Attraverso Pecorelle e Fangirlismi

di Danielle_Lady of Blue Roses
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** E perché non mi hai detto niente? ***
Capitolo 2: *** Sugar Time! ***
Capitolo 3: *** Kōsetsu-bi (Giorno di neve) ***
Capitolo 4: *** Coraggio, Protezione e Fiducia ***



Capitolo 1
*** E perché non mi hai detto niente? ***


OS_standard Come avevamo preannunciato sulla nostra fanfiction "Fool's Revenge", ecco a voi la raccolta di One shot/ Scene eliminate/Frammenti/Cose a caso scritte per soddisfare il bisogno di zuccheri e fangirlismo/Tutto quello che ci é passato per la testa :D
Di comune accordo, abbiamo deciso di dedicare l'intera raccolta alla nostra Ultima Luce, Elelovett :D
Grazie cara per averci sostenute con così tanto entusiasmo fin dall'inizio della ff, non hai idea di quanto questo ci abbia spronate ad andare avanti! ^^

Titolo: E perché non mi hai detto niente?
Personaggi: Karol, North, Jack, Bunny
Pairing: Karol x North (Candycane) accennato
Rating: Verde
Genere: Missing Moment
Avvertimenti: Post-Movie, Pre-FF
Note: Questa è la scena a cui ci riferiamo nel primo capitolo della fanfiction principale, è quindi ambientata immediatamente dopo la scena conclusiva del film.


-Ora zabaione per tutti!- esclamò North, gioviale, mentre la slitta sfrecciava nel cielo verso il Polo Nord.
-Oh, no. Non per me, ti ringrazio- disse Tooth, alzandosi in volo -Io e le ragazze dobbiamo sistemare di nuovo tutti i contenitori dei dentini e riprendere con la raccolta dei nuovi. Doppio lavoro per un bel pezzo, temo-
-Non sai cosa tu perdi- commentò North senza perdere il buonumore, prima di salutarla.
Anche Sandy fece qualche segno di scusa, ma i bambini erano rimasti senza sogni per fin troppo tempo e di certo c’erano ancora incubi da ritrasformare.
-Peccato. Pensavo di fare festa invece sembra che siamo solo noi. Poco male- disse North, imboccando il tunnel della slitta.
-Non tutti lavorano solo un giorno l’anno-  fece spallucce Bunnymund –E io per quest’anno ho finito. La peggior Pasqua di sempre- si lamentò.
-Peggio del ’68?- chiese Jack ridacchiando.
-Giusto. Diciamo tra le prime tre, allora- si corresse –Anche se in fin dei conti in Europa quell’anno andò benissimo- aggiunse facendo un breve resoconto degli eventi di quella giornata mentre salivano ai piani superiori.
-Accidenti! Hai distrutto una delle mie convinzioni preferite!- affermò Jack con teatralità –Come farò a sopravvivere senza la certezza di aver rovinato la Pasqua del ’68?- domandò camminando all’indietro, ragion per cui non capì subito la ragione per cui sia North che Bunny si erano fermati di botto con un’espressione molto preoccupata, se non spaventata, in volto.
D’istinto si girò, pronto a dover affrontare chissà che cosa, ma non vide nulla di pericoloso, almeno a suo dire.
Tra yeti indaffarati e caotici elfi, infatti, c’era solo una donna alta, dai capelli biondo scuro che arrivavano poco oltre le spalle e l’espressione estremamente arrabbiata negli occhi azzurri, al punto che le delicate sopracciglia sembravano costituire un’unica arcata, tant’erano vicine.
-Ehm, ciao Karol…- azzardò Bunny, in procinto di battere in ritirata, ma la donna non lo degnò di uno sguardo, continuando a restare ferma con le braccia incrociate a fissare Babbo Natale.
North deglutì.
-Nicholas StNorth. Cosa.È.Successo?- scandì la donna con calma glaciale.
Con immensa sorpresa di Jack, North abbassò il capo -Ecco, altro giorno Manny detto noi…-
-L’altro giorno, Nicholas?- lo interruppe Karol -Esattamente quanti giorni fa?-
-Ehm, due? Forse tre…- balbettò North, sempre senza guardare la donna.
-Vai avanti- gli consigliò Bunny sottovoce.
-Ecco Manny… nominato nuovo Guardiano!- esclamò North, lanciando un’occhiata quasi incoraggiata alla donna.
Qualcosa nel modo in cui Bunnymund si voltò di scatto a guardare Karol fece capire a Jack che non era la cosa migliore da dire in quel momento.
-Lo so- rispose Karol -Quil e Gomny me l’hanno detto. E mi hanno detto anche che li hai mandati a prenderlo in un sacco!- affermò in tono di rimprovero.
-È stata buona idea. Jack divertito!- cercò di rabbonirla North.
Jack era indeciso se cercare di aiutare Babbo Natale o meno. Sull’esempio di Bunny, optò per il silenzio.
Karol, intanto, sembrava che stesse cercando di contenere la rabbia crescente.
-Divertito- ripeté, calcando bene sulla parola in modo pericoloso -Chi mai si divertirebbe ad essere sbattuto in un sacco ed essere scagliato al Polo Nord?- domandò, con la voce che saliva pericolosamente di tono.
North, avvertendo che la situazione volgeva al peggio, si voltò verso Jack in cerca di sostegno. Karol seguì lo sguardo supplicante del marito, posando gli occhi sui due Spiriti che tentavano di diventare invisibili, inutilmente.
- E.Aster Bunnymund - chiamò, con gli occhi ridotti a fessura.
Bunnymund appiattì le orecchie contro il capo, guardandosi intorno alla ricerca di una via di fuga.
Non ce n’erano.
- D-da quanto tempo non ci si vede, eh Karol - cercò di temporeggiare, preparandosi alla fuga.
Karol non si diede nemmeno la pena di fingere di non sentirlo.
-Dal Capodanno di sei anni fa, quando tu e Sandy avete preso quella sbronza orrenda. Eri forse ubriaco anche quando hai deciso di appoggiare l’idea folle di questo scriteriato?- gli domandò avvicinandosi al gruppo.
Bunnymund deglutì –Vedi, Karol, pensavamo che fosse l’unico modo per convincerlo…-
-Convincerlo?- ripeté, indignata –Che razza di adulti pensate di essere? Forzare un bambino a prendersi delle responsabilità che voi stessi avete faticato ad accogliere!-
Sia North che Bunny abbassarono la testa - cosa comunque inutile per North, data la sua stazza - ma Karol non si lasciò impietosire.
-E non azzardatevi a dare la colpa a Manny! Sapete benissimo che è come un bambino a sua volta e voi, che dovreste essere persone di buon senso, avete il dovere di fargli presente quando una cosa potrebbe non essere la più appropriata- li rimproverò ancora.
-Ma Pitch tornato!- cercò di giustificarsi North.
-Si e io sono venuta a saperlo solo mezz’ora fa!- gridò la donna, ormai definitivamente infuriata –Non posso allontanarmi da casa per qualche giorno che vengo a sapere che c’è stata una crisi mondiale e TU- esclamò, puntando il dito contro l'ampio torace dell’uomo -Non ti sei nemmeno degnato di avvisarmi!-
-Non ne abbiamo avuto il tempo…- cercò di aiutarlo Bunnymund.
-Perché ci voleva molto tempo a mandarmi un messaggio- esclamò con pesante ironia –Davvero, costruisce giocattoli complessi in pochi minuti e non poteva mandarmi due righe per dirmi che stava andando a rischiare la vita?!-
-Via, donna! Noi avuto problemi…- cercò di rabbonirla North.
-Lo so!- affermò Karol, con un tono di voce più basso -Ed è per questo che avresti dovuto avvertirmi! Qualcuno di voi poteva farsi male!- gli fece notare –Qualcuno di voi poteva essere ucciso!- rincarò.
-Infatti Sandy morto- le rispose North, per nulla alterato.
La donna si fermò a guardarlo con un’espressione in viso che si sarebbe potuta interpretare come incredulità, perplessità o altrimenti come una sensazione di presa in giro.
-Sandy è…?- fece per chiedere con voce sottile, con una mano al petto.
-Oh, ma ora lui sta bene!- si affrettò a rassicurarla North, prendendole le mani tra le sue –Tutti noi sta bene. Tu deve smettere di innervosire te quando succede qualcosa non buono- la rimproverò bonario.
La bionda chiuse gli occhi e respirò a fondo per calmarsi, prima di riaprirli e spiegare: –Ero mortalmente preoccupata, Nicholas. Ti rendi conto di come mi sono sentita all’idea che potesse esservi successo qualcosa? Che potesse essere successo qualcosa a te?-
-Ma niente di irreparabile successo noi, tu vede? Anzi, cosa molto buona è che noi ha nuovo Guardiano- esclamò col suo vocione allegro Babbo Natale, indicando con una delle sue manone Jack, che aveva guardato l’intera scena tra il perplesso e l’incredulo, accanto a un Bunny decisamente più rilassato, ora che la donna si era calmata.
Karol sembrò accorgersi solo in quel momento del ragazzo e lo guardò con garbata curiosità mentre North lo presentava come Jack Frost, Spirito del Gelo e ora Guardiano del Divertimento.
-Jack, lei mia moglie, Karol Vesta StNorth. Luce di mia vita e cuore di mia casa- la presentò North, guardandola con gli occhi luminosi.
-Molto liet…- cominciò un esitante Jack, tendendo la mano, ma, a sorpresa, Karol lo abbracciò con dolcezza.
–Benvenuto, Jack- gli disse con la sua voce melodiosa e, in qualche modo, il cuore gelido del ragazzo si scaldò.
Per la prima volta dopo tre secoli, si sentì a casa.

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Capitolo 2
*** Sugar Time! ***


OS_standard Rieccoci qui con una nuova One Shot!
Ringraziamo calorosamente DreamFall e Mixxo98 per averla aggiunta alle preferite, DarkshielD e BlackIvy_Lay alle seguite e ovviamente Elelovett, la nostra Ultima Luce, che ha aggiunto la raccolta sia nei preferiti che nei seguiti ^^
Grazie mille anche a chi ha letto e recensito il capitolo precedente, speriamo che anche questa One Shot vi piaccia! :D

Titolo: Sugar Time!
Personaggi: Beltaine, Bunnymund
Pairing: Bel x Bunny ( Hot Chocolate)
Rating: Verde
Genere: Romantico
Avvertimenti: What if?, Scena Tagliata, Post Capitolo 9
Note: Scena mai avvenuta in Fool’s Revenge, scritta soltanto per soddisfare la voglia di zuccheri/fangirlismo delle autrici.




Un silenzio imbarazzato calò sulla stanza, smorzato soltanto dallo scoppiettio del fuoco nel camino.
Beltaine tossicchiò, scrutando la stanza vuota con lo sguardo, cercando di non soffermarsi troppo su Bunnymund, che si era seduto davanti al fuoco in silenzio.
Lo Spirito della Primavera si tormentò un lungo orecchio con una zampa, nervosa. Non capiva cosa fosse preso al Pooka. In fondo, era stato lui che le aveva chiesto di parlare in privato e poi, appena la porta della stanza si era chiusa alle sue spalle, si era sistemato davanti al fuoco, ignorandola completamente.
Beltaine tossicchiò, cercando di scacciare quel silenzio imbarazzante.
Bunnymund, però, non si mosse. Bel considerò l’ipotesi che si fosse addormentato davanti al camino, poi si diede una auto-testata immaginaria per aver pensato una cosa così stupida.
In fondo, magari lei si era soltanto illusa. Aveva sperato che, trasformata in coniglio, lui la vedesse in una nuova luce. Sperava che lui si accorgesse delle attenzioni che lei gli dedicava, dei sentimenti che provava.
Sperava che lui ricambiasse i suoi sentimenti.
Sperava, in silenzio.
Si trattenne dal sospirare, perdendo quel poco di pazienza che aveva.
E che cavolo! Lei si impegnava da secoli per conquistarlo, ma sembrava una battaglia persa. Poteva solo sperare.
Già, si disse, la Speranza è il centro di tutto qui. Anche di lui.
Digrignò i denti in silenzio, stringendo i pugni lungo i fianchi. Perché doveva esser tutto così difficile?
Poteva baciarlo e farla finita lì. Sarebbe stato più semplice e veloce.
Peccato che il suo cuore - come quel disgraziato di suo nipote le ricordava sempre - era diventato troppo cauto. Dopo Oberon, era stato tutto più difficile.
Non devi pensarci ora  pensò, facendo un passo avanti ed avvicinandosi al Coniglio di Pasqua.
Si sedette di fianco a Bunnymund, ad una distanza di sicurezza - né troppo lontana, né troppo vicina - e si mise a sua volta a guardare le fiamme danzare.
Silenzio.
Ok, forse si era addormentato davvero.
Si azzardò a lanciargli un’occhiata.
No, sveglio e in stato meditativo.
Senza riuscire più a trattenersi, sospirò, allungando una zampa ed afferrando qualche ricciolo di fuoco, giusto per passare il tempo in attesa che lui si decidesse a parlare.
- Scusami, Bel - esordì lui d’improvviso, prendendo di sprovvista lo Spirito della Primavera. - È difficile iniziare il discorso -
Beltaine spense il fuoco che aveva tra le zampe, abbassando le orecchie, senza sapere cosa dire. Sentire Bunnymund così insicuro l’aveva sconvolta, sembrava quasi un’altra persona.
Che lei, trasformata così, lo avesse sconvolto al punto tale da compromettere la sua natura sicura e scorbutica?
-Tranquillo, Aster - riuscì a borbottare, cercando di rassicurarlo. Si bloccò a metà, senza sapere che altro aggiungere.
Dirgli “prenditela comoda” era impossibile, cavolo! Dopo secoli di attesa, anche la più flebile speranza di migliorare quella situazione meritava di non essere soffocata da uno stupido “ prenditela comoda”.
Eh no, caro mio, non puoi prendertela comoda! Sbuffò tra sé e sé lei.
D’altro canto, dirgli di muoversi e parlare era troppo brusco, non osava spingere troppo. Rischiava di distruggere quel filo di speranza, se tirava troppo la corda.
Restava l’opzione di domandargli come mai le avesse chiesto di parlare in privato, ma non ne aveva il coraggio, dannazione!
Così rimase in silenzio, sperando che Bunnymund capisse l’antifona e si desse una mossa. In fondo, lei ci aveva provato per secoli, ora poteva pure far qualcosa lui se era interessato!
- Pesce ha un pessimo senso dell’umorismo - sbuffò il Coniglio di Pasqua. A quelle parole Bel sarebbe arrossita, se non fosse stata un Pooka.
Il Coniglio di Pasqua si voltò finalmente a guardarla, studiando con attenzione i suoi lineamenti. Erano secoli che non vedeva un altro suo simile. Secoli di rassegnazione, consapevole di essere l’ultimo della sua specie.
Ed ecco che, improvvisamente, il Destino gli riservava quella sorpresa.
Beltaine, sotto quello sguardo, si sentì a disagio. Inconsciamente, appiattì le orecchie al capo, segno che non sfuggì a Bunnymund. Senza saperlo, Beltaine aveva assunto una posizione impaziente e timida nel contempo, che agli occhi del Pooka appariva davvero dolce.
- Non mi dispiace per niente, sinceramente - borbottò lui senza pensarci, distogliendo lo sguardo da lei quando si rese conto di ciò che aveva detto.
Beltaine spalanco i suoi, di occhi, sentendo il cuore iniziare a battere più velocemente. Fece per dire qualcosa, ma sentiva la gola secca.
- Uhm - biascicò, schiarendosi la voce - S-sì, penso che rivedere un proprio simile sia..piacevole - borbottò, senza riuscire a guardarlo di nuovo.
- Già - concordò lui - Mi ero ormai rassegnato -
Beltaine sospirò, sentendo il cuore stringersi in una morsa.
Quel filo di speranza che aveva visto si era spezzato di colpo: Bunnymund voleva passare del tempo con un suo simile, perché i Pooka erano estinti e quindi lui - di sicuro - si sentiva talmente solo da cogliere al volo l’occasione per parlare con un suo simile, anche se era soltanto lei trasformata in Pooka.
Beh, Bel, si consolò Almeno l’hai reso felice facendogli rivedere un suo simile, anche se non era proprio lo scopo che ti eri immaginata.
L’umore dello Spirito della Primavera cadde di colpo verso un baratro nero di depressione. Dopo tutti quei secoli, anche quell’ultima spiaggia era stata inutile. Era un caso perso. Forse aveva ragione April, doveva lasciar perdere.
Sospirò di nuovo, visualizzando mentalmente la faccia soddisfatta - pipa inclusa - del Pesce d’Aprile.
Dannato lui e il suo pessimismo cronico!
- C’è qualcosa che non va, Bel? -
Beltaine alzò lo sguardo, voltandosi verso di lui e trovandoselo a pochi centimetri dal suo viso. Deglutì a vuoto, allontanandosi di scatto. Per riuscire a distogliere lo sguardo dagli occhi verdi di lui, però, le servì un grande sforzo di volontà.
Cosa c’è che non va? Ma che domande sono? Sbuffò mentalmente, inveendo contro di lui e la sua stupidità Maledizione, non posso rischiare di essere scoperta ora.
- Nulla Aster, davvero - si costrinse a rispondere con tono mite - Mi spiace soltanto che tu non possa rivedere un vero Pooka, è davvero brutto - il suo tono divenne dolce, sincero.
Bunnymund continuò a fissarla, cercando il suo sguardo. Si grattò una guancia, nervoso. Era davvero difficile, quel discorso.
- Dopo tutti questi anni - esordì, imprecando mentalmente contro sé stesso e contro quell’insicurezza aliena che lo aveva posseduto -Pensavo fosse impossibile -
Beltaine si voltò, finalmente, verso di lui, cercando il suo sguardo. Qualcosa, nel tono in cui lui aveva pronunciato quelle parole, aveva risvegliato la speranza dentro il suo cuore.
Lo guardò, in attesa, impaziente.
Non poteva tergiversare così a lungo, insomma!
- Dopo Oberon, anch’io pensavo che fosse impossibile andare avanti - si decise a dire lei, ormai completamente spazientita. Buttò alle ortiche tutto, ritrovando un po’ di quella decisione che la caratterizzava.
Era passato, ormai, troppo tempo.
Beltaine si sporse verso Bunnymund, avvicinando il suo muso a quello di lui. Sentiva il suo cuore battere all’impazzata, ma ormai aveva ritrovato lo slancio determinato e non aveva intenzione di lasciarselo sfuggire. Se Bunnymund l’avesse rifiutata, a quel punto avrebbe mandato tutto il genere maschile a cagare, rassegnandosi a restare la zia zitella di quella peste di Cup.
I due si guardarono negli occhi, cercando di decifrare i sentimenti che vi vorticavano dentro, entrambi insicuri, tesi. Beltaine, così vicina a lui, sentì morire lo slancio di poco prima, cosa che la spinse a picchiarsi mentalmente da sola.
Sapeva di non poter tornare indietro - non voleva tornare indietro -, ma nel contempo non riusciva a fare il passo decisivo.
- Credevo, ormai, di essermi rassegnato - sussurrò lui, appoggiandole d’improvviso una zampa sulla guancia.
Beltaine spalancò gli occhi, sentendo il respiro accelerare.
Aprì la bocca per ribattere, ma venne zittita nel modo più piacevole possibile: con un bacio.
Bunnymund la baciò, prendendole il muso tra le zampe, in ginocchio di fianco a lei. Beltaine, in un primo momento, rimase immobile, stupita, poi sorrise contro la bocca di lui, passandogli le braccia intorno al collo e ricambiando il bacio con dolcezza.
Dopo qualche secondo, i due si separarono. Bunnymund appoggiò la fronte contro quella di Bel, che sorrideva apertamente.
- Io non mi sono mai rassegnata, Aster - sussurrò lo Spirito della Primavera, senza smettere di sorridere. - Per tutti questi secoli, ho cercato di fartelo capire -
Il Pooka tossicchiò - Uhm, devo dire di esser stato abbastanza cieco - ammise, con un mezzo sorriso - Credevo che mi considerassi solo un amico. Non pensavo che, dato il mio aspetto.. -
- Oh zitto, stupido - sbuffò lei, scherzosamente - Sono una ex-dea greca, ne ho viste di tutti i colori, te l’assicuro, mio tenero Puccioniglio –
- Chissà perché, ma non sono minimamente curioso di scoprire cos’hai visto - borbottò lui, allontanando il viso da quello di lei.
- Eddai, Aster - ridacchiò lei, avvicinandosi a lui e strofinando il suo naso contro quello del Coniglio di Pasqua - Era per dire, cioccolatino - ridacchiò di nuovo, dolcemente.
- Cioccolatino? - ripeté lui, scandalizzato - Bel, per piacere, non esagerare coi soprannomi strambi -
Beltaine, in risposta, sorrise innocentemente.
- Ok, dolcezza - acconsentì con tono innocente.
Senza riuscire a trattenersi oltre, abbracciò con slancio Bunnymund, affondando il viso nella pelliccia calda di lui.
- Oh sei così morbido - sospirò soddisfatta lei, arrivando quasi a fare le fusa dalla felicità.
Il Coniglio di Pasqua, suo malgrado, si ritrovò a sorridere. Nonostante, in passato, avesse finto rassegnazione davanti a quegli scatti di coccolosità che minavano la sua aria da duro, doveva ammettere che non gli dispiaceva, in fondo, essere abbracciato da lei.
Ricambiò l’abbraccio, stringendo Beltaine a sé con dolcezza ed abbassando il viso verso di lei, senza riuscire a smettere di sorridere teneramente.

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Capitolo 3
*** Kōsetsu-bi (Giorno di neve) ***


OS_standard Si, lo sappiamo, è passata una marea di tempo, ma finalmente riusciamo a pubblicare di nuovo!
Ringraziamo di tutto cuore LovelyAndy, sere99thehedgehog e BlackIvy_Lay per aver aggiunto la raccolta ai preferiti, giascali per averla aggiunta alle seguite ed
Elelovett e Samantha_89 per averla aggiunta addirittura in entrambe.
Davvero, non abbiamo parole per dirvi quanto ne siamo felici! E quanto ci hanno rese entusiaste le recensioni (anche se per ragioni di impegni vari ci abbiamo impiegato un secolo a rispondere e di questo ci scusiamo immensamente!).
Bando alle ciance, vi lasciamo leggere in santa pace!
^_^

Titolo: Kōsetsu-bi (Giorno di neve)
Personaggi: Evangeline, Jack
Pairing: Nessuno
Rating: Verde
Genere: Slice of Life
Avvertimenti: Pre-FF e Pre-Movie
Note: La prima volta che Eve vede Jack (e viceversa, ovviamente). Per chi non lo ricordasse gli amici immaginari cambiano aspetto a seconda del bambino che hanno in custodia, quindi non siate perplessi a causa dell'aspetto di Eve.




-Visto, Eve-chan? Ha smesso di piovere- commentò la sua protetta chiudendo l’ombrello.
-Non credo che durerà per molto- osservò Evangeline, scrutando il cielo ancora carico di nuvole. Dopotutto era metà Ottobre in Giappone, la pioggia era normale.
Una folata di vento gelido le scompigliò i lisci capelli di quell’insolito colore rosa che ad Aiko piaceva tanto.
-Che dici? Pensi che riuscirò a dire alla mamma che non voglio diventare un’infermiera ma una pasticciera?- chiese la dodicenne, speranzosa.
Eve sorrise, rassicurante –Devi solo prendere coraggio e parlarle, vedrai andrà tutto per il meglio. E quel bel voto in economia domestica la convincerà ancora di più-
Aiko annuì, sempre più decisa e Evangeline, suo malgrado, si rattristò un poco. Presto anche Aiko non avrebbe più avuto bisogno di lei e - per quanto le avrebbe fatto piacere recuperare il suo naturale colore di capelli - le sarebbe mancata.
D’un tratto una signora scivolò su una lastra di ghiaccio dietro l’angolo che Aiko stava per svoltare, cadendo sul sedere e urtando la dodicenne, cui cadde dalle mani l’ombrello che, scivolando a sua volta sul ghiaccio inaspettatamente formatosi sul marciapiedi, finì dritto in mezzo alla strada.
Aiko, d’istinto, corse a recuperarlo senza curarsi delle auto appena partite al segnale del semaforo, tra cui un grosso camion il cui conducente neppure vide la bambina, tant’era piccola e al di sotto della visuale.
Evangeline fece l’unica cosa di cui fosse in grado in quel momento: la spinse a terra, coprendola col suo corpo e le sue ali per proteggerla, mentre l’alto mezzo passava sopra di loro.
La donna che era scivolata sul ghiaccio e i vari passanti che avevano assistito alla scena furono rapidi a far fermare il traffico, ma solo quando Eve sentì delle mani passare attraverso di lei per raggiungere la bambina, si accorse che Aiko era svenuta, probabilmente per il leggero colpo alla testa che aveva dovuto farle prendere.
Col cuore pieno di angoscia la vide controllata da un infermiere di passaggio, il quale sentenziò che era il caso di farla controllare all’ospedale per verificare la presenza di un eventuale trauma cranico.
Mentre aspettavano l’ambulanza, Evangeline si guardò attorno.
Poco più in là, sul prolungamento della lastra di ghiaccio, un paio di piedi scalzi attirarono la sua attenzione. Gli occhi della Custode corsero subito verso il volto del loro proprietario.
Pelle candida, mascella leggermente squadrata, grandi occhi azzurro ghiaccio e capelli bianchi, che stonavano col viso giovane del ragazzo magro che la fissava – assurdamente – come se avesse appena visto un fantasma.
La felpa blu ricoperta di brina, il bastone ricurvo tra le sue mani, uniti ai racconti che aveva sentito, permisero alla Custode di identificarlo come Jack Frost.
Con le ali tremanti d’ira, Evangeline si avviò a grandi falcate verso di lui, attraversando – o meglio, attraversata – dalla folla che si frapponeva tra loro, con i capelli rosa che svolazzavano nel vento freddo.
-Cosa ti è saltato in testa?- gli gridò –Qualcuno avrebbe potuto farsi male sul serio. Avresti potuto uccidere qualcuno, lo sai?-
Il ragazzo sembrava troppo sconvolto per parlare: la fissava con gli occhi sgranati, come se lui stesso non si rendesse conto dell’accaduto.
-No che non lo sai. Sei solo un ragazzino incosciente in cerca di attenzioni. Beh, non è questo il modo per averne- continuò imperterrita –Vuoi farti notare? Fai qualcosa di buono per gli altri, anziché fare danni -
Avrebbe voluto aggiungere altro, ma l’arrivo dell’ambulanza la spinse a tornare verso la sua protetta.

§§§

Aiko si era svegliata due ore dopo, più vivace di prima, con i genitori accanto e un medico che li aveva rassicurati sulla sua salute, dicendo che era stato solo un risultato dello shock.
Quasi subito aveva rivelato alla madre il suo desiderio di non intraprendere la carriera medica e la donna, nella sua emotività del momento, l’aveva ascoltata senza fiatare, forse capendola per la prima volta.
Nello stesso momento Evangeline aveva capito che la piccola Aiko non aveva più bisogno del suo aiuto.
La bambina le fece un piccolo sorriso, l’ultimo che le avrebbe rivolto, prima che Eve riprendesse il suo normale aspetto di esile ragazzina castana, con grandi occhi nocciola e pelle rosea.
Non importava più che la piccola avesse rischiato la vita perché ora stava bene.
Due brevi suoni del suo orologio-pc le comunicarono che c’era già un’altra bambina che aveva bisogno di lei.
Si asciugò un’esile lacrimuccia e salutò Aiko, augurandole un felice e sicuro destino.



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Capitolo 4
*** Coraggio, Protezione e Fiducia ***


OS_standard
Titolo: Coraggio, Protezione e Fiducia
Personaggi: Evangeline, Beltaine, Razuma, Altri
Pairing: Nessuno
Rating: Verde - Giallo
Genere: Light Drama
Avvertimenti: Pre-FF e Pre-Movie
Note: L'infanzia di Eve e l'incontro con Bel.





Una gran folla, tutto il villaggio radunato in un solo luogo per la grande festa. Bambini e adulti che ridevano e ballavano ed esultavano per l’arrivo della Primavera.
Ad un tratto i bracieri al centro dello spiazzo si accesero di un magico fuoco amaranto.
-Deirdre?- chiese una bambina alla ragazza accanto a sé –Come fanno i bracieri ad accendersi da soli?-
La ragazza sorrise –La Dea manda la sua benedizione ad ogni villaggio e accampamento che creda in lei e li abbia preparati per avere la sua protezione. Sa sempre quando qualcuno si affida a lei e lo protegge-
-Coma fa il fuoco a proteggere? Il fuoco brucia le cose- osservò la bambina, con gli occhi nocciola che fissavano l’altra con curiosità.
-Oh, Maeve! Il fuoco della Dea è magico! Brucia solo ciò che lei vuole sia bruciato, mentre per chi passa attraverso i bracieri durante la sua festa diventa un potente talismano contro il male-
La minore prese per la mano l’altra trascinandola verso i bracieri –Allora dobbiamo andare subito! Andiamo! Andiamo!- la esortò.
Deirdre rise, ringraziando la Dea mentre passavano attraverso i bracieri e pregandola di proteggere la sorellina.
Tra gli adulti cominciava a serpeggiare la voce di una guerra lontana, ai confini di villaggi distanti miglia e miglia.

§§§

La voce della guerra era diventata più insistente con gli anni, ma aveva sempre il sentore di qualcosa di distante, qualcosa di così lontano che le due sorelle cominciavano a pensare fosse infondata.
Quando però Flann, il promesso di Deirdre, era stato chiamato come gli altri uomini tra cui loro padre a combattere, allora avevano cominciato a preoccuparsi.
La festa di Primavera, però, si era svolta senza problemi solo pochi giorni prima e Deirdre aveva pregato la Dea di proteggerli.
Maeve, che adesso aveva dodici anni, era diventata fiduciosa nella Dea quanto lei, pur cercando ancora di capire come facesse ad accendere i bracieri magici.
-Dovrò chiederglielo un giorno, sai?- disse la ragazzina, mentre la sorella le legava i lunghi capelli castani.
-Cosa e a chi, Maeve?- chiese Deirdre, divertita.
-Alla Dea. Come fa ad accendere tutti i bracieri insieme- affermò Maeve.
Deirdre rise –Se avrai la fortuna di incontrarla, dovrai davvero farlo. Ma dovrai stare attenta a come le parli, dicono che sia una donna molto…-
Maeve non avrebbe mai saputo cosa dicesse la gente della Dea, perché rumori misti a grida cominciarono a circolare per il villaggio.
Entrambe corsero a sbirciare la ragione di quel trambusto da dietro una tenda, ma nulla avrebbe potuto prepararle allo spettacolo orribile che per molto tempo sarebbe rimasto impresso negli occhi di Maeve.
Il caos era ovunque, mentre uomini in armature argentee e stoffa rossa uccidevano senza pietà ogni abitante del villaggio che capitasse loro a tiro.
Sopra di loro, sospesa a mezz’aria, la sagoma di una donna dagli occhi rosso acceso e scarmigliati capelli scuri.
Una Vila.
Deirdre costrinse Maeve a rientrare. La ragazzina era troppo spaventata per allontanarsi da sola e Deirdre dovette scuoterla –Maeve, guardami!- le ingiunse –Dobbiamo andarcene, subito-
La ragazzina annuì, mentre la sorella la spingeva verso la finestrella che dava sulla foresta e la aiutava a scavalcarla, per poi seguirla.
Ad un tratto una trave della casa in fiamme accanto alla quale stavano passando cadde loro davanti, sbarrando loro la strada. Deirdre si guardò rapidamente intorno, intravedendo un passaggio che portava direttamente alla foresta, troppo stretto per lei, ma abbastanza largo per la sua minuta sorellina.
Il rumore sempre più vicino dei cavalli e del fragore del metallo le diedero solo il tempo di sussurrare poche frasi –Vai, Maeve, corri nel bosco e non fermarti. Non guardare mai indietro, qualunque cosa accada-
-E tu?- chiese la bambina con gli occhi pieni di paura.
-Ti raggiungerò, se posso, ma tu devi andare. Sii veloce e segui i sentieri nascosti- le diede un bacio sulla fronte, prima di sussurrare –La Dea ti proteggerà, abbi fiducia in lei e sii coraggiosa. Ti voglio bene-
Aveva gli occhi pieni di lacrime, Maeve, mentre la abbracciava, prima di correre via, verso il folto della foresta, lasciandosi alle spalle il clangore del villaggio messo a ferro e fuoco.

§§§

Due giorni.
Aveva trascorso due giorni in fuga, seguendo prima i sentieri meno battuti, poi ignorandoli completamente. Nutrendosi di quello che conosceva come commestibile, ignorando il resto, per quanto migliore potesse sembrarle.
Conosceva quella foresta solo fino ad un certo punto, oltre il quale non si era mai spinta.
Ora aveva superato di molto quel confine, spinta da un istinto che andava oltre l’autoconservazione.
Aveva scoperto di essere tornata indietro, ad un certo punto, solo dopo si era accorta di non essere incappata per errore in un accampamento nemico.
Non conosceva la direzione che stava prendendo non essendosi mai allontanata troppo dal suo villaggio, ma qualcosa la spingeva a proseguire.
In cuor suo, incrollabile, la fiducia nella protezione della Dea. Certo, doveva essere molto occupata, lo sapeva bene, ma avrebbe trovato il modo di aiutarla.
Dopotutto se riusciva ad accendere i bracieri senza nemmeno essere nelle vicinanze, sapeva di certo come aiutare chi aveva bisogno di lei.
Si sciacquò il viso per togliere le tracce di sonno e terriccio e quando alzò lo sguardo si trovò davanti una sorpresa.
Davanti a lei, leggero come una piuma e trasparente come l’acqua, c’era un fuoco fatuo di un vivace color amaranto.
Maeve lo guardò per qualche attimo, incerta. Allungò le dita, ma le ritrasse subito.
Era del colore delle fiamme della Dea, ma era giusto toccarlo?
E se la Dea si fosse offesa?
Fu il fuoco a decidere per lei, venendo incontro alla manina tesa a metà.
Fiamme innocue la avvolsero e quando sparirono Maeve era in un luogo completamente diverso.

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Beltaine sospirò, mentre le fiamme amaranto le lambivano delicatamente la pelle, risalendo e fondendosi coi suoi capelli, fino a sparire.
Era stanca, tremendamente provata da quell’incessante battaglia. La guerra coi romani era divampata come un incendio in un mare d’erba secca, fomentato dalla follia di Gubitak Razuma.
Quella donna aveva incentivato la furia conquistatrice dei romani, obbligando i celti - il suo adorato popolo prediletto - a fuggire, a combattere, a sacrificarsi. Erano tantissime piccole tribù contro la valanga inarrestabile ed organizzata di romani.
Il cuore le si strinse nel petto, mentre si passava una mano tra i capelli con un moto di disperazione.
Amava il suo popolo, anche se sapeva che la sconfitta era inevitabile. Poteva soltanto fare il possibile per salvare più celti riuscisse, oltre che fermare o almeno arginare l’influsso della Follia.
Sovrappensiero, attraversò la radura che circondava la sua adorata casa, coperta dalle fronde degli alberi marginali al prato. La luce del sole filtrava tra quelle fronde, creando giochi d’ombre verdi e azzurre sulla facciata della cascina e donandole un aspetto quasi magico.
Beltaine sorrise, sentendo il cuore più leggero.
Era a casa e, con lei, molti celti erano tornati nelle loro case.
Con ancora il sorriso sulle labbra, aprì la porta d’ingresso - mai chiusa a chiave grazie alla fiducia riposta nel cerchio magico degli elfi e gli incantesimi difensivi ad esso applicati-  e si bloccò di colpo, stupefatta.
Di fronte a lei, una bambina dai lunghi capelli crespi e scarmigliati sedeva su uno sgabello della cucina, intenta ad abbuffarsi di biscotti.
I suoi biscotti ai frutti di bosco.
Beltaine strinse gli occhi, sentendo l’irritazione crescerle nel petto. Irritazione soffocata per tutta la lunga giornata irta di battaglie, alimentata dalla stanchezza e da quello spettacolo assolutamente inimmaginabile a casa sua.
Che diavolo ci faceva una bambina umana in casa sua, nella sua cucina, seduta sul suo sgabello e con in mano i suoi biscotti?
La bambina parve accorgersi dello sguardo infuocato di Beltaine perché sollevò gli occhi dalla sua merenda e fissò la Dea furente.
- Quelli sono i miei biscotti preferiti! - sbottò Bel, raggiungendola con poche veloci falcate e strappandole di mano la scatola - Chi sei e cosa diavolo ci fai qui? - domandò con voce autoritaria.
La bambina la guardò con aria colpevole, ma non abbassò lo sguardo –Mi dispiace è che sono la cosa più buona che mangio da giorni. In realtà sono la cosa più buona che abbia mai mangiato, ma…- la bambina esitò un attimo –Il mio nome è Maeve. Io pensavo che il fuoco mi avesse portata qui per aiutarmi. Io…- sembrava spaesata.
Beltaine la fissò, l’irritazione lievemente diminuita a causa del complimento ai biscotti.
- Certo che sono i più buoni che tu abbia mai mangiato - sbuffò con tono scontroso, occhieggiando la scatola vuota a metà - Il fuoco? - ripeté, distogliendo completamente l’attenzione dai dolciumi - Che tipo di fuoco? - indagò, guardinga.
Non era possibile che il fuoco di Razuma avesse trasportato in quella radura quella bambina all’apparenza innocua. Se anche fosse, i cerchi protettivi avrebbero dovuto tenerla alla larga da lì, anche se era certa che la Follia non conoscesse quel posto.
Che fosse stato uno dei suoi fuochi fatui a portarla lì?
La cosa era strana sotto molti punti di vista. I fuochi fatui si manifestavano solo ai suoi credenti - cosa che la bambina sembrava essere apparentemente -, ma solo a coloro con la fiducia più incrollabile in lei, solo coloro che non sapeva come definire se non “speciali”.
E solo coloro che erano in grave pericolo.
-Il fuocherello volante, quello di quel colore speciale, come il fuoco dei bracieri della festa di Primavera- spiegò la bambina –Come i suoi capelli- aggiunse poi, notandone la tonalità.
Beltaine si accigliò, studiando meglio la bambina.
Erano stati quindi i suoi fuochi fatui a portarla lì? Eppure quei fuochi, insieme all’incantesimo di protezione che induceva ogni credente a dirigersi al luogo più sicuro per lui, l’avevano portata lì.
Era davvero strano.
La bambina, d’altronde, poteva anche star mentendo. Erano infidi i bambini, Beltaine ne era pienamente convinta.
- Da dove vieni? - indagò, mentalmente rievocando gli ultimi villaggi attaccati dai romani. - Raccontami come hai trovato il fuoco fatuo - ordinò, prendendo un altro sgabello e sedendosi di fronte alla bambina per poterla studiare meglio.
-Da un villaggio al confine con la foresta di Nudd. È stato attaccato quattro giorni fa dagli uomini con le armature brillanti e la Vila con gli occhi rossi- aggiunse, con un brivido al ricordo del volto crudele e spiritato della donna.
A quelle parole Beltaine s’infiammò, balzando in piedi con un urlo furente.
- Gubitak Razuma! - esclamò, mentre le fiamme divamparono dai suoi capelli. Lingue di fuoco amaranto schioccarono con rabbia nell’aria di fronte a Maeve che fissava la Dea con occhi sbarrati, sconvolti.
Beltaine incrociò lo sguardo della bambina, leggendo la fiducia incrollabile in lei. Sapeva che la Dea della Primavera avrebbe protetto ogni suo credente.
Si calmò, le fiamme si placarono tornando a fondersi coi suoi capelli.
- Come sei giunta fin qui? - domandò, cercando di mitigare il tono ancora leggermente irritato.
–Quando sono arrivati Deirdre mi ha detto di scappare e io sono andata nella foresta e dopo due giorni è stato il fuoco a trovare me. Mi ha toccato la mano e quando ho riaperto gli occhi ero qui- si guardò la manina, come per cercare di capire se fuoco fosse ancora lì ad avvalorare la sua storia, ma ovviamente non ce n’era segno.
Quindi il fuoco non l’aveva portata lì per volere di Beltaine? Cominciò a sentirsi in colpa, temendo di aver sbagliato ad entrare in quella casa.
-Mi dispiace di aver preso le sue cose, ma ero davvero molto affamata e spaventata-
Beltaine si risedette, studiando a sua volta la mano della bambina, dove non c’era ovviamente nessun segno visibile di quel contatto. Contatto, però, che la Dea poteva vedere bene, grazie ai rimasugli di magia invisibile sulle piccole dita della bambina.
Fissò di nuovo Maeve negli occhi, leggendo ancora una volta la fiducia verso di lei.
Sospirò, sentendosi ancora più stanca. Doveva liberarsi di quella bambina il più presto possibile e fare una bella dormita.
- Sapresti dirmi dove potrebbero essere i tuoi genitori o qualche tuo parente? - indagò, addolcendo il tono autoritario - Ti accompagnerò da loro -
La piccola scosse il capo. Non aveva idea di dove potesse essere Deirdre e men che meno suo padre, partito mesi prima per la guerra e di cui non aveva notizie. Cominciò a giocare con le dita, torcendole come faceva sempre quand’era nervosa, mentre lo spiegava a Beltaine.
La Dea s’incupì ascoltando le parole di Maeve. Altri uomini mandati a morire, altre morti innocenti e bambini abbandonati a loro stessi. Beltaine non sopportava particolarmente i bambini, coi loro capricci e urla acute, ma amava ogni suo credente, qualsiasi età avesse.
Osservò la bambina che, ad occhi bassi, si torceva le dita.
E ora, cosa faccio con lei? Si domandò, sentendo la stanchezza gravarle sulle spalle. Lei non era la persona adatta per badare ad una bambina, sia perché non sapeva come trattarla che a causa del pericolo a cui sarebbe stata esposta dato che Beltaine passava il tempo a combattere.
Si passò una mano davanti al viso, riflettendo.
-Potrei stare qui?- suggerì Maeve –Solo un pochino. Non sarei di disturbo. Deirdre dice sempre che sono la bambina più tranquilla di tutto il villaggio. Così tranquilla da sembrare finta, dice lei- aggiunse, speranzosa –E posso fare le cose di casa e rendermi utile. Non voglio essere di peso- concluse con molta maturità.
Beltaine spalancò gli occhi, sconvolta.
- Oh, no - sbottò istintivamente, poi incrociò lo sguardo della bambina - E va bene - sospirò, passandosi una mano davanti al viso - Puoi stare fino a domani, ma non devi fare il minimo rumore né disturbarmi in alcun modo - ordinò, alzandosi dalla sedia- E non mangiare i miei biscotti - aggiunse, sicura che non le avrebbe dato ascolto.
Maeve annuì contenta, pur con un’ombra di preoccupazione sul fondo delle iridi nocciola –Sarò buonissima, promesso-
E lo sarebbe stata.

§§§

Beltaine si bloccò a metà scala, col piede sospeso in aria. Dall’angolo opposto alla cucina scrutò di sotto, in precario equilibrio.
La casa, in disordine a causa dell’incuria in cui verteva per l’assenza della Dea impegnata in guerra, era stata riordinata da cima a fondo. Un fuoco caldo e rassicurante scoppiettava nel camino di pietra, illuminando la sala e scacciando l’oscurità della notte che tentava d’insinuarsi dalle finestre. Vicino al camino, avvolta da una delle tante coperte che prima erano buttate in giro per la casa, c’era Maeve, che dormiva beatamente accoccolata sullo spesso tappeto a motivi celtici.
Gli occhi di Beltaine s’addolcirono, mentre scendeva le scale che portavano al piano superiore e alla sua stanza da letto. S’avvicinò alla piccola, controllando nel contempo la casa, mai stata così ordinata da tanto tempo. Con un sorriso le rimboccò meglio le coperte, scuotendo poi il capo quando si rese conto del gesto che aveva fatto.
Fortunatamente la bambina non se n’era accorta.
Lanciò un’ultima occhiata alla bambina, chiedendosi cos’avrebbe potuto farne di lei e dicendosi che avrebbe trovato una soluzione. Uscì di casa silenziosamente, chiamata a gran voce dalle vittime della guerra.

§§§

Alla fine Beltaine aveva dovuto arrendersi al fatto che non avrebbe potuto sbarazzarsi della bambina in nessun modo. Non che le dispiacesse avere la casa in ordine anche quando non aveva voglia di sistemarla, ma per principio non sopportava i bambini in generale.
Maeve però non era stata affatto fastidiosa come avrebbe pensato e soprattutto non aveva più toccato i biscotti senza prima chiederle il permesso.
Però alla ragazzina era rimasto un tarlo che non aveva ancora avuto occasione di chiarire.
Ora che erano entrate, più o meno, in confidenza poteva anche azzardarsi a chiedere.
-Sono i Fuochi Fatui ad accendere i bracieri, vero?- chiese di punto in bianco.
Beltaine, intenta a ricucire uno strappo del suo mantello causato da un taglio di spada, alzò gli occhi e la fissò intensamente.
- Certo - rispose, sollevando la stoffa rossa e studiandola con un cipiglio concentrato - Siete voi a chiamarli, con la vostra fede in me - spiegò, sorridendo compiaciuta.
Si alzò, sistemandosi il mantello sulle spalle e guardandosi intorno alla ricerca della sua spada. La vide, appoggiata allo stipite della porta, col fodero macchiato di sangue rappreso.
- Dannati romani e dannata Ves - borbottò tra sé e sé.
-Chi è Ves?- chiese curiosa la ragazzina, alzando gli occhi sull’arma nelle mani della dea. Si era abituata in fretta a vedere le armi in giro, ma non altrettanto a vederle macchiate di sangue. Dopo un po’ si era convinta che l’unico problema che effettivamente le dava la vista degli abiti imbrattati di rosso era il fatto che non riuscisse a far andare via il liquido dai tessuti senza lasciare degli orrendi aloni.
Che era un po’ il motivo per cui le stava cucendo una camicia nuova per rimpiazzare una delle vecchie.
- Vesta, Dea del Focolare Romano - ribatté Beltaine con voce atona - Nonché mia sorella - aggiunse, storcendo il naso. Tra lei e la sorella le cose non andavano per niente bene, soprattutto perché era il popolo di Vesta a star combattendo ed uccidendo il suo adorato popolo dei celti.
-Quindi le divinità sono tutte imparentate?- chiese Maeve, incerta. Non capiva come fosse possibile che una divinità celtica potesse essere sorella di una romana.
-Beh, quasi - rispose, scollando le spalle - In verità siamo sempre noi, ma ogni popolo ci chiama in maniera diversa e in maniera diversa si affida a noi - spiegò, facendo una pausa per trovare le parole giuste con cui spiegarlo alla bambina - Quasi tutte noi divinità siamo nati in Grecia, ma ci siamo spostati man mano verso gli insediamenti degli umani, che col tempo hanno cominciato a chiamarci in modi diversi. E ognuno di noi ha i suoi preferiti - indicò Maeve con un mezzo sorriso - Per me sono i celti, come te, mentre per Vesta sono i romani - aggiunse, poi tornò seria -  Comunque solo noi “maggiori” siamo figli di Madre Natura e di Chronos. Poi ci sono gli altri, quelli con origini diverse dalle nostre come gli Elfi Silvani, le fate e le Villi- concluse, incupendosi al pensiero di Razuma.
Maeve restò in silenzio riflessivo per un po’, assimilando le informazioni con espressione cupa, prima di parlare –Quindi lei è tua sorella, ma preferite popoli diversi? Sembra un po’ strano- asserì.
Beltaine si riscosse, incenerendola con lo sguardo.
- Perché sarebbe strano? - indagò, infastidita. – Per te sarebbe meglio che io preferissi i Romani e lasciassi morire sotto le lame delle loro spade tutti i Celti? –
-Non intendevo questo- rispose Maeve, ormai abituata agli scatti della Dea - È che da come parli sembra quasi che abbiate litigato e non dovrebbe essere così perché siete sorelle e dovreste stare dalla stessa parte- disse cupa –Io e Deirdre cercavamo di non litigare mai, perché come sorelle dovevamo sempre proteggerci e sostenerci a vicenda. Soprattutto dopo che la mamma è morta. Litigare fa solo male qui- si toccò il petto in corrispondenza del cuore, cercando di non pensare a quale sorte potesse aver avuto l’amata sorella. Le aveva detto di non piangere e non l’avrebbe fatto, ma questo non le impediva di stare male. –Se l’avessi ancora con me non ci litigherei mai, mai più. Nemmeno per le cose più stupide- asserì.
Beltaine distolse lo sguardo per evitare che la bambina si accorgesse dell’espressione triste che le aveva attraversato gli occhi.
- Devo andare - sbottò con voce dura, voltandole le spalle ed avviandosi verso la porta.
Si fermò con la mano sulla maniglia, dispiaciuta di essere stata così brusca con quella che, in fondo, era ancora una bambina.
- Non si può sempre evitare le liti - borbottò, stringendo la maniglia con forza - Non quando nascono dalla morte di innocenti. Sei troppo piccola per capire queste cose. Solo un’umana mortale - sospirò - Non hai idea di quanto faccia male -
Spalancò la porta d’ingresso, pronta a sparire dentro un fuoco fatuo.
-Anche se un taglio fa male adesso non significa che farà male sempre- le ricordò Maeve –Però le ferite vanno aiutate a guarire, prima che sia troppo tardi. E allora fa davvero tanto, tanto più male - finì con un sussurro.
Beltaine non si voltò, si limitò a stringere le labbra, ben consapevole del piccolo peso che la bambina si portava dentro.
- Lo so -
Poi sparì, avvolta dal suo fuoco amaranto, diretta verso l’ennesima battaglia.

§§§

Passò del tempo. Cinque anni, per essere precisi.
Per un’immortale come Beltaine era un battito di ciglia, ma per Maeve era tempo della propria vita umana che le stava scivolando dalle dita senza freno e senza obiettivo.
Nel frattempo le guerre celtiche si stavano chiudendo velocemente, la decadenza dell’Impero Romano incalzava e il Cristianesimo prendeva piede tra gli umani, allontanandoli dalla fede nelle divinità che si indebolivano ogni giorno.
Fu questo, forse, a convincere Beltaine e Vesta a riconciliarsi. Ma forse entrambe lo desideravano troppo perché questo non accadesse.
I Secoli Bui si erano avvicinati strisciando, la gente si avviava verso un baratro di paura e incertezza mai vista prima.
Madre Natura aveva preso i suoi provvedimenti per mantenere un minimo di equilibrio, istituendo i Custodi, creature con il compito di guidare le nuove generazioni verso il coraggio e la fiducia. Avevano sembianze legate alla nuova religione, quelle degli angeli.
Fu tramite Beltaine che Maeve ne venne a conoscenza e prese la sua decisione.
Anche lei voleva fare qualcosa di concreto per aiutare gli altri.
E così provò e riuscì ad entrare nel novero dei futuri Custodi.
Dovette rinunciare alla sua esistenza umana e al suo nome, ma sapeva di aver trovato il fulcro della sua esistenza, ed era tutto ciò che contava.
Così si aprì la sua nuova vita come Evangeline.




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