Wedding Planner

di Heilig__
(/viewuser.php?uid=165002)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** One ***
Capitolo 2: *** Two ***
Capitolo 3: *** Three ***
Capitolo 4: *** Four ***
Capitolo 5: *** Five ***
Capitolo 6: *** Six ***
Capitolo 7: *** Seven ***
Capitolo 8: *** Eight ***
Capitolo 9: *** Nine ***
Capitolo 10: *** Ten ***
Capitolo 11: *** Eleven ***
Capitolo 12: *** Twelve ***
Capitolo 13: *** Thirteen ***
Capitolo 14: *** Fourteen ***
Capitolo 15: *** Fifteen ***
Capitolo 16: *** Sixteen ***
Capitolo 17: *** Seventeen ***
Capitolo 18: *** Eighteen ***
Capitolo 19: *** Nineteen ***
Capitolo 20: *** Twenty ***
Capitolo 21: *** Twenty-one ***



Capitolo 1
*** One ***



Disclaimer: I Tokio Hotel non mi appartengono. Tutto ciò che è qui scritto è frutto della mia fantasia e io non ci cavo fuori neanche un soldo bucato u.u




Image and video hosting by TinyPic



Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 Unported.









One



- Vi dichiaro marito e moglie!-
La chiesa esplose in un caloroso applauso, mentre i due sposi si guardavano sorridenti, felici di aver finalmente coronato il loro sogno d'amore.
- Ora,- disse il prete rivolgendosi allo sposo – può baciare la sposa-
Il giovane non se lo fece ripetere e baciò appassionatamente l'amata, sotto gli sguardi inteneriti e commossi degli invitati. Una di loro, una giovane dai capelli scuri e gli occhi verdi, vestita con un abito color crema lungo fino a poco più su del ginocchio, rimasta in disparte durante l'intera cerimonia, sorrideva soddisfatta.
"Un altro lavoro eccellente, non c'è che dire" si disse, compiaciuta.
Si voltò ed uscì dalla chiesa. Raggiunse la sua auto, la mise in moto e si diresse verso il luogo del rinfresco che si sarebbe tenuto nello splendido guardino di un palazzo ottocentesco, poco lontano da dove si erano appena celebrate le nozze.
Una volta arrivata, la giovane scese dalla vettura e con passo veloce raggiunse i camerieri che stavano sistemando gli ultimi tavoli sotto l'immenso gazebo addobbato con fiori bianchi.
- Ragazzi,- disse, avvicinandosi – come sta andando?
- Bene!- risposero all'unisono i camerieri.
- Perfetto. Sono molto contenta del vostro lavoro- si congratulò la ragazza, ammirando i bellissimi centrotavola. I ragazzi sorrisero, gratificati, e ripresero il loro lavoro.
Mentre la giovane sistemava un tovagliolo, un uomo piuttosto basso e tozzo sopraggiunse alle sue spalle.
- Vera! Buongiorno!- esclamò, facendola sobbalzare.
La ragazza si voltò di scatto, spaventata, per poi ricomporsi subito, avendo capito di chi si trattava.
- Buongiorno, chef Sanders!- salutò – Mi ha spaventata!- si lamentò, poi.
- Oh, scusa, non era mia intenzione- si scusò l'uomo – Allora com'è andata la cerimonia?
- Una favola- rispose la giovane – E' stato decisamente uno dei miei matrimoni meglio riusciti.
- Ne sono felice. Tra quanto arrivano tutti?
- Beh...-
La ragazza non fece in tempo a rispondere, perché la sua voce fu coperta dal rombo di motori. Si voltò verso i cancelli e vide arrivare la limousine bianca degli sposi, seguita da altre auto con a bordo gli invitati.
- Eccoli!- esclamò, rivolgendosi allo chef.
- Bene, allora io scappo in cucina per controllare che tutti i piatti siano pronti. E' sempre un piacere incontrarti, cara- disse l'uomo, abbozzando un mezzo inchino – Arrivederci.
- Arrivederci signor Sanders!-
La giovane rimase ad osservare la goffa figura del cuoco entrare nel palazzo per poi scomparire dietro ad un gruppo di giovani camerieri che uscivano dall'edificio portando in mano vassoi con salatini e bicchieri colmi di champagne. Ne prese uno dal vassoio che uno dei camerieri le porgeva e cominciò a sorseggiarlo mentre guardava gli sposi e gli invitati entrare nel giardino.
Quando la sposa, Grace, la notò, le corse incontro, felice.
- Vera!- esclamò – Tutto questo è semplicemente meraviglioso!
- Sono contenta che ti piaccia.
- Mi piace?! Lo adoro!- disse Grace, entusiasta – E' davvero fantastico, Vera-
La ragazza sorrise, pienamente soddisfatta ed appagata: se la sposa era contenta, significava che il matrimonio era perfettamente riuscito.
Grace l'abbracciò di nuovo, e il suo profumo le pizzicò il naso, facendola quasi starnutire.
- Grazie, Vera- disse la giovane sposa – Non avresti potuto fare di meglio.
- Organizzare matrimoni perfetti è il mio mestiere!- rise l'altra – Beh, il mio lavoro qui è finito. Sarà meglio che vada.
- Oh, non resti un altro po'?- chiese dispiaciuta Grace.
- Mi dispiace, ma domani ho un sacco di impegni e l'unica cosa di cui ho bisogno ora è una bella dormita!
- Capisco...- disse la sposa, annuendo – Beh, ti porterò una fetta di torta in ufficio!
- Ci conto!- esclamò la giovane.
Grace le sorrise un'ultima volta e si allontanò, raggiungendo le amiche.
La mora consegnò il suo bicchiere vuoto ad un cameriere che le stava passando accanto e si diresse verso l'uscita del giardino. Salì in auto e partì verso casa sua, dove programmava di farsi un lungo e rilassante bagno, per poi fare razzia di tutto il cibo spazzatura presente in dispensa davanti a un buon film e infine andare a dormire.
A metà strada il suo telefonino squillò. Cercando di non perdere di vista la strada, lo prese e guardò il display. Quando lesse il nome di Lawrence Williams, suo capo nonché grande amico, fece una smorfia e decise di non rispondere.
Sicuramente,” pensò, mentre rifiutava la chiamata “vorrà rifilarmi chissà quale cerimonia, ma io di matrimoni da organizzare ne ho piena l'agenda. Un altro è proprio ciò di cui non ho bisogno-
Il cellulare squillò di nuovo, ma lei lo lasciò suonare.
Prima o poi si stancherà”
Quando arrivò a casa, Lawrence l'aveva chiamata altre tre volte le aveva inviato innumerevoli sms. Una volta entrata, si accorse che la spia della segretaria lampeggiava, segno che Lawrence aveva lasciato messaggi anche lì.
Sbuffò, scocciata, e decise di ascoltarne almeno uno. Premette il tasto e la voce arrabbiata dell'amico le perforò le orecchie.
Cooper! Perché accidenti non rispondi?! Chiamami appena senti questo messaggio, o giuro che questa volta ti licenzio davvero!”
La giovane rise: quella era la minaccia preferita di Lawrence. L'aveva detta talmente tante volte che ormai non ci faceva più caso.
Prima mi faccio un bagno e poi lo richiamo” si disse.
Andò nella sua stanza, si tolse le scarpe, prese l'accappatoio e andò in bagno, dove aprì i rubinetti e lasciò che la vasca si riempisse. Si spogliò e i legò i capelli scuri in uno chignon ed entrò nella vasca. Prese il flacone del bagnoschiuma che stava sul bordovasca e ne versò il contenuto, che rilasciò un delizioso profumo di caramello.
Rimase nella vasca una buona mezzora, ripensando alla perfetta riuscita del matrimonio di Grace.
Questa volta mi sono superata” concluse, alzandosi e uscendo dalla vasca.
Si mise l'asciugamano ed uscì dal bagno, diretta in camera sua.
Dopo essersi infilata un paio di pantaloni della tuta e una vecchia felpa sformata, decise di chiamare Lawrence, prima che questo avesse una crisi nervosa.
Sempre che non l'abbia già avuta” pensò, mentre digitava il numero dell'amico.
- Cooper!- urlò Lawrence, appena rispose alla chiamata.
- Ehi Lawrence!- disse lei, con nonchalance – Volevi parlarmi?
- Sì, ma sai, qualcuno ha deciso di ignorarmi.
- Su avanti, parla. Che succede?
- Hai dei nuovi clienti- spiegò il giovane - Hai un appuntamento con loro martedì pomeriggio.
- Lawrence, no! Ho una montagna di altri impegni! Non puoi aggiungermene un altro!
- Non ti preoccupare. Ho già sistemato tutto. Per il prossimo mese sei completamente libera-
La ragazza arricciò le labbra, dubbiosa.
- Spero che ci almeno un buon motivo dietro tutto ciò...
- Oh certo!- ribatté pronto Lawrence – C'è un ottimo motivo
- E qual è?!- chiese spazientita la giovane.
Lawrence, dall'altra parte del telefono, sorrise compiaciuto.
- Non puoi neanche- disse, enigmatico – lontanamente immaginare quale matrimonio organizzerai...




* * *

qualche giorno dopo

- Ripetimi perché sono qui, Bill-
Da un quarto d'ora circa, un Tom Kaulitz piuttosto corrucciato ripeteva la stessa domanda, mentre sfrecciava a tutta birra per le strade di Los Angeles.
E da un quarto d'ora Bill, seduto sul sedile accanto al suo, ripeteva la stessa risposta.
- Per la centomiliardesima volta, Tom: tu sei qui con me perché dobbiamo andare ad un'agenzia di wedding planner per parlare con una ragazza che Madison ha contattato e che ci aiuterà ad organizzare il mio matrimonio.
- E io in tutto questo cosa c'entro?- esclamò Tom, alzando il tono di voce.
Bill sbuffò, roteando gli occhi.
- Maddie non è potuta venire, e io non volevo andare da solo.
- E come diamine hai fatto a convincermi?
- Beh, te l'ho chiesto mentre le chiavi della tua auto penzolavano sopra il gabinetto. È stato abbastanza facile.
- Vaffanculo- borbottò il chitarrista, voltandosi verso il finestrino.
- Ecco, siamo arrivati- annunciò Bill, all'improvviso
Tom frenò all'improvviso di fronte ad un edificio da muri bianchi su cui troneggiava una scritta a caratteri cubitali color rosa.
- WedDreams...- lesse, mentre scendeva dall'auto, seguito dal fratello.
- Su entriamo- disse questo, sistemandosi il berretto e gli spessi occhiali da sole, per evitare di essere riconosciuto.
- Sì, prima andiamo, prima finisce questa pagliacciata- commentò il chitarrista.
I due entrarono e subito furono accolti da una graziosa impiegata dai lunghi capelli lisci e biondissimi e un sorriso a 32 denti.
- Salve, posso esservi utile?- chiese, con voce trillante.
- S-sì- balbettò imbarazzato Bill, tirando fuori dalla tasca un foglietto spiegazzato – Abbiamo un appuntamento con una sua collega- disse, consegnandolo alla ragazza. La giovane lo lesse e tornò a guardare i due gemelli.
- Prego, venite con me. Vera è nel suo ufficio-
I due musicisti seguirono l'impiegata attraverso un corridoio dai muri color crema, su cui erano appesi alcuni quadri d'arte moderna alternati a foto di gruppo degli impiegati e a foto dei matrimoni organizzati dall'agenzia.
- Ecco- disse la giovane fermandosi di fronte ad una porta. Bussò e una voce femminile giunse dall'interno:
- Avanti!-
L'impiegata aprì la porta e fece entrare Bill e Tom, per poi andarsene.
L'ufficio in cui i due si trovavano era piuttosto spazioso, con una grande vetrata e una scrivania di mogano al centro, dove era seduta una giovane ragazza.
- Salve!- disse questa, alzandosi – Io sono Vera Cooper- si presentò, porgendo la mano ai due ragazzi – Voi dovete essere Bill e... Madison?- disse guardando confusa Tom.
Il viso del chitarrista s'imporporò, mentre il fratello tentava di soffocare una risata.
- No, io sono Tom- spiegò il moro.
- Oh...- disse semplicemente Vera – Lawrence deve essersi sbagliato... Non mi aveva detto che eravate... sì, insomma...-
Bill e Tom sgranarono gli occhi, inorriditi: quella ragazza stava forse pensando che loro due erano...?
- Tom è mio fratello!- si affrettò a dire Bill, cercando di risolvere qualsiasi fraintendimento– La mia ragazza, Madison, non è potuta venire, e quindi mi ha accompagnato lui.
- Sì, è come dice lui- aggiunse Tom.
Vera guardò prima Bill e poi Tom, per poi scoppiare in una risata fragorosa.
- Scusate, non volevo offendervi. È che... sembrava tutto molto equivoco!- disse, andando a sedersi dietro la scrivania – Prego sedetevi- disse, indicando ai due delle poltroncine di pelle nera.
I gemelli si sedettero, e Vera presa un taccuino su cui prendere appunti.
- Allora, Bill. Quando e dove si terrà il matrimonio?
- Ci sposeremo tra un paio di mesi in una chiesa fuori Los Angeles. L'abbiamo vista, è davvero graziosa.
- Avete già in mente i colori base per le decorazioni e i fiori?
- Sì, io e Madison abbiamo optato per il bianco e il rosa pesca.
- Perfetto- mormorò Vera, mentre scriveva tutto sul suo blocchetto.
- C'è qualcosa di particolare che devo sapere?- chiese, alzando la testa dal taccuino.
- No- rispose Bill – Non che io sappia- aggiunse, pensieroso.
- Sul cibo, magari?- l'aiutò la ragazza.
- No- ripeté Bill, scuotendo la testa.
- Bene, allora!- esclamò Vera – Io comincio a contattare la chiesa dove si terrà il matrimonio e faccio un giro lì, per iniziare a vedere come andranno sistemate le varie decorazioni. Intanto, mi manterrò in contatto con voi, così se c'è qualche problema o qualche cambio di programma possiamo subito discuterne- concluse, con sorriso.
- Benissimo- disse Bill, alzandosi – Ci sentiamo, quindi- aggiunse porgendole, la mano.
- Senz'altro- disse entusiasta Vera, stringendola – Anche perché devo ancora incontrare Madison-
Si voltò poi verso Tom e con un sorriso strafottente gli porse la mano.
- Spero di rivedere anche te, Tom- disse, calcando la voce sull'ultima parola.
Il chitarrista rispose con grugnito, beccandosi una gomitata nelle costole da parte del fratello.
- Sii educato, per la miseria!- sussurrò Bill.
- Volevo dire...- si corresse quindi Tom – Non vedo l'ora di rincontrarti, Vera.




- Quella è antipatica- commentò il chitarrista, appena chiuse la porta della vettura.
- Non è vero. È gentile- ribatté Bill, mentre allacciava la cintura.
- Per te tutti sono gentili...- borbottò infastidito Tom.
Bill roteò gli occhi e preferì lasciar perdere.
- Ti accompagno a casa?- chiese suo fratello dopo qualche attimo di silenzio.
- Sì, grazie-
Una decina di minuti dopo, Tom stava parcheggiando davanti all'enorme villa del gemello.
- Ogni volta che la vedo, questa casa mi sembra più grande- disse, con un sorriso.
- Senti chi parla!- replicò Bill – Vuoi fermarti?
- Magari un'altra volta, devo andare in palestra ora- rispose il chitarrista – Porta i miei saluti a Maddie.
- Ok, ciao!- salutò il biondo, scendendo dall'auto.
Dopo che la figura del fratello scomparve dietro il portone, Tom rimise l'auto in moto e si diresse verso la palestra.
Ho già saltato due allenamenti” si disse “Paul mi ucciderà”
Paul era il suo personal trainer e uno dei suoi migliori amici. Fuori dalla palestra era un tipo socievole e alla mano, ma appena aveva un attrezzo in mano, diventava una macchina da guerra.
Tom pensava che con il tempo la ginnastica gli avesse dato alla testa.
Ogni giorno, senza curarsi del tempo che faceva, usciva a fare jogging e ultimamente aveva cercato di coinvolgere Tom nelle sue matte corse.
E' pazzo, è pazzo” si disse il moro, scuotendo la testa.
Finalmente arrivò alla palestra. Parcheggiò di fronte alla porta a vetri dell'edificio e, una volta sceso, entrò, pronto a sorbirsi la furia di Paul.
- Tom!!!!!!- sentì la sua voce tuonare, appena mise piede nella palestra, dopo essersi velocemente cambiato.
Oddio...”











Salve :)
Questa è la mia nuova FF!
E' solo il primo capitolo, ma spero vi piaccia ^-^
Per chi segue "Tom's Daughter", non c'è da preoccuparsi: la finirò ovviamente! :)
Grazie a tutti/e :)
Addicted__TH

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Two ***


Two

 
Quando Bill entrò in casa, Madison era in cucina, intenta a preparare la cena.
Il biondo si tolse scarpe e giacca, senza far rumore, e con passo felpato entrò in cucina, dove trovò la sua ragazza ai fornelli mentre aggiungeva delle spezie nel sugo per la pasta. In punta di piedi si avvicinò alle sue spalle, deciso a farla spaventare un po', ma quando giunse ad un soffio da lei, Madison disse:
- Ciao, Bill. Com'è andata?-
Il cantante sbuffò, scocciato, e scrollò le spalle.
- Bene- borbottò, prendendo una lattina di RedBull dal frigorifero.
Da sempre tentava di fare quello scherzetto, senza mai riuscendoci; era diventata una specie di questione di principio.
Madison si voltò, divertita, scuotendo la testa.
- Bill, sai che non ci riuscirai mai. Rinuncia, è la cosa migliore- disse, con un sorriso, per poi tornare a cucinare – Cosa ha detto la wedding planner?- chiese dopo qualche istante.
- Dice che si terrà in contatto con noi- rispose Bill – E' simpatica- aggiunse poi – Tranne per il fatto che ha pensato che i due sposi fossimo io e Tom- disse, suscitando grasse risate in Madison.
- Ho sempre pensato che foste una bella coppia- commentò la ragazza.
- Amo il tuo sarcasmo.
- Non volevo essere sarcastica- ribatté Madison, spegnendo il fornello – Vado un attimo in bagno, tu comincia ad apparecchiare- disse poi, uscendo dalla cucina.
Bill osservò la sua figura sparire dietro la porta, poi aprì la credenza, prese piatti e bicchieri e cominciò ad apparecchiare la tavola.
Notò che, senza neanche farlo apposta, aveva preso il piatto su cui un paio di settimane prima aveva messo una scatolina contenente l'anello con cui aveva fatto alla sua ragazza la fatidica domanda.
Ancora si ricordava delle lacrime che Madison aveva versato mentre lo abbracciava e la sua voce che diceva "Sì, certo che voglio sposarti”
Stavano insieme da cinque anni, ormai.
Si erano conosciuti per caso, in un albergo a Roma. Lui era nel bel mezzo di un tour, lei era lì in vacanza.
Erano bastati una caduta piuttosto imbarazzante sulle scale di Madison, una risata e uno sguardo per farli innamorare.
Bill si era immediatamente invaghito degli occhi nocciola della ragazza, così simili ai suoi, che s'illuminavano ogni volta che rideva. Madison, d'altro canto, non era riuscita a resistere al suo bellissimo sorriso.
Era stato semplice, all'inizio. Poi, però, erano entrati in scena i giornalisti, le fan e le foto sempre più compromettenti, tanto che alla fine i due erano dovuti uscire allo scoperto.
Col senno di poi, Bill pensava che, in realtà, forse era meglio che tutti sapessero di lui e Madison, al contrario di ciò che pensava qualche tempo prima.
Mentre era immerso in questi pensieri, il biondo sentì una mano sulla sua spalla, accompagnata da un urlo.
- Aaaah!- gridò, spaventato.
Quando si accorse di Madison che si spanciava dalle risa, tenendosi aggrappata ad una sedia per non cadere, assunse un'espressione offesa.
- Non sei per niente simpatica- disse, aggrottando la fronte.
- Oh, e invece sì- replicò la ragazza, ricomponendosi – Forza, mangiamo, prima che si raffreddi.



* * *
il pomeriggio seguente

Mentre sistemava le ultime scartoffie, Vera sentii qualcuno bussare alla sua porta.
- Avanti- disse, chiudendo uno dei raccoglitori.
- Ehi, Cooper-
Nel suo ufficio aveva fatto il suo ingresso Lawrance, in tutto il suo metro e ottantacinque di altezza.
- Ciao, Lawrence- salutò Vera con un sorriso – Come stai?
- Bene- rispose il ragazzo, avvicinandosi – Hai finito?- chiese, dando un'occhiata alla pila di fogli sulla scrivania.
- Sì, grazie a Dio, sì- disse la mora, annuendo.
- Beh, che ne dici di un caffè, allora? Devi ancora raccontarmi del colloquio di ieri con i nuovi clienti.
- L'avrei fatto, se tu non fossi sparito a metà giornata.
- Ho avvertito Susan, e comunque avevo degli impegni- si giustificò il ragazzo, passandosi una mano tra i capelli biondi.
- E che genere di impegni?- domandò dubbiosa Vera, inarcando un sopracciglio.
- Non importa, e comunque non sono affari tuoi- replicò secco Lawrence.
- Sì, certo...- commentò ironica l'amica – Comunque, vengo volentieri. A patto che il caffè me lo offra tu.




- Allora,- disse Lawrence, mentre sorseggiava il suo cappuccino – Che tipi sono?
- Bill è molto simpatico e gentile- rispose Vera, versando dello zucchero nella sua tazza.
- E Madison?
- Non è venuta, devo ancora conoscerla.
- Quindi c'era solo Bill?
- No, c'era anche suo fratello- disse la ragazza – Tom- aggiunse, con una smorfia.
- Oh,- disse Lawrence – non ho sentito delle belle cose sul suo conto.
- Mi dà l'idea di un arrogante- commentò Vera, per poi bere un sorso del suo caffè – Ho fatto una piccola gaffe e mi ha guardato come se fossi una marziana. Neanche avessi detto chissà quale oscenità- aggiunse - “Io sono Tom”- disse poi, imitando la voce del chitarrista.
- Ha davvero fatto così?- rise l'amico.
Lei si limitò ad annuire, continuando a bere.
- Spero di non doverlo più incontrare. Non mi ispira simpatia-
Lawrance roteò gli occhi:
- Non fare la melodrammatica.
- Non sto facendo la melodrammatica- ribatté Vera – Dico solo la verità- concluse, poggiando la tazza vuota sul tavolo.
- In ogni caso, penso che tra poco fisserò un appuntamento con Madison. Credo che Bill fosse lievemente confuso.
- Perfetto- disse Lawrence – Ora,- aggiunse, terminando di bere il suo cappuccino – cambiamo argomento- continuò guardando Vera dritta negli occhi – Che mi dici di Phil?-
Vera sgranò gli occhi e cominciò a tossire convulsamente, temendo di soffocare con la sua stessa saliva.
Un cameriere le portò un bicchiere d'acqua e lei lo trangugiò in un sol sorso.
- Lawrence! Hai detto che non ne avremmo più parlato!- esclamò, con le gote ancora rosse.
- Vi siete sentiti?- insistette il ragazzo, ignorandola.
Lei sbuffò, rassegnata: ogni volta finiva così.
Philip Underwood era un amico di vecchia data di Vera. Si erano conosciuti ad una festa ed erano diventati amici. Si piacevano, indubbiamente, ma non c'era nulla al di là dell'attrazione fisica, quindi avevano ben pensato di non implicarsi in relazioni troppo complicate.
Erano amici, punto.
Una sera, però, qualche drink in più era bastato a far perdere loro il controllo ed erano finiti a letto insieme.
Avevano deciso di non parlare più di quella notte, e di far finta che nulla fosse successo, ma come si può ben immaginare, tutto era cambiato tra loro.
Qualche tempo dopo, Phil era dovuto partire per lavoro e da allora non si erano più visti. Ogni tanto si sentivano via Facebook, ma succedeva raramente.
Vera aveva cercato di farsene una ragione e di dimenticare quella storia.
Ma era piuttosto difficile con un Lawrence Williams tra i piedi.
- No, non ci siamo sentiti- disse con tono scocciato.
- Peccato...- commentò l'amico.
- In che lingua devo dirti che, comunque sia, siamo solo amici?!
- Beh, ma siete stati a letto- le ricordò Lawrence.
Il ragazzo credeva che a volte la sua amica si scordava di quel piccolo dettaglio.
- E' successo una volta- disse Vera – Ed eravamo ubriachi fradici. Niente di più.
- Però ti piace, non è così?
- E' un bel ragazzo!- esclamò la mora, allargando le braccia, come se fosse ovvio.
- Sai che non mi riferisco a quello- disse Lawrence, con sguardo quasi severo.
Sentendosi punta sul vivo, Vera decise di bypassare il discorso.
- Sono stanca, e ho voglia di una bella doccia. Che ne dici, andiamo?-
Lawrence storse il naso, ma prima che potesse replicare, Vera si era già alzata, e stava mettendo la giacca.
Sbuffò, contrariato, e dopo aver preso il suo giubbetto, seguì la ragazza fuori dal locale.
I due salirono nella macchina della mora, e partirono verso casa del ragazzo.
- Che fai stasera?- chiese Vera, fermandosi ad un semaforo.
- Christopher dovrebbe venire da me- rispose il ragazzo – E tu?-
Vera scrollò le spalle, mentre ripartiva.
- Niente di che. Forse mi sforzerò e cucinerò qualcosa di commestibile, poi passerò la serata davanti ad un film ed infine mi trascinerò stancamente al mio letto.
- La tua vita è sempre così piena d'azione...- disse Lawrence, divertito – Sai, del sano sesso potrebbe aiutarti. Magari diventi meno scorbutica.
- Guarda che tra i due quello scorbutico sei tu- replicò la mora – Di' a Chris di darsi una mossa, il tuo nervosismo a volte è esasperante.
- Acida- borbottò Lawrence, ammutolendosi.
Vera fece un sorrisino compiaciuto e continuò a guidare in assoluta tranquillità.
Quando giunse davanti a casa dell'amico, Lawrence le lasciò un piccolo baciò sulla tempia.
- A domani, Cooper- le disse, scendendo dall'auto.
- Ciao, Lawrence- rispose lei.
Seguì con lo sguardo la figura dell'amico entrare nell'appartamento, per poi scomparire dietro il pesante portone di legno.
E adesso, si va a casa”


* * *
Questa è stata decisamente una delle migliori scopate di tutta la mia vita”
Con un sorriso soddisfatto dipinto sul volto e le mani infilate nelle enormi tasche dei jeans, Tom scendeva le scale del palazzo dove abitava Mya, la sua ultima fiamma, una rossa tutta curve e con il quoziente intellettivo di un pollo. L'ideale per uno come lui.
Una volta fuori dall'edificio, si calcò il cappellino sulla fronte e raggiunse velocemente la sua macchina, controllando di non essere seguito o fotografato.
Dopo essere salito, mise in moto e partì verso casa sua, dove l'aspettava un rigenerante doccia calda.
D'un tratto, il suo telefonino vibrò. Cercando di non uscire fuori strada, lo prese e rispose.
- Pronto?
- Tom! Mi stavo preoccupando, accidenti! Perché non rispondi?!
- Oh, ciao Bill. Scusa, io... uhm.. avevo da fare- cercò di giustificarsi il moro.
Sentì il fratello sospirare pesantemente.
- E' mai possibile che non puoi tenertelo dentro i pantaloni?
- E privare così delle dolci fanciulle di un piacere così immenso? Non credo proprio-
Bill sospirò una seconda volta, rassegnato: Tom era davvero senza speranze.
- Senti,- disse, cambiando argomento – Dave ha detto che domani ci vuole in studio alle otto del mattino-
Tom sgranò gli occhi, incredulo.
- Vuoi scherzare? Non ci penso nemmeno!-
Il chitarrista sentì il fratello comunicare la sua risposta a qualcuno. Quel qualcuno dopo pochi istanti strappò il telefono dalle mani di Bill e trapanò le orecchie di Tom tuonando:
- Kaulitz! Cazzo, azzardati a saltare le registrazioni di domani e giuro che ti castro con le mie mani!
- David, ascolta...
- No, non ti ascolto. Fa' come ti ho detto. A domani-
Il manager chiuse bruscamente la chiamata senza nemmeno lasciare il tempo a Tom di replicare.
Il ragazzo sospirò cercò di rimettere il cellulare in tasca, ma gli sfuggì dalle mani, cadendo sotto il sedile.
- Maledizione- borbottò, allungando un braccio per prenderlo.
Non riuscendoci, finì col abbassarsi del tutto, perdendo di vista la strada ed entrando, senza accorgersene, in una strada a senso unico.
Mentre cercava a tentoni il telefonino, Tom sentì un clacson strombazzare, Si alzò di scatto e vide una piccola utilitaria blu che avanzava a verso di lui.
Afferrò in fretta il volante e cercò di evitare lo schianto, andando a frenare ad un soffio dalla vetrina di un negozio.
Appoggiò il capo sul poggiatesta del sedile, traendo respiri profondi, cercando di calmarsi.
Intanto alcune persone erano usciti dai negozi e dalle loro auto per andare a soccorrere l'altro automobilista.
Tom uscì dalla sua vettura e si avvicinò a quella dell'altro guidatore, o meglio ciò che ne rimaneva.
L'auto era finita fuori strada, andando a schiantarsi contro un albero. Il muso era accartocciato e il paraurti si era staccato, finendo in mezzo alla strada.
Tom contò i danni e rabbrividì, sperando che l'automobilista non si fosse fatto male.
- Forza, cara, vieni- disse una signora, mentre aiutava quest'ultimo ad uscire dall'auto.
Tom si fece spazio tra la piccola folla che si era creata intorno, ricevendo qualche occhiataccia e commenti poco carini.
- Che irresponsabile... Avrà appeno preso la patente- dicevano.
Il ragazzo cercò di non badarvici e si avvicinò alla signora che sosteneva una ragazza mora.
- Ehm... scusa, io...- cominciò a dire, accorgendosi poi di qualcosa di strano.
Ma... non può essere!”
La ragazza alzò la testa e spalancò la bocca, incredula.
- Tu?!






Ehi :)
Vedo che il primo capitolo vi ha incuriositi, bene :) Spero solo che il secondo si stato all'altezza delle aspettative! Scusate se ho tardato un po', cercherò di postare più regolarmente :)
Grazie a chi mi ha recensito e a chi ha già inserito questa ff tra le seguite :)
Alla prossima!
Addicted__TH

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Three ***



Three


- Tu?!- disse ancora Vera, sconcertata – Tom?!
- Tu sei la wedding planner di mio fratello!- esclamò il chitarrista, risolvendo ogni suo dubbio su chi fosse la ragazza – Lisa?- chiese poi.
La mora gli lanciò uno sguardo furibondo.
- Vera- lo corresse - e tu mi hai appena fatto schiantare contro un albero, imbecille!- aggiunse, a dir poco infuriata – Ma quando hai preso la patente? L'altro ieri?
- Ehi, ehi- disse Tom – Non scaldarti troppo. E' stato un semplice incidente-
Vera sbarrò gli occhi, non credendo alle sue orecchie.
- Un semplice incidente?- ripeté scocciata – Tu chiami questo un semplice incidente?!- disse, indicando ciò che rimaneva della sua vettura – Sai quanto ho dovuto risparmiare per comprarla?!
- Per comprare quel coso?- domandò Tom con una smorfia – Ma quando l'hai comprata? Negli anni Cinquanta?- continuò - Dai retta a me: quell'auto sarebbe sopravvissuta per altri due anni al massimo.
- Ciò non ti dà il diritto di distruggerla!- replicò la mora.- Guarda che hai combinato!- strillò poi, avvicinandosi al muso fracassato dell'auto.
- Beh, ringrazia il cielo: quelle sarebbero potute essere le tue gambe- disse Tom, con un'alzata di spalle – Sei stata fortunata, in fondo- aggiunse, prendendo in mano uno specchietto caduto a seguito dell'impatto.
Vera percepì una scarica d' ira percorrerla dalla testa ai piedi. Strinse i pugni e cercò di relegare nella parte più profonda della sua mente quella vocina che continuava a ripetere ininterrottamente “uccidilo, uccidilo ora!
- Credo che dovremmo compilare il modulo di constatazione amichevole- disse, dopo aver preso un profondo respiro – Il mio sarà sicuramente distrutto. Usiamo il tuo-
Tom la guardò, confuso: di che diavolo stava parlando?
- Sai, no...- tentò di spiegare Vera – quel modulo blu che dovresti avere in auto...
- Oh, quello!- esclamò Tom – Mi dispiace, l'ho lasciato a casa- disse poi.
Vera sentì le proprie braccia cadere a terra e la voce di prima ritornò a martellarla ancora più forte di prima.
- Per quale stupido,- disse, in un soffio – futile ed immaturo motivo l'avresti lasciato a casa?
- Beh,- cercò di giustificarsi Tom – non mi ci stanno i profilattici, sennò- ammise, abbassando lo sguardo, imbarazzato.
Vera credette di esplodere: quel ragazzo la stava prendendo in giro?
- Comunque,- disse il chitarrista – Non credo ce ne sia bisogno. Insomma, tu stai bene, no?-
La mora sospirò pesantemente: sì, quel ragazzo la stava decisamente prendendo in giro.
- Senti,- disse, con sguardo estremamente serio – non ho voglia di stare qui a farmi prendere in giro dal primo idiota irresponsabile che passa, quindi o vai a prendere quel dannato modulo, oppure...
- Oppure?- la sfidò Tom.
- Oppure chiamo la polizia.
Tom inarcò un sopracciglio ed incrociò le braccia, scettico: sapeva che non l'avrebbe mai fatto; era solo un modo per farlo spaventare e convincerlo ad andare a prendere il modulo.
I due stettero a guardarsi per qualche interminabile istante, senza dire nulla.
- Bene- disse Vera, all'improvviso – L'hai voluto tu-
Tom rimase ad osservarla, senza alcun segno di cedimento, aspettando che si fermasse.
La ragazza però, non accennava a farlo: aveva già preso il cellulare dalla tasca e ora stava componendo il numero delle emergenze. Si portò il telefono all'orecchio e subito una voce le rispose.
- 911, buongiorno. In cosa posso esserle utile?
Tom sgranò gli occhi, incredulo.
- Buongiorno- disse Vera.
Prima che però potesse aggiungere altro, Tom, con uno scatto fulmineo, le strappò il telefonino dalle mani e chiuse la chiamata.
- Si può sapere che ti prende ora?- sbuffò la mora – Dammi il mio telefono!
- Non puoi chiamare la polizia!
- E perché, di grazia?
- Perché... perché...
Perché David mi ucciderà. Bill mi ucciderà. I produttori mi uccideranno. Tutti mi uccideranno”
- Perché non ce n'è assolutamente bisogno-
Vera si spazientì: ora ne aveva abbastanza.
- Ah, davvero?!- urlò, in preda al nervoso - Stavi percorrendo contromano una strada a senso unico, mi hai fatto schiantare contro un albero, non hai con te quel fottuto modulo e non vuoi andarlo a prendere, hai perfino detto che sono stata fortunata!- continuò, sempre gridando - Ed hai il coraggio di stare qui a fare spallucce e dire che non dovrei chiamare la polizia?!-
Tom roteò gli occhi, infastidito.
- Senti, ti chiedo scusa, ok? Non c'è bisogno di fare tutte queste scene. Ti ho già detto che è stato un semplice inc...-
Il ragazzo non fece in tempo a concludere la frase, perché un potente schiaffo lo colpì in pieno viso, facendolo voltare di lato.
Si portò una mano alla guancia, che bruciava, e lentamente alzò lo sguardo su Vera, che lo osservava furiosa.
La folla, che si era piano piano formata intorno a loro, si ammutolì e trattenne il fiato, aspettando cosa sarebbe successo.
- Tu sei pazza- mormorò il chitarrista.
- Dillo un'altra volta,- soffiò Vera – e giuro che te ne arrivano altri due – continuò – Non è stato un semplice incidente, ok? Hai distrutto la mia auto, razza di idiota- aggiunse, poi, riprendendosi il suo cellulare.
- Ecco, brava, chiama la polizia!- esclamò Tom, rosso in viso – Così ti denuncio per lesioni personali!- disse – E per minaccia- aggiunse poi, incrociando un'altra volta le braccia.
- Vattene- sibilò Vera.
Il ragazzo la guardò, sbigottito.
- “Vattene”? - ripeté – Cosa significa?
- Significa che devi andartene- spiegò la mora – E non farti più vedere, magari-
Questa soffre di doppia personalità” pensò Tom “E' completamente fuori di testa, non c'è che dire”
Osservò Vera, incerto sul da farsi, poi si disse che forse era meglio dileguarsi prima che la storia prendesse una piega peggiore di quella che stava prendendo.
- Beh, allora vado...- disse, titubante – Ti chiedo ancora scusa. Davvero, non era mia intenzione-
Vera non rispose, si limitò a lanciargli uno sguardo di fuoco.
Antipatica” pensò Tom, mentre si allontanava “Pazza e antipatica. Bill farà meglio a cambiare wedding planner” si disse, entrando in auto.
Fece manovra, facendo molta attenzione alle vetrine dei negozi che davano sulla strada, e una volta messosi in carreggiata, partì velocemente verso casa sua.
Intanto Vera aveva continuato ad osservarlo, adirata.
Quando l'auto del chitarrista sparì dalla sua vista, prese il telefono e compose un numero.
- Pronto?- rispose una voce femminile.
- Marcy!- esclamò la mora - Potresti venirmi a prendere? È successo un gran casino.



* * *
- Ma che diavolo è successo qui?!-
Vera si voltò e vide che alle sue spalle c'era sua sorella maggiore, Marcy.
- Ciao, Marcy!- la salutò, sollevata.
- Quando mi hai chiamata non hai detto che la tua macchina era distrutta!- disse Marcy, avvicinandosi al rottame – Come accidenti hai fatto?
- Non è stata colpa mia- sbuffò Vera.
- Hai chiamato il carro attrezzi?
- Sì, dovrebbe arrivare tra qualche minuto- sospirò la mora.
- Questo sì che è un disastro...- mormorò Marcy, osservando ciò che rimaneva dell'auto della sorella – Come farai ora?
- Beh, i pullman sono nati per questo, no?- chiese sarcastica Vera – Mi arrangerò, come ho sempre fatto-
Marcy annuì, pensierosa.
D'un tratto le due sentirono un camion fermarsi a qualche metro da loro. Ne scese un giovane sui venticinque anni circa che si avvicinò a loro.
- Salve,- disse – E' qui il problema?- chiese, alludendo alla carcassa dell'automobile di Vera.
Quest'ultima annuì, affranta.
- Wow, non ho mai visto niente del genere!- esclamò il giovane, facendo un giro intorno all'auto – Questa va dritta dritta nella spazzatura. Non c'è nulla da fare- aggiunse – Spostatevi, per favore, così il mio collega può prenderla- disse poi, indicando un uomo sulla cinquantina che li guardava da dentro il camion.
Marcy e Vera fecero qualche passo a destra, lasciando lo spazio necessario perché l'auto potesse essere presa.
Mentre l'uomo sul carro attrezzi faceva le manovre necessarie per portare via l'auto di Vera, il suo collega fece compilare dei fogli alla ragazza.
- Un'ultima firma qui, per favore- disse.
Vera fece quello che le era stato detto, per poi ridare penna e fogli al giovane.
- Il conto le arriverà a casa, signorina- disse quest'ultimo – Ora andiamo. Arrivederci- aggiunse, allontanandosi e salendo sul camion, che partì velocemente, lasciando Vera e Marcy da sole.
- Su, forza,- disse Marcy – Ti porto a casa. E nel frattempo mi racconti tutto.




* * *

- E quindi sarebbe stata colpa di questo Tom...
- Sì, Marcy!- esclamò Vera, esasperata – E' uno stupido irresponsabile! Saremmo potuti morire!
- Sì, in effetti, avrebbe dovuto fare più attenzione- asserì Marcy.
- Sono davvero furiosa- affermò Vera, sprofondando nel sedile di pelle.
- Si vede- commentò quasi divertita la sorella – Dovresti darti una calmata-
Vera la osservò, sbigottita.
- Marcy come accidenti faccio a calmarmi?!- sbraitò.
- Finirai per farti venire una crisi nervosa- la avvertì Marcy, scuotendo la testa e facendo muovere i capelli neri, legati in una coda di cavallo – Tutta questa agitazione non ti fa bene.
- Marcy, i tuoi consigli da psicologa sono l'ultima cosa di cui ho bisogno adesso, davvero-
Marcy roteò gli occhi, e continuò a guidare, in silenzio.
- Dovresti chiamare la mamma- esordì, dopo qualche minuto – Vorrebbe saperlo.
- Lo farò- mentì Vera.
Marcy se ne accorse e la guardò con disappunto.
- Non fare la bambina- le disse, tornando a guardare la strada.
- Non sto facendo la bambina- si difese Vera – Ti ho detto che lo farò.
- Menti.
- Non è vero-
Marcy scoccò un'occhiata eloquente alla sorella, che distolse gli occhi e si mise a guardare fuori dal finestrino.
- Le manchi- mormorò la sorella maggiore dopo qualche istante – Perché non vai a trovarla qualche volta? Le faresti piacere.
- Marcy, sono andata via di casa per un motivo ben preciso, che era quello di non volerci più mettere piede- disse Vera – Perché non viene lei da me?- aggiunse poi, senza mai togliere lo sguardo dal finestrino.
- Ha paura che tu non voglia vederla.
- Tu come le sai tutte queste cose?!- sbottò infastidita la mora, voltandosi – Sei la sua portavoce, per caso?- domandò, sprezzante.
- Vera, smettila- disse Marcy, seria – Ogni volta che viene da me, tu sei al centro dei suoi discorsi. Credimi, le manchi davvero-
Vera non rispose e decise di chiudere lì la discussione.
Sentì la sorella sospirare pesantemente, per poi zittirsi.
Nessuna delle due parlò fino a quando Marcy non parcheggiò davanti a casa della sorella.
- Grazie mille- disse Vera, dando un lieve bacio sulla guancia a Marcy – Salutami Ethan e i bambini- aggiunse, prima aprire la portiera e scendere.
- Vera,- la richiamò Marcy, prima che potesse chiudere la portiera – Ricordati di ciò che ti ho detto-
La mora annuì, per poi chiudere la portiera e dirigersi verso il suo palazzo.
Una volta giunta alla porta, si guardò alle spalle e vide la macchina della sorella allontanarsi.
Entrò e salì al suo appartamento. Una volta dentro, si sedette per terra e si portò le ginocchia al petto.
Le parole di Marcy le riecheggiavano nella testa:
«Le manchi»
Mamma...”



* * *

il giorno dopo

- Stop, stop! Fermi!-
Tom, Georg e Gustav smisero di suonare e guardarono Bill, quasi spaventati.
Stava avendo una crisi nervosa. E ciò non era buono né per lui né per chi gli stava intorno.
- Che hai?- gli chiese il bassista.
- Tom!- disse il biondo, ignorandolo – Ti ho già detto che devi stare una nota più bassa!-
- Ok, ok- sbuffò il chitarrista – Ho sbagliato, scusa. Datti una calmata però.
- Non mi do una calmata!- sbraitò Bill, fuori di sé – Che cazzo ci vuole a stare una nota più bassi, maledizione?!-
Prima che Tom potesse replicare, David, da fuori la cabina di registrazione, li richiamò all'ordine.
- Basta così- disse – Facciamo una pausa, ok? Fuori dalla cabina, forza-
I ragazzi fecero come era stato loro detto.
- Adesso andata a farvi un giro, tutti quanti- disse il manager, massaggiandosi le tempie - Ne ho abbastanza di voi e delle vostre discussioni-
Si voltò quindi versò la sua assistente, una giovane ragazza dai lunghi capelli rossi, gli occhi verdi e il viso ricoperto da lentiggini.
- Grace,- le disse – Portami un doppio caffè espresso e tre pillole di Valium, per favore.
La ragazza si appuntò il tutto ed se ne andò.
- Tre pillole?- chiese sconcertato Gustav – David, non sono troppe? Non vorrai berle tutte in una volta!
- Quando hai a che fare con gente come voi,- rispose il manager – Il Valium non è mai abbastanza. Ora via! Fuori di qui! Vi voglio di ritorno tra mezzora!




* * *

- Si può sapere che hai?- sbottò Bill, sedendosi sul divano accanto al fratello.
- Non ho nulla- mentì Tom.
- Sì, certo- commentò ironico Georg, lasciandosi cadere sul divano opposto, seguito da Gustav.
- Vi dico che non ho niente- insistette Tom.
La verità era che quella mattina si era svegliato decisamente col piede sbagliato.
Probabilmente, anzi, sicuramente, era colpa dell'incidente con quella Vera.
Quella ragazza gli stava proprio antipatica.
- Tom,- gli disse il gemello – avanti, parla-
Il moro sospirò, e prese a raccontare la vicenda del pomeriggio precedente.
- Tu... tu... sei un irresponsabile!- urlò Bill – E ti lamenti anche?! Fosse stato per me, staresti già scontando la tua pena in carcere- aggiunse, piuttosto arrabbiato.
- Se tu non mi avessi chiamato,- ribatté Tom – io non avrei risposto, il cellulare non sarebbe caduto e non sarebbe successo nulla!
- Quindi sarebbe colpa mia?!- fece Bill, incredulo – Tu devi avere qualche rotella fuori posto, Tom.
- No, quella che ha le rotelle fuori posto qui è la tua wedding planner- replicò il chitarrista – Mi ha anche schiaffeggiato! Davanti a tutti!- disse, paonazzo in volto.
Gli altri lo guardarono stupiti per qualche secondo, per poi scambiarsi sguardi complici, abbozzando dei sorrisi. Cominciarono a ridacchiare, sempre più forte, finendo poi per ridere a crepapelle, sotto lo sguardo furioso di Tom.
- Che avete da ridere?- sibilò.
- N-noi...- cercò di dire Gustav, scoppiando però in un'altra gran risata.
I tre continuarono a ridere senza sosta per un tempo indeterminato; le loro risate poi scemarono fino a diventare semplici risolini.
- Avete finito?- fece Tom, inarcando un sopracciglio.
- Amico, sei serio?- chiese Georg, con un sorriso divertito sulle labbra.
Tom aggrottò la fronte, ed annuì.
- Non potevo crederci- disse – Nessuno si è mai permesso di farlo!
- Nessuno fino ad ora- lo corresse Gustav.
- Grazie per la precisazione, Wolfgang- disse Tom – Sei proprio d'aiuto, devo dire.
- Oh, avanti, Tom- disse Bill – Non prendertela. Non è la fine del mondo- continuò, dandogli delle pacche sulla schiena.
Nella stanza calò il silenzio, ma poco dopo Georg, Bill e Gustav ricominciarono a ridere, provocando istinti omicidi in Tom.
- Smettetela!- urlò, ma i suoi amici non lo ascoltavano, anzi, ridevano sempre di più.
- Oh, andate al diavolo!



* * *

Intanto, camminando per le strade di LA, Vera e Lawrence si godevano il loro giorno libero.
La mora aveva appena finito di raccontare all'amico l'episodio del giorno prima.
- Lo hai davvero schiaffeggiato?!- esclamò incredulo il ragazzo.
- Certo- affermò Vera – Se l'è meritato. Avrei dovuto dargliene qualcuno in più- aggiunse, con una smorfia.
- Tu sei troppo aggressiva- disse Lawrence – Te lo ripeto: un po' di sesso ti farebbe davvero bene-
Vera sbuffò, e non rispose, continuando a camminare.
- Eccoci- disse all'improvviso, fermandosi.
- Posso rimanere fuori?- chiese piagnucolando Lawrence, guardando l'edificio davanti al quale si era fermata l'amica – Sai che non sopporto la vista degli aghi.
- Non fare il bambino!- lo apostrofò Vera, prendendolo per una mano, e trascinandolo all'interno.
Arrivarono ad un bancone, dove stava un omone completamente tatuato che disinfettava un ago.
A quella vista Lawrence sbiancò: come aveva potuto Vera trascinarlo lì?
La mora si schiarì la voce e l'uomo del bancone alzò lo sguardo sui due, squadrandoli dalla testa ai piedi.
- Sì?- disse, con un vocione che fece quasi tremare i vetri.
- Buongiorno- disse Vera, senza lasciarsi intimidire – Vorrei fare un tatuaggio.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Four ***


Four


L'uomo osservò ancora per qualche istante Vera e Lawrence, senza smettere di pulire l'ago.
- Hai un disegno?- chiese, rivolgendosi alla mora.
Quest'ultima annuì, e prese dalla sua borsa un foglio spiegazzato, che poi porse all'uomo.
- Ecco. Vorrei tatuarmi questo- disse – Qui- aggiunse, indicando un punto sul suo polso.
Il tatuatore osservò il disegno: era un piccolo delfino stilizzato blu e nero.
- Ok- disse l'uomo, posando ago e straccio – Vado a preparare gli strumenti. Ci vorrà un attimo- continuò, per poi sparire dietro una tenda alle sue spalle.
- Cooper,- sussurrò Lawrence – ti prego. Fammi andare via. Rischio di svenire-
Vera sbuffò, scocciata.
- Lawrence, non essere sciocco!- esclamò l'amica – Non succederà nulla.
- Ma, Vera!- protestò spaventato il biondo – Quel tipo infilerà un ago nella tua carne!
- Lawrence, non mi deve asportare un organo- disse Vera, sospirando – Deve semplicemente farmi un tatuaggio. Sarà tutto molto veloce. Saremo fuori di qui prima che tu te ne accorga, vedrai-
Subito dopo, il tatuatore ritornò e, con un cenno della testa, fece segno ai due amici di seguirlo.
- Andiamo- disse Vera, avviandosi.
- Non voglio- replicò Lawrence – Potrei davvero stare male- aggiunse.
La mora roteò gli occhi, spazientita.
- Lawrence, smettila!- esclamò, prendendo l'amico per un braccio – Per favore, finiscila. Non siamo qui per dare spettacolo!- disse poi, alludendo agli altri clienti e tatuatori che li guardavano.
Lawrence si aggrappò con tutte le sue forze al bancone, ma non riuscì a tenersi abbastanza saldamente, e Vera riuscì a trascinarlo con sé dietro la tenda.
- Siediti- disse l'uomo alla mora, indicandole una poltrona rossa – Tu, invece, puoi stare qui- disse, puntando una sedia nera imbottita, rivolgendosi a Lawrence.
Il ragazzo, tremante, si sedette, e pregò che tutto finisse nel giro di pochi minuti.
- Ci vorrà molto?- chiese Vera, quasi intuendo i suoi pensieri.
- No- rispose il tatuatore – E' un tatuaggio piuttosto semplice, e poi è piccolo- aggiunse, mentre si avvicinava alla ragazza – E' il primo?- le chiese mentre le passava una lametta sul polso per togliere i peli, per poi cominciare a disinfettarlo.
Vera annuì, mentre l'uomo prendeva l'ago da un vassoio dove vi erano altri strumenti, che fecero impallidire Lawrence.
- Sei pronta?- chiese.
La mora annuì una seconda volta, e così tatuatore cominciò ad eseguire il suo lavoro.
Nella stanza scese il silenzio, interrotto solo dal ronzio dell'ago che tracciava il disegno sul polso di Vera.
Quando la ragazza si lasciò sfuggire un lieve gemito di dolore, Lawrence credette di morire da un momento all'altro.
Giuro,” si disse, mentre cercava di non svenire “che questa volta la sbatto fuori dall'agenzia sul serio

Alla fine, però, durò meno di quel che pensava.
L'uomo ci mise all'incirca mezzora per finire il suo lavoro, e appena pronunciò la parola “fatto”, Lawrence tirò un sospiro di sollievo.
Vera si alzò dalla poltroncina e mostrò con orgoglio il suo polso all'amico.
- Non è bellissimo?!- fece con entusiasmo.
- Sì, niente male- disse Lawrence sorridendo.
- Grazie mille!- esclamò quindi Vera, rivolgendosi al tatuatore – E' davvero molto bello.
- Felice che ti piaccia- rispose l'uomo – Ora tocca a te?- chiese poi, guardando Lawrence.
Il biondo sbiancò di colpo, andando in iperventilazione, al solo pensiero di avere un ago infilato nel braccio.
- Ti senti bene?- chiese il tatuatore, perplesso – Vuoi dell'acqua?
Vera sospirò, rassegnata: il suo amico non sarebbe mai cambiato.
- Stia tranquillo- disse, rivolta all'uomo – E' normale. Quanto è?- aggiunse, mentre usciva dalla stanza, con Lawrence aggrappato a sé e il tatuatore al seguito.
- Sei proprio sicuro di non volere niente?- chiese quest'ultimo, fermandosi dietro al bancone.
Lawrence scosse lievemente la testa insegno di diniego.
Il tatuatore fece spallucce e ritornò a guardare Vera.
- Sono 55$- disse.
Vera annuì e, dopo essersi staccata dall'amico, prese il portafoglio dalla borsa a tracolla, per dare i soldi all'uomo.
- Perfetto, grazie- disse lui – Ci si vede- disse, mentre metteva le banconote in cassa.
- A presto- salutò Vera – Andiamo Lawrence.




* *


- Ti odio davvero- ripeté per l'ennesima volta Lawrence, mentre finiva il suo bicchiere d'acqua – Ho rischiato di morire.
- Quanto sei tragico- commentò divertita Vera, posando sul tavolo del bar a cui erano seduti la sua tazza di caffè vuota – Non è stato così orribile.
- Questo lo dici tu- borbottò il biondo – Non concepisco come tu abbia potuto farmi una cosa del genere- sbuffò poi, torturandosi il ciuffo.
- Oh, avanti, non esagerare- fece Vera – Avrei potuto decidere di farti fare tre piercing sulla lingua. In fondo sono stata buona-
Lawrence sbarrò gli occhi, e il suo viso prese un colorino verdognolo.
- Ehi, ehi- si affrettò a dire Vera – scherzavo. Calmati.
- Fottiti- sibilò Lawrence, mentre si versava un altro bicchiere d'acqua, sotto lo sguardo divertito dell'amica – Non sei per nulla divertente.





* *



il mattino seguente


Vera stava lavorando in ufficio, quando il suo telefono squillò.
Sbuffando, piuttosto infastidita di essere stata interrotta, alzò la cornetta e rispose.
- Pronto?
- Pronto, Vera Cooper?
- Sì, sono io- disse la mora – Chi parla?
- Sono Madison- disse la persona dall'altra parte del telefono – Madison Brown- specificò poi – La ragazza di Bill Kaulitz-
Vera ebbe un piccolo sussulto sulla poltrona.
- Oh...- disse – Ehm... salve.
- Salve, Vera. Scusa se ti disturbo, sarai sicuramente impegnatissima. Sarò veloce- disse Madison – Volevo solo chiederti quando potremmo vederci. Sai, il matrimonio...
- Il matrimonio, certo, certo...- rispose Vera – Beh, io oggi sono occupata, ma se vuoi potremmo vederci dopodomani.
- Va bene- acconsentì l'altra –Ti aspetto alle tre a casa mia. Roosevelt street 47. Ci vediamo! Buon lavoro!-
Prima che Vera potesse replicare, Madison aveva già riattaccato.
- Ma io non ho la macchina...- mormorò la mora, guardando confusa la cornetta.
- Parli da sola?- le chiese una voce maschile, entrando nella stanza.
Vera alzò la testa e vide il suo amico Lawrence che posava un bicchierone di cappuccino sulla sua scrivania.
- No, parlo con il telefono- rispose la mora, prendendo il bicchiere, e iniziando a sorseggiarlo.
Lawrence si sedette sulla scrivania, assumendo un'espressione perplessa.
- Con il telefono?- ripeté, arricciando le labbra.
- Mi ha telefonato Madison- spiegò Vera – Dopodomani vado da lei.
- E qual è il problema?
- Non ho la macchina per andarci!- esclamò la mora, alzando gli occhi al cielo.
- Oh- disse Lawrence – Sì, è un problema effettivamente- commentò – Vuoi un passaggio?
- Preferisco morire- affermò Vera, prendendo un altro sorso di cappuccino – E leva il tuo culo piatto dalla mia scrivania-
Il biondo scese dal tavolo, offeso, e guardò l'amica.
- Guarda che io guido benissimo- disse, incrociando le braccia – E non ho il culo piatto.
- E invece sì- ribatté Vera, divertita – E tu non guidi benissimo, Lawrence. Guidi da far pena-
La ragazza non aveva tutti i torti.
Per Lawrence il codice stradale era un optional, un insignificante libretto che gli avevano dato durante il corso di guida, e che era finito in un cesto di vimini, in un angolo della sua stanza, sotto una pila di riviste di Vogue. Sapeva l'essenziale, per esempio il significato dei colori dei semafori, ma per il resto andava ad immaginazione.
Come quella volta che aveva preso un cartello di divieto d'accesso per un cartello di divieto di sosta non ancora ultimato, beccandosi una multa salatissima per aver imboccato una strada a senso unico.
- Lawrence,- disse Vera, stiracchiandosi – tu sei un pericolo pubblico al volante. Perché credi che ti abbiano ritirato la patente per due anni?
- Beh, ma adesso me l'hanno ridata- sbuffò il biondo.
- Fatto sta che io non salirò su quella carriola che tu hai il coraggio di chiamare auto né oggi né mai- replicò l'amica.
- Almeno io ne ho una- disse perfido Lawrence.
Vera gli lanciò uno sguardo truce, prese una matita dal suo portapenne e la lanciò al biondo, che però la schivò abilmente.
- Mancato- disse, sorridendo – Ok, la mia pausa è finita- aggiunse poi – Trova un modo per andare da Madison. Non accetto scuse- disse, con tono autoritario.
- Certo, signor Williams- rispose Vera, con un sorrisino – Arrivederci.
- Ci si vede, Cooper- la salutò Lawrence, facendole l'occhiolino, per poi chiudere la porta dietro di sé.
Torniamo al lavoro”.




* *


verso sera


- Vado di sotto a prendermi un po' d'acqua. Tu aspetta qui, d'accordo?-
Danielle, l'ultima conquista di Tom, annuì, e il ragazzo si alzò dal letto, mise un paio di boxer ed uscì dalla stanza.
Questa è anche meglio di Mya” penso il moro, mentre scendeva al piano inferiore, pregustando già il secondo round.
Arrivato in cucina aprì il frigo e prese una bottiglietta d'acqua. Ne bevve quasi tutto il contenuto in un solo sorso, e dopo averla chiusa, la rimise al suo posto.
Stava per andarsene, quando un particolare attirò il suo sguardo. Guardò con più attenzione il frigo e vide che vi stava appeso un piccolo post-it giallo, simile a quelli che lasciava in giro per casa per ricordarsi delle cose importanti.
Lo prese e lo lesse.
19h00, cena con CT Rec. Passa Bill a 18h30
Seguiva la data di quel giorno.
Il ragazzo sbarrò gli occhi, e il foglietto gli cadde dalla mani.
Oggi c'è la cena con i produttori!” pensò, schiaffandosi una mano in fronte “Come ho potuto dimenticarmene?”
Guardò l'orologio e quasi ebbe un mancamento: erano già le sei meno un quarto. Bill sarebbe passato tre quarti d'ora dopo.
Mentre pensava ad un modo per uscire dal gigantesco pasticcio in cui si era cacciato, Tom sentì dei leggeri passi scendere le scale e dopo qualche istante davanti a lui comparve Danielle, coperta da un asciugamano.
- Ehi,- disse la bionda con sguardo languido e voce suadente – non torni più su?- gli chiese, avvicinandosi al ragazzo.
- Scusa, piccola- disse lui – ma c'è un problema. Dobbiamo salutarci- continuò, cingendole i fianchi.
- Un problema?- ripeté lei, sbattendo le lunghe ciglia.
- Vedi,- le spiegò Tom – oggi ho una cena estremamente importante, a cui non posso assolutamente mancare.
- Non puoi disdire?- fece Danielle, lasciando dei piccoli baci sul collo del moro.
- No, non posso- rispose lui, allontanando un poco la ragazza da lui – E' davvero importante- le disse, guardandola negli occhi – Devo chiederti di andare-
Danielle si districò dalla presa di Tom sui suoi fianchi e lo guardò, irritata.
- Ma...- cercò di dire.
- Per favore- la interruppe Tom – non rendermelo più difficile- aggiunse, melodrammatico – Non sai cosa darei per stare qui con te.
- Davvero?- replicò la bionda, mentre i suoi occhi verdi le brillavano.
- Certo- disse il chitarrista – Facciamo così. Adesso vai, poi ti richiamo io, e ci rivediamo il prima possibile-
Forza, abbocca” pensava, mentre guardava con guardo più o meno convincente Danielle.
- Va bene- disse la ragazza – Vado a prendere le mie cose, allora- aggiunse, con un sorriso.
- Grazie, Danielle- rispose il ragazzo.
Lei emise un verso simile ad uno squittio e, saltellando, andò al piano di sopra per vestirsi.
Tom tirò un sospiro di sollievo, e prese a cercare il cellulare per chiamare il fratello.
Andò in salotto e si mise a guardare tra i cuscini. Mentre cercava, Danielle scese di nuovo, pronta a lasciare l'appartamento.
- Io vado- disse affacciandosi alla porta del salotto – Ricordati di chiamarmi!- aggiunse
- Certo, piccola- disse Tom, senza voltarsi.
La bionda squittì di nuovo, per poi andare alla porta ed uscire definitivamente.
Poco dopo Tom trovò il telefono, e chiamò immediatamente Bill.
Questa volta potrebbe incazzarsi davvero”



* *

- Cosa significa “sarò in ritardo”?- esclamò Bill.
- Lievemente in ritardo- lo corresse il fratello dall'altra parte del telefono - Per le sette e mezza sarò lì.
- Perché non puoi essere puntuale una volta ogni tanto?- sbuffò il cantante.
- Non succederà più!
- L'hai già detto la volta scorsa- disse Bill – E anche quella prima. Sei proprio un caso perso.
- Beh, è per questo che mi vuoi bene, no?- rise Tom – Ci vediamo più tardi- disse poi, chiudendo la chiamata.
Bill sospirò e lanciò il cellulare sul letto, per poi finire di vestirsi.
- Non vorrai mettere quella maglietta con quei pantaloni, vero?- chiese Madison, entrando improvvisamente nella stanza.
- Perché, cosa hanno che non va?- fece Bill, guardandosi allo specchio – Sto una favola.
- Bill, quel verdolino fa a pugni con il grigio.
- Io invece dico che sto bene- ribatté il biondo.
Madison alzò le spalle, e si buttò sul letto, rimbalzandoci su.
- Però, forse...- mormorò Bill, guardandosi attentamente – Sì, hai ragione. Meglio se mi cambio- concluse, togliendosi la maglietta, mettendo in mostra i muscoli leggermente scolpiti e i tatuaggi.
Aprì l'armadio, prese una canotta nera e se la mise, per poi indossare una giacca di jeans senza maniche.
- Beh, che ne dici?- disse, rivolgendosi alla sua ragazza.
- Dico che sei uno schianto- rispose lei, con un sorriso malizioso.
- Lo so, grazie- fece il biondo, sedendosi sul bordo del letto – Hai chiamato Vera?- chiese poi, mentre indossava un paio di anfibi neri.
- Sì, stamattina - rispose Madison – Ci vediamo dopodomani pomeriggio.
- Dopodomani?- ripeté Bill – Mi dispiace, ma io non ci sarò. David ci ha piazzato una lunghissima sessione di registrazione per quel giorno.
- Capisco...- annuì Madison, scuotendo i capelli castani – Non c'è problema, ci parlerò io.
- Ok- disse Bill, alzandosi e prendendo il telefono, per poi metterlo in tasca – Non mi va di lasciarti da sola- disse poi, guardando Maddie.
- Tranquillo, me la caverò- disse lei – Non preoccuparti e goditi la serata-
Bill sorrise, si avvicinò a lei e la baciò teneramente.
- Tornerò subito- disse, allontanandosi dopo qualche istante – Se succede qualcosa, chiamami-
Madison sorrise ed annuì.
- Io vado- disse il cantante, facendo per uscire.
- Aspetta, Bill- lo richiamò Madison – Sei sicuro di avere tutto?
- Certo che sì!- disse il ragazzo – Sai che sono sempre attento.
- Ok...- rispose Madison, poco convinta – A dopo allora.
- A dopo-
Bill uscì e lasciò sola la ragazza, che sospirò, facendo mentalmente il conto alla rovescia.
Dieci, nove, otto, sette, sei...” pensò, mentre avvertiva i passi del fidanzato allontanarsi.
Cinque, quattro...” si disse ancora, mentre lo sentiva salire di nuovo le scale.
Tre, due, uno...”
La porta si aprì all'improvviso, ed entrò un Bill piuttosto trafelato.
- Credo di avere dimenticato le chiavi- disse, guardandosi in giro – Sai dove s... Ah, eccole!- esclamò, afferrando il mazzo di chiavi dal comodino.
- Ciao, Maddie!! A dopo!- disse poi, uscendo dalla stanza.
- Bill!- provò a dire la ragazza, ma lui era già andata via.
Sospirò, rassegnata, e poggiò la testa sul muro, aspettando che il ragazzo tornasse una seconda volta.
Ha di nuovo dimenticato il portafoglio”



* *



Dopo aver cenato piuttosto presto, Vera decise di andare su Internet per cercare informazioni sulla chiesa dove Bill e Madison avevano intenzione di sposarsi.
Accese il pc e lo lasciò caricare, mentre beveva un bicchiere di Coca.
Quando il computer fu pronto, subito apparve un messaggio: Hai una nuova mail!
Incuriosita, cliccò sul messaggio e si aprì la sua casella di posta elettronica.
Guardò la lista delle mail ricevute e ne notò una in grassetto, ancora da leggere.
Guardò l'oggetto del messaggio: Ehi, straniera.
Perplessa, lasciò scorrere il suo sguardo fino a farlo arrivare al nome del mittente.
Quando lo lesse, quasi lasciò cadere il bicchiere che aveva in mano.
phil__underwood@cybermail.net







Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Five ***


It's always me :)
Note e commenti finali sotto :D
Buona lettura!
Five

più tardi

- Philip ti ha scritto?- chiese Lawrence sbigottito.
- Sì,- rispose Vera, dall'altra parte del telefono, seduta a gambe incrociate sulla poltrona.
- E cosa ha detto?- domandò l'amico, curioso, sistemandosi meglio sul letto su cui era sdraiato.
- Niente di che- fece la mora, con una scrollata di spalle – È a Parigi.
- Ah, Parigi...- sospirò sognante Lawrence – È una città così romantica...-
Vera roteò gli occhi e sorvolò sullo smielato commento del biondo.
- Ti ha detto qualcos'altro?- chiese Lawrence dopo qualche istante.
Vera fece per parlare, ma si bloccò, esitante.
- Cooper?- disse perplesso il ragazzo – Cooper, ci sei?
- Ha detto che gli manco- rispose tutto d'un fiato la mora, sentendo le proprie guance andare a fuoco.
Seguirono alcuni secondi di silenzio, e, anche se non poteva vederlo, Vera riusciva ad immaginare benissimo il sorrisetto strafottente che si era appena dipinto sul viso dell'amico.
- Lo immaginavo- disse questo – Vi piacete, maledizione- continuò, sbuffando – Non riesco a capire perché vuoi negare l'evidente attrazione che c'è tra di voi.
- Io non l'ho mai negata!- ribatté Vera
- Quindi ammetti che ti piace.
- Lawrence- sbottò la mora – È solo attrazione fisica.
- Tu credi?- fece Lawrence.
- Assolutamente- rispose la mora.
- Convinta tu...-
Vera roteò gli occhi una seconda volta, e calò di nuovo il silenzio, interrotto all'improvviso da un gran trambusto, proveniente dall'altro capo del telefono.
- Ma che succede lì?!- chiese Vera.
- Nulla- rispose Lawrence – È solo la signora Anderson che bussa alla porta. Ignorala-
Il rumore però diventava sempre più forte, e Vera riuscì a sentire la voce gracchiante della vicina di casa di Lawrence, la signora Anderson:
- Signor Williams! Signor Williams apra immediatamente!- urlava, colpendo energicamente la porta.
- Credo sia meglio che tu vada ad aprire- disse Vera – Potrebbe essere qualcosa di importante.
- Sarà di nuovo sparito il suo gatto- disse Lawrence – Non preoccuparti-
Le urla della signora però, diventavano sempre più insistenti, e il ragazzo si arrese.
- Quella donna è uno stress continuo- sbuffò – Ci vediamo domani, allora. Vuoi che passi a prenderti?
- Lawrence, per l'ennesima volta: non salirò sulla tua auto.
- Cercavo solo di essere gentile- borbottò il biondo.
Fece per aggiungere un'ultima cosa, ma il baccano sovrastò la sua voce, e riuscì solo a dire un impercettibile “ciao”, per poi chiudere la chiamata, lasciando una Vera piuttosto perplessa a guardare il display del telefono.
La mora scosse la testa, divertita, e poggiò l'apparecchio sul tavolino davanti a sé, per poi alzarsi e andarsi a sedere di nuovo davanti al pc, e notò che non aveva ancora chiuso la schermata con la mail di Philip.
La rilesse velocemente, e decise di rispondergli.
Un paio di minuti dopo, stava dando un'ultima occhiata a ciò che aveva scritto, e fece per inviare la mail, ma si fermò e decise di aggiungere qualcosa in fondo
ps: - scrisse – mandami una cartolina da Parigi ;)”
Sorrise lievemente e premette invia.




* *


due giorni dopo, il pomeriggio

Quando Vera giunse davanti al cancello della villa di Bill e Madison, credette di sognare.
La casa era semplicemente abnorme: non aveva mai visto così tanti metri quadrati tutti in una volta.
Non aveva dovuto faticare molto per trovarla, nonostante si trovasse lontana dal caos del centro di Los Angeles: l'aveva già scorta cinquantina di metri prima di arrivare.
I muri erano rigorosamente bianchi, ma su di essi si stanziavano grandi vetrate e sul basso era possibile scorgere alcune decorazioni, perciò la struttura non dava per niente l'impressione di rigidità, ma di leggerezza e spontaneità.
Intorno vi era un giardino, i cui fiori emanavano un profumo che provocò un leggero pizzicore al naso di Vera.
La ragazza suonò al citofono, e subito una voce femminile le rispose.
- Sì?
- Ciao Madison. Sono Vera.

* *


- Ecco il caffè- disse Madison, posando una tazza davanti a Vera.
- Grazie- disse la mora, prendendola – Hai una casa molto bella, complimenti- disse guardandosi in giro e ammirando l'interno della villa.
- A Bill piacciono le cose grandi- ridacchiò Maddie – Ama l'esagerazione- continuò, scuotendo la testa, e muovendo così i capelli castani.
Vera annuì mentre passava lo sguardo dai mobili in legno pregiato ai muri dipinti con un tenue azzurro cielo.
- Credo che ora sia meglio parlare del matrimonio- disse poi, rivolgendosi a Madison, che annuì, sorridendo.
Vera prese il suo inseparabile taccuino ed una penna per annotare ciò che avrebbe detto la ragazza.
- Bill mi ha parlato dei colori base- disse, mentre apriva il bloc notes – Che mi dici dei fiori? Hai qualche preferenza?-
Madison ci rifletté qualche istante, poi prese a parlare.
- Credo che sarebbe fantastico avere decorazioni e centri tavola fatti con rami di fiori di ciliegio.
- Ottima scelta- fece Vera, mentre scriveva – Il loro colore e il rosa pesca si accompagnano molto bene-
Madison sorrise di nuovo, entusiasta.
- Che mi dici del catering?- chiese Vera.
- Niente di particolare- rispose Maddie – A parte che Bill e Tom sono vegetariani-
Vera sgranò gli occhi, allibita.
- Non mangiano carne?- chiese, stupefatta – È assurdo. Io non riuscirei a resistere senza hamburger.
- È la stessa cosa che ho detto a Bill quando sono venuta a saperlo.
- E lui che ha detto?
- Beh...- fece Madison, prendendo a rigirarsi una ciocca di capelli attorno all'indice – tra i tanti insulti ricordo solo “assassina” e “mostro”-
Vera non riuscì a trattenere una risata: Madison era decisamente simpatica.



* *
intanto


- Ok, ragazzi, per oggi basta. Andate pure-
Le parole di David furono musica per le orecchie di Tom.
Ripose la chitarra nella custodia ed uscì immediatamente dalla cabina di registrazione, seguito a ruota dagli altri.
- Non voglio più vedere un solo microfono per i prossimi vent'anni- mormorò Bill, sfinito, gettandosi a peso morto sul divano, imitato da Georg, Gustav e Tom.
- Vedi il lato positivo della cosa- disse Georg, stiracchiandosi – Abbiamo quasi finito- concluse con un sorriso.
- Credo che diventerò pazzo prima- ribatté il cantante, massaggiandosi le tempie – Questa stanchezza mi farà uscire di testa.
- Forse avremmo finito molto tempo fa se tu non continuassi a fermarti per ogni minima imperfezione- sbuffò Tom.
Bill gli rivolse uno sguardo piuttosto offeso.
- Sono perfezionista- disse, incrociando le braccia – Perché fare una cosa bene se possiamo farla benissimo?-
Tom scosse la testa, rassegnato, e la poggiò poi sullo schienale del divano.
All'improvviso un ricordo gli attraversò la mente, e alzò lievemente il capo, rivolto verso il fratello.
- Bill,- disse – per quanto tempo ancora hai intenzione di tenere il mio cd degli Aerosmith?- chiese con evidente disappunto.
Dapprima il cantante assunse un'espressione piuttosto perplessa, poi il suo viso s'illuminò.
- Oh, sì, hai ragione- disse – Dev'essere in auto- continuò – Vado a prenderlo subito- concluse, alzandosi ed uscendo dallo studio.
- Scommetto 20 euro che l'ha lasciato a casa- disse Georg, appena Bill si chiuse la porta alle spalle.
- Trenta che non lo trova più- aggiunse Gustav, mentre prendeva una birra dal minifrigo lì vicino.
- Farà meglio a cominciare a correre, allora- fece Tom, con una smorfia.
Poco dopo, Bill tornò nello studio, a mani vuote, con uno sguardo dispiaciuto.
- Tom...- cominciò, con voce imbarazzata.
- Non dirmelo- sibilò Tom, tentando di mantenere la calma.
- Sono certo che non l'ho perso!- si giustificò subito il biondo – Sarà di sicuro a casa.
- Bill, quante volte ti ho detto di fare attenzione alle cose che ti presto?!- esclamò il fratello, visibilmente irritato – Forza, andiamo- disse poi, mentre si alzava dal divano e prendeva la propria giacca e quella di Bill.
- Andiamo dove?- chiese Bill, confuso, prendendo la giacca che Tom gli stava porgendo.
- A casa tua- disse sbrigativo il chitarrista – Voglio il mio cd-
- Ma...- tentò di opporsi il fratello, mentre il moro lo spingeva verso l'uscita, sotto gli sguardi divertiti di Georg e Gustav.
- Non obbiettare, Bill- ordinò perentorio Tom – Non sei nella posizione giusta per farlo. Andiamo-
Menomale” pensò Georg, scuotendo la testa, quando i gemelli furono usciti “che sono figlio unico”





* *


Mentre si stavano mettendo d'accordo per andare insieme alla chiesa in cui Bill e Madison si sarebbero sposati, Madison e Vera furono interrotte dal rumore della porta che si apriva, accompagnata da due voci maschili.
- Non preoccuparti, lo troverò in un battibaleno.
- Sarà meglio, Bill-
Qualche istante dopo Bill e Tom fecero il loro ingresso in salotto, dove Vera e Madison stavano sedute.
- Buon pomeriggio ragazze!- esclamò allegro Bill.
- Bill!- fece Madison – Credevo saresti tornato molto più tardi.
- David è stato misericordioso- spiegò il cantante – Stavolta- aggiunse, cupo – Come stai, Vera?- chiese poi alla mora, che si era completamente irrigidita all'arrivo dei gemelli.
- Uh...? Ah, sì, bene, grazie- farfugliò, tornando in sé.
Tom, rimasto in silenzio fino a quel momento, si schiarì improvvisamente la voce, dando una lieve gomitata nelle costole del fratello.
- Non credi di star dimenticando qualcosa?- bisbigliò all'orecchio di Bill.
Il cantante roteò gli occhi, e senza dire nulla si dileguò, diretto al piano di sopra.
- Ha perso un altro dei tuoi cd?- chiese ironica Madison, con un sorriso divertito sul volto.
Tom annuì semplicemente, senza fiatare, posando poi i suoi occhi nocciola su Vera, e ricambiò lo sguardo truce che la ragazza gli aveva rivolto da quando aveva messo piede nella stanza.
- Vuoi sederti?- domandò gentilmente Madison, indicando il divano davanti a quello su cui era seduta accanto a Vera.
- No- rifiutò il chitarrista – Credo che andrò a prendermi un bicchiere d'acqua- disse poi.
Rivolse un'ultima gelida occhiata alla wedding planner e poi uscì dal salotto.
- Scusalo- fece Madison, scrollando le spalle – Dev'essere una giornata no. Di solito è più simpatico-
Vera avrebbe voluto dire che simpatico non era esattamente l'aggettivo con cui avrebbe descritto Tom, ma preferì sorvolare.
- Immagino...- disse quindi – Senti, credo che sia meglio che vada- aggiunse – Tra poco passerà il pullman che mi porta a casa.
- Oh, non hai l'auto?- chiese Madison, non essendo a conoscenza dell'incidente di Vera e Tom.
La mora strinse i pugni e si costrinse a non urlare, al pensiero di quel brutto episodio.
- Ho avuto un piccolo incidente- spiegò – Nulla di grave, ma ho dovuto portare l'auto dal meccanico- mentì.
- Capisco...- fece comprensiva Madison.
- Mi terrò in contatto con te e Bill, per eventuali cambiamenti o cose del genere- disse Vera, alzandosi, seguita dall'altra.
- Benissimo- disse quest'ultima – Ci vediamo allora.
- Contaci- fece Vera, con un sorriso – A presto- concluse, prendendo la borsa ed allontanandosi.
Nel dirigersi verso la porta d'ingresso, la mora gettò una rapida occhiata nella cucina ed intravide Tom. Anche se l'occhiata fu piuttosto fugace, Vera poté giurare di vedere lo sguardo freddo del chitarrista penetrarla.
Cercò di non pensarci, e, con una scrollata di spalle, aprì la porta ed uscì.
Poco dopo Madison andò in cucina, dove trovò Tom giocherellare con un bicchiere.
- Non sei stato molto carino con Vera- disse, a braccia conserte.
- Quella ragazza non mi sta simpatica- disse il ragazzo, senza alzare gli occhi.
- È gentile- ribatté Madison, andandosi a sedere accanto al chitarrista.
- Perché pensate tutti che sia gentile?- sbottò infastidito quest'ultimo – Non lo è. Non lo è per niente.
- Non dirmi che te la sei presa per quando ti ha scambiato per lo sposo di Bill!- fece Maddie – Tom, ti credevo più maturo- aggiunse, accigliata – Vera è una ragazza molto carina. Non capisco la tua antipatia nei suoi confronti, davvero-
In realtà. Tom si sentiva ancora umiliato per lo schiaffo che Vera gli aveva tirato il giorno dell'incidente, ma decise di non dirlo a Madison, convinto che ciò sarebbe stato solo più avvilente.
All'improvviso, Bill fece la sua trionfale entrata in cucina, brandendo il tanto sospirato cd.
- Eccolo!- esclamò, allegro – L'ho trovato!- aggiunse, porgendolo al fratello.
- Molte grazie- borbottò Tom.
- Dov'è Vera?- chiese quindi Bill, guardandosi in giro.
- È già andata via- rispose Madison.
- Oh,- fece il cantante dispiaciuto – Peccato è una ragazza così gentile... avrei voluto scambiarci due par...-
Il ragazzo non riuscì a finire la frase, perché interrotto dal forte rumore della sedia che di Tom cadeva a terra.
Il ragazzo mise velocemente la sua giacca e, infastidito dall'idolatria di Bill e Madison nei confronti di Vera, uscì in fretta dalla casa del fratello, bofonchiando un mezzo saluto.
- Ma che ha?- chiese Madison, rivolgendosi a Bill, mentre la porta si chiudeva.
- Orgoglio di Kaulitz ferito, Madison- spiegò il cantante con un sospirò – Non puoi capire.


* *
Quel Tom le dava sui nervi, senza dubbio.
Vera non riusciva a ricordare una persona più irritante.
A questo pensava mentre tornava a casa a piedi dalla fermata dell'autobus che l'aveva lasciata a qualche centinaio di metri dal suo palazzo.
Qualche minuto dopo, arrivò davanti all'edificio, e una volta entrata, una figura bassa e tarchiata si piazzò davanti a lei.
- Salve, signorina Cooper!- esclamò una signora tra i cinquanta e sessant'anni, dai capelli già grigi raccolti in uno chignon., gli occhi azzurri che guizzavano qua e là dietro ad un paio di occhiali dalle lenti spesse.
- Buon pomeriggio, signora Clarke- rispose Vera – Ha posta per me?
- Sì- disse la donna, portinaia del palazzo, porgendo alla ragazza una cartolina – È arrivata poco fa-
- Beh, grazie- disse Vera, leggermente perplessa – Arrivederci- disse quindi.
Congedò la signora Clarke e salì al suo appartamento.
Sulle scale, osservò la cartolina, chiedendosi chi l'avesse mandata, ma appena vide l'immagine della Tour Eiffel che si stagliava contro il cielo azzurro parigino, capì tutto, ed un sorriso si fece spazio sulle sue labbra.




Ok, non è uno dei capitoli migliori.
Diciamo che non succede nulla di davvero particolare!
Spero che vi sia piaciuto comunque, ma in ogni caso, accetto anche le critiche! ;D
Alla prossima e grazie mille a tutti/e :)









Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Six ***


Ehm...
Ciao...
Sì, lo so è un po' che non posto, in effetti, ma davvero ero presissima da scuola e tutto il resto D:
Mi dispiace non esserci stata, ma ora che sono iniziate le vacanze mi farò sentire più spesso.
Prima di leggere, però, vorrei dirvi un paio di cose:
nel capitolo citerò Scotty, sì il cane dei gemelli che se n'è andato qualche tempo fa.
So che non è esattamente una cosa molto carina parlarne, ma l'avevo già inserito nel mio schema dei capitoli e non volevo toglierlo :( Spero che nessuno ne rimanga infastidito o cose del genere perché non è mia intenzione, davvero.
Un'ultima cosa, sotto troverete un piccolo video :) Leggete fino in fondo e capirete di cosa si tratta.
Beh, detto questo, vi lascio alla lettura!
Un bacione e grazie a tutti!




Six

Il mattino seguente

Vera stava girando il cucchiaino nella sua tazzina di caffè, seduta a gambe accavallate sulla poltrona del suo ufficio, completamente assorta nei suoi pensieri, quando lo squillo del suo telefonino la fece sobbalzare, facendo finire il caffè sulla scrivania.
- Maledizione!- borbottò la giovane, mentre cercava di limitare i danni, togliendo dal tavolo i documenti più importanti.
Il cellulare intanto continuava a suonare, imperterrito.
Piuttosto scocciata, la mora l'afferrò, e se lo portò all'orecchio.
- Pronto?
- Credevo che non avresti più risposto!
- Marcy!- esclamò irritata Vera – Hai idea di che pasticcio hai combinato?
- Cosa ho fatto?- chiese Marcy, stranita.
- Niente, lascia perdere- sbuffò la mora – Hai bisogno di qualcosa?
- Mi chiedevo se volessi venire a cena da me e Ethan stasera- propose la sorella, senza troppi convenevoli.
- Stasera?- ripeté Vera.
- - affermò Marci, mentre si mordicchiava il labbro inferiore, cercando di essere convincente – Sei libera?
- In realtà sono piuttosto indietro con il matrimonio di Bill e Madison...- tentennò Vera.
- Oh, avanti!- esclamò la sorella – Tutto questo lavoro ti darà alla testa, prima o poi!- continuò – Dovresti prenderti qualche ora di relax- aggiunse.
- E tu credi che potrei passare qualche ora di relax a casa tua?- fece Vera, divertita.
- Ne sono più che sicura- asserì Marcy.
- Marcy, davvero, non so se sia una buona idea- disse la mora, sospirando.
- Non farti pregare, Vera!- rispose la sorella – E poi, sai, Nelly e Paul muoiono dalla voglia di vederti...- disse Marcy, sapendo di aver colpito Vera nel suo punto debole.
Seguirono alcuni istanti di silenzio, rotto da uno sbuffo di Vera.
- Questo è un colpo basso, Marcy. Usare i tuoi figli come ricatto!- si lamentò la giovane – Va bene, verrò- cedette alla fine.
- Sapevi che ti avrei convinto!- gongolò Marcy – Ti voglio alle otto a casa mia. Sii puntuale!-
- Non credo proprio che tu possa parlare di puntualità- bofonchiò Vera.
Marcy sorrise e dopo aver salutato al sorella, chiuse la chiamata.. Sospirò e poggiò il telefono sul tavolino di vetro davanti a sé. Quando alzò gli occhi incontrò lo sguardo di disappunto del marito, Ethan, seduto sul divano, accanto a lei.
- Non guardarmi così- sbuffò la donna.
- E come dovrei guardarti?- rispose Ethan – Marcy, non credo che ciò che stai facendo sia giusto.
- Me l'hai già detto, Ethan- replicò Marci – Ma cosa dovrei fare secondo te?
- Forse lasciare che le cose si sistemino da sole- propose l'uomo – So che lo stai facendo in buona fede,- aggiunse, portando un braccio attorno alle spalle della moglie – ma forse sarebbe meglio lasciare che Vera e Florence sistemino la loro situazione per conto loro.
- Ethan, conosco mia madre e mia sorella- replicò la donna, scuotendo la testa – Non voglio fare nulla di che... Solo una lieve spintarella perché possano riappacificarsi-
Ethan ridacchiò divertito, e strinse ancora di più a sé Marcy.
- Ho la sensazione- disse, dopo averle lasciato un leggero bacio sulla tempia – che non ti limiterai alla spintarella-

* *


la sera

Prima di suonare alla porta di casa della sorella, Vera aveva una pessima sensazione.
Conosceva Marcy e sapeva che non l'avrebbe mai invitata a cena a metà settimana senza un secondo fine. Pregò di sbagliarsi, ed infine, dopo aver inspirato a fondo, suonò il campanello.
Pochi istanti dopo, la porta si aprì, mostrando un Ethan in forma smagliante.
- Vera!- esclamò l'uomo, abbracciando la cognata.
- Ciao Ethan- disse la mora, ricambiando l'abbraccio – Come stai?- chiese poi, dopo essersi allontanata.
- Non c'è male- rispose Ethan, con un sorriso – Entra pure- aggiunse poi, scansandosi per far passare la giovane.
Vera sorrise ed entrò.
- Sono in salotto- disse Ethan, dopo aver chiuso la porta.
La giovane si diresse dove l'uomo le aveva detto, ma prima che potesse metterci piede, due turbini la travolsero, facendola finire a terra.
Quando riuscì a riacquistare l'equilibrio, Vera si trovò davanti due bambini di due e cinque anni. Una, la più grande, Nelly, aveva lunghi capelli lisci e castani, mentre il più piccolo, Paul, aveva i capelli ricci e scurissimi. Entrambi avevano grandi occhi azzurri, ereditati dal padre.
- Ciao zia!- esclamarono i due, con una tenera vocina che fece sciogliere Vera.
- Ciao ragazzi- rispose – Come state?
- Bene- dissero all'unisono i bambini.
- Rima'i a ce'a?- chiese Paul.
- Sì, piccolo, rimango a cena- disse Vera, scompigliandogli i riccioli.
- Che bello!- esclamò Nelly, battendo le mani, felici – C'è anche nonna Flo!-
Vera sgranò gli occhi e non disse più una parola.
Ora capiva il comportamento di Marcy.
Quella degenerata di sua sorella l'aveva incastrata!
- Vieni, andiamo!- disse Nelly, afferrandole un indice, per poi trascinarla ungo il corridoio.
- Mamma, mamma! E' arrivata zia Vera!- esclamò invece Paul, superandole ed andando in salotto.
Quando Vera entrò, trovò sua sorella seduta sul divano, a gambe accavallate, vestita con un paio di semplici jeans chiari ed un dolcevita bianco. La mora spostò poi lo sguardo sulla persona che le stava accanto.
Era una signora di mezz'età, dai capelli biondissimi tenuti a caschetto, la pelle ambrata e un paio di grandi occhi verdi.
- Ben arrivata, Vera!- esclamò Marcy, cercando di far finta che fosse tutto normale – Pensavamo ti fossi persa!-
La mora, cercando di non saltarle al collo, non rispose e continuò a guardare la donna seduta accanto alla sorella.
- Ciao, Vera- disse questa, con un lieve sorriso.
Vera rispose con una smorfia, che sarebbe dovuta sembrare un sorriso di rimando, e si ritrovò a pensare che, nonostante tutto, sua madre, Florence, non era cambiata di una virgola.





* *


intanto

- Ragazzi, sto morendo di fame- piagnucolò Bill, portandosi una mano allo stomaco brontolante.
Lui e il resto della band si stavano prendendo una pausa dalle registrazioni per l'album, che si annunciavano piuttosto faticose e anche lunghe. Probabilmente sarebbero dovuti rimanere in studio tutta la notte.
- Nel minifrigo dovresti trovare qualcosa...- disse David, mentre scriveva qualcosa al computer.
- Ho già cercato!- si lamentò il cantante – Ci sono solo un paio di birre. Non posso sfamarmi con la birra!
- Beh, allora fatti un panino e taci, per favore, sto cercando di dormire!- esclamò Tom, sdraiato sul divano di fronte a Bill.
- Va' al diavolo- disse il biondo incrociando le braccia e assumendo un'espressione offesa.
- David, credi che potremmo ordinare una pizza?- chiese Georg, alzando gli occhi dalla rivista che stava leggendo – In fondo, Bill non ha tutti i torti-
- Sì, ma credo che uno di voi dovrà prendersi la briga di andare a prenderle. Non voglio rischiare che qualche fattorino chiacchierone dica a tutti dove registriamo- rispose il manager, senza distogliere lo sguardo dallo schermo del pc.
- Vado io- si propose Gustav, alzandosi dalla poltrona su cui stava – Ho bisogno di prendere un po' d'aria.
- Va bene- acconsentì David – Tom, va' con lui.
- Cosa?!- disse esterrefatto il chitarrista, alzando la testa dal divano, quel poco che bastava per guardare David – Perché?- chiese.
- L'ultima volta che Gustav è andato in giro da solo, si è preso una bottiglia di vetro in testa- spiegò David, voltandosi verso il moro – Non ti sto chiedendo molto, Tom. Per favore- aggiunse poi.
Il giovane sbuffò, per poi alzarsi, prendere la giacca e raggiungere Gustav, che stava già sulla soglia.
- Andiamo- disse questo.
Tom emise un verso simile ad un grugnito e seguì l'amico fuori dallo studio.
I due salirono sull'auto del batterista, che mise in moto la vettura e si diresse verso la pizzeria più vicina.
- Non capisco perché sono sempre io a dover fare da badante a tutti quanti- sbuffò Tom, appoggiando un gomito sul finestrino aperto.
- Forse perché sei una persona responsabile- disse Gustav, con un sorriso divertito.
Tom gli rivolse uno sguardo scocciato.
- Non credo che responsabile sia l'aggettivo con cui mi descriverebbe David.
- O Bill- aggiunse Gustav – O tua madre. Oppure...
- Smettila!- esclamò Tom – Ho capito, non c'è bisogno che tu vada avanti-
Nell'auto calò il silenzio, interrotto all'improvviso dalla musica dei Metallica che riempì l'abitacolo.
- Gustav! Sei impazzito?!- urlò Tom, cercando di sovrastare il suono – Vuoi forse farmi diventare sordo?- aggiunse, abbassando il volume della radio.
- Tu non capisci cosa sia la vera musica- disse Gustav, scuotendo la testa.
- Questo non è un buon motivo per farmi saltare i timpani- borbottò il moro.
Il viaggio proseguì tranquillamente, accompagnato dalla voce di James Hetfield.
- Come va con Angelika?- chiese all'improvviso Tom, riferendosi alla ragazza dell'amico.
Gustav sospirò e lasciò passare qualche istante di silenzio.
- Non molto bene, in effetti- confessò – In realtà, è tutto uno schifo. Credo che la lascerò.
- Dopo ben un anno di sms smielati, fiori e cioccolatini, vuoi lasciarla?- fece Tom, quasi scandalizzato – E qual è il motivo?
- Non lo so...- disse il batterista, scuotendo la testa -In realtà, credo che la nostra storia non sia mai stata una vera e propria storia. Col lavoro che faccio, è difficile tenere in piedi una relazione. Insomma, non siamo tutti Bill e Madison- spiegò – E' la cosa migliore per tutti e due.
Tom annuì, trovandosi pienamente d'accordo con le parole di Gustav.
- Quando pensi di farlo?- domandò, dopo qualche istante di silenzio.
- Appena torno in Germania- rispose Gustav – Voglio mantenere un briciolo di dignità e dirglielo di persona.
- E' la cosa più giusta- disse Tom.
Intanto i due erano arrivati alla pizzeria, e il batterista stava parcheggiando poco lontano dall'ingresso.
- In ogni caso,- fece Tom, mentre si toglieva la cintura di sicurezza - nel caso fossi a secco, dimmelo pure: ho talmente tante ragazze che potrei prestartene qualcuna- concluse, scendendo.
Gustav rise, scuotendo la testa: Tom non si smentiva mai.




* *

La cena non stava andando nel modo in cui Marcy aveva sperato.
Sulla tavola imbandita di pietanze da lei stessa cucinate, era calato un silenzio imbarazzante, e nessuno osava fiatare.
La giovane donna poteva vedere benissimo negli occhi della sorella Vera un profondo odio verso di lei, e in quelli della madre Florence un senso di disagio ed imbarazzo.
- La cena è ottima, Marcy- disse Ethan, cercando di smorzare l'atmosfera.
- Grazie- rispose Marcy – Alcune ricette me le ha date mamma. E' una cuoca provetta, non è così, Vera?-
La mora alzò lo sguardo dal suo piatto e fulminò con gli occhi la sorella maggiore, rispondendo con un semplice cenno del capo.
- Avanti, Vera- insistette Marcy – Ricordo di quando non vedevi l'ora di tornare a casa da scuola per gustarti uno dei manicaretti-
La donna pensò che Vera dovette apprezzare i suoi sforzi, perché questa volta la mora tentò di sorridere.
- Sì...- disse, cercando di sembrare disinvolta – E'... è brava. Molto.
- Grazie, Vera- rispose Florence, sorridendo a sua volta.
Marcy tirò un lieve sospiro di sollievo, pensando che forse il ghiaccio stava cominciando a sciogliersi.
- Allora, Florence- disse Ethan, mentre puliva la bocca Paul dalle macchie di cibo – Come sta Greg?-
A sentire quel nome, Vera d'irrigidì sul posto, e strinse le dite attorno alla forchetta, tanto che le sue nocche diventarono bianche.
- Sta bene- rispose Florence – In questi giorni è via per lavoro, ma tornerà domani. L'ho sentito prima di venire qui. Vi saluta tutti- fece una pausa e guardò la figlia – Anche te, Vera- aggiunse quindi, aspettando che la mora rispondesse.
- Beh, digli che può tenere per sé i suoi saluti- sbottò la ragazza, in preda alla rabbia.
- Vera!- esclamò Marcy, indignata.
La mora non disse niente, e ritornò a mangiare, così come Ethan e Florence.
Marcy, invece, decise di parlare a quattrocchi con la sorella.
- Vera, potresti venire di là in cucina, per favore?- disse alzandosi, e facendo segno a Vera di seguirla.
La giovane roteò gli occhi, ma non protestò e seguì Marcy in cucina.
- Perché ti comporti in questo modo?- chiese la donna, una volta chiusa la porta.
- Oh, avanti, Marcy!- fece Vera – Tutto questo è una grande pagliacciata!
- Io mi sto sforzando di farvi riappacificare!- disse Marcy, alzando il tono di voce.
- Nessuno te l'ha chiesto- ribatté Vera, con disprezzo.
- Forse lo faccio perché vorrei che la mia famiglia si ricomponesse!
- Beh, sappi che la tua famiglia non si può più ricomporre!- disse Vera – E per quanto tu ti sforzi, Marcy, mancherà sempre un pezzo in questa maledettissima famiglia!- aggiunse, abbassando il tono di voce, cercando di ricacciare indietro le lacrime che minacciavano di bagnarle il viso.
Marcy la guardò con un'espressione ferita: Vera non le aveva mai detto una cosa simile.
La ragazza si rese conto di aver esagerato, ma rimase in silenzio, ed abbassò lo sguardo, fissando il pavimento.
- Credo sia meglio che vada a casa- disse poi, dopo qualche minuto.
- Chiederò ad Ethan di accompagnarti- fece Marcy, atona.
La giovane donna uscì dalla cucina e dopo qualche minuto vi ritornò con la borsa e la giacca della sorella, seguita dal marito.
- Tieni- disse porgendo le cose a Vera.
Una volta che Vera le ebbe prese, si voltò mormorò un semplice “ciao” e se ne andò.
- Andiamo?- disse Ethan, con un sorriso di comprensione.
Vera annuì e seguì l'uomo fuori dalla cucina, e poi fuori dall'appartamento, fino all'auto di Ethan.
Dopo pochi minuti di viaggio, il biondo iniziò a parlare.
- Marcy non è cattiva...
- Ti prego, Ethan...- fece Vera
- Non credo si meriti questo trattamento- continuò, però, l'uomo.
- So che non è cattiva- replicò Vera – Ma se si fermasse a ragionare, capirebbe che in fondo il suo comportamento è un tantino egoista.
- Florence vorrebbe riconciliarsi con te, Vera. Marcy sta cercando di darle una mano.
- Ethan, mia madre è grande e vaccinata- sbottò Vera – Potrebbe venire a parlarne direttamente con me.
- Ha paura che tu...- cercò di dire Ethan.
- Sì, lo so- lo interruppe la mora – Marcy me l'ha già detto-
Tra i due scese il silenzio, che Ethan ruppe poco dopo.
- Non ti capisco, davvero!- esclamò – Sei un vero mistero! Qual è il tuo problema con Greg?
- Ha voluto prendere un posto che non gli apparteneva- rispose Vera, guardando fuori dal finestrino – Un posto che solo una persona poteva occupare.
- Vera, sai bene che Greg non voleva usurpare quel posto-
La ragazza decise di non rispondere e tacque.
Poco dopo arrivarono davanti a casa di Vera.
- Cosa fai?- chiese la mora, vedendo Ethan togliersi la cintura.
- Ti accompagno alla porta- disse lui, come se fosse ovvio – Si fa così con le signorine-
Vera roteò gli occhi, divertita, si lasciò scortare dal cognato fino alla porta d'ingresso del palazzo.
Mentre i due si salutavano, un'auto spuntò alla fine della strada, quasi accecandoli con i suoi fari.
Ethan cominciò a gesticolare, facendo capire all'autista di dover spegnere gli abbaglianti.
Subito le luci si spensero, e l'automobilista alzò la mano verso i due, in segno di scuse.
- Ma quella è... - disse il passeggero al suo fianco, guardando nello specchietto retrovisore ed osservando Vera che abbracciava Ethan per poi entrare nell'edificio.
- La conosci?- fece il guidatore.
- E'... è la wedding planner di Bill!





* *


poco dopo

- Vera insieme ad un uomo molto più grande di lei?-
Bill non credeva alle sue orecchie: non riusciva ad immaginare Vera insieme ad un uomo di trent'anni o più, quando lei non doveva averne più di ventidue o ventitré.
Ma da quel che gli stava raccontando Tom, sembrava tutto il contrario.
- Sei sicuro di ciò che hai visto, Tom?- chiese, mentre tagliava una fetta di pizza.
- Certo che sì- disse Tom, mandando giù un boccone – Ormai, quella ragazza la riconoscerei tra mille. Non mi dimenticherò facilmente di lei.
- Beh, è difficile scordarsi della ragazza che ti ha lasciato il segno delle cinque dita sulla guancia- lo prese in giro Georg.
- Zitto e mangia, Hagen- lo intimò il chitarrista.
Il bassista riprese a mangiare, nonostante un sorriso strafottente si fosse dipinto sulle sue labbra.
- E smettila di ridere! Mi dai sui nervi!- sbraitò Tom, cercando di dargli una botta sulla nuca, che però Georg schivò abilmente, scoppiando poi in una fragorosa risata.
- Ti odio, Hagen- brontolò Tom – Ti odio davvero.





* *


il mattino dopo

Tom non ricordava un sessione di registrazione più lunga. Per un attimo aveva temuto che avrebbe passato il resto della sua vita chiuso in quello studio.
Quando però David aveva acconsentito a lasciarli andare a casa, aveva tirato un sospiro di sollievo.
Una volta giunto a casa, il ragazzo aveva fatto un lungo e rigenerante bagno caldo, per poi gettarsi a peso morto sul suo materasso, dove si era addormentato di botto, dopo pochi minuti.
Aveva dormito per ore, fino a pomeriggio inoltrato, battendo ogni record.
Si sarebbe goduto ancora qualche ora di sonno, se solo il suo cane, Scotty non avesse deciso di rovinargli i piani saltando sul letto e leccandogli la faccia.
- Ho capito, ho capito- bofonchiò, cercando di allontanare il muso del cane – Mi alzo, mi alzo- disse, mettendosi a sedere – Si può sapere che c'è?- chiese poi, mentre Scotty, depositava sul cuscino il guinzaglio.
Tom prese l'oggetto e se lo rigirò tra le mani.
- Vuoi uscire? Proprio adesso? Non puoi aspettare ancora un po'?-
Per tutta risposta, Scotty cominciò ad abbaiare e scodinzolare, convincendo definitivamente Tom.
- Va bene, va bene!- disse il chitarrista – Ora ti porto fuori-
Scese dal letto con il guinzaglio in mano, e si fece seguire dal cane fino alla porta d'ingresso. Lì mise le scarpe e una felpa leggere, per poi mettere il guinzaglio a Scotty, facendogli qualche raccomandazione.
- Ti porto al parco, vedi di fare il bravo o ti porto subito a casa. Siamo intesi?-
Scotty piegò la testa di lato, e Tom prese quel gesto come un “
- Bene,- disse – andiamo-
Uscì e si chiuse la porta alle spalle, raggiunse la sua auto e vi salì insieme al cane.
Arrivò al parco in una decina di minuti, e fu contento del fatto che a quell'ora non ci fossero troppe persone, e nemmeno un paparazzo in vista.
Si guardò in giro, beandosi della vista delle ragazze che facevano jogging in shorts e canotta, dimenticandosi per un momento di Scotty. Sul muso, del cane, intanto, si era posata una farfalla, che aveva attirato la sua attenzione. Quando volò via, Scotty, nel tentare di raggiungerla, strattonò il braccio di Tom, che si voltò d scatto.
- Scotty! Ma che hai?- disse, cercando di fermare il cane.
Ma era troppo tardi: Scotty si era liberato dalla sua presa, ed era partito all'inseguimento della farfalla.
- Scotty! Scotty, fermati!- urlava intanto Tom, alla rincorsa del suo cane.
Ma Scotty sembrava non sentirlo, preso com'era dalle ali colorate della farfalla, che volava sempre più lontano.
- Scotty! Ti prego, fermati!- urlò ancora il moro.
Non guardando dove andava perché troppo occupato a seguire Scotty, il chitarrista urtò un paio di persone, fino, poi, a finire contro una giovane che perse l'equilibrio e cadde a terra, con lui addosso.
- Ehi! E guarda dove vai!- disse la ragazza, con evidente scocciatura.
- Scusa! Il mio cane... la farfalla... Io... sono desolato, davvero- disse Tom, porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi.
La ragazza l'afferrò e si tirò su, ma appena vide chi l'aveva urtata, tolse subito la mano da quella di Tom e fece qualche passo indietro.
- Tu?! Ancora?!
- Oh, maledizione! Non è possibile!- esclamò Tom, schiaffandosi una mano in fronte – Vera!-
Mentre i due, ancora increduli, aprivano bocca per insultarsi a vicenda, si sentì il rumore di qualcosa che cadeva nell'acqua.
- Scotty!- urlò Tom, correndo verso il laghetto del parco, poco distante da loro, seguito da Vera, che cercava di parlargli.
- Ehi tu! Non ho finito con te!- gli diceva, cercando di fermarlo.
Quando giunsero sulla riva del laghetto, Tom fece in modo di far uscire il cane dall'acqua.
- Sei un vero disastro, Scotty- si lamentò il ragazzo.
- E' il tuo cane?- fece Vera, inarcando un sopracciglio.
- Sì- replicò Tom – Non ne hai mai visto uno?- chiese poi, ironico.
Vera fece controbattere, ma poi il suo sguardo cadde su Scotty, che, grondante d'acqua, li osservava, immobile.
- Spero che il tuo cane non stia per fare quello che credo che stia per far...-
Non riuscì a finire la frase, perché Scotty cominciò a scuotersi, bagnando completamente Tom e Vera.
Quando si fermò, sia il chitarrista che la mora erano fradici dalla testa ai piedi.
- Io... io... davvero, scusami. Questa volta non è colpa mia...- mormorò Tom, cercando di giustificarsi come poteva.
- Certo che è colpa tua!- sbraitò invece Vera – Guarda cosa ha combinato il tuo cane...- aggiunse poi, indicandosi – Non posso tornare a casa in queste condizioni!- borbottò.
A sentire quelle parole, una strana idea balenò in testa a Tom.
All'inizio si diede dell'idiota.
Le sta bene” si disse “Così capirà con chi ha a che fare”
Vedendo però la mora in seria difficoltà, decise che forse, per una volta, avrebbe potuto mettere da parte il suo orgoglio.
- Sei un idiota!- urlava intanto Vera.
O forse no. In fondo, perché dovrei?”
Tom pensò alla goduria che avrebbe provato nel vedere quella smorfiosa tornare a casa a piedi, bagnata fradicia.
Sarebbe magnifico”
Il chitarrista spostò o sguardo su Scotty, che sembrava quasi aver capito le intenzioni del padrone e lo guardava con uno sguardo che qualcuno avrebbe considerato di rimprovero, al che Tom sospirò, cedendo.
Me ne pentirò, ne sono certo”si disse.
- Ehm... Vera?- fece un istante dopo, ottenendo l'attenzione della mora.
- Che vuoi?- ringhiò la ragazza.
- So che non dovrei farlo, e che sicuramente questa diventerà una delle cose più sbagliate che abbia mai fatto, ma sono un gentiluomo quindi te lo proporrò lo stesso: ho qui l'auto, se vuoi puoi venire a casa mia, così ti do un paio di vestiti asciutti e potresti darti una sistemata. Che ne dici?












Ooooook.
Il video che segue è il trailer (se così si può definire) di una fanfic che mi è venuta in mente negli ultimi tempi. La qualità non è ottima, lo so, ma non ho potuto fare di meglio, ho trovato solo questo sito di video hosting non vogliatemene :'(
Un'ultima cosa, per fare in modo che la pubblicità non ostruisca (come sono colta LOL *-*) la vostra visuale, prima che il video si carichi, cliccate su "close to play" oppure mettete il video a schermo rande :)
Bene, alla prossima e fatemi sapere cosa ne pensate, sia del video sia del capitolo :D
Ccccciao *-*



EDIT: Trovate il video su yt c: Il link del mio canale è nella mia biografia, sulla mia pagina autore c:

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Seven ***


Seven


Vera non si era mai sentita tanto fuori luogo in tutta la sua vita.
Avrebbe voluto andarsene e dimenticare quello che era successo poco prima, ma, seduta sul sedile di pelle nera dell'automobile di Tom, lanciata in corsa verso casa del chitarrista, poteva fare ben poco.
- Sai,- fece il chitarrista, fermandosi ad un semaforo – potresti anche ringraziarmi- concluse scoccandole un'occhiata infastidita.
- Non ti ho chiesto io di lasciare che il tuo cane mi bagnasse da capo a piedi- ribatté la mora, distogliendo lo sguardo, e stringendosi nell'asciugamano da spiaggia che il giovane aveva trovato nel bagagliaio dell'auto e le aveva gentilmente prestato.
Sentendosi chiamato in causa, Scotty, comodamente sdraiato sul sedile posteriore, abbaiò un paio di volte, per poi ritornare a sonnecchiare.
Tom sbuffò e, senza dire nulla, ripartì.
Poco dopo i due arrivarono davanti a casa del chitarrista.
- Siamo arrivati- annunciò il ragazzo a Vera – Vedi di non sporcare. Hanno appena pulito- la ammonì, togliendosi la cintura di sicurezza e scendendo dall'auto, per poi aprire la portiera dietro per far scendere Scotty.
Vera roteò gli occhi e scese a sua volta, seguendo poi Tom e il cane fino alla porta d'ingresso.
Il ragazzo aprì ed entrò, mentre Scotty corse in salotto. Il moro fece qualche passo e poi si voltò, trovando Vera ancora sulla soglia.
- Beh?- fece, perplesso.
Vera fece una smorfia e si guardò le punte dei piedi.
- Stai davvero aspettando che io ti dica di entrare?- chiese il chitarrista, chiaramente stupito.
La ragazza non rispose, e si mordicchiò il labbro inferiore, notevolmente imbarazzata.
- Tu sei davvero strana- disse Tom, alzando gli occhi al cielo – Entra pure, Vera- aggiunse poi.
Con qualche esitazione, la mora entrò e chiuse la porta alle sue spalle.
- Vieni con me- disse Tom, dirigendosi verso le scale.
Vera lo seguì al piano superiore, ed entrò con lui in una stanza, che la ragazza riconobbe come quella del chitarrista.
Tom andò all'armadio, lo aprì e vi frugò dentro, per poi tirarne fuori una t-shirt bianca, un paio di pantaloni della tuta ed un sacchetto. Chiuse l'armadio e porse a Vera il tutto.
- Ecco- le disse, – Non sono all'ultima moda, ma almeno sono asciutti- aggiunse, con un'alzata di spalle.
Vera annuì, si tolse l'asciugamano e lo lasciò cadere a terra, per poi guardare Tom, con un sopracciglio alzato.
- Qual è il problema adesso?- chiese il ragazzo, scocciato, a braccia conserte.
- Hai intenzione di guardarmi mentre mi cambio?- replicò lei.
- Beh, non sarebbe la prima volta che vedo una ragazza nuda- disse con nonchalance Tom.
Vedendo che Vera non era affatto divertita dalle sue parole, il giovane decise di accontentarla ed uscì.
Rimasta sola, la mora trasse un sospiro, e cominciò a liberarsi dei vestiti ancora bagnati, per poi indossare quelli che Tom le aveva dato.
Quando finì, prese il cellulare dalla tasca dei suoi pantaloni e lo mise in quella dei pantaloni che stava indossando, per poi mettere i suoi vestiti nel sacchetto che il moro le aveva dato. Fece per uscire, ma un dettaglio la fermò.
Sul comodino a fianco del letto di Tom stava un elastico per capelli.
Le labbra di Vera s'incresparono in un sorriso, e la giovane si avvicinò al mobile, per poi prendere l'elastico.
Ne avrà a migliaia” pensò mentre si toglieva il suo, anch'esso bagnato, per poi appoggiarlo sul comodino “Non se ne accorgerà nemmeno” si disse ancora, mentre legava i capelli scuri con l'elastico di Tom.
Una volta fatto, uscì dalla stanza, scese le scale e si fermò, non sapendo dove andare.
- Sono qui!- disse una voce da una delle porte che davano sul corridoio.
Vera la seguì e giunse in cucina, dove Tom stava finendo di preparare il caffè.
Il ragazzo diede una veloce occhiata alla mora, per poi tornare a finire ciò che stava facendo.
- Sono ancora convinto che dovresti ringraziarmi- si lamentò mentre metteva due tazzine di caffè su un piatto – Vieni, andiamo in salotto- disse, prendendo il piatto ed uscendo dalla cucina, seguito da Vera.
I due andarono in salotto e si sedettero sul divano di pelle bianca. Tom prese una tazzina e la porse alla mora, che la prese e cominciò a sorseggiare il suo caffè, imitata poi dal chitarrista.
Tra i due ragazzi scese un silenzio imbarazzato, interrotto solo dal rumore delle tazze e dei piattini.
- Quindi... ehm-fece Tom - Ti piace fare jogging.
- Già...- rispose Vera, posando la sua tazza vuota sul piatto.
Seguirono altri minuti di silenzio, in cui la mora cercava un modo per uscire da quell'imbarazzante situazione.
Devo andarmene assolutamente”, pensava, mentre giocherellava nervosamente con le mani.
All'improvviso si sentì lo squillo di un telefono.
- E' quello di casa- spiegò Tom, alzandosi - Arrivo subito- disse, poi, uscendo dal salotto per andare a rispondere.
Rimasta sola, Vera si alzò a sua volta e cominciò a perlustrare le pareti della stanza, su cui erano appesi quadri di dubbio gusto e foto incorniciate, che attiravano maggiormente la sua attenzione.
Una delle foto raffigurava Tom, Bill e altri due ragazzi stringere con fierezza un trofeo di Mtv. La mora pensò che i due giovani, uno dai capelli corti e castani con un ciuffo, l'altro biondo con gli occhiali, dovessero essere gli altri due membri della band dei gemelli.
Vera passò in rassegna le altre immagini, che rappresentavano in gran parte Tom e suoi amici, per poi soffermarsi su una in particolare.
Nella foto erano immortalati Bill e Tom abbracciati ad una signora dai capelli corti e biondissimi, gli occhi chiari, la pelle eburnea e il viso illuminato da un sorriso beato.
- E' mia madre- disse una voce alle spalle della giovane.
Vera si voltò di scatto e vide Tom che l'osservava.
- Oh- commentò solamente - E' molto bella- aggiunse, ritornando a guardare la foto.
- Sì, lo è- mormorò il chitarrista.
Vera ebbe un improvviso ed incontrollato moto d'invidia verso i gemelli: da quell'immagine traspariva tutto l'amore e l'affetto che i due ragazzi nutrivano per la loro madre.
Quell'abbraccio, quei sorrisi, quegli sguardi sereni le davano quasi alla testa.
Lei non aveva mai avuto un rapporto simile con la propria madre. Non se lo sarebbe mai nemmeno sognata.
Si lasciò scappare un triste sospiro, che Tom non notò.
Poco dopo, il cellulare di Vera vibrò. La giovane prese il telefonino e guardò il display: Lawrence le aveva mandato un messaggio.
Ehi?! Cinese?! Ti ricorda qualcosa?
Vera si schiaffò una mano in fronte, ricordandosi solo in quel momento di essersi messa d'accordo con l'amico per cenare insieme quella sera.
- Va tutto bene?- le chiese Tom, ancora in piedi dietro di lei
- Credo...- rispose Vera - credo sia meglio che vada.
- Ehm... sì, va bene- disse il chitarrista - Porterò i tuoi vestiti in tintoria.
- Non hai una lavatrice?- chiese Vera, inarcando un sopracciglio.
- Non sono affari tuoi!- esclamò Tom rosso in viso.
- Ok, ok- disse Vera, portando le mani avanti - Beh, io vado- aggiunse, dirigendosi verso il corridoio.
- Ehi!- esclamò Tom, seguendola fino all'ingresso - Non credi di aver dimenticato qualcosa?-
Vera lo guardò, divertita.
- Grazie, Tom- disse con un sorriso strafottente, prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle.






* *





il mattino dopo

- Buongiorno-
Bill, seduto al tavolo della cucina, si voltò, e sorrise nel vedere Madison avvicinarsi a lui e dargli un tenero bacio sulla tempia.
- Buongiorno Madison- disse, mentre lei andava a preparare la sua colazione - Dormito bene?
- Una meraviglia- rispose la ragazza, con un sorriso complice, ripensando alla sera prima.
- Ne sono felice - fece Bill, mentre finiva di bere il suo caffellatte
Madison finì di preparare il suo caffè, si sedette di fronte al fidanzato, prese una fette biscottata e cominciò a spalmarci sopra della marmellata di ciliegie.
- Senti,- disse, riponendo il vasetto - finirai molto tardi oggi?
- No, oggi niente registrazioni- rispose Bill, pulendosi la bocca con un tovagliolo - Andiamo allo studio solo per rivedere alcune cose, quindi finiremo molto presto, suppongo.
- Bene- fece Madison con un sorriso - Avevo intenzione di invitare Vera a cena. Tu che ne dici?
- Ottima idea!- disse il biondo - Così, finalmente parleremo insieme di questo matrimonio- aggiunse, alzandosi da tavola - Ci pensi tu a chiamarla?-
Madison annuì, e prese a mangiare.
- Io vado- disse Bill - Devo passare a prendere Tom, e sono anche in ritardo- aggiunse - Ci vediamo dopo- concluse, lasciando un lieve bacio sulla guancia di Madison, che, quando lui si allontanò, avendo la bocca piena, e non potendo quindi parlare, si limitò ad agitare la mano in segno di saluto.
Il biondo fece per andarsene, quando si fermò sulla soglia, e ritornò a guardare la fidanzata.
- Ah, Madison- disse.
La mora alzò la testa e lo osservò perplessa.
- Hai la bocca sporca di marmellata- disse semplicemente Bill, ridendo poi nel vedere la ragazza affrettarsi a prendere un tovagliolo e pulirsi le labbra - Ci si vede!-
Il cantante uscì dalla cucina, per poi aprire la porta d'ingresso e chiuderla alle sue spalle





* *





- Alla buon'ora!- esclamò Tom, salendo nell'auto del fratello.
- Scusa, non ho sentito la sveglia stamattina- rispose Bill.
- Che hai combinato ieri sera?- chiese il chitarrista con strafottenza.
Bill divenne rosso e decise di non rispondere, borbottando solo “non sono affari tuoi”.
Dopo qualche minuto di silenzio, Tom decise di raccontare al gemello del giorno prima.
- Ho incontrato Vera ieri- disse, guardando fuori dal finestrino.
Bill gli gettò una rapida occhiata occhiata di sorpresa,
- Dove?
- Al parco- fece Tom - E' tutta colpa di Scotty-
In poco tempo il moro raccontò al fratello del movimentato incontro con la wedding planner.
- L'hai invitata a casa tua? Cioè, davvero?- chiese Bill esterrefatto, ala fine del racconto.
- Già- commentò Tom, con una smorfia - Non ci credo nemmeno io-
Bill ridacchiò, per poi ammutolirsi: una strana idea gli era balenata in testa.
Sul suo volto apparve un sorrisino, che non sfuggì a Tom.
- Cos'hai in mente?- chiese, con una lieve punta di paura nella voce.
- Niente- rispose con finta innocenza il biondo - Senti, hai programmi per stasera?- chiese poi a bruciapelo.
- No- rispose Tom, ancora diffidente - Perché?- si affrettò a chiedere.
- Sei invitato a cena da me e Madison- disse Bill - Non si accettano rifiuti.





* *




intanto

Vera stava ancora pensando alla vicenda del pomeriggio precedente, sdraiata sul suo letto, mentre si godeva la sua giornata libera, quando il telefonino, messo sul cuscino, accanto alla sua testa, squillò.
- Pronto?- rispose subito la mora.
- Ehi, Vera, sono Madison.
- Oh, ciao Madison!- fece Vera - Come stai?
- Bene, grazie- rispose la ragazza - Senti, sei libera stasera?
- Uhm... sì- disse Vera - Sì, sono libera.
- Bene!- esclamò entusiasta Madison - Io e Bill vorremo invitarti a cena-
- Beh,- rispose la mora - non penso ci sia alcun problema! Vi ringrazio molto, per l'invito.
- Fantastico!- fece Madison, soddisfatta - Ti aspettiamo verso le otto e mezza! A stasera!-
Prima che Vera potesse dire qualsiasi cosa, la ragazza aveva già chiuso la chiamata
La mora scosse la testa e compose in fretta il numero di Lawrence.
Il telefono squillò diverse volte, e Vera stava quasi per arrendersi quando Lawrence rispose.
- Cooper? Accidenti, è il mio giorno libero! Lasciami dormire!- esclamò il ragazzo, con voce piuttosto arrabbiata.
- Ho bisogno del tuo aiuto, Lawrence- spiegò velocemente Vera - Vestiti. Cena da Bill e Madison-
Seguirono qualche secondo di silenzio, poi Vera sentì un profondo sospiro.
- Incontriamoci davanti al centro commerciale tra un quarto d'ora. Non fare tardi.







* *



quel pomeriggio

- E dire che dovevamo finire presto!- si lamentò Tom, mentre allacciava la propria cintura di sicurezza, seduto al sedile del passeggero accanto a Bill.
- Già- sbuffò quest'ultimo.
Durante il tragitto i due rimasero in silenzio, fin troppo stanchi per iniziare qualsiasi discussione.
Poco dopo Bill stava parcheggiando di fronte a casa del fratello.
- Beh, a dopo allora- lo salutò.
Tom gli fece un cenno con la mano e scese dalla macchina. Stava per allontanarsi, dopo aver chiuso la portiera, quando si sentì chiamare.
- Che c'è?- chiese al fratello, attraverso il finestrino aperto.
- Dimenticavo- fece Bill - Stasera ci sarà anche Vera- disse, facendo l'occhiolino, per poi ingranare la marcia, lasciando Tom, completamente basito, ad osservare la sua Audi che si allontanava a tutta velocità.










Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Eight ***


Eight


- Lawrence, ti avevo chiesto un consiglio, non di rifarmi il guardaroba!-
A braccia conserte, mentre picchiettava un piede sull'asfalto, Vera osservava l'amico caricare in auto enormi buste contenenti abiti di ogni genere, frutto di una battuta di caccia al vestito durata l'intera giornata.
Tipico di Lawrence: davanti ad un centro commerciale non lo fermava niente e nessuno.
- Non fare la difficile- brontolò, chiudendo il bagagliaio – Forza, sali- disse poi, aprendo la porta del passeggero – Andiamo a casa mia-
Vera fece un passo indietro, restia.
- Lawrence, davvero, io ti voglio bene- disse, mettendo le mani avanti – ma non ho la minima intenzione di salire su quell'auto- concluse, gettando un'occhiata all'utilitaria bianca del biondo.
- Quando guadagnerò di più,- fece lui, prendendo per una mano la ragazza e costringendola a salire in auto – ne comprerò un'altra. Per adesso accontentati- aggiunse, chiudendo la portiera, per poi salire a sua volta.
- Sei il direttore di un'agenzia di wedding planner e non guadagni abbastanza da comprarti un'auto nuova?- scherzò Vera.
- Sono affezionato a questa- ammise Lawrence, stringendosi nelle spalle.
La mora sospirò, rassegnata, e si allacciò la cintura di sicurezza, mentre Lawrence metteva in moto la macchina.
Contrariamente alle aspettative di Vera, il viaggio non fu un completo disastro, e in poco tempo, i due amici arrivarono davanti alla casa del biondo.
- Allora,- disse lui, sorridente – non ti sembro migliorato?
- Beh, sì- ammise Vera – A parte i due semafori rossi che non hai nemmeno notato, sì, sei migliorato-
Dopo che il ragazzo ebbe parcheggiato, i due scesero, presero le buste ed entrarono in casa, dirigendosi poi verso la camera da letto del biondo.
- Mettile pure qui- disse questo posando le buste sul suo materasso, seguito da Vera – Allora- aggiunse poi, tirando fuori un vestito bianco – Che ne dici di questo?- propose, mostrandolo alla mora.
- Certo- disse ironica Vera.
- Ti piace? Davvero?- fece speranzoso Lawrence.
- Lawrence,- sospirò Vera – devo andare ad una semplice cena. Non ad un matrimonio!- protestò.
Lawrence roteò gli occhi, e cercò un altro abito, aiutato da Vera.
- Ci sarà anche Tom?- chiese distrattamente Lawrence qualche minuto dopo, mostrando alla mora un abito verde smeraldo.
- No, quello no, Lawrence- disse subito Vera – Comunque, non lo so- aggiunse, scartando una maglietta azzurra.
- Vorresti che ci fosse?- la stuzzicò il biondo, riponendo un paio di jeans strappati.
Vera gli rivolse un'occhiataccia per poi ritornare ad occuparsi delle buste.
- Non dire scemenze- borbottò.
Lawrence ridacchiò, senza aggiungere altro, e prese dall'ultima busta un vestito lungo fino a poco più sopra del ginocchio color pesca, mostrandolo poi a Vera.
- Ecco, trovato- disse con un sorriso a trentadue denti.
- Ma... io...- protestò la mora.
- Non si discute- la interruppe subito Lawrence – Tu metterai questo vestito- aggiunse – Ora va' a farti una doccia- disse infine.
La mora assunse un'espressione piuttosto perplessa.
- Qui?- chiese.
- Sì, certo!- disse Lawrence, allargando le braccia, come se fosse ovvio – Non ti spierò- aggiunse poi, notando lo sguardo poco convinto di Vera. Poi aprì l'armadio, prese un accappatoio e lo porse all'amica.
- Tieni- le disse – In una delle buste dovrebbe esserci anche della biancheria intima- aggiunse – Avanti, vai! Io starò qui a sistemare- esclamò poi, con un gesto della mano, esortandola ad andare.
Vera sbuffò, scuotendo la testa, uscì dalla stanza ed andò in bagno.
- Ah, Vera- la fermò il biondo ad un tratto – Carino l'elastico- commentò, facendo l'occhiolino alla mora.
Vera si portò una mano alla nuca, e si ricordò che aveva ancora l'elastico rubato a Tom il giorno prima.
- G-grazie- balbettò, per poi fuggire allo sguardo inquisitorio di Lawrence.
Appena la ragazza si chiuse in bagno, il biondo scoppiò in una risata.
Quei due” pensò, iniziando a riordinare i vestiti sparsi alla rinfusa sul suo letto “sono uno spasso”





* *




Intanto


-Maddie, sono a casa!-
Bill si chiuse la porta alle spalle ed andò in cucina, dove trovò la sua ragazza sfogliare un ricettario.
- Ciao Bill- gli disse frettolosamente Madison, girando una pagina – Com'è andata la giornata?- chiese distrattamente.
- Bene- rispose il giovane perplesso, avvicinandosi al tavolo dove la mora era seduta – Che fai?- chiese, osservando la copertina del ricettario.
- Non so che cucinare!- si lamentò Madison.
Bill alzò gli occhi al cielo, e con un gesto veloce chiuse il libro sotto il naso della mora, che gli rifilò uno sguardo confuso.
- Rilassati- le disse il biondo – Vedrai che qualsiasi cosa cucinerai, sarà deliziosa- aggiunse, con un sorriso.
- Sei un ruffiano- disse Madison, con una smorfia.
- Lo so- ammise Bill, dandole un bacio sulla fronte – E' per questo che mi adori, giusto?-
Senza rispondere, Madison si alzò e iniziò a trafficare con gli utensili della cucina.
- Ti sei decisa?- fece Bill.
- Sì- rispose Maddie – Le lasagne alle verdure andranno benissimo.
- Ok- disse il cantante – Vuoi una mano?
- No!- esclamò precipitosamente Madison – Voglio dire,- si corresse notando l'espressione offesa del biondo – non ce n'è bisogno. Sarai stanco- disse – Perché non vai a farti una doccia?- gli propose poi.
Bill fece una smorfia, per poi annuire, poco convinto.
- Ah, Maddie- disse, fermandosi sulla soglia della cucina – E' un problema se viene anche Tom?-
Madison inarcò un sopracciglio, dubbiosa.
- Tom?- chiese – Tuo fratello?-
Bill annuì, e la ragazza alzò le spalle.
- Per me non c'è problema- fece, tornando a cucinare – Un momento- disse, tornando a guardare il fidanzato – Tu vuoi davvero che Tom e Vera stiano nella stessa stanza per un'intera cena? Vuoi scherzare?!- esclamò, incredula - Uno dei due non arriverà intero al dolce!
- Io invece non la penso così- disse Bill, con malizia.
Maddie arricciò le labbra, ancora esitante.
- Beh, fa' come vuoi- disse, riprendendo ciò che stava facendo – Io non pulirò il sangue dalle pareti!-
Bill rise di gusto e andò in bagno a farsi una doccia.
Ritornò in cucina mezzora dopo e trovò Madison che tagliava le verdure.
Prese un bicchiere e una bottiglia, e si versò un po' d'acqua.
- Credi davvero che Tom verrà?- chiese Madison, all'improvviso, aprendo il frigo.
- Certo- fece Bill, con un sorriso – Farò in modo che non provi a bidonarci.





* *



Non azzardarti a stare a casa. Oppure Dave verrà accidentalmente a sapere dell'incidente. Sii puntuale. Bill”

Tom gettò con fare arrabbiato il telefonino sul materasso, maledicendo suo fratello.
Lo odio” si disse, buttandosi a peso morto sul letto.
Guardò l'orologio sul suo comodino e decise che forse sarebbe stato meglio meglio disdire l'appuntamento che aveva con Danielle per quella sera.
Fece per riprendere il cellulare, quando un dettaglio lo turbò. Guardò di nuovo il suo comodino e notò che il suo elastico per capelli nero era sparito, lasciando spazio a uno colorato. Si mise a sedere, lo prese e lo osservò: era leggermente umidiccio e lui era perfettamente certo di non avercene uno così.
Vera” pensò immediatamente “L'avrà di certo lasciato qui lei” si disse.
Giocherellò con l'oggetto ancora per qualche istante, per poi posarlo di nuovo sul comodino. Afferrò il suo cellulare, poco distante da lui, e cominciò a digitare velocemente un messaggio.

Ehi, tesoro, perdonami ma oggi non possiamo vederci. Ci sentiamo xoxo Tom”

Si assicurò di selezionare il numero giusto e poi inviò il messaggio, per poi ristendersi sul letto, supino, con un braccio dietro la testa, e il cellulare, stretto in una mano, sul petto.
Rimase in quella posizione per molto, fino a quando il telefonino non vibrò.
Guardò il display, e quando vide il nome di Danielle, fece una smorfia e tornò nella posizione precedente, senza nemmeno visualizzare il messaggio.
Poco dopo, però, il cellulare vibrò una seconda volta.
Il chitarrista sbuffò, scocciato e, ritornò a guardare il display.
Quando vide il nome del mittente del messaggio, si augurò che suo fratello avesse desistito, ma subito le sue speranze furono infrante.

Alzati e preparati. Bill”




* *




Più tardi



- Allora, sei pronta?-
Vera guardò con perplessità Lawrence, seduto accanto a lei nell'auto del biondo.
Il ragazzo si era proposto di accompagnarla e di andarla a prendere, e lei non aveva obiettato.
O meglio, non ne aveva avuto la possibilità.
- Lawrence,- disse la mora, slacciandosi la cintura di sicurezza – perché non dovrei esserlo?-
Il giovane non rispose e schioccò un bacio sulla guancia all'amica.
- Mandami un messaggio con l'ora in cui devo venirti a prendere- le ricordò – Buona serata- disse infine.
Vera agitò la mano in segno di saluto, scese dalla vettura e, dopo aver chiuso la portiera, si diresse verso il cancello della villa di Bill e Madison.
Suonò il citofono e subito una voce le rispose:
- Sì?
- Bill, sono Vera!
- Oh, ciao, Vera. Entra pure!-
Il cancello si aprì con un sonoro clack, e Vera fece il suo ingresso nell'immenso giardino che circondava la villa. Con passo veloce percorse il vialetto che conduceva alla porta d'ingresso, che, prima che lei potesse bussare, si aprì all'improvviso, quasi spaventandola.
- Vera!- esclamò Bill – Benvenuta! E' un piacere vederti!- continuò, abbracciandola calorosamente.
- Ciao, Bill- rispose Vera, quando il biondo si fu allontanato, permettendole di respirare – E' un piacere anche per me- disse, sorridendo.
- Forza, vieni. Madison è di là- fece il cantante, facendole segno di seguirlo.
La mora entrò insieme a lui in casa e lo seguì fino al salotto, dove Madison aveva appena portato un vassoio di antipasti, posandolo su un tavolo di vetro.
- Ciao Vera!- esclamò la ragazza, appena si accorse della presenza dei due – Vieni, siediti pure!- continuò, indicando il divano.
Vera fece come le era stato detto, e subito dopo Maddie si sedette al suo fianco, mentre Bill si sistemò sulla poltrona.
- Allora, come stai?- chiese Madison.
- Molto bene, grazie e voi?
- Bene- risposero all'unisono Bill e Madison.
I tre iniziarono a conversare del più e del meno, mangiando gli antipasti preparati da Madison, quando d'un tratto le loro chiacchiere furono interrotte dal suono del citofono.
- Vado io- disse Bill, guardando Madison, con cui scambiò uno sguardo complice.
- Aspettavate qualcun altro oltre a me?- chiese Vera, senza curarsi degli sguardi tra i due fidanzati.
- Sì- rispose Madison, senza però specificare chi stessero aspettando.
Le due sentirono due voci maschili parlare e poco dopo Bill tornò in salotto.
Accompagnato da Tom.
Vera temette che i suoi bulbi oculari potessero uscire dalle orbite, tanto aveva sgranato gli occhi.
Osservò la reazione del moro nel vederla lì, e con sorpresa vide che Tom sembrava essere stato informato della sua presenza quella sera.
- Buona sera, ragazze- disse il giovane, cercando di sembrare disinvolto.
- Ciao, Tom. Finalmente sei arrivato- fece Madison, con un sorriso – Avanti, siediti- aggiunse, indicando il posto libero accanto a Vera.
Con qualche esitazione, Tom accettò l'invito della mora, e si sedette vicino alla wedding planner, tentando di nascondere il suo disappunto.
- Beh, allora- fece Bill, tornando a sedersi sulla poltrona – stavamo parlando del matrimonio, giusto?-
Subito la conversazione di prima riprese, e di tanto in tanto, Tom provò a dire la sua, dando consigli inerenti alle decorazioni.
- Ah-ehm, Vera- bisbigliò all'improvviso, senza farsi notare da Bill e Madison, che continuavano a discutere – Credo che questo sia tuo- fece, allungando alla ragazza l'elastico per capelli.
Vera sbiancò, e prese subito l'oggetto, infilandolo in borsa.
- Il mio puoi tenerlo- disse il ragazzo, con un lieve sorriso.
La mora annuì semplicemente, senza dire nulla, cercando di mascherare l'imbarazzo con l'indifferenza.
All'improvviso un trillo proveniente dalla cucina, avvertì tutti che le lasagne erano pronte.
- Signori,- fece Madison, alzandosi – la cena è servita!- esclamò scherzosamente, mentre andava in cucina, seguita dagli altri.
Una volta arrivati, i quattro si sistemarono attorno al tavolo e poco dopo Maddie vi posò la teglia fumante.
- Ecco a voi. Servitevi pure-
Bill fu il primo a muoversi, ma la fidanzata lo bloccò.
- Bill- gli disse con tono di rimprovero – Prima gli ospiti, cioè Vera.
- Io non sono un ospite?- fece Tom, sentendosi escluso.
- Credimi Tom,- disse Bill, mentre con un cenno della testa invitava Vera a servirsi – con tutto il tempo che passi qui dentro, dovremmo chiederti l'affitto, altro che ospite!-
Tom sbuffò, fingendosi offeso, e appena Vera ebbe finito, quasi si avventò sulla teglia, lasciando a bocca asciutta il fratello, che lo guardò con aria truce.
Dopo che anche Bill e Madison si furono serviti, i quattro iniziarono a mangiare. Rimasero in silenzio, fino a quando a Madison non sorse un dubbio.
- Vera,- disse – la tua macchina è stata riparata?-
Sentendo la sua domanda, Tom cominciò a tossicchiare convulsamente, ripensando all'incidente con la wedding planner.
Bill gli diede un bicchiere d'acqua, che il giovane bevve in un sorso, mentre Madison aspettava una risposta da Vera.
- Allora?
- In realtà, Madison, credo che la mia macchina sia già diventata una lattina- fece Vera, cercando di sdrammatizzare.
- Cosa? Davvero?!- esclamò Madison – Era così malmessa? Ma com'è successo?-
Istintivamente Vera portò lo sguardo su Tom.
- Stavo percorrendo la strada verso casa- iniziò a raccontare la giovane, distogliendo lo sguardo – Una strada a senso unico- si affrettò a precisare, calcando la voce sull'ultima parola – Quando ho visto un'altra auto davanti a me andare in contromano- continuò, mentre le sue accuse subliminali a Tom pesavano sul chitarrista come macigni – Ho cercato di evitarla, ma sono andata a finire contro un albero- concluse la wedding planner.
- E poi cos'è successo?- chiese Madison, incuriosita.
- Maddie... Io non credo che...- tentò di dire Bill, cercando di evitare l'ormai irreparabile catastrofe che si stava per abbattere su quel tavolo.
Vera prese un respiro profondo e riprese a parlare.
- Quell'idiota- disse – non ha voluto fare la constatazione amichevole, ed ha anche tentato di insinuare che mi ha fatto un favore, dato che la mia auto non sarebbe durata ancora molto. E mi ha anche fermato quando ho giustamente voluto chiamare la polizia.
- Non era necessario invece!- sbottò all'improvviso Tom – E per la cronaca non sono un idiota- aggiunse, in un sibilo.
Madison lo osservò, stranita.
- Tom, ma che hai?- chiese – Sembra quasi che quell'automobilista... oh-
La ragazza s'interruppe, avendo perfettamente intuito la situazione: ora capiva l'astio tra Vera e Tom.
Guardò Bill, con il panico negli occhi, constatando solo ora di ciò che aveva causato.
- Io non ci giurerei- fece Vera, rivolta a Tom, alludendo a ciò che il chitarrista aveva affermato poco prima.
- Senti, ascoltami bene- disse il giovane – ti ho già chiesto scusa, quindi vedi di smettere di fare l'offesa. Non ce n'è affatto bisogno.
- Non so se ti è chiaro,- ribatté pronta Vera, posando la forchetta sul piatto vuoto – ma tu hai distrutto la mia auto.
- E' stato quell'albero a farlo!- replicò Tom.
- Credi che sarei andata addosso a quell'albero se tu fossi stato attento a ciò che stavi facendo piuttosto che a chissà quale groupie?- sputò velenosa la mora.
- E' per questo che mi hai schiaffeggiato? Perché io almeno scopo, e tu no?
- Se il risultato dello scopare è ritrovarsi con un unico neurone in fase terminale, credo proprio che ne farò a meno!-
Tom fece per ribattere, ma Bill lo fermò.
- Basta così- disse – Smettetela- aggiunse con fermezza.
Vera inspirò a fondo, e si zittì, insieme a Tom.
Quando tutti ebbero finito, Madison mise i piatti vuoti nel lavello e tornò in tavola con una torta alla panna.
- E per finire, il dolce!- esclamò, tentando di smorzare l'atmosfera.
Prese un coltello e dei piatti da dessert, e cominciò a tagliare la torta, mettendo ciascuna fetta sui piatti che mise davanti agli altri tre.
Dopo essersi servita a sua volta, rimise in frigo la torta e tornò a sedersi.
Poteva sentire la tensione avvolgere l'intera stanza: avrebbe perfino potuto tagliarla con un coltello.
Il silenzio intanto regnava incontrastato, interrotto solo dai rumori delle posate.
Appena finito, Vera prese la decisione di lasciare al più presto quella casa.
Se non me ne vado,” pensò “potrei davvero uccidere Tom”
- Non vorrei sembrare maleducata, - iniziò – ma credo sia meglio che vada.
- Perché non resti un altro po'?- disse Bill, dopo aver ingoiato l'ultimo boccone di torta.
- Domani devo alzarmi molto presto- mentì Vera – Preferirei non andare a letto troppo tardi.
- In effetti hai ragione- ammise Madison – E' un peccato, però.
- Sarà per un'altra volta- fece Vera, abbozzando un sorriso, per poi prendere il telefonino.
- Cosa fai?- chiese Bill.
- Mando un messaggio a Lawrence- spiegò Vera, mentre digitava velocemente – Ha detto che mi sarebbe venuto a prendere.
- Non c'è bisogno di disturbarlo!- disse il biondo, fermandola – Ti accompagno a casa io.
- Ehm...- fece esitante la ragazza – Beh, se non è un problema per te, va bene- acconsentì, infine.
- Vado a prendere le scarpe- disse Bill, alzandosi e lasciando la stanza.
- Vieni, andiamo a prendere le tue cose- propose poi Madison, alzandosi a sua volta.
Vera la imitò e si diresse verso il salotto con la ragazza.
- Ciao, Tom- disse con tono duro poco prima di uscire dalla cucina.
Il chitarrista rispose con un grugnito e voltò la testa dall'altra parte.
- Sei un vero maleducato- borbottò la mora, uscendo definitivamente.
Una volta in salotto, trovò Bill e Madison che parlavano tra loro. Si schiarì la voce, ed ottenne la loro attenzione.
- Oh, sei pronta- disse Bill – Tieni- fece, porgendole la borsa – Possiamo andare?- chiese poi.
Vera annuì, andando poi ad abbracciare Madison.
- Grazie per la cena- le disse – E' stata una serata molto... piacevole.
- Ne sono felice- rispose la giovane – Ci vediamo la prossima settimana per andare alla chiesa.
- Contaci. Buona serata- disse Vera.
La mora si voltò e raggiunse Bill alla porta d'ingresso per poi seguirlo fuori dalla villa.
Poco dopo i due stavano salendo nell'auto del biondo,
Dopo aver messo in moto la vettura ed essersi fatto dare le indicazione da Vera, Bill iniziò a parlare.
- Tom è un vero buzzurro- affermò con semplicità.
- Sì- commentò Vera – Aspetta... hai davvero dato del buzzurro a tuo fratello?
- Ovvio!- rise il cantante – A volte può risultare antipatico, lo so- continuò - Ma non è cattivo- aggiunse dopo poco.
- A volte?- fece la mora – Diciamo pure sempre.
- Hai idea di come lo hai scombussolato?- le chiese a bruciapelo Bill, senza curarsi di ciò aveva detto.
- Scombussolato?
- Sì, esattamente- disse il biondo – L'unica donna che finora lo aveva mai schiaffeggiato è stata nostra madre- spiegò, ridacchiando – Non credo che per lui stia stato bello.
- Se lo è meritato!- si difese Vera.
- Sì, lo immagino...-
La discussione cadde nel silenzio, che durò fino all'arrivo dei due a casa di Vera.
- Beh, grazie del passaggio- disse la ragazza, mentre si slacciava la cintura – A presto, Bill- salutò scendendo dall'auto.
- Vera,- la fermò il giovane, prima che lei potesse chiudere la portiera – non so come la pensi tu, ma sappi che gli piaci. Molto.









* *




Il pomeriggio seguente


- Sono d'accordo con Bill-
Vera guardò l'amico, sgranando gli occhi.
- Avete battuto tutti la testa?- sbottò, infastidita.
- E tu hai le bende sugli occhi?- le fece verso l'amico.
Vera roteò gli occhi, e tornò ad occuparsi delle sue scartoffie, cercando di ignorare Lawrence, in piedi di fronte alla sua scrivania, che beveva un frullato.
- Cooper, fidati...-
Il biondo fu interrotto dallo squillo del telefono di Vera, che rispose immediatamente, sottraendosi così alle chiacchiere del giovane.
- Pronto?



* *

- E quindi il parroco ha detto giovedì non va bene, perché una famiglia ha deciso di battezzare suo figlio proprio quel giorno e poi ci sarà un matrimonio.
- Capisco, Vera. Beh, allora facciamo un altro giorno!
- Il parroco mi ha proposto venerdì alle dieci. Per voi andrebbe bene?
- In realtà, venerdì torno a casa nel tardo pomeriggio, verso le cinque o le cinque mezza e lo stesso vale per Bill.
- Oh, ok. Allora chiamerò il prete e gli chiederò la disponibilità per un altro giorno!
- Perfetto. Grazie per quello che stai facendo per noi, Vera.
- Dovere. Vi farò sapere. A presto, Madison!
- A presto, Vera-
Madison chiuse la chiamata, per poi posare il telefono sul comodino accanto al letto su cui era seduta.
- Chi era?- chiese Bill, entrando nella stanza, coperto con un asciugamano, mentre con un altro si asciugava i capelli bagnati.
- Vera- rispose Madison – Mi ha detto che il giorno per andare alla chiesa è da spostare.
- E che giorno avete fissato?- chiese il ragazzo, sedendosi sul materasso accanto a Maddie.
- Il parroco ha proposto venerdì...
- Ma né io né te possiamo- obiettò Bill.
- Sì lo so- fece Madison – Gliel'ho detto. Vorrà dire che andremo un'altra volta- aggiunse con un sorriso.
Bill rimase in silenzio, fino a quando una nuova idea si fece spazio nella sua mente.
- Hai detto venerdì?- chiese.
- Sì- disse perplessa Madison – Perché?
- Chiama Vera- replicò Bill – Dille che venerdì è perfetto.
- E chi andrà con lei, sentiamo!- esclamò Madison.
Bill sorrise, beffardo:
- Sono certo che Tom morirebbe dalla voglia.









Eeeeeeeeehi :)
Capitolo lunghetto, eh!
Onestamente, mi è piaciuto!
E a voi? ;)
Alla prossima e grazie a chi legge/segue/ricorda/preferisce/recensisce!
Heilig__

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Nine ***


Nine






La sera


- No-
Tom scandì le lettere a voce alta, in modo che entrassero e si tracciassero indelebilmente nella testa di suo fratello.
Come aveva potuto chiedergli una cosa simile?
Com'era potuta passargli anche solo per l'anticamera del cervello un'idea del genere?
Lui e Vera
Da soli.
Di nuovo.
Il moro scosse la testa, continuando ad asciugarsi i capelli bagnati davanti allo specchio della sua stanza, mentre Bill, in piedi alle sue spalle, cercava di smuoverlo dalla sua posizione.
- Tom,- sospirò, implorante – non fare il difficile, avanti!- continuò – Non ti chiedo molto in fondo!-
Tom si fermò e si voltò lentamente verso il gemello, con un sopracciglio inarcato.
- Ok- si corresse Bill – Forse è una richiesta leggermente al di fuori del normale.
- Tu credi?- fece il chitarrista con ironia, tornando a guardarsi allo specchio – E smettila di guardarmi così!- esclamò notando lo sguardo del fratello attraverso il riflesso.
Bill sbuffò e si lasciò cadere sul letto poco distante.
- Non ti capisco proprio- mormorò giocherellando distrattamente con un lembo del lenzuolo.
- Non c'è nulla da capire- replicò Tom, prima di entrare in bagno – Semplicemente non voglio stare con quella ragazza- continuò, mentre tornava, con indosso un paio di pantaloni scuri al posto dell'asciugamano bianco con cui si era coperto dopo la doccia.
- Secondo me hai paura- lo stuzzicò Bill con un finto tono d'innocenza, mentre il fratello andava all'armadio per cercare una maglietta.
- Paura?- chiese perplesso il moro, aprendo un'anta – Paura di cosa, esattamente?
- Di lei- spiegò Bill, sapendo perfettamente di aver colpito nel segno – Tranquillo,- aggiunse con sorriso – è normale-
Tom chiuse l'armadio, stringendo in una mano una canottiera nera, e rivolse la gemello uno sguardo confuso.
- Di cosa stai parlando?- chiese.
- Sei intimorito da lei per via del fatto che è l'unica ragazza ad averti saputo tenere testa- rispose Bill.
- Tu sei tutto matto- ridacchiò Tom, mentre indossava la canottiera – Paura di quella?
- Beh, - fece Bill – allora perché non puoi fare questo favore al tuo fratellino e alla sua futura consorte?- chiese, sporgendo il labbro inferiore come lui solo sapeva fare.
Tom l'osservò per qualche istante, per poi distogliere lo sguardo e buttarsi a peso morto sul materasso, sospirando, con aria sconfitta.
- Hai detto venerdì?


* *


Poco dopo

Seduto sul bordo del letto, Tom stringeva in una mano il cellulare e nell'altra il biglietto su cui Bill aveva velocemente scarabocchiato il numero di Vera, per poi lasciare la casa del gemello in cui era irrotto senza alcun preavviso poco prima.
Il moro sospirò e prese a comporre il numero. Fece per premere il tasto verde per far partire la chiamata, quando si fermò, timoroso.
“Non fare lo stupido” si disse, mentre ricomponeva il numero una seconda volta, finendo poi inesorabilmente per chiudere tutto di nuovo.
“Kaulitz, sii uomo, accidenti!” pensò, mentre tentava una terza volta.
Prese un respiro profondo, e, dopo aver premuto il tasto verde, si portò il telefono all'orecchio.
- Pronto?- rispose una voce femminile dopo alcuni squilli.
- Ciao, Vera- disse il chitarrista – Sono... sono Tom-
Seguirono alcuni istanti di silenzio, e Tom pensò di aver sbagliato.
- Vera?- chiese perplesso – Sei tu? Ho sbagliato numero?
- No- rispose atona la ragazza – Sono io- continuò – Di cosa hai bisogno?- chiese, mantenendo un tono di voce freddo.
- Bill mi ha detto del problema che avete per andare a visitare la chiesa- disse Tom – Io... Se vuoi posso venire io venerdì, al posto di Bill e Madison-
Dall'altra parte telefono Vera rimase a dir poco interdetta, nel sentire quelle parole.
- Ehm...- fece, non sapendo cosa dire – Credo... credo che non ci siano problemi.
- Quindi passo a prenderti venerdì?
- Sì, va bene- acconsentì Vera – Ti aspetto davanti alla WedDreams. Ti manderò un messaggio con l'orario. A venerdì-
- Ma...-
Prima che Tom potesse replicare la mora aveva già chiuso la chiamata.
“L'ho sempre detto che è strana” si disse il ragazzo, stendendosi sul letto “Perché andarla a prendere alla WedDreams, quando posso andare a prenderla a casa sua?” pensò, con una smorfia “Sarebbe stato sufficiente darmi l'indirizzo!”




* *




Il giorno dopo


- Tom ti ha chiamato e si è offerto di accompagnarti- ripeté Lawrence sbigottito.
Non riusciva a credere a ciò che Vera gli stava raccontando.
- Già- disse Vera, soffiando poi sul suo caffè fumante – Proprio così.
- Questo è amore- sospirò sognante il biondo, sistemandosi meglio sulla scrivania della ragazza – Non lo trovi... romantico?-
Vera alzò gli occhi dal suo bicchierone e guardò l'amico, con un sopracciglio alzato.
- Perché mi guardi così?- chiese stranito Lawrence, mentre la mora scuoteva la testa.
- Perché ciò che hai detto supera di gran lunga tutte le stronzate che hai detto finora. E sono molte.
- Oh avanti!- esclamò il ragazzo, allargando le braccia – E' ovvio che gli piaci!
- Rettifico: questa è la più grande stronzata che tu abbia mai detto- fece Vera con una smorfia.
- Ti verrà a prendere a casa?- chiese Lawrence, ignorandola.
- Cosa ti fa credere che io abbia dato il mio indirizzo a quel ragazzo?- disse la mora.
- Dovresti smetterla di fare la difficile e lasciarti andare un po' di più, Vera- borbottò il biondo.
- Io non faccio la difficile!- ribatté la ragazza.
- Certo, certo- fece Lawrence, roteando gli occhi – Beh, ti lascio al tuo lavoro- disse, scendendo dalla scrivania con un piccolo salto – Ricorda ciò che ti ho detto: lasciati andare.
- Lascerò andare questa scrivania su di te se non esci immediatamente!- esclamò Vera scattando in piedi.
- Scorbutica- mormorò Lawrence, uscendo poi a gran velocità ed evitando così la penna che Vera gli aveva lanciato.
Rimasta sola, la mora si lasciò cadere stancamente sulla sua poltrona, per poi prendere il telefono e cominciare a comporre un numero.
Si portò il telefono all'orecchio e aspettò che qualcuno rispondesse.
- Pronto?- fece una voce maschile.
- Parroco Evans? Sono Vera Cooper, buongiorno- disse la ragazza – Pensa di essere ancora disponibile per venerdì?
- Buongiorno cara- disse l'uomo con fare cordiale – Sta parlando della visita,vero? Beh, sì, dovrebbe esserci ancora posto...-
Vera sentì il parroco sfogliare qualcosa, probabilmente le pagine di un'agenda su cui si appuntava i vari impegni.
- Ah, ecco qua!- esclamò l'uomo – E' un problema per lei spostare l'appuntamento dalle dieci alle quattro e mezza?- chiese poi.
- No- rispose Vera – E' perfetto. La ringrazio infinitamente, parroco Evans.
- Si figuri, cara. Che Dio la benedica. Arrivederci.
- Arrivederci, parroco-
Con un sospiro Vera chiuse la chiamata, per poi tornare al computer dove stava lavorando prima che Lawrence entrasse nel suo ufficio.
“Sì,” pensò mentre riprendeva a cercare ristoranti per il catering “una benedizione divina è decisamente ciò di cui ho bisogno”






* *



Qualche giorno più tardi

Quella mattina Tom stava ancora godendosi qualche ora di sonno quando l'insistente squillo del telefonino, accompagnato dall'abbaiare di Scotty gli imposero di aprire gli occhi.
- Pronto?- fece, dopo essersi portato il cellulare all'orecchio.
- Ehi, dormivi?
- Bill, non pensi sia lievemente inopportuno svegliare il tuo unico fratello a quest'ora del mattino e chiedergli se stava dormendo, nonostante tu sappia già la risposta e facendolo così arrabbiare ancora di più?
- Nervosetti, eh? Sono già le undici!
- Bill, dimmi che vuoi e finiamola- brontolò Tom – Sono stanchissimo e poi tra un paio d'ore dovrò andare a prendere Vera- continuò – Perché tu e Madison avete deciso di sposarvi in un posto dimenticato dal mondo?
- Prova a pensarci, idiota- ribatté Bill – Paparazzi, foto, disastro. Devo farti un disegno?
- Ah, già- fece il moro – Beh, cosa c'è?- chiese poi.
- Niente, volevo solo assicurarmi che ti ricordassi dell'appuntamento con Vera- rispose il fratello, accentuando il tono di voce sulle ultime parole.
- Bill, tu hai davvero qualche rotella fuori posto- sbuffò Tom – Ti saluto. Torno a dormire-
Senza lasciare che Bill potesse rispondere, il chitarrista gli sbatté il telefono in faccia, appoggiandolo poi sul comodino, e decise di tornare a dormire.






* *



Fai la brava e ricordati di raccontarmi tutto! Baci, Lawrence”

Vera sorrise impercettibilmente, divertita, e rimise il cellulare in tasca, tornando a guardarsi in giro, in cerca dell'auto di Tom.
Come si era aspettata, era in ritardo.
Prese a picchiettare nervosamente il piede sul marciapiede di fronte alla WedDreams, a braccia conserte, mentre una smorfia d'impazienza si formava sul suo volto.
Finalmente, dopo diversi minuti, vide in lontananza l'auto del ragazzo avvicinarsi a gran velocità, per poi frenare a pochi centimetri da lei.
Senza troppi complimenti, Vera salì a bordo, e chiuse la portiera con un rumore secco.
- Sei in ritardo- si lamentò mentre Tom ripartiva.
- Ciao, Vera. Anche io sono contento di vederti- fece ironico il ragazzo.
- Sei in ritardo- ripeté scocciata la mora.
- Lo so che sono in ritardo!- sbuffò Tom – Dormivo e ho perso la cognizione del tempo! Capita a tutti!-
Vera roteò gli occhi, decidendo di non replicare, e si mise a guardare fuori dal finestrino.
Dopo una ventina di minuti nel più completo silenzio, Tom decise di rompere il ghiaccio.
- Puoi parlare, sai?- disse con ironia – Mi sembra di viaggiare con una mummia.
- Mi stai davvero paragonando ad un cadavere bendato e puzzolente?- chiese Vera, esterrefatta, guardando per un attimo il ragazzo, per poi tornare ad osservare il paesaggio, che stava lentamente cambiando sotto i suoi occhi.
- Non ti sembra di esagerare?- fece Tom – Non ho detto questo- continuò.
Prese un respiro profondo e riprese a parlare.
- Credi che comprerai un'auto nuova?-
Vera gli rivolse uno sguardo piuttosto accigliato, infastidita da quella domanda.
- Non subito- rispose, con durezza – Non ho abbastanza soldi- spiegò – E poi, in fondo, l'autobus non è poi tanto male- fece, con una scrollata di spalle – Non credi che forse dovresti chiedermi scusa?- chiese poi.
- Non credi che forse io l'abbia già fatto troppe volte?- ribatté Tom, quasi canzonandola.
- Non posso credere che tu sia così pieno di te! E' assurdo!- esclamò Vera – Tom, hai distrutto la mia auto!
- Ho capito, accidenti!- si arrabbiò il moro – Lo so, e mi dispiace! Sei contenta? Mi dispiace-
Vera sbuffò, mostrando tutto il suo fastidio e si voltò un'altra volta verso il finestrino.
- E dire che,- mormorò, appoggiando la testa sul vetro – dopo l'incidente al parco avevi cominciato a starmi lievemente simpatico.










* *




I due arrivarono alla chiesa in poco più di un'ora.
Tom parcheggiò nel cortile dell'edificio, una grandiosa struttura gotica dalle grandi vetrate finemente dipinte, i muri talmente chiari da sembrare bianchi, e guglie dorate in cima.
- Bill non ha il senso della misura- disse Tom, stringendosi nelle spalle, quasi a giustificare l'enormità dell'edificio.
- E' bellissima- riuscì solamente a dire Vera, fin troppo meravigliata.
Mentre si avvicinavano all'ingresso, il portale si aprì, e ne uscì un uomo piuttosto in là con gli anni, di bassa statura, con indosso una camicia bianca e dei pantaloni scuri, i capelli erano bianchi, ed aveva un sorriso cordiale sul volto.
- Buongiorno! Io sono il parroco Evans!- esclamò, stringendo la mano prima a Tom e poi a Vera – Siete gli sposi?-
“Domanda sbagliata. Domanda decisamente sbagliata” pensò Tom, corrugando la fronte, mentre la mora si affrettava a scuotere la testa.
- No!- disse – Io sono Vera Cooper, la wedding planner, e lui... lui è...
- Tom Kaulitz- intervenne il chitarrista – Sono il fratello dello sposo. Bill e Madison si scusano per non essere venuti, ma hanno avuto molto da fare oggi-
- Capisco...- fece l'uomo, annuendo lievemente – Beh, vogliamo cominciare?- aggiunse, facendo segno di entrare ai due ragazzi.
Una volta dentro, Vera tirò subito fuori il suo bloc notes e cominciò ad ispezionare da cima a fondo la chiesa, mentre dietro di lei il parroco Evans le parlava delle varie funzioni che ogni parte dell'edificio aveva.
- ...E questo è l'altare- disse, indicandolo - E' molto pregiato- continuò, mentre Vera lo osservava in ogni minimo particolare.
- Ci vorrà ancora molto?- chiese annoiato Tom, accostandosi alla ragazza.
- No- rispose lei, senza guardarlo – E comunque, più tardi dovremo andare alla location del ricevimento- precisò.
Tom non riuscì a trattenere un sospiro, e Vera si voltò, visibilmente scocciata.
- Se non ti andava di venire, saresti anche potuto restare a casa- gli disse.
- Vallo a dire a Bill- ribatté Tom – E' lui che mi ha messo dentro a tutto questo!- aggiunse, alzando la voce, e beccandosi così un'occhiata del parroco, che si portò un dito alla bocca, facendogli segno di stare in silenzio.
- Siamo in chiesa, genio- lo rimproverò Vera.
Tom decise di rimanere in silenzio per il resto della visita, più per restio nei confronti della ragazza che per rispetto religioso.
"Questa me la paghi, Bill"







* *




Vera e Tom rimasero nella chiesa quasi più di un'ora, poi la mora decise di aver preso abbastanza appunti e che era ora di andare a dare un'occhiata alla location del ricevimento.
- Grazie di tutto, parroco Evans- disse Vera stringendo la mano all'uomo - Ci è stato molto d'aiuto.
- Si figuri, signorina Cooper- le rispose il parroco, sorridendole – Vi auguro una buona serata- aggiunse, facendo poi un cenno con il capo ai due, per poi rientrare nella chiesa.
- Dobbiamo proprio andare?- chiese Tom, guardando perplesso il cielo – Quelle nubi non promettono nulla di buono- aggiunse con una smorfia.
- Non ci metterò molto- disse sbrigativa Vera, mentre si avviava verso l'auto – Saremo a casa prima che scoppi il temporale- fece, aprendo la portiera ed entrando in macchina.
- Se lo dici tu- borbottò Tom, salendo a sua volta.
Mise in moto la vettura e partì verso est della chiesa, sempre più lontano dal caos di Los Angeles.
Giunsero alla location mezz'ora dopo circa, mentre sopra di loro il cielo si stava facendo sempre più plumbeo.
- Eccoci arrivati- annunciò Tom – Io ti aspetto qui e ascolto un po' di musica- disse poi.
Accese l'autoradio e cambiò sulla sua stazione preferita, ma si accorse che non c'era il benché minimo segnale là dov'erano, e così al posto della musica, si sentivano solo alcune parole sconnesse e gracchiate.
- Ripensandoci,- disse il moro, grattandosi la testa imbarazzato – forse verrò con te- concluse, scendendo dall'auto seguito da Vera.
La location consisteva in un magnifico palazzo rinascimentale circondato da un immenso giardino fiorito: Vera lo adorava già.
Munitasi del suo inseparabile bloc notes e di una penna, la mora cominciò a guardarsi in giro e a figurarsi le varie decorazioni nei punti in che credeva opportuni.
Non ci mise molto: dopo un quarto d'ora si disse pienamente soddisfatta, e lo comunicò a Tom.
- Fantastico!- esclamò il ragazzo – Andiamo, allora-
I due salirono in auto e Tom partì alla volta della città.
Ogni tanto guardava nello specchietto retrovisore e scrutava con preoccupazione le grandi nubi nere cariche di pioggia che li stavano quasi rincorrendo, e premeva sempre più forte sull'acceleratore, in una disperata corsa contro il tempo.
- E' un così grande guaio se la tua bambina prende un po' d'acqua?- chiese con ironia Vera.
Tom fece per rispondere, ma fu interrotto dal rombo di un tuono che lo fece sobbalzare.
- Non dirmi che hai paura dei tuoni?- fece Vera, portandosi una mano alla bocca, pronta a scoppiare a ridere – Avanti! Non hai più 5 anni!
- Non ho dei bei ricordi legati ai fulmini- si giustificò Tom – E' una cosa del tutto normale-
Un altro rumore giunse alle loro orecchie, ma questa volta non si trattava di un tuono.
- Cos'era?- chiese Vera, voltandosi – Sei per caso andato contro qualcosa?- domandò ancora.
- No- rispose Tom – Non ho visto nulla. Sarà caduto qualcosa nel bagagliaio.
- Cosa tieni lì dentro?- chiese la mora.
Il chitarrista aprì la bocca per rispondere, ma un terzo rumore, simile al precedente, ma molto più forte, lo interruppe. Ne seguirono altri, e dopo pochi metri l'auto si fermò in mezzo alla strada.
- Tom?- fece Vera, mentre l'ansia saliva  – Che... che succede?
- C-credo...- balbettò Tom – Credo che la macchina sia rotta.






Saaaaaaaaaaaaaaaaaaalve a tutti e buona domenica!
Allora che ne pensate?
Vi ringrazio per il vostro supporto :)
A presto! :D






Edit:
Sì, ho scritto "lui e Lena"
L'ho corretto LOL :D

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Ten ***


Ten




Vera impiegò qualche secondo prima di realizzare il significato delle parole di Tom.
- Cosa?!- esclamò, quando lo fece – Cosa significa "rotta"?
- Significa che siamo fottuti- sbottò Tom.
Avrebbe voluto mettersi a piangere, e probabilmente l'avrebbe fatto se solo Vera non fosse stata accanto a lui.
- Vado a vedere qual è il problema- annunciò quindi, aprendo la portiera – Rimani qui.
- Come se potessi andare da qualche parte- borbottò Vera, a braccia conserte.
Tom non replicò e scese dall'auto, per raggiungere il cofano. Appena lo aprì, una nuvola di fumo nero lo investì, facendolo tossire convulsamente.
- Che succede?- chiese Vera, affacciandosi dal finestrino.
- Sembra più grave del previsto- rispose Tom, strizzando gli occhi a causa del fumo, per poi chiudere il cofano – Ho l'impressione che dovremo farci venire a prendere- aggiunse, ritornando in auto.
Mise una mano in tasca e ne tirò fuori il cellulare, per poi comporre velocemente il numero del fratello.
“Mi ci ha messo dentro lui,” si disse, portandosi il telefono all'orecchio “quindi sarà lui ad aiutarmi!”
Aspettò che Bill rispondesse, ma, invece del solito tu tu, sentì solo un fastidioso ronzio.
“Merda”
Chiuse la chiamata e batté un colpo rabbioso sul volante, facendo sobbalzare Vera.
- Qual è il problema?!- esclamò la ragazza, spaventata.
- Non prendono i telefoni qui- spiegò Tom, con un sospiro.
Vera sgranò gli occhi, allibita.
- E cosa pensi di fare?- chiese - Non possiamo rimanere qui per sempre!- aggiunse, mentre l'ansia saliva sempre più.
- Credimi, Vera,- fece Tom, con un sorriso sarcastico - rimanere in un posto isolato con te è l'ultima cosa che voglio, davvero- disse - Aspetteremo qui, agitarsi non serve a nulla. Prima o poi qualcuno arriverà.
- Sarebbe questa la tua grande idea?- domandò Vera, inarcando un sopracciglio - Non so se te nei accorto ma siamo fermi nel bel mezzo del nulla e...-
La sua voce fu interrotta all'improvviso dal fragore di un tuono.
Vera e Tom si lanciarono uno sguardo, per poi guardare con timore alle loro spalle: grandi nuvole nere, cariche di pioggia, procedevano senza sosta, oscurando il cielo; presto avrebbe iniziato a piovere, e il temporale li avrebbe sorpresi in pieno.
- Maledizione...- borbottò il moro, cercando di far ripartire la macchina - Tutto questo è assurdo!- esclamò poi, in un moto d'ira - Quest'auto è un gioiello! Non può rompersi come un'utilitaria qualsiasi!
- Forse l'apparenza inganna...- disse Vera, con una smorfia - Sai, la mia vecchia auto non mi ha mai lasciato a piedi- aggiunse - Beh, questo prima che tu la facessi finire contro un albero.
- Non credo che sia il momento adatto per ricordarmi quanto fosse sicura la tua auto!- replicò con durezza Tom - Quando saremo fuori da questa situazione, allora forse potremo discuterne- aggiunse.
Girò ancora una volta la chiave della macchina, che sembrò rianimarsi per qualche istante, suscitando sollievo nei due giovani.
Dopo poco, però, il rombo della vettura si ridusse ad una sorta di singhiozzo, fino a cessare del tutto.
Con un sospiro Tom si abbandonò sul sedile dell'auto, affranto.
- Siamo decisamente fottuti.



* *





Intanto


- Bill! Sono tornata!-
Madison entrò in casa, carica di borse della spesa, e chiuse la porta d'ingresso, dandole un lieve colpo con il piede.
- Bill! Vieni a darmi una mano?- chiese, trascinando con fatica le buste fino alla cucina - Bill?- fece di nuovo, non ottenendo però alcuna risposta.
La giovane lasciò le borse della spesa sul tavolo ed uscì dalla cucina, in cerca del suo ragazzo.
- Bill, sei qui?- disse, entrando in salotto, che però trovò vuoto.
Stava per voltarsi ed uscire, quando sentì dei passi pesanti sopra di sé.
- Bill!- gridò - Sei tu?-
Dal piano superiore, però, non arrivò alcuna risposta.
Piuttosto inquietata, Madison tornò in cucina, e decise di armarsi, nel caso avesse dovuto trovare “brutte sorprese
“Magari è un ladro” si disse, mentre afferrava un mattarello “o un serial killer” continuò, uscendo dalla cucina e prendendo le scale che portavano al secondo piano.
Con passi lenti e felpati e le mani saldamente strette attorno al mattarello, percorse le scale, arrivando al corridoio, e lì si mise in un angolo, in attesa di sentire qualche rumore sospetto.
Quando sentì alcuni passi, simili a quelli che aveva udito prima di salire, saltò fuori dal suo nascondiglio, ma non trovò nessuno.
“E' sicuramente un serial killer”
Fece qualche passo avanti, con aria guardinga, guardandosi ogni tanto alle spalle.
Quando arrivò davanti alla porta della sua stanza, la trovò lievemente socchiusa.
“E' qui dentro” si disse.
Spalancò la porta con uno scatto ed entrò velocemente, pensando di sorprendere il presunto criminale, ma non trovò nessuno.
O quasi.
L'anta dell'armadio era aperta, e da sotto Maddie poteva vedere spuntare due anfibi neri con le borchie.
Deglutì rumorosamente, e si avvicinò piano, con il cuore in gola dalla paura.
Quando fu ad un soffio dall'anta, questa si chiuse di colpo, e la giovane cacciò un urlo.
- Madison! Sei matta?! Perché gridi?-
Nel sentire quella voce, Madison si zittì di colpo, ed osservò la figura davanti a sé: Bill la stava osservando da tutto il suo metro e ottanta di altezza, con uno sguardo a metà tra il preoccupato e lo spaventato, mentre teneva con una mano uno dei due auricolari e con l'altra una maglia bianca.
- Bill!- disse Madison - Cosa... cosa ci fai qui?- chiese, senza fiato dalla sorpresa.
- Se non sbaglio è anche la mia stanza...- rispose il ragazzo, sempre più perplesso - Stai bene?
- Perché non mi hai risposto quando ti ho chiamato?- domandò la mora.
- Probabilmente non ti ho sentito- spiegò Bill, indicando le cuffie - Ma che ti è preso?
- Sei uno stupido!- sbottò Madison, lasciandosi cadere sul letto poco distante poco distante - Avrei potuto ucciderti, accidenti!
- Con un mattarello?- fece Bill con sarcasmo, osservando l'oggetto nelle mani della ragazza.
Lei divenne subito rossa dall'imbarazzo mentre il biondo scoppiò a ridere.
- Non è divertente- protestò Madison, incrociando le braccia.
Bill si sedette al suo fianco, continuando a ridere.
- In effetti...- disse, tornando improvvisamente serio - è esilarante!- concluse, mentre scoppiava in una nuova, fragorosa risata.
Madison roteò gli occhi e sbuffò, infastidita, poi decise di cambiare argomento.
- Tom e Vera sono tornati?
- Intendi vivi o a casa?- fece Bill.
- Entrambi.
- Non lo so, non ho ancora sentito Tom- disse il biondo - Ora lo chiamo- aggiunse poi, allungandosi per prendere il cellulare che stava sul materasso.
Digitò velocemente il numero del fratello, ed attese che lui rispose, ma al posto del solito squillo, sentì una voce metallica:
«Gentile cliente, il numero da lei chiamato non è al momento disponibile. La preghiamo di riprovare più tardi»
- Che succede? Non risponde?- chiese Madison, mentre Bill chiudeva la chiamata.
- No- rispose il ragazzo, scuotendo la testa - E' spento- spiegò - Sarà sicuramente in compagnia di chissà quale ragazza- affermò sdraiandosi sul letto, con le braccia incrociate dietro la testa.
- Beh,- obbiettò Madison, stendendosi accanto a lui - perché non gli lasci un messaggio? Così ti richiamerà.
- Innanzitutto, non lo farebbe- disse Bill, mentre accarezzava con una mano i capelli della mora - E poi, sono certo che stanno entrambi benissimo.








* *



- Odio tutto questo-
Tom sbuffò per l'ennesima volta e guardò Vera con espressione annoiata.
- L'hai già detto- fece, con tono duro - La vuoi smettere?
- Lo farei se questa diavoleria partisse!- ribatté la ragazza - Da quanto tempo non le fai fare una revisione?
- Questi non sono affari tuoi- sibilò Tom - E ora, fammi il favore di tacere una volta per tutte! Mi stai facendo venire l'emicrania, accidenti- aggiunse, massaggiandosi le tempie.
Vera sospirò, visibilmente irritata, ma non replicò e tornò a guardare fuori dal finestrino: il cielo ormai era nero e tirava un forte vento; da lì a poco avrebbe certamente iniziato a piovere.
Da quando erano lì fermi, non era passato nessuno, non un'auto, qualcuno in bicicletta o in moto.
Intorno a loro solo il silenzio, rotto dal fragore dei tuoni che ogni volta facevano sobbalzare Tom.
- Sei un vero bambino- sentenziò Vera, dopo l'ennesimo frastuono - Perché hai così paura?- chiese poi.
- Non sono cose che ti riguardano- sputò con acidità il ragazzo.
La giovane alzò gli occhi al cielo, ma non replicò, e nell'abitacolo tornò a regnare il silenzio.
Dopo poco, però, un picchiettio che si faceva sempre più insistente, li indusse a guardare fuori dai rispettivi finestrini.
- Piove- mormorò Vera - Questa non ci voleva, maledizione- aggiunse - Cosa facciamo?- chiese poi, rivolgendosi a Tom.
- A meno che tu non abbia un improvviso lampo di genio,- disse il ragazzo, scrutando dubbioso il cielo - credo ci tocchi rimanere qui-
Vera sbuffò, contrariata.
- E' inutile che sbuffi- le disse Tom - La situazione non cambierà di certo se continui a lamentarti.
- Tutto questo non sarebbe successo se la tua auto fosse così tanto sicura come appare.
- O forse staremmo tutti più tranquilli se tu la finissi con le tue chiacchiere-
Vera non riuscì a trattenere una smorfia.
- Sei davvero impossibile!- esclamò - Possibile che sei sempre così scorbutico?
- Se non ti va la mia compagnia, puoi sempre andartene- disse serafico Tom.
- Bene!- sottò Vera.
Tom alzò lo sguardo sulla ragazza e la vide aprire con uno scatto la portiera.
- Che diamine vuoi fare?- chiese, spiazzato dalla sua reazione.
Vera non rispose, e gli scoccò semplicemente un'occhiata di fuoco, per poi uscire dalla macchina, chiudendo la portiera con un colpo secco.
Tom rimase ad osservarla ad occhi sgranati, mentre lei, senza alcuna voglia di tornare indietro continuava a camminare, prendendo poi un sentiero che proseguiva nei boschi.
Ad un certo punto, si fermò, indugiando sul da farsi, ma gli bastò voltarsi ed incontrare lo sguardo di Tom per decidere di riprendere la propria strada.
Io lì...” si disse, mentre si addentrava tra gli alberi “...non ci torno”










* *





- Buona serata, Lawrence!-
Lawrence alzò la testa dai foglio che stava compilando e salutò con un cenno del capo la giovane wedding planner che stava sulla soglia.
Una volta rimasto di nuovo solo, lanciò uno sguardo preoccupato al suo orologio da polso: era piuttosto tardi e Vera non si era ancora fatta sentire.
Normalmente non si sarebbe preoccupato così tanto, ma aveva una pessima sensazione che gli ronzava in testa, e non riusciva a tranquillizzarsi.
Prese quindi il telefono che stava sulla sua scrivania, compose il numero dell'amica e rimase in attesa che lei rispondesse, pronto a farle una sfuriata per averlo fatto preoccupare.
Al posto della voce della mora, però, Lawrence sentì quella metallica dell'operatore telefonico di Vera che gli comunicava che il cellulare della giovane risultava spento.
Con un sospiro, il ragazzo mise la cornetta del telefono al suo posto e ritornò a guardare l'orologio: sì, era decisamente tardi.
Troppo tardi, forse.
Forse Madison e Bill ne sanno qualcosa” si disse, cominciando a cercare tra i fogli sul tavolo il post-it dove aveva segnato il numero di Madison.
- Eccolo!- esclamò quando lo trovò.
Riprese il telefono e digitò il numero che aveva trovato, premendo velocemente i tasti.
- Pronto?- rispose una voce femminile poco dopo.
- Pronto, Madison?- disse il biondo - Sono Lawrence.








* *





- Appena abbiamo notizie, ti chiameremo, Lawrence.
- Grazie, Madison. Buona serata-
Lawrence chiuse la chiamata, e sospirò, deluso: nemmeno Bill e Madison avevano notizie di Vera; anzi, non avevano notizie nemmeno di Tom.
Cominciò a raccogliere le sue cose, preparandosi per andare a casa, mentre nella sua testa continuava a fare supposizione sul dove potesse essere la sua amica.
In un'altra occasione, probabilmente, avrebbe pensato che finalmente lei e Tom avevano dichiarato la loro reciproca attrazione, ma in quel momento delle strane sensazioni poco positive avevano fatto capolino nella sua testa.
Dove diamine sei, Vera?”





* *






Ormai Vera era via da un paio d'ore.
Tom si sporse per vedere meglio il cielo, che stava diventando sempre più buio e minaccioso, mentre la pioggia non accennava a diminuire.
Sospirò e si sistemò meglio sul sedile, mentre dentro lui la preoccupazione stava salendo.
“Tornerà sicuramente” pensò, cercando di tranquillizzarsi “Non è così stupida da rimanere in giro per i boschi di notte”
D'un tratto, un tremendo fragore lo fece trasalire, e l'ansia s'impossessò nuovamente di lui.
“Non essere sciocco, Tom” si disse “E poi, le sta bene” continuò “E' stata lei a voler andare via”
Un nuovo tuono, l'ennesimo, squarciò il silenzio in cui era immerso, e il rombo sembrò quasi scuotere la vettura.
Il moro rimase fermo nella sua posizione per qualche istante, poi voltò lo sguardo verso il finestrino del lato del passeggero, guardando oltre il vetro, quasi come se si aspettasse di vedere la figura di Vera comparire da un momento all'altro.
Si diede mentalmente dello stupido e tornò a guardare dritto davanti a sé, nell'attesa che qualcuno passasse per quella strada.
Dopo poco, però, si ritrovò a guardare di nuovo quel sentiero che Vera aveva imboccato prima di scomparire dietro agli alberi, lasciandolo solo.
Sospirò una seconda volta, e capì che non aveva alternative.
Se e quando torno,” si disse, mentre scendeva e chiudeva l'auto “dovrò dire due paroline a Bill”











Salute a voi, miei cari Lettori!
Allora, come vi è parso questo capitolo?
Aspetto le vostre recensione!
Un grazie di cuore a chi segue/preferisce/ricorda/recensisce e anche a chi legge solamente!
A presto!
Heilig__

Ps: normalmente non mi faccio pubblicità in questo modo barbaro, ma se avete Twitter e volete seguirmi, vi lascio il mio nick: @yousayiamfixed

Un bacio!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Eleven ***


Eleven


- Maledizione!-
Vera si scostò una ciocca bagnata dal viso e riprese a camminare, stringendosi nei suoi abiti, ormai fradici e appiccicati al suo corpo quasi come una seconda pelle.
Aveva perso il conto delle ore che aveva passato a girare a vuoto in quel bosco.
Tutti gli alberi le sembravano uguali e la pioggia non l'aiutava di certo.
Non si era prefissata una meta, voleva solo uscire da quel groviglio di rami e cespugli al più presto.
Aveva anche pensato di tornare indietro sui suoi passi, ma poi lo sguardo strafottente di Tom e il suo sorriso di scherno apparivano davanti ai suoi occhi, facendola scuotere energicamente la testa e cambiare idea.
Come se non bastasse, inoltre, il suo telefono non voleva saperne di permetterle di fare una misera chiamata.
- Tutto questo è colpa di Tom- borbottò a denti stretti la mora, scostando i capelli dal volto una seconda volta – Se solo fosse stato più responsabile...-
Il suo borbottio si interruppe subito quando sentì un fruscio alla sua sinistra.
Si volto di scatto, e cercò di capire cosa avesse causato quel rumore, ma il buio e la pioggia non le permettevano di aver una visuale adatta.
Scosse la testa e fece per riprendere a camminare ma un secondo rumore, simile al precedente, la fece fermare di nuovo.
Si guardò intorno, timorosa, temendo di essere in pericolo.
- C'è qualcuno?- chiese, con voce tremante – C'è qualcuno?- ripeté a voce più alta-
Dopo qualche istante, sentì un nuovo fruscio e poco dopo vide una piccola figura uscire da un cespuglio, fermandosi a pochi centimetri dai suoi piedi.
Vera abbassò lo sguardo, e tirò un sospiro di sollievo: era solo uno scoiattolo.
L'animale la guardò per qualche istante, quasi con perplessità, per poi sparire dalla sua vista con uno scatto, scomparendo dietro ai cespugli.
Vera sospirò di nuovo e riprese a camminare, con passo incerto.
Non aveva idea di dove stesse andando, sperava solo di riuscire a trovare un posto dove rifugiarsi almeno per quella notte.
Un agriturismo, magari.
La mora s'infilò una mano in tasca e ne tirò fuori alcune banconote, e subito si lasciò sfuggire una sorta di lamento: ormai i soldi erano fradici, e nessuno li avrebbe accettati.
Avrebbe dovuto trovare un'altra soluzione.
Continuò a camminare, guardandosi alle spalle di tanto in tanto.
“Un momento...” si disse, scorgendo dietro agli alberi la figura di un edificio familiare.
“La chiesa!”
La ragazza iniziò a correre, nonostante i vestiti fradici le rendessero difficili i movimenti.
Qualche minuto dopo si ritrovò, finalmente, fuori dal bosco, davanti alla chiesa che aveva visitato con Tom quel pomeriggio.
Con ancora il fiatone per la corsa, si avvicinò a passo affrettato all'edificio, e fece il giro intorno ad esso, cercando una finestra da cui s'intravedesse una qualche luce, ma la chiesa era completamente al buio, segno che non c'era nessuno.
Sconsolata, si avviò verso il portico, e si sedette sui gradini, portando le ginocchia al petto e tenendosi al caldo come meglio poteva.
Poggiò la testa su un pilastro affianco a lei, e chiuse gli occhi, mentre un lancinante dolore si faceva spazio nella sua testa.
“Fantastico, ci mancava solo l'emicrania” pensò, con una smorfia “Accidenti a te, Tom Kaulitz”


* *




Intanto

- Accidenti a te, Vera Cooper!-
Lawrence sbatté con violenza il suo telefonino sul tavolo, dopo aver chiuso la telefonata con Marcy.
Nemmeno la sorella della ragazza aveva notizie di Vera, perciò il biondo era punto e a capo.
Si prese il viso tra le mani, quasi in presa alla disperazione: era follemente preoccupato, ma non riusciva a capirne il motivo.
Non era la prima volta che Vera non rispondeva al telefono, ma quella sera c'era qualcosa nella sua testa che gli suggeriva che qualcosa non andava.
Aveva pensato più volte di avvertire la polizia, ma probabilmente gli agenti gli avrebbero riso in faccia, dato che non aveva prove certe che la sua amica fosse davvero scomparsa.
A quella parola, Lawrence rabbrividì: scomparsa.
Scosse il capo con veemenza: non doveva lasciarsi spaventare da stupide suggestioni.
Si alzò dal tavolo ed andò nella sua stanza, dove si spogliò in fretta e furia, per poi indossare il pigiama. Quando si fu vestito si buttò a peso morto sul letto, per poi girarsi su un fianco.
Sentiva le palpebre farsi sempre più pesanti: tutta quella preoccupazione l'aveva fatto stancare.
Aveva decisamente bisogno di una sana dormita, o sarebbe uscito di senno.
Si sistemo meglio sul materasso, mettendosi in una posizione quasi fetale.
“Spero che quando mi sveglierò,” pensò, mentre si abbandonava al sonno “Vera sia tornata a casa sana e salva”





* *






- Bill, stai bene?-
Bill alzò lentamente lo sguardo su Madison che lo guardava preoccupata.
- Hai detto qualcosa?- fece, passandosi stancamente una mano sul viso.
- Sei in pensiero per Tom?- chiese la mora, sedendosi accanto a lui sul divano.
- Io...- iniziò a dire Bill - Insomma, è tardi!- esclamò, quasi come a giustificare la sua apprensione.
- Non risponde ancora?- domandò Madison, lanciando un'occhiata al cellulare del biondo, posato sul tavolino di fronte a loro.
Bill scosse la testa, con sguardo corrucciato.
- Mi chiedo cosa sia successo.
- Oh, avanti!- fece Madison - Sono sicura che non è successo nulla. L'hai detto tu stesso questo pomeriggio- disse – Sono certa che sarà a divertirsi in qualche locale. Non preoccuparti.
- Sì, ma...- disse Bill - Ho una brutta sensazione.
Tra i due scese il silenzio, interrotto solo dal rumore della pioggia battente, che fuori continuava a cadere senza sosta.
- Credi che si siano uccisi a vicenda?- chiese all'improvviso Madison.
Bill la guardò con un sopracciglio alzato, per poi ridacchiare sommessamente.
- In effetti non avevo preso in considerazione quest'ipotesi- affermò, con un sorriso beffardo.
- Non capisco perché quei due siano così ottusi- disse poi Madison dopo qualche istante di silenzio.
- Vorrei tanto saperlo anche io- rispose Bill.
D'un tratto, il rombo di un tuono fece voltare entrambi verso la finestra, quasi spaventati.
- Non ho mai visto un temporale del genere qui a Los Angeles- commentò Madison, con una smorfia, osservando le gocce d'acqua che battevano sul vetro.
- A questo punto,- fece Bill dopo poco - spero che Tom sia davvero in qualche locale ad ubriacarsi.
- Perché?- chiese Madison, voltandosi verso il biondo, con sguardo confuso.
- Beh,- rispose il ragazzo, abbozzando un lieve sorriso – Tom ha il terrore dei temporali.






* *



- Stupida mocciosa-
Tom si strinse nella sua felpa, ormai fradicia, come il resto dei suoi indumenti, dopotutto.
Mentre continuava a camminare, si chiedeva dove potesse essersi cacciata Vera.
“Non dovrei nemmeno essere qui” si disse, affondando maldestramente un piede in una pozzanghera fangosa “Sarei dovuto rimanere in auto” pensò, guardandosi il piede con aria schifata, per poi riprendere a camminare “Ma ora è troppo tardi” concluse, con una scrollata di spalle.
Sentiva di girare a vuoto e di non stare proseguendo realmente.
In poche parole, si era perso.
“Ma quest'albero... E' quello di prima!” si disse, osservano il tronco di una quercia a lui familiare e dannatamente uguale a tutti gli altri.
“Appena la trovo, mi sentirà, quella stupida!” pensò, mentre proseguiva.
Si sentiva stanco e i vestiti bagnati completamente incollati alla su pelle non facilitavano di certo il movimento, e ciò lo innervosiva ancora di più, se possibile.
Inoltre la pioggia, accompagnata da tuoni che lo facevano sobbalzare ad ogni passo, non accennava a diminuire.
- Accidenti- borbottò, dopo che l'ennesimo fragore l'aveva fatto trasalire.
Riprese a camminare con passo veloce, per quello che i suoi indumenti potessero permettergli, sempre più irritato.
Non sarebbe dovuto essere lì, sotto la pioggia, con un piede infangato e completamente sperduto in un bosco fuori dal mondo.
Sarebbe dovuto essere a casa, nel suo letto, tra le braccia di Morfeo.
O di qualche ragazza.
Scosse la testa, e proseguì, cercando di non continuare a girare a vuoto.
D'un tratto, dopo una decina di minuti, scorse dietro alle fronde degli alberi un'enorme sagoma scura che si stagliava nel cielo.
Mentre cercava di capire di cosa si trattasse, un lampo illuminò per un istante l'ombra, mostrando la chiesa che il moro aveva visitato quel pomeriggio.
Senza quasi accorgersene, allungò il passo e in men che non si dica si trovò fuori dal bosco.
Si avvicinò alla chiesa, ma ben presto comprese che non c'era nessuno.
O quasi.
Uno starnuto, seguito da un colpo di tosse, lo fecero sobbalzare, portandolo a guardare il portico, poco distante da lui.
- Ehi?- fece, avvicinandosi, con incertezza – C'è qualcuno?-
Subito vide una figura alzarsi di scatto.
- Tom?!
- Vera?-
La figura ritornò a sedersi e il giovane si avvicinò ai gradini, scoprendo che si trattava di Vera.
- Finalmente ti ho trovata!- esclamò, lasciandosi andare accanto alla mora.
- Perché? Mi stavi cercando forse?- fece Vera, accigliata.
- Sai, ho già un'auto sulla coscienza, non volevo avere anche una spocchiosa wedding planner- replicò Tom – Lasciatelo dire, sei un'irresponsabile. Cosa credevi di fare?
- Qui l'unico irresponsabile tra i due sei tu, Tom- sbottò Vera – Se solo la tua auto fosse stata più affidabile...
- Senti, basta, non ho voglia di litigare con te- la interruppe bruscamente Tom, massaggiandosi le tempie con aria sofferente.
Vera sbuffò e distolse lo sguardo, osservando le gocce di pioggia che cadevano incessantemente sul terreno del cortile della chiesa.
Un improvviso frastuono la fece trasalire, e al suo fianco Tom imprecò.
- Vaffanculo- borbottò il ragazzo, quando tornò il silenzio.
Vera gli diede un'occhiata e vide che teneva gli occhi chiusi e i pugni stretti, quasi a farsi coraggio.
D'un tratto il chitarrista aprì gli occhi, e Vera arrossì, distogliendo di nuovo lo sguardo, imbarazzata di essere stata sorpresa ad osservarlo.
- E' stato uno scherzo dei miei compagni- disse Tom tutto d'un fiato.
Vera si voltò a guardarlo, con un sopracciglio alzato, confusa.
- Avevo circa sei o sette anni. Eravamo al campeggio- riprese a dire Tom – Ci eravamo spartiti i compiti e io dovevo andare a prendere la legna con un paio di amici. Loro mi dissero di prendere un sentiero diverso da quello prefissato perché avrei trovato più legna e mi assicurarono che mi avrebbero raggiunto dopo poco, ma in realtà tornarono al campo. Una ventina di minuti dopo capii che mi avevano preso in giro e tentai di tornare indietro, ma mi ero perso. Allora mi sedetti su una roccia, in attesa che qualcuno venisse a prendermi. Dopo poco, però, scoppiò un temporale, più o meno come questo-
Tom additò la violenta pioggia che si stava abbattendo su tutto ciò che li circondava, per poi riprendere il discorso – Con tanto di lampi e fulmini. Non ho mai visto nulla del genere- affermò – Inutile dire che la cosa mi traumatizzò, e non poco. Grazie a Dio, Bill avvertì la maestra che non ero ancora tornato e mi vennero a cercare. Ecco perché ho paura dei tuoni- concluse poi - Fine della storia- sospirò infine.
Vera era rimasta a bocca aperta dalla disarmante sincerità del giovane: gli aveva raccontato una sorta di segreto, che probabilmente in pochi conoscevano, senza alcun problema, senza vergogna, anzi con una strana spontaneità che, dal canto suo, nemmeno Tom sapeva da dove fosse arrivata.
- Oh...- riuscì a dire solamente la wedding planner – Non dev'essere stato bello.
- No, infatti- rise Tom.
Vera abbozzò un sorriso, stringendo ancora di più le ginocchia al petto.
Voltò timidamente lo sguardo verso Tom e lo osservò, attenta a non farsi vedere una seconda volta.
Dopotutto, se non si consideravano diversi aspetti, quali la sfacciataggine e l'arroganza, il giovane poteva anche sembrare simpatico.
La mora passo in rassegna ogni particolare del suo volto, decretando infine che, sì, Tom era decisamente un bel ragazzo.
Peccato che la sua bella presenza passasse completamente in secondo piano appena apriva bocca.
- Puoi appoggiarti se vuoi. Non ti mangio-
Quell'affermazione, così improvvisa, fece trasalire Vera.
- Come, scusa?- chiese, affrettandosi a spostare lo sguardo.
- Ho detto che puoi appoggiarti- ripeté Tom, battendosi una mano sulla spalla – Almeno puoi dormire su qualcosa di morbido-
Vera guardò con incertezza la spalla del ragazzo, mentre una voce nella sua testa tentava di fermarla da ciò che stava per fare: “Stupida! Non farlo! Ti ucciderà nel sonno, lo sai!
La voglia di appisolarsi per qualche ora, però, stava prendendo il sopravvento, così, sebbene con qualche timore, Vera si avvicinò al giovane, e poggiò la testa sulla spalla, come lui l'aveva invitata a fare. Si sentiva stranamente al sicuro in quella posizione.
- A che ora credi arriverà il parroco?- chiese, quasi in un sussurro.
- Non saprei- disse Tom – Spero presto- aggiunse poi.
Dopo una decina di minuti, il moro sentì la testa di Vera farsi più pesante.
- Vera?- fece.
Si voltò verso di lei, ma subito si accorse che si era addormentata.
Nel vederla, si lasciò sfuggire un lieve sorriso, di cui nemmeno lui seppe dare un motivo o un significato.
Sospirò, e posò la sua testa sua quella della ragazza, e le circondò le spalle con un braccio, addormentandosi anche lui poco dopo.



* *






La mattina


- Oh, signore santo! Cos'è successo qui? Ragazzi? Ragazzi, state bene?-
Tom sentì una mano scuotergli il braccio con insistenza e aprì lentamente gli occhi, e quando li ebbe aperti per poco non gridò dallo spavento.
- Parroco Evans!- esclamò – Cosa... cosa ci fa qui?
- Sono io che dovrei farvi questa domanda- replicò l'uomo – Cos'è successo? State bene? Avete passato qui la notte?- fece poi, senza quasi prendere fiato tra una domanda e l'altra.
- Sì, abbiamo dormito qui- rispose Tom, completamente indolenzito per la posizione scomoda in cui si era addormentato. Voltò lo sguardo e vide che Vera non accennava a svegliarsi.
Sfiorò il suo volto con la mano, ma la ritrasse quasi subito.
- E' bollente!- esclamò.
Il parroco si piegò e posò una mano sulla fronte della giovane.
- Ha la febbre- sentenziò – Vieni, portiamola dentro-
Tom si alzò e sollevò Vera dai gradini, tenendola stretta a sé, per poi raggiungere il parroco che stava aprendo il portone della chiesa.
L'uomo si scostò, facendo segno al giovane di entrare, e Tom varcò la soglia per poi far stendere Vera su una panca poco distante.
La mora aveva preso ad ansimare e a sudare, in preda alla febbre, e Tom sgranò gli occhi, spaventato.
- Parroco, crede che sia grave?- chiese, quasi tremante.
Il parroco lo affiancò ed osservò Vera.
- Non sono un dottore, ma credo che la tua ragazza si sia presa un bel raffreddore in piena regola-
Tom annuì distrattamente, poi si voltò di scatto verso l'uomo.
- La mia ragazza?- fece stranito – No, Vera non è la mia ragazza!- disse, alzando inspiegabilmente il tono di voce.
- Certo, certo- rispose il parroco – Chiunque sia, ha bisogno di cure-
Tom ritornò ad osservare Vera, che aveva preso a borbottare qualcosa d'incomprensibile.
- Ha un telefono?- chiese poi – Un telefono che prenda- precisò poi.
Il parroco annuì, e indicò a Tom una porta poco distante da loro.
- Là dentro ce n'è uno- spiegò.
Tom si allontanò velocemente e, dopo essere giunto davanti alla porta, l'aprì ed entrò nella stanza, un piccolo spazio adibito probabilmente a studio, dove si trovava una piccola scrivania, sul quale trovò il telefono.
Si avvicinò al tavolo e afferrò la cornetta, per poi comporre velocemente il numero di Bill.
“E' presto” si disse, portandosi il telefono all'orecchio “ma non ho intenzione di rimanere qui per sempre”
- Tom?
- Bill! Ho un probl...
- Sei un idiota!
- Ma Bill...
- Spero per te che tu non sia ubriaco fradicio e che non mi stia per chiedere di venirti a raccarti in chissà quale sudicio locale, perché, davvero, Tom- sbottò Bill, senza lasciare parlare il fratello – giuro che ti mollo lì. Te lo meriti, davvero.









Ma buona domenica, carissimi e carissime!
Vi chiedo scusa per questi giorni di silenzio, ma tra Ramadan e il caldo il mio cervellino (già minuscolo) si è definitivamente squagliato.
Coooooooooomunque, cosa ve ne pare di questo capitolo pseudo-romantico? :'3 LOL
Ditemelo nelle recensioni :)
Prima di salutarvi però, vorrei dire solo una cosa:
non so quanti di voi seguissero Stranger In Moscow, ma, come ho annunciato nella mia biografia sulla mia pagina d'autore, l'ho eliminata :(
Non starò qui a riempirvi le scatole con i vari motivi che mi hanno spinto a farlo, sappiate comunque che la riposterò più avanti!
Grazie comunque a chi ha letto i primi capitoli, e ovviamente a chi mi segue anche qui! :)
Ormai siamo a metà strada, ragazzuoli!
Se volete contattarmi, per chiedermi qualunque cosa o anche solo per fare amicizia, vi lascio il mio Facebook e il mio Twitter

See You “SOON” (LOL)
Heilig__






Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Twelve ***


A Vale
Grazie perché mi sopporti sempre, cognata
Ti voglio bene
(Addio. Pft)





Twelve







Madison fu svegliata dal rumore secco delle ante dell'armadio che si aprivano e chiudevano, accompagnate da incomprensibili borbottii.
- Bill?- fece con voce impastata, mentre apriva lentamente le palpebre - Che stai facendo?- chiese, strofinandosi un occhio.
- Ha chiamato Tom- spiegò sbrigativo il biondo, mentre indossava una felpa bianca - La macchina l'ha lasciato a piedi- aggiunse, sedendosi sul letto per mettersi le scarpe - Vado a prenderlo.
- E Vera?- domandò Madison, ormai del tutto sveglia.
- E' con lui- rispose Bill - Si è buscata l'influenza- disse poi - Una brutta influenza, a quanto pare- aggiunse con sguardo cupo - Passo da Lawrence e poi vado alla chiesa.
- Ti conviene muoverti, allora- disse Madison, lanciando un'occhiata alla sveglia sul suo comodino - Tra poco inizia l'ora di punta.
- Sì hai ragione- fece Bill - Beh, io vado- annunciò poi, sporgendosi per lasciare un bacio sulla guancia della ragazza.
Senza aspettare che lei rispondesse, uscì in fretta e furia dalla stanza, catapultandosi al pian terreno, per poi uscire dall'appartamento e raggiungere l'auto che aveva parcheggiato di fronte al cancello la sera prima.
Spero solo” si disse, mentre si allacciava la cintura, per poi far partire la vettura “che Lawrence sia in ufficio”







* *





Quando Bill si fiondò all'interno della WedDreams con fare trafelato, una ventina di paia di occhi si voltarono verso di lui, scrutandolo, dubbiosi.
Raggiunse a grandi falcate la prima scrivania che trovò, dove stava seduta una giovane ragazzi dai capelli a caschetto biondissimi e un paio di grandi occhi scuri.
- Buongiorno, signore- lo salutò con perplessità la giovane - Posso esserle utile?
- Devo vedere Lawrence- disse tutto d'un fiato il biondo - Lawrence Williams.
- Lei è il suo ragazzo?-
Bill sgranò gli occhi e rimase a bocca aperta per alcuni interminabili istanti: perché in quell'agenzia tutti pensavano che lui fosse gay?
- No- rispose, a denti stretti - Devo vederlo- ripeté - Può portarmi da lui?- aggiunse, con gentilezza.
- Ha un appuntamento?- chiese, sempre con diffidenza la giovane.
- No, non ho un appuntamento- disse Bill, inarcando un sopracciglio.
- Mi dispiace- rispose la ragazza, scuotendo la testa - Niente appuntamento, niente Lawrence.
- E' urgente- sibilò Bill, mentre sentiva che il suo livello di sopportazione stava per essere pericolosamente raggiunto.
- Vorrei poterla aiutare, ma non mi è consentito- disse la giovane - Torni un altro giorno- aggiunse poi, tornando al suo lavoro.
- Senta, mi ascolti bene- sbottò Bill, avvicinandosi al suo viso - non so chi si creda di essere, ma sappia che io sono Bill Kaulitz,- fece indicandosi - e mio fratello è bloccato con una vostra collega in un posto dimenticato da Dio, senza macchina e senza possibilità di tornare a casa, perciò ora lei mi farà parlare con Lawrence senza se e senza ma- continuò gesticolando furiosamente.
Si allontanò un poco dal viso della giovane e la osservò con una smorfia dipinta sul volto, a braccia conserte.
La ragazza rimase interdetta, ma subito ritornò alle sue posizioni.
- Mi dispiace, ma le regole sono le regole- sentenziò – E ora, mi faccia il favore di andarsene, o sarò costretta a...-
- Bill?- disse però all'improvviso una voce maschile alle sue spalle.
Il biondo alzò la testa e incontrò lo sguardo preoccupato di Lawrence che lo osservava da dietro la giovane impiegata.
- Sei tu Lawrence?- chiese.
Il ragazzo annuì lievemente, avvicinandosi alla scrivania.
- E' tutto ok- disse alla ragazza, per poi riprendere a guardare Bill - Hai notizie di Vera?- chiese, con evidente preoccupazione nella voce.
Bill si limitò ad annuire, con espressione seria in volto.
- Dobbiamo andare alla chiesa- disse – Ora.
- Ma... io...- obbiettò Lawrence, grattandosi il capo.
- Muoviamoci!- esclamò Bill, afferrandolo malamente per un braccio, per poi trascinarlo con forza verso la porta.
- Bill!- esclamò Lawrence – Non posso lasciare così l'ufficio, accidenti! Devo avvertire i ragazzi-
Il cantante, però, sembrava non curarsi delle sue parole, e continuò a trascinarselo dietro fino all'esterno dell'edificio, arrivando davanti alla sua auto, parcheggiata in malo modo accanto al marciapiede
- Devo prenderti in braccio o sali in auto da solo?- chiese, con sarcasmo, mollando di colpo la presa sul polso di Lawrence.
Il biondo non rispose, ed aprì la portiera, scuotendo la testa, mentre Bill si dirigeva al posto di guida, per poi mettere in moto.
- Scusa per il modo in cui sono entrato nell'agenzia- si scusò subito quest'ultimo, stringendosi nelle spalle.
- Non fa nulla- fece Lawrence – Comunque, piacere di conoscerti. Io sono Lawrence-
Il biondo tese la mano al cantante, che l'afferrò e la strinse, per poi riportare la propria sul volante.
- Il piacere è tutto mio- disse, sorridendo - Tutte le tue impiegate hanno un bel caratterino- scherzò poi, dopo qualche minuto di silenzio – Prima Vera, ora questa. Sai che ha pensato che fossi il tuo ragazzo?
- Oh, non preoccuparti di Steffi- disse Lawrence, facendo un gesto di noncuranza con la mano – A volte è scontrosa, ma sai, can che abbaia non morde- aggiunse – Vera invece morde, e molto- fece, per poi ritornare subito serio – Allora,- disse - Cos'è successo?
- Mettiti comodo, amico: non crederai alle tue orecchie.







* *



Tom continuava a guardare con insistenza ed impazienza l'ora sul display del suo cellulare, lanciando, tra un controllo e l'altro, delle occhiate preoccupate a Vera, che sembrava non migliorare molto.
Aveva smesso di agitarsi, ma sembrava che la febbre non fosse scesa, e il moro aveva deciso che se suo fratello non fosse arrivato entro poco, avrebbe chiamato l'ambulanza.
Una parte della sua testa si chiedeva perché fosse così tanto preoccupato della sorte di quella ragazza: in fondo, lo aveva deriso e schiaffeggiato di fronte a tutti.
E poi tutto quello non era certo accaduto a causa sua.
Non era stata forse Vera a voler scendere dall'auto?
Non era stata forse lei ad addentarsi in quel maledetto bosco, nonostante diluviasse?
E allora perché se ne stava seduto su una panca di legno, in una chiesa avvolta dal silenzio, divorato dai sensi di colpa, quando lui, di colpa, non ne aveva?
Al diavolo!” si disse, rabbioso.
Dopo aver controllato per l'ennesima volta l'ora, il giovane alzò lo sguardo e davanti a sé vide la statua della Vergine Maria.
Rimase ad osservarla per qualche istante, poi sul suo viso si dipinse una smorfia.
- E' inutile che mi guardi così- borbottò – La colpa non è mia- aggiunse poi, in un sussurro.
Dopo poco, distolse lo sguardo, dandosi dell'idiota.
Sto diventando pazzo” si disse “ Adesso mi metto a parlare con le statue” pensò ancora, passandosi una mano sul volto, solcato da profonde occhiaie.
Il tempo, intanto, passava, ma di Bill nemmeno l'ombra.
Prima di chiudersi nel suo piccolo studio, il parroco gli aveva annunciato che quel giorno avrebbe dovuto battezzare alcuni bambini, e ciò significava che né lui né Vera sarebbero potuti rimanere lì a lungo.
Intanto, la giovane, sempre sdraiata sulla panca, accanto a Tom, aveva vagamente ripreso un colorito naturale, che andava a sostituire il rosso fuoco che aveva dipinto fino a quel momento le sue gote.
Tom tirò un leggero sospiro di sollievo, per voltarsi e guardare il portone del edificio, implorando mentalmente che suo fratello apparisse da un momento all'altro e lo aiutasse.
Dopotutto, la colpa era solo sua.
Sconsolato nel non vedere il portone aprirsi, il moro tornò a guardare di fronte a sé, non senza aver prima controllato l'ora: si stava facendo dannatamente tardi e stava seriamente prendendo in considerazione l'idea di portare Vera all'ospedale a piedi.
Guardò la ragazza e non poté non notare la smorfia che era apparsa sul suo volto rendendolo imbronciato, ma assolutamente adorabile.
Un momento!” si disse il moro, sgranando gli occhi “Adorabile? Ho appena pensato a Vera come adorabile?”
Scosse la testa con veemenza, cercando di scacciare quel pensiero dalla testa e riprese a guardare dinanzi a sé, dove si estendeva la lunga navata centrale della chiesa, terminante con il bellissimo altare pregiato di epoca gotica.
Tom chiuse gli occhi e si figurò un Bill in giacca e cravatta ad aspettare con impazienza l'arrivo di Madison, nel suo bellissimo abito bianco, accompagnata dal padre, mentre tutti gli invitati, lui compreso, attendevano trepidanti l'inizio della cerimonia.
Ormai mancava poco, e più la data si avvicinava, più Tom sentiva che quella storia aveva quasi dell'assurdo: Bill Kaulitz, il perennemente single, il 'hopeless romantic' come avevano detto alcune riviste qualche anno prima, stava per sposarsi.
Quasi non riusciva a crederci.
Il suo flusso di pensieri fu interrotto da un colpo alla porta, seguito da un altro, e poi un altro ancora.
Si guardò in giro, aspettando che il parroco uscisse dal suo studio per andare ad aprire, ma l'uomo non sembrava averne la minima intenzione.
Quindi si alzò e raggiunse il portone, per poi aprirlo, con estrema cautela, temendo che potesse essere qualche sconosciuto a cui avrebbe dovuto dare poi delle spiegazioni.
Quando però, una volta aver aperto, davanti ai suoi occhi apparvero suo fratello e Lawrence, non poté trattenere un sospiro di sollievo.
- Non potete immaginare quanto sia felice di vederti, Bill- disse, mentre sentiva che parte delle sue preoccupazioni si dissolvevano – E sono felice di vedere anche te, amico, chiunque tu sia- aggiunse poi, con un sorriso, guardando Lawrence
- Dov'è Vera?- chiese serio quest'ultimo, senza troppi convenevoli.
Leggermente interdetto, Tom additò la panca su cui Vera era sdraiata, e subito Lawrence la raggiunse.
- Cooper!- esclamò, accovacciandosi dinanzi a lei – Ehi- fece, con tono più dolce, avvicinandosi al suo viso – Ehi, Cooper, mi senti?-
Vera aprì lentamente gli occhi, per poi richiuderli subito, piegata dal mal di testa che sembrava divorarla dall'interno.
- Lawrence?- fece, con una voce che tradiva una certa stanchezza.
Con fatica, si mise seduta e Lawrence l'affiancò.
- Lawrence,- disse con voce tremante, tra un colpo di tosse e l'altro - promettimi che questa sarà l'ultima volte che mi appioppi il matrimonio di una star-
Lawrence non riuscì a trattenere una risata, e l'abbracciò con forza, mentre alle loro spalle Bill e Tom osservavano la scena.
Nel vedere i due amici abbracciarsi, però, il chitarrista sentì dentro di sé una sorta d'irritazione montargli in corpo, senza un motivo ben preciso, e quasi senza accorgersene, aveva stretto i pugni e serrato la mandibola.
- Tranquillo,- gli sussurrò Bill ad un orecchio – lui è gay-
Tom si voltò esterrefatto, giusto in tempo per vedere il fratello ridacchiare sotto i baffi.
- Cosa vuoi che me ne importi- sbuffò il moro, tentando di nascondere l'imbarazzo.
Qualche istante dopo, la porta dello studio del parroco Evans, e quest'ultimo ne uscì, restando sorpreso di trovare più gente di quanta ce n'era prima.
L'uomo si avvicinò ai quattro, e subito si presentò.
- Buongiorno- disse, stringendo la mano prima a Bill e poi a Lawrence – Io sono il parroco Evans.
- Piacere di conoscerla, parroco- disse Bill, con un sorriso – Io sono Bill. Sono lo sposo.
- Oh!- fece il parroco – Beh, felice di conoscerti Bill e auguri per le tue nozze-
Dopo che anche Lawrence si fu presentato, Bill decise che era meglio andare.
- Non voglio trovare traffico- spiegò.
- Bene!- fece Tom, sollevato di poter definitivamente lasciare quel posto – Parroco Evans, la ringrazio per quello che ha fatto per noi- disse poi, stringendo la mano all'uomo.
- Si figuri, è stato un piacere aiutarvi- disse sorridente il parroco – Ora sarà meglio che ritorni dentro. Devo cominciare a prepararmi-
Con un cenno del capo l'uomo salutò definitivamente i quattro, per poi voltarsi e tornare nel suo studio.
Lawrence si alzò dalla panca ed aiutò Vera a fare altrettanto, sostenendola per i fianchi.
- Bene, ora che siamo pronti- disse Bill – Possiamo anche andare-
I ragazzi uscirono dalla chiesa e fecero per raggiungere l'auto, parcheggiata poco distante, ma all'improvviso, una sorta di lamento giunse alle loro orecchie.
Bill e Tom, che precedevano Vera e Lawrence, si voltarono di scatto, e videro il biondo sorreggere con fatica l'amica, che sembrava avere avuto una brutta ricaduta.
- Ragazzi,- fece Lawrence, con voce grave – dobbiamo portarla al pronto soccorso.

















* *




- Quanto credete ci vorrà ancora?-
Tom trattenne a fatica un sonoro sbuffo, ed si costrinse ad evitare di lanciare a Lawrence un'occhiataccia: era in ansia per Vera, ed era evidente, ma così non stava rendendo le cose più facili, anzi.
Inoltre, si stava preoccupando anche lui.
Era a dir poco inspiegabile, anzi, non aveva alcun senso, ma, in un modo o nell'altro, anche lui era in apprensione per la ragazza.
Appena saliti in macchina, Bill aveva premuto così forte l'acceleratore che Tom pensava si fosse fuso per la troppa foga.
Si erano fiondati nel primo ospedale che avevano trovato sulla via del ritorno e avevano lasciato Vera nelle mani di alcuni uomini in camice bianco che avevano caricato la giovane su una barella e si erano chiusi con lei in una stanza piena di macchinari.
Tom non aveva mai amato gli ospedali: avevano un perenne odore di disinfettante che gli pizzicava il naso, e, per di più, i muri erano sempre dipinti di un rivoltante color verdognolo o giallino, che il ragazzo odiava.
Dunque non si poteva certo dire che stesse sprizzando gioia da tutti i pori mentre stava seduto tra un Bill annoiato che sfogliava rumorosamente una rivista e un Lawrence, al contrario, in preda all'agitazione più totale in una sala d'attesa completamente deserta, con medici e infermieri che passavano davanti a loro senza degnarli nemmeno di uno sguardo.
Si sentiva quasi spaesato.
Poggiò la testa sul muro, e decise di farsi una sana dormita, giusto per non dover più sentire le chiacchiere di Lawrence che sembrava sempre più ansioso ogni secondo che passava.
Chiuse gli occhi, e sentì l'ambiente intorno a sé farsi sempre più distante e i rumori – la voce di Lawrence, i passi dei dottori, i suoni dei macchinari nelle stanze intorno a loro – diventare ovattati.
Era quasi completamente addormentato, quando sentì una porta aprirsi con uno scatto.
Aprì gli occhi e vide che dalla stanza dove Vera stava venendo visitata era uscito un medico, un uomo di mezz'età dai capelli bruni e gli occhi, anch'essi scuri, dietro ad un paio di occhiali dalle lenti spesse.
- Voi siete gli amici di Vera Cooper?- chiese, con gentilezza.
I tre annuirono e si alzarono, e l'uomo riprese a parlare.
- La ragazza sta bene, non ha nulla di grave- li rassicurò subito – Ma ha preso una brutta influenza, e deve stare a casa a curarsi, per evitare che la situazione peggiori-
I ragazzi annuirono una seconda volta, e il medico sorrise.
- Ora le prescriviamo alcuni farmaci e firmiamo alcune carte- annunciò – Ci vorrà una mezzora circa. A dopo-
Detto questo, si dileguò immediatamente rientrando nella stanza e chiudendo la porta alle sue spalle.
Bill, Tom e Lawrence tirarono contemporaneamente un sospiro di sollievo, in silenzio ritornarono a sedersi.
- Voi potete andare- disse Lawrence, dopo qualche istante – Manderò un messaggio a Chris, il mio ragazzo, e gli chiederò di venirci a prendere-
Nel sentire quelle parole, Tom arrossì, imbarazzato, ripensando al moto di stizza che aveva avuto un paio d'ore prima alla chiesa.
- Non c'è bisogno di disturbarlo- diceva intanto Bill, cordiale – Vi accompagniamo a casa molto volentieri.
- No, Bill, credo che entrambi siate molto stanchi- disse Lawrence – Non voglio che perdiate altro tempo, so che siete molto occupati- aggiunse – E poi dovete anche prendere l'auto di Tom...-
Bill mantenne la sua espressione dubbiosa per qualche istante, poi, scrollò le spalle e sospirò.
- In effetti hai ragione- disse – Beh, allora, se è tutto ok, noi andiamo- annunciò, alzandosi, seguito a ruota dal fratello – E' stato un piacere conoscerti, Lawrence- disse poi, stringendo calorosamente la mano al biondo – Spero di rivederti.
- Anche io, Bill- rispose Lawrence – E, ovviamente, spero di rivedere anche te, Tom- aggiunse, quasi con sarcasmo, rivolgendosi al moro.
Tom si limitò a fare un cenno con la testa e senza aggiungere nient'altro, si avviò verso l'uscita.
Bill fece per seguirlo, ma Lawrence lo trattenne, e gli lanciò un'occhiata complice.
- 30 dollari che si mettono insieme prima del matrimonio.
- Nah- fece Bill, ridacchiando – E' troppo presto- aggiunse, guardando con la coda dell'occhio che si allontanava – 50 che tireranno questa storia fino a dopo le nozze-
Lawrence guardò prima Tom, per poi lanciare un'occhiata alla porta chiusa della stanza di Vera, ed infine strinse la mano di Bill, con un sorrisetto.
- Affare fatto-
















* *






Una settimana più tardi





- La sfiga ti perseguita, Tom-
- Grazie tante per l'osservazione, Hagen-
Georg roteò gli occhi, divertito,e riprese a mangiare la sua pizza margherita.
Lui, Tom, Gustav e Bill si erano ritrovati in un ristorante in centro città per pranzare insieme, ed ora stavano seduti ad un rustico tavolo di legno, camuffati a regola d'arte, intenti ad ingozzarsi con i loro piatti.
- E che fine ha fatto la macchina?- chiese Gustav, dopo aver ingoiato un boccone di spaghetti.
- E' dal meccanico- rispose Tom – Ancora un paio di giorni e sarà come nuova!- esclamò, allegro.
- Non vedo l'ora- disse Bill, pulendosi la bocca con un tovagliolo – Sai, sono tuo fratello, non il tuo tassista- aggiunse, con una smorfia.
- Beh, forse la mia piccola non avrebbe avuto nessun danno se soltanto tu fossi andato al tuo dannato appuntamento con il parroco insieme a Madison- replicò stizzito Tom.
- Ma così non saresti potuto rimanere solo con Vera- disse Bill, sorridendo perfido.
Tom aprì la bocca per replicare, ma si ritrovò a boccheggiare come un pesce lesso.
- Al diavolo- borbottò infine, tornando a mangiare la sua pizza.
- A proposito,- fece Georg, posando coltello e forchetta sul piatto vuoto – avete avuto sue notizie? Sta bene?
- Madison l'ha chiamata qualche giorno fa- disse Bill, versandosi della Coca in un bicchiere – Sta bene, ma deve rimanere a casa ancora per un po'-
Georg annuì, pensieroso, per poi volgere lo sguardo a Tom che, sentendosi osservato, alzò gli occhi dal suo piatto e guardò l'amico.
- Beh?
- Perché non la vai a trovare?- propose il bassista – In fondo, è stata la tua compagna di sventura, no?-
Tom guardò il ragazzo con espressione interrogativa e per un attimo pensò che scherzasse.
Lui?
Da Vera?
- Perché dovrei?- chiese, esterrefatto.
- Sarebbe carino- insistette Georg.
- Devo parlare con Alexa- sentenziò il moro, riferendosi alla ragazza dell'amico, per poi tornare a mangiare – La vostra relazione ti sta rincitrullendo.
- Georg ha ragione, Tom- fece Bill – Magari potresti presentarti da lei con una bella scatola di cioccolatini!- esclamò, sognante – O dei fiori!
- Gli unici fiori che regalerei a quella ragazza sono delle piante carnivore- borbottò Tom – Ma che vi è preso a tutti?!- fece poi, alzando la voce – Vi sembro tipo da cioccolatini io?- chiese poi, retorico, figurando se stesso con in mano un'enorme confezione di cioccolatini rossa con un gigantesco fiocco, mentre, vestito di tutto punto, suonava alla porta di Vera.
Stomachevole.
- Io credo sia una buona idea- asserì Bill – Sarebbe molto gentile da parte tua- aggiunse.
- Ma se non so nemmeno dove abita!- esclamò Tom.
- E qual è il problema?- disse Gustav – Hai il suo numero: prendi il telefono e chiediglielo.
- Te lo puoi scordare- tagliò corto il moro.
- Io invece credo di avere la soluzione- disse Bill, mentre trafficava nella sua borsa – Ecco! Tieni-
Il biondo porse al fratello un foglietto tutto spiegazzato su cui vi era stato scarabocchiato un indirizzo.
- Sarebbe?- chiese il chitarrista, girandoselo tra le mani.
- L'indirizzo di Vera-
Tom quasi trasalì e guardò il gemello con occhi sgranati.
- E tu come fai ad averlo?
- Questo non ha importanza- disse sbrigativo il cantante – Ora hai l'indirizzo- aggiunse poi, con un enorme sorriso.
Tom si guardò intorno, chiedendosi se fosse l'unico sano di mente rimasto.
- Voi avete decisamente qualche problema.









* *




Mentre camminava per le strade di Los Angeles, dopo aver salutato i ragazzi ed essersi messo d'accordo con loro per vedersi il giorno dopo in studio, Tom ripensava alle parole dei tre.
Come diamine era potuto venire loro in mente un'idea del genere?
Insomma, da Bill se lo sarebbe anche potuto aspettare, ma Georg e Gustav l'avevano lasciato a dir poco allibito.
L'aria di Los Angeles non fa bene a quei due, nossignore” pensò “Sarà meglio rispedirli in Germ...”
D'un tratto, una vetrina catturò la sua attenzione, interrompendo i suoi pensieri.
Si fermò e la osservò a lungo: su alcuni ripiani erano stati sistemati dolci di ogni genere; dai bignè, alle crostate, dalle torte alla panna ai più semplici cioccolatini. Dolci grandi e piccoli, decorati ad arte o con una semplice ciliegina in cima. Insomma, il paradiso dei golosi.
Subito le parole di Bill, Georg e Gustav ritornarono a martellarlo più forte di prima, e una voce nella sua testa lo invitava ad entrare.
Ma che diavolo vado a pensare!” si disse, scuotendo energicamente il capo.
Nonostante ciò, però, non riusciva a distogliere gli occhi da quella vetrina.
- Ehi, ragazzo!-
Tom alzò lo sguardo e vide che dalla pasticceria era uscita una donna, bassa e paffutella, i capelli nascosti da una cuffia bianca e vestita con un abito a blu coperto da un grembiule infarinato.
- Hai bisogno?- chiese gentilmente – E' un po' che sei qui.
- Io...ehm...- balbettò Tom, visibilmente imbarazzato – No, nulla. Non si preoccupi, ora vado-
La signora annuì, perplessa, e fece per rientrare, quando Tom la fermò all'improvviso.
- Mi scusi!- esclamò, facendola voltare.
- Sì?-
Tom puntò il dito sulla vetrina ed indicò una confezione di cioccolatini.
- Quanto... quanto costano questi?-












* *




- Torno a trovarti domani, Cooper!
- Ok, Lawrence. A domani!-
Vera chiuse la porta alle spalle dell'amico, per poi stiracchiarsi stancamente.
Era a casa da una settimana ormai, e altri sette giorni di pura noia mortale l'aspettavano.
Nonostante tutti i suoi sforzi, Lawrence la controllava giorno e notte e le impediva di uscire, anche se solo per respirare un po' d'aria fresca.
Sospirò, sconsolata, e decise di farsi un lungo e rigenerante bagno caldo.
Mentre si dirigeva verso il bagno, però, un dettaglio catturò la sua attenzione: sul tavolo, accanto al pc, stava un mazzo di chiavi con un portachiavi di peluche a forma di panda.
Lawrence” si disse subito Vera “Si è dimenticato le chiavi. Come al solito”
Scrollò le spalle, e pensò che entro tre quarti d'ora al massimo il biondo sarebbe tornato a riprendersele.
Raggiunse quindi il bagno, dove si spogliò con calma, mentre riempiva la vasca d'acqua calda.
Una volta pronta, s'immerse, godendosi del calore della acqua che bagnava la sua pelle, dandole una piacevole sensazione.
Prese il bagnoschiuma e ne versò il contenuto, creando miriadi di bollicine e tanta schiuma.
Rimase ammollo per un tempo indefinito, beandosi del profumo del sapone e del tepore dell'acqua, quando, all'improvviso, il fastidioso trillo del citofono la fece trasalire.
- Sarà Lawrence- borbottò, mentre si affrettava ad uscire dalla vasca – Non lo aspettavo così presto- rifletté, mentre avvolgeva un asciugamano di spugna attorno al corpo.
Il citofono squillò ancora, e Vera lo raggiunse di corsa.
- Sali!- esclamò al microfono, schiacciando il tasto per aprire, senza nemmeno chiedere di chi si trattasse.
Dopo poco, il campanello suonò e la mora, ancora in asciugamano, andò ad aprire la porta.
- Dovresti trovare un modo per ricordarti...-
Le parole le morirono in gola quando realizzò chi aveva davanti.
Oh. Merda”
















Macccccccccciao gente di EFP!
Eh, sì: sono (o meglio, la mia connessione è) tornata!
E ovviamente, ho portato con me un bel (?) capitoletto, tutto per voi.
Abbastanza lungo, non torvate anche voi?
Le cose qui si stanno smuovendo (??) e tra Tom e Vera sembra cambiato qualcosa, ma è ancora un po' presto per dirlo ;)
Vediamo cosa succederà più avanti!
Volevo poi scusarmi per il ritardo nel postare, ma come la nostra cara _RockEver_ (vedi che mi ricordo di te?) vi ha detto, ho avuto problemi con Internet – sì, è stata lei ad inviare i messaggi a tutte voi :D -
Ma ora è tutto apposto (si spera)
Inoltre, vi avviso che anche io (purtroppo) come molti ho i compiti delle vacanze da fare (e sono tanti sigh. E non ho ancora cominciato, doppio sigh), e per questo potrà capitare che io non posti più così velocemente come facevo prima... ma vi prometto che ce la metterò tutta per regalarvi sempre un capitolo all'altezza delle vostre aspettative ;)
Un'ultima cosa...
Voglio fare un sondaggio :)
Nelle recensioni scrivetemi qual è stata la miglior scena o miglior frase di questa storia fino ad adesso secondo voi, giusto per tirare le somme di questi dodici capitoli:)
A me per esempio, piace da morire la parte di Madison con il mattarello di due capitoli fa u.u
E in questo capitolo, mi sono divertita a scrivere di Tom che parla con la Madonna :')
E voi che mi dite?
Siate creativi uominiH e donneH (ma credo più donne, LOL)

Ok, ho finito u.u
Grazie a tutti per la vostra pazienza (vi farò una statua!)
E ovviamente, grazie a chi segue/preferisce/ricorda o anche legge solamente
Se volete contattarmi, per qualsiasi cosa, come sapere perché non mi faccio una vita sociale al di fuori di questo sito, come mi chiamo, sapere qualcosa di più sulle mie FF, chiedere copertine per le vostre storie -gratuite ovviamente LOL- o anche solo per fare amicizia, mi trovate su Facebook e Twitter, ma potete tranquillamente contattarmi anche via MP su EFP, rispondo a tutti :) (non sono ancora così famosa da potermi permettere di snobbarvi, HAHA)

Vi aspetto al prossimo capitolo!

Un bacio,
Heilig


Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Thirteen ***


A Francesca, in cui, nonostante la conosca da poco, ho trovato un'amica e una sostenitrice
A Greta, che ha bisogno di un po' di dolcezza e forse può trovarla in questa dedica
Vi voglio bene







Thirteen






Tom osservò attentamente la scena che gli si presentava davanti agli occhi: Vera era di fronte a lui, con in mano un mazzo di chiavi, i capelli bagnati e gocciolanti, coperta solo da un semplice asciugamano color crema.
Non poté non soffermarsi sulle gambe della mora, toniche e leggermente abbronzate, e, senza nemmeno accorgersene, si ritrovò ad analizzare l'intera figura della ragazza.
Aprì la bocca per parlare, ma si ritrovò a boccheggiare come un pesce lesso, e prese a stringere inconsapevolmente la presa sulla confezione blu che aveva con sé che aveva con sé.
- Beh?- fece fredda Vera, incrociando le braccia al petto – Hai finito la radiografia?-
Tom si ridestò, ed abbassò lo sguardo, imbarazzato.
- Non è colpa mia- si giustificò – Se tu non aprissi la porta in asciugamano, forse avrei avuto una reazione diversa, non trovi?- fece poi, con una smorfia, tornando a guardare Vera.
La mora sbuffò, contrariata, ma decise di non replicare: in fondo, non aveva tutti i torti.
Mise da parte il suo disappunto e cercò di mostrarsi cortese.
- Vuoi... entrare?- chiese, indugiando sull'ultima parola.
Tom si limitò ad annuire lievemente, al che la mora si scostò.
- Entra pure, Tom- disse, con un gesto teatrale, ripetendo le stesse parole che il giovane le aveva detto quando era stata lei ad andare a casa sua.

La prima cosa a cui il chitarrista pensò appena mise piede nell'appartamento fu che quel luogo era eccessivamente piccolo.
Una volta dentro, si accedeva direttamente al salotto, un piccolo spazio arredato con un divano, una poltrona, una piccola TV e un tavolo di cristallo al centro.
Alla sinistra dell'ingresso era posizionato un mobile di legno scuro, sul quale stava il telefono di casa, insieme ad un paio di mazzi di chiavi.
- Mettiti comodo- disse Vera – Vado a mettermi qualcosa- aggiunse, prima di sparire nel corridoio.
Tom fu tentato di seguirla, ma poi si ricordò della sonora sberla ricevuta qualche tempo prima, e cambiò immediatamente idea.
Prese quindi a guardarsi in giro, notando un paio di cornici appese alle pareti.
Si avvicinò ad esse e prese a studiarle con cura: una rappresentava Vera e Lawrence, in spiaggia, teneramente abbracciati, mentre l'altra – quella che l'aveva più incuriosito- ritraeva la wedding planner abbracciata ad una giovane donna più grande di lei, a sua volta amorevolmente stretta ad un uomo, che a Tom parve familiare.
Dove l'aveva già visto?
- A quanto pare anche a te interessano molto le foto degli altri- disse all'improvviso una voce dietro di lui.
Si voltò di scatto, colto alla sprovvista, e si ritrovò di fronte a Vera, che si era – purtroppo?- vestita, indossando una felpa grigia con cappuccio, una pesante sciarpa scura al collo ed un paio di pantaloni della tuta.
Tom alzò semplicemente le spalle, senza rispondere, e tornò ad osservare l'uomo nella foto, quando d'un tratto capì perché quel volto aveva dei tratti così familiari.
Era l'uomo con cui l'aveva vista qualche tempo prima, davanti a casa sua, mentre l'abbracciava.
- E' il tuo ragazzo?- chiese a bruciapelo, indicando l'uomo.
Vera rimase interdetta, colpita da una domanda così inaspettata.
- No... ehm- rispose, esitante - Lui è... mio cognato, Ethan- disse infine – E' il marito di mia sorella Marcy- aggiunse indicando la donna raffigurata nella foto insieme a lei e all'uomo.
Tom sgranò appena gli occhi, rendendosi conto di quanto potesse essere risultato ridicolo.
- Oh- si limitò a commentare, mascherando il suo imbarazzo con pura indifferenza.
Vera sembrò non accorgersene, infatti cambiò subito argomento.
- Allora,- fece - hai bisogno di qualcosa?
- Io... io...- prese a balbettare Tom, passandosi una mano sul capo – Ti ho portato questi- disse infine, porgendo a Vera la scatola che portava con sé.
La giovane la prese e la studiò accuratamente, in silenzio.
- Sono... cioccolatini?- chiese infine, alzando lo sguardo su Tom.
- Sì- rispose perplesso il chitarrista – Ce ne sono di vari tipi- aggiunse, fiero, quasi come se quell'informazione potesse rendere ancora più prezioso il regalo.
Forse Bill e gli altri avevano ragione: in fondo, farle quel dono non gli era costato nulla.
Se non qualche decina di dollari. Fiocco e pacchetto esclusi.
Vera, intanto, aveva aperto la scatola e stava contemplando i dolci al suo interno, ma la sua espressione sembrava tutt'altro che felice.
- Che c'è?- chiese il moro, inarcando un sopracciglio.
- Non avresti dovuto- disse semplicemente Vera, con un sospiro – Non posso accettare- aggiunse, porgendo la scatola al ragazzo.
- Che cosa?!-
Tom rimase allibito dall'affermazione della ragazza: come poteva non accettare un simile regalo?
Quale accidenti era il suo problema?
- Certo che puoi accettare- disse, con lieve irritazione, spostando la scatola verso Vera – Sono per te. Prendili.
- Tom, fidati di me- rispose Vera, tentando di ridargliela – Non posso mangiare quei cioccolatini.
- E potrei sapere perché?!- domandò Tom, esasperato.
Si era lasciato convincere dai suoi amici e da suo fratello a comprare quei dolcetti, aveva speso una fortuna, si era dimostrato gentile, ed ora la diretta interessata li rifiutava senza nemmeno un pizzico di dispiacere.
Vera sospirò una seconda volta, stringendo la scatola.
Indugiò qualche secondo e poi rispose alla domanda del giovane.
- Sono allergica al cacao-
Tom impiegò qualche secondo ad assimilare quelle parole.
- Come... come hai detto, scusa?- chiese, con un fil di voce, sconcertato.
- Sono allergica al cacao- ripeté Vera – Non posso mangiarli, o dovrai riportarmi all'ospedale- spiegò – E questa volta potrei non essere tanto fortunata- concluse, costringendolo a prendere la scatola.
Tom rimase ad osservare l'oggetto, con imbarazzo.
- Beh...- disse – Io... non...
- Non c'è problema- lo interruppe Vera – Non potevi sapere- aggiunse, con un lieve sorriso – Apprezzo comunque il gesto- disse poi, dopo qualche secondo di silenzio.
Tom annuì distrattamente, abbassando lo sguardo.
- Beh, tienili comunque- fece d'un tratto, porgendo per l'ennesima volta i cioccolatini alla giovane – Magari a Lawrence piacciono-
Vera prese la scatola e abbozzò un secondo sorriso.
- Sai,- fece – non sei così male come pensavo- asserì, con nonchalance.
Tom inarcò il sopracciglio destro, perplesso: era un complimento?
- Sì, insomma...- si affrettò a spiegare Vera – Dopotutto, non considerando il resto, potrei ritenerti un individuo vagamente apprezzabile- concluse, con un sorrisetto strafottente.
- Beh,- replicò Tom – Diciamo che lo prendo come un complimento e ti ringrazio- disse, sorridendo anche lui.
I due rimasero ad occhieggiarsi per qualche istante, poi il chitarrista ruppe il silenzio che era calato tra loro.
- Sarà meglio che vada- sentenziò – Ho... ho un sacco di cose da fare. Volevo solo assicurarmi che non fossi morta.
- Grazie- disse Vera – Sei stato... carino-
“Carino? Carino?! E' colpa sua se sei in queste condizioni”
La mora cercò di relegare nella parte più remota della sua mente quell'insistente vocina, e accompagnò la sua affermazione con un dolce sorriso, che Tom ricambiò prontamente.
- A... a presto, allora- disse.
- Ci vediamo, Tom-
Il ragazzo rimase a guardarla per qualche secondo poi si voltò ed andò alla porta, per poi aprirla ed uscire, senza aggiungere altro.

Mentre percorreva velocemente le scale che portavano all'uscita del palazzo, Tom sentiva come se la conversazione appena avuta con Vera fosse stata surreale: erano riusciti a parlarsi senza insultarsi nemmeno una volta.
Certo, quell'ultimo commento sul fatto che lui fosse o meno apprezzabile era di dubbio significato, ma non poté non pensare che era comunque un passo avanti.
“Un momento...” si disse, fermandosi all'improvviso su un gradino “passo avanti? Passo avanti rispetto a cosa?” continuò, riprendendo a scendere le scale, con più calma “Argh, sto diventando matto, ecco” concluse, scuotendo il capo con amarezza.
Una volta scese le scale, si affrettò ad uscire dall'edificio, ma una volta aperto il portone, si scontrò con un altro ragazzo.
- Scusa!- dissero all'unisono i due.
Tom alzò la testa e quello che vide lo lasciò allibito: ciuffo biondo, occhi scuri, fisico esile e slanciato. Non poteva essere che lui.
D'altro canto, però, anche il giovane con cui si era scontrato era rimasto piuttosto sorpreso.
- Tom?- chiese – Tu cosa ci fai qui?
- Nulla, nulla- rispose sbrigativo il moro – Scusa, ma ho fretta. Ci si vede-
Subito si fiondò definitivamente fuori dal palazzo, camminando a passo sostenuto verso la sua auto, parcheggiata nel cortile dell'edificio.
Intanto il biondo continuava ad osservarlo, con espressione interrogativa.
“Vera mi dovrà spiegare molte cose, stavolta” si disse, per poi entrare.
Salì a due a due i gradini, ed in un battibaleno arrivò di fronte all'appartamento di Vera.
Suonò e poco dopo la mora venne ad aprire.
- Lawrence!- esclamò - Ecco le tue chiav...
- Ho visto Tom uscire dal palazzo- la interruppe brusco il giovane – Credo che tu mi debba raccontare un paio di cosette.









* *




La settimana successiva


- Ehi, Kaulitz-
Tom si voltò e vide Georg appoggiarsi di schiena alla ringhiera della terrazza del loro studio di registrazione, accanto a lui, in bocca una sigaretta appena accesa.
- Hai ripreso a fumare, Hagen?- scherzò Tom, riprendendo a guardare davanti a sé e contemplando il panorama di Los Angeles di cui si godeva da lassù.
- Non lo faccio sempre- puntualizzò Georg, dopo aver aspirato avidamente – Solo quando sono teso.
- Sei teso?- chiese Tom, scettico.
Georg scrollò le spalle e scosse la testa.
- Quest'album mi sta facendo diventare matto- spiegò – Sto progettando di rubare il computer di David e pubblicare le canzoni già registrate su Internet, così sarei molto più rilassato.
- Non essere drastico- ridacchiò Tom – In fondo, manca poco-
- Sarà...- sospirò il bassista.
Tra i due amici calò il silenzio, e per qualche minuto si sentirono solo i rumori provenienti dalle vie trafficate di Los Angeles, il vociare delle persone e il solito brusio che arrivava dall'interno dello studio.
- Sei poi andato da Vera?-
Tom si voltò di scatto, ad occhi sgranati: come faceva a saperlo?
- Sapevo che ti avremmo convinto- sentenziò Georg, con un sorrisino – Lei che ha detto?
- A quanto pare da imbecille sono passato a vagamente apprezzabile- disse Tom, con una lieve smorfia.
- Beh, non è male come traguardo- rise Georg, beccandosi un'occhiataccia dell'amico – Perché non le chiedi di uscire?- domandò poi.
- Spero che tu stia scherzando, Hagen- replicò serio Tom – Io? Uscire con quella? Nemmeno sotto tortura.
- Avanti, smettila di fare il duro. Non ti s'addice- fece Georg – Si vede che hai un debole per lei- aggiunse.
Tom fece una risatina nervosa, e non rispose.
- Chi tace, acconsente- sospirò Georg, con aria trionfo.
- O forse, è abbastanza maturo da non rispondere alle tue provocazioni, mh?- fece il chitarrista.
- Cosa ti costa ammetterlo?- ribatté l'amico.
Tom non rispose, e riprese a guardare davanti a sé, con aria pensierosa, e tra i due scese di nuovo il silenzio.
Dopo qualche minuto, i due videro Gustav affacciarsi alla porta che dava sulla terrazza.
- Ehi, Hobbit, Dave ti cerca- disse, per poi scomparire di nuovo all'interno dello studio.
Georg gettò a terra il mozzicone della sua sigaretta, ormai consumata, e lo spense con la punta del piede, per poi prenderlo e buttarlo nel bidone lì vicino.
- Ripensa a ciò che ti ho detto, Tom- asserì, prima di allontanarsi ed entrare anche lui nello sala di registrazione.
Anche quella volta il chitarrista non rispose e rimase ad osservare il panorama di fronte a sé.
Le parole di Georg, però, si erano insinuate nella sua testa e continuavano a martellarlo.
Scosse il capo con veemenza, cercando di scacciarle: quello che l'amico gli aveva detto non aveva alcun senso.
Lui e Vera non erano fatti per stare insieme: non poteva sopportare l'idea di stare con lei per più di tre minuti, figurarsi se potesse piacergli!
No, Georg si era sbagliato. E di grosso.
Mentre cercava di convincersi di questo, però, una voce nella sua mente, leggera come un soffio e quasi impercettibile, gli sussurrava che forse il bassista non aveva tutti i torti.
Tom sentì un brivido lungo la schiena: il timore che potesse provare qualcosa per Vera al di là dell'attrazione fisica gli stava decisamente facendo paura.






* *




Intanto


- Allora, posso contare su di te?
- Sì, Marcy- sospirò Vera, con aria sconfitta – Ci vediamo questo pomeriggio-
La mora chiuse la chiamata, appoggiò il cellulare sulla scrivania dell'ufficio, e riprese da dove si sera interrotta.
Aveva ricominciato a lavorare da un paio di giorni, nonostante i postumi dell'influenza si facessero ancora sentire, e nonostante Lawrence le avesse più volte sconsigliato di tornare in agenzia se non era completamente guarita.
- Così l'attaccherai a tutti, accidenti- aveva borbottato, quando due giorni prima si era presentata alla WedDreams, un fazzoletto in una mano e una confezione di medicinali nell'altra.
Lei però non aveva voluto saperne di tornare a casa, e tra uno starnuto e un colpo di tosse aveva ripreso le preparazioni del matrimonio di Bill e Madison.
- Ehi- disse una voce maschile.
Alzò lo sguardo dallo schermo del computer su cui stava lavorando, ed incontrò quello di Lawrence, che la osservava incuriosito.
- Tieni- disse il biondo, porgendo all'amica un cappuccino – Ah, di' a Tom che i cioccolatini sono deliziosi- fece con un sorrisetto strafottente sulle labbra - Tutto bene?- chiese poi, notando che la mora non aveva ribattuto.
- Mi ha chiamato Marcy- spiegò lei, dopo aver preso un sorso del suo cappuccino.
- E qual è il problema?- domandò Lawrence, sedendosi sul tavolo – Non vi eravate riappacificate dopo quella cena con tua madre?
- Sì- rispose Vera – Mi ha chiesto se questo pomeriggio, dato che ho mezza giornata libera, potevo badare a Nelly e Paul per un paio d'ore, perché lei ed Ethan devono andare a trovare una zia di lui.
- E tu hai accettato?
- Non mi andava di dirle di no, soprattutto dopo le cose che le ho detto l'altro giorno- spiegò Vera – In fondo, non è cattiva- ammise.
- E allora cos'è che ti preoccupa?- fece Lawrence – Non dirmi che hai paura dei tuoi nipoti!
- No, no- negò la mora – Solo che... -
S'interruppe, sospirando, e si voltò, guardando fuori dalla finestra
- Allora?- la incitò a proseguire Lawrence – Solo che?
Vera sospirò una seconda volta, visibilmente preoccupata.
- Ho una brutta sensazione, Lawrence – disse – Una pessima sensazione.





* *




Quel pomeriggio

Seduto al tavolo della cucina, in una mano le chiavi dell'auto e l'altra impegnata a picchiettare sul legno, Ethan guardò per l'ennesima volta l'orologio appeso sopra una delle credenze: Marcy era ancora in ritardo.
- Ethan!- la sentì esclamare, mentre scendeva le scale - Sei pronto?- chiese la donna, apparendo in cucina.
- Marcy, io sono pronto da almeno tre quarti d'ora- sbuffò Ethan, alzandosi – Sei tu che non ti decidi a darti una mossa!-
Marcy sventolò in aria la mano, in segno di noncuranza.
- Dove sono i bambini?- chiese poi.
- In salotto- rispose il marito – Stanno guardando i cartoni animati con Florence.
- Perfetto, vado a salutarli- annunciò Marcy, facendo poi per uscire.
Ethan però la trattene per un polso, facendola voltare.
- Che c'è?
- Marcy,- sospirò l'uomo – sei ancora in tempo per rimediare all'enorme cazzata che stai facendo.
- Ethan, non preoccuparti, vedrai che andrà tutto bene.
- Hai detto così anche l'altra volta- le ricordò Ethan – E non è andata bene- continuò – Sai com'è fatta tua sorella: non prenderà questa cosa molto bene. Soprattutto dopo che tu ti sei scusata.
- Mi conosci- disse solamente Marcy – Non sopporto che Vera e mia madre si odino.
- Sappi che non approvo quello che fai, quindi non considerarmi tuo complice- l'avvertì il marito, con sguardo serio.
Marcy fece per replicare, ma il trillo del campanello la interruppe.
- Vado io- disse Ethan – Tu va' a salutare Nelly e Paul-
Marcy uscì dalla cucina e si diresse in salotto, mentre lui andò alla porta.
Quando aprì, davanti ai suoi occhi apparve Vera.
- Ehi, cognata!- esclamò, facendo per abbracciarla.
- Non ti conviene- disse però Vera, facendo un passo indietro – Sono ancora un po' raffreddata- spiegò, notando lo sguardo di disappunto dell'uomo.
- Beh, vorrà dire che la prossima volta ti abbraccerò due volte- rise Ethan, facendole segno di entrare.
- Vera!- esclamò Marcy, uscendo dal salotto – Come stai?- chiese, sorridente, avvicinandosi.
- L'influenza sta passando- rispose Vera – Tra qualche giorno sarò in forma smagliante- aggiunse, sorridendo a sua volta.
- Ne sono felice- disse la sorella – Bene, i bambini sono in salotto. Noi torneremo tra un paio d'ore, tre al massimo. In frigo c'è tutto quello che vuoi: fatti pure uno spuntino se hai fame, ma, ti prego, non dare a quei due la Nutella- continuò – L'ho nascosta, mi serve per fare una torta e loro non devono toccarla.
- Afferrato- disse Vera, annuendo – Non preoccuparti, passeremo un pomeriggio favoloso.
- Lo spero- sospirò Ethan, appoggiato allo stipite della porta d'ingresso – Forza, Marcy, andiamo- aggiunse, poi, staccandosi ed aprendo la porta – Ciao, Vera, a più tardi- salutò, per poi uscire.
Marcy sorrise ed agitò la mano in segno di saluto, per poi seguire il marito fuori dall'appartamento.
Quando la porta fu chiusa, Vera si voltò e si diresse verso il salotto.
- Ehi, ragazzi! Guardate un po' chi è arriv...-
Le parole le morirono in gola: accanto ai suoi nipotini, Nelly e Paul, stava seduta a gambe accavallate ed un'espressione confusa sul volto, sua madre, Florence.
Marcy l'aveva rifatto.
E lei ci era cascata.
Di nuovo.
- Ciao zia!- esclamarono i due bambini, correndo verso di lei, ed interrompendo i suoi pensieri.
Vera accarezzo le loro teste, sorridendo loro teneramente, mentre con la coda dell'occhio osservava i movimenti della madre.
Anche lei era visibilmente stupita: Marcy aveva tenuto nascosto il suo piano anche a lei, non c'era dubbio.
“Questa volta me la paga” pensò, irritata Vera, mentre si toglieva la giacca, per poi metterla sull'appendiabiti accanto a lei.
- Ciao, Vera- disse con un fil di voce Florence, rompendo il silenzio che si era creato – Non... non pensavo che saresti venuta anche tu.
- Marcy mi ha avvertito stamattina- spiegò Vera con freddezza, senza rispondere al saluto – Mi ha chiesto di fare da babysitter ai bambini- aggiunse, indicando i due nipoti che intanto si erano messi sul tappeto e guardavano la TV – Tu perché sei qui?- chiese poi, sempre atona.
- Per il tuo stesso motivo- rispose Florence – Tua sorella ci ha incastrate, a quanto pare- aggiunse poi, ridacchiando.
Vedendo però che la figlia non sembrava affatto divertita dalle sue parole, decise di cambiare argomento.
- Marcy mi ha detto che sei stata male in queste ultime settimane- iniziò a dire, esitante – Perché non mi hai chiamato?- domandò – Sarei potuta venire a trovarti.
- Non ce n'era assolutamente bisogno- rispose con schiettezza Vera – Come vedi, ora sto bene.
- E il lavoro come va?- chiese quindi Flo, cercando di intrattenere una qualche conversazione con la figlia.
- Niente di nuovo- fece Vera, con un'alzata di spalle.
- E quel tuo amico, Leo? Come sta?
- Si chiama Lawrence, mamma- sentenziò Vera – Sta bene, comunque-
Avendo capito che non era nelle intenzioni della giovane di parlare, Florence si chiuse nel suo silenzio, sfogliando un libro che aveva con sé.
Dentro di sé Vera era combattuta: la rabbia , l'irritazione e l'ostilità nei confronti di sua madre non riuscivano a placare un forte desiderio di riconciliazione.
Ma sapeva che ciò non sarebbe stato possibile.
Non finché ci fosse stata l'ombra di Greg ad oscurare quella piccola speranza di riappacificazione.

Il pomeriggio, intanto, trascorreva senza sosta.
Vera non vedeva l'ora di uscire da quella situazione, che le pareva sempre più soffocante, imbarazzante e, soprattutto, frutto di un'idea malsana.
L'aria ormai era impregnata dell'ansia e del nervosismo che aleggiava in quella stanza, ma era percepibile solo a Vera e a Flo: Nelly e Paul, ignari di tutto, avevano da circa una mezzora preso a giocare, senza curarsi di ciò che avveniva sul divano alle loro spalle.
Mentre pensava ai mille modi in cui avrebbe potuto uccidere la sorella appena avesse messo piede in casa, Vera sentì la madre chiudere il libro che leggeva con un colpo secco.
- Senti, Vera- prese a dire la donna con tono serio, dopo qualche istante – io non riesco davvero a capire quale sia il tuo problema- continuò, voltandosi verso la figlia – Mi vuoi spiegare perché mi odi?
- Non ti odio- rispose Vera – Non potrei mai, sei mia madre- aggiunse, mormorando.
- E allora mi spieghi il motivo di tutto questo?-
Vera indugiò qualche secondo, poi si decise a rispondere.
- Il problema è Greg- disse, in un soffio.
Flo aprì la bocca, ma la richiuse subito dopo, abbassando lo sguardo: avrebbe dovuto immaginarlo.
- Non ti senti mai in colpa?- chiese a bruciapelo la mora, inducendola ad alzare gli occhi – Insomma, non provi mai un vago senso di pentimento per ciò che hai fatto?
- Vera, io ho tutto il diritto di vivere la mia vita- sentenziò gelida Florence – E tu non sei nessuno per dirmi cosa devo fare o come mi devo sentire- aggiunse – Sei ancora troppo giovane per capire certe cose. E dubito, in ogni caso, che potrai mai farlo se continui ad intestardirti sulle sue convinzioni.
- Non sono una bambina, mamma- replicò secca Vera.
- Ah, davvero?- fece Florence, sorridendo con amarezza – A volte invece lo sembri-
Quelle parole, dette con estrema durezza e sincerità, colpirono dritte il cuore e la mente di Vera.
Il loro eco la stava stordendo, e sentì gli occhi offuscarsi.
Si morse il labbro, impedendosi di piangere, e si alzò di scatto.
- Bene- disse, con freddezza – Allora direi che non abbiamo più nulla da dirci-
Flo non rispose, limitandosi a distogliere lo sguardo.
Senza aggiungere altro, Vera si avvicinò all'appendiabiti, dove prese la sua giacca e la indossò.
- Zia Vera, te ne vai?- chiese Nelly, con un velo di tristezza nella voce, alzando gli occhi dalla sua bambola.
- Sì, piccola- rispose Vera, tentando di sorridere – Ci vediamo presto, bambini. Salutatemi i vostri genitori, quando tornano- aggiunse, per poi uscire frettolosamente.
Quando fu fuori dall'appartamento, prese un profondo respiro, cercando di calmarsi, mentre lacrime amare si facevano strada sul suo volto, bagnandolo.
Si asciugò il viso come meglio poteva, e si avviò a piedi verso casa sua.
Nel petto sentiva un gran peso, e sapeva per certo che ci sarebbe voluto molto prima che scomparisse.





* *





Nonostante fosse ancora pomeriggio, le vie di Los Angeles stavano iniziando già ad affollarsi di gente che entrava ed usciva dai locali più in della città, dai quali i sottofondi delle canzoni sparate a tutto volume nelle casse, riempivano l'aria con le loro note, rendendo l'atmosfera ancora più festaiola.
Tom era nella sua auto, diretto verso casa, dove probabilmente si sarebbe fatto una doccia veloce per poi uscire di nuovo ed andare a divertirsi un po', giusto per dimenticare la stanchezza che si era impossessato di lui da quando era uscito dalla sala di registrazione: un po' di svago non gli avrebbe fatto che bene.
Era ad una ventina di minuti dalla sua villa, quando la sagoma scura di una ragazza attraversò all'improvviso, tagliandogli la strada.
Inchiodò di colpo, frenando a pochi millimetri dalla giovane, e dopo essersi ripreso dallo spavento, uscì in fretta e furia dalla vettura.
- Ma sei impazzita?! Avrei potuto ucciderti!- esclamò, adirato, avvicinandosi alla ragazza.
Lei alzò lo sguardo, e Tom credette di sognare.
- Vera?- fece, stupito – Hai per caso deciso di suicidarti?- chiese – Sai che prima di attraversare la strada bisogna guardare a destra e sin...-
Il chitarrista s'interruppe, notando gli occhi gonfi e rossi della mora, e la sua espressione sofferente.
- Stai bene?- chiese, serio.
Vera si limitò ad annuire, senza dire una parola.
Cosa avrebbe dovuto rispondergli?
Scusami, Tom, ma adesso non posso battibeccare con te. Sono troppo triste e arrabbiata
Sentì gli occhi pizzicarle, ma s'impose di non piangere: non poteva, non davanti a lui.
Tirò su con il naso, pregando che Tom non si accorse della sua debolezza in quel momento, ma d'un tratto sentì il giovane prendere la sua mano e tirarla verso di sé.
- Cosa stai facendo?- domandò confusa.
- Non possiamo rimanere in mezzo alla strada- spiegò semplicemente Tom – Vieni, sali in auto-
Vera non ebbe la forza di replicare o di opporsi alla sua stretta, quindi si lasciò portare in auto, rimanendo in silenzio.
Dopo che ebbe chiuso la portiera del lato del passeggero, Tom andò all'altro lato della macchina, salì e mise in moto l'auto.
- Ti porto a casa mia- disse atono.
Vera non si mosse dalla sua posizione: sembrava quasi che non avesse sentito le parole di Tom.
Nonostante fuori, per le strade gremite di gente la musica e i colori la stessero facendo da padroni, dentro l'abitacolo pareva di essere su un altro pianeta: i due ragazzi stavano in silenzio, e la macchina di Tom procedeva placida sull'asfalto, senza rumore.
- Puoi piangere, se vuoi- disse all'improvviso il chitarrista, rompendo la quiete che si era creata – Non lo dirò a nessuno- aggiunse, in un sussurro, con un lieve sorriso.
Vera si voltò verso di lui e provò a ribattere, a dire che, no, lei non aveva bisogno di piangere.
Quando aprì la bocca, però, si rese conto di avere una gran quantità di lacrime da versare.
Appoggiò quindi la testa sul finestrino dell'auto e si lasciò andare in un pianto silenzioso.


















Salve, gente di EFP!
Scusate, ma alla fine non sono riuscita a starvi lontano per troppo tempo HAHAHA :')
Ok, ciancio alle bande.
Come avete potuto vedere, anche in questo capitolo si è smosso qualcosa tra Vera e Tom, ma è troppo presto per dire cosa.
E poi si stanno spiegando (?) alcune cose riguardo a Vera e la sua famiglia...
Vedremo cosa succederà e se Tom la porterà a casa sua o la butterà fuori dall'auto in corsa LOL
- ve lo immaginate? HAHAHAHAHAHAHA
Ok, basta, sclero troppo.
Vi dico subito che questo è l'ultimo capitolo prima di settembre, perché davvero, i compiti mi fissano giorno e notte dalla scrivania con sguardo minaccioso.
HO PAURA D:
Mi conviene farli u.u
Quindi se vedete la storia non aggiornata, sappiate che è perché studio u.u
Pregate per me :'(
Inoltre... TADAAAAAAAAAAAAAAAAAAAN!
Non so chi se n'è accorto/a, ma nell'introduzione ho messo il link youtube del trailer di Wedding Planner :)
Non è ottimo, ma è decente, perlomeno (??)
Come attrice ho usato Willa Holland (la sorella di Marissa in OC, per intenderci), perché non ho trovato nulla da mettere nel video della ragazza che ho usato nel banner (Emilia Clarke).
Spero vi piaccia :)
Un'ultima cosa:
normalmente non faccio pubblicità, ma in via del tutto eccezionale, non posso trattenermi dal consigliarvi le storie di _Frency_, una mia amica che, fidatevi, ha un gran talento nella scrittura :)
Passate dalle sue storie, non ve ne pentirete AS-SO-LU-TA-MEN-TE.
Inoltre, mi faccio pubblicità da sola, chiedendovi di passare dalla mia primissima shot introspettiva originale, Mia
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, quindi una piccola recensione sarebbe moolto gradita LOL
Ok, penso di aver detto tutto quello che c'era da dire.
Come sempre, mi trovate su Twitter e Facebook
In più, un bel saluto di benvenuto a due nuove lettrici:
MissMiley1994 e tea_93
Benvenute a bordo, care **
Ok, adesso vado davvero LOL
Ci si rivede a settembre!
Un bacio
Heilig




Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Fourteen ***


Fourteen



















- Tieni-
Vera alzò di poco il capo e vide Tom posare davanti a lei, sul tavolo a cui era seduta, una tazza colma di tè fumante.
Biascicò un "grazie" imbarazzato, poi iniziò a sorseggiare in silenzio il suo tè, sotto lo sguardo di Tom.
- Non hai ancora risposto alla mia domanda- osservò quest'ultimo, dopo qualche istante.
Vera inarcò un sopracciglio, confusa.
- Di cosa stai parlando?
- Avevi deciso di suicidarti quando ti mi hai tagliato di colpo la strada?-
Vera rimase interdetta a quella domanda, e per un attimo pensò che Tom stesse facendo solo dell'ironia, ma poi incontrò l'espressione seria del ragazzo, e si limitò a stringersi nelle spalle.
- Quello era un sì?- fece Tom.
- Perché avrei dovuto suicidarmi?- sbuffò Vera, alzando gli occhi al cielo.
- Non ne ho idea!- esclamò il chitarrista, allargando le braccia – Magari non hai trovato il paio di scarpe che volevi- aggiunse, con un'alzata di spalle.
Vera gli lanciò un'occhiata stupefatta, e lui si affrettò a spiegare.
- Ho visto mio fratello minacciare un cassiere per un paio di jeans. Ho tutto il diritto di pensarlo-
La mora faticò a reprimere un sorriso, mentre s'immaginava la scena appena descritta dal chitarrista, al quale però non sfuggì il cambio di espressione della ragazza.
- Oh, cosa vedo lì?- fece sarcastico – Un sorriso?- continuò, beffardo.
Vera distolse lo sguardo, soffocando una seconda risatina.
- Oh!- esclamò Tom – Non posso crederci, ti sto facendo ridere! Questa sì che è una notizia!- aggiunse – Beh, allora?- fece dopo qualche istante ritornando improvvisamente serio – A cosa stavi pensando quando hai attraversato la strada?
- Niente che ti riguardi- bofonchiò Vera, prendendo poi un sorso del suo tè.
Aveva problemi a mostrarsi debole perfino con Lawrence: non avrebbe di certo parlato delle sue vicissitudini con la madre a Tom.
- Io invece credo che mi riguardi- insistette però il giovane.
- E io credo di no- ribatté secca Vera.
Tom sbuffò, roteando gli occhi: ma chi gliel'aveva fatto fare di portarla a casa sua?
Perché non l'aveva semplicemente mandata a quel paese dopo che lei si era letteralmente lanciata in strada?
Sospirò profondamente, e ritornò a guardare la mora, che aveva preso a bere a piccoli sorsi il suo tè: sembrava – o forse era – malinconica e triste.
In ogni caso, c'era sicuramente qualcosa che la turbava.
Sospirò una seconda volta:
- Senti,- disse, con tono sommesso, attirando l'attenzione di Vera – io non sono bravo in queste cose- precisò – Però... insomma- balbettò imbarazzato, grattandosi il capo – Potrei anche... decidere di ascoltarti se tu mi parlassi dei tuoi problemi. Sono tutt'orecchi-
Vera lo osservò per qualche istante, incredula: Tom le stava offrendo il suo aiuto? Di nuovo?
Non essere sciocca” si disse “Non raccontargli nulla. Sono solo ed unicamente fatti tuoi”
Il lieve sorriso che era comparso sul volto del chitarrista, però, la faceva tentennare: in fondo, che male c'era?
Prese un respiro profondo e dopo qualche istante di silenzio imbarazzato, iniziò a parlare.
- Si tratta di mia madre- disse tutto d'un fiato – Non andiamo molto d'accordo- continuò, torturandosi le mani.
Tom annuì, rimanendo però in silenzio, e la esortò a continuare con un cenno del capo.
- Oggi abbiamo litigato. Ancora- raccontò Vera, sentendosi insolitamente a suo agio nel parlare di certe cose con Tom.
- Posso sapere il motivo?- chiese quest'ultimo.
A quella domanda Vera s'irrigidì sulla sedia, stringendo i pugni, e rabbuiandosi d'un colpo.
- E' così terribile?- domandò Tom, notando la sua reazione.
Vera non rispose, ed abbassò lo sguardo, cercando di ricacciare indietro le lacrime che minacciavano di scendere: la strana sensazione di serenità che aveva provato poco prima era scomparsa, lasciando spazio ad un vago senso di disagio.
- Ok, messaggio ricevuto- sospirò Tom, dopo poco – Non sei obbligata a dirmelo. In fondo, nemmeno ci conosciamo-
Vera non aprì bocca, e nella cucina scese un silenzio cupo e carico di tensione: la mora sentiva qualcosa bloccarla, eppure, dentro sé, sentiva il bisogno di parlarne.
Non voleva consigli su come comportarsi, né tanto meno un aiuto.
Solo qualcuno che l'ascoltasse.
Sono tutt'orecchi” le aveva detto Tom.
Forse avrebbe potuto abbattere quel muro invisibile che li separava, dopotutto.
- Mio padre è morto quando avevo undici anni-
Il chitarrista alzò il capo ed vide che Vera aveva smesso di giocherellare con le mani, e sembrava fissare un punto ignoto davanti a sé.
- Era malato- continuò Vera – Cancro-
Tom sgranò gli occhi, sorpreso dalle triste rivelazioni che la mora gli stava facendo.
- Io... io non sapevo...- iniziò a dire – Non sei obbligata a...
- Non hai detto che volevi ascoltarmi?- replicò stizzita Vera.
Lui si ammutolì di colpo, ed annuì, permettendole di proseguire.
- Prima abitavamo in una cittadina fuori New York, ma poco dopo la morte di mio padre, mia madre ha trovato un lavoro qui a Los Angeles come truccatrice, e quindi ci siamo trasferite- raccontò Vera – Poi è arrivato Greg- sibilò, serrando la mandibola.
- Il nuovo compagno di tua madre, suppongo- disse Tom – E presumo anche che tu lo odi con tutta te stessa, sbaglio?-
Vera lo guardò, stranita.
- Tu come fai a saperlo?- chiese, confusa.
- Conosco quella sensazione. I miei si sono separati quando io e Bill avevamo sei anni- raccontò Tom – Ci siamo trasferiti in un paesino di duecento anime, e dopo poco mia mamma ha conosciuto Gordon, il suo attuale marito- aggiunse – Non puoi neanche immaginare l'odio che provavo per lui- confessò, lasciandosi sfuggire un sorriso – Lo credevo causa di tutto ciò che era capitato nella mia famiglia. Ero convinto che, se non fosse stato per lui, i miei sarebbero potuti tornare insieme- continuò.
- E adesso?- chiese Vera, incuriosita.
- Adesso credo che Gordon sia la miglior cosa che potesse capitare a mia madre- rispose il moro – Dopo di me, s'intende- precisò.
Vera roteò gli occhi, sorvolando sull'ultimo commento del giovane, e concentrandosi invece sulle sue parole.
Lui aveva smesso di odiare il suo patrigno. Aveva capito che incontrarlo era stato un bene per sua madre, che lui la rendeva felice.
Ma lei avrebbe mai potuto dire la stessa cosa su Greg?
- Immagino che la tua situazione sia molto più difficile della mia,- riprese a dire Tom, ridestandola dai suoi pensieri – ma in fin dei conti non sei più una bambina: dovresti provare a vederla da un altropunto di vista-
Vera storse la bocca, infastidita: quell'uomo aveva usurpato il posto di suo padre, era entrato nelle loro vite senza nemmeno chiedere il permesso, ed ora tutti pretendevano che lei lo accettasse.
Perché?
- Non è semplice come sembra- disse abbassando lo sguardo.
- Non è mai semplice come sembra- replicò Tom, accennando un sorriso – Ma, ehi, stai organizzando il matrimonio di Bill Pazzo Kaulitz!- esclamò – Sistemare i rapporti con la tua famiglia dovrebbe essere uno scherzo!-
Vera non poté non ridere a quella battuta, e si ritrovò a pensare, che, dopotutto Tom non era male come le era sembrato.
- Grazie- sussurrò, riconoscente.
- Ehi, è la seconda volta che mi ringrazi- le fece notare Tom – Sicura di stare bene?-
Vera sbuffò sonoramente, ritirando ciò che aveva pensato poco prima.
- Sei un idiota- sbottò, incrociando le braccia al petto – Ma ti devo comunque un favore- ammise, scrollando il capo.
- Bene, me ne ricorderò- disse Tom, sorridendo sghembo.
Vera scosse la testa, con fare rassegnato, per poi alzarsi e prendere la giacca che aveva messo sulla sedia quand'era arrivata.
- Credo sia meglio che vada, ora- disse, mentre la indossava – Ti ringrazio, ancora Tom. Davvero- aggiunse, con un insolitamente timido sorriso.
- Ancora?- rise Tom.
- Beh, lo sai, no?- fece Vera – Non c'è due senza tre. Ci si vede. Ah, non disturbarti. Conosco la strada-
Senza lasciare al ragazzo tempo per replicare, si voltò ed uscì dalla cucina, per poi raggiungere con passo veloce la porta d'ingresso.
Afferrò la maniglia, ma, prima di abbassarla, lanciò un ultimo sguardo al corridoio, pensierosa: quella situazione era difficile da credere anche per lei stessa che la stava vivendo.
Scosse la testa con veemenza, come a scrollarsi di dosso tutti dubbi che stavano affiorando nella sua mente, per poi aprire la porta ed uscire, chiudendosela alle spalle.












* *






Qualche giorno dopo




- Tom? Ehi, Tom?-
Tom si risvegliò improvvisamente dal trance in cui era caduto da qualche minuto e rischiò di inciampare sul tapis roulant.
Si aggrappò alle maniglie, tentando di recuperare l'equilibrio, per poi voltarsi alla sua destra, dove il suo personal trainer, Paul, lo osservava, accigliato.
- Sei sicuro di stare bene?- chiese.
- Certo, certo- replicò con fare Tom, riprendendo a correre.
Quel giorno aveva deciso di andare in palestra di prima mattina, pensando che forse un po' di allenamento mattutino gli avrebbe fatto bene e l'avrebbe distratto un po'.
- A che pensavi?- gli domandò l'amico.
A Vera” rispose mentalmente il giovane.
Ormai gli capitava sempre più spesso di pensare a lei: quando era in auto, quando Bill parlava del matrimonio, quando era solo a casa... Praticamente sempre.
E la cosa cominciava a fargli paura in modo serio.
Aveva pensato di parlarne con Bill, ma alla fine si era ben guardato dal farlo.
E' ovvio, ti piace” gli avrebbe detto.
E quella non era la risposta che voleva.
- Tom? Ti sei incantato di nuovo?-
La voce tuonante di Paul lo ridestò di nuovo dai suoi pensieri, facendolo voltare.
- Hai detto qualcosa?
- Per oggi può bastare- ripeté Paul, spegnendo il macchinario – Anche perché sei piuttosto distratto, e in queste condizioni rischi di romperti qualche osso- aggiunse, scuotendo la testa – Va' pure. Ci si vede settimana prossima-
Tom scese dal tappeto, prese la felpa che aveva lasciato a terra precedentemente, e dopo aver salutato Paul con un cenno del capo, si diresse verso gli spogliatoi.
Decise che avrebbe fatto una doccia una volta arrivato a casa, e prese quindi a sistemare le sue cose. Prese la borsa e ne tirò fuori il cellulare, notando sul display di avere un nuovo messaggio.
Madison?” pensò, perplesso.
Aprì il messaggio e lo lesse velocemente:
Tom, chiamami appena puoi. E' urgente. Molto urgente
Il ragazzo rimase basito, nonché spaventato da quelle parole: che fosse successo qualcosa?
Subito compose con fare concitato il numero di Madison. Il telefono squillò tre o quattro volte, poi, finalmente, la giovane rispose.
- Tom!- esclamò.
- Madison! E' successo qualcosa?- chiese lui, agitato.
- Cosa? No, certo che no!- fece la ragazza – Cosa dovrebbe essere successo?
- Mi prendi in giro?- sbottò il chitarrista – Perché mi hai mandato quel messaggio?
- Oh, è per quello!- replicò con nonchalance Madison – Non preoccuparti: mi chiedevo soltanto se avessi già comprato l'abito da cerimonia-
Tom sentì la propria mandibola cadere a terra, con un tonfo sordo.
- Mi hai fatto spaventare, accidenti!- sbuffò – Perché hai scritto che era una cosa urgente?
- Beh, perché è urgente, Tom- osservò con perplessità Madison – Non vorrai mica presentarti al matrimonio con quella giacca di jeans che indossi sempre, vero?
Tom sospirò e si trattenne dal risponderle per le rime.
- Lo farò il prima possibile- disse invece, sospirando.
- Oggi?
- Cosa? No, non ho detto quest...
- Bene!- esclamò felice Maddie, interrompendolo – Allora domani pomeriggio passa di qui e fammi vedere cos'hai comprato! Ciao!
- Ma...-
Tom non fece in tempo ad opporsi perché Madison aveva già chiuso la chiamata.
- Lei e il suo brutto vizio di mettere giù quando qualcuno parla- borbottò, indispettito, mentre riprendeva a sistemare le sue cose.
Una volta finito, chiuse la borsone e se lo caricò in spalla, per poi uscire a passo affrettato dallo spogliatoio, ed infine dall'edificio, mentre pensava a come uscire dalla situazione in cui si era cacciato.
Devo trovare assolutamente un vestito, o Madison è capace di dare di matto” si disse, mentre raggiungeva la sua auto e saliva a bordo.
Chiuse la portiera e rimase immobile nella vettura, incerto sul da farsi.
Aveva decisamente bisogno d'aiuto: da solo non ce l'avrebbe mai fatta.
Si passò una mano dietro la testa, grattandosi il capo, in cerca di un'idea, quando all'improvviso un ricordo riaffiorò nella sua mente.


Ma comunque ti devo un favore


Sorrise, soddisfatto, mentre recuperava il telefonino dalla tasca dei jeans, per poi iniziare a comporre un numero: aveva trovato la soluzione.




* *






- Un abito da cerimonia?- ripeté Vera, perplessa.
- Esatto- disse Tom – Allora? Ricorda che mi devi un favore, l'hai detto tu stessa!-
Vera, seduta sul divano del suo salotto, a gambe incrociate, alzò gli occhi al cielo.
- Era solo un modo di dire!- esclamò – Non credevo l'avresti presa sul serio!
- Stai dicendo che non mi aiuterai?-
Vera rimase sulle sue posizioni, ma le parole di Tom la facevano vacillare: in fondo, quel giorno era la sua giornata libera ed in più si intendeva di quelle cose; inoltre Chris, il ragazzo di Lawrence, lavorava in un negozio poco lontano in cui Tom avrebbe potuto trovare quello che cercava.
Quindi, perché non accettare?
- Ok- disse, sospirando – Ok, ti aiuterò.
- Bene! Passerò a prenderti questo pomeriggio. A dopo!
- Sì, a dopo Tom-
Vera chiuse la chiamata, e sospirò una seconda volta: aveva una strano presentimento, non sapeva dire se bello o brutto.
Sapeva solo che quel pomeriggio qualcosa sarebbe successo.






* *












Quel pomeriggio




Tom era in ritardo. Di nuovo.
Vera sbuffò per l'ennesima volta, infastidita: quale persona dava un appuntamento per poi non presentarsi?
Si sistemò la maglietta che indossava, per poi riprendere ad osservare la strada, aspettando che l'auto del giovane comparisse da un momento all'altro.
Dopo qualche minuto, sentì finalmente il rombo di un motore accompagnato dallo strombazzamento di un clacson, e poco dopo Tom si fermò a pochi centimetri da lei.
La giovane salì in auto e chiuse la portiera con un colpo secco.
- Sei in ritardo- fece notare, piuttosto scocciata – Di nuovo- aggiunse.
- Vera, trattieni l'entusiasmo- scherzò Tom – So che sei felice di vedermi, ma per favore, non esagerare.
- Non sei per niente divertente- lo rimbeccò Vera: ora si metteva anche a fare dell'umorismo?
- Nemmeno tu sei un mostro di simpatia, se è per questo- replicò Tom – Allora, dove andiamo?- chiese poi, prima che la mora potesse rispondere.
Vera gli diede le indicazioni e una quindicina di minuti più tardi, giunsero davanti alla vetrata di un un piccolo negozio di sartoria.
- E' questo il posto?- domandò Tom, inarcando il sopracciglio.
- Beh, non è molto grande,- fece Vera, mentre si slacciava la cintura – ma sono certa che troverai ciò che cerchi- concluse, per poi scendere dalla vettura.
Ancora titubante, Tom scese dall'auto a sua volta e seguì Vera verso l'ingresso.
Prima ancora che ci mettessero piede, però, la porta si aprì, e ne uscì un giovane.
- Vera!- esclamò, per poi fiondarsi su Vera, abbracciandola.
- C-chris...- balbettò lei – M-mi stai s-soffocando-
Il giovane, un ragazzo di qualche anno più grande di lei, dai capelli corvini sistemati con la lacca e un paio di grandi occhi azzurri, si allontanò, ridacchiando.
- Scusa,- disse – è che è da molto che non ci vediamo. Mi sono fatto prendere dall'entusiasmo – si giustificò - Lui deve essere Tom- asserì infine, osservando il chitarrista
dietro a Vera, rimasto immobile – quanto esterrefatto - durante l'intera scena.
- Esatto- disse Vera – Tom, ti presento Christopher, il ragazzo di Lawrence- fece, indicando il giovane in questione.
Tom annuì e gli porse la mano.
- Piacere di conoscerti, Christopher- disse, con un sorriso.
- Chiamami pure Chris- rispose l'altro, stringendogliela – Vera, stamattina al telefono non mi hai detto che il tuo”caso disperato” era così carino-
Vera sgranò gli occhi ed assestò una gomitata nelle costole del giovane, che emise un lamento.
- Sei impazzita? Cos'ho fatto?!- esclamò, tenendosi la parte colpita.
- Sarà meglio cominciare- disse con fare affrettato Vera, ignorandolo.
Ancora dolorante, Chris fece segno agli altri due di seguirlo.
- Caso disperato?- sussurrò Tom all'orecchio di Vera, quando Chris si fu voltato, entrando poi nel negozio.
- Ha aperto il negozio un'ora prima solo per noi. Dovevo convincerlo in qualche modo- si giustificò Vera, stringendosi nelle spalle.
Chris raggiunse il bancone del negozio, dove, insieme al registratore di cassa, stavano un metro e un paio di forbici. Sulle pareti si ergevano armadi di legno chiaro in cui erano impilate scatole di varie grandezze e colori.
Il moro prese il metro e si avvicinò a Tom.
- Mi vuoi legare?- chiese questo, spaventato, facendo un passo indietro.
Chris aggrottò la fronte, per poi guardare Vera.
- E' sempre così idiota?- chiese con disarmante sincerità.
Vera scoppiò a ridere, mentre Tom assumeva un'espressione offesa.
- Devo solo prenderti le misure, accidenti!- disse Chris, rivolgendosi al chitarrista – Avanti, allarga le braccia-
Tom storse la bocca, poi fece come gli era stato detto, permettendo così a Chris di prendergli le misure.
- Hai delle braccia che fanno paura- commentò il moro dopo qualche minuto, segnando le ultime cifre su un pezzo di carta.
- Vado in palestra- spiegò il chitarrista.
- L'avevo immaginato- rispose Chris con un sorrisino – Vediamo un po' cos'ho qui per te- fece, poi, voltandosi verso gli scaffali.
Passò in rassegna le scatole, prendendone una di tanto in tanto, fino a che non si disse soddisfatto.
- Ecco, tieni- disse a Tom, lasciandogli in mano tutte le scatole – I camerini sono di là- aggiunse poi.
Tom assunse un'espressione confusa, ma Chris non gli diede tempo di porre alcuna domanda.
- Forza! Vai!- lo incitò, spingendolo verso le cabine di prova.
- Non serve spingere!- sbottò indignato il chitarrista.
Vera, intanto, appoggiata al bancone, osservava la scena, consapevole che ci sarebbe voluto più di quanto pensasse.








* *




Diverso tempo dopo






- Quel ragazzo è fuori di testa-
Tom stava borbottando quella frase da ormai una decina di minuti, alternandola ad un “Come si è permesso di trattarmi così?” ed un “Dovrebbe cambiare lavoro
- E' stato divertente in fondo- commentò invece Vera, bevendo un sorso del suo frullato.
Dopo aver -finalmente- trovato l'abito giusto per Tom, il ragazzo l'aveva presa alla sprovvista invitandola a bere qualcosa con lui ad uno dei bar nei dintorni, e lei, dopo qualche titubanza, aveva accettato.
In fin dei conti, non c'è nulla di male” aveva pensato.
- Non è stato per nulla divertente- diceva intanto Tom – Mi ha trattato come se fossi un idiota!
- Ah sì?- fece Vera – Ti sei chiesto il perché?-
Tom fece per rispondere, ma finì solo per sbuffare sonoramente.
- E dire che avevo cominciato a reputarti simpatica- borbottò tra i denti, riprendendo a bere il suo caffè, per poi finirlo in pochi sorsi.
Posò la tazzina sul tavolo, e fece per proporre a Vera di andare, quando però, un particolare lo fece incuriosire.
- E questo?- chiese rivolto a Vera, sfiorandole il polso con un dito, là dove c'era il tatuaggio del delfino – E' un tatuaggio?- chiese, continuando ad accarezzarlo.
Vera si limitò ad annuire, scostando poi il braccio dal tocco di Tom.
- Come mai un delfino?- chiese spontaneamente il chitarrista.
Vera indugiò qualche attimo, distogliendo lo sguardo: ormai aveva rivelato a Tom tutto ciò che doveva sapere, quindi, perché non dirgli anche quello?
- Senti,- disse Tom – se non vuoi io non...
- Mio padre era un biologo marino- fece Vera, interrompendolo, senza però voltarsi – e la sua passione erano i delfini- continuò - Ho pensato che questo tatuaggio potesse essere un modo per ricordarmi che comunque sia, lui è sempre con me- confessò infine, abbassando lo sguardo – E' una cosa stupida?- chiese poi, ridacchiando nervosa.
- No, non troppo- rispose Tom – Io la trovo una cosa ammirevole-
Vera alzò gli occhi e scorse sul volto del ragazzo un'espressione maledettamente sincera, che la portò a sorridere.
- Beh,- fece all'improvviso Tom, quasi brusco – direi che possiamo andare, no?- disse, alzandosi.
Vera annuì, seguendolo a ruota, e dopo che Tom ebbe pagato per entrambi al bancone, uscirono e salirono in auto, parcheggiata poco distante dal locale.
- Ti porto a casa?- chiese il chitarrista mentre metteva in moto la vettura.
- Sì, grazie- rispose Vera, mentre allacciava la cintura di sicurezza.
Per l'intero viaggio, l'auto fu avvolta nel più completo dei silenzi: sia Tom che Vera sentivano un vago ed inspiegabile senso di imbarazzo, che li portava a rimanere muti come pesci.




Una decina di minuti dopo, Tom stava parcheggiando nel cortile del palazzo della giovane.
- Grazie per avermi accompagnato- mormorò Vera, mentre toglieva la cintura – Ci vediamo- disse poi, aprendo la portiera.
- Aspetta!- esclamò Tom, facendola voltare – Ti accompagno- si offrì, scendendo a sua volta dalla vettura.
Vera rimase sbigottita dalle sue parole, ma non fece domande né si oppose: aspettò semplicemente che Tom la raggiungesse, per poi avviarsi verso il portone di ingresso, ed entrando infine nel palazzo.
Vera salutò con la mano la signora Clarke, che le sorrise teneramente, prendendo poi le scale che portavano al suo appartamento, seguita da Tom, e in un paio di minuti i due giunsero davanti alla porta della giovane.
Vera infilò la chiave nella toppa ed aprì la porta.
- Vuoi entrare?- chiese, rivolgendosi a Tom.
- No, sarà meglio che io vada a casa- rifiutò gentilmente il ragazzo.
- Bene, allora... ciao-
I due ragazzi rimasero ad osservarsi per qualche istante, e, involontariamente, si ritrovarono molto più vicini di quanto non dovessero, e i loro visi si stavano avvicinando sempre più.
Erano ormai ad un soffio l'uno dall'altra, quando Tom decise di annullare le distanze, posando le sue labbra su quelle della giovane.
Fu un bacio casto, a fior di labbra, ma Vera sentì comunque ogni fibra del suo corpo vibrare a quel contatto appena accennato e il tempo fermarsi
Sentiva come se, nel suo subconscio, stesse aspettando quel bacio da sempre.
Quell'idillio, però, durò solo pochi istanti.
Qualche secondo dopo, infatti, Tom si allontanò dalle labbra della mora, rompendo l'atmosfera che si era venuta a creare, e lasciando nella giovane un vago senso di insoddisfazione.
- C-credo che sia meglio che vada ora- balbettò incerto Tom, passandosi una mano dietro la nuca.
Perché aveva fatto una cosa del genere?
Cosa l'aveva spinto a fare una mossa così azzardata?
Ma soprattutto, perché lei non l'aveva fermato? Nemmeno si piacevano.
- Grazie per avermi aiutato con l'abito- disse ancora il chitarrista, cercando di reprimere l'istinto di fiondarsi di nuovo sulle labbra di Vera.
- Figurati, è stato un piacere- rispose lei, visibilmente imbarazzata, portandosi un ciuffo di capelli dietro l'orecchio – Allora, a presto.
- A presto, sì- disse Tom – Ci vediamo- salutò infine, per poi voltarsi ed uscire.
Appena la porta si chiuse alle spalle del chitarrista, Vera tirò un lungo sospiro, sentendosi sollevata; tuttavia, però, sentiva ancora quello strano senso di inappagamento..
Automaticamente, si portò un dito alle labbra, sfiorandole appena, e si ritrovò a pensare che se fosse tornata indietro di pochi minuti, l'avrebbe rifatto.
Non poteva più negarlo: era attratta da Tom.
E ciò la spaventava a morte.
Scosse la testa, cercando di scacciare tutti quei pensieri: sicuramente Tom si sarebbe dimenticato di tutto appena uscito, e non toccava di certo a lei rimuginare su ciò che era successo.
Si voltò e cominciò a dirigersi verso il bagno, pianificando di farsi una doccia fredda e scrollarsi tutti quei dubbi e quei timori di dosso, quando, d'un tratto, il campanello suonò.
Ma che diavolo...?”
Fece qualche passo indietro, diretta verso la porta, per poi aprirla.
- Che ci fai ancora qui?- domandò esterrefatta, quando Tom apparve davanti ai suoi occhi.
Il moro non rispose: semplicemente afferrò il viso della ragazza tra le mani, avvicinandolo al suo, per poi baciarla con passione.
Lei sgranò appena gli occhi, sorpresa da quel gesto, ma subito si lasciò trasportare dalla foga con cui Tom la baciava.
Il ragazzo la spinse all'interno dell'appartamento, per poi chiudere con un colpo del piede la porta alle sue spalle, senza interrompere il contatto con le sue labbra.
La afferrò per la vita e la sollevò, mentre lei cingeva le sue gambe attorno a lui, in preda ad un'enfasi sconosciuta perfino a lei.
Tom cominciò ad avanzare, finendo in corridoio.
- Destra- mugugnò Vera, contro le sue labbra.
Tom seguì le sue indicazioni, arrivando così nella stanza della giovane. Avanzò a tentoni, fino a toccare ciò che lui capì essere una delle gambe del letto.
Fece stendere Vera sul materasso, mettendosi poi a cavalcioni sopra di lei.
I due interruppero il contatto tra le loro labbra, per prendere fiato, e si guardarono negli occhi per qualche attimo, ansimanti.
Vera non ricordava di aver mai provato qualcosa di simile in vita sua: sentiva brividi di passione pervaderle il corpo, dandole un'inspiegabile sensazione di calore.
La sua mente era come annebbiata: in quel momento c'erano solo lei e Tom, nient'altro.
I suoi dubbi, le sue incertezze le erano scivolati di dosso non appena il giovane l'aveva baciata.
Dal canto suo, la mente di Tom era completamente in blackout: percepiva solo la bramosia e il desiderio di averla.
Insinuò una mano sotto la sua maglietta, accarezzandole delicatamente il ventre, prendendone i lembi ed alzarla piano.
Vera si sollevò di poco per permettergli di sfilargliela, rimanendo in reggiseno, per poi aiutarlo a privarsi dello stesso indumento, che finì a terra, insieme alla t-shirt della ragazza.
Rimasto a petto nudo, Tom passò a sbottonare i pantaloni scuri di Vera, che calò lunghe le gambe della mora fino a toglierli del tutto, lasciando poi che lei facesse lo stesso con i suoi jeans.
In pochi istanti si spogliarono anche dell'intimo, ritrovandosi nudi, in preda all'eccitazione sempre più crescente.
Si guardarono intensamente per alcuni istanti che parvero eterni, poi Vera fece un cenno con il capo, come a dire di essere pronta.
Tom le sorrise, sistemandosi meglio tra le sue gambe, e poi, con un movimento deciso, ma al tempo stesso non troppo violento, entrò in lei, per poi iniziare a spingere.
La mora inarcò la schiena, e ad ogni spinta sentiva il piacere propagarsi in tutto il suo corpo.
Tom la osservò, beandosi dell'espressione di assoluto godimento dipinta sul suo volto, per poi buttare la testa all'indietro, mentre un primo ansimo sfuggiva dalle sue labbra.
Ben presto l'intera stanza si riempì di gemiti che, man mano che le spinte diventavano più decise a veloci, aumentavano di intensità.
Le loro menti erano completamente andate in tilt: intorno a loro tutto si era fermato, ed ora esistevano solo loro. Loro e quell'estasi ardente che li mandava in visibilio.
Vera si aggrappò alla schiena del moro, graffiandola, mentre lui, con due ultime spinte raggiunse il culmine, lanciando un grido di puro piacere, subito seguito da quello giovane.
Ancora ansimante, Tom si lasciò cadere affianco a Vera.
I loro petti si alzavano ed abbassavano in sincronia, mentre entrambi cercavano di realizzare ciò che era appena successo.
Ma soprattutto ciò che tutto quello avrebbe comportato.
Tom si avvicinò alla ragazza, stringendola a sé e lei si abbandonò a quell'abbraccio, senza dire una parola.
Il moro affondò il viso nei suoi capelli, prendendo poi ad accarezzarli, mentre lei poggiò la testa sul suo petto, percependo così i battiti del suo cuore, che sembrava minacciare di uscire da un momento all'altro. Si ritrovò a sorridere, sentendo un senso di soddisfazione nel sapere di essere la causa di quel battito così accelerato.
Si accoccolò meglio al petto del chitarrista, e pochi istanti dopo, una domanda sorse spontanea sulle sue labbra.
- E ora?- sussurrò, rivolgendosi a Tom.
Il ragazzo sospirò, e Vera poté giurare che avesse detto qualcosa, ma non sentì mai quella risposta: si era addormentata.












* *














Intanto, a Lisbona




- Rimarrai molto?
- No- rispose Philip, comodamente steso sul letto della sua stanza d'albergo – Qualche giorno, non di più.
- Hai detto così anche quando sei andato a Parigi- gli ricordo la madre, all'altro capo del telefono con tono indispettito.
- Sì, ma a Parigi ho avuto un contrattempo- spiegò il giovane, alzando gli occhi al cielo – Stai tranquilla, mamma, dopo Lisbona mi prendo qualche ferie, e prima di tornare a casa mi fermerò da te e papà per qualche giorno. Non ti preoccupare, è tutto sotto controllo
- Sì, tutto sotto controllo. Come sempre – borbottò la donna - Beh, sappi che non vedo l'ora di riabbracciarti- aggiunse, con dolcezza – Ora devo andare, ma mi raccomando fatti sentire in questi giorni.
- Certo, mamma- rispose Phil – A presto, ti voglio bene-
Chiuse la chiamata, e si ritrovò a sorridere, pensando che nonostante avesse ormai ventisei anni, sua madre si ostinava a trattarlo come un ragazzino.
Appoggiò il telefonino accanto a sé, sul cuscino, e portò un braccio dietro la testa.
Finalmente dopo questo incontro si torna a casa” si disse, sollevato “ Ah, Los Angeles quanto mi sei mancata”
















Ma salve a tutti! Guardate un po' chi è tornata! Finalmente, eh?
September has come, people!
Come state, gente?

Vi dico subito che la parte 'erotica' (?) di questo capitolo è frutto di fatica, sudore, lacrime, sangue e chi più ne ha più ne metta.
Insomma, un vero e proprio parto, come il resto del capitolo, ad essere sinceri.
E inoltre ho rotto tutto ciò che poteva essere rotto a _RockEver_ chiedendole continuamente consigli e pareri.
Davvero, non ho mai scritto nulla del genere, quindi capitemi se non è all'altezza delle vostre aspettative; io ho cercato di fare il possibile c.c
- Sì, sto cercando di giustificare quest'eterogenea e piuttosto rivoltante assemblaggine (????) di parole, chiedo scusa -

Anyway...
PHIL IS BACK (?)
Spero che voi non l'abbiate dimenticato u.u
Nel caso, andate a rivedervi il secondo, il quarto e il quinto capitolo C:
Sapete che non posso lasciare che tra Vera e Tom sia tutto rose e fiori u.u
Però dai, in fondo sono stata gentile, no? Cioè, per lo meno si sono divertiti LOL
Ok, torno in me.
Beh, che altro aggiungere? A voi l'ardua sentenza:
è valsa la pena aspettare due settimane per questo quattordicesimo capitolo?

Prima di lasciarvi volevo comunicarvi che durante l'assenza di 'Wedding Planner', ho postato due shots, 'Dancing With Ghosts' e 'Cinquanta Striature di Biondo'
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate!
Vi lascio i link sotto insieme al mio Twitter e al mio Facebook.


Inoltre ho cambiato il banner *^*
Andate a vederlo e ditemi cosa ne pensate (:


Infine (giuro che poi scompaio), una cosa davvero importante:
io e la mia amica _Frency_ abbiamo avuto l'idea di creare un gruppo su Facebook per le Aliens di EFP (lettrici e scrittrici) dove potremo scambiarci idee, opinioni e chiacchierare in assoluta tranquillità!
Spero vogliate unirvi a noi!
Come per gli altri, il link del gruppo lo trovate sotto!


Ok, adesso vado via davvero, non c'è bisogno che mi guardiate così.


Ci tenevo solo a ringraziare tutti, quelli che leggono, recensiscono, seguono, ricordano e preferiscono questa fanfic: non sapete quanto il vostro supporto mi renda felice, davvero.
C'è gente che mi scrive e dice di quanto io sia brava e cose del genere, ma la verità è che
questa personcina qui – MOI- non sarebbe arrivata a questo punto senza di voi, quindi, davvero, grazie.
Se fossi in voi mi farei un applauso.
E poi un saluto di benvenuto a tutte le nuove lettrici che si sono aggregate in queste ultime settimane! *^*


Bene, alla prossima allora!
Un buon ritorno a scuola a tutte C:
E se volete saperlo, no, non ho finito i compiti.
Ma il capitolo era pronto e alla fine non ho resistito c.c
A proposito, il prossimo capitolo arriverà sicuramente dopo l'inizio della scuola C:


Ok, vado vado u.u


Un bacione,
Heilig






Trailer | Twitter | Facebook | Gruppo Facebook


Dancing With Ghosts | Cinquanta Striature Di Biondo


Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Fifteen ***


A Vero, perché non ama i cliché
Un bacione
Ti voglio bene

Fifteen



Quando Vera si svegliò, era ormai sera inoltrata.
Un inebriante calore la invase, mentre le sue labbra si piegarono spontaneamente in un dolce sorriso, al ricordo degli avvenimenti di qualche ora prima.
Alzò di poco il capo e vide che Tom dormiva ancora profondamente, nella stessa posizione in cui si era addormentato, abbracciato a lei e il viso incredibilmente vicino al suo.
La mora iniziò a delineare delicatamente con il dito i tratti del volto del giovane, soffermandosi spesso sulle sue labbra rosee e carnose, le stesse che poco prima l'avevano tenuta unita a lui, accendendo in entrambi un piacere che mai avevano provato prima.
- Ti diverti?-
Nel sentire quella voce improvvisa, Vera trasalì, trattenendo a stento un urlo.
Tom aprì gli occhi, ridacchiando, mentre lei si ritrovò ad abbassare lo sguardo.
- Non volevo svegliarti- si scusò, disegnando dei cerchi immaginari sul petto del ragazzo.
- Non mi hai svegliato- la tranquillizzò lui, con un sorriso.
Uno strano silenzio piombò nella stanza, rotto dal respiro dei due ragazzi, che ancora cercavano di realizzare l'accaduto.
- Non riesco ancora a crederci- disse Vera in un soffio, continuando ad accarezzare il petto di Tom.
- Siamo sicuri che questo non sia soltanto un sogno?- fece Tom, ironico – Cioè, tutto questo è...
- Assurdo- fece la giovane – Assolutamente ed innegabilmente assurdo.
- Non posso che darti ragione- sospirò Tom, affondando il viso nei suoi capelli – Tu... tu mi piaci, Vera Cooper- mormorò infine, dopo diversi istanti di silenzio, ammettendolo più a se stesso che alla ragazza.
A quelle parole lei alzò lo sguardo e notò che le guance di Tom si erano leggermente arrossate, mentre lui aveva preso a mordicchiarsi il labbro inferiore.
- Non mi guardare così- sbuffò d'un tratto – Mi fai sentire stupido.
Vera non poté trattenersi dal ridere, mentre Tom sentiva il suo viso andare sempre più a fuoco.
- Non ridere!- protestò indignato – E' una cosa seria- aggiunse, in un sussurro – Tu... tu cosa ne pensi?- chiese infine.
La giovane rimase qualche attimo in silenzio, incerta, smettendo di muovere il dito sul torace di Tom, ed incupendosi in volto, tant'è che il giovane pensò di aver detto qualcosa di sbagliato.
- Vera?- fece, inarcando un sopracciglio.
- Tutto questo è una follia, lo sai vero?- disse lei, alzando lo sguardo su Tom – Una gigantesca follia-
Tom ridacchiò, divertito, poggiando la sua fronte su quella di lei.
- Anche tu mi piaci Tom- confessò la giovane, mormorando.
Tom sorrise dolcemente, stringendo Vera ancora più a sé.
- Sarà difficile- obbiettò lei, dopo poco.
- Sarà un suicidio, se vogliamo essere precisi- la corresse Tom.
- Credi che resisteremo?- chiese Vera, pensierosa.
- Possiamo... provarci-

Provarci.

Provare a fare cosa, Tom?”
Vera non credeva di aver compreso appieno le parole del giovane: sapeva solo che in quel momento aveva tutto ciò di cui aveva bisogno, e che i dubbi, almeno per quella notte, potevano essere messi da parte.
- Resterai qui?- chiese, con un fil di voce.
- Solo ad una condizione- affermò Tom.
La mora alzò lo sguardo, perplessa: cosa intendeva?
- Di' la verità: sono più che vagamente apprezzabile?-
Vera si lasciò andare in una risata, accoccolandosi meglio a lui.
- Sei molto più che vagamente apprezzabile- rispose, baciandogli il petto, là dove il cuore sembrava non aver diminuito la potenza e la velocità dei battiti che aveva percepito qualche ora prima.
E ancora una volta, Vera si ritrovò a sorridere.



* *





Il pomeriggio seguente

- Vera e il suo amico hanno fatto un ottimo lavoro!-
Bill e Madison girarono attorno a Tom, osservando l'abito da cerimonia in tutti i suoi particolari, con un sorriso soddisfatto dipinto sul volto.
- Sei felice, ora, Madison?- disse Tom, con aria scocciata.
- Sì!- trillò Maddie, battendo le mani – Quest'abito è perfetto! Ti fa sembrare ...
- Vuoi scherzare?- la interruppe il chitarrista, quasi scandalizzato – Sono io a rendere l'abito perfetto-
Madison alzò gli occhi al cielo, per poi scrollare le spalle, rassegnata: Tom era fatto così.
- Beh, Mister Perfezione- disse – Puoi anche cambiarti, se vuoi. Vi aspetto di sotto, ragazzi-
Dopo aver visto Madison uscire dalla stanza, Bill lanciò uno sguardo accusatorio al fratello.
- Non c'è niente che devi dirmi?- chiese.
- No- rispose secco il moro, mentre iniziava a togliersi la giacca – Potresti uscire? Devo cambiarmi.
- Non provare a cambiare discorso!- lo rimbeccò il gemello – Avanti, che è successo?- chiese, con le mani ai fianchi
- Non so di cosa tu stia parlando, Bill- insistette Tom, con indifferenza.
Lo sguardo del biondo, però, pareva attraversarlo da parte a parte, tanto era truce e minaccioso.
- Beh, forse qualcosa è successo, dopotutto- si arrese infine il chitarrista.
- Qualcosa?- ripeté Bill, scettico.
- Beh, forse un po' più di qualcosa- si corresse Tom, visibilmente imbarazzato, passandosi una mano dietro la nuca.
Si sedette sul letto di Bill e Madison ed abbassò lo sguardo.
- Io e Vera siamo stati a letto- disse tutto d'un fiato, dopo aver preso un profondo respiro
Senza aspettare una reazione da parte del gemello, riprese subito a parlare:
- Non riesco ancora a capacitarmene- ammise, con sincerità – Credo di dover ancora metabolizzare il tutto.
- Beh, sì, succede quando si è innamorati- fece Bill, con un sorrisetto strafottente, dandogli alcune pacche sulla schiena.
Tom lo guardò, quasi adirato.
- Io ti parlo dei miei problemi e tu mi prendi in giro?!- esclamò – Grazie della comprensione!- borbottò, infastidito.
- Ti sei preso una bella sbandata per quella ragazza- sentenziò il fratello, sedendosi accanto a lui.
- Stiamo insieme- raccontò il moro, torturandosi le mani – O almeno, ci stiamo provando.
- Cosa diamine significa?- chiese stranito Bill – Non ha senso: la gente non sta insieme per provarci.
- Beh, evidentemente non è così per tutti- sospirò Tom.
I due rimasero in silenzio per qualche istante, poi Bill riprese a parlare.
- Le hai detto che l'ami?-
Tom sgranò gli occhi e rischiò di strozzarsi con la sua stessa saliva.
- Fermo, fermo!- esclamò, gesticolando furiosamente – Tu corri troppo con la fantasia! Non ho mai detto che l'amo!-
Bill roteò gli occhi, scuotendo la testa: perché suo fratello era così ottuso?
D'un tratto, la voce acuta di Madison giunse alle loro orecchie dal piano inferiore.
- Ragazzi!- urlò – Il caffè è pronto!-
Bill lanciò uno sguardo al fratello, e, prima di alzarsi, portò un dito sulla sua tempia.
- Fai chiarezza qui- disse – E qui- aggiunse, picchiettando sul petto del gemello – O finirete per soffrire entrambi-
Detto questo, si alzò dal letto ed uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Rimasto solo, Tom prese a cambiarsi, ripensando alle parole del fratello.
Fai chiarezza, aveva detto Bill.
Peccato che non fosse così facile.



* *



Intanto

- Cooper, se continui così, quel cappuccino farà una pessima fine-
Vera si risvegliò dal suo trance ed allentò di colpo la presa sul suo bicchiere di cartone, rischiando di farlo cadere.
- Sei sicura di sentirti bene?- chiese il biondo, notando il nervosismo dell'amica.
- Sicurissima- disse lei, iniziando però a tamburellare con le dite sul legno della sua scrivania, a cui era seduta.
- Sarà- sospirò Lawrence, seduto sul tavolo, finendo di bere il suo caffè – Beh, allora io torno nel mio uffic...
- Io e Tom siamo stati a letto e ora stiamo insieme- lo interruppe però Vera, parlando tutto d'un fiato.
Aveva lo sguardo basso, e i capelli le coprivano il viso, ma Lawrence poteva ben intuire che sotto quello scudo si celava un volto rosso di vergogna.
Vedendola in quello stato, non poté trattenersi dal ridere, portando Vera ad alzare di scatto la testa, sbigottita.
- Ti sembra divertente?!- protestò, piuttosto infastidita.
Lawrence, però, non accennava a smettere, preso com'era a spanciarsi dalle risa.
- Lawrence, smettila!- esclamò furiosa Vera.
- Scusa, è che...- fece il biondo, mentre ancora ridacchiava - ...sei buffa quando t'imbarazzi- spiegò, con un sorrisetto stampato in volto.
- Fantastico- sbuffò Vera, passandosi una mano sul viso – Hai finito, ora?- sibilò, infine.
Lawrence annuì, mantenendo però la sua espressione strafottente.
- E quando sarebbe sbocciato quest'amore improvviso?
- Ehi, non esagerare!- lo ammonì Vera – Non è amore.
- Non ancora- la corresse Lawrence – Beh? Cosa aspetti?- fece poi, sistemandosi meglio sulla scrivania – Racconta!-
Vera alzò gli occhi al cielo, rassegnata, preparandosi ad una lunga discussione: Lawrence non sarebbe mai cambiato.



* *


La sera

Tom appoggiò sul bancone il suo bicchiere vuoto, mentre sentiva il sapore amaro dell'alcol graffiargli il palato e la gola.
Era lì da un paio d'ore, in preda a mille dubbi e pensieri.
Forse non avrebbe dovuto fare quella proposta a Vera.
Forse avrebbe dovuto solo restarsene zitto ed andare via da quella casa mentre lei dormiva, come, d'altronde, aveva sempre fatto.
Ma quando si era svegliato ed aveva visto Vera addormentata tra le sue braccia, qualcosa l'aveva trattenuto dallo sgusciare via come un verme.

Sensi di colpa?

Forse.

Interesse?

Probabile.

Amore?

Impossibile.

Ne sei davvero sicuro, Tom?

Tom scosse la testa, cercando di relegare nella parte più remota del suo cervello quella fastidiosa voce, flebile, certo, ma che sussurrava parole che lo intimorivano.
Alzò la mano, rivolto al barman, e chiese un altro drink. Il giovane iniziò subito a prepararlo e nemmeno un paio di minuti dopo, lo posò davanti a Tom.
Il chitarrista prese il bicchiere ed iniziò a sorseggiare il drink con calma, mentre rifletteva sugli avvenimenti che si erano susseguiti in quelle ultime settimane, cercando di catturare l'esatto momento in cui i suoi sentimenti verso Vera erano cambiati.
Cos'è che l'aveva spinto a vederla in modo diverso?
Perché da acerrimi nemici erano finiti per farsi le coccole sul letto di lei, stretti in un tenero abbraccio?
Cosa aveva causato tutto quello?

Mentre cercava di rispondere a tutte quelle domande, il ragazzo sentì una mano appoggiarsi sulla spalla, facendolo trasalire.
Si voltò di scatto, e davanti ai suoi occhi apparve un Lawrence sorridente.
- Buonasera- disse il biondo, sedendosi accanto a Tom – Come mai da queste parti?
- Potrei farti la stessa domanda- replicò il chitarrista, per poi bere un sorso del suo drink – Come mai non sei con Mister Simpatia?
- Parli di Chris? In realtà è laggiù- ridacchiò Lawrence, additando il suo fidanzato, seduto ad un tavolino poco distante – Mi ha raccontato la vostra avventura al negozio.
- Disavventura- lo corresse Tom con una smorfia – Senza offesa, ma è stato piuttosto stronzo.
- Credo si sia divertito molto- fece Lawrence – E anche tu e Vera, a quanto pare- aggiunse, con tono da cospiratore.
Per tutta risposta ottenne un semplice grugnito, accompagnato da un incomprensibile borbottio.
- Sì, anche Vera è in questo stato. Risponde solo a grugniti- affermò Lawrence – Senti, non ho la minima intenzione di immischiarvi nelle vostre faccende- disse, facendosi serio – Quindi sarò breve e conciso- aggiunse, per poi avvicinare il viso a quello di Tom – Non spezzarle il cuore. Non se lo merita-
Tom si voltò verso di lui, con sguardo interrogativa, pronto a domandargli di cosa stesse parlando, ma Lawrence non gli diede il tempo di parlare.
- Ora vado- disse, alzandosi – Non bere troppo, o dovrai prendere un taxi- aggiunse, facendogli l'occhiolino, per poi allontanarsi, dopo avergli dato un'energica pacca sulla spalla.
Tom aprì la bocca per replicare, ma lui era già sparito tra la gente che affollava il locale.
Scosse la testa e terminò di bere il suo drink, posando poi il bicchiere vuoto accanto al precedente.
Ora alle parole di Bill, si erano aggiunte quelle di Lawrence, e tutte insieme creavano un turbinio all'interno della sua testa.
Forse l'unica soluzione era davvero provarci.
Provare ad andare al di là della semplice attrazione fisica.
Provare ad essere più che semplici conoscenti.
Provare a mettere da parte i dissidi avuti fino ad ora.
Provare a stare insieme.

Un sorriso spontaneo nacque sulle sue labbra, mentre sentiva la sua mente farsi via via più lucida: stava iniziando a fare chiarezza? Non ne aveva idea.
Sapeva solo che quella nuova sensazione, quel turbinio di emozioni, lo facevano stare dannatamente bene.



* *







Un paio di settimane più tardi

- A stasera, allora!
- Certo, Tom. A dopo-
Vera chiuse la chiamata, per poi rimettere il cellulare in borsa, riprendendo quindi a fare la spesa.
Quella sera Tom sarebbe venuto a casa sua a cena, e lei avrebbe cucinato.
Non che fosse una gran maga ai fornelli, ma le era sembrato giusto preparare la cena per... il suo ragazzo?
Come avrebbe dovuto considerarlo?
Non erano amici, di certo.
Ma forse nemmeno fidanzati.

Vera scosse la testa, e ripose nel carrello alcuni pomodori, cercando di liberare la mente da tutti quei dubbi.
Lei e Tom stavano provando.
Provando a stare insieme, ad avere una relazione più o meno stabile.
Sembrava difficile, ma, contro ogni aspettativa, la situazione reggeva, e loro erano felici.
Vera ancora stentava a crederci: non riusciva a capacitarsi di frequentare Tom.
Una follia.
Tutto quello era un'autentica follia.
Ma la cosa buffa era che a loro non importava.
Erano solo agli albori della loro storia, ma qualcosa le diceva che sarebbe durata, che sarebbe stato diverso.

E se ti sbagliassi, bambina?

Vera si ritrovò a stringere la presa sulla confezione di pasta che aveva appena preso dallo scaffale.
La voce della sua coscienza non le dava pace ormai da giorni: era quella parte di lei che si ostinava ad essere realista ed inesorabilmente pessimista, quella che in quel periodo aveva cercato di nascondere, di relegare, ma che, purtroppo, ricompariva sempre con mille dubbi, domande senza risposta e con cattivi presagi pronti a tormentarla.

Scosse un'altra volta la testa, e mise la pasta nel carrello. Cominciò ad avanzare, dirigendosi verso le casse, quando però il suo carrello si scontrò con quello di un'altra giovane.
- Oh, scusami!- disse questa, mortificata – Un momento... Vera!- esclamò poi.
La mora alzò lo sguardo, e subito riconobbe in quella ragazza Grace, l'ultima sposa di cui aveva organizzato il matrimonio prima che Lawrence le assegnasse quello di Bill e Madison.
Subito la giovane si fiondò su di lei, abbracciandola calorosamente.
- Ah, da quanto tempo!- esclamò – E' un piacere rivederti Vera!
- Lo è anche per me- rispose la mora, una volta allontanatasi dall'abbraccio – Allora come vanno le cos...-
Prima che potesse finire di parlare, però, Grace aveva già iniziato a sommergerla di parole.
Vera non riuscì nemmeno a capire cosa stesse dicendo, tanto parlava veloce. Fu in grado di recepire solo qualche parola sconnessa, ma Grace non sembrava accorgersene.
- Ah, ci sono un sacco di cose che dovrei dirti!- esclamò infine – Che ne dici di andare a prendere un caffè? Ti devo ancora una fetta di torta in fondo!-
- A dire il vero io...- tentennò Vera.
- Perfetto!- disse gioiosa Grace – Andiamo!- aggiunse, poi trascinando Vera – e il suo carrello – con sé.
Un caffè non può certo farmi male” pensò la mora “In fondo, Grace è chiacchierona, ma simpatica” si disse.

E allora perché aveva la strana sensazione che nulla sarebbe andato per il verso giusto quel giorno?























Ma buonasera a tutti, popolo di EFP!
Come state?
Siete tornati tutti tra i banchi di scuola? Com'è stato il rientro?
Traumatico? Doloroso? Fantastico?
LOL, scherzavo.
Ma non dilunghiamoci in sciocchezzuole,
piuttosto parliamo di questo capitolo.

Allora, non so se scusarmi per il fluff tenero-strappalacrime-dolcioso che si presenta all'inizio, ma sapete, anche se gliene faccio passare di tutti i colori, voglio bene a Vera e Tom :3
In ogni caso, se non vi è piaciuto è colpa di _RockEver_ che si è ostinata a dirmi di includere il risveglio in casa Cooper dopo... vabbeh, dopo quello.
Se invece l'avete amato, beh, il merito è tutto mio LOL
(Vale, ti voglio taaaaaaanto bene)

In generale, non so se dirmi soddisfatta di questo capitolo.
Voi che dite?

Non so che altro aggiungere.
Stranamente, oggi sono di poche parole. Ma mi rifarò, statene certi.

Ancora una volta, non so dirvi esattamente quando posterò, purtroppo.
Ma cercherò di tornare il prima possibile, scuola permettendo.
Mi sono già attrezzata con i quaderni per scrivere durante le lezioni :')

Ma a questo voi non importa, ovviamente ahaha :')

Ok, sarà meglio che vada.
Sotto troverete i soliti link, quali Twitter, Facebook, il trailer e il gruppo facebook per le Aliens di EFP.

Prima però, ci terrei a ringraziarvi uno ad uno.
Grazie a chi recensisce, a chi legge, a chi segue, a chi preferisce e a chi ricorda.
Vi adoro, davvero. Grazie con tutto il mio cuore.
Non immaginate nemmeno la mia soddisfazione.

Infine, un saluto alle mie nuove lettrici:
WizardsDaughter, Montii, _KyRa_, Damned e YoungFavouriteMills1D.


Un grandissimo bacio a tutti,
Heilig


Trailer | Twitter | Facebook | Gruppo Facebook

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Sixteen ***


Sixteen



- Devi proprio andare?-
Philip chiuse con un solo gesto il borsone scuro, e rivolse uno sguardo alla madre, che lo osservava, quasi imbronciata.
- Mamma,- disse, sedendosi sul letto per poi infilarsi le scarpe – resterei volentieri, ma l'America mi manca troppo- spiegò, mentre allacciava le stringhe.
- Chissà cosa ci troverai in quella Las Vegas!- sbottò, indispettito suo padre, in piedi accanto alla donna e a braccia conserte.
- Los Angeles- lo corresse Phil – Papà, abito a Los Angeles.
- Non c'è nessuna differenza- ribatté l'uomo, con tono burbero – Nessuna delle due batte la nostra bellissima Folkestone!-
Phil roteò gli occhi e scrollò le spalle, per poi alzarsi ed prendere il suo giaccone.
- Ne sono certo- ridacchiò, mentre lo indossava – Ma sono anche certo che Los Angeles vi piacerebbe molto- aggiunse, allacciandosi i bottoni – Perché non venite a trovarmi qualche volta?
- E lasciare la nostra amata Inghilterra? No, grazie, Phil- rispose la madre, sistemandogli il colletto della giacca – Sei tu quello che dovrebbe venire più spesso qui- lo rimproverò poi, scoccandogli un'occhiata severa.
- Sì, lo so- sospirò Philip – Prometto che mi farò vedere più spesso- giurò poi, mettendosi scherzosamente una mano sul cuore.
- Lo spero per te- gli disse la madre, con un sorriso.
D'un tratto i tre sentirono un clacson strombazzare.
- E' arrivato il taxi- annunciò Philip – Sarà meglio andare- disse poi.
Prese il suo borsone e se lo caricò in spalla, per poi afferrare la valigia ed uscire dalla stanza, seguito dai genitori.
Camminò fino alla porta d'ingresso, l'aprì e vide l'auto nera parcheggiata davanti al suo cancello.
Fece un cenno al tassista, voltandosi poi verso i suoi genitori.
- E' il momento di salutarsi, quindi- fece, con una nota di rammarico nella voce.
Sua madre l'abbracciò calorosamente, trattenendo a stento le lacrime.
- Fai il bravo, non farmi stare in pensiero- gli sussurrò all'orecchio – Non affaticarti troppo e non saltare i pasti. Sai quanto ci tengo alla tua salute- aggiunse, allontanandosi.
- Lo farò, mamma- promise Phil, alzando poi lo sguardo su suo padre.
- Credo tua madre abbia già detto tutto- rise quest'ultimo, dandogli un'energica pacca sulla schiena – Vedi di non combinare casini- aggiunse, con tono severo.
- Lo terrò a mente- rispose Phil, sistemandosi il borsone sulla spalla – Vi chiamo quando arrivo- aggiunse poi, con un sorriso – Ci vediamo!-
Agitò la mano in segno di saluto, per poi voltarsi e percorrere a passo veloce il vialetto e giungendo davanti al taxi.
Il tassista scese e lo aiutò a caricare nel baule la valigia.
- La ringrazio molto- disse, mentre l'uomo chiudeva il bagagliaio.
Dopo aver fatto un ultimo cenno di saluto ai genitori, ancora sulla soglia, Phil entrò in auto, chiuse la portiera e si sistemò comodamente sui sedili.
- All'aeroporto, giusto?- fece il tassista, mentre metteva in moto la vettura.
- Sì- rispose il ragazzo.
- Dove va di preciso?- chiese con voce allegra il conducente.
- A Los Angeles- rispose Philip.
L'uomo annuì, e nell'abitacolo scese il silenzio, interrotto dallo sfrecciare della macchina sull'asfalto.
Philip volse lo sguardo verso il finestrino, e, mentre davanti ai suoi occhi si alternavano i pittoreschi paesaggi inglesi, un sorriso spontaneo nacque sulle sue labbra: stava tornando a casa.




* *




Intanto, a Los Angeles


Basta.

Vera sospirò pesantemente, sull'orlo dell'esasperazione: da quanto tempo stava parlando Grace?
Dieci minuti? Venti? Ormai aveva perso la cognizione del tempo, nonché il filo del discorso.
Aveva appeno preso a maledirsi mentalmente per essersi lasciata trascinare in quella caffetteria, quando si accorse che Grace le aveva appena posto una domanda.
- Allora?- la esortò la ragazza, con un sorriso.
- Potresti... potresti ripetere la domanda?- fece Vera, lievemente imbarazzata per essere stata colta in un momento di distrazione.
- Ti ho chiesto cosa sceglieresti tra Australia e Europa- disse Grace – Sai, io e Peter non abbiamo ancora deciso per la nostra luna di miele.
- Luna di miele?- ripeté sorpresa Vera – Ma non dovevate partire un paio di giorni dopo il matrimonio?
- Vera, te l'ho già detto- obbiettò Grace, inarcando un sopracciglio.
Peccato che io non ti stessi ascoltando, pensò la mora.
- Peter ha avuto problemi con il suo lavoro e quindi siamo ancora qui- spiegò Grace – Dovremmo partire tra un paio di settimane, ma siamo ancora indecisi- continuò – Tu che dici? Australia o Europa?
- Europa- rispose distrattamente Vera, senza pensarci troppo.
- Ne sei sicura?- chiese Grace, arrotolandosi una ciocca dei capelli rossi tra le dita, con aria dubbiosa.
Vera annuì, e Grace le sorrise dolcemente.
- Grazie del consiglio- disse – Sai, anche i miei colleghi allo studio di registrazione mi hanno consigliato la stessa cosa- aggiunse.
- Studio di registrazione?- fece Vera, mentre un cameriere si avvicinava al loro tavolo con le ordinazioni, per poi sistemarle davanti alle due giovani – Sei una cantante?
- Ma cosa dici!- ridacchiò Grace, mentre apriva una bustina di zucchero – Lavoro come assistente del manager di una band- spiegò – Sono tedeschi- aggiunse poi – Forse li conosci. Si chiamano...
- Tokio Hotel- si lasciò sfuggire Vera, pensando a quando Lawrence le aveva dato l'incarico di occuparsi del matrimonio di Bill e Madison e le aveva fatto qualche accenno al gruppo.
- Non dirmi che sei una loro fan anche tu!- rise Grace, con un mezzo sorriso – Ti avverto che non posso assolutamente chiedere loro degli autografi- si affrettò a precisare.
Fidati, non ne ho bisogno.
- Non sono una loro fan- chiarì la mora – Sto organizzando il matrimonio di Bill-
- Cosa? Davvero?- fece Grace, visibilmente sorpresa – Sei la wedding planner di Bill e Madison? Ma è fantastico! Perché non me l'hai detto subito?
- Beh, io...- provò a dire Vera.
- Sono certa che farai un lavoro spettacolare! Come hai fatto con la mia cerimonia, del resto!- la interruppe però Grace – Bill e Madison sono una coppia stupenda, non pensi?-
Oh, no. Non può ricominciare.
Grace si lanciò in un lungo e complicato discorso su quanto dolce e simpatico fosse Bill e su quanto si meritasse, secondo lei, di avere una altrettanto bella persona al suo fianco.
- Da quanto ho capito, molte canzoni del nuovo album sono dedicate a Madison- disse, sorseggiando di tanto in tanto il suo caffè – E' una cosa così romantica- aggiunse, con occhi sognanti – Niente a che vedere con Tom-
A quel nome, Vera alzò di scatto la testa.
Forse un po' troppo velocemente.
- Ho detto qualcosa che non va?- chiese infatti Grace, perplessa.
- No, no- si affrettò a rassicurarla Vera – Cosa... cosa intendevi prima? In riferimento a Tom, intendo.
- Oh, conosci anche lui, quindi!- fece Grace – Beh, non so come ti è sembrato, ma se hai avuto l'impressione di un tipo sbruffone e pieno di sé, hai ragione- disse, con una smorfia – E' simpatico, ma a volte fa un po' troppo il pallone gonfiato- spiegò, scrollando le spalle – Per non parlare poi delle ragazze, poi-
Nel vedere l'espressione interrogativa di Vera, la rossa si affrettò a chiarire.
- Non hai idea di quante ragazze sono venute allo studio in cerca di Tom in questi ultimi due mesi- disse – Sembravano disperate. E lui le ha liquidate tutte con un “ti chiamo io”- continuò – Conosco il genere: quando si stufa, ne sceglie un'altra. E' semplice per lui-
Mentre Grace continuava a parlare, Vera sentiva mille dubbi affiorare nella sua testa: quanto valore doveva dare alle parole della giovane?

Non ho sentito delle belle cose su di lui.

All'improvviso le parole dette da Lawrence il giorno dopo aver incontrato i gemelli le attraversarono la mente come un fulmine a ciel sereno, gettandola in un baratro di profonda insicurezza.
Quanto erano vere?
Possibile che ci fosse cascata anche lei, come tante altre? Che si fosse sbagliata così tanto?
- Vera? Mi stai ascoltando?-
La mora scosse la testa, e ripiombò nella realtà, cercando di scacciare i dubbi e i cattivi pensieri che l'affliggevano.
- Hai... hai detto qualcosa, Grace?
- Sei sicura di sentirti bene?- chiese la rossa, con apprensione.
- Sì, sì, certo- rispose Vera – Mi... mi sono ricordata di dover fare un'altra commissione- mentì, per poi finire in un solo sorso il suo caffè – Credo sia meglio che vada- continuò, alzandosi.
- Vuoi che ti accompagni?- propose gentilmente Grace.
- Non ce n'è bisogno, grazie- rifiutò la mora – Non è lontano- spiegò, mentre prendeva le borse della spesa – Ti ringrazio per il caffè e per la chiacchierata- disse, con un sorriso tirato – Ci vediamo!-
Prima ancora che Grace potesse rispondere, Vera si precipitò fuori dalla caffetteria.
Prese a camminare a passo svelto verso la fermata dell'autobus, mentre miriadi di domandi si facevano spazio nella sua testa, procurandole una forte sensazione di fastidiosa irritazione e smarrimento.
Sentiva come se una parte della sua coscienza si ostinasse a non credere alle parole di Grace.
O non completamente.
Potrebbe essere cambiato” si disse.
Ma perché avrebbe dovuto farlo, in fondo?
Per me”, pensò, quasi con egoismo la mora, mentre giungeva alla fermata.
Per lei? Perché per lei?
Perché non per qualche altra bella californiana?
A quel pensiero, Vera si ritrovò a stringere la presa sulle buste della spesa e a serrare la mandibola.
Doveva calmarsi, pensò. Grace era una ragazza pettegola, quindi non doveva prendere sul serio le sue insinuazioni su Tom.
Ma, dopotutto, da quanto tempo lo conosceva lei per affermare con estrema certezza che Tom non fosse il ragazzo che tutti dicevano?



* *


Il pomeriggio

Chissà cosa cucinerà stasera Vera.

- Tom?

Dovrò vestirmi elegante?

- Ehi? Ti vuoi svegliare?

Oh, avanti. E' solo una cena!

- Tom!

Magari, però...

- Hai finito di sognare ad occhi aperti? Tom?-
Bill prese un braccio del fratello e lo scosse con insolita violenza, risvegliandolo dal suo trance.
- Eh...? Cosa...?- fece il moro, guardandosi in giro spaesato.
- Bentornato fra noi, Tom- sbuffò, irritato, David, scoccandogli un'occhiata di rimprovero – Ora che il signor Kaulitz ci ha degnato della sua attenzione, vi comunico che siamo indietro con il lavoro- disse, con tono grave – Ergo, stanotte non vi spostate da questo studio.
- Stai scherzando!-
Tutti i presenti si voltarono verso Tom, che osservava ad occhi sgranati il manager.
- Tom, sai bene che non possiamo permetterci ulteriori ritardi. La casa discografica ci sta alle calcagna- spiegò con voce ferma David – Non è la prima volta che restiamo tutti qui- aggiunse poi.
- Ma io ho da fare- sibilò Tom.
- Qualsiasi cosa sia non è di certo più importante di quest'album, Tom- asserì l'uomo – Non. Obbiettare- ordinò poi, interrompendo sul nascere la replica di Tom, che sbuffò, e distolse lo sguardo.
- Bene, ora che è tutto chiaro,- fece David - vi lascio continuare la vostra pausa-
Salutò i ragazzi con un cenno del capo ed li lasciò soli nella stanza.
- Devi vederti con Vera?- chiese subito Bill, appena vide la figura del manager scomparire.
- Diciamo che avrei dovuto- lo corresse il fratello.
- Ti conviene avvertirla- esordì Georg, mentre prendeva una birra dal minifrigo.
- So quello che devo fare, Hagen- sbottò il chitarrista – Non c'è bisogno che tu me lo dica.
- Wow, devi tenerci molto a quest'uscita- commentò Gustav, notando l'irascibilità dell'amico – Volevi forse chiederle di spos...-
Il biondo non fece in tempo a formulare la domanda, perché subito fu colpito da una feroce cuscinata da parte di Tom.
- Come sei permaloso- borbottò, sistemandosi gli occhiali sul naso – Non c'è nulla di male ad essere innamorati.
- Ringrazia che io non abbia un altro cuscino, Wolfgang, o ti soffocherei- ribatté Tom, con una smorfia – Ti rendi conto delle assurdità che stai dicendo?
- E tu ti rendi conto che da quando state insieme, sembri volare su una nuvola?- disse Bill.
- Per non parlare di quel sorrisetto idiota che ti stampi in faccia- aggiunse Georg, quasi disgustato – Potrei vomitare ogni volta che lo vedo.
- Questo non vuol dire niente- sostenne Tom – Ed ora, con il vostro permesso, vado ad annullare la nostra cenetta-
Si alzò dal divano su cui sedeva ed uscì dalla stanza, diretto verso la terrazza, sotto lo sguardo perplesso degli amici.
- Ha... ha davvero detto...?- balbettò incredulo Gustav.
- Sì, l'ha detto Gus- affermò Georg, altrettanto sbigottito – Non c'è dubbio: il nostro caro Sexgott è completamente andato.






* *


- Cosa significa che non puoi venire?
- Vera, ti chiedo umilmente scusa- sospirò Tom, con tono mortificato – David ci ha ordinato di rimanere allo studio. Abbiamo ancora un sacco di roba da registrare e i tempi sono stretti.
- Capisco- disse semplicemente la mora.
- Vera, non sai quanto mi dispiace- si scusò il ragazzo.
Vera sentì che stava per aggiungere qualcosa, ma una voce maschile lo sovrastò.
- Tom! Torna dentro!- diceva.
- Devo andare- disse Tom – Ti chiamo io! Ciao!-
Prima ancora che potesse rispondere, Vera sentì Tom chiudere la chiamata.
Con un sospirò appoggiò il telefono sul tavolo della cucina, ed andò a spegnere i fornelli: non sarebbero serviti.
Ancora una volta le parole di Grace ritornarono a martellare la sua testa con violenza.

E lui le ha liquidate tutte con un “ti chiamo io”

Quindi lei faceva parte di quel tutte?
Era davvero stata così stupida da lasciarsi ingannare da lui? Dalla sua stessa ingenuità?

Smettila, Vera. Deve solo lavorare.

Si sentiva una perfetta idiota: la consapevolezza di essere affetta da una profonda paura di soffrire la faceva impazzire.
Temeva di essersi spinta troppo in là, di essersi scoperta troppo, di aver lasciato che i sentimenti l'avessero vinta.
Stava rischiando, e lo sapeva.
L'aveva sempre saputo.
Ma ora una parte di lei si pentiva di averlo fatto.






* *



Qualche giorno più tardi

Tom non l'aveva ancora chiamata.
Nemmeno un sms, nulla di nulla.
E Vera si sentiva una povera illusa.
Quella che le era sembrata l'inizio di una relazione un po' complicata da gestire, ma comunque, nemmeno troppo frivola, era scoppiata come una bolla di sapone.
Ma, d'altronde, cosa si sarebbe dovuta aspettare?
Si trattava di Tom Kaulitz, non di un ragazzo qualunque.
Non sarebbe di certo cambiato per la prima che gli passava davanti agli occhi.
Sospirò, e calciò un sassolino davanti a lei, che prese a rotolare, fino a scomparire nell'erba.
Quel pomeriggio, dopo aver terminato in anticipo il suo turno alla WedDreams ed aver pranzato con Lawrence, si era infilata gli auricolari nelle orecchie ed era uscita per una passeggiata nel parco, nel tentativo di rilassarsi e darsi pace una volta per tutte.
Stava per svoltare a sinistra, quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla.
Trasalì e si voltò di scatto, rimanendo poi basita.
- Cosa...? Come...?- balbettò incredula – Philip?
- Sorpresa di vedermi, eh?



* *




- Ecco a lei le sue fedi, signor Kaulitz-
La giovane gioielliera porse a Bill due scatoline di velluto scuro con ricami in oro. Il biondo ne prese una e l'aprì, osservandone il contenuto: al suo interno, la scatolina conservava un anello d' oro bianco con un piccolo diamante in cima.
- E' perfetto- mormorò Bill, commosso – Tu che ne dici, Tom? Piacerà a Maddie?-
Il moro, in piedi accanto al fratello, si sporse un poco e, nel vedere il gioiello, sorrise.
- Non posso credere che stai per sposarti- fece – Madison è una vera santa- aggiunse, beccandosi una sonora gomitata nelle costole.
- Fottiti- borbottò a denti stretti il biondo – Prendo queste- disse poi, rivolgendosi alla gioielliera.
- Benissimo, andiamo alla cassa, allora- rispose la giovane.
I gemelli seguirono la ragazza al bancone, dove lei iniziò a preparare il conto.
Mentre Bill aspettava pazientemente, Tom si avvicinò agli espositori, dove innumerevoli gioielli di ogni sorta facevano la loro bella mostra.
Un braccialetto in particolare catturò la sua attenzione, portandolo ad avvicinarsi maggiormente alla vetrina.
Era d'oro, con alcuni ciondoli a forma di delfini in argento, e Tom non poté che pensare a Vera e al suo tatuaggio.
Sorrise teneramente, ritrovandosi a pensare su quanto bene sarebbe stato quel braccialetto sul polso della mora.
Sarebbe un regalo perfetto, si disse.
Forse un po' costoso, e forse un po' azzardato, ma gli sembrava azzeccatissimo per lei: semplice e sobrio, ma con un grande significato.
Potrei...
- Tom? Ho finito, andiamo?-
La voce di Bill alle sue spalle lo fece voltare di scatto, quasi come se fosse stato colto in flagrante.
- S-sì- disse con incertezza il chitarrista, lanciando un ultima occhiata al gioiello – Andiamo-
Dopo aver fatto un cenno di saluto alla gioielliera, i due uscirono dal negozio e si diressero all'auto di Bill. Salirono sulla vettura, si allacciarono le cinture e Bill fece per mettere in moto, ma si fermò, con la mano ancora sulla chiave.
- Tutto bene?- chiese Tom, perplesso.
- Ho visto come guardavi quel braccialetto- disse Bill – E' per Vera, giusto?-
Tom si limitò annuire, rimanendo in silenzio.
- Non è importante- disse dopo poco, voltando lo sguardo verso il finestrino – Puoi anche partire- aggiunse.
- Sei un vero idiota- sbottò Bill – Forza, scendi e vai a prenderlo! E poi portaglielo!
- Con quale faccia mi ripresento da lei dopo giorni che non mi faccio sentire?- sbuffò Tom, guardando il gemello – Non dire cavolate, Bill. Andiamo-
Bill sospirò profondamente: la testardaggine di suo fratello stava raggiungendo livelli record.
- Tom, fai un favore a tutti quanti: smettila di negare l'evidenza- disse, con tono quasi autoritario – Vai a prendere quel braccialetto. Ora-
Tom rimase sulle sue posizioni per qualche istante, poi un sincero sorriso di gratitudine si fece spazio sul suo viso.
- Non riesco a credere che tu mi abbia convinto- mormorò, mentre si slacciava la cintura, per poi scendere dall'auto – Grazie. Bill-
- Mi ringrazierai più tardi- rispose il biondo, facendogli l'occhiolino – Ah, Tom- disse poi, prima che il fratello potesse chiudere la portiera – non combinare casini.
- Non succederà, Bill- promise Tom, in tutta sincerità, chiudendo poi la portiera della vettura.
Non succederà di certo. Non stavolta” si disse, quasi a rassicurare se stesso.
Mentre però, osservava il fratello allontanarsi, uno strano presentimento si faceva spazio nella sua testa, facendo affiorare migliaia di dubbi.
“Questa volta,” si disse, scuotendo la testa e cercando di eliminare i pensieri negativi “deve andare tutto per il meglio”




* *


- E quindi sei appena tornato dall'Inghilterra!- disse Vera.
- Sì,- rispose Philip – sono stato dai miei genitori per un po'.
- Capisco...- fece la mora – Ho sempre amato l'Inghilterra- confessò poi – Lo trovo un paese meraviglioso!
- Fidati, se tu ci avessi vissuto quasi tutta la tua vita, non la penseresti così!-

Dopo essersi incontrati al parco, Vera e Phil avevano preso a parlare del più e del meno, come vecchi amici, e, al momento di tornare a casa, Philip si era offerto di accompagnare a casa la ragazza, che, dopo qualche tentennamento, aveva accettato, e i due, una quindicina di minuti dopo, erano giunti davanti al cancello della mora.
- Beh,- disse questa – Credo sia giunto il momento di salutarci-
- Già- rispose Philip con una piccola smorfia – Beh, spero di rivederti- aggiunse, sorridendo – Devo ancora raccontarti un sacco di cose dei miei viaggi.
- Non vedo l'ora!- esclamò entusiasta la mora – A presto, allora- disse poi, porgendo la mano al giovane.
- Mi stai dando la mano?- chiese, con fare scandalizzato Phil – Oh, avanti! Siamo amici, no?
- Sì, ma...-
Prima che Vera potesse terminare la frase, però, Phil la stava già abbracciando stretta, e lei non poté che sciogliersi, e sentire le sue resistenze venire meno davanti a quel calore.
- Vera-
Quella voce maschile, tanto familiare quanto improvvisa, fu come un brusco risveglio durante un sogno.
Si allontanò di scatto dalle braccia di Phil e si voltò alla sua destra, rimanendo pietrificata sul posto.
No, quello non se l'aspettava.













HALLO LEUTE!
Heilig è di nuovo qui, sui vostri schermi!
*applausi*
Come state, miei lettori?
Stanchi di aver ripreso il solito tran tran quotidiano?
Io sì, ugh.
Ma non c'è giorno in cui non pensi a voi *-*
Mi siete mancati così tanto :'3

Passiamo al capitolo però.
Ma quanto posso essere cattiva perfida?
Non lo so nemmeno io MUAHAHAHAAHAHAH
Mi piace combinare casini LOL
In fondo, però, sapevate che niente sarebbe andato per il verso giusto, o no?

L'idea del ritorno di Grace mi è venuto in mente quando mi sono accorta di aver utilizzato questo nome sia per la novella sposa all'inizio del primissimo capitolo di 'Wedding Planner' sia per la comparsa-assistente di David qualche capitolo più in là.
E mi sono detta: 'Perché non creare qualche pasticcio?'
Sono così orgogliosa della mia malvagità :')

E poi Phil.
Non odiatelo, è tanto tenero :3 (?)

Beh, come sempre, aspetto i vostri solenni pareri.
Come vi è sembrato questo capitolo?



ALT! Non cambiate pagina.
Prima di sparire, vorrei dedicarvi alcune righe :'3
Con l'ultimo capitolo ho raggiunto (e superato) le cento recensioni.
Ora, voi direte 'Ma chissene frega'.
Io però ci tenevo a ringraziarvi una ad una per questo bellissimo 'regalo'.
Davvero, 'Wedding Planner' mi sta dando tante soddisfazioni, e questo è anche (e soprattutto) merito di chi legge questa fanfic, cioè voi.
Non vi ringrazierò mai abbastanza.
Siete davvero fantastici, grazie.

Nient'altro di particolare da aggiungere C:
Sotto troverete i soliti link ^^
Sono sempre disponibile a parlare con tutte voi, quindi non esitate!
Venghino signori, venghino u.u (LOL, nemmeno fossi famosa AHAHAHA)

E con questo, evaporo, gente (sarà meglio, sì sì)
Un bacione gigantesco,
Heilig

Trailer | Twitter | Facebook | Gruppo Facebook

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Seventeen ***


Seventeen



Il nome di Vera era sfuggito alle labbra di Tom, quasi senza che lui se ne accorgesse, con un tono sommesso, simile ad un sussurro, ma talmente carico di tensione da arrivare chiaro e forte alle orecchie della giovane, che si era voltata di scatto, sgranando poi gli occhi, mentre un'espressione stupefatta si dipingeva sul suo volto.
- Tom!- esclamò, mentre il ragazzo si avvicinava a lei e Philip - Cosa... cosa ci fai qui?- chiese, poi, con fare imbarazzato, portandosi una ciocca di capelli dietro all'orecchio.
- Io...- iniziò a dire Tom, subito interrotto, però, dalla voce squillante di Phil.
- Beh?- fece, con tono allegro – Vera, non mi presenti al tuo amico?-
Amico?” si ritrovò a pensare Tom, inarcando un sopracciglio e squadrando dalla testa ai piedi il giovane.
- Uhm... sì, certo- disse Vera – Tom, questo è Philip- continuò, indicando quest'ultimo – E lui, Philip, lui è...
- Tom- la interruppe il chitarrista, porgendo la mano a Philip, che gliela strinse con veemenza.
- Piacere di conoscerti, Tom- disse, sorridendo.
Vorrei poter dire la stessa cosa” si disse Tom, storcendo la bocca, e beccandosi così un'occhiataccia di Vera.
- Il piacere è tutto mio- si affrettò quindi a dire, sorridendo a sua volta.
- Oh, chiamami pure Phil!- rispose Philip – Sei un collega di Vera?- domandò poi, quasi con ingenuità.
Tom provò per un attimo a figurare se stesso tra nastri, bouquet e decorazioni varie, intento ad organizzare matrimoni, ma subito scosse la testa con forza.
- No- rispondeva intanto Vera al posto suo – Tom non è un mio collega- continuò – Lui... noi... insomma...
- Stiamo insieme- affermò senza troppi giri di parole Tom – Io e Vera stiamo insieme- ripeté, come a volerlo sottolineare ulteriormente.
- Davvero?- fece Phil, quasi meravigliato – Vera, non me l'hai detto!-
Ah, no?”
- Deve essermi sfuggito di mente- si giustificò Vera, abbassando lo sguardo.
- Capisco...- asserì Philip – Beh, io ora devo andare – aggiunse poi – E' stato un piacere incontrarti, Tom-
Lo sarebbe stato anche per me se solo non ti avessi trovato abbracciato a Vera”
- Vera, tieniti libera- disse ancora Phil – Voglio assolutamente raccontarti dei miei viaggi- aggiunse – E poi ti ho portato un regalo- concluse, facendole l'occhiolino – A presto, allora- salutò quindi, agitando la mano, per poi allontanarsi a passo veloce, lasciando Vera e Tom soli.
- Non pensavo saresti venuto a trovarmi- disse lei, quando Phil ebbe svoltato l'angolo – E' un po' che non ti fai sentire- fece notare poi, con una punta di stizza nella voce.
- Ho avuto molto lavoro da sbrigare- spiegò Tom – Siamo nell'ultima fase di produzione dell'album e...
- Avresti potuto mandarmi un messaggio- lo interruppe Vera – Giusto per farmi sapere se eri vivo o meno.
- Nemmeno tu hai dato segni di vita, se è per questo- sbottò secco Tom.
- Sei stato tu a dirmi che mi avresti chiamata, non ricordi?- replicò la mora, a braccia conserte - “Ti chiamo io”- lo scimmiottò poi, ripetendo le sue parole.
Tom rimase in silenzio per qualche istante, poi riprese a parlare.
- E' per questo che ti vedi con altri ragazzi?- sibilò.
- Cosa...?- fece Vera, con perplessità – Cosa vuoi dire?
- Ho visto tutto- rispose il chitarrista – Mi credi così stupido?-
Vera rimase interdetta alle parole del giovane, non cogliendone appieno il significato: che Tom pensasse che...?
- Vuoi scherzare!- esclamò, rossa in viso, una volta aver intuito cosa intendesse il moro – Non farei mai una simile, Tom.
- Come posso saperlo?- replicò il ragazzo, scrollando le spalle.
- Beh, non sono certo io quella che cambia partner come se cambiasse pantaloni- lo accusò Vera.
Tra i due calò il silenzio e Tom si ritrovò a sgranare leggermente gli occhi, per poi stringere i pugni.
Era questo ciò che lei pensava di lui?
- E questa chi te l'ha raccontata?- chiese, dopo qualche istante - L'hai letto sui giornali?- aggiunse, sprezzante.
Vera esitò qualche attimo, distogliendo poi lo sguardo.
- I-io... - balbettò – L-l'ho sentito dire...
- Un pettegolezzo, quindi- asserì il giovane – E tu ci credi?- domandò continuando ad osservarla con disprezzo.
Vera si morse il labbro inferiore, lanciando poi a Tom un'occhiata eloquente, tornando quindi ad abbassare il capo, senza dire nulla.
Credeva davvero alle parole di Grace? O forse era solo un pretesto per non ammettere di avere paura di soffrire?
- Bene- sentenziò all'improvviso Tom, non avendo ottenuto alcuna risposta – Quando imparerai ad avere più fiducia in me piuttosto che nelle dicerie, chiamami- sibilò con durezza, per poi voltarsi.
Fece per allontanarsi, ma subito si ricordò del motivo per cui era andato da Vera.
- Dimenticavo- disse, voltandosi di nuovo – Ero venuto per darti questo- continuò, letteralmente gettando il sacchetto argentato che teneva in mano tra le mani della giovane, che lo afferrò per un soffio prima che cadesse a terra, osservandolo poi con perplessità.
- Spero ti piaccia- fece Tom, con un sorriso amaro – Ci si vede- salutò infine, con un cenno del capo, per poi allontanarsi definitivamente.
Vera rimase a guardarlo, mentre dentro di lei, in un moto d'orgoglio, si ostinava a reprimere la voglia di urlargli di fermarsi, di tornare da lei.
L'unica cosa che fece, invece, fu sussurrare il suo nome, sperando, invano, che Tom potesse sentirla.
Il giovane, però, non dava segni di voler tornare sui suoi passi, e dopo poco la sua figura sparì dalla vista di Vera, che sospirò a fondo, mentre le se speranze sciamavano velocemente.
Infilò la chiave nella serratura del cancello del palazzo, facendola scattare con un sonoro rumore, per poi aprire il cancello.
Gettò un ultimo sguardo alla strada, piegando le labbra in una piccola smorfia, per poi entrare e chiudersi il cancello alle spalle.






* *







La sera


- Kaulitz, hai intenzione di tenere quel muso lungo per tutta la nottata in studio?-
Tom alzò gli occhi su Georg, mantenendo la sua espressione cagnesca.
- E tu hai intenzione di rompere ancora per molto?- sbottò, con durezza.
L'amico sospirò, roteando gli occhi, per poi scrollare le spalle e tornare ad accordare il suo basso.
- Senti, se hai bisogno...- provò a dire ancora.
- Hagen, stai zitto-
Georg sospirò una seconda volta, decidendosi a tacere e lasciar correre, e rassegnandosi al fatto che quella sera, con Tom in quello stato, le registrazioni sarebbe state più difficoltose del solito.
Pochi minuti dopo, la porta dello studio si aprì e ne entrarono un Bill e un Gustav dall'aria stravolta, carichi di pizze e bottiglie di birra.
- Finalmente siete tornati!- esclamò Georg - Perché ci avete messo così tanto?- chiese poi, mentre sistemava il suo basso sul piedistallo.
- Fans- disse Bill, posando le pizze sul tavolino in mezzo alla stanza - Molte fans- precisò poi.
- Cosa...?- fece Georg, perplesso.
- Siamo incappati in una delle nostre fans mentre eravamo in pizzeria- spiegò Gustav, mettendo le bibite accanto alle pizze - Ci ha chiesto una foto ed un autografo, e poi ha chiesto se potevamo fare lo stesso con un paio di amiche che la aspettavano fuori- continuò - Allora l'abbiamo seguita e le sue amiche ci hanno raggiunto- aggiunse, con voce grave.
- Qual è il problema?- domandò il bassista, divertito dal raccontò dell'amico.
- Non erano un paio- disse con voce strozzata Bill - Erano molte, molte di più.
- Per farla breve,- lo interruppe Gustav - mentre non guardavamo, quella disgraziata aveva inviato un tweet a mezzo mondo, dicendo dov'eravamo, e tutte le fans che si trovavano nei dintorni si sono radunate lì- spiegò - Non credo di aver corso così tanto in tutta la mia vita.
- Pensa che una di loro ha cercato strappare un lembo della mia maglia!- fece Bill, lasciandosi cadere sul divano - Sono pazze. Completamente pazze!- esclamò, ancora incredulo, Gustav - Grazie a Dio non avevamo parcheggiato troppo lontano.
- E dire che pensavo che si fossero calmate in questi anni!- rise Georg, distribuendo ad ognuno un cartone di pizza.
- Calme non è assolutamente l'aggettivo con cui le definirei- disse Bill, con una smorfia, aprendo il suo cartone - Spero che il cibo mi faccia dimenticare.
- Avanti ora non esagerare!- esclamò Georg, addentando una fetta della sua pizza.
- Non sto esagerando!- si difese il biondo - Tom, non mangi?- chiese poi notando che il fratello non si era mosso di un millimetro.
- Non ho fame- tagliò corto il chitarrista
-Ci siamo scontrati con un esercito di ragazze urlanti per queste pizze: sarebbe carino se tu apprezzassi il gesto- replicò con disappunto il gemello.
- Ho detto che non ho fame- ripeté il moro - Vado fuori. Chiamatemi quando si comincia- annunciò poi, alzandosi, e afferrando una birra dal tavolo, per poi dirigersi verso la terrazza.
Quando si fu chiuso la porta-finestra alle spalle, Gustav e Bill lanciarono uno sguardo perplesso a Georg, che portò le mani avanti.
- Non guardatemi in quel modo- disse - Io non ne so niente. E' così da quando è arrivato. Quando ho provato a chiedergli cos'avesse ho rischiato di essere mangiato vivo- aggiunse - E' strano quel ragazzo- sentenziò infine, scuotendo la testa.
- Credo c'entri Vera- fece Bill - Anzi, ne sono certo- si corresse poi - Vado a parlargli- disse infine, facendo per alzarsi.
- No, aspetta- lo fermò però Gustav - Lascia che gli parli io- disse, alzandosi.
Bill lo guardò per qualche attimo, esitante, finendo poi per scrollare le spalle.
- Fa' come vuoi- disse - Stai attento a non farti sbranare. Sai com'è fatto-
Gustav si limitò a sorridere, per poi raggiungere la porta-finestra ed uscire dallo studio.
Trovò Tom appoggiato di schiena al balcone, con una sigaretta tra le dita e la bottiglia di birra stretta nell'altra mano.
- Alcol e fumo. Un'accoppiata perfetta, devo dire.- esordì il batterista, avvicinandosi - Sai che potrebbe venirti un tumore?
- Non ho bisogno delle tue lezioni di medicina, grazie- sbuffò Tom, per poi bere un sorso di birra - Cosa vuoi Gustav?- chiese.
- Sapere cos'hai- rispose l'amico, senza giri di parole- Si tratta di Vera?- domandò poi, a bruciapelo.
- Non so di cosa tu stia parlando- mentì Tom - Sto benissimo.
- Non dire cazzate- sbottò Gustav - Avanti, parla-
Tom sostenne lo sguardo inquisitore del batterista ancora per qualche istante, finendo poi per cedere, scrollando le spalle.
- L'ho scoperta mentre abbracciava un altro ragazzo- raccontò - Philip- disse poi, quasi sputando con velenosità il nome del giovane.
- E tu sei saltato direttamente alle conclusioni- disse Gustav, alzando gli occhi al cielo - Dio, a volte sei così ottuso.
- Grazie del complimento- fece Tom, con una smorfia - E per la cronaca, non aveva nulla da spiegare. Era tutto chiarissimo-
Gustav sospirò, decidendosi a lasciare perdere, e con un cenno della testa lo invitò a continuare.
- E come se non bastasse, pensa che io sia una sorta di playboy che “cambia partner come cambia pantaloni”- spiegò, citando le parole di Vera.
- E non è così?- fece Gustav, inarcando un sopracciglio.
- Bell'amico che sei!- esclamò Tom - Io ti parlo dei miei problemi e tu dai ragione a lei!
- Tom, a quanto ne so tu hai lavorato anni per costruirti quest'immagine- disse con calma il biondo - Se non sbaglio sei stato tu stesso a darti il soprannome di Sexgott.
- Non c'entra nulla- borbottò Tom.
Tra i due calò il silenziò, interrotto dal rumore delle auto che sfrecciavano sulla strada e dalle note indistinte provenienti dai locali poco distanti.
- Ti ha fatto male?- chiese Gustav, all'improvviso.
Tom aggrottò la fronte, confuso.
- Come, scusa?
- Ti ha fatto male sapere che non si fida di te?- chiarì Gustav.
Tom rifletté qualche istante, poi le sue labbra si piegarono in un sorriso amaro.
- Non sai quanto- rispose.
- Credo che dovresti parlarle- gli consigliò il batterista - Dovete chiarirvi. E' la miglior cosa che possiate fare.
- Io invece credo che siamo destinati a non stare insieme- sentenziò Tom.
- Lo dici per mentire a me o a te stesso?- domandò, retorico, Gustav.
Il chitarrista rimase spiazzato da quella domanda, ritrovandosi senza una risposta adeguata.
Si limitò quindi a borbottare qualcosa di incomprensibile, distogliendo lo sguardo.
- Lo immaginavo- rise Gustav - Io torno dentro- annunciò poi - Pensa a quello che ti ho detto- disse, per poi allontanarsi - Ah, Tom- fece, però, fermandosi all'improvviso e voltandosi verso l'amico.
Tom gli rivolse un'occhiata perplessa, aspettando che parlasse.
- E' bello vederti innamorato-










* *








Un paio di giorni dopo


- Non l'hai ancora aperto?-
Vera distolse lo sguardo dal sacchetto argentato posato sulla sua scrivania, incontrando gli occhi di Lawrence.
- Ho paura- confessò Vera, con un sospiro.
- Sei una vera fifona- le disse Lawrence, spingendo il sacchetto verso l'amica - Avanti, aprilo.
- No- rispose con cocciutaggine Vera, allontanandolo da lei - Preferisco essere reputata un fifona-
In verità, però, la curiosità la divorava, e non passava istante in cui non posava lo sguardo su quel regalo, pensando a cosa potesse essere.
Lo prese e lo osservò attentamente, quasi come se con il solo aiuto della vista potesse scoprire cosa ci fosse all'interno.
- Vera...- la richiamò Lawrence, con fare spazientito - Se non lo apri tu, lo farò io!- disse, togliendole il sacchetto dalle mani.
- Non oseresti!- esclamò Vera, scattando in piedi e riprendendoselo.
- Per la mia e tua sanità mentale, apri quel sacchetto- le ordinò l'amico.
Vera lo osservò ancora per qualche attimo, finendo poi per cedere alla sua voglia di sapere.
Aprì il sacchetto con infinita delicatezza, sotto lo sguardo impaziente di Lawrence, tirandone fuori una piccola scatola di velluto azzurro che riportava l'incisione di una delle più famose gioiellerie di Los Angeles.
Aprì la scatola e, vedendone il contenuto, rimase a dir poco stupefatta: era un braccialetto d'oro, con alcuni ciondoli a forma di delfini in argento.
Semplice, elegante, a dir poco perfetto.
- Oh, santo cielo- mormorò Lawrence - Vera, è stupendo-
La mora non trovò le parole per rispondere, talmente meravigliata com'era.
Prese il braccialetto e lo mise al polso su cui si era tatuata il delfino.
- Cosa ne pensi?- chiese a Lawrence.
- Penso che Tom non avrebbe potuto fare un regalo azzeccato- rispose il biondo - E che tu sei un'idiota.
- Grazie infinite, Lawrence. E' bello sapere quanto mi apprezzi- borbottò Vera.
- Dovresti chiamarlo e scusarti- disse Lawrence, ignorando la sua risposta.
- Pensi davvero che mi accoglierebbe di nuovo tra le sue braccia?- chiese la mora.
- Non puoi saperlo, Vera- replicò l'amico - Senti, io ora torno al lavoro- annunciò poi - Fa' come ti ho detto- le disse poi - A dopo- salutò infine, con un sorriso.
Quando Lawrence fu uscito, Vera sospirò, incerta sul da farsi.
Non puoi saperlo, le aveva detto Lawrence.
Forse se fosse andata da Tom, lui l'avrebbe ascoltata.
Forse avrebbero potuto ricominciare da capo.
Il suo sguardo cadde sul braccialetto che indossava, e subito un sorriso andò a dipingersi sulle sue labbra: Lawrence aveva ragione, era stupendo.
Giocherellò con i ciondoli per qualche minuto, con fare pensieroso: qualcosa dentro di lei le diceva di farsi avanti per prima, di scusarsi, mettendo da parte il suo orgoglio.
Quello stesso orgoglio che ora la teneva ancorata saldamente a quella poltrona.
Sospirò una seconda volta, cercando di scacciare tutti quei pensieri dalla mente, e riprendendo a lavorare.
I suoi occhi, però, continuavano a scivolare su quel braccialetto, impedendole di procedere con il suo lavoro, e catturandola in un vortice di pensieri e dubbi tutti accomunati da uno stesso nome: Tom.

Finalmente, però, dopo un paio d'ore, arrivò l'ora di andare.
Vera spense il computer e raccolse le sue scartoffie, sistemandole in un raccoglitore. Prese la sua giacca e la sua borsa ed uscì dal suo ufficio.
Dopo essere passata dall'ufficio di Lawrence per salutarlo, uscì dall'agenzia, e fece per dirigersi verso la sua fermata.
Dopo qualche passo, però, si fermò, sentendo che una strana idea si creava nella sua testa, e subito le parole di Lawrence le ritornarono alla mente.
Fa' come ti ho detto
Dovresti chiamarlo e scusarti
Sorrise lievemente, per poi controllare l'ora sul suo orologio da polso e si disse che a quell'ora Tom sarebbe stato probabilmente a casa.





**





- Vai, Scotty!-
Tom lanciò una palla di gomma e subito il cane scattò al suo inseguimento, saltando per poterla prendere al volo e tornando poco dopo, scodinzolante, dal suo padrone, che lo accarezzò amorevolmente, togliendoli palla dalla bocca.
- Ok, un altro tiro e poi si torna dentro- disse il giovane, preparandosi al tiro.
Stava per lanciare la palla, quando sentì il cancelletto che dava sul retro aprirsi con un cigolio.
Istintivamente Tom afferrò il bastone che usava per giocare con Scotty e fece segno al cane di restare dov'era.
Magari è un ladro” si disse, avanzando con passo felpato “Chi altri potrebbe entrare dal retro?”
Procedette ancora per poco, quando una voce stridula lo fece trasalire.
- Tom! Quanto mi sei mancato!-
- Danielle?





* *






Una volta giunta davanti alla villa di Tom, Vera suonò il citofono, ma nessuno rispose. Riprovò quindi due, tre, quattro volte, ma nessuno venne aprirle.
Delusa, tirò un sospirò, e decise che avrebbe riprovato il giorno dopo.
Fece per andarsene, quando delle voci indistinte catturarono la sua attenzione.
Si sporse leggermente, e notò la presenza di un secondo cancello, più piccolo, che dava sul giardino retrostante alla casa.
La giovane fece il giro intorno alla villa, e con passo veloce raggiunse il cancelletto.
Più si avvicinava e più le voci si facevano chiare: non riusciva a cogliere le parole, ma aveva perfettamente capito che si trattava di un ragazzo ed una ragazza.
Il cancello era socchiuso, e Vera ebbe qualche tentennamento ad entrare: qualcosa dentro di lei le diceva che avrebbe fatto meglio a girare i tacchi ed andarsene.
La testardaggine e la curiosità la, però, la portarono a spingere il cancello ed entrare nel giardino.
- Mi sei mancato molto-
Quelle poche parole, pronunciate con voce suadente e sensuale, la fecero voltare di scatto, spingendola a seguire quella voce, procedendo con passo cauto e felpato, mentre mille dubbi e supposizioni si facevano strada nella sua testa.
- Danielle...-
Tom
La voce del chitarrista le risultava inconfondibile ormai, e nel sentirla, Vera aumentò il passo, spinta da una sfrenata voglia di sapere, che era andata a sovrapporsi alla voce che le diceva di fermarsi, di tornare a casa.
Le voci, intanto, si erano interrotte, lasciando Vera perplessa: con chi era Tom?
Qualche istante più tardi, dopo aver svoltato un angolo in quell'immenso giardino, davanti a lei apparve la fatidica risposta.
La ragazza con cui Tom stava parlando poco prima era ora avvinghiata a lui, baciandolo appassionatamente.
Sgranò gli occhi, incredula e si portò una mano alla bocca, impedendosi di gridare, mentre il suo respiro si faceva sempre più irregolare, segno di un imminente pianto.
Quasi come se si fosse accorto della sua presenza, Tom si allontanò dalle labbra della giovane, e guardò alla sua sinistra, dove, a una decina di metri da lui, Vera lo osservava con occhi che sembravano un mare in tempesta e traboccavano di rabbia, tristezza e delusione.
Danielle, intanto, si era girata a sua volta, notando la presenza di Vera.
- E tu chi sei?- chiese, inarcando un sopracciglio.
Senza rispondere alla domanda, Vera lanciò un'occhiata sprezzante al chitarrista, si voltò e corse via, ignorando la voce del chitarrista che la chiamava.
- Vera!- gridava – Vera, fermati!-
La mora, però, non si fermò e continuò a correre, mentre una prima lacrima le bagnava il volto.



















Buon pomeriggio e buona domenica a tutte, Aliens!
Heilig is back, people!
Se mi avevate data per dispersa, sono felice di comunicarvi che sono ancora qui!
E, ovviamente, che ritorno sarebbe senza un capitolo della nostra amata (?) Wedding Planner?
Allora, vi è piaciuto questo capitolo?
Sì, lo so, a volte sono cattiva.
Ma non riesco a resistere, è più forte di me.
Noi scrittrici siamo sadiche, temo :')

Ma avete notato che siamo già al 17esimo capitolo?
Ragazzi, qui abbiamo già superato la metà strada!
Argh, mi sento malinconica ora D:

Bah, sarà meglio non dilungarmi troppo o scoppio a piangere cwc
Come sempre aspetto le vostre recensioni e non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate!
Sotto troverete i soliti link (:

Vi aspetto al prossimo capitolo!

Un bacione a tutte,
Heilig


Trailer | Twitter | Facebook | Gruppo Facebook




Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Eighteen ***


Eighteen





- Tom, cosa sta succedendo?-
La voce di Danielle arrivò ovattata alle orecchie di Tom, che si trovava a qualche metro da lei, dopo aver fatto qualche passo in avanti, nel vano tentativo di raggiungere Vera, che si era allontanata di corsa immediatamente, senza lasciargli il tempo necessario per spiegare.
- Vera- sussurrò il giovane, in una sorta di supplica, nonostante sapesse che lei non l'avrebbe sentito.
Danielle, intanto, l'aveva raggiunto, con fare perplesso, senza capire bene cosa stesse accadendo.
- Tom...?- fece, titubante - Tom, stai... bene?- chiese, posando una mano sulla spalla del chitarrista, che si voltò di scatto, facendola ritrarre, spaventata.
- Perché l'hai fatto?- chiese il moro, quasi ringhiando - Perché mi hai baciato?-
Danielle assunse un'espressione interdetta: cos'aveva fatto di male?
- Hai la più pallida idea di cos'hai combinato?- domandò Tom, con tono adirato.
- I-io...- balbettò Danielle - Non dovevo, forse?- chiese, aggrottando la fronte - Cos'ho fatto di sbagliato? Non ha mai fatto storie del genere- notò poi - Posso sapere cosa succede?- sbottò infine, con una nota di disappunto nella voce.
Quel giorno aveva deciso di fare una sorpresa a Tom, andandolo a trovare a casa sua; era perfino uscita dal lavoro prima, temendo di arrivare troppo tardi e di non trovare nessuno nella villa, e già da diversi giorni stava pianificando quel pomeriggio nei minimi dettagli.
Le cose però, stavano prendendo una piega diversa da come aveva previsto.
- Cosa sei venuta a fare qui?- fece Tom a denti stretti, visibilmente irritato.
- Sono... sono venuta a trovarti- spiegò Danielle – E' molto che non ci vediamo- continuò poi, con voce languida, facendo qualche passo verso il giovane, e ritrovando quella sicurezza che aveva perso quando lui le si era rivolto in modo brusco – Pensavo di passare un po' di tempo con te- aggiunse, assumendo quel tono malizioso con cui sapeva di far impazzire Tom – Non ti dispiace, vero?- chiese, infine, arrivando ad un soffio da lui e poggiando le mani sul suo petto, iniziando a giocherellare con il ciondolo che portava al collo.
- Danielle, no- la richiamò però il ragazzo, prendendola per le spalle ed allontanandola con delicatezza e, allo stesso tempo, freddezza – Credo che tu debba andare adesso- disse poi, con voce dura, spiazzando la giovane.
- E perché?- chiese lei, imbronciandosi.
- Danielle- ripeté Tom – Hai già causato abbastanza problemi- disse – Ora, vai- concluse con poca garbatezza, indicandole la via per il cancello.
La bionda sgranò gli occhi, incredula del trattamento che stava ricevendo.
- Se solo tu mi spiegassi, io...- provò a dire.
- Non ho nulla da spiegare- la interruppe Tom – Vai-
Sapeva che forse avrebbe dovuto trattarla più gentilmente, ma il ricordo di quegli attimi che si erano susseguiti poco prima – il bacio, l'arrivo di Vera e la sua conseguente fuga – non faceva altro che alimentare la sua irritazione nei suoi confronti.
Inoltre, quell'atteggiamento duro gli avrebbe evitato il timore di un suo ipotetico ritorno.
- Sei un vero cafone- sibilava intanto la bionda, con gli occhi ridotti a fessure dalla rabbia – A mai più- disse infine, lapidale.
A braccia conserte, iniziò a camminare, passando accanto a Tom, e scostandolo con una spallata, per poi proseguire, sparendo dietro l'angolo, ed uscendo poi dal giardino, e lasciando che il cancello si chiudesse con un sonoro e brusco clack.
Quando fu certo che Danielle se n'era andata, Tom tirò un profondo sospiro. Raccolse la palla di gomma di Scotty, poco lontana dai suoi piedi, richiamando poi il cane che si era allontanato.
- Scotty!- gridò – Forza, vieni qui!-
In pochi istanti il cane lo raggiunse correndo, e si aggrappò alle sue gambe, scodinzolante, in attesa del suo lancio.
- No, mi dispiace- fece però Tom, accarezzandogli amorevolmente la testa – Si torna dentro-
Scotty ritornò con le zampe a terra, mugolando e mostrando così il suo disappunto.
- Non fare storie- lo riprese il moro – Giocheremo domani. Ora andiamo-
Dopo un ultimo mugolio, Scotty si decise ad ascoltare il suo padrone, trotterellandogli affianco mentre lui si avviava verso casa.
Una volta nell'appartamento, Tom salì subito le scale, diretto nella sua camera, seguito dal cane, che quando arrivarono nella stanza, si andò subito ad accoccolare sul letto, lasciando peli ovunque.
Tom sembrò non accorgersene, e seguì a ruota il cane, buttandosi a peso morto sul materasso, mentre nella sua testa un'unica domanda sorgeva spontanea: cos'avrebbe dovuto fare con Vera?
Voltò lo sguardo, notando il suo cellulare appoggiato sul comodino, e subito un'idea gli balenò in testa. Istintivamente, afferrò il telefono, componendo poi alcune cifre, per poi portarselo all'orecchio, in attesa che qualcuno rispondesse.
- Tom?
- Bill!








* *





- Cosa significa “Ho combinato un casino”, Tom?-
Tom rimase in silenzio, indugiando sulla risposta.
- Si tratta di Vera?- chiese il fratello.
Il chitarrista si limitò a mugugnare in segno di assenso, e subito sentì un sospiro dall'altra parte del telefono.
- Cos'hai combinato stavolta?- domandò Bill con tono grave.
- Non è colpa mia- si difese subito Tom - Questa volta non c'entro nulla, davvero!-
Bill sospirò una seconda volta.
- Avanti,- disse - racconta-
In pochi minuti Tom riassunse l'incontro con Danielle, il bacio, e l'inaspettato arrivo di Vera, che era poi corsa via senza dire una parola.
- Non puoi biasimarla- disse Bill, quando ebbe finito di parlare – Cos'avrebbe dovuto pensare nel vederti avvinghiato a chissà quale bionda californiana?
- E' del Nord Dakota- lo corresse Tom.
- Tom- asserì duro il gemello.
- Era solo per precisare- sbuffò il chitarrista.
- E' incredibile come tu possa fare dell'umorismo quando la tua storia d'amore è nel bel mezzo di una crisi!
- Storia d'amore?- ripeté interdetto il moro – Quale storia d'amore?
- Quella tra te e Vera, ovvio!-
Tom fece per ribattere, ma finì solo per sbuffare, irritato.
- Il tuo silenzio non fa che alimentare le mie convinzioni- lo sbeffeggiò il fratello, senza nascondere una risatina di scherno.
- Sei davvero antipatico- sbottò Tom.
- Mi sto solo vendicando- rispose Bill – D'altronde anche tu hai fatto la stessa cosa prima che io e Madison iniziassimo una relazione seria.
- E' diverso!- si difese il chitarrista, ricordando i pomeriggi passati a prendere in giro il gemello sulla sua infatuazione per Madison – State per sposarvi, ora- aggiunse.
- Beh, non si sa mai che anche tu e Vera finiate per fare lo stesso-
Tom sgranò gli occhi e per un attimo temette di soffocare.
- Cosa... cosa diavolo stai dicendo?!- disse con voce strozzata – Cosa ti fa pensare che io voglia sposarla?-
Bill si limitò a ridacchiare, senza rispondergli: trovava così divertente stuzzicare suo fratello.
- Ti odio, Bill, davvero- asserì, con tono offeso quest'ultimo, sentendolo scoppiare a ridere.
- S-scusa...- disse il biondo, tentando di soffocare le sue risate, con scarso successo – E' che è buffo vederti così preso da Vera, considerando il fatto che prima nemmeno la sopportavi.
- Non è questo il problema, ora- replicò Tom, sorvolando sull'ultimo commento del cantante – Cosa devo fare. Bill?-
Il giovane sospirò, ritornando serio, senza saper dare una vera e propria risposta al gemello.
- Io...- iniziò a dire – Non lo so, Tom- concluse – L'unica cosa che mi sento di dirti è di chiarire le cose al più presto, prima che sia troppo tardi-
Tom si limitò a mugugnare, per poi sentire una voce femminile di sottofondo all'altro capo del telefono.
- Bill!- diceva – Puoi venire, per favore?-
- Arrivo, Madison!- rispose il biondo – Tom,- disse poi, tornando a rivolgersi al fratello – ora devo andare. Ci vediamo domani allo studio e parleremo meglio di questa storia.
- Ok- borbottò Tom – A domani-
Chiuse la chiamata e ripose il cellulare sul comodino, portando poi il braccio dietro la testa.
Per quanto si fosse sforzato, Bill non gli era stato di grande aiuto: sapeva già di dovere delle spiegazioni a Vera, il problema era il come. Non si era certo mostrata ben disposta ad ascoltarlo, prima di scappare via piangendo.
Sospirò, sconsolato, e in quel momento, Scotty sembrò quasi sentire le sue preoccupazioni. Alzò la testa e si avvicinò al giovane, leccandogli la guancia, quasi come per tirargli su il morale.
- Sei molto gentile a preoccuparti per me, sai?- gli disse il ragazzo con un mezzo sorriso. Scotty emise un mugolio e poggiò il muso sul petto del chitarrista.
- Stavolta,- disse quest'ultimo, prendendo ad accarezzarlo – mi sono cacciato in un bel guaio-




* *






Vera piombò nel suo appartamento come un tornado, sbattendo la porta con veemenza, e poggiando poi la schiena su di essa, respirando profondamente, nel tentativo di calmarsi.
Aveva corso fino a casa sua senza mai fermarsi o voltarsi, sotto gli sguardi esterrefatti dei passanti, che aveva scansato con qualche gomitata, senza preoccuparsene troppo, e lasciandoli a lanciarsi occhiate perplesse, scuotendo poi la testa e riprendendo poi la loro strada.
Si accasciò ai piedi della porta, ancora singhiozzante, e portò le gambe al petto, rannicchiandosi su stessa.
Si sentiva stupida, immensamente stupida.
Come aveva fatto a rendersi così ridicola? Perché non aveva dato ascolto a Grace quando, inconsapevole di quello che stava per causare, le aveva parlato di Tom? Perché era stata così sciocca anche dopo essere stata messa in guardia?
In breve i suoi occhi si riempirono di nuovo di lacrime, che in pochi istanti andarono a bagnarle il viso, già segnato dal pianto, che la ragazza cercò di asciugare con il dorso della mano.
L'immagine di Tom che baciava quella ragazza sembrava quasi incisa nella sua testa, e le provocava singhiozzi disperati alternati a tremori di rabbia.
Rabbia verso Tom, verso la ragazza che stava baciando, ma, soprattutto, verso se stessa.
L'ira che provava era inferiore forse solo alla delusione.
Delusione perché forse aveva creduto troppo in quella relazione che sembrava nata per caso, lasciandosi trasportare dalle sue emozioni, fino a cedere, disarmata, di fronte a quegli occhi ambrati. E cosa le restava ora di quei sentimenti, della cui forza e potenza si rendeva conto solo ora?
Cosa le restava della passione, che l'aveva colta all'improvviso, svelando lati di se stessa che neanche conosceva?
Nulla.
Nulla, tranne il pentimento, tranne l'amarezza, tranne la vergogna di essere risultata così debole e facile da ingannare.
D'un tratto, lo squillo improvviso del suo cellulare la scosse dalle sue riflessioni.
Infilò una mano nella tasca della giacca, recuperò il telefono, guardandone poi il display.
- Pronto?- rispose, una volta esserselo portata all'orecchio.
- Ehi, Cooper!- esclamò la voce allegra di Lawrence – Allora, com'è andata? Tu e Tom vi siete riappacificati?-
Vera tentò di rispondere, ma l'unico suono che uscì dalle sue labbra fu un lamento quasi disperato, seguito da qualche singhiozzo.
- Vera...?- fece Lawrence, facendosi subito serio – Va tutto bene?-
La giovane tirò su con il naso, sforzandosi di non scoppiare di nuovo in lacrime.
- No, Lawrence- rispose, con un sospiro – Assolutamente no.






* *





Qualche giorno più tardi


- Ehi, posso entrare?-
Vera alzò lo sguardo dallo schermo del pc, e vide Lawrence affacciato alla porta del suo ufficio.
- Da quando chiedi il permesso?- chiese la giovane, tornando a guardare il computer – Entra pure- aggiunse, senza però degnare di uno sguardo l'amico.
Il ragazzo entrò, chiudendosi la porta alle spalle, e si avvicinò alla scrivania della mora, lasciandole davanti il suo consueto cappuccino.
- Grazie- disse lei, sbrigativa, lanciandogli un'occhiata fugace, per poi tornare al lavoro.
- Come stai?- chiese Lawrence, con tono di apprensione.
- Tutto bene- rispose Vera, scrollando le spalle.
Notando con la coda dell'occhio l'espressione scettica che si era dipinta su viso dell'amico, la mora tirò un sospiro profondo, distogliendo finalmente lo sguardo dal sito di catering che stava visitando.
- Ok,- ammise, prendendo il cappuccino che Lawrence le aveva portato – forse non va tutto bene.
- Pensi ancora a Tom?- chiese a bruciapelo il giovane.
“Sempre” pensò Vera, con sguardo cupo, limitandosi però, ad un cenno del capo.
- Non pensavo che ne fossi così... coinvolta- disse Lawrence, indugiando sull'ultima parola.
- Per quanto possa risultarti difficile da immaginare, Lawrence, ho anche io dei sentimenti- replicò stizzita la mora.
- Sai bene che non intendevo questo- ribatté il ragazzo, con una nota di rimprovero nella voce – E' quasi buffo vederti innamorata-
Vera sentì la voglia di ribattere, di dire che no, non era innamorata, non di Tom, ma si limitò a scuotere la testa, continuando a sorseggiare il suo cappuccino.
- Sto soffrendo per amore, se vogliamo essere precisi- disse solamente, tra un sorso e l'altro.
- Questo implica il fatto che tu sia innamorata- rispose Lawrence, con un sorrisetto, a cui Vera cercò non badare.
- Stronzo- si lasciò sfuggire in un sussurro.
- Simpatica come sempre, vedo- commentò con fare sarcastico il biondo, avendo colto il gentile appellativo con cui Vera l'aveva chiamato – Beh, sarà meglio che vada, ora- disse poi.
- Sì, sarà meglio- grugnì la giovane.
Lawrence roteò gli occhi, sorvolando sulla risposta dell'amica.
- Ti perdono solo perché sei in una fase di crisi emotiva- disse.
- Crisi emotiva?- ripeté con scetticismo Vera.
Lawrence annuì con convinzione, e fece per spiegare cosa intendesse, ma fu interrotto dallo squillo del telefonino della mora, che lo prese e ne osservò il display. Fece una smorfia, e rifiutò la chiamata, per poi rimettere il telefonino in tasca.
- Non gli hai ancora risposto?- chiese Lawrence.
Vera si limitò a scuotere la testa in segno di diniego, e l'amico sospirò.
- Dovresti.
- E perché mai?
- Vera.
- Lawrence, per favore, ne abbiamo già parlato nei giorni scorsi-
Il biondo sospirò una seconda volta, decidendosi a non ribattere.
- Non dovevi andare?- chiese poi, atona Vera.
- Sì...- rispose Lawrence, annuendo debolmente – Ci vediamo più tardi-
Vera si limitò ad un mugugno di assenso, e lui si allontanò dalla scrivania, per poi uscire dall'ufficio.
“Di questo passo,” si disse, mentre tornava nel proprio “perderò la scommessa con Bill”









* *

Quel pomeriggio


- Avanti, Madison! Non fare la difficile!
- Bill, smettila di fare il bambino-
Bill sbuffò, assumendo poi un'espressione imbronciata.
- Sei cattiva- disse, a braccia conserte – Perché non vuoi che venga con te a vedere il vestito da sposa?-
Madison sbuffò, alzando gli occhi al cielo e chiedendosi perché il suo fidanzato fosse così duro di comprendonio.
- Per la quattrocentesima volta, Bill- disse, mentre chiudeva la sua borsa beige – Fa parte della tradizione che lo sposo non veda l'abito della sua futura consorte prima della cerimonia.
- Stupida tradizione- sputò velenoso il biondo, con una smorfia.
Madison scosse la testa, accennando un piccolo sorriso, divertita.
- Finiscila con questa storia- asserì, uscendo poi dalla stanza, e seguita a ruota da Bill.
- Tutto questo è assolutamente ingiusto- borbottava intanto il ragazzo, mentre scendevano le scale.
Arrivati al pian terreno, i due andarono in cucina, dove Madison prese un bicchiere, versandoci poi dell'acqua, mentre Bill la osservava con aria offesa.
- Sei davvero infantile- commentò Madison, notando l'espressione del ragazzo.
Bill fece per replicare, quando la loro discussione fu interrotta dal trillo del campanello.
- Oh, deve essere Tom!- fece la ragazza, appoggiando il bicchiere nel lavello, per poi andare alla porta.
Una volta aver aperto, si trovò davanti un Tom dall'aria piuttosto seccata.
- Buon pomeriggio Tom!- esclamò Madison con un gran sorriso.
Per tutta risposta, Tom si limitò ad un cenno con la testa, accompagnato da un mugugno per poi entrare nell'appartamento, senza dire una parola.
- Sì, sto bene, grazie dell'interessamento!- lo rimbeccò Madison, seguendolo.
- Anch'io sto bene- replicò atono il chitarrista, una volta aver raggiunto il fratello che li aspettava sulla soglia della cucina.
- Non si direbbe- disse, osservando da capo a piedi il moro.
- Sto bene- scandì con voce ferma Tom – Allora, sei pronta?- chiese poi, rivolgendosi a Madison.
- Sì- rispose la ragazza – Possiamo andare- annunciò poi – Ci si vede dopo, Bill.
- A dopo- disse il biondo, agitando la mano in segno di saluto.
Madison e Tom si diressero verso la porta, uscendo poi dall'appartamento, e raggiunsero l'auto di Tom, parcheggiata davanti al cancello.
Una volta a bordo, i due allacciarono le cinture e Tom partì subito alla volta dell'atelier di abiti da sposa dove Madison aveva scelto il proprio.
La vettura era avvolta nel più completo dei silenzi, interrotto solo dal tamburellare nervoso delle dite del ragazzo sul volante.
- Hai finito?- sbottò Madison dopo qualche minuto – Sei irritante.
- Scusa- rispose Tom, con un sospiro – Sono un po' teso.
- Non hai mai visto una donna in abito da sposa?- gli chiese la mora.
- A parte mia madre qualche anno fa? No- replicò il chitarrista – E comunque non è un vestito a rendermi nervoso.
- Oh, no, certo che no- fece Madison – Si tratta di Vera, ovviamente-
Tom aggrottò la fronte, e lanciò un'occhiata perplessa alla giovane.
- Bill mi ha raccontato cos'è successo- spiegò lei, mentre Tom malediva suo fratello e la sua predisposizione a spiattellare i suoi affari ai quattro venti – Quella Dana ha combinato un bel casino.
- Danielle- la corresse Tom – E comunque, ormai è andata così- aggiunse, scrollando le spalle.
- Cosa vuoi dire?- chiese Madison – Non dirmi che hai intenzione di gettare la spugna?-
Tom si limitò a stringersi nelle spalle, senza dire nulla: cos'avrebbe dovuto fare? La verità era che lui e Vera non erano fatti per stare insieme, e non lo sarebbero mai stati.
- Saresti un pazzo a volerti arrendere ora, Tom.
- Sarei un pazzo a voler continuare questa... storia- replicò secco il ragazzo – L'ho tempestata di messaggi e ho cercato di chiamarla ma non mi risponde- raccontò - Andrà meglio la prossima volta.
- Lo fai per autoconvincerti?- disse Madison.
Tom sbuffò sonoramente, e si chiuse in un religioso silenzio, deciso a non voler più discutere.
Una quindicina di minuti dopo, stava parcheggiando l'auto di fronte all'enorme vetrata dell'atelier.
- Bene, andiamo- disse Tom, slacciandosi la cintura, per poi scendere dalla vettura.
“Finora sono sempre stata convinta che fosse Bill quello strano” pensò Madison, scuotendo la testa, slacciandosi la cintura a sua volta “Evidentemente mi sbagliavo” si disse infine, scendendo dall'auto e seguendo Tom all'interno dell'edificio.







* *





Tempo dopo

Tom sbuffò per l'ennesima volta, lanciando uno sguardo annoiato al suo orologio da polso, per poi alzare gli occhi sulla porta del camerino, sperando invano di vederla finalmente aprirsi.
Si stiracchiò leggermente, chiedendosi ancora una volta cosa l'avesse spinto ad accettare la proposta di Madison ad accompagnarla a provarsi il vestito da sposa.
Si guardò intorno, osservando l'ambiente che lo circondava: ovunque si ergevano manichini bianchi che indossavano i più svariati abiti, rendendo l'intero atelier un tripudio di colori, pizzi, ricami, fiori, tulle e fiocchi. Qua e là si vedeva anche qualche sobrio tailleur e molti abiti da damigella. Uno in particolare catturò l'attenzione del chitarrista: era un abito turchese, non troppo corto e senza spalline, con un piccolo fiore bianco appuntato.
In un attimo Tom si figurò il vestito, in tutta la sua elegante semplicità, indosso a Vera, e l'immagine che apparve davanti ai suoi occhi fu quasi celestiale: i grandi occhi verdi della giovane s'intonavano perfettamente con il colore dell'abito, che sembrava calzarle a pennello, quasi come un guanto.
- Tom? Ti sei incantato?-
L'improvvisa domanda di Madison lo svegliò bruscamente dallo stato di trance in cui era caduto, facendolo voltare.
- No, io...- iniziò a dire, ma le parole gli morirono in gola.
Madison sostava di fronte a lui, in tutta la sua disarmante bellezza: i lunghi capelli scuri erano stati raccolti in un raffinato chignon, e il fisico snello e slanciato era ora fasciato da un lungo e meraviglioso abito bianco, con un busto ricamato e ricco di decorazioni argentate, ed una gonna di tulle ampia e voluminosa, con le balze ed un lungo strascico, sorretto da un paio di commesse che avevano aiutato Madison a vestirsi.
- Cosa... cosa ne dici?- chiese la giovane, torturandosi le mani dal nervosismo.
Tom rimase in silenzio per qualche lunghissimo secondo, ad occhi sgranati, e a Madison parve di non piacergli.
- Tom...?- fece, con tono perplesso – Non... non ti piace?
- No, no!- negò subito con forza il giovane - Io... tu... wow- aggiunse, non trovando le parole adatte ad esprimersi – Non so cosa dire- continuò, alzandosi dalla poltroncina su cui sedeva, per poi avvicinarsi a Madison – Sei davvero bellissima- concluse, con un sorriso. Le prese una mano, facendole fare un giro completo su stessa.
- Rettifico- disse, osservandola da ogni angolazione – Sei stupenda.
- Lo credi davvero?- chiese Madison, con un barlume negli occhi nocciola.
- Certo che lo credo!- rispose allegro il ragazzo - Sei ancora sicura di voler sposare Bill? Insomma, se vuoi, sono disp...-
Prima che finisse la frase, però, Madison l'aveva già colpito sulla nuca, con fare stizzito.
- Ehi!- fece Tom, massaggiandosi la parte colpita – Era solo una domanda!
- Sei sempre il solito- lo rimbeccò Madison – Beh, ora che l'hai visto e l'ho provato credo di sentirmi più sicura- aggiunse, poi, piegando le labbra in un gran sorriso, dopo aver tirato un sospiro di sollievo – Non vedo l'ora che arrivi il giorno della cerimonia- esclamò, battendo le mani come una bambina, ricordando a Tom il fratello – Vado a cambiarmi- annunciò, infine.
- Vuoi una mano?- domandò Tom con estrema nonchalance, abbozzando un sorrisetto.
Madison si limitò a rifilargli un secondo schiaffo, accompagnato da un'occhiataccia, per poi rientrare nel camerino, aiutata dalle ragazze che le tenevano lo strascico, chiudendo poi la porta con un gesto brusco.
Tom roteò gli occhi, tornando a sedersi sulla poltroncina, massaggiandosi la nuca.
Mentre aspettava che Madison fosse pronta, sentì il cellulare vibrare, segnalando l'arrivo di un messaggio. Lo prese ed osservò il display, sui cui lampeggiava il nome di Bill.
Allora com'è il vestito?” aveva scritto.
Tom sorrise, e subito digitò la risposta.
Non posso dirti nulla, fratellino, conosci la tradizione... Ma sappi che le fa un gran bel culo ;)
Premette “invio”, e poco dopo, mentre aveva ancora il telefono in mano, video lo schermo illuminarsi una seconda volta.
Aprì il messaggio e lo lesse, rimanendone piuttosto allibito.
Appena ti vedo, ti strangolo
“Chissà perché” pensò, imbronciato, mentre infilava il telefono nella tasca dei jeans “nessuno ha il mio senso dell'umorismo”






* *






Più tardi


- Grazie per avermi accompagnata, Tom. Sei stato davvero carino.
- Questo ed altro per la mia futura cognatina-
Madison sorrise dolcemente, stampando poi un bacio sulla guancia di Tom.
- Ci vediamo, futuro cognatino- disse, aprendo la portiera per poi scendere dall'auto del chitarrista. Dopo averla richiusa, agitò la mano in segno di saluto, dirigendosi quindi verso il cancello della sua abitazione.
Tom aspettò di vederla entrare nella villa, per poi ingranare la marcia e dirigersi verso casa.
Mentre guidava, le parole che Madison gli aveva detto durante il tragitto verso l'atelier continuavano a rimbombargli in testa.
Saresti un pazzo a volerti arrendere ora, Tom
Una parte di sé sapeva che era pressoché inutile tentare di riappacificarsi con Vera, mentre un'altra, seppellita sotto metri di autocommiserazione, lo spronava a rimettersi in gioco, a provare di non essere solo un semplice playboy, ma di avere anche dei sentimenti, di avere un cuore.
Giunto ad un semaforo rosso, si fermò, aspettando di poter partire, e rifletté sul da farsi: Vera non aveva risposto a nessuno dei suoi sms e non si degnava di rispondergli al telefono, in che altro modo avrebbe potuto raggiungerla?
D'un tratto, un'improvvisa soluzione balenò nella sua testa, illuminandogli gli occhi.
Senza nemmeno aspettare che scattasse il verde, ingranò la marcia e svoltò a destra, ricevendo insulti e schiamazzi degli automobilisti.
Premette con foga sull'acceleratore, lanciando uno sguardo all'orologio digitale che stava sul cruscotto.
“Dovrebbe essere a casa a quest'ora” pensò, inchiodando ad una rotonda “Spero solo che si degni di aprirmi la porta”






* *



Vera cambiò per l'ennesima volta canale: quel giorno non vi era nulla di interessante in TV, solo vecchi film, documentari su luoghi di cui non sapeva nemmeno l'esistenza e serie TV di dubbio gusto.
Sbadigliò, annoiata, e cambiò ancora trasmissione, finendo su un canale che stava trasmettendo un quiz show.
Stava per cambiare nuovamente, quando il campanello suonò all'improvviso.
Si alzò dal divano su cui sedeva, e si diresse verso la porta, chiedendosi chi mai potesse essere.
“Forse è Lawrence” pensò, afferrando la maniglia, per poi aprire la porta “Avrà dimenticato qualc...”
Non riuscì nemmeno a terminare il suo pensiero, tale fu la sorpresa nel vedere Tom sulla soglia del suo appartamento.
- Ciao, Vera- disse lui, con aria afflitta.
- Vattene- sibilò lei, con durezza, facendo per chiudere la porta.
- No, non prima di averti detto tutto ciò che ho dirti- intervenne Tom, bloccandola con un piede, e costringendo la ragazza a riaprirla.
- Non hai nulla da dirmi, Tom- disse Vera – Quello che visto è stato abbastanza eloquente.
- Non è come sembra- tentò di giustificarsi il chitarrista.
- Oh, certo- lo canzonò la giovane – Non è mai come sembra, vero?- continuò.
- Vera, ti prego...
- No- scandì a chiare lettere la mora – No, Tom. Se pensi davvero che io sia soltanto un'altra delle tue groupies, ti sbagli di grosso- aggiunse, con disprezzo.
- Non l'ho mai pensato- si difese Tom, sentendosi punto nel vivo.
- Chissà perché, qualcosa mi fa credere il contrario- ribatté secca Vera – Ora, vai-
Spinse Tom con un gesto brusco, facendogli fare qualche passo indietro, e fece per chiudere la porta, ma prima di averla chiusa del tutto, si fermò, come se si fosse ricordata di qualcosa tutto ad un tratto, e la riaprì.
- Dimenticavo,- disse, armeggiando con il bracciale che aveva al polso, sotto lo sguardo perplesso di Tom – Questo è tuo- fece, con tono glaciale, porgendo il braccialetto al ragazzo, che la osservò con occhi sgranati.
- Stai scherzando- soffiò, con aria spiazzata.
Vera si limitò a scuotere la testa, la mano ancora a mezz'aria, mentre teneva fra due dita l'oggetto.
- Avanti, prendilo- insistette.
Con qualche tentennamento, il giovane stese il braccio verso di lei, che lasciò cadere il bracciale nella mano del chitarrista.
- Ora, puoi anche andare- concluse con freddezza Vera – Ci vediamo al matrimonio di Bill e Madison- aggiunse, con una smorfia.
Lanciò un'ultima occhiata sprezzante al ragazzo, per poi chiudere bruscamente la porta, provocando un rumore sordo che si propagò nel palazzo.
Tom rimase ad osservare la porta chiusa, aspettandosi invano di vederla riaprirsi.
Tirò un sospiro, e, preso dallo sconforto, si decise ad allontanarsi. Una volta arrivato alle scale, rivolse un ultimo sguardo all'appartamento di Vera, sperando fino all'ultimo che la ragazza cambiasse idea, ma non accadde.
Guardò il braccialetto che stringeva in una mano, e solo in quel momento si rese conto di quello che aveva appena perso, di quanto Vera significasse per lui.
E si sentì vuoto.






















*si schiarisce la voce*
Salve a tutte! Sono tornata!
Parto subito con le mie più sincere scuse, care lettrici:
non posso biasimarvi se siete un po' irritate da questa mia lunga assenza, e non so davvero come farmi perdonare cwc
Tra scuola e altri problemi non ho avuto davvero tempo di sedermi e dar vita ad un capitolo perlomeno decente, se non ora, e forse il capitolo tanto decente nemmeno lo è.
Non starò qui ad annoiarvi sul perché e il percome della mia lunghissima assenza, ma ci tenevo a ringraziare chi ha aspettato questo capitolo senza fare una piega, davvero, grazie.
Scusate, inoltre, se non ho risposto alle vostre ultime recensioni: ho continuato a rimandare fino a non farlo più, ma prometto che non si ripeterà una seconda volta (: Anche perché mi piace interagire con voi, e rispondere personalmente ai vostri commenti è il minimo che posso fare dopo che avete speso del tempo a leggere e recensire questa storia (:


Parlando del capitolo, non c'è molto da dire.
Ormai mi conoscete, sono piuttosto cattiva, soprattutto con i nostri amati Vera e Tom.
Se pensavate che tutto si sarebbe risolto in un batter di ciglia, avete proprio sbagliato fic, lol.
Sì, lo ammetto, mi piace essere sadica, ok?
Non so nemmeno se assicurarvi un lieto fine per questa vicenda OuO
* risata malefica*
Ok, questo discorso sta velocemente degenerando.
Non mi soffermo troppo, ma aspetto con trepidazione le vostre recensioni (dio, quanto mi sono mancate!)

Ora vi lascio (sarà meglio, sì, sì)
Mi farò sentire “REALLY soon” (non vi emoziona questa frase? OuO)
HAHAHA, scherzi a parte, cercherò di tornare il prima possibile, davvero!

Grazie ancora per la vostra pazienza.
Un bacione,
Heilig

Trailer | Twitter | Facebook | Gruppo Facebook

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Nineteen ***


Nineteen

 

Vera rimase accanto alla porta, nell'attesa di sentire Tom prendere le scale e scendere al piano inferiore. Quando sentì i passi pesanti del giovane riecheggiare per il palazzo e farsi sempre più lontani, tirò un lieve sospiro.
- Con quale coraggio si presenta qui?- sibilò a denti stretti, tornando a sedersi sul divano.
Prese dei lunghi e profondi respiri, nel tentativo di reprimere la rabbia che sentiva scorrere nelle vene.
Se Tom pensava che sarebbe caduta due volte nello stesso tranello, si sbagliava di grosso: non era così sprovveduta.
La televisione, intanto, continuava a trasmettere il quiz show, e la voce trillante della concorrente in studio trapanava con insistenza la mente della giovane, che spense l'apparecchio con un gesto brusco, per poi iniziare a giocherellare con le mani con fare nervoso, un piccolo tic che le era rimasto fin da piccola e che si ripresentava puntualmente in situazioni di stress o di irritazione.
Pensò di chiamare Lawrence, ma subito si ricordò che quel pomeriggio il suo amico sarebbe andato a far visita alla madre, e preferì non disturbarlo.
Anzi, il silenzio in cui l'appartamento era avvolto, rotto solo dal suo respiro, era perfetto per riflettere in tutta calma.
Riflettere sulla situazione con Tom, sul doverla risolvere o meno, sul tempo necessario per dimenticare quella brutta storia.
O su quanti e quali modi potrei usare per ucciderlo” si disse la mora, con una smorfia.
Sospirò, scuotendo la testa e cercando di cacciare dalla mente l'immagine di lei intenta a strangolare il chitarrista.
Se da un lato, però, la visita di Tom non era stata gradita, Vera dovette ammettere a se stessa che il giovane l'aveva sorpresa: non avrebbe mai pensato che il chitarrista potesse mettere da parte l'orgoglio e mostrarsi più umile di come appariva.
Ma sicuramente l'avrà fatto per impietosirmi” si disse però la giovane, d'un tratto, scuotendo la testa una seconda volta “Peccato per lui che non io non abbia abboccato”.
Si girò, mettendosi su un fianco, ancora pensierosa, mentre l'espressione mortificata di Tom continuava ad apparire davanti ai suoi occhi.
No” si disse con forza “Non cederò. Non un'altra volta”.



* *





Gustav chiuse con un piede lo sportello del frigorifero, per poi appoggiare sul tavolo in legno chiaro una vaschetta di gelato alla vaniglia. Afferrò un cucchiaio dal cassetto delle posate, andando poi a sedersi, pregustandosi la ghiotta merenda.
Aprì la vaschetta e fece per prendere una prima cucchiaiata, quando alcuni colpi alla porta d'ingresso lo interruppero.
Sbuffò, infastidito dal disturbo, per poi alzarsi ed andare ad aprire.
- Tom?- fece con perplessità quando il chitarrista apparve davanti ai suoi occhi – Perché non hai suonato?-
Il moro, con le mani infilate nelle tasca della felpa ed un'espressione afflitta dipinta sul volto, si limitò a stringersi nelle spalle.
- Posso entrare?- chiese.
- Sì...- rispose Gustav titubante, facendosi da parte – Entra pure- aggiunse, con un cenno del capo.
Senza dire un parola, Tom entrò nell'appartamento, che Gustav divideva con Georg durante i loro soggiorni a Los Angeles.
- Dov'è Hagen?- chiese senza troppo interesse il chitarrista, dirigendosi verso la cucina.
- E' andato in palestra- spiegò Gustav, chiudendo la porta, per poi raggiungerlo – Credo tornerà tra un'oretta- fece poi, sedendosi al tavolo, seguito a ruota da Tom, che osservò la vaschetta di gelato che Gustav s'apprestava ad ingurgitare, storcendo la bocca con aria di dissenso.
- Non eri a dieta, Gustav?- domandò, inarcando un sopracciglio.
- Sto solo facendo un piccolo spuntino!- esclamò il batterista, allargando le braccia.
- Piccolo, eh?- commentò a bassa voce Tom, scuotendo la testa.
Gustav fece una smorfia, per poi infilarsi un cucchiaio di gelato in bocca.
- Beh?- fece, ingoiando il boccone – Spero che ciò che ti ha spinto ad interrompere il mio momento di relax sia qualcosa di davvero urgente-
Tom deglutì, rimanendo in silenzio per qualche istante.
- Allora?- lo incitò Gustav – Avanti, parla!-
Tom prese un profondo respiro, prendendo poi a parlare:
- Si tratta...- iniziò a dire, con qualche esitazione – si tratta di Vera-
Il batterista rimase interdetto per qualche secondo, mentre Tom prese a giocherellare nervosamente con un lembo della felpa.
- Ti ha visto baciare ancora quella Denise?- chiese Gustav con un sospiro.
- Danielle- lo corresse Tom – E poi, tu come...?
- Bill- rispose il biondo, interrompendolo – Me l'ha detto lui-
Quel chiacchierone” si disse Tom, ripromettendosi di non confidarsi più con il gemello.
- Sei andato a scusarti?- fece Gustav, risvegliandolo dai suoi pensieri.
Tom annuì, abbassando lo sguardo.
- E lei ti ha mandato al diavolo, suppongo- disse il batterista.
Tom annuì una seconda volta, con espressione vacua.
- Mi ha anche ridato questo- borbottò fra i denti, gettando sul tavolo il braccialetto d'argento che Vera gli aveva riconsegnato poco prima.
Gustav prese l'oggetto, rigirandoselo fra le mani.
- Non riesco a crederci- mormorò, incredulo – Tom Kaulitz che regala gioielli!- esclamò, porgendo il bracciale all'amico – Questa sì che è una notizia-
Tom prese il braccialetto, rimettendolo in tasca, per poi alzare gli occhi su quelli del batterista, tanto simili ai suoi.
- Credo di averla persa, Gustav- sospirò – Questa volta l'ho ferita davvero- ammise, colpevole.
Gustav rimase ad ascoltarlo in silenzio, capendo quanto Vera dovesse essere importante per l'amico, e subito sentì il dovere di rassicurarlo.
- Tom...- iniziò a dire, ma il chitarrista lo interruppe bruscamente.
- No, Gus- fece, con un sorriso amaro – Se dico che l'ho persa, è perché è così- disse – Non c'è modo di tornare indietro, e lei non sembra voler sentire ragioni- aggiunse – A questo punto, tanto vale dimenticarla. Il matrimonio è alle porte, e dopo la cerimonia non la vedrò più- spiegò – E' inutile preoccuparsene. E' finita-
Il batterista non batté ciglio, ascoltando attentamente il discorso di Tom, al quale, quando finì di parlare, rivolse un'occhiata sconsolata.
- Che c'è?- chiese il moro, vedendo l'amico scuotere la testa.
- Sei un vero idiota, Tom- asserì senza troppi giri di parole Gustav, lasciando Tom piuttosto stupito della sua affermazione.
- E a cosa devo un così bel complimento, di grazia?- chiese con ironia il giovane - E' tanto idiota voler lasciarsi alle spalle questa vicenda?
- Oh, no, no- si affrettò a dire Gustav – Il tuo essere idiota sta nella convinzione di riuscirci-
Tom fece per ribattere, ma si limitò a sospirare rumorosamente.
- Non avrei mai creduto che una relazione potesse coinvolgermi fino a questo punto, sai?
- E io non riesco a credere che tu abbia finalmente ammesso quanto Vera sia importante per te- replicò Gustav – Temevo di dover aspettare ancora molto-
I due si scambiarono un breve sguardo d'intesa, accompagnato da un sorrisetto.
- Cosa devo fare, Gustav?- chiese Tom dopo qualche istante di silenzio, appoggiando i gomiti sul tavolo – Io amo Vera-
Gustav sgranò appena gli occhi, quasi allibito.
- Sei cosciente di cos'hai appena detto, Tom?- chiese, per assicurarsi di aver sentito bene.
- Sì- affermò il chitarrista – E ne sono pienamente convinto- aggiunse, con fermezza.
- Beh, allora non credo di doverti dire cosa fare- sentenziò il batterista – Non hai molta scelta.
- Mi rifiuterà ancora- replicò Tom, scuotendo il capo.
- Fossi in te, preferirei avere la consapevolezza di essere stato rifiutato piuttosto che il rimorso di non averci nemmeno provato- replicò Gustav.
Tom non replicò, e rifletté attentamente sulle parole dell'amico.
- Forse hai ragione- disse poco dopo.
- Ho ragione da vendere- precisò Gustav – Tom, te lo dico da amico: non arrenderti, o finirai per pentirtene-
Il chitarrista si morse il labbro inferiore, indeciso sul da farsi.
- E se mi dovesse denunciare per stalking?-
A quella domanda, Gustav rise di gusto.
- Beh, credo che la furia di David e dell'intero staff si abbatterebbe su di te, in quel caso- rispose, mentre ancora ridacchiava.
- Non è affatto divertente- s'impuntò Tom – Come puoi ridere di questa situazione?
- Hai ragione, scusa- disse Gustav, cercando di ritornare serio – Quello che voglio dirti è che non devi arrenderti davanti ad una porta chiusa in faccia, perché sono sicuro che tu sai per certo di essere destinato a stare con lei-
Tom si limitò ad annuire, senza troppa convinzione: nonostante i sentimenti che provasse per Vera fossero ormai chiari perfino a lui, non era altrettanto certo di essere ricambiato. Non dopo ciò che era successo.
- Non preoccuparti- lo rassicurò l'amico, con sguardo sereno – Vedrai che tu si risolverà-
Tom trovò un piccolo appiglio nelle parole di Gustav, e in quel momento si rese conto di quanto avesse fatto bene a rivolgersi a lui, dopo l'accaduto: con quel sorriso sornione, l'inesauribile disponibilità e l'incredibile capacità di trovare sempre le parole giuste, il batterista era certamente la persona ideale a cui chiedere consigli, o anche solo con cui parlare e confrontarsi.
Tom gli sorrise, con gratitudine, e l'amico ricambiò, per poi alzarsi da tavola e prendere dal cassetto un secondo cucchiaio, che poi porse al chitarrista, il quale gli rivolse un'occhiata stranita.
- Un po' di gelato ti farà bene- spiegò Gustav – Ti conviene accettare, perché non avrai mai più un'occasione simile-
Il moro ridacchiò, prendendo l'oggetto che l'amico gli porgeva.
- Ah, Gustav!- rise, mentre prendeva una prima cucchiaiata dalla vaschetta – Non cambierai mai.











* *


La sera dopo



- Madison?-
Bill spostò lo sguardo dall'enorme specchio in cui si stava guardando, volgendolo verso la fidanzata, intenta a lavarsi i denti. La mora si limitò a mugugnare qualcosa d'incomprensibile a labbra serrate, facendogli segno di aspettare qualche istante, per poi sputare nel lavandino l'acqua che teneva in bocca.
- Dimmi- disse, asciugandosi il volto, per poi prendere un elastico per capelli.
- Dici che dovrei togliermi queste extensions?- chiese il cantante, tornando a rimirarsi nello specchio.
Madison lo osservò, pensierosa, per poi scuotere la testa.
- Non vedo perché dovresti- disse con un'alzata di spalle, per poi legare i lunghi boccoli scuri in una coda di cavallo – Credo ti donino.
- Non saprei...- fece Bill, storcendo il naso – Forse per l'abito da cerimonia è richiesto un taglio più... tradizionale, no?
- Bill, credimi, qualsiasi acconciatura o abito tu possa portare non ti renderà mai tradizionale- rise Madison, sistemandosi i pantaloni del pigiama, per poi uscire dal bagno e dirigendosi verso la camera da letto, seguita da Bill.
- Avanti, sii seria!- la rimproverò il ragazzo.
- Sono serissima!- replicò lei, andando a sedersi sul materasso, incrociando poi le gambe – Piuttosto, perché ti è venuta in mente una cosa del genere?-
Bill si strinse nelle spalle, senza trovare una vera e propria risposta.
- Così...- disse, vago, buttandosi poi a peso morto sul letto, accanto alla giovane.
Madison aggrottò la fronte, dubbiosa, ma preferì non indagare oltre.
- Hai detto ai ragazzi della festa di sabato?- chiese invece, cambiando argomento.
- No, ma lo farò al più presto- rispose il biondo, mentre s'infilava sotto le coperte.
- Hai detto la stessa identica cosa giorni fa, Bill- lo rimbeccò Madison – Evita di avvisare tutti all'ultimo momento come tuo solito, per favore.
- Io sono una persona puntualissima!- ribatté il cantante, quasi offeso.
- Certo, Bill- rispose Madison – E' per questo che abbiamo perso 3 aerei su quattro 4 negli ultimi due anni-
Bill la scimmiottò, con fare infantile, provocando una risata di scherno nella mora.
- Non è divertente- sibilò Bill, a braccia conserte – Tu piuttosto, hai avvertito le tue amiche?
- Dalla prima all'ultima- affermò con soddisfazione Maddie – Ne è rimasta solo una, ma prima volevo parlarne con te.
- Parli di Vera?- chiese Bill.
Madison annuì, con espressione dubbiosa.
- Non voglio che il nostro giardino si trasformi in un ring- sbuffò il ragazzo, pensando all'astio tra Tom e Vera – E poi, sono certo che non verrebbe- aggiunse.
- Lo so- sospirò Madison, per poi lanciare un'occhiata eloquente al fidanzato.
Bill la osservò per qualche istante, per poi roteare gli occhi.
- Avanti,- disse – cosa vuoi che faccia?
- Devi parlare con lei-
Bill si mise a sedere sul materasso, osservando stupito la mora.
- Io?- ripeté, sconcertato – E cosa dovrei dirle?
- Non lo so, basta che la convinci a venire- rispose Madison – Per favore- insistette.
- Madison,- sbuffò Bill, tornando a sdraiarsi – perché dovremmo combinare altri casini? Non pensi che quei due ne abbiano già?
- Sono sicura che la festa li aiuterà a riappacificarsi- sostenne Maddie.
- Beh, allora chiamala tu!- esclamò il biondo.
- Ma tu saresti più convincente- disse la giovane, disegnando dei cerchi immaginari sul petto del ragazzo con l'indice – Mi farai questo piccolo favore?- chiese poi, con voce dolce.
Bill sbuffò una seconda volta, con aria sconfitta, per poi annuire.
- Oh, grazie!- esclamò felice Madison, stampandogli un bacio a fior di labbra.
- Sì, certo, certo- borbottò Bill, piuttosto contrariato.
Madison ridacchiò, scivolando poi sotto le coperte, accanto al giovane, ed accoccolandosi a lui.
- Sei un vero tesoro- sussurrò, giocherellando con i ciuffi biondi del ragazzo.
- E tu una grandissima ruffiana- disse Bill.
La mora emise una risata divertita, per poi sistemare il viso nell'incavo del collo del giovane, inspirando a fondo il suo profumo.
- Madison?- fece Bill dopo qualche minuto di assoluto silenzio – Madison?- ripeté, non ricevendo però alcuna risposta.
Con estrema delicatezza, il giovane si scostò dalla fidanzata, notando che era crollata in un sonno profondo.
Sorrise con dolcezza, portando la testa di Madison sul suo petto, per poi abbracciarla teneramente.
Posò le sue labbra sulla fronte della ragazza, lasciandole un piccolo bacio appena accennato, per poi accoccolarsi meglio a lei. Pensò alla richiesta della giovane, e storse la bocca, convinto che la vicenda tra Vera e Tom si sarebbe complicata ancora di più, se possibile.
Questi due ci faranno impazzire, ne sono certo”, si disse.
Sospirò, mentre sentiva i suoi pensieri iniziare ad assopirsi, ed in pochi minuti si addormentò, ripromettendosi di chiamare Vera il giorno seguente.






* *


L'indomani


- Una festa?-
La voce di Vera, oltre ad essere abbastanza assonnata, data l'ora, sembrava anche piuttosto dubitante, e Bill cercò di risultare il più convincente possibile.
- Sì, una festa- rispose – Nulla di particolare o di troppo grande. Solo un piccolo ritrovo tra amici prima del matrimonio, niente di che.
- Capisco...
- Ci farebbe molto piacere se tu venissi.
- Mh mh- fece Vera, senza troppo entusiasmo – Senti Bill, io non credo sia una buona idea.
- E perché mai?- chiese il cantante.
- Bill- sospirò la mora – Sai benissimo perché.
- Sì, in effetti sì- ammise il giovane – Ma non puoi rinunciare alla nostra festa per colpa di mio fratello!-
Vera sbuffò, contrariata: quella telefonata stava durando fin troppo per i suoi gusti, e in cuor suo sperava che Bill avrebbe presto desistito, o avrebbe finito per cedere ed accettare l'invito.
E sinceramente, vedere Tom è l'ultima cosa che voglio” pensò, aggrottando la fronte.
- Vera? Sei ancora in linea?
- - rispose la ragazza – Mi dispiace dirti di no, ma questa volta non potrò esserci. Ho... ho già un impegno- mentì.
- Vera, qualche minuto fa ti ho chiesto se eri libera sabato e tu mi hai assicurato di non aver alcun impegno importante- contestò Bill, inarcando un sopracciglio.
Vera sbuffò una seconda volta, sentendo di essere ormai a spalle al muro. Decise comunque di giocare la sua ultima carta, nel vano tentativo di dissuadere il cantante.
- Bill, per favore,- disse – lasciamo perdere per questa volta. Non credo di voler passare la serata tra persone che conosco a malapena. Finirò per rimanere sola in un angolo in compagnia di un bicchiere di cognac.
- Oh, di questo non devi preoccuparti!- esclamò felice Bill – Niente cognac alla festa- assicurò, con tono scherzoso – E poi, puoi sempre portarti dietro Lawrence- aggiunse – A sabato, quindi!
- Ma...-
Prima che Vera potesse ribattere però, il giovane aveva già riattaccato, pienamente soddisfatto della riuscita della sua missione.
Infilò il telefono nella tasca dei pantaloni scuri, e rivolse un'occhiata d'intesa a Madison, che era appena entrata in cucina.
- Allora?- chiese lei.
- Vera sarà nostra gradita ospite questo sabato- comunicò Bill, con un gran sorriso stampato sul volto.
- Ottimo lavoro, Kaulitz- rise Madison, mentre armeggiava con la caffettiera – Caffè?- chiese poi.
- No, grazie, ne ho già preso uno- rispose il biondo, alzandosi dal tavolo a cui era seduto – Ed inoltre sono in ritardo: oggi le registrazioni sarebbero dovute iniziare prima del solito.
- “Io sono una persona puntualissima!”- lo canzonò Madison, mentre accendeva il fornelletto.
- Non sei affatto simpatica- commentò Bill, con una smorfia.
- Oh, sì che lo sono- ribatté con prontezza la giovane – Forza, vai, o David finirà per sgozzarti-
Bill borbottò qualcosa tra i denti, agitando poi la mano in segno di saluto, e subito si dileguò. Arrivato all'ingresso della casa, afferrò la sua giacca, la borsa ed il suo mazzo di chiavi, e in pochi istanti fu fuori dalla villa, diretto verso la sua auto, parcheggiata davanti al box.
Mentre metteva in moto la vettura, il ragazzo pensò a come spiegare al fratello la presenza di Vera alla festa di quel fine settimana.
Fece manovra ed uscì dal cancello, lasciandosi velocemente alle spalle la villa, sfrecciando a tutta birra verso lo studio, per poi raggiungerlo in una quindicina minuti, sfiorando più volte il limite di velocità e guadagnandosi simpatici appellativi dagli altri automobilisti, irritati dalle manovre azzardate del giovane.
Dopo aver parcheggiato l'auto davanti allo studio, Bill scese velocemente e corse all'interno dell'edificio.
- Eccomi, scusate!- disse ansimante, una volta entrato.
- Ah, finalmente sei arrivato!- esclamò stizzito David – La prossima volta mettiti una sveglia al collo, forse inizieresti ad essere più puntuale.
- Credimi, Dave, abbiamo provato anche quello- fece Tom, scuotendo la testa, e provocando le risate di Georg e Gustav, seduti accanto a lui.
- Buongiorno anche a te, Tom ribatté Bill.
- Forza, non iniziate subito a battibeccare- li riprese David – Andiamo, voglio finire prima di pranzo. Più tardi ho un incontro con i ragazzi della Cherry Tree-
I quattro annuirono, e subito seguirono David nella stanza in cui registravano le canzoni.
- Su, dentro- li incitò il manager, invitandoli ad entrare nella cabina con un cenno della testa.
I ragazzi entrarono e si sedettero sugli sgabelli, prendendo i propri strumenti, per poi sistemarli.
Mentre accordava la propria chitarra, Tom si sentì osservato, ed alzò di poco la testa, notando che il gemello lo stava guardando.
- C'è qualcosa che non va?- chiese.
- No, no- si affrettò a rispondere Bill – Solo che...- iniziò a dire, tentennante, mentre Tom assumeva un'espressione incuriosita – Ti piacciono le sorprese?- chiese d'un tratto.
- Sorprese?- ripeté stupito Tom – Che genere di sorprese, Bill?
- Lo scoprirai- rispose vago il giovane – Sei libero sabato?
- Beh, sì, ma...- disse il chitarrista, chiedendosi il perché di tante domande.
- Ora non lo sei più- sentenziò il biondo – Tieniti forte, fratellino-







* *







Qualche giorno più tardi

Il giorno della festa di Bill e Madison si stava inesorabilmente avvicinando, e Vera sembrava essere nel pallone più totale.
Lawrence aveva declinato l'invito, dicendo che per quel sabato aveva già altri piani con Chris.
La ragazza era perfino arrivata a pensare di fingersi gravemente malata pur di non essere costretta ad andare alla festa.
Il solo pensiero d'incontrare di Tom la rendeva sempre più nervosa, al punto che quel giorno qualsiasi piccola cosa fuori posto la faceva irritare.
Come se non bastasse, proprio quella mattina tutti i ristoranti e i fioristi avevano deciso di comune accordo di chiamarla, facendo sì che il telefono continuasse a squillare senza alcuna sosta.
- Sì, certo. La chiamo io-
La mora chiuse la chiamata con l'ennesimo chef che chiedeva conferme per quanto riguardava il matrimonio di Bill e Madison, e sbuffò sonoramente, appoggiando la testa sulla scrivania e pregando che la sessione ininterrotta di chiamate fosse terminata.
Pochi istanti dopo, però, l'ennesimo squillo le trapanò le orecchie: fu l'ultima goccia.
Alzò di scatto la testa, afferrò con rabbia la cornetta e se la portò all'orecchio:
- Che c'è?- sbottò con rabbia.
- Ehm... Vera? Ti disturbo?-
La voce calma e suadente di Philip la fece rimanere di sasso, mentre le sue guance rendevano velocemente un colorito rosso fuoco.
- Ph-phil- balbettò – Oddio, scusami!- esclamò, evidentemente imbarazzata – Non mi disturbi affatto, non preoccuparti!
- Sei sicura?- chiese il giovane – Se è un brutto momento, posso sempre chiamare più tardi.
- No, davvero, è solo il lavoro che mi rende più suscettibile del solito- spiegò – Una chiacchierata mi farà più che bene.
- Ne sono felice!- disse Philip – Ma non voglio rubarti troppo tempo al lavoro, quindi andrò dritto al sodo- aggiunse, con tono gioviale – Mi chiedevo se in questi giorni volessi uscire con me- disse infine, senza troppi giri di parole.
Vera rimase interdetta da quell'invito così esplicito e senza mezzi termini.
Diretto e conciso, proprio come Tom.
Oh, ma smettila” si disse la ragazza, scuotendo la testa “Perché devi pensare a lui in qualsiasi momento?”
La brutta vicenda con Tom, però, non era di certo un incentivo ad uscire e fare nuove amicizie. Non maschili, perlomeno.
- Phil, mi piacerebbe molto uscire con te...- iniziò a dire.
- Ma...?- disse il giovane, percependo l'imminente rifiuto.
- Ma...-
Vera era sul punto di riversare su Phil tutta la sua preoccupazione, la sua delusione e la sua rabbia, tutto pur di motivare quel no che stava per rifilargli, ma d'un tratto un'idea si fece spazio nella sua mente, ed un piccolo sorriso si dipinse sul suo viso.
- Uhm, Phil?
- Sì..?- rispose Philip, avvertendo l'improvviso cambio di voce della mora.
- Credo ci sarà un cambio di programma- annunciò Vera – Hai programmi per sabato?-


















Spazio autrice:
Buonasera, Aliens!

Ebbene sì, la regola del “chi non muore, aggiorna le proprie fanfic” vale anche per me. (Anche se non sono molto sicura che si dica così, ma fa niente).
Facendo un paio di conti, questo è il primo capitolo da ben 53 giorni.
Non oso nemmeno presentarvi le mie patetiche scuse; sappiate solo che questo non è stato un gran periodo per me, ed inoltre, nonostante sappia già come dovrà concludersi questa vicenda, per diverso tempo la mia testolina non è stata in grado di rielaborare le idee.
Spero che possiate perdonarmi e che la mia lunga assenza non vi abbia scoraggiate dal leggere questa fanfic.

Per quanto riguarda il capitolo in sé, detesto essere ripetitiva, ma sì, sono cattiva.
E questa volta ho deciso di sfruttare la mia cattiveria a (s)favore del povero Tom.
Insomma, non credo che sia nei suoi piani ritrovarsi Vera alla festa del fratello loool.
Non con Phil, perlomeno :')
Beh, vedremo come reagirà hahah

Tralasciando i dettagli, cosa ne pensate del capitolo?
Fatemelo sapere nelle recensioni (sempre che ci sia qualcuno che abbia pazientato fino ad ora lol).

Non credo ci sia altro da aggiungere, mie care.
Spero di ritrovarvi tutte al prossimo capitolo (accidenti, siamo già al ventesimo! Mi sembra ieri quando Vera e Tom hanno avuto quel piccolo incidente d'auto haha!)
Se volete contattarmi per qualsiasi cosa, troverete sotto i link dei miei profili Facebook e Twitter, e se volete invece conoscere me e altre fantastiche lettrici e scrittrici di questo fandom, troverete anche il link del gruppo Facebook “Writers & Readers – Le Aliens di EFP”.
Se siete nuove lettrici, infine, vi lascio anche il link youtube del trailer di Wedding Planner!

Bene, ho finito.
M'impegnerò al massimo perché scuola e altri problemi non interferiscano più con questa fanfic, promesso!
Un bacione a tutte, e grazie del continuo supporto.

A presto,
Heilig


Trailer | Twitter | Facebook | Gruppo Facebook

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Twenty ***


Twenty






- Stai scherzando-
Il sibilo che Tom aveva emesso fece indietreggiare Bill, che andò a scontrarsi con il muro.
- E' stata Madison- si difese – Giuro che io non volevo invitarla- aggiunse, cercando di essere convincente.
- Come diavolo vi è venuto in mente?- sbraitò Tom, rosso di rabbia.
David aveva lasciato loro qualche minuto di pausa prima di riprendere le registrazioni, e Bill ne aveva approfittato per dire a Tom di aver invitato Vera alla festa di sabato, pensando che il gemello avrebbe preso la cosa con calma.
Calmo, però, non era di certo l'aggettivo adatto a descrivere il chitarrista in quel momento.
- Sei un idiota, Bill- sibilò il ragazzo, avvicinandosi con fare minaccioso al fratello.
- Abbiamo pensato che ti avrebbe fatto piacere- spiegò il biondo, deglutendo, spaventato – Insomma, magari con una chiacchierata ed un paio di bicchieri di champagne dimenticherete l'accaduto- disse, con un piccolo sorriso.
Tom aggrottò la fronte, trattenendosi a stento dallo sferrare un pugno in pieno viso al gemello, e fece un lungo sospiro.
- Queste cose- disse – non si risolvono con un paio di bicchieri di champagne- sentenziò a denti stretti – Dovresti saperlo anche meglio di me-
Bill sbuffò leggermente, e roteò gli occhi, mentre Tom cercava di calmarsi: come avevano potuto Madison e suo fratello architettare un simile piano alle sue spalle?
Incrociò le braccia ed emise un ringhio arrabbiato, allontanandosi da Bill che si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.
- Per un attimo ho temuto che potessi picchiarmi davvero- ammise.
Tom si limitò a rifilargli un'occhiataccia, sedendosi poi accanto a Georg sul divano di pelle.
- Perché non vuoi incontrarla?- chiese quest'ultimo, inarcando un sopracciglio – Insomma, le sei corso dietro fino ad adesso!- esclamò allargando le braccia.
- Innanzitutto,- disse il chitarrista – non le sono corso dietro- precisò – E poi, non vorrei ridurre la festa di Bill ad una battaglia di cibo- aggiunse, figurando se stesso e Vera mentre, coperti di torta alla panna, si ricoprivano d'insulti.
- E se invece doveste riappacificarvi?- intervenne Gustav, seduto sul divano posto di fronte a Georg e Tom.
- Esatto, Tom- fece Bill, sedendosi accanto al batterista – Magari la cosa potrebbe funzionare- sentenziò – E poi avete un sacco di cose da chiarire.
- Questo lo so, grazie- borbottò Tom.
- Vedi il lato positivo della cosa- disse Georg – Hai l'occasione di spiegarle cos'è realmente successo quel pomeriggio-
Tom fece un lieve cenno di assenso con la testa, ma sul suo viso rimase un'espressione piuttosto corrucciata: nonostante sapesse che Bill e Madison l'avevano fatto per il suo bene, qualcosa gli diceva che Vera non avrebbe perso occasione per umiliarlo. Ancora.




* *



Intanto


- Sei pazza-
Vera alzò gli occhi dallo schermo del suo computer e rivolse uno sguardo interrogativo a Lawrence, che la osservava con aria esterrefatta.
- Che ho fatto?- chiese.
- Che hai fatto?- ripeté sempre più sbalordito Lawrence – Cooper, non ti sembra esagerato vendicarti in questo modo di Tom?- fece poi il biondo.
Vera assunse un'espressione pensierosa, fingendo di riflettere su ciò che l'amico le aveva detto.
- No- scandì dopo qualche istante, con un schiocco di lingua.
- Ma alla festa di suo fratello!- insistette Lawrence – Poco prima del matrimonio di Bill e Madison!
- Non vedo cosa c'entrino loro in questa faccenda- sentenziò Vera, tornando a lavorare.
- Vera,- disse Lawrence, appoggiando le mani sulla scrivania dell'amica, con fare di rimprovero – sai bene che ciò che fai non è corretto.
- Perché stai dalla parte di Tom?- sbuffò Vera – E' stato lui a... tradirmi- aggiunse poi in un sussurro, esitando sull'ultima parola.
- Non sto dalla parte di Tom- replicò l'amico – Semplicemente non vedo come tu possa fare una cosa del genere.
- Senti, Lawrence- rispose la mora con aria scocciata – Bill mi ha obbligata ad andare a quella festa, quindi credo di avere il diritto di essere accompagnata.
- E perché Phil?- chiese Lawrence, quasi esasperato, allargando le braccia – Perché non Marcy, per esempio?
Vera fece per ribattere, ma non seppe cosa dire, e decise quindi di rimanere in silenzio ed ignorare la domanda.
- Non riuscirai a farmi sentire in colpa- borbottò dopo qualche istante di silenzio.
- E cosa mi dici di Philip, allora?- la stuzzicò Lawrence – Lui ti vuole davvero bene, Vera- continuò – E sai che non ti vede solo come un'amica.
- Dove vuoi arrivare?- chiese Vera, senza alzare gli occhi dallo schermo del pc.
- Non ti sembra di usarlo in questo modo?- domandò il giovane, incrociando le braccia al petto.
Vera s'immobilizzò sul posto, pensando ai modi di fare dolci di Philip ed al suo solare sorriso, e subito sentì una fitta al cuore.
- Allora?- fece Lawrence, con un smorfia – Ora ti senti in colpa?-
Vera rimase interdetta da quell'insinuazione, più per la consapevolezza di quanta verità ci fosse dietro le parole dell'amico piuttosto che per sdegno.
- Non sto usando nessuno- si difese, lasciando però che la sua voce tradisse una lieve insicurezza.
- Se lo dici tu...- disse Lawrence, con un'alzata di spalle – Beh, sarà meglio che vada. Oggi il gran visir è di ronda- aggiunse, con una lieve smorfia di dissenso – Non vorrei che mi beccasse mentre chiacchiero con le mie dipendenti-
Gran visir era il nomignolo che tutti all'agenzia avevano dato al signor Harris, direttore generale della catena di agenzie di wedding planning della quale quella in cui Vera e Lawrence lavoravano faceva parte.
Una volta ogni mese il signor Harris – un uomo di cinquant'anni o poco più, dall'aria snob e sofisticata, alto e magro, dritto come un fusto, dai capelli neri laccati indietro e avvolto sempre da un'inconfondibile odore di colonia – passava in rassegna le sue agenzie, controllando che nulla fosse fuori posto. La pena, nel peggiore dei casi, poteva arrivare fino al licenziamento seduta stante.
- Sì, ti conviene andare- asserì Vera, rivolgendogli un piccolo sorriso.
- Pensa a ciò che ti ho detto- la intimò Lawrence, scoccandole un'occhiata quasi paterna.
Vera annuì, sorridendo una seconda volta, e Lawrence le fece un piccolo cenno con il capo, in segno di saluto, per poi dirigersi verso la porta, aprirla ed uscire, lasciando l'amica da sola.
La giovane si prese la testa tra le mani, sospirando, mentre sentiva le parole di Lawrence riecheggiare nella sua mente.
Si era davvero abbassata a tal punto da dover ingannare Phil solo per togliersi lo sfizio di vendicarsi nei confronti di Tom?
“Sono un vero mostro” si disse, sospirando pesantemente “Devo annullare tutto” afferrando il telefono sulla scrivania “Ora chiamo Phil e...”
I suoi pensieri però vennero d'un tratto offuscati dall'immagine di Tom che baciava quella ragazza.
Si morse il labbro inferiore e strinse la presa attorno alla cornetta del telefono, fino a che le sue nocche non diventarono bianche, mentre sentiva la sua rabbia farsi sempre più forte.
“No” pensò, mentre toglieva la mano dal telefono “Non perderò quest'occasione” si disse, con cocciutaggine “Preparati, Tom Kaulitz”





* *



Qualche giorno più tardi


- Madison! Vuoi uscire, per l'amor del cielo?-
Bill batté per l'ennesima volta un paio di pugni sulla porta di legno chiaro del bagno, chiusa da ormai un paio d'ore.
- Mi sto preparando!- disse una voce femminile dall'interno.
- Hai detto la stessa cose due ore fa, maledizione- sbuffò Bill, appoggiandosi sulla porta – Ora, ti dispiacerebbe uscire? Il bagno serve anche a me!- esclamò infine, pensando alla sua vescica sul punto di scoppiare.
Il ragazzo sentì Madison sbuffare a sua volta, e dopo qualche minuto la porta si aprì, rischiando di far cadere rovinosamente a terra il biondo.
- Cosa ci facevi appoggiato alla porta?- chiese Madison, in accappatoio, osservando con aria perplessa Bill intento a riacquistare l'equilibrio.
- Ti aspettavo- sbottò il cantante, per poi scansarla poco delicatamente ed entrare nel bagno, chiudendo la porta con un sonoro clack, lasciando sola Madison, che roteò gli occhi, con un piccolo sorriso sul volto, e si diresse poi verso la sua stanza.
Una volta dentro, aprì l'armadio e ne tirò fuori un vestito verde acqua che Bill le aveva regalato qualche tempo prima, buttandolo poi sul letto.
Ti tolse l'accappatoio, rimanendo in biancheria intima, per poi prendere l'abito ed indossarlo senza troppa fretta.
Fece per chiudere la zip posta dietro, quando sentì una mano prenderla per la vita ed anticiparla.
- Grazie- cinguettò, voltandosi verso Bill che stava in piedi dietro di lei. Il giovane le sorrise teneramente e le stampò un bacio sulla tempia.
- Sei pronta?- le chiese quindi, allontanandosi per poi afferrare le scarpe grigie che stavano accanto alla porta – Gli invitati arriveranno tra poco- continuò, sedendosi sul bordo del letto, per poi indossarle.
- E con loro anche Tom e Vera- sospirò Madison, con aria preoccupata.
- Perché quella faccia?- fece Bill, notando l'espressione dubbiosa ella fidanzata.
- Bill, credi che abbiamo fatto bene?- chiese Madison – Ad invitare Vera, dico.
- Vuoi scherzare?- esclamò Bill, sgranando gli occhi – Sei tu stessa a pregarmi di chiamarla!
- Sì, ma ora non mi sembra più una così buona idea- disse la giovane, mordicchiandosi il labbro inferiore – Insomma, e se dovessero finire per litigare? Non potrei mai perdonarmelo-
Bill rimase ad osservare Madison per qualche istante, per poi sospirare ed alzarsi dal letto, avvicinandosi alla giovane.
- Maddie,- le disse, prendendole il viso tra le mani – sono certo che andrà tutto bene- affermò, cercando d'infonderle sicurezza – Vedrai che alla fine Vera e Tom capiranno che sono destinati a stare insieme- concluse, abbracciandola.
- Ne sei sicuro?- fece però Madison.
- Sì,- affermò Bill – Ne sono sicuro.









* *


Nel frattempo

Vera stava mettendo il portafoglio in borsa, quando sentì il citofono suonare.
Lasciò la borsa sul tavolo della cucina ed andò a vedere chi era.
- Sì?- rispose.
- Vera, sono Phil. Sei pronta?-
Nel sentire quella voce, sul viso della giovane apparve immediatamente un gran sorriso.
- Sì, sono pronta!- trillò, quasi entusiasta – Scendo tra due minuti!-
Ripose la cornetta del citofono, tornò di corsa in cucina ed afferrò al volo la borsa, per poi uscire in tutta fretta. Si assicurò che le finestre fossero chiuse, per poi prendere le chiavi appese accanto alla porta, ed infine lasciò l'appartamento, chiudendo la porta con un colpo secco.
Percorse in tutta fretta le scale, ed una volta al piano inferiore, individuò fuori dal palazzo una macchina scura parcheggiata proprio di fronte al portone. Prese un profondo respiro, e si decise ad uscire.
In pochi istanti raggiunse l'autovettura, e aprì la portiera.
- Buonasera, Vera!- la accolse una calda voce maschile.
- Buonasera Phil- rispose la mora, sorridendogli – Come stai?- chiese poi, mentre allacciava la cintura di sicurezza.
- Non male- disse Phil, scrollando le spalle – E tu che mi dici?- domandò a sua volta, mettendo in moto l'auto, ed iniziando a fare manovra per lasciare il cortile del palazzo.
- Tutto ok- rispose la ragazza – La casa si trova a Roosevelt Street, al numero 47- comunicò poi, mentre Phil entrava in carreggiata.
Nell'abitacolo scese un silenzio imbarazzato, interrotto solo dal gracchiare dell'autoradio, il cui volume era stato abbassato fino a diventare un flebile suono quasi inudibile.
- Allora,- esordì Philip, cercando di rompere il ghiaccio – vedi ancora Tom?-
A quella domanda, Vera s'irrigidì d'un colpo, ma subito tentò di non dar a vedere la sua irritazione nel parlare del chitarrista.
- No- rispose, atona, tentando di trattenere la sfilza d'insulti che gli erano venuti in mente – Non ci vediamo da molto- disse, omettendo abilmente la visita che Tom le aveva fatto qualche giorno prima – Non ha... funzionato- spiegò.
- Mi dispiace- disse semplicemente Philip, rivolgendole una breve occhiata, per poi tornare a guardare la strada di fronte a lui.
Vera si voltò verso di lui, perplessa: era davvero dispiaciuto oppure l'aveva detto per pura e semplice educazione?
Scosse la testa, decidendo di non pensarci, e si concentrò sul comportamento da adottare quella sera: cos'avrebbe dovuto fare? Fingere che nulla fosse successo?
- A cosa pensi?- le chiese all'improvviso Phil, distogliendola dalle sue riflessioni.
- I-io?- balbettò imbarazzata Vera – A nulla- mentì – Piuttosto, come va il lavoro?
- Oh, grazie al Cielo sono in ferie ancora per qualche tempo- rispose allegro il giovane – Ne ho davvero bisogno- continuò – Viaggiare è bello, ma quando lo si fa solo per lavoro, è stancante.
- Capisco...- disse Vera – Beh, io non so cosa darei per essere al tuo posto- affermò, con aria sognante – Insomma, la stanchezza non sarebbe un problema per me. Farei di tutto pur di viaggiare e conoscere nuovi luoghi.
- Purtroppo quando sei il vicedirettore di una multinazionale, gli unici luoghi che vedi sono noiosissimi uffici. E credimi, che tu vada in Francia, in Italia o in Russia, sono tutti uguali- rise.
Vera s'imbronciò nel sentire quelle affermazioni, mentre i suoi sogni di eterna viaggiatrice venivano infranti.
- Oh, avanti, non fare quella faccia!- esclamò Phil.
Vera piegò le labbra in una smorfia, ma subito la sua bocca si aprì in un tenero sorriso, che Philip ricambiò immediatamente.
Qualche minuto dopo, i due iniziarono ad intravedere dietro le fronde degli alberi che costellavano la strada, la casa di Bill e Madison.
- Quante persone abitano in quella villa?- chiese Philip sbalordito, mentre i due giungevano di fronte all'enorme appartamento.
- Due- rise Vera – Bill e Madison.
- Stai scherzando- disse il giovane, scrutando incredulo la villa.
Vera rise ancora, pensando che aveva avuto la sua stessa reazione quando era arrivata davanti alla casa per la prima volta.
Philip parcheggiò l'auto non lontano dal cancelletto che dava sul vialetto, ed una volta spento il motore, scese dalla vettura, seguito a ruota da Vera.
Percorsero qualche metro, arrivando poi al cancello, che trovarono socchiuso.
- Credi che dovremmo entrare?- fece Phil perplesso.
- Beh, perché no?- rispose Vera, spingendo il cancelletto che emise un rumore stridente – Sento delle voci provenire da quella parte- aggiunse poi, entrando, per poi indicare una strada che portava al giardino sul retro.
- Forse dovremmo chiamare qualcuno- intervenne il ragazzo, esitante: introdursi nelle case altrui non lo metteva a suo agio.
- Non ti preoccupare- gli disse Vera, prendendolo istintivamente per mano – Andiamo.



* *




Ormai quasi tutti gli invitati erano arrivati alla piccola festa. Il gruppo non era molto numeroso - solo una ventina di persone, o forse meno – e tutti si erano riuniti nel giardino retrostante la villa, dove era stato preparato un tavolo imbandito con aperitivi e stuzzichini, un piccolo assaggio ella cena che Madison aveva preparato quella mattina.
Tom era rimasto solo, in disparte, guardandosi attorno con fare nervoso da ormai qualche minuto, e a Bill non era sfuggito lo strano atteggiamento del fratello.
- Non è ancora arrivata- gli sussurrò all'orecchio, porgendogli un bicchiere colmo di champagne.
- Non sto aspettando nessuno- replicò gelido il chitarrista, sorseggiando il suo champagne.
- Certo, come no- lo schernì Bill, alzando gli occhi al cielo.
Fece per aggiungere qualcos'altro, quando alle spalle di Tom, dietro un piccolo gruppo d'invitati scorse una figura familiare. Subito sorrise, entusiasta, tanto che Tom lo notò e si voltò nella direzione in cui il gemello guardava.
- Oddio- sussurrò, attonito.
- Finalmente- disse invece Bill, ancora sorridente. Poco dopo però, la sua espressione allegra fu offuscata da una smorfia a metà tra la sorpresa e la perplessità: Vera teneva per mano un giovane aitante, dai capelli scuri, che il cantante non riconobbe.
Tom, invece, lo riconobbe all'istante: era Philip, il ragazzo che Vera stava abbracciando la volta in cui era andato a casa sua per regalarle il braccialetto.
Come aveva potuto Vera portarsi dietro quello?
E per quale maledettissimo motivo si tenevano per mano?
Queste e altre domande gli affollavano la mente, e il non trovare una risposta ad esse lo irritava.
O forse ti irrita vederli mano nella mano”, disse una vocina nella sua testa.
Scosse il capo, nel tentativo di scacciarla, e si voltò verso il fratello, con aria scocciata.
- Io me ne vado- annunciò, lapidario, facendo per andarsene.
- Tu non vai da nessuna parte, Tom- gli ordinò Bill, strattonandolo per un braccio.
- Oh, avanti, Bill- gli disse il chitarrista – Pensi ancora che possa riappacificarmi con lei?- esclamò, cercando di non farsi sentire da Vera e Phil, che, dopo averli individuati, si stavano avvicinando – Fammi andare via, Bill- supplicò – Te ne prego-
Bill non cedette e, anzi, strinse la prese attorno al braccio del gemello, che tentava inutilmente di districarsi. Prima che però potesse farcela, Vera e Phil giunsero, sempre mano nella mano, davanti a loro.
- Oh, Vera!- esclamò Bill, mollando all'improvviso il braccio di Tom, e costringendolo a voltarsi – Ben arrivata!-
Tom tentò di sorridere, ma anziché ottenere un'espressione cordiale, le sue labbra si piegarono in una strana smorfia.
- Ciao, Bill- salutò allegra Vera, senza calcolare minimamente Tom – Scusa se siamo entrati senza avvisare, ma il cancello era aperto e...
- Oh, non ti preoccupare- la interruppe il cantante – L'abbiamo lasciato aperto proprio per non dover andare sempre ad aprire- continuò. Il suo sguardo si posò poi sul viso di Philip, che era rimasto in silenzio fino ad ora.
Sentendosi osservato, il giovane si affrettò a presentarsi, e porse la mano al biondo.
- Io sono Philip, piacere- disse, sorridendo.
- L'ho invitato perché Lawrence non è potuto venire, e quindi... Insomma, tu hai detto potevo portare qualcuno e allora...- disse Vera.
“Ah sì? Ha detto così, eh?” pensò Tom, stringendo le labbra.
- Capisco, certo- disse invece Bill, cercando di sembrare contento – Beh, perché non ci racconti un po' di te, Philip?-
Tom scoccò un'occhiata di fuoco al fratello, che però non sembrava minimamente calcolarlo.
“Tutto questo è ridicolo” si disse il chitarrista, mentre Philip iniziava a raccontare della sua vita.
A quanto pare era il vicedirettore di una qualche azienda multinazionale.
“Bah, noioso” pensò Tom nella sua testa.
E probabilmente avrebbe espresso la sua opinione ad alta voce, se solo Bill non gli avesse assestato una gomitata nella costole – un tacito invito a non fiatare.
- Ehm, io vado a riempirmi il bicchiere- disse d'un tratto, beccandosi un'occhiataccia dal gemello.
“Mi spiace, Bill, ma io qui non ci rimango” pensò, mentre si allontanava senza nemmeno aspettare la risposta degli altri tre.
Si diresse verso l'appartamento, ed aprì la porta proprio nel momento in cui Madison ne stava uscendo, con in mano un vassoio pieno di dolci.
- Tom!- disse questa, sorpresa – Dove stai andando? La festa è di là.
- Vera- ringhiò il chitarrista, rubando un dolcetto dal vassoio.
Nel vedere la mora assumere un'espressione interrogativa, il chitarrista additò la wedding planner intenta a parlare con Bill e Phil.
- Chi è lui?- chiese Madison guardando nella direzione indicata dal moro.
- Philip- rispose Tom, sputando quasi velenosamente quel nome.
- E' un suo collega?
- No, è un suo amico- fece Tom, con amara ironia.
A quelle parole, sul viso di Madison comparve un piccolo sorriso.
- Tom, è gelosia quella che vedo nei tuoi occhi?- chiese, soffocando una risatina.
- Non sono geloso- precisò subito il chitarrista – Semplicemente trovo che portare quell'essere alla vostra festa sia stato di poco gusto.
- Sei geloso- concluse Madison, alzando gli occhi al cielo – Dove stavi andando?- chiese poi, cambiando discorso.
- A sfogarmi dentro prima che spacchi il muso a quel damerino- sbottò, per poi passarle accanto ed entrare nell'appartamento.
- Non rompere nulla!- gli gridò Madison – E per carità, stai lontano dai cristalli!-
Tom, però, si era già chiuso la porta alle spalle e si era diretto a passi veloci in cucina.
Si sedette al tavolo, e si prese la testa tra le mani, facendo dei respiri profondi, nel tentativo di calmarsi.
“Avanti, Tom. Sii uomo” si disse, cercando di relegare nella parte più remota della sua mente, quell'insistente vocina che lo invitava a tornare in giardino e riempire Phil di botte.
Quella era esattamente la reazione che Vera voleva che avesse, e lui non sarebbe caduto nel suo tranello.
La tentazione, però, era forte, e per la prima volta Tom si rese conto di quanto tenesse ad avere Vera.
Ad averla solo ed unicamente per sé, e non contendersela con qualche altro ragazzo.
Ma forse ora era troppo tardi.



* *



Tom era sparito ormai da una buona ventina di minuti, e Bill iniziava a preoccuparsi. Il fatto di non aver ancora sentito alcun rumore di vetri rotti lo faceva sperare in bene, ma non era del tutto sereno: conosceva suo fratello e, nonostante molti lo descrivessero come pacato e amante della tranquillità, saperlo in preda al nervoso lo rendeva inquieto.
Madison, intanto, chiacchierava amabilmente con Vera, Phil, Georg e Gustav, i quali erano arrivati poco prima ed erano stati presentati alla wedding planner e al suo “carissimo amico”, come lei lo aveva introdotto.
Bill strattonò leggermente la sua ragazza, lanciandole uno sguardo eloquente, che Madison capì al volo: Vera e Tom dovevano parlare e chiarirsi.
- Ehm,- iniziò a dire Madison – credo che gli antipasti e lo champagne stiano iniziando a finire. Andrò a prenderli in cucina- comunicò, sperando che il suo piano andasse a buon fine.
- Vuoi una mano?- le chiese cordialmente Vera, mentre Madison esultava per la riuscita delle sue macchinazioni.
- Oh, grazie Vera, sei davvero gentile!- cinguettò – Io iniziò a prendere il vassoio degli antipasti, tu potresti andare a prendere una bottiglia di champagne dal frigo?
- Certo!- rispose Vera – Torno subito- aggiunse, allontanandosi dal gruppo, diretta alla villa.
In pochi istanti raggiunse l'appartamento, e vi entrò, dirigendosi verso la cucina.
Appena entrata, trattenne a stento un urlo.
- Cosa ci fai qui?!- chiese, immobilizzata sulla soglia.
Davanti a lei, seduto al tavolo, stava Tom, che la osservava con aria accigliata.
- In realtà dovrei farti io questa domanda- replicò il chitarrista, con strafottenza.
- Madison mi ha chiesto di prendere una bottiglia di champagne- spiegò Vera, atona, decidendosi ad entrare nella cucina.
Fece qualche passo in direzione del frigorifero, posto davanti a Tom, dietro al tavolo, ma subito si voltò.
- Vuoi piantarla di guardarmi?- sbottò, irritata.
- Cosa dovrei fare, cavarmi gli occhi?- ribatté Tom – La tua relazione con il caro Philip ti ha dato alla testa per caso?-
Vera si limitò a borbottare qualcosa d'incomprensibile, e si voltò di nuovo verso il frigorifero.
Aprì l'anta e si piegò per prendere la bottiglia di vetro, ma si girò di scatto.
- E non guardarmi il culo!- esclamò, con rabbia.
- Non è colpa mia se metti in mostra tutta la mercanzia- rispose serafico Tom – Ah, una domanda, sei per caso ingrassata?
- Fottiti, Tom Kaulitz- ribatté Vera, prendendo la bottiglia di champagne – E per tua informazione, non sono ingrassata- precisò poi, chiudendo il frigo con un colpo secco – Ci si vede- concluse, facendo poi per uscire.
Tom rimase ad osservarla, quando d'un tratto si alzò istintivamente, chiamandola a gran voce.
- Vera!- esclamò, facendola voltare.
- Cosa vuoi?- ringhiò lei, mentre lui le si avvicinava.
- Non è andata come pensi tu- disse il giovane.
La mora sospirò pesantemente, stanca di sentire quella frase.
- Tom...- iniziò a dire.
- No, Vera- la interruppe il chitarrista – Ora dovrai ascoltarmi- le intimò – Io non ho baciato quella ragazza di mia spontanea volontà. E' comparsa all'improvviso in casa mia e mi è saltata addosso, ok? Non l'ho baciata e ti giuro, Vera, se dovessi tornare indietro in tempo, sapendo ciò che sarebbe successo, non avrei mai iniziato a frequentarla. Mai- disse – E' arrivata in giardino, entrando dal retro, si è messa a dire che le mancavo, e senza nemmeno che me ne accorgessi, mi aveva già baciato- raccontò – E poi sei arrivata tu- concluse – Scusa se ti ho fatto soffrire, ma posso assicurarti che non è mai stata mia intenzione-
Vera rimase a guardarlo per qualche istante, analizzando attentamente le sue parole.
- Perché dovrei crederti?- chiese infine, con un filo di voce.
- Perché non dovresti?- replicò Tom.
La mora non seppe cosa rispondere: in effetti, il racconto di Tom, per quanto potesse sembrare inventato, sarebbe anche potuto essere veritiero.
Stava a lei decidere cosa credere e a chi dare ascolto: alla parte di lei che le intimava di rompergli la bottiglia in testa o a quella che le urlava di buttarsi tra le sue braccia?
Dal canto suo, Tom sembrava già aver preso una decisione: si stava avvicinando sempre più al viso della giovane, fino ad arrivare ad un soffio dalle sue labbra. Sul momento sembrò indeciso sul da farsi, ma pochi istanti dopo si convinse a eliminare ogni distanza tra lui e Vera, unendo le loro labbra in un bacio appassionato.
Vera percepì un brivido percorrerle la schiena e sentì il suo corpo irrigidirsi, ma infine non poté far altro che sciogliersi e lasciarsi trasportare dai movimenti di Tom, che l'aveva stretta per i fianchi, rischiando di farle cadere la bottiglia dalle mani.
Il bacio non durò moltissimo, forse pochi attimi, che però a Vera sembrarono secoli: quanto le era mancato quel contatto con Tom, quanto le erano mancate le sue mani ruvide accarezzarle la schiena.
Per un attimo l'intero mondo si era fermato, e tutto ciò che stava intorno a loro era scomparso.
Ma d'un tratto, uno schiamazzo troppo forte, la riportò alla realtà, facendola rendersi conto di ciò che stava accadendo.
Sgranò gli occhi, mentre Tom mugugnava per l'improvviso irrigidirsi della ragazza, che subito lo allontanò da sé, costringendolo ad interrompere il contatto tra le loro labbra.
- Cosa...?- balbettò il giovane.
- No, tutto questo è sbagliato- mormorò Vera, ancora incredula.
- Vera, di cosa stai parlando?- chiese Tom, aggrottando la fronte.
- Scusami- disse Vera, mettendo le mani avanti – Scusami, davvero. Io... io devo andare. Ciao- concluse, uscendo velocemente dalla cucina, e lasciando Tom a chiedersi cos'avesse fatto di sbagliato. Il ragazzo appoggiò la fronte sullo stipite della porta, sospirando: quella ragazza l'avrebbe fatto impazzire.







* *





Vera uscì quasi correndo dall'appartamento e tornò in giardino. Si guardò in giro, alla ricerca di Philip, che stava chiacchierando amichevolmente con Bill, sorseggiando un bicchiere di vino.
- Phil!- esclamò raggiungendolo.
- Oh, Vera, eccoti, finalmente- disse il ragazzo – Dove sei st...
- Tieni Bill, questo è lo champagne che Madison mi ha chiesto- lo interruppe bruscamente la giovane, dando con poca delicatezza la bottiglia al cantante – Noi dobbiamo andare. Ora.
- Cosa? E perché?- chiese stranito Phil.
- Già, perché?- intervenne Bill – Non abbiamo nemmeno cenato. Avanti, restate ancora un po'!-
Phil fece per approvare la proposta di Bill, quando incontrò lo sguardo quasi disperato di Vera: era sull'orlo delle lacrime.
- Uhm, ora che ci penso, domani devo alzarmi molto presto perché... perché devo andare a trovare mia cugina che abita a... a Denver- mentì – Scusa, ma davvero non posso trattenermi- continuò, porgendo il bicchiere vuoto a Bill, che lo osservò, interdetto.
- Denver?- ripeté, perplesso.
- Sì, esatto- disse Phil, annuendo con veemenza – Mi ha comunque fatto piacere conoscerti, Bill- aggiunse, porgendo la mano al cantante, che gliela strinse con aria piuttosto sconcertata.
- Io...- provò a dire.
- Ti chiamerò io per gli ultimi preparativi del matrimonio, Bill- intervenne Vera, prendendo Philip per un braccio, ed iniziando a trascinarlo nella sua direzione – Salutami Madison!- esclamò poi, prima di allontanarsi a passo svelto, con Phil al seguito, lasciando un Bill piuttosto confuso a domandarsi cosa stesse succedendo.
Prima che potesse dire qualsiasi cosa, però, Vera e Philip erano spariti dietro l'angolo della casa, diretti probabilmente verso l'uscita.
“Sono sicuro al 110% che Tom c'entri qualcosa”, pensò.
Scosse la testa, e fece per dirigersi verso Gustav, Georg ed Andreas – che aveva lasciato la Germania per non mancare al matrimonio del suo migliore amico – che chiacchieravano qualche metro più avanti di lui, ma all'improvviso Tom gli si parò davanti, con l'aria sconvolta.
- Hai visto Vera?- chiese, con il fiatone di chi aveva corso.
- Cosa...?
- Hai visto Vera?- ripeté il chitarrista, scandendo le parole – Bill, è una domanda semplice, per l'amor del cielo!- esclamò, prendendo il fratello per le spalle e scuotendolo.
- E' appena andata via- rispose il biondo, sempre più allibito, indicando la direzione che Vera e Philip avevano preso.
- Maledizione- borbottò a denti stretti Tom, mollando la prese sulle spalle, e lasciando cadere le braccia lungo i fianchi ed abbassando lo sguardo.
- Cos'è successo?- chiese Bill, quasi fremente.
Il fratello alzò gli occhi, e sospirò, affranto.
- L'ho baciata.



* *





- Vera, cos'è successo?-
Phil ripeté per l'ennesima volta quella domanda, ma Vera si limitò a stringersi nelle spalle e continuare a guardare fuori dal finestrino, cercando di evitare il contatto visivo con il giovane.
Si sentiva così indifesa, spogliata com'era di tutte le sue sicurezze. Quel bacio era stata l'ennesima prova che lei amava Tom, che non poteva fare a meno di lui e, che per quanto ci provasse, nessuno avrebbe potuto prendere il suo posto.
Nemmeno Philip.
La mora si voltò verso quest'ultimo, che aveva rinunciato ad avere una risposta da lei, concentrandosi sulla guida.
Ora ti senti in colpa?
Le parole di Lawrence la trafissero come un pugnale.
Si era comportata da carogna.
Aveva dato una speranza a Phil, era uscita con lui, tutto solo per dare il ben servito a Tom, finendo comunque – ed inesorabilmente, arrivati a questo punto – per baciarlo.
Provava disgusto per se stessa: avrebbe dovuto ascoltare Lawrence e lasciare perdere. Almeno avrebbe preservato un poco di dignità.
In quella situazione, invece, di dignità non le era rimasto neanche un briciolo.
- Si tratta di Tom, vero?- disse all'improvviso Philip rompendo il silenzio in cui l'auto era avvolta.
Vera fece per rispondere, ma si accorse che quel no sulla punta della sua lingua era una bugia.
“Basta mentire” pensò, sospirando, per poi annuire sommessamente, con aria triste.
- Sai, quando mi hai chiesto di venire con te alla festa di Bill e Madison, ho subito pensato che qualcosa tra voi due non stesse andando bene- ammise Philip, con un sorriso malinconico – Non riuscivo a credere che mi avessi davvero invitato ad uscire- rise poi, mentre Vera sentiva il peso delle sue colpe sopprimerla.
- Anche se può sembrare il contrario, non sono stupido, Vera.
- Non l'ho mai pensato!- si difese subito la mora, sentendosi quasi ferita.
- Ne sei sicura?- gli chiese Phil, senza lasciare che quel discorso poco allegro gli togliesse il sorriso dal volto.
Vera pensò che doveva essere pazza per continuare a desiderare Tom e non cadere tra le braccia di Philip: quel ragazzo era così dolce e comprensivo, mentre il chitarrista era solo...
La persona che ami.
- Ci siamo baciati- confessò la giovane in un soffio, e nel dire quelle parole sentì come se stesse realizzando per la prima volta l'accaduto.
- Chissà perché, qualcosa mi diceva che era successa una cosa del genere- disse Phil, svoltando poi a destra, senza mostrare il minimo fastidio a quelle parole.
- Ora sei anche un sensitivo, per caso?- chiese Vera, quasi divertita.
- Può darsi- fece il giovane, con un sospiro – Si vede che vi amate- aggiunse poi, dopo qualche istante di silenzio.
- E da cosa?- domandò Vera.
- Dal fatto che nonostante tutto, tornate a stare insieme.
- Non siamo tornati insieme- replicò la mora.
- Non ancora- la corresse Philip – E comunque, persino io, che non conosco la vostra storia, mi sono accorto di quanto siete uniti. Avresti dovuto essere al mio posto per percepire l'attrazione inconscia che c'era tra di voi quando siamo arrivati alla festa. Mai visto nulla di simile-
Vera rimase quasi a bocca aperta nel sentire quelle affermazioni: fino ad allora non aveva mai pensato a come gli altri potessero vedere il legame che univa lei e Tom.
Nell'abitacolo scese di nuovo il silenzio, accompagnato dal rumore delle ruote che sfrecciavano sull'asfalto.
Vera sentiva un groppo in gola, un nodo costituito da scuse, confessioni e ammissioni di colpe che doveva esprimere in qualche modo.
- Philip, perdonami- disse d'un tratto, a bassa voce – Perdonami, davvero- ripeté – Non avrei dovuto usarti in questo modo disonesto.
- Vera...- provò a dire il ragazzo, ma la mora lo interruppe.
- No, ascoltami- disse – Sei un ragazzo d'oro, e tutto questo è così ingiusto. Avrei dovuto semplicemente dimenticare Tom e cercare conforto in te, ma così non è stato. E ti giuro, Phil,- continuò, mentre le prime lacrime scendevano calde sul suo viso – che ho cercato di lasciar perdere, ma non ci sono riuscita. Tom ormai è parte di me, e non posso non amarlo, anche se questo mi farà soffrire- aggiunse – Ciò che ho fatto è riprovevole. Sapere di averti usato in questo modo mi fa accapponare la pelle. Scusami, Philip-
Il giovane non rispose subito, ma invece continuò a guidare nel più completo silenzio, lasciando Vera domandarsi quale sarebbe stata la sua reazione.
Dopo qualche minuto i due arrivarono a casa della ragazza, e Phil si fermò davanti al grande portone.
- Phil, io...- iniziò a dire la mora.
- Non ti devi preoccupare di nulla, Vera- le disse però il giovane – Tu sei e rimarrai sempre una ragazza splendida. Non sarà ciò che è successo a farmi cambiare idea. Piuttosto, sono io che avrei dovuto convincermi della mia prima impressione, ovvero che tu sei assolutamente ed irrimediabilmente innamorata di Tom. E io, purtroppo, non posso farci nulla- continuò, mentre Vera tratteneva a stento le lacrime – Sono certo che Tom saprà darti ciò che meriti, ovvero un futuro felice- aggiunse, per poi fare una piccola pausa.
Si voltò verso la mora e le sorrise teneramente:
- Nel frattempo, potremmo... rimanere amici?-
Vera rimase incredula a quelle parole: non solo Phil si era, per così dire, fatto da parte, accettando il suo amore per Tom, ma le stava addirittura offrendo la sua amicizia.
Quale altra persona avrebbe fatto una cosa simile?
- Phil, sei un ragazzo fantastico- disse, incapace di esprimere meglio la sua gratitudine.
Si slacciò la cintura di sicurezza e si sporse verso il giovane, abbracciandolo poi forte.
- Grazie, Phil- gli sussurrò in un orecchio – Grazie di tutto.














Spazio dell'autrice

Salve a tutte e buon San Valentino (in ritardo), Aliens!
Come avete - o state passando, per le più ritardatarie - questa giornata, mie care?
Sono l'unica che l'ha trascorsa nella più completa indifferenza? Lol
Ok, sorvoliamo sulla mia situazione sentimentale che è meglio HAHAHAHAHA

Qualcuno oltre a me ha visto un barlume di felicità alla fine di questo capitolo?
Insomma, le cose stanno tornando al loro posto, no?
Tom ha chiarito la situazione a Vera, si sono baciati, Philip si è fatto da parte...
Ah, già, Philip.
Oh, avanti, dopo questo capitolo non potete odiarlo: è stato tanto tenero gfhj
Insomma, avrebbe potuto rivendicare il suo legame con Vera e lasciare Tom “a bocca asciutta”, ma non l'ha fatto. Lo trovo molto maturo, onestamente parlando.
Ora sta a Vera e a Tom cercare di ricostruire ciò a cui era bastato un malinteso per crollare.
Ce la faranno? Voi che dite?
E che dite in generale del capitolo? Vi è piaciuto? L'avete trovato lungo, noioso, pieno di colpi di scena...?
Ditemelo nelle vostre recensioni!


Ora, prima di salutarvi, vorrei solo avvertirvi di una piccola cosa: il prossimo capitolo, il ventunesimo sarà l'ultimo.
No, Aliens. Niente scherzi stavolta.
Questo che avete finito di leggere era il penultimo, mentre il prossimo sarà quello che chiuderà la storia definitivamente.

No, non sono molto brava nel dare le brutte (?) notizie, ma questa è la verità: dopo 20 (e con l'ultimo, 21) capitolo, la storia è giunta alla fine.
Per favore, mettete giù i forconi ewe


La prossima volta vi ringrazierò per bene per tutto il supporto che mi avete dato in questi mesi (10 e mezzo!), ma per ora credo sia giunto il momento di dirvi ciao!


Cercherò di postare il prima possibile, anche perché il 9 marzo partirò per trascorrere una settimana in Germania per uno stage, e vorrei aver concluso la fic prima della partenza.

Spero di ritrovarvi tutte per gli ultimi saluti prima che archivi questa fanfic nelle storie finite.
Un bacione a tutte,
Heilig


Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Twenty-one ***


A tutte voi che avete letto questa storia, fino all'ultimo capitolo.
Grazie.



Twenty-one








Più tardi

- Vera? Sei già tornata a casa? Avete fatto pres...
- Io e Tom ci siamo baciati-
Vera si sentì come se stesse realizzando per la prima volta ciò che era successo nella cucina di Bill e Madison un paio d'ore prima, ed ebbe la sensazione che il peso della situazione in cui era andata a cacciarsi fosse precipitato sulle sue spalle inermi.
Chiamare Lawrence era stata una decisione più che saggia, ne era certa: aveva deciso di farlo appena entrata nel suo appartamento, dopo aver salutato Philip. Prima di prendere il telefono però, si era rilassata – o, perlomeno, aveva cercato di farlo -, godendosi un lungo e rigenerante bagno caldo, lasciando che le emozioni provate in quei pochi minuti passati con Tom le scivolassero di dosso, in modo da ragionare a mente fredda.
Dopo essere uscita dalla vasca ed essersi infilata un accappatoio di spugna color vaniglia, con i capelli ancora gocciolanti, era andata nella sua stanza, dove poi aveva chiamato Lawrence.
Ed ora era lì, seduta sul letto, accoccolata ad un enorme cuscino kitsch color rubino – un regalo di Marcy –, con una mano attorno alla cornetta del telefono e l'altra impegnata a giocherellare con una ciocca di capelli.
- Lawrence?- disse dopo pochi istanti, rimanendo perplessa nel non sentire risposta.
Dall'altro lato del telefono tutto taceva, e la giovane si chiese se l'amico non avesse riattaccato, quando sentì il ragazzo soffocare un piccola risatina.
- Ehi...?- fece la mora, inarcando un sopracciglio – Lawrence, stai...?
- Cercando di non scoppiarti a ridere in faccia? Sì, Cooper- la interruppe il biondo, lasciandosi sfuggire una risata che mascherò con un colpo di tosse.
- Non vedo cosa tu ci possa trovare di divertente- ribatté accigliata Vera, sistemandosi meglio sul letto.
- Trovo esilarante che, a distanza di quasi due mesi, tu non abbia ancora dato per assodato il fatto che tu e Tom siate destinati a stare insieme, e che per quanto cerchiate di allontanarvi, tornerete sempre al punto di partenza, ancora più presi l'uno dell'altro, se possibile-
Vera volle replicare, ma subito si accorse di quanto l'amico avesse ragione.
- Ma... io...- tentò comunque di dire.
- Shh- la zittì Lawrence – Avevo immaginato che vi sareste baciati. Anzi, non capisco perché tu ne sia così sorpresa.
- Perché per tutti voi è così scontato che io e Tom dobbiamo stare insieme?- sbottò Vera, quasi esasperata.
- E' una domanda retorica?- fece Lawrence, con un sorrisino che Vera riuscì quasi a vedere, nonostante fossero al telefono. Sbuffò, irritata, e decise di lasciare perdere quella conversazione, dato che non avrebbe portato a nulla tranne che ad unica conclusione: lei era innamorata di Tom, e non poteva farci assolutamente niente.
- Grazie del conforto- borbottò, rivolgendosi a Lawrence.
L'amico ridacchiò sommessamente, per poi risponderle:
- Non c'è di che, Cooper-
Fece per aggiungere qualcos'altro, quando la sua voce fu interrotta dal trillo di un campanello.
- Alleluja- sospirò, mentre Vera tentava di capire chi potesse essere.
- Aspettavi qualcuno?- chiese, curiosa – A quest'ora?- aggiunse poi, dando una veloce occhiata alla sveglia sul suo comodino. Subito dopo però si ricordò del motivo per cui non era stato proprio lui, Lawrence, ad accompagnarla alla festa di Madison e Bill.
- Christopher- disse, sogghignando – E' lui, vero? Non è un po' tardi per le visite, Lawrence?
- Questi non sono affari tuoi, Vera- sentenziò il biondo, mentre le sue guance, Vera poteva vederlo, s'imporporavano – E per tua informazione, Chris è il mio ragazzo e può venirmi a trovare quando gli pare- continuò, sempre più alterato.
Vera non resistette e scoppiò a ridere, divertita dalla reazione dell'amico.
- Smettila- le intimò lui, mentre dall'altra parte della porta Chris aveva iniziato a chiamarlo a gran voce.
- Ehi, Lawrence! Sei in casa?- diceva.
- Arrivo subito Chris!- rispose Lawrence.
- Sarà meglio che tu vada- disse Vera, nel sentire la voce di Christopher – Non vorrai far aspettare il tuo principe azzurro.
- Fottiti- borbottò a denti stretti il biondo, cercando di celare al meglio il suo imbarazzo, per poi chiudere la chiamata senza nemmeno salutare.
Vera sorrise compiaciuta, e poggiò il telefono sul letto, accanto a lei, iniziando poi a ripensare alle parole di Lawrence.
Per quanto cerchiate di allontanarvi, tornerete sempre al punto di partenza, ancora più presi l'uno dell'altro
Molto probabilmente, qualche tempo prima, avrebbe storto il naso a quell'affermazione, scuotendo con forza la testa, oppure sarebbe scoppiata a ridere, senza riuscire a immaginare se stessa insieme a Tom.
Le cose erano però cambiate e ora una relazione con il chitarrista non era soltanto oggetto delle battute di Lawrence, ma era diventata un desiderio, il più forte che avesse mai provato, alimentato di giorno in giorno dall'amore, ormai innegabile, che nutriva nei confronti di Tom.
E nonostante lei cercasse, come aveva detto Lawrence, di allontanarlo in tutti i modi, di dimenticarlo, di cercare di distogliere la mente da quel sentimento così immenso che offuscava il dolore che quella stessa persona le aveva causato, lei continuava a cedere, a crollare, sconfitta, di fronte alle proprie emozioni.
Lo amo” si disse la mora, con un sospiro, quasi come se lo stesse ammettendo per la prima volta a se stessa, in totale sincerità “E non posso più farci nulla”.



* *



Un paio di giorni dopo

- Cosa significa?-
Tom era rimasto piuttosto perplesso di fronte alla domanda del fratello che, seduto di fronte a lui al tavolo di un bar a cui si erano fermati dopo le registrazioni, giocherellava nervosamente con la sua tazza di cappuccino.
- E' una semplice domanda, Tom- rispose – Credi che starei bene con i capelli corti?
- Bill, da quando t'importa della mia opinione?- chiese il chitarrista, sempre più confuso.
- Da ora- sibilò Bill, irritato per tutte quelle domande.
Tom lo squadrò per qualche istante, decidendo infine di accontentarlo.
- Beh,- iniziò a dire, con una scrollata di spalle – non staresti male- concluse, bevendo poi un sorso del suo caffè.
- Dici che dovrei togliermi le extension per il matrimonio?- domandò il fratello a bruciapelo.
Tom alzò gli occhi, incontrando lo sguardo preoccupato del gemello, ed immediatamente capì il perché di tutto quelle domande.
- E' per Madison?- fece, con un sorrisetto.
Bill arrossì lievemente e distolse lo sguardo, imbarazzato.
- Vuoi rendere il grande giorno impeccabile, vero?- continuò Tom, quasi divertito.
- Non è per Madison- mentì Bill – Ho semplicemente voglia di cambiare pettinatura, tutto qua.
- Non c'è nulla di male ad ammetterlo- replicò il moro, ancora sorridente – La trovo una cosa molto... tenera-
Bill arrossì una seconda volta, questa volta piuttosto violentemente, e si coprì il viso con le mani: non ricordava nemmeno più l'ultima volta che si era imbarazzato così tanto davanti a suo fratello nel parlare di lui e Madison.
Dal canto suo, invece, Tom trovava la situazione a dir poco comica: nonostante i suoi 24 anni, Bill sembrava un ragazzino in preda alla sua prima cotta, tutto intento a non fare brutte figure al primo incontro.
Si lasciò sfuggire un piccola risata, che Bill però stroncò sul nascere, rifilando al fratello un'occhiataccia.
- Non è divertente- asserì il biondo, quasi borbottando – E per la cronaca, tu non sei nella posizione più adatta per prendermi in giro, fratellino- aggiunse, assumendo un'aria di sfida.
Tom cambiò subito espressione, e sul suo volto si dipinse una smorfia.
- Ah-ha!- esclamò Bill – Ti ho punto nel vivo, eh?
- Non stavamo parlando dei tuoi capelli?- fece Tom, nel vano tentativo di indirizzare la conversazione verso altri argomenti. Avrebbe persino trovato interessante discutere sul tempo o sulla finanza, piuttosto che parlare di Vera e del bacio di sabato.
Percepiva ancora la sensazione di averla tra le sue braccia, le labbra di lei contro le sue... Quel bacio era solo l'ennesima conferma di ciò che per tempo – troppo tempo – aveva negato, sia a se stesso che agli altri: ciò che provava per Vera andava ben oltre la semplice attrazione fisica.
Sei innamorato, gli sussurrò una voce nella sua testa, e lui non poté che essere d'accordo.
- Ehi, ti sei incantato?- disse Bill, agitando una mano davanti agli occhi del fratello.
- Uh... c-cosa?- balbettò il chitarrista, riscosso dai scuoi pensieri.
- Stavi pensando a Vera?-
Tom sorrise amaramente, ed annuì:
- Tutto questo è assurdo- disse, scuotendo la testa, quasi divertito - Io che perdo la testa per qualcuno. Potrei scriverci un libro- continuò, sotto lo sguardo comprensivo del fratello.
- Prima o poi sarebbe dovuto succedere- disse quest'ultimo, finendo poi in un sol sorso il suo cappuccino.
- Un po' di preavviso non avrebbe fatto male a nessuno- obbiettò Tom.
- Sì, ma avrebbe tolto tutto il divertimento alla faccenda- rispose Bill, con un sorriso, ripensando ai battibecchi tra Vera e sua fratello - E poi, dovresti sapere che l'Amore, quello vero, non bussa mai- aggiunse, piano.
Tom rifletté qualche istante sulle parole del fratello, e non poté che essere d'accordo: nel suo caso, l'Amore non solo non aveva bussato, ma aveva abbattuto la porta, travolgendolo, senza lasciargli possibilità di difesa.
Ed era quasi certo che anche per Vera era stata la stessa cosa.
Scosse la testa, cercando di relegare ogni pensiero riguardante Vera nell'angolo più remoto della sua mente e Bill, notando la sua espressione malinconica, decise di cambiare argomento.
- Tom,- disse - hai tempo?
- Cosa...?- ripose il gemello, assumendo un'espressione confusa.
- Hai tempo?- ripeté Bill.
- Dipende da cosa mi vuoi far fare- rispose Tom, mettendo le mani avanti.
- Solo uno strappo da Finn-



* *


Più tardi


- Non posso credere che tu abbia davvero rinunciato ai tuoi capelli per una cerimonia che durerà sì e no un'ora, Bill-
Tom osservava ormai da qualche istante il lavandino bianco in cui Finn, il parrucchiere di Bill, aveva lasciato cadere le ciocche dei capelli biondi del cantante.
- Posso solo immaginare come reagiranno le tue fans- aggiunse Finn, mentre puliva i suoi strumenti - Come le chiamate? Ah sì, Aliens- fece, con aria divertita - Ricordo ancora quella volta che una di loro ti ha trovato qui, Bill- continuò, mentre passava un il pettine sotto il getto dell'acqua - Il delirio-
Tom sorrise a quel ricordo, mentre Bill mugugnò qualcosa d'incomprensibile, senza badarvi troppo, preso com'era dal rimirarsi all'enorme specchio appeso al muro.
- Soddisfatto?- fece Finn, raggiungendolo alle spalle.
- S-sì...- balbettò il biondo, incerto - Tom, dici che piacerò a Madison?- chiese poi al gemello, passandosi una mano sulla testa.
- Io credo di sì- rispose Tom - Sono certo che sarai uno sposo coi fiocchi- aggiunse.
Bill sorrise nello specchio, ma subito si voltò verso il fratello, esterrefatto.
- Cosa stai facendo?
- Voglio immortalare questo momento- replicò Tom, mentre, con un'aria piuttosto serena, fotografava il lavandino.
- Tom, cosa vuoi fare di quella foto?- chiese Bill.
- Nulla, nulla- fece Tom, accompagnando la frase con un gesto incurante della mano sinistra, mentre con la destra digitava qualcosa sul suo telefono - Spero solo che le nostre adorate fans non abbiano un infarto- aggiunse, con un sorrisetto diabolico stampato in volto.
- Tom, sei meschino! Chissà che razza di putiferio scateneranno tutte quante!
- Oh, avanti, non ti preoccupare-
Bill fece per ribattere, ma subito decise di lasciar perdere, dato che sarebbe stato solo uno spreco di tempo e di fiato: suo fratello non sarebbe mai cambiato.
Si voltò di nuovo verso lo specchiò e si osservò con cura, prestando attenzione anche ai minimi dettagli. Stava bene, sì; si piaceva, senza dubbio, eppure il timore che a Madison non andasse bene quel suo drastico cambiamento lo tormentava.
Era stata proprio lei a suggerirgli l'idea, quando, molto tempo prima, appena dopo essersi messi insieme, la mora gli aveva confidato che fin da bambina i grandi e sfarzosi matrimoni tradizionali erano stati il suo sogno.
A quelle parole lui non aveva fatto altro che sorriderle teneramente, ripromettendosi che avrebbe esaudito il suo desiderio.
Ora, però, a distanza di un paio d'anni, e ad un passo dal fatidico , quella tacita promessa sembrava aver portato con sé una moltitudine di responsabilità di cui Bill si rendeva conto solo ora.
Tradizionali, aveva detto Madison, con occhi sognanti e tono romantico.
Come poteva un ragazzo come lui essere tradizionale, anche solo per una giornata?
- Vuoi stare tranquillo?-
Bill si voltò di scatto, incontrando lo sguardo del fratello che gli si era avvicinato senza che lui se ne accorgesse.
- Sarai perfetto- continuò il chitarrista – Sarete perfetti- precisò, dando una lieve pacca sulla spalla di Bill, sorridendogli – E io sarò un testimone meraviglioso- concluse, con fare quasi teatrale, osservandosi allo specchio, gongolante.
Bill roteò gli occhi, divertito e ritornò a guardare il proprio riflesso, sentendo che le parole di Tom stavano avendo un effetto benevolo su di lui: sì, lui e Madison sarebbero stati perfetti alla cerimonia, ne era certo.
- Beh,- disse quindi, rivolgendosi al gemello – direi che possiamo andare, no?-
Tom annuì, e il cantante si volse verso Finn:
- Grazie Finn- disse – Quanto ti devo?
- Nulla, Bill- fece l'uomo, lasciando il giovane piuttosto sbigottito – Prendilo come il mio regalo di nozze per te e la tua ragazza- aggiunse, facendogli l'occhiolino.
Bill fece per protestare, quando il suo telefono iniziò a squillare con insistenza.
Lo tirò fuori dalla tasca, guardò il display e subito sentì un brivido percorrergli la schiena.
- Chi è?- fece Tom, sporgendosi per vedere meglio lo schermo del telefono – Oh- disse, appena vide di chi si trattava.
I due fratelli si scambiarono uno sguardo, entrambi consapevoli del motivo di quella chiamata.
- Te l'avevo detto io- fece Bill, mentre il cellulare continuava a squillare senza sosta.
- Avanti, rispondi- replicò Tom – Più lo fai aspettare, peggiore sarà la sua manfrina.
Bill sospirò, cercando di farsi coraggio, ed ascoltò le parole del fratello.
- Pronto?- rispose, portandosi il cellulare all'orecchio – David?
- Bill! Che diamine hai combinato? Cos'hai fatto ai capelli? Perché avete postato quella foto? Perché non mi hai parlato oggi di ciò che avevi in mente?
- E' una lunga storia, Dave- fece il biondo – Una lunga, lunga storia.




* *

Qualche giorno più tardi

- Sei bellissima-
Madison piegò la testa di lato, arricciando le labbra, per poi sorridere dolcemente.
- Dici?- chiese, voltandosi verso la madre, seduta su un divanetto bianco dietro di letto, accanto a sua sorella minore.
- Assolutamente- rispose la donna – Tu cosa dici, Jen?-
Jen osservò per qualche istante la sorella, quasi incapace di spiccicare parola.
- Meravigliosa- farfugliò, senza distogliere lo sguardo da Madison – Semplicemente meravigliosa-
Madison sorrise una seconda volta, tornando a guardarsi nello specchio.
Fece un respiro profondo e sentì un brivido percorrerle la schiena.
Due giorni.
Due soli giorni ed avrebbe fatto il grande passo: avrebbe sposato Bill e coronato il suo più grande sogno d'amore.
Si osservò ancora per qualche istante nell'enorme specchio dell'atelier di abiti da sposa, dove stava provando il proprio, in compagnia della madre Ella e della sorella Jennifer, arrivate dal Nebraska in occasione della cerimonia.
Fece un giro su stessa, ritornando poi ad osservare il suo riflesso. Era a dir poco incredula, quasi non si rendeva conto di ciò che sarebbe accaduto da lì ad un paio di giorni: le sembrava quasi di vivere un sogno ed aveva il costante timore di potersi svegliare d'un tratto e scoprire, suo malgrado, che nulla era davvero successo.
Scosse la testa un paio di volte, nella speranza di cancellare tutte quelle insicurezze che avevano gettato un'ombra sul suo viso.
- Maddie,- disse d'un tratto Ella, senza notare il cambio di espressione della figlia – non doveva esserci anche la tua wedding planner?- chiese, guardandosi intorno.
- Sì- rispose Madison, voltandosi – E' piuttosto in ritardo, in effetti- aggiunse, pensierosa.
Pochi istanti dopo, però, le tre donne sentirono alcuni passi frettolosi avvicinarsi, accompagnati da qualche elegante imprecazione borbottata a denti stretti.
- Maledetti taxi...-
Nel sentire quella voce familiare, il volto di Madison s'illuminò:
- Vera!- esclamò, appena vide la wedding planner raggiungerla.
- Scusate il ritardo- disse mortificata quest'ultima – Giuro che è stata colpa del taxi!- si giustificò poi.
- Non ti preoccupare, Vera- la rassicurò Madison, per poi scendere dal piedistallo su cui stava ed andare ad abbracciarla con forza – Sono felice che tu sia venuta.
- Come potevo mancare alle prove generali dell'abito?- disse Vera, con un gran sorriso.
Madison le sorrise a sua volta, affrettandosi poi a presentarle sua madre e sua sorella.
- Queste sono mia madre Ella e mia sorella Jennifer- disse, indicando le due – Ragazze, lei è Vera Cooper, la mia meravigliosa wedding planner!
- Beh, meravigliosa è un tantino azzardato come aggettivo- disse Vera imbarazzata, mentre porgeva la mano prima ad Ella e poi a Jen – Piacere di conoscervi, comunque.
- Il piacere è tutto nostro, Vera- disse Ella – Allora, cosa dici del vestito della nostra futura sposa?-
Vera si voltò verso Madison e la osservò attentamente, senza lasciarsi sfuggire il più piccolo dei dettagli, a partire dalle decorazioni in argento del corpetto fino al tulle della gonna.
Dal canto suo Madison si sentì a disagio, e non poco: Vera era un'esperta in quel campo e il suo giudizio sull'abito era fondamentale perché lei si sentisse completamente sicura della sua scelta.
- Allora?- la incalzò – Cosa ne dici?-
Vera distolse lo sguardo dall'ampia gonna, portando i suoi occhi verdi a scontrarsi con quelli nocciola di Madison.
- Manca qualcosa- commentò semplicemente Vera, con una smorfia.
Madison sgranò appena gli occhi, voltandosi di scatto verso lo specchio, quasi spaventata: era sicura di aver tenuto tutto sotto controllo, nel più minimo particolare. Eppure, Vera sosteneva che mancasse qualcosa.
- Cosa intendi, Vera?- chiese, girandosi una seconda volta.
Vera non le rispose e continuò ad osservarla, come per capire cosa mancasse.
D'un tratto s'illuminò:
- Arrivo subito- annunciò, dileguandosi in un battibaleno ed avvicinandosi ad alcune commesse dell'atelier.
Madison, Ella e Jennifer la videro confabulare con una di esse ed indicare la zona in cui si trovavano le tre donne. La commessa, intanto annuiva, e poco dopo fece segno a Vera di seguirla.
- Dove starà andando?- chiese Ella, seguendo con lo sguardo Vera mentre scompariva dietro una porta di legno scuro.
- Non ne ho idea, mamma- fece Madison, a braccia conserte – Spero solo che sia andata a prendere ciò che manca, perché sto rischiando di avere una crisi nervosa pre-matrimonio- aggiunse, con un sospiro.
Finalmente, qualche minuto dopo, Vera uscì dalla stanza in cui era entrata, seguita dalla commessa e con in mano un lungo pezzo di stoffa. Salutò cordialmente la giovane e tornò da Madison.
- Eccomi!- esclamò con un sorriso – Ora voltati.
- C-cosa?- fece Madison, confusa – Vera, cos'è quel pezzo di stoffa?
- Come “cos'é”? E' un velo da sposa, Madison! Cos'altro vuoi che sia?- rispose Vera, stranita.
Madison sembrò illuminarsi a quella risposta e d'un tratto capì cosa intendeva Vera con quel suo “manca qualcosa”.
Sorrise dolcemente, e si voltò dando le spalle a Vera, che le si avvicinò, posandole poi sul capo una piccola tiara alla quale era stato legato un lungo velo di tulle.
- Ecco- disse la wedding planner, stringendo le spalle di Madison – Ora sei perfetta-
Madison si osservò a lungo, e dovette ammettere che sì, quel velo, pur essendo un piccolo dettaglio, rendeva il tutto molto più bello.
Subito sentì gli occhi pizzicarle e si ritrovò sull'orlo del pianto.
- Oh, non vorrai mica piangere!- scherzò Vera, notando come la giovane stesse cercando di trattenersi.
- Grazie, Vera- disse con profonda sincerità Madison, continuando a rimirarsi nello specchio con gli occhi lucidi – La riuscita di questa cerimonia sarà solo ed unicamente grazie a te- aggiunse, voltandosi verso la giovane che la guardava, sorridente.
- Ho solo fatto il mio lavoro, Madison- disse, con un piccolo cenno del capo – Tu e Bill siete persone fantastiche- fece poi – Meritate questo ed altro, senza dubbio-
A quelle parole Madison non riuscì a trattenersi e lasciò che alcune lacrime di commozione le bagnassero il volto.
Subito Vera recuperò un fazzoletto di carta dalla sua tasca e glielo porse:
- Avanti, asciugati il viso- disse, dolcemente – Sai, so di essere una wedding planner con i fiocchi, ma non pensavo di suscitare queste reazioni!- rise, coinvolgendo, oltre a Madison, anche Jen e Ella che erano rimaste a guardare in silenzio l'intera scena.
- Due giorni, accidenti- disse Madison, con un sospiro – Non posso...
- Ancora crederci- la interruppe Vera – Non hai idea di quante volte io abbia sentito questa frase- ridacchiò, ripensando a Grace e a tutte le spose prima di lei – Dovrai crederci quando pronuncerai il fatidico .
- Lo so- rispose Madison, elettrizzata – Beh, io vado a togliermi quest'abito prima che si sgualcisca! Arrivo tra cinque minuti!- annunciò poi, sollevando di poco la gonna ed allontanandosi, diretta al camerino poco distante.
Ella e Jen iniziarono subito a chiacchierare, mentre Vera continuò ad osservare Madison, fino a che non scomparì dietro ad una tenda di velluto rosso, e ripensò alle sue parole.
Due giorni, aveva detto la mora.
Due soli giorni e lei e Tom si sarebbero rivisti.
A quel pensiero, percepì una scarica di adrenalina attraversare il suo corpo.
O forse era un brivido di timore.
In ogni caso, alla sola idea di rincontrare Tom, qualcosa dentro lei si era mosso, dimostrando, per l'ennesima volta, la sua innegabile attrazione nei confronti del chitarrista, che il bacio di qualche
giorno prima non aveva fatto altro che evidenziare, se non rafforzare.
La ragazza si lasciò sfuggire un lieve sospiro: quella situazione stava decisamente degenerando, l'unica possibilità che aveva di uscirne – purtroppo?- era quella di lasciare che Tom uscisse definitivamente dalla sua vita.
Ottima decisione, le diceva il suo buonsenso. D'altronde era ciò che sarebbe inevitabilmente accaduto alla fine della cerimonia.
Peccato che il suo cuore si spezzasse ad una simile idea.



* *

Il grande giorno



- 50 dollari che impazzisce prima che Maddie arrivi all'altare.
- Hagen, ti ho sentito, maledetto infame!-
Bill si voltò di scatto, lanciando un'occhiata di fuoco all'amico, che aveva sgranato gli occhi e fatto un passo indietro, temendo che il cantante potesse non rispondere più delle sue azioni.
Da una quindicina di minuti i due, Gustav, Tom, Andreas e Gordon, il patrigno dei gemelli, erano in una delle due lussuose limousines che avrebbero portato prima Bill e poi Madison alla chiesa.
- E se mi dovesse dire di no all'ultimo istante?- piagnucolò Bill.
- Quale pazza potrebbe fare una cosa simile, Bill?- sbottò Tom, alzando gli occhi al cielo, per poi tornare a sistemarsi il nodo della cravatta.
- E tu che ne sai?- sbraitò il biondo, in preda ad un evidente crisi nervosa.
Tom sbuffò e decise di lasciar perdere: in quelle condizioni, Bill era intrattabile.
- Che ne dici di rilassarti, Bill?- chiese gentilmente Gordon, porgendo un bicchiere colmo di vino al ragazzo.
- Non voglio nulla!- strillò quest'ultimo, rischiando di far cadere il tutto per terra – Voglio solo che questa cerimonia sia veloce o potrei impazzire sul serio.
- E' quello che ho det...- provò a dire scherzosamente Georg, ma fu interrotto da una violenta gomitata dritta nelle costole – Simpatico come sempre- borbottò, rivolto a Bill, tenendosi la parte colpita – Mi hai fatto male accidenti!-
Bill non rispose e guardò invece verso il finestrino.
- Quanto manca?- chiese poi, rivolgendosi al fratello.
Tom gli lanciò un'occhiata stranita e fece per chiedergli come mai lui, lo sposo, dopo essere stato alla chiesa chissà quante volte per via dei preparativi, chiedeva a lui, suo fratello, quanto mancasse, ma l'aria isterica del biondo gli fece cambiare idea.
- Mh...- fece, osservando il paesaggio fuori dal veicolo – Credo manchino una decina di minuti.
- Gli invitati saranno già lì?
- Io non lo so, Bill...
- Perché non lo sai?!- gridò il cantante, in preda al nervoso.
- Come diamine faccio a saperlo?- gli rispose a tono il gemello.
- Sei inutile- sbuffò Bill, chiudendosi poi in un religioso silenzio, a braccia conserte.
Tom fece per replicare, ma Gustav lo strattonò per una manica della giacca, invitandolo tacitamente a restare muto, onde evitare inutili litigi.
- Credo che tu abbia vinto la scommessa Georg- sussurrò allora il chitarrista all'amico – Il nostro caro Bill ha perso anche il suo ultimo neurone sano.


* *


Intanto


- Sei agitata?-
Vera si voltò verso Lawrence, stranita.
- Non sono io a dovermi sposare, Lawrence- disse, perplessa.
- Sai bene che non mi riferivo a quello- le disse Lawrence, lanciandole un'occhiata in tralice, mentre si fermava ad un semaforo.
I due erano in viaggio verso la chiesa in cui si sarebbe tenuto il matrimonio di Bill e Madison e mancava ormai poco al loro arrivo.
- Non so di cosa tu stia parlando- disse Vera, arricciando una ciocca di capelli attorno all'indice.
- Non fare la finta tonta con me, Cooper-
A quelle parole, Vera sospirò, sorridendo poi amaramente.
- Cosa vuoi che ti dica, Lawrence?- disse – Sto cercando di farmi una ragione già ora del fatto che non vedrò più Tom.
- Tu sei pazza- commentò Lawrence – Lascerai davvero andare così l'amore della tua vita? E soprattutto credi davvero che lui ti lasci andare? Cioè, sul serio?
- Non c'è altra scelta.
- Sei una codarda, Vera- disse duramente il biondo, lasciando spiazzata l'amica – Sì, una codarda. Nel timore di soffrire, distruggerai il tuo amore più grande – continuò - Beh, sappi che l'amore non è solo rose e fiori. Anzi, il più delle volte è sofferenza – spiegò - Ma credimi, alla fine dirai che ne è valsa la pena- concluse, con un tenero sorriso.
Vera gli sorrise a sua volta, senza dire nulla, e non potendo fare altro che trovarsi d'accordo con ciò che l'amico le aveva detto.
Sì, era una maledetta codarda, lo riconosceva.
Ma perché mai avrebbe dovuto cambiare? Perché avrebbe dovuto fidarsi ciecamente per una seconda volta? Non sarebbe stato meglio essere codarda, ma non soffrire?
- Soffrirai comunque- disse d'un tratto Lawrence, mentre giungevano nel cortile della chiesa.
Vera si domandò se l'amico non fosse dotato del potere della telepatia, ma non disse nulla, si limitò a sospirare, per poi guardarsi intorno, vedendo un sacco di gente uscire dalle proprie auto appena parcheggiate.
- E dire che una volta Madison mi ha detto che sarebbe stata una cerimonia per pochi amici- commentò, osservando un corposo numero di persone avvicinarsi alla chiesa.
Bill non ha il senso della misura, le aveva detto una volta Tom.
Maledizione, perché penso sempre a lui?” si chiese, dandosi poi della stupida perché conosceva la risposta: ne era innamorata.

* *

Più tardi

Tutti gli invitati erano arrivati. Bill, testimoni – Tom e la sorella di Jen –, il paggetto, le damigelle e anche il parroco Evans erano pronti.
Mancava solo la sposa, Madison.
- E se non dovesse arrivare?- sussurrò Bill, sopraffatto dal panico.
- Stai tranquillo- lo rassicurò il fratello – E' normale che la sposa arrivi più tardi.
- Doveva essere qui...
- Molto tempo fa, lo so, lo so- fece Tom, massaggiandosi con aria esasperata le tempie.
Alzò lo sguardo e si guardò intorno, osservando la folla d'invitata che gremiva l'interno della chiesa, completamente addobbata nel migliore dei modi.
Alla sua sinistra, verso le ultime file, notò l'inconfondibile ciuffo biondo di Lawrence, al cui fianco sedeva Vera.
Nel momento in cui la vide, Tom sentì il proprio cuore perdere un battito, e si maledì per quelle reazioni che aveva alla semplice vista della giovane, senza però riuscire a toglierle gli occhi di dosso, tanto che Vera dovette sentirsi osservata, siccome in quel preciso istante alzò gli occhi proprio nella direzione del chitarrista.
Entrambi arrossirono, distogliendo immediatamente lo sguardo, come due ragazzini alla prima cotta.
Nella loro mente era ancora chiaro il ricordo di quel bacio che era andato a riconfermare i sentimenti che ciascuno nutriva per l'altro e ciò non faceva altro che rendere quella situazione estremamente imbarazzante.
Perfino quando i loro sguardi si erano incrociati al momento di entrare e prendere posto, entrambi avevano assunto un'aria d'indifferenza, ignorandosi a vicenda e mascherando così il loro impaccio.
- Quando le parlerai?- chiese Bill, sussurrando nell'orecchio del gemello.
- Uh?- fece Tom, fingendo di cascare dalla nuvole – Non ho idea di cosa tu stia parlando, Bill.
- Oh, capisco, il guardare troppo Vera deve averti fuso anche il cervello- lo schernì il biondo, dimenticando per qualche secondo il ritardo di Madison – In ogni caso, sappi che la tua vigliaccheria mi ha appena fatto vincere 50 dollari- aggiunse poi, alludendo alla scommessa fatta con Lawrence tempo prima.
- Cosa intendi dire?- chiese Tom, perplesso.
Bill fece per rispondere, quando un rombo a lui familiare fece voltare tutti verso l'entrata con il fiato sospeso: la limousine con a bordo Madison aveva finalmente raggiunto la chiesa.



* *


- Io vi dichiaro marito e moglie!-
Gli invitati si alzarono in piedi, applaudendo, commossi: il momento tanto atteso da tutti era finalmente arrivato.
- Ora,- disse il prete, rivolgendosi a Bill – può baciare la sposa-
Vera vide Bill e Madison guardarsi teneramente, gli occhi lucidi dall'emozione, l'uno ad un soffio dall'altra e pochi istanti dopo il cantante annullò le distanze tra i loro volti, baciando appassionatamente la ragazza.
In quel momento la chiesa esplose in un secondo, ancora più fragoroso applauso, e sul volto di Vera apparve un luminoso sorriso: il suo lavoro era stato portato a termine.
Si voltò alla sua destra, e strattonò senza troppo forza il braccio di Lawrence che osservava incantato coppia.
- Che c'è?- chiese, infastidito.
- Dobbiamo andare- rispose Vera, con un cenno della testa – Il ricevimento- aggiunse, nel vedere l'espressione perplessa dell'amico.
- Oh...- fece con aria triste quest'ultimo – Peccato, avrei voluto vederli uscire dalla chiesa- sospirò.
- Sarà per un altra volta- disse Vera – Ora, forza, andiamo-
Cercando di non farsi vedere, la giovane prese il biondo sottobraccio ed insieme si diressero silenziosamente verso l'uscita.
Una volta fuori, Vera prese una boccata d'aria e si sgranchì le braccia.
- Stare dentro quella chiesa mi ha quasi ammuffito- fece, sbuffando.
- Oh, avanti! Devi sempre lamentarti di tutto!- la rimproverò Lawrence – Io trovo che sia stata una cerimonia a dir poco meravigliosa- aggiunse poi, con aria trasognata, mentre iniziavano ad incamminarsi – Complimenti, Cooper.
- Questo equivale ad un aumento di stipendio?- scherzò Vera.
- Non penso proprio- ribatté secco Lawrence.
- Beh, io ci ho prov...- iniziò a dire la giovane, quando però fu interrotta da una voce familiare dietro di lei.
- Ehi! Vera!-
Si voltò di scatto, seguita da Lawrence, e i due videro Tom scendere frettolosamente la gradinata della chiesa e correre nella loro direzione con fare impacciato a causa dell'abito poco comodo.
- Dove state andando?- chiese, una volta giunto di fronte a Vera e Lawrence.
- Al luogo del ricevimento- rispose Lawrence – Vogliamo sistemare le ultime cose- spiegò. Mentre Vera cercava in tutti i modi di non incontrare lo sguardo di Tom, ancora memore del bacio di diversi giorni prima.
- E' un problema se Vera rimane qui?- domandò il giovane, con aria lievemente imbarazzata, quasi come se stesse chiedendo ad un padre il permesso di uscire con la figlia – Vorrei dirle alcune cose.
- Oh, certo, non è affatto un problema!- rispose il biondo, dando una spinta in avanti a Vera.
- Ehi, ma...- tentò di protestare quest'ultima.
- A dopo!- la interruppe però Lawrence, facendo l'occhiolino ai due, per poi allontanarsi fischiettando, diretto verso la sua auto.
- Lawrence!- gridò Vera, invano – Torna subito qui!
- E' inutile che strilli- la riprese Tom.
La giovane sospirò, irritata dal comportamento dell'amico, e si voltò verso il moro.
- Ho visto che stavate uscendo ed ho creduto che steste andando a casa senza salutare- disse Tom, quasi giustificando la sua presenza.
- Mh-mh- fece Vera, annuendo – Allora...- disse, abbassando lo sguardo – Devi dirmi qualcosa?- chiese, mordendosi il labbro inferiore.
Tom fece per parlare, ma si ritrovò senza parole, accorgendosi per la prima volta di quanto bene stesse quell'abito color pesca su Vera.
La osservò per qualche istante, beandosi di quella visione, incapace di pronunciare qualsiasi frase intellegibile.
- Sei bellissima- soffiò, quasi senza accorgersene.
- Beh... grazie- rispose con incertezza Vera – Era questo che volevi dirmi?- chiese poi, perplessa.
Non lasciartela sfuggire. Non di nuovo
Le parole che Georg gli aveva sussurrato in un orecchio quando entrambi avevano notato che Vera e Lawrence stavano lasciando la cerimonia, sembravano riecheggiare nella mente del chitarrista, spronandolo a dichiararsi una volta per tutte.
Bastavano due semplici parole.
Ti.
Amo.
- Come hai detto?-
Tom scosse la testa, risvegliandosi dai pensieri in cui era rimasto assorto per qualche istante, e si accorse di essersi lasciato sfuggire un borbottio incomprensibile dalle labbra, rendendo Vera sempre più confusa.
- Io...- iniziò a dire il giovane,
Avanti puoi farcela!
- Vera, io...-
Non essere codardo!
- Ti...-
Ce l'hai quasi fatta!
- Amo- concluse – Io ti amo, Vera- ripeté, quasi a conferma di ciò che aveva appena detto.
A quelle parole il tempo sembrò fermarsi e tutto intorno a loro sembrò quasi cristallizzarsi, come se l'intero mondo stesse trattenendo il fiato.
Vera aveva sgranato gli occhi, incredula, e per un istante fu tentata dalla voglia di pizzicarsi un braccio per capire se era davvero sveglia o se stesse ancora dormendo.
- Scusa, forse avrei dovuto fare una specie di discorso iniziale...- iniziò a dire intanto Tom, rompendo il silenzio – Non sono pratico di queste cose- continuò, gesticolando e senza guardare Vera negli occhi, mentre il suo viso si stava vistosamente arrossando - Non so nemmeno se ho detto le cose giuste, solo che...
- Tom, stai zitto-
Vera non pronunciò quelle parole con durezza, come Tom si sarebbe aspettato: il tono della giovane, al contrario, sembrava quasi divertito.
Il chitarrista alzò gli occhi sul viso della ragazza, notando come le sue labbra, prima serrate, si erano piegate in un dolce sorriso.
- Sei un idiota- decretò – Un grandissimo idiota. L'idiota più idiota che abbia mai incontrato, a dirla tutta- disse.
- Beh, grazie- fece Tom, inarcando un sopracciglio: lui si dichiarava e l'unica cosa che aveva in cambio era una sfilza d'insulti?
- Fammi finire- gli disse Vera – Sei un idiota, ma sei riuscito in ogni caso a farmi innamorare di te. Non so come, a dire il vero, ma ci sei riuscito. E nonostante tu mi abbia fatta soffrire, io sono ancora qui, sono ancora pazza di te e mi odio per questo, perché vorrei solo dimenticarti e dimenticare tutta questa storia, Tom- continuò, per poi fare una piccola pausa – Ma non ci riesco. Non ci riesco, maledizione- aggiunse con tono mesto, abbassando gli occhi – E sai perché? Perché ogni volta che sono sul punto di farcela, tu arrivi e stravolgi il mio mondo. Come ora- sentenziò, mentre una piccola lacrima le solcava il viso – Se tu non mi avessi detto nulla, alla fine di questa giornata le nostre strade si sarebbero separate, non ci saremmo mai più visti e avremmo potuto mettere un punto a questa storia.
- E tu ne saresti stata contenta, Vera?-
La giovane alzò di scatto la testa, stupefatta da quella domanda.
- Come?- chiese.
- Ne saresti stata contenta?- ripeté Tom – Se sì, non ci metterò due secondi a sparire dalla tua vita. Basta che tu me lo dica, Vera-
La mora rimase senza parole di fronte all'affermazione del chitarrista, e per la prima volta sentì il peso di una scelta che avrebbe portato a due conseguenze estreme.
Amava Tom con tutta se stessa, ma una relazione con lui implicava solo ed unicamente caos.
Ne valeva la pena?
Tra i due scese il silenzio, e dopo qualche istante, Tom pensò di essere stato troppo brusco.
- Ehi, senti...
- Io ti amo, Tom- sussurrò Vera, interrompendolo – E non voglio che tu te ne vada- aggiunse – Perché per quanto questa situazione possa essere caotica, nulla potrebbe mai superare il dolore di non averti accanto- ammise, più a se stessa che a Tom, per poi sorridergli.
Calò ancora il silenzio, che durò pochi attimi, in cui Tom e Vera si limitarono ad occhieggiarsi, incerti.
- Tutto questo è assolutamente ed indiscutibilmente...- iniziò a dire il chitarrista, senza distogliere gli occhi da quelli della wedding planner.
- Assurdo- terminò quest'ultima.
Si guardarono una seconda volta, questa volta sorridendo, mentre nei loro occhi brillava una nuova luce. In pochi istanti, però, quei sorrisi si trasformarono in risolini divertiti, che degenerarono in grasse risate.
Risero solo per una manciata di secondi, ma quella risata parve loro quasi liberatoria.
- Avresti mai creduto di arrivare fino a questo punto?- chiese Vera, mentre ancora ridacchiava.
- No- ammise Tom con onestà – Mai- precisò.
Allargò di poco le braccia e, senza dire nulla, lasciò che Vera vi si buttasse a capofitto.
Nel frattempo gli invitati avevano iniziato ad uscire dalla chiesa, raggruppandosi vicino ai due lati dell'entrata, in attesa dell'arrivo degli sposi che stavano percorrendo la navata.
- Sai,- disse Tom, accarezzandole il capo - Forse avremmo bisogno di qualcosa di concreto, di un segno che ci faccia capire che siamo effettivamente destinati a stare insieme-
Vera rise ancora, stringendosi ancora di più al giovane.
- Può darsi...- sussurrò, alzando il viso - Almeno nessuno dei due potrà dire il contrario- aggiunse.
Tom si avvicinò al suo volto, arrivando a pochi millimetri dalle sue labbra. Fece per baciarla, quando alcuni schiamazzi fecero voltare entrambi verso la chiesa.
- Ehi!- diceva Madison, gesticolando furiosamente – Attenti al...-
La mora, però, non fece in tempo a terminare la frase perché il mazzo di rose bianche legate da un nastro argentato, che lei stessa aveva lanciato poco prima, nel tradizionale lancio del bouquet, atterrò tra le mani di Vera, rischiando di colpirla in pieno viso.
- Beh, auguri alla futura sposa!- gridò qualcuno dalla folla d'invitati, riferendosi al famoso detto secondo cui la donna che avrebbe afferrato il bouquet lanciato dalla sposa, sarebbe stata la prossima a coronare il proprio sogno d'amore.
Vera lanciò un'occhiata perplessa prima alla chiesa e poi ai fiori, ma pochi istanti dopo un piccolo sorriso comparve sul suo volto, e subito si girò verso Tom che, come lei, stava aveva assunto un'espressione sorniona.
- Sbaglio, o questo era il segno che aspettavamo?- chiese.
Tom non le rispose: semplicemente prese una delle rose, spezzandone il gambo, ed infilò il fiore tra i capelli di Vera, accarezzandole poi dolcemente il viso.
- Tu che dici?- chiese.
E la baciò.



Image and video hosting by TinyPic





Before leaving...

Beh, eccoci qui.
Dopo ventuno capitoli Wedding Planner è giunta al termine.
Finalmente? Purtroppo? Non so dirvi.
Da una parte, quando ho postato quest'ultimo capitolo, mi sono sentita quasi sollevata: insomma, tra scuola e altri problemi, non è semplice continuare una storia con regolarità – no, aspetta, quale regolarità? Lol.
D'altra parte, però, devo dire che sono così affezionata a questa storia che vederla finire mi rattrista.
In questi mesi sono cresciuta, e con me i miei personaggi – Vera, Tom, tutti quanti – e, onestamente, sono orgogliosa di questa fanfic: credo di aver raggiunto un livello di stile che non è minimamente paragonabile a quello che ho utilizzato nella mia precedente longfic (Tom's Daughter). Sento di essere migliorata, di essermi evoluta, e spero che anche voi lettrici ve ne siate accorte.
Con questo non voglio certo vantarmi o chissà cosa, solo che per la prima volta posso dire di essere davvero fiera del mio lavoro.
Il merito, però, non è tutto mio.
Sì, perché se è vero che sono migliorata nella scrittura, c'è da dire anche che voi – sì, voi – lettrici avete reso tutto questo possibile.
Come tralasciare infatti tutte le vostre recensioni, i vostri complimenti e il vostro supporto?
Non vi nomino, perché ho paura di dimenticarmi di qualcuno e non voglio sembrarvi ingrata o maleducata, ma credo che ognuna di voi sappia che sto parlando di lei.
Non so che dire, davvero.
Sono profondamente orgogliosa della storia ed incredibilmente grata a chi l'ha letta, seguita e recensita.
Grazie, grazie a tutte voi. Dalla prima all'ultima, siete state tutte parte integrante di questo “progetto” e se sono qui a scrivere la nota finale dell'ultimo capitolo è perché voi mi avete spronata a continuare a scrivere e non a mollare tutto dopo una manciata di capitoli.
Grazie, grazie e ancora grazie, perché scrivere è ciò che mi dà forza, e il ricevere così tanto sostegno da voi non mi rende che più sicura di me.

Ora dovrei scrivere qualcosa come “oddio, piango”, perché, sì, siamo giunti alla fine della nostra (amata?) WP.
Ma voi conoscete il detto “chiusa una fic, se ne apre un'altra”?
(Ok, l'ho inventato io).
Beh, voglio solo dirvi di non disperare, perché sentirete ancora parlare di me.
E non con una longfic nuova di zecca, con nuovi personaggi e nuove situazioni, ma bensì con *rullo di tamburi* un sequel.
Sì, avete letto bene, Aliens.
Ci sarà un sequel di questa storia.
Insomma, non avrete mica pensato di liberarvi di me così? Mah.
Ora vi lascerò qualche istante per assimilare la notizia.



Bene, rieccomi.
Non vi anticiperò nulla di questo sequel, se non la copertina, che troverete alla fine della nota e che già vi fa capire che i nostri Vera e Tom (i Cooperlitz? Dai, diamo loro questo nome) non saranno gli unici protagonisti della storia.
E poi ovviamente ritroveremo Bill, Madison, Lawrence, Marcy...
Aaaah, ancora non me sono andata e già voglio tornare.

Beh, credo di aver parlato scritto abbastanza e di non aver più nulla da annunciare o da dire, se non un ulteriore e sincero grazie dal profondo del mio cuore.

Non so dirvi quando pubblicherò la nuova fanfic, perciò tenetevi pronte! Potrei postare a un momento all'altro!
Nell'attesa, però, potrei pubblicare qualche OS qua e là – sapete che non so stare ferma.

Ancora grazie per questo meraviglioso viaggio che abbiamo compiuto insieme, dallo scorso aprile fino ad oggi.
Vi aspetto tutte quante alla pubblicazione di Gegen Jedes Gesetz!
Un bacio grandissimo
Heilig


Trailer | Twitter | Facebook | Gruppo Facebook




Image and video hosting by TinyPic


Coming soon on EFP 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1738231