Cartoline

di Clockwise
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hey There Delilah ***
Capitolo 2: *** Sparks ***
Capitolo 3: *** A Rush Of Blood To The Head ***



Capitolo 1
*** Hey There Delilah ***


Lo aveva perso. Aveva cercato dappertutto, in ogni angolo, in ogni anfratto, ma sembrava sparito; aveva setacciato lo studio, la sua camera, il resto della casa e ancora non saltava fuori. Eppure era sicuro di averlo visto appena pochi minuti prima… Doveva assolutamente ritrovarlo, c’era scritta sopra la nuova canzone, aveva sputato sangue per comporla. Sbuffando, vagliò ancora i numerosi fogli sparsi sul tavolino. Niente.
La radio trasmetteva un’insulsa canzoncina che riusciva solo ad irritarlo ancora di più, così pigiò un bottone a caso e cambiò stazione, per poi dirigersi in cucina. Eccolo, il foglio infingardo! Appeso in bella vista sulla porta del frigo con una calamita colorata. C’era passato davanti almeno un milione di volte. Scuotendo la testa, lo prese e tornò in salotto. Sprofondò di nuovo nella poltrona, lo sguardo perso oltre la finestra, verso la strada, la melodia della canzone alla radio che lo cullava. Si ritrovò a cantarla a bocca chiusa. Non l’aveva mai sentita prima, ma gli piaceva. Chiuse gli occhi, lasciandosi prendere.
 
…Oh it's what you do to me,
Oh it's what you do to me
What you do to me.
 
Hey there Delilah, I know times are getting hard
But just believe me girl, someday I'll pay the bills with this guitar
We'll have it good, we'll have the life we knew we would.
My word is good.
 
Al nome Delilah aprì gli occhi di scatto come punto da un’ape. Delilah. Delilah, Lila, la sua Lila.
Un uragano di immagini lo assalì, e lui era in mezzo al gorgo, col cuore che gemeva, assalito da immagini dolorose. C’erano occhi luminosi e verdi e sinceri, e quel viso lentigginoso, e i capelli ramati, e la sua risata musicale, i suoi baci dolci, la sua mano delicata che gli carezzava la guancia, il suo sguardo rapito quando lo ascoltava suonare… Non assaporò neanche per un istante quei dolci ricordi, che altri, prepotenti, ne presero il posto: quei bellissimi occhi sconvolti dalle lacrime, la porta sbattuta, la solitudine del suo dolore lacerante. Delilah. Chiuse di nuovo gli occhi e portò una mano alle palpebre per arrestare le lacrime, mentre una memoria si faceva strada fra le altre e si parava davanti a lui. Ricordava tutto, ogni dettaglio, come se fosse appena successo, sebbene fossero passati anni. Solo che quel ricordo, quell’immagine sbiadita di un momento sereno, ora era coperto d’un velo di amarezza e dolore che non riusciva a scostare.
 
Era la prima lezione di greco di quel secondo anno d’università. I ragazzi, appena entrati, non avevano ancora preso posto che la professoressa, piccola e minuta, ma con una voce da perforare le orecchie, aveva ordinato che si sedessero in ordine alfabetico, per poter ricordare meglio i loro nomi, e aveva fatto così l’appello. 
«Martin, Christopher… Laggiù, prego.» Il ragazzo si sedette in uno dei banchi in fondo accanto ad un tale Levine, Gregor.
«McEwan, Delilah… Avanti, vicino a Martin.» Vide una ragazza esile avanzare con lo sguardo a terra verso il banco vuoto alla sua destra. Era la creatura più bella che avesse mai visto, i capelli ramati e sciolti in morbide volute sulle spalle, il viso dolce punteggiato di lentiggini. Si sedette silenziosamente accanto a lui. Il ragazzo esitò. Doveva parlarle? Per dirle cosa? E quando? Subito? E se avesse pensato che era solo uno sfigato che ci provava con tutte? La sua bocca agì prima che la sua testa avesse preso una decisione.
«Ciao. Io sono Chris.»
Avete appena fatto l’appello, idiota, lo sa come ti chiami.
La ragazza si voltò verso di lui. Aveva gli occhi verdi. Sorrise, e Chris sentì che, se fosse morto in quel preciso istante, sarebbe stato felice.
«Delilah.» Delilah. Ripeté quel nome nella sua testa, assaporandone la musicalità.
«Eri qui anche l’anno scorso, o… » il suo tentativo di approccio venne bruscamente interrotto dal ragazzo alla sua sinistra che, sporgendosi da sopra la sua spalla, tendeva una mano in direzione della ragazza.
«Io mi chiamo Gregor, ma potete chiamarmi Greg.»
E non te l’ha chiesto proprio nessuno, razza di coglione.
La ragazza gli strinse la mano cordialmente e sorrise di nuovo vedendo l’espressione di malcelata irritazione di Chris.
«Già. Sì, dicevo, insomma, hai cambiato facoltà?» chiese ignorando completamente Gregor. Non ricordava di averla mai vista ai corsi di greco, eppure una così non gli sarebbe certo sfuggita. Lei scosse la testa.
«Ero a medicina. Mi ci avevano mandato i miei genitori perché volevano che diventassi medico, ma sono riuscita a convincerli, alla fine, a venire qui, anche se ho dovuto fare un mucchio di esami. Però mi sono sempre piaciute le lettere antiche.» Chris annuì, schiudendo la bocca pronto a dire qualcosa. Una vocetta proveniente da dietro la sua spalla lo precedette.
«Mio cugino Amphrey andava a medicina, l’anno scorso. Ora è diplomato, fa praticantato, insomma, specializzazione allo studio di mio zio, suo padre, giù in città, verso i Docks…»
Lo uccido.
La vide tentare di nascondere una risata, probabilmente aveva visto la sua espressione poco amichevole. Sorrise anche lui.
Iniziarono a chiacchierare amichevolmente, interrotti dai commenti irritanti di Gregor. Era intelligente, arguta e spiritosa. Per Chris fu la migliore lezione di greco della storia, anche se di greco non ascoltò neanche mezza parola.
Uscirono insieme dall’aula, riuscendo a seminare Gregor. Chris volava. Non era mai stato così bene con una ragazza, aveva potuto essere se stesso e dire quello che pensava senza sentirsi giudicato o in imbarazzo.
«Beh, pranziamo insieme?» chiese in fretta, prima di potersene pentire. Lei storse il viso in una smorfia dispiaciuta.
«Non posso, scusa, devo pranzare con le mie amiche e…» Una voce stridula la chiamò dall’altra parte del corridoio. Chris vide un gruppetto di ragazze confabulare guardando verso di loro, mentre una si sbracciava per richiamare l’attenzione di Delilah.
«Devo andare. Ci vediamo a lezione. Ciao, Chris» disse, e con un sorriso mesto, si volse ed andò verso le sue amiche, che la sommersero nei loro sussurri e sorrisini maliziosi. Chris non riusciva a staccare gli occhi da lei. Era fiducioso però.
Magari domani…
Con orrore la vide staccarsi dal gruppo di amiche ed accostarsi ad un ragazzo, alto e ben piantato, con i capelli a spazzola, che l’aspettava poco lontano. Si abbracciarono.
Vabbè, sono solo amici.
Ora si baciavano. Appassionatamente.
Vaffanculo.
Il guaio era che non riusciva a dimenticarla. Era impossibile non pensarci. Mentre parlavano aveva avuto la certezza che anche lei stesse godendo della reciproca compagnia, nonostante Gregor. Quando aveva riso, aveva riso con sincerità, ne era sicuro. Eppure…
Da tempo aveva imparato che l’unico modo per sfogarsi e far chiarezza dentro di sé era suonando. Così, quel pomeriggio, imbracciò la chitarra e pizzicò le corde, lasciando che le dita fossero guidate dall’istinto, dal cuore. Quando la melodia prese forma, schiuse le labbra e lasciò che ne uscissero le parole, così come venivano, con voce dolce. Ne uscì fuori un pezzo struggente ma breve, che durava meno di un minuto. C’era la tristezza, l’amarezza e la decisone incrollabile di aspettarla, sempre, perché loro due erano fatti per stare insieme, sempre.
I’ll be loving you always, always.
 

***
Buonassera a tutti! =) Sono un disastro con le presentazioni, per cui mi asterrò dal farne una. Tengo solo a dire che è una breve storia incentrata su Chris Martin, su come siano nate alcune delle prime canzoni dei Coldplay, secondo me. La prima canzone di cui si parla è "Hey There Delilah" dei Plain White T's, mentre l'altra è Parachutes, dei Coldplay.
Non so più che dire, se non che spero vi sia piaciuto questo primo capitolo, che vi ringrazio di aver letto e vi prego
RECENSITE. Seriamente, ho un disperato bisogno di critiche e commenti. Andiamo, fare una recensioncina non vi porta via nemmeno cinque minuti, e con pochi battiti di dita potete far felice una persona (me)! =)
Ah, e un grazie megagigante alla mia Heart, che ha letto la storia per prima e mi ha dato il suo parere <3
Va bien, al prossimo capitolo!
Ah, il titolo in seguito potrebbe cambiare.
E.

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Capitolo 2
*** Sparks ***




Chris trasse un respiro tremante. In seguito avrebbero tanto riso di quel giorno, insieme, canzonandosi a vicenda. Ancora, un’altra immagine gli sovvenne alla mente. Il suo primo concerto in quel locale fumoso, con Jonny e i ragazzi.
 
«Porca miseria, guarda quanta gente! Io non ce la faccio a cantare davanti a tutti, non posso…»
«E invece ce la farai benissimo, come al solito»
«No Jonny, non posso farcela, hai visto quanta gente c’è? Sono troppi…» Chris si accasciò sconfortato su una sedia. Jonny richiuse la porta delicatamente, sedendosi a sua volta e prendendo ad accordare la chitarra, senza rispondere. Chris, frustrato, si alzò ed iniziò a passeggiare su e giù per la piccola stanza, ripassando febbrilmente i testi delle canzoni. La porta si riaprì ed entrò Guy, eccitato e con gli occhi spalancati.
«Avete visto quanta gente c’è? È pieno! Che ha fatto Will, ha invitato tutto il campus?» Jonny fece un sorriso stiracchiato «Probabilmente» disse.
«Stronzo» mormorò Chris a denti stretti. Gli altri due risero. Guy cercò di calmarlo, senza successo: ora Chris aveva preso ad enumerare tutte le cose che sarebbero potute andare storte, dalle corde spezzate a un incendio improvviso. La porta si aprì mentre enunciava drammaticamente la legge di Murphy, che sanciva la rovina del concerto.
«Ah, ecco lo stronzo che vuole farmi fare una figuraccia davanti a tutto il college!» Will, il loro batterista, appena entrato, guardò Chris confuso.
«Che ho fatto io?» La pronta rispostaccia del ragazzo fu interrotta dalla voce pacata di Jonny
«Lascia perdere. Ti spieghiamo dopo. Siamo pronti?» disse, alzandosi in piedi.
«Aspetta!» esclamò Chris «Lei c’è?» chiese rivolto a Will. Lui alzò le spalle.
«Penso di sì.» Chris deglutì, sentendo lo stomaco contrarsi più di prima.
«Ce la faremo, dai» mormorò Jonny, incoraggiante.
«E lei cadrà ai tuoi piedi» sorrise Will. Il gestore del locale fece capolino e disse loro che, se erano pronti, era ora di cominciare. I quattro ragazzi annuirono. Quando la porta si fu richiusa, si guardarono negli occhi e si strinsero in un abbraccio di gruppo, senza parlare, traendo forza e conforto l’uno dall’altro.
Il concerto fu fantastico, tutto filò liscio e si divertirono molto; il locale era pieno, studenti del loro college, vecchi amici, genitori e fratelli.
Non la trovò subito, tra quel mare di gente; solo a metà della seconda canzone incontrò il suo sguardo luminoso. Lo guardava, sorrideva e muoveva la testa al ritmo della canzone. Quando vide che lui la stava guardando, azzardò timida un saluto con la mano. Chris sorrise, frenando l’impulso di mollare lì la chitarra e gettarle le braccia al collo.
Finito il concerto, mentre gli applausi si spegnevano e gli altri tre andavano sorridendo verso amici e familiari, Chris saltò giù dal palco con ancora la chitarra a tracolla, cercandola. Faticò a trovarla, sommerso com’era da persone che gli facevano i complimenti. Solo quando la folla si diradò la vide, in piedi accanto ad un tavolo poco distante, che lo aspettava. Venne verso di lui.
«È stato bellissimo, Chris, davvero. Grazie.» Lui sorrise, quasi commosso. Non sapeva cosa dire. “Grazie” sembrava banale. Era perso in quegli occhi puri e in quel sorriso sincero. Così lei lo abbracciò, nonostante la chitarra fosse di enorme impiccio. Non era un abbraccio impegnativo, Delilah stava con un altro al tempo; era un abbraccio amico, ma che per Chris fu più importante, in quel momento, di qualsiasi altra cosa.
 
Sorrideva, con gli occhi che ancora piangevano, mentre altri momenti della sua vecchia vita tornavano a farsi vivi.
 
La guardò di sottecchi, alzando furtivo lo sguardo dal vocabolario; era concentrata, la fronte corrugata, la mano che giocherellava distratta con il margine del foglio e la bocca che leggeva silenziosa, cercando di decifrare il testo latino. D’un tratto, scosse la testa sbattendo le palpebre e alzò lo sguardo, incrociando quello di Chris. Sorrise stanca.
«Questa versione non ha senso.»
«Fa niente» mormorò lui e iniziò a carezzarle dolcemente i capelli. La ragazza piegò la testa di lato, ma non si sottrasse al suo tocco.
«Abbiamo un esame domani, dobbiamo finirla. Anche se ho così sonno…» sbadigliò e si stiracchiò, dando poi un’occhiata all’orologio.
«Sono le dieci e mezza passate. Claire mi ucciderà, le avevo detto che sarei tornata per le dieci»
«Le dirai che è stata colpa mia» disse Chris, tirando un sorriso. Non aveva molta stima per Claire, la coinquilina di Delilah: la trovava così insulsa e vanitosa e vuota.
«Come al solito»
«Che vorresti dire? Io non faccio mai nulla di male…»
«Ah no? E allora come si spiega che da quando abbiamo cominciato a vederci, vado peggio in tutte le materie, ho la testa per aria e torno sempre troppo tardi a casa, Christopher?» chiese lei con finto tono d’accusa. Lui rispose fingendo d’essere offeso:
«Però ti ho insegnato un sacco di cose sulla musica e ora sei più esperta di tutte le tue amiche messe insieme, cara la mia Lila.» Lei sorrise, abbandonando il gioco.
«Sai che solo tu mi chiami Lila? Continuano tutti a chiamarmi Delilah, però non mi ci ritrovo più, mi sono talmente abituata a Lila. L’altro giorno Meg mi ha chiamata Delilah e non mi sono nemmeno girata, pensavo che stesse parlando a qualcun altro!» rise.
«È giusto che nessuno ti chiami Lila, solo io posso farlo, perché tu sei solo mia» proclamò il ragazzo, soffocando la risata di lei con un bacio.
«Ora devo andare, Chris, davvero, è tardi» mormorò lei, staccandosi. Lui annuì rassegnato.
Mentre la ragazza preparava le sue cose, le chiese, improvvisamente serio:
«Lila, quando hai detto prima che vai peggio in tutte le materie e fai tardi e tutte quelle cose lì, io lo so che è colpa mia e mi dispiace e…» Lei lo guardò sorpresa.
«Non dirlo neanche per scherzo!» esclamò. Andò a sedersi sulla sedia accanto a lui, per averlo più vicino. «Chris io… Finché ho te, non me ne importa niente del latino, del greco, niente. Davvero.»
«Ma Lila, io non voglio compromettere la tua carriera, se vai male all’esame domani? Sarà solo colpa mia, ma all’esame andrai male tu, e dovrai recuperare e… Forse non dovevamo studiare insieme oggi, visto che, praticamente, non abbiamo ripassato quasi niente. Forse…»
Lei lo guardò, e il sorriso era sparito dal suo viso.
«Se sei così preoccupato per l’esame potevi dirlo prima.»
«No, volevo solo dire che… Niente lascia stare.»
Perché, perché non riusciva a dire quello che aveva in testa? Riusciva a scrivere canzoni strappalacrime, e una volta in cui doveva solo dire alla sua ragazza che era preoccupato per lei e si sentiva in colpa, il risultato era irritarla.
«Se non hai altro da dire.» La ragazza si alzò, prese borsa e cappotto e, prima che Chris se ne rendesse conto, uscì con un secco “buonanotte”. Quando sentì la porta sbattere si riscosse e si alzò anche lui, prese la chitarra e uscì di corsa, pensando che le ragazze erano strane forti.
«Lila! Lila, ti prego, aspetta!» esclamò, rincorrendola giù per le scale del condominio e nel frattempo cercando di mettersi la chitarra a tracolla. Lei si voltò, sbottando irritata «Che c’è?»; quando vide la chitarra corrugò la fronte e lo guardò perplessa. Chris vide che aveva lacrime negli occhi, nonostante l’espressione indispettita.
«Un minuto» mormorò il ragazzo, e, lì dov’era, sulle scale del condominio, illuminate solo dalla luce che veniva dal lampione fuori dalla finestra, iniziò a cantare accompagnandosi lievemente con la chitarra.
 
Darling, those tired eyes
Go with me all the time.
And in the dead of night
Tell me you will be mine.
Where do you go to, pretty baby?
Where do you go, when the night wind's away?
Well ask me so sweetly
What do I do?
And who do I sing for?
Well honey, I sing about you.
You.
 
Tentò con tutte le sue forze di non commuoversi, ma non riuscì ad evitare di avere gli occhi lucidi quando finì di cantare. Aveva messo l’anima e tutto il cuore in quella canzone, aveva dichiarato quello che provava, tutto quello a cui la sua vita ruotava intorno. Era da tempo che voleva fargliela sentire e, chissà perché, quello gli era sembrato il momento adatto, sebbene fossero quasi le undici, fossero sulle scale fredde, e avessero quasi litigato.
«Non puoi fare così però. Venire qui a farmi una serenata, io… Mi scioglierò in lacrime come una bambina» mormorò la ragazza, abbassando la testa mentre iniziava a piangere. Lui le andò incontro e l’abbracciò. Si rese conto tardi di avere ancora la chitarra. La tolse sbuffando, mentre lei rideva fra le lacrime. Poi l’abbracciò per bene, stringendola forte, annegando le proprie lacrime nei suoi capelli ramati.
 
Pianse, pianse, mentre lampi di altri momenti balenavano nella sua memoria.
 
Il cielo che si tingeva di scuro. Loro due, sulla spiaggia, stretti l’uno all’altra, senza parlare, accontentandosi di esseri lì, insieme.
 
La festa all’inizio dell’ultimo anno di università, dove avevano ballato e riso e si erano divertiti e anche ubriacati.
 
Un pomeriggio nella sala di registrazione, in studio, mentre suonava con Jonny, Will e Guy, e lei ascoltava in un angolo, sorridente.
 
Uno dei suoi primi concerti, a Liverpool, dove, prima di salire sul palco, quando aveva già un piede sul gradino, lei era comparsa all’improvviso e l’aveva baciato, e lui aveva sentito le gambe farsi più salde, e caricarsi d’adrenalina.
 
Le loro risate quando lui aveva provato a cucinare, per sorprenderla con un pasto fatto in casa, e aveva finito per bruciare tutto.
 
Il suo abbraccio confortante in un momento in cui non aveva la forza nemmeno di alzarsi dal letto,  tanti erano i dubbi e i problemi che lo tormentavano.
 
Chris annegava in quel mare di ricordi, finché non scorse un pezzo di legno e ci si aggrappò, tornando a galla.
Ma anche quel pezzo di legno si sbriciolò fra le sue dita.


***
Buonassera di nuovo =) Il vostro peggiore incubo è ancora qui, con un altro capitolo di questa storia demenziale, yeaah! 
Una parte di me spera che vi sia piaciuto questo capitolo, una è ancora indecisa se pubblicarlo o cancellare la storia e la terza prega che siate misericordiosi e non mi odiate per le assurdità che ho scritto. Prevale la terza. La buona notizia? Manca poco, pochissimo alla fine. Tenete duro!
Ok, voglio solo ringraziare Mrclean che ha recensito, XOXO che ha messo nelle seguite e Heart perchè è Heart, e tutti voi che avete letto, sperando che continuerete. 
Stay tuned!
E.

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Capitolo 3
*** A Rush Of Blood To The Head ***


Postcards From Far Away


Erano ore ormai che lavorava su quel pezzo, che comunque si ostinava a non venire su, e rimaneva uno scarabocchio di note nerastre sul suo block notes. Chris, sconfortato e irritato, abbandonò i pugni sul pianoforte su cui era seduto, producendo un suono orribile e discorde. Si affrettò a ritirarli e chiuse gli occhi, massaggiandosi le tempie. Avevano finito di provare da un pezzo, in studio, ma una volta tornato a casa non aveva saputo fare altro che mettersi seduto e continuare a torturarsi con quel maledetto brano; non aveva nulla da fare, nessuno da cui andare e concentrarsi sulle note gli teneva la mente lontana da altri pensieri. In realtà, pensò con una morsa allo stomaco, aveva una persona da cui andare, ma non aveva voglia di vederla. E pensare che una volta… Basta. Hai altro da fare, non perdere tempo con pensieri inutili ordinò a sé stesso. Continuò a provare.
Suonò il campanello della porta. Strano che non fosse suonato anche il citofono. Forse era Jonny.
«Avanti» disse. Chi altro aveva le sue chiavi oltre Jonny? Sentì la porta aprirsi e chiudersi. Un “ciao” mormorato poco allegramente. Un “ciao femminile.
Alzò lo sguardo dal piano. «Ciao» rispose, tornando a chinare la testa. Delilah di sedette su una sedia accanto a lui.
«Come va?» gli chiese, guardandolo. Lui continuava a suonare, fermandosi ogni tanto a scarabocchiare qualche nota o a riprovare un passaggio.
«Bene.»
«Novità?»
«No.»
«Oh. Tu non chiami novità un tour di diciotto mesi in giro per tutto il mondo?» chiese la ragazza, cercando di essere il più neutrale possibile.
«Ah» fece lui, voltando la testa a guardarla «Te l’avrei detto, davvero…»
«Me l’ha detto Guy, ieri. Eravamo tutti al pub, c’era…»
«Sei uscita con Guy?» chiese lui, a metà fra l’incredulo e l’indignato. Lei lo freddò con un’occhiata e continuò come se non fosse stata interrotta.
«C’erano anche Jonny, Will, Johanna, Marianne e quel bamboccione di Phil» non le era mai piaciuto il manager della band, Chris ormai lo sapeva.
«…e parlando, è uscito fuori che farete un tour in giro per il mondo. E, ovviamente, non è l’idea del giorno, perché a quanto ho capito, lo state organizzando da un bel po’ e, praticamente, vi restano solo da prenotare gli aerei.»
Già. Chris abbassò di nuovo lo sguardo. Sentì nelle orecchie la voce di Jonny, ammonitrice. "Attento a quello che fai, Chris. Ha già sofferto come un cane per colpa tua, non fare il coglione un’altra volta o se ne andrà. È una ragazza d’oro e tu non vuoi perderla. No?"
«Marianne e Johanna lo sapevano, Chris,» disse lei, la voce vibrante, riferendosi alla fidanzata di Will e all’amica di Guy, «e io no. Io ero l’unica stupida che non sapeva nulla, di nuovo.»
Chris sapeva a cosa si riferisse: qualche mese prima, in un’ intervista, aveva dichiarato che non aveva una ragazza. Non era affatto vero, ma era stato Phil a suggerirglielo, perché diceva che avrebbe avuto più successo con l’immagine di eroe romantico sfortunato in amore. E lui era stato così idiota da dargli ascolto. Lila l’aveva scoperto leggendo l’intervista su un giornale.
«Delilah, io…» iniziò stancamente, chiudendo per un attimo le palpebre.
«Vedi, Chris? Mi hai chiamata Delilah. Non sono più nemmeno Lila per te» mormorò lei, gli occhi lucidi. Deglutì a forza per ricacciare le lacrime, senza smettere di guardarlo.
«Sono stanca, Chris. Delle bugie, dei sotterfugi, dei silenzi… Guardaci. Siamo cambiati, non siamo più quelli di una volta. Prima ci capivamo al volo, ci dicevamo tutto, ridevamo, ci amavamo. Adesso… guardaci.»
Chris guardò. Vide che erano distanti, chiusi ciascuno nel proprio abisso, incapaci di tendere una mano o di stringerla. Soli.
Avevano passato bufere di emozioni, avevano litigato e pianto, si erano accusati l’uno l’altra del male che si causavano a vicenda. Negli ultimi tempi avevano tentato di ricucire le ferite, ma era stata dura e, ora Chris se ne rendeva conto, non ci erano riusciti. Non sapeva neanche per cosa fosse scoppiato tutto quel putiferio. Forse per la recente fama di Chris e dei ragazzi, la forzata lontananza a causa di concerti e simili, per desideri che non combaciavano più. Forse perché loro due erano cambiati.
«Non ne posso più davvero, sono stanca. Io ti voglio davvero bene, Chris, tengo a te e odierei farti star male, ma… non posso andare avanti così, e credo che neanche tu lo voglia. Forse, forse dobbiamo separarci un attimo, andare ciascuno per la propria strada…»
Lo stiamo già facendo, Lila, siamo già lontani, non lo vedi?
«Bene. Se è questo che vuoi» disse, impassibile. Lei si asciugò rabbiosamente le lacrime, lasciando delle macchie nere sotto gli occhi. Prima non si truccava. Già. Prima.
«Non è questo che voglio, è ovvio che non voglio lasciarti, ma è questo che è meglio per noi»
«Ah, sì? E che ne sai tu di quello che è meglio per noi?» sibilò lui. Non riconobbe la sua voce in quel sussurro rabbioso. «Che ne sai tu, che non fai mai niente per cercare di capirmi, ormai, e pensi soltanto a te e a quello che non faccio o che faccio male, eh?»
Lei si ritrasse, spaventata da quell’attacco. «Sei tu che ci hai portati a questo punto, Chris. Tu e quello che non mi hai detto, e quello che hai fatto e, e… Tu non mi ami più, è questo il motivo, dillo!» disse, liberando il pianto di terrore che aveva trattenuto per tanti mesi.
«È questo che pensi? Benissimo, allora cosa fai ancora qui? Vattene, vattene!» urlò Chris, alzandosi di scatto. Lei lo guardò sconvolta. Non poteva credere a quello che aveva sentito. Lui lo sussurrò di nuovo, perché fosse chiaro.
Vattene.
La sua mente era vuota, i pensieri arrivavano flebili e ovattati. Solo quella parola, vattene, gli rimbombava in testa.
Lei si asciugò gli occhi, si alzò e si avviò verso la porta. Lo guardò. Poi aprì la porta e sparì dalla sua vita.
Rimase lì in piedi per qualche minuto, senza pensare a niente. Poi prese un foglio di carta e si mise a scrivere tutto quello che sentiva. Quando si sentì esausto, appallottolò il foglio e andò a dormire. Dormì profondamente per quasi cinque ore, non sognò nulla; era da tempo che non dormiva così bene. Si svegliò nel mezzo della notte, si alzò, riprese quel foglio, la chitarra e compose una canzone, tentò di dare un senso a tutto quello che era successo; alla fine diede la colpa a un fiotto di sangue alla testa.
 
Chris tirò su col naso, riemergendo da quel terribile ricordo. Il dolore, la solitudine, la rabbia che erano seguiti a quella sera avevano lasciato segni indelebili su di lui; ancora adesso, quasi cinque anni dopo, quando suonava quella canzone, vedeva il suo viso sconvolto davanti a lui e doveva controllarsi per trattenere un urlo.
Tirò un grande sospiro, asciugandosi il viso. La canzone alla radio, che aveva scaturito tanti ricordi, era ormai finita. Si alzò e, quasi senza pensarci, si sedette al pianoforte. Poggiò le dita sui tasti. Sua moglie e i suoi figli lo guardavano sorridenti dalle fotografie incorniciate sul piano nero. Sorrise inconsapevolmente davanti a quei visi che tanto amava. Iniziò a suonare. Improvvisava, non sapeva cosa stesse combinando. Le dita si muovevano indipendenti dalla testa, che vagava per conto suo. Chissà dov’era Lila, ora. Chissà come sarebbe stata la sua vita senza di lei. O se avessero capito che avevano litigato per una sciocchezza e avessero soffocato l'orgoglio tentando di fare la pace. Chissà come sarebbe stata se non avesse mai incontrato sua moglie. Se non avesse mai incontrato Jonny, Will e Guy. Era tutto casuale? Era stato solo merito del caso se la sua vita era quella che era? O c’era qualcuno, qualcosa, che la guidava?
Si sentì piccolo piccolo. E giovane. E frastornato. Si sentiva come se una scatola piena di cartoline gli fosse piombata addosso dalla cima dell’armadio, investendolo in un fiume di immagini; alcune avevano portato con loro bei ricordi, altre dolorose memorie, e lui ne era stato semplicemente travolto, sommerso da quei ricordi sbiaditi. Ora era stanco. Rimpiangeva quel passato? No. Era solo un po’ malinconico, perché quei giorni erano volati via, lei era volata via, come cartoline al vento, ma, si rese conto all'improvviso, lui era lì, in quel momento, era consapevole dei freddi tasti bianchi sotto i suoi polpastrelli, del sangue che scorreva nel suo corpo, di tutte le vibrazioni nell'aria quando veniva prodotta ogni nota: era vivo, in quel momento. Sentì che poteva decidere dove sarebbe andata la sua vita, poteva scattare lui stesso quelle foto che un giorno sarebbero diventate vecchie cartoline. Poteva vivere.
La sua mente andò ancora a Lila. Sorrise. Decise che non l'avrebbe dimenticata, no, mai, avrebbe ricordato più spesso quei momenti felici e sepolto quelli bui nel fondo della scatola. Perché in fondo, tutto quello che rimane, non è che un pugno di ricordi, di vecchie cartoline.



***
Hello. Ecco qui, l'ultima parte di questa storia senza senso, spero vi sia piaciuta. =)
Non so più che dire, mi sento un po' malinconica anch'io. Mannaggia a me.
Va bene, voglio solo ringraziare tutti quelli che hanno letto fini qui, itslarryscomingout per aver recensito, Mrclean (di nuovo) per lo stesso motivo e Heart, perchè è la mia Heart e senza di lei questa storia non sarebbe qui.
Ora vado, sperando di non avervi depresso come ho fatto con me stessa.
Ci si rivede! =)
E.
PS: il brano che Chris compone la notte del litigio (nella mia testolina bacata) è A Rush Of Blood To The Head, mentre quello che suona al pianoforte alla fine è Postcards From Far Away.

 

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