Il filo rosso del destino

di Diana Klein
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La mia anima gemella ***
Capitolo 2: *** Centro e Periferia ***
Capitolo 3: *** Un amaro senso di vuoto ***



Capitolo 1
*** La mia anima gemella ***


Esiste un’ antica leggenda, forse giapponese, o forse cinese, non ricordo. Ho sentito questa storia quando ero piccola, non ricordo chi me l’ abbia raccontata. Ma questo non ha importanza.
Dicevo, esiste un’ antica leggenda. Narra che ogni persona, dal momento della sua nascita fino alla sua morte, è legata da un filo rosso, invisibile, alla sua anima gemella. Il filo è legato al mignolo della mano, – o forse al piede? – e non può essere tagliato, nè spezzato. Non lo vedi, ma è lì. E ti guiderà inevitabilmente dalla tua anima gemella, indipendentemente dalla distanza e dal tempo che ci impiegherà. 
Trovo questa leggenda molto affascinante.

E se questo filo non fosse invisibile, se fosse cosa risaputa che questo filo esiste, cosa succederebbe?
Si potrebbe partire, alla ricerca della propria anima gemella, con la speranza che anche lei ti stia cercando. Si potrebbe fantasticare su come sia, di che nazione, di che cultura. E, quando finalmente la si troverebbe, si sarebbe sicuri che è quella la persona con cui si resterà per il resto della vita. Di sicuro più interessante di rimanere qui seduta, solamente a fantasticare.
Ma è davvero sicuro, che sarebbe tutto più facile? Chissà, posso solo immaginare. E questo pensiero è decisamente più affascinante della leggenda in sé.


 

 
Diana camminava a passo svelto lungo il bordo del marciapiede della via più affollata della città. I suoi lunghi capelli color rame ondeggiavano ad ogni passo. Era bassina per la sua età. Aveva un naso dritto, e il mento abbastanza sporgente per una ragazza, ma che le davano un aria decisa e allo stesso tempo graziosa.  Aveva un filo sottile legato al polso. Il colore del filo, di un rosso molto acceso, diveniva sempre più spento fino a essere sempre più trasparente, man mano che si allontanava dal polso. Non si poteva né toccare, né tagliare.  La ragazza camminava, evitando ogni persona, verso la scuola.
Diana era stata da sempre una bambina silenziosa e lunatica. Aveva sempre un’ aria pensierosa, ed era con la testa fra le nuvole ovunque. A volte era lenta a rispondere alle domande, ma non era stupida. Anzi, lei era sveglia e intelligente molto più dei suoi coetanei. I genitori non furono sorpresi quando, a soli undici anni, una sera arrivò da loro e con semplicità annunciò che riusciva a vedere il suo filo. Di solito si riesce a vedere il proprio filo del destino quando si è abbastanza maturi, e ciò avviene generalmente intorno ai  quindici-sedici anni. Negli studi era brillante, seguiva le lezioni e svolgeva i compiti con facilità. A volte questo causava invidia nei suoi confronti, ma lei non ci dava peso.
Quel giorno doveva sostenere un esame di lingue straniere, molto avanzato per la sua età. Aveva solo sedici anni, quasi diciassette, dato che dopo qualche settimana li avrebbe compiuti, eppure sapeva già parlare l’Inglese, il Tedesco e il Giapponese quasi perfettamente (oltre l’ Italiano, si intende).
Mentre camminava cercava di concentrarsi, ripeteva nella sua testa quelle poche parole che più si dimenticava. Non era nervosa, riusciva a mantenere la calma in ogni occasione, lei.
Si chiedeva: “Ce la farò…? Ce la farò…?” …
“Ovvio.”

Un ragazzo stava poggiato a un muretto, la schiena curva, le mani in tasca. A terra, vicino a lui, c’era la borsa della scuola. Aveva i capelli neri, con un ciuffo che gli copriva la fronte. A un tratto un’altra figura gli si avvicinò: -Ohe, Riin!- . Il ragazzo si girò. Non era quello il suo vero nome, si chiamava Enrico, lui. Ma agli amici piaceva chiamarlo così. -Ohe.. Gabbo!- Rispose.
-Neanche tu a scuola oggi, eh?- continuò Gabriele. Anche ‘Gabbo’ era solo un nomignolo. Rin accennò un sorrisetto, con una punta di tristezza che l’ amico non notò. Non era mai stato bravo negli studi, aveva continuato solo per il volere della madre. Doveva trovarsi un buon lavoro almeno lui, diceva. Doveva badare alla sorella, Valeria, che aveva la sindrome di Down. La madre non sarebbe bastata per sempre.
-Pf.. non ne vedo il motivo. Manca poco tempo alla fine. Non c’è motivo di seguire le lezioni..-
L’ amico scoppiò a ridere. -Si certo, come se le avessi mai seguite!- Scoppiò a ridere anche Rin. Si scostò dal muretto, appoggiò una mano sulla spalla dell’ amico e disse:
-Su dai, andiamo a farci un giro per la Via nostra. E’ troppo affollato questo posto, non vorrei che qualche fanciulla mi vedesse e si innamorasse perdutamente di me.  Sai com’è, ho già troppe ammiratrici…-
-Ma stà zitto và, Rin!- I due risero, e si incamminarono per delle piccole vie secondarie, che portavano alla periferia, e quindi alla campagna, dove c’era meno gente.

Era fatta. Diana uscì nel cortile a prendere un po’ d’aria. Aveva superato anche quell’esame. Respirò profondamente e guardò gli alberi del cortile della scuola, per rilassarsi.
“Sembrava così difficile. E invece, così facile… se l’ avessi saputo non mi sarei impegnata così tanto sui libri”. In realtà Diana non si era affatto impegnata, ma grazie alla sua intelligenza era riuscita a passare l’ esame comunque, e con ottimi voti.
Si incamminò verso casa, sempre a passo svelto. Passò varie vie, tutte alberate, fino ad arrivare a una villetta un po’ più isolata dalle altre. Entro per un cancellino con la sua chiave, e poi entrò in casa. C’erano i suoi genitori ad aspettarla.
-Allora, come è andata?- chiese la madre, ansiosa. Diana sorrise, e rispose semplicemente:
-Benissimo. Sono passata, era facile, dopotutto-. La ragazza non considerò più di tanto i complimenti dei genitori, e andò in camera sua. Si stese sul letto, e sospirò.
“Finalmente un po’ di riposo…”. Guardò il filo rosso che le circondava il polso.
“La mia anima gemella… non vedo l’ ora di poterti conoscere” E le brillarono gli occhi.
“Chissà dove sei, cosa stai facendo. Se sarai bello, bravo, gentile...” Poi sorrise.
“Sicuramente. Dopotutto, se siamo legati dallo stesso filo, devi essere per forza così.”

Erano quasi le otto quando Rin tornò a casa. Buttò la cartella a terra ed esclamò: -‘Sera!-
La madre smise di cucinare e uscì dalla piccola cucina. Aveva anche lei i capelli neri, era giovane, tuttavia aveva delle profonde occhiaie .
-Enrico, oggi pomeriggio ha chiamato la tua insegnante di lettere. Ha detto che neanche oggi sei andato a scuola- Fece una pausa, -Suppongo sia vero-.
Rin si sedette pesantemente su uno sgabello, fece un brontolio e volse lo sguardo altrove.
La madre continuò:  -Enrico.. l’ hai fatto ancora. Perché non vuoi studiare, perché fai così? Non dirmi che sei andato un'altra volta a…-
-No!- urlò il ragazzo, senza far finire la madre. -Io non sono come quei ragazzacci lì! Non frequento più quei posti, pensavo l’ avessi capito! Non sono un cafone!- La madre lo guardò sconcertata.
-Non usare questi toni con me. Non voglio che diventi come tuo padre, lo sai…-
-Io non ho niente a che fare con quello!- Rin si alzò e fece cadere lo sgabello. Si alzò anche la madre.
-E non far baccano in questo modo!-
-Me ne sbatto!- E Rin corse in camera sua e si chiuse dentro.
-E studia! Sai bene che sei l’ unico che può farlo!- Urlò la madre per farsi sentire.
-Hai una responsabilità, sciagurato di un figlio…- Disse poi a bassa voce. E tornò ad accasciarsi sulla sedia.
Intanto, in camera sua, Rin stava steso sul letto a guardarsi il polso.
“Dannazione… ho diciannove anni. E questo filo del destino non compare. Non riesco a vederlo, sono uno stupido immaturo, quando crescerò?” Si alzò e guardò fuori dalla finestre, si vedeva la campagna.
“La mia anima gemella… davvero può esistere una persona che mi sopporterà per tutta la vita?” Sospirò.
“Ho bisogno… ho bisogno anche io, di una persona che si prenda cura di me”.

 

 

Angolino dell' autrice ♥

Ciao gente!! ^-^
Se state leggendo questo pezzo, vuol dire che avete letto anche tutto ciò che c'è sopra, e quindi ve ne sono infinitamente grata! u.u
Questa è la mia prima storia originale, quindi se per caso non avete niente da fare, por favour recensite :c
*occhioni dolci*
Potete anche lanciarmi pomodori, insultarmi, lapidarmi ma recensite... così capisco se scrivo bene C:
Inoltre volevo dirvi che la leggenda del Filo rosso esiste davvero, non me la sono inventata u.u
Va bene, vi ho detto tutto ciò che vi dovevo dire! 
A presto!! ♥

Diana Klein

 


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Capitolo 2
*** Centro e Periferia ***


Il giorno dopo l’ esame era sabato. Diana si svegliò con comodo. Aprì il balcone della sua stanza e si affacciò, ancora in pigiama. Da lì il panorama era stupendo:  in primo piano si vedeva tutto il giardino della sua famiglia, ben curato dalla nonna, che abitava con loro; più avanti, dopo un muretto basso e il cancello, c'era la strada. Era piena di negozi e di altre villette, più piccole però di quella della famiglia di Diana. Quella strada portava alla Via principale della città, tuttavia non era per niente trafficata e rumorosa.
Diana corse nel gazebo del cortile, dove c’era già la tavola apparecchiata per la colazione e il suo fratellino che beveva il latte. Nelle belle giornate usavano mangiare fuori.
-Buongiorno!- esclamò la ragazza, e si sedette. Il fratellino la guardò, fece un grande sorriso, ma non rispose. Mentre mangiava, Diana guardava la nonna che innaffiava i fiori nel giardino, e pensava. Il cielo era limpidissimo. 
“Davvero una giornata stupenda" pensò. "Stasera mi voglio divertire”.


Finalmente era sabato. Rin si alzò di buon ora, si vestì, prese un succo di frutta dal frigo e annunciò:
-Io esco!-
Camminò svelto finché non raggiunse un piccolo bar nella periferia della città. C’era Gabriele ad aspettarlo.
-Ohe, Gabbo!-
-Ohe Riin!-
-Allora, novità? Hai trovato qualcosa?-
-Macché. Nessuno vuole due scalmanati come noi!- I due si fissarono sconsolati. –Non abbiamo una bella reputazione qui in giro- continuò Gabriele.
-E se provassimo al centro…?- Azzardò Rin. L’ amico lo guardò contrariato.
-Ma dai! Figurati se lì i ricconi accettano dei ragazzi alle prime armi! Non troveremo nessun posto-
Ma Rin non si arrese, voleva convincerlo.
-Cos’ abbiamo da perdere? Sempre meglio che stare qui a perdere tempo-
-Va bene, hai vinto. Andiamo-
E i due si incamminarono verso la fermata del bus. Non fecero nessun biglietto, non potevano permetterselo. Il centro della città per loro era quasi come un illusione. Potevano gironzolare per la Via principale, potevano guardare le vetrine, potevano sedersi su qualche muretto. Ma non potevano permettersi nient’altro. Era tutto così bello, lì, troppo bello per due ragazzi della periferia.
“Figuriamoci se troviamo davvero un lavoro” pensava Rin. Erano tutti e due silenziosi, quando, a un tratto, Gabriele fermò l’ amico per un braccio, e con l’ altro indicò un annuncio:
<< Cercasi ragazzi per pulizie bar >>
-Ma vieniciii!- urlò Rin.
-E’ la nostra occasione!- esclamò Gabriele, aggiustandosi i capelli e cercando di avere un espressione seria.
-Dai, mettiti un po’ a posto. Tira su quei pantaloni. E levati dalla faccia quell’ espressione demenziale- 
-Quale espressione?- Rin lo guardò storto. Ma non si persero più in chiacchiere, presero l’ indirizzo e fecero una corsa.


Il telefono squillò. Diana posò gli orecchini che stava per mettersi e rispose.
-Pronto?-
-Diana! Ma dove sei? Sbrigati! Io sono già al Bar Queen-
-Si, si, arrivo subito!- e riattaccò. Finì di prepararsi, prese una borsetta e salutò i suoi. Finalmente uscì di casa e andò dall'amica.
-Ciao, Gaia. Scusa per il ritardo-
-Eccoti, non fa niente. Piuttosto, bella giacca!
-Hai visto? L' ho comprata la settimana scorsa. Anche tu stai bene, chi ti ha fatto i capelli?-
-Mia madre- rispose sorridendo.  Aveva dei lunghi capelli neri raccolti in una treccia laterale, e una frangetta che le copriva la fronte. Gli occhi azzurri, e la carnagione chiara. Diana invece aveva i capelli sciolti, asciugati naturalmente, e quindi mossi.
Le due ragazze iniziarono a camminare, parlando e ridendo.

-Allora, contento?- chiese Rin.
-E me lo chiedi anche?- I due ragazzi non potevano crederci. Avevano preso il posto.
-Dai, andiamo a metterci qualcosa di decente. Stasera iniziamo, vediamo di non farci buttare fuori subito-
Gabriele annuì. Si separarono, e Rin tornò a casa.
-Ciao, ma’! …Come sta Valeria?- Domandò subito appena entrato in casa.
-Sta bene- Rispose la madre, sorridendo. Era contenta che Rin si preoccupasse per la sorella.
-Sono felice…- disse il ragazzo. -Ah, e comunque, ho trovato un lavoro- Continuò un po’ imbarazzato.
-Enrico, tu devi pensare a studiare. Quando finirai gli studi, allora ti troverai un lavoro serio.-
-Ma mamma!- Rin si arrabbiò –Lo hai sempre detto tu, che ti serve una mano! Io mi sto impegnando! Riconoscimelo, almeno una volta… Non sono più un bambino, cazzo- 
La madre lo squadrò da capo a piedi. Era effettivamente cresciuto.
-Inizio stasera. Lavorerò in un bar- continuò più calmo. -Al centro!- aggiunse poi andando in camera sua.


Era tardi, e Gaia e Diana stavano lentamente tornando a casa, dopo una lunga serata. Si erano divertite, fra risate e pettegolezzi, robe da ragazze. Avevano mangiato in uno dei locali più prestigiosi del quartiere, affollatissimo, e pieno di ragazzi. Fantasticavano sui più belli, commentavano e scherzavano. Ma poi, dopo ogni commento, si guardavano come per dire: “Tanto, quello non è il nostro. I nostri saranno decisamente più belli e adatti a noi”.
Le due ragazze in quel momento camminavano in una zona un po’ meno illuminata, c’era solo un piccolo bar dall’ altro lato della strada. Gaia aveva appena preso un bus per tornare a casa, e Diana aveva iniziato a incamminarsi, quando le si avvicinò un gruppetto di ragazzi. Uno di loro la fermò, afferrandola per un braccio, e le guardò il viso, i capelli, e poi il resto del corpo.
-Ma guarda… che bella ragazzina, che abbiamo… non mi dire che già torni a casa- Diana, con un movimento deciso, si liberò dalla stretta del ragazzo, e indietreggiò. Gli altri amici risero.
-Ne sono alquanto dispiaciuta, signore, io avevo intenzione di rimanere ancora un po’. Ma poi ho visto la sua brutta faccia, e mi son detta: “Che tipo, dev’essere della periferia”. Quindi, con permesso, buonanotte!- disse Diana con tono sarcastico, e riprese a camminare come se non fosse successo niente. Ma il ragazzo la inseguì, la prese per il polso sinistro, e la girò. Diana lo guardò, non era affatto brutto. Ma non per questo si sarebbe lasciata abbindolare da un ragazzo qualunque.
-Senti, bambola… Non mi piace proprio essere chiamato “ragazzo di periferia”. Non ti permetterò di dirlo ancora- La ragazza gli tirò uno schiaffo sulla guancia, con la mano libera. Il ragazzo si massaggiò la guancia, sorrise, ma non le lasciò il polso. Anzi, le bloccò anche l’ altro. Diana provò a liberarsi, ma il ragazzo la teneva stretta, cercando di avvicinare la sua faccia a quella della ragazza, che indietreggiava man mano, fino a trovarsi contro un muro.
-Allora, sicura di non volerti divertire un altro po’? – Disse guardandole il corpo. Diana lo fissò disgustata.
-Levati di mezzo. Tornatene alla periferia, le puttane stanno lì. Hai preso la ragazza sbagliata-
-Oh... ma come sei scorbutica, stasera…- La guardò in modo malizioso, e avvicinò le labbra alle sue. Poi, improvvisamente, si fermò, e si piegò toccandosi le parti basse. Diana gli aveva sferrato un calcio.
-Maledetto pervertito! Ti avevo detto di levarti da mezzo!- disse ad alta voce, in modo da farsi sentire bene. Il ragazzo si ricompose, mentre gli altri ridevano. 
-Maledetta sarai tu…- Rispose andandosene. E anche Diana se ne andò, a passo svelto e ancora tremante di disgusto, verso casa.


Rin e Gabriele stavano pulendo il bancone del bar, prima di andare a casa. Avevano passato la prova, ed erano definitivamente assunti, con tanto di paga. Era molto tardi, il locale era vuoto e avrebbe chiuso presto, così stavano iniziando a pulire. A un  tratto, Rin si accorse che dall’ altro lato della strada stava succedendo qualcosa. 
“Ma guarda… e così anche in centro, succedono cose di queste…” pensò il ragazzo. Posò la pezza sul bancone e si apprestò ad uscire, quando Gabriele lo fermò.
-Dove pensi di andare? Non abbiamo mica finito- 
-Lo so ma… ecco, vedi…- Ma non finì di parlare.
-Maledetto pervertito! Ti avevo detto di levarti da mezzo!- Risuonò una voce in tutta la strada. I due ragazzi si girarono. Ma solo Rin rimase sbalordito.
-Allora? Dai torna dentro- E Gabriele lo fece rientrare, gli diede una pezza, e ricominciò a pulire il bancone. Anche Rin tornò a pulire. 
“E chi se lo aspettava…? Allora, forse, non c’è tutta questa differenza, fra noi e loro”.



Angolino dell' autrice ♥

Ciao gente!! ^-^
Dalla mia mente perversa è uscita questa creazione, un qualcosa che potrebbe assomigliare a un capitolo...
Se avete letto la storia, vi amo! E farò costruire un templio in vostro onore u.u 
Vaaaa bene, non ho nient'altro da dirvi (:
A presto! ♥

Noos


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Capitolo 3
*** Un amaro senso di vuoto ***


Diana guardò l’ orologio. Era tardissimo, eppure non riusciva a prendere sonno. Pensava e ripensava a ciò che le era successo. Continuava a rigirarsi nel letto, e quell’ immagine continuava a tornarle in mente. Il suo viso così vicino a quello dello sconosciuto… Come aveva osato!?  Le vennero i brividi di disgusto. Non era la prima volta che veniva molestata. Era una bella ragazza, aveva un bel fisico e i capelli lunghi e mossi, attirava molto i maschi. Questo non lo poteva proprio accettare, si era sempre considerata una ragazza fortunata, e con talento, non riusciva a sopportare l’idea che qualcuno la potesse usare come puro divertimento. 
“Non tornerò più così tardi la sera” Si promise, e si tranquillizzò. Ma poi un altro pensiero le scivolò nella mente. Il giorno dopo sarebbe stata domenica.
“Oh no… E’ domani” Pensò.
“Tornerò ancora in quella casa. Perché?  Io non voglio…” Rabbrividì solo al pensiero.
“Di nuovo quella stanza. Di nuovo quello stupido sorriso… Perchè?” 
Una lacrima le scese sulla guancia destra. E poi una sulla guancia sinistra. Pian piano, molte lacrime iniziarono a rigarle il volto. Diana si strinse nel lenzuolo.


Quella stessa sera, dall’ altra parte della città, Rin stava tornando lentamente a casa. Si era intrattenuto fuori con Gabriele, anche se aveva promesso alla madre che non sarebbe tornato tardi. Erano andati in giro per il centro, senza preoccuparsi dell’ orario.
“Solo per oggi” si era detto Rin “E’ per festeggiare il mio nuovo lavoro”.
La stradina dove si trovava la sua casa era deserta e buia, ma lui ci era abituato. Aprì lentamente la porta con le sue chiavi, senza bussare, per non svegliare la madre e la sorella. Camminò a tentoni fino all’ interruttore del lampadario più piccolo e meno luminoso. Lo accese, e si accorse subito che c’era qualcosa di sbagliato. 
“Ma che diavolo…?” Pensò allarmato. Nel minuscolo salotto, le tre sedie erano rovesciate. La finestra aperta, un vetro rotto. I panni, che di solito erano piegati ordinatamente sull’ asse da stiro, erano sparpagliati per tutta la stanza. La credenza era spalancata, e i suoi pochi libri scolastici rimasti, quelli che nonerano ancora stati venduti, erano tutti a terra. Era come se fosse passato un uragano, e in più si sentiva una strano odore. Rin conosceva bene l’ odore di casa sua: e c’era qualcosa che non andava. A un tratto sentì un rumore, provenire dalla sua stanza. Corse a vedere; sua sorella, Valeria, era rannicchiata vicino il suo letto, con le mani appoggiate sulle orecchie. 
-Vale! Cosa è successo? Che ti prende? Valeria…?- Ma la sorellina non rispose. 
Il ragazzo provò a scuoterla un po’, ma niente. Continuò a chiamarla.
-En- ri- co….- Riuscì a un tratto a mugolare Valeria.
-Valeria?- Rin cercò di avere un tono di voce più calmo possibile.
-Sono venuti. Sono venuti… brutti...- 
-Chi?-  Valeria non rispose. 
-Valeria? Cosa cazzo è successo?- La sorella scoppiò in lacrime. Rin si sentì una stretta allo stomaco. 
-L’avevano detto… io- io lo sapevo…- Singhiozzò la piccola. Rin iniziò a sudare freddo. Si alzò lentamente, si guardò attorno. I cassetti erano tutti aperti, come se qualcuno avesse cercato frettolosamente qualcosa.
-Dov’è …mamma?- Chiese il ragazzo col cuore in gola. Sapeva che la sorella non avrebbe risposto.
Camminò lentamente, come se avesse avuto paura - o l’aveva davvero? - nella camera della madre. 
Cercò con la mano l’ interruttore. Lo trovò. Accese la luce.
La finestra aperta. I cassetti aperti. Il letto sfatto. I vestiti a terra. Sua madre, a terra. 
Era raggomitolata su se stessa, in posizione fetale, sembrava quasi una bambina. Era minuta, si, ma mai come in quel momento Rin si accorse di quanto poteva essere debole e indifesa. Aveva i capelli scompigliati, buttati all’ indietro. Gli occhi chiusi, e sul viso un espressione di tensione.  Rin chiuse gli occhi, come se non avesse creduto a ciò che aveva visto. Poi li riaprì. Lo scenario era lo stesso. In quel momento fu come se qualcuno gli avesse pugnalato lo stomaco. Silenziosamente, si avvicinò a sua madre. Si chinò, e si poggiò sulle ginocchia. I suoi movimenti sembravano quelli di un robot, non erano naturali. E a lui sembrava di muoversi come in un brutto sogno, un incubo.
-Mamma?-
Sussurrò. 
Nessuna risposta.
-Mamma?-
Ancora nessuna risposta. 
Le prese il polso delicatamente, come se fosse stata una bambola di porcellana.
Era il silenzio piu’ assoluto. Si potevano udire solo i battiti di Rin. Solo i suoi.
Nient’ altro.
Rin era paralizzato. Tutto il mondo sembrò cadergli addosso. Tutto ciò in cui aveva creduto fino a quel momento fu spazzato via in quei pochi attimi. Avrebbe voluto gridare, urlare, ma non riusciva. Avrebbe voluto alzarsi e correre via, lontano, ma non riusciva. Avrebbe voluto piangere, piangere e sfogarsi come un bambino; ma non riusciva. Mai come in quel momento, si accorse di quanto lui fosse ancora piccolo e inesperto. Mai come in quel momento, si accorse che non aveva mai avuto un dialogo sereno, tranquillo con sua madre. Mai come in quel momento si pentì di non aver mai abbracciato sua madre. E dentro di lui iniziò a crescere tanta rabbia, una tale rabbia che offuscò perfino il dolore. Se solo fosse tornato più presto, se solo non avesse disobbedito ancora una volta, avrebbe potuto difenderla. Avrebbe potuto vedere in faccia quei luridi bastardi. Iniziò a odiarsi, iniziò a odiare quel suo essere irresponsabile, quel suo voler fare sempre di testa sua. Iniziò a odiare il mondo.
Si alzò lentamente, tenendo la testa china. Non una lacrima, non un singhiozzo, quella notte.
Solamente un triste, e amaro senso di vuoto dentro Rin, come non l’ aveva mai provato.
Come se se ne fosse andato via un pezzo di lui.

E avrebbe voluto poter tornare indietro, solo per poterle dire quel “Ti voglio bene” che non le aveva mai detto. 
Solo per poterle dire quel “Grazie” che non le aveva mai fatto sentire.
Solo per abbracciarla, per l’ ultima volta.



Angolino dell' autrice ♥

Ciao gente!! ^-^
Scusate se questo capitolo è un po' corto, e se ho trascurato un po' Diana, mi farò perdonare u.u
Ovviamente, se avete letto questa storia, siete i miei idoli e vi amerò per il resto della mia vita (:
Spero di aggiornare al più presto...
A presto!! ♥

Noos ♥ 

 

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