Don Camillo

di Cam17
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La mancata offerta ***
Capitolo 3: *** L'arrivo del nemico ***
Capitolo 4: *** L'esorcismo ***
Capitolo 5: *** Il catechismo ***
Capitolo 6: *** L'estrema unzione ***
Capitolo 7: *** La gita parrocchiale ***
Capitolo 8: *** Il discepolo ***
Capitolo 9: *** Il funerale ***
Capitolo 10: *** L'ascesa al cielo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Don Camillo era il miglior parroco del mondo, e lo era perché lo scrittore qui presente si ritrova con una pistola puntata alla nuca e non può dire nient’altro…

In ogni caso ho molto da dirvi riguardo a questo signore senza nemmeno una macchia sulla coscienza. Si sa che la chiesa aveva bisogno di offerte, e queste offerte venivano raccolte dai suoi chierichetti, ragazzini religiosissimi, così tanto che la gente ce la portavano a suon di calci in culo in chiesa e, perché no, magari alleggerendo anche i loro portafogli mentre ce li portavano. Cosa c’entrano i soldi con il fatto di entrare in chiesa? Beh, in questi casi lo stesso Don Camillo direbbe: “Non fatevi troppe domande che è meglio”. Insomma i chierichetti facevano il loro dovere, e lo facevano con il cuore di chi non si aspetta niente in cambio del loro servizio, anche se accettavano più che volentieri le piccolissime offerte che i fedeli erano costretti a non rifiutare, tipo l’assegno della pensione o la caramella che un bimbo sta per scartare con tanta felicità. Tornando alle offerte, si può dire che gli affari andavano a gonfie vele. E dovevate vedere quante ne riuscivano a racimolare quelle bianchissime pecorelle di Dio. La gente dava loro di tutto, persino oggetti preziosi e tutto senza troppe preghiere, anche perché se ti ritrovi un fucile a pompa puntato addosso non credo tu abbia molta scelta, ma si sa, una piccola offerta ci fa sentire tutti un po’ più puliti, magari anche più leggeri, ed alcune ci fanno anche perdere la verginità, a maggior ragione se siete delle belle ragazze e se i chierichetti non avevano ancora avuto il tempo di fapfappare nel confessionale (cazzo mi ci sono pure seduto lì dentro…). Sta di fatto che la chiesa di Don Camillo utilizzava queste offerte nel migliore dei modi, come comprare una scrivania in mogano per lo studio del parroco, un acquario per lo studio del parroco, un televisore al plasma per lo studio del parroco e molto altro per lo studio del parroco. Il resto dei soldi andava alla portinaia, che aveva il principale compito di tenere a bada i chierichetti (fap fap ragazzi) e… oh, certo, vegliare sulla chiesa nelle ore notturne… anche se quello era un optional. Ma io preferisco raccontarvi nel dettaglio le disavventure di questo personaggio davvero illuminante e perché no, santificabile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** La mancata offerta ***


In piedi sull’altare, Don Camillo si accingeva a completare la sua messa. Era un lavoro che richiedeva fatica, il suo, quindi non vedeva l’ora che tutto potesse finire in fretta. In quel momento stavano passando i chierichetti che chiedevano offerte ai fedeli, quando ad un tratto, passando vicino ad una signora anziana, quest’ultima non diede neanche un centesimo. Che sacrilegio. Gli occhi del parroco divennero enormi come cocomeri e la sua faccia iniziò ad arrossarsi come un peperone. Irato e privo di senno, le puntò il dito contro, mentre le nuvole oscuravano il cielo ed i fulmini minacciavano la popolazione del piccolo paese di Boscotrecase. Destino volle he uno di questi friggesse un povero bambino che stava innocentemente attraversando la strada, mentre un altro colpì un albero, scatenando un incendio tra i boschi del Vesuvio, dove morirono 17 persone. Intanto le finestre rimbombavano sotto l’energica spinta del vento che, indemoniato, si portò via il sindaco del paese, che fu poi ripescato, morto,  a San Tropez.

<< Tu non hai dato nessuna offerta! >>. Le urlò contro, accompagnato dai rimbombi dei tuoni.

<< Non è obbligatorio, parroco! >>. Rispose lei.

Parole più oscene non furono mai dette in quella chiesa prima di allora. Un bambino svenne dallo stupore. Grugnì con rabbia, mentre una finestra si spaccò in mille pezzettini, uno dei quali passò di striscio vicino al collo di un anziano, tagliandogli la gola e dissanguandolo in pochi secondi. Ma Don Camillo non si accorse di ciò e si mosse verso la svergognata. Cadde dalle scale, ma si rialzò subito, indenne. Subito dopo, tra le ultime fila di fedeli, un giovane cadde a terra con strane lesioni: costole rotte, braccio slogato ed un taglio in testa (WTF???).

Il signore aveva ancora una volta vegliato sulla salute del Santo in terra, capace di trasmettere e, perché no, donare il proprio malessere fisico al prossimo, magari a quelli più fortunati (e mi sembra coerente, minchia!). Comunque lui, circondato da tre chierichetti, mise la vecchia bastarda a testa in giù, prendendole tutto ciò che aveva. I fedeli rimasero sbigottiti e Don Camillo capì che forse c’era una sola cosa, sana e giusta, che doveva fare. Fece prendere la futura salma e la gettarono giù per le scale dell’entrata, rotolando per terra e finendo in mezzo alla strada. Un giovane dall’animo buono corse in suo aiuto, ma un crocefisso lanciato dalla cupola della chiesa gli penetrò la testa, uccidendolo all’istante. Si sa, Don Camillo teneva sempre appostato un chierichetto lassù, in cielo, per salvaguardare la sua incolumità. Tutti i fedeli ammutolirono, mentre la messa veniva terminata e il parroco, premuroso per tutte quelle pecore nere e schifose come il carbone, prese l’incenso ed iniziò a benedirli tutti quanti. Ma l’incenso bruciava, oh se bruciava, perché il giorno prima l’incenso vero era finito. Ma allora come si poteva fare per benedire il lerciume che entrava dalla porta d’ingresso? Beh, il chierichetto che si occupava degli esperimenti chimici per rendere ancora più sballosa l’erba dell’orticello parrocchiale pensò che si potesse usare qualcosa di più forte e purificatore. Quel qualcosa si chiamava HCl.

<< Ci pensi >>. Gli disse quella volta << Questa roba squaglia, cioè fa evaporare le cose, ergo le purifica! ( ma che genio oh!) >>.

Questa idea lo fece salire di grado, diventando così il nuovo papp… protettore delle povere figliuole che giravano per strada perché dovevano ( si, e non fate domande!).

Durante la purificazione un giovane si alzò nervoso: << Ma lei è pazzo! Questa roba brucia, fa male! >>.

Don Camillo lo fulminò con lo sguardo: << E questo significa solo una cosa >>.

Il giovane rimase pietrificato.

Il padre continuò: << Che hai tanto peccato! >>.

Detto questo gli buttò addosso tutto l’incenso che aveva, facendolo sparire in una nube bianca come le nuvole. Era sparito e questo significava una sola cosa: << E’ disceso al cielo >>.

Nessuno fiatò.

Lui li guardò con tenerezza, per poi esclamare: << Uno alla volta fratelli! >>.

Tutti corsero via, spintonandosi l’un l’altro, mentre lui dichiarava che la messa era finita e che tutti potevano andare in pace, tranne Giulio, il giovane che aveva confessato la sua omosessualità, che subì il terribile destino del lancio della panchina che gli finì dritta in testa, ghigliottinandolo. Non a caso le panchine avevano i bordi levigati.

Don Camillo uscì fuori, vicino alle scale, osservando i fedeli che sembravano piccole ed insignificanti formichine terrorizzate che correvano sparpagliandosi lungo la strada. Spalancò le braccia e i cancelli si chiusero. Era arrivato il momento della pace e del riposo, ma qualcuno gli parlò.

<< Don Camillo? Don Camillo? >>.

Don Camillo rimase a bocca aperta, sbigottito più che mai. Che fosse lui? Che lo stesse chiamando? Che lo stesse santificando ancor prima di morire?

Prese forza e coraggio: << Sei tu o mio Signore? >>.

Si sentì un brusìo di sottofondo, poi lui rispose: << Ehm… no, sono Alessandro, le sto parlando con l’auricolare. >>.

Il padre ci rimase tremendamente imbarazzato: << Dimmi caro, cosa posso fare per te? >>.

<< Don, la prego, posso? >>.

Il parroco sbuffò e si agitò avanti ed indietro, poi decise: << E va bene, ma questa è l’ultima volta, sennò non avremo più fedeli! E se non ci sono fedeli non ci sono offerte! >>.

<< Oh la ringrazio di cuore padre, prometto che questa è l’ultima volta! >>.

Don Camillo si ritirò in chiesa, mentre dall’alto, o meglio, dalla cupola iniziarono a piovere crocefissi che colpivano i poveri disgraziati lungo la via di casa. Inutile dire che nessun parente che fosse restato a casa si aspettava qualche sorpresa, ergo il ritorno dei propri cari nella propria dimora. E infatti il piccolo Timmy non restò deluso. Quel giorno perse sia la nonna (la vecchia bastarda), sia i genitori, sia la piccola sorellina di soli tre anni. Era felicemente diventato orfano. Ancora una volta era stata compiuta la volontà del signore o meglio, di Don Camillo.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** L'arrivo del nemico ***


Don Camillo stava sulla sua comoda poltrona di pelle, mentre fumava una sigaretta Schiavist, la marca di “sigarette” che non ha segreti, anche se era meglio non fare domande. Il sommo si stava appena riposando dopo aver ricevuto la visita del cardinale di Milano Giuseppe Gozzi, meglio noto come lo iettatore. Si diceva che per ogni passo che faceva moriva un bambino in Africa, e quindi potete ben comprendere la paura dei chierichetti, che si erano rifugiati nel bunker sotterraneo fatto costruire sotto la chiesa apposta per sopravvivere ad una possibile rivoluzione omosessuale, anche se quelli si erano portati pure la portinaia lì dentro, sapete… per evitare di stare senza far niente…

Comunque i due avevano parlato (di fede ufficialmente) e bevuto (tè ufficialmente) per tutto il tempo. Il vecchio cardinale era passato per salutarlo, visto che era in visita in Campania, anche se questo costò alla regione non poco di cui occuparsi, come alluvioni ed inondazioni. Ora lui era in pace, circondato dal silenzio, il fumo e gli effetti degli allucinogeni delle “sigarette” che gli facevano scorgere in lontananza la figura di un lama che si apprestava a pulire le finestre del suo studio.

<< Vuole il servizio completo, sua santità? >>. Gli disse il lama.

<< Ma certo Mortimer, dopo potrai andare a casa dalla tua famiglia >>.

Mortimer scoppiò a piangere: << Mia moglie ed i miei figli sono morti, signore, due anni fa >>. Disse strofinandosi gli occhi.

Fu allora che Don Camillo ebbe un flashback. Si ricordò di quella volta in cui doveva far saltare in aria la casa del presidente, che voleva far pagare le tasse alla Chiesa sugli immobili di sua proprietà in territorio italiano, ma quel giorno sbagliò casa e fece esplodere la casa di Mortimer, anche se lui non seppe mai la verità, che gli fu poi svelata dal padre in persona, che gli disse che degli hippie armati di fiori assatanati e jet super avanzati avevano colpito a caso una casa a casaccio (da premettere che lo scioglilingua fece perdere al parroco circa venti minuti di discussione) e che un giorno li avrebbero scovati e portati in carcere.

Don Camillo si sentì imbarazzato: << Scusa Mortimer… pulisci tutto e poi ti do la giornata libera >>.

Questo si soffiò il naso gocciolante: << Grazie signore >>. Sputò sulla finestra ed iniziò a pulire tutto con uno straccio bianco (lo stesso dello starnuto… ah che schifo!).

Tempo due ore e poi si svegliò tutto scombussolato.

Si guardò attorno tutto stordito esclamando:<< Cazzo dov’è il mio gorilla maggiordomo quando serve?? >>. Poi realizzò, guardando la cicca che aveva in mano e disse: << Cazzo questa si che è roba buona! >>.

La gettò giù dalla finestra: << Tanto fa concime >>.

Diciamo di si, anche se quella non era una sigaretta come le altre, tant’è vero che tutte le innocenti e non tossiche (credeteci) piante che componevano il giardino parrocchiale morirono dopo atroci sofferenze, manco un digiuno d’acqua di quindici giorni avrebbe saputo fare di meglio (a questo punto bruciatele!).

Intanto i chierichetti, usciti tutti dal bunker, tornarono alle loro mansioni.

<< Oh cazzo le mie piante super sballose! >>. Urlò quello che si occupava del giardino.

Intanto Ciccio, il più grasso dei chierichetti (guarda caso) , si apprestò a raggiungere la porta della chiesa, dove aveva sentito bussare. Ebbe solo il tempo di sentire chi fosse, poi, spaventato, iniziò a trascinare con foga e disperazione tutto il sudicio lardo che portava in corpo in direzione dello studio del parroco. Corse più velocemente che poteva, buttando a terra un chierichetto, la portinaia, un lama che non si capiva da dove fosse entrato e il secchio con il detersivo per pulire il pavimento. Svoltò l’angolo e raggiunse le scale che portavano allo studio, si fermò a metà strada, si sedette ed iniziò a fare una pausa di merenda. Tirò fuori dalla tasca mezzo metro di pane tagliato a due fette e contenente tonno, pomodorini piccanti, cetrioli, aglio, cipolla, bocconcini, cotolette, kebab, un pezzo della pagina del Vangelo secondo Luca ed un braccio di un defunto dissotterrato dal cimitero più vicino e misteriosamente ancora intatto (minchia che porco!).

Finì il pranz… lo spuntino e si diresse nuovamente atterrito verso lo studio del Don. Arrivato si accasciò a terra stanco, ma non mollò, strisciò lentamente verso di lui. Il padre lo guardò con aria autoritaria e per nulla impietosita.  Aspettò che si avvicinasse abbastanza. Ciccio baciò le mani.

<< Cosa posso fare per te, picciottino? >>.

Ciccio era affannato, stanco ed affamato, ma ebbe la forza di dirlo: << Padre hanno bussato, sono i testimoni di Geova! >>.

Don Camillo saltò giù dalla sedia: << Sacrilegio più totale! >>.

I testimoni di Geova erano noti per lo spaccio di droga, per la prostituzione, per gli omicidi, per le scorribande notturne, un vero inferno che mai il santo parroco aveva conosciuto dal vivo (ma a chi voglio darla a bere?). Don Camillo si alzò sconvolto, congiungendo le mani e sperando nell’aiuto del Signore. Ad un tratto trovò l’illuminazione, giacché accese la luce abbagliante del suo studio, prese Ciccio ormai morto d’infarto, lo scaraventò vicino alla discesa delle scale per usarlo come tavola da surf e scese a tutta velocità esclamando: << Alla Cam Caverna! >>. Tutto questo accompagnato da un coro angelico proveniente da chissà dove.

Lasciò la mongolfiera a putrefare vicino alle scale, passò dove c’era il sapone a terra senza scivolare, si diresse verso l’altare, attivò il pulsante sotto l’altare e questo sparì, lasciando posto ad una caverna molto profonda.

I chierichetti si guardarono attoniti e decisero ti tornare nel bunker: << Altro fap fap ragazzi! >>.

Il parroco raggiunse uno studio poco illuminato dove prese un sacco con l’incenso, un crocefisso che mise al collo, un ramo d’ulivo lungo due metri (hei, il chierichetto giardiniere sapeva il fatto suo) ed una sacra Bibbia tenuta saldamente nella mano destra. Tutto era pronto. Tornò indietro, percorse lo stesso tragitto di prima, si accorse dei giovani svenuti a terra dopo la tremenda scivolata ottenuta per via del sapone sul pavimento (tra l’altro uno  di loro era pure riuscito a passare usando i corpi dei compagni come ponte) e aprì violentemente la porta, sbalzando via le orribili e fetide creature che si stavano avvinghiando contro di essa con foga sempre maggiore, tanto da aver lasciato tracce di sesso lungo le sue fessure. Don Camillo guardava con disgusto i testimoni di Geova, che già vedeva come concime per il proprio terreno.

<< Questa è la casa del Signore, non la avrete mai! >>.

<< Siamo testimoni di Geova, fate la carità >>. Disse uno con molta rabbia << Fate la carità! Abbiamo volantini e tanto altro! FATE LA CARITA’! >>. Erano ormai degli zombie assetati di carità, era impossibile curarli dalla loro malattia.

L’oscenità strisciava per terra e serpeggiava lungo la strada. Una vecchia poco distante da lì morì di crepacuore, un altro anziano fu colpito da un crocefisso lanciato dalla cupola della chiesa, un bambino cadde in un tombino e morì affogato (grazie cardinale!).

Don Camillo doveva intervenire per evitare altre vittime innocenti:<< Io sono il parroco, sia fatta la mia volontà! >>.

Gettò l’incenso addosso ad uno di loro, squagliandolo. Un altro gli saltò alle spalle, colpendolo in testa con dei volantini che avevano come titolo “segui la vera fede”. Don Camillo non demorse e si scrollò di dosso l’assalitore, colpendolo con forza con la Bibbia e scaraventandolo in aria, su, fino in cielo, dove fu fulminato. Gli ultimi due lo attaccarono insieme, mordendogli entrambe le braccia. Il parroco roteò, sbattendoli a terra e finendoli con una ulivellata (si suole dire ulivellata un colpo inferto ad una persona, animale o cosa con un ramo d’ulivo) e li finì sul posto. Era tutto finito, Don Camillo aveva ancora una volta salvato la situazione. I corpi delle bestie si smaterializzarono, una crepa si aprì nella terra e da lì le loro anime tornarono all’Inferno.

Un anziano si avvicinò a lui: << Lei… lei è il mio salvatore! >>.

Don Camillo lo guardò rabbioso e spazientito. Lo prese per il collo e lo buttò giù per la crepa profondissima esclamando: << Mi chiamo Camillo testa di cazzo! >>.

Passarono dei minuti e poi il suo sguardo da rabbioso divenne spaventato. Aveva fatto una cosa gravissima, anzi peggio di gravissima. Si ritirò con la testa china in chiesa, pensando al tremendo atto compiuto: “Potevo rubargli il portafogli prima di buttarlo giù… OH DIO PERDONAMI!”.

Tornò dentro, passò sopra i chierichetti ancora svenuti, si sedette sulla sua morbida poltrona di pelle di daino personalmente scotennato e riprese a fumare un’altra “sigaretta” esclamando poco dopo: << Mortimer le mie finestre sono ancora sporche! >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** L'esorcismo ***


Indaffarato come sempre, Don Camillo non aveva mai tempo da dedicare a se stesso. Quel giorno era particolarmente impegnato a confessare la vedova De Rosa, conosciuta anche come la “matriosca”, che stava confessando i suoi peccaminosi contatti con vari uomini. Don Camillo non la riconobbe, visto che il confessionale è strettamente riservato.

<< Padre, lei capisce? Ho fatto l’amore con tanti uomini! Io… ho peccato, padre >>.

<< Non disperarti figliuola. Il Signore è misericordioso e perdona sempre i suoi figli >>.

<< Ma padre, io ho fatto anche delle orge. L’ho fatto in un sacco di posti: in aeroporto, su una nave da crociera e persino in questo confessionale, qualche anno fa >>.

Don Camillo rimase impassibile: << Beh, ci sono molti posti dove… aspé, che hai detto?? >>. Il padre si avvicinò alla parete bucherellata del confessionale << Agata?? Minchia sei tu?? Mi raccomando, urlalo in tutta la chiesa, eh! >>.

La loro conversazione fu interrotta da un uomo che entrò in chiesa urlante e tutto terrorizzato.

<< Padre, padre! Aiuto, aiuto! >>.

Don Camillo, sentendo quelle urla strazianti, sfondò la porta del confessionale, correndo a tutto fiato verso di lui. Era un uomo mingherlino e stava sudando freddo.

<< Cosa è successo, gracile fratello? >>.

Lui si tolse il cappello e si inginocchiò: << Padre, la prego, deve aiutarci. Sono il vicino dei signori Ranieri. La signora ha motivo di credere che suo marito sia posseduto dal Demonio! >>.

Don Camillo piegò la schiena all’indietro per lo shock, iniziò a piovere, i bambini scoppiarono a piangere, uno tsunami colpì nuovamente le Barbados. Lo sconvolgimento fu globale (a tutti gli effetti). Disse che ci avrebbe pensato lui. Un chierichetto, contattato telepaticamente dal padre, lo raggiunse immediatamente con una brocca di acqua santa, un ramo d’ulivo e la sacra Bibbia. Era ora di andare. I fedeli si commossero ed iniziarono a piangere. Don Camillo non volle le lacrime, ma disse che preferiva i soldi. Corse in fretta a furia fuori dalla chiesa, seguito dal suo fedele chierichetto. Casa Ranieri era lontana; serviva un mezzo di trasporto, ma le cose non erano affatto positive: nessun chierichetto aveva la macchina, il pullman del catechismo era attualmente utilizzato per lo smercio delle bianche, il treruote era stato mandato in rottamazione, la Papa mobile solata al Vaticano era stata rivenduta ai cinesi la settimana precedente e l’UFO caduto a Roswell era improvvisamente scomparso dopo l’happy hour avvenuto il sabato precedente.

Senza mezzi di trasporto, con una pecorella in preda al demonio e con la puttana che aspettava in confessionale, Don Camillo iniziava a sentirsi sotto grande pressione. Ma poi eccola, l’illuminazione. Guardò il chierichetto con sguardo lunatico, facendolo ritrarre all’indietro (scappa!).

Lo colpì con un calcio, facendolo cadere a terra, poi gli saltò addosso, cavalcandolo.

<< Vai Rintintin! >>. Disse agitando il ramo d’ulivo e decapitando involontariamente alcuni passanti.

<< Ma padre, si fermi! Non la reggo! >>.

<< Questo è il peso della sofferenza terrena! E adesso muoviamoci, casa Ranieri ci aspetta! >>.

Il chierichetto viaggiò alla bellezza di trecentoventi chilometri all’ora, superando il traffico con l’agilità di un ghepardo ed investendo i bambini in carrozzina, mentre il parroco sculacciava i sederi delle ragazze con il ramo d’ulivo (da premettere che non lo avrebbe utilizzato in circostanze differenti). Raggiunsero cara Ranieri. Parcheggiò il cane vicino alla porta, legandolo alla casella delle poste e facendolo restare a quattro zampe.

<< Ma padre, io non sono un ca… >>.

<< Shhhhh, bravo fido! >>.

Gli diede un biscotto, che divorò in un baleno.

Era ora. Sfondò la porta e si ritrovò all’interno nella casa.

Fu la signora ad accoglierlo: << Don Camillo! Sia lodato Gesù Cristo! >>.

Il parroco sorrise, sentendosi ricevere un tale complimento.

Ma non c’era tempo per togliere le ragnatele dalla fessura della signora, lui era lì per esorcizzare quel futuro cornuto del marito. Poi ad un tratto lo vide, seduto e dormiente su una sedia. Nonostante la donna fosse bella giovane, lui dimostrava una settantina di anni circa (cioè portati malissimo, non per dire, oh). Si lanciò sul demonio, prendendolo per il collo e stringendo fortissimo.

<< Diavolo ti ho trovato! Esci da questo schifo di corpo! Escine! Abbandona questo escremento Diavolo! >>.

<< Mi lasci pazzoide! Che cosa vuole da me??>>.

Don Camillo, vedendo che il diavolo non demordeva, gli gettò addosso l’acqua santa, sfregiandogli il volto, ma l’uomo non fu abbandonato dal satanasso.

Il parroco era visibilmente provato, ma non smise di stringergli il collo (super battle, yeaaaaaaaaaaaah!).

<< Amari estremi, estremi rimedi! >>. Prese da sotto la tonaca una magnum 44 e gliela puntò alla testa << O esci o ammazzo tutti e due! >>.

<< No padre, pietà, pietà! >>.

Lucifero non uscì e il Don sparò. Il sangue schizzò sulle pareti, imbrattò la tovaglie, allagò la casa e alla fine prese cappello e cappotto e se ne andò via.

<< E’ finita!>>. Disse Don Camillo.

<< Ma lei è un pazzo! Quello non era mio marito, era mio padre! >>.

Il Don rimase a bocca aperta, poi sorrise ed esclamò: << Hei, lo sapevo, stavo solo esercitandomi! >>.

Ma poi ecco che il marito della signora, appostato sul soffitto come un ragno, scese giù, cercando di colpire il parroco.

<< Ah, bastardo! Adesso ti faccio vedere io! >>.

<< Lo salvi parroco! >>.

<< Certamente! >>. Prese la pistola e sparò anche a lui.

<< Bastardo! Ha ucciso anche mio marito! >>.

Don Camillo si girò e sparò anche a lei. Oramai aveva ucciso tutti i suoi familiari e sembrava brutto lasciare l’opera a metà (un amore per la coerenza…). Tutto finì bene. Il Diavolo era stato sconfitto. Don Camillo prese i soldi dalla cassaforte di famiglia (faticosamente trovata dopo ore ed ore di ricerca insieme al suo segugio), poi diede fuoco alla casa Ranieri perché si sa, morta la famiglia, che senso aveva mantenere intatta la casa? (sempre in onore della fottuta coerenza). Detto ciò, Don Camillo fece ritorno in chiesa, si chiuse in camera e si preparò a dormire, ma qualcosa lo chiamò al di fuori della finestra. La aprì e guardò in alto, in cielo.

<< Mi stai chiamando? >>. Disse incantato.

<< No, sto qua >>.

Abbassò lo sguardo e vide il suo cane, attaccato al tronco di un albero, che disse decisamente annoiato: << Posso andare ora? >>.

<< Macché >>. Rispose lui << prendi un osso e dormi, cucciolo >>. Il cane obbedì e si gustò l’omero dell’ultimo corpo che era stato seppellito nelle vicinanze.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Il catechismo ***


Don Camillo stava correndo verso la sala grande, dove si sarebbe tenuta la prima lezione di catechismo dell’anno. Era davvero eccitato, tanto da correre tutto gioioso e sorridente lungo i corridoi della chiesa. Aprì la porta della sala grande e trovò i bambini lì, già seduti e con lo sguardo di chi probabilmente non voleva trovarsi in quella stanza, ma era stato costretto a restarvici con la forza. Ma i chierichetti non c’entravano quasi sicuramente con questa storia, anche perché i fucili che maneggiavano erano sì veri, ma non li avevano mica caricati (non ancora, almeno). Corse lungo lo spazio centrale che si trovava tra una fila di posti e l’altra, nell’intento di raggiungere il palco di fronte a lui. Durante il completamento di questo percorso, un bambino indisciplinato, dispettoso, macché, satanico, tentò di mettere lo sgambetto al santissimo in terra, ma la morbida gambina del demonio non poteva in alcun modo fermare il piede divino del parroco che, toccando appena la carne della merdina lì presente, gli spezzò la gamba, che iniziò a sanguinare vistosamente. I gemiti del bambino fecero commuovere il padre che, senza fermarsi, proseguì correndo ancora più veloce. Quelle lacrime erano la testimonianza che la misericordia e la bontà divina erano scesi su di lui, fino a toccare il suo piccolo cuoricino, e di ciò ne fu immensamente felice (di certo era stato toccato).

Salì sul palco con un salto con capriola e sestuplo avvitamento, atterrando a braccia spalancate di fronte ai piccoli fedeli. Le finestre si aprirono, ci fu luce, le colombe entrarono ed iniziarono a volare dinamiche ed eleganti all’interno della stanza, ed un coro angelico riempiva quell’atmosfera tanto sacra quanto la sua scrivania in mogano, bella lucida e molto comoda (parola della portinaia). I bambini sorridevano ed espandevano le braccia al cielo, mentre Don Camillo disse testuali parole: << Sia fatta la volontà del Signore, CIOE’ LA MIA!!! >>.

Le finestre si chiusero, le colombe morirono, cadendo al suolo e spappolandosi, i bambini zittirono terrorizzati. Due chierichetti si avvicinarono ai lati del parroco e caricarono i loro fucili.

<< Oggi, miei cari piccini, sfoglieremo il libro più bello del mondo dopo la Bibbia (e dopo la sua rivista pornografica, ovviamente), il Vangelo >>.

Un chierichetto, grassoccio e molto basso, portò a fatica una scatola molto pesante. Arrivò vicino al parroco e la buttò ai suoi piedi, schiacciandoglieli, ma lui non sentì alcun dolore. Intanto, da qualche parte nel mondo, un uomo perse le dita dei piedi.

<< Mi perdoni buon padre! >>. Disse inginocchiandosi.

Ma Don Camillo alzò la mano e lo guardò sereno << Tranquillo, io sono rimasto illeso (sottolineate “io”) >>. Congiunse le mani e sorrise ancora di più << Ora siediti insieme ai tuoi fratellini >>.

Il chierichetto rimase confuso: << Ma padre, io sono un chierichetto… >>.

<< NO! >>. Disse incazzato << Tu sei un bambino! Ed ora siediti! >>.

<< Ma le giuro che… >>.

Preso dalla disperazione più totale nel vedere che quelle schifosissime pecorelle iniziavano già a disobbedirgli, decise di prendere soluzioni drastiche. Tirò fuori dalla sua tonaca una pistola e gliela puntò contro:

<< VATTI A SEDERE HO DETTO! >>.

Il chierichetto, atterrito, eseguì gli ordini e andò a sedersi. Il suo compagno di sedia tentò subito di fare amicizia.

<< Ciao io mi chiamo… >>.

<< Tappati quella fogna! >>.

Don Camillo prese la scatola con una sola mano e la lanciò in aria, sparando e colpendo lo spago che manteneva il coperchio su di essa, facendo uscire centinaia di vangeli che si distribuirono da soli, cadendo,  a tutti i bambini (???). I Vangeli che rimasero in più finirono per svolazzare come uno stormo di pipistrelli attorno al parroco che, tranquillo e sereno, tirò fuori dalla tonaca un lanciafiamme, bruciandoli tutti (sembra la tasca di Doraemon!). Il resto della scatola colpì il chierichetto seduto in mezzo ai piccoli, uccidendolo.

Ma Don Camillo non poteva accorgersi di questa disgrazia, perché era troppo preso nell’incominciare le lesioni, pardòn, le lezioni di catechismo.

La lezione iniziò con delle domande: << Tu >>. Disse, puntando il dito contro un bambino bello panciuto e scatenandogli un mezzo infarto

<< Vieni qui >>.

Il bimbo lo raggiunse sul palco non senza l’idea di fare testamento.

<< Quanti sono gli evangelisti? >>.

<< Ehm… non lo so >>.

Don Camillo fece una smorfia di disgusto e mosse la testa in segno di negazione. Lo prese e lo fece capitonzolare giù dal palco.

<< Il prossimo! >>.

I bambini rimanevano rannicchiati ai loro posti, mangiandosi le mani.

<< Ah, bene… vedo grande partecipazione qui in mezzo >>.

Prese la pistola e sparò al soffitto, creando un buco da cui uscì una strana sostanza marrone che cominciò a gocciolare in testa a una delle pecorelle.

“ Evvai “ Pensò “ dopo anni di addestramento finalmente ho centrato il water!”

Il bambino non poté far altro che lasciarsi circondare dalla merda (merdina, appunto).

Visto che nessuno aveva voglia di rispondere alle sue domande, Don Camillo decise che sarebbero stati loro a domandare e lui a rispondere.

<< Perché Dio ha cacciato via Adamo ed Eva? >>.

<< Perché scopavano in un luogo pubblico (???) >>.

<< Perché Giuda ha tradito Cristo? >>.

<< Perché era quello che prendeva di meno a fine mese >>.

<< Perché Gesù aveva le stigmate? >>.

<< Perché si bucava >>.

Purtroppo il tempo passò in fretta ed era arrivato il momento dell’arrivederci. Prese una pompa d’acqua potentissima che colpì tutti i bambini e li trascinò fuori dalla stanza in meno di un secondo.

<< Ciao piccoli fiori del peccato. Alla prossima! >>.

Possiamo dire che solo quello ricoperto di merda ne fu felice.

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Capitolo 6
*** L'estrema unzione ***


Riaccompagnato a casa da un UFO dopo aver professato la sua religione in tutto l’universo, Don Camillo andò a dormire, consapevole della dura giornata che lo avrebbe aspettato l’indomani. Si svegliò tutto preso dal duro lavoro che lo attendeva, ma poiché lui odiava fare sempre le stesse cose, decise che non sarebbe uscito dalla porta d’ingresso, ma aprì la finestra e planò verso terra utilizzando la sua tonaca a tipo mantello di Batman. Scese e penetrò la terra con un braccio, tirando fuori un pezzo d’osso di uno dei tanti cadaveri sepolti legalmente nel sottosuolo parrocchiale (certo, come no) e lo utilizzò per chiamare il suo fido. Il chierichetto cagnolizzato arrivò veloce come un fulmine, scodinzolando a più non posso (non fatemi domande sulla coda, vi supplico).

Don Camillo lo cavalcò: << Vai Snoopy! >>.

<< Ma padre, non mi chiamavo Rintintin? >>. Chiese curioso.

Don Camillo, spaventatissimo, gli puntò la pistola alla testa: << Cazzo ma tu sei un chierichetto! Da quanto tempo mi nascondi questo orribile segreto?? >>.

<< Ma padre, siete stato voi a convertirmi in cane! >>.

Don Camillo si ricordò: << Ah… >>. Trovò una scusa più che convincente per evitare di far capire di aver avuto una svista << Mi sono masturbato troppo ed ora ci vedo male >>. Disse, sorridendo allegramente.

Ma adesso era arrivato il momento di partire: << All’ospedale! Ho un’estrema unzione da fare! >>.

Il cane si mosse velocissimo. Don Camillo superò le Alpi, percorse tutta la muraglia cinese, scalò tutti i monti del Tibet, schiacciò l’invincibile esercito Ottomano (???), superò l’oceano pacifico con l’ausilio di un arcobaleno utilizzato come ponte, prese il buco spaziotemporale delle 15:30 e raggiunse l’ospedale di San Marzano (paesino distante una decina di chilometri da Boscotrecase). L’ospedale era pieno di gente vestita di bianco e ciò lo fece insospettire molto: che una setta si fosse impossessata del luogo? Solo dopo qualche confessione forzata si rese conto che i medici si vestivano effettivamente di bianco, anche se alcuni, adesso, avevano il camice sporco del loro sangue. Entrò correndo, lasciando cadere dell’incenso per terra, che procurò dei buchi sul pavimento e gravissime menomazioni a tutti coloro che ci camminarono inavvertitamente  sopra. Un tizio prese persino il tumore al cervello (???). il Don stava per arrivare nella stanza del futuro cadavere, ma un uomo lo fermò, inginocchiandosi: << Padre, la prego, mi aiuti! Come posso colorare la mia vita? >>.

Don Camillo sorrise: << Usa i pennarelli! >>. Disse, riprendendo a correre a tutta birra e lasciando l’individuo, commosso e pieno di lacrime, in ginocchio.

La situazione si fece critica; una suora, altri non era che la reincarnazione di Gandalf, si mise sul suo cammino: << Tu non passi! (Cit.) >>. Disse, spalancando le braccia.

Un vecchietto, seduto poco distante dai due, prese la radio che aveva poggiata sul tavolino lì vicino e la sintonizzò sulla frequenza dove trasmettevano la canzone del celebre film “Mezzogiorno di fuoco”.

Don Camillo la guardò con rabbia: << Togliti dai piedi, cicciona! >>.

La grassona non demorse e Don Camillo decise di passare all’assalto. La prese per il collo e le diede una testata. Lei gli diede un calcio nelle palle, ma fu il vecchietto lì vicino a soffrirne fisicamente. Il Don, vedendo che il tempo scorreva e che non poteva far morire il paziente prima dell’ultima confessione, decise di utilizzare una tecnica imparata in TV. Saltò, colpendola con un calcio rotante che le fece sfondare la finestra, spedendola così lontano che si perse oltre l’orizzonte.

<< Beata TV >>. Disse tutto sorridente.

Ma il tempo scorreva e lui fu costretto a correre ancora più forte, sciogliendo pavimento e muri grazie all’incenso che perdeva lungo la strada. Fece altri due piani e svoltò a sinistra, dove c’era un infermiere che stava affacciato alla finestra, fumandosi una sigaretta. Lo prese per le spalle e lo buttò di sotto, dando una tastabile dimostrazione del fatto che fumare fa male (è colpa del fumo, sia chiaro).

Raggiunse la stanza di un anziano legato a delle macchine che gli permettevano di respirare, di mantenere costante il battito cardiaco, mentre un computer gli permetteva di parlare. Inoltre l’uomo era continuamente sotto l’effetto di alcune droghe che potessero alleviare le sue terribili sofferenze legate al fegato, allo stomaco ed alle ustioni dell’incendio che aveva colpito casa sua due giorni prima.

Don Camillo non si scompose ed azzardò una domanda: << Come si sente? (ma cosa cazzo dovrebbe risponderti??) >>.

L’uomo lo guardò appena: << Giusto qualche dolore, parroco >>.

<< Oh bene. Adesso iniziamo a fare sul serio! >>.

Il Don fece confessare tutti i peccati dell’uomo, poi prese l’incenso e glielo lanciò contro in goccioline, colpendolo dritto negli occhi, accecandolo e bruciandogli la trachea, ma tutto ciò lo purificò dal peccato, preparandolo per l’incontro col Signore. Don Camillo uscì dalla stanza, mentre l’uomo tentava in vano di urlare di dolore.

Un parente passò di lì e chiese tutto preoccupato: << Padre, mi dica, come sta? >>.

<< Sto benissimo, grazie >>. Disse, andando via e lasciando il tizio senza parole.

Ancora una volta il male, che fosse vestito di bianco, che fosse il fumo, che fosse lo stesso peccato, era stato sconfitto. Intanto, in Africa, un bambino morì, schiacciato da una suora caduta dal cielo.

 

 

 

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Capitolo 7
*** La gita parrocchiale ***


Era il 27 Agosto e Don Camillo era pronto per una stupenda gita parrocchiale che avrebbe portato lui ed un bel po’ di fedeli a Venezia, dove poter ammirare la città, le stupende opere d’arte che essa conteneva e le varie chiese. Non era stato molto difficile coinvolgere i fedeli, anche perché, si sa, se ricevi una lettera con un messaggio intimidatorio, un proiettile, un coltello insanguinato ed il pisello di un chierichetto, di certo non puoi non dire di si a tale iniziativa. Don Camillo se ne portò una cinquantina, distribuendoli come bestiame al pascolo dentro il pullman noleggiato per il viaggio. Il parroco salì per ultimo, dicendo al conducente che doveva sbrigarsi, perché né lui, né gli altri

(sotto forzato acconsentimento) volevano perdersi un secondo di quella splendida gita.

Un bambino alzò una bottiglia di aranciata in aria ed esclamò: << Questa gita sarà FANTAstica! >>.

Don Camillo gli sparò seduta stante, poiché il marmocchio, ormai cibo per cani randagi, aveva violato il primo comandamento parrocchiale della gita, scritto dal Don in persona: “Non crederti divertente dopo una battuta squallida, a meno che tu non sia Don Camillo”.

La carcassa fu gettata giù dal finestrino, mentre una coppia di anziani stava allegramente parlando in fondo al pullman.

<< Tesoro, presto vedremo Venezia >>. Disse l’uomo, che baciò la sua dolce e quasi marcia metà. Don Camillo sparò anche a lui, avendo violato il settecentesimo comandamento parrocchiale: “Non bacerai nessuno, a meno che tu non sia Don Camillo”.

Anche questa carcassa, già circondata da mosche e piena di vermi, fu gettata dal finestrino. Ora che gli inconvenienti erano risolti, il pullman poté partire.

Ma il parroco, annoiato dopo i primi cinquecento kilometri di viaggio, decise di dedicarsi allo sport estremo del surf su veicolo, mostrano una forma atletica così invidiabile, che in molti si chiesero del perché non avesse rappresentato lo Stato del Vaticano nelle scorse Olimpiadi.

Raggiunta Venezia, Don Camillo ed il bestiame scesero dal furgone, andando incontro ad un tizio che sembrava tanto il becchino, visto che era vestito tutto di nero, dacché il parroco disse:

<< Mi scusi, caro, ma le carcasse le abbiamo lasciate a Boscotrecase >>.

L’uomo rise, sistemandosi la giacca nera: << Ma no mio caro, io sono il proprietario dell’albergo! >>.

I due si strinsero la mano.

<< E’ un vero piacere averla qui con noi. La sua fama la precede >>.

Don Camillo, che aveva un vocabolario piuttosto limitato in testa, rispose: << La ringrazio, ma ho già mangiato >>.

L’uomo rimase terribilmente imbarazzato, ma preferì non farlo notare e cambiò discorso. Portò i vari ospiti nell’albergo: Don Camillo ebbe la camera numero 17, mentre il resto della mandria ebbe una stalla appositamente costruita per l’occasione (oddio, gli animali erano fatti di cartone e la zona in questione era una cantina di circa settanta metri quadri).

La prima giornata passò alla grande, col parroco che sistemò tutte le sue cose ( stiamo parlando della splendida scrivania in mogano, del tappeto di daino cacciato in zona protetta, del portagioie di Luigi XIV misteriosamente scomparso dalla reggia di Versailles e di una fornitura di incenso tanto grande da poter benedire tutta la città [???]).

Il pomeriggio seguente Don Camillo, dopo aver visitato due musei e quattro locali sconci, portò le bestie a pascolare in un fast food, quando, ad un tratto, un uomo lo avvicinò.

<< Don Camillo! >>.

Il parroco si girò: << Satana?? >>.

<< Ma no, sono il sindaco di Venezia. E’ un grande onore averla nella nostra splendida città. Appena ho saputo, l’ho cercata dappertutto, per farle inaugurare la nave Angelus, la più grande nave che sia mai stata costruita in Italia >>.

Don Camillo, sentendo la parola Angelus, pensò che lui fosse la persona più idonea nell’inaugurare quella barca. Decise di andare al porto, ma il proprietario del locale chiese il conto e il parroco, per pagare quattro panini, due Coca Cola e cinque chili d’erba freschissima (uno per nutrire le bestie, quattro per far rifocillare il nano che nascondeva sotto la tonaca), gli diede la bellezza di venti splendidi esemplari compresi tra gli undici ed i trentatré anni.

Raggiunto il porto, Don Camillo arrivò nel mezzo di una folla, accompagnato dal sindaco. Tra gli ospiti eccezionali c’erano madama Coppola, un pc di ultimissima generazione ed un lama parlante (si, aveva sniffato due broccoli prima di raggiungere la zona…).

Fu accolto con applausi e ragazze che si denudavano. Il sindaco prese in mano il pc e lo aprì, mostrando al padre chi si nascondesse dietro lo schermo: Papa Benedetto XVI.

Don Camillo si inginocchiò, spalancando le braccia.

<< Caro Camillo, questo è un giorno davvero importante per tutto il mondo. Questa nave è l’inizio di un cambiamento per tutti. Inaugurala, caro fratello >>.

Don Camillo, ancora incredulo di fronte al nuovo lifting cibernetico del Papa, prese la bottiglia di spumante e, invece di lanciarla contro la nave, la usò per colpire la testa della madama, provocandole un ictus cerebrale.

<< Ma padre >>. Disse il sindaco << Perché?? >>.

Don Camillo lo guardò rabbioso e confuso: << Perché mi sentivo in imbarazzo, ok?? Ma adesso posso incominciare >>.

<< E allora vada >>. Aggiunse il Papa.

Prese una bottiglia dalla sua tonaca e la lanciò contro la nave. L’incenso squagliò il metallo, facendola affondare.

Tutti scapparono via, mentre il Papa lo guardava deluso: << Camillo, sarò franco con te… >>.

Don Camillo prese il pc ed iniziò ad urlare: << Ma allora tu non sei il Papa! Lo sapevo, il Papa non è fatto di plastica e fili elettrici! Questa è la tua fine! >>.

Lo chiuse e lo lanciò via, come un frisbee, un frisbee che raggiunse la Jugoslavia, decapitando quindici persone.

Cavalcò il lama e raggiunse l’hotel. Passarono così altri quattro giorni, per poi riprendere il pullman e ripartire per casa. Ma dopo cinquecento kilometri (un’altra volta), si sentì un tonfo provenire dall’alto. Il padre saltò, sfondando il tetto del pullman e ritrovandosi di fronte ad un tizio con una valigia nera in mano. Don Camillo iniziò a ringhiare: era un testimone di Geova.

<< Parroco, ascolta la vera voce! Fai la carità! >>.

Don Camillo alzò la tonaca, facendo uscire fuori il nano che aveva nascosto (c’era per davvero!!!). Pigmeo nato in Madagascar, addestrato sulle falde del Kilimangiaro (il programma della RAI, si) ed esperto di tutte le arti dell’uccisione, Grotjambortzo (nome che gli fu dato dai genitori probabilmente inebriati dall’alcol), tirò fuori dalle minuscole tasche due katana e le agitò al cielo, urlando parole incomprensibili.

Il testimone gli lanciò la valigia addosso, ma il piccolo schivò, gettandosi contro di lui e tagliandolo in due.

Tutto sembrava finito, ma il testimone si duplicò, sghignazzando come non mai: << Fammi la doppia carità! >>.

Don Camillo intervenne, gettando un crocifisso al collo di uno dei due, indebolendolo sensibilmente, poi incensò l’altro.

Il rimanente nemico fu spazzato via da un’onda energetica sparata da entrambi, che lo polverizzò (la TV influenza parecchio…).

Il nano tornò al suo posto, Don Camillo si sentì sollevato. Scampato anche l’ultimo pericolo, il pullman poté finalmente ritornare a Boscotrecase.

Le quindici persone che erano riuscite a tornare a casa poterono dire:

<< Miei cari, sembrava impossibile, ma ce l’ho fatta! >>.

Ma fu allora che tutte le loro teste esplosero, avendo peccato di orgoglio e presunzione.

Intanto Don Camillo si diresse in camera sua, contento per essere riuscito ad estirpare nuovamente il male su questo schifo di pianeta.

Cercò il lama, ma non lo trovò, poi realizzò; sniffò due cavolfiori ed ecco che apparve magicamente: << Mortimer pulisci pavimento e finestre, che domani ho la messa >>.

Mortimer obbedì, anche se, in mente, un pensiero se lo fece:

“Ma questo deve allucinarmi solo quando gli servo??”.

 

 

E SIAMO COSI’ GIUNTI AL SETTIMO CAPITOLO! =) RINGRAZIO TUTTI COLORO CHE CONTINUANO A SEGUIRE IL PARROCO PIU’ PAZZO DEL MONDO E SPERO VIVAMENTE CHE ANCHE QUESTO CAPITOLO VI SIA PIACIUTO. ASPETTO CON ANSIA QUALCHE VOSTRA RECENSIONE: SONO CURIOSO DI SAPERE IL VOSTRO GIUDIZIO :D

CI VEDIAMO AL PROSSIMO CAPITOLO, CIAO! :3

 

 

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Capitolo 8
*** Il discepolo ***


Tre pesciolini rossi. Tre pesciolini rossi per passare il tempo. Il caro vecchio parroco era ormai stanchissimo della vita che era costretto a ripetere tutti i giorni. Cioè, spesso si divertiva perché c’era sempre qualcosa di nuovo che ravvivava la giornata: qualche fedele che non dava le offerte, testimoni di Geova che, chiedendo la carità, finivano per essere massacrati, ma era ormai da giorni che non avveniva nulla. Don Camillo aveva fame di novità, aveva fame d’azione. Fu così che un quarto d’ora dopo si mangiò i tre pesciolini ( accidenti, aveva proprio fame! ).

A nulla servì nemmeno il lancio del coltello all’indietro, verso la finestra: tredici coltelli lanciati, zero vittime, tranne un lieve graffio su un’anziana che, in seguito all’involontario accaduto, aveva perso tre dita.

Sbuffava, annoiato come non mai. Ma all’improvviso ecco che arrivò un chierichetto nel suo studio.

<< Parroco, ho buone nuove! C’è un giovane che chiede di lei! >>.

Don Camillo sobbalzò, sorridendo: << E’ un testimone di Geova? >>. Disse, pregustando già un’avvincente combattimento.

<< Beh no. Vuole parlare con lei: ha detto che cerca un maestro di vita e vorrebbe che tale maestro fosse lei >>.

Il parroco si alzò in piedi: << Ma perfetto! Un discepolo! Fallo entrare, orso Bubu! >>.

<< Ma… veramente io… >>.

<< Muoviti, palla di pelo, o diventerai pelliccia! >>.

Il chierichetto obbedì ed il giovane varcò la sacra soglia del suo studio.

Era alto, snello, biondo e con gli occhi azzurri.

Il parroco lo squadrò da capo a piede: << Fammi indovinare: il principe azzurro? AHHAHAHAHAHAHAHAHAHA! >>. ( Ha… ha… ha… ma che simpatico… )

Il giovane disse di no, fortemente imbarazzato: << Sono Giorgio Pelletti e sono qui per ricevere i vostri insegnamenti, oh illustrissimo >>.

Don Camillo buttò giù la scrivania in mogano, poggiandoci un piede sopra e mostrando il mento: << Beh, chi meglio di me può dare degli insegnamenti! Non ho forse ragione, Caterpillar? >>.

<< Ma… io non ero l’orso Bubu? >>.

<< Ah, tu e sti fumetti giapponesi da strapazzo! (???)>>. Prese la boccetta dei pesciolini e gliela lanciò contro, colpendolo in testa e facendogli il bagno.

Il piccolo chierichetto fu colpito in pieno, ma restò in piedi, dondolando giusto un po’.

<< Padre, la prego >>. Iniziò il giovane << Vorrei iniziare il mio insegnamento oggi stesso, se è possibile >>.

Il parroco congiunse le mani ed annuì:

<< Bravo, è questo lo spirito giusto >>. Guardò il chierichetto e sorrise vistosamente << Inizieremo con il “surf su chierichetto”! >>.

Il poveretto non poté sfuggire alla morsa del parroco, che lo pose a terra, vicino alla scala, fece salire il giovane e gli disse: << Urla qualcosa mentre scendi, mi raccomando >>.

<< Ok >>.

<< Posso urlare anche io? >>.

<< Taci, tavola da surf! >>.

Il giovane iniziò la discesa, facendo sbattere più e più volte la testa dell’omino bianco di chiesa contro gli spigoli delle scale, ed urlò:

<< Gesù ti adoro! >>.

Don Camillo, pieno di lacrime di gioia e commozione, scese lungo le scale tinte di rosso sangue e si avvicinò all’allievo. Prese un pezzo di legno in punta di diamante ed iniziò a punzecchiare l’omino bianco/rosso, procurandogli profonde ferite di taglio. Questi urlò, e ciò fece innervosire il parroco, che spaccò il bastone in testa al discepolo.

<< Dannazione! Se il chierichetto non muore, allora non è stato efficace! Riproviamo! >>.

Il chierichetto era visibilmente provato:

<< Ma parroco, io veramente… >>.

<< I cadaveri non parlano, taci! >>.

E fu così che il surf su chierichetto fu ripetuto circa cinquecento volte ( e sempre con lo stesso poveraccio, sia chiaro… mamma mia… ).

Stancatisi di fare sempre la stessa cosa, con la piccola tavola da surf che non ne voleva sapere di ritornare dal suo misericordioso creatore, Don Camillo lo portò allo zoo, vecchio luogo dove, in passato, egli stesso aveva ricevuto gli insegnamenti dal suo maestro, che poi fu ricoverato in manicomio e lì morì. Ma questa è un’altra storia. Don Camillo fece intraprendere nuove sfide difficilissime che solo una persona dal forte carattere avrebbe potuto superare, come la box contro un gorilla ( per migliorare la forza fisica ), restare un gabbia con un leone ( per migliorare il sangue freddo ) e praticare il salto del pitone, come se fosse una corda

( giusto per cazzeggiare un po’ ). Tutti tentativi che fallirono miseramente, ma Don Camillo, che non era certo rimasto allo zoo a spulciare gli scimpanzé per nulla, ebbe finalmente l’illuminazione. Lo portò sulle pendici del Vesuvio, dove avrebbe affrontato la più terribile delle prove: la prova Divina!

La prova consisteva nell’utilizzare la tonaca come un mantello, per planare fino alla chiesa di Boscotrecase.

<< Parroco… quindi lei mi presterà il suo mantello? Che emozione! >>. Disse con le lacrime agli occhi.

<< Macché >>. Aggiunse il parroco << Le mie vesti sono sacre come la santa Bibbia! Prendi questo! >>.

E gli diede una tonaca sporca di terreno, presa dopo aver dissotterrato il corpo del parroco che, prima di lui, aveva servito nella sua chiesa.

<< Grazie padre. Queste vesti, anche se puzzano di non so ché, profumano d’affetto >>.

Ma Don Camillo, perplesso dal fatto che il giovane sentisse odore di affettati, scelse di ignorare tutto e lo fece lanciare nel vuoto.

Riuscì a planare e a raggiungere la cima della chiesa, sfondando la cupola in vetro e cadendo addosso ad un anziano che stava pregando il Signore.

Don Camillo, che intanto si trovava a fare la messa in chiesa (WTF???), si commosse a tal punto che gettò l’eucarestia a suon di frisbee in faccia a tutti i fedeli, per velocizzare il rito, scavalcò l’altare e lo raggiunse, abbracciandolo amorevolmente.

<< Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta padre! >>.

<< Si >>. Rispose Don Camillo << Ce l’ho fatta! >>.

Quella fu l’ultima fatica del giovane Giorgio. Il giorno dopo le valige erano già pronte.

<< La ringrazio padre, non dimenticherò mai i suoi insegnamenti. Ho scelto lei per imparare cosa è giusto e cosa è sbagliato, anche sconfiggendo le paure che ci perseguitano su questa terra. Non sarò un uomo di chiesa, glielo dissi. Spero che tutto ciò che io abbia imparato mi possa servire per creare un clima stupendo per la mia futura famiglia >>.

Don Camillo sorrise: << Sei innamorato? >>.

<< Beh… si. E’ una sensazione stupenda >>. Disse tutto rosso.

Il parroco era curioso: << E’ come quando lanci un coltello all’indietro e scopri di aver centrato un monaco zen proprio dove non batte il sole? >>.

Il giovane ci rimase eccome, ma disse di sì e si congedò.

Don Camillo, triste per l’addio del giovane, tentò di praticare nuovamente il surf su chierichetto con lo stesso della volta passata e, anche se quest’ultimo morì dopo il primo tentativo ( finalmente! ), nemmeno questo riuscì a tirarlo su. Tornò al suo studio, triste ed annoiato nuovamente. Si sedette. Prese il coltello e lo lanciò all’indietro, verso la finestra. Si girò, sperando di aver preso il figlio del lattaio, che gli stava vivamente sulle scatole, ma non fu così.

Aimè, il giovane Giorgio non fece più ritorno a casa.

 

 

 

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Capitolo 9
*** Il funerale ***


Appena arrivato all’altare, Don Camillo spalancò le braccia e disse a tutti i fedeli di stare zitti. Si stava celebrando il funerale di Vincenzo Ammendola, morto di vecchiaia ( non ci credo, impossibile! ) alla modesta età di 89 anni. Il parroco era proprio vicino alla bara e squadrava da capo a piede il frutto rinsecchito della vita, provando un senso di tristezza nel sapere che aveva perso una delle persone che offriva di più in chiesa. Fu proprio per questo che suo nipote, appena diciottenne, fu ripulito davanti a tutti i presenti, in memoria di quell’uomo straordinario.

<< Ora, dopo il saluto dei parenti di questa docile bestia morta, possiamo portarlo nel luogo dove riposerà per sempre >>.

Il chierichetto vicino a lui si schiarì la voce e disse: << Ma veramente devono ancora salutarlo >>.

Don Camillo lo guardò con occhi infuocati e rispose: << Lo hanno fatto, la realtà obbedisce alla mia parola! >>.

Nessuno fiatò, nessuno ribadì.

Saltò, usando la bara come tavola da surf, e portandola fuori, dove sarebbe stata caricata e portata in cimitero.

Ma fu proprio qui che egli incontrò il becchino, diventato miliardario ( e ci credo ), tanto ricco e viziato da comprarsi una ferrari e farla modificare in modo che dentro ci potesse stare una bara. Vestito di seta pregiata, guardava il Don con sorriso rispettoso, visto che grazie a lui il tasso di mortalità a Boscotrecase era aumentato vertiginosamente. Oramai lo venerava come un Dio, tanto da essersi costruito un altarino in casa, dove lo pregava tutti i giorni di dare sfogo alla sua sete di sangue.

Il Don approfittò dell’incontro per farsi pagare il pizzo.

<< O mi paghi o non ammazzo più nessuno! >>. Questa era da sempre la sua minaccia più convincente.

Dopo aver incassato i diamanti del Venezuela, la bara fu portata fuori a fatica dalla ormai vedova dell’uomo: una grassoccia signora di 85 anni che decise di sua spontanea volontà, per nulla costretta dal parroco ( ma per carità ), a portare da sola la bara sulle spalle. Dopo diciassette chilometri di sofferenze, la vecchia arrivò finalmente al cimitero ( nel senso che, per lo sforzo, era morta pure lei).

Don Camillo guardava soddisfatto il chierichetto di fronte a lui, che manteneva la testa china.

<< HAHAHAAHAH! Ho vinto la scommessa! La vecchia ha tirato le cuoia! Fuori i soldi! >>.

Il chierichetto sborsò cento euro e si fece prendere a calci in culo per tutti i restanti trenta chilometri dal cimitero.

Vista questa improvvisa morte, il becchino fu così costretto a portare in fretta e furia un’altra bara, non senza mostrare un sorriso di gioia e lacrime di commozione.

“La vita è bella e breve!”, pensò.

Ed ecco che le due bare furono disposte l’una vicino all’altra. Don Camillo, nell’intento di benedire i due corpi con l’incenso, colpì anche il giovane nipote, che cadde a terra, rantolante di dolore.

<< Vincenzo non morire! >>. Urlò il padre, disperato.

<< Secondo me non ce la fa >>. Disse il becchino, imbucatosi al funerale e massaggiandosi le mani.

Ma Don Camillo disse che quelle poche gocce che lo avevano colpito, non potevano certo ucciderlo. E infatti gli fecero perdere solo l’uso della vista, ma hei, infatti non è morto, visto?

Il ragazzo fu medicato dallo stesso parroco, che gli mise una mano in faccia e gli premette forte le dita negli occhi ( ah, ecco perché ha perso la vista… ), ma tutto questo solo per ricordargli che gli occhi non servono quando hai la fede.

<< Ma io non sono sposato! >> Disse il giovane Vincenzo ( … ).

Beh, che dire, questa fu senz’altro la goccia che fece traboccare il vaso. Il parroco, con sguardo freddato dalla battuta di quell’essere che era passato dal grado di “nullità” al grado di “merdaccia ambulante”, decise di far diventare ancora più ricco il becchino, che non poteva fare a meno di sorridere per la disgrazia.

Dopo la morte di un altro zio, di un piccione e di un canguro australiano, il funerale fu finalmente concluso e Don Camillo non poté fare a meno di esultare, lanciando via una pietra, che sorvolò tutto il cimitero e colpì il custode proprio in testa, uccidendo anche lui.

<< Cavoli padre, oggi sono morte un sacco di persone! >> Disse il chierichetto.

<< Già >>. Disse, insoddisfatto dal numero delle vittime giornaliere << Ci manca solo che muoia il becchino… >>.

Manco a farlo apposta, un malore colpì l’interessato, proprio mentre faceva ritorno al cimitero. Insomma la Morte non aveva avuto proprio il tempo di riposarsi quel giorno, ed era tanto stanca da voler chiedere una settimana di ferie al padre Eterno. Ella, dopo aver avuto a che fare con i primi massacri del parroco, non aveva potuto fare a meno di finire in cura da uno psicologo, stanca e stressata dal troppo lavorare.

<< Lui un giorno morirà e tutto si risolverà >>. Disse il medico.

La Morte si sentì sollevata. Tornò a casa, contenta più che mai. Entrò e si diresse in bagno, dove aveva intenzione di farsi un bel bagno. Ma l’aria era pesante, oscura. Qualcosa di molto grave stava per succedere. Una strana presenza, la sensazione terribile di non essere soli. Si girò, trovandosi Don Camillo di faccia, che sghignazzava con la bava alla bocca.

<< Ce ne sono altri tre! >>.

<< AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHH! >>.

Lei svenne, lui sorrise.

 

 

 

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Capitolo 10
*** L'ascesa al cielo ***


Vestito con la sua tonaca bianca ed immacolato dalla luce divina che entrava dalla finestra, Don Camillo aveva appena finito di prepararsi per la messa della domenica. Decise di essere originale, preferendo un’entrata di scena diversa dal semplice entrare dalla porta. Salì sulla cupola della chiesa, si lanciò e sfondò il vetro che la ornava, atterrando su un chierichetto ( tutto calcolato, eh ) ed uccidendolo. Le schegge piovvero dal cielo, colpendo e benedicendo i fedeli con le loro pugnalate angeliche.

Don Camillo, sorridente nel vedere tante persone sofferenti, capì che solo lui poteva annullare tale sofferenza, e ciò era possibile solo con una messa, una serena e santa messa. Chi meglio di lui poteva recitarla?

<< Grazie per essere entrati nella casa del Signore, cioè casa mia. Congiungete le mani e preghiamo, o fratelli >>.

Quasi tutti i presenti congiunsero le mani, tranne quelli che dopo la pioggia divina erano rimasti mutilati, che dovettero togliersi le scarpe ed  usare i piedi per rimediare. Un odore di gorgonzola si espandé per la chiesa, facendo smorzare il naso al parroco, il quale, maniaco della pulizia (solo di quella, eh) fece in modo che, con un battito di ciglia, un ictus cerebrale colpisse tutti coloro che stavano intossicando l’aria. Egli, sentita la terribile puzza provenire dalle schifosissime falangi di quelle capre, non aveva potuto non provare la più completa e piena pietà nei loro confronti, decidendo così nel porre fine a quelle vite misere e puzzolenti.

Ma in quel momento avvenne un fatto insolito, stranissimo: una enorme scala mobile tutta in oro cadde dal cielo, schiacciando una cinquantina di fedeli ( quelli più lontani dall’altare ).

Don Camillo guardava a bocca aperta una forte luce bianca illuminare il sentiero verso il cielo: quella era la scala mobile del paradiso, frutto di centinaia di migliaia di leggende (mah…).

<< Don Camillo, sono io, il Signore. Tu, o grandissimo uomo di fede e misericordia, hai dimostrato tutto il tuo valore in questa terra. Non posso non dire che hai fatto meglio di Papa Giovanni Paolo II e di madre Teresa di Calcutta messi insieme. Con ciò, ti offro la possibilità di ascendere al cielo non morto, cosa che nessun uomo ha mai fatto >>.

Don Camillo corse, non curandosi dei chierichetti che, inevitabilmente, iniziarono a piangere dalla tristezza. Arrivò nei pressi di un bambino costretto su una sedia a rotelle, lo prese per le spalle e lo buttò per terra: << Haha! Dio ha scelto me perché posso camminare! >>.

Arrivò nei pressi di un cieco, gli infilò le dita negli occhi e disse: << Haha! Dio ha scelto me perché posso vederci! >>.

Poi si avvicinò ad un uomo muscoloso e privo di difetti fisici, ma Don Camillo non si scoraggiò, gli diede un calcio nelle palle e disse: << Haha! Dio ha scelto me perché ho i coglioni! >>.

Dopo aver smaltito tutta quell’estasi (nel vero senso della parola), Don Camillo prese le scale e corse a più non posso, cercando di arrivare il più velocemente possibile alle porte del Paradiso. Superò i pianeti del sistema solare, facendo però qualche sosta, che consisteva nel fare pipì e sputare sul pianeta Terra così, giusto per lasciare un ricordino agli schifosissimi umani. Raggiunte le porte del Paradiso, Don Camillo si trovò di fronte ad un vecchio con la barba bianca.

<< Babbo Natale! Che ci fai qui?? >>.

Lui lo guardò sconvolto: << Non sono Babbo Natale, sono San Pietro… >>.

<< Oh scusami, santissimo inferiore solo a me, potresti farmi entrare? >>.

<< Ma certo >>. Disse contento << Il Signore desidera vederti! >>.

Le porte si aprirono ed il Don entrò, ma non senza farsi circondare dagli angioletti che, eccitati, incominciarono a ballare Gangnam Style insieme a lui, mentre procedevano fino a Dio.

Dio, che non aveva mai visto un ballo simile, non poté non ballarlo anche lui, ma poi, cercando di mantenere una certa autorevolezza, decise di interrompere il ballo e chiese gentilmente agli angioletti di lasciare i due da soli.

<< Caro Don Camillo, quale onore averti qui con noi! >>.

<< Hei, ciao! Ma lo sai che Babbo Natale sorveglia le porte del Paradiso? >>. Disse, dimenticatosi del dialogo precedente.

<< … ma quello è San Pietro! >>.

<< Si, dicono tutti così! >>. Disse, ricordatosi stavolta.

<< Senti, questo è il Paradiso. Sei libero di fare tutto quello che vuoi, quindi datti alla pazza gioia >>.

Don Camillo sorrise e, stranamente (certo, come no), nel Paradiso si scatenarono un paio di tempeste che, insidiosissime, fecero disperdere un migliaio di angioletti.

<< Incominciamo bene! >>. Disse, iniziando a ridere come il pazzo e buttandosi per terra.

Non riusciva a credere a ciò che stava vivendo e, ahimè, in effetti questa non fu altro che una visione. In realtà Don Camillo era rimasto tutto il tempo in chiesa, preso da una crisi epilettica che gli aveva portato fortissime allucinazioni. Furono chiamati gli infermieri del manicomio più vicino, che lo strinsero in una camicia di forza e lo imbavagliarono. Oramai bisognava pur fare qualcosa, ed era ora che qualcuno lo portasse via da tutte quelle povere creature. Ma è proprio qui che inizia il dramma: fu rinchiuso, costretto a prendere massicce dosi di medicinali per la schizofrenia e dovette essere seguito costantemente da un tour di psicologi. Don Camillo non riusciva più a fare niente, bloccato continuamente dalla camicia di forza. A nulla sarebbe servito divincolarsi, la camicia non lo mollava. Data la sua situazione, probabilmente sarebbe rimasto rinchiuso per il resto della vita, anche se era giovanissimo d’età. Ma intanto qualcosa di strano stava succedendo nei caldi bassifondi terrestri. L’Inferno si stava gonfiando e i demoni erano pronti a banchettare con il sangue degli uomini, ma questa, miei cari lettori, è tutta un’altra storia.

 

E così finisce la mia storia sul parroco più pazzo del mondo ;w;

Spero vivamente di essere riuscito a strapparvi qualche risata e vi ringrazio per tutto il tempo speso a leggere questa storia. Sappiate solo che questo non è un addio, ma un arrivederci! :)

Ho in mente qualcosa di nuovo per questo personaggio (come si è potuto capire dal finale).

Abbiate pazienza e vedrete ;)

Ciao a tutti ed ancora grazie mille! :D

 

 

 

 

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