do me a favor.

di Mils
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** i want you. ***
Capitolo 2: *** money is the anthem of success ***
Capitolo 3: *** you asshole. ***



Capitolo 1
*** i want you. ***


50



Pov Kristen




Quando ero piccola mia madre mi diceva sempre “un giorno troverai qualcuno che ti ama e avrai una casa, una famiglia, dei bambini e una vita felice come me e papà” e poi abbracciava papà e lui le baciava la guancia e io me ne stavo lì, seduta sul divano pensando “si, un giorno succederà anche a me”, e mi immaginavo già la mia vita perfetta, la mia famiglia perfetta, i miei bambini – specialmente una bambina con i miei occhi e i miei capelli – tutto era perfetto esattamente come diceva mia madre e io ci credevo, perché quando hai dieci anni e tua madre ti dice una cosa tu ci credi, ovvio.
Be', era una cazzata.
Era tutto una terribile cazzata, e io ci ho pure creduto.
Che fessa che ero.
Perché adesso ho quasi diciannove anni e non ho più una famiglia, non ho nessuno che mi ami e l'idea di una vita felice e di bambini non mi sembra neanche un po' vera ormai.
Ma infondo, chi vuole una famiglia?
Le famiglie rompono soltanto.
Fai questo, fai quello, non fare così, non dire così”.
Non lo sopporto.
Non sopporto le persone che mi comandano.
Io vivo per me, non di certo per gli altri. E vivo in una casa bellissima. Be', forse non è proprio bellissima, e forse non è neanche una vera è propria casa, ma è mia, è completamente mia ed è l'unico posto al mondo che considero un rifugio, un posto dove posso essere completamente me stessa, senza che nessuno abbia da dire qualcosa a riguardo. L'ho trovata quasi un anno fa', ci viveva una vecchietta simpatica che purtroppo ha dovuto trasferirsi in una casa per anziani e visto che non era in buoni rapporti con i nipoti ha voluta lasciarla a me a patto che la tenessi in buone condizioni. Quindi passo la maggior parte del mio tempo a casa pulendo e cercando di renderla il più carina possibile. In realtà non è una vera e propria casa, è una soffitta. Una soffitta con bagno, ma pur sempre una soffitta con un tetto basso e formata a malapena da due stanze. Cucina, soggiorno e camera da letto sono divise dal bagno da una porta mentre niente le separa fra di loro.
In casa ci sta un vecchio divano verde, soffice e comodo, un tappeto rosso, un tavolino mezzo rotto in legno, una cucina formata da un vecchio forno e mobili comprati a poco a una svendita; tutto quello che c'è in casa è vecchio ma tenuto bene, o almeno ci provo. Il letto è in un angolo. Non è un letto, okay... sono due materassi, ricoperti di cuscini soffici – be', almeno – e una coperta fatta a mano che mi ha regalato la vecchia signora che abitava qui prima.
Si chiamava Mary ed era una brava signora, di quelle che ti preparano il thé e si siedono con te a tavola per offrirti qualche biscottino e chiederti la storia della tua vita. Io, la storia della mia vita, non gliel'ho mai detta ma qualche biscottino l'ho accettato molto volentieri, erano buonissimi. Oltre alla coperta mi ha lasciato anche un'altra cosa, che in questo momento sta dormendo sdraiato sul divano di casa, ronfando come solo lui sa fare.
Mr Bowie è un vecchio persiano grigio che non sopporta le persone.
Sopporta a malapena me, a dire il vero.
Ma il nostro è un rapporto meraviglioso: io do da mangiare a lui e in cambio lui mi tiene compagnia per casa gironzolando e non facendomi sentire proprio completamente sola. Non so perché Mary l'abbia chiamato così ma ho pensato che non sarebbe stato giusto cambiarli nome, era già troppo che dovesse abituarsi a me, cosa non semplice. Mi sopporto a malapena da sola io stessa, quindi.
Lo osservo mentre dorme beato e apro le porte del piccolo armadio che c'è vicino al letto e tiro fuori un paio di
jeans e una maglietta puliti, nel frattempo Mr Bowie si è svegliato e mi fissa seduto sul divano, con quella sua aria da “capo di casa” che, in un certo senso, mi piace. È come avere un ragazzo in casa, solo che basta urlare un po' per zittirlo per il resto della giornata. Cosa che con un ragazzo non puoi fare, quelli rompono e basta, pretendono e chiedono, senza mai dare niente in cambio.
Scaccio i brutti pensieri dalla testa e mi vesto in fretta.
Mi faccio una coda in fretta e mi metto il giacchino in pelle nera, afferro le chiavi di casa e controllo che Mr Bowie abbia la ciotola dell'acqua piena prima di uscire di casa.
Parcheggiato davanti a casa c'è la mia moto, un piccolo regalo che mi sono fatta in questi anni. Diciamo che è l'unico regalo che io mi sia mai fatta, visto che devo stare molto attenta a tutto ciò che compro, dato che non navigo proprio nell'oro.
Salgo in sella e sfreccio per la città finché non arrivo al ristorante dove lavoro, una vecchia tavola calda in cui lavoro da qualche mese. Il proprietario, un vecchio bisbetico di cui non mi ricordo mai il nome visto che si fa' vedere si e no cinque minuti in tutto e il resto del tempo lo passa nel ripostiglio delle scope con le altre cameriere o con le sue “amichette”, mi dice di affrettarmi ad andare a cambiarmi perché sono già in ritardo.
Corro al mio armadietto e prendo la mia divisa: gonna fino al ginocchio blu e camicetta bianca che chiudo fino all'ultimo bottone – non che abbia molto da mostrare ma mi dà fastidio non farlo con la gente che viene al locale e il suo proprietario.
La giornata scorre tranquilla, per fortuna Bob – ecco come cazzo si chiama – non c'è praticamente tutta la sera e servo ai tavoli senza nessun intoppo. Anche quando ormai sono le dieci non c'è neanche un ubriaco in sala ma solo qualche famiglia con i bambini. Adoro servire alle famiglie, mi piace vedere come la mamma si occupa dei bambini che giocano a tavola, urlano, ridono e sembrano così spensierati, mi piace servirli anche se ogni tanto mi si forma un buco alla stomaco e un forte senso di nostalgia mi colpisce come un pugno.
Proprio quando il mio turno sta per finire ecco che sento la porta del locale aprirsi e un gruppo di ragazzi un po' più grandi di me entra facendo un casino pazzesco, come è tipico dei ragazzi. Ma non sembrano un gruppo di ragazzi normali, non sembrano il tipico gruppo di adolescenti che si preparano a una serata in discoteca, sono tutti vestiti con abiti costosi, perfettamente pettinati e sono molto eleganti, alcuni hanno persino una ventiquattrore alla mano. Uno di loro si volta verso di me e per poco non mi cedono le ginocchia, ha gli occhi azzurri più belli che io abbia mai visto e stanno guardando me.
Cerco di tornare in me e in meno di un secondo ho già lasciato scivolare una maschera sopra il mio viso.




Pov Robert




Perché gli amici devono sempre trascinarti in giro per locali quando invece tu vorresti solo tornare nel tuo appartamento, farti un lungo bagno nella vasca idromassaggio e chiedere al tuo cuoco di cucinarti il tuo piatto preferito? Non ho voglia di ubriacarmi, non stasera almeno. Di solito sono il primo a volermi prendere una bella sbornia ma oggi ho avuto una giornata particolarmente difficile e sono stanco morto, sono sveglio dalle sei e sto morendo di fame visto che non ho mangiato praticamente niente tutto il giorno. Ho fame, non sete, chiaro? Ma quando Harry inizia a insistere non c'è niente che riesca a fermarlo, insiste finché tu non dici di si e allora ti trascina per locali come se non ci fosse un domani. Questo è il secondo locale e sono solo le dieci e mezza di sera, non voglio immaginarmi il resta della serata.
Quando entro nel locale però, trovo una piacevole sorpresa ad aspettarmi.
Una ragazza qualche anno più giovane di me, con indosso una gonna al ginocchio e due gambe che attirano subito la mia attenzione, perché sono bellissime, bianche come la neve e sembrano non finire più anche se lei è parecchio più bassa di me. Appena alzo lo sguardo però, vedo qualcosa che mi colpisce ancora di più. Ha gli occhi verdi più belli del mondo. E non ha neanche un filo di trucco quindi è tutto naturale, nessun mascara allunga ciglia o chissà che altro. Ma lei mi guarda solo per un istante, poi torna al suo lavoro.
Peccato.
«Ehi, Pattinson», Harry richiama la mia attenzione facendomi sventolare una mano davanti al viso.
«Mh».
«Sei già fuso? Pensavo reggessi di più».
«Fottiti, Harry. Stavo pensando ad altro», lui guarda dove stavo guardando io prima e vede la ragazza, che adesso sta servendo una famiglia con due bambini che strillano e urlano e agitano le loro manina paffute alla ricerca di attenzione.
«Ora capisco cosa – o meglio chi – ha attirato la tua attenzione, amico» - mi dà una botta sulla spalla, con un fare complice che non ricambio affatto - «è uno schianto, dici che riesco a portarmela a letto stasera?», Harry è un collega di lavoro, ha l'ufficio vicino al mio e la sua segretaria è stata anche la mia, ma oltre a questo non abbiamo niente in comune. Harry è un ragazzo di ventisei anni che non ha ancora capito un cazzo dalla vita e che passa le sue serate devastandosi nei locali, alla ricerca di una birra e di una ragazza per la serata. Ammetto di non essere un santo, ma non vorrei mai scendere in basso come lui.
«Levale gli occhi di dosso, Harry, non è alla tua altezza» dico.
«Ah si? Oh, senti un po' chi parla. Da quanto non scopi, Pattinson?».
«Cazzi miei?», dio, ha ragione, sto impazzendo. Da quando mi sono lasciato con René non vado a letto con una ragazza da almeno tre mesi e sto per impazzire. Ma di certo non starò a dirlo a questo coglione, qua.
«Oh diamine, Pattinson sta perdendo il suo fascino, mi sa» mi prende in giro.
«Harry, piantala, o ti spacco la faccia. Non è serata» mi allontano da lui e raggiungo gli altri, che si sono già seduti a un tavolo dall'altra parte del locale.
Odio stare qui.
Voglio tornarmene a casa.
E voglio anche trovarmi qualcuno da portarmi a letto.
So di aver appena detto che io non sono come Harry, ma sono un uomo e ho bisogno di alcune piccole cosette.
E ho anche bisogno di qualcuno da presentare a mia madre, cazzo.
È da due anni ormai che vuole che le porti qualcuno a cena.
Con Cassie pensavo di aver finalmente trovato quella giusta, è durata più di tre mesi, una specie di record per me, ma alla fine ho capito che non l'amavo, che in realtà non mi piaceva neanche. Mi piaceva l'idea di avere qualcuno, di avere qualcuno che magari, forse, cosa leggermente probabile avrei potuto portare a cena da mia madre per dirle “okay, eccoti una ragazza, contenta? Che si mangia?”. Cassie non era male, era una modella e non rompeva neanche un po', bastava che le davo la mia carta di credito e spariva per tutta la giornata, niente di complicato quindi. Ma era noiosa e stare con lei mi mandava in bestia la maggior parte del tempo. Per dirla tutta, era una stupida.
Sto mandando un messaggio alla mia segretaria per avvisarla che domani farò tardi in ufficio quando sento una voce stupenda che attira la mia attenzione. È dolce e con un forte accento di Los Angeles.
«Ehm, prego?» chiedo.
«Cosa devi ordinare?» ripete lei. Se prima ho pensato che fosse bella, adesso mi devo ricredere, perché questa ragazza è sicuramente la ragazza più bella del mondo. Ha due occhi verdi che definirei magnetici, un viso da bambola ma con un'espressione da stronza – anche se direi che sotto c'è qualcos'altro, qualcosa che non riesco a decifrare ma so con certezza che c'è ed è qualcosa di profondo – è piccola, direi minuta e mi fissa in un modo.. che mi mette quasi in soggezione, perché nessuno mi ha mai guardato così, in modo così diretto. Di solito guardano i miei soldi, non me.
Mi accorgo un secondo dopo che, forse, dovrei risponderle.
«Vino. Vino rosso, grazie».
«Vino... okay. Altro?».
Si, te, nel mio letto, molto presto preferibilmente. «No, grazie».
«Okay.. torno subito», si gira per andare verso la cucina, donandomi una meravigliosa vista. Ma purtroppo non sono l'unico a goderne e vedo Harry che si sta già armando di quella sua cazzo di faccia da maniaco sessuale che odio più di quanto odi la sua faccia normale.
«Non pensarci neanche» gli dico.
«Che c'è? Pensi di farcela prima di me, non credo», Harry è un bel ragazzo, con i suoi capelli neri e gli occhi blu ma è quel sorriso viscido che lo rovina.
«E' troppo giovane per te».
«Da quando ti fai problemi sull'età?».
«Da sempre, visto che ho due sorelle ed entrambe hanno più o meno l'età di quella ragazza» dico, livido in viso. Harry una volta ha tentato di provarci con Victoria, ma per fortuna mia sorella l'ha mandato allegramente a fanculo.
«Già.. be', lei non è tua sorella», no, decisamente non lo è.
«Fa un po' come cazzo ti pare, okay? Ma non mettere nei casini ragazze innocenti».
«Sei un cazzo di noioso, lo sai?».
Evito di rispondere perché sta tornando la ragazza, con un vassoio in mano.
«Ecco a voi..», ci mette le nostre ordinazioni sul tavolo, inchinandosi ma senza mostrarci un bel niente, la camicetta è abbottonata fino all'ultimo bottone, fanculo. «Avete bisogno di altro?» chiede di nuovo; ha un'espressione tra l'annoiato e l'ansioso, come se non volesse trovarsi qui. Che la faccia da viscido di Harry abbia già fatto affetto?
Meglio per lei.
«Si, c'è altro», Harry si sporge sul tavolo, sfoggiando il suo miglior sorriso voglio-portarti-a-letto, «vorrei sapere il tuo nome».
La ragazza alza gli occhi al cielo e fa' per andarsene.
«Ehi, andiamo! Solo il tuo nome!».
«Harry, lasciala in pace..» lo riprendo.
«Piantala, Pattinson, voglio solo sapere il suo nome. Allora, bellezza?».
Lei si gira di nuovo verso di noi, adesso è decisamente scocciata. «Fatti i cazzi tuoi, okay? Hai la tua birra, prenditi una sbornia ed esci dal locale, coglione», il tono che ha usato mi fa' sorridere e trattenere a stento una risata. Harry mi lancia un'occhiataccia e muore dall'imbarazzo e dalla rabbia mentre tutti noi lo prendiamo per il culo.
La ragazza scuote la testa, come se fosse disgustata dalla scena, e torna al suo lavoro.
Mentre se ne va', un'idea inizia a frullarmi in testa.
Forse qualcuno ha ascoltato le mie preghiere.
Forse questa uscita non è stata poi un'idea così cattiva.




Pov Kristen





Finalmente ho finito il turno.
Esco dal locale indossando i miei jeans, la mia maglietta e la mia giacca in pelle e mi sto guardando in giro cercando di ricordarmi dove ho parcheggiato la mia moto quando una voce attira la mia attenzione. Qualcuno mi sta chiamando.
Sono stanca, non ho voglia di parlare con nessuno.
Ma quella voce mi è famigliare.
Mi giro, stringendomi nella giacca perché una folata di vento mi ha appena colpito.
Il tipo del locale, quello carino con due occhi da favola che mi ha difeso non quello viscido che voleva sapere il mio nome, sta correndo verso di me, dicendomi di fermarmi.
Visto che è stato carino e non ha la faccia da viscido, decido di farlo.
«Cosa vuoi?» chiedo, quando è vicino a me.
«Uhm, volevo solo chiederti scusa per come si è comportato il mio amico. Sai, prima..».
«Non importa, è tutto okay tranquillo. Ci si vede» faccio per andarmene ma lui mi afferra un polso e mi fa' voltare di nuovo verso di lui.
Strattono il polso e lui molla la presa.
«Oh, ma che cazzo vuoi?».
«Scusa. Volevo solo chiederti una cosa».
«Hai uno strano modo di farlo. Nessuno ti ha insegnato a non strattonare gli sconosciuti alla scuola privata, figlio di papà?», okay, forse sto esagerando, ma sono quasi le due di notte, ho avuto il turno lungo stanotte e voglio solo andare a casa e gettarmi sul letto.
Lui sembra un attimo confuso dal mio tono ma poi ritrova il suo solito aspetto da figlio-di-papà che è l'unica nota stonata nel complesso visto che, devo ammetterlo, è davvero bellissimo. Forse il più bel ragazzo che io abbia mai visto, ma non è proprio il mio tipo. «No, mi spiace. Comunque, volevo chiederti se potevamo.. vederci, domani».
Per poco non gli scoppio a ridere in faccia. «Prendi per il culo?».
«N.. no... io.. volevo solo vederti di nuovo domani».
«Perché?» incrocio le braccia al petto, aspettandomi una risposta geniale che non arriva.
«Perché devo chiederti... una cosa. Senti, se sei incazzata per come si è comportato il mio amico là dentro non posso farci niente ma mi scuso da parte sua, adesso puoi uscire con me domani?».
Oddio, mi è proprio capitato il tipico figlio di papà che non è abituato a dover lottare per avere una cosa.
«No».
«No?».
«No. La conosci questa parola? No. Enne. O. Chiaro ora? E adesso devo andare, quindi..».
«Aspetta».
«Che c'è ancora?», sbuffo.
«Dimmi almeno come ti chiami».
«Poi mi lasci in pace?».
«Dimmi il tuo nome, io mi chiamo Robert».
Mh, bel nome. «Kristen..».
Lui accenna un sorriso che ha un che di infantile e di tenero, aw. «Piacere Kristen, io sono Robert Pattinson e ti sto chiedendo, per favore, di venire a pranzo con me domani, devo parlarti di una cosa.. potrebbe interessare anche a te».
Robert Pattinson.
Mh, mi piace come nome.
Ma ho un campanello d'allarme che mi risuona in testa.
«No, io non credo».
«Io dico di si. Non voglio parlarne adesso... in un parcheggio», si guarda intorno, sicuramente pensa che questo posto sia troppo squallido per uno come lui, il che mi fa' solo confermare l'idea che ho di lui.
«Che ha questo posto che non va'?» lo sfido.
«Niente... ma preferirei parlarne in un ristorante come si deve. O magari a colazione, come preferisci».
Non capivo tutta questa sua insistenza, come vuole un tipo come lui da una come... me?
«Non credo mi interessi ma, ehi, grazie lo stesso. Adesso posso andarmene?».
«Ma..», dio, sembra davvero che nessuno in vita sua gli abbia detto no.
«Ci si vede».
«Dammi almeno il tuo numero di telefono».
«Cosa? No!».
«Perché no? Hai paura che ti faccia cambiare?», sorride, pieno di sé, sembra un pallone da quando è pieno di sé.
«Ma per favore..», ma tutti io li becco? Certo che, però, di solito quelli che capitano a me sono idioti, questo almeno è un idiota ricco. Sto salendo di livello, che culo.
«Allora dammi il tuo numero. Ti manderò un paio di messaggi e poi, se proprio non vuoi, lascerò perdere, promesso».
«Potresti essere un maniaco».
«Potrei, si. Ma sempre meno del mio amico là dentro», indica il locale, dove il suo gruppo di amici si sente fino a qua.
«Questo te lo concedo».
«Grazie. Quindi, il numero?».
Rifletto un attimo. Posso non dargli il numero e continuare a parlare con lui finché non esco matta oppure posso dargli questa piccola vittoria – l'ennesima mia sconfitta – e andarmene a casa a dormire, finalmente. «Okay».
Sembra stupito quasi quanto me. «Davvero?».
«Già. Sono troppo stanca per stare a parlare con te ancora.. quindi», tiro fuori il mio cellulare e glielo porgo, «ecco, tieni».
Robert lo prende subito, come se avesse paura che cambiassi idea da un momento all'altro.
«Grazie».
«Di niente..», mi riprendo il mio cellulare.
«Ti ho segnato il mio numero e mi sono scritto il tuo. Per ogni cosa, chiama».
«Certo, contaci» lo prendo in giro.
«Dico davvero. Ti chiamo dopo per dirti dove incontrarci?».
«Fa' un po' come vuoi... posso andare ora?».
«Si, ora si», vorrei toglierli quel sorriso vittorioso dal viso ma sono troppo stanca per uno schiaffo come si deve, «a dopo, Kristen».
Mi infilo il cellulare in tasca e lo supero, «Si.. come no, a dopo Robert», salgo in sella, mi metto il casco e parto.




Quando rientro a casa trovo Mr Bowie che mi aspetta sul letto, si stiracchia tutto appena mi vede come a darmi il suo saluto. Mi siedo accanto a lui e gli do una grattatina dietro l'orecchio finché non si alza scocciato e torna a dormire sul divano.
Il solito scorbutico.
Mi sedetti sul letto e mi sfilai le scarpe.
Mentre stavo per togliere i jeans sentii il cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni.
Oh, no pensai, tirandolo fuori e leggendo il messaggio.
Da: Robert Pattinson.
Messaggio: "Siamo d'accordo per domani, quindi? Non vedo l'ora, Kristen. Robert".
No.
Oddio no.
Non poteva fare sul serio.
Non era il momento.
Non era il momento giusto nella mia vita, anche se probabilmente non lo sarebbe stato mai.
Non voglio un ragazzo.
Non voglio qualcuno che mi comandi.
Brutti ricordi iniziano a tornarmi in mente.
Chuck.
Chuck che mi dice a che ora tornare a casa.
Chuck che mi urla contro.
Chuck che mi spinge contro il letto.
Chuck che mi dà della puttana perché sono tornata tardi.
Chuck che finalmente esce dalla mia vita.. forse.
No, non ero in grado di cominciare di nuovo una cosa del genere, dovevo stroncare la cosa sul nascere.
Clicco su "nuovo messaggio" e inserisco il contatto di Robert.
"Credo sia meglio non vederci domani, ci si vede in giro, Robert".
Ecco fatto.
Lascio il cellulare sul letto e mi cambio. Vado in "cucina" e prendo un bicchiere di latte, mentre lo bevo noto che la luce verde nel cellulare mi avvisa che mi è arrivato un messaggio.
"Come? No, aspetta. Te l'ho detto, devo dirti una cosa che ti interesserà sicuramente. Non voglio importunarti, davvero. Dammi una possibilità per spiegarmi, no?".
Una possibilità?
Ma per piacere.
Semplicemente non accettava un "no" come risposta perché nessuno nella sua vita gliel'ha mai detto, è solo un stupido figlio di papà e io con le persone come lui non ho niente a che fare, e si vede.
"Non credo che cambierò idea, mi spiace".
No, semplice?
No, no, no, era davvero tanto difficile da capire?
A quanto pare per lui si visto che il telefono vibrò di nuovo.
"Ti prego. Offro io. Non sono un pazzo, dico sul serio, ho bisogno di parlarti di una cosa seria. Se non vuoi prenderla sul personale diciamo che è una specie di lavoro, okay? Ma ti prego vieni domani", lavoro?
Che lavoro?
Che genere di lavoro?
Avevo bisogno di soldi.
"Che lavoro?".
"Domani, a colazione. Ti vengo a prendere, dammi l'indirizzo".
"Ehi, bello, vacci piano, mica ho detto di si. E comunque non ti dò l'indirizzo proprio di un bel niente, non sono scema", chi si credeva di essere?
"Ma sembri interessata, è già qualcosa. Vuoi metterla sul piano lavorativo, quindi? Okay, allora diciamo che voglio offrirti un lavoro. Quindi, per domani?".
Dio, non ci potevo credere.
Che grandissimo figlio di puttana.
Però adesso ero curiosa.
Be', se non era una cosa interessante potevo sempre dirgli di no, giusto?
Aspettai un po' per rispondere.
Presi il libro che stavo leggendo e mi misi a letto. Mr Bowie venne a sdraiarsi ai miei piedi, crogiolandosi contento fra le lenzuola sopra il materasso e soffiando senza motivo. Il cellulare vibrò di nuovo, facendo gonfiare il mio orgoglio.
"Kristen, per favore, dammi almeno una risposta...".
"Okay. Ma ci incontriamo direttamente là, dimmi il posto".




Pov Robert




Rientrai a casa verso le quattro del mattino. Il portiere all'entrata dell'edificio mi sorrise comprensivo, come sempre.
«Divertito, signor Pattinson?».
«Per niente, Thomas».
«Mi dispiace tanto, signor Pattinson».
«Si.. anche a me».
«Come sta suo padre, signor Pattinson?».
Thomas lavora in questo edificio da almeno venticinque anni e visto che l'edificio è di mio padre – come la maggior parte degli appartamenti di lusso, hotel e ristoranti di New York – Thomas lavora per lui da un sacco di 
tempo e ormai si conoscono da una vita, diciamo pure che Thomas mi ha visto crescere visto che prima lavorava nell'hotel in cui ho vissuto da bambino.
«Sta bene, Thomas, grazie. E di saluta».
Lui sembrò agitarsi tutto, emozionato com'era nel sapere che mio padre, il grande Richard Pattinson, lo salutava. Si tolse il capello della divisa e se lo portò sul cuore. «Oh, che onore. Suo padre è una delle persone più buone del mondo, signor Pattinson. Grazie a lui ho un lavoro e la mia famiglia ha cibo in tavola e anche i regali di Natale. Ancora mi ricordo quando tre anni fa' mi ha pagato il viaggio a Parigi con mia moglie per il nostro anniversario, non lo ringrazierò mai abbastanza, sa? E poi c'è stata quella volta in cui suo padre...».
Sollevai una mano per farlo tacere, «Basta così per stasera, Thomas, sono stanco morto», e non avevo nessuna voglia di sentire cantare le lodi di mio padre per almeno la milionesima volta. Tutti amavano mio padre, tutti amavano "il grande Richard Pattinson", che aveva costruito un impero dal nulla e aveva dato posti di lavoro a mezza New York, che si occupava di ogni sua singola impresa come se fosse la sua famiglia e che tutti consideravano una specie di santo sceso in Terra. Non che non lo fosse, ma era anche troppo. Vivevo nella sua ombra.
«Oh, si.. certo, mi scusi, mi scusi tanto signor Pattinson, mi sono lasciato trasportare ma suo padre è davvero un uomo eccezionale».
«Si.. grazie, lo so... buonanotte, Thomas».
«Buonanotte, signor Pattinson. Dorma bene!» mi urlò dietro mentre entravo dentro l'edificio e superavo l'atrio e andavo verso gli ascensori.
La musichetta che c'era dentro quello in cui entrai mi diede terribilmente nei nervi.
Subirmi tutti quei discorsi su mio padre, su quanto fosse bravo, generoso, intelligente, ambizioso e di talento mi aveva messo di pessimo umore ma poi mi ricordai dei due meravigliosi occhi verdi che avevo incontrato quella sera e mi tornò un leggero sorriso sul viso. Forse avevo davvero trovato la soluzione a tutti i miei problemi.
Le porte dell'ascensore si aprirono direttamente sul mio attico. Era un regalo dei miei genitori per il mio ventunesimo compleanno, diciamo che avevano accettato di buon grado la mia idea di andare a vivere da solo a patto che scegliessi uno degli appartamenti di proprietà di mio padre, il che non mi dispiaceva visto che era uno degli attici più lussuosi di New York. Era enorme, con un salotto spazioso, una cucina con tutte le novità in campo culinario, una camera da letto con un letto abbastanza grande da contenere tre persone comodamente – non chiedetemi come faccio a saperlo – il tutto arredato da una delle migliori arredatrici d'interni della città. Ah, e costava un occhio della testa.
Mi andai a prendere un bicchiere d'acqua e inizia ad allentarmi la cravatta.
Il telefonino squillò. Per un attimo pensai che fosse Kristen, poi vidi il nome di mia madre sul display.
«Mamma, ciao».
«Robert, tesoro. Perché sei sveglio a quest'ora?».
«E perché tu mi chiami a quest'ora?».
«Io sono appena tornata da una cena di beneficenza, e tu?».
«Io da una cena di lavoro» mentii.
«Oh», sentii in sottofondo mio padre che chiedeva se ero io al telefono e mia madre rispondergli che si, ero io e che si, ero ancora sveglio a quell'ora – "cosa da pazzi, Richard, ma sai com'è tuo figlio!" - «quindi, tesoro.. ti ho chiamato per chiederti se venivi a pranzo a casa questa domenica».
«Uhm, questa domenica... ecco..».
«Robert, per favore. Non vieni da settimane, mi manchi, ci manchi, tesoro...», ed eccola che tirava fuori la carta del "fai felice la tua mamma" che io odiavo con tutto il cuore. Non ero come le mie sorelle, che andavano a pranzo da mia madre tutte le domeniche e passavano anche le vacanze e buona parte della settimana a casa dei nostri genitori, io ero quello che non chiamava mai, quello che non si faceva sentire, quello che non dava soddisfazioni.
«Mamma, per favore, non iniziare..».
«Niente "mamma non iniziare" Robert! Siamo preoccupati per te! Lavori tutto il giorno e poi passi la serata con i tuoi amici e quando ti chiamo sei sempre stanco o hai mal di testa e io passo la notte preoccupandomi, chiedendomi come sta mio figlio, cosa fa', come si sente... hai bisogno di qualcosa, tesoro? Lo sai che io e tuo padre siamo sempre qui per te, tesoro. Sempre.»
Già, lo sapevo.
Lo sapevo anche fin troppo bene.
Mio padre era sempre con me, era come averlo sempre dietro di me, che mi alitava sul collo come un falco.
Lo stesso per mia madre, con la sua iperprotettività.
«Si, lo so, mamma, lo so, lo so».
«Magari possiamo parlarne domenica, che ne dici?».
«Avrei un impegno veramente..».
«Davvero, e con chi?».
«Mamma, non credo che siano affari tuoi con chi esco io».
«Robert Thomas Pattinson! Non parlarmi così!».
«Esco con una persona e basta».
«Una ragazza? Sei fidanzato, Robert? Non mi hai detto niente, sai che io ci tengo a queste cose, sei mio figlio, voglio solo sapere se..».
«Si. Si, mamma, lo sono! Ho una ragazza!», ma che cazzo dico? So solo che voglio concludere questa telefonata il più presto possibile e l'unico modo è farla contenta e dirle quello che vuole sentirsi dire.
«Oh.. oh, Robert! Tesoro mio, sono così contenta per te! Richard, Richard, amore!», la sento chiamare mio padre, che risponde con un stanco "che c'è adesso..?", «Robert! Robert ha una ragazza!», sento mio padre chiedere a mia madre "e perché non la invita a pranzo domenica per farcela conoscere?", ma vaffanculo papà, grazie eh. «Hai ragione, amore! Robert, tesoro, Rob», mi chiama "Rob" e non "Robert" quando vuole ottenere qualcosa, la conosco troppo bene e so già che perderò anche stavolta, «vogliamo conoscerla, assolutamente. Venite a pranzo domenica, poi magari restate anche a cena e andiamo fuori a mangiare, e poi..».
«Mamma!».
«Va bene, va bene.. quindi, vieni?».
Sospiro, troppo stanco per controbattere. «Si.. verrò».
«Ottimo! Ti voglio bene, tesoro. Buonanotte, ci vediamo domenica».
«Si... ti voglio bene anche io, mamma, a domenica».
Chiudo la telefonata e mi getto a letto con ancora i vestiti addosso e gli occhi della ragazza di stasera che mi appaiono davanti in sogno.





Pov Kristen






Ci stavo davvero andando? Stavo davvero andando a quello strano appuntamento invece di dormire tutto il giorno come sono solita fare? Dio, dovevo tornare a lavoro alle cinque e invece che recuperare il sonno perso me ne stavo gironzolando per la città alla ricerca del famoso Caffè che Robert mi aveva descritto in un messaggio. Dovevo essere impazzita una volta per tutte, sicuro. Alla fine entrai in una caffetteria che si chiamava "Raggio di Luna", un posto elegante, dove mi sentii subito a disagio; indossavo i miei vecchi jeans scuri e una maglietta a maniche corte visto che c'era un bel sole stamattina, le mie scarpe da ginnastica facevano un casino sul pavimento in legno del locale. Tutti si voltarono a guardarmi quando varcai la soglia.

L'impulso di scappare via e lasciar perdere tutto si fece più forte che mai ma proprio in quel momento Robert mi vide e mi venne incontro. Era bellissima, come me lo ricordavo. Oggi indossava una camicia bianca lasciata fuori dai pantaloni neri, eleganti anche questi. Le scarpe firmate mi fecero imbarazzare ancora di più, in cosa mi stavo cacciando?
«Kristen, ciao» mi salutò e fece per chinarsi per darmi due baci sulle guance ma io mi tirai indietro, facendogli capire subito che non ero lì per quello. Volevo solo sapere cosa aveva da offrirmi, poi sarei tornata a casa mia. Dove non mi sentivo così fuori posto.
«Ciao..».
«Oh.. vogliamo accomodarci? Ho fatto prenotare un tavolo solo per noi due, così possiamo parlare tranquillamente» mi disse. Un tavolo? Per fare colazione? In un ristorante? Non mi era mai successo ma Robert sembrava perfettamente a suo agio in quell'ambiente, si muoveva tranquillo e mi guidava fra le file di tavoli. I camerieri mi lanciavano occhiate curiose, altre di disprezzo, era chiaro che nessuno di loro pensava che fossi "come a casa mia", tutto il contrario. Ma feci finta di niente, che ne sapevano loro? Magari ero ricca quasi quanto Robert per quanto ne sapevano loro.
«Prego» - Robert allontana la sedia dal tavolo per me, invitandomi a sedermi.
Lo feci, esitante.
Lui si sedette davanti a me.
«Grazie...».
«Ti piace? Il posto, intendo».
«Si, uhm, carino».
«L'ho scoperto da poco, mi piace venirci» mi spiegò, senza che nessuno gli avesse chiesto niente, ovviamente.
«Ci vieni spesso, quindi?».
«No. È la prima volta che ci vengo a colazione, ad esempio».
«Oh..», non sapevo che dire, ero imbarazzata come mai in vita mia. Di solito ero sempre in pieno controllo della situazione, ma questa volta non sapevo neanche il motivo della mia presenza lì. «Robert, senti.. cosa devi dirmi?».
«Aspetta. Non abbiamo neanche ordinato» protesta lui.
«Non ho molta fame..», ho lo stomaco sottosopra.
«Ma devi mangiare» dice, con tono autorevole.
Non sono una tua proprietà, coglione. «No, se non voglio».
La cameriera arriva, interrompendo un possibile primo litigio.
«Cosa desiderate? Posso consigliarvi qualcosa?», è carina, sui venticinque anni, indossa una divisa molto più bella e formale della mia e lancia sguardi languidi verso Robert, che è impegnato a leggere il menù che lei gli ha dato. Per me, niente menù. Stronza.
Robert risponde senza neanche sollevare lo sguardo dal menù: «Due pancake, un caffè, una cioccolata calda con molta panna, cannella e polvere di cioccolato e una spremuta d'arancia, grazie» le porge il menù con un sorriso di sufficienza che fa' impazzire la cameriera, che torna in cucina quasi ballando.
Io invece sono furiosa.
Che presuntuoso maschilista!
«Perché cazzo hai ordinato anche per me!? Non sono mica scema, sai?».
Robert non sembra capire, ancora una volta non sembra comprendere le mie parole, è come se parlassimo due lingue diverse. «Ma.. ma.. volevo solo.. non so, pensavo ti andasse bene».
«No!», scatto, inviperita, «ovvio che non mi va bene! Non puoi decidere cosa devo mangiare, che cazzo! Non farlo mai più, chiaro?».
«Non capisco dove sia il problema».
«Non ho cinque anni.. e tu non sei mio padre!».
«Continuo a non vedere dove sia il problema. Pagherò io questa colazione, tanto».
«Tu sei fuori di testa! Faremo a metà!».
«Non voglio discutere su questo. Non volevi forse sapere perché ti ho chiesto di venire?».
Sono costretta a calmarmi.
«Si.. parla, forza».
«Non preferiresti prima sapere almeno qualcosa di me?» cambia discorso.
«Ma hai appena detto..».
«So cosa ho detto. Ti sto facendo una domanda».
«No, non mi importa. Dimmi perché mi hai invitato qua».
«Come vuoi...», sembra triste per un secondo, poi torna a indossare la sua solita maschera. Oh, piccolo figlio di papà. «Ho bisogno che tu mi aiuti».
Ci metto un secondo di troppo a capire le sue parole. «Tu vuoi aiuto da... me?», non capivo.
«Perché ti sembra così strano?» mi chiede, divertito.
Oh, non so, forse perché tu sei vestito così bene e io così male.
O perché tu sei bellissimo e io sono semplicemente io, con le mie scarpe da ginnastica che hanno fatto un casino mentre entravo qui.
O forse perché tu sei nel tuo ambiente naturale mentre a me sembra di entrare in un altro mondo semplicemente stando in un ristorante a fare colazione. Che dici?
«Spiegati..» dico, evitando la sua domanda.
«Ecco.. il vero problema qui, è la mia famiglia».
«Che ha che non va' la tua famiglia? Ti ha tolto la paghetta?» lo prendo in giro ma lui fa' finta di non notarlo.
«In realtà.. è mia madre il problema».
Oh ma allora non sei solo un figlio di papà, sei anche un cocco di mamma!, ma non lo dico, perché adesso sono davvero curiosa. Che genere di problemi può avere un ragazzo che può permettersi di venire a fare colazione in un posto del genere?
«Tua madre, eh? Parla, ti ascolto».
«Ecco, lei..».
Ma veniamo interrotti dalla cameriera con le nostre ordinazioni.
Un buonissimo odore di cioccolata calda mi riempie l'anima e appena vedo quanta panna montata c'è mi viene quasi da piangere dalla felicità. Ci affondo subito il cucchiaino, è densa. Robert prende un sorso del suo caffè e spinge il piatto con i pancake verso di me, anche quelli hanno davvero un ottimo profumo.
«Mia madre è molto apprensiva» mi spiega, mentre io mangio la mia colazione, «mentre io preferisco stare per i fatti miei. Vuole che vada a pranzo da lei la domenica, mentre io detesto stare in famiglia e preferisco uscire con gli amici quando non lavoro. E qui entri in gioco tu».
Sollevo lo sguardo dalla mia cioccolata.
«Io...?».
«Si, tu. Mia madre mi sta chiedendo se ho una fidanzata da mesi e sono stanco di risponderle di no. Il tuo compito sarebbe, come dire?, fingerti la mia fidanzata».
Ancora una volta ci metto un secondo di troppo per comprendere appena quello che ha appena detto.
«COSA!?».
«Shh! Non urlare, per favore. È un luogo pubblico, sai?».
«Fanculo, tu sei pazzo!».
«Non ti sto mica chiedendo di esserlo per davvero, tutto quello che dovrai fare è venire a pranzo con me dalla mia famiglia qualche volta, magari accompagnarmi a qualche evento, stare al mio fianco, sorridere e divertirti. Semplice».
«Tu. Sei. Pazzo.» scandisco bene.
«E tu sei terribilmente bella, ecco perché ho scelto proprio te», i suoi occhi non si staccano dai miei e sento le guance prendere colore.
«Risparmiati le cazzate per le tue amichette, io me ne vado» faccio per alzarmi – a malincuore, la cioccolata era davvero troppo buona – ma la mano di Robert mi afferra il polso attraverso il tavolo. Dio, devo davvero togliergli questo odioso vizio di mettermi le mani addosso.
«Riflettici, prima di dirmi subito di no. Ci guadagni anche tu».
«Non mi interessa, nessuna cifra potrà mai..».
«Mille dollari al giorno».
Oh, porca troia.
Ricado sulla sedia, stordita. «Non dici sul serio..».
«Dico sempre sul serio. Mille dollari se vieni a pranzo con me dalla mia famiglia questa domenica, altri mille se resti anche a cena e ancora altri mille se vieni al compleanno di mia sorella la settimana prossima», i suoi occhi sono vuoti, è come se stesse contrattando un affare, che a pensarci bene è proprio quello che sta facendo. E sono io l'affare. Mi fa' sentire terribilmente sporca e usata. Ma sono mille dollari e io non pago la luce da una vita.
«Sarebbe solo per finta...» mormoro.
«Esatto. Solo per finta, niente di vero. Ho davvero bisogno di togliermi mia madre dai piedi e tu sei la mia salvezza. Mia madre ti adorerà», perché questo pensiero non mi elettrizza neanche un po'?
«Non puoi trovarti una ragazza vera? Oddio, non dirmi che sei..».
«No», scoppia a ridere.
«Non ci sarebbe niente di male, eh. Solo che, non so.. tu.. non.. niente, lascia perdere».
«Non sono gay. Semplicemente non sono interessato a una relazione in questo momento, ho troppo lavoro».
«Che lavoro fai?», ma a me.. che cazzo frega?
«Lavoro nell'azienda di mio padre».
«Lo immaginavo..».
«E tu lavori nel bar dell'altra sera?».
«Indovinato».
«Vivi con i tuoi?».
«Quanti anni mi dai, scusa?».
«Non so.. diciassette?».
«Eeeh, sbagliato. Quasi diciannove».
Lo vedo rilassare le spalle. «Grazie a Dio, non mi andava di fare affari con una minorenne. La galera non mi attira».
«Non attira a nessuno. E tu, quanti anni hai?».
Lui sorride e si sporge sul tavolo, ha un sorriso malizioso. «Troppo giovane per possedere l'impero di mio padre ma abbastanza da essere ai vertici dell'azienda», oddio, che.presuntuoso.del.cazzo.
«Venti».
«Ventitré».
«Come cazzo fai a essere così ricco e ad avere un lavoro come il tuo a soli ventitré anni, si può sapere?», è assurdo, è troppo giovane.
«Papà. Tutto merito di papà.. e di un ottima università».
«Pagata da paparino» specifico.
Annuisce, «E che potrai pagarti anche tu dopo un paio di giorni con me, tranquilla», non dico niente, l'idea di andare all'università non mi ha mai attirata ma anche perché non me la sono mai potuta permettere.
«Non mi interessa. Voglio i dettagli del nostro.. "accordo"».
«Non ora. Li stabiliremo volta per volta. Se vuoi puoi stimarmi una lista dei tuoi impegni e delle cose che ti rifiuti categoricamente di fare, che so.. tipo baciarmi», osserva il suo caffè e nel frattempo un angolo della sua bocca si solleva, in un sorriso furbo da grandissimo figlio di puttana.
«Io non ti bacerò» dico, decisa.
«Scrivilo nella tua lista di cose che non farai. Potremo modificarla a nostro piacimento».
«Non credo che cambierò idea su questo dettaglio. Io non ti bacerò mai, è finzione, ricordi? E tu mi pagherai.. o io me ne andrò».
«Ti pagherò».
«Bene. E io non ti bacerò».


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ehi! ciao.
ehm, si... è una nuova ff.
so cosa state pensando! "ma questa qua non ce la fa' a finirne una prima di iniziarne una nuova'" be', la risposta è no.
è più forte di me, ho troppe idee in testa e ho scoperto il mondo delle ff solo di recente quindi, siate buoni,
fatemi sperimentare.
per questa storia ho preso ispirazione da un bel po' di cose, diciamo che è un misto di...,
cinquanta sfumature di grigio, gossip girl, pretty woman (?) e varie canzoni che conoscerete con l'andare avanti della storia.
preso ispirazione non vuol dire "copiato" quindi non sarà come nelle citazioni qua sopra, diciamo che ho preso varie parti,
le ho modificate, cambiare, completamente rivoltate e infine rese mie.
non so quando la continuerò, non so neanche quando finirò "believe in me" o "fire and rain", so soltanto che avevo questa idea in testa
e non ce la facevo più a tenermela dentro così ho iniziato a scrivere e ho dovuto lottare molto per dirlo subito. ho aspettato,
volevo pubblicarla dopo la fine di "believe in me" ma... a quanto pare ho finito l'ispirazione e anche un po' per colpa della scuola
i miei ritmi sono cambiati, in più ho anche blake - il mio amato pastore tedesco - che occupa gran parte della mia giornata, quindi...
siate clementi, okay?
se non vi piace... be',
credo che scriverò lo stesso ahahaha,
ma comunque sia spero che questa storia - o almeno questo inizio - vi sia piaciuto.
voglio un sacco di recensioni perché voglio farmi un'idea di cosa ne pensate, chiaro?
minimo 10, altrimenti niente prossimo capitolo.
si, sono cattiva.
anyway, i love you all so..
ciao! vi voglio bene, alla prossima (che non so quando sarà).
xoxo.







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Capitolo 2
*** money is the anthem of success ***




2 capitolo.


# money is the anthem of success




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Pov Kristen




Kristen!” sento le urla di mio fratello mentre sale le scale, chiamandomi. “Kristen, dove sono i miei jeans!?”. Rido tra me e mi siedo sul letto, con indosso i jeans di Cameron. Naturalmente non sono esattamente come quando li ho trovati, ho riportato qualche modifica, tipo qualche taglio qua e là per farli sembrare come quelli di una vera rockstar.
Cameron entra in camera mia, furioso.
I miei jeans, Kristen”.
Mi alzo in piedi.
La sua faccia, appena vede cosa ho fatto ai suoi jeans, cambia completamente, passando da furiosa e incredula a incazzato nero. “NO, dimmi che NON E' VERO! Ti ammazzo! Kristen, ti giuro che ti ammazzo sul serio questa volta!” mi salta addosso, finiamo tutti e due sul letto, io sto ridendo come una matta mentre lui è serissimo e cerca in qualche modo di togliermi i jeans di dosso, anche se entrambi sappiamo che ormai sono irrecuperabili. “Questa volta me la paghi, Kristen! Sei una cogliona, non c'è da dire altro. Vediamo che faccia fai tu se rompo un paio delle tue felpe o non te ne presto più delle mie!”.
No, dai, lo sai che amo le tue felpe” protesto, senza smettere di ridere.
Un cazzo. Sei una stupida. Mamma lo sa?”.
Secondo te? Ovvio che no”.
Eh certo. Cristo santo, ma perché? Perché doveva capitare proprio a me una sorella cogliona come te, eh? I miei jeans preferiti, cazzo!”.
Eddai, ora sono più carini. Però mi stanno larghi...”.
Ovvio, sei una nana e io sono il doppio di te, scema”.
Non sono una nana!”.
Sei alta un metro e un tappo di bottiglia, come altro dovrei definirti?”.
Almeno ho gusti nel vestire migliori dei tuoi, questi jeans adesso sono molto più carini”.
Erano belli, adesso fanno schifo. Quando inizierai a metterti una gonna?”.
Faccio una smorfia, Cameron sa benissimo del mio odio per tutti gli abiti prettamente femminili. Ecco perché rubo molta della sua roba. “Mai, mai, mai, mai, mai, MAI”.
Oddio, non avrò più abiti”.
Gli bacio la guancia e lo spingo giù dal mio letto. “Ti voglio tanto bene, Cammy”.


Mi sveglio di soprassalto.
Sono nel mio letto.. sono nel mio letto”, continuo a pensarlo, a ripeterlo nella mia testa, per tranquillizzarmi.
Mi porto una mano al cuore, batte a mille e ho gli occhi lucidi. Cameron.. oddio, quanto mi manca. Non lo sogno quasi mai ma stanotte, chissà perché, mi sono addormentata con in testa lui, i suoi occhi così simili ai miei, i tatuaggi sul braccio, il modo in cui mi abbracciava e mi lasciava fare praticamente tutto quello che volessi.
Mi alzo dal letto e vado verso il mio “armadio”, frugo un po' e alla fine trovo quello che stavo cercando. I jeans di Cameron. Sono vecchi e fuori moda ma sono i suoi e sono bellissimi, se mi concentro molto hanno ancora il suo profumo e mentre li indosso mi torna in mente il sogno, e ho di nuovo gli occhi lucidi.
Mr Bowie viene a strusciarsi contro una mia gamba prima di dirigersi verso la sua ciotola dell'acqua. Mi inchino e gli do una grattatina dietro l'orecchio, lui mi ringrazia con un sonoro “meo, pff, mew” che traduco come un “buongiorno anche a te”. Mi infilo una felpa nera e vado a prendermi un bicchiere di latte in cucina. Mr Bowie mi segue, venendomi dietro mentre mi muovo per la stanza, cercando di riscaldarmi strofinandomi le mani sulle braccia. Questa dannata casa è sempre fredda, non ho riscaldamento e infatti a casa mia non mancano mai coperte, cuscini, borse dell'acqua calda e piumoni, insieme a una buona dose di cioccolata in polvere da preparare nel cucinino.
Me ne sto giusto preparando una per fare colazione quando sento il cellulare vibrare sul tavolo. È una chiamata, è Robert. È passata una settimana dal nostro ultimo incontro e in questi giorni non ho avuto tempo per pensare alla sua proposta né a quello che ci siamo detti, ho lasciato che il ricordo del nostro incontro venisse accantonato in un angolo della mia testa, in attesa di essere dimenticato. E invece ecco che il ricordo viene a bussare alla mia porta.
«Pronto?».
«Buongiorno, Kristen. Spero che tu non ti sia dimenticata del nostro accordo in questi giorni», mi ero dimenticato di quanto potesse sembrare più vecchio mentre parla, è come se fosse due persone diverse, come se ogni tanto si dimenticasse dell'età che ha.
«No.. non l'ho fatto», anche se avrei voluto tanto farlo e ci ho anche provato ma poi tu hai rovinato tutto chiamandomi e facendomi sentire di nuovo la tua voce.
«Fantastico. Possiamo vederci, oggi?».
«Ehm...».
«Domani è domenica, Kristen. Ricordi cosa ti ho chiesto?», eccome se me lo ricordavo: avrei dovuto fingere davanti a tutta la sua famiglia di essere la sua amata e adorata fidanzata. Io non ero brava a fingere.
«Si..».
«Bene. Oggi, quindi, possiamo vederci? Dobbiamo mettere in chiaro alcune cose, come ti ho già accennato al nostro scorso incontro», ma Cristo santo, deve per forza parlarmi come se fossi la sua segretaria personale? E io dovrei fingere di amare questo ragazzo? Lo sopporto a malapena quando mi parla, cazzo.
«Ah.. uh, certo.. oggi, si..».
«Ti vengo a prendere a casa tua?».
«No!», la sola idea che Robert veda dove vivo mi mette in imbarazzo, anche se so che non dovrei. Non tutti nascono in una casa che ha soldi alle pareti, alcuni devono farsi il culo e accettare il poco che hanno.
«Oh... come vuoi. Ci vediamo al posto dell'altra volta, allora? Ti va' meglio?».
«Decisamente, si».
«Ottimo. A tra poco, Kristen».
«A dopo, Robert...» chiudo il telefono e mi rendo conto di aver bruciato la cioccolata.
Impreco a voce alta e cerco di porre rimedio, ma è troppo tardi, è bruciata.
E anche il pentolino che stavo usando lo è.
Bene, fantastico, penso.
"Che la mia giornata di merda abbia inizio".
All'improvviso i miei vecchi jeans non vanno più bene mentre mi ricordo che tipo di posto è quello dove mi devo incontrare con Robert. Vado nel mio armadio e cerco i pantaloni più carini che ho ma alla fine lascio perdere e mi metto un paio di jeans, il più "carino" che ho e anche il più femminile possibile e mi tolgo di controvoglia la felpa di mio fratello, infilandomi un maglione blu un po' troppo largo che cerco di sistemare come meglio posso ma alla fine il risultato è sempre lo stesso quindi lascio perdere, non assomiglierò mai alle ragazze che frequentano i posti che frequenta Robert, spunterò sempre, è inutile pure provarci. Saluto Mr Bowie ed esco di casa.
Ci metto più di mezz'ora a piedi, più dell'altra volta, o forse è solo perché questa volta so cosa mi aspetta e cerco di rimandare il nostro incontro il più possibile. Ma alla fine arrivo e Robert mi sta aspettando fuori per entrare con me. Quando lo vedo, cerco di nascondere il fatto che mi manca il fiato, è bellissimo con la camicia bianca, la giacca nera elegante e i pantaloni dello stesso colore, sembra appena uscito da un ufficio e forse è proprio così. Ha la cravatta allentata e le mani infilate nelle tasche davanti dei pantaloni, un'aria rilassata, mi sorride appena mi vede e per un istante mi fermo in mezzo alla strada per poi correre per raggiungerlo.
«Ciao».
«Buongiorno, Kristen. Dormito bene?».
«Uhm, si... allora.. uh».
«Vogliamo entrare? Ho prenotato un tavolo isolato per noi due».
«Okay..».
Mi apre la porta e me la tiene aperta finché non entro, come un vero gentleman, il che mi mette terribilmente in imbarazzo perché questo non fa' altro che far girare tutti i presenti verso di noi e vengo subito squadrata dalla testa ai piedi.
Robert mi appoggia una mano sul fianco per condurmi al tavolo e io sono tentata dal scostarmi, mi sento davvero in soggezione con lo sguardo di mezza sala ancora su noi due. Mi chiedo cosa stiano pensando tutti quanti, qualcosa come "cosa ci fa' uno come lui con una.. come quella?" e hanno ragione, neanche io ci crederei. E infatti è tutta una finzione.
Un cameriere ci raggiunge e ci indica il nostro tavolo, «Da questa parte, signor Pattinson, la stavamo aspettando».
Non guarda a me.
Non mi chiede neanche quale sia il mio cognome.
Parla solo con Robert, ignorandomi palesemente.
Non che mi importi, ovvio.
Il tavolo è isolato come ha detto Robert, in un angolo del locale e come ha fatto il primo giorno Robert mi scosta la sedia e mi invita a sedermi davanti a lui.
«Ti piace il posto?» mi chiede, gentile.
«Si.. va bene».
«Possiamo cambiarlo, se vuoi. Possiamo cambiare locale», si è accorto che mi sento in soggezione o è solo un modo per dirmi che può prenotare un tavolo per due, all'ultimo minuto, in un qualunque locale di New York senza problemi?
«Va benissimo qui».
«Perfetto. Allora, come stai?».
«Ehm, bene, grazie..».
Un cameriere arriva e ci porge un menù.
«Per me un caffè e basta, grazie..», sembra che stia per aggiungere qualcos'altro ma poi si blocca e mi fissa, in attesa. Si è ricordato di come ho reagito quando ha ordinato al mio posto.
Apro il menù e do un'occhiata a quello che offre il posto, anche se so già quello che prenderò, ma voglio prendere tempo per capire meglio la situazione. Robert mi sta facendo ordinare, grazie a Dio. «Una cioccolata calda, per favore», porgo il menù al cameriere, che prende il mio e quello di Robert e se ne va' con le nostre ordinazioni.
«Ti piace la cioccolata?».
«A chi non piace?».
«A me».
«Oh...», non avevo mai conosciuto una persona a cui non piacesse la cioccolata.
«Non ne vado matto, diciamo. Ed è proprio di questo che volevo parlarti, Kristen».
«Vuoi parlarmi del fatto che non ti piace la cioccolata?», sono confusa.
Robert accenna un sorriso divertito, «No. Di quello che mi piace o non mi piace. Per fingere di essere la mia ragazza davanti alla mia famiglia devi sempre i miei gusti... e io devo sapere i tuoi, ovviamente».
Ah.
Giusto.
Sotto al tavolo, inizio a tormentarmi le mani.
«Si.. okay..».
«A te piace la cioccolata».
«A te no, invece».
«Mi piace il gelato, però».
«Anche a me».
«Al pistacchio».
«Odio il pistacchio. Mi piace crema e cioccolato al latte».
«Dolce o salato?».
«Tutti e due».
«Salato».
Il cameriere arriva con le nostre ordinazioni, interrompendo quel piacevole scambio di informazioni. Non mi ero neanche accorta di quanto facilmente mi ero ritrovata a parlare con lui di quello che mi piaceva. Adesso che l'incantesimo è stato rotto mi rendo conto che forse dovrei darmi una calmata, non sono abituata a farmi conoscere da una persona così in fretta e senza neanche conoscerla bene.
«Devi andare a lavoro, dopo?» chiedo, mentre affondo il cucchiaino nella cioccolata.
«Si. Ma ci vediamo a pranzo» dice, senza neanche guardarmi e girando il suo cucchiaino nel caffè aspettando che si freddi.
«Cosa?».
«A pranzo. Sei con me».
«Non me l'hai neanche chiesto», che idiota.
«Kristen, dobbiamo parlare. Domani è domenica, c'è molto di cui parlare», il suo tono di voce è fermo, serio, completamente diverso da quello che stava usando prima.
«E se avessi degli impegni?».
Lui mi guarda, scocciato. «Ce li hai?».
«Forse».
«Annullali. Hai preso un impegno con me e io ho bisogno di stare con te, oggi, a pranzo, fine della storia. Ora mangia, non abbiamo tutto il giorno».
Sono stordita. Chi si crede di essere? Okay, abbiamo un impegno e io ho detto che avrei accettato ma adesso vorrei tanto potermi rimangiare la parola. Questo ragazzo sembra una specie di tiranno in carriere e mi fa' saltare i nervi il modo in cui si rivolge a me.
«Non sei abituato a stare con una ragazza, vero?».
Solleva lo sguardo su di me, accigliato e forse anche arrabbiato, ma faccio finta di non notarlo. «Cosa te lo fa' pensare, si può sapere?».
«Mi tratti una merda».
L'espressione si addolcisce un po'. «Sono solo di fretta, Kristen.. scusami, okay? Mangia, per piacere, dobbiamo andare».
«Dove?».
«Lo scoprirai dopo. Adesso puoi mangiare?».
«Non ho più fame», mento, sto morendo di fame.
«Non ti piace? Vuoi ordinare altro?».
«No.. ehm, va bene questo.. solo, non ho tanta fame».
«Mangia almeno un po'» mi prega.
«Che lavoro fai, esattamente?», decido che cambiare argomento è la cosa migliore.
«Lavoro con mio padre, te l'ho già detto. Faccio tante cose, te lo spiegherò più avanti».
«Mh, okay..».
Mangio la mia cioccolata, è calda, densa e buonissima ma continuo a sentirmi gli occhi di Robert addosso per tutto il tempo. Mi tornano in mente le sue parole, "sei terribilmente bella" mi ha detto al nostro primo incontro, lo pensa davvero?
«Hai finito?».
«Si..».
«Bene, andiamo allora» si alza e viene verso di me per aiutarmi ad alzarmi dalla sedia ma io sono più svelta e mi alzo da sola. «Oh». Tira fuori un bigliettone da cinquanta dal portafogli che ha in una tasca della giacca e lo poggia sul tavolo. «Vieni». Una semplice colazione costa così tanto?
Molte persone si girano verso di noi mentre percorriamo la sala e usciamo dal locale. La giornata si è fatta più fredda e mi pento di non essermi messa qualcosa di più pesante o di non essermi portata con me una giacca.
Solo quando Robert ci si avvicina mi accorgo che c'è una macchina davanti al locale. Robert apre lo sportello del passeggero e si china per parlare con qualcuno all'interno, sicuramente l'autista personale. Quando si solleva di nuovo si gira verso di me, chiude lo sportello e apre quello di dietro. «Prego», lo tiene aperto, aspettando che io entri.
«E' la tua macchina?».
«Una delle tante che uso per andare in giro per la città, si. John è il mio autista».
«Ah..», mi avvicino ed entro dentro la macchina, sedendomi sui sedili, che sono comodi e caldi, c'è il riscaldamento.
Un uomo si gira verso di me dal posto del guidatore, è sui cinquant'anni e ha due occhi color cioccolato buoni e gentili. Indossa un capello da autista blu, elegante e forse un po' troppo formale per essere nel ventunesimo secolo. «Buongiorno signorina».
«B.. buon.. buongiorno a lei».
Robert si siede accanto a me, chiudendo lo sportello. «John, lei è miss Kristen Stewart e la vedrai molto spesso nei mesi seguenti», mesi?, mesi?, «per favore, portaci dove abbiamo stabilito».
John annuisce, sorridendo. «Come vuole lei, signor Pattinson».
La macchina si mette in moto ma quasi non la sento mentre inizia a correre, superando di gran lunga la maggior parte delle macchine in strada. Mi allontano un po' da Robert, tutta questa storia della macchina e dell'autista personale mi ha fatto ricordare bruscamente quanto ricco sia e sopratutto quanto povera sia io messa in confronto a lui. Mi metto le mani in grembo e cerco di sembrare occupata a fare.. qualcosa.
«Dove stiamo andando?» chiedo, una volta che il silenzio è diventato davvero troppo insopportabile e mi sono stancata di osservare il paesaggio fuori dal finestrino.
«Ti piacciono le sorprese?».
«Nessuno ti ha insegnato che non si risponde a una domanda con un'altra domanda?», forse non dovrei essere così acida – sopratutto visto che non siamo soli e John, davanti a noi, ci osserva dallo specchietto, attento – ma l'idea di essere dentro quest'auto così costosa senza avere la mia idea di dove io stia andando mi manda fuori di testa.
«No.. in effetti no», sembra quasi divertito, ma non posso saperlo con certezza visto che non mi guarda neanche, ha il viso rivolto verso la strada che scorre, «in collegio mi hanno insegnato tante cose, ma questa proprio no.. ero abituato a rispondere con una domanda o una mia riflessione durante l'ora di dibattito, mi spiace».
Collegio?
È stato il collegio?
Chissà perché, l'idea di Robert con una divisa scura, seria, non mi sorprende.
«Be'..», tutte quelle informazioni mi hanno colto un po' in contropiede, non mi aspettavo una risposta del genere, «te lo dico io allora».
Restiamo in silenzio, di nuovo.
Ma ancora una volta questa assenza di discorso mi manda fuori di testa.
«No...» sussurro.
Finalmente si gira verso di me, «No, cosa?».
«No. Non mi piacciono le sorprese. Dove stiamo andando?».
«Devo conoscerti assolutamente molto meglio di adesso, Kristen, abbiamo bisogno di passare del tempo insieme. Pensavo di portarti a fare una passeggiata a Central Park se non ti dispiace».
«Central Park...?», no.
No, per favore, Central Park no.
Ma perché proprio lì?
Distolgo lo sguardo da quello di Robert mentre un milione di ricordi mi tornano in mente.
Chuck che mi prende per mano.
Chuck che mi bacia.
Chuck che mi porta sulle rive del lago al centro del parco.
Chuck e io che passeggiamo.
Poi un altro ricordo, più recente.
Chuck che mi urla contro.
Chuck che mi dice che non sono brava a fare un cazzo, che una migliore di me la trova quando vuole e che non sono neanche brava a letto.
Chuck che sbatte la porta, io che crollo a terra.
Io che piango, un polso slogato.
«Ehi?».
La voce di Robert mi riporta – grazie a Dio – alla realtà. «Non andiamo a Central Park...» dico prima di rendermene conto.
«Non vuoi andarci..?».
«No..» lo prego, «per favore..».
«Posso sapere il motivo..? Non ti piace? Non ti piacciono i parchi?».
«Non voglio andarci.. e basta».
«Sei allergica a qualcosa?» insiste.
«Cazzo, Robert, non voglio andarci e basta!» scatto, ormai sull'orlo delle lacrime. Lo odio, in questo momento lo odio e basta.
Lui si irrigidisce e si mette seduto composto sul posto, diventando – se possibile – ancora più freddo e distante del solito. «Va bene».
«Grazie...».
«John!».
«Si, signore?».
«Cambio di programma. Portaci al mio appartamento, per favore. In fretta».
«Si, signore, subito», incrocia anche il mio sguardo e sembra quasi che voglia dirmi qualcosa ma io ho ancora gli occhi troppo lucidi per permettere a qualcuno di guardarmi così attentamente.
Per il resto del viaggio io non apro bocca e neanche Robert, continuo a guardare New York svegliarsi dal finestrino di una macchina che costa più del mio appartamento.



Pov Robert




Non oso guardare verso di lei, ho come paura che si possa arrabbiare con me di nuovo. Il modo in cui mi risponde, spesso brusco e scortese, non l'avevo mai provato. Nessuno si è mai rivolto a me in questo modo, forse hanno sempre avuto tutti troppa paura della mia reazione o del mio nome per farlo, invece a lei non sembra importare molto. Tiro fuori il cellulare e leggo che c'è un messaggio di mia sorella Victoria: "Non vedo l'ora di vederti domani, ti voglio bene, ci manchi. ps. Mamma mi ha detto che porterai una ragazza, spero per te che sia vero!!", come al solito mia sorella non si fa' scappare l'ultima novità in famiglia. All'improvviso non sono più sicuro di volerci andare. Prima ero più tranquillo, pensavo che con Kristen sarebbe stato più facile, e invece mi sto rendendo conto che con lei non è come con tutte le altre, non bastano un paio di regali costosi e qualche parolina dolce, con lei ci vorrà molto di più. Qualcosa di nuovo anche per me.
John si ferma proprio davanti al mio palazzo.
Thomas ci sta aspettando all'entrata, appena vede l'auto si prepara già ad aprirmi la porta.
«Siamo arrivati?» mi chiede Kristen.
«Si».
Apro lo sportello ed esco, tenendolo aperto per fare uscire anche lei, cosa che fa' poco dopo, mettendo in mostra le sue bellissime gambe mentre scende dall'auto. Dio, sono stupende e non voglio immaginare come siano senza quei dannati jeans che le coprono ai miei occhi.
«Buongiorno, Thomas» lo saluto.
«Buongiorno signor Pattinson! Vedo che ha compagnia oggi..», sorride amichevolmente a Kristen, mi volto per vedere la sua reazione e scopro con piacere che è in imbarazzo. Il colorito rosso dona particolarmente sulle sue guance.
«Si, Thomas, lei è miss Stewart».
Lui si toglie il capello e lo appoggia sul petto, sopra il cuore. «E' un piacere conoscerla, signorina. Io sono Thomas, faccio il portinaio in questo palazzo da quando ero giovane come lei se non di più e conosco il signor Pattinson da quando era un bambino», come al solito, la parlantina di Thomas ha preso il sopravvento e mi chiedo se annoi Kristen quasi quanto annoi me. Non che Thomas mi stia antipatico, è una delle poche persone che mi piace davvero, ma quando inizia a parlare non la smette più e spesso i suoi monologhi possono andare avanti anche per delle ore. «E che bambino! Il signor Pattinson era il bambino più educato, intelligente e sveglio che io abbia mai visto!».
«Okay, Thomas, basta così. Abbiamo da fare», appoggio una mano sul fianco di Kristen e la spinge gentilmente verso la porta dell'edificio.
Thomas annuisce. «Si.. mi scusi... mi lascio trasportare, lo sa.. arrivederci, signorina Stewart».
Kristen si scosta da me e si avvicina a Thomas, porgendogli una mano. «Per favore, mi chiami Kristen. "Signorina Stewart" mi sa tanto di nobile e io non lo sono di certo». Decido di tirarla via prima che dica troppo. «Kristen, vieni» la chiamo da dentro il palazzo.
Thomas le stringe la mano, entusiasta. Kristen gli ha appena dato il via libera per ore e ore di discorsi lunghissimi senza saperlo.
«E' stato un piacere conoscerla, Thomas».
«Il piacere è tutto mio, signorina Kristen».
Finalmente Kristen mi raggiunge e lasciamo Thomas dietro di noi mentre entriamo. Ci dirigiamo verso la zona degli ascensori. Ho scelto questo palazzo perché non è come gli altri che ha costruito mio padre, è molto più funzionale e pratico, nessuna stupida stanza in più, semplicemente una zona all'entrata dove ci sono gli ascensori che conducono direttamente ognuno nel proprio appartamento. Il mio è il numero 3.
«Cosa ci facciamo nel tuo appartamento?» chiede lei mentre aspettiamo l'ascensore, che per fortuna non tarda un secondo di più ad arrivare.
«Visto che non sei voluta andare al parco ho pensato che il mio appartamento sarebbe andato bene lo stesso per parlare», le porte dell'ascensore si chiudono velocemente davanti a noi, lasciandoci soli.
«Di cosa dobbiamo parlare?».
«Del nostro patto, ovvio».
«Si, ma cosa esattamente? Abbiamo già deciso le regole».
«No, affatto. Abbiamo solo disegnato le linee iniziali. E poi devo sapere qualcosa su di te, voglio che i miei genitori pensino che siamo una coppia felice, ricordi?».
«Giusto..».
«Vedrai, andrà bene. Mi basta sapere giusto qualche cosa».
«Okay...».
Le porte si aprono e siamo nel mio appartamento.
Mentre entro dentro mi giro verso Kristen per osservare la sua reazione nel vedere dove vivo, mi scopro curioso di sapere cosa pensa e cosa prova nel trovarsi qui. Ma lei ha come indossato una maschera adesso, non mostra nessuna espressione, semplicemente si guarda intorno, attenta, vigile. È come un animale in gabbia. È pronta a scattare in qualunque momento.
Il soggiorno si apre sulla cucina, ampia e moderna. «Vuoi qualcosa?».
«No».
«Sicura? Neanche un bicchiere d'acqua?».
«No, grazie», sembra quasi scocciata.
«Va bene..», mi ha fatto pure passare la voglia di bere anche a me.
Forse è meglio andare subito al dunque.
«Allora.. dobbiamo parlare di un paio di cose».
Kristen si appoggia al muro, incrociando le braccia al petto, come in posizione di difesa.. o di attacco. «Finalmente. Allora, dimmi tutto..».
«Devi sapere qualcosa sulla mia famiglia, non pensi?».
Non mi guarda neanche, «Se proprio insisti..».
«E io dovrei sapere qualcosa sulla tua».
La vedo pietrificarsi sotto il mio sguardo. Solleva il viso e mi fulmina con gli occhi. «Qui nessuno ha mai parlato di raccontare i cazzi della mia famiglia in giro. È una finzione, inventati che sono orfana, no?».
Dio, ma perché deve sempre fare così?
Deve sempre essere scorbutica e terribilmente permalosa anche se io non ho fatto proprio un cazzo. Adesso perché si è arrabbiata, le ho solo chiesto della sua famiglia. Non voglio sapere tutto, giusto i nomi nel caso mio padre me li chieda visto che lui conosce mezza New York. «Orfana?».
«Già.. in.. inventa, no?».
«Come vuoi. Mi inventerò qualcosa».
«Fantastico».
«Mi padre si chiama Richard, ma questo sicuramente lo saprai già».
«Io non so proprio un cazzo di te, non sei Madonna o Justin Bieber, non trovo le tue foto semplicemente aprendo il giornale. A essere sincera, non ti avevo mai visto prima che venissi a rompere al locale», oggi sta proprio esagerando, il suo tono trasuda sarcasmo e mi sto incazzando anche io, nessuno mi aveva mai parlato così e non sopporto che qualcuno lo faccia.
«Kristen, vuoi quei soldi? Perché se non li vuoi la porta hai visto dov'è», sto bluffando, non la lascerei mai andare via, anche a costo di pagarla il doppio.
«Vaffanculo».
«Come, prego?».
«Vaffanculo. Non mi hai sentito? VAFFANCULO. Ma chi ti credi di essere, Dio sceso in Terra? Non ti rendi conto che hai solo ventitré anni e appena apri bocca sembri un vecchio bisbetico? Non puoi costringere le persone a fare tutto quello che vuoi tu, neanche con un milione di dollari ci riuscirai mai, hai capito?».
«Kristen..», sento che la situazione mi sta scivolando via dalle mani, sto lentamente perdendo il controllo e io odio quando succede. Ho bisogno di avere sempre io il controllo totale di quello che mi succede attorno, è più forte di me. «io non sto costringendo nessuno, hai frainteso».
«Ah, no?» chiede, ironica.
«No» dico, deciso. Non permetterò a una ragazzina di prendere il sopravvento in una cosa che ho in mano io. «Quindi, ti pregherei di calmarti».
Lei alza gli occhi al cielo e incrocia le braccia sul petto. «Tutto questo è assurdo.. questa situazione è assurda! Non ho ancora capito cosa ci faccio qui! Perché non ti trovi una fidanzata vera e la facciamo finita? Non ci sopportiamo a vicenda, ne hai appena avuto la prova, Robert».
Io? Una fidanzata? Adesso? Non è il caso. «Non puoi capire. Che ne dici di cambiare argomento e di passare a qualcosa di più.. allegro? Vestiti».
Kristen solleva un sopracciglio, scettica. «Vestiti? Che vorresti dire con "vestiti"?».
«Voi ragazze amate i vestiti, no?».
«Intendi quelle ragazze con il rossetto, i tacchi alti e le gonne corte che incontri mentre vai a lavoro nel tuo elegante ufficio? Quelle ragazze? Perché a me non piacciono i vestiti, mi spiace».
Cristo santo, non ci posso credere. Ho beccato l'unica ragazza in tutta New York che non va matta per i vestiti, come è possibile? Prendo un bel respiro e cerco di mantenere la calma. Si tratta solo di affari, mi ricordo, è come se stessi trattando con un cliente particolarmente difficile per un contratto. «Per incontrare i miei genitori dovrai vestirti in modo da fare bella figura di fronte a loro, capisci?», spero con tutto il cuore che non inizi un nuovo litigio ma le miei speranza si confermano vane quando la vedo fulminarmi con lo sguardo.
«Non puoi decidere come mi devo vestire».
«E' lavoro, ricordi? Immagina che sia, non so, come una divisa. Come la divisa che indossi per lavorare in quell'orrendo ristorante..».
«Che hai contro il posto in cui lavoro? Non tutti sono figli di papà, sai? Dio, sei proprio uno stronzo..».
Non sopportavo di essere insultato. «Tu lavori per me! Vuoi chiudere quella cazzo di bocca e capire che non sei qui per dirmi quello che pensi ma semplicemente per eseguire i miei ordini! Cazzo..», non urlo, non spesso almeno, ma Kristen mi fa saltare i nervi, mi fa andare fuori di testa in un modo che non mi è mai successo prima. Sono sempre stato un tipo molto pragmatico, calmo, riflessivo, ma anche severo e mi piace farmi rispettare.. ma non facendo il matto, non così. Ma lei mi porta oltre il limite di sopportazione.
Kristen mi fissa, un po' incredula un po' offesa e forse anche un po' compiaciuta per avermi fatto perdere le staffe.
«Fanculo, io non sono un cazzo di oggetto, me ne vado».
«C..cosa? Kristen, aspetta..», ma lei si è già voltata e si sta dirigendo verso la porta come una furia.
La seguo, andandole dietro.
«Non puoi andartene, abbiamo un patto!».
«Fottiti, Pattinson. Sei solo un pazzo».
«Kristen, aspetta..».
E' agitata, si vede. Ci mette un po' ma alla fine riesce ad aprire la porta, ha le mani che le tremano.
Esce nel piccolo e sterile androne che precede la porta dell'ascensore.
«Non aspetto un bel niente, Pattinson. Cazzo, sei uno stronzo e io non voglio avere niente a che fare con gli stronzi, non di nuovo...», clicca il bottone e si attacca al muro accanto all'ascensore, dandomi le spalle.
«Kristen, ascoltami» dico.
«Oh, ma ancora qui sei? Vattene, non voglio parlarti. Facciamo finta di non esserci mai conosciuti. Tu non sei mai entrato in quel ristorante durante il mio turno e io non ho mai accettato niente da te, okay? Okay, ciao».
Quel tono mi fa incazzare soltanto.
Come può piantarmi in asso, adesso?
Pensavo che avessimo un accordo.
«Kristen..».
Mi interrompe di nuovo, «Ho detto ciao! Vattene, Robert..».
«Kristen, tu hai bisogno di quei soldi», uso il mio peggior tono di voce, so perfettamente di sembrare meschino, arrogante e si, anche un grandissimo stronzo, ma mi sento perso vedendo la situazione scivolare via dalle mie mani. Non so perché, ma non voglio che se ne vada. So che potrei trovare altre centomila ragazze ma non sono lei, ormai è come se stessi facendo una sfida con me stesso. Kristen è come un cavallo selvaggio che mi sono promesso di riuscire a domare.
Kristen si gira lentamente verso di me, ha gli occhi leggermente lucidi ma lo sguardo è a fuoco. «Sai Robert, hai ragione, io ho bisogno di quei soldi. Ma sai di cosa non ho bisogno? Della tua pietà», le porte dell'ascensore si aprono e lei ci entra dentro subito,
«Addio, Robert».
Le porte dell'ascensore si chiusero davanti a lei.



Pov Kristen




Arrivai a casa di corsa, con le lacrime agli occhi.
Che idiota, che idiota che ero stata, ma cosa avevo in testa? Accettare una proposta del genere da un ragazzo come lui, sono stata proprio una sciocca, non ho riflettuto abbastanza come ogni volta. Ma perché devo sempre prendere la decisione sbagliata? Perché, per una volta, non posso prendere la strada giusta e arrivare da qualche parte? No, io devo sempre sbagliare, andare a sbattere contro qualche muro e ritrovarmi in un vicolo cieco da cui non riesco a uscire da quando sono bambina. La mia vita è così e non mi sono ancora abituata, è incredibile.
Mr Bowie balza giù dal letto e mi viene vicino, strofinandosi contro le mie caviglie.
Mi piego per dargli una grattatina dietro l'orecchio, «Sono stata una cogliona... ma perché devo sempre ficcarmi in situazioni del genere? Forse avrei dovuto pensarci di più.. non so. E adesso? E se continua a cercarmi..?», una stretta allo stomaco mi fece capire che forse un po' ci speravo anche. Ma solo perché se mi avesse cercato ancora avrei potuto mandarlo a fanculo una seconda volta, eh. Non avevo nessuna intenzione di avere a che fare con lui di nuovo.
Anche se, quando il telefono squillò, per poco non urlai.
«P..pronto?».
«Kristen», fanculo, è Bob, il mio capo, «sono io».
«Si.. che vuoi?».
«Sei libera?».
«Perchè?».
«Avrei bisogno di te a lavoro, è urgente».
«Ma è il mio giorno libero!».
«Ti pago l'extra! Andiamo, mi servi. Una delle ragazze si è data malata e io non ho nessuno che la sostituisca, mi sei rimasta solo tu, per favore».
Mi alzai e cominciai a camminare per la stanza, con Mr Bowie che mi osservava da sopra le zampe pelose. «Bob, non mi sento tanto bene neanche io però..», non era una bugia, dopo la litigata con Robert non mi sentivo proprio in grado di reggere a ore e ore di lavoro e ragazzini idioti.
«Kristen, ti ho detto che ti pago l'extra. Ti lascio un giorno libero la prossima settimana, okay?».
Un giorno libero? Tutto per me? Dove potevo semplicemente starmene a casa, tranquilla, tutto il giorno, a leggere, al caldo? «Va bene..» accettai, già pregustandomi la sensazione delle coperte e del pigiama.
«Grazie! A dopo».
Ma per ora devo prepararmi per andare a lavoro.
Mi infilo in bagno e mi faccio una doccia veloce e mi metto un maglione largo e un paio di jeans vecchi prima di scappare fuori di casa e saltare sulla mia moto. Durante il viaggio verso il lavoro mi torna in mente la faccia di Robert mentre le porte dell'ascensore si chiudevano davanti a me, sembrava incazzato ma c'era anche qualcos'altro, qualcosa che non sono riuscita a capire appieno. Senza dubbio era furioso e in un certo senso sono contenta di essere riuscita a farlo smuovere un po', ho avuto l'impressione – in quel poco tempo in cui abbiamo provato a conoscerci – che tutto il suo essere fosse imprigionato, era come se ogni cosa che dicesse o facesse fosse trattenuta da un limite. Davanti a Robert c'era un muro, un muro tra lui e tutto il resto del mondo. Un muro tra me e lui.
Quando arrivo al ristorante Bob mi sta aspettando all'entrata, sembra parecchio in ansia ma fa un largo sorriso appena mi vede. «Kristen! Oh grazie al cielo, sei arrivata! Pensavo che mi dessi buca e invece.. eccoti qua. Sbrigati, forza!» mi incita mentre io scendo con calma dalla moto e mi tolgo il casco che mi ha trasformato i capelli in una massa informe più di quello che sono di solito.
«Sono qua, sono qua, calmo».
«C'è un sacco di gente! Non ho mai visto tanta gente in un solo tavolo in questo posto da quando l'ho aperto e sono tutti ricchi sfondati! Ricchi sfondati, capisci! Questi lasciano mance da pazzi!».
Ricchi sfondati? In un posto come questo? Che ci fanno?
Bob mi precede mentre entriamo e una volta aperta la porta mi accorgo che ha ragione. Seduti tutti a un tavolo – un unione di due tavoli da dieci – ci sono almeno una ventina di persone che sembrano pronte per una sala di gala, il che mi ricorda gli amici di Robert quando è venuto qui.
«Vatti a cambiare, in fretta, dai!».
«Vado, vado!».
Passo davanti al gruppo di ragazzi e mi accorgo che alcuni visi mi sono leggermente famigliari ma non mi soffermo più di tanto perché Bob mi sta tenendo d'occhio. Mi cambio in fretta, maledicendo ogni cinque secondi la divisa, perché non posso mettermi un paio di pantaloni della tuta e una felpa gigante? Ho freddo, sono stanca e vorrei solo dormire un po', ho mesi e mesi di sonno arretrato e non ho mai il tempo di farmi una dormita come si deve, forse è per questo che sono sempre acida con tutti.
Quando esco fuori tutta la tavolata dei ricchi sfondati si gira verso di me e vedo che iniziano a parlottare tra di loro, e chissà perché la me paranoica mi dice che stanno parlando proprio di me e non sono cose carine.
Mi faccio forza e mi avvicino.
Un tipo con un completo italiano e un'aria da figlio di papà che salta incredibilmente all'occhio, si gira verso di me e mi sorride, un sorriso parecchio viscido che mi fa venire un brivido di paura lungo la schiena. «Ciaaaaao», c'è troppo entusiasmo nella sua voce.
«Ciao», guardo le altre persone presenti al tavolo, «cosa volete?».
«Allora sei tu la ragazza per cui Pattinson ci ha dato buca l'altra sera» dice un ragazzo che avrà giusto tre o quattro anni più di me. Mi squadra dalla testa ai piedi mettendomi in soggezione.
Robert? Che c'entra Robert con loro?
«Se non dovete ordinare io posso tornare anche dopo..».
«Ho chiesto a Rob se potevamo vederci per un pranzo insieme prima del lavoro e sapete cosa mi ha detto, ragazzi?» chiede il tipo che mi ha parlato per primo. «Che aveva un impegno importante e ci avrebbe raggiunto dopo. Che dite, lo chiamo e gli dico di raggiungerci qua?» mi lancia un'occhiata maliziosa e io vorrei sprofondare. Non voglio vedere Robert, sono ancora arrabbiata con lui.
«Fai un po' come vuoi, non so di cosa tu stia parlando».
«Io invece penso che tu lo sappia benissimo».
«Pensala un po' come cazzo vuoi».
Me ne torno dietro al bancone, dove Bob mi guarda chiedendomi con lo sguardo spiegazioni su quello a cui ha appena assistito ma io scuoto la testa, non ho voglia di parlarne. Non ho voglia di parlare, e basta.
Ma perché ho accettato di fare questo turno?
Ma perché ho accettato di fare la finta fidanzata di Robert Pattinson?
Per fortuna poco dopo entra una famiglia con tre bambini piccoli che occupano il resto del mio turno, un'ora e mezza dopo sono sul punto di andare a cambiarmi per tornare a casa quando sento quelli dell'altro tavolo ridere e chiamare a gran voce qualcuno e quando mi giro verso di loro noto Robert entrare dalla porta con un'espressione tutt'altro che felice. Sembra furioso. Sono indecisa se correre via, nascondermi dietro il bancone o nel ripostiglio delle scope ma poi lui si gira verso di me e io mi paralizzo.
Oh, cazzo.
Robert non si avvicina neanche ai suoi amici, viene dritto verso di me.
«Kristen, possiamo parlare un secondo?».
«No».
Sul suo viso si forma una piacevole espressione accigliata. «Non fare storie, per favore. Dobbiamo parlare e lo sai benissimo anche tu, solo preferirei non farlo davanti a tutti e qualcosa mi dice che non vuoi farlo neanche tu».
«Tu non sai un accidenti di quello che voglio io».
«Perché tu non mi dai la possibilità di saperlo!» urla, poi mi afferra per il gomito e mi trascina via, verso la prima porta che troviamo e ciò il ripostiglio delle scope.
Quando chiude la porta mi ritrovo sola con lui, praticamente al buio.
«Si può sapere che cazzo ti prende?» urlo.
«Dobbiamo parlare e se l'unico modo per farlo è chiuderti dentro..» si guarda intorno, accorgendosi per la prima volta di dove ci troviamo, «dentro un ripostiglio delle scope, be', allora lo faccio. La scenata che hai fatto prima.. non l'ho capita», lentamente la sua espressione sicura scivola via, mostrando un Robert più confuso, meno fermo nelle sue decisioni.
«Non.. non l'hai capita?».
Si passa una mano fra i capelli, frustrato con se stesso. «No. Io non ho.. non credo di aver capire fino in fondo quello che mi stavi dicendo, ero troppo arrabbiato e non stavo ragionando quindi, per favore, potresti spiegarti meglio?».
Per un attimo pensai che mi stesse prendendo in giro.
«Tu davvero non sei abituato a sentirti dire “no” da una persona, non è così?».
Robert rimase in silenzio per qualche secondo, poi sbuffò. «Ho vissuto in una famiglia dove tutto quello che volevo ottenevo, si Kristen. Non sono.. abituato a non ottenere quello che voglio, okay? E tu mi stai mandando al manicomio. Parli in un modo che non capisco».
«E tu sei abituato a capire sempre tutto, eh?».
«Esatto».
«Hai una laurea in questo?».
«Cosa?».
«No, niente. Solo mi chiedevo se avessi tipo una laurea in questo, tipo un dottorato in “stronzologia” o “dominatore nato”, perché è questo che sei, o almeno è questo che fai vedere. Tu comandi le persone ma non riesci a comandare me perché io non te lo permetto ed è questo che ti fa impazzire, semplicemente ti sei incazzato perché non hai la situazione sotto il tuo comando. Il che è alquanto infantile, lasciamelo dire».
Proprio quando sono sul punto di uscire dal ripostiglio perché sicura che Robert non aprirà più bocca lui mi risponde: «Ecco, adesso ti sei spiegata bene, grazie».
«Come, prego?», è il mio turno di essere confusa.
«Prima, durante la tua scenata a casa mia, non avevo capito bene cosa intendessi, adesso invece ti sei spiegata benissimo e mi hai fatto capire come mi vedi. Tu mi vedi esattamente come voglio essere visto dal mondo».
«Vuoi che gli altri pensino che tu sia uno stronzo?».
«No», si passa di nuovo la mano fra i capelli, che adesso sono scompigliati ad arte, «voglio solo che le persone capiscano che non sono una persona con la quale possono scherzare. Sono giovane, è vero, ma ho un impero fra le mie mani e non mi piace essere sottovalutato».
«Tu. Sei. Davvero. Pazzo.» sillabo bene, nel caso non capisse neanche questa volta.
«Definiscimi come vuoi, io so chi sono».
«Si, un pazzo».
Si morse il labbro per trattenere quello che, a prima vista, sembra un sorriso divertito. «Grazie mille. Comunque sia, non sono certo venuto qui solo perché quei coglioni dei miei amici mi hanno detto di farlo, volevo chiarire con te e risparmiarti le battute cretine dei miei amici che, sicuramente, ti avranno già infastidito..».
«Si, un po', ma ancora non ho capito perché sei venuto qua allora».
«Mi dispiace, ho cercato di arrivare il prima possibile. Sono venuto qua per chiarire, te l'ho appena detto».
«Chiarire cosa? Mi hai trattato come se fossi un oggetto e io me ne sono andata, non c'è altro da dire».
«Te l'ho detto, hai frainteso».
«Si, hai ragione, mi hai trattato direttamente come se fossi una bambola, volevi decidere direttamente anche come dovessi vestirmi», tutta la rabbia che avevo provato durante il nostro litigio e che poi era lentamente sbollita, adesso ritorna prepotente a farsi sentire.
Robert si strofina la faccia con le mani, mostrandomi un bel orologio che costa più del mio appartamento. «Forse non mi sono spiegato bene. Tu mi servi, Kristen. Ti ho scelto perché sapevo che saresti andata bene per aiutarmi ma se continui così non posso che ricredermi, ti stai comportando come una bambina. Okay, forse anche io ho messo del mio in questa situazione ma non puoi pretendere molto da me, non sono portato per i rapporti di coppia, ecco perché mi servi tu. Non voglio relazioni nella mia vita, non adesso, sicuramente neanche in un futuro prossimo, sono molto concentrato sul mio lavoro e una relazione mi occuperebbe solo tempo che preferisco spendere in altro modo, capisci? Mi servi, quindi, per favore, troviamo un modo per continuare quello che abbiamo iniziato senza ucciderci a vicenda, va bene?».
No.
No, che non va bene.
Non intendo farmi trattare come una bambina, non mi interessa quanto belli siano i tuoi discorsi.
E non mi interessa neanche che la tua voce sia così sensuale persino mentre parla di una cosa tanto squallida.
Sei così bravo a fare i discorsi, ma non intendo cascarci.
«Non credo di riuscirci, mi spiace».
«Ma...».
«Mi dispiace, Rob..» lo supero ed esco dal ripostiglio.
Bob mi aspetta fuori, le braccia incrociate sul petto.
Sembra parecchio scocciato.
«Kristen, mi spieghi gentilmente cosa stai combinando?».
«Niente..».
«Ah si? Niente? A me sembra invece che tu ti stia facendo i cazzi tuoi sul lavoro, andandotene allegramente nel ripostiglio delle scope con un cliente!».
Sento la porta dietro di me chiudersi e la presenza di Robert alle mie spalle e lotto contro me stesse per non girarmi. È tutta colpa sua se adesso sono nei casini con il capo.
«Bob, mi dispiace.. non è come sembra, io non..».
Lui solleva una mano per zittirmi. «Non mi interessano le tue scuse! Mi hai lasciato da solo con una tavolata di venti persone e nessuna cameriera, Kristen!».
«Lo so e mi dispiace ma se tu..» inizio ad agitarmi, saltellando sul posto. Sento gli occhi di Robert dietro di me e c'è un imbarazzato silenzio in tutto il ristorante.
«Niente “ma”. Non voglio sentire scuse. Questa è l'ultima volta che ti permetto di fare una cosa del genere, Kristen, perché...».
«Ehm, scusi?», Robert mi viene accanto, intromettendosi.
Bob lo guarda senza capire, «Ha bisogno di una mano?».
«Volevo solo dire una cosa su Kristen. So che lei è molto arrabbiato con lei e ha ragione ma se permette vorrei dire una cosa in sua difesa.. è colpa mia se Kristen non è stata al suo posto, oggi. Quindi, ecco..», infila una mano nella tasca della giacca e tira fuori un portafogli che apre e prende due banconote da cinquanta dollari, «pensa che possano bastare per rimediare alla lacuna nel suo staff di oggi?».
Bob non sta più fissando Robert, fissa solo le banconote fra le sue mani.
«Certo! Grazie mille, signor...».
«Pattinson. Robert Pattinson. E questi sono per avere Kristen per il resto della giornata», tira fuori altri soldi e li mette direttamente nelle mani di Bob, che non dice niente ma sorride come un bambino. Dio, che schifo.
Robert mi afferra di nuovo per il braccio e mi scorta gentilmente verso la porta.
Mi sento come se mi avesse appena comprata e forse l'ha fatto davvero.
«Ma che fai..?» chiedo, ormai sull'orlo di una crisi isterica.
«Abbiamo un pranzo domenicale domani, ti ricordi?».
«E tu ti ricordi che io ti ho detto che non voglio avere più niente a che fare con te?».
Lui alza gli occhi al cielo e un angolo delle sue labbra si solleva verso l'alto in un sorriso sghembo, davvero carino. «Ti sei già scordata? Non accetto “no” come risposta».





*





Siamo di nuovo nel suo appartamento, sono seduta sul divano, da sola. Robert è andato a chiamare una sua “amica” che si occuperà del “fattore vestiti” per domani. Mi chiedo chi sia e perché non possa vestirmi come voglio. Mi tormento le mani, agitandomi sul posto e guardandomi intorno; il suo appartamento è davvero grande e ha talmente tanta roba costosa dentro che ho paura di rompere qualcosa soltanto respirando. Mi sento davvero a disagio nel suo appartamento, ogni cosa che c'è qua dentro mi ricorda quanto io e Robert siamo diversi e sopratutto il motivo per cui sono qua. Chissà, magari se fossi nata in una famiglia più ricca avrei incontrato Robert in un'altra maniera, magari a quest'ora saremmo persino amici o...

«Tutto fatto, Julie sta arrivando», la voce di Robert che entra nella stanza interrompe – per fortuna – i miei pensieri.
«Chi è Julie?» chiedo.
«Julie è un'amica, si occupa di moda e ti aiuterà a trovare gli abiti adatti per domani tenendo conto dei tuoi gusti personali. Io non posso occuparmene, so già che litigheremmo e basta quindi ho chiamato lei» mi sorride e i pensieri di poco prima mi tornano alla mente, ma che mi succede? Basta, basta, basta. Io non lo sopporto e lui mi ha letteralmente comprata per usarmi per i suoi comodi, come posso anche solo lontanamente pensare a lui come un amico?
«Oh...».
«Non ti va bene..?» si avvicina, sedendosi accanto a me sul divano bianco.
«E' okay».
«Fidati, Julie è bravissima nel suo lavoro. Aiuta persino le mie sorelle, qualche volta».
Le sue sorelle, giusto. Robert ha due sorelle. Come ha fatto un ragazzo con due sorelle in casa a diventare così freddo? «Parlami di loro», non so perché lo dico ma lo faccio, sono curiosa di scoprire un lato di Robert diverso, più intimo, più famigliare. Forse dentro di me spero di scoprire che dietro questa armatura che lui sfoggia c'è un ragazzo come tutti gli altri. Mi giro verso di lui, incontrando il suo sguardo.
«Victoria è la più grande, ha venticinque anni e si occupa di giornalismo. Insieme al suo fidanzato si occupa di una testata giornalistica emergente. Elizabeth – Lizzie, per famiglia e amici – è la più piccola e si è appena laureata a quasi ventidue anni, vive non molto lontano da qui e penso che, se vi conosceste, diventereste grandi amiche», sembra quasi contento di raccontarmi delle sue sorelle, si vede che le ama davvero tanto. Mi chiedo se anche loro siano belle come lui.
È davvero bello..
«Wow... sembrano.. due donne di successo», al contrario di me.
«Victoria è molto ambiziosa, si. Lizzie è più per “cogli il momento”, ma solo perché è ancora giovane, deve fare le sue esperienze prima di mettere la testa apposto una volta per tutte e decidere cosa fare delle sua vita», il tono serio con cui lo dice mi fa pensare alla mia vita, a come a diciannove anni in stia andando da nessuna parte. Le sorelle di Robert hanno già una laurea e un lavoro stabile e sicuro mentre io cosa ho? Una soffitta che mi fa da casa e un gatto egocentrico.
«Non haa solo ventidue anni, ha tempo..».
«Io ne ho ventitré e so esattamente cosa voglio dalla vita, lo so da quando avevo sedici anni».
«E cosa vuoi?», i suoi occhi si fanno di un azzurro più scuro, riesco quasi a vedere i suoi pensieri agitarsi dentro le sue iridi.
«Voglio avere il controllo di tutto, te l'ho detto», si fa più vicino, fissandomi a sua volta negli occhi, dandomi moto quasi di caderci dentro, la sua voce è quasi un sussurro.
Sembra sul punto di dire qualcos'altro quando il citofono suona, interrompendoci.
«Deve essere Julie, vado io» mi sorride e si alza per andare a rispondere, lasciandomi sola e tempo per pensare.
Ha davvero due occhi bellissimi.
Due occhi che non sembrano affatto quelli di una persona cattiva né egocentrica.
Sembrano gli occhi di un bambino ma hanno anche la malizia di un ragazzino.
Non sembrano incastrarsi con il suo corpo, non fanno parte della maschera che indossa. Se una persona guardasse Robert dritto negli occhi in un momento di distrazione vedrebbe forse chi è veramente?
«Kristen, ti presento Julie».
Robert è in piedi sulla soglia e accanto a lui c'è una bella ragazza sui venticinque anni – forse anche meno – con lunghissimi capelli neri e due occhi a mandorla dello stesso colore. È alta come Robert e indossa una gonna nera a vita alta con una camicia bianca a maniche larghe che terminano con due bottoncini che stringono sui polsi, indossa un paio di tacchi non troppo alti ed è accuratamente truccata per mettere in risalto i tratti asiatici – occhi grandi e labbra piene e rosse come il fuoco – è davvero bella e mi sorride, amichevole.
Balzo in piedi come una molla e per poco non rischio di perdere l'equilibrio.
Julie allarga il sorriso – forse vorrebbe solo ridere della mia imbranataggine – si allontana da Robert e mi porge la mano, «Sono davvero felice di conoscerti, Robert mi ha parlato di te prima al telefono ma non credevo che facesse sul serio».
Oddio, le ha detto tutto?
Le ha detto proprio tutto sul motivo per cui sono qua? Non ci credo.
Sento le guance diventarmi rosse.
«Mi ha detto del suo corso di attrice, sono davvero curiosa di sapere qualcosa di più a riguardo. Ho sempre trovato la recitazione molto affascinante» aggiunge, stringendo con vigore la mia mano. Ha una stretta sicura, salda.
Recitazione? Che corso di recitazione? «Uhm, piacere mio...», guardo Robert in cerca di spiegazioni ma lui non dà segni di imbarazzo. Mi guarda e sorride, semplicemente.
«Julie, ricordati cosa ti ho detto».
Lei fa finta di chiudersi la bocca con una zip. «Si, certo! Non aprirò bocca con nessuno, me l'hai detto Robert», Julie mi lascia la mano e si rivolge a me. «Tranquilla, Robert mi ha detto che il corso che stai seguendo è molto riservato, mi ha detto anche che hai molto talento e che ti ha scelto proprio per questo. Certo, scommetto che la sua famiglia avrebbe preferito una fidanzata vera per lui ma credo che imparerai a conoscerlo molto presto e a capire che Robert Pattinson non è proprio tipo da lasciar perdere il lavoro per amore» nel suo tono di voce noto un velo di tristezza e subito mi sorge il dubbio: hanno avuto una relazione? Certo, lei è davvero bella e dal modo in cui è vestita scommetto che viene dal suo stesso mondo. Ha più punti di me sicuramente.
Robert le appoggia una mano sulla spalla, «Julie, ci lasci un secondo da soli? Devo parlare con Kristen di una cosa. Perché non vai a prenderti qualcosa da bere? Ho dato due settimane libere ai domestici ma dovrebbe esserci ancora del vino se lo cerchi bene».
«Certo. Porto da bere per tutti così poi, io e Kristen, possiamo cominciare» mi guarda e vedo che è emozionata all'idea, sicuramente più di me che me la sto facendo sotto all'idea di ritrovarmi da sola con lei e tutti quei vestiti. «Vedrai, sarà stupendo. Ho già un'idea di dove andare per prima cosa», mi fa l'occhiolino per poi sparire in cucina.
Appena Julie è abbastanza lontana mi volto di scatto verso Robert, «Si può sapere cosa cazzo le hai detto?».
«Ho solo colorato un po' la verità» fa spallucce, un'espressione innocente che lo rende persino credibile.
«Di che corso di recitazione stava parlando?».
«Le ho detto che sei una giovane attrice in ascesa, che devi fare pratica per un ruolo e che quindi ti ho presa con me per “recitare” la parte della mia fidanzata, diciamo che le ho detto che dovevi fare pratica per immedesimarti nel ruolo».
Spalanco gli occhi, furiosa. «Perché mai hai detto una cosa del genere? Hai solo complicato tutto!» mi sforzo di tenere un tono di voce bassa ma è difficile, «Mi hai messo in bocca una bugia che non ho detto» mormoro a denti stretti.
«Come ho detto, ho solo colorato la realtà. E poi non sei contenta che ti abbia dipinta come un'attrice di talento?».
«NO!».
«Abbassa la voce, Kristen».
«No, perché non è verità..».
«Potrebbe esserlo, però».
«Che intendi?».
«Quello che fai per me, è recitare. Se sarai brava, potresti davvero riflettere sul fatto di intraprendere la carriera di attrice, potrei aiutarti».
«Cioè comprarmi la carriera esattamente come hai comprato me».
Sul viso di Robert si dipende un'espressione corrucciata. «Io non ti ho..».
«Eccomi!».
Julie viene verso di noi tenendo in mano una bottiglia di vino e tre bicchieri di cristallo che dondolano pericolosamente fra le sue mani smaltate.
Mi affretto a prendere il mio bicchiere prima che precipiti a terra. «Grazie..».
«Di cosa parlavate voi due?» chiede, lanciando un'occhiata prima a me e poi a Robert, vedo un lampo di malizia coprire i suoi occhioni a mandorla.
«Di niente, solo che Kristen non vede l'ora di iniziare. Questo progetto è davvero molto importante per lei» dice Robert, ha di nuovo indossato la sua maschera\armatura.
Julie versa il vino nel suo bicchiere e poi nel mio.
Solleva in alto il suo calice invitandomi a un brindisi.
«Che abbia inizio la nostra trasformazione!», esulta.
«Che la fortuna mi assista...».




Pov Robert




Stavo scrivendo sul mio computer quando qualcuno bussò alla porta del mio ufficio. Avevo deciso di mettermi in pari con il lavoro mentre Kristen stava fuori con Julie.
«Avanti!».
«Siamo tornate!», Julie entrò nella stanza come un tornado, come sempre. Julie e Lizzie erano buone amiche dalle elementari, avevano frequentato le stesse scuole private, la stessa parrucchiera e le stesse feste fin da quando erano piccolissime. Poi Julie aveva preso l'indirizzo moda all'università mentre Lizzie aveva preso economia come le aveva consigliato mio padre – continuando però a seguire i suoi corsi extra di pittura, canto e ballo – e le loro strade si erano divise per un po' ma adesso avevano ripreso a frequentarsi ed era come se il tempo non fosse mai passato. Julie era a pranzo a casa nostra una settimana si e l'altra no.
«Oh, giusto in tempo per la cena», controllai l'ora sul computer prima di spegnerlo, 8:20.
Sollevai lo sguardo e vidi Julie, ma non fu lei ad attirare la mia attenzione, piuttosto la figura minuta dietro di lei.
Kristen.
Era ancora indecisa se entrare o meno e riuscivo a scorgere solo la metà del suo corpo. Così mi alzai io e le andai incontro.
Julie si fece da parte e batté le mani tutta contenta quando vide l'espressione estasiata che comparse sul mio viso senza che potessi farci niente.
Kristen era.. incantevole.
Non che prima non lo fosse, ma vestita in quel modo non sembrava neanche più lei, sembrava più grande, più matura, meno sfacciata e molto più timida. Indossava una gonna grigia a vita alta che lasciava scoperte le sue bellissime gambe candide, una canotta bianca di seta con una scollatura a cuore e una giacca blu scuro a maniche lunghe. Indossava persino un paio di tacchi di almeno nove centimetri.
«Kristen.. complimenti, sei.. sei..», perché non riuscivo a trovare le parole giusto? Io faccio discorsi davanti a centinaia di persone e non riesco a trovare le parole giusto per descrivere come è vestita lei?
«E' bellissima, si» mi viene in soccorso Julie, stringendo le braccia di Kristen con le mani e spingendola dentro la stanza, davanti a me.
Kristen abbassò lo sguardo, imbarazzata.
«Si, sei bellissima» dico.
Noto che le sue gote prendono colore. Julie non l'ha truccata e ne sono felice, la sua pelle è perfetta e il suo viso è stupendo anche senza bisogno di alcun cosmetico. «G..grazie» balbetta.
«Sarai perfetta domani, mia madre ti adorerà».
«Uhm... okay...».
Ma vedo che c'è qualcosa che non va'.
Non è contenta, i suoi occhi sono spenti.
Non le importa niente degli abiti di alta moda, non le piace come le stanno e si vede.
Si muove agitata sui tacchi, in bilico tra lo stare in piedi e precipitare sul tappeto.
Sto per chiederle se va tutto bene quando Julie si mette in mezzo. «Questo è l'abbigliamento che avrà domani ma stavo anche pensando a un abito. All'inizio abbiamo provato qualcosa come venti vestiti ma Kristen ha detto che si sentiva a suo agio con un vestito così abbiamo optato per un completo gonna-camicia per darle un'aria sofisticata. Ma ho un abito che sarebbe perfetto su di lei! Basta che mi fai uno squillo domani mattina, anche alle cinque del mattino, e te lo porto», come sempre Julie è efficiente e disponibile ventiquattro ore su ventiquattro, ama proprio il suo lavoro.
Kristen però non sembra della stessa idea perché fissa Julie con un'espressione che, se ci fosse un traduttore, sarebbe “no, ti prego, un abito no! Non mettermi così in mostra, per piacere...”.
«No, grazie Julie. Così va benissimo».
Kristen mi lancia un'occhiata riconoscente.
«Oh, va bene! Be', allora vi lascio, devo andare fuori a cena con amici. Ci vediamo uno di questi giorni, Robert», si gira verso Kristen e l'abbraccia. Vedo Kristen restare rigida per qualche secondo per poi ricambiare goffamente l'abbraccio, muovendosi in modo scoordinato in quegli abiti non suoi. «Kristen, è stato davvero un piacere lavorare con te. Dovremmo uscire insieme uno di questi giorni, magari ci organizziamo con Lizzie, la sorella di Robert. Oh, e stai davvero benissimo, non esitare a farmi chiamare da Robert per quel vestito, è tuo quando vuoi, te lo presto. Ciao!» la lascia andare, si sistema la borsa sulla spalla ed esce chiudendosi la porta dietro di sé.
Una volta rimasti soli è Kristen la prima a parlare.
«Allora.. vado... vado bene..?» chiede, tenendo lo sguardo basso sulle sue scarpe.
«Vai benissimo. Adesso è proprio il caso che andiamo a cena, John ci sta aspettando di sotto in macchina».
Lei si morde il labbro, «Non ho molta fame..».
«Hai camminato tutto il giorno, devi avere fame».
«Non tanta..».
«Mangerai qualcosa lo stesso. Forza, andiamo».
Lei si sistema la giacca e usciamo dal mio appartamento senza dire altro. In ascensore continua a non guardarmi neanche, tenendo sempre lo sguardo basso e quando entriamo in macchina rivolge un saluto frettoloso a John per poi rivolgere il viso verso il finestrino, una mano appoggiata sulla bocca, osservando il passaggio per tutto il viaggio. New York si illumina davanti a noi, le luci di tutti i negozi e ristoranti sono accese quando arriviamo davanti a uno dei miei ristoranti preferiti.



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John viene ad aprirci e Kristen scende per prima.

Si guarda intorno a bocca aperta.
«Non ci sei mai venuta prima?» le chiedo.
«Non credo di aver mai messo piede in questa parte della città, a dire il vero...» mi dice mentre un cameriere ci scorta al nostro tavolo.
Prima che Kristen possa precedermi mi avvicino alla sua sedia e mi affretto ad allontanarla dal tavolo per farla sedere. Lei mi guarda e accenna un sorriso per poi sedersi, le sue gambe sono davvero bellissime e attirano sempre di più la mia attenzione.
«Tu... tu frequenti sempre posti del genere..?» chiede dopo che abbiamo ordinato – filetto al sangue per me e un'insalata per lei per mio grande dispiacere, avrebbe bisogno di mangiare un po' di più sopratutto dopo la sua camminata.
«Che intendi con “posti del genere”?».
«Così... pieni di... gente ricca, dove bisogna prenotare il tavolo».
«Non ho prenotato».
«No?».
«No. Il locale è di mio padre, ho un tavolo libero ogni volta che voglio».
Lei storce la bocca in una smorfia e prende un sorso di vino. «Avrei dovuto immaginarlo... tuo padre possiede praticamente tutta New York».
«Una specie, si».
«E di conseguenza anche tu».
«Diciamo che sono agevolato in parecchie cose».
«Parecchie cose vorrai dire!».
Accenno un sorriso, «Va bene.. parecchie cose, hai ragione».
Una cameriera porta le nostre ordinazioni e iniziamo a mangiare.
«Sei sicura che non vuoi prendere altro? L'insalata non riempie come una bistecca» le faccio notare.
«Va bene così..», gioca un po' con l'insalata, sembra persa nei suoi pensieri.
«Vuoi un pezzo del mio filetto?».
«No.. grazie».
«Un altro po' di vino?» sollevo la bottiglia e cerco di fare il mio sorriso più amichevole ma lei scuote la testa e io rimetto giù la bottiglia. Ogni mio sforzo con lei è inutile. Ogni tanto mi sorride, mi parla, e per un po' di tempo è come se stesse davvero cercando di comunicare con me ma basta un attimo di distrazione che ecco che un muro si piazza davanti a me. Eppure io voglio vedere oltre quel muro, perché lei è diventata la mia nuova sfida. Cosa c'è oltre quel muro?
«Domani a che ora devo essere nel tuo ufficio...?» chiede di punto in bianco, dieci minuti di silenzio dopo.
«Vengo a prenderti io, non c'è tempo per andare nel mio ufficio».
«NO» scatta subito.
«Kristen, parlo seriamente. Non c'è tempo, dammi il tuo indirizzo», tiro fuori il cellulare per segnarlo ma lei continua a scuotere la testa.
«Non se ne parla».
«Che ha che non va casa tua, si può sapere?».
«N...niente... solo, vengo io».
«Kristen..».
«Robert, ho detto che vengo io, e che cazzo! Vengo io, non rompere».
Non mi va di litigare, non ora che stavo iniziando a fare un po' di conversazione con lei – poca e deludente, ma è un inizio - «Va bene... come vuoi. Vieni alle sei».
«Di mattina? Scherzi?».
«Dobbiamo essere da mia madre entro le sette e mezza».
«Ma non era un pranzo domenicale?».
«A mia madre piace organizzare le cose in grande, ci vorrà lì anche per la colazione.. e forse per cena».
«No.. non starò a casa dei tuoi genitori tutto il santo giorno, scordatelo» mi fulmina con lo sguardo mentre lo dice, minacciandomi con gli occhi.
«Ho detto forse, Kristen. Non scaldarti tanto, per carità» sollevo un braccio e chiamo un cameriere, chiedendo il conto, che mi viene portato pochi minuti dopo.
«Andiamo, ti accompagno a casa».
Kristen si alza e si sistema la giacca, stizzita. «Grazie della proposta, ma rifiuto, me ne torno a casa da sola».
Mi alzo a mia volta, terrorizzato che scappi via prima che abbia modo di calmarla. «E come? Non sai neanche in che zona della città ci troviamo».
«Siamo a New York, un modo si trova sempre» dice, voltandosi e dirigendosi verso l'uscita.
Tiro fuori una banconota da duecento dollari e la lascio sul tavolo prima di correrle dietro. Le afferro il braccio un secondo prima che esca dal locale così le stringo il gomito e varchiamo la soglia insieme.
«Robert, lasciami!».
Stringo la presa. «Non intendo lasciarti vagare per la città da sola, Kristen».
«Prenderò un taxi» strattona per farsi lasciare ma io non mollo la presa.
«Non da sola».
«Sono sempre stata sola, non capisco dove sia il problema adesso!» urla, e volta il viso dall'altra parte ma riesco comunque a scorgere i suoi occhi brillare alla luce della luna. Quando torna a guardarmi, però, sono di nuovo asciutti e anche arrabbiati. «Robert, ho detto di lasciarmi il braccio. Adesso».
Allento la presa contro voglia e la spingo gentilmente verso la mia macchina, «Lascia che ti accompagni a casa, per favore».
«NO!».
«Kristen!».
«Ho detto di no! E ADESSO LASCIAMI ANDARE!» visto che si dimena come una pazza la lascio andare ma mi avvicino di più, pronto ad afferrarla nel caso scappasse via.
«Calmati!» le ordino.
«Oh, Dio. Vaffanculo, Robert» fa per andarsene ma l'afferro di nuovo d'istinto, attirandolo a me.
Lei si dimena e mi spinge via.
«Va bene! Va bene!» la lascio e infilo una mano nella giacca, prendo il portafogli e lo apro. «Cristo, hai un carattere di merda, sei la persona più testarda e folle che io abbia mai conosciuto ma non per questo ti lascerò andare in giro per New York da sola. Non vuoi venire con me? Va bene! Ma almeno accetta che ti paghi il taxi e controlli che sia un tipo affidabile».
«Non accetto soldi da te!».
«Dovrai farlo. Per forza» dico, alludendo ai soldi che le darò per il suo “piccolo aiuto”.
«E' un'altra cosa! Adesso... adesso non devi darmeli. Mi hai già pagato la cena, io non voglio che tu mi dia altri soldi!».
Non l'ascolto.
Le prendo la mano e mi giro in cerca di un taxi.
Subito uno si ferma davanti a noi.
Kristen si sta agitando ma la ignora un'altra volta, avvicinandomi al finestrino e parlando con il conducente del taxi. «Deve portare una signorina a casa, ecco i soldi per la corsa, spero che bastino», gli do cento dollari visto che non ho idea di dove viva Kristen e di quanto sarà lunga la corsa. L'uomo prende i soldi senza dire niente.
Apro lo sportello e spingo Kristen dentro il taxi, chiudendo lo sportello.
«Sei uno stronzo!» urla lei.
«Ci vediamo domani, Kristen. Sarai bellissima».
Faccio un cenno al taxista e la macchina parte.
Continuo ad osservare la macchina fin quando non sparisce nel traffico.
Vado verso la mia, dove John mi sta aspettando e mi apre lo sportello.
Il cellulare vibra dentro la tasca interna della giacca.
Da: “Kristen”.
Messaggio: “Sei un grandissimo stronzo! Non permetterti mai più a pagarmi qualcosa, non ho bisogno della tua carità!”.
Le rispondo subito:
Non mi dispiace pagarti le cose. Buonanotte, Kristen. Non vedo l'ora che sia domani, sogni d'oro”.


Okay, in realtà pensavo che sarebbe stato molto più lungo ma visto che alcuni mi hanno

chiesto quando avrei postato e io ho risposto “presto”, ecco qua...
ehm, non so che dire.
Questa storia mi ha preso un sacco e spero che vi piaccia almeno la metà
di quanto piace a me.
Robert è un po', come dire..?, non stronzo.
Be', ditemelo voi.
Sapete che amo sapere la vostra opinione.
Scusate per il ritardo ma ho avuto da fare con la scuola e ho avuto anche l'influenza.
Sicuramente dovrei dire anche altro ma mi verrà tutto in mente una volta che avrò
pubblicato quindi è inutile.
Vi voglio bene,
grazie mille,
lasciate tante recensioni.






















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Capitolo 3
*** you asshole. ***


do me a favor
#3° capitolo



'you asshole'






Pov Kristen






Ho sempre vissuto alla giornata. Non sono mai stata quel genere di ragazza che si chiede cosa ne sarà di lei fra qualche anno, fra un paio di settimane, il giorno dopo, ho sempre pensato che fosse una cosa inutile. A cosa serve preoccuparsi? A niente. Le persone che si preoccupano invecchiano prima, si ammalano e muoiono giovani, io invece non voglio niente di tutto questo. O almeno, pensavo di non volerlo, perché adesso sono in ansia; essere in ansia per me è una cosa completamente nuova. Sono circa le quattro del mattino, fuori il sole non è ancora sorto e io indosso i vestiti che l'amica di Robert mi ha fatto indossare per andare a trovare la famiglia di Robert, sono seduta sul mio letto da almeno un'ora buona e mi sto tormentando le mani da altrettanto tempo. Io non mi preoccupo mai, ma oggi farò un'eccezione. La sola idea di incontrare quelle persone mi fa stare male. Dovrò fingere di essere una persona che non sono – cosa che va praticamente contro tutti i miei principi (i pochi che mi rimangono) – e dovrò anche fingere di essere innamorata di Robert.
Quello non sarà tanto difficile..
Sciocca, sciocca, sciocca!
Mi tengo la testa fra le mani e cerco di calmarmi.
Non posso finire di nuovo in una situazione come questa.
Vuoi finire di nuovo come con Chuck, idiota?
No, Cristo, no.
Morirei un'altra volta.
Mi alzo e vado verso la libreria. In mezzo ad alcuni libri c'è un quaderno, è parecchio grosso e consumato, ha resistito a un anno di lacrime e urla. Apro la prima pagina. È una specie di lista delle cose che ho fatto da quando ho conosciuto Chuck a quando abbiamo avuto la nostra grande litigata finale. Ci sono frasi come "oggi io e Chuck abbiamo parlato e lui ha detto che sono carina" o "oggi, io e Chuck abbiamo fatto l'amore ma poi lui è dovuto andare via perché aveva altre cose da fare", poi, con il tempo, ho capito che tutte le parole che mi diceva erano bugie e che quel "fare l'amore" non era altro che il più basso, il più sporco e il più squallido sesso che una donna possa mai fare, quel genere di sesso che nessuna ragazza vorrebbe perché vuol dire che appena avete finito ognuno va sempre per la sua strada, non c'è amore, non ci sono coccole né baci. È solo un prendersi quello che si vuole e basta. O almeno era così per lui. Io mi illudevo, io pensavo che ci fosse amore nelle sue mani, nelle sue carezze, ma poi ho capito che non era così, che mi ero illusa, che avevo rovinato per sempre la mia prima volta.
Il mio più grande rimpianto.
Mi veniva da piangere.
Come avevo potuto essere così stupida?
E adesso stai per fare di nuovo la stessa stronzata.
No, mai.
Una volta basta e avanza.
Gli uomini vogliono una cosa sola.
Sono tutto un prendere e mai un dare.
So come sono gli uomini, ho avuto a che fare con altri dopo Chuck, ed è sempre la stessa storia. Nessuno è disposto ad impegnarsi, a prendersi cura di un'altra persona, sono tutti troppo egocentrici per ascoltarmi.
E Robert non è che l'ultimo della mia lista nera.
Mi asciugo una lacrima che è sfuggita al mio controllo, vado in bagno per farmi di nuovo il trucco e poi mi infilo le scarpe ed esco di casa. Per arrivare fino all'ufficio di Robert ci vogliono almeno quaranta minuti a piedi, se non di più e io me li faccio tutti sui tacchi. Mi sento una sciocca. Eccomi, tutta elegante, che cammino da sola con i tacchi alti alle quattro e mezza di mattina, chi mi vedrà penserà che sono una pazza e forse lo sono davvero e ancora non me ne sono resa conto. Cerco di prendere solo strade isolate, anche se so benissimo che non è la scelta più saggia, con questi tacchi non potrei mai mettermi a correre e non potrei neanche abbandonarli in mezzo alla strada per farmeli rubare visto che non sono miei.
Sento il cellulare vibrarmi nella minuscola borsetta che Julie mi ha dato ieri, è bianca con delle perle. Mi fermo e apro la borsetta per prenderlo. È Robert.
«Non sono in ritardo» dico, a mo' di saluto.
«Nessuno ha insinuato che tu lo fossi, Kristen». Dio, la sua voce mi fa sempre un effetto troppo forte ogni volta che non lo sento per troppo tempo e per telefono posso anche non trattenermi e arrossire.
«Sto per arrivare nel tuo ufficio come deciso, perché mi hai chiamato?».
«Sono in macchina. Dimmi la via in cui sei».
«Ma..».
«Dimmi la via, Kristen».
«Non mi ci vuole molto, che differenza ti crea se..».
«Non iniziare, per favore», insieme al solito tono autoritario posso percepire anche una leggera punta di irritazione e anche fretta. È nervoso per il pranzo con i suoi? «Oggi non accetterò nessun comportamento da bambina, ci siamo capiti?».
Il tono di voce freddo è come uno schiaffo. «Volevo solo..».
«Dimmi quella cazzo di via, Kristen!».
Per un attimo, sono tentata dal chiudergli il telefono in faccia. Mi ha urlato contro, mi ha praticamente aggredito per telefono come se fossi l'ultima delle sue dipendenti. Perché non usa una di loro per interpretare tutta questa messinscena invece che prendersela con me? Non capisco. Prendo un bel respiro ma è inutile, il mio umore è ufficialmente rovinato per il resto della giornata ed è tutta colpa sua.
Mi guardo intorno finché non trovo una targa con il nome della via. Gliela dico. Sto per chiudere la telefonata quando lui aggiunge: «Grazie. Visto? È tutto più semplice quando collabori. Sarò lì fra pochi minuti, non muoverti» e chiude la telefonata.
«Fanculo, stronzo» dico, anche se non può più sentirmi.
Me ne resto ferma immobile per non so neanche io quanto tempo. Non ho con me neanche il mio ipod perché in questa cazzo di borsetta non ci stava neanche il mio cellulare un altro po'. È ridicola. Io sono ridicola, sono qua ad aspettarlo come un cane ammaestrato aspetta che il suo padrone gli dia l'ordine di muoversi e mi sento esattamente così, Robert mi sta comandando e io non permetto a nessuno di farlo. O almeno, non lo permetto più. Sarebbe come..
Il suono del clacson di una macchina che si è appena accostata davanti a me interrompe il flusso dei miei pensieri.
Il finestrino dei posti di dietro si abbassa ed ecco sbucare il viso perfetto di Robert.
«Sali».
«Buongiorno anche a te, eh» dico, aprendo lo sportello.
Robert si fa da parte per farmi sedere. «Non mi pare che tu mi abbia augurato una buona giornata quando mi hai risposto al telefono».
«Almeno io non sono uno stronzo egocentrico» dico, prima di potermi tappare la bocca con la mano. Ma che diavolo mi prende? Stamattina non ho ancora collegato il cervello con la mia bocca, cosa che mi capita spesso a dire il vero.
Robert mi guarda sbalordito. «Come mi hai chiamato?».
«Non è la prima volta che ti do dello stronzo, non fare tanto l'incredulo».
«Pensavo che non l'avresti più fatto, però».
«Speranza vana. Se tu ti comporti come uno stronzo, io te lo dico».
Robert si solleva un po' dal sedile e si sporge per parlare con il conducente per dirgli di partire. Quando torna a sedersi, non mi guarda.
«Non usare questo linguaggio a casa di mia madre» dice, dopo almeno dieci minuti di assoluto silenzio nei quali ho potuto ammirare lo spettacolo che è New York prima dell'alba.
«Tu le dici le parolacce».
«Kristen», si volta verso di me e mi fulmina con lo sguardo, inchiodandomi sul posto. Non pensavo che uno sguardo potesse fare un effetto del genere ma gli occhi di Robert hanno come un comando diretto con il mio corpo, basta un suo sguardo per pietrificarmi e farmi stare al mio posto. Appena me ne rendo conto ne resto spiazzata, non voglio una cosa del genere fra noi due. «Ti avviso adesso: fai una delle tue scenate a casa di mia madre e sarà l'ultima che farai, ci siamo capiti?».
Mi ritrovo ad annuire senza neanche rendermene conto.
«Bene» dice, rilassandosi visibilmente.
«Mh...».
«Hai dormito bene?» mi chiede, cambiando completamente argomento e anche personalità, adesso è molto più tranquillo e usa un tono di voce sinceramente interessato. Questi suoi cambi d'umore mi mettono a disagio, come se fossi io quella strana.
Annuisco, voltando lo sguardo verso il finestrino.
Cerco di allungare la gonna, adesso sono davvero a disagio.
Questa dannata gonna non vuole scendere, cazzo.
«Vuoi che ti ripeta come si chiama mia madre o te lo ricordi?».
«M-Me lo ricordo», non lo guardo in faccia, se lo facessi so benissimo che crollerei.
«Quello di mio padre e delle mie sorelle?».
Annuisco.
Non so che dire, così resto in silenzio.
Vorrei essere sulla mia moto, libera, con il vento che mi manda i capelli all'indietro. Vorrei non essere in questa macchina, con Robert, con il suo autista personale e con il suo maledetto cattivo umore e il suo fare prepotente che mi fa sentire come una bambina. Non lo sono, sono praticamente un'adulta e sto decidendo cosa fare della mia vita e invece lui mi manda in confusione, basta un leggero cambio del suo tono di voce per farmi entrare in panico, non so più che fare e mi ritrovo ad ubbidire ai suoi odiosi ordini.
«Perché non parli? Sei silenziosa».
Cosa? «Non mi sei sembrato un tipo da "conversazione in macchina"» dico, con un leggero tono seccato. Non voglio parlare con lui, finiremo con il litigare e non sono dell'umore giusto per vincere una discussione.
«Tu non sai molto di me, Kristen, devi ammetterlo».
Il tono in cui lo disse mi fece voltare verso di lui.
Era.. malinconico.
E' vero, non so molto di lui ma perché lui non mi permette di conoscere molto oltre alla bella facciata che si è costruito attorno a se.
Un po' come me.
«E' vero..» dico.
«Si. E' vero».
«Forse.. dovrei cercare di.. ecco, uhm..».
«Non sforzarti troppo per me, Kristen, ti assicuro che non me lo merito», si volta dall'altra parte e adesso è lui a ignorarmi guardando fuori dal finestrino.
Cosa vuol dire che non se lo merita?
«Robert?».
«Si. Si, Kristen?».
«Ti sei offeso per come ti ho chiamato prima?».
Lui ride, ma è una risata quasi più malinconica del tono che ha usato prima. «Hanno usato nomi peggiori per definire la mia persona, stai tranquilla».
Non so che dire, quindi non dico altro finché non arriviamo a destinazione. La macchina si ferma davanti a un enorme cancello nero in ferro battuto alto almeno cinque metri ai cui lati si estendono metri e metri di muro per nascondere cosa si trova al di là del cancello. Vedo John abbassare il finestrino e sporgersi per parlare con qualcuno – sicuramente un microfono collegato con la casa – poi chiude di nuovo il finestrino e il cancello si apre, la macchina riparte.
Al di là del muro c'è un terreno enorme, completamente verde con alberi altissimi e in lontananza si vede una specie di.. direi castello se non sapessi di trovarmi ancora nel ventunesimo secolo. Non posso fare a meno di aggrapparmi al finestrino per non perdermi neanche un centimetro di quello spettacolo.
Sento Robert ridere e solo in quel momento mi rendo conto che probabilmente devo sembrare ridicola, una bambina.
Mi ritraggo dal finestrino, sistemandomi la gonna per la centunesima volta.
«Siamo arrivati», la macchina si ferma davanti all'enorme casa e Robert apre lo sportello e scende poco prima che la porta della "magione" si apra e ne esca una donna correndo sui tacchi. Corre incontro a Robert e lo abbraccia come se non lo vedesse da una vita e lui ricambia l'abbraccio, anche se lei è parecchio più bassa di lui, quasi quanto me. Deve essere sua mamma, la signora Pattinson, Clare.
I due parlano e io non sento niente perché resto in macchina, con il battito cardiaco che lentamente accelera. Sta succedendo davvero, sto davvero per fingere di essere la fidanzata del figlio di quella donna che sembra così felice di rivedere Robert dopo chissà quanto tempo. E io non sono brava a fingere, ma in che cosa mi sto andando a cacciare?
Prendo un lungo respiro e sollevo una mano per aprire lo sportello della macchina ma Robert mi anticipa e lo fa per me, aiutandomi a uscire porgendomi la mano. Quando lo guardo noto che mi sta sorridendo, in un modo che non fa che farmi entrare ancora di più in agitazione.
«Mamma, lei è Kristen» mi presenta, attirandomi a sé e cingendomi la vita con un braccio. Oddio, le sue braccia intorno a me, oddio, oddio, oddio.
Clare sembra sul punto di scoppiare a piangere. «Kristen... Kristen, sono così felice di incontrarti! Così felice!» per un attimo penso che stia per abbracciarmi e invece continua a parlare, «Ma non restate qua fuori, in casa moriamo dalla voglia di conoscere questa bellissima ragazza!» ci sorride e si volta per farci strada dentro casa.
Robert mi stringe il fianco e insieme entriamo dentro.
Ho il cuore che batte a mille.
E se andasse storto qualcosa?
E se non fossi abbastanza brava?
E se mi odiassero?
E se dicessi qualcosa di male senza volerlo?
E se..
E se, se, se, se.
Casa Pattinson vista da dentro sembra ancora più grande. È proprio come l'immaginavo, elegante, in stile un po' vittoriano ma c'è qualcosa nell'aria che si respira all'interno che la rende ancora una casa normale, vissuta.
Clare ci porta in soggiorno – grande come casa mia – dove, sedute sul divano rosso ci aspettano due ragazze giovani, entrambe bionde, entrambe con le gambe accavallate e con gli occhi puntati su un telefonino di ultima generazione. Quando ci sentono entrare una delle ragazze solleva lo sguardo e i suoi occhi azzurri si spalancano. «Rob!» strilla, balzando in piedi.
Robert mi stringe di più a sé. «Ciao, Lizzie».
Lizzie.
Sua sorella, quella più piccola.
Okay, ci sono, posso farcela.
«Oddio», Lizzie si porta le mani al viso e strilla come una bambina.
«Non fare scenate, non mi vedi solo da Natale».
«Oddio, Lizzie.. piantala, ti prego», l'altra sorella – Victoria – si scosta i capelli biondi dal viso e lentamente solleva lo sguardo su di noi. Sorride al fratello e anche a me. «Come ti va, fratellino?», anche lei ha due grandi occhi azzurri, che assomigliano molto a quelli del fratello. Anche Clare è bionda e anche lei ha gli occhi azzurri, deve essere una caratteristica di famiglia. Mi sento a disagio con i miei occhi verdi e i capelli castano-ramato scompigliati in confronto ai loro.
Sento Robert ridere, «Non c'è male».
Lizzie si avvicina di qualche passo e mi scruta con attenzione. «Lei è...?».
Decido che forse è il momento giusto per dire qualcosa, visto che non ho ancora aperto bocca da quando siamo arrivati qua. «Kristen. P-Piacere» mi scosto da Robert e le porgo la mano, la presenza di Robert al mio fianco mi rende terribilmente nervosa.
Lizzie osserva la mano che le sto porgendo e penso che forse sia tipo disgustata da me ma poi mi sento le sue braccia avvolgermi come una piovra, attirandomi un abbraccio fraterno, come se fossimo amiche di vecchia data. «Non hai idea di quanto ho aspettato di poterlo fare ma Rob è un tale disastro con le ragazze, le fa sempre scappare via in lacrime e non ne ha mai portato una in casa anche se ne ho conosciuta qualcuna ma tu non sei neanche lontanamente come ti aspettavo e sei decisamente la più carina di tutte, posso assicurartelo. Scommetto che siete molto innamorati» mi lascia andare e mi sorride complice. Sento le guance andarmi a fuoco.
Sento la voce di Robert che mi viene in soccorso. «Lizzie, lasciala stare, la stai terrorizzando».
Ma lei lo manda al diavolo con un gesto della mano. «Non dire sciocchezze, lei mi adora già. Non è vero?» sfodera un sorriso così simile a quello del fratello che per un attimo resto confusa.
«Uhm..».
«Visto? L'ho lasciata senza parole. Devi sapere che Robert mi adora alla follia, sono la sua sorellina e mi ama ma non mi permette mai di mettermi in mezzo alla sua vita sentimentale.. non che ci sia molto di cui parlare, Robert è, come la chiamano mamma, mamma e i giornali scandalistici più frivoli, "lo scapolo d'oro di New York!"».
Sento Robert sbuffare infastidito.
Non avevo mai fatto caso al suo nome sui giornali scandalistici. È davvero così famoso a New York? Come un attore? Forse no, ma sicuramente molte persone morirebbero per ottenere una sua foto mentre fa qualcosa di inappropriato.
«Oh, davvero?» chiedo, facendo finta di sembrare sorpresa e contenta. In fondo, io dovrei essere la ragazza che l'ha rubato alla massa di ammiratrici sotto casa sua. «Eccome! Ma tu sei molto meglio di qualunque altra ragazza d'alto borgo che mamma avrebbe presentato a Rob durante le feste di Natele. A proposito, vieni a Natale, vero? Devi venire assolutamente! E a Capodanno! Oh, Dio, dobbiamo assolutamente passare il Capodanno con me e le mie amiche.. e Rob, se vuole», lancia uno sguardo scherzoso al fratello, che alza gli occhi al cielo, esasperato.
Per fortuna, in quel momento viene in mio soccorso Clare e un uomo che sembra Robert fra qualche decina d'anni. Richard, suo padre. Stessi occhi di ghiaccio, stesso portamento sicuro di sé, stesso sguardo, stesso portamento. «Chi è questa bella signorina, figliolo?», si avvicina a me e mi porge la mano. Clare, al suo fianco, è tutta un sorriso. «Io sono Richard» si presenta.
Robert allontana impercettibilmente da suo padre, avvicinandomi a lui. Non protesto. Gli occhi di Richard non sono cattivi, ma mettono in soggezione.
«Sono Kristen, piacere..» dico.
«Kristen..?».
Solo dopo un po' capisco che vuole sapere il mio cognome.
«Kristen Stewart» risponde Robert al posto mio.
«Oh, davvero? Fai parte degli Stewart del Texas? Tuo padre è nel petrolio, ragazza mia?».
«Uhm, ecco.. no», inizio ad agitarmi sul posto e Robert se ne accorge.
«La madre di Kristen è una casalinga, papà, ma suo padre lavora fuori città, all'estero», è incredibile come si sia inventato questa cazzata di punto in bianco, e senza neanche mettermi al corrente della bugia che avrebbe raccontato ai suoi genitori sul mio conto.
«Di cosa si occupa esattamente?», Richard ha assunto un tono professionale, come se la conversazione fosse un solo un colloquio di lavoro, il mio.
«Affari, papà. Non entriamo nei dettagli, okay? È una visita di piacere, non di lavoro».
Clare accarezza il braccio del marito, che si volta a guardarla con uno sguardo adorante. «Rob ha ragione, tesoro, è un pranzo domenicale, non bisogna parlare d'affari. Venite, faremo colazione tutti insieme e poi una bella passeggiata in giardino mentre aspettiamo che il pranzo sia pronto».
Clare ci guida tutti in sala da pranzo, degna di un ricevimento di gala. Il tavolo è troppo grande per stare tutti vicini ma Robert sistema la sua sedia vicino alla mia, spostando anche il mio piatto, i miei tre bicchieri e le posate più vicino ai suoi. Sento lo sguardo di Clare e Richard fisso su di me mentre mi siedo e cerco di sembrare più tranquilla di quanto in realtà sono.
«Allora, Kristen... raccontaci qualcosa su di te» disse Clare, mentre una giovane cameriera ci serviva la colazione. Era carina, un paio di anni più di me e indossava una divisa da cameriera con una gonna nera un po' troppo corta e che si stava mangiando Robert con gli occhi. Clare la congedò con un «ora siamo apposto, Shally», lei annuì e uscì dalla stanza ma non senza aver prima sbavato dietro a Robert ancora un altro po'. Dio, una foto sarebbe durata di più, che dici biondina?
«Su di.. me?», che c'era da dire su di me a parte niente?
«Certo, su di te, cara».
Lizzie e Veronica mi guardavano in attesa, Lizzie non stava letteralmente più nella pelle di sapere qualcosa in più su di me, la presunta fidanzata del fratello maggiore.
«Io.. ho..».
«Kristen sta studiando per aiutare il padre, mamma. Devi vedere come è impaziente di iniziare a lavorare, è una ragazza così ambiziosa», mi circonda le spalle con un braccio, attirandomi ancora di più a sé.
Lizzie si lascia scappare un gridolino, io vorrei soltanto morire.
«Studi? Che cosa?» chiede Victoria.
«Ehm... arte» dico, prima che Robert possa inventarsi un'altra bugia.
«Arte..» ripete Richard, osservandomi attentamente, «E come potrai aiutare tuo padre nel mondo degli affari con una laurea in... arte?».
«Suo padre si occupa anche di finanziare alcuni musei» interviene Robert.
Tiro un sospiro di sollievo.
«L'arte è una cosa bellissima!» dice Clare, sorridendomi, «Io ho un sacco di quadri in casa, mi piacerebbe sapere il tuo parere su alcuni».
«Con piacere».
La colazione continua lentamente, Richard e Clare continuano a chiedermi cose su di me e sulla mia famiglia e io faccio fatica a rispondere a tutte le domande ma per fortuna c'è Robert che risponde praticamente sempre al posto mio. La sua presenza, che all'inizio mi dava fastidio e mi metteva a disagio, adesso mi conforta perché so che non permetterebbe mai di farmi fare una figuraccia perché tutta questa sceneggiata serve a lui, non a me. Lizzie è quella che mi conquista subito, fa sopratutto domande di tipo romantico che sono le più facili e posso prendere spunto dai miei libri per addolcire un po' la mia storia con Robert.
«Quindi vi siete conosciuti e vi siete subito innamorati?».
«Io si», Robert mi bacia sulla guancia e mi accarezza un fianco. Dio, le sue mani, come sono calde.. come vorrei che non fosse solo... no. Stiamo camminando nel corridoio, abbiamo appena finito il pranzo e ora Victoria ha avuto l'idea di fare una bella passeggiata in giardino tutti insieme.
«Oddio, Rob! E tu, Kristen?».
«Robert... è un ragazzo così.. premuroso, non avrei mai pensato di conoscere una persona come lui» dico, facendo del mio meglio per sembrare innamorata.





«E' stato un tale piacere conoscerti, Kristen», Clare mi abbraccia, cogliendomi completamente di sorpresa. Mi tiene stretta anche per troppo tempo. Quando si stacca, ha gli occhi lucidi e si affretta a lasciare il posto a suo marito, che mi sorride con un'aria davvero sincera – nelle ultime ore ho scoperto che non è così freddo e professionale come sembra, a parte quando si tratta di parlare con Robert, in quel caso sembra che il loro unico argomento di conversazione sia il lavoro o gli affari. Lizzie mi abbraccia su entrambe le guance e mi fa promette che la chiamerò presto; Victoria mi saluta per ultima, non mi abbraccia, ma le sue parole sono le più sincere della giornata: «Ti auguro di liberarti di mio fratello il più presto possibile, sei troppo in gamba per lui».
Robert mi prende per mano e insieme entriamo in macchina, dove ci aspetta il suo autista che mette subito in moto.
Quando la macchina è ormai lontana da casa di Robert sento una strana sensazione farsi largo. La famiglia di Robert mi piace, è un po' troppo formale per i miei gusti, certo, ma sua madre ama con tutto il suo cuore i suoi figli, Richard ama il suo lavoro e la sua famiglia, Lizzie è piena di vita mentre Victoria è ambiziosa, con i piedi per terra e simpatica, persino spiritosa e allegra nel momento giusto. A parte tutte le bugie che abbiamo detto, ci siamo divertiti. Io almeno, si. Okay, forse divertito non è la persona giusta, sarebbe meglio dire che dopo un paio di ore mi sono sentita abbastanza bene da riuscire a mentire più facilmente ma mentire continua a non piacermi e a mettermi a disagio. Robert invece era nel pieno controllo della situazione come sempre.
«Sei silenziosa».
«Stavo pensando alla tua famiglia..» ammetto, guardandolo. Lui lo sta già facendo, serio.
«Lo so, è terribilmente appiccicosa, ecco perché non passo molto tempo con loro. Amo essere indipendente da tutti loro», il suo tono di voce è così freddo e distaccato che per un attimo mi torna in mente il modo in cui il suo braccio era intorno alle mie spalle mentre pranzavamo, come mi ha tenuto la mano mentre passeggiavamo in giardino e come mi ha baciato sulla tempia mentre rispondevo a Lizzie. Tutte cose finte, eppure potevo sentirlo vicino a me, al contrario di adesso.
«Io li trovo simpatici».
«No, non è vero. Eri nervosa e volevi andartene».
«Come fai a saperlo? Come fai a dire cosa posso provare? Oh Robert.. io penso seriamente che la tua famiglia sia carina, certo.. tuo padre è uno stacanovista ma tua madre è così affettuosa e le tue sorelle sono simpatiche. Non capisco questo tuo odio verso la famiglia», mentre la macchina scorre veloce sento che ho il bisogno di parlare un po' con lui, sul serio, senza fingere. Dopo ore e ore di recita voglio tornare alla realtà.
«Non sono affari tuoi, Kristen».
«Dio, quanto sei stronzo..», mi giro verso il finestrino, mordendomi una pellicina.
Sospira e lo sento sistemarsi meglio sul sedile. «Che cosa ti interessa sapere?».
«Niente..».
«Volevi sapere perché odio così tanto la mia famiglia, giusto? Non la odio».
«Ah no?».
«No. Solo che non mi piace passare tempo in famiglia, è deprimente», adesso è lui a guardare fuori dal finestrino con aria malinconica.
«Dovresti essere felice di avere una famiglia, invece che lamentarti come un bambino viziato. Oh, scusami!, tu sei un bambino viziato, solo un po' cresciuto», "cresciuto bene" vorrei aggiungere ma mi trattengo.
«Pensavo che avessi superato questa parte», sbuffa, evidentemente infastidito.
«Che parte?».
«Quello dove tu non fai altro che insultarmi».
«Se non vuoi che io ti insulti non fare lo stronzo o il presuntuoso, te l'ho già detto».
Lui non dice niente e restiamo in silenzio per il resto del viaggio. Oddio, vorrei rimangiarmi quello che ho appena detto ma non posso, ormai è uscito dalla mia bocca e infondo non è una bugia, lo penso davvero. Robert si lamenta un sacco della sua famiglia ma che ne sa lui? Almeno lui ha una famiglia, una famiglia che gli vuole bene ed è pure unita e si ama.
Il cellulare vibra contro la mia gamba da dentro la borsetta.
Lo tiro fuori; è un numero sconosciuto.
"Possiamo vederci? È urgente. Chuck".
Il cuore prende a battermi all'impazzata.
Oddio.
Oh, cazzo, no. Non può essere.
All'improvviso, la grande, lussuosa e spaziosa macchina di Robert mi sembra troppo piccola e vorrei scappare via.
«Tutto bene? Sei sbiancata..».
No, che non va bene, Robert!
No, ti prego... tengo ancora il cellulare fra le mani e provo a concentrarmi, magari ho letto male o ho confuso il nome. Ma no, è proprio lui. Chuck. Eppure non ci credo, è ancora troppo strano. Da quanto non ci parliamo? Saranno mesi, forse anche un anno, sono troppo sconvolta per pensare con lucidità.
«Kristen?».
La voce di Robert mi riporta alla realtà.
Infilo di nuovo il cellulare nella borsa e cerco di darmi un contegno.
«Tutto okay. Voglio tornare a casa» dico.
«Non hai toccato cibo a cena, pensavo di mangiare qualcosa nel mio appartamento».
«N-No... io.. devo andare a casa, è successa una cosa e.. devo tornare subito a casa mia, per favore» - non mi preoccupo neanche che scopra dove abito, in questo momento è l'ultimo dei miei pensieri e gli dico il mio indirizzo cercando di non balbettare ma è inutile, il solo pensiero di Chuck è bastata per farmi perdere tutto il mio buon senso e anche la mia sanità mentale.
«Cos'è successo?».
«Non.. non sono affari tuoi, cazzo».
Mi afferra per il gomito e mi costringe a girarmi completamente verso di lui, i suoi occhi sono due lastre di ghiaccio. «Dimmi. Cosa. E'. Successo. Adesso!» mi ordina.
«Non sono affari tuoi, Robert!».
«Si, invece! Lavori per me, devi dirmi cosa sta succedendo!».
«Non sono una tua fottuta dipendente! Lasciami andare, subito».
«Chi era al telefono?» mi chiede, freddo, ignorando completamente la mia richiesta e stringendo ancora di più la presa.
«Nessuno».
«Dimmelo».
«Non sono cazzi tuoi, fanculo».
«Lo sono, invece. E adesso dimmi chi era perché altrimenti ti prendo il telefono e lo scopro da me e tranquilla che lo faccio senza problemi» e il suo tono minaccioso è così convincente da spingermi a dirgli la verità, o almeno in parte.
«Una persona che conoscevo...».
«Un tuo ex?».
Annuisco.
Lo vedo irrigidirsi.
«Cosa cazzo vuole da te?», è così strano sentirlo imprecare che quasi scoppio a ridere, o almeno lo farei se non fossi completamente fuori di testa, confusa e indecisa.
«E a te cosa importa?», cerco di sembrare divertita dal modo in cui sta prendendo la questione ma lui non sembra per niente divertito, anzi.
I suoi occhi si fanno ancora più freddi mentre mi lascia andare il braccio e torna a sedersi composto sul suo sedile. «John, portaci al mio appartamento».
«COSA? No! Devo tornare a casa mia!» protesto.
«Non se ne parla, mi spiace».
«Come sarebbe a dire che ti dispiace? No, io devo tornare a casa mia subito! Non puoi impedirmelo! Fammi scendere!» urlo.
«Non ti permetterò di vederlo» dice, serio.
«P-Perché? Sei fuori di testa...».
«Dalla faccia che hai fatto quando hai letto il messaggio presumo che non sia proprio un classico bravo ragazzo e non ti permetterò di stare vicino a un coglione che potrebbe metterti le mani addosso».
«Ti faccio notare che mi hai appena lasciato il braccio, stronzo».
«Non era quello che intendevo».
Ci metto un po' a capire. Sento le guance prendere colore.
«Non sono affari tuoi con chi vado a letto, Pattinson».
«Lo sono eccome».
«Tu sei fuori di testa».
«Mi ringrazierai quando tornerai a pensare lucidamente».
Apro la bocca per dire qualcosa ma la richiudo subito quando sento il cellulare prendere a vibrare nella borsetta. Stavolta però non smette subito ma continua, è una chiamata. Ci metto un po' a capirlo e in quel lasso di tempo Robert si è già allungato verso il mio posto e ha già risposto alla chiamata.





Pov Robert





«Pronto? Chi parla?».
«Robert! No!» - allontano Kristen con una mano, spingendola gentilmente verso la portiera mentre una voce maschile comincia a parlare dall'altro lato del telefono.
«Kristen? Ci sei?».
«Non sono Kristen e tu chi cazzo sei?».
«Non sono cazzi tuoi. Dov'è Kristen? Devo parlarle» - il tono di voce incazzato e la voce impastata mi suggerisce che il ragazzino qua ha bevuto un po'.
«Adesso Kristen è impegnata, dì pure a me».
«No, devo parlare con lei.. cazzo».
«Chi sei?».
«Chiedilo a lei, scommetto che è là vicino a te, quella puttana...» - stringo forte il telefono per reprimere il bisogno di uccidere a cazzotti questa testa di cazzo.
«Non chiamarla in quel modo» ringhio. Noto che Kristen sta ascoltando attentamente la conversazione, fissandomi con gli occhi spalancati.
«E tu chi cazzo sei per dirmi come devo chiamare la mia ragazza?».
«Lei mi ha detto che sei il suo ex, coglione».
«Ti ha mentito, lo sa benissimo anche lei che non possiamo lasciarci» e lo dice con una tale spavalderia che mi verrebbe da ridergli in faccia, ma mi trattengo.
«Ah si? E come mai?» chiedo, ironico.
«Senti, non sono cazzi tuoi, davvero. Quindi adesso passami Kristen».
«Non ti passo proprio nessuno e ti consiglio di smetterla di chiamarla e di sparire dalla sua vita se non vuoi finire in seri guai».
«E tu saresti il nuovo fidanzato?» mi prende in giro, ridacchiando come un coglione.
«Io sono migliore di te, è tutto quello che ti interessa sapere. Buona giornata» - chiudo la chiamata e restituisco il cellulare a Kristen, che continua a fissarmi a bocca aperte e gli occhi sgranati, incredula. Le sorrido e le chiudo il telefono fra le mani, premendo le mie sopra le sue, come a proteggerle. «Se ti chiama o ti manda di nuovo un messaggio, dimmelo subito e me ne occuperò io, va bene?».
«Non avresti dovuto farlo, Robert...» dice, riprendendosi.
«Fidati, so badare a me stesso».
«Non sai chi era.. Chuck è..».
«Si chiama Chuck? Cognome?».
Lei scuote la testa, «Non metterti in mezzo».
«Per ora mi accontenterò di questo, ma se ti chiama un'altra volta dovrai dirmi tutto di lui in modo che possa occuparmene seriamente».
«Perché lo fai?».
«Lavori per me, non voglio che ti succeda niente» - e mentre lo dico sento che è vero, non voglio davvero che le succeda niente. Oggi, per tutto il tempo in cui siamo stati a casa dei miei genitori, ho sentito una specie di alchimia con Kristen, come se tra noi ci fosse un feeling innegabile; mi sento davvero bene con lei e non mi è risultato per niente difficile dover fingere che fosse la mia ragazza visto quanto è bella. Certo, appena siamo usciti è tornata la solita Kristen, quella che mi prende in giro e mi insulta e pensa che io sia solo uno stronzo egocentrico, ma per quelle poche ore è stata gentile, carina e disponibile e mi ritrovo a pensare che forse vorrei vederla in quel modo più spesso.
La voglio.
«Mi tratti come se fossi una tua dipendente, è orribile».
La voglio a casa mia, nel mio letto.
«Solo quando sei a casa dei miei genitori o dobbiamo fingere di stare insieme» - tengo ancora le mie mani sopra le sue, le premo un po' di più e lei arrossisce e mi guarda confusa - «ma quando la commedia finisce mi piacerebbe conoscerti davvero, Kristen; intendo fuori dal 'lavoro', come due persone normali».
Kristen lascia le mie mani come se scottassero, indietreggiando contro lo sportello della macchina, «Cosa vuoi dire?».
«Niente, solo che voglio conoscerti un po' meglio».
«Sai anche troppo su di me, Robert».
«Non so niente su di te».
«E resterà così! È un lavoro, ricordi? Io fingo di essere la tua fidanzata, faccio la carina con i tuoi genitori e le tue sorelle ma quando esco da quella casa io torno a essere una semplice ragazze e tu torni a essere il ragazzino milionario con un impero da gestire e nessuna voglia di corrermi dietro, chiaro?».
Le sue parole mi fanno male. Mi considera davvero così? Tutto quello che ha fatto davanti ai miei genitori era così finto? Sapevo che stava fingendo ma sentirglielo dire è difficile e fa male, anche se non dovrebbe. Bene. Vuole fare la stronza? So essere molto più bravo di lei in questo.
«Come vuoi».
«Bene..».
La macchina si ferma davanti al mio appartamento. Esco dalla macchina senza aspettare che venga Thomas ad aprire il mio sportello e filo dentro fermandomi solo agli ascensori, dove aspetto Kristen. Lei arriva qualche minuto dopo, guardandosi attorno con un'aria spaesata.
Clicco il pulsante per chiamare l'ascensore.
«Potevo benissimo tornare a casa mia» dice, imbronciata. Un tenero broncio.
«Con un ex fuori di testa in giro? Scordatelo. Lavori pur sempre per me e io ci tengo ai miei dipendenti, anche fuori dall'orario lavorativo».
Lei non dice niente e cammina in silenzio dentro l'ascensore quando le porte si aprono davanti a noi.
Il nostro silenzio è interrotto dal suo cellulare che prende a vibrare.
«Dammelo» le ordino.
«No, non..» - le strappo la borsetta di mano senza troppe cerimonie, aprendola e prendendo il cellulare. Di nuovo lo stesso numero di prima.
Ma stavolta è un messaggio – "Sono sotto casa tua e non me ne vado finché non parliamo, esci!".
«Cristo, è peggio di quanto pensassi..».
«C-Che ha scritto?», Kristen cerca di guardare da sopra la mia spalla ma è troppo bassa. Mi infilo il suo cellulare in tasca; le porte dell'ascensore si aprono e io entro dentro, seguito da Kristen che inciampa nei tacchi cercando di stare al mio passo.
«Dimmi cosa c'era scritto!».
«Il tuo ex è un pericolo per te».
«Dammi il mio cellulare, Robert! Adesso!».
«Non posso, devo controllare se ti manda messaggi o chiamate» - mi metto a controllare nel frigo se trovo qualcosa da bere. Per fortuna la donna di servizio è andata a fare la spesa come le ho detto e adesso il mio frigo è colmo di tutti i miei cibi preferiti. Ma adesso ho sete quindi tiro fuori una bottiglia di vino rosso e me ne verso un bicchiere.
«Gradisci?».
Kristen si prende il viso fra le mani per poi tirarsi indietro i capelli, scompigliando la capigliatura fatta per andare a pranzo dai miei.
«Tu sei fuori di testa, tu sei un pazzo squilibrato... e ora dammi il mio telefono!».
«Ti consiglio di abbassare la voce e goderti la serata, ti terrò qui finché non avrò mandato qualcuno a casa tua per controllare che il tuo ex sia andato via».
«Ma che cazzo te ne fotte a te? Me lo spieghi? Sul serio, non sono affari tuoi, Robert! Sto dicendo sul serio, voglio tornare a casa mia, ho sonno, voglio farmi una doccia e andarmene a dormire e dimenticarmi di tutta questa giornata il più in fretta possibile..».
Non voglio che dimentichi il tempo che hai passato con me.
Ma quel pensiero è troppo intimo, troppo sentimentale per i miei gusti.
Non sono quel genere di persona, non lo sono mai stato.
Nessuna delle mie 'fidanzate' mi ha mai definito un tipo romantico o premuroso, più che altro elogiavano il sesso che facevamo e la mia carta di credito. Ma a Kristen non interessa niente di tutto questo, anche perché non l'ho neanche mai baciata – non ancora, cazzo – anche perché me l'ha proibito.
«Se vuoi farti una doccia puoi farla qui e puoi usare la camera degli ospiti se hai sonno» dico, dandole le spalle e prendendo un sorso del mio vino. Devo darmi una calmata, questa ragazzina sta prendendo anche troppo del mio tempo e della mia pazienza.
«Voglio stare a casa mia..».
«Questa casa costa più della tua, cazzo!» urlo, esasperato. Perché vuole scappare via? Che ho che non va? Posso offrirgli il mondo, porca troia. «Puoi fare il bagno che desideri e stare in doccia anche due ore, se vuoi e dormire in un letto con un cuscino in piume d'oca e tu vuoi tornare a casa tua? Dimmi che stai scherzando, per favore. Non capisci che sto solo cercando di assicurarmi che tu non finisca nei guai con il tuo ex? Lavori per me, cosa succederebbe se tu finissi in ospedale? Cosa dico a mia madre?», e non voglio che lui si avvicini a te.
«Smettila!», si avvicina a me e mi strappa di mano il mio bicchiere, cogliendomi alla sprovvista, «Smettila di comportarti come se fosse colpa mia, come se fossi io a dirti di prenderci cura di me.. che poi tu non ti prendi cura di me, tu ti prendi cura di una tua dipendente, ma io non sono niente di tutto ciò! Mi sono stancata! Non trattarmi come se io fossi una cazzo di scema che ha bisogno di essere guidata ovunque, io so prendermi cura di me benissimo anche da sola. E sopratutto», mi punta un dito contro, guardandomi con una tale rabbia negli occhi che non riesco a fare altro che ascoltarla mentre parla senza ribattere o difendermi, «smettila di avere quei tuoi maledettissimi sbalzi d'umore perché mi stai mandando al manicomio!».
Bum.
E niente, il mio autocontrollo crolla.
La vicinanza di Kristen mi manda fuori di testa.
E sarà il suo odore, il suo profumo di vaniglia e fragole, il fatto che indossi ancora l'abito che aveva per pranzare dai miei, i ricordi di come era morbida e bella fra le mie braccia anche se solo per finta, ma io non ce la faccio più e crollo.
Le stringo i fianchi con forza, attirandola a me.
«C-Cosa stai facendo?» mi guarda, accigliata.
«Secondo te cosa fa venire i miei 'maledettissimi sbalzi d'umore'?» - le accarezzo i fianchi e la premo contro il mio petto, si adatta perfettamente - «Sei tu, bellezza. Sei tu che mi stai mandando al manicomio. Te, la tua lingua biforcuta, le tue parolacce, il modo in cui mi fai impazzire e come riesci a tenermi testa.. sei tu, da quando ti conosco, sei sempre e solo tu...».
«No, io..».
Premo con forza le mie labbra contro le sue.
Ci metto un po' a ricambiare il bacio e mentre le sue labbra si adattano perfettamente alle mie, come due pezzi mancanti che si ritrovano dopo troppo tempo, le cingo la vita con un braccio e senza staccarla da me la porto verso il corridoio e poi nella mia camera da letto.
«Tutto questo non va bene..» sussurra contro le mie labbra, ha il viso arrossato ma non sembra dispiaciuta.
«Va bene eccome, voglio baciarti da quando ti ho vista.. e non solo», la faccio girare e la stendo sul letto senza smettere di baciarla.
Kristen inizia a ricambiare sul serio il bacio, affondando le mani fra i miei capelli avvicinandomi di più a lei, alle sue labbra. Come se io non volessi fare lo stesso, come se finalmente mi sentissi davvero bene, me stesso.
Con un calcio, mi sbarazzo delle scarpe e lei fa lo stesso. Mi stacco da lei e mi alzo, alzandomi in piedi e osservandola mentre è distesa sul mio letto.
«Che stai facendo..?», è arrossita e sembra nervosa.
«Ti osservo, avevo ragione».
«Su.. cosa?».
«Sei la donna più bella che io abbia mai incontrato e sai cosa ti rende ancora più bella? Il fatto che tu sia distesa sul mio letto» - mi tolgo le scarpe e inizio a slacciarmi i pantaloni togliendomi la cintura. Mi piego sul letto e premo di nuovo le labbra sulle sue, cominciando a sbottonarle la camicetta.
«Rob.. Rob, aspetta» appoggia le mani sul mio petto, allontanandomi.
«Cosa? Dimmi..».
«Non so, uhm, non se.. è la cosa giusta?» mi guarda, confusa e forse anche un po' spaventata.
«Perché non dovrebbe? Ti voglio, adesso», riprendo a sbottonarle la camicia ma lei mi ferma di nuovo, bloccandomi le mani e portandole sul suo viso.
«Lavoro per te, ricordi? Questo.. complicherà solo le cose».
«Sesso e lavoro possono essere divisi, piccola», cerco di farle il mio sorriso sexy più convincente ma lei sembra solo ancora più convinta del contrario. La vedo ritrarsi, quasi spaventata; lascia andare le mie mani, che cadono ai lati del suo viso.
«Non sono quel genere di ragazza...».
«Puoi diventarlo», mi pento un secondo dopo di averlo detto.
«Che.. schifo. Oddio, togliti di dosso!» cerca di spingermi via ma io resto fermo sopra di lei.
«Kristen, scusa, non volevo dire quello.. è solo che voglio questo da quando ti ho vista. Dico sul serio: lavoro e sesso possono essere divisi, non perderai il lavoro e continuerò a pagarti, okay?».
«No!».
«Qual'è il problema? Mi vuoi, lo so».
Arrossisce e lì capisco che ho ragione.
Oh Dio, avevo ragione, dietro tutta la sua spavalderia e la sua lingua biforcuta c'è una ragazza, con dei bisogni che posso soddisfare se mi gioco bene le mie carte.
«Te l'ho detto, non sono quel genere di ragazza, Robert..».
«Avanti, Kristen..» - le bacio il collo, lasciandole una scia di baci dalla spalla fino alla mandibola. La posso sentire chiaramente rilassarsi sotto i miei baci - «Lasciati andare».
«No..» - ma non convinta neanche lei.
«Si» - continua a baciarla fino ad arrivare alle sue labbra - «Si, che puoi».
Affonda di più nel letto, piegando le gambe. «Sei il peggior stronzo che io abbia mai incontrato», ha un sorriso malizioso in volto.
«E tu sei meravigliosa, la più bella di tutte», finisco di sbottonarle la camicetta, lasciandola aperta su un reggiseno in pizzo nero che non deve sicuramente essere stato una sua scelta ma che le sta d'incanto. Sorriso e inizio a baciare ogni centimetro di pelle libera mentre lei torna a immergere le mani fra i miei capelli.
Mi sfilo la camicia e faccio lo stesso con la sua.
Resta solo la gonna a vita alta e i miei pantaloni.
Traccio una linea sulla sua pancia piatta, morbida e calda con il dito e la sento rabbrividire.
Le metto una mano dietro la nuca, sollevandola un po'. La bacio e con le mani mi occupo di liberarmi del reggiseno. Lei si appiattisce contro il mio petto, come per proteggersi dalla mia vista e procurandomi una bellissima sensazione di pelle contro pelle. Allora anche tu hai vergogna e timidezza, piccola furbetta. Gioca con i miei capelli mentre le sbottono i bottoni sul davanti della gonna. «Su il sedere, piccola, liberiamoci di questo affare» le sussurro all'orecchio e lei, dopo un attimo di esitazione, fa come le dico e anche la gonna va a finire insieme alle nostre camicie, sul pavimento in legno della mia camera da letto. Kristen si siede sulle mie ginocchia, appoggiando le mani sui bottoni dei miei pantaloni. Solleva il viso e guarda il mio, sorridendo timida.
«Fai pure, bellezza» la incoraggio.
Lei annuisce e inizia a sfilarmi i jeans e io l'aiuto.
Finalmente libero, mi sdraio di nuovo sopra di lei.
Kristen si morde il labbro, nervosa, mentre io non potrei essere più felice. Amo avere la situazione sotto il mio controllo, lei non ha idea di quanto io abbia aspettato per questo, è da quando l'ho vista la prima volta che lo voglio. La bacio e sento che anche lei ha bisogno di me quando io ho bisogno di lei e me ne accorgo ancora di più quando la mia mano scende in mezzo alle sue gambe e la sento gemere. Mi avvicino al suo orecchio, «Non trattenerti, non farlo» - Kristen è completamente presa dalla situazione e noto la sorpresa nel suo gemito quando infilo due dita sotto il tessuto in pizzo. Si contorce sotto il mio tocco, aggrappandosi prima al lenzuolo ai suoi lati e poi alle mie braccia, appoggiando il viso contro il mio bicipite, cercando di nascondere i suoi deliziosi gemiti.
«Non farlo».
«Robert... ti prego, uhm, Rob..».
«Non trattenerti, piccola».
Quando capisco che è pronta, mi sfilo i boxer e faccio fuori anche le mutandine in pizzo di Kristen, che è ancora presa da quello che le mie dita le hanno procurato pochi secondi fa.
«Rob..».
«Ti voglio».
«Non sono ancora convinta che sia una buona idea...».
Porto di nuovo la mia mano in mezzo alle sue gambe, accarezzandola piano. «Il tuo corpo non è della tua stessa idea».
«S-Smettila.. uhm», si morde di nuovo il labbro, forte.
«Lasciati andare.. non pensare».
«Non è facile».
«Ti aiuto io», tolgo la mano e mi posiziono in mezzo alle sue gambe.  Lei  intreccia le gambe dietro la mia schiena e io non mi trattengo dall'accarezzarle una gamba. 
«Rob...».

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Il modo in cui pronuncia il mio nome è la goccia che fa traboccare il vaso e non posso aspettare un istante di più. Affondo dentro di lei come se fosse una questione di vita e di morte. Kristen affonda ancora di più nel letto per poi sollevare il bacino per venirmi incontro, aggrappandosi alla mia schiena mentre prendo ritmo.
«No.. no, Rob, per favore».
Accelero, completamente preso dalla situazione.
Veloce, veloce, veloce, sempre di più.
«Rob.. no, p-per favore.. Rob!» - la voce tremante e spaventata di Kristen mi fa tornare in me.
«C-Cosa...?».
«Non.. veloce. Non così.. forte. Per favore» mi prega, guardandomi negli occhi.
Occhi spaventati.
Pieni di brutti ricordi.
Mi ritrovo ad annuire, accarezzandole il viso con le nocche.
Lentamente, riprendo, più dolce, meno veloce.
Osservo attentamente il suo viso finché non vedo l'ansia e la paura sparire e venire sostituite dal piacere.
«Così..?» le chiedo.
«Si.. si, così. Rob, Rob, Rob..».
«Dio, tu non sai quanto sei meravigliosa».
«Rob.. sei.. sei bellissimo..», mi accarezza il viso, come nessuna donna ha mai fatto mentre facevamo sesso, in modo dolce, premuroso, un genere di attenzione che mi spaventa e mi mette in soggezione, «si.. Rob, grazie..» - chiude gli occhi e si lascia andare, tremando sotto di me e io la raggiungo poco dopo, crollandole sopra.
Cerco di non pesarle troppo, ma sono sfinito.
La sento respirare contro il mio colle, le sue mani ancora premute sulla mia schiena, si muovono agitate, dalle spalle ai capelli, alla schiena, alla vita, al mio viso.
Quando riprendo le forte, mi sdraio sul un lato, cercando di respirare bene.
«Non mi sono mai sentito tanto bene, cazzo».
Kristen gira il viso verso di me, ha i capelli scompigliati, il viso arrossato, le labbra gonfie per i baci, ma i suoi occhi sono limpidi. «E' stato bello» dice, arrossendo ancora di più; si avvicina e fa per appoggiare il viso contro il mio petto ma io mi scosto.
Non ho mai permesso una cosa del genere.
Non dormo con le donne con cui faccio sesso.
Persino con la mia ultima fidanzata appena finito ognuno stava dal suo lato.
Non sono mai stato bravo a coccolare una donna.
So soddisfarla dal lato fisico, ma da quello sentimentale non ho neanche mai provato.
«Oh...» - il suo sorriso muore mentre lei si solleva, afferrando il lenzuolo per coprirsi il petto.
«Ehi, è stato bellissimo» dico, per rassicurarla.
«Mh, si...».
«Puoi dormire nel mio letto, con me, ma.. non sono per quel genere di cose, bellezza».
«Quali.. cose?».
«Sai.. coccole, baci e carezze post-sesso. Non fanno per me».
Kristen si stringe il lenzuolo al petto ancora di più e noto i suoi occhi farsi lucidi. Oh, merda. «O-Okay... allora..», si guarda intorno, confusa, come se vedesse la stanza per la prima volta e infatti è così. «Io vado a farmi una doccia...», si solleva e usa il lenzuolo come una tunica greca per coprirsi, improvvisamente timida.
Sembra così.. triste.
Forse ha ragione a chiamarmi stronzo.
Io so di esserlo, solo che prima non mi aveva mai creato problemi.
Ma adesso, con Kristen che cammina inciampando nel mio lenzuolo per andare a farsi una doccia dopo aver fatto sesso con me, mi sento davvero uno stronzo ad averle negato così sfacciatamente un po' di coccole.
«Kristen?».
Lei si gira e vedo la speranza nei suoi occhi.
Non trattarla di merda.
Non trattarla di merda.
NON.TRATTARLA.DI.MERDA.
«Hai un culo favoloso, lo sai?».
Il suo sguardo speranzoso muore come il suo sorriso poco fa.
«Grazie..... vado a farmi la doccia, ciao» e corre via in bagno, sento la porta sbattere con forza.






Pov Kristen






Appena la porta del bagno si chiude lascio andare le lacrime, che iniziano a rigarmi lentamente il viso. Sono lacrima di rabbia, frustrazione, verso lui, verso me. Perché mi sono lasciata trascinare in questa cosa? È la stessa domanda, sempre la stessa da quando l'ho incontrato e ancora non ho una risposta. E adesso ci sono pure finita a letto. E, Dio, è stato il miglior sesso della mia vita ma è iniziato nel peggiore dei modi ed è pure finito nello stesso modo. Era troppo brusco all'inizio, era come se io non ci fossi neanche, era concentrato solo su se stesso; e non mi sono neanche goduta bene il momento successivo, non un abbraccio, un bacio, un gesto d'affetto. Come se fossi solo un oggetto da usare e poi buttare. 'Ma puoi dormire nel letto con me, eh', ma vaffanculo. Vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo, Pattinson.
Mi asciugo le lacrime, che hanno completamente rovinato il trucco.
Mi infilo dentro la doccia e ci resto una vita, continuando a pensare alle mani di Robert su di me, a come mi sono lasciata andare così facilmente fra le sue braccia. È bravo, non posso negarlo, ma è un grandissimo stronzo.
Quando esco dalla doccia controllo davanti allo specchio che non si noti che ho pianto, mi infilo un accappatoio e apro la porta del bagno. Robert indossa un paio di pantaloni della tuta, mi da le spalle e sta parlando al telefono, sembra teso. «Non mi importa, lo voglio lontano da quella casa, subito» - si infila una mano in tasca e guarda dritto davanti a sé, la schiena dritta, le spalle contratte - «Fai quello che ti ho detto. Tienimi aggiornato», si gira e mi vede, un sorriso malizioso si allarga sulle sue labbra, «Già fatto?» chiede, ironico.
«Avevo bisogno di una doccia».
«L'ho notato».
«E di vestiti puliti».
«Me ne sono già preoccupato», va verso l'armadio, lo apre e tira fuori una maglietta bianca larga e un paio di boxer da maschio. Me li lancia. «Ecco. È roba mia, spero che non ti dispiaccia».
«Chi era al telefono?» - vado in bagno e socchiudo la porta per sentire la risposta.
«Potevi anche cambiarti davanti a me, eh. Comunque, mi sono occupato di mandare qualcuno a controllare casa tua».
Giusto, gli ho dato il mio indirizzo. Che idiota.
«Non avresti dovuto..».
«Oh, ti prego. Il tuo ex è uno squilibrato».
Mi siedo sul bordo della vasca. Chuck. Oh, no, chissà cosa avrà pensato quando Robert ha risposto al mio telefono. «Che.. che ti ha detto?».
«Voleva parlare con te, ovvio».
«Non ti ha detto il motivo?».
«No, era troppo ubriaco».
Oh, no.
Chuck ubriaco non è mai una buona cosa.
Istintivamente, mi tocco il viso.
Quante sere passate a cercare di calmarlo, chiedendogli per favore di sedersi e ricevendo spintoni e schiaffi in cambio.
«Quella persona.. che hai mandato a controllarlo.. che ti ha detto?».
«Che era sotto casa tua, aspettandoti. Ubriaco fradicio e con una bottiglia mezza vuota in mano. Gli ho detto di trascinarlo alla centrale di polizia».
«Cosa? No! Sei pazzo?», esco dal bagno, furiosa.
Robert osserva attentamente le mie gambe prima di rispondere. «E' quello che si merita, o preferivi scopare con lui stasera?».
E' come se anche lui mi avesse dato uno schiaffo in piena faccia.
Senza pensarci, afferro il mio telefono appoggiato al comodino e glielo lancio contro ma lui lo afferra al volo. «Sei il peggior figlio di puttana che io abbia mai incontrato, Robert Pattinson!».
Per un secondo penso che abbia capito il suo errore, ma un attimo dopo ha appoggiato di nuovo il mio telefono sul letto e mi sta sorridendo. «Poco fa, non dicevi così».
Arrossisco. «Sei uno stronzo, cazzo. Dio, voglio andarmene! Subito!».
«Non penso proprio. Devi stare da me, ricordi?».
«Ma non ci penso proprio! Fammi andare via, Robert, adesso».
«Non finché Harry non mi avrà richiamato per dirmi che il tuo ex è in prigione. Nel frattempo, tu rimani qua con me».
«Tu sei pazzo».
«Te l'ho già detto, di te, bambolina».
Cazzo, no.
Quel nome, no.
Mi lancio contro di lui cogliendolo di sorpresa.
Andiamo a sbattere contro il muro e lo sento gemere di dolore quando la sua schiena nuda si scontra contro il duro muro.
Inizio a colpirlo con forza sul petto, agitando le gambe sperando di beccarlo nel punto giusto ma Robert mi precede e mi afferra i polsi, invertendo le posizioni.
Mi schiaccia contro il muro, le sue mani stringono i miei polsi e li sollevano sopra la mia testa, rendendomi terribilmente vulnerabile.
«Che caratterino..».
«Non di merda come il tuo, però».
«Di nuovo mi insulti, Kristen? Anche dopo che abbiamo scopato?».
«Smettila di usare quella parola! È come se fossi un oggetto, cazzo, e non lo sono».
Allenta la presa, vedo confusione nei suoi occhi di ghiaccio. «No.. certo che non lo sei...».
«E allora lasciami andare!».
«Non posso permetterti di tornare a casa, non con il tuo ex che potrebbe farti dal male così facilmente...».
«So difendermi benissimo da sola».
Lui lancia uno sguardo ironico alla nostra posizione, al modo in cui mi ha completamente in suo controllo. «Oh si, lo vedo come sai difenderti».
«Fottiti, Pattinson».
Robert torna a stringere la presa e spinge il suo bacino contro il mio, facendomi arrossire come non vorrei. «Con te? Mh, si».
«E io che credevo che fossi un cazzo di figlio di papà perfettino, tu sei m-a-l-a-t-o».
«Ti voglio di nuovo.. resta con me stanotte» - china la testa e prende a baciarmi il collo, spingendo di nuovo il bacino contro di me, premendo con forza e mordendo piano la pelle. Oh, si.. provo a ribellarmi ma so già in partenza che non è quello che voglio veramente. Quello che voglio è lasciarmi andare ma ho troppa paura di soffrire, perché io non sono quel genere di ragazza che va a letto con chiunque, l'ho fatto solo con Chuck e anche quando lui andava a letto con altre tremila ragazze io mi ritrovavo in camera mia, aspettando che tornasse. Perché non volevo conoscere nessuno, non volevo soffrire, non volevo rischiare. Mi ero già rovinata la vita con Chuck, rischiare di nuovo era da stupidi. E adesso che finalmente Chuck non poteva più controllarmi – o almeno lo speravo – avevo ancora difficoltà a lasciarmi andare con un uomo.
«N-Non.. v-voglio..».
«Si che lo vuoi..», mi bacia, rendendo il bacio più profondo ogni secondo che passa.
Mi lascia andare le braccia e poggia le sue mani sulla mia vita, sollevando la maglietta e accarezzandomi i fianchi.
Sento le gambe cedere.
«Vieni a letto con me..», me lo sta chiedendo?
«Sei uno stronzo...».
«Ma lo vuoi. Sono uno stronzo, ma vuoi venire a letto con me, ammettilo».
«Robert...» - mi pizzica il fianco e io urlo.
«Almeno quando ti sto baciando, lascia perdere 'Robert'. Sono Rob, per te.. solo Rob per te, Kristen.. non ci separa niente quando sei fra le mie braccia» - e come per enfatizzare le sue parole mi conduce verso il letto e mi fa sdraiare sotto di lui, schiacciandomi senza però farmi male. «Mi dispiace per come ti ho trattata prima, ma io non faccio quelle cose. Non le faccio, mai. Con nessuna. Mai. Ma voglio fare sesso con te, lo voglio in un modo disperato che non mi era mai capitato prima con nessuna... lo vuoi anche tu?».
Si.
Si, cazzo.
Lo voglio ma non posso.
Come posso fare sesso con te quando so per certo che dopo starò una merda?
Non voglio una cosa del genere.
Voglio ricominciare da capo.
Dopo Chuck, speravo di trovare qualcuno.
Qualcuno da amare.
E da cui sarei stata amata.
E invece mi trovo.. questo?
Mi vengono gli occhi lucidi.
«Dimmi che lo vuoi anche tu, Kristen», strofina il suo viso sul mio collo, sollevandomi la maglietta con una mano.
Spingo con forza il viso dall'altra parte.
Robert lo scambia come un permesso e inizia a baciarmi il collo.
I suoi baci sono i migliori del mondo.
Sono passionali ma anche dolci, alcune volte persino premurosi.
Le sue mani sono esperte, sanno dove andare e sono attente.
Ma non hanno amore.
Non c'è sentimento.
Mi sento vuota.
L'amore non dovrebbe riempirti?
Provo a spingerlo via con le mani ma sono debole, non voglio mandarlo davvero via.
«Tienimi compagnia, Kristen».
«Tu sei pazzo...».
«Continui a ripeterlo, ma sei ancora qua».
«Robert...».
«No» - mi morde forte il collo.
«Rob.. per favore».
«Così va meglio, piccola».
«Non sono la tua piccola, cazzo».
«Chi lo dice?» - mi accarezza il viso, un gesto dolcissimo che mi fa sperare.
«I-io..».
Robert continua ad accarezzarmi il viso, guardandomi dritto negli occhi.
«Vieni a letto con me».
«Rob..».
«Non cambierà niente, te lo prometto».
E' questo il problema.
Come puoi non capirlo?
«Avanti, Kristen..».
«Non lo so...».
«Si che lo sai.. lo vuoi, Kristen. Mi vuoi anche tu come io voglio te».
«Mh..» - la sua mano scende sul mio stomaco e gioca con il bordo dei boxer che mi ha dato.
«Vuoi..?».
«Rob...».
«Si?».
«Si...».



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*corre a nascondersi dall'imbarazzo*
oddio, scusatemi.
Per tante cose.
Allora, la prima è:
  • scusatemi se questo capitolo è arrivato leggermente in ritardo.
  • Scusatemi se è pieno di parolacce
  • scusatemi se ci sono troppe scene di sesso (devo scusarmi?)
  • scusatemi se vi sembra affrettato, ma ho dovuto, la storia è così
  • scusatemi ancora per il ritardo
  • scusatemi per.. boh, qualunque cosa non vi sia piaciuta
    in realtà, il capitolo sarebbe dovuto essere diverso ma mi è venuta in mente questa... cosa e ho dovuto scriverla, quindi.. non so,
  • spero vi piaccia.
A me piaciucchia, ecco.
Più o meno.
Mh, vi sto annoiando.
Allora, grazie ancora per leggere questa cosa.
Per favore, recensite perché voglio sapere cosa ne pensate.
La storia continuerà più o meno in questo modo,
con colpi di scena ecc ecc ovvio, ma ci saranno anche
scene con robert e kristen che... uhm, avete capito.
Oddio, le ho scritte malissimo, lo so, ma ho fatto del mio meglio.
Ditemelo se sono volgari.
Buona pasqua in ritardo, baci!
Vi voglio bene,
alla prossima.


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