Mutamenti

di Lantheros
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Un Debole Sorriso ***
Capitolo 2: *** Luci nella Foresta ***
Capitolo 3: *** Risate nell'Ombra ***
Capitolo 4: *** Pietra e Stoffa ***
Capitolo 5: *** Ricordi ***
Capitolo 6: *** L'Altro Cielo ***
Capitolo 7: *** Niente è per Sempre ***
Capitolo 8: *** Cuore di Pietra ***
Capitolo 9: *** L'Ombra di un Ricordo. Il Ricordo di un'Ombra. ***
Capitolo 10: *** Oltre l'Apparenza ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo - Un Debole Sorriso ***


“Osserva attentamente l’orizzonte. Che cosa vedi?”, le chiese la madre.

La piccola si concentrò sul paesaggio bucolico, che si intravedeva dalla finestra: “Io… vedo il cielo… le distese erbose, le colline”.

“Non c’è nient’altro, secondo te?”.

L’altra si fece pensierosa.

“Uhm… gli alberi?”, chiese con insicurezza.

“Mia cara Celine, nella vita esistono cose che si possono osservare con gli occhi… e cose sfuggevoli, in grado di ingannare i nostri sensi”.

“Mamma… non capisco”.

“Sai cosa vedo io?”, continuò la madre, con un dolce sorriso, “Vedo una terra ricca e fertile. Vedo la vita sbocciare in ogni angolo del mondo. Sento le risate, la gioia ed anche i pianti ed i turbamenti di mille entità diversificate. Anche tu dovrai imparare a percepire le possibilità come una potenziale realtà. Sarà il tuo primo passo per adempiere al tuo destino”.

“Il mio destino?”, chiese, corrugando un sopracciglio.

“Non ti preoccupare”, la rassicurò, “Presto ti sarà tutto più chiaro”.



*** ***** ***



    Ci fu un tempo, in un luogo lontano e ormai dimenticato, in cui il Mutamento ebbe inizio. Un tempo e un luogo immemori, distanti da tutto ciò che si potrebbe definire familiare.

Prima ancora che zoccolo si posasse sul terreno, prima ancora che le ali sferzassero l’aria nel cielo, prima ancora di poter udire le voci della vita, il Creato era un ribollente calderone di caos.

Le lande si stagliavano a perdita d’occhio, lasciando posto ad erbose colline e montagne così massicce da scomparire tra le nubi di bassa quota. La vegetazione, dai piccoli cespugli alle querce imponenti, dipingeva casualmente il paesaggio con trame maculate, quasi si trattasse della tela di un pittore un po’ folle.

    In mezzo all’ enorme Mutamento, si ergeva una zona di apparente stabilità: un posto sicuro, ricoperto da un curioso assembramento di enormi arbusti, dai rami sorprendentemente nodosi. Qualcuno ne aveva trasformato l’interno legnoso in un luogo in cui vivere, ricorrendo a poderose forze magiche per evitare che la pianta soffrisse e morisse. Curiose finestre asimmetriche e piccole balconate sbucavano qua e là tra il fitto fogliame.

Intorno vi era radura erbosa a perdita d’occhio, delimitata da una fitta foresta ai piedi delle montagne. Un fiume poco distante, quando il sole lo colpiva con la giusta angolazione, iniziava a scintillare, come tempestato di diamanti.

Il vento diurno scorreva dolce e tiepido sull’erba, creando moti ondosi dalle sfumature dorate. Di notte, invece, il cielo si arricchiva di stelle e satelliti luminosi dalle dimensioni più disparate, completando il quadro con i versi delle creature notturne.

Chiunque si fosse trovato in quel luogo, strano e suggestivo, avrebbe sicuramente percepito qualcosa di misterioso e arcano, come misteriosi e arcani erano gli abitanti: nessuno avrebbe saputo dire cosa fossero o da dove fossero venuti. Semplicemente, un giorno, giunsero dal cielo, ad ali spiegate e con chiome fluenti: stalloni e puledre dai manti color avorio, dalle scure tonalità dell’onice o scintillanti come smeraldi. Creature mistiche, dotate di corni magici dalle capacità strabilianti. Dèi, forse? Sarebbe stato difficile pensare il contrario.

Con i loro poteri costrinsero il caos a eclissarsi di fronte all’ordine, in quella grande radura, e fecero crescere le loro abitazioni da un giorno all’altro. Non erano molto numerosi, una dozzina appena, ma compirono in pochissimo tempo ciò che creature comuni avrebbero realizzato in mesi o forse anni.

   

Quello fu il tempo di un luogo dimenticato, in cui il Mutamento ebbe fine… solo per ripresentarsi più forte che mai, attraverso qualcosa che solo il cuore, e non l’occhio, avrebbe potuto comprendere.



*** ***** ***


    Celine distolse lo sguardo dalla finestra, riportandolo sul volto della madre: una splendida puledra color latte e dalla fluente chioma simile alle fronde dei salici. I due alicorni si trovavano ai piani superiori dell’abitazione arborea, dentro la stanza della piccola.

“Continuo a non capire, mamma…”, sbuffò.

“Capirai, presto capirai”, la rassicurò.

La puledrina aveva lo stesso manto di Ivory, sua madre, ma la criniera era più semplice, caratterizzata dalle tonalità del cielo e dei campi d’erba selvatica. Era anche molto giovane, con soli nove anni sulle piccole spalle.

“E poi c’è un’altra cosa”, aggiunse Celine.

“Cosa?”.

“Perché siamo dovuti andare via dal cielo e venire qui, sulla terra?”.

La madre sorrise e cercò di essere comprensiva: “So che avresti voluto rimanere tra i Lidi Celesti, piccola mia. E’ importante, però, che tu sia qui.”.

“Perché? Qui non conosco praticamente nessuno… e, effettivamente, non c’è nessuno nel raggio di chilometri”.

“Comprendo come ti senti”, continuò la puledra, passandole delicatamente una zampa sulla chioma, “E so che potrà sembrarti una cosa priva di senso”.

“Non dirmelo”, la anticipò, ruotando gli occhi verso l’alto, “Ora non posso capire ma presto sarà così, non è vero?”.

L’altra rispose con una risata innocente: “Sì, certo! Ma comunque sappi che sei qui per imparare più cose possibili su questo posto… cose che, sui Lidi Celesti, avresti solo potuto osservare”.

Celine fece un balzo sul materasso del letto, sorretto da un’impalcatura di lucida pietra runica, e appoggiò le zampe anteriori sul davanzale della finestra: “Imparare?”, sbottò, osservando la prateria sterminata, “Cosa c’è da imparare? Qui non c’è niente! Solo… erba e… piante e… altra erba!”.

Ivory sorrise di nuovo, beandosi della tenerezza per la figlia: “Come ho detto, piccola mia: alcune cose le vedi con gli occhi… altre… le vedi col cuore”.

La figlia percepì quelle parole come una vuota cantilena ma il suo entusiasmo si riaccese quando, all’improvviso, una figura scura saettò rapidamente all’esterno della finestra, accompagnata dal rumore di un battito d’ali.

“Papà è tornato!”, urlò con entusiasmo.


    Celine scese rapidamente le scale e si portò all’esterno, dove un maestoso stallone blu notte si ergeva sul terreno ad ali spiegate, appena conclusosi l’atterraggio. La sua chioma era fluida come acqua e, al suo interno, pareva balenare un cielo notturno tempestato di stelle. Gli occhi brillavano come oro fuso e, tra i denti, teneva serrata una briglia, collegata ad un paio di tiranti: questi terminavano su un grosso piedistallo fluttuante, a sostegno di un ingombrante oggetto indefinito, coperto da un telo.

“Papà!”, ripetè la piccola.

L’oscuro alicorno posò le briglie e accolse con piacere la figlia, pur mantenendo un certo distacco: “Ciao Celine. Ti sono mancato?”.

“Oh… beh, sì…”, rispose, con guance un po’ arrossate.

“Bentornato Dedalo, mio nero stallone“, lo derise giovialmente la compagna.

I due sorrisero e si sfiorarono reciprocamente la fronte, incrociando i corni.

“Cos’è quello?”, chiese la piccola, con il volto illuminato di curiosità.

Il padre abbassò il collo e si avvicinò a Celine: “E’ una sorpresa”.


    Il misterioso oggetto venne trasportato in casa e collocato al centro di una stanza adibita a laboratorio, ricolma di tomi polverosi, oggetti arcani e strane pietre luminescenti.

Dedalo strattonò il telo e lo fece cadere a terra, rivelando un semplice masso squadrato, estremamente voluminoso e simile al granito.

“Un sasso?”, berciò Celine, allibita, “Mi hai portato un… sasso?”.

“E’ quello che penso?”, chiese Ivory, osservando la pietra.

“Sì, mia cara, è il minerale incantato che cresce solo nel Mare Cinereo: il Mutamento dove prendono forma le conformazioni geologiche più interessanti”.

“Tu sei matto”, lo ammonì la puledra, “Sai quanto è pericoloso quel luogo?”.

“Tranquilla. Sai bene che sono molto prudente”.

“Che ci facciamo con questo coso?”, riprese Celine, delusa.

Il padre iniziò ad estrarre magicamente alcuni testi dalla libreria, vagliandoli uno per uno. Ad un certo punto esclamò: “Ecco qui: Animazione Effimera!”.

“Pensi possa funzionare?”, chiese la compagna.

“Non ne ho idea. Fino ad ora questi incantesimi sono stati utilizzati per animare oggetti basilari e per la durata di poche ore. Ma non vedo perché non dovremmo provare”.

“Non sarà… pericoloso?”.

Dedalo scosse il capo: “Sai bene come funziona la magia… è imprevedibile. Ma confido nelle nostre capacità. In caso di necessita”, aggiunse, “c’è sempre il contro incantesimo per distruggerlo”.

Il piccolo alicorno spostava freneticamente lo sguardo da un genitore all’altro, cercando di decifrarne le rispettive parole.

Lo stallone, dopo aver letto attentamente alcuni passi del libro, lo posò su una scansia e dichiarò: “D’accordo… proviamoci: state indietro”.

    La voce dell’incantatore cambiò immediatamente inflessione, assumendo tratti di riverbero mistico e sovrannaturale. Il corno sulla fronte prese a brillare debolmente e, dopo qualche istante, gli oggetti nella stanza iniziarono a vibrare.

Celine, leggermente intimorita, fece qualche passo indietro, urtando per sbaglio un leggio, su cui vide scorrere il calamaio, tanto erano forti le vibrazioni. L’intero edificio parve vittima di scosse di assestamento: soprammobili franarono al suolo e si udirono alcuni cocci spargersi per il pavimento.

Un gufo legnoso prese a bubolare improvvisamente, alcune sedie iniziarono a contorcersi tra scoppi di corteccia ed un libro d’ornitologia decise semplicemente di volare fuori dalla finestra, sbattendo la copertina.

La piccola ebbe paura, presto sostituita dalla meraviglia.

Un fulmine luminoso proruppe dal corno di Dedalo, investendo in pieno il masso, che si arricchì di venature multicolore, prima di esplodere sonoramente.

L’onda d’urtò scaglio frammenti e polvere ovunque, creando una fitta cortina fumosa. Gli alicorni presero a tossire insistentemente.

“Mamma! Papà!”, urlò Celine, cercando di vedere attraverso la polvere, “Dove siete? Cos’è successo?”.

Una piccola sfera di luce comparve sulla fronte della madre, illuminando meglio la stanza e permettendo alla figlia di raggiungerla con trepidazione.

“Che botto!”, esclamò lo stallone, visibilmente divertito.

“Ma cosa ridi?”, disse la madre con sguardo severo, “Guarda che disastro!”. La libreria era rovinata a terra ed il posto sembrava postumo dal passaggio di un branco di draghi.

“Questo lo sistemiamo. Guarda lì, piuttosto!”.


Di fronte alla famiglia, dove prima si ergeva il masso, c’era ora una imponente statua grigia, del tutto simile ad un pony adulto: soltanto la base delle zampe era un po’ più massiccia del normale, ed il volto incorniciato in un debole sorriso. Gli occhi erano privi di pupilla, donandogli, nel complesso, un aspetto vagamente inquietante.

“Cosa… cos’è quello?”, chiese timidamente Celine.

“Sai”, rispose la madre, “io e tuo padre avevamo pensato di darti un po’ di… compagnia, per le occasioni in cui i doveri dovessero tenerci lontani”.

“Compagnia?”.

“Sì, piccola”, riprese Dedalo, “questo è un golem: un costrutto incantato che veglierà su di te”.

Il giovane pony osservò la statua con sguardo indeciso: “Cioè… quell’affare è vivo?”.

Lo stallone iniziò a rovistare tra i libri per terra, all’apparente ricerca di qualcosa: “Vivo? No, si tratta di un semplice oggetto animato. Ma potrà comunque starti vicino se ne avrai bisogno”.

“Dici sempre che non conosci nessuno… che non hai amici da queste parti”, aggiunse Ivory.

“Dovrei diventare amica di… di una statua? E poi non mi sembra si stia muovendo”.

“Questo perché”, biascicò il padre, estraendo un piccolo portagioie dal disordine, “gli manca ancora questo”.

L’incantatore ne rivelò il contenuto: una gemma vermiglia grossa quando una mela e dal taglio a lacrima. Si avvicinò al pony di granito, identificando una insenatura sul petto, che avrebbe ospitato perfettamente il monile, e lo incastonò al suo interno. Il corno sfiorò delicatamente la base del collo della statua e, unitamente ad alcune parole, provocò un’intensa luminescenza rossa alla gemma.

Tutti fecero qualche passo indietro.

“Beh?”, esclamò la figlia.

“Uhm… non capisco”, rispose l’alicorno, riprendendo a sfogliare qualche altro libro, “Aspetta, forse ci sono. Golem: avvicinati”.

Per qualche istante non accadde nulla ma, poi, lo stallone di granito prese a muoversi verso i presenti, con passi lenti e pesanti, facendo scricchiolare il parquet e riversando la polvere che gli si era accumulata sulla groppa. Alcuni oggetti sul percorso vennero inavvertitamente sbriciolati dalla massa del costrutto.

Celine aprì la bocca dallo stupore e la madre sbottò: “Dedalo! Ha appena distrutto quel fermacarte!”.

“Oh, scusami, cara! Golem: fermati!”. Il golem si arrestò.

“Forte!”, sussurrò la piccola.

“Ah! Funziona!”, esultò il pony dal manto stellato.

“Spero ne valga la pena. Il tuo… pony di pietra ci è costato mezzo laboratorio, quasi…”.

“Beh, è stato creato per nostra figlia ma potrebbe aiutarti nelle faccende domestiche, no?”.

“Può farlo?”, si domandò la compagna, osservando il costrutto con diffidenza.

    La testa del golem si mosse lentamente verso di lei, producendo un rumore simile a pietre scricchiolanti, e parlò. Fu una sorpresa per tutti constatare come il golem non parlasse attraverso la bocca, che era solo scolpita sul muso, e quindi immutabile, ma bensì attraverso gli occhi: la voce usciva atona, inespressiva e priva di personalità, come un qualche tipo di vibrazione arcana, accompagnata da bianca luce oculare che cresceva o diminuiva d’intensità a seconda della cadenza del suono.

“Il golem eseguirà al meglio le volontà dei loro creatori”, rispose la statua.

“Oh… bene”, farfugliò l’alicorno bianco, “Tra l’altro… perché sorride?”.

Dedalo si passò uno zoccolo sotto al mento: “Il libro diceva di immaginare la forma che avrebbe dovuto avere la creazione e, pensando a nostra figlia, mi è venuta in mente la figura di un pony vagamente sorridente”.

“Sì, mi pare una buona scelta”.

Intanto, la piccola Celine si era avvicinata cautamente alla strana creatura, che aveva risposto osservandola con la testa piegata su un lato, quasi volesse mostrare una crescente curiosità.

“Ti piace?”, chiese dolcemente la madre.

“Io… io non saprei. E’ strano”.

“Golem”, dichiarò il padre con tono autoritario, “io sono Dedalo e loro sono Celine e Ivory. Siamo i tuoi creatori. Il tuo compito è servirci. Non dovrai fare altro se non questo, e occuparti della piccola. Hai capito?”.

“Il golem comprende, mio creatore”, rispose immediatamente, con intensa luce bianca.

“Ottimo. Non dovrai prestare attenzione e tantomeno non dovrai ubbidire a nessun altro a parte noi. La tua priorità è vegliare su Celine, ad ogni costo”.

“Il golem comprende ogni parola, mio creatore”.

“E…”, aggiunse la madre un po’ timidamente, “che ne diresti di dare una sistemata a questo caos?”.

Il costrutto si guardò attorno, alzò uno zoccolo e vide i resti del fu fermacarte: “Il golem… chiede perdono. Il golem provvederà a porre rimedio al meglio delle proprie capacità”.

“Oh, grazie al cielo”, sospirò Ivory.

“Visto? Sarà utile per tutti. Inoltre ho intenzione di istruirlo su concetti basilari, in modo che sia in grado di rispondere al meglio alle nostre esigenze”.

La madre posò lo sguardo sull’incuriosita Celine, intenta ad osservare il golem nei primi tentativi di ripulire la stanza: “C’è da fidarsi a lasciarli soli?”.

“Non temere. Effettuerò diagnosi periodiche per monitorare i suoi livelli entropici. Se dovessero fuoriuscire dai limiti, non esisterò a prendere provvedimenti”.

La compagna non parve completamente convinta: “E’… è solo un costrutto animato, giusto?”.

“Certo. Che altro dovrebbe essere?”.

“E’ solo forza magica, no? Come una zampa dentro la marionetta?”.

“Uh… sì più o meno. Solo forza magica, con dei limiti imposti dall’incantesimo che gli impediscono di disubbidire o danneggiare altre forme di vita”.

“Quando ero piccola”, concluse Ivory, con lo sguardo fisso sulla gemma luminosa del golem, “osservavo spesso gli spettacoli di marionette. Certe volte… mi sembravano così… vive”.  photo Mutamenti_01.jpg

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Capitolo 2
*** Luci nella Foresta ***


Era da poco calata la notte. Celine si trovava nella propria stanza, illuminata debolmente da una piccola “lucciola” che baluginava sul corno della madre. Il costrutto, in un angolo della stanza, osservava in silenzio la coppia.

“Mamma”, si lamentò, “Sono grande! Non ho più bisogno che mi rimbocchi le coperte”.

Ivory sorrise: “Tu sei grande… ma io sono pur sempre una mamma”, concluse, dandole un bacio sulla fronte.

“Lui… rimarrà lì?”, chiese la figlia, indicando il golem.

“Certo: rimarrà fermo in attesa di una tua richiesta. La cosa ti crea qualche problema?”.

“E’ un po’ strano… ma avere un pony di pietra pronto a difendermi è… forte!”.

“Brava soldatina”, concluse, con un altro bacio.

Gettò un ultimo sorriso verso la figlia accoccolata, prima di uscire e chiudere la porta.

La stanza si fece buia.

    Celine riaprì gli occhi dopo pochi minuti, scrutando l’angolo della stanza, appena illuminato dal rossore del petto del golem. Sulle prime gli fece un po’ paura, immobile e con lo sguardo inespressivo, ma il piccolo sorriso sulle sue labbra di pietra lo rendeva meno spaventoso, anche nell’oscurità.

Sulla parete riconobbe la proiezione ombrosa degli stipiti della finestra, sintomo che una o più lune erano alte nel cielo.

Si fece cullare dalla dolce cantilena degli insetti nell’erba, sentendo le palpebre sempre più pesanti.


    All’improvviso, gli occhi le si spalancarono nuovamente: le ombre nella stanza presero a tremolare e moltiplicarsi, come se dall’esterno della finestra si fossero create altre fonti di luce.

Il piccolo pony alzò istintivamente la testa, rivolgendola all’esterno delle vetrate: in lontananza, quasi al limitare della radura, dove iniziava la foresta, vide qualcosa di strano. Era buio ma c’era sufficientemente luce riflessa da riconoscere le sagome degli alberi.

Una strana bolla lucente danzava tra i rami, generando scie luminose tra gli spiragli delle foglie. Era qualcosa di molto strano: sulle prime pensò che potesse essere qualche alicorno che abusava un po’ troppo di incantesimi ma, poi, uno strano avvenimento le fece raggelare il sangue: la luce in lontananza si spense di colpo e percepì chiaramente una voce alle sue spalle sussurrarle qualcosa.

Girò la testa, trattenendo un urlo, ma non vide nessuno. Il golem era immobile, esattamente come un attimo prima.

“Golem! Golem!”, balbettò, “Hai sentito??”.

Il costrutto girò il capo verso di lei e le rispose, illuminando ritmicamente la stanza con gli occhi: “Il golem ha solo percepito la padroncina chiamarlo”.

“Che… che mi sia sbagliata?”.

“Golem non comprende”.

La luce tra gli alberi si riaccese, ricreando i fenomeni di ombre danzanti nella stanza del piccolo alicorno.

“Ecco! Guarda! Vieni a vedere!”.

Il golem, con tipico passo pesante, si avvicinò al letto ed osservò il paesaggio.

“Il golem riconosce una luminescenza in lontananza”.

“Che cos’è?”, chiese preoccupata.

“Il golem non possiede dati sufficienti per una risposta esaustiva”.

Celine si strinse istintivamente al petto del costrutto, irrigidendosi quando percepì l’inaspettato freddo della pietra.

La luce si affievolì di nuovo e, questa volta, le voci alle sue spalle si udirono chiaramente, come un sussurro veloce: “Mi chiamo…”.

L’alicorno si spaventò così tanto da capitolare giù dal materasso. Il golem le balzò quasi addosso, osservando analiticamente la stanza, alla ricerca di eventuali pericoli.

“Golem! Ho paura! Cos’è stato?”, sussurrò, coprendosi il volto con le zampe.

“Golem… golem non ha visto o udito nulla. Inoltre: definisci paura”.

“Come?”, balbettò Celine, aprendo un occhio verso di lui.

“Il golem non conosce la definizione del termine paura e non potrebbe agire di conseguenza”.

Il pony parve calmarsi leggermente, scrutando le ombre nella stanza e aspettandosi chissà quale presenza al loro interno: “La paura è…”, riprese, “la paura è quella sensazione… che ti fa spaventare”.

Il costrutto inclinò la testa in segno di incomprensione: “Golem non comprende. Definisci sensazione”.

L’altra si alzò timidamente per osservare di nuovo il paesaggio dalla finestra: “Le sensazioni sono… sono quelle cose che ti senti dentro”.

“Golem non comprende”.

    Per quasi un’ora Celine rimase inchiodata alla finestra, temendo che il fenomeno si potesse ripetere, ma non accadde più nulla. Cercò di rimettersi a dormire, ancora un po’ agitata e combattuta dal desiderio di precipitarsi dai genitori.

“Mi raccomando, golem”, aveva dichiarato, prima di tirarsi le coperte fin sopra il muso, “Se vedi di nuovo quella luce… svegliami… oppure va a chiamare mamma e papà, ok?”.

“Sarà fatto, padroncina. Forse”, aggiunse infine, “questo potrebbe aiutare la padroncina a combattere ciò che il golem non comprende? La paura?”. Con quelle parole, fece sì che gli occhi continuassero a proiettare una debole luce bianca in tutta la stanza, eliminando un po’ di penombra.

Celine parve apprezzare: “Sì… sì va meglio. Grazie, golem”.

“Golem sta solo compiendo il proprio dovere, mia creatrice”.   



*** ***** ***



    Il giorno seguente, a pranzo, il piccolo alicorno non aveva molto appetito.

“Qualcosa non va, piccina? Perché non mangi?”, chiese la madre.

Celine osservò i pezzi di verdura che galleggiavano nel minestrone, sotto il suo muso.

“Non… non è niente. Soltanto non ho molta fame”.

“La mamma ha messo troppo sale nella minestra?”, chiese Dedalo, con il chiaro intento di stuzzicarla. L’altra lo fulminò con lo sguardo.

“Oh, no, no. Il minestrone è buonissimo. Ho solo poca fame”.

Dopo una breve pausa, il padre si girò verso il costrutto, silenziosamente appostato ad un lato della stanza: “Allora… com’è andata stanotte? Il golem ha fatto la guardia al mio piccolo pony?”.

Il costrutto fece per rispondere ma Celine lo bruciò sul tempo, per zittirlo: “Uh… sì sì! Lui ha… vegliato su di me per tutto il tempo: ha anche fatto un po’ di luce per tenermi compagnia!”.

“Oh. Beh, è una buona cosa”, ammise, un po’ sorpreso.

“Il golem non deve utilizzare le proprie capacità per illuminare le stanze, forse?”, chiese lo stallone di granito.

“No, no: va benissimo. Anzi, ottima idea”.

“Oggi cos’hai intenzione di fare, piccola mia?”, chiese la madre.

“Uuh…”, balbettò l’alicorno, “Pensavo di… fare un giro per la prateria”.

“Davvero? Strano… ho sempre pensato che odiassi andare in giro per la distesa erbosa”.

Celine cercò di racimolare qualche parola: “Beh… sì, di solito non mi è mai interessato particolarmente. Insomma: fili d’erba… una buca ogni tanto… un cespuglio morente… altri fili d’erba… Non è proprio il massimo del divertimento…”. I genitori si guardarono interdetti.

Gli occhi del pony presero a scorrere per la stanza, alla ricerca di qualcosa cui ispirarsi, e si fermarono sul costrutto: “Però… però ora posso andarci col golem! Sarà più divertente! Vero golem?”.

“Definisci divertimento”. La puledrina rispose ai genitori con un sorriso imbarazzato.

“Uhm… d’accordo”, concluse la madre, poco convinta.

“Ora che c’è il golem con lei”, disse il compagno, “possiamo continuare le nostre ricerche con tranquillità. Inoltre, tutti gli altri alicorni qui in giro saranno probabilmente fuori a compiere i loro studi: il golem è ciò che ci vuole per vegliare su di lei”.

“Basterà?”.

“Ma certo. Golem”, dichiarò, rivolgendosi al costrutto, “veglia attentamente su Celine ed impediscile categoricamente di superare i confini per il Mutamento”.

“Golem eseguirà come da volere dei creatori”.

    La piccola sorrise, chiese il permesso di congedarsi e corse in camera sua per prepararsi ad uscire.

“Ah, e mi raccomando”, aggiunse la madre, prima che i due varcassero l’uscio, “ti voglio a casa prima che cali il sole, intesi?”.



*** ***** ***



    Due pony, di cui uno composto di materia minerale, si muovevano lentamente nell’immensa prateria lambita dal vento. Il cielo era terso ed il sole illuminava la distesa, donandole stupendi riflessi dorati. L’erba era così alta che Celine avrebbe dovuto saltellare per vedere dove stava andando, così il costrutto era di fronte a lei e faceva da apripista, creando un tunnel di piante calpestate e facilitandole enormemente il cammino.

“Dove vuole recarsi, padroncina?”.

L’altra pensò bene a cosa rispondere: “Ecco… mi piacerebbe… vedere la foresta da vicino”.

“La foresta è sul limitare del Mutamento, padroncina. E’ proibito categoricamente andarci”.

“Lo so, stai tranquillo. Voglio solo vederla da fuori”.

Il costrutto si fermò per un istante. “Compromesso accettabile”, proferì infine, riprendendo a camminare.

    Quando furono ad un centinaio di metri dagli arbusti, il golem parlò: “Proseguire oltre sarebbe contrario al volere dei creatori”.

Il giovane pony si era diretto proprio verso la foresta in cui aveva visto la luce danzare, curioso di scoprire cosa potesse essere.

“Uh… sì. Più avanti c’è il Mutamento. Ma è ancora lontano. Secondo me possiamo ancora avvicinarci un poco”.

“Impossibile”, concluse lapidariamente il golem.

“Dai… solo qualche metro”.

“Impossibile”.

Celine squadrò i grossi zoccoli del compagno, stabilendo che, se fosse corsa via, non sarebbe mai riuscito a starle dietro.

“Ah sì?”, chiese, con un sorriso beffardo, e partì al galoppo verso il luogo proibito.

Il costrutto, con uno scatto incredibilmente fulmineo, incollò una zampa al terreno, pinzando la coda all’alicorno.

“Ahia!”, urlò, con il sedere a terra, “Mi hai fatto male alla coda!”

“Compromesso accettabile, per evitare ulteriori danni alla padroncina”.

“Stupido golem!”.

“Definisci stupido”.

“Tu! Tu sei stupido!”, urlò.

“Errato: golem non è uno stupido, golem è un costrutto”.

Celine rivolse un gridò di rabbia al cielo.

Poi, in un lampo, un’idea le balenò per la testa.


    “Ehm, goleeem?”, proferì con tono accattivante.

“Sì, padroncina?”.

“Tu hai il dovere di proteggermi, giusto?”.

“Corretto”.

“Se io fossi in pericolo, tu dovresti aiutarmi o semplicemente impedire che mi succeda qualcosa di brutto, vero?”.

“Analisi approssimativa ma corretta”.

“Hai visto la luce di ieri?”.

“Confermo”.

“Cosa accadrebbe se quelle strani luci… e le voci che ho sentito… fossero qualcosa di cattivo che vuole farmi del male?”.

Il costrutto fece una pausa: “Allora il golem cercherebbe di intervenire”.

“Ah sì?”, chiese beffardamente, “E come? Può il golem combattere luci e voci?”.

La testa del pony di pietra si inclinò: “Il… il golem… il golem potrebbe…”.

“Le voci le sento solo io. E se mi facessero star male? Se mi dicessero cose brutte o mi facessero soffrire? Come potrebbe il golem impedire tutto questo?”.

La sclera di pietra prese a scintillare di colori cangianti, come se il golem stesse cercando di portare ordine nel proprio conflitto interno.

“Te lo dico io come”, riprese l’altra, “Entrando e andando a vedere cos’era e, se il caso, eliminando ciò che potrebbe danneggiare la padroncina… Perchè golem non saprebbe come opporsi altrimenti”.

La statua animata si bloccò di colpo, come se immaginari ingranaggi nella sua testa fossero saltati via all’improvviso: “Il ragionamento della padroncina è… discutibile. Il golem comprende tuttavia il filo logico del discorso. Golem non è però sicuro che…”.

“Perfetto! Andiamo!”, gridò felice Celine, trotterellando verso la foresta.

Il costrutto si guardò attorno un po’ spaesato e, con un galoppo scandito da tonfi rumorosi, prese immediatamente a seguirla.



*** ***** ***



    I due si addentrarono lentamente nel cuore della vegetazione. I primi passi furono piuttosto spavaldi e sicuri: la foresta non aveva nulla di strano. Era soltanto molto fitta e necessitava spesso della mole del costrutto per creare un varco attraverso alcuni tronchi morenti o per eliminare un mucchio di rovi.

Periodicamente, il golem ricordava alla padroncina come si stessero avvicinando sempre di più al Mutamento ma l’altra, con apparente noncuranza, lo liquidava ammonendolo sul pericolo delle luci e delle voci.

    Dopo alcuni minuti, il paesaggio parve cambiare radicalmente: gli alberi si diradarono e piante mai viste prima presero a manifestarsi sotto gli occhi curiosi del piccolo alicorno. Inizialmente comparvero solo fiori da forme e colori inverosimili ma poi, gradualmente, anche gli alberi iniziarono ad assumere connotazioni improbabili: corteccia leggermente oleosa, forme arzigogolate oppure frutti simili ad oggetti furono solo alcune delle cose più singolari che i visitatori poterono osservare.

Celine si muoveva tra la vegetazione con crescente stupore finché, superato un nugolo di rampicanti particolarmente ostico, non sbucarono in un enorme e spettacolare avvallamento: l’intero luogo era privo di arbusti, eccetto ai confini della curiosa radura, dove gli alberi erano cresciuti ad altezze apparentemente illogiche. I tronchi si stagliavano per decine, forse centinaia di metri, creando una vera e propria parete circolare, che si congiungeva all’apice, generando una mastodontica cupola arborea.

Alzando lo sguardo, il cielo era visibile solo come spiragli di luce attraverso la fitta trama fogliare.

Piccole sfere luminose, forse pollini che diffondevano i riflessi del sole, forse strane lucciole diurne, aleggiavano per l’intero campo.

    L’alicorno proruppe in un verso di stupore e il golem inclinò il capo, facendo scintillare gli occhi per un istante. I due avanzarono lentamente nel luogo incantato, osservando incuriositi le creaturine che fluttuavano attorno a loro.

Al centro dall’avvallamento, in apparente contrasto con il resto del luogo, erano visibili alcune macerie scure, parzialmente emergenti dal terreno.

Avvicinandosi, la coppia constatò come si trattasse, con molta probabilità, dei resti di una vecchia abitazione: assi nere e marcescenti, alcune pietre consumate dal tempo e, non lontano, i rimasugli di un vecchio camino a legna.

“Cos’è questo posto?”, chiese Celine, alzando gli occhi verso la spettacolare cupola sopra di loro.

“Golem… golem… non possiede dati per…”.

“Golem”, tagliò corto l’altra, con un sorriso, “basta dire che non lo sai”.

“Golem… non lo sa, padroncina”.

L’alicorno posò lo sguardo su un mucchietto di terra scura, vicino alle macerie, e riconobbe un piccolo pupazzo di stoffa, simile ad un pony: gli mancava una zampa ed era molto malconcio e logorato dal tempo.

“Chissà di chi era…”, si chiese con melanconia, tenendolo stretto tra le zampe.

“Questo luogo”, la interruppe la statua animata, “pullula di magia”.

“Davvero? Come fai a dirlo?”.

“Il golem è una creatura magica. Riesce a riconoscere la magia, quando questa è presente. E questo luogo… è intriso di magia”. Con quelle parole, il costrutto si mise a spingere forzatamente la padroncina con la testa, come fosse un ariete: “La padroncina deve abbandonare immediatamente questo posto”.

“Ehy! Che ti prende?”, biascicò l’altra, cercando di opporsi, inutilmente, a mezza tonnellata di costrutto in movimento.



*** ***** ***




    “Ti sei divertita oggi, Celine?”, chiese la madre, mentre sparecchiava la tavola, a cena conclusa.

Il piccolo alicorno, con il pensiero fisso su ciò che aveva visto nel pomeriggio, ritornò improvvisamente alla realtà: “Ah! Uh… sì, sì… molto”.

“Cosa avete fatto?”.

“Noi… noi abbiamo giocato nei campi di erba dorata e poi… ehm, poi abbiamo osservato le farfalle”, dichiarò, sperando che il golem non vuotasse il sacco.

“Davvero? Ed erano belle?”, chiese, immergendo magicamente i piatti in una tinozza.

“Sì. Molto… suggestive”.

“Sono contenta”.

“Papà non c’è?”, chiese Celine, cambiando discorso.

“Credo che non lo rivedremo fino a domani, piccola mia”, concluse con un sospiro.

“Un giorno, poi, dovrete spiegarmi cosa siamo venuti a fare in questo posto desolato… avete costruito decine di case e non c’è quasi mai nessuno. Tu e papà siete sempre in giro a fare chissà cosa con i vostri incantesimi ed io…”.

Ivory assunse un tono autoritario: “Celine… smettila. Ne abbiamo già parlato”.

L’altra accasciò mollemente il viso sul tavolo, sbuffando.

“Ora”, riprese la madre, “se vuoi puoi stare alzata ancora un’oretta… e poi: a nanna, ok?”.

“Va bene…”.


    Fino all’ora di coricarsi, Celine aveva un’idea nella testa, che non riusciva assolutamente ad abbandonare. Cercò di mascherare il pensiero, in modo da non insospettire la madre, la quale la mise a letto come di consueto, con tanto di bacio sulla fronte.

“Buonanotte, amor mio”, le aveva detto, prima di chiudere la porta.

“Notte, mamma”, rispose frettolosamente, fingendo di appisolarsi nel giaciglio.

Aspettò parecchi minuti, prima di decidersi a buttare di nuovo uno sguardo dalla finestra e la sua pazienza venne premiata: dopo circa un’ora di noiosa attesa, proprio quando stava per rimettersi a letto sconsolata, la luce lontana riapparve.

Il giovane pony fece un rapido esame della situazione: sapeva bene che sarebbe stato meglio rimanere al sicuro in casa ma, in quel frangente, l’impulso emotivo e la curiosità la stavano martoriando dall’ora di cena.

“Massì”, concluse alla fine, “Solo un’occhiata veloce”. Si caricò una piccola borsa, con dentro il vecchio pupazzo che aveva trovato, e spalancò lentamente la finestra.

Un muro di granito le si piazzò repentinamente davanti: “Non si muova, padroncina”.

“Oh no! Di nuovo?”, berciò.

“E’ pericoloso sporgersi così dalla finestra”, concluse.

“Infatti non volevo sporgermi, testa di sasso… volevo saltare!”.

Il golem parve trasalire: “Impossibile!”.

Celine sapeva che il costrutto avrebbe fatto di tutto per impedirle di andarsene e non aveva certo tempo da perdere in infinite diatribe logiche con lui, così improvvisò in tutto e per tutto: si concentrò istantaneamente sul proprio corno, producendo un lampo abbagliante, simile ad un fuoco pirotecnico.

Il golem vide la padroncina scomparire nell’accecante bolla di luce.

L’alicorno si gettò dalla finestra, spiegando le ali e prendendo a sbatterle freneticamente, nel goffo e vano tentativo di rallentare la caduta. Il tutto non ebbe molto successo ma l’atterraggio venne comunque attutito da un vaporoso cespuglio sotto casa.

Il pony, ancora un po’ stordito, emerse dal fogliame, massaggiandosi le tempie e sputando una manciata di foglie. Sollevò lo sguardo alla finestra e vide il golem, completamente spiazzato, all’affannosa ricerca del piccolo pony. Il costrutto prese a ruotare su se stesso, colpendo di schiena il davanzale della finestra e cadendo nel vuoto, dopo una rapida giravolta.

Il sangue raggelò nelle vene di Celine: nel brevissimo istante che passò tra la piroetta e la caduta, l’alicorno riportò alla mente uno degli incantesimi di levitazione che aveva studiato di recente e cercò, in tutto e per tutto, di salvare la statua da un impatto devastante. Quest’ultima venne circondata da un’iridescenza luminosa e prese a fluttuare dolcemente a terra.

Celine riaprì gli occhi, dopo l’immane sforzo, ed osservò il costrutto illeso.

“Per la miseria!”, disse a bassa voce e con il fiatone, “Mi hai fatto prendere un colpo! Che paura…”.

Il golem, ancora confuso, cercò di ricomporsi ed osservò la padroncina.

L’altra riprese fiato e poi sussurrò: “Ecco… ora dai l’allarme, fa quello che vuoi: entra in casa emettendo il rumore di una sirena, se preferisci…”.


Il golem non fece nulla di tutto quello: la pietra nel petto ebbe un sussulto e il pony udì chiaramente il rumore di un unico battito. La luce rossastra, prima fissa e invariabile, prese a pulsare debolmente.

“E’… è questa la paura?”, chiese la statua, con una luce gialla negli occhi.

“Come?”, disse Celine perplessa.

“Il golem crede… di aver provato… quella cosa chiamata sensazione… nel momento in cui pensava di aver perduto la padroncina”. L’amica lo osservò intensamente.

“Golem non possiede dati sufficienti per… insomma: golem non lo sa, però, da ciò che ha constatato nell’espressione della padroncina e da ciò che ha constatato in… golem… allora golem ritiene che…”.

L’alicorno gli fece cenno di zittirsi: “Ok, golem, ho capito, ma non parlare così o mamma si sveglierà”.

“Corretto… volevo dire: errore! La padroncina DEVE rincasare immediatamente!”.

“Golem, non posso! Cerca di capire! Io… io voglio scoprire cos’è quella luce… cos’è quello strano luogo. E… cos’era quella voce che ho sentito…”.

“E’ pericoloso. Golem ha il dovere di proteggere la padroncina”.

Celine abbassò lo sguardo. Non voleva più prendere in giro il costrutto, così fece emergere il proprio lato sincero: “Ascolta, golem… cerca di capirmi. Io voglio che tu mi protegga. Ma non è rinchiudendomi dentro una stanza che io starò bene. Se vuoi davvero proteggermi… allora stai al mio fianco. Aiutami. Stammi vicino. Lasciami provare e, se avrò bisogno di te, sii pronto ad intervenire”.

Il volto di pietra si inclinò nuovamente: “Golem… golem non…”.

“Lo so che forse non riesci a comprendermi… ma ti chiedo solo di provare. Prova per una volta a proteggermi come farebbe un… amico, e non una guardia del corpo senza cervello”.

“Golem è… confuso. Golem ha dei limiti magici che lo… costringono. E poi golem, tecnicamente, non possiede un cervello”.

“Allora usa il cuore. Quello ce l’hai”, concluse, battendo lo zoccolo sopra la sua gemma.

La statua si osservò il petto per un istante, quasi ipnotizzata dal pulsare, che non aveva mai posseduto fino a quel momento.

“Golem… golem ritiene che occorra combattere il pericolo luminoso che minaccia la padroncina”, concluse, alzando uno sguardo illuminato di verde.

Celine sorrise innocentemente.

“Grazie!”, esclamò, cingendo il collo della statua, che non seppe come rispondere al gesto.

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Capitolo 3
*** Risate nell'Ombra ***


L’insolita coppia si diresse rapidamente verso la foresta, ripercorrendo lo stesso solco nell’erba che avevano formato alla prima andata. Le stelle nel cielo si scorgevano a fatica, poiché la luce riflessa di un’enorme luna butterata di crateri ne smorzava il contrasto. Una lieve brezza accompagnava ogni passo dei due: mentre il golem compiva una poderosa falcata, Celine doveva farne almeno quattro o cinque, per reggere il ritmo.

I due si fermarono a pochi metri dalla foresta. Di giorno non era di certo invitante ma, di notte, semplicemente terrificante. Non solo non si vedeva nulla, all’interno, ma strani rumori, forse gli animali, forse il vento tra i rami, creavano un’atmosfera tutt’altro che rilassante.

Di fronte all’antro oscuro che avrebbe dovuto affrontare, il coraggio dell’alicorno venne meno.

“Cosa succede, padroncina?”.

“E’… è quella paura di cui parlavi prima…”, balbettò.

“La padroncina sta provando paura?”, chiese.

“Io… sì. Molta paura”.

Gli occhi del golem si illuminarono di magia: “L’ultima volta, questo è servito a rimuovere la paura dalla padroncina. Può funzionare anche adesso?”.

L’altra sorrise dolcemente e si concentrò, al meglio delle proprie capacità, per creare un’arcana fiammella tremolante sopra la propria fronte.

L’interno del bosco apparve più chiaro ma i giochi di luce ed ombra erano così intensi da non rendere di certo la situazione più piacevole.

“Sì… ho sempre paura… ma un po’ di meno”, sussurrò, sforzandosi di nascondere il timore di avventurarsi in quel luogo.

“Lasci andare prima me”, propose il costrutto, posando uno zoccolo oltre i confini della radura.

“Stammi vicino, golem”, gli disse infine.

“Non la lascerò per un solo istante, mia piccola creatrice”.


    Il tragitto fu terrificante. Non accadde nulla di particolare ma i suoni, uniti all’immaginazione che creava mostri ovunque, obbligarono più volte la piccola Celine a fermarsi, in preda allo spavento più assoluto.

Dopo un po’ l’oscurità si fece davvero opprimente, quasi innaturale, ricordandole uno di quegli incubi dove le ombre ti inseguono ovunque… ed il sole non sorge mai.

Ogni tanto, per recuperare un po’ di conforto, le era sufficiente gettare lo sguardo verso il volto sorridente del golem, illuminato non solo dagli occhi scintillanti, ma anche dal nuovo rosso pulsare del cuore. Anche simili fonti di luce, in certi punti, sembravano però affievolirsi al punto da scomparire, ingoiate dal buio sovrannaturale che prese a diffondersi.

Celine si sentì pesante, chiusa nell’oscurità: il golem si ridusse ad un trio di piccoli puntini luminosi, quasi sul punto di svanire per sempre.

Quando chiuse gli occhi, sul punto di piangere, desiderando di non essere mai entrata lì dentro, l’avvallamento comparve.

    L’alicorno riaprì le palpebre e, come le era accaduto in passato, la meraviglia prese il posto della paura: la radura era come l’aveva vista nel pomeriggio, solo un po’ più nell’ombra, con la luna a ricreare un insieme di raggi argentati, che filtravano dalle fronde degli alberi. Mille sfere bluastre, simili a fuochi fatui, avevano preso il posto delle strane creature diurne. O, forse, erano le stesse: non avrebbe saputo dirlo.

La sorpresa più grande, tuttavia, la ebbe quando si accorse che, al posto delle macerie al centro della valle, si ergeva una grossa e antica magione: era una casa a più piani, rivestita di pietra e legno scuri. Vi erano molte finestre con frangisole penzolanti e vetri rotti, lungo la facciata principale. Il tetto, in cotto marrone, pareva sul punto crollare da un momento all’altro.

“Oggi… oggi non c’era quella casa”, esordì il pony, con voce tremante, per lo spavento appena superato.

“Il golem… teme per la sicurezza della padroncina. C’è molta più magia ora che non nel pomeriggio”, rispose l’altro, con luci violacee sugli occhi.

“Ho una paura folle, golem… ma siamo giunti fin qui… e non voglio tornare in quel posto scuro. Non senza prima essere andata a fondo della cosa, perlomeno”.

Celine deglutì rumorosamente e si mise dietro una zampa del costrutto: “Su... fai strada”.


    L’ingresso dell’abitazione era così rosicchiato dal tempo da essere scardinato di sbieco. Il golem intensificò la luce, cercando di controllare l’interno: intravide un grosso salone arredato, sepolto nell’oscurità.

“Vogliamo entrare?”, chiese il golem.

“Va bene”, rispose Celine.

Lo stallone si impennò, ricadendo pesantemente sulla porta, abbattendola a terra. Il tonfo fu così poderoso da far sobbalzare l’alicorno ad una spanna da terra. Alcuni calcinacci e della polvere scesero nella stanza: ora che la porta non c’era più, la luce riuscì ad illuminare meglio il luogo. Si trattava, apparentemente, di un antico salotto, ammobiliato con oggetti d’altri tempi. Ogni cosa, nella stanza, pareva esser lì da centinaia di anni: tende di velluto penzolanti, poltrone sul punto di sbriciolarsi, candelabri farciti di ragnatele e inquietanti quadri di paesaggi ormai estinti per sempre. Tutto lasciava intendere alla classica casa infestata, di cui Celine aveva letto in alcuni racconti popolari.

    I due perlustrarono attentamente le stanze del piano terra: se non fosse per le precarie condizioni in cui versava, l’abitazione sarebbe stata perfettamente funzionale. Era come se gli abitanti l’avessero abbandonata da un giorno all’altro.

“Questo luogo è incredibile”, commentò la piccola.

“Golem non sa come interpretare l’esistenza di questo luogo”.

La coppia si fermò quindi dinnanzi ad una scala in legno, con i gradini ricoperti da velluto ingrigito.

Il costrutto cercò di risalirla, un passo per volta, e Celine si aspettava di vederlo sprofondare sotto il legno da un momento all’altro, tanto udiva gemere gli scalini sotto i suoi zoccoli.

Giunti in cima, si trovarono di fronte ad altre stanze. Una di esse, in particolare, era l’unica stanza con la porta aperta e decisero di ispezionarla per prima.

Valicarono lentamente l’uscio, osservando la mobilia che si presentava loro: un vecchio letto, alcuni peluche malandati e grosse vetrate infrante. La stanza di un piccolo pony, forse.

Quando furono entrambi dentro la camera, videro qualcuno: una creatura minuta che, nella penombra, fece salire il cuore in gola all’alicorno.


    Un piccolo pony femmina, poco più giovane di Celine, stava seduto in un angolino della stanza, illuminato parzialmente dai raggi lunari. Aveva il manto giallo pallido, la criniera rosa spento e un grosso fiocco sgualcito ad incorniciarle il volto dall’alto, parzialmente nascosto dall’oscurità, blu scuro. Al collo portava una collana decisamente troppo grande per la sua età.

Celine deglutì ed il golem cercò di illuminarla ma era troppo lontana per sortire un effetto apprezzabile.

L’alicorno provò a squadrare il pony e le vennero subito in mente i decantati fantasmi di quelle storie spaventose.

Si fece coraggio e, dopo un profondo respiro, con un filo di voce, le disse: “Ciao…”. L’altra non si mosse.

“Ciao”, ripeté, “io… io sono Celine. Tu… tu chi sei?”. Non ottenne risposta.

“Sei… sei mica un… fantasma?”, balbettò.

    Il volto del golem si destò improvvisamente, come se qualcosa avesse attirato la sua attenzione.

“Dietro di me”, dichiarò, facendole da scudo.

Celine era preparata quasi a tutto… ma non a ciò che vide alle spalle del pony col fiocco: l’ombra dietro di lei prese a tremolare e contorcersi; ogni antro oscuro della stanza iniziò a scricchiolare: le tende sventolarono senza che ci fosse un filo d’aria, i mobili cigolarono e le luci artificiali degli ospiti diminuirono improvvisamente d’intensità.

Le ombre si mossero lungo le pareti, concentrandosi in un punto vicino al pony paglierino, prendendo quindi a ribollire ed emettere versi mai uditi prima dalle orecchie dell’alicorno terrorizzato.

Dalla macchia oscura uscì quindi una possente zampa artigliata, nera come la pece, a cui seguì tutto il resto del corpo: una enorme creatura, simile ad un drago, ma meno affusolata e molto più massiccia, emerse con un ruggito. Le gambe di Celine cedettero. Il mostro, che occupava buona parte della stanza, grosso almeno quattro volte il golem, era composto di materia nera e lucida: il collo era tozzo e completamente circondato da una folta criniera di scuro fumo ondeggiante, che metteva in risalto un terrificante ghigno dai mille denti e dal muso schiacciato. Non possedeva ali e la coda era incredibilmente lunga, del tutto simile alle spire di un grosso serpente. Ma ciò che fece letteralmente trasalire l’alicorno furono i suoi occhi, del tutto identici a due vorticosi buchi neri.

    Il golem puntò le zampe anteriori, pronto a caricare la creatura, qualora avesse tentato di attaccare la piccola.

La bestia emise una risata: i suoi neri occhi inespressivi presero a scrutare con avidità i due ospiti e il ghigno si intensificò in un’espressione divertita.

La voce uscì potente e cavernosa, proprio come ci si sarebbe aspettati da un mostro di tutto rispetto: “Hai visto? Te l’avevo detto che sarebbe giunta!”. Seguì un’altra risata divertita.

Il pony paglierino si alzò lentamente e fece qualche passo in avanti, rivelando due occhi rosa, completamente vitrei. Il suo volto non mostrava altra espressione se non quella di costante melanconia.

“Sì, Oscuro”, rispose, con voce da bambina, “Avevi ragione”.

Celine era rannicchiata dietro al golem, atterrita e incapace di dire o fare alcunché.

“Andiamocene di qui”, proferì il golem.

“Ma come?”, proruppe il mostro, portandosi sulle zampe posteriori, “Siete appena arrivati e già volete andarvene?”. Qualsiasi cosa dicesse, non voleva schiodarsi dal muso il terrificante ghigno dentato.

“C-cos’è quello? Un fantasma?”, fu l’unica cosa che riuscì a dire l’alicorno.

“Il golem non lo sa ma, secondo le proprie competenze, ipotizza si tratti di uno spirito”.

“Ah!”, ruggì l’altro, ancor più divertito, “Una statua parlante! Ora: questa sì che è una novità! E riconosce pure gli spiriti!”.

“Oscuro, credo che tu stia spaventando la nostra ospite”, bisbigliò l’altro pony, con apparente apatia.

Lo spirito rise di nuovo: “E cosa c’è di male in un po’ di sano terrore?? Dimmi, statua, cosa sei? Io ho chiamato solo quel piccolo alicorno: tu, invece, cosa ci fai qui?”. Con quelle parole, la creatura iniziò a fluttuare ad una spanna da terra, nell’intento di circondare con le proprie spire i due malcapitati. Il suo muso ghignante si collocò d’innanzi a quello del costrutto.

“Ti avverto”, lo minacciò lo stallone, con occhi rossi, “Un solo gesto azzardato e ti schiaccio sotto seicento chili di granito”.

Celine sentì il respiro della creatura accanto a sè: alzò lo sguardo e, quando i suoi occhi incrociarono le vacue orbite dello spirito, emise un urlo strozzato.

Oscuro fissò il cuore del golem, sorrise e sciolse le spire, tornando vicino al pony col fiocco.


    “Vi chiedo scusa”, riprese l’altra, “Oscuro fa sempre una brutta impressione, ma non è cattivo”.

L’amico rispose digrignando i denti: “Ihihih!”.

“Ciao Celine”, disse infine la piccola.

L’alicorno aprì lentamente gli occhi, lasciando cadere un paio di lacrimoni, e alzò lo sguardo verso l’interlocutore. La presenza dello spirito, accanto a lei, continuava a turbarla ma cercò di ignorarlo il più possibile.

“Mi chiamo Mantle, Mantle Pale”.

Lo sguardo dell’altra si illuminò di colpo: “Quelle parole! La… la tua voce! La riconosco! Sei tu che mi hai chiamato, ieri notte!”.

“Sì, Celine. Ero io”.

“Ma… ma come…?”, biascicò.

Mantle ruotò lo sguardo verso lo spirito, senza perdere per un istante l’espressione di vaga tristezza: “Grazie a lui. Oscuro è uno spirito: lo spirito delle Ombre Del Passato”.

“Preferisco: lo spirito dell’Ombra Che Fu”, la corresse.

“Lui sarà anche uno spirito”, ipotizzò Celine, “Ma… tu… cosa sei?”. L’altra si incupì ulteriormente e Oscuro fece un balzo, fluttuando a quasi un metro da terra e sovrastando tutti con la propria mole: “Quante domande!”, esclamò, “Io sono uno spirito dell’Ombra. Posso manipolare la materia oscura e solcare Mondi che voi non potete vedere. Quando è notte… posso condurre parole e pensieri attraverso ciò che voi definite come Spazio e Tempo”.

Il pony color panna cercò di comprendere le parole della spaventosa creatura volante: “Quindi… quindi tu… stai insieme a Mantle?”.

Oscuro rise di nuovo: “Io sto con chi mi pare! Seguo la mia natura! Noi spiriti siamo gli stereotipi di noi stessi. Persino nel nome, come puoi vedere!”.

Il golem si riportò lentamente in una postura meno aggressiva.

“Fai un sacco paura, lo sai?”, confessò Celine, “Pensavo mi avresti…”.

“Uccisa?”, ruggì la creatura, con un tono spaventoso, “Ne dubito. Io sono uno spirito dell’ombra. Quel genere di cose le lascio a spiriti più… sanguinari”.

“Tu sembri un po’… sanguinario”.

Oscuro scomparve di colpo, lasciando dietro di sè giusto qualche rivolo fumoso, e apparve addosso allo stallone e alla sua padroncina. L’alicorno vide il muso zannuto dello spirito materializzarsi a pochi centimetri dal suo: “E’ questo il problema del pensare”, disse compiaciuto, “La mente gioca brutti scherzi. E spesso l’apparenza inganna”. Gli occhi impauriti di lei fissarono nuovamente gli oscuri meandri dei suoi. Si spaventò ma poi, con maggior attenzione, vide che lo sguardo dello spirito era sì inquietante, ma non vi era apparente traccia di malvagità o di reale pericolo.

Prima che il golem potesse reagire, Oscuro era tornato dalla piccola Mantle.

“Calma, sasso pazzo!”, lo schernì, facendosi quasi mancare il fiato dal ridere.

“Oscuro, stai esagerando”, lo ammonì di nuovo l’amica.

“Golem non ci capisce nulla”, dichiarò, osservando la padroncina.

“Siamo in due”.


    “Perché mi avete chiamata?”, chiese quindi Celine, dopo una lunga pausa.

La creatura d’ombra smorzò in parte il sorriso: “E’ una storia lunga. Uno storia triste e di cui non vi è il tempo, ora, per raccontarla. Ti basti sapere, piccolo alicorno, che trasudi Fato in ogni direzione”.

“Fato?”, chiese, confusa.

“Hai un destino incombente, un destino che noi spiriti possiamo percepire con facilità”.

“L’ho già sentita questa tiritera. Ma ancora non mi avete detto cosa ci faccio qui”.

Oscuro fece un lungo respiro, emettendo una fugace bolla di fumo nero: “Come ho detto, io sono lo spirito dell’Ombra del Tempo Che Fu. Sono l’ombra del passato. Sono il riflesso di ciò che era e che adesso è scomparso. Sono l’ultimo sussulto di vita: un cavo teso tra l’esistenza e la non-esistenza”.

“Stai nuovamente diventando prolisso, Oscuro”, sussurrò Mantle. L’amico sghignazzò.

“Ah! Hai ragione! Sarò breve, allora: il mio compito è mantenere vivo il passato ed il ricordo. Io entro in gioco quando cose o entità scompaiono da questo Mondo senza esser divenute il modello di loro stesse”.

“Uh… non puoi semplificare ancora un po’?”, chiese Celine.

Lo spirito si fiondò verso la giovane puledra che, questa volta, cercò di non farsi intimorire: “Io… permetto alle entità di rimanere ancora in questo Mondo, al fine di varcarlo con la dovuta coscienza di sé”.

“Quindi”, azzardò con timore, “Mantle sarebbe… una sorta di fantasma?”.

“Non farti traviare da ciò che senti in giro, piccolo alicorno. Spiriti, fantasmi, spettri: ognuno può chiamare ciò che vuole come meglio desidera. Mantle non è viva. Non è morta. Mantle è l’ombra di se stessa ed io la mantengo in questo Mondo”.

“Perdonami, spirito”, rispose Celine, “ma ancora non riesco a capire cosa ho a che fare io in tutto questo”.

“Io mi occupo solo di dare una possibilità a coloro che se ne vanno. In ciò che loro devono compiere, tuttavia, non posso intervenire. Devono affrontare da soli la loro battaglia. Forse… tu sei parte di ciò che Mantle deve affrontare”.

   

Le due giovani puledrine si guardarono negli occhi, l’una ancora un po’ spaventata e l’altra ancora in preda ad un’aria di abbandono e arrendevolezza.

“Qual è la battaglia che devi affrontare, Mantle?”, le chiese dolcemente.

L’altra si mise sulla difensiva: “Io… io non…”.

“Coraggio, piccola”, la esortò Oscuro, con una delicatezza inconcepibile per il suo aspetto, “Fuggendo dal tuo passato non potrai mai… compiere il passo”.

Cadde il silenzio e l’alicorno, colto da memoria improvvisa, si slacciò lo zaino ed estrasse il pupazzo: “Aspetta, questo è tuo, forse?”.

Lo sguardo dell’altra si accese di colpo: “Lui… sì! Sì è lui! Sulky! Credevo di averlo perso!”, rispose, con voce emozionata.

“Io… perdonami, l’ho trovato ieri tra le… macerie e l’ho portato via”, si scusò.

“Oh! Non importa!”, tagliò corto, stringendo la bambola con trepidante felicità.

“Però… è un po’ vecchio. Magari vuoi… ti andrebbe se gli dessi una sistemata? Potrei pulirlo e attaccargli un’altra zampa”, propose.

“Lo… lo faresti davvero?”, chiese speranzosa.

“Ma certo! Con molto piacere!”.

“Allora…”, sussurrò Mantle, porgendogli delicatamente la bambola di pezza, “Allora va bene… grazie”.


    Gli zoccoli delle due si sfiorarono appena e Celine percepì un freddo raggelante.   

Solo a quel punto, inoltre, si accorse che il pony di fronte a lei era diventato leggermente trasparente.

“Cosa sta succedendo?”, chiese, un po’ preoccupata.

Oscuro passò un artiglio attorno al musetto della sua protetta, nuovamente ripiombato in un’espressione di apatia: “Per questa notte”, disse, “il nostro tempo sta finendo. Non possiamo fermarci più a lungo e voi dovete andare”.

“Cosa succederà? Non dirmi che sta già sorgendo il sole!”, esclamò, buttando lo sguardo verso le vetrate, ma la luna sembrava ancora alta nel cielo.

“No. Il tempo, qui nel Mutamento, scorre in maniera incomprensibile per le creature come voi. Uscendo da qui potrebbe essere passato un minuto del tuo Mondo, così come alcune ore. Ma dovete andarvene. Io mantengo anche l’ombra del passato di questo luogo e, quando mi eclisserò, tutto tornerà macerie”.

“Direi di non attendere oltre”, tagliò corto il costrutto.

Mantle si fece sempre più effimera, fino a scomparire quasi del tutto. Solamente il girocollo sembrava resistere all’imminente sparizione.

“Andate”, esordì Oscuro. I due ubbidirono.

Poco prima di abbandonare la stanza, l’alicorno gettò un ultimo sguardo verso Mantle: era praticamente scomparsa e la collana cadde a terra con un rumore metallico. Di Oscuro non rimaneva nulla più che il volto ghignate, a mezz’aria.

I due incrociarono ancora una volta gli sguardi e lo spirito, per la prima volta, le apparve tutt’altro che spaventoso.


    La coppia uscì galoppando, assistendo al progressivo sgretolamento dell’edificio: parte dei materiali presero a dissolversi, mentre il resto si piegò, improvvisamente, sotto il peso degli anni, sbriciolandosi e marcendo.

Dopo pochi istanti, della magione, non rimanevano che i rimasugli: gli stessi visti per la prima volta dal piccolo pony.

Celine, esterrefatta, esordì: “Io… io ancora non riesco a credere a quello che ho visto”.

“La magia e gli spiriti operano con mezzi incomprensibili per la logica comune”, concluse analiticamente l’altro.

“Mi sembra di… vivere un sogno. Un sogno terribile e affascinante al tempo stesso”, sussurrò, asciugandosi le lacrime dalle guance. Intorno a lei, intanto, la radura non era cambiata minimamente: i raggi lunari scintillavano ancora tra le fronde degli alberi e i minuti fuochi fatui danzavano debolmente nell’aria.

“Forse”, continuò il golem, “ci conviene andare. Se quello che ha detto lo spirito è corretto, non sappiamo quanto tempo sarà passato realmente”.

“Hai ragione, meglio andare”.

    Il costrutto varcò la soglia dell’antro oscuro da cui erano venuti, senza troppi complimenti. L’alicorno, dietro di lui, invece, si fermò intirizzito, con lo sguardo sbarrato verso buio.

“La padroncina prova paura?”, chiese l’amico, girandosi.

“Mentirei se ti dicessi il contrario…”.

“Mi spiace molto. Ma non possiamo rimanere qui”.

“Lo so… dovrò farmi coraggio… andiamo”, e, con quelle parole, decise di farsi strada, debitamente nascosta dietro la mole della statua animata.

    Tornarono le tenebre e, per farsi forza, Celine strizzò gli occhi, aggrappandosi all’immobile coda di pietra del compagno, seguendolo solo con il tatto.

Dopo pochi metri, si fermarono.

“Che… che succede? Perché ti sei fermato?”, bisbigliò Celine impaurita, sforzandosi di alzare le palpebre.

Davanti a lei si aprì il paesaggio della radura notturna: l’erba mossa dal vento, le stelle e la luna nel cielo.

Alle sue spalle, invece, vi era la foresta scura.

“Ma… siamo già usciti?”, proruppe incredula.

“Apparentemente sì”, rispose il golem, guardandosi attorno.

“Sono passati solo pochi attimi!”.

“Lo spirito ci aveva messi in guardia sulla natura paradossale del Mutamento. Credo che questi siano i risultati”.

“Incredibile”, esclamò con meraviglia.

Il golem scrutò quindi il cielo con attenzione: “Dalla posizione degli astri prima e dopo l’ingresso nel bosco, posso dedurre che sia passata poco più di un’ora”.

Celine sospirò: “Meno male…”.

“Definisci: male”.

“Come? Oh, non ricominciare… sono sfinita. Torniamo a casa, ti prego, poi ti darò tutte le definizioni che vorrai”, gli rispose, passandosi uno zoccolo sulla fronte.

“Golem chiede scusa. Torniamo a casa”.


    Mentre si muoveva tra l’erba alta, il pony non riusciva a schiodarsi dalla mente le cose assurde e affascinanti che aveva visto. Il triste volto di Mantle le ricorreva costantemente, in netto contrasto col muso diabolico dello spirito e ai suoi occhi assetati di fonti di luce, pronti ad inghiottirle nell’oscuro baratro delle orbite.

Posò lo sguardo sull’instancabile amico al suo fianco.

“Grazie, golem. Non so cosa avrei fatto senza di te”, gli disse con sincerità.

L’altro, continuando la marcia, le rispose: “Il golem è qui per vegliare e proteggere la padroncina”.

“Sì ma… va bene”, continuò, scuotendo il capo, “non importa. Comunque… il male è… qualcosa che fa soffrire, di solito. Non saprei come altro spiegartelo e so già che non capirai”.

“Infatti”, disse il guardiano, creando curiosi lampi azzurri negli occhi, “il golem non riesce a comprendere ma, almeno, ora ha una definizione su cui lavorare”.

“Secondo me”, disse infine Celine, “devi imparare ad usare meno la testaccia e di più quella tua pietra rossa e pulsante”.

“Golem… non comprende di nuovo”.

   

    Passarono i minuti e giunsero, finalmente, sotto la finestra spalancata dell’abitazione, la stessa da cui il costrutto aveva rischiato di frantumarsi in mille pezzi.

L’alicorno pensò a come risalire in camera senza destare la madre, che le avrebbe fatto una ramanzina colossale. Enunciò così il proprio piano al compagno: “Senti, golem: dobbiamo rientrare in camera ma non voglio che mamma se ne accorga: pensavo di alzarti con la levitazione fin lassù e, poi, potresti gettarmi una corda o qualcosa di simile e tirarmi dentro. Che ne dici?”.

“La padroncina non potrebbe utilizzare le proprie ali?”, chiese, con occhi gialli.

L’altra parve un po’ a disagio: “Io… non so ancora volare… non credo riuscirei mai ad arrivare fin lassù. E non posso nemmeno far levitare me stessa: occorrono troppa concentrazione e abilità”.

“Il golem comprende. Il golem pensa, allora, che l’idea della padroncina sia la soluzione migliore”.

“Va bene… ah, un’ultima cosa, golem…”.

La testa del costrutto si inclinò di lato: “Il golem ascolta, mia creatrice”.

“Di quello che è successo stanotte… tutto quanto, intendo… tu non devi dire nulla a nessuno, capito? Nemmeno a mamma o papà”, dichiarò con convinzione.

L’altro cadde in un profondo silenzio, da cui si riprese poco dopo: “Il golem… il golem vorrebbe promettere ma il golem non può garantire. Esistono dei vincoli magici, nel golem, che lo obbligano ad ubbidire agli ordini dei creatori. Golem dubita di potersi rifiutare di parlare, se i creatori gli ordineranno di farlo”.

“Capisco, golem, però… certo, se è più forte di te e non puoi farci nulla… allora capisco”, concluse sconsolata.

Il costrutto scrutò attentamente il triste volto della padroncina e il suo cuore ebbe un altro sussulto anomalo. Lo sguardo della statua si posò sulla gemma pulsante, poi ritornò su Celine.

“Il golem ha giurato di vegliare sulla padroncina… come… come un amico… e non come una guardia del corpo senza cervello… nonostante golem ne sia comunque sprovvisto. Ubbidendo agli ordini della padroncina: golem tenterà di mantenere i suoi occhi spenti e silenti, riguardo agli avvenimenti di questa giornata”.

Celine si accese di gioia e si issò sulle zampe posteriori, poggiando la fronte contro la gemma nel petto, che le parve vagamente tiepida: “Grazie, amico. Ti ringrazio tanto”.

“Golem… si sente… confuso”, balbettò, con luci cangianti e intermittenti.

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Capitolo 4
*** Pietra e Stoffa ***


Il giorno seguente, Celine era alle prese con una faccenda molto più ardua del previsto.

Era contenta, questo non poteva nasconderlo, per essere riuscita a sgattaiolare fuori dalla casa e poi tornare, senza che la madre se ne accorgesse. Il golem fu di parola: non spifferò assolutamente nulla.

Ora, però, osservava rassegnata il pupazzo di stoffa sul tavolo.

L’alicorno ed il costrutto si trovavano in cucina, approfittando della momentanea assenza i Ivory. Accanto alle zampe di Celine era collocato un piccolo secchio, colmo di schiuma spumosa. La bambola era completamente fradicia e, a causa dell’acqua, si era rigonfiata leggermente, spaccando le poche cuciture che erano sopravvissute fino ad allora.

“Accipicchia che disastro…”, sbuffò, sollevandone un lembo bagnato, “Ora è pulita… ma l’imbottitura si è completamente rovinata”.

“E’ un danno così grave?”, chiese il golem.

“Beh… si può sempre ricucire… però non l’ho mai fatto”.

“E’ l’occasione per provare, padroncina”, concluse l’altro, con un pizzico di verde.

Lo sguardo della piccola si fece deciso: “Hai ragione! Proviamoci!”.

    L’alicorno andò a prendere ago e rocchetti dalla stanza dei genitori e, con l’ausilio della levitazione, estrasse alcuni libri dalle mensole. Passò quasi mezza giornata a riparare l’oggetto, passando da uno stato emotivo all’altro, a seconda di come riuscivano i vari tentativi.

Alla fine, lo sollevò magicamente e lo mise controluce, per osservarlo meglio. Lo sguardo di Celine si fece interdetto: il giocattolo non cadeva a pezzi, perlomeno, ma era ricoperto da cuciture disordinate e la zampa mancante era stata sostituita da una versione visibilmente più piccola e inappropriata.

“Direi che è apprezzabile”, sostenne il costrutto.

“Fa schifo”, tagliò corto l’altra.

“Definisci schifo”.

“E’ brutto, è strambo e non va bene. Fa schifo”.

“Il golem comprende la definizione”.

“Gli ho anche aggiunto l’occhio mancante... ma è storto… ora ha lo sguardo balengo”.

Il golem si irrigidì e la sclera si colorò di svariate tonalità: “Il golem… prova una curiosa… sensazione, dopo aver udito l’ultima frase della padroncina. A golem piace”.

“Intendi dire… divertimento?”, rispose Celine sorridendo.

“Golem non lo sa. Comunque: il piccolo oggetto è davvero così… brutto?”.

“Mah… forse non è poi così terribile”, concluse.

Celine prese a giocarci un po’, per verificare che le cuciture tenessero. Il golem la osservò in silenzio.

“Il golem vorrebbe chiedere una cosa alla padroncina”, dichiarò infine.

“Uh… certo, dimmi pure”.

“Qual è la differenza tra il golem e il pupazzo?”.

“In che senso?”, chiese lei, aggrottando le sopracciglia.

“Il golem è composto di fredda pietra. Il pupazzo è composto da stoffa e cotone. Bagnati, oltretutto. Il golem è come un pupazzo?”.

L’alicorno posò la bambola sul tavolo: “Ma cosa stai dicendo? Tu non sei un pupazzo”.

“Le somiglianze sono consistenti. L’unica cosa in cui differiscono il golem e la bambola sono il materiale e le dimensioni. Oltre al fatto che la bambola ha un nome”.

“Non è vero! Sono due cose… aspetta, hai detto: un nome?”.

“Se non erro, la piccola Mantle ha definito l’oggetto con l’appellativo di Sulky”.

    Celine osservò il cuore dell’amico e poi domandò: “Golem… tu… tu vorresti un nome?”.

“Golem non ci aveva mai pensato”, confessò, inclinando il capo, come suo solito.

“E… se io ti dessi un nome? Non più golem ma qualcosa di diverso? Qualcosa di… unico?”, propose speranzosa.

“Golem… golem non sa cosa rispondere”.

L’alicorno lo afferrò per una zampa, strattonandola, affinché l’amico la seguisse: “Dai! Vieni con me! Cerchiamo un nome!”.

I due si spostarono verso un grosso specchio nel laboratorio, dove comparvero le rispettive immagini riflesse. Il golem si squadrò senza dire nulla, nell’immutabile sorriso di sempre.

“Avanti! Spara!”, esordì la piccola.

“Golem non possiede magia o armi per poter eseguire”.

“Intendevo dire: proponi un nome!”.

“Golem non sa”.

Celine ci pensò su, massaggiandosi il mento: “Beh… possiamo rimanere sul classico… che ne diresti di… Stone?”, buttò lì, poco convinta.

Il costrutto piegò la testa, senza dire nulla.

L’alicorno gli lanciò un’occhiata interrogativa: “Come ti sembra? Sinceramente, eh…”.

“Sinceramente? Il golem crede di provare la sensazione prima definita come: schifo”.

L’amica scoppiò a ridere: “Hai ragione! E’ terribile! Però… quale nome potrebbe andar bene per te? Vediamo… sei di pietra… ma è davvero un cliché giocare su quello. Uhm… sei grigio. Tutto grigio. Grigio… grigio… grigio… Ci sono! Che ne dici di… Grigiomanto?”.

La statua invertì l’inclinazione della testa: “Grigio… Grigiomanto?”, chiese.

“Sì! Ti piace? A me sembra un bel nome”.

“Grigiomanto”, ripetè l’altro.

“Non… non va bene?”, balbettò.

    Gli occhi del golem brillarono come smeraldi: “Al golem piace molto il suo nuovo nome”.

“Eh no! Ora non sei più golem: ora sei Grigiomanto!”.

“A Grigiomanto piace molto il suo nuovo nome”, si corresse.

L’amica rise: “Stai ancora parlando in terza persona. Prova semplicemente a dire… io sono Grigiomanto”.

La statua sembrò in evidente difficoltà.

Improvvisamente, la gemma nel petto scricchiolò e la luce rossa prese a pulsare così intensamente da illuminare quasi tutte le pareti. Celine fece qualche passo indietro, un po’ intimorita.

“Io sono… Grigiomanto”, esordì infine.

“Va… va tutto bene?”.

“Sì, padroncina. Sto bene”, rispose l’amico, con una tonalità di voce leggermente meno atona, seppur lungi dal definirsi calda o naturale.

Il suo cuore pulsava forte e rosso come non mai.



*** ***** ***



    I genitori di Celine si stupirono un po’ quando la loro figlioletta ingurgitò con foga ogni piatto presente sul tavolo in cucina, quasi facendosi andare di traverso ogni boccone.

“Va tutto bene, Celine?”, chiese il padre perplesso.

“Mhh… scì… vh ùto ene”, biascicò a bocca piena.

“Ieri non avevi fame ed ora…”, affermò Ivory.

“Forse deve recuperare”, rispose Dedalo, con una risata.

Il piccolo alicorno buttò giù l’ultimo bolo e, dopo aver svuotato mezza caraffa d’acqua, espirò rumorosamente: “Finito. Posso andare in camera a… a disegnare?”.

“Uh… certo, ma prima aspetta che finiamo anche noi e poi aiuta a sparecchiare”, lo ammonì il padre.

“Uff… d’accordo…”.


    Questa volta entrambi i genitori si prodigarono per mettere a letto la piccola Celine: uno le rimboccava le coperte e l’altra esternava i tipici e teneri atteggiamenti da madre, ricoprendole il musetto di baci.

“Basta mamma!”, si lamentò, cercando di coprirsi con le zampe.

“Lasciala fare”, la avvertì Dedalo, “Più tenti di resisterle e più la invogli a soffocarti di coccole”.

“Mi raccomando, soldatina”, continuò Ivory, “fai sogni d’avorio”.

“Sì mamma”, rispose la piccola, sfregandosi la guancia con uno zoccolo, prima che la coppia si congedasse.

    Quando fu sicura che i due fossero andati a dormire, riprese a scrutare la foresta lontana che, ben presto, iniziò di nuovo a luccicare.

“Eccola! Ecco la luce, Grigiomanto!”.

“E così volete di nuovo recarvi in quel luogo arcano, padroncina?”.

Celine ci pensò un attimo: “Ho un po’ paura… ma sono molto eccitata! E poi ho promesso a Mantle che le avrei riportato il suo pupazzo”.

“La padroncina è di parola”.

“Certo che lo sono! Cosa credi?”, berciò, vagamente infastidita.


    L’alicorno compose una fune con alcuni lenzuoli annodati, quasi dovesse scappare da un carcere, e aprì la finestra. La notte era molto più tetra dell’ultima volta, poiché i satelliti in cielo erano mancanti. Le stelle, tuttavia, brillavano come diamanti su velluto nero. Il solito vento leggerò smosse leggermente la criniera della piccola.

Celine si calò con attenzione lungo la parete della casa, fino a terra. Grigiomanto, in un secondo momento, raccolse la corda improvvisata e poi fluttuò dolcemente sull’erba, sorretto dalla magia dell’alicorno.

“Siamo davvero forti!”, esultò l’altra sottovoce, mantenendo uno zoccolo a mezz’aria.

Il costrutto osservò il gesto senza capire.

“Beh?”, esclamò Celine, aspettando qualcosa.

“Grigiomanto… cioè: io non capisco”.

“Fai come me! Alza lo zoccolo e colpisci il mio!”, lo esortò.

“Per quale motivo, padroncina?”.

Lo sguardo dell’amica si fece spazientito: “E dai! Non farti sempre domande su tutto! Colpiscilo e basta!”.

Grigiomanto sollevò lentamente una zampa e percosse lo zoccolo dell’amica: fu così violento che l’alicorno fece una capriola all’indietro, rovinando con il sedere per aria.

“Non capisco ancora perché la padroncina abbia voluto tutto questo…”, confessò, con occhi gialli.

“Ok… n-non importa”, continuò l’altra, cercando di rimettere a fuoco le immagini attorno a lei, “Andiamo nella foresta”.


    Il tragitto oltre il bosco fu nuovamente pauroso: le tenebre erano sempre fitte e surreali, esattamente come le indefinibili tenebre che si percepiscono negli incubi. Celine ebbe paura ma, questa volta, aveva un vero amico accanto a lei e, forse, quelle ombre, altro non erano che il naturale dominio di Oscuro.

Il pensiero si spostò quindi sulle fauci ghignanti dello spirito, rimbalzando rapidamente tra una sensazione di disagio ed una di immotivata serenità.

Quando la mente iniziò seriamente a dubitare di ogni cosa, riapparve la radura, con tanto di luce dalle fronde (molto più tenue, rispetto a ieri) e lucciole bluastre. L’atmosfera era un po’ più cupa. Al centro, come si aspettavano entrambi, si ergeva la magione semidistrutta.

Si diressero verso l’uscio, la cui porta, stranamente, era di nuovo attaccata precariamente ad un cardine solitario.

“Sii più gentile, questa volta”, disse Celine all’amico.

“Tenterò”, e, spaccò il cardine, accompagnando la caduta del portone con il proprio corpo.

   

Erano di nuovo nel decadente salone: vecchio, polveroso e trasandato. Non era cambiato pressoché nulla.

Decisero di salire le scale, per raggiungere la stanza di Mantle, ma un rumore nel salone attirò la loro attenzione: le ombre della stanza iniziarono letteralmente a sciogliersi, come pece nera, e a raccogliersi lentamente al centro di essa.

Celine, istintivamente, si mise dietro al golem, che si preparò comunque al peggio.

La pozza di liquido nero iniziò a ribollire, emettendo sbuffi di fumo, gorgoglii sommessi ed urla terrificanti. Le fauci di Oscuro proruppero improvvisamente, accompagnate da un ruggito indefinibile, e lo spirito emerse del tutto, aiutandosi con le zampe massicce.

Finito lo spettacolo, si scrollò la pece di dosso, come un cane bagnato, che si dissolse rapidamente in fumo.

Gli occhioni di Celine balenarono dalle spalle di Grigiomanto: “Devi… devi sempre fare delle entrate in scena così?”, sussurrò.

L’altro, ovviamente, rise: “Oh! Certo che si! E’ nella mia natura!”, rispose, con voce cavernosa e innaturale, “E poi è sempre d’effetto!”.

    Si udì una timida voce provenire da una poltrona vicino alla finestra: “Sei tornata”.

Mantle era seduta sul mobile sgualcito, con lo sguardo fisso sulla finestra semidistrutta.

Celine notò la stranezza di quel luogo: ogni finestra della casa proiettava un diverso paesaggio notturno, tutti caratterizzati, però, da elementi di desolazione e abbandono.

“Sì… sono tornata”, rispose, facendosi avanti. Oscuro osservò la scena, in silenzio.

“Sai… avevo… avevo paura che non ti avrei più rivista”, confessò il pony col fiocco.

“Beh, ma… perché non sarei dovuta tornare?”, chiese l’alicorno, con sincerità.

L’amica si incupì: “Perché… perché a molti le ombre non piacciono”.

Lo spirito si mise a pancia all’aria, puntando lo sguardo in direzione di Mantle: “Ah! Guarda che io piaccio a tutti!”.

    A Celine balenò in testa l’immagine della bambola.

“Aspetta!”, esordì, “Devo ridarti questo!”.

La piccola salì sulla poltrona, insieme a Mantle, e tirò fuori il giocattolo dal portaoggetti.

“Ecco”, borbottò, “io… ho cercato di fare del mio meglio. Ma non sono molto brava… ora è pulito, anche se è pieno di… cuciture”.

L’altra lo prese in braccio e lo guardò attentamente, con sguardo inespressivo.

Celine pensò di aver combinato un disastro.

“Sai”, riprese quindi il pony paglierino, “pensavo lo avresti fatto aggiustare da qualcuno che lo fa per mestiere”.

“Io… io, scusami. Non ti piace. Ci ho provato… e…”.

“No, Celine”, la interruppe Mantle, con un piccolo sorriso, “E’ proprio ciò che volevo: che qualcuno ci mettesse impegno e amore. E questo è un Sulky che è stato trattato con amore”.

    Il piccolo pony chiuse gli occhi e strinse teneramente l’alicorno, schiacciando Sulky tra le due.

Celine non seppe come reagire e si limitò a ricambiare affettuosamente il gesto.

“Aaawww!”, sospirò Oscuro, con una posa ridicola, rivolgendosi al costrutto, “Non sono adorabili?”

“Io… io sono saprei”.

Le spire mostruose saettarono rapidamente attorno a Grigiomanto, sollevandolo almeno un metro da terra, a testa in giù. Lo spirito lo avvicinò al proprio sguardo: “Già! Cosa vuoi che ne capisca uno stupido sasso, vero?”.

Celine si preoccupò: “Ehy! Lascialo stare! Mettilo giù”. Il mostro dalla criniera di fumo la ignorò.

“Non… non sono uno stupido sasso”, rispose l’altro.

“Ah? Ma davvero? E cosa sei?”, ruggì, anticipando un’altra risata a denti stretti.

“Io… io sono…”.

“Sei di pietra. Non muovi la bocca. Non respiri. Sei un sasso”, incalzò Oscuro.

Gli occhi del golem divennero bianchissimi: “No. Io non sono un sasso. Io… io sono Grigiomanto”.

    Oscuro si lanciò in una cacofonia di risate e singulti, quindi posò a terra il costrutto e sorrise compiaciuto: “Grigiomanto… e non sei un sasso, eh? Questo lo vedremo…”.

“Ma ride sempre così tanto?”, chiese Celine, ancora accoccolata accanto all’amica, che prese a giocare con il pupazzo.

“Sono molto contenta che Oscuro sia con me”, rispose, “Io… sono sempre così triste… lui invece ride sempre. Ride, ride e ride. Ogni tanto mi sento meglio, per questo”. Oscuro… rise.

“Allora… ti piace il nuovo Sulky?”, domandò.

“Sì. Ora è di nuovo vivo”.

“Vivo?”.

“Ti è mai capitato”, continuò Mantle, “di avvertire la… personalità negli oggetti?”.

“In che senso?”, chiese confusa.

“Tipo… quando vedi una casa con le finestre che sembrano occhi e la porta è una bocca imbronciata? Oppure quando una bambola inanimata diventa improvvisamente viva quando ci giochi insieme?”

A Celine tornò in mente un episodio di qualche anno fa, in cui la madre le buttò via un vecchio peluche a forma di alicorno, credendo che non ci avrebbe più giocato. Lei non le disse nulla, ai tempi, ma, per alcune notti seguenti, rimase a piangere nel letto, temendo di aver perso per sempre un amico.

“Io… sì, ora capisco cosa intendi”.

Lo sguardo melanconico di Mantle si posò su Grigiomanto: “Io credo che… se anche il tuo amico non fosse animato… se fosse davvero una semplice statua… a te basterebbe trattarlo come fai ora e lui sarebbe comunque come il Grigiomanto che conosci”. Il costrutto cercò di elaborare quelle parole.

Oscuro si fece calmo e rilassato: fluttuò lentamente verso le due, ricoprendo la finestra con la propria figura: “La mente è uno strumento potente”, proferì, “Può difendervi come ingannarvi. Ma, secondo il modesto parere di uno spirito d’Ombra, quello che importa è ciò che voi credete e come lo percepite nel vostro interno”.

“Ora ti improvvisi maestro di saggezza, Oscuro?”, chiese Mantle, provocandogli l’ennesima risata.

“No! Al massimo posso essere l’ombra della saggezza!”.

“Esiste l’ombra di ogni cosa?”, chiese Celine, incuriosita.

Lo spirito sogghignò e i suoi occhi profondi la fulminarono nel cuore: “Certo, piccolo alicorno”, rispose lentamente, “Non esiste oggetto o entità che non possieda un’ombra di sé. Persino idee, concetti e ideali possiedono un’ombra. Anche i luoghi e le emozioni… tutto”.

“Voi spiriti siete così… strani”, concluse.

“Questa è una grande verità”, continuò Oscuro, “Anzi: tutto è strano. Ogni Mondo è strano. Cercando di conferire un senso ad ogni cosa, a catalogarla e giudicarla secondo un criterio, ognuno cerca la propria zona di… stabilità. Solo per scoprire di aver costruito sul bagnasciuga del mutamento”.

“Cosa… cosa vorresti dire?”, chiese Celine, in soggezione.

Lo spirito le si fece molto vicino: “Nulla è certo. Niente è per sempre. E non puoi sperare di migliorare se non accetti il cambiamento. Ma il cambiamento porta paure, insicurezze e anche sofferenza. E, a tutto ciò, nessuno può sottrarsi”.

L’alicorno ascoltò attentamente le parole dello spirito e, alla fine, esternando un po’ di recuperata sicurezza, dichiarò: “Io… io so bene chi sono. E mi vado bene così. Non ho bisogno di cambiare”.

Quelle parole scatenarono l’ilarità più assoluta di Oscuro, che impiegò quasi un minuto per riprendersi: “Oh! Voi esseri del Creato siete meravigliosi! Siete l’esempio più concreto dell’evoluzione, interna e non!”.

Celine assunse uno sguardo spazientito, non capendo a cosa si stesse riferendo lo spirito.


    “Ascolta, Celine”, disse infine Oscuro, “Sembri così sicura di te, ma… quanti Mondi conosci?”.

“Mondi?”.

“Sì, Mondi. Non penserai mica che questo sia l’unico Mondo esistente?”.

“Io… io non saprei”, farfugliò.

Lo spirito scrutò avidamente i presenti, con crescente agitazione: “Vuoi vedere il MIO Mondo?”, chiese, con voce terrificante.

Grigiomanto e la padroncina si osservarono.

“Io non so se voglio vedere il tuo mondo…”, rispose preoccupata.

“E’ pericoloso?”, chiese il golem.

“Che domanda insensata”, tagliò corto Oscuro, “Cosa non è pericoloso, sempre e ovunque? I pericoli sono dappertutto”.

La piccola Mantle si strinse all’amica: “Tranquilla, Celine. Il Mondo dell’Ombra non è un posto pericoloso. Non più del tuo, perlomeno”.

“Che… che ne dici, Grigiomanto?”, chiese l’alicorno, cercando un cenno di conferma nell’amico.

“Io dico… che andrò con la padroncina per proteggerla, come avevamo stabilito, ovunque lei vada”.

Un aghiacciante sorriso si dipinse sul muso di Oscuro: “Perfetto”, sibilò.  photo Oscuro2.jpg

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Capitolo 5
*** Ricordi ***


L’immagine di Oscuro si fece imponente: lo spirito levitò fino al soffitto e tutte le ombre presenti divennero buie come la notte. La risata del mostro si diffuse in ogni angolo della stanza e, con uno scatto fulmineo, piombò su Celine a fauci spalancate. L’alicorno urlò e si coprì gli occhi dal terrore, quando l’enorme bocca la inghiottì.


    Ci fu un attimo di smarrimento: il piccolo pony riaprì timidamente le palpebre e notò che tutto, intorno a lei, altro non era che oscurità priva di forma. Si sentiva strana: osservò le proprie zampe, leggermente trasparenti e illuminate d’argento, fluttuare nel nulla. Cercò di annaspare in qualche direzione, senza risultati. Il silenzio era spiazzante.

“Grigomanto!”, gridò infine, “Grigiomanto! Dove sei?”.

“Calmati, Celine”, disse Mantle, dietro di lei.

L’alicorno si voltò e vide la sagoma della sua amica, grigia, spenta e un po’ indefinita, galleggiare nel vuoto: il pony caricò un balzo nel nulla e prese a volare verso Celine,a zampe protese. L’altra allungò a sua volta gli zoccoli, cercando di intercettarla.

Le due si urtarono dolcemente, afferrandosi gli arti per non lasciarsi andare, e presero a ruotare debolmente per inerzia.

“Tutto bene, Celine?”, chiese Mantle, con un sorriso.

“Sì… credo di sì”, rispose, ricambiando il sorriso.

Un minuscolo pony privo di dettagli trotterellava affannosamente nell’aria, a pochi metri dalla coppia, cercando di raggiungerla, senza però muoversi di una spanna.

“Chi è quello?”, chiese l’alicorno.

“Oh, quello è Sulky”, rispose.

“Sulky… è vivo?”, domandò stupita.

“Ti ricordi quando ti ho detto che i pupazzi sono vivi, quando ci giochi insieme? Quella è l’ombra di Sulky quando gioco con lui”.

L’amica spalancò la bocca, quasi divertita.

“Aspetta Sulky”, disse Mantle, separandosi per un attimo dalla compagna, “Vengo a prenderti”.

Il piccolo pupazzo abbracciò il petto della padrona, quando questa lo raggiunse a zampe spiegate: “Ti sono mancata? Su, stai tranquillo: ora sono qui”.

“Dov’è Grigiomanto? E’ anche lui qui?”.

L’altra, per tutta risposta, sorrise appena e puntò il muso alle spalle di Celine.

    Una luminosa sfera, rossa e pulsante, emetteva onde vermiglie che viravano al bianco, man mano che si disperdevano nell’oscurità, fino a scomparire.

“Grigiomanto?”.

La strana essenza prese a parlare, emulando in tutto e per tutto ciò che faceva solitamente il golem con gli occhi: “Sono io, padroncina. Sono Grigiomanto”. La sua voce fu sorprendentemente naturale e piena di inflessioni: al piccolo alicorno parve in realtà di sentire decine di voci in riverbero, una dentro l’altra, creando complessivamente una tonalità asessuata e indefinibile.

“Grigiomanto! E’… è questa la tua vera voce?”, chiese eccitata.

La sfera palpitò di azzurro: “Senza più vincoli magici, posso comunicare senza restrizioni”.

“Credo volesse dire di sì”, ridacchiò Celine, guardando l’amica, “Ma cos’è questo posto?”,

    Oscuro comparve dalle tenebre, difficile da riconoscere, in mezzo a tutto quel nero. Solamente i denti lucidi e qualche sporadica chiazza blu elettrico, attorno alle orbite buie, ne rivelavano chiaramente la presenza: “Questa è l’Ombra”, dichiarò.

“E’… un po’ monotona…”, sussurrò l’alicorno, guardandosi attorno.

“Soltanto perché l’Ombra risponde agli stimoli di coloro che vogliono vederla”.

“Scusa, Oscuro”, rispose Celine, “ma il tuo parlare… oscuro, appunto, non mi è d’aiuto”. Lo spirito sghignazzò.

“Battute stereotipate su uno stereotipo?? Ah! Fantastico!”.

“Smettila, Oscuro”, lo ammonì Mantle, “sei sempre il solito… Suvvia, non dilungarti”.

La lingua del mostro, simile a quella di una lucertola, uscì rapida dalla bocca e diede una sferzata sul volto del pony incolore, il quale rise divertito. Tossì quindi convulsamente e sputò il povero Sulky, ricoperto di bava peciosa.

“Puah! Stava per andarmi di traverso!”, berciò.

“Povero Sulky!”, mugugnò Mantle, andando a consolarlo.

“Voi siete matti!”, aggiunse Celine, cercando di trattenere le risate.

“Bando agli indugi”, ruggì lo spirito, “Quale Ombra vorresti vedere?”.

“Cioè? Intendi… del passato?”.

“Non sono in grado di rivelare le ombre del futuro. Posso solo intuire la posizione delle loro proiezioni: un po’ come ipotizzare dove si muoveranno le ombre di una meridiana, in base alle evoluzioni del sole”.

Mantle gli fece cenno di ridurre al minimo le chiacchiere.

“Ombre del Passato, già”, dichiarò alla fine la creatura.

Celine ci pensò a lungo, senza ottenere un’idea precisa: “Non… saprei cosa dire…”.

“Allora facciamo così, piccola puledra”, disse lo spirito, spalancando le zampe e accumulando potere dentro di sé, “Ti farò fare un rapido giro delle Ombre del Passato di questo Mondo… e poi delle Ombre del Passato di Mondi che non conosci. Ti va?”.

I due pony si guardarono e Mantle la rassicurò: “Tranquilla, Celine. Andrà tutto bene”. L’altra decise di fidarsi e annuì.

    Oscuro non aspettava altro. In preda all’eccitazione, sussurrò: “Tenetevi forte…”, e colpì poderosamente i palmi artigliati tra loro.


    Ci fu un boato e tutto quanto prese a tremare senza sosta. Oscuro diede le spalle al resto del gruppo, unendo gli arti al ventre e spiegando la lunghissima coda, come se stesse per prepararsi al volo. Celine si spaventò e Mantle strinse forte una zampa dell’alicorno a sé, sorridendole. Grigiomanto si avvicinò alla padroncina e il piccolo Sulky fece appena in tempo a cingere il collo della compagna di giochi, subito prima che il gruppo partisse a grandissima velocità, proiettato verso chissà quale destinazione.

    Celine strinse i denti e percepì lo stomaco salirle in gola. Le tenebre, di fronte ad Oscuro e alla sua coda sferzante, lasciarono il posto ad un tunnel dai mille colori. Alla puledrina parve di viaggiare nell’aria, sospinta da una immensa potenza magica. Attorno a lei presero a formarsi, come fantasmi emersi dal nulla, mille immagini trasparenti di luoghi verosimili ma mai visti prima. I quattro saettarono tra edifici decadenti, palazzine, campagne sterminate, castelli, laghi, altissime montagne, nuvole, praterie sconfinate, deserti polverosi e poi le grandi città: la vita di mille equini prese a scorrere tutt’intorno, come un filmato troppo veloce.

Una inebriante sensazione euforica iniziò a pervaderla: le sembrava di volare come una saetta tra mille scenari diversi, tra mille personalità diverse, fino a tuffarsi, addirittura, in un violaceo oceano pieno di creature acquatiche. Scesero sempre di più nelle oscurità degli abissi. Celine sentì un sorriso di gioia pronto a scoppiare. Si voltò a sinistra e vide Mantle, a zampe spalancate, con lo zoccolo appena accostato al suo: al collo, sventolando come una bandierina, Sulky cercava di non perdere la presa. Dall’altra parte, completamente smeraldo dalla gioia, Grigiomanto sembrava una cometa: la sua essenza globulare diffondeva mille luci e colori dietro di sé, per via della velocità, creando una lunghissima coda scintillante.

Oscuro si girò sulla pancia, volando all’indietro, e rivolse il suo tipico ghigno diabolico verso i tre.

    Celine non si trattenne più: iniziò a ridere e urlare, accompagnata dalle emozioni incredibili che stava provando in quel momento. A lei si unì l’inconfondibile risata dello spirito, che prese quindi a roteare su se stesso, velocizzando ulteriormente il viaggio.

    Il gruppo sbucò fuori dalle acque, come un fulmine, e l’alicorno intuì che si stavano addentrando nelle Ombre di altri Mondi. Attorno a lei comparvero, in rapida successione, scenari incredibili: inferni ribollenti di lava, cave di cristallo celeste, boschi dagli alberi mastodontici, deserti di avorio e qualsiasi cosa la sua giovane mente avrebbe mai potuto immaginare.

Il suo volto argenteo rifletteva i mille colori e tonalità di quei posti fantastici, regalandole gioia e stupore come non aveva mai percepito prima.


Quando le emozioni giunsero al culmine, improvvisamente, Mantle spostò l’attenzione in un punto particolare del paesaggio e tutto si fermò.

I presenti rallentarono rapidamente e Oscuro li accompagnò al centro di un’estesa campagna, atterrando, infine, al limitare di un grosso casolare. In brevissimo tempo, i quattro si adagiarono mollemente sull’Ombra del terreno: del tutto e per tutto uguale all’originale, soltanto più scuro e indistinto.

Il viaggio era apparentemente giunto ad una meta.

Mantle sgranò gli occhi e spalancò leggermente la bocca, come se qualcosa, di quel posto, le stesse comunicando un’emozione intollerabile. Senza rendersene conto, lasciò la zampa dell’amica e prese a girovagare lentamente. Poco distante dal gruppo, si stagliava il grosso caseggiato e, dopo un’attenta analisi, Celine esclamò: “Ma… ma quella è… è la casa da cui siamo partiti! E’ la casa nella foresta!”.

L’abitazione era un po’ diversa da come se la ricordava l’alicorno: mancavano molti dettagli e tremolava, come lambita dal calore di una fiamma, quasi fosse un miraggio. Ma era indubbiamente lei. Il paesaggio circostante ricordava un’antica distesa coltivata, in toni di grigio, con un curioso sole argenteo sullo sfondo, in mezzo alle colline. Ad alcune centinaia di metri si ergeva una foresta.

“Siamo… siamo tornati indietro?”, chiese Celine ad Oscuro.

“No. Questo luogo è un’Ombra dei ricordi di Mantle”, rispose lo spirito, con voce cupa.

I tre la seguirono.

Il pony paglierino si fermò più volte ad osservare alcune zone del luogo, vivendo strane memorie e pensieri dentro di sé. Si avvicinarono sempre di più al caseggiato e, improvvisamente, videro l’ingresso spalancarsi: due piccoli pony uscirono fuori trotterellando e l’aria si arricchì dell’eco di schiamazzi infantili.

Celine face un passo indietro: uno dei pony, anche se vagamente più giovane, era la copia esatta dell’amica. Lo stesso fiocco, la stessa criniera, gli stessi occhi… soltanto il volto era diverso: felice e colmo di gioia, come mai l’aveva visto prima. L’altra puledrina, invece, aveva lo sguardo tremolante, praticamente indistinguibile: anche su di lei, tuttavia, ricadeva dolcemente un fiocco, come quello di Mantle, soltanto un po’ più scuro.

    Nell’immagine di fronte a loro, come in un ricordo vivente, le due puledrine si rincorrevano e giocavano felici. Mantle, quella che Celine conosceva, osservò la coppia divertirsi e, per un istante, l’espressione sul suo volto fu combattuto tra la gioia e la sofferenza.

“Mantle…”, sussurrò l’alicorno, muovendosi verso di lei.

Gli artigli di Oscuro le calarono di fronte: “Aspetta”, le consigliò lo spirito, “Ora lasciala stare. Sta affrontando le sue Ombre”.

“In che senso… affrontando?”, chiese con preoccupazione, osservando l’amica che si intristiva.

Oscuro sospirò sommessamente e, in modo del tutto inaspettato, il ghignò malefico lasciò il posto ad un’espressione neutrale: “E’ una storia triste, come ti dissi poco tempo fa”.

“Quella è la… sorella di Mantle?”, bisbigliò Celine.

“Sì”.

“Perché ha il volto… sfocato?”.

Lo spirito non rispose e si limitò ad emettere un gorgoglio profondo.

    Dalla casa si presentò una coppia di pony adulti, con vestiti d’altri tempi: anche i loro sguardi erano confusi e indecifrabili.

“Mantle! Lyla! Non allontanatevi troppo!”, risuonò una voce femminile.

“Sì mamma!”, rispose una delle due, sempre con sovrannaturale riverbero.

Gli eventi si fecero un po’ confusi e la coppia di puledrine si spostò in direzione della foresta.

Mantle, seguita a ruota dal piccolo Sulky, le tenne dietro, e così fecero i suoi amici. Il tragitto fu quasi istantaneo, come ad aver percorso duecento metri in meno di un batter di ciglia.

Il gruppo si trovò quindi in una foresta soffocante, simile a quella che Celine aveva dovuto affrontare per trovare lo spirito e la sua amica.

Il ricordo di Mantle, sempre tremolante, stava cercando qualcuno, in preda al panico: “Lyla! Lyla! Dove sei?”, urlava.

Celine osservò sgomenta il piccolo pony, impegnato a setacciare ogni centimetro della vegetazione, alla ricerca della sorella.

Cadde un lampo dal cielo e la scena mutò istantaneamente: Mantle osservava il ricordo di se stessa, distesa sotto la pioggia, tra gli alberi. Il suo alterego ricopriva il corpo della sorella, che respirava a fatica, forse nel tentativo di scaldarla o di proteggerla. “Andrà tutto bene… andrà tutto bene, Lyla. Stai tranquilla… vedrai che prima o poi mamma e papà ci troveranno”.

Cadde un secondo lampo. La pioggia batteva più forte. Lyla era svanita sotto i loro occhi e, al suo posto, non rimaneva che il ricordo di Mantle: immobile, con lo sguardo a terra e strozzata dal pianto.

Celine si portò gli zoccoli sul muso: “Oh… no”, esclamò, con voce tremante.


    Mantle, quella vera, alzò lo sguardo, spostandolo dall’Ombra della propria immagine alla nera figura della spirito: “Ti ricordi, Oscuro?”, disse, con voce neutrale, “Avvenne poco prima che tu mi trovassi”.

Il mostro fluttuò lentamente verso l’amica e le posò una zampa sulla piccola groppa. Sulky, dal basso, li osservava incuriosito.

“Sì, piccola. Mi ricordo”. Il bestione strusciò dolcemente il grosso muso dentato contro quello esile del pony, emettendo un profondo verso simile alle fusa.

“Sarei dovuta andarmene anch’io”, concluse.

“Chissà”, riprese Oscuro, “Nessuno potrà mai dirlo”.

    Ci fu un terzo lampo e, improvvisamente, Celine si sentì incredibilmente pesante. Si ritrovò di colpo al centro di una vera foresta nel buio, sotto la pioggia, e illuminata debolmente da una luce accanto a lei: si girò e vide Grigiomanto, di nuovo statua, roteare confuso lo sguardo luminoso.

Mantle e Oscuro erano nello stesso posto di prima ma, invece del ricordo, si ergeva un arbusto, da cui penzolava un fiocco blu, vecchio e sgualcito. Sulky era un pupazzo accasciato a terra.

“E’ curioso”, continuò il pony paglierino, osservando il fiocco, “E’ rimasto qui, dopo tutto questo tempo. E’ come se il Mutamento non avesse influenzato questo posto”.

“I luoghi testimoni di grandi eventi emotivi”, spiegò lo spirito, “sono molto più difficili da alterare”.

    Celine iniziò a singhiozzare, cercando di nascondere le lacrime.

“Cosa c’è, amica mia?”, chiese Mantle, dispiaciuta.

“Io… io non sapevo…”, balbettò, “non… non sapevo cosa… cosa ti fosse…”.

“Va tutto bene, Celine”, la tranquillizzò l’altra con un sorriso, “E’ accaduto molto tempo fa”.

“Ora però è tornato”, proferì lo spirito, “Non puoi scappare dalle tue Ombre”.

Il piccolo pony tornò a fissare il fiocco e gli passò delicatamente uno zoccolo sopra.


    Oscuro, riesumando il suo antico sorriso, si girò verso il costrutto e la sua padroncina: “Meglio che andiate”.

“Il vostro tempo è finito?”, chiese lei, continuando ad asciugarsi le guance.

“No. Manca ancora un po’. Ma è meglio che Mantle rimanga qui da sola. Non preoccupatevi. Io sarò con lei”.

“Va… va bene, Oscuro… però: come ce ne andiamo?”.

“Prendete una direzione qualsiasi. Il Mutamento vi riporterà nel luogo a cui vorrete tornare”.

Celine si allontanò, lanciando un ultimo sguardo all’amica, completamente assorta nell’osservare, con grande tristezza, il grosso fiocco blu.



*** ***** ***



    I due giunsero nella prateria erbosa, a seguito dell’ormai consono tragitto privo di spazio e tempo.

L’alicorno aveva lo sguardo basso e stava soffrendo per Mantle. Grigiomanto le diede un piccolo colpetto sul collo, col muso di pietra. L’altra gli sorrise.

Il costrutto alzò quindi lo sguardo al cielo e poi, con occhi violacei e voce nuovamente impersonale, sentenziò: “Celine… ho una brutta notizia…”.

“Cosa, Grigiomanto?”, domandò.

“In base alla posizione degli astri nel cielo, prima e dopo il nostro viaggio, direi che…”.

La parole del golem vennero interrotte da due figure che precipitarono dal cielo, accompagnate da una nevicata di piume bianche e nere.

“Celine! Dov’eri finita!”, sbottò la madre, con il volto estremamente preoccupato, quasi rigato dalle lacrime. Vicino a lei, passando rapidamente da un’espressione afflitta ad un serio sguardo ammonitore, si stagliava imperioso il padre.

“Celine! Ti abbiamo cercata dappertutto!”, urlò con rabbia, “Ma cosa ti salta in mente! Hai idea di che ore sono, oltretutto?”.

“Ehm… veramente no”, sussurrò l’alicorno, preparandosi a passare un brutto quarto d’ora.



*** ***** ***



    Mancava poco all’alba e il piccolo alicorno sarebbe dovuto essere a letto. Ma così non era: Celine, a sguardo basso, fissava un punto indefinito nella stanza, cercando di ignorare il più possibile le urla del genitore dalla criniera stellata. La madre, poco distante, la osservava in silenzio, combattuta tra il desiderio di sgridarla e la gioia che stesse bene.

“Hai idea del rischio che hai corso?”, sbraitò Dedalo, “Hai la più pallida idea di cosa sarebbe potuto accaderti, nel Mutamento?”. La figlia si limitò a sospirare.

“Lo sai, vero, che alcuni nostri compagni non hanno mai fatto ritorno da quel luogo? Cosa ti è saltato in mente? Cosa pensavi di fare, si può sapere?”.

La madre prese la parola: “Celine, perché ci hai disubbidito? Ormai sei grande, dovresti capire quando una cosa è pericolosa”.

“Io…”, borbottò l’altra, con un filo di voce, “io volevo… vedere il Mutamento”.

Lo stallone colpì violentemente il pavimento con uno zoccolo: “Che stupidaggine! Sei troppo piccola e troppo… indifesa, per pensare anche solo di avvicinarti al Mutamento. Celine, mi hai molto deluso”.

La figlia alzò lo sguardo, un po’ umido: “Ma… ma non è vero: e poi c’era Grigiomanto a proteggermi”.

“Grigiomanto?”, chiese Ivory.

“Uh… sì… è il nome che ho dato al golem”.

“A proposito del golem…”, esclamò Dedalo, spostando l’attenzione su di lui: “Golem! Avevi il compito di vegliare di Celine ed impedirle di oltrepassare la radura! E non l’hai fatto!”.

Grigiomanto non disse nulla e la padroncina stette male per lui.

“Caro”, aggiunse la compagna, “forse il costrutto non è così… affidabile?”.

“E’ quello che mi stavo chiedendo anch’io…”.

“No!”, urlò Celine, “Non è colpa sua! Non ha disubbidito! Sono… sono stata io! E’ colpa mia! L’ho ingannato! Gli ho detto che, se non mi avesse accompagnata nel Mutamento, allora non sarebbe stato in grado di proteggermi se qualcosa ne fosse uscito fuori!”.

I genitori si scrutarono, poco convinti.

“Non è colpa sua!”, ripeté.

“Questo non ha importanza”, tagliò corto il padre, “Devo comunque sincerarmi che i suoi livelli entropici siano stabili e, se necessario… dovrò ricorrere alle relative contromisure”.

    Gli occhi del piccolo alicorno si spalancarono e il fiato le venne meno: “No! No, papà, cosa vuoi fargli?”.

“E’ tardi, Celine”, dichiarò Dedalo, “torna a letto e dormi almeno qualche ora. Domani riprenderemo il nostro discorso… e non pensare di fare qualche altra stupidaggine. Golem: seguimi”, concluse, spostandosi verso il laboratorio.

“No!”, strillò Celine, cercando di raggiungerli, ma la madre, spalancando un’ala e con il volto visibilmente dispiaciuto, le fece da ostacolo.

“No, mamma! Cosa vuole fargli?”, continuò a urlare, con crescente disperazione.

“Celine”, rispose lei, “papà… deve sincerarsi… che il golem sia a posto. Ora andiamo in camera”.

“Non voglio! Non voglio andare in camera! Grigiomanto! Grigiomanto torna indietro! Torna qui, te lo ordina la tua padroncina!”, gli disse, mentre le lacrime presero a scorrerle copiose. Ivory la portò via a forza, cercando di ignorare i suoi appelli disperati. Il costrutto le lanciò un’ultima occhiata, prima che la porta del laboratorio si chiudesse dietro di lui.


    La piccola era seduta sul letto, attraversata dai singulti del pianto. Sotto il suo muso, sul copriletto, si era formata una chiazza scura, costantemente inumidita da goccioloni che le cadevano dal mento. La madre, visibilmente turbata, cercò di carezzarle la groppa ma Celine si ritrasse: “Vattene! Lasciami stare!”.

Ivory non sapeva cosa dire. Si sentiva male e avrebbe fatto di tutto pur di consolarla. Sapeva bene, tuttavia, che un golem potenzialmente instabile poteva essere un pericolo non da poco. Infine: la piccola puledra doveva imparare a non disubbidire agli ordini dei genitori, specialmente in un posto così ricco di minacce.

“D’accordo, piccola mia”, disse, con voce flebile, e si congedò lentamente. Poco prima di chiudere la porta, il suo corno si illuminò debolmente, ed una sottile barriera magica si levò per incanto dinnanzi alla finestra.

Celine continuò a piangere, chiedendosi cosa stesse accadendo a Grigiomanto. La sua apprensione crebbe, temendo che, forse, non l’avrebbe più rivisto o che sarebbe cambiato per sempre.

“Oscuro… Mantle…”, sussurrò tra i singhiozzi, “vorrei che foste qui come me”. La risposta non si fece attendere.

    Dall’angolo più buio della stanza, questa volta senza tanti effetti terrificanti, l’alicorno vide una bolla nera emergere dall’ombra. La sfera svanì improvvisamente, rivelando lo scheletro di un piccolo pony, con un grosso girocollo e un fiocco rosso sul cranio. Le ossa si arricchirono rapidamente di carne ed organi, come una putrefazione al contrario, generando infine il corpo paglierino di Mantle.

L’amica aprì lentamente i vitrei occhi rosa: “Ciao Celine”.

L’altra sorrise, tirando su con il naso: “Ciao…”.

“Perché piangi?”.

“I miei genitori… e Grigiomanto… non so cosa gli stiano facendo”, farfugliò.

Mantle si avvicinò al letto e si mise accanto all’alicorno: la abbracciò teneramente, prendendo a lisciarle la chioma con i freddi zoccoli, apparentemente privi di vita. Celine si calmò leggermente.

“Dov’è Oscuro? Non è con te?”, chiese.

“Oh, lui c’è. E’ un po’ ovunque, sai? Ma è fuori dal suo dominio e, con l’alba vicina, i suoi poteri sono molto più deboli”.

“Vuoi dire che è qui?”.

“Sì, Celine, anche se non puoi vederlo”. L’alicorno scrutò le ombre, senza notare nulla di particolare.

“Se si manifestasse”, continuò il pony paglierino, “probabilmente i tuoi genitori se ne accorgerebbero, quindi rimane nascosto”.

“Anche gli altri spiriti fanno così? Ci osservano senza che possiamo vederli?”.

“Non lo so. Però, se fanno come Oscuro… allora abbiamo mille occhi puntati addosso”, concluse, continuando a lisciarle i crine.

“Non è che…”, azzardò l’amica, “potrebbe controllare cosa sta succedendo a Grigiomanto?”.

    Mantle si fermò e le palpebre le scesero leggermente. Iniziò ad ondeggiare, come sospinta da correnti invisibili, quindi riaprì gli occhi: “Mi ha detto di non preoccuparti”.

“Davvero?”, si illuminò Celine.

“Sì. Stai tranquilla, amica mia”.

“Oh, grazie!”, esordì l’alicorno, abbracciandola con forza, “Grazie a tutti e due”.

“Così mi soffochi”, esclamò Mantle.

“Oh scusa!”.

“Perdonami, ti ho preso in giro”, rispose la compagna, mostrando i primi segni di evanescenza sul proprio corpo, “io non respirò più da tempo, ormai”.

L’orizzonte si stava rischiarando: l’alba era vicina.

“Dovete andare?”.

“Temo proprio di sì… Oscuro può sopravvivere anche al sole… ma i suoi poteri sarebbero così deboli da… da…”.

“Cosa?”, chiese Celine.

“Niente”, rispose Mantle, quasi scomparsa del tutto.

“Per un po’”, disse l’alicorno, “credo che non ci vedremo. Non so cosa decideranno i miei. Ma farò di tutto per incontrarvi di nuovo, te lo prometto. Sennò… potreste sempre venire a trovarmi voi, no?”.

Il pony paglierino sorrise: “Tranquilla: non credo che staremo separate a lungo”.

Con quelle parole, il suo corpo svanì completamente. Il girocollo cadde sul letto e venne lentamente inghiottito da una pozzanghera di liquido scuro, che si dissolse a sua volta.

    I primi raggi del sole si fecero strada nella camera da letto e le ombre presero ad indebolirsi. Celine osservò il cielo illuminarsi, a poco a poco. Il bosco in lontananza perse tutta la sua tetra magia: i suoi misteri svanirono, lasciando spazio ad una normalissima macchia verde. Mai come allora il buio e le tenebre le erano sembrate così rassicuranti.

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Capitolo 6
*** L'Altro Cielo ***


Cosa spinge le realtà di mondi diversi ad incontrarsi? Esiste una forza, un impulso, forse, in grado di dare una spiegazione al paradossale legame instauratosi tra le esistenze più improbabili?

Può la fredda pietra imparare ad amare?

Può la spaventosa oscurità essere un’isola di salvezza in un mare impetuoso?

Può un ultimo alito di vita mantenere solida la carne, per aiutare colui che la abita?

Come riusciva, tutto questo, a legarsi ad un unico, piccolo alicorno?

Le domande, nella testa di Celine, scorrevano veloci.


    Erano passati alcuni giorni dall’episodio nella prateria. Alla fine, nonostante le paure, tutto si risolse per il meglio. Dedalo verificò come i livelli di stabilità del golem fossero calati, rientrando comunque nei limiti di sicurezza: decise così di non fare nulla, a parte qualche incantesimo stabilizzante.

Celine non uscì di casa per un po’ di tempo, come punizione, e l’episodio venne presto accantonato come una vicenda di vita: i genitori ripresero le proprie misteriose ricerche, confidando che, quanto accaduto, fosse servito da insegnamento per la figlia. La piccola, per scongiurare momentaneamente qualsiasi altro problema, decise di non recarsi da Oscuro, per le notti seguenti. Non sapeva come avrebbe fatto a rivederlo ma, per ora, era meglio lasciare che la vita riprendesse a scorrere come prima. Più avanti avrebbe pensato se e come incontrarli di nuovo.


    Così, in un soleggiato pomeriggio, la routine riprese a scorrere.

Celine si trovava nella sua cameretta, intenta ad osservare la foresta lontana, domandandosi cosa stessero facendo Mantle e Oscuro.

Pesanti tonfi lungo le scale la avvertirono dell’arrivo di Grigiomanto, che si presentò subito dopo.

L’amica lo scrutò perplessa e poi scoppiò a ridere: sulla testa del grosso stallone di pietra era collocato un cappello da donna a tesa larga, un po’ malandato.

“Il capo di abbigliamento suscita l’ilarità della padroncina?”, chiese Grigiomanto, con gialla curiosità negli occhi.

“Oh mamma! Sei buffissimo!”, ridacchiò.

“Non era questo il mio intento… ma sono contento che provochi gioia nella padroncina”.

“Non mi fraintendere, Grigiomanto, ma perché ti sei messo un cappello?”.

Il costrutto osservò la propria immagine riflessa in uno specchio lì accanto: “Ogni tanto vedo i creatori indossare capi d’abbigliamento. La padrona Ivory, in particolare, ha gettato via questo oggetto, definendolo troppo vecchio. Così l’ho recuperato, senza che se ne accorgesse”.

“Volevi avere anche tu un… vestito?”, le chiese Celine, lasciandosi intenerire un po’.

“Non saprei”.

“Comunque quello è un cappello da donna!”, riprese l’amica sorridendo, “Ma in effetti, a pensarci bene, non credo abbia molta importanza. Tu non hai sesso. Sei diverso. Quindi suppongo tu possa indossare tutto quello che ti pare”.

“Io sono… diverso?”, domandò Grigiomanto, inclinando il capo.

“Sì. Non solo sei diverso da tutti coloro che ho incontrato fino ad ora ma sei diverso anche come costrutto”.

“In cosa differisco dai normali costrutti, se mi è permesso chiederlo?”.

“Beh insomma… guardati! I costrutti che ho visto io sono… sono solo delle marionette animate dalla magia. Si muovono, rispondono come degli automi… non sono… non sono come te. Tu sei unico”.

    Grigiomanto osservò a lungo il proprio interlocutore e poi, con occhi dalle tonalità dell’iride, esclamò: “Io sono… unico?”.

“Certo”, lo rassicurò l’amica, “Non credo esista nulla come te”.

L’altro non disse nulla e la padroncina si limitò a sorridergli.

“Ascolta”, riprese Celine, “ti va di andare vicino al lago ad osservare la farfalle? Per davvero, questa volta!”.

Le parole dell’amica lo riportarono al presente: “Ma certamente”, rispose, con verde eccitazione, dopo aver posato il cappello in un angolo.

“Non lo porti? Non sarà mica per quello che ti ho detto, vero?”.

“Sbagliato: rischierei di farlo cadere in acqua e potrebbe rovinarsi. Meglio tenerlo qui, all’asciutto”.


    I due uscirono all’aperto, investiti da un radioso sole estivo. Il cielo era terso, con giusto qualche batuffolo di nuvole qua e là. La brezza, sempre perenne, aiutava ad allontanare la canicola soffocante, creando, tutto sommato, una giornata piuttosto piacevole.

La prateria era mutata dal verde all’oro e il rumore degli insetti risuonava ovunque, come una nenia lontana. In lontananza, un insieme di scintille ondeggianti indicava la presenza del piccolo fiume.

Celine e Grigiomanto si diressero verso le sue sponde, fino ad udire il rumore gentile dello scorrere della corrente. Lo risalirono in tutta la sua lunghezza, giungendo infine ad una grossa insenatura, che formava un lago, alimentato da un fitto insieme di piccole cascate.

L’acqua rifletteva la luce sulla superficie ed era limpidissima, potendosene quasi vedere il fondo. Alcune sagome scure lasciavano intuire la presenza di vita acquatica.

Il costrutto si fece immobile e l’amica si sistemò all’ombra di un piccolo arbusto, spostando rapidamente lo sguardo sulle farfalle che le balenavano sporadicamente nei dintorni. Anche Grigiomanto, seppur più lentamente, si fece incantare dalle trame sfaccettate delle loro ali.

L’alicorno si lasciò cullare da quel momento di pace e tranquillità.

Mentre seguiva i piccoli insetti, lo sguardo del golem si levò casualmente al cielo.

“Vorrei fare una domanda, se mi è concesso”, esordì.

L’amica, sul punto di appisolarsi, aprì mollemente le palpebre: “Mh… cosa?”.

“I creatori sono giunti dal cielo, giusto?”.

“Sì”, rispose lei, alzando lo sguardo a sua volta, “Un po’ di tempo fa vivevamo tra le nuvole”.

“Mi chiedo… come debba essere… stare lassù, ad osservare il mondo dall’alto”.

“E’ bello”, ammise, con un po’ di tristezza, “ma, se devo essere sincera, non sono mai stata ad alta quota e non ci andrò mai… finchè non imparo a volare come si deve”.

“La padroncina sente il bisogno di volare?”.

“Io credo di sì. Mi piacerebbe… librarmi nel cielo… e vedere il mondo sotto un’altra prospettiva: qualcosa che solo lassù potrei fare”.

Gli occhi del golem scintillarono: “Prospettiva… terminologia interessante”.

“Perchè?”.

“La padroncina pensa che solo lassù si possa vedere il mondo sotto un’altra prospettiva?”, domandò Grigiomanto.

“Beh, sì. Almeno che non sbuchi Oscuro a portarmi in qualche strano luogo… direi che è l’unico modo”.

Il costrutto iniziò a muoversi lentamente verso il lago: “Se mi è concesso, vorrei dimostrare che la padroncina si sbaglia. E che esiste un altro cielo”.

Celine rimase interdetta: “Cosa stai dicendo? Che vuoi fare?”.

“Padroncina, venga con me”.

    La coppia si avvicinò alle sponde del lago e Grigiomanto riprese il proprio discorso: “Quando i creatori non sono in zona e quando non ho compiti da assolvere… ogni tanto mi reco qui, ad osservare l’altro cielo”.

“Io credo che gli incantesimi di papà ti abbiano rintronato un po’ troppo la testa”, lo derise scherzosamente.

“La padroncina si affida troppo solo a ciò che riesce a vedere”. Udendo quelle parole, l’alicorno portò alla mente il discorso che le fece un giorno la madre: “Come ho detto, piccola mia: alcune cose le vedi con gli occhi… altre… le vedi col cuore”.

“Ecco, io…”, balbettò, “Non so… cosa dovrei vedere?”.

“La padroncina si fida di Grigiomanto?”, domandò, ruotando il volto sorridente verso di lei.

Celine ricambiò l’espressione: “Ma certo che mi fido di te”.

“Io non devo respirare ma la padroncina possiede un metabolismo organico. La padroncina sa nuotare in apnea?”.

“Non mi piace la piega che sta prendendo la tua proposta”, biascicò preoccupata.

“La padroncina può non fidarsi, se lo desidera”.

“No, no… mi fido… io ho già nuotato nel lago. Mi sono anche immersa, ma solo per pochi attimi”.

“Non ci vorrà molto”, riprese il costrutto, “Se la padroncina vuole provare, allora raggiunga Grigiomanto dove sta per recarsi”. Dopo aver concluso il discorso, la statua prese lentamente ad entrare in acqua, camminando sul fondale. Celine, esterrefatta, lo vide avanzare sempre di più, fino a scomparire nelle profondità. Solo la luce pulsante del suo cuore era appena visibile, come una macchia rossa indistinta.

La piccola si guardò attorno con nervosismo, in preda all’indecisione. Si immerse quindi a sua volta, lasciando però fuori la testa, nuotando fino a trovarsi perpendicolare alla luce sul fondale. Le sensazione di fluttuare sospesa nel lago le era sempre piaciuta, specialmente quando faceva così caldo, percependo la deliziosa sensazione dell’acqua fresca tutt’intorno.

Ebbe un altro momento di titubanza ma, alla fine, prese una grossa boccata d’aria e si portò sotto il pelo della superficie.


    Sotto di lei, adagiato sul fondo, Grigiomanto la osservava, come in trepidante attesa.

Celine, con le guance gonfie, prese istintivamente a muovere le ali a mo’ di pinne, cercando di avvicinarsi all’amico. Scese almeno quattro o cinque metri in profondità, prima di raggiungerlo. Attorno a lei non vi era altro che un fondale lambito dalle alghe e qualche pesce spaventato.

    Grigiomanto parlò, senza che il fluido ostacolasse la sua voce arcana: “Ora, padroncina, lasci che l’acqua sostenga il suo corpo”. Lei, sempre un po’ insicura, decise di ascoltarlo e provò a rilassare i muscoli.

Il golem sollevò le zampe anteriori, cingendola per le spalle, e la ruotò pancia all’aria, rivolgendola verso la superficie.

“Ora... guardi”, concluse.

Il piccolo alicorno spalancò la bocca, facendo uscire un paio di bolle, che si diressero rapidamente verso l’alto. La superficie del lago, vista da sotto, sembrava un antico mosaico celeste, in costante movimento: il sole ondeggiava come una macchia d’oro e i pesci, simili ad ovali guizzanti, si stagliavano in netto contrasto con la luce accecante, creando bianchi fasci che si disperdevano gradualmente.

La chioma del piccolo alicorno prese a seguire il debole moto delle profondità, spandendo crine fluenti attorno al proprio sguardo. Percepì l’acqua cullarla dolcemente e, per un istante, non sentì nemmeno l’esigenza di riprendere fiato.

“Questo…”, le sussurrò Grigiomanto alle spalle, “questo è il mio cielo”.


    Quando Celine riemerse, tirò un respiro vigoroso: incantata dallo spettacolo, i suoi polmoni si erano lentamente privati di ossigeno, senza che se ne accorgesse.

Nuotò goffamente verso riva e salì sulla terraferma: la criniera le ricadeva pesantemente su tutto il muso, fradicia d’acqua, penzolando al ritmo del suo fiatone.

Grigiomanto riemerse poco dopo, sempre camminando.

“La padroncina si sente bene?”, chiese immediatamente, con occhi viola di paura.

L’altra cercò di riprendersi e, sempre interrotta da profondi respiri, gli rispose: “Sì… sì, Grgiomanto… va tutto… va tutto bene”.

“La padroncina è rimasta troppo tempo in assenza di aria”, aggiunse il golem, quasi a volerla sgridare.

“Hai ragione… ma sto bene. Dammi solo un attimo”.

    Dopo qualche minuto, l’alicorno tornò a respirare con regolarità e Grigiomanto si calmò.

“La padroncina deve stare più attenta”, l’ammonì di nuovo l’amico.

“Grigiomanto… è… è incredibile!”, urlò infine Celine, ancora bagnata e agitando le zampe nell’aria, “Io non sapevo che tu… facessi queste cose… che avessi scoperto simili meraviglie”.

“Non credo di averle scoperte”, continuò il costrutto, “Sono sempre state lì. Bisognava solo saperle guardare”.

Celine sorrise ma poi si incupì leggermente.

“Qualcosa non va, padroncina?”.

“Non lo so, Grigiomanto… in questo momento mi sento… stupida. E’ come se avessi imparato più cose tu in pochi giorni… che io in tutti questi anni”.

“Il ragionamento della padroncina è infondato. Grigiomanto… io non conoscevo molte cose ed è stata la padroncina a mostrarmele”.

“Molte cose? Oggetti, intendi?”.

“Mi riferivo a questo”, rispose la statua, osservando la gemma rossa, “Prima non ero… unico. Prima non provavo sensazioni. La padroncina mi ha fatto capire... mi ha mostrato molti cieli”.

“Lo pensi davvero?”, chiese timidamente.

“Sì”, concluse, “Prima… non ero Grigiomanto”.


    Passarono le ore. Celine, ormai asciutta, si accoccolò ai piedi di un albero dalla folta chioma, lisciandosi la criniera. All’orizzonte, il sole iniziava a calare, tingendo il cielo di arancione. Grigiomanto stava in piedi accanto a lei, apparentemente assorto dallo spettacolo del tramonto.

L’alicorno alzò il muso verso l’amico: “Perché non ti corichi qui accanto a me, invece di startene lì?”.

“Non sortirebbe alcun miglioramento: non sono in grado di percepire la fatica fisica”.

“Oh… va bene…”, rispose l’altra, visibilmente delusa.

Solo in quel momento Grigiomanto realizzò che la padroncina voleva semplicemente averlo vicino e così, istintivamente, crollò a terra, con le zampe ripiegate al ventre. L’impatto fece vibrare l’albero e una nevicata di foglie prese a fluttuare verso di loro, mentre un’altra parte veniva trascinata lontano, grazie al vento gentile.

Il costrutto ne fu apparentemente sorpreso ed osservò le foglioline spandersi per l’intera vallata, illuminate dagli ultimi tepori del sole.

“Questa volta sono stato io a fermarmi di fronte all’apparenza”, dichiarò infine.

“In che senso?”, chiese Celine, poggiando la guancia sul caldo cuore della statua. I due si guardarono.

“Avevate ragione, padroncina”, rispose lentamente, “In questo modo è molto meglio. Se non mi fossi sdraiato… mi sarei perso un altro cielo meraviglioso”.

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Capitolo 7
*** Niente è per Sempre ***


Fu una notte agitata. L’alicorno si addormentò con non poche difficoltà e prese presto a dimenarsi nervosamente nel sonno. Pensieri, immagini ed avvenimenti, già accaduti e non, iniziarono a balenare nella mente della piccola. Di tutto ciò che sognò, ebbe il ricordo di un unico, inquietante avvenimento: il pony si trovava al centro della propria stanza, un po’ diversa da quella reale. Una flebile voce scaturì alla sue spalle: l’alicorno si voltò e vide Mantle, con il pupazzo stretto al petto.

“Celine… Celine devi svegliarti”, le disse. L’amica si sentì a disagio.

“Presto Celine. Loro stanno arrivando”. Con quelle parole, centinaia di occhi si spalancarono improvvisamente dalle pareti, puntando verso l’alicorno, che provò una sensazione di puro terrore.

“Svegliati Celine!”. E Celine si svegliò.


    “Svegliati Celine!”, urlò la madre, con il volto contratto dalla paura.

Le due si trovavano nella stanza della figlia: strane luci rossastre balenavano dalla finestra, creando ombre sinistre in ogni angolo della stanza. In un angolo, come suo solito, Grigiomanto le osservava come un guardiano.

“Cosa… cosa succede, mamma?”, biascicò preoccupata, appena ripresasi dallo spavento.

“Scendi dal letto, dobbiamo andarcene subito!”.

“Perché?… Cosa…”, ma le sue parole soffocarono quando vide il paesaggio dalle vetrate: la foresta lontana non c’era più, sostituita invece da un enorme muro di scure nubi che si contorcevano. Il terreno, ai piedi del terrificante fenomeno, si stava letteralmente disgregando, lanciando in aria enormi zolle di terra, erba e piante, come se fluttuassero verso il cielo. Anche quest’ultimo era irriconoscibile, solcato da onde nerastre che si raggrumavano al centro di un sole semplicemente spettrale e percorse da sporadici fulmini color del sangue, con tanto di boati terrificanti. Per un istante, l’alicorno pensò di essere ancora in uno dei suoi incubi.

“Cosa sta succedendo?”, urlò.

“Non c’è tempo, scendiamo subito di sotto!”.

    I tre si raggrupparono nel laboratorio, dove li attendeva il padre, intento a sfogliare scrupolosamente alcuni libri e interrogando strani oggetti divinatori, in un’apparente corsa contro il tempo. Celine non lo aveva mai visto così preoccupato.

“Sei riuscito a capire qualcosa?”, domandò Ivory.

Il compagno scosse la testa: “Nulla, se non che il Mutamento ha devastato il confine di stabilità, come se fosse cartapesta”.

“Il Mutamento… sta arrivando?”, sussurrò la piccola.

“Non solo”, continuò Dedalo, “Gli spiriti sono in subbuglio. Qualcosa li ha risvegliati e li ha messi in agitazione”.

Il volto della madre si fece ancor più spaventato: “Allora non possiamo rimanere qui! Senza protezione, questo posto sarà presto in balia degli spiriti!”.

“Temo che tu abbia ragione… come se il Mutamento che si avvicina non fosse già abbastanza”.

Celine ascoltava ansiosa lo scambio di battute tra i due e, alla fine, chiese: “Questo cosa significa? Cosa succederà?”.

Dedalo apparve spiazzato: “Io… io non capisco! Com’è possibile? La barriera era… perfetta, indistruttibile. Com’è potuto accadere?”.

“Non ha senso farsi domande, ora”, tagliò corto la compagna, “Dobbiamo fare qualcosa!”.

“Sì… sì, dobbiamo fare qualcosa. Ma non possiamo nemmeno rimanere qui. Questo posto non è sicuro: gli spiriti ora possono vagare liberi ed il Mutamento si sta lentamente serrando su di noi”.

“Ripristinate la barriera!”, buttò lì la figlia.

“No”, rispose lo stallone, “Senza l’ausilio degli altri alicorni, non saremo mai in grado di creare una difesa in grado di reggere a questo… a questa devastazione. L’unica… l’unica possibilità è provare a tornare sui Lidi Celesti”.

“Caro… è quello che pensavo anche io: i Lidi sono un luogo stabile”.

“Non è solo quello”, continuò, “Non abbiamo un altro posto dove scappare: il Mutamento si sta chiudendo a cerchio su di noi. L’unica cosa in cui possiamo sperare è che i cieli possano essere solcati in sicurezza”.

    Celine ascoltò assorta la proposta e poi posò gli occhi sul costrutto.

“A-aspettate… Grigiomanto… Grigiomanto non può volare”.

“Celine, non c’è tempo”, tagliò corto Dedalo, “dobbiamo andare”.

“E Grigiomanto?”, chiese, con voce preoccupata.

Il golem parve pensarci un attimo e poi rispose: “La soluzione proposta dai creatori è assolutamente priva di incongruenze. La padroncina deve partire immediatamente con i genitori”.

“Cosa? No!”, strillò l’amica.

“Ascolta Celine”, la riprese la madre, cingendole il collo con le zampe, “Non possiamo rimanere qui, altrimenti il Mutamento ci raggiungerà”.

“Non mi importa! Io non lascio Grigiomanto!”.

“Impossibile”, ripeté il golem: “La padroncina DEVE partire”. L’altra scosse rapidamente il capo, sentendo gli occhi inumidirsi.

“Celine!”, berciò Dedalo, “Non è un gioco! Se rimaniamo qui, moriremo tutti quanti, compreso il golem! Lo capisci questo?”.

Gli occhi di Grigiomanto scintillarono, com’era già avvenuto in passato, e si chinò leggermente verso di lei: “Ascolti, padroncina: io rimarrò qui, in attesa che voi siate al sicuro e possiate trovare un modo per bloccare il Mutamento. Solo così saremo tutti salvi, me compreso. Non esiste altro modo”.

I due si osservarono.

“Stai mentendo!”, esordì Celine, con qualche lacrima.

“La padroncina”, disse infine Grigiomanto, “si fida del golem?”.

“…sì”.

“Allora deve ascoltare le mie parole e andarsene. Io assicuro alla padroncina… che vedremo ancora un altro cielo insieme”.

“E’ una promessa?”, sussurrò l’alicorno.

“E’ una promessa”.

I genitori non capirono ma, dopo lunghi attimi di esitazione, si sentirono sollevati nel vedere la loro piccola annuire.

    I tre uscirono frettolosamente all’esterno, investiti da ondate di vento estremamente violente, mentre Grigiomanto rimase ad osservarli dall’uscio di casa. Il cielo ribolliva e tutto il paesaggio circostante, a chilometri di distanza da loro, era in preda al distruttivo proseguo del Mutamento, che avanzava lento e implacabile. I boati echeggiavano da ogni direzione, accompagnando i lampi vermigli, e contribuendo a creare la sensazione di uno scenario apocalittico.

“Andiamo, non perdiamo altro tempo”, proferì il padre, spiegando le ali nere.

“Tieniti forte, mi raccomando”, disse Ivory alla figlia, assicurandosi che entrambe fossero saldamente abbracciate tra loro.

Gli alicorni spiccarono il volo, reso difficoltoso dalle raffiche che imperversavano senza una logica apparente. Quando furono ad appena una decina di metri d’altezza, Celine si girò verso l’abitazione, scorgendo per un ultimo istante la grigia sagoma dell’amico di pietra.


    I genitori presero a battere vigorosamente le ali maestose, cercando di guadagnare quota il più rapidamente possibile. Il vento era davvero forte e ogni semplice manovra si trasformava in un tentativo per non perdere terreno o cadere in stallo.

Vicino al vortice nero, attorno al sole, la madre vide uno spiraglio di luce: “Dedalo! Guarda! Forse in quel punto il Mutamento non è ancora arrivato!”.

“Non abbiamo altra scelta se non provare!”, ribatté l’altro, cercando di sovrastare il frastuono, simile ad una tempesta, “Se quel passaggio è ancora immutato, allora dobbiamo sfruttarlo!”.

I due accelerarono il volo e Celine gettò uno sguardo a terra: vide la casa lontana e l’enorme distesa erbosa. In mezzo alla radura era ancora visibile il tratto calpestato da Grigiomanto, durante i loro spostamenti verso l’ombra dell’antica magione. Si vedevano anche il fiume ed il lago ma il muro di nubi del Mutamento era a poche centinaia di metri e, presto, li avrebbe inghiottiti entrambi. Nelle vicinanze, l’albero sotto cui si era appisolata giusto il pomeriggio prima, venne sradicato dalla potenza del caos, per finire chissà dove. Un nodo le strinse lo stomaco.

Aguzzando lo sguardo, inoltre, notò alcune strambe creature sciamare impazzite lungo paesaggio. Non capiva esattamente cosa fossero, data la lontananza dal suolo, ma, sicuramente, non si trattava di bestie normali.

“Cosa sono quelli?”, chiese con apprensione. La madre li scrutò attentamente.

“Sono spiriti”, rispose.

“Facciamo presto, mamma”.

“Certo, piccola mia”, rispose l’altra, col fiatone, “più in fretta che posso”.

Il gruppo superò alcune piccole formazioni di nubi fumose.


    “Ivory!”, urlò improvvisamente Dedalo.

Lontane sagome aberranti si stagliavano contro il sole funereo, in apparente lotta tra loro. Quando si accorsero della presenza degli alicorni, smisero immediatamente di combattere e si precipitarono avidamente verso di loro.

“Altri spiriti!”, urlò la compagna, in preda al panico, “Stanno venendo verso di noi!”.

“Proteggi Celine e cerca di avvicinarti il più possibile ai Lidi Celesti!”, sbraitò il compagno, procedendo ad intercettare gli assalitori.

“Papà!”, proruppe la figlia, vedendolo andar via.

Le creature si rivelarono per ciò che erano: spiriti feroci e immondi, provenienti da chissà quale Dominio mai visto. Dedalo riconobbe un effimero spirito del vento, simile ad un drago di vetro, e un gruppo di orripilanti Vacui: mostri dal corpo scarnificato e dotati di un rostro spaventoso. Tra di loro vi era persino una Manta Effimera, del tutto identica alla creatura acquatica, ma dotata di un grosso occhio sul capo.

Il nero alicorno li aveva studiati sui libri ma era la prima volta che li vedeva dal vivo, ed ora avrebbe dovuto affrontarli di persona.

    Le pupille dorate dello stallone si illuminarono, scatenando appieno la sua potenza millenaria: il corno divenne letteralmente incandescente e un’onda d’urto investì le creature, pochi metri prima che impattassero contro di lui.

La madre, intanto, evocò una nenia arcana e le sue ali si ricoprirono di piume luminose: la puledra triplicò la velocità, saettando come un fulmine verso l’agognata destinazione.

“Mamma! Attenta!”, urlò Celine. Dalle coltri nuvolose sbucarono altri spiriti volanti, che cercarono immediatamente di ghermire la coppia in fuga. Anche Ivory esplose nella sua leggendaria potenza, emettendo un bagliore accecante, più intenso di mille soli uniti assieme, permettendole di distrarre le bestie e allontanarsi.

Dedalo prese a combattere come una furia: gli spiriti roteavano feroci attorno al padre, che schivava precariamente ogni sferzata mortale, riuscendo al tempo stesso a scagliare potenti manifestazioni arcane di potere grezzo, ferendo i propri avversari.

Ivory volava veloce, ma anche gli spiriti non erano da meno. La piccola Celine si teneva stretta al petto della madre, temendo per la vita di entrambe. Una creatura tentacolare lanciò le proprie estremità verso le due: l’alicorno si girò e il suo sguardo si fece feroce. Le nubi attorno a lei mutarono in un’orda di farfalle scintillanti, che tempestarono l’aberrazione come un nugolo di frecce roventi.

    Celine e la madre erano sempre più vicine allo spiraglio luminoso: ancora poche decine di metri e lo avrebbero oltrepassato.

Lo sguardo di Dedalo si riempì di terrore: “Ivory! Celine! Attente!!”.

Il colossale corpo di un lupo bianco a sei zampe, grosso quanto Oscuro, si lanciò dalle nubi, in cui si mimetizzava alla perfezione. I suoi occhi erano rossi come tizzoni e, in quell’istante, le venne in mente ciò che le spirito dell’ombra le aveva detto a proposito degli spiriti sanguinari. La creatura colse entrambi impreparate e le colpì violentemente, separandole. Celine precipitò nel vuoto.


    La piccola si mise ad urlare, cercando di non perdere di vista i genitori, entrambi in picchiata per cercare di salvarla.

Dedalo fu il primo a scomparire, occultato dalle nubi, che Celine prese ad oltrepassare in caduta libera. La madre, più veloce, riuscì quasi a raggiungerla, un attimo prima che i terrificanti artigli del lupo si serrassero su di lei, interrompendo la linea di visuale tra le due.

La puledrina spiegò le ali e fece di tutto per tentare il volo: prese a sbatterle disordinatamente, senza sortire alcun risultato. Il terreno sotto di lei diveniva pericolosamente vicino e la disperazione si fece largo nel suo cuore. In mezzo al caos e completamente in preda al panico, tuttavia, riuscì a scorgere il lago lontano, lo stesso in cui si erano immersi lei e Grigiomanto. Se avesse continuato per quella traiettoria, tuttavia, si sarebbe sicuramente sfracellata al suolo.

Spiegò nuovamente le ali e, anziché iniziare a muoverle, decise di distenderle, tentando una planata. Il tentativo riuscì ed il lago iniziò a farsi più vicino.

Un istante prima di impattare con l’acqua, serrò nuovamente le ali e puntò gli zoccoli a terra: sapeva bene che, a quelle velocità, anche un lago poteva rivelarsi solido come la roccia.

    L’immersione fu così violenta che, per poco, Celine non perse i sensi.

Si riprese a diversi metri di profondità, immersa in acque nere, completamente diverse da come se le ricordava. Con i polmoni sul punto di scoppiare, si diresse disperatamente verso l’alto, tirando infine un rumoroso respiro liberatorio.



*** ***** ***


    Il piccolo pony si issò lentamente sulla riva. Le zampe le tremavano e un gelido vento investì immediatamente il manto fradicio. La calma sembrava parzialmente ristabilita, se non fosse stato per il sibilare dell’aria e i tuoni lontani.

Alzò lo sguardo al cielo, cercando di scorgere i genitori, ma non vide nulla se non le nubi e il cielo che si oscurava sempre di più.

Prese quindi a guardarsi attorno: l’erba della radura si agitava come un mare impazzito e, proprio dove si trovava un tempo la foresta, il muro caotico creato dal Mutamento non si era fermato un solo istante.

Celine cadde a terra, stringendosi nelle sue stesse zampe: ancora non riusciva a credere a ciò che stava succedendo. Il suo pensiero era fisso sui genitori e su cosa fosse accaduto loro. Gli occhi della madre, nonostante gli artigli attorno a lei, rimasero inchiodato sulla figlia fino all’ultimo istante: il ricordo, in fondo al petto di Celine, era vivo e dolorosissimo. Poi mutò e l’alicorno si ricordò improvvisamente del volto sorridente di Grigiomanto: alzò istintivamente la testa e, in lontananza, vide la propria casa.

    Non sapeva esattamente cosa stesse facendo, così come non sapeva nulla di tutte le cose terribili che erano accadute in così poco tempo: si mise precariamente in piedi, pur percependo un crollo muscolare, dovuto alle forti emozioni. Ma l’unica cosa che voleva, in quel momento, era raggiungere il suo amico di pietra. Cosa sarebbe successo dopo, lo avrebbe stabilito a tempo debito.


    Celine iniziò a galoppare verso l’edificio, cercando di mantenere lontani i pensieri angoscianti che tentavano di entrarle nella mente. Il freddo, intensificato dall’acqua e dal vento ululante, si fece insopportabile e la gola prese a bruciarle per il fiatone. La casa era sempre più vicina e la sensazione di salvezza divenne quasi palpabile.

    Un istante dopo, un urlo bestiale la fece trasalire: accanto ad un assembramento di arbusti poco distante, la potente figura di uno spirito si fece strada tra il fogliame. La creatura assomigliava ad un primate muscoloso, con zanne oltremodo smisurate e occhi rossi, gli stessi occhi sanguinari che aveva visto nel lupo.

Lo spirito emise un altro verso sommesso e poi puntò rapidamente verso l’alicorno, che chiuse gli occhi e provò a correre ancor più veloce.

La creatura prese ad inseguirla, battendo violentemente le nocche sul terreno, come se stesse galoppando. Celine sentì la presenza selvaggia su di lei e un sonoro colpo alle spalle la fece rovinare a terra: lo scimmione l’aveva mancata per poco.

L’alicorno si girò pancia all’aria e atterrì di fronte allo sguardo feroce dello spirito, che alzò gli artigli verso il cielo, pronto ad abbatterli su di lei.

“Mi dispiace Grigiomanto”, pensò rapidamente, “Non potremo vedere un altro cielo”.


    Piccoli zoccoli di puledra le cinsero il collo e Mantle apparve al suo sguardo, come se fosse improvvisamente giunta alle spalle.

“Non ti muovere, Celine”, le sussurrò, con sorprendente calma.

Un rantolo gorgogliante scaturì dietro allo spirito, che si fermò improvvisamente. Dalla sua ombra, spandendo rivoli di fumo nero ovunque, iniziò ad emergere la ghignante figura di Oscuro.

Neanche il primo giorno che lo vide, Celine lo trovò terrificante come in quel preciso momento: il mostro di tenebra spalancò un morso pronto ad uccidere e i suoi occhi profondi non erano più rassicuranti… erano gli occhi di chi avrebbe presto concluso la faccenda nel modo più drastico in assoluto.

Lo scimmione riconobbe immediatamente la potenza del nuovo arrivato e tentò una fuga repentina… ma Oscuro non era d’accordo: schioccando l’enorme coda, lo circondò rapidamente nelle proprie spire. La preda iniziò a dimenarsi e a graffiare, inutilmente, e Oscuro avvicinò il proprio sguardo al suo, ormai terrorizzato. Il ghigno dentato si arricchì di una vena di soddisfazione: la coda si contrasse e un rumore secco fece intuire che le ossa del malcapitato non sarebbero più state di grande utilità. Il collo della bestia si accasciò mollemente e il corpo si dissolse, quasi all’istante, in un mucchio di foglie marce.

Oscuro si ricompose.


    Celine non disse, ne fece nulla. Quasi senza rendersene conto, si girò su un fianco, con gli occhi umidi, e un pianto nel petto che non riusciva a liberare in nessun modo.

“Celine”, le sussurrò Mantle, passandole gli zoccoli sul viso, “Calmati. E’ tutto finito”.

L’alicorno strizzò le palpebre.

“Va tutto bene… siamo qua, adesso”, le ripeteva lentamente.

Dopo qualche istante riuscì finalmente a liberare le lacrime.

“Cosa… cosa sta succedendo?”, farfugliò, “Perché… perchè accadono tutte queste cose orribili?”.

Il pony paglierino e lo spirito si guardarono a vicenda.

Celine si strinse con foga all’amica, senza nemmeno issarsi da terra, ed esplose: “Mantle… Oscuro… mi siete mancati da morire! Dov’eravate finiti?”.

“Mi spiace, Celine”, disse lo spirito, “non riuscivo a localizzarti, in mezzo a tutto questo caos”.

“Dove sono mamma e papà?”, chiese tra i singhiozzi.

“Io… non lo so, piccola”, tentennò Oscuro.

“Anche se può non sembrare”, aggiunse Mantle, “sto malissimo, Celine… stanno accadendo tante cose brutte… e non vorrei mai che tu le provassi, come sta invece accadendo ora”.

L’amica tirò su col naso.

“Oscuro”, le chiese quindi, leggermente più calma, “Tu sai cosa sta succedendo?”.

La creatura sospirò: “No. So soltanto che il Mutamento si è risvegliato, violento come non mai, e che gli spiriti di mille Mondi diversi sono partiti da ogni dove per arrivare fin qui”.

“Perché?”.

L’espressione di Oscuro assunse un tono molto strano: “Il motivo… il motivo sei tu, Celine”.

La piccola sgranò gli occhi e, innocentemente, esordì: “Come… come io?”.

“Emani Fato in modo incontenibile… e qualunque spirito ti saprebbe trovare, come una fiaccola nel buio. Non so quale sia il motivo ma gli spiriti ti bramano con avidità: stanno addirittura combattendo tra loro per non condividerti con nessun altro”.

“Ma… ma perché? Cosa… cos’ho di speciale? Cosa vogliono da me?”, chiese insistentemente.

“Non lo so. Di qualsiasi cosa si tratti, comunque, è legata al tuo destino. Un destino assolutamente sconvolgente, considerando quanto Fato ti avvolge, piccolo alicorno”.

    Le parole di Oscuro risuonarono assurde alle orecchie del pony color latte. Avrebbe voluto approfondire la questione ma, così com’era accaduto pochi istanti prima, il ricordo di Grigiomanto fece capolino.

Mantle aiutò l’amica a rialzarsi: “Grigiomanto”, esclamò, intirizzita dal gelo, “Devo trovare Grigiomanto”.



*** ***** ***



    L’abitazione dell’alicorno non era molto lontana ma Oscuro suggerì comunque estrema prudenza.

“Statemi vicino”, disse, “Cercherò di rendere la nostra presenza meno… evidente”.

“Puoi farlo?”, chiese Celine.

“Prima mi era molto più semplice: il Mutamento che si è scatenato, tuttavia, sta mischiando le influenze di un sacco di Mondi ed è come se il mio dominio stesse cercando di non farsi sopraffare. Centinaia di spiriti brulicano queste terre… e stanno tutti cercando te”.

“Mi vogliono… uccidere?”, chiese timorosa.

“Non lo so. Ogni spirito, come ti ho già detto, è lo stereotipo di sé stesso. Purtroppo, in questo genere di faccende, le entità più violente e feroci tendono ad avere la meglio sulle altre… così le possibilità di incontrare spiriti pericolosi crescono rapidamente”.

Il gruppo prese a muoversi verso la destinazione e Oscuro, a circa un metro da terra, proiettò una densa zona d’ombra.

Celine sentì le forze abbandonarla, per un istante: il paesaggio si fece sfocato e la testa pesante. Dovette appellarsi ad un grosso sforzo di volontà per riprendere il controllo.

“Va tutto bene?”, domandò Mantle, continuando a trottare.

“Sì… io… mi sento molto stanca…”.

“Dopo tutto quello che hai passato…”.

“Non è solo quello”, continuò lo spirito, “Il Mutamento è l’antitesi della logica e dell’ordine apparente. La mente di creature come te è basata su questi principi. Il caos non ha solo la capacità di disgregare la materia… farà anche di tutto per demolire la tua mente”.

“Cosa potrebbe accadere?”.

“Non posso spiegartelo in termini comprensibili”, rispose Oscuro, facendosi una risata sinistra, “Sappi solo che, quando ti sembrerà di poter assaggiare i colori e le piante inizieranno a parlarti, allora sarai oltre il punto di non ritorno”.


    Attraversarono rapidamente il complesso di case abbandonate, giungendo infine a quella di Celine. La porta era ancora spalancata, come se la ricordava, ma Grigiomanto non c’era.

“Prima fammi verificare”, esordì Oscuro, passando attraverso le pareti e lasciando del liquido nero su di esse, al proprio passaggio. Le piccole pony entrarono subito dopo.

Controllarono alcune stanze, fino ad arrivare nel laboratorio: i vari oggetti arcani e la mobilia erano sparsi ovunque e spiccavano evidenti segni di lotta. Celine temette per il peggio.

“Il costrutto non è qui”, concluse lo spirito.

“E se… e se gli altri spiriti…”, balbettò l’alicorno.

“Credo che se non ce l’avesse fatta, avremmo perlomeno trovato i suoi resti”.

La piccola si sentì persa. Il solo pensiero che Grigiomanto non fosse con lei o, addirittura, che lo avessero distrutto, le toglieva il fiato in corpo.

Uscì tristemente all’esterno, prendendo a scrutare con attenzione il paesaggio, alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa che potesse riportarla dal suo amico più caro. Il vento era calato leggermente, facendole ondeggiare la criniera bagnata sopra al muso.

Poi lo vide.

    Una sagoma grigia, dal passo pesante ma implacabile, sbucò da alcuni arbusti, ad un centinaio di metri dalla casa.

Celine aguzzò lo sguardo e poi, con la gioia negli occhi, iniziò a correre verso la statua animata.

“Grigiomanto!”, sbraitò, con la voce spezzata da una commovente felicità.

L’altro non disse nulla e si limitò ad emettere una intensa colorazione verde. In pochi istanti le distanze si accorciarono e l’alicorno balzò al collo dell’amico, facendosi quasi male.

“Grigiomanto! Sei vivo!”, disse, tra i singhiozzi.

Sul corpo di pietra erano visibili alcuni graffi e una manciata di crepe.

“Sì… Celine… era una promessa”.

“Ehy, sasso pazzo!”. Oscuro fluttuò agilmente verso di loro, compiendo qualche giravolta: “Vedo che sei ancora tutto integro!”.

“Perché non sei rimasto in casa? Cosa è successo?”, chiese la padroncina.

“Quando siete andati via… sono rimasto ad osservarvi, fino a perdervi tra le nuvole. Poi… poi sono giunti degli spiriti… dei lupi bianchi”. L’immagine del lupo a sei zampe, mentre afferrava la madre, balenò nella mente di Celine.

“Hanno provato ad entrare”, continuò, “e stavano cercando qualcosa o qualcuno. Io mi sono difeso… credo non si aspettassero di trovare un colosso di pietra di mezza tonnellata, a presidiare l’abitazione”.

“E poi?”.

“Poi… poi ti ho visto precipitare, Celine… e ho provato una sensazione terribile, qualcosa che non vorrei mai più sentire di nuovo. Sono corso verso di te, senza sapere cosa avrei fatto. Quando sei scomparsa vicino al lago, ho sperato che fossi caduta nell’acqua… e, a giudicare dal tuo aspetto, direi che è andata così”.

L’amica sorrise: “Sono così contenta… non solo ti ho ritrovato e stiamo bene… ma hai finalmente smesso di darmi del lei… e mi chiami finalmente per nome”.

“Oh… io… io non me ne ero reso conto, Celine”, cercò di scusarsi.

“Piantala di scusarti, stupido”, concluse infine.

    Il golem scrutò il cielo, sempre più nero: “I creatori dove sono?”, chiese.

“Non lo so, Grigiomanto… siamo stati attaccati da spiriti volanti”, rispose, rivivendo il tragico momento della separazione.

La luce divenne blu profondo: “Io… mi dispiace molto”.

“Chissà se… se sono ancora vivi?”, si domandò l’altra, osservando a sua volta le nubi d’alta quota.

Oscuro si avvicinò alla piccola e le cinse le spalle con i terrificanti artigli: “Credimi se ti dico che non voglio indorarti la pillola: i tuoi genitori sono alicorni estremamente potenti. Le possibilità che possano essere sopraffati dagli spiriti, anche se numerosi e potenti, non sono a loro sfavore… specialmente se intenti a  ritrovare loro figlia”.

Celine si passò una zampa sotto al naso e cercò inutilmente di mostrare un sorriso.


    Un boato assordante fece improvvisamente capolino ed il vento cessò. Ad esso, da un istante all’altro, si fece largo una pioggia battente. La chioma dell’alicorno, già umida, si inzuppò nuovamente.

“Sta piovendo. E’ un buon segno”, disse la creatura ombrosa, “Significa che è rimasta ancora un po’ di realtà ordinaria, in questo Mondo”.

“Suggerirei di tornare dentro”, propose Grigiomanto.

“Lo sconsiglio”, rispose Oscuro, “Celine è vissuta per parecchi giorni in quell’edificio e il suo Fato o, molto più semplicemente, il suo odore, permeano ogni centimetro di questo posto. Non è sicuro: possono trovarla molto più facilmente”.

Il costrutto si mise sopra alla padroncina, proteggendola dall’acqua battente, e poi disse: “Io non sono pronto ad affrontare una simile evenienza. Tu, Oscuro, hai più dimestichezza con gli spiriti. Cosa suggerisci di fare? Io so solamente che la mia amica non può rimanere sotto la pioggia e che necessita di un riparo. Puoi forse farci fuggire attraverso Mondi alternativi?”.

    Il mostro d’ombra cercò di formulare chissà quali pensieri.

“No, non posso. Sono troppo debole… e non so come Celine stia attirando tutta questa attenzione”, dichiarò infine, “L’unica cosa che posso suggerire è… stare nascosti, lontani dai luoghi che frequentava di solito. Troviamo una zona isolata dal Mutamento: ho potere a sufficienza per provare a nascondervi”.

“Cosa potremo risolvere, in questo modo?”, chiese l’alicorno.

“Gli spiriti si stanno eliminando a vicenda e, se non ti trovano, forse andranno avanti fino ad annientarsi. Se questo accadesse, il Mutamento potrebbe arretrare, o perlomeno arrestarsi. Tuttavia, il caos non risponde a delle leggi predefinite: le mie sono solo teorie”.

Il golem elaborò le informazioni e si trovò in accordo con lo spirito: “Per ora è la cosa più sicura da fare. Muoviamoci da qui”.


    L’insolito gruppo, di nuovo riunito, si mise alla ricerca della zona meno battuta da Celine. Alla fine, concordarono nell’accamparsi in un vasto affossamento, brullo e caratterizzato solo da un vecchio albero rinsecchito.

“Non sono praticamente mai venuta qui”, disse la piccola, avvicinandosi all’arbusto.

“Ottimo”, dichiarò Oscuro.

Celine percepiva la stanchezza come un macigno: le forti emozioni che aveva provato l’avevano quasi devastata e la sua mente, ormai al limite, decise semplicemente di svuotarsi, per lasciare che un po’ di riposo le consentisse di riprendersi. Così ripiegò le zampe, crollando col ventre a terra.

Mantle cercò di infilare a forza il musetto attraverso la sua ascella, portando la guancia accanto a quella dell’amica. Nonostante la stanchezza, Celine trovò un grande conforto nel gelido abbraccio con il pony paglierino. Le due, senza quasi rendersene conto, si strinsero forte e assunsero un sorriso accennato.

Anche Grigiomanto si distese, portando il proprio cuore pulsante accanto al volto della padroncina.

Oscuro, infine, strinse delicatamente le lunghe spire attorno ai tre e si accoccolò su di loro come un gatto, emettendo persino un curioso verso, simile a fusa profonde. La pioggia prese a scorrere lungo il suo corpo massiccio e attraverso la criniera fumosa, evitando di riversarsi sui compagni.

Nessuno di loro possedeva un corpo tiepido e l’alicorno, ancora zuppo, iniziò a tremare per il gelo.

Grigiomanto sentì le convulsioni dell’amica ed i suoi occhi si fecero leggermente arancioni: il cuore pulsante duplicò la sua intensità luminosa, iniziando a spandere un timido tepore accanto a Celine. L’altra percepì quella calda sensazione e, dopo qualche minuto, smise di tremare.

    Socchiuse gli occhi ed osservò, una dopo l’altra, le tre assurde creature che aveva attorno.

Meno di un mese fa non avrebbe mai pensato di trovarsi in una situazione simile ma una statua animata, uno spirito terrificante e l’ombra di un piccolo pony erano lì a dimostrarle il contrario.

“Sapete”, sussurrò, chiudendo gli occhi, “Non so dove siano i miei genitori. Non so se li rivedrò mai più. In questo momento, la cosa che più mi importa è che voi siate qui con me. Voi siete la mia famiglia, adesso. Siete la cosa a cui tengo di più al mondo… e vi voglio un bene dell’anima”.

    Il calore iniziò a tornarle in corpo e gli occhi della piccola si chiusero. Il sonno la pervase, in attesa che il Mutamento colpisse, con un’energia più forte che mai.

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Capitolo 8
*** Cuore di Pietra ***


Fu l’istinto a suggerire a Celine di destarsi. Aveva smesso di piovere e l’alicorno era nella stessa posizione in cui si era appisolata ma qualcosa non andava: Grigiomanto era accanto a lei e la sua attenzione era completamente rivolta a qualcosa in lontananza. Anche Oscuro era in fibrillazione e Mantle, semplicemente, non c’era più.

“Cosa… cosa succede?”, borbottò, sfregandosi gli occhi.

“Non parlare…”, le rispose Oscuro, sottovoce.

La piccola si guardò attorno e capì.

    Un branco di lupi bianchi, a qualche centinaio di metri, stava annusando affannosamente il terreno, alla ricerca della preda. Erano molto numerosi ma, più fra tutti, spiccava l’enorme e terribile figura del lupo a sei zampe, lo stesso che aveva attaccato la famiglia nei cielo.

Il mostro si spostava lentamente tra l’erba, alzando di tanto in tanto il naso al cielo, contraendo ritmicamente le grosse narici. Gli spiriti erano lontani e, apparentemente, non si erano ancora accorti dei tre, magicamente occultati dai poteri di Oscuro.

Gli occhi di Celine si spostarono sulle fauci del mostro e vide alcune chiazze color amarena sul pelo attorno. Una morsa le strinse il petto, riportandola all’immagine della madre e facendola sobbalzare.

“Stai ferma, Celine”, rantolò l’amico d’ombra, “Non è detto che quello sia dei tuoi genitori”.

“Cosa facciamo? Dov’è Mantle?”, balbettò, in preda al panico.

“Mantle è al sicuro ma tu non devi muoverti. Quelli sono Segugi Argentei: spiriti dotati di sensi sopraffini e molto pericolosi. Se non rimani calma, ci troveranno immediatamente”.

I prospetti di Oscuro, tuttavia, si rivelarono fin troppo ottimistici: i lupi stavano battendo ogni centimetro di quel posto e, implacabili, si facevano sempre più vicini.

“Sono quasi arrivati”, sussurrò il golem.

“C-ci scopriranno!”, esclamò Celine, alzando la voce senza accorgersene. Uno dei lupi drizzò le orecchie e guardò verso la loro posizione, riprendendo poi ad annusare con maggior insistenza.

“Sì. Ci troveranno”.

“Allora dobbiamo scappare”, gli rispose la statua.

“I Segugi Argentei sono molto veloci: non credo che la piccola possa sfuggir loro”.

Lo sguardo del costrutto incrociò quello terrorizzato della padroncina.

“Io posso correre con Celine in groppa”, dichiarò.

“Sicuro? Non mi sembri propriamente un fulmine, sasso pazzo”.

“In realtà posso correre molto rapidamente, se lo voglio. L’unico rischio è che la pietra possa risentirne. Ma è un rischio accettabile”.

I canidi li avevano quasi circondati: il Fato di Celine iniziava ad intravedersi e presero ad aumentare il passo.

“Grigiomanto, sei sicuro?”, domandò la piccola.

Oscuro decise che non c’era più tempo per l’indecisione: “Inutile pensarci. Stanno arrivando. Grigiomanto: corri come il vento e portala lontana da qui. Io cercherò di tenere occupato quel bestione con troppe zampe”.

La statua caricò su di sé la padroncina, che strinse saldamente il collo di pietra dell’amico: “Sei sicuro di farcela?”, chiese Grigiomanto allo spirito, con violacea preoccupazione.

“Il mio compito primario è sopravvivere per proteggere Mantle. Non posso sottrarmi a questa regola… ma sappi che farò di tutto pur di aiutarvi”.


    Uno dei lupi, a pochi metri, percepì finalmente la presenza dell’alicorno e proruppe in un sonoro ululato. Tutti i compagni, inclusa la versione a più zampe, portarono l’attenzione verso di lui, digrignando i denti.

Oscuro bandì il manto che li occultava, apparendo improvvisamente di fronte agli spiriti: spalancò ferocemente le fauci e i suoi artigli crebbero a dismisura. Un ruggito mostruoso fece atterrire i lupi più vicini, che fuggirono a zampe levate. La creatura d’ombra preparò quindi un balzo e, con spaventosa aggressività, piombò addosso al suo avversario dagli occhi vermigli.

Grigiomanto, senza pensarci due volte, si lanciò al galoppo nella direzione opposta, saettando in mezzo ai lupi impauriti, che presero presto ad inseguirli.

Celine gettò uno sguardo alle spalle: vide i propri inseguitori, dal morso sbavante e, sullo sfondo, la terrificante zuffa tra Oscuro e il grosso segugio.

    Gli occhi del costrutto scintillarono di bianco e le sue zampe presero a muoversi sorprendentemente veloci, formando profondi solchi sotto al peso impressionante e sollevando, al tempo stesso, zolle di terra e fili d’erba. La schiena di pietra non era di certo il posto più comodo del mondo ma, senza ombra di dubbio, Celine se la fece bastare.

Il rumore degli zoccoli sulla terra rimbombava ovunque, così come i latrati affamati delle bestie dietro di loro.

Grigiomanto vide in lontananza l’erba alta della vallata e decise che, forse, avrebbe potuto aiutarli a nascondere le loro tracce. Decise quindi di raggiungerla.

    Lo stallone correva davvero rapido e, entro breve, scricchiolii e schiocchi iniziarono e crepitare dalle giunture del golem, rilasciando anche alcune nuvole di polvere.

“Grigiomanto! Rallenta! Le tue zampe!”, urlò Celine.

“Non ti preoccupare”, la rassicurò l’altro.

Una coppia di lupi sbucò dall’erba davanti, intercettandoli. Il costrutto non si fece intimorire: con occhi rosso sangue, si impennò sulle zampe posteriori, ricadendo e schiacciando a terra la testa di uno dei mostri. Il canide emise un guaito, dissolvendosi poi in una nuvola magenta. L’altro cercò di assaltare direttamente la padroncina ma il suo protettore lo allontanò violentemente a mezz’aria, colpendolo col robusto collo di granito. Con la strada sgombra, riprese a galoppare a pieno ritmo.

    Macinò ancora alcune centinaia di metri e, finalmente, si immerse nell’erba, troppo bassa per nasconderlo, ma comunque in grado di coprire eventualmente Celine. I lupi cercarono di seguirli.

Improvvisamente, si udì un rumore, simile a due pietre cozzare tra loro, e Grigiomanto rovinò a terra, lanciando l’alicorno a metri di distanza. La piccola ruzzolò tra l’erba, senza farsi troppo male. Scosse la testa e cercò rapidamente Grigiomanto. L’amico si sollevò e la raggiunse zoppicando: una zampa anteriore mancava completamente, e le altre erano solcate da profonde crepe.

“Grigiomanto!”, urlò, temendo per la sua incolumità.

Lo stallone si chinò su di lei, cercando al tempo stesso di non farsi scorgere dai segugi: “Celine, stai bene?”, chiese sottovoce.

“Sì, sì sto bene”, sussurrò l’altra, “ma… ma tu… la tua zampa!”.

“Ora non è importante”.

Un frusciò riportò lo sguardo di Grigiomanto sull’erba dietro di loro: gli spiriti stavano annusando il loro odore e non avrebbero tardato a trovare il tunnel scavato nell’erba, giungendo direttamente a Celine.

Il golem pensò rapidamente e poi esordì: “Ascolta Celine, ascoltami attentamente”. L’altra annuì.

“Allontanati con cautela da questo posto. Passa attraverso l’erba: non piegarla, non lasciare tracce dietro di te, non fare rumore”.

“Va… va bene… ma tu?”, chiese preoccupata.

“Io li terrò impegnati”.

“Cosa? No, neanche per sogno!”, biascicò, in crescente agitazione.

“Celine, se rimani qua, ti uccideranno. Io posso combattere, tu no”.

L’amica osservò l’arto mancante e le svariate crepe: “Non è vero, Grigiomanto! Stai quasi cadendo a pezzi!”.

“Celine, ascoltami, ti prego: devi andartene. Non posso aiutarti se rimani qui”.

I segugi li avevano quasi raggiunti.

La piccola, di nuovo sul punto di piangere, appoggiò le zampe sul petto del costrutto: “No, Grigiomanto! Se vuoi aiutarmi rimani con me! Non lasciarmi! Non devi proteggermi a tutti i costi… non sei obbligato a farlo! Anzi! Io ti ordino di non farlo!”.


Il cuore del costrutto vibrò, spandendo battiti sonori, come mai aveva fatto prima d’ora. L’alicorno abbassò lo sguardo verso la gemma e, al suo interno, in trasparenza, scorse un cuore vero e proprio, del tutto simile ad un organo di carne. Il muscolo pompava incessantemente, corroborato da una calda luce arancione.

“Celine…”, riprese l’altro, con voce vagamente diversa dal solito, “E’ proprio questo il punto: io non sto ubbidendo ad alcun ordine. Io sto scegliendo autonomamente. Non ho più alcun vincolo che mi obblighi a proteggerti”. L’altra lo ascoltò attentamente. “Da quando ti conosco, è stato un crescendo di emozioni, nel bene e nel male. Ora… finalmente… ho la consapevolezza di me stesso. E, proprio consapevolmente, ho preso la mia decisione. Ti prego, Celine, rispetta la mia scelta…”.

“Avevi… avevi promesso che avremmo guardato un altro cielo insieme!”, scoppiò a piangere.

“Celine…”, sussurrò l’altro.

Ma l’alicorno capì: il suo compagno non si sarebbe fermato di fronte ad alcuna difficoltà, pur di salvarla. Non era più il golem che aveva conosciuto la prima volta: ora era Grigiomanto e, anche se soffriva per ciò, quello che desiderava era la salvezza della “padroncina”.

La piccola si ritrasse lentamente, osservando ancora una volta il sorriso gentile sul suo volto e il rossore sul petto, prima di immergersi tra i fitti fili d’erba.


    Chiudendo gli occhi e cercando di non pensare più a nulla, prese ad allontanarsi, più silenziosamente che poteva. Fece qualche metro e poi si irrigidì improvvisamente: dove aveva appena abbandonato Grigiomanto, si levarono ringhi e guaiti, accompagnati da sordi colpi sul terreno e rumore di unghie sulla pietra. La sofferenza più completa la colse e dovette appellarsi ad ogni rimasuglio di volontà per non mettersi ad urlare il nome dell’amico a squarciagola. Quando vide un lampo e sentì i tonfi di decine di pietre ruzzolare una sull’altra, non riuscì più a trattenersi: “Grigiomanto!”.

    In quell’esatto istante, dalle sommità del cielo, Oscuro e il Segugio Argenteo continuavano la loro feroce lotta, spostatasi nell’aria. Il mostro d’ombra si gettò sul ventre del lupo ed entrambi presero ad avvitarsi rapidamente verso terra, in direzione di Celine.

Il duo cadde a poche decine di metri dall’alicorno, come una cometa, sollevando un’enorme ondata di terriccio e generando un boato fragoroso. Celine si tirò indietro e, dalla polvere, ricomparvero i colossi, intendi ad azzuffarsi come leoni inferociti.

Il segugio era ricoperto di ferite sanguinolente e anche l’avversario aveva visto giorni migliori, tempestato di profondi tagli da cui fuoriusciva una pece scura e collosa.

Il combattimento si sarebbe presto concluso: la bestia dagli occhi rossi si mise con il ventre a filo dell’erba, pronta a balzare in avanti. Oscuro, per un fugace secondo, intravide il piccolo alicorno nella vegetazione. Il ghigno sul volto si fece sardonico, subito prima che lo spirito si ritraesse nella sua stessa ombra, lasciando solo alcuni piccoli batuffoli di fumo, che si dispersero immediatamente.

Il segugio, confuso, scrutò i dintorni, incerto su cosa fosse successo. Quindi vide l’alicorno: Celine raggelò e lo spirito, ancora in fibrillazione per il combattimento, non esitò a scagliarsi su di lei.

    Oscuro non attese oltre e, nuovamente balzando dall’ombra, intercettò il canide a pochi metri dalla piccola. Ci fu ancora un breve scontro ma, dopo alcuni attimi, il nero morso del compagno si serrò sul bianco collo del lupo. Seguì un guaito e, infine, si tramutò in fumo rosso. Gli spiriti vicini, colti da paura improvvisa, di dispersero rapidamente in ogni direzione.



*** ***** ***


    Celine si alzò rapidamente in piedi. Il compagno d’ombra, ricoperto di ferite, ansimava rumorosamente, ancora in postura da combattimento. L’amica avrebbe voluto sincerarsi delle sue condizioni ma, primo fra tutti, sentì l’incontenibile bisogno di verificare cosa fosse successo a Grigiomanto.

Prese a galoppare forsennatamente nell’erba, temendo per il peggio. Procedendo casualmente giunse in un piccolo spiazzo brullo: l’erba, apparentemente, aveva subìto l’influenza di una piccola esplosione. Al centro di essa, sparsi un po’ dappertutto, i pezzi del costrutto rilasciavano piccoli rivoli di magica energia multicolore, che si disperdevano fin nel cielo. La padroncina si portò gli zoccoli sul muso.

    Il cuore della statua, parzialmente frantumato, pulsava ancora di flebile luce rossa. Il suo volto, con appena un tratto di collo attaccato, mostrava occhi solcati da un riverbero confuso.

“Grigiomanto…”, sussurrò l’amica, senza più voce. Con molta delicatezza avvicinò la gemma e la testa a sé.

Gli occhi dell’amico, molto deboli, si illuminarono: “Ce-Celine? Stai bene?”.

“Sì… sì, Grigiomanto… sto bene”, rispose, trafitta dal dolore.

“Sono… molto contento”.

Dietro di loro giunsero anche Mantle ed Oscuro, tenendosi a debita distanza.

“Gli… gli spiriti… cosa è successo?”.

Il mostro nero, con una voce molto diversa dal solito, rispose: “Bravo, sasso pazzo… sei stato… davvero bravo… i segugi non ci sono più”.

“Quindi… Celine è salva?”.

“Sì, Grigiomanto”, rispose l’amica, sollevando il sorridente volto di pietra e stringendolo al suo, “sei stato… bravissimo… il… il miglior amico che si potesse… desiderare nella vita”.

I rivoli colorati smisero di spandersi nell’aria, fatta eccezione per poche crepe presenti sul capo e sul cuore del costrutto in pezzi. La tonalità degli occhi si fece ancor più debole e la luce nella gemma altro non era che un timido barlume.

“Dimmi, spirito”, chiese il golem, “non nego di… provare un po’ di quella cosa che un tempo… mi definirono come… paura… sai cosa mi succederà?”.

“Mi dispiace, amico mio. Nemmeno gli spiriti conoscono la risposta a questa domanda”, rispose l’altro.

“Capisco”.

Le lacrime di Celine gocciolarono sulla pietra che teneva stretta: “Mi spiace… mi spiace tantissimo… in questo momento… vorrei che non ti avessero mai creato… che non dovessi soffrire così tanto”.

“No Celine… non pensare mai una cosa del genere. Io sono… MOLTO contento di averti conosciuto. Prima non ero niente, solo una marionetta animata dalla magia. Ma nell’istante in cui ho avuto coscienza… nell’istante in cui sono diventato Grigiomanto… io ho iniziato ad esistere… e tu, Celine, mi hai fatto provare centinaia di emozioni… mi hai fatto vedere cieli incredibili… grazie a te… io ho vissuto realmente”.

Mantle, per la prima volta dopo tempo immemore, percepì qualcosa di umido sulle guance.

“Ti voglio un bene incredibile, Celine”, disse Grigiomanto, con gli ultimi residui di magia, “Mi spiace soltanto non poter mantenere la nostra promessa. Per tutto il resto… ti ringrazio tantissimo per l’amica che sei stata”.

“Anche io ti voglio bene, Grigiomanto”.

“Sono… molto felice”, concluse, prima che lo sguardo perdesse la propria scintilla.

Il cuore del costrutto divenne opaco, quasi violaceo, e la luce del cuore si spense.

Non si riaccese mai più.

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Capitolo 9
*** L'Ombra di un Ricordo. Il Ricordo di un'Ombra. ***


La porta di casa si richiuse pesantemente alle spalle dell’alicorno. Oscuro e la protetta la seguirono in silenzio.

La piccola si avvicinò ad un tavolo e, dalla bocca, fece cadere alcuni piccoli frammenti della gemma di Grigiomanto. In quel momento non piangeva ma, sapeva bene, si trattava solo di un attimo di calma, prima che il dolore per la recente perdita tornasse, più forte di prima.

Osservò tristemente la casa, deserta e priva di vita. Dalle finestre era possibile osservare il Mutamento, sempre più vicino: ormai non rimanevano che pochi chilometri ancora esenti dall’influenza del caos.

Salì quindi le scale ed entrò nella cameretta. Non era cambiato nulla: il letto era disfatto, ricordandole la rocambolesca fuga con i genitori. L’angolo dove si era sempre appostato Grigiomanto era vuoto. Vi si avvicinò con lentezza, quasi potesse vederlo ancora lì, in piedi, nella sua immutabile postura di veglia. Poi il sua sguardo venne attirato da un oggetto vicino alla parete, parzialmente nascosto da una cassettiera. Lo raccolse. I due amici continuarono a guardarla in silenzio, vicini all’uscio.

“E’… è il suo cappello. Era… molto buffo. Lo aveva indossato soltanto un giorno”.

Aguzzando lo sguardo, vide un calcinaccio sconnesso, posto a protezione di un buco, proprio da dove aveva preso il copricapo. Incuriosita, lo mosse con uno zoccolo, rivelando un piccolo nascondiglio, grande a sufficienza da infilarci una zampa.

Dal foro, iniziò ad estrarre una serie di piccoli oggetti.

“Non solo era un amico”, pensò, con un lieve sorriso, “Ma era anche un abile ladro, per la sua stazza”.

Emersero un libricino di poesie, forse proveniente dalla biblioteca del padre, uno spago, qualche bottone e altre chincaglierie prive di significato apparente. Tirò fuori anche una tegola scheggiata, ricolma di terra, e da cui spiccava una piantina verde. Il dolore iniziò a pervaderle nuovamente il cuore.

    Come ultima cosa, raspando fino in fondo, prese infine un piccolo diamante azzurro.

Mantle si avvicinò: “Cos’è quello?”, chiese.

Celine lo scrutò attentamente: “Mi… mi sembra di ricordare papà che ne usava qualcuno, durante le proprie ricerche. Com’è che lo chiamava?... Cristallo mnemonico, mi pare… Da quanto ne so, registra i pensieri di colui che lo utilizza, per poterli poi risentire in un secondo momento, se necessario”.

“Chissà cosa contiene?”.

L’alicorno avvicinò uno zoccolo verso la superficie sfaccettata, tremando. Non sapeva se avesse voluto realmente udire cosa vi era impresso ma, alla fine, decise di attivarlo.


    L’oggetto si illuminò e seguì un attimo di silenzio. Fu la voce di Grigiomanto a fare capolino. Non era la voce fredda ed atona che utilizzava di solito, bensì la voce calda e variegata che aveva sentito quando erano entrati nel mondo d’Ombra, con Oscuro: essendo la registrazione di un pensiero, il golem era stato libero di utilizzare la sua vera voce, al di là di qualsiasi limite imposto dall’incantesimo.


… … …

…Cosa spinge un’entità a domandarsi cos’è l’esistenza?

Quale nesso può legare l’esistenza alla fredda materia priva di vita?

Cosa spinge un pupazzo di stoffa a trasformarsi in un amico con cui condividere la propria vita?

… … …

In questo periodo ho attraversato mutamenti improvvisi, assolutamente nuovi e sconvolgenti. Alcune volte mi sono sentito euforico, felice e pieno di gioia. In altre ho assaporato la tristezza, la sofferenza e l’apprensione. Cosa significa tutto questo? Basta ciò per rendermi un’entità cosciente? Sono io solo un pupazzo di stoffa dai tratti equini o posso affermarmi come qualcosa di superiore?

… … …

Ho osservato un seme. Lo vidi sbocciare e passare dall’essere un sassolino privo di energia ad una creatura vivente pronta a crescere. Se non l’avessi visto, non l’avrei mai detto. Ed è questo ciò che mi ha ingannato: l’apparenza. Forse anche io sono un seme che è divenuto pianta? O rimango sempre e comunque come la fredda pietra?

Ho letto un libro che parla della procreazione della vita. Maschio e femmina si uniscono per preservare la specie. Io non sono stato concepito. Quindi… non sono vivo? Se, invece, sono vivo… perché il mio corpo non prova dolore? Perché la mia pelle è dura e fredda? O forse mi è sufficiente provare sensazioni e interrogare me stesso, al fine di potermi definire… ciò che nemmeno io saprei definire.

… … …

Io… io non so cosa sono. Io non conosco le risposte e, forse, mai le conoscerò.

Di una cosa, però, sono certo. Quando anche l’ultima stella del firmamento si sarà spenta, quando anche l’ultima creatura avrà smesso di respirare su questa terra, quando tutto ciò che esiste giungerà all’antitesi completa… io saprò una cosa e nessuno potrà mai negarla.

Io saprò… che ho vissuto.

Perché io… sono Grigiomanto.

Perché io sono esistito.


    Il cristallo si spense. Celine sorrideva appena.

“Alla fine ha ritrovato se stesso”, commentò Oscuro, “Ha scoperto chi era”.

“Era… è stato semplicemente fantastico”, concluse l’alicorno.

Mantle le si avvicinò e si sfiorarono la fronte: l’amica, finalmente, aveva la gioia sul volto.

Lo spirito osservò malinconicamente il Mutamento che avanzava implacabile, attraverso le vetrate: “Non percepisco altri spiriti in zona. Posso sbagliarmi. Sembra, però, che questo non sia bastato a fermare il caos. E’ un vero peccato… proprio adesso…”.

“In che senso proprio adesso?”, domandò l’amica dal candido manto.

I connotati indefiniti di Oscuro si rimodellarono e, per la prima volta, assunse un’espressione di vera commozione: “Noi… noi dobbiamo andare, Celine”.

“Andare? E dove? Nell’ombra?”.

“No, piccola. Il nostro tempo qui è giunto al termine. Definitivamente”.

“Cosa?”, domandò preoccupata.

“Mantle ha finalmente… vinto la sua battaglia”.

I pony si osservarono.

“Sì Celine”, riprese l’amica, “Sono finalmente libera di compiere l’ultimo passo. E devo tutto a te e a Grigiomanto”.

“Tu… tu vuoi andartene?”.

“Non posso disubbidire a queste leggi, amica mia. E ti ringrazio immensamente. Quando persi mia sorella ed Oscuro mi trovò, ad un soffio dal seguirla, scoprii che i miei genitori non persero un solo istante nell’intento di trovarci. In seguito, si ridussero in miseria e in rovina, investendo tutto ciò che avevano per scoprire cosa ci fosse successo”. L’alicorno si sentiva a disagio ma non poteva fare a meno di percepire una nota di pace apparente, sul muso del pony paglierino: non sembrava più triste. L’altra continuò: “Mi sono sempre ritenuta responsabile di ciò che è successo ai miei genitori. Pensavo che il loro destino fosse stata una mia colpa… ma quando ho incontrato te… quando ci hai definiti una famiglia… quando ho visto il sacrificio che Grigiomanto ha compiuto per salvarti… Allora ho capito: il tuo amico non si è sacrificato per colpa tua. E’ stata una sua scelta d’amore. Ha fatto ciò che desiderava, ciò che non avrebbe mai potuto rifiutare e, con quel gesto, ha trovato la sua… umanità. In quel momento ho capito… e una lacrima lo ha dimostrato: i miei genitori mi hanno amata e mi hanno sempre voluto bene. Non sono la responsabile di nulla se non del grande amore che hanno investito in me, fino all’ultimo momento”.

    Il piccolo corpo del pony prese lentamente a trasformarsi in polvere.

“No! Mantle! Non te ne andare!”, esclamò Celine, “I miei genitori non ci sono più e anche Grigiomanto se n’è andato! Se ora voi scomparirete… io rimarrò sola…”. L’amica la cinse nuovamente per il collo.

“Mi spiace Celine. Io non posso rimanere… non so cosa darei per restarti accanto. Semplicemente… non posso”.

“Non andare… ti prego”, ripeté.

Il suo corpo, ormai, era quasi completamente dissolto: “Non ti dimenticherò mai, Celine. Qualunque cosa ci sia dopo il grande passo… sappi che non ti dimenticherò mai. Ti voglio bene”. Un ultimo batuffolo di pulviscolo testimoniò il suo trapasso definitivo e il girocollo cadde a terra, come unico ricordo dell’amica.

    Celine alzò lo sguardo verso Oscuro: lo spirito la stava scrutando con tenerezza e, a sua volta, era sul punto di svanire. L’alicorno si tuffò sul grosso ventre nero e le mostruose zampe dello spirito la strinsero con forza.

“Non andartene, Oscuro…”.

“Non posso mentire, Celine. Io me ne andrò”.

“Perché mi lasciate sola? Cosa… cosa farò?”.

“Non ho una risposta alla tua domanda, piccola. Il tuo Fato risplende come una stella nel cielo. Qualsiasi cosa accada, avverrà per un motivo, credimi”.

“Io non voglio adempiere a nessun destino! Io voglio stare con voi… con Grigiomanto, Mantle e con te…”.

“Lo vorrei anch’io. Ma gli spiriti non possono sottrarsi a determinate leggi”.

La metà inferiore di Oscuro era scomparsa. L’alicorno cercò di trattenere i singhiozzi.

“So che stai soffrendo… so che sono accadute molte cose brutte. Ma non dimenticarti una cosa”, aggiunse, prima di andarsene, “Alla fine tutto andrà bene. Se non va bene è perché… perché ancora non è la fine”.

L’artiglio del mostro passò un’ultima volta sulla criniera spettinata di Celine: “Abbi coraggio. Ricordati di noi. E non sarai mai sola”.

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Capitolo 10
*** Oltre l'Apparenza ***


Per la prima volta in vita sua, nonostante le ultime parole del suo amico, Celine si sentì realmente sola. Avrebbe voluto farsi forza. Avrebbe voluto non cadere preda dell’apatia. Avrebbe voluto valorizzare gli ultimi momenti passati con la sua “famiglia”… ma non ci riuscì.

Lo sconforto la assalì come un’onda in piena, svuotandola di ogni speranza e gioia di vivere.

    L’alicorno si distese mollemente sul proprio letto, stringendo un lembo delle coperte tra gli zoccoli. Accanto a lei aveva disposto il girocollo di Mantle, i frammenti del cuore di Grigiomanto e la piccola gemma mnemonica: il monile continuava a ripetere incessantemente il discorso del golem, donando alla padroncina una pallida parvenza di familiarità.

Nulla, tuttavia, riuscì a farla rinsavire. Le palpebre erano calanti e lo sguardo inespressivo. Non riusciva a pensare nulla, tanto era la sensazione di sconforto che le attraversava ogni cellula del corpo. Non piangeva nemmeno: non ne aveva più la forza.

Il rumore del vento e dei tuoni si faceva sempre più pressante.

“Il Mutamento è vicinissimo”, pensò, “Fra poco… sarà tutto finito”.

    Passarono i minuti e, improvvisamente, le vetrate cominciarono a tremare: la casa dell’alicorno era ormai l’ultimo baluardo di realtà, completamente circondato dal caos, in procinto di inghiottirlo completamente.

Il frastuono non la preoccupava. In quel momento non aveva paura di niente. Sentiva che non le era rimasto più nulla da perdere. Tutto ciò di più caro le era sfuggito via in meno di una giornata, strappatole da una forza a cui non era riuscita ad opporsi.

“Fra poco sarà tutto finito”, si ripeté.


    Il Mutamento fece capolino e le vetrate esplosero. Una sezione di parete venne letteralmente strappata via dalla furia entropica e gli oggetti nella stanza vennero quasi risucchiati.

Celine chiuse gli occhi, accettando qualsiasi fine le sarebbe toccata.

Poi calò il silenzio più assoluto.

    La piccola, un po’ sorpresa, riaprì le palpebre: il tempo attorno a lei sembrava essersi fermato. I cocci di vetro e gli oggetti erano sospesi a mezz’aria, immobili. Le nubi del Mutamento, attorno alla casa, non si muovevano e persino i fulmini scarlatti si erano congelati, come in un fermo immagine.

Celine scese dal letto: i suoi piccoli zoccoli rimbombarono sul pavimento, come in una cattedrale. Sfiorò i frammenti delle finestre con una zampa e questi si allontanarono debolmente, privi di inerzia.

Una luce soffusa fece capolino all’esterno, rivelando, subito dopo, un limpidissimo cielo azzurro, come se la casa si fosse improvvisamente trovata in mezzo alle nuvole.

In lontananza, difficile da vedere chiaramente, la sagoma di un serpente volante iniziò ad avvicinarsi alla finestra, compiendo sporadicamente qualche curiosa evoluzione aerea.

La creatura planò all’interno della stanza, sfruttando il buco nella parete, e si adagiò delicatamente vicino a Celine: il suo corpo affusolato era dotato di quattro zampe, una diversa dall’altra, e un pizzico di follia balenava negli occhi del volto caprino, con tanto di barbetta e lunghe corna asimmetriche.

La bestia, sicuramente uno spirito, non disse nulla e si limitò ad osservare l’alicorno, con un lieve sorriso.

    “Qualsiasi cosa tu voglia fare”, tagliò corto l’altra, in preda all’apatia, “falla in fretta”.

Lo spirito ridacchiò sottovoce: “Quanta premura, piccolo alicorno”.

“Sono stanca. Non mi interessa chi o cosa sei. Basta che la facciamo finita”.

“Stai tranquilla, cercherò di essere il più breve possibile, Celine. O forse dovrei dire… Celestia?”.

Le orecchie dell’alicorno si drizzarono: “Come… come conosci il mio vero nome? Solo i miei genitori mi chiamano così… tutti mi conoscono con il mio nomignolo…”, balbettò sorpresa.

“Oh”, disse lo spirito, con un’espressione vagamente compassionevole, “Io ti osservo da tantissimo tempo, Celine, più o meno da quando sei nata, a dire il vero”.

La creatura prese a fluttuare dolcemente attorno a lei e continuò: “Ho visto il tuo arrivo nella zona di stabilità. Ho visto il giorno in cui conoscesti Grigiomanto. Ho vissuto con te l’incontro con le Ombre. E, poi, l’esplosione del Mutamento, la tua fuga, gli spiriti sanguinari… la scomparsa dei tuoi amici. Ho visto tutto, Celine”.

L’altra non capì: “Chi… chi sei tu?”.

    L’interlocutore sorrise e, con un battito di zampe, trasformò tutto ciò che li circondava in un immenso prato fiorito, solcato dal limpido cielo di prima.

“Io mi chiamo Discord. Sono lo spirito del Caos e della Discordia”.

Celine ci pensò un secondo e poi aggiunse: “Caos? Hai a che vedere con ciò che sta succedendo? Con il… Mutamento?”.

“Oh, no no no… L’esplosione di Mutamento non è opera mia. Ho la facoltà di bloccarlo momentaneamente, come ho fatto ora, ma il responsabile di tutto ciò che è successo… beh ormai lo sai: sei tu”.

L’alicorno si incupì: “Grazie… grazie per avermi ricordato che tutte le cose terribili che sono successe sono state per causa mia”.

Discord alzò le sopracciglia: “Ma io non ho detto questo”.

“I miei genitori… Grigiomanto… loro non ci sono più… ed è colpa mia”, sussurrò, passandosi una zampa sotto al muso.

“Ma allora non hai imparato nulla, Celine!”, esordì lo spirito, poggiandole un artiglio leonino sulla spalla, “Non ti ricordi cosa ti ha detto la tua amica, prima di andarsene?”.

Discord fece un gesto a mezz’aria e, dall’erba, sbucò una pianta, che crebbe a vista d’occhio. Formò un bocciolo, che si schiuse in un ovale simile ad uno specchio: al suo interno, Celine rivide una scena passata, come se la stesse osservando in terza persona.

“Quando ho visto il sacrificio che Grigiomanto ha compiuto per salvarti”, disse Mantle, con voce in riverbero, “allora ho capito: il tuo amico non si è sacrificato per colpa tua. E’ stata una sua scelta d’amore. Ha fatto ciò che desiderava, ciò che non avrebbe mai potuto rifiutare e, con quel gesto, ha trovato la sua… umanità”.

“Ciò che è accaduto al tuo amico”, continuò l’altro, “è stato adempiere al SUO destino… attraverso di te. Grigiomanto voleva trovare la propria coscienza. Voleva essere riconosciuto come entità senziente. E io credo, alla fine, che ci sia riuscito… ma non avrebbe mai potuto farcela senza di te. Il tuo Fato imponente lo ha aiutato a realizzare il proprio sogno. Tu non sei responsabile di nulla, se non di averlo aiutato in questo”.

Celine provò un vago sollievo, seppur limitato.

“Anche Mantle ed Oscuro erano legati a te. Tu non hai fatto nulla se non aiutarli nel loro compito. Sei molto fortunata”.

“Fortunata?”, esordì, “Fortunata!? Ho perso le persone più fantastiche che avessi mai conosciuto!... Cosa c’è di fortunato in tutto questo?”. Discord sorrise.

“Ti sei risposta da sola… Hai conosciuto persone fantastiche, assolutamente splendide. Quante entità simili pensi incontrerai, nella tua vita? Credi che sarebbero vissute per sempre? Celine: NULLA è per sempre. I mutamenti giungono costantemente per ricordarcelo. Seppur per poco, hai avuto l’occasione di condividere la tua esistenza con la loro. E questo ha donato un valore. O preferiresti non averli mai conosciuti?”.

Celine, un po’ spiazzata, cercò di rispondere con sincerità: “Io… io sono contenta di averli conosciuti, anche se ora non ci sono più… Darei tutto per rivivere gli attimi che ho passato con loro…”.

“Anche se sapessi che dovresti riaffrontare tutti i guai che hai passato?”, chiese lo spirito con malizia.

“…Sì”.


    Discord si mise a ridere e a piroettare su se stesso: mille alberi da forme e colori improbabili crebbero sulle nuvole nel cielo e, contemporaneamente, batuffoli verdastri si materializzarono sull’erba, con tanto di pesci che volavano a testa in giù.

“Ah! Splendido! Splendido! E dimmi”, esclamò con eccitazione, poggiando il mento sui polsi, “questo ti ricorda nulla?”. Una nuvola verde si plasmò, fino a ricreare un’altra scena passata, in cui Celine rivide di nuovo se stessa.

“Dovrei diventare amica di… di una statua?”, disse la nuvola, con le sembianze e la voce dell’alicorno.

La materia continuò a mutare, imitando i vari interlocutori.

“Io… io so bene chi sono. E mi vado bene così. Non ho bisogno di cambiare”.

Mantle: “Ti è mai capitato di avvertire la… personalità negli oggetti?”.

“Eh no! Ora non sei più golem: ora sei Grigiomanto!”.

Oscuro: “E’ questo il problema del pensare. La mente gioca brutti scherzi. E spesso l’apparenza inganna. Nulla è certo. Non puoi sperare di migliorare se non accetti il cambiamento. Ma il cambiamento porta paure, insicurezze e anche sofferenza. E, a tutto ciò, nessuno può sottrarsi”.

“Grigiomanto… è… è incredibile! Io non sapevo che tu… facessi queste cose… che avessi scoperto simili meraviglie”.

Grigiomanto: “Non credo di averle scoperte. Sono sempre state lì. Bisognava solo saperle guardare”.

“Sapete… non so dove siano i miei genitori. Non so se li rivedrò mai più. In questo momento, la cosa che più mi importa è che voi siate qui con me. Voi siete la mia famiglia, adesso. Siete la cosa a cui tengo di più al mondo… e vi voglio un bene dell’anima”.

    Lo sguardo di Celine si riempì di commozione.

“Allora… dimmi”, riprese Discord, “sei la stessa Celine di due settimane fa?”.

“Io… io non saprei…”, biascicò confusa.

“Oh, ma certo… Grigiomanto è solo uno stupido sasso, Oscuro un mostro spaventoso e Mantle un cadavere che cammina…”.

Celine sorrise.

Discord, avvicinò lo sguardo al suo. La piccola vide gli occhi dello spirito, che gli ricordarono quelli di Oscuro, quando si metteva a ridere come un matto.

“Tutto quello che ti è capitato… ti ha fatto soffrire. Hai passato momenti terribili. Ma hai anche imparato molto. Senza tutto questo, forse, saresti esattamente com’eri prima. Potrà sembrare un prezzo alto da pagare ma ricordati che i tuoi sono stati addii dettati dal desiderio di amare e di migliorare la propria esistenza. Davi mille cose per scontate e limitate alle tue prime impressioni. Sai no? Alcune cose le vedi con gli occhi…”.

“…Altre le vedi col cuore”, concluse Celine, con gli occhi umidi. I due si sorrisero reciprocamente.

“Io… capisco, spirito”, continuò l’alicorno, “Ma… ora cosa accadrà? Sei venuto qui solo per dirmi questo?”.

    Discord si fece serio e prese a lisciarsi la barbetta: “No. Sono qui per un altro motivo”.

Celine lo osservò incuriosita. L’altro riprese a parlare: “Come ben sai, il tuo Fato è fiorente come mai è accaduto prima. Tutti gli spiriti sono giunti, attirati come da una calamita, ed io con loro. Questo ha causato una crescita incontrollata nel Mutamento, che ha cercato di serrarsi sul di te. Ogni spirito avrebbe voluto fondere il proprio Destino con il tuo e, fra tutti i contendenti rimasti, io sono l’ultimo”.

“Vuoi dire che… sei l’ultimo spirito in circolazione?”.

“Gli spiriti non muoiono per davvero: si rinnovano. Comunque, sì, attualmente sono l’ultimo rimasto. Non l’ho scelto per mia iniziativa, sarebbe potuto accadere a chiunque. Ma il Fato ha deciso che sarei stato io, quello spirito”.

Il pony aveva ancora le idee confuse: “E tutto questo cosa vorrebbe dire?”.

“Il tuo destino sta per compiersi, Celestia. Sei portata a realizzare grandi imprese, in questa terra. Cosa e come lo farai, starà a te deciderlo. Ed io sono qui per aiutarti”, le spiegò.

“Aiutarmi?”.

“Se il destino ci ha condotti fino a qui, alla fine di ogni cosa, è per un motivo: per suggellare un patto. Come tutti i patti che si rispettino, però, sarà valido e vincolante solo se entrambe le parti saranno concordi sulle conseguenze”.

Celine lo ascoltò, vagamente preoccupata.

“Ormai avrai capito che cambiare può essere doloroso… ma che porta a comprendere molte cose e permette ai caratteri di imparare e formarsi. In futuro… questi luoghi potranno brulicare di vita cosciente e razionale, esattamente com’è stato Grigiomanto. Tu, Celine, potresti avere il compito di condurli e guidarli, di verificare le loro nozioni e i loro progressi”.

“Mi sembra una cosa pazzesca… assurda…”.

“So che ora ti sembra insensato ma… che divertimento c’è se tutto avesse senso?”, chiese divertito, “Ogni creatura sotto la tua ala potrà imparare e migliorare… ma ora ti faccio una domanda: secondo te, Grigiomanto ha imparato qualcosa, nella sua breve esistenza?”.

Il pony ci pensò un attimo e poi rispose: “Lui… sì, ha imparato tantissimo”.

“E come pensi che abbia fatto?”.

“Si interrogava, cercava risposte, lui si…”.

“Vai avanti…”, la incoraggiò Discord, emozionato.

“…Lui si metteva alla prova”.

Un insieme di coriandoli, palloncini colorati e petardi emerse alle spalle dello spirito: “Esatto!”, esultò con gioia, “Grigiomanto ha imparato tutto quanto sperimentando… spingendosi oltre i limiti apparenti della pietra… Solo quando ha compreso il disagio che provava nel vederti soffrire ha realmente compreso il bene smisurato che ti voleva! Solo allora il suo cuore ha iniziato realmente a battere! Solo allora è entrato nella precaria condizione degli esseri viventi!”.

“Credo di capire…”, aggiunse l’altra.

“In futuro, avrai il compito di guidare giovani menti nel loro cammino ma… come pensi che possano migliorarsi? Che significato ci sarebbe se tutti si comportassero nello stesso modo, senza comprendere l’aspetto dualistico degli avvenimenti? Cosa sarebbero se conoscessero la gioia ma senza conoscere anche la sofferenza?”.

“Io credo”, ipotizzò, “che non la capirebbero fino a fondo. Sarebbero… piatti. Come… come un costrutto senza cervello”.

    Discord si alzò sulle zampe posteriori, incrociando quelle anteriori dietro la schiena e annuendo compiaciuto: “Se vuoi che il tuo popolo possa migliorare… dovrai insegnarli ad usare non solo il cervello… ma anche il cuore. E usare il cuore può essere molto doloroso. E qui veniamo al patto”. Lo spirito divenne nuovamente serio: “Accetti tu di includere la sofferenza nel cuore del tuo popolo, al fine di dargli la possibilità di progredire e provare emozioni? Con tutte le conseguenze che questo comporta, ovviamente, nel bene nel male…”.

“E’ una domanda molto difficile, Discord… e ancora non capisco quale sia questo popolo di cui parli…”.

“Purtroppo non abbiamo molto tempo per pensarci… sappi comunque che, se accetterai, il ricordo del nostro incontro verrà cancellato”.

“Perché?”, chiese sorpresa.

“Fa parte del vincolo… nessuno di noi due dovrà ricordare di aver incontrato l’altro, altrimenti il meccanismo verrebbe traviato da questa esperienza. Se accetterai, io e te diventeremo gli attori inconsapevoli di un gioco immenso, basato sugli opposti che si respingono e che si attraggono”.

“E’… è davvero pazzesco, Discord… fatico a credere di poter avere un ruolo così importante… inoltre… questo farebbe di te un… insomma, qualcosa di brutto… da combattere”.

Lo spirito sorrise beffardamente: “Sì… io sarò ‘quello cattivo’. Sarò il tuo nemico e, al tempo stesso, il tuo alleato più grande nel progresso della coscienza vivente”.

“Mi sembra… ingiusto nei tuoi confronti”, concluse.

“Ascolta, Celine”, si affrettò a dire, “Non potrò mantenere stabile questo luogo ancora a lungo. Devi decidere ora. Accetti il patto? Accetti di partecipare a questo meccanismo, di cui nemmeno io conosco le dirette conseguenze?”. Discord le protese una zampa. L’altra la osservò indecisa, avvicinandole lentamente uno zoccolo.

Le parole di Oscuro le risuonarono nella mente: “Alla fine tutto andrà bene. Se non va bene è perché… perché ancora non è la fine”.

I due strinsero il patto. Discord sorrise e una candida luce bianca li inghiottì lentamente.

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Capitolo 11
*** Epilogo ***


Passarono alcune centinaia d’anni dal quel curioso episodio e, come pattuito, ne il pony ne lo spirito, ebbero il ricordo l’uno dell’altra.


Celestia si trovava in una lussuosa camera finemente arredata, intenta ad osservare uno strano monile, che ruotava a mezz’aria, tramite la magia. La puledra era cresciuta divinamente: si era slanciata in altezza e la chioma era diventata fluente, come quella del padre, arricchendosi inoltre di altre tonalità vivaci. Il corno acuminato scintillava come l’avorio e le ali, anche se ripiegate, la coprivano interamente lungo i fianchi, da cui spiccava il simbolo di un sole dorato.

L’alicorno osservò con sommo piacere l’oggetto e lo poggiò quindi su un tavolo.

“Permesso”, si udì, oltre la porta d’ingresso, accompagnato da un leggero bussare.

“Avanti”, rispose l’altra, con voce semplicemente splendida.

Un imperioso unicorno dall’armatura scintillante entrò nella stanza, porgendo i propri ossequi all’occupante.

“E’ tutto pronto, Principessa”, esordì, “Aspettano tutti lei”.

“Grazie, giungerò tra breve”, rispose cortesemente, congedandolo.

La puledra sollevò nuovamente il monile: era il girocollo di Mantle, lucidato e rifinito. Al centro era stato incastonato un frammento scuro, quasi violaceo, del cuore di Grigiomanto. Il volto di Celine si riempì di commozione, subito prima di agganciarlo sotto alla criniera, facendolo ricadere elegantemente sul petto.

Prese un grosso respiro e, con decisione, spalancò la porta. La luce dell’esterno, per un istante, parve accecante.

    Al suo sguardo, oltre la piccola balconata su cui era uscita, comparvero le mura e le guglie d’argento del fantastico castello in cui si trovava. Le foreste e le colline verdeggianti si stagliavano, in lontananza, quasi a fondersi col cielo azzurro.

Sotto di lei, allineate ordinatamente, una schiera di figure equine la osservava in muto rispetto.

Sul balcone, oltre ad un paio di guardie, c’erano anche Ivory e Dedalo, assolutamente orgogliosi per la propria figlia.

Celestia fece qualche passo in vanti, mostrandosi ai presenti.

La madre le si avvicinò e sfiorò delicatamente il muso con il suo.

“Dimmi”, sussurrò, volgendo lo sguardo verso l’orizzonte, “Cosa vedi?”.

Celine sorrise: “Vedo… una terra ricca e fertile. Vedo la vita sbocciare in ogni angolo del mondo. Sento le risate, la gioia ed anche i pianti ed i turbamenti di mille entità diversificate. Vedo le opportunità e le possibilità che questo luogo ha da offrire”.

“Sono molto fiera di te, piccola mia”.

“Lo so, mamma… ma non sarei mai giunta fino a qui, da sola”.


    Quello fu il tempo, in un luogo lontano e non più dimenticato, in cui il Mutamento ebbe sfogo. Un tempo ed un luogo unici, distanti da tutto ciò che si potrebbe definire sconosciuto.

Quando il primo zoccolo si posò sul terreno, quando le ali presero a sferzare l’aria nel cielo, quando si udirono le prime voci di vita, il Creato era un ribollente calderone di entità.

C’era chi, osservando una statua, avrebbe visto solo fredda pietra.

C’era chi, nelle tenebre, avrebbe percepito solo l’oscurità terrificante.

C’era chi, di fronte alla morte, avrebbe riconosciuto solo una vacua distruzione.

E c’era chi, forte delle proprie esperienze e con la consapevolezza nell’anima, avrebbe visto tutt’altro.

Osservando le ombre, potrebbe capitare di scorgere un muso ghignante.

Questo è ciò che accade a chi ha imparato a vedere col cuore.

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