Sidro Proibito

di Lantheros
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Bei tempi ***
Capitolo 2: *** Segugi e Barbieri ***
Capitolo 3: *** Schiacciare la Concorrenza ***
Capitolo 4: *** Preparativi ***
Capitolo 5: *** Gran Finale ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** I Bei tempi ***


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La coppia di pony entrò nella stanza, avendo cura di richiudere attentamente la porta dietro di sè. I due si avvicinarono alla scrivania, con aria solenne, e presero un grosso raccoglitore in pelle.

“E’ questo?”, chiese Applejack, dopo essersi sistemata il nodo della cravatta.

“Eyup”, rispose il fratello, con lo sguardo occultato dalla tesa del borsalino.

Posarono il raccoglitore e girarono la valvola della lampada accanto a loro, intensificando la luminosità in tutto l’ambiente: dall’ombra apparvero scansie di libri, alcune foto in bianco e nero, un paio di vecchi fucili appesi alla parete e, per ultimo, un mappamondo decisamente datato.

Applejack srotolò il laccio che sigillava il portadocumenti e lo spalancò sul tavolo. Girò alcune pagine e poi, passandosi ripetutamente lo stuzzicadenti da un lato all’altro della bocca, prese a scorrere l’elenco ivi riportato.

“Ah!”, esclamò all’improvviso, gettando a terra il cappello, “Lo sapevo!”.

“Cos’hai trovato?”, chiese l’altro.

“Guarda qui! I FlimFlam Brothers hanno raddoppiato le loro vendite sottobanco!”.

Big Macintosh scrutò il registro: “Non sarebbe così preoccupante… se non si trattasse di un’esportazione di sidro”.

Applejack sputò lo stecchino ed esclamò: “Maledette carogne! Non ci bastava la stangata sull’alcol? Ora i fratelli vogliono anche soffiarci il mercato?”.

“Non possiamo farci molto, AJ. Hanno la possibilità di restare a galla e quindi… perché non dovrebbero?”.

La sorella prese a muoversi nervosamente avanti e indietro: “Qualcosa non quadra. Fino ad una settimana fa il nostro traffico era accettabile. Poi, di punto in bianco, le vendite crollano miseramente e tutti iniziano a parlare del sidro firmato FlimFlam Brothers. Non ti sembra un po’ strano?”, concluse, con sguardo indagatore.

“Forse”, rispose Macintosh pensieroso, “ma sono solo supposizioni”.

“Voglio andare a fondo di questa cosa”.

“Attenta, AJ. Non siamo nelle condizioni per poter strafare, lo sai”, la ammonì.

“Lo so, gli affari vanno male… dopo il Proibizionismo Celeste ho pensato che saremmo colati a picco. Se non fosse stata per l’idea di Twilight e senza l’ausilio del Sugarbooze Corner… non credo saremmo ancora in affari”.

“Siamo in affari… ma la produzione è calata enormemente. Quasi metà dei nostri meleti è abbandonata e gli strozzini si presentano giorno, dopo g…”.

“Lo so, maledizione!”, sbottò Applejack, “E’ per questo che voglio risolvere questa faccenda, ad ogni costo!”.

“E’ rischioso…”.

“Anche farsi pignorare la casa da quegli sciacalli lo è! Ed io non voglio che la tenuta Apple vada in malora! O che nostra sorella sia costretta a lavorare in qualche squallida maison per guadagnarsi da vivere!”.

Big Macintosh ci pensò per qualche istante, sollevò lo sguardo e, con convinzione, esclamò: “D’accordo, AJ… Proveremo a fare come dici tu”.


    I pony uscirono dalla tenuta, al chiarore della luna, superando lo sterrato di fronte casa, fino a raggiungere una Dodge Bros nera, parzialmente impolverata.

All’uscio, la vecchia Granny Smith oscillava rumorosamente sulla sua sedia a dondolo.

“Mi raccomando, nonna”, disse Applejack dal finestrino, mentre il fratello metteva in moto, “la casa è nelle tue zampe fino al nostro ritorno!”. La nonna annuì silenziosamente e la macchina partì in direzione di Ponymood, lasciandosi alle spalle una scia fumosa.



*** ***** ***



    Applejack osservava con melanconia le strade della cittadina scorrerle davanti agli occhi. “Una volta non era così”, sussurrò, riportando alla mente le serate attorno al camino ed i racconti in famiglia, “Ora i pony si riversano numerosi, alle ore notturne, per assaporare la vita proibita che il Decreto Celeste ha cercato di bandire dal regno”.

“Non ti sembra una scemenza?”, chiese al fratello.

“Cosa?”.

“Una volta i pony venivano da noi per dissetarsi con del buon sidro. Ora i locali stanno fallendo, sono tutti esasperati e il traffico illegale è più fiorente che mai”.

“Questa è la legge, AJ, che ti piaccia o no”, la liquidò con un sorriso, “e ognuno cerca di guadagnarci qualcosa. Dove andiamo, per prima cosa?”.

“Gira alla prossima. Voglio farmi un’idea della situazione e il Sugarbooze è il posto giusto per lo scopo”.

    La Dodge sterzò bruscamente e, dopo qualche isolato, giunse davanti ad un locale dalle vetrine piuttosto desolate.

“Ti ricordi com’era un tempo questo posto?”, esclamò Applejack, scendendo dall’auto.

“Come dimenticarlo?”.

“Hai presente l’andirivieni di clientela? Le urla? Le risate?”.

“Le risse”, ribattè Macintosh, con un sorriso.

“Già!... Guardalo ora. E’… praticamente morto…”.

    Spalancarono la porta d’ingresso ed un silenzio irreale li investì: notarono giusto qualche cliente ai tavoli, per lo più chino sopra bicchieri di soda oppure intento a consumare, fino all’ultimo millimetro, dei sigari disgustosi. Applejack cercò di trattenere un visibile fastidio.

Si portò al bancone e colpì nervosamente il legno, per richiamare l’attenzione del barista, ovunque fosse.

Dopo una certa insistenza, un frastuono assordante, simile a pentole che cascano giù per le scale, proruppe da una porta accanto: “Eccomieccomieccomi”, blaterò Pinkie Pie. Era vestita con un completo da inserviente, del tutto trasandato e sgualcito: più di ogni cosa, però, spiccava un paio di occhiaie olivastre, come cornice ad una sclera decisamente arrossata.

“Sono qui, sono qui!”, urlò, guardandosi attorno con nervosismo.

“Emh, dolcezza”, sussurrò Applejack, sollevando una zampa, “siamo qui”.

“Uh… Oh! Oh! Sei tu, Applejack! E… e… c’è anche quel bestione di tuo fratello! Mac Bacintosh!”.

“Big Macintosh”, la corresse l’altro, con noncuranza.

“E’ uguale!”, rispose Pinkie, in preda ad almeno una dozzina di tick facciali.

“Uuh… ragazza, va tutto bene?”, chiese l’amica.

“Bene? Bene? Certo! Cosa non dovrebbe andare bene??”, concluse, mollando una testata al bancone.

I due fratelli si guardarono con un’espressione a metà tra il preoccupato e lo schifato. Pinkie, con il volto incollato al tavolo, non dava segni di vita.

Applejack e Big Macintosh controllarono la clientela e, vedendo che nessuno dei presenti stava prestando loro la benché minima attenzione, trascinarono il pony rosa oltre una porticina sull’angolo.


    “Non va bene, non va bene per nienteee!”, singhiozzò Pinkie Pie in un fiume di lacrime, tirandosi la criniera.

“Che c’è, dolcezza?”.

“C’è che è tutto uno schifo!!”, ruggì.

“Pensavo che gli affari andassero meglio, ultimamente…”.

“Oh!”, la canzonò l’altra, “Certo! Gli affari vanno a gonfie vele! Prima arriva miss Celestia-so-tutto-io e pubblica quella porcata di decreto! E i clienti già lì se ne vanno…”.

Applejack la ascoltò con apprensione e poi le chiese: “Ma… il tuo locale… intendo… lo speakeasy che hai nel sotterraneo… mi sembrava che, con i nostri rifornimenti, andasse abbastanza bene”.

“Abbastanza bene?”, berciò Pinkie, con le zampe all’aria, “Abbastanza bene?? Eccolo il mio speakeasy, sottospecie di campagnola brucafieno!”. Con quelle parole, spalancò un elegante portone, collocato oltre un passaggio nel seminterrato: l’interno si rivelò un locale di classe, ricco di tavoli intarsiati, poltrone e un banco con tanto di inserviente. Vi era addirittura una piccola orchestra ma, sfortunatamente, non era in attività, in quanto non ci sarebbe stata anima viva a udirne le note.

“Uao”, esordì Applejack con stupore.

Pinkie tirò fuori una fiaschetta dalla camicia e trangugiò avidamente diverse gollate: si passò uno zoccolo sulle labbra e manifestò qualche altro tick al volto: “L’hai visto il mio speakeasy??”.

“Ma… come mai?... Noi ti riforniamo costantemente di sidro e…”.

“Ah! Questa è bella!”, rispose, “A parte il fatto che i tuoi rifornimenti si sono dimezzati, se non… tri… ditrimez… insomma sono diminuiti di brutto! E poi il tuo ultimo carico aveva il sapore del liquido per imbalsamare i cadaveri!”.

“Uuh…”, bofonchiò Applejack, lanciando un sorriso imbarazzato verso il fratello.

“In più”, continuò istericamente il pony, “pare che stiano nascendo speakeasy più competitivi del mio in ogni angolo di Ponymood! E pare che abbiano più roba e decisamente migliore di quella brodaglia di fogna che mi propini ultimamente!”.

Ci fu una pausa, in cui Applejack riprese a masticare nervosamente uno stecchino. Il pony era visibilmente pensieroso e, alla fine, esclamò: “La faccenda mi puzza sempre di più. Tu non hai idea di chi stia aprendo tutti questi locali, ultimamente?”.

Pinkie incrementò la dose di follia, prendendo a parlare ancor più freneticamente: “Macosacredichenesappiaio?? Se lo sapessi pensi che starei qui a perder tempo con una campagnola e il suo scimmione?”.

“Nope”.

“Va bene, va bene, ho capito”, concluse l’altra, “vedremo di venire a capo della faccenda. Tu intanto cerca di rimanere a galla finché puoi…”.

I tick del pony rosa raggiunsero livelli da reparto psichiatrico: “Galla? Stare a galla? Certo. Che ci vuole? Basta un altro po’ di liquido per cadaveri. No? Non è vero? Basta propinare la prima schifezza a qualsiasi ubriacone metta il muso nel mio locale, no? E’ così facile…”.

Il monologo di Pinkie proseguì per parecchi minuti, ma i due visitatori si erano già congedati da un po’, preoccupati per il degenero a cui stavano assistendo.


    La Dodge riprese a muoversi sulle ruote incrostate di fango, percorrendo le strade illuminate da lampioni in ferro battuto.

“Prima le vendite calano… poi le esportazioni dei fratelli aumentano… e infine il Sugarbooze si ritrova una concorrenza spietata addosso. Ora non dirmi che anche tu non senti puzza di bruciato”.

“Eyup”.

“E se c’è qualcosa che posso scoprire”, sibilò Applejack, strizzando lo sguardo, “so anche DOVE poterlo scoprire”.

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Capitolo 2
*** Segugi e Barbieri ***


Fratello e sorella si trovarono davanti ad un enorme edificio con un lungo camino sulla cima, da cui fuoriusciva una curiosa scia grigiastra. Sopra la porta si estendeva una serie di tavole di legno, collegate da alcune catenelle, su cui comparivano le seguenti parole: “Dottore”, “Barbiere” (cancellato da una striscia di vernice scura), “Tonici rinvigorenti” e “Sconti del 50%”.

Applejack bussò e, dopo qualche istante, un drago viola alto poco meno di lei, dallo sguardo annoiato, aprì la porta: indossava un paio di paio di pantaloni gessati, da cui penzolava un lembo di camicia infilato malamente; un gilet aperto faceva intravedere bretelle marroni e, sul capo, cascava mollemente una grossa coppola scura.

“I signori desiderano?”, chiese, con completa noncuranza, senza nemmeno guardarli.

“Andiamo, Spike! Siamo noi!”, sbuffò la sorella.

“Mh… avete un appuntamento?”.

“Ma piantala!”, si spazientì, spostandolo di lato ed entrando a forza nell’abitazione. Big Macintosh la seguì.

Il drago agì in preda alla noia e all’apatia più totale: se ne fregò altamente dell’irruzione, chiuse la porta alle sue spalle e poi li seguì.

    Il trio attraversò un ordinario salotto, girò alcuni corridoi e si infilò in uno scantinato, da cui proveniva un alone di fumo simile a quello del comignolo all’esterno.

Giunsero infine in un enorme seminterrato, che ospitava ampolle, calderoni, cisterne, tubi, valvole e attrezzi d’ogni genere e sorta. Un pungente odore di alcol e melassa permeava ogni centimetro della stanza.

In un angolo, un unicorno viola, con un grembiule simile a quello dei macellai e gli zoccoli infilati in gommosi guanti gialli, stava rimestando qualche liquido di un pentolone. Sugli occhi portava una spessa maschera da saldatore, che ne occultava lo sguardo.

“Twilight, abbiamo delle vis…”.

“Non ora, Spike!”, urlò stizzita.

Il drago sospirò e diresse lo sguardo verso i due ospiti: “La signorina Sparkle vi riceverà non appena possibile”. Con quelle parole, si sedette su uno scaffale lì vicino e prese ad accendersi un sigaro.


L’unicorno diede ancora due poderosi giri di mestolo e spostò gli occhiali sulla fronte, rivelando che il suo vero manto era molto più chiaro del previsto, sintomo delle continue bruciacchiature sull’intero corpo.

“Allora”, riprese con tono deciso, “chi è che… Spike! Cosa stai facendo? Spegni subito quella roba!”. Il drago assunse un’espressione ancor più annoiata e schiacciò il sigaro contro la parete. “Quante volte ti devo dire che è pericoloso! Vorrai mica far saltare in aria mezza Ponymood??”.

“Sai che perdita…”, sussurrò l’altro a denti stretti.

“L’ultima volta, per colpa dei tuoi sigari fetenti, ho ristrutturato mezzo locale e mi son dovuta inventare scuse del cavolo per quei rompipalle della Guardia Celeste che…”, l’unicorno si accorse degli ospiti e si ricompose.

“La famiglia Apple…”, rispose, aguzzando lo sguardo.

“Ciao, dolcezza”.

“Eyup”.

“A cosa devo il piacere?”, chiese, riprendendo a smanettare con qualche alambicco.

“Uhm… niente di speciale”, bofonchiò l’altra, osservando il proprio riflesso deformato in un’ampolla panciuta, “stavo giusto facendo un giro”.

Twilight interruppe il proprio lavoro e disse: “Nessuno viene da me senza un motivo particolare”. Riprese quindi a trafficare.

“Vero. In effetti… c’è una cosa che volevo chiederti: riguarda le ultime aggiunte al sidro della famiglia Apple”.

“Lo standard è sempre quello, come pattuito: tu sganci la grana, io preparo la broda, la mescoli nelle giuste proporzioni e il tuo sidro sarà come nettare divino”.

Applejack si appoggiò ad un grosso scatolone in legno e riprese il discorso: “Sì, me lo ricordo il patto. Però… ultimamente gli affari vanno un po’ male. Le vendite sono calate sensibilmente”.

L’unicorno, udendo quelle parole, si bloccò per qualche istante e parlò: “I pony sono stufi del Decreto, è normale. Inoltre, hanno sempre meno soldi da spendere nell’alcol di contrabbando”.

“Conosco bene il Decreto, Twilight. Quello che non mi torna è che il Sugabooze Corner, per esempio, sia col culo a terra”.

“Ti stupisci che una bettola farcita di dementi stia colando a picco?”, chiese l’altra, prima di ruotare una manopola, che liberò un rumorosissimo sfogo di vapore.

La sorella alzò la tesa del cappello e, con tono vagamente minaccioso, rispose: “Normalmente non mi stupirei. Ma io e Pinkie Pie avevamo un accordo e la sbobba che le passo è quello che tratti tu… e, da un giorno all’altro, la domanda va quasi a zero e Pinkie deve praticamente chiudere lo speakeasy? Non è strano?”.

Sparkle, vagamente agitata, corrugò la fronte e continuò nelle proprie faccende, come se nulla fosse. Dopo qualche istante, esclamò: “Non so cosa tu voglia insinuare ma io non ho cambiato nulla della formula”.

“Ti credo”, rispose Applejack, “ma, secondo me, c’è qualcosa che devo sapere… e che tu non mi stai dicendo”.

“Non mi piacciono i ficcanaso”, l’ammonì Twilight, creando una leggera luminescenza intorno al proprio corno. Big Macintosh infilò istintivamente una zampa sotto il completo scuro e Spike sgranò gli occhi, impaurito dalla scena.

“Calma, calma!”, intervenne la sorella, “Ci stiamo tutti scaldando un po’ troppo”. I presenti si distesero e il drago tirò un sospiro.

“Seriamente, Twilight”, disse con sincerità, poggiandole uno zoccolo sulla spalla, “siamo amiche da anni. Perché dobbiamo arrivare a questi livelli?...”.

L’amica si sciolse: “I tempi sono cambiati, AJ. Non è più come qualche mese fa, subito dopo il Decreto. Avevamo un traffico fiorente: il sidro della tenuta Apple, dopo la mia modifica, andava forte. Pinkie lo vendeva come il pane e la grana entrava nelle casse di tutte e tre. Poi, però, la Guardia Celeste ha iniziato a farsi sempre più scaltra… ed io ho avuto notevoli… problemi”.

“Mi ricordo. Era finito su tutti i giornali”.

“Non rendeva l’idea. Non puoi immaginare i soldi che ho perso”, concluse con amarezza.

“Mi sembrava ti fossi risollevata”.

“Certo”, riprese, “ma credi che il denaro piova dal cielo? Non potevo continuare solo con gli introiti della famiglia Apple… e… e così…”.

Applejack la spinse a continuare e l’amica vuotò il sacco: “…Così sono arrivati quei due, i FlimFlam Brothers, e mi hanno fatto un’offerta per una formula migliore…”.

“Cosa??”, sbottò l’altra, “Stai rifornendo i fratelli?”.

“Esatto”.

“Twilight, come hai potuto!”.

L’unicorno si innervosì: “Ehy, non sputare sentenze! Pensi che sarei potuta restare in carreggiata solo con le tue vendite? No, non potevo. E i fratelli mi hanno presentato un giro d’affari molto più grosso… così ho iniziato a vender loro una formula migliore, e a prezzo elevato: un prezzo che tu, cara mia, non ti saresti mai potuta permettere”.

“Quindi… è solo una questione di affari?”, chiese con amarezza.

“L’amicizia è una bella cosa… ma non ti riempie lo stomaco e non ti regala un tetto sotto cui vivere”, concluse Twilight sconsolata, rimettendosi gli occhialoni e riprendendo le faccende tra gli alambicchi.



*** ***** ***



    Poco dopo, fratello e sorella uscirono dal locale, visibilmente delusi: salirono sul mezzo e partirono per tornare alla tenuta Apple.

Non molto distante, una Chrysler, con lo stemma Celeste sulle portiere, parcheggiò in un viottolo. Dall’interno uscirono due ufficiali e, con sguardo serio, un unicorno in impermeabile: era Grey Hound, uno degli agenti più ostici di tutta Counterlot. Un copricapo color cammello sovrastava il suo muso da stallone vissuto, irto di barba incolta. L’agente si accese una sigaretta, sollevò la tesa del cappello ed iniziò uno dei suoi caratteristici monologhi mentali: “La città puzzava di marcio. Forse, per il naso di un folcloristico abitante locale, poteva sembrare un odore come un altro ma, per il sottoscritto, era il tipico olezzo della corruzione”. Scrutò con attenzione i dintorni, poi riprese: “Dov’ero finito? Le piccole strade si contorcevano come le ributtanti interiora di un demone infernale, intento a rigurgitare la propria bile nauseabonda ad ogni angolo di questo fetido mondo. Ubriachi, senzatetto, assassini e soldati senza bandiera girovagavano come anime in pena, attraverso i neri fiumi dell’Acheronte”.

“Signore?”, chiese il collega lì vicino, riportandolo alla realtà.

“Che c’è, Bobby?”, berciò con voce da duro, senza degnarlo di attenzione.

“Mi chiamo Ron, signore. Volevo informarla che siamo giunti a destinazione”.

Hound, a debita distanza, osservò con occhio analitico ogni centimetro del locale del “dottor barbiere”, soffermandosi sul camino fumante. Tirò una sonora snasata, chiuse gli occhi e dichiarò: “Sento puzza di corruzione”.

“…Signore?”.

L’unicorno estrasse un mandato di perquisizione: “Speriamo che la soffiata sia giusta, questa volta. Bobby! Va a chiamare rinforzi! E fa portare il necessario per un possibile scontro a fuoco!”.

Il sottoposto stava per ribadire il proprio nome ma, udendo quelle parole, assunse un’aria titubante: “…Scontro …scontro a fuoco, signore?”.

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Capitolo 3
*** Schiacciare la Concorrenza ***


Applejack infilò le chiavi nella serratura dell’ingresso di casa, con l’intento di entrare, ma poi si fermò per un istante.

“AJ?”, chiese il fratello.

Lo sguardo del pony si incupì: “Questa faccenda ci sta rovinando tutti… come possiamo competere con i FlimFlam Brothers?”.

“E’ tardi. Siamo stanchi. Domani penseremo a qualcosa”.

La sorella si voltò verso di lui e aggiunse: “Ho seriamente paura per le sorti della nostra famiglia…”.

“Lo so. Anche io sono preoccupato”.

“Il Decreto ci ha buttati col culo per terra e, proprio quando le cose riprendevano per il meglio… quei due bastardi ci soffiano il mercato”, continuò con rabbia.

“E’ inutile stare qui a lamentarsi, AJ”.

“Lo so… però…”.


Un fruscio nell’erba lontana attirò l’attenzione dei due. Qualcuno, nell’oscurità, si stava dirigendo verso di loro. La nonna, sempre nella sua postazione sulla seggiola, tirò fuori un fucile a canne mozze da sotto lo scialle e, con voce sdentata, esclamò: “Hai tre scecondi per dirmi chi scei e coscia vuoi, altrimenti ridipingo le pareti del fienile con le tue scervella!”.

La sagoma in penombra si avvicinò con cautela, rilevandosi Spike, il drago viola, con le zampe rivolte verso il cielo ed un fiatone esasperato.

“Sono io! Sono io, Spike! Non sparate, per San Pietro!”.

“Spike?”, chiese Applejack con sorpresa.

Big Macintosh fece cenno alla nonna di abbassare il fucile.

“Che ci fai qui?”.

Il drago si fermò qualche secondo, con le mani sulle ginocchia, per riprendere fiato e poi rispose: “C’è… c’è stato un casino alla bottega!”.

“Che genere di casino?”, chiese l’altra con sospetto.

“La Guardia Celeste! Un manipolo di agenti, capeggiato da un tizio con un mandato, ha fatto irruzione nello scantinato!”, biascicò con agitazione, “Twilight li sta trattenendo… io ero fuori a fumarmi un sigaro e così non mi hanno visto… non sapevo cosa fare e sono corso a cercarvi!”

Applejack si incupì: “E perché dovrebbe fregarcene qualcosa? In fondo non solo affari??”, sbottò.

“AJ…”, l’ammoni il fratello.

Il pony osservò il volto preoccupato di Spike, si guardò attorno, tirò le chiavi della macchina al drago e concluse: “…Al diavolo. Mac, vieni con me. Tu, Spike, metti in moto”

I fratelli entrarono frettolosamente in casa ed estrassero una coppia di Colt calibro 38 da un cassettone, inserendo rapidamente le pallottole nel tamburo.

“Prendi qualche scatola di munizioni, non si sa mai”, disse Applejack.

“Vorrai mica scatenare una sparatoria?”.

“Assolutamente no ma la prudenza non è mai troppa”. Il fratello annuì.


    La coppia uscì di casa e salì sulla Dodge lì vicino: Spike era al volante, visibilmente agitato.

“Andiamo alla bottega, Spike”.

“Farò un giro largo, in modo da non dare nell’occhio”, dichiarò il drago, premendo sull’acceleratore.

“Ce ne sono così tanti?”, chiese Macintosh.

“Almeno una dozzina”.

“E noi cosa possiamo fare?”, ribatté lo stallone.

La macchina uscì dalla campagna e prese a saettare per le strade periferiche di Ponymood.

Il drago cercò di formulare un piano e poi rispose: “Forse… potreste entrare dal retro. C’è una botola nascosta in un viale, che usiamo di solito per… uh… sbarazzarci degli esperimenti… riusciti male”.

“Quello, oppure tanto vale bussare e chiedere una visita di cortesia”, ironizzò Applejack.


    Il veicolo entrò nel quartiere della bottega, rallentando sensibilmente. Spike posteggiò in una strada non illuminata e spense motore e fari.

Da lontano, erano visibili l’edificio ed un pugno di macchine della Guardia: due agenti picchettavano l’ingresso con attenzione.

“Tu aspetta qui”, disse Applejack, rivolgendosi al guidatore, “e non dare nell’occhio. Quando ci vedi tornare, metti in moto e preparati a sgommare verso la tenuta Apple”.

Spike annuì, accendendosi un sigaro con zampe tremanti.

I fratelli scesero cautamente dall’auto e controllarono un’ultima volta il tamburo delle pistole, chiudendolo infine con uno scatto metallico. Proseguirono con attenzione attraverso i viottoli che conoscevano come le loro tasche, sicuri di non essere visti.

Giunsero infine al retrobottega e, dopo aver cercato un po’, localizzarono una botola semiaperta, nascosta da una siepe incolta. Scesero cautamente una rampa di scale e si fermarono di fronte ad una porta, da cui proveniva il vociare di alcuni pony.

I fratelli sollevarono le pistole, pronti a far fuoco, ed Applejack spinse dolcemente la porta, osservando la scena dalla fessura: Twilight era poco più in là, con le spalle rivolte verso di lei, intenta a discutere con un agente in impermeabile. Tutt’intorno, la Guardia Celeste ispezionava e metteva a soqquadro l’intero laboratorio dell’unicorno.

L’intrusa affinò l’udito, cercando di decifrare il dialogo.


“Ce n’è abbastanza per sbatterti al fresco a vita, mia cara”, sentenziò Hound con fierezza.

Twilight inscenò una faccia da poker e farfugliò: “Io… io non so di cosa stia parlando, agente… qui ci sono solo i miei… ingredienti per i tonici rinvigorenti e…”.

“Alcol buongusto, signore, e del sidro dall’odore strano in quest’altro contenitore”, dichiarò una Guardia. Hound sorrise compiaciuto.

Twilight prese a sudare freddo. Il suo corno si illuminò debolmente e poi dichiarò: “Oh no, quello è solo un… aroma per della soda speciale”.

La sagoma di Grey Hound venne percorsa da alcune onde luminose, simili ad increspature nell’acqua: “Bene! Utilizzo non autorizzato di magia illusoria! Pensavi che il più grande segugio di tutta Counterlot potesse farsi infinocchiare da un unicorno da quattro soldi? Stai solo peggiorando la tua situazione…”.

Sparkle vide svanire ogni speranza. Abbassò lo sguardo e, con rassegnazione, si girò e sussurrò: “D’accordo agente… mi segua…”.

Per una frazione di secondo, l’unicorno riconobbe Applejack dietro alla porta sul retro ed il suo viso si riaccese: si assicurò che Hound non se ne fosse accorto ed improvvisò una scenetta per raccogliere un po’ di tempo.

“Uh… signor agente?”, chiese, senza voltarsi, “Se dovessi collaborare otterrei uno sconto della pena?”.

Grey si impettì: “Non lo so, ragazza. Io prendo la feccia come te, poi sarà il Tribunale Celeste a stabilire la fine che farai. Sicuramente la collaborazione è meglio della resistenza, comunque”.

“Capisco… allora vorrei consegnarle spontaneamente della merce compromettente”, concluse, chinandosi su una cassa ai piedi di un massiccio bancone in legno.

L’unicorno prese a frugare nel contenuto ed Hound, spazientito, tagliò corto: “Basta farmi perdere tempo. Non c’è nulla che tu possa fare ormai per salvarti la pelle, ragazza”.

Twilight si abbassò lentamente gli occhiali da saldatore sul muso: “C’è sempre la possibilità di salvarsi”.

“Ah!”, la derise l’agente, “E come potresti salvarti? Grazie al tuo famoso ‘potere dell’amicizia’?”.

“No”, rispose l’unicorno, voltandosi con una granata militare nello zoccolo, “grazie al potere del trinitrotoluene”.

Il pony lasciò cadere l’ordigno che, in una scena al rallentatore, rimbalzò pesantemente sul pavimento ai piedi dell’agente: la spoletta saltò via e tutti i presenti ammutolirono. Hound assunse un’espressione scocciata: “dannazione”.


Twilight fece appena in tempo a gettarsi oltre al bancone, prima che un’esplosione colossale investisse gli occupanti.

Dall’esterno, il rinculo sonoro fu così massiccio che le vetrate esplosero ed un fungo fumoso venne rigettato violentemente dal comignolo.

Colpi di tosse e lamenti si diffusero per tutto il laboratorio. Quando il fumo si diradò, comparve la figura di Grey Hound, completamente illesa, come se l’esplosione non lo avesse minimamente scalfito. Una luce sovrannaturale illuminava il suo corno, sotto al cappello.

“Ora!”, urlò Applejack, spalancando la porta.

I fratelli entrarono ed iniziarono a riversare piombo nella stanza, addosso agli agenti ancora storditi. Hound si buttò dietro un riparo ed estrasse una pistola da sotto l’impermeabile. I suoi colleghi cercarono qualcosa dietro cui nascondersi e, a loro volta, presero a rispondere con armi da fuoco, colpo su colpo.

L’intero seminterrato si saturò di rumore di spari, schegge di legno volanti e impatti metallici del piombo sugli alambicchi. Alcuni contenitori in vetro si ruppero, riversando il contenuto da tutte le parti.

Twilight prese un fucile da caccia, che teneva sotto il bancone, e lo vuotò completamente sparando alla libanese.

“Fuori di qui!”, esclamò Macintosh, dopo aver ricaricato il tamburo.

I tre presero a ripiegare, coprendosi a vicenda durante la fuga, percorrendo il passaggio sul retro.

Il caos si placò per qualche istante e Hound sbraitò: “Inseguiteli, maledizione!”.


    I pony si riversarono nei viottoli, galoppando come se avessero il diavolo alle calcagna, in direzione dell’auto.

Spike li stava aspettando, picchiettando nervosamente le dita sul volante: accese la macchina e fece rombare il motore.

“Vai! Vai!”, urlò Applejack, quando furono tutti sopra.

La macchina acquistò velocità e i due agenti all’ingresso della bottega salirono rapidamente su una volante, mettendosi al loro inseguimento.

“Cos’è stato quel botto?”, chiese il drago preoccupato.

“Taci e guida!”, berciò Twilight, rimettendo gli occhiali sulla fronte e rivelando una mascherina ancor più in contrasto di prima.

Si udirono alcuni spari ed il lunotto posteriore esplose.

Spike abbassò istintivamente la testa e prese ad imprecare come un forsennato.

“Mantieni la calma, ragazzo!”, esordì Macintosh, passando il proprio revolver all’unicorno viola.

Applejack e Sparkle si sporsero dai finestrini posteriori e presero a ricambiare il favore.

    Le macchine iniziarono a sfrecciare tra i lampioni delle strade, sterzando, schivando passanti terrorizzati e sbriciolando piccole siepi di mezzeria.

L’autista della Dodge prese a mischiare preghiere e bestemmie.

“Sono scarica!”, dichiarò Applejack.

“Io pure”, rispose l’altra, indirizzando gli ultimi colpi sugli inseguitori.

La volante accelerò bruscamente, portandosi di fianco ai fuggiaschi.

“Arrestate il mezzo e arrendetevi!”, urlò il passeggero, puntando un’arma dal finestrino.

“Nope”, rispose l’imponente stallone, aprendo violentemente la portiera, che li investì come una cannonata. La volante sbandò per alcuni metri, si rimise sulla scia della Dodge e riprese a sparare.

Sparkle indossò nuovamente gli occhiali e urlò: “Ora mi sono stufata…”. L’unicorno si sporse così tanto dall’abitacolo che l’amica dovette trattenerla per il camice: la sua fronte si illuminò di luce accecante ed emise una spettacolare bolla traslucida verso gli inseguitori.

La macchina della Guardia Celeste si infranse contro la sfera magica, come se fosse fatta di granito: l’anteriore si accartocciò completamente e l’impatto fu così violento da sollevare il culo dell’auto per aria. Il mezzo volteggiò alcune volte, a parecchi metri da terra, prima di ricadere rumorosamente sull’asfalto.

“Uooh…”, esclamò Spike meravigliato, con gli occhi inchiodati sullo specchietto retrovisore, “quand’è che avresti imparato quella roba??”.



*** ***** ***


Il gruppetto guidò ancora per alcuni isolati e, quando fu sicuro di non essere pedinato, accostò al lato di una strada deserta.

I passeggeri scesero a terra, eccetto Spike che fece cadere pesantemente il capo sul volante, sospirando.

Twilight era visibilmente turbata e prese a camminare ossessivamente su e giù per l’asfalto.

“Maledetti… maledetti… bastardi figli di…”.

“Si può sapere cosa ci facevano tutti quegli agenti da te?”, chiese Applejack con foga.

“Vorrei saperlo anche io, cosa credi?”, ribatté l’altra, “Avevano un mandato! Com’è possibile?”.

Big Macintosh ascoltò lo scambio di battute in silenzio e poi esordì: “Solo chi è a conoscenza della tua attività avrebbe potuto passare una soffiata…”.

“Lo so! Merda! Qualcuno ci ha venduti, Spike!”.

“Chi potrebbe averlo fatto?”, chiese il drago, accorgendosi di aver terminato i sigari.

I quattro si fecero pensierosi e nessuno riuscì ad avanzare un’ipotesi.

Applejack ruppe il silenzio: “Fra poche ore sarà l’alba… non è sicuro restare in città”.

Sparkle si incupì: “La mia bottega è praticamente distrutta… e poi brulicherà di agenti… non so dove andare”.

La compagna di fuga si sforzò di risponderle: “Puoi… puoi sempre venire da me, giusto finché le acque non si saranno calmate”.

L’unicorno la guardò con sorpresa: “Io… io non so se…”.

“Andiamo, Twilight!”, intervenne Spike, “Piantala con questa storia degli affari… Eravate amiche e non mi sembra il caso di fare i pignoli in un momento simile…”.

Sparkle manifestò un certo disagio: “…va bene. Sempre se non è un disturbo”.

Applejack sorrise: “Certo che no… finchè non mi fai saltare in aria la tenuta…”.


    Bic Macintosh strizzò gli occhi verso un punto lontano della città: “Cos’è quello?”, si chiese.

I presenti si voltarono e videro un bagliore rossastro tra alcuni distanti edifici cittadini.

“Sembrerebbe…”, buttò lì Spike.

“…fuoco …un incendio”, continuò Twilight.

“Sbaglio o quello… è più o meno dove si trova il Sugarbooze Corner?”, sussurrò Applejack, sperando di sbagliarsi, “Forse dovremmo controllare…”.

“E’ troppo rischioso!”, rispose il drago.

Ci fu un po’ di titubanza generale ma, alla fine, il pony di terra dichiarò: “Avviciniamoci con l’auto, senza dare nell’occhio. Se vediamo qualche agente: dietro front e chiudiamo la faccenda”.

“Non sono convinto”, ripeté Spike.

“Se Pinkie è nei guai… dobbiamo almeno dare un’occhiata…”.


    I riflessi dell’incendio percorrevano finestrini e carrozzeria della Dodge nera, mentre si avvicinava a passo d’uomo verso il locale. I passeggeri osservarono la scena con stupore: l’intero Sugarbooze Corner era uno scheletro scuro ingoiato dalle fiamme, che donavano al quartiere un inquietante colore vermiglio.

I pompieri si muovevano freneticamente con gli idranti, cercando di contenere il disastro, mentre alcuni curiosi avevano fatto cerchio, a debita distanza, per osservare lo spettacolo.

Spike abbassò lo sguardo e riconobbe la figura di Pinkie Pie, seduta davanti all’edificio ormai condannato, con il volto illuminato dal fuoco. Il drago strinse i denti dalla paura: la criniera del pony rosa era completamente liscia, come se fosse stata passata alla piastra, ed i suoi occhi puntavano in direzioni improbabili, come quelli di un camaleonte. Le pupille erano ristrette al massimo ed un sorriso terrificante incorniciava l’intero volto.

La macchina si fermò ed i pony si avvicinarono con circospezione all’amica: nessun agente in vista.

“Pinkie?”, chiese Applejack con titubanza. L’altra non mosse un muscolo, immortalata nell’inquietante sorriso.

“Ehy, Pinkie”, tentò Twilight.

Ci fu una lunga pausa. Spike si guardò attorno, un po’ spazientito, e sbottò: “Yo! Pinkie! Ci sei?”.

Il pony si voltò di scatto ed il drago fece un balzo all’indietro.

“Sììì?”, chiese con vocetta stridula.

“Uh… ehm…”, farfugliò il drago, “Va… va tutto bene?”.

“Che è successo al locale? Chi è stato?”, chiese Applejack.

“Oh! Il locale! Hai visto che belle le nuove luminarie??”, rispose con follia.

“Uuh… certo, dolcezza… bellissime… e… chi le avrebbe installate?”.

Pinkie, molto lentamente, tirò fuori la fiaschetta e la vuotò completamente, in un sol sorso. Ebbe l’ennesimo tic, afferrò l’amica per i risvolti del gessato e inchiodò lo sguardo al suo.

“Non so chi sia stato”, ringhiò a denti stretti, “ma se lo prendo ti assicuro che la morte gli sembrerà una scampagnata nei boschi”.

“Ehm… certo, dolcezza…”.

Il pony rosa si ricompose all’improvviso: lo sguardo si fece triste e si mise a piangere, senza ulteriori esternazioni di pazzia.

Twilight le passò una zampa attorno alla groppa: “So cosa vuol dire perdere il proprio locale…”.

Il gruppetto si scambiò sguardi interrogatori e, alla fine, Big Macintosh sentenziò: “Questa è… guerra”.

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Capitolo 4
*** Preparativi ***


Aveva ormai perso la nozione del tempo, quando qualcuno decise finalmente di sciogliere il nodo e liberargli la testa dal sacco di iuta.

Il pony si ritrovò in una stanza scura, legato saldamente ad una sedia.

Di fronte a lui, altri quattro pony ed un drago viola lo scrutavano con attenzione. Si guardò attorno con preoccupazione, cercando di mantenere la calma, con scarso successo.

“Chi… chi siete?”, balbettò.

Big Macintosh lo colpì violentemente.

“Non fai tu le domande, qui”, rispose Applejack.

Twilight si fece avanti con foga, scuotendolo per il colletto. L’unicorno indossava ancora il camice da macellaio ma si era liberata dei guanti di gomma: “Parla, bastardo! Siete stati voi?”.

“Di cosa stai parlando?”, chiese impietrito.

“Di questo!”, urlò l’altra, schiaffandogli la pagina di un quotidiano sul muso, “Ti dice niente?”.

Il pony mise a fuoco l’immagine e vide le foto della bottega e del Sugarbooze in fiamme, in un ampio articolo di testata.

“Cosa? Che centro io?”.

“Amico”, intervenne Spike, con rinnovato sguardo di noia, “più la fai difficile… e più ti farai male”.

“Io non so nulla!”.

Big Macintosh gli diede un’altra ripassata e, alla fine, Applejack gli sollevò il muso, livido di botte: “Ascolta… sappiamo che lavori per i fratelli”. A quelle parole, il pony sudò freddo. L’altra continuò: “Vogliamo solo sapere se centrate qualcosa in questa faccenda. Sii ragionevole. Rispondi e potrai andartene sulle tue zampe”.

Il prigioniero scrutò nuovamente i loschi sguardi dei rapitori e si fece forza per resistere: “Io… io non posso dire nulla… o mi faranno fuori”.

“Ha più paura di loro che di noi, AJ”, riprese il fratello, “E finché sarà così allora non credo riusciremo a scucirgli nulla”.

Applejack si tirò indietro ed ebbe un rapido scambio di battute con un pony nell’oscurità.

“Se non ha paura di noi…”, rispose la sorella con tono solenne, “…allora gli daremo un buon motivo per averne”.

    Un fastidioso rumore di ruote cigolanti precedette un piccolo carrello di metallo, sospinto fuori dall’ombra: su di esso era collocato un panno sporco, a coprire qualche attrezzo non meglio identificato.

Pinkie Pie lo aveva dolcemente mosso dinnanzi al preoccupato ospite. La sua chioma era di nuovo riccioluta e vaporosa… ma lo sguardo trasudava insanità mentale da far accapponare la pelle.

Il pony, incapace di muovere o dimenarsi, deglutì rumorosamente.

Applejack lo ammonì un’ultima volta: “Sei sicuro che il tuo silenzio valga tanto?”.

L’altro sembrò sul punto di cedere ma, con un ultimo sforzo di volontà, assunse un’espressone di diniego.

“Come vuoi”, concluse, facendo un cenno a Pinkie.


Il pony rosa sollevò il telo, mettendo in mostra un rudimentale (e logoro) arsenale di coltelli, lame e inusuali oggetti da cucina.

“Che ne dici di preparare dei cupcakes??”, esordì, sollevando una coppia di coltelli e gettando un’occhiata omicida al prigioniero.

Il malcapitato prese ad agitarsi inutilmente, man mano che il filo dell’arma si avvicinava al suo viso.

Quando percepì la pungente sensazione del metallo sul mento, crollò: “Confesso! Confesso! Vi dirò tutto!”.

Twilight abbassò la zampa dell’amica rosa, visibilmente delusa dalla rapidità con cui l’altro aveva ceduto.

“Allora parla! Che mi dici della bottega e del Sugabooze Corner?”, incalzò Applejack, battendo uno zoccolo sul carrello.

“Sono stati loro! I fratelli! FlimFlam! Ci hanno ordinato di informare la Guardia Celeste! Gli abbiamo anche fornito i registri con le vendite illegali dell’unicorno!”.

Twilight si innervosì: “Cosa? Perché avrebbero dovuto farlo? Eravamo in affari!”.

“I fratelli hanno costruito un loro laboratorio personale!”, biascicò il prigioniero con affanno, “Dopo che gli hai venduto il composto, l’hanno analizzato e replicato! Così non sei diventata altro che uno scomodo concorrente per i loro piani!”.

L’unicorno macinò quelle parole e, alla fine, si allontanò pensieroso.

“E cosa mi dici del mio locale, eh??”, lo minacciò Pinkie con la lama.

“Aah!”, urlò l’altro, “Il… il Sugarbooze Corner?? Sono stati loro! Anche lì! Hanno dato ordine di incendiare il posto!”.

“Perché proprio il Sugarbooze?”, chiese Applejack.

“E’ tutto collegato! Sapevano che l’unicorno trattava il sidro della Tenuta Apple, che lo girava poi sottobanco al Sugarbooze! Fatto fuori il locale della cervellona ed eliminato lo speakeasy a cui vendeva, la famiglia Apple sarebbe affondata e il sidro dei fratelli avrebbe ottenuto un consenso monopolizzato!”, si affrettò a concludere.

“Ora i conti tornano…”, sussurrò Macintosh.

“Non ci posso credere…”, disse a se stessa la sorella, “Tutto questo solo per farci fuori?”.

“Loro… loro vogliono azzerare la concorrenza, in modo da lanciare il prodotto senza rischi!”.

“Cosa intendi con ‘lanciare il prodotto’?”, chiese Twilight.

“Vogliono presentare un nuovo sidro come alcolico di punta! Non gli interessano i poveracci che vogliono solo sbronzarsi! Tra due giorni terranno un ricevimento di classe, in cui annunceranno tutto quanto!”.

“Impossibile”, rispose l’unicorno, “una cosa del genere attirerebbe l’attenzione dell’intera Guardia Celeste!”.

L’interlocutore parve sul punto di cucirsi nuovamente la bocca ma Pinkie lo fece desistere, arrotando i coltelli come in una macelleria.

“Nessuno potrà accorgersene!”, si affrettò a riprendere, “Perché vogliono tenere il ricevimento nel cielo!”.

“Nel cielo?”, sbottò Spike, incredulo.

“Sì! Nel cielo! Su uno zeppelin! Inviteranno tutti i riccastri di Ponymood!”.

“Questa poi!”, rispose il drago.


    Il gruppo allentò momentaneamente la presa e si radunò per fare il punto della situazione.

“Non ci posso credere… saranno pure una coppia di bastardi ma… bisogna ammettere che hanno pensato quasi a tutto…”, ammise Sparkle.

“Hai detto bene: quasi”, rispose Applejack con un sorriso beffardo.

“Io dico di fargliela pagare… vogliono farci sistematicamente fuori… non possiamo stare zitti a muso basso”, disse Spike, battendo i pugni tra di loro.

“Eyup”.

“Sì ma sono troppi… e poi è praticamente impossibile trovarli… far fuori gli scagnozzi ed i pesci piccoli non ci servirà a nulla”, riprese l’unicorno.

Applejack affilò il sorriso: “Non sappiamo dove sono… ma sappiamo dove trovarli fra due giorni!”.

“Non mi sembra una cosa semplice…”.

“Tranquilla”, la rassicurò l’amica, “andiamo a parlarne fuori, con calma…”.

    I presenti si accodarono davanti ad una porta ed iniziarono ad uscire.

“Ehy…”, esclamò Pinkie Pie, ancora con i coltelli tra le zampe e visibilmente delusa, “Pensavo avremmo preparato i cupcakes...”.

Applejack gettò uno sguardo disinteressato verso il prigioniero: “Bah, fa pure”.

Il pony sulla sedia strinse i denti dal terrore.

“Evviva!”, esultò Pinkie, “Ma nessuno vuole rimanere?”.

Spike, che era l’ultimo della coda, si fermò per un istante. Si sfilò il gilet che si era appena messo addosso, si mise comodo e prese ad accendersi un sigaro: “Massì… non ho mai visto preparare i cupcakes…”.

“Hai sentito?”, disse il pony rosa al malcapitato, con il riflesso dei coltelli negli occhi, “Abbiamo un pubblico… vedi di non farmi fare brutta figura!”.  



*** ***** ***



    Era mattina inoltrata ed il sole splendeva alto nel cielo. Il gruppetto si trovava in un campo di mele della tenuta Apple, attorno ad un tavolo su cui spiccavano caraffe di sidro.

“Dunque, cos’hai in mente, Applejack?”, chiese Twilight, asciugandosi il muso con una zampa.

“Come hai detto, non ci conviene far fuori i pesci piccoli. Dobbiamo puntare alla gola”.

“Mi hanno bruciato il locale! Facciamo fuori quegli infami!”, berciò Pinkie, dopo essersi pulita il viso con un fazzoletto macchiato di rosso.

Sparkle si massaggiò il mento: “Non vorrai mica attaccare uno zeppelin colmo di sicari?”.

“Più o meno…”.

“Non vedo come potremmo…”.

    In lontananza si udì un ronzio, simile al volo di un calabrone.

“Credo che parte della soluzione ai nostri problemi stia arrivando”, ammise Applejack compiaciuta.

I presenti alzarono gli occhi al cielo: un pegaso blu stava giungendo a volo spedito, in direzione del campo di mele. Quando fu sufficientemente vicino, prese a planare raso terra ed aprì un paio di borse laterali, da cui fuoriuscì una polvere giallastra. Il pegaso la sparse rapidamente per tutto il meleto, creando una scia che si volatilizzò lentamente. Iniziò quindi a cabrare, salendo di quota e procedendo ad alcune spettacolari evoluzioni aeree. Decise infine, dopo una piroetta, di atterrare a fianco del tavolo.

Rainbow Dash si picchiettò la giacca da aviatore, eliminando un po’ di polvere gialla, e spostò gli occhialoni da pilota sulla fronte, proprio sotto il ciuffo arcobaleno.

“Ma tu sei…”, esclamò incredulo Spike.

“…Rainbow Dash!”, continuò Twilight, “L’asso dei cieli della Guerra Equestre!”.

“Signori”, rispose Dash con orgoglio.

“Tu conosci Rainbow Dash?”, biascicò il drago, rivolgendosi ad Applejack.

“Certo”, ammise, “in effetti è da parecchio che la pago per disinfestarmi i meleti”.

“Da quando la guerra è finita”, disse il pegaso, afferrando un boccale di sidro dal tavolo, “ho dovuto arrangiarmi. Non avendo mai fatto altro che volare in vita mia… mi è sembrato un compromesso accettabile”.

“E’… è… fenomenale”, rispose Spike, “Ma… cosa centra Rainbow Dash con questa faccenda?”.

Applejack, tra un sorso e l’altro, aggiornò il pegaso sulla situazione.

“Brutta faccenda…”, decretò alla fine l’amica.

“Già… i fratelli stanno giocando davvero pesante. E non possiamo lasciare che facciano i loro porci comodi”.

“Porci e pure comodi, pensa te!”, esordì Pinkie Pie.

Dash posò il boccale: “Capisco il vostro disappunto, gente, ma… una fottuta famiglia di gangster? Non è un po’ troppo?”.

“Non pensavo ti facessi intimorire per una cosa del genere”, la stuzzicò Applejack.

“Non fraintendermi, AJ. Però ne ho viste di battaglie… e se non avete un piano… è peggio che volar di notte in una pineta”.

“Il piano c’è… solo che mi serve il tuo supporto… per lo zeppelin”.

Gli occhi di Rainbow si accesero di interesse. Applejack continuò: “E’ probabile che avranno una scorta aerea… e pensavo che tu, con la tua esperienza, potessi… insomma… darci una zampa”.

Il pegaso si fece pensieroso: “Non mi avevi parlato di uno zeppelin…”.

“Ho lasciato il meglio per ultimo”, sorrise ammiccando.

“E’ da un sacco di tempo che non faccio questo genere di cose…”, rispose l’altra con sguardo nostalgico, “Non so più da quant’è che non… impugno una sputapiombo”.

“Sputapiombo?”, sussurrò Pinkie a Twilight.

“Intende dire che è da un pezzo che non impugna un’arma”, rispose l’unicorno, aggiornando la mente del pony rosa.

“Non ti preoccupare, RD. Ai ferri del mestiere provvederò io!”, la rassicurò.

Dash ci pensò ancora qualche istante e, alla fine, le due amiche si colpirono vicendevolmente gli zoccoli: “Sono dentro, ragazzi!”, esultò, “Però prima… dovremmo fare una visita ad un certo pony…”.



*** ***** ***



    I cinque si fecero strada su piccole assi di legno marcescenti, poste precariamente tra alcune zolle di terra: tutti tranne Rainbow Dash, che fluttuava ad una spanna dalla melma.

“Cos’è questo schifo?”, lamentò il drago.

“Chi stiamo cercando nella palude?”, chiese Applejack con curiosità.

Rainbow Dash si incupì leggermente: “Voglio… contattare una vecchia conoscenza”.

“Chi??”, esclamò Pinkie impaziente.

“E’ una… compagna di battaglie”.

“E perché vive in una palude? Le piace forse l’aria umida? Le zanzare? La puzza?”, incalzò il pony rosa.

“Si è isolata dopo la guerra… ci sono stati alcuni… problemi”.

Twilight utilizzò la magia come sparti-fango: “Che genere di problemi? E perché la vuoi contattare?”.

“E’ una storia lunga… triste… comunque lei era la migliore, dopo la sottoscritta ovviamente, e potrebbe darci una zampa”.

“Se lo dici tu…”, concluse Spike, schifandosi per ciò che aveva appena calpestato.


    Una vecchia casa in rovina apparve dietro ad alcuni salici. Le pareti erano di legno ammuffito, con pannelli scheggiati o mancanti. Alcune finestre erano rotte ed aleggiava ovunque una stantia aria di abbandono.

Spike si grattò la testa sotto la coppola: “La tua amica abita in questo cesso?”.

Dash si preoccupò: “Non credevo si fosse lasciata andare fino a questo punto…”.

Spalancarono la porta, che si aprì con un cigolio sinistro, rivelando un salotto nella penombra, divorato dall’umidità e  dai rampicanti selvatici.

Il gruppo iniziò ad ispezionare le stanze, finché Rainbow, giunta in quella che un tempo era una cucina presentabile, esclamò: “Fluttershy!”.

L’amica era seduta ad un tavolino, con lo sguardo fisso nel vuoto, un bicchiere nello zoccolo e svariate bottiglie sparse per il pavimento. Sulla parete, insieme alle mensole, spiccava un paio di occhiali da aviatore appesi al muro. Una pesante e logora Fokker-Leimberger era poggiata contro il frigorifero, mangiato dalla ruggine.

La stanza si riempì con i visitatori e il pegaso continuò a fissare un punto indefinito davanti a se.

“Fluttershy… sono io… Rainbow Dash”, disse, ponendole uno zoccolo sulla spalla. L’altra non reagì.

Spike prese ad ispezionare la stanza, soffermandosi in particolar modo su una vecchia fotografia. Questa ritraeva Fluttershy, in tempi migliori, con un altro pegaso: dallo sfondo si intuiva che era stata scattata all’accademia di volo.

“Metti giù quella foto”, lo ammonì la padrona di casa.

“Fluttershy…”, sussurrò Dash, “Devi lasciarti il passato alle spalle”.

L’altra, per tutta risposta, vuotò il bicchiere. Rainbow cercò di allontanarla dal tavolo, senza risultati.

“Devi smetterla… è una vecchia storia che…” ma non riuscì a finire la frase poiché la compagna la afferrò per il colletto della giacca, intimandole: “Derpy non è una ‘vecchia storia’…”.

“Derpy?”, chiese Applejack.

Dash si liberò dalla presa e sospirò: “Derpy Hooves… era una aviatrice della nostra squadra…”.

Lo sguardo di Fluttershy si incupì ulteriormente.

“Non era esattamente un pilota provetto”, continuò il pegaso blu, “ma… quando la guerra incalzò, dovettero mandare ogni ala disponibile ad affrontare il nemico”.

“Lei non era pronta, lo sapevano benissimo”, rispose l’altra.

“Andiamo, Fluttershy! Quanti piloti inesperti sono morti per salvare la nostra patria?”.

“La fai facile, tu… Avevi già mesi di combattimento alle spalle… mentre Derpy è stata scagliata in mezzo ad uno scontro selvaggio, senza alcuna remora”.

“Ha combattuto per ciò in cui credeva! E’ stata abbattuta fronteggiando coraggiosamente il nemico!”.

Fluttershy si spazientì e rovesciò il tavolino di lato, rompendo alcune bottiglie: “No!”, urlò, “Derpy è morta sotto il mio comando! Cercando di salvarmi la vita, lo sai bene!”.

I presenti si scambiarono sguardi imbarazzati.

“Non è una scusa per gettare via la propria vita come stai facendo tu! Isolata in una palude, ad ammazzarti con alcol vecchio di dieci anni!”.

“Faccio quello che mi pare”, concluse l’altra, abbassando lo sguardo.

Dash si irritò: “Se davvero tenessi a Derpy e al suo sacrificio, non getteresti alle ortiche il suo gesto, come stai invece facendo ora!”.

L’amica trattenne un fremito di rabbia e poi la liquidò rapidamente: “Tu non sai come mi sento… ora fuori di qui. Tutti. Andatevene”.

“Fa come ti pare!”, rispose Dash, battendo uno zoccolo sulla parete incrostata, “Rimani qui e crepa, se ci tieni tanto!”.



*** ***** ***



La sera era alle porte ed i lampioni di Ponymood iniziarono timidamente ad accendersi.

“Mi spiace per la tua amica, Rainbow”, la consolò Applejack.

“Lascia stare… ho voluto tentare un’ultima volta. Ma credo non ci sia molto da fare”.

“Quindi è entrata in depressione quando ha perso un cadetto in battaglia?”, chiese Twilight.

“Diciamo di sì… Derpy non era molto adatta a quel tipo di attività. Detto tra noi”, confessò, “non riusciva nemmeno a sparare dritto. Però si è sacrificata con onore per il proprio capitano. Questo le rende merito”.

“Davvero un peccato…”, mugugnò Pinkie.

“Ma lasciamo stare, ormai è acqua passata. Ditemi, piuttosto: come pensate di affrontare i FlimFlam Brothers? Almeno che non abbiate un esercito, la vedo dura…”.

“Non ho intenzione di attaccarli frontalmente”, rispose Applejack con sguardo di sfida, “e per questo ho bisogno di una zampa da qualcuno che è in stretto contatto con l’alta società”.


    I compagni giunsero di fronte ad un grosso caseggiato in legno, dallo stile vagamente gotico.

“La Carousel Maison?”, chiese Spike stupito.

“Cos’è? La frequenti spesso?”, lo derise Dash, con uno spintone.

“No, no.. è che… ecco, io…”.

“Cosa pensi di trovare lì dentro, AJ?”, chiese il fratello.

“Non ne sono sicura… ma vediamo se il mio istinto ci vede giusto”.

Il pony si avvicinò al grosso portone legnoso e bussò tramite i batacchi in ferro scuro.

Dopo alcuni istanti, l’ingresso si spalancò e Madame Rarity fece la sua comparsa: indossava un elegante completo da salone con gonna, da cui prorompeva però un conturbante zoccolo con calza a rete. L’unicorno era truccato sapientemente e sfoggiava con orgoglio una voluminosa capigliatura, ad incoronare labbra carnose ricoperte di rossetto: allontanò con disinvoltura un lungo bocchino in argento e soffiò alcuni riccioli fumosi. Spike spalancò le fauci.

“Applejack, ragazza mia, che piacere vederti”, esclamò, con voce parzialmente coperta dalle note allegre di un pianoforte, provenienti dall’interno, “Oh! E vedo che hai degli ospiti!”.

Il drago cercò di nascondersi dietro a Twilight.

“Spike!”, continuò l’altra, “Sei di nuovo venuto a trovarmi! Vuoi il solito tavolo?”.

“Uuh… io… ecco…”.

“Ciao Rarity. Come va?”, chiese Applejack con un sorriso.

“Non c’è male, non c’è male, mia cara. La città si nasconde dietro una facciata di perbenismo e moralisti incalliti… ma, sotto sotto, sai meglio di me come stanno realmente le cose”, rispose, accompagnando le proprie parole con ampi gesti dello zoccolo. “A cosa devo la vostra visita? Sarete mica le accompagnatrici di questo splendido stallone?”.

“Nope”.

“Siamo qui per parlare… di cose importanti”, concluse, cercando di sott’intendere le sue reali intenzioni. Rarity lesse tra le righe: “Oh! Capisco, capisco! Bene, allora, seguitemi!”.

Spike passò davanti a tutti e, intravedendo di sfuggita un can-can nel salone, si congedò rapidamente: “Uh, sì, voi andate pure a parlare, io… io torno subito”.


    L’unicorno li condusse all’interno, svoltando diversi corridoi sapientemente arredati: durante il tragitto incrociarono diversi insospettabili abitanti della città, abbindolati da qualche pizzo di troppo.

“Non dovevo aprire uno speakeasy”, sentenziò Pinkie Pie.

Giunsero in una grossa stanza in cui erano presenti diversi scaffali ricolmi di stoffe pregiate e abiti incompleti. Rarity li fece entrare e, chiudendo a chiave la porta, chiese: “Allora, signori. Di cosa volevate parlarmi?”.

Applejack sospirò: “Conosci Pinkie e Twilight, giusto?”.

“Oh! Ma certo, ragazza! Un pony di classe come me non può esimersi dal ricordare la… ehm… dottoressa barbiere e la… uhm… inserviente del locale più… elegante dell’intero isolato”, rispose, nascondendo un malcelato imbarazzo. L’unicorno viola le lanciò un’occhiata di insofferenza: “Allora forse saprai che non possiamo più esercitare, ultimamente…”.

“Ah, ora ricordo, carissima… ho letto la notizia su tutti i giornali! Quale assurda, beffarda e terribile tragedia!”.

“E’ questo il punto”, riprese Applejack, “Fonti… sicure ci hanno assicurato che c’è un mandante dietro tutto questo…”.

“Chi, mia cara?”, chiese con ingestibile curiosità.

“I FlimFlam Brothers”.

“I due fratelli hanno distrutto i vostri locali?”, chiese con stupore.

“Sì. E hanno intenzione di mandare a picco l’attività di famiglia”.

Rarity si mostrò visibilmente turbata: “Fare questo alla mia cara amica Applejack… quale malvagità… quale… ignominia… quale… che stronzi!”, tagliò corto, lasciandosi cadere il bocchino.

“Già… stanno esagerando”, rispose Rainbow Dash.

L’unicorno si passò la chioma tra le zampe, cercando di ricomporsi: “Sono meravigliata. Allibita. Scioccata! Ma in cosa posso esservi utile, in questa faccenda?”.

Applejack la mise al corrente dei propri pensieri: “Ascolta, Rarity: i fratelli sono bersagli troppo potenti per dei semplici pony come noi. Ma tu frequenti i più prestigiosi salotti di tutta Ponymood!”.

“…sì, è vero”, sentenziò l’altra con orgoglio.

“Quindi sei a contatto con il loro mondo! Sei un pony di classe e scommetto che non avresti problemi ad avvicinarti ai fratelli”.

“Dici il vero più di quanto tu creda: ho già avuto modo di conoscere Flim e Flam… bigotti, pomposi e arroganti, devo dire. Ma nessuno resiste al fascino di Madame Rarity!”.

“Questo è grandioso! Potresti aiutarci a colpirli dove fa più male!”, esultò l’amica.

“Volentieri, tesoro… ma non vedo come”.

“Per esempio: sappiamo che domani terranno un’importante serata su un… velivolo molto particolare…”.

“Ti riferisci alla nottata sullo zeppelin, cara?”, chiese pensierosa.

“Come hai fatto ad indovinare?”.

“Ma è ovvio, bellezza: perché ho ricevuto l’invito giorni fa! Nessuna serata di classe è degna di tal nome senza Madame Rarity!”.

“Ah!”, gioì il pony, “Lo sapevo! Ti hanno invitata! Saresti un’infiltrata insospettabile!”.

L’unicorno prese a massaggiarsi il mento con gusto: “Ragazza mia, la tua idea mi intriga assai! Quelle serate sono sempre così… noiose, ordinarie… una rottura…”.

“Allora puoi star sicura che potrai divertirti alla grande, questa volta!”.

“Interessante, interessante… come posso aiutarvi??”.

   

Il gruppo fece cerchio serrato ed Applejack buttò qualche idea: “L’ideale sarebbe che riuscissimo ad imbucarci all’evento, senza destar sospetti. Puoi riuscirci, Rarity?”.

“Pff…”, rispose l’amica, “Una cosa da nulla! Mi basterà fare un paio di occhioni dolci al pony giusto ed i vostri nomi compariranno direttamente sulla lista degli invitati! Certo… evitate di vestirvi da caproni, per non dare nell’occhio…”.

Big Macintosh si fece pensieroso: “L’idea è fattibile… ma come pensiamo di intervenire?”.

“Giusto”, aggiunse Dash, “io non ho problemi ad entrare come ospite d’onore… ma non posso di certo portare un cannone con me!”.

Rarity lanciò una risata: “Penso di potervi aiutare anche in questo! Caso vuole che io mi occupi anche dell’arredamento dell’intero ricevimento!”.

“Quindi?”, chiese Twilight, con sguardo indagatore.

“Guardate qui!”. Con quelle parole, l’unicorno bianco sollevò le stoffe ed i vestiti, rivelando in realtà un intero arsenale occultato di armi.

Gli sguardi dei presenti si illuminarono di meraviglia. I fratelli si rifecero gli occhi su un intero stock di Thompson a caricatore circolare, mentre Dash sollevò un Browning e ne fece scattare l’otturatore: “Ora si che ragioniamo!”. Pinkie sfoderò una coppia di affilati coltelli, lunghi quasi mezzo metro, e i suoi occhi si riempirono nuovamente di follia. Twilight, per canto suo, si limitò a sorridere compiaciuta di fronte ad una cassa di esplosivi.

“Vedo che ho colto nel segno”, disse infine Rarity.

“Come pensi di portarle là dentro?”, chiese lo stallone, controllando la canna di un revolver.

“Quando sarà il momento, controllate sotto i banconi”, rispose ammiccando.

“Penso che ci siamo”, sentenziò Applejack con serietà, “possiamo finalmente farla pagare a quei bastardi dei fratelli!”.

“Così la prossima volta ci penseranno due volte prima di mettersi contro di noi”, rispose Twilight, legando assieme alcuni candelotti.

“Tolti di mezzo quei due”, concluse il pony, aggiustandosi la tesa del cappello, “staremo tutti meglio”.

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Capitolo 5
*** Gran Finale ***


La crème de la crème di Ponymood prese a battere forsennatamente gli zoccoli sul pavimento, in segno di applauso. Lo zeppelin dei FlimFlam Brothers era davvero uno dei più grandi mai ideati ma, nonostante la stazza, volava così in alto, occultato dal cielo notturno, che nessuno si sarebbe mai accorto della sua presenza.

La sala era colma di invitati dai vestiti eleganti: il grande tenore Ponyrotti allietava i presenti con la propria voce, accompagnata da una piccola orchestra su palco. Le luci erano soffuse, i commensali accomodati a tavoli imbanditi e le portate scorrevano a fiumi.

Dalle grosse vetrate della sala si intravedevano le montagne, illuminate da una luna sullo sfondo, oltre a  qualche sporadica chiazza giallognola a terra, sintomo dell’illuminazione artificiale delle città lontane.


    Il gruppo di infiltrati, ad un tavolo un po’ in disparte, pasteggiava con circospezione. Rarity, per non destare sospetti, era lontana e stava civettando con qualche ricco pomposo, controllando di tanto in tanto la situazione.

Pinkie Pie prese ad ingozzarsi con foga ed Applejack le fece segno di contenersi.

“Altro Champagne, madame?”, chiese un cameriere, con un vago disgusto.

“Certo!”, rispose il pony rosa, con la bocca piena, “Me lo versi direttamente sull’aragosta!”.

“Se non ci scoprono ora, non ci scoprono mai più”, bisbigliò Twilight, con uno zoccolo sulla fronte.

“Dov’è Spike?”, chiese Applejack sottovoce.

“Non è qua. Lui è… uh… il piano d’emergenza”.

“Spero di non arrivare a quel punto”.

“A chi lo dici”, rispose l’unicorno con nervosismo.

    Ci fu un altro scrosciare di zoccoli e il tenore concluse l’opera con un doppio inchino, cedendo il posto all’annunciatore.

“Ed ora”, dichiarò con finto tono emozionato, “facciamo un caloroso benvenuto agli organizzatori di questo fantastico evento! Gli unici, inimitabili, insostituibili… FlimFlam Brotherssss!!”.

Il pubblico rispose entusiasta ed i fratelli salirono sul palco, salutando calorosamente i presenti. I due unicorni erano vestiti di tutto punto e Flam sfoggiò un paio di baffi a dir poco esagerati.

“Ah!”, sospirò Rarity, “Che fascino, quei baffi!”.

“Grazie, grazie!”, esclamarono, “Siamo lieti di avere qui con noi i più alti esponenti di Ponymood, per questa occasione speciale, vero Flim?”.

“Giusto, Flam! Manca solo più Celestia in persona e poi potremo dichiarare chiuso per sempre il lancio del nostro nuovo prodotto!”.

Alcune risate si levarono dal pubblico. Applejack dovette trattenersi per non sbottare in un tradizionale insulto di periferia.

“Cosa, Flim? Vuoi dirmi che abbiamo qualcosa di nuovo da condividere con i nostri amici?”.

“Certo, Flam! Non ricordi? Il nostro nuovo sidro! Preparato con le migliori mele di importazione! Di prima scelta!”.

“Davvero? E cos’ha di tanto speciale??”, chiese il fratello, prestando gioco alla scenetta.

“E me lo chiedi? E’ l’unico sidro rimasto in città!”.

“E perché?”.

“Ovvio, caro fratello: perché è il massimo e nessuno è riuscito a reggere la sua qualità!”.

   

Applejack esplose. Si alzò rabbiosamente dal tavolo e, puntando uno zoccolo verso i due, urlò: “Stronzate!!”.

Lo sguardo di tutti si posò su di lei.

“Il vostro sidro è il risultato di uno sporco piano per affondare la concorrenza, bastardi!”.

Flim e Flam scrutarono l’interlocutore e poi ripresero il discorso: “Ma chi abbiamo qui? Niente di meno che la campagnola della tenuta Apple! Come ti sei intrufolata in questo posto?”.

Gli amici di Applejack allungarono le zampe sotto il tavolo.

“Schifosi bugiardi!”, riprese il pony, “Avete giocato sporco ed ora volete farvi i soldi sulle spalle degli altri!”.

“Gli affari sono affari!”, rispose uno dei fratelli, con sguardo di sufficienza, “Se non sei in grado di gestirli, allora meriti di colare a picco! Vero Flam?”.

“Giusto, Flim!”.

“Dopo questa notte, il vostro lurido sidro sarà storia… ed i vostri cadaveri arricchiranno il fondale del fiume più vicino!”, replicò l’altra.

I due fratelli risero di gusto: “Oh! Ma certo! E cosa pensi di fare? Ucciderci con le chiacchiere?”.

“…ora”, sussurrò Applejack.



*** ***** ***



    I pony estrassero le armi all’unisono, mentre Flim e Flam raggelarono.

Big Macintosh, con un fucile a pompa tra le zampe, diede una poderosa spallata al tavolo, gettandolo a terra a mò di copertura.

“Fateli fuori!”, urlarono i fratelli, in preda al panico.

La maggior parte degli ospiti iniziò ad urlare, gettandosi a terra.

Si scatenò l’inferno.


Applejack prese a sventagliare il Thompson di fronte a sè, creando una nevicata di cocci di vetro e schegge dai tavoli. Alcuni tirapiedi dei fratelli caddero a terra, privi di vita, mentre la maggioranza si buttò in copertura e rispose con un’equivalente pioggia di piombo.

Dash si lanciò dietro al tavolo con Macintosh, mentre Pinkie Pie, sprezzante del pericolo, sgusciò fuori con una coppia di coltelli, mietendo vittime come una falce in un campo di grano: i suoi capelli erano nuovamente lisci come seta e i suoi occhi non conoscevano umanità.

Twilight respinse alcuni proiettili con la magia e, dopo aver indossato i suoi vecchi occhiali, caricò una piccola emanazione di luce dal corno. Contemporaneamente, altre luminescenze si manifestarono sotto i tavoli nei dintorni: l’unicorno aveva innescato a distanza degli esplosivi nascosti, che saltarono in aria all’unisono. I botti furono devastanti: le vetrate della sala si infransero in mille pezzi e buona parte degli scagnozzi finì zampe all’aria.

“Questo è per il mio locale, bastardi!”, urlò, mezza affumicata.

Dal caos emerse una figura che non tardò a farsi riconoscere: Grey Hound, con il corno letteralmente incandescente, era rimasto nuovamente illeso. Si accese una sigaretta con noncuranza e, con sguardo vendicativo, sentenziò: “Twilight Sparkle… immaginavo di trovarti in questo covo di criminali”.

L’unicorno viola sentì una morsa allo stomaco.

    Poco lontano, Pinkie continuava ad abbattere i malcapitati, quasi danzando, in preda ad una foga delirante, da bersaglio a bersaglio, schivando miracolosamente ogni pallottola.

Big Macintosh finì rapidamente le munizioni: al riparo dietro al tavolo e sotto pesante fuoco nemico, caricò di prepotenza la propria copertura e la utilizzò come ariete. I gangster si videro arrivare addosso qualche quintale di legno e stallone: il tavolo venne proiettato all’esterno dello zeppelin, portando con sè gli sfortunati.

    Dash, con un sorriso compiaciuto, sentì il ronzio della scorta volante avvicinarsi da fuori: indossò gli occhiali, afferrò una Gatling del ’18 e, con un urlo di guerra, prese il volo.


    La fredda aria della notte la investì in pieno.

Il pegaso blu spalancò le ali e guadagnò una certa distanza dall’enorme zeppelin. In men che non si dica, udì alcuni spari e vide una scia di traccianti mancarla di pochi metri. Un paio di pegasi le saettò accanto.

Rainbow si accodò rapidamente ad uno di loro, cercando al contempo di non farsi agganciare dal compare: allungò l’arma e aprì il fuoco. L’intero corpo prese a vibrare, cercando di contenere il poderoso rinculo della Gatling. I traccianti dell’arma scivolarono veloci verso il bersaglio, aiutandola ad aggiustare il tiro. Ci fu un urlo, seguito da una scia di piume ed il nemico precipitò verso il suolo.

Il pegaso emise un verso di soddisfazione e poi si accorse dell’altro nemico, alle spalle: gonfiò le ali e fece un mirabolante giro della morte. L’avversario cercò di seguirla con lo sguardo: Dash si portò sopra di lui ed entrò in stallo, precipitandogli addosso: senza ulteriore esitazione, aprì nuovamente il fuoco, ed i proiettili, agevolati dalla gravità, attraversarono copiosi il corpo del pony volante.

Era sicura che presto sarebbero giunti altri scocciatori, così si affrettò a riavvicinarsi allo zeppelin: impostò una traiettoria curva, portando il rombo delle ali al massimo.

    Applejack, udendola arrivare, urlò: “A terra!”.

Il pegaso dalla criniera arcobaleno piombò come un fulmine, a denti stretti, tempestando di colpi la sala e infrangendo le poche vetrate ancora intatte. Altri sgherri dei fratelli caddero a terra e l’arredamento si trasformò in groviera. Dash reimpostò la virata, per intercettare nuovamente lo zeppelin.


    Twilight, intanto, scambiava sonore esplosioni magiche con il suo avversario, apparentemente in vantaggio sull’unicorno viola: Hound bloccava sapientemente ogni impatto che Sparkle le lanciava contro e ricambiava il favore con altrettanta potenza, colpo su colpo. Ad ogni evocazione, le onde d’urto scagliavano oggetti, tavolate e pony fuori dalla sala.

Sparkle prese a sudare e a preoccuparsi.

L’agente, dopo aver nullificato l’ennesimo attacco, la investì magicamente con un carrello da portata lì vicino. L’unicorno incassò e ruzzolò per alcuni metri.

“Patetico”, esordì Grey, sputando la sigaretta, “Stai per provare il maglio della giustizia sul tuo animo corrotto, feccia!”.

Twilight si strinse un fianco, dolorante, ed ansimò: “Perché sei qui?”.

“Ero sotto copertura per spiare i fratelli, feccia. Ma, dopo aver visto te ed i tuoi compari creare questo putiferio… direi che le mie priorità sono cambiate”.

“Ti ho fregato una volta… posso fregarti di nuovo…”, rispose l’altra, con un sorriso beffardo.

“Davvero, feccia? E come farai? Di nuovo grazie al potere del trinitrotoluene?”, domandò, con una risata.

Sì udì uno sparo. Lo sguardo dell’agente si riempì di stupore, prima di cadere a terra, privo di vita. Dietro di lui, Rarity, con un piccolo revolver fumante estratto dal reggicalze, rispose: “No: grazie al potere d’arresto di una pallottola, stronzo”.


Fuori, intanto, Dash teneva testa ad almeno quattro avversari contemporaneamente: riuscì a schivare tre scie di traccianti incrociati, grazie a poderose destrezze aeree, potendo al tempo stesso eliminarli uno dopo l’altro. I rinforzi, tuttavia, continuavano ad arrivare ed il cielo si riempì di rumore di spari e scie luminose in ogni direzione.

Ad un certo punto, un’antiaerea di grosso calibro, piazzata nella cupola dello zeppelin, iniziò a vomitare fuoco contro il pegaso, che improvvisò una manovra per evitare i colpi. Il tiro, tuttavia, prese ad aggiustarsi in modo preoccupante e le ali di Rainbow, ormai dolenti, non riuscivano più a reggere il ritmo.

Un proiettile impattò di striscio, asportandole alcune piume: “Merda”, pensò, “questa volta ci siamo…”.

    Una gragnuola di colpi si infranse contro la cupola dell’antiaerea, generando una scia di vetri luccicanti dietro allo zeppelin. Fluttershy, con la sua Fokker-Leimberger e gli occhialoni ancora impolverati, saettò rapidamente a fianco dell’amica.

“Fottuti bastardi!”, berciò, “Nessuno spara ai miei compagni!”.

“Fluttershy!”.

“RD…”, rispose l’altra, con sguardo d’intesa.

Le due allinearono la quota e si misero in formazione.

“Come ai vecchi tempi?”, sorrise Dash.

“Morte dal cielo!!”, urlò Fluttershy, facendo scattare l’otturatore e gettandosi a capofitto contro la scorta volante.

Rainbow lanciò un grido e seguì l’amica nell’impresa.


    Il combattimento all’esterno impazzava ma nella sala, ormai, non rimanevano che poche cose ancora in piedi.

Applejack si ritrovò con l’arma completamente scarica ed il fiatone, proprio nell’istante in cui l’ultimo avversario cadde a terra. Uscì cautamente da un tavolo semidistrutto e si guardò attorno.

I suoi amici si avvicinarono a lei. Pinkie Pie, in un angolo, continuava a pugnalare un cadavere, con lo sguardo da pazza, ripetendo allegramente: “Cupcakes! Cupcakes! Cupcakes!”.

    I FlimFlam Brothers, nascosti dietro al palco, videro puntarsi la canna di un revolver contro il muso.

“Fuori”, li minacciò Macintosh, armando il cane.

I due cercarono di salvarsi la pelle con frasi scontante: “Uh… suvvia… perché tutte queste ostilità?”.

“Già”, rispose l’altro, “non potremmo parlarne?”.

“Le chiacchiere stanno a zero”, tagliò corto Applejack.

“Io… io credo che potremmo trovare un accordo! Vero Flim?”.

“Giusto, Flam! Che… che ne dite di dividerci il cinquanta percento delle vendite del nostro sidro?”, propose, con il volto imperlato di sudore.

“Settantacinque?...”, sussurrò Flim, con un sorriso forzato.

Gli altri si guardarono tra loro con sufficienza.

“Ora Flam!!”, urlò uno dei fratelli: i due incrociarono i corni ed una incredibile esplosione magica si diffuse nel raggio di centinaia di metri. Lo zeppelin subì un contraccolpo così violento che il pallone si lacerò, provocando l’innesco del gas infiammabile.

Dash e Fluttershy, atterrite, vennero investite a loro volta dall’onda arcana e piroettarono diverse volte nell’aria.



*** ***** ***



    Applejack, pancia sull’erba, si passò uno zoccolo sulla fronte ed emise un verso di dolore. Si guardò attorno: si trovava in una radura bucolica e la scena era illuminata dal rossore delle fiamme dello zeppelin, che bruciava violentemente ad un centinaio di metri alle sue spalle, ormai a terra.

Il pony si preoccupò delle sorti dei compagni ma poi li vide tutti, distesi per il campo e visibilmente scossi, mentre la scorta volante dei fratelli giungeva dal cielo, circondandoli.

Fluttershy era riversa su Rainbow Dash, apparentemente ferita e priva di sensi, nel tentativo di proteggerla.

    Flim e Flam, anch’essi piuttosto malconci (Flam con i baffi spettinati e fumanti), si avvicinarono al gruppo con fare minaccioso.

“Oh… quale tragica sorte tocca ai nostri eroi”, li canzonò Flim.

“Già”, rispose Flam, “proprio un vero peccato!”.

Gli sgherri puntarono i fucili verso i pony feriti.

“Questo è quello che succede a chi osa sfidare i famigerati FlimFlam Brothers!”.

Applejack, stremata e con il morale a terra, non disse nulla, pensando di aver perso definitivamente lo scontro… e la vita. Si strinse la testa tra le zampe, riportando per un istante la mente alla sorte che sarebbe toccata alla tenuta Apple e alla sorella minore.

    Sentì poi qualcosa sfiorarle la chioma: alzò lo sguardo e vide Twilight rimetterle il cappello in testa, volato via durante l’impatto. L’unicorno si alzò in piedi, gettò gli occhiali sull’erba e lanciò un sorriso d’intesa.

“E’ finita!”, urlò uno dei fratelli.

“Non è finita finché non è finita”, replicò Sparkle.

“Ah! Mi ricordo di te!”, berciò Flim.

“Già! Tu sei la pazzoide che ci ha venduto l’intruglio!”.

“Non c’era anche il tuo aiutante, una volta? Quel piccolo drago che puzza di sigaro?”, esclamò con una risata.

“Si chiama Spike”, puntualizzò l’unicorno, “e, se non vi spiace, vorrei che faceste la sua conoscenza…”.

Il duo esplose in una fragorosa risata.

“Fai pure, dottor barbiere!”, la istigò Flam.

“Lo sai, vero, che abbiamo diversi trofei di draghi sul nostro caminetto??”.

“Buono a sapersi”, esordì Sparkle, subito prima che il suo corno generasse una colonna di luce in mezzo ai presenti.

Flim e Flam chiusero gli occhi, per proteggersi dal bagliore. Quando li riaprirono, Spike era di fronte a loro, colpendosi il palmo della mano con una mazza da baseball. Dietro di lui, una dozzina di draghi adulti, con giacche di pelle e sguardi rabbiosi, osservava i piccoli unicorni.

Gli sgherri volarono via all’istante, abbandonando sul posto le armi.

I dragoni circondarono i malcapitati, emettendo ringhi feroci.

“Ho sentito dire”, sussurrò Spike, accendendosi un sigaro a sguardo basso, “che avete trofei di draghi sul caminetto”.

Gli unicorni si abbracciarono tra loro, con sguardo terrorizzato.

Prima che i draghi si avventassero su di loro, Flim confessò al fratello: “Flam?”.

“Sì… Flim?”.

“…ti ho sempre amato”.

Una cacofonia di urla e ruggiti si diffuse per le vallate circostanti.

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Capitolo 6
*** Epilogo ***


Il pegaso blu lanciava lancinanti urla di dolore, chiaramente esagerate, ad ogni intervento dell’amica. Dash era coricata sul sofà di casa, mostrando smorfie d’ogni sorta, mentre Fluttershy, con un rotolo di bende, cercava di fasciarle la groppa e le ali.

“Non fare la femminuccia, Rainbow…”, l’ammonì.

“Ma fa male!”.

Twilight strizzò verticalmente una siringa, facendo fuoriuscire un po’ di liquido: “Con questa dovresti sentire meno dolore”.

Alla vista dell’ago, il pegaso si calmò inaspettatamente: “…no, no, va bene così. Non fa poi tanto male”.

“Ragazze, ci pensate?”, esultò Spike con eccitazione, “Abbiamo tolto di mezzo i FlimFlam Brothers! La città proibita è praticamente in mano nostra!”.

“Non essere così ottimista, amico”, rispose Applejack con compiacimento, accomodata ad una poltrona e di nuovo con lo stecchino tra i denti, “Ci sarà sempre qualcuno disposto a crearci problemi”.

“Se dovesse capitare”, esclamò Pinkie Pie, cercando di sintonizzare una grossa radio a valvole, “allora gli porteremo dei cupcakes!”.

“Eyup. Ma per un po’ credo staremo tranquilli”, concluse lo stallone.

Rarity, con il vestito bruciacchiato, sorseggiò delicatamente il sidro della tenuta Apple: “Delizioso! Oh! E la festa! E’ stata semplicemente grandiosa! Non mi sono mai divertita tanto in vita mia! Spero vengano di nuovo a darvi problemi, così ci faremo un altro giro di giostra!”.

Applejack si fece seria: “Però… Twilight, Pinkie… i vostri locali sono distrutti. Cosa farete ora?”.

L’unicorno viola sorrise: “Mh… avevo in mente qualcosa. Voglio ritornare in affari, come un tempo, però devo prima risollevarmi, così pensavo di ricominciare da zero”.

“Ovvero?”.

“Vedi, cara”, riprese Rarity, “nella mia maison c’è bisogno di soda rinvigorente per i clienti! E, mentre qualcuno la prepara, ci dovrà essere un altro pronto a servirla!”.

“Cupcakes!”, esordì Pinkie.

“Affari legali, dunque?”, chiese Applejack.

“Soltanto per ora, AJ”, rispose Sparkle, “Ma quando avrò nuovamente un po’ di grana… ripristinerò il mio laboratorio e la produzione di sidro corretto… e Pinkie potrà riaprire lo speakeasy”.

“Come ai vecchi tempi?”, sorrise l’altra.

“Come ai vecchi tempi”.


    Bic Macintosh ed Applejack uscirono in strada, lasciando l’asso di Equestria in compagnia delle amiche.

La sorella alzò gli occhi verso il sole accecante e si mise gli occhiali sul muso.

“Non è andata poi così male, vero Mac?”.

“Ce la siamo vista brutta”.

“Sì… ma è stata un’impresa spettacolare”.

“Questo è vero”, ammise.

“I giornali ne parleranno per settimane”.

“Già, finché non arriverà qualche altro spaccone a rovinarci la festa, come hai detto prima”.

Applejack gettò lo stuzzicadenti: “Oh, era tanto per dire! Chi vuoi che si metta contro la tenuta Apple, ormai? Sono sicura che non accadrà per un bel po’…”.

    Poco lontano, distante dagli occhi dei due, un taxi portava a destinazione il proprio cliente, fermandosi davanti alla bottega distrutta di Twilight.

La porta del mezzo si spalancò e scese una creatura serpentiforme, dotata di zampe provenienti da diversi animali: in un artiglio teneva una valigia da viaggio e, sulle spalle, indossava una camicia dai motivi floreali.

Sollevò lentamente gli occhiali scuri dal volto caprino e ruotò gli occhi con compiacimento, scrutando attentamente l’intero paesaggio di Ponymood. Si sfregò le mani con eccitazione.

“Oh! Ma che splendida, splendida città!”, esclamò, mordendosi il labbro inferiore, “Già vedo tutti parlarne: il ‘Sidro della Discordia’! Solo nei migliori speakeasy di fiducia!”.

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