Wedding Planner di Heilig__ (/viewuser.php?uid=165002)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** One ***
Capitolo 2: *** Two ***
Capitolo 3: *** Three ***
Capitolo 4: *** Four ***
Capitolo 5: *** Five ***
Capitolo 6: *** Six ***
Capitolo 7: *** Seven ***
Capitolo 8: *** Eight ***
Capitolo 9: *** Nine ***
Capitolo 10: *** Ten ***
Capitolo 11: *** Eleven ***
Capitolo 12: *** Twelve ***
Capitolo 13: *** Thirteen ***
Capitolo 14: *** Fourteen ***
Capitolo 15: *** Fifteen ***
Capitolo 16: *** Sixteen ***
Capitolo 17: *** Seventeen ***
Capitolo 18: *** Eighteen ***
Capitolo 19: *** Nineteen ***
Capitolo 20: *** Twenty ***
Capitolo 21: *** Twenty-one ***
Capitolo 1 *** One ***
Disclaimer: I Tokio Hotel non mi appartengono. Tutto ciò che
è qui scritto è frutto della mia fantasia e io
non ci cavo fuori neanche un soldo bucato u.u
One
- Vi dichiaro marito e moglie!-
La chiesa esplose in un caloroso
applauso, mentre i due sposi si guardavano sorridenti, felici di aver
finalmente coronato il loro sogno d'amore.
- Ora,- disse il prete
rivolgendosi allo sposo – può baciare la sposa-
Il giovane non se lo fece
ripetere e baciò appassionatamente l'amata, sotto gli
sguardi
inteneriti e commossi degli invitati. Una di loro, una giovane dai
capelli scuri e gli occhi verdi, vestita con un abito color crema
lungo fino a poco più su del ginocchio, rimasta in disparte
durante
l'intera cerimonia, sorrideva soddisfatta.
"Un altro lavoro
eccellente, non c'è che dire" si disse, compiaciuta.
Si voltò ed uscì dalla
chiesa.
Raggiunse la sua auto, la mise in moto e si diresse verso il luogo
del rinfresco che si sarebbe tenuto nello splendido guardino di un
palazzo ottocentesco, poco lontano da dove si erano appena celebrate
le nozze.
Una volta arrivata, la giovane
scese dalla vettura e con passo veloce raggiunse i camerieri che
stavano sistemando gli ultimi tavoli sotto l'immenso gazebo addobbato
con fiori bianchi.
- Ragazzi,- disse, avvicinandosi
– come sta andando?
- Bene!- risposero all'unisono i
camerieri.
- Perfetto. Sono molto contenta
del vostro lavoro- si congratulò la ragazza, ammirando i
bellissimi
centrotavola. I ragazzi sorrisero, gratificati, e ripresero il loro
lavoro.
Mentre la giovane sistemava un
tovagliolo, un uomo piuttosto basso e tozzo sopraggiunse alle sue
spalle.
- Vera! Buongiorno!- esclamò,
facendola sobbalzare.
La ragazza si voltò di scatto,
spaventata, per poi ricomporsi subito, avendo capito di chi si
trattava.
- Buongiorno, chef Sanders!-
salutò – Mi ha spaventata!- si lamentò,
poi.
- Oh, scusa, non era mia
intenzione- si scusò l'uomo – Allora
com'è andata la cerimonia?
- Una favola- rispose la giovane
– E' stato decisamente uno dei miei matrimoni meglio riusciti.
- Ne sono felice. Tra quanto
arrivano tutti?
- Beh...-
La ragazza non fece in tempo a
rispondere, perché la sua voce fu coperta dal rombo di
motori. Si
voltò verso i cancelli e vide arrivare la limousine bianca
degli
sposi, seguita da altre auto con a bordo gli invitati.
- Eccoli!- esclamò,
rivolgendosi allo chef.
- Bene, allora io scappo in
cucina per controllare che tutti i piatti siano pronti. E' sempre un
piacere incontrarti, cara- disse l'uomo, abbozzando un mezzo inchino
– Arrivederci.
- Arrivederci signor Sanders!-
La giovane rimase ad osservare
la goffa figura del cuoco entrare nel palazzo per poi scomparire
dietro ad un gruppo di giovani camerieri che uscivano dall'edificio
portando in mano vassoi con salatini e bicchieri colmi di champagne.
Ne prese uno dal vassoio che uno dei camerieri le porgeva e
cominciò
a sorseggiarlo mentre guardava gli sposi e gli invitati entrare nel
giardino.
Quando la sposa, Grace, la notò,
le corse incontro, felice.
- Vera!- esclamò – Tutto
questo è semplicemente meraviglioso!
- Sono contenta che ti piaccia.
- Mi piace?! Lo adoro!- disse
Grace, entusiasta – E' davvero fantastico, Vera-
La ragazza sorrise, pienamente
soddisfatta ed appagata: se la sposa era contenta, significava che il
matrimonio era perfettamente riuscito.
Grace l'abbracciò di nuovo, e
il suo profumo le pizzicò il naso, facendola quasi
starnutire.
- Grazie, Vera- disse la giovane
sposa – Non avresti potuto fare di meglio.
- Organizzare matrimoni perfetti
è il mio mestiere!- rise l'altra – Beh, il mio
lavoro qui è
finito. Sarà meglio che vada.
- Oh, non resti un altro po'?-
chiese dispiaciuta Grace.
- Mi dispiace, ma domani ho un
sacco di impegni e l'unica cosa di cui ho bisogno ora è una
bella
dormita!
- Capisco...- disse la sposa,
annuendo – Beh, ti porterò una fetta di torta in
ufficio!
- Ci conto!- esclamò la
giovane.
Grace le sorrise un'ultima volta
e si allontanò, raggiungendo le amiche.
La mora consegnò il suo
bicchiere vuoto ad un cameriere che le stava passando accanto e si
diresse verso l'uscita del giardino. Salì in auto e
partì verso
casa sua, dove programmava di farsi un lungo e rilassante bagno, per
poi fare razzia di tutto il cibo spazzatura presente in dispensa
davanti a un buon film e infine andare a dormire.
A metà strada il suo telefonino
squillò. Cercando di non perdere di vista la strada, lo
prese e
guardò il display. Quando lesse il nome di Lawrence
Williams, suo
capo nonché grande amico, fece una smorfia e decise di non
rispondere.
“Sicuramente,”
pensò, mentre rifiutava la chiamata
“vorrà rifilarmi chissà
quale cerimonia, ma io di matrimoni da organizzare ne ho piena
l'agenda. Un altro è proprio ciò di cui non
ho
bisogno-
Il cellulare squillò di nuovo,
ma lei lo lasciò suonare.
“Prima o poi si stancherà”
Quando arrivò a casa, Lawrence
l'aveva chiamata altre tre volte le aveva inviato innumerevoli sms.
Una volta entrata, si accorse che la spia della segretaria
lampeggiava, segno che Lawrence aveva lasciato messaggi anche
lì.
Sbuffò, scocciata, e decise di
ascoltarne almeno uno. Premette il tasto e la voce arrabbiata
dell'amico le perforò le orecchie.
“Cooper!
Perché accidenti non rispondi?! Chiamami appena senti questo
messaggio, o giuro che questa volta ti licenzio davvero!”
La giovane rise: quella era la
minaccia preferita di Lawrence. L'aveva detta talmente tante volte
che ormai non ci faceva più caso.
“Prima mi faccio un bagno e
poi lo richiamo” si disse.
Andò nella sua stanza, si tolse
le scarpe, prese l'accappatoio e andò in bagno, dove
aprì i
rubinetti e lasciò che la vasca si riempisse. Si
spogliò e i legò
i capelli scuri in uno chignon ed entrò nella vasca. Prese
il
flacone del bagnoschiuma che stava sul bordovasca e ne versò
il
contenuto, che rilasciò un delizioso profumo di caramello.
Rimase nella vasca una buona
mezzora, ripensando alla perfetta riuscita del matrimonio di Grace.
“Questa volta mi sono
superata” concluse, alzandosi e uscendo dalla vasca.
Si mise l'asciugamano ed uscì
dal bagno, diretta in camera sua.
Dopo essersi infilata un paio di
pantaloni della tuta e una vecchia felpa sformata, decise di chiamare
Lawrence, prima che questo avesse una crisi nervosa.
“Sempre che non l'abbia già
avuta” pensò, mentre digitava il numero dell'amico.
- Cooper!- urlò
Lawrence, appena rispose alla chiamata.
- Ehi Lawrence!- disse lei, con
nonchalance – Volevi parlarmi?
- Sì, ma sai, qualcuno ha
deciso di ignorarmi.
- Su avanti, parla. Che succede?
- Hai dei nuovi clienti-
spiegò il giovane - Hai un appuntamento con loro
martedì
pomeriggio.
- Lawrence, no! Ho una montagna
di altri impegni! Non puoi aggiungermene un altro!
- Non ti preoccupare. Ho già
sistemato tutto. Per il prossimo mese sei completamente libera-
La ragazza arricciò le labbra,
dubbiosa.
- Spero che ci almeno un buon
motivo dietro tutto ciò...
- Oh certo!- ribatté
pronto Lawrence – C'è un ottimo motivo
- E qual è?!- chiese
spazientita la giovane.
Lawrence, dall'altra parte del
telefono, sorrise compiaciuto.
- Non puoi neanche-
disse, enigmatico – lontanamente immaginare quale
matrimonio
organizzerai...
* * *
qualche
giorno dopo
- Ripetimi perché sono qui,
Bill-
Da un quarto d'ora circa, un Tom
Kaulitz piuttosto corrucciato ripeteva la stessa domanda, mentre
sfrecciava a tutta birra per le strade di Los Angeles.
E da un quarto d'ora Bill,
seduto sul sedile accanto al suo, ripeteva la stessa risposta.
- Per la centomiliardesima
volta, Tom: tu sei qui con me
perché dobbiamo andare
ad un'agenzia di wedding planner per parlare con una ragazza che
Madison ha contattato e che ci aiuterà
ad organizzare il mio
matrimonio.
- E io in tutto questo cosa
c'entro?- esclamò Tom, alzando il tono di voce.
Bill sbuffò, roteando gli
occhi.
- Maddie non è potuta venire, e
io non volevo andare da solo.
- E come diamine hai fatto a
convincermi?
- Beh, te l'ho chiesto mentre le
chiavi della tua auto penzolavano sopra il gabinetto. È
stato
abbastanza facile.
- Vaffanculo- borbottò il
chitarrista, voltandosi verso il finestrino.
- Ecco, siamo arrivati- annunciò
Bill, all'improvviso
Tom frenò all'improvviso di
fronte ad un edificio da muri bianchi su cui troneggiava una scritta
a caratteri cubitali color rosa.
- WedDreams...- lesse,
mentre scendeva dall'auto, seguito dal fratello.
- Su entriamo- disse questo,
sistemandosi il berretto e gli spessi occhiali da sole, per evitare
di essere riconosciuto.
- Sì, prima andiamo, prima
finisce questa pagliacciata- commentò il chitarrista.
I due entrarono e subito furono
accolti da una graziosa impiegata dai lunghi capelli lisci e
biondissimi e un sorriso a 32 denti.
- Salve, posso esservi utile?-
chiese, con voce trillante.
- S-sì- balbettò imbarazzato
Bill, tirando fuori dalla tasca un foglietto spiegazzato –
Abbiamo
un appuntamento con una sua collega- disse, consegnandolo alla
ragazza. La giovane lo lesse e tornò a guardare i due
gemelli.
- Prego, venite con me. Vera è
nel suo ufficio-
I due musicisti seguirono
l'impiegata attraverso un corridoio dai muri color crema, su cui
erano appesi alcuni quadri d'arte moderna alternati a foto di gruppo
degli impiegati e a foto dei matrimoni organizzati dall'agenzia.
- Ecco- disse la giovane
fermandosi di fronte ad una porta. Bussò e una voce
femminile giunse
dall'interno:
- Avanti!-
L'impiegata aprì la porta e
fece entrare Bill e Tom, per poi andarsene.
L'ufficio in cui i due si
trovavano era piuttosto spazioso, con una grande vetrata e una
scrivania di mogano al centro, dove era seduta una giovane ragazza.
- Salve!- disse questa,
alzandosi – Io sono Vera Cooper- si presentò,
porgendo la mano ai
due ragazzi – Voi dovete essere Bill e... Madison?- disse
guardando
confusa Tom.
Il viso del chitarrista
s'imporporò, mentre il fratello tentava di soffocare una
risata.
- No, io sono Tom- spiegò il
moro.
- Oh...- disse semplicemente
Vera – Lawrence deve essersi sbagliato... Non mi aveva detto
che
eravate... sì, insomma...-
Bill e Tom sgranarono gli occhi,
inorriditi: quella ragazza stava forse pensando che loro due
erano...?
- Tom è mio fratello!- si
affrettò a dire Bill, cercando di risolvere qualsiasi
fraintendimento– La mia ragazza, Madison, non è
potuta venire, e
quindi mi ha accompagnato lui.
- Sì, è come dice lui-
aggiunse Tom.
Vera guardò prima Bill e poi
Tom, per poi scoppiare in una risata fragorosa.
- Scusate, non volevo
offendervi. È che... sembrava tutto molto equivoco!- disse,
andando
a sedersi dietro la scrivania – Prego sedetevi- disse,
indicando ai
due delle poltroncine di pelle nera.
I gemelli si sedettero, e Vera
presa un taccuino su cui prendere appunti.
- Allora, Bill. Quando e dove si
terrà il matrimonio?
- Ci sposeremo tra un paio di mesi in
una chiesa fuori Los Angeles. L'abbiamo vista, è davvero
graziosa.
- Avete già in mente i colori
base per le decorazioni e i fiori?
- Sì, io e Madison abbiamo
optato per il bianco e il rosa pesca.
- Perfetto- mormorò Vera,
mentre scriveva tutto sul suo blocchetto.
- C'è qualcosa di particolare
che devo sapere?- chiese, alzando la testa dal taccuino.
- No- rispose Bill – Non che
io sappia- aggiunse, pensieroso.
- Sul cibo, magari?- l'aiutò la
ragazza.
- No- ripeté Bill, scuotendo la
testa.
- Bene, allora!- esclamò Vera
–
Io comincio a contattare la chiesa dove si terrà il
matrimonio e
faccio un giro lì, per iniziare a vedere come andranno
sistemate le
varie decorazioni. Intanto, mi manterrò in contatto con voi,
così
se c'è qualche problema o qualche cambio di programma
possiamo
subito discuterne- concluse, con sorriso.
- Benissimo- disse Bill,
alzandosi – Ci sentiamo, quindi- aggiunse porgendole, la mano.
- Senz'altro- disse entusiasta
Vera, stringendola – Anche perché devo ancora
incontrare Madison-
Si voltò poi verso Tom e con un
sorriso strafottente gli porse la mano.
- Spero di rivedere anche te,
Tom- disse, calcando la voce sull'ultima parola.
Il chitarrista rispose con
grugnito, beccandosi una gomitata nelle costole da parte del
fratello.
- Sii educato, per la miseria!-
sussurrò Bill.
- Volevo dire...- si corresse
quindi Tom – Non vedo l'ora di rincontrarti, Vera.
- Quella è antipatica-
commentò il chitarrista, appena chiuse la porta della
vettura.
- Non è vero. È gentile-
ribatté Bill, mentre allacciava la cintura.
- Per te tutti sono gentili...-
borbottò infastidito Tom.
Bill roteò gli occhi e
preferì
lasciar perdere.
- Ti accompagno a casa?- chiese
suo fratello dopo qualche attimo di silenzio.
- Sì, grazie-
Una decina di minuti dopo, Tom
stava parcheggiando davanti all'enorme villa del gemello.
- Ogni volta che la vedo, questa
casa mi sembra più grande- disse, con un sorriso.
- Senti chi parla!- replicò
Bill – Vuoi fermarti?
- Magari un'altra volta, devo
andare in palestra ora- rispose il chitarrista – Porta i miei
saluti a Maddie.
- Ok, ciao!- salutò il biondo,
scendendo dall'auto.
Dopo che la figura del fratello
scomparve dietro il portone, Tom rimise l'auto in moto e si diresse
verso la palestra.
“Ho già saltato due
allenamenti” si disse “Paul mi
ucciderà”
Paul era il suo personal trainer
e uno dei suoi migliori amici. Fuori dalla palestra era un tipo
socievole e alla mano, ma appena aveva un attrezzo in mano, diventava
una macchina da guerra.
Tom pensava che con il tempo la
ginnastica gli avesse dato alla testa.
Ogni giorno, senza curarsi del
tempo che faceva, usciva a fare jogging e ultimamente aveva cercato
di coinvolgere Tom nelle sue matte corse.
“E' pazzo, è pazzo” si
disse il moro, scuotendo la testa.
Finalmente arrivò alla
palestra. Parcheggiò di fronte alla porta a vetri
dell'edificio e,
una volta sceso, entrò, pronto a sorbirsi la furia di Paul.
- Tom!!!!!!- sentì la sua voce
tuonare, appena mise piede nella palestra, dopo essersi velocemente
cambiato.
“Oddio...”
Salve :)
Questa è la mia nuova FF!
E' solo il primo capitolo, ma spero vi piaccia ^-^
Per chi segue "Tom's Daughter", non c'è da preoccuparsi: la
finirò ovviamente! :)
Grazie a tutti/e :)
Addicted__TH
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Capitolo 2 *** Two ***
Two
Quando
Bill entrò in casa, Madison era in cucina, intenta a
preparare la
cena.
Il
biondo si tolse scarpe e giacca, senza far rumore, e con passo
felpato entrò in cucina, dove trovò la sua
ragazza ai fornelli
mentre aggiungeva delle spezie nel sugo per la pasta. In punta di
piedi si avvicinò alle sue spalle, deciso a farla spaventare
un po',
ma quando giunse ad un soffio da lei, Madison disse:
-
Ciao, Bill. Com'è andata?-
Il
cantante sbuffò, scocciato, e scrollò le spalle.
-
Bene- borbottò, prendendo una lattina di RedBull dal
frigorifero.
Da
sempre tentava di fare quello scherzetto, senza mai riuscendoci; era
diventata una specie di questione di principio.
Madison
si voltò, divertita, scuotendo la testa.
-
Bill, sai che non ci riuscirai mai. Rinuncia, è la cosa
migliore-
disse, con un sorriso, per poi tornare a cucinare – Cosa ha
detto
la wedding planner?- chiese dopo qualche istante.
-
Dice che si terrà in contatto con noi- rispose Bill
– E'
simpatica- aggiunse poi – Tranne per il fatto che ha pensato
che i
due sposi fossimo io e Tom- disse, suscitando grasse risate in
Madison.
-
Ho sempre pensato che foste una bella coppia- commentò la
ragazza.
-
Amo il tuo sarcasmo.
-
Non volevo essere sarcastica- ribatté Madison, spegnendo il
fornello
– Vado un attimo in bagno, tu comincia ad apparecchiare-
disse
poi, uscendo dalla cucina.
Bill
osservò la sua figura sparire dietro la porta, poi
aprì la
credenza, prese piatti e bicchieri e cominciò ad
apparecchiare la
tavola.
Notò
che, senza neanche farlo apposta, aveva preso il piatto su cui un
paio di settimane prima aveva messo una scatolina contenente l'anello
con cui aveva fatto alla sua ragazza la fatidica domanda.
Ancora
si ricordava delle lacrime che Madison aveva versato mentre lo
abbracciava e la sua voce che diceva "Sì, certo che voglio
sposarti”
Stavano
insieme da cinque anni, ormai.
Si
erano conosciuti per caso, in un albergo a Roma. Lui era nel bel
mezzo di un tour, lei era lì in vacanza.
Erano
bastati una caduta piuttosto imbarazzante sulle scale di Madison, una
risata e uno sguardo per farli innamorare.
Bill
si era immediatamente invaghito degli occhi nocciola della ragazza,
così simili ai suoi, che s'illuminavano ogni volta che
rideva.
Madison, d'altro canto, non era riuscita a resistere al suo
bellissimo sorriso.
Era
stato semplice, all'inizio. Poi, però, erano entrati in
scena i
giornalisti, le fan e le foto sempre più compromettenti,
tanto che
alla fine i due erano dovuti uscire allo scoperto.
Col
senno di poi, Bill pensava che, in realtà, forse era meglio
che
tutti sapessero di lui e Madison, al contrario di ciò che
pensava
qualche tempo prima.
Mentre
era immerso in questi pensieri, il biondo sentì una mano
sulla sua
spalla, accompagnata da un urlo.
-
Aaaah!- gridò, spaventato.
Quando
si accorse di Madison che si spanciava dalle risa, tenendosi
aggrappata ad una sedia per non cadere, assunse un'espressione
offesa.
-
Non sei per niente simpatica- disse, aggrottando la fronte.
-
Oh, e invece sì- replicò la ragazza,
ricomponendosi – Forza,
mangiamo, prima che si raffreddi.
* * *
il
pomeriggio seguente
Mentre
sistemava le ultime scartoffie, Vera sentii qualcuno bussare alla sua
porta.
-
Avanti- disse, chiudendo uno dei raccoglitori.
-
Ehi, Cooper-
Nel
suo ufficio aveva fatto il suo ingresso Lawrance, in tutto il suo
metro e ottantacinque di altezza.
-
Ciao, Lawrence- salutò Vera con un sorriso – Come
stai?
-
Bene- rispose il ragazzo, avvicinandosi – Hai finito?-
chiese,
dando un'occhiata alla pila di fogli sulla scrivania.
-
Sì, grazie a Dio, sì- disse la mora, annuendo.
-
Beh, che ne dici di un caffè, allora? Devi ancora
raccontarmi del
colloquio di ieri con i nuovi
clienti.
-
L'avrei fatto, se tu non fossi sparito a metà giornata.
-
Ho avvertito Susan, e comunque avevo degli impegni- si
giustificò il
ragazzo, passandosi una mano tra i capelli biondi.
-
E che genere di impegni?- domandò dubbiosa Vera, inarcando
un
sopracciglio.
-
Non importa, e comunque non sono affari tuoi- replicò secco
Lawrence.
-
Sì, certo...- commentò ironica l'amica
– Comunque, vengo
volentieri. A patto che il caffè me lo offra tu.
-
Allora,- disse Lawrence, mentre sorseggiava il suo cappuccino
– Che
tipi sono?
-
Bill è molto simpatico e gentile- rispose Vera, versando
dello
zucchero nella sua tazza.
-
E Madison?
-
Non è venuta, devo ancora conoscerla.
-
Quindi c'era solo Bill?
-
No, c'era anche suo fratello- disse la ragazza – Tom-
aggiunse, con una smorfia.
-
Oh,- disse Lawrence – non ho sentito delle belle cose sul suo
conto.
-
Mi dà l'idea di un arrogante- commentò Vera, per
poi bere un sorso
del suo caffè – Ho fatto una piccola gaffe e mi ha
guardato come
se fossi una marziana. Neanche avessi detto chissà quale
oscenità-
aggiunse - “Io sono Tom”- disse
poi, imitando la voce del
chitarrista.
-
Ha davvero fatto così?- rise l'amico.
Lei
si limitò ad annuire, continuando a bere.
-
Spero di non doverlo più incontrare. Non mi ispira simpatia-
Lawrance
roteò gli occhi:
-
Non fare la melodrammatica.
-
Non sto facendo la melodrammatica- ribatté Vera –
Dico solo la
verità- concluse, poggiando la tazza vuota sul tavolo.
-
In ogni caso, penso che tra poco fisserò un appuntamento con
Madison. Credo che Bill fosse lievemente confuso.
-
Perfetto- disse Lawrence – Ora,- aggiunse, terminando di bere
il
suo cappuccino – cambiamo argomento- continuò
guardando Vera
dritta negli occhi – Che mi dici di Phil?-
Vera
sgranò gli occhi e cominciò a tossire
convulsamente, temendo di
soffocare con la sua stessa saliva.
Un
cameriere le portò un bicchiere d'acqua e lei lo
trangugiò in un
sol sorso.
-
Lawrence! Hai detto che non ne avremmo più parlato!-
esclamò, con
le gote ancora rosse.
-
Vi siete sentiti?- insistette il ragazzo, ignorandola.
Lei
sbuffò, rassegnata: ogni volta finiva così.
Philip
Underwood era un amico di vecchia data di Vera. Si erano conosciuti
ad una festa ed erano diventati amici. Si piacevano, indubbiamente,
ma non c'era nulla al di là dell'attrazione fisica, quindi
avevano
ben pensato di non implicarsi in relazioni troppo complicate.
Erano
amici, punto.
Una
sera, però, qualche drink in più era bastato a
far perdere loro il
controllo ed erano finiti a letto insieme.
Avevano
deciso di non parlare più di quella notte, e di far finta
che nulla
fosse successo, ma come si può ben immaginare, tutto
era
cambiato tra loro.
Qualche
tempo dopo, Phil era dovuto partire per lavoro e da allora non si
erano più visti. Ogni tanto si sentivano via Facebook, ma
succedeva
raramente.
Vera
aveva cercato di farsene una ragione e di dimenticare quella storia.
Ma
era piuttosto difficile con un Lawrence Williams tra i piedi.
-
No, non ci siamo sentiti- disse con tono scocciato.
-
Peccato...- commentò l'amico.
-
In che lingua devo dirti che, comunque sia, siamo solo amici?!
-
Beh, ma siete stati a letto- le ricordò Lawrence.
Il
ragazzo credeva che a volte la sua amica si scordava di quel piccolo
dettaglio.
-
E' successo una volta- disse Vera – Ed eravamo ubriachi
fradici.
Niente di più.
-
Però ti piace, non è così?
-
E' un bel ragazzo!- esclamò la mora, allargando le braccia,
come se
fosse ovvio.
-
Sai che non mi riferisco a quello- disse Lawrence, con sguardo quasi
severo.
Sentendosi
punta sul vivo, Vera decise di bypassare il discorso.
-
Sono stanca, e ho voglia di una bella doccia. Che ne dici, andiamo?-
Lawrence
storse il naso, ma prima che potesse replicare, Vera si era
già
alzata, e stava mettendo la giacca.
Sbuffò,
contrariato, e dopo aver preso il suo giubbetto, seguì la
ragazza
fuori dal locale.
I
due salirono nella macchina della mora, e partirono verso casa del
ragazzo.
-
Che fai stasera?- chiese Vera, fermandosi ad un semaforo.
-
Christopher dovrebbe venire da me- rispose il ragazzo – E tu?-
Vera
scrollò le spalle, mentre ripartiva.
-
Niente di che. Forse mi sforzerò e cucinerò
qualcosa di
commestibile, poi passerò la serata davanti ad un film ed
infine mi
trascinerò stancamente al mio letto.
-
La tua vita è sempre così piena d'azione...-
disse Lawrence,
divertito – Sai, del sano sesso potrebbe aiutarti. Magari
diventi
meno scorbutica.
-
Guarda che tra i due quello scorbutico sei tu- replicò la
mora –
Di' a Chris di darsi una mossa, il tuo nervosismo a volte è
esasperante.
-
Acida- borbottò Lawrence, ammutolendosi.
Vera
fece un sorrisino compiaciuto e continuò a guidare in
assoluta
tranquillità.
Quando
giunse davanti a casa dell'amico, Lawrence le lasciò un
piccolo
baciò sulla tempia.
-
A domani, Cooper- le disse, scendendo dall'auto.
-
Ciao, Lawrence- rispose lei.
Seguì
con lo sguardo la figura dell'amico entrare nell'appartamento, per
poi scomparire dietro il pesante portone di legno.
“E
adesso, si va a casa”
* * *
“Questa
è stata decisamente una delle migliori scopate di tutta la
mia vita”
Con
un sorriso soddisfatto dipinto sul volto e le mani infilate nelle
enormi tasche dei jeans, Tom scendeva le scale del palazzo dove
abitava Mya, la sua ultima fiamma, una rossa tutta curve e con il
quoziente intellettivo di un pollo. L'ideale per uno come lui.
Una
volta fuori dall'edificio, si calcò il cappellino sulla
fronte e
raggiunse velocemente la sua macchina, controllando di non essere
seguito o fotografato.
Dopo
essere salito, mise in moto e partì verso casa sua, dove
l'aspettava
un rigenerante doccia calda.
D'un
tratto, il suo telefonino vibrò. Cercando di non uscire
fuori
strada, lo prese e rispose.
-
Pronto?
-
Tom! Mi stavo preoccupando, accidenti! Perché non
rispondi?!
-
Oh, ciao Bill. Scusa, io... uhm.. avevo da fare- cercò di
giustificarsi il moro.
Sentì
il fratello sospirare pesantemente.
-
E' mai possibile che non puoi tenertelo dentro i pantaloni?
-
E privare così delle dolci fanciulle di un piacere
così immenso?
Non credo proprio-
Bill
sospirò una seconda volta, rassegnato: Tom era davvero senza
speranze.
-
Senti,- disse, cambiando argomento – Dave
ha detto che
domani ci vuole in studio alle otto del mattino-
Tom
sgranò gli occhi, incredulo.
-
Vuoi scherzare? Non ci penso nemmeno!-
Il
chitarrista sentì il fratello comunicare la sua risposta a
qualcuno.
Quel qualcuno dopo pochi istanti
strappò il telefono dalle
mani di Bill e trapanò le orecchie di Tom tuonando:
-
Kaulitz! Cazzo, azzardati a saltare le registrazioni di domani
e
giuro che ti castro con le mie mani!
-
David, ascolta...
-
No, non ti ascolto. Fa' come ti ho detto. A domani-
Il
manager chiuse bruscamente la chiamata senza nemmeno lasciare il
tempo a Tom di replicare.
Il
ragazzo sospirò cercò di rimettere il cellulare
in tasca, ma gli
sfuggì dalle mani, cadendo sotto il sedile.
-
Maledizione- borbottò, allungando un braccio per prenderlo.
Non
riuscendoci, finì col abbassarsi del tutto, perdendo di
vista la
strada ed entrando, senza accorgersene, in una strada a senso unico.
Mentre
cercava a tentoni il telefonino, Tom sentì un clacson
strombazzare,
Si alzò di scatto e vide una piccola utilitaria blu che
avanzava a
verso di lui.
Afferrò
in fretta il volante e cercò di evitare lo schianto, andando
a
frenare ad un soffio dalla vetrina di un negozio.
Appoggiò
il capo sul poggiatesta del sedile, traendo respiri profondi,
cercando di calmarsi.
Intanto
alcune persone erano usciti dai negozi e dalle loro auto per andare a
soccorrere l'altro automobilista.
Tom
uscì dalla sua vettura e si avvicinò a quella
dell'altro guidatore,
o meglio ciò che ne rimaneva.
L'auto
era finita fuori strada, andando a schiantarsi contro un albero. Il
muso era accartocciato e il paraurti si era staccato, finendo in
mezzo alla strada.
Tom
contò i danni e rabbrividì, sperando che
l'automobilista non si
fosse fatto male.
-
Forza, cara, vieni- disse una signora, mentre aiutava quest'ultimo ad
uscire dall'auto.
Tom
si fece spazio tra la piccola folla che si era creata intorno,
ricevendo qualche occhiataccia e commenti poco carini.
-
Che irresponsabile... Avrà appeno preso la patente- dicevano.
Il
ragazzo cercò di non badarvici e si avvicinò alla
signora che
sosteneva una ragazza mora.
-
Ehm... scusa, io...- cominciò a dire, accorgendosi poi di
qualcosa
di strano.
“Ma...
non può essere!”
La
ragazza alzò la testa e spalancò la bocca,
incredula.
-
Tu?!
Ehi
:)
Vedo
che il primo capitolo vi ha incuriositi, bene :) Spero solo che il
secondo si stato all'altezza delle aspettative! Scusate se ho tardato
un po', cercherò di postare più regolarmente :)
Grazie
a chi mi ha recensito e a chi ha già inserito questa ff tra
le
seguite :)
Alla
prossima!
Addicted__TH
|
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Capitolo 3 *** Three ***
Three
-
Tu?!- disse ancora Vera, sconcertata – Tom?!
-
Tu sei la wedding planner di mio fratello!- esclamò il
chitarrista,
risolvendo ogni suo dubbio su chi fosse la ragazza – Lisa?-
chiese
poi.
La
mora gli lanciò uno sguardo furibondo.
-
Vera- lo corresse - e tu mi hai appena fatto
schiantare contro
un albero, imbecille!- aggiunse, a dir poco infuriata – Ma
quando
hai preso la patente? L'altro ieri?
-
Ehi, ehi- disse Tom – Non scaldarti troppo. E' stato un
semplice
incidente-
Vera
sbarrò gli occhi, non credendo alle sue orecchie.
-
Un semplice incidente?- ripeté scocciata
– Tu chiami questo
un semplice incidente?!- disse, indicando ciò che rimaneva
della sua
vettura – Sai quanto ho dovuto risparmiare per comprarla?!
-
Per comprare quel coso?- domandò Tom con
una smorfia – Ma
quando l'hai comprata? Negli anni Cinquanta?- continuò - Dai
retta a
me: quell'auto sarebbe sopravvissuta per altri due anni al massimo.
-
Ciò non ti dà il diritto di distruggerla!-
replicò la mora.-
Guarda che hai combinato!- strillò poi, avvicinandosi al
muso
fracassato dell'auto.
-
Beh, ringrazia il cielo: quelle sarebbero potute essere le tue gambe-
disse Tom, con un'alzata di spalle – Sei stata fortunata, in
fondo-
aggiunse, prendendo in mano uno specchietto caduto a seguito
dell'impatto.
Vera
percepì una scarica d' ira percorrerla dalla testa ai piedi.
Strinse
i pugni e cercò di relegare nella parte più
profonda della sua
mente quella vocina che continuava a ripetere ininterrottamente
“uccidilo, uccidilo ora!”
-
Credo che dovremmo compilare il modulo di constatazione amichevole-
disse, dopo aver preso un profondo respiro – Il mio
sarà
sicuramente distrutto. Usiamo il tuo-
Tom
la guardò, confuso: di che diavolo stava parlando?
-
Sai, no...- tentò di spiegare Vera – quel modulo
blu che dovresti
avere in auto...
-
Oh, quello!- esclamò Tom – Mi dispiace, l'ho
lasciato a casa-
disse poi.
Vera
sentì le proprie braccia cadere a terra e la voce di prima
ritornò
a martellarla ancora più forte di prima.
-
Per quale stupido,- disse, in un soffio – futile ed immaturo
motivo l'avresti lasciato a casa?
-
Beh,- cercò di giustificarsi Tom – non mi ci
stanno i
profilattici, sennò- ammise, abbassando lo sguardo,
imbarazzato.
Vera
credette di esplodere: quel ragazzo la stava prendendo in giro?
-
Comunque,- disse il chitarrista – Non credo ce ne sia
bisogno.
Insomma, tu stai bene, no?-
La
mora sospirò pesantemente: sì, quel ragazzo la
stava decisamente
prendendo in giro.
-
Senti,- disse, con sguardo estremamente serio – non ho voglia
di
stare qui a farmi prendere in giro dal primo idiota irresponsabile
che passa, quindi o vai a prendere quel dannato modulo, oppure...
-
Oppure?- la sfidò Tom.
-
Oppure chiamo la polizia.
Tom
inarcò un sopracciglio ed incrociò le braccia,
scettico: sapeva che
non l'avrebbe mai fatto; era solo un modo per farlo spaventare e
convincerlo ad andare a prendere il modulo.
I
due stettero a guardarsi per qualche interminabile istante, senza
dire nulla.
-
Bene- disse Vera, all'improvviso – L'hai voluto tu-
Tom
rimase ad osservarla, senza alcun segno di cedimento, aspettando che
si fermasse.
La
ragazza però, non accennava a farlo: aveva già
preso il cellulare
dalla tasca e ora stava componendo il numero delle emergenze. Si
portò il telefono all'orecchio e subito una voce le rispose.
-
911, buongiorno. In cosa posso esserle utile?
Tom
sgranò gli occhi, incredulo.
-
Buongiorno- disse Vera.
Prima
che però potesse aggiungere altro, Tom, con uno scatto
fulmineo, le
strappò il telefonino dalle mani e chiuse la chiamata.
-
Si può sapere che ti prende ora?- sbuffò la mora
– Dammi il mio
telefono!
-
Non puoi chiamare la polizia!
-
E perché, di grazia?
-
Perché... perché...
“Perché
David mi ucciderà. Bill mi ucciderà. I produttori
mi uccideranno.
Tutti mi uccideranno”
-
Perché non ce n'è assolutamente bisogno-
Vera
si spazientì: ora ne aveva abbastanza.
-
Ah, davvero?!- urlò, in preda al nervoso - Stavi percorrendo
contromano una strada a senso unico, mi hai fatto schiantare contro
un albero, non hai con te quel fottuto modulo e non vuoi andarlo a
prendere, hai perfino detto che sono stata fortunata!-
continuò, sempre gridando - Ed hai il coraggio di stare qui
a fare
spallucce e dire che non dovrei chiamare la polizia?!-
Tom
roteò gli occhi, infastidito.
-
Senti, ti chiedo scusa, ok? Non c'è bisogno di fare tutte
queste
scene. Ti ho già detto che è stato un semplice
inc...-
Il
ragazzo non fece in tempo a concludere la frase, perché un
potente
schiaffo lo colpì in pieno viso, facendolo voltare di lato.
Si
portò una mano alla guancia, che bruciava, e lentamente
alzò lo
sguardo su Vera, che lo osservava furiosa.
La
folla, che si era piano piano formata intorno a loro, si
ammutolì e
trattenne il fiato, aspettando cosa sarebbe successo.
-
Tu sei pazza- mormorò il chitarrista.
-
Dillo un'altra volta,- soffiò Vera – e giuro che
te ne arrivano
altri due – continuò – Non è
stato un semplice incidente, ok?
Hai distrutto la mia auto, razza di idiota- aggiunse, poi,
riprendendosi il suo cellulare.
-
Ecco, brava, chiama la polizia!- esclamò Tom, rosso in viso
– Così
ti denuncio per lesioni personali!- disse – E per minaccia-
aggiunse poi, incrociando un'altra volta le braccia.
-
Vattene- sibilò Vera.
Il
ragazzo la guardò, sbigottito.
-
“Vattene”? - ripeté
– Cosa significa?
-
Significa che devi andartene- spiegò la mora – E
non farti più
vedere, magari-
“Questa
soffre di doppia personalità” pensò Tom
“E' completamente fuori
di testa, non c'è che dire”
Osservò
Vera, incerto sul da farsi, poi si disse che forse era meglio
dileguarsi prima che la storia prendesse una piega peggiore di quella
che stava prendendo.
-
Beh, allora vado...- disse, titubante – Ti chiedo ancora
scusa.
Davvero, non era mia intenzione-
Vera
non rispose, si limitò a lanciargli uno sguardo di fuoco.
“Antipatica”
pensò Tom, mentre si allontanava “Pazza e
antipatica. Bill farà
meglio a cambiare wedding planner” si disse, entrando in auto.
Fece
manovra, facendo molta attenzione alle vetrine dei negozi che davano
sulla strada, e una volta messosi in carreggiata, partì
velocemente
verso casa sua.
Intanto
Vera aveva continuato ad osservarlo, adirata.
Quando
l'auto del chitarrista sparì dalla sua vista, prese il
telefono e
compose un numero.
-
Pronto?- rispose una voce femminile.
-
Marcy!- esclamò la mora - Potresti venirmi a prendere?
È successo
un gran casino.
* * *
-
Ma che diavolo è successo qui?!-
Vera
si voltò e vide che alle sue spalle c'era sua sorella
maggiore,
Marcy.
-
Ciao, Marcy!- la salutò, sollevata.
-
Quando mi hai chiamata non hai detto che la tua macchina era
distrutta!- disse Marcy, avvicinandosi al rottame – Come
accidenti
hai fatto?
-
Non è stata colpa mia- sbuffò Vera.
-
Hai chiamato il carro attrezzi?
-
Sì, dovrebbe arrivare tra qualche minuto- sospirò
la mora.
-
Questo sì che è un disastro...-
mormorò Marcy, osservando ciò che
rimaneva dell'auto della sorella – Come farai ora?
-
Beh, i pullman sono nati per questo, no?- chiese sarcastica Vera
–
Mi arrangerò, come ho sempre fatto-
Marcy
annuì, pensierosa.
D'un
tratto le due sentirono un camion fermarsi a qualche metro da loro.
Ne scese un giovane sui venticinque anni circa che si
avvicinò a
loro.
-
Salve,- disse – E' qui il problema?- chiese, alludendo alla
carcassa dell'automobile di Vera.
Quest'ultima
annuì, affranta.
-
Wow, non ho mai visto niente del genere!- esclamò il
giovane,
facendo un giro intorno all'auto – Questa va dritta dritta
nella
spazzatura. Non c'è nulla da fare- aggiunse –
Spostatevi, per
favore, così il mio collega può prenderla- disse
poi, indicando un
uomo sulla cinquantina che li guardava da dentro il camion.
Marcy
e Vera fecero qualche passo a destra, lasciando lo spazio necessario
perché l'auto potesse essere presa.
Mentre
l'uomo sul carro attrezzi faceva le manovre necessarie per portare
via l'auto di Vera, il suo collega fece compilare dei fogli alla
ragazza.
-
Un'ultima firma qui, per favore- disse.
Vera
fece quello che le era stato detto, per poi ridare penna e fogli al
giovane.
-
Il conto le arriverà a casa, signorina- disse quest'ultimo
– Ora
andiamo. Arrivederci- aggiunse, allontanandosi e salendo sul camion,
che partì velocemente, lasciando Vera e Marcy da sole.
-
Su, forza,- disse Marcy – Ti porto a casa. E nel frattempo mi
racconti tutto.
* * *
-
E quindi sarebbe stata colpa di questo Tom...
-
Sì, Marcy!- esclamò Vera, esasperata –
E' uno stupido
irresponsabile! Saremmo potuti morire!
-
Sì, in effetti, avrebbe dovuto fare più
attenzione- asserì Marcy.
-
Sono davvero furiosa- affermò Vera, sprofondando nel sedile
di
pelle.
-
Si vede- commentò quasi divertita la sorella –
Dovresti darti una
calmata-
Vera
la osservò, sbigottita.
-
Marcy come accidenti faccio a calmarmi?!- sbraitò.
-
Finirai per farti venire una crisi nervosa- la avvertì
Marcy,
scuotendo la testa e facendo muovere i capelli neri, legati in una
coda di cavallo – Tutta questa agitazione non ti fa bene.
-
Marcy, i tuoi consigli da psicologa sono l'ultima cosa di cui ho
bisogno adesso, davvero-
Marcy
roteò gli occhi, e continuò a guidare, in
silenzio.
-
Dovresti chiamare la mamma- esordì, dopo qualche minuto
– Vorrebbe
saperlo.
-
Lo farò- mentì Vera.
Marcy
se ne accorse e la guardò con disappunto.
-
Non fare la bambina- le disse, tornando a guardare la strada.
-
Non sto facendo la bambina- si difese Vera – Ti ho detto che
lo
farò.
-
Menti.
-
Non è vero-
Marcy
scoccò un'occhiata eloquente alla sorella, che distolse gli
occhi e
si mise a guardare fuori dal finestrino.
-
Le manchi- mormorò la sorella maggiore dopo qualche istante
–
Perché non vai a trovarla qualche volta? Le faresti piacere.
-
Marcy, sono andata via di casa per un motivo ben preciso, che era
quello di non volerci più mettere piede- disse Vera
– Perché non
viene lei da me?- aggiunse poi, senza mai togliere lo sguardo dal
finestrino.
-
Ha paura che tu non voglia vederla.
-
Tu come le sai tutte queste cose?!- sbottò infastidita la
mora,
voltandosi – Sei la sua portavoce, per caso?-
domandò, sprezzante.
-
Vera, smettila- disse Marcy, seria – Ogni volta che viene da
me, tu
sei al centro dei suoi discorsi. Credimi, le manchi davvero-
Vera
non rispose e decise di chiudere lì la discussione.
Sentì
la sorella sospirare pesantemente, per poi zittirsi.
Nessuna
delle due parlò fino a quando Marcy non
parcheggiò davanti a casa
della sorella.
-
Grazie mille- disse Vera, dando un lieve bacio sulla guancia a Marcy
– Salutami Ethan e i bambini- aggiunse, prima aprire la
portiera e
scendere.
-
Vera,- la richiamò Marcy, prima che potesse chiudere la
portiera –
Ricordati di ciò che ti ho detto-
La
mora annuì, per poi chiudere la portiera e dirigersi verso
il suo
palazzo.
Una
volta giunta alla porta, si guardò alle spalle e vide la
macchina
della sorella allontanarsi.
Entrò
e salì al suo appartamento. Una volta dentro, si sedette per
terra e
si portò le ginocchia al petto.
Le
parole di Marcy le riecheggiavano nella testa:
«Le
manchi»
“Mamma...”
* * *
il
giorno dopo
-
Stop, stop! Fermi!-
Tom,
Georg e Gustav smisero di suonare e guardarono Bill, quasi
spaventati.
Stava
avendo una crisi nervosa. E ciò non era buono né
per lui né per
chi gli stava intorno.
-
Che hai?- gli chiese il bassista.
-
Tom!- disse il biondo, ignorandolo – Ti ho già
detto che devi
stare una nota più bassa!-
-
Ok, ok- sbuffò il chitarrista – Ho sbagliato,
scusa. Datti una
calmata però.
-
Non mi do una calmata!- sbraitò Bill, fuori di sé
– Che cazzo ci
vuole a stare una nota più bassi, maledizione?!-
Prima
che Tom potesse replicare, David, da fuori la cabina di
registrazione, li richiamò all'ordine.
-
Basta così- disse – Facciamo una pausa, ok? Fuori
dalla cabina,
forza-
I
ragazzi fecero come era stato loro detto.
-
Adesso andata a farvi un giro, tutti quanti- disse il manager,
massaggiandosi le tempie - Ne ho abbastanza di voi e delle vostre
discussioni-
Si
voltò quindi versò la sua assistente, una giovane
ragazza dai
lunghi capelli rossi, gli occhi verdi e il viso ricoperto da
lentiggini.
-
Grace,- le disse – Portami un doppio caffè
espresso e tre pillole
di Valium, per favore.
La
ragazza si appuntò il tutto ed se ne andò.
-
Tre pillole?- chiese sconcertato Gustav – David, non sono
troppe?
Non vorrai berle tutte in una volta!
-
Quando hai a che fare con gente come voi,- rispose il manager
– Il
Valium non è mai abbastanza. Ora via! Fuori di qui! Vi
voglio di
ritorno tra mezzora!
* * *
-
Si può sapere che hai?- sbottò Bill, sedendosi
sul divano accanto
al fratello.
-
Non ho nulla- mentì Tom.
-
Sì, certo- commentò ironico Georg, lasciandosi
cadere sul divano
opposto, seguito da Gustav.
-
Vi dico che non ho niente- insistette Tom.
La
verità era che quella mattina si era svegliato decisamente
col piede
sbagliato.
Probabilmente,
anzi, sicuramente, era colpa dell'incidente con quella Vera.
Quella
ragazza gli stava proprio antipatica.
-
Tom,- gli disse il gemello – avanti, parla-
Il
moro sospirò, e prese a raccontare la vicenda del pomeriggio
precedente.
-
Tu... tu... sei un irresponsabile!- urlò Bill – E
ti lamenti
anche?! Fosse stato per me, staresti già scontando la tua
pena in
carcere- aggiunse, piuttosto arrabbiato.
-
Se tu non mi avessi chiamato,- ribatté Tom – io
non avrei
risposto, il cellulare non sarebbe caduto e non sarebbe successo
nulla!
-
Quindi sarebbe colpa mia?!- fece Bill, incredulo – Tu devi
avere
qualche rotella fuori posto, Tom.
-
No, quella che ha le rotelle fuori posto qui è la tua
wedding
planner- replicò il chitarrista – Mi ha anche
schiaffeggiato!
Davanti a tutti!- disse, paonazzo in volto.
Gli
altri lo guardarono stupiti per qualche secondo, per poi scambiarsi
sguardi complici, abbozzando dei sorrisi. Cominciarono a ridacchiare,
sempre più forte, finendo poi per ridere a crepapelle, sotto
lo
sguardo furioso di Tom.
-
Che avete da ridere?- sibilò.
-
N-noi...- cercò di dire Gustav, scoppiando però
in un'altra gran
risata.
I
tre continuarono a ridere senza sosta per un tempo indeterminato; le
loro risate poi scemarono fino a diventare semplici risolini.
-
Avete finito?- fece Tom, inarcando un sopracciglio.
-
Amico, sei serio?- chiese Georg, con un sorriso divertito sulle
labbra.
Tom
aggrottò la fronte, ed annuì.
-
Non potevo crederci- disse – Nessuno si è mai
permesso di farlo!
-
Nessuno fino ad ora- lo corresse Gustav.
-
Grazie per la precisazione, Wolfgang- disse Tom – Sei proprio
d'aiuto, devo dire.
-
Oh, avanti, Tom- disse Bill – Non prendertela. Non
è la fine del
mondo- continuò, dandogli delle pacche sulla schiena.
Nella
stanza calò il silenzio, ma poco dopo Georg, Bill e Gustav
ricominciarono a ridere, provocando istinti omicidi in Tom.
-
Smettetela!- urlò, ma i suoi amici non lo ascoltavano, anzi,
ridevano sempre di più.
-
Oh, andate al diavolo!
* * *
Intanto,
camminando per le strade di LA, Vera e Lawrence si godevano il loro
giorno libero.
La
mora aveva appena finito di raccontare all'amico l'episodio del
giorno prima.
-
Lo hai davvero schiaffeggiato?!- esclamò incredulo il
ragazzo.
-
Certo- affermò Vera – Se l'è meritato.
Avrei dovuto dargliene
qualcuno in più- aggiunse, con una smorfia.
-
Tu sei troppo aggressiva- disse Lawrence – Te lo ripeto: un
po' di
sesso ti farebbe davvero bene-
Vera
sbuffò, e non rispose, continuando a camminare.
-
Eccoci- disse all'improvviso, fermandosi.
-
Posso rimanere fuori?- chiese piagnucolando Lawrence, guardando
l'edificio davanti al quale si era fermata l'amica – Sai che
non
sopporto la vista degli aghi.
-
Non fare il bambino!- lo apostrofò Vera, prendendolo per una
mano, e
trascinandolo all'interno.
Arrivarono
ad un bancone, dove stava un omone completamente tatuato che
disinfettava un ago.
A
quella vista Lawrence sbiancò: come aveva potuto Vera
trascinarlo
lì?
La
mora si schiarì la voce e l'uomo del bancone alzò
lo sguardo sui
due, squadrandoli dalla testa ai piedi.
-
Sì?- disse, con un vocione che fece quasi tremare i vetri.
-
Buongiorno- disse Vera, senza lasciarsi intimidire – Vorrei
fare un
tatuaggio.
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Capitolo 4 *** Four ***
Four
L'uomo
osservò ancora per qualche istante Vera e Lawrence, senza
smettere
di pulire l'ago.
-
Hai un disegno?- chiese, rivolgendosi alla mora.
Quest'ultima
annuì, e prese dalla sua borsa un foglio spiegazzato, che
poi porse
all'uomo.
-
Ecco. Vorrei tatuarmi questo- disse – Qui- aggiunse,
indicando un
punto sul suo polso.
Il
tatuatore osservò il disegno: era un piccolo delfino
stilizzato blu
e nero.
-
Ok- disse l'uomo, posando ago e straccio – Vado a preparare
gli
strumenti. Ci vorrà un attimo- continuò, per poi
sparire dietro una
tenda alle sue spalle.
-
Cooper,- sussurrò Lawrence – ti prego. Fammi
andare via. Rischio
di svenire-
Vera
sbuffò, scocciata.
-
Lawrence, non essere sciocco!- esclamò l'amica –
Non succederà
nulla.
-
Ma, Vera!- protestò spaventato il biondo – Quel
tipo infilerà un
ago nella tua carne!
-
Lawrence, non mi deve asportare un organo- disse Vera, sospirando
–
Deve semplicemente farmi un
tatuaggio. Sarà tutto molto veloce. Saremo fuori di qui
prima che tu
te ne accorga, vedrai-
Subito
dopo, il tatuatore ritornò e, con un cenno della testa, fece
segno
ai due amici di seguirlo.
-
Andiamo- disse Vera, avviandosi.
-
Non voglio- replicò Lawrence – Potrei davvero
stare male-
aggiunse.
La
mora roteò gli occhi, spazientita.
-
Lawrence, smettila!- esclamò, prendendo l'amico per un
braccio –
Per favore, finiscila. Non siamo qui per dare
spettacolo!-
disse poi, alludendo agli altri clienti e tatuatori che li
guardavano.
Lawrence
si aggrappò con tutte le sue forze al bancone, ma non
riuscì a
tenersi abbastanza saldamente, e Vera riuscì a trascinarlo
con sé
dietro la tenda.
-
Siediti- disse l'uomo alla mora, indicandole una poltrona rossa
–
Tu, invece, puoi stare qui- disse, puntando una sedia nera imbottita,
rivolgendosi a Lawrence.
Il
ragazzo, tremante, si sedette, e pregò che tutto finisse nel
giro di
pochi minuti.
-
Ci vorrà molto?- chiese Vera, quasi intuendo i suoi pensieri.
-
No- rispose il tatuatore – E' un tatuaggio piuttosto
semplice, e
poi è piccolo- aggiunse, mentre si avvicinava alla ragazza
– E' il
primo?- le chiese mentre le passava una lametta sul polso per
togliere i peli, per poi cominciare a disinfettarlo.
Vera
annuì, mentre l'uomo prendeva l'ago da un vassoio dove vi
erano
altri strumenti, che fecero impallidire Lawrence.
-
Sei pronta?- chiese.
La
mora annuì una seconda volta, e così tatuatore
cominciò ad
eseguire il suo lavoro.
Nella
stanza scese il silenzio, interrotto solo dal ronzio dell'ago che
tracciava il disegno sul polso di Vera.
Quando
la ragazza si lasciò sfuggire un lieve gemito di dolore,
Lawrence
credette di morire da un momento all'altro.
“Giuro,”
si disse, mentre cercava di non svenire “che questa volta la
sbatto
fuori dall'agenzia sul serio”
Alla
fine, però, durò meno di quel che pensava.
L'uomo
ci mise all'incirca mezzora per finire il suo lavoro, e appena
pronunciò la parola “fatto”,
Lawrence tirò un sospiro di
sollievo.
Vera
si alzò dalla poltroncina e mostrò con orgoglio
il suo polso
all'amico.
-
Non è bellissimo?!- fece con entusiasmo.
-
Sì, niente male- disse Lawrence sorridendo.
-
Grazie mille!- esclamò quindi Vera, rivolgendosi al
tatuatore – E'
davvero molto bello.
-
Felice che ti piaccia- rispose l'uomo – Ora tocca a te?-
chiese
poi, guardando Lawrence.
Il
biondo sbiancò di colpo, andando in iperventilazione, al
solo
pensiero di avere un ago infilato nel braccio.
-
Ti senti bene?- chiese il tatuatore, perplesso – Vuoi
dell'acqua?
Vera
sospirò, rassegnata: il suo amico non sarebbe mai cambiato.
-
Stia tranquillo- disse, rivolta all'uomo – E' normale. Quanto
è?-
aggiunse, mentre usciva dalla stanza, con Lawrence aggrappato a
sé e
il tatuatore al seguito.
-
Sei proprio sicuro di non volere niente?- chiese quest'ultimo,
fermandosi dietro al bancone.
Lawrence
scosse lievemente la testa insegno di diniego.
Il
tatuatore fece spallucce e ritornò a guardare Vera.
-
Sono 55$- disse.
Vera
annuì e, dopo essersi staccata dall'amico, prese il
portafoglio
dalla borsa a tracolla, per dare i soldi all'uomo.
-
Perfetto, grazie- disse lui – Ci si vede- disse, mentre
metteva le
banconote in cassa.
-
A presto- salutò Vera – Andiamo Lawrence.
*
*
-
Ti odio davvero- ripeté per l'ennesima volta Lawrence,
mentre finiva
il suo bicchiere d'acqua – Ho rischiato di morire.
-
Quanto sei tragico- commentò divertita Vera, posando sul
tavolo del
bar a cui erano seduti la sua tazza di caffè vuota
– Non è stato
così orribile.
-
Questo lo dici tu-
borbottò il biondo – Non concepisco come tu abbia
potuto farmi una
cosa del genere- sbuffò poi, torturandosi il ciuffo.
-
Oh, avanti, non esagerare- fece Vera – Avrei potuto decidere
di
farti fare tre piercing sulla lingua. In fondo sono stata buona-
Lawrence
sbarrò gli occhi, e il suo viso prese un colorino verdognolo.
-
Ehi, ehi- si affrettò a dire Vera – scherzavo.
Calmati.
-
Fottiti- sibilò Lawrence, mentre si versava un altro
bicchiere
d'acqua, sotto lo sguardo divertito dell'amica – Non sei per
nulla divertente.
*
*
il
mattino seguente
Vera
stava lavorando in ufficio, quando il suo telefono squillò.
Sbuffando,
piuttosto infastidita di essere stata interrotta, alzò la
cornetta e
rispose.
-
Pronto?
-
Pronto, Vera Cooper?
-
Sì, sono io- disse la mora – Chi parla?
-
Sono Madison- disse la persona dall'altra parte del
telefono –
Madison Brown- specificò poi – La
ragazza di Bill
Kaulitz-
Vera
ebbe un piccolo sussulto sulla poltrona.
-
Oh...- disse – Ehm... salve.
-
Salve, Vera. Scusa se ti disturbo, sarai sicuramente
impegnatissima. Sarò veloce- disse Madison
– Volevo solo
chiederti quando potremmo vederci. Sai, il matrimonio...
-
Il matrimonio, certo, certo...- rispose Vera – Beh, io oggi
sono
occupata, ma se vuoi potremmo vederci dopodomani.
-
Va bene- acconsentì
l'altra –Ti aspetto alle tre a casa
mia. Roosevelt street
47. Ci vediamo! Buon lavoro!-
Prima
che Vera potesse replicare, Madison aveva già riattaccato.
-
Ma io non ho la macchina...- mormorò la mora, guardando
confusa la
cornetta.
-
Parli da sola?- le chiese una voce maschile, entrando nella stanza.
Vera
alzò la testa e vide il suo amico Lawrence che posava un
bicchierone
di cappuccino sulla sua scrivania.
-
No, parlo con il telefono- rispose la mora, prendendo il bicchiere, e
iniziando a sorseggiarlo.
Lawrence
si sedette sulla scrivania, assumendo un'espressione perplessa.
-
Con il telefono?-
ripeté, arricciando le labbra.
-
Mi ha telefonato Madison- spiegò Vera – Dopodomani
vado da lei.
-
E qual è il problema?
-
Non ho la macchina per andarci!- esclamò la mora, alzando
gli occhi
al cielo.
-
Oh- disse Lawrence – Sì, è un problema
effettivamente- commentò
– Vuoi un passaggio?
-
Preferisco morire- affermò Vera, prendendo un altro sorso di
cappuccino – E leva il tuo culo piatto dalla mia scrivania-
Il
biondo scese dal tavolo, offeso, e guardò l'amica.
-
Guarda che io guido benissimo- disse, incrociando le braccia
– E
non ho il culo piatto.
-
E invece sì- ribatté Vera, divertita –
E tu non guidi benissimo,
Lawrence. Guidi da far pena-
La
ragazza non aveva tutti i torti.
Per
Lawrence il codice stradale era un optional, un
insignificante
libretto che gli avevano dato durante il corso di guida, e che era
finito in un cesto di vimini, in un angolo della sua stanza, sotto
una pila di riviste di Vogue. Sapeva l'essenziale,
per esempio
il significato dei colori dei semafori, ma per il resto andava ad
immaginazione.
Come
quella volta che aveva preso un cartello di divieto d'accesso per un
cartello di divieto di sosta non ancora ultimato, beccandosi una
multa salatissima per aver imboccato una strada a senso unico.
-
Lawrence,- disse Vera, stiracchiandosi – tu sei un pericolo
pubblico al volante. Perché credi che ti abbiano ritirato la
patente
per due anni?
-
Beh, ma adesso me l'hanno ridata- sbuffò il biondo.
-
Fatto sta che io non salirò su quella carriola che tu hai il
coraggio di chiamare auto né oggi
né mai- replicò l'amica.
-
Almeno io ne ho una- disse perfido Lawrence.
Vera
gli lanciò uno sguardo truce, prese una matita dal suo
portapenne e
la lanciò al biondo, che però la
schivò abilmente.
-
Mancato- disse, sorridendo – Ok, la mia pausa è
finita- aggiunse
poi – Trova un modo per andare da Madison. Non accetto scuse-
disse, con tono autoritario.
-
Certo, signor Williams- rispose Vera, con un sorrisino –
Arrivederci.
-
Ci si vede, Cooper- la salutò Lawrence, facendole
l'occhiolino, per
poi chiudere la porta dietro di sé.
“Torniamo
al lavoro”.
*
*
verso
sera
-
Vado di sotto a prendermi un po' d'acqua. Tu aspetta qui, d'accordo?-
Danielle,
l'ultima conquista di Tom, annuì, e il ragazzo si
alzò dal letto,
mise un paio di boxer ed uscì dalla stanza.
“Questa
è anche meglio di Mya” penso il moro, mentre
scendeva al piano
inferiore, pregustando già il secondo round.
Arrivato
in cucina aprì il frigo e prese una bottiglietta d'acqua. Ne
bevve
quasi tutto il contenuto in un solo sorso, e dopo averla chiusa, la
rimise al suo posto.
Stava
per andarsene, quando un particolare attirò il suo sguardo.
Guardò
con più attenzione il frigo e vide che vi stava appeso un
piccolo
post-it giallo, simile a quelli che lasciava in giro per casa per
ricordarsi delle cose importanti.
Lo
prese e lo lesse.
“19h00,
cena con CT Rec. Passa Bill a 18h30”
Seguiva
la data di quel giorno.
Il
ragazzo sbarrò gli occhi, e il foglietto gli cadde dalla
mani.
“Oggi
c'è la cena con i produttori!” pensò,
schiaffandosi una mano in
fronte “Come ho potuto dimenticarmene?”
Guardò
l'orologio e quasi ebbe un mancamento: erano già le sei meno
un
quarto. Bill sarebbe passato tre quarti d'ora dopo.
Mentre
pensava ad un modo per uscire dal gigantesco pasticcio in cui si era
cacciato, Tom sentì dei leggeri passi scendere le scale e
dopo
qualche istante davanti a lui comparve Danielle, coperta da un
asciugamano.
-
Ehi,- disse la bionda con sguardo languido e voce suadente –
non
torni più su?- gli chiese, avvicinandosi al ragazzo.
-
Scusa, piccola- disse lui – ma c'è un problema.
Dobbiamo
salutarci- continuò, cingendole i fianchi.
-
Un problema?- ripeté lei, sbattendo le lunghe ciglia.
-
Vedi,- le spiegò Tom – oggi ho una cena
estremamente importante, a
cui non posso assolutamente mancare.
-
Non puoi disdire?- fece Danielle, lasciando dei piccoli baci sul
collo del moro.
-
No, non posso- rispose lui, allontanando un poco la ragazza da lui
–
E' davvero importante- le disse, guardandola negli occhi –
Devo
chiederti di andare-
Danielle
si districò dalla presa di Tom sui suoi fianchi e lo
guardò,
irritata.
-
Ma...- cercò di dire.
-
Per favore- la interruppe Tom – non rendermelo più
difficile-
aggiunse, melodrammatico – Non sai cosa darei per stare qui
con te.
-
Davvero?- replicò la bionda, mentre i suoi occhi verdi le
brillavano.
-
Certo- disse il chitarrista – Facciamo così.
Adesso vai, poi ti
richiamo io, e ci rivediamo il prima possibile-
“Forza,
abbocca” pensava, mentre guardava con guardo più o
meno
convincente Danielle.
-
Va bene- disse la ragazza – Vado a prendere le mie cose,
allora-
aggiunse, con un sorriso.
-
Grazie, Danielle- rispose il ragazzo.
Lei
emise un verso simile ad uno squittio e, saltellando, andò
al piano
di sopra per vestirsi.
Tom
tirò un sospiro di sollievo, e prese a cercare il cellulare
per
chiamare il fratello.
Andò
in salotto e si mise a guardare tra i cuscini. Mentre cercava,
Danielle scese di nuovo, pronta a lasciare l'appartamento.
-
Io vado- disse affacciandosi alla porta del salotto –
Ricordati di
chiamarmi!- aggiunse
-
Certo, piccola- disse Tom, senza voltarsi.
La
bionda squittì di nuovo, per poi andare alla porta ed uscire
definitivamente.
Poco
dopo Tom trovò il telefono, e chiamò
immediatamente Bill.
“Questa
volta potrebbe incazzarsi davvero”
*
*
-
Cosa significa “sarò in
ritardo”?-
esclamò Bill.
-
Lievemente in ritardo-
lo corresse il fratello dall'altra parte del telefono -
Per
le sette e mezza sarò lì.
-
Perché non puoi essere puntuale una volta ogni tanto?-
sbuffò il
cantante.
-
Non succederà più!
-
L'hai già detto la volta scorsa- disse Bill – E
anche quella
prima. Sei proprio un caso perso.
-
Beh, è per questo che mi vuoi bene, no?-
rise Tom – Ci
vediamo più tardi- disse poi, chiudendo la
chiamata.
Bill
sospirò e lanciò il cellulare sul letto, per poi
finire di
vestirsi.
-
Non vorrai mettere quella maglietta con quei pantaloni, vero?- chiese
Madison, entrando improvvisamente nella stanza.
-
Perché, cosa hanno che non va?- fece Bill, guardandosi allo
specchio
– Sto una favola.
-
Bill, quel verdolino fa a pugni con il grigio.
-
Io invece dico che sto bene- ribatté il biondo.
Madison
alzò le spalle, e si buttò sul letto,
rimbalzandoci su.
-
Però, forse...- mormorò Bill, guardandosi
attentamente – Sì, hai
ragione. Meglio se mi cambio- concluse, togliendosi la maglietta,
mettendo in mostra i muscoli leggermente scolpiti e i tatuaggi.
Aprì
l'armadio, prese una canotta nera e se la mise, per poi indossare una
giacca di jeans senza maniche.
-
Beh, che ne dici?- disse, rivolgendosi alla sua ragazza.
-
Dico che sei uno schianto- rispose lei, con un sorriso malizioso.
-
Lo so, grazie- fece il biondo, sedendosi sul bordo del letto
– Hai
chiamato Vera?- chiese poi, mentre indossava un paio di anfibi neri.
-
Sì, stamattina - rispose Madison – Ci vediamo
dopodomani
pomeriggio.
-
Dopodomani?- ripeté Bill – Mi dispiace, ma io non
ci sarò. David
ci ha piazzato una lunghissima sessione di registrazione per quel
giorno.
-
Capisco...- annuì Madison, scuotendo i capelli castani
– Non c'è
problema, ci parlerò io.
-
Ok- disse Bill, alzandosi e prendendo il telefono, per poi metterlo
in tasca – Non mi va di lasciarti da sola- disse poi,
guardando
Maddie.
-
Tranquillo, me la caverò- disse lei – Non
preoccuparti e goditi la
serata-
Bill
sorrise, si avvicinò a lei e la baciò teneramente.
-
Tornerò subito- disse, allontanandosi dopo qualche istante
– Se
succede qualcosa, chiamami-
Madison
sorrise ed annuì.
-
Io vado- disse il cantante, facendo per uscire.
-
Aspetta, Bill- lo richiamò Madison – Sei sicuro di
avere tutto?
-
Certo che sì!- disse il ragazzo – Sai che sono
sempre attento.
-
Ok...- rispose Madison, poco convinta – A dopo allora.
-
A dopo-
Bill
uscì e lasciò sola la ragazza, che
sospirò, facendo mentalmente il
conto alla rovescia.
“Dieci,
nove, otto, sette, sei...” pensò, mentre avvertiva
i passi del
fidanzato allontanarsi.
“
Cinque,
quattro...” si disse ancora, mentre lo sentiva salire di
nuovo le
scale.
“Tre,
due, uno...”
La
porta si aprì all'improvviso, ed entrò un Bill
piuttosto trafelato.
-
Credo di avere dimenticato le chiavi- disse, guardandosi in giro
–
Sai dove s... Ah, eccole!- esclamò, afferrando il mazzo di
chiavi
dal comodino.
-
Ciao, Maddie!! A dopo!- disse poi, uscendo dalla stanza.
-
Bill!- provò a dire la ragazza, ma lui era già
andata via.
Sospirò,
rassegnata, e poggiò la testa sul muro, aspettando che il
ragazzo
tornasse una seconda volta.
“Ha
di nuovo dimenticato il portafoglio”
*
*
Dopo
aver cenato piuttosto presto, Vera decise di andare su Internet per
cercare informazioni sulla chiesa dove Bill e Madison avevano
intenzione di sposarsi.
Accese
il pc e lo lasciò caricare, mentre beveva un bicchiere di
Coca.
Quando
il computer fu pronto, subito apparve un messaggio: Hai una
nuova
mail!
Incuriosita,
cliccò sul messaggio e si aprì la sua casella di
posta elettronica.
Guardò
la lista delle mail ricevute e ne notò una in grassetto,
ancora da
leggere.
Guardò
l'oggetto del messaggio: Ehi, straniera.
Perplessa,
lasciò scorrere il suo sguardo fino a farlo arrivare al nome
del
mittente.
Quando
lo lesse, quasi lasciò cadere il bicchiere che aveva in mano.
phil__underwood@cybermail.net
|
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Capitolo 5 *** Five ***
It's
always me :)
Note
e commenti finali sotto :D
Buona
lettura!
Five
più
tardi
- Philip ti ha scritto?-
chiese Lawrence sbigottito.
- Sì,- rispose Vera, dall'altra
parte del telefono, seduta a gambe incrociate sulla poltrona.
- E cosa ha detto?-
domandò l'amico, curioso, sistemandosi meglio sul letto su
cui era
sdraiato.
- Niente di che- fece la mora,
con una scrollata di spalle – È
a Parigi.
-
Ah, Parigi...-
sospirò sognante Lawrence – È
una città così romantica...-
Vera
roteò gli occhi e sorvolò sullo smielato commento
del biondo.
-
Ti ha detto
qualcos'altro?- chiese
Lawrence dopo qualche istante.
Vera
fece per parlare, ma si bloccò, esitante.
-
Cooper?- disse
perplesso il ragazzo – Cooper,
ci sei?
-
Ha detto che gli manco- rispose tutto d'un fiato la mora, sentendo le
proprie guance andare a fuoco.
Seguirono
alcuni secondi di silenzio, e, anche se non poteva vederlo, Vera
riusciva ad immaginare benissimo il sorrisetto strafottente che si
era appena dipinto sul viso dell'amico.
-
Lo immaginavo-
disse questo – Vi
piacete, maledizione-
continuò, sbuffando – Non
riesco a capire perché vuoi negare l'evidente attrazione che
c'è
tra di voi.
-
Io non l'ho mai negata!- ribatté Vera
-
Quindi ammetti che ti
piace.
-
Lawrence- sbottò la mora – È
solo attrazione fisica.
-
Tu credi?-
fece Lawrence.
-
Assolutamente- rispose la mora.
-
Convinta tu...-
Vera
roteò gli occhi una seconda volta, e calò di
nuovo il silenzio,
interrotto all'improvviso da un gran trambusto, proveniente
dall'altro capo del telefono.
-
Ma che succede lì?!- chiese Vera.
-
Nulla-
rispose Lawrence – È
solo la signora Anderson che bussa alla porta. Ignorala-
Il
rumore però diventava sempre più forte, e Vera
riuscì a sentire la
voce gracchiante della vicina di casa di Lawrence, la signora
Anderson:
-
Signor Williams! Signor
Williams apra immediatamente!-
urlava, colpendo energicamente la porta.
-
Credo sia meglio che tu vada ad aprire- disse Vera – Potrebbe
essere qualcosa di importante.
-
Sarà di nuovo sparito il suo gatto-
disse Lawrence – Non
preoccuparti-
Le
urla della signora però, diventavano sempre più
insistenti, e il
ragazzo si arrese.
-
Quella donna è
uno stress continuo-
sbuffò – Ci
vediamo domani, allora.
Vuoi che passi a
prenderti?
-
Lawrence, per l'ennesima volta: non
salirò sulla tua auto.
-
Cercavo solo di
essere gentile-
borbottò il biondo.
Fece
per aggiungere un'ultima cosa, ma il baccano sovrastò la sua
voce, e
riuscì solo a dire un impercettibile
“ciao”, per poi chiudere la
chiamata, lasciando una Vera piuttosto perplessa a guardare il
display del telefono.
La
mora scosse la testa, divertita, e poggiò l'apparecchio sul
tavolino
davanti a sé, per poi alzarsi e andarsi a sedere di nuovo
davanti al
pc, e notò che non aveva ancora chiuso la schermata con la
mail di
Philip.
La
rilesse velocemente, e decise di rispondergli.
Un
paio di minuti dopo, stava dando un'ultima occhiata a ciò
che aveva
scritto, e fece per inviare la mail, ma si fermò e decise di
aggiungere qualcosa in fondo
“ps:
-
scrisse – mandami
una cartolina da Parigi ;)”
Sorrise
lievemente e premette invia.
*
*
due
giorni dopo, il pomeriggio
Quando
Vera giunse davanti al cancello della villa di Bill e Madison,
credette di sognare.
La
casa era semplicemente abnorme: non aveva mai visto così
tanti metri quadrati tutti in una volta.
Non
aveva dovuto faticare molto per trovarla, nonostante si trovasse
lontana dal caos del centro di Los Angeles: l'aveva già
scorta
cinquantina di metri prima di arrivare.
I
muri erano rigorosamente bianchi, ma su di essi si stanziavano grandi
vetrate e sul basso era possibile scorgere alcune decorazioni,
perciò
la struttura non dava per niente l'impressione di rigidità,
ma di
leggerezza e spontaneità.
Intorno
vi era un giardino, i cui fiori emanavano un profumo che
provocò un
leggero pizzicore al naso di Vera.
La
ragazza suonò al citofono, e subito una voce femminile le
rispose.
-
Sì?
-
Ciao Madison. Sono Vera.
*
*
-
Ecco il caffè- disse Madison, posando una tazza davanti a
Vera.
-
Grazie- disse la mora, prendendola – Hai una casa molto
bella,
complimenti- disse guardandosi in giro e ammirando l'interno della
villa.
-
A Bill piacciono le cose grandi- ridacchiò Maddie
– Ama
l'esagerazione- continuò, scuotendo la testa, e muovendo
così i
capelli castani.
Vera
annuì mentre passava lo sguardo dai mobili in legno pregiato
ai muri
dipinti con un tenue azzurro cielo.
-
Credo che ora sia meglio parlare del matrimonio- disse poi,
rivolgendosi a Madison, che annuì, sorridendo.
Vera
prese il suo inseparabile taccuino ed una penna per annotare
ciò che
avrebbe detto la ragazza.
-
Bill mi ha parlato dei colori base- disse, mentre apriva il bloc
notes – Che mi dici dei fiori? Hai qualche preferenza?-
Madison
ci rifletté qualche istante, poi prese a parlare.
-
Credo che sarebbe fantastico avere decorazioni e centri tavola fatti
con rami di fiori di ciliegio.
-
Ottima scelta- fece Vera, mentre scriveva – Il loro colore e
il
rosa pesca si accompagnano molto bene-
Madison
sorrise di nuovo, entusiasta.
-
Che mi dici del catering?- chiese Vera.
-
Niente di particolare- rispose Maddie – A parte che Bill e
Tom sono
vegetariani-
Vera
sgranò gli occhi, allibita.
-
Non mangiano carne?-
chiese, stupefatta – È
assurdo. Io non riuscirei a resistere senza hamburger.
-
È
la stessa cosa che ho detto a Bill quando sono venuta a saperlo.
-
E lui che ha detto?
-
Beh...- fece Madison, prendendo a rigirarsi una ciocca di capelli
attorno all'indice – tra i tanti insulti ricordo solo
“assassina”
e “mostro”-
Vera
non riuscì a trattenere una risata: Madison era decisamente
simpatica.
*
*
intanto
-
Ok, ragazzi, per oggi basta. Andate pure-
Le
parole di David furono musica per le orecchie di Tom.
Ripose
la chitarra nella custodia ed uscì immediatamente dalla
cabina di
registrazione, seguito a ruota dagli altri.
-
Non voglio più vedere un solo microfono per i prossimi
vent'anni-
mormorò Bill, sfinito, gettandosi a peso morto sul divano,
imitato
da Georg, Gustav e Tom.
-
Vedi il lato positivo della cosa- disse Georg, stiracchiandosi
–
Abbiamo quasi finito- concluse con un sorriso.
-
Credo che diventerò pazzo prima- ribatté il
cantante,
massaggiandosi le tempie – Questa stanchezza mi
farà uscire di
testa.
-
Forse avremmo finito molto tempo fa se tu non continuassi a fermarti
per ogni minima imperfezione- sbuffò Tom.
Bill
gli rivolse uno sguardo piuttosto offeso.
-
Sono perfezionista- disse, incrociando le braccia –
Perché fare
una cosa bene se possiamo farla benissimo?-
Tom
scosse la testa, rassegnato, e la poggiò poi sullo schienale
del
divano.
All'improvviso
un ricordo gli attraversò la mente, e alzò
lievemente il capo,
rivolto verso il fratello.
-
Bill,- disse – per quanto tempo ancora hai intenzione di
tenere il
mio cd degli Aerosmith?- chiese con evidente disappunto.
Dapprima
il cantante assunse un'espressione piuttosto perplessa, poi il suo
viso s'illuminò.
-
Oh, sì, hai ragione- disse – Dev'essere in auto-
continuò –
Vado a prenderlo subito- concluse, alzandosi ed uscendo dallo studio.
-
Scommetto 20 euro che l'ha lasciato a casa- disse Georg, appena Bill
si chiuse la porta alle spalle.
-
Trenta che non lo trova più- aggiunse Gustav, mentre
prendeva una
birra dal minifrigo lì vicino.
-
Farà meglio a cominciare a correre, allora- fece Tom, con
una
smorfia.
Poco
dopo, Bill tornò nello studio, a mani vuote, con uno sguardo
dispiaciuto.
-
Tom...- cominciò, con voce imbarazzata.
-
Non dirmelo-
sibilò Tom, tentando di mantenere la calma.
-
Sono certo che non l'ho perso!- si giustificò subito il
biondo –
Sarà di sicuro a casa.
-
Bill, quante volte ti ho detto di fare attenzione alle cose che ti
presto?!- esclamò il fratello, visibilmente irritato
– Forza,
andiamo- disse poi, mentre si alzava dal divano e prendeva la propria
giacca e quella di Bill.
-
Andiamo dove?- chiese Bill, confuso, prendendo la giacca che Tom gli
stava porgendo.
-
A casa tua- disse sbrigativo il chitarrista – Voglio
il mio cd-
-
Ma...- tentò di opporsi il fratello, mentre il moro lo
spingeva
verso l'uscita, sotto gli sguardi divertiti di Georg e Gustav.
-
Non obbiettare,
Bill-
ordinò perentorio Tom – Non sei nella posizione
giusta per farlo.
Andiamo-
“Menomale”
pensò Georg, scuotendo la testa, quando i gemelli furono
usciti “che
sono figlio unico”
*
*
Mentre
si stavano mettendo d'accordo per andare insieme alla chiesa in cui
Bill e Madison si sarebbero sposati, Madison e Vera furono interrotte
dal rumore della porta che si apriva, accompagnata da due voci
maschili.
-
Non preoccuparti, lo troverò in un battibaleno.
-
Sarà meglio, Bill-
Qualche
istante dopo Bill e Tom fecero il loro ingresso in salotto, dove Vera
e Madison stavano sedute.
-
Buon pomeriggio ragazze!- esclamò allegro Bill.
-
Bill!- fece Madison – Credevo saresti tornato molto
più tardi.
-
David è stato misericordioso- spiegò il cantante
– Stavolta-
aggiunse, cupo – Come stai, Vera?- chiese poi alla mora, che
si era
completamente irrigidita all'arrivo dei gemelli.
-
Uh...? Ah, sì, bene, grazie- farfugliò, tornando
in sé.
Tom,
rimasto in silenzio fino a quel momento, si schiarì
improvvisamente
la voce, dando una lieve
gomitata nelle costole del fratello.
-
Non credi di star dimenticando qualcosa?- bisbigliò
all'orecchio di
Bill.
Il
cantante roteò gli occhi, e senza dire nulla si
dileguò, diretto al
piano di sopra.
-
Ha perso un altro dei tuoi cd?- chiese ironica Madison, con un
sorriso divertito sul volto.
Tom
annuì semplicemente, senza fiatare, posando poi i suoi occhi
nocciola su Vera, e ricambiò lo sguardo truce che la ragazza
gli
aveva rivolto da quando aveva messo piede nella stanza.
-
Vuoi sederti?- domandò gentilmente Madison, indicando il
divano
davanti a quello su cui era seduta accanto a Vera.
-
No- rifiutò il chitarrista – Credo che
andrò a prendermi un
bicchiere d'acqua- disse poi.
Rivolse
un'ultima gelida occhiata alla wedding planner e poi uscì
dal
salotto.
-
Scusalo- fece Madison, scrollando le spalle – Dev'essere una
giornata no. Di solito è più simpatico-
Vera
avrebbe voluto dire che simpatico
non era esattamente l'aggettivo con cui avrebbe descritto Tom, ma
preferì sorvolare.
-
Immagino...- disse quindi – Senti, credo che sia meglio che
vada-
aggiunse – Tra poco passerà il pullman che mi
porta a casa.
-
Oh, non hai l'auto?- chiese Madison, non essendo a conoscenza
dell'incidente di Vera e Tom.
La
mora strinse i pugni e si costrinse a non urlare, al pensiero di
quel brutto episodio.
-
Ho avuto un piccolo
incidente- spiegò – Nulla di grave, ma ho dovuto
portare l'auto
dal meccanico- mentì.
-
Capisco...- fece comprensiva Madison.
-
Mi terrò in contatto con te e Bill, per eventuali
cambiamenti o cose
del genere- disse Vera, alzandosi, seguita dall'altra.
-
Benissimo- disse quest'ultima – Ci vediamo allora.
-
Contaci- fece Vera, con un sorriso – A presto- concluse,
prendendo
la borsa ed allontanandosi.
Nel
dirigersi verso la porta d'ingresso, la mora gettò una
rapida
occhiata nella cucina ed intravide Tom. Anche se l'occhiata fu
piuttosto fugace, Vera poté giurare di vedere lo sguardo
freddo del
chitarrista penetrarla.
Cercò
di non pensarci, e, con una scrollata di spalle, aprì la
porta ed
uscì.
Poco
dopo Madison andò in cucina, dove trovò Tom
giocherellare con un
bicchiere.
-
Non sei stato molto carino con Vera- disse, a braccia conserte.
-
Quella ragazza non mi sta simpatica- disse il ragazzo, senza alzare
gli occhi.
-
È
gentile- ribatté Madison, andandosi a sedere accanto al
chitarrista.
-
Perché pensate tutti che sia gentile?- sbottò
infastidito
quest'ultimo – Non lo è. Non lo è per
niente.
-
Non dirmi che te la sei presa per quando ti ha scambiato per lo sposo
di Bill!- fece Maddie – Tom, ti credevo più
maturo- aggiunse,
accigliata – Vera è una ragazza molto carina. Non
capisco la tua
antipatia nei suoi confronti, davvero-
In
realtà. Tom si sentiva ancora umiliato per lo schiaffo che
Vera gli
aveva tirato il giorno dell'incidente, ma decise di non dirlo a
Madison, convinto che ciò sarebbe stato solo più
avvilente.
All'improvviso,
Bill fece la sua trionfale entrata in cucina, brandendo il tanto
sospirato cd.
-
Eccolo!- esclamò, allegro – L'ho trovato!-
aggiunse, porgendolo al
fratello.
-
Molte grazie- borbottò Tom.
-
Dov'è Vera?- chiese quindi Bill, guardandosi in giro.
-
È
già andata via- rispose Madison.
-
Oh,- fece il cantante dispiaciuto – Peccato è una
ragazza così
gentile... avrei voluto scambiarci due par...-
Il
ragazzo non riuscì a finire la frase, perché
interrotto dal forte
rumore della sedia che di Tom cadeva a terra.
Il
ragazzo mise velocemente la sua giacca e, infastidito dall'idolatria
di Bill e Madison nei confronti di Vera, uscì in fretta
dalla casa
del fratello, bofonchiando un mezzo saluto.
-
Ma che ha?- chiese Madison, rivolgendosi a Bill, mentre la porta si
chiudeva.
-
Orgoglio di Kaulitz ferito, Madison- spiegò il cantante con
un
sospirò – Non puoi capire.
*
*
Quel
Tom le dava sui nervi, senza dubbio.
Vera
non riusciva a ricordare una persona più irritante.
A
questo pensava mentre tornava a casa a piedi dalla fermata
dell'autobus che l'aveva lasciata a qualche centinaio di metri dal
suo palazzo.
Qualche
minuto dopo, arrivò davanti all'edificio, e una volta
entrata, una
figura bassa e tarchiata si piazzò davanti a lei.
-
Salve, signorina Cooper!- esclamò una signora tra i
cinquanta e
sessant'anni, dai capelli già grigi raccolti in uno
chignon., gli
occhi azzurri che guizzavano qua e là dietro ad un paio di
occhiali
dalle lenti spesse.
-
Buon pomeriggio, signora Clarke- rispose Vera – Ha posta per
me?
-
Sì- disse la donna, portinaia del palazzo, porgendo alla
ragazza una
cartolina – È
arrivata poco fa-
-
Beh, grazie- disse Vera, leggermente perplessa – Arrivederci-
disse
quindi.
Congedò
la signora Clarke e salì al suo appartamento.
Sulle
scale, osservò la cartolina, chiedendosi chi l'avesse
mandata, ma
appena vide l'immagine della Tour Eiffel che si stagliava contro il
cielo azzurro parigino, capì tutto, ed un sorriso si fece
spazio
sulle sue labbra.
Ok,
non è uno dei capitoli migliori.
Diciamo
che non succede nulla di davvero particolare!
Spero
che vi sia piaciuto comunque, ma in ogni caso, accetto anche le
critiche! ;D
Alla
prossima e grazie mille a tutti/e :)
|
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Capitolo 6 *** Six ***
Ehm...
Ciao...
Sì,
lo so è un po' che non posto, in effetti, ma davvero ero
presissima
da scuola e tutto il resto D:
Mi
dispiace non esserci stata, ma ora che sono iniziate le vacanze mi
farò sentire più spesso.
Prima
di leggere, però, vorrei dirvi un paio di cose:
nel
capitolo citerò Scotty, sì il cane dei gemelli
che se n'è andato
qualche tempo fa.
So
che non è esattamente una cosa molto carina parlarne, ma
l'avevo già
inserito nel mio schema dei capitoli e non volevo toglierlo :( Spero
che nessuno ne rimanga infastidito o cose del genere perché
non è
mia intenzione, davvero.
Un'ultima
cosa, sotto troverete un piccolo video :) Leggete fino in fondo e
capirete di cosa si tratta.
Beh,
detto questo, vi lascio alla lettura!
Un
bacione e grazie a tutti!
Six
Il
mattino seguente
Vera
stava girando il cucchiaino nella sua tazzina di caffè,
seduta a
gambe accavallate sulla poltrona del suo ufficio,
completamente assorta nei suoi pensieri, quando lo squillo del suo
telefonino la fece sobbalzare, facendo finire il caffè sulla
scrivania.
-
Maledizione!- borbottò la giovane, mentre cercava di
limitare i
danni, togliendo dal tavolo i documenti più importanti.
Il
cellulare intanto continuava a suonare, imperterrito.
Piuttosto
scocciata, la mora l'afferrò, e se lo portò
all'orecchio.
-
Pronto?
-
Credevo che non avresti più risposto!
- Marcy!- esclamò irritata Vera
– Hai idea di che pasticcio hai combinato?
-
Cosa ho fatto?- chiese
Marcy, stranita.
- Niente, lascia perdere- sbuffò
la mora – Hai bisogno di qualcosa?
-
Mi chiedevo se volessi venire a cena da me e
Ethan stasera-
propose la sorella, senza troppi convenevoli.
-
Stasera?- ripeté Vera.
-
Sì- affermò Marci,
mentre si mordicchiava il labbro inferiore, cercando di essere
convincente – Sei libera?
-
In realtà sono piuttosto indietro con il matrimonio di Bill
e
Madison...- tentennò Vera.
-
Oh, avanti!- esclamò la sorella
– Tutto questo lavoro ti
darà alla testa, prima o poi!- continuò
– Dovresti
prenderti qualche ora di relax- aggiunse.
-
E tu credi che potrei passare qualche ora di relax a
casa
tua?- fece Vera, divertita.
-
Ne sono più che sicura- asserì
Marcy.
-
Marcy, davvero, non so se sia una buona idea- disse la mora,
sospirando.
-
Non farti pregare, Vera!- rispose la sorella
– E poi,
sai, Nelly e Paul muoiono dalla voglia di vederti...- disse
Marcy, sapendo di aver colpito Vera nel suo punto debole.
Seguirono
alcuni istanti di silenzio, rotto da uno sbuffo di Vera.
-
Questo è un colpo basso, Marcy. Usare i tuoi figli come
ricatto!- si
lamentò la giovane – Va bene, verrò-
cedette alla fine.
-
Sapevi che ti avrei convinto!- gongolò
Marcy – Ti voglio
alle otto a casa mia. Sii puntuale!-
-
Non credo proprio che tu possa parlare di puntualità-
bofonchiò
Vera.
Marcy
sorrise e dopo aver salutato al sorella, chiuse la chiamata..
Sospirò
e poggiò il telefono sul tavolino di vetro davanti a
sé. Quando
alzò gli occhi incontrò lo sguardo di disappunto
del marito, Ethan,
seduto sul divano, accanto a lei.
-
Non guardarmi così- sbuffò la donna.
-
E come dovrei guardarti?- rispose Ethan – Marcy, non credo
che ciò
che stai facendo sia giusto.
-
Me l'hai già detto, Ethan- replicò Marci
– Ma cosa dovrei fare
secondo te?
-
Forse lasciare che le cose si sistemino da sole- propose l'uomo
–
So che lo stai facendo in buona fede,- aggiunse, portando un braccio
attorno alle spalle della moglie – ma forse sarebbe meglio
lasciare
che Vera e Florence sistemino la loro situazione per conto loro.
-
Ethan, conosco mia madre e mia sorella- replicò la donna,
scuotendo
la testa – Non voglio fare nulla di che... Solo una lieve
spintarella perché possano riappacificarsi-
Ethan
ridacchiò divertito, e strinse ancora di più a
sé Marcy.
-
Ho la sensazione- disse, dopo averle lasciato un leggero bacio sulla
tempia – che non ti limiterai alla spintarella-
* *
la
sera
Prima
di suonare alla porta di casa della sorella, Vera aveva una pessima
sensazione.
Conosceva
Marcy e sapeva che non l'avrebbe mai invitata a cena a metà
settimana senza un secondo fine. Pregò di sbagliarsi, ed
infine,
dopo aver inspirato a fondo, suonò il campanello.
Pochi
istanti dopo, la porta si aprì, mostrando un Ethan in forma
smagliante.
-
Vera!- esclamò l'uomo, abbracciando la cognata.
-
Ciao Ethan- disse la mora, ricambiando l'abbraccio – Come
stai?-
chiese poi, dopo essersi allontanata.
-
Non c'è male- rispose Ethan, con un sorriso –
Entra pure- aggiunse
poi, scansandosi per far passare la giovane.
Vera
sorrise ed entrò.
-
Sono in salotto- disse Ethan, dopo aver chiuso la porta.
La
giovane si diresse dove l'uomo le aveva detto, ma prima che potesse
metterci piede, due turbini la travolsero, facendola finire a terra.
Quando
riuscì a riacquistare l'equilibrio, Vera si trovò
davanti due
bambini di due e cinque anni. Una, la più grande, Nelly,
aveva
lunghi capelli lisci e castani, mentre il più piccolo, Paul,
aveva i
capelli ricci e scurissimi. Entrambi avevano grandi occhi azzurri,
ereditati dal padre.
-
Ciao zia!- esclamarono i due, con una tenera vocina che fece
sciogliere Vera.
-
Ciao ragazzi- rispose – Come state?
-
Bene- dissero all'unisono i bambini.
-
Rima'i a ce'a?- chiese Paul.
-
Sì, piccolo, rimango a cena- disse Vera, scompigliandogli i
riccioli.
-
Che bello!- esclamò Nelly, battendo le mani, felici
– C'è anche
nonna Flo!-
Vera
sgranò gli occhi e non disse più una parola.
Ora
capiva il comportamento di Marcy.
Quella
degenerata di sua sorella l'aveva incastrata!
-
Vieni, andiamo!- disse Nelly, afferrandole un indice, per poi
trascinarla ungo il corridoio.
-
Mamma, mamma! E' arrivata zia Vera!- esclamò invece Paul,
superandole ed andando in salotto.
Quando
Vera entrò, trovò sua sorella seduta sul divano,
a gambe
accavallate, vestita con un paio di semplici jeans chiari ed un
dolcevita bianco. La mora spostò poi lo sguardo sulla
persona che le
stava accanto.
Era
una signora di mezz'età, dai capelli biondissimi tenuti a
caschetto,
la pelle ambrata e un paio di grandi occhi verdi.
-
Ben arrivata, Vera!- esclamò Marcy, cercando di far finta
che fosse
tutto normale – Pensavamo ti fossi persa!-
La
mora, cercando di non saltarle al collo, non rispose e
continuò a
guardare la donna seduta accanto alla sorella.
-
Ciao, Vera- disse questa, con un lieve sorriso.
Vera
rispose con una smorfia, che sarebbe dovuta sembrare un sorriso di
rimando, e si ritrovò a pensare che, nonostante tutto, sua
madre,
Florence, non era cambiata di una virgola.
*
*
intanto
- Ragazzi, sto morendo di fame-
piagnucolò Bill, portandosi una mano allo stomaco
brontolante.
Lui e il resto della band si
stavano prendendo una pausa dalle registrazioni per l'album, che si
annunciavano piuttosto faticose e anche lunghe. Probabilmente
sarebbero dovuti rimanere in studio tutta la notte.
- Nel minifrigo dovresti trovare
qualcosa...- disse David, mentre scriveva qualcosa al computer.
- Ho già cercato!- si lamentò
il cantante – Ci sono solo un paio di birre. Non posso
sfamarmi con
la birra!
- Beh, allora fatti un panino e
taci, per favore, sto cercando di dormire!- esclamò Tom,
sdraiato
sul divano di fronte a Bill.
- Va' al diavolo- disse il
biondo incrociando le braccia e assumendo un'espressione offesa.
- David, credi che potremmo
ordinare una pizza?- chiese Georg, alzando gli occhi dalla rivista
che stava leggendo – In fondo, Bill non ha tutti i torti-
- Sì, ma credo che uno di voi
dovrà prendersi la briga di andare a prenderle. Non voglio
rischiare
che qualche fattorino chiacchierone dica a tutti dove registriamo-
rispose il manager, senza distogliere lo sguardo dallo schermo del
pc.
- Vado io- si propose Gustav,
alzandosi dalla poltrona su cui stava – Ho bisogno di
prendere un
po' d'aria.
- Va bene- acconsentì David –
Tom, va' con lui.
- Cosa?!- disse esterrefatto il
chitarrista, alzando la testa dal divano, quel poco che bastava per
guardare David – Perché?- chiese.
- L'ultima volta che Gustav è
andato in giro da solo, si è preso una bottiglia di vetro in
testa-
spiegò David, voltandosi verso il moro – Non ti
sto chiedendo
molto, Tom. Per favore- aggiunse poi.
Il giovane sbuffò, per poi
alzarsi, prendere la giacca e raggiungere Gustav, che stava
già
sulla soglia.
- Andiamo- disse questo.
Tom emise un verso simile ad un
grugnito e seguì l'amico fuori dallo studio.
I due salirono sull'auto del
batterista, che mise in moto la vettura e si diresse verso la
pizzeria più vicina.
- Non capisco perché sono
sempre io a dover fare da badante a tutti quanti- sbuffò
Tom,
appoggiando un gomito sul finestrino aperto.
- Forse perché sei una persona
responsabile- disse Gustav, con un sorriso divertito.
Tom gli rivolse uno sguardo
scocciato.
- Non credo che responsabile sia
l'aggettivo con cui mi descriverebbe David.
- O Bill- aggiunse Gustav – O
tua madre. Oppure...
- Smettila!- esclamò Tom – Ho
capito, non c'è bisogno che tu vada avanti-
Nell'auto calò il silenzio,
interrotto all'improvviso dalla musica dei Metallica che
riempì
l'abitacolo.
- Gustav! Sei impazzito?!- urlò
Tom, cercando di sovrastare il suono – Vuoi forse farmi
diventare
sordo?- aggiunse, abbassando il volume della radio.
- Tu non capisci cosa sia la
vera musica- disse Gustav, scuotendo la testa.
- Questo non è un buon motivo
per farmi saltare i timpani- borbottò il moro.
Il viaggio proseguì
tranquillamente, accompagnato dalla voce di James Hetfield.
- Come va con Angelika?- chiese
all'improvviso Tom, riferendosi alla ragazza dell'amico.
Gustav sospirò e lasciò
passare qualche istante di silenzio.
- Non molto bene, in effetti-
confessò – In realtà, è
tutto uno schifo. Credo che la lascerò.
- Dopo ben un anno di sms
smielati, fiori e cioccolatini, vuoi lasciarla?- fece Tom, quasi
scandalizzato – E qual è il motivo?
- Non lo so...- disse il
batterista, scuotendo la testa -In realtà, credo che la
nostra
storia non sia mai stata una vera e propria storia.
Col lavoro
che faccio, è difficile tenere in piedi una relazione.
Insomma, non
siamo tutti Bill e Madison- spiegò – E' la cosa
migliore per tutti
e due.
Tom annuì, trovandosi
pienamente d'accordo con le parole di Gustav.
- Quando pensi di farlo?-
domandò, dopo qualche istante di silenzio.
- Appena torno in Germania-
rispose Gustav – Voglio mantenere un briciolo di
dignità e
dirglielo di persona.
- E' la cosa più giusta- disse
Tom.
Intanto i due erano arrivati
alla pizzeria, e il batterista stava parcheggiando poco lontano
dall'ingresso.
- In ogni caso,- fece Tom,
mentre si toglieva la cintura di sicurezza - nel caso fossi a secco,
dimmelo pure: ho talmente tante ragazze che potrei prestartene
qualcuna- concluse, scendendo.
Gustav rise, scuotendo la testa:
Tom non si smentiva mai.
* *
La cena non stava andando nel
modo in cui Marcy aveva sperato.
Sulla tavola imbandita di
pietanze da lei stessa cucinate, era calato un silenzio imbarazzante,
e nessuno osava fiatare.
La giovane donna poteva vedere
benissimo negli occhi della sorella Vera un profondo odio verso di
lei, e in quelli della madre Florence un senso di disagio ed
imbarazzo.
- La cena è ottima, Marcy-
disse Ethan, cercando di smorzare l'atmosfera.
- Grazie- rispose Marcy –
Alcune ricette me le ha date mamma. E' una cuoca provetta, non
è
così, Vera?-
La mora alzò lo sguardo dal suo
piatto e fulminò con gli occhi la sorella maggiore,
rispondendo con
un semplice cenno del capo.
- Avanti, Vera- insistette Marcy
– Ricordo di quando non vedevi l'ora di tornare a casa da
scuola
per gustarti uno dei manicaretti-
La donna pensò che Vera dovette
apprezzare i suoi sforzi, perché questa volta la mora
tentò di
sorridere.
- Sì...- disse, cercando di
sembrare disinvolta – E'... è brava. Molto.
- Grazie, Vera- rispose
Florence, sorridendo a sua volta.
Marcy tirò un lieve sospiro di
sollievo, pensando che forse il ghiaccio stava cominciando a
sciogliersi.
- Allora, Florence- disse Ethan,
mentre puliva la bocca Paul dalle macchie di cibo – Come sta
Greg?-
A sentire quel nome, Vera
d'irrigidì sul posto, e strinse le dite attorno alla
forchetta,
tanto che le sue nocche diventarono bianche.
- Sta bene- rispose Florence –
In questi giorni è via per lavoro, ma tornerà
domani. L'ho sentito
prima di venire qui. Vi saluta tutti- fece una pausa e
guardò la
figlia – Anche te, Vera- aggiunse quindi, aspettando che la
mora
rispondesse.
- Beh, digli che può tenere per
sé i suoi saluti- sbottò la ragazza, in preda
alla rabbia.
- Vera!- esclamò Marcy,
indignata.
La mora non disse niente, e
ritornò a mangiare, così come Ethan e Florence.
Marcy, invece, decise di parlare
a quattrocchi con la sorella.
- Vera, potresti venire di là
in cucina, per favore?- disse alzandosi, e facendo segno a Vera di
seguirla.
La giovane roteò gli occhi, ma
non protestò e seguì Marcy in cucina.
- Perché ti comporti in questo
modo?- chiese la donna, una volta chiusa la porta.
- Oh, avanti, Marcy!- fece Vera
– Tutto questo è una grande pagliacciata!
- Io mi sto sforzando di farvi
riappacificare!- disse Marcy, alzando il tono di voce.
- Nessuno te l'ha chiesto-
ribatté Vera, con disprezzo.
- Forse lo faccio perché vorrei
che la mia famiglia si ricomponesse!
- Beh, sappi che la tua famiglia
non si può più ricomporre!- disse Vera
– E per quanto tu ti
sforzi, Marcy, mancherà sempre un pezzo in questa
maledettissima
famiglia!- aggiunse, abbassando il tono di voce, cercando di
ricacciare indietro le lacrime che minacciavano di bagnarle il viso.
Marcy la guardò con
un'espressione ferita: Vera non le aveva mai detto una cosa simile.
La ragazza si rese conto di aver
esagerato, ma rimase in silenzio, ed abbassò lo sguardo,
fissando il
pavimento.
- Credo sia meglio che vada a
casa- disse poi, dopo qualche minuto.
- Chiederò ad Ethan di
accompagnarti- fece Marcy, atona.
La giovane donna uscì dalla
cucina e dopo qualche minuto vi ritornò con la borsa e la
giacca
della sorella, seguita dal marito.
- Tieni- disse porgendo le cose
a Vera.
Una volta che Vera le ebbe
prese, si voltò mormorò un semplice “ciao”
e se ne andò.
- Andiamo?- disse Ethan, con un
sorriso di comprensione.
Vera annuì e seguì l'uomo
fuori dalla cucina, e poi fuori dall'appartamento, fino all'auto di
Ethan.
Dopo pochi minuti di viaggio, il
biondo iniziò a parlare.
- Marcy non è cattiva...
- Ti prego, Ethan...- fece Vera
- Non credo si meriti questo
trattamento- continuò, però, l'uomo.
- So che non è cattiva-
replicò
Vera – Ma se si fermasse a ragionare, capirebbe che in fondo
il suo
comportamento è un tantino egoista.
- Florence vorrebbe
riconciliarsi con te, Vera. Marcy sta cercando di darle una mano.
- Ethan, mia madre è grande e
vaccinata- sbottò Vera – Potrebbe venire a
parlarne direttamente
con me.
- Ha paura che tu...- cercò di
dire Ethan.
- Sì, lo so- lo interruppe la
mora – Marcy me l'ha già detto-
Tra i due scese il silenzio, che
Ethan ruppe poco dopo.
- Non ti capisco, davvero!-
esclamò – Sei un vero mistero! Qual è
il tuo problema con Greg?
- Ha voluto prendere un posto
che non gli apparteneva- rispose Vera, guardando fuori dal finestrino
– Un posto che solo una persona poteva occupare.
- Vera, sai bene che Greg non
voleva usurpare quel posto-
La ragazza decise di non
rispondere e tacque.
Poco dopo arrivarono davanti a
casa di Vera.
- Cosa fai?- chiese la mora,
vedendo Ethan togliersi la cintura.
- Ti accompagno alla porta-
disse lui, come se fosse ovvio – Si fa così con le
signorine-
Vera roteò gli occhi,
divertita, si lasciò scortare dal cognato fino alla porta
d'ingresso
del palazzo.
Mentre i due si salutavano,
un'auto spuntò alla fine della strada, quasi accecandoli con
i suoi
fari.
Ethan cominciò a gesticolare,
facendo capire all'autista di dover spegnere gli abbaglianti.
Subito le luci si spensero, e
l'automobilista alzò la mano verso i due, in segno di scuse.
- Ma quella è... - disse il
passeggero al suo fianco, guardando nello specchietto retrovisore ed
osservando Vera che abbracciava Ethan per poi entrare nell'edificio.
- La conosci?- fece il
guidatore.
- E'... è la wedding planner di
Bill!
* *
poco
dopo
-
Vera insieme ad un uomo molto più grande di lei?-
Bill
non credeva alle sue orecchie: non riusciva ad immaginare Vera
insieme ad un uomo di trent'anni o più, quando lei non
doveva averne
più di ventidue o ventitré.
Ma
da quel che gli stava raccontando Tom, sembrava tutto il contrario.
-
Sei sicuro di ciò che hai visto, Tom?- chiese, mentre
tagliava una
fetta di pizza.
-
Certo che sì- disse Tom, mandando giù un boccone
– Ormai, quella
ragazza la riconoscerei tra mille. Non mi dimenticherò
facilmente di
lei.
-
Beh, è difficile scordarsi della ragazza che ti ha lasciato
il segno
delle cinque dita sulla guancia- lo prese in giro Georg.
-
Zitto e mangia, Hagen- lo intimò il chitarrista.
Il
bassista riprese a mangiare, nonostante un sorriso strafottente si
fosse dipinto sulle sue labbra.
-
E smettila di ridere! Mi dai sui nervi!- sbraitò Tom,
cercando di
dargli una botta sulla nuca, che però Georg
schivò abilmente,
scoppiando poi in una fragorosa risata.
-
Ti odio, Hagen- brontolò Tom – Ti odio davvero.
*
*
il
mattino dopo
Tom
non ricordava un sessione di registrazione più lunga. Per un
attimo
aveva temuto che avrebbe passato il resto della sua vita chiuso in
quello studio.
Quando
però David aveva acconsentito a lasciarli andare a casa,
aveva
tirato un sospiro di sollievo.
Una
volta giunto a casa, il ragazzo aveva fatto un lungo e rigenerante
bagno caldo, per poi gettarsi a peso morto sul suo materasso, dove si
era addormentato di botto, dopo pochi minuti.
Aveva
dormito per ore, fino a pomeriggio inoltrato, battendo ogni record.
Si
sarebbe goduto ancora qualche ora di sonno, se solo il suo cane,
Scotty non avesse deciso di rovinargli i piani saltando sul letto e
leccandogli la faccia.
-
Ho capito, ho capito- bofonchiò, cercando di allontanare il
muso del
cane – Mi alzo, mi alzo- disse, mettendosi a sedere
– Si può
sapere che c'è?- chiese poi, mentre Scotty, depositava sul
cuscino
il guinzaglio.
Tom
prese l'oggetto e se lo rigirò tra le mani.
-
Vuoi uscire? Proprio adesso? Non puoi aspettare ancora un po'?-
Per
tutta risposta, Scotty cominciò ad abbaiare e scodinzolare,
convincendo definitivamente Tom.
-
Va bene, va bene!- disse il chitarrista – Ora ti porto fuori-
Scese
dal letto con il guinzaglio in mano, e si fece seguire dal cane fino
alla porta d'ingresso. Lì mise le scarpe e una felpa
leggere, per
poi mettere il guinzaglio a Scotty, facendogli qualche
raccomandazione.
-
Ti porto al parco, vedi di fare il bravo o ti porto subito a casa.
Siamo intesi?-
Scotty
piegò la testa di lato, e Tom prese quel gesto come un
“sì”
-
Bene,- disse – andiamo-
Uscì
e si chiuse la porta alle spalle, raggiunse la sua auto e vi
salì
insieme al cane.
Arrivò
al parco in una decina di minuti, e fu contento del fatto che a
quell'ora non ci fossero troppe persone, e nemmeno un paparazzo in
vista.
Si
guardò in giro, beandosi della vista delle ragazze che
facevano
jogging in shorts e canotta, dimenticandosi per un momento di Scotty.
Sul muso, del cane, intanto, si era posata una farfalla, che aveva
attirato la sua attenzione. Quando volò via, Scotty, nel
tentare di
raggiungerla, strattonò il braccio di Tom, che si
voltò d scatto.
-
Scotty! Ma che hai?- disse, cercando di fermare il cane.
Ma
era troppo tardi: Scotty si era liberato dalla sua presa, ed era
partito all'inseguimento della farfalla.
-
Scotty! Scotty, fermati!- urlava intanto Tom, alla rincorsa del suo
cane.
Ma
Scotty sembrava non sentirlo, preso com'era dalle ali colorate della
farfalla, che volava sempre più lontano.
-
Scotty! Ti prego, fermati!- urlò ancora il moro.
Non
guardando dove andava perché troppo occupato a seguire
Scotty, il
chitarrista urtò un paio di persone, fino, poi, a finire
contro una
giovane che perse l'equilibrio e cadde a terra, con lui addosso.
-
Ehi! E guarda dove vai!- disse la ragazza, con evidente scocciatura.
-
Scusa! Il mio cane... la farfalla... Io... sono desolato, davvero-
disse Tom, porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi.
La
ragazza l'afferrò e si tirò su, ma appena vide
chi l'aveva urtata,
tolse subito la mano da quella di Tom e fece qualche passo indietro.
-
Tu?! Ancora?!
-
Oh, maledizione! Non è possibile!- esclamò Tom,
schiaffandosi una
mano in fronte – Vera!-
Mentre
i due, ancora increduli, aprivano bocca per insultarsi a vicenda, si
sentì il rumore di qualcosa che cadeva nell'acqua.
-
Scotty!- urlò Tom, correndo verso il laghetto del parco,
poco
distante da loro, seguito da Vera, che cercava di parlargli.
-
Ehi tu! Non ho finito con te!- gli diceva, cercando di fermarlo.
Quando
giunsero sulla riva del laghetto, Tom fece in modo di far uscire il
cane dall'acqua.
-
Sei un vero disastro, Scotty- si lamentò il ragazzo.
-
E' il tuo cane?- fece Vera, inarcando un sopracciglio.
-
Sì- replicò Tom – Non ne hai mai visto
uno?- chiese poi, ironico.
Vera
fece controbattere, ma poi il suo sguardo cadde su Scotty, che,
grondante d'acqua, li osservava, immobile.
-
Spero che il tuo cane non stia per fare quello che credo che stia per
far...-
Non
riuscì a finire la frase, perché Scotty
cominciò a scuotersi,
bagnando completamente Tom e Vera.
Quando
si fermò, sia il chitarrista che la mora erano fradici dalla
testa
ai piedi.
-
Io... io... davvero, scusami. Questa volta non è colpa
mia...-
mormorò Tom, cercando di giustificarsi come poteva.
-
Certo che è colpa tua!- sbraitò invece Vera
– Guarda cosa ha
combinato il tuo cane...- aggiunse poi, indicandosi – Non
posso
tornare a casa in queste condizioni!- borbottò.
A
sentire quelle parole, una strana idea balenò in testa a Tom.
All'inizio
si diede dell'idiota.
“Le
sta bene” si disse “Così
capirà con chi ha a che fare”
Vedendo
però la mora in seria difficoltà, decise che
forse, per una volta,
avrebbe potuto mettere da parte il suo orgoglio.
-
Sei un idiota!- urlava intanto Vera.
“O
forse no. In fondo, perché dovrei?”
Tom
pensò alla goduria che avrebbe provato nel vedere quella
smorfiosa
tornare a casa a piedi, bagnata fradicia.
“Sarebbe
magnifico”
Il
chitarrista spostò o sguardo su Scotty, che sembrava quasi
aver
capito le intenzioni del padrone e lo guardava con uno sguardo che
qualcuno avrebbe considerato di rimprovero, al che Tom
sospirò,
cedendo.
“Me
ne pentirò, ne sono certo”si disse.
-
Ehm... Vera?- fece un istante dopo, ottenendo l'attenzione della
mora.
-
Che vuoi?- ringhiò la ragazza.
-
So che non dovrei farlo, e che sicuramente questa diventerà
una
delle cose più sbagliate che abbia mai fatto, ma sono un
gentiluomo
quindi te lo proporrò lo stesso: ho qui l'auto, se vuoi puoi
venire
a casa mia, così ti do un paio di vestiti asciutti e
potresti darti
una sistemata. Che ne dici?
Ooooook.
Il
video che segue è il trailer (se così si
può definire) di una
fanfic che mi è venuta in mente negli ultimi tempi. La
qualità non
è ottima, lo so, ma non ho potuto fare di meglio, ho trovato
solo
questo sito di video hosting non vogliatemene :'(
Un'ultima
cosa, per fare in modo che la pubblicità non ostruisca (come
sono
colta LOL *-*) la vostra visuale, prima che il video si carichi, cliccate su "close to play" oppure mettete il video a schermo rande :)
Bene,
alla prossima e fatemi sapere cosa ne pensate, sia del video sia del
capitolo :D
Ccccciao
*-*
EDIT: Trovate il video su yt c: Il link del mio canale è nella mia biografia, sulla mia pagina autore c: |
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Capitolo 7 *** Seven ***
Seven
Vera
non si era mai sentita tanto fuori luogo in tutta la sua vita.
Avrebbe
voluto andarsene e dimenticare quello che era successo poco prima,
ma, seduta sul sedile di pelle nera dell'automobile di Tom, lanciata
in corsa verso casa del chitarrista, poteva fare ben poco.
-
Sai,- fece il chitarrista, fermandosi ad un semaforo –
potresti
anche ringraziarmi- concluse scoccandole un'occhiata infastidita.
-
Non ti ho chiesto io di lasciare che il tuo cane mi bagnasse da capo
a piedi- ribatté la mora, distogliendo lo sguardo, e
stringendosi
nell'asciugamano da spiaggia che il giovane aveva trovato nel
bagagliaio dell'auto e le aveva gentilmente
prestato.
Sentendosi
chiamato in causa, Scotty, comodamente sdraiato sul sedile
posteriore, abbaiò un paio di volte, per poi ritornare a
sonnecchiare.
Tom
sbuffò e, senza dire nulla, ripartì.
Poco
dopo i due arrivarono davanti a casa del chitarrista.
-
Siamo arrivati- annunciò il ragazzo a Vera – Vedi
di non sporcare.
Hanno appena pulito- la ammonì, togliendosi la cintura di
sicurezza
e scendendo dall'auto, per poi aprire la portiera dietro per far
scendere Scotty.
Vera
roteò gli occhi e scese a sua volta, seguendo poi Tom e il
cane fino
alla porta d'ingresso.
Il
ragazzo aprì ed entrò, mentre Scotty corse in
salotto. Il moro fece
qualche passo e poi si voltò, trovando Vera ancora sulla
soglia.
-
Beh?- fece, perplesso.
Vera
fece una smorfia e si guardò le punte dei piedi.
-
Stai davvero
aspettando che
io ti dica di entrare?- chiese il chitarrista, chiaramente stupito.
La
ragazza non rispose, e si mordicchiò il labbro inferiore,
notevolmente imbarazzata.
-
Tu sei davvero strana- disse Tom, alzando gli occhi al cielo
– Entra pure, Vera-
aggiunse poi.
Con
qualche esitazione, la mora entrò e chiuse la porta alle sue
spalle.
-
Vieni con me- disse Tom, dirigendosi verso le scale.
Vera
lo seguì al piano superiore, ed entrò con lui in
una stanza, che la
ragazza riconobbe come quella del chitarrista.
Tom
andò all'armadio, lo aprì e vi frugò
dentro, per poi tirarne fuori
una t-shirt bianca, un paio di pantaloni della tuta ed un sacchetto.
Chiuse l'armadio e porse a Vera il tutto.
-
Ecco- le disse, – Non sono all'ultima moda, ma almeno sono
asciutti- aggiunse, con un'alzata di spalle.
Vera
annuì, si tolse l'asciugamano e lo lasciò cadere
a terra, per poi
guardare Tom, con un sopracciglio alzato.
-
Qual è il problema adesso?- chiese il ragazzo, scocciato, a
braccia
conserte.
-
Hai intenzione di guardarmi mentre mi cambio?- replicò lei.
-
Beh, non sarebbe la prima volta che vedo una ragazza nuda- disse con
nonchalance
Tom.
Vedendo
che Vera non era affatto divertita dalle sue parole, il giovane
decise di accontentarla ed uscì.
Rimasta
sola, la mora trasse un sospiro, e cominciò a liberarsi dei
vestiti
ancora bagnati, per poi indossare quelli che Tom le aveva dato.
Quando
finì, prese il cellulare dalla tasca dei suoi pantaloni e lo
mise in
quella dei pantaloni che stava indossando, per poi mettere i suoi
vestiti nel sacchetto che il moro le aveva dato. Fece per uscire, ma
un dettaglio la fermò.
Sul
comodino a fianco del letto di Tom stava un elastico per capelli.
Le
labbra di Vera s'incresparono in un sorriso, e la giovane si
avvicinò
al mobile, per poi prendere l'elastico.
“Ne
avrà a migliaia” pensò mentre si
toglieva il suo, anch'esso
bagnato, per poi appoggiarlo sul comodino “Non se ne
accorgerà
nemmeno” si disse ancora, mentre legava i capelli scuri con
l'elastico di Tom.
Una
volta fatto, uscì dalla stanza, scese le scale e si
fermò, non
sapendo dove andare.
-
Sono qui!- disse una voce da una delle porte che davano sul
corridoio.
Vera
la seguì e giunse in cucina, dove Tom stava finendo di
preparare il
caffè.
Il
ragazzo diede una veloce occhiata alla mora, per poi tornare a finire
ciò che stava facendo.
-
Sono ancora convinto che dovresti ringraziarmi- si lamentò
mentre
metteva due tazzine di caffè su un piatto – Vieni,
andiamo in
salotto- disse, prendendo il piatto ed uscendo dalla cucina, seguito
da Vera.
I
due andarono in salotto e si sedettero sul divano di pelle bianca.
Tom prese una tazzina e la porse alla mora, che la prese e
cominciò
a sorseggiare il suo caffè, imitata poi dal chitarrista.
Tra
i due ragazzi scese un silenzio imbarazzato, interrotto solo dal
rumore delle tazze e dei piattini.
-
Quindi... ehm-fece Tom - Ti piace fare jogging.
-
Già...- rispose Vera, posando la sua tazza vuota sul piatto.
Seguirono
altri minuti di silenzio, in cui la mora cercava un modo per uscire
da quell'imbarazzante situazione.
“Devo
andarmene assolutamente”, pensava, mentre giocherellava
nervosamente con le mani.
All'improvviso
si sentì lo squillo di un telefono.
-
E' quello di casa- spiegò Tom, alzandosi - Arrivo subito-
disse,
poi, uscendo dal salotto per andare a rispondere.
Rimasta
sola, Vera si alzò a sua volta e cominciò a
perlustrare le pareti
della stanza, su cui erano appesi quadri di dubbio gusto e foto
incorniciate, che attiravano maggiormente la sua attenzione.
Una
delle foto raffigurava Tom, Bill e altri due ragazzi stringere con
fierezza un trofeo di Mtv. La mora pensò che i due giovani,
uno dai
capelli corti e castani con un ciuffo, l'altro biondo con gli
occhiali, dovessero essere gli altri due membri della band dei
gemelli.
Vera
passò in rassegna le altre immagini, che rappresentavano in
gran
parte Tom e suoi amici, per poi soffermarsi su una in particolare.
Nella
foto erano immortalati Bill e Tom abbracciati ad una signora dai
capelli corti e biondissimi, gli occhi chiari, la pelle eburnea e il
viso illuminato da un sorriso beato.
-
E' mia madre- disse una voce alle spalle della giovane.
Vera
si voltò di scatto e vide Tom che l'osservava.
-
Oh- commentò solamente - E' molto bella- aggiunse,
ritornando a
guardare la foto.
-
Sì, lo è- mormorò il chitarrista.
Vera
ebbe un improvviso ed incontrollato moto d'invidia verso i gemelli:
da quell'immagine traspariva tutto l'amore e l'affetto che i due
ragazzi nutrivano per la loro madre.
Quell'abbraccio,
quei sorrisi, quegli sguardi sereni le davano quasi alla testa.
Lei
non aveva mai avuto un rapporto simile con la propria madre. Non se
lo sarebbe mai nemmeno sognata.
Si
lasciò scappare un triste sospiro, che Tom non
notò.
Poco
dopo, il cellulare di Vera vibrò. La giovane prese il
telefonino e
guardò il display: Lawrence le aveva mandato un messaggio.
“Ehi?!
Cinese?! Ti ricorda qualcosa?”
Vera
si schiaffò una mano in fronte, ricordandosi solo in quel
momento di
essersi messa d'accordo con l'amico per cenare insieme quella sera.
-
Va tutto bene?- le chiese Tom, ancora in piedi dietro di lei
-
Credo...- rispose Vera - credo sia meglio che vada.
-
Ehm... sì, va bene- disse il chitarrista -
Porterò i tuoi vestiti
in tintoria.
-
Non hai una lavatrice?- chiese Vera, inarcando un sopracciglio.
-
Non sono affari tuoi!- esclamò Tom rosso in viso.
-
Ok, ok- disse Vera, portando le mani avanti - Beh, io vado- aggiunse,
dirigendosi verso il corridoio.
-
Ehi!- esclamò Tom, seguendola fino all'ingresso - Non credi
di aver
dimenticato qualcosa?-
Vera
lo guardò, divertita.
-
Grazie, Tom- disse con un sorriso strafottente,
prima di
uscire e chiudersi la porta alle spalle.
*
*
il
mattino dopo
-
Buongiorno-
Bill,
seduto al tavolo della cucina, si voltò, e sorrise nel
vedere
Madison avvicinarsi a lui e dargli un tenero bacio sulla tempia.
-
Buongiorno Madison- disse, mentre lei andava a preparare la sua
colazione - Dormito bene?
-
Una meraviglia- rispose la ragazza, con un sorriso
complice,
ripensando alla sera prima.
-
Ne sono felice - fece Bill, mentre finiva di bere il suo caffellatte
Madison
finì di preparare il suo caffè, si sedette di
fronte al fidanzato,
prese una fette biscottata e cominciò a spalmarci sopra
della
marmellata di ciliegie.
-
Senti,- disse, riponendo il vasetto - finirai molto tardi oggi?
-
No, oggi niente registrazioni- rispose Bill, pulendosi la bocca con
un tovagliolo - Andiamo allo studio solo per rivedere alcune cose,
quindi finiremo molto presto, suppongo.
-
Bene- fece Madison con un sorriso - Avevo intenzione di invitare Vera
a cena. Tu che ne dici?
-
Ottima idea!- disse il biondo - Così, finalmente parleremo
insieme
di questo matrimonio- aggiunse, alzandosi da tavola - Ci pensi tu a
chiamarla?-
Madison
annuì, e prese a mangiare.
-
Io vado- disse Bill - Devo passare a prendere Tom, e sono anche in
ritardo- aggiunse - Ci vediamo dopo- concluse, lasciando un lieve
bacio sulla guancia di Madison, che, quando lui si
allontanò, avendo
la bocca piena, e non potendo quindi parlare, si limitò ad
agitare
la mano in segno di saluto.
Il
biondo fece per andarsene, quando si fermò sulla soglia, e
ritornò
a guardare la fidanzata.
-
Ah, Madison- disse.
La
mora alzò la testa e lo osservò perplessa.
-
Hai la bocca sporca di marmellata- disse semplicemente Bill, ridendo
poi nel vedere la ragazza affrettarsi a prendere un tovagliolo e
pulirsi le labbra - Ci si vede!-
Il
cantante uscì dalla cucina, per poi aprire la porta
d'ingresso e
chiuderla alle sue spalle
*
*
-
Alla buon'ora!- esclamò Tom, salendo nell'auto del fratello.
-
Scusa, non ho sentito la sveglia stamattina- rispose Bill.
-
Che hai combinato ieri sera?- chiese il chitarrista con strafottenza.
Bill
divenne rosso e decise di non rispondere, borbottando solo “non
sono affari tuoi”.
Dopo
qualche minuto di silenzio, Tom decise di raccontare al gemello del
giorno prima.
-
Ho incontrato Vera ieri- disse, guardando fuori dal finestrino.
Bill
gli gettò una rapida occhiata occhiata di sorpresa,
-
Dove?
-
Al parco- fece Tom - E' tutta colpa di Scotty-
In
poco tempo il moro raccontò al fratello del movimentato
incontro con la wedding planner.
-
L'hai invitata a casa tua? Cioè, davvero?-
chiese Bill
esterrefatto, ala fine del racconto.
-
Già- commentò Tom, con una smorfia - Non ci credo
nemmeno io-
Bill
ridacchiò, per poi ammutolirsi: una strana idea gli era
balenata in
testa.
Sul
suo volto apparve un sorrisino, che non sfuggì a Tom.
-
Cos'hai in mente?- chiese, con una lieve punta di paura nella voce.
-
Niente- rispose con finta innocenza il biondo - Senti, hai programmi
per stasera?- chiese poi a bruciapelo.
-
No- rispose Tom, ancora diffidente - Perché?- si
affrettò a
chiedere.
-
Sei invitato a cena da me e Madison- disse Bill - Non si accettano
rifiuti.
*
*
intanto
Vera
stava ancora pensando alla vicenda del pomeriggio precedente,
sdraiata sul suo letto, mentre si godeva la sua giornata libera,
quando il telefonino, messo sul cuscino, accanto alla sua testa,
squillò.
-
Pronto?- rispose subito la mora.
-
Ehi, Vera, sono Madison.
-
Oh, ciao Madison!- fece Vera - Come stai?
-
Bene, grazie- rispose
la ragazza - Senti, sei libera stasera?
-
Uhm... sì- disse Vera - Sì, sono libera.
-
Bene!- esclamò
entusiasta Madison - Io e Bill vorremo invitarti
a cena-
-
Beh,- rispose la mora - non penso ci sia alcun problema! Vi ringrazio
molto, per l'invito.
-
Fantastico!- fece Madison, soddisfatta - Ti
aspettiamo
verso le otto e mezza! A stasera!-
Prima
che Vera potesse dire qualsiasi cosa, la ragazza aveva già
chiuso la
chiamata
La
mora scosse la testa e compose in fretta il numero di Lawrence.
Il
telefono squillò diverse volte, e Vera stava quasi per
arrendersi
quando Lawrence rispose.
-
Cooper? Accidenti, è il mio giorno libero! Lasciami
dormire!-
esclamò il ragazzo, con voce piuttosto arrabbiata.
-
Ho bisogno del tuo aiuto, Lawrence- spiegò velocemente Vera
-
Vestiti. Cena da Bill e Madison-
Seguirono
qualche secondo di silenzio, poi Vera sentì un profondo
sospiro.
-
Incontriamoci davanti al centro commerciale tra un quarto
d'ora.
Non fare tardi.
*
*
quel
pomeriggio
-
E dire che dovevamo finire presto!- si lamentò Tom, mentre
allacciava la propria cintura di sicurezza, seduto al sedile del
passeggero accanto a Bill.
-
Già- sbuffò quest'ultimo.
Durante
il tragitto i due rimasero in silenzio, fin troppo stanchi per
iniziare qualsiasi discussione.
Poco
dopo Bill stava parcheggiando di fronte a casa del fratello.
-
Beh, a dopo allora- lo salutò.
Tom
gli fece un cenno con la mano e scese dalla macchina. Stava per
allontanarsi, dopo aver chiuso la portiera, quando si sentì
chiamare.
-
Che c'è?- chiese al fratello, attraverso il finestrino
aperto.
-
Dimenticavo- fece Bill - Stasera ci sarà anche Vera- disse,
facendo
l'occhiolino, per poi ingranare la marcia, lasciando Tom,
completamente basito, ad osservare la sua Audi che si allontanava a
tutta velocità.
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Capitolo 8 *** Eight ***
Eight
-
Lawrence, ti avevo chiesto un consiglio, non di rifarmi il
guardaroba!-
A
braccia conserte, mentre picchiettava un piede sull'asfalto, Vera
osservava l'amico caricare in auto enormi buste contenenti abiti di
ogni genere, frutto di una battuta di caccia al vestito durata
l'intera giornata.
Tipico
di Lawrence: davanti ad un centro commerciale non lo fermava niente e
nessuno.
-
Non fare la difficile- brontolò, chiudendo il bagagliaio
– Forza,
sali- disse poi, aprendo la porta del passeggero – Andiamo a
casa
mia-
Vera
fece un passo indietro, restia.
-
Lawrence, davvero, io ti voglio bene- disse, mettendo le mani avanti
– ma non ho la minima intenzione di salire su quell'auto-
concluse,
gettando un'occhiata all'utilitaria bianca del biondo.
-
Quando guadagnerò di più,- fece lui, prendendo
per una mano la
ragazza e costringendola a salire in auto – ne
comprerò un'altra.
Per adesso accontentati- aggiunse, chiudendo la portiera, per poi
salire a sua volta.
-
Sei il direttore di un'agenzia di wedding planner e non guadagni
abbastanza da comprarti un'auto nuova?- scherzò Vera.
-
Sono affezionato a questa- ammise Lawrence, stringendosi nelle
spalle.
La
mora sospirò, rassegnata, e si allacciò la
cintura di sicurezza,
mentre Lawrence metteva in moto la macchina.
Contrariamente
alle aspettative di Vera, il viaggio non fu un completo disastro, e
in poco tempo, i due amici arrivarono davanti alla casa del biondo.
-
Allora,- disse lui, sorridente – non ti sembro migliorato?
-
Beh, sì- ammise Vera – A parte i due semafori
rossi che non hai
nemmeno notato, sì, sei migliorato-
Dopo
che il ragazzo ebbe parcheggiato, i due scesero, presero le buste ed
entrarono in casa, dirigendosi poi verso la camera da letto del
biondo.
-
Mettile pure qui- disse questo posando le buste sul suo materasso,
seguito da Vera – Allora- aggiunse poi, tirando fuori un
vestito
bianco – Che ne dici di questo?- propose, mostrandolo alla
mora.
-
Certo- disse ironica Vera.
-
Ti piace? Davvero?- fece speranzoso Lawrence.
-
Lawrence,- sospirò Vera – devo andare ad una semplice
cena.
Non ad un matrimonio!- protestò.
Lawrence
roteò gli occhi, e cercò un altro abito, aiutato
da Vera.
-
Ci sarà anche Tom?- chiese distrattamente Lawrence qualche
minuto
dopo, mostrando alla mora un abito verde smeraldo.
-
No, quello no, Lawrence- disse subito Vera – Comunque, non lo
so-
aggiunse, scartando una maglietta azzurra.
-
Vorresti che ci
fosse?- la stuzzicò il biondo, riponendo un paio di jeans
strappati.
Vera
gli rivolse un'occhiataccia per poi ritornare ad occuparsi delle
buste.
-
Non dire scemenze- borbottò.
Lawrence
ridacchiò, senza aggiungere altro, e prese dall'ultima busta
un
vestito lungo fino a poco più sopra del ginocchio color
pesca,
mostrandolo poi a Vera.
-
Ecco, trovato- disse con un sorriso a trentadue denti.
-
Ma... io...- protestò la mora.
-
Non si discute- la interruppe subito Lawrence – Tu metterai
questo
vestito- aggiunse – Ora va' a farti una doccia- disse infine.
La
mora assunse un'espressione piuttosto perplessa.
-
Qui?- chiese.
-
Sì, certo!- disse Lawrence, allargando le braccia, come se
fosse
ovvio – Non ti spierò- aggiunse poi, notando lo
sguardo poco
convinto di Vera. Poi aprì l'armadio, prese un accappatoio e
lo
porse all'amica.
-
Tieni- le disse – In una delle buste dovrebbe esserci anche
della
biancheria intima- aggiunse – Avanti, vai! Io
starò qui a
sistemare- esclamò poi, con un gesto della mano, esortandola
ad
andare.
Vera
sbuffò, scuotendo la testa, uscì dalla stanza ed
andò in bagno.
-
Ah, Vera- la fermò il biondo ad un tratto – Carino
l'elastico-
commentò, facendo l'occhiolino alla mora.
Vera
si portò una mano alla nuca, e si ricordò che
aveva ancora
l'elastico rubato a Tom il giorno prima.
-
G-grazie- balbettò, per poi fuggire allo sguardo
inquisitorio di
Lawrence.
Appena
la ragazza si chiuse in bagno, il biondo scoppiò in una
risata.
“Quei
due” pensò, iniziando a riordinare i vestiti
sparsi alla rinfusa
sul suo letto “sono uno spasso”
*
*
Intanto
-Maddie,
sono a casa!-
Bill
si chiuse la porta alle spalle ed andò in cucina, dove
trovò la sua
ragazza sfogliare un ricettario.
-
Ciao Bill- gli disse frettolosamente Madison, girando una pagina
–
Com'è andata la giornata?- chiese distrattamente.
-
Bene- rispose il giovane perplesso, avvicinandosi al tavolo dove la
mora era seduta – Che fai?- chiese, osservando la copertina
del
ricettario.
-
Non so che cucinare!- si lamentò Madison.
Bill
alzò gli occhi al cielo, e con un gesto veloce chiuse il
libro sotto
il naso della mora, che gli rifilò uno sguardo confuso.
-
Rilassati- le disse il biondo – Vedrai che qualsiasi cosa
cucinerai, sarà deliziosa- aggiunse, con un sorriso.
-
Sei un ruffiano- disse Madison, con una smorfia.
-
Lo so- ammise Bill, dandole un bacio sulla fronte – E' per
questo
che mi adori, giusto?-
Senza
rispondere, Madison si alzò e iniziò a trafficare
con gli utensili
della cucina.
-
Ti sei decisa?- fece Bill.
-
Sì- rispose Maddie – Le lasagne alle verdure
andranno benissimo.
-
Ok- disse il cantante – Vuoi una mano?
-
No!- esclamò precipitosamente Madison – Voglio
dire,- si corresse
notando l'espressione offesa del biondo – non ce
n'è bisogno.
Sarai stanco- disse – Perché non vai a farti una
doccia?- gli
propose poi.
Bill
fece una smorfia, per poi annuire, poco convinto.
-
Ah, Maddie- disse, fermandosi sulla soglia della cucina – E'
un
problema se viene anche Tom?-
Madison
inarcò un sopracciglio, dubbiosa.
-
Tom?- chiese – Tuo fratello?-
Bill
annuì, e la ragazza alzò le spalle.
-
Per me non c'è problema- fece, tornando a cucinare
– Un momento-
disse, tornando a guardare il fidanzato – Tu vuoi davvero che
Tom e
Vera stiano nella stessa stanza per un'intera cena? Vuoi scherzare?!-
esclamò, incredula - Uno dei due non arriverà
intero al dolce!
-
Io invece non la penso così- disse Bill, con malizia.
Maddie
arricciò le labbra, ancora esitante.
-
Beh, fa' come vuoi- disse, riprendendo ciò che stava facendo
– Io
non pulirò il sangue dalle pareti!-
Bill
rise di gusto e andò in bagno a farsi una doccia.
Ritornò
in cucina mezzora dopo e trovò Madison che tagliava le
verdure.
Prese
un bicchiere e una bottiglia, e si versò un po' d'acqua.
-
Credi davvero che Tom verrà?- chiese Madison,
all'improvviso,
aprendo il frigo.
-
Certo- fece Bill, con un sorriso – Farò in modo
che non provi a
bidonarci.
*
*
“Non
azzardarti a stare a casa. Oppure Dave verrà accidentalmente
a sapere dell'incidente. Sii puntuale. Bill”
Tom
gettò con fare arrabbiato il telefonino sul materasso,
maledicendo
suo fratello.
“Lo
odio” si disse, buttandosi a peso morto sul letto.
Guardò
l'orologio sul suo comodino e decise che forse sarebbe stato meglio
meglio disdire l'appuntamento che aveva con Danielle per quella sera.
Fece
per riprendere il cellulare, quando un dettaglio lo turbò.
Guardò
di nuovo il suo comodino e notò che il suo elastico per
capelli nero
era sparito, lasciando spazio a uno colorato. Si mise a sedere, lo
prese e lo osservò: era leggermente umidiccio e lui era
perfettamente certo di non avercene uno così.
“Vera”
pensò immediatamente “L'avrà di certo
lasciato qui lei” si
disse.
Giocherellò
con l'oggetto ancora per qualche istante, per poi posarlo di nuovo
sul comodino. Afferrò il suo cellulare, poco distante da
lui, e
cominciò a digitare velocemente un messaggio.
“Ehi,
tesoro, perdonami ma oggi non possiamo vederci. Ci sentiamo xoxo
Tom”
Si
assicurò di selezionare il numero giusto e poi
inviò il messaggio,
per poi ristendersi sul letto, supino, con un braccio dietro la
testa, e il cellulare, stretto in una mano, sul petto.
Rimase
in quella posizione per molto, fino a quando il telefonino non
vibrò.
Guardò
il display, e quando vide il nome di Danielle, fece una smorfia e
tornò nella posizione precedente, senza nemmeno visualizzare
il
messaggio.
Poco
dopo, però, il cellulare vibrò una seconda volta.
Il
chitarrista sbuffò, scocciato e, ritornò a
guardare il display.
Quando
vide il nome del mittente del messaggio, si augurò che suo
fratello
avesse desistito, ma subito le sue speranze furono infrante.
“Alzati
e preparati. Bill”
*
*
Più
tardi
-
Allora, sei pronta?-
Vera
guardò con perplessità Lawrence, seduto accanto a
lei nell'auto del
biondo.
Il
ragazzo si era proposto di accompagnarla e di andarla a prendere, e
lei non aveva obiettato.
O
meglio, non ne aveva avuto la possibilità.
-
Lawrence,- disse la mora, slacciandosi la cintura di sicurezza
–
perché non dovrei esserlo?-
Il
giovane non rispose e schioccò un bacio sulla guancia
all'amica.
-
Mandami un messaggio con l'ora in cui devo venirti a prendere- le
ricordò – Buona serata- disse infine.
Vera
agitò la mano in segno di saluto, scese dalla vettura e,
dopo aver
chiuso la portiera, si diresse verso il cancello della villa di Bill
e Madison.
Suonò
il citofono e subito una voce le rispose:
-
Sì?
-
Bill, sono Vera!
-
Oh,
ciao, Vera. Entra
pure!-
Il
cancello si aprì con un sonoro clack,
e Vera fece il suo ingresso nell'immenso giardino che circondava la
villa. Con passo veloce percorse il vialetto che conduceva alla porta
d'ingresso, che, prima che lei potesse bussare, si aprì
all'improvviso, quasi spaventandola.
-
Vera!- esclamò Bill – Benvenuta! E' un piacere
vederti!- continuò,
abbracciandola calorosamente.
-
Ciao, Bill- rispose Vera, quando il biondo si fu allontanato,
permettendole di respirare – E' un piacere anche per me-
disse,
sorridendo.
-
Forza, vieni. Madison è di là- fece il cantante,
facendole segno di
seguirlo.
La
mora entrò insieme a lui in casa e lo seguì fino
al salotto, dove
Madison aveva appena portato un vassoio di antipasti, posandolo su un
tavolo di vetro.
-
Ciao Vera!- esclamò la ragazza, appena si accorse della
presenza dei
due – Vieni, siediti pure!- continuò, indicando il
divano.
Vera
fece come le era stato detto, e subito dopo Maddie si sedette al suo
fianco, mentre Bill si sistemò sulla poltrona.
-
Allora, come stai?- chiese Madison.
-
Molto bene, grazie e voi?
-
Bene- risposero all'unisono Bill e Madison.
I
tre iniziarono a conversare del più e del meno, mangiando
gli
antipasti preparati da Madison, quando d'un tratto le loro
chiacchiere furono interrotte dal suono del citofono.
-
Vado io- disse Bill, guardando Madison, con cui scambiò uno
sguardo
complice.
-
Aspettavate qualcun altro oltre a me?- chiese Vera, senza curarsi
degli sguardi tra i due fidanzati.
-
Sì- rispose Madison, senza però specificare chi
stessero aspettando.
Le
due sentirono due voci maschili parlare e poco dopo Bill
tornò in
salotto.
Accompagnato
da Tom.
Vera
temette che i suoi bulbi oculari potessero uscire dalle orbite, tanto
aveva sgranato gli occhi.
Osservò
la reazione del moro nel vederla lì, e con sorpresa vide che
Tom
sembrava essere stato informato della sua presenza quella sera.
-
Buona sera, ragazze- disse il giovane, cercando di sembrare
disinvolto.
-
Ciao, Tom. Finalmente sei arrivato- fece Madison, con un sorriso
–
Avanti, siediti- aggiunse, indicando il posto libero accanto a Vera.
Con
qualche esitazione, Tom accettò l'invito della mora, e si
sedette
vicino alla wedding planner, tentando di nascondere il suo
disappunto.
-
Beh, allora- fece Bill, tornando a sedersi sulla poltrona –
stavamo
parlando del matrimonio, giusto?-
Subito
la conversazione di prima riprese, e di tanto in tanto, Tom
provò a
dire la sua, dando consigli inerenti alle decorazioni.
-
Ah-ehm, Vera- bisbigliò all'improvviso, senza farsi notare
da Bill e
Madison, che continuavano a discutere – Credo che questo sia
tuo-
fece, allungando alla ragazza l'elastico per capelli.
Vera
sbiancò, e prese subito l'oggetto, infilandolo in borsa.
-
Il mio puoi tenerlo- disse il ragazzo, con un lieve sorriso.
La
mora annuì semplicemente, senza dire nulla, cercando di
mascherare
l'imbarazzo con l'indifferenza.
All'improvviso
un trillo proveniente dalla cucina, avvertì tutti che le
lasagne
erano pronte.
-
Signori,- fece Madison, alzandosi – la cena è
servita!- esclamò
scherzosamente, mentre andava in cucina, seguita dagli altri.
Una
volta arrivati, i quattro si sistemarono attorno al tavolo e poco
dopo Maddie vi posò la teglia fumante.
-
Ecco a voi. Servitevi pure-
Bill
fu il primo a muoversi, ma la fidanzata lo bloccò.
-
Bill- gli disse con tono di rimprovero – Prima gli ospiti,
cioè
Vera.
-
Io non sono un ospite?- fece Tom, sentendosi escluso.
-
Credimi Tom,- disse Bill, mentre con un cenno della testa invitava
Vera a servirsi – con tutto il tempo che passi qui dentro,
dovremmo
chiederti l'affitto, altro che ospite!-
Tom
sbuffò, fingendosi offeso, e appena Vera ebbe finito, quasi
si
avventò sulla teglia, lasciando a bocca asciutta il
fratello, che lo
guardò con aria truce.
Dopo
che anche Bill e Madison si furono serviti, i quattro iniziarono a
mangiare. Rimasero in silenzio, fino a quando a Madison non sorse un
dubbio.
-
Vera,- disse – la tua macchina è stata riparata?-
Sentendo
la sua domanda, Tom cominciò a tossicchiare convulsamente,
ripensando all'incidente con la wedding planner.
Bill
gli diede un bicchiere d'acqua, che il giovane bevve in un sorso,
mentre Madison aspettava una risposta da Vera.
-
Allora?
-
In realtà, Madison, credo che la mia macchina sia
già diventata
una lattina- fece Vera, cercando di sdrammatizzare.
-
Cosa? Davvero?!- esclamò Madison – Era
così malmessa? Ma com'è
successo?-
Istintivamente
Vera portò lo sguardo su Tom.
-
Stavo percorrendo la strada verso casa- iniziò a raccontare
la
giovane, distogliendo lo sguardo – Una strada a
senso unico- si
affrettò a precisare, calcando la voce sull'ultima parola
– Quando
ho visto un'altra auto davanti a me andare in contromano-
continuò,
mentre le sue accuse subliminali a Tom pesavano sul chitarrista come
macigni – Ho cercato di evitarla, ma sono andata a finire
contro un
albero- concluse la wedding planner.
-
E poi cos'è successo?- chiese Madison, incuriosita.
-
Maddie... Io non credo che...- tentò di dire Bill, cercando
di
evitare l'ormai irreparabile catastrofe che si stava per abbattere su
quel tavolo.
Vera
prese un respiro profondo e riprese a parlare.
-
Quell'idiota-
disse – non ha voluto fare la constatazione amichevole, ed ha
anche
tentato di insinuare che mi ha fatto un favore,
dato che la mia auto non sarebbe durata ancora molto. E mi ha anche
fermato quando ho giustamente
voluto
chiamare la
polizia.
-
Non era necessario invece!- sbottò all'improvviso Tom
– E per la
cronaca non sono un idiota- aggiunse, in un sibilo.
Madison
lo osservò, stranita.
-
Tom, ma che hai?- chiese – Sembra quasi che
quell'automobilista...
oh-
La
ragazza s'interruppe, avendo perfettamente intuito la situazione: ora
capiva l'astio tra Vera e Tom.
Guardò
Bill, con il panico negli occhi, constatando solo ora di ciò
che
aveva causato.
-
Io non ci giurerei- fece Vera, rivolta a Tom, alludendo a
ciò che il
chitarrista aveva affermato poco prima.
-
Senti, ascoltami bene- disse il giovane – ti ho
già chiesto scusa,
quindi vedi di smettere di fare l'offesa. Non ce n'è affatto
bisogno.
-
Non so se ti è chiaro,- ribatté pronta Vera,
posando la forchetta
sul piatto vuoto – ma tu
hai distrutto
la mia
auto.
-
E' stato quell'albero a farlo!- replicò Tom.
-
Credi che sarei andata addosso a quell'albero se tu fossi stato
attento a ciò che stavi facendo piuttosto che a
chissà quale
groupie?- sputò velenosa la mora.
-
E' per questo che mi hai schiaffeggiato? Perché io
almeno scopo, e tu no?
-
Se il risultato dello scopare
è
ritrovarsi con un
unico neurone in fase terminale, credo proprio che ne farò a
meno!-
Tom
fece per ribattere, ma Bill lo fermò.
-
Basta così- disse – Smettetela- aggiunse con
fermezza.
Vera
inspirò a fondo, e si zittì, insieme a Tom.
Quando
tutti ebbero finito, Madison mise i piatti vuoti nel lavello e
tornò
in tavola con una torta alla panna.
-
E per finire, il dolce!- esclamò, tentando di smorzare
l'atmosfera.
Prese
un coltello e dei piatti da dessert, e cominciò a tagliare
la torta,
mettendo ciascuna fetta sui piatti che mise davanti agli altri tre.
Dopo
essersi servita a sua volta, rimise in frigo la torta e
tornò a
sedersi.
Poteva
sentire la tensione avvolgere l'intera stanza: avrebbe perfino potuto
tagliarla con un coltello.
Il
silenzio intanto regnava incontrastato, interrotto solo dai rumori
delle posate.
Appena
finito, Vera prese la decisione di lasciare al più presto
quella
casa.
“Se
non me ne vado,” pensò “potrei davvero
uccidere Tom”
-
Non vorrei sembrare maleducata, - iniziò – ma
credo sia meglio che
vada.
-
Perché non resti un altro po'?- disse Bill, dopo aver
ingoiato
l'ultimo boccone di torta.
-
Domani devo alzarmi molto presto- mentì Vera –
Preferirei non
andare a letto troppo tardi.
-
In effetti hai ragione- ammise Madison – E' un peccato,
però.
-
Sarà per un'altra volta- fece Vera, abbozzando un sorriso,
per poi
prendere il telefonino.
-
Cosa fai?- chiese Bill.
-
Mando un messaggio a Lawrence- spiegò Vera, mentre digitava
velocemente – Ha detto che mi sarebbe venuto a prendere.
-
Non c'è bisogno di disturbarlo!- disse il biondo, fermandola
– Ti
accompagno a casa io.
-
Ehm...- fece esitante la ragazza – Beh, se non è
un problema per
te, va bene- acconsentì, infine.
-
Vado a prendere le scarpe- disse Bill, alzandosi e lasciando la
stanza.
-
Vieni, andiamo a prendere le tue cose- propose poi Madison, alzandosi
a sua volta.
Vera
la imitò e si diresse verso il salotto con la ragazza.
-
Ciao, Tom- disse con tono duro poco prima di uscire dalla cucina.
Il
chitarrista rispose con un grugnito e voltò la testa
dall'altra
parte.
-
Sei un vero maleducato- borbottò la mora, uscendo
definitivamente.
Una
volta in salotto, trovò Bill e Madison che parlavano tra
loro. Si
schiarì la voce, ed ottenne la loro attenzione.
-
Oh, sei pronta- disse Bill – Tieni- fece, porgendole la borsa
–
Possiamo andare?- chiese poi.
Vera
annuì, andando poi ad abbracciare Madison.
-
Grazie per la cena- le disse – E' stata una serata molto...
piacevole.
-
Ne
sono felice-
rispose la giovane – Ci vediamo la prossima settimana per
andare
alla chiesa.
-
Contaci. Buona serata- disse Vera.
La
mora si voltò e raggiunse Bill alla porta d'ingresso per poi
seguirlo fuori dalla villa.
Poco
dopo i due stavano salendo nell'auto del biondo,
Dopo
aver messo in moto la vettura ed essersi fatto dare le indicazione da
Vera, Bill iniziò a parlare.
-
Tom è un vero buzzurro- affermò con
semplicità.
-
Sì- commentò Vera – Aspetta... hai
davvero dato del buzzurro a
tuo fratello?
-
Ovvio!- rise il cantante – A volte può risultare
antipatico, lo
so- continuò - Ma non è cattivo- aggiunse dopo
poco.
-
A
volte?-
fece la mora – Diciamo pure sempre.
-
Hai idea di come lo hai scombussolato?- le chiese a bruciapelo Bill,
senza curarsi di ciò aveva detto.
-
Scombussolato?
-
Sì, esattamente- disse il biondo – L'unica donna
che finora lo
aveva mai schiaffeggiato è stata nostra madre-
spiegò, ridacchiando
– Non credo che per lui stia stato bello.
-
Se lo è meritato!- si difese Vera.
-
Sì, lo immagino...-
La
discussione cadde nel silenzio, che durò fino all'arrivo dei
due a
casa di Vera.
-
Beh, grazie del passaggio- disse la ragazza, mentre si slacciava la
cintura – A presto, Bill- salutò scendendo
dall'auto.
-
Vera,- la fermò il giovane, prima che lei potesse chiudere
la
portiera – non so come la pensi tu, ma sappi che gli piaci. Molto.
*
*
Il
pomeriggio seguente
-
Sono d'accordo con Bill-
Vera
guardò l'amico, sgranando gli occhi.
-
Avete battuto tutti la testa?- sbottò, infastidita.
-
E tu hai le bende sugli occhi?- le fece verso l'amico.
Vera
roteò gli occhi, e tornò ad occuparsi delle sue
scartoffie,
cercando di ignorare Lawrence, in piedi di fronte alla sua scrivania,
che beveva un frullato.
-
Cooper, fidati...-
Il
biondo fu interrotto dallo squillo del telefono di Vera, che rispose
immediatamente, sottraendosi così alle chiacchiere del
giovane.
-
Pronto?
*
*
-
E quindi il
parroco ha detto giovedì non va bene, perché una
famiglia ha deciso
di battezzare suo figlio proprio quel giorno e poi ci sarà
un
matrimonio.
-
Capisco, Vera. Beh, allora facciamo un altro giorno!
-
Il parroco mi ha
proposto venerdì alle dieci. Per voi andrebbe bene?
-
In realtà, venerdì torno a casa nel tardo pomeriggio, verso le cinque o le cinque mezza e
lo stesso vale per
Bill.
-
Oh,
ok. Allora chiamerò
il prete e gli chiederò la disponibilità per un
altro giorno!
-
Perfetto. Grazie per quello che stai facendo per noi, Vera.
-
Dovere.
Vi farò
sapere. A presto, Madison!
-
A presto, Vera-
Madison
chiuse la chiamata, per poi posare il telefono sul comodino accanto
al letto su cui era seduta.
-
Chi era?- chiese Bill, entrando nella stanza, coperto con un
asciugamano, mentre con un altro si asciugava i capelli bagnati.
-
Vera- rispose Madison – Mi ha detto che il giorno per andare
alla
chiesa è da spostare.
-
E che giorno avete fissato?- chiese il ragazzo, sedendosi sul
materasso accanto a Maddie.
-
Il parroco ha proposto venerdì...
-
Ma né io né te possiamo- obiettò Bill.
-
Sì lo so- fece Madison – Gliel'ho detto.
Vorrà dire che andremo
un'altra volta- aggiunse con un sorriso.
Bill
rimase in silenzio, fino a quando una nuova idea si fece spazio nella
sua mente.
-
Hai detto venerdì?- chiese.
-
Sì- disse perplessa Madison – Perché?
-
Chiama Vera- replicò Bill – Dille che
venerdì è perfetto.
-
E chi andrà con lei, sentiamo!- esclamò Madison.
Bill
sorrise, beffardo:
-
Sono certo che Tom morirebbe dalla voglia.
Eeeeeeeeehi
:)
Capitolo
lunghetto, eh!
Onestamente,
mi è piaciuto!
E
a voi? ;)
Alla
prossima e grazie a chi legge/segue/ricorda/preferisce/recensisce!
Heilig__
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Capitolo 9 *** Nine ***
Nine
La
sera
- No-
Tom
scandì le lettere a
voce alta, in modo che entrassero e si tracciassero indelebilmente
nella testa di suo fratello.
Come
aveva potuto
chiedergli una cosa simile?
Com'era
potuta passargli
anche solo per l'anticamera del cervello un'idea del genere?
Lui
e
Vera
Da
soli.
Di
nuovo.
Il
moro scosse la testa, continuando ad asciugarsi i capelli bagnati
davanti allo specchio della sua stanza, mentre Bill, in piedi alle
sue spalle, cercava di smuoverlo dalla sua posizione.
-
Tom,- sospirò, implorante – non fare il difficile,
avanti!-
continuò – Non ti chiedo molto in fondo!-
Tom
si
fermò e si voltò lentamente verso il gemello, con
un sopracciglio
inarcato.
-
Ok- si corresse Bill – Forse è una richiesta leggermente
al
di fuori del normale.
-
Tu
credi?-
fece il
chitarrista con ironia, tornando a guardarsi allo specchio –
E
smettila di guardarmi così!- esclamò notando lo
sguardo del
fratello attraverso il riflesso.
Bill
sbuffò e si lasciò cadere sul letto poco distante.
-
Non
ti capisco proprio- mormorò giocherellando distrattamente
con un
lembo del lenzuolo.
-
Non
c'è nulla da capire- replicò Tom, prima di
entrare in bagno –
Semplicemente non voglio stare con quella ragazza- continuò,
mentre
tornava, con indosso un paio di pantaloni scuri al posto
dell'asciugamano bianco con cui si era coperto dopo la doccia.
-
Secondo me hai paura- lo stuzzicò Bill con un finto tono
d'innocenza, mentre il fratello andava all'armadio per cercare una
maglietta.
-
Paura?-
chiese
perplesso il moro, aprendo un'anta – Paura di cosa,
esattamente?
-
Di
lei- spiegò Bill, sapendo perfettamente di aver colpito nel
segno –
Tranquillo,- aggiunse con sorriso – è normale-
Tom
chiuse l'armadio, stringendo in una mano una canottiera nera, e
rivolse la gemello uno sguardo confuso.
-
Di
cosa stai parlando?- chiese.
-
Sei
intimorito da lei per via del fatto che è l'unica ragazza ad
averti
saputo tenere testa- rispose Bill.
-
Tu sei tutto matto- ridacchiò Tom, mentre indossava la
canottiera –
Paura di quella?
-
Beh,
- fece Bill – allora perché non puoi fare questo
favore al tuo
fratellino e alla sua futura consorte?- chiese, sporgendo il labbro
inferiore come lui solo sapeva fare.
Tom
l'osservò per qualche istante, per poi distogliere lo
sguardo e
buttarsi a peso morto sul materasso, sospirando, con aria sconfitta.
-
Hai
detto venerdì?
* *
Poco
dopo
Seduto
sul bordo del letto, Tom stringeva in una mano il cellulare e
nell'altra il biglietto su cui Bill aveva velocemente scarabocchiato
il numero di Vera, per poi lasciare la casa del gemello in cui era
irrotto senza alcun preavviso poco prima.
Il
moro sospirò e prese a comporre il numero. Fece per premere
il
tasto verde per far partire la chiamata, quando si fermò,
timoroso.
“Non
fare lo stupido” si disse, mentre ricomponeva il numero una
seconda volta, finendo poi inesorabilmente per chiudere tutto di
nuovo.
“Kaulitz,
sii uomo, accidenti!” pensò, mentre tentava una
terza
volta.
Prese
un respiro profondo, e, dopo aver premuto il tasto verde, si
portò il telefono all'orecchio.
- Pronto?- rispose
una voce femminile dopo alcuni squilli.
-
Ciao, Vera- disse il chitarrista – Sono... sono Tom-
Seguirono
alcuni istanti di silenzio, e Tom pensò di aver sbagliato.
-
Vera?- chiese perplesso – Sei tu? Ho sbagliato numero?
- No- rispose
atona la ragazza – Sono io-
continuò –
Di
cosa hai bisogno?- chiese,
mantenendo un tono di voce
freddo.
-
Bill mi ha detto del problema che avete per andare a visitare la
chiesa- disse Tom – Io... Se vuoi posso venire io
venerdì, al
posto di Bill e Madison-
Dall'altra
parte telefono Vera rimase a dir poco interdetta, nel
sentire quelle parole.
- Ehm...- fece,
non sapendo cosa dire – Credo...
credo
che non ci siano problemi.
-
Quindi passo a prenderti venerdì?
- Sì,
va bene-
acconsentì Vera – Ti aspetto
davanti
alla WedDreams. Ti manderò un messaggio con l'orario. A
venerdì-
-
Ma...-
Prima
che Tom potesse replicare la mora aveva già chiuso la
chiamata.
“L'ho
sempre detto che è strana” si disse il ragazzo,
stendendosi sul letto “Perché andarla a prendere
alla WedDreams,
quando posso andare a prenderla a casa sua?”
pensò, con una
smorfia “Sarebbe stato sufficiente darmi
l'indirizzo!”
* *
Il
giorno
dopo
-
Tom ti ha chiamato e si è offerto di accompagnarti-
ripeté
Lawrence sbigottito.
Non
riusciva a credere a ciò che Vera gli stava raccontando.
-
Già- disse Vera, soffiando poi sul suo caffè
fumante – Proprio
così.
-
Questo è amore- sospirò sognante il biondo,
sistemandosi meglio
sulla scrivania della ragazza – Non lo trovi... romantico?-
Vera
alzò gli occhi dal suo bicchierone e guardò
l'amico, con un
sopracciglio alzato.
-
Perché mi guardi così?- chiese stranito Lawrence,
mentre la mora
scuoteva la testa.
-
Perché ciò che hai detto supera di gran lunga
tutte le stronzate
che hai detto finora. E sono molte.
-
Oh avanti!- esclamò il ragazzo, allargando le braccia
– E' ovvio
che gli piaci!
-
Rettifico: questa è
la più grande stronzata che tu abbia
mai detto- fece Vera con una smorfia.
-
Ti verrà a prendere a casa?- chiese Lawrence, ignorandola.
-
Cosa ti fa credere che io abbia dato il mio indirizzo a quel
ragazzo?- disse la mora.
-
Dovresti smetterla di fare la difficile e lasciarti andare un po'
di più, Vera- borbottò il biondo.
-
Io non faccio la difficile!- ribatté la ragazza.
-
Certo, certo- fece Lawrence, roteando gli occhi – Beh, ti
lascio
al tuo lavoro- disse, scendendo dalla scrivania con un piccolo salto
– Ricorda ciò che ti ho detto: lasciati
andare.
-
Lascerò andare questa scrivania su di te se non esci
immediatamente!- esclamò Vera scattando in piedi.
-
Scorbutica- mormorò Lawrence, uscendo poi a gran
velocità ed
evitando così la penna che Vera gli aveva lanciato.
Rimasta
sola, la mora si lasciò cadere stancamente sulla sua
poltrona, per poi prendere il telefono e cominciare a comporre un
numero.
Si
portò il telefono all'orecchio e aspettò che
qualcuno
rispondesse.
- Pronto?- fece una
voce maschile.
-
Parroco Evans? Sono Vera Cooper, buongiorno- disse la ragazza
– Pensa di
essere ancora disponibile per venerdì?
- Buongiorno
cara-
disse l'uomo con fare cordiale – Sta
parlando della visita,vero? Beh, sì, dovrebbe esserci ancora
posto...-
Vera
sentì il parroco sfogliare qualcosa, probabilmente le pagine
di
un'agenda su cui si appuntava i vari impegni.
- Ah, ecco
qua!- esclamò
l'uomo
– E' un problema per lei
spostare l'appuntamento dalle dieci alle quattro e mezza?- chiese
poi.
-
No- rispose Vera – E' perfetto. La ringrazio infinitamente,
parroco Evans.
- Si figuri,
cara. Che Dio la benedica. Arrivederci.
-
Arrivederci, parroco-
Con
un sospiro Vera chiuse la chiamata, per poi tornare al computer
dove stava lavorando prima che Lawrence entrasse nel suo ufficio.
“Sì,”
pensò mentre riprendeva a cercare ristoranti per il
catering “una benedizione divina è decisamente
ciò di cui ho
bisogno”
* *
Qualche
giorno più tardi
Quella
mattina Tom stava ancora godendosi qualche ora di sonno quando
l'insistente squillo del telefonino, accompagnato dall'abbaiare di
Scotty gli imposero di aprire gli occhi.
-
Pronto?- fece, dopo essersi portato il cellulare all'orecchio.
-
Ehi,
dormivi?
-
Bill, non pensi sia lievemente
inopportuno svegliare il tuo
unico fratello a quest'ora del mattino e chiedergli se stava
dormendo, nonostante tu sappia già la risposta e facendolo
così
arrabbiare ancora di più?
- Nervosetti,
eh? Sono già le undici!
-
Bill, dimmi che vuoi e finiamola- brontolò Tom –
Sono
stanchissimo e poi tra un paio d'ore dovrò andare a prendere
Vera-
continuò – Perché tu e Madison avete
deciso di sposarvi in un
posto dimenticato dal mondo?
- Prova a
pensarci, idiota-
ribatté Bill – Paparazzi,
foto, disastro. Devo farti un disegno?
-
Ah, già- fece il moro – Beh, cosa c'è?-
chiese poi.
- Niente,
volevo solo assicurarmi che ti ricordassi
dell'appuntamento con Vera- rispose
il
fratello, accentuando il tono di voce sulle ultime parole.
-
Bill, tu hai davvero qualche rotella fuori posto- sbuffò Tom
–
Ti saluto. Torno a dormire-
Senza
lasciare che Bill potesse rispondere, il chitarrista gli
sbatté
il telefono in faccia, appoggiandolo poi sul comodino, e decise di
tornare a dormire.
* *
“Fai la
brava e ricordati di raccontarmi tutto! Baci, Lawrence”
Vera
sorrise impercettibilmente, divertita, e rimise il cellulare in
tasca, tornando a guardarsi in giro, in cerca dell'auto di Tom.
Come
si era aspettata, era in ritardo.
Prese
a picchiettare nervosamente il piede sul marciapiede di fronte
alla WedDreams, a
braccia conserte, mentre una smorfia
d'impazienza si formava sul suo volto.
Finalmente,
dopo diversi minuti, vide in lontananza l'auto del
ragazzo avvicinarsi a gran velocità, per poi frenare a pochi
centimetri da lei.
Senza
troppi complimenti, Vera salì a bordo, e chiuse la portiera
con un rumore secco.
-
Sei in ritardo- si lamentò mentre Tom ripartiva.
-
Ciao, Vera. Anche io sono contento di vederti- fece ironico il
ragazzo.
-
Sei in ritardo- ripeté scocciata la mora.
-
Lo so che sono in ritardo!- sbuffò Tom – Dormivo e
ho perso la
cognizione del tempo! Capita a tutti!-
Vera
roteò gli occhi, decidendo di non replicare, e si mise a
guardare fuori dal finestrino.
Dopo
una ventina di minuti nel più completo silenzio, Tom decise
di
rompere il ghiaccio.
-
Puoi parlare, sai?- disse con ironia – Mi sembra di viaggiare
con
una mummia.
-
Mi stai davvero paragonando ad un cadavere bendato e puzzolente?-
chiese Vera, esterrefatta, guardando per un attimo il ragazzo, per
poi tornare ad osservare il paesaggio, che stava lentamente cambiando
sotto i suoi occhi.
-
Non ti sembra di esagerare?- fece Tom – Non ho detto questo-
continuò.
Prese
un respiro profondo e riprese a parlare.
-
Credi che comprerai un'auto nuova?-
Vera
gli rivolse uno sguardo piuttosto accigliato, infastidita da
quella domanda.
-
Non subito- rispose, con durezza – Non ho abbastanza soldi-
spiegò – E poi, in fondo, l'autobus non
è poi tanto male- fece,
con una scrollata di spalle – Non credi che forse dovresti
chiedermi scusa?- chiese poi.
-
Non credi che forse io l'abbia già fatto troppe volte?-
ribatté
Tom, quasi canzonandola.
-
Non posso credere che tu sia così pieno di te! E' assurdo!-
esclamò Vera – Tom, hai distrutto la mia auto!
-
Ho capito, accidenti!- si arrabbiò il moro – Lo
so, e mi
dispiace! Sei
contenta? Mi
dispiace-
Vera
sbuffò, mostrando tutto il suo fastidio e si
voltò un'altra
volta verso il finestrino.
-
E dire che,- mormorò, appoggiando la testa sul vetro
– dopo
l'incidente al parco avevi cominciato a starmi lievemente
simpatico.
* *
I
due arrivarono alla chiesa in poco più di un'ora.
Tom
parcheggiò nel cortile dell'edificio, una grandiosa
struttura
gotica dalle grandi vetrate finemente dipinte, i muri talmente chiari
da sembrare bianchi, e guglie dorate in cima.
-
Bill non ha il senso della misura- disse Tom, stringendosi nelle
spalle, quasi a giustificare l'enormità dell'edificio.
-
E' bellissima- riuscì solamente a dire Vera, fin troppo
meravigliata.
Mentre
si avvicinavano all'ingresso, il portale si aprì, e ne
uscì
un uomo piuttosto in là con gli anni, di bassa statura, con
indosso
una camicia bianca e dei pantaloni scuri, i capelli erano bianchi, ed
aveva un sorriso cordiale sul volto.
-
Buongiorno! Io sono il parroco Evans!- esclamò, stringendo
la mano
prima a Tom e poi a Vera – Siete gli sposi?-
“Domanda
sbagliata. Domanda decisamente
sbagliata” pensò
Tom, corrugando la fronte, mentre la mora si affrettava a scuotere la
testa.
-
No!- disse – Io sono Vera Cooper, la wedding planner, e
lui...
lui è...
-
Tom Kaulitz- intervenne il chitarrista – Sono il fratello
dello
sposo. Bill e Madison si scusano per non essere venuti, ma hanno
avuto molto da fare oggi-
-
Capisco...- fece l'uomo, annuendo lievemente – Beh, vogliamo
cominciare?- aggiunse, facendo segno di entrare ai due ragazzi.
Una
volta dentro, Vera tirò subito fuori il suo bloc notes e
cominciò ad ispezionare da cima a fondo la chiesa, mentre
dietro di
lei il parroco Evans le parlava delle varie funzioni che ogni parte
dell'edificio aveva.
-
...E questo è l'altare- disse, indicandolo - E' molto
pregiato-
continuò, mentre Vera lo osservava in ogni minimo
particolare.
-
Ci vorrà ancora molto?- chiese annoiato Tom, accostandosi
alla
ragazza.
-
No- rispose lei, senza guardarlo – E comunque, più
tardi dovremo
andare alla location del ricevimento- precisò.
Tom
non riuscì a trattenere un sospiro, e Vera si
voltò,
visibilmente scocciata.
-
Se non ti andava di venire, saresti anche potuto restare a casa-
gli disse.
-
Vallo a dire a Bill- ribatté Tom – E' lui che mi
ha messo dentro
a tutto questo!- aggiunse, alzando la voce, e beccandosi
così
un'occhiata del parroco, che si portò un dito alla bocca,
facendogli
segno di stare in silenzio.
-
Siamo in chiesa, genio- lo rimproverò Vera.
Tom
decise di rimanere in silenzio per il resto della visita,
più
per restio nei confronti della ragazza che per rispetto religioso.
"Questa
me la paghi, Bill"
* *
Vera
e Tom rimasero nella chiesa quasi più di un'ora, poi la mora
decise di aver preso abbastanza appunti e che era ora di andare a
dare un'occhiata alla location del ricevimento.
-
Grazie di tutto, parroco Evans- disse Vera stringendo la mano
all'uomo - Ci è stato molto d'aiuto.
-
Si figuri, signorina Cooper- le rispose il parroco, sorridendole
–
Vi auguro una buona serata- aggiunse, facendo poi un cenno con il
capo ai due, per poi rientrare nella chiesa.
-
Dobbiamo proprio andare?- chiese Tom, guardando perplesso il cielo
– Quelle nubi non promettono nulla di buono- aggiunse con una
smorfia.
-
Non ci metterò molto- disse sbrigativa Vera, mentre si
avviava
verso l'auto – Saremo a casa prima che scoppi il temporale-
fece,
aprendo la portiera ed entrando in macchina.
-
Se lo dici tu- borbottò Tom, salendo a sua volta.
Mise
in moto la vettura e partì verso est della chiesa, sempre
più
lontano dal caos di Los Angeles.
Giunsero
alla location mezz'ora dopo circa, mentre sopra di loro il
cielo si stava facendo sempre più plumbeo.
-
Eccoci arrivati- annunciò Tom – Io ti aspetto qui
e ascolto un
po' di musica- disse poi.
Accese
l'autoradio e cambiò sulla sua stazione preferita, ma si
accorse che non c'era il benché minimo segnale là
dov'erano, e così
al posto della musica, si sentivano solo alcune parole sconnesse e
gracchiate.
-
Ripensandoci,- disse il moro, grattandosi la testa imbarazzato
–
forse verrò con te- concluse, scendendo dall'auto seguito da
Vera.
La
location consisteva in un magnifico palazzo rinascimentale
circondato da un immenso giardino fiorito: Vera lo adorava
già.
Munitasi
del suo inseparabile bloc notes e di una penna, la mora
cominciò a guardarsi in giro e a figurarsi le varie
decorazioni nei
punti in che credeva opportuni.
Non
ci mise molto: dopo un quarto d'ora si disse pienamente
soddisfatta, e lo comunicò a Tom.
-
Fantastico!- esclamò il ragazzo – Andiamo, allora-
I
due salirono in auto e Tom partì alla volta della
città.
Ogni
tanto guardava nello specchietto retrovisore e scrutava con
preoccupazione le grandi nubi nere cariche di pioggia che li stavano
quasi rincorrendo, e premeva sempre più forte
sull'acceleratore, in
una disperata corsa contro il tempo.
-
E' un così grande guaio se la tua bambina prende un
po'
d'acqua?- chiese con ironia Vera.
Tom
fece per rispondere, ma fu interrotto dal rombo di un tuono che
lo fece sobbalzare.
-
Non dirmi che hai paura dei tuoni?- fece Vera, portandosi una
mano alla bocca, pronta a scoppiare a ridere – Avanti! Non
hai più
5 anni!
-
Non ho dei bei ricordi legati ai fulmini- si giustificò Tom
– E'
una cosa del tutto normale-
Un
altro rumore giunse alle loro orecchie, ma questa volta non si
trattava di un tuono.
-
Cos'era?- chiese Vera, voltandosi – Sei per caso andato
contro
qualcosa?- domandò ancora.
-
No- rispose Tom – Non ho visto nulla. Sarà caduto
qualcosa nel
bagagliaio.
-
Cosa tieni lì dentro?- chiese la mora.
Il
chitarrista aprì la bocca per rispondere, ma un terzo
rumore,
simile al precedente, ma molto più forte, lo interruppe. Ne
seguirono altri, e dopo pochi metri l'auto si fermò in mezzo
alla
strada.
-
Tom?- fece Vera, mentre l'ansia saliva – Che... che
succede?
-
C-credo...- balbettò Tom – Credo che la macchina
sia rotta.
Saaaaaaaaaaaaaaaaaaalve
a tutti e buona domenica!
Allora
che
ne pensate?
Vi
ringrazio
per il vostro supporto :)
A
presto! :D
Edit:
Sì, ho
scritto "lui e Lena"
L'ho corretto LOL :D
|
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Capitolo 10 *** Ten ***
Ten
Vera
impiegò qualche
secondo prima di realizzare il significato delle parole di Tom.
- Cosa?!-
esclamò, quando lo fece – Cosa significa "rotta"?
-
Significa che siamo fottuti- sbottò Tom.
Avrebbe
voluto mettersi a piangere, e probabilmente l'avrebbe fatto se solo
Vera non fosse stata accanto a lui.
-
Vado
a vedere qual è il problema- annunciò quindi,
aprendo la portiera –
Rimani qui.
-
Come
se potessi andare da qualche parte- borbottò Vera, a braccia
conserte.
Tom
non replicò e scese dall'auto, per raggiungere il cofano.
Appena lo
aprì, una nuvola di fumo nero lo investì,
facendolo tossire
convulsamente.
-
Che
succede?- chiese Vera, affacciandosi dal finestrino.
-
Sembra più grave del previsto- rispose Tom, strizzando gli
occhi a
causa del fumo, per poi chiudere il cofano – Ho l'impressione
che
dovremo farci venire a prendere- aggiunse, ritornando in auto.
Mise
una mano in tasca e ne tirò fuori il cellulare, per poi
comporre
velocemente il numero del fratello.
“Mi
ci ha messo dentro lui,” si disse, portandosi il telefono
all'orecchio “quindi sarà lui ad
aiutarmi!”
Aspettò
che Bill rispondesse, ma, invece del solito tu tu,
sentì solo
un fastidioso ronzio.
“Merda”
Chiuse
la chiamata e batté un colpo rabbioso sul volante, facendo
sobbalzare Vera.
-
Qual
è il problema?!- esclamò la ragazza, spaventata.
-
Non
prendono i telefoni qui- spiegò Tom, con un sospiro.
Vera
sgranò gli occhi, allibita.
-
E
cosa pensi di fare?- chiese - Non possiamo rimanere qui per sempre!-
aggiunse, mentre l'ansia saliva sempre più.
-
Credimi, Vera,- fece Tom, con un sorriso sarcastico - rimanere in un
posto isolato con te
è l'ultima cosa che voglio, davvero-
disse - Aspetteremo qui, agitarsi non serve a nulla. Prima o poi
qualcuno arriverà.
-
Sarebbe questa la tua grande idea?-
domandò Vera, inarcando
un sopracciglio - Non so se te nei accorto ma siamo fermi nel bel
mezzo del nulla e...-
La
sua
voce fu interrotta all'improvviso dal fragore di un tuono.
Vera
e
Tom si lanciarono uno sguardo, per poi guardare con timore alle loro
spalle: grandi nuvole nere, cariche di pioggia, procedevano senza
sosta, oscurando il cielo; presto avrebbe iniziato a piovere, e il
temporale li avrebbe sorpresi in pieno.
-
Maledizione...- borbottò il moro, cercando di far ripartire
la
macchina - Tutto questo è assurdo!- esclamò poi,
in un moto d'ira -
Quest'auto è un gioiello! Non può rompersi come
un'utilitaria
qualsiasi!
-
Forse l'apparenza inganna...- disse Vera, con una smorfia - Sai, la
mia vecchia auto non
mi ha mai lasciato a piedi- aggiunse -
Beh, questo prima che tu la facessi finire contro un albero.
-
Non
credo che sia il momento adatto per ricordarmi quanto fosse sicura la
tua auto!- replicò con durezza Tom - Quando saremo fuori da
questa
situazione, allora forse potremo
discuterne- aggiunse.
Girò
ancora una volta la chiave della macchina, che sembrò
rianimarsi per
qualche istante, suscitando sollievo nei due giovani.
Dopo
poco, però, il rombo della vettura si ridusse ad una sorta
di
singhiozzo, fino a cessare del tutto.
Con
un
sospiro Tom si abbandonò sul sedile dell'auto, affranto.
-
Siamo decisamente fottuti.
* *
Intanto
-
Bill! Sono tornata!-
Madison
entrò in casa, carica di borse della spesa, e chiuse la
porta d'ingresso, dandole un lieve colpo con il piede.
-
Bill! Vieni a darmi una mano?- chiese, trascinando con fatica le
buste fino alla cucina - Bill?- fece di nuovo, non ottenendo
però
alcuna risposta.
La
giovane lasciò le borse della spesa sul tavolo ed
uscì dalla
cucina, in cerca del suo ragazzo.
-
Bill, sei qui?- disse, entrando in salotto, che però
trovò vuoto.
Stava
per voltarsi ed uscire, quando sentì dei passi pesanti sopra
di sé.
-
Bill!- gridò - Sei tu?-
Dal
piano superiore, però, non arrivò alcuna risposta.
Piuttosto
inquietata, Madison tornò in cucina, e decise di armarsi,
nel caso avesse dovuto trovare “brutte
sorprese”
“Magari
è un ladro” si disse, mentre afferrava un
mattarello “o
un serial killer” continuò, uscendo dalla cucina e
prendendo le
scale che portavano al secondo piano.
Con
passi lenti e felpati e le mani saldamente strette attorno al
mattarello, percorse le scale, arrivando al corridoio, e lì
si mise
in un angolo, in attesa di sentire qualche rumore sospetto.
Quando
sentì alcuni passi, simili a quelli che aveva udito prima di
salire, saltò fuori dal suo nascondiglio, ma non
trovò nessuno.
“E'
sicuramente
un serial killer”
Fece
qualche passo avanti, con aria guardinga, guardandosi ogni tanto
alle spalle.
Quando
arrivò davanti alla porta della sua stanza, la
trovò
lievemente socchiusa.
“E'
qui dentro” si disse.
Spalancò
la porta con uno scatto ed entrò velocemente, pensando di
sorprendere il presunto criminale, ma non trovò nessuno.
O
quasi.
L'anta
dell'armadio era aperta, e da sotto Maddie poteva vedere
spuntare due anfibi neri con le borchie.
Deglutì
rumorosamente, e si avvicinò piano, con il cuore in gola
dalla paura.
Quando
fu ad un soffio dall'anta, questa si chiuse di colpo, e la
giovane cacciò un urlo.
-
Madison! Sei matta?! Perché gridi?-
Nel
sentire quella voce, Madison si zittì di colpo, ed
osservò la
figura davanti a sé: Bill la stava osservando da tutto il
suo metro
e ottanta di altezza, con uno sguardo a metà tra il
preoccupato e lo
spaventato, mentre teneva con una mano uno dei due auricolari e con
l'altra una maglia bianca.
-
Bill!- disse Madison - Cosa... cosa ci fai qui?- chiese, senza
fiato dalla sorpresa.
-
Se non sbaglio è anche la mia stanza...- rispose il ragazzo,
sempre più perplesso - Stai bene?
-
Perché non mi hai risposto quando ti ho chiamato?-
domandò la
mora.
-
Probabilmente non ti ho sentito- spiegò Bill, indicando le
cuffie
- Ma che ti è preso?
-
Sei uno stupido!- sbottò Madison, lasciandosi cadere sul
letto
poco distante poco distante - Avrei potuto ucciderti, accidenti!
-
Con un mattarello?- fece
Bill con sarcasmo, osservando
l'oggetto nelle mani della ragazza.
Lei
divenne subito rossa dall'imbarazzo mentre il biondo scoppiò
a
ridere.
-
Non è divertente- protestò Madison, incrociando
le braccia.
Bill
si sedette al suo fianco, continuando a ridere.
-
In effetti...- disse, tornando improvvisamente serio - è
esilarante!-
concluse, mentre scoppiava in una nuova,
fragorosa risata.
Madison
roteò gli occhi e sbuffò, infastidita, poi decise
di
cambiare argomento.
-
Tom e Vera sono tornati?
-
Intendi vivi o a casa?- fece
Bill.
-
Entrambi.
-
Non lo so, non ho ancora sentito Tom- disse il biondo - Ora lo
chiamo- aggiunse poi, allungandosi per prendere il cellulare che
stava sul materasso.
Digitò
velocemente il numero del fratello, ed attese che lui
rispose, ma al posto del solito squillo, sentì una voce
metallica:
«Gentile
cliente, il numero da lei chiamato non è al momento
disponibile. La
preghiamo di riprovare più tardi»
-
Che succede? Non risponde?- chiese Madison, mentre Bill chiudeva la
chiamata.
-
No- rispose il ragazzo, scuotendo la testa - E' spento-
spiegò -
Sarà sicuramente in compagnia di chissà quale
ragazza- affermò
sdraiandosi sul letto, con le braccia incrociate dietro la testa.
-
Beh,- obbiettò Madison, stendendosi accanto a lui -
perché non gli
lasci un messaggio? Così ti richiamerà.
-
Innanzitutto, non lo farebbe- disse Bill, mentre
accarezzava con una mano i capelli della mora - E poi, sono certo che
stanno entrambi benissimo.
*
*
-
Odio tutto questo-
Tom
sbuffò per l'ennesima volta e guardò Vera con
espressione annoiata.
-
L'hai già detto- fece, con tono duro - La vuoi smettere?
-
Lo farei se questa diavoleria partisse!- ribatté la ragazza
- Da
quanto tempo non le fai fare una revisione?
-
Questi non sono affari tuoi- sibilò Tom - E ora, fammi il
favore di
tacere una volta per tutte! Mi stai facendo venire l'emicrania,
accidenti- aggiunse, massaggiandosi le tempie.
Vera
sospirò, visibilmente irritata, ma non replicò e
tornò a guardare
fuori dal finestrino: il cielo ormai era nero e tirava un forte
vento; da lì a poco avrebbe certamente iniziato a piovere.
Da
quando erano lì fermi, non era passato nessuno, non un'auto,
qualcuno in bicicletta o in moto.
Intorno
a loro solo il silenzio, rotto dal fragore dei tuoni che ogni volta
facevano sobbalzare Tom.
-
Sei un vero bambino- sentenziò Vera, dopo l'ennesimo
frastuono -
Perché hai così paura?- chiese poi.
-
Non sono cose che ti riguardano- sputò con
acidità il ragazzo.
La
giovane alzò gli occhi al cielo, ma non replicò,
e nell'abitacolo
tornò a regnare il silenzio.
Dopo
poco, però, un picchiettio che si faceva sempre
più insistente, li
indusse a guardare fuori dai rispettivi finestrini.
-
Piove- mormorò Vera - Questa non ci voleva, maledizione-
aggiunse -
Cosa facciamo?- chiese poi, rivolgendosi a Tom.
-
A meno che tu non abbia un improvviso lampo di genio,- disse il
ragazzo, scrutando dubbioso il cielo - credo ci tocchi rimanere qui-
Vera
sbuffò, contrariata.
-
E' inutile che sbuffi- le disse Tom - La situazione non
cambierà di
certo se continui a lamentarti.
-
Tutto questo non sarebbe successo se la tua auto fosse così
tanto
sicura come appare.
-
O forse staremmo tutti più tranquilli se tu la finissi con
le tue
chiacchiere-
Vera
non riuscì a trattenere una smorfia.
-
Sei davvero impossibile!- esclamò - Possibile che sei sempre
così
scorbutico?
-
Se non ti va la mia compagnia, puoi sempre andartene- disse serafico
Tom.
-
Bene!- sottò Vera.
Tom
alzò lo sguardo sulla ragazza e la vide aprire con uno
scatto la
portiera.
-
Che diamine vuoi fare?- chiese, spiazzato dalla sua reazione.
Vera
non rispose, e gli scoccò semplicemente un'occhiata di
fuoco, per
poi uscire dalla macchina, chiudendo la portiera con un colpo secco.
Tom
rimase ad osservarla ad occhi sgranati, mentre lei, senza alcuna
voglia di tornare indietro continuava a camminare, prendendo poi un
sentiero che proseguiva nei boschi.
Ad
un certo punto, si fermò, indugiando sul da farsi, ma gli
bastò
voltarsi ed incontrare lo sguardo di Tom per decidere di riprendere
la propria strada.
“Io
lì...” si disse, mentre si addentrava tra gli
alberi “...non ci
torno”
*
*
-
Buona serata, Lawrence!-
Lawrence
alzò la testa dai foglio che stava compilando e
salutò con un cenno
del capo la giovane wedding planner che stava sulla soglia.
Una
volta rimasto di nuovo solo, lanciò uno sguardo preoccupato
al suo
orologio da polso: era piuttosto tardi e Vera non si era ancora fatta
sentire.
Normalmente
non si sarebbe preoccupato così tanto, ma aveva una pessima
sensazione che gli ronzava in testa, e non riusciva a
tranquillizzarsi.
Prese
quindi il telefono che stava sulla sua scrivania, compose il numero
dell'amica e rimase in attesa che lei rispondesse, pronto a farle una
sfuriata per averlo fatto preoccupare.
Al
posto della voce della mora, però, Lawrence sentì
quella metallica
dell'operatore telefonico di Vera che gli comunicava che il cellulare
della giovane risultava spento.
Con
un sospiro, il ragazzo mise la cornetta del telefono al suo posto e
ritornò a guardare l'orologio: sì, era
decisamente tardi.
Troppo
tardi, forse.
“Forse
Madison e Bill ne sanno qualcosa” si disse, cominciando a
cercare
tra i fogli sul tavolo il post-it dove aveva segnato il numero di
Madison.
-
Eccolo!- esclamò quando lo trovò.
Riprese
il telefono e digitò il numero che aveva trovato, premendo
velocemente i tasti.
-
Pronto?-
rispose una voce femminile poco dopo.
-
Pronto, Madison?- disse il biondo - Sono Lawrence.
*
*
-
Appena
abbiamo
notizie, ti chiameremo, Lawrence.
-
Grazie, Madison. Buona serata-
Lawrence
chiuse la chiamata, e sospirò, deluso: nemmeno Bill e
Madison
avevano notizie di Vera; anzi, non avevano notizie nemmeno di Tom.
Cominciò
a raccogliere le sue cose, preparandosi per andare a casa, mentre
nella sua testa continuava a fare supposizione sul dove potesse
essere la sua amica.
In
un'altra occasione, probabilmente, avrebbe pensato che finalmente lei
e Tom avevano dichiarato la loro reciproca attrazione, ma in quel
momento delle strane sensazioni poco positive avevano fatto capolino
nella sua testa.
“Dove
diamine sei, Vera?”
* *
Ormai
Vera era via da un paio d'ore.
Tom
si sporse per vedere meglio il cielo, che stava diventando sempre
più buio e minaccioso, mentre la pioggia non accennava a
diminuire.
Sospirò
e si sistemò meglio sul sedile, mentre dentro lui la
preoccupazione stava salendo.
“Tornerà
sicuramente” pensò, cercando di tranquillizzarsi
“Non
è così stupida da rimanere in giro per i boschi
di notte”
D'un
tratto, un tremendo fragore lo fece trasalire, e l'ansia
s'impossessò nuovamente di lui.
“Non
essere sciocco, Tom” si disse “E poi, le sta
bene”
continuò “E' stata lei a voler andare
via”
Un
nuovo tuono, l'ennesimo, squarciò il silenzio in cui era
immerso,
e il rombo sembrò quasi scuotere la vettura.
Il
moro rimase fermo nella sua posizione per qualche istante, poi
voltò lo sguardo verso il finestrino del lato del
passeggero,
guardando oltre il vetro, quasi come se si aspettasse di vedere la
figura di Vera comparire da un momento all'altro.
Si
diede mentalmente dello stupido e tornò a guardare dritto
davanti
a sé, nell'attesa che qualcuno passasse per quella strada.
Dopo
poco, però, si ritrovò a guardare di nuovo quel
sentiero che
Vera aveva imboccato prima di scomparire dietro agli alberi,
lasciandolo solo.
Sospirò
una seconda volta, e capì che non aveva alternative.
“Se e quando
torno,” si disse, mentre scendeva e
chiudeva l'auto “dovrò dire due paroline a
Bill”
Salute
a
voi, miei cari Lettori!
Allora,
come
vi è parso questo capitolo?
Aspetto
le
vostre recensione!
Un
grazie di
cuore a chi segue/preferisce/ricorda/recensisce e anche a chi legge
solamente!
A
presto!
Heilig__
Ps:
normalmente non mi faccio pubblicità in questo modo barbaro,
ma se
avete Twitter e volete seguirmi, vi lascio il mio nick: @yousayiamfixed
Un
bacio!
|
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Capitolo 11 *** Eleven ***
Eleven
-
Maledizione!-
Vera
si scostò una ciocca
bagnata dal viso e riprese a camminare, stringendosi nei suoi abiti,
ormai fradici e appiccicati al suo corpo quasi come una seconda
pelle.
Aveva
perso il conto delle
ore che aveva passato a girare a vuoto in quel bosco.
Tutti
gli alberi le
sembravano uguali e la pioggia non l'aiutava di certo.
Non
si era prefissata una
meta, voleva solo uscire da quel groviglio di rami e cespugli al
più
presto.
Aveva
anche pensato di
tornare indietro sui suoi passi, ma poi lo sguardo strafottente di
Tom e il suo sorriso di scherno apparivano davanti ai suoi occhi,
facendola scuotere energicamente la testa e cambiare idea.
Come
se non bastasse,
inoltre, il suo telefono non voleva saperne di permetterle di fare
una misera chiamata.
-
Tutto questo è colpa di
Tom- borbottò a denti stretti la mora, scostando i capelli
dal volto
una seconda volta – Se solo fosse stato più
responsabile...-
Il
suo borbottio si
interruppe subito quando sentì un fruscio alla sua sinistra.
Si
volto di scatto, e cercò
di capire cosa avesse causato quel rumore, ma il buio e la pioggia
non le permettevano di aver una visuale adatta.
Scosse
la testa e fece per
riprendere a camminare ma un secondo rumore, simile al precedente, la
fece fermare di nuovo.
Si
guardò intorno,
timorosa, temendo di essere in pericolo.
-
C'è qualcuno?- chiese,
con voce tremante – C'è qualcuno?-
ripeté a voce più alta-
Dopo
qualche istante, sentì
un nuovo fruscio e poco dopo vide una piccola figura uscire da un
cespuglio, fermandosi a pochi centimetri dai suoi piedi.
Vera
abbassò lo sguardo, e
tirò un sospiro di sollievo: era solo uno scoiattolo.
L'animale
la guardò per
qualche istante, quasi con perplessità, per poi sparire
dalla sua
vista con uno scatto, scomparendo dietro ai cespugli.
Vera
sospirò di nuovo e
riprese a camminare, con passo incerto.
Non
aveva idea di dove
stesse andando, sperava solo di riuscire a trovare un posto dove
rifugiarsi almeno per quella notte.
Un
agriturismo, magari.
La
mora s'infilò una mano
in tasca e ne tirò fuori alcune banconote, e subito si
lasciò
sfuggire una sorta di lamento: ormai i soldi erano fradici, e nessuno
li avrebbe accettati.
Avrebbe
dovuto trovare
un'altra soluzione.
Continuò
a camminare,
guardandosi alle spalle di tanto in tanto.
“Un
momento...” si
disse, scorgendo dietro agli alberi la figura di un edificio
familiare.
“La
chiesa!”
La
ragazza iniziò a
correre, nonostante i vestiti fradici le rendessero difficili i
movimenti.
Qualche
minuto dopo si
ritrovò, finalmente, fuori dal bosco, davanti alla chiesa
che aveva
visitato con Tom quel pomeriggio.
Con
ancora il fiatone per la
corsa, si avvicinò a passo affrettato all'edificio, e fece
il giro
intorno ad esso, cercando una finestra da cui s'intravedesse una
qualche luce, ma la chiesa era completamente al buio, segno che non
c'era nessuno.
Sconsolata,
si avviò verso
il portico, e si sedette sui gradini, portando le ginocchia al petto
e tenendosi al caldo come meglio poteva.
Poggiò
la testa su un
pilastro affianco a lei, e chiuse gli occhi, mentre un lancinante
dolore si faceva spazio nella sua testa.
“Fantastico,
ci mancava
solo l'emicrania” pensò, con una smorfia
“Accidenti a te, Tom
Kaulitz”
* *
Intanto
-
Accidenti a te, Vera Cooper!-
Lawrence
sbatté con violenza il suo telefonino sul tavolo, dopo aver
chiuso
la telefonata con Marcy.
Nemmeno
la sorella della ragazza aveva notizie di Vera, perciò il
biondo era
punto e a capo.
Si
prese
il viso tra le mani, quasi in presa alla disperazione: era follemente
preoccupato, ma non riusciva a capirne il motivo.
Non
era
la prima volta che Vera non rispondeva al telefono, ma quella sera
c'era qualcosa nella sua testa che gli suggeriva che qualcosa non
andava.
Aveva
pensato più volte di avvertire la polizia, ma probabilmente
gli
agenti gli avrebbero riso in faccia, dato che non aveva prove certe
che la sua amica fosse davvero scomparsa.
A
quella
parola, Lawrence rabbrividì: scomparsa.
Scosse
il capo con veemenza: non doveva lasciarsi spaventare da stupide
suggestioni.
Si
alzò
dal tavolo ed andò nella sua stanza, dove si
spogliò in fretta e
furia, per poi indossare il pigiama. Quando si fu vestito si
buttò a
peso morto sul letto, per poi girarsi su un fianco.
Sentiva
le palpebre farsi sempre più pesanti: tutta quella
preoccupazione
l'aveva fatto stancare.
Aveva
decisamente bisogno di una sana dormita, o sarebbe uscito di senno.
Si
sistemo meglio sul materasso, mettendosi in una posizione quasi
fetale.
“Spero
che quando mi sveglierò,” pensò, mentre
si abbandonava al sonno
“Vera sia tornata a casa sana e salva”
*
*
-
Bill, stai bene?-
Bill
alzò lentamente lo sguardo su
Madison che lo guardava preoccupata.
-
Hai detto qualcosa?- fece, passandosi
stancamente una mano sul viso.
-
Sei in pensiero per Tom?- chiese la
mora, sedendosi accanto a lui sul divano.
-
Io...- iniziò a dire Bill - Insomma,
è tardi!- esclamò, quasi come a giustificare la
sua apprensione.
-
Non risponde ancora?- domandò
Madison, lanciando un'occhiata al cellulare del biondo, posato sul
tavolino di fronte a loro.
Bill
scosse la testa, con sguardo
corrucciato.
-
Mi chiedo cosa sia successo.
-
Oh, avanti!- fece Madison - Sono
sicura che non è successo nulla. L'hai detto tu stesso
questo
pomeriggio- disse – Sono certa che sarà a
divertirsi in qualche
locale. Non preoccuparti.
-
Sì, ma...- disse Bill - Ho una
brutta sensazione.
Tra
i due scese il silenzio, interrotto
solo dal rumore della pioggia battente, che fuori continuava a cadere
senza sosta.
-
Credi che si siano uccisi a vicenda?-
chiese all'improvviso Madison.
Bill
la guardò con un sopracciglio
alzato, per poi ridacchiare sommessamente.
-
In effetti non avevo preso in
considerazione quest'ipotesi- affermò, con un sorriso
beffardo.
-
Non capisco perché quei due siano
così ottusi- disse poi Madison dopo qualche istante di
silenzio.
-
Vorrei tanto saperlo anche io-
rispose Bill.
D'un
tratto, il rombo di un tuono fece
voltare entrambi verso la finestra, quasi spaventati.
-
Non ho mai visto un temporale del
genere qui a Los Angeles- commentò Madison, con una smorfia,
osservando le gocce d'acqua che battevano sul vetro.
-
A questo punto,- fece Bill dopo poco
- spero che Tom sia davvero in qualche locale ad ubriacarsi.
-
Perché?- chiese Madison, voltandosi
verso il biondo, con sguardo confuso.
-
Beh,- rispose il ragazzo, abbozzando
un lieve sorriso – Tom ha il terrore dei temporali.
* *
-
Stupida mocciosa-
Tom
si strinse nella sua
felpa, ormai fradicia, come il resto dei suoi indumenti, dopotutto.
Mentre
continuava a
camminare, si chiedeva dove potesse essersi cacciata Vera.
“Non
dovrei nemmeno essere
qui” si disse, affondando maldestramente un piede in una
pozzanghera fangosa “Sarei dovuto rimanere in auto”
pensò,
guardandosi il piede con aria schifata, per poi riprendere a
camminare “Ma ora è troppo tardi”
concluse, con una scrollata di
spalle.
Sentiva
di girare a vuoto e
di non stare proseguendo realmente.
In
poche parole, si era
perso.
“Ma
quest'albero... E'
quello di prima!” si disse, osservano il tronco di una
quercia a
lui familiare e dannatamente uguale a tutti gli altri.
“Appena
la trovo, mi
sentirà, quella stupida!” pensò, mentre
proseguiva.
Si
sentiva stanco e i
vestiti bagnati completamente incollati alla su pelle non
facilitavano di certo il movimento, e ciò lo innervosiva
ancora di
più, se possibile.
Inoltre
la pioggia,
accompagnata da tuoni che lo facevano sobbalzare ad ogni passo, non
accennava a diminuire.
-
Accidenti- borbottò, dopo
che l'ennesimo fragore l'aveva fatto trasalire.
Riprese
a camminare con
passo veloce, per quello che i suoi indumenti potessero permettergli,
sempre più irritato.
Non
sarebbe dovuto essere
lì, sotto la pioggia, con un piede infangato e completamente
sperduto in un bosco fuori dal mondo.
Sarebbe
dovuto essere a
casa, nel suo letto, tra le braccia di Morfeo.
O
di qualche ragazza.
Scosse
la testa, e
proseguì, cercando di non continuare a girare a vuoto.
D'un
tratto, dopo una decina
di minuti, scorse dietro alle fronde degli alberi un'enorme sagoma
scura che si stagliava nel cielo.
Mentre
cercava di capire di
cosa si trattasse, un lampo illuminò per un istante l'ombra,
mostrando la chiesa che il moro aveva visitato quel pomeriggio.
Senza
quasi accorgersene,
allungò il passo e in men che non si dica si
trovò fuori dal bosco.
Si
avvicinò alla chiesa, ma
ben presto comprese che non c'era nessuno.
O
quasi.
Uno
starnuto, seguito da un
colpo di tosse, lo fecero sobbalzare, portandolo a guardare il
portico, poco distante da lui.
-
Ehi?- fece, avvicinandosi,
con incertezza – C'è qualcuno?-
Subito
vide una figura
alzarsi di scatto.
-
Tom?!
-
Vera?-
La
figura ritornò a sedersi
e il giovane si avvicinò ai gradini, scoprendo che si
trattava di
Vera.
-
Finalmente ti ho trovata!-
esclamò, lasciandosi andare accanto alla mora.
-
Perché? Mi stavi cercando
forse?- fece Vera, accigliata.
-
Sai, ho già un'auto sulla
coscienza, non volevo avere anche una spocchiosa wedding planner-
replicò Tom – Lasciatelo dire, sei
un'irresponsabile. Cosa credevi
di fare?
-
Qui l'unico irresponsabile
tra i due sei tu, Tom- sbottò Vera – Se solo la
tua auto fosse
stata più affidabile...
-
Senti, basta, non ho
voglia di litigare con te- la interruppe bruscamente Tom,
massaggiandosi le tempie con aria sofferente.
Vera
sbuffò e distolse lo
sguardo, osservando le gocce di pioggia che cadevano incessantemente
sul terreno del cortile della chiesa.
Un
improvviso frastuono la
fece trasalire, e al suo fianco Tom imprecò.
-
Vaffanculo- borbottò il
ragazzo, quando tornò il silenzio.
Vera
gli diede un'occhiata e
vide che teneva gli occhi chiusi e i pugni stretti, quasi a farsi
coraggio.
D'un
tratto il chitarrista
aprì gli occhi, e Vera arrossì, distogliendo di
nuovo lo sguardo,
imbarazzata di essere stata sorpresa ad osservarlo.
-
E' stato uno scherzo dei
miei compagni- disse Tom tutto d'un fiato.
Vera
si voltò a guardarlo,
con un sopracciglio alzato, confusa.
-
Avevo circa sei o sette
anni. Eravamo al campeggio- riprese a dire Tom – Ci eravamo
spartiti i compiti e io dovevo andare a prendere la legna con un paio
di amici. Loro mi dissero di prendere un sentiero diverso da quello
prefissato perché avrei trovato più legna e mi
assicurarono che mi
avrebbero raggiunto dopo poco, ma in realtà tornarono al
campo. Una
ventina di minuti dopo capii che mi avevano preso in giro e tentai di
tornare indietro, ma mi ero perso. Allora mi sedetti su una roccia,
in attesa che qualcuno venisse a prendermi. Dopo poco, però,
scoppiò
un temporale, più o meno come questo-
Tom
additò la violenta
pioggia che si stava abbattendo su tutto ciò che li
circondava, per
poi riprendere il discorso – Con tanto di lampi e fulmini.
Non ho
mai visto nulla del genere- affermò – Inutile dire
che la cosa mi
traumatizzò, e non poco. Grazie a Dio, Bill
avvertì la maestra che
non ero ancora tornato e mi vennero a cercare. Ecco perché
ho paura
dei tuoni- concluse poi - Fine della storia- sospirò infine.
Vera
era rimasta a bocca
aperta dalla disarmante sincerità del giovane: gli aveva
raccontato
una sorta di segreto, che probabilmente in pochi conoscevano, senza
alcun problema, senza vergogna, anzi con una strana
spontaneità che,
dal canto suo, nemmeno Tom sapeva da dove fosse arrivata.
-
Oh...- riuscì a dire
solamente la wedding planner – Non dev'essere stato bello.
-
No, infatti- rise Tom.
Vera
abbozzò un sorriso,
stringendo ancora di più le ginocchia al petto.
Voltò
timidamente lo
sguardo verso Tom e lo osservò, attenta a non farsi vedere
una
seconda volta.
Dopotutto,
se non si
consideravano diversi aspetti, quali la sfacciataggine e l'arroganza,
il giovane poteva anche sembrare simpatico.
La
mora passo in rassegna
ogni particolare del suo volto, decretando infine che, sì,
Tom era
decisamente un bel ragazzo.
Peccato
che la sua bella
presenza passasse completamente in secondo piano appena apriva bocca.
-
Puoi appoggiarti se vuoi.
Non ti mangio-
Quell'affermazione,
così
improvvisa, fece trasalire Vera.
-
Come, scusa?- chiese,
affrettandosi a spostare lo sguardo.
-
Ho detto che puoi
appoggiarti- ripeté Tom, battendosi una mano sulla spalla
– Almeno
puoi dormire su qualcosa di morbido-
Vera
guardò con incertezza
la spalla del ragazzo, mentre una voce nella sua testa tentava di
fermarla da ciò che stava per fare: “Stupida!
Non farlo! Ti
ucciderà nel sonno, lo sai!”
La
voglia di appisolarsi per qualche ora, però, stava prendendo
il
sopravvento, così, sebbene con qualche timore, Vera si
avvicinò al
giovane, e poggiò la testa sulla spalla, come lui l'aveva
invitata a
fare. Si sentiva stranamente al sicuro in quella posizione.
-
A che ora credi arriverà il parroco?- chiese, quasi in un
sussurro.
-
Non saprei- disse Tom – Spero presto- aggiunse poi.
Dopo
una decina di minuti, il moro sentì la testa di Vera farsi
più
pesante.
-
Vera?- fece.
Si
voltò verso di lei, ma subito si accorse che si era
addormentata.
Nel
vederla, si lasciò sfuggire un lieve sorriso, di cui nemmeno
lui
seppe dare un motivo o un significato.
Sospirò,
e posò la sua testa sua quella della ragazza, e le
circondò le
spalle con un braccio, addormentandosi anche lui poco dopo.
* *
La
mattina
-
Oh, signore
santo! Cos'è successo qui? Ragazzi? Ragazzi, state bene?-
Tom
sentì una mano
scuotergli il braccio con insistenza e aprì lentamente gli
occhi, e
quando li ebbe aperti per poco non gridò dallo spavento.
-
Parroco Evans!-
esclamò – Cosa... cosa ci fa qui?
-
Sono io che
dovrei farvi questa domanda- replicò l'uomo –
Cos'è successo?
State bene? Avete passato qui la notte?- fece poi, senza quasi
prendere fiato tra una domanda e l'altra.
-
Sì, abbiamo
dormito qui- rispose Tom, completamente indolenzito per la posizione
scomoda in cui si era addormentato. Voltò lo sguardo e vide
che Vera
non accennava a svegliarsi.
Sfiorò
il suo
volto con la mano, ma la ritrasse quasi subito.
-
E' bollente!-
esclamò.
Il
parroco si piegò
e posò una mano sulla fronte della giovane.
-
Ha la febbre-
sentenziò – Vieni, portiamola dentro-
Tom
si alzò e
sollevò Vera dai gradini, tenendola stretta a sé,
per poi
raggiungere il parroco che stava aprendo il portone della chiesa.
L'uomo
si scostò,
facendo segno al giovane di entrare, e Tom varcò la soglia
per poi
far stendere Vera su una panca poco distante.
La
mora aveva preso
ad ansimare e a sudare, in preda alla febbre, e Tom sgranò
gli
occhi, spaventato.
-
Parroco, crede
che sia grave?- chiese, quasi tremante.
Il
parroco lo
affiancò ed osservò Vera.
-
Non sono un
dottore, ma credo che la tua ragazza si sia presa un bel raffreddore
in piena regola-
Tom
annuì
distrattamente, poi si voltò di scatto verso l'uomo.
-
La mia ragazza?-
fece stranito – No, Vera non è la mia ragazza!-
disse, alzando
inspiegabilmente il tono di voce.
-
Certo, certo-
rispose il parroco – Chiunque sia, ha bisogno di cure-
Tom
ritornò ad
osservare Vera, che aveva preso a borbottare qualcosa
d'incomprensibile.
-
Ha un telefono?-
chiese poi – Un telefono che prenda-
precisò poi.
Il
parroco annuì,
e indicò a Tom una porta poco distante da loro.
-
Là dentro ce n'è
uno- spiegò.
Tom
si allontanò
velocemente e, dopo essere giunto davanti alla porta, l'aprì
ed
entrò nella stanza, un piccolo spazio adibito probabilmente
a
studio, dove si trovava una piccola scrivania, sul quale
trovò il
telefono.
Si
avvicinò al
tavolo e afferrò la cornetta, per poi comporre velocemente
il numero
di Bill.
“E'
presto” si
disse, portandosi il telefono all'orecchio “ma non ho
intenzione di
rimanere qui per sempre”
- Tom?
-
Bill! Ho un
probl...
- Sei un
idiota!
-
Ma Bill...
-
Spero per te
che tu non sia ubriaco fradicio e che non mi stia per chiedere di
venirti a raccarti in chissà quale sudicio locale,
perché, davvero,
Tom- sbottò
Bill, senza lasciare parlare il fratello – giuro
che ti mollo lì. Te lo meriti, davvero.
Ma
buona
domenica, carissimi e carissime!
Vi
chiedo scusa
per questi giorni di silenzio, ma tra Ramadan e il caldo il mio
cervellino (già minuscolo) si è definitivamente
squagliato.
Coooooooooomunque,
cosa ve ne pare di questo capitolo pseudo-romantico? :'3 LOL
Ditemelo
nelle
recensioni :)
Prima
di
salutarvi però, vorrei dire solo una cosa:
non
so quanti di
voi seguissero Stranger
In Moscow, ma, come
ho annunciato
nella mia biografia sulla mia pagina d'autore, l'ho eliminata :(
Non
starò qui a
riempirvi le scatole con i vari motivi che mi hanno spinto a farlo,
sappiate comunque che la riposterò più avanti!
Grazie
comunque
a chi ha letto i primi capitoli, e ovviamente a chi mi segue anche
qui! :)
Ormai
siamo a
metà strada, ragazzuoli!
Se
volete contattarmi, per chiedermi
qualunque cosa o anche solo per fare amicizia, vi lascio il mio
Facebook
e il mio Twitter
See
You “SOON” (LOL)
Heilig__
|
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Capitolo 12 *** Twelve ***
A
Vale
Grazie
perché mi sopporti sempre, cognata
Ti
voglio bene
(Addio.
Pft)
Twelve
Madison
fu svegliata dal rumore secco delle ante dell'armadio che si aprivano
e chiudevano, accompagnate da incomprensibili borbottii.
-
Bill?- fece con voce impastata, mentre apriva lentamente le palpebre
- Che stai facendo?- chiese, strofinandosi un occhio.
-
Ha chiamato Tom- spiegò sbrigativo il biondo, mentre
indossava una
felpa bianca - La macchina l'ha lasciato a piedi- aggiunse, sedendosi
sul letto per mettersi le scarpe - Vado a prenderlo.
-
E Vera?- domandò Madison, ormai del tutto sveglia.
-
E' con lui- rispose Bill - Si è buscata l'influenza- disse
poi - Una
brutta influenza, a quanto pare- aggiunse con sguardo cupo - Passo da
Lawrence e poi vado alla chiesa.
-
Ti conviene muoverti, allora- disse Madison, lanciando un'occhiata
alla sveglia sul suo comodino - Tra poco inizia l'ora di punta.
-
Sì hai ragione- fece Bill - Beh, io vado-
annunciò poi, sporgendosi
per lasciare un bacio sulla guancia della ragazza.
Senza
aspettare che lei rispondesse, uscì in fretta e furia dalla
stanza,
catapultandosi al pian terreno, per poi uscire dall'appartamento e
raggiungere l'auto che aveva parcheggiato di fronte al cancello la
sera prima.
“Spero
solo” si disse, mentre si allacciava la cintura, per poi far
partire la vettura “che Lawrence sia in ufficio”
*
*
Quando
Bill si fiondò all'interno della WedDreams
con fare trafelato, una ventina di paia di occhi si voltarono verso
di lui, scrutandolo, dubbiosi.
Raggiunse a grandi falcate la
prima scrivania che trovò, dove stava seduta una giovane
ragazzi dai
capelli a caschetto biondissimi e un paio di grandi occhi scuri.
- Buongiorno, signore- lo salutò
con perplessità la giovane - Posso esserle utile?
- Devo vedere Lawrence- disse
tutto d'un fiato il biondo - Lawrence Williams.
- Lei è il suo ragazzo?-
Bill sgranò gli occhi e rimase
a bocca aperta per alcuni interminabili istanti: perché in
quell'agenzia tutti pensavano che lui fosse gay?
- No- rispose, a denti stretti -
Devo vederlo- ripeté - Può portarmi da lui?-
aggiunse, con
gentilezza.
- Ha un appuntamento?- chiese,
sempre con diffidenza la giovane.
- No, non ho un appuntamento-
disse Bill, inarcando un sopracciglio.
- Mi dispiace- rispose la
ragazza, scuotendo la testa - Niente appuntamento, niente Lawrence.
- E' urgente- sibilò Bill,
mentre sentiva che il suo livello di sopportazione stava per essere
pericolosamente raggiunto.
- Vorrei poterla aiutare, ma non
mi è consentito- disse la giovane - Torni un altro giorno-
aggiunse
poi, tornando al suo lavoro.
-
Senta, mi ascolti bene- sbottò Bill, avvicinandosi al suo
viso - non
so chi si creda di essere, ma sappia che io
sono Bill Kaulitz,- fece indicandosi - e mio fratello è
bloccato con
una vostra collega in un posto dimenticato da Dio, senza macchina e
senza possibilità di tornare a casa, perciò ora
lei mi farà
parlare con Lawrence senza se e
senza ma- continuò
gesticolando furiosamente.
Si allontanò un poco dal viso
della giovane e la osservò con una smorfia dipinta sul
volto, a
braccia conserte.
La ragazza rimase interdetta, ma
subito ritornò alle sue posizioni.
- Mi dispiace, ma le regole sono
le regole- sentenziò – E ora, mi faccia il favore
di andarsene, o
sarò costretta a...-
- Bill?- disse però
all'improvviso una voce maschile alle sue spalle.
Il biondo alzò la testa e
incontrò lo sguardo preoccupato di Lawrence che lo osservava
da
dietro la giovane impiegata.
- Sei tu Lawrence?- chiese.
Il ragazzo annuì lievemente,
avvicinandosi alla scrivania.
- E' tutto ok- disse alla
ragazza, per poi riprendere a guardare Bill - Hai notizie di Vera?-
chiese, con evidente preoccupazione nella voce.
Bill si limitò ad annuire, con
espressione seria in volto.
- Dobbiamo andare alla chiesa-
disse – Ora.
- Ma... io...- obbiettò
Lawrence, grattandosi il capo.
- Muoviamoci!- esclamò Bill,
afferrandolo malamente per un braccio, per poi trascinarlo con forza
verso la porta.
- Bill!- esclamò Lawrence –
Non posso lasciare così l'ufficio, accidenti! Devo avvertire
i
ragazzi-
Il cantante, però, sembrava non
curarsi delle sue parole, e continuò a trascinarselo dietro
fino
all'esterno dell'edificio, arrivando davanti alla sua auto,
parcheggiata in malo modo accanto al marciapiede
- Devo prenderti in braccio o
sali in auto da solo?- chiese, con sarcasmo, mollando di colpo la
presa sul polso di Lawrence.
Il biondo non rispose, ed aprì
la portiera, scuotendo la testa, mentre Bill si dirigeva al posto di
guida, per poi mettere in moto.
- Scusa per il modo in cui sono
entrato nell'agenzia- si scusò subito quest'ultimo,
stringendosi
nelle spalle.
- Non fa nulla- fece Lawrence –
Comunque, piacere di conoscerti. Io sono Lawrence-
Il biondo tese la mano al
cantante, che l'afferrò e la strinse, per poi riportare la
propria
sul volante.
- Il piacere è tutto mio-
disse, sorridendo - Tutte le tue impiegate hanno un bel caratterino-
scherzò poi, dopo qualche minuto di silenzio –
Prima Vera, ora
questa. Sai che ha pensato che fossi il tuo ragazzo?
- Oh, non preoccuparti di
Steffi- disse Lawrence, facendo un gesto di noncuranza con la mano
–
A volte è scontrosa, ma sai, can che abbaia non morde-
aggiunse –
Vera invece morde, e molto- fece, per poi ritornare subito serio
–
Allora,- disse - Cos'è successo?
- Mettiti comodo, amico: non
crederai alle tue orecchie.
* *
Tom continuava a guardare con
insistenza ed impazienza l'ora sul display del suo cellulare,
lanciando, tra un controllo e l'altro, delle occhiate preoccupate a
Vera, che sembrava non migliorare molto.
Aveva smesso di agitarsi, ma
sembrava che la febbre non fosse scesa, e il moro aveva deciso che se
suo fratello non fosse arrivato entro poco, avrebbe chiamato
l'ambulanza.
Una parte della sua testa si
chiedeva perché fosse così tanto preoccupato
della sorte di quella
ragazza: in fondo, lo aveva deriso e schiaffeggiato di fronte a
tutti.
E poi tutto quello non era certo
accaduto a causa sua.
Non era stata forse Vera a voler
scendere dall'auto?
Non era stata forse lei ad
addentarsi in quel maledetto bosco, nonostante
diluviasse?
E allora perché se ne stava
seduto su una panca di legno, in una chiesa avvolta dal silenzio,
divorato dai sensi di colpa, quando lui, di colpa, non ne aveva?
“Al diavolo!” si disse,
rabbioso.
Dopo aver controllato per
l'ennesima volta l'ora, il giovane alzò lo sguardo e davanti
a sé
vide la statua della Vergine Maria.
Rimase ad osservarla per qualche
istante, poi sul suo viso si dipinse una smorfia.
- E' inutile che mi guardi così-
borbottò – La colpa non è mia- aggiunse
poi, in un sussurro.
Dopo poco, distolse lo sguardo,
dandosi dell'idiota.
“Sto diventando pazzo” si
disse “ Adesso mi metto a parlare con le statue”
pensò ancora,
passandosi una mano sul volto, solcato da profonde occhiaie.
Il tempo, intanto, passava, ma
di Bill nemmeno l'ombra.
Prima di chiudersi nel suo
piccolo studio, il parroco gli aveva annunciato che quel giorno
avrebbe dovuto battezzare alcuni bambini, e ciò significava
che né
lui né Vera sarebbero potuti rimanere lì a lungo.
Intanto, la giovane, sempre
sdraiata sulla panca, accanto a Tom, aveva vagamente ripreso un
colorito naturale, che andava a sostituire il rosso fuoco che aveva
dipinto fino a quel momento le sue gote.
Tom tirò un leggero sospiro di
sollievo, per voltarsi e guardare il portone del edificio, implorando
mentalmente che suo fratello apparisse da un momento all'altro e lo
aiutasse.
Dopotutto, la colpa era solo
sua.
Sconsolato nel non vedere il
portone aprirsi, il moro tornò a guardare di fronte a
sé, non senza
aver prima controllato l'ora: si stava facendo dannatamente tardi e
stava seriamente prendendo in considerazione l'idea di portare Vera
all'ospedale a piedi.
Guardò la ragazza e non poté
non notare la smorfia che era apparsa sul suo volto rendendolo
imbronciato, ma assolutamente adorabile.
“Un momento!” si disse il
moro, sgranando gli occhi “Adorabile? Ho appena pensato a
Vera come
adorabile?”
Scosse la testa con veemenza,
cercando di scacciare quel pensiero dalla testa e riprese a guardare
dinanzi a sé, dove si estendeva la lunga navata centrale
della
chiesa, terminante con il bellissimo altare pregiato di epoca gotica.
Tom chiuse gli occhi e si figurò
un Bill in giacca e cravatta ad aspettare con impazienza l'arrivo di
Madison, nel suo bellissimo abito bianco, accompagnata dal padre,
mentre tutti gli invitati, lui compreso, attendevano trepidanti
l'inizio della cerimonia.
Ormai mancava poco, e più la
data si avvicinava, più Tom sentiva che quella storia aveva
quasi
dell'assurdo: Bill Kaulitz, il perennemente single, il 'hopeless
romantic' come avevano detto alcune riviste qualche anno
prima,
stava per sposarsi.
Quasi non riusciva a crederci.
Il suo flusso di pensieri fu
interrotto da un colpo alla porta, seguito da un altro, e poi un
altro ancora.
Si guardò in giro, aspettando
che il parroco uscisse dal suo studio per andare ad aprire, ma l'uomo
non sembrava averne la minima intenzione.
Quindi si alzò e raggiunse il
portone, per poi aprirlo, con estrema cautela, temendo che potesse
essere qualche sconosciuto a cui avrebbe dovuto dare poi delle
spiegazioni.
Quando però, una volta aver
aperto, davanti ai suoi occhi apparvero suo fratello e Lawrence, non
poté trattenere un sospiro di sollievo.
- Non potete immaginare quanto
sia felice di vederti, Bill- disse, mentre sentiva che parte delle
sue preoccupazioni si dissolvevano – E sono felice di vedere
anche
te, amico, chiunque tu sia- aggiunse poi, con un sorriso, guardando
Lawrence
- Dov'è Vera?- chiese serio
quest'ultimo, senza troppi convenevoli.
Leggermente interdetto, Tom
additò la panca su cui Vera era sdraiata, e subito Lawrence
la
raggiunse.
- Cooper!- esclamò,
accovacciandosi dinanzi a lei – Ehi- fece, con tono
più dolce,
avvicinandosi al suo viso – Ehi, Cooper, mi senti?-
Vera aprì lentamente gli occhi,
per poi richiuderli subito, piegata dal mal di testa che sembrava
divorarla dall'interno.
- Lawrence?- fece, con una voce
che tradiva una certa stanchezza.
Con fatica, si mise seduta e
Lawrence l'affiancò.
- Lawrence,- disse con voce
tremante, tra un colpo di tosse e l'altro - promettimi che questa
sarà l'ultima volte che mi appioppi il matrimonio di una
star-
Lawrence non riuscì a
trattenere una risata, e l'abbracciò con forza, mentre alle
loro
spalle Bill e Tom osservavano la scena.
Nel vedere i due amici
abbracciarsi, però, il chitarrista sentì dentro
di sé una sorta
d'irritazione montargli in corpo, senza un motivo ben preciso, e
quasi senza accorgersene, aveva stretto i pugni e serrato la
mandibola.
- Tranquillo,- gli sussurrò
Bill ad un orecchio – lui è gay-
Tom si voltò esterrefatto,
giusto in tempo per vedere il fratello ridacchiare sotto i baffi.
- Cosa vuoi che me ne importi-
sbuffò il moro, tentando di nascondere l'imbarazzo.
Qualche istante dopo, la porta
dello studio del parroco Evans, e quest'ultimo ne uscì,
restando
sorpreso di trovare più gente di quanta ce n'era prima.
L'uomo si avvicinò ai quattro,
e subito si presentò.
- Buongiorno- disse, stringendo
la mano prima a Bill e poi a Lawrence – Io sono il parroco
Evans.
- Piacere di conoscerla,
parroco- disse Bill, con un sorriso – Io sono Bill. Sono lo
sposo.
- Oh!- fece il parroco – Beh,
felice di conoscerti Bill e auguri per le tue nozze-
Dopo che anche Lawrence si fu
presentato, Bill decise che era meglio andare.
- Non voglio trovare traffico-
spiegò.
- Bene!- fece Tom, sollevato di
poter definitivamente lasciare quel posto – Parroco Evans, la
ringrazio per quello che ha fatto per noi- disse poi, stringendo la
mano all'uomo.
- Si figuri, è stato un piacere
aiutarvi- disse sorridente il parroco – Ora sarà
meglio che
ritorni dentro. Devo cominciare a prepararmi-
Con un cenno del capo l'uomo
salutò definitivamente i quattro, per poi voltarsi e tornare
nel suo
studio.
Lawrence si alzò dalla panca ed
aiutò Vera a fare altrettanto, sostenendola per i fianchi.
- Bene, ora che siamo pronti-
disse Bill – Possiamo anche andare-
I ragazzi uscirono dalla chiesa
e fecero per raggiungere l'auto, parcheggiata poco distante, ma
all'improvviso, una sorta di lamento giunse alle loro orecchie.
Bill e Tom, che precedevano Vera
e Lawrence, si voltarono di scatto, e videro il biondo sorreggere con
fatica l'amica, che sembrava avere avuto una brutta ricaduta.
- Ragazzi,- fece Lawrence, con
voce grave – dobbiamo portarla al pronto soccorso.
* *
- Quanto credete ci vorrà
ancora?-
Tom trattenne a fatica un sonoro
sbuffo, ed si costrinse ad evitare di lanciare a Lawrence
un'occhiataccia: era in ansia per Vera, ed era evidente, ma
così non
stava rendendo le cose più facili, anzi.
Inoltre, si stava preoccupando
anche lui.
Era a dir poco inspiegabile,
anzi, non aveva alcun senso, ma, in un modo o nell'altro, anche lui
era in apprensione per la ragazza.
Appena saliti in macchina, Bill
aveva premuto così forte l'acceleratore che Tom pensava si
fosse
fuso per la troppa foga.
Si erano fiondati nel primo
ospedale che avevano trovato sulla via del ritorno e avevano lasciato
Vera nelle mani di alcuni uomini in camice bianco che avevano
caricato la giovane su una barella e si erano chiusi con lei in una
stanza piena di macchinari.
Tom non aveva mai amato gli
ospedali: avevano un perenne odore di disinfettante che gli pizzicava
il naso, e, per di più, i muri erano sempre dipinti di un
rivoltante
color verdognolo o giallino, che il ragazzo odiava.
Dunque non si poteva certo dire
che stesse sprizzando gioia da tutti i pori mentre stava seduto tra
un Bill annoiato che sfogliava rumorosamente una rivista e un
Lawrence, al contrario, in preda all'agitazione più totale
in una
sala d'attesa completamente deserta, con medici e infermieri che
passavano davanti a loro senza degnarli nemmeno di uno sguardo.
Si sentiva quasi spaesato.
Poggiò la testa sul muro, e
decise di farsi una sana dormita, giusto per non dover più
sentire
le chiacchiere di Lawrence che sembrava sempre più ansioso
ogni
secondo che passava.
Chiuse gli occhi, e sentì
l'ambiente intorno a sé farsi sempre più distante
e i rumori – la
voce di Lawrence, i passi dei dottori, i suoni dei macchinari nelle
stanze intorno a loro – diventare ovattati.
Era quasi completamente
addormentato, quando sentì una porta aprirsi con uno scatto.
Aprì gli occhi e vide che dalla
stanza dove Vera stava venendo visitata era uscito un medico, un uomo
di mezz'età dai capelli bruni e gli occhi, anch'essi scuri,
dietro
ad un paio di occhiali dalle lenti spesse.
- Voi siete gli amici di Vera
Cooper?- chiese, con gentilezza.
I tre annuirono e si alzarono, e
l'uomo riprese a parlare.
- La ragazza sta bene, non ha
nulla di grave- li rassicurò subito – Ma ha preso
una brutta
influenza, e deve stare a casa a curarsi, per evitare che la
situazione peggiori-
I ragazzi annuirono una seconda
volta, e il medico sorrise.
- Ora le prescriviamo alcuni
farmaci e firmiamo alcune carte- annunciò – Ci
vorrà una mezzora
circa. A dopo-
Detto questo, si dileguò
immediatamente rientrando nella stanza e chiudendo la porta alle sue
spalle.
Bill, Tom e Lawrence tirarono
contemporaneamente un sospiro di sollievo, in silenzio ritornarono a
sedersi.
- Voi potete andare- disse
Lawrence, dopo qualche istante – Manderò un
messaggio a Chris, il
mio ragazzo, e gli chiederò di venirci a prendere-
Nel sentire quelle parole, Tom
arrossì, imbarazzato, ripensando al moto di stizza che aveva
avuto
un paio d'ore prima alla chiesa.
- Non c'è bisogno di
disturbarlo- diceva intanto Bill, cordiale – Vi accompagniamo
a
casa molto volentieri.
- No, Bill, credo che entrambi
siate molto stanchi- disse Lawrence – Non voglio che perdiate
altro
tempo, so che siete molto occupati- aggiunse – E poi dovete
anche
prendere l'auto di Tom...-
Bill mantenne la sua espressione
dubbiosa per qualche istante, poi, scrollò le spalle e
sospirò.
- In effetti hai ragione- disse
– Beh, allora, se è tutto ok, noi andiamo-
annunciò, alzandosi,
seguito a ruota dal fratello – E' stato un piacere
conoscerti,
Lawrence- disse poi, stringendo calorosamente la mano al biondo
–
Spero di rivederti.
- Anche io, Bill- rispose
Lawrence – E, ovviamente, spero di rivedere anche te, Tom-
aggiunse, quasi con sarcasmo, rivolgendosi al moro.
Tom si limitò a fare un cenno
con la testa e senza aggiungere nient'altro, si avviò verso
l'uscita.
Bill fece per seguirlo, ma
Lawrence lo trattenne, e gli lanciò un'occhiata complice.
- 30 dollari che si mettono
insieme prima del matrimonio.
- Nah- fece Bill, ridacchiando –
E' troppo presto- aggiunse, guardando con la coda dell'occhio che si
allontanava – 50 che tireranno questa storia fino a dopo le
nozze-
Lawrence guardò prima Tom, per
poi lanciare un'occhiata alla porta chiusa della stanza di Vera, ed
infine strinse la mano di Bill, con un sorrisetto.
- Affare fatto-
* *
Una
settimana più tardi
- La sfiga ti perseguita, Tom-
- Grazie tante per
l'osservazione, Hagen-
Georg roteò gli occhi,
divertito,e riprese a mangiare la sua pizza margherita.
Lui, Tom, Gustav e Bill si erano
ritrovati in un ristorante in centro città per pranzare
insieme, ed
ora stavano seduti ad un rustico tavolo di legno, camuffati a regola
d'arte, intenti ad ingozzarsi con i loro piatti.
- E che fine ha fatto la
macchina?- chiese Gustav, dopo aver ingoiato un boccone di spaghetti.
- E' dal meccanico- rispose Tom
– Ancora un paio di giorni e sarà come nuova!-
esclamò, allegro.
- Non vedo l'ora- disse Bill,
pulendosi la bocca con un tovagliolo – Sai, sono tuo
fratello, non
il tuo tassista- aggiunse, con una smorfia.
- Beh, forse la mia piccola
non avrebbe avuto nessun danno se soltanto tu fossi andato al tuo
dannato appuntamento con il parroco insieme a Madison-
replicò
stizzito Tom.
- Ma così non saresti potuto
rimanere solo con Vera- disse Bill, sorridendo perfido.
Tom aprì la bocca per
replicare, ma si ritrovò a boccheggiare come un pesce lesso.
- Al diavolo- borbottò infine,
tornando a mangiare la sua pizza.
- A proposito,- fece Georg,
posando coltello e forchetta sul piatto vuoto – avete avuto
sue
notizie? Sta bene?
- Madison l'ha chiamata qualche
giorno fa- disse Bill, versandosi della Coca in un bicchiere
– Sta
bene, ma deve rimanere a casa ancora per un po'-
Georg annuì, pensieroso, per
poi volgere lo sguardo a Tom che, sentendosi osservato, alzò
gli
occhi dal suo piatto e guardò l'amico.
- Beh?
- Perché non la vai a trovare?-
propose il bassista – In fondo, è stata la tua
compagna di
sventura, no?-
Tom guardò il ragazzo con
espressione interrogativa e per un attimo pensò che
scherzasse.
Lui?
Da Vera?
- Perché dovrei?- chiese,
esterrefatto.
- Sarebbe carino- insistette
Georg.
- Devo parlare con Alexa-
sentenziò il moro, riferendosi alla ragazza dell'amico, per
poi
tornare a mangiare – La vostra relazione ti sta
rincitrullendo.
- Georg ha ragione, Tom- fece
Bill – Magari potresti presentarti da lei con una bella
scatola di
cioccolatini!- esclamò, sognante – O dei fiori!
- Gli unici fiori che regalerei
a quella ragazza sono delle piante carnivore- borbottò Tom
– Ma
che vi è preso a tutti?!- fece poi, alzando la voce
– Vi sembro
tipo da cioccolatini io?- chiese poi, retorico, figurando se stesso
con in mano un'enorme confezione di cioccolatini rossa con un
gigantesco fiocco, mentre, vestito di tutto punto, suonava alla porta
di Vera.
Stomachevole.
-
Io credo sia una buona idea- asserì Bill – Sarebbe
molto gentile
da parte tua- aggiunse.
-
Ma se non so nemmeno dove abita!- esclamò Tom.
-
E qual è il problema?- disse Gustav – Hai il suo
numero: prendi il
telefono e chiediglielo.
-
Te lo puoi scordare- tagliò corto il moro.
-
Io invece credo di avere la soluzione- disse Bill, mentre trafficava
nella sua borsa – Ecco! Tieni-
Il
biondo porse al fratello un foglietto tutto spiegazzato su cui vi era
stato scarabocchiato un indirizzo.
-
Sarebbe?- chiese il chitarrista, girandoselo tra le mani.
-
L'indirizzo di Vera-
Tom
quasi trasalì e guardò il gemello con occhi
sgranati.
-
E tu come fai ad averlo?
-
Questo non ha importanza- disse sbrigativo il cantante – Ora
hai
l'indirizzo- aggiunse poi, con un enorme sorriso.
Tom
si guardò intorno, chiedendosi se fosse l'unico sano di
mente
rimasto.
-
Voi avete decisamente qualche problema.
*
*
Mentre
camminava per le strade di Los Angeles, dopo aver salutato i ragazzi
ed essersi messo d'accordo con loro per vedersi il giorno dopo in
studio, Tom ripensava alle parole dei tre.
Come
diamine era potuto venire loro in mente un'idea del genere?
Insomma,
da Bill se lo sarebbe anche potuto aspettare, ma Georg e Gustav
l'avevano lasciato a dir poco allibito.
“L'aria
di Los Angeles non fa bene a quei due, nossignore”
pensò “Sarà
meglio rispedirli in Germ...”
D'un
tratto, una vetrina catturò la sua attenzione, interrompendo
i suoi
pensieri.
Si
fermò e la osservò a lungo: su alcuni ripiani
erano stati sistemati
dolci di ogni genere; dai bignè, alle crostate, dalle torte
alla
panna ai più semplici cioccolatini. Dolci grandi e piccoli,
decorati
ad arte o con una semplice ciliegina in cima. Insomma, il paradiso
dei golosi.
Subito
le parole di Bill, Georg e Gustav ritornarono a martellarlo
più
forte di prima, e una voce nella sua testa lo invitava ad entrare.
“Ma
che diavolo vado a pensare!” si disse, scuotendo
energicamente il
capo.
Nonostante
ciò, però, non riusciva a distogliere gli occhi
da quella vetrina.
-
Ehi, ragazzo!-
Tom
alzò lo sguardo e vide che dalla pasticceria era uscita una
donna,
bassa e paffutella, i capelli nascosti da una cuffia bianca e vestita
con un abito a blu coperto da un grembiule infarinato.
-
Hai bisogno?- chiese gentilmente – E' un po' che sei qui.
-
Io...ehm...- balbettò Tom, visibilmente imbarazzato
– No, nulla.
Non si preoccupi, ora vado-
La
signora annuì, perplessa, e fece per rientrare, quando Tom
la fermò
all'improvviso.
-
Mi scusi!- esclamò, facendola voltare.
-
Sì?-
Tom
puntò il dito sulla vetrina ed indicò una
confezione di
cioccolatini.
-
Quanto... quanto costano questi?-
*
*
- Torno a trovarti domani,
Cooper!
- Ok, Lawrence. A domani!-
Vera chiuse la porta alle spalle
dell'amico, per poi stiracchiarsi stancamente.
Era a casa da una settimana
ormai, e altri sette giorni di pura noia mortale l'aspettavano.
Nonostante tutti i suoi sforzi,
Lawrence la controllava giorno e notte e le impediva di uscire, anche
se solo per respirare un po' d'aria fresca.
Sospirò, sconsolata, e decise
di farsi un lungo e rigenerante bagno caldo.
Mentre si dirigeva verso il
bagno, però, un dettaglio catturò la sua
attenzione: sul tavolo,
accanto al pc, stava un mazzo di chiavi con un portachiavi di peluche
a forma di panda.
“Lawrence” si disse subito
Vera “Si è dimenticato le chiavi. Come al
solito”
Scrollò le spalle, e pensò
che
entro tre quarti d'ora al massimo il biondo sarebbe tornato a
riprendersele.
Raggiunse quindi il bagno, dove
si spogliò con calma, mentre riempiva la vasca d'acqua calda.
Una volta pronta, s'immerse,
godendosi del calore della acqua che bagnava la sua pelle, dandole
una piacevole sensazione.
Prese il bagnoschiuma e ne versò
il contenuto, creando miriadi di bollicine e tanta schiuma.
Rimase ammollo per un tempo
indefinito, beandosi del profumo del sapone e del tepore dell'acqua,
quando, all'improvviso, il fastidioso trillo del citofono la fece
trasalire.
- Sarà Lawrence- borbottò,
mentre si affrettava ad uscire dalla vasca – Non lo aspettavo
così
presto- rifletté, mentre avvolgeva un asciugamano di spugna
attorno
al corpo.
Il citofono squillò ancora, e
Vera lo raggiunse di corsa.
- Sali!- esclamò al microfono,
schiacciando il tasto per aprire, senza nemmeno chiedere di chi si
trattasse.
Dopo poco, il campanello suonò
e la mora, ancora in asciugamano, andò ad aprire la porta.
- Dovresti trovare un modo per
ricordarti...-
Le parole le morirono in gola
quando realizzò chi aveva davanti.
“Oh. Merda”
Macccccccccciao
gente di EFP!
Eh,
sì: sono (o meglio, la mia connessione è) tornata!
E
ovviamente, ho portato con me un bel (?) capitoletto, tutto per voi.
Abbastanza
lungo, non torvate anche voi?
Le
cose qui si stanno smuovendo (??) e tra Tom e Vera sembra cambiato
qualcosa, ma è ancora un po' presto per dirlo ;)
Vediamo
cosa succederà più avanti!
Volevo
poi scusarmi per il ritardo nel postare, ma come la nostra cara
_RockEver_ (vedi
che mi ricordo di te?) vi
ha detto, ho avuto problemi con Internet – sì,
è stata lei ad
inviare i messaggi a tutte voi :D -
Ma
ora è tutto apposto (si spera)
Inoltre,
vi avviso che anche io (purtroppo) come molti ho i compiti delle
vacanze da fare (e sono tanti sigh. E non ho ancora cominciato,
doppio sigh), e per questo potrà capitare che io non posti
più così
velocemente come facevo prima... ma vi prometto che ce la
metterò
tutta per regalarvi sempre un capitolo all'altezza delle vostre
aspettative ;)
Un'ultima
cosa...
Voglio
fare un sondaggio :)
Nelle
recensioni scrivetemi qual è stata la miglior scena o
miglior frase
di questa storia fino ad adesso secondo voi, giusto per tirare le
somme di questi dodici capitoli:)
A
me per esempio, piace da morire la parte di Madison con il mattarello
di due capitoli fa u.u
E
in questo capitolo, mi sono divertita a scrivere di Tom che parla con
la Madonna :')
E
voi che mi dite?
Siate
creativi uominiH e donneH (ma credo più donne, LOL)
Ok,
ho finito u.u
Grazie
a tutti per la vostra pazienza (vi farò una statua!)
E
ovviamente, grazie a chi segue/preferisce/ricorda o anche legge
solamente
Se
volete contattarmi, per qualsiasi cosa, come sapere perché
non mi
faccio una vita sociale al di fuori di questo sito, come mi chiamo,
sapere qualcosa di più sulle mie FF, chiedere copertine per
le
vostre storie -gratuite ovviamente LOL- o anche solo per fare
amicizia, mi trovate su Facebook
e Twitter,
ma
potete tranquillamente contattarmi anche via MP su EFP, rispondo a
tutti :) (non sono ancora così famosa da potermi permettere
di
snobbarvi, HAHA)
Vi
aspetto al prossimo capitolo!
Un
bacio,
Heilig
|
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Capitolo 13 *** Thirteen ***
A
Francesca, in cui, nonostante la conosca da poco, ho trovato un'amica
e una sostenitrice
A
Greta, che ha bisogno di un po' di dolcezza e forse può
trovarla in
questa dedica
Vi
voglio bene
Thirteen
Tom
osservò attentamente
la scena che gli si presentava davanti agli occhi: Vera era di fronte
a lui, con in mano un mazzo di chiavi, i capelli bagnati e
gocciolanti, coperta solo da un semplice asciugamano color crema.
Non
poté non soffermarsi
sulle gambe della mora, toniche e leggermente abbronzate, e, senza
nemmeno accorgersene, si ritrovò ad analizzare l'intera
figura della
ragazza.
Aprì
la bocca per
parlare, ma si ritrovò a boccheggiare come un pesce lesso, e
prese a
stringere inconsapevolmente la presa sulla confezione blu che aveva
con sé che aveva con sé.
-
Beh?- fece fredda Vera,
incrociando le braccia al petto – Hai finito la radiografia?-
Tom
si ridestò, ed
abbassò lo sguardo, imbarazzato.
-
Non è colpa mia- si
giustificò – Se tu non aprissi la porta in
asciugamano, forse
avrei avuto una reazione diversa, non trovi?- fece poi, con una
smorfia, tornando a guardare Vera.
La
mora sbuffò,
contrariata, ma decise di non replicare: in fondo, non aveva tutti i
torti.
Mise
da parte il suo
disappunto e cercò di mostrarsi cortese.
-
Vuoi... entrare?-
chiese, indugiando sull'ultima parola.
Tom
si limitò ad annuire
lievemente, al che la mora si scostò.
- Entra
pure, Tom-
disse, con un gesto teatrale, ripetendo le stesse parole che il
giovane le aveva detto quando era stata lei ad andare a casa sua.
La
prima cosa a cui il chitarrista pensò appena mise piede
nell'appartamento fu che quel luogo era eccessivamente piccolo.
Una
volta dentro, si accedeva direttamente al salotto, un piccolo spazio
arredato con un divano, una poltrona, una piccola TV e un tavolo di
cristallo al centro.
Alla
sinistra dell'ingresso era posizionato un mobile di legno scuro, sul
quale stava il telefono di casa, insieme ad un paio di mazzi di
chiavi.
-
Mettiti comodo- disse Vera – Vado a mettermi qualcosa-
aggiunse,
prima di sparire nel corridoio.
Tom
fu
tentato di seguirla, ma poi si ricordò della sonora sberla
ricevuta
qualche tempo prima, e cambiò immediatamente idea.
Prese
quindi a guardarsi in giro, notando un paio di cornici appese alle
pareti.
Si
avvicinò ad esse e prese a studiarle con cura: una
rappresentava
Vera e Lawrence, in spiaggia, teneramente abbracciati, mentre l'altra
– quella che l'aveva più incuriosito- ritraeva la
wedding planner
abbracciata ad una giovane donna più grande di lei, a sua
volta
amorevolmente stretta ad un uomo, che a Tom parve familiare.
Dove
l'aveva già visto?
-
A
quanto pare anche a te interessano molto le foto degli altri- disse
all'improvviso una voce dietro di lui.
Si
voltò di scatto, colto alla sprovvista, e si
ritrovò di fronte a
Vera, che si era – purtroppo?- vestita, indossando una felpa
grigia
con cappuccio, una pesante sciarpa scura al collo ed un paio di
pantaloni della tuta.
Tom
alzò semplicemente le spalle, senza rispondere, e
tornò ad
osservare l'uomo nella foto, quando d'un tratto capì
perché quel
volto aveva dei tratti così familiari.
Era
l'uomo con cui l'aveva vista qualche tempo prima, davanti a casa sua,
mentre l'abbracciava.
-
E'
il tuo ragazzo?- chiese a bruciapelo, indicando l'uomo.
Vera
rimase interdetta, colpita da una domanda così inaspettata.
-
No... ehm- rispose, esitante - Lui è... mio cognato, Ethan-
disse
infine – E' il marito di mia sorella Marcy- aggiunse
indicando la
donna raffigurata nella foto insieme a lei e all'uomo.
Tom
sgranò appena gli occhi, rendendosi conto di quanto potesse
essere
risultato ridicolo.
-
Oh-
si limitò a commentare, mascherando il suo imbarazzo con
pura
indifferenza.
Vera
sembrò non accorgersene, infatti cambiò subito
argomento.
-
Allora,- fece - hai
bisogno di qualcosa?
-
Io... io...- prese a
balbettare Tom, passandosi una mano sul capo – Ti ho portato
questi- disse infine, porgendo a Vera la scatola che portava con
sé.
La
giovane la prese e la
studiò accuratamente, in silenzio.
-
Sono... cioccolatini?-
chiese infine, alzando lo sguardo su Tom.
-
Sì- rispose perplesso
il chitarrista – Ce ne sono di vari tipi- aggiunse, fiero,
quasi
come se quell'informazione potesse rendere ancora più
prezioso il
regalo.
Forse
Bill e gli altri
avevano ragione: in fondo, farle quel dono non gli era costato nulla.
Se
non qualche decina di
dollari. Fiocco e pacchetto esclusi.
Vera,
intanto, aveva
aperto la scatola e stava contemplando i dolci al suo interno, ma la
sua espressione sembrava tutt'altro che felice.
-
Che c'è?- chiese il
moro, inarcando un sopracciglio.
-
Non avresti dovuto-
disse semplicemente Vera, con un sospiro – Non posso
accettare-
aggiunse, porgendo la scatola al ragazzo.
-
Che cosa?!-
Tom
rimase allibito
dall'affermazione della ragazza: come poteva non accettare un simile
regalo?
Quale
accidenti era il suo
problema?
-
Certo che puoi
accettare- disse, con lieve irritazione, spostando la scatola verso
Vera – Sono per te. Prendili.
-
Tom, fidati di me-
rispose Vera, tentando di ridargliela – Non posso mangiare
quei
cioccolatini.
-
E potrei sapere
perché?!- domandò Tom, esasperato.
Si
era lasciato convincere
dai suoi amici e da suo fratello a comprare quei dolcetti, aveva
speso una fortuna, si era dimostrato gentile, ed ora la diretta
interessata li rifiutava senza nemmeno un pizzico di dispiacere.
Vera
sospirò una seconda
volta, stringendo la scatola.
Indugiò
qualche secondo e
poi rispose alla domanda del giovane.
-
Sono allergica al cacao-
Tom
impiegò qualche
secondo ad assimilare quelle parole.
-
Come... come hai detto,
scusa?- chiese, con un fil di voce, sconcertato.
-
Sono allergica al cacao-
ripeté Vera – Non posso mangiarli, o dovrai
riportarmi
all'ospedale- spiegò – E questa volta potrei non
essere tanto
fortunata- concluse, costringendolo a prendere la scatola.
Tom
rimase ad osservare
l'oggetto, con imbarazzo.
-
Beh...- disse – Io...
non...
-
Non c'è problema- lo
interruppe Vera – Non potevi sapere- aggiunse, con un lieve
sorriso
– Apprezzo comunque il gesto- disse poi, dopo qualche secondo
di
silenzio.
Tom
annuì distrattamente,
abbassando lo sguardo.
-
Beh, tienili comunque-
fece d'un tratto, porgendo per l'ennesima volta i cioccolatini alla
giovane – Magari a Lawrence piacciono-
Vera
prese la scatola e
abbozzò un secondo sorriso.
-
Sai,- fece – non sei
così male come pensavo- asserì, con nonchalance.
Tom
inarcò il
sopracciglio destro, perplesso: era un complimento?
-
Sì, insomma...- si
affrettò a spiegare Vera – Dopotutto, non
considerando il resto,
potrei ritenerti un individuo vagamente apprezzabile- concluse, con
un sorrisetto strafottente.
-
Beh,- replicò Tom –
Diciamo che lo prendo come un complimento e ti ringrazio- disse,
sorridendo anche lui.
I
due rimasero ad
occhieggiarsi per qualche istante, poi il chitarrista ruppe il
silenzio che era calato tra loro.
-
Sarà meglio che vada-
sentenziò – Ho... ho un sacco di cose da fare.
Volevo solo
assicurarmi che non fossi morta.
-
Grazie- disse Vera –
Sei stato... carino-
“Carino?
Carino?!
E' colpa sua se sei in queste condizioni”
La
mora cercò di relegare nella parte più remota
della sua mente
quell'insistente vocina, e accompagnò la sua affermazione
con un
dolce sorriso, che Tom ricambiò prontamente.
-
A...
a presto, allora- disse.
-
Ci
vediamo, Tom-
Il
ragazzo rimase a guardarla per qualche secondo poi si voltò
ed andò
alla porta, per poi aprirla ed uscire, senza aggiungere altro.
Mentre
percorreva velocemente le scale che portavano all'uscita del palazzo,
Tom sentiva come se la conversazione appena avuta con Vera fosse
stata surreale: erano riusciti a parlarsi senza insultarsi nemmeno
una volta.
Certo,
quell'ultimo commento sul fatto che lui fosse o meno apprezzabile era
di dubbio significato, ma non poté non pensare che era
comunque un
passo avanti.
“Un
momento...” si disse, fermandosi all'improvviso su un gradino
“passo avanti? Passo avanti rispetto a cosa?”
continuò,
riprendendo a scendere le scale, con più calma
“Argh, sto
diventando matto, ecco” concluse, scuotendo il capo con
amarezza.
Una
volta scese le scale, si affrettò ad uscire dall'edificio,
ma una
volta aperto il portone, si scontrò con un altro ragazzo.
-
Scusa!- dissero all'unisono i due.
Tom
alzò la testa e quello che vide lo lasciò
allibito: ciuffo biondo,
occhi scuri, fisico esile e slanciato. Non poteva essere che lui.
D'altro
canto, però, anche il giovane con cui si era scontrato era
rimasto
piuttosto sorpreso.
-
Tom?- chiese – Tu cosa ci fai qui?
-
Nulla, nulla- rispose sbrigativo il moro – Scusa, ma ho
fretta. Ci
si vede-
Subito
si fiondò definitivamente fuori dal palazzo, camminando a
passo
sostenuto verso la sua auto, parcheggiata nel cortile dell'edificio.
Intanto
il biondo continuava ad osservarlo, con espressione interrogativa.
“Vera
mi dovrà spiegare molte cose, stavolta” si disse,
per poi entrare.
Salì
a due a due i gradini, ed in un battibaleno arrivò di fronte
all'appartamento di Vera.
Suonò
e poco dopo la mora venne ad aprire.
-
Lawrence!- esclamò - Ecco le tue chiav...
-
Ho
visto Tom uscire dal palazzo- la interruppe brusco il giovane
–
Credo che tu mi debba raccontare un paio di cosette.
* *
La
settimana
successiva
-
Ehi, Kaulitz-
Tom
si voltò e vide Georg appoggiarsi di schiena alla ringhiera
della terrazza del loro studio di registrazione, accanto a lui, in
bocca una sigaretta appena accesa.
-
Hai ripreso a fumare, Hagen?- scherzò Tom, riprendendo a
guardare
davanti a sé e contemplando il panorama di Los Angeles di
cui si
godeva da lassù.
-
Non lo faccio sempre- puntualizzò Georg, dopo aver aspirato
avidamente – Solo quando sono teso.
-
Sei teso?- chiese Tom, scettico.
Georg
scrollò le spalle e scosse la testa.
-
Quest'album mi sta facendo diventare matto- spiegò
– Sto
progettando di rubare il computer di David e pubblicare le canzoni
già registrate su Internet, così sarei molto
più rilassato.
-
Non essere drastico- ridacchiò Tom – In fondo,
manca poco-
-
Sarà...- sospirò il bassista.
Tra
i due amici calò il silenzio, e per qualche minuto si
sentirono
solo i rumori provenienti dalle vie trafficate di Los Angeles, il
vociare delle persone e il solito brusio che arrivava dall'interno
dello studio.
-
Sei poi andato da Vera?-
Tom
si voltò di scatto, ad occhi sgranati: come faceva a saperlo?
-
Sapevo che ti avremmo convinto- sentenziò Georg, con un
sorrisino
– Lei che ha detto?
-
A quanto pare da imbecille sono
passato a vagamente
apprezzabile- disse
Tom, con una lieve smorfia.
-
Beh, non è male come traguardo- rise Georg, beccandosi
un'occhiataccia dell'amico – Perché non le chiedi
di uscire?-
domandò poi.
-
Spero che tu stia scherzando, Hagen- replicò serio Tom
– Io?
Uscire con quella? Nemmeno
sotto tortura.
-
Avanti, smettila di fare il duro. Non ti s'addice- fece Georg
–
Si vede che hai un debole per lei- aggiunse.
Tom
fece una risatina nervosa, e non rispose.
-
Chi tace, acconsente- sospirò Georg, con aria trionfo.
-
O forse, è abbastanza maturo da non rispondere alle tue
provocazioni, mh?- fece il chitarrista.
-
Cosa ti costa ammetterlo?- ribatté l'amico.
Tom
non rispose, e riprese a guardare davanti a sé, con aria
pensierosa, e tra i due scese di nuovo il silenzio.
Dopo
qualche minuto, i due videro Gustav affacciarsi alla porta che
dava sulla terrazza.
-
Ehi, Hobbit, Dave ti cerca- disse, per poi scomparire di nuovo
all'interno dello studio.
Georg
gettò a terra il mozzicone della sua sigaretta, ormai
consumata, e lo spense con la punta del piede, per poi prenderlo e
buttarlo nel bidone lì vicino.
-
Ripensa a ciò che ti ho detto, Tom- asserì, prima
di allontanarsi
ed entrare anche lui nello sala di registrazione.
Anche
quella volta il chitarrista non rispose e rimase ad osservare
il panorama di fronte a sé.
Le
parole di Georg, però, si erano insinuate nella sua testa e
continuavano a martellarlo.
Scosse
il capo con veemenza, cercando di scacciarle: quello che
l'amico gli aveva detto non aveva alcun senso.
Lui
e Vera non erano fatti per stare insieme: non poteva sopportare
l'idea di stare con lei per più di tre minuti, figurarsi se
potesse
piacergli!
No,
Georg si era sbagliato. E di grosso.
Mentre
cercava di convincersi di questo, però, una voce nella sua
mente, leggera come un soffio e quasi impercettibile, gli sussurrava
che forse il bassista non aveva tutti i torti.
Tom
sentì un brivido lungo la schiena: il timore che potesse
provare
qualcosa per Vera al di là dell'attrazione fisica gli stava
decisamente
facendo
paura.
* *
Intanto
- Allora,
posso contare su di te?
-
Sì, Marcy- sospirò Vera, con aria sconfitta
– Ci vediamo questo
pomeriggio-
La
mora chiuse la chiamata, appoggiò il cellulare sulla
scrivania
dell'ufficio, e riprese da dove si sera interrotta.
Aveva
ricominciato a lavorare da un paio di giorni, nonostante i
postumi dell'influenza si facessero ancora sentire, e nonostante
Lawrence le avesse più volte sconsigliato di tornare in
agenzia se
non era completamente guarita.
- Così
l'attaccherai a tutti, accidenti- aveva
borbottato,
quando due giorni prima si era presentata alla WedDreams, un
fazzoletto in una mano e una confezione di medicinali nell'altra.
Lei
però non aveva voluto saperne di tornare a casa, e tra uno
starnuto e un colpo di tosse aveva ripreso le preparazioni del
matrimonio di Bill e Madison.
-
Ehi- disse una voce maschile.
Alzò
lo sguardo dallo schermo del computer su cui stava lavorando,
ed incontrò quello di Lawrence, che la osservava incuriosito.
-
Tieni- disse il biondo, porgendo all'amica un cappuccino –
Ah,
di' a Tom che i cioccolatini sono deliziosi- fece con un sorrisetto
strafottente sulle labbra - Tutto bene?- chiese poi, notando che la
mora non aveva ribattuto.
-
Mi ha chiamato Marcy- spiegò lei, dopo aver preso un sorso
del suo
cappuccino.
-
E qual è il problema?- domandò Lawrence,
sedendosi sul tavolo –
Non vi eravate riappacificate dopo quella cena con tua madre?
-
Sì- rispose Vera – Mi ha chiesto se questo
pomeriggio, dato che
ho mezza giornata libera, potevo badare a Nelly e Paul per un paio
d'ore, perché lei ed Ethan devono andare a trovare una zia
di lui.
-
E tu hai accettato?
-
Non mi andava di dirle di no, soprattutto dopo le cose che le ho
detto l'altro giorno- spiegò Vera – In fondo, non
è cattiva-
ammise.
-
E allora cos'è che ti preoccupa?- fece Lawrence –
Non dirmi che
hai paura dei tuoi nipoti!
-
No, no- negò la mora – Solo che... -
S'interruppe,
sospirando, e si voltò, guardando fuori dalla finestra
-
Allora?- la incitò a proseguire Lawrence – Solo che?
Vera
sospirò una seconda volta, visibilmente preoccupata.
-
Ho una brutta sensazione, Lawrence – disse – Una pessima
sensazione.
* *
Quel
pomeriggio
Seduto
al tavolo della cucina, in una mano le chiavi dell'auto e
l'altra impegnata a picchiettare sul legno, Ethan guardò per
l'ennesima volta l'orologio appeso sopra una delle credenze: Marcy
era ancora in ritardo.
- Ethan!- la
sentì esclamare, mentre scendeva le scale - Sei
pronto?- chiese la donna, apparendo in cucina.
-
Marcy, io sono pronto da almeno tre quarti d'ora- sbuffò
Ethan,
alzandosi – Sei tu che non ti decidi a darti una mossa!-
Marcy
sventolò in aria la mano, in segno di noncuranza.
-
Dove sono i bambini?- chiese poi.
-
In salotto- rispose il marito – Stanno guardando i cartoni
animati con Florence.
-
Perfetto, vado a salutarli- annunciò Marcy, facendo poi per
uscire.
Ethan
però la trattene per un polso, facendola voltare.
-
Che c'è?
-
Marcy,- sospirò l'uomo – sei ancora in tempo per
rimediare
all'enorme cazzata che stai facendo.
-
Ethan, non preoccuparti, vedrai che andrà tutto bene.
-
Hai detto così anche l'altra volta- le ricordò
Ethan – E non
è
andata bene- continuò – Sai com'è fatta
tua sorella: non
prenderà questa cosa molto bene. Soprattutto dopo che tu ti
sei
scusata.
-
Mi conosci- disse solamente Marcy – Non sopporto che Vera e
mia
madre si odino.
-
Sappi che non approvo quello che fai, quindi non considerarmi tuo
complice- l'avvertì il marito, con sguardo serio.
Marcy
fece per replicare, ma il trillo del campanello la interruppe.
-
Vado io- disse Ethan – Tu va' a salutare Nelly e Paul-
Marcy
uscì dalla cucina e si diresse in salotto, mentre lui
andò
alla porta.
Quando
aprì, davanti ai suoi occhi apparve Vera.
-
Ehi, cognata!- esclamò, facendo per abbracciarla.
-
Non ti conviene- disse però Vera, facendo un passo indietro
–
Sono ancora un po' raffreddata- spiegò, notando lo sguardo
di
disappunto dell'uomo.
-
Beh, vorrà dire che la prossima volta ti
abbraccerò due volte-
rise Ethan, facendole segno di entrare.
-
Vera!- esclamò Marcy, uscendo dal salotto – Come
stai?- chiese,
sorridente, avvicinandosi.
-
L'influenza sta passando- rispose Vera – Tra qualche giorno
sarò
in forma smagliante- aggiunse, sorridendo a sua volta.
-
Ne sono felice- disse la sorella – Bene, i bambini sono in
salotto. Noi torneremo tra un paio d'ore, tre al massimo. In frigo
c'è tutto quello che vuoi: fatti pure uno spuntino se hai
fame, ma,
ti
prego, non dare
a quei due la Nutella- continuò – L'ho
nascosta, mi serve per fare una torta e loro non devono
toccarla.
-
Afferrato- disse Vera, annuendo – Non preoccuparti, passeremo
un
pomeriggio favoloso.
-
Lo spero- sospirò Ethan, appoggiato allo stipite della porta
d'ingresso – Forza, Marcy, andiamo- aggiunse, poi,
staccandosi ed
aprendo la porta – Ciao, Vera, a più tardi-
salutò, per poi
uscire.
Marcy
sorrise ed agitò la mano in segno di saluto, per poi seguire
il marito fuori dall'appartamento.
Quando
la porta fu chiusa, Vera si voltò e si diresse verso il
salotto.
-
Ehi, ragazzi! Guardate un po' chi è arriv...-
Le
parole le morirono in gola: accanto ai suoi nipotini, Nelly e
Paul, stava seduta a gambe accavallate ed un'espressione confusa sul
volto, sua madre, Florence.
Marcy
l'aveva rifatto.
E
lei ci era cascata.
Di
nuovo.
-
Ciao zia!- esclamarono i due bambini, correndo verso di lei, ed
interrompendo i suoi pensieri.
Vera
accarezzo le loro teste, sorridendo loro teneramente, mentre con
la coda dell'occhio osservava i movimenti della madre.
Anche
lei era visibilmente stupita: Marcy aveva tenuto nascosto il
suo piano anche a lei, non c'era dubbio.
“Questa
volta me la paga” pensò, irritata Vera, mentre si
toglieva la giacca, per poi metterla sull'appendiabiti accanto a lei.
-
Ciao, Vera- disse con un fil di voce Florence, rompendo il silenzio
che si era creato – Non... non pensavo che saresti venuta
anche tu.
-
Marcy mi ha avvertito stamattina- spiegò Vera con freddezza,
senza
rispondere al saluto – Mi ha chiesto di fare da babysitter ai
bambini- aggiunse, indicando i due nipoti che intanto si erano messi
sul tappeto e guardavano la TV – Tu perché sei
qui?- chiese poi,
sempre atona.
-
Per il tuo stesso motivo- rispose Florence – Tua sorella ci
ha
incastrate, a quanto pare- aggiunse poi, ridacchiando.
Vedendo
però che la figlia non sembrava affatto divertita dalle sue
parole, decise di cambiare argomento.
-
Marcy mi ha detto che sei stata male in queste ultime settimane-
iniziò a dire, esitante – Perché non mi
hai chiamato?- domandò –
Sarei potuta venire a trovarti.
-
Non ce n'era assolutamente bisogno- rispose con schiettezza Vera
–
Come vedi, ora sto bene.
-
E il lavoro come va?- chiese quindi Flo, cercando di intrattenere
una qualche conversazione con la figlia.
-
Niente di nuovo- fece Vera, con un'alzata di spalle.
-
E quel tuo amico, Leo? Come sta?
-
Si chiama Lawrence, mamma- sentenziò Vera – Sta
bene, comunque-
Avendo
capito che non era nelle intenzioni della giovane di parlare,
Florence si chiuse nel suo silenzio, sfogliando un libro che aveva
con sé.
Dentro
di sé Vera era combattuta: la rabbia , l'irritazione e
l'ostilità nei confronti di sua madre non riuscivano a
placare un
forte desiderio di riconciliazione.
Ma
sapeva che ciò non sarebbe stato possibile.
Non
finché ci fosse stata l'ombra di Greg ad oscurare quella
piccola
speranza di riappacificazione.
Il
pomeriggio, intanto, trascorreva senza sosta.
Vera
non vedeva l'ora di uscire da quella situazione, che le pareva
sempre più soffocante, imbarazzante e, soprattutto, frutto
di
un'idea malsana.
L'aria
ormai era impregnata dell'ansia e del nervosismo che aleggiava
in quella stanza, ma era percepibile solo a Vera e a Flo: Nelly e
Paul, ignari di tutto, avevano da circa una mezzora preso a giocare,
senza curarsi di ciò che avveniva sul divano alle loro
spalle.
Mentre
pensava ai mille modi in cui avrebbe potuto uccidere la
sorella appena avesse messo piede in casa, Vera sentì la
madre
chiudere il libro che leggeva con un colpo secco.
-
Senti, Vera- prese a dire la donna con tono serio, dopo qualche
istante – io non riesco davvero a capire quale sia il tuo
problema-
continuò, voltandosi verso la figlia – Mi vuoi
spiegare perché mi
odi?
-
Non ti odio- rispose Vera – Non potrei mai, sei mia madre-
aggiunse, mormorando.
-
E allora mi spieghi il motivo di tutto questo?-
Vera
indugiò qualche secondo, poi si decise a rispondere.
-
Il problema è Greg- disse, in un soffio.
Flo
aprì la bocca, ma la richiuse subito dopo, abbassando lo
sguardo: avrebbe dovuto immaginarlo.
-
Non ti senti mai in colpa?- chiese a bruciapelo la mora,
inducendola ad alzare gli occhi – Insomma, non provi mai un
vago
senso di pentimento per ciò che hai fatto?
-
Vera, io ho tutto il diritto di vivere la mia vita-
sentenziò
gelida Florence – E tu non sei nessuno per dirmi cosa devo
fare o
come mi devo sentire- aggiunse – Sei ancora troppo giovane
per
capire certe cose. E dubito, in ogni caso, che potrai mai farlo se
continui ad intestardirti sulle sue convinzioni.
-
Non sono una bambina, mamma- replicò secca Vera.
-
Ah, davvero?- fece Florence, sorridendo con amarezza – A
volte
invece lo sembri-
Quelle
parole, dette con estrema durezza e sincerità, colpirono
dritte il cuore e la mente di Vera.
Il
loro eco la stava stordendo, e sentì gli occhi offuscarsi.
Si
morse il labbro, impedendosi di piangere, e si alzò di
scatto.
-
Bene- disse, con freddezza – Allora direi che non abbiamo
più
nulla da dirci-
Flo
non rispose, limitandosi a distogliere lo sguardo.
Senza
aggiungere altro, Vera si avvicinò all'appendiabiti, dove
prese la sua giacca e la indossò.
-
Zia Vera, te ne vai?- chiese Nelly, con un velo di tristezza nella
voce, alzando gli occhi dalla sua bambola.
-
Sì, piccola- rispose Vera, tentando di sorridere –
Ci vediamo
presto, bambini. Salutatemi i vostri genitori, quando tornano-
aggiunse, per poi uscire frettolosamente.
Quando
fu fuori dall'appartamento, prese un profondo respiro,
cercando di calmarsi, mentre lacrime amare si facevano strada sul suo
volto, bagnandolo.
Si
asciugò il viso come meglio poteva, e si avviò a
piedi verso
casa sua.
Nel
petto sentiva un gran peso, e sapeva per certo che ci sarebbe
voluto molto prima che scomparisse.
*
*
Nonostante
fosse ancora pomeriggio, le vie di Los Angeles stavano
iniziando già ad affollarsi di gente che entrava ed usciva
dai
locali più in della
città, dai quali i sottofondi delle
canzoni sparate a tutto volume nelle casse, riempivano l'aria con le
loro note, rendendo l'atmosfera ancora più festaiola.
Tom
era nella sua auto, diretto verso casa, dove probabilmente si
sarebbe fatto una doccia veloce per poi uscire di nuovo ed andare a
divertirsi un po', giusto per dimenticare la stanchezza che si era
impossessato di lui da quando era uscito dalla sala di registrazione:
un po' di svago non gli avrebbe fatto che bene.
Era
ad una ventina di minuti dalla sua villa, quando la sagoma scura
di una ragazza attraversò all'improvviso, tagliandogli la
strada.
Inchiodò
di colpo, frenando a pochi millimetri dalla giovane, e dopo
essersi ripreso dallo spavento, uscì in fretta e furia dalla
vettura.
-
Ma sei impazzita?! Avrei potuto ucciderti!- esclamò,
adirato,
avvicinandosi alla ragazza.
Lei
alzò lo sguardo, e Tom credette di sognare.
-
Vera?- fece, stupito – Hai per caso deciso di suicidarti?-
chiese
– Sai che prima di attraversare la strada bisogna guardare a
destra
e sin...-
Il
chitarrista s'interruppe, notando gli occhi gonfi e rossi della
mora, e la sua espressione sofferente.
-
Stai bene?- chiese, serio.
Vera
si limitò ad annuire, senza dire una parola.
Cosa
avrebbe dovuto rispondergli?
“Scusami,
Tom, ma adesso non posso battibeccare con te. Sono
troppo triste e arrabbiata”
Sentì
gli occhi pizzicarle, ma s'impose di non piangere: non poteva,
non davanti a lui.
Tirò
su con il naso, pregando che Tom non si accorse della sua
debolezza in quel momento, ma d'un tratto sentì il giovane
prendere
la sua mano e tirarla verso di sé.
-
Cosa stai facendo?- domandò confusa.
-
Non possiamo rimanere in mezzo alla strada- spiegò
semplicemente
Tom – Vieni, sali in auto-
Vera
non ebbe la forza di replicare o di opporsi alla sua stretta,
quindi si lasciò portare in auto, rimanendo in silenzio.
Dopo
che ebbe chiuso la portiera del lato del passeggero, Tom
andò
all'altro lato della macchina, salì e mise in moto l'auto.
-
Ti porto a casa mia- disse atono.
Vera
non si mosse dalla sua posizione: sembrava quasi che non avesse
sentito le parole di Tom.
Nonostante
fuori, per le strade gremite di gente la musica e i colori
la stessero facendo da padroni, dentro l'abitacolo pareva di essere
su un altro pianeta: i due ragazzi stavano in silenzio, e la macchina
di Tom procedeva placida sull'asfalto, senza rumore.
-
Puoi piangere, se vuoi- disse all'improvviso il chitarrista,
rompendo la quiete che si era creata – Non lo dirò
a nessuno-
aggiunse, in un sussurro, con un lieve sorriso.
Vera
si voltò verso di lui e provò a ribattere, a dire
che, no, lei
non aveva bisogno di piangere.
Quando
aprì la bocca, però, si rese conto di avere una
gran
quantità di lacrime da versare.
Appoggiò
quindi la testa sul finestrino dell'auto e si lasciò
andare in un pianto silenzioso.
Salve,
gente di EFP!
Scusate,
ma alla fine non sono riuscita a starvi lontano per troppo tempo
HAHAHA :')
Ok,
ciancio alle bande.
Come
avete potuto vedere, anche in questo capitolo si è smosso
qualcosa
tra Vera e Tom, ma è troppo presto per dire cosa.
E
poi si stanno spiegando (?) alcune cose riguardo a Vera e la sua
famiglia...
Vedremo
cosa succederà e se Tom la porterà a casa sua o
la butterà fuori
dall'auto in corsa LOL
-
ve lo immaginate? HAHAHAHAHAHAHA
Ok,
basta, sclero troppo.
Vi
dico subito che questo è l'ultimo capitolo prima di
settembre,
perché davvero, i compiti mi fissano giorno e notte dalla
scrivania
con sguardo minaccioso.
HO
PAURA D:
Mi
conviene farli u.u
Quindi
se vedete la storia non aggiornata, sappiate che è
perché studio
u.u
Pregate
per me :'(
Inoltre...
TADAAAAAAAAAAAAAAAAAAAN!
Non
so chi se n'è accorto/a, ma nell'introduzione ho messo il
link
youtube del trailer di Wedding Planner :)
Non
è ottimo, ma è decente, perlomeno (??)
Come
attrice ho usato Willa Holland (la sorella di Marissa in OC, per
intenderci), perché non ho trovato nulla da mettere nel
video della
ragazza che ho usato nel banner (Emilia Clarke).
Spero
vi piaccia :)
Un'ultima
cosa:
normalmente
non faccio pubblicità, ma in via del tutto eccezionale, non
posso
trattenermi dal consigliarvi le storie di _Frency_,
una mia amica che, fidatevi, ha un gran talento nella scrittura :)
Passate dalle sue storie,
non ve ne
pentirete AS-SO-LU-TA-MEN-TE.
Inoltre,
mi faccio pubblicità da sola, chiedendovi di passare dalla
mia
primissima shot introspettiva originale, Mia
Mi piacerebbe sapere cosa
ne pensate, quindi
una piccola recensione sarebbe moolto gradita LOL
Ok, penso di aver detto
tutto quello che
c'era da dire.
Come
sempre, mi trovate su Twitter
e Facebook
In più, un bel
saluto di benvenuto a due
nuove lettrici:
MissMiley1994
e
tea_93
Benvenute a bordo, care **
Ok, adesso vado davvero LOL
Ci si rivede a settembre!
Un bacio
Heilig
|
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Capitolo 14 *** Fourteen ***
Fourteen
- Tieni-
Vera alzò di
poco il capo e vide Tom posare davanti a lei, sul tavolo a cui era
seduta, una tazza colma di tè fumante.
Biascicò un
"grazie"
imbarazzato, poi iniziò a sorseggiare in silenzio il suo
tè, sotto
lo sguardo di Tom.
-
Non hai ancora risposto alla mia domanda- osservò
quest'ultimo, dopo
qualche istante.
Vera
inarcò un sopracciglio, confusa.
-
Di cosa stai parlando?
-
Avevi deciso di suicidarti quando ti mi hai tagliato di colpo la
strada?-
Vera
rimase interdetta a quella domanda, e per un attimo pensò
che Tom
stesse facendo solo dell'ironia, ma poi incontrò
l'espressione seria
del ragazzo, e si limitò a stringersi nelle spalle.
-
Quello era un sì?- fece Tom.
-
Perché avrei dovuto suicidarmi?- sbuffò Vera,
alzando gli occhi al
cielo.
-
Non ne ho idea!- esclamò il chitarrista, allargando le
braccia –
Magari non hai trovato il paio di scarpe che volevi- aggiunse, con
un'alzata di spalle.
Vera
gli lanciò un'occhiata stupefatta, e lui si
affrettò a spiegare.
-
Ho visto mio fratello minacciare un cassiere per un paio di jeans. Ho
tutto il diritto di pensarlo-
La
mora faticò a reprimere un sorriso, mentre s'immaginava la
scena
appena descritta dal chitarrista, al quale però non
sfuggì il
cambio di espressione della ragazza.
-
Oh, cosa vedo lì?- fece sarcastico – Un sorriso?-
continuò,
beffardo.
Vera
distolse lo sguardo, soffocando una seconda risatina.
-
Oh!- esclamò Tom – Non posso crederci, ti sto
facendo ridere!
Questa sì che è una notizia!- aggiunse
– Beh, allora?- fece dopo
qualche istante ritornando improvvisamente serio – A cosa
stavi
pensando quando hai attraversato la strada?
-
Niente che ti riguardi- bofonchiò Vera, prendendo poi un
sorso del
suo tè.
Aveva
problemi a mostrarsi debole perfino con Lawrence: non avrebbe di
certo parlato delle sue vicissitudini con la madre a Tom.
-
Io invece credo che mi riguardi- insistette però il giovane.
-
E io credo di no- ribatté secca Vera.
Tom
sbuffò, roteando gli occhi: ma chi gliel'aveva fatto fare di
portarla a casa sua?
Perché
non l'aveva semplicemente mandata a quel paese dopo che lei si era
letteralmente lanciata in strada?
Sospirò
profondamente, e ritornò a guardare la mora, che aveva preso
a bere
a piccoli sorsi il suo tè: sembrava – o forse era
– malinconica
e triste.
In
ogni caso, c'era sicuramente qualcosa che la turbava.
Sospirò
una seconda volta:
-
Senti,- disse, con tono sommesso, attirando l'attenzione di Vera
–
io non sono bravo in queste cose- precisò –
Però... insomma-
balbettò imbarazzato, grattandosi il capo – Potrei
anche...
decidere di ascoltarti se tu mi parlassi dei tuoi problemi. Sono
tutt'orecchi-
Vera
lo osservò per qualche istante, incredula: Tom le stava
offrendo il
suo aiuto? Di nuovo?
“Non
essere sciocca” si disse “Non raccontargli nulla.
Sono solo ed
unicamente fatti tuoi”
Il
lieve sorriso che era comparso sul volto del chitarrista,
però, la
faceva tentennare: in fondo, che male c'era?
Prese
un respiro profondo e dopo qualche istante di silenzio imbarazzato,
iniziò a parlare.
-
Si tratta di mia madre- disse tutto d'un fiato – Non andiamo
molto
d'accordo- continuò, torturandosi le mani.
Tom
annuì, rimanendo però in silenzio, e la
esortò a continuare con un
cenno del capo.
-
Oggi abbiamo litigato. Ancora- raccontò Vera, sentendosi
insolitamente a suo agio nel parlare di certe cose con Tom.
-
Posso sapere il motivo?- chiese quest'ultimo.
A
quella domanda Vera s'irrigidì sulla sedia, stringendo i
pugni, e
rabbuiandosi d'un colpo.
-
E' così terribile?- domandò Tom, notando la sua
reazione.
Vera
non rispose, ed abbassò lo sguardo, cercando di ricacciare
indietro
le lacrime che minacciavano di scendere: la strana sensazione di
serenità che aveva provato poco prima era scomparsa,
lasciando
spazio ad un vago senso di disagio.
-
Ok, messaggio ricevuto- sospirò Tom, dopo poco –
Non sei obbligata
a dirmelo. In fondo, nemmeno ci conosciamo-
Vera
non aprì bocca, e nella cucina scese un silenzio cupo e
carico di
tensione: la mora sentiva qualcosa bloccarla, eppure, dentro
sé,
sentiva il bisogno di parlarne.
Non
voleva consigli su come comportarsi, né tanto meno un aiuto.
Solo
qualcuno che l'ascoltasse.
“Sono
tutt'orecchi” le aveva detto Tom.
Forse
avrebbe potuto abbattere quel muro invisibile che li separava,
dopotutto.
-
Mio padre è morto quando avevo undici anni-
Il
chitarrista alzò il capo ed vide che Vera aveva smesso di
giocherellare con le mani, e sembrava fissare un punto ignoto davanti
a sé.
-
Era malato- continuò Vera – Cancro-
Tom
sgranò gli occhi, sorpreso dalle triste rivelazioni che la
mora gli
stava facendo.
-
Io... io non sapevo...- iniziò a dire – Non sei
obbligata a...
-
Non hai detto che volevi ascoltarmi?- replicò stizzita Vera.
Lui
si ammutolì di colpo, ed annuì, permettendole di
proseguire.
-
Prima abitavamo in una cittadina fuori New York, ma poco dopo la
morte di mio padre, mia madre ha trovato un lavoro qui a Los Angeles
come truccatrice, e quindi ci siamo trasferite- raccontò
Vera –
Poi è arrivato Greg- sibilò, serrando la
mandibola.
-
Il nuovo compagno di tua madre, suppongo- disse Tom – E
presumo
anche che tu lo odi con tutta te stessa, sbaglio?-
Vera
lo guardò, stranita.
-
Tu come fai a saperlo?- chiese, confusa.
-
Conosco quella sensazione. I miei si sono separati quando io e Bill
avevamo sei anni- raccontò Tom – Ci siamo
trasferiti in un paesino
di duecento anime, e dopo poco mia mamma ha conosciuto Gordon, il suo
attuale marito- aggiunse – Non puoi neanche immaginare l'odio
che
provavo per lui- confessò, lasciandosi sfuggire un sorriso
– Lo
credevo causa di tutto ciò che era capitato nella mia
famiglia. Ero
convinto che, se non fosse stato per lui, i miei sarebbero potuti
tornare insieme- continuò.
-
E adesso?- chiese Vera, incuriosita.
-
Adesso credo che Gordon sia la miglior cosa che potesse capitare a
mia madre- rispose il moro – Dopo di me, s'intende-
precisò.
Vera
roteò gli occhi, sorvolando sull'ultimo commento del
giovane, e
concentrandosi invece sulle sue parole.
Lui
aveva smesso di odiare il suo patrigno. Aveva capito che incontrarlo
era stato un bene per sua madre, che lui la rendeva felice.
Ma
lei avrebbe mai potuto dire la stessa cosa su Greg?
-
Immagino che la tua situazione sia molto più difficile della
mia,-
riprese a dire Tom, ridestandola dai suoi pensieri – ma in
fin dei
conti non sei più una bambina: dovresti provare a vederla da
un
altropunto di vista-
Vera
storse la bocca, infastidita: quell'uomo aveva usurpato il posto di
suo padre, era entrato nelle loro vite senza nemmeno chiedere il
permesso, ed ora tutti pretendevano che lei lo accettasse.
Perché?
-
Non è semplice come sembra- disse abbassando lo sguardo.
-
Non è mai semplice come sembra-
replicò Tom, accennando un
sorriso – Ma, ehi, stai organizzando il matrimonio di Bill
Pazzo
Kaulitz!- esclamò – Sistemare i rapporti con la
tua famiglia
dovrebbe essere uno scherzo!-
Vera
non poté non ridere a quella battuta, e si
ritrovò a pensare, che,
dopotutto Tom non era male come le era sembrato.
-
Grazie- sussurrò, riconoscente.
-
Ehi, è la seconda volta che mi ringrazi- le fece notare Tom
–
Sicura di stare bene?-
Vera
sbuffò sonoramente, ritirando ciò che aveva
pensato poco prima.
-
Sei un idiota- sbottò, incrociando le braccia al petto
– Ma ti
devo comunque un favore- ammise, scrollando il capo.
-
Bene, me ne ricorderò- disse Tom, sorridendo sghembo.
Vera
scosse la testa, con fare rassegnato, per poi alzarsi e prendere la
giacca che aveva messo sulla sedia quand'era arrivata.
-
Credo sia meglio che vada, ora- disse, mentre la indossava –
Ti
ringrazio, ancora Tom. Davvero- aggiunse, con un insolitamente timido
sorriso.
-
Ancora?- rise Tom.
-
Beh, lo sai, no?- fece Vera – Non c'è due senza
tre. Ci si vede.
Ah, non disturbarti. Conosco la strada-
Senza
lasciare al ragazzo tempo per replicare, si voltò ed
uscì dalla
cucina, per poi raggiungere con passo veloce la porta d'ingresso.
Afferrò
la maniglia, ma, prima di abbassarla, lanciò un ultimo
sguardo al
corridoio, pensierosa: quella situazione era difficile da credere
anche per lei stessa che la stava vivendo.
Scosse
la testa con veemenza, come a scrollarsi di dosso tutti dubbi che
stavano affiorando nella sua mente, per poi aprire la porta ed
uscire, chiudendosela alle spalle.
* *
Qualche
giorno dopo
-
Tom? Ehi, Tom?-
Tom
si risvegliò improvvisamente dal trance in cui era caduto da
qualche
minuto e rischiò di inciampare sul tapis roulant.
Si
aggrappò alle maniglie, tentando di recuperare l'equilibrio,
per poi
voltarsi alla sua destra, dove il suo personal trainer, Paul, lo
osservava, accigliato.
-
Sei sicuro di stare bene?- chiese.
-
Certo, certo- replicò con fare Tom, riprendendo a correre.
Quel
giorno aveva deciso di andare in palestra di prima mattina, pensando
che forse un po' di allenamento mattutino gli avrebbe fatto bene e
l'avrebbe distratto un po'.
-
A che pensavi?- gli domandò l'amico.
“A
Vera” rispose mentalmente il giovane.
Ormai
gli capitava sempre più spesso di pensare a lei: quando era
in auto,
quando Bill parlava del matrimonio, quando era solo a casa...
Praticamente sempre.
E
la cosa cominciava a fargli paura in modo serio.
Aveva
pensato di parlarne con Bill, ma alla fine si era ben guardato dal
farlo.
“E'
ovvio, ti piace” gli avrebbe detto.
E
quella non era la risposta che voleva.
-
Tom? Ti sei incantato di nuovo?-
La
voce tuonante di Paul lo ridestò di nuovo dai suoi pensieri,
facendolo voltare.
-
Hai detto qualcosa?
-
Per oggi può bastare- ripeté Paul, spegnendo il
macchinario –
Anche perché sei piuttosto distratto, e in queste condizioni
rischi
di romperti qualche osso- aggiunse, scuotendo la testa – Va'
pure.
Ci si vede settimana prossima-
Tom
scese dal tappeto, prese la felpa che aveva lasciato a terra
precedentemente, e dopo aver salutato Paul con un cenno del capo, si
diresse verso gli spogliatoi.
Decise
che avrebbe fatto una doccia una volta arrivato a casa, e prese
quindi a sistemare le sue cose. Prese la borsa e ne tirò
fuori il
cellulare, notando sul display di avere un nuovo messaggio.
“Madison?”
pensò, perplesso.
Aprì
il messaggio e lo lesse velocemente:
“Tom,
chiamami appena puoi. E' urgente. Molto urgente”
Il
ragazzo rimase basito, nonché spaventato da quelle parole:
che fosse
successo qualcosa?
Subito
compose con fare concitato il numero di Madison. Il telefono
squillò
tre o quattro volte, poi, finalmente, la giovane rispose.
-
Tom!- esclamò.
-
Madison! E' successo qualcosa?- chiese lui, agitato.
-
Cosa? No, certo che no!- fece la ragazza –
Cosa dovrebbe
essere successo?
-
Mi prendi in giro?- sbottò il chitarrista –
Perché mi hai mandato
quel messaggio?
- Oh, è
per quello!-
replicò con
nonchalance Madison – Non
preoccuparti: mi chiedevo
soltanto se avessi già comprato l'abito da cerimonia-
Tom
sentì la propria mandibola cadere a terra, con un tonfo
sordo.
-
Mi hai fatto spaventare, accidenti!- sbuffò –
Perché hai scritto
che era una cosa urgente?
-
Beh, perché è urgente, Tom-
osservò con perplessità Madison – Non
vorrai mica
presentarti al matrimonio con quella giacca di jeans che indossi
sempre, vero?
Tom
sospirò e si trattenne dal risponderle per le rime.
-
Lo farò il prima possibile- disse invece, sospirando.
-
Oggi?
-
Cosa? No, non ho detto quest...
-
Bene!- esclamò felice Maddie,
interrompendolo – Allora
domani pomeriggio passa di qui e fammi vedere cos'hai comprato! Ciao!
-
Ma...-
Tom
non fece in tempo ad opporsi perché Madison aveva
già chiuso la
chiamata.
-
Lei e il suo brutto vizio di mettere giù quando qualcuno
parla-
borbottò, indispettito, mentre riprendeva a sistemare le sue
cose.
Una
volta finito, chiuse la borsone e se lo caricò in spalla,
per poi
uscire a passo affrettato dallo spogliatoio, ed infine dall'edificio,
mentre pensava a come uscire dalla situazione in cui si era cacciato.
“Devo
trovare assolutamente un vestito, o Madison è capace di dare
di
matto” si disse, mentre raggiungeva la sua auto e saliva a
bordo.
Chiuse
la portiera e rimase immobile nella vettura, incerto sul da farsi.
Aveva
decisamente bisogno d'aiuto: da solo non ce l'avrebbe mai fatta.
Si
passò una mano dietro la testa, grattandosi il capo, in
cerca di
un'idea, quando all'improvviso un ricordo riaffiorò nella
sua mente.
“Ma
comunque ti devo un favore”
Sorrise,
soddisfatto, mentre recuperava il telefonino dalla tasca dei jeans,
per poi iniziare a comporre un numero: aveva trovato la soluzione.
* *
- Un abito da cerimonia?- ripeté Vera,
perplessa.
- Esatto- disse Tom –
Allora? Ricorda che mi
devi un favore, l'hai detto tu stessa!-
Vera, seduta sul divano del suo salotto, a gambe
incrociate, alzò gli occhi al cielo.
- Era solo un modo di dire!- esclamò
– Non credevo
l'avresti presa sul serio!
- Stai dicendo che non mi aiuterai?-
Vera rimase sulle sue posizioni, ma le parole di
Tom la
facevano vacillare: in fondo, quel giorno era la sua giornata libera
ed in più si intendeva di quelle cose; inoltre Chris, il
ragazzo di
Lawrence, lavorava in un negozio poco lontano in cui Tom avrebbe
potuto trovare quello che cercava.
Quindi, perché non accettare?
- Ok- disse, sospirando – Ok, ti
aiuterò.
- Bene! Passerò a prenderti
questo pomeriggio. A
dopo!
- Sì, a dopo Tom-
Vera chiuse la chiamata, e sospirò una
seconda volta:
aveva una strano presentimento, non sapeva dire se bello o brutto.
Sapeva solo che quel pomeriggio qualcosa sarebbe
successo.
* *
Quel
pomeriggio
Tom era in ritardo. Di nuovo.
Vera sbuffò per l'ennesima volta,
infastidita: quale
persona dava un appuntamento per poi non presentarsi?
Si sistemò la maglietta che indossava,
per poi
riprendere ad osservare la strada, aspettando che l'auto del giovane
comparisse da un momento all'altro.
Dopo qualche minuto, sentì finalmente il
rombo di un
motore accompagnato dallo strombazzamento di un clacson, e poco dopo
Tom si fermò a pochi centimetri da lei.
La giovane salì in auto e chiuse la
portiera con un
colpo secco.
- Sei in ritardo- fece notare, piuttosto scocciata
–
Di nuovo- aggiunse.
- Vera, trattieni l'entusiasmo- scherzò
Tom – So che
sei felice di vedermi, ma per favore, non esagerare.
- Non sei per niente divertente- lo
rimbeccò Vera: ora
si metteva anche a fare dell'umorismo?
- Nemmeno tu sei un mostro di simpatia, se
è per
questo- replicò Tom – Allora, dove andiamo?-
chiese poi, prima che
la mora potesse rispondere.
Vera gli diede le indicazioni e una quindicina di
minuti
più tardi, giunsero davanti alla vetrata di un un piccolo
negozio di
sartoria.
- E' questo il posto?- domandò Tom,
inarcando il
sopracciglio.
- Beh, non è molto grande,- fece Vera,
mentre si
slacciava la cintura – ma sono certa che troverai
ciò che cerchi-
concluse, per poi scendere dalla vettura.
Ancora titubante, Tom scese dall'auto a sua volta e
seguì Vera verso l'ingresso.
Prima ancora che ci mettessero piede,
però, la porta si
aprì, e ne uscì un giovane.
- Vera!- esclamò, per poi fiondarsi su
Vera,
abbracciandola.
- C-chris...- balbettò lei –
M-mi stai s-soffocando-
Il giovane, un ragazzo di qualche anno
più grande di
lei, dai capelli corvini sistemati con la lacca e un paio di grandi
occhi azzurri, si allontanò, ridacchiando.
- Scusa,- disse – è che
è da molto che non ci
vediamo. Mi sono fatto prendere dall'entusiasmo – si
giustificò -
Lui deve essere Tom- asserì infine, osservando il chitarrista
dietro a Vera, rimasto immobile – quanto
esterrefatto
- durante l'intera scena.
- Esatto- disse Vera – Tom, ti presento
Christopher,
il ragazzo di Lawrence- fece, indicando il giovane in questione.
Tom annuì e gli porse la mano.
- Piacere di conoscerti, Christopher- disse, con un
sorriso.
- Chiamami pure Chris- rispose l'altro,
stringendogliela
– Vera, stamattina al telefono non mi hai detto che il
tuo”caso
disperato” era così carino-
Vera sgranò gli occhi ed
assestò una gomitata nelle
costole del giovane, che emise un lamento.
- Sei impazzita? Cos'ho fatto?!-
esclamò, tenendosi la
parte colpita.
- Sarà meglio cominciare- disse con fare
affrettato
Vera, ignorandolo.
Ancora dolorante, Chris fece segno agli altri due
di
seguirlo.
- Caso disperato?-
sussurrò Tom all'orecchio di
Vera, quando Chris si fu voltato, entrando poi nel negozio.
- Ha aperto il negozio un'ora prima solo per noi.
Dovevo
convincerlo in qualche modo- si giustificò Vera,
stringendosi nelle
spalle.
Chris raggiunse il bancone del negozio, dove,
insieme al
registratore di cassa, stavano un metro e un paio di forbici. Sulle
pareti si ergevano armadi di legno chiaro in cui erano impilate
scatole di varie grandezze e colori.
Il moro prese il metro e si avvicinò a
Tom.
- Mi vuoi legare?- chiese questo, spaventato,
facendo un
passo indietro.
Chris aggrottò la fronte, per poi
guardare Vera.
- E' sempre così idiota?- chiese con
disarmante
sincerità.
Vera scoppiò a ridere, mentre Tom
assumeva
un'espressione offesa.
- Devo solo prenderti le misure, accidenti!- disse
Chris, rivolgendosi al chitarrista – Avanti, allarga le
braccia-
Tom storse la bocca, poi fece come gli era stato
detto,
permettendo così a Chris di prendergli le misure.
- Hai delle braccia che fanno paura-
commentò il moro
dopo qualche minuto, segnando le ultime cifre su un pezzo di carta.
- Vado in palestra- spiegò il
chitarrista.
- L'avevo immaginato- rispose Chris con un
sorrisino –
Vediamo un po' cos'ho qui per te- fece, poi, voltandosi verso gli
scaffali.
Passò in rassegna le scatole,
prendendone una di tanto
in tanto, fino a che non si disse soddisfatto.
- Ecco, tieni- disse a Tom, lasciandogli in mano
tutte
le scatole – I camerini sono di là- aggiunse poi.
Tom assunse un'espressione confusa, ma Chris non
gli
diede tempo di porre alcuna domanda.
- Forza! Vai!- lo incitò, spingendolo
verso le cabine
di prova.
- Non serve spingere!- sbottò indignato
il chitarrista.
Vera, intanto, appoggiata al bancone, osservava la
scena, consapevole che ci sarebbe voluto più di quanto
pensasse.
* *
Diverso
tempo dopo
- Quel ragazzo è fuori di testa-
Tom stava borbottando quella frase da ormai una
decina
di minuti, alternandola ad un “Come si è
permesso di trattarmi
così?” ed un “Dovrebbe
cambiare lavoro”
- E' stato divertente in fondo- commentò
invece Vera,
bevendo un sorso del suo frullato.
Dopo aver -finalmente- trovato l'abito giusto per
Tom,
il ragazzo l'aveva presa alla sprovvista invitandola a bere qualcosa
con lui ad uno dei bar nei dintorni, e lei, dopo qualche titubanza,
aveva accettato.
“In
fin dei conti, non c'è nulla di male”
aveva pensato.
- Non è stato per
nulla divertente- diceva
intanto Tom – Mi ha trattato come se fossi un idiota!
- Ah sì?- fece Vera – Ti sei
chiesto il perché?-
Tom fece per rispondere, ma finì solo
per sbuffare
sonoramente.
- E dire che avevo cominciato a reputarti
simpatica-
borbottò tra i denti, riprendendo a bere il suo
caffè, per poi
finirlo in pochi sorsi.
Posò la tazzina sul tavolo, e fece per
proporre a Vera
di andare, quando però, un particolare lo fece incuriosire.
- E questo?- chiese rivolto a Vera, sfiorandole il
polso
con un dito, là dove c'era il tatuaggio del delfino
– E' un
tatuaggio?- chiese, continuando ad accarezzarlo.
Vera si limitò ad annuire, scostando poi
il braccio dal
tocco di Tom.
- Come mai un delfino?- chiese spontaneamente il
chitarrista.
Vera indugiò qualche attimo,
distogliendo lo sguardo:
ormai aveva rivelato a Tom tutto ciò che doveva sapere,
quindi,
perché non dirgli anche quello?
- Senti,- disse Tom – se non vuoi io
non...
- Mio padre era un biologo marino- fece Vera,
interrompendolo, senza però voltarsi – e la sua
passione erano i
delfini- continuò - Ho pensato che questo tatuaggio potesse
essere
un modo per ricordarmi che comunque sia, lui è sempre con
me-
confessò infine, abbassando lo sguardo – E' una
cosa stupida?-
chiese poi, ridacchiando nervosa.
- No, non troppo- rispose Tom – Io la
trovo una cosa
ammirevole-
Vera alzò gli occhi e scorse sul volto
del ragazzo
un'espressione maledettamente sincera, che la portò a
sorridere.
- Beh,- fece all'improvviso Tom, quasi brusco
– direi
che possiamo andare, no?- disse, alzandosi.
Vera annuì, seguendolo a ruota, e dopo
che Tom ebbe
pagato per entrambi al bancone, uscirono e salirono in auto,
parcheggiata poco distante dal locale.
- Ti porto a casa?- chiese il chitarrista mentre
metteva
in moto la vettura.
- Sì, grazie- rispose Vera, mentre
allacciava la
cintura di sicurezza.
Per l'intero viaggio, l'auto fu avvolta nel
più
completo dei silenzi: sia Tom che Vera sentivano un vago ed
inspiegabile senso di imbarazzo, che li portava a rimanere muti come
pesci.
Una decina di minuti dopo, Tom stava parcheggiando
nel
cortile del palazzo della giovane.
- Grazie per avermi accompagnato-
mormorò Vera, mentre
toglieva la cintura – Ci vediamo- disse poi, aprendo la
portiera.
- Aspetta!- esclamò Tom, facendola
voltare – Ti
accompagno- si offrì, scendendo a sua volta dalla vettura.
Vera rimase sbigottita dalle sue parole, ma non
fece
domande né si oppose: aspettò semplicemente che
Tom la
raggiungesse, per poi avviarsi verso il portone di ingresso, ed
entrando infine nel palazzo.
Vera salutò con la mano la signora
Clarke, che le
sorrise teneramente, prendendo poi le scale che portavano al suo
appartamento, seguita da Tom, e in un paio di minuti i due giunsero
davanti alla porta della giovane.
Vera infilò la chiave nella toppa ed
aprì la porta.
- Vuoi entrare?- chiese, rivolgendosi a Tom.
- No, sarà meglio che io vada a casa-
rifiutò
gentilmente il ragazzo.
- Bene, allora... ciao-
I due ragazzi rimasero ad osservarsi per qualche
istante, e, involontariamente, si ritrovarono molto più
vicini di
quanto non dovessero, e i loro visi si stavano avvicinando sempre
più.
Erano ormai ad un soffio l'uno dall'altra, quando
Tom
decise di annullare le distanze, posando le sue labbra su quelle
della giovane.
Fu
un bacio casto, a fior di labbra, ma Vera sentì comunque
ogni fibra
del suo corpo vibrare a quel contatto appena accennato e il tempo
fermarsi
Sentiva
come se, nel suo subconscio, stesse aspettando quel bacio da sempre.
Quell'idillio,
però, durò solo pochi istanti.
Qualche
secondo dopo, infatti, Tom si allontanò dalle labbra della
mora,
rompendo l'atmosfera che si era venuta a creare, e lasciando nella
giovane un vago senso di insoddisfazione.
-
C-credo che sia meglio che vada ora- balbettò incerto Tom,
passandosi una mano dietro la nuca.
Perché
aveva fatto una cosa del genere?
Cosa
l'aveva spinto a fare una mossa così azzardata?
Ma
soprattutto, perché lei non l'aveva
fermato? Nemmeno si
piacevano.
-
Grazie per avermi aiutato con l'abito- disse ancora il chitarrista,
cercando di reprimere l'istinto di fiondarsi di nuovo sulle labbra di
Vera.
-
Figurati, è stato un piacere- rispose lei, visibilmente
imbarazzata,
portandosi un ciuffo di capelli dietro l'orecchio – Allora, a
presto.
-
A presto, sì- disse Tom – Ci vediamo-
salutò infine, per poi
voltarsi ed uscire.
Appena
la porta si chiuse alle spalle del chitarrista, Vera tirò un
lungo
sospiro, sentendosi sollevata; tuttavia, però, sentiva
ancora quello
strano senso di inappagamento..
Automaticamente,
si portò un dito alle labbra, sfiorandole appena, e si
ritrovò a
pensare che se fosse tornata indietro di pochi minuti, l'avrebbe
rifatto.
Non
poteva più negarlo: era attratta da Tom.
E
ciò la spaventava a morte.
Scosse
la testa, cercando di scacciare tutti quei pensieri: sicuramente Tom
si sarebbe dimenticato di tutto appena uscito, e non toccava di certo
a lei rimuginare su ciò che era successo.
Si
voltò e cominciò a dirigersi verso il bagno,
pianificando di farsi
una doccia fredda e scrollarsi tutti quei dubbi e quei timori di
dosso, quando, d'un tratto, il campanello suonò.
“Ma
che diavolo...?”
Fece
qualche passo indietro, diretta verso la porta, per poi aprirla.
-
Che ci fai ancora qui?- domandò esterrefatta, quando Tom
apparve
davanti ai suoi occhi.
Il
moro non rispose: semplicemente afferrò il viso della
ragazza tra le
mani, avvicinandolo al suo, per poi baciarla con passione.
Lei
sgranò appena gli occhi, sorpresa da quel gesto, ma subito
si lasciò
trasportare dalla foga con cui Tom la baciava.
Il
ragazzo la spinse all'interno dell'appartamento, per poi chiudere con
un colpo del piede la porta alle sue spalle, senza interrompere il
contatto con le sue labbra.
La afferrò per la
vita e la sollevò, mentre lei cingeva le sue gambe attorno a
lui,
in preda ad un'enfasi sconosciuta perfino a lei.
Tom cominciò ad
avanzare, finendo in corridoio.
- Destra- mugugnò
Vera, contro le sue labbra.
Tom seguì le sue
indicazioni, arrivando così nella stanza della giovane.
Avanzò a
tentoni, fino a toccare ciò che lui capì essere
una delle gambe del
letto.
Fece stendere Vera
sul materasso, mettendosi poi a cavalcioni sopra di lei.
I due interruppero
il contatto tra le loro labbra, per prendere fiato, e si guardarono
negli occhi per qualche attimo, ansimanti.
Vera non ricordava
di aver mai provato qualcosa di simile in vita sua: sentiva brividi
di passione pervaderle il corpo, dandole un'inspiegabile sensazione
di calore.
La sua mente era
come annebbiata: in quel momento c'erano solo lei e Tom, nient'altro.
I suoi dubbi, le sue
incertezze le erano scivolati di dosso non appena il giovane l'aveva
baciata.
Dal canto suo, la
mente di Tom era completamente in blackout: percepiva solo la
bramosia e il desiderio di averla.
Insinuò una mano
sotto la sua maglietta, accarezzandole delicatamente il ventre,
prendendone i lembi ed alzarla piano.
Vera si sollevò di
poco per permettergli di sfilargliela, rimanendo in reggiseno, per
poi aiutarlo a privarsi dello stesso indumento, che finì a
terra,
insieme alla t-shirt della ragazza.
Rimasto a petto
nudo, Tom passò a sbottonare i pantaloni scuri di Vera, che
calò
lunghe le gambe della mora fino a toglierli del tutto, lasciando poi
che lei facesse lo stesso con i suoi jeans.
In pochi istanti si
spogliarono anche dell'intimo, ritrovandosi nudi, in preda
all'eccitazione sempre più crescente.
Si guardarono
intensamente per alcuni istanti che parvero eterni, poi Vera fece un
cenno con il capo, come a dire di essere pronta.
Tom le sorrise,
sistemandosi meglio tra le sue gambe, e poi, con un movimento deciso,
ma al tempo stesso non troppo violento, entrò in lei, per
poi
iniziare a spingere.
La mora inarcò la
schiena, e ad ogni spinta sentiva il piacere propagarsi in tutto il
suo corpo.
Tom la osservò,
beandosi dell'espressione di assoluto godimento dipinta sul suo
volto, per poi buttare la testa all'indietro, mentre un primo ansimo
sfuggiva dalle sue labbra.
Ben presto l'intera
stanza si riempì di gemiti che, man mano che le spinte
diventavano
più decise a veloci, aumentavano di intensità.
Le loro menti erano
completamente andate in tilt: intorno a loro tutto si era fermato, ed
ora esistevano solo loro. Loro e quell'estasi ardente che li mandava
in visibilio.
Vera si aggrappò
alla schiena del moro, graffiandola, mentre lui, con due ultime
spinte raggiunse il culmine, lanciando un grido di puro piacere,
subito seguito da quello giovane.
Ancora ansimante,
Tom si lasciò cadere affianco a Vera.
I loro petti si
alzavano ed abbassavano in sincronia, mentre entrambi cercavano di
realizzare ciò che era appena successo.
Ma soprattutto ciò
che tutto quello avrebbe comportato.
Tom si avvicinò
alla ragazza, stringendola a sé e lei si
abbandonò a
quell'abbraccio, senza dire una parola.
Il moro affondò il
viso nei suoi capelli, prendendo poi ad accarezzarli, mentre lei
poggiò la testa sul suo petto, percependo così i
battiti del suo
cuore, che sembrava minacciare di uscire da un momento all'altro. Si
ritrovò a sorridere, sentendo un senso di soddisfazione nel
sapere
di essere la causa di quel battito così accelerato.
Si accoccolò meglio
al petto del chitarrista, e pochi istanti dopo, una domanda sorse
spontanea sulle sue labbra.
- E ora?- sussurrò,
rivolgendosi a Tom.
Il ragazzo sospirò,
e Vera poté giurare che avesse detto qualcosa, ma non
sentì mai
quella risposta: si era addormentata.
* *
Intanto,
a Lisbona
- Rimarrai molto?
- No- rispose
Philip, comodamente steso sul letto della sua stanza d'albergo
–
Qualche giorno, non di più.
- Hai detto così
anche quando sei andato a Parigi- gli ricordo la madre,
all'altro
capo del telefono con tono indispettito.
- Sì, ma a Parigi
ho avuto un contrattempo- spiegò il giovane, alzando gli
occhi al
cielo – Stai tranquilla, mamma, dopo Lisbona mi prendo
qualche
ferie, e prima di tornare a casa mi fermerò da te e
papà per
qualche giorno. Non ti preoccupare, è tutto sotto controllo
- Sì, tutto
sotto controllo. Come sempre – borbottò
la donna - Beh,
sappi che non vedo l'ora di riabbracciarti- aggiunse, con
dolcezza – Ora devo andare, ma mi raccomando fatti
sentire in
questi giorni.
- Certo, mamma-
rispose Phil – A presto, ti voglio bene-
Chiuse la chiamata,
e si ritrovò a sorridere, pensando che nonostante avesse
ormai
ventisei anni, sua madre si ostinava a trattarlo come un ragazzino.
Appoggiò il
telefonino accanto a sé, sul cuscino, e portò un
braccio dietro la
testa.
“Finalmente
dopo
questo incontro si torna a casa” si disse, sollevato
“ Ah, Los
Angeles quanto mi sei mancata”
Ma
salve a tutti! Guardate un po' chi è tornata! Finalmente, eh?
September
has come, people!
Come
state, gente?
Vi
dico subito che la parte 'erotica' (?) di questo capitolo è
frutto
di fatica, sudore, lacrime, sangue e chi più ne ha
più ne metta.
Insomma,
un vero e proprio parto,
come
il resto del
capitolo, ad essere sinceri.
E
inoltre ho rotto tutto ciò che poteva essere rotto a _RockEver_
chiedendole
continuamente
consigli e pareri.
Davvero,
non ho mai scritto nulla del genere, quindi capitemi se non
è
all'altezza delle vostre aspettative; io ho cercato di fare il
possibile c.c
-
Sì, sto cercando di giustificare quest'eterogenea e
piuttosto
rivoltante assemblaggine (????) di parole, chiedo scusa -
Anyway...
PHIL
IS BACK (?)
Spero che voi
non l'abbiate dimenticato u.u
Nel caso, andate
a rivedervi il secondo, il quarto e il quinto capitolo C:
Sapete
che non posso lasciare che tra Vera e Tom sia tutto rose e fiori u.u
Però
dai, in fondo sono stata gentile, no? Cioè, per lo meno si
sono
divertiti LOL
Ok,
torno in me.
Beh,
che altro aggiungere? A voi l'ardua sentenza:
è
valsa la pena aspettare due settimane per questo quattordicesimo
capitolo?
Prima
di lasciarvi volevo comunicarvi che durante l'assenza di 'Wedding
Planner', ho postato due shots, 'Dancing With Ghosts'
e
'Cinquanta Striature di Biondo'
Mi
piacerebbe sapere cosa ne pensate!
Vi
lascio i link sotto insieme al mio Twitter e al mio Facebook.
Inoltre
ho cambiato il banner *^*
Andate
a vederlo e ditemi cosa ne pensate (:
Infine
(giuro che poi scompaio), una cosa davvero importante:
io
e la mia amica _Frency_
abbiamo avuto l'idea di creare un gruppo su Facebook per le Aliens
di EFP
(lettrici e
scrittrici) dove potremo scambiarci idee, opinioni e chiacchierare in
assoluta tranquillità!
Spero
vogliate
unirvi a noi!
Come per gli
altri, il link del gruppo lo trovate sotto!
Ok,
adesso vado via davvero, non c'è bisogno che mi guardiate
così.
Ci
tenevo solo a ringraziare tutti,
quelli che leggono, recensiscono, seguono, ricordano e preferiscono
questa fanfic: non sapete quanto il vostro supporto mi renda felice,
davvero.
C'è
gente che
mi scrive e dice di quanto io sia brava e cose del genere, ma la
verità è che
questa
personcina qui – MOI- non sarebbe arrivata a questo punto
senza di
voi, quindi, davvero, grazie.
Se fossi in
voi
mi farei un applauso.
E poi un
saluto
di benvenuto a tutte le nuove lettrici che si sono aggregate in
queste ultime settimane! *^*
Bene, alla
prossima allora!
Un buon
ritorno
a scuola a tutte C:
E se volete
saperlo, no, non ho finito i compiti.
Ma il
capitolo
era pronto e alla fine non ho resistito c.c
A proposito,
il
prossimo capitolo arriverà sicuramente
dopo l'inizio della scuola C:
Ok, vado vado
u.u
Un bacione,
Heilig
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Dancing
With Ghosts
| Cinquanta
Striature Di Biondo
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Fifteen ***
A
Vero, perché non ama i cliché
Un
bacione
Ti
voglio bene
Fifteen
Quando
Vera si svegliò, era ormai sera inoltrata.
Un
inebriante calore la invase, mentre le sue labbra si piegarono
spontaneamente in un dolce sorriso, al ricordo degli avvenimenti di
qualche ora prima.
Alzò
di poco il capo e vide che Tom dormiva ancora profondamente, nella
stessa posizione in cui si era addormentato, abbracciato a lei e il
viso incredibilmente vicino al suo.
La
mora iniziò a delineare delicatamente con il dito i tratti
del volto
del giovane, soffermandosi spesso sulle sue labbra rosee e carnose,
le stesse che poco prima l'avevano tenuta unita a lui, accendendo in
entrambi un piacere che mai avevano provato prima.
-
Ti diverti?-
Nel
sentire quella voce improvvisa, Vera trasalì, trattenendo a
stento
un urlo.
Tom
aprì gli occhi, ridacchiando, mentre lei si
ritrovò ad abbassare lo
sguardo.
-
Non volevo svegliarti- si scusò, disegnando dei cerchi
immaginari
sul petto del ragazzo.
-
Non mi hai svegliato- la tranquillizzò lui, con un sorriso.
Uno
strano silenzio piombò nella stanza, rotto dal respiro dei
due
ragazzi, che ancora cercavano di realizzare l'accaduto.
-
Non riesco ancora a crederci- disse Vera in un soffio, continuando ad
accarezzare il petto di Tom.
-
Siamo sicuri che questo non sia soltanto un sogno?- fece Tom, ironico
– Cioè, tutto questo è...
-
Assurdo- fece la giovane – Assolutamente ed innegabilmente
assurdo.
-
Non posso che darti ragione- sospirò Tom, affondando il viso
nei
suoi capelli – Tu... tu mi piaci, Vera Cooper-
mormorò infine,
dopo diversi istanti di silenzio, ammettendolo più a se
stesso che
alla ragazza.
A
quelle parole lei alzò lo sguardo e notò che le
guance di Tom si
erano leggermente arrossate, mentre lui aveva preso a mordicchiarsi
il labbro inferiore.
-
Non mi guardare così- sbuffò d'un tratto
– Mi fai sentire
stupido.
Vera
non poté trattenersi dal ridere, mentre Tom sentiva il suo
viso
andare sempre più a fuoco.
-
Non ridere!- protestò indignato – E' una cosa
seria- aggiunse, in
un sussurro – Tu... tu cosa ne pensi?- chiese infine.
La
giovane rimase qualche attimo in silenzio, incerta, smettendo di
muovere il dito sul torace di Tom, ed incupendosi in volto,
tant'è
che il giovane pensò di aver detto qualcosa di sbagliato.
-
Vera?- fece, inarcando un sopracciglio.
-
Tutto questo è una follia, lo sai vero?- disse lei, alzando
lo
sguardo su Tom – Una gigantesca
follia-
Tom
ridacchiò, divertito, poggiando la sua fronte su quella di
lei.
-
Anche tu mi piaci Tom- confessò la giovane, mormorando.
Tom
sorrise dolcemente, stringendo Vera ancora più a
sé.
-
Sarà difficile- obbiettò lei, dopo poco.
-
Sarà un suicidio, se vogliamo essere precisi- la corresse
Tom.
-
Credi che resisteremo?- chiese Vera, pensierosa.
-
Possiamo... provarci-
Provarci.
“Provare
a fare cosa, Tom?”
Vera
non credeva di
aver compreso appieno le parole del giovane: sapeva solo che in quel
momento aveva tutto ciò di cui aveva bisogno, e che i dubbi,
almeno
per quella notte, potevano essere messi da parte.
-
Resterai qui?-
chiese, con un fil di voce.
-
Solo ad una
condizione- affermò Tom.
La
mora alzò lo
sguardo, perplessa: cosa intendeva?
-
Di' la verità:
sono più che vagamente apprezzabile?-
Vera
si lasciò
andare in una risata, accoccolandosi meglio a lui.
-
Sei molto
più che vagamente apprezzabile- rispose, baciandogli il
petto, là
dove il cuore sembrava non aver diminuito la potenza e la
velocità
dei battiti che aveva percepito qualche ora prima.
E
ancora una volta,
Vera si ritrovò a sorridere.
* *
Il
pomeriggio seguente
-
Vera e il suo amico hanno fatto un ottimo lavoro!-
Bill
e Madison girarono attorno a Tom, osservando l'abito da cerimonia in
tutti i suoi particolari, con un sorriso soddisfatto dipinto sul
volto.
-
Sei felice, ora, Madison?- disse Tom, con aria scocciata.
-
Sì!- trillò Maddie, battendo le mani –
Quest'abito è perfetto!
Ti fa sembrare ...
-
Vuoi scherzare?- la interruppe il chitarrista, quasi scandalizzato
–
Sono io a rendere
l'abito perfetto-
Madison
alzò gli occhi al cielo, per poi scrollare le spalle,
rassegnata:
Tom era fatto così.
-
Beh, Mister Perfezione-
disse – Puoi anche cambiarti, se vuoi. Vi aspetto di sotto,
ragazzi-
Dopo
aver visto Madison uscire dalla stanza, Bill lanciò uno
sguardo
accusatorio al fratello.
-
Non c'è niente che devi dirmi?- chiese.
-
No- rispose secco il moro, mentre iniziava a togliersi la giacca
–
Potresti uscire? Devo cambiarmi.
-
Non provare a cambiare discorso!- lo rimbeccò il gemello
– Avanti,
che è successo?- chiese, con le mani ai fianchi
-
Non so di cosa tu stia parlando, Bill- insistette Tom, con
indifferenza.
Lo
sguardo del biondo, però, pareva attraversarlo da parte a
parte,
tanto era truce e minaccioso.
-
Beh, forse qualcosa è
successo, dopotutto- si arrese infine il chitarrista.
-
Qualcosa?- ripeté
Bill, scettico.
-
Beh, forse un po' più di qualcosa- si corresse Tom,
visibilmente
imbarazzato, passandosi una mano dietro la nuca.
Si
sedette sul letto di Bill e Madison ed abbassò lo sguardo.
-
Io e Vera siamo stati a letto- disse tutto d'un fiato, dopo aver
preso un profondo respiro
Senza
aspettare una reazione da parte del gemello, riprese subito a
parlare:
-
Non riesco ancora a capacitarmene- ammise, con sincerità
– Credo
di dover ancora metabolizzare il tutto.
-
Beh, sì, succede quando si è innamorati- fece
Bill, con un
sorrisetto strafottente, dandogli alcune pacche sulla schiena.
Tom
lo guardò, quasi adirato.
-
Io ti parlo dei miei problemi e tu mi prendi in giro?!-
esclamò –
Grazie della comprensione!- borbottò, infastidito.
-
Ti sei preso una bella sbandata per quella ragazza-
sentenziò il
fratello, sedendosi accanto a lui.
-
Stiamo insieme- raccontò il moro, torturandosi le mani
– O almeno,
ci stiamo provando.
-
Cosa diamine significa?- chiese stranito Bill – Non ha senso:
la
gente non sta insieme per provarci.
-
Beh, evidentemente non è così per tutti-
sospirò Tom.
I
due rimasero in silenzio per qualche istante, poi Bill riprese a
parlare.
-
Le hai detto che l'ami?-
Tom
sgranò gli occhi e rischiò di strozzarsi con la
sua stessa saliva.
-
Fermo, fermo!- esclamò, gesticolando furiosamente
– Tu corri
troppo con la fantasia! Non ho mai detto che l'amo!-
Bill
roteò gli occhi, scuotendo la testa: perché suo
fratello era così
ottuso?
D'un
tratto, la voce acuta di Madison giunse alle loro orecchie dal piano
inferiore.
-
Ragazzi!- urlò – Il caffè è
pronto!-
Bill
lanciò uno sguardo al fratello, e, prima di alzarsi,
portò un dito
sulla sua tempia.
-
Fai chiarezza qui- disse – E qui- aggiunse, picchiettando sul
petto
del gemello – O finirete per soffrire entrambi-
Detto
questo, si alzò dal letto ed uscì dalla stanza,
chiudendosi la
porta alle spalle.
Rimasto
solo, Tom prese a cambiarsi, ripensando alle parole del fratello.
Fai
chiarezza,
aveva detto Bill.
Peccato
che non fosse così facile.
*
*
Intanto
-
Cooper, se
continui così, quel cappuccino farà una pessima
fine-
Vera
si risvegliò
dal suo trance ed allentò di colpo la presa sul suo
bicchiere di
cartone, rischiando di farlo cadere.
-
Sei sicura di
sentirti bene?- chiese il biondo, notando il nervosismo dell'amica.
-
Sicurissima- disse
lei, iniziando però a tamburellare con le dite sul legno
della sua
scrivania, a cui era seduta.
-
Sarà- sospirò
Lawrence, seduto sul tavolo, finendo di bere il suo caffè
– Beh,
allora io torno nel mio uffic...
-
Io e Tom siamo
stati a letto e ora stiamo insieme- lo interruppe però Vera,
parlando tutto d'un fiato.
Aveva
lo sguardo
basso, e i capelli le coprivano il viso, ma Lawrence poteva ben
intuire che sotto quello scudo si celava un volto rosso di vergogna.
Vedendola
in quello
stato, non poté trattenersi dal ridere, portando Vera ad
alzare di
scatto la testa, sbigottita.
-
Ti sembra
divertente?!- protestò, piuttosto infastidita.
Lawrence,
però, non
accennava a smettere, preso com'era a spanciarsi dalle risa.
-
Lawrence,
smettila!- esclamò furiosa Vera.
-
Scusa, è che...-
fece il biondo, mentre ancora ridacchiava - ...sei buffa quando
t'imbarazzi- spiegò, con un sorrisetto stampato in volto.
-
Fantastico- sbuffò
Vera, passandosi una mano sul viso – Hai finito, ora?-
sibilò,
infine.
Lawrence
annuì,
mantenendo però la sua espressione strafottente.
-
E quando sarebbe
sbocciato quest'amore improvviso?
-
Ehi, non
esagerare!- lo ammonì Vera – Non è amore.
-
Non ancora- la
corresse Lawrence – Beh? Cosa aspetti?- fece poi,
sistemandosi
meglio sulla scrivania – Racconta!-
Vera
alzò gli occhi
al cielo, rassegnata, preparandosi ad una lunga discussione:
Lawrence non sarebbe mai cambiato.
* *
La
sera
Tom
appoggiò sul
bancone il suo bicchiere vuoto, mentre sentiva il sapore amaro
dell'alcol graffiargli il palato e la gola.
Era
lì da un paio
d'ore, in preda a mille dubbi e pensieri.
Forse
non avrebbe
dovuto fare quella proposta a Vera.
Forse
avrebbe dovuto
solo restarsene zitto ed andare via da quella casa mentre lei
dormiva, come, d'altronde, aveva sempre fatto.
Ma
quando si era
svegliato ed aveva visto Vera addormentata tra le sue braccia,
qualcosa l'aveva trattenuto dallo sgusciare via come un verme.
Sensi
di colpa?
Forse.
Interesse?
Probabile.
Amore?
Impossibile.
Ne
sei davvero sicuro, Tom?
Tom
scosse la testa,
cercando di relegare nella parte più remota del suo cervello
quella
fastidiosa voce, flebile, certo, ma che sussurrava parole che lo
intimorivano.
Alzò
la mano,
rivolto al barman, e chiese un altro drink. Il giovane
iniziò subito
a prepararlo e nemmeno un paio di minuti dopo, lo posò
davanti a
Tom.
Il
chitarrista prese
il bicchiere ed iniziò a sorseggiare il drink con calma,
mentre
rifletteva sugli avvenimenti che si erano susseguiti in quelle ultime
settimane, cercando di catturare l'esatto momento in cui i suoi
sentimenti verso Vera erano cambiati.
Cos'è
che l'aveva
spinto a vederla in modo diverso?
Perché
da acerrimi
nemici erano finiti per farsi le coccole sul letto di lei, stretti in
un tenero abbraccio?
Cosa
aveva causato
tutto quello?
Mentre
cercava di
rispondere a tutte quelle domande, il ragazzo sentì una mano
appoggiarsi sulla spalla, facendolo trasalire.
Si
voltò di scatto,
e davanti ai suoi occhi apparve un Lawrence sorridente.
-
Buonasera- disse
il biondo, sedendosi accanto a Tom – Come mai da queste parti?
-
Potrei farti la
stessa domanda- replicò il chitarrista, per poi bere un
sorso del
suo drink – Come mai non sei con Mister Simpatia?
-
Parli di Chris? In
realtà è laggiù- ridacchiò
Lawrence, additando il suo fidanzato,
seduto ad un tavolino poco distante – Mi ha raccontato la
vostra
avventura al negozio.
- Disavventura-
lo corresse Tom con una smorfia – Senza offesa, ma
è stato
piuttosto stronzo.
-
Credo si sia
divertito molto- fece Lawrence – E anche tu e Vera, a quanto
pare-
aggiunse, con tono da cospiratore.
Per
tutta risposta
ottenne un semplice grugnito, accompagnato da un incomprensibile
borbottio.
-
Sì, anche Vera è
in questo stato. Risponde solo a grugniti- affermò Lawrence
–
Senti, non ho la minima intenzione di immischiarvi nelle vostre
faccende- disse, facendosi serio – Quindi sarò
breve e conciso-
aggiunse, per poi avvicinare il viso a quello di Tom – Non
spezzarle il cuore. Non se lo merita-
Tom
si voltò verso
di lui, con sguardo interrogativa, pronto a domandargli di cosa
stesse parlando, ma Lawrence non gli diede il tempo di parlare.
-
Ora vado- disse,
alzandosi – Non bere troppo, o dovrai prendere un taxi-
aggiunse,
facendogli l'occhiolino, per poi allontanarsi, dopo avergli dato
un'energica pacca sulla spalla.
Tom
aprì la bocca
per replicare, ma lui era già sparito tra la gente che
affollava il
locale.
Scosse
la testa e
terminò di bere il suo drink, posando poi il bicchiere vuoto
accanto
al precedente.
Ora
alle parole di
Bill, si erano aggiunte quelle di Lawrence, e tutte insieme creavano
un turbinio all'interno della sua testa.
Forse
l'unica
soluzione era davvero provarci.
Provare
ad andare al
di là della semplice attrazione fisica.
Provare
ad essere
più che semplici conoscenti.
Provare
a mettere da
parte i dissidi avuti fino ad ora.
Provare
a stare insieme.
Un
sorriso spontaneo nacque sulle sue labbra, mentre sentiva la sua
mente farsi via via più lucida: stava iniziando a fare
chiarezza?
Non ne aveva idea.
Sapeva
solo che quella nuova sensazione, quel turbinio di emozioni, lo
facevano stare dannatamente bene.
* *
Un
paio di settimane più tardi
- A
stasera,
allora!
-
Certo, Tom. A
dopo-
Vera
chiuse la
chiamata, per poi rimettere il cellulare in borsa, riprendendo quindi
a fare la spesa.
Quella
sera Tom
sarebbe venuto a casa sua a cena, e lei avrebbe cucinato.
Non
che fosse una
gran maga ai fornelli, ma le era sembrato giusto preparare la cena
per... il suo ragazzo?
Come
avrebbe dovuto
considerarlo?
Non
erano amici, di
certo.
Ma
forse nemmeno
fidanzati.
Vera
scosse la
testa, e ripose nel carrello alcuni pomodori, cercando di liberare la
mente da tutti quei dubbi.
Lei
e Tom stavano
provando.
Provando
a stare
insieme, ad avere una relazione più o meno stabile.
Sembrava
difficile,
ma, contro ogni aspettativa, la situazione reggeva, e loro erano
felici.
Vera
ancora stentava
a crederci: non riusciva a capacitarsi di frequentare Tom.
Una
follia.
Tutto
quello era
un'autentica follia.
Ma
la cosa buffa era
che a loro non importava.
Erano
solo agli
albori della loro storia, ma qualcosa le diceva che sarebbe durata,
che sarebbe stato diverso.
E
se ti sbagliassi, bambina?
Vera
si ritrovò a
stringere la presa sulla confezione di pasta che aveva appena preso
dallo scaffale.
La
voce della sua
coscienza non le dava pace ormai da giorni: era quella parte di lei
che si ostinava ad essere realista ed inesorabilmente pessimista,
quella che in quel periodo aveva cercato di nascondere, di relegare,
ma che, purtroppo, ricompariva sempre con mille dubbi, domande senza
risposta e con cattivi presagi pronti a tormentarla.
Scosse
un'altra
volta la testa, e mise la pasta nel carrello. Cominciò ad
avanzare,
dirigendosi verso le casse, quando però il suo carrello si
scontrò
con quello di un'altra giovane.
-
Oh, scusami!-
disse questa, mortificata – Un momento... Vera!-
esclamò poi.
La
mora alzò lo
sguardo, e subito riconobbe in quella ragazza Grace, l'ultima sposa
di cui aveva organizzato il matrimonio prima che Lawrence le
assegnasse quello di Bill e Madison.
Subito
la giovane si
fiondò su di lei, abbracciandola calorosamente.
-
Ah, da quanto
tempo!- esclamò – E' un piacere rivederti Vera!
-
Lo è anche per
me- rispose la mora, una volta allontanatasi dall'abbraccio –
Allora come vanno le cos...-
Prima
che potesse
finire di parlare, però, Grace aveva già iniziato
a sommergerla di
parole.
Vera
non riuscì
nemmeno a capire cosa stesse dicendo, tanto parlava veloce. Fu in
grado di recepire solo qualche parola sconnessa, ma Grace non
sembrava accorgersene.
-
Ah, ci sono un
sacco di cose che dovrei dirti!- esclamò infine –
Che ne dici di
andare a prendere un caffè? Ti devo ancora una fetta di
torta in
fondo!-
-
A dire il vero
io...- tentennò Vera.
-
Perfetto!- disse
gioiosa Grace – Andiamo!- aggiunse, poi trascinando Vera
– e il
suo carrello – con sé.
“Un
caffè non può
certo farmi male” pensò la mora “In
fondo, Grace è
chiacchierona, ma simpatica” si disse.
E
allora perché
aveva la strana sensazione che nulla sarebbe andato per il verso
giusto quel giorno?
Ma
buonasera a tutti, popolo di EFP!
Come
state?
Siete
tornati tutti tra i banchi di scuola? Com'è stato il rientro?
Traumatico?
Doloroso? Fantastico?
LOL,
scherzavo.
Ma
non dilunghiamoci in sciocchezzuole,
piuttosto
parliamo di questo capitolo.
Allora,
non so se scusarmi per il fluff tenero-strappalacrime-dolcioso che si
presenta all'inizio, ma sapete, anche se gliene faccio passare di
tutti i colori, voglio bene a Vera e Tom :3
In
ogni caso, se non vi è piaciuto è colpa di _RockEver_
che si è ostinata a dirmi di includere il risveglio in casa
Cooper
dopo... vabbeh, dopo quello.
Se
invece l'avete amato, beh, il merito è tutto mio LOL
(Vale,
ti voglio taaaaaaanto
bene)
In
generale, non so se dirmi soddisfatta di questo capitolo.
Voi
che dite?
Non
so che altro aggiungere.
Stranamente,
oggi sono di poche parole. Ma mi rifarò, statene certi.
Ancora
una volta, non so dirvi esattamente quando posterò,
purtroppo.
Ma
cercherò di tornare il prima possibile, scuola permettendo.
Mi
sono già attrezzata con i quaderni per scrivere durante le
lezioni
:')
Ma
a questo voi non importa, ovviamente ahaha :')
Ok,
sarà meglio che vada.
Sotto
troverete i soliti link, quali Twitter, Facebook, il trailer e il
gruppo facebook per le Aliens di EFP.
Prima
però, ci terrei a ringraziarvi uno ad uno.
Grazie
a chi recensisce, a chi legge, a chi segue, a chi preferisce e a chi
ricorda.
Vi
adoro, davvero. Grazie con tutto il mio cuore.
Non
immaginate nemmeno la mia soddisfazione.
Infine,
un saluto alle mie nuove lettrici:
WizardsDaughter,
Montii, _KyRa_, Damned e
YoungFavouriteMills1D.
Un
grandissimo bacio a tutti,
Heilig
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Capitolo 16 *** Sixteen ***
Sixteen
-
Devi proprio andare?-
Philip
chiuse con un solo
gesto il borsone scuro, e rivolse uno sguardo alla madre, che lo
osservava, quasi imbronciata.
-
Mamma,- disse, sedendosi
sul letto per poi infilarsi le scarpe – resterei volentieri,
ma
l'America mi manca troppo- spiegò, mentre allacciava le
stringhe.
-
Chissà cosa ci troverai
in quella Las Vegas!- sbottò, indispettito suo padre, in
piedi
accanto alla donna e a braccia conserte.
- Los Angeles-
lo corresse Phil – Papà, abito a Los Angeles.
-
Non
c'è nessuna differenza- ribatté l'uomo, con tono
burbero –
Nessuna delle due batte la nostra bellissima Folkestone!-
Phil
roteò gli occhi e scrollò le spalle, per poi
alzarsi ed prendere il
suo giaccone.
-
Ne
sono certo- ridacchiò, mentre lo indossava – Ma
sono anche certo
che Los Angeles vi piacerebbe molto- aggiunse, allacciandosi i
bottoni – Perché non venite a trovarmi qualche
volta?
-
E
lasciare la nostra amata Inghilterra? No, grazie, Phil- rispose la
madre, sistemandogli il colletto della giacca – Sei tu quello
che
dovrebbe venire più spesso qui- lo rimproverò
poi, scoccandogli
un'occhiata severa.
-
Sì,
lo so- sospirò Philip – Prometto che mi
farò vedere più spesso-
giurò poi, mettendosi scherzosamente una mano sul cuore.
-
Lo
spero per te- gli disse la madre, con un sorriso.
D'un
tratto i tre sentirono un clacson strombazzare.
-
E'
arrivato il taxi- annunciò Philip –
Sarà meglio andare- disse
poi.
Prese
il suo borsone e se lo caricò in spalla, per poi afferrare
la
valigia ed uscire dalla stanza, seguito dai genitori.
Camminò
fino alla porta d'ingresso, l'aprì e vide l'auto nera
parcheggiata
davanti al suo cancello.
Fece
un cenno al tassista, voltandosi poi verso i suoi genitori.
-
E'
il momento di salutarsi, quindi- fece, con una nota di rammarico
nella voce.
Sua
madre l'abbracciò calorosamente, trattenendo a stento le
lacrime.
-
Fai
il bravo, non farmi stare in pensiero- gli sussurrò
all'orecchio –
Non affaticarti troppo e non saltare i pasti. Sai quanto ci tengo
alla tua salute- aggiunse, allontanandosi.
-
Lo
farò, mamma- promise Phil, alzando poi lo sguardo su suo
padre.
-
Credo tua madre abbia già detto tutto- rise quest'ultimo,
dandogli
un'energica pacca sulla schiena – Vedi di non combinare
casini-
aggiunse, con tono severo.
-
Lo
terrò a mente- rispose Phil, sistemandosi il borsone sulla
spalla –
Vi chiamo quando arrivo- aggiunse poi, con un sorriso – Ci
vediamo!-
Agitò
la mano in segno di saluto, per poi voltarsi e percorrere a passo
veloce il vialetto e giungendo davanti al taxi.
Il
tassista scese e lo aiutò a caricare nel baule la valigia.
-
La
ringrazio molto- disse, mentre l'uomo chiudeva il bagagliaio.
Dopo
aver fatto un ultimo cenno di saluto ai genitori, ancora sulla
soglia, Phil entrò in auto, chiuse la portiera e si
sistemò
comodamente sui sedili.
-
All'aeroporto, giusto?- fece il tassista, mentre metteva in moto la
vettura.
-
Sì-
rispose il ragazzo.
-
Dove
va di preciso?- chiese con voce allegra il conducente.
-
A
Los Angeles- rispose Philip.
L'uomo
annuì, e nell'abitacolo scese il silenzio, interrotto dallo
sfrecciare della macchina sull'asfalto.
Philip
volse lo sguardo verso il finestrino, e, mentre davanti ai suoi occhi
si alternavano i pittoreschi paesaggi inglesi, un sorriso spontaneo
nacque sulle sue labbra: stava tornando a casa.
* *
Intanto, a Los Angeles
Basta.
Vera
sospirò pesantemente, sull'orlo dell'esasperazione: da
quanto tempo
stava parlando Grace?
Dieci
minuti? Venti? Ormai aveva perso la cognizione del tempo,
nonché il
filo del discorso.
Aveva
appeno preso a maledirsi mentalmente per essersi lasciata trascinare
in quella caffetteria, quando si accorse che Grace le aveva appena
posto una domanda.
-
Allora?- la esortò la ragazza, con un sorriso.
-
Potresti... potresti ripetere la domanda?- fece Vera, lievemente
imbarazzata per essere stata colta in un momento di distrazione.
-
Ti ho chiesto cosa sceglieresti tra Australia e Europa- disse Grace
–
Sai, io e Peter non abbiamo ancora deciso per la nostra luna di
miele.
-
Luna di miele?- ripeté sorpresa Vera – Ma non
dovevate partire un
paio di giorni dopo il matrimonio?
-
Vera, te l'ho già detto- obbiettò Grace,
inarcando un sopracciglio.
Peccato che io non ti
stessi ascoltando,
pensò la
mora.
-
Peter ha avuto problemi con il suo lavoro e quindi siamo ancora qui-
spiegò Grace – Dovremmo partire tra un paio di
settimane, ma siamo
ancora indecisi- continuò – Tu che dici? Australia
o Europa?
-
Europa- rispose distrattamente Vera, senza pensarci troppo.
-
Ne sei sicura?- chiese Grace, arrotolandosi una ciocca dei capelli
rossi tra le dita, con aria dubbiosa.
Vera
annuì, e Grace le sorrise dolcemente.
-
Grazie del consiglio- disse – Sai, anche i miei colleghi allo
studio di registrazione mi hanno consigliato la stessa cosa-
aggiunse.
-
Studio di registrazione?- fece Vera, mentre un cameriere si
avvicinava al loro tavolo con le ordinazioni, per poi sistemarle
davanti alle due giovani – Sei una cantante?
-
Ma cosa dici!- ridacchiò Grace, mentre apriva una bustina di
zucchero – Lavoro come assistente del manager di una band-
spiegò
– Sono tedeschi- aggiunse poi – Forse li conosci.
Si chiamano...
-
Tokio Hotel- si lasciò
sfuggire Vera, pensando a quando Lawrence le aveva dato l'incarico di
occuparsi del matrimonio di Bill e Madison e le aveva fatto qualche
accenno al gruppo.
-
Non dirmi che sei una loro fan anche tu!- rise Grace, con un mezzo
sorriso – Ti avverto che non posso assolutamente chiedere
loro
degli autografi- si affrettò a precisare.
Fidati, non ne ho
bisogno.
- Non
sono una loro fan- chiarì la mora – Sto
organizzando il matrimonio
di Bill-
-
Cosa? Davvero?- fece Grace, visibilmente sorpresa – Sei la
wedding
planner di Bill e Madison? Ma è fantastico!
Perché non me l'hai
detto subito?
- Beh,
io...- provò a dire Vera.
- Sono
certa che farai un lavoro spettacolare! Come hai fatto con la mia
cerimonia, del resto!- la interruppe però Grace –
Bill e Madison
sono una coppia stupenda, non pensi?-
Oh,
no. Non può ricominciare.
Grace
si lanciò in un lungo e complicato discorso su quanto dolce
e
simpatico fosse Bill e su quanto si meritasse, secondo lei, di avere
una altrettanto bella persona al suo fianco.
-
Da quanto ho capito, molte canzoni del nuovo album sono dedicate a
Madison- disse, sorseggiando di tanto in tanto il suo caffè
– E'
una cosa così romantica- aggiunse, con occhi sognanti
– Niente a
che vedere con Tom-
A
quel nome, Vera alzò di scatto la testa.
Forse
un po' troppo velocemente.
-
Ho detto qualcosa che non va?- chiese infatti Grace, perplessa.
-
No, no- si affrettò a rassicurarla Vera – Cosa...
cosa intendevi
prima? In riferimento a Tom, intendo.
-
Oh, conosci anche lui, quindi!- fece Grace – Beh, non so come
ti è
sembrato, ma se hai avuto l'impressione di un tipo sbruffone e pieno
di sé, hai ragione- disse, con una smorfia – E'
simpatico, ma a
volte fa un po' troppo il pallone gonfiato- spiegò,
scrollando le
spalle – Per non parlare poi delle ragazze, poi-
Nel
vedere l'espressione interrogativa di Vera, la rossa si
affrettò a
chiarire.
-
Non hai idea di quante ragazze sono venute allo studio in cerca di
Tom in questi ultimi due mesi- disse – Sembravano disperate.
E lui
le ha liquidate tutte con un “ti chiamo
io”-
continuò – Conosco il genere: quando si stufa, ne
sceglie
un'altra. E' semplice per lui-
Mentre
Grace continuava a parlare, Vera sentiva mille dubbi affiorare nella
sua testa: quanto valore doveva dare alle parole della giovane?
Non ho sentito delle
belle cose su di lui.
All'improvviso
le parole dette da Lawrence il giorno dopo aver incontrato i gemelli
le attraversarono la mente come un fulmine a ciel sereno, gettandola
in un baratro di profonda insicurezza.
Quanto
erano vere?
Possibile
che ci fosse cascata anche lei, come tante altre? Che si fosse
sbagliata così tanto?
-
Vera? Mi stai ascoltando?-
La
mora scosse la testa, e ripiombò nella realtà,
cercando di
scacciare i dubbi e i cattivi pensieri che l'affliggevano.
-
Hai... hai detto qualcosa, Grace?
-
Sei sicura di sentirti bene?- chiese la rossa, con apprensione.
-
Sì, sì, certo- rispose Vera – Mi... mi
sono ricordata di dover
fare un'altra commissione- mentì, per poi finire in un solo
sorso il
suo caffè – Credo sia meglio che vada-
continuò, alzandosi.
-
Vuoi che ti accompagni?- propose gentilmente Grace.
-
Non ce n'è bisogno, grazie- rifiutò la mora
– Non è lontano-
spiegò, mentre prendeva le borse della spesa – Ti
ringrazio per il
caffè e per la chiacchierata- disse, con un sorriso tirato
– Ci
vediamo!-
Prima
ancora che Grace potesse rispondere, Vera si precipitò fuori
dalla
caffetteria.
Prese
a camminare a passo svelto verso la fermata dell'autobus, mentre
miriadi di domandi si facevano spazio nella sua testa, procurandole
una forte sensazione di fastidiosa irritazione e smarrimento.
Sentiva
come se una parte della sua coscienza si ostinasse a non credere alle
parole di Grace.
O
non completamente.
“Potrebbe
essere cambiato” si disse.
Ma
perché avrebbe dovuto farlo, in fondo?
“Per
me”, pensò, quasi con egoismo la mora, mentre
giungeva alla
fermata.
Per
lei? Perché per lei?
Perché
non per qualche altra bella californiana?
A
quel pensiero, Vera si ritrovò a stringere la presa sulle
buste
della spesa e a serrare la mandibola.
Doveva
calmarsi, pensò. Grace era una ragazza pettegola, quindi non
doveva
prendere sul serio le sue insinuazioni su Tom.
Ma,
dopotutto, da quanto tempo lo conosceva lei per affermare con estrema
certezza che
Tom non fosse il
ragazzo che tutti dicevano?
*
*
Il
pomeriggio
Chissà cosa
cucinerà stasera Vera.
- Tom?
Dovrò
vestirmi elegante?
- Ehi? Ti vuoi svegliare?
Oh, avanti.
E' solo una cena!
- Tom!
Magari,
però...
-
Hai finito di sognare ad occhi aperti? Tom?-
Bill
prese un braccio del fratello e lo scosse con insolita violenza,
risvegliandolo dal suo trance.
-
Eh...? Cosa...?- fece il moro, guardandosi in giro spaesato.
-
Bentornato fra noi, Tom- sbuffò, irritato, David,
scoccandogli
un'occhiata di rimprovero – Ora che il signor
Kaulitz
ci ha degnato della sua attenzione, vi comunico che siamo indietro
con il lavoro- disse, con tono grave – Ergo, stanotte non vi
spostate da questo studio.
-
Stai scherzando!-
Tutti
i presenti si voltarono verso Tom, che osservava ad occhi sgranati il
manager.
-
Tom, sai bene che non possiamo permetterci ulteriori ritardi. La casa
discografica ci sta alle calcagna- spiegò con voce ferma
David –
Non è la prima volta che restiamo tutti qui- aggiunse poi.
-
Ma io ho da fare- sibilò Tom.
-
Qualsiasi cosa sia non è di certo più importante
di quest'album,
Tom- asserì l'uomo – Non. Obbiettare-
ordinò poi, interrompendo
sul nascere la replica di Tom, che sbuffò, e distolse lo
sguardo.
-
Bene, ora che è tutto chiaro,- fece David - vi lascio
continuare la
vostra pausa-
Salutò
i ragazzi con un cenno del capo ed li lasciò soli nella
stanza.
-
Devi vederti con Vera?- chiese subito Bill, appena vide la figura del
manager scomparire.
-
Diciamo che avrei dovuto-
lo corresse il fratello.
-
Ti conviene avvertirla- esordì Georg, mentre prendeva una
birra dal
minifrigo.
-
So quello che devo fare, Hagen- sbottò il chitarrista
– Non c'è
bisogno che tu me lo dica.
-
Wow, devi tenerci molto a quest'uscita- commentò Gustav,
notando
l'irascibilità dell'amico – Volevi forse chiederle
di spos...-
Il
biondo non fece in tempo a formulare la domanda, perché
subito fu
colpito da una feroce cuscinata da parte di Tom.
-
Come sei permaloso- borbottò, sistemandosi gli occhiali sul
naso –
Non c'è nulla di male ad essere innamorati.
-
Ringrazia che io non abbia un altro cuscino, Wolfgang, o ti
soffocherei- ribatté Tom, con una smorfia – Ti
rendi conto delle
assurdità che stai dicendo?
-
E tu ti rendi conto che da quando state insieme, sembri volare su una
nuvola?- disse Bill.
-
Per non parlare di quel sorrisetto idiota che ti stampi in faccia-
aggiunse Georg, quasi disgustato – Potrei vomitare ogni volta
che
lo vedo.
-
Questo non vuol dire niente- sostenne Tom – Ed ora, con il
vostro
permesso, vado ad annullare la nostra cenetta-
Si
alzò dal divano su cui sedeva ed uscì dalla
stanza, diretto verso
la terrazza, sotto lo sguardo perplesso degli amici.
-
Ha... ha davvero detto...?- balbettò incredulo Gustav.
-
Sì, l'ha detto Gus- affermò Georg, altrettanto
sbigottito – Non
c'è dubbio: il nostro caro Sexgott è
completamente andato.
*
*
-
Cosa significa che non puoi venire?
-
Vera, ti chiedo umilmente scusa-
sospirò Tom, con tono mortificato – David
ci ha ordinato
di rimanere allo studio. Abbiamo ancora un sacco di roba da
registrare e i tempi sono stretti.
-
Capisco- disse semplicemente la mora.
-
Vera, non sai quanto mi dispiace-
si scusò il ragazzo.
Vera
sentì che stava per aggiungere qualcosa, ma una voce
maschile lo
sovrastò.
-
Tom! Torna dentro!-
diceva.
-
Devo andare- disse Tom
– Ti chiamo io! Ciao!-
Prima
ancora che potesse rispondere, Vera sentì Tom chiudere la
chiamata.
Con
un sospirò appoggiò il telefono sul tavolo della
cucina, ed andò a
spegnere i fornelli: non sarebbero serviti.
Ancora
una volta le parole di Grace ritornarono a martellare la sua testa
con violenza.
E lui le ha
liquidate tutte con un “ti chiamo io”
Quindi lei faceva parte di quel tutte?
Era davvero stata così stupida da lasciarsi ingannare da
lui? Dalla
sua stessa ingenuità?
Smettila,
Vera. Deve solo lavorare.
Si sentiva una perfetta idiota: la consapevolezza di essere affetta
da una profonda paura di soffrire la faceva impazzire.
Temeva di essersi spinta troppo in là, di essersi scoperta
troppo,
di aver lasciato che i sentimenti l'avessero vinta.
Stava rischiando, e lo sapeva.
L'aveva sempre saputo.
Ma ora una parte di lei si pentiva di averlo fatto.
* *
Qualche
giorno più tardi
Tom non l'aveva ancora chiamata.
Nemmeno un sms, nulla di nulla.
E Vera si sentiva una povera illusa.
Quella che le era sembrata l'inizio di una relazione un po'
complicata da gestire, ma comunque, nemmeno troppo frivola, era
scoppiata come una bolla di sapone.
Ma, d'altronde, cosa si sarebbe dovuta aspettare?
Si trattava di Tom Kaulitz, non di un ragazzo qualunque.
Non sarebbe di certo cambiato per la prima che gli passava davanti
agli occhi.
Sospirò, e calciò un sassolino davanti a lei, che
prese a rotolare,
fino a scomparire nell'erba.
Quel pomeriggio, dopo aver terminato in anticipo il suo turno alla
WedDreams ed aver pranzato con Lawrence, si era
infilata gli
auricolari nelle orecchie ed era uscita per una passeggiata nel
parco, nel tentativo di rilassarsi e darsi pace una volta per tutte.
Stava per svoltare a sinistra, quando sentì una mano posarsi
sulla
sua spalla.
Trasalì e si voltò di scatto, rimanendo poi
basita.
- Cosa...? Come...?- balbettò incredula – Philip?
- Sorpresa di vedermi, eh?
* *
- Ecco a lei le sue fedi, signor Kaulitz-
La giovane gioielliera porse a Bill due scatoline di velluto scuro
con ricami in oro. Il biondo ne prese una e l'aprì,
osservandone il
contenuto: al suo interno, la scatolina conservava un anello d' oro
bianco con un piccolo diamante in cima.
- E' perfetto- mormorò Bill, commosso – Tu che ne
dici, Tom?
Piacerà a Maddie?-
Il moro, in piedi accanto al fratello, si sporse un poco e, nel
vedere il gioiello, sorrise.
- Non posso credere che stai per sposarti- fece – Madison
è una
vera santa- aggiunse, beccandosi una sonora gomitata nelle costole.
- Fottiti- borbottò a denti stretti il biondo –
Prendo queste-
disse poi, rivolgendosi alla gioielliera.
- Benissimo, andiamo alla cassa, allora- rispose la giovane.
I gemelli seguirono la ragazza al bancone, dove lei iniziò a
preparare il conto.
Mentre Bill aspettava pazientemente, Tom si avvicinò agli
espositori, dove innumerevoli gioielli di ogni sorta facevano la loro
bella mostra.
Un braccialetto in particolare catturò la sua attenzione,
portandolo
ad avvicinarsi maggiormente alla vetrina.
Era d'oro, con alcuni ciondoli a forma di delfini in argento, e Tom
non poté che pensare a Vera e al suo tatuaggio.
Sorrise teneramente, ritrovandosi a pensare su quanto bene sarebbe
stato quel braccialetto sul polso della mora.
Sarebbe un
regalo perfetto,
si disse.
Forse
un po' costoso, e forse un po' azzardato, ma gli sembrava
azzeccatissimo per lei: semplice e sobrio, ma con un grande
significato.
Potrei...
- Tom? Ho finito, andiamo?-
La voce di Bill alle sue spalle lo fece voltare di scatto, quasi come
se fosse stato colto in flagrante.
- S-sì- disse con incertezza il chitarrista, lanciando un
ultima
occhiata al gioiello – Andiamo-
Dopo aver fatto un cenno di saluto alla gioielliera, i due uscirono
dal negozio e si diressero all'auto di Bill. Salirono sulla vettura,
si allacciarono le cinture e Bill fece per mettere in moto, ma si
fermò, con la mano ancora sulla chiave.
- Tutto bene?- chiese Tom, perplesso.
- Ho visto come guardavi quel braccialetto- disse Bill – E'
per
Vera, giusto?-
Tom si limitò annuire, rimanendo in silenzio.
- Non è importante- disse dopo poco, voltando lo sguardo
verso il
finestrino – Puoi anche partire- aggiunse.
- Sei un vero idiota- sbottò Bill – Forza, scendi
e vai a
prenderlo! E poi portaglielo!
- Con quale faccia mi ripresento da lei dopo giorni che non mi faccio
sentire?- sbuffò Tom, guardando il gemello – Non
dire cavolate,
Bill. Andiamo-
Bill sospirò profondamente: la testardaggine di suo fratello
stava
raggiungendo livelli record.
- Tom, fai un favore a tutti quanti: smettila di negare l'evidenza-
disse, con tono quasi autoritario – Vai a prendere quel
braccialetto. Ora-
Tom rimase sulle sue posizioni per qualche istante, poi un sincero
sorriso di gratitudine si fece spazio sul suo viso.
- Non riesco a credere che tu mi abbia convinto- mormorò,
mentre si
slacciava la cintura, per poi scendere dall'auto – Grazie.
Bill-
- Mi ringrazierai più tardi- rispose il biondo, facendogli
l'occhiolino – Ah, Tom- disse poi, prima che il fratello
potesse
chiudere la portiera – non combinare casini.
- Non succederà, Bill- promise Tom, in tutta
sincerità, chiudendo
poi la portiera della vettura.
“ Non
succederà di certo. Non stavolta” si disse, quasi
a rassicurare se
stesso.
Mentre però, osservava il fratello allontanarsi, uno strano
presentimento si faceva spazio nella sua testa, facendo affiorare
migliaia di dubbi.
“Questa volta,” si disse, scuotendo la testa e
cercando di
eliminare i pensieri negativi “deve andare tutto per il
meglio”
*
*
-
E quindi sei appena tornato dall'Inghilterra!- disse Vera.
-
Sì,- rispose Philip – sono stato dai miei genitori
per un po'.
-
Capisco...- fece la mora – Ho sempre amato l'Inghilterra-
confessò
poi – Lo trovo un paese meraviglioso!
-
Fidati, se tu ci avessi vissuto quasi tutta la tua vita, non la
penseresti così!-
Dopo
essersi incontrati al parco, Vera e Phil avevano preso a parlare del
più e del meno, come vecchi amici, e, al momento di tornare
a casa,
Philip si era offerto di accompagnare a casa la ragazza, che, dopo
qualche tentennamento, aveva accettato, e i due, una quindicina di
minuti dopo, erano giunti davanti al cancello della mora.
-
Beh,- disse questa – Credo sia giunto il momento di salutarci-
-
Già- rispose Philip con una piccola smorfia – Beh,
spero di
rivederti- aggiunse, sorridendo – Devo ancora raccontarti un
sacco
di cose dei miei viaggi.
-
Non vedo l'ora!- esclamò entusiasta la mora – A
presto, allora-
disse poi, porgendo la mano al giovane.
-
Mi stai dando la mano?- chiese, con fare scandalizzato Phil –
Oh,
avanti! Siamo amici, no?
-
Sì, ma...-
Prima
che Vera potesse terminare la frase, però, Phil la stava
già
abbracciando stretta, e lei non poté che sciogliersi, e
sentire le
sue resistenze venire meno davanti a quel calore.
-
Vera-
Quella
voce maschile, tanto familiare quanto improvvisa, fu come un brusco
risveglio durante un sogno.
Si
allontanò di scatto dalle braccia di Phil e si
voltò alla sua
destra, rimanendo pietrificata sul posto.
No,
quello non se l'aspettava.
HALLO
LEUTE!
Heilig
è di nuovo qui, sui vostri schermi!
*applausi*
Come
state, miei lettori?
Stanchi
di aver ripreso il solito tran tran quotidiano?
Io
sì, ugh.
Ma
non c'è giorno in cui non pensi a voi *-*
Mi
siete mancati così tanto :'3
Passiamo
al capitolo però.
Ma
quanto posso essere cattiva
perfida?
Non
lo so nemmeno io MUAHAHAHAAHAHAH
Mi
piace combinare casini LOL
In
fondo, però, sapevate che niente sarebbe andato per il verso
giusto,
o no?
L'idea
del ritorno di Grace mi è venuto in mente quando mi sono
accorta di
aver utilizzato questo nome sia per la novella sposa all'inizio del
primissimo capitolo di 'Wedding Planner' sia per la
comparsa-assistente di David qualche capitolo più in
là.
E
mi sono detta: 'Perché non creare qualche pasticcio?'
Sono
così orgogliosa della mia malvagità :')
E
poi Phil.
Non
odiatelo, è tanto tenero :3 (?)
Beh,
come sempre, aspetto i vostri solenni pareri.
Come
vi è sembrato questo capitolo?
ALT!
Non cambiate pagina.
Prima
di sparire, vorrei dedicarvi alcune righe :'3
Con
l'ultimo capitolo ho raggiunto (e superato) le cento recensioni.
Ora,
voi direte 'Ma chissene frega'.
Io
però ci tenevo a ringraziarvi una
ad una
per questo
bellissimo 'regalo'.
Davvero,
'Wedding Planner' mi sta dando tante soddisfazioni, e questo
è anche
(e soprattutto) merito di chi legge questa fanfic, cioè voi.
Non
vi ringrazierò mai abbastanza.
Siete
davvero fantastici, grazie.
Nient'altro
di particolare da aggiungere C:
Sotto
troverete i soliti link ^^
Sono
sempre disponibile a parlare con tutte voi, quindi non esitate!
Venghino
signori, venghino u.u (LOL, nemmeno fossi famosa AHAHAHA)
E
con questo, evaporo, gente (sarà meglio, sì
sì)
Un
bacione gigantesco,
Heilig
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Capitolo 17 *** Seventeen ***
Seventeen
Il
nome di Vera era
sfuggito alle labbra di Tom, quasi senza che lui se ne accorgesse,
con un tono sommesso, simile ad un sussurro, ma talmente carico di
tensione da arrivare chiaro e forte alle orecchie della giovane, che
si era voltata di scatto, sgranando poi gli occhi, mentre
un'espressione stupefatta si dipingeva sul suo volto.
-
Tom!- esclamò,
mentre il ragazzo si avvicinava a lei e Philip - Cosa... cosa ci fai
qui?- chiese, poi, con fare imbarazzato, portandosi una ciocca di
capelli dietro all'orecchio.
-
Io...- iniziò a
dire Tom, subito interrotto, però, dalla voce squillante di
Phil.
-
Beh?- fece, con
tono allegro – Vera, non mi presenti al tuo amico?-
“Amico?”
si ritrovò a pensare Tom, inarcando un sopracciglio e
squadrando
dalla testa ai piedi il giovane.
-
Uhm... sì, certo-
disse Vera – Tom, questo è Philip-
continuò, indicando
quest'ultimo – E lui, Philip, lui è...
-
Tom- la interruppe
il chitarrista, porgendo la mano a Philip, che gliela strinse con
veemenza.
-
Piacere di
conoscerti, Tom- disse, sorridendo.
“Vorrei
poter dire
la stessa cosa” si disse Tom, storcendo la bocca, e
beccandosi così
un'occhiataccia di Vera.
-
Il piacere è
tutto mio- si affrettò quindi a dire, sorridendo a sua volta.
-
Oh, chiamami pure
Phil!- rispose Philip – Sei un collega di Vera?-
domandò poi,
quasi con ingenuità.
Tom
provò per un
attimo a figurare se stesso tra nastri, bouquet e decorazioni varie,
intento ad organizzare matrimoni, ma subito scosse la testa con
forza.
-
No- rispondeva
intanto Vera al posto suo – Tom non è un mio
collega- continuò –
Lui... noi... insomma...
-
Stiamo insieme- affermò senza troppi giri di parole Tom
– Io e
Vera stiamo
insieme-
ripeté, come a volerlo sottolineare ulteriormente.
-
Davvero?- fece
Phil, quasi meravigliato – Vera, non me l'hai detto!-
“Ah,
no?”
-
Deve essermi
sfuggito di mente- si giustificò Vera, abbassando lo sguardo.
-
Capisco...- asserì
Philip – Beh, io ora devo andare – aggiunse poi
– E' stato un
piacere incontrarti, Tom-
“Lo
sarebbe stato
anche per me se solo non ti avessi trovato abbracciato a Vera”
-
Vera, tieniti
libera- disse ancora Phil – Voglio assolutamente raccontarti
dei
miei viaggi- aggiunse – E poi ti ho portato un regalo-
concluse,
facendole l'occhiolino – A presto, allora- salutò
quindi, agitando
la mano, per poi allontanarsi a passo veloce, lasciando Vera e Tom
soli.
-
Non pensavo saresti venuto a trovarmi- disse lei, quando Phil ebbe
svoltato l'angolo – E' un po' che non ti fai sentire- fece
notare
poi, con una punta di stizza nella voce.
-
Ho avuto molto
lavoro da sbrigare- spiegò Tom – Siamo nell'ultima
fase di
produzione dell'album e...
-
Avresti potuto
mandarmi un messaggio- lo interruppe Vera – Giusto per farmi
sapere
se eri vivo o meno.
-
Nemmeno tu hai
dato segni di vita, se è per questo- sbottò secco
Tom.
-
Sei stato tu
a dirmi che mi avresti chiamata, non ricordi?- replicò la
mora, a
braccia conserte - “Ti
chiamo io”-
lo scimmiottò poi, ripetendo le sue parole.
Tom
rimase in
silenzio per qualche istante, poi riprese a parlare.
-
E' per questo che
ti vedi con altri ragazzi?- sibilò.
-
Cosa...?- fece
Vera, con perplessità – Cosa vuoi dire?
-
Ho visto tutto-
rispose il chitarrista – Mi credi così stupido?-
Vera
rimase
interdetta alle parole del giovane, non cogliendone appieno il
significato: che Tom pensasse che...?
-
Vuoi
scherzare!-
esclamò, rossa in viso, una volta aver intuito cosa
intendesse il
moro – Non farei mai
una simile, Tom.
-
Come posso
saperlo?- replicò il ragazzo, scrollando le spalle.
-
Beh, non sono certo io quella che cambia partner
come se cambiasse pantaloni- lo accusò Vera.
Tra
i due calò il
silenzio e Tom si ritrovò a sgranare leggermente gli occhi,
per poi
stringere i pugni.
Era
questo ciò che
lei pensava di lui?
-
E questa chi te
l'ha raccontata?- chiese, dopo qualche istante - L'hai letto sui
giornali?- aggiunse, sprezzante.
Vera
esitò qualche
attimo, distogliendo poi lo sguardo.
-
I-io... - balbettò
– L-l'ho sentito dire...
-
Un pettegolezzo,
quindi- asserì il giovane – E tu ci credi?-
domandò continuando
ad osservarla con disprezzo.
Vera
si morse il
labbro inferiore, lanciando poi a Tom un'occhiata eloquente, tornando
quindi ad abbassare il capo, senza dire nulla.
Credeva
davvero
alle parole di Grace? O forse era solo un pretesto per non ammettere
di avere paura di soffrire?
-
Bene- sentenziò
all'improvviso Tom, non avendo ottenuto alcuna risposta –
Quando
imparerai ad avere più fiducia in me piuttosto che nelle
dicerie,
chiamami- sibilò con durezza, per poi voltarsi.
Fece
per
allontanarsi, ma subito si ricordò del motivo per cui era
andato da
Vera.
-
Dimenticavo-
disse, voltandosi di nuovo – Ero venuto per darti questo-
continuò,
letteralmente gettando il sacchetto argentato che teneva in mano tra
le mani della giovane, che lo afferrò per un soffio prima
che
cadesse a terra, osservandolo poi con perplessità.
-
Spero ti piaccia-
fece Tom, con un sorriso amaro – Ci si vede-
salutò infine, con un
cenno del capo, per poi allontanarsi definitivamente.
Vera
rimase a
guardarlo, mentre dentro di lei, in un moto d'orgoglio, si ostinava a
reprimere la voglia di urlargli di fermarsi, di tornare da lei.
L'unica
cosa che
fece, invece, fu sussurrare il suo nome, sperando, invano, che Tom
potesse sentirla.
Il
giovane, però,
non dava segni di voler tornare sui suoi passi, e dopo poco la sua
figura sparì dalla vista di Vera, che sospirò a
fondo, mentre le se
speranze sciamavano velocemente.
Infilò
la chiave
nella serratura del cancello del palazzo, facendola scattare con un
sonoro rumore, per poi aprire il cancello.
Gettò
un ultimo
sguardo alla strada, piegando le labbra in una piccola smorfia, per
poi entrare e chiudersi il cancello alle spalle.
* *
La
sera
-
Kaulitz, hai
intenzione di tenere quel muso lungo per tutta la nottata in studio?-
Tom
alzò gli occhi
su Georg, mantenendo la sua espressione cagnesca.
-
E tu hai
intenzione di rompere ancora per molto?- sbottò, con durezza.
L'amico
sospirò,
roteando gli occhi, per poi scrollare le spalle e tornare ad
accordare il suo basso.
-
Senti, se hai
bisogno...- provò a dire ancora.
-
Hagen, stai zitto-
Georg
sospirò una
seconda volta, decidendosi a tacere e lasciar correre, e
rassegnandosi al fatto che quella sera, con Tom in quello stato, le
registrazioni sarebbe state più difficoltose del solito.
Pochi
minuti dopo,
la porta dello studio si aprì e ne entrarono un Bill e un
Gustav
dall'aria stravolta, carichi di pizze e bottiglie di birra.
-
Finalmente siete
tornati!- esclamò Georg - Perché ci avete messo
così tanto?-
chiese poi, mentre sistemava il suo basso sul piedistallo.
-
Fans- disse Bill,
posando le pizze sul tavolino in mezzo alla stanza - Molte
fans-
precisò poi.
-
Cosa...?- fece
Georg, perplesso.
-
Siamo incappati in
una delle nostre fans mentre eravamo in pizzeria- spiegò
Gustav,
mettendo le bibite accanto alle pizze - Ci ha chiesto una foto ed un
autografo, e poi ha chiesto se potevamo fare lo stesso con un
paio
di amiche che la aspettavano fuori- continuò -
Allora l'abbiamo
seguita e le sue amiche ci hanno raggiunto- aggiunse, con voce grave.
-
Qual è il
problema?- domandò il bassista, divertito dal
raccontò dell'amico.
-
Non erano un
paio- disse con voce strozzata Bill - Erano molte, molte di
più.
-
Per farla breve,-
lo interruppe Gustav - mentre non guardavamo, quella
disgraziata
aveva inviato un tweet a mezzo mondo, dicendo dov'eravamo, e tutte le
fans che si trovavano nei dintorni si sono radunate lì-
spiegò -
Non credo di aver corso così tanto in tutta la mia vita.
-
Pensa che una di
loro ha cercato strappare un lembo della mia maglia!- fece Bill,
lasciandosi cadere sul divano - Sono pazze. Completamente pazze!-
esclamò, ancora incredulo, Gustav - Grazie a Dio non avevamo
parcheggiato troppo lontano.
-
E dire che pensavo
che si fossero calmate in questi anni!- rise Georg, distribuendo ad
ognuno un cartone di pizza.
- Calme
non è
assolutamente l'aggettivo con cui le definirei- disse Bill, con una
smorfia, aprendo il suo cartone - Spero che il cibo mi faccia
dimenticare.
-
Avanti ora non
esagerare!- esclamò Georg, addentando una fetta della sua
pizza.
-
Non sto
esagerando!- si difese il biondo - Tom, non mangi?- chiese poi
notando che il fratello non si era mosso di un millimetro.
-
Non ho fame-
tagliò corto il chitarrista
-Ci
siamo scontrati
con un esercito di ragazze urlanti per queste pizze: sarebbe carino
se tu apprezzassi il gesto- replicò con disappunto il
gemello.
-
Ho detto che non
ho fame- ripeté il moro - Vado fuori. Chiamatemi
quando si
comincia- annunciò poi, alzandosi, e afferrando una birra
dal
tavolo, per poi dirigersi verso la terrazza.
Quando
si fu chiuso
la porta-finestra alle spalle, Gustav e Bill lanciarono uno sguardo
perplesso a Georg, che portò le mani avanti.
-
Non guardatemi in
quel modo- disse - Io non ne so niente. E' così da quando
è
arrivato. Quando ho provato a chiedergli cos'avesse ho rischiato di
essere mangiato vivo- aggiunse - E' strano quel ragazzo-
sentenziò
infine, scuotendo la testa.
-
Credo c'entri
Vera- fece Bill - Anzi, ne sono certo- si corresse poi - Vado a
parlargli- disse infine, facendo per alzarsi.
-
No, aspetta- lo
fermò però Gustav - Lascia che gli parli io-
disse, alzandosi.
Bill
lo guardò per
qualche attimo, esitante, finendo poi per scrollare le spalle.
-
Fa' come vuoi-
disse - Stai attento a non farti sbranare. Sai com'è fatto-
Gustav
si limitò a
sorridere, per poi raggiungere la porta-finestra ed uscire dallo
studio.
Trovò
Tom
appoggiato di schiena al balcone, con una sigaretta tra le dita e la
bottiglia di birra stretta nell'altra mano.
-
Alcol e fumo.
Un'accoppiata perfetta, devo dire.- esordì il batterista,
avvicinandosi - Sai che potrebbe venirti un tumore?
-
Non ho bisogno
delle tue lezioni di medicina, grazie- sbuffò Tom, per poi
bere un
sorso di birra - Cosa vuoi Gustav?- chiese.
-
Sapere cos'hai-
rispose l'amico, senza giri di parole- Si tratta di Vera?-
domandò
poi, a bruciapelo.
-
Non so di cosa tu
stia parlando- mentì Tom - Sto benissimo.
-
Non dire cazzate-
sbottò Gustav - Avanti, parla-
Tom
sostenne lo
sguardo inquisitore del batterista ancora per qualche istante,
finendo poi per cedere, scrollando le spalle.
-
L'ho scoperta
mentre abbracciava un altro ragazzo- raccontò - Philip-
disse
poi, quasi sputando con velenosità il nome del giovane.
-
E tu sei saltato
direttamente alle conclusioni- disse Gustav, alzando gli occhi al
cielo - Dio, a volte sei così ottuso.
-
Grazie del
complimento- fece Tom, con una smorfia - E per la cronaca, non aveva
nulla da spiegare. Era tutto chiarissimo-
Gustav
sospirò,
decidendosi a lasciare perdere, e con un cenno della testa lo
invitò
a continuare.
-
E come se non
bastasse, pensa che io sia una sorta di playboy che
“cambia
partner come cambia pantaloni”- spiegò,
citando le parole di
Vera.
-
E non è così?-
fece Gustav, inarcando un sopracciglio.
-
Bell'amico che
sei!- esclamò Tom - Io ti parlo dei miei problemi e tu dai
ragione a
lei!
-
Tom, a quanto ne
so tu hai lavorato anni per costruirti quest'immagine- disse con
calma il biondo - Se non sbaglio sei stato tu stesso a darti il
soprannome di Sexgott.
-
Non c'entra nulla-
borbottò Tom.
Tra
i due calò il
silenziò, interrotto dal rumore delle auto che sfrecciavano
sulla
strada e dalle note indistinte provenienti dai locali poco distanti.
-
Ti ha fatto male?-
chiese Gustav, all'improvviso.
Tom
aggrottò la
fronte, confuso.
-
Come, scusa?
-
Ti ha fatto male
sapere che non si fida di te?- chiarì Gustav.
Tom
rifletté
qualche istante, poi le sue labbra si piegarono in un sorriso amaro.
-
Non sai quanto-
rispose.
-
Credo che dovresti
parlarle- gli consigliò il batterista - Dovete chiarirvi. E'
la
miglior cosa che possiate fare.
-
Io invece credo
che siamo destinati a non stare insieme- sentenziò Tom.
-
Lo dici per
mentire a me o a te stesso?- domandò, retorico, Gustav.
Il
chitarrista
rimase spiazzato da quella domanda, ritrovandosi senza una risposta
adeguata.
Si
limitò quindi a
borbottare qualcosa di incomprensibile, distogliendo lo sguardo.
-
Lo immaginavo-
rise Gustav - Io torno dentro- annunciò poi - Pensa a quello
che ti
ho detto- disse, per poi allontanarsi - Ah, Tom- fece, però,
fermandosi all'improvviso e voltandosi verso l'amico.
Tom
gli rivolse
un'occhiata perplessa, aspettando che parlasse.
-
E' bello vederti
innamorato-
* *
Un
paio di giorni dopo
-
Non l'hai ancora
aperto?-
Vera
distolse lo
sguardo dal sacchetto argentato posato sulla sua scrivania,
incontrando gli occhi di Lawrence.
-
Ho paura- confessò
Vera, con un sospiro.
-
Sei una vera
fifona- le disse Lawrence, spingendo il sacchetto verso l'amica -
Avanti, aprilo.
-
No- rispose con
cocciutaggine Vera, allontanandolo da lei - Preferisco essere
reputata un fifona-
In
verità, però,
la curiosità la divorava, e non passava istante in cui non
posava lo
sguardo su quel regalo, pensando a cosa potesse essere.
Lo
prese e lo
osservò attentamente, quasi come se con il solo aiuto della
vista
potesse scoprire cosa ci fosse all'interno.
-
Vera...- la
richiamò Lawrence, con fare spazientito - Se non lo apri tu,
lo farò
io!- disse, togliendole il sacchetto dalle mani.
-
Non oseresti!-
esclamò Vera, scattando in piedi e riprendendoselo.
-
Per la mia e tua
sanità mentale, apri quel sacchetto- le ordinò
l'amico.
Vera
lo osservò
ancora per qualche attimo, finendo poi per cedere alla sua voglia di
sapere.
Aprì
il sacchetto
con infinita delicatezza, sotto lo sguardo impaziente di Lawrence,
tirandone fuori una piccola scatola di velluto azzurro che riportava
l'incisione di una delle più famose gioiellerie di Los
Angeles.
Aprì
la scatola e,
vedendone il contenuto, rimase a dir poco stupefatta: era un
braccialetto d'oro, con alcuni ciondoli a forma di delfini in
argento.
Semplice,
elegante,
a dir poco perfetto.
-
Oh, santo cielo-
mormorò Lawrence - Vera, è stupendo-
La
mora non trovò
le parole per rispondere, talmente meravigliata com'era.
Prese
il
braccialetto e lo mise al polso su cui si era tatuata il delfino.
-
Cosa ne pensi?-
chiese a Lawrence.
-
Penso che Tom non
avrebbe potuto fare un regalo azzeccato- rispose il biondo - E che tu
sei un'idiota.
-
Grazie infinite,
Lawrence. E' bello sapere quanto mi apprezzi- borbottò Vera.
-
Dovresti chiamarlo
e scusarti- disse Lawrence, ignorando la sua risposta.
-
Pensi davvero che
mi accoglierebbe di nuovo tra le sue braccia?- chiese la mora.
-
Non puoi saperlo,
Vera- replicò l'amico - Senti, io ora torno al lavoro-
annunciò poi
- Fa' come ti ho detto- le disse poi - A dopo- salutò
infine, con un
sorriso.
Quando
Lawrence fu
uscito, Vera sospirò, incerta sul da farsi.
Non
puoi saperlo,
le aveva detto
Lawrence.
Forse
se fosse
andata da Tom, lui l'avrebbe ascoltata.
Forse
avrebbero
potuto ricominciare da capo.
Il
suo sguardo cadde
sul braccialetto che indossava, e subito un sorriso andò a
dipingersi sulle sue labbra: Lawrence aveva ragione, era stupendo.
Giocherellò
con i
ciondoli per qualche minuto, con fare pensieroso: qualcosa dentro di
lei le diceva di farsi avanti per prima, di scusarsi, mettendo da
parte il suo orgoglio.
Quello
stesso
orgoglio che ora la teneva ancorata saldamente a quella poltrona.
Sospirò
una seconda
volta, cercando di scacciare tutti quei pensieri dalla mente, e
riprendendo a lavorare.
I
suoi occhi, però,
continuavano a scivolare su quel braccialetto, impedendole di procedere
con il suo lavoro, e catturandola in un vortice di pensieri e dubbi
tutti accomunati da uno stesso nome: Tom.
Finalmente,
però,
dopo un paio d'ore, arrivò l'ora di andare.
Vera
spense il
computer e raccolse le sue scartoffie, sistemandole in un
raccoglitore. Prese la sua giacca e la sua borsa ed uscì dal
suo
ufficio.
Dopo
essere passata
dall'ufficio di Lawrence per salutarlo, uscì dall'agenzia, e
fece
per dirigersi verso la sua fermata.
Dopo
qualche passo,
però, si fermò, sentendo che una strana idea si
creava nella sua
testa, e subito le parole di Lawrence le ritornarono alla mente.
“Fa'
come ti ho detto”
“Dovresti
chiamarlo e scusarti”
Sorrise
lievemente,
per poi controllare l'ora sul suo orologio da polso e si disse che a
quell'ora Tom sarebbe stato probabilmente a casa.
**
-
Vai, Scotty!-
Tom
lanciò una
palla di gomma e subito il cane scattò al suo inseguimento,
saltando
per poterla prendere al volo e tornando poco dopo, scodinzolante, dal
suo padrone, che lo accarezzò amorevolmente, togliendoli
palla dalla
bocca.
-
Ok, un altro tiro
e poi si torna dentro- disse il giovane, preparandosi al tiro.
Stava
per lanciare
la palla, quando sentì il cancelletto che dava sul retro
aprirsi con
un cigolio.
Istintivamente
Tom
afferrò il bastone che usava per giocare con Scotty e fece
segno al
cane di restare dov'era.
“Magari
è un
ladro” si disse, avanzando con passo felpato “Chi
altri potrebbe
entrare dal retro?”
Procedette
ancora
per poco, quando una voce stridula lo fece trasalire.
-
Tom! Quanto mi sei
mancato!-
- Danielle?
* *
Una
volta giunta
davanti alla villa di Tom, Vera suonò il citofono, ma
nessuno
rispose. Riprovò quindi due, tre, quattro volte, ma nessuno
venne
aprirle.
Delusa,
tirò un
sospirò, e decise che avrebbe riprovato il giorno dopo.
Fece
per andarsene,
quando delle voci indistinte catturarono la sua attenzione.
Si
sporse
leggermente, e notò la presenza di un secondo cancello,
più
piccolo, che dava sul giardino retrostante alla casa.
La
giovane fece il
giro intorno alla villa, e con passo veloce raggiunse il cancelletto.
Più
si avvicinava e
più le voci si facevano chiare: non riusciva a cogliere le
parole,
ma aveva perfettamente capito che si trattava di un ragazzo ed una
ragazza.
Il
cancello era
socchiuso, e Vera ebbe qualche tentennamento ad entrare: qualcosa
dentro di lei le diceva che avrebbe fatto meglio a girare i tacchi ed
andarsene.
La
testardaggine e
la curiosità la, però, la portarono a spingere il
cancello ed
entrare nel giardino.
-
Mi sei mancato
molto-
Quelle
poche parole,
pronunciate con voce suadente e sensuale, la fecero voltare di
scatto, spingendola a seguire quella voce, procedendo con passo cauto
e felpato, mentre mille dubbi e supposizioni si facevano strada nella
sua testa.
-
Danielle...-
“Tom”
La
voce del
chitarrista le risultava inconfondibile ormai, e nel sentirla, Vera
aumentò il passo, spinta da una sfrenata voglia di sapere,
che era
andata a sovrapporsi alla voce che le diceva di fermarsi, di tornare
a casa.
Le
voci, intanto, si
erano interrotte, lasciando Vera perplessa: con chi era Tom?
Qualche
istante più
tardi, dopo aver svoltato un angolo in quell'immenso giardino,
davanti a lei apparve la fatidica risposta.
La
ragazza con cui
Tom stava parlando poco prima era ora avvinghiata a lui, baciandolo
appassionatamente.
Sgranò
gli occhi,
incredula e si portò una mano alla bocca, impedendosi di
gridare,
mentre il suo respiro si faceva sempre più irregolare, segno
di un
imminente pianto.
Quasi
come se si
fosse accorto della sua presenza, Tom si allontanò dalle
labbra
della giovane, e guardò alla sua sinistra, dove, a una
decina di
metri da lui, Vera lo osservava con occhi che sembravano un mare in
tempesta e traboccavano di rabbia, tristezza e delusione.
Danielle,
intanto,
si era girata a sua volta, notando la presenza di Vera.
-
E tu chi sei?-
chiese, inarcando un sopracciglio.
Senza
rispondere
alla domanda, Vera lanciò un'occhiata sprezzante al
chitarrista, si
voltò e corse via, ignorando la voce del chitarrista che la
chiamava.
-
Vera!- gridava –
Vera, fermati!-
La
mora, però, non
si fermò e continuò a correre, mentre una prima
lacrima le bagnava
il volto.
Buon
pomeriggio e buona domenica a tutte, Aliens!
Heilig
is back, people!
Se
mi avevate data per dispersa, sono felice di comunicarvi che sono
ancora qui!
E,
ovviamente, che ritorno sarebbe senza un capitolo della nostra amata
(?) Wedding Planner?
Allora,
vi è piaciuto questo capitolo?
Sì,
lo so, a volte sono cattiva.
Ma
non riesco a resistere, è più forte di me.
Noi
scrittrici siamo sadiche, temo :')
Ma
avete notato che siamo già al 17esimo capitolo?
Ragazzi,
qui abbiamo già superato la metà strada!
Argh,
mi sento malinconica ora D:
Bah,
sarà meglio non dilungarmi troppo o scoppio a piangere cwc
Come
sempre aspetto le vostre recensioni e non vedo l'ora di sapere cosa
ne pensate!
Sotto
troverete i soliti link (:
Vi
aspetto al prossimo capitolo!
Un
bacione a tutte,
Heilig
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Capitolo 18 *** Eighteen ***
Eighteen
-
Tom, cosa sta
succedendo?-
La
voce di Danielle arrivò
ovattata alle orecchie di Tom, che si trovava a qualche metro da lei,
dopo aver fatto qualche passo in avanti, nel vano tentativo di
raggiungere Vera, che si era allontanata di corsa immediatamente,
senza lasciargli il tempo necessario per spiegare.
-
Vera- sussurrò il
giovane, in una sorta di supplica, nonostante sapesse che lei non
l'avrebbe sentito.
Danielle,
intanto, l'aveva
raggiunto, con fare perplesso, senza capire bene cosa stesse
accadendo.
-
Tom...?- fece, titubante
- Tom, stai... bene?- chiese, posando una mano sulla spalla del
chitarrista, che si voltò di scatto, facendola ritrarre,
spaventata.
-
Perché l'hai fatto?-
chiese il moro, quasi ringhiando - Perché mi hai baciato?-
Danielle
assunse un'espressione interdetta: cos'aveva fatto di male?
-
Hai
la più pallida idea di cos'hai combinato?-
domandò Tom, con tono
adirato.
-
I-io...- balbettò Danielle - Non dovevo, forse?- chiese,
aggrottando
la fronte - Cos'ho fatto di sbagliato? Non ha mai fatto storie del
genere- notò poi - Posso sapere cosa succede?-
sbottò infine, con
una nota di disappunto nella voce.
Quel
giorno aveva deciso di fare una sorpresa a Tom, andandolo a trovare a
casa sua; era perfino uscita dal lavoro prima, temendo di arrivare
troppo tardi e di non trovare nessuno nella villa, e già da
diversi
giorni stava pianificando quel pomeriggio nei minimi dettagli.
Le
cose però, stavano prendendo una piega diversa da come aveva
previsto.
-
Cosa
sei venuta a fare qui?- fece Tom a denti stretti, visibilmente
irritato.
-
Sono... sono venuta a trovarti- spiegò Danielle –
E' molto che non
ci vediamo- continuò poi, con voce languida, facendo qualche
passo
verso il giovane, e ritrovando quella sicurezza che aveva perso
quando lui le si era rivolto in modo brusco – Pensavo di
passare un
po' di tempo con te- aggiunse, assumendo quel tono malizioso con cui
sapeva di far impazzire Tom – Non ti dispiace, vero?- chiese,
infine, arrivando ad un soffio da lui e poggiando le mani sul suo
petto, iniziando a giocherellare con il ciondolo che portava al
collo.
-
Danielle, no- la richiamò però il ragazzo,
prendendola per le
spalle ed allontanandola con delicatezza e, allo stesso tempo,
freddezza – Credo che tu debba andare adesso- disse poi, con
voce
dura, spiazzando la giovane.
-
E
perché?- chiese lei, imbronciandosi.
-
Danielle-
ripeté Tom – Hai già causato abbastanza
problemi- disse – Ora, vai- concluse con poca garbatezza,
indicandole la via per il cancello.
La
bionda sgranò gli occhi, incredula del trattamento che stava
ricevendo.
-
Se
solo tu mi spiegassi, io...- provò a dire.
-
Non
ho nulla da spiegare- la interruppe Tom – Vai-
Sapeva
che forse avrebbe dovuto trattarla più gentilmente, ma il
ricordo di
quegli attimi che si erano susseguiti poco prima – il bacio,
l'arrivo di Vera e la sua conseguente fuga – non faceva altro
che
alimentare la sua irritazione nei suoi confronti.
Inoltre,
quell'atteggiamento duro gli avrebbe evitato il timore di un suo
ipotetico ritorno.
-
Sei
un vero cafone- sibilava intanto la bionda, con gli occhi ridotti a
fessure dalla rabbia – A mai
più- disse
infine, lapidale.
A
braccia conserte, iniziò a camminare, passando accanto a
Tom, e
scostandolo con una spallata, per poi proseguire, sparendo dietro
l'angolo, ed uscendo poi dal giardino, e lasciando che il cancello si
chiudesse con un sonoro e brusco clack.
Quando
fu certo che Danielle se n'era andata, Tom tirò un profondo
sospiro.
Raccolse la palla di gomma di Scotty, poco lontana dai suoi piedi,
richiamando poi il cane che si era allontanato.
-
Scotty!- gridò – Forza, vieni qui!-
In
pochi istanti il cane lo raggiunse correndo, e si aggrappò
alle sue
gambe, scodinzolante, in attesa del suo lancio.
-
No,
mi dispiace- fece però Tom, accarezzandogli amorevolmente la
testa –
Si torna dentro-
Scotty
ritornò con le zampe a terra, mugolando e mostrando
così il suo
disappunto.
-
Non
fare storie- lo riprese il moro – Giocheremo domani. Ora
andiamo-
Dopo
un ultimo mugolio, Scotty si decise ad ascoltare il suo padrone,
trotterellandogli affianco mentre lui si avviava verso casa.
Una
volta nell'appartamento, Tom salì subito le scale, diretto
nella sua
camera, seguito dal cane, che quando arrivarono nella stanza, si
andò
subito ad accoccolare sul letto, lasciando peli ovunque.
Tom
sembrò non accorgersene, e seguì a ruota il cane,
buttandosi a peso
morto sul materasso, mentre nella sua testa un'unica domanda sorgeva
spontanea: cos'avrebbe dovuto fare con Vera?
Voltò
lo sguardo, notando il suo cellulare appoggiato sul comodino, e
subito un'idea gli balenò in testa. Istintivamente,
afferrò il
telefono, componendo poi alcune cifre, per poi portarselo
all'orecchio, in attesa che qualcuno rispondesse.
- Tom?
-
Bill!
* *
- Cosa
significa “Ho combinato un casino”, Tom?-
Tom
rimase in silenzio, indugiando sulla risposta.
- Si tratta
di Vera?- chiese
il fratello.
Il
chitarrista si limitò a mugugnare in segno di assenso, e
subito
sentì un sospiro dall'altra parte del telefono.
- Cos'hai
combinato stavolta?-
domandò Bill con tono grave.
-
Non è colpa mia- si difese subito Tom - Questa volta non
c'entro
nulla, davvero!-
Bill
sospirò una seconda volta.
- Avanti,- disse - racconta-
In
pochi minuti Tom riassunse l'incontro con Danielle, il bacio, e
l'inaspettato arrivo di Vera, che era poi corsa via senza dire una
parola.
- Non puoi
biasimarla- disse
Bill, quando ebbe finito di
parlare – Cos'avrebbe
dovuto pensare nel vederti avvinghiato a
chissà quale bionda californiana?
- E' del
Nord Dakota- lo corresse Tom.
- Tom-
asserì duro il gemello.
-
Era solo per precisare- sbuffò il chitarrista.
- E'
incredibile come tu possa fare dell'umorismo quando la tua
storia d'amore è nel bel mezzo di una crisi!
- Storia
d'amore?-
ripeté interdetto il moro – Quale storia
d'amore?
- Quella tra
te e Vera, ovvio!-
Tom
fece per ribattere, ma finì solo per sbuffare, irritato.
- Il tuo
silenzio non fa che alimentare le mie convinzioni- lo
sbeffeggiò il fratello, senza nascondere una risatina di
scherno.
-
Sei davvero antipatico- sbottò Tom.
- Mi sto
solo vendicando- rispose
Bill – D'altronde
anche
tu hai fatto la stessa cosa prima che io e Madison iniziassimo una
relazione seria.
-
E' diverso!- si difese il chitarrista, ricordando i pomeriggi
passati a prendere in giro il gemello sulla sua infatuazione per
Madison – State per sposarvi, ora- aggiunse.
- Beh, non
si sa mai che anche tu e Vera finiate per fare lo
stesso-
Tom
sgranò gli occhi e per un attimo temette di soffocare.
-
Cosa... cosa diavolo stai dicendo?!- disse con voce strozzata
–
Cosa ti fa pensare che io voglia sposarla?-
Bill
si limitò a ridacchiare, senza rispondergli: trovava
così
divertente stuzzicare suo fratello.
-
Ti odio, Bill, davvero- asserì, con tono offeso
quest'ultimo,
sentendolo scoppiare a ridere.
- S-scusa...- disse il
biondo, tentando di soffocare le sue
risate, con scarso successo – E' che
è buffo vederti così
preso da Vera, considerando il fatto che prima nemmeno la sopportavi.
-
Non è questo il problema, ora- replicò Tom,
sorvolando
sull'ultimo commento del cantante – Cosa devo fare. Bill?-
Il
giovane sospirò, ritornando serio, senza saper dare una vera
e
propria risposta al gemello.
- Io...-
iniziò a dire – Non lo so,
Tom-
concluse –
L'unica
cosa che mi sento di dirti è di chiarire le cose al
più
presto, prima che sia troppo tardi-
Tom
si limitò a mugugnare, per poi sentire una voce femminile di
sottofondo all'altro capo del telefono.
- Bill!- diceva
– Puoi
venire, per favore?-
- Arrivo,
Madison!- rispose
il biondo – Tom,- disse
poi, tornando a rivolgersi al fratello – ora devo
andare. Ci
vediamo domani allo studio e parleremo meglio di questa storia.
-
Ok- borbottò Tom – A domani-
Chiuse
la chiamata e ripose il cellulare sul comodino, portando poi
il braccio dietro la testa.
Per
quanto si fosse sforzato, Bill non gli era stato di grande aiuto:
sapeva già di dovere delle spiegazioni a Vera, il problema
era il
come. Non si
era certo mostrata ben disposta ad ascoltarlo,
prima di scappare via piangendo.
Sospirò,
sconsolato, e in quel momento, Scotty sembrò quasi sentire
le sue preoccupazioni. Alzò la testa e si
avvicinò al giovane,
leccandogli la guancia, quasi come per tirargli su il morale.
-
Sei molto gentile a preoccuparti per me, sai?- gli disse il ragazzo
con un mezzo sorriso. Scotty emise un mugolio e poggiò il
muso sul
petto del chitarrista.
-
Stavolta,- disse quest'ultimo, prendendo ad accarezzarlo – mi
sono cacciato in un bel guaio-
* *
Vera
piombò nel suo appartamento come un tornado, sbattendo la
porta
con veemenza, e poggiando poi la schiena su di essa, respirando
profondamente, nel tentativo di calmarsi.
Aveva
corso fino a casa sua senza mai fermarsi o voltarsi, sotto gli
sguardi esterrefatti dei passanti, che aveva scansato con qualche
gomitata, senza preoccuparsene troppo, e lasciandoli a lanciarsi
occhiate perplesse, scuotendo poi la testa e riprendendo poi la loro
strada.
Si
accasciò ai piedi della porta, ancora singhiozzante, e
portò le
gambe al petto, rannicchiandosi su stessa.
Si
sentiva stupida, immensamente stupida.
Come
aveva fatto a rendersi così ridicola? Perché non
aveva dato
ascolto a Grace quando, inconsapevole di quello che stava per
causare, le aveva parlato di Tom? Perché era stata
così sciocca
anche dopo essere stata messa in guardia?
In
breve i suoi occhi si riempirono di nuovo di lacrime, che in pochi
istanti andarono a bagnarle il viso, già segnato dal pianto,
che la
ragazza cercò di asciugare con il dorso della mano.
L'immagine
di Tom che baciava quella ragazza sembrava quasi incisa
nella sua testa, e le provocava singhiozzi disperati alternati a
tremori di rabbia.
Rabbia
verso Tom, verso la ragazza che stava baciando, ma,
soprattutto, verso se stessa.
L'ira
che provava era inferiore forse solo alla delusione.
Delusione
perché forse aveva creduto troppo in quella relazione che
sembrava nata per caso, lasciandosi trasportare dalle sue emozioni,
fino a cedere, disarmata, di fronte a quegli occhi ambrati. E cosa le
restava ora di quei sentimenti, della cui forza e potenza si rendeva
conto solo ora?
Cosa
le restava della passione, che l'aveva colta all'improvviso,
svelando lati di se stessa che neanche conosceva?
Nulla.
Nulla,
tranne il pentimento, tranne l'amarezza, tranne la vergogna di
essere risultata così debole e facile da ingannare.
D'un
tratto, lo squillo improvviso del suo cellulare la scosse dalle
sue riflessioni.
Infilò
una mano nella tasca della giacca, recuperò il telefono,
guardandone poi il display.
-
Pronto?- rispose, una volta esserselo portata all'orecchio.
- Ehi,
Cooper!-
esclamò la voce allegra di Lawrence –
Allora,
com'è andata? Tu e Tom vi siete riappacificati?-
Vera
tentò di rispondere, ma l'unico suono che uscì
dalle sue
labbra fu un lamento quasi disperato, seguito da qualche singhiozzo.
- Vera...?- fece
Lawrence, facendosi subito serio – Va
tutto bene?-
La
giovane tirò su con il naso, sforzandosi di non scoppiare di
nuovo in lacrime.
-
No, Lawrence- rispose, con un sospiro – Assolutamente no.
* *
Qualche
giorno più tardi
-
Ehi, posso entrare?-
Vera
alzò lo sguardo dallo schermo del pc, e vide Lawrence
affacciato alla porta del suo ufficio.
-
Da quando chiedi il permesso?- chiese la giovane, tornando a
guardare il computer – Entra pure- aggiunse, senza
però degnare di
uno sguardo l'amico.
Il
ragazzo entrò, chiudendosi la porta alle spalle, e si
avvicinò
alla scrivania della mora, lasciandole davanti il suo consueto
cappuccino.
-
Grazie- disse lei, sbrigativa, lanciandogli un'occhiata fugace, per
poi tornare al lavoro.
-
Come stai?- chiese Lawrence, con tono di apprensione.
-
Tutto bene- rispose Vera, scrollando le spalle.
Notando
con la coda dell'occhio l'espressione scettica che si era
dipinta su viso dell'amico, la mora tirò un sospiro
profondo,
distogliendo finalmente lo sguardo dal sito di catering che stava
visitando.
-
Ok,- ammise, prendendo il cappuccino che Lawrence le aveva portato
– forse non va tutto bene.
-
Pensi ancora a Tom?- chiese a bruciapelo il giovane.
“Sempre”
pensò Vera, con sguardo cupo, limitandosi però,
ad un
cenno del capo.
-
Non pensavo che ne fossi così... coinvolta- disse Lawrence,
indugiando sull'ultima parola.
-
Per quanto possa risultarti difficile da immaginare, Lawrence, ho
anche io dei sentimenti- replicò stizzita la mora.
-
Sai bene che non intendevo questo- ribatté il ragazzo, con
una
nota di rimprovero nella voce – E' quasi buffo vederti
innamorata-
Vera
sentì la voglia di ribattere, di dire che no, non era
innamorata, non di Tom, ma si limitò a scuotere la testa,
continuando a sorseggiare il suo cappuccino.
-
Sto soffrendo per amore, se vogliamo essere precisi- disse
solamente, tra un sorso e l'altro.
-
Questo implica il fatto
che tu sia innamorata- rispose
Lawrence, con un sorrisetto, a cui Vera cercò non badare.
-
Stronzo- si lasciò sfuggire in un sussurro.
-
Simpatica come sempre, vedo- commentò con fare sarcastico il
biondo, avendo colto il gentile
appellativo con cui Vera
l'aveva chiamato – Beh, sarà meglio che vada, ora-
disse poi.
-
Sì, sarà meglio- grugnì la giovane.
Lawrence
roteò gli occhi, sorvolando sulla risposta dell'amica.
-
Ti perdono solo perché sei in una fase di crisi emotiva-
disse.
- Crisi
emotiva?-
ripeté con scetticismo Vera.
Lawrence
annuì con convinzione, e fece per spiegare cosa intendesse,
ma fu interrotto dallo squillo del telefonino della mora, che lo
prese e ne osservò il display. Fece una smorfia, e
rifiutò la
chiamata, per poi rimettere il telefonino in tasca.
-
Non gli hai ancora risposto?- chiese Lawrence.
Vera
si limitò a scuotere la testa in segno di diniego, e l'amico
sospirò.
-
Dovresti.
-
E perché mai?
- Vera.
-
Lawrence, per favore, ne abbiamo già parlato nei giorni
scorsi-
Il
biondo sospirò una seconda volta, decidendosi a non
ribattere.
-
Non dovevi andare?- chiese poi, atona Vera.
-
Sì...- rispose Lawrence, annuendo debolmente – Ci
vediamo più
tardi-
Vera
si limitò ad un mugugno di assenso, e lui si
allontanò dalla
scrivania, per poi uscire dall'ufficio.
“Di
questo passo,” si disse, mentre tornava nel proprio
“perderò
la scommessa con Bill”
* *
Quel
pomeriggio
-
Avanti, Madison! Non fare la difficile!
-
Bill, smettila di fare il bambino-
Bill
sbuffò, assumendo poi un'espressione imbronciata.
-
Sei cattiva- disse, a braccia conserte – Perché
non vuoi che
venga con te a vedere il vestito da sposa?-
Madison
sbuffò, alzando gli occhi al cielo e chiedendosi
perché il
suo fidanzato fosse così duro di comprendonio.
-
Per la quattrocentesima volta, Bill- disse, mentre chiudeva la sua
borsa beige – Fa parte della tradizione che lo sposo non veda
l'abito della sua futura consorte prima della cerimonia.
-
Stupida tradizione- sputò velenoso il biondo, con una
smorfia.
Madison
scosse la testa, accennando un piccolo sorriso, divertita.
-
Finiscila con questa storia- asserì, uscendo poi dalla
stanza, e
seguita a ruota da Bill.
-
Tutto questo è assolutamente ingiusto- borbottava intanto il
ragazzo, mentre scendevano le scale.
Arrivati
al pian terreno, i due andarono in cucina, dove Madison
prese un bicchiere, versandoci poi dell'acqua, mentre Bill la
osservava con aria offesa.
-
Sei davvero infantile- commentò Madison, notando
l'espressione del
ragazzo.
Bill
fece per replicare, quando la loro discussione fu interrotta dal
trillo del campanello.
-
Oh, deve essere Tom!- fece la ragazza, appoggiando il bicchiere nel
lavello, per poi andare alla porta.
Una
volta aver aperto, si trovò davanti un Tom dall'aria
piuttosto
seccata.
-
Buon pomeriggio Tom!- esclamò Madison con un gran sorriso.
Per
tutta risposta, Tom si limitò ad un cenno con la testa,
accompagnato da un mugugno per poi entrare nell'appartamento, senza
dire una parola.
-
Sì, sto bene, grazie dell'interessamento!- lo
rimbeccò Madison,
seguendolo.
-
Anch'io sto bene- replicò atono il chitarrista, una volta
aver
raggiunto il fratello che li aspettava sulla soglia della cucina.
-
Non si direbbe- disse, osservando da capo a piedi il moro.
-
Sto bene- scandì con voce ferma Tom – Allora, sei
pronta?-
chiese poi, rivolgendosi a Madison.
-
Sì- rispose la ragazza – Possiamo andare-
annunciò poi – Ci
si vede dopo, Bill.
-
A dopo- disse il biondo, agitando la mano in segno di saluto.
Madison
e Tom si diressero verso la porta, uscendo poi
dall'appartamento, e raggiunsero l'auto di Tom, parcheggiata davanti
al cancello.
Una
volta a bordo, i due allacciarono le cinture e Tom partì
subito
alla volta dell'atelier di abiti da sposa dove Madison aveva scelto
il proprio.
La
vettura era avvolta nel più completo dei silenzi, interrotto
solo
dal tamburellare nervoso delle dite del ragazzo sul volante.
-
Hai finito?- sbottò Madison dopo qualche minuto –
Sei irritante.
-
Scusa- rispose Tom, con un sospiro – Sono un po' teso.
-
Non hai mai visto una donna in abito da sposa?- gli chiese la mora.
-
A parte mia madre qualche anno fa? No- replicò il
chitarrista –
E comunque non è un vestito a rendermi nervoso.
-
Oh, no, certo che no- fece Madison – Si tratta di Vera,
ovviamente-
Tom
aggrottò la fronte, e lanciò un'occhiata
perplessa alla
giovane.
-
Bill mi ha raccontato cos'è successo- spiegò lei,
mentre Tom
malediva suo fratello e la sua predisposizione a spiattellare i suoi
affari ai quattro venti – Quella Dana ha combinato un bel
casino.
- Danielle- la
corresse Tom – E comunque, ormai è andata
così- aggiunse, scrollando le spalle.
-
Cosa vuoi dire?- chiese Madison – Non dirmi che hai
intenzione di
gettare la spugna?-
Tom
si limitò a stringersi nelle spalle, senza dire nulla:
cos'avrebbe dovuto fare? La verità era che lui e Vera non
erano
fatti per stare insieme, e non lo sarebbero mai stati.
-
Saresti un pazzo a volerti arrendere ora, Tom.
-
Sarei un pazzo a voler continuare questa... storia- replicò
secco
il ragazzo – L'ho tempestata di messaggi e ho cercato di
chiamarla
ma non mi risponde- raccontò - Andrà meglio la
prossima volta.
-
Lo fai per autoconvincerti?- disse Madison.
Tom
sbuffò sonoramente, e si chiuse in un religioso silenzio,
deciso
a non voler più discutere.
Una
quindicina di minuti dopo, stava parcheggiando l'auto di fronte
all'enorme vetrata dell'atelier.
-
Bene, andiamo- disse Tom, slacciandosi la cintura, per poi scendere
dalla vettura.
“Finora
sono sempre stata convinta che fosse Bill quello strano”
pensò Madison, scuotendo la testa, slacciandosi la cintura a
sua
volta “Evidentemente mi sbagliavo” si disse infine,
scendendo
dall'auto e seguendo Tom all'interno dell'edificio.
* *
Tempo
dopo
Tom
sbuffò per l'ennesima volta, lanciando uno sguardo annoiato
al
suo orologio da polso, per poi alzare gli occhi sulla porta del
camerino, sperando invano di vederla finalmente aprirsi.
Si
stiracchiò leggermente, chiedendosi ancora una volta cosa
l'avesse spinto ad accettare la proposta di Madison ad accompagnarla
a provarsi il vestito da sposa.
Si
guardò intorno, osservando l'ambiente che lo circondava:
ovunque
si ergevano manichini bianchi che indossavano i più svariati
abiti,
rendendo l'intero atelier un tripudio di colori, pizzi, ricami,
fiori, tulle e fiocchi. Qua e là si vedeva anche qualche
sobrio
tailleur e molti abiti da damigella. Uno in particolare
catturò
l'attenzione del chitarrista: era un abito turchese, non troppo corto
e senza spalline, con un piccolo fiore bianco appuntato.
In
un attimo Tom si figurò il vestito, in tutta la sua elegante
semplicità, indosso a Vera, e l'immagine che apparve davanti
ai suoi
occhi fu quasi celestiale: i grandi occhi verdi della giovane
s'intonavano perfettamente con il colore dell'abito, che sembrava
calzarle a pennello, quasi come un guanto.
-
Tom? Ti sei incantato?-
L'improvvisa
domanda di Madison lo svegliò bruscamente dallo stato
di trance in cui era caduto, facendolo voltare.
-
No, io...- iniziò a dire, ma le parole gli morirono in gola.
Madison
sostava di fronte a lui, in tutta la sua disarmante bellezza:
i lunghi capelli scuri erano stati raccolti in un raffinato chignon,
e il fisico snello e slanciato era ora fasciato da un lungo e
meraviglioso abito bianco, con un busto ricamato e ricco di
decorazioni argentate, ed una gonna di tulle ampia e voluminosa, con
le balze ed un lungo strascico, sorretto da un paio di commesse che
avevano aiutato Madison a vestirsi.
-
Cosa... cosa ne dici?- chiese la giovane, torturandosi le mani dal
nervosismo.
Tom
rimase in silenzio per qualche lunghissimo secondo, ad occhi
sgranati, e a Madison parve di non piacergli.
-
Tom...?- fece, con tono perplesso – Non... non ti piace?
-
No, no!- negò subito con forza il giovane - Io... tu... wow-
aggiunse, non trovando le parole adatte ad esprimersi – Non
so cosa
dire- continuò, alzandosi dalla poltroncina su cui sedeva,
per poi
avvicinarsi a Madison – Sei davvero bellissima- concluse, con
un
sorriso. Le prese una mano, facendole fare un giro completo su
stessa.
-
Rettifico- disse, osservandola da ogni angolazione – Sei
stupenda.
-
Lo credi davvero?- chiese Madison, con un barlume negli occhi
nocciola.
-
Certo che lo credo!- rispose allegro il ragazzo - Sei ancora sicura
di voler sposare Bill? Insomma, se vuoi, sono disp...-
Prima
che finisse la frase, però, Madison l'aveva già
colpito sulla
nuca, con fare stizzito.
-
Ehi!- fece Tom, massaggiandosi la parte colpita – Era solo
una
domanda!
-
Sei sempre il solito- lo rimbeccò Madison – Beh,
ora che l'hai
visto e l'ho provato credo di sentirmi più sicura- aggiunse,
poi,
piegando le labbra in un gran sorriso, dopo aver tirato un sospiro di
sollievo – Non vedo l'ora che arrivi il giorno della
cerimonia-
esclamò, battendo le mani come una bambina, ricordando a Tom
il
fratello – Vado a cambiarmi- annunciò, infine.
-
Vuoi una mano?- domandò Tom con estrema nonchalance,
abbozzando un
sorrisetto.
Madison
si limitò a rifilargli un secondo schiaffo, accompagnato da
un'occhiataccia, per poi rientrare nel camerino, aiutata dalle
ragazze che le tenevano lo strascico, chiudendo poi la porta con un
gesto brusco.
Tom
roteò gli occhi, tornando a sedersi sulla poltroncina,
massaggiandosi la nuca.
Mentre
aspettava che Madison fosse pronta, sentì il cellulare
vibrare, segnalando l'arrivo di un messaggio. Lo prese ed
osservò il
display, sui cui lampeggiava il nome di Bill.
“Allora
com'è il vestito?”
aveva scritto.
Tom
sorrise, e subito digitò la risposta.
“Non posso
dirti nulla, fratellino, conosci la tradizione... Ma
sappi che le fa un gran bel culo ;)”
Premette
“invio”,
e poco dopo, mentre aveva ancora il
telefono in mano, video lo schermo illuminarsi una seconda volta.
Aprì
il messaggio e lo lesse, rimanendone piuttosto allibito.
“Appena ti
vedo, ti strangolo”
“Chissà
perché” pensò, imbronciato, mentre
infilava il
telefono nella tasca dei jeans “nessuno ha il mio senso
dell'umorismo”
* *
Più
tardi
-
Grazie per avermi accompagnata, Tom. Sei stato davvero carino.
-
Questo ed altro per la mia futura cognatina-
Madison
sorrise dolcemente, stampando poi un bacio sulla guancia di
Tom.
-
Ci vediamo, futuro
cognatino- disse,
aprendo la portiera per
poi scendere dall'auto del chitarrista. Dopo averla richiusa,
agitò
la mano in segno di saluto, dirigendosi quindi verso il cancello
della sua abitazione.
Tom
aspettò di vederla entrare nella villa, per poi ingranare la
marcia e dirigersi verso casa.
Mentre
guidava, le parole che Madison gli aveva detto durante il
tragitto verso l'atelier continuavano a rimbombargli in testa.
“Saresti un
pazzo a volerti arrendere ora, Tom”
Una
parte di sé sapeva che era pressoché inutile
tentare di
riappacificarsi con Vera, mentre un'altra, seppellita sotto metri di
autocommiserazione, lo spronava a rimettersi in gioco, a provare di
non essere solo un semplice playboy, ma di avere anche dei
sentimenti, di avere un cuore.
Giunto
ad un semaforo rosso, si fermò, aspettando di poter partire,
e rifletté sul da farsi: Vera non aveva risposto a nessuno
dei suoi
sms e non si degnava di rispondergli al telefono, in che altro modo
avrebbe potuto raggiungerla?
D'un
tratto, un'improvvisa soluzione balenò nella sua testa,
illuminandogli gli occhi.
Senza
nemmeno aspettare che scattasse il verde, ingranò la marcia
e
svoltò a destra, ricevendo insulti e schiamazzi degli
automobilisti.
Premette
con foga sull'acceleratore, lanciando uno sguardo
all'orologio digitale che stava sul cruscotto.
“Dovrebbe
essere a casa a quest'ora” pensò, inchiodando ad
una
rotonda “Spero solo che si degni di aprirmi la
porta”
* *
Vera
cambiò per l'ennesima volta canale: quel giorno non vi era
nulla di interessante in TV, solo vecchi film, documentari su luoghi
di cui non sapeva nemmeno l'esistenza e serie TV di dubbio gusto.
Sbadigliò,
annoiata, e cambiò ancora trasmissione, finendo su un
canale che stava trasmettendo un quiz show.
Stava
per cambiare nuovamente, quando il campanello suonò
all'improvviso.
Si
alzò dal divano su cui sedeva, e si diresse verso la porta,
chiedendosi chi mai potesse essere.
“Forse
è Lawrence” pensò, afferrando la
maniglia, per poi
aprire la porta “Avrà dimenticato
qualc...”
Non
riuscì nemmeno a terminare il suo pensiero, tale fu la
sorpresa
nel vedere Tom sulla soglia del suo appartamento.
-
Ciao, Vera- disse lui, con aria afflitta.
-
Vattene- sibilò lei, con durezza, facendo per chiudere la
porta.
-
No, non prima di averti detto tutto ciò che ho dirti-
intervenne
Tom, bloccandola con un piede, e costringendo la ragazza a riaprirla.
-
Non hai nulla da dirmi, Tom- disse Vera – Quello che visto
è
stato abbastanza eloquente.
-
Non è come sembra- tentò di giustificarsi il
chitarrista.
-
Oh, certo- lo canzonò la giovane – Non
è mai come
sembra, vero?- continuò.
-
Vera, ti prego...
- No-
scandì a chiare lettere la mora – No, Tom. Se
pensi
davvero che io sia soltanto un'altra delle tue groupies, ti sbagli di
grosso- aggiunse, con disprezzo.
-
Non l'ho mai pensato- si difese Tom, sentendosi punto nel vivo.
-
Chissà perché, qualcosa mi fa credere il
contrario- ribatté
secca Vera – Ora, vai-
Spinse
Tom con un gesto brusco,
facendogli fare qualche passo indietro, e fece per chiudere la porta,
ma prima di averla chiusa del tutto, si fermò, come se si
fosse
ricordata di qualcosa tutto ad un tratto, e la riaprì.
-
Dimenticavo,- disse, armeggiando con il
bracciale che aveva al polso, sotto lo sguardo perplesso di Tom
–
Questo è tuo- fece, con tono glaciale, porgendo il
braccialetto al
ragazzo, che la osservò con occhi sgranati.
-
Stai scherzando- soffiò, con
aria spiazzata.
Vera
si limitò a scuotere la
testa, la mano ancora a mezz'aria, mentre teneva fra due dita
l'oggetto.
-
Avanti, prendilo- insistette.
Con
qualche tentennamento, il
giovane stese il braccio verso di lei, che lasciò cadere il
bracciale nella mano del chitarrista.
-
Ora, puoi anche andare-
concluse con freddezza Vera – Ci vediamo al matrimonio di
Bill e
Madison- aggiunse, con una smorfia.
Lanciò
un'ultima occhiata
sprezzante al ragazzo, per poi chiudere bruscamente la porta,
provocando un rumore sordo che si propagò nel palazzo.
Tom
rimase ad osservare la porta
chiusa, aspettandosi invano di vederla riaprirsi.
Tirò
un sospiro, e, preso dallo
sconforto, si decise ad allontanarsi. Una volta arrivato alle scale,
rivolse un ultimo sguardo all'appartamento di Vera, sperando fino
all'ultimo che la ragazza cambiasse idea, ma non accadde.
Guardò
il braccialetto che
stringeva in una mano, e solo in quel momento si rese conto di quello
che aveva appena perso, di quanto Vera significasse per lui.
E
si sentì vuoto.
*si
schiarisce la voce*
Salve
a tutte! Sono tornata!
Parto
subito con le mie più sincere scuse, care lettrici:
non
posso biasimarvi se siete un po' irritate da questa mia lunga
assenza, e non so davvero come farmi perdonare cwc
Tra
scuola e altri problemi non ho avuto davvero tempo di sedermi e dar
vita ad un capitolo perlomeno decente, se non ora, e forse il
capitolo tanto decente nemmeno lo è.
Non
starò qui ad annoiarvi sul perché e il percome
della mia
lunghissima assenza, ma ci tenevo a ringraziare chi ha aspettato
questo capitolo senza fare una piega, davvero, grazie.
Scusate,
inoltre, se non ho risposto alle vostre ultime recensioni: ho
continuato a rimandare fino a non farlo più, ma prometto che
non si
ripeterà una seconda volta (: Anche perché mi
piace interagire con
voi, e rispondere personalmente ai vostri commenti è il
minimo che
posso fare dopo che avete speso del tempo a leggere e recensire
questa storia (:
Parlando
del capitolo, non c'è molto da dire.
Ormai
mi conoscete, sono piuttosto cattiva, soprattutto con i nostri amati
Vera e Tom.
Se
pensavate che tutto si sarebbe risolto in un batter di ciglia, avete
proprio sbagliato fic, lol.
Sì,
lo ammetto, mi piace essere sadica, ok?
Non
so nemmeno se assicurarvi un lieto fine per questa vicenda OuO
*
risata malefica*
Ok,
questo discorso sta velocemente degenerando.
Non
mi soffermo troppo, ma aspetto con trepidazione le vostre recensioni
(dio, quanto mi sono mancate!)
Ora
vi lascio (sarà meglio, sì, sì)
Mi
farò sentire “REALLY soon”
(non vi emoziona questa frase?
OuO)
HAHAHA,
scherzi a parte, cercherò di tornare il prima possibile,
davvero!
Grazie
ancora per la vostra pazienza.
Un
bacione,
Heilig
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Capitolo 19 *** Nineteen ***
Nineteen
Vera
rimase accanto
alla porta, nell'attesa di sentire Tom prendere le scale e scendere
al piano inferiore. Quando sentì i passi pesanti del giovane
riecheggiare per il palazzo e farsi sempre più lontani,
tirò un
lieve sospiro.
-
Con quale coraggio
si presenta qui?- sibilò a denti stretti, tornando a sedersi
sul
divano.
Prese
dei lunghi e
profondi respiri, nel tentativo di reprimere la rabbia che sentiva
scorrere nelle vene.
Se
Tom pensava che
sarebbe caduta due volte nello stesso tranello, si sbagliava di
grosso: non era così sprovveduta.
La
televisione,
intanto, continuava a trasmettere il quiz show, e la voce trillante
della concorrente in studio trapanava con insistenza la mente della
giovane, che spense l'apparecchio con un gesto brusco, per poi
iniziare a giocherellare con le mani con fare nervoso, un piccolo tic
che le era rimasto fin da piccola e che si ripresentava puntualmente
in situazioni di stress o di irritazione.
Pensò
di chiamare
Lawrence, ma subito si ricordò che quel pomeriggio il suo
amico
sarebbe andato a far visita alla madre, e preferì non
disturbarlo.
Anzi,
il silenzio in
cui l'appartamento era avvolto, rotto solo dal suo respiro, era
perfetto per riflettere in tutta calma.
Riflettere
sulla
situazione con Tom, sul doverla risolvere o meno, sul tempo
necessario per dimenticare quella brutta storia.
“O
su quanti e
quali modi potrei usare per ucciderlo” si disse la mora, con
una
smorfia.
Sospirò,
scuotendo
la testa e cercando di cacciare dalla mente l'immagine di lei intenta
a strangolare il chitarrista.
Se
da un lato, però,
la visita di Tom non era stata gradita, Vera dovette ammettere a se
stessa che il giovane l'aveva sorpresa: non avrebbe mai pensato che
il chitarrista potesse mettere da parte l'orgoglio e mostrarsi
più
umile di come appariva.
“Ma
sicuramente
l'avrà fatto per impietosirmi” si disse
però la giovane, d'un
tratto, scuotendo la testa una seconda volta “Peccato per lui
che
non io non abbia abboccato”.
Si
girò, mettendosi
su un fianco, ancora pensierosa, mentre l'espressione mortificata di
Tom continuava ad apparire davanti ai suoi occhi.
“No”
si disse
con forza “Non cederò. Non un'altra
volta”.
* *
Gustav
chiuse con un
piede lo sportello del frigorifero, per poi appoggiare sul tavolo in
legno chiaro una vaschetta di gelato alla vaniglia. Afferrò
un
cucchiaio dal cassetto delle posate, andando poi a sedersi,
pregustandosi la ghiotta merenda.
Aprì
la vaschetta e
fece per prendere una prima cucchiaiata, quando alcuni colpi alla
porta d'ingresso lo interruppero.
Sbuffò,
infastidito
dal disturbo, per poi alzarsi ed andare ad aprire.
-
Tom?- fece con
perplessità quando il chitarrista apparve davanti ai suoi
occhi –
Perché non hai suonato?-
Il
moro, con le mani
infilate nelle tasca della felpa ed un'espressione afflitta dipinta
sul volto, si limitò a stringersi nelle spalle.
-
Posso entrare?-
chiese.
-
Sì...- rispose
Gustav titubante, facendosi da parte – Entra pure- aggiunse,
con un
cenno del capo.
Senza
dire un
parola, Tom entrò nell'appartamento, che Gustav divideva con
Georg
durante i loro soggiorni a Los Angeles.
-
Dov'è Hagen?- chiese senza troppo interesse il chitarrista,
dirigendosi verso la cucina.
-
E' andato in
palestra- spiegò Gustav, chiudendo la porta, per poi
raggiungerlo –
Credo tornerà tra un'oretta- fece poi, sedendosi al tavolo,
seguito
a ruota da Tom, che osservò la vaschetta di gelato che
Gustav
s'apprestava ad ingurgitare, storcendo la bocca con aria di dissenso.
-
Non eri a dieta,
Gustav?- domandò, inarcando un sopracciglio.
-
Sto solo facendo
un piccolo spuntino!- esclamò il batterista, allargando le
braccia.
- Piccolo,
eh?- commentò a bassa voce Tom, scuotendo la testa.
Gustav
fece una
smorfia, per poi infilarsi un cucchiaio di gelato in bocca.
-
Beh?- fece,
ingoiando il boccone – Spero che ciò che ti ha
spinto ad
interrompere il mio momento di relax sia qualcosa di davvero
urgente-
Tom
deglutì,
rimanendo in silenzio per qualche istante.
-
Allora?- lo incitò
Gustav – Avanti, parla!-
Tom
prese un
profondo respiro, prendendo poi a parlare:
-
Si tratta...-
iniziò a dire, con qualche esitazione – si tratta
di Vera-
Il
batterista rimase
interdetto per qualche secondo, mentre Tom prese a giocherellare
nervosamente con un lembo della felpa.
-
Ti ha visto
baciare ancora quella Denise?- chiese Gustav con un sospiro.
- Danielle-
lo corresse Tom – E poi, tu come...?
-
Bill- rispose il
biondo, interrompendolo – Me l'ha detto lui-
“Quel
chiacchierone” si disse Tom, ripromettendosi di non
confidarsi più
con il gemello.
-
Sei andato a
scusarti?- fece Gustav, risvegliandolo dai suoi pensieri.
Tom
annuì,
abbassando lo sguardo.
-
E lei ti ha
mandato al diavolo, suppongo- disse il batterista.
Tom
annuì una
seconda volta, con espressione vacua.
-
Mi ha anche ridato
questo- borbottò fra i denti, gettando sul tavolo il
braccialetto
d'argento che Vera gli aveva riconsegnato poco prima.
Gustav
prese
l'oggetto, rigirandoselo fra le mani.
-
Non riesco a
crederci- mormorò, incredulo – Tom Kaulitz che
regala gioielli!-
esclamò, porgendo il bracciale all'amico – Questa
sì che è una
notizia-
Tom
prese il
braccialetto, rimettendolo in tasca, per poi alzare gli occhi su
quelli del batterista, tanto simili ai suoi.
-
Credo di averla
persa, Gustav- sospirò – Questa volta l'ho ferita
davvero- ammise,
colpevole.
Gustav
rimase ad
ascoltarlo in silenzio, capendo quanto Vera dovesse essere importante
per l'amico, e subito sentì il dovere di rassicurarlo.
-
Tom...- iniziò a
dire, ma il chitarrista lo interruppe bruscamente.
-
No, Gus- fece, con
un sorriso amaro – Se dico che l'ho persa, è
perché è così-
disse – Non c'è modo di tornare indietro, e lei
non sembra voler
sentire ragioni- aggiunse – A questo punto, tanto vale
dimenticarla. Il matrimonio è alle porte, e dopo la
cerimonia non la
vedrò più- spiegò – E'
inutile preoccuparsene. E' finita-
Il
batterista non
batté ciglio, ascoltando attentamente il discorso di Tom, al
quale,
quando finì di parlare, rivolse un'occhiata sconsolata.
-
Che c'è?- chiese
il moro, vedendo l'amico scuotere la testa.
-
Sei un vero
idiota, Tom- asserì senza troppi giri di parole Gustav,
lasciando
Tom piuttosto stupito della sua affermazione.
-
E a cosa devo un
così bel complimento, di grazia?- chiese con ironia il
giovane - E'
tanto idiota voler lasciarsi alle spalle questa
vicenda?
-
Oh, no, no- si
affrettò a dire Gustav – Il tuo essere idiota sta
nella
convinzione di riuscirci-
Tom
fece per
ribattere, ma si limitò a sospirare rumorosamente.
-
Non avrei mai
creduto che una relazione potesse coinvolgermi fino a questo punto,
sai?
-
E io non riesco a
credere che tu abbia finalmente ammesso quanto Vera sia importante
per te- replicò Gustav – Temevo di dover aspettare
ancora molto-
I
due si scambiarono
un breve sguardo d'intesa, accompagnato da un sorrisetto.
-
Cosa devo fare,
Gustav?- chiese Tom dopo qualche istante di silenzio, appoggiando i
gomiti sul tavolo – Io amo Vera-
Gustav
sgranò
appena gli occhi, quasi allibito.
-
Sei cosciente di
cos'hai appena detto, Tom?- chiese, per assicurarsi di aver sentito
bene.
-
Sì- affermò il
chitarrista – E ne sono pienamente convinto- aggiunse, con
fermezza.
-
Beh, allora non
credo di doverti dire cosa fare- sentenziò il batterista
– Non hai
molta scelta.
-
Mi rifiuterà
ancora- replicò Tom, scuotendo il capo.
-
Fossi in te,
preferirei avere la consapevolezza di essere stato rifiutato
piuttosto che il rimorso di non averci nemmeno provato-
replicò
Gustav.
Tom
non replicò, e
rifletté attentamente sulle parole dell'amico.
-
Forse hai ragione-
disse poco dopo.
-
Ho ragione da
vendere- precisò Gustav – Tom, te lo
dico da amico: non
arrenderti, o finirai per pentirtene-
Il
chitarrista si
morse il labbro inferiore, indeciso sul da farsi.
-
E se mi dovesse
denunciare per stalking?-
A
quella domanda,
Gustav rise di gusto.
-
Beh, credo che la
furia di David e dell'intero staff si abbatterebbe su di te, in quel
caso- rispose, mentre ancora ridacchiava.
-
Non è affatto
divertente- s'impuntò Tom – Come puoi ridere di
questa situazione?
-
Hai ragione,
scusa- disse Gustav, cercando di ritornare serio – Quello che
voglio dirti è che non devi arrenderti davanti ad una porta
chiusa
in faccia, perché sono sicuro che tu sai per certo di essere
destinato a stare con lei-
Tom
si limitò ad
annuire, senza troppa convinzione: nonostante i sentimenti che
provasse per Vera fossero ormai chiari perfino a lui, non era
altrettanto certo di essere ricambiato. Non dopo ciò che era
successo.
-
Non preoccuparti-
lo rassicurò l'amico, con sguardo sereno – Vedrai
che tu si
risolverà-
Tom
trovò un
piccolo appiglio nelle parole di Gustav, e in quel momento si rese
conto di quanto avesse fatto bene a rivolgersi a lui, dopo
l'accaduto: con quel sorriso sornione, l'inesauribile
disponibilità
e l'incredibile capacità di trovare sempre le parole giuste,
il
batterista era certamente la persona ideale a cui chiedere consigli,
o anche solo con cui parlare e confrontarsi.
Tom
gli sorrise, con
gratitudine, e l'amico ricambiò, per poi alzarsi da tavola e
prendere dal cassetto un secondo cucchiaio, che poi porse al
chitarrista, il quale gli rivolse un'occhiata stranita.
-
Un po' di gelato
ti farà bene- spiegò Gustav – Ti
conviene accettare, perché non
avrai mai più un'occasione simile-
Il
moro ridacchiò,
prendendo l'oggetto che l'amico gli porgeva.
-
Ah, Gustav!- rise,
mentre prendeva una prima cucchiaiata dalla vaschetta – Non
cambierai mai.
* *
La
sera dopo
-
Madison?-
Bill
spostò lo
sguardo dall'enorme specchio in cui si stava guardando, volgendolo
verso la fidanzata, intenta a lavarsi i denti. La mora si
limitò a
mugugnare qualcosa d'incomprensibile a labbra serrate, facendogli
segno di aspettare qualche istante, per poi sputare nel lavandino
l'acqua che teneva in bocca.
-
Dimmi- disse,
asciugandosi il volto, per poi prendere un elastico per capelli.
-
Dici che dovrei
togliermi queste extensions?- chiese il cantante, tornando a
rimirarsi nello specchio.
Madison
lo osservò,
pensierosa, per poi scuotere la testa.
-
Non vedo perché
dovresti- disse con un'alzata di spalle, per poi legare i lunghi
boccoli scuri in una coda di cavallo – Credo ti donino.
-
Non saprei...-
fece Bill, storcendo il naso – Forse per l'abito da cerimonia
è
richiesto un taglio più... tradizionale,
no?
-
Bill, credimi,
qualsiasi acconciatura o abito tu possa portare non ti
renderà mai
tradizionale- rise Madison, sistemandosi i pantaloni
del
pigiama, per poi uscire dal bagno e dirigendosi verso la camera da
letto, seguita da Bill.
-
Avanti, sii
seria!- la rimproverò il ragazzo.
-
Sono serissima!-
replicò lei, andando a sedersi sul materasso, incrociando
poi le
gambe – Piuttosto, perché ti è venuta
in mente una cosa del
genere?-
Bill
si strinse
nelle spalle, senza trovare una vera e propria risposta.
-
Così...- disse,
vago, buttandosi poi a peso morto sul letto, accanto alla giovane.
Madison
aggrottò la
fronte, dubbiosa, ma preferì non indagare oltre.
-
Hai detto ai
ragazzi della festa di sabato?- chiese invece, cambiando argomento.
-
No, ma lo farò al
più presto- rispose il biondo, mentre s'infilava sotto le
coperte.
-
Hai detto la
stessa identica cosa giorni fa, Bill- lo rimbeccò Madison
– Evita
di avvisare tutti all'ultimo momento come tuo solito, per favore.
-
Io sono una
persona puntualissima!- ribatté il cantante, quasi offeso.
-
Certo, Bill-
rispose Madison – E' per questo che abbiamo perso 3 aerei su
quattro 4 negli ultimi due anni-
Bill
la scimmiottò,
con fare infantile, provocando una risata di scherno nella mora.
-
Non è divertente-
sibilò Bill, a braccia conserte – Tu piuttosto,
hai avvertito le
tue amiche?
-
Dalla prima
all'ultima- affermò con soddisfazione Maddie – Ne
è rimasta solo
una, ma prima volevo parlarne con te.
-
Parli di Vera?-
chiese Bill.
Madison
annuì, con
espressione dubbiosa.
-
Non voglio che il
nostro giardino si trasformi in un ring- sbuffò il ragazzo,
pensando
all'astio tra Tom e Vera – E poi, sono certo che non
verrebbe-
aggiunse.
-
Lo so- sospirò
Madison, per poi lanciare un'occhiata eloquente al fidanzato.
Bill
la osservò per
qualche istante, per poi roteare gli occhi.
-
Avanti,- disse –
cosa vuoi che faccia?
-
Devi parlare con
lei-
Bill
si mise a
sedere sul materasso, osservando stupito la mora.
- Io?-
ripeté, sconcertato – E cosa dovrei dirle?
-
Non lo so, basta
che la convinci a venire- rispose Madison – Per favore-
insistette.
-
Madison,- sbuffò
Bill, tornando a sdraiarsi – perché dovremmo
combinare altri
casini? Non pensi che quei due ne abbiano già?
-
Sono sicura che la
festa li aiuterà a riappacificarsi- sostenne Maddie.
-
Beh, allora
chiamala tu!- esclamò il biondo.
-
Ma tu saresti più
convincente- disse la giovane, disegnando dei cerchi immaginari sul
petto del ragazzo con l'indice – Mi farai questo piccolo
favore?- chiese poi, con voce dolce.
Bill
sbuffò una
seconda volta, con aria sconfitta, per poi annuire.
-
Oh, grazie!-
esclamò felice Madison, stampandogli un bacio a fior di
labbra.
-
Sì, certo, certo-
borbottò Bill, piuttosto contrariato.
Madison
ridacchiò,
scivolando poi sotto le coperte, accanto al giovane, ed
accoccolandosi a lui.
-
Sei un vero
tesoro- sussurrò, giocherellando con i ciuffi biondi del
ragazzo.
-
E tu una
grandissima ruffiana- disse Bill.
La
mora emise una
risata divertita, per poi sistemare il viso nell'incavo del collo del
giovane, inspirando a fondo il suo profumo.
-
Madison?- fece
Bill dopo qualche minuto di assoluto silenzio – Madison?-
ripeté,
non ricevendo però alcuna risposta.
Con
estrema
delicatezza, il giovane si scostò dalla fidanzata, notando
che era
crollata in un sonno profondo.
Sorrise
con
dolcezza, portando la testa di Madison sul suo petto, per poi
abbracciarla teneramente.
Posò
le sue labbra
sulla fronte della ragazza, lasciandole un piccolo bacio appena
accennato, per poi accoccolarsi meglio a lei. Pensò alla
richiesta
della giovane, e storse la bocca, convinto che la vicenda tra Vera e
Tom si sarebbe complicata ancora di più, se possibile.
“Questi
due ci
faranno impazzire, ne sono certo”, si disse.
Sospirò,
mentre
sentiva i suoi pensieri iniziare ad assopirsi, ed in pochi minuti si
addormentò, ripromettendosi di chiamare Vera il giorno
seguente.
* *
L'indomani
- Una
festa?-
La
voce di Vera,
oltre ad essere abbastanza assonnata, data l'ora, sembrava anche
piuttosto dubitante, e Bill cercò di risultare il
più convincente
possibile.
-
Sì, una festa-
rispose – Nulla di particolare o di troppo grande. Solo un
piccolo
ritrovo tra amici prima del matrimonio, niente di che.
- Capisco...
-
Ci farebbe molto
piacere se tu venissi.
- Mh
mh- fece
Vera, senza troppo entusiasmo – Senti Bill, io non
credo sia una
buona idea.
-
E perché mai?-
chiese il cantante.
- Bill-
sospirò la mora – Sai benissimo
perché.
-
Sì, in effetti
sì- ammise il giovane – Ma non puoi rinunciare
alla nostra festa
per colpa di mio fratello!-
Vera
sbuffò,
contrariata: quella telefonata stava durando fin troppo per i suoi
gusti, e in cuor suo sperava che Bill avrebbe presto desistito, o
avrebbe finito per cedere ed accettare l'invito.
“E
sinceramente,
vedere Tom è l'ultima cosa che voglio”
pensò, aggrottando la
fronte.
-
Vera? Sei ancora
in linea?
- Sì-
rispose la ragazza – Mi dispiace dirti di no, ma
questa volta
non potrò esserci. Ho... ho già un impegno-
mentì.
-
Vera, qualche
minuto fa ti ho chiesto se eri libera sabato e tu mi hai assicurato
di non aver alcun impegno importante- contestò Bill,
inarcando un
sopracciglio.
Vera
sbuffò una
seconda volta, sentendo di essere ormai a spalle al muro. Decise
comunque di giocare la sua ultima carta, nel vano tentativo di
dissuadere il cantante.
- Bill,
per
favore,- disse – lasciamo perdere per
questa volta. Non
credo di voler passare la serata tra persone che conosco a malapena.
Finirò per rimanere sola in un angolo in compagnia di un
bicchiere
di cognac.
-
Oh, di questo non
devi preoccuparti!- esclamò felice Bill – Niente
cognac alla
festa- assicurò, con tono scherzoso – E poi, puoi
sempre portarti
dietro Lawrence- aggiunse – A sabato, quindi!
- Ma...-
Prima
che Vera
potesse ribattere però, il giovane aveva già
riattaccato,
pienamente soddisfatto della riuscita della sua missione.
Infilò
il telefono
nella tasca dei pantaloni scuri, e rivolse un'occhiata d'intesa a
Madison, che era appena entrata in cucina.
-
Allora?- chiese
lei.
-
Vera sarà nostra
gradita ospite questo sabato- comunicò Bill, con un gran
sorriso
stampato sul volto.
-
Ottimo lavoro,
Kaulitz- rise Madison, mentre armeggiava con la caffettiera –
Caffè?- chiese poi.
-
No, grazie, ne ho
già preso uno- rispose il biondo, alzandosi dal tavolo a cui
era
seduto – Ed inoltre sono in ritardo: oggi le registrazioni
sarebbero dovute iniziare prima del solito.
-
“Io sono una
persona puntualissima!”- lo canzonò
Madison, mentre accendeva
il fornelletto.
-
Non sei affatto
simpatica- commentò Bill, con una smorfia.
-
Oh, sì che lo
sono- ribatté con prontezza la giovane – Forza,
vai, o David
finirà per sgozzarti-
Bill
borbottò
qualcosa tra i denti, agitando poi la mano in segno di saluto, e
subito si dileguò. Arrivato all'ingresso della casa,
afferrò la sua
giacca, la borsa ed il suo mazzo di chiavi, e in pochi istanti fu
fuori dalla villa, diretto verso la sua auto, parcheggiata davanti al
box.
Mentre
metteva in
moto la vettura, il ragazzo pensò a come spiegare al
fratello la
presenza di Vera alla festa di quel fine settimana.
Fece
manovra ed uscì
dal cancello, lasciandosi velocemente alle spalle la villa,
sfrecciando a tutta birra verso lo studio, per poi raggiungerlo in
una quindicina minuti, sfiorando più volte il limite di
velocità e
guadagnandosi simpatici appellativi dagli altri
automobilisti,
irritati dalle manovre azzardate del giovane.
Dopo
aver
parcheggiato l'auto davanti allo studio, Bill scese velocemente e
corse all'interno dell'edificio.
-
Eccomi, scusate!-
disse ansimante, una volta entrato.
-
Ah, finalmente sei
arrivato!- esclamò stizzito David – La prossima
volta mettiti una
sveglia al collo, forse inizieresti ad essere più puntuale.
-
Credimi, Dave,
abbiamo provato anche quello- fece Tom, scuotendo la testa, e
provocando le risate di Georg e Gustav, seduti accanto a lui.
-
Buongiorno anche a
te, Tom ribatté Bill.
-
Forza, non
iniziate subito a battibeccare- li riprese David – Andiamo,
voglio
finire prima di pranzo. Più tardi ho un incontro con i
ragazzi della
Cherry Tree-
I
quattro annuirono,
e subito seguirono David nella stanza in cui registravano le canzoni.
-
Su, dentro- li
incitò il manager, invitandoli ad entrare nella cabina con
un cenno
della testa.
I
ragazzi entrarono
e si sedettero sugli sgabelli, prendendo i propri strumenti, per poi
sistemarli.
Mentre
accordava la
propria chitarra, Tom si sentì osservato, ed alzò
di poco la testa,
notando che il gemello lo stava guardando.
-
C'è qualcosa che
non va?- chiese.
-
No, no- si
affrettò a rispondere Bill – Solo che...-
iniziò a dire,
tentennante, mentre Tom assumeva un'espressione incuriosita –
Ti
piacciono le sorprese?- chiese d'un tratto.
- Sorprese?-
ripeté stupito Tom – Che genere di sorprese, Bill?
-
Lo scoprirai-
rispose vago il giovane – Sei libero sabato?
-
Beh, sì, ma...-
disse il chitarrista, chiedendosi il perché di tante domande.
-
Ora non lo sei
più- sentenziò il biondo – Tieniti
forte, fratellino-
* *
Qualche
giorno più tardi
Il
giorno della
festa di Bill e Madison si stava inesorabilmente avvicinando, e Vera
sembrava essere nel pallone più totale.
Lawrence
aveva
declinato l'invito, dicendo che per quel sabato aveva già
altri
piani con Chris.
La
ragazza era
perfino arrivata a pensare di fingersi gravemente malata pur di non
essere costretta ad andare alla festa.
Il
solo pensiero
d'incontrare di Tom la rendeva sempre più nervosa, al punto
che quel
giorno qualsiasi piccola cosa fuori posto la faceva irritare.
Come
se non
bastasse, proprio quella mattina tutti i ristoranti e i fioristi
avevano deciso di comune accordo di chiamarla, facendo sì
che il
telefono continuasse a squillare senza alcuna sosta.
-
Sì, certo. La
chiamo io-
La
mora chiuse la
chiamata con l'ennesimo chef che chiedeva conferme per quanto
riguardava il matrimonio di Bill e Madison, e sbuffò
sonoramente,
appoggiando la testa sulla scrivania e pregando che la sessione
ininterrotta di chiamate fosse terminata.
Pochi
istanti dopo,
però, l'ennesimo squillo le trapanò le orecchie:
fu l'ultima
goccia.
Alzò
di scatto la
testa, afferrò con rabbia la cornetta e se la
portò all'orecchio:
-
Che c'è?- sbottò
con rabbia.
- Ehm...
Vera? Ti
disturbo?-
La
voce calma e
suadente di Philip la fece rimanere di sasso, mentre le sue guance
rendevano velocemente un colorito rosso fuoco.
-
Ph-phil- balbettò
– Oddio, scusami!- esclamò, evidentemente
imbarazzata – Non mi
disturbi affatto, non preoccuparti!
- Sei
sicura?-
chiese il giovane – Se è un brutto
momento, posso sempre
chiamare più tardi.
-
No, davvero, è
solo il lavoro che mi rende più suscettibile del solito-
spiegò –
Una chiacchierata mi farà più che bene.
- Ne
sono
felice!- disse Philip – Ma non voglio
rubarti troppo tempo
al lavoro, quindi andrò dritto al sodo- aggiunse,
con tono
gioviale – Mi chiedevo se in questi giorni volessi
uscire con
me- disse infine, senza troppi giri di parole.
Vera
rimase
interdetta da quell'invito così esplicito e senza mezzi
termini.
Diretto
e conciso,
proprio come Tom.
“Oh,
ma smettila”
si disse la ragazza, scuotendo la testa “Perché
devi pensare a lui
in qualsiasi momento?”
La
brutta vicenda
con Tom, però, non era di certo un incentivo ad uscire e
fare nuove
amicizie. Non maschili, perlomeno.
-
Phil, mi
piacerebbe molto uscire con te...- iniziò a dire.
- Ma...?-
disse il giovane, percependo l'imminente rifiuto.
-
Ma...-
Vera
era sul punto
di riversare su Phil tutta la sua preoccupazione, la sua delusione e
la sua rabbia, tutto pur di motivare quel no che
stava per
rifilargli, ma d'un tratto un'idea si fece spazio nella sua mente, ed
un piccolo sorriso si dipinse sul suo viso.
-
Uhm, Phil?
- Sì..?-
rispose Philip, avvertendo l'improvviso cambio di voce della mora.
-
Credo ci sarà un
cambio di programma- annunciò Vera – Hai programmi
per sabato?-
Spazio
autrice:
Buonasera, Aliens!
Ebbene
sì, la regola del “chi non muore, aggiorna le
proprie fanfic”
vale anche per me. (Anche se non sono molto sicura che si dica
così,
ma fa niente).
Facendo
un paio di conti, questo è il primo capitolo da ben 53
giorni.
Non
oso nemmeno presentarvi le mie patetiche scuse; sappiate solo che
questo non è stato un gran periodo per me, ed inoltre,
nonostante
sappia già come dovrà concludersi questa vicenda,
per diverso tempo
la mia testolina non è stata in grado di rielaborare le idee.
Spero
che possiate perdonarmi e che la mia lunga assenza non vi abbia
scoraggiate dal leggere questa fanfic.
Per
quanto riguarda il capitolo in sé, detesto essere
ripetitiva, ma sì,
sono cattiva.
E
questa volta ho deciso di sfruttare la mia cattiveria a (s)favore del
povero Tom.
Insomma,
non credo che sia nei suoi piani ritrovarsi Vera alla festa del
fratello loool.
Non
con Phil, perlomeno :')
Beh,
vedremo come reagirà hahah
Tralasciando
i dettagli, cosa ne pensate del capitolo?
Fatemelo
sapere nelle recensioni (sempre che ci sia qualcuno che abbia
pazientato fino ad ora lol).
Non
credo ci sia altro da aggiungere, mie care.
Spero
di ritrovarvi tutte al prossimo capitolo (accidenti, siamo
già al
ventesimo! Mi sembra ieri quando Vera e Tom hanno avuto quel piccolo
incidente
d'auto haha!)
Se
volete contattarmi per qualsiasi cosa, troverete sotto i link dei
miei profili Facebook e Twitter, e se volete invece conoscere me e
altre fantastiche lettrici e scrittrici di questo fandom, troverete
anche il link del gruppo Facebook “Writers & Readers
– Le
Aliens di EFP”.
Se
siete nuove lettrici, infine, vi lascio anche il link youtube del
trailer di Wedding Planner!
Bene,
ho finito.
M'impegnerò
al massimo perché scuola e altri problemi non interferiscano
più
con questa fanfic, promesso!
Un
bacione a tutte, e grazie del continuo supporto.
A
presto,
Heilig
Trailer
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Capitolo 20 *** Twenty ***
Twenty
- Stai
scherzando-
Il
sibilo che Tom aveva emesso fece indietreggiare Bill, che
andò a
scontrarsi con il muro.
-
E'
stata Madison- si difese – Giuro che io non volevo invitarla-
aggiunse, cercando di essere convincente.
-
Come
diavolo vi è venuto in mente?- sbraitò Tom, rosso
di rabbia.
David
aveva lasciato loro qualche minuto di pausa prima di riprendere le
registrazioni, e Bill ne aveva approfittato per dire a Tom di aver
invitato Vera alla festa di sabato, pensando che il gemello avrebbe
preso la cosa con calma.
Calmo,
però, non era di certo l'aggettivo adatto a descrivere il
chitarrista in quel momento.
-
Sei
un idiota, Bill- sibilò il ragazzo, avvicinandosi con fare
minaccioso al fratello.
-
Abbiamo pensato che ti avrebbe fatto piacere- spiegò il
biondo,
deglutendo, spaventato – Insomma, magari con una
chiacchierata ed
un paio di bicchieri di champagne dimenticherete l'accaduto- disse,
con un piccolo sorriso.
Tom
aggrottò la fronte, trattenendosi a stento dallo sferrare un
pugno
in pieno viso al gemello, e fece un lungo sospiro.
-
Queste cose- disse – non si risolvono con un paio di
bicchieri di champagne-
sentenziò a denti stretti – Dovresti saperlo anche
meglio di me-
Bill
sbuffò leggermente, e roteò gli occhi, mentre Tom
cercava di
calmarsi: come avevano potuto Madison e suo fratello architettare un
simile piano alle sue spalle?
Incrociò
le braccia ed emise un ringhio arrabbiato, allontanandosi da Bill che
si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.
-
Per
un attimo ho temuto che potessi picchiarmi davvero- ammise.
Tom
si
limitò a rifilargli un'occhiataccia, sedendosi poi accanto a
Georg
sul divano di pelle.
-
Perché non vuoi incontrarla?- chiese quest'ultimo, inarcando
un
sopracciglio – Insomma, le sei corso dietro fino ad adesso!-
esclamò allargando le braccia.
-
Innanzitutto,- disse il chitarrista – non le sono corso
dietro-
precisò – E poi, non vorrei ridurre la festa di
Bill ad una
battaglia di cibo- aggiunse, figurando se stesso e Vera mentre,
coperti di torta alla panna, si ricoprivano d'insulti.
-
E se
invece doveste riappacificarvi?- intervenne Gustav, seduto sul divano
posto di fronte a Georg e Tom.
-
Esatto, Tom- fece Bill, sedendosi accanto al batterista –
Magari la
cosa potrebbe funzionare- sentenziò – E poi avete
un sacco di cose
da chiarire.
-
Questo lo so, grazie- borbottò Tom.
-
Vedi
il lato positivo della cosa- disse Georg – Hai l'occasione di
spiegarle cos'è realmente successo quel pomeriggio-
Tom
fece un lieve cenno di assenso con la testa, ma sul suo viso rimase
un'espressione piuttosto corrucciata: nonostante sapesse che Bill e
Madison l'avevano fatto per il suo bene, qualcosa gli diceva che Vera
non avrebbe perso occasione per umiliarlo. Ancora.
* *
Intanto
-
Sei pazza-
Vera
alzò gli occhi dallo schermo del suo computer e rivolse uno
sguardo interrogativo a Lawrence, che la osservava con aria
esterrefatta.
-
Che ho fatto?- chiese.
- Che hai
fatto?-
ripeté sempre più sbalordito Lawrence –
Cooper, non ti sembra esagerato vendicarti in questo modo di Tom?-
fece poi il biondo.
Vera
assunse un'espressione pensierosa, fingendo di riflettere su
ciò
che l'amico le aveva detto.
- No-
scandì dopo qualche istante, con un schiocco di lingua.
-
Ma alla festa di suo fratello!- insistette Lawrence – Poco
prima
del matrimonio di Bill e Madison!
-
Non vedo cosa c'entrino loro in questa faccenda- sentenziò
Vera,
tornando a lavorare.
- Vera,- disse
Lawrence, appoggiando le mani sulla scrivania
dell'amica, con fare di rimprovero – sai bene che
ciò che fai non
è corretto.
-
Perché stai dalla parte di Tom?- sbuffò Vera
– E' stato lui
a... tradirmi- aggiunse
poi in un sussurro, esitando
sull'ultima parola.
-
Non sto dalla parte di Tom- replicò l'amico –
Semplicemente non
vedo come tu possa fare una cosa del genere.
-
Senti, Lawrence- rispose la mora con aria scocciata – Bill mi
ha
obbligata ad andare
a quella festa, quindi credo di avere il
diritto di essere accompagnata.
-
E perché Phil?- chiese Lawrence, quasi esasperato,
allargando le
braccia – Perché non Marcy, per esempio?
Vera
fece per ribattere, ma non seppe cosa dire, e decise quindi di
rimanere in silenzio ed ignorare la domanda.
-
Non riuscirai a farmi sentire in colpa- borbottò dopo
qualche
istante di silenzio.
-
E cosa mi dici di Philip, allora?- la stuzzicò Lawrence
– Lui ti
vuole davvero bene,
Vera- continuò – E sai che non ti vede
solo come un'amica.
-
Dove vuoi arrivare?- chiese Vera, senza alzare gli occhi dallo
schermo del pc.
-
Non ti sembra di usarlo in questo modo?- domandò il giovane,
incrociando le braccia al petto.
Vera
s'immobilizzò sul posto, pensando ai modi di fare dolci di
Philip ed al suo solare sorriso, e subito sentì una fitta al
cuore.
-
Allora?- fece Lawrence, con un smorfia – Ora ti senti in
colpa?-
Vera
rimase interdetta da quell'insinuazione, più per la
consapevolezza di quanta verità ci fosse dietro le parole
dell'amico
piuttosto che per sdegno.
-
Non sto usando nessuno- si difese, lasciando però che la sua
voce
tradisse una lieve insicurezza.
-
Se lo dici tu...- disse Lawrence, con un'alzata di spalle –
Beh,
sarà meglio che vada. Oggi il gran visir
è
di ronda-
aggiunse, con una lieve smorfia di dissenso – Non vorrei che
mi
beccasse mentre chiacchiero con le mie dipendenti-
Gran
visir era il
nomignolo che tutti all'agenzia avevano dato
al signor Harris, direttore generale della catena di agenzie di
wedding planning della quale quella in cui Vera e Lawrence lavoravano
faceva parte.
Una
volta ogni mese il signor Harris – un uomo di cinquant'anni o
poco più, dall'aria snob e sofisticata, alto e magro, dritto
come un
fusto, dai capelli neri laccati indietro e avvolto sempre da
un'inconfondibile odore di colonia – passava in rassegna le
sue
agenzie, controllando che nulla fosse fuori posto. La pena, nel
peggiore dei casi, poteva arrivare fino al licenziamento seduta
stante.
-
Sì, ti conviene andare- asserì Vera,
rivolgendogli un piccolo
sorriso.
-
Pensa a ciò che ti ho detto- la intimò Lawrence,
scoccandole
un'occhiata quasi paterna.
Vera
annuì, sorridendo una seconda volta, e Lawrence le fece un
piccolo cenno con il capo, in segno di saluto, per poi dirigersi
verso la porta, aprirla ed uscire, lasciando l'amica da sola.
La
giovane si prese la testa tra le mani, sospirando, mentre sentiva
le parole di Lawrence riecheggiare nella sua mente.
Si
era davvero abbassata a tal punto da dover ingannare Phil solo per
togliersi lo sfizio di vendicarsi nei confronti di Tom?
“Sono
un vero mostro”
si disse, sospirando pesantemente
“Devo annullare tutto” afferrando il telefono sulla
scrivania
“Ora chiamo Phil e...”
I
suoi pensieri però vennero d'un tratto offuscati
dall'immagine di
Tom che baciava quella ragazza.
Si
morse il labbro inferiore e strinse la presa attorno alla cornetta
del telefono, fino a che le sue nocche non diventarono bianche,
mentre sentiva la sua rabbia farsi sempre più forte.
“No”
pensò, mentre toglieva la mano dal telefono “Non
perderò
quest'occasione” si disse, con cocciutaggine
“Preparati, Tom
Kaulitz”
* *
Qualche
giorno più tardi
-
Madison! Vuoi uscire, per l'amor del cielo?-
Bill
batté per l'ennesima volta un paio di pugni sulla porta di
legno chiaro del bagno, chiusa da ormai un paio d'ore.
-
Mi sto preparando!- disse una voce femminile dall'interno.
-
Hai detto la stessa cose due ore fa, maledizione- sbuffò
Bill,
appoggiandosi sulla porta – Ora, ti dispiacerebbe uscire? Il
bagno
serve anche a me!- esclamò infine, pensando alla sua vescica
sul
punto di scoppiare.
Il
ragazzo sentì Madison sbuffare a sua volta, e dopo qualche
minuto
la porta si aprì, rischiando di far cadere rovinosamente a
terra il
biondo.
-
Cosa ci facevi appoggiato alla porta?- chiese Madison, in
accappatoio, osservando con aria perplessa Bill intento a
riacquistare l'equilibrio.
-
Ti aspettavo- sbottò il cantante, per poi scansarla poco
delicatamente ed entrare nel bagno, chiudendo la porta con un sonoro
clack,
lasciando
sola Madison, che roteò gli occhi, con un
piccolo sorriso sul volto, e si diresse poi verso la sua stanza.
Una
volta dentro, aprì l'armadio e ne tirò fuori un
vestito verde
acqua che Bill le aveva regalato qualche tempo prima, buttandolo poi
sul letto.
Ti
tolse l'accappatoio, rimanendo in biancheria intima, per poi
prendere l'abito ed indossarlo senza troppa fretta.
Fece
per chiudere la zip posta dietro, quando sentì una mano
prenderla per la vita ed anticiparla.
-
Grazie- cinguettò, voltandosi verso Bill che stava in piedi
dietro
di lei. Il giovane le sorrise teneramente e le stampò un
bacio sulla
tempia.
-
Sei pronta?- le chiese quindi, allontanandosi per poi afferrare le
scarpe grigie che stavano accanto alla porta – Gli invitati
arriveranno tra poco- continuò, sedendosi sul bordo del
letto, per
poi indossarle.
-
E con loro anche Tom e Vera- sospirò Madison, con aria
preoccupata.
-
Perché quella faccia?- fece Bill, notando l'espressione
dubbiosa
ella fidanzata.
-
Bill, credi che abbiamo fatto bene?- chiese Madison – Ad
invitare
Vera, dico.
-
Vuoi scherzare?- esclamò Bill, sgranando gli occhi
– Sei tu
stessa a pregarmi di chiamarla!
-
Sì, ma ora non mi sembra più una così
buona idea- disse la
giovane, mordicchiandosi il labbro inferiore – Insomma, e se
dovessero finire per litigare? Non potrei mai perdonarmelo-
Bill
rimase ad osservare Madison per qualche istante, per poi
sospirare ed alzarsi dal letto, avvicinandosi alla giovane.
-
Maddie,- le disse, prendendole il viso tra le mani – sono
certo
che andrà tutto bene- affermò, cercando
d'infonderle sicurezza –
Vedrai che alla fine Vera e Tom capiranno che sono destinati a stare
insieme- concluse, abbracciandola.
-
Ne sei sicuro?- fece però Madison.
-
Sì,- affermò Bill – Ne sono sicuro.
* *
Nel
frattempo
Vera
stava mettendo il portafoglio in borsa, quando sentì il
citofono suonare.
Lasciò
la borsa sul tavolo della cucina ed andò a vedere chi era.
-
Sì?- rispose.
-
Vera,
sono Phil. Sei pronta?-
Nel
sentire quella voce, sul viso della giovane apparve
immediatamente un gran sorriso.
-
Sì, sono pronta!- trillò, quasi entusiasta
– Scendo tra due
minuti!-
Ripose
la cornetta del citofono, tornò di corsa in cucina ed
afferrò
al volo la borsa, per poi uscire in tutta fretta. Si
assicurò che le
finestre fossero chiuse, per poi prendere le chiavi appese accanto
alla porta, ed infine lasciò l'appartamento, chiudendo la
porta con
un colpo secco.
Percorse
in tutta fretta le scale, ed una volta al piano inferiore,
individuò fuori dal palazzo una macchina scura parcheggiata
proprio
di fronte al portone. Prese un profondo respiro, e si decise ad
uscire.
In
pochi istanti raggiunse l'autovettura, e aprì la portiera.
-
Buonasera, Vera!- la accolse una calda voce maschile.
-
Buonasera Phil- rispose la mora, sorridendogli – Come stai?-
chiese poi, mentre allacciava la cintura di sicurezza.
-
Non male- disse Phil, scrollando le spalle – E tu che mi
dici?-
domandò a sua volta, mettendo in moto l'auto, ed iniziando a
fare
manovra per lasciare il cortile del palazzo.
-
Tutto ok- rispose la ragazza – La casa si trova a Roosevelt
Street, al numero 47- comunicò poi, mentre Phil entrava in
carreggiata.
Nell'abitacolo
scese un silenzio imbarazzato, interrotto solo dal
gracchiare dell'autoradio, il cui volume era stato abbassato fino a
diventare un flebile suono quasi inudibile.
-
Allora,- esordì Philip, cercando di rompere il ghiaccio
– vedi
ancora Tom?-
A
quella domanda, Vera s'irrigidì d'un colpo, ma subito
tentò di
non dar a vedere la sua irritazione nel parlare del chitarrista.
-
No- rispose, atona, tentando di trattenere la sfilza d'insulti che
gli erano venuti in mente – Non ci vediamo da molto- disse,
omettendo abilmente la visita che Tom le aveva fatto qualche giorno
prima – Non ha... funzionato- spiegò.
-
Mi dispiace- disse semplicemente Philip, rivolgendole una breve
occhiata, per poi tornare a guardare la strada di fronte a lui.
Vera
si voltò verso di lui, perplessa: era davvero dispiaciuto
oppure l'aveva detto per pura e semplice educazione?
Scosse
la testa, decidendo di non pensarci, e si concentrò sul
comportamento da adottare quella sera: cos'avrebbe dovuto fare?
Fingere che nulla fosse successo?
-
A cosa pensi?- le chiese all'improvviso Phil, distogliendola dalle
sue riflessioni.
-
I-io?- balbettò imbarazzata Vera – A nulla-
mentì –
Piuttosto, come va il lavoro?
-
Oh, grazie al Cielo sono in ferie ancora per qualche tempo- rispose
allegro il giovane – Ne ho davvero bisogno-
continuò – Viaggiare
è bello, ma quando lo si fa solo per lavoro, è
stancante.
-
Capisco...- disse Vera – Beh, io non so cosa darei per essere
al
tuo posto- affermò, con aria sognante – Insomma,
la stanchezza non
sarebbe un problema per me. Farei di tutto pur di viaggiare e
conoscere nuovi luoghi.
-
Purtroppo quando sei il vicedirettore di una multinazionale, gli
unici luoghi che vedi sono noiosissimi uffici. E credimi, che tu vada
in Francia, in Italia o in Russia, sono tutti uguali- rise.
Vera
s'imbronciò nel sentire quelle affermazioni, mentre i suoi
sogni di eterna viaggiatrice venivano infranti.
-
Oh, avanti, non fare quella faccia!- esclamò Phil.
Vera
piegò le labbra in una smorfia, ma subito la sua bocca si
aprì
in un tenero sorriso, che Philip ricambiò immediatamente.
Qualche
minuto dopo, i due iniziarono ad intravedere dietro le fronde
degli alberi che costellavano la strada, la casa di Bill e Madison.
-
Quante persone abitano in quella villa?- chiese Philip sbalordito,
mentre i due giungevano di fronte all'enorme appartamento.
-
Due- rise Vera – Bill e Madison.
-
Stai scherzando- disse il giovane, scrutando incredulo la villa.
Vera
rise ancora, pensando che aveva avuto la sua stessa reazione
quando era arrivata davanti alla casa per la prima volta.
Philip
parcheggiò l'auto non lontano dal cancelletto che dava sul
vialetto, ed una volta spento il motore, scese dalla vettura, seguito
a ruota da Vera.
Percorsero
qualche metro, arrivando poi al cancello, che trovarono
socchiuso.
-
Credi che dovremmo entrare?- fece Phil perplesso.
-
Beh, perché no?- rispose Vera, spingendo il cancelletto che
emise
un rumore stridente – Sento delle voci provenire da quella
parte-
aggiunse poi, entrando, per poi indicare una strada che portava al
giardino sul retro.
-
Forse dovremmo chiamare qualcuno- intervenne il ragazzo, esitante:
introdursi nelle case altrui non lo metteva a suo agio.
-
Non ti preoccupare- gli disse Vera, prendendolo istintivamente per
mano – Andiamo.
* *
Ormai
quasi tutti gli invitati erano arrivati alla piccola festa. Il
gruppo non era molto numeroso - solo una ventina di persone, o forse
meno – e tutti si erano riuniti nel giardino retrostante la
villa,
dove era stato preparato un tavolo imbandito con aperitivi e
stuzzichini, un piccolo assaggio ella cena che Madison aveva
preparato quella mattina.
Tom
era rimasto solo, in disparte, guardandosi attorno con fare
nervoso da ormai qualche minuto, e a Bill non era sfuggito lo strano
atteggiamento del fratello.
-
Non è ancora arrivata- gli sussurrò all'orecchio,
porgendogli un
bicchiere colmo di champagne.
-
Non sto aspettando nessuno- replicò gelido il chitarrista,
sorseggiando il suo champagne.
-
Certo, come no- lo schernì Bill, alzando gli occhi al cielo.
Fece
per aggiungere qualcos'altro, quando alle spalle di Tom, dietro
un piccolo gruppo d'invitati scorse una figura familiare. Subito
sorrise, entusiasta, tanto che Tom lo notò e si
voltò nella
direzione in cui il gemello guardava.
-
Oddio- sussurrò, attonito.
-
Finalmente- disse invece Bill, ancora sorridente. Poco dopo
però,
la sua espressione allegra fu offuscata da una smorfia a
metà tra la
sorpresa e la perplessità: Vera teneva per mano un giovane
aitante,
dai capelli scuri, che il cantante non riconobbe.
Tom,
invece, lo riconobbe all'istante: era Philip, il ragazzo che
Vera stava abbracciando la volta in cui era andato a casa sua per
regalarle il braccialetto.
Come
aveva potuto Vera portarsi dietro quello?
E
per quale maledettissimo motivo si
tenevano per mano?
Queste
e altre domande gli affollavano la mente, e il non trovare una
risposta ad esse lo irritava.
“O forse ti
irrita vederli mano nella mano”,
disse una
vocina nella sua testa.
Scosse
il capo, nel tentativo di scacciarla, e si voltò verso il
fratello, con aria scocciata.
-
Io me ne vado- annunciò, lapidario, facendo per andarsene.
-
Tu non vai da nessuna parte, Tom- gli ordinò Bill,
strattonandolo
per un braccio.
-
Oh, avanti, Bill- gli disse il chitarrista – Pensi ancora che
possa riappacificarmi con lei?- esclamò, cercando di non
farsi
sentire da Vera e Phil, che, dopo averli individuati, si stavano
avvicinando – Fammi andare via, Bill- supplicò
– Te ne prego-
Bill
non cedette e, anzi, strinse la prese attorno al braccio del
gemello, che tentava inutilmente di districarsi. Prima che
però
potesse farcela, Vera e Phil giunsero, sempre mano nella mano,
davanti a loro.
-
Oh, Vera!- esclamò Bill, mollando all'improvviso il braccio
di
Tom, e costringendolo a voltarsi – Ben arrivata!-
Tom
tentò di sorridere, ma anziché ottenere
un'espressione
cordiale, le sue labbra si piegarono in una strana smorfia.
-
Ciao, Bill- salutò allegra Vera, senza calcolare minimamente
Tom –
Scusa se siamo entrati senza avvisare, ma il cancello era aperto e...
-
Oh, non ti preoccupare- la interruppe il cantante – L'abbiamo
lasciato aperto proprio per non dover andare sempre ad aprire-
continuò. Il suo sguardo si posò poi sul viso di
Philip, che era
rimasto in silenzio fino ad ora.
Sentendosi
osservato, il giovane si affrettò a presentarsi, e porse
la mano al biondo.
-
Io sono Philip, piacere- disse, sorridendo.
-
L'ho invitato perché Lawrence non è potuto
venire, e quindi...
Insomma, tu hai detto potevo portare qualcuno e allora...- disse
Vera.
“Ah
sì? Ha detto così, eh?”
pensò Tom, stringendo le labbra.
-
Capisco, certo- disse invece Bill, cercando di sembrare contento
–
Beh, perché non ci racconti un po' di te, Philip?-
Tom
scoccò un'occhiata di fuoco al fratello, che però
non sembrava
minimamente calcolarlo.
“Tutto
questo è ridicolo” si disse il chitarrista, mentre
Philip
iniziava a raccontare della sua vita.
A
quanto pare era il vicedirettore di una qualche azienda
multinazionale.
“Bah,
noioso” pensò Tom nella sua testa.
E
probabilmente avrebbe espresso la sua opinione ad alta voce, se
solo Bill non gli avesse assestato una gomitata nella costole
– un
tacito invito a non fiatare.
-
Ehm, io vado a riempirmi il bicchiere- disse d'un tratto,
beccandosi un'occhiataccia dal gemello.
“Mi
spiace, Bill, ma io qui non ci rimango” pensò,
mentre si
allontanava senza nemmeno aspettare la risposta degli altri tre.
Si
diresse verso l'appartamento, ed aprì la porta proprio nel
momento in cui Madison ne stava uscendo, con in mano un vassoio pieno
di dolci.
-
Tom!- disse questa, sorpresa – Dove stai andando? La festa
è di
là.
- Vera-
ringhiò il chitarrista, rubando un dolcetto dal
vassoio.
Nel
vedere la mora assumere un'espressione interrogativa, il
chitarrista additò la wedding planner intenta a parlare con
Bill e
Phil.
-
Chi è lui?- chiese Madison guardando nella direzione
indicata dal
moro.
-
Philip- rispose Tom, sputando quasi velenosamente quel nome.
-
E' un suo collega?
-
No, è un suo amico- fece
Tom, con amara ironia.
A
quelle parole, sul viso di Madison comparve un piccolo sorriso.
-
Tom, è gelosia quella che vedo nei tuoi occhi?- chiese,
soffocando
una risatina.
-
Non sono geloso-
precisò subito il chitarrista –
Semplicemente trovo che portare quell'essere alla
vostra festa
sia stato di poco gusto.
-
Sei geloso- concluse Madison, alzando gli occhi al cielo –
Dove
stavi andando?- chiese poi, cambiando discorso.
-
A sfogarmi dentro prima che spacchi il muso a quel damerino-
sbottò, per poi passarle accanto ed entrare
nell'appartamento.
-
Non rompere nulla!- gli gridò Madison – E per
carità, stai
lontano dai cristalli!-
Tom,
però, si era già chiuso la porta alle spalle e si
era diretto
a passi veloci in cucina.
Si
sedette al tavolo, e si prese la testa tra le mani, facendo dei
respiri profondi, nel tentativo di calmarsi.
“Avanti,
Tom. Sii uomo” si disse, cercando di relegare nella
parte più remota della sua mente, quell'insistente vocina
che lo
invitava a tornare in giardino e riempire Phil di botte.
Quella
era esattamente la reazione che Vera voleva che avesse, e lui
non sarebbe caduto nel suo tranello.
La
tentazione, però, era forte, e per la prima volta Tom si
rese
conto di quanto tenesse ad avere Vera.
Ad
averla solo ed unicamente per
sé, e non
contendersela con
qualche altro ragazzo.
Ma
forse ora era troppo tardi.
* *
Tom
era sparito ormai da una buona ventina di minuti, e Bill iniziava
a preoccuparsi. Il fatto di non aver ancora sentito alcun rumore di
vetri rotti lo faceva sperare in bene, ma non era del tutto sereno:
conosceva suo fratello e, nonostante molti lo descrivessero come
pacato e amante della tranquillità, saperlo in preda al
nervoso lo
rendeva inquieto.
Madison,
intanto, chiacchierava amabilmente con Vera, Phil, Georg e
Gustav, i quali erano arrivati poco prima ed erano stati presentati
alla wedding planner e al suo “carissimo
amico”,
come lei
lo aveva introdotto.
Bill
strattonò leggermente la sua ragazza, lanciandole uno
sguardo
eloquente, che Madison capì al volo: Vera e Tom dovevano
parlare e
chiarirsi.
-
Ehm,- iniziò a dire Madison – credo che gli
antipasti e lo
champagne stiano iniziando a finire. Andrò a prenderli in
cucina-
comunicò, sperando che il suo piano andasse a buon fine.
-
Vuoi una mano?- le chiese cordialmente Vera, mentre Madison
esultava per la riuscita delle sue macchinazioni.
-
Oh, grazie Vera, sei davvero gentile!- cinguettò –
Io iniziò a
prendere il vassoio degli antipasti, tu potresti andare a prendere
una bottiglia di champagne dal frigo?
-
Certo!- rispose Vera – Torno subito- aggiunse, allontanandosi
dal
gruppo, diretta alla villa.
In
pochi istanti raggiunse l'appartamento, e vi entrò,
dirigendosi
verso la cucina.
Appena
entrata, trattenne a stento un urlo.
-
Cosa ci fai qui?!- chiese, immobilizzata sulla soglia.
Davanti
a lei, seduto al tavolo, stava Tom, che la osservava con aria
accigliata.
-
In realtà dovrei farti io questa domanda- replicò
il chitarrista,
con strafottenza.
-
Madison mi ha chiesto di prendere una bottiglia di champagne-
spiegò Vera, atona, decidendosi ad entrare nella cucina.
Fece
qualche passo in direzione del frigorifero, posto davanti a Tom,
dietro al tavolo, ma subito si voltò.
-
Vuoi piantarla di guardarmi?- sbottò, irritata.
-
Cosa dovrei fare, cavarmi gli occhi?- ribatté Tom
– La tua
relazione con il caro Philip ti ha dato alla testa per caso?-
Vera
si limitò a borbottare qualcosa d'incomprensibile, e si
voltò
di nuovo verso il frigorifero.
Aprì
l'anta e si piegò per prendere la bottiglia di vetro, ma si
girò di scatto.
-
E non
guardarmi
il culo!- esclamò, con rabbia.
-
Non è colpa mia se metti in mostra tutta la mercanzia-
rispose
serafico Tom – Ah, una domanda, sei per caso ingrassata?
-
Fottiti, Tom Kaulitz- ribatté Vera, prendendo la bottiglia
di
champagne – E per tua informazione, non sono ingrassata-
precisò
poi, chiudendo il frigo con un colpo secco – Ci si vede-
concluse,
facendo poi per uscire.
Tom
rimase ad osservarla, quando d'un tratto si alzò
istintivamente,
chiamandola a gran voce.
-
Vera!- esclamò, facendola voltare.
-
Cosa vuoi?- ringhiò lei, mentre lui le si avvicinava.
-
Non è andata come pensi tu- disse il giovane.
La
mora sospirò pesantemente, stanca di sentire quella frase.
-
Tom...- iniziò a dire.
-
No, Vera- la interruppe il chitarrista – Ora dovrai
ascoltarmi-
le intimò – Io non ho baciato quella ragazza di
mia spontanea
volontà. E' comparsa all'improvviso in casa mia e mi
è saltata
addosso, ok? Non l'ho baciata e ti giuro, Vera, se dovessi tornare
indietro in tempo, sapendo ciò che sarebbe successo, non
avrei mai
iniziato a frequentarla. Mai- disse
– E' arrivata in
giardino, entrando dal retro, si è messa a dire che le
mancavo, e
senza nemmeno che me ne accorgessi, mi aveva già baciato-
raccontò
– E poi sei arrivata tu- concluse – Scusa se ti ho
fatto
soffrire, ma posso assicurarti che non
è mai
stata mia intenzione-
Vera
rimase a guardarlo per qualche istante, analizzando attentamente
le sue parole.
-
Perché dovrei crederti?- chiese infine, con un filo di voce.
-
Perché non dovresti?- replicò Tom.
La
mora non seppe cosa rispondere: in effetti, il racconto di Tom,
per quanto potesse sembrare inventato, sarebbe anche potuto essere
veritiero.
Stava
a lei decidere cosa credere e a chi dare ascolto: alla parte di
lei che le intimava di rompergli la bottiglia in testa o a quella che
le urlava di buttarsi tra le sue braccia?
Dal
canto suo, Tom sembrava già aver preso una decisione: si
stava
avvicinando sempre più al viso della giovane, fino ad
arrivare ad un
soffio dalle sue labbra. Sul momento sembrò indeciso sul da
farsi,
ma pochi istanti dopo si convinse a eliminare ogni distanza tra lui e
Vera, unendo le loro labbra in un bacio appassionato.
Vera
percepì un brivido percorrerle la schiena e sentì
il suo corpo
irrigidirsi, ma infine non poté far altro che sciogliersi e
lasciarsi trasportare dai movimenti di Tom, che l'aveva stretta per i
fianchi, rischiando di farle cadere la bottiglia dalle mani.
Il
bacio non durò moltissimo, forse pochi attimi, che
però a Vera
sembrarono secoli: quanto le era mancato quel contatto con Tom,
quanto le erano mancate le sue mani ruvide accarezzarle la schiena.
Per
un attimo l'intero mondo si era fermato, e tutto ciò che
stava
intorno a loro era scomparso.
Ma
d'un tratto, uno schiamazzo troppo forte, la riportò alla
realtà,
facendola rendersi conto di ciò che stava accadendo.
Sgranò
gli occhi, mentre Tom mugugnava per l'improvviso irrigidirsi
della ragazza, che subito lo allontanò da sé,
costringendolo ad
interrompere il contatto tra le loro labbra.
-
Cosa...?- balbettò il giovane.
-
No, tutto questo è sbagliato- mormorò Vera,
ancora incredula.
-
Vera, di cosa stai parlando?- chiese Tom, aggrottando la fronte.
-
Scusami- disse Vera, mettendo le mani avanti – Scusami,
davvero.
Io... io devo andare. Ciao- concluse, uscendo velocemente dalla
cucina, e lasciando Tom a chiedersi cos'avesse fatto di sbagliato. Il
ragazzo appoggiò la fronte sullo stipite della porta,
sospirando:
quella ragazza l'avrebbe fatto impazzire.
* *
Vera
uscì quasi correndo dall'appartamento e tornò in
giardino. Si
guardò in giro, alla ricerca di Philip, che stava
chiacchierando
amichevolmente con Bill, sorseggiando un bicchiere di vino.
-
Phil!- esclamò raggiungendolo.
-
Oh, Vera, eccoti, finalmente- disse il ragazzo – Dove sei
st...
-
Tieni Bill, questo è lo champagne che Madison mi ha chiesto-
lo
interruppe bruscamente la giovane, dando con poca delicatezza la
bottiglia al cantante – Noi dobbiamo andare. Ora.
-
Cosa? E perché?- chiese stranito Phil.
-
Già, perché?- intervenne Bill – Non
abbiamo nemmeno cenato.
Avanti, restate ancora un po'!-
Phil
fece per approvare la proposta di Bill, quando incontrò lo
sguardo quasi disperato di Vera: era sull'orlo delle lacrime.
-
Uhm, ora che ci penso, domani devo alzarmi molto presto
perché...
perché devo andare a trovare mia cugina che abita a... a
Denver-
mentì – Scusa, ma davvero non posso trattenermi-
continuò,
porgendo il bicchiere vuoto a Bill, che lo osservò,
interdetto.
- Denver?-
ripeté, perplesso.
-
Sì, esatto- disse Phil, annuendo con veemenza – Mi
ha comunque
fatto piacere conoscerti, Bill- aggiunse, porgendo la mano al
cantante, che gliela strinse con aria piuttosto sconcertata.
-
Io...- provò a dire.
-
Ti chiamerò io per gli ultimi preparativi del matrimonio,
Bill-
intervenne Vera, prendendo Philip per un braccio, ed iniziando a
trascinarlo nella sua direzione – Salutami Madison!-
esclamò poi,
prima di allontanarsi a passo svelto, con Phil al seguito, lasciando
un Bill piuttosto confuso a domandarsi cosa stesse succedendo.
Prima
che potesse dire qualsiasi cosa, però, Vera e Philip erano
spariti dietro l'angolo della casa, diretti probabilmente verso
l'uscita.
“Sono
sicuro al 110% che Tom c'entri qualcosa”, pensò.
Scosse
la testa, e fece per dirigersi verso Gustav, Georg ed Andreas
– che aveva lasciato la Germania per non mancare al
matrimonio del
suo migliore amico – che chiacchieravano qualche metro
più avanti
di lui, ma all'improvviso Tom gli si parò davanti, con
l'aria
sconvolta.
-
Hai visto Vera?- chiese, con il fiatone di chi aveva corso.
-
Cosa...?
- Hai visto
Vera?-
ripeté il chitarrista, scandendo le parole
– Bill, è una domanda semplice, per l'amor del
cielo!- esclamò,
prendendo il fratello per le spalle e scuotendolo.
-
E' appena andata via- rispose il biondo, sempre più
allibito,
indicando la direzione che Vera e Philip avevano preso.
-
Maledizione- borbottò a denti stretti Tom, mollando la prese
sulle
spalle, e lasciando cadere le braccia lungo i fianchi ed abbassando
lo sguardo.
-
Cos'è successo?- chiese Bill, quasi fremente.
Il
fratello alzò gli occhi, e sospirò, affranto.
- L'ho
baciata.
* *
-
Vera, cos'è successo?-
Phil
ripeté per l'ennesima volta quella domanda, ma Vera si
limitò a
stringersi nelle spalle e continuare a guardare fuori dal finestrino,
cercando di evitare il contatto visivo con il giovane.
Si
sentiva così indifesa, spogliata com'era di tutte le sue
sicurezze.
Quel bacio era stata l'ennesima prova che lei amava Tom, che non
poteva fare a meno di lui e, che per quanto ci provasse, nessuno
avrebbe potuto prendere il suo posto.
Nemmeno
Philip.
La
mora si voltò verso quest'ultimo, che aveva rinunciato ad
avere una
risposta da lei, concentrandosi sulla guida.
“Ora
ti senti in colpa?”
Le
parole di Lawrence la trafissero come un pugnale.
Si
era
comportata da carogna.
Aveva
dato una speranza a Phil, era uscita con lui, tutto solo per dare il
ben servito a Tom, finendo comunque – ed inesorabilmente,
arrivati
a questo punto – per baciarlo.
Provava
disgusto per se stessa: avrebbe dovuto ascoltare Lawrence e lasciare
perdere. Almeno avrebbe preservato un poco di dignità.
In
quella situazione, invece, di dignità non le era rimasto
neanche un
briciolo.
-
Si
tratta di Tom, vero?- disse all'improvviso Philip rompendo il
silenzio in cui l'auto era avvolta.
Vera
fece per rispondere, ma si accorse che quel no sulla
punta
della sua lingua era una bugia.
“Basta
mentire” pensò, sospirando, per poi annuire
sommessamente, con
aria triste.
-
Sai,
quando mi hai chiesto di venire con te alla festa di Bill e Madison,
ho subito pensato che qualcosa tra voi due non stesse andando bene-
ammise Philip, con un sorriso malinconico – Non riuscivo a
credere
che mi avessi davvero invitato ad uscire- rise poi, mentre Vera
sentiva il peso delle sue colpe sopprimerla.
-
Anche se può sembrare il contrario, non sono stupido, Vera.
-
Non
l'ho mai pensato!- si difese subito la mora, sentendosi quasi ferita.
-
Ne
sei sicura?- gli chiese Phil, senza lasciare che quel discorso poco
allegro gli togliesse il sorriso dal volto.
Vera
pensò che doveva essere pazza per continuare a desiderare
Tom e non
cadere tra le braccia di Philip: quel ragazzo era così dolce
e
comprensivo, mentre il chitarrista era solo...
La
persona che ami.
-
Ci siamo baciati- confessò la giovane in un soffio, e nel
dire
quelle parole sentì come se stesse realizzando per la prima
volta
l'accaduto.
-
Chissà perché, qualcosa mi diceva che era
successa una cosa del
genere- disse Phil, svoltando poi a destra, senza mostrare il minimo
fastidio a quelle parole.
-
Ora sei anche un sensitivo, per caso?- chiese Vera, quasi divertita.
-
Può darsi- fece il giovane, con un sospiro – Si
vede che vi amate-
aggiunse poi, dopo qualche istante di silenzio.
-
E da cosa?- domandò Vera.
-
Dal fatto che nonostante tutto, tornate a stare insieme.
-
Non siamo tornati insieme- replicò la mora.
-
Non
ancora-
la
corresse Philip – E comunque, persino io, che non conosco la
vostra
storia, mi sono accorto di quanto siete uniti. Avresti dovuto essere
al mio posto per percepire l'attrazione inconscia che c'era tra di
voi quando siamo arrivati alla festa. Mai visto nulla di simile-
Vera
rimase quasi a bocca aperta nel sentire quelle affermazioni: fino ad
allora non aveva mai pensato a come gli altri potessero vedere il
legame che univa lei e Tom.
Nell'abitacolo
scese di nuovo il silenzio, accompagnato dal rumore delle ruote che
sfrecciavano sull'asfalto.
Vera
sentiva un groppo in gola, un nodo costituito da scuse, confessioni e
ammissioni di colpe che doveva esprimere in qualche modo.
-
Philip, perdonami- disse d'un tratto, a bassa voce –
Perdonami,
davvero- ripeté – Non avrei dovuto usarti in
questo modo
disonesto.
-
Vera...- provò a dire il ragazzo, ma la mora lo interruppe.
-
No, ascoltami- disse – Sei un ragazzo d'oro, e tutto questo
è così
ingiusto. Avrei dovuto semplicemente dimenticare Tom e cercare
conforto in te, ma così non è stato. E ti giuro,
Phil,- continuò,
mentre le prime lacrime scendevano calde sul suo viso – che
ho
cercato di lasciar perdere, ma non ci sono riuscita. Tom ormai
è
parte di me, e non posso non amarlo, anche se questo mi farà
soffrire- aggiunse – Ciò che ho fatto è
riprovevole. Sapere di
averti usato in questo modo mi fa accapponare la pelle. Scusami,
Philip-
Il
giovane non rispose subito, ma invece continuò a guidare nel
più
completo silenzio, lasciando Vera domandarsi quale sarebbe stata la
sua reazione.
Dopo
qualche minuto i due arrivarono a casa della ragazza, e Phil si
fermò
davanti al grande portone.
-
Phil, io...- iniziò a dire la mora.
-
Non ti devi preoccupare di nulla, Vera- le disse però il
giovane –
Tu sei e rimarrai sempre una ragazza splendida. Non sarà
ciò che è
successo a farmi cambiare idea. Piuttosto, sono io che avrei dovuto
convincermi della mia prima impressione, ovvero che tu sei
assolutamente ed irrimediabilmente innamorata di Tom. E io,
purtroppo, non posso farci nulla- continuò, mentre Vera
tratteneva a
stento le lacrime – Sono certo che Tom saprà darti
ciò che
meriti, ovvero un futuro felice- aggiunse, per poi fare una piccola
pausa.
Si
voltò verso la mora e le sorrise teneramente:
-
Nel frattempo, potremmo... rimanere amici?-
Vera
rimase incredula a quelle parole: non solo Phil si era, per
così
dire, fatto da
parte,
accettando il suo amore per Tom, ma le stava addirittura offrendo la
sua amicizia.
Quale
altra persona avrebbe fatto una cosa simile?
-
Phil, sei un ragazzo fantastico- disse, incapace di esprimere meglio
la sua gratitudine.
Si
slacciò la cintura di sicurezza e si sporse verso il
giovane,
abbracciandolo poi forte.
-
Grazie, Phil- gli sussurrò in un orecchio – Grazie
di tutto.
Spazio
dell'autrice
Salve
a tutte e buon San Valentino (in ritardo), Aliens!
Come
avete - o state passando, per le più ritardatarie - questa
giornata,
mie care?
Sono
l'unica che l'ha trascorsa nella più completa indifferenza?
Lol
Ok,
sorvoliamo sulla mia situazione sentimentale che è meglio
HAHAHAHAHA
Qualcuno
oltre a me ha visto un barlume di felicità alla fine di
questo
capitolo?
Insomma,
le cose stanno tornando al loro posto, no?
Tom
ha chiarito la situazione a Vera, si sono baciati, Philip si
è fatto
da parte...
Ah,
già, Philip.
Oh,
avanti, dopo questo capitolo non potete odiarlo:
è stato
tanto tenero gfhj
Insomma,
avrebbe potuto rivendicare il suo legame con Vera e lasciare Tom
“a
bocca asciutta”, ma non l'ha fatto. Lo trovo molto maturo,
onestamente parlando.
Ora
sta a Vera e a Tom cercare di ricostruire ciò a cui era
bastato un
malinteso per crollare.
Ce
la faranno? Voi che dite?
E
che dite in generale del capitolo? Vi è piaciuto? L'avete
trovato
lungo, noioso, pieno di colpi di scena...?
Ditemelo
nelle vostre recensioni!
Ora,
prima di salutarvi, vorrei solo avvertirvi di una piccola cosa: il
prossimo capitolo, il ventunesimo sarà l'ultimo.
No,
Aliens. Niente scherzi stavolta.
Questo
che avete finito di leggere era il penultimo, mentre il prossimo
sarà
quello che chiuderà la storia definitivamente.
No,
non sono molto brava nel dare le brutte (?) notizie, ma questa
è la
verità: dopo 20 (e con l'ultimo, 21) capitolo, la storia
è giunta
alla fine.
Per
favore, mettete giù i forconi ewe
La
prossima volta vi ringrazierò per bene per tutto il supporto
che mi
avete dato in questi mesi (10 e mezzo!), ma per ora credo sia giunto
il momento di dirvi ciao!
Cercherò
di postare il prima possibile, anche perché il 9 marzo
partirò per
trascorrere una settimana in Germania per uno stage, e vorrei aver
concluso la fic prima della partenza.
Spero
di ritrovarvi tutte per gli ultimi saluti prima che archivi questa
fanfic nelle storie finite.
Un
bacione a tutte,
Heilig
|
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** Twenty-one ***
A
tutte voi che avete letto questa storia, fino all'ultimo capitolo.
Grazie.
Twenty-one
Più
tardi
- Vera?
Sei già
tornata a casa? Avete fatto pres...
-
Io e Tom ci siamo
baciati-
Vera
si sentì come
se stesse realizzando per la prima volta ciò che era
successo nella
cucina di Bill e Madison un paio d'ore prima, ed ebbe la sensazione
che il peso della situazione in cui era andata a cacciarsi fosse
precipitato sulle sue spalle inermi.
Chiamare
Lawrence
era stata una decisione più che saggia, ne era certa: aveva
deciso
di farlo appena entrata nel suo appartamento, dopo aver salutato
Philip. Prima di prendere il telefono però, si era rilassata
– o,
perlomeno, aveva cercato di farlo -, godendosi un lungo e rigenerante
bagno caldo, lasciando che le emozioni provate in quei pochi minuti
passati con Tom le scivolassero di dosso, in modo da ragionare a
mente fredda.
Dopo
essere uscita
dalla vasca ed essersi infilata un accappatoio di spugna color
vaniglia, con i capelli ancora gocciolanti, era andata nella sua
stanza, dove poi aveva chiamato Lawrence.
Ed
ora era lì,
seduta sul letto, accoccolata ad un enorme cuscino kitsch color
rubino – un regalo di Marcy –, con una mano attorno
alla cornetta
del telefono e l'altra impegnata a giocherellare con una ciocca di
capelli.
-
Lawrence?- disse
dopo pochi istanti, rimanendo perplessa nel non sentire risposta.
Dall'altro
lato del
telefono tutto taceva, e la giovane si chiese se l'amico non avesse
riattaccato, quando sentì il ragazzo soffocare un piccola
risatina.
-
Ehi...?- fece la
mora, inarcando un sopracciglio – Lawrence, stai...?
- Cercando
di non
scoppiarti a ridere in faccia? Sì, Cooper- la
interruppe il
biondo, lasciandosi sfuggire una risata che mascherò con un
colpo di
tosse.
-
Non vedo cosa tu
ci possa trovare di divertente- ribatté accigliata Vera,
sistemandosi meglio sul letto.
- Trovo
esilarante che, a distanza di quasi due mesi, tu non abbia ancora
dato per assodato il fatto che tu e Tom siate destinati a stare
insieme, e che per quanto cerchiate di allontanarvi, tornerete sempre
al punto di partenza, ancora più presi l'uno dell'altro, se
possibile-
Vera
volle
replicare, ma subito si accorse di quanto l'amico avesse ragione.
-
Ma... io...- tentò
comunque di dire.
- Shh-
la
zittì Lawrence – Avevo immaginato che vi
sareste baciati. Anzi,
non capisco perché tu ne sia così sorpresa.
-
Perché per tutti
voi è così scontato che io e Tom dobbiamo stare
insieme?- sbottò
Vera, quasi esasperata.
- E'
una domanda
retorica?- fece Lawrence, con un sorrisino che Vera
riuscì quasi
a vedere, nonostante fossero al telefono. Sbuffò, irritata,
e decise
di lasciare perdere quella conversazione, dato che non avrebbe
portato a nulla tranne che ad unica conclusione: lei era innamorata
di Tom, e non poteva farci assolutamente niente.
-
Grazie del
conforto- borbottò, rivolgendosi a Lawrence.
L'amico
ridacchiò
sommessamente, per poi risponderle:
- Non
c'è di
che, Cooper-
Fece
per aggiungere
qualcos'altro, quando la sua voce fu interrotta dal trillo di un
campanello.
- Alleluja-
sospirò, mentre Vera tentava di capire chi potesse essere.
-
Aspettavi
qualcuno?- chiese, curiosa – A quest'ora?- aggiunse poi,
dando una
veloce occhiata alla sveglia sul suo comodino. Subito dopo
però si
ricordò del motivo per cui non era stato proprio lui,
Lawrence, ad
accompagnarla alla festa di Madison e Bill.
-
Christopher-
disse, sogghignando – E' lui, vero? Non è un po'
tardi per le
visite, Lawrence?
- Questi
non sono
affari tuoi, Vera- sentenziò il biondo, mentre le
sue guance,
Vera poteva vederlo, s'imporporavano – E per tua
informazione,
Chris è il mio ragazzo e può venirmi a trovare
quando gli pare-
continuò, sempre più alterato.
Vera
non resistette
e scoppiò a ridere, divertita dalla reazione dell'amico.
- Smettila-
le
intimò lui, mentre dall'altra parte della porta Chris aveva
iniziato
a chiamarlo a gran voce.
- Ehi,
Lawrence!
Sei in casa?- diceva.
- Arrivo
subito
Chris!- rispose Lawrence.
-
Sarà meglio che
tu vada- disse Vera, nel sentire la voce di Christopher – Non
vorrai far aspettare il tuo principe azzurro.
- Fottiti-
borbottò a denti stretti il biondo, cercando di celare al
meglio il
suo imbarazzo, per poi chiudere la chiamata senza nemmeno salutare.
Vera
sorrise
compiaciuta, e poggiò il telefono sul letto, accanto a lei,
iniziando poi a ripensare alle parole di Lawrence.
“Per
quanto
cerchiate di allontanarvi, tornerete sempre al punto di partenza,
ancora più presi l'uno dell'altro”
Molto
probabilmente,
qualche tempo prima, avrebbe storto il naso a quell'affermazione,
scuotendo con forza la testa, oppure sarebbe scoppiata a ridere,
senza riuscire a immaginare se stessa insieme a Tom.
Le
cose erano però
cambiate e ora una relazione con il chitarrista non era soltanto
oggetto delle battute di Lawrence, ma era diventata un desiderio,
il più forte che avesse mai provato, alimentato di giorno in
giorno
dall'amore, ormai innegabile, che nutriva nei confronti di Tom.
E
nonostante lei
cercasse, come aveva detto Lawrence, di allontanarlo in tutti i modi,
di dimenticarlo, di cercare di distogliere la mente da quel
sentimento così immenso che offuscava il dolore che quella
stessa
persona le aveva causato, lei continuava a cedere, a crollare,
sconfitta, di fronte alle proprie emozioni.
“Lo
amo” si
disse la mora, con un sospiro, quasi come se lo stesse ammettendo per
la prima volta a se stessa, in totale sincerità “E
non posso più
farci nulla”.
* *
Un
paio di giorni dopo
-
Cosa significa?-
Tom
era rimasto
piuttosto perplesso di fronte alla domanda del fratello che, seduto
di fronte a lui al tavolo di un bar a cui si erano fermati dopo le
registrazioni, giocherellava nervosamente con la sua tazza di
cappuccino.
-
E' una semplice
domanda, Tom- rispose – Credi che starei bene con i capelli
corti?
-
Bill, da quando
t'importa della mia opinione?- chiese il chitarrista, sempre
più
confuso.
- Da
ora-
sibilò Bill, irritato per tutte quelle domande.
Tom
lo squadrò per
qualche istante, decidendo infine di accontentarlo.
-
Beh,- iniziò a
dire, con una scrollata di spalle – non staresti male-
concluse,
bevendo poi un sorso del suo caffè.
-
Dici che dovrei
togliermi le extension per il matrimonio?- domandò il
fratello a
bruciapelo.
Tom
alzò gli occhi,
incontrando lo sguardo preoccupato del gemello, ed immediatamente
capì il perché di tutto quelle domande.
-
E' per Madison?-
fece, con un sorrisetto.
Bill
arrossì
lievemente e distolse lo sguardo, imbarazzato.
-
Vuoi rendere il
grande giorno impeccabile, vero?-
continuò Tom, quasi
divertito.
-
Non è per
Madison- mentì Bill – Ho semplicemente voglia di
cambiare
pettinatura, tutto qua.
-
Non c'è nulla di
male ad ammetterlo- replicò il moro, ancora sorridente
– La trovo
una cosa molto... tenera-
Bill
arrossì una
seconda volta, questa volta piuttosto violentemente, e si
coprì il
viso con le mani: non ricordava nemmeno più l'ultima volta
che si
era imbarazzato così tanto davanti a suo fratello nel
parlare di lui
e Madison.
Dal
canto suo,
invece, Tom trovava la situazione a dir poco comica: nonostante i
suoi 24 anni, Bill sembrava un ragazzino in preda alla sua prima
cotta, tutto intento a non fare brutte figure al primo incontro.
Si
lasciò sfuggire
un piccola risata, che Bill però stroncò sul
nascere, rifilando al
fratello un'occhiataccia.
-
Non è divertente-
asserì il biondo, quasi borbottando – E per la
cronaca, tu non sei
nella posizione più adatta per prendermi in giro, fratellino-
aggiunse, assumendo un'aria di sfida.
Tom
cambiò subito
espressione, e sul suo volto si dipinse una smorfia.
- Ah-ha!-
esclamò Bill – Ti ho punto nel vivo, eh?
-
Non stavamo
parlando dei tuoi capelli?- fece Tom, nel vano tentativo di
indirizzare la conversazione verso altri argomenti. Avrebbe persino
trovato interessante discutere sul tempo o sulla finanza, piuttosto
che parlare di Vera e del bacio di sabato.
Percepiva
ancora la
sensazione di averla tra le sue braccia, le labbra di lei contro le
sue... Quel bacio era solo l'ennesima conferma di ciò che
per tempo
– troppo tempo – aveva negato,
sia a se stesso che agli
altri: ciò che provava per Vera andava ben oltre la semplice
attrazione fisica.
Sei
innamorato,
gli sussurrò una
voce nella sua testa, e lui non poté che essere d'accordo.
-
Ehi, ti sei
incantato?- disse Bill, agitando una mano davanti agli occhi del
fratello.
-
Uh... c-cosa?-
balbettò il chitarrista, riscosso dai scuoi pensieri.
-
Stavi pensando a
Vera?-
Tom
sorrise
amaramente, ed annuì:
-
Tutto questo è
assurdo- disse, scuotendo la testa, quasi divertito - Io che perdo la
testa per qualcuno. Potrei scriverci un libro- continuò,
sotto lo
sguardo comprensivo del fratello.
-
Prima o poi
sarebbe dovuto succedere- disse quest'ultimo, finendo poi in un sol
sorso il suo cappuccino.
-
Un po' di
preavviso non avrebbe fatto male a nessuno- obbiettò Tom.
-
Sì, ma avrebbe
tolto tutto il divertimento alla faccenda- rispose Bill, con un
sorriso, ripensando ai battibecchi tra Vera e sua fratello - E poi,
dovresti sapere che l'Amore, quello vero, non bussa mai- aggiunse,
piano.
Tom
rifletté
qualche istante sulle parole del fratello, e non poté che
essere
d'accordo: nel suo caso, l'Amore non solo non aveva bussato, ma aveva
abbattuto la porta, travolgendolo, senza lasciargli
possibilità di
difesa.
Ed
era quasi certo
che anche per Vera era stata la stessa cosa.
Scosse
la testa,
cercando di relegare ogni pensiero riguardante Vera nell'angolo
più
remoto della sua mente e Bill, notando la sua espressione
malinconica, decise di cambiare argomento.
-
Tom,- disse - hai
tempo?
-
Cosa...?- ripose
il gemello, assumendo un'espressione confusa.
- Hai
tempo?-
ripeté Bill.
-
Dipende da cosa mi
vuoi far fare- rispose Tom, mettendo le mani avanti.
-
Solo uno strappo
da Finn-
* *
Più
tardi
-
Non posso credere
che tu abbia davvero rinunciato ai tuoi capelli per una cerimonia che
durerà sì e no un'ora, Bill-
Tom
osservava ormai
da qualche istante il lavandino bianco in cui Finn, il parrucchiere
di Bill, aveva lasciato cadere le ciocche dei capelli biondi del
cantante.
-
Posso solo
immaginare come reagiranno le tue fans- aggiunse Finn, mentre puliva
i suoi strumenti - Come le chiamate? Ah sì, Aliens-
fece, con
aria divertita - Ricordo ancora quella volta che una di loro ti ha
trovato qui, Bill- continuò, mentre passava un il pettine
sotto il
getto dell'acqua - Il delirio-
Tom
sorrise a quel
ricordo, mentre Bill mugugnò qualcosa d'incomprensibile,
senza
badarvi troppo, preso com'era dal rimirarsi all'enorme specchio
appeso al muro.
-
Soddisfatto?- fece
Finn, raggiungendolo alle spalle.
-
S-sì...- balbettò
il biondo, incerto - Tom, dici che piacerò a Madison?-
chiese poi al
gemello, passandosi una mano sulla testa.
-
Io credo di sì-
rispose Tom - Sono certo che sarai uno sposo coi fiocchi- aggiunse.
Bill
sorrise nello
specchio, ma subito si voltò verso il fratello, esterrefatto.
-
Cosa stai facendo?
-
Voglio immortalare
questo momento- replicò Tom, mentre, con un'aria piuttosto
serena,
fotografava il lavandino.
-
Tom, cosa vuoi
fare di quella foto?- chiese Bill.
-
Nulla, nulla- fece
Tom, accompagnando la frase con un gesto incurante della mano
sinistra, mentre con la destra digitava qualcosa sul suo telefono -
Spero solo che le nostre adorate fans non abbiano un infarto-
aggiunse, con un sorrisetto diabolico stampato in volto.
-
Tom, sei meschino!
Chissà che razza di putiferio scateneranno tutte quante!
-
Oh, avanti, non ti
preoccupare-
Bill
fece per
ribattere, ma subito decise di lasciar perdere, dato che sarebbe
stato solo uno spreco di tempo e di fiato: suo fratello non sarebbe
mai cambiato.
Si
voltò di nuovo
verso lo specchiò e si osservò con cura,
prestando attenzione anche
ai minimi dettagli. Stava bene, sì; si piaceva, senza
dubbio, eppure
il timore che a Madison non andasse bene quel suo drastico
cambiamento lo tormentava.
Era
stata proprio
lei a suggerirgli l'idea, quando, molto tempo prima, appena dopo
essersi messi insieme, la mora gli aveva confidato che fin da bambina
i grandi e sfarzosi matrimoni tradizionali erano stati il suo sogno.
A
quelle parole lui
non aveva fatto altro che sorriderle teneramente, ripromettendosi che
avrebbe esaudito il suo desiderio.
Ora,
però, a
distanza di un paio d'anni, e ad un passo dal fatidico sì,
quella tacita promessa sembrava aver portato con sé una
moltitudine
di responsabilità di cui Bill si rendeva conto solo ora.
Tradizionali,
aveva detto Madison, con occhi sognanti e tono romantico.
Come
poteva un ragazzo come lui
essere tradizionale,
anche solo per una giornata?
-
Vuoi stare
tranquillo?-
Bill
si voltò di
scatto, incontrando lo sguardo del fratello che gli si era avvicinato
senza che lui se ne accorgesse.
-
Sarai perfetto-
continuò il chitarrista – Sarete
perfetti- precisò, dando
una lieve pacca sulla spalla di Bill, sorridendogli – E io
sarò un
testimone meraviglioso- concluse, con fare quasi teatrale,
osservandosi allo specchio, gongolante.
Bill
roteò gli
occhi, divertito e ritornò a guardare il proprio riflesso,
sentendo
che le parole di Tom stavano avendo un effetto benevolo su di lui:
sì, lui e Madison sarebbero stati perfetti alla cerimonia,
ne era
certo.
-
Beh,- disse
quindi, rivolgendosi al gemello – direi che possiamo andare,
no?-
Tom
annuì, e il
cantante si volse verso Finn:
-
Grazie Finn- disse
– Quanto ti devo?
-
Nulla, Bill- fece
l'uomo, lasciando il giovane piuttosto sbigottito – Prendilo
come
il mio regalo di nozze per te e la tua ragazza- aggiunse, facendogli
l'occhiolino.
Bill
fece per
protestare, quando il suo telefono iniziò a squillare con
insistenza.
Lo
tirò fuori dalla
tasca, guardò il display e subito sentì un
brivido percorrergli la
schiena.
-
Chi è?- fece Tom,
sporgendosi per vedere meglio lo schermo del telefono – Oh-
disse, appena vide di chi si trattava.
I
due fratelli si
scambiarono uno sguardo, entrambi consapevoli del motivo di quella
chiamata.
-
Te l'avevo detto
io- fece Bill, mentre il cellulare continuava a squillare senza
sosta.
-
Avanti, rispondi-
replicò Tom – Più lo fai aspettare,
peggiore sarà la sua
manfrina.
Bill
sospirò,
cercando di farsi coraggio, ed ascoltò le parole del
fratello.
-
Pronto?- rispose,
portandosi il cellulare all'orecchio – David?
- Bill!
Che
diamine hai combinato? Cos'hai fatto ai capelli? Perché
avete
postato quella foto? Perché non mi hai parlato oggi di
ciò che
avevi in mente?
-
E' una lunga
storia, Dave- fece il biondo – Una lunga, lunga
storia.
* *
Qualche
giorno più tardi
-
Sei bellissima-
Madison
piegò la
testa di lato, arricciando le labbra, per poi sorridere dolcemente.
-
Dici?- chiese,
voltandosi verso la madre, seduta su un divanetto bianco dietro di
letto, accanto a sua sorella minore.
-
Assolutamente-
rispose la donna – Tu cosa dici, Jen?-
Jen
osservò per
qualche istante la sorella, quasi incapace di spiccicare parola.
-
Meravigliosa-
farfugliò, senza distogliere lo sguardo da Madison
– Semplicemente
meravigliosa-
Madison
sorrise una
seconda volta, tornando a guardarsi nello specchio.
Fece
un respiro
profondo e sentì un brivido percorrerle la schiena.
Due
giorni.
Due
soli giorni ed
avrebbe fatto il grande passo: avrebbe sposato Bill
e coronato
il suo più grande sogno d'amore.
Si
osservò ancora
per qualche istante nell'enorme specchio dell'atelier di abiti da
sposa, dove stava provando il proprio, in compagnia della madre Ella
e della sorella Jennifer, arrivate dal Nebraska in occasione della
cerimonia.
Fece
un giro su
stessa, ritornando poi ad osservare il suo riflesso. Era a dir poco
incredula, quasi non si rendeva conto di ciò che sarebbe
accaduto da
lì ad un paio di giorni: le sembrava quasi di vivere un
sogno ed
aveva il costante timore di potersi svegliare d'un tratto e scoprire,
suo malgrado, che nulla era davvero successo.
Scosse
la testa un
paio di volte, nella speranza di cancellare tutte quelle insicurezze
che avevano gettato un'ombra sul suo viso.
-
Maddie,- disse
d'un tratto Ella, senza notare il cambio di espressione della figlia
– non doveva esserci anche la tua wedding planner?- chiese,
guardandosi intorno.
-
Sì- rispose
Madison, voltandosi – E' piuttosto in ritardo, in effetti-
aggiunse, pensierosa.
Pochi
istanti dopo,
però, le tre donne sentirono alcuni passi frettolosi
avvicinarsi,
accompagnati da qualche elegante imprecazione
borbottata a
denti stretti.
-
Maledetti taxi...-
Nel
sentire quella
voce familiare, il volto di Madison s'illuminò:
-
Vera!- esclamò,
appena vide la wedding planner raggiungerla.
-
Scusate il
ritardo- disse mortificata quest'ultima – Giuro che
è stata colpa
del taxi!- si giustificò poi.
-
Non ti
preoccupare, Vera- la rassicurò Madison, per poi scendere
dal
piedistallo su cui stava ed andare ad abbracciarla con forza
– Sono
felice che tu sia venuta.
-
Come potevo
mancare alle prove generali dell'abito?- disse Vera, con un gran
sorriso.
Madison
le sorrise a
sua volta, affrettandosi poi a presentarle sua madre e sua sorella.
-
Queste sono mia
madre Ella e mia sorella Jennifer- disse, indicando le due –
Ragazze, lei è Vera Cooper, la mia meravigliosa wedding
planner!
-
Beh, meravigliosa
è un tantino azzardato come aggettivo- disse Vera
imbarazzata,
mentre porgeva la mano prima ad Ella e poi a Jen – Piacere di
conoscervi, comunque.
-
Il piacere è
tutto nostro, Vera- disse Ella – Allora, cosa dici del
vestito
della nostra futura sposa?-
Vera
si voltò verso
Madison e la osservò attentamente, senza lasciarsi sfuggire
il più
piccolo dei dettagli, a partire dalle decorazioni in argento del
corpetto fino al tulle della gonna.
Dal
canto suo
Madison si sentì a disagio, e non poco: Vera era un'esperta
in quel
campo e il suo giudizio sull'abito era fondamentale perché
lei si
sentisse completamente sicura della sua scelta.
-
Allora?- la
incalzò – Cosa ne dici?-
Vera
distolse lo
sguardo dall'ampia gonna, portando i suoi occhi verdi a scontrarsi
con quelli nocciola di Madison.
-
Manca qualcosa-
commentò semplicemente Vera, con una smorfia.
Madison
sgranò
appena gli occhi, voltandosi di scatto verso lo specchio, quasi
spaventata: era sicura di aver tenuto tutto sotto controllo, nel
più
minimo particolare. Eppure, Vera sosteneva che mancasse qualcosa.
-
Cosa intendi,
Vera?- chiese, girandosi una seconda volta.
Vera
non le rispose
e continuò ad osservarla, come per capire cosa mancasse.
D'un
tratto
s'illuminò:
-
Arrivo subito-
annunciò, dileguandosi in un battibaleno ed avvicinandosi ad
alcune
commesse dell'atelier.
Madison,
Ella e
Jennifer la videro confabulare con una di esse ed indicare la zona in
cui si trovavano le tre donne. La commessa, intanto annuiva, e poco
dopo fece segno a Vera di seguirla.
-
Dove starà
andando?- chiese Ella, seguendo con lo sguardo Vera mentre scompariva
dietro una porta di legno scuro.
-
Non ne ho idea,
mamma- fece Madison, a braccia conserte – Spero solo che sia
andata
a prendere ciò che manca,
perché sto rischiando di avere una
crisi nervosa pre-matrimonio- aggiunse, con un sospiro.
Finalmente,
qualche
minuto dopo, Vera uscì dalla stanza in cui era entrata,
seguita
dalla commessa e con in mano un lungo pezzo di stoffa.
Salutò
cordialmente la giovane e tornò da Madison.
-
Eccomi!- esclamò
con un sorriso – Ora voltati.
-
C-cosa?- fece
Madison, confusa – Vera, cos'è quel pezzo di
stoffa?
-
Come “cos'é”?
E' un velo da sposa, Madison! Cos'altro vuoi che sia?- rispose Vera,
stranita.
Madison
sembrò
illuminarsi a quella risposta e d'un tratto capì cosa
intendeva Vera
con quel suo “manca qualcosa”.
Sorrise
dolcemente,
e si voltò dando le spalle a Vera, che le si
avvicinò, posandole
poi sul capo una piccola tiara alla quale era stato legato un lungo
velo di tulle.
-
Ecco- disse la
wedding planner, stringendo le spalle di Madison – Ora sei
perfetta-
Madison
si osservò
a lungo, e dovette ammettere che sì, quel velo, pur essendo
un
piccolo dettaglio, rendeva il tutto molto più bello.
Subito
sentì gli
occhi pizzicarle e si ritrovò sull'orlo del pianto.
-
Oh, non vorrai
mica piangere!- scherzò Vera, notando come la giovane stesse
cercando di trattenersi.
-
Grazie, Vera-
disse con profonda sincerità Madison, continuando a
rimirarsi nello
specchio con gli occhi lucidi – La riuscita di questa
cerimonia
sarà solo ed unicamente grazie a te- aggiunse, voltandosi
verso la
giovane che la guardava, sorridente.
-
Ho solo fatto il
mio lavoro, Madison- disse, con un piccolo cenno del capo –
Tu e
Bill siete persone fantastiche- fece poi – Meritate questo ed
altro, senza dubbio-
A
quelle parole
Madison non riuscì a trattenersi e lasciò che
alcune lacrime di
commozione le bagnassero il volto.
Subito
Vera recuperò
un fazzoletto di carta dalla sua tasca e glielo porse:
-
Avanti, asciugati
il viso- disse, dolcemente – Sai, so di essere una wedding
planner
con i fiocchi, ma non pensavo di suscitare queste reazioni!- rise,
coinvolgendo, oltre a Madison, anche Jen e Ella che erano rimaste a
guardare in silenzio l'intera scena.
-
Due giorni,
accidenti- disse Madison, con un sospiro – Non posso...
- Ancora
crederci- la interruppe Vera – Non hai idea di
quante volte io
abbia sentito questa frase- ridacchiò, ripensando a Grace e
a tutte
le spose prima di lei – Dovrai crederci quando pronuncerai il
fatidico sì.
-
Lo so- rispose
Madison, elettrizzata – Beh, io vado a togliermi quest'abito
prima
che si sgualcisca! Arrivo tra cinque minuti!- annunciò poi,
sollevando di poco la gonna ed allontanandosi, diretta al camerino
poco distante.
Ella
e Jen
iniziarono subito a chiacchierare, mentre Vera continuò ad
osservare
Madison, fino a che non scomparì dietro ad una tenda di
velluto
rosso, e ripensò alle sue parole.
Due
giorni, aveva
detto la mora.
Due
soli giorni e lei e Tom si sarebbero rivisti.
A
quel pensiero, percepì una scarica di adrenalina
attraversare il suo
corpo.
O
forse era un brivido di timore.
In
ogni caso, alla sola idea di rincontrare Tom, qualcosa dentro lei si
era mosso, dimostrando, per l'ennesima volta, la sua innegabile
attrazione nei confronti del chitarrista, che il bacio di qualche
giorno
prima non aveva fatto altro che evidenziare, se non rafforzare.
La
ragazza si lasciò sfuggire un lieve sospiro: quella
situazione stava
decisamente degenerando, l'unica possibilità che aveva di
uscirne –
purtroppo?- era quella di lasciare che Tom uscisse definitivamente
dalla sua vita.
Ottima
decisione, le
diceva il suo
buonsenso. D'altronde era ciò che sarebbe inevitabilmente
accaduto
alla fine della cerimonia.
Peccato
che il suo cuore si spezzasse ad una simile idea.
*
*
Il
grande giorno
-
50 dollari che
impazzisce prima che Maddie arrivi all'altare.
-
Hagen, ti ho
sentito, maledetto infame!-
Bill
si voltò di
scatto, lanciando un'occhiata di fuoco all'amico, che aveva sgranato
gli occhi e fatto un passo indietro, temendo che il cantante potesse
non rispondere più delle sue azioni.
Da
una quindicina di
minuti i due, Gustav, Tom, Andreas e Gordon, il patrigno dei gemelli,
erano in una delle due lussuose limousines che avrebbero portato
prima Bill e poi Madison alla chiesa.
-
E se mi dovesse
dire di no all'ultimo istante?- piagnucolò Bill.
-
Quale pazza
potrebbe fare una cosa simile, Bill?- sbottò Tom, alzando
gli occhi
al cielo, per poi tornare a sistemarsi il nodo della cravatta.
-
E tu che ne sai?-
sbraitò il biondo, in preda ad un evidente crisi nervosa.
Tom
sbuffò e decise
di lasciar perdere: in quelle condizioni, Bill era intrattabile.
-
Che ne dici di
rilassarti, Bill?- chiese gentilmente Gordon, porgendo un bicchiere
colmo di vino al ragazzo.
-
Non voglio nulla!-
strillò quest'ultimo, rischiando di far cadere il tutto per
terra –
Voglio solo che questa cerimonia sia veloce o potrei impazzire sul
serio.
-
E' quello che ho
det...- provò a dire scherzosamente Georg, ma fu interrotto
da una
violenta gomitata dritta nelle costole – Simpatico come
sempre-
borbottò, rivolto a Bill, tenendosi la parte colpita
– Mi hai
fatto male accidenti!-
Bill
non rispose e
guardò invece verso il finestrino.
-
Quanto manca?-
chiese poi, rivolgendosi al fratello.
Tom
gli lanciò
un'occhiata stranita e fece per chiedergli come mai lui, lo sposo,
dopo essere stato alla chiesa chissà quante volte per via
dei
preparativi, chiedeva a lui, suo fratello, quanto
mancasse, ma
l'aria isterica del biondo gli fece cambiare idea.
-
Mh...- fece,
osservando il paesaggio fuori dal veicolo – Credo manchino
una
decina di minuti.
-
Gli invitati
saranno già lì?
-
Io non lo so,
Bill...
-
Perché non lo
sai?!- gridò il cantante, in preda al nervoso.
-
Come diamine
faccio a saperlo?- gli rispose a tono il gemello.
-
Sei inutile-
sbuffò Bill, chiudendosi poi in un religioso silenzio, a
braccia
conserte.
Tom
fece per
replicare, ma Gustav lo strattonò per una manica della
giacca,
invitandolo tacitamente a restare muto, onde evitare inutili litigi.
-
Credo che tu abbia
vinto la scommessa Georg- sussurrò allora il chitarrista
all'amico –
Il nostro caro Bill ha perso anche il suo ultimo neurone sano.
* *
Intanto
-
Sei agitata?-
Vera
si voltò verso
Lawrence, stranita.
-
Non sono io a
dovermi sposare, Lawrence- disse, perplessa.
-
Sai bene che non
mi riferivo a quello- le disse Lawrence, lanciandole un'occhiata in
tralice, mentre si fermava ad un semaforo.
I
due erano in
viaggio verso la chiesa in cui si sarebbe tenuto il matrimonio di
Bill e Madison e mancava ormai poco al loro arrivo.
-
Non so di cosa tu
stia parlando- disse Vera, arricciando una ciocca di capelli attorno
all'indice.
-
Non fare la finta
tonta con me, Cooper-
A
quelle parole,
Vera sospirò, sorridendo poi amaramente.
-
Cosa vuoi che ti
dica, Lawrence?- disse – Sto cercando di farmi una ragione
già ora
del fatto che non vedrò più Tom.
-
Tu sei pazza-
commentò Lawrence – Lascerai davvero andare
così l'amore della
tua vita? E soprattutto credi davvero che lui ti lasci andare?
Cioè,
sul serio?
-
Non c'è altra
scelta.
-
Sei una codarda,
Vera- disse duramente il biondo, lasciando spiazzata l'amica
– Sì,
una codarda. Nel timore di soffrire, distruggerai il tuo amore
più
grande – continuò - Beh, sappi che l'amore non
è solo rose e
fiori. Anzi, il più delle volte è sofferenza
– spiegò - Ma
credimi, alla fine dirai che ne è valsa la pena- concluse,
con un
tenero sorriso.
Vera
gli sorrise a
sua volta, senza dire nulla, e non potendo fare altro che trovarsi
d'accordo con ciò che l'amico le aveva detto.
Sì,
era una
maledetta codarda, lo riconosceva.
Ma
perché mai
avrebbe dovuto cambiare? Perché avrebbe dovuto fidarsi
ciecamente
per una seconda volta? Non sarebbe stato meglio essere codarda, ma
non soffrire?
-
Soffrirai
comunque- disse d'un tratto Lawrence, mentre giungevano nel cortile
della chiesa.
Vera
si domandò se
l'amico non fosse dotato del potere della telepatia, ma non disse
nulla, si limitò a sospirare, per poi guardarsi intorno,
vedendo un
sacco di gente uscire dalle proprie auto appena parcheggiate.
-
E dire che una
volta Madison mi ha detto che sarebbe stata una cerimonia per pochi
amici- commentò, osservando un corposo numero di persone
avvicinarsi
alla chiesa.
Bill
non ha il
senso della misura, le aveva detto una volta Tom.
“Maledizione,
perché penso sempre a lui?” si chiese, dandosi poi
della stupida
perché conosceva la risposta: ne era innamorata.
* *
Più
tardi
Tutti
gli invitati
erano arrivati. Bill, testimoni – Tom e la sorella di Jen
–, il
paggetto, le damigelle e anche il parroco Evans erano pronti.
Mancava
solo la
sposa, Madison.
-
E se non dovesse
arrivare?- sussurrò Bill, sopraffatto dal panico.
-
Stai tranquillo-
lo rassicurò il fratello – E' normale che la sposa
arrivi più
tardi.
-
Doveva essere
qui...
- Molto
tempo fa,
lo so, lo so- fece Tom, massaggiandosi con aria esasperata le tempie.
Alzò
lo sguardo e
si guardò intorno, osservando la folla d'invitata che
gremiva
l'interno della chiesa, completamente addobbata nel migliore dei
modi.
Alla
sua sinistra,
verso le ultime file, notò l'inconfondibile ciuffo biondo di
Lawrence, al cui fianco sedeva Vera.
Nel
momento in cui
la vide, Tom sentì il proprio cuore perdere un battito, e si
maledì
per quelle reazioni che aveva alla semplice vista della giovane,
senza però riuscire a toglierle gli occhi di dosso, tanto
che Vera
dovette sentirsi osservata, siccome in quel preciso istante
alzò gli
occhi proprio nella direzione del chitarrista.
Entrambi
arrossirono, distogliendo immediatamente lo sguardo, come due
ragazzini alla prima cotta.
Nella
loro mente era
ancora chiaro il ricordo di quel bacio che era andato a riconfermare
i sentimenti che ciascuno nutriva per l'altro e ciò non
faceva altro
che rendere quella situazione estremamente imbarazzante.
Perfino
quando i
loro sguardi si erano incrociati al momento di entrare e prendere
posto, entrambi avevano assunto un'aria d'indifferenza, ignorandosi a
vicenda e mascherando così il loro impaccio.
-
Quando le parlerai?- chiese Bill, sussurrando nell'orecchio del
gemello.
-
Uh?- fece Tom, fingendo di cascare dalla nuvole – Non ho idea
di
cosa tu stia parlando, Bill.
-
Oh, capisco, il guardare troppo Vera deve averti fuso anche il
cervello- lo schernì il biondo, dimenticando per qualche
secondo il
ritardo di Madison – In ogni caso, sappi che la tua
vigliaccheria
mi ha appena fatto vincere 50 dollari- aggiunse poi, alludendo alla
scommessa fatta con Lawrence tempo prima.
-
Cosa intendi dire?- chiese Tom, perplesso.
Bill
fece per rispondere, quando un rombo a lui familiare fece voltare
tutti verso l'entrata con il fiato sospeso: la limousine con a bordo
Madison aveva finalmente raggiunto la chiesa.
*
*
-
Io vi dichiaro
marito e moglie!-
Gli
invitati si
alzarono in piedi, applaudendo, commossi: il momento tanto atteso da
tutti era finalmente arrivato.
-
Ora,- disse il
prete, rivolgendosi a Bill – può baciare la sposa-
Vera
vide Bill e
Madison guardarsi teneramente, gli occhi lucidi dall'emozione, l'uno
ad un soffio dall'altra e pochi istanti dopo il cantante
annullò le
distanze tra i loro volti, baciando appassionatamente la ragazza.
In
quel momento la
chiesa esplose in un secondo, ancora più fragoroso applauso,
e sul
volto di Vera apparve un luminoso sorriso: il suo lavoro era stato
portato a termine.
Si
voltò alla sua
destra, e strattonò senza troppo forza il braccio di
Lawrence che
osservava incantato coppia.
-
Che c'è?- chiese,
infastidito.
-
Dobbiamo andare-
rispose Vera, con un cenno della testa – Il ricevimento-
aggiunse,
nel vedere l'espressione perplessa dell'amico.
-
Oh...- fece con
aria triste quest'ultimo – Peccato, avrei voluto vederli
uscire
dalla chiesa- sospirò.
-
Sarà per un altra
volta- disse Vera – Ora, forza, andiamo-
Cercando
di non
farsi vedere, la giovane prese il biondo sottobraccio ed insieme si
diressero silenziosamente verso l'uscita.
Una
volta fuori,
Vera prese una boccata d'aria e si sgranchì le braccia.
-
Stare dentro
quella chiesa mi ha quasi ammuffito- fece, sbuffando.
-
Oh, avanti! Devi
sempre lamentarti di tutto!- la rimproverò Lawrence
– Io trovo che
sia stata una cerimonia a dir poco meravigliosa- aggiunse poi, con
aria trasognata, mentre iniziavano ad incamminarsi –
Complimenti,
Cooper.
-
Questo equivale ad
un aumento di stipendio?- scherzò Vera.
-
Non penso proprio-
ribatté secco Lawrence.
-
Beh, io ci ho
prov...- iniziò a dire la giovane, quando però fu
interrotta da una
voce familiare dietro di lei.
-
Ehi! Vera!-
Si
voltò di scatto,
seguita da Lawrence, e i due videro Tom scendere frettolosamente la
gradinata della chiesa e correre nella loro direzione con fare
impacciato a causa dell'abito poco comodo.
-
Dove state
andando?- chiese, una volta giunto di fronte a Vera e Lawrence.
-
Al luogo del
ricevimento- rispose Lawrence – Vogliamo sistemare le ultime
cose-
spiegò. Mentre Vera cercava in tutti i modi di non
incontrare lo
sguardo di Tom, ancora memore del bacio di diversi giorni prima.
-
E' un problema se
Vera rimane qui?- domandò il giovane, con aria lievemente
imbarazzata, quasi come se stesse chiedendo ad un padre il permesso
di uscire con la figlia – Vorrei dirle alcune cose.
-
Oh, certo, non è
affatto un problema!- rispose il biondo, dando una spinta in avanti a
Vera.
-
Ehi, ma...- tentò
di protestare quest'ultima.
-
A dopo!- la
interruppe però Lawrence, facendo l'occhiolino ai due, per
poi
allontanarsi fischiettando, diretto verso la sua auto.
-
Lawrence!- gridò
Vera, invano – Torna subito qui!
-
E' inutile che
strilli- la riprese Tom.
La
giovane sospirò,
irritata dal comportamento dell'amico, e si voltò verso il
moro.
-
Ho visto che
stavate uscendo ed ho creduto che steste andando a casa senza
salutare- disse Tom, quasi giustificando la sua presenza.
-
Mh-mh- fece Vera,
annuendo – Allora...- disse, abbassando lo sguardo
– Devi dirmi
qualcosa?- chiese, mordendosi il labbro inferiore.
Tom
fece per
parlare, ma si ritrovò senza parole, accorgendosi per la
prima volta
di quanto bene stesse quell'abito color pesca su Vera.
La
osservò per
qualche istante, beandosi di quella visione, incapace di pronunciare
qualsiasi frase intellegibile.
-
Sei bellissima-
soffiò, quasi senza accorgersene.
-
Beh... grazie-
rispose con incertezza Vera – Era questo che volevi dirmi?-
chiese
poi, perplessa.
“Non
lasciartela sfuggire. Non di nuovo”
Le
parole che Georg
gli aveva sussurrato in un orecchio quando entrambi avevano notato
che Vera e Lawrence stavano lasciando la cerimonia, sembravano
riecheggiare nella mente del chitarrista, spronandolo a dichiararsi
una volta per tutte.
Bastavano
due
semplici parole.
Ti.
Amo.
-
Come hai detto?-
Tom
scosse la testa,
risvegliandosi dai pensieri in cui era rimasto assorto per qualche
istante, e si accorse di essersi lasciato sfuggire un borbottio
incomprensibile dalle labbra, rendendo Vera sempre più
confusa.
-
Io...- iniziò a dire il giovane,
Avanti
puoi farcela!
-
Vera, io...-
Non
essere codardo!
-
Ti...-
Ce
l'hai quasi fatta!
-
Amo- concluse –
Io ti amo, Vera- ripeté, quasi a conferma di ciò
che aveva appena
detto.
A
quelle parole il
tempo sembrò fermarsi e tutto intorno a loro
sembrò quasi
cristallizzarsi, come se l'intero mondo stesse trattenendo il fiato.
Vera
aveva sgranato
gli occhi, incredula, e per un istante fu tentata dalla voglia di
pizzicarsi un braccio per capire se era davvero sveglia o se stesse
ancora dormendo.
-
Scusa, forse avrei
dovuto fare una specie di discorso iniziale...- iniziò a
dire
intanto Tom, rompendo il silenzio – Non sono pratico di
queste
cose- continuò, gesticolando e senza guardare Vera negli
occhi,
mentre il suo viso si stava vistosamente arrossando - Non so nemmeno
se ho detto le cose giuste, solo che...
-
Tom, stai zitto-
Vera
non pronunciò
quelle parole con durezza, come Tom si sarebbe aspettato: il tono
della giovane, al contrario, sembrava quasi divertito.
Il
chitarrista alzò
gli occhi sul viso della ragazza, notando come le sue labbra, prima
serrate, si erano piegate in un dolce sorriso.
-
Sei un idiota-
decretò – Un grandissimo idiota. L'idiota
più idiota che abbia
mai incontrato, a dirla tutta- disse.
-
Beh, grazie-
fece Tom, inarcando un sopracciglio: lui si dichiarava e l'unica cosa
che aveva in cambio era una sfilza d'insulti?
-
Fammi finire- gli
disse Vera – Sei un idiota, ma sei riuscito in ogni caso a
farmi
innamorare di te. Non so come, a dire il vero, ma ci sei riuscito. E
nonostante tu mi abbia fatta soffrire, io sono ancora qui, sono
ancora pazza di te e mi odio per questo, perché vorrei solo
dimenticarti e dimenticare tutta questa storia, Tom-
continuò, per
poi fare una piccola pausa – Ma non ci riesco. Non ci riesco,
maledizione- aggiunse con tono mesto, abbassando gli occhi –
E sai
perché? Perché ogni volta che sono sul punto di
farcela, tu arrivi
e stravolgi il mio mondo. Come ora- sentenziò, mentre una
piccola
lacrima le solcava il viso – Se tu non mi avessi detto nulla,
alla
fine di questa giornata le nostre strade si sarebbero separate, non
ci saremmo mai più visti e avremmo potuto mettere un punto a
questa
storia.
-
E tu ne saresti
stata contenta, Vera?-
La
giovane alzò di
scatto la testa, stupefatta da quella domanda.
-
Come?- chiese.
-
Ne saresti stata
contenta?- ripeté Tom – Se sì, non ci
metterò due secondi a
sparire dalla tua vita. Basta che tu me lo dica, Vera-
La
mora rimase senza
parole di fronte all'affermazione del chitarrista, e per la prima
volta sentì il peso di una scelta che avrebbe portato a due
conseguenze estreme.
Amava
Tom con tutta
se stessa, ma una relazione con lui implicava solo ed unicamente
caos.
Ne
valeva la pena?
Tra
i due scese il
silenzio, e dopo qualche istante, Tom pensò di essere stato
troppo
brusco.
-
Ehi, senti...
-
Io ti amo, Tom-
sussurrò Vera, interrompendolo – E non voglio che
tu te ne vada-
aggiunse – Perché per quanto questa situazione
possa essere
caotica, nulla potrebbe mai superare il dolore di
non averti
accanto- ammise, più a se stessa che a Tom, per poi
sorridergli.
Calò
ancora il
silenzio, che durò pochi attimi, in cui Tom e Vera si
limitarono ad
occhieggiarsi, incerti.
-
Tutto questo è
assolutamente ed indiscutibilmente...- iniziò a dire il
chitarrista,
senza distogliere gli occhi da quelli della wedding planner.
- Assurdo-
terminò quest'ultima.
Si
guardarono una
seconda volta, questa volta sorridendo, mentre nei loro occhi
brillava una nuova luce. In pochi istanti, però, quei
sorrisi si
trasformarono in risolini divertiti, che degenerarono in grasse
risate.
Risero
solo per una
manciata di secondi, ma quella risata parve loro quasi liberatoria.
-
Avresti mai
creduto di arrivare fino a questo punto?- chiese Vera, mentre ancora
ridacchiava.
-
No- ammise Tom con
onestà – Mai- precisò.
Allargò
di poco le
braccia e, senza dire nulla, lasciò che Vera vi si buttasse
a
capofitto.
Nel
frattempo gli
invitati avevano iniziato ad uscire dalla chiesa, raggruppandosi
vicino ai due lati dell'entrata, in attesa dell'arrivo degli sposi
che stavano percorrendo la navata.
-
Sai,- disse Tom,
accarezzandole il capo - Forse avremmo bisogno di qualcosa di
concreto, di un segno che ci faccia capire che siamo effettivamente
destinati a stare insieme-
Vera
rise ancora,
stringendosi ancora di più al giovane.
-
Può darsi...-
sussurrò, alzando il viso - Almeno nessuno dei due
potrà dire il
contrario- aggiunse.
Tom
si avvicinò al
suo volto, arrivando a pochi millimetri dalle sue labbra. Fece per
baciarla, quando alcuni schiamazzi fecero voltare entrambi verso la
chiesa.
-
Ehi!- diceva
Madison, gesticolando furiosamente – Attenti al...-
La
mora, però, non
fece in tempo a terminare la frase perché il mazzo di rose
bianche
legate da un nastro argentato, che lei stessa aveva lanciato poco
prima, nel tradizionale lancio del bouquet, atterrò tra le
mani di
Vera, rischiando di colpirla in pieno viso.
-
Beh, auguri alla
futura sposa!- gridò qualcuno dalla folla
d'invitati,
riferendosi al famoso detto secondo cui la donna che avrebbe
afferrato il bouquet lanciato dalla sposa, sarebbe stata la prossima
a coronare il proprio sogno d'amore.
Vera
lanciò
un'occhiata perplessa prima alla chiesa e poi ai fiori, ma pochi
istanti dopo un piccolo sorriso comparve sul suo volto, e subito si
girò verso Tom che, come lei, stava aveva assunto
un'espressione
sorniona.
-
Sbaglio, o questo
era il segno che aspettavamo?- chiese.
Tom
non le rispose:
semplicemente prese una delle rose, spezzandone il gambo, ed
infilò
il fiore tra i capelli di Vera, accarezzandole poi dolcemente il
viso.
-
Tu che dici?-
chiese.
E
la baciò.
Before
leaving...
Beh,
eccoci qui.
Dopo
ventuno capitoli Wedding Planner è
giunta al termine.
Finalmente?
Purtroppo? Non so dirvi.
Da
una parte, quando ho postato quest'ultimo capitolo, mi sono sentita
quasi sollevata: insomma, tra scuola e altri problemi, non è
semplice continuare una storia con regolarità –
no, aspetta, quale
regolarità? Lol.
D'altra
parte, però, devo dire che sono così affezionata
a questa storia
che vederla finire mi rattrista.
In
questi mesi sono cresciuta, e con me i miei personaggi –
Vera, Tom,
tutti quanti – e, onestamente, sono orgogliosa di questa
fanfic:
credo di aver raggiunto un livello di stile che non è
minimamente
paragonabile a quello che ho utilizzato nella mia precedente longfic
(Tom's Daughter). Sento di essere migliorata, di
essermi
evoluta, e spero che anche voi lettrici ve ne siate accorte.
Con
questo non voglio certo vantarmi o chissà cosa, solo che per
la
prima volta posso dire di essere davvero fiera del
mio lavoro.
Il
merito, però, non è tutto mio.
Sì,
perché se è vero che sono migliorata nella
scrittura, c'è da dire
anche che voi – sì, voi –
lettrici avete reso tutto
questo possibile.
Come
tralasciare infatti tutte le vostre recensioni, i vostri complimenti
e il vostro supporto?
Non
vi nomino, perché ho paura di dimenticarmi di qualcuno e non
voglio
sembrarvi ingrata o maleducata, ma credo che ognuna di voi sappia che
sto parlando di lei.
Non
so che dire, davvero.
Sono
profondamente orgogliosa della storia ed incredibilmente grata a chi
l'ha letta, seguita e recensita.
Grazie,
grazie a tutte voi.
Dalla prima all'ultima, siete state tutte parte integrante di questo
“progetto” e se sono qui a scrivere la nota finale
dell'ultimo
capitolo è perché voi mi avete spronata a
continuare a scrivere e
non a mollare tutto dopo una manciata di capitoli.
Grazie,
grazie e ancora grazie, perché scrivere è
ciò che mi dà forza, e
il ricevere così tanto sostegno da voi non mi rende che
più sicura
di me.
Ora
dovrei scrivere qualcosa come “oddio, piango”,
perché, sì,
siamo giunti alla fine della nostra (amata?) WP.
Ma
voi conoscete il detto “chiusa una fic,
se ne apre
un'altra”?
(Ok,
l'ho inventato io).
Beh,
voglio solo dirvi di non disperare, perché sentirete ancora
parlare
di me.
E
non con una longfic nuova di zecca, con nuovi personaggi e nuove
situazioni, ma bensì con *rullo di tamburi* un
sequel.
Sì,
avete letto bene, Aliens.
Ci
sarà un sequel di questa storia.
Insomma,
non avrete mica pensato di liberarvi di me così? Mah.
Ora
vi lascerò qualche istante per assimilare la notizia.
Bene,
rieccomi.
Non
vi anticiperò nulla
di questo sequel, se non la copertina, che troverete alla fine della
nota e che già vi fa capire che i nostri Vera e Tom (i
Cooperlitz?
Dai, diamo loro questo nome) non saranno gli unici protagonisti della
storia.
E
poi ovviamente ritroveremo Bill, Madison, Lawrence, Marcy...
Aaaah,
ancora non me sono andata e già voglio tornare.
Beh,
credo di aver parlato
scritto abbastanza e di non aver più nulla da annunciare o
da dire,
se non un ulteriore e sincero grazie
dal profondo del mio cuore.
Non
so dirvi
quando pubblicherò la nuova fanfic, perciò
tenetevi pronte! Potrei
postare a un momento all'altro!
Nell'attesa,
però, potrei pubblicare qualche OS qua e là
– sapete che non so
stare ferma.
Ancora
grazie
per questo meraviglioso viaggio che abbiamo compiuto insieme, dallo
scorso aprile fino ad oggi.
Vi
aspetto tutte
quante alla pubblicazione di Gegen Jedes Gesetz!
Un
bacio
grandissimo
Heilig
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