La prima volta che disse t' amo, serbala nel cuor tuo

di Sam Lackheart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.1 You can't love me, you idiot! ***
Capitolo 2: *** 1.2: why don't you love me? ***
Capitolo 3: *** 1.3: will you still love me ..? ***



Capitolo 1
*** 1.1 You can't love me, you idiot! ***


Gliel' aveva detto molte volte, a cusa della sua mania di grandezza anche a parole - uno dei suoi miliardi di difetti e, ad occhio, uno dei peggiori.
"I love you!" 
Certo, l' ultima volta lui aveva solo pochi anni di vita, e viveva ancora con lui, ma comunque non era la prima volta che glielo sentiva dire, quandi non fece l' effetto sperato.
Questa volta, gliel' aveva detto avviciandosi timidamente a lui - timidamente? E perchè? - e cercando di prendergli la mano, che però l' inglese tenne saldamente stretta al giornale che aveva poggiato sulle ginocchia quando aveva sentito qualcuno che balbettava il suo nome - e da quando balbettava?
Lo guardò fisso negli occhi, e poi parve cogliere il senso.
"Oh, intendi seriamente?" chiese, visibimente stupito.
L' americano abbassò lo sguardo, sorridendo "Sì, seriamente"
"Ah. Allora no" disse, tornando alla lettura del suo preziosissimo giornale. Chissà perchè l' aveva interrotto, per una sciocchezza del genere!
"No?!" chiese l' americano, alzando lo sguardo. Non che si aspettasse rose e calici di champagne, ma qual rifiuto avrebbe potuto anche fargli male, se non fosse stato un eroe, ovvero se non avesse avuto un ego spropositato "Almeno avrsti potuto aspettare che te lo chiedessi"
"Chiedessi cosa?"
"Beh, sì ... se mi amavi anche tu"
"Oh, non ho detto questo. Tu hai detto di amarmi, e io ho risposto di no, nel senso che non è vero, tu non mi ami" 
"Ma non è vero!"
"Ti prego, ti conosco meglio di te, quindi fidati, non sei innamorato di me, o qualunque altra cosa ti sia venuta in mente"
"Ma sì invece!"
"Ti ripeto di no, e ti prego di lasciarmi finire il mio giornale, non ho molto tempo da perdere con queste cose"
"Perchè dici così? Non ti mentirei mai, lo sai!"
"Ok, allora dimmi" disse, distogliendo lo sguardo dal giornale e fissandolo su quello dell' americano "Perchè?"
"C - come?" 
"Ti ho chiesto di espormi le ragioni del tuo così profondo amore" rispose sarcastico l' inglese, roteando gli occhi al cielo.
"Perchè mi piace il tuo senso dell' umorismo, anche se non lo capisco sempre. Mi piace la tua voce quando canti.  Mi piace il colore dei tuoi occhi quando ti arrabbi, e qesto succede molto spesso, specialmente quando parli con me, o Francis. Mi piaci perchè nonostante i tuoi tentativi di allontanare tutto e tutti sei riuscito a tenerte strette le persone giuste"
L' inglese sospirò infastidito da tutta quella melassa appiccicosa di complimenti. Fossero stati veri, poi ... 
"Sì, certo. Ti ripeto che non sei innamorato di me, certo mi vuoi bene perchè ti ho cresciuto io, è normale che ti provi qualcosa per me, ma ti assicuro che non è amore, quindi ti prego di lasciarmi finire il mio giornale in santa pace" 
"Ti dimostrerò che ti sbagli!" esclamò l' americano, ferito ma troppo orgoglioso per mostrarlo "Ti dimostrerò che ti amo, e che mi ami anche tu" concluse, serio, uscendo dalla stanza appena in tempo, visto che il giornale che teneva tra le mani Arthur era vecchio di una settimana e non lo stava leggendo ma lo usava come scudo per nascondere le sue guance porpora.
"Stupido idiota, non mi ami, perchè continui a ripeterlo? Non capisci che sarò costretto a sognare le tue parole, stanotte?" sussurrò, con lo sguardo spento sulla prima pagine del giornale, con una grande foto di un politico.
 
"Francis!" urlò Alfred, entrando senza bussare nell' atrio della grande casa barocca che distava poche centinaia di metri da quella di Arthur.
"Mon dieu, Alfred, che succede?"
"Non ha funzionato, quindi tu" e qui fece una pausa teatrale indicandolo con il dito "Sei ufficilmente il mio aiutante"
Francis trattenne a stento una risata e un sospiro insieme.
"Descrivimi la scena" si rassegnò, facendo accomodare tacitamente l' americano sul divano rosa confetto, regalodi Polonia stranamente accettato. 
"Io continuavo a dirgli che lo amavo, ma lui continuava a tenere qual maledetto giornale davanti alla faccia e mi rispondeva come si farebbe ad un bambino!"
"Comprensibile, ha fatto così anche con me..."
"Prego? tu ti sei dichiarato ad Arthur?"
"Alla festa del mese scorso, ero ubriaco!"
"Lo ero anch'io in effetti"
"E tranquillo, non mi interessa Arthur, ho un' altra ... preda"
"E chi è? Lo conosco?"
"Di vista, credo ..." disse vago il francese, ritenendo che dirgli della sua nuova cotta per il suo fratellino sarebbe stato un pò troppo.
"Cosa devo fare?"
"Scopri cosa avete in comune, è da qui che si costriuscono le grandi storie d' amore!" Alfred notò uno strano luccichio negli occhi dell' altro.
"Cose in comune ... La lingua?"
"Tutto qui?"
"Siamo biondi tutti e due ..." continuò l' americano incerto.
"Oh mon dieu" eslamò Francis, portandosi teatralmente una mano sulla faccia "Sei cresciuto con lui ed è tutto qui quello che avete in comune?"
"Ho paura di sì .. ma cosa devo fare allora?"
"Scopri i suoi passatempi, cerca di appassionarti alle cose che gli piacciono, così finalemente riuscirà ad arire gli occhi ... per il momento non posso dirti altro!"
"Che giorno è oggi?" chiese di colpo l' americano, con una strana luce negli occhi.
"Venerdì, perchè?"
"Perchè stasera è la sua serata della maglia, magari protrei ...."
"Hai detto maglia?" lo interruppe Francis, sgranando gli occhi.
"Lo sai com'è fatto,  perlomeno questa è una delle cose più divertenti che fa! Baterà solo imparare ... insomma, s riescono a farlo vecchine di cent' anni a velocità supersonica io ci metterò cinque minuti ad imparare!"
Ragionamento sbagliato.
"Adesso che ci penso ... sarà meglio che ci vada impreparato ... così mi insegnarà lui!" 
"Perfetto" disse Francis mentre cercava di capire come aveva fatto quell' americano ad annodare il filo così stretto attorno alle sue dita, che stavano assumendo un colorito via via meno rassicurante.
 
"Finalmente mi hanno lasciato in pace tutti" pensò entusiasta l' inglese, prendendo il suo cesto e posizionandosi vicino al camino: fuori pioveva a dirotto, quindi cosa c' era di meglio se non stare chiuso in casa da solo a fare la sua solitaria maglia tutto da solo?
Niente.
Avava appena iniziato la manica sinistra del magioncino verde per Selie, la fatina che lo veniva a trovare ogni tanto, e che era sempre raffraddata, specialmente con la pioggia: almeno in quel modo sarebbe stata al caldo!
Quasi gli venne un colpo quando sentì bussare alla porta, con fare troppo esuberante per essere quello di Selie. E, in effetti, adesso che ci pensava, la fatina non bussava affatto.
Si alzò più riluttante che mia, pronto a liquidare l' inaspettato visitatore - e quando mai ce n' era qualcuno di aspettato? - in poco tempo.
"Alfred?" chiese irritato, nonstante fosse palese la figura dell' americano, completamente bagnato, i capelli appiattiti sulla fronte e gli occhiali bagnati che scolorivano l' azzurro dei suoi occhi. Gli venne voglia di gettarli a terra quegli occhiali, improvvisamente odiati.
"Mi farai entrare, prima o poi?" chies scherzoso l' americano, cercando di poggiarsi - come aveva visto fare un miliardo di volte nei film - alla porta ma ricavandone solo un imbarazzante scivolone.
L' inglese si scansò bruscamente, lasciandolo entrare. Guardò con aria dispiaciuta il suo pavimento pulito, il suo incantevole pavimento pulito, il tappeto lindo e in fine il suo superlativo divano immacolato ... fino ad un attimo prima.
"Ancora la maglia?" chiese l' altro, con un tono di stizza nella voce: dopo l' orribile esperienza di poco prima, aveva il terrore di quei ferri maledetti. 
"Ti interssa davvero?" 
"Sei più burbero del solito"
"E tu più rincoglionito, visto che ti comporti come se cinque ore fa tu non fossi stato qui a dirmi che mi amavi. Visto che facevo bene a non crederti, stupido americano obeso?" pensò Arthur, mentre rispondeva con una semplice alzata di spalle.
"A causa di quello che ti ho detto prima?" chiese più cauto, fissando i suoi occhi nello sguardo impenetrabile dell' altro.
"Ma ti ascolti a volte quando parli o ti capita di avere black out?" 
"Allora è un sì" concluse divertito Alfred, che riprese, allo sguardo interrogativo dell' inglese "Usi il sarcasmo quando non vuoi rispondere alle domande"
"Uso il sarcasmo per farti capire che sei un idiota evitando di dirtelo esplicitamente" spiegò annoiato "Viso che nella maggior parte delle situazioni sociali è considerato sgarbato"
"Perchè non riesci ad accettarlo?" Alfred accantonò il proposito di conoscerlo meglio: lui era un eroe, come poteva non ricambiare il suo amore? Semplicemente assurdo! Il problema era più profondo, e lui l' avrebbe scoperto. 
"Tu, tu ..." iniziò l' inglese. Decise di calmarsi, per il bene di entrambi - e del suo analista "Hai la vaga idea di cosa significhi questo per me?"
"So che ti è difficile aprire il tuo cuore agli alt-"
"E non ti sei mai chiesto perchè?Non ti ha mai neanche sfiorato il dubbio che potesse essere per colpa tua?"
"Colpa mia?!"
"Credi davvero che voglia davvero allontanare sistematicamente tutti quelli che mi stanno attorno? Credi che non vorrei anch'io possedere un briciolo dell' autositma che hai tu? Diamine, sono un essere umano anch'io! E come tutti gli esseri umani, cerco l' amore. Ma quando ho iniziato a apire che non era roba per me, fui abbastanza lucido per dire che non mi importava. Ma la verità è che ... Non riesco ad amare perchè non riesco ad amarmi, e non riesco a farlo perchè ... ho paura che sarei l' unico, se lo facessi"
"Ma ti ho appena detto che ti am-"
"Certo, ma questo me lo dicevi anche prima di ... Andartene. Perchè questa volta dovrebbe essere diverso?"
"Perchè sono ... Perchè siamo cambiati" 
"Ma davvero? E che cosa è cambiato, sentiamo? A me sembri lo stesso pomposo idiota megalomane obeso"
"E tu sei sempre l' odioso inglesino nevrotico, se è per questo"
"Appunto"
"Cosa ti fa pensare che non ti amassi anche prima?"
"Non lo so, forse il fatto che mi hai abbandonato è un ottimo punto di partenza"
"Per quanto tempo ancora mi rinfaccerai questa cosa?"
"Non mi hai davvero chiesto quello che mi hai appena chiesto" sussurrò l' inglese, definitivamente sull' orlo di una crisi di nervi "Senti, sei un idiota senza speranza, quindi esci da casa mia e non farti più vedere. Dovresti esserci abituato, a sparire, no?"
Di solito, Alfred non era tipo da arrendersi. Ma quella volta ... c' era qualcosa, nel tono di Arthur, che lo fece desistere. Abbassò lo sguado, colpevole, e uscì, con delle movenze decisamente poco eroiche.
"Vedi che non ti importava neanche più di tanto?" sussurrò a mezza voce l' inglese, rivolto al nulla. 
Con Alfred, si era reso conto, avrebbe solo sofferto. 
Dal canto suo, l' americano sapeva che quello era solo il primo atto.
 
** note **
In effetti, questo è solo il primo atto *risata malefica*
E, sulle note di "Just can't get enough", mi dileguo!
Critiche, insulti, divagazioni sul tema sono graditi!

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Capitolo 2
*** 1.2: why don't you love me? ***


Dopo quella disastrosa serata passò una lenta settimana, placidamente, senza che niente si muovesse di un solo millimetro. 
Arthur si accorse che era già adeguatamente abituato a sfuggire gli sguardi e i tentativi di approccio dell' americano - gli unici cambiamenti risiedevano nei motivi di tale distacco: dalla paura di poter esternare i suoi veri sentimenti alla crudele realtà che l' avrebbe fatto, se fosse rimasto da solo con lui.
Il primo cambiamento a quella che per entrambi era una tremenda situazione di stallo avvenne una nuvolosa mattina londinese, e una chiamata inaspettata dall' ultima persona da cui Arthur si sarebbe aspettato di ricevere una chiamata. 
"Pronto?"
"Da, Inghilterra?"
"Russia?"
"Da"
Calò un silenzio imbarazzante: Arthur era ancora visibilmente stupito, mentre Ivan non era mai stato bravo nelle telefonate - non sarà certo necessario ricordare ai lettori quel fantomatico telefono rosso.
"Hai bisogno di qualcosa?" chiese esasperato l' inglese. 
"In effetti sì. E' un problema per te venire a Mosca? C'è qualcosa di cui vorrei parlarti con urgenza"
"E' successo qualcosa di grave?" domandò allarmato l' inglese: il russo non chiamava mai, se non per annunciare ambigui piani di trattative.
Ma un "tu tu tu" impersonale arrivò alle sue orecchie, non lasciandogli nessuno scempo se non quello di partire immediatamente. 
Per un attimo, aveva pensato che si trattasse di un piano di quell' idiota di un americano, o di Francis - tanto per precauzione, aveva interrotto i contatti anche con lui. In realtà ci stava ancora pensando, da paranoico compulsivo quale era, quando bussò con decisione alla porta bianca della villa di Ivan, ma il russo non era esattamente propenso a quel tipo di favori, specialmente nei confronti dell' americano.
Per questo, e solo per questo - come si convinse in seguito - il suo cuore iniziò a palpitare con la veemenza di un cavallo impazzito quando riconobbe le gambe, avvolte da un pantalone grigio, di Alfred, che dondolavano dal bracciolo del divano rosso che dominava il salone d' ingresso.
Non impiegò molto a fare due più due, e capì che quella era una trappola bella e buona. Era tentato, davvero, di girare i tacchi e andarsene, ma qualcosa, dentro di lui, gli disse che non poteva scappare per sempre: aveva già cercato di farlo, e non ci era riuscito. 
"Come lo hai convinto?" chiese, brusco, sedendosi di fronte all' americano che non si preoccupava neanche di celare la soddisfazione che gli procurava la sua presenza. Era da una settimana che aspettava quel momento, e il solo rivederlo lo pervase di una gioia tale che gli sarebbe volentieri saltato addosso, come faceva quando era una piccola colonia, e l' inglese tornava fiero delle sue conquiste marittime, e lui si sentiva onorato di farne parte. 
Scosse la testa, sapendo bene che non doveva far infuriare l' inglese: non poteva perdere quell' occasione. 
"Veramente il merito è di Francis ... Non conosco esattamente l' accordo, ma a grandi linee comprende che una certa persona si trovi casualmente nella stanza di Ivan, questa notte"
"Tipico di Francis" pensò amareggiato l' inglese, che chiese - tanto per posticipare un possibile cambio di argomento "Una certa persona? Gilbert?"
"Come fai a saperlo?" l' americano sgranò gli occhi, quasi inorgoglito dall' astuzia dell' inglese che gli stava davanti e che in fondo si sentiva fiero del suo intuito. 
"Non ci vuole poi così acume ..." disse, minimizzando piacevolmente quello che aveva notato ormai da tempo "E tu come hai convinto Francis?"
"Oh, veramente non ce n'è stato bisogno" 
"E perchè?"
Alfred aspettava quella precisa domanda, e aveva provato così tante volte la risposta giusta da averne quasi la nausea, quando disse "Perchè lui sa"
"Sa cosa?"
"Che siamo l' uno l' unica fonte di felicità dell' altro"
L' inglese rimase basito e dir poco disgustato. 
"Fammi indovinare: te l' ha detto lui di dirmi questo, vero?"
"No" si affrettò a dire l' americano.
"Ti conosco troppo bene ... non sai mentirmi" 
Tronfio di quell' ultima considerazione, Arthur alzò lo sguardo e per la prima volta lo fermò su quello dell' americano, trovandoci però non l' imbarazzante consapevolezza di essere stato scoperto che si aspettava: sembrava quasi felice, elettrizzato dalla loro conversazione. 
"Se sai quando mento, perchè non mi credi, quando ti dico che ti amo?"
"Mentire è diverso da avere stupide idee in testa" lo rimbeccò l' inglese, spostando lo sguardo. Usava quella parola con troppa disinvoltura per permettergli di pensare che non fosse usata a sproposito. 
"Stupida idea? Davvero?"
"Senti. Ti ho già fatto questo discorso, ma evidentemente la tua memoria a breve termine era andata ad ordinare una porzione di patatine firtte mentre te lo dicevo. Quello che dici di provare per me ... è tenero, davvero. Ma è solo un affetto edipico amplificato dalla lontananza, e lo sai, nel profondo, tu sai che ho ragione" 
"Anche se per una volta vorrei sbagliarmi" pensò subito dopo, mordendosi la lingua. 
"Puoi tentare di trovare tutte le spiegazioni che vuoi, davvero, non mi importa. Le tue parole potranno ferire chiunque, ma non me. So che cosa nasconde davvero il tuo cuore, e sono pronto a lottare, per te, non mi importa quanto sarà degradante, o autostruttivo"
"Davvero? Non ti importa? Ma se sei venuto fino a Mosca per parlarmi, per assicurarsi che nessuno vedesse la grande America dichiarare i propri sentimenti! La verità è che sei così attaccato alla tua immagine che proprio non ce la faccio a pensare che possano esistere dei veri sentimenti d' amore che non siano rivolti verso di te" disse stizzito l' inglese, non trovando rifugio migliore dell' aggressività.
"E' quello che credi davvero?" 
"Sì" sapeva bene di essere stato brutale, e lo capì ancora meglio quando vide le spalle larghe dell' americano uscire dalla porta. 
"Arthur Kirkland, sei un vero idiota" pensò, prima di uscire anche lui, nella desolata consapevolezza di star portando l' unica fonte di possibile feicità il più lontano possbile da sè.
 
Francis rimase a bocca aperta: conosceva fin troppo bene il cinismo dell' inglese - era stato lui il primo a farne le spese - ma non poteva essere arrivato a tanto. 
"Questa è la prova decisiva, mon cher: ti ama"
"Ma cosa stai dicendo? Non hai sentito quello che ti ho appena raccontato?"
"Pauvre Amerique ... non capisci, n' est pas? Lo rendi vulnerabile, con le tue parole, per questo si comporta così. Ha paura, nessuno gli aveva mai mostrato questa dedizione, e il fatto che venga da te, poi ... non lo aiuta. E' confuso: stai mandando all' aria secoli di impostazione rigorosamente pessimistica, per lui non è facile rinunciare alla sua misantropia, anche se vuole farlo"
"Neanche per me è poi così semplice, sai?"
"Sai come è fatto ... E' anche per questo che ti piace, no?"
"Sì, ma cosa dovrei fare?"
Francis fece finta di pensarci, ma aveva già bene in mente un piano. 
"Terapia d' urto. Fai quello che ti riesce meglio"
"Ovvero?"
"Esagera"
 
Quella mattina, alla consueta riunione, Alfred era assente, e l' inglese non riuscì a sentirsi in colpa - un sentimento che in realtà non l' aveva mai abbandonato, da quel giorno a Mosca.
"Dov'è America?" chiese Ludwig, mentre inforcava gli occhiali.
"E' occupato in altri ... affari" si affrettò a giustificarlo Francis, osservando con la coda dell' occhio la reazione dell' inglese, che non potè fare a meno di sentirsi chiamato in causa. 
"Va bene, cominciamo senza di lui" 
 
"Estenuante, non credi?" chiese, dopo un paio di ore, Francis, affiancandosi all' inglese che camminava spedito.
"Cosa vuoi, frog? Non sono in vena"
"Tu non lo sei mai ... volevo parlarti"
"Di cosa?" chiese annoiato, come se non lo sapesse.
"Pensi che pioverà?"
"Eh?"
"Non so, da te non fa altro che piovere, quindi ... mi chiedevo se tu riuscissi a fare le previsioni meteo solo guardando il cielo"
"Hai fumato, per caso?" chiese stizzito l' inglese, stupito di trovarsi fuori dal balcone: in quel momento capì che c' era qualcosa di sospetto nell' improvvisa schizzofrenia del francese e, seguendo il suo sguardo ammiccante, si decise a guardare in alto, assecondando il suo folle piano. 
"Comunque non credo, è una bella giorn-" per poco non si soffocò con l' aria che stava inalando. 
Seppur non perfettamente delineata, una grande scritta bianca sorvolava il cielo, appena tracciata da un aereoplano che stava per atterrare nel cortile sul retro. 
Oh, l' avrebbe ucciso, quel dannato americano.
In cielo spiccava la scritta, imbarazzante quanto grande, che recitava "I love Arthur Kirkland" e, poco sotto, un' imbarazzante "A", rossa come lo era l' inglese, pronto ad esplodere. Non poteva averlo fatto davvero. Forse era solo un incubo, arrivò a pensare, e sperò con una punta di follia di svegliarsi, dandosi un pizzicotto sulla mano. Non accadde nulla. 
Ignorando i commenti di Francis e cercando inutilmente di non notare le reazioni di tutte le nazioni, che per qualche maledetto motivo erano tutte fuori, Arthur si diresse senza indugi verso il cortile sul retro, sicuro di trovarci il sorriso sornione dell' americano che lo aspettava a braccia aperte, sicuro di aver fatto colpo. Oh, un colpo ci sarebbe stato, ne era sicuro.
"Jones!" urlò, chiudendo con violenza la porta antipanico del capannone dove tenevano gli elicotteri privati. 
Lo vide scendere dall' apparecchio e togliersi il casco come il più beato tra gli uomini. Credette di stare per impazzire definitivamente, staccare un' elica da qualche parte e fare in modo che non rimanesse neanche un pezzettino visibile di Alfred F. Jones. 
"Piaciuto?" chiese, gaio come non mai.
"Come ha fatto il pensiero che una cosa del genere mi sarebbe potuta piacere sfiorarti quel cestino della spazzatura che l' opinione pubblica chiama erroneamente cervello, lurido cazzone? Davvero, ti capita di avere dei vuoti mentre fai finta di pensare o cosa? Perchè non provi l' inebriante sensazione di collegare quel buco nero che hai in testa con il resto del corpo?" 
Gli insulti dell' inglese - che, sapevano entrambi, sarebbero potuti andare avanti per ore - furono prontamente interrotti dalle braccia dell' americano che, afferratala vita di Arthur, lo sollevarono e lo fecero girare.
"E adesso lasciami, ritardato mentale! Che cazzo pensi di fare?"
"Questo" sussurrò l' americano, prima di unire velocemente le sue labbra a quelle socchiuse dell' inglese, che per un attimo perse la concezione di tutto quello che lo circondava, inebriato dal sapore e la morbidezza delle labbra dell' altro, mista a un lieve sentore di carburante. 
Ma durò solo un attimo.
Arthur si scansò velocemente e, prima che l' americano potesse solo rendersi conto di quello che stava succedendo - ma in fondo, quando accadeva? - piazzò un pugno nello stomaco dell' altro, prima di andarsene, frantumando la serratura della porta. 
"Qualcosa mi dice che si è offeso" pensò l' americano, che però non riuscì a smettere di sorridere: aveva visto il rossore sul volto dell' inglese, e non era sicuramente rabbia. 
 
*** note ***
Vabbè, poco in ritardo, cosa potrei aggiungere? Mi sono divertita da matti ad insultare Alfred. 

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Capitolo 3
*** 1.3: will you still love me ..? ***


1.3 "Forse non è stata una grande idea" disse, per la centesima volta, Alfred, osservando il bicchiere mezzo vuoto di milkshake alla fragola - il decimo che buttava giù, sotto lo sguardo allibito e lievemente disgustato di Francis, che ormai si era autoeletto a Cupido, in quella storia.
"Perchè dici così? Insomma, non pensavi mica che si sarebbe gettato alle tue braccia, dopo quello che hai fatto"
"A dire il vero una piccola parte di me lo sperava, ma in effetti era poco probabile. Forse non avrei dovuto attentare alla sua sensibilità in questo modo"
"Si chiama terapia d' urto per un motivo ... e non preoccuparti, cosa credi che possa fare Arthur? Ti terrà il broncio per un pò ... ma non succederà niente di grave, non temere"
"Già, forse hai ragione. Non ho motivo di preoccuparmi, giusto?"
Sbagliato.

Arthur si fermò per un attimo ad osservare lo strapiombo che dominava il piccolo lago. Da lì, pensò immediatamente, avrebbe potuto gettare Alfred senza problemi, e vederlo spappolato sulle rocce.
Nah, troppo poco british. La sua doveva essere una vendetta di classe. Ecco perchè aveva deciso di rivolgersi alla persona più vendicativa e crudele che conoscesse. Suonò il campanello, e un' inquietante melodia funebre risuonò per il castello imponente e massiccio.
"Tu. Vendetta. Ora" disse, appena la porta si aprì e ne uscì un ragazzo che non dimostrava più di vent' anni, con una camicia bianca sbottonata e un kilt.
"Ho sempre amato il tuo dono di sintesi, fratellino" disse Ian, per niente sorpreso "Ma vedi, sarei impegnato ... ti dispiace?"
Arthur stava quasi per arrischiarsi a chiedere in cosa esattamente fosse impegnato, ma un "Ian" miagolato da dentro la stanza gli fece capire tutto. Non aveva mai avuto dei costumi sobri, dai tempi di James I.
"Veramente sì, mi dispiace per circa venti motivi diversi ... puoi liberarti?"
"Non è se posso, ma se voglio"
"Onestamente, pensi davvero che non abbia la faccia tosta di entrare e sedermi commodamente nella stanza accanto in attesa che finiate tutto?" lo sfidò l' inglese, con la mani sui fianchi. Certo, Ian era un dannato genio del male, ma neanche lui scherzava.
"Ok, non ti scaldare ... ragazze, la festa è finita!" urlò il rosso, spalancando di più la porta.
"Ragazze?" pensò inorridito l' inglese, mentre tre corpi mezzi nudi gli passavano davanti e, ignorandolo palesemente, entrarono in una limousine che ripartì subito, segiute a ruota da un cane con uno strano collare di pelle.
"Giuro che non so neanche io da dove venga quel cane" si affrettò a dire, alzando le mani
"Sei disgustoso" sentenziò, entrando.
"Oh, risparmiami la paternale e parliamo di cose più serie ... chi è? Lo conosco?" nonostante non lo desse molto a vedere, il cervello di Ian era già entrato all' opera. Adorava fare quel tipo di cose, ne ricavava un piacere quasi perverso. 
"Non ti riguarda"
"Allora lo conosco"
"Mi aiuterai?"
"Cosa avrò in cambio?"
"Tutto quello che vuoi"
"Ah, e dire che avevo una lista sempre pronta da qualche parte per queste evenienze ... forse l' ho lasciata nel kilt con le tasche. Quindi ho paura che dovrai darmi carta bianca, per la ricompensa"
"Credi davvero che sia così disperato?"
"Vediamo un pò ..." disse, accarezzandosi il mento con un lieve accenno di peluria "Sei venuto fin qui, sopportando di stare nella stessa stanza nella quale fino a dieci minuti fa ... beh, non c'è certo bisogno di dirti cosa stava succedendo, a chiedermi aiuto. Quindi sì, sei molto disperato"
"E va bene, tutto quello che vuoi"
"Allora direi che abbiamo un accordo" concluse soddisfatto Ian, porgendo la mano ad Arthur.
"Credi davvero che ti tocchi dopo quello che stavi facendo?" chiese inorridito l' inglese.
"Ho capito, vado a farmi una doccia e arrivo, moralista puritano"
Ignorando l' insulto, Arthur si accomodò meglio sullo sgabello della cucina e iniziò a riflettere, cosa che in realtà non aveva mai smesso di fare da quel maledetto giorno.
Era arrabbiato con Alfred? Come non lo era mai stato con nessuno, certo. Si era chiuso in casa per cercare di far sparire l' imbarazzo, ma ogni volta che si guardava allo specchio si sentiva morire. Ma era davvero la vendetta quella che cercava? Per forza! Cosa avrebbe dovuto fare? Perdonarlo, magari dopo qualche ora di insulti vari? Ma se non lo ascoltava neanche! Aveva bisogno di qualcosa di eclatante.
Sì, era la cosa più giusta da fare, al diavolo i detti pacifisti: con la vendetta, pensò, avrebbe forse trovato quella tranquillità interiore che in fondo non gli era mai appartenuta davvero, una sorta di grottesca pacificazione con il karma.
"Avevi qualcosa in mente?" chiese Ian, sedendosi di fronte al biondo che scosse lentamente la testa.
"Beh, direi niente di fisico - sei mingherlino rapportato a qualsiasi essere umano, e non penso tu ti voglia vendicare di uno gnomo, anche perchè sai che non ci riusciresti ... c'è bisogno di qualcosa di sottile"
"Non è tipo da cose sottili"
"Un video? Con la cosa che lo spaventa di più ... insomma, sembra che tu lo conosca bene, quindi dovresti saperlo. E' un classico, e potrebbe essere banale, ma al momento ..."
"Non so, non mi convince ..."
"Ci sono!" esclamò di colpo il rosso, battendo il pugno sul tavolo "Lo conosci, no? Allora vai a casa sua, iniziate a parlare e fai finta di perdonarlo, poi arrivo io e consegno il video, tu lo convinci a vederlo subito e filmi la sua reazione, poi la carichi su internet o cose del genere!"
Gli occhi verdi dell' inglese si illuminarono.
"Sei un genio!"
"Già, direi che mi sono meritato la mia ricompensa ..."
"Quanti soldi mi toccherà sborsare questa volta?" chiese sconsolato Arthur, passandosi una mano tra i capelli.
"Neanche una sterlina, my dear"
"Non so se esserne felice o preoccupato"
"Pensaci dopo, adesso dobbiamo montare il video" disse sbrigativo Ian, senza nascondere un sorriso sornione, al solo pensiero.

Avevano fatto un lavoro dannatamente perfetto: un pò di sana violenza di Kubrick e Stone, un pizzico di pulp da Tarantino, un tocco di sovrannaturale da Coppola e accenni sempre efficaci a King. Il risultato metteva i brividi anche a loro due.
Solo grazie a questa sicurezza Arthur si convinse a bussare alla villa dell' americano, sapendo che dopo esattamente due ore sarebbe arrivato Ian a consegnare il video. Aveva impiegato non poca fatica e ingegno per nascondere al rosso che fosse la "vittima": per qualche occulto motivo, non voleva che si sapesse in giro, forse per non mostrare il fatto che in fondo quello che Alfred aveva fatto non l' aveva solo fatto sentire in imbarazzo. Sapeva che Ian l' avrebbe capito subito, e non voleva cambiare idea, anche se una piccola vocina nella sua testa continuava a ripetergli che stava facendo un enorme, inutile errore.
"Damn, Arthur. Ce la puoi fare! Non era quello che volevi?" si chiese, mentre la porta veniva aperta.
Il volto dell' americano, dopo pochi momenti di puro sgomento, si illuminò di una felicità che all' inglese sembrò sproporzionata.
"Arthur!" esclamò, trattenedosi a fatica dal prenderlo e sollevarlo in aria.
"No, la fata turchina"
rispose irritato l' inglese, scostando velocemente la mole dell' americano ed entrando.
Sedettero uno di fronte all' altro, in un silenzio di tomba, l' americano troppo eccitato per parlare, l' inglese troppo irritato per mantenere il suo tanto celebre aplomb britannico. 
"Non pensi di dovermi delle scuse?" chiese alla fine, resistendo per la bellezza di quarantatrè secondi senza aprire bocca.
"Sinceramente no. Mi hai quasi costretto a farlo, ammettiamolo. E ne ho ricavato esattamente quello che volevo" rispose dopo un attimo di esitazione l' americano. Si era stufato di quel gioco, doveva ammetterlo, e voleva scoprire tutte le carte.
"E non capisci che ti sei reso ridicolo di fronte a tutti?" con un megalomane del genere, pensò l' inglese, conveniva spostare il discorso su di lui, per essere ascoltati.
"E tu non capisci che non mi interessa di tutti? Santo cielo, te l' avrò detto così tante volte da sentirmi male, io ti amo, e non mi interessa di nessun altro. Che pensassero quello che vogliono, sai che me ne faccio dei loro commenti! A me interessa solo di te, e dovresti averlo capito"
In quel preciso istante, Arthur capì Alfred lo amava davvero. Non seppe ami cosa scattò nel suo cervello - qualche strano meccanismo di autodifesa si ruppe. Sentiva cadere le sue mura come una grande cascata di occasioni perse. Sentiva che non poteva fare più nulla: era stato messo alle strette dal suo stesso subconscio, che lo aveva spinto a presentarsi a casa sua e a chiedere ad Ian di aspettare due intere ore.
Era tempo di agire.
Per prima cosa si diede dell' idiota, con un fervore che non aveva mai usato prima.
Come seconda, si avvicinò all' americano e si avvicinò al suo volto, che continuava a sorridere.
E come ultima cosa sussurrò, più a se stesso che ad altri, ancora incredulo "Ti amo anch' io" e si affrettò ad aggiungere "Adesso puoi toglierti dalla faccia quel sorrisetto del cazzo"
E il cuore dell' americano perse un battito, prima di riprendersi e, ignorando le ennesime proteste dell' inglese, lo sollevò di peso e lo port in camera da letto. Avrebbe anche potuto morderlo - cosa che, per inciso, una volta in camera fece, eccome - ma non l' avrebbe lasciato per niente al mondo.
Era suo, finalmente.

"Incredibile, ha funzionato, ranocchio" disse Ian, poggiando il binocolo. Certo si era stupito non poco all' arrivo del francese in casa sua, poche ore prima di quello del suo fratellino, e al suo piano: aveva acconsentito, perchè in fondo voleva solo il bene di Arthur, ma non senza una certa resistenza e, in un angolo remoto del suo cuore, pensava non avrebbe funzionato. Invece eccoli lì, quei due, mentre si toglievano i vestiti!
 "L' importante è non andare contro natura, mon cher. Qualcuno ti ricompenserà" rispose calmo il francese, senza però lasciare il suo telescopio, che Ian si adoperò per rompere - certo, anche lui era dotato di una certa dose di perversione, ma non fino a quel punto.
"Cavolo, il mio fratellino ... ha trovato l' amore"
"E tu invece?" chiese malizioso il francese, avvicinandosi lentamente allo scozzese.
"Non sono cose che fanno per me" disse semplicemente, alzando le spalle.
"Mh, dove ho già sentito queste parole ..?" chiese retorico Francis.
"La mia misantropia non è come quella del mio fratellino, un meccanismo di difesa. Ci sono davvero poche persone con cui riesco a relazionarmi, e non c'è niente di romantico in questo" concluse, con un sorriso.
"Quindi se ti invitassi a cena, tu diresti ..?"
"Oh, beh, se sei tu a chiedermelo ..." iniziò il rosso, avvicinandosi all' orecchio dell' altro "No" urlò deciso, prima di uscire dalla villa, trionfante.
Francis rimase per un attimo basito, poi sospirò, tentando inutilmente di aggiustare il telescopio. Aveva sempre avuto un debole per gli inglesi complicati.

Era stato il mese più bello della sua vita. Sì, Arthur ne era convinto, mentre si vestiva di tutto punto per l' imminente meeting e ascoltava il rumore della doccia di Alfred. Sembrava una melodia. Tutto sembrava aver acquisito qualcosa di magico, e di incredibilmente sopportabile: le sue manie di eroismo sembravano non irritarlo più, e accettava di buon grado di vedere ogni tipo di film dell' orrore con lui - per inciso, quel famoso video fu poi distrutto dallo scozzese - e sentirsi tritolare dalle sue braccia, e magari lo faceva proprio per questo.
Così felice - quasi antitetico usare quell' aggettivo, non trovate? - non aveva più ripensato a Ian e alla sua ricompensa. Ma lo scozzese ci aveva pensato, eccome.
Quando suonò il campanello, Arthur era già pronto da un pezzo, e andò ad aprire sollevato, senza preoccuparsi del mostruoso ritardo in cui sarebbero stati per colpa dell' americano.
"Ma guarda quanto sei carino!" esclamò immediatamente Ian, poggiando teatralmente una mano sulla guancia.
"Ian?!" in quell' istante, Arthur ricordò tutto, e iniziò a sudare freddo.
"Già. Sei tanto carino con questo completino, davvero, ma ho qui qualcosa che ti starebbe meglio e, oh, anche se non fosse così, dovrai indossarlo per forza, per tutto il giorno" disse, estraendo da una busta il kilt più brutto che si fosse mai visto, a fantasia mimetica rosa schoking.
"Oh, non puoi farmi questo" lo supplicò l' inglese, trattenedo a stento un conato di vomito.
"Invece posso eccome"
Arthur sospirò: aveva ragione, e sapeva che sarebbe stato inutile contraddirlo.
"E va bene!" disse, afferrando quell' orribile pezzo di stoffa "Ma tu non puoi venire"
"Sarò felice di non farlo, non temere. Piuttosto, devi indossarlo alla scozzese, altrimenti non vale"
"Sei una lurida carogna"
"Anche io ti voglio bene"
"Arthur, chi era?" chiese Alfred, scendendo.
"E adesso come glielo spiego?" pensò disperato l' inglese.
"E QUESTO cos'è?" chiese, una volta arrivatogli accanto.
"E' una lunga storia"

"L- le chiedo scusa, Igrisu-san, ma non riesco a smettere!" esclamò profondamente dispiaciuto Kiku, con una macchina fotografica in mano.
"Non preoccuparti, vecchio mio" si limitò a dire l' inglese, senza osare alzare la testa, anche per proteggere gli occhi dai flash fotografici che lo inondavano. Aveva per fortuna convinto l' americano a non venire - e fortunatamente questi aveva accettato, "se è questo che il mio ragazzo vuole" aveva detto, non senza un moto di soddifazione - ma non poteva impedire a tutti gli altri di commentare.
Ma qui, accadde qualcosa che aveva dell' incredibile.
Arthur si rese conto che non gli interessava, degli altri.
Alzò la testa, orgoglioso di quella presa di coscienza, e interruppe garbatamente Ludwig.
Certo non poteva immaginare che Alfred aveva già ordinato al giapponese una gigantografia di tutte le fotografie che avrebbe fatto quel giorno.


***note***
Beh, incredibile ma vero, ce l' ho fatta!
Stanotte sognerò quel kilt, me lo sento.
Ringrazio tutti quelli che hanno letto, commentato, preferito, seguito, fatto il caffè, stirato i panni, preparato la cena.
Scusate, mi sono fatta prendere la mano.
Un ringraziamento quasi serio va a "Adam 96" che tacitamente approva - e che io non proprio tacitamente adoro, perchè sopporta tutti i miei scleri.
E scusate per la digressione cinematografica, ma ci voleva proprio u.u
Sam

 

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