Don Camillo di Cam17 (/viewuser.php?uid=302388)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La mancata offerta ***
Capitolo 3: *** L'arrivo del nemico ***
Capitolo 4: *** L'esorcismo ***
Capitolo 5: *** Il catechismo ***
Capitolo 6: *** L'estrema unzione ***
Capitolo 7: *** La gita parrocchiale ***
Capitolo 8: *** Il discepolo ***
Capitolo 9: *** Il funerale ***
Capitolo 10: *** L'ascesa al cielo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Don Camillo era
il miglior parroco
del mondo, e lo era perché lo scrittore qui presente si
ritrova con una pistola
puntata alla nuca e non può dire
nient’altro…
In ogni caso ho
molto da dirvi
riguardo a questo signore senza nemmeno una macchia sulla coscienza. Si
sa che
la chiesa aveva bisogno di offerte, e queste offerte venivano raccolte
dai suoi
chierichetti, ragazzini religiosissimi, così tanto che la
gente ce la portavano
a suon di calci in culo in chiesa e, perché no, magari
alleggerendo anche i loro
portafogli mentre ce li portavano. Cosa c’entrano i soldi con
il fatto di
entrare in chiesa? Beh, in questi casi lo stesso Don Camillo direbbe:
“Non
fatevi troppe domande che è meglio”. Insomma i
chierichetti facevano il loro
dovere, e lo facevano con il cuore di chi non si aspetta niente in
cambio del
loro servizio, anche se accettavano più che volentieri le
piccolissime offerte
che i fedeli erano costretti a non rifiutare, tipo l’assegno
della pensione o
la caramella che un bimbo sta per scartare con tanta
felicità. Tornando alle
offerte, si può dire che gli affari andavano a gonfie vele.
E dovevate vedere
quante ne riuscivano a racimolare quelle bianchissime pecorelle di Dio.
La
gente dava loro di tutto, persino oggetti preziosi e tutto senza troppe
preghiere,
anche perché se ti ritrovi un fucile a pompa puntato addosso
non credo tu abbia
molta scelta, ma si sa, una piccola offerta ci fa sentire tutti un
po’ più
puliti, magari anche più leggeri, ed alcune ci fanno anche
perdere la
verginità, a maggior ragione se siete delle belle ragazze e
se i chierichetti
non avevano ancora avuto il tempo di fapfappare nel confessionale
(cazzo mi ci
sono pure seduto lì dentro…). Sta di fatto che la
chiesa di Don Camillo
utilizzava queste offerte nel migliore dei modi, come comprare una
scrivania in
mogano per lo studio del parroco, un acquario per lo studio del
parroco, un
televisore al plasma per lo studio del parroco e molto altro per lo
studio del
parroco. Il resto dei soldi andava alla portinaia, che aveva il
principale
compito di tenere a bada i chierichetti (fap fap ragazzi) e…
oh, certo,
vegliare sulla chiesa nelle ore notturne… anche se quello
era un optional. Ma
io preferisco raccontarvi nel dettaglio le disavventure di questo
personaggio
davvero illuminante e perché no, santificabile.
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Capitolo 2 *** La mancata offerta ***
In piedi
sull’altare, Don Camillo si
accingeva a completare la sua messa. Era un lavoro che richiedeva
fatica, il
suo, quindi non vedeva l’ora che tutto potesse finire in
fretta. In quel
momento stavano passando i chierichetti che chiedevano offerte ai
fedeli,
quando ad un tratto, passando vicino ad una signora anziana,
quest’ultima non
diede neanche un centesimo. Che sacrilegio. Gli occhi del parroco
divennero
enormi come cocomeri e la sua faccia iniziò ad arrossarsi
come un peperone.
Irato e privo di senno, le puntò il dito contro, mentre le
nuvole oscuravano il
cielo ed i fulmini minacciavano la popolazione del piccolo paese di
Boscotrecase. Destino volle he uno di questi friggesse un povero
bambino che
stava innocentemente attraversando la strada, mentre un altro
colpì un albero,
scatenando un incendio tra i boschi del Vesuvio, dove morirono 17
persone.
Intanto le finestre rimbombavano sotto l’energica spinta del
vento che, indemoniato,
si portò via il sindaco del paese, che fu poi ripescato,
morto, a San
Tropez.
<<
Tu non hai dato nessuna
offerta! >>. Le urlò contro, accompagnato dai
rimbombi dei tuoni.
<<
Non è obbligatorio, parroco!
>>. Rispose lei.
Parole
più oscene non furono mai
dette in quella chiesa prima di allora. Un bambino svenne dallo
stupore. Grugnì
con rabbia, mentre una finestra si spaccò in mille
pezzettini, uno dei quali
passò di striscio vicino al collo di un anziano,
tagliandogli la gola e
dissanguandolo in pochi secondi. Ma Don Camillo non si accorse di
ciò e si
mosse verso la svergognata. Cadde dalle scale, ma si rialzò
subito, indenne.
Subito dopo, tra le ultime fila di fedeli, un giovane cadde a terra con
strane
lesioni: costole rotte, braccio slogato ed un taglio in testa (WTF???).
Il signore aveva
ancora una volta
vegliato sulla salute del Santo in terra, capace di trasmettere e,
perché no,
donare il proprio malessere fisico al prossimo, magari a quelli
più fortunati
(e mi sembra coerente, minchia!). Comunque lui, circondato da tre
chierichetti,
mise la vecchia bastarda a testa in giù, prendendole tutto
ciò che aveva. I
fedeli rimasero sbigottiti e Don Camillo capì che forse
c’era una sola cosa,
sana e giusta, che doveva fare. Fece prendere la futura salma e la
gettarono
giù per le scale dell’entrata, rotolando per terra
e finendo in mezzo alla
strada. Un giovane dall’animo buono corse in suo aiuto, ma un
crocefisso
lanciato dalla cupola della chiesa gli penetrò la testa,
uccidendolo
all’istante. Si sa, Don Camillo teneva sempre appostato un
chierichetto lassù,
in cielo, per salvaguardare la sua incolumità. Tutti i
fedeli ammutolirono,
mentre la messa veniva terminata e il parroco, premuroso per tutte
quelle
pecore nere e schifose come il carbone, prese l’incenso ed
iniziò a benedirli
tutti quanti. Ma l’incenso bruciava, oh se bruciava,
perché il giorno prima l’incenso
vero era finito. Ma allora come si poteva fare per benedire il lerciume
che
entrava dalla porta d’ingresso? Beh, il chierichetto che si
occupava degli
esperimenti chimici per rendere ancora più sballosa
l’erba dell’orticello
parrocchiale pensò che si potesse usare qualcosa di
più forte e purificatore.
Quel qualcosa si chiamava HCl.
<<
Ci pensi >>. Gli disse
quella volta << Questa roba squaglia, cioè fa
evaporare le cose, ergo le
purifica! ( ma che genio oh!) >>.
Questa idea lo
fece salire di grado,
diventando così il nuovo papp… protettore delle
povere figliuole che giravano
per strada perché dovevano ( si, e non fate domande!).
Durante la
purificazione un giovane
si alzò nervoso: << Ma lei è pazzo!
Questa roba brucia, fa male! >>.
Don Camillo lo
fulminò con lo sguardo:
<< E questo significa solo una cosa >>.
Il giovane
rimase pietrificato.
Il padre
continuò: << Che hai
tanto peccato! >>.
Detto questo gli
buttò addosso tutto
l’incenso che aveva, facendolo sparire in una nube bianca
come le nuvole. Era
sparito e questo significava una sola cosa: <<
E’ disceso al cielo >>.
Nessuno
fiatò.
Lui li
guardò con tenerezza, per poi
esclamare: << Uno alla volta fratelli! >>.
Tutti corsero
via, spintonandosi l’un
l’altro, mentre lui dichiarava che la messa era finita e che
tutti potevano
andare in pace, tranne Giulio, il giovane che aveva confessato la sua
omosessualità, che subì il terribile destino del
lancio della panchina che gli
finì dritta in testa, ghigliottinandolo. Non a caso le
panchine avevano i bordi
levigati.
Don Camillo
uscì fuori, vicino alle
scale, osservando i fedeli che sembravano piccole ed insignificanti
formichine
terrorizzate che correvano sparpagliandosi lungo la strada.
Spalancò le braccia
e i cancelli si chiusero. Era arrivato il momento della pace e del
riposo, ma
qualcuno gli parlò.
<<
Don Camillo? Don Camillo? >>.
Don Camillo
rimase a bocca aperta,
sbigottito più che mai. Che fosse lui? Che lo stesse
chiamando? Che lo stesse
santificando ancor prima di morire?
Prese forza e
coraggio: << Sei
tu o mio Signore? >>.
Si
sentì un brusìo di sottofondo, poi
lui rispose: << Ehm… no, sono Alessandro, le
sto parlando con l’auricolare.
>>.
Il padre ci
rimase tremendamente
imbarazzato: << Dimmi caro, cosa posso fare per te?
>>.
<<
Don, la prego, posso? >>.
Il parroco
sbuffò e si agitò avanti
ed indietro, poi decise: << E va bene, ma questa
è l’ultima volta, sennò
non avremo più fedeli! E se non ci sono fedeli non ci sono
offerte! >>.
<<
Oh la ringrazio di cuore
padre, prometto che questa è l’ultima volta!
>>.
Don Camillo si
ritirò in chiesa,
mentre dall’alto, o meglio, dalla cupola iniziarono a piovere
crocefissi che
colpivano i poveri disgraziati lungo la via di casa. Inutile dire che
nessun
parente che fosse restato a casa si aspettava qualche sorpresa, ergo il
ritorno
dei propri cari nella propria dimora. E infatti il piccolo Timmy non
restò
deluso. Quel giorno perse sia la nonna (la vecchia bastarda), sia i
genitori,
sia la piccola sorellina di soli tre anni. Era felicemente diventato
orfano.
Ancora una volta era stata compiuta la volontà del signore o
meglio, di Don
Camillo.
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Capitolo 3 *** L'arrivo del nemico ***
Don Camillo
stava sulla sua comoda
poltrona di pelle, mentre fumava una sigaretta Schiavist, la marca di
“sigarette”
che non ha segreti, anche se era meglio non fare domande. Il sommo si
stava
appena riposando dopo aver ricevuto la visita del cardinale di Milano
Giuseppe
Gozzi, meglio noto come lo iettatore. Si diceva che per ogni passo che
faceva
moriva un bambino in Africa, e quindi potete ben comprendere la paura
dei
chierichetti, che si erano rifugiati nel bunker sotterraneo fatto
costruire
sotto la chiesa apposta per sopravvivere ad una possibile rivoluzione
omosessuale, anche se quelli si erano portati pure la portinaia
lì dentro,
sapete… per evitare di stare senza far niente…
Comunque i due
avevano parlato (di
fede ufficialmente) e bevuto (tè ufficialmente) per tutto il
tempo. Il vecchio
cardinale era passato per salutarlo, visto che era in visita in
Campania, anche
se questo costò alla regione non poco di cui occuparsi, come
alluvioni ed
inondazioni. Ora lui era in pace, circondato dal silenzio, il fumo e
gli
effetti degli allucinogeni delle “sigarette” che
gli facevano scorgere in
lontananza la figura di un lama che si apprestava a pulire le finestre
del suo
studio.
<<
Vuole il servizio completo,
sua santità? >>. Gli disse il lama.
<<
Ma certo Mortimer, dopo
potrai andare a casa dalla tua famiglia >>.
Mortimer
scoppiò a piangere: <<
Mia moglie ed i miei figli sono morti, signore, due anni fa
>>. Disse
strofinandosi gli occhi.
Fu allora che
Don Camillo ebbe un
flashback. Si ricordò di quella volta in cui doveva far
saltare in aria la casa
del presidente, che voleva far pagare le tasse alla Chiesa sugli
immobili di
sua proprietà in territorio italiano, ma quel giorno
sbagliò casa e fece
esplodere la casa di Mortimer, anche se lui non seppe mai la
verità, che gli fu
poi svelata dal padre in persona, che gli disse che degli hippie armati
di
fiori assatanati e jet super avanzati avevano colpito a caso una casa a
casaccio (da premettere che lo scioglilingua fece perdere al parroco
circa
venti minuti di discussione) e che un giorno li avrebbero scovati e
portati in
carcere.
Don Camillo si
sentì imbarazzato:
<< Scusa Mortimer… pulisci tutto e poi ti do
la giornata libera >>.
Questo si
soffiò il naso gocciolante:
<< Grazie signore >>. Sputò
sulla finestra ed iniziò a pulire tutto
con uno straccio bianco (lo stesso dello starnuto… ah che
schifo!).
Tempo due ore e
poi si svegliò tutto
scombussolato.
Si
guardò attorno tutto stordito
esclamando:<< Cazzo dov’è il mio
gorilla maggiordomo quando serve?? >>.
Poi realizzò, guardando la cicca che aveva in mano e disse:
<< Cazzo
questa si che è roba buona! >>.
La
gettò giù dalla finestra: <<
Tanto fa concime >>.
Diciamo di si,
anche se quella non
era una sigaretta come le altre, tant’è vero che
tutte le innocenti e non
tossiche (credeteci) piante che componevano il giardino parrocchiale
morirono
dopo atroci sofferenze, manco un digiuno d’acqua di quindici
giorni avrebbe
saputo fare di meglio (a questo punto bruciatele!).
Intanto i
chierichetti, usciti tutti
dal bunker, tornarono alle loro mansioni.
<<
Oh cazzo le mie piante super
sballose! >>. Urlò quello che si occupava del
giardino.
Intanto Ciccio,
il più grasso dei
chierichetti (guarda caso) , si apprestò a raggiungere la
porta della chiesa,
dove aveva sentito bussare. Ebbe solo il tempo di sentire chi fosse,
poi,
spaventato, iniziò a trascinare con foga e disperazione
tutto il sudicio lardo
che portava in corpo in direzione dello studio del parroco. Corse
più
velocemente che poteva, buttando a terra un chierichetto, la portinaia,
un lama
che non si capiva da dove fosse entrato e il secchio con il detersivo
per
pulire il pavimento. Svoltò l’angolo e raggiunse
le scale che portavano allo
studio, si fermò a metà strada, si sedette ed
iniziò a fare una pausa di
merenda. Tirò fuori dalla tasca mezzo metro di pane tagliato
a due fette e
contenente tonno, pomodorini piccanti, cetrioli, aglio, cipolla,
bocconcini,
cotolette, kebab, un pezzo della pagina del Vangelo secondo Luca ed un
braccio
di un defunto dissotterrato dal cimitero più vicino e
misteriosamente ancora
intatto (minchia che porco!).
Finì
il pranz… lo spuntino e si
diresse nuovamente atterrito verso lo studio del Don. Arrivato si
accasciò a
terra stanco, ma non mollò, strisciò lentamente
verso di lui. Il padre lo
guardò con aria autoritaria e per nulla impietosita. Aspettò che si
avvicinasse abbastanza. Ciccio
baciò le mani.
<<
Cosa posso fare per te,
picciottino? >>.
Ciccio era
affannato, stanco ed
affamato, ma ebbe la forza di dirlo: << Padre hanno
bussato, sono i
testimoni di Geova! >>.
Don Camillo
saltò giù dalla sedia:
<< Sacrilegio più totale! >>.
I testimoni di
Geova erano noti per
lo spaccio di droga, per la prostituzione, per gli omicidi, per le
scorribande
notturne, un vero inferno che mai il santo parroco aveva conosciuto dal
vivo
(ma a chi voglio darla a bere?). Don Camillo si alzò
sconvolto, congiungendo le
mani e sperando nell’aiuto del Signore. Ad un tratto
trovò l’illuminazione,
giacché accese la luce abbagliante del suo studio, prese
Ciccio ormai morto
d’infarto, lo scaraventò vicino alla discesa delle
scale per usarlo come tavola
da surf e scese a tutta velocità esclamando:
<< Alla Cam Caverna! >>.
Tutto questo accompagnato da un coro angelico proveniente da
chissà dove.
Lasciò
la mongolfiera a putrefare
vicino alle scale, passò dove c’era il sapone a
terra senza scivolare, si
diresse verso l’altare, attivò il pulsante sotto
l’altare e questo sparì,
lasciando posto ad una caverna molto profonda.
I chierichetti
si guardarono attoniti
e decisero ti tornare nel bunker: << Altro fap fap
ragazzi! >>.
Il parroco
raggiunse uno studio poco
illuminato dove prese un sacco con l’incenso, un crocefisso
che mise al collo,
un ramo d’ulivo lungo due metri (hei, il chierichetto
giardiniere sapeva il
fatto suo) ed una sacra Bibbia tenuta saldamente nella mano destra.
Tutto era
pronto. Tornò indietro, percorse lo stesso tragitto di
prima, si accorse dei
giovani svenuti a terra dopo la tremenda scivolata ottenuta per via del
sapone
sul pavimento (tra l’altro uno
di loro
era pure riuscito a passare usando i corpi dei compagni come ponte) e
aprì violentemente
la porta, sbalzando via le orribili e fetide creature che si stavano
avvinghiando contro di essa con foga sempre maggiore, tanto da aver
lasciato
tracce di sesso lungo le sue fessure. Don Camillo guardava con disgusto
i
testimoni di Geova, che già vedeva come concime per il
proprio terreno.
<<
Questa è la casa del
Signore, non la avrete mai! >>.
<<
Siamo testimoni di Geova,
fate la carità >>. Disse uno con molta rabbia
<< Fate la carità!
Abbiamo volantini e tanto altro! FATE LA CARITA’!
>>. Erano ormai degli
zombie assetati di carità, era impossibile curarli dalla
loro malattia.
L’oscenità
strisciava per terra e
serpeggiava lungo la strada. Una vecchia poco distante da lì
morì di
crepacuore, un altro anziano fu colpito da un crocefisso lanciato dalla
cupola
della chiesa, un bambino cadde in un tombino e morì affogato
(grazie
cardinale!).
Don Camillo
doveva intervenire per
evitare altre vittime innocenti:<< Io sono il parroco,
sia fatta la mia
volontà! >>.
Gettò
l’incenso addosso ad uno di
loro, squagliandolo. Un altro gli saltò alle spalle,
colpendolo in testa con
dei volantini che avevano come titolo “segui la vera
fede”. Don Camillo non
demorse e si scrollò di dosso l’assalitore,
colpendolo con forza con la Bibbia
e scaraventandolo in aria, su, fino in cielo, dove fu fulminato. Gli
ultimi due
lo attaccarono insieme, mordendogli entrambe le braccia. Il parroco
roteò,
sbattendoli a terra e finendoli con una ulivellata (si suole dire
ulivellata un
colpo inferto ad una persona, animale o cosa con un ramo
d’ulivo) e li finì sul
posto. Era tutto finito, Don Camillo aveva ancora una volta salvato la
situazione. I corpi delle bestie si smaterializzarono, una crepa si
aprì nella
terra e da lì le loro anime tornarono all’Inferno.
Un anziano si
avvicinò a lui:
<< Lei… lei è il mio salvatore!
>>.
Don Camillo lo
guardò rabbioso e
spazientito. Lo prese per il collo e lo buttò giù
per la crepa profondissima
esclamando: << Mi chiamo Camillo testa di cazzo!
>>.
Passarono dei
minuti e poi il suo
sguardo da rabbioso divenne spaventato. Aveva fatto una cosa
gravissima, anzi
peggio di gravissima. Si ritirò con la testa china in
chiesa, pensando al
tremendo atto compiuto: “Potevo rubargli il portafogli prima
di buttarlo giù…
OH DIO PERDONAMI!”.
Tornò
dentro, passò sopra i
chierichetti ancora svenuti, si sedette sulla sua morbida poltrona di
pelle di
daino personalmente scotennato e riprese a fumare un’altra
“sigaretta”
esclamando poco dopo: << Mortimer le mie finestre sono
ancora sporche! >>.
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Capitolo 4 *** L'esorcismo ***
Indaffarato come
sempre, Don Camillo
non aveva mai tempo da dedicare a se stesso. Quel giorno era
particolarmente
impegnato a confessare la vedova De Rosa, conosciuta anche come la
“matriosca”,
che stava confessando i suoi peccaminosi contatti con vari uomini. Don
Camillo non
la riconobbe, visto che il confessionale è strettamente
riservato.
<<
Padre, lei capisce? Ho fatto
l’amore con tanti uomini! Io… ho peccato, padre
>>.
<<
Non disperarti figliuola. Il
Signore è misericordioso e perdona sempre i suoi figli
>>.
<<
Ma padre, io ho fatto anche
delle orge. L’ho fatto in un sacco di posti: in aeroporto, su
una nave da
crociera e persino in questo confessionale, qualche anno fa
>>.
Don Camillo
rimase impassibile:
<< Beh, ci sono molti posti dove…
aspé, che hai detto?? >>. Il padre
si avvicinò alla parete bucherellata del confessionale
<< Agata?? Minchia
sei tu?? Mi raccomando, urlalo in tutta la chiesa, eh! >>.
La loro
conversazione fu interrotta
da un uomo che entrò in chiesa urlante e tutto terrorizzato.
<<
Padre, padre! Aiuto, aiuto!
>>.
Don Camillo,
sentendo quelle urla
strazianti, sfondò la porta del confessionale, correndo a
tutto fiato verso di
lui. Era un uomo mingherlino e stava sudando freddo.
<<
Cosa è successo, gracile
fratello? >>.
Lui si tolse il
cappello e si
inginocchiò: << Padre, la prego, deve
aiutarci. Sono il vicino dei
signori Ranieri. La signora ha motivo di credere che suo marito sia
posseduto dal
Demonio! >>.
Don Camillo
piegò la schiena all’indietro
per lo shock, iniziò a piovere, i bambini scoppiarono a
piangere, uno tsunami
colpì nuovamente le Barbados. Lo sconvolgimento fu globale
(a tutti gli
effetti). Disse che ci avrebbe pensato lui. Un chierichetto, contattato
telepaticamente dal padre, lo raggiunse immediatamente con una brocca
di acqua
santa, un ramo d’ulivo e la sacra Bibbia. Era ora di andare.
I fedeli si
commossero ed iniziarono a piangere. Don Camillo non volle le lacrime,
ma disse
che preferiva i soldi. Corse in fretta a furia fuori dalla chiesa,
seguito dal
suo fedele chierichetto. Casa Ranieri era lontana; serviva un mezzo di
trasporto, ma le cose non erano affatto positive: nessun chierichetto
aveva la
macchina, il pullman del catechismo era attualmente utilizzato per lo
smercio
delle bianche, il treruote era stato mandato in rottamazione, la Papa
mobile
solata al Vaticano era stata rivenduta ai cinesi la settimana
precedente e l’UFO
caduto a Roswell era improvvisamente scomparso dopo l’happy
hour avvenuto il
sabato precedente.
Senza mezzi di
trasporto, con una
pecorella in preda al demonio e con la puttana che aspettava in
confessionale,
Don Camillo iniziava a sentirsi sotto grande pressione. Ma poi eccola,
l’illuminazione.
Guardò il chierichetto con sguardo lunatico, facendolo
ritrarre all’indietro (scappa!).
Lo
colpì con un calcio, facendolo
cadere a terra, poi gli saltò addosso, cavalcandolo.
<<
Vai Rintintin! >>. Disse
agitando il ramo d’ulivo e decapitando involontariamente
alcuni passanti.
<<
Ma padre, si fermi! Non la
reggo! >>.
<<
Questo è il peso della
sofferenza terrena! E adesso muoviamoci, casa Ranieri ci aspetta!
>>.
Il chierichetto
viaggiò alla bellezza
di trecentoventi chilometri all’ora, superando il traffico
con l’agilità di un
ghepardo ed investendo i bambini in carrozzina, mentre il parroco
sculacciava i
sederi delle ragazze con il ramo d’ulivo (da premettere che
non lo avrebbe
utilizzato in circostanze differenti). Raggiunsero cara Ranieri.
Parcheggiò il
cane vicino alla porta, legandolo alla casella delle poste e facendolo
restare
a quattro zampe.
<<
Ma padre, io non sono un ca…
>>.
<<
Shhhhh, bravo fido!
>>.
Gli diede un
biscotto, che divorò in
un baleno.
Era ora.
Sfondò la porta e si ritrovò
all’interno nella casa.
Fu la signora ad
accoglierlo:
<< Don Camillo! Sia lodato Gesù Cristo!
>>.
Il parroco
sorrise, sentendosi
ricevere un tale complimento.
Ma non
c’era tempo per togliere le
ragnatele dalla fessura della signora, lui era lì per
esorcizzare quel futuro
cornuto del marito. Poi ad un tratto lo vide, seduto e dormiente su una
sedia. Nonostante
la donna fosse bella giovane, lui dimostrava una settantina di anni
circa (cioè
portati malissimo, non per dire, oh). Si lanciò sul demonio,
prendendolo per il
collo e stringendo fortissimo.
<<
Diavolo ti ho trovato! Esci da
questo schifo di corpo! Escine! Abbandona questo escremento Diavolo!
>>.
<<
Mi lasci pazzoide! Che cosa
vuole da me??>>.
Don Camillo,
vedendo che il diavolo
non demordeva, gli gettò addosso l’acqua santa,
sfregiandogli il volto, ma l’uomo
non fu abbandonato dal satanasso.
Il parroco era
visibilmente provato,
ma non smise di stringergli il collo (super battle, yeaaaaaaaaaaaah!).
<<
Amari estremi, estremi
rimedi! >>. Prese da sotto la tonaca una magnum 44 e
gliela puntò alla
testa << O esci o ammazzo tutti e due! >>.
<<
No padre, pietà, pietà!
>>.
Lucifero non
uscì e il Don sparò. Il sangue
schizzò sulle pareti, imbrattò la tovaglie,
allagò la casa e alla fine prese
cappello e cappotto e se ne andò via.
<<
E’ finita!>>. Disse Don
Camillo.
<<
Ma lei è un pazzo! Quello non
era mio marito, era mio padre! >>.
Il Don rimase a
bocca aperta, poi sorrise
ed esclamò: << Hei, lo sapevo, stavo solo
esercitandomi! >>.
Ma poi ecco che
il marito della
signora, appostato sul soffitto come un ragno, scese giù,
cercando di colpire
il parroco.
<<
Ah, bastardo! Adesso ti
faccio vedere io! >>.
<<
Lo salvi parroco! >>.
<<
Certamente! >>. Prese la
pistola e sparò anche a lui.
<<
Bastardo! Ha ucciso anche
mio marito! >>.
Don Camillo si
girò e sparò anche a
lei. Oramai aveva ucciso tutti i suoi familiari e sembrava brutto
lasciare l’opera
a metà (un amore per la coerenza…). Tutto
finì bene. Il Diavolo era stato
sconfitto. Don Camillo prese i soldi dalla cassaforte di famiglia
(faticosamente
trovata dopo ore ed ore di ricerca insieme al suo segugio), poi diede
fuoco
alla casa Ranieri perché si sa, morta la famiglia, che senso
aveva mantenere
intatta la casa? (sempre in onore della fottuta coerenza). Detto
ciò, Don
Camillo fece ritorno in chiesa, si chiuse in camera e si
preparò a dormire, ma
qualcosa lo chiamò al di fuori della finestra. La
aprì e guardò in alto, in
cielo.
<<
Mi stai chiamando? >>.
Disse incantato.
<<
No, sto qua >>.
Abbassò
lo sguardo e vide il suo
cane, attaccato al tronco di un albero, che disse decisamente annoiato:
<< Posso andare ora? >>.
<<
Macché >>. Rispose lui
<< prendi un osso e dormi, cucciolo >>. Il
cane obbedì e si gustò l’omero
dell’ultimo corpo che era stato seppellito nelle vicinanze.
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Capitolo 5 *** Il catechismo ***
Don Camillo
stava correndo verso la
sala grande, dove si sarebbe tenuta la prima lezione di catechismo
dell’anno.
Era davvero eccitato, tanto da correre tutto gioioso e sorridente lungo
i
corridoi della chiesa. Aprì la porta della sala grande e
trovò i bambini lì,
già seduti e con lo sguardo di chi probabilmente non voleva
trovarsi in quella
stanza, ma era stato costretto a restarvici con la forza. Ma i
chierichetti non
c’entravano quasi sicuramente con questa storia, anche
perché i fucili che maneggiavano
erano sì veri, ma non li avevano mica caricati (non ancora,
almeno). Corse
lungo lo spazio centrale che si trovava tra una fila di posti e
l’altra,
nell’intento di raggiungere il palco di fronte a lui. Durante
il completamento
di questo percorso, un bambino indisciplinato, dispettoso,
macché, satanico,
tentò di mettere lo sgambetto al santissimo in terra, ma la
morbida gambina del
demonio non poteva in alcun modo fermare il piede divino del parroco
che,
toccando appena la carne della merdina lì presente, gli
spezzò la gamba, che
iniziò a sanguinare vistosamente. I gemiti del bambino
fecero commuovere il
padre che, senza fermarsi, proseguì correndo ancora
più veloce. Quelle lacrime
erano la testimonianza che la misericordia e la bontà divina
erano scesi su di
lui, fino a toccare il suo piccolo cuoricino, e di ciò ne fu
immensamente
felice (di certo era stato toccato).
Salì
sul palco con un salto con
capriola e sestuplo avvitamento, atterrando a braccia spalancate di
fronte ai
piccoli fedeli. Le finestre si aprirono, ci fu luce, le colombe
entrarono ed
iniziarono a volare dinamiche ed eleganti all’interno della
stanza, ed un coro
angelico riempiva quell’atmosfera tanto sacra quanto la sua
scrivania in
mogano, bella lucida e molto comoda (parola della portinaia). I bambini
sorridevano ed espandevano le braccia al cielo, mentre Don Camillo
disse
testuali parole: << Sia fatta la volontà del
Signore, CIOE’ LA MIA!!!
>>.
Le finestre si
chiusero, le colombe
morirono, cadendo al suolo e spappolandosi, i bambini zittirono
terrorizzati.
Due chierichetti si avvicinarono ai lati del parroco e caricarono i
loro
fucili.
<<
Oggi, miei cari piccini,
sfoglieremo il libro più bello del mondo dopo la Bibbia (e
dopo la sua rivista
pornografica, ovviamente), il Vangelo >>.
Un chierichetto,
grassoccio e molto
basso, portò a fatica una scatola molto pesante.
Arrivò vicino al parroco e la
buttò ai suoi piedi, schiacciandoglieli, ma lui non
sentì alcun dolore. Intanto,
da qualche parte nel mondo, un uomo perse le dita dei piedi.
<<
Mi perdoni buon padre!
>>. Disse inginocchiandosi.
Ma Don Camillo
alzò la mano e lo
guardò sereno << Tranquillo, io sono rimasto
illeso (sottolineate “io”)
>>. Congiunse le mani e sorrise ancora di più
<< Ora siediti
insieme ai tuoi fratellini >>.
Il chierichetto
rimase confuso:
<< Ma padre, io sono un chierichetto…
>>.
<<
NO! >>. Disse
incazzato << Tu sei un bambino! Ed ora siediti!
>>.
<<
Ma le giuro che… >>.
Preso dalla
disperazione più totale
nel vedere che quelle schifosissime pecorelle iniziavano già
a disobbedirgli,
decise di prendere soluzioni drastiche. Tirò fuori dalla sua
tonaca una pistola
e gliela puntò contro:
<<
VATTI A SEDERE HO DETTO!
>>.
Il chierichetto,
atterrito, eseguì
gli ordini e andò a sedersi. Il suo compagno di sedia
tentò subito di fare
amicizia.
<<
Ciao io mi chiamo… >>.
<<
Tappati quella fogna!
>>.
Don Camillo
prese la scatola con una
sola mano e la lanciò in aria, sparando e colpendo lo spago
che manteneva il
coperchio su di essa, facendo uscire centinaia di vangeli che si
distribuirono
da soli, cadendo, a
tutti i bambini
(???). I Vangeli che rimasero in più finirono per svolazzare
come uno stormo di
pipistrelli attorno al parroco che, tranquillo e sereno,
tirò fuori dalla
tonaca un lanciafiamme, bruciandoli tutti (sembra la tasca di
Doraemon!). Il
resto della scatola colpì il chierichetto seduto in mezzo ai
piccoli,
uccidendolo.
Ma Don Camillo
non poteva accorgersi
di questa disgrazia, perché era troppo preso
nell’incominciare le lesioni,
pardòn, le lezioni di catechismo.
La lezione
iniziò con delle domande:
<< Tu >>. Disse, puntando il dito contro un
bambino bello panciuto e
scatenandogli un mezzo infarto
<<
Vieni qui >>.
Il bimbo lo
raggiunse sul palco non
senza l’idea di fare testamento.
<<
Quanti sono gli evangelisti?
>>.
<<
Ehm… non lo so >>.
Don Camillo fece
una smorfia di
disgusto e mosse la testa in segno di negazione. Lo prese e lo fece
capitonzolare giù dal palco.
<<
Il prossimo! >>.
I bambini
rimanevano rannicchiati ai
loro posti, mangiandosi le mani.
<<
Ah, bene… vedo grande
partecipazione qui in mezzo >>.
Prese la pistola
e sparò al soffitto,
creando un buco da cui uscì una strana sostanza marrone che
cominciò a
gocciolare in testa a una delle pecorelle.
“
Evvai “ Pensò “ dopo anni di
addestramento finalmente ho centrato il water!”
Il bambino non
poté far altro che
lasciarsi circondare dalla merda (merdina, appunto).
Visto che
nessuno aveva voglia di
rispondere alle sue domande, Don Camillo decise che sarebbero stati
loro a
domandare e lui a rispondere.
<<
Perché Dio ha cacciato via
Adamo ed Eva? >>.
<<
Perché scopavano in un luogo
pubblico (???) >>.
<<
Perché Giuda ha tradito
Cristo? >>.
<<
Perché era quello che
prendeva di meno a fine mese >>.
<<
Perché Gesù aveva le
stigmate? >>.
<<
Perché si bucava >>.
Purtroppo il
tempo passò in fretta ed
era arrivato il momento dell’arrivederci. Prese una pompa
d’acqua potentissima
che colpì tutti i bambini e li trascinò fuori
dalla stanza in meno di un
secondo.
<<
Ciao piccoli fiori del
peccato. Alla prossima! >>.
Possiamo dire
che solo quello ricoperto
di merda ne fu felice.
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Capitolo 6 *** L'estrema unzione ***
Riaccompagnato a
casa da un UFO dopo
aver professato la sua religione in tutto l’universo, Don
Camillo andò a
dormire, consapevole della dura giornata che lo avrebbe aspettato
l’indomani. Si
svegliò tutto preso dal duro lavoro che lo attendeva, ma
poiché lui odiava fare
sempre le stesse cose, decise che non sarebbe uscito dalla porta
d’ingresso, ma
aprì la finestra e planò verso terra utilizzando
la sua tonaca a tipo mantello
di Batman. Scese e penetrò la terra con un braccio, tirando
fuori un pezzo
d’osso di uno dei tanti cadaveri sepolti legalmente nel
sottosuolo parrocchiale
(certo, come no) e lo utilizzò per chiamare il suo fido. Il
chierichetto
cagnolizzato arrivò veloce come un fulmine, scodinzolando a
più non posso (non fatemi
domande sulla coda, vi supplico).
Don Camillo lo
cavalcò: << Vai
Snoopy! >>.
<<
Ma padre, non mi chiamavo
Rintintin? >>. Chiese curioso.
Don Camillo,
spaventatissimo, gli
puntò la pistola alla testa: << Cazzo ma tu
sei un chierichetto! Da
quanto tempo mi nascondi questo orribile segreto?? >>.
<<
Ma padre, siete stato voi a
convertirmi in cane! >>.
Don Camillo si
ricordò: << Ah…
>>. Trovò una scusa più che
convincente per evitare di far capire di aver
avuto una svista << Mi sono masturbato troppo ed ora ci
vedo male
>>. Disse, sorridendo allegramente.
Ma adesso era
arrivato il momento di
partire: << All’ospedale! Ho
un’estrema unzione da fare! >>.
Il cane si mosse
velocissimo. Don
Camillo superò le Alpi, percorse tutta la muraglia cinese,
scalò tutti i monti
del Tibet, schiacciò l’invincibile esercito
Ottomano (???), superò l’oceano
pacifico con l’ausilio di un arcobaleno utilizzato come
ponte, prese il buco
spaziotemporale delle 15:30 e raggiunse l’ospedale di San
Marzano (paesino
distante una decina di chilometri da Boscotrecase).
L’ospedale era pieno di
gente vestita di bianco e ciò lo fece insospettire molto:
che una setta si
fosse impossessata del luogo? Solo dopo qualche confessione forzata si
rese
conto che i medici si vestivano effettivamente di bianco, anche se
alcuni,
adesso, avevano il camice sporco del loro sangue. Entrò
correndo, lasciando
cadere dell’incenso per terra, che procurò dei
buchi sul pavimento e gravissime
menomazioni a tutti coloro che ci camminarono inavvertitamente sopra. Un tizio prese
persino il tumore al
cervello (???). il Don stava per arrivare nella stanza del futuro
cadavere, ma
un uomo lo fermò, inginocchiandosi: << Padre,
la prego, mi aiuti! Come
posso colorare la mia vita? >>.
Don Camillo
sorrise: << Usa i
pennarelli! >>. Disse, riprendendo a correre a tutta
birra e lasciando
l’individuo, commosso e pieno di lacrime, in ginocchio.
La situazione si
fece critica; una
suora, altri non era che la reincarnazione di Gandalf, si mise sul suo
cammino:
<< Tu non passi! (Cit.) >>. Disse,
spalancando le braccia.
Un vecchietto,
seduto poco distante
dai due, prese la radio che aveva poggiata sul tavolino lì
vicino e la
sintonizzò sulla frequenza dove trasmettevano la canzone del
celebre film “Mezzogiorno
di fuoco”.
Don Camillo la
guardò con rabbia:
<< Togliti dai piedi, cicciona! >>.
La grassona non
demorse e Don Camillo
decise di passare all’assalto. La prese per il collo e le
diede una testata. Lei
gli diede un calcio nelle palle, ma fu il vecchietto lì
vicino a soffrirne
fisicamente. Il Don, vedendo che il tempo scorreva e che non poteva far
morire
il paziente prima dell’ultima confessione, decise di
utilizzare una tecnica
imparata in TV. Saltò, colpendola con un calcio rotante che
le fece sfondare la
finestra, spedendola così lontano che si perse oltre
l’orizzonte.
<<
Beata TV >>. Disse tutto
sorridente.
Ma il tempo
scorreva e lui fu
costretto a correre ancora più forte, sciogliendo pavimento
e muri grazie all’incenso
che perdeva lungo la strada. Fece altri due piani e svoltò a
sinistra, dove c’era
un infermiere che stava affacciato alla finestra, fumandosi una
sigaretta. Lo prese
per le spalle e lo buttò di sotto, dando una tastabile
dimostrazione del fatto
che fumare fa male (è colpa del fumo, sia chiaro).
Raggiunse la
stanza di un anziano
legato a delle macchine che gli permettevano di respirare, di mantenere
costante il battito cardiaco, mentre un computer gli permetteva di
parlare. Inoltre
l’uomo era continuamente sotto l’effetto di alcune
droghe che potessero
alleviare le sue terribili sofferenze legate al fegato, allo stomaco ed
alle
ustioni dell’incendio che aveva colpito casa sua due giorni
prima.
Don Camillo non
si scompose ed
azzardò una domanda: << Come si sente? (ma
cosa cazzo dovrebbe
risponderti??) >>.
L’uomo
lo guardò appena: <<
Giusto qualche dolore, parroco >>.
<<
Oh bene. Adesso iniziamo a
fare sul serio! >>.
Il Don fece
confessare tutti i
peccati dell’uomo, poi prese l’incenso e glielo
lanciò contro in goccioline, colpendolo
dritto negli occhi, accecandolo e bruciandogli la trachea, ma tutto
ciò lo
purificò dal peccato, preparandolo per l’incontro
col Signore. Don Camillo uscì
dalla stanza, mentre l’uomo tentava in vano di urlare di
dolore.
Un parente
passò di lì e chiese tutto
preoccupato: << Padre, mi dica, come sta?
>>.
<<
Sto benissimo, grazie
>>. Disse, andando via e lasciando il tizio senza parole.
Ancora una volta
il male, che fosse
vestito di bianco, che fosse il fumo, che fosse lo stesso peccato, era
stato
sconfitto. Intanto, in Africa, un bambino morì, schiacciato
da una suora caduta
dal cielo.
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Capitolo 7 *** La gita parrocchiale ***
Era il 27 Agosto
e Don Camillo era
pronto per una stupenda gita parrocchiale che avrebbe portato lui ed un
bel po’
di fedeli a Venezia, dove poter ammirare la città, le
stupende opere d’arte che
essa conteneva e le varie chiese. Non era stato molto difficile
coinvolgere i
fedeli, anche perché, si sa, se ricevi una lettera con un
messaggio
intimidatorio, un proiettile, un coltello insanguinato ed il pisello di
un
chierichetto, di certo non puoi non dire di si a tale iniziativa. Don
Camillo
se ne portò una cinquantina, distribuendoli come bestiame al
pascolo dentro il
pullman noleggiato per il viaggio. Il parroco salì per
ultimo, dicendo al
conducente che doveva sbrigarsi, perché né lui,
né gli altri
(sotto forzato
acconsentimento)
volevano perdersi un secondo di quella splendida gita.
Un bambino
alzò una bottiglia di
aranciata in aria ed esclamò: << Questa gita
sarà FANTAstica! >>.
Don Camillo gli
sparò seduta stante,
poiché il marmocchio, ormai cibo per cani randagi, aveva
violato il primo
comandamento parrocchiale della gita, scritto dal Don in persona:
“Non crederti
divertente dopo una battuta squallida, a meno che tu non sia Don
Camillo”.
La carcassa fu
gettata giù dal
finestrino, mentre una coppia di anziani stava allegramente parlando in
fondo
al pullman.
<<
Tesoro, presto vedremo
Venezia >>. Disse l’uomo, che baciò
la sua dolce e quasi marcia metà. Don
Camillo sparò anche a lui, avendo violato il settecentesimo
comandamento
parrocchiale: “Non bacerai nessuno, a meno che tu non sia Don
Camillo”.
Anche questa
carcassa, già circondata
da mosche e piena di vermi, fu gettata dal finestrino. Ora che gli
inconvenienti erano risolti, il pullman poté partire.
Ma il parroco,
annoiato dopo i primi
cinquecento kilometri di viaggio, decise di dedicarsi allo sport
estremo del
surf su veicolo, mostrano una forma atletica così
invidiabile, che in molti si
chiesero del perché non avesse rappresentato lo Stato del
Vaticano nelle scorse
Olimpiadi.
Raggiunta
Venezia, Don Camillo ed il
bestiame scesero dal furgone, andando incontro ad un tizio che
sembrava tanto
il becchino, visto che era vestito tutto di nero, dacché il
parroco disse:
<<
Mi scusi, caro, ma le
carcasse le abbiamo lasciate a Boscotrecase >>.
L’uomo
rise, sistemandosi la giacca
nera: << Ma no mio caro, io sono il proprietario
dell’albergo! >>.
I due si
strinsero la mano.
<<
E’ un vero piacere averla
qui con noi. La sua fama la precede >>.
Don Camillo, che
aveva un vocabolario
piuttosto limitato in testa, rispose: << La ringrazio, ma
ho già mangiato
>>.
L’uomo
rimase terribilmente
imbarazzato, ma preferì non farlo notare e cambiò
discorso. Portò i vari ospiti
nell’albergo: Don Camillo ebbe la camera numero 17, mentre il
resto della
mandria ebbe una stalla appositamente costruita per
l’occasione (oddio, gli
animali erano fatti di cartone e la zona in questione era una cantina
di circa
settanta metri quadri).
La prima
giornata passò alla grande,
col parroco che sistemò tutte le sue cose ( stiamo parlando
della splendida
scrivania in mogano, del tappeto di daino cacciato in zona protetta,
del
portagioie di Luigi XIV misteriosamente scomparso dalla reggia di
Versailles e
di una fornitura di incenso tanto grande da poter benedire tutta la
città
[???]).
Il pomeriggio
seguente Don Camillo,
dopo aver visitato due musei e quattro locali sconci, portò
le bestie a
pascolare in un fast food, quando, ad un tratto, un uomo lo
avvicinò.
<<
Don Camillo! >>.
Il parroco si
girò: << Satana??
>>.
<<
Ma no, sono il sindaco di
Venezia. E’ un grande onore averla nella nostra splendida
città. Appena ho
saputo, l’ho cercata dappertutto, per farle inaugurare la
nave Angelus, la più
grande nave che sia mai stata costruita in Italia >>.
Don Camillo,
sentendo la parola
Angelus, pensò che lui fosse la persona più
idonea nell’inaugurare quella
barca. Decise di andare al porto, ma il proprietario del locale chiese
il conto
e il parroco, per pagare quattro panini, due Coca Cola e cinque chili
d’erba
freschissima (uno per nutrire le bestie, quattro per far rifocillare il
nano
che nascondeva sotto la tonaca), gli diede la bellezza di venti
splendidi
esemplari compresi tra gli undici ed i trentatré anni.
Raggiunto il
porto, Don Camillo
arrivò nel mezzo di una folla, accompagnato dal sindaco. Tra
gli ospiti
eccezionali c’erano madama Coppola, un pc di ultimissima
generazione ed un lama
parlante (si, aveva sniffato due broccoli prima di raggiungere la
zona…).
Fu accolto con
applausi e ragazze che
si denudavano. Il sindaco prese in mano il pc e lo aprì,
mostrando al padre chi
si nascondesse dietro lo schermo: Papa Benedetto XVI.
Don Camillo si
inginocchiò, spalancando
le braccia.
<<
Caro Camillo, questo è un
giorno davvero importante per tutto il mondo. Questa nave è
l’inizio di un
cambiamento per tutti. Inaugurala, caro fratello >>.
Don Camillo,
ancora incredulo di
fronte al nuovo lifting cibernetico del Papa, prese la bottiglia di
spumante e,
invece di lanciarla contro la nave, la usò per colpire la
testa della madama, provocandole
un ictus cerebrale.
<<
Ma padre >>. Disse il
sindaco << Perché?? >>.
Don Camillo lo
guardò rabbioso e
confuso: << Perché mi sentivo in imbarazzo,
ok?? Ma adesso posso
incominciare >>.
<<
E allora vada >>.
Aggiunse il Papa.
Prese una
bottiglia dalla sua tonaca
e la lanciò contro la nave. L’incenso
squagliò il metallo, facendola affondare.
Tutti scapparono
via, mentre il Papa
lo guardava deluso: << Camillo, sarò franco
con te… >>.
Don Camillo
prese il pc ed iniziò ad
urlare: << Ma allora tu non sei il Papa! Lo sapevo, il
Papa non è fatto
di plastica e fili elettrici! Questa è la tua fine!
>>.
Lo chiuse e lo
lanciò via, come un
frisbee, un frisbee che raggiunse la Jugoslavia, decapitando quindici
persone.
Cavalcò
il lama e raggiunse l’hotel. Passarono
così altri quattro giorni, per poi riprendere il pullman e
ripartire per casa. Ma
dopo cinquecento kilometri (un’altra volta), si
sentì un tonfo provenire dall’alto.
Il padre saltò, sfondando il tetto del pullman e
ritrovandosi di fronte ad un
tizio con una valigia nera in mano. Don Camillo iniziò a
ringhiare: era un
testimone di Geova.
<<
Parroco, ascolta la vera
voce! Fai la carità! >>.
Don Camillo
alzò la tonaca, facendo
uscire fuori il nano che aveva nascosto (c’era per
davvero!!!). Pigmeo nato in
Madagascar, addestrato sulle falde del Kilimangiaro (il programma della
RAI,
si) ed esperto di tutte le arti dell’uccisione, Grotjambortzo
(nome che gli fu
dato dai genitori probabilmente inebriati dall’alcol),
tirò fuori dalle
minuscole tasche due katana e le agitò al cielo, urlando
parole incomprensibili.
Il testimone gli
lanciò la valigia
addosso, ma il piccolo schivò, gettandosi contro di lui e
tagliandolo in due.
Tutto sembrava
finito, ma il
testimone si duplicò, sghignazzando come non mai:
<< Fammi la doppia
carità! >>.
Don Camillo
intervenne, gettando un
crocifisso al collo di uno dei due, indebolendolo sensibilmente, poi
incensò l’altro.
Il rimanente
nemico fu spazzato via
da un’onda energetica sparata da entrambi, che lo
polverizzò (la TV influenza
parecchio…).
Il nano
tornò al suo posto, Don
Camillo si sentì sollevato. Scampato anche
l’ultimo pericolo, il pullman poté
finalmente ritornare a Boscotrecase.
Le quindici
persone che erano riuscite
a tornare a casa poterono dire:
<<
Miei cari, sembrava
impossibile, ma ce l’ho fatta! >>.
Ma fu allora che
tutte le loro teste
esplosero, avendo peccato di orgoglio e presunzione.
Intanto Don
Camillo si diresse in
camera sua, contento per essere riuscito ad estirpare nuovamente il
male su
questo schifo di pianeta.
Cercò
il lama, ma non lo trovò, poi
realizzò; sniffò due cavolfiori ed ecco che
apparve magicamente: <<
Mortimer pulisci pavimento e finestre, che domani ho la messa
>>.
Mortimer
obbedì, anche se, in mente,
un pensiero se lo fece:
“Ma
questo deve allucinarmi solo
quando gli servo??”.
E
SIAMO COSI’ GIUNTI AL
SETTIMO CAPITOLO! =) RINGRAZIO TUTTI COLORO CHE CONTINUANO A SEGUIRE IL
PARROCO
PIU’ PAZZO DEL MONDO E SPERO VIVAMENTE CHE ANCHE QUESTO
CAPITOLO VI SIA
PIACIUTO. ASPETTO CON ANSIA QUALCHE VOSTRA RECENSIONE: SONO CURIOSO DI
SAPERE
IL VOSTRO GIUDIZIO :D
CI
VEDIAMO AL PROSSIMO
CAPITOLO, CIAO! :3
|
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Capitolo 8 *** Il discepolo ***
Tre pesciolini
rossi. Tre pesciolini
rossi per passare il tempo. Il caro vecchio parroco era ormai
stanchissimo
della vita che era costretto a ripetere tutti i giorni.
Cioè, spesso si
divertiva perché c’era sempre qualcosa di nuovo
che ravvivava la giornata:
qualche fedele che non dava le offerte, testimoni di Geova che,
chiedendo la
carità, finivano per essere massacrati, ma era ormai da
giorni che non avveniva
nulla. Don Camillo aveva fame di novità, aveva fame
d’azione. Fu così che un quarto
d’ora dopo si mangiò i tre pesciolini ( accidenti,
aveva proprio fame! ).
A nulla
servì nemmeno il lancio del
coltello all’indietro, verso la finestra: tredici coltelli
lanciati, zero
vittime, tranne un lieve graffio su un’anziana che, in
seguito all’involontario
accaduto, aveva perso tre dita.
Sbuffava,
annoiato come non mai. Ma
all’improvviso ecco che arrivò un chierichetto nel
suo studio.
<<
Parroco, ho buone nuove! C’è
un giovane che chiede di lei! >>.
Don Camillo
sobbalzò, sorridendo:
<< E’ un testimone di Geova? >>.
Disse, pregustando già un’avvincente
combattimento.
<<
Beh no. Vuole parlare con
lei: ha detto che cerca un maestro di vita e vorrebbe che tale maestro
fosse
lei >>.
Il parroco si
alzò in piedi: <<
Ma perfetto! Un discepolo! Fallo entrare, orso Bubu! >>.
<<
Ma… veramente io… >>.
<<
Muoviti, palla di pelo, o
diventerai pelliccia! >>.
Il chierichetto
obbedì ed il giovane
varcò la sacra soglia del suo studio.
Era alto,
snello, biondo e con gli
occhi azzurri.
Il parroco lo
squadrò da capo a piede:
<< Fammi indovinare: il principe azzurro?
AHHAHAHAHAHAHAHAHAHA! >>.
( Ha… ha… ha… ma che
simpatico… )
Il giovane disse
di no, fortemente
imbarazzato: << Sono Giorgio Pelletti e sono qui per
ricevere i vostri
insegnamenti, oh illustrissimo >>.
Don Camillo
buttò giù la scrivania in
mogano, poggiandoci un piede sopra e mostrando il mento:
<< Beh, chi
meglio di me può dare degli insegnamenti! Non ho forse
ragione, Caterpillar?
>>.
<<
Ma… io non ero l’orso Bubu?
>>.
<<
Ah, tu e sti fumetti
giapponesi da strapazzo! (???)>>. Prese la boccetta dei
pesciolini e
gliela lanciò contro, colpendolo in testa e facendogli il
bagno.
Il piccolo
chierichetto fu colpito in
pieno, ma restò in piedi, dondolando giusto un po’.
<<
Padre, la prego >>. Iniziò
il giovane << Vorrei iniziare il mio insegnamento oggi
stesso, se è
possibile >>.
Il parroco
congiunse le mani ed
annuì:
<<
Bravo, è questo lo spirito
giusto >>. Guardò il chierichetto e sorrise
vistosamente <<
Inizieremo con il “surf su chierichetto”!
>>.
Il poveretto non
poté sfuggire alla
morsa del parroco, che lo pose a terra, vicino alla scala, fece salire
il
giovane e gli disse: << Urla qualcosa mentre scendi, mi
raccomando
>>.
<<
Ok >>.
<<
Posso urlare anche io?
>>.
<<
Taci, tavola da surf!
>>.
Il giovane
iniziò la discesa, facendo
sbattere più e più volte la testa
dell’omino bianco di chiesa contro gli
spigoli delle scale, ed urlò:
<<
Gesù ti adoro! >>.
Don Camillo,
pieno di lacrime di
gioia e commozione, scese lungo le scale tinte di rosso sangue e si
avvicinò
all’allievo. Prese un pezzo di legno in punta di diamante ed
iniziò a
punzecchiare l’omino bianco/rosso, procurandogli profonde
ferite di taglio. Questi
urlò, e ciò fece innervosire il parroco, che
spaccò il bastone in testa al
discepolo.
<<
Dannazione! Se il
chierichetto non muore, allora non è stato efficace!
Riproviamo! >>.
Il chierichetto
era visibilmente
provato:
<<
Ma parroco, io veramente…
>>.
<<
I cadaveri non parlano, taci!
>>.
E fu
così che il surf su chierichetto
fu ripetuto circa cinquecento volte ( e sempre con lo stesso
poveraccio, sia
chiaro… mamma mia… ).
Stancatisi di
fare sempre la stessa
cosa, con la piccola tavola da surf che non ne voleva sapere di
ritornare dal suo
misericordioso creatore, Don Camillo lo portò allo zoo,
vecchio luogo dove, in
passato, egli stesso aveva ricevuto gli insegnamenti dal suo maestro,
che poi
fu ricoverato in manicomio e lì morì. Ma questa
è un’altra storia. Don Camillo
fece intraprendere nuove sfide difficilissime che solo una persona dal
forte
carattere avrebbe potuto superare, come la box contro un gorilla ( per
migliorare la forza fisica ), restare un gabbia con un leone ( per
migliorare
il sangue freddo ) e praticare il salto del pitone, come se fosse una
corda
( giusto per
cazzeggiare un po’ ). Tutti
tentativi che fallirono miseramente, ma Don Camillo, che non era certo
rimasto
allo zoo a spulciare gli scimpanzé per nulla, ebbe
finalmente l’illuminazione. Lo
portò sulle pendici del Vesuvio, dove avrebbe affrontato la
più terribile delle
prove: la prova Divina!
La prova
consisteva nell’utilizzare
la tonaca come un mantello, per planare fino alla chiesa di
Boscotrecase.
<<
Parroco… quindi lei mi
presterà il suo mantello? Che emozione! >>.
Disse con le lacrime agli
occhi.
<<
Macché >>. Aggiunse il
parroco << Le mie vesti sono sacre come la santa Bibbia!
Prendi questo!
>>.
E gli diede una
tonaca sporca di
terreno, presa dopo aver dissotterrato il corpo del parroco che, prima
di lui,
aveva servito nella sua chiesa.
<<
Grazie padre. Queste vesti,
anche se puzzano di non so ché, profumano
d’affetto >>.
Ma Don Camillo,
perplesso dal fatto
che il giovane sentisse odore di affettati, scelse di ignorare tutto e
lo fece
lanciare nel vuoto.
Riuscì
a planare e a raggiungere la
cima della chiesa, sfondando la cupola in vetro e cadendo addosso ad un
anziano
che stava pregando il Signore.
Don Camillo, che
intanto si trovava a
fare la messa in chiesa (WTF???), si commosse a tal punto che
gettò l’eucarestia
a suon di frisbee in faccia a tutti i fedeli, per velocizzare il rito,
scavalcò
l’altare e lo raggiunse, abbracciandolo amorevolmente.
<<
Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta
padre! >>.
<<
Si >>. Rispose Don
Camillo << Ce l’ho fatta! >>.
Quella fu
l’ultima fatica del giovane
Giorgio. Il giorno dopo le valige erano già pronte.
<<
La ringrazio padre, non
dimenticherò mai i suoi insegnamenti. Ho scelto lei per
imparare cosa è giusto
e cosa è sbagliato, anche sconfiggendo le paure che ci
perseguitano su questa
terra. Non sarò un uomo di chiesa, glielo dissi. Spero che
tutto ciò che io
abbia imparato mi possa servire per creare un clima stupendo per la mia
futura
famiglia >>.
Don Camillo
sorrise: << Sei
innamorato? >>.
<<
Beh… si. E’ una sensazione
stupenda >>. Disse tutto rosso.
Il parroco era
curioso: << E’
come quando lanci un coltello all’indietro e scopri di aver
centrato un monaco
zen proprio dove non batte il sole? >>.
Il giovane ci
rimase eccome, ma disse
di sì e si congedò.
Don Camillo,
triste per l’addio del
giovane, tentò di praticare nuovamente il surf su
chierichetto con lo stesso
della volta passata e, anche se quest’ultimo morì
dopo il primo tentativo (
finalmente! ), nemmeno questo riuscì a tirarlo su.
Tornò al suo studio, triste
ed annoiato nuovamente. Si sedette. Prese il coltello e lo
lanciò all’indietro,
verso la finestra. Si girò, sperando di aver preso il figlio
del lattaio, che
gli stava vivamente sulle scatole, ma non fu così.
Aimè,
il giovane Giorgio non fece più
ritorno a casa.
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Capitolo 9 *** Il funerale ***
Appena arrivato
all’altare, Don
Camillo spalancò le braccia e disse a tutti i fedeli di
stare zitti. Si stava
celebrando il funerale di Vincenzo Ammendola, morto di vecchiaia ( non
ci
credo, impossibile! ) alla modesta età di 89 anni. Il
parroco era proprio
vicino alla bara e squadrava da capo a piede il frutto rinsecchito
della vita,
provando un senso di tristezza nel sapere che aveva perso una delle
persone che
offriva di più in chiesa. Fu proprio per questo che suo
nipote, appena
diciottenne, fu ripulito davanti a tutti i presenti, in memoria di
quell’uomo
straordinario.
<<
Ora, dopo il saluto dei
parenti di questa docile bestia morta, possiamo portarlo nel luogo dove
riposerà per sempre >>.
Il chierichetto
vicino a lui si
schiarì la voce e disse: << Ma veramente
devono ancora salutarlo
>>.
Don Camillo lo
guardò con occhi
infuocati e rispose: << Lo hanno fatto, la
realtà obbedisce alla mia
parola! >>.
Nessuno
fiatò, nessuno ribadì.
Saltò,
usando la bara come tavola da
surf, e portandola fuori, dove sarebbe stata caricata e portata in
cimitero.
Ma fu proprio
qui che egli incontrò
il becchino, diventato miliardario ( e ci credo ), tanto ricco e
viziato da
comprarsi una ferrari e farla modificare in modo che dentro ci potesse
stare
una bara. Vestito di seta pregiata, guardava il Don con sorriso
rispettoso,
visto che grazie a lui il tasso di mortalità a Boscotrecase
era aumentato
vertiginosamente. Oramai lo venerava come un Dio, tanto da essersi
costruito un
altarino in casa, dove lo pregava tutti i giorni di dare sfogo alla sua
sete di
sangue.
Il Don
approfittò dell’incontro per
farsi pagare il pizzo.
<<
O mi paghi o non ammazzo più
nessuno! >>. Questa era da sempre la sua minaccia
più convincente.
Dopo aver
incassato i diamanti del
Venezuela, la bara fu portata fuori a fatica dalla ormai vedova
dell’uomo: una
grassoccia signora di 85 anni che decise di sua spontanea
volontà, per nulla
costretta dal parroco ( ma per carità ), a portare da sola
la bara sulle
spalle. Dopo diciassette chilometri di sofferenze, la vecchia
arrivò finalmente
al cimitero ( nel senso che, per lo sforzo, era morta pure lei).
Don Camillo
guardava soddisfatto il
chierichetto di fronte a lui, che manteneva la testa china.
<<
HAHAHAAHAH! Ho vinto la
scommessa! La vecchia ha tirato le cuoia! Fuori i soldi!
>>.
Il chierichetto
sborsò cento euro e
si fece prendere a calci in culo per tutti i restanti trenta chilometri
dal
cimitero.
Vista questa
improvvisa morte, il
becchino fu così costretto a portare in fretta e furia
un’altra bara, non senza
mostrare un sorriso di gioia e lacrime di commozione.
“La
vita è bella e breve!”, pensò.
Ed ecco che le
due bare furono
disposte l’una vicino all’altra. Don Camillo,
nell’intento di benedire i due
corpi con l’incenso, colpì anche il giovane
nipote, che cadde a terra,
rantolante di dolore.
<<
Vincenzo non morire!
>>. Urlò il padre, disperato.
<<
Secondo me non ce la fa
>>. Disse il becchino, imbucatosi al funerale e
massaggiandosi le mani.
Ma Don Camillo
disse che quelle poche
gocce che lo avevano colpito, non potevano certo ucciderlo. E infatti
gli
fecero perdere solo l’uso della vista, ma hei, infatti non
è morto, visto?
Il ragazzo fu
medicato dallo stesso
parroco, che gli mise una mano in faccia e gli premette forte le dita
negli
occhi ( ah, ecco perché ha perso la vista… ), ma
tutto questo solo per
ricordargli che gli occhi non servono quando hai la fede.
<<
Ma io non sono sposato!
>> Disse il giovane Vincenzo ( … ).
Beh, che dire,
questa fu senz’altro
la goccia che fece traboccare il vaso. Il parroco, con sguardo freddato
dalla
battuta di quell’essere che era passato dal grado di
“nullità” al grado di
“merdaccia
ambulante”, decise di far diventare ancora più
ricco il becchino, che non
poteva fare a meno di sorridere per la disgrazia.
Dopo la morte di
un altro zio, di un
piccione e di un canguro australiano, il funerale fu finalmente
concluso e Don
Camillo non poté fare a meno di esultare, lanciando via una
pietra, che sorvolò
tutto il cimitero e colpì il custode proprio in testa,
uccidendo anche lui.
<<
Cavoli padre, oggi sono
morte un sacco di persone! >> Disse il chierichetto.
<<
Già >>. Disse,
insoddisfatto dal numero delle vittime giornaliere << Ci
manca solo che
muoia il becchino… >>.
Manco a farlo
apposta, un malore
colpì l’interessato, proprio mentre faceva ritorno
al cimitero. Insomma la
Morte non aveva avuto proprio il tempo di riposarsi quel giorno, ed era
tanto
stanca da voler chiedere una settimana di ferie al padre Eterno. Ella,
dopo
aver avuto a che fare con i primi massacri del parroco, non aveva
potuto fare a
meno di finire in cura da uno psicologo, stanca e stressata dal troppo
lavorare.
<<
Lui un giorno morirà e tutto
si risolverà >>. Disse il medico.
La Morte si
sentì sollevata. Tornò a
casa, contenta più che mai. Entrò e si diresse in
bagno, dove aveva intenzione
di farsi un bel bagno. Ma l’aria era pesante, oscura.
Qualcosa di molto grave
stava per succedere. Una strana presenza, la sensazione terribile di
non essere
soli. Si girò, trovandosi Don Camillo di faccia, che
sghignazzava con la bava
alla bocca.
<<
Ce ne sono altri tre!
>>.
<<
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHH! >>.
Lei svenne, lui
sorrise.
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Capitolo 10 *** L'ascesa al cielo ***
Vestito con la
sua tonaca bianca ed
immacolato dalla luce divina che entrava dalla finestra, Don Camillo
aveva
appena finito di prepararsi per la messa della domenica. Decise di
essere
originale, preferendo un’entrata di scena diversa dal
semplice entrare dalla
porta. Salì sulla cupola della chiesa, si lanciò
e sfondò il vetro che la
ornava, atterrando su un chierichetto ( tutto calcolato, eh ) ed
uccidendolo. Le
schegge piovvero dal cielo, colpendo e benedicendo i fedeli con le loro
pugnalate angeliche.
Don Camillo,
sorridente nel vedere
tante persone sofferenti, capì che solo lui poteva annullare
tale sofferenza, e
ciò era possibile solo con una messa, una serena e santa
messa. Chi meglio di
lui poteva recitarla?
<<
Grazie per essere entrati
nella casa del Signore, cioè casa mia. Congiungete le mani e
preghiamo, o
fratelli >>.
Quasi tutti i
presenti congiunsero le
mani, tranne quelli che dopo la pioggia divina erano rimasti mutilati,
che
dovettero togliersi le scarpe ed usare
i
piedi per rimediare. Un odore di gorgonzola si espandé per
la chiesa, facendo
smorzare il naso al parroco, il quale, maniaco della pulizia (solo di
quella,
eh) fece in modo che, con un battito di ciglia, un ictus cerebrale
colpisse
tutti coloro che stavano intossicando l’aria. Egli, sentita
la terribile puzza
provenire dalle schifosissime falangi di quelle capre, non aveva potuto
non provare
la più completa e piena pietà nei loro confronti,
decidendo così nel porre fine
a quelle vite misere e puzzolenti.
Ma in quel
momento avvenne un fatto
insolito, stranissimo: una enorme scala mobile tutta in oro cadde dal
cielo,
schiacciando una cinquantina di fedeli ( quelli più lontani
dall’altare ).
Don Camillo
guardava a bocca aperta
una forte luce bianca illuminare il sentiero verso il cielo: quella era
la
scala mobile del paradiso, frutto di centinaia di migliaia di leggende
(mah…).
<<
Don Camillo, sono io, il
Signore. Tu, o grandissimo uomo di fede e misericordia, hai dimostrato
tutto il
tuo valore in questa terra. Non posso non dire che hai fatto meglio di
Papa
Giovanni Paolo II e di madre Teresa di Calcutta messi insieme. Con
ciò, ti
offro la possibilità di ascendere al cielo non morto, cosa
che nessun uomo ha
mai fatto >>.
Don Camillo
corse, non curandosi dei
chierichetti che, inevitabilmente, iniziarono a piangere dalla
tristezza. Arrivò
nei pressi di un bambino costretto su una sedia a rotelle, lo prese per
le
spalle e lo buttò per terra: << Haha! Dio ha
scelto me perché posso
camminare! >>.
Arrivò
nei pressi di un cieco, gli
infilò le dita negli occhi e disse: << Haha!
Dio ha scelto me perché
posso vederci! >>.
Poi si
avvicinò ad un uomo muscoloso
e privo di difetti fisici, ma Don Camillo non si scoraggiò,
gli diede un calcio
nelle palle e disse: << Haha! Dio ha scelto me
perché ho i coglioni!
>>.
Dopo aver
smaltito tutta quell’estasi
(nel vero senso della parola), Don Camillo prese le scale e corse a
più non
posso, cercando di arrivare il più velocemente possibile
alle porte del Paradiso.
Superò i pianeti del sistema solare, facendo però
qualche sosta, che consisteva
nel fare pipì e sputare sul pianeta Terra così,
giusto per lasciare un
ricordino agli schifosissimi umani. Raggiunte le porte del Paradiso,
Don
Camillo si trovò di fronte ad un vecchio con la barba bianca.
<<
Babbo Natale! Che ci fai
qui?? >>.
Lui lo
guardò sconvolto: << Non
sono Babbo Natale, sono San Pietro… >>.
<<
Oh scusami, santissimo
inferiore solo a me, potresti farmi entrare? >>.
<<
Ma certo >>. Disse contento
<< Il Signore desidera vederti! >>.
Le porte si
aprirono ed il Don entrò,
ma non senza farsi circondare dagli angioletti che, eccitati,
incominciarono a
ballare Gangnam Style insieme a lui, mentre procedevano fino a Dio.
Dio, che non
aveva mai visto un ballo
simile, non poté non ballarlo anche lui, ma poi, cercando di
mantenere una
certa autorevolezza, decise di interrompere il ballo e chiese
gentilmente agli
angioletti di lasciare i due da soli.
<<
Caro Don Camillo, quale
onore averti qui con noi! >>.
<<
Hei, ciao! Ma lo sai che
Babbo Natale sorveglia le porte del Paradiso? >>. Disse,
dimenticatosi
del dialogo precedente.
<<
… ma quello è San Pietro!
>>.
<<
Si, dicono tutti così!
>>. Disse, ricordatosi stavolta.
<<
Senti, questo è il Paradiso.
Sei libero di fare tutto quello che vuoi, quindi datti alla pazza gioia
>>.
Don Camillo
sorrise e, stranamente
(certo, come no), nel Paradiso si scatenarono un paio di tempeste che,
insidiosissime, fecero disperdere un migliaio di angioletti.
<<
Incominciamo bene! >>.
Disse, iniziando a ridere come il pazzo e buttandosi per terra.
Non riusciva a
credere a ciò che
stava vivendo e, ahimè, in effetti questa non fu altro che
una visione. In realtà
Don Camillo era rimasto tutto il tempo in chiesa, preso da una crisi
epilettica
che gli aveva portato fortissime allucinazioni. Furono chiamati gli
infermieri
del manicomio più vicino, che lo strinsero in una camicia di
forza e lo imbavagliarono.
Oramai bisognava pur fare qualcosa, ed era ora che qualcuno lo portasse
via da
tutte quelle povere creature. Ma è proprio qui che inizia il
dramma: fu
rinchiuso, costretto a prendere massicce dosi di medicinali per la
schizofrenia
e dovette essere seguito costantemente da un tour di psicologi. Don
Camillo non
riusciva più a fare niente, bloccato continuamente dalla
camicia di forza. A nulla
sarebbe servito divincolarsi, la camicia non lo mollava. Data la sua
situazione, probabilmente sarebbe rimasto rinchiuso per il resto della
vita, anche
se era giovanissimo d’età. Ma intanto qualcosa di
strano stava succedendo nei
caldi bassifondi terrestri. L’Inferno si stava gonfiando e i
demoni erano
pronti a banchettare con il sangue degli uomini, ma questa, miei cari
lettori,
è tutta un’altra storia.
E
così finisce la mia
storia sul parroco più pazzo del mondo ;w;
Spero
vivamente di essere
riuscito a strapparvi qualche risata e vi ringrazio per tutto il tempo
speso a
leggere questa storia. Sappiate solo che questo non è un
addio, ma un
arrivederci! :)
Ho
in mente qualcosa di
nuovo per questo personaggio (come si è potuto capire dal
finale).
Abbiate
pazienza e vedrete
;)
Ciao
a tutti ed ancora
grazie mille! :D
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