Cavalcare la Tempesta

di Lantheros
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Campioni di Equestria ***
Capitolo 2: *** Ali di Caramello ***
Capitolo 3: *** Volare senz'Ali ***
Capitolo 4: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** I Campioni di Equestria ***


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Era l’ultimo giro della Gara nei Cieli e i pegasi avrebbero nuovamente affrontato la “curva dell’assonnato”, dopo il lungo rettilineo. Molti partecipanti inesperti perdevano il sostegno delle ali, cercando di chiudere quel tratto di percorso, dopo aver acquisito velocità incredibili nel rettilineo: quando succedeva, franavano contro i nembostrati di protezione con una forza tale da cadere nel mondo dei sogni per svariate ore. Da lì il nome. Ma questo non sarebbe stato un problema per Rainbow Dash.

Di fronte a lei, Thunderlane batteva freneticamente le ali, spiegandole ritmicamente ad ogni virata, per sfruttare al massimo l’attrito dell’aria.

I due, sostanzialmente i favoriti della gara, volavano a pochi metri di distanza tra loro e, ogni tanto, parevano quasi sfiorarsi. Il resto dei concorrenti era stato distaccato già da alcuni giri e l’intera attenzione degli spettatori di Cloudsdale era incentrata, col fiato sospeso, sui pegasi in dirittura d’arrivo.

Rainbow scorgeva a fatica il rivale di fronte a sè: la velocità era tale che gli occhiali di protezione le erano volati via nel terz’ultimo giro ed ora il vento le sferzava gli occhi quasi come fosse rovente.

Allungò le zampe anteriori e cercò di accelerare il ritmo: sentì i muscoli delle ali dolerle terribilmente, donandole un’espressione sofferente sul volto. Thunderlane gettò uno sguardo alle sue spalle, la inquadrò brevemente e sorrise compiaciuto: “E’ fatta”, pensò.

La velocità aumentava vertiginosamente, a mano a mano che la curva dell’assonnato si faceva più vicina. Rainbow dovette chiudere gli occhi, ormai lacrimanti, non potendo sopportare oltre le continue sferzate d’aria sul viso.

In quell’istante percepì una sensazione nel petto, un “fuoco” che risalì fino alla sua mente: “Non mollare”, disse a se stessa. Riaprì gli occhi e li strizzò per mantenere un qualche tipo di visuale sul percorso, cercando di spingere il proprio corpo oltre i limiti. L’aria si fece sempre più tagliente, provocando un frastuono assordante nelle sue orecchie, mentre le nuvole che delimitavano il tracciato presero a scorrerle attorno rapide come saette. Ogni cosa si fece più confusa. In mezzo al caos, si focalizzò su una chiazza scura che oscillava freneticamente di fronte a lei: Thunderlane era sempre più vicino. Non riusciva a distinguerlo chiaramente ma le parve in crescente agitazione: forse sentiva il fiato sul collo ed era quello che Rainbow voleva. Ancora poche decine di metri e avrebbero imboccato la famigerata curva finale. Entrambi sfrecciavano a velocità folli ed il pubblico li osservava completamente assorto, temendo che si sarebbero buttati fuori a vicenda nel tentativo di prevalere l’uno sull’altra.

Il pony dalla chioma arcobaleno era completamente pervaso dall’adrenalina. Rainbow viveva per momenti come questi: il rischio, la velocità, la sensazione di abbattere i limiti imposti dalla paura e, non per ultimi, la vittoria e l’attenzione dei presenti su di sè. In preda a quella fenomenale frenesia, si avvicinò sempre di più al concorrente in testa, fino a sfruttarne la scia: di colpo percepì la resistenza dell’aria scemare, cui seguì una spinta, come se una cannonata l’avesse investita improvvisamente da dietro. Rainbow si proiettò letteralmente sopra a Thunderlane che, sbigottito, la osservò dal basso, non riuscendo a distinguerla dall’azzurro del cielo se non per la coda arcobaleno. In quell’istante, Dash spalancò le ali, che si gonfiarono immediatamente, provocandole una fitta di dolore a tutto il corpo. L’avversario, ancor più spiazzato, vide la rivale retrocedere di colpo, senza accorgersi che il rettilineo era ormai terminato. Quando riportò l’attenzione sul tracciato era ormai troppo tardi: cercò di rallentare e recuperare una traiettoria curvilinea ma le ali non ressero e il pegaso nero zigzagò rovinosamente fino a schiantarsi sonoramente contro un vaporoso muro di nembostrato. Le nuvole, seppur morbide, sanno essere sorprendentemente dolorose a certe velocità.

“Ah!”, esclamò Rainbow Dash, ormai con la strada sgombra per il traguardo: riaprì le ali e si inclinò di lato per sostenere la strettissima curva dell’assonnato. Durante l’evoluzione, sentì il peso della forza centrifuga crescere sempre di più e le ali, ormai allo stremo, iniziarono a tremare sotto il peso della poderosa legge fisica.

“Non cedete ora”, ringhiò il pegaso a denti stretti.

Con un ultimo sforzo completò il tratto del tracciato e planò rapidamente verso il traguardo sottostante. Superata la linea d’arrivo, il pubblico esplose in un boato assordante.


L’attenzione era ancora completamente su di lei quando arrivarono, uno dopo l’altro, gli altri concorrenti.

Rainbow era ferma, ansimante e con le ali a terra; il volto sicuramente provato dallo sforzo fisico ma altresì  incorniciato da un sorriso di vittoria impagabile.

Quando l’ultimo partecipante passò il traguardo, l’annunciatore dell’evento decretò il termine della gara e passò ad elencare i primi tre vincitori. Non si trattava di un’occasione particolarmente importante ma, per Rainbow, rappresentava comunque una meritata vittoria a cui non avrebbe rinunciato per nulla al mondo.

Ci fu una rapida premiazione, dopo la quale alcuni pegasi tra gli spettatori presero ad avvicinarsi alla prima della classifica, facendo cerchio intorno a lei.

Dash assunse un atteggiamento di sufficienza, forse come farebbero un po’ tutti se venissero investiti da una marea di complimenti e congratulazioni. “Rischio, velocità, abbattere i limiti, certo… ma, ci sono anche la vittoria e l’attenzione su di sè”, continuava a ripetersi nella mente la vincitrice, mentre sorrideva ai fan con scarsa modestia.

“Ehy, cosa fai la’ dietro?”, urlò Rainbow rivolgendosi all’ultima fila dei suoi ammiratori, dopo aver scorto un ciuffo rosa, “Vieni qui, non fare sempre la solita!”.

I pegasi si scostarono, rivelando la timida figura di Fluttershy, parzialmente nascosta da un batuffolo nuvoloso.

“Oh… sì, ecco… io…”, biascicò sottovoce.

“Non ti sentooo!”, canzonò il pegaso blu, con uno zoccolo sopra all’orecchio.

Fluttershy sorrise e poi aggiunse timidamente: “…complimenti Rainbow Dash!”.

L’amica ricambiò il sorriso e si rituffò tra gli elogi.

Dopo alcuni minuti passati a festeggiare, la stanchezza si abbatté sulla vincitrice come un’incudine e così Dash decise di allontanarsi (senza ovviamente rinunciare alle ultime esternazioni di compiacimento) per concedersi una meritata pennichella ai raggi del tramonto.

“Mi raccomando”, aggiunse, prima di congedarsi definitivamente, “voglio solo le foto migliori sui quotidiani di domani!”.


*** ***** ***


    L’orizzonte di Equestria era pervaso dal rossore del sole, intento a lasciar posto alla notte. Poche nubi si stagliavano sopra il cielo e, su una di queste, Rainbow si godeva un meritato riposo. Coricata di schiena, zampe dietro alla testa e rivolta direttamente al tramonto, sentiva su di sé il calore degli ultimi raggi della sera. Tutt’intorno c’era calma assoluta ma le orecchie le fischiavano e la sua mente era ancora ferma ai festeggiamenti del pubblico. Per qualche istante si crogiolò nelle emozioni che rinsavivano mentre riportava in memoria ogni attimo della gara, del vento, delle nubi che sfrecciavano intorno a lei, del duello con Thunderlane per gli ultimi metri, fino al traguardo… e poi la folla, i complimenti e quella incredibile sensazione di importanza che aveva provato in mezzo ai fan.

“Non c’è dubbio”, pensò con gratificazione, “oggi ho letteralmente volato come la migliore tra i migliori”.


Un flebile rumore alle sue spalle la portò a girarsi di scatto, un rumore percepibile solo in mezzo al più totale silenzio. A pochi metri da lei si trovava un pegaso che non aveva mai visto a Cloudsdale: forse poco più che adolescente, grigio pallido e con una folta capigliatura violacea, decisamente troppo lunga e a tratti disordinata. In bocca teneva un foglio ed una matita. C’era qualcosa di strano in quel pony ma, sulle prime, non riuscì a comprendere esattamente di cosa si trattasse.

Poco più in là, un pegaso, più o meno di mezza età, lo stava osservando con aria vagamente melanconica. “Sarà la madre”, pensò Rainbow Dash, che in quell’istante avrebbe voluto tutto tranne che un fan isolato con la richiesta dell’ennesimo autografo. Ma, si sa: “Chi bello vuole apparire, un po’ deve soffrire”, sospirò, ruotando gli occhi al cielo.

Si girò verso il pegaso e, con rinnovato entusiasmo, urlò: “Allora, chi abbiamo qui??”.

Il giovane mise foglio e matita in una borsa che teneva al lato della groppa e, con tono pacato e sguardo neutrale, disse: “E’ un piacere conoscerti, Rainbow Dash”.

“Lo so, lo so… me lo dicono in molti”, ribatté l’altra con fare superiore.

“So che ti alleni duramente ed oggi hai dimostrato che è possibile realizzare grandi cose, con il giusto impegno”.

“Oh, eri alla gara? Scusa se non mi ricordo… è che in mezzo al pubblico c’erano così tanti pegasi che forse non ti ho visto”, disse Rainbow, nascondendo un lieve imbarazzo.

“Non ero alla gara”.

“Ah… no?”.

“No”, continuò il pegaso, “ti ho osservata da lassù” e alzò lentamente lo sguardo verso un lontano cumulo di nubi isolate. “E’ la che vivo e da là ti osservo durante gli allenamenti e mentre gareggi”.

Rainbow si sentì un po’ spiazzata.  

“Aspetta, non pensare subito male”, riprese con un accenno di sorriso, “non sono uno spione, è che per me è molto difficile riuscire a spostarmi e le folle sono pericolose per il mio fisico”.

Solo in quel momento Dash realizzò cosa fosse quella strana sensazione che aveva percepito all’inizio. Squadrò il pony con maggior attenzione e si accorse che il suo interlocutore era decisamente esile e presentava una postura singolare: era abbastanza slanciato ma i suoi arti non erano perfettamente allineati e quella che sembrava una semplice cintura per la borsa fungeva in realtà anche da cinghia per bloccargli saldamente le ali al resto del busto. Di fronte a quel fisico, la folta chioma viola lo faceva apparire ancora più gracile.

“Io sono un pegaso unico, sai?”, continuò con tono sicuro, quasi orgoglioso, “solo l’unico pegaso alato in tutta Cloudsdale che non può volare”.

Rainbow sgranò gli occhi e lo fissò intensamente. Non sapeva cosa dire e, con volto basito, proruppe in un istintivo “Ah… ecco…”.

Il pony dalla folta chioma cambiò radicalmente tono di voce, come se volesse riportare l’attenzione sul suo discorso iniziale, e biascicò velocemente: “Sì, ok, è una strana malattia ma adesso non è questo il punto”. Lentamente, molto lentamente, mosse il capo verso la borsa ed estrasse il foglio e la matita di prima. Li strinse saldamente tra i denti e parlò come se stesse masticando un boccone: “Non voglio un tuo autografo per appenderlo come un trofeo in camera mia, come fanno tutti quegli stupidi fan che ti girano intorno di solito”. Rainbow prese con titubanza gli oggetti che il pegaso gli porse e poi lo ascoltò con attenzione. “Voglio una dedica per ricordarmi che i campioni di Equestria sono coloro che lottano per raggiungere il traguardo”, continuò con tono deciso, “e tu, Rainbow Dash, sei uno di questi campioni”.

Il pony arcobaleno abbassò lo sguardo sul foglio, su cui era incisa la sua immagine scattata in dirittura d’arrivo, alla gara di quel pomeriggio.

“Icarus”, disse infine il gracile pegaso.

“Come?”.

“Mi chiamo Icarus!”, ripeté, con una certa impazienza.

“Ah! Sì!”, rispose frettolosamente l’altra e, con la matita tra i denti, prese a scrivere la dedica sulla foto. Era così stranamente agitata che riportò la prima cosa che le venne in mente.

“Fa ridere, non è vero?”, riprese Icarus, mentre Rainbow completava la scritta, “Icarus: come il pony del racconto che perse le ali volando troppo vicino al sole. Io, a differenza del personaggio mitologico, non correrò mai il rischio di precipitare durante un volo, semplicemente perché non posso volare”, concluse con un mezzo sorriso.

Rainbow rimase in silenzio, finì la dedica e gliela consegnò.

Icarus la lesse scrupolosamente e, alla fine, con aria un po’ delusa e una vena d’arroganza, aggiunse: “Sì… ok, mi aspettavo qualcosa di più originale ma desumo che tu sia stanca dopo la gara di oggi, quindi per questa volta lo accetterò comunque”.

La sorpresa iniziale di Dash venne parzialmente sostituita da una piccola dose di irritazione e i due rimasero silenti per qualche istante.

“Icarus, ora dobbiamo andare”, disse la madre lontana.

“Arrivo”, rispose il figlio, “Ora devo andare, grazie, Rainbow”, concluse, rimettendo tutto nello zaino. Si girò e, con passo particolarmente incerto e zoppicante, si allontanò da lei.

Dash, d’impulso, stette per chiedergli come fosse riuscito a raggiungerla su quella nuvola e come avrebbe fatto per andarsene. Lo vide poi salire, con molta cautela, su un cirro vicino alla madre: si trattava del tipo di nuvola più soffice e delicata che si potesse trovare nei cieli, più o meno dove l’ossigeno quasi viene a mancare. Soltanto circostanze estremamente particolari, come la magia, erano in grado di preservarne la consistenza a quote più basse.

“Grazie, Rainbow Dash”, disse la madre ad alta voce, prima di spiccare il volo e spingere dolcemente la nuvola su cui era adagiato Icarus.

“Non c’è di che”, rispose frettolosamente l’altra, riprendendosi per un istante dallo sbigottimento che l’aveva pervasa per l’intero incontro.

   

Stette ad osservarli a lungo e in silenzio, mentre si allontanavo lentamente verso le nubi che le aveva indicato Icarus. Quell’incontro l’aveva spiazzata e, nel profondo, percepì una strana sensazione di disagio.

“Eccoti qui, Rainbow Dash”, disse Fluttershy, volando alla sue spalle.

“Uh… cosa?”.

“Ti stiamo aspettando tutti da Pinkie Pie per festeggiare la tua vittoria, manchi solo tu!”.

“Ah… ah, sì la festa, certo!”, riprese Rainbow, mascherandosi dietro ad una falsa spavalderia: “Andiamo!”, concluse infine, tuffandosi dalla nube in direzione di Ponyville.

Mentre scendeva in picchiata, di nuovo con il vento tra la chioma, si girò un ultimo istante verso Icarus. Non lo vedeva più: per lei era troppo lontano e troppo buio per scorgere qualcuno nell’ormai stellato cielo di Equestria.




*** ***** ***


Non ci volle molto affinché la festa si animasse. In primis: era una festa organizzata da Pinkie Pie, quindi pressoché inarrestabile. Secondo: tutte le amiche di Rainbow Dash si erano ritrovate per festeggiare la vittoria del pegaso blu, senza lesinare sui complimenti, la musica ed i boccali di sidro.

“Credimi, Rainbow”, disse Rarity gesticolando con uno zoccolo a mezz’aria, “persino da terra la tua performance è stata assssolutamente mozzafiato, incredibile, fantastica!”.

“Grazie…”, rispose Dash con un sorriso un po’ forzato.

“Veramente, ragazza mia”, continuò Applejack, “se dipendesse da me ti farei trainare personalmente il mio aratro! Potresti sistemarmi tutti gli ettari nel giro di mezza giornata!”.

“Grazie, grazie, troppo gentili”.

Twilight era seduta ad un tavolo lì vicino, con tre boccali di sidro completamente vuoti di fronte al muso. Un’espressione di apparente pace interiore era scolpita sul suo volto.

“Davvero”, esclamò l’unicorno con aria un po’ assente, “il modo con cui hai sbattuto fuori quel pegaso… quel, come si chiama? Tandem… Tarlendeim… insomma è stato fantastico!”.

Spike strattonò la coda di Twilight per richiamarne l’attenzione: “Uh… Twilight, li hai mica svuotati tutti da sola quei boccali, vero?”.

Applejack lanciò un sorriso imbarazzato ed aggiunse: “Ehm, sì in effetti avevo qualche barile di una riserva particolare da far fuori. Può darsi che siano un po’ più… forti del solito”. Twilight ricambiò il sorriso, si allontanò dal tavolo con passo un po’ traballante, aprì magicamente una pergamena e mise una spunta di fianco alla scritta “Sperimentare gli effetti del sidro ad una festa tra amici”.

    Nonostante stesse apprezzando la situazione, Rainbow non riusciva ad ignorare la sensazione che si trascinava dall’incontro con Icarus. Ad un certo punto prese ad osservare il cielo stellato attraverso la finestra del caseggiato, con uno strano peso nel petto.

“Qualcosa non va?”, chiese pacatamente Fluttershy.

“Uh, no, no, va tutto bene, è la festa per la mia vittoria, cosa non dovrebbe andar bene?”, domandò voltandosi di scatto, “perché me lo chiedi?”.

L’amica abbassò lo sguardo e poi riprese: “E’ tutta la sera che sembri… assente. Come se avessi qualcosa che ti preoccupa”.

Rainbow cercò di inscenare una faccia da poker: “no, davvero, sono solo… un po’ stanca. La gara mi ha comunque affaticato parecchio”.

“Capisco”, ribattè Fluttershy, dopo una breve pausa e per nulla convinta.

“Davvero, sto bene, sono soltanto stanca”, concluse.

Pinkie Pie saltellò vivacemente verso Rainbow e le allungò un boccale: “Certo che sei stanca! Hai volato come un fulmine! Come… come un superfulmine! Anzi no, no, ha volato come mille fulmini che fanno a gara per vedere qual è il fulmine più fulmineo!”.

Il pegaso sorrise e mandò giù un sorso di sidro: “Uhm, a me non sembra poi così forte, Applejack…”, disse infine con aria di sufficienza.


*** ***** ***



    Era ormai notte fonda quando Dash tornò nella sua abitazione sulle nuvole, schiantandosi con il sedere per aria, dopo almeno una dozzina di virate casuali in fase di atterraggio.

“La mia testa...”, borbottò toccandosi le tempie con uno zoccolo, “Maledetto sidro…”.

Barcollò per alcuni metri tra i bui corridoi nuvolosi della casa, prima di accasciarsi, sfinita, sul proprio giaciglio. Chiuse gli occhi ed emise un lungo sospiro.


Dopo alcuni minuti riportò i suoi pensieri ad Icarus e si chiese come mai si sentisse così a disagio dopo l’incontro con lui. Si girò pancia all’aria e fissò il soffitto con palpebre cadenti.

Passarono lunghi istanti, in cui il pegaso blu venne assalito da mille pensieri.

Alla fine, si coprì mollemente il viso con una zampa e pensò: “Certo che… non so quale malattia abbia esattamente quel pegaso, però… chissà come deve sentirsi… essere un pegaso alato e non poter volare”.

Prese a rigirarsi nervosamente nel letto di nuvole: “Il volo è la mia vita… ogni pegaso adora volare. Come ci si può sentire nel passare l’intera esistenza tra le nuvole, in mezzo ai tuoi simili che possono spostarsi liberamente, mentre tu sei costretto a viaggiare con una cinghia intorno alle ali? Ad osservare le gare di volo a centinaia di metri di distanza?”.

Si immobilizzò per un istante e percepì di nuovo quella forte sensazione di disagio: “E’ possibile che io… che io mi senta in colpa per Icarus? Ho sempre fatto del volo e della prestanza fisica il mio punto forte… ho sempre desiderato essere la prima fra tutti. Quel pegaso, invece, non può far altro che osservare gli altri volare. I miei problemi, le gare, quella volta che mi sono storta un’ala, quando mi sono arrabbiata per non essere giunta sul podio… quanto ridicolo mi sembra ora tutto questo di fronte a ciò che deve invece affrontare Icarus. Come quando mi sono impuntata contro Mare Do Well… eppure una dovrebbe imparare, no?”.

Ci fu una lunga pausa che la portò, infine, a concludere il proprio pensiero: “Mi sento così… stupida. Non capisco. E’ come se tutto ciò di importante su cui ho basato la mia vita fosse crollato dopo aver conosciuto la realtà di Icarus… se, per esempio, io dovessi perdere la capacità di volare…”, e si fermò, incapace per timore di terminare la frase.

    L’attenzione su Icarus continuò ancora per poco: la stanchezza ebbe presto il sopravvento, gettando Rainbow  in uno strano sonno, farcito di mille immagini ed emozioni. Non si sarebbe ricordata nulla di quei sogni ma passò sicuramente una notte particolarmente agitata.



*** ***** ***


    Il pegaso si risvegliò a mattina inoltrata, accecata da un raggio di sole particolarmente fastidioso. Sentiva le testa un po’ pesante e, dopo essersi controllata rapidamente in uno specchio di pioggia, notò un paio di borse sotto gli occhi.

“Riserva particolare, eh?”, bofonchiò con sarcasmo.

Uscì di casa e stirò i muscoli. Si sollevò una lieve brezza, che riuscì a rinsavirla leggermente.

Squadrò l’orizzonte, terso e splendido come sempre. Inconsciamente, posò lo sguardo su una macchiolina bianca nel cielo: la lontana abitazione di Icarus.

“E’ davvero isolato dal mondo”, pensò.

Si sedette e cercò di mettere ordine tra le sue emozioni, con scarsi risultati.

“Perché continuo a pensare ad Icarus? Voleva solo una dedica, punto e basta. E poi, se non può volare, io cosa posso farci?”, si chiese, più confusa di prima.

“Certo che… devo essere sembrata un’insensibile. Ma non sapevo cosa dire… non mi era mai capitata una situazione simile. Forse dovrei rivederlo almeno una volta… parlargli… non saprei”.

Passò parecchi minuti ad arrovellarsi il cervello, senza tuttavia giungere ad una conclusione.

“Oh, al diavolo”, sbottò di colpo, “non sono brava in questo genere di cose ma non mi costa nulla fargli una visita! Non potrà che fargli piacere”, concluse e, dopo una breve rincorsa, spiccò il volo verso la sua residenza.


    Il tragitto fu piuttosto faticoso. Normalmente, Rainbow non avrebbe certo avuto difficoltà nel giungere a destinazione ma la casa del pegaso era posta parecchie centinaia di metri più in alto rispetto alla maggior parte delle abitazioni nel cielo, senza contare che ancora risentiva degli acciacchi del giorno prima.

Dopo parecchi minuti arrivò finalmente su una piccola distesa nuvolosa, su cui era stata edificata l’abitazione di Icarus: era un edificio di nuvole molto vaporose rispetto agli standard, in grado di mantenersi in quello stato probabilmente grazie all’altitudine maggiore. Tutt’intorno fluttuava una serie di piccoli cirri, simili a ovali di fumo biancastro, più o meno come quello su cui era salito il pegaso nel giorno del loro incontro.

La casa era dotata di parecchie balconate, da cui sbucavano oggetti curiosi: tavole da pittura, ripiani colmi di libri, strane piante dai riflessi argentati e, non per ultimo, un grosso telescopio scintillante montato su treppiedi.

“Solo degli oggetti incantati potrebbero rimanere sulle nuvole senza precipitare al suolo”, pensò Rainbow.

Si avvicinò con circospezione all’ingresso: un grosso portone intarsiato e adornato di rampicanti metallici  occupava buona parte della facciata principale. Intorno vi era la calma più assoluta, fatta eccezione per qualche sporadico sibilare provocato dal vento d’alta quota.

Dash provò una certa soggezione di quell’atmosfera apparentemente inviolabile. Si fece coraggio e, superata una prima riluttanza, batté alcune volte lo zoccolo sul portone.

Passarono alcuni minuti e il pegaso bussò nuovamente, pensando che non ci fosse nessuno.

Stette quasi per andarsene quando l’uscio si spalancò lentamente, rilevando l’immagine della madre di Icarus.

“Rainbow Dash?”, chiese con stupore.

“Uh… sì, sono io”, biascicò l’altra.

La madre parve leggermente turbata dalla presenza del pegaso e, dopo una breve pausa, aggiunse: “Cosa… cosa ti porta qui?”.

Dash cercò di mettere insieme una frase a senso compiuto ma non sapeva nemmeno perché fosse giunta fin lì. Poi, in una sorta di confessione liberatoria, esclamò: “Ecco… io non è che sia qui per un motivo particolare. Semplicemente… è da quando ho incontrato Icarus che provo una strana sensazione. E, sinceramente, non so nemmeno io il perché...”.

La madre la ascoltò attentamente e poi abbassò lo sguardo in silenzio.

Rainbow riprese il discorso: “Probabilmente è una cosa stupida ma… quando ho incontrato Icarus… è come se una parte di me sia stata… messa in dubbio. Fino ad allora non mi ero mai posta il problema… insomma, che ci potesse essere un pegaso nelle sue condizioni. Mi ha colto impreparata e credo di non essere stata particolarmente comprensiva con lui”.

“Oh no”, la interruppe la madre, “Icarus ti ammira tantissimo, davvero”.

“Sì, capisco… però, quando ci siamo incontrati, non ho fatto altro che farfugliare parole senza senso. Non credo di aver dato poi una bella impressione”.

“Non ti preoccupare, Icarus è abituato alle reazioni di sorpresa nei suoi confronti. Ormai non ci fa più caso, anzi dice che lo fanno sentire… unico nel suo genere”, concluse la madre con una vena di melanconia nel volto.

Dash sospirò pesantemente: “Tra l’altro… quella malattia di cui parlava?”, bisbigliò con tono interrogativo.

“E’ una cosa molto… strana”, disse la madre, “qualcosa che comparve circa al secondo anno di età… sennò non lo avremmo di certo chiamato in quel modo: Icarus. A sentirlo sembra quasi una cattiveria nei suoi confronti”, sospirò con amarezza.

“Comunque mi chiamo Sunshine”, aggiunse dopo una breve pausa.

“Scusa. Vedi? Non ho nemmeno chiesto il tuo nome, ti lascio immaginare quanto sia ferrata nel dialogo”, esclamò Rainbow con un po’ di vergogna.

“Tranquilla”, ribatté con un sorriso, “Tornando ad Icarus… non voglio entrare troppo nei dettagli: ti basti sapere che la sua malattia ha colto di sorpresa tutti i medici di Equestria a cui ci siamo rivolti”.

“Gli impedisce di volare?”.

“E’ una conseguenza”, continuò Sunshine, “In verità la malattia di Icarus è molto più complicata. In sostanza le sue ossa sono estremamente fragili. Per questo vive a simili altitudini: solamente qui possiamo sfruttare le nubi più soffici ed è l’unico modo per essere sicuri che non si faccia del male”.

“E’ davvero così grave?”, chiese l’altra, visibilmente a disagio.

“Mentirei se dicessi il contrario… per via della malattia il suo fisico non si è sviluppato correttamente, come si può ben vedere. Se mai dovesse spiegare le ali nel vuoto… queste si spezzerebbero come ramoscelli sotto uno zoccolo. Anche solo camminare sulla terra ferma, e non sulle nuvole, potrebbe causargli problemi”.

Dash, a quelle parole, sentì una stretta al petto.

Sunshine sorrise e riprese il discorso: “In questa casa cerchiamo di non fargli mancare nulla. Il padre lavora lontano da Ponyville, per racimolare tutto il denaro necessario a farlo vivere nel migliore dei modi”.

La madre sollevò lo sguardo verso le balconate della casa: “L’intera abitazione è incantata: l’operato di decine di unicorni esperti nell’arte della manipolazione materiale. Anche i cirri che vedi qui intorno sono incantati, come quasi tutto, del resto. Queste piante argentate servono a… catalizzare la magia, o almeno così mi hanno detto gli unicorni: non sono molto ferrata in queste cose”.

“Siamo in due”, esclamò l’altra, con una debole risata.

“Non sta male qui: può osservare tutto il mondo che lo circonda grazie a quel potente telescopio. Legge molto e si sta dedicando alla pittura. Certo”, aggiunse con tristezza, “non si può dire che svolga la stessa vita degli altri pegasi…”.

“Ora è in casa?”, domandò Rainbow.

Sunshine abbassò lo sguardo, si avvicinò a Dash e chiuse delicatamente il portone dietro di se.

“Sì, è in casa”, rispose sottovoce, “però vorrei dirti una cosa, Rainbow Dash: Icarus è un pegaso… molto particolare. Non mi riferisco solo alla sua situazione fisica: da quando era piccolo ha sempre dovuto vivere lontano dai suoi simili. Le poche volte che ha avuto dei contatti con loro, lo hanno ferito e, da quando la malattia è peggiorata, non ha avuto altra scelta se non rinchiudersi quassù tra le nuvole”.

“Capisco… però...”.

“Fammi finire”, la interruppe Sunshine, “quello che cerco di dirti è che Icarus, mio figlio, potrebbe non piacerti affatto. Sì è dovuto adattare ad una vita isolata, ad una costante sofferenza fisica e senza che nessuno sia ancora riuscito a dargli una vena di speranza. Lui ragiona secondo i suoi canoni, attraverso un mondo che nessun pony in Equestria credo capirebbe mai. Non possiede le convenzioni sociali che utilizziamo solitamente noi due”.

“In poche parole mi stai dicendo che tuo figlio è antipatico?”, chiese Dash un po’ confusa.

“Ti sto dicendo che, normalmente, siamo abituati a ritenere amici coloro che ci piacciono e che ci fanno star bene. Se pensi che l’amicizia possa andare oltre questi aspetti… allora Icarus ti saprà mettere a dura prova”, concluse la madre con tono lapidario.

Sulle prime, Rainbow pensò che Sunshine stesse esagerando ma, quando vide il suo sguardo, capì che era spaventosamente seria.

“Preferisci che non incontri tuo figlio?”, chiese con riluttanza.

“Sono combattuta”, rispose con un certo disagio, “gli incontri con Icarus raramente si concludono positivamente. Ieri voleva solo un autografo. Oggi si tratterebbe di una cosa… diversa”.

Ci fu una lunga pausa di riflessione, in cui Sunshine parve assalita da emozioni contrastanti.

“D’accordo, Rainbow”, dichiarò alla fine, “se vuoi parlare con Icarus, fai pure”.

Dash sorrise: “Sì, insomma voglio solo scambiare due parole con lui, niente di più… sinceramente non so nemmeno io cosa gli dirò. E’ come se sentissi il bisogno di parlargli e basta”.

“Mi fa piacere. Entra pure, lo troverai nelle stanze ai piani superiori, ma ricorda quello che ti ho detto”, disse invitandola all’interno, “Icarus non ha nulla a che vedere con i pony con cui sei abituata a relazionarti”.

“Lo terrò a mente”, concluse Rainbow, esternando una certa sicurezza, e valicò l’ingresso.

   

L’interno si presentò non molto diverso dalle tipiche abitazioni di Cloudsdale: solamente le pareti, per via del tipo di nuvole più soffici, si presentarono meno delineate e meno luminose del solito. Di fronte a se, Dash vide una scala che portava ai piani superiori. La salì lentamente, guardandosi intorno con curiosità.

Al termine, si ritrovò in un’anticamera con parecchie porte: di queste, soltanto una era chiusa. Gettò uno sguardo nelle varie stanze per vedere se ci fosse qualcuno ma intuì che Icarus si trovasse proprio nell’unica stanza chiusa. Si avvicinò alla porta e fece un lungo respiro.

“Entra pure”, disse Icarus dall’altra parte, anticipandola di qualche istante.

Rainbow aprì delicatamente la porta e si affacciò nella stanza.

“Permesso?”.

Icarus le dava le spalle, seduto ed intento a dipingere su una tela rialzata. Muoveva lentamente un pennello stretto tra i denti, componendo uno scenario apparentemente incomprensibile. La stanza era ricolma di libri e presentava numerose finestre, in modo da consentirgli un’ampia visuale sull’intero paesaggio, a dir poco mozzafiato.

“Mi hai sentito entrare?”, chiese l’ospite.

“C’è sempre un grande silenzio qui”, rispose Icarus, dopo aver posato il pennello, “inoltre avrai notato che, da quassù, posso squadrare quasi il mondo intero. Quindi la tua è una domanda stupida: ti ho visto arrivare e ti ho sentito bussare”, concluse, senza nemmeno degnarla di uno sguardo.

In quel momento le vennero in mente le parole della madre e cercò di mantenere il cuore sgombro da emozioni malevole.

“Perché sei venuta qui?”.

“Ecco… io… sono solo passata per vedere come stavi”.

“L’ultima metà dei pony giunta a farmi visita era costituita da dottori, l’altra metà da curiosi venuti a sfamare la loro morbosa curiosità per i fenomeni da baraccone. E tu non mi sembri un dottore”.

“Ma no”, rispose Rainbow con un certo dispiacere, “volevo solo… parlarti”.

“Bene”, continuò l’altro impassibile, “di cosa vorresti parlare?”.

“Quando ci siamo incontrati, ieri sera, non mi ero accorta della situazione. Non vorrei esserti sembrata… scortese. Insomma, non mi ero resa conto che… che tu…”.

Icarus chinò il capo e si voltò poco dopo verso Dash, con sguardo severo.

“Dunque le cose stanno così?”, chiese.

“Cosa intendi dire?”.

“Sai, Rainbow, inizialmente pensavo che tu fossi diversa, che tu potessi capire”.

Il pegaso blu corrugò la fronte, non riuscendo a comprendere il messaggio che Icarus le stava lanciando.

“Pensavo anche che fossi un po’ più sveglia”, aggiunse con supponenza, “per cui vedrò di illuminarti: crederai mica che ieri io sia venuto ad elemosinare la tua attenzione? O la tua compassione?”.

“Beh… no, io…”.

“E’ curioso come cambino le cose. Ero solo un fan come tanti, prima che tu ‘comprendessi la mia situazione’, giusto?”.

Rainbow non rispose ed Icarus parve innervosirsi: “Sono stufo della stupidità della gente: ieri mi hai trattato come un normalissimo pegaso mentre oggi vieni qui per parlare con me e vedere come mi sento. Lo avresti mai fatto per un fan qualsiasi? Per un pegaso come tutti gli altri? Per un pegaso in condizioni diverse dalle mie?”.

“Ascolta Icarus, io non sono qui per compatirti,” rispose la puledra con esitazione, “ma… volevo solo farti sapere che, dall’incontro di ieri, provo sensazioni contrastanti. Mi è sembrato… ingiusto aver incentrato tutta la mia vita nella competizione del volo, mentre tu devi vivere in questo modo, ed è una cosa che non avevo mai considerato prima”.

Ci fu un silenzio imbarazzato, che venne spezzato da Rainbow, nel tentativo di riprendere in mano il discorso: “Ho sempre avuto la convinzione di poter dimostrare le mie qualità attraverso il confronto con gli altri, attraverso la vittoria e la competizione. Però, dopo averti conosciuto…”.

A quelle parole, Icarus si voltò di scatto, gettando inavvertitamente a terra il dipinto, e iniziando a respirare più velocemente, visibilmente turbato. Fissò Rainbow con una scintilla di rabbia negli occhi e biascicò: “Sei esattamente come tutti gli altri. All’inizio mi avevi trattato come un tuo pari. Credevo che un pegaso che avesse sacrificato tanto per la propria passione potesse comprendere. Invece, ora vieni qui, come se io fossi una vittima designata della malasorte! Cos’è? Pensi che io mi senta inferiore? Che ti reputi un modello da imitare?”.

Dash, senza rendersene conto, fece un passo indietro.

“Ti ritenevo un campione come me”, incalzò con maggior foga, “perché io, come te, ho dovuto affrontare sfide giorno dopo giorno, per arrivare dove sono ora. Certo, non ho un manipolo di ammiratori a dimostrarlo: l’unica prova è qui davanti a te. Secondo i medici, avrei vissuto al massimo un altro anno e non sarei più stato in grado di camminare dopo pochi mesi, e questo lo avevano detto più di due anni fa. Ho dimostrato che avevano torto”.

“Icarus, io…”.

“Solo per il fatto di esser qui, in vita e sulle mie zampe, sono uno dei più grandi campioni di Equestria!”, urlò, con tutto il fiato presente nel suo fragile torace.

Rainbow rimase impressionata dalla foga del pegaso, inizialmente mitigata da un aspetto così mansueto. Cercò di dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma le parole le vennero meno.

Icarus parve calmarsi leggermente: si avvicinò al dipinto e, con una certa fatica, lo riportò nella posizione originale. Poi, dandole le spalle, aggiunse: “Ho passato mesi a cercare un altro campione come me. Non ho trovato pony con le mie caratteristiche ma poi ho visto te: ti ho osservata durante gli allenamenti, durante le sconfitte, quando ti rialzavi costantemente ed ho riconosciuto grandi forza di volontà e spirito combattivo. Ora che ti conosco meglio, però, suppongo di essermi sbagliato”.

Con quelle parole, prese un foglio appoggiato su una mensola lì vicino e glielo gettò ai piedi, con una certa repulsione: era la foto con la dedica.

“ Volevo che questo servisse a ricordarmi che, lottando, ognuno può raggiungere incredibili risultati. Però, per te, io sono un povero pegaso malato degno solo di comprensione e commiserazione. Puoi anche riprendertela se vuoi, non me ne faccio più niente”, concluse con apparente distacco, riportando l’attenzione sulla pittura che aveva interrotto.

“Icarus, stai fraintendendo”, riprese Rainbow, “non è come dici”.

Dash si sentì accusata ingiustamente dal pegaso ma, in cuor suo, non negò di aver provato una certa pena per lui, quando lo vide salire per la prima volta sul cirro che lo riportò a casa.

“Dimmi una cosa”, aggiunse Icarus con estrema calma, “come ti sentiresti se domani perdessi le tue ali e i pony che conosci iniziassero a trattarti come la vittima delle circostanze?”.

Quelle parole le riportarono in mente il periodo di degenza che aveva affrontato quando si era fratturata un’ala: essere inchiodata ad un lettino fu sicuramente terribile ma, peggio ancora, fu la sensazione di commiserazione che ricevette da alcuni visitatori. Capì cosa stesse cercando di dirle Icarus, seppur ritenesse la sua reazione eccessiva.

Le parole del pegaso grigio la riportarono rapidamente alla realtà: “Ora puoi anche andartene”.

“Icarus, io non volevo…”, ma l’altro la ignorò completamente, riprendendo a dipingere con lentezza.

   

Rainbow abbandonò la stanza, con la foto tra i denti, e una profonda sensazione di dispiacere.

Quando uscì dall’abitazione, Sunshine la stava aspettando seduta poco lontano, con un sorriso amaro sul volto.

“Non so cosa vi siate detti”, esordì, “ma, dal tono di voce, non credo sia andata molto bene”.

Dash rimase con lo sguardo basso: “Già… è stato a dir poco un disastro”.

“Non fartene una colpa: Icarus ne ha passate davvero di tutti i colori… e certe cose credo lo abbiano segnato… in peggio”.

Dash rimase a riflettere per qualche minuto, poi alzò lo sguardo verso la madre e disse: “Credo di capire… io non volevo compatirlo ma, se fossi stata io quella adagiata sul cirro e qualcuno avesse provato pena nei miei confronti, mi sarei sentita estremamente infastidita”.

“Per Icarus è un po’ diverso, lui ha dovuto sopportare una ingiusta commiserazione fin da quando era piccolo. Forse ti avrà parlato dei medici. Nessuno riteneva che ce l’avrebbe fatta ma lui c’è riuscito ugualmente. Credo sia da allora che ha deciso di allontanare ogni forma di vittimismo e commiserazione dalla propria vita”, raccontò Sunshine.

Lo sguardo del pegaso blu si fece serio: “Lui vuole essere trattato come tutti… con dignità”.

“Esatto, credo non ci sia espressione migliore. Vuole essere trattato per ciò che è effettivamente: un pegaso”, concluse.

Dash osservò la dedica che gli aveva firmato giusto il giorno prima ed iniziò a pensare. Poi, improvvisamente, appoggiò le zampe anteriori sulle spalle di Sunshine, visibilmente sorpresa: “Ascolta”, disse con convinzione, “devo chiederti un grande, grandissimo favore… ti fideresti a lasciare Icarus con me?”.

“Cosa?”.

“Se ti promettessi che non gli accadrebbe nulla di male e se riuscissi a convincerlo, lasceresti che Icarus passasse almeno una giornata con me?”, ripeté.

“Io… io non saprei, è molto pericoloso per lui abbandonare questa casa!”.

“Me ne rendo conto e non pretendo che tu acconsenta da un momento all’altro”.

“Ma cosa vorresti fare con lui?”.

“Ci sono… alcuni pony che vorrei fargli conoscere”.

“Oh no”, disse Sunshine con preoccupazione, “questo non gli porterebbe alcun giovamento, ci abbiamo già provato in passato!”.

“Ti prego, Sunshine, concedimi una possibilità. Se Icarus dovesse patirne delle conseguenze, ti prometto che non mi vedrai mai più solcare il cielo da queste parti”, concluse con sguardo sincero.

Sunshine non parve convinta e si prese del tempo per pensare.

“Io non credo sia una buona idea”, disse infine, “ma se riesci a convincerlo… solo per un giorno…”.

“Fantastico!”, urlò Rainbow e, senza perdere tempo, prese una breve rincorsa e spiccò il volo. Fece un rapido giro del caseggiato, giungendo infine ad una delle finestre che davano nella stanza dove il pegaso dipingeva.

Quando Icarus vide il suo muso sorridente sbucare dall’esterno assunse un’espressione sorpresa, seguita da un atteggiamento spazientito: “Mi togli la luce”.

Dash mostrò uno sguardo di sfida: “Senti un po’, Icarus, da quant’è che te ne stai rinchiuso in questa nuvola?”.

“Non sono fatti tuoi”, rispose con noncuranza, “e poi mi pare di averti detto di sparire”.

“Obbligami”, disse l’altra con una risata.

Il pegaso grigio posò il pennello, in segno di rassegnazione.

“Ti prometto che fra poco me ne andrò ma prima devo chiederti una cosa”.

“Non cambio idea sul tuo conto, è inutile che ci provi”.

“Oh, non me ne importa nulla di quello che pensi di me. Ma, se sei coerente con quello che dici, allora voglio vedere fino a che punto sei il campione di cui mi hai parlato”.

Icarus iniziò a mostrare un vago interesse per la proposta di Rainbow, la quale intuì come Icarus possedesse uno spirito orgoglioso almeno quanto il suo.

“Se hai il coraggio, domani vieni con me a Ponyville, giù, vicino alla terra. Ci sono alcuni pony che vorrei presentarti”, concluse, appoggiando il mento su uno zoccolo.

“Non ho bisogno di altri pony come te intorno”, ribatté seccato.

“Oh, capisco, non te la senti. Mesi e mesi, forse anni di isolamento quassù devono averti reso timoroso, è comprensibile”.

Icarus non era stupido e intuì come Rainbow Dash cercasse semplicemente di stuzzicarlo. Non avrebbe ceduto ad un tentativo così patetico se non fosse stato per un ragionamento contorto che, sapeva bene, lo avrebbe tradito sul più bello: “Ridicolo. E so benissimo che vuoi fregarmi”. Rimase per un po’ in silenzio, indeciso se riprendere a dipingere oppure risponderle per le rime. Alla fine cedette: “Ma non voglio sembrare un incoerente! Va bene”, disse con solennità, “domani ci sarò: verrò nella tua stupida Ponyville, liquiderò i tuoi presunti amici e poi me ne tornerò quassù, dimostrandoti quanto sai essere patetica”.

Rainbow sorrise di gusto e scandì con decisione queste parole: “Non-vedo-l’ora!”.

Si staccò dal davanzale e, fluttuando all’indietro, lanciò un ultimo sguardo al suo interlocutore: “Domani pomeriggio dopo pranzo! Vediamo se avrai il fegato!”.

“Ridicolo”, bisbigliò a se stesso Icarus, riprendendo a dipingere con vago nervosismo.

    Prima di andarsene, Dash planò verso Sunshine e, sempre sbattendo le ali per mantenersi a mezz’aria, urlò: “Una sola possibilità, non chiedo altro!”, poi si gettò in picchiata verso Ponyville.

“Ora devo assolutamente trovare un certo pony”, pensò, prima di scomparire tra le nuvole a bassa quota.

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Capitolo 2
*** Ali di Caramello ***


Erano da poco scoccate le due del pomeriggio quando un unicorno viola ed un pony rosa si incontrarono poco lontano dal centro cittadino. Twilight, ovviamente, fu la prima ad arrivare, puntuale come l’orologio del campanile. Pinkie Pie giunse saltellando come una palla, con qualche minuto di ritardo.

Le due si salutarono e poi si sedettero vicine, con gli occhi puntati al cielo.

“Sai qualcosa in più, di particolare?”, chiese Sparkle.

“No! Rainbow mi ha solo detto di venire qui verso le due e di attenderla dal cielo!”, rispose l’amica con un sorriso.

“Allora ne sai meno di me”, continuò l’unicorno pensieroso, “perché mi ha anche anticipato che non avrei dovuto fare domande o commenti”.

“A me non ha detto altro! A beh, sì, poi mi ha anche detto ciao!”.

“Chissà… forse un nuovo numero di evoluzioni aeree?”.

“O magari vuole farci vedere un cappello nuovo!”, ribattè Pinkie.

“Chi? Rainbow Dash?”, chiese Twilight con sguardo interdetto.

“Sì! O magari vuole mostrarci un poema che ha scritto! Non sto più nella pelle! Adoro le sorprese!”.

“Un poema, sicuro”.


Ad un certo punto, Pinkie prese ad agitarsi più del solito ed indicò un puntino nel cielo, che si faceva sempre più grande.

“Una stella cadente!”, urlò.

“Uh… non credo, in pieno giorno. Forse è… mi sembra Rainbow… ma sta spingendo qualcosa”.

Il pony rosa iniziò a trotterellare disordinatamente, in attesa che Dash si facesse più vicina.

Quando fu a poche centinaia di metri da loro, la situazione si fece chiara: il pegaso stava spingendo lentamente una strana nuvola e sopra c’era sdraiato qualcuno: un pony che non avevano mai visto.

Dopo alcuni istanti, Rainbow portò il cirro all’altezza del terreno.

“Ciao, ragazze!”, esclamò.

Le due ricambiarono e Pinkie si avvicinò con impazienza ad Icarus: “E tu chi sei??”, esclamò ad alta voce.

Il pegaso grigio, con apparente sguardo annoiato, si girò verso Dash e bofonchiò: “E queste due sarebbero quelle che volevi presentarmi?”.

“Pensavo che fossi un po’ più sveglio”, rispose Rainbow, canzonando le parole che gli aveva rivolto Icarus il giorno prima, “per cui vedrò di illuminarti: sì, sono loro”.

“Ciao! Io sono Pinkie Pie!”.

“Io sono Twilight Sparkle, piacere”.

Icarus le squadrò con supponenza e rispose: “Mi chiamo Icarus. Che sia un piacere, questo è ancora tutto da verificare”.

“Non ti ho mai visto da queste parti! Sei nuovo? Da dove arrivi? Ti piacciono le feste?”, incalzò Pinkie, come sapeva fare benissimo.

“Cos’è, hai assunto un eccesso di carboidrati o cosa? Comunque le risposte sono: non esattamente, non sono affari tuoi e no”, concluse.

“Che bella nuvola! E’ proprio bella! Perché sei su una nuvola?”.

Icarus si girò nuovamente verso Rainbow, con fare rassegnato: “Adesso ho capito: vuoi vendicarti, facendomi passare un pomeriggio d’inferno con i tuoi amici schizzati”.

“Più o meno”, rispose l’altra con un sorriso.

“Ma questa… questa non è una nuvola normale”, disse Twilight, dopo una rapida occhiata, “Questo è un cirro incantato!”.

L’attenzione di Icarus si riaccese leggermente. Twilight continuò: “Soltanto unicorni molto preparati sanno utilizzare questo tipo di incantesimi di manipolazione materiale. Occorrono una specializzazione in Preservazione Effimera e una discreta dose di catalizzatori primari per mantenere un cirro a quote così basse”.

“Nuvola!”, ripeté Pinkie, che iniziava a sentirsi esclusa dal discorso.

“Cosa sei? Una sorta di cervellona?”, chiese Icarus.

Twilight arrossì leggermente: “Beh… in effetti sì… studio parecchio e passo molto tempo nella mia bibilioteca e…”.

“Biblioteca?”, la interruppe il pegaso ad orecchie dritte.

Rainbow sorrise con malcelato compiacimento.

“Sì, possiedo una biblioteca di scritti arcani che uso per le mie ricerche magiche”.

A quelle parole, l’attenzione di Icarus esplose del tutto ma cercò immediatamente di nascondere l’entusiasmo con la tipica aria di sufficienza con cui era solito accompagnarsi.

“Anche Icarus possiede molti libri a casa sua, sai?”, disse Rainbow Dash, “Magari potreste scambiarvi qualche nozione o qualche… discussione da capoccioni come vi intendete voi, nella biblioteca di Twilight”.

“Davvero? Sarebbe interessante!”, concluse Sparkle con un sorriso.

Icarus cercò di farsi pregare ma si intuiva fin troppo bene quanto ci tenesse ad esplorare una nuova biblioteca e discutere di magia: “Mh… sì… suppongo di avere un ritaglio di tempo da dedicare a questa… cosa”.

“Aspetta aspetta aspetta!”, li interruppe Pinkie con sguardo serio, “Prima dobbiamo darti il benvenuto! Al Sugarcube Corner!”.

“Grazie, non mi interessa”, la liquidò rapidamente.

“Vero”, riprese Rainbow, “Icarus vive per i fatti suoi da molto tempo: non credo se la senta di affrontare un benvenuto”.

“Oh, sei timido?”, chiese il pony rosa.

“No, è semplicemente una cosa stupida”, rispose Icarus, leggermente irritato.

Twilight aggiunse: “Ma no, dai, i benvenuti di Pinkie sono un po’ esuberanti, forse, ma ci si diverte! E poi si discute meglio di fronte ad una teglia di muffin fumanti!”.

“Muffin?”.

“Non sai cosa sono i muffin??”, esclamò Pinkie con assoluta sorpresa, “Com’è possibile? Ma allora dobbiamo rimediare immediatamente! Scendi da lì e andiamo subito al Sugarcube Corner!”.

Rainbow stava per aggiungere qualcosa, quando vide Icarus, con zampe tremanti e sguardo deciso, issarsi in posizione eretta.

Lo osservò attentamente, mentre sembrava sul punto di scendere dal cirro, nell’istante di mettere uno zoccolo sul terreno.

“Icarus”, gli disse, “io so fino a quale altitudine riesco ad arrivare. Quindi immagino tu sappia fino a che limite puoi spingerti”.

“Non ti sarai mica fatta impressionare dalle parole di mia madre?”, chiese lui e, dopo un lungo respiro, scese lentamente dal cirro. Quando il peso del corpo si spostò alle zampe sul terreno, tremò leggermente e cadde su un ginocchio. I pony circostanti si avvicinarono per aiutarlo ma Icarus si riportò in piedi da solo, con una certa fatica.

“Visto?”, esclamò con un leggero fiatone, “Posso camminare anche qui: è solo un po’ più faticoso e devo farci l’abitudine. Non è il caso che vi scomodiate”.

“Va bene”, disse Rainbow con una lieve preoccupazione, “In ogni caso mi porto la nuvola dietro”.

“Sarà meglio! Non sono mica uno sconsiderato: non ci tengo a farmi del male a titolo gratuito!”.


    Il gruppetto decise di incamminarsi verso il Sugarcube Corner. Icarus prese a muoversi lentamente e con passo traballante, non essendo abituato alla solida terra sotto gli zoccoli e per via delle zampe compromesse. Pinkie Pie, senza rendersene conto, li distaccò a rapidi balzelli, poi si girò con sorpresa e riprese a saltellare intorno ad Icarus, durante la sua marcia.

“Perché cammini strano? Perché non voli? E perché viaggiavi su una nuvola? Anche io voglio andare in giro su una nuvola!”.

Twilight la osservò con fare preoccupato e si preparò a dire qualcosa ma Rainbow le fece cenno di tacere.

Il pegaso grigio, senza scomporsi, rispose: “Ho una malattia particolare. Le mie ossa sono fragili e si rompono facilmente”.

Pinkie si fermò un istante con lo sguardo fisso, per elaborare la frase. Poi riprese a rimbalzargli intorno: “Capito! Come il caramello rappreso! Che se non stai attento si rompe in mille pezzi!”.

“Diciamo di sì”, rispose con un sorriso, il primo veramente sincero che Dash avesse mai visto sul suo volto.

“Hai le ossa di caramello!”.

“Ho le ossa di caramello”, ripeté.

“Fantastico! Secondo me dovresti provare a farli tu i muffin, oggi, perchè… chissà come verranno bene i dolci fatti da un pony con le ossa di caramello!”.

“Non so… non ho mai fatto nulla del genere. Posso provarci, sia inteso, non mi tiro indietro di fronte a nulla”, esordì con orgoglio, “però non sono molto ferrato nei… lavori manuali.”.

“Oh non importa!”, disse Pinkie sorridendo, “Dovrai lavorare con la farina! Non c’è nulla di più soffice della farina! E poi, guarda, ti confesso che certe volte io mi monto una montagna di zucchero filato e mi ci sdraio sopra, tanto è morbido! Proprio come fai tu con la nuvola!”.

Icarus cercò di trattenere un altro sorriso.

“E poi”, concluse il pony rosa, “se tu avessi le ossa fatte di ossa… ma sono fatte di caramello, quindi non puoi non riuscirci!”.

“Però”, esclamò infine Icarus, rivolgendosi a Rainbow Dash, “forte la pazzoide rosa”.



*** ***** ***


    La giornata proseguì molto più rapidamente di quanto Icarus avesse inizialmente immaginato.

Pinkie Pie gli offrì i “pezzi da novanta” dei suoi dolci e, dopo aver insistito per svariati minuti senza demordere, riuscì a coinvolgerlo nella rispettiva preparazione culinaria. Anche Twilight e Rainbow si cimentarono nell’impresa: la prima tentò un approccio analitico ed estremamente complicato che la portò a completare la lista delle operazioni da fare quando ormai gli altri pony avevano già cotto tutto; Rainbow, invece, apportò le modifiche necessarie a rendere visivamente più cool il suo dolce… ma decisamente meno appetibile nel gusto.

Icarus accompagnò ogni istante della propria lavorazione con commenti quali: “Questa è una attività per bambine”, “Ridicolo!” e “Mi sto sporcando tutto di farina” ma, alla fine, fu piacevolmente soddisfatto del risultato.

Quando lui e Twilight presero a discutere di libri e magia, tutti capirono che era giunto il momento di spostarsi nella biblioteca dell’unicorno.

Pinkie Pie, Rainbow Dash e Spike, vedendo i due discutere e scartabellare tomi su tomi, si misero un po’ in disparte, non essendo propriamente interessati a quel tipo di attività.

“Non ho mai visto quel pegaso prima d’ora. E’ nuovo?”, chiese il piccolo drago.

“Non esattamente”, rispose Dash.

“Che barba!”, esclamò Pinkie, osservandoli mentre accumulavano libri aperti sotto alla biblioteca.

“Indovinate poi a chi tocca rimettere tutto a posto, in ordine di categoria, alfabetico e colore delle copertine?”, bofonchiò Spike con rassegnazione.

I tre rimasero in silenzio, udendo così il discorso che si stava svolgendo tra il pegaso e l’unicorno: “Exurgit Potio?”, chiese Icarus, con gli occhi sulle pagine.

“E’ un incantesimo per generare un tonico rinvigorente. Pare possa anche risanare le ferite”, rispose saccentemente Twilight.

“Funziona?”.

“Non saprei, non ho ancora avuto il tempo di sperimentare, e poi l’alchimia non è il mio forte. Però c’è una zebra, Zecora, che è molto più ferrata di me in questo campo”.

“A casa mia ho delle piante incantate catalizzatrici: le hanno messe gli unicorni per…”.

“…per generare un campo di magia condensata in uno spazio predefinito!”, continuò Twilight con entusiasmo.

“Ok, li abbiamo definitivamente persi”, concluse Spike.


*** ***** ***



    Il sole iniziava a nascondersi dietro le colline quando Icarus risalì sul cirro. Fece più fatica, questa volta, poiché, nella propria sacca, aveva posto un paio di pesanti libri presi in prestito da Twilight.

I quattro si salutarono: Icarus, ovviamente, fu quello più schivo.

“Mi raccomando”, esclamò Twilight indicando i libri, “voglio che tu li legga e che mi faccia sapere cosa ne pensi”.

“Non credo ci impiegherò molto”.

“Io voglio che torni da me! Voglio il pegaso al caramello di nuovo a cucinare da me!”, disse Pinkie, componendo salti da ferma.

Icarus scosse leggermente il capo e, dalla folta chioma, venne giù una nevicata di farina: “Ok, però la prossima volta i sacchi li apri tu”.

Ci fu un ultimo saluto, prima che Rainbow iniziasse a spingere il cirro.

In circostanze normali, sarebbero arrivati a casa in pochi minuti ma, date le fragilità della nuvola e del suo passeggero, era necessario volare con particolare attenzione.

I due rimasero in silenzio per svariati minuti, poi Icarus prese la parola: “Perché?”.

“Perché la nuvola non si spinge da sola”, rispose l’altra con ironia.

“Sai benissimo a cosa mi riferisco: perché mi hai portato qui? Voglio la verità”.

“Perché provo compassione per te, no? Non era quello che hai detto di me l’ultima volta?”.

Il pegaso grigio non disse nulla e Rainbow intuì che stava esagerando un po’ troppo col sarcasmo, così riprese il discorso con tono sincero: “Seriamente, Icarus, lo ammetto: quando sono venuta da te ieri era perché provavo una certa compassione. Poi, dopo averti ascoltato, mi sono resa conto di quanto tu avessi uno spirito orgoglioso, almeno quanto il mio. Ed io non vorrei mai essere trattata con condiscendenza”, concluse.

“Icarus uno, Rainbow Dash meno venti”, ribatté l’altro con tono superiore.

“Non mi fraintendere: malattia o meno, sei una arrogante testa di legno e, ogni tanto, vorrei buttarti giù da questa nuvola”.

“Dico io: come non darti ragione, my darling”, rispose Icarus, simulando un accento da gentilpony inglese.

“Per cui… oggi ho voluto portarti qui per due motivi: il primo è che volevo mostrarti delle persone speciali e… di come loro siano riuscite a trattarti con maggior rispetto di quanto non abbia fatto inizialmente io. Il secondo è che…”.

“Che?...”.

“…il secondo motivo: l’ho fatto per me e basta”, continuò Rainbow Dash con una certa difficoltà, “L’ho fatto perché mi sembra di imparare cose nuove stando con te”.

Icarus si voltò verso il pegaso blu e lo guardò con fare molto sorpreso. Rainbow smise di spingere il cirro ed i due si fissarono negli occhi per qualche istante. Icarus sembrò trattenere una debole risata, riportò l’attenzione in direzione della propria casa e disse: “Lo so, lo so: faccio sempre questa impressione alle puledre. Ma non ti montare la testa, dovrai metterti in fila come tutte le altre”.

Dash sorrise.

“Ora”, riprese Icarus, “ricomincia a spingere, sennò arrivo tardi per la cena. A momenti farei prima io soffiando in direzione opposta che non tu con le tue ali”.

Dash assunse un atteggiamento di sfida e accelerò improvvisamente, stando comunque attenta che il passeggero non fosse a rischio. Icarus si irrigidì di colpo, temendo di cadere davvero dalla nuvola, che iniziò a viaggiare più velocemente di quanto avesse mai fatto. Lo spavento iniziale venne a poco a poco sostituito da una strana sensazione di ebbrezza e i due giunsero rapidamente a destinazione.

“Sua signoria è soddisfatto?”, chiese Rainbow con fare accondiscendente.

Icarus era ancora irrigidito sulla nuvola, quasi come un gatto avvinghiato al bracciolo di una poltrona: “Se mi hai danneggiato il cirro, ti mando il conto degli unicorni. So dove abiti”.

Sunshine li aspettava vicina al portone e, quando vide la velocità con cui arrivarono, assunse uno sguardo preoccupato.

“Ops… Ora tua madre mi spiumerà entrambe le ali”, bisbigliò.

“A lei ci penso io”.

“Speriamo. Senti, se vuoi domani ti faccio conoscere il resto del gruppo, se ti va”, disse con entusiasmo.

Icarus si fece pensieroso: “Vediamo: domani, domani… In effetti avevo in programma di fare una maratona di due ore, seguita da evoluzioni aeree ad alta quota e, infine, di passare la serata con le mie ammiratrici”.

“Dimentichi il ballo di gran gala e la palestra”, aggiunse l’altra con tono neutrale e palpebre cadenti.

“No quelli sono dopodomani. Sì, penso che, per questa volta, potrò dedicarti un altro po’ del mio preziosissimo tempo”.

“Allora verrò domattina!”.

“Di che state parlando voi due?”, urlò Sunshine con tono severo, “Rainbow! Ti pare questa la velocità con cui trasportare Icarus?”.

“Lascia fare a me”, disse Icarus rivolgendosi a Dash. Scese dal cirro, fece qualche passo verso la madre e poi, simulando un tono preoccupato, esclamò: “Mamma! Hai visto cosa ha fatto? Mi ha spaventato a morte!”.

Ranbow Dash rimase a bocca aperta ad osservare la scena. Icarus, alle spalle della madre, si rivolse verso Rainbow con lo stesso sguardo di sfida che assunse lei poco prima della brusca accelerata.

“Tu, piccolo pegaso…”, ringhiò Dash a denti stretti.

Sunshine si avvicinò con sguardo serio.

“Uh… ecco, io…”.

La madre chiuse gli occhi, emise un lungo sospiro e poi aggiunse: “Lo so che Icarus scherza, lo conosco bene. Però, seriamente, Rainbow Dash, non puoi volare così veloce. Rischi davvero di fargli male”.

“Hai ragione, hai ragione: non avrei dovuto farlo”, ammise.

“D’accordo... com’è andata oggi?”, chiese.

“Meglio. Ma credo che potrà raccontarti tutto Icarus, se ne avrà voglia”.

“Oh… va bene”.

“Sarebbe un problema”, continuò Dash, “se domattina portassi di nuovo Icarus a Ponyville?”.

In quell’esatto istante, il cirro da cui era sceso il pegaso tremò leggermente, emise dei suoni simili ad un palloncino che si sgonfia e svanì in una bolla fumosa.

“Ah!”, esclamò il pegaso grigio ridendo, “Lo sapevo! L’hai rotta sul serio!”.

Rainbow si riprese dallo sbigottimento e sorrise imbarazzata verso la madre, che fece un altro lungo sospiro.

“Va bene”, disse infine, “ma questa volta…”.

“Bassa velocità”, continuò l’altra, “lo prometto!”.

   

Quando Dash abbandonò le nuvole ad alta quota per tornare a casa, decise all’ultimo momento di compiere una deviazione per allungare il tragitto: si sentiva leggera e decise di tuffarsi in picchiata per assaporare la vera alta velocità. Percepiva una certa gioia, dentro di sè, come se quella giornata le avesse regalato qualcosa di importante. “Forse”, pensò, “l’aria rarefatta di quelle altitudini mi sta dando alla testa”.


*** ***** ***



    Il mattino seguente Dash andò a prendere Icarus, come stabilito. Notò, con piacevole sorpresa, che il pegaso si era dato una sistemata alla chioma.

“Guardalo lì, Casanova!”, esclamò ridendo.

“E’ stata mia madre”, si affretto a precisare Icarus, spettinandosi volontariamente a viaggio inoltrato, lontano da casa.

“Non stavi male ma, in ogni caso, ho in serbo qualcosa di meglio per stamattina”.

“Qualcosa cosa?”, chiese con sospetto.

“Se te lo dicessi ora sono sicura che vorresti tornare a casa immediatamente”.

“Tanto mi basta: voglio tornare a casa immediatamente”.

“Certamente. Stasera. Ora dovrai fare un piccolo sforzo e fidarti di me”.

“Non mi fido di nessuno, figuriamoci di un pegaso con le crine multicolore”, concluse Icarus.

“Ieri ti sei fidato e non sei rimasto così deluso, mi pare”.

“L’eccezione che conferma la regola, senza contare che mi hai distrutto un cirro incantato e per poco non mi facevi cadere nel vuoto”.

“Vuoi che lo rifaccia?”, chiese Dash, portandosi in postura da volo in picchiata. Icarus si irrigidì esattamente come quella volta: “Non ti azzardare!”, strillò.

“Tranquillo, stavo scherzando”, lo rassicurò.

Dopo qualche minuto, il passeggero aggiunse con una certa timidezza: “Beh… forse puoi aumentare la velocità giusto un… poco?”.

Rainbow sorrise e prese a sbattere le ali più velocemente, non come il giorno prima, ma a sufficienza da accorgersi visibilmente della gioia di Icarus nel sentire il vento addosso.


    I due giunsero infine davanti alla Carousel Boutique.

“Un negozio da femmine?”, sbraitò Icarus, “Mi hai portato a fare shopping??”.

“Beh, ti ho portato a darti una sistemata”.

“Non esiste, stop, ferma la nuvola, torna indietro!”.

“Oh no, dai, ormai siamo arrivati. Aspetta almeno di conoscere Rarity”.

“Dico: mi hai visto? Non sono propriamente il tipo di pegaso da andarsene in giro sfoggiando abiti eleganti o pose statuarie! O non ci vedi forse bene?”, berciò.

“Facciamo un patto”, disse Rainbow, adagiando il cirro di fronte alla Boutique, “se ti dovessi pentire di questa mattinata, ti prometto che ti riporto dritto filato a casa”.

“Ah no! Troppo comodo! Tu cosa ci perdi? Niente! Facciamo così: se io mi dovessi pentire, tu non solo mi riporterai a casa ma ti tingerai completamente la chioma di rosa… e non rosa normale, rosa confetto! Ti voglio la copia spiccicata della tua amica schizzata!”.

“Pensavo fosse la ‘nostra’ amica schizzata, ormai…”, aggiunse con un certo dispiacere.

Il pegaso grigio parve rimangiarsi le ultime parole: “Mh, sì ok, non facciamo la falcata più lunga della zampa”.

La porta della Carousel Boutique si aprì e apparve Rarity: “Cos’è tutto questo chiasso? Oh, Rainbow Dash sei tu!”, esclamò sorridendo, “E vedo che hai… un amico con te”.

“Dopo stamattina ne dubito”, concluse Icarus con rassegnazione, “suvvia, togliamoci questo fastidio in fretta. Non posso credere a quello che sto per fare”.

“Ciao Rarity”, concluse Dash, con un lieve imbarazzo per la sfacciataggine di Icarus.

L’unicorno sembrò decisamente confuso, specialmente quando riuscì ad inquadrare più chiaramente Icarus una volta sceso dal cirro.

“Uh, certo… entrate pure”.

Una volta all’interno, il pegaso alzò lo sguardo e rimase effettivamente sorpreso dalla gran quantità di abiti eleganti in esposizione.

Rarity osservò per un attimo Rainbow Dash con sguardo interrogativo. Per tutta risposta, l’amica fece un cenno d’assenso ed esclamò: “Io so che sei maleducato, Icarus, però ti converrebbe presentarti”.

“Ah sì”, rispose l’altro, riprendendosi dalla visione degli abiti, “mi chiamo Icarus, sono stato introdotto qui con la forza: questa pazza mi tiene in ostaggio, quindi vorrei che tu chiamassi i soccorsi. Infine, come puoi ben notare, io non centro niente con tutto questo”, concluse, alzando lo sguardo verso gli stupendi capi appesi alle pareti.

Rarity lo ascoltò, sempre più confusa, e poi chiese: “Non centri niente con tutto questo? In che senso?”.

“Ah, eccone un’altra! Cos’è fai finta di niente?”, chiese con tono nervoso, “Fai la scenetta?”.

L’unicorno, sulle prime, parve spiazzato ma assunse immediatamente un comportamento più rilassato: “Guarda che ti vedo benissimo e ti ripeto: perché non centri con tutto questo?”.

“Per favore! Odio fare della retorica! Scusa: zampe storte, busto gracile, ali di pastafrolla… per non contare la criniera”, esclamò, soffiandosi un ciuffo di crini che gli pendeva sul muso.

Rarity sorrise, gli si avvicinò e ruotò un grosso specchio lì accanto, facendo comparire l’immagine riflessa di Icarus ai suoi stessi occhi: “Non essere melodrammatico”, aggiunse, “se c’è una cosa che ho imparato in questo mestiere è che gli unici pony inadatti a ‘tutto questo’ sono proprio coloro che si sentono inadatti”.

Icarus osservò con un certo sgomento lo specchio e abbassò lo sguardo.

“Finchè ti sentirai inadatto”, riprese Rarity, “allora è così che sarai a tutti gli effetti. Guarda Rainbow Dash, per esempio: ha lo stesso senso del fascino e della moda di un drago selvatico…”.

“Ehy!”, intervenne istintivamente l’amica, con fare stizzito.

“…però lei si sente fenomenale ed è così che appare, con o senza vestiti eleganti”.

“Certo che sono fenomenale!”, si affrettò ad aggiungere.

L’unicorno si avvicinò al pegaso grigio, comparendo insieme a lui nell’immagine riflessa: “E poi guarda, abbiamo entrambi la chioma viola! Il viola è un colore bellissimo! E hai una criniera così folta: è perfetta per essere adattata ad un taglio alla moda. Ho già in mente un paio di cose che…”.

“So che ci stai provando ma non credo tu stia riuscendo a convincermi”, la interruppe Icarus, allontanandosi dallo specchio.

“Non sto cercando di convincere nessuno. Voglio solo farti capire che, in questo mestiere, lavoro molto meglio con pony che si sentono belli dentro: solo così riesco a portare fuori quella bellezza e a mostrarla agli occhi degli altri”.

“Sei una stilista. Basi tutta la tua vita sull’apparenza, una delle cose più insulse ed effimere che esistano”.

Rarity, per nulla turbata per quelle parole, sorrise di nuovo e continuò: “Il mio desiderio di apparire è in effetti una mia debolezza ma ho imparato a più riprese quanto conti maggiormente essere e non sembrare. Ma questa è la mia passione e, se posso aiutare altri pony a sentirsi meglio, a far emergere una bellezza difficile da scorgere agli occhi di terzi… beh allora non mi tiro indietro”.

Icarus la ascoltò con attenzione, intristendosi leggermente: “Un pensiero molto nobile… ma a tutto c’è un limite”.

“Ricordi la promessa, Icarus?”, domandò Rainbow, “Un’intera mattinata qui, non di meno, non di più, e poi potrai decidere di andartene e di non rimettere più zoccolo a Ponyville”.

Il pegaso ci pensò su e, con riluttanza, rispose: “E sia: una promessa è una promessa. E tu non dimenticarti la chioma rosa!”.

“Oh finalmente!”, esclamò Rarity, “Non aspettavo altro!” e, con quelle parole, afferrò un metro tra i denti e si avvicinò al fragile busto di Icarus.


    Il pony grigio si sentì a disagio per l’intero trattamento. Rainbow Dash provò una certa compassione per lui (che cercò di scacciare immediatamente) a vederlo così sulla difensiva, come mai l’aveva visto.

Rarity prese svariate misure, appuntò alcuni dettagli su fogli sparsi e si mise rapidamente a lavorare con l’ausilio della magia. Icarus rimase affascinato ad osservare l’intera stanza prendere vita: rocchetti, stoffe, forbici e materiali da sartoria presero a volare tutt’intorno, intrecciandosi infine sotto il muso occhialuto della compositrice, che però non mostrò subito il risultato. Decise, al contrario, di dedicarsi alla capigliatura del pegaso: lo mise in mezzo a diversi specchi, studiò i crini con attenzione e poi, con molteplici attrezzi da makeup fluttuanti, iniziò a lavorare a pochi centimetri dal suo muso.

“Oh, mamma…”, esclamò Icarus, chiudendo gli occhi.

“Tranquillo, hai una chioma fantastica! Oh! Vorrei che tutti i pony avessero dei crine così!”.

“Ma che bello!”, rispose ironicamente Icarus, sentendo ciocche di capelli cadergli su tutto il collo.

Poco prima che finisse, Rarity poggiò un panno sul viso del pegaso, che iniziò a protestare, senza però potersi muovere: “Ma che stai facendo?”.

“Calmo: non voglio rovinarti la sorpresa!” e, con quelle parole, gli slacciò delicatamente la cintura che teneva strette le ali. Prese quindi a vestirlo e svestirlo ripetutamente con diversi capi che aveva preparato, accompagnandosi con frasi del tipo: “Uhm, no”, “Questo andrebbe bene, anche se” e “Oh! Ma è magnifico!”.

“Rassegnati”, rispose l’altro, “per fare un lavoro decente dovresti coprirmi con un tendone da circo”.

“Davvero?”, chiese infine Rarity, con tono estremamente soddisfatto, sollevando il panno dagli occhi del pegaso.

Icarus aprì lentamente le palpebre, osservando il proprio riflesso in uno specchio di fronte  a lui. Non disse nulla e si limitò a guardare ad occhi sgranati: la capigliatura era leggermente più corta, cosa che lo faceva apparire meno minuto, e scolpita abilmente in forma decisamente più raffinata. Un piccolo colpo di sole, bianco argento, gli scendeva delicatamente a fianco del muso.

Rarity lo aveva anche agghindato con alcuni capi di vestiario: non molti e senza farlo apparire appesantito. Aveva sostituito la vecchia borsa con una versione più moderna, elegante e comoda; sullo stacco degli zoccoli aveva posto giusto una striscia di stoffa in tinta con la chioma e, infine, inserito una sezione della coda in una strozzatura color argento, in modo che non ricadesse pesantemente al suolo, tanto era folta.

“Allora?”, chiese la stilista, togliendosi gli occhiali con la magia, “E’ di tuo gradimento?”.

“Non aspettarti complimenti”, intervenne Dash, con un sorriso di circostanza.

Icarus lanciò un’occhiata di supponenza verso il pegaso, sentendosi quasi un libro aperto.

“Oh, non importa! Il più è che, se non ti piace, tu me lo dica! Non c’è nulla di peggio per una stilista di un cliente falsamente soddisfatto!”.

Icarus sentì uno strano formicolio al petto e, con un accenno di sorriso, disse sottovoce: “Non c’è niente di peggio per un pegaso malato di qualcuno falsamente interessato a lui”.

Alzò lo sguardo verso lo specchio, si diede una rapida occhiata ed infine esclamò: “Ho visto di peggio… sì insomma… credo possa andare”.

“Credo sia il massimo che riuscirai ad ottenere, amica”, puntualizzò Dash.

Rarity, colta da una foga improvvisa, affondò la fronte contro quella di Icarus, che si ritrasse preoccupato: “Se non va bene me lo devi dire!”, urlò.

“Perfetto. Lo adoro”, disse in mezzo secondo, visibilmente spaventato.


*** ***** ***



    Icarus osservava Ponyville scorrergli sotto il muso, mentre Rainbow Dash spingeva il cirro a qualche decina di metri dal suolo: si stavano spostando verso la periferia, in direzione delle campagne.

“E’ un peccato che da quassù non possano vedere il tuo nuovo look”.

Il pegaso bofonchiò, fingendosi disinteressato alla cosa, poi aggiunse: “Questa volta a chi tocca? Quale altro pony vorrai sottoporre al mio carattere accomodante?”.

“Non uno”, rispose Dash, “ma tanti pony!”.

Icarus sbarrò lo sguardo e deglutì rumorosamente: “Tanti quanti?”.

“Oh, beh, non moltissimi, giusto un gruppetto… credo saremo almeno in sei, noi compresi”.

“Terapia di gruppo?”.

“No! Pranzo in famiglia!”.

Con quelle parole, Rainbow si inclinò, procedendo rapidamente in discesa, in direzione di una grossa cascina rossa. Durante la manovra, Icarus vide alcuni meleti scorrere sotto di sé: “Mi ricordo di queste piante”, raccontò, “si vedono molto bene da casa mia, attraverso il telescopio. Sono così tante che, da lontano, sembrano un enorme tappeto cangiante. D’estate è come una distesa di mare verde, in autunno un campo vermiglio, in inverno sembra quasi un bosco morente e in primavera…”.

Dash udì il suo tono di voce smorzarsi improvvisamente. Icarus continuò: “…in primavera, quando sono in fiore, si trasformano in un manto di nuvole che, all’orizzonte, pare confondersi con quelle vere…”.

“Antipatico, scorbutico, cuoco e ora anche poeta. Ed io che pensavo sapessi solo lamentarti”, disse Rainbow, dandogli un leggero colpo sulla spalla.

“Lo sai, vero, che mi hai fatto male?”.

“Lo sai, vero, che non mi freghi più?”.

“Touché”, concluse, con sguardo imperturbabile.


    Al termine del battibecco erano ormai giunti all’ingresso della tenuta, poco lontani dal caseggiato rosso. Un paio di pony, inizialmente intento a raccogliere mele, si avvicinò non appena li vide arrivare.

“Che mi marciscano tutte le mele se quella non è la chioma multicolore del pegaso più cool di tutta Equestria!”, urlò allegramente Applejack, “E con lei abbiamo anche un ospite!”.

Icarus avvicinò il muso ad un orecchio di Dash e bisbigliò: “Se mi mettete a lavorare nei campi si tratta di sfruttamento: ne siete consapevoli, no?”.

“Evviva! Rainbow Dash con ospiti!”, esclamò Applebloom, giungendo da un melo lì vicino.

“Ehy ragazza! Applebloom!... Big Macintosh… va bene il lavoro nei campi? ”, chiese il pegaso blu con entusiasmo.

“Eyup”.

“Tutto bene”, riprese Applejack, “stavamo giusto staccando per organizzare il pranzo!”.

Icarus scese delicatamente dal cirro e Applebloom prese ad osservarlo con occhi colmi di sorpresa. Il pegaso sentiva il suo sguardo fisso su di sè e, inizialmente, si mostrò vagamente infastidito.

“Ricordati che è una bambina”, gli sussurrò Rainbow Dash, cercando di non farsi notare dagli altri.

“Ricordati che io sono quello antipatico”, rispose lui, sempre sottovoce.

“Ehy, amico!”, proruppe la sorella maggiore, “Sei nuovo di queste parti? Non ti ho mai visto in giro e poi, uao, che schianto di nuvola!”.

Icarus si voltò per un istante verso il cirro e, con sguardo saccente, rispose: “Oh, quella? Mh, sì è una ‘Cirrus High 4000’ con incantesimo di rinnovamento di serie: la producono solo nei laboratori arcani più sofisticati”.

Applejack ascoltò le sue parole, fingendo di capirci qualcosa, e rispose con un sorriso di circostanza.

“Cooomunque”, riprese Icarus, sfoggiando platealmente il suo nuovo aspetto, “mi chiamo Icarus e sono un pegaso grigio che vive nelle elevate altitudini delle periferie di Cloudsdale, in una zona impervia dove solo i pony più preparati riuscirebbero a sopravvivere”, concluse a muso alto.

Dash lo squadrò stranita: “A-ah… ti sei dimenticato di dire che spari sfere infuocate dalle narici”.

“Ci stavo giusto arrivando, mia cara”.

Applejack sorrise: “Beh, ditemi voi se non sembri la controfigura di Rainbow Dash!”.

“Io sarei cosa? Guarda che…”, sbottò Icarus ma le sue parole vennero coperte dall’entusiasmo di Applebloom che, udendo i lontani rintocchi del campanile di Ponyville, iniziò a trotterellare verso la cascina, urlando: “Si mangia!”.

“Ah! Giusto in tempo!”, disse Applejack, invitandoli a seguirla, “E così Rainbow e il suo amico vengono a farci visita proprio verso l’ora del pranzo, eh? Non è che ve ne state approfittando?”.


I quattro, anticipati dall’esuberante sorella minore, si diressero al passo di Icarus verso un tavolo imbandito all’aperto.

“Non dovevamo essere in sei?”, chiese il pegaso grigio.

“Uh, sì, manca la vecchia nonna: Granny Smith… Non è che si è appisolata sotto qualche melo come fa di solito?”, borbottò Applejack, guardandosi attorno, “Ah, eccola che arriva!”.

Il gruppo si guardò alle spalle e vide l’anziano pony, aiutato da un bastone da passeggio, giungere da una collinetta poco distante.

“Quella vecchia sarebbe il sesto pony?”, chiese Icarus con un sorriso arrogante.

“Icarus!”, lo rimproverò Dash.

“Ah, tranquilla, Granny è sicuramente vecchia ma è ancora arzilla come una roccia! Vero, nonna?”, urlò Applejack nella sua direzione.

“Eh? Cosa?”, biascicò Granny,  “Velo o gonna? Velo ovviamente, non sei mai stata bene con la gonna!”.

Icarus rise sotto i baffi: “Oh, andiamo, ancora un po’ e dovranno rimetterla assieme con la colla!”.

“Ora stai esagerando”, insistette l’altro pegaso.

“Ma no! Dico solo la verità!”, rispose Icarus divertito, senza accorgersi che Granny Smith era arrivata alle sue spalle e si era infilata un imbuto nell’orecchio, “Quel pony è così decrepito che  a momenti mi muovo più veloce io!”.

“Come ti permetti, impiastro!”, lo sgridò Granny, roteando pericolosamente il bastone sopra la sua testa, “Porta rispetto o ti insegno l’educazione alla mia maniera!”.

Il pegaso fece qualche passo all’indietro, rischiando di inciampare: “Ehy nonna, attenta con quell’arnese!”.

“Sono nella mia fattoria e faccio quel che mi pare, giovane maleducato!”.

Gli altri, intanto, osservavano allibiti la scena.

“Vuoi prendermi a bastonate, vecchio rudere?”, la istigò.

“Puoi giurarci!”, ribatté l’altra seccata.

“Scommetto che non riesci nemmeno a sfiorarmi!” e, con quelle parole, iniziò una marcia scoordinata verso il tavolo da pranzo.

“Se ti acchiappo ti lavo la bocca con il sapone!”, berciò la nonna, prendendo ad inseguirlo a passo di lumaca.

Applebloom, che intanto non li vedeva arrivare, decise di tornare indietro e si fermò basita ad osservare i due che facevano a gara per raggiungere la tavolata: Icarus, con sguardo concentrato e massimo impegno, zoppicava e, contemporaneamente, cercava di schivare le bastonate della nonna; Granny Smith, per canto suo, lo inseguiva con giunture cigolanti quanto gli infissi di un cancello arrugginito, vibrando mazzate a casaccio. Poco distanti, Rainbow, Applejack e Big Macintosh li scrutavano con aria perplessa.

Dopo la sorpresa iniziale, Applebloom esplose in un sorriso ed iniziò a fare il tifo: “Forza nonna!”.

“Anche se in territorio ostile e circondato da nemici”, proruppe Icarus, “non mi lascerò certo intimidire per così poco!”.

“Avrai ben altro di cui preoccuparti, se ti prendo, canaglia!”.

“Fatemi un favore”, disse Rainbow Dash ai pony attorno a lei, “qualsiasi cosa succeda, non parliamo mai più di quanto stiamo vedendo”.

“Sicuro, dolcezza”.

“Eyup”.


    La famiglia e i due ospiti erano seduti attorno al grande tavolo, colmo di pietanze a base di mele. Icarus e la nonna erano collocati agli opposti e si lanciavano continuamente delle occhiate in cagnesco. Entro breve si levò il brusio delle chiacchiere e Applejack portò il primo piatto: pasticcio di mele ristretto in melassa di sidro.

Icarus osservò con apparente disprezzo la portata sotto il suo muso: “Questo sarebbe cibo?”.

Rainbow lo rimproverò con uno sguardo ammonitore e una spallata.

“Sulle prime potrà sembrare poco appetitoso”, disse la cuoca, aggiustandosi il cappello, “ma ti assicuro che il sapore è fenomenale!”.

“Cos’è?”, la interruppe Granny, “Il signor principino è troppo raffinato per il nostro pasticcio di mele??”.

Il pegaso si sentì sfidato e, con una certa riluttanza, addentò un boccone: iniziò a masticare lentamente, poi con maggior gusto ed infine deglutì rumorosamente.

“Ho mangiato di meglio… ma comunque non è così male…”.

“Visto?”, ammiccò Applejack.

“Ai miei tempi: fieno secco e pedalare!”, aggiunse la nonna.

“Non credevo che nella preistoria sapessero pedalare”, rispose Icarus senza guardarla.

Si scatenò un altro battibecco ma il pranzo proseguì grossomodo senza problemi.

Verso il dolce, il pegaso grigio notò che la piccola Applebloom continuava a fissarlo insistentemente e, dopo alcuni minuti, si innervosì: “Che hai da guardare?”.

“Sei strano”, rispose innocentemente, “Perchè cammini in quel modo? E perché hai le ali legate?”.

Icarus sembrò contenersi nel rispondere, pensò a cosa dire e, infine, le sussurrò in un orecchio: “Non voglio che si sappia in giro: in realtà… uh… sono un cacciatore di draghi… e questi sono i risultati del mio ultimo scontro”.

“Non ti credo!”, rispose seccamente l’altra.

“Mi dai del bugiardo? Allora guarda” e tirò fuori una strana gemma dalla sua sacca: la mise ai piedi del tavolo e, colpendola con uno zoccolo, la fece brillare. Si trattava di una semplice gemma incantata che il pegaso utilizzava per leggere nel buio della notte ma, agli occhi della piccola, le parve qualcosa di incredibile.

“Questa è una delle gemme che ho preso dal tesoro dell’ultimo drago che ho affrontato. Mi credi ora?”.

“Uaoo…”, esclamò Applebloom, con il riflesso della pietra preziosa negli occhi.

“Puoi tenerla, se vuoi”.

“Davvero?”.

“Ma certo”, aggiunse con spavalderia, “ne ho a bizzeffe e questa non è nemmeno delle migliori!”.

“Che bello, grazie!”.

Probabilmente quella fu la prima volta che Icarus sentì qualcuno ringraziarlo. La cosa, sulle prime, gli generò emozioni mai vissute e, subito dopo, venne pervaso da una inebriante sensazione di autocompiacimento.


    Il pasto si concluse poco dopo, con i presenti intenti a discutere del più e del meno e Applebloom indaffarata a riaccendere in continuazione il suo regalo magico.

Il pegaso grigio prese addirittura la parola, ad un certo punto, narrando alcune delle cose più incredibili che avesse mai visto con il telescopio da casa sua. Qualcuno, nella fattispecie Granny Smith, dubitava della veridicità di tali racconti ma la foga espressa da Icarus risultò così esasperata da lasciare poco spazio ai dubbi.

“E’ tutto vero?”, gli chiese infine Rainbow Dash, comunque un po’ scettica.

“Beh, tutti soffriamo un po’ della sindrome del pescatore ma ti assicuro che un fondo di verità c’è sempre”.

Ci furono ancora alcuni scambi di battute e, alla fine, gli ultimi saluti cordiali.

Prima di congedarsi, gli sguardi di Icarus e della nonna si incrociarono ancora una volta: “Se fossimo stati sulle mie nuvole ti avrei distaccata in un batter d’occhio, vecchia!”.

“Se le ciance ti facessero andare più veloce allora saresti un fulmine, mariuolo!”.

“Se mai ci rincontreremo”, concluse il pegaso, con tono solenne, prima di salire sul cirro, “sarà per la sfida finale”.


*** ***** ***



    La curiosa coppia di pegasi continuò per il tragitto che avrebbe presto concluso la giornata. Il sole non era più alto nel cielo ma ben lungi dall’invitare la sera nel pittoresco paesaggio di Equestria.

Icarus si sentiva emozionato e un po’ su di giri: non aveva mai sperimentato una compagnia così cordiale… anzi: non aveva mai sperimentato una compagnia degna di tale nome. Persino l’ammirazione di una piccola puledra, Applebloom, gli aveva donato più soddisfazione che non gli ultimi anni di isolamento sulle nuvole. Anche il suo nuovo aspetto, seppur non nascondesse i suoi evidenti difetti fisici, lo inorgogliva parecchio. Per la prima volta pensò con sincerità: “Tutto questo tempo passato ad evitare gli altri… a cercare campioni come me… quando mi bastava avvicinarmi a quei pony che avevo da sempre osservato da lontano”.

“Allora, ti stai divertendo?”, chiese Dash, riportandolo alla realtà.

“Mh… sì”.

“Davvero? Non: mh, mi sono divertito di più in altre occasioni?”.

“Certo che mi sono divertito di più in altre occasioni ma la risposta rimane comunque sì: mi sto divertendo. Adesso dove stiamo andando?”, domandò, mentre si inoltravano in un viale che conduceva vicino alla Everfree Forest, “Non vorrai mica portarmi nella foresta di Everfree?”.

“Potrei farlo… e poi abbandonarti lì”, ridacchiò l’altra.

“Credi che non sappia badare a me stesso?”.

“Sono sicura che, a parole, riusciresti a far scappare tutti gli animali feroci nel raggio di chilometri”.

“Mi sento offeso”, rispose con noncuranza.

“Come no. Comunque, stiamo andando da una mia vecchia amica”.

“Vecchia? Come quell’anziano trombone alla fattoria?”, chiese Icarus con preoccupazione.

Rainbow Dash rise: “No, vecchia nel senso che siamo praticamente coetanee. E’ un pegaso… e pensa che ha sempre avuto paura di volare”.

“Così funziona la vita”, sospirò, “ci sono pegasi che vorrebbero volare ma che non possono e pegasi che potrebbero farlo ma non vogliono”.

“Non essere così melodrammatico e inizia ad accettare gli altri per come sono”.

“Come fai tu? Ritenendoti più ‘cool’ degli altri?”.

“Esattamente!”, rispose con sarcasmo, “La differenza è che non svaluto gli altri per i loro difetti, bensì valuto me stessa per i miei pregi!”.

“Tra cui la modestia”.

“Siamo in due, Casanova”.


    Superato un piccolo fiumiciattolo, giunsero infine all’abitazione di Fluttershy. Il pegaso dalla chioma rosa stava curando scrupolosamente alcuni fiori nei dintorni e, quando li vide arrivare, sorrise timidamente.

“Ehy, Fluttershy, come va?”, proruppe Dash, colpendola con foga sulla schiena.

“Oh… ehm… ciao Rainbow Dash e… uh, ciao…”.

“…Icarus”, rispose l’altro dal cirro, senza neanche degnarla di un’occhiata, come faceva spesso.

Le due amiche si scambiarono alcuni saluti, poi Fluttershy le chiese: “E’ questo il pegaso di cui mi avevi parlato?”.

“Già: questo è il pegaso più arrogante, cocciuto e maleducato che mai troverai in tutta Ponyville!”.

“Oh, così mi fai arrossire”, rispose Icarus con sguardo solenne, “e poi hai dimenticato di dire saccente”.

“E’ un piacere, Icarus. Che bella nuvola”.

“Sì, sì, è una Cirrus High 4000, eccetera, eccetera. Sei un pegaso: dovresti già averne viste”.

“Uh, io…”, biascicò sottovoce, “non… non ho mai volato ad alte quote…”.

Icarus, che ancora si sentiva inebriato dalle nuove esperienze fatte in giornata, decise di rincarare un po’ la dose di autostima, sfociando inavvertitamente e pericolosamente nell’arroganza più totale: “Ah già, me lo ha detto Rainbow Dash: tu sei il pegaso che non vuole volare. Bella roba”. A quelle parole si aggiunse anche una vaga sensazione di fastidio, pensando alle occasioni che Fluttershy si era persa intenzionalmente: occasioni che lui invece non avrebbe mai potuto afferrare.

L’amica abbassò lo sguardo e si mise sulla difensiva: “Ecco… io…”.

“Icarus! Vedi di moderare i toni!”, lo ammonì Dash.

Il pegaso si zittì ma mantenne uno sguardo di superiorità, quindi scese dal cirro ed esclamò: “Va bene, starò zitto, non sia mai che qualcuno si metta a piangere”.

Quando Fluttershy lo vide a terra, capì la situazione dell’ospite: “Oh! Io… io non mi ero resa conto che…”.

“Resa conto di che cosa?”, esclamò l’altro con sguardo sospettoso.

“No, io non mi ero accorta che tu… insomma…”.

“Smettila di balbettare e parla, una buona volta!”.

Rainbow si accorse che l’amico si stava scaldando un po’ troppo e cercò di intervenire ma, più o meno con la stessa foga con cui l’aveva aggredita la prima volta a casa sua, iniziò ad attaccare ripetutamente la mite Fluttershy: “Cos’è? Non ti eri accorta di nulla? Invece ora immagino che le cose siano diverse, vero?”.

“Ma no, è che io…”.

“Quello sguardo”, continuò, “lo conosco bene: è lo sguardo di commiserazione di chi ha davanti a sè una povera vittima indifesa, non è vero?”.

Fluttershy cercò di rispondere ma la foga di Icarus fu così incalzante da impedirle ogni reazione. Anche Rainbow provò a dire qualcosa ma, più che per la sfuriata, rimase ammutolita ad osservare l’insensibilità che stava manifestando il pegaso.

“Se penso a tutti gli anni che ho passato anche solo a cercare di camminare, ad osservare gli altri pegasi volare spensierati nel cielo… mentre tu potevi fare entrambe le cose e non hai voluto. E mi tocca pure sentire i tuoi compatimenti per me”.

“Icarus!”, esclamò Dash con sguardo severo.

“No, non mi zittisco, perché di fronte a certe situazioni non riesco a star zitto! Perché tu, Fluttershy, sei proprio il tipo di pony che ho cercato di evitare fino ad oggi: codardo, falso e patetico!”.

Quando Rainbow vide l’amica tirarsi indietro con occhi umidi, esplose in un urlo rivolto ad Icarus: “Adesso bastaaa!!”. Il pegaso grigio percepì fin nel profondo del petto quel rimprovero colmo di rabbia e si bloccò a fissare Dash, impreparato ad una simile reazione.

“Come ti permetti?”, insistette Dash, “Chi ti credi di essere?”. Icarus non rispose.

Ci fu un istante di smarrimento per tutti, che venne rotto nuovamente da Rainbow: “Scusa Fluttershy, dopo verrò a parlarti ma ora devo fare un discorso con lui” e colpì con la testa il fianco di Icarus, senza troppi riguardi, inducendolo ad allontanarsi verso una zona più isolata. L’insistenza fu tale che, per poco, Icarus non inciampò, rischiando di farsi male sul serio.

“Ehy! Fa piano! Così mi…”.

“Taci!”, lo interruppe Dash, più rabbiosa di prima, “Vedi solo di tacere! Dico ma stai scherzando?”.

Le parole dell’amica gli annodarono lo stomaco e iniziò seriamente a pensare di aver esagerato, cercando comunque di giustificarsi: “…io …io lo conosco bene quello sguardo…”.

“Ma quale sguardo! Fluttershy è il pony più mite che conosca, non ti stava compatendo! Lei fa così con tutti!”, urlò con foga, “Qui non centra nulla la tua malattia: quella è stata una cattiveria gratuita!”.

Le zampe di Icarus tremarono leggermente e il pegaso dovette sedersi: abbassò lo sguardo e non disse più nulla.

“Non ci posso credere! Sapevo che eri fatto in un certo modo ma adesso hai davvero esagerato. Come minimo dovresti chiederle scusa per la tua scenata!”, concluse, aspettandosi una risposta. La risposta, tuttavia, non arrivò: Icarus si limitò ad incupirsi, fissando un punto vuoto sul terreno, senza dire nulla.

Rainbow Dash attese ancora qualche secondo ma, non vedendo alcun segno di collaborazione, si spazientì: “Sei incredibile. Ed io che pensavo che un po’ di gentilezza potesse farti passare qualche momento piacevole, ad entrare in quel guscio che ti eri creato nel corso degli anni. E invece…”.

“Portami a casa”, sussurrò.

“Come?”.

“Portami a casa, ho detto”.

“Sicuro che ti ci porto, e di volata”, rispose Dash, con il volto ancora adirato: avvicinò il cirro ed Icarus lo occupò subito dopo.

I due si avviarono rapidamente verso le sommità delle nuvole, a passo spedito, senza dirsi una parola o scambiarsi uno sguardo.


    Sunshine era sulla soglia del caseggiato, quando arrivarono. Stava per rimproverare nuovamente Dash per l’alta velocità quando, vedendo i loro sguardi, intuì che qualcosa era andato storto.

Il cirro approdò rapidamente verso la distesa nuvolosa e, non appena fu attraccato, Icarus smontò prontamente e si diresse verso il portone di casa, senza voltarsi.

Rainbow lo osservò per qualche istante, prima che la madre le si avvicinasse con aria preoccupata: “Oggi… non è andata bene, vero?”.

“Scusa, Sunshine… sono troppo agitata per parlarne. Non è successo nulla di così grave ma… ho bisogno di sbollentare un po’… scusa… devo andare”.

“Capisco cosa vuoi dire, Rainbow Dash”, ammise l’altra con comprensione, “va pure”.

Prima che il pegaso si allontanasse, Sunshine le rivolse un’ultima domanda: “Tornerai ancora?”.

“Non lo so. Ora come ora credo sia meglio se non ci vedremo per qualche tempo”, rispose con dispiacere, e si tuffò in picchiata, per tornare da Fluttershy.

Sentiva molte emozioni scontrarsi dentro di lei: avrebbe voluto fare ordine e cercare un appiglio ma la rabbia ancora le scorreva nelle vene, offuscandole il pensiero razionale.

“Stupido, stupidopegaso”, pensò, gettandosi a capofitto verso la Everfree Forest.

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Capitolo 3
*** Volare senz'Ali ***


Gli stati d’animo sanno condizionare fortemente quello che ognuno sente dentro di sè e Rainbow Dash percepì una brutta sensazione di delusione, quando si svegliò il mattino seguente.

Riportò la memoria alla sfuriata di Icarus, al suo discorso furibondo e a quella scintilla di compiacimento che gli aveva letto negli occhi quando Fluttershy era ammutolita. Focalizzandosi sull’episodio, non aveva dubbi: Icarus si era comportato in modo sbagliato, senza scusanti.

In un secondo momento, le venne in mente il discorso della madre: “Da quando era piccolo ha sempre dovuto vivere lontano dai suoi simili”, aveva detto, “Le poche volte che ha avuto dei contatti con loro, lo hanno ferito e, da quando la malattia è peggiorata, non ha avuto altra scelta se non rinchiudersi quassù tra le nuvole”. Ripensò quindi ai suoi modi di fare tutt’altro che accomodanti, al piacere che aveva provato a cucinare con Pinkie Pie, discutere con Twilight, al disagio quasi commovente nella boutique di Rarity e, infine, l’aver sperimentato davvero, per la prima volta, l’accettazione da parte di un gruppo di amici.

“Certo che…”, disse a se stessa, “così tante emozioni che non aveva mai assaporato fino in fondo… possono anche averlo trascinato e si sarà sentito sulla cresta dell’onda… per la prima volta in vita sua”.

Ci pensò ancora un attimo: “Però quello che ha detto a Fluttershy… avrebbe perlomeno potuto chiederle scusa”. Comparve nella sua mente l’immagine di Icarus con lo sguardo basso, mentre si buscava il rimprovero: “Alla fine sembrava dispiaciuto… davvero dispiaciuto…”.

“Ora come ora non importa”, tagliò corto, “è meglio che non ci pensi per un po’”.

    In effetti, Dash non aveva fatto altro che interessarsi ad Icarus, negli ultimi due giorni, dimenticandosi completamente di eventuali impegni: fece un rapido controllo delle cose da fare e notò che, per l’indomani, era in previsione un acquazzone come non se ne vedevano da anni. Erano sorte delle complicazioni e i pegasi avevano optato per restituire buona parte della pioggia in un’unica nottata di tempesta: per il pomeriggio occorreva stendere un enorme manto di nubi nere, cariche di pioggia e pronte ad esplodere dopo il tramonto.

Senza perdere ulteriore tempo, spiccò il volo verso Cloudsdale, per unirsi alla squadra che si sarebbe occupata della tempesta. Durante il tragitto, le venne anche in mente che, fra un paio di giorni, avrebbe partecipato ad un’altra gara. “Nulla di troppo serio”, pensò, “ma me ne stavo dimenticando e non mi sono allenata minimamente…”. Provò infine ad allontanare i pensieri, cercando semplicemente di concentrarsi sull’imminente lavoro da compiere.


*** ***** ***



    Era definitivamente notte quando il pegaso rincasò, sfinito dalla mole di lavoro svolto per assicurare un manto nuvoloso così esteso. In lontananza si udivano i primi rimbombi, sintomo che la tempesta stava lentamente prendendo vita. Alcune chiazze di nuvole violacee, illuminate da fulmini ancora distanti, comparivano ad intermittenza, per un attimi fugaci, nella scura massa nebulosa.

Osservò il fenomeno per alcuni istanti, dalla finestra, prima di decidersi a coricarsi: ci sarebbe stato parecchio baccano di lì a poco ma era abituata al rumore dei tuoni e, a quelle altitudini, sarebbero comunque stati un po’ smorzati.

“E domani vedremo che fare”, concluse, prima di chiudere gli occhi e addormentarsi con scarsa difficoltà.


    Qualcosa la fece destare mollemente dal riposo: qualcuno l’aveva scossa delicatamente nel proprio giaciglio. Aprì lentamente gli occhi e bofonchiò frasi sconnesse: si guardò intorno e vide che era ancora buio. Un lampo improvviso illuminò a giorno l’intera stanza, rivelando Icarus seduto accanto a lei, con un leggero fiatone. Rainbow sobbalzò e cadde dal letto.

“Ma! Ma! Che diavolo…?”, blaterò, sfregandosi la schiena.

Icarus prese ad agitarsi ed aggiunse: “Scusa, scusa, Rainbow! Non volevo spaventarti!”.

“Ma cosa ci fai qui?”, chiese con perplessità.

Il pegaso grigio, sempre in costante agitazione, guardò dalla finestra e cercò di comporre un discorso: “Ecco, io…”.

“Dov’è tua madre?”.

“…Lei è rimasta a casa”.

“Come a casa? Come hai fatto ad arrivare qui?”.

“E me lo chiedi? Oggi avete praticamente steso un enorme tappeto nero tra me e le vostre abitazioni. Mi è bastata una spinta con la Cirrus per attraccare sulle nubi sottostanti e poi ho proseguito sulle mie zampe”.

“Cosa? Tua madre non sa che sei qui?”.

“Secondo te?”, gli chiese con un sorriso.

“Tu sei matto. Ora ti riporto immediatamente a casa”.

L’inatteso ospite si preoccupò visibilmente e si piazzò davanti a Rainbow, nel tentativo di fermarla: “Aspetta Rainbow, prima ascoltami!”.

“Non c’è niente da ascoltare: non dovresti essere qui, punto e basta”.

“No, per favore, ascoltami, ho un enorme favore da chiederti”.

“Arrivi da me nel cuore della notte, ingannando tua madre, e ti aspetti pure che ti faccia dei favori?”, chiese stizzita.

Icarus assunse un’espressione di estrema sincerità, sollevò uno zoccolo tremante e lo posò sulla spalla di Dash: “Rainbow… non farti pregare, è una cosa che non mi piace, lo sai. Ti chiedo solo di ascoltarmi”.

Il pegaso blu si sentì combattuto ed iniziò a muovere gli occhi in diverse direzioni, nell’inconscia speranza di trovare qualcosa da dire.

“Sentiamo”, decretò infine. Icarus sorrise.

“Senti, lo so che è un favore davvero grande e… quindi non mi aspetto che tu acconsenta così su due piedi però… ecco vedi, io vorrei che tu mi portassi a cavalcare la tempesta…”.

“Cosa?”, berciò Rainbow stranita.

“Voglio fare quello che i pegasi definiscono ‘Cavalcare la Tempesta’! Ho sentito che è una delle esperienze di volo più fantastiche che si possano provare!”.

“Non esiste!”, si affrettò l’altra a concludere, “Ti sei bevuto il cervello se pensi che porterò te in mezzo a quel caos là fuori!”.

“Hai mai cavalcato una tempesta, prima d’ora?”, chiese Icarus con tono speranzoso.

“Io… sì, qualche volta, ma…”.

“Perfetto! Allora fallo ancora una volta! Fallo per me!”.

“No, Icarus, è troppo pericoloso, c’è il rischio che tu ti faccia male sul serio. Persino i pegasi esperti sono restii a cavalcare le tempeste”.

“Ma loro non sono te! Loro non sono… noi. Non sono dei campioni come noi, Rainbow!”.

L’altra abbassò lo sguardo: “…No, Icarus, questa volta è troppo. Non posso farlo, mi spiace”.

Icarus si sedette e cercò di mettere da parte, con estrema fatica, ogni forma d’orgoglio: “Ascolta, Dash, io… io non voglio andarmene da questo mondo come un pegaso che non ha mai volato. Ci ho provato una volta, sai? Quando ero piccolo. Mi sono tuffato da un nembo sottile ed ho spiegato le ali… sono rimasto col gesso per quasi un anno ed il risultato lo vedi sulle mie zampe storte e sulle mie ali bloccate”.

Dash sentì qualcosa scavarle nel petto.

Gli occhi di lui si inumidirono: “Mi tufferei ogni giorno, ogni istante pur di riprovare quei pochi secondi di emozione nel vuoto ma rischierei di farmi ben di peggio ormai, quindi non posso... non senza di te”, concluse, guardandola intensamente.

“Non farmi questo, Icarus”, rispose l’altra con voce un po’ tremante.

“Una sola volta. Io e te. A cavalcare la tempesta. Poi mi chiuderò per sempre sulle nuvole più alte di Equestria, se vorrai, e non ci vedremo mai più. Non negarmi questo ultimo desiderio, ti prego”.

Rainbow rimase in silenzio, non sapendo cosa dire.

“Visto?”, disse Icarus, passandosi uno zoccolo sotto gli occhi umidi, “Sei riuscita a farti pregare”.

I due pegasi rimasero immersi al buio e al silenzio, rotti dagli sporadici interventi dei lampi e dei tuoni.

“Io… va bene”, dichiarò infine Dash, tutt’altro che convinta.

“Davvero? Fantastico!”, esultò l’altro, inscenando l’equivalente di un balzo da fermo, per quanto potesse riuscirci.

“Però stiamo facendo la cosa sbagliata…”.


    Subito fuori casa, Icarus osservava le nubi sottostanti, mentre Rainbow cercava di mettere assieme un piccolo cumulo di nubi nere, plasmandolo ad ovale.

“Dovrei metterti sopra e riportarti a casa, altro che cavalcare la tempesta”.

Un forte vento agitava violentemente la chioma viola del pegaso, mentre si beava dei rumori assordanti e dei giochi di luce-ombra dei fulmini, ormai sempre più vicini.

“Questo però non è un cirro”, concluse Dash a lavoro ultimato, “Sei sicuro che possa andare?”.

Icarus lo osservò: “Andrà benissimo. Le nuvole di tempesta sono un po’ instabili ma molto vaporose… anche se umidicce. Non sarà un problema”.

“Ho un brutto presentimento”.

“Stai tranquilla”, la rassicurò, donandole un mezzo sorriso, “dopotutto ci sei tu con me, no?”.

    Icarus salì sul suo nuovo trasporto, cercando di accomodarsi al meglio, mentre Dash si collocò dietro di esso, coprendone un’intera estremità con il corpo, in modo da avere la miglior presa possibile.

I due guardarono con titubanza l’enorme distesa di nubi, tuoni e lampi che si stagliava sotto di loro.

“Sei ancora così sicuro?”, borbottò Dash.

“La verità è che non sono mai stato sicuro di niente… fino ad ora”.

Al termine di quelle parole, Dash caricò un balzo ma Icarus la interruppe all’ultimo momento: “Ancora un’ultima cosa”. Girò il muso e, con un colpo di denti, slacciò la cinghia attorno alle ali, liberandole.

“Ora vedi di non strafare”, lo ammonì l’altra.

“Tranquilla, non voglio sbriciolarmi le ali… Sono troppo malandate affinchè riesca ad aprirle... voglio solo sentire la sensazione dell’aria sulle piume… voglio che sia come un vero volo”.

Con quell’ultima frase e una forte indecisione da superare, Rainbow si lanciò nel vuoto.


    La discesa fu rapida. Rapidissima. Dash non spiegò minimamente le ali, lasciando che il duo precipitasse in discesa libera a velocità sempre maggiori.

Icarus sentì lo stomaco sollevarsi e percepì una scarica di adrenalina in tutto il corpo. La paura gli disse di ancorarsi il più possibile alla nuvola sotto le sue zampe ma, dati i suoi problemi, non riuscì a combinare granchè.

Mentre scendevano, Rainbow notò che Icarus era visibilmente spaventato e, per evitare che le cose potessero sfuggire di mano, si portò in avanti con il corpo, schiacciando leggermente il pegaso contro la nuvola e portando la testa di lato, accanto alla sua, guancia contro guancia.

Icarus sentì il calore sulla schiena e sul collo. Percepì la presenza di Rainbow Dash accanto alla sua e si calmò, lasciando che l’emozione prendesse il posto della paura.

Il manto nuvoloso era sempre più vicino e, quando venne infranto, Icarus chiuse istintivamente gli occhi. Quando li riaprì, dovette spalancare la bocca dalla meraviglia: le correnti di aria calda e fredda avevano creato, all’interno delle nubi, un enorme tunnel scuro e nebuloso, ribollente di tuoni, lampi e luci. Dash spiegò le ali e prese a percorrerlo rapidamente in tutta la sua lunghezza.

I fulmini balenavano letteralmente a fianco dei due, generando botti spettacolari simili a fuochi d’artificio, mentre l’intera massa nerastra del tunnel si contorceva costantemente, in preda alla tempesta che stava per raggiungere il suo culmine.

Il pilota prese a cabrare , spostandosi progressivamente a quote sempre maggiori: bucarono nuovamente il tunnel e superarono una serie infinita di altre nuvole, collocate a casaccio attorno al cuore della tempesta, giungendo infine al di sopra di essa.

Icarus non riusciva più a conciliare l’eccitazione con lo stupore: sotto di loro, il manto continuava a render spettacolo di luci e suoni mentre, sopra le loro teste, una luna maestosa illuminava magicamente l’orizzonte. Il pegaso si fece sfuggire un verso di stupore.

“Sei pronto a vedere come si cavalca davvero una tempesta?”, chiese Dash con un sorriso, premendo leggermente la guancia contro la sua.

“Fai quello che ti pare”, rispose l’altro, con gli occhi umidi, “basta che non ti fermi proprio ora”.

Rainbow ed Icarus si rituffarono in picchiata, più forte di prima. Ripercorsero lo stesso tragitto, fino a rientrare nel tunnel: saettarono tra le scariche elettriche, i suoni assordanti e le singolari composizioni che la tempesta scolpiva caoticamente nella distesa nebulosa.

Tanto durò la discesa libera che i due si ritrovarono al disotto del temporale ed un violento acquazzone li gettò improvvisamente nel bagnato. A quella raggelante sensazione, Icarus prese a ridere come un matto, in preda alla gioia e all’ebbrezza: ringraziò la pioggia, non solo per l’inebriante emozione, ma anche perché, in quel modo, Rainbow non avrebbe visto le sue lacrime di gioia. Anche lei si fece contagiare: riallineò la traiettoria e prese a sferzare la pioggia con una risata disinibita.

Viste dal basso, le loro immagini scure comparivano sporadicamente, in contrasto con le nubi soprastanti illuminate dai fulmini, a testimonianza di due pegasi un po’ matti, in mezzo alla pioggia e all’euforia.

Decisero quindi di rientrare nel tunnel e di assaporare un’ultima evoluzione. Fu un attimo.


Un fulmine comparve improvvisamente a pochi metri dai due, generando un’onda d’urto talmente violenta da sbaragliare Rainbow Dash, che perse la presa sulla nuvola. Il pegaso blu ruzzolò svariate volte in aria, prima di riuscire a ristabilirsi e capire cosa stesse succedendo. Atterrita e in preda al panico, prese a guardarsi ossessivamente attorno, alla ricerca di Icarus. Un lampo su una nube lontana ne illuminò la silhouette scura: stava precipitando al suolo.

Senza neanche pensarci, si tuffò a capofitto verso di lui, sbattendo freneticamente le ali per raggiungerlo più in fretta possibile. Nonostante l’agitazione, fu abbastanza lucida da riuscire a strappare la piccola estremità di una nuvola, durante la discesa.

Mancavano poche decine di metri dal suolo e la pioggia batteva forte quando Dash investì Icarus con la nuvola, tentando il tutto per tutto pur di salvarlo. Cercò di ristabilire la quota ma era giunta con troppa velocità e lo schianto fu inevitabile: poco prima di toccare il suolo, riuscì ancora a girarsi sulla schiena, subendo gran parte del colpo. Icarus e la nuvola, tuttavia, le sfuggirono di nuovo dalle zampe e i due rovinarono sul terreno bagnato, in mezzo ad una pineta.


*** ***** ***



    Dash, in preda alla preoccupazione, si riprese quasi subito: si rimise in piedi ma percepì una fitta lancinante alla groppa, per via della caduta. Si guardò nervosamente attorno, chiedendosi dove potesse essere Icarus. La pioggia continuava a cadere incessante, sospinta dal vento impetuoso della tempesta in atto. Urlò più volte il suo nome e poi lo vide, durante il brevissimo lampo di un fulmine, adagiato a terra, non molto distante da lei. Si precipitò a raggiungerlo, temendo per il peggio.

Il pegaso era disteso su un lato e, in mezzo al temporale, era molto difficile comprenderne la situazione.

Rainbow provò a spronarlo con una zampa: Icarus spalancò gli occhi e inspirò di colpo.

“Icarus! Icarus, stai bene?”, chiese preoccupata, con la voce parzialmente sovrastata dalla pioggia scrosciante.

“Io… uh…”, balbettò l’altro.

“Come ti senti?”.

Icarus prese un attimo per ristabilirsi e, quando cercò di tirarsi su, franò emettendo un’esclamazione di dolore: la sua ala destra era piegata verso il basso.

“L’ala… che dolore…”, bisbigliò a denti stretti.

“Stai fermo, non ti muovere”, lo esortò Dash, che iniziò nuovamente a farsi prendere dal panico.

Icarus cercò di nascondere le sue smorfie di dolore con un sorriso: “Calmati, amica mia, va tutto bene… credo sia solo una… uh… lussazione”. Provò a muovere delicatamente l’ala ma la procedura gli restituì un’altra insopportabile fitta.

“No”, dichiarò ad occhi chiusi, “mi sa che è proprio rotta”.

“E’ stata una cosa stupida ed io, due volte stupida, ho acconsentito a tutto!”.

“Rainbow…”.

“Lo sapevo che non avrei dovuto… lo sapevo che avrei fatto meglio a riportarti subito a casa… lo sapevo che…”.

“Taci per un attimo e ascoltami!”, la interruppe l’altro, “Questa è stata la cosa più… bella, più giusta, più… più viva che io abbia mai fatto. Anche ora, questo dolore insopportabile mi fa sentire vivo, vivo come non mai…”.

Rainbow Dash cercò di calmarsi e prese ad ascoltare Icarus, che continuò: “Non avere dubbi: mi hai regalato le emozioni più fantastiche che io abbia vissuto in tutta la mia vita… e che probabilmente non proverò mai più. Cavalcare una tempesta è… davvero bellissimo”.

Icarus deglutì rumorosamente e, con esitazione, aggiunse: “Ma ancor più bello è… è stato cavalcare la tempesta con te accanto”.

I due si osservarono per qualche istante, riconoscendosi chiaramente solo alla luce dei lampi.

Ad un certo punto, Rainbow parve calmarsi del tutto e, con voce un po’ emozionata, rispose: “Va bene, Icarus... effettivamente è stato… molto bello. Ora però hai un’ala ferita e stiamo parlando sotto la pioggia battente. Dobbiamo andarcene”.

I due si guardarono attorno, cercando di capire dove fossero finiti: impresa assai ardua durante una tempesta notturna.

“Credo”, buttò lì Dash, “che siamo alla periferia della Everfree Forest… anzi, ne sono sicura: lo vedi quel sentiero? Basterà seguirlo per tornare a Ponyville e da lì vedremo di darti una sistemata”.

“Sei sicura?”.

“Uh… credo, cioè… sì”, balbettò.

“Forse hai ragione… non è lo stesso sentiero che abbiamo seguito… ieri pomeriggio?”, chiese lui, riportando a se un po’ del dolore di quell’episodio.

“Sì, credo sia quello”.

Il pegaso ferito pensò per alcuni istanti e poi richiamò l’attenzione di Dash: “Ascolta… vorrei chiederti un altro favore…”.

“Basta con i voli!”, rispose istintivamente.

“Sì, sono d’accordo”, annui, “infatti volevo chiederti un’altra cosa… se quel sentiero porta a Ponyville… vuol dire che percorrendolo al contrario giungeremmo da… Fluttershy, giusto?”.

“Dove vuoi arrivare?”, chiese sospettosa.

“Potresti… potresti portarmi da lei?”.

“Icarus… sta piovendo a dirotto, sei ferito, tua madre ti starà cercando… e quando scoprirà cosa ho fatto mi ucciderà sul serio! Non possiamo rimanere”.

“A lei ci penso io e questa volta non scherzo… però prima vorrei andare da Fluttershy”.

Rainbow intuì le intenzioni del pegaso ma pensò anche che fosse davvero troppo prolungare quella notte così ricca di imprevisti. Ancora una volta, l’apparente buonsenso ebbe il peggio: “Va bene, Icaurs… però poi te ne torni filato a casa, non c’è Fluttershy o tempesta che tenga”.

“Promesso… e, questa volta, vorrei che mi aiutassi a rialzarmi”.

Dash cercò di spingerlo da un fianco: Icarus si portò in posizione eretta con molta fatica e qualche manifestazione di dolore.

“Io non sono sicura che ti convenga camminare fin là…”.

“Mi conosco. Ce la posso fare ma, dopo, avrò bisogno sicuramente di un passaggio” e prese a zoppicare verso il sentiero.


    Ci vollero parecchi minuti prima che la sagoma dell’abitazione apparisse ai loro occhi, in lontananza. Superarono un piccolo ponte sul fiumiciattolo, quasi raddoppiato di volume, e giunsero finalmente all’uscio, dove bussarono. Una flebile luce comparve dietro le finestre e, poco dopo, la timida figura di Fluttershy sbucò dalla porta.

“Rainbow Dash?”, esclamò stupita, vedendo i due bagnati fradici, “E… Icarus?”.

“Ciao, Fluttershy”, rispose l’amica con un sorriso imbarazzato, “Ti spiace se entriamo?”.

Li fece accomodare con premura, intuendo che qualcosa era andato storto.

“Siete completamente zuppi. Aspettate che vado a prendere qualcosa!” e tornò con un paio di asciugamani. Icarus rimase con lo sguardo basso per tutto il tempo, a fissare il pavimento, illuminato solo da qualche flebile candela. Quando vide l’asciugamano, chiese cortesemente: “Scusate… ho qualche difficoltà a… insomma… muovere le zampe come fate voi… e sto gocciolando per terra, non vorrei che…”.

“Oh! E’ vero, scusa!”, rispose istintivamente Fluttershy, coprendolo delicatamente con il panno. Icarus la fissò e il timido pegaso pensò di aver di nuovo detto qualcosa di sbagliato: “Cioè… scusami nel senso di… non che io possa pensare che tu… ecco…”.

Icarus percepì dentro di sè una crescente sensazione di dispiacere: ripensò al modo con cui l’aveva trattata ieri e al modo con cui lei stava ora trattando lui. Scosse debolmente il capo, facendo scivolare l’asciugamano sulle spalle, poi si avvicinò a Fluttershy: chiuse gli occhi e appoggiò delicatamente la fronte sul suo petto.

“Non pretendo di essere perdonato per ciò che ti ho detto”, sussurrò, “ma vorrei comunque chiederti scusa”.

Il viso del timido pegaso passò da un’espressione meravigliata ad una di felicità. Cercò istintivamente di abbracciarlo ma Icarus si ritrasse poco prima, colto da un imbarazzo per lui ingestibile: “Ecco… io…”, balbettò.

“Non c’è problema, Icarus”, lo rassicurò Fluttershy con un dolcissimo sorriso, “è tutto a posto”.


*** ***** ***



    Le urla di Sunshine si sarebbero potute udire fino a Ponyville, probabilmente, e Rainbow Dash prese a strizzare gli occhi ad ogni acuto proveniente dalla sua gola (e ve n’erano parecchi).

“Sei completamente fuori di senno?”, sbraitava, “Ti rendi conto di quello che sarebbe potuto accadere??”.

Icarus, intanto, era coricato lì vicino, con l’ala bendata, e ascoltava con rassegnazione la sfuriata che Dash stava subendo.

Si trovavano tutti e tre nella stanza del pegaso grigio e la madre era letteralmente furibonda. In qualche momento cercò di intervenire a favore dell’amica ma Sunshine lo ammoniva prontamente: “Taci tu! Con te faremo i conti dopo! Scappare così…”.

“Perché ultimamente mi dicono tutti di tacere?”, si chiese sottovoce.

“E tu, Rainbow, non posso credere che tu abbia fatto una cosa così stupida! Guarda! Guarda la sua ala! E sarebbe potuta andare molto peggio!”.

“Io… io non ho scusanti”, ammise con rammarico.

“E’ tutto quello che hai da dire? Non ho scusanti?”, incalzò.

“Mamma”, riprese Icarus, “puoi urlare anche per tutto il pomeriggio ma resta il fatto che, potendo tornare indietro, lo rifarei,  anche a costo di spezzarmi tutte le ossa”.

“Perfetto! Così ora dovrò stare attenta che tu non fugga di nuovo di soppiatto per convincerla a gettarti in qualche altra tempesta vagante!”.

Il figlio si rattristò: “Sai benissimo che non sarà così”.

“Sì… è vero”, rispose Sunshine, dopo una pausa che la calmò leggermente.

“Cosa vorrebbe dire?”, chiese Dash sottovoce.

“E’ una notizia che ci è giunta stamattina”, rispose l’altra, dimenticandosi momentaneamente dell’accaduto, “una notizia molto importante per Icarus… pare che… che a Baltimare un’equipe di medici e unicorni abbia trovato una possibile soluzione per il suo problema”.

“Davvero?”, esclamò il pegaso blu, accendendosi di felicità.

“Sì”, rispose Icarus con una certa rabbia, “e questo vuol dire che dovrò partire direttamente domani…”.

L’improvvisa gioia di Rainbow calò leggermente, udendo quelle parole, ma era indubbiamente la miglior notizia che potesse ricevere e capì che era anche una delle poche possibilità che avrebbe mai ricevuto: “Mi spiace per la partenza inattesa, però… questa è una grande notizia! Hai finalmente la possibilità di rimetterti in sesto! E’ grandioso!”.

“Lo so, è vero”, continuò Icarus con scarso entusiasmo, “però non è una cura sicura… dovranno tenermi in osservazione, fare delle prove. Non è detto che guarisca… e ci hanno fatto sapere che… che il metodo non è esente da rischi”.

Sunshine ascoltò il figlio, con un velo di melanconia: “Non sono molto entusiasta ma… se questa è l’unica possibilità per mio figlio di… di potersi permettere un futuro ad ali spiegate, allora…”.

“Sai che è così, mamma. Preferisco rischiare e fallire, piuttosto che starmene tutta la vita accoccolato su un cirro, con le ali bloccate da una cintura”.

“Lo so…”, ammise lei con labbra tremanti, “è che… se le cose dovessero… andare per il verso sbagliato…”.

“Ridicolo!”, berciò lui, quasi con la stessa arroganza di un tempo, “Hai visto cos’ho fatto? Ho cavalcato la tempesta! Sono il pegaso incapace di volare che ha cavalcato la tempesta! Ho viaggiato tra i lampi e mille tuoni! Sono precipitato verso il suolo e sono ancora qui, più felice che mai!”.

Sunshine, udendo quello che aveva affrontato il figlio, parve sul punto di svenire.

“Così non mi aiuti, Icarus!”, esclamò Dash.

“Ma è la verità!”, insistette, “Posso affrontare questo e ben altro!”.

“Ho bisogno di sedermi”, sussurrò la madre, prendendosi un attimo di tregua.

“Sai, Rainbow Dash”, disse infine, “il mio lato di madre vorrebbe staccarti le piume una ad una”. L’altra si nascose dietro l’ennesimo imbarazzo.

“Come puledra, tuttavia, ho visto la gioia di Icarus… non ricordo in tutta la sua vita una felicità più grande di quanto stia provando ora… ed è effettivamente merito tuo”, concluse sorridendo.

“Quindi le mie piume sono salve?...”.

“Per ora… ma se mi farai di nuovo prendere uno spavento simile… le piume saranno le ultime cose che ti rimarranno”, proferì con sguardo severo. Dash deglutì e la madre uscì dalla stanza per i preparativi di domani, lasciandoli soli.

“Me la sono vista brutta… e sono stanca morta… vorrei solo coricarmi e dormire”, sospirò Rainbow.

“Ti lascio andare, tranquilla. Te ne ho fatte passare di tutti i colori”.

“Avere a che fare con te è un impegno a tempo pieno”.

“Lo so, lo so… è difficile stare lontani da un pegaso affascinante come me”.

Le palpebre di Rainbow calarono improvvisamente: il pegaso blu ondeggiò per un istante e poi si riprese: “Uh… ascolta… non mi reggo sulle zampe, io…”.

“Vai pure, non c’è problema. Tuttavia…”.

“Cosa?”, domandò con uno sbadiglio.

“Se più tardi… dopo che ti sei ripostata, diciamo stanotte: se avessi voglia di fare un salto da me… prima della partenza di domani… mi farebbe… piacere”, farfugliò in modo sconnesso.

“Stanotte?”, chiese.

“Visto che domani dovrò partire… cioè non mi fraintendere: io odio gli addii melensi ma… volevo solo… insomma… un’ultima notte con i due campioni di Equestria insieme”, concluse con imbarazzo.

Dash sorrise: “Va bene, Casanova! Sai bene che non so resistere ad un pegaso affascinante come te”.


*** ***** ***



    L’aria era fresca e la notte perfetta: adagiati sulle nuvole sotto casa, i due pegasi osservavano un cielo stellato stupendo e terso come non mai, come accade solitamente nelle ore successive ad un grosso temporale.

Dash era sdraiata di schiena, con le zampe unite al petto e il muso sollevato in direzione delle costellazioni. Icarus si trovava accanto a lei e, a causa dell’ala, dovette coricarsi di lato, cosa che non gli impedì tuttavia di rilassarsi e bearsi dello spettacolo sopra di loro.

L’aria era fresca e inebriante. Tutt’intorno vi era la calma più assoluta, fatta eccezione per il solito sibilare gentile del vento d’alta quota.

“E’ una scemenza, vero?”, chiese Icarus, rompendo il silenzio.

“Cosa?”.

“Sì insomma… le stelle, il cielo… starsene qui imbambolati a guardare un telo nero farcito di puntini”.

“Non è vero: è molto bello”.

“Conoscendoti credo che preferiresti attività ben più movimentate”.

“Stai commettendo i miei stessi sbagli, Icarus. Una volta, per esempio, ritenevo la lettura una cosa stupida, adatta solo ai cervelloni. Poi mi sono ricreduta. Mi ci è voluta qualche settimana di degenza e una fasciatura alle ali per capirlo… ma alla fine l’ho capito… Così come ero certa delle mie convinzioni… che ho imparato a mettere in dubbio stando con te…”.

“La certezza dona molta sicurezza”, rispose l’altro pensieroso, “ma effettivamente chiude le porte e non lascia aperta alcuna possibilità. Credo tu abbia ragione, anche se mi sto ancora chiedendo cosa tu possa aver imparato stando con me… a parte ad avere pazienza, intendo”.

Dash lo guardò con sincerità: “Prima… correvo… correvo sempre. Pensavo che non ci fosse nulla che valesse la pena fare se non con velocità e la stima degli altri. Ho sempre visto scorrere il paesaggio sotto di me ad una velocità tale che… quando mi sono finalmente fermata ad osservarlo con attenzione, mi sono resa conto della bellezza che mi stavo perdendo”. Riportò gli occhi al cielo, sentendo un po’ di commozione crescere dentro di sè, e continuò: “Invece mi sarebbe bastato rallentare… per scoprire che esistono pony in grado di volare anche senza ali”.

Icarus apprezzò molto le sue parole.

“Tanto più voliamo veloci”, rispose il pegaso grigio, “tanto più ci allontaniamo da coloro che non possono volare. Sai, Rainbow… anche io credo di aver imparato qualcosa”.

“Sono tutta orecchie”.

“Io… io non rinnego me stesso: quando vieni trattato in un certo modo, fin da piccolo, cresci con delle idee difficili da cambiare, ne sono consapevole. E, credimi, non è che non abbia mai provato a comportarmi diversamente…”.

“Non credo tu debba cambiare, Icarus…”.

“Lo so… con il tempo ho imparato a non basarmi sulle opinioni degli altri e a farmi forza. Ho dovuto combattere per cose che altri pony facevano ogni giorno senza nemmeno porsi il problema… Sono orgoglioso di me stesso… anche se… in quest’ultimo periodo ho anche avuto occasione di vergognarmi di certi miei comportamenti”.

Dash riportò alla memoria qualcosa che aveva visto tempo fa su un libro: “Sai… una volta ho letto da qualche parte su un libro, ma non chiedermi quale perché non me lo ricordo, che non può esserci miglioramento senza prima provare un po’ di sofferenza”.

“Quello che ho imparato io”, aggiunse Icarus, “è che la serenità non è qualcosa che dipende solo dalla situazione. Cioè non è molto difficile essere felici in una situazione felice… ben diverso è riuscire ad essere felici sempre”.

“A meno che tu non voglia diventare un maestro spirituale”, ripose Dash con una risata, “dubito che riuscirai mai ad ottenere un simile risultato! E’ qualcosa che non riesco nemmeno a concepire!”.

“Già… pura utopia, vero?”.

“Non lo so… pensaci un attimo: una settimana fa credo tu ritenessi utopico finire a cucinare muffin con un cuoco un po’ matto… o in una boutique di bellezza, oppure al tavolo con altri pony o… a cavalcare una tempesta”.

“…O a parlare sotto le stelle insieme a te”.


    I due ripresero ad osservare il cielo in silenzio, solcato saltuariamente da qualche solitaria stella cadente. Icarus, con lo sguardo perso in mezzo al mare nero,  venne colto da un leggero disagio.

“Ti ricordi quello che ho detto stamattina? Che potrei affrontare questo e ben altro?”, chiese con voce strozzata e gli occhi umidi.

“Sì… sì mi ricordo”, rispose l’altra, intuendo che qualcosa non andava.

“Ecco… la verità è che… la mia situazione, la mia malattia… non sta certo migliorando. Ho già infranto i pronostici più ottimisti arrivando fino ad oggi…”. Dash si voltò verso l’amico e, udendo le sue parole, percepì l’aria nei polmoni venirle meno.

“E anche la cura che mi attende”, continuò, “è dall’esito incerto. Ora sono qui ad osservare il cielo, come ho già fatto in passato, e mi sto chiedendo se… se questa non sarà l’ultima volta che potrò vedere le stelle… se potrò ancora udire il sibilare del vento tra le nuvole… se arriverà ancora un altro cielo stellato…”.

Rainbow sentì un profondo dolore al petto. Continuò ad osservare Icarus, che iniziava a mostrare qualche accenno di lacrima, e tentò di dire qualcosa. Sapeva bene, tuttavia, che qualsiasi parola di consolazione sarebbe stata sprecata con lui, quindi decise di non parlare: si girò su un fianco, gli passò entrambe le zampe attorno alla vita e lo strinse delicatamente a se, cercando di non fargli male. Spalancò infine un’ala, con cui coprì quella ferita del giovane pegaso.

Icarus le affondò il muso nel petto e, con voce rotta, sussurrò: “Ho paura, Rainbow Dash…”.

I due si strinsero con forza, dimenticandosi per un istante delle ossa di caramello.

“Vorrei tanto poter dire qualcosa…”, aggiunse Dash con commozione, “qualsiasi cosa di magico, in grado di farti sentire meglio… ma l’unica cosa che so… è che quello che stiamo provando ora è la testimonianza più palese della vita e della voglia di vivere che abbiamo. Mi piacerebbe davvero tanto che questo istante potesse durare per sempre”.


*** ***** ***



    Il pegaso grigio si affacciò dalla carrozza del treno alla stazione, mostrando un sorriso come raramente si era visto sul suo volto. La locomotiva era immobile ma, dai fischi e gli sbuffi che emetteva, si intuì che si sarebbe presto messa in moto.

Sotto di lui, le amiche che aveva da poco conosciuto gli porsero i migliori auguri.

“Spero che ti piaccia”, esclamò Twilight con trepidazione, “è l’enciclopedia più completa che sono riuscita a trovare in tutta Canterlot!”.

“E’ stupenda”, rispose Icarus, voltandosi all’interno dell’ampia cabina. In ordine vide: quattro libri impilati uno sull’altro, torte di mele, un vaso con splendidi fiori, un nuovo completo da indossare e, per ultimo, un enorme cumulo di zucchero filato rosa.

“Grazie a tutte per i regali. Anche la… uh… montagna di…”.

“E’ come ti avevo detto!”, esclamò Pinkie con un balzello, “E’ soffice come la tua nuvola! E in più è… rosa! Funziona anche da cibo di emergenza!”.

“Grazie”, ripetè il pegaso con sincerità.

Al gruppo mancava soltanto Rainbow Dash. In realtà non era assente: si trovava appollaiata su una nuvola isolata, molto distante. Stava osservando la scena con gli occhi lucidi, pensando che, se fosse andata da lui prima, si sarebbe commossa al punto da scoppiare a piangere. Decise dunque di optare per un’entrata all’ultimo minuto, onde limitare gli addii strappalacrime: si tuffò in picchiata e, in brevissimo tempo, planò verso il gruppo di pony.

“Scusate il ritardo!”, esclamò, simulando un fiatone, “Arrivo appena adesso dagli allenamenti per la gara di domani!”.

Icarus sorrise, non credendo nemmeno a una parola di ciò che aveva detto.

“Allora, Casanova”, riprese l’amica, “sei pronto per partire?”.

“In verità avrei preferito rimanere qui con voi, ora che vi ho conosciuto. Però… questa è una cosa che non può aspettare”.

“Già, è la cosa giusta… ah, senti”, disse con un certo imbarazzo, “io non ti ho portato alcun regalo d’addio… non… non sono molto ferrata in questo genere di cose”.

“Non ti preoccupare”, la tranquillizzò, “mi hai già regalato più di quanto potessi fare”.

“Sì, però…”. Il fischio della locomotiva li interruppe bruscamente e si sarebbe messa in moto da un momento all’altro.

“Dai, Rainbow”, rispose Icarus, “sappiamo entrambi che non ci piacciono gli addii melensi…”.

“E poi… non è detto che questo sia un addio”.

“Lo spero con tutta l’anima. E, se dovessi averne la possibilità, promettimi… anzi promettetemi tutte che verrete a trovarmi”.

Il gruppo acconsentì con entusiasmo. Solo Dash non esultava, continuando ad osservare l’amico con vaga tristezza.

    L’intera colonna di carrozze ebbe un sussultò ed il treno cominciò lentamente a muoversi. I pony ripresero a salutarlo calorosamente, vedendolo allontanarsi progressivamente verso la propria destinazione.

Rainbow non disse nulla e si limitò a guardare, mentre la velocità della locomotiva continuava ad aumentare.

Quando il treno fu poco distante dalla stazione, Twilight sussurrò: “Spero davvero che possano aiutarlo. Se lo merita”.

“A me piace così com’è… con le ossa di caramello”, rispose Pinkie Pie con tono smorzato.

Dash si sentì improvvisamente spaesata, come persa nel vuoto, e iniziò a guardarsi attorno, colta da un’improvvisa agitazione. Alla fine, non riuscì più a trattenersi: spiccò un balzo e raggiunse in volo la carrozza che trasportava il pegaso. Le amiche osservarono la scena con stupore.

“Icarus!”, urlò, cercando di prevalere sul rumore del treno in accelerazione.

L’amico si affacciò nuovamente e, passandosi uno zoccolo sotto gli occhi, esclamò: “Che stai facendo?? Avevo detto niente addii melensi!”. Il treno prese velocità e Rainbow iniziò a perdere lentamente terreno.

“Icarus, ascolta!”, continuò lei ad alta voce, “Domani! Domani, quando l’orologio segnerà due rintocchi spaccati!...”.

“Cosa accadrà domani??”.

“Qualsiasi cosa succeda, ai due rintocchi, alza gli occhi verso il cielo, in direzione di Ponyville! Hai sentito??”.

Icarus le rispose ma era troppo lontano affinché potesse udirlo chiaramente, subito prima di rallentare ed atterrare, col fiato in gola.

“Domani”, ripetè Dash sottovoce, “domani ai due rintocchi…”.

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Capitolo 4
*** Epilogo ***


I concorrenti erano sulla linea di partenza, in trepidante attesa che scoccasse il segnale d’avvio.

La folla esultava eccitata e si sarebbe potuta afferrare le tensione nell’aria, tanto era presente.

Ogni pegaso si mise in posizione e prese a battere freneticamente le ali da fermo, preparandosi alla partenza imminente. Un assordante rumore, simile a mille calabroni impazziti, si diffuse per l’intero stadio nuvoloso.

Rainbow era in prima fila, con sguardo fiero e sicuro di sé. Accanto a lei, Thunderlane le lanciò un’occhiata d’intesa ed i due si scambiarono un sorriso di compiacimento.

Dopo pochi secondi di crescente agitazione, ci fu il segnale e i concorrenti si scatenarono.

Dash fece una delle migliori partenze di tutta la sua vita, distaccando immediatamente di qualche metro il gruppo. Il pubblico esplose e l’annunciatore prese a commentare con foga la mirabolante prestazione del pegaso dalla chioma multicolore.

La formazione si diresse rapidamente alla fine del rettilineo, pronta ad affrontare la prima curva, ma mentre i partecipanti presero ad inclinarsi, per imboccare il tracciato, Rainbow non modificò la propria traiettoria e proseguì.

Il pubblico emise versi di sorpresa, mentre l’annunciatore balbettava incredule frasi di stupore.

Il pegaso iniziò a cabrare sempre di più, fino a salire verticalmente verso le sommità dei cieli. Lo stadio dietro di lei si fece sempre più lontano. Superò diversi livelli di nubi, cumuli e nembostrati, giungendo infine nelle altitudini più rarefatte, ancora troppo lontane dai cirri, ma già sufficienti a poterli vedere chiaramente. Si fermò a riprendere fiato.

    Sotto di lei, il paesaggio di Equestria si manifestò in completo splendore. Dash lanciò uno sguardo verso la lontana casa di Icarus, ormai disabitata: un piccolo punto bianco nell’azzurro. Riportò quindi l’attenzione verso una macchia indistinta a terra, Ponyville, e, per un istante, le tornarono in mente le vicende degli ultimi giorni. Rivisse rapidamente il primo incontro con Icarus, le sensazioni di disagio, la visita finita male, la chioma del pegaso ricoperta di farina, il suo interesse nella biblioteca e poi il vestito, il pranzo, Fluttershy, per finire con la tempesta ed il discorso sotto il cielo stellato.

Ebbe un momento di commozione, poi sussurrò: “Spero tu stia guardando, Icarus…”, e si tuffò in picchiata.

Scese sempre più velocemente, sempre più rapidamente, fino a dover serrare le palpebre per via del vento negli occhi. Il corpo le mandò chiari segnali di avvertimento, che vennero prontamente ignorati, non appena il pegaso iniziò a percepire una resistenza dell’aria via via maggiore.

Attorno a lei iniziarono a formarsi scie biancastre sempre più fitte finché, trovandosi ormai non molto distante dallo stadio, percepì un boato assordante e un’intensa luce la investì completamente.


    Icarus continuava a controllare pazientemente l’orologio, in attesa che la lancetta dei minuti si spostasse sul dodici. Il treno su cui viaggiava era ormai lontano da Ponyville, svanita all’orizzonte molte ore prima.

Finalmente batté due rintocchi e il pegaso si affacciò rapidamente alla finestra della cabina, scrutando il cielo con attenzione. Passarono pochi minuti e non accadde nulla: iniziò a pensare che qualcosa fosse andato storto quando, all’improvviso, un flebile chiarore comparve dove cielo e terra si uniscono. Seguì un’esplosione sonora, simile ad un tuono, che investì il convoglio, facendo tremare tutte le carrozze per qualche istante. La chioma di Icarus vibrò, spazzata all’indietro da una folata di vento.

Poi lo vide: un grosso cerchio sfumato, con i colori dell’iride, prese lentamente a diffondersi nell’azzurro, trascinando via le nubi a bassa quota. Le vallate si dipinsero dei riflessi cangianti dell’arcobaleno e gli occhi umidi del pegaso presero a riflettere come uno scpecchio.

“Cos’è successo?”, chiese la madre dietro di lui, preoccupata dal trambusto.

Icarus si girò, con il volto rigato dalle lacrime e il riflesso di mille colori, proveniente dalla finestra alle sue spalle.

“Sai cos’è succeso?”, rispose con voce comossa, “E’ successo che i più grandi campioni di Equestria si sono incontrati. E’ successo… che un pegaso che non poteva volare dimostrasse che non bisogna avere le ali per poterlo fare. E’ successo che chi inseguiva la vetta lontana imparasse che l’importante è godersi il viaggio e non dover raggiungere necessariamente la meta”. Il pegaso si asciugò gli occhi: “Ecco che cosa è successo. E, nonostante i miei timori, è proprio grazie a tutto ciò se mi sento più vivo che mai, oggi”.

    Il treno proseguì per il suo cammino, percorrendo in lungo e in largo le colline che lo avrebbero condotto a destinazione. Si allontanò sempre di più, fino a scomparire all’orizzonte.

Il cielo, dopo lo strano fenomeno, divenne terso e limpido come non mai.

Nessuno avrebbe potuto vederli chiaramente da terra ma, a migliaia di metri di distanza, i cirri volavano alti, completamente imperturbabili dalla forza che aveva spazzato via ogni altro tipo di nuvola.  photo Icarus_9.jpg

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