do me a favor. di Mils (/viewuser.php?uid=131999)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** i want you. ***
Capitolo 2: *** money is the anthem of success ***
Capitolo 3: *** you asshole. ***
Capitolo 1 *** i want you. ***
50
Pov
Kristen
Quando
ero piccola mia madre mi diceva sempre “un giorno troverai
qualcuno
che ti ama e avrai una casa, una famiglia, dei bambini e una vita
felice come me e papà” e poi abbracciava
papà e lui
le baciava la guancia e io me ne stavo lì, seduta sul divano
pensando “si, un giorno succederà anche a
me”, e mi
immaginavo già la mia vita perfetta, la mia famiglia
perfetta,
i miei bambini – specialmente una bambina con i miei occhi e
i miei
capelli – tutto era perfetto esattamente come diceva mia
madre e io
ci credevo, perché quando hai dieci anni e tua madre ti dice
una cosa tu ci credi, ovvio.
Be',
era una cazzata.
Era
tutto una terribile cazzata, e io ci ho pure creduto.
Che
fessa che ero.
Perché
adesso ho quasi diciannove anni e non ho più una famiglia,
non ho
nessuno che mi ami e l'idea di una vita felice e di bambini non mi
sembra neanche un po' vera ormai.
Ma
infondo, chi vuole una famiglia?
Le
famiglie rompono soltanto.
“Fai
questo, fai quello, non fare così, non dire
così”.
Non
lo sopporto.
Non
sopporto le persone che mi comandano.
Io
vivo per me, non di certo per gli altri. E vivo in una casa
bellissima. Be', forse non è proprio bellissima, e forse non
è
neanche una vera è propria casa, ma è mia,
è completamente mia ed è l'unico posto al mondo
che
considero un rifugio, un posto dove posso essere completamente me
stessa, senza che nessuno abbia da dire qualcosa a riguardo. L'ho
trovata quasi un anno fa', ci viveva una vecchietta simpatica che
purtroppo ha dovuto trasferirsi in una casa per anziani e visto che
non era in buoni rapporti con i nipoti ha voluta lasciarla a me a
patto che la tenessi in buone condizioni. Quindi passo la maggior
parte del mio tempo a casa pulendo e cercando di renderla il
più
carina possibile. In realtà non è una vera e
propria
casa, è una soffitta. Una soffitta con bagno, ma pur sempre
una soffitta con un tetto basso e formata a malapena da due stanze.
Cucina, soggiorno e camera da letto sono divise dal bagno da una
porta mentre niente le separa fra di loro.
In
casa ci sta un vecchio divano verde, soffice e comodo, un tappeto
rosso, un tavolino mezzo rotto in legno, una cucina formata da un
vecchio forno e mobili comprati a poco a una svendita; tutto quello
che c'è in casa è vecchio ma tenuto bene, o
almeno ci
provo. Il letto è in un angolo. Non è un letto,
okay...
sono due materassi, ricoperti di cuscini soffici – be',
almeno –
e una coperta fatta a mano che mi ha regalato la vecchia signora che
abitava qui prima.
Si
chiamava Mary ed era una brava signora, di quelle che ti preparano il
thé e si siedono con te a tavola per offrirti qualche
biscottino e chiederti la storia della tua vita. Io, la storia della
mia vita, non gliel'ho mai detta ma qualche biscottino l'ho accettato
molto volentieri, erano buonissimi. Oltre alla coperta mi ha lasciato
anche un'altra cosa, che in questo momento sta dormendo sdraiato sul
divano di casa, ronfando come solo lui sa fare.
Mr
Bowie è un vecchio persiano grigio che non sopporta le
persone.
Sopporta
a malapena me, a dire il vero.
Ma
il nostro è un rapporto meraviglioso: io do da mangiare a
lui
e in cambio lui mi tiene compagnia per casa gironzolando e non
facendomi sentire proprio completamente sola. Non so perché
Mary l'abbia chiamato così ma ho pensato che non sarebbe
stato
giusto cambiarli nome, era già troppo che dovesse abituarsi
a
me, cosa non semplice. Mi sopporto a malapena da sola io stessa,
quindi.
Lo
osservo mentre dorme beato e apro le porte del piccolo armadio che
c'è vicino al letto e tiro fuori un paio di
jeans
e una maglietta puliti, nel frattempo Mr Bowie si è
svegliato
e mi fissa seduto sul divano, con quella sua aria da “capo di
casa”
che, in un certo senso, mi piace. È come avere un ragazzo in
casa, solo che basta urlare un po' per zittirlo per il resto della
giornata. Cosa che con un ragazzo non puoi fare, quelli rompono e
basta, pretendono e chiedono, senza mai dare niente in cambio.
Scaccio
i brutti pensieri dalla testa e mi vesto in fretta.
Mi
faccio una coda in fretta e mi metto il giacchino in pelle nera,
afferro le chiavi di casa e controllo che Mr Bowie abbia la ciotola
dell'acqua piena prima di uscire di casa.
Parcheggiato
davanti a casa c'è la mia moto, un piccolo regalo che mi
sono
fatta in questi anni. Diciamo che è l'unico
regalo che io mi sia mai fatta, visto che devo stare molto attenta a
tutto ciò che compro, dato che non navigo proprio nell'oro.
Salgo
in sella e sfreccio per la città finché non
arrivo al
ristorante dove lavoro, una vecchia tavola calda in cui lavoro da
qualche mese. Il proprietario, un vecchio bisbetico di cui non mi
ricordo mai il nome visto che si fa' vedere si e no cinque minuti in
tutto e il resto del tempo lo passa nel ripostiglio delle scope con
le altre cameriere o con le sue “amichette”, mi
dice di
affrettarmi ad andare a cambiarmi perché sono già
in
ritardo.
Corro
al mio armadietto e prendo la mia divisa: gonna fino al ginocchio blu
e camicetta bianca che chiudo fino all'ultimo bottone – non
che
abbia molto da mostrare ma mi dà fastidio non farlo con la
gente che viene al locale e il suo proprietario.
La
giornata scorre tranquilla, per fortuna Bob – ecco come cazzo
si
chiama – non c'è praticamente tutta la sera e
servo ai
tavoli senza nessun intoppo. Anche quando ormai sono le dieci non
c'è
neanche un ubriaco in sala ma solo qualche famiglia con i bambini.
Adoro servire alle famiglie, mi piace vedere come la mamma si occupa
dei bambini che giocano a tavola, urlano, ridono e sembrano
così
spensierati, mi piace servirli anche se ogni tanto mi si forma un
buco alla stomaco e un forte senso di nostalgia mi colpisce come un
pugno.
Proprio
quando il mio turno sta per finire ecco che sento la porta del locale
aprirsi e un gruppo di ragazzi un po' più grandi di me entra
facendo un casino pazzesco, come è tipico dei ragazzi. Ma
non
sembrano un gruppo di ragazzi normali, non sembrano il tipico gruppo
di adolescenti che si preparano a una serata in discoteca, sono tutti
vestiti con abiti costosi, perfettamente pettinati e sono molto
eleganti, alcuni hanno persino una ventiquattrore alla mano. Uno di
loro si volta verso di me e per poco non mi cedono le ginocchia, ha
gli occhi azzurri più belli che io abbia mai visto e stanno
guardando me.
Cerco
di tornare in me e in meno di un secondo ho già lasciato
scivolare una maschera sopra il mio viso.
Pov
Robert
Perché
gli amici devono sempre trascinarti in giro per locali quando invece
tu vorresti solo tornare nel tuo appartamento, farti un lungo bagno
nella vasca idromassaggio e chiedere al tuo cuoco di cucinarti il tuo
piatto preferito? Non ho voglia di ubriacarmi, non stasera almeno. Di
solito sono il primo a volermi prendere una bella sbornia ma oggi ho
avuto una giornata particolarmente difficile e sono stanco morto,
sono sveglio dalle sei e sto morendo di fame visto che non ho
mangiato praticamente niente tutto il giorno. Ho fame, non sete,
chiaro? Ma quando Harry inizia a insistere non c'è niente
che
riesca a fermarlo, insiste finché tu non dici di si e allora
ti trascina per locali come se non ci fosse un domani. Questo
è
il secondo locale e sono solo le dieci e mezza di sera, non voglio
immaginarmi il resta della serata.
Quando
entro nel locale però, trovo una piacevole sorpresa ad
aspettarmi.
Una
ragazza qualche anno più giovane di me, con indosso una
gonna
al ginocchio e due gambe che attirano subito la mia attenzione,
perché sono bellissime, bianche come la neve e sembrano non
finire più anche se lei è parecchio
più
bassa di me. Appena alzo lo sguardo però, vedo qualcosa che
mi
colpisce ancora di più. Ha gli occhi verdi più
belli
del mondo. E non ha neanche un filo di trucco quindi è tutto
naturale, nessun mascara allunga ciglia o chissà che altro.
Ma
lei mi guarda solo per un istante, poi torna al suo lavoro.
Peccato.
«Ehi,
Pattinson», Harry richiama la mia attenzione facendomi
sventolare una mano davanti al viso.
«Mh».
«Sei
già fuso? Pensavo reggessi di più».
«Fottiti,
Harry. Stavo pensando ad altro», lui guarda dove stavo
guardando io prima e vede la ragazza, che adesso sta servendo una
famiglia con due bambini che strillano e urlano e agitano le loro
manina paffute alla ricerca di attenzione.
«Ora
capisco cosa – o meglio chi –
ha attirato la tua
attenzione, amico» - mi dà una botta sulla spalla,
con
un fare complice che non ricambio affatto - «è uno
schianto, dici che riesco a portarmela a letto stasera?»,
Harry
è un collega di lavoro, ha l'ufficio vicino al mio e la sua
segretaria è stata anche la mia, ma oltre a questo non
abbiamo
niente in comune. Harry è un ragazzo di ventisei anni che
non
ha ancora capito un cazzo dalla vita e che passa le sue serate
devastandosi nei locali, alla ricerca di una birra e di una ragazza
per la serata. Ammetto di non essere un santo, ma non vorrei mai
scendere in basso come lui.
«Levale
gli occhi di dosso, Harry, non è alla tua altezza»
dico.
«Ah
si? Oh, senti un po' chi parla. Da quanto non scopi,
Pattinson?».
«Cazzi
miei?», dio, ha ragione, sto impazzendo. Da quando mi sono
lasciato con René non vado a letto con una ragazza da almeno
tre mesi e sto per impazzire. Ma di certo non starò a dirlo
a
questo coglione, qua.
«Oh
diamine, Pattinson sta perdendo il suo fascino, mi sa» mi
prende in giro.
«Harry,
piantala, o ti spacco la faccia. Non è serata» mi
allontano da lui e raggiungo gli altri, che si sono già
seduti
a un tavolo dall'altra parte del locale.
Odio
stare qui.
Voglio
tornarmene a casa.
E
voglio anche trovarmi qualcuno da portarmi a letto.
So
di aver appena detto che io non sono come Harry, ma sono un uomo e ho
bisogno di alcune piccole cosette.
E
ho anche bisogno di qualcuno da presentare a mia madre, cazzo.
È
da due anni ormai che vuole che le porti qualcuno a cena.
Con
Cassie pensavo di aver finalmente trovato quella giusta, è
durata più di tre mesi, una specie di record per me, ma alla
fine ho capito che non l'amavo, che in realtà non mi piaceva
neanche. Mi piaceva l'idea di avere qualcuno, di avere qualcuno che
magari, forse, cosa leggermente probabile avrei potuto portare a cena
da mia madre per dirle “okay, eccoti una ragazza, contenta?
Che si
mangia?”. Cassie non era male, era una modella e non rompeva
neanche un po', bastava che le davo la mia carta di credito e spariva
per tutta la giornata, niente di complicato quindi. Ma era noiosa e
stare con lei mi mandava in bestia la maggior parte del tempo. Per
dirla tutta, era una stupida.
Sto
mandando un messaggio alla mia segretaria per avvisarla che domani
farò tardi in ufficio quando sento una voce stupenda che
attira la mia attenzione. È dolce e con un forte accento di
Los Angeles.
«Ehm,
prego?» chiedo.
«Cosa
devi ordinare?» ripete lei. Se prima ho pensato che fosse
bella, adesso mi devo ricredere, perché questa ragazza
è
sicuramente la ragazza più bella del mondo. Ha due occhi
verdi
che definirei magnetici, un viso da bambola ma con un'espressione da
stronza – anche se direi che sotto c'è
qualcos'altro,
qualcosa che non riesco a decifrare ma so con certezza che
c'è
ed è qualcosa di profondo – è piccola,
direi minuta e
mi fissa in un modo.. che mi mette quasi in soggezione,
perché
nessuno mi ha mai guardato così, in modo così
diretto.
Di solito guardano i miei soldi, non me.
Mi
accorgo un secondo dopo che, forse, dovrei risponderle.
«Vino.
Vino rosso, grazie».
«Vino...
okay. Altro?».
Si,
te, nel mio letto, molto presto preferibilmente.
«No, grazie».
«Okay..
torno subito», si gira per andare verso la cucina, donandomi
una meravigliosa vista. Ma purtroppo non sono l'unico a goderne e
vedo Harry che si sta già armando di quella sua cazzo di
faccia da maniaco sessuale che odio più di quanto odi la sua
faccia normale.
«Non
pensarci neanche» gli dico.
«Che
c'è? Pensi di farcela prima di me, non credo»,
Harry è
un bel ragazzo, con i suoi capelli neri e gli occhi blu ma è
quel sorriso viscido che lo rovina.
«E'
troppo giovane per te».
«Da
quando ti fai problemi sull'età?».
«Da
sempre, visto che ho due sorelle ed entrambe hanno più o
meno
l'età di quella ragazza» dico, livido in viso.
Harry una
volta ha tentato di provarci con Victoria, ma per fortuna mia sorella
l'ha mandato allegramente a fanculo.
«Già..
be', lei non è tua sorella», no,
decisamente non lo
è.
«Fa
un po' come cazzo ti pare, okay? Ma non mettere nei casini ragazze
innocenti».
«Sei
un cazzo di noioso, lo sai?».
Evito
di rispondere perché sta tornando la ragazza, con un vassoio
in mano.
«Ecco
a voi..», ci mette le nostre ordinazioni sul tavolo,
inchinandosi ma senza mostrarci un bel niente, la camicetta
è
abbottonata fino all'ultimo bottone, fanculo. «Avete bisogno
di
altro?» chiede di nuovo; ha un'espressione tra l'annoiato e
l'ansioso, come se non volesse trovarsi qui. Che la faccia da viscido
di Harry abbia già fatto affetto?
Meglio
per lei.
«Si,
c'è altro», Harry si sporge sul tavolo, sfoggiando
il
suo miglior sorriso voglio-portarti-a-letto, «vorrei sapere
il
tuo nome».
La
ragazza alza gli occhi al cielo e fa' per andarsene.
«Ehi,
andiamo! Solo il tuo nome!».
«Harry,
lasciala in pace..» lo riprendo.
«Piantala,
Pattinson, voglio solo sapere il suo nome. Allora, bellezza?».
Lei
si gira di nuovo verso di noi, adesso è decisamente
scocciata.
«Fatti i cazzi tuoi, okay? Hai la tua birra, prenditi una
sbornia ed esci dal locale, coglione», il tono che ha usato
mi
fa' sorridere e trattenere a stento una risata. Harry mi lancia
un'occhiataccia e muore dall'imbarazzo e dalla rabbia mentre tutti
noi lo prendiamo per il culo.
La
ragazza scuote la testa, come se fosse disgustata dalla scena, e
torna al suo lavoro.
Mentre
se ne va', un'idea inizia a frullarmi in testa.
Forse
qualcuno ha ascoltato le mie preghiere.
Forse
questa uscita non è stata poi un'idea così
cattiva.
Pov
Kristen
Finalmente
ho finito il turno.
Esco
dal locale indossando i miei jeans, la mia maglietta e la mia giacca
in pelle e mi sto guardando in giro cercando di ricordarmi dove ho
parcheggiato la mia moto quando una voce attira la mia attenzione.
Qualcuno mi sta chiamando.
Sono
stanca, non ho voglia di parlare con nessuno.
Ma
quella voce mi è famigliare.
Mi
giro, stringendomi nella giacca perché una folata di vento
mi
ha appena colpito.
Il
tipo del locale, quello carino con due occhi da favola che mi ha
difeso non quello viscido che voleva sapere il mio nome, sta correndo
verso di me, dicendomi di fermarmi.
Visto
che è stato carino e non ha la faccia da viscido, decido di
farlo.
«Cosa
vuoi?» chiedo, quando è vicino a me.
«Uhm,
volevo solo chiederti scusa per come si è comportato il mio
amico. Sai, prima..».
«Non
importa, è tutto okay tranquillo. Ci si vede»
faccio per
andarmene ma lui mi afferra un polso e mi fa' voltare di nuovo verso
di lui.
Strattono
il polso e lui molla la presa.
«Oh,
ma che cazzo vuoi?».
«Scusa.
Volevo solo chiederti una cosa».
«Hai
uno strano modo di farlo. Nessuno ti ha insegnato a non strattonare
gli sconosciuti alla scuola privata, figlio di
papà?»,
okay, forse sto esagerando, ma sono quasi le due di notte, ho avuto
il turno lungo stanotte e voglio solo andare a casa e gettarmi sul
letto.
Lui
sembra un attimo confuso dal mio tono ma poi ritrova il suo solito
aspetto da figlio-di-papà che è l'unica nota
stonata
nel complesso visto che, devo ammetterlo, è davvero
bellissimo. Forse il più bel ragazzo che io abbia mai visto,
ma non è proprio il mio tipo. «No, mi spiace.
Comunque,
volevo chiederti se potevamo.. vederci, domani».
Per
poco non gli scoppio a ridere in faccia. «Prendi per il
culo?».
«N..
no... io.. volevo solo vederti di nuovo domani».
«Perché?»
incrocio le braccia al petto, aspettandomi una risposta geniale che
non arriva.
«Perché
devo chiederti... una cosa. Senti, se sei incazzata per come si
è
comportato il mio amico là dentro non posso farci niente ma
mi
scuso da parte sua, adesso puoi uscire con me domani?».
Oddio,
mi è proprio capitato il tipico figlio di papà
che non
è abituato a dover lottare per avere una cosa.
«No».
«No?».
«No.
La conosci questa parola? No. Enne. O. Chiaro ora? E adesso devo
andare, quindi..».
«Aspetta».
«Che
c'è ancora?», sbuffo.
«Dimmi
almeno come ti chiami».
«Poi
mi lasci in pace?».
«Dimmi
il tuo nome, io mi chiamo Robert».
Mh,
bel nome. «Kristen..».
Lui
accenna un sorriso che ha un che di infantile e di tenero, aw.
«Piacere Kristen, io sono Robert Pattinson e ti sto
chiedendo,
per favore, di venire a pranzo con me domani, devo parlarti di una
cosa.. potrebbe interessare anche a te».
Robert
Pattinson.
Mh,
mi piace come nome.
Ma
ho un campanello d'allarme che mi risuona in testa.
«No,
io non credo».
«Io
dico di si. Non voglio parlarne adesso... in un parcheggio»,
si
guarda intorno, sicuramente pensa che questo posto sia troppo
squallido per uno come lui, il che mi fa' solo confermare l'idea che
ho di lui.
«Che
ha questo posto che non va'?» lo sfido.
«Niente...
ma preferirei parlarne in un ristorante come si deve. O magari a
colazione, come preferisci».
Non
capivo tutta questa sua insistenza, come vuole un tipo come lui da
una come... me?
«Non
credo mi interessi ma, ehi, grazie lo stesso. Adesso posso
andarmene?».
«Ma..»,
dio, sembra davvero che nessuno in vita sua gli abbia detto no.
«Ci
si vede».
«Dammi
almeno il tuo numero di telefono».
«Cosa?
No!».
«Perché
no? Hai paura che ti faccia cambiare?», sorride, pieno di
sé,
sembra un pallone da quando è pieno di sé.
«Ma
per favore..», ma tutti io li becco? Certo che,
però, di
solito quelli che capitano a me sono idioti, questo almeno è
un idiota ricco. Sto salendo di livello, che culo.
«Allora
dammi il tuo numero. Ti manderò un paio di messaggi e poi,
se
proprio non vuoi, lascerò perdere, promesso».
«Potresti
essere un maniaco».
«Potrei,
si. Ma sempre meno del mio amico là dentro»,
indica il
locale, dove il suo gruppo di amici si sente fino a qua.
«Questo
te lo concedo».
«Grazie.
Quindi, il numero?».
Rifletto
un attimo. Posso non dargli il numero e continuare a parlare con lui
finché non esco matta oppure posso dargli questa piccola
vittoria – l'ennesima mia sconfitta – e andarmene a
casa a
dormire, finalmente. «Okay».
Sembra
stupito quasi quanto me. «Davvero?».
«Già.
Sono troppo stanca per stare a parlare con te ancora..
quindi»,
tiro fuori il mio cellulare e glielo porgo, «ecco,
tieni».
Robert
lo prende subito, come se avesse paura che cambiassi idea da un
momento all'altro.
«Grazie».
«Di
niente..», mi riprendo il mio cellulare.
«Ti
ho segnato il mio numero e mi sono scritto il tuo. Per ogni cosa,
chiama».
«Certo,
contaci» lo prendo in giro.
«Dico
davvero. Ti chiamo dopo per dirti dove incontrarci?».
«Fa'
un po' come vuoi... posso andare ora?».
«Si,
ora si», vorrei toglierli quel sorriso vittorioso dal viso ma
sono troppo stanca per uno schiaffo come si deve, «a dopo,
Kristen».
Mi
infilo il cellulare in tasca e lo supero, «Si.. come no, a
dopo
Robert», salgo in sella, mi metto il casco e parto.
Quando
rientro a casa trovo Mr Bowie che mi aspetta sul letto, si stiracchia
tutto appena mi vede come a darmi il suo saluto. Mi siedo accanto a
lui e gli do una grattatina dietro l'orecchio finché non si
alza scocciato e torna a dormire sul divano.
Il
solito scorbutico.
Mi
sedetti sul letto e mi sfilai le scarpe.
Mentre
stavo per togliere i jeans sentii il cellulare vibrare nella tasca
dei pantaloni.
Oh,
no pensai,
tirandolo fuori e
leggendo il messaggio.
Da:
Robert Pattinson.
Messaggio:
"Siamo d'accordo per
domani, quindi? Non vedo l'ora, Kristen. Robert".
No.
Oddio
no.
Non
poteva fare sul serio.
Non
era il momento.
Non
era il momento giusto
nella mia vita, anche se probabilmente non lo sarebbe stato mai.
Non
voglio un ragazzo.
Non
voglio qualcuno che mi
comandi.
Brutti
ricordi iniziano a
tornarmi in mente.
Chuck.
Chuck
che mi dice a che ora tornare a casa.
Chuck
che mi urla contro.
Chuck
che mi spinge contro il letto.
Chuck
che mi dà della puttana perché sono tornata
tardi.
Chuck
che finalmente esce dalla mia vita.. forse.
No,
non ero in grado di
cominciare di nuovo una cosa del genere, dovevo stroncare la cosa sul
nascere.
Clicco
su "nuovo
messaggio" e inserisco il contatto di Robert.
"Credo
sia meglio non vederci domani, ci si vede in giro, Robert".
Ecco
fatto.
Lascio
il cellulare sul
letto e mi cambio. Vado in "cucina" e prendo un bicchiere
di latte, mentre lo bevo noto che la luce verde nel cellulare mi
avvisa che mi è arrivato un messaggio.
"Come?
No, aspetta. Te l'ho detto, devo dirti una cosa che ti
interesserà
sicuramente. Non voglio importunarti, davvero. Dammi una
possibilità
per spiegarmi, no?".
Una
possibilità?
Ma
per piacere.
Semplicemente
non accettava
un "no" come risposta perché nessuno nella sua vita
gliel'ha mai detto, è solo un stupido figlio di
papà e
io con le persone come lui non ho niente a che fare, e si vede.
"Non
credo che cambierò idea, mi spiace".
No,
semplice?
No,
no, no, era davvero
tanto difficile da capire?
A
quanto pare per lui si
visto che il telefono vibrò di nuovo.
"Ti
prego. Offro io. Non sono un pazzo, dico sul serio, ho bisogno di
parlarti di una cosa seria. Se non vuoi prenderla sul personale
diciamo che è una specie di lavoro, okay? Ma ti prego vieni
domani",
lavoro?
Che
lavoro?
Che
genere di lavoro?
Avevo
bisogno di soldi.
"Che
lavoro?".
"Domani,
a colazione. Ti vengo a prendere, dammi l'indirizzo".
"Ehi,
bello, vacci piano, mica ho detto di si. E comunque non ti
dò
l'indirizzo proprio di un bel niente, non sono scema",
chi si credeva di essere?
"Ma
sembri interessata, è già qualcosa. Vuoi metterla
sul
piano lavorativo, quindi? Okay, allora diciamo che voglio offrirti un
lavoro. Quindi, per domani?".
Dio,
non ci potevo credere.
Che
grandissimo figlio di
puttana.
Però
adesso ero
curiosa.
Be',
se non era una cosa
interessante potevo sempre dirgli di no, giusto?
Aspettai
un po' per
rispondere.
Presi
il libro che stavo
leggendo e mi misi a letto. Mr Bowie venne a sdraiarsi ai miei piedi,
crogiolandosi contento fra le lenzuola sopra il materasso e soffiando
senza motivo. Il cellulare vibrò di nuovo, facendo gonfiare
il
mio orgoglio.
"Kristen,
per favore, dammi almeno una risposta...".
"Okay.
Ma ci incontriamo direttamente là, dimmi il posto".
Pov Robert
Rientrai a casa verso le
quattro del mattino. Il portiere all'entrata dell'edificio mi sorrise
comprensivo, come sempre.
«Divertito,
signor
Pattinson?».
«Per
niente, Thomas».
«Mi
dispiace tanto,
signor Pattinson».
«Si..
anche a me».
«Come
sta suo padre,
signor Pattinson?».
Thomas
lavora in questo
edificio da almeno venticinque anni e visto che l'edificio è
di mio padre – come la maggior parte degli appartamenti di
lusso,
hotel e ristoranti di New York – Thomas lavora per lui da un
sacco
di
tempo
e ormai si conoscono da una vita, diciamo pure che Thomas mi ha visto
crescere visto che prima lavorava nell'hotel in cui ho vissuto da
bambino.
«Sta
bene, Thomas, grazie. E di saluta».
Lui
sembrò agitarsi tutto, emozionato com'era nel sapere che mio
padre, il grande Richard Pattinson, lo salutava. Si tolse il capello
della divisa e se lo portò sul cuore. «Oh, che
onore.
Suo padre è una delle persone più buone del
mondo,
signor Pattinson. Grazie a lui ho un lavoro e la mia famiglia ha cibo
in tavola e anche i regali di Natale. Ancora mi ricordo quando tre
anni fa' mi ha pagato il viaggio a Parigi con mia moglie per il
nostro anniversario, non lo ringrazierò mai abbastanza, sa?
E
poi c'è stata quella volta in cui suo padre...».
Sollevai
una mano per farlo tacere, «Basta così per
stasera,
Thomas, sono stanco morto», e non avevo nessuna voglia di
sentire cantare le lodi di mio padre per almeno la milionesima volta.
Tutti amavano mio padre, tutti amavano "il grande Richard
Pattinson", che aveva costruito un impero dal nulla e aveva dato
posti di lavoro a mezza New York, che si occupava di ogni sua singola
impresa come se fosse la sua famiglia e che tutti consideravano una
specie di santo sceso in Terra. Non che non lo fosse, ma era anche
troppo. Vivevo nella sua ombra.
«Oh,
si.. certo, mi scusi, mi scusi tanto signor Pattinson, mi sono
lasciato trasportare ma suo padre è davvero un uomo
eccezionale».
«Si..
grazie, lo so... buonanotte, Thomas».
«Buonanotte,
signor Pattinson. Dorma bene!» mi urlò dietro
mentre
entravo dentro l'edificio e superavo l'atrio e andavo verso gli
ascensori.
La
musichetta che c'era dentro quello in cui entrai mi diede
terribilmente nei nervi.
Subirmi
tutti quei discorsi su mio padre, su quanto fosse bravo, generoso,
intelligente, ambizioso e di talento mi aveva messo di pessimo umore
ma poi mi ricordai dei due meravigliosi occhi verdi che avevo
incontrato quella sera e mi tornò un leggero sorriso sul
viso.
Forse avevo davvero trovato la soluzione a tutti i miei problemi.
Le
porte dell'ascensore si aprirono direttamente sul mio attico. Era un
regalo dei miei genitori per il mio ventunesimo compleanno, diciamo
che avevano accettato di buon grado la mia idea di andare a vivere da
solo a patto che scegliessi uno degli appartamenti di
proprietà
di mio padre, il che non mi dispiaceva visto che era uno degli attici
più lussuosi di New York. Era enorme, con un salotto
spazioso,
una cucina con tutte le novità in campo culinario, una
camera
da letto con un letto abbastanza grande da contenere tre persone
comodamente – non chiedetemi come faccio a saperlo
– il tutto
arredato da una delle migliori arredatrici d'interni della
città.
Ah, e costava un occhio della testa.
Mi
andai a prendere un bicchiere d'acqua e inizia ad allentarmi la
cravatta.
Il
telefonino squillò. Per un attimo pensai che fosse Kristen,
poi vidi il nome di mia madre sul display.
«Mamma,
ciao».
«Robert,
tesoro. Perché sei sveglio a quest'ora?».
«E
perché tu mi chiami a quest'ora?».
«Io
sono appena tornata da una cena di beneficenza, e tu?».
«Io
da una cena di lavoro» mentii.
«Oh»,
sentii in sottofondo mio padre che chiedeva se ero io al telefono e
mia madre rispondergli che si, ero io e che si, ero ancora sveglio a
quell'ora – "cosa da pazzi, Richard, ma sai com'è
tuo
figlio!" - «quindi, tesoro.. ti ho chiamato per chiederti
se venivi a pranzo a casa questa domenica».
«Uhm,
questa domenica... ecco..».
«Robert,
per favore. Non vieni da settimane, mi manchi, ci
manchi,
tesoro...», ed eccola che tirava fuori la carta del "fai
felice la tua mamma" che io odiavo con tutto il cuore. Non ero
come le mie sorelle, che andavano a pranzo da mia madre tutte le
domeniche e passavano anche le vacanze e buona parte della settimana
a casa dei nostri genitori, io ero quello che non chiamava mai,
quello che non si faceva sentire, quello che non dava soddisfazioni.
«Mamma,
per favore, non iniziare..».
«Niente
"mamma non iniziare" Robert! Siamo preoccupati per te!
Lavori tutto il giorno e poi passi la serata con i tuoi amici e
quando ti chiamo sei sempre stanco o hai mal di testa e io passo la
notte preoccupandomi, chiedendomi come sta mio figlio, cosa fa', come
si sente... hai bisogno di qualcosa, tesoro? Lo sai che io e tuo
padre siamo sempre qui per te, tesoro. Sempre.»
Già,
lo sapevo.
Lo
sapevo anche fin troppo bene.
Mio
padre era sempre con me, era come averlo sempre dietro di me, che mi
alitava sul collo come un falco.
Lo
stesso per mia madre, con la sua iperprotettività.
«Si,
lo so, mamma, lo so, lo so».
«Magari
possiamo parlarne domenica, che ne dici?».
«Avrei
un impegno veramente..».
«Davvero,
e con chi?».
«Mamma,
non credo che siano affari tuoi con chi esco io».
«Robert
Thomas Pattinson! Non parlarmi così!».
«Esco
con una persona e basta».
«Una
ragazza? Sei fidanzato, Robert? Non mi hai detto niente, sai che io
ci tengo a queste cose, sei mio figlio, voglio solo sapere
se..».
«Si.
Si, mamma, lo sono! Ho una ragazza!», ma che cazzo dico? So
solo che voglio concludere questa telefonata il più presto
possibile e l'unico modo è farla contenta e dirle quello che
vuole sentirsi dire.
«Oh..
oh, Robert! Tesoro mio, sono così contenta per te! Richard,
Richard, amore!», la sento chiamare mio padre, che risponde
con
un stanco "che c'è adesso..?", «Robert! Robert
ha una ragazza!», sento mio padre chiedere a mia madre "e
perché non la invita a pranzo domenica per farcela
conoscere?", ma vaffanculo papà, grazie eh. «Hai
ragione, amore! Robert, tesoro, Rob», mi
chiama "Rob"
e non "Robert" quando vuole ottenere qualcosa, la conosco
troppo bene e so già che perderò anche stavolta,
«vogliamo conoscerla, assolutamente. Venite a pranzo
domenica,
poi magari restate anche a cena e andiamo fuori a mangiare, e
poi..».
«Mamma!».
«Va
bene, va bene.. quindi, vieni?».
Sospiro,
troppo stanco per controbattere. «Si..
verrò».
«Ottimo!
Ti voglio bene, tesoro. Buonanotte, ci vediamo domenica».
«Si...
ti voglio bene anche io, mamma, a domenica».
Chiudo
la telefonata e mi getto a letto con ancora i vestiti addosso e gli
occhi della ragazza di stasera che mi appaiono davanti in sogno.
Pov
Kristen
Ci
stavo davvero andando? Stavo davvero andando a quello strano
appuntamento invece di dormire tutto il giorno come sono solita fare?
Dio, dovevo tornare a lavoro alle cinque e invece che recuperare il
sonno perso me ne stavo gironzolando per la città alla
ricerca
del famoso Caffè che Robert mi aveva descritto in un
messaggio. Dovevo essere impazzita una volta per tutte, sicuro. Alla
fine entrai in una caffetteria che si chiamava "Raggio di Luna",
un posto elegante, dove mi sentii subito a disagio; indossavo i miei
vecchi jeans scuri e una maglietta a maniche corte visto che c'era un
bel sole stamattina, le mie scarpe da ginnastica facevano un casino
sul pavimento in legno del locale. Tutti si voltarono a guardarmi
quando varcai la soglia.
L'impulso
di scappare via e lasciar perdere tutto si fece più forte
che
mai ma proprio in quel momento Robert mi vide e mi venne incontro.
Era bellissima, come me lo ricordavo. Oggi indossava una camicia
bianca lasciata fuori dai pantaloni neri, eleganti anche questi. Le
scarpe firmate mi fecero imbarazzare ancora di più, in cosa
mi
stavo cacciando?
«Kristen,
ciao» mi salutò e fece per chinarsi per darmi due
baci
sulle guance ma io mi tirai indietro, facendogli capire subito che
non ero lì per quello. Volevo solo sapere cosa aveva da
offrirmi, poi sarei tornata a casa mia. Dove non mi sentivo
così
fuori posto.
«Ciao..».
«Oh..
vogliamo accomodarci? Ho fatto prenotare un tavolo solo per noi due,
così possiamo parlare tranquillamente» mi disse.
Un
tavolo? Per fare colazione? In un ristorante? Non mi era mai successo
ma Robert sembrava perfettamente a suo agio in quell'ambiente, si
muoveva tranquillo e mi guidava fra le file di tavoli. I camerieri mi
lanciavano occhiate curiose, altre di disprezzo, era chiaro che
nessuno di loro pensava che fossi "come a casa mia", tutto
il contrario. Ma feci finta di niente, che ne sapevano loro? Magari
ero ricca quasi quanto Robert per quanto ne sapevano loro.
«Prego»
- Robert allontana la sedia dal tavolo per me, invitandomi a sedermi.
Lo
feci, esitante.
Lui
si sedette davanti a me.
«Grazie...».
«Ti
piace? Il posto, intendo».
«Si,
uhm, carino».
«L'ho
scoperto da poco, mi piace venirci» mi spiegò,
senza che
nessuno gli avesse chiesto niente, ovviamente.
«Ci
vieni spesso, quindi?».
«No.
È la prima volta che ci vengo a colazione, ad
esempio».
«Oh..»,
non sapevo che dire, ero imbarazzata come mai in vita mia. Di solito
ero sempre in pieno controllo della situazione, ma questa volta non
sapevo neanche il motivo della mia presenza lì.
«Robert,
senti.. cosa devi dirmi?».
«Aspetta.
Non abbiamo neanche ordinato» protesta lui.
«Non
ho molta fame..», ho lo stomaco sottosopra.
«Ma
devi mangiare» dice, con tono autorevole.
Non
sono una tua proprietà, coglione.
«No, se non voglio».
La
cameriera arriva, interrompendo un possibile primo litigio.
«Cosa
desiderate? Posso consigliarvi qualcosa?», è
carina, sui
venticinque anni, indossa una divisa molto più bella e
formale
della mia e lancia sguardi languidi verso Robert, che è
impegnato a leggere il menù che lei gli ha dato. Per me,
niente menù. Stronza.
Robert
risponde senza neanche sollevare lo sguardo dal menù:
«Due
pancake, un caffè, una cioccolata calda con molta panna,
cannella e polvere di cioccolato e una spremuta d'arancia,
grazie»
le porge il menù con un sorriso di sufficienza che fa'
impazzire la cameriera, che torna in cucina quasi ballando.
Io
invece sono furiosa.
Che
presuntuoso maschilista!
«Perché
cazzo hai ordinato anche per me!? Non sono mica scema, sai?».
Robert
non sembra capire, ancora una volta non sembra comprendere le mie
parole, è come se parlassimo due lingue diverse.
«Ma..
ma.. volevo solo.. non so, pensavo ti andasse bene».
«No!»,
scatto, inviperita, «ovvio che non mi va bene! Non puoi
decidere cosa devo mangiare, che cazzo! Non farlo mai più,
chiaro?».
«Non
capisco dove sia il problema».
«Non
ho cinque anni.. e tu non sei mio padre!».
«Continuo
a non vedere dove sia il problema. Pagherò io questa
colazione, tanto».
«Tu
sei fuori di testa! Faremo a metà!».
«Non
voglio discutere su questo. Non volevi forse sapere perché
ti
ho chiesto di venire?».
Sono
costretta a calmarmi.
«Si..
parla, forza».
«Non
preferiresti prima sapere almeno qualcosa di me?» cambia
discorso.
«Ma
hai appena detto..».
«So
cosa ho detto. Ti sto facendo una domanda».
«No,
non mi importa. Dimmi perché mi hai invitato qua».
«Come
vuoi...», sembra triste per un secondo, poi torna a indossare
la sua solita maschera. Oh, piccolo figlio di papà.
«Ho
bisogno che tu mi aiuti».
Ci
metto un secondo di troppo a capire le sue parole. «Tu vuoi
aiuto da... me?», non capivo.
«Perché
ti sembra così strano?» mi chiede, divertito.
Oh,
non so, forse perché tu sei vestito così
bene e
io così male.
O
perché tu sei bellissimo e io sono semplicemente io, con le
mie scarpe da ginnastica che hanno fatto un casino mentre entravo
qui.
O
forse perché tu sei nel tuo ambiente naturale mentre a me
sembra di entrare in un altro mondo semplicemente stando in un
ristorante a fare colazione. Che dici?
«Spiegati..»
dico, evitando la sua domanda.
«Ecco..
il vero problema qui, è la mia famiglia».
«Che
ha che non va' la tua famiglia? Ti ha tolto la paghetta?» lo
prendo in giro ma lui fa' finta di non notarlo.
«In
realtà.. è mia madre il problema».
Oh
ma allora non sei solo un figlio di papà, sei anche un cocco
di mamma!, ma non lo dico, perché adesso sono davvero
curiosa.
Che genere di problemi può avere un ragazzo che
può
permettersi di venire a fare colazione in un posto del genere?
«Tua
madre, eh? Parla, ti ascolto».
«Ecco,
lei..».
Ma
veniamo interrotti dalla cameriera con le nostre ordinazioni.
Un
buonissimo odore di cioccolata calda mi riempie l'anima e appena vedo
quanta panna montata c'è mi viene quasi da piangere dalla
felicità. Ci affondo subito il cucchiaino, è
densa.
Robert prende un sorso del suo caffè e spinge il piatto con
i
pancake verso di me, anche quelli hanno davvero un ottimo profumo.
«Mia
madre è molto apprensiva» mi spiega, mentre io
mangio la
mia colazione, «mentre io preferisco stare per i fatti miei.
Vuole che vada a pranzo da lei la domenica, mentre io detesto stare
in famiglia e preferisco uscire con gli amici quando non lavoro. E
qui entri in gioco tu».
Sollevo
lo sguardo dalla mia cioccolata.
«Io...?».
«Si,
tu. Mia madre mi sta chiedendo se ho una fidanzata da mesi e sono
stanco di risponderle di no. Il tuo compito sarebbe, come dire?,
fingerti la mia fidanzata».
Ancora
una volta ci metto un secondo di troppo per comprendere appena quello
che ha appena detto.
«COSA!?».
«Shh!
Non urlare, per favore. È un luogo pubblico, sai?».
«Fanculo,
tu sei pazzo!».
«Non
ti sto mica chiedendo di esserlo per davvero, tutto
quello che
dovrai fare è venire a pranzo con me dalla mia famiglia
qualche volta, magari accompagnarmi a qualche evento, stare al mio
fianco, sorridere e divertirti. Semplice».
«Tu.
Sei. Pazzo.» scandisco bene.
«E
tu sei terribilmente bella, ecco perché ho scelto proprio
te»,
i suoi occhi non si staccano dai miei e sento le guance prendere
colore.
«Risparmiati
le cazzate per le tue amichette, io me ne vado» faccio per
alzarmi – a malincuore, la cioccolata era davvero troppo
buona –
ma la mano di Robert mi afferra il polso attraverso il tavolo. Dio,
devo davvero togliergli questo odioso vizio di mettermi le mani
addosso.
«Riflettici,
prima di dirmi subito di no. Ci guadagni anche tu».
«Non
mi interessa, nessuna cifra potrà mai..».
«Mille
dollari al giorno».
Oh,
porca troia.
Ricado
sulla sedia, stordita. «Non dici sul serio..».
«Dico
sempre sul serio. Mille dollari se vieni a pranzo con me dalla mia
famiglia questa domenica, altri mille se resti anche a cena e ancora
altri mille se vieni al compleanno di mia sorella la settimana
prossima», i suoi occhi sono vuoti, è come se
stesse
contrattando un affare, che a pensarci bene è proprio quello
che sta facendo. E sono io l'affare. Mi fa' sentire
terribilmente sporca e usata. Ma sono mille dollari e io non pago la
luce da una vita.
«Sarebbe
solo per finta...» mormoro.
«Esatto.
Solo per finta, niente di vero. Ho davvero bisogno di togliermi mia
madre dai piedi e tu sei la mia salvezza. Mia madre ti
adorerà»,
perché questo pensiero non mi elettrizza neanche un po'?
«Non
puoi trovarti una ragazza vera? Oddio, non dirmi che sei..».
«No»,
scoppia a ridere.
«Non
ci sarebbe niente di male, eh. Solo che, non so.. tu.. non.. niente,
lascia perdere».
«Non
sono gay. Semplicemente non sono interessato a una relazione in
questo momento, ho troppo lavoro».
«Che
lavoro fai?», ma a me.. che cazzo frega?
«Lavoro
nell'azienda di mio padre».
«Lo
immaginavo..».
«E
tu lavori nel bar dell'altra sera?».
«Indovinato».
«Vivi
con i tuoi?».
«Quanti
anni mi dai, scusa?».
«Non
so.. diciassette?».
«Eeeh,
sbagliato.
Quasi diciannove».
Lo
vedo rilassare le spalle.
«Grazie a Dio, non mi andava di fare affari con una
minorenne.
La galera non mi attira».
«Non
attira a nessuno. E tu, quanti anni hai?».
Lui
sorride e si sporge sul
tavolo, ha un sorriso malizioso. «Troppo giovane per
possedere
l'impero di mio padre ma abbastanza da essere ai vertici
dell'azienda», oddio, che.presuntuoso.del.cazzo.
«Venti».
«Ventitré».
«Come
cazzo fai a essere così ricco e ad avere un lavoro come il
tuo
a soli ventitré anni, si può sapere?»,
è assurdo,
è troppo giovane.
«Papà.
Tutto merito di papà.. e di un ottima
università».
«Pagata
da paparino» specifico.
Annuisce,
«E che
potrai pagarti anche tu dopo un paio di giorni con me,
tranquilla»,
non dico niente, l'idea di andare all'università non mi ha
mai
attirata ma anche perché non me la sono mai potuta
permettere.
«Non
mi interessa. Voglio i dettagli del nostro.. "accordo"».
«Non
ora. Li stabiliremo volta per volta. Se vuoi puoi stimarmi una lista
dei tuoi impegni e delle cose che ti rifiuti categoricamente di fare,
che so.. tipo baciarmi», osserva il suo caffè e
nel
frattempo un angolo della sua bocca si solleva, in un sorriso furbo
da grandissimo figlio di puttana.
«Io
non ti bacerò» dico, decisa.
«Scrivilo
nella tua lista di cose che non farai. Potremo modificarla a nostro
piacimento».
«Non
credo che cambierò idea su questo dettaglio. Io non ti
bacerò
mai, è finzione, ricordi? E tu mi pagherai.. o io me ne
andrò».
«Ti
pagherò».
«Bene.
E io non ti bacerò».
_________________________________________________________________________
ehi! ciao.
ehm, si... è una nuova ff.
so cosa state pensando! "ma questa qua non ce la fa' a finirne una
prima di iniziarne una nuova'" be', la risposta è no.
è più forte di me, ho troppe idee in testa e ho
scoperto il mondo delle ff solo di recente quindi, siate buoni,
fatemi sperimentare.
per questa storia ho preso ispirazione da un bel po' di cose, diciamo
che è un misto di...,
cinquanta sfumature di grigio, gossip girl, pretty woman (?) e varie
canzoni che conoscerete con l'andare avanti della storia.
preso ispirazione non vuol dire "copiato" quindi non sarà
come
nelle citazioni qua sopra, diciamo che ho preso varie parti,
le ho modificate, cambiare, completamente rivoltate e infine rese mie.
non so quando la continuerò, non so neanche quando
finirò
"believe in me" o "fire and rain", so soltanto che avevo questa idea in
testa
e non ce la facevo più a tenermela dentro così ho
iniziato a scrivere e ho dovuto lottare molto per dirlo subito. ho
aspettato,
volevo pubblicarla dopo la fine di "believe in me" ma... a quanto pare
ho finito l'ispirazione e anche un po' per colpa della scuola
i miei ritmi sono cambiati, in più ho anche blake - il mio
amato
pastore tedesco - che occupa gran parte della mia giornata, quindi...
siate clementi, okay?
se non vi piace... be',
credo che scriverò lo stesso ahahaha,
ma comunque sia spero che questa storia - o almeno questo inizio - vi
sia piaciuto.
voglio un sacco di recensioni perché voglio farmi un'idea di
cosa ne pensate, chiaro?
minimo 10, altrimenti niente prossimo capitolo.
si, sono cattiva.
anyway, i love you all so..
ciao! vi voglio bene, alla prossima (che non so quando sarà).
xoxo.
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Capitolo 2 *** money is the anthem of success ***
2
capitolo.
#
money is the anthem of success
Pov
Kristen
“Kristen!”
sento le urla di mio fratello mentre sale le scale, chiamandomi.
“Kristen, dove sono i miei jeans!?”. Rido tra me e
mi siedo sul
letto, con indosso i jeans di Cameron. Naturalmente non sono
esattamente come quando li ho trovati, ho riportato qualche modifica,
tipo qualche taglio qua e là per farli sembrare come quelli
di
una vera rockstar.
Cameron
entra in camera mia, furioso.
“I
miei jeans, Kristen”.
Mi
alzo in piedi.
La sua
faccia, appena vede cosa ho fatto ai suoi jeans, cambia
completamente, passando da furiosa e incredula a incazzato nero.
“NO,
dimmi che NON E' VERO! Ti ammazzo! Kristen, ti giuro che ti ammazzo
sul serio questa volta!” mi salta addosso, finiamo tutti e
due sul
letto, io sto ridendo come una matta mentre lui è serissimo
e
cerca in qualche modo di togliermi i jeans di dosso, anche se
entrambi sappiamo che ormai sono irrecuperabili. “Questa
volta me
la paghi, Kristen! Sei una cogliona, non c'è da dire altro.
Vediamo che faccia fai tu se rompo un paio delle tue felpe o non te
ne presto più delle mie!”.
“No,
dai, lo sai che amo le tue felpe” protesto, senza smettere di
ridere.
“Un cazzo.
Sei una stupida. Mamma lo sa?”.
“Secondo
te? Ovvio che no”.
“Eh
certo. Cristo santo, ma perché? Perché doveva
capitare
proprio a me una sorella cogliona come te, eh? I miei jeans
preferiti, cazzo!”.
“Eddai,
ora sono più carini. Però mi stanno
larghi...”.
“Ovvio, sei
una nana e io sono
il doppio di te, scema”.
“Non
sono una nana!”.
“Sei
alta un metro e un tappo di bottiglia, come altro dovrei
definirti?”.
“Almeno ho
gusti nel vestire
migliori dei tuoi, questi jeans adesso sono molto più
carini”.
“Erano
belli, adesso
fanno schifo. Quando inizierai a metterti una gonna?”.
Faccio una smorfia,
Cameron sa
benissimo del mio odio per tutti gli abiti prettamente femminili.
Ecco perché rubo molta della sua roba. “Mai, mai,
mai, mai,
mai, MAI”.
“Oddio,
non avrò più abiti”.
Gli
bacio la guancia e lo spingo giù dal mio letto.
“Ti voglio
tanto bene, Cammy”.
Mi
sveglio di soprassalto.
“Sono
nel mio letto.. sono nel mio letto”, continuo a pensarlo, a
ripeterlo nella mia testa, per tranquillizzarmi.
Mi
porto una mano al cuore, batte a mille e ho gli occhi lucidi.
Cameron.. oddio, quanto mi manca. Non lo sogno quasi
mai ma
stanotte, chissà perché, mi sono addormentata con
in
testa lui, i suoi occhi così simili ai miei, i tatuaggi sul
braccio, il modo in cui mi abbracciava e mi lasciava fare
praticamente tutto quello che volessi.
Mi
alzo dal letto e vado verso il mio “armadio”, frugo
un po' e alla
fine trovo quello che stavo cercando. I jeans di Cameron. Sono vecchi
e fuori moda ma sono i suoi e sono bellissimi, se mi concentro molto
hanno ancora il suo profumo e mentre li indosso mi torna in mente il
sogno, e ho di nuovo gli occhi lucidi.
Mr
Bowie viene a strusciarsi contro una mia gamba prima di dirigersi
verso la sua ciotola dell'acqua. Mi inchino e gli do una grattatina
dietro l'orecchio, lui mi ringrazia con un sonoro “meo, pff,
mew”
che traduco come un “buongiorno anche a te”. Mi
infilo una felpa
nera e vado a prendermi un bicchiere di latte in cucina. Mr Bowie mi
segue, venendomi dietro mentre mi muovo per la stanza, cercando di
riscaldarmi strofinandomi le mani sulle braccia. Questa dannata casa
è sempre fredda, non ho riscaldamento e infatti a casa mia
non
mancano mai coperte, cuscini, borse dell'acqua calda e piumoni,
insieme a una buona dose di cioccolata in polvere da preparare nel
cucinino.
Me ne sto giusto
preparando una per fare colazione quando sento il cellulare vibrare
sul tavolo. È una chiamata, è Robert.
È passata
una settimana dal nostro ultimo incontro e in questi giorni non ho
avuto tempo per pensare alla sua proposta né a quello che ci
siamo detti, ho lasciato che il ricordo del nostro incontro venisse
accantonato in un angolo della mia testa, in attesa di essere
dimenticato. E invece ecco che il ricordo viene a bussare alla mia
porta.
«Pronto?».
«Buongiorno,
Kristen. Spero che
tu non ti sia dimenticata del nostro accordo in questi
giorni»,
mi ero dimenticato di quanto potesse sembrare più vecchio
mentre parla, è come se fosse due persone diverse, come se
ogni tanto si dimenticasse dell'età che ha.
«No..
non l'ho fatto», anche se avrei voluto tanto farlo e ci ho
anche provato ma poi tu hai rovinato tutto chiamandomi e facendomi
sentire di nuovo la tua voce.
«Fantastico.
Possiamo vederci, oggi?».
«Ehm...».
«Domani è
domenica,
Kristen. Ricordi cosa ti ho chiesto?», eccome se me lo
ricordavo: avrei dovuto fingere davanti a tutta la sua famiglia di
essere la sua amata e adorata fidanzata. Io non ero brava a fingere.
«Si..».
«Bene. Oggi, quindi,
possiamo
vederci? Dobbiamo mettere in chiaro alcune cose, come ti ho
già
accennato al nostro scorso incontro», ma Cristo santo, deve
per
forza parlarmi come se fossi la sua segretaria personale? E io dovrei
fingere di amare questo ragazzo? Lo sopporto a malapena quando mi
parla, cazzo.
«Ah.. uh,
certo.. oggi, si..».
«Ti
vengo a prendere a casa tua?».
«No!»,
la sola idea che Robert veda dove vivo mi mette in imbarazzo, anche
se so che non dovrei. Non tutti nascono in una casa che ha soldi alle
pareti, alcuni devono farsi il culo e accettare il poco che hanno.
«Oh... come vuoi. Ci
vediamo al posto dell'altra volta, allora? Ti va' meglio?».
«Decisamente,
si».
«Ottimo. A tra poco,
Kristen».
«A dopo,
Robert...» chiudo il telefono e mi rendo conto di aver
bruciato
la cioccolata.
Impreco a voce
alta e cerco di porre rimedio, ma è troppo tardi,
è
bruciata.
E anche il pentolino
che stavo usando lo è.
Bene,
fantastico, penso.
"Che
la mia giornata di merda abbia inizio".
All'improvviso
i miei vecchi jeans non vanno più bene mentre mi ricordo che
tipo di posto è quello dove mi devo incontrare con Robert.
Vado nel mio armadio e cerco i pantaloni più carini che ho
ma
alla fine lascio perdere e mi metto un paio di jeans, il più
"carino" che ho e anche il più femminile possibile e
mi tolgo di controvoglia la felpa di mio fratello, infilandomi un
maglione blu un po' troppo largo che cerco di sistemare come meglio
posso ma alla fine il risultato è sempre lo stesso quindi
lascio perdere, non assomiglierò mai alle ragazze che
frequentano i posti che frequenta Robert, spunterò sempre,
è
inutile pure provarci. Saluto Mr Bowie ed esco di casa.
Ci
metto più di mezz'ora a piedi, più dell'altra
volta, o
forse è solo perché questa volta so cosa mi
aspetta e
cerco di rimandare il nostro incontro il più possibile. Ma
alla fine arrivo e Robert mi sta aspettando fuori per entrare con me.
Quando lo vedo, cerco di nascondere il fatto che mi manca il fiato,
è
bellissimo con la camicia bianca, la giacca nera elegante e i
pantaloni dello stesso colore, sembra appena uscito da un ufficio e
forse è proprio così. Ha la cravatta allentata e
le
mani infilate nelle tasche davanti dei pantaloni, un'aria rilassata,
mi sorride appena mi vede e per un istante mi fermo in mezzo alla
strada per poi correre per raggiungerlo.
«Ciao».
«Buongiorno,
Kristen. Dormito
bene?».
«Uhm,
si... allora.. uh».
«Vogliamo
entrare? Ho prenotato un tavolo isolato per noi due».
«Okay..».
Mi apre la porta e me la tiene
aperta
finché non entro, come un vero gentleman, il che mi mette
terribilmente in imbarazzo perché questo non fa' altro che
far
girare tutti i presenti verso di noi e vengo subito squadrata dalla
testa ai piedi.
Robert mi
appoggia una mano sul fianco per condurmi al tavolo e io sono tentata
dal scostarmi, mi sento davvero in soggezione con lo sguardo di mezza
sala ancora su noi due. Mi chiedo cosa stiano pensando tutti quanti,
qualcosa come "cosa ci fa' uno come lui con una.. come quella?"
e hanno ragione, neanche io ci crederei. E infatti è tutta
una
finzione.
Un cameriere ci
raggiunge e ci indica il nostro tavolo, «Da questa parte,
signor Pattinson, la stavamo aspettando».
Non
guarda a me.
Non mi chiede
neanche quale sia il mio cognome.
Parla
solo con Robert, ignorandomi palesemente.
Non
che mi importi, ovvio.
Il
tavolo è isolato come ha detto Robert, in un angolo del
locale
e come ha fatto il primo giorno Robert mi scosta la sedia e mi invita
a sedermi davanti a lui.
«Ti
piace il posto?» mi chiede, gentile.
«Si..
va bene».
«Possiamo
cambiarlo, se vuoi. Possiamo cambiare locale», si
è
accorto che mi sento in soggezione o è solo un modo per
dirmi
che può prenotare un tavolo per due, all'ultimo minuto, in
un
qualunque locale di New York senza problemi?
«Va
benissimo qui».
«Perfetto.
Allora, come stai?».
«Ehm,
bene, grazie..».
Un
cameriere arriva e ci porge un menù.
«Per
me un caffè e basta, grazie..», sembra che stia
per
aggiungere qualcos'altro ma poi si blocca e mi fissa, in attesa. Si
è
ricordato di come ho reagito quando ha ordinato al mio posto.
Apro
il menù e do un'occhiata a quello che offre il posto, anche
se
so già quello che prenderò, ma voglio prendere
tempo
per capire meglio la situazione. Robert mi sta facendo ordinare,
grazie a Dio. «Una cioccolata calda, per favore»,
porgo
il menù al cameriere, che prende il mio e quello di Robert e
se ne va' con le nostre ordinazioni.
«Ti
piace la cioccolata?».
«A
chi non piace?».
«A
me».
«Oh...»,
non avevo mai conosciuto una persona a cui non piacesse la
cioccolata.
«Non ne vado
matto, diciamo. Ed è proprio di questo che volevo parlarti,
Kristen».
«Vuoi
parlarmi del fatto che non ti piace la cioccolata?», sono
confusa.
Robert accenna un
sorriso divertito, «No. Di quello che mi piace o non mi
piace.
Per fingere di essere la mia ragazza davanti alla mia famiglia devi
sempre i miei gusti... e io devo sapere i tuoi, ovviamente».
Ah.
Giusto.
Sotto al tavolo, inizio a
tormentarmi
le mani.
«Si..
okay..».
«A te piace la
cioccolata».
«A te no,
invece».
«Mi piace il gelato,
però».
«Anche a
me».
«Al
pistacchio».
«Odio
il pistacchio. Mi piace crema e cioccolato al latte».
«Dolce o
salato?».
«Tutti e
due».
«Salato».
Il
cameriere arriva con le nostre ordinazioni, interrompendo quel
piacevole scambio di informazioni. Non mi ero neanche accorta di
quanto facilmente mi ero ritrovata a parlare con lui di quello che mi
piaceva. Adesso che l'incantesimo è stato rotto mi rendo
conto
che forse dovrei darmi una calmata, non sono abituata a farmi
conoscere da una persona così in fretta e senza neanche
conoscerla bene.
«Devi
andare a lavoro, dopo?» chiedo, mentre affondo il cucchiaino
nella cioccolata.
«Si.
Ma ci vediamo a pranzo» dice, senza neanche guardarmi e
girando
il suo cucchiaino nel caffè aspettando che si freddi.
«Cosa?».
«A pranzo. Sei con
me».
«Non me l'hai
neanche
chiesto», che idiota.
«Kristen,
dobbiamo parlare. Domani è domenica, c'è molto di
cui
parlare», il suo tono di voce è fermo, serio,
completamente diverso da quello che stava usando prima.
«E
se avessi degli impegni?».
Lui
mi guarda, scocciato. «Ce li hai?».
«Forse».
«Annullali. Hai
preso un
impegno con me e io ho bisogno di stare con te, oggi, a pranzo, fine
della storia. Ora mangia, non abbiamo tutto il giorno».
Sono stordita. Chi si crede di
essere? Okay, abbiamo un impegno e io ho detto che avrei accettato ma
adesso vorrei tanto potermi rimangiare la parola. Questo ragazzo
sembra una specie di tiranno in carriere e mi fa' saltare i nervi il
modo in cui si rivolge a me.
«Non
sei abituato a stare con una ragazza, vero?».
Solleva
lo sguardo su di me, accigliato e forse anche arrabbiato, ma faccio
finta di non notarlo. «Cosa te lo fa' pensare, si
può
sapere?».
«Mi
tratti una merda».
L'espressione
si addolcisce un po'. «Sono solo di fretta, Kristen..
scusami,
okay? Mangia, per piacere, dobbiamo andare».
«Dove?».
«Lo scoprirai dopo.
Adesso puoi
mangiare?».
«Non
ho più fame», mento, sto morendo di fame.
«Non
ti piace? Vuoi ordinare altro?».
«No..
ehm, va bene questo.. solo, non ho tanta fame».
«Mangia
almeno un po'» mi prega.
«Che
lavoro fai, esattamente?», decido che cambiare argomento
è
la cosa migliore.
«Lavoro
con mio padre, te l'ho già detto. Faccio tante cose, te lo
spiegherò più avanti».
«Mh,
okay..».
Mangio la mia
cioccolata, è calda, densa e buonissima ma continuo a
sentirmi
gli occhi di Robert addosso per tutto il tempo. Mi tornano in mente
le sue parole, "sei terribilmente bella" mi ha detto al
nostro primo incontro, lo pensa davvero?
«Hai
finito?».
«Si..».
«Bene, andiamo
allora» si
alza e viene verso di me per aiutarmi ad alzarmi dalla sedia ma io
sono più svelta e mi alzo da sola. «Oh».
Tira
fuori un bigliettone da cinquanta dal portafogli che ha in una tasca
della giacca e lo poggia sul tavolo. «Vieni». Una
semplice colazione costa così tanto?
Molte
persone si girano verso di noi mentre percorriamo la sala e usciamo
dal locale. La giornata si è fatta più fredda e
mi
pento di non essermi messa qualcosa di più pesante o di non
essermi portata con me una giacca.
Solo
quando Robert ci si avvicina mi accorgo che c'è una macchina
davanti al locale. Robert apre lo sportello del passeggero e si china
per parlare con qualcuno all'interno, sicuramente l'autista
personale. Quando si solleva di nuovo si gira verso di me, chiude lo
sportello e apre quello di dietro. «Prego», lo
tiene
aperto, aspettando che io entri.
«E'
la tua macchina?».
«Una
delle tante che uso per andare in giro per la città, si.
John
è il mio autista».
«Ah..»,
mi avvicino ed entro dentro la macchina, sedendomi sui sedili, che
sono comodi e caldi, c'è il riscaldamento.
Un
uomo si gira verso di me dal posto del guidatore, è sui
cinquant'anni e ha due occhi color cioccolato buoni e gentili.
Indossa un capello da autista blu, elegante e forse un po' troppo
formale per essere nel ventunesimo secolo. «Buongiorno
signorina».
«B..
buon.. buongiorno a lei».
Robert
si siede accanto a me, chiudendo lo sportello. «John, lei
è
miss Kristen Stewart e la vedrai molto spesso nei mesi
seguenti»,
mesi?, mesi?, «per favore, portaci dove
abbiamo
stabilito».
John
annuisce, sorridendo. «Come vuole lei, signor
Pattinson».
La macchina si mette in moto
ma quasi
non la sento mentre inizia a correre, superando di gran lunga la
maggior parte delle macchine in strada. Mi allontano un po' da
Robert, tutta questa storia della macchina e dell'autista personale
mi ha fatto ricordare bruscamente quanto ricco sia e sopratutto
quanto povera sia io messa in confronto a lui. Mi metto le mani in
grembo e cerco di sembrare occupata a fare.. qualcosa.
«Dove
stiamo andando?» chiedo, una volta che il silenzio
è
diventato davvero troppo insopportabile e mi sono stancata di
osservare il paesaggio fuori dal finestrino.
«Ti
piacciono le sorprese?».
«Nessuno
ti ha insegnato che non si risponde a una domanda con un'altra
domanda?», forse non dovrei essere così acida
–
sopratutto visto che non siamo soli e John, davanti a noi, ci osserva
dallo specchietto, attento – ma l'idea di essere dentro
quest'auto
così costosa senza avere la mia idea di dove io stia andando
mi manda fuori di testa.
«No..
in effetti no», sembra quasi divertito, ma non posso saperlo
con certezza visto che non mi guarda neanche, ha il viso rivolto
verso la strada che scorre, «in collegio mi hanno insegnato
tante cose, ma questa proprio no.. ero abituato a rispondere con una
domanda o una mia riflessione durante l'ora di dibattito, mi
spiace».
Collegio?
È
stato il collegio?
Chissà
perché, l'idea di Robert con una divisa scura, seria, non mi
sorprende.
«Be'..»,
tutte quelle informazioni mi hanno colto un po' in contropiede, non
mi aspettavo una risposta del genere, «te lo dico io
allora».
Restiamo in silenzio, di
nuovo.
Ma
ancora una volta questa assenza di discorso mi manda fuori di testa.
«No...»
sussurro.
Finalmente si gira verso di
me, «No,
cosa?».
«No. Non
mi piacciono le sorprese. Dove stiamo andando?».
«Devo
conoscerti assolutamente molto meglio di adesso, Kristen, abbiamo
bisogno di passare del tempo insieme. Pensavo di portarti a fare una
passeggiata a Central Park se non ti dispiace».
«Central
Park...?», no.
No, per favore, Central Park
no.
Ma perché proprio
lì?
Distolgo lo sguardo
da quello di Robert mentre un milione di ricordi mi tornano in mente.
Chuck che mi prende per mano.
Chuck che mi bacia.
Chuck che mi porta sulle rive
del
lago al centro del parco.
Chuck
e io che passeggiamo.
Poi un
altro ricordo, più recente.
Chuck
che mi urla contro.
Chuck che
mi dice che non sono brava a fare un cazzo, che una migliore di me la
trova quando vuole e che non sono neanche brava a letto.
Chuck
che sbatte la porta, io che crollo a terra.
Io
che piango, un polso slogato.
«Ehi?».
La voce di Robert mi riporta
–
grazie a Dio – alla realtà. «Non andiamo
a Central
Park...» dico prima di rendermene conto.
«Non
vuoi andarci..?».
«No..»
lo prego, «per favore..».
«Posso
sapere il motivo..? Non ti piace? Non ti piacciono i parchi?».
«Non voglio
andarci.. e basta».
«Sei allergica a
qualcosa?» insiste.
«Cazzo,
Robert, non voglio andarci e basta!» scatto, ormai sull'orlo
delle lacrime. Lo odio, in questo momento lo odio e basta.
Lui si irrigidisce e si mette
seduto
composto sul posto, diventando – se possibile –
ancora più
freddo e distante del solito. «Va bene».
«Grazie...».
«John!».
«Si,
signore?».
«Cambio
di programma. Portaci al mio appartamento, per favore. In
fretta».
«Si, signore,
subito»,
incrocia anche il mio sguardo e sembra quasi che voglia dirmi
qualcosa ma io ho ancora gli occhi troppo lucidi per permettere a
qualcuno di guardarmi così attentamente.
Per
il resto del viaggio io non apro bocca e neanche Robert, continuo a
guardare New York svegliarsi dal finestrino di una macchina che costa
più del mio appartamento.
Pov
Robert
Non
oso guardare verso di lei, ho come paura che si possa arrabbiare con
me di nuovo. Il modo in cui mi risponde, spesso brusco e scortese,
non l'avevo mai provato. Nessuno si è mai rivolto a me in
questo modo, forse hanno sempre avuto tutti troppa paura della mia
reazione o del mio nome per farlo, invece a lei non sembra importare
molto. Tiro fuori il cellulare e leggo che c'è un messaggio
di
mia sorella Victoria: "Non vedo l'ora di vederti domani, ti
voglio bene, ci manchi. ps. Mamma mi ha detto che porterai una
ragazza, spero per te che sia vero!!", come al solito mia
sorella non si fa' scappare l'ultima novità in famiglia.
All'improvviso non sono più sicuro di volerci andare. Prima
ero più tranquillo, pensavo che con Kristen sarebbe stato
più
facile, e invece mi sto rendendo conto che con lei non è
come
con tutte le altre, non bastano un paio di regali costosi e qualche
parolina dolce, con lei ci vorrà molto di più.
Qualcosa
di nuovo anche per me.
John si
ferma proprio davanti al mio palazzo.
Thomas
ci sta aspettando all'entrata, appena vede l'auto si prepara
già
ad aprirmi la porta.
«Siamo
arrivati?» mi chiede Kristen.
«Si».
Apro lo sportello ed esco,
tenendolo
aperto per fare uscire anche lei, cosa che fa' poco dopo, mettendo in
mostra le sue bellissime gambe mentre scende dall'auto. Dio, sono
stupende e non voglio immaginare come siano senza quei dannati jeans
che le coprono ai miei occhi.
«Buongiorno,
Thomas» lo saluto.
«Buongiorno
signor Pattinson! Vedo che ha compagnia oggi..», sorride
amichevolmente a Kristen, mi volto per vedere la sua reazione e
scopro con piacere che è in imbarazzo. Il colorito rosso
dona
particolarmente sulle sue guance.
«Si,
Thomas, lei è miss Stewart».
Lui
si toglie il capello e lo appoggia sul petto, sopra il cuore.
«E'
un piacere conoscerla, signorina. Io sono Thomas, faccio il portinaio
in questo palazzo da quando ero giovane come lei se non di
più
e conosco il signor Pattinson da quando era un bambino», come
al solito, la parlantina di Thomas ha preso il sopravvento e mi
chiedo se annoi Kristen quasi quanto annoi me. Non che Thomas mi stia
antipatico, è una delle poche persone che mi piace davvero,
ma
quando inizia a parlare non la smette più e spesso i suoi
monologhi possono andare avanti anche per delle ore. «E che
bambino! Il signor Pattinson era il bambino più educato,
intelligente e sveglio che io abbia mai visto!».
«Okay,
Thomas, basta così. Abbiamo da fare», appoggio una
mano
sul fianco di Kristen e la spinge gentilmente verso la porta
dell'edificio.
Thomas
annuisce. «Si.. mi scusi... mi lascio trasportare, lo sa..
arrivederci, signorina Stewart».
Kristen
si scosta da me e si avvicina a Thomas, porgendogli una mano.
«Per
favore, mi chiami Kristen. "Signorina Stewart" mi sa tanto
di nobile e io non lo sono di certo». Decido di tirarla via
prima che dica troppo. «Kristen, vieni» la chiamo
da
dentro il palazzo.
Thomas le
stringe la mano, entusiasta. Kristen gli ha appena dato il via libera
per ore e ore di discorsi lunghissimi senza saperlo.
«E'
stato un piacere conoscerla, Thomas».
«Il
piacere è tutto mio, signorina Kristen».
Finalmente Kristen mi
raggiunge e
lasciamo Thomas dietro di noi mentre entriamo. Ci dirigiamo verso la
zona degli ascensori. Ho scelto questo palazzo perché non
è
come gli altri che ha costruito mio padre, è molto
più
funzionale e pratico, nessuna stupida stanza in più,
semplicemente una zona all'entrata dove ci sono gli ascensori che
conducono direttamente ognuno nel proprio appartamento. Il mio
è
il numero 3.
«Cosa ci
facciamo nel tuo appartamento?» chiede lei mentre aspettiamo
l'ascensore, che per fortuna non tarda un secondo di più ad
arrivare.
«Visto che non
sei voluta andare al parco ho pensato che il mio appartamento sarebbe
andato bene lo stesso per parlare», le porte dell'ascensore
si
chiudono velocemente davanti a noi, lasciandoci soli.
«Di
cosa dobbiamo parlare?».
«Del
nostro patto, ovvio».
«Si,
ma cosa esattamente? Abbiamo già deciso
le regole».
«No, affatto.
Abbiamo solo
disegnato le linee iniziali. E poi devo sapere qualcosa su di te,
voglio che i miei genitori pensino che siamo una coppia felice,
ricordi?».
«Giusto..».
«Vedrai,
andrà bene. Mi
basta sapere giusto qualche cosa».
«Okay...».
Le porte si aprono e siamo nel
mio
appartamento.
Mentre entro
dentro mi giro verso Kristen per osservare la sua reazione nel vedere
dove vivo, mi scopro curioso di sapere cosa pensa e cosa prova nel
trovarsi qui. Ma lei ha come indossato una maschera adesso, non
mostra nessuna espressione, semplicemente si guarda intorno, attenta,
vigile. È come un animale in gabbia. È pronta a
scattare in qualunque momento.
Il
soggiorno si apre sulla cucina, ampia e moderna. «Vuoi
qualcosa?».
«No».
«Sicura? Neanche un
bicchiere
d'acqua?».
«No,
grazie», sembra quasi scocciata.
«Va
bene..», mi ha fatto pure passare la voglia di bere anche a
me.
Forse è meglio
andare
subito al dunque.
«Allora..
dobbiamo parlare di un paio di cose».
Kristen
si appoggia al muro, incrociando le braccia al petto, come in
posizione di difesa.. o di attacco. «Finalmente. Allora,
dimmi
tutto..».
«Devi
sapere qualcosa sulla mia famiglia, non pensi?».
Non
mi guarda neanche, «Se proprio insisti..».
«E
io dovrei sapere qualcosa sulla tua».
La
vedo pietrificarsi sotto il mio sguardo. Solleva il viso e mi fulmina
con gli occhi. «Qui nessuno ha mai parlato di raccontare i
cazzi della mia famiglia in giro. È una finzione, inventati
che sono orfana, no?».
Dio,
ma perché deve sempre fare così?
Deve
sempre essere scorbutica e terribilmente permalosa anche se io non ho
fatto proprio un cazzo. Adesso perché si è
arrabbiata,
le ho solo chiesto della sua famiglia. Non voglio sapere tutto,
giusto i nomi nel caso mio padre me li chieda visto che lui conosce
mezza New York. «Orfana?».
«Già..
in.. inventa, no?».
«Come
vuoi. Mi inventerò qualcosa».
«Fantastico».
«Mi padre si chiama
Richard, ma questo sicuramente lo saprai già».
«Io non so proprio
un cazzo di
te, non sei Madonna o Justin Bieber, non trovo le tue foto
semplicemente aprendo il giornale. A essere sincera, non ti avevo mai
visto prima che venissi a rompere al locale», oggi sta
proprio
esagerando, il suo tono trasuda sarcasmo e mi sto incazzando anche
io, nessuno mi aveva mai parlato così e non sopporto che
qualcuno lo faccia.
«Kristen,
vuoi quei soldi? Perché se non li vuoi la porta hai visto
dov'è», sto bluffando, non la lascerei mai andare
via,
anche a costo di pagarla il doppio.
«Vaffanculo».
«Come,
prego?».
«Vaffanculo. Non mi
hai
sentito? VAFFANCULO. Ma chi ti credi di essere, Dio sceso in Terra?
Non ti rendi conto che hai solo ventitré anni e appena apri
bocca sembri un vecchio bisbetico? Non puoi costringere le persone a
fare tutto quello che vuoi tu, neanche con un milione di dollari ci
riuscirai mai, hai capito?».
«Kristen..»,
sento che la situazione mi sta scivolando via dalle mani, sto
lentamente perdendo il controllo e io odio quando succede. Ho bisogno
di avere sempre io il controllo totale di quello che mi
succede
attorno, è più forte di me.
«io non sto
costringendo nessuno, hai frainteso».
«Ah,
no?» chiede, ironica.
«No»
dico, deciso. Non permetterò a una ragazzina di prendere il
sopravvento in una cosa che ho in mano io. «Quindi, ti
pregherei di calmarti».
Lei
alza gli occhi al cielo e incrocia le braccia sul petto.
«Tutto
questo è assurdo.. questa situazione
è assurda!
Non ho ancora capito cosa ci faccio qui! Perché non ti trovi
una fidanzata vera e la facciamo finita? Non ci sopportiamo a
vicenda, ne hai appena avuto la prova, Robert».
Io?
Una fidanzata? Adesso? Non è il caso. «Non puoi
capire.
Che ne dici di cambiare argomento e di passare a qualcosa di
più..
allegro? Vestiti».
Kristen
solleva un sopracciglio, scettica. «Vestiti? Che vorresti
dire
con "vestiti"?».
«Voi
ragazze amate i vestiti, no?».
«Intendi
quelle ragazze con il rossetto, i tacchi alti e le gonne corte che
incontri mentre vai a lavoro nel tuo elegante ufficio? Quelle
ragazze? Perché a me non piacciono i
vestiti, mi
spiace».
Cristo santo,
non ci posso credere. Ho beccato l'unica ragazza in tutta New York
che non va matta per i vestiti, come è possibile? Prendo un
bel respiro e cerco di mantenere la calma. Si tratta solo di affari,
mi ricordo, è come se stessi trattando con un cliente
particolarmente difficile per un contratto. «Per incontrare i
miei genitori dovrai vestirti in modo da fare bella figura di fronte
a loro, capisci?», spero con tutto il cuore che non inizi un
nuovo litigio ma le miei speranza si confermano vane quando la vedo
fulminarmi con lo sguardo.
«Non
puoi decidere come mi devo vestire».
«E'
lavoro, ricordi? Immagina che sia, non so, come una divisa. Come la
divisa che indossi per lavorare in quell'orrendo
ristorante..».
«Che hai contro il
posto in cui
lavoro? Non tutti sono figli di papà, sai? Dio, sei proprio
uno stronzo..».
Non
sopportavo di essere insultato. «Tu lavori per me! Vuoi
chiudere quella cazzo di bocca e capire che non sei qui per dirmi
quello che pensi ma semplicemente per eseguire i miei ordini!
Cazzo..», non urlo, non spesso almeno, ma Kristen mi fa
saltare
i nervi, mi fa andare fuori di testa in un modo che non mi è
mai successo prima. Sono sempre stato un tipo molto pragmatico,
calmo, riflessivo, ma anche severo e mi piace farmi rispettare.. ma
non facendo il matto, non così. Ma lei mi porta oltre il
limite di sopportazione.
Kristen
mi fissa, un po' incredula un po' offesa e forse anche un po'
compiaciuta per avermi fatto perdere le staffe.
«Fanculo,
io non sono un cazzo di oggetto, me ne vado».
«C..cosa?
Kristen, aspetta..», ma lei si è già
voltata e si
sta dirigendo verso la porta come una furia.
La
seguo, andandole dietro.
«Non
puoi andartene, abbiamo un patto!».
«Fottiti,
Pattinson. Sei solo un pazzo».
«Kristen,
aspetta..».
E' agitata,
si vede. Ci mette un po' ma alla fine riesce ad aprire la porta, ha
le mani che le tremano.
Esce
nel piccolo e sterile androne che precede la porta dell'ascensore.
«Non aspetto un bel
niente, Pattinson. Cazzo, sei uno stronzo e io non voglio avere
niente a che fare con gli stronzi, non di nuovo...», clicca
il
bottone e si attacca al muro accanto all'ascensore, dandomi le
spalle.
«Kristen,
ascoltami» dico.
«Oh,
ma ancora qui sei? Vattene, non voglio parlarti. Facciamo finta di
non esserci mai conosciuti. Tu non sei mai entrato in quel ristorante
durante il mio turno e io non ho mai accettato niente da te, okay?
Okay, ciao».
Quel tono
mi fa incazzare soltanto.
Come
può piantarmi in asso, adesso?
Pensavo
che avessimo un accordo.
«Kristen..».
Mi interrompe di nuovo,
«Ho
detto ciao! Vattene, Robert..».
«Kristen,
tu hai bisogno di quei soldi», uso il mio
peggior tono
di voce, so perfettamente di sembrare meschino, arrogante e si, anche
un grandissimo stronzo, ma mi sento perso vedendo la situazione
scivolare via dalle mie mani. Non so perché, ma non voglio
che
se ne vada. So che potrei trovare altre centomila ragazze ma non sono
lei, ormai è come se stessi facendo una sfida con me stesso.
Kristen è come un cavallo selvaggio che mi sono promesso di
riuscire a domare.
Kristen si
gira lentamente verso di me, ha gli occhi leggermente lucidi ma lo
sguardo è a fuoco. «Sai Robert, hai ragione, io ho
bisogno di quei soldi. Ma sai di cosa non ho bisogno? Della tua
pietà», le porte dell'ascensore si aprono e lei ci
entra
dentro subito,
«Addio,
Robert».
Le porte
dell'ascensore si chiusero davanti a lei.
Pov
Kristen
Arrivai
a casa di corsa, con le lacrime agli occhi.
Che
idiota, che idiota che ero stata, ma cosa avevo in testa? Accettare
una proposta del genere da un ragazzo come lui, sono stata proprio
una sciocca, non ho riflettuto abbastanza come ogni volta. Ma
perché
devo sempre prendere la decisione sbagliata? Perché, per una
volta, non posso prendere la strada giusta e arrivare da qualche
parte? No, io devo sempre sbagliare, andare a sbattere contro qualche
muro e ritrovarmi in un vicolo cieco da cui non riesco a uscire da
quando sono bambina. La mia vita è così e non mi
sono
ancora abituata, è incredibile.
Mr
Bowie balza giù dal letto e mi viene vicino, strofinandosi
contro le mie caviglie.
Mi
piego per dargli una grattatina dietro l'orecchio, «Sono
stata
una cogliona... ma perché devo sempre ficcarmi in situazioni
del genere? Forse avrei dovuto pensarci di più.. non so. E
adesso? E se continua a cercarmi..?», una stretta allo
stomaco
mi fece capire che forse un po' ci speravo anche. Ma solo
perché
se mi avesse cercato ancora avrei potuto mandarlo a fanculo una
seconda volta, eh. Non avevo nessuna intenzione di avere a che fare
con lui di nuovo.
Anche se,
quando il telefono squillò, per poco non urlai.
«P..pronto?».
«Kristen»,
fanculo, è
Bob, il mio capo, «sono io».
«Si..
che vuoi?».
«Sei
libera?».
«Perchè?».
«Avrei bisogno di te
a lavoro,
è urgente».
«Ma
è il mio giorno libero!».
«Ti
pago l'extra! Andiamo, mi servi. Una delle ragazze si è data
malata e io non ho nessuno che la sostituisca, mi sei rimasta solo
tu, per favore».
Mi
alzai e cominciai a camminare per la stanza, con Mr Bowie che mi
osservava da sopra le zampe pelose. «Bob, non mi sento tanto
bene neanche io però..», non era una bugia, dopo
la
litigata con Robert non mi sentivo proprio in grado di reggere a ore
e ore di lavoro e ragazzini idioti.
«Kristen,
ti ho detto che ti pago l'extra. Ti lascio un giorno libero la
prossima settimana, okay?».
Un
giorno libero? Tutto per me? Dove potevo semplicemente starmene a
casa, tranquilla, tutto il giorno, a leggere, al caldo? «Va
bene..» accettai, già pregustandomi la sensazione
delle
coperte e del pigiama.
«Grazie!
A dopo».
Ma per ora devo
prepararmi per andare a lavoro.
Mi
infilo in bagno e mi faccio una doccia veloce e mi metto un maglione
largo e un paio di jeans vecchi prima di scappare fuori di casa e
saltare sulla mia moto. Durante il viaggio verso il lavoro mi torna
in mente la faccia di Robert mentre le porte dell'ascensore si
chiudevano davanti a me, sembrava incazzato ma c'era anche
qualcos'altro, qualcosa che non sono riuscita a capire appieno. Senza
dubbio era furioso e in un certo senso sono contenta di essere
riuscita a farlo smuovere un po', ho avuto l'impressione – in
quel
poco tempo in cui abbiamo provato a conoscerci – che tutto il
suo
essere fosse imprigionato, era come se ogni cosa che dicesse o
facesse fosse trattenuta da un limite. Davanti a Robert c'era un
muro, un muro tra lui e tutto il resto del mondo. Un muro tra me e
lui.
Quando arrivo al
ristorante Bob mi sta aspettando all'entrata, sembra parecchio in
ansia ma fa un largo sorriso appena mi vede. «Kristen! Oh
grazie al cielo, sei arrivata! Pensavo che mi dessi buca e invece..
eccoti qua. Sbrigati, forza!» mi incita mentre io scendo con
calma dalla moto e mi tolgo il casco che mi ha trasformato i capelli
in una massa informe più di quello che sono di solito.
«Sono
qua, sono qua, calmo».
«C'è
un sacco di gente! Non ho mai visto tanta gente in un solo tavolo in
questo posto da quando l'ho aperto e sono tutti ricchi sfondati!
Ricchi sfondati, capisci! Questi lasciano mance da pazzi!».
Ricchi sfondati? In un posto
come
questo? Che ci fanno?
Bob mi
precede mentre entriamo e una volta aperta la porta mi accorgo che ha
ragione. Seduti tutti a un tavolo – un unione di due tavoli
da
dieci – ci sono almeno una ventina di persone che sembrano
pronte
per una sala di gala, il che mi ricorda gli amici di Robert quando
è
venuto qui.
«Vatti a
cambiare, in fretta, dai!».
«Vado,
vado!».
Passo davanti al
gruppo di ragazzi e mi accorgo che alcuni visi mi sono leggermente
famigliari ma non mi soffermo più di tanto perché
Bob
mi sta tenendo d'occhio. Mi cambio in fretta, maledicendo ogni cinque
secondi la divisa, perché non posso mettermi un paio di
pantaloni della tuta e una felpa gigante? Ho freddo, sono stanca e
vorrei solo dormire un po', ho mesi e mesi di sonno arretrato e non
ho mai il tempo di farmi una dormita come si deve, forse è
per
questo che sono sempre acida con tutti.
Quando
esco fuori tutta la tavolata dei ricchi sfondati si gira verso di me
e vedo che iniziano a parlottare tra di loro, e chissà
perché
la me paranoica mi dice che stanno parlando proprio di me e non sono
cose carine.
Mi faccio forza e
mi avvicino.
Un tipo con un
completo italiano e un'aria da figlio di papà che salta
incredibilmente all'occhio, si gira verso di me e mi sorride, un
sorriso parecchio viscido che mi fa venire un brivido di paura lungo
la schiena. «Ciaaaaao», c'è troppo
entusiasmo
nella sua voce.
«Ciao»,
guardo le altre persone presenti al tavolo, «cosa
volete?».
«Allora sei tu la
ragazza per
cui Pattinson ci ha dato buca l'altra sera» dice un ragazzo
che
avrà giusto tre o quattro anni più di me. Mi
squadra
dalla testa ai piedi mettendomi in soggezione.
Robert?
Che c'entra Robert con loro?
«Se
non dovete ordinare io posso tornare anche dopo..».
«Ho
chiesto a Rob se potevamo vederci per un pranzo insieme prima del
lavoro e sapete cosa mi ha detto, ragazzi?» chiede il tipo
che
mi ha parlato per primo. «Che aveva un impegno importante e
ci
avrebbe raggiunto dopo. Che dite, lo chiamo e gli dico di
raggiungerci qua?» mi lancia un'occhiata maliziosa e io
vorrei
sprofondare. Non voglio vedere Robert, sono ancora arrabbiata con
lui.
«Fai un po' come
vuoi, non so di cosa tu stia parlando».
«Io
invece penso che tu lo sappia benissimo».
«Pensala
un po' come cazzo vuoi».
Me
ne torno dietro al bancone, dove Bob mi guarda chiedendomi con lo
sguardo spiegazioni su quello a cui ha appena assistito ma io scuoto
la testa, non ho voglia di parlarne. Non ho voglia di parlare, e
basta.
Ma perché ho
accettato di fare questo turno?
Ma
perché ho accettato di fare la finta fidanzata di Robert
Pattinson?
Per fortuna poco
dopo entra una famiglia con tre bambini piccoli che occupano il resto
del mio turno, un'ora e mezza dopo sono sul punto di andare a
cambiarmi per tornare a casa quando sento quelli dell'altro tavolo
ridere e chiamare a gran voce qualcuno e quando mi giro verso di loro
noto Robert entrare dalla porta con un'espressione tutt'altro che
felice. Sembra furioso. Sono indecisa se correre via, nascondermi
dietro il bancone o nel ripostiglio delle scope ma poi lui si gira
verso di me e io mi paralizzo.
Oh,
cazzo.
Robert non si
avvicina neanche ai suoi amici, viene dritto verso di me.
«Kristen,
possiamo parlare un secondo?».
«No».
Sul suo viso si forma una
piacevole
espressione accigliata. «Non fare storie, per favore.
Dobbiamo
parlare e lo sai benissimo anche tu, solo preferirei non farlo
davanti a tutti e qualcosa mi dice che non vuoi farlo neanche
tu».
«Tu non sai un
accidenti di
quello che voglio io».
«Perché
tu non mi dai la possibilità di saperlo!» urla,
poi mi
afferra per il gomito e mi trascina via, verso la prima porta che
troviamo e ciò il ripostiglio delle scope.
Quando
chiude la porta mi ritrovo sola con lui, praticamente al buio.
«Si può
sapere che cazzo
ti prende?» urlo.
«Dobbiamo
parlare e se l'unico modo per farlo è chiuderti
dentro..»
si guarda intorno, accorgendosi per la prima volta di dove ci
troviamo, «dentro un ripostiglio delle scope, be', allora lo
faccio. La scenata che hai fatto prima.. non l'ho capita»,
lentamente la sua espressione sicura scivola via, mostrando un Robert
più confuso, meno fermo nelle sue decisioni.
«Non..
non l'hai capita?».
Si
passa una mano fra i capelli, frustrato con se stesso. «No.
Io
non ho.. non credo di aver capire fino in fondo quello che mi stavi
dicendo, ero troppo arrabbiato e non stavo ragionando quindi, per
favore, potresti spiegarti meglio?».
Per
un attimo pensai che mi stesse prendendo in giro.
«Tu
davvero non sei abituato a sentirti dire “no” da
una persona, non
è così?».
Robert
rimase in silenzio per qualche secondo, poi sbuffò.
«Ho
vissuto in una famiglia dove tutto quello che volevo ottenevo, si
Kristen. Non sono.. abituato a non ottenere quello che voglio, okay?
E tu mi stai mandando al manicomio. Parli in un modo che non
capisco».
«E tu
sei abituato a capire sempre tutto, eh?».
«Esatto».
«Hai una laurea in
questo?».
«Cosa?».
«No,
niente. Solo mi chiedevo se avessi tipo una laurea in questo, tipo un
dottorato in “stronzologia” o “dominatore
nato”, perché
è questo che sei, o almeno è questo che fai
vedere. Tu
comandi le persone ma non riesci a comandare me perché io
non
te lo permetto ed è questo che ti fa impazzire,
semplicemente
ti sei incazzato perché non hai la situazione sotto il tuo
comando. Il che è alquanto infantile, lasciamelo
dire».
Proprio quando sono sul punto
di uscire dal ripostiglio perché sicura che Robert non
aprirà
più bocca lui mi risponde: «Ecco, adesso ti sei
spiegata
bene, grazie».
«Come,
prego?», è il mio turno di essere confusa.
«Prima,
durante la tua scenata a casa mia, non avevo capito bene cosa
intendessi, adesso invece ti sei spiegata benissimo e mi hai fatto
capire come mi vedi. Tu mi vedi esattamente come voglio essere visto
dal mondo».
«Vuoi
che gli altri pensino che tu sia uno stronzo?».
«No»,
si passa di nuovo la mano fra i capelli, che adesso sono scompigliati
ad arte, «voglio solo che le persone capiscano che non sono
una
persona con la quale possono scherzare. Sono giovane, è
vero,
ma ho un impero fra le mie mani e non mi piace essere
sottovalutato».
«Tu. Sei. Davvero.
Pazzo.»
sillabo bene, nel caso non capisse neanche questa volta.
«Definiscimi come
vuoi,
io so chi sono».
«Si,
un pazzo».
Si morse il
labbro per trattenere quello che, a prima vista, sembra un sorriso
divertito. «Grazie mille. Comunque sia, non sono certo venuto
qui solo perché quei coglioni dei miei amici mi hanno detto
di
farlo, volevo chiarire con te e risparmiarti le battute cretine dei
miei amici che, sicuramente, ti avranno già
infastidito..».
«Si, un po', ma
ancora non ho
capito perché sei venuto qua allora».
«Mi
dispiace, ho cercato di arrivare il prima possibile. Sono venuto qua
per chiarire, te l'ho appena detto».
«Chiarire
cosa? Mi hai trattato come se fossi un oggetto e io me ne sono
andata, non c'è altro da dire».
«Te
l'ho detto, hai frainteso».
«Si,
hai ragione, mi hai trattato direttamente come se fossi una bambola,
volevi decidere direttamente anche come dovessi vestirmi»,
tutta la rabbia che avevo provato durante il nostro litigio e che poi
era lentamente sbollita, adesso ritorna prepotente a farsi sentire.
Robert si strofina la faccia
con le mani, mostrandomi un bel orologio che costa più del
mio
appartamento. «Forse non mi sono spiegato bene. Tu mi servi,
Kristen. Ti ho scelto perché sapevo che saresti andata bene
per aiutarmi ma se continui così non posso che ricredermi,
ti
stai comportando come una bambina. Okay, forse anche io ho messo del
mio in questa situazione ma non puoi pretendere molto da me, non sono
portato per i rapporti di coppia, ecco perché mi servi tu.
Non
voglio relazioni nella mia vita, non adesso, sicuramente neanche in
un futuro prossimo, sono molto concentrato sul mio lavoro e una
relazione mi occuperebbe solo tempo che preferisco spendere in altro
modo, capisci? Mi servi, quindi, per favore, troviamo un modo per
continuare quello che abbiamo iniziato senza ucciderci a vicenda, va
bene?».
No.
No,
che non va bene.
Non intendo
farmi trattare come una bambina, non mi interessa quanto belli siano
i tuoi discorsi.
E non mi
interessa neanche che la tua voce sia così sensuale persino
mentre parla di una cosa tanto squallida.
Sei
così bravo a fare i discorsi, ma non intendo cascarci.
«Non credo di
riuscirci, mi
spiace».
«Ma...».
«Mi dispiace,
Rob..» lo
supero ed esco dal ripostiglio.
Bob
mi aspetta fuori, le braccia incrociate sul petto.
Sembra
parecchio scocciato.
«Kristen,
mi spieghi gentilmente cosa stai combinando?».
«Niente..».
«Ah
si? Niente? A me sembra invece che tu ti stia facendo i cazzi tuoi
sul lavoro, andandotene allegramente nel ripostiglio delle scope con
un cliente!».
Sento la
porta dietro di me chiudersi e la presenza di Robert alle mie spalle
e lotto contro me stesse per non girarmi. È tutta colpa sua
se
adesso sono nei casini con il capo.
«Bob,
mi dispiace.. non è come sembra, io non..».
Lui
solleva una mano per zittirmi. «Non mi interessano le tue
scuse! Mi hai lasciato da solo con una tavolata di venti persone e
nessuna cameriera, Kristen!».
«Lo
so e mi dispiace ma se tu..» inizio ad agitarmi, saltellando
sul posto. Sento gli occhi di Robert dietro di me e c'è un
imbarazzato silenzio in tutto il ristorante.
«Niente
“ma”. Non voglio sentire scuse. Questa è
l'ultima volta
che ti permetto di fare una cosa del genere, Kristen,
perché...».
«Ehm,
scusi?», Robert mi
viene accanto, intromettendosi.
Bob
lo guarda senza capire, «Ha bisogno di una mano?».
«Volevo solo dire
una cosa su
Kristen. So che lei è molto arrabbiato con lei e ha ragione
ma
se permette vorrei dire una cosa in sua difesa.. è colpa mia
se Kristen non è stata al suo posto, oggi. Quindi,
ecco..»,
infila una mano nella tasca della giacca e tira fuori un portafogli
che apre e prende due banconote da cinquanta dollari, «pensa
che possano bastare per rimediare alla lacuna nel suo staff di
oggi?».
Bob non sta più
fissando Robert, fissa solo le banconote fra le sue mani.
«Certo!
Grazie mille, signor...».
«Pattinson.
Robert Pattinson. E questi sono per avere Kristen per il resto della
giornata», tira fuori altri soldi e li mette direttamente
nelle
mani di Bob, che non dice niente ma sorride come un bambino. Dio, che
schifo.
Robert mi afferra di
nuovo per il braccio e mi scorta gentilmente verso la porta.
Mi
sento come se mi avesse appena comprata e forse l'ha fatto davvero.
«Ma che
fai..?» chiedo,
ormai sull'orlo di una crisi isterica.
«Abbiamo
un pranzo domenicale domani, ti ricordi?».
«E
tu ti ricordi che io ti ho detto che non voglio avere più
niente a che fare con te?».
Lui
alza gli occhi al cielo e un angolo delle sue labbra si solleva verso
l'alto in un sorriso sghembo, davvero carino. «Ti sei
già
scordata? Non accetto “no” come risposta».
*
Siamo
di nuovo nel suo appartamento, sono seduta sul divano, da sola.
Robert è andato a chiamare una sua
“amica” che si occuperà
del “fattore vestiti” per domani. Mi chiedo chi sia
e perché
non possa vestirmi come voglio. Mi tormento le mani, agitandomi sul
posto e guardandomi intorno; il suo appartamento è davvero
grande e ha talmente tanta roba costosa dentro che ho paura di
rompere qualcosa soltanto respirando. Mi sento davvero a disagio nel
suo appartamento, ogni cosa che c'è qua dentro mi ricorda
quanto io e Robert siamo diversi e sopratutto il motivo per cui sono
qua. Chissà, magari se fossi nata in una famiglia
più
ricca avrei incontrato Robert in un'altra maniera, magari a quest'ora
saremmo persino amici o...
«Tutto
fatto, Julie sta arrivando», la voce di Robert che entra
nella
stanza interrompe – per fortuna – i miei pensieri.
«Chi
è Julie?» chiedo.
«Julie
è un'amica, si occupa di moda e ti aiuterà a
trovare
gli abiti adatti per domani tenendo conto dei tuoi gusti personali.
Io non posso occuparmene, so già che litigheremmo e basta
quindi ho chiamato lei» mi sorride e i pensieri di poco prima
mi tornano alla mente, ma che mi succede? Basta, basta, basta. Io non
lo sopporto e lui mi ha letteralmente comprata per usarmi per i suoi
comodi, come posso anche solo lontanamente pensare a lui come un
amico?
«Oh...».
«Non ti va
bene..?» si
avvicina, sedendosi accanto a me sul divano bianco.
«E'
okay».
«Fidati,
Julie è bravissima nel suo lavoro. Aiuta persino le mie
sorelle, qualche volta».
Le
sue sorelle, giusto. Robert ha due sorelle. Come ha fatto un ragazzo
con due sorelle in casa a diventare così freddo?
«Parlami
di loro», non so perché lo dico ma lo faccio, sono
curiosa di scoprire un lato di Robert diverso, più intimo,
più
famigliare. Forse dentro di me spero di scoprire che dietro questa
armatura che lui sfoggia c'è un ragazzo come tutti gli
altri.
Mi giro verso di lui, incontrando il suo sguardo.
«Victoria
è la più grande, ha venticinque anni e si occupa
di
giornalismo. Insieme al suo fidanzato si occupa di una testata
giornalistica emergente. Elizabeth – Lizzie, per famiglia e
amici –
è la più piccola e si è appena
laureata a quasi
ventidue anni, vive non molto lontano da qui e penso che, se vi
conosceste, diventereste grandi amiche», sembra quasi
contento
di raccontarmi delle sue sorelle, si vede che le ama davvero tanto.
Mi chiedo se anche loro siano belle come lui.
È
davvero bello..
«Wow...
sembrano.. due donne di successo», al contrario di me.
«Victoria
è molto
ambiziosa, si. Lizzie è più per “cogli
il momento”,
ma solo perché è ancora giovane, deve fare le sue
esperienze prima di mettere la testa apposto una volta per tutte e
decidere cosa fare delle sua vita», il tono serio con cui lo
dice mi fa pensare alla mia vita, a come a diciannove anni in stia
andando da nessuna parte. Le sorelle di Robert hanno già una
laurea e un lavoro stabile e sicuro mentre io cosa ho? Una soffitta
che mi fa da casa e un gatto egocentrico.
«Non
haa solo ventidue anni, ha tempo..».
«Io
ne ho ventitré e so esattamente cosa voglio dalla vita, lo
so
da quando avevo sedici anni».
«E
cosa vuoi?», i suoi occhi si fanno di un azzurro
più
scuro, riesco quasi a vedere i suoi pensieri agitarsi dentro le sue
iridi.
«Voglio avere il
controllo di tutto, te l'ho detto», si fa
più
vicino, fissandomi a sua volta negli occhi, dandomi moto quasi di
caderci dentro, la sua voce è quasi un sussurro.
Sembra
sul punto di dire qualcos'altro quando il citofono suona,
interrompendoci.
«Deve
essere Julie, vado io» mi sorride e si alza per andare a
rispondere, lasciandomi sola e tempo per pensare.
Ha
davvero due occhi bellissimi.
Due
occhi che non sembrano affatto quelli di una persona cattiva
né
egocentrica.
Sembrano gli
occhi di un bambino ma hanno anche la malizia di un ragazzino.
Non sembrano incastrarsi con
il suo
corpo, non fanno parte della maschera che indossa. Se una persona
guardasse Robert dritto negli occhi in un momento di distrazione
vedrebbe forse chi è veramente?
«Kristen,
ti presento Julie».
Robert
è in piedi sulla soglia e accanto a lui c'è una
bella
ragazza sui venticinque anni – forse anche meno –
con lunghissimi
capelli neri e due occhi a mandorla dello stesso colore. È
alta come Robert e indossa una gonna nera a vita alta con una camicia
bianca a maniche larghe che terminano con due bottoncini che
stringono sui polsi, indossa un paio di tacchi non troppo alti ed
è
accuratamente truccata per mettere in risalto i tratti asiatici
–
occhi grandi e labbra piene e rosse come il fuoco –
è
davvero bella e mi sorride, amichevole.
Balzo
in piedi come una molla e per poco non rischio di perdere
l'equilibrio.
Julie allarga il
sorriso – forse vorrebbe solo ridere della mia imbranataggine
–
si allontana da Robert e mi porge la mano, «Sono davvero
felice
di conoscerti, Robert mi ha parlato di te prima al telefono ma non
credevo che facesse sul serio».
Oddio,
le ha detto tutto?
Le ha detto
proprio tutto sul motivo per cui sono qua? Non ci
credo.
Sento le guance diventarmi
rosse.
«Mi ha detto del
suo corso di attrice, sono davvero curiosa di sapere qualcosa di
più
a riguardo. Ho sempre trovato la recitazione molto
affascinante»
aggiunge, stringendo con vigore la mia mano. Ha una stretta sicura,
salda.
Recitazione? Che corso
di recitazione? «Uhm, piacere mio...», guardo
Robert in
cerca di spiegazioni ma lui non dà segni di imbarazzo. Mi
guarda e sorride, semplicemente.
«Julie,
ricordati cosa ti ho detto».
Lei
fa finta di chiudersi la bocca con una zip. «Si, certo! Non
aprirò bocca con nessuno, me l'hai detto Robert»,
Julie
mi lascia la mano e si rivolge a me. «Tranquilla, Robert mi
ha
detto che il corso che stai seguendo è molto riservato, mi
ha
detto anche che hai molto talento e che ti ha scelto proprio per
questo. Certo, scommetto che la sua famiglia avrebbe preferito una
fidanzata vera per lui ma credo che imparerai a conoscerlo molto
presto e a capire che Robert Pattinson non è proprio tipo da
lasciar perdere il lavoro per amore» nel suo tono di voce
noto
un velo di tristezza e subito mi sorge il dubbio: hanno avuto una
relazione? Certo, lei è davvero bella e dal modo in cui
è
vestita scommetto che viene dal suo stesso mondo. Ha più
punti
di me sicuramente.
Robert le
appoggia una mano sulla spalla, «Julie, ci lasci un secondo
da
soli? Devo parlare con Kristen di una cosa. Perché non vai a
prenderti qualcosa da bere? Ho dato due settimane libere ai domestici
ma dovrebbe esserci ancora del vino se lo cerchi bene».
«Certo. Porto da
bere per tutti
così poi, io e Kristen, possiamo cominciare» mi
guarda e
vedo che è emozionata all'idea, sicuramente più
di me
che me la sto facendo sotto all'idea di ritrovarmi da sola con lei e
tutti quei vestiti. «Vedrai, sarà stupendo. Ho
già
un'idea di dove andare per prima cosa», mi fa l'occhiolino
per
poi sparire in cucina.
Appena
Julie è abbastanza lontana mi volto di scatto verso Robert,
«Si può sapere cosa cazzo le hai detto?».
«Ho solo colorato un
po' la
verità» fa spallucce, un'espressione innocente che
lo
rende persino credibile.
«Di
che corso di recitazione stava parlando?».
«Le
ho detto che sei una giovane attrice in ascesa, che devi fare pratica
per un ruolo e che quindi ti ho presa con me per
“recitare” la
parte della mia fidanzata, diciamo che le ho detto che dovevi fare
pratica per immedesimarti nel ruolo».
Spalanco
gli occhi, furiosa. «Perché mai hai detto una cosa
del
genere? Hai solo complicato tutto!» mi sforzo di tenere un
tono
di voce bassa ma è difficile, «Mi hai messo in
bocca una
bugia che non ho detto» mormoro a denti stretti.
«Come
ho detto, ho solo colorato la realtà. E poi non sei contenta
che ti abbia dipinta come un'attrice di talento?».
«NO!».
«Abbassa
la voce, Kristen».
«No,
perché non è verità..».
«Potrebbe
esserlo, però».
«Che
intendi?».
«Quello
che fai per me, è recitare. Se sarai brava, potresti davvero
riflettere sul fatto di intraprendere la carriera di attrice, potrei
aiutarti».
«Cioè
comprarmi la carriera esattamente come hai comprato me».
Sul viso di Robert si dipende
un'espressione corrucciata. «Io non ti ho..».
«Eccomi!».
Julie
viene verso di noi tenendo in mano una bottiglia di vino e tre
bicchieri di cristallo che dondolano pericolosamente fra le sue mani
smaltate.
Mi affretto a
prendere il mio bicchiere prima che precipiti a terra.
«Grazie..».
«Di cosa parlavate
voi due?»
chiede, lanciando un'occhiata prima a me e poi a Robert, vedo un
lampo di malizia coprire i suoi occhioni a mandorla.
«Di
niente, solo che Kristen non vede l'ora di iniziare. Questo progetto
è davvero molto importante per lei» dice Robert,
ha di
nuovo indossato la sua maschera\armatura.
Julie
versa il vino nel suo bicchiere e poi nel mio.
Solleva
in alto il suo calice invitandomi a un brindisi.
«Che
abbia inizio la nostra trasformazione!», esulta.
«Che
la fortuna mi assista...».
Pov
Robert
Stavo
scrivendo sul mio computer quando qualcuno bussò alla porta
del mio ufficio. Avevo deciso di mettermi in pari con il lavoro
mentre Kristen stava fuori con Julie.
«Avanti!».
«Siamo
tornate!»,
Julie entrò nella stanza come un tornado, come sempre. Julie
e
Lizzie erano buone amiche dalle elementari, avevano frequentato le
stesse scuole private, la stessa parrucchiera e le stesse feste fin
da quando erano piccolissime. Poi Julie aveva preso l'indirizzo moda
all'università mentre Lizzie aveva preso economia come le
aveva consigliato mio padre – continuando però a
seguire i
suoi corsi extra di pittura, canto e ballo – e le loro strade
si
erano divise per un po' ma adesso avevano ripreso a frequentarsi ed
era come se il tempo non fosse mai passato. Julie era a pranzo a casa
nostra una settimana si e l'altra no.
«Oh,
giusto in tempo per la cena», controllai l'ora sul computer
prima di spegnerlo, 8:20.
Sollevai
lo sguardo e vidi Julie, ma non fu lei ad attirare la mia attenzione,
piuttosto la figura minuta dietro di lei.
Kristen.
Era ancora indecisa se entrare
o meno e riuscivo a scorgere solo la metà del suo corpo.
Così
mi alzai io e le andai incontro.
Julie
si fece da parte e batté le mani tutta contenta quando vide
l'espressione estasiata che comparse sul mio viso senza che potessi
farci niente.
Kristen era..
incantevole.
Non che
prima non lo fosse, ma vestita in quel modo non sembrava neanche
più
lei, sembrava più grande, più matura, meno
sfacciata e
molto più timida. Indossava una gonna grigia a vita alta che
lasciava scoperte le sue bellissime gambe candide, una canotta bianca
di seta con una scollatura a cuore e una giacca blu scuro a maniche
lunghe. Indossava persino un paio di tacchi di almeno nove
centimetri.
«Kristen..
complimenti, sei.. sei..», perché non riuscivo a
trovare
le parole giusto? Io faccio discorsi davanti a centinaia di persone e
non riesco a trovare le parole giusto per descrivere come è
vestita lei?
«E'
bellissima, si» mi viene in soccorso Julie, stringendo le
braccia di Kristen con le mani e spingendola dentro la stanza,
davanti a me.
Kristen abbassò
lo sguardo, imbarazzata.
«Si,
sei bellissima» dico.
Noto
che le sue gote prendono colore. Julie non l'ha truccata e ne sono
felice, la sua pelle è perfetta e il suo viso è
stupendo anche senza bisogno di alcun cosmetico.
«G..grazie»
balbetta.
«Sarai
perfetta domani, mia madre ti adorerà».
«Uhm...
okay...».
Ma vedo che
c'è qualcosa che non va'.
Non
è contenta, i suoi occhi sono spenti.
Non
le importa niente degli abiti di alta moda, non le piace come le
stanno e si vede.
Si muove
agitata sui tacchi, in bilico tra lo stare in piedi e precipitare sul
tappeto.
Sto per chiederle se
va tutto bene quando Julie si mette in mezzo. «Questo
è
l'abbigliamento che avrà domani ma stavo anche pensando a un
abito. All'inizio abbiamo provato qualcosa come venti vestiti ma
Kristen ha detto che si sentiva a suo agio con un vestito
così
abbiamo optato per un completo gonna-camicia per darle un'aria
sofisticata. Ma ho un abito che sarebbe perfetto su di lei! Basta che
mi fai uno squillo domani mattina, anche alle cinque del mattino, e
te lo porto», come sempre Julie è efficiente e
disponibile ventiquattro ore su ventiquattro, ama proprio il suo
lavoro.
Kristen però
non sembra della stessa idea perché fissa Julie con
un'espressione che, se ci fosse un traduttore, sarebbe “no,
ti
prego, un abito no! Non mettermi così in mostra, per
piacere...”.
«No,
grazie Julie. Così va benissimo».
Kristen
mi lancia un'occhiata riconoscente.
«Oh,
va bene! Be', allora vi lascio, devo andare fuori a cena con amici.
Ci vediamo uno di questi giorni, Robert», si gira verso
Kristen
e l'abbraccia. Vedo Kristen restare rigida per qualche secondo per
poi ricambiare goffamente l'abbraccio, muovendosi in modo scoordinato
in quegli abiti non suoi. «Kristen, è stato
davvero un
piacere lavorare con te. Dovremmo uscire insieme uno di questi
giorni, magari ci organizziamo con Lizzie, la sorella di Robert. Oh,
e stai davvero benissimo, non esitare a farmi chiamare da Robert per
quel vestito, è tuo quando vuoi, te lo presto.
Ciao!» la
lascia andare, si sistema la borsa sulla spalla ed esce chiudendosi
la porta dietro di sé.
Una
volta rimasti soli è Kristen la prima a parlare.
«Allora.. vado...
vado bene..?»
chiede, tenendo lo sguardo basso sulle sue scarpe.
«Vai
benissimo. Adesso è proprio il caso che andiamo a cena, John
ci sta aspettando di sotto in macchina».
Lei
si morde il labbro, «Non ho molta fame..».
«Hai
camminato tutto il giorno, devi avere
fame».
«Non
tanta..».
«Mangerai qualcosa
lo stesso.
Forza, andiamo».
Lei si
sistema la giacca e usciamo dal mio appartamento senza dire altro. In
ascensore continua a non guardarmi neanche, tenendo sempre lo sguardo
basso e quando entriamo in macchina rivolge un saluto frettoloso a
John per poi rivolgere il viso verso il finestrino, una mano
appoggiata sulla bocca, osservando il passaggio per tutto il viaggio.
New York si illumina davanti a noi, le luci di tutti i negozi e
ristoranti sono accese quando arriviamo davanti a uno dei miei
ristoranti preferiti.
John
viene ad aprirci e Kristen scende per prima.
Si
guarda intorno a bocca aperta.
«Non
ci sei mai venuta prima?» le chiedo.
«Non
credo di aver mai messo piede in questa parte della città, a
dire il vero...» mi dice mentre un cameriere ci scorta al
nostro tavolo.
Prima che
Kristen possa precedermi mi avvicino alla sua sedia e mi affretto ad
allontanarla dal tavolo per farla sedere. Lei mi guarda e accenna un
sorriso per poi sedersi, le sue gambe sono davvero bellissime e
attirano sempre di più la mia attenzione.
«Tu...
tu frequenti sempre posti del genere..?» chiede dopo che
abbiamo ordinato – filetto al sangue per me e un'insalata per
lei
per mio grande dispiacere, avrebbe bisogno di mangiare un po' di
più
sopratutto dopo la sua camminata.
«Che
intendi con “posti del genere”?».
«Così...
pieni di... gente ricca, dove bisogna prenotare il tavolo».
«Non ho
prenotato».
«No?».
«No.
Il locale è di mio padre, ho un tavolo libero ogni volta che
voglio».
Lei storce la
bocca in una smorfia e prende un sorso di vino. «Avrei dovuto
immaginarlo... tuo padre possiede praticamente tutta New
York».
«Una specie,
si».
«E di conseguenza
anche tu».
«Diciamo che sono
agevolato in
parecchie cose».
«Parecchie
cose vorrai dire!».
Accenno
un sorriso, «Va bene.. parecchie cose,
hai ragione».
Una cameriera porta le nostre
ordinazioni e iniziamo a mangiare.
«Sei
sicura che non vuoi prendere altro? L'insalata non riempie come una
bistecca» le faccio notare.
«Va
bene così..», gioca un po' con l'insalata, sembra
persa
nei suoi pensieri.
«Vuoi
un pezzo del mio filetto?».
«No..
grazie».
«Un altro
po' di vino?» sollevo la bottiglia e cerco di fare il mio
sorriso più amichevole ma lei scuote la testa e io rimetto
giù
la bottiglia. Ogni mio sforzo con lei è inutile. Ogni tanto
mi
sorride, mi parla, e per un po' di tempo è come se stesse
davvero cercando di comunicare con me ma basta un attimo di
distrazione che ecco che un muro si piazza davanti a me. Eppure io
voglio vedere oltre quel muro, perché lei è
diventata
la mia nuova sfida. Cosa c'è oltre quel muro?
«Domani
a che ora devo essere nel tuo ufficio...?» chiede di punto in
bianco, dieci minuti di silenzio dopo.
«Vengo
a prenderti io, non c'è tempo per andare nel mio
ufficio».
«NO»
scatta subito.
«Kristen, parlo
seriamente. Non
c'è tempo, dammi il tuo indirizzo», tiro fuori il
cellulare per segnarlo ma lei continua a scuotere la testa.
«Non
se ne parla».
«Che
ha che non va casa tua, si può sapere?».
«N...niente... solo,
vengo io».
«Kristen..».
«Robert, ho detto
che vengo io,
e che cazzo! Vengo io, non rompere».
Non
mi va di litigare, non ora che stavo iniziando a fare un po' di
conversazione con lei – poca e deludente, ma è un
inizio -
«Va bene... come vuoi. Vieni alle sei».
«Di
mattina? Scherzi?».
«Dobbiamo
essere da mia madre entro le sette e mezza».
«Ma
non era un pranzo domenicale?».
«A
mia madre piace organizzare le cose in grande, ci vorrà
lì
anche per la colazione.. e forse per cena».
«No..
non starò a casa dei tuoi genitori tutto il santo giorno,
scordatelo» mi fulmina con lo sguardo mentre lo dice,
minacciandomi con gli occhi.
«Ho
detto forse, Kristen. Non scaldarti tanto, per
carità»
sollevo un braccio e chiamo un cameriere, chiedendo il conto, che mi
viene portato pochi minuti dopo.
«Andiamo,
ti accompagno a casa».
Kristen
si alza e si sistema la giacca, stizzita. «Grazie della
proposta, ma rifiuto, me ne torno a casa da sola».
Mi
alzo a mia volta, terrorizzato che scappi via prima che abbia modo di
calmarla. «E come? Non sai neanche in che zona della
città
ci troviamo».
«Siamo
a New York, un modo si trova sempre» dice, voltandosi e
dirigendosi verso l'uscita.
Tiro
fuori una banconota da duecento dollari e la lascio sul tavolo prima
di correrle dietro. Le afferro il braccio un secondo prima che esca
dal locale così le stringo il gomito e varchiamo la soglia
insieme.
«Robert,
lasciami!».
Stringo la
presa. «Non intendo lasciarti vagare per la città
da
sola, Kristen».
«Prenderò
un taxi» strattona per farsi lasciare ma io non mollo la
presa.
«Non da
sola».
«Sono sempre stata
sola, non
capisco dove sia il problema adesso!» urla, e volta il viso
dall'altra parte ma riesco comunque a scorgere i suoi occhi brillare
alla luce della luna. Quando torna a guardarmi, però, sono
di
nuovo asciutti e anche arrabbiati. «Robert, ho detto di
lasciarmi il braccio. Adesso».
Allento
la presa contro voglia e la spingo gentilmente verso la mia macchina,
«Lascia che ti accompagni a casa, per favore».
«NO!».
«Kristen!».
«Ho
detto di no! E ADESSO LASCIAMI ANDARE!» visto che si dimena
come una pazza la lascio andare ma mi avvicino di più,
pronto
ad afferrarla nel caso scappasse via.
«Calmati!»
le ordino.
«Oh, Dio.
Vaffanculo, Robert» fa per andarsene ma l'afferro di nuovo
d'istinto, attirandolo a me.
Lei
si dimena e mi spinge via.
«Va
bene! Va bene!» la lascio e infilo una mano nella giacca,
prendo il portafogli e lo apro. «Cristo, hai un carattere di
merda, sei la persona più testarda e folle che io abbia mai
conosciuto ma non per questo ti lascerò andare in giro per
New
York da sola. Non vuoi venire con me? Va bene! Ma almeno accetta che
ti paghi il taxi e controlli che sia un tipo affidabile».
«Non accetto soldi
da te!».
«Dovrai farlo. Per
forza»
dico, alludendo ai soldi che le darò per il suo
“piccolo
aiuto”.
«E' un'altra
cosa! Adesso... adesso non devi darmeli. Mi hai già pagato
la
cena, io non voglio che tu mi dia altri soldi!».
Non
l'ascolto.
Le prendo la mano e
mi giro in cerca di un taxi.
Subito
uno si ferma davanti a noi.
Kristen
si sta agitando ma la ignora un'altra volta, avvicinandomi al
finestrino e parlando con il conducente del taxi. «Deve
portare
una signorina a casa, ecco i soldi per la corsa, spero che
bastino»,
gli do cento dollari visto che non ho idea di dove viva Kristen e di
quanto sarà lunga la corsa. L'uomo prende i soldi senza dire
niente.
Apro lo sportello e
spingo Kristen dentro il taxi, chiudendo lo sportello.
«Sei
uno stronzo!» urla lei.
«Ci
vediamo domani, Kristen. Sarai bellissima».
Faccio
un cenno al taxista e la macchina parte.
Continuo
ad osservare la macchina fin quando non sparisce nel traffico.
Vado verso la mia, dove John
mi sta
aspettando e mi apre lo sportello.
Il
cellulare vibra dentro la tasca interna della giacca.
Da:
“Kristen”.
Messaggio:
“Sei un grandissimo stronzo! Non permetterti mai
più a
pagarmi qualcosa, non ho bisogno della tua
carità!”.
Le
rispondo subito:
“Non mi
dispiace pagarti le cose. Buonanotte, Kristen. Non vedo l'ora che sia
domani, sogni d'oro”.
Okay,
in realtà pensavo che sarebbe stato molto più
lungo ma
visto che alcuni mi hanno
chiesto
quando avrei postato e io ho risposto “presto”,
ecco qua...
ehm, non so che dire.
Questa
storia mi ha preso un sacco e spero che vi piaccia almeno la
metà
di quanto piace a me.
Robert
è un po', come dire..?, non stronzo.
Be',
ditemelo voi.
Sapete che amo
sapere la vostra opinione.
Scusate
per il ritardo ma ho avuto da fare con la scuola e ho avuto anche
l'influenza.
Sicuramente
dovrei dire anche altro ma mi verrà tutto in mente una volta
che avrò
pubblicato
quindi è inutile.
Vi
voglio bene,
grazie mille,
lasciate tante recensioni.
|
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Capitolo 3 *** you asshole. ***
do me a favor
#3°
capitolo
'you asshole'
Pov
Kristen
Ho
sempre vissuto alla giornata. Non sono mai stata quel genere di
ragazza che si chiede cosa ne sarà di lei fra qualche anno,
fra un
paio di settimane, il giorno dopo, ho sempre pensato che fosse una
cosa inutile. A cosa serve preoccuparsi? A niente. Le persone che si
preoccupano invecchiano prima, si ammalano e muoiono giovani, io
invece non voglio niente di tutto questo. O almeno, pensavo di non
volerlo, perché adesso sono in ansia;
essere in ansia per me
è una cosa completamente nuova. Sono circa le quattro del
mattino,
fuori il sole non è ancora sorto e io indosso i vestiti che
l'amica
di Robert mi ha fatto indossare per andare a trovare la famiglia di
Robert, sono seduta sul mio letto da almeno un'ora buona e mi sto
tormentando le mani da altrettanto tempo. Io non mi preoccupo mai,
ma oggi farò un'eccezione. La sola idea di incontrare quelle
persone
mi fa stare male. Dovrò fingere di essere una persona che
non sono –
cosa che va praticamente contro tutti i miei principi (i pochi che mi
rimangono) – e dovrò anche fingere di essere
innamorata di Robert.
Quello
non sarà tanto difficile..
Sciocca,
sciocca, sciocca!
Mi
tengo la testa fra le mani e cerco di calmarmi.
Non
posso finire di nuovo in una situazione come questa.
Vuoi
finire di nuovo come con Chuck, idiota?
No,
Cristo, no.
Morirei
un'altra volta.
Mi
alzo e vado verso la libreria. In mezzo ad alcuni libri c'è
un
quaderno, è parecchio grosso e consumato, ha resistito a un
anno di
lacrime e urla. Apro la prima pagina. È una specie di lista
delle
cose che ho fatto da quando ho conosciuto Chuck a quando abbiamo
avuto la nostra grande litigata finale. Ci sono frasi come "oggi
io e Chuck abbiamo parlato e lui ha detto che sono carina" o
"oggi, io e Chuck abbiamo fatto l'amore ma poi lui
è dovuto
andare via perché aveva altre cose da fare", poi,
con il
tempo, ho capito che tutte le parole che mi diceva erano bugie e che
quel "fare l'amore" non era altro che il più basso, il
più
sporco e il più squallido sesso che una donna possa mai
fare, quel
genere di sesso che nessuna ragazza vorrebbe perché vuol
dire che
appena avete finito ognuno va sempre per la sua strada, non
c'è
amore, non ci sono coccole né baci. È solo un
prendersi quello che
si vuole e basta. O almeno era così per lui. Io mi illudevo,
io
pensavo che ci fosse amore nelle sue mani, nelle sue carezze, ma poi
ho capito che non era così, che mi ero illusa, che avevo
rovinato
per sempre la mia prima volta.
Il
mio più grande rimpianto.
Mi
veniva da piangere.
Come
avevo potuto essere così stupida?
E
adesso stai per fare di nuovo la stessa stronzata.
No,
mai.
Una
volta basta e avanza.
Gli
uomini vogliono una cosa sola.
Sono
tutto un prendere e mai un dare.
So
come sono gli uomini, ho avuto a che fare con altri dopo Chuck, ed
è
sempre la stessa storia. Nessuno è disposto ad impegnarsi, a
prendersi cura di un'altra persona, sono tutti troppo egocentrici per
ascoltarmi.
E
Robert non è che l'ultimo della mia lista nera.
Mi
asciugo una lacrima che è sfuggita al mio controllo, vado in
bagno
per farmi di nuovo il trucco e poi mi infilo le scarpe ed esco di
casa. Per arrivare fino all'ufficio di Robert ci vogliono almeno
quaranta minuti a piedi, se non di più e io me li faccio
tutti sui
tacchi. Mi sento una sciocca. Eccomi, tutta elegante, che cammino da
sola con i tacchi alti alle quattro e mezza di mattina, chi mi
vedrà
penserà che sono una pazza e forse lo sono davvero e ancora
non me
ne sono resa conto. Cerco di prendere solo strade isolate, anche se
so benissimo che non è la scelta più saggia, con
questi tacchi non
potrei mai mettermi a correre e non potrei neanche abbandonarli in
mezzo alla strada per farmeli rubare visto che non sono miei.
Sento
il cellulare vibrarmi nella minuscola borsetta che Julie mi ha dato
ieri, è bianca con delle perle. Mi fermo e apro la borsetta
per
prenderlo. È Robert.
«Non
sono in ritardo» dico, a mo' di saluto.
«Nessuno
ha insinuato che tu lo fossi, Kristen». Dio, la sua voce mi
fa
sempre un effetto troppo forte ogni volta che non lo sento per troppo
tempo e per telefono posso anche non trattenermi e arrossire.
«Sto
per arrivare nel tuo ufficio come deciso, perché mi hai
chiamato?».
«Sono
in macchina. Dimmi la via in cui sei».
«Ma..».
«Dimmi
la via, Kristen».
«Non
mi ci vuole molto, che differenza ti crea se..».
«Non
iniziare, per favore», insieme al solito tono autoritario
posso
percepire anche una leggera punta di irritazione e anche fretta.
È
nervoso per il pranzo con i suoi? «Oggi non
accetterò nessun
comportamento da bambina, ci siamo capiti?».
Il
tono di voce freddo è come uno schiaffo. «Volevo
solo..».
«Dimmi
quella cazzo di via, Kristen!».
Per
un attimo, sono tentata dal chiudergli il telefono in faccia. Mi ha
urlato contro, mi ha praticamente aggredito per telefono come se
fossi l'ultima delle sue dipendenti. Perché non usa una di
loro per
interpretare tutta questa messinscena invece che prendersela con me?
Non capisco. Prendo un bel respiro ma è inutile, il mio
umore è
ufficialmente rovinato per il resto della giornata ed è
tutta colpa
sua.
Mi
guardo intorno finché non trovo una targa con il nome della
via.
Gliela dico. Sto per chiudere la telefonata quando lui aggiunge:
«Grazie. Visto? È tutto più semplice
quando collabori. Sarò lì
fra pochi minuti, non muoverti» e chiude la telefonata.
«Fanculo,
stronzo» dico, anche se non può più
sentirmi.
Me
ne resto ferma immobile per non so neanche io quanto tempo. Non ho
con me neanche il mio ipod perché in questa cazzo di
borsetta non ci
stava neanche il mio cellulare un altro po'. È ridicola. Io
sono
ridicola, sono qua ad aspettarlo come un cane ammaestrato aspetta che
il suo padrone gli dia l'ordine di muoversi e mi sento esattamente
così, Robert mi sta comandando e io non permetto a nessuno
di farlo.
O almeno, non lo permetto più. Sarebbe
come..
Il
suono del clacson di una macchina che si è appena accostata
davanti
a me interrompe il flusso dei miei pensieri.
Il
finestrino dei posti di dietro si abbassa ed ecco sbucare il viso
perfetto di Robert.
«Sali».
«Buongiorno
anche a te, eh» dico, aprendo lo sportello.
Robert
si fa da parte per farmi sedere. «Non mi pare che tu mi abbia
augurato una buona giornata quando mi hai risposto al
telefono».
«Almeno
io non sono uno stronzo egocentrico» dico, prima di potermi
tappare
la bocca con la mano. Ma che diavolo mi prende? Stamattina non ho
ancora collegato il cervello con la mia bocca, cosa che mi capita
spesso a dire il vero.
Robert
mi guarda sbalordito. «Come mi hai chiamato?».
«Non
è la prima volta che ti do dello stronzo, non fare tanto
l'incredulo».
«Pensavo
che non l'avresti più fatto, però».
«Speranza
vana. Se tu ti comporti come uno stronzo, io te lo dico».
Robert
si solleva un po' dal sedile e si sporge per parlare con il
conducente per dirgli di partire. Quando torna a sedersi, non mi
guarda.
«Non
usare questo linguaggio a casa di mia madre» dice, dopo
almeno dieci
minuti di assoluto silenzio nei quali ho potuto ammirare lo
spettacolo che è New York prima dell'alba.
«Tu
le dici le parolacce».
«Kristen»,
si volta verso di me e mi fulmina con lo sguardo, inchiodandomi sul
posto. Non pensavo che uno sguardo potesse fare un effetto del genere
ma gli occhi di Robert hanno come un comando diretto con il mio
corpo, basta un suo sguardo per pietrificarmi e farmi stare al mio
posto. Appena me ne rendo conto ne resto spiazzata, non voglio una
cosa del genere fra noi due. «Ti avviso adesso: fai una delle
tue
scenate a casa di mia madre e sarà l'ultima che farai, ci
siamo
capiti?».
Mi
ritrovo ad annuire senza neanche rendermene conto.
«Bene»
dice, rilassandosi visibilmente.
«Mh...».
«Hai
dormito bene?» mi chiede, cambiando completamente argomento e
anche
personalità, adesso è molto più
tranquillo e usa un tono di voce
sinceramente interessato. Questi suoi cambi d'umore mi mettono a
disagio, come se fossi io quella strana.
Annuisco,
voltando lo sguardo verso il finestrino.
Cerco
di allungare la gonna, adesso sono davvero a disagio.
Questa
dannata gonna non vuole scendere, cazzo.
«Vuoi
che ti ripeta come si chiama mia madre o te lo ricordi?».
«M-Me
lo ricordo», non lo guardo in faccia, se lo facessi so
benissimo che
crollerei.
«Quello
di mio padre e delle mie sorelle?».
Annuisco.
Non
so che dire, così resto in silenzio.
Vorrei
essere sulla mia moto, libera, con il vento che mi manda i capelli
all'indietro. Vorrei non essere in questa macchina, con Robert, con
il suo autista personale e con il suo maledetto cattivo umore e il
suo fare prepotente che mi fa sentire come una bambina. Non lo sono,
sono praticamente un'adulta e sto decidendo cosa fare della mia vita
e invece lui mi manda in confusione, basta un leggero cambio del suo
tono di voce per farmi entrare in panico, non so più che
fare e mi
ritrovo ad ubbidire ai suoi odiosi ordini.
«Perché
non parli? Sei silenziosa».
Cosa?
«Non mi sei sembrato un tipo da "conversazione in
macchina"»
dico, con un leggero tono seccato. Non voglio parlare con lui,
finiremo con il litigare e non sono dell'umore giusto per vincere una
discussione.
«Tu
non sai molto di me, Kristen, devi ammetterlo».
Il
tono in cui lo disse mi fece voltare verso di lui.
Era..
malinconico.
E'
vero, non so molto di lui ma perché lui non mi permette di
conoscere
molto oltre alla bella facciata che si è costruito attorno a
se.
Un
po' come me.
«E'
vero..» dico.
«Si.
E' vero».
«Forse..
dovrei cercare di.. ecco, uhm..».
«Non
sforzarti troppo per me, Kristen, ti assicuro che non me lo
merito»,
si volta dall'altra parte e adesso è lui a ignorarmi
guardando fuori
dal finestrino.
Cosa
vuol dire che non se lo merita?
«Robert?».
«Si.
Si, Kristen?».
«Ti
sei offeso per come ti ho chiamato prima?».
Lui
ride, ma è una risata quasi più malinconica del
tono che ha usato
prima. «Hanno usato nomi peggiori per definire la mia
persona, stai
tranquilla».
Non
so che dire, quindi non dico altro finché non arriviamo a
destinazione. La macchina si ferma davanti a un enorme cancello nero
in ferro battuto alto almeno cinque metri ai cui lati si estendono
metri e metri di muro per nascondere cosa si trova al di là
del
cancello. Vedo John abbassare il finestrino e sporgersi per parlare
con qualcuno – sicuramente un microfono collegato con la casa
–
poi chiude di nuovo il finestrino e il cancello si apre, la macchina
riparte.
Al
di là del muro c'è un terreno enorme,
completamente verde con
alberi altissimi e in lontananza si vede una specie di.. direi
castello se non sapessi di trovarmi ancora nel ventunesimo secolo.
Non posso fare a meno di aggrapparmi al finestrino per non perdermi
neanche un centimetro di quello spettacolo.
Sento
Robert ridere e solo in quel momento mi rendo conto che probabilmente
devo sembrare ridicola, una bambina.
Mi
ritraggo dal finestrino, sistemandomi la gonna per la centunesima
volta.
«Siamo
arrivati», la macchina si ferma davanti all'enorme casa e
Robert
apre lo sportello e scende poco prima che la porta della "magione"
si apra e ne esca una donna correndo sui tacchi. Corre incontro a
Robert e lo abbraccia come se non lo vedesse da una vita e lui
ricambia l'abbraccio, anche se lei è parecchio
più bassa di lui,
quasi quanto me. Deve essere sua mamma, la signora Pattinson, Clare.
I
due parlano e io non sento niente perché resto in macchina,
con il
battito cardiaco che lentamente accelera. Sta succedendo davvero,
sto davvero per fingere di essere la fidanzata del figlio di quella
donna che sembra così felice di rivedere Robert dopo
chissà quanto
tempo. E io non sono brava a fingere, ma in che cosa mi sto
andando a cacciare?
Prendo
un lungo respiro e sollevo una mano per aprire lo sportello della
macchina ma Robert mi anticipa e lo fa per me, aiutandomi a uscire
porgendomi la mano. Quando lo guardo noto che mi sta sorridendo, in
un modo che non fa che farmi entrare ancora di più in
agitazione.
«Mamma,
lei è Kristen» mi presenta, attirandomi a
sé e cingendomi la vita
con un braccio. Oddio, le sue braccia intorno a me, oddio, oddio,
oddio.
Clare
sembra sul punto di scoppiare a piangere. «Kristen...
Kristen, sono
così felice di incontrarti! Così felice!»
per un attimo
penso che stia per abbracciarmi e invece continua a parlare,
«Ma non
restate qua fuori, in casa moriamo dalla voglia di conoscere questa
bellissima ragazza!» ci sorride e si volta per farci strada
dentro
casa.
Robert
mi stringe il fianco e insieme entriamo dentro.
Ho
il cuore che batte a mille.
E
se andasse storto qualcosa?
E
se non fossi abbastanza brava?
E
se mi odiassero?
E
se dicessi qualcosa di male senza volerlo?
E
se..
E
se, se, se, se.
Casa
Pattinson vista da dentro sembra ancora più grande.
È proprio come
l'immaginavo, elegante, in stile un po' vittoriano ma c'è
qualcosa
nell'aria che si respira all'interno che la rende ancora una casa
normale, vissuta.
Clare
ci porta in soggiorno – grande come casa mia –
dove, sedute sul
divano rosso ci aspettano due ragazze giovani, entrambe bionde,
entrambe con le gambe accavallate e con gli occhi puntati su un
telefonino di ultima generazione. Quando ci sentono entrare una delle
ragazze solleva lo sguardo e i suoi occhi azzurri si spalancano.
«Rob!» strilla, balzando in piedi.
Robert
mi stringe di più a sé. «Ciao,
Lizzie».
Lizzie.
Sua
sorella, quella più piccola.
Okay,
ci sono, posso farcela.
«Oddio»,
Lizzie si porta le mani al viso e strilla come una bambina.
«Non
fare scenate, non mi vedi solo da Natale».
«Oddio,
Lizzie.. piantala, ti prego», l'altra sorella –
Victoria – si
scosta i capelli biondi dal viso e lentamente solleva lo sguardo su
di noi. Sorride al fratello e anche a me. «Come ti va,
fratellino?»,
anche lei ha due grandi occhi azzurri, che assomigliano molto a
quelli del fratello. Anche Clare è bionda e anche lei ha gli
occhi
azzurri, deve essere una caratteristica di famiglia. Mi sento a
disagio con i miei occhi verdi e i capelli castano-ramato
scompigliati in confronto ai loro.
Sento
Robert ridere, «Non c'è male».
Lizzie
si avvicina di qualche passo e mi scruta con attenzione. «Lei
è...?».
Decido
che forse è il momento giusto per dire qualcosa, visto che
non ho
ancora aperto bocca da quando siamo arrivati qua. «Kristen.
P-Piacere» mi scosto da Robert e le porgo la mano, la
presenza di
Robert al mio fianco mi rende terribilmente nervosa.
Lizzie
osserva la mano che le sto porgendo e penso che forse sia tipo
disgustata da me ma poi mi sento le sue braccia avvolgermi come una
piovra, attirandomi un abbraccio fraterno, come se fossimo amiche di
vecchia data. «Non hai idea di quanto ho aspettato di poterlo
fare
ma Rob è un tale disastro con le ragazze, le fa sempre
scappare via
in lacrime e non ne ha mai portato una in casa anche se ne ho
conosciuta qualcuna ma tu non sei neanche lontanamente come ti
aspettavo e sei decisamente la più carina di tutte, posso
assicurartelo. Scommetto che siete molto innamorati» mi
lascia
andare e mi sorride complice. Sento le guance andarmi a fuoco.
Sento
la voce di Robert che mi viene in soccorso. «Lizzie, lasciala
stare,
la stai terrorizzando».
Ma
lei lo manda al diavolo con un gesto della mano. «Non dire
sciocchezze, lei mi adora già. Non è
vero?» sfodera un sorriso
così simile a quello del fratello che per un attimo resto
confusa.
«Uhm..».
«Visto?
L'ho lasciata senza parole. Devi sapere che Robert mi adora alla
follia, sono la sua sorellina e mi ama ma non mi permette mai di
mettermi in mezzo alla sua vita sentimentale.. non che ci sia molto
di cui parlare, Robert è, come la chiamano mamma, mamma e i
giornali
scandalistici più frivoli, "lo scapolo d'oro di New
York!"».
Sento
Robert sbuffare infastidito.
Non
avevo mai fatto caso al suo nome sui giornali scandalistici.
È
davvero così famoso a New York? Come un attore? Forse no, ma
sicuramente molte persone morirebbero per ottenere una sua foto
mentre fa qualcosa di inappropriato.
«Oh,
davvero?» chiedo, facendo finta di sembrare sorpresa e
contenta. In
fondo, io dovrei essere la ragazza che l'ha rubato alla massa di
ammiratrici sotto casa sua.
«Eccome!
Ma tu sei molto meglio di qualunque altra ragazza d'alto borgo che
mamma avrebbe presentato a Rob durante le feste di Natele. A
proposito, vieni a Natale, vero? Devi venire assolutamente! E a
Capodanno! Oh, Dio, dobbiamo assolutamente
passare il Capodanno con me e le mie amiche.. e Rob, se vuole»,
lancia uno sguardo scherzoso al fratello, che alza gli occhi al
cielo, esasperato.
Per
fortuna, in quel momento viene in mio soccorso Clare e un uomo che
sembra Robert fra qualche decina d'anni. Richard, suo padre. Stessi
occhi di ghiaccio, stesso portamento sicuro di sé, stesso
sguardo,
stesso portamento. «Chi è questa bella signorina,
figliolo?», si
avvicina a me e mi porge la mano. Clare, al suo fianco, è
tutta un
sorriso. «Io sono Richard» si presenta.
Robert
allontana impercettibilmente da suo padre, avvicinandomi a lui. Non
protesto. Gli occhi di Richard non sono cattivi, ma mettono in
soggezione.
«Sono
Kristen, piacere..» dico.
«Kristen..?».
Solo
dopo un po' capisco che vuole sapere il mio cognome.
«Kristen
Stewart» risponde Robert al posto mio.
«Oh,
davvero? Fai parte degli Stewart del Texas? Tuo padre è nel
petrolio, ragazza mia?».
«Uhm,
ecco.. no», inizio ad agitarmi sul posto e Robert se ne
accorge.
«La
madre di Kristen è una casalinga, papà, ma suo
padre lavora fuori
città, all'estero», è incredibile come
si sia inventato questa
cazzata di punto in bianco, e senza neanche mettermi al corrente
della bugia che avrebbe raccontato ai suoi genitori sul mio conto.
«Di
cosa si occupa esattamente?», Richard ha assunto un tono
professionale, come se la conversazione fosse un solo un colloquio di
lavoro, il mio.
«Affari,
papà. Non entriamo nei dettagli, okay? È una
visita di piacere, non
di lavoro».
Clare
accarezza il braccio del marito, che si volta a guardarla con uno
sguardo adorante. «Rob ha ragione, tesoro, è un
pranzo domenicale,
non bisogna parlare d'affari. Venite, faremo colazione tutti insieme
e poi una bella passeggiata in giardino mentre aspettiamo che il
pranzo sia pronto».
Clare
ci guida tutti in sala da pranzo, degna di un ricevimento di gala. Il
tavolo è troppo grande per stare tutti vicini ma Robert
sistema la
sua sedia vicino alla mia, spostando anche il mio piatto, i miei tre
bicchieri e le posate più vicino ai suoi. Sento lo sguardo
di Clare
e Richard fisso su di me mentre mi siedo e cerco di sembrare
più
tranquilla di quanto in realtà sono.
«Allora,
Kristen... raccontaci qualcosa su di te» disse Clare, mentre
una
giovane cameriera ci serviva la colazione. Era carina, un paio di
anni più di me e indossava una divisa da cameriera con una
gonna
nera un po' troppo corta e che si stava mangiando Robert con gli
occhi. Clare la congedò con un «ora siamo apposto,
Shally», lei
annuì e uscì dalla stanza ma non senza aver prima
sbavato dietro a
Robert ancora un altro po'. Dio, una foto sarebbe durata di
più, che
dici biondina?
«Su
di.. me?», che c'era da dire su di me a parte niente?
«Certo,
su di te, cara».
Lizzie
e Veronica mi
guardavano in attesa, Lizzie non stava letteralmente più
nella pelle
di sapere qualcosa in più su di me, la presunta fidanzata
del
fratello maggiore.
«Io..
ho..».
«Kristen
sta studiando per
aiutare il padre, mamma. Devi vedere come è impaziente di
iniziare
a lavorare, è una ragazza così
ambiziosa», mi circonda le spalle
con un braccio, attirandomi ancora di più a sé.
Lizzie
si lascia scappare un
gridolino, io vorrei soltanto morire.
«Studi?
Che cosa?» chiede
Victoria.
«Ehm...
arte» dico, prima
che Robert possa inventarsi un'altra bugia.
«Arte..»
ripete Richard,
osservandomi attentamente, «E come potrai aiutare tuo padre
nel
mondo degli affari con una laurea in... arte?».
«Suo
padre si occupa anche
di finanziare alcuni musei» interviene Robert.
Tiro
un sospiro di sollievo.
«L'arte
è una cosa
bellissima!» dice Clare, sorridendomi, «Io ho un
sacco di quadri in
casa, mi piacerebbe sapere il tuo parere su alcuni».
«Con
piacere».
La
colazione continua
lentamente, Richard e Clare continuano a chiedermi cose su di me e
sulla mia famiglia e io faccio fatica a rispondere a tutte le domande
ma per fortuna c'è Robert che risponde praticamente sempre
al posto
mio. La sua presenza, che all'inizio mi dava fastidio e mi metteva a
disagio, adesso mi conforta perché so che non permetterebbe
mai di
farmi fare una figuraccia perché tutta questa sceneggiata
serve a
lui, non a me. Lizzie è quella che mi conquista subito, fa
sopratutto domande di tipo romantico che sono le più facili
e posso
prendere spunto dai miei libri per addolcire un po' la mia storia con
Robert.
«Quindi
vi siete conosciuti
e vi siete subito innamorati?».
«Io
si», Robert mi bacia sulla guancia e mi accarezza un fianco. Dio,
le sue mani, come sono calde.. come vorrei che non fosse solo...
no.
Stiamo camminando nel corridoio, abbiamo appena finito il pranzo e
ora Victoria ha avuto l'idea di fare una bella passeggiata in
giardino tutti insieme.
«Oddio,
Rob! E tu,
Kristen?».
«Robert...
è un ragazzo così.. premuroso, non avrei mai
pensato di conoscere
una persona come lui» dico, facendo del mio meglio per
sembrare
innamorata.
«E'
stato un tale piacere conoscerti, Kristen», Clare mi
abbraccia,
cogliendomi completamente di sorpresa. Mi tiene stretta anche per
troppo tempo. Quando si stacca, ha gli occhi lucidi e si affretta a
lasciare il posto a suo marito, che mi sorride con un'aria davvero
sincera
– nelle ultime ore ho scoperto che non è
così freddo e
professionale come sembra, a parte quando si tratta di parlare con
Robert, in quel caso sembra che il loro unico argomento di
conversazione sia il lavoro o gli affari. Lizzie mi abbraccia su
entrambe le guance e mi fa promette che la chiamerò presto;
Victoria
mi saluta per ultima, non mi abbraccia, ma le sue parole sono le
più
sincere della giornata: «Ti auguro di liberarti di mio
fratello il
più presto possibile, sei troppo in gamba per
lui».
Robert
mi prende per mano e
insieme entriamo in macchina, dove ci aspetta il suo autista che
mette subito in moto.
Quando
la macchina è ormai lontana da casa di Robert sento una
strana
sensazione farsi largo. La famiglia di Robert mi piace, è un
po'
troppo formale per i miei gusti, certo, ma sua madre ama con tutto il
suo cuore i suoi figli, Richard ama il suo lavoro e la sua famiglia,
Lizzie è piena di vita mentre Victoria è
ambiziosa, con i piedi per
terra e simpatica, persino spiritosa e allegra nel momento giusto. A
parte tutte le bugie che abbiamo detto, ci siamo divertiti. Io
almeno, si. Okay, forse divertito
non è la persona giusta, sarebbe meglio dire che dopo un
paio di ore
mi sono sentita abbastanza bene da riuscire a mentire più
facilmente
ma mentire continua a non piacermi e a mettermi a disagio. Robert
invece era nel pieno controllo della situazione come sempre.
«Sei
silenziosa».
«Stavo
pensando alla tua
famiglia..» ammetto, guardandolo. Lui lo sta già
facendo, serio.
«Lo
so, è terribilmente
appiccicosa, ecco perché non passo molto tempo con loro. Amo
essere
indipendente da tutti loro», il suo tono di voce è
così freddo e
distaccato che per un attimo mi torna in mente il modo in cui il suo
braccio era intorno alle mie spalle mentre pranzavamo, come mi ha
tenuto la mano mentre passeggiavamo in giardino e come mi ha baciato
sulla tempia mentre rispondevo a Lizzie. Tutte cose finte, eppure
potevo sentirlo vicino a me, al contrario di adesso.
«Io
li trovo simpatici».
«No,
non è vero. Eri
nervosa e volevi andartene».
«Come
fai a saperlo? Come
fai a dire cosa posso provare? Oh Robert.. io penso seriamente che la
tua famiglia sia carina, certo.. tuo padre è uno
stacanovista ma tua
madre è così affettuosa e le tue sorelle sono
simpatiche. Non
capisco questo tuo odio verso la famiglia», mentre la
macchina
scorre veloce sento che ho il bisogno di parlare un po' con lui, sul
serio, senza fingere. Dopo ore e ore di recita voglio tornare alla
realtà.
«Non
sono affari tuoi,
Kristen».
«Dio,
quanto sei
stronzo..», mi giro verso il finestrino, mordendomi una
pellicina.
Sospira
e lo sento
sistemarsi meglio sul sedile. «Che cosa ti interessa
sapere?».
«Niente..».
«Volevi
sapere perché odio
così tanto la mia famiglia, giusto? Non la odio».
«Ah
no?».
«No.
Solo che non mi piace
passare tempo in famiglia, è deprimente», adesso
è lui a guardare
fuori dal finestrino con aria malinconica.
«Dovresti
essere felice di
avere una famiglia, invece che lamentarti come un bambino viziato.
Oh, scusami!, tu sei un bambino viziato, solo un
po'
cresciuto», "cresciuto bene" vorrei
aggiungere ma
mi trattengo.
«Pensavo
che avessi
superato questa parte», sbuffa, evidentemente infastidito.
«Che
parte?».
«Quello
dove tu non fai
altro che insultarmi».
«Se
non vuoi che io ti
insulti non fare lo stronzo o il presuntuoso, te l'ho già
detto».
Lui
non dice niente e
restiamo in silenzio per il resto del viaggio. Oddio, vorrei
rimangiarmi quello che ho appena detto ma non posso, ormai è
uscito
dalla mia bocca e infondo non è una bugia, lo penso davvero.
Robert
si lamenta un sacco della sua famiglia ma che ne sa lui? Almeno lui
ha una famiglia, una famiglia che gli vuole bene ed è pure
unita e
si ama.
Il
cellulare vibra contro la
mia gamba da dentro la borsetta.
Lo
tiro fuori; è un numero
sconosciuto.
"Possiamo
vederci? È
urgente. Chuck".
Il
cuore prende a battermi
all'impazzata.
Oddio.
Oh,
cazzo, no. Non può
essere.
All'improvviso,
la grande,
lussuosa e spaziosa macchina di Robert mi sembra troppo piccola e
vorrei scappare via.
«Tutto
bene? Sei
sbiancata..».
No,
che non va bene, Robert!
No,
ti prego... tengo ancora
il cellulare fra le mani e provo a concentrarmi, magari ho letto male
o ho confuso il nome. Ma no, è proprio lui. Chuck. Eppure
non ci
credo, è ancora troppo strano. Da quanto non ci parliamo?
Saranno
mesi, forse anche un anno, sono troppo sconvolta per pensare con
lucidità.
«Kristen?».
La
voce di Robert mi riporta
alla realtà.
Infilo
di nuovo il cellulare
nella borsa e cerco di darmi un contegno.
«Tutto
okay. Voglio tornare
a casa» dico.
«Non
hai toccato cibo a
cena, pensavo di mangiare qualcosa nel mio appartamento».
«N-No...
io.. devo andare a
casa, è successa una cosa e.. devo tornare subito a casa
mia, per
favore» - non mi preoccupo neanche che scopra dove abito, in
questo
momento è l'ultimo dei miei pensieri e gli dico il mio
indirizzo
cercando di non balbettare ma è inutile, il solo pensiero di
Chuck è
bastata per farmi perdere tutto il mio buon senso e anche la mia
sanità mentale.
«Cos'è
successo?».
«Non..
non sono affari
tuoi, cazzo».
Mi
afferra per il gomito e
mi costringe a girarmi completamente verso di lui, i suoi occhi sono
due lastre di ghiaccio. «Dimmi. Cosa. E'. Successo.
Adesso!» mi
ordina.
«Non
sono affari tuoi,
Robert!».
«Si,
invece! Lavori per me,
devi dirmi cosa sta succedendo!».
«Non
sono una tua fottuta
dipendente! Lasciami andare, subito».
«Chi
era al telefono?» mi
chiede, freddo, ignorando completamente la mia richiesta e stringendo
ancora di più la presa.
«Nessuno».
«Dimmelo».
«Non
sono cazzi tuoi,
fanculo».
«Lo
sono, invece. E adesso
dimmi chi era perché altrimenti ti prendo il telefono e lo
scopro da
me e tranquilla che lo faccio senza problemi» e il suo tono
minaccioso è così convincente da spingermi a
dirgli la verità, o
almeno in parte.
«Una
persona che
conoscevo...».
«Un
tuo ex?».
Annuisco.
Lo
vedo irrigidirsi.
«Cosa
cazzo vuole da te?»,
è così strano sentirlo imprecare che quasi
scoppio a ridere, o
almeno lo farei se non fossi completamente fuori di testa, confusa e
indecisa.
«E
a te cosa importa?»,
cerco di sembrare divertita dal modo in cui sta prendendo la
questione ma lui non sembra per niente divertito, anzi.
I
suoi occhi si fanno ancora
più freddi mentre mi lascia andare il braccio e torna a
sedersi
composto sul suo sedile. «John, portaci al mio
appartamento».
«COSA?
No! Devo tornare a
casa mia!» protesto.
«Non
se ne parla, mi
spiace».
«Come
sarebbe a dire che ti
dispiace? No, io devo tornare a casa mia subito! Non puoi
impedirmelo! Fammi scendere!» urlo.
«Non
ti permetterò di
vederlo» dice, serio.
«P-Perché?
Sei fuori di
testa...».
«Dalla
faccia che hai fatto
quando hai letto il messaggio presumo che non sia proprio un classico
bravo ragazzo e non ti permetterò di stare vicino a un
coglione che
potrebbe metterti le mani addosso».
«Ti
faccio notare che mi
hai appena lasciato il braccio, stronzo».
«Non
era quello che
intendevo».
Ci
metto un po' a capire.
Sento le guance prendere colore.
«Non
sono affari tuoi con
chi vado a letto, Pattinson».
«Lo
sono eccome».
«Tu
sei fuori di testa».
«Mi
ringrazierai quando
tornerai a pensare lucidamente».
Apro
la bocca per dire
qualcosa ma la richiudo subito quando sento il cellulare prendere a
vibrare nella borsetta. Stavolta però non smette subito ma
continua,
è una chiamata. Ci metto un po' a capirlo e in quel lasso di
tempo
Robert si è già allungato verso il mio posto e ha
già risposto
alla chiamata.
Pov
Robert
«Pronto?
Chi parla?».
«Robert!
No!» - allontano
Kristen con una mano, spingendola gentilmente verso la portiera
mentre una voce maschile comincia a parlare dall'altro lato del
telefono.
«Kristen?
Ci sei?».
«Non
sono Kristen e tu chi
cazzo sei?».
«Non
sono cazzi tuoi. Dov'è
Kristen? Devo parlarle» - il tono di voce incazzato e la voce
impastata mi suggerisce che il ragazzino qua ha bevuto un po'.
«Adesso
Kristen è
impegnata, dì pure a me».
«No,
devo parlare con lei..
cazzo».
«Chi
sei?».
«Chiedilo
a lei, scommetto
che è là vicino a te, quella
puttana...» - stringo forte il
telefono per reprimere il bisogno di uccidere a cazzotti questa testa
di cazzo.
«Non
chiamarla in quel
modo» ringhio. Noto che Kristen sta ascoltando attentamente
la
conversazione, fissandomi con gli occhi spalancati.
«E
tu chi cazzo sei per
dirmi come devo chiamare la mia ragazza?».
«Lei
mi ha detto che sei il
suo ex, coglione».
«Ti
ha mentito, lo sa
benissimo anche lei che non possiamo lasciarci» e lo dice con
una
tale spavalderia che mi verrebbe da ridergli in faccia, ma mi
trattengo.
«Ah
si? E come mai?»
chiedo, ironico.
«Senti,
non sono cazzi
tuoi, davvero. Quindi adesso passami Kristen».
«Non
ti passo proprio
nessuno e ti consiglio di smetterla di chiamarla e di sparire dalla
sua vita se non vuoi finire in seri guai».
«E
tu saresti il nuovo
fidanzato?» mi prende in giro, ridacchiando come un coglione.
«Io
sono migliore di te, è
tutto quello che ti interessa sapere. Buona giornata» -
chiudo la
chiamata e restituisco il cellulare a Kristen, che continua a
fissarmi a bocca aperte e gli occhi sgranati, incredula. Le sorrido e
le chiudo il telefono fra le mani, premendo le mie sopra le sue, come
a proteggerle. «Se ti chiama o ti manda di nuovo un
messaggio,
dimmelo subito e me ne occuperò io, va bene?».
«Non
avresti dovuto farlo,
Robert...» dice, riprendendosi.
«Fidati,
so badare a me
stesso».
«Non
sai chi era.. Chuck
è..».
«Si
chiama Chuck?
Cognome?».
Lei
scuote la testa, «Non
metterti in mezzo».
«Per
ora mi accontenterò
di questo, ma se ti chiama un'altra volta dovrai dirmi tutto di lui
in modo che possa occuparmene seriamente».
«Perché
lo fai?».
«Lavori
per me, non voglio
che ti succeda niente» - e mentre lo dico sento che
è vero, non
voglio davvero che le succeda niente. Oggi, per tutto il tempo in cui
siamo stati a casa dei miei genitori, ho sentito una specie di
alchimia con Kristen, come se tra noi ci fosse un feeling innegabile;
mi sento davvero bene con lei e non mi è risultato per
niente
difficile dover fingere che fosse la mia ragazza visto quanto
è
bella. Certo, appena siamo usciti è tornata la solita
Kristen,
quella che mi prende in giro e mi insulta e pensa che io sia solo uno
stronzo egocentrico, ma per quelle poche ore è stata
gentile, carina
e disponibile e mi ritrovo a pensare che forse vorrei vederla in quel
modo più spesso.
La
voglio.
«Mi
tratti come se fossi
una tua dipendente, è orribile».
La
voglio a casa mia, nel
mio letto.
«Solo
quando sei a casa dei
miei genitori o dobbiamo fingere di stare insieme» - tengo
ancora le
mie mani sopra le sue, le premo un po' di più e lei
arrossisce e mi
guarda confusa - «ma quando la commedia finisce mi piacerebbe
conoscerti davvero, Kristen; intendo fuori dal 'lavoro', come due
persone normali».
Kristen
lascia le mie mani
come se scottassero, indietreggiando contro lo sportello della
macchina, «Cosa
vuoi dire?».
«Niente,
solo che voglio conoscerti
un po' meglio».
«Sai
anche troppo su di me,
Robert».
«Non
so niente su di te».
«E
resterà così! È un
lavoro, ricordi? Io fingo di essere la tua fidanzata, faccio la
carina con i tuoi genitori e le tue sorelle ma quando esco da quella
casa io torno a essere una semplice ragazze e tu torni a essere il
ragazzino milionario con un impero da gestire e nessuna voglia di
corrermi dietro, chiaro?».
Le
sue parole mi fanno male.
Mi considera davvero così? Tutto quello che ha fatto davanti
ai miei
genitori era così finto? Sapevo che stava fingendo ma
sentirglielo
dire è difficile e fa male, anche se non dovrebbe. Bene.
Vuole fare
la stronza? So essere molto più bravo di lei in questo.
«Come
vuoi».
«Bene..».
La
macchina si ferma davanti
al mio appartamento. Esco dalla macchina senza aspettare che venga
Thomas ad aprire il mio sportello e filo dentro fermandomi solo agli
ascensori, dove aspetto Kristen. Lei arriva qualche minuto dopo,
guardandosi attorno con un'aria spaesata.
Clicco
il pulsante per
chiamare l'ascensore.
«Potevo
benissimo tornare a
casa mia» dice, imbronciata. Un tenero broncio.
«Con
un ex fuori di testa
in giro? Scordatelo. Lavori pur sempre per me e io ci tengo ai miei
dipendenti, anche fuori dall'orario lavorativo».
Lei
non dice niente e
cammina in silenzio dentro l'ascensore quando le porte si aprono
davanti a noi.
Il
nostro silenzio è
interrotto dal suo cellulare che prende a vibrare.
«Dammelo»
le ordino.
«No,
non..» - le strappo
la borsetta di mano senza troppe cerimonie, aprendola e prendendo il
cellulare. Di nuovo lo stesso numero di prima.
Ma
stavolta è un messaggio – "Sono
sotto casa tua e non me ne vado finché non parliamo, esci!".
«Cristo,
è peggio di
quanto pensassi..».
«C-Che
ha scritto?»,
Kristen cerca di guardare da sopra la mia spalla ma è troppo
bassa.
Mi infilo il suo cellulare in tasca; le porte dell'ascensore si
aprono e io entro dentro, seguito da Kristen che inciampa nei tacchi
cercando di stare al mio passo.
«Dimmi
cosa c'era
scritto!».
«Il
tuo ex è un pericolo
per te».
«Dammi
il mio cellulare,
Robert! Adesso!».
«Non
posso, devo
controllare se ti manda messaggi o chiamate» - mi metto a
controllare nel frigo se trovo qualcosa da bere. Per fortuna la donna
di servizio è andata a fare la spesa come le ho detto e
adesso il
mio frigo è colmo di tutti i miei cibi preferiti. Ma adesso
ho sete
quindi tiro fuori una bottiglia di vino rosso e me ne verso un
bicchiere.
«Gradisci?».
Kristen
si prende il viso
fra le mani per poi tirarsi indietro i capelli, scompigliando la
capigliatura fatta per andare a pranzo dai miei.
«Tu
sei fuori di testa, tu
sei un pazzo squilibrato... e ora dammi il mio telefono!».
«Ti
consiglio di abbassare
la voce e goderti la serata, ti terrò qui finché
non avrò mandato
qualcuno a casa tua per controllare che il tuo ex sia andato
via».
«Ma
che cazzo te ne fotte a
te? Me lo spieghi? Sul serio, non sono affari tuoi, Robert! Sto
dicendo sul serio, voglio tornare a casa mia, ho sonno, voglio farmi
una doccia e andarmene a dormire e dimenticarmi di tutta questa
giornata il più in fretta possibile..».
Non
voglio che dimentichi
il tempo che hai passato con me.
Ma
quel pensiero è troppo
intimo, troppo sentimentale per i miei gusti.
Non
sono quel genere di
persona, non lo sono mai stato.
Nessuna
delle mie 'fidanzate' mi ha mai definito un tipo romantico o
premuroso, più che altro elogiavano il sesso che facevamo e
la mia
carta di credito. Ma a Kristen non interessa niente di tutto questo,
anche perché non l'ho neanche mai baciata – non
ancora,
cazzo
– anche perché me l'ha
proibito.
«Se
vuoi farti una doccia
puoi farla qui e puoi usare la camera degli ospiti se hai
sonno»
dico, dandole le spalle e prendendo un sorso del mio vino. Devo darmi
una calmata, questa ragazzina sta prendendo anche troppo del mio
tempo e della mia pazienza.
«Voglio
stare a casa
mia..».
«Questa
casa costa più
della tua, cazzo!» urlo, esasperato. Perché vuole
scappare via? Che
ho che non va? Posso offrirgli il mondo, porca troia. «Puoi
fare il
bagno che desideri e stare in doccia anche due ore, se vuoi e dormire
in un letto con un cuscino in piume d'oca e tu vuoi tornare a casa
tua? Dimmi che stai scherzando, per favore. Non capisci che sto solo
cercando di assicurarmi che tu non finisca nei guai con il tuo ex?
Lavori per me, cosa succederebbe se tu finissi in ospedale? Cosa dico
a mia madre?», e non voglio che lui si avvicini a
te.
«Smettila!»,
si avvicina a
me e mi strappa di mano il mio bicchiere, cogliendomi alla
sprovvista, «Smettila di comportarti come se fosse colpa mia,
come
se fossi io a dirti di prenderci cura di me.. che poi tu non ti
prendi cura di me, tu ti prendi cura di una tua dipendente,
ma io non sono niente di tutto ciò! Mi sono stancata! Non
trattarmi
come se io fossi una cazzo di scema che ha bisogno di essere guidata
ovunque, io so prendermi cura di me benissimo anche da sola. E
sopratutto», mi punta un dito contro, guardandomi con una
tale
rabbia negli occhi che non riesco a fare altro che ascoltarla mentre
parla senza ribattere o difendermi, «smettila di avere quei
tuoi
maledettissimi sbalzi d'umore perché mi stai mandando al
manicomio!».
Bum.
E
niente, il mio
autocontrollo crolla.
La
vicinanza di Kristen mi
manda fuori di testa.
E
sarà il suo odore, il suo
profumo di vaniglia e fragole, il fatto che indossi ancora l'abito
che aveva per pranzare dai miei, i ricordi di come era morbida e
bella fra le mie braccia anche se solo per finta, ma io non ce la
faccio più e crollo.
Le
stringo i fianchi con
forza, attirandola a me.
«C-Cosa
stai facendo?» mi
guarda, accigliata.
«Secondo
te cosa fa venire
i miei 'maledettissimi sbalzi d'umore'?» - le accarezzo i
fianchi e
la premo contro il mio petto, si adatta perfettamente - «Sei
tu,
bellezza. Sei tu che mi stai mandando al manicomio. Te, la tua lingua
biforcuta, le tue parolacce, il modo in cui mi fai impazzire e come
riesci a tenermi testa.. sei tu, da quando ti conosco, sei sempre e
solo tu...».
«No,
io..».
Premo
con forza le mie
labbra contro le sue.
Ci
metto un po' a ricambiare
il bacio e mentre le sue labbra si adattano perfettamente alle mie,
come due pezzi mancanti che si ritrovano dopo troppo tempo, le cingo
la vita con un braccio e senza staccarla da me la porto verso il
corridoio e poi nella mia camera da letto.
«Tutto
questo non va
bene..» sussurra contro le mie labbra, ha il viso arrossato
ma non
sembra dispiaciuta.
«Va
bene eccome, voglio
baciarti da quando ti ho vista.. e non solo», la faccio
girare e la
stendo sul letto senza smettere di baciarla.
Kristen
inizia a ricambiare
sul serio il bacio, affondando le mani fra i miei capelli
avvicinandomi di più a lei, alle sue labbra. Come se io non
volessi
fare lo stesso, come se finalmente mi sentissi davvero bene, me
stesso.
Con
un calcio, mi sbarazzo
delle scarpe e lei fa lo stesso. Mi stacco da lei e mi alzo,
alzandomi in piedi e osservandola mentre è distesa sul mio
letto.
«Che
stai facendo..?», è
arrossita e sembra nervosa.
«Ti
osservo, avevo
ragione».
«Su..
cosa?».
«Sei
la donna più bella
che io abbia mai incontrato e sai cosa ti rende ancora più
bella? Il
fatto che tu sia distesa sul mio letto» - mi tolgo le scarpe
e
inizio a slacciarmi i pantaloni togliendomi la cintura. Mi piego sul
letto e premo di nuovo le labbra sulle sue, cominciando a sbottonarle
la camicetta.
«Rob..
Rob, aspetta»
appoggia le mani sul mio petto, allontanandomi.
«Cosa?
Dimmi..».
«Non
so, uhm, non se.. è
la cosa giusta?» mi guarda, confusa e forse anche un po'
spaventata.
«Perché
non dovrebbe? Ti
voglio, adesso», riprendo a sbottonarle la camicia ma lei mi
ferma
di nuovo, bloccandomi le mani e portandole sul suo viso.
«Lavoro
per te, ricordi?
Questo.. complicherà solo le cose».
«Sesso
e lavoro possono
essere divisi, piccola», cerco di farle il mio sorriso sexy
più
convincente ma lei sembra solo ancora più convinta del
contrario. La
vedo ritrarsi, quasi spaventata; lascia andare le mie mani, che
cadono ai lati del suo viso.
«Non
sono quel genere di
ragazza...».
«Puoi
diventarlo», mi
pento un secondo dopo di averlo detto.
«Che..
schifo. Oddio,
togliti di dosso!» cerca di spingermi via ma io resto fermo
sopra di
lei.
«Kristen,
scusa, non volevo
dire quello.. è solo che voglio questo da quando ti ho
vista. Dico
sul serio: lavoro e sesso possono essere divisi, non perderai il
lavoro e continuerò a pagarti, okay?».
«No!».
«Qual'è
il problema? Mi
vuoi, lo so».
Arrossisce
e lì capisco che
ho ragione.
Oh
Dio, avevo ragione,
dietro tutta la sua spavalderia e la sua lingua biforcuta
c'è una
ragazza, con dei bisogni che posso soddisfare se mi gioco bene le mie
carte.
«Te
l'ho detto, non sono
quel genere di ragazza, Robert..».
«Avanti,
Kristen..» - le
bacio il collo, lasciandole una scia di baci dalla spalla fino alla
mandibola. La posso sentire chiaramente rilassarsi sotto i miei baci
- «Lasciati andare».
«No..»
- ma non convinta
neanche lei.
«Si»
- continua a baciarla
fino ad arrivare alle sue labbra - «Si, che puoi».
Affonda
di più nel letto,
piegando le gambe. «Sei il peggior stronzo che io abbia mai
incontrato», ha un sorriso malizioso in volto.
«E
tu sei meravigliosa, la
più bella di tutte», finisco di sbottonarle la
camicetta,
lasciandola aperta su un reggiseno in pizzo nero che non deve
sicuramente essere stato una sua scelta ma che le sta d'incanto.
Sorriso e inizio a baciare ogni centimetro di pelle libera mentre lei
torna a immergere le mani fra i miei capelli.
Mi
sfilo la camicia e faccio
lo stesso con la sua.
Resta
solo la gonna a vita
alta e i miei pantaloni.
Traccio
una linea sulla sua
pancia piatta, morbida e calda con il dito e la sento rabbrividire.
Le
metto una mano dietro la
nuca, sollevandola un po'. La bacio e con le mani mi occupo di
liberarmi del reggiseno. Lei si appiattisce contro il mio petto, come
per proteggersi dalla mia vista e procurandomi una bellissima
sensazione di pelle contro pelle. Allora anche tu hai
vergogna e
timidezza, piccola furbetta. Gioca con i miei capelli mentre
le
sbottono i bottoni sul davanti della gonna. «Su il sedere,
piccola,
liberiamoci di questo affare» le sussurro all'orecchio e lei,
dopo
un attimo di esitazione, fa come le dico e anche la gonna va a finire
insieme alle nostre camicie, sul pavimento in legno della mia camera
da letto. Kristen si siede sulle mie ginocchia, appoggiando le mani
sui bottoni dei miei pantaloni. Solleva il viso e guarda il mio,
sorridendo timida.
«Fai
pure, bellezza» la
incoraggio.
Lei
annuisce e inizia a
sfilarmi i jeans e io l'aiuto.
Finalmente
libero, mi sdraio
di nuovo sopra di lei.
Kristen
si morde il labbro,
nervosa, mentre io non potrei essere più felice. Amo avere
la
situazione sotto il mio controllo, lei non ha idea di quanto io abbia
aspettato per questo, è da quando l'ho vista la prima volta
che lo
voglio. La bacio e sento che anche lei ha bisogno di me quando io ho
bisogno di lei e me ne accorgo ancora di più quando la mia
mano
scende in mezzo alle sue gambe e la sento gemere. Mi avvicino al suo
orecchio, «Non trattenerti, non farlo» - Kristen
è completamente
presa dalla situazione e noto la sorpresa nel suo gemito quando
infilo due dita sotto il tessuto in pizzo. Si contorce sotto il mio
tocco, aggrappandosi prima al lenzuolo ai suoi lati e poi alle mie
braccia, appoggiando il viso contro il mio bicipite, cercando di
nascondere i suoi deliziosi gemiti.
«Non
farlo».
«Robert...
ti prego, uhm,
Rob..».
«Non
trattenerti, piccola».
Quando
capisco che è
pronta, mi sfilo i boxer e faccio fuori anche le mutandine in pizzo
di Kristen, che è ancora presa da quello che le mie dita le
hanno
procurato pochi secondi fa.
«Rob..».
«Ti
voglio».
«Non
sono ancora convinta
che sia una buona idea...».
Porto
di nuovo la mia mano
in mezzo alle sue gambe, accarezzandola piano. «Il tuo corpo
non è
della tua stessa idea».
«S-Smettila..
uhm», si
morde di nuovo il labbro, forte.
«Lasciati
andare.. non
pensare».
«Non
è facile».
«Ti
aiuto io», tolgo la
mano e mi posiziono in mezzo alle sue gambe. Lei
intreccia le gambe dietro la mia schiena e io non mi
trattengo dall'accarezzarle una gamba.
«Rob...».
Il
modo in cui pronuncia il
mio nome è la goccia che fa traboccare il vaso e non posso
aspettare
un istante di più. Affondo dentro di lei come se fosse una
questione
di vita e di morte. Kristen affonda ancora di più nel letto
per poi
sollevare il bacino per venirmi incontro, aggrappandosi alla mia
schiena mentre prendo ritmo.
«No..
no, Rob, per favore».
Accelero,
completamente
preso dalla situazione.
Veloce,
veloce, veloce,
sempre di più.
«Rob..
no, p-per favore..
Rob!» - la voce tremante e spaventata di Kristen mi fa
tornare in
me.
«C-Cosa...?».
«Non..
veloce. Non così..
forte. Per favore» mi prega, guardandomi negli occhi.
Occhi
spaventati.
Pieni
di brutti ricordi.
Mi
ritrovo ad annuire,
accarezzandole il viso con le nocche.
Lentamente,
riprendo, più
dolce, meno veloce.
Osservo
attentamente il suo
viso finché non vedo l'ansia e la paura sparire e venire
sostituite
dal piacere.
«Così..?»
le chiedo.
«Si..
si, così. Rob, Rob,
Rob..».
«Dio,
tu non sai quanto sei
meravigliosa».
«Rob..
sei.. sei
bellissimo..», mi accarezza il viso, come nessuna donna ha
mai fatto
mentre facevamo sesso, in modo dolce, premuroso, un genere di
attenzione che mi spaventa e mi mette in soggezione, «si..
Rob,
grazie..» - chiude gli occhi e si lascia andare, tremando
sotto di
me e io la raggiungo poco dopo, crollandole sopra.
Cerco
di non pesarle troppo,
ma sono sfinito.
La
sento respirare contro il
mio colle, le sue mani ancora premute sulla mia schiena, si muovono
agitate, dalle spalle ai capelli, alla schiena, alla vita, al mio
viso.
Quando
riprendo le forte, mi
sdraio sul un lato, cercando di respirare bene.
«Non
mi sono mai sentito
tanto bene, cazzo».
Kristen
gira il viso verso
di me, ha i capelli scompigliati, il viso arrossato, le labbra gonfie
per i baci, ma i suoi occhi sono limpidi. «E' stato
bello» dice,
arrossendo ancora di più; si avvicina e fa per appoggiare il
viso
contro il mio petto ma io mi scosto.
Non
ho mai permesso una cosa
del genere.
Non
dormo con le donne con
cui faccio sesso.
Persino
con la mia ultima
fidanzata appena finito ognuno stava dal suo lato.
Non
sono mai stato bravo a
coccolare una donna.
So
soddisfarla dal lato
fisico, ma da quello sentimentale non ho neanche mai provato.
«Oh...»
- il suo sorriso
muore mentre lei si solleva, afferrando il lenzuolo per coprirsi il
petto.
«Ehi,
è stato bellissimo»
dico, per rassicurarla.
«Mh,
si...».
«Puoi
dormire nel mio
letto, con me, ma.. non sono per quel genere di cose,
bellezza».
«Quali..
cose?».
«Sai..
coccole, baci e
carezze post-sesso. Non fanno per me».
Kristen
si stringe il
lenzuolo al petto ancora di più e noto i suoi occhi farsi
lucidi.
Oh, merda. «O-Okay... allora..», si guarda intorno,
confusa, come
se vedesse la stanza per la prima volta e infatti è
così. «Io vado
a farmi una doccia...», si solleva e usa il lenzuolo come una
tunica
greca per coprirsi, improvvisamente timida.
Sembra
così.. triste.
Forse
ha ragione a chiamarmi
stronzo.
Io
so di esserlo, solo che
prima non mi aveva mai creato problemi.
Ma
adesso, con Kristen che
cammina inciampando nel mio lenzuolo per andare a farsi una doccia
dopo aver fatto sesso con me, mi sento davvero uno stronzo ad averle
negato così sfacciatamente un po' di coccole.
«Kristen?».
Lei
si gira e vedo la
speranza nei suoi occhi.
Non
trattarla di merda.
Non
trattarla di merda.
NON.TRATTARLA.DI.MERDA.
«Hai
un culo favoloso, lo
sai?».
Il
suo sguardo speranzoso
muore come il suo sorriso poco fa.
«Grazie.....
vado a farmi
la doccia, ciao» e corre via in bagno, sento la porta
sbattere con
forza.
Pov
Kristen
Appena
la porta del bagno si
chiude lascio andare le lacrime, che iniziano a rigarmi lentamente il
viso. Sono lacrima di rabbia, frustrazione, verso lui, verso me.
Perché mi sono lasciata trascinare in questa cosa?
È la stessa
domanda, sempre la stessa da quando l'ho incontrato e ancora non ho
una risposta. E adesso ci sono pure finita a letto. E, Dio,
è stato
il miglior sesso della mia vita ma è iniziato nel peggiore
dei modi
ed è pure finito nello stesso modo. Era troppo brusco
all'inizio,
era come se io non ci fossi neanche, era concentrato solo su se
stesso; e non mi sono neanche goduta bene il momento successivo, non
un abbraccio, un bacio, un gesto d'affetto. Come se fossi solo un
oggetto da usare e poi buttare. 'Ma puoi dormire nel letto con me,
eh', ma vaffanculo. Vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo, Pattinson.
Mi
asciugo le lacrime, che
hanno completamente rovinato il trucco.
Mi
infilo dentro la doccia e
ci resto una vita, continuando a pensare alle mani di Robert su di
me, a come mi sono lasciata andare così facilmente fra le
sue
braccia. È bravo, non posso negarlo, ma è un
grandissimo stronzo.
Quando
esco dalla doccia controllo davanti allo specchio che non si noti che
ho pianto, mi infilo un accappatoio e apro la porta del bagno. Robert
indossa un paio di pantaloni della tuta, mi da le spalle e sta
parlando al telefono, sembra teso. «Non
mi importa, lo voglio lontano da quella casa, subito» - si
infila
una mano in tasca e guarda dritto davanti a sé, la schiena
dritta,
le spalle contratte - «Fai quello che ti ho detto. Tienimi
aggiornato», si gira e mi vede, un sorriso malizioso si
allarga
sulle sue labbra, «Già fatto?» chiede,
ironico.
«Avevo
bisogno di una doccia».
«L'ho
notato».
«E
di vestiti puliti».
«Me
ne sono già preoccupato», va verso l'armadio, lo
apre e tira fuori
una maglietta bianca larga e un paio di boxer da maschio. Me li
lancia. «Ecco. È roba mia, spero che non ti
dispiaccia».
«Chi
era al telefono?» - vado in bagno e socchiudo la porta per
sentire
la risposta.
«Potevi
anche cambiarti davanti a me, eh. Comunque, mi sono occupato di
mandare qualcuno a controllare casa tua».
Giusto,
gli ho dato il mio indirizzo. Che idiota.
«Non
avresti dovuto..».
«Oh,
ti prego. Il tuo ex è uno squilibrato».
Mi
siedo sul bordo della vasca. Chuck. Oh, no, chissà cosa
avrà
pensato quando Robert ha risposto al mio telefono. «Che.. che
ti ha
detto?».
«Voleva
parlare con te, ovvio».
«Non
ti ha detto il motivo?».
«No,
era troppo ubriaco».
Oh,
no.
Chuck
ubriaco non è mai una buona cosa.
Istintivamente,
mi tocco il viso.
Quante
sere passate a cercare di calmarlo, chiedendogli per favore di
sedersi e ricevendo spintoni e schiaffi in cambio.
«Quella
persona.. che hai mandato a controllarlo.. che ti ha detto?».
«Che
era sotto casa tua, aspettandoti. Ubriaco fradicio e con una
bottiglia mezza vuota in mano. Gli ho detto di trascinarlo alla
centrale di polizia».
«Cosa?
No! Sei pazzo?», esco dal bagno, furiosa.
Robert
osserva attentamente le mie gambe prima di rispondere. «E'
quello
che si merita, o preferivi scopare con lui stasera?».
E'
come se anche lui mi avesse dato uno schiaffo in piena faccia.
Senza
pensarci, afferro il mio telefono appoggiato al comodino e glielo
lancio contro ma lui lo afferra al volo. «Sei il peggior
figlio di
puttana che io abbia mai incontrato, Robert Pattinson!».
Per
un secondo penso che abbia capito il suo errore, ma un attimo dopo ha
appoggiato di nuovo il mio telefono sul letto e mi sta sorridendo.
«Poco fa, non dicevi così».
Arrossisco.
«Sei uno stronzo, cazzo. Dio, voglio andarmene!
Subito!».
«Non
penso proprio. Devi stare da me, ricordi?».
«Ma
non ci penso proprio! Fammi andare via, Robert, adesso».
«Non
finché Harry non mi avrà richiamato per dirmi che
il tuo ex è in
prigione. Nel frattempo, tu rimani qua con me».
«Tu
sei pazzo».
«Te
l'ho già detto, di te, bambolina».
Cazzo,
no.
Quel
nome, no.
Mi
lancio contro di lui cogliendolo di sorpresa.
Andiamo
a sbattere contro il muro e lo sento gemere di dolore quando la sua
schiena nuda si scontra contro il duro muro.
Inizio
a colpirlo con forza sul petto, agitando le gambe sperando di
beccarlo nel punto giusto ma Robert mi precede e mi afferra i polsi,
invertendo le posizioni.
Mi
schiaccia contro il muro, le sue mani stringono i miei polsi e li
sollevano sopra la mia testa, rendendomi terribilmente vulnerabile.
«Che
caratterino..».
«Non
di merda come il tuo, però».
«Di
nuovo mi insulti, Kristen? Anche dopo che abbiamo scopato?».
«Smettila
di usare quella parola! È come se fossi un oggetto, cazzo, e
non lo
sono».
Allenta
la presa, vedo confusione nei suoi occhi di ghiaccio. «No..
certo
che non lo sei...».
«E
allora lasciami andare!».
«Non
posso permetterti di tornare a casa, non con il tuo ex che potrebbe
farti dal male così facilmente...».
«So
difendermi benissimo da sola».
Lui
lancia uno sguardo ironico alla nostra posizione, al modo in cui mi
ha completamente in suo controllo. «Oh si, lo vedo come sai
difenderti».
«Fottiti,
Pattinson».
Robert
torna a stringere la presa e spinge il suo bacino contro il mio,
facendomi arrossire come non vorrei. «Con te? Mh,
si».
«E
io che credevo che fossi un cazzo di figlio di papà
perfettino, tu
sei m-a-l-a-t-o».
«Ti
voglio di nuovo.. resta con me stanotte» - china la testa e
prende a
baciarmi il collo, spingendo di nuovo il bacino contro di me,
premendo con forza e mordendo piano la pelle. Oh,
si..
provo a ribellarmi ma so già in partenza che non
è quello che
voglio veramente. Quello che voglio è lasciarmi andare ma ho
troppa
paura di soffrire, perché io non sono quel genere di ragazza
che va
a letto con chiunque, l'ho fatto solo con Chuck e anche quando lui
andava a letto con altre tremila ragazze io mi ritrovavo in camera
mia, aspettando che tornasse. Perché non volevo conoscere
nessuno,
non volevo soffrire, non volevo rischiare. Mi ero già
rovinata la
vita con Chuck, rischiare di nuovo era da stupidi. E adesso che
finalmente Chuck non poteva più controllarmi – o
almeno lo speravo
– avevo ancora difficoltà a lasciarmi andare con
un uomo.
«N-Non..
v-voglio..».
«Si
che lo vuoi..», mi bacia, rendendo il bacio più
profondo ogni
secondo che passa.
Mi
lascia andare le braccia
e poggia le sue mani sulla mia vita, sollevando la maglietta e
accarezzandomi i fianchi.
Sento
le gambe cedere.
«Vieni
a letto con me..», me lo sta chiedendo?
«Sei
uno stronzo...».
«Ma
lo vuoi. Sono uno stronzo, ma vuoi venire a letto con me,
ammettilo».
«Robert...»
- mi pizzica il fianco e io urlo.
«Almeno
quando ti sto baciando, lascia perdere 'Robert'. Sono Rob, per te..
solo Rob per te, Kristen.. non ci separa niente quando sei fra le mie
braccia» - e come per enfatizzare le sue parole mi conduce
verso il
letto e mi fa sdraiare sotto di lui, schiacciandomi senza
però farmi
male. «Mi dispiace per come ti ho trattata prima, ma io non
faccio
quelle cose. Non le faccio, mai. Con nessuna. Mai. Ma voglio fare
sesso con te, lo voglio in un modo disperato che non mi era mai
capitato prima con nessuna... lo vuoi anche tu?».
Si.
Si,
cazzo.
Lo
voglio ma non posso.
Come
posso fare sesso con te quando so per certo che dopo starò
una
merda?
Non
voglio una cosa del genere.
Voglio
ricominciare da capo.
Dopo
Chuck, speravo di trovare qualcuno.
Qualcuno
da amare.
E
da cui sarei stata amata.
E
invece mi trovo.. questo?
Mi
vengono gli occhi lucidi.
«Dimmi
che lo vuoi anche tu, Kristen», strofina il suo viso sul mio
collo,
sollevandomi la maglietta con una mano.
Spingo
con forza il viso dall'altra parte.
Robert
lo scambia come un permesso e inizia a baciarmi il collo.
I
suoi baci sono i migliori del mondo.
Sono
passionali ma anche dolci, alcune volte persino premurosi.
Le
sue mani sono esperte, sanno dove andare e sono attente.
Ma
non hanno amore.
Non
c'è sentimento.
Mi
sento vuota.
L'amore
non dovrebbe riempirti?
Provo
a spingerlo via con le mani ma sono debole, non voglio mandarlo
davvero via.
«Tienimi
compagnia, Kristen».
«Tu
sei pazzo...».
«Continui
a ripeterlo, ma sei ancora qua».
«Robert...».
«No»
- mi morde forte il collo.
«Rob..
per favore».
«Così
va meglio, piccola».
«Non
sono la tua piccola, cazzo».
«Chi
lo dice?» - mi accarezza il viso, un gesto dolcissimo che mi
fa
sperare.
«I-io..».
Robert
continua ad accarezzarmi il viso, guardandomi dritto negli occhi.
«Vieni
a letto con me».
«Rob..».
«Non
cambierà niente, te lo prometto».
E'
questo il problema.
Come
puoi non capirlo?
«Avanti,
Kristen..».
«Non
lo so...».
«Si
che lo sai.. lo vuoi, Kristen. Mi vuoi anche tu come io voglio
te».
«Mh..»
- la sua mano scende sul mio stomaco e gioca con il bordo dei boxer
che mi ha dato.
«Vuoi..?».
«Rob...».
«Si?».
«Si...».
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*corre
a nascondersi dall'imbarazzo*
oddio,
scusatemi.
Per
tante cose.
Allora,
la prima è:
- scusatemi
se questo capitolo è arrivato leggermente in ritardo.
- Scusatemi
se è pieno di parolacce
- scusatemi
se ci sono troppe scene di sesso (devo scusarmi?)
- scusatemi
se vi sembra affrettato, ma ho dovuto, la storia è
così
- scusatemi
ancora per il ritardo
-
scusatemi
per.. boh, qualunque cosa non vi sia piaciuta
in realtà, il capitolo
sarebbe dovuto essere diverso ma mi è venuta in mente
questa... cosa e ho dovuto scriverla, quindi.. non so,
-
spero
vi piaccia.
A
me piaciucchia, ecco.
Più
o meno.
Mh,
vi sto annoiando.
Allora,
grazie ancora per leggere questa cosa.
Per
favore, recensite perché voglio sapere cosa ne pensate.
La
storia continuerà più o meno in questo modo,
con
colpi di scena ecc ecc ovvio, ma ci saranno anche
scene
con robert e kristen che... uhm, avete capito.
Oddio,
le ho scritte malissimo, lo so, ma ho fatto del mio meglio.
Ditemelo
se sono volgari.
Buona
pasqua in ritardo, baci!
Vi
voglio bene,
alla
prossima.
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