. Avrei voluto dire che ce l'avevamo fatta, ma il ricordo della festa di Natale era vivo in me più che mai, per cui approfittai di un istante in cui aveva volto l'attenzione verso Chris Evans e me ne andai via.
Non c'era nessuno lungo i corridoi della Earls Court Exhibition Centre, ovviamente erano ancora tutti dentro per la cerimonia. Cercai di mantenere un'andatura dignitosa mentre scendevo le scale e arrivavo in strada dove erano parcheggiate due auto della polizia. E dentro una, ci stavano facendo salire Jarvis, che vedendomi si sporse dal finestrino.
- Signor Cocker, dobbiamo portarla in centrale – lo ammonì un agente.
- E un attimo, Ispettore Callaghan – si lamentò Jarvis – Cassandra, dimmi che abbiamo vinto come miglior band, vedo già il titolo del Sun: “I Pulp vincono i Brits, ma Cocker si trova nel braccio della morte”. Sarebbe epico! - disse a raffica con la sua parlantina.
Feci una smorfia, - Spiacente, abbiamo vinto noi -. Hanno vinto gli Oasis, volevo dire. L'espressione di Jarvis non mutò, se lo aspettava. - Ti terranno dentro molto? -, cambiai discorso. L'agente della polizia sembrava abbastanza impaziente.
- Non ti preoccupare, pupa –, rispose pronto, – sarò fuori in tempo per portarti a prendere un aperitivo a Chelsea -, al che il poliziotto gli fece cacciare dentro la testa nell'abitacolo e fece segno al collega di partire. Mentre la volante si allontava salutai con la mano il cantante, speravo sinceramente che non passase troppi guai per quella sua bravata, quello da mettere in galera era Jackson, non Jarvis.
Smontai giù dai tacchi che mi stavano torturando i piedi e mi diressi verso la fermata dell'autobus più vicina. Chissà se Gem era ancora sveglio, e aveva voglia di fare quattro chiacchiere... Ma sì, lui era sempre sveglio.

 

Because we need each other
We believe in one another
And I know we're going to uncover
What's sleepin' in our soul


A fine Febbraio, a soli pochi giorni dalla vittoria schiacciante ai Brits e quando in patria si stava ancora parlando del caso di Jarvis – l'avevo fatto uscire dopo una sola notte di galera e lui aveva dovuto tenere una conferenza stampa –, noi atterrammo per l'ennesima volta negli States. Sia la Creation che The Chief parevano quanto mai decisi a sfondare pure nella terra dello zio Sam, e la tecnica adottata era quella di battere ferro finchè era caldo. Nonostante la settimana stressante e ricca d'impegni, i Gallagher erano riusciti lo stesso a ritagliarsi una serata con Depp all'ormai caro Viper Room. Io ero presente mio malgrado, come anche tutta la crew, e non so per quale motivo ero riuscita pure a finire proprio al tavolo delle celebrità, al mio fianco c'era però Maggie, con la quale di tanto in tanto scambiavo due chiacchiere, lei che era troppo presa a controllare e ricontrollare il programma della giornata seguente. Qualche volta provavo a stare dietro alle conversazioni tra Depp, la Moss e i fratelli, ma con ben poco successo, l'ultima volta stavano parlando dell'organizzazione di una possibile vacanza in una delle molte case sulla spiaggia dell'attore. Avrei voluto tanto dire che Noel non sapeva nuotare, che odiava la spiaggia e che l'ultima volta che c'era andato in vacanza era stato qualcosa come il lontano 88' a Creta, ma non mi sembrò il caso di scombussolare i piani a tutti. Tornai a pensare ai fatti miei, al pedale della cassa di Alan che aveva qualcosa che non andava.
Quando infine mi girai nuovamente verso il tavolo, trovai Depp che mi fissava interrogativo, tutti avevano un'aria un po' confusa e guardavano me. Dovevo essermi persa qualcosa, ma non sapevo come tirarmi fuori d'impiccio.
- Ho detto, sei tu quella che m'aveva chiesto di John? - ripetè allora Depp, con aria più amichevole.
- Ah, sì – bofonchiai, con il casino che c'era e la sua pronuncia tutta soffiata non mi stupivo di non averlo sentito la prima volta, - Perchè? -, avvertii una leggera torsione allo stomaco, e lo sguardo teso che mi rivolse l'attore certo non mi aiutò.
- Flea m'ha detto che si trova in ospedale da qualche giorno -, tirai un sospiro di sollievo, ospedale era sempre meglio che cimitero, - l'ha scampata bella, quelli della terapia intensiva l'hanno tirato fuori all'ultimo -, l'aria al tavolo era decisamente diventata più greve.
- Ora come sta? -, sapevo che era una domanda stupida, ma davvero non avrei saputo che altro chiedere. Depp diede una vaga scrollata di spalle: - Lo stanno facendo disintossicare -, modo pacato per dire che stava soffendo come un cane, i sintomi dell'astinenza da eroina erano molto forti.
- Sapevo che domani Flea voleva passare a trovarlo, se vuoi puoi andare con lui -
- Tu non ci vai? -
Depp si mosse, come se la seduta gli fosse improvvisamente scomoda, – Impegni di lavoro – rispose alla fine.
- E anche tu hai impegni di lavoro -, mi voltai, ad intervenire era stata Maggie, che stava di nuovo scartabellando, - dobbiamo prendere l'aereo domattina, nel pomeriggio abbiamo un set acustico in una radio a St. Louis -. Cazzo, me ne ero dimenticata. Avrei voluto protestare ma sapevo che c'era poco da fare...
- Annullalo -, disse deciso Noel, mi girai verso di lui, completamente spiazzata.
- Ma è già tutto sistemato! - esclamò Meggie scandalizzata.
The Chief rimase impassibile, - E tu chiamali e digli che noi non suoniamo – spiegò semplicemente. Cercai di capire perchè stesse facendo una cosa del genere, ma l'espressione era intelleggibile. O forse voleva pulirsi la coscienza per quel che m'aveva detto alla festa di Natale? Oh, se pensava che sarebbe bastato così perchè mi prostrassi davanti a lui tutta riconoscente si sbagliava di grosso.
- No, Maggie, non annullare niente. Questi sono affari miei privati, non posso bloccare l'intera crew -, lo sguardo di Noel fremette un attimo e lo vidi contrarre le sopracciglia, mentre cercava di leggere la mia mossa, ma subito si riprese e soggiunse, con una mezza risata – Questo mi pare ovvio -, c'era una punta di scherno, poi si rivolse a Meggie – sono giorni che non siamo fermi, mi serve una pausa. Meg doveva arrivare domani a St. Louis, le dirò di cambiare e venire qui a LA per un po' di shopping -. Di fianco a lui pure Patsy sembrava essere d'accordo e si mise a parlare nell'orecchio a Liam che annuì, passandole una mano tra i capelli.
Maggie rimase ancora un attimo irrigidita poi, con un'imprecazione soffiata tra i denti, s'alzò con il cellulare già attaccato all'orecchio pronta a risistemare il programma del giorno seguente.

 

There are many things
That I would like to know
And there are many places
That I wish to go
But everything's depending
On the way the wind may blow

Non ero mai stata in un ospedale, avevo sempre avuto una salute ferrea e parecchia fortuna quando si trattava di cadere, dall'ultima volta che ero stata in un posto del genere erano passati circa dieci anni, ed era stato per via di mamma, anche se per l'esattezza ero andata in un obitorio. Ed effettivamente il luogo dove mi trovavo ora non era niente di molto diverso, stavo passando di fianco alla terapia intensiva come m'aveva spiegato un infermiere ed ero diretta verso le stanze dove stavano i pazienti appena dimessi da essa. Leggevo veloce i numeri sulle porte beige, sino a che non trovai quello che stavo cercando. Frusciante John Anthony, camera 611B.
Bussai ma nessuno rispose, magari stava dormendo, ma aprii la porta comunque, al massimo me ne sarei andata in silenzio. Appena oltrepassai la soglia però mi trovai due occhi color caffè puntati addosso, il proprietario attorniato da un gran numero di macchinari e tubicini: pareva di stare in una puntata di Star Trek. John quando ero entrata era praticamente scattato sull'attenti, ma ora che m'aveva riconosciuta era tornato a stendersi sui cuscini che gli sostenevano la schiena, emettendo un sospiro lieve, lo sguardo sempre attento però.
Sopra l'unica sedia che c'era era stato posato un mazzo di fiori, come d'altronde ce ne erano anche molti altri sparsi un po' ovunque, pure una scatola di cioccolatini, di quelli economici che si trovano al supermercato, gli avevano portato. Con tutti quei fiori mi sembrava di stare in una camera ardente, io non gli avevo portato nulla, ma non mi pentii d'averlo fatto. Presi la sedia e la trascinai, con rumore metallico, vicino al letto.
Avrei detto che l'aspetto di John era peggiorato, ma forse era perchè gli avevano rasato i capelli e, senza essi a coprirgli il volto, le occhiaie erano più evidenti che mai, così come anche gli zigomi ossuti. L'aria trasandata era però completamente sparita, forse perchè non indossava più quei vestiti che davano l'idea di star per avvilupparlo da un momento all'altro, ma un camice bianco dell'ospedale che quasi si mimetizzava con il colore della sua pelle.
- Sono tornata – esordii dopo qualche secondo di silenzio, a parte il ronzio delle luci al neon, a lui si incurvarono appena gli angoli della bocca.
- Gli spiriti me l'avevano detto, non avevo dubbi – commentò sicuro, la voce era leggermente gracchiante e stentata, non doveva averla usata molto negli ultimi mesi. Chissà se i suoi spiriti gli avevano pure detto quanto fossi stata vicina dal non venire, non glielo chiesi però.
- Che hai avuto? -, con John era inutile nascondere persino la curiosità, l'avevo ormai capito, se non l'avessi domandato io, me l'avrebbe raccontato di certo lui.
Si strinse appena nelle spalle spigolose, - Infezione del sangue, me ne era rimasto ben poco e tutto quello che avevo in circolo era merda – spiegò, come se non stesse parlando di se stesso, ma di un altro. - I medici dicono che ho rischiato la vita, è per questo che adesso mi tengono pulito. Be', a parte il metadone -. Le sue dita si muovevano nervose , stropicciando l'angolo del lenzuolo.
- Va tanto male? -
Piantò di nuovo i suoi occhi nei miei, era pazzesco come potesse spostare completamente l'attenzione da una cosa all'altra, sino a un attimo prima stava fissando distratto la lucetta dell'elettrocardiogramma, come se io neanche esistessi. - Penso di riuscire a sopportare ancora qualche giorno, poi mi dimettono e allora non avrò problemi a trovarmi la roba -, rispose inclinando un poco la testa.
Non poteii trattenermi e sbottai – Ma hai appena rischiato di morire! -. Non era indignazione, solo mi si stava torcendo di nuovo lo stomaco.
Lui sbattè un paio di volte le palpebre, sapevo che capiva, ma se ne fregava lo stesso – Non mi importa se vivo o muoio, anche in questto stesso istante. Ho bisogno dell'eroina -, si fermò un secondo, borbottò qualcosa di indistinguibile, stava forse rincorrendo una parola, - ne ho bisogno per vedere la bellezza, senza è tutto...andato -, scosse la testa, concetrandosi adesso sulle proprie mani, - non riesco a fare nulla senza l'ero, lo dicono pure i miei amici che senza perdo la luce negli occhi -. In quell'istante, quando levò proprio gli occhi su di me, non ebbi il coraggio di guardarli. Non volevo sapere se era vero, e d'improvviso il motivetto a rombi del copriletto era tremendamente avvincente. Avrei voluto dargli del coglione, dirgli che non capiva cosa stesse buttando al vento e cosa avesse già buttato, ma con John avevo sempre la sensazione che a non capire potessi essere io in realtà. Per cui rimasi in silenzio, ora attirata dal movimento rapido e preciso delle sue dita, non le stava muovendo a caso: stava suonando. Al che mi si accese una lampadina, con una rapida associazione di idee, arrivai a pensare alla copertina di Niandra e insinuai: – Non mancheresti a Clara? -, lo dissi con naturalezza, come se avessi precisamente in testa l'immagine di quella donna che invece ancora mi sfuggiva totalmente.
Al solo sentir pronunciare quel nome lui sorrise in maniera gentile, quasi timida, ma subito si rabbuiò, credo quando gli arrivò del tutto il messaggio della mia domanda. Si stropicciò gli occhi, per la prima volta ero riuscita a metterlo a disagio e la cosa non mi piacque per nulla, era come vedere un bambino indifeso.
- Lei... -, borbottò, - lei ha Flea. Strarebbe bene pure senza di me, credo -. Vedevo come la sua stessa risposta non lo convincesse a pieno, e mi pentii d'aver nominato Clara, mettendo a memoria di farlo con più cautela se mai fosse ricapitata l'occasione. Silenzio.
- Hai delle sigarette? -, sembrava aver già dimenticato quanto era successo trenta secondi prima.
Esitai un istante.
- Sono un eroinomane, mica mi ucciderà un po' di fumo -, il tono era scherzoso, gli era tornato il buon umore.
- E invece pare di sì, dicono che faccia venire il cancro – replicai. Ottima pubblicità progresso da una che si fumava minimo un pacchetto al giorno.
- Mi devi ancora una boccata di Pall Mall – mi rammentò allora. Dio, lui e la sua memoria!
Cominciai a tirar fuori le B&H dalla borsa, - Era pure una boccata di seconda mano – mi lamentai io, allungandogli comunque la sigaretta e accendendogliela. Meno male che non aveva le cannule per l'ossigeno o avrei rischiato di far esplodere mezzo ospedale. - Facciamo a mezzo? -
- Facciamo a mezzo – confermai.
Un'ora dopo stavamo discutendo con fervore su chi fosse stato più fondamentale per il glam rock tra Marc Bolan e David Bowie, di cui lui era una specie di groupie: in un momento di particolare agguerrimento aveva provato pure ad accennarmi Rock 'n' Roll Suicide, ma la voce gli aveva ceduto quasi subito. Ora invece mi stava spiegando perchè Under The Bridge avesse qualcosa che mi faceva proprio pensare ai T. Rex di Bolan.
- Sta tutto nella chiusura della seconda strofa, in quell'accordo di settima che è uguale in una delle loro. Il bello è che si chiama Rip Off, la canzone da dove ho preso quell'accordo. Ho rubato da una canzone che si chiama rubare – spiegò, ingarbugliandosi un poco con il gioco di parole, finendo per trovarsi a tossicchiare. Gli presi il mozzicone di sigaretta e lo spensi in una scatoletta di metallo che mi portavo sempre dietro assieme alle B&H, e non potevo fare a meno di sorridere, non per l'aneddoto in sè, ma per il modo in cui John raccontava: faceva sembrare tutto più vivido, a tratti anche distorto e confuso. Il suo modo di parlare lo rispecchiava a pieno.
Sentivo come spilli i suoi occhi su di me, su ogni mio singolo movimento, questo un po' mi infastidiva, per cui mi limitai a continuare a sistemare i vari oggetti nella borsa, cercando il posto perfetto per il pacchetto di sigarette quando di solito lo lanciavo dentro e casaccio.
- Ti posso baciare? -
Aggrottai le sopracciglia, dovevo aver sentito male: l'ultima volta che qualcuno m'aveva chiesto il permesso di baciarmi avevo nove anni, e a farlo era stato Richie Frost. No, no, dovevo aver capito male, era colpa di quella stupida pronuncia incomprensibile. Però quando alzai lo sguardo, trovai John che mi guardava paziente, limpido, nonostante l'aria malaticcia, come era stata anche la domanda che avevo sentito. Richie Frost l'avevo mandato a 'fanculo, mi faceva schifo l'idea di baciare un maschio, uno dei miei migliori amici. E in più aveva anche l'eczema!
Dai meandri della mi borsa arrivò il bip fastidioso del cerca-persone, ma al momento non importava, ero ancora troppo spiazzata.
John era ancora lì che aspettava una risposta, imperturbato. Ma bastò che inclinassi leggermente il capo, in segno d'assenso, perchè si tirasse più su a sedere e s'avvicinasse quel tanto che bastava per far combaciare le nostre labbra. Le sue erano fredde come le ricordavo, e innaturalmente secche – lo dovevano star idratando via flebo -, mi venne naturale passarci sopra la lingua, su quella pelle screpolata. Lo sentii trasalire anche solo a quel minimo contatto, ma non si scostò prima di qualche altro secondo, quando infine tornò a sdraiarsi contro i cuscini, l'espressione completamente immutata. Mi sentivo tanto l'esperimento di un bambino, e non sapevo neanche se ero un esperimento fallito o meno, abbassai lo sguardo scoprendo come la mia mano destra fosse tra quelle di John che avevano smesso di suonare, la sua concentrazione era ora rivolta verso le fronde degli alberi che si vedevano fuori dalla finestra.
Suonò nuovamente il cerca-persone, e dovetti sottrarre la mano alle sue per poter frugare nella borsa. Come immaginavo, era Meggie. Doveva essere una visita breve e invece ero stata lì sin troppo, quindi m'alzai e m'affrettai a mettere a posto la sedia, tra un movimento e l'altro riuscii a borbottare un: - E' tardi, non posso restare -
- Sei sempre di fretta – osservò allora John, il tono non era negativo ma neanche positivo, - Cambierebbe forse qualcosa se ti fermassi invece di andare via? Smetterebbe il mondo di girare? -. Oddio che domande, dovevo andare, non l'avessi fatto Meggie m'avrebbe sclerato dietro e magari l'intera crew avrebbe perso l'aereo e... ok, avremmo potuto prendere anche un altro aereo e no, la Terra non avrebbe smesso di girare però non potevo neppure certo rimanere con lui in quella stanza. Era come se il mondo reale e la stanza di John – il suo mondo - non coincidessero, e non potessero neppure farlo. Forse era per quello che il bacio che avevamo condiviso solo qualche minuto prima mi pareva già lontano anni luce. Mi rassettai in un attimo e mi voltai a guardare John nel letto, avevo già intenzione d'andarmene con un cenno di saluto quando mi venne in mente una cosa e per l'ennesima volta mi misi a rimestare nella borsa sino a trovare una penna portata via da un qualche hotel. Ora mi serviva solo della carta, aprii i cassetti del comodino di John ma non c'era nulla, alzai gli occhi al cielo e quando li riabbassai trovai lui che mi offriva con noncuranza un avambraccio.
- Meglio che niente, no? -, mise assieme un mezzo sorriso.
Cominciai a scrivere veloce, ma cercando di non calcare troppo, proprio sopra l'asterisco dei Peppers, - Questo è il numero di cellulare della nostra tour manager. Non preoccuparti di controllare l'orologio quando chiami, se vuoi chiamare, tanto per parlare un po', nel caso Flea non fosse abbastanza... anche se penso che Flea abbia fiato per poter intrattenere conversazione con l'intero Stato della Californa... - stavo divagando, io non divagavo mai, - ecco, Maggie soffre di insonnia cronica per cui non farti problemi – conclusi chiudendo il cappuccio della biro.
Lui si limitò a muovere la testa in segno d'assenso, così io non aggiunsi altro e me ne uscii dalla stanza veloce, dato che avevo solo venti minuti per arrivare all'aereoporto.
Junkie era la parola specifica che si usava per indicare il dipendente da eroina, ed era anche stessa che John usava per definirsi. E derivava da junk, spazzatura, e una cosa la sapevo mentre ero in viaggio con il mio taxi nel traffico di LA: John non era spazzatura.

 

I don't know what it is
That makes me feel alive
I don't know how to wake
The things that sleep inside
I only wanna see the light
That shines behind your eyes

- Che fai? -
Il silenzio durava da un po', e sentivo solo vaghi rumori di sottofondo dall'altro capo del telefono.
- Quello per cui impiego una gran parte del tempo: respirare un sacco. Mi piace l'aria -, sarei anche potuta scoppiare a ridere, ma sapevo che era del tutto, genuinamente serio. E d'altronde non potevo neppure dargli torto. Per cui rimasi immobile, la cornetta appiccicata alla guancia, a sentirlo respirare.
Era passato circa un mese da quando ero andata a trovare John in ospedale. Lui aveva chiamato il numero che gli avevo dato dopo solo un giorno, giusto per dirmi che su Los Angelese pioveva e che mi salutava Flea, poi non aveva chiamato per più di una settimana e quella volta m'aveva chiesto di parlare e basta, io, da sola, lui non aveva praticamente aperto bocca. E per tutto il mese più o meno così, senza uno schema, e ogni tanto udivo dall'altro capo del telefono pure una voce di donna. Doveva essere Toni, mi tranquillizzava il pensare che non fosse completamente da solo in cima a quella collina, con i suoi spiriti e gli uccellini che cinguettavano fuori dalla finestra.
Quella volta però l'avevo chiamato io, dal telefono a gettoni della sala bar dell'hotel in cui ci trovavamo a Dublino. Non ci eravamo detti granchè, ma nonostante ciò eravamo al telefono da circa mezz'ora – non avevo finito la moneta perchè ne tenevo una in bilico nella fessura del contatore, non era comodo ma parecchio economico sì -.
- Stavo pensando – cominciò ad un certo punto, io che mi ero quasi lasciata andare, addormentata, contro la parete di legno, regolando il mio respiro al suo, -...come ti chiami? -. Che domanda assurda, sbuffai, com...oh cazzo, io non gli avevo mai detto il mio nome. Ero quasi tentata di non dirglielo, infondo fino a quel momento come mi chiamassi era superfluo, però dovetti cedere a quel suo tono curioso, che non era poi tanto facile da stimolare.
- Cassandra – dissi un po' titubante, come aspettandomi che cambiasse qualcosa da un istante all'altro.
- Cassandra –, ripetè lui, – come la profetessa inascoltata dell'Iliade -. Non me lo vedevo per niente a leggersi vecchi libroni di Omero.
- O come la zia preferita di mia madre – replicai io, sogghignando.
Non riuscii a sentire la risata appena accennata di John, un rumore di sedie spostate e di grida la coprì. Lasciai cadere il ricevitore, e scostata la tenda che concedeva un po' di privacy a coloro che dovevano telefonare mi ritrovai nel bar dell'hotel.
Liam era di fianco al bancone, rosso di furore come mai l'avevo visto, completamente trasfigurato, sembrava avere il diavolo in corpo. Le braccia di Bonehead lo trattenevano all'indietro, non fosse stato così sarebbe certo saltato addosso all'uomo di mezza età che invece lo fissava con un ghigno che mi faceva venire i brividi su per la schiena. Viscido
- Voglio solo fare quattro chiacchiere, William – disse con voce baritonale, le folte sopracciglia erano contratte sopra degli occhi di un bell'azzurro, ma un po' iniettati di sangue. Assomigliava vagamente a Noel, e in quell'istante capii: era Tommy Gallagher, che tornava dopo ben tredici anni. Dietro di lui c'era un cameraman e una giornalista con il cartellino di riconoscimento. - Solo parlare un po' e sistemare le vecchie questioni -.
Liam cercò di divincolarsi, - Vieni un paio di passi più vicino che le questioni le sistemiamo come dico io, eh?-. Ourkid non aveva certo voglia di una chiacchierata amichevole.
Al pugno levato di suo figlio, Tommy replicò con una risata profonda – Non essere ridicolo, non faresti male neppure ad una mosca! -
Dalla porta che dava sulla reception entrò come una tempesta Noel, seguito a ruota da Maggie, con la faccia più preoccupata che le avessi mai visto, lui stava gridando: - Dov'è?! - quando il suo sguardo si bloccò sulla figura un po' curva del padre. - Vai via – sibilò a denti stretti, a malapena udibile.
- Oh, eccoti, stavo dicendo a tuo fratello come sarebbe ora di una bella rimpatriata – fece gioviale Tommy.
Liam si dibatteva ancora tra le braccia di Bonehead, che però non mollava la presa. - Lasciami, idiota! E' una vita che aspetto questo momento, il giorno in cui gli avrei spaccato la faccia -.
Noel si voltò verso Ourkid, - Smettila, Liam. Non dargli questa soddisfazione -, era perfettamente calmo, l'antitesi dell'altro.
Tommy stava sorridendo, - Sei sempre stato un bravo fratello maggiore, eh? Magari un po' codardo, però per Ourkid c'eri sempre -.
Vidi le dita di Noel contrarsi a pugno, più e più volte, la mascella chiusa in una morsa. - Non...chiamarlo così – minacciò, la voce che si stava incrinando per la rabbia, si girò verso Maggie – Lo voglio fuori di qui, ora – ordinò lapidario, ma la tour manager era stata più rapida e aveva già chiamato la sicurezza che allontanò Tommy dall'hotel. Bonehead lasciò andare Liam che però subito cercò di precipitarsi fuori dalla stanza per correre dietro e suo padre, per fortuna io e Alan lo intercettammo un attimo prima che potesse uscire dall'albergo e fare qualche cazzata. Mi guardai attorno, Noel era sparito. In compenso la giornalista e il cameraman erano ancora lì, la telecamera accessa. Cristo, quanto li odiavo!
- Spegnila! – latrai loro contro, mi accorsi solo allora di quanto fossi veramente incazzata pure io. - Spegnila, cazzo! -. Il cameraman si limitò a indietreggiare solo di qualche passo, per prendere un tutto campo di Liam che aveva appena mandato a gambe all'aria un tavolo e ora si stava accanendo su tutti I poveri suppellettili presenti nella reception.
Guigsy strappò di mano la telecamera all'uomo, - Non hai sentito la signorina? -, mi passò il maledetto aggeggio, io premetti bottoni a casaccio sino a che non si aprì il cassettino che conteneva il nastro, lo stracciai. Era l'unica possibile da farci con quello schifo di roba.
Dalla faccia della giornalista si sarebbe detto che l'avevano appena schiaffeggiata, - Lei non può... - stava balbettando indignata, -...quella era la mia intervis... -- Ma taci, troia -, tagliai corto io, seguendo Ourkid nel bar dell'hotel, dove ora era impegnato a sfasciare sgabelli. Era ancora fumante, e sinceramente non avrei saputo che fare per fermare quella furia – a parte mettermi in mezzo e prendere una sediata -.
- Lascialo sfogare -, Maggie era arrivata da dietro, aveva l'aria stravolta e il cellulare in mano, pronta a fare una serie di chiamate per mettere a tacere il casino che sapevo sarebbe scoppiato. - Almeno ora hanno grana abbastanza per ripagare quanto distruggono -.
Feci un sorriso stanco e stavo per replicare qualcosa, ma Maggie stava già parlando al telefono con la Creation a Londra.
Spinta da non so cosa decisi di vedere dov'era andato a cacciarsi Noel, per un secondo pensai con orrore che nel marasma generale potesse essere uscito lui a cercare Tommy per dargli una bella lezione, ma poi trovai la porta della sua camera socchiusa ed entrai. Lui era di spalle, guardava fuori dalla finestra il cielo uggioso e incombente di Dublino, guardò appena indietro per mezzo secondo, per capire chi lo stesse disturbando.
- Hai fatto la cosa giusta – mormorai dopo qualche secondo, quella sua immobilità mi dava fastidio, più di Liam che distruggeva mezzo albergo.
Si voltò, i suoi movimenti erano inquieti, - Avrei dovuto picchiarlo a sangue – ribattè lui, aveva il respiro affannoso – o l-lasciarlo far-e a Liam -, stava ricomparendo la vecchia balbuzie, fece un ghigno pieno di sarcasmo – dato c-che sono un co-codardo -. Non fosse stato perchè tartagliava, dalla sua faccia non si sarebbe capito quanto era veramente incazzato, come sempre era senza espressione quando parlava di suo padre.
Provò a dire qualcos'altro ma faceva fatica ad articolare le parole, e più faticava, più si arrabbiava e la rabbia non faceva altro che peggiorare la balbuzie. Si arrese, e mi guardò fisso con quegli occhi gelidi, le mani che tremavano appena.
Per un secondo pensai che finalmente stesse provando tutta la frustrazione e il dolore che m'aveva causato alla festa di Natale, con quelle parole buttate lì quasi per caso, ma da tutto ciò non riuscivo a trarre nessuna soddisfazione, provavo solo un senso di disfacimento interiore, di impotenza. Mi faceva male. Non volevo vederlo così, aveva fin gli occhi lucidi, non volevo vederlo così, cazzo. Avrei solo voluto essere chiusa in una stanza con Tommy Gallagher e avere in mano una mazza da baseball.
Feci due o tre passi in avanti e gli presi il viso tra le mani, lo baciai. Non se lo aspettava, ma dopo un secondo potevo sentire la rabbia che stava riversando in quel bacio, e una serie d'altre cose che non si possono registrare in situazioni del genere. Lasciai che si sfogasse per un po', che ci sfogassimo entrambi, poi mi lasciai ricadere sul letto rifatto da poco dalla donna delle pulizie.
Presi un attimo d'aria, sentivo le labbra gonfie e mi concentrai sul sapore misto di tè e sigaretta che avevo sempre associato a Noel, non pensavo mi potesse mancare così tanto. Le orecchie mi rimbombavano del suo respiro affannoso – la rabbia però era un fattore secondario ormai – e aveva anche lui le labbra rosse, sembrava un po' un ragazzino. Mi stavo quasi incantando a guardarlo, era qualcosa di meraviglioso poterlo scrutare negli occhi senza sentirli come spilli gelidi, quando lui mi tirò un morsetto, per cui ripresi a baciarlo, questa volta lentamente senza alcun altro fine se non quello di sentire la barba ruvida, il fiato caldo e i capelli lisci sotto le dita. - Non sei una stronza -, riuscì a dirmi tra un bacio e l'altro, più o meno quando m'aveva infilato la mano sotto la maglia, fermandola sulla cassa toracica, a poca distanza da dove il mio cuore stava pompando ancora furiosamente. - Almeno, - si corresse, - non lo sei sempre -. Per un secondo o due provai a guardarlo in maniera truce, ma non mi riusciva proprio, - Tu sì invece che sei uno stronzo – provai a ribattere, ma in viso mi spuntava spontaneo un sorriso, che nascosi nella fossetta tra le sue due clavicole, respirando l'odore della sua pelle e della felpa che aveva addosso. - Mi sei mancato -, mi lasciai sfuggire quella frase all'ultimo e, solo una volta che la dissi, mi accorsi di quanto fosse vero. A quel punto temevo però che avrebbe tirato in ballo il perchè me ne fossi andata via a Settembre, e infondo quasi avrei voluto che lo facesse per quanto mi intimorisse la cosa, invece mi strinse soltanto di più, intrecciò le gambe con le mie e per riconoscenza non feci altro che lasciargli un ultimo bacio sul collo.
Mi svegliai per via di una gamba compleatamente intorpidita, ma con una sensazione di benessere che non provavo da un bel po'. Girai appena un po' il collo e fissai il soffitto senza scopo per qualche secondo, mi sarebbe andato bene rimanere così per sempre, non c'era nulla di speciale ma ero straodinariamente in pace in quella stanza d'albergo anonima, con il petto di Noel a farmi da cuscino. Rimasi a godermi quel momento che avvertivo compleatamente fuori dal tempo e dallo spazio, come se non sapessi neppure chi fossi io e chi l'uomo che avevo accanto. Tolto tutto, reso all'osso, rimanevamo solo noi due abbracciati e nient'altro.
Feci attenzione e mi scostai appena un poco, quel che bastava per poter guardare Noel mentre dormiva. Caldo, pace, sensazione di appartenza e una canzone in testa.
Scopriremo quanto giace nella nostra anima...
Speravo davvero che fosse così, prima o poi.



Because we need each other
We believe in one another
And I know we're going to uncover
What's sleepin' in our soul



 

Siete ancora vivi dopo questo never-ending chapter? Complimenti *stretta di mano* Che posso dire, mi son fatta prendere la mano da i vari aneddoti di questo periodo. Un po' di references: 
http://www.youtube.com/watch?v=TGz307o0JRA Fade Away Warchild Version con Depp, la Moss e Lisa Moorish
Coyley è il tecnico del suono dell'epoca nonchè grande amico di Noel, Jason il tecnico delle chitarre attuale di Noel (penso sia con lui da parecchio)
La stori del Rolex e della Rols è vera e prima o poi troverò il link del video in cui Noel la racconta, che fa troppo scompisciare :'D
http://www.youtube.com/watch?v=ouAzRI5yo7I il video degli Oasis ai Brits ATTENZIONE: potreste perdere la vostra (ne avrete mai avuta?) stima residua per Liam Gallagher. Quando i Gallagher cantano "All the people..." è una rivisitazione del pezzo dei Blur Parklife http://www.youtube.com/watch?v=DyyApnI6PrA
http://www.youtube.com/watch?v=dZEWomOQVno Jarvis vs Jackson
Della parte di Los Angeles è più o meno tutto vero, pure che Noel è andato in vacanza a Creta LOL e quanto dice John Frusciante, i suoi pensieri sulla droga, sulla morte, è praticamente tutto ripreso da interviste. Pure il fatto che gli piaccia l'aria :)) http://www.youtube.com/watch?v=xZNgRn2054Y Johnny che in un paio di minuti suona Bowie, i T. Rex e spiega la storia dell'accordo rubato, se volete vedere come sono le spiegazioni di Frusciante.
Anche il pezzo finale è purtroppo vero, Tommy fu mandato dai fratelli pagato da un giornale e Liam perse le staffe. 
La canzone è Acquiesce http://www.youtube.com/watch?v=k7Cr9KvSIxQ
Ok, vi ho riempito per bene di note, per cui il mio lavoro da wikipedia deambulante è fatto e vado in pace. Cheers^^
 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** This Guy's In Love With You ***


Qualcosa mi infastidiva, e appena riacquistai abbastanza lucidità capii che era un gomito ben piantato tra le mie costole, provai a ricadere nuovamente nell'oblio del sonno, troppo pigra perfino per provare a spostarlo ma era ovvio che non sarei riuscita ad addormentarmi di nuovo. Non con Noel che provava a buttarmi giù dal divano, che la sera prima era apparso un congeniale compromesso per i nostri istinti a cui la camera da letto sembrava una meta fin troppo remota. A parte il fatto che il divano di Noel era senza dubbio più spazioso del mio matrimoniale, per cui non mi potevo certo lamentare, a parte per il fatto che The Chief tendeva a manifestare le sue spiccate manie di conquista pure mentre dormiva.
Scivolai fuori dalla stretta delle sue braccia e a piedi nudi – in realtà non erano solo quelli ad essere nudi – m'avviai con passo felpato sul parquet verso l'enorme cucina dove probabilmente non doveva essere mai stato cucinato nulla, a parte forse uno dei miei rinomati sandwich da tre del mattino e qualche pesce alla griglia da parte di Noel. Di certo le unghie dalla manicure perfetta di Meg non avevano mai neppure sfiorato il top in marmo o peggio ancora i fornelli. Ecco, Meg, mi era impossibile non notare i particolari della sua presenza in quella casa, e magari era proprio per quello che così mal sopportavo il rimanere lì – a parte i momenti confusi in cui io e Noel ci rifacevamo di due o tre giorni di distacco per via del lavoro -. Il rossetto color prugna dimenticato nello svuotatasche nell'atrio, una rivista di moda & benessere scivolata sotto la poltrona, o persino quell'orologio stesso che ora stavo a fissare. Era tutto storto, i numeri confusi, le lancette presenti in un numero superfluo, sapevo che non l'avrebbe mai scelto Noel perchè vedevo come doveva sempre sforzarsi per leggere l'orario, ma, d'altronde, a Londra doveva essere all'ultima moda, firmato da chissà quale designer dal nome vagamente svedese. Scommetto che quel coglione che l'aveva progettato in realtà era dello Shropshire, erano tutti un po' degli idioti da quelle parti.
Ad ogni modo l'orrido orologio mi comunicò che era un quarto dopo le sette, diamine non mi alzavo così presto da quando andavo alle superiori probabilmente! Ci misi un paio di tentativi a trovare l'anta che nascondeva i bicchieri, e con leggero disappunto pensai a Noel che invece si muoveva con naturalezza tra i pensili del mio appartamento – va be' che erano un quarto dei suoi – mentre prendevo l'acqua dal rubinetto. Bevvi, il sapore della notte passata che se ne andava via ad ogni sorso, mentre osservavo dalla finestra il giardino di Supernova Heights e la sua maestosa, quanto inutile, piscina in cui Noel aveva appena pucciato i piedi titubante. Un giorno o l'altro l'avrei buttato dentro, questo era sicuro, e al che o sarebbe morto affogato oppure avrei scoperto com'era il sesso acquatico. Un ghigno sadico mi affiorò in volto, era più probabile la prima conclusione.
Rovesciai il resto dell'acqua nel lavandino e tornai in salotto a recuperare i vestiti della sera prima, quelli che avevo avuto su durante le sessioni di registrazione degli Heavy Stereo: una maglia larga dei Kinks e shorts neri. Rinunciai a riappropriarmi del reggiseno dato che in qualche maniera era finito mezzo attorcigliato ad un polso di Noel, che ora ci stava dormendo sopra. Mi chiesi quanto sarebbe valsa per il Daily Mail la foto del maggiore dei Gallagher che sbavava nel sonno sopra la mia misera coppa B, ma non ero così veniale per cui mi limitai a scuotere la testa e ad andare verso l'uscita. Allo specchio nell'atrio mi diedi una vaga occhiata, che venne ricambiata da una me dall'aspetto un po' sconvolto e stanco e che esibiva sul collo un paio di lividi violacei. Che fottuta sanguisuga!
Mi chiusi alle spalle la porta sopra cui capeggiava in mosaico il nome della villa, a caratteri rotondeggianti in modo infantile, e scesi con energia gli scalini beandomi dell'aria fresca che portavano con sè le mattinate di Giugno. Era presto, e non sapevo che fare, forse una doccia a casa mia e magari dopo mi sarei presentata a casa di Gem per la colazione della domenica...anche se forse sarebbe stato ancora presto. Sbattei la cancellata e mi riinfilai le chiavi in tasca, sentendole tintinnare a ritmo del mio passo. Già, Gem m'avrebbe potuto anche mandare al diavolo se avessi bussato alla sua porta alle otto del mattino, considerando che la notte prima avevamo fatto tardi in studio. Magari ne avrei approfittato per chiamare John, dato che non si faceva sentire da qualche tempo. Avevo voglia di vedere il mondo dal suo personale punto di vis...
- Qual è il suo nome? -
Venni presa alla sprovvista, e con notevole ritardo m'accorsi dell'uomo che mi trotterellava affianco fin da quando avevo voltato l'angolo della strada dove viveva Noel. Paparazzo, ne avvertii la puzza immediatamente.
- Non penso la posso interessare – feci diplomatica
- E' molto che frequenta Noel Gallagher? - mi incalzò subito lui, e io esitai un attimo, non era la prima volta che un giornalista mi si avvicinava ma mediamente riuscivo a scomparire nel backstage senza troppi problemi, con Maggie che gli era addosso a cacciarlo via a calci in culo in meno di trenta secondi, invece ora non sapevo che dire. Non so come il paparazzo lesse il mio silenzio, ma di certo questo lo portò alla domanda successiva, condita da uno strano sorrisetto – Non penso che Meg Matthews sarebbe contenta di sapere cosa accade in sua assenza -.
- Ah, non so cosa pensi Ms. Matthews del fatto che Gallagher stia installando uno studio di registrazione in casa -, inventai al momento, scuotendo le spalle - ma io faccio soltanto il mio lavoro -
Il giornalista rise ammiccante, - E esce da casa sua alle sette e mezza del mattino? -
Mi fermai di botto in mezzo al marciapiede, tranquillizzata dal fatto che alla mia fermata dell'autobus mancasse poco – Mi ha guardata bene? -, chiesi laconica, - Le sembro una modella, o un'attrice, il tipo di donna che una rockstar si porterebbe a letto? -. L'uomo mi squadrò, sapevo di avere un'aria sciupata per colpa delle poche ore di sonno e del lavoro extra che stavo facendo alla Creation. La domenica mattina presto, dopo una notte di sesso, senza aver fatto la doccia e con addosso abiti maschili e stropicciati ero tutto furchè attraente. Se anche il paparazzo non avesse creduto alla cazzata che gli avevo rifilato di certo non ci avrebbero creduto il suo direttore editoriale e i lettori del giornale. Lui fece una smorfia.
- Se proprio vuole uno scoop -, ripresi io, che quasi ci stavo prendendo gusto, - può scrivere che Noel Gallagher è proprio un vero bastardo per cui lavorare -, dopodichè continuai per la mia strada, con passo rapido per poter prendere l'autobus delle sette e quaranta.

 


- E così sarei un bastardo? - mi domandò di punto in bianco Noel, proprio quando prima con aria non curante aveva intrecciato le dita alle mie.
Mi ci volle un attimo, negli ultimi tempi mi ero riferita a lui con nomi più o meno lusinghieri, ma mai bastardo, non capivo. Continuai a camminare con lui lungo il marciapiede, ogni singola vetrina di negozio o finestrino d'auto che rifletteva il baluginio di un sole al tramonto sulla City. Poi c'arrivai: - Non pensavo leggessi certa robaccia, Chief -.
Gli piaceva quando lo chiamavo a quella maniera, ma con un po' di dolcezza nella voce, gli faceva pensare d'avermi stretta tra le dita, proprio come faceva con la mia mano. - Io no -, osservò con un sorriso di sbieco, - ma Liam sì, e figuararsi se non avrebbe colto un'occasione per sbattermi sul grugno che una mia dipendente -, mi tirò un po' a sè , - pensa che io sia uno stronzo schiavista -, fece il segno delle virgolette.
- Questa se la sono inventata –, risi, – ripensandoci però non sarebbe stato poi tanto lontano dalla verità -
- Non penso che troverai un datore migliore di me -. E lo pensava davvero, era così smaccatamente sicuro di se stesso.
- Non penso che troverai un roadie migliore di me – ribattei io, sciogliendo la presa sulla sua mano, e cominciando a camminare con passo vivace, che a volte mal si adattava a quello di Noel. Forse era l'età: lui si voleva godere una bella passeggiata, ma io avevo ancora voglia di correre.
Fece una risata di gusto, scuotendo la testa – Appunto ne troverei a decine! -
Mi voltai, feci un tratto camminando all'indietro solo per poterlo guardare direttamente in faccia, schioccai la lingua, - Allora prova a portarti Jason a letto, la prossima volta -. Colpito e affondato.
Vedevo che stava cercando una replica adatta ma ormai eravamo arrivati alla Royal Festival Hall, dove intravidi una folla di gente che aspettava in fila chissà da quanto per poter entrare.  Noi passammo da un'entrata laterale: essere membro di una delle band più famose del Paese aveva alcuni indiscutibili vantaggi. A volte però mi mancavano le ore di attesa tra le transenne, solo ad aspettare l'apertura porte, quasi avevo dimenticato come fosse ormai troppo abituata a vedere i concerti da dietro il palco.
Noel si era fatto riservare una loggia in alto, con un'ottima vista e la migliore acustica. Sulla porta che conduceva ad essa era stato appiccicato un cartello con scritto sopra GALLAGHER, per cui quando mi sedetti in uno dei tanti posti vuoti compresi come quella o fosse una riunione della famiglia Gallagher oppure come tutte le poltroncine fossero state prenotate da Noel. Sarebbe stata la prima volta che avrei visto un concerto senza una moltitudine di gente attorno – be' almeno non avrei avuto il solito spilungone davanti, o la tipa che pianta la french manicure nella schiena per avanzare -. Comunque, rimaneva strano.
Dopo una mezz'oretta passata ad osservare ogni singolo centimetro quadrato della Royal Festival Hall solo per ammazzare il tempo perchè Noel era scomparso chissà dove per andare a parlare con chissà chi, questi tornò con un paio di Gin & Tonic proprio mentre s'abbassavano le luci che preludevano all'entrata in scena di Burt Bacharach. Il vecchio Burt era una delle grandi passioni d'oltre oceano di Noel, che m'aveva spesso parlato della particolari succesioni d'accordi, mostrandomeli con fervore sulla chitarra. Non m'ero certo stupita che quando poi m'aveva fatto sentire quella B-side, una di quelle di Whatever che era così simile ad una dell'americano.
- Sai, - cominciò a un certo punto quando ormai eravamo arrivati all'encore, m'ero lasciata avvolgere dal suo braccio già da un po', - prima stavo parlando con Burt, non se l'è per nulla presa per Half The World Away. Ha detto che gli piace molto, che è come se avessi portato nel nuovo decennio la sua canzone -.
Sentivo l'orgoglio vibrargli in petto, le riviste musicali potevano accursarlo di plagio – non dico che non prendesse spunto, a volte che copiasse palesemente, per essere sinceri -, ma il motivo era diverso da quello a cui loro pensavano. A Noel veniva naturale, ammirava troppo certi artisti per non lasciare che qualcosa di loro entrasse in tutto ciò che scriveva. Certe canzoni erano il suo tributo ai musicisti che l'avevano cresciuto nella vecchia Burnage.
- Be', saranno felici gli avvocati della Creation – osservai senza levare gli occhi dal palco, dove Bacharach aveva lasciato un posto vuoto davanti al pianoforte.
L'atmosfera era così calda in tutta la Royal Festival Hall che quasi non m'accorsi quando Noel s'alzò, lasciando un punto freddo sulla mia spalla. Preferii non chiedergli cosa andasse a fare, probabilemente era diretto verso il bagno per una striscia di coca. Tirare era un'abitudine sempre più consolidata all'interno della band e io forse non ci facevo neppure più caso. Come avrebbe detto in seguito The Chief stesso, chi è che non era fatto negli anni '90? Lo erano pure quei damerini seduti alla House of Commons e alla House of Lords. Ma infondo stavamo scalando la montagna, eravamo la Cool Britannia, e tutto questo era l'unica cosa che ci era data sapere. Stavo tormentando l'anello che solitamente portavo all'anulare destro, quello comprato in Giappone, quando le luci sul palco annunciarono il ritorno di Mr. Bacharach. Cazzo, Noel si sarebbe perso l'inizio dell'encore! Fui tentata d'andare a chiamare quell'idiota, mi voltai verso la porta.
- Questa si chiama This Guy's In Love With You -, rischiai un colpo di frusta quando mi girai di nuovo per poter scandagliare il palco, e trovarvi subito al centro, seduto su di una sedia, Noel in quella sua camicia a righe azzurro acceso - neanche così oscena per i suoi standard -, e dietro di lui Bacharach che accennava i primi accordi, quegli accordi.
- You see this guy, this guy's in love with you -, la voce era un poco incerta ma calda e avvolgente come poche volte lo era stata. Forse era solo il pianoforte d'accompagnamento a dare quell'effetto. Stringeva il microfono in maniera un po' goffa un po' come a TOTP, non era abituato per niente abituato a starsene seduto, sopratutto senza una chitarra fra le braccia. - Yes I'm in love, who looks at you the way I do? -
Alzò lo sguardo dalla platea, quel tanto che bastava per trovarmi nell'alto delle balconate. Mi sentii arrossire come un'idiota, era difficile sortire questo effetto su di me. Complimenti, The Chief, mi si dipinse un ghigno in volto. - When you smile I can tell we know each other very well -
Cristo, erano già più di tre anni che ci eravamo conosciuti, anche se c'erano momenti in cui avrei detto che non l'avevamo fatto così bene. Qualcosa di lui mi sfuggiva ancora, e qualcosa di me di certo sfuggiva a lui, ma non di meno eravamo felici di rincorrerci.
- How can I show you? I'm glad I got to know you -. Oh, lo ero anche io, nel bene e nel male, non sarei riuscita ad immaginarmi cosa sarebbe potuto accadere di diverso a parte quello che stavo vivendo. Nelle mie fantasie non c'era, e non ci poteva essere, una me che non aveva avuto a che fare con quei due fratelli, con la loro musica, che aveva avuto la fortuna di incontrare un surrogato di padre-fratellomaggiore-balia come Gem. Io ero io, ed io ero una roadie degli Oasis. E nient'altro.
- I've heard some talk, they say you think I'm fine/ This guy's in love and what I'do to make you mine/ Tell me now is it so don't let me be the last to know -.
Mi stava fissando palesemente, così io affondai nella mia poltroncina per nascondermi alla sua vista. La voce però continuava ad arrivarmi chiaramente, e non potevo farci niente, neppure per quel attorcigliarmisi dello stomaco che si era chiuso su se stesso lasciandomi con quella scomoda sensazione.
- My hands are shakin', don't let my heart keep breaking 'cause/ I need your love, I want your love/ Say you're in love and you'll be my girl, if I'll just die -.
Crescendo di archi, di voce, di tutto.
Vaffanculo.
Non capivo più niente. Riafferrai il mio Gin & Tonic, ma era finito da tempo, i cubetti di ghiaccio languivano sul fondo, mi sentivo uno di loro...non sono fatta per queste cose, diamine! E ovviamente non intendo il Gin, ma Noel che mi canta davanti a una platea gremita This Guy's In Love With You. A parte che probabilmente la reazione sarebbe stata la stessa pure se me l'avesse cantata in un cesso della metropolitana.
Le ultime due canzoni di Bacharach non le ascolto seriamente, non riuscii neppure a comprendere quali fossero. So solo che prima o poi Noel tornerà e io sarò ancora qui come un'idiota sprofondata tra cuscini di broccato rosso, manco fossi una bimbetta spaventata. O forse lo ero, oppure aveva ragione Gem e la mia era misantropia – avevo cercato cosa volesse dire bene sul dizionario Oxford -, odiavo le persone. Ma il problema era che non odiavo Noel, quindi...cazzo, non sapevo davvero cosa non funzionasse in me.
Presi il mio cappotto e uscii, avanzai verso il backstage dove infine trovai Noel impegnato a chiacchierare con Burt – se non fosse stato per la bianca non sarebbe stato così sciolto -, al loro fianco c'era anche la Moss, a cui feci appena un cenno di saluto. Per natura preferivo la compagnia maschile a quella femminile, e più che altro io e lei non trovavamo mai argomenti in comune di cui parlare. Artigliai una Heineken, come Noel, tanto per non restare con le mani in mano e la finii quasi immediatamente.Ne presi un'altra.
Quasi non m'accorsi quando alla fine Noel smise di parlare con i due e mettendomi una mano dietro la vita cominciò a condurmi all'uscita. Era tutto un sorriso, anche se uno un po' strano e che non riuscivo a ricollegare completamente a lui.
Per mia fortuna lo stare al suo fianco non lo trovai poi tanto impacciato quanto m'ero immaginata, era tutto naturale, come il mio stringermi di più a lui, sentendo il suo corpo accaldato, o lo strofinare un attimo la guancia contro la sua spalla, e quella camicia a righe. Cominciai a comprendere, forse era solo che per lui era normale, non voleva stupirmi con quella canzone, era una cosa come un'altra. Ci teneva a me, in quei mesi di stare assieme anche mentre eravamo in tour me l'aveva dimostrato più volte e quello era soltanto un altro modo.
- Kate m'ha chiesto se allora confermiamo di andare a Mustique con lei e Johnny -.
Diedi solo un mugugno in risposta, ero troppo concentrata sulla mia nuova scoperta per pensare a paradisi tropicali o ad attori hollywoodiani. 
- A casa di Mick Jagger, te ne avevo parlato, ricordi? -
Alzai appena lo sguardo assonnato e per la prima volta mi accorsi dove mi stava portando Noel: l'uscita principale. - Sì, sì – disse senza farci caso, chissà qual era la domanda?
Oltre le porte di vetro potevo già vedere i flash acciecanti dei fotografi.
Mi irrigidii.
- Che c'è? - sbottò Noel
- Non vorrai uscire di lì, vero? - mormorai scuotendo la testa, lui emise un verso scocciato, ma io lo fissai seria.
Alla fine mi prese con foga per mano e tornanammo sui nostri passi, si fece indicare un'uscita alternativa sul retro e vedevo già la porta con scritto sopra un luminoso e verde exit, quando lui si bloccò in mezzo al corridoio.
- No. Un momento –, mi fece, aggrottando le sopracciglia, – Qual è il tuo problema? -. Dio, allora non ero l'unica a chiedermelo, eh? Al momento però non avrei concordato su quell'argomento con Noel.
- Non so: quei dieci o dodici paparazzi appostati là fuori, forse – ribattei sarcastica.
- Non essere così egocentrica, non sono mica interessati a te! - mi derise. Vi prego, un cazzotto, vi prego, fatemigli dare un pugno su quella faccia di cazzo.
- Tu sì, però. Al mattino a momenti esco prima dell'alba per poterli evitare e tu mi ci butti in mezzo? -
- Non te l'ho mai chiesto io – sottolineò con enfasi. Effettivamente aveva ragione, ma erano dettagli, non considerava la situazione.
M'appoggiai alla parete del corridoio e incrociai le braccia davanti al petto.
- E' perchè lo scoprirebbe Meg? - si mise a ridere Noel, - 'Fanculo, che lo venga a sapere! Non me ne fotterebbe un cazzo...e forse neppure a lei! -. Aveva uno strano sguardo, vagamente esasperato, quasi mi poteva impietosire. - Sarebbe così insopportabile finire su di un giornale? - domandò più pacatamente.
- Sì – risposi dura, in un battito di ciglio – Non voglio essere seguita ovunque vada, solo perchè sarei la ragazza di Noel Gallagher -
Gli occhi di Noel dardeggiarono, riaccendendosi di una nuova scintilla – Sarei? Ti dà tanto fastidio dire che stai assieme a me? -, incredulo.
- Sai che non intendevo... - cominciai, ma mi stoppai perchè non riuscivo ad andare avanti. La nostra era un arte, riuscivamo a costruire castelli di carta con tutti i nostri casini immaginari o meno.
- E' passato ormai parecchio tempo – constatò lui, passandosi una mano sopra la faccia. Non sapevo a che cosa si riferisse: a quando m'aveva detto che mi amava? A quando ci eravamo riconciliati? A quando avevamo fatto l'amore a Las Vegas?
Tutto quello che avevo in mente era però una singola frase, che non avrei mai neppure potuto ripetergli senza suonare ridicola e farlo incazzare ancor più di quanto non fosse già: You ain't ever gonna burn my heart out.
Riprese a parlare nuovamente lui, di solito ero io il fiume di parole. - Ho capito, a Mustique ci vado con Meg. Partiamo martedì. Tu... - guardò l'uscita, si ficcò una sigaretta tra le labbra, la B&H che minacciava di cadere, in bilico come l'avevo vista migliaia di volte ormai, - tu fai quello che ti pare -. Spalancò la porta e la vidi richiudersi con un tonfo che rimbombò per tutto il corridoio senza nemmeno aver avuto il tempo di dire qualcosa. Probabile che non avrei detto nulla, ad ogni modo.


Note:
Oook, salve, era passato tanto tempo dall'ultimo aggiornamento e questo mi rendo conto pure io essere un capitolo davvero un po' troppo mediocre. E troppo sdolcinato (ma la canzone che va in accoppiata lo è, per cui ci può stare maybe) e pure con quei due che continuano a bisticciare, ma d'altronde non riesco a scrivere di coppiette romantiche e felici che corrono per prati fioriti. Forse questa volta però ho esagerato con i litigi nonsense. Per cui chiedo venia.
Il lato positivo è che la comparsata di Noel al concerto di Bacharach, il dettaglio su Half the world away e pure Kate Moss e soprattutto la camicia sono tutti fatti davvero accaduti. Per cui beccatevi video http://www.youtube.com/watch?v=wvA_BY6kWnw con all'inizio un pezzettino della versione originale di TGILWY e pure Noel che parla della somiglianza tra la sua canzone e quella di Bacharach, a 1:17 parte il live

Foto del concerto

 

Bacharach, la Moss e Natale



Spero e prometto che il prossimo capitolo sarà migliore, anche se tarderà pure lui ad arrivare. Grazie verifiche /interrogazioni di fine anno D:
G'byeeeeeee

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Funky Monks ***


Ero arrivata da un'ora appena al LAX di Los Angeles e già soffrivo per la calura, noi Scozzesi non eravamo stati progettati per sopportare più di quindici, venti gradi massimo e di certo non potevamo sopravvivere molto a lungo in un luogo del genere. Arrancai ancora una volta per il tortuoso vialetto che portava alla casa di Hollywood Boulevard, la sacca da viaggio, che mi portavo sempre dietro quando solitamente ero in tour, che mi stava segando una spalla. Sbuffai.
Non feci in tempo ad arrivare alla porta che questa si spalancò, andando a sbattere contro il muro, una pulce d'uomo tutto nervi e muscoli guizzanti si diresse verso di me con un sorriso più caldo ancora di quella giornata d'estate. Flea s'era fatto i capelli biondi dall'ultima volta che l'avevo visto.
Nonostante la stanchezza, sorrisi pure io e quando mi strinse a sè in un abbraccio ricambiai, godendomi quella stretta così naturale. Non ero un tipo da abbracci, persino Gem quando tornavo a casa il massimo che faceva era un cenno con la testa; gli Americani erano dannatamene più espansivi. Il che però non era tanto male, dopo un viaggio intercontinentale.
- Finalmente sei arrivata! - esclamò quando ci separammo, gli occhi che nella luce quasi bianca di quella giornata erano un'esatta copia del mare della Gold Coast.
- Aereo -, mi strinsi nelle spalle, avevo la gola secca e addosso la familiare stanchezza del jet lag, per cui anche non molta voglia di parlare. Non mi sprecai ad aggiungere altro, anche se quanto avevo detto poteva rivelare un qualcosa che variava dal “ho perso tempo con lo scalo a Washington DC” a “pensavano fossi una terrorista che voleva dirottare l'aereo, e ho passato una notte in cella”.
Flea mi accompagnò in casa sciabattando nelle infradito e continuando a parlare, soprattutto di una lista di circa trenta hotel dove avrei potuto alloggiare, e spiagge dove saremmo dovuti assolutamente andare, e ristoranti e... Era il miglior Cicerone della West Coast, senza dubbio. A quanto pareva mi potevo scordare la vacanza rilassante che mi ero ripromessa quando m'aveva invitato a venire a Los Angeles – aveva saputo da Depp che l'accompagnatrice di Noel a Mustique non sarei stata io così aveva preferito pure lui rifiutare l'invito di Mick Jagger, il che m'aveva stupito enormemente -.
- Posso avere un bicchiere d'acqua? - domandai appena entrata.
- Certo -, Flea si voltò verso di me, - Credo che il padrone di casa sia...occupato – e fece una risatina divertita, mentre a me a quelle parole corse un brivido freddo lungo la schiena. Ad ogni modo mi feci guidare sino alla incasinatissima cucina. Di John nessuna traccia.
- Come va allora con Gallagher? -, tirò fuori di punto in bianco mentre sorseggiavo da uno di quegli enormi contenitori bianchi di plastica formato tanica che avevano lì in America per l'acqua.
Lo guardai in tralice.
- Che poi, è quello brutto con il monosopracciglio o l'altro? -. Mio Dio, il corpo del bassista dei Peppers era posseduto da mia zia Beth!
Mio malgrado mi misi un po' a ridere, rischiando di sputacchiare l'acqua, - Quello brutto, ma non ha il monosopracciglio – puntualizzai, e non era brutto, era...fatto a modo suo, questo però non ebbi coraggio di dirlo.
- E quindi come va? -
- Su questo argomento mi astengo, spiacente – iniziai scherzando ma proseguendo mi feci più seria. Flea comprese l'antifona.
- Be' allora, come va con la band? -. Domanda migliore.
- Abbiamo in programma un concerto all'aperto, in due serate, a Knebworth. Dovrebbero mettere presto in vendita i biglietti, però sono convinta che dovremmo arrivare a più di 100 mila persone per show -
- Porca puttana! - esclamò Flea, impressionato per davvero. Lo ero stata pure io quando Noel me l'aveva detto, ormai però avevo riassorbito il colpo, era solo lavoro.
- Me l'aveva detto Anthony che stavate andando bene ma non pensavo così tanto. Questa primavera vi ha visti suonare a Seattle -
Stavo ancora bevendo, spalancai gli occhi e annui, poi mi misi a ridere ancora – Già, vero! Ha chiamato Liam Ian -. A ripensarci non c'era molto da ridere, Ourkid era abbastanza permaloso e se non fosse stato che stava per salire sul palco probabilmente avrebbe messo su una delle sue bufere.
- Per fortuna dopo ha avuto il buon senso di non farsi rivedere in giro -
- Stava scopando con una dietro al palco, nella stanza dei contatori della luce – ghignò Flea.
- Questo spiegherebbe tutto, pure la momentanea mancanza di luce nel backstage -, misi a posto l'acqua nel frigo, ormai mi stavo abituando al caos che regnava per ogni dove nella casa, facendo apparire al confronto il mio appartamento più impeccabile di Buckingham Palace.
Senza più aggiungere una parola il bassista andò in salotto, dove trovammo solo altro casino e dove lui spalancò una finestra per fare entrare quel poco di brezza pomeridiana che spirava. John pareva proprio non trovarsi in casa. Flea si tolse la t-shirt e la lanciò sul divano prima d'avviarsi su per delle scale, io lo seguii in automatico, senza mai perder di vista la schiena tatuata del bassista.
Lo scenario al piano di sopra non cambiava: stesso disordine, stesso accumolo di oggetti. Un'altra intera parete coperta da un armadio che traboccava di vinili, che mi avrebbero immediatamente attrattato verso di loro se non fosse stato per quello che stava sul pavimento. O meglio, coloro.
John era mezzo sdraiato sulle piastrelle, si puntellava con un gomito e intanto seguiva attentamente le linee tracciate su di un foglio da una minuscola manina, che apparteneva alla bambina seduta accanto a lui. Appena questa ci sentì scattò rapida in piedi stringendo alto un disegno fatto da mille macchie di colore, - Hai visto, papà? - fece con voce squillante, muovendo la testolina dai capelli fulvi e mossi. Solo dopo un istante mi cadde l'occhio sulla firma sghemba apposta in un angolo, con della colante vernice nera: Clara.
- Wow – esclamò Flea prendendo il lavoro di sua figlia in mano, poi diede un'occhiata a John che nel frattempo s'era rimesso a sedere – sembrava più una posizione da yoga, ma pazienza -.
- Mi dispiace, Johnny – sospirò – l'allieva ha superato il maestro! -.
L'altro si limitò a far apparire un sorriso lieve, - Sai, ha davvero del talento, non scherzo. Dovrebbe fare qualcosa per esprime tutta questa energia bruciante che ha in sè -, il tono era più pieno e aveva ripreso una cadenza giovanile, veloce, e nasale, deformata alle mie orecchie dall'accento newyorkese.
- E tu chi sei? -
Abbassai lo sguardo, presa alla sprovvista, e mi trovai questi due occhioni a fissarmi incuriositi. Era da quando ero andata a vivere da zia Beth che non avevo più a che fare con dei bambini, e a dire il vero la cosa non mi mancava: urlavano, sporcavano, correvano per ogni dove, erano inopportuni, non sapevano mai stare per conto loro. Erano, in sintesi, macchine per il maldistesa. Almeno, così erano quelli di Beth.
- Una roadie -
- Una che...? - ribattè Clara, arricciando il nasino.
- Una di quelle persone che il tuo papà paga per non dover sgobbare e sistemare gli strumenti -. Forse avrei dovuto abbassarmi sulle ginocchia per rendere più facile alla bimba guardarmi curiosa e impertinente. Ma non lo feci.
- Ah, ok. E come ti chiami? -
- Cassandra -
- Io Clara -, mi studiò meglio, - hai un nome da principessa, però non lo sembri – osservò.
- Clara! - scattò Flea redarguendola con un tono da genitore che mai avrei pensato potesse avere, ma intanto stavo pensando al primo incontro al Boardwalk con Liam, circa una vita prima. Ritornai al presente, e quindi fissai John che ancora assisteva interessato al dialogo tra me e Clara.
- E' perchè è un nome da profetessa inascoltata – replicai, e il padrone di casa dovette soffocare una risata, mentre alla bambina tutto ciò non diceva niente, cosa che però non la fece perdere d'animo.
- Quindi tu aggiusti i bassi? -
- Le chitarre più che altro – puntualizzai.
- Be' ma allora puoi sistemarla tu quella di John – cinguettò tutta felice, le si formarono due fossette nelle guance, - Così riinizia a suonare! -.
Scoccai un'occhiata al diretto interessato per cercare di capire se era vero quanto diceva Clara, ma lui pareva totalmente preso nell'amalgamare i colori su una tavolozza.
- Lo fai? -
Ecco, un'altra cosa: i bambini sono insistenti. Comunque non mi costò molto acconsentire a quella richiesta, mi piaceva troppo armeggiare con gli strumenti musicali, e siccome John non me lo impedì andai a prendere la Telecaster che stava appoggiata in precario equilibrio ad un muro. Sentii subito la polvere sulle dita, doveva aver visto tempi migliori.
Mi misi sul divano, accanto a me Flea a gambe incrociate.
- Non sei molto brava con i bambini, eh? -
- Non pensavo si notasse – feci con ironia, cominciando almeno a dare una bella ripulita alla chitarra con uno dei tanti stracci che erano disseminati per la stanza. - Lui invece sì che ci sa fare -, accennai con la testa a John che aveva ripreso a disegnare assieme a Clara.
Flea si voltò verso di me, aveva uno strano sorriso, brillante come al solito ma anche vagamente triste. - Le vuole un gran bene – disse, ma ebbi la sensazione che avrebbe voluto aggiungere dell'altro, aspettò anche un secondo però poi si rimise ad osservare sua figlia e il suo ex-chitarrista, la testa tra le mani e i gomiti poggiati sulle ginocchia. Io mi concentrai sulla Fender, con però addosso una nuova sensazione di nostalgia che non mi sapevo spiegare.
Andai avanti ancora qualche minuto, ma più continuavo più mi rendevo conto che la chitarra non aveva alcun difetto, era tutto a posto. Clara, si sbagliava, la Telecaster non era rotta.
Corrugai la fronte, dubbiosa, e misi a fuoco la mia mano sinistra, la sottile cicatrice sulla pelle e mi decisi a rimmettere a posto lo strumento dove l'avevo trovato. C'era poco da fare quando era il chitarrista ad essere rotto.
Mi gettai sul divano, completamente distrutta dal volo aereo, dal litigio con Noel che mi ronzava ancora nelle orecchi - quante volte avevo ripensato a ciò che avrei potuto dire e non dire -, e dal caldo californiano. Rimasi a seguire con lo sguardo per un tempo indefinito John che guidava con la sua mano quella di Clara, e che le insegnava a dipingere forme che non erano di questo mondo.
In quell'istante di tempo così dilatato mi parve assurda l'idea che m'ero fatta di Clara, non era niente di tutto ciò che avevo immaginato. Non era sua madre, non era sua sorella, non era la sua amante, nè una femme fatale. O meglio, lo era ma non nel senso che comunemente si intende. Ero davvero convinta che l'amasse profondamente, e mi trasmetteva un nuovo senso di pace star lì a vederli, mentre la bambina provava a truccare John con la pittura, mettendogli obretto e rossetto.
L'unica cosa che mi impediva di spronfondare in quella bolla di tranquillità era una delle tante scritte che risaltavano sul muro bianco dietro di loro: “Stabbing pain with discipline's knife”.

 

Sollevai le palpebre e mi ci volle un momento per capire dove fossi, e sopratutto che alla fine avevo ceduto alla stanchezza e non avevo riposato gli occhi per pochi secondi, bensì m'ero addormentata come un sasso sul divano. La luce intensa del pomeriggio non mi infastidiva più, dato che era stata soppiantata da quella impalpabile e azzurrina della sera: il sole doveva essere sparito oltre l'orizzonte, al di là dell'Oceano, ma spargeva ancora po' dei suoi raggi. Guardai fuori dalla finestra aperta, le tende che svolazzavano appena. Tirai un sospiro per svuotarmi i polmoni e riempirli nuovamente d'aria serale, ma qualcuno mi fece l'eco. Mi sporsi verso il bordo del divano, senza neppure fare lo sforzo di mettermi a sedere, John era più vicino di quanto pensassi, era seduto per terra, appoggiato con la schiena ad un bracciolo. S'era già voltato verso di me.
- Temo di non esser stata di molta compagnia -, non riuscii a evitare uno sbadiglio mentre terminavo la frase.
- Anche quando dormi se di parecchia compagnia – ribattè lui serio.
- Sarebbe un modo gentile per dirmi che russo? -, feci finta d'essere offesa e gli strappai una risata. Mi sentivo sempre meglio.
- No -, cerco di soffocare il riso, - è che hai una bella presenza. Mi piace come occupi lo spazio -.
Era un complimento? Ad ogni modo mi piaceva come suonava. Mi stiracchiai sul divano, avvicinando la testa alla sua, - Ah sì, dammi tre giorni e vedi come ti riempio questo spazio, te lo colonizzo -, gettai un'occhiata di lato per vedere se ero riuscita a suscitare anche solo un sorriso vago, ma questa volta avevo fallito. John pareva più che altro preso a osservare con interesse clinico una ciocca dei miei capelli che erano ricresciuti e passati da taglio-da-ragazzino-quattordicenne a qualcosa di vagamente femminile, ma senza forma precisa.
Stavo quasi per chiedere dove fosse finito Flea ma all'improvviso si accese la luce, strizzai gli occhi e quando li riaprii mi trovai parato davanti il bassista. Completamente nudo. No, aveva un calzino a coprirgli il pacco, però per il resto era proprio come quando era venuto al mondo in Australia. Non m'accorsi quasi d'essere stata presa da una crisi di riso, forse un po' isterico. Il jet lag mi rendeva facilmente ilare.
- Guarda che c'è gente che ha pagato per vederci così -
- Non ne dubito -. Ancora ridevo, dovevo riuscire a fermarmi, provai a soffocarmi tra i cuscini del divano.
- Soprattutto per vedere lui – sentii dire a John con voce cristallina, e contagiata un po' dalle mie risate.
Riemersi dal divano, sentivo il viso accaldato – Ok, non so neppure esprime quanto io sia onorata, però a Clara potrebbe bloccarsi la crescita, se ci fosse ancora Freud lo chiamerebbe “complesso del calzino” -
- Clara l'ho appena portata da Loesha – commentò senza interesse, - E comunque eri stata tu a dirmi che volevi imparare una volta per tutte a fare uno slap decente -.
Merda, avevo completamente cancellato dalla mente il fatto d'avergli detto per telefono che venivo solo se mi avesse insegnato a suonare il basso; stavo scherzando ma lui m'aveva preso in parola e difatti ora appoggiate al muro c'erano due custodie che prima non avevo visto. Avrei impiegato ancora un po' di tempo per comprendere a fondo quanto Flea fosse una persona di parola, ma quello ne era un primo assaggio.
- Hai ragione – ammisi io, alzandomi dal divano, - Pensi comunque di rimanere così? - feci scettica.
- Certamente, baby -, e detto ciò si piegò a tirar fuori il basso dalla custodia, esponendo platealmente le chiappe a beneficio mio e di John, che ormai aveva un ghigno perenne.
- Piuttosto tu, non ti senti troppo vestita? - mi domandò mentre indossava la tracolla, il basso andava a coprire almeno in parte il calzino penzolante.
Gli scoccai un'occhiataccia, - Iniziamo la lezione, Aussie -
Flea aspettò un secondo, comprese che ero seria e rientrò a velocità sorprendente nei panni – un po' scarsi – del maestro.
- Allora acchiappa la chitarra che prima voglio sentire se avete un po' di groove voi bacchettoni britannici. Vorrei vedere i tuoi Oasis se sarebbero capaci di suonare in modalità “Socks on Cocks” -
Cercai di non esplodere nuovamente in un eccesso di risa mentre immaginavo, mio malgrado, Bonehead con quella mise. Per il bene della specie umana era meglio che niente di ciò mai accadesse.
- Suona un po' quel che ti pare. Ti vengo dietro -.
Provai a iniziare un motivetto funky, ma ero a corto di ispirazione per cui mi infilai il plettro tra le labbra e cominciai a pizzicare e a percuotere le corde con una cadenza che tutti in quella stanza conoscevano bene. Non fosse solo perchè l'uomo che l'aveva inventata era seduto ora sul divano.
Flea scosse leggermente la testa con un mezzo sorrisetto, e mi raggiuse con la parte di basso.
- Lì ci va un bending -, alzai gli occhi dalla tastiera della chitarra e vidi quanto John sembrasse divertito da quella situazione. - Sicuro? - feci scettica, senza neanche pensare.
- Abbastanza -
Al giro seguente feci come m'aveva detto ed effettivamente il tutto prese a suonare un po' più giusto.
- Slide fino al primo e..hammer on – mi dava le dritte in tempo reale, e di lì a poco il pezzo diventò davvero molto simile a quello presente su Blood Sugar Sex Magik, stavo pure iniziando a prendere confidenza con Flea e mi concessi un paio di divagazioni sul tema originale.
- Sei ancora troppo rigida, non stai mica suonando per la Regina Madre! - mi schernì il bassista, contrassi la mascella, i denti che stringevano il plettro e cominciai a suonare più aggressiva, nonostante le piccole fitte che mi raggiungevano nella mano sinistra. Chiusi gli occhi e presi ad ondeggiare, cosa che non ero solita fare dato che suonavo prevalentemente da seduta.
- Già meglio -.
Mi concentrai su un'immagine ben precisa che avevo in testa e cominciai a muovere il bacino e a piegare le ginocchia leggermente, così mi guadagnai una bella risata da parte di Flea che riconobbe subito quelle movenze.
- Devo dire che la vista del tuo sedere che ondeggia è assai migliore di quello di Johnny -.
A questo commento sia io che John reagimmo con una bella occhiata di sbieco, ed io mi sottrassi agli occhi del bassista spostandomi, ma non smettendo di compiere quel movimento circolare, era quasi impossibile da non fare quando si stava suonando quel groove. Poi Flea mi sorprese con la sua voce improbabile:
- There are no monks in my band
There are no saints in this land
I'll be doin' all I can
If I die an honest man -
Decisi di raggiungerlo per fare la seconda voce, o anche solo per cantare quel primo verso che tanto mi apparteneva. John intanto teneva il tempo sul bracciolo del divano.
- Confusion is my middle name
Ask me again I'll tell you the same
Persuaded by one sexy dame
No I do not feel no shame -
Flea mi fece un cenno con la testa: il ritornello era tutto mio. E quella era la parte difficile, non avevo mai avuto una grande estensione vocale ed il falsetto non era il mio forte di certo; ci provai lo stesso, m'accorsi solo in quel momento che John mi stava fissando insistentemente, con il trucco di Clara, era sorprendentemente somigliante alla sua alter ego Niandra. - You're all alone -, quasi mi strozzai per raggiungere quella nota, così intervenne lui.
- Can I get a little lovin' from you
Can I get a little bit of that done did do -
Senza bisogno di alcun accenno da parte mia, cantò pure la seconda parte di falsetto – You're on the road -
Il resto del ritornello decisi che però era mio.
- Tell me now girl that you need me too
Tell me now girl cause I've got a feeling for you -
Flea riattaccò con la strofa, quasi però non lo sentii, aspettavo solo il secondo ritornello e quando arrivò io e John cantammo di nuovo assieme e fu allora che compresi cosa stessimo davvero facendo. C'entrava poco la musica, o almeno era solo di contorno, stavamo flirtando. O meglio, io stavo flirtando di certo, lui non avrei saputo dirlo. John tendeva a sfuggire alle logiche, anzi era un peccato di presunzione usare la logica con lui. Tutto veniva ridotto a un qualcosa di naturale: se avevo voglia di flirtare con lui l'avrei fatto, non c'era nulla di sbagliato, non c'era neppure il gusto della ripicca su Noel che probabilmente era sparanzato su una spiaggia di Mustique con Meg.
In quella casa non valeva niente di quanto avevo imparato o conosciuto prima. Eravamo solo tre corpi che suonavano, che vibravano della stessa melodia. Se avessi voluto fare una qualsiasi cosa, allora l'avrei fatta.
Andammo avanti così per ore.

 

Ero giù in cucina, ero andata a cercare tra i pensili un qualcosa che somigliasse a del cibo ma avevo trovato prevalentemente solo pillole, vitamine e integratori energetici. Mi ero ormai arresa e stavo per tornare di sopra quando un suono vibrante mi fece stoppare, i pensieri bloccati mentre non riuscivo a capire di che si trattasse. Lo sguardo mi cadde sulla sacca che m'ero portata per quei giorni di vacanza: era il cellulare, cazzo!
Mi misi a frugare tra la mia roba sino a che non pescai fuori per l'antenna il telefono, spalancai lo sportelletto e premetti il verde.
- Il 5 per cento della popolazione, il fottutissimo 5 per cento! -
- Liam? - feci esitante, quelle urla disumane potevano appartenere – forse – solo a lui.
- Cazzo, Cass, ti sei forse rincoglionita? Devo ripertelo?! - e al che cominciò a sillabarmi la frase di prima.
- No, no, no ho capito – risposi con tono agitato pure io, mi stavo facendo contagiare dall'euforia che proveniva dall'altro lato dell'Oceano – Ma a che ti riferisci? -
- Knebworth! Due milioni di persone hanno provato a comprare un biglietto -.
- Oh, porca puttana – mormorai, e presi a seguire Liam in quella sua risata senza freni, - E' tanta gente – commentai come una stupida.
- Già –, tossichiò lui, – Abbiamo posto però solo per trecento mila – e riattaccò a ridere.
Mi appoggiai al bancone della cucina e chiusi gli occhi un secondo per fare mente locale ma mi era impossibile, sapevo che Knebworth sarebbe stato un grande concerto all'aperto ma quei numeri erano pazzeschi. - Che ore sono lì? - domandai tanto per avere qualcosa in bocca che non fossero altre imprecazioni random per lo stupore.
- Le otto del mattino -, l'eco dell'entusiasmo rimbombava ancora nella voce di Liam, - mi ha chiamato una decina di minuti fa McGee stesso per dirmelo -
- Solo una cosa del genere poteva sbatterti giù dal letto prima di mezzogiorno – osservai, i miei occhi intanto cercavano di concentrarsi su qualcosa che non fosse l'immagine che avevo in testa di tutta quella gente, del 5 per cento della popolazione Britannica, - Dovete aver infranto qualche record... - mi lascia infine sfuggire tra le labbra, quella era più che altro un'osservazione fatta tra me e me.
- Più alta richiesta di biglietti per un concerto all'aperto, o così ha detto il nostro pel di carota, almeno -
- Niente male – feci come se non contasse poi molto, la cosa migliore era di certo il sorriso che sentivo pure attraverso quelle migliaia di milia da parte di Ourkid.
- Ti vorrebbero alla Creation entro un paio di giorni, comunque. McGee dice che ti vuole assieme a Tim Abbott per controllare se il posto va bene e tutte quelle cazzate tecniche di cui ti occupi tu -.
Un paio di giorni, ed ecco che la mia vacanza californiana era già bella che rovinata. Quella prospettiva sinceramente però non mi infastidiva più di molto, ora vedevo Knebworth come un qualcosa di reale e non vedevo l'ora di mettermici a lavorare. Sarebbe stato grandioso. Saremmo stati grandiosi.
- Sarete grandiosi – dissi alla fine.
- Non lo siamo sempre? -
- Grazie per avermi chiamata, Ourkid -
- Dovere, darlin' -, sentii il rumore tipico di quando esalava del fumo, - Potrai dire di aver scopato con il più grande frontman di tutti i tempi -
- Credi ancora di essere Lennon? -
- Vaffanculo – soffiò, ma un attimo prima che mettesse giù sentii la sua risata risuonare nuovamente.
Mi voltai e mi trovai parato davanti Flea, che se ne stava appoggiato all'isola della cucina da chissà quanto tempo, sapeva essere parecchio silenzioso quando voleva.
- Suppongo di non dover più chiamare alcun albergo -.
Alzai un sopraccigliosolo perchè così non avrei dovuto davvero replicare.
- Prova a negarlo -. No, non potevo negarlo, non volevo assolutamente dormire in un hotel, ero stanca di stanze desolate e receptionists che ti svegliano al mattino. La casa di John non era esattamente ciò che si direbbe essere accogliente però mi sentivo a mio agio, e mi pareva normale dormire lì.
- Appunto -, Flea abbassò lo sguardo, e quando lo posò nuovamente su di me era tremendamente serio, come se all'improvviso si trovasse a dimostrare tutti i suoi treantaquattro anni invece che una scoppiettante ventina, - Toni se ne è andata da qualche mese ormai -
- Lo so – dissi io di botto, lui si mi sembrò stupito, così aggiunsi – Io e John parliamo parecchio, molto più di quanto tu possa pensare -.
- E' tipico di lui, nei primi periodi con Toni ha provato a stare al telefono anche sei ore filate -, questo lo disse con voce un po' dimessa, forse non si stava neppure davvero rivolgendo a me.
- Quel che ti volevo dire però è di stare attenta, sei ancora in tempo ad uscirne -, questa volta mi stupii, strinsi gli occhi come per mettere meglio a fuoco Flea o quanto mi stava dicendo, - però se rimani stanotte.... -, si bloccò un istante, era evidente che non sapeva come proseguire con le giuste parole.
- Non ho intenzione di scappare -, mi uscì lì per lì e subito mi venne da ridere sarcastica perchè questa era una cosa tipica da me, io mi lasciavo sempre una via di fuga. Non mi ero mai legata a qualcosa che non fosse una traccia incisa su vinile.
- Ok – commentò il bassista in modo atono – Non penso sarebbe una cosa buona per lui, lui ci tiene a te, più di quanto lo dia vedere. Devi capire che lui è un tipo... - gettò un'occhiata verso le scale -...intenso. Vive tutto molto più forte della gente comune, la gioia, il dolore, tutto quanto è moltiplicato per lui, nel bene e nel male, so solo che John è questo -.
Intenso. Era la prima volta che sentivo un aggettivo che riuscisse veramente a descriverlo. Poi pensai alle ultime parole di Flea, - Ma è questo John? -, me l'ero domandato spesso se sarei rimasta così affascinata da lui se lo avessi conosciuto prima, quando era ancora coi Peppers, quando non aveva piste sulle braccia, quando era solo ancora un ragazzino coi capelli tinti di rosso. Flea si stropicciò gli occhi arrossati dalla stanchezza, il che li rendeva ancora più incredibilmente azzurri, - Sinceramente? -, aveva un vago sorriso sulle labbra, - Non lo so, di certo però non era del tutto se stesso neppure quando era nella band, il che non fa forse molto onore a me – si morse il labbro inferiorie – o a Anthony. Non era felice – concluse mestamente.
- E ora con la droga? - ero avida di informazioni, in fondo io non lo vedevo da mesi, l'ultima volta era in un letto d'ospedale e già era difficile capirlo, figurarsi per telefono.
Flea scosse la testa, - Non posso dirti come comportarti nei confronti della sua dipendenza -. Rimasi congelata per un istante, basita dal fatto che avesse capito – ancora prima di me, probabilmente – quale fosse il vero scopo della mia domanda. - Una volta John m'ha detto che lui non aveva problemi con le droghe, ero io che avevo un problema con lui che si faceva. E be', penso abbia ragione: sono io quello che ha problemi con le droghe. E' un problema per me se i miei amici muoiono –, tracciò linee astratte con l'indice sul bancone della cucina, - Io glielo ho detto che non voglio che si droghi, è tutto quello che posso fare come persona che gli vuole bene -, strinse le labbra già di per sè sottili – e lo rispetta. Questo è quello che faccio io, come muoverti ora decidilo tu -.
Stavo ancora calcolando le sue ultime parole quando m'accorsi che s'era già messo sulle spalle la custodia di uno dei bassi e l'altra la stringeva in mano. - Io vado, buona notte -.
- 'Notte – risposi io alla porta che s'era ormai già chiusa dietro Flea.

 

 

Mi rigirai sul divano, sarà anche stato il jet leg ma ora non riuscivo proprio più a dormire, sarà stata almeno mezz'ora che ero già sveglia. E poi non c'erano rumori, ero abituata ad addormentarmi al frastuono del bar sotto casa mia, delle macchine che sfrecciavano per la strada, degli ubriachi che si canzonavano fra di loro e si promettevano di rimanere amici per sempre – poco importava che si conoscessero da cinque minuti -. Persino nella mia casa di Manchester nel pieno della notte potevo riconoscere ogni singolo suono, come quello sferragliante della saracinesca che il panettiere alzava alle quattro. L'ultima volta che avevo dormito senza rumori era stato ad Edimburgo, vivevamo praticamente in campagna, la casa si affacciava su di una distesa di prati incolti... i pensieri stavano cominciando a correre troppo veloci, li bloccai prima che arrivassero ad un punto di non ritorno.
Mi girai ancora dall'altro lato e allungai una mano che si scontrò con un certo disappunto contro la pelle fredda del divano. Mi pervase un certo disappunto. Non ero neppure più abituata a dormire da sola e Noel quando non cercava di buttarmi giù sul pavimento era un buon compagno di letto. Altra scarica di disappunto, mi era appena passata per la mente l'immagine di Meg accocolata, avvinghiata, avviluppata attorno a lui su di un materasso ad acqua nella di Mick fottuto Jagger...
Di botto un rumore secco, mi voltai rapida percependo la fastidiosa sensazione della pelle a contatto con il rivestimento in cuio del divano. Scrutai un secondo tra le ombre e fra esse trovai John, pietrificato nel suo ultimo movimento, i occhi spalancati come un gatto acciecato dai fanali di un'auto che gli viene incontro a tutta velocità. Ai suoi piedi un libro di fotografia d'autore. Chiusi gli occhi un secondo per potermi riprendere dallo spavento che m'ero presa, quando li riaprii John non era più di fronte a me, bensì raggomitolato contro la libreria che sovrastandolo sembrava che lo stesse per sopraffare. Tremava.
Misi i piedi per terra anche se non mi sembrava neanche di sentirlo, il pavimento. Avanzai oscillando, muovendo pochi passi in quella casa che al buio mi appariva ancora diversa da come l'avevo sempre vista, non avrei saputo dire dov'ero, non era Hollywood, non era la California, non ero certa neppure che fosse ancora mondo. Mi accostai a John, che finalmente alzò lo sguardo, che nonostante il continuo rabbrividire del corpo era ancora deciso, fermo. Paradossalmente mi infuse una certa dose di sicurezza, anche se non ebbi la forza di fissarlo per più di qualche secondo, perciò mi soffermai sulle sue braccia nude e martoriate. Attorno al destro aveva stretto la cintura, ma si faticava comunque a scorgere in quell'intrico di croste e bende una vena buona.
- Va tutto bene -, sentii provenire una voce ovattata. Ne avevo la certezza, non eravamo più in questo mondo, eravamo nel mondo di John, dei suoi fantasmi e spiriti. Gli credetti: andava tutto bene.
Nel mio campo visivo comparve una siringa, - Potresti...? -, notai solo allora la sfumatura contrita di dolore nella sua voce. Alzai appena gli occhi, la mano gli tremava senza posa, pensai che fosse un miracolo che fosse riuscito già solo a riempire la siringa.
Andava tutto bene, andava tutto bene. Presi delicatamente l'oggetto che John mi porgeva, stava per iniziare a tremare pure la mia di mano, ma non glielo permisi. Fui decisa, e quasi senza accorgermene mi trovai a premere lo stantuffo. No, non andava tutto bene.
Immediatamente sentii il corpo di John tendersi, i muscoli contratti in uno spasmo accentato da un sospiro, ed infine tornare a rilassarsi. Il tremore era finito. Tutto finito.
Mi accorsi d'aver chiuso gli occhi, quando sollevai le palpebre vidi la mia mano che stringeva ancora la siringa. L'impulso di strapparla via dal suo braccio mi colpì come una scarica elettrica, però mi controllai e la sfilai con quanta più calma possibile, con la sola paura di fargli del male, paradossalmente.
- Scusa – mi mormorò John, non m'ero accorta che avesse appoggiato le labbra ai miei capelli.
- Eh? - ribattei interdetta.
- Temo d'essere stato io a svegliarti. Il libro, sai – e fece un cenno al volume che giaceva ancora per terra spalancato. Provai a dirgli che ero già sveglia ma non mi venne fuori che un borbottio confuso, così lasciai perdere e m'accontentai di fissare una delle foto. Ponte Vincent Thomas, Downtown, LA.

 

Davanti a me stava ancora quel libro di fotografia, alla luce soffusa, dall'alone arancione che permeava la stanza il ponte della foto sembrava molto meno reale, incuteva meno timore. Nell'aria d'era della musica, era stato quel richiamo a farmi aprire gli occhi. Oh, era un disco che conoscevo bene, era un po' come essere svegliati da una voce familiare che ti chiama con il tuo soprannome, con quella nota d'affetto. Mi alzai, avevo dormito tutta notte contro la libreria e la mia schiena e il collo ora facevano inquietanti scricchiolii di protesta.

Sunday morning, praise the dawning
It's just a restless feeling by my side
Early dawning, Sunday morning
It's just the wasted years so close behind

John stava seguendo ogni mio singolo movimento – il che era diverso dal fissare -, era seduto a gambe incrociate sul divano e con lo sguardo mi sfiorava appena, senza però perdermi mai. Inalai a pieni polmoni l'aria: era fragrante, una cosa che di certo non avrei potuto assaporare nel mio quartiere di Londra. Guardai fuori dalla finestra, doveva essere primo mattino, il sole appena sorto entrava in casa passando prima dal filtro delle tende arancio intenso. Ressi lo sguardo di John sino a che lui non si decise ad alzarsi, per andare a smanettare sul giradischi. Sentii il fruscio inconfondibile della puntina che percorreva i solchi del vinile a vuoto. Poi la canzone attaccò.


Watch out, the world's behind you
There's always someone around you who will call
It's nothing at all

La notte appena passata non era mai esistita.
John torno verso di me, un vago sorriso gli increspava le labbra, la luce mattutina che donava un po' del suo colore pure alla pelle del suo viso. Era impossibile che quell'uomo fosse lo stesso della notte prima.
Rimasi interdetta un secondo, dandomi uno schiaffo mentale: sì, era lo stesso. Non potevo mentirmi così spudoratamente. Era mattino, ma la notte sarebbe tornata, prima o poi, e quelle mani che ora pasticciavano con l'orlo di una camicia troppo grande avrebbero ripreso a tremare, ma...
Mi scrollai via di dosso quei pensieri, non per cacciarli, solo per dire che non mi importava, che li accettavo. Ora andava tutto bene, ma presto sarebbe potuto volgere tutto al peggio, lo stesso ce l'avrei fatta. Flea ce la faceva.
Presi la mano che John mi porgeva e m'avvicinai, con una mano gli accarezzai una guancia – così dannatamente spigolosa – e tutto il profilo del suo volto. Era la stessa mano che gli aveva palpeggiato un avambraccio alla ricerca di una vena buona, era la stessa carne. Lentamente ballammo mentre Lou Reed cantava, ricordandoci tutto quello che avevamo fatto. Non di di meno andammo avanti a muoverci con la musica.
Eravamo guancia contro guancia, mi sembrava di stare in un qualche vecchio film dalla pellicola color seppia.
- Devo andarmene per via del lavoro – feci in neanche un sussurro, sicura che tanto m'avrebbe sentita. - Voglio rivederti però -, ammisi prima ancora che il mio cervello potesse completare un pensiero coerente. Sapevo che il mio desiderio non era una cosa così ovvia e semplice da accontentare, ancora non sapevo quanto sarei stata via.
- Ci rivedremo -, rispose sicuro. Non c'era bisogno di aggiungere nient'altro, era una promessa la sua, sapevo che quando sarei tornata, l'avrei trovato ancora vivo. Continuammo a ballare, strinsi John un po' di più, poiché quel giorno avrei avuto un aereo che avrebbe messo una distanza oceanica tra noi due. Ma intanto era ancora domenica mattina.

Sunday morning and I'm falling
I've got a feeling I don't want to know
Early dawning, Sunday morning

Ciao! Ehi, vi ricordate di me?? Ok, forse no, ed è colpa mia dato che non mi son fatta sentire per più di 2 mesi, porcammerd@!!! Scusate, mi sono fatta prendere dall'estate e dalle operazioni pre-partenza per il Galles...mmm quindi che dire di questo capitolo....Allora c'è molto Frusciante, c'è un po' di Red Hot Chili Peppers, e come un'amica mi ha detto "ma questa non era una fanfiction sugli Oasis?!" Be', no, insomma è una multiband crossover, ma comunque non preoccupatevi se mi avete cominciato a seguire per via dei Gallaghers, perchè presto torneranno (il prossimo capitolo sarà un pezzo importantissimo della loro storia!). Diciamo che sto spaziando un po' per dare un po' l'idea di ciò che succedeva a metà anni '90 oltre gli Oasis. Un po' di cenni, allora Funky Monks è una bellissima canzone presente su Blood Sugar Sex Magik, forse mio album preferito dei peperoncini, 
http://www.youtube.com/watch?v=398xVamo2_UI
Clara è la figlia che Flea ha avuto con Loesha (lui ha ancora tatuato il nome di lei sul petto) Le frasi scritte sui muri di casa di John spiace dirlo ma c'erano davvero, e parte delle frasi che Flea dice a Cassandra durante il loro dialogo sono riprese da un'intervista del bassista. Quel che viene detto di Anthony Kiedis e del suo incontro con gli Oasis è preso da "Scar Tissue", l'autobiografia del cantante dei Peppers.
Se non siete molto pratici dei Red Hot Chili Peppers e delle loro usanze, questo è un video che mostra cosa vuol dire suonare "Socks On Cocks" http://www.youtube.com/watch?v=qqM86gj58OA Flea mette a dura prova il suo calzino, giocando con la forza di gravità ;) L'ultima canzone è Sunday Morning dei Velvet Underground & Nico, e l'album da cui è tratta è apparentemente uno dei preferiti di John. La canzone è straconosciuta, ma vi coniglio di sentirvi l'intero album ;) 
shttp://www.youtube.com/watch?v=eF_CQGHqztsnch
Se non siete molto pratici dei Red Hot Chili Peppers e delle loro usanze, questo è un video che mostra cosa vuol dire suonare "Socks On Cocks" http://www.youtube.com/watch?v=qqM86gj58OA Flea mette a dura prova il suo calzino, giocando con la forza di gravità ;) Vi saluto e vi lascio una delle foto che più mi piace di John, è assieme a Sunny, l'altra figlia di Flea a cui ha fatto da padrino, purtroppo non sono riuscita a trovarne nessuna di lui con la piccola Clara, ma questa rende l'idea di certo. Grazie mielle per continuare a seguirmi Cheeers!!
e streets you crossed, not so long 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** It's Gettin' Better (Man!!) ***


Mi trovavo nella mia cara vecchia Scozia, ed era un sabato fresco, frizzante quasi dovesse trasmetterti sulla pelle la sensazione di aspettativa e di agitazione che c'era per lo show di quella sera, che stava cominciando a costruire quel momento grandioso che sarebbe culminato meno di una settimana dopo parecchie centinaia di chilometri più a sud, a Knebworth.
Quello che quella sera avrebbero dovuto suonare era una specie di warm up, giusto per prepararsi all'idea di suonare di fronte a una vera e propria moltitudine il 10 e l'11 di Agosto. Anche se alla fine ce ne voleva di coraggio a chiamarlo riscaldamento: a Loch Lomond s'era riunita la bellezza di quaranta mila persone. A sera, dato che i concerti sarebbero stati due.
Certo, poca roba per gli Oasis che ormai andavano più veloci di be', una palla di cannone per dirla come avrebbe fatto Noel.
Era ancora mattina ma potevo vedere la gente fare la fila dalla mia posizione privilegiata in cui mi trovavo, sopra il palco a cercare di capire cosa volessero dalla mia vita fonici di palco e tecnici del suono. Tra poche ore avrebbero aperto i cancelli ma intanto io mi godo lo spazio aperto. Feci qualche accordo stanco, e sbadigliai più annoiata che stanca. Erano alcune settimane che ero rientrata in Gran Bretagna ma la mia testa mi pareva perennemente bloccata, penso che fosse per colpa del fatto che non si possa essere in due posti allo stesso tempo ed era il mio cervello a cercare di supplire a questa mancanza del mio corpo. Il tutto coadiuvato da una bolletta del telefono non indifferente, ma tanto mettevo tutto in nota spese, - quelli sì che erano tempi d'oro per la Creation -.
In realtà non avevo passato molto tempo con la band, ero stata troppo presa a sistemare i dettagli per il grande show di Knebworth per rientrare veramente nella mia vita da roadie a stretto contatto con Gallagher & Co. Noel da parte sua s'era comportato in maniera particolarmente professionale, senza per fortuna sfociare in quei modi raggelanti che aveva sfoggiato l'inverno passato. Prevalentemente ci ignoravamo, ma sembrava sempre un qualcosa non fatto di proposito, in quei giorni vivevamo tutti di caffeina e sigarette – e questi erano i salutisti, qualcuno preferiva tirarsi su con la coca – tanto dovevamo lavorare al massimo senza fermarci un istante.
Ero ormai completamente assorbita nel mio lavoro quando alla fine salì sul palco Noel imbracciando la chitarra pronto per il soundcheck. Lo scrutai un secondo più a lungo, indossava un sguardo contrito che sapevo aveva poco a che fare con la concentrazione: quelle sopracciglia ormai erano abbastanza facili da leggere per me. Nonostante questo continuai il mio lavoro, andandogli dietro qualsiasi canzone volesse provare, senza avere nessuna esitazione sugli accordi o sui riff, come se dovessi essere io la prima chitarra. Eravamo appena a metà della sesta canzone da provare, una che Noel aveva scritto evidentemente mentre era in vacanza, dato che era saltata fuori solo a Luglio. Era una canzone strana, suonava molto Oasis, quasi fin troppo, ma allo stesso tempo non aveva lo stesso gusto delle canzoni di Definitely Maybe.

 

Say something shout it from the rooftops off your head
Make it sort of mean something make me understand
Or I'll forget
The people here on lifes beaches
They wish upon the waves that hide the sand
Let them know that life teaches you
To build a castle in your hand
Maybe the songs that we sing are wrong
Maybe the dreams that we dream are gone
Bring it on home and it won't be long

 

C'era qualcosa d'alieno, ma forse mi pareva solo così perchè non ero lì a vedere la canzone nascere su quelle stesse spiagge di cui parlava Noel, a sentire la stessa sabbia su cui lui aveva camminato. Certo potevo riconoscere la strafottenza nelle parole che poi sarebbe stata modelata a misura dalla voce di Liam, eppure c'ea anche una certa decadenza, il che non era per niente da The Chief: lui sapeva che le sue canzoni erano sempre giuste, che i sogni erano lì a portata di mano. Era ridicolo che proprio adesso si cominciasse a chiedere se nel suo piano grandioso qualcosa potesse andare storto.

 

Build something build a better place and call it home

 

Fu l'ultima cosa che riuscì a cantare prima di interrompersi, mentre io andai avanti con il giro d'accordi elementari, quella frase che mi ronzava in testa tanto da quasi non farmi accorgere che non c'era più nessuno ad andare avanti a cantare- Mi bloccai pure io e finalmente rivolsi lo sguardo verso Noel, che a sua volta era intento a scrutare una figura che ritta fissava il prato che fronteggiava il palco. Liam.
Il fratello maggiore fece un paio di passi avanti, - T'avevo chiesto di presentarti al soundcheck – fece con la sua voce autoritaria/mistoperincazzareseriamente. Ourkid si girò lentamente, un sorrisetto idiota in faccia. - Be' sono qui -.
Solitamente era sempre Noel a occuparsi dei soundcheck mentre Liam se ne sarebbe stato in albergo a dormire o in giro a fare qualsiasi cosa che più lo aggradava. C'eravamo abituati tutti, era così che andava avanti la baracca Gallagher Brothers & Co. Però a quanto sembrava questa volta Noel l'aveva espressamente chiesto, ci stavamo preparando tutti a Knebworth, e neppure il principino William era esentato.
- Sei in ritardo -. Ok, questa era decisamente provocatoria. Già ad avere lì Liam eravamo fortunati, non si poteva pretendere troppo e The Chief era quello che lo sapeva meglio di chiunque altro.
- In tal caso allora va' avanti tu - fu la risposta strafottente. Ebbi una strana sensazione di dejà vù, forse erano solo quelle due-tremila volte in cui avevo assistito ad una scena simile.
Stavano già affilando i coltelli, quando dal backstage comparve Maggie chiamando Noel.
- Problemi con i The Charlatans – esordì e tutti, immediatamente, sapevamo a cosa si stesse riferendo: il tastierista, Rob Collins, era morto in un incidente autostradale dieci giorni prima e ancora la band non s'era del tutto ripresa. Avrebbero dovuto suonare a Knebworth come band d'apertura ma erano un paio di giorni che parevano volersi tirare indietro, Maggie sembrava stufa di occuparsi della cosa, e pensava che due parole da parte di Noel sarebbero state l'incentivo giusto a smetterla con questo balletto. In un attimo l'aria di tempesta com'era arrivata, si spense, tutti ci rilassammo un attimo: non c'eravamo neppure resi conto di stare lì ad assistere alla scena con il fiato intrappolato nei polmoni.
Poi, Ourkid ci stupì tutti, - Ok, riprendiamo questo fottuto soundcheck -. Mmm, qualcuno finalmente aveva raggiunto la maggiore età, forse.

- Ho provato a smettere, sai? -.
Alzai lo sguardo, sorpresa dalla voce familiare di Noel. Riposi sul tavolo il panno con cui stavo dando una lucidata al Fender di Guigs, e mi concentrai sul suo viso pensoso, la sigaretta che pendeva dalle labbra, pericolosamente in bilico. - Ma è più difficile di quel che pensassi -. Lasciai un'ultima occhiata su di lui e questa volta non mi sfuggirono le pupille dilatate di chi s'era fatto una striscia da poco.
Feci un cenno alla sigaretta prima di tornare a occuparmi del basso, - Che hai paura di mettere su peso se smetti? -, chiesi con sarcasmo.
- Mi riferivo a te -, fece coinciso – che non ci fosse niente che mi possa allontanare dal fumo lo sapevo già -. e come per sottolineare il concetto, prese una bella boccata dalla sigaretta.
A quel punto in cuor mio abbandonai definitivamente l'idea di pulire il basso di Guigsy, perchè si prospettava decisamente una di quelle belle discussioni tra me e Noel.
- Credevo che fino ad ora mi andasse bene tutto questo tira e molla, in fondo devo ammettere che è divertente. Ma pensavo che fosse una mia decisione continuare a giocare, invece... -
Da quando in qua era così aperto Noel? Era la droga a parlare, o ero davvero io ad averlo ridotto in quello stato? A quanto sembrava ero riuscita a far crollare il muro, peccato che non mi piacesse molto quel che si trovava dietro. Stavo per replicare qualcosa, magari una frase viscida che m'avrebbe riportato in dietro il Noel burbero quello che m'avrebbe mandato a 'fanculo, ma lui fu più rapido, come se se lo aspettasse. Come se una volta rotto l'argine non ci fosse stato più modo di fermare il fiume in piena.
- Ma non me ne un cazzo, farò come te: venga quel che venga. Sono nella band migliore di questo fottutissimo mondo, non ho il tempo per pensare - sputò fuori questa frase con veemenza ma allo stesso tempo una calma infinita, non era neppure vagamente incazzato, pareva solo...stremato.
Poi com'era entrato di soppiatto, fece per andarsene. - Ehi -, lo bloccai un attimo prima che imboccasse la porta. Il perchè non lo sapevo bene neppure io, forse perchè volevo dirgli che io invece ci pensavo al casino che eravamo riusciti a mettere su in quei tre anni di sangue, zucchero, sesso e magia, e che se ogni tanto spegnevo il cervello era solo perchè in qualche maniera dovevo sopravvivere. Non tutti potevano mettersi a scrivere canzoni. O forse non lo volevo vedere uscire da quella porta, ma tenerlo con me ancora un po'.
Alla fine tutto quel che mi riuscì di dire fu: - Vedete di dimostrarvi un po' d'amore tu e quell'altro bastardo, state per entrare nella storia della musica e ancora riuscite a litigare senza motivo -. Era un po' un rimprovero per quel che era successo la mattina, ma l'avevo detto con voce leggera. L'80 % degli Oasis erano quei due matti che litigavano.
- Proverò ad accontentarti -.

 

Dietro al palco stavamo sistemando le ultime cose, il boato provocato dall'entrata di Liam sul palco, avvolto in un felpone nero e con in mano una lattina di birra, doveva ancora spegnersi quando Noel fece la sua entrata in scena ravvivando di nuovo le voci di chi aveva appena smesso di urlare. Potevo ben vederlo, lì a braccia alzate, dietro al fratello seduto a bordo palco, a godersi come un re l'apprezzamento dei suoi fan, del suo popolo. Una scarica di adrenalina emanata direttamente da quelle quarantamila persone. Stavo per tornare alle mie ultime mansioni quando un movimento inaspettato mi fece soffermare ancora un po' sulla scena. Noel si piegò sul fratello, stringendolo fra le braccia, sino a che le loro labbra non collisero in un bacio che si dilungò per qualche secondo mentre il pubblico non faceva altro che urlare ancora di più, se mai possibile, e a passarsi il gigantesco pallone gonfiabile che Liam aveva calciato loro appena arrivato sul palco.
Per un attimo la mia bocca formò una O perfetta, ma appena mi ripresi, scossi la testa e ricominciai i preparativi per il concerto con un leggero ghigno che mi increspava le labbra, e una strana voglia di ridere.
Tutto ciò fu soltanto un assaggio però, il vero show dei Gallagher come sempre si esprimeva tramite la musica e il concerto di quella sera come da copione stava costruendo l'atmosfera per quello di Knebworth, persino le due nuove canzoni che suonarono quella sera furono recipite in maniera strepitosa. Il tutto fu chiuso dalla cover di I Am The Walrus, quella che m'aveva colpito sin dalla prima volta che li avevo al Boardwalk, e che a volte mi trovavo a pensare – in modo a dir poco profano – migliore dell'originale. John Lennon mi fulmini!
Riuscii ad intercettare Noel appena fu sceso dal palco, mentre mi passava la chitarra da mettere via, - Cos'era quello? - gli chiesi cercando di controllare il ghigno che provava a riaffiorare.
- Un fottutissimo gran concerto, dovresti esserci abituata –
Gli lanciai un'occhiataccia, sapeva benissimo a che mi riferivo.
- M'avevi detto di dimostrargli un po' d'amore – fece impertinente e baldanzoso, come solitamente era Liam, ma d'altronde i geni erano sempre quelli, e in quanto ad ego facevano a gara.
- Deve essermi sfuggita, sotto la definizione di “amore fraterno”, la parte dei dieci centimetri di lingua in gola -, e a quel punto non riuscii più a trattenermi dall'avere un tono divertito.
Intanto eravamo finiti per ritrovarci al buffet che era stato allestito dietro al palco, Noel mi passò una lager. - Sei gelosa, forse? - alitò con voce bassa, mi arrivò il sentore di fumo e birra, e quello di tè che mi mancava talmente tanto che forse me lo stavo soltanto immaginando.
S'avvicinò ancora un po', incastrandomi tra il tavolo del buffet e il suo corpo, mi morse il labbro superiore, il pallido fantasma di un bacio e appena capì che ci stavo per cascare si ritirò indietro, ad ammirare la mia espressione insoddisfatta. Fece tintinnare la sua Heineken contro la mia, - Non capisco cosa ci trovassi in Ourkid, non è poi così un gran baciatore -, dopo di che se ne andò, evidentemente soddisfatto di aver smesso di pensare e di aver capito che non era l'unico ad avere problemi a smettere.



 


*Fa capolino* Emh...Buongiorno, sono ancora viva. Chiedo umilmente scusa per la quantità biblica di tempo che è passato tra una pubblicazione e l'altra dei capitoli. Non posso addurre alcuna scusa se non pesoculaggine, dopo due mesi e mezzo dovrei essermi abitutata alla vita in Galles e dovrei aver trovato tempo e voglia di scrivere, invece per qualche motivo no. Faccio schifo, per cui scusatemi, soprattutto quelle persone meravigliose che commentavano con regolarità e che han seguito la storia per tanto tempo. Torno pure con la faccia tosta di un capitolo brevissimo per i miei standard, e pure dal mio punto di vista un po' insulso ._. In teoria avrebbe dovuto far parte del capitolo del concerto di Knebworth, ma poi ho pensato che dividerlo fosse l'unico modo per aggiornare prima dei 4 mesi. Vi prometto che il prossimo sarà migliore di questo! 
Un po' di facts (anche se spero che dalla storia tutto sia chiaro), siamo a Loch Lomond, concerto di warm up per Knebworth, luogo sacro per i madferit dove avvenne IL bacio ( http://www.gophoto.it/view.php?i=http://www.oasisfanatic.com/gallery/images/brothers/pictures/gallery_pic349.jpg#.ULJrUofAcZk spero di non traumatizzare nessuno). Qua per la natura Het della storia gli ho dato questa spiegazione, ma credetemi, non esistendo nessuna Cassandra nella realtà, io pendo molto di più per la versione complottistica dell'amore incestuoso...ok, la smetto di fare la fangirl pervertita. Il fatto che It's Gettin' Better (Man!!) sia stata suonata per la prima volta a Loch Lomond, come anche My Big Mouth, è vero ;)
Ok, I'm done. Grazie mille per l'attenzione. Peace & Love & Bananas (cit.)

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Live Forever ***


 

Maybe I don't really want to know
How your garden grows cos I just want to fly
Lately did you ever feel the pain
In the morning rain as it soaks it to the bone

 

La giornata non era partita per niente bene, ma forse perchè quella era una prerogativa di tutte le giornate che invece si sarebbero dovute prospettare come grandiose. Erano due notti che dormivo poco o niente – come d'altronde metà degli impiegati della Creation – e avevo la certezza assoluta che dopo il concerto avrei dovuto subire un trapianto di stomaco per le quantità esagerate di caffè, e di caffè-di-caffè, che ingurgitavo.
C'era la bellezza di tre mila persone a lavorare per quel fottutissimo concerto, ma sembrava sempre che dovessero venire a rompere l'anima a me, qualsiasi cosa succedesse, apparentemente serviva la mia supervisione. Non m'ero mai sentita così desiderata, ma sinceramente era molto meglio quando mi toccava occuparmi soltanto che gli amplificatori fossero a posto e che le chitarre fossero accordate, bei tempi quelli. Ora invece l'impianto acustico di Noel era più grande della muragliata cinese, ed ero appena stata nella postazione di fronte al palco adibita al controllo dell'audio che avrebbe dovuto raggiungere ogni singolo paio d'orecchie di tutte le 125 mila persone che s'apprestavano a sentire il concerto quella sera. Un intero gruppo di tecnici del suono era circondato da console che erano un mare vibrante di lucette, - era la fottuta NASA -, e si disperava facendo calcoli su come cercare di eliminare il problema di delay massiccio secondo cui il suono sarebbe arrivato in ritardo rispetto al video agli spettatori che stavano nelle ultime file. Dopo una buona mezz'ora di discussione tutto quello con cui venni fuori io fu: - Cazzi loro, se volevano star davanti si facevano più fila -. Ma la verità era che c'erano pure 7 mila persone nella guestlist e che se si voleva un posto fronte palco si doveva lottare seriamente o campeggiare a Knebworth per giorni. Dopo la mia filosofica conclusione, uscii all'aperto in quell'enorme campo che non mi pareva possibile che di lì a pochissime ore sarebbe stato riempito.
Camminai un bel po' prima di arrivare all'entrata dei cancelli, dove il mio pass AAA mi permetteva di varcarli senza alcuna preoccupazione. Fino a quel momento me ne ero stata nelle vicinanze del palco gigantesco dove era stato montato lo schermo più grande della storia, che era stato prodotto apposta. E fu solo in quel momento che realizzai che non si trattava di un concerto, ma di un evento. Una folla simile l'avevo vista soltanto ad alcuni festival, che poi in fondo quello lo era, ad esibirsi a supporto degli Oasis ci sarebbero stati: The Bootleg Beatles, The Chemical Brothers, Ocean Colour Scene, Manic Street Preachers e The Prodigy. Una specie di parata della musica britannica di quel periodo.
Mi aggirai tra le persone che s'erano raccolte lì ad assistere al più grande concerto all'aperto della storia, e mi pareva di passare in rassegna il Paese, c'erano i lads - giovani ragazzi della classe operaia -, persone che avresti incontrato al pub sotto casa, e altri che invece potevano solo aver dismesso camicia e cravatta e raggiunto l'Hertforshire direttamente dalla City, signore che magari erano lì ad accompagnare i figli adolescenti ma che parevano godersi assai l'atmosfera mentre sorseggiavano le loro birre dai bicchieri di palstica, ragazzine che non vedevano l'ora di poter gridare non appena Liam fosse salito sul palco e che provavano a corrompere la security per poter entrare nel backstage. Mi scappò un sorriso quando vidi pure qualche bambino portato sulle spalle dai genitori e che a quanto pareva rientrava nelle statische di quel britannico su venti che aveva cercato di accaparrarsi un biglietto.
Mi sfilai la giacca di jeans con cucito sopra “Knebworth Park 1996 – Crew” e me la legai in vita – perchè sì, erano gli anni '90 e si poteva ancora fare senza sembrare un'idiota -, mi misi a fare la fila come chiunque altro per poter comprare una pinta, anche se nel backstage ce ne era a volontà, era solo che volevo attardarmi ancora un po' in quell'atmosfera che mi mancava da troppo tempo ormai. L'attesa però era più lunga di quanto potessi immaginare, le file parevano infinite anche se c'erano forse più di un centinaio di chioschi pronti a venderti la base alimentare da concerto: birra, hot dog, fish and chips. E un congruo numero di bagni chimici per poter far uscire ciò che era entrato.
Davanti a me c'erano un gruppo di ragazzi con l'accento caratteristico di Middlesborough, che discutevano animatamente.
- Ok, la musica è una figata pazzesca, non mi troverei qui se non lo pensassi...ma non ditemi che non sono un po' montati, insomma tutte quelle sceneggiate tra di loro! - esclamò uno con gli occhiali.
- Ma vatti ad ascoltare i Radiohead allora – lo prese in giro un altro.
- Che c'entra! Sto dicendo che potrebbero farne a meno, e secondo me non lo fanno perchè altrimenti i media starebbero loro dietro molto meno -
- Bah, secondo me tutta sta gente non la raccogli se non c'è di mezzo soprattuto la musica – aggiunse un terzo prendendo una boccata di fumo.
- Fidati che è tutto naturale, amico – mormorai tra i denti io. Quelli mi sentirono e si girarono un attimo, mi diedero una rapida occhiata e poi il primo che aveva iniziato a parlare riprese col suo ragionamento, senza troppo badare.
- Il punto è che...boh... anche fossero vere tutte 'ste loro litigate, potrebbero anche ben tenersele per loro -
- Massì, dai, alla fine a me piacciono anche per questo. Sono come me e te, vanno al pub, fanno un po' i coglioni. Si pigliano a pugni ogni tanto. Te lo vedrai mica Brett Anderson a fare cose del genere -
- Esatto, come me e te, a parte un conto in banca come quello della fottuta Regina e una figa da paura tra le lenzuola – rise di gusto il quarto membro della combriccola che fino a quel momento se ne era stato in silenzio a seguire la discussione.
- Anche io ho iniziato a suonare, chi te lo dice che magari non finisco come loro?! -, gettò a terra il mozzicone, - e se ma lo divento, te stronzo non ti metto nella guestlist -.
L'amico rise ancora all'offesa, - Be' di certo una cosa è vera: han dato speranza a tutti...e comunque, falsi o no, io non vedo l'ora di sentirmi vivo stasera. Sapete che figata sarà sentire Champagna Supernova? -
-Mio cugino era a Loch Lomond e ha detto che la coda di strumentale è pazzesca. Ha detto pure che quei due ci han dato dentro di lingua -, risata, - scommetto che questi litgano tanto ma poi in albergo ci danno dentro da far cadere i quadri! -
- Sei il solito pervertito, Flicky -.
Tutti continuarono a prendere in giro Flicky e a chiamarlo con varie sfumature di “finocchio”, ma poi il ragazzo che pareva non stare nella pelle da sentire Champagne Supernova si voltò verso di me e mi rivolse la parola, - E tu invece che ne pensi? -, aveva un sorrisetto da pessima tecnica di abbordaggio.
Feci spallucce, - Ah, io son qua solo per vedere il chitarrista, ho un debole per lui -.
- Noel?! Checcazzo, è proprio vero che a fare la rockstar si cucca di più eh -, dopo di che parve pensare che non valeva la pena provarci con una che aveva tali gusti in materia di uomini. E io invece pensai bene che fosse ora di tornare a lavorare, quella fila per la birra sarebbe andata avanti troppo a lungo. In fondo mi ero riuscita a godere per un po' l'atmosfera da spettatrice.


Maybe I just want to fly
I want to live I don't want to die
Maybe I just want to breath
Maybe I just don't believe


Erano le due di pomeriggio e la buona parte del pubblico s'era accalcato nel campo di fronte al palco per ascoltare l'esibizione dei Bootleg Beatles, una cover band dei Fab Four – ma non mi dire... - e che parevano essere stati inseriti nella line up per rimarcare la provenienza degli Oasis, caso mai a qualcuno nel pubblico fosse sfuggita la cosa. Nel backstage per il momento si respirava un'aria distesa, Liam e Bonehead erano fuori a fumare, mentre Noel si trovava in compagnia dei Chemical Brothers, parevano nel bel mezzo di una discussione vivace, non stavo seguendo bene perchè ogni due per tre venivo chiamata da qualcuno ma credo che al centro di tutto ci fosse una canzone. Ne ebbi la conferma quando si misero a parlare del ritmo e, da odioso faccio-tutto-io nonché mancato batterista qual'era, Noel non lasciava parlare per un secondo né Ed né Tom.
- Ragazzi, non fatevi mettere in testa i piedi da questo qua –, cercai di ammonirli in un secondo di pausa, – se lo lasciate fare vi metterà la fottuta batteria di Tomorrow Never Knows! - esclamai probabilmente ispirata dalla cover che i Fake...voglio dire, Bootleg Beatles stavano suonando in quell'istante. Noel mi scoccò uno sguardo truce che però non aveva niente di maligno.
- E poi vi farà cambiare il nome in The Gallagher Brothers -.
Noel stava per aprire bocca quando a precederlo arrivò un insospettabilmente audace Guigsy: - Ammettilo che hai sempre voluto avere una band con il tuo nome! -. Intanto palleggiava con un pallone da calcio, chiamato Wilson VIII, discendente di una stirpe di Wilson che erano stati persi e/o distrutti nel corso dei tour precedenti.
- Un'altra sillaba e te lo buco -. Noel aveva avuto il tono di quel vicino scorbutico che tutti almeno una volta nella nostra infanzia c'eravamo trovati a fronteggiare una volta che la palla era caduta nel suo cortile. Al che Guigs “palleggiò” verso lidi migliori, nella fattispecie il divano dove Whitey era seduto, e si stava lentamente transformando in una batteria umana: tamburellava su qualsiasi cosa fosse a meno di 20 centimetri di distanza, e in mancanza di quel qualcosa, sulle sue gambe.
Il pomeriggio passava con una lentezza estenuante ed era punteggiato qua e là da facce più o meno conosciute, a persone famose come Jarvis Cocker, Richard Ashcroft e Kate Moss, si alternavano volti noti dei tempi del Boardwalk e altra gente che avrei evitato più che volentieri – nomi a caso: Meg Matthews e Lisa Moorish -. Pareva di stare in una specie di strano limbo in cui si era radunato il passato, il presente e il forse il futuro degli Oasis. A fare da San Pietro che accoglieva tutti alle porte di questo mondo parallelo c'era Alan McGee, che era come il padre orgoglioso di un ragazzo problematico che finalmente si diplomava. Era stato invitato pure Gem, ma Lou ormai stava arrivando a termine della gravidanza e figurarsi se, da odioso marito perfetto quale era, lui avrebbe mancato d'essere al fianco della sua dolce metà.
Ormai mi stavo occupando degli ultimi dettagli, non dovevo pensare agli Ocean Colour Scene che avevano i loro roadie per i cambi di strumento e quant'altro, al massimo mi potevo godere il loro Britpop di un retrò quasi osceno, che però per gente come me erano solo belle memorie, sulle note di The Day We Caught The Train.
- Ha bisogno di qualcosa Mister Squire? -. Non seppi come mi uscì, di norma non ero così formale, le buone maniere le lasciavo agli inglesi, io ero scozzese, che cazzo.
Con lentezza, come se si fosse appena scrollato di dosso un certo torpore, John Squire mi guardò diretto negli occhi. Non me l'aspettavo, i suoi erano intensi e così giovani. Come se m'avesse letto nel pensiero, disse: - Ho trentaquattro anni, puoi anche non chiamarmi Mister -.
Nonostante la richiesta esplicita, continuai a sentire un certo qual senso di reverenza pervadermi, - E' solo che i Roses... Spike Island è stato il mio primo vero concerto, e sembra una vita fa – mi giustificai, impacciata.
Squire sbuffò, poteva anche anche essere un sospiro divertito però, - Devo dire che hai molto tatto, considerato che ho mollato la band da tre mesi -. Pareva parlasse di sua moglie, altro che il suo gruppo.
Riuscii a racimolare un po' del mio carattere che pareva essersi vaporizzato alla presenza del chitarrista degli Stone Roses, tanto per specificare, prima che qualcuno pensi a quei gasati capelloni americani. - Di certo tu non ne dimostri di più a cercare di mettermi in difficoltà a tutti i costi! -, suonai un po' più infatile di quanto desiderassi, e quando Squire mi squadrò nuovamente con quel suo sguardo azzurro capii d'essere stata sconfitta. Sulle labbra rosse aveva un sorrisino.
- No – disse semplicemente.
- No, cosa? -
- No, grazie mille ma sono a posto, ho tutto quel che mi serve -
Feci per andarmene, prima che arrivassi era totalmente preso nel suonare la sua chitarra per cui presi quell'ultima frase come un congedo, ma Squire mi bloccò: - Spero di cuore che a loro non succeda quello che è accaduto a noi -. Mi voltai.
- Noi di casini con le case discografiche non ne dovremmo avere, McGee sa essere uno stronzo, ma alla fine è un buon stronzo -, mi lasciò finire di parlare prima di iniziare a scuotere lentamente la testa.
- Non parlavo di quello -, sospirò, come a cercare le parole, - noi siamo stati inghiottiti dal nostro stesso successo dopo il primo album, e certo anche dai casini tra me e Ian -. Tra Squire e Ian Brown era risaputo che negli ultimi tempi non fosse scorso buon sangue. Stavo per interromperlo quando lui riprese, con un sorriso – Ma mi hanno stupito una volta, Morning Glory ha superato ogni mia aspettativa dopo un album come Definitely Maybe -.
- Ce la faranno – intervenni a quel punto – sono gli Oasis -. Sapevo che quella frase non aveva molto senso detta così, ma per me ne aveva eccome: li avevo visti suonare al Boardwalk e chi mai l'avrebbe detto che sarebbero riusciti ad uscire da quella topaia. Mentre ora... Il pubblico esultò, come a ricordarmi proprio in quel momento che erano lì, probabilmente gli OCS avevano appena lasciato il palco ai gallesi Manic Street Preachers.
Era caduto uno strano silenzio, per cui mi affrettai a dire – Ah, complimenti per i tuoi lavori. Mi sono sempre piaciute un sacco le copertine per i vostri album e singoli -. Squire parve piacevolmente colpito da quell'apprezzamento e reclinò un attimo il capo in segno di ringraziamento; immediatamente seppi che la conversazione con l'ex-chitarrista degli Stone Roses era chiusa.


Maybe you're the same as me
We see things they'll never see
You and I are gonna live forever

I Prodigy stavano finendo di esibirsi sul palco, e l'eccitazione del pubblico si poteva percepire nell'aria: nella mente di tutti era scolpita la line up di quella sera e sapevano che tra meno di un'ora avrebbero assistito ad uno spettacolo che non avrebbero potuto dimenticare per tutta la vita, nel bene o nel male. Mi sentivo una pallina del pinball: rimbalzavo da una parte all'altra. Sembrava che tutto andasse bene, ma poi all'ultimo minuto saltavano fuori casini vari che non avresti mai voluto trovarti a fronteggiare a mezz'ora dall'entrata in scena della band. Stavo ascoltando il tecnico della batteria di Whitey che aveva problemi con il nuovo kit, quando improvvisamente venni arpionata per le spalle e trascinata via. Cercai di divincolarmi almeno per vedere chi fosse il mio rapitore.
- Perchè non la smetti di divincolarti? -, mi mormorò all'orecchio una voce che odiavo ammettere, ma era troppo sexy – 'Cause you're not going anywhere -, fece un accenno di cantato.
Scossi la testa con mestizia, - Siete insopportabili, voi cantautori, quando vi autocitate -.
Jarvis mi ignorò completamente, - Ricorda che io sono solamente un ambasciatore -, dopo di che mi spinse all'intero di una stanza, che riconobbi immediatamente essere la stanza dove la band si sarebbe dovuta riunire prima del concerto per concentrarsi. Ma c'era solo Noel. Improvvisamente ebbi una brutta sensazione e avrei voluto acciuffare Jarvis per potergliele dare, ma la porta dietro di me s'era già chiusa.
Noel mosse qualche passo verso di me quasi esitante, sapeva che le mie difese erano alte. - Volevo solo dirti due parole prima che questa -, fece una pausa indeciso come non mai, agitando la mano nella direzione da cui proveniva il vociare del pubblico, - questa pazzia abbia inizio -.
- Non sei mai stato tipo da preamboli, quindi spara -
- Ok, per stasera hai finito di lavorare... -
- Cosa?! - replicai fulminea.
- Hai capito, non devi fare nient'altro per stasera. Puoi andare a casa -, e qui comparve un ghigno su qeul suo viso da civetta, - o restare a vedere il concerto -.
Per un secondo avevo creduto che mi volesse licenziare, di nuovo. Ad ogni modo ero contrariata, non m'ero spaccata il culo per settimane per mollare il mio lavoro proprio all'ultimo, spalancai la bocca per replicare ma si aprì pure la porta alle mie spalle ed entrò la band al completo. Era ora, dovevo andarmene. In testa tutti i miei pensieri erano confusi, l'unica frase di senso compiuto che continuava a ricorrere in tutto quel casino diceva che Noel sarebbe diventato uno dei musicisti più famosi degli anni '90 indossando un orribile lupetto rosso a righe.
Una volta ancora nell'area principale del backstage non mi ci volle molto per individuare Jarvis, che quando incrociò il mio sguardo omicida cercò di fare del suo meglio per compiere una fusione con il muro contro cui s'era appoggiato. Neanche a dirlo, le leggi della fisica e gli atomi gli diedero contro. Per prevenzione s'era già schermato con un braccio il viso e con l'altra mano aveva formato una conchiglia a protezione dei gioielli di famiglia, - Ti prego, ti prego non i miei meravigliosi zigomi e... non Evaristo ed Ernesto, loro non hanno fatto niente – piagnucolò con una voce dal tono incredibilmente alto.
Feci un attimo marcia indietro davanti a quella visione ridicola di un uomo altissimo che si nascondeva come un bambino. - Qualcosa da addurre in tua difesa? - chiesi fredda.
Jarvis abbassò titubante il braccio che gli copriva la faccia, ma non mosse la mano dalla sua funzione difensiva, - E' stata colpa del nano -
- E' sempre colpa sua -, commentai distratta.
- Mi ha costretto -, continuò Jar, - i suoi occhi...i suoi occhi: ti bruciano l'anima! - esclamò, raggiungendo un'apice di melodramma probabilmente mai sfiorato neppure in una rappresentazione teatrale del Re Lear.
- Ok, ok mi hai convinto – decretai con un gesto della mano – puoi anche smettere di proteggere Evaristo ed Ernesto...? -, aggiunsi un tantino scettica.
- Evaristo ed Ernesto – ripeté compitamente Jarvis, - i miei testicoli -
- Molto piacere – commentai sarcastica.
- Vi avrei presentato prima, ma non ce n'è mai stata occasione -, la voce era sibillina come solo la sua poteva essere. Lasciai cadere il discorso prima che il cantante continuasse con i suoi amati doppi sensi, e imboccai la scaletta che portava all'aperto, su uno dei lati del mastodontico palco.
- Dove stiamo andando? -
Mi fermai di colpo, la domanda improvvisamene mi aveva riportato alla realtà. Esatto, dove diamine stavo andando? Non avevo ancora elaborato per bene quanto era successo in quella stanza, mentre ero sola con Noel. Nelle retine avevo ancora ben impresso il ghigno che m'aveva rifilato mentre diceva che sarei potuta rimanere a vedermi il concerto. Una parte di me avrebbe voluto correre via, entrare in macchina e con una sgommata mettere più miglia possibili tra me e Knebworth prima dell'inizio del concerto – caso mai quegli amplificatori fossero davvero così potenti da far arrivare il suono anche a chilometri di distanza. L'altra parte di me invece aveva preso bellamente sotto braccio Jarvis e mi stava dirigendo verso la folla che ormai era totalmente compressa contro le transenne, a formare il più grande agglomerato umano che mai avessi visto.
Sapevo di essere una perdente mentre mostravo il mio AAA pass ad uno dei bodyguard che attorniavano il palco, invece che All Access Area ci sarebbe potuto benissimo essere scritto I'm A Loser, e sotto una bella foto del ghigno di The Chief.
Aveva già finito di risuonare come intro The Swamp Song, ed io giusto in tempo mi issai oltre la transenna, nella zona fronte palco, - qualcuno provò a protestare ma Kevin, la guardia del corpo che aveva sempre lavorato con gli Oasis, lo zittì con un'occhiata truce -. Infatti neanche un secondo dopo che Jarvis aveva preso posizione al mio fianco, la band fece la sua maestosa entrata. Liam nel suo maglione a trecce bianco che pareva essere stato rubato ad una cicciona americana, e che comunque gli stava da dio, come solo a lui sarebbe potuto stare bene un maglione, come detto, rubato ad una cicciona americana. In mano aveva un bicchiere di birra e occhiali neri gli schermavano lo sguardo, presea fare come degli strani inchini, a muoversi come un uomo scimmia – o meglio, un uomo uovo, date le sue spiccate tendenze lennoniane -.
Spostai il mio sguardo su Noel, neppure quell'orrendo lupetto rosso a righe corredato da giacca di jeans gli avrebbe potuto togliere quell'aria gloriosa che pareva fluttuargli attorno. Era come un re che ammirasse i suoi possedimenti dalla cima di una montagna. Per un nanosecondo mentre prendeva in rassegna le facce di quell'immenso pubblico, quasi volesse ricordarsele una ad una, incrociò i miei occhi e parve ancora più soddisfatto.
- Ammeto la sconfitta, contro l'unico essere umano contro cui non avrei mai voluto perdere – dissi a Jarvis, senza neppure pretendere che mi riuscisse a sentire sopra tutte le grida che giungevano da ogni parte sino alle nostre orecchie.
Poi tutto non ebbe più senso, Noel s'avvicinò a sua volta all'asta del microfono, - This History! This History! Right here, right now: this is History! - con un dito puntato al pubblico scandiva ogni singola parola, come se avesse paura che ce lo scordassimo o che neppure ce ne rendessimo conto che quella era storia, che noi ne eravamo parte. S'era fatto il culo per anni e non ci avrebbe lasciato scordare che lì, in quel momento, la storia la stavano facendo gli Oasis, la sua band.
Erano nella storia. Quell'idea stava cominciando a rimbombarmi fin troppo nella testa sino a quando non venne fermata dalla voce di Liam che ovviamente doveva intervenire: - I thought it was Knebworth, let's go to History in the weekend to watch Oasis -.
Feci uno sbuffo divertito e sorrisi, come ero certa che stessero facendo più o meno tutte le persone che mi stavano attorno, fosse anche solo perchè sentivano quella sensazione febbricitante che precede la nota d'inizio di ogni concerto.
Noel aveva infine imbraccio la sua chitarra, - Good evening planet Earth -. L'intera platea gli rispose con un boato, e in quel momento, stando lì, pelle contro pelle, nel caldo umido dell'imbrunire d'Agosto poteva veramente sembrare che tutto il pianeta Terra si fosse riunito in quel campo per vedere quattro scapestrati mancuniani, più l'aggiunta di un cockney, a suonare la colonna sonora dei nostri anni '90.
- Columbia – annunciò Liam, e il fratello replicò – I'm colombian as well -.
- Che cazzone... - commentai ad alta voce, e di fianco a me sentii Jarvis scosso da una risatina: neppure lui voleva credere che su queste parole sarebbe cominciato il più grande concerto della storia.
Poi per fortuna dai giganteschi amplificatori prese a farsi largo la musica, accompagnata da un canonico “are you mad fer it?!” di Liam. E che la magia abbia inizio.
There we were, now here we are, continuo bending sul sedicesimo tasto, this is confusion, come on, come on, come on, come on, yeah yeah yeah, thank ya very mUch, ACQUIESSSCE, la scritta Oasis che capeggia sul palco, JUMP JUMP JUMP, 'cos weeee neeeed each other, weeee beeeeelieve in one another, I know we're going to uncover what's sleeping in our SOOOOOOUL, the fuckin' wind may blow, at the back, Liam che tiene il tempo muovendo il collo come un piccione, l'espressione estasiata sul viso di Noel, Whitey che batte come un dannato, 'cos my friend said, la giacchetta di jeans è scomparsa, he'll take you home, Liam abbracciato al microfono, I appreciate ye, nobody ever mentions the weather, troppo veloce, it's never gonna be the same, HELLOU, said it's good to be back (good to be back), distorsione, cheers, cheers, cheers, plant pots, coffee table, sofas, tea-pots, luce azzurra, we will find a brighter daaaya, immersi nel mare, niente occhiali, we don't believe in heaven, ancora occhiali, MIGHT SAY MIGHT SAY MIGHT SAAAY, il profilo di Liam in contro luce, Bonehead!Bonehead!Bonehead!Bonehead! Man, viola, arancio, viola, arancio, viola, kiss the girl, ma la voce di Noel sta diventando così acuta? Take me awayyyyy, fuck shit cunt, you knocked me on my feet, two of a kind, parole a vanvera, now that you're MIIIIIINEEEEEEAAHHH, niente occhiali, take me theere!take me there!take me there! Assieme :WHAT FOR?! Momento più alto della musica britannica, la concentrazione sul volto di Guigs, waaah, tamburi da guerra, strisce di fuoco sul pubblico, weeeeell, what's the story? Morning glory, colori, that's that's a drum, around our way, tempo di festa, armonica, lalalaaaa, northern soul, roud are way it's alright, heeeeey yooou, heeey yoou, hey Bonehead can you play that?! Liam che dà di matto, you gotta make it happeeeeeeen, nebbia gialla, Liam che discute col pubblico, la melodia degli archi, il pubblico che precede Liam: I'm freeeeeee, Noel che canta tra sé e sé guardando suo fratello, Bonehead all'acustica, I'd like to be under the sea in an octupus's garden in the shade, would you like to be under the sea in an octopus's garden you and me? Una coda di pura poesia accompagnata da degli sproloqui in mancuniano, this one's for Rob Collins: live forever, mate, you can take my soul, don't take my pride (pride) (pride) (pride), Richard Ashcroft dovrebbe essere fiero d'avere una tale canzone, a big boooo for Man United? BOOOOO, there are many things I would like to say to you, un disco di Geoge Harrison rubato da Sifters anni fa, you're gonna be the one that saves meeee (saves meeee) I would like to stay on stage but they always throw me off, thank very mUch, nostalgia evocata da una armonica e degli archi, sail them home with Acquiesce, quelle sopraciglia corrugate, DANCE if you wanna DANCE, siamo parte di un qualcosa, urla di ragazzina isterisca, who the fuck are Man United? Penso a mia madre, a notti di pioggia scrosciante e polizia che bussa alla porta di casa, you can put your life in the hands of this rock 'n' roll band, 'cos we'll never throw it all away, e Sally può aspettare, almeno per stanotte, it's not today, Liam torna con una sigaretta, my big mouth and my name, deliri d'onnipotenza, Jarvis mi prende sulle spalle, Liam è stupendo con quel taglio di capelli, build soooomething, build a better place and call it HOME, Whitey piglia di nuovo a maltrattare i tamburi e Liam balla come un fottuto Bee Gees, euforia, it's gettin' better maan, wooohoo, LIVE FOREVER: tutto veniva assieme, ogni cosa aveva senso improvvisamente, i fili si riannodavano ed a un certo punto nessuno era più perso, io non ero persa. Maybe you're the same as me, we see things they'll never see, you and I are gonna live forever, John Lennon appare sullo schermo, Liam si inchina, show your respect, see you later, il buio, non sono là nel backstage per la prima volta, Oa-sis! Oa-sis! Oa-sis! Oa-sis! Fischi & cori, Jooohnny?? Squire appare nella luce blu, wipe that tear away now from your eye, brividi, Noel che saltella su e giù cantando solo per se stesso, Squire parte con l'assolo, Liam vaga, è perso dentro quel maglione e dentro al suo mondo, il ritmo della marcia finale si sta per concludere: come può una canzone senza senso avere così tanto senso? Last one, we do it again sometime, un caleidoscopio di colori, goo-goo-joob, sitting in an English garden waiting for the sun, la Union Jack, and if the sun don't come you get your tan from standing in the English rain, choo-choo-pah, choo-choo-pah, choo-choo-pah, Liam tra il pubblico, gli afferro la manica solo per un secondo e tutto ciò che vedo è il suo sorriso da pazzo, pazzo felice, braccia in alto, applausi, il rombo dei fuochi d'artificio sopra le nostre teste, lacrime & sorrisi. The End.


I said "maybe" I don't really want to know
How your garden grows cos I just want to fly
Lately did you ever feel the pain
In the morning rain as it soaks it to the bone


Avevo dimenticato cosa volesse dire il post-concerto: la gente che saluta i compagni di una nottata, che se ne va e s'avvia stanca, ammaccata e sudata verso casa. Ed io che rimanevo invece lì, le mani posate sulle spalle di Jarvis a fissare il palco vuoto, le luci spente; l'illusione che se fossi rimasta ancora un poco sarei riuscita a prolungare quel momento, anche solo di qualche secondo.
L'idillio fu interrotto dal cantante di Sheffield: - Pensi di rimanere ancora per molto lassù? -, era vagamente infastidito.
Scesi e da lì in poi in un turbinio di facce, di spallate contro persone, di fermate improvvise, una forza misteriosa – col senno di poi, identificabile molto meno misticamente in Jarvis – mi guidò sino al backstage, che era già stato reso irriconoscibile dai festeggiamenti che avevano preso piede da soli pochi minuti. Qualcunò appena fummo entrati ci spruzzò di champagne manco avesse appena vinto a Silverstone il Gran Premio, e poi subito scappò via come un bambino soddisfatto della propria marachella. Era Guigsy, e a rincorrerlo c'era Bonehead che a ripetizione continuava a gridare una varianta della stessa frase, ovvero: - Vieni qui, brutto figlio di puttana, è Dom Perignon! -.
Mentre Jarvis tentava di asciugarsi gli occhiali con l'orlo della camicia, a me venne messa in mano una birra che bevvi avidamente data la disidratazione che comporta il cantare a squarciagola una ventina di canzoni. Il mio cameriere era McGee che pensò bene anche di assestarmi una sonora pacca sulla spalla – leggasi: lussazione articolare -.
- Ben fatto! -, esclamò palesemente ubriaco, fissandomi con gli occhi sgranati, - tu-persona-di-cui-non-mi-ricordo-il-nome – disse a raffica, poi il suo sguardo parve mettersi a fuoco -maccerto, sei Cassstavo scherzando -. Provai a sganciarmi dal capo della Creation, volevo trovare Noel o Liam, almeno prima che pure loro fossero troppo andati per riconoscermi.
- Un brindisi, ragazza -, alzai automaticamente la Heineken, forse ormai era un riflesso incondizionato. - A te -. A me?!
- A te che hai fatto parte dell'ispirazione per alcune delle canzoni che sono state suonate stasera -, con orrore sentii quelle prime parole e con orrore notai lo sguardo perso e tipico di McGee che incominciava uno dei suoi lunghi discorsi senva via di scampo per l'interlocutore, - a te che hai l'onore d'essere musa, amore e disperazione, delizia e croce -, l'alcool lo rendeva quasi stucchevolmente poetico – a te che conturbi il nostro cantautore nel più profondo, a te che dopo anni riesci ancora a farglielo tirare! Cheers! -. Ecco, appunto, poesia. McGee fece tintinnare il suo calice contro il vetro della mia bottiglia e se ne andò via, felice ed impunito dopo aver appena partorito il brindisi più orribile della storia, dall'invezione del bicchiere ad oggi.
In cuor mio sperai che nessuno avesse assistito alla scena, ma venni subito contrariata dato che c'era Whitey che si stava soffocando dal ridere nel suo stesso champagne, e che soprattutto avevo un'unghia laccata puntata contro il petto. Quell'unghia purtroppo era parte minore di una certa Meg Matthews.
- Lo sapevo – scandì la biondissima e boccolosa Meg – lo sapevo -, ripetè di nuovo, giusto nel caso che fossi un po' sorda, dubbio ragionevole dopo il concerto. Decisi che l'arma migliore era il silenzio, non contrattaccare, ma concentrarmi su quella ruga d'espressione che le si formava tra le sopracciglia e che parlava d'odio puro. - Ora anche McGee ti dà credito, ammettilo, ci stai prendendo gusto: vuoi di più -. Sì, tu fuori dalla mia strada.
- Non ti basta più scopartelo, vuoi il red carpet, le copertine di giornali...non fare quella faccia stupita da santarellina! -, in realtà stavo guardando il sempre composto Marcus Russel che saltava su e giù dai divani, una cravatta legata a mo' di bandana attorno alla testa. - Ma sappi che io ti precederò sul tempo, tu non diventerai mai la signora Gallagher! -, esclamò infine, sottolineando tutto con un movimento di braccio, rimase poi lì a prendere aria dopo quello sfogo, pareva un pesce – con la permanente – fuor d'acqua. Mi ci vollero un paio di secondi per riprendermi dal mio torpore mentale, per fortuna le orecchie mi ronzavano ancora per la musica ad altissimo volume, il che mi aveva un po' preservato dalle grida della signorina Matthews. Alzai la mia Heineken come avevo fatto prima con McGee, - Cheers, Meg – e m'avviai senza alcuna protesta verso la scaletta che portava all'esterno, dietro il palco, a bionda ancora incredula alla mia mancanza di reazione e troppo brilla per cimentarsi in una rincorso su tacchi a spillo.
Mi investì un forte colpo di vento e per poter accendermi una Benson ci misi svariati tentativi, quando finalemente stavo assaporando la prima boccata di fumo e girando a zonzo per il prato disseminato d'auto della crew venni sorpresa dalla forte deflagrazione dell'ennesimo fuoco d'artificio. Dannati cosi, non li avevano ancora finiti?!
Stavo passeggiando quando alla luce provocata da un'altra esplosione notai una figura familiare sdraiata nell'erba. Mi sedetti, a gambe incrociate, accanto ad essa.
- Piaciuto il concerto? -
Mi voltai verso Liam che s'era tirato su di un gomito, - Non male, certo io ero in prima fila, non so quelli indietro cento metri -.
Si rimise giù, - Si saranno dovuti accontentare della mia magnifica presenza, credi che sia un caso che la regia inquadri più spesso me che quell'altro? - sbuffò, per poi riprendere – sempre meglio che quella merda del Boardwalk -
- Il Boardwalk... - ripetei sovrappensiero, senza rendermene conto, - Ma sai che è stata lì l'ultima volta in cui vi avevo visto live, non da dietro il palco intendo – commentai con uno strano senso di nostalgia.
- Quanto anni fa era? -
- Non sai contare? -
- Mai stato bravo in matematica -
Feci un mezzo sorriso, - Tre anni, poco più di tre anni fa... è pazzesco -, mi sdraiai accanto a Liam, come se il peso di quella notizia fosse troppo gravoso. Gli occhi all''insù, vedevo per la prima volta i fuochi d'artificio quella sera oltre che a sentirli. C'era un che di commemorativo nell'aver fatto quella scelta ad effetto.
- Sembra una vita fa – osservai senza pensarci, sensa dare un vero significato alle parole.
- E' una vita fa -, mi corresse Ourkid che, ora, una volta che l'effetto della droga che aveva assunto prima del concerto cominciava a svanire assieme all'adrenalina, era estremamente quieto e riflessivo. - These are crazy days but they make me shiiiine – canticchiò poi all'improvviso, con aria da cazzone.
- Ti rendi conto che hai appena citato tuo fratello di tua spontanea volontà? -
- Oh porcammerda -.
Pausa.
- Ti senti vecchio? - scherzai
- No -, rispose secco, - E tu? -, era serio.
Non ci dovetti pensare, - Sì -.
- Non ti preoccupare: lo sei sempre stata -, ora il tono era più scherzoso.
Girai la testa verso di lui, il profilo che fissava dritto verso il nero pece della notte, - E tu non ti preoccupare: non lo sarai mai -. Ci fu una pausa, in cui rimanemmo a fissare un fuoco d'artificio sbocciare nel cielo e immediatamente appassire. - A volte penso che non voglio fare questa vita per sempre -, realizzai quanto avevo detto solo quando le parole lasciarono le mie labbra, quell'idea non s'era mai concretizzata nella mia mente, e ora invece improvvisamente sapevo di volere una casa mia – una che non fosse un disordinato appartamento nella periferia londinese -, un posto dove stare, qualcuno con cui stare. Dio, allora ero davvero vecchia...
Liam però stavolta non colse la serietà che c'era nella mia frase, ed esplose con un sonoro – Cazzo! Ti pare che sono io quello che ha appena fatto un concerto davanti 125 mila persone e stiamo qui a parlare di te? -, lui e le sue manie da prima donna, sorrisi e un po' gli fui grata.
- Allora, parliamo di te – cominciai con tono leggero, che però venne accolto dal silenzio, il che mi inquietò un poco. Avvertivo accanto a me Liam, titubante, - Dici che si può andare più in alto d così? -.
Ponderai un attimo la risposta e poi per una delle primissime volte da quando era iniziato il mio rapporto con Liam, non fui completamente sincera, ma decisi per il compromesso: - Non lo so, ma se c'è una band che può farlo sono gli Oasis -. Liam parve soddisfatto della risposta e si limitò a continuare a scrutare il cielo.
Forse per la mezza bugia appena detta, sentii l'impellente bisogno d'alzarmi. - Tu resti qui? -, sapevo che era una domanda di cortesia.
- Sì, ancora un po', sono la star: devo farmi aspettare ed acclamare dal mio pubblico, costruire l'attesa -.
Senza altro aggiungere mi incamminai di nuovo verso il backstage, con l'intenzione di concedermi finalmente l'indulgenza di un vero brindisi, e qualche chiacchiera con gente più amabile come Simon Fowler o Tim Abbott.
Venni però attratta come una falena da un puntino luminoso che baluginava nella notte, l'estremità accesa di una paglia. Decisi che era ora di sotterrare, almeno per il momento, l'ascai di guerra, non si poteva rovinare così una serata epica.
- Come mai non sei dentro a festeggiare? -
- Tutta la gente lì dentro sembra volere me – ghignò Noel – e non m'ero ancora concesso una sigaretta post-concerto, con calma -, inspirò un po' di fumo, dandomi un'occhiata fugace, - e tu? -.
- Lo stesso -
- La seconda? -
Pensai ai vari inteventi di Meg e di McGee, - Anche la prima -, osservai.
- Tu non mi chiedi se m'è piaciuto il concerto? - feci così, sperando d'evitare troppe frecciatine sulla sua vittoria pre-concerto.
Volse gli occhi al cielo, come prima suo fratello, che ancora risuonava degli ultimi fuochi d'artificio, feci lo stesso pure io, smettendo di fronteggiarlo. - No -, sputò fuori il fumo, - Da come saltavi e cantavi credo che non ci sia bisogno di domande -.
- E' stato grandioso -
- Non sai quanto -, e in ogni singola sillaba si sentitva l'orgoglio d'essere stato quel palco, d'aver suonato per una moltitudine, di essere un qualcuno e non più Noel Gallagher, operaio nato a Burnage. Pochi secondi dopo sentii il palmo caldo della sua mano contro il mio dorso, un attimo d'esitazione e poi l'intrecciarsi delle dita. Decisi di non domandargli e di non domandarmi e mi rilassai solamente, appoggiata al suo corpo. - You met me at a very strange time in my life -.
Sarà sempre un momento strano, era questo il punto, ma non ci pensai più di tanto. Lasciai che le parole si confondessero con il rimbombo dei fuochi d'artificio. Mi ero da poco abituata a quella posizione quando si sentì una voce chiamarmi – Cass? Cass? Sei qui? -, mi voltai bruscamente, e più in là sulla porta, nella luce che proveniva dallinterno scorsi da figura appesantita, che assieme alla voce poteva appartenere solo che a Mike, uno dei tecnici delle luci.
- Sì, sono qui -, gridai di rimando.
- C'è qualcuno che ti vuole al telefono! -
- Arrivo! -, mi girai verso Noel che aveva prontamente sciolto la presa sulla mia mano e pareva intento più che mai a fumare. - Devo andare – fu la mia uscita idiota e che rimarcava l'ovvio, lui ignorò apparentemente la cosa: - Eri con Liam prima? -. Annuii.
- Vado a cercarlo, McGee gli voleva parlare -, dopo di che prese a camminare nella direzione da cui ero venuta, senza ulteriore cenno.
Raggiunsi di corsa Mike, che ormai aspettava da un po'. - Con il casino che c'è non sono riuscito a capire neppure chi fosse, ma sembra molto agitato -, disse appena ebbi salito le scale.

 

Maybe I will never be
All the things that I want to be
But now is not the time to cry
Now's the time to find out why

 

- Pronto? - feci quando ebbi in mano il ricevitore, l'altra a tapparmi un orecchio per sentire meglio.
- Cass, è m-maschio – la voce era quasi balbettante.
- Colin?? -, era non so perchè l'ultima persona che mi sarei aspettata di sentire.
- Sì, sì sono Gem...Colin...m'hai sentito? E' un maschio! - esclamò più sicuro ora, quasi con una risata isterica.
- Come, cos...? E' un maschio? - capii all'improvviso, - Ma non è presto? -, ero sbalordita e sul punto d'essere presa pure io da quella strana risata che pareva essersi impossessata di Gem.
- Sì, ma Lou è entrata in travaglio nel tardo pomeriggio, non avevo avuto tempo di chiamarti, e...e c'era il concerto e... -
- Ok, frena, frena. Hai detto che è un bambino? -
- Sì, sì, ora è con Lou, dovresti vedere quanto è grosso -, divagò con voce felice. - Mi devi aiutare Cass – disse infine, riacquistando un poco di serietà, - Lo sai che avevamo deciso che se fosse stata una femmina il nome l'avrebbe scelto Lou, se fosse stato un maschio, io -
- E...? -, non capivo dove stesse il problema.
- Non ho la più pallida idea di come chiamarlo – fece quasi affranto – mio figlio è nato da un'ora e io non so che nome dargli -. La situazione era a metà tra l'assurdo e il serio, ed in tutto questo io non mancai di assaporare la situazione: il momento in cui Colin “Mr. Perfezione” Gem Archer si trovava in difficoltà e aveva bisogno di me.
- Allora? Hai qualche suggerimento? -
Un sorrisetto mi si dipinse sulle labbra prima di dire il nome a Gem. Poi vi fu qualche attimo di silenzio dall'altro capo del ricevitore.
- Non posso -, fu la replica, - Dai, non posso chiamare mio figlio così -
- Perchè no? Suona pure bene -
- E quando sarà grande cosa gli dirò? Ti chiami così perchè quella scapestrata che vedi spesso girare per casa una volta era in... -
Lo interruppi: - Prendere o lasciare, Colin. Questa è la mia proposta, hai qualcosa di meglio, forse? -
Udii un sonoro sbuffo, - No, ma ci penserò -
- Ora posso chiedere io un favore a te? -. Questo sì che era molto più nei canoni.
- Sentiamo -
- Quando hai finito di cambiare pannolini, potresti chiamare la Mattel e dire di venirsi a riprendere Meg? E' ora che ritirino dal mercato Barbie Stronza Alcolista -.
E fu così che quel giorno non solo assistette al più grande concerto all'apero di tutta la storia della musica, ma anche alla nascita di Joel Archer.

 

Maybe you're the same as me
We see things they'll never see
You and I are gonna live forever

We're gonna live forever
Gonna live forever

 

 

thewhitelady is not dead! Tralasciando i miei mancati aggiornamenti per cui non ho più scuse d'addurre, ora che sono ritornata, per mia fortuna o sfortuna dati i tempi, in patria. Quindi partirei subito dalle precisazioni su questo capitolo, più o meno importanti.
1. Per descrivere il concerto di questo capitolo, mi sono rifatta ad un video (http://www.youtube.com/watch?v=pfmpf505xf8) che però riprende la seconda serata (11 Agosto) e non il 10 Agosto come qua sarebbe mia intenzione
2. Per descrivere il concerto ho usato uno stile che di solito non è molto il mio, ma vorrebbe essere un po' più immediato, ma tutte le cose che ho scritto sono prese sempre dal video che ho linkato sopra, sono le sensazioni che ha vissuto Cass, il corsivo è quando parla LIam, mentre il grassetto è Noel.
3. Il figlio di Gem si chiama davvero Joel ed è nato nell'Agosto del '96, giorno esatto non si sa, ma me l'avevano servita su un piatto d'argento. Spero che tutti abbiano capito qual'era il nome che Cass aveva suggerito ;)
Passando alle inezie da maniaca dei dettagli come me.... 4.La giacca di jeans esiste davvero, quella della crew ** ( http://www.britpopstore.co.uk/store/wp-content/uploads/2012/08/0071-550x309.jpg)
5. I testicoli di Jarvis si chiamano Evaristo ed Ernesto perchè così si chiamano i testicoli di Turk, il chirurgo di Scrubs.
6. Quando Noel dice "M'hai conosciuto in un momento davvero strano della mia vita" è una citazione da Fight Club di Chuck Palahniuk, citazione anacronistica per di più dato che il libro sarebbe uscito una settimana dopo il concerto di Knebworth, e il film (ecco qui la scena, merita tantissimo: http://www.youtube.com/watch?v=LTnPjHh8fZ0) solo nel 1999. Però la cosa mi piaceva, quando ho immaginato Cass e Noel in quella posa davanti ai fuochi artificiali ho avuto un attimo di dejà vù involontario.
Credo che questo sia tutto, un ringraziamento speciale a EMMA BENNET perchè se non fossi stata spronata da lei probabilmente questo capitolo l'avrei finito nel 2014. Checce posso fà, I guess I'm just laaazy!
Ps: La canzone che stano progettando assieme Noel e i Chemical Brothers è Setting Sun, che sarà il primo singolo al numero 1 del duo elettronico, cui Noel presterà voce, testo e batteria
Pps: questi sono gli Stone Roses, e quello in t-shirt bianca è quel genio chitarristico anche sì detto John Squire.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=681292