Final 'Game Over'.

di betacchi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A Lover's Lament ***
Capitolo 2: *** A Dreamer's Cry. ***
Capitolo 3: *** A Kid's Desire. ***



Capitolo 1
*** A Lover's Lament ***


There was a crooked man, and he walked a crooked mile.
He found a crooked sixpence against a crooked stile.
He bought a crooked cat, which caught a crooked mouse,
And they all lived together in a little crooked house.







Stage One — Sissy
" do you hate sissies like me, don't you? "




« Sei gentile. Ma— » ricordo che fece una pausa, sì, in questo punto si fermò un attimo: i suoi occhi si abbassarono, si spostarono poi verso la porta, come se desiderassero fuggire da quella situazione; « è tutto ciò che hai. Sei- sei solo gentile, Sissy. Io- non credo- » credo gli risultasse davvero difficile parlare, perché balbettò furiosamente; ricordo che non lo faceva mai. Era sempre così convinto di ciò che diceva, era— era sempre così sicuro: il suo sorriso, il suo passo, il portamento, lo sguardo- tutto di lui trasmetteva sicurezza. Mentre quella volta..
« E' finita, Sissy. »

Era davvero finita. Non mi era rimasto più nulla, se non una fredda e vuota abitazione, piena -dannatamente piena- di oggetti e ricordi. Li chiamano memento, perché sono carichi delle sensazioni di una data circostanza. Quella casa ne era piena: il letto, che ancora aveva il suo profumo; l'armadio, dove ancora c'era qualche sua vecchia giacca; il salone, dove, sul divano di pelle rossa, ancora si notava bene la macchia di cioccolata calda che nessuno dei due riuscì mai a cancellare.
Quella casa era un memento, un nostro ricordo che ormai era solo mio. Io continuavo a svegliarmi in quel letto dal sapore di lui, io bevevo in quella tazza dove si preparava spesso il caffè, io cercavo i miei vestiti tra i suoi ed io piangevo su quel divano macchiato da lui.
La mia vita era finita. Non ricordo nemmeno la ragione per la quale continuavo ad alzarmi ogni mattina. Perché mi svegliavo? Perché andavo a piedi fino all'università? Perché studiavo fino a tardi? Perché cucinavo, mangiavo e poi pulivo anche? Perché? Per chi?
Era finita. Aveva ragione. Era finita la nostra storia- la mia storia.

Quando decisi di tornare in quel posto ero già morta. Non fu doloroso, anzi: sorrisi. Gli piaceva il mio sorriso: ogni volta, mi diceva sempre che adorava come socchiudevo gli occhi e come le mie labbra s'alzassero, sottili, piccole, e coronassero il riaprirsi dei miei grandi occhi marroni con una luminosità nuova. Diceva che il mio sorriso equivaleva alla nascita d'una farfalla dagli sgargianti colori: da bozzo buio nasceva e poi, luminosa e felice, svolazzava su foglie ricche di rugiada e portava felicità e sorrisi in chi riusciva ad osservarla a tal punto da rendersi conto della sua bellezza. Ma le farfalle muoiono dopo pochi giorni- ed anche il mio sorriso morì dopo pochi attimi.
Niente più felicità. Chi è quella traditrice? Mi ha abbandonata.
Abbandonata. Probabilmente fu anche comica la scelta del luogo: abbandonato, solo, proprio come lo ero io. Ad ogni passo, il pavimento scricchiolava e così io; ad ogni passo, mi sentivo più vicina alla morte e più felice. Ad ogni passo, il mio sorriso tornava luminoso sul mio viso ed i miei grandi occhi color nocciola si dipingevano di sfumature diverse.
Sono stata felice di morire. Sono stata felice di sbarazzarmi di quello scrigno di rubini stupendamente luminosi. Sono stata contenta d'appendere quella corda dentro quella doccia, dentro la doccia dove avevamo fatto all'amore. Perché io so che lui mi amava. Ed io lo amo ancora.

" Ad F.
adesso è davvero finita. "






Note dell'autrice:
Salve a tutti.
Bene, ecco l'inizio dell'ennesima raccolta ispirata. Evviva! Non siete tutti immensamente contenti? Immagino di sì.
La raccolta di oggi tratta di tre personaggi dell'RPG "The Crooked Man", al quale non ho ancora avuto il piacere di giocare, ma che ho potuto ammirare in tutta la sua bellezza grazie al meraviglioso gameplay del vecchio Pewds. Un applauso per lo svedese, thanks.
Passando oltre, come ho specificato nell'intro, le tre fic sono basate su di un mio personale ragionamento: i tre sono morti perché spinti dallo spirito del Crooked Man a suicidarsi. Quindi, ecco le mie tre belle death!fic, molto angst e drammatiche (spero, lolp).
Non ho molto altro da aggiungere: chi conosce il videogame capirà al volo cosa voglio dire.
A presto!

betacchi.

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Capitolo 2
*** A Dreamer's Cry. ***





Stage Two — D
" ..do you mind having a drink, when we meet again? "



Ammetto di non essere mai stato un ragazzo intelligente; mi serviva sempre un po' di tempo (decisamente più di quello necessario alla maggior parte dei miei compagni) per comprendere appieno ciò che mi veniva spiegato. Per di più, non ero mai spiccato per furbizia né genialità, ma sapevo di possedere qualcosa che a chiunque incontrassi per i corridoi della mia scuola, per le strade della mia città, mancava: io avevo un sogno ed avrei fatto di tutto per esso. Ecco perché non rinunciai mai a passare quel maledetto esame. Ogni giorni, ogni pomeriggio, ogni sera ed ogni notte: i miei occhi non si staccavano dalle pagine consumate del libro di teoria, di quel vecchio ed ormai unto libraccio pieno del mio sudore, delle mie speranze, gioie e tristezze. Mi chiedo dove sia ora, quel libro: se qualcuno lo abbia buttato, venduto, o forse bruciato.
Il mio sogno, quello per il quale sono stato deriso, per il quale ho sprecato i "migliori anni della mia vita", per il quale sono morto, quello era diventare un avvocato. Uno di quelli bravi, brillanti e geniali, che riescono sempre nei loro casi; quelli che liberano gli innocenti e mettono alle strette i criminali, quelli che rifiutano di difendere i colpevoli, quelli che sarebbero anche morti per difendere il proprio assistito. Io volevo aiutare le persone, volevo fare in modo che nessuno il quale fosse innocente finisse dentro. Dentro quelle gelide ed oscure celle, dentro quegli orrendi carceri dove la morte sembrava quasi essere più dolce e calda, dove la sofferenza e le lacrime erano i piatti all'ordine del giorno, tutti i giorni.

Non saprei dire il perché di questo mio accanimento verso l'essere avvocato: lo psicologo della scuola mi fece diverse domande a riguardo, mi chiese della mia famiglia, mia madre, mio padre, se avessi una sorella, della mia ragazza (quale ragazza?), dei miei amici. Nulla. Io volevo diventare un avvocato perché mi piaceva. E secondo quel dottore, gli occhiali a punta che erano scivolati leggermente sul naso, questo mio sogno era insensato.
Come può essere un sogno insensato? Come può un ragazzo vivere, continuare a camminare, a mangiare, a respirare, a dormire ed a sorridere, se non lo fa con un sogno? I sogni non sono mai insensati: ma lo sapevo. Avevo sempre saputo che molti mi avrebbero ostacolato. Ed io sapevo che -un giorno- sarei stato in grado di ridere loro in faccia, di dire: "ehi, il mio sogno, ora che è realtà, è ancora insensato?"
C'era solo una persona che cercava di aiutarmi. Non mio padre, né mia madre; non i miei amici né parenti. Solo il Professor Andrew: lui mi spronava, mi aiutava a capire; con amabile sorriso e sguardo pieno di comprensione mi spiegava più e più volte ciò che non mi era chiaro, mi dava amichevoli consigli e mai si tirava indietro quando -disperato- mi rivolgevo a lui per chiedere aiuto. Era un amico, il mio migliore amico; da molto ormai non lo vedevo più solo come un professore. Era quasi diventato un padre per me, un vecchio saggio che mi avrebbe aiutato a portare a compimento il mio primario obbiettivo. Lui non rideva mai del mio sogno; mai avrebbe potuto farlo, perché ero convinto che anche lui aveva avuto un sogno, come me. Solo chi aveva provato o provava sentimenti come i miei avrebbe potuto capirmi.
Per questo il professore è l'unica persona che volli salutare, prima di chiudermi nell'aula multimediale della scuola. Gli scrissi un biglietto molto breve, conciso: mi aveva sempre detto che essere concisi era una caratteristica importante, che mi avrebbe aiutato molto nella mia carriera. Usai la mia calligrafia migliore: molti insegnanti si erano complimentati con me per il mio modo di scrivere e ne andavo, per questo motivo, molto fiero. Se c'era una cosa che sapevo fare bene, volevo lasciarla al professor Andrew.
Non ricordo cosa scrissi, di preciso. Probabilmente un ringraziamento: lui lo meritava.

« D? D ha un sogno- » dicevano, parlando di me. Sempre, ogni volta; « ecco perché lo chiamiamo così. »
Persi il mio nome quando ottenni un sogno. Sono contento d'aver fatto questo cambio: il nome è solo una futile etichetta, mentre un sogno di caratterizza, ti differenzia dalla massa di prodotti e ti conferisce un odore di fatto in casa che l'industrializzato non riuscirà mai ad ottenere. E sono anche contento di poter esser morto per il mio sogno. E' vero, così non sono riuscito a realizzarlo, ma sono felice: felice di non aver visto il mio sogno scappare via da me, felice di non essere rimasto solo, privo sia di nome che di sogno, felice di non essermi trasformato in un prodotto pronto per essere etichettato.

" Muoio ora,
perché il mio sogno non mi abbandoni mai,
e perché tutti mi ricordino come D, il sognatore. "





Note dell'autrice:
Molto non c'è da dire. D è il mio personaggio preferito, ha un nome che è tutto un programma e sembra -in qualche modo- Renji.
La verità è che amo i personaggi dai capelli rossi, non c'è nulla da fare. Questo poco prende con quello che ha scritto, ma seriamente non saprei cosa aggiungere— ho evitato di mettere alcuno spoiler sul professor Andrew- sappiate solo che è un bastardo.
A presto~

betacchi.

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Capitolo 3
*** A Kid's Desire. ***


Stage Three — Fluffy
" I'm a big boy! "



Adoravo la voce della mamma. Sapeva cantare così bene, poi -ogni volta, prima che andassi a dormire- mi raccontava una storia cantando ed io dormivo subito subito, perché sapevo che lei aveva da fare e non poteva spendere troppo tempo insieme a me la sera. Mamma lavorava spesso di notte: più volte ho sentito persone entrare in casa, parlarle con tono minaccioso, come facevano gli uomini neri che rapivano le principesse nelle storie della buonanotte della mamma; lei era una bellissima principessa che veniva rapita, ma nessuno fu mai in grado di salvarla.
Io amavo molto la mia mamma. Le voglio molto bene anche ora, ora che mi ha lasciato qui per non so bene quale motivo. Io voglio molto bene alla mia mamma, molto. E la mia mamma era una principessa, la più bella, la più bella di tutte, la più dolce, la più bella— ma la mia mamma non aveva un cavaliere. Nessuno volle dirmi perché l'uomo nero aveva rapito la mamma, né perché io non potevo andare a salvarla. Mi chiusero semplicemente in questo posto, in quest'ospedale, con tanti dottori che sembravano più cattivi degli uomini neri stessi, e mi dissero che la mia mamma mi sarebbe presto venuta a prendere.

Ma mamma non è mai venuta ed io ero lì da tanto tempo ormai. Faccio sempre finta di sorridere, mi hanno insegnato gli altri bambini a farlo: si alzano le labbra, poi bisogna aprire bene gli occhi e fare come se si stesse piangendo; ai dottori, a quegli uomini neri travestiti di bianco, parrà che stai ridendo, quando invece piangi sempre, ma con un'espressione diversa sul volto. Mamma mi ha lasciato solo, perché dovrei ridere? Non c'è più nessuno che mi canta le storie della buonanotte: non ci sono più regine cattive, né dolci principesse, né coraggiosi cavalieri pronti a salvare la loro fidanzata. Non c'è niente, ci sono solo fogli bianchi, bianchi e spaventosi come i dottori; ci sono infermiere dai finti sorrisi, spenti come i colori lasciati svogliatamente accanto al quel foglio bianco; ci sono pareti bianche, letti bianchi, pasti bianchi e giornate bianche.
Mamma colorava tutto quel bianco. Ogni cosa con lei era blu, verde, arancione, gialla, rosa, rossa- ogni cosa era sgargiante ed aveva un buon profumo, mentre in questo ospedale tutto è dannatamente bianco e puzzolente. Ricordo bene come quella puzza mi facesse arricciare il naso ogni volta che mi concentravo su di essa; il segreto, alla fine, era semplicemente non farci caso, pensare ad altro. Ed io pensavo spesso al profumo della mamma, che sapeva sempre d'un fiore diverso: margherita, rosa, violetta— ogni giorno ne aveva una diverso, così m'insegnava i colori ed i fiori. E cantavamo, cucinavamo insieme– poi mi metteva a dormire e spariva nel buio, ma tornava sempre. Spariva e tornava- qualche volta piangeva, era vero, ma tornava sempre.
La mamma odiava piangere. Ogni volta che io piangevo, lei s'innervosiva; mamma di solito non alzava mai la voce, ma quando piangevo, mi sgridava sempre. Poi si calmava, mi sorrideva, asciugava le mie lacrime e mi diceva che il mio sorriso valeva cento volte più baci di quelle lacrime. Ed io amavo i baci della mamma, perché era dolci come una barretta di cioccolata al latte; quindi smettevo di piangere e lei mi dava sempre tanti baci, perché avevo smesso. Io voglio tanto bene alla mia mamma. E so che lei mi vuole bene. Perché lei è la mia mamma.

Io non voglio stare più qui, mamma. Non ti arrabbiare: so che dovevo aspettarti, ma non ce l'ho fatta più. Mamma, i dottori mi fanno paura. Gli ospedali anche: puzzano e sono tutti bianchi. Il bianco mi fa paura, mamma. Il bianco non era il colore della tua pelle, nemmeno il colore dei tuoi occhi; il viola non era il colore delle tue labbra, mamma e tu non eri fredda come quei muri che circoscrivevano anche la mia fantasia. Mamma, tu sapevi cantare e non rimanevi mai in silenzio. Mamma, perché non mi rispondevi? Lo so che non stavi dormendo. « Mamma? Mamma? » ma niente, tu rimanevi ferma, in silenzio; rimanevi bianca e fredda, come quell'ospedale dove ti avevo aspettato tanto.
Mamma, mi avevi detto una bugia? Tu non dicevi mai bugie, eri così bella e dolce, così pura, come potevi dire bugie? Nessuno avrebbe potuto sfiorarti senza sentire rimorso, eppure qualcuno fu in grado di farti talmente del male da renderti fredda e bianca.
A me non piace il bianco. Lo odio. Ecco perché ho deciso che sarebbe stato il bianco a permettermi di ritrovarti, mamma. Perché volevo dare un'altra possibilità al bianco di quelle puzzolenti lenzuola. Perché quel bianco mi avrebbe permesso di rivederti, mamma.

" Mamma,
non sei arrabbiata, vero? Mi vuoi sempre bene?
Ora canteremo ancora insieme, vero mamma? "





Note dell'autrice:
Wo, ecco l'ultimo capitolo della raccolta. Questo è leggermente più confusionario, considerando che -a rigor di logica- dovrebbe essere scritto da un bambino che non dovrebbe nemmeno saper scrivere.
Mi è dispiaciuto davvero dover scrivere del suicidio di un bambino, ma il prompt era quello e— insomma, Fluffy in un modo sarà morto, no?
Well, ringrazio tutti coloro che sono passati a dare un'occhiata a queste fic ~
A presto-!

betacchi.

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