Sidro Proibito II - Redenzione

di Lantheros
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Sinfonia ***
Capitolo 2: *** Dal Passato ***
Capitolo 3: *** Amore e Paura ***
Capitolo 4: *** Guardie e Ladri ***
Capitolo 5: *** Mettersi in Disaccordo ***
Capitolo 6: *** Non Più Vergine ***
Capitolo 7: *** Giustizia Celeste ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo - Sinfonia ***


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Il centro cittadino di Ponymood brulicava di vita. Era normale, al calar della notte ma, quella volta, si trattava di un evento speciale: una serata di classe presso il Majestic Theatre Ponopera. Macchine di lusso si muovevano avanti e indietro, di fronte all’edificio,  scaricando i ricchi e facoltosi proprietari, agghindati di tutto punto. Per l’occasione erano state invitate alcune piccole (ma importanti) orchestre provenienti da ogni angolo di Equestria, con ore di ottima musica quindi assicurate.

Situazioni come quella erano l’ideale per incrementare gli introiti e, di conseguenza, la parsimonia sugli inviti non venne contemplata: ogni alto esponente della società era assolutamente il benvenuto e la media borghesia non da meno. Dopotutto, per l’evento, i prezzi d’ingresso sarebbero stati proibitivi per qualsiasi altra categoria sociale. E non sarebbe potuto essere altrimenti.


    Una scintillante Duesenberg nera accostò al ciglio stradale. Il guidatore, con sguardo impassibile, uscì e a aprì la portiera ai passeggeri, da cui si palesò il corpulento DollarJolt, proprietario delle coltivazioni di mais JoltCorn. Lo seguì il consigliere, un pony grigio e stempiato, che portava piccoli occhiali da lettura. Dollar inspirò con forza e si compiacque della stupenda vista del teatro illuminato. Si lisciò il manto blu e, dopo aver controllato il papillon e messo il quotidiano cittadino sotto una zampa, si accinse a valicare l’ingresso. Durante la sua marcia scambiò sguardi convenevoli con alcuni pony d’alta classe.

“Signor DollarJolt!”, esclamò sorridente un portinaio, “E’ un piacere e un onore averla qui da noi, questa sera!”.

L’invitato si passò uno zoccolo sotto al mento grassoccio e poi esordì: “Oh! Il piacere è mio! Sono desideroso di udire le splendide melodie che gli artisti d’ogni angolo di mondo vorranno offrirci!”.

“Sono sicuro che non rimarrà deluso!”, e, con un gesto, ordinò ad un inserviente di condurlo al rispettivo spalto privato.

    La sala, pur non essendo enorme, era comunque impressionante: ricca di intarsi, abbellimenti antichi e tendaggi di velluto rosso. Il vociare era preponderante, sintomo che, per quella sera, c’era il tutto esaurito. DollarJolt venne fatto accomodare in una delle balconate più alte dell’intera struttura, in modo da avere piena e totale visuale verso il palco.

Il pony e il suo consigliere si sedettero sulle uniche poltrone presenti . Jolt, in attesa che i rimanenti posti del teatro venissero occupati e che lo spettacolo iniziasse, aprì il quotidiano e si mise a leggere pacatamente. Voleva controllare l’andamento delle proprie azioni ma la notizia in prima pagina era così importante da non poter essere ignorata:

“Hai visto, Rufus?”, chiese al sottoposto, inclinando il giornale verso di lui, “Qui dice che i FlimFlam Brothers sono colati a picco”.

L’altro si sistemò gli occhiali e rispose: “Vero, sir, pare che si siano… inabissati del tutto”.

“Secondo me è una trovata del Governo Celeste”, minimizzò.

“Non saprei, sir. Dubito che il Governo si assumerebbe la responsabilità di una notizia così clamorosa, se non ne avesse la certezza pressoché assoluta”.

Lo sguardo del lettore, man mano che approfondiva la notizia su carta, si fece sempre più preoccupato: “Sta a sentire!”, esclamò, con finto divertimento, “Uno zeppelin abbattuto e diverse dozzine di pony armati fatti fuori in una notte! Ma è ridicolo!”.

“Non saprei, sir”, ripeté, “Le foto sembrano innegabili”.

“Oh, andiamo! Uno zeppelin grosso come il culo di mia suocera e un manipolo di gangster armati vengono abbattuti in meno di un’ora! E con quale esercito?”.

“Il giornale cosa dice a riguardo?”.

“Mah. I sopravvissuti, tutti civili, parlano di un gruppetto di pony, tra cui un bestione rosso grande quanto un armadio a due ante. Secondo me hanno tutti bevuto troppo, quella sera… E poi… qui dice esplosioni, magia proibita e, udite udite, persino una scorta armata volante!”.

“Davvero inquietante, sir”.

“Inquietante?”, chiese allibito DollarJolt.

“Non c’è da scherzare, sir. Questa città pullula di criminali, specialmente da quando il Decreto Celeste è entrato in vigore. Chiunque abbia agito… la certezza è che i FlimFlam Brothers sono stati fatti fuori”, concluse, togliendosi gli occhiali e lanciando uno sguardo di supponenza verso l’interlocutore, “Se sono riusciti ad annientare loro con tanta facilità… allora nessuno è al sicuro”.

Il pony blu deglutì, facendo ondeggiare il farfallino attorno al pomo d’Adamo.

“R-ridicolo”, balbettò sottovoce, accartocciando il giornale.

    In quell’esatto istante, il vociare in sala calò sensibilmente e le luci si abbassarono, fino quasi a spegnersi.

“Oh! Finalmente! E… per questa storia… non voglio più pensarci, per ora… Voglio solo godermi la muscia”.

“Certo, sir”.


    Dietro al sipario, ancora calato, un piccolo gruppo di musicisti si preparava ad eseguire il pezzo d’entrata. Più o meno divisi in settori, vi erano alcuni ottoni, degli archi e un pianoforte. Dietro a tutti, quasi nascosto, si trovava un violoncello senza proprietario. Uno dei presenti lo notò e, con aria preoccupata, esclamò: “Ehy gente! Dov’è finito Jack Woodhooves??”.

Dal buio delle quinte si fece strada una puledra dal manto grigio e gli occhi viola: il suo sguardo, a mezze palpebre, emanava una fredda, quasi inquietante, tranquillità.

“Uh…”, sussurrò l’altro, “Tu chi sei?”.

“Jack Woodhooves ha avuto un imprevisto e non potrà venire”, dichiarò solennemente, “Lo sostituisco io”.

Una certa perplessità si diffuse tra gli artisti.

“Però”, continuò, “preferisco usare il mio strumento”. Con quella parole adagiò delicatamente il violoncello contro il muro e, da una custodia nera, ne estrasse un altro, decisamente di fattura superiore. Sul bordo panciuto e lucido risaltava, in caratteri antichi, la scritta “Octavia”.

“Va bene ragazzi”, concluse infine uno del gruppo, “Lo spettacolo sta per incominciare… non c’è tempo per discutere e speriamo che tutto vada per il meglio. Pronti?”.

Tutti si misero in posa e il sipario di velluto si sollevò.


    Per allietare i presenti e fungere da preambolo alle opere che sarebbero seguite, la piccola orchestra decise di iniziare con uno swing leggero. Octavia chiuse gli occhi e prese a “pizzicare” dolcemente le corde dello strumento, scandendo sapientemente il tempo con basse note vibranti. Gli altri strumenti le vennero dietro e il pezzo iniziò nel migliore dei modi.

In cima alla sala, in uno spalto quasi isolato, una strana e affusolata figura osservava la scena dall’ombra. La violoncellista socchiuse le palpebre e i due si osservarono, anche se in lontananza. Il misterioso individuo lanciò quindi un sorriso di compiacimento, rivelando giusto una lunga barbetta da capra.

Tutti i presenti si allietarono del pezzo d’introduzione e, quando terminò, ringraziarono con un generoso scrosciare di zoccoli.

Dopo una breve pausa, si passò direttamente ad un classico senza tempo: la bellissima Ave Mane di Ponanz Schubert. Il pianista ritrasse le zampe e gli ottoni si abbassarono: la composizione era dedicata ai soli archi e Octavia richiuse gli occhi, pronta a far scivolare l’archetto sulle corde, quasi colta da una trance improvvisa.

La melodia nacque spontanea e dolce. Assolutamente divina. DollarJolt sgranò gli occhi e non riuscì a trattenere la mandibola cascante, udendo le note soavi provenire  dal palco.

“E’… è… splendido…”, sussurrò, completamente assorto.

Il consigliere lo squadrò con attenzione per parecchi minuti e, poi, rivolse lo sguardo dietro di sé, in direzione della porticina che conduceva ai corridoi: quest’ultima era socchiusa e qualcuno, dallo spiraglio, scambiò un gesto d’intesa con il pony occhialuto. Senza fare rumore, con molta attenzione, si alzò dalla poltrona e uscì, sicuro che Dollar non se ne sarebbe accorto, assorto com’era dalla musica.

Fece capolino un terzo pony, baffuto e vestito in tiro. Si avvicinò di soppiatto al pony blu, estraendo una lama luccicante dall’interno del gilet. Con un rapido gesto, tappò la bocca al grassone con una zampa, subito prima di tirarlo verso di sé e puntargli la lama al volto. L’altro impietrì, completamente nel panico.

“Don Filthy vi manda i suoi saluti”, bisbigliò il sicario, con un ghigno malevolo.

Era la situazione perfetta: il luogo era il più isolato della sala e, con le luci quasi spente e il suono dell’orchestra di sottofondo, nessuno avrebbe visto o udito alcunché.

Ma le cose non andarono come previsto.


    Nessuno, a parte i musicisti (comunque obbligati a suonare), notò che la violoncellista era sparita nell’oscurità delle quinte, già da qualche minuto. Una corda dello strumento era mancante.

Poco prima che la lama penetrasse nella carne, DollarJolt vide una figura giungere silenziosa alle spalle del suo aggressore: con scatto fulmineo, ne circondò rapidamente il collo con un sottile filo luccicante e poi strinse la presa. Il carnefice, ora vittima, spalancò la bocca e lasciò cadere l’arma. Lo sguardo di Octavia rimase totalmente impassibile, mentre il malcapitato si dibatteva e scalciava, inutilmente. Dopotutto… non era la situazione perfetta? Il luogo era il più isolato della sala e, con le luci quasi spente e il suono dell’orchestra di sottofondo, nessuno avrebbe visto o udito alcunché.

Il tizio, mentre ancora si dimenava, venne inesorabilmente trascinato oltre l’ingresso dello spalto. Il pony blu rimasse allibito ad osservare la scena. Si rialzò tremante e, dove prima era seduto il consigliere, ora era presente una inquietante creatura serpentiforme.

“Ahh!”, urlò Jolt, con un sobbalzo.

“Buonasera, come va?”, chiese l’altro con nonchalance, abbassando leggermente scuri occhialini tondi. Il pony non riuscì a proferire alcunché.

“Suvvia, si calmi. E’ tutto finito”, lo tranquillizzò, con un sorriso sardonico.

“M-ma… che… che cosa… chi… tu…”, balbettò in modo sconnesso.

“Mi chiamo Discord”, esordì, scuotendo vigorosamente lo zoccolo dell’altro, con il proprio artiglio leonino.

“D-Discord?”, biascicò, mentre veniva strattonato dalla presa del suo apparente salvatore.

“Tutto a posto”, disse Octavia alle spalle dei due. Jolt rispose con un altro sobbalzo.

“Ottimo”, concluse Discord. La melodia, intanto, continuava imperterrita.

Il poveraccio cercò di sedersi a tentoni. Qualche perla di sudore iniziò a luccicare sull’ ampia fronte: “M-ma… si può sapere che sta succedendo? C-chi era quello?... Chi siete voi?...”.

“Suvvia, signor DollarJolt”, lo ammonì l’altro, con tono di sufficienza, “Non mi dica che non ci arriva da solo?”. L’interlocutore scosse il capo. “Lei è uno dei pony più ricchi e rinomati dell’intera città. Non penserà mica che una situazione come la sua passi inosservata, di questi tempi?”.

“C-cioè?”.

“Cioè… faccio prima a farle l’elenco di chi non la vorrebbe morto, mio caro sir”, concluse, con una risata.

“Q-quel tizio”, disse Jolt, osservando l’uscio dietro di sé, “E’ stato mandato da Don Filthy!”.

Discord alzò le zampe all’altezza delle spalle: “Ah, non so chi fosse o chi lo abbia mandato e non mi interessa”.

“Ma allora perché…”.

“Mhh… vede, io ero qua per puro caso. Stavo seguendo quel sicario per vedere a chi stesse puntando. E quel qualcuno era lei. Che colpo di fortuna, eh??”, ridacchiò, dandogli una gomitata.

“Io… non capisco”, concluse, sempre più confuso.

“Lei crede nel destino, signor Dollar?”.

“Destino?”.

“Io non so se esista il destino ma, questa sera, ero alla ricerca di qualcuno in grado di aiutarmi e, casualmente, ho trovato lei e l’ho salvata da questa… spinosa situazione. Non stavo mirando a lei. E’ stato un semplice caso, mi creda”.

“Ma si può sapere cosa vuole?”, sbottò infine, asciugandosi il sudore con un fazzoletto. Il corpulento pony non era stupido: sapeva benissimo che questo genere di affari, spesso e volentieri, nasconde ben altro che un misericordioso salvatore. Ma, dopotutto, gli aveva salvato la vita: se lo avesse voluto morto, gli sarebbe bastato non intervenire. E così decise di dargli una possibilità.

“Dritto al punto, eh? D’accordo”. Allungò una zampa sotto la poltrona e, come se fosse sempre stata lì, estrasse una ventiquattrore, che aprì con uno scatto metallico.

“Vede”, continuò, “Io ho una… formula speciale. Qualcosa di molto particolare. Qualcosa che farebbe gola a chiunque, di questi tempi”, e tirò fuori una boccetta dal contenuto dorato.

Il pony la prese e la esaminò con attenzione: “Sidro?”, ipotizzò, “Sta parlando di alcol?...”.

“Non è sidro comune. Definirlo ‘nettare degli Dei’ sarebbe riduttivo. Ma non voglio che lei creda solo alle mie parole, quindi lo assaggi pure, se vuole. Poi mi saprà dire”.

“Dove vuole arrivare?”, chiese sospettoso.

“Sono nuovo di queste parti”, ammise, “Tra le zampe ho un prodotto che trasuda potenziale monetario da tutte le parti… il problema è che non ho gli agganci giusti per poterlo diffondere efficacemente. Pony come lei, invece, godono di ottima fama e di… liquidità abbondante, per così dire”.

DollarJolt squadrò di nuovo la boccetta che, per un istante, rifletté quasi magicamente le flebili luci della sala. Lanciò l’ennesima occhiata sospetta verso Discord e poi, con gesto deciso, aprì sonoramente il tappo. Un afrore unico, quasi mistico, e mai percepito prima, si diffuse attorno al muso del pony, il quale ondeggiò per un istante, tornando poi alla realtà. La melodia dell’orchestra raggiunse il climax.

“Non ho fretta”, lo tranquillizzò Discord, congiungendo le zampe davanti al mento, “Ci pensi con calma e poi mi faccia sapere. Indipendentemente da questo, sappia che mi prendo l’ottanta percento sulle vendite sottobanco”.

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Capitolo 2
*** Dal Passato ***


Uno swing molto più movimentato e festaiolo animava invece il seminterrato della Carousel Maison. La clientela, con tanto di camicie sbottonate e cravatte slacciate, si dava ai bagordi e alle danze: puledre con reggicalze a rete e abbellite sapientemente con piume colorate, intrattenevano con successo i presenti, ancheggiando e ridacchiando con provocante abilità.

    Pinkie Pie, dietro un bancone poco distante, farcito con alcolici d’ogni sorta, serviva boccali di sidro al ritmo di uno ogni pochi secondi e, spesso contemporaneamente, miscelava cocktail con uno shaker rumoroso. Nonostante non avesse un attimo di tregua, era felice come non mai e sfornava drink con l’efficienza di mille barman: “Ecco a lei l’Apple Cider! Oh, ne vuole un altro? Arriva subito! Cosa? C’è poco ghiaccio? Okie dokie! Whisky liscio per il signore con i baffi e la… uh… puledra mezza nuda sulle sue ginocchia, in arrivo!”.

Madame Rarity scrutava compiaciuta la scena, sdraiata provocantemente su una comoda poltrona ad angolo, assieme ad alcuni facoltosi colleghi d’affari. Emise i tipici rivoli di fumo dalle labbra, grazie all’immancabile bocchino dorato.

“Devo proprio dirglielo, Madame”, dichiarò uno dei pony vicino a lei, dopo aver vuotato delicatamente un bicchiere, “Si è ripresa magnificamente”.

“Nevvero, caro collega?”, aggiunse un altro, “Non che prima il locale fosse da meno ma, adesso, è tutta un’altra faccenda!”.

“Suvvia signori… è solamente il mio ringraziamento per la vostra perseveranza nei miei riguardi”, rispose Rarity, gettando all’indietro un grosso ciuffo della propria capigliatura.

Una puledra, che lavorava nel locale, si mise a sculettare vicino al gruppetto ed uno dei presenti indossò un monocolo: “Ah! Quale magnifico paesaggio!”, concluse, con sguardo da intenditore.


    Dall’ingresso, in mezzo al caos festaiolo, fecero capolino tre figure molto familiari: Applejack, suo fratello e Twilight (questa volta senza grembiule da macellaio) entrarono nel salone, guardandosi attorno con malcelata felicità. Soltanto Macintosh mantenne un riserbo apparentemente inviolabile.

“Vogliate scusarmi!”, dichiarò infine Rarity, spegnendo rapidamente la sigaretta nel posacenere.

“Ma certo, madame!”, rispose qualcuno, con il muso immerso nella la chioma della puledra-pinup di turno.

“Ragaaazzi!”, li accolse con gioia, spalancando le zampe.

“Ehy, dolcezza”, rispose Applejack, abbracciandola.

“Ciao Rarity”, disse l’unicorno viola, con un sorriso.

“Madame”, proferì lo stallone.

“Oh suvvia, Macintosh, chiamami Rarity! E allontana per un attimo quella tua espressione imbronciata! Fatti un giro, vatti a divertire, una volta tanto!”. L’altro osservò impassibile le ballerine e, dopo aver avvertito una gomitata dalla sorella, si allontanò lentamente, allargando un po’ il nodo della cravatta: “Eeeeyup”.

Il trio si spostò quindi al bancone di Pinkie.

“Ehy Pinkie! Come butta?”, esordì il pony arancione, dandosi un colpetto alla tesa del cappello.

“…Caffè corretto Cognac per il signore! Ecco a lei! Tre boccali di sidro in arrivo! Ciao AJ! Due Whisky on the rock per la coppia nel tavolo all’angolo!...”.

“Uao”, bofonchiò Sparkle, poggiando le zampe al bancone, “Certo che si impegna un sacco…”.

Rarity fece un sorriso di circostanza e mollò un ceffone all’inserviente, che si blocco per un istante e poi rinsavì: “Ragazze!”, urlò, accendendosi di gioia, “Cosa ci fate qui??”.

“Siamo venute a vedere come andavano le cose e… devo ammettere che sembrano andare piuttosto bene”, rispose Applejack, guardandosi nuovamente attorno e mostrando un ghigno compiaciuto.

“Non potresti usare parole migliori!”, rispose la proprietaria.

“L’intruglio è all’altezza della situazione?”, chiese l’unicorno viola.

“Assolutamente! Vero Pinkie?”.

“Assolutalamanente!”, biascicò, porgendo un insensato saluto militare.

“E… non vedo Spike… dov’è il mio piccolo Spikino ciccino??”, aggiunse la puledra bianca, stringendosi le guance tra gli zoccoli.

“E’ rimasto alla bottega, a controllare che un ultimo lotto venisse ultimato senza contrattempi”.

“Aww… che peccato”, concluse infine, con grossi occhioni tremolanti.

“Tra l’altro”, riprese Applejack, “qualcuno sa dove siano finite le due galline?”.

“Dici Dash e Fluttershy?”, chiese Twilight.

“Sì, è da quasi una settimana che non le vedo. Quasi da quando abbiamo… uh… eliminato i baffi di troppo”.

Rarity si portò una zampa alla fronte e assunse un’espressione estatica: “Ahh! Come dimenticare quei baffi!... Oh, e non fatemi ripensare alla nostra avventura! E’ stata così… eccitante!”.

“Già”, risposero le altre, all’unisono.

    Ci fu una breve pausa, interrotta dal tintinnare dei boccali che Pinkie allungò loro.

Applejack afferrò il bicchiere e osservò la schiuma al suo interno, riportando alla memoria l’eroica impresa. Sorrise debolmente e poi, non riuscendo più a trattenersi, avvicinò il muso a quello delle altre e proferì: “Oh… vi ricordate la faccia che hanno fatto quei due quando abbiamo tirato fuori la ferraglia da sotto il tavolo??”.

“Sì sì sì! Io! Io mi ricordo!”, blaterò il pony rosa, in modo sconnesso, “Perché c’ero! Sì! Ho preso i coltelli e poi… cupcakes!”.

“Diavolo, Pinkie”, esordì AJ, dandole un colpetto sulla spalla, “Eri una falciatrice! Non ho mai visto qualcuno abbattere così tanti pony, senza beccarsi nemmeno una pallottola!”.

“Cupcakes!”.

“Già! E vi ricordate i ‘fuochi d’artificio’ nascosti in giro per la sala?”, buttò lì Sparkle, “BUM! Che botto! Mi sono fischiate le orecchie fino al giorno dopo!”.

“Io! Io mi ricordo un’altra cosa!”, riprese Pinkie, con rinnovato entusiasmo, “C’era quel tizio nerboruto, quel… Gr… G… Gay Hound? Insomma quel tizio che sparava bolle magiche dalla fronte!”.

Twilight si incupi e tracannò un’ampia gollata di sidro: “Cazzo se me lo ricordo… Ma poi Rarity è intervenuta con un tempismo da spaccare il crine in quattro! Ti ricordi la scena?”.

“Come potrei dimenticarmela, dolcezza mia?”, rispose, accompagnando le proprie parole con espressivi gesti delle zampe, “Tu eri lì, completamente spiazzata, di fronte a quello stallone dal corno incandescente… pronto a darti il colpo di grazia… Io mi avvicino dietro di lui, tu mi vedi arrivare, giusto di sfuggita, ma non perdi la calma per non farmi scoprire… Estraggo quindi lentamente il revolver dal reggicalze… miro con attenzione… il cane dell’arma si solleva lentamente e, quando si riabbassa…


*BAM*

    Grey Hound, completamente sudato e con il fiatone, si alzò di scatto dal lettino, con il rimbombo dell’esplosione nelle orecchie. Ebbe la sensazione di risvegliarsi da un incubo e gli ci vollero parecchi secondi prima che riuscisse a capire dove si trovasse e cosa fosse successo.

Le pareti della stanza erano chiare, pressoché spoglie, e illuminate da luminosi raggi di sole, provenienti da una finestra lì accanto. Un lancinante dolore, collocato più o meno tra il petto e la scapola, gli fece digrignare i denti, costringendolo a coricarsi nuovamente.

Fissò per qualche istante il soffitto: “Dove diavolo sono?”, pensò, udendo le sue stesse parole con il classico tono da macho che lo caratterizzava. Scrutò il petto e vide una fasciatura, leggermente intrisa di sangue. Dalla porticina della stanza proveniva un vociare sommesso e odore di disinfettante.

“Un ospedale”, disse, “Sono in un fottuto ospedale”.

    La porta si spalancò lentamente e due tizi, uno stallone e una puledra dallo sguardo solenne, con lo stemma del Governo Celeste al petto, fecero capolino. Li seguì a ruota una graziosa infermiera dal manto azzurro, con una cartella clinica sotto alla zampa. La coppia prese possesso del documento e lo scrutò rapidamente.

“E’ molto fortunato, signor Hound”, dichiarò lo stallone, “Ha rischiato seriamente di morire”.

L’altro sorrise con amarezza: “Non è la prima volta che mi succede”.

“In effetti non mi capacito di come sia sopravvissuto”.

“Sono il Segugio di Counterlot. Il piombo me lo mangio a colazione”, rispose, trattenendo una fitta di dolore.

“Faccia poco lo sbruffone”, lo ammonì la compagna, “E veda di non agitarsi, altrimenti le si sfila il catetere”.

Hound mise a fuoco il tubicino che fuoriusciva da un lembo delle lenzuola: “Maledizione”.

“E’ stato incosciente per più di una settimana”, continuò l’altro.

“Cosa??”, berciò il ricoverato, “Una settimana? Ma… ma cosa è successo? Mi ricordo di essere andato in missione… Mi ricordo… l’unicorno viola e… e… poi…”.

“Lei ha fallito, signor Hound”, dichiarò lapidariamente il collega. Quelle parole lo trafissero al petto, provocandogli un dolore di gran lunga peggiore della ferita d’arma da fuoco.

“Io… io…”, balbettò.

“Signor Grey Hound… Lei ha svolto servizio onorevolmente presso la Guardia Celeste. E’ stato un elemento di spicco e questo è innegabile. Ma, l’ultima volta, si è lasciato letteralmente sfuggire un’orda di criminali, senza nemmeno avvertire magicamente la squadra, che era pronta ad intervenire”.

“Ma… ma io…”.

“Mi lasci finire. Il suo servizio è stato encomiabile. Le sue prestazioni invidiabili. Ma l’alta direzione ritiene che lei abbia esaurito le sue capacità, signor Hound”.

Lo stallone ancora non riusciva a credere alle parole che udiva in quel preciso istante.

“Esaurito?...”.

“Sarò schietto con lei: non è la prima volta che viene ferito in azione, giusto? E non è la prima volta che la sua condotta da pistolero mette a rischio o, peggio ancora, causa il fallimento di un’intera operazione. I suoi successi e fama la precedono, dico davvero, ma, in tempi come questi, il Governo Celeste non può permettersi errori… ed è giunto il momento che lei ceda il passo a soggetti più giovani e promettenti di lei”.

    Grey fece cadere pesantemente il collo sul cuscino, completamente basito: “Dunque… stanno così le cose? Prima mi usate e poi mi scaricate come… come feccia??”.

“Sapeva benissimo che il suo mandato di servizio non sarebbe durato in eterno, signor Hound”, rispose la puledra, “E il giorno del suo congedo… beh… quel giorno è questo giorno”.

L’ex agente si incupì: “Dove… dov’è il mio portafoglio?”, chiese improvvisamente, quasi colto da un panico ingestibile.

“E’ accanto al comodino, signore”, rispose l’infermiera.

L’altro si girò e lo vide: con un notevole sforzo mentale, lo aprì magicamente, estraendo una piccola foto dai bordi rosicchiati dal tempo. La osservò da vicino, con una strana scintilla negli occhi, e poi la ripose delicatamente nel portadocumenti. Riprese a fissare il soffitto, senza dire nulla.

“Dunque… siamo d’accordo, signor Hound?”.

“Certo. Siamo d’accordo”.

“Le abbiamo già requisito il distintivo e i permessi. Da oggi lei è un cittadino come tutti gli altri”.

“Capisco”.

I due riconsegnarono la cartella al pony azzurro e si accinsero ad uscire, assieme a lei. La puledra governativa lanciò un ultimo sguardo verso lo stallone, il quale non schiodò lo sguardo dal soffitto, nemmeno per un istante.

“I suoi giorni sono finiti”, dichiarò sottovoce al collega, con un sorriso compiaciuto, prima di chiudere la porta alle proprie spalle.


    Grey attese parecchi minuti, sbuffando di tanto in tanto e riportando alla mente chissà quali pensieri. Poi, l’attenzione si fermò sull’attaccapanni all’angolo della stanza: su di esso ricadeva mollemente il suo cappotto, mentre in cima sostava, come in silente attesa, il copricapo color cammello.

Nella stanza non c’era nessuno: con un verso di sofferenza si issò dal letto, “eliminò” il catetere (forse la parte di gran lunga più dolorosa), mise gli zoccoli a terra e zoppicò fino all’impermeabile. C’era un buco grosso poco meno di una moneta, sul retro, circondato da una leggera chiazza scura: il sangue rappreso è molto difficile da eliminare, lo sapeva bene. Con notevole fatica, si infilò l’indumento e, attraverso un gesto quasi rituale che gli restituì parte della spavalderia, mise il cappello sulla testa. Cosa più importante: assicurò il portafoglio nella tasca interna del lungo cappotto.

Si diresse quindi alla finestra, protetta esternamente da inferiate scure. La aprì e digrignò nuovamente i denti, mentre una luce innaturale mise in risalto il corno sotto il cappello: le sbarre si accesero di magia e, poco dopo, si contorsero, accompagnate da vagiti metallici.

“Siamo d’accordo un cazzo”, sibilò lo stallone, osservando la strada sottostante, con la chioma mossa dal vento.


*** ***** ***


    La luna, parzialmente occultata da batuffoli di nuvole violacee, era l’unica fonte di luce chiaramente visibile, quella notte. Soltanto la facciata principale della gioielleria era illuminata dai lampioni: il retro, circondato da siepi e arbusti, si trovava invece nell’oscurità quasi totale.

Un’ombra saettò rapidamente attraverso una coppia di cespugli, provocando fruscii appena percettibili. Subito dietro di lei, un’altra figura scura cercò di seguirla, decisamente titubante.

“Muoviti, lumaca!”, esordì la prima, senza alzare troppo la voce.

“Uh… ecco… io… eccomi…”, accennò timidamente la seconda.

Indossavano entrambe un’attillata divisa nera, con giusto i fori per il viso e le ali.

“Allora?? Non abbiamo mica tutta la notte!”, ripeté il pegaso dalle ali blu.

“Certo… perdonami…”, si scusò la compagna dalle ali paglierine.

Un draghetto viola, anch’egli agghindato a mo’ di scippatore, scese dalla groppa di quest’ultima e si avvicinò alle orecchie di Dash.

“Uh… si può sapere che le prende? L’ultima volta che l’ho vista stava trivellando di piombo pegasi armati…”, chiese perplesso.

Rainbow si girò verso l’amica e la osservò nell’intento di scrutarsi attorno con nervosismo, colpendo saltuariamente qualche sassolino con una zampa.

“Eh...”, gli rispose sospirando, “Fluttershy è fatta così… Si smuove solamente quando la situazione si fa critica…”.

“Critica?”, esclamò Spike perplesso, “Speriamo non debba arrivare uno zeppelin pieno di gente incazzata, per farla rinsavire…”.

“No. Non stanotte, perlomeno”, lo tranquillizzò, “C’è una sola guardia e sta… ehm, facendo un giro di ronda mooolto lungo”.

Il drago squadrò nuovamente il timido pony alle loro spalle: “Ma si può sapere cosa ce ne facciamo di lei?”.

“Quattro ali sono meglio di due”.

Fluttershy arrossì sotto la maschera: “Io… scusate se non vi sono d’aiuto…”.

“La preferivo quando era ubriaca”.

“Sta zitto, nano!”, lo ammonì Dash, “Non parlare di certe cose in sua presenza!”.

“Ok, ok… Come vuoi...”.

    I tre, occultati dalla vegetazione, osservarono l’ingresso posteriore dell’edificio.

“Dovremmo passare da lì?”, chiese Spike.

“Mhh…”, rispose Rainbow, “Non credo sia possibile”.

“Ma esattamente… perché mi avete chiamato? Se Twilight scopre che ho lasciato il laboratorio per venire qua… come minimo mi taglia la coda e me la fa ingoiare…”.

“Cos’è?”, chiese l’altra, ironicamente, “Non ti interessano i diamanti?”.

“Oh, no no no… Non fraintendermi!”, si affrettò a puntualizzare, “Io… adoro i diamanti e i cristalli in genere! Sono… buonissimi…”.

“E puzzano anche meno di quella merda che ti spipacchi di solito…”.

“Non insultare i miei sigari!”.

“Va bene. Comunque sei qui perché mi serviva qualcuno sufficientemente… piccolo da intrufolarsi in un posto dove un pony non passerebbe mai”, concluse.

“Ah. Quindi, riassumendo, vi servo perché sono tappo?”, chiese con delusione.

“Vedo che capisci al volo”, lo schernì.

“Mi sento… vagamente offeso. E se mi rifiutassi?”.

“Se ti rifiuti, io non avrò la mia quota di monili e tu non potrai papparti le pietroline luccicanti”.

“…Dov’è che devo infilarmi?”.


    La banda si avvicinò cautamente alla parete più vicina. Spike salì in groppa a Fluttershy ed i pegasi volarono rapidamente (e silenziosamente) sul tetto dello stabile. Davanti a loro si presentò una serie di lucernai, intervallati da alcuni comignoli metallici adibiti alla ventilazione. Vigeva il silenzio più totale, eccetto un ronzio proveniente da alcune scatole elettriche, e il frinire dei grilli.

I tre si avvicinarono alle vetrate e osservarono l’interno: nonostante fosse buio, il luccichio dei preziosi, sotto le teche, era inconfondibile. Lo stomaco si Spike emise un gorgoglio sommesso.

“Uuh… Quello è un quarzo rosa… Sono anni che non ne assaggio uno di qualità”.

“Calma, buongustaio. Non facciamo passi falsi”.

“Non… non sarebbe meglio se tornassimo un’altra volta?”, intervenne Fluttershy.

“Ma come ha fatto a combattere nella Guerra Equestre??”, biascicò Spike, nell’orecchio del pegaso blu, che lo zittì prontamente con un gesto.

“Ormai siamo in ballo e quindi balliamo”, tagliò corto Dash, “Spike, lo vedi quel condotto di areazione?”.

“Quello con la grata?”.

“Sì. Io e Flutter non potremmo mai passarci attraverso ma…”.

“Ma io sono tappo a sufficienza per riuscirci”, continuò il drago.

“Eppiantala con ‘sta storia! Devi entrare nel condotto e trovare un modo per aprire i lucernai dall’interno”.

“Cosa? Ma non potete sfondarli o… che so? Tagliarli?”.

“Oh no”, rispose Fluttershy, apparentemente meno timida di prima, “Questi sono vetri rinforzati. Non puoi tagliarli e, facendoli saltare, ci sentirebbero nel raggio di chilometri. Lo so perché… perché in clinica di recupero c’erano vetri simili ed ho provato più volte ad uscire”.

Spike lanciò un’occhiata interdetta a Dash, la quale si limitò a rispondere colpendosi la fronte con uno zoccolo: “Ehm… Spike… Ti prego… lasciamo perdere questa storia, infilati in quel coso e vediamo di darci una mossa”.

L’altro, si diresse mollemente verso il condotto, borbottando: “Spike fai così e non discutere… Spike fai questo e non rompere… Spike guarda che ti pelo via tutte le squame… Mi sembra di sentire quella rompicoglioni di Twilight…”. Osservò la grata di protezione e si tappò una narice: indirizzò quindi l’altra verso i bordi metallici e li sciolse con una fiamma verdastra, simile al getto di un saldatore ossidrico. Si infilò infine nel condotto, facendolo rimbombare con urti e bestemmie.


    Le puledre attesero pazientemente che l’infiltrato riuscisse nell’impresa.

Passò quasi un quarto d’ora, prima che scorgessero Spike, sul pavimento dello stabile, completamente ipnotizzato dagli oggetti preziosi.

Dash picchiettò ripetutamente uno zoccolo sul vetro, per richiamarne l’attenzione. L’altro voltò la testa e il pegaso indicò insistentemente il sistema di chiusura interno, spronandolo affinché lo aprisse. Il draghetto, per tutta risposta, lanciò un sorriso a denti stretti e le rivolse il dito medio.

Rainbow trattene le imprecazioni, per evitare di compromettere il silenzio.

Dopo una malcelata risata, il ladruncolo si arrampicò agilmente lungo un cavo sul muro e fece scattare i meccanismi di chiusura dei lucernai.

“Piccolo nano squamoso…”, berciò Dash.

“Un grazie sarebbe stato sufficiente. La prossima volta mi pappo tutto e non ti apro nemmeno se mi implori”.

“Dai, muoviti”, ed entrarono.


    “Uao! Hai visto quanta roba?!”, esclamò il pegaso, dopo essersi liberato il muso dalla maschera, sfoderando un ghigno smagliante.

Spike si leccò le labbra. Anche Fluttershy non si fece pregare, vedendo la propria immagine riflessa in una teca a protezione di un girocollo stupendo, quasi come se lo stesse indossando in quel preciso istante.

I tre, dopo essersi sincerati che non ci fosse nessuno nei dintorni, iniziarono ad aprire delicatamente i contenitori. Dash, che si sentì come un pargolo sotto l’albero di Natale, prese a riempire avidamente una bisaccia con gioielli d’oro e d’argento. Il draghetto viola la seguì a ruota, non prima di essersi infilato in bocca una manciata di pietre, sgranocchiate come patatine: “Mhh… Oh! Oddio… Che goduria…”. Il pegaso paglierino, intanto, libero dalla maschera, si stava specchiando compiaciuta, agghindata come una regina d’altri tempi.

“Devo ammetterlo, Dash”, riprese l’amico, con la bocca piena, “Hai avuto proprio una bella idea!”.

“Ah! Qui ne ho per almeno un anno di vita nel lusso più totale!”.


    Un boato improvviso fece capolino dall’ingresso principale e i tre trasalirono: una massiccia automobile scura aveva appena sfondato prepotentemente la vetrina, scagliando oggetti e cocci di vetro in tutte le direzioni. Il gruppo, istintivamente, si buttò muso a terra, nascondendosi.

Un secondo rumore proruppe dai lucernai, anticipando schegge luccicanti e una serie di corde in caduta libera, da cui si calò mezza dozzina di tirapiedi. Octavia fu l’ultima a scendere, scivolando silenziosamente dagli appigli, con una grazia disarmante. I suoi zoccoli toccarono il pavimento come piume e gli occhi viola si bloccarono nella canonica espressione di inquietante tranquillità.

“Signori, muovetevi, abbiamo soltanto pochi minuti”, dichiarò ai sottoposti, dopo essersi sistemata il cappello sulla criniera scura. I rapinatori iniziarono subito ad impossessarsi dei gioielli.

“C-cosa? Chi cazzo sono questi??”, sibilò Dash, dietro ai banconi.

“Shh!”, la zittì Spike, “Tappati la bocca! Vorrai mica che ci scoprano? Hai visto quanti sono??”.

“Ma… ma! Questi sono i MIEI gioielli! Questo è il mio colpo!”.

Octavia si guardò attorno, credendo di aver udito qualcosa.

“Io adesso vado lì e pianto a tutti una pallottola in fronte!”.

“Per San Pietro, sta giù, per la miseria!”, la implorò il drago, strattonandola per la criniera.

Fluttershy si limitò ad osservare allibita l’intera scena.

“Mollami, nano!”, berciò il pegaso, riportando lo sguardo verso gli intrusi: “Ma… dove… dov’è finito il pony grigio?...”.

    Spike sgranò gli occhi: Octavia era alle spalle di Rainbow e, in una frazione di secondo, le serrò la corda da strangolamento attorno al collo. Le parole del pegaso blu si arrestarono di colpo, sostituite da un rantolo sommesso. Il drago sfoderò istintivamente gli artigli: “Mollala subito!!”. L’assassina girò rapidamente il cavo come una garrotta e, con l’altra zampa, attraverso un gesto fluido e spaventosamente impeccabile, costrinse il drago in una presa di sottomissione.

Il trambusto attirò l’attenzione dei tirapiedi. Fluttershy, che non era invece stata notata, uscì improvvisamente dal proprio riparo, puntando un revolver verso Octavia, con zampe tremanti: “L-lasciali subito andare”, le intimò, con un filo di voce.

Il pony grigio, per nulla intimorito, ne constatò la mira incerta e strinse la presa sul collo di Dash, che cacciò fuori la lingua, strabuzzando gli occhi: “Non farmi ridere”, l’ammonì.

Il pegaso giallo, in pochi secondi, assunse un’espressione decisa, stabilizzò l’arma e premette il grilletto: il cappello di Octavia saltò via, in una nuvola di fumo.

“Se non li lasci andare entro tre secondi, il prossimo te lo piazzo tra le palle degli occhi”.

Lo sguardo dell’altra si fece più intenso e rilasciò leggermente la morsa sui due, pur senza liberarli. Gli sgherri interruppero il furto e tirarono fuori alcune pistole.

La scena cadde in uno stallo momentaneo.

    “Situazione interessante, vero?”, dichiarò Octavia, con un sorriso. Rainbow e Spike cercarono di allontanarsi ma il pony conosceva il fatto sue e glielo impedì nel modo più assoluto.

“Mollali”, ripeté Fluttershy.

“No. Posa l’arma”.

“Mollali o sparo”.

“Sparami e loro spareranno a te. Te l’ho detto, è una situazione interessante”.

Ci fu un attimo di pausa, in cui la tensione parve potersi afferrare nell’aria.

“Chi siete?”, chiese il pegaso.

“Riservato. Chi siete voi, piuttosto? Che ci fate qui?”.

“Non potevi chiedercelo prima di saltarci addosso?”.

“No. Preferisco fare le domande solo se strettamente necessario. Tipo… dopo avervi fatti fuori”.

Fluttershy armò il cane e così fecero anche gli sgherri.

“Che pensi di fare?”, chiese Octavia, senza ottenere risposta.


    Fasci di luci abbaglianti fecero capolino dalle vetrate infrante, sia dalle pareti che dal soffitto. Una voce amplificata subentrò prepotente, rimbombando per l’intero edificio: “Questa è la Guardia Celeste! La zona è sotto sorveglianza armata e abbiamo l’ordine di agire con la forza, se necessario! Deponete le armi e uscite senza fare storie!”.

La tensione crebbe ancor di più. Spike approfittò di una momentanea distrazione di Cotavia per emettere un’ustionante fiammata dalle fauci, che si dipanò in tutte le direzioni: il pony, stranamente spiazzato, mollò la presa sui due, che si liberarono. Dash cadde a terra, tossendo forsennatamente, con le zampe alla gola.

Qualche fortuito miracolo impedì che nemmeno uno dei presenti premesse istintivamente il grilletto: ci furono soltanto fugaci scambi di sguardi, prima che entrambe le parti decidessero di ripiegare repentinamente, ognuna nella direzione da cui era giunta.

“Andiamo, muoviti!”, intimò il drago al pegaso blu, cercando di trascinarlo di peso. L’altra riuscì appena a respirare e annaspò verso l’uscita posteriore: “Dobbiamo… dobbiamo passare dal retro… E’… è l’unica via… Dal tetto ci vedrebbero subito…”, biascicò.

“S-sì”, rispose Fluttershy, facendosi strada attraverso le porte, in preda al panico.

I tre si ritrovarono nel giardino da cui erano arrivati e cercarono di dileguarsi tra i cespugli. Rianbow, tuttavia, non fu abbastanza rapida: una torcia la illuminò dal cielo, accecandola momentaneamente.

“Fermati! Non ti muovere!”, intimò una coppia di pegasi governativi, puntandole pistole e torce elettriche addosso.

L’altra si immobilizzò e cercò di proteggersi lo sguardo con una zampa: “…Merda”.

“Oh no! RD!”, sussurrò Fluttershy dalla vegetazione, poco distante.

“Ferma, ferma!”, la trattenne Spike.

“M-ma… Rainbow…”.

“Merda… merda… merda! Che casino!”, farfugliò, cingendosi il capo squamoso tra le zampe, “Non possiamo aiutarla, Fluttershy! Almeno che non vogliamo iniziare una sparatoria con la Guardia Celeste!”. L’altra cercò di ragionare, tenendo a freno la preoccupazione per l’amica.

“Però… però…”.

“A-ascolta”, buttò lì l’amico, “Dobbiamo toglierci di mezzo! Do-dobbiamo avvertire qualcuno… Non vedo altro modo per aiutare Dash. Non come siamo messi ora, perlomeno!”.

“Ma la cattureranno!”.

“E noi contatteremo qualcuno per farla uscire! Andiamo, Fluttershy! Togliamoci di mezzo!”.

“Va… va bene”, concluse l’altra, con scarsa convinzione.

“Oh San Pietro… Quando Twilight scoprirà cos’è successo stanotte… mi scioglierà e mi userà come ingrediente per i suoi intrugli…”.

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Capitolo 3
*** Amore e Paura ***


La prigioniera, con ancora la tuta nera addosso, osservò pacatamente le sbarre della cella. Si sentiva avvilita, per tutto ciò che era successo: non solo non aveva recuperato il bottino ma un pony mai visto prima, di punto in bianco, l’aveva letteralmente presa a calci nel sedere.

Si passò delicatamente gli zoccoli sul collo arrossato, rivivendo per brevi istanti il dolore e l’apprensione della notte appena trascorsa.

Si aprì una porta, fuori dalla sua visuale, e un secondino accompagnò un unicorno viola al suo cospetto.

“Grazie. Ora lasciaci soli un attimo”, disse Twilight, allungandogli una mazzetta. L’altro annuì e si congedò fischiettando.

Rainbow inchiodò lo sguardo al pavimento, senza riuscire a reggere quello dell’amica, che continuava a fissarla con fare ammonitore.

“Twilight, io…”.

“Ma sei completamente rincretinita??”, sbottò.

“Ma guarda che…”.

“Cosa ti è venuto in mente? Che diamine ci facevi in una gioielleria?”.

“Secondo te?”.

“Cos’è? Avevi bisogno di soldi? Sei in cattive acque?”.

L’altra riabbassò lo sguardo: “No… Non è quello… E’ che…”.

“E allora… perché?... Perché hai voluto rubare dei gioielli?”, chiese Sparkle, facendo seguire una lunga pausa.

“Senti Twilight”, proruppe infine il pegaso, “L’ho fatto perché volevo farlo. Va bene? Volevo…”.

“Volevi cosa?”.

“Volevo… volevo di nuovo un po’ di attenzione. Volevo di nuovo che qualcuno parlasse di me. O semplicemente dimostrare… dimostrare a me stessa che potevo ancora compiere grandi imprese”.

L’amica scosse il capo: “Ma che stai dicendo? Ti sei forse dimenticata quello che è successo circa una settimana fa?”.

“E’ questo il punto!”, riprese con foga, “Quell’episodio mi ha riportata ai tempi passati! Quando solcavo i cieli ed ero l’asso del volo della Guerra Equestre!”.

“Ma lo sei ancora, Dash, lo sai benissimo!”.

“Non dire fesserie! Credi che volare a spargere insetticida sui meleti sia la stessa cosa? Che mi faccia sentire orgogliosa?”.

Twilight si rattristò leggermente: “Sì ma hai visto cos’è successo, questa notte… Per poco non ti sei fatta amazzare…”.

Rainbow si massaggiò il collo e, come folgorata, aggiunse rapidamente: “Ascolta, Twilight! C’è una cosa molto importante che devi sapere!”.

“Cosa?”, chiese spazientita.

“Non so chi siano ma, questa notte, il mio piano è saltato per colpa di un gruppo di tirapiedi capeggiati da… da un pony grigio”.

L’interlocutrice alzò le zampe al cielo: “Oh! Un pony grigio. Meno male. Ora assolderò tutti i gangster della città per far fuori tutti i pony grigi che vedo”.

“Piantala col sarcasmo. E’ una cosa seria. Quella… quella non è un sicario normale. E’ abile. Tremendamente abile”.

“Da come hanno fatto irruzione nel locale, non mi sono sembrati granché raffinati…”.

“Se avessero usato del tritolo avrebbero dato meno nell’occhio, è vero, ma ti assicuro che quella tizia sa davvero il fatto suo…”.

“Quindi?”.

“Quindi… quindi niente… State attenti”.

“Uhm. Grazie del consiglio, mamma”, la schernì, con noncuranza, “Ma ora che intenzioni hai? Vuoi rimanere al fresco ancora per un po’?”.

“Fanculo, Twilight…”, sbottò.

“Va bene, va bene… scusami. Tra qualche ora dovrebbe arrivare la firma per convalidare la cauzione. Vedi di resistere fino ad allora”.

“E... Fluttershy? E il nano viola?”, chiese, allontanando debolmente il broncio.

“Stanno bene. Dopo che la Guardia ti ha catturata, sono scappati alla Carousel Maison e ci hanno avvertiti. Ora Spike sta facendo i doppi turni al mio scantinato… Così la prossima volta ci penserà due volte, prima di fare il furbo”.

“Non essere troppo dura con lui… L’ho… l’ho convinto promettendogli delle pietre preziose”.

Sparkle sospirò sommessamente: “Sì… ok”.

Il volto del secondino sbucò dalla porta, segno che era meglio concludere in fretta.

“Va bene, Dash. Ora devo andare”.

“D’accordo…”.

L’unicorno si allontanò e, dopo pochi metri, udì nuovamente le parole dell’amica: “Ricordati… un pony grigio. Con gli occhi viola”.

“Anche io ho gli occhi viola”.

“Sì… ma tu non mi fai paura quanto lei…”.


*** ***** ***


    Twilight uscì dall’ufficio governativo, osservando il cielo nuvoloso. Forse, tra pochi minuti, si sarebbe messo a piovere, così si affrettò a chiamare un taxi, che la trasportò rapidamente alla nuova bottega: un modesto stabile dalle poche stanze (ma dotato di uno scantinato sufficientemente grande da contenere gli “attrezzi del mestiere”).

Dopo aver pagato l’autista, si diresse verso l’ingresso e cercò di infilare le chiavi nella serratura, ma la porta si aprì semplicemente sfiorandola. Qualcosa non quadrava.

    La spinse lentamente, scrutando l’interno, senza esporsi troppo. Non era armata ma aveva il suo corno, e quello poteva essere peggio del cannone di una portaerei.

Entrò nel salotto e non notò nulla di strano. Quando si avvicinò alla soglia dello scantinato, tuttavia, udì alcune parole provenire dalle scale in discesa: Spike stava parlando con qualcuno e, dal tono, non prometteva niente di buono.

Scese cautamente i gradini, con la fronte luminosa, pronta a devastare chiunque le si fosse parato d’innanzi. Fece capolino nella stanza degli alambicchi, dopo aver voltato repentinamente un angolo. Lo sguardo le si arricchì di stupore: “G-Grey Hound??”, esclamò.


    Spike, per nulla intimorito, si trovava in un angolo della camera, con le zampe in aria, in segno di resa.

“Finalmente sei arrivata”, le disse il draghetto, con tono annoiato.

Hound era ad un paio di metri da lui. In uno zoccolo impugnava una .357 mentre, nell’altro, faceva oscillare con noncuranza una grossa bottiglia vuota di Whisky. Aveva la barba più incolta del solito, ciondolava pericolosamente avanti e indietro e puzzava d’alcol più dei solventi presenti nel laboratorio.

Quando la proprietaria fece la sua comparsa, Hound impiegò qualche istante per mettere a fuoco l’immagine.

“Tu!”, urlò, con occhi arrossati, “Tu shei l’uncornio… l’un… l’unicorno viola! Twilight Shparkle!”.

“Grey Hound?? Ma… ma come…”.

“Lurida pu… puledra… Penshavi di avermi fatto fuori, eh?”, biascicò, agitando la bottiglia a mezz’aria.

“Meno male che ora ci sei tu a sorbirti questo pazzo”, aggiunse il drago, tirando fuori il solito sigaro.

“Spike! Perché l’hai fatto entrare?”.

“Entrare? Che son scemo?? Quello ha divelto la serratura con una roba sbarluccicosa dal corno e poi è piombato qui brandeggiando una pistola!”.

“Eshatto!...”, aggiunse l’altro, quasi perdendo l’equilibrio.

“Per la miseria! Ma che ti è successo?”, gli domandò Sparkle.

“Non shono affari tuoi… feccia…”.

In quel momento, l’unicorno viola rivisse ogni istante dello scontro con il Segugio di Counterlot. Non poteva credere che lo stesso rivale che tanto l’aveva inguaiata, che quasi l’aveva uccisa, ora fosse ridotto in quello stato.

“Perché sei qui?... Vuoi vendicarti?”.

Hound, sulle prime, non seppe cosa dire: “Uhh… shì…”, rispose, per nulla convinto.

“A-ah… E… Intendi farlo domani, quando sarai sobrio?”.

“Non… non shono ubriaco!”.

“Ceeerto”.

Grey sollevò la testa e cercò di bere a canna. Fece quindi l’occhiolino attraverso il collo della bottiglia, constatando come fosse effettivamente vuota: la tirò alle sue spalle, infrangendola sonoramente al suolo.

“Bah… al diavolo… E ora… preparati a morire, feccia!”, concluse, puntandole addosso la pistola.

Twilight osservò il tamburo dell’arma e non si scompose: “Grey… Quella pistola è scarica”.

L’unicorno grigio tentennò e poi premette il grilletto: una, due, tre volte, producendo semplicemente lo scatto del percussore. Buttò quindi l’oggetto e si tolse il cappello, rivelando il corno luminoso: “Non mi sherve un’arma per farti fuori, feccia!”.

Una ridicola scintilla magica si spostò dalla sua fronte al petto di Twilight. L’altra innalzò un semplicissimo controincantesimo e rispose con un’onda d’urto decuplicata.

Il Segugio incassò pesantemente il colpo con una capriola all’indietro, cadendo sul pavimento, culo all’aria e privo di sensi.

    “Oh… meno male”, esordì Spike, con un sospiro, “Finalmente sta un po’ zitto”.

Twilight lo osservò senza dire nulla.

“Aaaadesso…”, riprese il drago, “Che ne facciamo di lui?”.

L’altra non rispose.

“Beh? Lo vivisezioniamo?”, incalzò.

“N-no”, disse infine l’amica, “Direi di… di liberarcene nel solito modo”.

Spike si sfregò le mani dalla gioia e aprì un armadio poco distante. Con una zampa impugnò un badile e, nell’altra, tirò su un piccolo sacco di cemento: “Allora… fossa nelle Neverfree Forest oppure abbellimento artistico per i pesci?”.

Sparkle si avvicinò al corpo dello stallone e, per terra, forse sfilatosi dall’impermeabile, notò un portadocumenti: lo raccolse magicamente e frugò nel contenuto. Spike, intanto, continuava ad osservare i due oggetti che teneva in mano, perso in un monologo: “Uhm… certo il buco nel terreno richiede più tempo… ma potremmo fargli scavare la sua stessa fossa… d’altro canto mi sono sempre piaciute le escursioni lungo i fiumi…”.

L’unicorno viola estrasse una foto e la osservò con attenzione: ritraeva Grey Hound con una graziosa puledra. Il Segugio era quasi irriconoscibile: sguardo sereno, volto pulito e una scintilla di gioia negli occhi.

Gli occhi si posarono di nuovo sullo stallone “attuale” e qualcosa la infastidì al petto.

“Spike… riponi quella roba”, dichiarò infine, con sguardo melanconico.

“Uh? Ah! Ho capito! Incaprettamento!”, esultò, tirando fuori alcuni metri di corda.

“No, Spike. Dammi una mano a metterlo sul lettino lì in fondo”.

“Come?”.

“Dai, muoviti”, ribadì, iniziando a trascinarlo con la levitazione

“Ma… poi lo facciamo fuori, giusto?”.

“Vedremo”.

“Come vedremo?? Ti sei forse dimenticata cosa ci ha fatto quel bastardo? Il… il laboratorio! L’inseguimento! E tutto il resto!”.

“Sì, Spike, me lo ricordo come se fosse ieri”.

“E… allora… perché?”.

L’amica lanciò un’ultima occhiata alla foto, prima di riporla nel portafogli: “Non chiedermelo, Spike. Forse… forse mi sto rammollendo”.


*** ***** ***


    “Mi raccomando, Pinkie”, la esortò Rarity, appuntandosi gli orecchini, “Sei in grado di badare al locale per qualche ora, in mia assenza?...”.

“Prometto senza che tema di fallire che un proiettile mi possa colpire!”.

L’amica non parve per nulla convinta e si girò verso Macintosh: “Hai voglia di tenere le orecchie dritte per un po’, caro?”.

“Eyup. Ma dove devi andare?”.

Il pony rosa ricominciò a servire bevande ai clienti, col sorriso sulle labbra.

“Devo vedermi con Twilight per una faccenda… strana: pare che Rainbow Dash si trovi dietro alle sbarre per qualche motivo che non ho ben compreso e, forse, posso dare una zampa ad ungere gli ingranaggi. Ci sono molti pony che mi devono… parecchi favori…”, concluse, controllando in uno specchietto portatile che trucco e capigliatura fossero impeccabili.

“Dash al fresco? Questa poi… L’uccellino in gabbia, eh?”, domandò l’altro.

“Ah! Non parlarmene! Se penso che devo uscire e lasciare il locale in mano a… a…”. In quell’istante, Pinkie miscelò sapientemente un cocktail ad alta gradazione, lo poggiò con orgoglio sul bancone e, con gesto immediato, lo trangugiò in un sol colpo. L’unicorno strinse i denti dalla preoccupazione.

“Tranquilla. Orecchie dritte”, la rassicurò Big Mac.

“Grazie, tesoro”.

Uscì quindi dalla Maison, proprio al tramontar del sole: chiamò un taxi e partì in destinazione della bottega. Twilight e Spike, quasi a farlo apposta, si stavano invece dirigendo proprio verso la Carousel Maoison, per avvertirli del possibile pericolo che, forse, incombeva: i due taxi si incrociarono circa a metà strada e nessuno riconobbe gli occupanti reciproci.


Nello speakeasy, intanto, iniziava ad affluire la clientela. La barista prese ritmo nel servire e l’orchestrina nell’angolo propose il classico repertorio allegro. Macintosh rimase al bancone, con un boccale alla zampa, e la tesa del cappello ad occultarne lo sguardo circospetto. Probabilmente non sarebbe successo nulla ma la prudenza non era mai troppa, così accettò di buongrado il ruolo di osservatore. E non dovette nemmeno aspettar tanto, affinché qualcuno attirasse la sua attenzione.

Octavia fece il suo ingresso in sala, con nonchalance, accompagnata da un pugno di pony in tiro. Lo stallone li scrutò attentamente: i buttafuori li avevano lasciati entrare, sintomo che non erano armati, ma qualcosa gli diceva che non si trattava di semplici avventori.

Il pony grigio analizzò il locale, con la solita espressione di noncuranza, amareggiandosi leggermente nell’udire la melodia composta dai musicisti. I compagni, anch’essi piuttosto inespressivi, si accomodarono nelle poltrone lì vicino. Octavia, invece, prese posto su uno sgabello al bancone, proprio a fianco di Macintosh.

“Buonasera!”, esclamò allegramente Pinkie, “Cosa desideri?”.

L’altra osservò la fila degli alcolici sulle scansie e poi, con voce atona, proferì: “Sidro”.

“Okie dokie!”, e spillò uno schiumoso boccale di bevanda, trasferito al volo sotto al muso della cliente.

Mac, intanto, non la perdeva d’occhio un solo istante, sfruttando al massimo la copertura della tesa, a capo chino.

Octavia annusò e poi assaggiò, bagnandosi appena le labbra, il contenuto del bicchiere.

“Ehy…”, la riprese la barista, “Guarda che è buona… Puoi tracannarla tutta d’un fiato! Ogni due boccali, il terzo è scontato del cinquanta percento!”.

Il pony, per tutta risposta, chiuse gli occhi e degustò a fondo il sapore del sidro. Dopo averli riaperti, si girò verso i suoi accompagnatori e fece loro un cenno d’assenso.

Big Macintosh intuì che qualcosa davvero non andava.

“Com’è il sidro?”, le chiese, senza scomporsi.

“Mediocre”.

“A me non sembra poi così male”.

“Questo perché… c’è il trucco”, rispose l’altra, poggiandosi al bordo del tavolo, in direzione dello stallone.

Tra i due cadde il silenzio.

“Mi avevano detto che ce n’era uno particolarmente corpulento. Devi essere tu, immagino”.

“Ho l’ossatura pesante”.

“Significa semplicemente che le ossa fanno più rumore quando si spezzano”.

“Mai successo”.

Pinkie osservava i due senza capirci nulla.

“C’è sempre una prima volta… Comunque io dovrei andare”.

“Ma sei appena arrivata”.

“Non posso trattenermi”.

“Io, invece, vorrei che ti trattenessi ancora un po’”.

“Ci stai provando con me?”.

“Non sei il mio tipo: non sopporto le puledre che non riescono a bere nemmeno un boccale. Tieni. Prova il mio”, con quelle parole, Mac si girò di scatto, utilizzando il bicchiere a mo’ di tirapugni, del tutto intenzionato a sfracassare il muso della tizia.

Octavia lo anticipò e si gettò all’indietro con fluida agilità, quindi scattò come una molla e ridusse l’oggetto in mille pezzi, tramite un colpo di zoccolo. Il sidro schizzò in tutte le direzioni e i compagni del pony grigio balzarono in piedi, pronti a menar le zampe. Uno di loro, senza tanti complimenti, polverizzò una sedia sulla groppa di Macintosh, che si girò impassibile verso di lui, subito dopo.

“Ma che sei fatto di granito?”, blaterò lo sgherro.

“Eyup”, ripose l’altro, ribaltandolo con una testata.

E così partì la rissa.

    La banda smise di suonare e, dai presenti, si levarono alcune urla isteriche, unitamente a qualche verso d’incredulità.

Octavia si allontanò dallo stallone, lasciando che i tirapiedi lo circondassero e si prendessero cura di lui. Afferrò quindi un coltello dal bancone e lo scagliò verso i musicisti, sfiorandone uno e piantandolo nel muro subito dietro: “Continuate a suonare, branco di incapaci! Interrompere una melodia a metà è come ucciderla!”. Il gruppo riprese immediatamente e a ritmo accelerato.

La clientela e le ballerine iniziarono a dileguarsi, mentre Big Mac incassava e restituiva le botte dei suoi assalitori, come un toro infuriato, utilizzando ogni cosa che gli capitava sotto zampa come arma improvvisata.

“Ehy! Il mio coltello!”, disse Pinkie Pie, con volto dispiaciuto, “Hai lanciato il mio coltello!”.

L’altra non la degnò nemmeno di uno sguardo: “Torna a servire cialappe, ragazzina, e stanne fuori”.

Ma il pony rosa non era d’accordo: prese una lama dal set da cucina e scavalcò il bancone, portandosi davanti ad Octavia, la quale, a sua volta, ne afferrò un altro e assunse una postura difensiva.

“E poi devi pagarmi il boccale!”.

“Tu scherzi col fuoco, ragazzina”, la minacciò.

“Fuoco??”, biascicò Pinkie. In quell’istante, le venne in mente il Sugarbooze Corner in fiamme, fino a sentirne il calore sul volto: “Il fuoco è una cosa brutta!”.

“Basta. Mi hai stufato”.


    Octavia mollò un fendente verso la gola del pony rosa ma, con sommo stupore, colpì soltanto l’aria. Pinkie si era scansata di una spanna appena, con il pensiero ancora rivolto al suo amato locale.

“Il mio povero Sugarbooze!...”, piagnucolò.

L’aggressore rimase interdetto e si lanciò in una serie di attacchi, con la chiara intenzione di farla fuori. Nonostante la sua tecnica fosse spettacolare, alla pari di una ballerina mortale, non riusciva a capacitarsi di come l’avversario continuasse a schivare ogni singola mossa.

“Ma… ma… che diavolo sta facendo?? Come ci riesce?? Non sta nemmeno usando una tecnica! E’ come se… come se si stesse muovendo a casaccio!”.

La lama, ogni volta, le passava ad appena qualche millimetro dalla pelle, senza causarle la benché minima ferita. Pinkie Pie, tra balzelli e capriole scoordinate, si limitava a sorriderle e ridacchiare infantilmente.

“Stronza! Sta ferma! E non sta usando alcuna mossa particolare! Si muove a istinto! Non riesco a decifrarne le intenzioni…”.

“La smetti di schivare, sottospecie di rospo saltellante??”, sbottò infine, rompendo la calma che l’aveva da sempre contraddistinta.

“Uh… Okie dokie! Come vuoi! Non schivo più!”, e, come se nulla fosse, passò dallo schivare al fendere la lama. Octavia dovette fare appello ai propri nervi d’acciaio, quando vide il pony rosa, completamente incurante della propria incolumità, passare all’attacco, trepidante di felicità.

Anche i suoi affondi erano dettati dal caso, rischiando di raggiungere la carne del pony grigio, che cercò di difendersi disperatamente con l’arma che impugnava.

L’orchestrina, intanto, aumentò il ritmo dello swing, completamente assorta nell’osservare la coppia furiosa, quasi stessero danzando entrambe.

Octavia iniziò a sudar freddo, ritrovandosi improvvisamente spalle al muro e con la lama di Pinkie al collo. Tutto avvenne così in fretta…

“Ah! Ho vinto!”, esultò. “E adesso… cupcakes!”, concluse, con occhi da matta.

L’altra, vedendo quello sguardo, provò semplicemente una paura grezza: quella strana sensazione che non l’affliggeva da tempo immemore. Strinse denti e pupille.

    La gamba di una sedia divelta si diresse verso il capo del pony rosa, che mollò la presa su Octavia e schivò inspiegabilmente l’oggetto. L’altra non ci pensò due volte e si tolse di mezzo: “Via! Via!! Andiamocene da qui!”, ripetè più volte. Dentro di lei si fece strada il panico. Non le era mai successo e la cosa le fece quasi mancare il fiato in corpo.

I tirapiedi, completamente pesti (qualcuno appena in grado di trascinarsi) si allontanarono da Big Mac e guadagnarono l’uscita. Lo stallone era un po’ malconcio: nulla che non avesse già passato in scazzottate passate.

“Ehy! Dove stanno andando? Vanno già via?”, domandò Pinkie, delusa.

“Scappano come conigli, ecco cosa”, esordì l’altro, con un leggero fiatone.

“Ma il party era appena iniziato!...”.

Lo stallone scrutò il locale in disordine, ormai praticamente deserto e, specchiandosi in una bottiglia, si accorse di avere un occhio nero.

“Noi… noi dobbiamo continuare?”, chiese timidamente uno dei musicisti.

L’altro ci pensò un attimo: “Doppia paga se ci date una mano a ripulire questo macello”.

Gli strumenti vennero rapidamente poggiati a terra: “Affare fatto!”.


*** ***** ***


    Il taxi, con l’elegante unicorno bianco al suo intero, si infilò tra le strade cittadine, rallentando in presenza del traffico.

“Oh.. Oh! Per la miseria! Oh no! E’ terribile!!”, urlò improvvisamente, assordando l’autista.

“Che?! Cosa? Che succede??”, farfugliò l’altro, che per poco non inchiodò.

“E’ una tragedia! Sta iniziando a piovere!”, si lamentò, scorgendo i primi goccioloni d’acqua sui finestrini.

“C-cosa? Tutto qui?”.

“Lei non può capire! Con l’umidità la mia chioma si rigonfia in modo orribile!”.

“Ehm… non ha un ombrello, signorina?”.

“Ma certo che ce l’ho! Non sono mica una sprovveduta! Ma basta l’aumento di umidità che… oh ma cosa vuole capirne lei… con quella cravatta tremendamente fuori moda…”.

Il poverino si osservò la cravatta: “Cosa… cos’ha che non va la mia cravatta?...”.

    Dopo circa un quarto d’ora, il taxi accostò vicino alla bottega di Twilight. Rarity aprì la portiera, quasi contemporaneamente all’ombrello.

“…Quindi… Lei dice: una camicia chiara con abbinata cravatta amarena e gilet in camoscio?”, le chiese l’autista, completamente assorto.

“Ma certo, dolcezza. Metterebbe in risalto i suoi zigomi incavati!”. L’altro si scrutò allo specchietto retrovisore e sorrise. Accettò il pagamento e, dopo averla ringraziata, si allontanò.

“E si faccia crescere un paio di baffi!”, esclamò infine l’unicorno, sperando che il tizio riuscisse ancora a sentirla.

    Pioveva a dirotto, quindi non c’era motivo per attendere all’esterno. Il pony si avvicinò all’uscio, stando attenta a non bagnarsi le scarpe nuove, e bussò delicatamente. La porta si scostò debolmente, sotto i leggeri colpi dello zoccolo.

“Uhm… hanno lasciato aperto?”, si chiese, scrutando l’interno.

“Ehm… Twilight! Spike? Spikino ciccinooo?? C’è qualcuno?”. Non ottenne risposta.

“Oh! Col cavolo che me ne sto qui fuori a farmi la doccia: io entro!”. E così fece.

Le sue prime reazioni, di fronte al salotto un po’ in disordine, furono di repulsione: “Ma… guarda che caos! Oh! E l’arredamento?? Ma credono che viviamo ancora nelle caverne? Pazzesco…”.

Controllò tutte le stanze (senza risparmiarsi sui soliti commenti circa l’arredo) e poi, spazientita, sbuffò: “Vi prego… non ditemi che è di sotto, in quel laboratorio dalle puzze insopportabili…”.

Urlò il nome dei proprietari ancora un paio di volte, di nuovo senza alcuna risposta: tanto bastò per spronarla a scendere verso il seminterrato.

“Bleah! Che schifo! Cos’è quella chiazza nell’angolo e… oddio… una trappola per t... Eewww!...”.

Quando voltò l’angolo, infine, si ritrovò tra gli alambicchi della sala. Tutto era silenzioso.

Notò quindi un pony, seduto pesantemente su un lettino in un angolo. Sulle prima non capì chi fosse ma, dopo aver aguzzato lo sguardo, lo riconobbe e sbottò: “M-m-ma tu sei… Grey Hound!!”.

L’altro, con lo sguardo perso nel vuoto, drizzò improvvisamente le orecchie. La sbronza le era quasi passata del tutto e, udendo le parole di Rarity, ruotò lentamente il capo verso di lei, con le palpebre spalancate.

“Quella voce…”, esordì Hound, “Quella voce la riconoscerei tra mille…”.

Nella propria testa rivisse il momento dello sparo, seguito dalle parole di un pony che non ebbe mai la facoltà di vedere, fino a quel momento: “Grazie al potere d’arresto di una pallottola, stronzo!”.

“Tu!”, disse, alzandosi dal giaciglio, “Tu sei la puledra che quella sera mi ha sparato…”.

Rarity deglutì rumorosamente e fece un passo indietro. Grey iniziò a muoversi verso di lei, con passo implacabile e una strana scintilla negli occhi.

“G-Grey? Come… com’è possibile che tu sia…”.

“Vivo? Sei sorpresa, bellezza?”, chiese ironicamente, diminuendo la distanza che li separava.

Colta da panico improvviso, l’unicorno bianco strizzò gli occhi, scagliando una saetta arcana verso l’interlocutore. La magia si infranse, tra mille scoppi e crepitii, ad una spanna dal Segugio: era di nuovo in forma e il controincantesimo funzionò perfettamente.

Il pony bianco si trovo spalle al muro e Grey Hound alzò uno zoccolo, abbattendolo pesantemente sulla parete, a pochi centimetri dal muso di Rarity.

“Nessuna puledra si era mai azzardata a spararmi, fino ad allora”.

“I-io…”, balbettò l’altra, con voce tremante.

“E la cosa… mi fa letteralmente impazzire”, concluse, affondando il muso tra le calde labbra dell’unicorno bianco.

Rarity sgranò gli occhi, senza dire nulla. Il bacio durò alcuni secondi, poi Hound si ricompose e la osservò intensamente. L’altra, per tutta risposta, gli mollò un ceffone tale da mandargli il cappello per terra.

“Tu! Come… come ti permetti!! Tu… bruto! Tu… tu!...”, ma non riuscì a trattenersi e gli saltò addosso come una pantera, lanciando entrambi sul pavimento.


*** ***** ***


    “Sai che ti dico?”, biascicò il trombettista a Pinkie, con parecchi boccali vuoti davanti al muso, “Secondo me… la vita è come una sinfonia. Bisogna saperla leggere… interpretare… e poi suonare, con il tuo tocco personale”.

“Ooh…”, rispose l’altra, completamente assorta da quelle parole.

Un collega, con la camicia parzialmente sbottonata, seduto poco distante, si mise ad agitare una bottiglia a mezz’aria: “Uoo… Roba profonda, amico! Sai invece che ti dico io?... Che non mi fregano!”.

Seguì una pausa.

“…Chi?”, chiese un altro.

“Sai, no?... Loro…”.

“Ahh!... Chi?”.

“Massì, dai…”, gli sussurrò, avvicinandosi all’orecchio, “Gli spazzini…”.

“Cosa?”.

“Sì, gli spazzini! Sempre in giro, giorno e notte… con quelle loro scope sinistre… i carretti pieni di immondizia… che secondo me non ci mettono dentro l’immondizia… ci infilano invece delle cose… importanti”.

“Che… che genere di cose??”, domandò Pinkie, assolutamente eccitata.

“E’ tutto un complotto!”.

“Ma smettila!”, lo ammonì uno.

“Non scherzo! Loro raccolgono le bucce di banana!”.

“E allora?”.

“Sai quanto è pericolosa una buccia di banana? E’ facile scivolarci sopra… Se loro raccolgono tutte le bucce… le mettono da parte… e poi le riversano in strada, tutte insieme, nessuno potrà più uscire o rischierà di cadere! E così conquisteranno tutta Equestria!”.

Seguì un’altra pausa.

“Tu sei tutto scemo…”.

“Io ti credo!”, proruppe il pony rosa, con sguardo serio.

“Avete finito di sparare stronzate?”, urlò Macintosh, in disparte, con una bistecca sull’occhio.

    In quel momento, Twilight e Spike fecero capolino nel locale, totalmente straniti: “Ma… che è successo?”, domandò il draghetto.

“Abbiamo fatto un party!”, rispose Pinkie, con un sorriso.

“Party?”, ripeté Sparkle.

“Dei tizi, capeggiati da un pony grigio, sono entrati nel locale”, spiegò Mac.

L’unicorno si ricordò delle parole di Dash: “Un… un pony grigio?...”.

“Sì… Ha assaggiato il nostro sidro… E, secondo me, sa che ci mettiamo qualcosa dentro, per renderlo più gustoso”.

“La cosa non mi piace per nulla”, aggiunse l’altra, senza nascondere la preoccupazione.

“Già. Secondo me abbiamo un nuovo, pericoloso concorrente, in città”.

“Per me sono alleati con gli spazzini…”, buttò lì uno dei musicisti.

“Fuori dai piedi, buffoni!”, tagliò corto lo stallone, “Avete preso i soldi e bevuto a sbafo, ora via!”.

“Ehh!... Va bene, non ti agitare… Andiamo ragazzi… Stasera abbiamo un concerto da quella vecchia riccona dalla pelle rattrappita…”. Gli altri rabbrividirono, trascinando mollemente gli strumenti con loro.

    Spike si spostò la coppola, grattandosi la testa: “E… adesso?”.

“Niente… Sono scappati”, rispose Macinotsh.

“Hai idea di dove possano essere andati?”, ribatté Twilight.

“Nope”.

“Però… sapevano che qui veniva servito del sidro corretto… Erano sicuramente ben informati”.

“Eyup”.

“E se…”, azzardò Sparkle, con volto preoccupato.

L’enorme stallone, improvvisamente, drizzò le orecchie, percependo una fitta al petto: “La… la tenuta…”. Si alzò di scatto e si diresse verso l’uscita.

“Ehy!”, urlò l’unicorno, “E’ solo un’idea! Non è detto che…”.

“Non voglio rischiare”.

Spike osservò l’amica, stringendo i denti: “Forse… forse non ha tutti i torti”.

L’altra si incupì: “No… non ce li ha…”, ammise, “E’ meglio se andiamo con lui”.

“Sì! Evviva! Cupcakes!”.

“No, Pinkie! Tu rimani qui”, l’ammoni Twilight, spegnendole immediatamente l’entusiasmo.

“Ma!.. Ma!... Cosa?? Perché?...”.

“Qualcuno deve rimanere a controllare il locale”.

“Sì… ma…”.

“Ti prego, Pinkie… Dobbiamo correre immediatamente alla tenuta Apple… E il locale deve restare al sicuro…”.

Il pony rosa si intristì debolmente ma poi annuì: “Va bene… Però non state via tanto, ok?...”.

“Promesso”.


    Il trio uscì in strada, dirigendosi verso la Dodge di Macintosh: il proprietario aprì il portabagagli ed estrasse un Thompson Coltago Version, che buttò al draghetto, senza tanti complimenti. Spike incassò il peso dell’arma. Metodicamente, salì sull’auto e mise in moto, facendo rombare il motore truccato: “Salite. Svelti”, ringhiò. I due ubbidirono e l’auto sgommò a tutta velocità.

Il drago, sul sedile posteriore, continuava ad osservare l’arma, costantemente sballottato dalla guida “sportiva” del guidatore. Twilight si girò verso di lui.

“Spike? Tutto bene? Sei… sei in grado di usarla? O preferisci darla a me?”.

L’altro deglutì. Il suo sguardo era incerto. Estrasse un sigaro, con zampe tremanti, e se lo accese, inspirando profondamente un’abbondante dose di fumo.

“N-no”, rispose, “Io… io ce la faccio”.

L’amica gli sorrise: “Tranquillo… magari arriviamo là e non sta succedendo niente”.

Il mezzo, dopo aver attraversato a tempo di record la città, imboccò uno sterrato di campagna, sobbalzando ad ogni buca. Dopo qualche istante, in lontananza, apparve la tenuta Apple e Macintosh premette sul gas: “Hai parlato troppo presto”, disse a Twilight.


    Di fronte al caseggiato erano parcheggiate, di sbieco, alcune auto nere. Dietro di esse, utilizzate a mo’ di copertura, una decina di pony armati intratteneva uno scambio di proiettili con gli occupanti della casa. Alcuni corpi erano già stesi a terra, in mezzo all’erba, ma i rumori degli spari erano continui e regolari, sintomo che la battaglia non stava certo per concludersi.

All’interno, con il volto scolpito in una smorfia, Applejack scagliava supposte di piombo da mezzo centimetro, tramite il Remington di famiglia. Ad ogni colpo, Applebloom, in un angolo, si tappava le orecchie e strizzava gli occhi, quasi sul punto di piangere.

“Applejack!”, le urlò, con voce terrorizzata.

“Piccola!”, intimò, “Non ti muovere da lì! E tieni la testa giù, capito??”. Si sporse dalla finestra. Chiuse un occhio. Collimò le diottre. Mise a fuoco il bersaglio. Premette il grilletto. Lo sfortunato ruzzolò nella polvere, accompagnato da un boato.  I colleghi risposero con una selva di proiettili e il pony arancione si ritrasse prontamente.

“Ho paura!”.

“Tranquilla, zuccherino… Stai giù e tutto andrà bene…”.

Un paio di ali paglierine la circondarono: “Calmati”, sussurrò Fluttershy, con voce dolcissima, “Ti tengo al sicuro”.

A piano terra, intanto, dietro un’altra finestra, la vecchia GrannySmith infilava le cartucce nelle canne della lupara. Gli spari dei visitatori le sibilavano vicino, incassandosi nel legno delle pareti e rompendo saltuariamente oggetti d’ogni sorta. La vecchia si portò vicino un piccolo vaso di fiori, mettendolo al sicuro, quindi puntò l’arma e la vuotò sonoramente: “Guai a voi she mi rovinate i gerani, bashtardi!”.


    Dal lato opposto ai sicari, la Dodge di Macintosh arrivò come un treno. I tizi trasalirono e spostarono il fuoco verso i nuovi arrivati. Twilight si sporse dal finestrino, con la criniera scompigliata dalla velocità, ed evocò una bolla di protezione, che deviò ogni colpo in arrivo.

Big Mac sterzò bruscamente, compiendo un’ampia parabola attorno agli sgherri: “Spike!!”, urlò, “Spike, spara!”.

Il draghetto, praticamente in iperventilazione, lanciò un urlo da battaglia, sfondò il vetro e premette il grilletto. L’arma iniziò a vibrargli ripetutamente tra le zampe. Non vide dove finirono i colpi ma tanto bastò a far abbassare la testa ai nemici.

La macchina si arrestò.

“Applejack!!”, urlò il fratello.

“Maaac!”, rispose l’altra dalla finestra, “Ce ne sono altri che tentano di entrare dal retro!!”.

La sparatoria ricominciò, impedendo ai due di parlare ulteriormente.

“Merda!”, urlò lo stallone.

“Che facciamo?”, chiese Twilight, mantenendo attiva la barriera. Spike, intanto, sdraiato sul sedile, ansimante, cercava di riprendere fiato.


    La sorella si spostò alla finestra che dava sul giardino posteriore e si accorse, con terrore, che un manipolo di piromani aveva appena incendiato l’uscita.

“No… no! No! No!”, ripeté.

“Che succede??”, chiese la sorellina, tenendosi stretta al pegaso.

L’altra si osservò attorno con nervosismo e agitazione sempre più incontrollabili.

“Se Mac non ci toglie quelli davanti… non potremo uscire! E la casa brucerà!”, esordì, dimenticandosi della presenza di Applebloom.

“Cosa??”, strillò la piccola.

Applejack cercò di calmarsi, al fine di pensare chiaramente. L’attenzione si soffermò sulle ali dell’amica.

“A-ascolta, Fluttershy…”, le disse con titubanza, “Ce… ce la fai a volare fuori, portando Applebloom con te?”.

La sorellina scosse vigorosamente il capo, con gli occhi umidi.

“I-io… Io credo di sì…”, rispose.

“Allora prendila e vola lontano!”.

“No! Applejack! Non voglio lasciarti!”. Ma l’altra non sentì ragioni: posò per un istante l’arma, sollevò Applebloom e la mise tra le zampe di Fluttershy.

“Vola veloce come il vento! Io ti coprirò da qui!”.

“D’accordo”, le disse, sapendo che la criticità della situazione richiedeva misure altrettanto drastiche.

“Applejack!!”, sbraitò nuovamente la piccola.

“Sei pronta?”, chiese il pony arancione, fucile alla mano, a fianco del davanzale, “Uno… due… vai!!”.

Il pegaso caricò un balzò e si fiondò all’esterno, come una molla, iniziando immediatamente a sbattere le ali. L’altra tirò fuori il Remington e inchiodò sul posto uno degli invasori. Gli altri spararono alla rinfusa. Fluttershy udì alcuni colpi passarle molto vicino.

    Uno dei (tanti) proiettili, mandò il vaso di fiori in mille pezzi. GrannySmith assunse un’espressione scocciata, abbandonò la lupara e, a passo di lumaca, mentre altri colpi impattavano nei dintorni, si avvicinò ad un portagioie. Lo aprì, estrasse un oggetto e lo scagliò fuori dalla finestra. Dopo qualche secondo, le vetrate esplosero e una nube di detriti invase il salotto.

“Queshto è per avermi rovinato i gerani, shtronzi!”, berciò la vecchia, in mezzo al polverone, agitando uno zoccolo a mezz’aria.


    Gli amici assistettero all’intera scena. Lo scoppio mandò a terra gran parte degli aggressori.

“Per la miseria…”, esclamò Twilight, con stupore, “La vecchia sa il fatto suo…”.

Poi la videro: Fluttershy saettò all’esterno, cercando di allontanarsi. Mac riconobbe a colpo d’occhio il fiocco rosso della sorella: “Applebloom!!”, urlò.

Un altro pegaso, forse appostato nei paraggi, spiccò il volo, placcando le due e costringendole a precipitare nel giardino dietro il caseggiato, oltre la visuale.

“Noo!!”, esordì infine lo stallone, catapultandosi all’esterno della macchina e galoppando come una furia.

“Oh merda! Spike! Coprilo!”, aggiunse l’unicorno, concentrandosi per mantenere viva la barriera.

Il draghetto cercò di non perdere la calma: cambiò il caricatore circolare, fece scattare l’otturatore e prese quindi a vomitare fuoco verso i superstiti dell’esplosione.


    Quando il fratello raggiunse Applebloom, vide chiaramente Fluttershy a terra, dolorante, mentre il rapitore teneva la sorella contro il petto, con una pistola puntata alla tempia. Si fermò.

“Lasciala… subito… andare…”.

“Nemmeno per sogno”, rispose l’altro, con un ghigno, “Tu, piuttosto… dietro front, oppure le faccio un buco in testa”.

“Maaac!”, pigolò Applebloom, con il volto rigato dalle lacrime.

Lo stallone quasi si spezzò  i denti, a furia di stringerli tra loro. Non ci capì più nulla: con passo inesorabile, prese a muoversi verso il pegaso, che strabuzzò gli occhi.

“Ehy… ehy! Fermo! Fermati ho detto!”. Ma l’altro non lo ascoltò.

“Guarda che l’ammazzo!”. Ma qualcosa gli fece intuire che, in un modo o nell’altro, non si sarebbe arrestato. Che avesse o meno ucciso la sorella, il bestione gli avrebbe sicuramente spezzato il collo, così puntò l’arma verso di lui e premette il grilletto.

Il fratello si bloccò per un istante, incassando la pallottola, ma poi riprese.

“Noo! Maaac!”. La sorella venne scagliata a terra. Il tizio strinse l’arma con entrambe le zampe e stabilizzò la mira. Premette il grilletto altre tre volte e, ripetutamente, non fece altro che rallentare il suo avversario. Nel panico e col sudore in fronte, chiuse un occhio e puntò al volto dello stallone.

Si udì uno sparo. Una fugace nuvoletta rosa apparve dietro la chioma del sicario, che capitolò all’indietro.

Dalla finestra lontana, Applejack scarrellò l’arma, espellendo un bossolo che tintinnò diverse volte sul parquet.


*** ***** ***


    Grey Hound si portò le zampe alla fronte, seduto sul bordo del lettino. Rarity, con il lenzuolo tirato fino al collo, lo osservava con vaga tristezza, mentre gli passava una zampa sulla schiena.

“Suvvia, dolcezza… E’… insomma… Succede a tutti …”.

Il Segugio si voltò amareggiato: “Non… non è questo…”.

“Ah… no?”.

“No… Cioè… Non esattamente…”, disse combattuto.

Il pony bianco gli cinse la vita con gli zoccoli: “Vuoi parlarmene?...”.

“Io… io non lo so…”.

Rarity non disse più nulla e si limitò ad appoggiare teneramente la guancia sul collo dell’altro, che lentamente si sciolse: portò magicamente il portafoglio verso di lei e le allungò una fotografia.

“Carina… Chi è?? La tua fidanzata??”, ringhiò, con sguardo vendicativo.

“Lei è… era… mia moglie”.

“Cos… tu sei sposato??”, esclamò.

“Ho detto… era…”.

“Vi siete lasciati?”.

“E’ morta”.

Rarity si ritrasse di colpo, portando entrambe le zampe alla bocca: “Oh! I-io… Scusami… io non…”.

“Tranquilla. E’ tutto a posto”.

“M-ma… quando è successo?...”.

“Quattro anni fa. Da allora non sono più riuscito a frequentare nemmeno una puledra…”.

“E’… comprensibile …”.

Hound si incupì profondamente.

“Però”, cercò di consolarlo, “Dovrai superare, prima o poi… Sennò ti rovinerai la vita…”.

“Eh”, ridacchiò, “Me la son già rovinata, non c’è più niente di salvabile”.

“Non dire così”.

“Se… se sapessi come… cosa è successo…”, sussurrò.

“Non sei obbligato a dirmelo, se non vuoi…”.

Lo stallone fece una pausa, sospirò e poi prese a raccontare: “Ci eravamo sposati da poco più di due mesi, trasferiti freschi freschi in un appartamento a Ponymood. Hai presente la classica coppietta di sposini?... Lei… lei era scrittrice. Io lavoravo come impiegato in un negozio di fiori”.

L’altra si sbalordì.

“Lo so. Non si direbbe”, continuò, “Comunque… Mi era stato offerto un lavoro come Guardia Celeste. Degli Agenti mi dissero che avevo del potenziale, che sarei stato all’altezza e avrei ricevuto una buona paga. Ma io rifiutati. Non volevo rischiare di finire ammazzato, lasciando mia moglie sola. E poi… avevamo intenzione di avere dei piccoli… E certi lavori non funzionano bene, se hai una famiglia”. Le parole vennero interrotte da un altro sospiro. “Mi ricordo che… una sera… rincasai più tardi del solito… Quando raggiunsi la porta dell’appartamento, la trovai divelta. Dentro c’era disordine ovunque. Il mio pensiero andò subito a Coraline… sì, insomma, a mia moglie. La.. la trovai…”. Il fiato gli venne meno e l’unicorno bianco gli strinse il volto al petto. “La trovai priva di vita, vicino al letto. Un paio di teppisti era su di lei, increduli… terrorizzati… Con il sennò di poi, so cosa successe: due rapinatori da quattro soldi volevano rubare qualche gioiello, entrando di prepotenza in un appartamento. Quando trovarono Coraline… la presero e la legarono… Ma erano inesperti… Bastò loro stringere un po’ troppo i nodi… imbavagliarla in malo modo… affinchè… affinchè lei… Ma, sul momento, persi il controllo. Diedi sfogo a tutta la mia magia… e i due non superarono la notte”.

“Io… io non so cosa dire… Mi dispiace tantissimo”, rispose l’altra, con sincerità.

“Il giorno seguente decisi di accettare l’offerta come Agente Governativo. Fu allora che divenni Grey Hound, il Segugio di Counterlot, uno degli Agenti più spietati dell’intera Equestria. Giurai che avrei trovato e consegnato alla giustizia tutta la feccia che avessi incontrato. Ho passato questi quattro anni ad odiare me stesso e gli altri… Sfogando la mia frustrazione su coloro che ritenevo ingiusti…”.

Dopo qualche istante, Hound si riprese e si scostò dall’abbraccio di Rarity: “Io… scusami… Mi sono… lasciato andare”.

“Hound…”, gli rispose dolcemente, “La tua è una storia tristissima… Non sapevo avessi passato tutto questo”.

“Già… Ho solo provato odio… odio… E altro odio… Fino a… fino ad oggi”, ammise, girandosi verso il pony dalla chioma viola.

“Smettila!”, farfugliò, passandosi uno zoccolo sotto la guancia, “Così… così mi rovino tutto il trucco!”.

Passarono alcuni istanti.

“Però… c’è una cosa”, riprese Rarity, come folgorata da un pensiero, “Hai detto… quattro anni fa, giusto?”.

“Sì. Perché?”.

“Io, quattro anni fa, iniziai il mio ingresso nell’alta società. Mi ricordo… mi ricordo che conobbi un tizio che lavorava per il Governo Celeste… Però non chiedermi il nome… Mi disse tante cose, inclusi degli accenni sul Segugio di Counterlot…”.

“Ah, sì? E cosa ti disse di me?”.

L’altra si fece titubante: “Ecco, io… ricordo… insomma mi disse che il Governo aveva… ‘forzato’ la tua entrata in campo, attraverso ‘incidenti che capitano’…”.

Lo sguardo di Hound si fece perplesso: “Cosa? Come sarebbe a dire?”.

“Io… io non lo so. Il vero significato lo ignoravo allora e lo ignoro ancora adesso… Mi è sembrata una cosa singolare che… che avresti dovuto sapere… magari non è niente…”.

Strani pensieri attraversarono la mente dello stallone, che si fece silenzioso.

“Tutto bene?...”.

    L’ex agente si alzò improvvisamente, iniziando a vestirsi di gran fretta.

“E-ehy! Che stai… che stai facendo?”.

“Perdonami, dolcezza… Le tue parole… hanno risvegliato in me antiche incertezze… Dubbi che sono intenzionato a dissipare…”, le rispose, afferrando con decisione la .357.

“Ma!... Fermati! Dove vuoi andare?”, gli chiese, preoccupata.

Lo stallone si girò verso l’unicorno bianco e, subito dopo essersi sistemato il cappello, le sfiorò il mento con una zampa: “Ascoltami, pupa… Devo portare luce sul mio passato… Devo capire chi sono veramente…”.

“Ma… tu non ne hai bisogno… Tu sei Grey Hound!… Tu sei… il mio Segugio…”, sussurrò, con gli occhi lucidi.

“Sei la femmina più sensuale e dolce che abbia mai conosciuto… Ma devo capire alcune cose. Devo farlo… per Coraline”.

“Allora vengo con te!”.

“No. Devo farlo da solo… Ti prego di capirmi…”.

“Ma… Ma non sarà nulla di troppo pericoloso, vero?”.

“Pericolo è il mio secondo… anzi terzo nome”.

“Il secondo è ‘Testa di Cazzo’, vero??”, lo ammonì rabbiosamente, tirando su col naso, a zampe conserte.

“No… è Sbruffone”, rispose, baciandola di sfuggita, prima di allontanarsi.

“Ecco, vattene, bastardo!”, piagnucolò l’altra, ancora con il lenzuolo stretto al petto, tirandogli il cuscino sulla schiena, “Vattene e non tornare!”.

Hound uscì dal laboratorio e chiuse pesantemente la porta dietro di sé.

L’unicorno bianco, con il labbro tremolante, disse sottovoce: “No… Non è vero… Non andartene… Torna… ti prego…”.

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Capitolo 4
*** Guardie e Ladri ***


Grey Hound osservava il paesaggio notturno saettare attraverso il finestrino incrostato di lerciume. Era così sporco e opaco che a fatica si poteva distinguere uno spicchio di luna nel cielo.

Attorno lui, accompagnata dal ritmico rumore delle rotaie sotto le carrozze, una manciata di pony dallo sguardo inespressivo si dedicava a svariate (e poco impegnative) faccende: c’era chi leggeva il giornale, chi dormiva, chi smaltiva la sbronza e, per ultimo, una tizia che piangeva su una rosa rossa, poggiata sul sedile. Viaggiare in classe economica era tutto ciò che le tasche dello stallone gli avrebbero permesso, quindi non vi era altra scelta, ed il treno rimaneva il mezzo più rapido per raggiungere Counterlot: la città-fortezza del Governo Celeste.

Il Segugio, con sguardo melanconico, sospirò ed iniziò uno dei suoi monologhi interiori, sempre coadiuvato dalla profonda voce da stallone vissuto.


    “Feccia. Ecco come avrei definito un tempo i passeggeri di questo vagone. Ma, questa volta, non ero io quello meno sporco o meno disperato degli altri.

E’ curioso come le situazioni possano ribaltarsi, da un momento all’altro. Un paio di settimane fa ero il Segugio di Counterlot, il Cacciatore di Criminali, la Giustizia fatta a stallone. Ora ero Grey Hound: l’unicorno stanco e trasandato, il tizio nerboruto dal vago puzzo di alcol, qualcuno che vorresti evitare di incontrare nel vicolo dietro casa”.

Un tizio, nel sedile attaccato al mio, si appisola con un ronfo sommesso: il suo capo scivola mollemente sulla mia spalla. Maledizione. Ed io che pensavo di avere problemi di igiene personale, ultimamente. Lo catapulto dall’altro lato del vagone, con un colpo di zampa. E’ così rintronato che manco se ne accorge.

“E’ così che vuoi finire, vecchio caprone? Come quello? Sudicio, assonnato, senza uno scopo?

Ma, dopotutto, qual è il mio scopo? Cosa ho fatto nella vita? Prima cacciavo i criminali e tanto bastava a tenermi lontano dall’amara verità. E qual è la tua verità, Hound? Cosa nascondi?...

La verità… La verità è che io volevo vivere in tranquillità con Coraline. Avere dei figli. Una famiglia. Ho forse chiesto troppo?...”.

Sospiro nuovamente.

“Poco importa, adesso. Le cose sono andate diversamente”.

Il treno rallenta. In lontananza scorgo le luci di quella gabbia di cemento che è Counterlot. La “Vergine Invalicabile”, la chiamavamo all’accademia, poiché nessuno era mai riuscito a entrarvi dentro, se non sotto esplicito invito.

I freni stridono. La stazione è prossima all’arrivo.

Prendo il cappello. Non sia mai che esca senza il mio cappello. Il treno si ferma.

Mi alzo e mi dirigo con noncuranza verso l’uscita: mentre cammino, passo accanto alla puledra con la rosa rossa. I suoi occhi sono chiusi e le lacrime ancora calde.

“Spera sempre in un futuro migliore”, le dico, con voce roca, “Non sia che il domani ti riservi qualcosa di meno tragico del passato”. Lei apre le palpebre e mi osserva.

“Che stronzo che sei, vecchio. Tu a compatirti e piagnucolare e poi snoccioli consigli da caposcout alla prima ragazzina che vedi”.

Al diavolo. Me ne vado.


    Ed eccomi all’esterno, sul binario d’arrivo della stazione. Counterlot si staglia sullo sfondo, enorme e maestosa, proprio come me la ricordavo. Non è cambiata di una virgola: enormi mura di cinta a protezione di altissimi edifici governativi, il tutto farcito da una miriade di luci brillanti, sintomo che l’elettrica è un lusso che ormai si può permettere quasi chiunque. Ma io so bene che si tratta di un Lager travestito da bella signora.

“Bando alle ciance, vecchio. Non sei qui per turismo”.

Giusto. Sono qui per scoprire… la verità.

Abbandono la stazione, trovandomi d’innanzi ad una scura strada di asfalto, che conduce direttamente alla città. Parcheggiato in silente attesa, un gruppo di taxi non aspetta altro che un possibile cliente da trasportare. E, almeno per questa notte, uno di loro sarà accontentato.

    Mi avvicino al primo che vedo. L’autista è appisolato sul sedile, con il capo chino e sbavante. Apro la porta, mi siedo e la richiudo violentemente. L’altro si desta di colpo.

“Mi porti a Counterlot, per piacere”.

“Come sei gentile… In circostanze migliori sarei stato più diretto, ma stavolta il basso profilo è d’obbligo. E quindi evviva la cortesia”.

Il tizio (fortunatamente di poche parole) macina i chilometri e mi scarica di fronte all’enorme portone d’ingresso della fortezza. Nessuno ha il permesso di entrare a Counterlot, almeno che non sia accompagnato da un documento ufficiale o con le manette ai polsi. Io le manette ancora le tengo nel tascone della giacca, ma non credo avrebbe molto senso presentarmi come reo confesso di un fatto che ancora non ho compiuto (ma che sono intenzionato ad ultimare).

“Parli troppo. Taglia corto”.

Giusto. Ringrazio Bobby e gli sgancio gli ultimi verdoni che mi sono rimasti. Che tenga il resto. Anzi: che gli vada di traverso, per quel che mi importa.


    Ci siamo: le porte di Counterlot; le vedette sulle mura; la guardiola farcita di Agenti.

Entrare di prepotenza è fuori discussone. Un paio d’anni fa e senza la ferita alla schiena, che ancora mi brucia, forse sarei entrato senza suonare il campanello.

“Maledetta femmina…”, dico tra me e me, ripensando a quello schianto di Rarity e a come mi aveva conciato sullo zeppelin.

L’agente all’ingresso mi scruta con fare interrogativo.

“Ehy, vecchio… quel tizio è un novellino… Guardalo, tutto fighetto, con la divisa e lo sguardo da prima donna”.

Già, è proprio un cadetto, li riconoscerei a distanza di chilometri.

“Forse, vecchio caprone, riuscirai ad entrare senza che ti farciscano di piombo, almeno per ‘sta volta…

Poi… come farai ad uscirne… Beh… quelli sono cavoli tuoi…”.


*** ***** ***


    Grey Hound chiuse lentamente le palpebre e, con un lieve luccichio del corno, si accese l’ultima sigaretta che aveva nel pacchetto.

Con fare disinvolto, decise di varcare la soglia d’ingresso. Il cadetto lo fermò istintivamente, riportando a mente il recente addestramento: “Alt! Disposizione numero cinquantaquattro del Codice Celeste! Nessuno entra senza permesso! Si identifichi!”.

L’ex agente fece appello alla propria spavalderia e, senza scomporsi, lo fulminò con lo sguardo: “Cos’hai detto, nullità?”. L’altro sgranò gli occhi, impreparato ad una simile reazione.

Hound, sperando che le burbe ancora non fossero a conoscenza del suo recente congedo, continuò la scenata: “Hai idea di chi hai di fronte, per caso?”.

“Uuh… Ecco… Io…”.

“Io sono Grey Hound!”, tuonò, “Il Segugio di Counterlot! Non ho bisogno di permessi o inutili scartoffie per entrare o uscire dalla Vergine Invalicabile!”.

Il poveretto cercò di non perdere la calma e si voltò verso il collega, anch’egli fresco di accademia.

“Il… il Segugio di Counterlot?...”.

“Stai iniziando a farmi perdere la pazienza, cadetto…”.

L’amico intervenne per non farlo sfigurare: “Ma non lo conosci, idiota? Le sue foto sono su tutte le pagine affisse in bacheca!”.

“Io… sì… ora che mi ci fai pensare…”.

Grey sollevò la tesa del cappello, con un colpo di zampa: “Ah! Meno male che qualcuno ancora si ricorda del vecchio Segugio…”.

“Mi scusi, signor Hound… Il mio amico”, continuò, dandogli uno spintone, affinché si mettesse sull’attenti, “è un po’ distratto ultimamente… Sa… con tutti i criminali che circolano… ci fanno fare turni extra e siamo tutti molto stanchi”.

“Capisco, Bobby”, rispose con noncuranza, “Ma ricordatevi che il crimine… non dorme mai”.

“Certo, signor Hound!”.

Cadde il silenzio.

“Ora… posso entrare oppure devo chiamare un superiore, schiappe?”.

I due trasalirono e si fecero da parte: “Oh! No no, entri pure, ci scusi!”.

“Spero non accada più… Non ho tempo da perdere, io…”.

Mentre superava il picchetto, i due continuarono ad osservarlo con vago stupore, prima che incominciassero a litigare sottovoce, accusandosi a vicenda della pessima figura che avevano fatto.

“Questa volta la Dea della Fortuna mi ha arriso”, pensò l’ex agente, “Speriamo che il suo ghigno non si spenga proprio sul più bello”.


    Il primo ostacolo era superato: l’unicorno si trovava oltre le mura fortificate. Dinnanzi a lui, ordinatamente disposti secondo rigore geometrico, si stagliavano gli edifici governativi di Counterlot. Ogni distretto era suddiviso in base ad una specifica mansione: burocrazia, caserme, sale d’udienza, forum giurisdizionali, archivi… ed era proprio verso questi ultimi che il Segugio era diretto, intento a far chiarezza sul proprio passato.

La città-fortezza, ovviamente, brulicava di agenti. Grey attivò un incantesimo di identificazione, per tenersi alla larga dagli unicorni, che avrebbero potuto riconoscerlo e smascherarlo. Questo lo costrinse a compiere lunghe deviazioni ma, alla fine, riuscì a raggiungere la facciata d’ingresso dell’Archivio Celeste.

La sorveglianza, sia dentro che fuori, era strettissima, a causa dell’importanza dei documenti ivi custoditi. Non sarebbe stato facile ma lo stallone confidava nella propria reputazione: fintanto che si fosse tenuto alla larga dagli ufficiali, sarebbe probabilmente riuscito ad ingannare gli Agenti di rango inferiore.

Studiò attentamente l’andirivieni dalla porta, attendendo il momento giusto per entrare. Quando un manipolo di burocrati fece capolino, Hound gli si incollò come una ventosa, seguendoli fino all’androne principale.

    La sala non era molto grande ma ciò che faceva impressione era il numero spropositato di corridoi e scale che si dipanavano in ogni direzione, in base a categorie e sottocategorie.

“Archivio Agenti”, ecco la destinazione dello stallone: mantenendo il sangue freddo, iniziò a seguire le indicazioni con disinvoltura, sperando che l’archivio non fosse troppo lontano. Incrociò diversi funzionari, nel mentre, ma nessuno parve dargli la minimi importanza.

“Ehy tu!”, esclamò un tizio alle sue spalle. Grey controllò la presenza della propria pistola, attraverso la giacca, e poi si voltò.

“Che c’è?”.

Un Agente gli si avvicinò, con volto stupito: “Tu! Tu sei Grey Hound! Il Segugio di Counterlot!”.

“La mia fama mi precede”, rispose, con falso compiacimento.

“Non ci posso credere! Sei proprio tu! In carne e criniera!”.

“Già”.

“Uao!”.

“Eh”.

“Mitico!”.

“Senti, patacca, avrei un po’ da fare”, tagliò corto, guardandosi attorno con vago nervosismo.

“Oh, certo! Però, prima, potresti farmi un autografo?”.

“Un… cosa?”, chiese, quasi schifato.

“Un autografo! Anzi due, cioè tre! Uno per me, uno per mia zia Betty e uno per la mia fidanzata!”, rispose l’ammiratore, passandogli il libretto delle multe, assieme ad una penna.

Hound dovette trattenersi dal vuotargli il tamburo nelle trippe: “Ma… ceeerto”, sibilò a denti stretti.

“Mi chiamo Geremia!”.

“Al mio caro… ammiratore… Bobby”, farfugliò, intento a comporre la firma.

“Ma io…”.

“Poi… alla cara… zia Betty… che Celestia l’abbia in gloria…”.

“Ma lei, veramente, non è ancora… insomma…”.

“E a quella sventola di puledra dalle chiappe sode di… uh… com’è che si chiama, la poveretta?”.

“Jenny”.

“…Gianna”.

“Ehm, no, in realtà…”.

“Tieni, Bobby, e tante belle cose”, concluse, buttandogli gli oggetti in grembo, dopo un paio di ‘teneri’ buffetti sulla guancia. Si congedò.

Il tizio, un po’ interdetto, osservò i fogli, quindi si illuminò di gioia: “Oh per Celestia! Ho l’autografo del Segugio di Counterlot! Questo è il giorno più bello della mia vita! Devo subito avvertire Gianna!... Uh, cioè, Jenny!”.


    Lo stallone affrettò il passo, ritenendo di aver perso fin troppo tempo. Continuò a seguire le indicazioni finché, voltando un angolo, vide di sfuggita un Agente a presidiare l’ingresso degli archivi: si ritrasse prontamente e cacciò fuori un occhio, sincerandosi come l’altro non lo avesse notato. E non era un Agente qualsiasi, bensì lo stesso tizio che lo aveva deliziato delle ‘buone nuove’, all’ospedale.

“Guarda un po’ chi si rivede”, bisbigliò il Segugio, senza farsi sentire, mentre il suo sguardo si faceva maligno. Raccolse un vaso di fiori lì vicino e diminuì la distanza che lo separava dall’ex collega.

Quando gli fu a meno di un metro, sentenziò: “Ehy amico, sono qui per darti il cambio”.

Il pony, senza degnarlo di uno sguardo, proruppe in un sonoro sbadiglio: “Era ora, per la miseria… Sono stanchissimo… Ultimamente non riesco proprio a dormire…”.

Si girò e vide Grey, con le zampe che reggevano il vaso, sopra il cappello: “Tranquillo: con questo ti addormenti di sicuro”. Rumore di cocci infranti echeggiò per un istante tra i corridori. Hound controllò che nessuno stesse osservando e nascose lo sfortunato, privo di sensi, dentro lo sgabuzzino degli attrezzi.

    Aprì quindi la porta per l’archivio e scese una piccola rampa di scale, giungendo infine in un’enorme stanza arredata con cassetti, cassettoni e scansie farcite di documenti polverosi.

Un piccolo pony, con fondi di bottiglia al posto degli occhiali, sistemava alcune scartoffie dietro un’imponente scrivania di legno.

Lo stallone vide che non c’era nessun altro, così si diresse verso il piccoletto.

“Saaalve”, esordì quello.

“Uhm… sì, salve. Senta… ho bisogno di una documentazione particolare, risalente a circa quattro anni fa”.

“Ma certo. Mi dica”.

“Devo trovare informazioni su un Agente Celeste: Grey Hound”.

“A-ah. Provvedo subito… signor?”.

“Bobby”.

“Provvedo subito, signor Bobby”.

Il pony si immerse nel mare di documenti, risalendo lentamente alla richiesta del Segugio. L’archivio era così ampio che impiegò diverse decine di minuti per ottenere infine ciò che stava cercando: afferrò un grosso tomo e ci soffiò sopra, sollevando un batuffolo di polvere. Tornò quindi alla scrivania, dove Hound batteva nervosamente uno zoccolo sul legno, in lieve agitazione.

“Ecco a lei, signor Bobby”.

“Mille grazie”. Ma l’altro ritrasse il documento.

“Uhh… Aspetti… Questo è un documento di classe B. E’ altamente riservato. Possiede il permesso per effettuare il prelievo, signor Bobby?”.

“Ecco… io…”.

“Senza il permesso numero duecentoventitre, non posso consegnarle questo tipo di referto!”.

“Ma, ecco, io… Io sono un Agente. Non ho bisogno di permessi”, buttò lì.

“Lei può anche essere Celestia in persona. Senza permesso duecentoventitre non posso consegnarle questa roba”.

“Ma certo, mi dia un attimo”, rispose, infilando la zampa sotto il cappotto. Tirò quindi fuori la pistola e, spazientito, gliela puntò al muso.

“Permesso tre e cinquantasette, tamburo da cinque colpi. E’ sufficiente?”.

Il piccoletto si sistemò gli occhiali, mettendo a fuoco l’oggetto.

“Ovviamente”, rispose deglutendo.

Il registro passò sotto le zampe dello stallone: senza perdere ulteriore tempo, continuando a tenere sotto tiro il tizio, srotolò il fascicolo e prese a leggere più velocemente possibile.

Passarono alcuni minuti e la fronte gli si corrugò.

“Ehy…”, borbottò, “Qui c’è scritto… che Grey Hound è stato assoldato previa ‘prassi da forzatura’. Che diavolo è una prassi da forzatura?”.

L’altro, con gli occhiali appannati dal sudore, scosse il capo: “Io… io non ne ho idea, signor Bobby…”.

La canna della pistola gli spinse una narice verso l’alto: “Senti, piccoletto, non ho molto tempo da perdere e tu preferiresti rimanere con soli due buchi nel naso, giusto? Quindi rispondi”. Armò il cane.

“Io… io… io sono solo un semplice faccendiere, signor Bobby”, farfugliò, “Le assicuro che non so… che io non…”.

    Una voce proruppe alle spalle dei due: era il pony che aveva steso Grey un attimo prima.

“Getta la pistola”, gli intimò, rivolgendogli a sua volta una semiautomatica, “E non fare scherzi. Una mossa falsa, una lucetta sul corno… e sei storia”.

“Ma guarda. Evidentemente non ti ho colpito abbastanza forte”.

“Getta la pistola. Ora”.

Il Segugio ci pensò per un attimo e poi, decisamente infastidito, lanciò l’oggetto lontano.

“Ehy, amico”, gli chiese quindi, con le zampe in aria, “Com’è che sei da solo? Dove sono i tuoi amichetti in divisa?”.

L’altro sorrise: “Eh… e chi me la toglie un’opportunità simile? Perché dividere il successo quando posso catturare o uccidere Grey Hound, il ‘Traditore di Counterlot’, tutto da solo? Sai no? Promozione assicurata”.

“Fantastico. La tua morale è inattaccabile”.

“Oh, per piacere, razza di ipocrita! Chi è che ha passato anni della propria vita a catturare e far fuori centinaia di pony, solamente perché qualche superiore gli puntava la zampa contro, eh?”.

“Io lo facevo per un ideale. Per la giustizia”.

“Cosa? Ma credi alle stronzate che dici? Giustizia? Dimmi un po’, Grey Hound”, lo istigò, “ti sei mai domandato davvero chi fossero i tizi che gettavi al fresco? Ti sei mai fatto due domande sulla vita o sul passato di coloro che hai freddato con una pallottola?”.

L’ex agente abbassò lo sguardo e non rispose.

“Me lo immaginavo”, continuò, “Sei farcito di belle chiacchiere e poco altro. Certo che sei proprio stupido, oltretutto: ti abbiamo dato la possibilità di congedarti con un minimo di onore e dignità. Potevi eclissarti come una leggenda. E invece? Invece sei tornato qui, solo per farti ammazzare o catturare come un criminale”.

“Cosa ne sai tu di me, feccia? Di me conosci solo il nome e le dicerie da caserma”.

“Niente affatto, amico… So molto di più…”.

La fronte di Hound si corrugò: “Cosa vorresti dire?”.

“Hai accennato ad una ‘prassi da forzatura’, vero?”.

“Sì…”.

“Beh… io c’ero quando la prassi è stata messa in atto”, ammise, con un sorriso sardonico.

“Messa… messa in atto?”.

“Ma allora sei realmente uno stupido! Non ci arrivi? Pensaci un attimo… Il Governo Celeste individua uno degli unicorni più promettenti in Equestria, gli fa una proposta di lavoro e questo rifiuta”.

Grey continuò ad ascoltarlo, macinando lentamente le sue parole.

“Come poteva farsi scappare un’occasione simile? Come poteva farsi scappare un potenziale Agente del tuo calibro? Semplice. Motivandolo! Dandogli uno scopo, una direzione, un canale dove riversare le sua capacità”.

“Cosa… cosa stai blaterando?”, chiese, realmente spiazzato, mentre un dubbio terrificante iniziava ad insinuarsi nel petto.

“Prontooo?? Non ti ricordi? I due tizi… tua moglie... Possibile che ti sia sembrato tutto così… normale? Cioè: rientri a casa e scopri una coppia di ladruncoli, completamente terrorizzati, di fronte al cadavere di tua moglie… Noti niente di strano? Non hai rivolto loro alcuna domanda, vero? Sennò, magari, ti saresti accorto che nessuno dei due si ricordava la benché minima cosa di quanto era successo…”.

“Stai… stai dicendo…”.

“La ‘prassi da forzatura’ è un’operazione congegnata per motivare qualcuno… per dargli la spinta… Cosa serve per metterla in atto? Ben poco… Qualche informazione, due barboni qualsiasi, un incantesimo mnemonico per cancellar loro gli ultimi ricordi e… qualcuno che facesse fuori la tua puledra”.

    Gli occhi del segugio si spalancarono. Le sue zampe tremarono e lo costrinsero ginocchia a terra. I suoi dubbi si rivelarono realtà.

“Guardati! Sei ridicolo!”, lo schernì.

“Tutto… tutto questo…”, rispose l’unicorno, con una morsa al petto, quasi in iperventilazione, “Tutto questo… per… per…”.

“Sì, tutto questo per far nascere il Segugio di Counterlot. Tutto questo per dargli un nemico da combattere: i criminali che, per tanto tempo, sono stati la spina nel fianco del Governo”.

“Mia moglie…”, biascicò, “Due innocenti… tutto questo… Mi avete ingannato… Per anni ho svolto il mio operato nella rabbia e nel rancore, combattendo coloro che voi mi indicavate come criminali… Ogni volta che andavo a prenderli… io rivivevo quel momento… quell’apprensione… quel dolore… e… così riversavo la mia furia contro di loro…”.

“Ohh… finalmente ci siamo…”, concluse ironicamente.

“Come… come avete potuto?...”, chiese, sull’orlo del pianto.

“Incredibile… Mai avrei pensato di vedere il Segugio in lacrime… Sei davvero patetico. Comunque non è stato difficile. E’ bastato pagare i sicari giusti, affinché mettessero a soqquadro la tua stanza e assassinassero tua moglie”.

L’altro non disse nulla e si limitò a fissare il pavimento.

“Ora però… siamo al capolinea, Hound”, concluse, puntandogli la pistola contro la criniera, “La tua avventura finisce qui. Vieni con me o fatti ammazzare. Poco m’importa. In un modo o nell’altro… avrò la mia promozione”.


    Il Segugio rivisse ogni secondo, ogni istante della macabra scoperta: quando trovò Coraline distesa sul pavimento, priva di vita. Si ricordò degli sguardi terrorizzati dei due “finti” ladruncoli e, sotto un’altra luce, percepì il terrore e la sincerità nei loro occhi… ma allora era troppo disperato e infuriato per potersene accorgere. Con il senno di poi: si era trattato tutto di un grosso, grossissimo errore. La sua vita era stata una menzogna. Le sue gesta manipolate. La sua figura… una farsa.

Sentì l’apprensione crescere e il dolore si fece insopportabile. Quando fu sul punto di crollare, si ricordò di come era riuscito, ai tempi, a divenire il Segugio di Counterlot: canalizzando la rabbia verso gli altri. Forse, anche per quella volta, anche se contro coloro per cui un tempo lavorava, avrebbe nuovamente funzionato.

    “Alzati, pagliaccio”, lo minacciò l’Agente, riportandolo alla realtà.

Grey chiuse le palpebre e poi le riaprì, fulminandolo con uno sguardo terrificante.

“Ehy… un solo gesto avventato e…”, ma non riuscì a finire la frase.

Come una saetta, l’unicorno gli afferrò la zampa: partirono dei colpi, che però finirono dritti al soffitto. Il faccendiere occhialuto emise uno urlo e si tuffò dietro la scrivania.

Con la levitazione, l’arma di Hound tornò nella zampa del legittimo proprietario, pronta a sputare piombo.

“A-aspetta! Un attimo, lascia che…”.

“Taci”, e premette il grilletto così rapidamente da scaricare tutto il tamburo in poco più di un secondo.

Il Segugio era tornato.


    Lo stallone si sentiva come una vasca che era appena stata svuotata e riempita di rabbia allo stato liquido. Non riusciva a pensare chiaramente: l’odio era troppo forte e spingeva l’adrenalina come un compressore, in tutto il corpo. In quel momento gli importava una cosa sola: uscire di lì e riorganizzarsi, per sistemare una volta per tutte la VERA corruzione che aleggiava in Equestria.

    Salì lentamente le scale, comparendo d’innanzi ad una dozzina di Agenti armati, pronti a far fuoco. Dalle retrovie si fece strada un unicorno imperioso, dal manto scuro come la notte: indossava una divisa da alto ufficiale e portava un paio di baffi alla texana.

“Black Hammer…”, dichiarò Hound, a denti stretti, riconoscendo il compagno d’accademia.

“Grey Hound”, rispose l’altro, con nonchalance, “Non mi sarei mai aspettato di trovarti qui”.

I due si osservarono e gli altri pony rimasero in attesa di ordini, pistole puntate.

“Black… voglio una risposta sincera da te… Siamo stati compagni di addestramento e ci siamo salvati il culo a vicenda parecchie volte…”.

“In realtà te l’ho salvato più volte io”.

“Tu… Tu sapevi cosa c’era in quegli archivi?”.

“A cosa ti riferisci?”.

“Parlo di questo”, rispose l’altro, estraendo il fascicolo sul suo passato.

“Sarebbe?”.

“Parla della ‘prassi da forzatura’”.

Il volto dello stallone nero si incupì leggermente: “Oh… quello. Quindi ora sai tutto, immagino?”.

Grey chiuse gli occhi: “Dunque… lo sapevi”.

“Sì”.

“Lo sai adesso e lo sapevi anche allora”.

“Sapevo che avrebbero applicato la prassi ad un unicorno. Ai tempi, tuttavia, non avrei mai potuto dire che saresti stato tu”.

Il cuore, nel petto del Segugio, ebbe un ennesimo sussulto. Tutti. Tutti erano corrotti, persino il suo collega di lavoro, che una volta stimava.

“Io o un altro… Che differenza avrebbe fatto, Black? Come sei riuscito a rimanere indifferente d’innanzi ad una crudeltà simile? Pensavo che avessi un briciolo di coscienza...”.

Ma l’ex collega gli rispose con la frase che Hound aveva sentito dire mille volte dai criminali che, fino a qualche settimana fa, erano stati il suo unico obiettivo: “Sai… alla fine è solo una questione di affari…”.

“Affari?”, sbottò, “Affari?? Tre innocenti uccisi e la mia vita sotto metri di menzogne li ritieni affari??”.

“Ascolta, Grey. Sei andato troppo oltre. Fermati ora. Non costringermi a farcirti di piombo”.

“Hai idea di cosa significhi tutto quello che è successo??”.

“Te lo dico un’ultima volta. Arrenditi e finiamo la faccenda”.

“Oh sì, hai ragione”, gli disse, illuminando il corno e spedendo in aria il capello, “La faccenda si concluderà questa notte”.

    Hammer, vedendo che l’altro non avrebbe desistito, diede l’ordine di aprire il fuoco. I sottoposti ubbidirono. Un’impressionante aura, rossa di rabbia, si originò dal Segugio ed i colpi si bloccarono a mezz’aria, come se avessero impattato contro un denso muro di liquido.

La magia di Hound era al suo culmine, catalizzata dall’odio che provava. Gli altri rimasero bocca aperta: quasi un centinaio di pallottole, ancora roteanti, era sospeso da terra. Seppur ottenebrato dalle emozioni, l’unicorno ebbe lucidità a sufficienza da risparmiare le vite dei cadetti: troppo giovani, troppo inesperti per essere caduti anche loro nella trappola del Governo. Non meritavano la morte.

L’aura esplose, rispedendo i colpi ai mittenti, con intensità inferiore: il piombo li mise al tappeto come una pioggia di grandine. Quadri, vasi, risme di foglie e altri oggetti vennero sventrati in mille pezzi. I pony si piegarono sui propri corpi: doloranti, incapacitati, ma vivi.

Solo Black non fece una piega, proteggendosi con un semplice controincantesimo.

“Ti sei rammolito, sai? Una volta non avresti risparmiato le loro vite”, concluse.

“Fatti da parte o mi farò strada personalmente”, gli intimò l’altro.

“Non credo proprio”.

Hammer si teletrasportò, in un istante, di fronte allo stallone e lo colpì con un’onda d’urto così violenta da spedirlo contro il muro in fondo al corridoio, non molto lontano dal pony a cui aveva vuotato addosso l’arma, giusto qualche attimo prima. La botta alla schiena fu violentissima e il Segugio sentì alcuni punti della ferita lacerarsi. Emise un verso di dolore e cadde a terra.

“Vedi cosa succede a voler strafare, Hound?”, dichiarò, sollevando magicamente un’asta reggi bandiera. L’oggetto prese ad acquisire potere magico, pronto ad essere scagliato a folle velocità, come un giavellotto.

L’altro si strinse il ventre e tossì parecchie volte, cercando di rialzarsi, con zampe tremanti.

“Hammer, io me ne andrò, in un modo o nell’altro”, biascicò.

“Non posso lasciartelo fare, Hound: non riuscirai a mettere zoccolo fuori di qui, lo sai bene”.

Il volto di Grey si dipinse con un sorriso accennato: “Allora sei un cadavere che cammina e ancora non lo sai”.

“Non avrei mai voluto farlo… ma le tue spacconate mi hanno stufato”, e, con quelle parole, scagliò l’asta verso il bersaglio. Lo stallone venne trafitto al petto e inchiodato al muro. La testa gli cascò mollemente di lato, priva di vita.

“Questa faccenda stava durando fin troppo”, ammise Hammer.

Ma qualcosa non andava. La fronte dell’unicorno nero si corrugò. Il corpo di Hound prese a tremolare e il velo d’illusione svanì, rivelando, al suo posto, il corpo dell’Agente ucciso nell’archivio.

Una fredda canna di metallo premette contro la criniera di Black, che assunse un’espressione amareggiata.

“Sei una spanna sopra a tutti, Hound. Ti ho sempre invidiato, per questo”, sussurrò.

“Te l’avevo detto. Sei un cadavere che cammina. E i cadaveri non possono provare invidia per nessuno”.

Premette il grilletto.


*** ***** ***


    L’ultima pallottola venne estratta, tintinnando rumorosamente nel piattino sporco di sangue. Twilight si asciugò la fronte dal sudore, posò le pinze e si tolse i guanti.

“Va… va tutto bene?”, chiese Applejack, preoccupata.

“E con questa… sono quattro. Non ho mai visto un pony incassare così tante pallottole e manco cadere a terra”.

L’altra sorrise dal sollievo: “E’ fuori pericolo?”.

Big Macintosh era disteso su un lettino, con la faccia da ebete. Fece dondolare un po’ la testa e poi si rivolse alla sorella: “Uuhhh… Quanti boccali di sidro ci vogliono per navigare da Coltago fino a Manehattan?...”.

“Ma che sta dicendo?”.

L’unicorno alzò le spalle: “E’ imbottito di sedativo”.

“Quanto gliene hai messo?”.

“Tre siringate”.

“Sono sufficienti?”.

“Di solito, con una siringa, addormento una vacca in travaglio per ventiquattro ore. Con lui ne sono servite di più, a quanto pare… Sennò mi avrebbe spezzato le braccia nel tentativo di estrargli i proiettili”.

“Queshto shì che è mio nipote! Casso!”, berciò Granny Smith, battendo uno zoccolo sul tavolo.

“Maaac!”, urlò Applebloom, sfuggendo dalla presa di Fluttershy e trottando preoccupata verso il letto.

“Appleblooooom!”, piagnucolò il fratello, stritolandola in un abbraccio.

“Aawww!”, esordì Applejack, “Come sono carini! Non è che puoi siringarlo un altro po’? Non l’ho mai visto così tenerello…”.

“Ehy, ragazza, io queste robe le pago! E anche care! Non è che vado in giro a regalare siringhe di gioia e felicità…”.

“Bubibubi bubulò!”, farfugliò Macintosh, completamente rintronato dagli antidolorifici.

“E’ fuori come un balcone”, bisbigliò Fluttershy, controllando le condizioni del pony.

“Tu stai bene, tra l’altro?”, le chiese Applejack.

“Oh, sì… io… sto bene. Mi spiace non essere riuscita a volare via… Se non fosse stato per me… Macintosh non sarebbe in questo stato…”, concluse, abbassando lo sguardo.

“Tranquilla, dolcezza”, la rassicurò l’altra, “Alla fine tutto si è risolto per il meglio”.

“Sai Faffershy…”, bofonchiò quindi lo stallone, con una palpebra socchiusa, “Secondo me… sei il pony più carino che ci sia in giro per Ponymood…”.

Il pegaso arrossì di colpo e si ritrasse, arrotolandosi nervosamente la criniera tra le zampe.

Twilight rivolse sguardi perplessi ai presenti: “Ehm… ooookay. Basta con i sedativi, per oggi, va bene?”.


    Il gruppetto, attraverso la finestra della tenuta, vide una coppia di fari baluginare nella notte.

“Chi è, adesso?”, si domandò Applejack, spostando lo sguardo sul fucile.

“Tranquilla. E’ Spike”, rispose Sparkle.

La macchina frenò sulla ghiaia: si udirono alcune portiere sbattere e, dall’uscio della casa, fecero capolino il drago viola, Pinkie e Dash.

“…Eppure ti dico che gli spazzini conquisteranno Equestria con le banane!”, disse il pony rosa, rivolgendosi a Rainbow.

“Con le banane?”, berciò l’amica, “Pinkie… Secondo me, ultimamente, stai bevendo un po’ troppo…”.

“Il terzo boccale ha lo sconto del cinquanta per cento!”.

“L’ultima volta ti ho vista bere direttamente dalla canna del barile…”.

“Uhh…”, rispose impreparata, “Stavo… Stavo controllando la pressione del sidro”.

“Meno male che siamo arrivati”, sospirò Spike, passandosi una zampa sul viso.

“Cavoli, Mac!”, disse il pegaso blu, “Sei proprio messo male!”.

“Ohh! Poverino!”, aggiunse Pinkie.

“A-aiuto!”, sussurrò Applebloom, non riuscendo più a sottrarsi dalla presa del fratello.

“Sorellina tutta mia!”, disse il bestione, stritolandola un altro po’.

Il drago assunse un’espressione di perplessità: “Ehm… Abbiamo interrotto qualcosa, forse?”.

“Anch’io! Anch’io voglio un abbraccio spezza ossa!!”, esultò Pinkie Pie, tuffandosi verso il lettino. Macintosh allargò le zampe e schiacciò entrambi i pony contro il petto, sorridendo come un demente.

“Scusa per l’attesa, Dash”, affermò l’unicorno viola, “Non sono riuscita a farti uscire prima… Abbiamo avuto questo contrattempo”.

“Tranquilla, ragazza, capisco benissimo”, la rassicurò.

“Com’è stare in gabbia, passerotto?”, chiese Applejack, con un sorriso provocatorio. Il pegaso le rispose con un’occhiataccia.

“Grazie al cielo stai bene!”, esordì Fluttershy, abbracciandola, “Non ti ho più vista da quella notte!”.

“Ehm… Sì, sto bene, grazie…”, disse imbarazzata.

Spike sgranò gli occhi. Tutti che si abbracciavano amorevolmente.

“Uè!”, esclamò, “Cos’è? La sagra dell’affetto?? Anche io voglio la mia dose! Dov’è… uh… Dov’è Rarity??”.

“Dovrebbe arrivare tra poco…”, rispose Twilight.

“Ah!”, esclamò il draghetto, fregandosi le zampe.

“…Con un ospite… particolare”, continuò l’altra.

L’assistente divenne irrequieto: “In che senso… un ospite particolare?”.

“Quando lo vedrete… capirete. E non saltate a conclusioni affrettate… C’è qualcosa sotto… qualcosa di molto importante che dovranno dirci”.

“Non sarà mica quel buffone??”, berciò Spike.

Nessuno capì di cosa stessero parlando esattamente i due ma, come sempre, la risposta ai loro quesiti non si fece attendere.


    Una seconda auto posteggiò nel cortile del caseggiato. Ruote gommate scricchiolarono sul pietrisco. Quando la porta d’ingresso si aprì, quasi tutti trasalirono. Grey Hound, con il cappotto bruciacchiato e farcito di buchi, fece il suo ingresso, a fianco di Rarity. Il draghetto li osservò con sguardo maligno.

“Grey Hound?!”, proruppe Applejack.

“Tu??”, chiese Rainbow Dash.

“Oh…”, bisbigliò Fluttershy.

“Banane!”, concluse Pinkie Pie.

“Uhm… Ci siete proprio tutte…”, eslcamò l’altro, accendendosi una sigaretta spiegazzata.

“Ma… ma… Ma che diavolo… Sei ancora vivo!”, disse la proprietaria di casa.

“Il tuo spirito di osservazione è sorprendente, per essere una zoticona di campagna”.

“Ma!!... Caro… suvvia…”, lo ammonì l’unicorno bianco.

“Come… ‘caro’??”, sussurrò Spike, abbassando le orecchie.

“Uff… scusa bambola… Sono ancora un po’… incaz… alterato”.

“Bravo orsacchiotto!”.

“Orsacchiotto??”, ripeté il piccoletto viola.

“Ok, ok… E’ tutto a posto, mi sembra, no?”, intervenne Dash, “Insomma… Dei sicari attaccano la tenuta Apple, Rarity si presenta con un Agente Celeste resuscitato e le banane vogliono conquistarci. Forse sono l’unico pony ancora un po’ sano di mente, nel raggio di chilometri?”.

“Banane?...”, chiese Rarity, aggrottando un sopracciglio.

“Le banane sono nemici formidabili!”, rispose Pinkie, serissima.

“Zitti tutti!!”, urlò Applejack, “Non me ne frega niente delle vostre chiacchiere da ubriaconi… Tu lavori per gli stessi bastardi che hanno emesso il Decreto Celeste, costringendo noi tutti a comportarci da criminali, pur di mantenere viva l’attività!”.

“Non lavoro più per il Governo, se questo ti può interessare…”.

“Ah beh, allora questo cambia tutto!”, ironizzò, “Tutto quello che abbiamo passato a causa dei pagliacci come te, sarà perdonato, visto che ora non lavori più per loro!”.

“Ehy, ragazza, non ho detto questo”, esordì, con tono spazientito.

“Greeey…”, lo richiamò Rarity.

“Hai idea del casino che avete fatto? Delle guerre intestine tra clan che avete scatenato?? Avete la più pallida idea del numero di morti che avete sulle spalle, forse??”.

“Io… io, sì… Me ne rendo conto… e…”.

“Aspetta, dolcezza!”, intervenne la compagna, “Grey è stato ingannato! Il suo… il suo passato parla per lui… Davvero, credimi… Lui non…”.

“Tranquilla, pupa…”, la interruppe, facendosi avanti, “Non è il caso. La tua amica ha ragione. Non basta pentirsi… redimersi… per ottenere il perdono”.

Lo stallone si portò d’innanzi al pony arancione e si tolse il cappello.

“Se vuoi darmi una ripassata… ne hai tutto il diritto”.

Applejack cercò di trattenersi ma poi, a denti stretti, mollò un manrovescio verso il Segugio, che incassò virilmente.

“Ok, ragazza”, disse quindi, “Ora direi che…”, ma non riuscì a terminare la frase, poiché un altro cazzotto della puledra, questa volta molto più poderoso, lo colpì in pieno muso, cogliendolo impreparato. Hound cadde all’indietro.

“Ehy!! Non me lo rovinare troppo!”, strillò Rarity, aiutandolo a rialzarsi.

“No… no, è tutto a posto, pupa… Me lo merito…”.

“Ti meriteresti ben altro, schifoso bastardo!”, le disse l’altra, sventolando lo zoccolo a mezz’aria, vagamente dolorante.

“Anch’io! Anch’io voglio fare a botte!”, si intromise Pinkie, impossibilitata dal muoversi.

Hound si rimise il cappello in testa.

“Allora… si può sapere che cosa ci fai qui?”, chiese Applejack.

L’altro tirò fuori il fascicolo e lo buttò sul tavolo, accanto a Granny Smith.

“Questo documento riporta alcuni fatti… sconcertanti… a riguardo della condotta del Governo Celeste”.

“Ah. E a noi cosa dovrebbe fregarcene?”.

“Ve la farò breve, signore: il Governo mi ha ingannato. Ha assoldato un gruppo di sicari per ammazzare mia moglie, facendo ricadere la colpa su pony innocenti. Sono stato stupidamente ingannato e… usato… come un netturbino usa la scopa per spazzare le bucce di banane per la strada…”.

“Lo sapevo…”, sibilò Pinkie, con sguardo indagatore.

Rarity prese lo stallone a braccetto.

Spike non riuscì più a reggere il fastidio e, abbassando lo sguardo, si congedò rapidamente all’esterno.

“S-scusate. Ho… ho dimenticato i sigari in macchina”, farfugliò, chiudendo la porta dietro di sé.

“Quel documento riporta tutto, nero su bianco”, continuò il Segugio.

Ci fu una lunga pausa.

Applejack diede una rapida occhiata alle pagine e poi, con una certa melanconia, disse: “Grey, sembra davvero una storia triste, te ne rendo atto. Ma se pensi che ti perdoneremo solo perché…”.

L’altro si affrettò ad interromperla: “Aspetta, ragazza, io non voglio alcun tipo di perdono da parte vostra. Io voglio… io voglio vendetta”.

“Come?”.

Gli occhi di Hound si chiusero. Quando le palpebre si riaprirono, molto lentamente, la sua espressione era serissima e la voce estremamente profonda: “Io voglio farla pagare ai bastardi che hanno fatto questo a me… a mia moglie… e a tutti gli innocenti cui ho rivolto una pistola”.

“Aspetta, amico”, buttò lì Dash, “Vuoi farla pagare a chi, esattamente?”.

“A tutti”, affermò con decisione, “Agenti, funzionari, tutti quanti. Voglio vedere Counterlot ridotta ad un cumulo di macerie”.

Rainbow rise di gusto, facendosi improvvisamente seria quando capì che l’altro non stava affatto scherzando.

“Voglio vedere Celestia strisciare ai miei zoccoli… Voglio riscattare il mio passato e farla pagare a tutti coloro che hanno contribuito a questa follia”.

“Sa, signor Hound”, disse timidamente Fluttershy, “Io… io ho perso un pony a me caro e la… riabilitazione… mi ha fatto capire che non si ottiene nulla affrontando l’odio con altro odio…”.

Lo stallone la scrutò attentamente e, dopo aver emesso una nuvola di fumo di sigaretta, dichiarò: “Mi ricordo di te. Tu sei la tizia che ha salvato la ciospa blu, fuori dallo zeppelin. Non mi sembravi così docile, in quel frangente…”.

“Ciospa blu a chi??”, ruggì Dash.

“Oh… ecco… Il fatto è che… Che in quel momento…”, balbettò.

“In quel momento”, continuò Grey, “eri incazzata come una iena, vero? Avevi qualcosa o qualcuno per cui valesse la pena farsi ammazzare, vero?”.

Il pegaso giallo si limitò ad abbassare lo sguardo.

“Bene, allora sai di cosa sto parlando. So benissimo che uccidere quei tizi non mi ridarà mia moglie, non mi farà star meglio, non mi donerà la spensieratezza di un tempo. Il fatto è che…”, concluse, con un sorriso da matto, “Non me ne frega niente… Voglio solo vederli morire…”.

Pinkie riconobbe quell’espressione: “Sìì!! Cupcakes in compagnia!! Io sto con il pony-zombie tornato dall’oltretomba! Voglio andare a Counterlot!”.

“Vendetta, eh, Grey Hound?”, chiese Applejack, “Qui sappiamo tutti, chi più e chi meno, cosa significhi quella parola. Ma, siamo seri, vuoi davvero attaccare la città-fortezza? Questa non è vendetta. E’ follia allo stato grezzo”.

“La mia è follia?”, ribatté, “E la vostra cos’è stata? Vi siete introdotti abusivamente su uno zeppelin e avete schiacciato una coppia di criminali incalliti in meno di un paio d’ore. Pensate che questa volta sia molto diverso?”.

“E’ stato un azzardo! Ma non stiamo più parlando di qualche dozzina di idioti armati di lupara. Questa volta parliamo di una città farcita di pony addestrati alla guerra contro il crimine e non solo. Senza contare che, recentemente, abbiamo i nostri grattacapi con un nuovo concorrente in città…”, puntualizzò, spostando lo sguardo su Mac.

“Concorrente?”, chiese l’ex agente.

“Sì. Un nuovo gruppo di criminali, capeggiati da una tizia dal manto grigio”, intervenne Dash, con il ricordo ancora bruciante.

“Manto grigio?...”, ripeté l’altro, pensieroso, “Qualche altro segno distintivo?”.

“Occhi viola. Sguardo inespressivo”.

“Sul fianco ha tatuata una chiave di violino?”.

“Non lo so… era buio …”.

“Io mi ricordo!”, strillò il pony rosa, parlando a mitraglia “Manto grigio, occhi viola, criniera nera, cappello scuro, tatuaggio a chiave di violino sul fianco sinistro e… banane!”.

“Uhm… Octavia…”, decretò infine.

“La conosci?”, chiese Twilight.

“Dalla descrizione sembra Octavia, uno dei sicari più pericolosi a cui davo la caccia ultimamente”.

“Questo è interessante…”, sussurrò Applejack, “Sai per chi lavora, quindi”.

“Forse… e la cosa mi riempie la testa di nuove idee…”.

“Sì, però frena: da come parli ho l’impressione che siamo amiconi e che tu voglia trascinarci in qualche folle impresa dagli scopi personali”.

“Oh no, ti sbagli”, ripose, spegnendo il mozzicone in un posacenere, “Fosse per me, neanche sarei qui. Ma ti faccio notare che sbarazzarci del Governo gioverebbe a tutti, anche alla tua attività”.

“Balle. I nostri problemi sono rivolti a quelli che vogliono farci le scarpe: Octavia o come si chiama, per capirci”.

“Mhh… Vedo che non hai un quadro d’insieme”.

“Cioè?”, chiese dubbiosa.

“Cioè: perché avete rogne con altri sicari? Perché il Governo Celeste ha emesso un’ordinanza di divieto sulla vendita degli alcolici e l’uso della magia, no? Se non fosse per quello, la vostra attività sarebbe perfettamente legale, e non avreste pony armati come concorrenza”.

“La concorrenza ci sarà sempre”.

“Il vostro peggior concorrente è proprio il Governo, perché gioca sporco. Ha emesso il Decreto per seminar zizzania tra i criminali, per trovare un nemico comune pronto ad annientarsi da solo, in lotte intestine. Ha solo attuato un repulisti alle spalle degli innocenti. E ne uscirà vittorioso. E’ matematico”, concluse.


    I presenti iniziarono a discutere debolmente tra loro: Hound non aveva tutti i torti. Se c’era qualcuno da incolpare davvero, per tutto quello che era successo, era proprio il Governo Celeste.

“Discutiamone pure fino a domani!”, disse Rainbow Dash, “Tanto non c’è verso di fare anche solo un metro oltre le mura della città, senza che ci trasformino in concime per i fiori!”.

“Bashtardi! I miei gerani…”, mugugnò Granny Smith, osservando i cocci infranti, ancora sul pavimento.

“Già. Il bel faccino di Rarity non basterà a farci imbucare, questa volta”, ammise Applejack.

“E’ per questo che stavo pensando ad Octavia e a… Discord”, affermò il Segugio.

“Spiegati meglio… e chi sarebbe Discord?”, domandò Twilight.

Lo stallone, senza tanti complimenti, iniziò a perquisire i mobili, fino a trovare una bottiglia di Whisky mezza vuota: la portò magicamente al tavolo, si sedette e ne trangugiò avidamente una boccata. Scosse ripetutamente il capo, facendo vibrare le guance.

“Se le cose sono rimaste come un tempo”, riprese, “allora Octavia lavora per un certo Discord: un pezzo grosso arrivato oltremare”.

“Come fai a saperlo?”, chiese Dash.

Hound bevve un altro sorso: “E’ semplice: eravamo sulle sua tracce. Abbiamo studiato il caso. Ero pur sempre il Segugio di Counterlot, no?”.

“Vacci piano, patato”, suggerì Rarity, abbassandogli la zampa che reggeva la bottiglia.

Applejack si tolse il cappello, grattandosi il capo: “E cosa centrano quei due con questa faccenda?”.

L’altro la fissò con sguardo intenso: “Da come ho capito… Voi avete un grosso problema con questa… nuova concorrenza, giusto?”.

“Sì…”.

“Allora abbiamo tutti un motivo per sbarazzarci del Governo. A me ha ammazzato la moglie e rovinato la vita. A voi ha quasi mandato in malora le vostre attività. E Discord… beh, questo è ancora da verificare”.

“Aspetta… intendi che…”, farfugliò Applejack.

“Io dico di andare a fare una visita ai vostri concorrenti e mettere in chiaro la situazione, rischiando il tutto per tutto”.

“E’ una follia. Anzi: una gran cazzata!”, sbottò Dash, a zampe conserte.

“Io non odio il governo…”, sussurrò Fluttershy.

“Ehy, canarino giallo”, l’apostrofò Hound, “Ti è morto un soldato in azione, giusto? Chi credi che abbia aperto le danze alla Guerra Equestre, se non il Governo?”.

    Applejack osservò il fratello: si era appisolato assieme ad Applebloom. I due, stretti sotto le coperte, dormivano pesantemente.

“Per poco non ci hanno ammazzati. L’ultima cosa che vorrei è parlar loro. Inoltre… non credo potremo andare armati”.

“Ne dubito”, ammise l’altro, “E non voglio certo fare false promesse. Ma, in un modo o nell’altro, credi che si fermeranno? Tuo fratello ha perso qualche litro di sangue, il pennuto blu si è sorbito una collana troppo stretta al collo, senza contare che il locale della mia pupa, da quanto mi ha detto, necessita di una risistemata”.

“Quei villani!”, aggiunse Rarity, con aria di superiorità.

“Già…”, sussurrò il pony arancione, con lo sguardo fisso sul fratello e la sorellina, “Se ci colpissero ora… Non so… non so come potremmo…”.

“Prima la famiglia”, brontolò la vecchia, riprendendo ad oscillare mollemente sul dondolo, “Prima pensa alla famiglia…”.

Applejack si dimostrò titubante: non sapeva cosa fare.

Alla fine cedette: “D’accordo, Hound... Proviamo a parlare a quei figli di buonadonna”.


    Il gruppo iniziò a discutere pacificamente e l’atmosfera si fece più rilassata.

Twilight, approfittando del momento di calma, uscì nel cortile, per cercare Spike.

La notte, nella periferia, era nera come la pece ma permetteva altresì di bearsi del cielo stellato, come mai si sarebbe scorto stando in città. Il frinire dei grilli dominava su ogni centimetro del luogo.

Il draghetto era seduto su un ciocco di legno, con le zampe strette al grembo, osservando un punto indefinito sul terreno. Ai suoi piedi si trovava una manciata di sigari calpestati.

Sparkle gli si avvicinò cautamente.

“Ehy, Spike…”, esclamò. L’altro, molto rapidamente, si passò il dorso della mano sotto gli occhi e cercò di ricomporsi.

“Oh!... Ehm… T-Twilight…”.

L’amica assunse un’espressione dispiaciuta: “Va tutto bene?...”:

“Ma certo che va bene”, mentì, “Cosa… cosa non dovrebbe andar bene?”.

L’altra non rispose e si limitò a sedersi al suo fianco, alzando lo sguardo al cielo e riabbassandolo poco dopo.

“E quei sigari?...”.

“Sigari?”, domandò l’altro, ricordandosi, subito dopo, la fine che avevano fatto, “Ah! Ecco… ecco dov’erano finiti…”. Si allungò e ne afferrò una manciata.

“Spike…”.

“Che c’è?”.

“Mi… mi dispiace…”.

Il drago cercò di sviare il discorso: “Per cosa? Per i sigari? Ah ma ne ho a dozzine, a casa! In effetti, ora che ci penso, ho ancora quel Cohiba da parte che…”.

“Ok, non ne vuoi parlare… Vuoi stare un po’ da solo?”.

Spike si incupì: “No… anzi… sono sempre d-disposto… a parlare… di sigari…”, rispose, ruotando lentamente la testa verso le finestre del caseggiato. Attraverso una di esse, illuminata dall’interno, scorse la coppia di unicorni: Hound era coricato sul divano, con una zampa attorno al collo di Rarity, che chiacchierava amabilmente con i presenti.

Il piccoletto sospirò: “Cosa… cos’ha lui in più di me?”.

Twilight si passò nervosamente una zampa dietro al collo: “Ehm… Beh, innanzitutto è uno stallone…”.

“Non ha nemmeno i baffi…”.

“Tecnicamente quella è una ‘barba da cinque del pomeriggio’ e contempla un accenno di baffi che…”. L’amico si morse un labbro. “Oh… scusami, Spike…”.

“Certo che non ci posso credere”, aggiunse innervosito, “Ho passato quasi due anni a starle dietro come un cagnolino… a donarle i gioielli che mi sarei potuto mangiare con due spaghetti… Ed ora? Che stronza…”.

“Spike!!”.

“Beh?”, sbottò, alzando le zampe, “E’ quello che penso, va bene?? E’ una… è una stronza…”.

“Non lo pensi davvero. E poi al cuore non si comanda. Non ha senso avanzare pretese”.

“Ma davvero? Come ti sentiresti ad aver fatto la corte per anni ad una puledra che poi va con il primo stallone che passa?? Cos’ha fatto lui per meritarsi… per meritarsi Rarity?”.

“Spike…”.

“Niente! Non ha fatto niente! Si è limitato a tracannare una bottiglia e fare irruzione nella nostra casa! Poi si sono incontrati e… paf!”, esclamò, colpendosi i palmi delle mani.

“Ma è così che funziona… E’ una questione di chimica e neurorecettori. Non c’è una logica”.

“Bella scusa del cazzo…”, brontolò, incrociando le braccia.

“Che vuoi che ti dica? Vuoi bene a Rarity?”, gli domandò, poggiandogli uno zoccolo sulla spalla.

“Io… sì”, rispose tristemente.

“Allora vuoi che sia felice, no?”.

“Ah no! So dove vuoi arrivare! Non me ne frega niente di vederla felice tra le zampe di un altro… Io… io voglio vederla felice tra le mie zampe… Voglio essere io a renderla felice… Non quel… Gnèi Ound”, disse, ponendo particolare enfasi sul nome storpiato, anche attraverso una smorfia facciale, “Quello stupido pallone gonfiato… Prima fa i porci suoi comodi… Ci smantella il laboratorio… poi torna, avanza pretese e si vuole pure trombare la mia puledra…”.

“Oh, tranquillo, lo hanno già f…”, le rispose l’amica, accorgendosi troppo tardi dell’errore, “Ehm… cioè…”.

Il cuore del draghetto si arricchì di ulteriori crepe: “Ah. Bene. Perfetto. Forse dovrei imitare lo scimmione, non credi? Forse dovrei iniziare ad andare in giro con un impermeabile, farmi crescere la barba, che noi draghi non abbiamo, e tracannare alcol come un barbone. Forse, così, Miss ‘Mi-faccio-palpeggiare-da-un-cretino’ potrebbe degnarmi d’attenzione, no?”, blaterò ironicamente.

“Calmati, Spike”.

“No! Al diavolo!”, urlò, balzando improvvisamente in piedi, “Al diavolo Hound! Al diavolo Rarity! E al diavolo quel gruppo di mafiosi che c’è lì dentro!”. Fece per allontanarsi, infilando le mani in tasca.

“Ehy! Aspetta! Cosa significa tutto questo?”, chiese preoccupata.

Il draghetto si girò un ultimo istante, gesticolando animatamente: “Significa che ne ho le palle piene, ok?? Ne ho le palle piene di te! Di farti da assistente leccazoccoli da mattino alla sera! Di essere sempre la ruota di scorta! Di sorbirmi le menate di tutti! Sono stufo di avere attorno gente che pensa agli affari propri…”. I suoi occhi si spostarono nuovamente verso la finestra, intravedendo l’unicorno bianco accoccolata al Segugio: “E a me?”, continuò, con occhi lucidi, “Chi ci pensa ai miei, di affari?? Nessuno! Se ne fregano tutti!”.

“Ma… ma non è vero!”, farfugliò Twilight.

L’amico la liquidò con un gesto, quindi riprese a marciare mollemente verso lo sterrato oscuro.

“Dove vai?? Spike! La macchina è qui!”, gli urlò.

“Torno a piedi. E non cercarmi. Non mi troverai alla bottega”.

“Ma sei impazzito di colpo? E poi… poi abbiamo un nuovo colpo da mettere in atto… Se solo ti fossi fermato ad ascoltare!...”.

“Mi tiro fuori, Twilight. Divertitevi senza di me”. Quelle furono le sue ultime parole, prima di scomparire completamente nel buio della notte.

    Dopo qualche istante, Rarity uscì dalla casa, scrutando le tenebre e scorgendo debolmente l’amica.

“Twilight! Cosa ci fai lì al buio? E dov’è il mio Spikuccio? Non l’ho più visto…”, chiese preoccupata.

L’unicorno viola si fece triste: “Spike… Spike è tornato in città”.

“Ma la sua macchina è ancora lì…”.

“Sì. Credo volesse… camminare”.

“Oh! Impossibile! Lui è sempre stato un pelandrone!”.

“Già… Lo è sempre stato…”, affermò sottovoce.

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Capitolo 5
*** Mettersi in Disaccordo ***


“Ti assicuro che non sto mentendo!”, disse il sicario.

“Senti, amico”, rispose il collega, “non sono mica nato ieri”.

“Ma perché non vuoi credermi??”.

“Ah! E me lo chiedi?”, domandò ridacchiando, “Aspetta… aspetta… Ehy, Joe! Vieni un po’ a sentire questa!”.

“Che c’è?”, chiese Joe.

“Ascolta le balle che ha da dire il pivello!”.

“Non sono balle!”, puntualizzò l’altro, “E’ tutta verità!”.

“Sentiamo…”.

“Io ve lo posso raccontare perché prima lavoravo per i FlimFlam Brothers! Lo sapete bene!”.

“Sì, sì… lo sappiamo… Ora racconta le tue fandonie…”.

“Fandonie un corno… Io ero sullo zeppelin, la notte in cui è precipitato al suolo…”.

“Ma davvero? E come ti saresti salvato?”.

“Frena, frena… Lascia che ti esponga i dettagli…”.

“Esatto, Joe: lascia che ti esponga i dettagli!”, lo derise.

“Tappati quel cesso! Io ero sullo zeppelin, come stavo dicendo, e mi dovevo occupare della sicurezza. La sala era piena di pony ben vestiti: roba d’alta classe! Non capita tutte le notti di fare da scorta armata all’alta società”.

“Ma pensa…”.

“Beh, ero lì che controllavo i presenti e mi salta subito all’occhio un tavolo con un gruppo di pony, tra cui un bestione grosso come un armadio. Faccio per avvisare i superiori, quando i FlimFlam salgono sul palco e tengono il loro discorso d’apertura”.

“A-ah…”.

“Mi avvicino al mio capo e gli dico che qualcosa non mi convince, in quei tizi. Lui sta per rispondermi quando, di punto in bianco, dopo un breve scambio di battute, quelli ribaltano il tavolo e sfoderano un arsenale!”.

I due compagni risero sotto i baffi: “Ma certo! E da dove l’hanno tirato fuori? Dalle chiappe?”.

“Quanto sei ignorante… La ferraglia era stata imboscata sotto i tavoli! Comunque, tirano fuori le armi e scatenano una sparatoria pazzesca! Io me la faccio sotto e mi butto dietro un riparo!”.

“Non avevo dubbi…”.

“…E, come se non bastasse… BUM!”.

“Bum?”.

“Sì! Bum! Quasi tutti gli altri tavoli esplodono in mille pezzi! Uno, vicino a me, quasi mi assorda dal botto! Al che non ci capisco quasi più niente…”.

“Come sempre, allora”.

“Le orecchie mi fischiano e il caos è tale che non comprendo più chi è chi… Sparo alla cieca e finisco le pallottole del revolver… Quindi una chiazza rosa mi saetta vicino…”.

“Chiazza rosa?”.

“Sì! Un pony rosa, armato come un ninja, passa vicino a Cester e lo trapassa come se fosse una foglia di lattuga! Io scappo come un pazzo, con i proiettili che mi sibilano sopra alla testa! Arrivo ad un altro riparo e, da un cadavere per terra, prendo un’altra pistola. Non sapevo cosa fare, ero in preda al panico! Quindi arriva un mio collega e ci accorgiamo che il bestione, quello davvero grosso, è rimasto senza munizioni, dietro un spesso tavolo in mogano…”.

“A-ah… E poi?”.

“Gli abbiamo vuotato le armi addosso! E sapete il bello?? Il tizio ci carica come un treno, usando il tavolo a mo’ di ariete!! Cerchiamo di scansarci ma è troppo tardi e veniamo catapultati fuori dallo zeppelin!”.

Ci furono altre risate: “Incredibile! Dovevi fare lo sceneggiatore per i fumetti di fantascienza, tu! Altro che il sicario! E come ti saresti salvato? Volando?”.

“No, idioti… Sono volato giù come un sasso, pensando che la mia vita fosse giunta al termine… E invece impatto contro l’acqua di un fiume. Cado così prepotentemente che tocco il fondale con la fronte!”.

“Ecco, questo spiega i danni cerebrali”, lo derise la coppia.

“Massì. Che diavolo sto a raccontare questa roba a degli ignoranti come voi…”.


    Una voce proruppe alle spalle dei tre, oltre la siepe che delimitava il giardino della villa.

“Bella storia. Ma ti sei dimenticato di dire che, all’esterno, l’Asso delle Guerra Equestre teneva testa ad almeno cinque uccellacci armati”, esordì Dash.

“Ma non erano quattro?”, chiese timidamente Fluttershy.

Le guardie si girarono di scatto, puntando i mitra nell’oscurità. Altri sicari di ronda notarono lo spavento dei colleghi e si avvicinarono anch’essi alla siepe, pronti a far fuoco.

I pony, con Applejack in testa, uscirono lentamente dal buio notturno.

“Chi diavolo siete, voi?”.

“Oddio! Sono loro! Li riconoscerei tra mille! C’è anche la tizia rosa!”.

“Ciao! Mi chiamo Pinkie Pie!”, esclamò l’altra, con un sorriso giocoso.

    I tirapiedi fecero cerchio attorno ai visitatori, la maggior parte sghignazzando di gusto.

“Calma, gente”, disse Applejack, piuttosto nervosa, “Vediamo di stare calmi, ok?”.

“Perché siete venuti qui?”, chiese un tizio, “Siete in vena di morire?”.

“Ehy!”, sbottò Rainbow, afferrando improvvisamente uno dei loro Thompson, “Se non la pianti di puntarmi alla schiena ‘sto coso, vedi dove te lo infilo!”.

Gli altri si fecero minacciosi.

“Calma, RD! Siamo qui solo per parlare!”, l’ammonì Applejack.

Il pegaso blu sbuffò e poi riconsegnò l’oggetto al proprietario, lanciandoglielo tra le zampe.

“Parlare?... Oh, no… Credo che sarebbe molto più sbrigativo se vi facessimo fuori tutti e subito…”.

“Non ti conviene, sfigato”, sussurrò Hound, con la tipica tonalità da macho.

“Ah no? Invece io penso che converrebbe a tutti”.

“Pessima idea: che ti avevo detto, razza di invasato?”, ringhiò Dash verso il Segugio.


    “Fermi tutti”, intervenne Octavia, giungendo dalla villa, “Qui nessuno aprirà il fuoco senza mio preciso ordine”.

Il pony grigio si avvicinò con passo leggiadro verso il gruppetto: gli occhi viola, con le palpebre leggermente calanti, avevano riguadagnato la loro calma spavalderia.

“Ehy, boss! Hai visto? C’è il circo in città!”.

“Davvero? Non me ne sono accorta! Dove l’hanno montato??”, domandò Pinkie, eccitata.

Quando Octavia la vide, sgranò gli occhi, emise un urlo strozzato e fece un balzo all’indietro: “Tu!”.

“Io!”.

“Tuu!”.

“Iooo!”.

“Tu sei la tizia dei coltelli!”, ruggì, indicandola con uno zoccolo e tenendosi a debita distanza.

“Io sono la tizia dei coltelli belli e dei boccali speciali!”, canticchiò.

L’altra afferrò istintivamente una doppietta di un sottoposto e la puntò verso di lei, visibilmente preoccupata: “Guai a te se ti muovi!”

“Cos’è? Un gioco? Facciamo a chi resiste di più a star ferma?”.

“Ma… ma sei scema o cosa?”.

“Ehm… signori…”, intervenne Twilight, “Sono lieto che vi conosciate… Ma vorremo chiarire un attimo alcune cose, prima che impalliniate la nostra barista”.

“Che diavolo volete?”, chiese Octavia, senza abbassare il fucile.

Applejack si fece avanti: “Fosse solo per me, vorrei spaccarti quel grugno che ti ritrovi, legarti una corda agli zoccoli e poi farti fare un giro attaccata al mio furgone, bastarda vigliacca!”.

“Ah… Tu sei Applejack, vero? Dimmi: ti è piaciuta la visitina alla tenuta?”.

Il pony arancione avanzò verso di lei a denti stretti e le amiche la trattennero.

“Vieni qui e dimmelo muso a muso, se hai il coraggio, stronza!”, le intimò.

“Come vuoi”, rispose l’altra ma, quando vide nuovamente Pinkie Pie, si bloccò.

“Allora?? Hai paura?”.

“Forse, pensandoci bene…”, rispose, “Darò l’ordine di aprire il fuoco…”. Si udì lo scatto metallico di alcuni otturatori.

“Aspetta, Octavia”, disse lo stallone.

“Ah. Sai come mi chiamo?”.

“Sì. Sei Octavia: musicista compositrice, esperta in arti marziali e combattimento corpo a corpo; un tempo lavoravi in un’orchestra sinfonica ma la lasciasti per fare carriera al soldo dei boss mafiosi; il tuo colore preferito è il rosa confetto e ti piace la pizza alle cipolle”.

“Pizza alle cipolle?”, domandò uno sgherro, un po’ schifato, abbassando l’arma.

“Come conosci tutte queste cose?”.

“Sono Grey Hound. Questo nome dovrebbe dirti qualcosa”.

“Hound?”, chiese, “Mi avevano detto che eri morto nell’attentato contro i FlimFlam Brothers”.

“Forse dovresti cambiare informatori, ragazza”.

“E’ un pony-zombie!”, si intromise Pinkie.

Octavia sorrise: “Ma guarda te… Che ci fa il Segugio di Counterlot con un manipolo di criminali?”.

“E’ una lunga storia”.

“Non che me ne freghi qualcosa. Allora: ultimo desiderio?”, concluse, collimando la mira.

“Beh… visto che me lo chiedi… Vorrei parlare col tuo capo”.

“Impossibile”.

“Guarda che so per chi lavori”.

“Ne dubito”.

“Discord, giusto?”.

A quelle parole, l’interlocutrice rimase interdetta: “Questo… è davvero curioso…”.

“Ero il Segugio di Counterlot, non il primo patacca di turno, ragazza”.

Lo sguardo di Octavia assunse un vago interesse per il gruppo di pony: “Insomma… Cosa ci fate qua? Volete una regolazione di conti?”.

“Oh, no. Vogliamo solo parlare con Discord. Siamo persino disarmati”.

“Questo lo vedremo. Perquisiteli”.

Un pugno di sgherri si avvicinò e controllò rapidamente che fossero senza armi. Uno di loro allungò un po’ troppo le zampe sulle curve di Rarity.

“Ehy!”, strillò l’unicorno bianco.

Hound, senza pensarci due volte, lo mise a terra con un gancio alla mandibola: “Se ti azzardi ancora a toccarla, ti strappo le p…”.

“Ehy, ehy… Tranquillo, gringo”, lo rassicurò Octavia, “Ok… Siete puliti. Quindi… volete parlare con Discord? Perché?”.

“Questa faccenda non riguarda te”, esordì Applejack, “e non diremo nulla finché non saremo in presenza del tuo capo”.

Il pony grigio ci penso su: “Uhm… Molto interessante. Da un lato… potrei battere gli zoccoli e vedervi cadere sotto i colpi di una decina di mitragliatrici… Dall’altro… potrei acconsentire alle vostre idee deliranti e portarvi davvero dinnanzi a Discord… Che dovrei fare?...”.

“Piombo”, suggerì un tirapiedi.

“Oh! No no no!”, bisbigliò Fluttershy, “Basta con gli spari!”.

“E poi mi rovinerei tutto il vestito…”, bofonchiò Rarity.

“Se non vuoi farti sparare, batti gli zoccoli!”, canticchiò Pinkie, per nulla preoccupata, “No… Aspetta… Hai appena detto che se batti gli zoccoli allora ci sparano… Non è così che faceva la canzone!”.

Octavia, alla fine, poggiò una zampa sull’incavo tra gli occhi e li strizzò: “Come diavolo ha fatto una banda di dementi come voi ad abbattere la concorrenza dei fratelli?... Su… Seguitemi”.


*** ***** ***


    Octavia congedò i tirapiedi ed invitò i visitatori in un “tour guidato” attraverso la villa, per condurli da Discord.

“Se mi passa anche solo per l’anticamera del cervello che state facendo una mossa troppo ardita, questo posto sarà la vostra tomba”, li avvertì, con voce solenne.

“Tranquilla, se volessimo fare una mossa troppo ardita, saresti già un cadavere”, rispose Applejack.

“Quale modestia…”.

“Senti chi parla”.

Il gruppo attraversò rapidamente un cortile, passando all’interno di antiche colonne ad arco. Al centro del complesso si ergeva una fontana monumentale, raffigurante un grosso drago affusolato, intento ad urinare nell’acqua (ovviamente, il getto proveniva proprio dalla zona pubica della creatura).

“Però… Vi trattate bene, qui…”, commentò Dash.

“Andrebbe anche meglio… se solo un manipolo di incapaci non ci avesse fatto saltare la copertura nella gioielleria”, rispose Octavia, con aria di sfida.

“Cosa?? Copertura? Avete sfondato una vetrina con una fottuta macchina in corsa! Casomai quello era il MIO piano e voi avete fatto saltare la MIA copertura!”.

“Quanto parli… Non eri così estroversa, l’ultima volta, quando ti stringevo una collanina al collo…”.

Rainbow la guardò in cagnesco, pronta a saltarle addosso.

Futtershy la cinse per le spalle: “Calmati, RD… Ti sta istigando apposta…”.

“Ascolta la tua amica, pegaso dalla chioma ridicola”.

“Già…”, continuò Fluttershy, “E poi fa solo la voce grossa. Se avessi voluto, quella notte, le avrei sparato in testa… e non al cappello”.

La puledra dal manto grigio si fermò per un attimo e poi riprese a camminare.

    Spalancò quindi un altro grosso portone, rivelando un’enorme (quanto raffinata) piscina al coperto: la stanza sembrava scolpita nel marmo scuro ed era adornata con splendidi capitelli e tempestata di vetrate dai mille colori. Pareva un misto tra un tempio greco e una cattedrale francese.

Le luci erano spente: soltanto una manciata di raggi luminosi, dall’esterno, filtrava attraverso le finestre, generando un’atmosfera mistica. I moti ondosi dell’acqua si riflettevano su tutte le superfici del luogo, compreso un grosso trono di pietra contro una parete. Un vago afrore di incenso aleggiava ovunque.

“Per Celestia…”, ammise Rarity, a bocca aperta.

Twilight e Hound corrugarono la fronte: “Magia…”, esclamarono, all’unisono.

“Ehy… L’ho detto prima io…”, puntualizzò Grey.

Octavia si arrestò: “Signori… Discord vi riceverà tra breve”.

Seguì una lunga e silente attesa, in cui lo stupore iniziale venne presto sostituito da una noia crescente.

“Beh? Cos’è, uno scherzo?”, sbuffò Dash.

L’acqua si increspò lievemente: quello che sembrava essere il disegno di un serpente marino, sul fondale, si rivelò invece qualcosa di vivo. La sagoma allungata si contorse, muovendosi sinuosamente verso il bordo della vasca.

Improvvisamente, una testa caprina sbucò dalla superficie, ruotando il capo e spandendo nell’aria una fluente chioma bagnata, in una scena magicamente rallentata: schizzi e goccioloni brillarono nell’aria, incorniciando il ghigno beffardo di Discord.

Nessuno riuscì a trattenere le mascelle cascanti (tutti eccetto Pinkie, che sorrise amabilmente).

    La creatura si issò sul pavimento: “Octavia! Inviti ospiti proprio mentre sto facendo il mio bagno ristoratore?”, sbottò, togliendosi la cuffietta e, con essa, le ciocche finte che avevano creato l’illusione di una fluente capigliatura.

“Scusa, capo. Ma credo si tratti di… una faccenda abbastanza urgente”.

“Oh! Nulla è così urgente da non poter attendere il mio… Ehy, aspetta un attimo…”, sussurrò, scrutando i presenti, “Ma! Ma… Voi… Ah! Non ci posso credere! Siete voi!”.

“Sììì! Festeggiamo!”, esultò Pinkie.

“No… ma dai… Non è possibile!”, continuò Discord, “Cioè… ma ci siete tutti?? La campagnola… il dottore… la stilista… E poi? Oh! Le due della Guerra Equestre! E tu sei… tu sei quella che gestiva il Sugarbooze Corner, giusto?”.

“Sììì! Cioè… nooo! Il mio povero locale!”.

“Già… brutta faccenda… E tu, invece, devi essere Big Macintosh!”. La creatura mostrò uno sguardo languido e gli fece l’occhiolino: “Che culo essere circondato da un manipolo di puledre in calore, eh??”.

“No. Sono Grey Hound, il Segugio… cioè… l’ex Segugio di Counterlot”.

L’altro si schiacciò le guance tra le zampe: “Grey Hound?? Stai scherzando? Ma è bellissimo! Non potevo sperare di meglio!”.

“Prego?”, domandò Applejack.

Discord iniziò a contare sulle dita. Qualcosa non gli tornava: “Ora che ci penso, però… manca quel piccoletto… il nano viola… Come si chiama? Nike? Pike?... Petrekke?”.

“Spike”, suggerì Twilight.

“Ah! Sì, sì, sì… Spike! E ditemi… Ha ancora il vizio di fumare i sigari? Sapete… la pipa è molto meglio”, ed estrasse una pipa da dietro la schiena, se la portò alla bocca e la incendiò completamente con una fiammella dal pollice. Sorrise, con il volto strinato dal calore.

“Sembri contento di vederci”, affermò il pony arancione.

“Ma certo! Sono contentissimo!”.

“Perché?”.

“Ma come perché? Tutta la concorrenza più agguerrita che c’è in città si trova qui… nella mia villa! Nella mia piscina! Tra le mie mura!...”. Il suo volto si fece maligno: “…Nel mio Dominio… Sapete cosa vuol dire, no?”.

“Sììì! Pigiama party!!”, strillò la puledra rosa.

“Esatto!... Pigiam… No aspetta… Pigiama party? Non era quello che avevo in mente…”.

“Una bella occasione, per te, vero? Tutti i tuoi problemi si potrebbero risolvere questa notte…”, affermò Hound.

“Oh… sì… Hai afferrato il concetto”.

“Credo tuttavia che tu non abbia compreso bene chi sia il vero nemico, in questa città… anzi: nell’intera Equestria”.

Discord rise di gusto: “Ma per chi mi hai preso? Certo che so chi è il vero nemico! E’… la placca!”, farfugliò, sollevandosi un labbro col dito e osservandosi il riflesso dei denti in uno specchietto.

“Tu e lui siete parenti?”, domandò Rainbow a Pinkie Pie.

“Sto parlando del Governo Celeste, amico”.

“Uh? Governo Celeste?”.

“Sì. Hai presente… Counterlot… mura alte e invalicabili… Decreto Celeste… Agenti?…”.

“…Celestia…”, sospirò l’altro, osservando un poster autografato vicino al trono, “Cioè… Sì! Sì! Il Governo Celeste!”.

“Tu sei un capo mafioso, Discord, dico bene?”, continuò il Segugio.

“Preferirei definirmi… funzionario del disordine pubblico…”.

“Quel che è. Ora… ascolta: abbiamo tutti un problema. La concorrenza. Applejack e le sue amichette vogliono vendere un prodotto illegale e, da qual che mi risulta, tu vuoi fare altrettanto”.

“Vero. Vero. Però il mio è migliore”.

Applejack fece vibrare le labbra: “Per piacere…”.

Lo stallone riprese il discorso: “Entrambi volete ottenere soldi da un’attività che vi costringe a farvi le scarpe a vicenda. Per colpa di chi? Del Governo e del suo Decreto Celeste. E chi ci guadagna, mentre voi continuate ad ammazzarvi come galli in un pollaio?”.

“Il… uh… parroco di paese?...”, domandò Discord, un po’ insicuro.

L’interlocutore assunse uno sguardo spazientito: “No, caprone… sempre il Governo Celeste”.

“Mannaggia!”, farfugliò, schioccando le dita.

“Ma… e quello sarebbe il tuo capo?”, domandò Twilight a Octavia.

“Sì. Sembra un po’ schizzato ma… va a periodi”, le rispose il sicario.


    La creatura si fece improvvisamente seria: “Beh, tutto questo è molto interessante ma… a me che importa di quello che pensate del Governo Celeste? A me interessate voi… Credevo si fosse capito quando vi ho mandato alcuni tizi a farvi visita…”, concluse, alzando le spalle.

Applejack ripensò al fratello ferito: “Non ti preoccupare. Sei stato chiarissimo”.

“Ed ora ho l’occasione di togliervi di mezzo una volta per tutte! Oh! Quale gioia e gaudio!”, esultò, saltellando sulle zampe, come una scolaretta.

“Ah, ma davvero?”, lo schernì Grey, “E tolti di mezzo noi, sai cosa succederà?”.

“Uhh… il funerale?”.

“Ne arriveranno altri. Altri concorrenti desiderosi di ampliare il loro business, a scapito del tuo”.

“Allora schiaccerò pure loro!”, ringhiò Discord, stringendo un pugno.

“Sì, certo… Finché, senza più forze per reagire, qualche altro boss mafioso ti colpirà quando sei più debole, ti sostituirà e così tutto dovrà ricominciare da capo. E’ matematico, amico. Lo so: le ho studiate bene queste cose”.

Il padrone di casa divenne dubbioso: “Uhm… Beh… insomma…”.

“Ti ricordi i FlimFlam Brothers?”, chiese Applejack.

“Oh! Come dimenticarsi dei baffi come quelli!”, vaneggiò Discord.

“Appunto… i loro baffi sono bruciati… perché facevano come te: si ritenevano inaffondabili e, anziché rendersi conto di chi era il vero nemico, hanno deciso di bisticciare con noi”.

“E’ una minaccia?”, domandò, congiungendo gli artigli.

“No, Discord”, ripose il Segugio, “E’ un consiglio. Un consiglio molto saggio”.

“Mhh… Bah… Non mi convincete così tanto… E poi, che diavolo!”, farfugliò all’improvviso, gesticolando, “Ancora non ho capito che ci fai con questa gentaglia!”.

“Visto che siamo qui per parlare… parliamo: il Governo ha ammazzato mia moglie, mentendomi per tutto il tempo”.

“Ooh…”.

“Quindi ho bisogno di gente brutta e cattiva per sistemare le cose”.

“Ah! Splendido… Splendido!! Ma allora stiamo parlando di… vendetta!”, strillò, mordendosi il labbro inferiore.

“Beh, per farla breve… sì”, tagliò corto l’altro.

    Discord iniziò a passeggiare su e giù per il bordo della piscina, con gli occhi puntati al soffitto e lisciandosi la barbetta: dava l’impressione di essere assorto in pensieri alquanto contorti.

“Eee… quindi cosa proporreste?”.

“E’ semplice”, disse il pony arancione, allentando il nodo alla cravatta, “Un’alleanza. Certo, non posso dire duratura… Se penso a quello che avete fatto passare a Macintosh e alla mia sorellina…”.

“Sai come si dice in questi casi, no? E’ solo questione d’affari”.

“Già…”, commentò Hound, abbassando lo sguardo.

“Se ci alleiamo, anziché scannarci come cani rabbiosi”, continuò Applejack, “forse potremo sbarazzarci del Governo Celeste… E poi, se vogliamo, potremo chiudere la nostra faccenda una volta per tutte. Il vantaggio è che, senza più Celestia di mezzo, saremo liberi di gestire le nostre diatribe definitivamente, senza Agenti, Decreti o altre menate a far sopraggiungere altri concorrenti desiderosi di soldi sporchi”.

“Quindi vuoi combattere Celestia, eh? Non è un’impresa da poco, puledrina!...”.

“E’ per questo che dobbiamo allearci”.

Discord si puntellò il mento con un artiglio: “Sai che ti dico? La vostra idea è una follia… Mi piace!”.

“Quindi?...”.

“Beh, frena un secondo, però… A me piace fare un po’ di casino, eh… Non fraintendermi! Però… Non ho voglia di annientare la mia stessa attività contro un assalto suicida alle porte di Counterlot! E di sicuro non mi fido di voi al punto di unirmi ad una crociata del genere!”.

“E’ comprensibile. Infatti pensaci pure con calma… ti posso dire, comunque, che mi sto organizzando con i miei parenti lungo il fiume… Sai… noi gente di campagna siamo pieni di parenti”.

L’altro si spanciò dal ridere, quindi si asciugò una lacrima dal volto: “Sei davvero divertente! Vuoi assaltare Counterlot con una manica di paesani armati di forconi??”.

“Esatto: forconi, doppiette e qualche litro di sidro nello stomaco”.

“Ah! Oddio! Mi piace un sacco!!”.

Rainbow Dash, che non sopportava tutte quelle risate a casaccio, intervenne stizzita: “Sì… Beh… ed io ho intenzione di chiedere aiuto a dei vecchi commilitoni della Guerra Equestre… Sono sicura che avranno ancora la voglia di premere un grilletto”.

Le risate di Discord crebbero di intensità, rimbombando in tutta la sala.

“Bah… Villici… Soldatacci senza bandiera…”, commentò Rarity, “Per quel che mi riguarda… conosco un sacco di unicorni d’alta classe che mi devono parecchi favori… Non sono dei combattenti ma sanno come usare un corno per creare un po’ di scompiglio”.

Il drago cadde a terra, cingendosi il ventre e cercando di non farsi strozzare da altre, prorompenti risate: “Ah… aah… basta! Basta, vi prego!! E… e poi? Tu cosa farai? Attaccherai con uno stormo di gabbiani inferociti?”, chiese a Fluttershy, che si limitò a nascondersi dietro a Dash. “Niente? Proprio niente? E… e tu?”, biascicò, puntando l’artiglio verso Pinkie.

“Cupcakes!!”.

Discord strinse i denti ed emise un rantolo sommesso, quindi si sedette sul trono e cercò di riprendere fiato.

“I casi sono due”, bisbigliò Twilight ad Hound, “O si allea con noi… oppure muore dal ridere entro la mattinata…”.

“Per quel che mi riguarda… in entrambi i casi mi fa un favore”.

    Una volta ripresosi dalla ridarella, con il volto ancora rigato dalle lacrime, cercò di schiarirsi la voce e parlò: “Okay… okay… E’ stato divertente… Ma ora veniamo alle cose serie… Voi volete un alleato, eh? E volete rovesciare, anzi, distruggere il Governo. Interessante, dico davvero. Ma a me la logica non piace”, ammise.

“C-cosa significa?”, domandò Fluttershy, vagamente intimorita.

“Uff… Significa che non so cosa scegliere! Vi ammazzo e vi tolgo di mezzo… Oppure vi aiuto e mi imbarco in quest’impresa al limite del possibile?”.

“La seconda… la seconda…”, insistette il pegaso giallo.

“Uuuhm… Che dubbio amletico! Facciamo così!”, esordì infine, tirando fuori una moneta, come un prestigiatore, “Testa: vi faccio fuori. Croce: alleanza momentanea. Ok?”.

“Basta con gli scherzi”, disse Applejack, nervosamente.

“Infatti. Questa è una faccenda molto seria, cara mia!”, e lanciò la moneta in aria, accompagnata da un lieve tintinnio.

Gli occhi di tutti la seguirono lungo la propria evoluzione.

Improvvisamente, Hound estrasse la pistola e, in un batter di ciglia, fece partire un colpo che la centrò in pieno. L’oggetto, con un foro perfettamente circolare, cadde sul pavimento, roteando rapidamente su se stesso, fino a bloccarsi, perfettamente verticale.

La creatura serpentiforme rimase basita ad osservarla, poi spostò lo sguardo verso la puledra dal manto grigio: “Ehm… Octavia? Non dovevano essere disarmati?”.

“Io… io… Ma lo erano!”, balbettò, assolutamente esterrefatta.

“Si chiama magia illusoria. E i tuoi sottoposti sono dei coglioni”, berciò il Segugio.

Discord si strapazzò la barba, visibilmente indeciso: “Beh… la moneta è caduta in questa posizione alquanto singolare… Suppongo voglia dire che devo ammazzare metà di voi e poi organizzare l’attacco a Counterlot con l’altra metà!”

“La tua logica è indiscutibile… Così avrai meno forze armate durante lo scontro…”, lo ammonì Dash.

“Oh beh! Potrò sempre compensare con spazzini e bucce di banana”, la rassicurò.

“Cosa??”, strillò Pinkie Pie, “Lo sapevo!... Lo sapevo!!”.

“Cos’è che sapevi?”.

L’altra gli rispose frettolosamente, senza nemmeno tirare fiato: “Spazzini assassini che vogliono conquistare il mondo con bucce di banana perché così tutti scivoleranno e non potranno più andare in giro!!”.

“Ohh… E, ditemi… anche questa tizia rosa ha intenzione di partecipare all’operazione?”, chiese speranzoso.

“Sì”, rispose Applejack.

Discord allungò una zampa: “Allora abbiamo un accordo”.

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Capitolo 6
*** Non Più Vergine ***


Era notte. E’ sempre notte, quando si vogliono fare le cose in grande. Stava anche per piovere. Piove sempre, quando si vogliono fare le cose veramente in grande. Certo: i cappotti non svolazzano, tutti zuppi d’acqua, e le criniere cadono pesantemente sulle spalle, quando piove. Ma i lampi, sullo sfondo, fanno la loro porca figura, unitamente alla sensazione che anche il cielo potesse partecipare con entusiasmo a quanto stava per accadere.

    Una vedetta, sulle mura di Counterlot, passeggiava mollemente, allungando di tanto in tanto uno sbadiglio.

Dall’altra parte, proveniente dalla stazione dei treni, un trio di unicorni camminava con passo deciso: Hound era in testa, affiancata da Twilight e Rarity, tutti con il corno leggermente luminoso.

“Sicuri che non ci possono vedere?”, chiese il pony bianco.

“Tranquilla, pupa”, la rassicurò il compagno, “Finché catalizzerete la mia magia, il velo d’illusione ci proteggerà fino alle mura. Comunque… non sei obbligata a venire, lo sai”.

“Ma stai scherzando? E’ dall’assalto ai fratelli che aspetto di provare di nuovo una simile emozione! Oh! Sono tutta un fermento! I miei… i miei capelli sono presentabili??”.

“Credevo che Counterlot fosse schermata dalla magia”, disse Sparkle.

“Lo è. Ma se rimaniamo a qualche centinaio di metri dalla città, saremo al sicuro. Ehy? Non ti fidi? Ero il Segugio di Counterlot, io”.

“Eri anche stato accoppato da una stilista, da quanto ricordo”.

“Dettagli”.

Il trio proseguì fino ad una piccola collinetta, da cui si godeva una panoramica sull’intera città, posta a circa mezzo chilometro da loro. La Vergine Invalicabile sembrava davvero una fortezza in pieno stile e il cartello “Counterlot”, in caratteri allegri, sulla facciata, non ne smorzava l’aspetto militaresco.

Si vide un lampo, tra le nubi all’orizzonte. L’odore di ozono e un vento crescente preannunciarono l’arrivo di un temporale.

“Uao…”, esclamò Rarity”, Certo è un po’… rozza… però è enorme… Guarda che palazzi… e le luci”.

“Era come me la ricordavo”, sussurrò Twilight.

“Tu sei stata a Counterlot?”, chiese Grey, stupito.

“Certo. Dove pensi che abbia imparato ad usare la magia in questo modo?”.

Arrivò il tuono, smorzato dalla lunga distanza.

Lo stallone fece un lungo respiro: “Bene, signore… Tocca a noi aprire le danze… C’è solo da sperare che tutti siano pronti… che nessuno sbagli…”.

“E che Discord non voglia tradirci tutti”, continuò la puledra viola.

“Già… Ma ormai siamo in ballo… e dunque… balliamo… Pronte?”.

Il gruppetto si fece compatto, incrociando i corni. Il velo illusorio svanì e una sfera luminosa, immediatamente dopo, incominciò a crescere sulle loro fronti.

    La vedetta notò una scintilla lontana e aguzzò lo sguardo.

“Ehy! Eddie! Vieni a dare un’occhiata!”.

“Che c’è?”, chiese un compagno, avvicinandosi con scarso entusiasmo.

“Guarda là. Che roba è?”.

“Uhh… Non saprei”, commentò, strizzando gli occhi.

La sfera prese ad ingrandirsi sempre di più.

“Ehm… Non mi sembra promettente… E’ magia?”.

“Impossibile. Se fosse magia, l’avremmo percepita molto prima”.

“A me sembra magia”.

Lo strano fenomeno triplicò improvvisamente di volume e, preceduto da una lieve onda d’urto, si diresse, con traiettoria parabolica, verso i due sfortunati, illuminandoli sempre di più.

“Mhh… Sì. Avevo ragione. E’ magia”.

“E’ proprio vero…”, esclamò tristemente l’amico, “Queste cose succedono sempre il giorno prima del pensionamento…”.

La bolla magica si infranse contro le spesse pareti di cemento rinforzato, si contrasse e poi esplose con una violenza paragonabile ad un obice anticarro. L’impatto disintegrò buona parte del cemento, scagliando fumo e detriti a centinaia di metri di distanza.

Alcuni frammenti arrivarono persino ai piedi dei tre unicorni, con le criniere spazzate all’indietro. Hound dovette tenersi il cappello.

“Ah!”, ridacchiò Twilight eccitata, “Questa sì che è una fottuta esplosione!!”.

“Mamma mia… che botto…”, proseguì Rarity, con volto stupito.

“E così… l’attacco a Counterlot ha inizio”, proferì Hound, con tono solenne, “Ora speriamo che ognuno faccia la sua parte”.

Alle loro spalle, decine di unicorni dell’alta borghesia annullarono un altro velo illusorio, rivelando uno stuolo di contadini decisamente su di giri, che esultarono, forconi alla mano.


    Oltre le mura, invasi da un nuvolone di polvere e quasi nel panico, una manica di Agenti cercava di organizzarsi e capire cosa fosse successo.

“Che cazzo è stato??”, tuonò un ufficiale, agitando insistentemente uno zoccolo davanti al muso.

“Non lo so signore! Un’esplosione, credo!”.

“Questo lo capivo anche io, maledizione!”.

“Le mura! Hanno abbattuto le mura!”, urlò un altro.

“Impossibile! Quello è cemento armato protetto da magia! Solamente una cannoniera potrebbe abbatterlo!”, cercò di rassicurarli, “In ogni caso: smettetela di agitarvi come donnette e mantenete le fila!”. Gli Agenti ubbidirono e si organizzarono in ranghi, sfoderando pistole e mitragliatrici.

“Non si vede nulla!”.

“Allora state fermi e aspettate che il fumo si diradi! Se qualcuno tenterà di varcare le mura, sempre concesso che le abbiano scalfite, allora li spediremo all’inferno!”.

“Yeeeah!”, urlò un pegaso bianco e muscoloso, particolarmente convinto.

    Ci fu un attimo di silenzio, in cui gli Agenti si guardarono attorno con nervosismo: il fumo calava molto lentamente e ancora non si capiva cosa fosse successo. Poi, una dopo l’altra, urla da battaglia, simili a guaiti e schiamazzi di cowboy, si ammassarono in un crescendo quasi spaventoso.

“Che… che diavolo è?”, balbettò uno.

Il rombo di un vecchio motore iniziò quindi a coprire gli schiamazzi, finché un furgone arrugginito non sbucò dalla nube polverulenta, a piena velocità. Lo seguì a ruota un gruppo di pony di campagna, armati con forconi, vanghe, doppiette e, non per ultimi, bottiglioni d’alcol del tipo “xxxxx”. Le urla si fecero assordanti, accompagnate anche da qualche strambo strumento a corda.

Gli Agenti sgranarono gli occhi, assolutamente impreparati.

Applejack guidava il furgone e, sul retro, trasportava mezza dozzina di bestioni, intenti ad agitare i forconi in aria. Sul tettuccio, saldamente ancorata con delle corde, GrannySmith sedeva sul dondolo, con la sua fida lupara tra le zampe: premette il grilletto e uno degli Agenti fece un volo all’indietro.

La sicurezza aprì il fuoco: i colpi tintinnarono sulla carena malandata del mezzo e il guidatore buttò la testa sotto al cruscotto. Subito dopo, l’orda di campagna travolse in pieno il nemico. Urla e spari si mescolarono rapidamente in tutte le direzioni.


    Intanto, sulla collina, gli unicorni d’alta classe si erano riuniti attorno a Rarity.

“Oh! My dear!”, esclamò uno di loro, vagamente infastidito, “Ma… è un’orda di barbari!”.

“Già… i MOLTI parenti di una mia… ehm… amica”, rispose l’altra, con un sorriso imbarazzato.

“Però”, aggiunse un altro unicorno, indossando un piccolo binocolo da teatro, “Stanno facendo un bel fracasso, là dentro, madame”.

“Ehy, fighelle”, li apostrofò Hound, “Non siete qui per guardare. Muovete il culo, anzi, il corno”.

“Oh! Lei è un maleducato!”.

“Mhh… a me piace essere maltrattato da uno stallone virile come quello”, aggiunse un pony dalle retrovie.

“Signori… signori…”, intervenne Rarity, “Vi prego di non distrarvi! Necessito del vostro aiuto per questa… uh… singolare operazione”.

“Ma certo, madame. Questo e altro per un pony adorabile come lei”.

“Io voglio lo stallone!!”.

“Allora”, continuò la puledra, giochicchiando con la cravatta dell’interlocutore, “Che ne dite di fare quanto avevamo stabilito?”.

“Sicuro, my dear. Avete sentito, gentilpony??”, esordì, rivolgendosi alle decine di unicorni dietro di lui, “Madame Rarity vuole un modesto fuoco di sbarramento e noi glielo daremo, giusto?”.

“Ma certamente!”.

“Of course!”.

“Indubbiamente!”.

“Ma mi scompiglierò tutta la criniera!”

“E allora, diamoci da fare!”.

I corni dei presenti si illuminarono, uno dopo l’altro, espellendo un nugolo di bolle scintillanti verso il cielo. Dopo alcuni secondi, queste presero a precipitare verso Counterlot, colpendo la città come se fosse sotto il fuoco dell’artiglieria. Esplosioni e boati iniziarono ad echeggiare tra le vie cittadine; lampioni si fulminarono e alcune macerie presero a rovinare verso terra.

“Non male, per essere una manica di pomposi figli di papà”, commentò Grey.

“Così… bravi”, affermò Rarity, con un sorriso, “Occhio solo a non colpire troppo vicino alle mura… Sapete… Non vogliamo fare del male anche ai… uh… barbari!”.

“Stia tranquilla madame!”, rispose un nobile, mentre la cacofonia magica continuava a dare spettacolo di luci, botti e esplosioni.

“Dobbiamo prepararci ad entrare a Counterlot”, affermò Twilight, “E’ probabile che, tra poco, erigeranno una barriera magica per proteggersi dall’attacco. Se dovesse accadere, non potremo più passare”.

“Esatto”, rispose Hound, “Ma dobbiamo aspettare il momento giusto. Il rendez vous è nella piazza, di fronte alla caserma”.

“Sì… e speriamo che le infiltrate stiano facendo il loro lavoro”, concluse l’unicorno viola.


*** ***** ***


    Octavia si stava muovendo silenziosa come un serpente: le strette pareti di metallo del condotto scricchiolavano appena, in concomitanza ai suoi movimenti. Era buio, fatta eccezione per qualche timido fascio luminoso che proveniva dalle grate di ventilazione.

Dietro di lei, in netto contrasto, Pinkie Pie arrancava come un botolo rantolante, producendo un sacco di schiocchi e rimbombi, per l’intero cunicolo.

“Ma vuoi far piano?”, bisbigliò Octavia, girandosi per un istante verso di lei.

“Ma sto facendo piano!”, strillò.

“Shh! Che lo fai apposta??”.

“Apposta preposta!”.

“Ma come hanno potuto metterci insieme in questa operazione?”, commentò scoraggiata, riprendendo a muoversi.

“Perché siamo amiche!”.

“Non sono tua amica”.

“Sì! Siamo amiche di coltello-che-bello!”.

“Taci e muoviti”.

“Okie dokie!”, rispose, riprendendo a scalciare e strisciare affannosamente.

Octavia la colpì sulla fronte con un calcio: “Ho detto di far piano, idiota!”, la minacciò, cercando di non alzare la voce.

“Ehy! Mi hai fatto male!”, piagnucolò Pinkie, stringendosi il capo.

“Questo non è un gioco! Se ci sentono, ci ammazzano, ok??”.

“Non è un gioco?? Oh, suvvia! Tutto può essere un gioco! Vedi… io te siamo due infiltrate speciali che si stanno introducendo in una banca segretissimissima per prendere un muffin dorato che è custodito oltre una teca protetta dalla magia che…”.

L’altra non riuscì più a trattenersi: sfoderò un coltello a serramanico e menò un fendente al collo del pony rosa che, come suo solito, lo schivò per puro caso. La lama strisciò lungo la parete metallica.

“Ehy!! Ma sei matta!? Potevi farmi male!”.

“Da morta saresti sicuramente più silenziosa!!”, berciò Octavia, girandosi nel condotto, questa volta con ben poca grazia, intenta a far fuori la compagna.

“Ma… non è così che dovevamo fare!”, protestò.

    Le due si azzuffarono violentemente, producendo rumori d’ogni sorta. Un cigolio improvviso le fece ammutolire, ancora con le chiome strette tra le zampe, nell’intento di strapparsele a vicenda.

“Cos’è stato?...”, domandò Pinkie.

“Credo che…”.

Il condotto cedette e le due precipitarono al suolo, finendo sul freddo pavimento. Il coltello di Octavia volteggiò e si conficcò ad una spanna dal muso.

Si rialzarono doloranti: attorno a loro, assolutamente basiti, una ventina di Agenti le osservava in silenzio. Erano cadute tra fila di letti a castello e i presenti stavano giusto vestendosi, a causa dell’allarme che era scattato in tutta Counterlot.

“Perfetto…”, sussurrò la puledra grigia.

“Uuh! Mega party!!”, proferì l’altra, estraendo una coppia di coltelli.

Gli Agenti reagirono istintivamente ma soltanto un paio di loro era armato di pistole: gli altri si avventarono sulla coppia a zoccolo nudo.

Octavia riconquistò la propria calma e prese a muoversi sapientemente tra gli avversari, schivando e parando tutti i colpi a lei rivolti.

Pinkie, come suo solito, non fece altro che piroettare a casaccio, sicura che niente e nessuno l’avrebbe mai colpita.

Poi ci fu il contrattacco: il pony dagli occhi viola afferrò un paio di zampe a lei dirette e, con un colpo secco, le slogò dolorosamente. I due caddero a terra, urlando. Un altro tizio fece per assalirla alle spalle ma lei lo precedette e gli danzò attorno, colpendolo alla base del collo con una botta secca… e letale.

“Io ne ho già stesi tre”, disse orgogliosamente, girandosi verso Pinkie. L’amica estrasse i pugnali da due degli otto corpi che giacevano attorno a lei, sfoderando un sorriso smagliante: “Vuoi che ti aspetti??”.

Lo sguardo dell’altra si fece rabbioso.

In mezzo al caos, i due Agenti armati di pistola non sapevano cosa fare: le puledre erano delle saette mortali che si spostavano da un bersaglio all’altro, abbattendolo inesorabilmente e schivando al tempo stesso i colpi in arrivo. Quando quasi tutti i colleghi furono a terra, decisero di aprire il fuoco.

Octavia riuscì ad anticiparne uno, lanciandogli sulla fronte il coltello a serramanico. L’amico, tuttavia, stava per premere il grilletto, quando Pinkie gli balzò davanti. La canna dell’arma le arrivò a pochi centimetri dalla fronte e il colpo partì. L’istante successivo allo sparo, il volto del pony rosa, con lo sguardo camaleontico da pazzo, era una spanna a destra dall’arma: al suo posto, la liscia chioma rosa volteggiava a mezz’aria, appena attraversata dal piombo della pistola.

La lama penetrò nel petto dell’Agente, che cadde a terra subito dopo.

In pochi secondi, tutto era finito.

Octavia riprese fiato e si tolse mollemente il copricapo: “Non so come ci riesci…”.

“A far cosa?”, chiese l’altra, ansimante.

“Sì… insomma…”. Attorno a loro vi era una ventina di cadaveri. “Come diavolo fai a… Bah, lasciamo perdere. Finiamo il lavoro”, concluse, spostandosi verso l’uscita della stanza.

Pinkie la seguì a rapidi balzelli, canticchiando: “Taglia e cuci! Cuci e affetta! Affetta e cuoci!”.


*** ***** ***


    Le sparatorie impazzavano e l’artiglieria magica continuava a tartassare le strade di Counterlot: alcuni edifici erano semplicemente emaciati mentre altri già franavano parzialmente al suolo, dipingendo la scena con tonalità analoghe alla passata Guerra Equestre. I parenti di Applejack, intanto, sciamavano come cavallette, sparando, sputando tabacco, tracannando sidro e imprecando (come quando un’annata di mele “riusciva” male). Alcuni unicorni nemici si organizzarono per creare bolle di magia, laddove possibile, cercando di contenere l’orda e, al tempo stesso, porre un ostacolo al bombardamento dal cielo.

Ci fu quindi boato assordante, facilmente confondibile con il rumore delle esplosioni: uno scroscio di pioggia investì rapidamente ogni centimetro del luogo e il vento iniziò ad ululare tra i budelli e le macerie, che andavano accumulandosi.

    “Oh per Celestia!!”, strillò Rarity.

“Che succede, pupa??”, chiese Hound, preoccupato.

“Altra pioggia!! La mia… la mia capigliatura! Ero stata due ore allo specchio per prepararmi al grande evento! E tutto buttato nel cesso, ora!”.

“Altro che pioggia”, si intromise Twilight, “Questo è un temporale in piena regola!”.

I tre galopparono rapidamente per le strade della città-fortezza, approfittando del disordine per passare inosservati, spostandosi attraverso le zone meno battute dal nemico.

“Siamo fortunati”, continuò Grey, sporgendosi da un angolo ed evitando una pattuglia in arrivo, “Il tempo atmosferico è dalla nostra: sarà più semplice non farsi notare”.

“Come puoi dire una cosa simile?? Io voglio essere notata! In tutta la mia magnificenza! Oh… oh no! Mi si sta sciogliendo il trucco, vero??”, berciò, strattonando il collo dello stallone, che per poco non inciampò.

“Maledizione”, disse infine l’altro, fermandosi e cingendo le spalle della puledra.

Osservò la maschera di trucco liquefarsi e la chioma appesantirsi sotto l’acqua battente. La compagna rispose con un labbro tremolo.

“Però… vista in questo modo fa parecchio schifo…”, pensò.

“Ascolta, pupa, sei bellissima anche così”, mentì, stampandole un bacio a schiocco sulle labbra.

“Davvero?”, chiese timidamente. Twilight si passò uno zoccolo sulla fronte.

“Ma certo. Ora muovi quel tuo culo super sexy e infiliamoci in quel vicolo”.

Il gruppetto percorse alcuni metri.

“Ci siamo!”, esultò Twilight, “Ancora pochi isolati e saremo alla cas…”, ma dovettero arretrare di colpo, subito svoltato l’angolo, poiché una raffica di mitragliatrici si infranse a mezzo metro dalle loro zampe. Una trentina di Agenti, per lo più normali sottoposti, aveva letteralmente interdetto la zona, usando macchine e macerie come coperture. Giunsero alcune sfere magiche dal cielo ma si bloccarono contro una bolla generata dagli ufficiali nelle retrovie.

Un manipolo di campagnoli scalmanati, completamente imbottito d’alcol, proruppe da un viottolo, e caricò di prepotenza i funzionari, che lo inchiodò sul posto, farcendolo di piombo.

“Di qui non si passa, bastardi!!”, urlò uno di loro, cambiando caricatore.

“Merda! Questo ci farà arrivare in ritardo!”, sentenziò Hound, sbirciando dalle mura e schivando prontamente l’ennesima raffica di colpi.

“Aah! Piove!!”, ripeté la compagna, completamente fradicia.

“Non ci voleva”, aggiunse Sparkle, “Dobbiamo trovare un modo per passare comunque…”.

    Un rombo smarmittante iniziò ad echeggiare attraverso gli edifici: una coppia di fari balenò nel buio della notte, fendendo i goccioloni che cadevano dal cielo. Applejack schiacciò l’acceleratore a tavoletta, sfondando una ridicola barricata di legno, e portandosi dinnanzi ai suoi amici. Il furgone era ridotto ad un colabrodo ma il motore vibrava violentemente, sintomo che ancora non era giunta la sua fine. Gli Agenti aprirono il fuoco e il pony arancione si gettò nuovamente sotto il cruscotto, facendo scattare l’otturatore del suo fidato Thompson, pronto a vomitare fuoco. Granny Smith era già stata scaricata metri addietro, o non sarebbe durata a lungo, in quella situazione.

“Ehy! Salite o aspettate un invito??”, inveì, prima di sporgere l’arma e smitragliare alla cieca.

Twilight si fece coraggio e si diresse verso il retro del mezzo: “Muoviamoci! Rarity, tu sali davanti! Hound: con me, sul furgone dietro! Copriamo la fuga!”.

Quando i passeggeri furono a bordo, la guidatrice ingranò la marcia e partì, sollevando spruzzi di acqua e fango in ogni direzione. Il tintinnare dei proiettili sul metallo del mezzo ricordava costantemente quanto fosse pericoloso quello che stavano facendo.

L’unicorno bianco venne sballottato da un lato all’altro della cabina: “Ma come fa ‘sto trabiccolo ad andare ancora avanti??”.

“Lo abbiamo blindato internamente con lamine d’acciaio spesse un centimetro”, rispose, investendo in pieno due macchine parcheggiate, senza nemmeno rallentare, e superando così il posto di blocco.

Gli Agenti non persero tempo: salirono sui mezzi ancora integri e si gettarono al loro inseguimento, con tanto di spari dai finestrini, come d’altronde era ormai abitudine.

La puledra viola eresse immediatamente una barriera, bloccando i proiettili in arrivo.

“Vediamo se vi piacciono queste caramelle”, ringhiò il Segugio, con un sorriso. Estrasse due revolver e le illuminò di magia: i colpi uscirono accelerati di almeno dieci volte rispetto al normale, trapassando un paio di auto in corsa come se fossero di burro. Gli occupanti sentirono semplicemente un sibilo, accompagnato da una debole scia multicolore. I mezzi sbandarono e terminarono la loro corsa contro gli edifici e investendo gli altri veicoli. Alcuni unicorni, al loro inseguimento, decisero di rispondere per le rime, scagliando loro esplosivi attacchi magici.

Applejack prese a zigzagare disperatamente tra botti e scoppi, cercando di vedere chiaramente la strada anche attraverso il buio e la pioggia intensa.

“Al diavolo!”, proruppe alla fine, “Rarity! Prendi il volante!”. Afferrò il Thompson.

L’amica osservò il volante, sudicio e incrostato di ruggine: “Ma non ci penso proprio!”.

Un proiettile si infranse a pochi centimetri dalla sua testa: “Aahhh! Va bene va bene!”.

Il pony arancione si sporse quindi dall’abitacolo, schiacciando il grilletto dell’arma, in direzione delle volanti.

Il furgone, nelle inesperte zampe della stilista, incominciò una caotica marcia verso la propria destinazione, senza risparmiarsi su oggetti travolti e brusche sterzate.

“Applejaaaack!”, urlò Rarity, “Questo coso non va dritto!!”.

“Continua così”, le rispose l’altra, cercando di sovrastare il rumore del Thompson, “Stai andando benissimo”. Il furgone investì e sradicò un platano di netto.

Le macchine dietro di loro iniziarono a sfoltirsi, vuoi per le raffiche di Applejack, vuoi per il piombo magico di Grey. Rimaneva solo più un’auto, circondata da un alone che defletteva tutti i proiettili in arrivo, similmente a come stava facendo Twilight. A bordo, sicuramente, vi era un unicorno.

Hound osservò il tamburo: “Ehy! Ho solo più un colpo! E di certo non basterà per quel rompipalle”.

“Cosa facciamo?”, chiese Sparkle.

Dopo averci pensato un attimo, costantemente sballottato dalla guida delle puledra, rispose: “Annulla l’incantesimo e dammi una mano con la mia .357”. I due si osservarono con un sorriso sardonico. Grey rivolse il revolver all’inseguitore e i corni di entrambi si illuminarono: il proiettile uscì con una forza tale che il furgone intero ebbe un sussulto e la canna dell’arma si ripiegò all’indietro come una buccia di banana. Il colpo infranse la barriera nemica come se fosse vetro e ne arrestò la corsa con una spettacolare esplosione.

Quasi contemporaneamente, non sopportando oltre la situazione, il motore della camionetta decise di tirare la cuoia, sollevando improvvisamente il cofano e investendo Rarity con una nuvola di fumo nero, costringendola a tossire.

Dopo poche decine di metri, si fermarono.


*** ***** ***


    “Oddio! Che… che è stato?”, balbettò il pony bianco, scendendo dal mezzo, tra un colpo di tosse e l’altro.

“La Vecchia Betsy ha esalato il suo ultimo, scoppiettante, respiro”, rispose melanconicamente Applejack, sorridendo verso la carretta.

“Ragazzi… che roba…”, aggiunse Twilight, gettandosi dal retro.

Rarity si controllò in uno specchietto retrovisore, accorgendosi di avere l’intero muso color cenere: “Oh per Celestia… Oh per tutti gli Alicorni… Oh… merda!!”, blaterò, in un crescendo. “Tu!!”, continuò, iraconda, rivolgendosi ad Hound, anche lui appena sceso dal mezzo, “Tu!”.

“Che vuoi, pupa?”.

“Tu mi hai trascinato in questo tugurio! Tu mi hai portato tra pioggia, fango e… e… e questo schifo nero che non so nemmeno cos’è, ma sono sicura che è lercio e che mi farà seccare tutta la pelle!”.

“Ehy”, rispose interdetto, “Guarda che ti ho avvertita… ti ho detto che potevi non…”.

“Taci!! Tutto questo sporco… questi tizi che ci sparano addosso… l’inseguimento, che per poco non si conclude contro un muro!! Tu!! Tu!...”. Gli saltò addosso di scatto, cingendolo per il collo: “Baciami, mio stallone!!”. I due caddero a terra, sollevando gocce di fango.

“Pupa… pupa… baby… cosa… Rarity”, cercò di risponderle Hound, mentre veniva tempestato di baci sul muso, “Credimi: mi arrapi come un puledro al primo appuntamento… ma adesso non c’è tempo…”.

Applejack si guardò attorno. Erano finiti in uno spiazzo cittadino relativamente calmo: il grosso dell’azione era ancora concentrato verso le mura di Counterlot, da cui erano provenuti. Solamente le esplosioni e le urla lontane, mischiate allo scrosciare della pioggia, echeggiavano lontane.

“Ehy, gente”, sbottò infine AJ, “Quanto manca all’armeria?”.

Hound spostò prepotentemente Rarity di lato, facendola cadere in una pozzanghera: “Credo che… credo che ci siamo”, sussurrò, cercando di riconoscere la zona.

Twilight aiutò l’amica a rialzarsi, che disse: “Quale insopportabile maleducazione! Io… io!... Aww… non ce la faccio… Lui è così… rude… così… maschio”, vaneggiò, strizzandosi le guance, “Così…”.

“Stronzo?”, chiese Sparkle.

“Twilight!! E’ un po’… impulsivo, lo ammetto… ma, quando non deve sparare o dire parolacce… è così orsacchiotto!”.

Grey si grattò le chiappe e sputò per terra, sempre cercando di raccapezzarsi nella zona.

“Orsacchiotto? Quello?”, chiese l’altra, con sguardo di sufficienza, “Al massimo è un grizzly”.

“E’ così… tenerello, quando vuole…”.

“Ehy, sciacquette”, proruppe lo stallone, improvvisamente illuminato, “Ci siamo! Questo è il piazzale! E quel grosso edificio in lontananza è la caserma!”.

Applejack aguzzò lo sguardo: “Mhh… Non è un po’ troppo calmo?”.

“Magari Octavia e Pinkie hanno già… uh… compiuto il loro dovere?”, buttò lì Twilight.

“Quello, oppure si sono fatte ammazzare e gli occupanti sono usciti per andare a proteggere le mura…”.

“Beh, andiamo a scoprirlo, allora”.

“Mi raccomando”, le ammonì Hound, “Passiamo dai viottoli per non farci vedere, non si sa mai”.

“Già… e poi non abbiamo più piombo”, aggiunse il pony arancione, buttando a terra il Thompson.


    Dopo alcuni minuti, passati ad avanzare cautamente tra i vicoli bagnati, i quattro sbucarono infine a poche decine di metri dall’ingresso dell’edificio. Hound fece cenno a tutte di fermarsi, riconoscendo una manciata di pony sotto il portico che conduceva all’interno.

Octavia e Pinkie, debitamente riparate dalla pioggia, erano sedute su alcuni cadaveri e stavano parlando di qualcosa.

Gli altri decisero di avvicinarsi.

“Manehattan”, esordì la puledra grigia.

“Cinquanta millilitri di whisky canadese, venti di vermouth e una goccia di angostura!”.

“Sidecar”.

“Uuhhh… otto parti di brandy, due di Cointreau e uno di succo di limone!”, esultò il pony rosa, giochicchiando con un coltello, infilzato nella coscia di un agente privo di vita.

“Notevole. Mhh… Scommetto che questo non lo sai”.

“Dai, dai, dai!”.

“Rusty Nail”.

L’altra rispose immediatamente e a mitraglia: “Occorre riempire il bicchiere di ghiaccio a pezzi, finché non è all’orlo, quindi aggiungere venticinque millilitri di Drambuie e quarantacinque di Scotch, quindi mescolare (senza rompere il ghiaccio) e aspettare finchè le pareti del bicchiere non diventano opache, quindi servire con una spruzzata di limone! Ah!”.

Octavia batté debolmente gli zoccoli tra loro, sorridendo compiaciuta: “Notevole”.

“Uuh! Guarda chi c’è!!”.

Il Segugio fece un cenno con il cappello: “Signore…”.

“Per la miseria…”, farfugliò Twilight, osservando la pila di cadaveri, “Mi sembra di capire che… avete ripulito qualche stanza, eh?”.

La musicista fece scrocchiare le ossa del collo: “No. Ci siamo accorte che stavamo andando bene, così abbiamo deciso di sistemare l’intera caserma”.

“Cosa??”.

“Tutti gli occupanti. Morti. Nessun prigioniero”.

“Mi sono divertita tanto tanto!”, aggiunse Pinkie.

Persino Hound rimase allibito.

“Io però ne ho fatti fuori di più!”, la schernì il pony rosa.

“Ne dubito”.

“Invece sì!”.

“No”.

“Sì!”.

“Sai contare fino a quattro, perché quello è il numero delle tue zampe”, ringhiò Octavia, “Come fai a sapere quanti ne hai ammazzati?? Io ho una mente analitica e ti dico che ne ho fatti fuori di più io”.

“Sì ma quelli da cui ti ho salvata valgono doppio!”.

“Ma… ma che regola è questa??”.

“E’ così!”.

Rarity, intanto, si era messa al riparo, cercando disperatamente di ripristinare il proprio look, inutilmente.

“Sembro una spazzacamini che lavora dal mostro della palude!!”, piagnucolò, specchiandosi in una finestra.

“Ora che facciamo?? Eh? Eh?”, chiese insistentemente la barista, arrotando i coltelli tra loro.

Grey alzò solennemente lo sguardo, rivolgendolo verso un enorme edificio lontano, simile ad una cattedrale, illuminata sapientemente da un insieme di grosse lampade arancioni: “Non credo che nessuno abbia mai tentato ciò che stiamo facendo noi stanotte. In meno di un’ora abbiamo fatto breccia in Counterlot, abbiamo riversato un’orda di villici incazzati, liquidato la caserma più importante del quartiere, guidato uno scassone per i viottoli e fatto un casino boia”.

“Davvero??”, chiese Pinkie, incredula, “E come abbiamo fatto??”.

“Non lo so, razza di schizofrenica rosa, ma ci siamo riusciti”.

“Forse”, buttò lì Applejack, senza nascondere una buona dose d’orgoglio, “perché siamo i pony più cattivi dell’intera Equestria?”.

Lo stallone si accese una sigaretta: “Forse… ma… se siamo cattivi come dici tu… lo vedremo solo ora”.

“Cosa accadrà ora??”, domandò la puledra rosa, che non stava più nella pelle.

Il Segugio fece un cenno con il muso, in direzione dell’edificio che stava osservando: “Quello è il QG di Celestia. E’ la zona più controllata di Counterlot. Non ci faranno avvicinare facilmente”.

“Li butteremo zampe all’aria, come abbiamo fatto con gli altri sfigati”, esordì Applejack.

Sparkle scosse il capo: “No, AJ, quelle sono Guardie Celesti. Non sono pony come gli altri”.

“Cioè?”.

“Possiedono armamento incantato, addestramento superiore e hanno fatto giuramento di difendere Celestia, a costo della loro stessa vita. E hanno sempre mantenuto la promessa”.

“Fanatici. Sanguinari. Senza pietà”, continuò Hound.

“Mi ricordano qualcuno…”, disse Rarity, allusiva.

“Io non sono tanto sanguinario. Bando alle ciance, sciacquette. Armiamoci e poi via”.

Prima di allontanarsi, ognuno fece un breve rifornimento presso l’armeria della caserma. Solamente Octavia e Pinkie decisero di non prelevare alcunché.

“Io e la demente, qui, abbiamo una scommessa da vincere… e non sono ammesse armi da fuoco”, si era giustificato il pony grigio.


*** ***** ***


I sei avanzarono cautamente verso la base di Celestia, osservando con attenzione i paraggi. La città, in quella zona, sembrava praticamente deserta. Alcuni detriti si erano staccati dagli edifici, finendo in strada, sintomo che qualche colpo d’artiglieria magico era riuscito ad arrivare fin lì. Ora, però, i botti si udivano solo in lontananza: la battaglia ancora infuriava presso le porte della città-fortezza. La pioggia non accennava a diminuire.

Ad un certo punto, il gruppo giunse in un passaggio obbligato, circondato da un complesso di eleganti edifici residenziali. I lampioni illuminavano efficacemente la zona, permettendo di vedere il Palazzo Celeste in tutto il suo splendore, non molto distante da loro.

“Dobbiamo per forza passare da questa strada, per il palazzo. La chiamano: la Strettoia del Boia”, concluse Hound.

“Che nome confortante”, aggiunse Octavia, guardandosi attorno.

“Non potreste teletrasportarci direttamente là?”, chiese il pony arancione.

L’unicorno viola osservò attentamente il viale: “No, AJ. Questo posto è schermato contro la magia. Non ci impedisce di usarla ma è molto difficile realizzare incantesimi come il teletrasporto. Non per nulla la chiamano città-fortezza”.

“Allora risponderemo con il piombo!”, esultò, assicurandosi che il caricatore dell’arma fosse ben inserito.

“Cupcakes!!”.

“Ehy, pupa. Preferisci rimanere qui al sicuro?”.

Rarity gli sorrise con aria beffarda: “Oh… che galante che sei… Ma no: sono zuppa dalla testa agli zoccoli e non ho intenzione di stare a guardare, mentre voi vi divertite”.

“Magari non incontreremo resistenza”, avanzò Octavia.

“Ah!”, la derise il Segugio, “Certo! E io sono la ballerina del liceo!”.

“L’evirazione è una procedura che si può attuare molto rapidamente, Hound. Fossi in te non scherzerei su certe cose”.


    Dopo qualche scambio di battute, i pony decisero di imboccare il viale, con estrema cautela.

Un lampo illuminò ulteriormente la zona, seguito da un tuono assordante. Alcune vetrate vibrarono. Hound si guardò attorno con nervosismo: qualcosa non lo convinceva.

Poi accadde: un raggio magico proruppe da uno dei tetti. Twilight, istintivamente, creò la sua canonica difesa magica, prontamente catalizzata da Grey e Rarity. Il colpo impattò sulla protezione, generando un’onda d’urto che fece esplodere i vetri e saltare buona parte dei lampioni. La polvere si diradò, rivelando i sei perfettamente illesi.

Poi, uno dopo l’altro, alcuni unicorni si sporsero dalla sommità degli edifici e dalle balconate, con i corni carichi di potere.

L’occhio analitico di Octavia non si fece sfuggire nulla: “Hanno quattro cecchini sui tetti, mitraglieri alle finestre, incantatori e… attenzione dall’alto…”.

Tre pegasi, adornati con abiti di classe, dagli strani riflessi incantati, scesero elegantemente dal cielo notturno. Si portarono quasi di fronte ai visitatori, accompagnati dalla sicurezza di chi sapeva il fatto suo.

“Attacco inefficace”, esordì uno di loro, “Hanno eretto una barriera”.

“Ehy, buffoni”, li apostrofò Grey, “Che ne dite di levarvi dagli zoccoli e risparmiarci la fatica?”.

“Tu sei Grey Hound, vero?”, chiese il pegaso in testa alla formazione, “Dovresti sapere bene che questo genere di iniziative può concludersi in un modo soltanto”.

“Ammazzavo pony più grossi di te quando ancora ti stavano insegnando a smontare i fucili all’accademia, checca”.

“Le tue provocazioni non funzionano con me”.

“E quello che cercavo di spiegare a tua madre, quando mi insultò per non averle dato i soldi”.

Il ciglio dell’interlocutore ebbe un tic nervoso.

“Bene. A parole sembri un duro. Ma sei sotto il tiro incrociato di cecchini e incantatori. Siete in rapporto numerico di circa tre a uno. La matematica non è un’opinione”.

Applejack sputò lo stuzzicadenti: “Lo so, ci scusiamo: la prossima volta cercheremo di portare il rapporto ad almeno quattro a uno”.

Le tre Guardie risero sotto i baffi: “Quale arroganza! Siete già morti! Basta solo che decidiate quando…”.

I colleghi, tra gli edifici, presero la mira, mentre gli unicorni si prepararono a scatenare potenti incantesimi di morte.

Twilight scrutò attentamente il cielo, sporadicamente attraversato da lampi luminosi. Intravide qualcosa e il suo volto si dipinse con un sorriso: “Sentite… voglio farvi una domanda, prima che ci uccidiate…”.

“Concesso”.

“Sapete qual è il segreto per poter fare davvero gli sbruffoni?”.

“Illuminami”, la derise l’altro.

“Semplice: essere sempre una spanna sopra a chi tenta di esserlo”.

Ci fu un altro lampo e, contemporaneamente al tuono, la Guardia Celeste cadde violentemente su un lato, con un buco in testa.

Quello era il segnale. Lontano, su una nuvola a centinaia di metri da loro, Fluttershy era coricata sulla soffice superficie, intenta a scarrellare l’otturatore del fucile di precisione. Il bossolo venne espulso, cadendo nel vuoto.

Ci fu un altro lampo, alle sue spalle, che illuminò Rainbow Dash, insieme ad un gruppo di aviatori veterani, pronti a fiondarsi da un cumulo di nubi: “Siete pronti, Angeli della Morte??”, strillò il pony blu, mettendosi gli occhialoni.

“Uà!!!”, urlarono gli altri, all’unisono.

“Qual è il nostro motto??”.

“Morte dal cielo!!”, risposero, e si tuffarono in picchiata, precedendo il secondo sparo della tiratrice dal manto paglierino.


    La Strettoia del Boia divenne il palcoscenico di una lotta furibonda.

Non appena la prima vittima di Fluttershy cadde al suolo, Twilight lanciò un teletrasporto al massimo della potenza, catalizzato da Grey, e i due riuscirono a traslare di pochi metri: comparvero all’interno degli appartamenti, proprio alle spalle di un tiratore pronto ad aprire il fuoco.

Octavia e Pinkie balzarono addosso ai due pegasi, impegnandoli in una mischia senza esclusione di colpi. Applejack puntò saldamente le zampe posteriori e aprì il fuoco, come sapeva fare lei. Il corno di Rarity si illuminò, creando un alone dorato sui propri vestiti e sul gessato dell’amica arancione.

Anche le Guardie fecero la loro mossa, quasi all’unisono: mitragliatori e fucili presero a riversare piombo in strada, unitamente a saette incantate degli unicorni. Uno di essi volò giù dal tetto, centrato da un altro colpo del cecchino lontano.

Gli abiti dorati delle due puledre presero ad incassare i colpi in arrivo, come fossero fatti di acciaio.

Dalle finestre si udirono alcune urla, poi Hound si affacciò ed iniziò a svuotare i tamburi dei suoi revolver, come fosse un cowboy.

Twilight, all’interno, gli coprì le spalle: giunse un Agente, armato di fucile a pompa, e le sparò addosso. L’unicorno viola si teletrasportò di mezzo metro alla volta, ad intermittenza, perfettamente sincronizzato con i colpi dell’avversario, fino ad apparire alle sue spalle e liquidarlo con una semiautomatica.

    Dai tetti, inizialmente nascosti, altri pegasi Celesti fecero la loro comparsa, pronti a respingere l’invasore ad ogni costo. Fu in quel momento che arrivarono gli Angeli della Morte: lo stormo di veterani giunse a folle velocità, tempestando ogni centimetro della zona con pesanti armi di grosso calibro. Alcuni di loro vennero intercettati e abbattuti dal piombo nemico. Dash, con un gruppetto di fedelissimi, scese direttamente in strada, in prima linea, e così fecero anche alcuni pegasi nemici, arricchendo ulteriormente di azione la scena.

Octavia si trovò circondata da tre avversari, armati di lame, ma non si fece minimamente intimidire, dando fondo ad ogni mossa che conosceva. Pinkie, non molto lontano, ne stava invece gestendo cinque, schivando ogni colpo in arrivo, con difficoltà: erano decisamente troppi anche per lei. Con un gesto fulmineo (e il ritrovato sorriso di follia), incrociò le zampe, scagliando i coltelli verso la fronte dei due sfortunati ai suoi lati, riportando il numero complessivo di avversari a tre.

Rainbow si spostò rapidamente, sotto il fuoco nemico, giungendo nei paraggi di Rarity: non appena le fu vicino, anche il suo giubbotto militare divenne giallo incandescente ed i proiettili presero a rimbalzarle sonoramente addosso, tra mille lampi e scintille. Poggiò quindi la Gatling su un muretto e pigiò il grilletto: pony e arma iniziarono a vibrare violentemente, mentre gli occhiali del pegaso riflettevano le fiammate che prorompevano dalle canne dell’arma. Il rumore assordante coprì per un attimo ogni cosa e, ovunque passassero i traccianti, sollevavano letteralmente un fiume di polvere, detriti e cocci infranti.

    Altri incantesimi piovvero dai tetti, dove gli unicorni cercavano di respingere gli Angeli della Morte e, contemporaneamente, fornire supporto in strada.

Fluttershy, ormai preda dell’adrenalina, sparava e ricaricava con una velocità impressionante: l’agitazione era tale che mancò addirittura alcuni bersagli, un paio di volte.

“Attenzione al pegaso in strada! Fate tacere quella Gatling!!”, sbraitò un ufficiale, “Fiancheggiatela sul alto destro e poi…”, ma le sue parole vennero bruscamente interrotte dal proiettile del pony paglierino. Mancare due bersagli era accettabile: tre era da novellino.

“Attivate la Bocca Infernale!!”, strillò un altro.

“Bocca infernale??”, berciò Grey, infilando i proiettili nel tamburo, sotto una finestra tempestata dai colpi.

Il portone di un edificio cadde pesantemente a terra, proprio vicino a Pinkie, precedendo i pesanti passi di un pony in armatura. Dash ebbe un sussulto: nella Guerra Equestre, alcuni ufficiali senza rotelle avevano mandato in guerra soldati protetti da corazze simili, con scarsi risultati. Ma quello non era un soldato comune. Quella era una Guardai Reale… e il metallo che aveva addosso scintillava di magia.

Il colosso impugnò saldamente un lanciafiamme, collegato ad una bombola sulla groppa. Osservò il pony rosa attraverso una fenditura sull’elmo. L’altra, con la bocca spalancata, non riuscì a spostarsi, completamente impreparata ad un simile rivale.

“Schiva questo”, tuonò il piromane, con tono metallico.

Una fiammata la investi: per un istante, le tornò in mente il Sugarbooze Corner, divorato dall’incendio, e non riuscì far altro che portarsi le zampe agli occhi.

“Pinkie!!”, urlò Octavia, impegnata a difendersi, in mezzo alla bolgia.

Twilight si teletrasportò di fronte all’amica rosa, ergendo la difesa magica.

“Ci siamo!!”, disse un Agente, “Concentrate il fuoco su quelle due!! Abbattiamo la barriera e facciamole fuori! Spezziamo gli anelli e anche la catena si romperà!!”.

“Oh no!”, esordì Applejack, con un tuffo al cuore.

    Fluttershy si accorse che qualcosa non andava: dall’angolazione in cui era, non riusciva a percepirlo con chiarezza, potendo solo vedere le code delle fiammate.

“Cos’è quello?...”, si chiese, corrugando lo sguardo. Cercò di osservare meglio la scena attraverso il mirino e scorse le due amiche, avvolte dalle fiamme, cercare di resistere ad ogni costo, all’interno della sfera magica.

“Twilight! Pinkie!”, sussurrò, improvvisamente nel panico. Aprì l’otturatore e cercò di ricaricare il fucile ma trovò un unico proiettile, che per poco non le cadde dalle zampe, tanto era agitata.

Si mise in posizione di tiro ma il bersaglio era coperto dagli edifici.

“Maledizione… maledizione… MALEDIZIONE!!”, sbraitò, con tutto il fiato che aveva in corpo.

Mise l’arma a tracolla e, senza ulteriori indugi, spiccò il volo verso i compagni, veloce come una saetta.

Dopo pochi istanti, fu sul luogo: imbracciò nuovamente il fucile e diverse raffiche di colpi cercarono di abbatterla.

“Fluttershy!!”, urlò Dash da terra, cercando di sovrastare il rumore della Gatling, “Che stai facendo??”.

Il pegaso giallo solcò rapidamente la strada, uscendone miracolosamente illeso, e poi vide il pony incendiario: a nulla servivano i colpi e gli incantesimi alleati, poiché l’armatura li respingeva come se nulla fosse. Twilight e Pinkie, però, erano sul punto di cedere.

Il cecchino, ancora in aria, si tuffò di schiena, prendendo la mira a testa in giù.

“Oddio… oddio… un solo colpo… un solo colpo… se sbaglio sono morte… oddio…”, ripeté senza sosta, nella propria mente.

Subito sopra il bersaglio, intravide di sfuggita Grey, ad una finestra: lo stallone le fece un segnale militare.

“Spara”, le comunicò, mentre il corno iniziava ad infiammarsi di potere.

L’altra deglutì e premette il grilletto. Non appena il colpo venne espulso, Hound lo incantò.

Il piombo magico passò il tizio da parte a parte, arrivando fino alla bombola, che esplose in un boato assordante, riversando combustibile infiammato ovunque.


    Lo spettacolo pirotecnico fu il preambolo alla sconfitta delle Guardie Celesti. Uno dopo l’altro, i pochi superstiti vennero eliminati. L’ultimo fra tutti, subì una rapida torsione del collo applicata da Octavia, cadendo quindi mollemente a terra.

Il caos della battaglia lasciò presto il posto al canonico scrosciare della pioggia.

Tutto era finito.

    Twilight si alzò pesantemente da terra: aveva la criniera tirata all’indietro e leggermente fumante. Pinkie, ancora incredula, aprì gli occhi e constatò come, del suo assalitore, non rimanesse che un paio di schinieri ricoperti di cenere: “Ah! Giochi col fuoco, di te rimane poco!!”, lo schernì, puntandogli contro uno zoccolo.

“Porcaccia di quella miseria ladra!”, berciò Dash, togliendosi gli occhiali, “Che razza di macello, ragazzi!”.

Le facciate degli edifici erano ridotte ad una groviera. Un balcone si crepò e cadde al suolo.

“Ehy, RD”, affermò uno degli Angeli, “Non ho visto una cosa simile nemmeno nell’offensiva di Ponalamo…”.

Applejack fece cadere il quinto caricatore a terra: attorno a lei vi erano più bossoli che altro;  Rarity annullò l’incantesimo protettivo.

Octavia si avvicinò al gruppo, controllando un paio di buchi che aveva nel cappello: “Complimenti, gentaglia. Non mi divertivo così da… beh… non mi ero mai divertita così”.

Sparkle, ancora rintronata, si avvicinò a Pinkie, oscillando come fosse ubriaca: “E-ehy… Pinkie… Va… va tutto bene? Spero di sì…”.

“Ehm… Twilight??”, rispose l’altra, sbracciandosi, “Io sono qui! Stai parlando con un portafiori… E poi… uff… hai l’alito che puzza di cherosene…”.

Fluttershy, col fiatone, scese lentamente a terra, sbattendo le ali: “Uh… io… state tutti bene?...”.

Dash le saltò addosso, cingendola a terra con le zampe anteriori: “Ah! Sei stata fantastica!! Fenomenale!”.

“I-io… io…”.

“Ehy, canarino”, intervenne Hound, giungendo da una delle palazzine, intento ad accendersi una sigaretta, “Sei stata in gamba, lasciatelo dire. Ho visto ben pochi sparare in quel modo. Celestia me ne scampi se mai mi troverò nel tuo mirino”.

“Ehm… ma… cioè io ho solo…”.

Rainbow la tirò su con foga, stringendola per le spalle, con una zampa: “Fluttershy! Eppiantala! Hai salvato le chiappe alla demente!”.

“Sììì!!”, strillò Pinkie, saltellando da ferma.

“Sei stata grande”, continuò il pegaso blu, “Se… se Derpy potesse vederti… sarebbe… orgogliosissima…”.

Le due si osservarono, finché l’amica non si sciolse in un sorriso.

Gli Angeli della Morte le si strinsero attorno, tempestandola di complimenti e pacche sulla schiena.

“E tu? Tutto bene, pupa?”, chiese lo stallone all’unicorno bianco, fingendosi disinteressato.

Rarity gli mollò un ceffone, facendogli cadere la sigaretta.

“Ehy!... M-ma… ma cosa ho detto stavolta??”.

“Smettila di fumare!!... Farai male al bambino!”.

L’altro strabuzzò gli occhi: “Io… i-io farò che cosa a chi?...”.

La puledra si passò delicatamente una zampa sul ventre, sbattendo amabilmente le lunga ciglia nere. Gli occhi del Segugio saettarono all’indietro, subito prima che perdesse i sensi, cadendo pesantemente a terra.

“Ehy… davvero?”, le chiese Octavia, sistemandosi il copricapo.

“No. Volevo solo vendicarmi per la pozzanghera di poco fa”, rispose, osservando l’amato, riverso nel fango.

“Beh… sei proprio un po’ str…”.

“Sì, sì, lo so…”.

    I pegasi superstiti fecero cerchio attorno a Dash.

“Ehy, bella storia, RD! C’è altro che dobbiamo fare?”, chiese uno di loro, con un sigaro semidistrutto tra le labbra.

“Già! Se volete altra manforte, basta chiederlo!”.

“Tranquilla, marmaglia!”, li rassicurò l’amica, “Avete fatto fin troppo! E quello che ci aspetta ora… è un compito nostro e nostro soltanto”.

“Sicura?”.

“Certo. E poi, fra poco, arriverà uno sciame di Agenti incazzati. In pochi potremo raggiungere rapidamente il quartier generale del Governo, senza attirare troppo l’attenzione. Voi… sparite!!”.

“D’accordo”, rispose l’altro, porgendo saluto militare.

Rainbow contraccambiò con orgoglio.

“RD... Fluttershy…”, esordì infine, prima di spiccare il volo e sparire nel buio della notte, seguito dai colleghi.

“Avanti, riprenditi, scemo!”, disse Rarity al compagno, rifilandogli un altro ceffone.

“Eh?... Uh?... C-cosa? Chi?... Il… il bambino??”.

“Non sono incinta, idiota”.

“A-ah? Ah no?”.

“No… Non ancora, perlomeno”, concluse, con un sorriso addolcito.

“Ehy, piccioncini”, li derise Applejack, “Non faremo fuori Celestia a suon di smielaggini!”.

“I-infatti!”, affermò Hound, ancora con il cuore a mille, orientando correttamente la tesa del cappello.

“Allora??”, ringhiò il pony arancione, rivolgendosi a tutti i presenti, “Siete pronti per l’ultimo atto??”.

Il gruppo si dispose in una fila più o meno ordinata.

“Evviva!! Un altro party in arrivo!!”.

“Ehy, schizzoide”, l’ammonì la puledra grigia, “Ti faccio notare che sei quasi finita arrosto, giusto pochi minuti fa”.

Twilight tossì una nuvoletta di fumo nero e fece “conchetta” con una zampa: “Oddio… puzza davvero di cherosene!”.

Rarity, con il volto un po’ disgustato, estrasse un profumo con nebulizzatore dalla borsetta e, a debita distanza, le spruzzò un po’ di liquido addosso.

Hound tirò su col naso e reagì ancora più schifato: “Ehy, bambola, tieni quella roba lontana da me: vorrai mica farmi profumare come una baldracca??”.

Dash si sgranchì le giunture delle ossa, pronta a rituffarsi nell’azione, mentre Fluttershy, in modo completamente opposto, si osservava nervosamente attorno, come se qualcosa di terribile dovesse accadere da un momento all’altro.

    Applejack li scrutò tutti con attenzione e non riuscì a trattenere un sorriso.

“Sapete, brutta gente?...”, farfugliò commossa, “Dovessi andarmene dritta all’inferno oggi stesso… non potrei che volere voi, al mio fianco…”.

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Capitolo 7
*** Giustizia Celeste ***


Il temporale non accennava a diminuire. Il gruppo, ora riunito, avanzò con passo implacabile verso il QG di Celestia. Erano giunti al culmine della loro impresa. Tutto quello che avevano affrontato si sarebbe concluso entro la mattinata, in un modo o nell’altro.

La facciata dell’edificio, uno dei più grossi e massicci della città, si stagliò imponente, tempestato da luminosi fasci artificiali e decorato con due enormi statue, raffiguranti l’emblema governativo: un guanto d’arme con un sole inciso sul dorso.

“Eccolo qui”, commentò Hound, “Questo è l’antro della bestia…”.

Un fulmine cadde dal cielo, colpendo fragorosamente il parafulmine sul tetto, spandendo scintille ovunque.

Pinkie si irrigidì di colpo, subito seguita da un attacco di singhiozzo.

“L’antro della *HIC* bestia?? Credevo che *HIC* fossimo qui per *HIC* Celestia!”.

“Celestia fa rima con bestia, schizoide”, rispose l’altro.

“Uuuhhhh! Ora ho *HIC* capito!”.

“Ehy, ‘cosa’…”, disse Applejack ad Octavia, “Spero che il tuo capo non ci abbia tirato il pacco, altrimenti io…”.

“Punto primo”, la interruppe bruscamente, “Mi chiamo Octavia, non ‘cosa’. Punto secondo: Discord sarà pazzo ma non è un traditore”.

“Punto terzo”, tagliò corto Dash, “Siamo davanti al covo dei governativi e fra poco ci saranno addosso! Basta con le balle e vediamo di darci una mossa!”.

“Giusto, RD”, continuò l’amica dal manto arancione, “Ma ora ci serve l’aiuto di Discord, com’era stato pattuito”.

    Ci fu un secondo lampo, questa volta molto vicino: cadde a pochi metri dai presenti e Pinkie ebbe un altro sussulto, che le fece passare il singhiozzo. Le scintille si sparsero ovunque, lasciando il posto ad una nuvola di vapore, da cui emerse la creatura serpentiforme.

“Stavate parlando di muà?”, chiese Discord, intento ad accorciarsi le unghie con una lametta.

“Sì… parli del diavolo…”, sussurrò Applajack.

“E così ce l’avete fatta, a quanto vedo… Notevole, davvero… Non ho paro”.

“Non hai cosa??”, domandò Pinkie.

L’altro la osservò stizzito: “Era un gioco di parole… Non ho paro, invece di non ho parole, per indicare che non ho davvero paro”.

“Eh??”.

“Vi prego”, intervenne Dash, “Non ricominciate!”.

“Ok, ok, tranquilla pettiblu”.

Applejack aprì un piccolo pacchetto di stuzzicadenti e ne mise uno all’angolo della bocca: “Va bene… Ora ci siamo davvero tutti… Discord: abbiamo fatto una fatica immane per arrivare fin qua e buona parte dei miei parenti si sarà fatta ammazzare, quindi…”.

“Oh beh, ma voi campagnoli siete come i conigli, si sa. Siete abituati ai miscugli tra consanguinei, no?”.

Il pony gli schiacciò una zampa con lo zoccolo. Discord cacciò un urlo.

“Ho ancora qualche litro di adrenalina in corpo, non ti conviene fare troppo lo spiritoso, specialmente dopo quello che hai fatto alla mia famiglia, pagliaccio”.

“Aghh! Va bene! Va bene! Qui c’è una grave mancanza di senso dell’umorismo!”.

“Siamo sicuri che ci sarà davvero utile, AJ?”, chiese Rainbow, decisamente scettica.

“Ehy!”, rispose l’altro, alzando le zampe, “Se non mi volete… niuno problemo!”.

“No, ora ci sei dentro fino al collo!”, sbottò Applejack, “E poi Octavia ci ha assicurato che conosci qualche… uh… trucchetto. E spero non sia una cazzata”.

Discord fece l’indiano: “Uuhhh… chissà??”.

“Va bene… bando alle ciance. Una volta entrati, non si torna indietro. Grey, Twilight: voi siete i più esperti in questo campo. Cosa c’è da aspettarsi?”.

Lo Stallone cercò nervosamente un’altra sigaretta, ricordandosi quindi di averle terminate: “Non ci sono mai stato di persona ma… sicuramente è una zona schermata dalla magia. E troveremo una solida resistenza armata”.

“Solamente una creatura molto potente riuscirebbe ad utilizzare la magia, lì dentro”, aggiunse Sparkle. Discord ridacchiò.

“Ehy, perché ridi?”, chiese Dash, “Tu ne saresti in grado?”.

“Beeeh… Diciamo che, se mi concentro abbastanza, posso evocare un unico, grande incantesimo… Poi dovrei ricaricare le batterie. E’ una zona interdetta alla magia, come avete detto, e io non sono potente quanto un alicorno Celeste…”.

“Allora vedi di giocare quella carta se davvero necessario”, puntualizzò Twilight.

“Va bene, fighelle”, proruppe Hound, “Direi che abbiamo cianciato fin troppo. Ora… agiamo”.

Ognuno si preparò a fare il proprio ingresso, inclusa Fluttershy, nascosta dietro il pegaso blu, quasi terrorizzata.

Il Segugio si portò d’innanzi al grosso portone d’ingresso e si appoggiò per spalancarlo.

“Ehy ehy ehy!”, intervenne Discord, “Aspetta un attimo!!”.

L’altro si tirò indietro all’ultimo momento: “Che c’è, caprone??”, chiese, piuttosto seccato.

“Dobbiamo fare un’entrata d’effetto!”.

“Cosa??”.

“Su! Mettetevi in posa!”.

Tutti lo osservarono, allibiti.

La creatura assunse un’espressione sconsolata: “Uff… e va bene, vorrà dire che ci penserò io!”, e con quelle parole, rifilò un calcio violento, che spalancò il portone: “It’s showtime!!”, urlò, con estrema decisione.

Una ventina di Guardie puntò loro i mitragliatori.

“O-oh…”.


    Quando i nemici aprirono il fuoco, Discord alzò le zampe e i proiettili in arrivo si tramutarono in coriandoli, investendo a cascata gli invasori.

“Che bello! E’ festa!!”, schiamazzò Pinkie.

“Porca miseria”, esordì Hound, sbalordito come mai lo era stato.

Discord, con estrema nonchalance, intento a tramutare altri colpi in coriandoli, girò il suo volto ammiccante verso il resto del gruppo: “Vogliamo entrare?”.

La bestia caprina si fece strada lentamente e gli altri lo seguirono, completamente stupiti dal suo potere.

L’interno era del tutto simile ad una cattedrale gotica, abbellita con capitelli e stupende balconate, anch’esse farcite di funzionari, intenti a scaricare le loro armi sui visitatori.

Il gruppo avanzò fino al centro della stanza, protetto dalla magia del loro nuovo alleato.

In fondo, con le zampe congiunte sotto il mento, un elegante alicorno bianco, vestito come un pony d’affari, li osservava in silenzio: l’unico ostacolo era costituito dalla massiccia scrivania in mogano a cui sedeva. Non vi era illuminazione: le uniche fonti di luci erano quelle esterne, che filtravano debolmente da una serie di finestre circolari, lungo le pareti.

    Ad un certo punto, Discord parve concentrarsi fino allo sfinimento: distese le zampe verso l’esterno e proruppe in un urlo liberatorio.

Un’onda incantata si diffuse in ogni direzione, investendo i nemici, che vennero rapidamente tramutati negli oggetti più assurdi: uno scarpone, un vaso di orchidee, un grammofono e così via.

L’ultima folata di coriandoli cadde ai loro piedi. In meno di un istante, l’intera resistenza venne liquidata, prontamente sostituita da un assembramento di oggetti d’arredo (e non solo)… tutta tranne Celestia, ovviamente, in grado di vanificare facilmente anche incantesimi di tale portata.

Il drago serpentiforme prese a respirare affannosamente.

“Era… era quello il tuo asso nella manica?...”, chiese Twilight, titubante.

L’altro parve adirarsi: “Cosa?? E me lo chiedi?? Tramutare due dozzine di guardie magiche in una manciata di soprammobili (e un barbecue) ti sembra forse poco??”.

“No! Io… non volevo dire quello!...”, si corresse.

Due zoccoli si colpirono ripetutamente tra loro, rimbombando sulle pareti ormai sgombre della cattedrale: era Celestia, tranquilla e per nulla turbata da quanto era accaduto.

“Complimenti”, esordì, con voce angelica, “Quindi siete voi che state causando tutti questi disordini nella mia città”. La sua chioma fluttuava dolcemente nell’aria, come se fosse invece sospesa nell’acqua. Alle sue spalle, la mancanza di luminarie creava una zona di oscurità, donandole, nel complesso, un’aria vagamente inquietante.  

Grey sputò per terra, sentendo una rabbia crescente assalirlo dalle viscere: “Eccoti qui, finalmente, lurida doppiogiochista”, sbottò.

L’altra osservò la saliva per terra e assunse una connotazione repulsiva: “Non bussate e osate pure insozzarmi il pavimento?”.

“Scusa, provvederò subito, pulendo col tuo sangue”, ringhiò, estraendo rapidamente la sua pistola e puntandogliela contro.

Nessuno obiettò al gesto, eccetto Fluttershy, seminascosta dagli altri.

Il volto di Celestia parve illuminarsi: “Tu sei Grey Hound, giusto? Mi ricordo di te. Eri uno dei nostri Agenti più capaci. Com’è che ti chiamavano? Il Seg…”.

Lo stallone armò il cane: “Bando alle ciance, stronza. Sono qui per riscuotere”.

“Ah sì? E cosa vorresti, di grazia?”.

“Vendetta”, rispose, stringendo le palpebre.

“Vendetta? E per cosa, se mi è concesso chiederlo, prima che tu mi uccida?”.

Hound estrasse il fascicolo dall’impermeabile e glielo gettò come un frisbee, colpendo il bordo del bancone e spargendo fogli ovunque. L’alicorno sollevò magicamente una parte del contenuto e lesse alcune righe.

“Non capisco”, gli rispose, riordinando sistematicamente il disordine cartaceo.

“Ehy!”, intervenne Rarity, “Smettila di prenderci per il culo! Avete fatto una cosa orribile!”.

“Ah sì? E cosa avremmo, anzi, cosa avrei fatto, di così terribile?”.

“Fare la santarellina non ti salverà”, concluse l’altro, pronto a far fuoco.

“No, Hound, davvero. Dimmelo. Vuoi vendetta per cosa? Per ciò che ti abbiamo fatto diventare? Il Segugio di Counterlot?”.

“Mettila come ti pare”.

“Fammi capire… ti abbiamo dato uno scopo. Dei mezzi. Un titolo. Hai servito egregiamente Counterlot per anni e hai reso questo mondo migliore, togliendo di mezzo decine e decine di criminali incalliti”.

“Voi siete i veri criminali!! Mi avete ingannato!”, ruggì.

“Ingannato?”, esclamò Celestia, con estrema lentezza, “Ingannato… Beh è molto curioso. Nessuno ti ha obbligato a diventare un Agente. Sei tu che hai deciso”.

“Ma che la stai ancora a sentire??”, sbottò Dash, “Avanti, falla fuori!”.

L’alicorno Celeste continuò: “Mio caro Segugio. Tu stai cercando una vendetta che non esiste. Tutto quello che hai fatto, l’hai fatto TU e tu soltanto. Nessuno di noi ti ha forzato, nessuno ha usato magie per abbindolarti: i tizi a cui hai dato la caccia, per quasi cinque anni, sono state vittime per tua scelta. Tu eri il carnefice”.

Grey rimase in silenzio, come assorto da quel ragionamento.

“Pensi che sarebbe cambiato qualcosa?”, incalzò l’interlocutrice, “Pensi che questo tuo lato non sarebbe emerso, prima o poi? Noi abbiamo solo accelerato i tempi. Il resto lo hai fatto tutto da solo”.

“Non dire stronzate…”.

“Grey Hound! A chi cerchi di mentire? A me, ai tuoi colleghi o a te stesso??”, dichiarò, alzando la voce e indicandolo con una zampa, “Pensi DAVVERO che tutto ciò che hai fatto sia stata colpa del Governo, che tu non ci abbia messo del tuo??”.

La compagna dalla chioma viola gli si avvicinò: “Ehy… Hound, che ti succede?...”.

Gli occhi del Segugio erano incerti: “Il Governo ha ammazzato mia moglie”, ammise, “ma… su una cosa Celestia ha perfettamente ragione… Io ho commesso atti atroci… per quanto sia stato arrabbiato, non ho scusanti. Sono stato io. Io soltanto…”.

“Va… va bene, ma ora hai capito di aver sbagliato! Ora puoi redimerti!”.

“Ah… davvero?”, riprese il Governante Celeste, “Quindi… se ammazzo venti pony a sangue freddo, poi mi basta capire che era una cosa brutta, per ottenere la redenzione?”.

“Non ho detto questo, lurida sgualdrina vestita da maschio!”, berciò Rarity.

“Hound!”, le intimò Celestia, “Sei giunto fino a qui. Dopo aver freddato pony per quattro anni; coinvolgi altri innocenti nella tua battaglia personale, lanci un attacco suicida contro le mura di Counterlot. Quante anime innocenti sono morte, questa notte? Le hai contate? Pensi che i cadetti ne potessero qualcosa? Credi forse che i pegasi della Guerra Equestre siano morti per un nobile scopo?”.

Lo stallone abbassò l’arma, con zampa tremante.

“Hai più morti tu sulle spalle che l’intero reparto d’esecuzione! Ovunque tu vada, non fai altro che portare morte e ancora morte! Prima è toccata a tua moglie e due poveri innocenti, poi a coloro che un tempo definivi criminali e feccia… E oggi è toccata a contadini, reclute ed ex-aviatori. Chi saranno i prossimi, Hound??”.

Il Segugio deglutì.

“RISPONDI, HOUND!!!”, tuonò Celestia, con voce sovrannaturale, così potente da farli retrocedere di alcuni passi.

Grey non disse nulla e si limitò ad abbassare lo sguardo, come se qualcosa lo stesse corrodendo dall’interno.

   

“Adesso basta!!”, replicò Applejack, imbracciando il Thompson.

Celestia sorrise compiaciuta, ricongiungendo le zampe al muso, come se avesse appena ottenuto un risultato sperato.

Quando batté le palpebre, per un istante, Twilight notò uno strano riflesso verde, nelle sue pupille, qualcosa che non la convinse per niente. L’unicorno viola corrugò la fronte, presagendo nulla di buono.

“Avanti, Grey! Facciamola fuori!”, la esortò Applejack, “Ehy… Ci sei?...”.

Il pony in impermeabile si girò lentamente verso di loro, come se avesse a malapena forza di reggersi in piedi.

Sparkle notò la medesima scintilla verdastra, nei suoi occhi: “Qualcosa non va”, esclamò sottovoce.

“Patato… stai bene?”, chiese timidamente Rarity.

“Boss?...”, domandò Octavia a Discord, che si limitò ad osservare incredulo la scena.

Il Segugio sollevò lentamente l’arma verso di loro, oscillando debolmente a destra e sinistra, come mosso da una forza invisibile.

“Che stai facendo, Hound?”, sbottò Applejack, “Ti sei ammattito??”.

“Magia!”, proruppe Twilight, “Hound è sotto l’effetto della magia!!”.

Il gruppo prese ad agitarsi. Fluttershy si sdraiò a terra, coprendosi gli occhi con gli zoccoli.

Rarity, più preoccupata di tutti, esordì: “F-fate qualcosa! Aiutatelo!”.

“Io ho la batteria scarica!”, si giustificò Discord, non sapendo cosa fare.


Twilight cercò di concentrarsi, provocando un debole riflesso violaceo sul corno.

Hound premette il grilletto.

Sparkle sgranò gli occhi e poi cadde a terra.

“Twilight!!”, strillò il pegaso paglierino, accorrendo ad aiutarla.

“Merda, Hound, che cazzo stai facendo??”, inveì Applejack, preparandosi a trivellarlo di colpi.

L’altro neanche la degnò di uno sguardo: il suo volto era completamente assente, quasi fosse davvero un cadavere che cammina.

Pinkie estrasse un coltello, incerta sul da farsi.

L’unicorno bianco si frappose tra il Thompson e il suo bersaglio: “No Applejack!! Non sparare! Non è in lui!! E sotto l’incantesimo di quella strega!!”.

L’amica strinse i denti e non perse la calma, portando la mira verso Celestia. Grey, tuttavia, si spostò di scatto, coprendole la visuale: le stava facendo da scudo.

“Togliti di mezzo!!”, berciò il pony arancione.

“Hound! Hound! Riprenditi!! Sono io, Rarity!!”, ma l’altro non sentiva ragioni.

Imperturbabile, alzò nuovamente la pistola, alternando, incerto, la direzione verso cui rivolgerla.

“Grey! Smettila, ti prego!! Sono io! Non mi riconosci??”, lo supplicò l’amata strattonandolo, quasi con le lacrime agli occhi. Hound le puntò l’arma alla fronte.

“Spara! Applejack, sparagli!!”, la esortò Dash.

    Gli occhi di Hound fissarono per un attimo quelli di Rarity, proprio nell’istante in cui stava per premere nuovamente il grilletto.

“No…”, esclamò, con un filo di voce.

“Come?...”, chiese l’unicorno bianco.

La zampa armata del Segugio si spostò verso le sue stesse tempie, combattendo con la forza magica che lo spingeva invece a freddare i suoi compagni.

“Cosa… cosa vuoi fare??”, strillò Rarity.

Grey la spinse via. Il suo sguardo si fece serio.

“P-perdonami, pupa…”, le disse, con volto realmente dispiaciuto.


La .357 del Segugio fece fuoco: lo stallone cadde a terra, spargendo alcune macchie di sangue sul pavimento.

La puledra bianca si portò le zampe alle guance, senza più fiato nei polmoni: raccolse tutta l’aria che poteva e poi esplose in un grido acuto e straziante.

Applejack osservò i corpi di Twilight e Hound, senza decifrarne le condizioni. Provò una rabbia incontenibile. Con un gesto fulmineo, diresse il mitra contro Celestia, che non aveva smesso di sorridere per tutto il tempo.

“Hai commesso l’errore più grosso della tua vita, puttana!!”, e scatenò una pioggia di piombo.

I proiettili iniziarono a trapassarla, facendo sobbalzare il corpo dell’alicorno ad ogni colpo inferto.

Il pony vuotò l’intero caricatore e l’azione si concluse con Celestia riversa a terra, in un piccolo lago di sangue, che si allargò lentamente. I suoi occhi si fecero vitrei, riflettendo, per un ultimo istante, la scintilla verde.

Twilight si strinse al petto: “Aahhh… oddio… che dolore…”.

“Stai bene, Twilight??”, le chiese Fluttershy, preoccupata.

“La… la spalla…”.

Rarity, intanto, si era fiondata sullo stallone, togliendogli frettolosamente il capello. La sua chioma era intrisa di sangue e il corno era spezzato, colpito in pieno dalla pallottola. Lo sguardo dell’unicorno bianco parve riaccendersi di speranza. Gli passò una zampa alla base del collo e poi esordì: “E’ vivo!! E’… è ancora vivo!!”.

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Capitolo 8
*** Epilogo ***


Un rumore sinistro, simile a decine di rami che si spezzano disordinatamente, fece capolino dall’oscurità, dietro alla scrivania in mogano. I presenti spostarono lo sguardo in quella direzione.

Dal buio, quasi per incanto, si aprì un paio di occhi verde smeraldo, della stessa tonalità riconosciuta da Sparkle nelle orbite dell’alicorno.

Discord assunse un’espressione di compiacimento e si diresse lentamente verso la figura indistinta. Octavia lo osservò, senza capire cosa stesse facendo.

Quando i due furono vicini, una voce femminile fece capolino dall’ombra: “Ottimo, Discord. Davvero un ottimo lavoro”.

Tutti si guardarono con fare interrogativo.

“Grazie, Chrysalis. E’ stato un piacere”.

“Ehy…”, intervenne debolmente Applejack, “Che… che sta succedendo?...”.

Dash lanciò un’occhiataccia al pony grigio, che scosse il capo, senza dir nulla.

“Boss…”, domandò quindi, visibilmente spiazzata, “Cos’è questa faccenda?...”.

Il superiore si scrutò gli artigli per qualche secondo, come se fossi dalla manicure: “Uhm… Oh? Dici, questo? Mh. Niente di che. E’ solo… una questione d’affari”.

“Una… cosa stai dicendo?...”.

Rainbow montò su tutte le furie: “Lo sapevo! Traditore!!”.

“No, io… io penso ci sia una spiegazione a tutto, vero, capo?”, le chiese Octavia, non sapendo se credere a ciò che stava dicendo.

“Ma certo, mia cara. E’ tutto perfettamente lecito. Celestia è out. Loro sono out. Tutti i miei concorrenti sono out. Ecco la spiegazione”.

Rainbow caricò un balzo e gli volò addosso. Il sicario dagli occhi viola, istintivamente, la intercettò in un lampo e la costrinse a terra. Il suo volto, tuttavia, era afflitto da un’espressione di evidente sofferenza.

“Lasciami andare!!”, ringhiò il pegaso.

Octavia non sapeva che fare.

“Lascia perdere, Dash…”, le comunicò Applejack, togliendosi il cappello, con un filo di voce, “Sono… sono tutti traditori…”.

“Non è possibile!”, proruppe Rarity, sconvolta.

La musicista osservò Discord, assolutamente incredula: “I-io…”.

“Andiamo, amica mia. E’ tutto a posto”, la tranquillizzò la bestia caprina, porgendole un artiglio, “Molla il pegaso e sistemiamo la faccenda”.

“Traditrice!!”, l’apostrofò il pony blu.

“Cosa?...”, domandò Pinkie, con i capelli lisci, ma senza il canonico sguardo da invasata, “Tu… tu ci hai tradite?...”.

“Cosa? No!... Io… io…”.

“Andiamo, Octavia”, continuò l’altro, sempre a zampa tesa, “Hai agito in modo impeccabile. Non gettar via tutto in un istante”.

“Octavia!!”, la implorò l’amica rosa, “Cosa fai?? Siamo… siamo compagne di coltello-che-bello! Abbiamo giocato a ‘indovina cosa bevo’!... Ci… ci siamo salvate la vita a vicenda!... Ti piace il rosa confetto!... Io… io sono rosa confetto!...”. I suoi occhi erano umidi e le sue pupille ingrossate.

“Octavia…”, incalzò Discord, impaziente.

La puledra fece saettare ripetutamente l’attenzione tra i compagni e il suo superiore, sbattendo rapidamente le palpebre e trattenendo un lieve tremore alla mandibola.

Alla fine spinse Rainbow verso le altre e, con molta lentezza, afferrò l’artiglio leonino.

Pinkie ebbe un tuffo al cuore.

“Brava, ottima scelta”, concluse l’altro, soddisfatto.


    Le porte della cattedrale si spalancarono all’improvviso, rivelando uno stuolo di Agenti armati, che fecero rapidamente irruzione.

“Fermi tutti! Non muovetevi!!”, intimarono.

“Oh… mia Celestia!...”, esclamò uno di loro, accorgendosi del cadavere in fondo alla stanza.

Gli occhi nell’oscurità si chiusero, seguiti da altri rumori scoppiettanti.

Dopo pochi istanti, un pony in divisa governativa, con gli occhi verdi, uscì dall’ombra.

“Uomini!! Arrestateli!”, esordì, indicando gli invasori.

Gli altri ubbidirono: uno ad uno, Applejack e i suoi vennero placcati violentemente a terra. Nessuno oppose resistenza, eccetto Dash, che venne prontamente zittita con il calcio di un’arma sul muso.

Un ufficiale si avvicinò al pony in divisa: “Signore!! Cos’è successo??”, chiese, porgendo saluto militare e indicando successivamente l’alicorno privo di vita.

L’altro cercò di trattenere un sorriso e poi, con voce autoritaria, si rivolse a tutti quanti: “Uomini! Questi fuorilegge hanno fatto breccia attraverso le mura di Counterlot!  Sono i responsabili di quanto è accaduto questa notte! Sono inoltre penetrati nel nostro quartier generale… uccidendo…”. Chrysalis si leccò le labbra, prima di pronunciare quel nome: “Uccidendo il nostro governatore Celestia!!”.

Nessuno rispose, assolutamente atterrito da quella notizia, che suonava come un tabù che non si sarebbe mai potuto infrangere.

“Questi criminali hanno compiuto atti imperdonabili contro il Governo Celeste!!”, continuò.

Applejack e le altre, intanto, in ginocchio, ascoltavano impotenti le menzogne del pony governativo.

“Soltanto questa creatura e la sua compagna”, disse quindi Chrysalis, indicando Discord e il sottoposto, “hanno impedito ulteriori danni al nostro amato Governo! Sono riusciti a bloccare due sgherri, tra cui Grey Hound, il traditore di Counterlot!!”.

“Menzogne!! Siete voi i traditori!!”, strillò Rarity, incassando dolorosamente un colpo di manganello sulla schiena.

“Questo è un giorno molto triste! Il giorno in cui Celestia ha perso la vita nella nobile lotta contro la criminalità!! Purtroppo, ora dobbiamo pensare a rispedire gli invasori superstiti da dove sono venuti ma, non appena questa sanguinosa battaglia sacra si sarà conclusa, provvederemo a rivolgere gli adeguati ossequi alla nostra amata. Ora abbiamo ancora una battaglia da vincere, uomini!”.

Gli altri risposero all’unisono, con un altro saluto militare.

Il falso pony si calmò. “Caporale”, disse al funzionario di fronte a sé, “Prenda questa… feccia… e la sbatta in prigione. Verranno sicuramente impiccati fra pochi giorni”.

“Sissignore. Cosa ne facciamo dei feriti, signore?”.

L’altro scrutò Twilight e Hound, con estrema noncuranza, e poi rispose: “Portateli in infermeria. Se non muoiono, chiudeteli in cella con gli altri”.

“Sissignore. Avete sentito, gente??”, berciò, rivolgendosi alla squadra, “Ci sono altri criminali da respingere! Portate questi in cella e poi radunarsi di fronte alla cattedrale! Avete dieci minuti! Scattare!”.

I prigionieri vennero trascinati via di forza. Applejack perse il cappello. Ma non le importava, in quel momento. Anzi, non le importava più di nulla. I suoi pensieri tornarono alla tenuta. Una sensazione di nausea la pervase e dovette trattenere un conato di vomito. Le cose stavano per finire male, come mai si sarebbe aspettata.

Chrysalis rivolse un ultimo sguardo compiaciuto verso Discord, quindi seguì i sottoposti verso l’esterno.


    Octavia si avvicinò lentamente alle chiazze di sangue lasciate dai suoi ex-compagni. Il suo volto era contratto in una smorfia di profondo dispiacere. Raccolse delicatamente il cappello di Applejack e lo osservò per lunghi istanti.

“Discord…”, sussurrò.

“Sì, cara?”.

“Io… io… non sono sicura che tutto questo sia giusto”.

“Giustizia?”, ammise l’altro, incrociando le zampe, “Esistono diverse forme di giustizia, o suonatrice dei mille violoncelli”. L’artiglio leonino si sporse su un lato, inquadrando un drappo sullo sfondo, su cui compariva il simbolo del Governo: “Esiste la giustizia dei potenti…”. La zampa d’aquila si allungò sul lato opposto, delineando alcune foto di famosi ricercati, affissi alla parete: “…E la giustizia dei criminali”.

La mani della creatura si ricongiunsero al centro, verso Octavia: “Poi c’è la giustizia di chi sa usare il cervello”.

“Che vuoi dire?”, chiese titubante, “Insomma… tutto questo… Attaccare la tenuta Apple, con una piccola e un’anziana all’interno… Il tradimento di poco fa… Credevo che avessimo dei principi”.

Lo sguardo dell’altro si fece soddisfatto: “E tu, mia cara, sai usare il cervello… oltre che un po’ di quel piccolo cuore che ti è rimasto”.

“Cioè?”.

“Non ho ordinato io l’attacco alla tenuta Apple. Sennò lo avrei affidato a te”.

“Cosa??”, chiese stupita.

“Non ci sono superstiti, quindi non posso averne la certezza, ma… Quelli erano i miei uomini ed hanno agito come se gli avessi impartito un ordine... un ordine che, tuttavia, io non ho mai emanato. Dato che tu eri alla Carousel Maison, è ovvio che un terzo si è occupato di mandarli alla tenuta”.

Octavia scosse la testa, sforzandosi di capire.

Il superiore iniziò a camminare su e giù per gli archi delle balconate, con le braccia dietro alla schiena: “I miei sospetti erano fondati. Chrysalis sta facendo il triplo gioco”.

“Ma… ma chi è questa Chrysalis, esattamente, si può sapere?”.

“Lei è… loro”, esordì Discord, puntando un dito verso i quadri dei ricercati.

“Chi??”.

“Tutti loro. Chrysalis è una trasformista. Una mutaforma. Lei è i pony più malavitosi e potenti mai apparsi in Equestria…”.

“Cosa? Quindi tu lo sapevi! Lo sapevi e hai mandato AJ e gli altri al massacro!”.

“Oh…. AJ? E’ così che la chiami adesso?”, la schernì.

“Non fare lo stronzo, Discord!!”.

L’altro la cinse rapidamente per le spalle, quasi spaventandola: “Così ti voglio!! Incazzata nera! Anzi… dovrei dire grigia… ma comunque… Ora Chrysalis ha la concorrenza in pugno e conta di dare il buon esempio della condotta del Governo, facendoli impiccare pubblicamente! Rimanendo a Counterlot, sotto mentite spoglie, avrà tutto ciò che desidera!”.

“E… e quindi?”.

“Quindi… lei si fida di me. Stanotte le ho dato la prova della mia fiducia”.

“Non capisco… a che gioco stai giocando?”.

La bestia allentò la presa e le diede le spalle: “Quella Chrysalis è un avversario formidabile. Non c’è verso di toglierla di mezzo senza le dovute precauzioni. Se fossimo realmente venuti qui, senza che io fossi un passo avanti a lei, ci avrebbe ammazzati tutti, dal primo all’ultimo”.

“E cosa cambia ora?”.

“Ora?? Ora abbiamo i nostri alleati infilati direttamente nel cuore della città! Chrysalis si aspetta che vengano trucidati pubblicamente e non sa che io e te la stiamo ingannando!”, le rispose, serrando un pugno.

Octavia era visibilmente confusa: “Come… come faccio a sapere se stai dicendo il vero? Dopo quello che hai fatto??”.

“Proprio perché l’ho fatto! Ah! Non l’hai capito? Chrysalis non potrà mai mangiare la foglia perché, a tutti gli effetti, io vi ho ingannati tutti! Ora, però, saremo noi a ingannare lei! A toglierla dalla piazza definitivamente!”.

La puledra rimase titubante: “Non lo so… non so cosa pensare, sinceramente…”.


    Discord fece roteare la zampa di leone nell’aria, come un prestigiatore, facendo comparire un piccolo mazzo di chiavi tra le unghie. Lo porse al pony grigio.

“Non posso darti torto. Ma, questa notte, non ho visto ‘Octavia l’assassina a sangue freddo’ ma bensì ‘Octavia l’assassina che ha una coscienza’. Ed è quello che volevo”.

L’altra lo ascoltò in silenzio.

“Queste aprono le celle della prigione”, continuò, “Prendile. Ora, prima che tu vada… devo informarti su quanto dovremo fare, nelle prossime ore…”.

La musicista strinse il metallo tra gli zoccoli: “Cos’hai in mente?”.

I denti del muso caprino arricchirono il suo ghigno divertito. I suoi zigomi si contrassero. Le pupille si fecero sottili.

“Quest’anno comparirà nei libri di storia. E saremo noi a scriverne gli esiti…”, ridacchiò, “Non è eccitante??”.

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