Illusioni

di giulia_b
(/viewuser.php?uid=204495)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***



Capitolo 1
*** I ***


-Numero settantasette-
La voce dell’uomo con l’alto cilindro in testa risuona chiara nella stanza malgrado il brusio il cui volume a volte diventa tanto alto da rendere indistinguibile addirittura il suono del proprio respiro. I presenti controllano per l’ennesima volta il pezzetto di carta che stringono tra le dita. Controllano il numero stampato a macchina su quei pochi centimetri di cellulosa, pur sapendo che non è cambiato nulla, che mancano ancora ottantatre, sei o diciotto persone prima che sia il loro turno.
Solo un ragazzo si alza in piedi, sistemandosi sulle spalle la giacca troppo grande e accartocciando il numero tra le dita tremanti, le unghie innaturalmente scure. Sotto i capelli neri che gli ricadono sulla fronte, i grandi occhi brillano di eccitazione e timore in una curiosa sfumatura di verde che vira verso il giallo. Il fisico esile nasconde i suoi diciotto anni.
Segue l’uomo con il cilindro oltre una pesante tenda nera, lasciando cadere sul pavimento il pezzetto di carta che si schiude leggermente, facendo intravedere i numeri gemelli.
Attraversano un corridoio buio che si affaccia sul palco illuminato del teatro.
-Il suo nome?- dice l’uomo, fermandosi poco prima del rettangolo di luce che si staglia sul parquet.
-Alexander Teller- risponde il ragazzo con voce tremante.
L’uomo lo annota con una lunga piuma sul taccuino che tiene in mano.
-Aspettate qui-
Poi si avventura nella luce e sparisce tra le poltroncine immerse nel buio della platea.
Il ragazzo si passa le dita dietro le orecchie per spostare dal viso i capelli che cadono di nuovo sugli zigomi. Controlla che le calze a righe bianche e nere siano al loro posto all’altezza delle ginocchia, che i pantaloni siano ben tesi sulle gambe, che la giacca sia priva di pieghe, che la fascia sia ben stretta intorno al petto.
-Venite avanti-
Avanza nella luce del palco e, finché gli occhi non si sono abituati alla luce, non si muove. Riesce ad distinguere le sagome delle poltroncine della prima fila, poi della seconda e infine delle cinque persone che guardano verso il palco, sedute l’una accanto all’altra nella terza.
-Stupiteci, Alexander-
Sussulta impercettibilmente nel rendersi conto che si stanno rivolgendo proprio a lui.
Non sa individuare il punto da cui viene la voce, ma riconosce che è quella di un uomo, il tono pacato di chi ha visto centinaia di persone passargli davanti agli occhi nell’attesa di un giudizio.
Alexander non sa come procedere. Cosa deve fare?
Si volta, ma non riesce ad individuare la porta da cui è appena entrato.
-Non abbiate paura. Mostrate semplicemente quello che sapete fare- dice di nuovo l’uomo. –Come se non ci fosse nessuno a guardarvi-
In qualche modo il suono di quella voce riesce a calmarlo. Si sfila la giacca, la ripiega e l’appoggia a terra accanto a sé. Con indosso la camicia che un tempo doveva essere stata bianca, risulta ancora più magro di quanto non sembrasse prima. Arrotola le maniche fino ai gomiti e chiude gli occhi un istante, per poi riaprirli scintillanti di determinazione.
Inizia lo spettacolo.
Le sue mani si muovono nell’aria come se la stessero accarezzando, guidando le forme che compaiono quando la pelle viene a contatto con l’altra pelle. Il teatro si riempie del dolce profumo di rose quando, con uno schiocco di dita, dal palmo del giovane cadono petali di tutti i colori esistenti in natura e di colori mai visti. La penna posata sulle ginocchia dell’uomo con il cilindro, seduto in prima fila e concentrato ad osservare quello che si svolge sotto le luci del palco, si solleva e si mescola ai fiori e alle sfere colorate che danzano sospesi. Una fiamma si accende all’improvviso e scorre sulle braccia nude del giovane illusionista seguendo binari invisibili.
-Basta così-
Il ragazzo s’interrompe. Le fiamme si spengono con uno sbuffo di fumo e tutto quello che fino a qualche secondo prima volteggiava leggero, cade ai suoi piedi. Incontra lo sguardo duro dell’uomo seduto in fondo alla sala e illuminato debolmente dalla luce.
-D’accordo- dice Alexander.
I petali scompaiono. Le sfere colorate fanno lo stesso. La piuma si solleva e torna tra le mani dell’uomo con il cilindro. Il giovane raccoglie la giacca e scende dal palco.
-Grazie per il tempo che mi avete dedicato- mormora.
-Grazie a voi. Vi faremo sapere- risponde la voce pacata.
Esce e la porta si chiude dietro di lui. Il breve spiraglio luminoso illumina la platea e l’annunciatore che si alza per andare a chiamare il prossimo illusionista.
-Perché l’hai mandato via? Stava andando bene-
-Non era necessario andare oltre. È uno di quelli veri-
 
 
Ciao =)
Innanzitutto grazie per aver letto.
Non so se continuerò questa storia o meno. Ho voluto scrivere questa scena perchè mi tormentava da giorni e ne ho impostata un po' un'altra che forse pubblicherò, ma non ne sono sicura.
In ogni caso, sarei molto felice di sapere cosa ne pensate e, secondo voi, se sia o no il caso che scriva ancora.
Grazie di nuovo.
Ciaociao

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II ***


La chiave gira nella serratura dall’interno della stanza vuota. Il ragazzo entra mentre una candela si accende nell’oscurità della sera, illuminando le pagine appese alle corde che percorrono il soffitto da una parte all’altra. Si sfila la giacca e la getta insieme al pacco di fogli sul materasso consumato. Slaccia i bottoni della camicia ad uno ad uno. I movimenti si fanno sempre più impazienti e frenetici, fino quasi a strapparla nel toglierla dalle spalle. Una fascia chiara gli avvolge il petto. Si siede, le mani strette tra i capelli, e grida. Il vetro della finestra accanto a lui va in frantumi, così come, il boccettino dell’inchiostro tra la carta, lo specchio appeso alla parete il bicchiere e la bottiglia abbandonati sul tavolo. I pochi passanti in strada sollevano lo sguardo sulle schegge di vetro che cadono dall’alto. Una giovane madre al piano sottostante scuote leggermente il capo e con un sospiro, sale le scale buie stringendo il bambino a sé. Mentre l’urlo di Alexander si spegne, i frammenti sparsi per la stanza si ricompongono e tornano al loro posto, l’inchiostro rientra nel recipiente, i fogli appesi oscillano, la gente in strada torna a camminare credendosi visionaria.
-Alex, sono io. Aprimi-
La porta della stanza si apre sotto i colpi della ragazza, che entra. Il bambino comincia ad agitarsi tra le braccia della madre. Il ragazzo non si muove, continua a respirare profondamente.
I capelli di Alex crescono lentamente e i tratti del viso cambiano, ammorbidendosi. Un leggero strato di sudore le copre la fronte e una lacrima solitaria fugge al suo controllo.
-Fa ancora molto male?- chiede Charlotte, avvicinandosi e passando le dita tra le ciocche scure che incorniciavano il viso della ragazza seduta davanti a lei.
-No, quasi per niente- risponde flebilmente lei.
-Bugiarda. Come è andata la selezione? Ti hanno preso?-
Si alza in piedi e da’ le spalle all’amica, accostando la mano al vetro appannato della finestra.
-Come vuoi, non rispondere. Finisci di cambiarti, nel frattempo io preparo il tè-
Prima che riesca a toccarlo, il bollitore si solleva fino ad arrivare sopra al tavolo dove i fogli si raccolgono in pile ordinate. Mentre l’acqua comincia a scaldarsi, due tazze si appoggiano sul ripiano insieme al contenitore delle foglie del tè.
-Riuscirò almeno ad accendere un’altra candela prima che lo faccia tu?- chiede Charlotte, spostando il bambino sull’altro braccio.
Una fiamma appare sulle tre candele sparse per la stanza.
-Non so come ringraziarti, Alexandra, non ci sarei riuscita da sola!-
Lei sorride appena, prendendo un abito e voltandosi verso la parete. Lentamente inizia a svolgere la fascia, scoprendo la schiena che appare dorata che alla luce del fuoco e le cicatrici che spiccano bianche.
-Come sta Thomas?- domanda, facendosi scivolare il vestito sulla pelle.
-Si sta svegliando- risponde Charlotte, accarezzando una mano del figlio.
Alexandra si avvicina al tavolo e si siede davanti all’amica, mentre il pacco di fogli si solleva dal materasso e si posa tra le sue mani. Rompe lo spago che tiene insieme le pagine e inizia a sfogliarle.
Ogni tanto, una si stacca dalle altre e raggiunge uno spazio vuoto nelle corde appese al soffitto e lì rimane, tenuto fermo da un meccanismo sconosciuto.
-Cos’hai trovato oggi?- le chiede Charlotte, prendendo tra le dita i versi che non riesce a decifrare.
-Sonetti di Shakespeare. L’intera raccolta. Quelli della tipografia non sanno fare il loro lavoro. Hanno rovinato un’edizione molto bella-
-Che tu non ti sei lasciata scappare-
-Certo che no. Loro non se ne fanno niente e io non posso permettermi una versione rilegata-
L’acqua inizia a bollire e viene versata nelle due tazze, senza che Alexandra debba sollevare lo sguardo dalla carta. I due cucchiai raccolgono le foglie di tè dal contenitore e ve lo versano dentro, per poi iniziare a girare seguendo la forma del contenitore. Charlotte cerca di prendere quello che si muove nella tazza davanti a lei, rinunciando dopo diversi fallimenti.
-Ti dispiace?- chiede, indicando il tè.
-Scusa-
I pezzetti di foglie continuano a girare formando un vortice ancora per un po’ dopo che Alexandra ha fermato il cucchiaio.
-Posso tenerlo un po’?- chiede, indicando il bambino che comincia a muoversi.
-Basta che lo prendi come ogni comune essere umano, non facendolo levitare. L’ultima volta mi è quasi venuto un colpo al cuore- risponde lei, con un sorriso.
-Tranquilla-
Si alza e prende Thomas dalle braccia di Charlotte, andandosi poi a sedere sul materasso e tenendo caldo il tè. Lui apre gli occhi scuri, così simili a quelli della madre, e sorride alla ragazza. Con un delicato movimento delle dita, Alex fa comparire piccole sfere colorate che danzano davanti agli occhi del piccolo. Lui le fissa rapito prima di scoppiare in un’allegra risata.
-Lo incanti sempre-
-È questo che sono, no? Un’incantatrice-  risponde all’amica, lo sguardo sul bambino che cerca di afferrare i colori che gli volteggiano intorno e le labbra increspate in un lieve sorriso.
Charlotte beve un sorso di tè, osservando per l’ennesima volta la stanza intorno a sé.
La prima volta che vi era entrata, aveva creduto che Alexandra fosse pazza. Aveva bussato ad ogni porta del palazzo per chiedere accoglienza e un po’ di calore per se stessa e per il bambino che aveva da poco partorito. Il padre di Thomas era scomparso qualche giorno dopo la nascita, più di sei mesi prima, e lei non ne aveva più avuto notizie. L’unica ad accoglierli in casa propria era stata quella giovane e misteriosa ragazza dalle unghie insolitamente scure. Viveva sola in un appartamento dove la carta riempiva ogni angolo, persino il soffitto. E il fuoco che bruciava sul pavimento al centro della stanza non la sfiorava nemmeno. Non aveva bisogno di nulla per rimanere acceso, quel fuoco. Per un po’ rimasero sedute accanto alle fiamme senza che nessuna delle due dicesse niente, entrambe intente a osservarsi l’un l’altra. Poi Thomas aveva iniziato a piangere e lei non era riuscita a calmarlo fino a quando la loro ospite non ebbe schioccato le dita. Forme colorate erano uscite dalle sue mani e il bambino le fissava in silenzio, ammaliato. Charlotte si era subito alzata ed era corsa alla porta.
-Non vi farei mai del male- aveva detto la ragazza con uno sguardo rassegnato, senza muoversi. Ad una ad una le strane forme erano scoppiate. –Né a te, né a tuo figlio. So che è difficile da credere, ma puoi fidarti-
Si era alzata e si era allontanata dal fuoco, sedendosi accanto alla finestra. Gli occhi rivolti verso la città oltre il vetro e i pugni tanto stretti da piantarsi le unghie nella pelle.
 La giovane madre si era fidata. Era tornata vicino alle fiamme, osservando l’incantatrice dallo sguardo triste. Erano rimaste in silenzio fino al giorno successivo.
-Non mi hanno nemmeno fatto finire- dice Alexandra. –Mi hanno fermato dopo cinque minuti. Non credo che mi abbiano accettata-
-Lo hanno detto loro?-
Con un cenno di diniego riporta il bambino tra le braccia della madre.
-Ma non interrompi qualcuno se ti piace quello che sta facendo, no?-
-Immagino di no- risponde Charlotte, alzandosi e avvicinandosi alla porta. –Dove ti esibisci domani?-
-Sul ponte. Non ho voglia di allontanarmi troppo-
-Vengo a trovarti con Thomas. Gli farà bene prendere un po’ d’aria-
-Allora a domani. Buona notte-
-Buona notte, Alex-
Dopo aver chiuso a chiave la porta, la ragazza si siede al tavolo e ricomincia a sfogliare le pagine, spegnendo tutte le candele nella stanza tranne quella che ha davanti, mentre il bollitore e le foglie di tè tornano al loro posto. Avvicina a sé le due tazze e, rapidamente, beve il contenuto della propria. Osserva i frammenti depositarsi sul fondo e fa evaporare il liquido rimasto dalla propria e da quella di Charlotte. Un albero e un sole. Successo e felicità. Lo spera davvero. Spera davvero che Charlotte trovi la felicità.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** III ***


-È figlia del diavolo!-
Il padre grida nella stanza accanto. Alexandra si nasconde sotto il tavolo, raccogliendo le gambe vicino al corpo e nascondendo il viso tra le mani. Ha solo cinque anni, ma le attitudini per la magia si sono fatte vive già da un po’. È per questo che il padre la guarda diffidente da un paio di anni, fino a quel giorno, quando la bambina giocava con le bambole facendole volteggiare intorno a sé. Lei non capisce il motivo di quella reazione. Non capisce perché suo padre urli contro sua madre e la picchi così tanto. Non capisce perchè, quando la porta dello studio si apre, la donna le corra in contro e la stringa a sé, dando le spalle al marito. Non capisce perchè il padre, con il volto sfigurato dalla rabbia, colpisca sua madre talmente forte, che Alexandra non la vedrà mai più aprire gli occhi. Non capisce perché l’uomo che l’ha cresciuta, la scagli contro una vetrinetta, che si frantuma sotto di lei. Non capisce perché i domestici impieghino così tanto a intervenire. Non sa come, fa uscire i pezzi di vetro dalla carne e richiude le ferite, che rimarranno profondi segni chiari sulla sua pelle. Non sa come, non sa perché, ma capisce che è rimasta sola.
 
Alexandra apre gli occhi. La candela è ormai spenta e consumata, i fogli sono sparsi davanti a lei sul tavolo. L’unica luce è quella grigia dell’alba oltre il vetro. I do forgive thy robb’ry, gentle thief, Although thou steal thee all my poverty.Le parole di Shakespeare sostituiscono l’immagine degli occhi vitrei di sua madre e del volto sfigurato dalla rabbia di suo padre. Si alza e si avvicina alla finestra. L’orologio della torre segna le quattro e trentacinque. Appoggia le mani sul davanzale, facendo ticchettare le unghie nere sul legno. Accanto alle sue dita c’è il volantino che qualche settimana prima l’ha convinta a partecipare alle selezioni. Lo solleva e inizia a strofinarne un angolo. Fiamme arancioni avvolgono la carta, consumandola e riducendola in cenere che cade leggera sul pavimento. Una scuola di illusionismo. Che sciocca ad avere anche solo pensato di potercela fare. Lei, che per sopravvivere deve vestirsi da uomo e mettere in scena spettacoli che incantano i bambini ai lati della strada. Che vive tra quattro mura buie e fredde. Che ha trascorso l’infanzia passando da un istituto all’altro.
Apre il vetro della finestra. Il vento frizzante del mattino entra nella stanza e le smuove le ciocche di capelli.
Stringe le dita sul davanzale, mentre i capelli lentamente si accorciano e i tratti del suo viso cambiano, lasciandolo senza fiato. Si volta e si sfila l’abito. La fascia abbandonata in un angolo dalla sera prima si solleva e si avvolge intorno al suo petto nudo, nascondendo le forme del suo corpo. Alex la fissa con dita sicure, in modo che rimanga ferma tutto il giorno. Alza le braccia per infilare la camicia immobile sopra la sua testa. Indossa le calze a righe e i pantaloni, mentre i fogli sul tavolo si raccolgono in un pila ordinata. Prima di uscire prende la giacca e il cappello. Non gli serve altro per l’esibizione. Si chiude la porta alle spalle e fa scattare la serratura dall’interno.
Scende velocemente le scale illuminate debolmente dalla luce grigia, giocando con le poche monete che ha in tasca. Incrocia giovani abbandonati contro le pareti, lo sguardo annebbiato dal laudano e dall’assenzio. Incrocia le ombre negli occhi stanchi delle donne giovani e meno giovani che tornano nelle loro stanze dopo una notte di lavoro: i capelli scompigliati, il trucco sbavato, gli abiti strappati. Sospira, pensando che sarebbe potuta essere tra loro in questo momento. Sul punto di lasciare lo stabile, incontra una ragazzina rannicchiata in un angolo.  Le spalle scosse dai singhiozzi, le lacrime, nere a causa del trucco sciolto, che le rigano le guancie. Poco più che quindicenne, probabilmente è stata la sua prima notte di lavoro. Le sue colleghe più anziane la guardano e le rivolgono un sorriso amaro, sanno che all’inizio è difficile, ma lentamente passerà, o almeno diventerà più sopportabile. Alexander le si avvicina e le si inginocchia accanto. Lei sussulta al tocco leggero delle sue dita sul braccio e si ritrae alla vista del ragazzo dagli occhi gialli e il sorriso gentile davanti a lei. Con un rapido movimento delle dita, lui fa comparire un fiore bianco che le porge lentamente.
-Ce la puoi fare. Non lasciare che ti scalfiscano l’anima-
Poi si alza ed esce. La ragazzina si asciuga gli occhi con una mano, trascinando il colore lungo il viso, e osserva i petali candidi.
Il primo gesto gentile dopo tanto tempo. 



Ciao =)
Io sto continuando a scrivere (forse perchè mi sono già affezionata a questi personaggi, benchè solo abbozzati), ma non so quanto, nè tantomeno quando, riuscirò a pubblicare. In ogni caso, ci terrei davvero molto a sentire cosa ne pensate.
Grazie per aver letto =)
Ciaociao a presto
 
giulia

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** IV ***


Alexander scivola lungo i vicoli sudici, evitando i mucchi di stracci che spesso nascondono uomini e animali addormentati. Seguendo il profumo del pane fresco, raggiunge il negozio ancora chiuso vicino alla riva del fiume. Bussa alla porta sul retro. Una bambina con i lunghi capelli biondi raccolti in due trecce e i brillanti occhi azzurri gli apre, illuminandosi quando lo riconosce.
-Alex, siete venuto anche oggi!- esclama, sorridendo.
-Ciao, piccola Isobel- risponde, pulendole uno sbaffo di farina dalla guancia.
-Mi mostrate una delle vostre magie?-
-Più tardi, te lo prometto. Devo prima parlare con tuo fratello-
-È nella stanza dei forni- gli dice allegra, invitandolo ad entrare.
Alexander annuisce e si avvia lungo il corridoio buio preceduto dalla bambina che sparisce dentro all’unica stanza illuminata.
-Chi era, Isobel?- chiede con voce roca l’anziana donna che prepara i dolci.
-Alexander. È venuto per parlare con Jack-
-Alexander?- ripete in un sussurro appena percepibile la ragazza dagli occhi scuri che si affaccia sul corridoio.
Alex prende un respiro profondo prima di fare un altro passo in avanti e affrontare Catherina.
-Buongiorno, Alexander- dice lei, spostandosi un ricciolo biondo da davanti al viso.
-Buongiorno, Catherina- risponde con un cenno del capo, continuando a camminare verso la porta in fondo al corridoio.
-Come state oggi?- gli chiede, con le gote che acquistano colore.
-Piuttosto bene, grazie-
Cerca sempre di chiudere velocemente il discorso quando la incontra, ma non crede che Catherina abbia capito perchè lo faccia.
Viene investito dal calore nella stanza dei forni quando apre la porta. La luce calda dei fuochi illumina l’uomo che, infondo alla sala, estrae il pane. Il fisico modellato da una vita di lavoro, la pelle dorata ricoperta da un sottile strato di sudore, i capelli scuri attaccati alla fronte. Si gira e osserva Alexander, che gli fa un cenno con la mano.
-Alexander Teller. A cosa devo l’onore di vedervi due giorni consecutivi?- lo saluta, sorridendo e asciugandosi la fronte.
Il ragazzo gli si avvicina e afferra una delle pagnotte appena uscite dal forno, raffreddandola e staccandone un pezzo.
-Mi vengono i brividi ogni volta che lo fai. È inumano- si lamenta il fornaio.
Alex accenna una risata.
-Ho bisogno di un favore- dice, portandosi il  pane alla bocca.
-E dove sarebbe la novità?-
-Questa volta me lo devi. È colpa tua-
-Perché sarebbe colpa mia?-
-Scuola di illusionismo. Sbaglio o sei stato tu ad insistere perchè andassi alle selezioni?-
-Come è andata? Ti hanno preso?-
-Non lo so. Dovrebbero dirmi qualcosa nei prossimi giorni, ma non credo di essere passato. Mi hanno fermato dopo pochi minuti- risponde, con un sorriso rassegnato, voltando lo sguardo verso la porta socchiusa.
-Mi dispiace-
-Quindi oggi mi serve Isobel-
-No!- esclama Jack, allontanandosi da lui.
-Mi aiuta a recuperare i soldi che non ho guadagnato ieri-
-Scordatelo!-
-Devo pagare l’affitto! Vuoi vedermi dormire in mezzo alla strada?-
-L’ultima volta che è venuta con te ne ha parlato ininterrottamente per due settimane. Non ho nemmeno idea di come sia riuscito a sopportarla- dice, mettendo un vassoio carico di pane in forno.
-Jack, per favore!- interviene Isobel, aprendo la porta che da sul corridoio.
Il lieve fascio di luce si allarga illuminando il pavimento sporco di farina. Dietro la bambina, Catherina abbassa lo sguardo imbarazzata.
-Voi siete rimaste ad origliare tutto il tempo?- chiede loro il fratello.
Entrambe annuiscono.
-E tu da quanto lo sapevi?- chiede ancora all’amico.
-Da un po’- risponde lui, sorridendo alla bambina che gli è venuta accanto.
Jack sospira, passandosi le mani sul viso.
-Ti prego- insiste Isobel, avvicinandosi a lui.
Abbassa lo sguardo sui grandi occhi azzurri della sorella.
-D’accordo. Ma ti voglio a casa prima del tramonto- acconsente infine.
-Grazie!- esclama la bambina, abbracciandolo di slancio.
-Io sono pronta. Andiamo?- chiede entusiasta ad Alexander.
Lui si china davanti a lei sorridendo e le posa sulla testa il proprio cappello.
-Vai a dirlo a tua madre, piccola Isobel. Arrivo subito- le dice.
La osserva correre in corridoio, smuovendo la farina al suolo. Catherina la segue, chiudendo la porta dietro di sé, lo sguardo sempre rivolto verso il basso.
-Senti, non è che non mi fidi di te, ma... Cerca solo di evitare che si faccia del male- dice Jack, voltandosi verso il forno per controllare lo stato di cottura del pane.
-Certo- risponde l’incantatore, posando una mano sulla maniglia della porta.
Due pezzi di pane si sollevano da davanti al viso del fornaio, per poi ricadere nelle sue mani.
-Non vorrai che tua sorella e il tuo amico soffrano la fame, vero?- gli chiede sorridendo.
-Vorrei però che questo amico qualche volta pagasse- risponde l’altro.
Alexander prende un paio di monete dalla tasca e le lancia nella sua direzione. Jack le afferra.
-Ci vediamo questa sera- lo saluta sorridendo.
Con un cenno del capo, il ragazzo esce in corridoio. La luce scompare alle sue spalle quando richiude la porta alle sue spalle.
A soli venti anni, dopo la morte del padre, Jack si è trovato un’attività da mandare avanti e le sorti della propria famiglia in mano. Una sorella di quindici anni, un’altra di quattro e una madre non vedente dopo un tentato suicidio.
Aveva creduto che Isobel non si fosse accorta di nulla. Non si era mai sbagliato tanto. Quel mattino, dopo la sera del ritrovamento della donna in fin di vita, la bambina era sparita. Era subito andato a cercarla, mentre Catherina era rimasta con la madre e il medico di famiglia. L’aveva vista solo a pomeriggio inoltrato, seduta su un muretto basso, accanto a lei un giovane. Era vestito completamente di nero, gli occhi nascosti dalla tesa del cappello, i capelli neri raccolti alla base della nuca da un nastro scuro.
Improvvisamente, il ragazzo aveva sollevato lo sguardo su di lui e aveva accennato un sorriso. Aveva gli occhi più strani che Jack avesse visto, di una strana sfumatura di verde.
-È quello laggiù?- lo aveva sentito dire ad Isobel.
Lei aveva seguito la direzione che lui le indicava e quando aveva riconosciuto il fratello era arrossita e aveva annuito tenendo la testa bassa.
-Perché non vai da lui? Sembra molto preoccupato- aveva continuato l’altro. –Scommetto che ti sta cercando da tutto il giorno-
Isobel aveva scosso la testa, stringendosi le mani in grembo.
-Perché no? Non vuoi tornare a casa?-
-No- aveva risposto in un sussurro la bambina.
-Perché?-
-Non mi vogliono più a casa-
-Perché dici così?-
-Perché mia madre voleva tornare con mio padre. Non voleva più stare con noi!-
Anche da quella distanza, Jack riusciva a vedere una lacrima scorrere sul viso della sorella.
-E dov’è andato tuo padre?- le aveva chiesto il ragazzo.
-È morto- aveva detto Isobel guardandolo negli occhi, con una schiettezza e una consapevolezza che su una bambina di quell’età facevano venire i brividi.
Rimasero entrambi in silenzio per qualche minuto.
-Sai- aveva iniziato il ragazzo. –quando avevo la tua età è morta mia madre e lo stesso giorno, mio padre è andato via. Ma io non avevo un fratello che si potesse occupare di me. Mi hanno mandato in un istituto per orfani. E questo perché non avevo nessuno che potesse occuparsi di me. Nessuno che mi volesse. Tuo fratello ti vuole con sé. Non sarebbe venuto a cercarti altrimenti-
-Io non voglio andare a casa. Voglio diventare un mago. Come voi-
-Facciamo un patto, allora: io ti faccio vedere i miei trucchi e provo ad insegnarteli, ma tu torni a casa con tuo fratello. Ci stai?-
Isobel aveva riflettuto per qualche istante, per poi annuire.
-Perfetto. Andiamo- aveva detto il ragazzo, saltando giù dal muretto e aiutando la bambina a scendere.
Le aveva porto la mano e si erano incamminati verso Jack.
-Isobel, ero così preoccupato!- le aveva detto il fratello, abbracciandola.
-Vi ringrazio per averla tenuta con voi fino adesso- aveva aggiunto poi, rivolto al ragazzo dagli strani occhi quasi gialli.
-È stato un piacere. Ci vediamo presto, piccola Isobel- aveva risposto lui sorridendo, prima di voltarsi e sparire tra i vicoli bui.
Da quel giorno, Alexander passa al negozio almeno una volta alla settimana e trascorre un po’ di tempo con Isobel mostrandole le sue magie e cercando di insegnargliele.
Jack prende un vassoio carico dal forno poco prima che il pane bruci. È passato quasi un anno da quando l’hanno conosciuto e l’incantatore ha cambiato la vita di tutti loro. 



Ciao =)
Sono di nuovo qui e mi accorgo solo ora che sono passate ben due settimana da quando ho aggiornato l'ultima volta... ops! =P
In ogni modo, penso che continuerò a scrivere questa storia, ma non riuscirò sicuramente a mettere il prossimo capitolo entro fine mese, mi spiace.
Grazie mille a chi ha recensito fin ora, grazie di cuore =)
Spero che vi sia piaciuto questo capitolo, mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate, grazie per aver letto =)
Ciaociao a presto =)
 
giulia

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** V ***


Il bambino corre via nel lungo corridoio illuminato dalla luce grigia che entra dalle finestre, lasciando Alexander davanti ad una porta di legno scuro.
Due giorni. Sono passati solamente due giorni.
Aveva appena concluso l’esibizione e la folla aveva appena iniziato a diradarsi, quando un uomo gli si era avvicinato. Indossava un cilindro nero e il pesante mantello gli avvolgeva le spalle larghe. Gli aveva comunicato che l’avevano accettato alla scuola di illusionismo. Che, considerate le sue ristrettezze economiche, un collaboratore dell’istituto che preferiva rimanere anonimo avrebbe provveduto al pagamento delle lezioni e dell’alloggio. Che aveva la speranza di cambiare vita. Ma forse questo l’uomo in nero non lo sapeva.
Le lezioni sarebbero iniziate di lì a qualche giorno, ma Alex era voluto andare in anticipo al collegio per cominciare a studiare l’ambiente e capire come muoversi. Non vedeva un luogo tanto curato da quando i soldi della sua famiglia per pagare gli orfanotrofi avevano iniziato a scarseggiare.
Pesanti tende di velluto ai lati delle grandi finestre che si affacciano sul cortile interno e sui prati che circondano l’edificio. Lunghi tappeti stesi nei corridoi che attutiscono il rumore dei passi. Alle pareti, elaborate cornici che racchiudono dipinti accurati.
Alex solleva la mano per sfiorare con la punta delle dita lo scuro intarsiato della porta. Prende un respiro profondo e abbassa con decisione la maniglia. Gli si apre davanti una stanza ampia dal soffitto alto illuminata dalla luce proveniente dall’esterno.
-E tu saresti?-
Alexander sobbalza al suono della voce proveniente da dietro il tessuto rosso scuro che scende dal baldacchino del letto alla sua destra. Il ragazzo scende dal materasso e gli si avvicina. È alto, decisamente più alto di lui, i capelli scuri gli sfiorano delicatamente il collo, la pelle abbronzata fa pensare che venga da uno dei paesi sulla costa meridionale, gli occhi neri lo guardano curiosi.
-Alexander Teller- risponde, stringendo le dita intorno al manico della vecchia borsa consumata dove tiene le poche cose che possiede.
-Sei lo studente nuovo?-
Alex annuisce.
-Io sono James Brown, piacere di conoscerti-
Le sue labbra si curvano in un sorriso mentre gli porge la mano. Il ragazzo fa durare il contatto pochi istanti, osservando a disagio la camicia candida di James, di un colore così diverso dall’unica che lui possiede e che nasconde sotto la giacca scura.
Distoglie lo sguardo dal ragazzo e osserva le pesanti tende alle finestre e i decori in rilievo dei tre armadi e dei tre letti appoggiati contro al muro.
Un leggero spostamento d’aria gli provoca un brivido lungo la schiena.
-Tieni i tuoi oggetti di scena in quella valigia?
-Come?-
-Nella valigia. Hai i tuoi oggetti di scena? Quello che ti serve per i trucchi?- ripete James, accennando alla borsa che Alex stringe tra le dita.
-No- risponde, scuotendo leggermente il capo. –C’è tutto quello che ho-
-Non prendermi in giro, hanno portato cose in camera tutto ieri. E non sono mie né di Ethan-
-Dove sono?-
Con un cenno indica il tavolo colmo di libri davanti alla finestra.
Alex si avvicina, lasciando la valigia accanto alla porta. I volumi sono allineati ordinatamente sul ripiano, letteratura, anatomia, biologia, e sopra a tutti un foglio di carta spessa ripiegato. Lo prende tra le dita e lo apre lentamente.
“C’è tutto quello di cui puoi avere bisogno. Non mi deludere. Difficilmente ti verrà data un’altra possibilità”
I bauli che ha davanti si aprono, rivelandosi pieni di camicie bianche, pantaloni scuri e giacche della sua taglia.
-Perché quella faccia stupita? Sono solo dei vestiti- dice James, affiancandolo.
-Non indosso vestiti nuovi da quasi dieci anni- risponde Alex in un sussurro.
-È assurdo- mormora l’altro incredulo.
-Da dove vieni, ragazzino?-
La voce bassa alle loro spalle li fa girare verso il ragazzo sulla poltrona accanto alla finestra. I lunghi capelli biondi sono tenuti fermi alla base della nuca da un laccio di cuoio, le maniche della camicia chiara sono arrotolate fino ai gomiti, la pelle è scura quanto quella di James, forse di più.
-Ethan, lui è il nuovo studente, Alexander Teller. Alexander, questo è Ethan Douglas-
-Non hai risposto alla mia domanda, ragazzino- dice Ethan dopo qualche istante.
-Ho diciotto anni, non chiamarmi ragazzino- risponde Alex.
-Appunto. Si arriva al quarto anno ad almeno ventidue anni, tu ne hai diciotto, sei un ragazzino. E i motivi per cui puoi essere al quarto anno e non al primo, possono essere solo due: hai pagato qualcuno del consiglio della scuola o sei veramente bravo-
-Escluderei la prima-
-Perché?-
-Perché la mia intera casa è più piccola della metà di questa stanza. Perché sopravvivo grazie a quello che mi viene dato per degli spettacoli improvvisati ai lati della strada. Perché negli ultimi anni ho vissuto lontano da qualsiasi ambiente prestigioso, ambiente di cui sicuramente questo posto fa parte. Perché nell’ultimo periodo tutto quello che ho sono tre monete al giorno. Sono sufficienti come motivazioni o te ne serve qualche altra?- risponde Alex.
-E tutta quella roba?-
-Mi è stata offerta. Non avrei potuto nemmeno permettermi la retta del collegio altrimenti-
-Vedremo se te la sei meritata-
Ethan e Alex si osservano in silenzio, fino a quando James scoppia a ridere.
-Ci sarà da divertirsi quest’anno- esclama.
Ethan interrompe il contatto visivo e si volta verso l’amico con un’espressione divertita sul volto.
Alexander si volta, lasciando il foglio sulla scrivania e prendendo in mano uno dei volumi rilegati in pelle con sottili decori dorati. Il cappello si solleva e si posa sulla borsa che ha portato da casa e i bauli si richiudono, scivolando sul pavimento fino ad incontrare la parete sotto il tavolo.
-Da dove sei spuntato?- chiede James all’amico.
-Dalla porta. Ma eri troppo distratto dal novellino per accorgertene anche se non mi sono impegnato particolarmente per confondermi- risponde Ethan sorridendo.
-Confonderti?- chiede Alex.
-Confondermi con l’ambiente. È quasi una forma di invisibilità. Iniziano insegnarla al terzo anno- risponde Ethan, alzandosi in piedi.
Si avvicina alle tende che proiettano una lunga ombra sul pavimento. Lentamente i contorni del suo corpo diventano sempre più indistinti, fino a che il ragazzo risulta quasi invisibile nell’oscurità. Alex lo osserva, affascinato da quel nuovo trucco. Sarebbe stato molto più facile sopravvivere per strada se l’avesse conosciuto prima.
-Come si fa?-
-È lo stesso principio della manipolazione, devi deviare la luce dal tuo corpo- interviene Jack. –Questo almeno in teoria. In pratica è più complicato, serve fare molto esercizio-
Alexander solleva una mano davanti al viso. Individua la luce diretta verso la pelle, quella riflessa diretta verso i suoi occhi e ne devia la direzione. Le dita si scuriscono quasi completamente, perdendo tridimensionalità.
-Così?- chiede a Jack, allungando il braccio verso di lui.
Il ragazzo si avvicina sbalordito, osservando attentamente la sua mano.
Ethan lo affianca incredulo, riprendendo colore e dimensione.
-È impossibile. Non può essere la prima volta che lo fai. Non puoi riuscirci così- mormora.
Qualcuno bussa alla stanza. I tre si voltano di scatto verso il bambino che spunta da dietro la porta socchiusa.
-Alexander Teller?- chiede.
-Sono io- risponde lui, facendo ricomparire la mano e stringendo le dita a pugno.
-Il rettore vi aspetta tra dieci minuti nel suo ufficio-
-Certo. Arrivo-
Si avvia verso il corridoio, mentre il bambino scompare dietro la porta.
-Alexander, sei già stato dal rettore?- lo chiama James.
Scuote la testa.
-È l’edificio nel cortile interno. E non sperare che il bambino ti accompagni; spariscono dopo aver recapitato il messaggio, nessuno sa nemmeno chi siano- interviene Ethan.
-D’accordo, grazie - risponde Alex.
-Ci vediamo direttamente in mensa per il pranzo- saluta James, con un sorriso.
Annuendo, Alex, si chiude la porta della stanza alle spalle.
Il corridoio è completamente vuoto. Appoggia la fronte al vetro freddo della finestra davanti a lui, con il fiato corto, rilassando i muscoli doloranti delle spalle. Una goccia di sudore gli scorre lungo la tempia, sulla pelle pallida. Non immaginava che sarebbe stato così difficile mantenere quell’aspetto tanto a lungo. La pelle del viso tira, i muscoli sono tesi nello sforzo.
Prendendo un respiro profondo, si volta e percorre il corridoio a ritroso, verso la direzione da cui ha raggiunto la stanza.


Ciao =)
Scusate per il terribile ritardo, ma non sapevo come risolvere la tecnica del "confondersi", l'avrò cambiata almeno dieci volte. E a questo proposito, non è completamente inventata com cosa, mi sono ispirata ai principi della fisica, in particolare a quello della riflessione, principio per cui in effetti riusciamo a precepire i corpi intorno a noi. Mi è sembrato che potesse stare in piedi questa rielaborazione, se avete qualcosa da dire sono felice di ascoltarla =)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che mi facciate sapere cosa ne pensate =)
Grazie a chi ha recensito gli scorsi capitoli e a chi ha inserito la mia storia tra le seguite/preferite. Grazie mille.
ciaociao a presto 

giulia

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** VI ***


L’erba verde del prato è illuminata dalla luce calda del sole. Dai vertici del cortile ottagonale partono vialetti di ghiaia chiara che si uniscono nella costruzione in marmo bianco posta al centro del giardino. In ogni angolo c’è un grande albero rigoglioso che supera in altezza i due piani della struttura del collegio.
In città non c’è tutto quel verde.
Alexander si avvicina all’edificio e solleva la mano per bussare alla porta di legno scuro, che si apre prima che possa anche solo sfiorarla. Per poco si scontra con l’uomo vestito che gli si presenta davanti. Le spalle sono coperte dal mantello nero che gli si allaccia sotto la gola. Gli occhi dall’espressione severa sono dello stesso colore.
Nel suo sguardo, il giovane incantatore riconosce colui che l’ha interrotto alle selezioni qualche giorno prima. Il ragazzo si fa da parte, mentre l’altro, sistemandosi il mantello sulle spalle, lo supera e si dirige verso l’edificio principale. Alex entra nell’anticamera dell’ufficio del preside.
La pareti sono ricoperte di legno scuro intagliato che tiene i suoni all’esterno, creando un’atmosfera ovattata. Il pavimento è ricoperto da uno spesso tappeto che attutisce il rumore dei passi. In un angolo, accanto all’unica finestra, un globo in legno raffigurante la superficie terrestre è appoggiato su un piedistallo. Vi si avvicina, sfiorando con le dita la superficie liscia. Fa ruotare la sfera. Le Americhe, l’Europa, l’Africa, i poli, l’Asia, l’Oceania scorrono sotto i suoi occhi. Ne ricorda uno simile nello studio di suo padre.
-Voi siete?-
Sobbalzando, Alex si volta. Un uomo anziano, alto, magro, dai capelli grigi e dalla pelle sottile e rugosa, lo osserva dalla soglia dell’ufficio.
-Alexander Teller. Sono stato chiamato…-
-Fallo entrare- lo interrompe una voce grave dall’interno della stanza accanto.
Con un cenno, il ragazzo è invitato ad entrare. Le pareti sono rivestite degli stessi pannelli del’anticamera, il rumore dei passi sul pavimento di marmo contrasta con il silenzio dell’altro ambiente. La luce, che entra dalla grande finestra dietro il massiccio tavolo, è schermata dalle tende pesanti. Un uomo dalla corporatura imponente è seduto dietro la scrivania, con la schiena appoggiata allo schienale della pesante poltrona e un sorriso sereno in volto.
-Sedetevi-
Alex obbedisce. Per quanto il suono della sua voce riesca a farlo rilassare, il suo sguardo gli fa gelare il sangue.
L’uomo si sporge in avanti, puntando i gomiti sulla scrivania, il mento appoggiato sulle mani intrecciate, la barba candida, i capelli dello stesso colore coprono i pungenti occhi verdi.
-Sono il rettore Drake. Benvenuto all’istituto-
-Vi ringrazio per quest’opportunità- risponde il ragazzo.
-A proposito di questo, immagino che abbiate visto il materiale che vi è stato offerto. Solitamente, non accettiamo questo tipo di interventi esterni, ma considerato che il vostro protettore, se così vogliamo chiamarlo, è una persona di notevole importanza per questo istituto e considerato il vostro evidente talento, si è deciso di fare un’eccezione. Vi consiglio di non sprecare quest’opportunità-
-Non ne ho alcuna intenzione-
-Bene. Meglio così- dice il rettore, accennando un sorriso. –Immagino sappiate che il corso di studi dura, in totale, cinque anni. I primi tre sono dedicati all’illusionismo in senso stretto. Verso la fine del terzo, gli insegnanti iniziano a proporre attività che vanno oltre la semplice illusione, si tende ad andare verso l’incantesimo, la manipolazione. Accedono al quarto anno solamente gli studenti che hanno dimostrato una certa attitudine per questi ultimi e da qui, escludendo eventuali incidenti di percorso, si può arrivare tranquillamente alla fine del quinto. Alle selezioni, voi avete mostrato di possedere abilità che vanno palesemente oltre l’illusionismo. Il consiglio ha dunque accettato la proposta di farvi frequentare i corsi del quarto anno. È probabile però che nella vostra preparazione ci siano alcune lacune che potrebbero risultare importanti nel corso dell’anno. Il professor Wood si è reso disponibile per aiutarti a colmare queste lacune. Da quando inizieranno le lezioni, fra quattro giorni, frequenterete la sua classe un’ora in più rispetto al consueto programma quotidiano-
-D’accordo-
-Bene. Se avrete ulteriori domande, non esitate a chiedere- conclude l’uomo, aprendosi in un sorriso di commiato.
-Certo. Grazie ancora- risponde Alex, alzandosi in piedi e uscendo dalla stanza.
Uscendo dall’edificio di marmo bianco, rimane abbagliato per qualche istante dalla luminosità dell’ambiente.
Una nota. Una nota vibrante aleggia nell’aria per qualche secondo. Poi si dissolve. Dopo qualche istante, un’altra nota si leva dal silenzio. Seguita poco dopo da un’altra. Poi un’altra ancora. Una sequenza di note che non sembrano seguire alcuna melodia, lunghe, lente, quasi svogliate.
Note acute di violino che quasi casualmente si rincorrono per creare una dolce melodia.
Dodici forti rintocchi interrompono il suono. Alex si volta verso la piccola torre con l’orologio che sovrasta l’edificio in cui si trovava fino a pochi minuti prima. Mezzogiorno.


Ehilà =)
Lo so, sono in ritardo (terribilmente in ritardo, in ritardo di tre mesi!) e vi chiedo scusa, vi chiedo umilmente scusa soprattutto per essermi ripresentata dopo così tanto tempo con un capitolo così corto. Il problema era che non riuscivo più a scrivere nulla, niente di niente. In ogni modo, credo che sia passato, infatti sto già scrivendo il nuovo capitolo (migliore, almeno spero, di questo, che non mi soddisfa affatto).
Mi farebbe molto piacere sapere con una recensione (anche piccina piccina) cosa pensate di quello che ho scritto. =)
Grazie di cuore a chi ha letto e recensito. =*
Ciaociao a presto (lo giuro =P)


giulia

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** VII ***


Alex entra nella sala illuminata dalle ampie finestra ad arco acuto poste lungo i lati più lunghi. Seguendo James e Ethan, si avvicina ad uno dei lunghi tavoli a cui sono seduti pochi studenti e su cui è posata un’enorme quantità di cibo, più di quanta ne ha mai vista nella sua vita, ogni piatto condito con i più disparati tipi di fiori. Il suo stomaco si risveglia, ricordandogli dolorosamente che non mangia da almeno due giorni. Siede accanto a James e osserva incredulo il pasto che ha davanti agli occhi.
-Non c’è molta gente in questi giorni, ma vedrai che appena inizieranno le lezioni, questo posto sarà talmente pieno di studenti che si farà fatica a trovare posto da sedere- commenta il ragazzo ridendo e cominciando a riempire il piatto vuoto che ha davanti.
Alex fissa la distesa di cibo davanti a sé, quasi temendo che, nel momento in cui lo sfiorerà con le dita, questo svanirà, come in alcuni sogni che negli ultimi anni gli facevano visita la notte.
-Puoi mangiare. Non è finto- gli dice sprezzante Ethan, portandosi la forchetta alla bocca.
Il piccolo illusionista allunga una mano e afferra una pagnotta. Spezzandolo, nota al suo interno piccoli semi di lavanda, il cui profumo si mescola a quello del pane. Lo assaggia e subito pensa che dovrebbe suggerirne la ricetta a Jack; i suoi guadagni decollerebbero.
Alex magia. Sempre più velocemente. Sempre più voracemente. Cercando di riempire il vuoto che da anni ha nello stomaco e che sembra allargarsi ad ogni boccone, senza colmarsi mai.
Finalmente, dopo quello che gli è sembrato durare un’eternità e al contempo il pasto più veloce della sua vita, inizia a percepire un vago senso di sazietà. È una sensazione che non prova da prima della morte di sua madre.
-Fame?- chiede James, osservandolo stupito.
 Alex abbassa lo sguardo imbarazzato.
-Io… non mangio da un po’- dice, prendendo un sorso dal bicchiere da cui si solleva un delicato odore di gelsomino.
-Qualche ora?-
-Qualche giorno- risponde, scuotendo il capo. –L’ultima volta è stato due giorni fa, credo-
-E come diavolo fai ad essere ancora in piedi?- gli chiede James incredulo, bloccandosi con il cucchiaio a mezz’aria.
Alex ride della sua espressione.
-Soltanto perché tu non riesci a passare mezza giornata senza riempirti di cibo, non è detto che anche gli altri non riescano- borbotta Ethan.
Improvvisamente, Alex sente un leggero fastidio nello stomaco, fastidio che si fa sempre più invadente, tanto da spingerlo a correre fuori dalla stanza tenendosi una mano davanti alla bocca.
Si precipita nel cortile interno, appoggiandosi con tutto il peso ad uno degli alberi e prendendo respiri profondi. Quello che ha mangiato spinge per uscire dal suo stomaco. Gli gira la testa, in un improvviso attacco di debolezza che lo fa cadere a terra. Stringendo l’erba verde tra le dita, Alex svuota lo stomaco. Non era mai stato così male, mai tanto male da rigettare il poco cibo che riusciva a mangiare.
Dopo quella che gli è sembrata un’eternità, riesce a raddrizzare la schiena e ad appoggiarsi al tronco dell’albero dietro di lui. Una solitaria goccia di sudore gli scende dalla tempia, percorrendo il profilo del suo viso fino al mento.
-Avresti dovuto andarci piano-
Alex si volta di scatto verso la direzione da cui è provenuta la voce, verso la chioma fitta di foglie.
Un ragazzo è seduto placidamente su un ramo, una gamba piegata davanti a sé e l’altra lasciata dondolare nel vuoto. Nella mano stringe un vecchio violino e un archetto. La pelle è chiara, con una leggera sfumatura dorata. Ha i capelli lunghi, talmente scuri da acquistare riflessi blu con il variare della luce, tenuti raccolti alla base della nuca. I suoi occhi di ghiaccio l’osservano dall’alto.
-Cosa?- mormora il piccolo illusionista.
-Non avresti dovuto mangiare tanto- ripete il ragazzo.
-Davvero? Grazie, non l’avevo capito- borbotta sarcastico Alex, abbassando di nuovo lo sguardo e appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
Respira profondamente, combattendo contro la nausea che ancora gli attanaglia lo stomaco.
Con una risata, il violinista scende dall’albero.
-Sei quello nuovo, vero? Direttamente al quarto anno- dice, con il sorriso sulle labbra.
-E tu come lo sai?-
-Ho assistito alle selezioni. Complimenti davvero, non avevo mai visto nessuno gestire le fiamme come fai tu-
-Grazie- risponde, aprendo gli occhi e guardandolo dal basso.
-Io sono Julian-
-Alexander, anche se immagino che tu lo sappia già. Mi alzerei, ma non sono certo di riuscire a restare in piedi- si presenta Alex con un sorriso amaro, stringendo la mano tesa davanti a lui.
-Ti lascio a riprendere le forze, allora. Ci si vede- dice Julian con un cenno della mano, allontanandosi.
Il piccolo illusionista solleva la mano in saluto, per poi appoggiare di nuovo la testa alla corteccia.
La stanchezza cala su di lui come un sipario. Non aveva ancora provato a mantenere quelle sembianze per una mattina intera e l’episodio di poco prima ha dato una bella scossa alle sue energie.
-Alex!-
Apre gli occhi verso James, che gli sta andando incontro trascinandosi Ethan.
-Stai bene?-
-Meglio- risponde Alex annuendo e alzandosi appoggiando una mano all’albero. –Vado in camera, voi tornate pure in mensa. Ci vediamo più tardi-
Si volta e s’incammina verso la zona dei dormitori, sperando che i suoi compagni di stanza non lo seguano e facciano quello che ha detto loro. 



ciao a tutti =)
eccomi qui con un nuovo capitolo della storia di Alexandra =)
mi scuso già da ora per i ritardi che ci saranno nella pubblicazione dei prossimi capitoli, vorrei riuscire a pubblicare una volta alla settimana, ma so che non ci riuscirò, comlpici l'ultimo anno di liceo (e relativo esame di maturità, aaaahhhhh!!!) e la mancanza di ispirazione che mi ha colpita in questo periodo. mi dispiace.
in ogni modo, grazie mille a chi ha recensito, messo tra le preferite/seguite/ricordate o anche solo letto la mia storia =)
spero che questo capitolo vi sia piaciuto e abbiate voglia di farmi sapere cosa ne pensate =D

ciaociao a presto =*
giulia

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1744477