Sidro Proibito III - Luna di sangue

di Lantheros
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - All'Alba ***
Capitolo 2: *** Toccata e Fuga ***
Capitolo 3: *** Luna Nuova ***
Capitolo 4: *** Senz'Anima ***
Capitolo 5: *** Concorrenza Pericolosa ***
Capitolo 6: *** Dolore dal Passato ***
Capitolo 7: *** Kill With Me ***
Capitolo 8: *** Chi Sono Io? ***
Capitolo 9: *** Una Promessa ***
Capitolo 10: *** Sangue dal Cielo - Primo Atto ***
Capitolo 11: *** Sangue dal Cielo - Secondo Atto ***
Capitolo 12: *** Sangue dal Cielo - Terzo Atto ***
Capitolo 13: *** Sangue dal Cielo - Ultimo Atto ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo - All'Alba ***


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Era l’alba quando il telo bianco venne tirato per un lembo, rivelando il corpo di un pony adagiato sull’asfalto. Portava abiti eleganti, decisamente d’alta classe. I suoi occhi, privi di vita, osservavano un punto indefinito del cielo. L’aria era fresca. La città ancora silenziosa. I primi raggi del sole iniziavano ad affiorare dalle colline lontane.

Una piccola folla si era radunata attorno al cadavere, mentre un paio di Agenti Celesti cercava di contenere la loro curiosità.

Soltanto ad una coppia di pony era stato permesso di avvicinarsi al corpo.

Il medico legale si rivolse ai due: “E’ lui?... Potete identificarlo?”.

Una giovanissima Applejack osservò il defunto: percepì una sensazione terribile, come se qualcuno le avesse improvvisamente strappato lo stomaco dalle viscere. Le sue palpebre presero a sbattere rapidamente. Distolse lo sguardo. Macintosh cercò di poggiarle uno zoccolo sulla spalla ma lei lo respinse.

“Sì… sì è lui…”, dichiarò, con un filo di voce.

Il funzionario rimise il telo sul volto: “Grazie per la collaborazione... e… mi dispiace…”, aggiunse, appuntando qualcosa su un pezzo di carta. Era davvero dispiaciuto ma di casi del genere ne aveva visti a bizzeffe… E non poteva certo farsi trascinare da ogni omicidio in cui incappava.

“Se… se c’è qualcosa di cui avete bisogno”, continuò, grattandosi la fronte, col cappello un po’ sollevato, “allora chiedete a me o ad uno degli Agenti, così che…”.

“Stia tranquillo”, tagliò corto la puledra, improvvisamente lapidaria, “non ci sarà bisogno di alcunché. Buona giornata”. E si allontanò, dandogli le spalle.

Macintosh si soffermò ad osservare il telo leggermente macchiato di rosso, ancora per qualche istante, poi raggiunse lentamente la sorella. Sul terreno, sparso in modo più o meno uniforme, si trovava un piccolo tappeto di bossoli esplosi, ciascuno contornato da un cerchio bianco inciso col gessetto.

“Applejack…”.

“Che c’è??”, sbottò lei, passandosi uno zoccolo sotto la guancia.

“Io… io non… cioè…”, balbettò Mac.

“Che c’è?”, ripeté l’altra, stizzita, “Vuoi parlare? Si può sapere cosa vuoi?”.

“Io… niente…”.

Il pony arancione si strinse nelle spalle e iniziò a tirare su col naso. Alzò lo sguardo al cielo, con gli occhi umidi. Le labbra le tremarono per un istante.

Il fratello le si avvicinò di nuovo: “AJ… quello che è successo… è… è stato…”.

“Fanculo, Mac”.

Macintosh assunse un’espressione amareggiata: “Ascolta Applejack… se ci lasciamo andare proprio adesso è finita… Ora c’è bisogno che prendiamo in mano le redini… che… che troviamo la forza per andare avanti… altrimenti non… Sai che papà vorrebbe che…”.

Lo stallone non riuscì a terminare la frase. Applejack, adirata, si voltò verso di lui: “Papà?? Papà vorrebbe cosa??”, urlò, puntando lo zoccolo verso il cadavere al ciglio della strada, “Eccolo papà! Farcito di piombo, sotto un telo sporco di sangue!!”. Alcuni passanti la osservarono interdetti.

“Calmati, AJ… quello che è successo…”.

“Sai cos’è successo, Mac?”, lo interruppe bruscamente, “Sai cosa cazzo è successo davvero?? E’ successo che papà ha fatto la più grossa cazzata della sua vita!”.

“Non è vero, AJ, e tu lo sai bene…”, rispose l’altro, vagamente innervosito.

“Cosa? Ma ti ascolti quando parli? Mac! Papà ha giocato col fuoco… si era infilato in un traffico mortale… lo sai bene!”.

Il pony rosso si guardò attorno, preoccupato: “Applejack, santo iddio, abbassa la voce, sei matta?”.

“No non sono matta! Lui lo era! Lui si era ammattito!”, dichiarò, alzando ancor più il tono.

Macintosh la trascinò un po’ più in disparte, in un vicolo, lontani da orecchie indiscrete: “Applejack, stai dicendo un mare di fesserie…”.

Il volto della puledra si contrasse in una smorfia di sofferenza. Le lacrime presero a rigarle le guance e il suo respiro si arricchì di singhiozzi: “Perché… perché, Macintosh?... PERCHE’?? Eravamo felici… avevamo le nostre piantagioni… il nostro sidro… i nostri clienti… Perché abbiamo dovuto fare tutto questo… perché?...”.

Il fratello le cinse le spalle: “Per il decreto… lo sai bene… Senza poter vendere il nostro sidro saremmo colati a picco… Papà si è trovato di fronte ad una scelta difficile… E ha preso l’unica strada percorribile… L’unica strada che non avrebbe fatto affondare la nostra unica attività…”.

Applejack si ritrasse dalla sua presa, con la fronte corrugata: “Certo… certo, hai ragione! Infatti eccolo il risultato… Guarda il risultato che ha ottenuto papà: lo vedi laggiù, sul marciapiede, non molto lontano da noi… su, guarda…”.

“AJ piantala…”.

“No! Cazzo, ma ti rendi conto delle cose che dici?? Questa era l’unica soluzione fattibile, per te?? Iniziare a lavorare di straforo? Di contrabbando? Inserirci in mezzo a quella brutta gente??”.

“Cos’altro avremmo potuto fare?”.

“Maledizione, Mac!... La mafia… ma ti rendi conto?? Siamo scesi a patti coi mafiosi… Quella è gente che non scherza… anzi… ora siamo praticamente anche noi dei mafiosi…”.

“Un motivo in più per non dare nell’occhio…”.

La sorella lo guardò preoccupata, percependo un vuoto nel petto: “Mac… io… mi fai paura… Parli proprio come loro…”.

“Loro?”, chiese l’altro, visibilmente confuso.

“Sì… loro… Senti”, riprese, fissandolo negli occhi, “Papà ci ha portato in mezzo alle sabbie mobili… Ha voluto rischiare… e ne ha pagato le conseguenze… Ma… forse… per noi… per me, te, la nonna… per la piccola Applebloom…”.

“Non tirare fuori Applebloom!!”, urlò Big Mac, facendola sobbalzare.

“O-ok…”, farfugliò, un po’spaventata, “Comunque… lui ha fatto la… la fine che ha fatto… ma… forse… per noi… non è ancora troppo tardi, non credi? Forse potremmo ancora tirarcene fuori, no?... Potremmo… Potremmo ricominciare con le mele… senza sidro… Granny potrebbe preparare le confetture… io e te lavorare nei campi e…”.

Lo stallone scosse la testa: “Sai bene che non dureremmo nemmeno due mesi… Noi eravamo e siamo distillatori… non abbiamo alcuna possibilità di inserirci in un altro mercato…”.

I due rimasero in silenzio per qualche minuto. La puledra cercò di trattenere le lacrime, che però sgorgarono ugualmente dai suoi occhi: “Mac… io… io non voglio diventare una criminale… una mafiosa, un contrabbandiere o che altro… io… io non voglio tutto questo… E’ il modo più veloce per… per finire come papà… E io non lo voglio… Non voglio…”.

“No, Applejack”, la rassicurò, “Non diventeremo nulla di tutto questo… Noi… noi cercheremo solo di continuare con le nostre vendite, facendoci aiutare da qualcuno, di tanto in tanto. Niente di così terribile, davvero…”.

“No, Mac”, continuò, chiudendo gli occhi e scuotendo il muso, “Ti sbagli… Inizieremo così… come ha fatto papà… Con poco. Anche lui non voleva tutto questo. Ma… ma poi… le cose cambiano… Una volta che ci sei dentro… che capisci… che comprendi come sia facile risolvere i problemi con una mazzetta di troppo… con una pistola puntata alla tempia… Quando entri nel giro non ne esci più… Anzi… sarà un crescendo… E finirà in un modo soltanto…”.

“Non è vero…”.

La puledra, nel sentire la risposta del fratello, crollò a terra. Pensò alla tenuta… alla nonna… alla sorellina… E, dentro di sé, provò paura. Paura per tutto ciò che di brutto sarebbe potuto succedere, con quella faccenda.

Mac non aveva dubbi. Ma anche lei non ne aveva: sarebbe finita male. Molto male. Più volte aveva cercato di far ragionare il padre… Ma non era servito a nulla. Ogni volta lui trovava una scusa o la liquidava dicendole che era troppo giovane per capire “questioni d’affari”. Fu da allora che iniziò ad odiare quelle parole… “E’ solo una questione d’affari”. Tutto si risolveva così.

Macintosh cercò di tirarla su ma lei non si fece toccare. Si issò sulle zampe da sola, sollevando lo sguardo bagnato verso di lui.

“Io non diventerò mai una mafiosa”.

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Capitolo 2
*** Toccata e Fuga ***


La puledra arancione aprì faticosamente le palpebre. Il ricordo della morte del padre, avvenuto ormai alcuni anni addietro, le era tornato in testa come un fulmine a ciel sereno.

Si trovava nelle prigioni interne di Counterlot, con le zampe anteriori affisse al muro, sopra la testa. Dovevano essere prigioni vecchie di centinaia d’anni, poiché ricordavano in tutto e per tutto le tipiche segrete dei castelli, con grosse pietre scure e porose. Piccole lampadine elettriche, tuttavia, rovinavano un po’ quella sensazione, illuminando appena le celle e i corridoi. L’aria era umida e fredda.

La puledra alzò mollemente lo sguardo e scrutò la cella. Insieme a lei, anch’esse bloccate alle pareti, c’erano le sue compagne. Mancavano solo Twilight e Hound.

Gli occhi di Applejack erano spenti, rassegnati, privi della benché minima forza vitale. Fece un lungo sospiro e li richiuse.

“Ehy… dolcezza…”, le sussurrò Rarity, non molto lontana da lei. L’altra non disse nulla.

L’unicorno si sforzò di sorridere debolmente: “Ehy… AJ…”.

“Lasciala stare”, berciò Dash, decisamente indelicata, “Ha i suoi problemi a cui pensare… credimi…”.

Rarity si incupì.

Fluttershy gettò un’occhiata verso il corridoio accanto la cella e, con un filo di voce, chiese: “Cosa… cosa pensate che ci faranno?...”.

“E’ ovvio, canarino… lo sai bene…”, rispose Dash, “Ci metteranno a penzolare dalla forca, così che tutti possano ammirare lo splendido lavoro che il Governo Celeste è in grado di fare…”.

Il pegaso giallo cercò di coprirsi il muso con gli zoccoli, ricordandosi subito dopo che erano incollati alla parete.

“Oddio…”, sibilò, strizzando gli occhi.

Pinkie, in un angolo, non diceva nulla. I suoi capelli erano lisci e cascanti. Gli occhi tristi.

    Un singhiozzo crescente prese a diffondersi per la stanza. Tutte portarono l’attenzione su Applejack. Il pony aveva le labbra tremolanti, per via del dolore che sentiva dentro. Le palpebre contratte fino a far male. Le lacrime presero a sgorgare copiose.

“Io… io… mi… mi dispiace…”, singhiozzò, “Mi… mi dispiace per tutto quanto…”.

“Ehy, dolcezza… cosa stai dicendo?”, le chiese gentilmente Rarity.

“Voi…”, continuò l’altra, sempre piangendo, “voi siete qui per colpa mia… Tutto… tutto questo è successo per colpa mia…”.

“Ma che diavolo dici, AJ??”, sbottò Dash, “Siamo tutte qui per nostra scelta! Tu non hai fatto proprio nulla! Nessuno ci ha obbligato a fare quello che abbiamo fatto!”.

“E’ vero, zuccherino!”, riprese il pony bianco, “Non hai nulla di cui scusarti!”

I polmoni di Applejack si contrassero e distesero caoticamente, impedendole di parlare scorrevolmente: “Tutto… tutto questo… io… io ho paura… Ho una paura fottuta… L-la tenuta… Mac è ferito… dentro ci sono un’anziana e una puledrina… E… e all’alba… ci metteranno un cappio al collo…”. Un conato di vomito, unitamente a svariati colpi di tosse, le fece sputare saliva acida dalla bocca.

Rarity, con il trucco già sciolto lungo le guance, sentì dentro di sé tutta la sofferenza dell’amica… e così percepirono anche le altre.

Pinkie, con tono spento e occhi vacui, prese a cantilenare: “Siam nel dolore di una schiavitù tiranna… uniti insieme da sacramental promessa… sulla terra del duol, tutti pronti a morir… alla luce del sol…”.

Rainbow, udendo quelle parole, passò da una presunta spavalderia a una tristezza crescente: “Certo che…”, disse con rassegnazione, “Finire… finire in questo modo… dopo tutto quello che abbiamo passato…”.

Fluttershy ci pensò un attimo: “Però, Rainbow… E’ stato… è stato un periodo bellissimo…”.

Il pegaso blu sorrise debolmente e la guardò: “Effettivamente… è vero. Mi sono sentita rinascere… E’ come… come se fossi tornata indietro di anni… Anche se… se tutto questo dovesse finire con l’alba… Io… insomma… io…”.

Applejack la interruppe, senza nemmeno aprire gli occhi, con il muso basso: “Sai, RD?... Potrei accettare di farmi impiccare… Non lo voglio… E me la sto facendo sotto… Ma potrei accettarlo, se solo avessi la certezza che… che la tenuta…”.

Il pegaso blu si incupì di nuovo. Se lei non aveva niente da perdere, al di là della propria vita, altrettanto non poteva dirsi per il pony dalla criniera dorata.

Il gruppo ricadde nel silenzio.


    Un leggero trambusto provenne dal fondo del corridoio, oltre la loro linea visiva.

Alcuni zoccoli risuonarono sulla pietra, rimbombando lungo le pareti e facendosi sempre più vicini.

Octavia, con una piccola sacca sulla groppa, fece la sua comparsa.

Dash, quando la vide, assunse un’espressione rabbiosa: “Ehy… guardate un po’ chi è venuta a darci l’estrema unzione…”. Le altre si limitarono a guardarla, senza dire nulla.

Lo sguardo della musicista era impassibile ma, dopo essersi posata sui prigionieri, non riuscì a trattenere il dispiacere, che passò attraverso i suoi occhi. Senza perdere altro tempo, prese il mazzo di chiavi e aprì la cella. La porta ferrata si spalancò, cigolando rumorosamente.

Dash aggrottò la fronte: “Cos’è? Vuoi infierire un’ultima volta, finché ne hai l’occasione?”.

Il pony grigio si allungò verso le manette del pegaso: “Avrei dovuto stringere di più sul tuo collo, quando ne ho avuto l’occasione…”, dichiarò. Rainbow cadde pesantemente sul pavimento, subito dopo aver udito uno scatto metallico, che la liberò.

“Ma… a che gioco stai giocando?”, le chiese, massaggiandosi gli zoccoli.

“Parleremo dopo. Fate silenzio”, tagliò corto, andando a liberare Rarity.

“Ehy… Io non faccio silenzio!”, riprese Dash, “Si può sapere che stai facendo, traditrice? Che diavolo vuoi?”.

“Se non fai silenzio la copertura salta e il mio intervento sarà inutile”.

L’altra la aggredì con una zampa sul collo, bloccandola contro il muro. Octavia percepì una sensazione soffocante alla gola.

“Schifosa doppiogiochista!”, ruggì Dash, assolutamente fuori di sé, “Io ti spezzo le vertebre…”.

Il pony grigio non fece nulla. Non mosse nemmeno un muscolo. La pressione della zampa sul collo crebbe.

“A-aspetta…”, intervenne Rarity, cercando di calmarla, “Prima… prima sentiamo cos’ha da dire… Poi… poi vedremo…”.

L’amica ci pensò un attimo e poi si convinse a mollare la presa. Octavia si portò uno zoccolo sotto la mascella e tossì alcune volte.

“Io… io…”, farfugliò, “Non c’è tempo… lasciate che vi liberi e poi… poi ne parleremo…”, e si accinse ad aprire le manette di Fluttershy.

“Perché dovremmo fidarci di te? Soprattutto dopo quello che tu e quel bastardo del tuo capo ci avete fatto?”, l’ammonì il pegaso blu, estremamente scettico.

“Non c’è una risposta alla tua domanda. O vi fidate e venite con me… oppure rimanete qui e vi fate impiccare all’alba. La scelta e vostra”.

Era il turno di Applejack. Quando Octavia le liberò gli zoccoli, lei le rivolse debolmente lo sguardo. La musicista si sedette, guardandola intensamente negli occhi.

“Io… mi… mi dispiace…”, le disse il pony grigio, con un filo di voce. Si portò il sacco accanto, lo aprì ed estrasse il borsalino che la puledra aveva perso la notte dell’assalto a Counterlot. Glielo porse delicatamente. Applejack lo prese tra gli zoccoli e poi incrociò nuovamente lo sguardo con quello di Octavia.

“Ho… ho dato ordine ai miei sottoposti di presidiare la tua tenuta…”, la rassicurò, “C’è… c’è solo stato un piccolo incidente… Pare che uno dei miei si sia beccato un colpo di lupara alla spalla… Ma… ma per il resto è tutto a posto. La tenuta dovr…”. Applejack la cinse con un abbraccio.

“Grazie…”, farfugliò, con le guance rigate dalle lacrime, “Grazie… grazie…”.

“Ehm… i-io…”.

“Grazie…”.

“Ora… ora devo liberare l’altra… la… la pazzoide… Poi… poi ne riparliamo, ok?”, disse imbarazzata, allontanandosi dalla presa del pony arancione.

Pinkie non la stava nemmeno osservando. I suoi occhi fissavano il pavimento.

Octavia fece scattare le manette e poi stette accanto a lei, in alcuni attimi di silenzio.

“Pinkie… Io… io non volevo che accadesse quello che è successo… Non volevo, giuro…”.

L’altra, sempre con la criniera liscia, rimase in un’espressione di delusione.

“Pinkie… Ti prego… Devi fidarti di me…”.

“Pfff… fiducia a te?...”, aggiunse Dash, osservando la scena.

“Pinkie… A-amica… amica di coltello-che-bello?...”, tentennò, cingendole una spalla, “Ti prego… perdonami… Potrai perdonarmi?...”.

Il pony rosa alzò lo sguardo e la osservò. Portò entrambe le zampe sulle sue guance grigie. Avvicinò il muso al suo, fino quasi a sfiorarlo. Poi la ribaltò con una sonora craniata.

Octavia cadde a terra, zoccoli alla fronte, dolorante. Quando riaprì gli occhi, Pinkie sfoggiò un sorriso smaliante. La sua criniera era nuovamente colorita e vaporosa.

“Scuse accettate!”, sentenziò, compiendo il canonico balzello.


*** ***** ***


    Il gruppetto di fuggiaschi si incamminò lungo i corridoi. Tutti notarono la fila di Guardie Celesti prive di vita, opportunamente liquidate dalla musicista durante il tragitto di andata.

“Ehy…”, sbottò Dash, “Ora ci puoi dire che diavolo stai combinando?”.

“Discord ha un piano”.

Rarity si fermò improvvisamente con occhi colmi di odio: “Discord?? DISCORD???”, ruggì “Quel lurido bastardo che ci ha tradite tutte?? Che ha… che ha quasi fatto ammazzare il mio segugio?? Lavori ancora per lui?”.

Le altre si fermarono a loro volta.

Rainbow incrociò le zampe anteriori: “Infatti! Io non mi fido ne di te ne di lui…”.

Octavia cercò di mantenere il sangue freddo: “Ripeto che non c’è tempo per parlarne ora… ma… vi posso dire che Discord non vi ha traditi”.

“Devi ammettere che non sembra proprio così…”, rispose Applejack, con voce atona.

“Lo so… Infatti… non posso pretendere che vi fidiate. Posso solo dirvi che ha in mente un piano… un piano che prevede tutti voi ben tre metri sopra la tomba di Chrysalis”.

“Chrysalis?”, domandò Fluttershy, inclinando leggermente il capo.

La gangster posò la sacca: “Sì. Parliamo di una trasformista molto potente. Qualcosa che nemmeno Discord è in grado di affrontare direttamente”.

“E lui lo sapeva?”, chiese Dash.

“Sì”.

“Lo sapeva…”, ripeté il pony arancione, abbassando lo sguardo, “Tutto quello che abbiamo fatto… tutti quei morti… per finire in bocca a qualcuno del genere e… e lui lo sapeva…”.

“Credimi”, riprese Octavia, “Era l’unico modo… Volevate far crollare il Governo Celeste… E… e quello era l’unico modo…”.

“Fatico molto a crederlo”, concluse Applejack.

“Lo so… E’ per questo che non vi biasimerei se voleste semplicemente andarvene”.

L’amica ci pensò a lungo, combattuta tra mille emozioni e pensieri. Alla fine, con gesto solenne e ritrovata sicurezza, abbassò leggermente la tesa del cappello e proferì: “Bene, gentaglia… Se siete con me… cerchiamo di andare a fondo della faccenda. Vediamo cosa ha in mente la biscia barbuta”.

“Sìì!”, esultò Pinkie, “Biscia barbuta sempre piaciuta!”.

Il pegaso blu increspò il muso e sbuffò: “Non sono convinta…”.

“Se penso a quello che è successo al mio patato…”, borbottò Rarity.

“Poche ciance, seguitemi”, concluse Octavia.

    Dopo alcuni minuti, superato un uscio, le pietre delle prigioni lasciarono il posto a liscio intonaco verde chiaro. Il pavimento era in gomma scura. Il gruppo si parò d’innanzi una porta, con la targhetta “Infermeria” affissa sopra, un po’ storta.

Il pony grigio fece cenno di far silenzio. Fluttershy piazzò uno zoccolo sulla bocca di Pinkie un istante prima che urlasse il relativo consenso.

La porta venne dischiusa lentamente: una fredda luce al neon illuminava una stanza ricca di attrezzature mediche (bottiglioni, lettini e ferri, in primis). Un paio di pony era intento a dialogare. Indossavano entrambi un camice da dottore: il primo era piuttosto anziano e portava un paio di folti baffi grigi. Il secondo, invece, era molto giovane e prendeva costantemente appunti su un grosso taccuino. Vicino a loro vi erano letti ospedalieri, quasi tutti occupati.

“Quindi, se il danno è estremamente esteso, conviene amputare?”, chiese il più giovane.

“Ja! Ze piccolo arto di pony feriten zi trofa in condizionen di kakken… allora ezzere molto meglio prende ein piccolo seghetten e procedere ad amputazionen!”, rispose l’altro, con spiccatissimo accento tedesco.

“A-ah… E… in questo caso?”, domandò, indicando uno dei ricoverati.

“Mhh… fediamo… Razza: unikornen. Colore manto: fiola. Sezzo: femmina. Puledra. Danno… fediamo… direi… ferita di arma da fuoco zu zpalla destra”.

“Amputazione?”.

“Uhm… nein… Zecondo me…”, continuò, sollevando leggermente le bende di Twilight, quasi priva di sensi, “Zecondo me è pozzibile portare a ferpetten quaricione il zoggetto, tramite ein pikkolen intervento di… estrazione di palla di pistolen”.

Il puledro annotò qualcosa: “Capito”.

“Anzi, direi di procedere immediatamenten! Lei azpetti qvi mentre fado a prendere attrezzatura necezzarien!”.

“Jawol herr professor!”, urlò l’altro, facendo schioccare gli zoccoli e alzando la zampa destra sopra il capo.

Il dottore si allontanò per un attimo.

Il giovane continuò a scarabocchiare qualcosa sui fogli, vagamente annoiato. Il suo sguardo si posò poi sul corpo di Twilight, leggermente ansimante per il dolore. Il suo sguardo si fece malevolo.

Si avvicinò lentamente al lettino e scrutò le curve della puledra.

“Mhh… siamo sicuri…”, bisbigliò, passandole uno zoccolo sul fianco “…che… che non hai una zampa slogata?”.

L’arto scese lentamente sul ventre, quasi a tuffarsi tra le cosce dell’unicorno.

Una lama affilata, retta da un pony grigio, gli solleticò il collo, proprio sotto il mento.

“Muoverò il coltello nella tua carne in funzione di quanto tu muoverai la tua zampa tra le sue. Comprendi?”, sussurrò la musicista.

Il tizio sgranò gli occhi: “Comprendo”.

Applejack, poco lontano, scosse il capo, schifata: “Che pena… Non ci posso credere”.

“Già”, continuò Rarity, “E’ questa la professionalità di Counterlot. Schifosi… maniaci…”.

“I-io… stavo solo… controllando… la p-pressione…”, buttò lì.

“Tranquillo”, rispose Octavia, facendogli uscire un rivolo di sangue dal pomo d’Adamo, “Io ti sto solo facendo la barba”.

“Lascialo”, ordinò Aplejack. L’amica ubbidì.

Il pony dalla chioma bionda, adirata, lo afferrò per il colletto del camice: “Vuoi divertirti con una puledra?? Divertiti con lei” e lo gettò in una stanzetta lì vicino, facendolo impattare contro vari oggetti medici qua e là, cadendo poi a terra.

Il pony scosse il capo e si rialzò. Cercò di fuggire ma l’uscio della stanza era bloccato da un pony rosa, con un sorriso inciso sul volto: “Ciao! Mi chiamo Pinkie Pie!”.

“Uhhh…”.

“Non ho mai giocato al dottore! Mi spieghi come si fa??”, starnazzò, afferrando il sondino di un clistere, poco vicino. “Cos’è questo? Come si usa?”, domandò, provando diverse posizioni e infilandoselo infine in bocca.

“Ehm… Io… io dovrei andare…”.

Lo sguardo di Pinkie venne attirato da un luccicante seghetto per autopsie: “Uhh! Questo so cos’è!”.

“E-ehy… che vuoi fare??”, balbettò, terrorizzato.

“Ehm… Com’è che si dice?...”, chiese l’altra, pensierosa, “Ah sì! Si metta seduto e dica trentatre!”.

La puledra si avvicinò al nuovo compagno di giochi, non prima di aver chiuso a chiave la porta dietro di lei.

Fluttershy, intanto, aveva cercato di destare gentilmente l’unicorno viola: “Ehm… T-Twilight?...”.

L’amica emise un verso sommesso.

“Che ha?”, chiese Dash.

“Oh… io… a me sembra… sotto effetto di sedativi o qualcosa del genere”, rispose il pegaso giallo.

Una voce sopraggiunse alle loro spalle: “Zei pronto mio ciofane alliefo? Prepara zubito il…”.

Il dottore si bloccò quando vide gli intrusi.

“Sheisse”, sbottò.

Il corno di Rarity si illuminò improvvisamente e il camice dell’anziano pony si irrigidì, come se fosse di granito.

“Ehm… Guten tag!...”, buttò lì il poveretto, “Pozzo… pozzo fare qvalcoza per…”.

Rainbow gli si fece vicino, con fare minaccioso: “Taci, macellaio!”.

“Uh? Io coza? Nein! Io no macella! Io taglia e poi cuce!”.

“Ehy, RD, per ora lascialo in pace”, proferì Applejack, “Senti, baffolo: che hai fatto alla nostra amica?”.

L’altro osservò il paziente e si schiarì la voce: “Paziente affetto da grafe feriten da arma da fuoken. Stafo per procedere ad estrazionen di…”.

“Tu non estrai proprio niente!!”, riprese Dash, ancor più rabbiosa.

“Ferma, RD… Prima voglio sapere perché Twi sembra che abbia battuto la testa come il batacchio di una campana…”.

“E’ zemplice! Afere dato lei ein grande dose di siringa contro dolore!”.

“Continua”.

“Mio compito è zalfare pazienti! Io no macella!”.

“Facciamolo fuori, AJ”, ringhiò il pony blu.

L’amica scrutò bene il dottore: “Ascolta… togli la pallottola all’unicorno e ti lasciamo vivere, intesi?”.

“Ja! No proplema! Io apre, toglie, kuce! Avrò finito prima ankora che abbiate detto Freundschaft ist Magie!”.

Il medico si avvicinò al corpo della paziente, portando con sé gli attrezzi che aveva da poco prelevato.

Applejack si mise a zampe conserte: “Ti tengo d’occhio, intesi?”.

“Ja, ja… tu me lascia laforare e non rompe kartofen…”, rispose, facendo scintillare un bisturi alla luce dei neon.

    Rarity, intanto, prese a controllare ossessivamente i ricoverati sui lettini finchè… finchè finalmente lo trovò. L’unicorno bianco sentì un formicolio al cuore: Hound era disteso sul giaciglio, con una fasciatura al capo, intrisa di sangue. Dai bendaggi si intravedeva appena il corno spezzato. Lo stallone sembrava dormire sommessamente, con una flebo attaccata ad una zampa.

L’attrezzo affilato del dottore stette per incidere una sezione attorno alla ferita di Twilight quando, improvvisamente, il dottore si sentì strattonare con violenza.

“OPPERCELESTIA-COSA-VATE-FATTO-AL-MIO-PATATO?!?”, sbraitò Rarity.

Il pony arancione cercò di calmarla: “Ehy… EHY!! Vacci piano, sta per togliere la pallottola a Twi…”.

“Non mi importa nulla!!”, rispose con volto minaccioso, “Che ne sarà del mio cucciolo?? Voglio saperlo!”.

“Kucciolo?...”, domandò l’altro, senza capirci nulla.

“Lo stallone”, si intromise Dash, “Quello fulvo. Che puzza d’alcol”.

“Ah! L’unikornern senza kornen!”.

“Sì, lui”.

“Patatoooo!!”, fece eco Rarity, osservandolo da lontano.

Applejack riuscì a liberare il medico dalla presa della puledra, permettendogli di riprendere il proprio operato.

“Qvello unikorno è messo molto… molto malen…”, disse, incidendo la ferita. Sparkle strinse i denti ed emise un sibilo, rimanendo però priva di sensi.

“M-male?”, balbettò la padrona del Carousel, “Quanto… quanto male?...”.

Il pony baffuto posò il bisturi sporco di sangue in una ciotola metallica e prese quindi un paio di pinze: “Abbastanza. I danni a korno pozzono essere MOLTO perikolosi! E fostro kamarata ha zubito danno molto eztezo… Zimile trauma può kauzare perdita indeterminaten di koscienza… Nonché…”.

“Nonché?...”, domandò l’altra.

“Nonkè impozzibilità di lancio di inkantezimi… o comunkue molto più dificile di prima!”.

Gli occhi della puledra si spalancarono: “Il… il mio patato non… non potrà più…”.

Fluttershy mise una zampa sulla spalla dell’amica: “Ehm… Rarity… non pensiamoci, adesso… La cosa importante è che riusciamo a rimetterli in sesto e che siano vivi… no?”.

La puledra dalla chioma viola mise lo zoccolo sopra quello del pegaso, leggermente cupa: “…Sì… sì, l’importante è che siano vivi e che ce ne andiamo da questo posto orribile…”.

La palla di pistola tintinnò rumorosamente nel contenitore.

“Fatto!”, esultò il dottore, “E, tra non molto, fostra amiken dofrebbe riprenderzi!”.

“Ottimo”, concluse Applejack, ruotando l’anziano pony verso di sé.

“Ora però”, continuò la puledra col borsalino, “Mi dovete spiegare cosa ci fa un medico per bene in un trogolo di corrotti come questo…”.

L’altro non si scompose e fece spallucce: “Io fatto ciuramento. Io zalfa fite. Me no rifiuta. Io doktoren. Mi spiace che Kuardia Celeste fa kose disdicefoli. In ferità io stare per lo più qvi a taglia e kuce. Non zo molto di corruzione in Kounterlot…”.

Una porta si aprì alle loro spalle. Era Pinkie, completamente sudata e con qualche goccia amaranto sul pelo.

“Accipicchiolina!”, esordì, con un leggero fiatone, “Fare il dottore è molto più faticoso di quanto pensassi!”.

Il chirurgo deglutì rumorosamente e Applejack riportò lo sguardo su di lui, vagamente minaccioso: “Capisce  a cosa mi riferisco, dottore?...”.  

“Io… io kapisko, ja…”.

“Ma comunque la ringrazio per l’aiuto. Fa piacere sapere che non tutti, qui, sono marci nel midollo…”.

“Uuhhh…”, brontolò Twilight, iniziando a svegliarsi, “C-cosa…”.

Il pegaso paglierino si avvicinò a lei sorridendo: “Ehm… ciao, Twilight…”.

“F… Fluttershy?...”.

L’unicorno mise a fuoco l’ambiente e si drizzò improvvisamente dal lettino, stringendo immediatamente la spalla per via di una fitta dolorosa.

“Ehy, dottor barbiere”, l’ammonì Dash, “Hai un buco nella spalla, vedi di non agitarti. Ne ho presi tanti anche io, quindi so quanto fanno male…”.

“Porca puledra…”, sibilò l’altra a denti stretti, sollevando poi lo sguardo verso le amiche, “D-dove siamo?.... Cos’è successo?...”.

“Siamo nei sotterranei di Counterlot”, la informò Applejack, “Ma ora ce ne stiamo andando…”.

“A-andando?…”, disse, contenendo un’altra fitta, “Ma… ma come?...”.

L’amica puntò il muso verso Octavia.

“L-lei?... Quella… quella traditrice?...”.

“Sì. Lei. Lo so che ci ha tradite ma pare che sia tutto premeditato…”.

“E… e tu vorresti crederle?... Dopo… dopo tutto quello che ci ha fatto?...”.

Il pony si diede un colpetto alla tesa del cappello: “Che scelta abbiamo, Twi?... O rimaniamo qui e moriamo impiccate all’alba… oppure ascoltiamo la strimpellatrice e tentiamo la sorte”.

Twilight sembrò pensarci per un istante: “E… e sembra che ti fidi di lei…”.

Gli occhi della puledra arancione si fecero spaventosi e, con voce lapidaria, dichiarò: “Io ho la mia tenuta a cui badare… Non mi arrenderò nemmeno per un momento… Mi giocherò il tutto per tutto, dovessi anche vendere l’anima pur di assicurarmi che la mia famiglia sia al sicuro… E oltretutto pare che gli sgherri di Discord la stiano presidiando…”.

“Ceeeerto”, si intromise il pegaso blu, “Gli stessi tizi che hanno cercato di incendiarla l’ultima volta! Ma per favore…”.

Octavia prese la parola: “Quell’ordine non partì da me o da Discord… Crediamo che Chrysalis abbia fatto la doppiogiochista, per metterci gli uni contro gli altri e inasprire i nostri dissensi già abbastanza violenti…”.

“E come avrebbe fatto, di grazia?”, domandò Rainbow, scettica.

“Te l’ho detto… Chrysalis è un mutaforma. Prova ad usare quella testolina multicolore che ti ritrovi, fai due più due e voilà”.

“Ehy! Rimangiati subito quello che…”.

“Piantatela”, intervenne Applejack, “Vediamo di muovere il culo e di andarcene. Non penso tarderanno molto ad accorgersi che un gruppo di pericolosi ricercati è fuggito dalle prigioni…”.

“Giusto”, confermò la musicista, sistemandosi il copricapo, “Alziamo i tacchi”.

Il gruppetto si riunì ed iniziò ad uscire dalla stanza. Twilight si allontanò a fatica, dopo un bendaggio applicatole dal dottore, sorretta poi dal fianco di Fluttershy.

Rarity chiese quindi l’aiuto di Applejack per aiutarla a trasportare il suo amato stallone.

“Applejack, dolcezza… Tu hai un corpo strappato dalle fatiche dei campi… non è che mi daresti una zampa per…”.

La puledra sputò per terra e afferrò Grey per le zampe posteriori, mentre l’unicorno bianco sollevò magicamente la parte anteriore.

“Maledizione, Hound!”, ruggì faticosamente la gangster, “Prima cerchi di far affondare la mia attività, poi mi convinci ad assaltare Counterlot ed ora mi tocca trasportare il tuo grosso e peloso cu…”.

“AJ!”, drammatizzò Rarity, “Non mi sembra il caso! Risparmia il fiato e stai attenta a non far male al mio povero orsetto…”.

Le puledre abbandonarono il locale.

Applejack fu l’ultima.

Si girò ancora un ultimo istante verso il medico: “…Grazie”.

L’altro si sistemò il colletto del camice, con sguardo fiero: “Bitte schön…”.


    Il gruppetto iniziò quindi a trottare per i corridoi, con Octavia come apripista.

“Su, AJ! Muovi quei quarti posteriori!”, la riprese l’unicorno bianco.

L’altra, sudata e affaticata, stette quasi per buttare a terra il suo carico: “Rarity, porca vacca, un’altra parola e vedi cosa ne faccio del tuo orsacchiotto puzzolente…”.

“Zitte!”, tagliò corto il pony grigio, “Dobbiamo andarcene di qui e cercando di non dare troppo nell’occhio…”.

Ma parlò troppo presto.

Dopo aver svoltato un angolo, si trovarono d’innanzi una decina di Agenti armati, che puntarono rapidamente fucili e pistole verso di loro.

Il funzionario in testa alla formazione prese la parola, con sguardo beffardo: “Ma guarda… ecco i fuggiaschi…”.

Le altre, fatta eccezione per Octavia, alzarono lentamente le zampe in aria. Anche Applejack fece altrettanto, buttando a terra il proprio carico, con un tonfo rumoroso.

“Ehy!!”, strillò Rarity.

“Non so come abbiate fatto a fuggire”, continuò divertito, “Ma adesso non sarà più un problema…”. Armarono i cani e fecero scattare gli otturatori.

Octavia si girò verso le compagne con sguardo inespressivo: “Sì. Ecco i fuggiaschi”.

“Cosa??”, ruggì Rainbow, “Lo sapevo! Schifosa traditrice!!”.


*** ***** ***


    Era giunto il momento.

Il sole di un’alba da poco terminata si stagliava all’orizzonte.

La mattina era ancora fredda e il cielo terso come non mai, per via del temporale conclusosi da alcune ore.

Una giornata perfetta sotto qualsiasi punto di vista.

Una grossa folla di pony era radunata al centro dell’enorme piazza centrale di Counterlot, proprio di fronte al quartier generale della fu principessa Celestia. Era per lo più composta da un nutrito numero di Agenti armati e, solo secondariamente, da un assembramento di giornalisti, fotografi e funzionari cittadini.

Attorno a loro, in cima agli edifici e con gli occhi puntati verso l’azzurro, i pegasi imperiali controllavano che nessuno potesse interferire.

Perché quello era l’istante magico che Chrysalis (sotto le sembianze del generale della Guardia) stava aspettando con trepidazione.

Al centro dello spiazzo, proprio in mezzo alla folla, era stato collocato uno spalto in legno con sette cappi e sette botole.

Dietro, sullo sfondo, si stagliava imponente il maschio centrale in pietra: era una massiccia struttura in pietra, alta diverse centinaia di metri. Svariate balconate erano state adibite a luogo di osservazione per i pony più ricchi e facoltosi di Equestria, che non si sarebbero persi per nulla al mondo un’esecuzione di quel genere. Infine, proprio nella zona apicale della struttura, dominava l’enorme statua simbolo del Governo Celeste: il guanto d’arme serrato attorno al sole.

Tutto era perfetto.

    Chrysalis si mosse lungo la piazza, tra i presenti, squadrando compiaciuta il patibolo e pregustando l’evento.

Fu l’ora.

Un grosso portone a due ante, che permetteva l’ingresso alle segrete, si spalancò lentamente.

L’interno oscuro venne rapidamente illuminato dalla luce mattutina, accecando momentaneamente gli occupanti, che non vedevano la luce del giorno ormai da svariate ore.

La stampa puntò gli apparecchi fotografici e un nugolo di flash illuminò sporadicamente Applejack e la sua squadra.

I prigionieri erano visibilmente affranti… Pinkie e Fluttershy, più fra tutti, erano semplicemente terrorizzate: il pegaso paglierino cercò di dimenarsi con sguardo impietrito ma alcune catene le impedirono di fare alcunché.

C’era anche Hound, malconcio e traballante. Tutti e tre gli unicorni portavano inoltre una morsa di materiale magico sul corno: una contromisura più che efficace per impedire qualsiasi “trucchetto” inappropriato.

Octavia, la traditrice… non c’era…

Un agente, dietro l’ultima della fila, diede un colpo alla schiena di Fluttershy, con il calcio dell’arma. L’altra si girò verso di lui, con il volto rigato dalle lacrime, emettendo appena un verso.

I sette si mossero faticosamente verso l’esterno e la folla si aprì, formando un tunnel percorribile che conduceva direttamente al patibolo.

I flash continuarono ad investirli, mentre alcuni giornalisti presero a scrivere forsennatamente su alcuni taccuini.

“Muovetevi, feccia!”, gli intimò una delle Guardie.

Hound lo osservò senza dire nulla e poi tutti ubbidirono.

Chrysalis, intanto, li teneva d’occhio, cercando di dissimulare il proprio piacere. Si posizionò proprio di fronte alla forca, con i cappi che penzolavano debolmente alle sue spalle.

“Guardateli!!”, dichiarò ad alta voce, in modo che la stampa e anche i pony nella torre centrale potessero udirla, “Guardate in quale stato sono ridotti i criminali che hanno cercato di sovvertire il Governo!”.

Applejack alzò lo sguardo verso di lei e si rattristò enormemente.

“Osservate con attenzione!!”, continuò, destreggiandosi quasi fosse il presentatore di un circo, tempestata di altri flash luminosi, “Che questo serva di lezione per TUTTI coloro che oseranno opporsi all’operato Celeste!!”.

Le Guardie li condussero fino all’impalcatura in legno.

Fluttershy, colta da panico improvviso, cercò rapidamente di divincolarsi e riuscì addirittura a percorrere qualche metro, prima che un funzionario la buttasse dolorosamente a terra, col muso nella polvere.

“Avete visto??”, riprese Chrysalis, “Sono patetici! Infimi! Ridicoli!... Ed ora saranno annientati!!”.

“Cosa ci può dire della nostra Governante, la principessa Celestia?”, urlò uno dei giornalisti, togliendosi una matita dall’orecchio e posandola su alcuni fogli bianchi.

La mutaforma sorrise appena: “La nostra amata Celestia ha donato la propria vita per il bene di Equestria!! I criminali, supportati da Grey Hound, il traditore di Counterlot, sono riusciti a penetrare nel cuore del palazzo, riuscendo a strappare la vita con l’inganno al nobile alicorno!!”.

“Ma se anche Celestia non è immune dall’operato dei criminali… allora…”.

“Fandonie!!”, tagliò corto, “I criminali più pericolosi che ci siano li potete vedere qui, pronti ad essere impiccati!!”.

I sette vennero condotti alle loro postazioni, ciascuno di fronte al proprio pendaglio e rivolti verso i presenti. Fluttershy crollò sulle proprie zampe, sorretta a malapena dall’Agente accanto a lei. Pinkie non versava di certo in condizioni migliori e le altre sembravano sul punto di una crisi di nervi.

“Vedete?? Sette criminali! Sette fuorilegge! Gli assassini di Celestia sono qui! Nonostante lei non sia più tra noi… come potete vedere… Counterlot regna e resiste!!”. Con quelle parole, alzò le zampe verso il cielo, ad indicare la maestosità delle mura ancora intatte e lo stuolo di Agenti pronti ad intervenire da ogni angolo.

“Anche se la principessa non c’è più… io vi assicuro che la guida di Counterlot e del Governo Celeste continuerà come prima… Anzi! Meglio di prima!! Sotto la guida dei nostri esperti generali… E dopo aver mostrato a tutto il mondo criminale le immagini di questi sette con le corde serrate attorno ai colli… vi assicuro che la lotta alla malavita subirà un drastico cambio di eventi!!”.

Dopo quel discorso anche Rarity e Twilight dovettero essere sorrette, pensando alla fine a cui stavano per andare incontro. Applejack chiuse gli occhi e alcune lacrime le rigarono le guance.

    La doppiogiochista si girò quindi verso di loro, sorridendo beffardamente. Si avvicinò per un ultimo istante ad Applejack, sicura che nessuno l’avrebbe vista, e le lanciò un ultimo sguardo illuminato dalle tonalità dello smeraldo.

“Preparateli!!”, tuonò infine.

Un Agente vestito di nero iniziò a collocarle una ad una sulle botole, annodando e sistemando poi le corde come era abituato a fare.

Tutti prepararono le macchine fotografiche e gli spettatori sulla torre si sporsero, alcuni indossando piccoli binocoli da teatro.

Si fece quindi avanti un funzionario occhialuto, con le zampe unite in grembo. Passò in rassegna i prigionieri, leggendo implacabilmente i loro nomi da un elenco e poi dichiarò: “Questo Governo ha determinato un giudizio attraverso le leggi vigenti in Counterlot. Secondo quanto stabilito dagli enti preposti al compito, siete condannati a morte attraverso impiccagione, finché i vostri corpi non penzoleranno dalla forca privi dell’alito vitale”.

Le puledre piansero. Rarity non riuscì a trattenere un conato di vomito e Twilight per poco non perse i sensi.

“Non ci sarà pietà alcuna per le vostre anime”, concluse infine l’altro.

Chrysalis si passò lascivamente la lingua attorno alle labbra, assolutamente eccitata da quanto stava per fare.

Tutto. Tutto quello che aveva preparato l’aveva condotta a quel momento. A quell’istante.

Con la morte dei presunti assassini di Celestia… nulla l’avrebbe più fermata. Tutti avrebbero creduto nell’innegabile potere del Governo Celeste… Governo che sarebbe stato a sua totale e completa disposizione. Nessun criminale o attentatore avrebbe ambito a sovvertire un ordine così potente. E avrebbe potuto arricchirsi col contrabbando illegale, senza più concorrenti di spicco con cui confrontarsi.

Tutto. Tutto era come aveva presagito.

Alzò una zampa verso l’altro.

Il boia strinse una leva tra gli zoccoli.

Il cuore nel petto dei sette condannati fu sul punto di esplodere.

Il vento si levò leggero.

Tutti si prepararono.

E Chrysalis abbassò rapidamente l’arto.

    Le botole si aprirono.

I colli di Rarity e Pinkie si spezzarono all’istante, bloccando le loro espressioni in una smorfia con la lingua ciondolante.

Gli altri prigionieri furono meno fortunati e agonizzarono per svariati minuti, scalciando e sbavando.

Il mutaforma li osservò con gusto e partirono i flash.

Uno dopo l’altro, iniziarono a irrigidirsi e gli spasmi si fecero sempre meno evidenti e percettibili.

L’ultima ad andarsene fu Applejack, con occhi arrossati e una inevitabile incontinenza urinaria.

Il finto generale si voltò quindi verso i giornalisti, cercando in ogni modo di trattenere le risate: “Giustizia è fatta!!”, urlò con convinzione.


    La voce di Applejack giunse lontana, con un lieve eco: “La vera giustizia deve ancora compiersi, lurida puttana!!”.

Lo sguardo di Chrysalis passò lentamente dall’euforia allo spiazzamento più totale. Si voltò nella direzione da cui proveniva la voce.

Alzò lo sguardo.

Lassù, più o meno a metà altezza della torre, Applejack si era sporta con spavalderia da una delle balconate. Il suo sguardo era deciso e assolutamente sicuro di sé. I civili attorno a lei si erano scostati increduli.

“M-ma…”, balbettò il mutaforma, incapace di accettare quello che stava vedendo.

Sentì quindi alcuni strani rumori e riportò l’attenzione al patibolo. Capì.

I sette cadaveri tremolarono e il velo illusorio si dissolse, rivelando sette corpi imbavagliati degli Agenti che li avevano intercettati nelle segrete.

Dietro ad Applejack, nella stanza interna, il corno di Twilight smise di brillare e la puledra emise un sospiro di fatica.

“Ottimo lavoro, dottor barbiere”, le disse Octavia, dandole una pacca sulla spalla.

“Ah! Cazzo!! Fa male!”, berciò.

“Ops. Scusa. Me n’ero dimenticata”.

Rainbow la osservò con aria di sufficienza: “Non riesco ancora a capire a che gioco stai giocando… Ci tradisci, non ci tradisci… Ti vuoi decidere?...”.

La musicista sorrise beffardamente: “Troppo comodo. Se vi avessi detto tutto, come avremmo potuto sopraffare una dozzina di Agenti… e senza nemmeno un’arma? Così invece è stato più semplice. Farvi catturare di nuovo. Lasciare che si fidassero di me. E poi…”.

Chrysalis osservò i cadaveri.

Poi arrivarono: uno, due, tre flash, fino a che tutti presero a fare fotografia ai corpi penzolanti.

Le luci la riportarono alla realtà: “C-cosa fate, imbecilli!! Smettetela di fare foto!!”.

“Che scoop!”, disse un giornalista.

Le Guardie a terra puntarono quindi le armi verso la puledra arancione.

“Fermi, idioti!”, intervenne un ufficiale, “Non aprite il fuoco! Sono nella torre occupata da civili!!”.

Un ghigno malevolo si dipinse sul muso di Applejack.

“Allora, Chrysalis!!”, tuonò dalla balconata, “Come ci si sente a prendersela in quel posto con la tua stessa tecnica, eh??”.

L’altra non capì ma poi Octavia si affacciò assieme all’amica.

“L-la musicitsa?... DISCORD!!!”, urlò, con assordante voce sovrannaturale che fece trasalire tutti quanti, “MALEDETTO TRADITORE!!!”.

Un funzionario la osservò basito: “G-generale?...”.

Il gruppo si manifestò quindi al completo, fatta eccezione di Rarity, che rimase all’interno ad accudire l’amato, ancora privo di sensi.

Dash raccolse fiato nei polmoni: “Ehy, Chrysalis!! Che sapore ha la sconfitta??”.

La creatura magica cercò di non perdere la calma e sbottò in una sonora risata, continuando la recita: “Sconfitta?? Ah! Cosa credete di fare, luridi criminali?! Avete solo rimandato la vostra esecuzione! Cosa vi aspettate di ottenere, eh?? Non si entra e non si esce da Counterlot! Questo posto è blindato contro qualsiasi incursione, quindi ora siete intrappolati qui!!”.

“Oh, non sarà un problema”, continuò Applejack con strafottenza, “Vedi… anche se noi morissimo qui… ormai non puoi più far nulla per salvarti la faccia, bellezza”.

“Dopo che vi avrò ammazzati il problema si sarà risolto da solo!”.

“Ah, ma davvero?... E dimmi: cosa accadrà quando le foto dei tuoi uomini impiccati appariranno sul Daily, eh? Quando la gente scoprirà che l’inviolabilità di Counterlot non è tale?... Quando scoprirà che sette salvatori feriti hanno ingannato te e i tuoi uomini?”.

“Salvatori??”, rise di gusto, “Ma cosa stai dicendo?? Voi siete criminali!! Siete feccia!!”.

“E tu sei un’idiota, Chrysalis. Noi abbiamo Grey Hound…”.

“E’ un traditore, schifosa puttanella!! Che differenza vuoi che faccia??”. Il finto generale iniziava a perdere il controllo. Non le piaceva avere l’impressione che qualcuno fosse un passo davanti a lei.

“Ti sei forse dimenticata”, disse Applejack con noncuranza, “Della… Prassi da Forzatura?...”.

Chrysalis cercò di mettere insieme i concetti: “L-la… la prassi…”.

“Ti sei forse dimenticata che Hound ha trafugato il documento ufficiale che attesta ciò che gli avete fatto? Beh, cara mia, il documento è stato consegnato ore fa da Octavia alla stamperia locale. Entro qualche minuto lo scandalo verrà pubblicato su tutti i giornali, assieme alle foto dei tuoi pagliacci impiccati”.

Il mondo e ogni cosa che le donava sicurezza crollarono sulle spalle della mutaforma.

Tutti si osservarono con aria interrogativa, unitamente ad un brusio generale via via crescente.

Uno degli ufficiali si avvicinò a lei: “Generale… va… va tuto bene?...”.

Chrysalis perse il controllo.

    Strappò il Thompson dalle zampe del collega e lo rivolse alla sua avversaria. Gli occhi erano inchiodati in un’espressione rabbiosa e completamente illuminati di verde.

Aprì il fuoco.

Una cacofonia di urla si levò in ogni direzione e tutti i civili misero giù la testa.

I ricercati si nascosero nelle mura interne, udendo alcuni proiettili impattare sulla pietra. I presenti corsero via in preda al panico.

“Brava stronza”, berciò Rainbow divertita, “Così, oltre al resto, pubblicheranno anche la notizia di te che apri il fuoco verso i civili”.

La selva di proiettili continuò a sfrecciare finché il caricatore non esaurì le munizioni.

Il generale era assolutamente furibondo e ansimava come una bestia feroce. Avrebbe potuto scatenare tutta la sua potenza ma, fortunatamente per lei, ebbe il buonsenso di salvare ancora un po’ della reputazione che stava perdendo.

“Bando agli indugi, gente”, concluse quindi Applejack, rivolgendosi agli amici, “Chiudiamo la faccenda e andiamocene”.

Twilight annuì e si affacciò nuovamente al balcone.

MALEDETTI BASTARDI, VI AMMAZZERO’ TUTTI!!”, tuonò Chrysalis.

“Tu non farai proprio un bel niente”, le rispose Twilight, facendo brillare il corno, “E… con oggi… che tutti mi siano testimoni… che tutti scrivano quando sto per dire… Con oggi si decreta l’inizio della fine per il Governo Celeste”.

Ci fu una scintilla sul suo corno viola e, subito dopo, una serie di cariche esplosive deflagrò sonoramente alla base della statua sulla torre. Tutti alzarono lo sguardo.

I botti frantumarono la parte terminale dell’enorme guanto d’arme che sovrastava Counterlot, staccandolo dalla sommità. L’enorme oggetto di pietra vacillò pericolosamente fino a dare il giro oltre la sommità, catapultandosi nel vuoto.

Il tutto venne giù come un pugno rivolto al terreno, accompagnato da polvere, detriti e mattoni grigi.

Il panico già presente si scatenò del tutto e la statua impattò con il suolo creando un boato terrificante. Si sollevò anche un polverone che, dopo essersi diradato, lasciò spazio ad altri flash, pronti ad immortalare l’immagine del simbolo distrutto.

Chrysalis montò su tutte le furie: afferrò un giornalista come se non pesasse nulla e gli torse il collo.

Girò quindi il ghigno iracondo verso i sottoposti, con voce sovrannaturale: “FATELI FUORI!! SPARATEGLI!!”.

“M-ma… signore…”, balbettò uno di loro, non sapendo più cosa stesse succedendo, “S-sono in… in mezzo a dei civili…”.

Il generale lo prese per il colletto: “ME NE FOTTO DI DOVE SONO… SPARATE!! SPARATE MALEDIZIONEEE!!!”.

E così fecero.

Applejack e compagni, questa volta, furono più lesti a rientrare: una tempesta di piombo si abbatté sulla torre, ferendo e uccidendo alcuni civili rimasti.

Octavia si sistemò il cappello: “Direi che l’abbiamo fatta incazzare abbastanza. Ora proporrei di andarcene definitivamente”.

“Oh mamma!”, squittì Fluttershy, con gli zoccoli sotto il mento, “Non vedevo l’ora di andarmene di qui!”.

“E allora muoviamo il culo!!”, le rispose Dash, trascinandola per una zampa.

“Weee!! Troppo bello ‘sto party!!”, ridacchiò Pinkie, saltellando euforicamente.


    I sette, sempre portando con sé il pony ferito, presero a salire rampe di scale, sicuri che presto le Guardie sarebbero giunte per far loro la pelle. I civili sciamavano in ogni direzione e il tragitto non fu semplice ma avevano previsto tutto: il grosso degli invitati si sarebbe ammassato alla base della torre per uscire e così sarebbe stato molto difficile entrarvi. Ma i pegasi restavano ancora un problema.

“Ehy, genio”, disse Rainbow ad Octavia, entrambe intente a galoppare, “Come dovremmo andarcene da questa fortezza? Non ci hai ancora detto nulla”.

L’altra sorrise: “E’ una sorpresa”.

La fuga continuò fino a portarli nello spiazzo  in cima alla struttura, proprio dove era collocata la statua prima di affrontare il suo destino gravitazionale. Il cielo azzurro diede loro il benvenuto, assieme a pietre frantumate e chiazze nere dovute alle esplosioni di prima.

La musicista alzò gli occhi verso le vicine montagne.

I pegasi imperiali si levarono dalle loro postazioni, dirigendosi rapidamente verso di loro.

“Ok”, riprese il pegaso blu, “Siamo in sette. Loro sono fottutimila. E non siamo armate. Che diavolo dovremmo fare, eh??”.

I pony volanti arrivarono rapidamente, planando verso di loro e poi circondandoli.

E poi… poi si voltarono verso gli Agenti in piazza ed aprirono il fuoco.

Il sorriso di Octavia si intensificò.

Rarity, tenendo stretta a sé il volto dello stallone, inarcò un sopracciglio: “Ma… ma che stanno facendo?”.

Il pony grigio osservò orgogliosamente la scena, con le zampe unite dietro alla schiena: “Loro sono… discordanti…”.

“Eh?...”.

“Loro sono… agenti di Discord. Un accordo tra lui e Chrysalis prevedeva una cessione di personale per rinfoltire le difese di Counterlot in vista del vostro attacco. Ed ecco il risultato”.

Rainbow Dash deglutì, non riuscendo a trattenere l’ammirazione per un piano così ben congegnato.

“E non è ancora finita”, concluse l’amica, alzando una zampa al cielo.

Tutte si girarono.

    Si udì un rombo sommesso. In lontananza, da dietro le montagne, si palesò un mastodontico zeppelin volante. Era costituito da un’intricata struttura di impalcature e piattaforme metalliche. L’agglomerato metallico era così grande da richiedere svariati palloni ed eliche multiple, per riuscire a spostarlo.

Lungo il velivolo erano ben visibili diverse torrette armate e, dulcis in fundo, il cannone di un carro Cruiser installato a prua.

Uno stormo di pegasi scortava quel curioso assembramento ma, più di tutto, spiccava un’ammiccante gigantografia di Discord su entrambi i lati del pallone più voluminoso.

La creatura caprina era nella cabina di guida, vestito a mo’ di Barone Rosso (con tanto di cravatta inamidata per simulare il vento).

Strinse il timone in una zampa e, con l’altra, avvicinò un rudimentale microfono ad imbuto alla bocca: “Non sento la vecchia Betty…”, sussurrò.

Uno scoppio assordante si manifestò alla bocca del cannone, che espulse un proiettile dritto dritto nella piazza. L’arma provocò un’esplosione a pochi metri da Chrysalis, strinandole completamente un lato. La mutaforma non si scompose, se non per un leggero tic nervoso ad un occhio.

“BA-BUM BABY!!!”, esultò il pilota, agitandosi come un  bambino.

I pegasi imperiali decisero quindi di intercettare il velivolo, il quale rispose aprendo il fuoco con le torrette e mandando la scorta volante a bloccare gli assalitori.

Nel giro di pochi attimi si scatenò una furiosa battaglia aerea, scandita da scie quasi interminabili di traccianti e pegasi che cadevano come mosche.

I sette osservarono stupefatti quanto stava accadendo e lo zeppelin prese a muoversi verso la loro posizione.

“Per la miseria…”, ammise Dash, con le fauci spalancate.

“Ora sei più tranquilla?...”, la derise Octavia.

L’arma di un pegaso abbattuto cadde vicino a loro.

Rainbow la osservò, prima di imbracciarla saldamente tra le zampe: “Non sarò tranquilla finché non abbatterò almeno una decina di pagliacci imperiali!!”, rispose trepidante. E spiccò il volo, preparandosi alla battaglia.

Le altre, sotto la copertura dei tirapiedi di Discord, attesero che lo zeppelin si portasse perpendicolare alla loro posizione.

Gli spari, provenienti da ogni direzione, erano assordanti e il piombo schizzava ovunque.

“Oh… oh mamma, oh mamma!”, prese a ripete Fluttershy, con le zampe sulla criniera e pancia a terra.

Un altro terrificante colpo del Cruiser spazzò via un piccolo assembramento di Agenti a terra.

Dalle piattaforme vennero quindi calate alcune scalette.

Octavia vi si aggrappò prontamente: “Avanti, leviamoci di qui!!”, urlò cercando di sovrastare il rumore degli spari e delle eliche del velivolo. Un vento caotico si diffuse e chi aveva il cappello dovette fare attenzione affinché non venisse spazzato via.

“Il mio patato!!”, strillò Rarity preoccupata, “E’ ancora privo di sensi!!”.

Dash giunse dall’alto, sventagliando il mitra come se fosse in un film d’azione. Cinse Fluttershy per un fianco e la portò vicino al pony fulvo: “Dammi una mano a portarlo lassù!!”.

“Uuhhh… s-sì… subito!!”.

E il segugio venne così sollevato lentamente verso le piattaforme volanti.

Le altre si attaccarono saldamente agli appigli e, subito dopo, lo zeppelin cominciò a riguadagnare quota.

    Da terra, Chrysalis osservò silenziosamente la scena.

La rabbia in lei, tuttavia… crebbe… crebbe in modo smisurato.

Digrignò i denti. Li strinse così forte che si udì uno schioppo secco e un rivolo di sangue verdastro le scivolò dall’angolo della bocca.

Il suo sguardo incrociò ancora una volta quello di Applejack, questa volta quella vera. Ma non ci fu alcun riflesso smeraldo e la gangster le lanciò un’inconfondibile espressione di sfida.


    Il gruppo, sempre sovrastato dal rumore delle devastanti torrette armate e del cannone, si arrampicò lungo gli appigli, giungendo quindi nella stiva del velivolo, che sembrava il ripostiglio di un fanatico bombarolo.

Twilight si issò dolorante, aiutata dalle amiche, e poi sgranò gli occhi: “Oohhh… questo si che è un bel posto…”.

Applejack si sistemò il borsalino e poi trottò via, come se non ci fosse tempo da perdere: “Ragazze, aspettatemi, devo parlare con Discord. Octavia, portami da lui”.

La musicista la accompagnò velocemente verso la cabina del capitano mentre la battaglia, all’esterno, ancora impazzava furibonda.

Le due giunsero quindi davanti alla porta della sala di pilotaggio. La puledra dalla chioma dorata non si fece pregare e spalancò l’uscio.

All’interno, agitandosi come un forsennato, Discord ruotava il timone, tirava leve, ridacchiava e sputava ordini attraverso il sistema di comunicazione.

“Discord!”, urlò Applejack.

“Non ora”, rispose l’altro, senza nemmeno voltarsi e riprendendo a divertirsi.

Il pony gli si avvicinò e lo voltò verso di lei con un gesto secco: “Discord!!”.

“Eh? Uh?... Oh! Sei tu!!”, dichiarò, togliendosi gli occhialoni da aviatore, “Ah! Allora sei tutta d’un pezzo!”.

“Sì… stiamo tutti bene…”.

“Ah…”, aggiunse, improvvisamente serio, “State… tutti bene? Proprio… tutti tutti?...”.

“Sì”.

La creatura caprina si rivolse ad Octavia, con fare stizzito: “Ok… ti devo conquanta pezzi…”.

La cabina tremò per un altro colpo del cannone.

“Smettila di fare il buffone!”, lo riprese la puledra, “Stai facendo un casino pazzesco ed io non ci capisco più niente!!”.

“Ah!”, rise, “Allora sto riuscendo nei miei intenti!!”.

“Che cavolo stai facendo?? Prima ti allei con noi, poi ci tradisci, poi…”.

“Oh, ma io non vi ho mai tradite…”, rispose, riprendendo il timone con professionalità, “Tutto questo era necessario affinché il Governo celeste iniziasse a franare…”.

“Spiegati meglio”.

“Ora sarei un po’ impegnato a portare questo coso volante fuori dai guai… maaaa penso che potrò darti una breve delucidazione e poi, quando saremo tranquilli, avrai la versione dettagliata dei fatti”.

“Ti ascolto…”, disse lentamente.

“E’ molto semplice! Sai cosa succede quando qualcuno uccide un alicorno?”.

L’altra ci pensò un attimo: “Ho sentito dire che… che chi uccide un alicorno ne acquisisce il potere. Ma penso siano solo dicerie”.

“No, non sono dicerie… E FATE PARLARE QUEL CANNONE!!!”. Si udì un botto.

“…Dicevo… Non sono dicerie… Chrysalis ha ucciso Celestia, ne ha ereditato il potere e ha cercato di prendere il controllo del Governo Celeste”.

“Vuoi dire che…”.

“Esatto. Chrysalis è già potente di suo… ed ora ha anche il potere di un alicorno… Capisci perché era impensabile riuscire a sconfiggerla senza un piano per ingannarla??”.

Applejack si grattò la criniera: “Sì… ma…”.

“Il vantaggio è stato ritorcerle contro il suo stesso piano! Lei voleva farvi fuori pubblicamente, in modo da consolidare definitivamente la propria egemonia assoluta! E invece? Invece vi ha condotti dritti nel cuore di Counterlot dove non ha potuto annientarvi usando il suo pieno potere o tutti l’avrebbero vista, inclusa la stampa pubblica!”.

La puledra lo ascoltò e poi si mosse silenziosamente verso alcune poltrone vicino alle vetrate.

Una bottiglia di whiskey era posata su un tavolino poco distante, assieme ad un bicchiere panciuto.

Il pony si sedette comodamente, si versò un po’ di bevanda e ne fece oscillare il contenuto con un gesto dello zoccolo. Osservò quindi l’esterno: i traccianti che abbattevano i pegasi imperiali, le scure nuvole fumose dell’antiaerea e Counterlot sempre più lontana.

Sorrise malignamente: “Sei un fottuto genio”.

L’altro scoppiò in una fragorosa risata malvagia: “Sì! Sì, lo so!”.

“Ora però che facciamo?... Ce ne andiamo e basta?”, domandò, dopo aver bevuto un sorso.

Gli occhi dell’amico si fecero sottili: “Oh… oh, no mia cara. Ho in mente qualcosa”.

“Mh. Cosa, di preciso?”.

Discord continuò a manovrare il timone, senza scomporsi troppo: “Lo sapevi che… che Celestia aveva una sorella?”.

“Una… una sorrella?”, chiese perplessa.

“Sì. Un alicorno, proprio come lei”.

“Non… non sapevo di una cosa simile…”.

“Già… Questo perché… perché è rinchiusa”.

“Rinchiusa?”.

“Sì. La rinchiuse Celestia un sacco di tempo fa… in un istituto di salute mentale, sotto strettissima sorveglianza e isolata dal resto del mondo”.

“E… ed è lì che siamo diretti?”.

“Sì”, rispose la bestia barbuta, sorridendo come un pazzo, “Siamo diretti lì. Al Moon Institute…”.

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Capitolo 3
*** Luna Nuova ***


La zampa artigliata si serrò attorno al bicchiere.

Il contenitore venne portato alle labbra e vuotato in un sol colpo.

L’alcol scese lungo la gola, provocando un bruciore intenso ma dannatamente gradevole, perlomeno per chi cercava di dimenticare i propri dispiaceri.

Il draghetto riportò il bicchiere sul bancone, con un colpo secco.

“Ehy… dammene un altro…”, intimò al barista.

“E’ già il quarto”, rispose l’altro, intento a pulire alcuni boccali.

“Non dovresti servire da bere e basta?”, gli disse con arroganza.

“Come vuole”, e prese la bottiglia.

“Anzi, fai una cosa… Lascia la bottiglia qui. Me la cavo da solo”.

Spike si trovava in uno speakeasy derivante da uno scantinato. Il Sugarbooze Corner e la Carousel Maison non erano di certo gli unici luoghi “diversamente legali” che conosceva.

L’ambiente, lì, non reggeva di certo il confronto: l’arredamento era minimale e trascurato. Pochi clienti e tutti taciturni. L’orchestra era presente ma i musicisti sorseggiavano tristemente ai tavoli, con gli strumenti abbandonati e le camicie sbottonate.

Il piccoletto si riempì il bicchiere e tirò giù un altro proiettile in gola. Fece sibilare l’aria tra i denti e poi scosse il capo.

Si accasciò sul ripiano come un gelato che si squaglia al sole. Vide il proprio riflesso sulla bottiglia.

Sospirò.

“Stronza…”, farfugliò quindi, con sguardo triste.

Un pony barcollante afferrò il bordo del bancone, impedendo così una rovinosa caduta a terra.

“E-ehy… amico…”, berciò, anticipando un rutto sommesso, “Te la vuoi shcol… shcolare tutto da sholo quella bottiglia?...”.

“Smamma”, tagliò corto.

Ma lo stallone non volle demordere: “Ohh… Shuvvia… Sholo… sholo un sorsetto in compagnia, che ne dici… eh?”.

Il drago si innervosì e, anche lui decisamente alticcio, si voltò verso l’interlocutore con sguardo minaccioso: “Ascolta… In circostanze migliori ti avrei semplicemente ignorato ma… ma questa non è serata, quindi prendi i tuoi olezzi nauseabondi e togliti di mezzo”.

“Eh?...”, bofonchiò l’ubriaco, senza capire.

“Fuori dalle palle!”, ringhiò Spike, mostrandogli le zanne.

Il tizio fece un balzo all’indietro, piantando una craniata a terra.

“Idiota…”, e rabboccò nuovamente il bicchiere.


    La porta del locale si aprì e alcuni clienti fecero il loro ingresso.

Il draghetto viola nemmeno ci fece caso e continuò a far lavorare il fegato nell’ingrato compito di organo filtrante.

Osservò la bottiglia e, questa volta, oltre al suo riflesso, vide anche quello di un pony grigio, che prese immediatamente posto alla sua destra.

Ero un unicorno piuttosto magro, con una lunga criniera nera raccolta in una coda. Portava un paio di occhialini tondi che, per qualche strano motivo, riflettevano costantemente la fonte di luce più vicina, rendendo di fatto impossibile osservarne gli occhi.

Il tizio poggiò le zampe sulla superficie del tavolo e si limitò a sorridere, fissando un punto indefinito di fronte a sé.

Spike aggrottò un sopracciglio, pensando ad un altro scocciatore ma poi fece spallucce e decise di non pensarci.

Una puledra alata spostò quindi uno sgabello alle spalle dell’unicorno, vi si sedette e lo cinse sensualmente da dietro. Seppur leggermente ottenebrato dall’alcol, Spike non poté fare a meno di notare la bellezza del pegaso: il manto era della tonalità dell’ambra, la criniera blu notte e gli occhi rossi come tizzoni. Indossava un elegante vestito gitano e, su ognuna delle piume, aveva inserite delle piccole collanine penzolanti, che la facevano tintinnare leggermente ad ogni movimento. Anche lei sorrise… amabilmente.

Un terzo ed ultimo pony si palesò alla sinistra di Spike. Sulle prime pensò si trattasse di Big Macintosh, vista la stazza, ma poi lo scrutò meglio e si accorse che… che era decisamente più grosso dello stallone che conosceva: un colosso fulvo e con penetranti occhi azzurri, stretto in un lungo e pesante cappotto scuro.

Il volto era incorniciato da una barba nera e ispida, mentre sulla criniera portava un colbacco da cui risaltava una stella rossa.

Il bestione fece scricchiolare la sedia sotto la propria massa, osservò gli alcolici sul ripiano del barista e poi tuonò: “Vodka”.

Il barman rimase interdetto: “Ehm… Non… non abbiamo quella roba… Qui serviamo solo Whiskey, sidro e Scotch”.

Lo stallone rifilò un pugno terrificante sul legno, che fece tremare il bancone per tutta la sua lunghezza.

“PREKLIATIE!! Stupido paese con stupide bevande capitaliste!!”, sbottò, con forte accento sovietico.

Il piccoletto strinse i denti dallo spavento. Tutti si voltarono.

“Calmati, Isaak”, gli disse l’unicorno, senza scomporsi, “Prendi quello che c’è e fattelo bastare”.

“Nuò!”, rispose l’altro, “Quosa mi tocca fare? Abbandonare mio amato paese per venire in terra di spreco e capitalismo sfrenato! E adessuo mi tocca pure bere…”.

Lo stallone afferrò la bottiglia di Spike e la osservò con ribrezzo: “…Mi tocca pure bere capitalistico distillato di cereale??”.

“Suvvia, Isaak”, disse la puledra, ridendo, “Ridagli la bottiglia”.

Spike alzò le zampe a mezz’aria, vagamente preoccupato: “Oh… oh, non è il caso… volevo… volevo giusto smettere”.

“Il tuo alito afferma il contrario”, affermò il pony grigio.

“Ehm… sì… proprio per quello volevo smettere”.

“Barista. Ci porti un’altra bottiglia”.

Il pony barbuto mise un gomito sul bancone e si appoggiò su un fianco: “Bah. Faccio prima a comprare patate e farmi mia Vodka…”.

Il draghetto si sentiva confuso e non sono per via dell’alcol. Chi erano quei tizi? Il circo era arrivato in città?

Iniziò a squadrarli, in particolare il tizio con gli occhiali e poi… notò un dettaglio che gli fece raggelare il sangue nelle vene: il marchio del Governo Celeste sul fianco.

Deglutì.

“Ehm…”, farfugliò, sistemandosi la coppola sulla testa, “Io… io adesso dovrei andare”.

L’altro lo bloccò con uno zoccolo sulla spalla, impedendogli di abbandonare la postazione. Gli allungò un bicchiere.

“Oh, ma perché mai? Non vuoi fartela una bevuta con noi?”.

“Nuò che non vuole! Perché qui alcol fa schifo!”, si intromise Isaak.

L’ex aiutante strinse i denti: “Ehm… Una… una bevuta? M-ma certo… una bevuta non si rifiuta mai…”.

Il pegaso gli lanciò un’occhiata conturbante: “Bravo soldatino…”.

Tutti (tranne lo stallone fulvo) riempirono i bicchieri e li vuotarono altrettanto rapidamente.

    Ci furono alcuni attimi di silenzio e poi, sentendosi ormai con le spalle al muro, Spike decise di farla finita.

“Che volete?...”.

Il pony occhialuto, sempre imperscrutabile, si puntellò il mento con uno zoccolo: “Niente di che. Solo parlare”.

“Quelli come voi prima fanno parlare le pistole…”.

“Oohhh. Quanti pregiudizi. Non tutti sono così. Noi siamo molto più civili”.

Isaak ruttò.

“Più o meno…”, si corresse.

“Insomma, che volete? Farmi la pelle?...”.

“No, amorino”, si intromise la puledra con sguardo preoccupato, “Perché dovremmo fare una cosa così orribile?”.

L’unicorno estrasse un giornale da una piccola sacca a tracolla e lo mise sotto al muso del drago.

“Ti dice niente?”.

“Sono tre giorni che sono rinchiuso nei bar a sfondarmi il fegato. O forse sono quattro? Ho perso il conto…”.

“Allora leggi”.

L’altro sospirò e controllò la prima pagina. I suoi occhi si spalancarono e iniziò ad agitarsi sempre di più.

Era il Ponymood Daily: una grossa foto ritraeva i suoi vecchi amici mentre penzolavano dalla forca.

Si portò gli artigli alla bocca, soffermandosi poi sull’espressione priva di vita di Rarity.

“C-cosa… oh…oh per San Pietro…”.

“Tranquillo, tranquillo… I tuoi amici stanno bene. C’è stata un po’ di confusione alle stamperie. Prima hanno dato la notizia della loro morte e poi pare ci sia stata una smentita. Di fatto… pare che siano fuggiti da Counterlot… e che il Governo Celeste avesse le zampe invischiate in affari alquanto loschi”.

“S-sono vivi?”, chiese titubante.

“Sì, carino”, rispose il pegaso, “Vivi e più o meno vegeti”.

“M-ma…”.

L’unicorno scosse il capo: “Ma dove ho la testa? Non ci siamo nemmeno presentati: mi chiamo HeavyRain”, e gli allungò una zampa.

La puledra lo afferrò per il collo e gli stampò il rossetto su una guancia: “Vesna”.

“Isaak Petrenko Dimitri Vaskovich”.

“Ma tu puoi chiamarlo Stella Rossa”, lo derise il pony color dell’ambra.

“Uuhhh… p-piacere…”, balbettò Spike.

“Ma torniamo a noi”, riprese Rain, improvvisamente serio, “Mi risulta che tu conosca bene questa puledra”, gli disse, indicando l’immagine di Rarity nella foto.

L’altro parve innervosirsi: “Ehy… a che gioco stai giocando?...”.

“Rarity, giusto? Proprietaria delle Carousel Maison, stilista e puledra di gran classe”.

Spike prese il giornale e lo stracciò in due: “Senti, amico, non so che cosa tu voglia da me… ma questa pagliacciata non mi piace…”.

Il barista prese le distanze.

“Ohh!”, disse Vesna, “Mi sa che abbiamo proprio toccato il tasto giusto…”.

“Che vuoi dire??”.

L’unicorno si spinse gli occhialini contro il muso: “Tranquillo… Guarda che non vogliamo fare nulla al tuo amore. Anzi, non sappiamo nemmeno dove si trovi. Quello che a noi interessa è un’altra cosa…”.

“Non mi interessano le vostre proposte malate. Siete solo dei macellai. Me ne vado”.

I tre non lo fermarono ma, prima che il piccoletto varcasse la soglia, HeavyRain disse un’ultima cosa: “Nemmeno se questa cosa riguardasse la salute della tua puledra?”.

L’altro si bloccò, dandogli le spalle: “Hai appena detto che lei non vi interessa…”.

“Infatti. Ma ci interessa qualcuno che è… molto vicino a lei”.

Vesna assunse un’espressione lasciva e strinse leggermente gli occhi: “Mai sentito parlare del Segugio di Counterlot?”.

Spike si girò.

“Ci risulta”, continuò il pegaso, “che Grey Hound abbia abbandonato la causa di giustiziere per unirsi a dei presunti criminali. Di loro non ci importa nulla: lasciamo questi affari a sottoposti molto meno importanti di noi. Ma Hound… beh… lui è un pezzo grosso… e mi chiedo se questo si riferisca solo al suo corno…”, aggiunse.

“Vesna… pensi sempre ad una cosa soltanto”, lo ammonì Rain.

Il drago viola tornò lentamente da loro: “E perché siete venuti da me?...”.

Vasko annusò uno dei loro bicchieri e il fastidio sul volto si intensificò.

Rain si mise comodo sullo sgabello: “Perché sappiamo che sei l’aiutante del dottor barbiere. E che il dottor barbiere conosce Rarity. E che Rarity ha… beh, ha una relazione con Hound”.

Quelle parole gli riportarono al petto un passato doloroso: “Non sono più il suo aiutante”.

“Ma lo sei stato…”.

“…Sì”.

“E, da quanto ne so, tieni molto a quella puledra”.

“Voi sapete un po’ troppe cose…”.

“Ho le mie fonti. Ma non divaghiamo: a noi interessa Grey Hound, il traditore”.

Spike prese un sigaro e fece per accenderlo ma l’unicorno lo anticipò con una piccola magia: “Così è molto meglio. La magia non lascia retrogusti al sigaro”.

“Ed io che centro?”, ribatté l’altro, aspirando il fumo, “Ho chiuso con loro”.

“Può essere. Ma c’è una cosa che mi piacerebbe farti notare…”.

“Cosa?”.

Il corno si illuminò, sollevando una delle pagine strappate e mettendo in risalto il presunto cadavere della puledra bianca: “Questo non è successo… ma potrebbe accadere…”.

Spike si irrigidì.

“Rarity sta con uno dei ricercati più ambiti in tutta Equestria. Pur di seguirlo ha partecipato ad un attacco sovversivo nei confronti del Governo Celeste. Risulta suo complice nell’assassinio di Celestia…”.

“Cos… Celestia è…??”, sbottò incredulo.

“…Ora è una fuggiasca con parecchi morti sulle spalle, insieme ad un buffone che crede di essere nel Far West. Credimi, amico… è solo questione di tempo”.

Il poveretto si risedette al bancone, cercando di fare chiarezza nella propria mente.

HeavyRain gli poggiò uno zoccolo sulla spalla: “Sei stato tutta una vita a corteggiare quella bella puledra… e poi arriva lo stallone che vi ha dato la caccia da sempre e… e le mette le zampe addosso”.

Spike si chiese come facesse a sapere tutte quelle cose, fin nei minimi dettagli.

“Credimi, drago, so fin troppo bene come vanno queste cose. Lui non la merita”.

L’interlocutore annuì tristemente: “Sì… sì, lo so… lui… lui non la merita… affatto…”.

“E lei, pur di stare con il suo presunto amato, sta mettendo a rischio la propria vita e quella dei tuoi amici. Perché? La conosci la storia di Hound, vero? Ovunque passi lui escono fuori solo morti e disperazione. Quel pony attira solo calamità”.

“M-ma… Rarity…”.

“Rarity è una puledra d’alta classe. Non dovrebbe stare con un alcolizzato, assassino e per giunta ricercato. Non credi?”, lo esortò maliziosamente.

“Beh… Non che io possa darle chissà cosa…”.

Vesna parve trasalire: spalancò le ali e fece tintinnare i suoi bei monili. Si chiuse quindi le guance tra le zampe: “Scherzi?? Sei così carino e dolcino! Sei gentile, ti impegni e sei sempre stato fedele! Ora bevi per dimenticare… ma è normale, povero piccolo draghetto!”.

Era la prima volta che qualcuno gli rivolgeva qualche tipo di complimento. “Sei gentile… ti impegni… sei sempre stato fedele”, pensò.

“E poi”, continuò il pegaso, “Scommetto che tu sapresti come renderla felice!”.

“Oh sì”, ammise, “Vorrei poter fare tanto per lei… ma… ma purtroppo non navigo nell’oro e…”.

HeavyRain sorrise: “Ma questo non è un problema…”.

Isaak infilò la zampa sotto il pesante cappotto e buttò sul bancone una sacca, che produsse un rumore inconfondibile.

“Prendi tuoi sporchi Bit capitalisti! Non vuoglio più vederli!”.

Spike aprì lentamente il contenitore e vide un piccolo tesoro: monete… e anche qualche pietra preziosa qua e là.

Gli avventori intuirono che lì stava per verificarsi un affare alquanto losco e il locale prese a svuotarsi rapidamente.

“La Guardia Celeste ricambia sempre i favori”, gli sussurrò Vesna nell’orecchio.

Il draghetto parve combattuto. Infilò un artiglio nella sacca e diede una rimestata. I suoi sensi fremettero e l’unicorno cercò di battere il ferro finché era caldo: “A noi non importa nulla della tua puledra o dei tuoi ex compagni. Vogliamo solo arrivare ad Hound. E crediamo che tu potresti aiutarci in questa impresa. Anche perché, di questo passo, Grey morirà… e ci scommetto quello che vuoi che porterà Rarity con sé nella tomba”.

Lo stallone sovietico si grattò il petto: “Bah. Da mie parti, donna prende te per coda e tira in casa. Poi si fa tanto neporiadok e dasvidania“.

“Stai tranquillo”, rincarò Vesna, “Aiutaci solo a trovare Hound. Poi avrai una piccola fortuna in denaro e Rarity, senza più quel pericolo ambulante tra gli zoccoli, capirà quanto tu sia davvero il drago giusto per lei”.

Spike sospirò: “Non sono scemo. So che cercate solo di convincermi e di usarmi per trovare Hound”.

HeavyRain alzò le spalle: “Mi sembra ovvio. Non siamo benefattori. Ma ripaghiamo i debiti, te l’ho detto. Tu aiuti noi a trovare il traditore di Counterlot, noi lo togliamo di mezzo e avrai un’altra sacca piena di soldi, come quella. E… cosa più importante… Rarity sarà salva. E sarà tua”.

    Un orologio a muro iniziò a scandire i minuti che passavano, nel completo silenzio.

“Allora”, disse infine il pony grigio, porgendogli una zampa, “Abbiamo un accordo?”.

Spike divenne improvvisamente serio: “Devi… dovete promettermi!!... Che… che non torcerete un solo crine a Rarity, intesi??”.

“Non ci interessa la stilista, tantomeno i suoi amici. Vogliamo solo lo stallone”.

Il draghetto mosse l’artiglio verso lo zoccolo ma lo ritrasse un’ultima volta: “Se… se le fate qualcosa… vi ammazzo tutti…”.

“D’accordo”, rispose sorridendo.

E strinsero il patto.


    “Bene”, concluse HeavyRain, “Direi che possiamo andarcene, allora”.

“A… andate via?”, chiese l’altro, stupito.

“Sì. Abbiamo la tua collaborazione, no? Vuoi venire con noi?”.

“Come se mi fidassi…”.

“Oh, non sei obbligato. Era solo per metterci subito sulle tracce del ricercato. Fai come credi e, fossi in te, capirei benissimo la tua sfiducia in noi”, e si congedarono.

“Oh! Per la Madre Patria!!”, tuonò il colosso, stiracchiandosi, “Finalmente andiamo via da questo tugurio consumistico!”.

I tre abbandonarono la sala. Spike rimase ad osservarli per alcuni istanti.

“E-ehy!! Aspettatemi!”.

Il trio era all’esterno, nella fredda notte di Ponymood. Le strade erano leggermente umide e riflettevano debolmente le luci di lampioni e vetture.

“Bravo ciccino”, lo apostrofò Vesna, “Vedo che non puoi stare lontano dal mio fascino”.

“Su, muoviamoci. Abbiamo un criminale da acciuffare”, tagliò corto Rain.

Attraversarono la strada.

Isaak fu però più lento e una Delage inchiodò a pochi metri dal bestione.

Una selva di insulti e rumori di clacson lo investirono a mitraglia.

“Cos’è non ci vedi??”, urlò il guidatore dal finestrino.

Il pony non si scompose. Si girò e lo fulminò con gli occhi azzurri, quasi glaciali.

Mise quindi le zampe sotto il cappotto ed estrasse due imponenti attrezzi: una falce ed un martello.

“Maledetto mezzo di traspuorto capitalista!! In mia Madre Patria: bicicletta, muli e calci in culo!!”.

Sollevò il martello e lo abbatté con violenza inaudita sul cofano del veicolo, che si accartocciò come fosse di stagnola. Il semiasse si spezzò in più punti e le ruote anteriori schizzarono via come missili. Un nuvolone nero invase la cabina di guida.

Isaak rimise gli oggetti al loro posto e si allontanò con disinvoltura.

Il guidatore, con la chioma strinata all’indietro, lo osservò senza dire nulla.

Tossì una nuvoletta di fumo.


*** ***** ***


    Una lunghissima Pierce Arrow nera sfrecciò a folle velocità sulla strada immersa nella vegetazione.

Era notte fonda e non c’era nemmeno una luce, fatta eccezione per i fari. Ma, dopotutto, era già tanto trovare l’asfalto sotto gli pneumatici, da quelle parti.

Una voce fastidiosa cantilenava sulle note della radio, che trasmetteva Charley My Boy di Eddie Ponytor:

“The refrain is four lines of which the first two are, Charley my boy! Oh, Charley my boooy!!”.

Discord continuò a canticchiare, battendo ritmicamente le falangi sul volante.

Applejack, nel posto accanto, lo osservò interdetta.

L’altro prese ad ondeggiare come se nessuno lo stesse guardando: “You thrill me, you chill me, with shivers of joooy!!”.

Twilight si sporse dal sedile posteriore, il corno si illuminò e la radio si spense.

L’autista continuò, come se non si fosse accorto dell’assenza della musica.

La puledra viola si tappò le orecchie.

“Discord”, disse il pony col borsalino, “Ci andrà ancora molto?”.

La creatura allungò una zampa verso il mento di lei e, con volto amabile, dichiarò: “And when we dance, I read in your glance, whole pages and ages of love and romaaance!!”.

La passeggera gli mollò un ceffone.

“No, siamo quasi arrivati”, le rispose quindi, improvvisamente ricomposto.

Il veicolo fece ancora un paio di svolte e poi la vegetazione si diradò all’improvviso. Una luna enorme e sinistra si palesò sullo sfondo della collina, non molto lontana, incorniciando un grosso edificio in cemento.

Sfrecciando lungo la strada incrociarono un’insegna al neon, che riportava “Moon Institute” con caratteri eleganti.

Sparkle osservò la scritta e poi domandò: “Quindi… la sorella di Celestia è stata rinchiusa qui?”.

“Già!”, rispose Discord, “E’ stata isolata al Moon”.

“Ma… perché?”.

“Boh. E chi lo sa? Questioni famigliari, desumo”.

“Perché mai un alicorno dovrebbe chiudere la sorella in un istituto di cura mentale?”, chiese Applejack pensierosa.

La creatura draconica alzò le folte sopracciglia: “Mhh… Vi fate troppe domande”.

    Il mezzo percorse gli ultimi metri a si fermò dinnanzi ad una cancellata in ferro scuro.

Un vecchietto si palesò da una guardiola accanto.

“Chi siete? Che volete a quest’ora di notte?”, chiese sospettoso, coprendosi gli occhi dalla luce abbagliante dei fari.

Il finestrino della Arrow si abbassò lentamente, assieme al rumore cigolante della manetta.

Quando Discord mise fuori il muso, l’altro parve trasalire leggermente: “Oh!... oh, siete voi… Prego, vi apro il cancello”. E così fece.

La creatura serpentiforme fece rombare il motore truccato ed entrò, mentre la ghiaia del cortile scricchiolava sotto le ruote.

Applejack prese a passarsi lo stecchino tra le labbra, come suo solito: “Curioso. Qui curano i pazzi. E sembra ti conoscano”.

Il collega spense il mezzo e tirò il freno a mano: “Ti assicuro che le due cose non sono minimamente collegate, mia cara!”, rispose imbronciato.

Scesero ed osservarono l’edificio: era imponente e anche molto inquietante.

Il cemento era inscurito dal tempo e ricoperto di umidità e chiazze di muffa. Si potevano scorgere delle deboli luci filtrare attraverso le sbarre di presunte celle e del filo spinato sulle mura assicurava che eventuali fuggiaschi trovassero tutt’altro che vita facile.

Ai quattro angoli della zona, delimitando il perimetro squadrato, si ergevano piccole torri sormontate da grossi cristalli verdi, appena luminosi.

“Generatori antimagia…”, commentò Twilight.

“Oh… sì”, riprese Discord, “Qui dentro ci sono molti personaggi… come dire? Potenzialmente esplosivi!”.

“Tanto basta per fermare un alicorno?”, chiese Applejack.

Sparkle ci pensò un attimo: “Non saprei… Ammetto che gli alicorni rappresentano un grosso mistero, per me”.

    I tre si portarono all’ingresso e bussarono per mezzo di un pesante batacchio in ghisa. I colpi rimbombarono pesanti.

Si aprì uno spioncino: “Chi siete?”.

“Visitatori”, dichiarò Discord.

“Mi prendete per il culo? E’ notte fonda. Andatevene”, e richiuse il pertugio.

Il draconequus, tuttavia, non si fece scoraggiare e ribussò.

Lo spioncino si apri di nuovo: “Vi ho detto che…”.

Una copiosa mazzetta venne infilata nella fessura.

Ci fu un attimo di pausa e poi scattarono alcune serrature. La porta si aprì lentamente.

Un pony con divisa bianca e cartellino al petto (con taschino ora gonfio di soldi) li scrutò attentamente.

“Mh. Visitatori, eh? Non ho mai visto dei visitatori così… disponibili per un giretto notturno al Moon Institue”.

“Che vuole farci?”, ironizzò l’altro, con sguardo di sufficienza, “Soffriamo di insonnia cronica”.

“Va bene… ma fate in fretta… qualsiasi affare abbiate qui, sistematelo e poi andatevene”.

“Non si preoccupi”, ed entrarono.

Il trio iniziò a percorrere i contorti corridoi dell’istituto, con Discord in testa.

Il luogo, all’interno, era ancora peggio di quanto lasciasse intendere dall’esterno. La zona era buia, fredda e silenziosa. Qualche timido neon illuminava appena mura e pavimenti.

Non c’era quasi nessuno, fatta eccezione per qualche funzionario che li osservava con sospetto.

Le celle erano sigillate da spesse porte di metallo. In lontananza risuonava il pianto di qualche disgraziato e una timida luce lunare proiettava ovunque le ombre delle inferiate.

Twilight rabbrividì: “Questo posto è peggio delle segrete di Counterlot…”.

Scesero diverse rampe di scale, giungendo infine d’innanzi ad una porta blindata, con due tizi davanti.

Una piccola luce dentro una grata era l’unica fonte luminosa nei dintorni.

Le puledre percepirono un’aura sovrannaturale aleggiare un po’ ovunque.

I guardiani erano due unicorni e portavano una pistola nella fondina. Gli abiti erano palesemente incantati.

“E adesso?”, domandò Applejack.

Discord estrasse un’altra mazzetta e gliela sventolò sotto il naso. La coppia, tuttavia, non fece una piega.

Cambiò quindi tattica. Diede loro le spalle e fece cadere il denaro a terra, facendo poi finta di andarsene via fischiettando.

Nessuna reazione.

La puledra viola lo osservò con perplessità.

“Oh… Al diavolo!”, sbottò la creatura. Dopo una rapida occhiata attorno a sé, allungò le zampe e i due si tramutarono rispettivamente in un vaso di nasturzi e un idrante. Le divise rimasero inalterate, a coprire grottescamente i due oggetti.

“Meglio se ci sbrighiamo”, suggerì, “Quando verranno a dar loro il cambio, potrebbero non essere contenti di trovare un ornamento floreale e un orinatoio per cani, al posto dei colleghi”.

“Sei diplomatico, vedo…”, commentò Applejack.

Il pony arancione si avvicinò alle divise e prese un mazzo di chiavi.

La porta presentava serrature multiple, così dovette impegnarsi più del previsto ma, alla fine, anche l’ultimo meccanismo si aprì, con uno scatto metallico. La spalancarono lentamente.


    La debole luce alle loro spalle illuminò la stanza scura.

Twilight aguzzò lo sguardo e poi accese una luce magica dal corno.

Le puledre fecero quasi un balzo all’indietro.

Su pareti, pavimento e persino sul soffitto erano presenti incisioni d’ogni sorta, apparentemente prive di senso. Nonostante non avessero significato, creavano un’atmosfera assolutamente inquietante ed irreale. Ma più di tutto… fu l’occupante che le fece sudar freddo.

Sul soffitto, seduta come se la gravità fosse invertita, si trovava un pony dal manto blu, racchiuso in una camicia di forza. Un alicorno, per l’esattezza.

L’indumento era tempestato da piccoli monili verdi luminosi: dei sigilli magici.

La chioma della puledra ricordava una notte stellata e fluiva nell’aria come se fosse sott’acqua.

Sul lungo corno in fronte, erano state agganciate delle morse di uno strano materiale runico.

La sorella di Celestia aveva gli occhi chiusi e continuava ad oscillare ripetutamente la testa avanti e indietro, canticchiando una nenia strana e misteriosa.

“Q-quella è… la…”, balbettò Twilight.

Discord mise le zampe dietro la schiena e la osservò compiaciuto: “Sì, mie care. Abbiamo d’innanzi… Luna… la sorella di Celestia”.

Quando udì le parole del draconequus, l’alicorno dischiuse lentamente le palpebre e ruotò le pupille verso di lui.

Le zampe si staccarono dal soffitto ed il pony fluttuò dolcemente a terra, ripristinando la posizione corretta.

Puntò quindi lo sguardo in una zona indefinita delle pareti, come se avesse sentito parlare qualcuno ma non riuscisse ad identificarlo.

“Quella voce…”, sussurrò, “Quella voce… mi… ricorda qualcosa…”.

L’altro sorrise: “Ciao Luna”.

Lei lo guardò, come se fosse la prima creatura vivente che vedeva dopo anni… e forse era proprio così.

“Mi ricordo la tua voce… Chi sei?”, domandò innocentemente.

Discord assunse un’espressione di follia: “Non ti ricordi?? Ma non ha senso!… Beh… in fondo… Che divertimento ci sarebbe se tutto avesse senso??.

Lo sguardo della puledra si accese improvvisamente: “D-Discord….”.

“Già”.

“O forse… sei solo una delle mie allucinazioni? Sai… qui tutti mi dicono che i pony con cui parlo non esistono… Ma io sono convinta che si sbaglino. Joaquin non può essere un’allucinazione. Vero Joaquin?”.

Lo spirito lanciò uno sguardo imbarazzato verso le due colleghe e, con un sorriso a denti stretti, disse sottovoce: “Mi sa che l’isolamento l’ha un po’… incasinata?”.

“E’ più fuori di un balcone, ecco cos’è…”, concluse Applejack, sputando lo stecchino.

“Via. Andiamocene. Abbiamo solo perso tempo”, concluse, voltandosi di scatto.

“No no! Aspetta!”, la fermò Discord, “Non hai idea di…”.

“Ma guardala!”, sbottò il pony dalla chioma dorata, “Sembra sotto psicofarmaci!”.

La bestia caprina si fece ancora più imbarazzata: “Uuhhhmm… beh… ecco… più o meno…”.

“Cosa? Ma ti va di scherzare? Cioè… guarda!!”, e le passò uno zoccolo davanti al muso.

Luna sorrise come un’ebete e sbavò leggermente.

“Senti, abbiamo già te e Pinkie. Non ho bisogno di un’altra cerebrolesa in squadra”.

L’amico parve agitarsi: “Ma! Ma!... Aspetta, dammi almeno un’occasione per… per…”.

“Per cosa?...”, sbuffò.

“Tu… tu aspetta! Dammi un attimo…”.

La puledra mise le zampe conserte, poco convinta.

Discord si girò verso l’alicorno e si schiarì la voce, col pugno davanti alle labbra.

“Ciao Luna!”, le disse trepidante, con le zampe sulle ginocchia, quasi stesse parlando ad un cagnolino, “Come stai??”.

“Bene”, rispose, con volto assente.

“Ottimo! Scommetto che sei stufa di rimanere rinchiusa qui da sola, vero?”.

“Oh… oh no… qui c’è Joaquin con me. Mi tiene tanta compagnia. Però è un po’ maleducato e ogni tanto mi tocca il sedere”.

Discord si girò verso Applejack, alzò l’indice e sfoderò un falsissimo sorriso a mille denti: “Dammi ancora un minuto”.

“Senti, Luna”, riprese, “Ti ricordi… chi ti ha rinchiusa qui?”.

L’altra ciondolò un po’, pensierosa.

“Uhmmm… Non mi ricordo bene”, rispose, “Forse…”.

Lo sguardo della puledra assunse improvvisamente un barlume di buonsenso.

“Forse… forse è stata…”.

L’interlocutore cercò di aiutarla nel recupero mnemonico: “Manto bianco, criniera vaporosa, attitudine al comando e al massacro indiscriminato dei nemici del Governo?... Ti dice nulla?”.

“Il parroco di paese?”.

Twilight trasalì, riportando alla mente il primo incontro con lui: “Lo sapevo!! Anche tu sei stato rinchiuso in questo posto!!”.

Discord mise le zampe sui fianchi, imbronciato: “N-non è vero! I-io… Oh, senti”, tagliò corto, voltandosi nuovamente verso il pony blu, “E’ stata Celestia. Ricordi? Celestia. Tua sorella”.

“Celestia?”.

“Sì. Tua sorella Celestia ti ha spedita al Moon”.

“Mia sorella… mia… sorella…”, ripetè.

“Discord, basta!”, intervenne Applejack, “Andiamocene prima di fare altri casini!”.

L’altro sospirò sconsolato: “Uff… e va bene…”.

“Celestia…”, sussurrò nuovamente Luna, “…Quella stronza…”.

Tutti drizzarono le orecchie.

“Forse ci siamo”, commentò Discord.

Gli occhi della ricoverata brillarono di luce bianca: “Celestia… Celestia. Lurida… lurida puttana”.

“Vedo che ti sta tornando la memoria!”.

Luna cercò di scagliarsi contro lo spirito ma i sigilli magici rilasciarono una insopportabile scarica di dolore nel suo corpo. La puledra urlò e poi, con ritrovata foga e una voce sovrannaturale, ruggì: “MALEDETTA SGUALDRINA!! TI FARO’ PENTIRE DI AVERMI RINCHIUSA IN QUESTO BUCO SCHIFOSO!!”.

“Oh! Splendido! Splendido!”, canticchiò Discord, battendo le zampe tra loro.

Twilight si ritrasse, un po’ intimorita.

TU!! LURIDA SERPE BARBUTA!! CHE DIAVOLO CI FAI QUI?!”.

“Oh… niente di particolare… siamo solo venuti a farti una visita di cortesia…”.

“Celestia… maledetta…”, continuò a ripetere, calmandosi leggermente.

“Odi ancora molto tua sorella?”, le chiese.

“Le strapperei i bulbi oculari con il mio corno, se solo l’avessi qui di fronte!!”, dichiarò, con occhi sempre più bianchi e accecanti.

“Oh… capisco”, ammise, grattandosi la testa, “Ma… vedi…”.


“Ehy, voi!!”, urlò improvvisamente una guardia.

Tutti si girarono. Quattro funzionari si trovavano in cima alle scalinate, esterrefatti.

Ci misero poco a capire cosa stesse succedendo e tirarono fuori le armi dalle fondine.

“Vai a dare l’allarme!!”, urlò uno di loro al collega. L’altro galoppò via di gran lena, sparendo dalla loro vista.

“Merda”, berciò Applejack, estraendo un revolver.

“Ok! Piano B!!”, disse Discord e protese le zampe di fronte a sé.

I pony aprirono il fuoco ed i proiettili in arrivo si tramutarono in pesciolini rossi.

Le puledre, eccetto Luna, che non si scompose, presero copertura nella stanza.

Applejack iniziò a scambiare piombo con gli assalitori, anche loro al riparo dietro alcune sporgenze di cemento.

“Discord! Maledizione a te! Ora come cazzo ne usciamo??”, gli inveì.

La creatura girò la testa verso di loro, mantenendo contemporaneamente viva la barriera (arricchendo di fauna acquatica il pavimento, ad ogni colpo intercettato): “Twilight!! Butta giù la parete!”.

“Cosa??”, chiese incredula.

“Tira giù quella maledetta parete, ascoltami!!”.

“O-ok”, e prese a concentrare potere magico sul corno, con immane sforzo, “M-ma qui… è difficile… ci sono… vincoli… magici…”.

“Lo so, sennò avrei già tramutato tutti in tuberi o cose simili, che ti credi??”.

“Discord!”, ripeté la puledra arancione, ricaricando il tamburo, “Ma che diavolo vuoi fare?”.

“Ascolta, Luna!!”, urlò l’altro, in direzione dell’alicorno, “Celestia, tua sorella, è morta!! Chrysalis l’ha fatta fuori! Mi hai sentito??”.

L’altra non disse nulla.

“Luna! Celestia è stata assassinata! Tua sorella è concime per le orchidee!”.

“Mia sorella… è… morta?”, domandò con voce atona.

“Sì!”.

Ci fu un momento di stallo e poi arrivarono i rinforzi. Un unicorno, nel gruppo, scagliò un globo magico che si infranse sonoramente contro la barriera dello spirito, che strinse i denti dalla fatica: l’interdizione magica iniziava a farsi sentire.

Sparkle, intanto, era sormontata da una sfera luminosa grossa quanto un pallone da calcio. Sentì di non riuscire più a trattenersi e diresse il colpo verso la parete interna della cella… L’incantesimo, tuttavia, fu troppo debole e riuscì a incidere profonde crepe nel muro, senza però abbatterlo.

Luna, con lo stupore di tutti, si strinse su se stessa.

Chiuse gli occhi… e alcune lacrime caddero sul pavimento.

“D-Discord…”, farfugliò, “Dimmi… dimmi che non è vero…”.

“Oh, sì! Tua sorella è morta e stramorta! Morta stecchita! Se l’avessero uccisa due volte non sarebbe sembrata così morta come lo è sembrato a me!”.

“Celestia è… mia… sorella… mia sorella…”.

“Non so che cosa hai mente, pazzo che non sei altro”, lo apostrofò Applejack, “Mai qui la situazione sta per sfuggirci di zampa”.

Le guardie stavano ormai tempestando i tre con una pioggia di piombo e incantesimi: più di mezzo Moon Institute era accorso a dar manforte.

Luna strizzò gli occhi e il fiato le divenne sempre più corto. Andò in iperventilazione e prese a guardarsi attorno con nervosismo, come se un’agitazione incontenibile premesse per uscirle con violenza.

Un piccolo frammento di muro danneggiato si staccò e un timido raggio lunare filtrò dal buco, finendo sulla puledra.

La stanza iniziò a vibrare. Altri pezzi di parete crollarono a terra, aumentando la quantità di luce riflessa.

Tutti si fermarono, improvvisamente preoccupati per quanto stava succedendo.

Il tremolio passò quindi al corridoio… poi al soffitto… finchè l’intero istituto non fu preda di deboli scossoni.

Alcuni calcinacci caddero a terra e i lampadari oscillarono visibilmente.

I presenti osservarono perplessi l’alicorno, che iniziò a muoversi verso le guardie con bianchi occhi lacrimanti; il muso scolpito in una smorfia di rabbia.

“Oh, per Celestia!”, urlò uno dei funzionari.

GIA’! CELESTIA!!”, tuonò Luna, con mille voci.


Il muro alle sue spalle crollò del tutto.

Il satellite comparve in tutta la sua maestosità, investendola con la propria sorgente.

Le lacrime della prigioniera divennero rosso sangue.

Una luce vermiglia si diffuse dal suo corno e i sigilli esplosero, lanciando schegge luminose in ogni direzione.

Gli altri atterrirono e i più coraggiosi aprirono il fuoco.

Discord e le puledre fecero ben attenzione a stare dietro di lei, opportunamente al riparo.

Il piombo la attraversò in più punti ma l’effetto fu quello di sparare ad un cadavere…

La camicia si strappò e le ali oscure della puledra furente si spiegarono con possanza.

I pony iniziarono ad abbandonare le loro posizioni.

DOVE PENSATE DI ANDARE, CANI??”, ruggì Luna.

Diede un poderoso colpo d’ali e si catapultò in un istante in cima alle scale, voltando poi l’angolo.

I tre amici sentirono alcune urla di terrore, unitamente a spari e rumore di ossa che si spezzano.

Salirono frettolosamente le scale, cercando una scappatoia per fuggire e, per farlo, dovettero passare in mezzo all’inferno che avevano appena scatenato.

Luna era in mezzo alla sala principale che anticipava la sua cella: un grosso androne a più piani da cui si scorgevano le celle dei vari detenuti.

La puledra volava di bersaglio in bersaglio, rapida come una scheggia e assolutamente furibonda.

I poveri disgraziati urlavano, correvano e cercavano di difendersi come potevano, in preda alla disperazione più totale.

Uno di loro venne sollevato e lanciato contro il muro, crepandolo in più punti. Una coppia venne investita da un raggio rovente, che li dissolse in una pozza di liquido nero; altri furono meno fortunati e subirono gli effetti nefasti degni di una vendetta biblica.

Spari, grida e botti si diffusero ovunque.

Applejack, Twilight e Discord di osservarono tra loro, atterriti.

“Per Celes…”, stette per dire Applejack ma Sparkle le tappò prontamente la bocca.

“Shh!!”.

“S-scusa… hai ragione… Che… che cosa abbiamo fatto?...”, chiese preoccupata. Un pony le volò sopra la criniera, scardinando una porta dietro di loro con il proprio peso.

“Oh beh…”, rispose il collega, “Due cose potremmo aver fatto… Trovato il più potente alleato in Equestria… oppure aver firmato la nostra condanna a morte”.

Un globo di luce accecante prese a formarsi attorno all’alicorno.

“Suggerirei di correre”, buttò lì l’unicorno viola.


    Il Moon Institute, visto dall’esterno, non aveva niente di strano.

Tutto era tranquillo: i grilli frinivano e i gufi bubbolavano. Un tenue venticello notturno mosse la vegetazione.

La porta d’ingresso si spalancò e due puledre, assieme ad una curiosa bestia affusolata, corsero via in tutta fretta.

Un’esplosione magica deflagrò nella struttura, lanciando una colonna di luce verso il cielo e generando un tuono terrificante.

I tre caddero a terra, investiti dall’onda d’urto. Un pezzo di muro volò via come se fosse un giornale in una tempesta, sfiorandoli di pochi metri.

Calcinacci, pietre e polvere presero quindi a cadere caoticamente nei dintorni, in una singolare pioggia geologica.

Applejack sollevò lentamente lo sguardo, con la zampa ben salda sul cappello. Il trio si voltò e venne illuminato dalle fiamme arcane che divoravano l’intero edificio, ormai del tutto simile ad un residuo post-apocalittico.

Passarono alcuni secondi, in cui i gangster non fecero altro che osservare ipnotizzati quella portentosa manifestazione di distruzione. Si misero comodamente a sedere sulla ghiaia.

“Discord?”, chiese Applejack, senza schiodare gli occhi dalle fiamme.

“Sì?”, fece l’altro, anch’egli assorto dallo spettacolo pirotecnico.

“Scusa se ho dubitato delle tue parole”.

“Oh, tranquilla. Succede spesso”.

Una folata d’aria anticipò l’arrivo di Luna, che scese dal cielo come un angelo decaduto.

I suoi occhi erano luminosi come non mai e le guance rigate da apparente sangue rappreso.

Lo spirito caprino cercò di non perdere la calma.

“Oh!... Ehm… Luna!! Vedo… vedo che ti sei ripr…”.

La puledra lo afferrò con violenza per la barbetta e portò il muso contro al suo.

CELESTIA E’ MORTA?? IO TI STRAPPO IL CUORE E LO GETTO AI MAIALI!!”.

“A-a-aspetta!”, farfugliò, “E’… è stata Chrysalis!! Te l’ho detto!”.

L’altra lo buttò a terra: “CHRYSALIS?? AVRO’ LA SUA TESTA… O QUALSIASI ALTRA PARTE DEL CORPO CHE NE PROVOCHI UNA MORTE PREMATURA” e si allontanò.

“Ehy! Dove vai?”, la riprese Discord, “Ti farà fuori!”.

LA SCHIACCERO’ COME STERCO SOTTO UNO ZOCCOLO!!”.

“Ehmmm. No”, commentò, unendo le zampe con indici e pollici protesi, “Ti sei forse dimenticata cosa succede a chi uccide un alicorno?”.

Luna si fermò.

Il suo liberatore sorrise: “Questo significa che Chrisalys ha il proprio potere… più quello della povera Celestia… che già era un gradino sopra di te”.

Un raggio di morte e distruzione si formò sulla punta del corno blu.

“Cioè…”, affrettò a correggersi, “Da un punto di vista prettamente teorico”.

Il raggio svanì.

“Questo significa che lei possiede tutte le capacità per tenerti testa… e probabilmente anche per ucciderti”.

Il pony magico stette in silenzio e poi i suoi occhi tornarono normali. Si girò verso i tre, apparentemente più calma.

“Ecco perché mi hai liberata”.

“Certo. Mica l’ho fatto perché sono pazzo!... Cioè… in realtà sì… insomma avrei anche potuto farlo se… Ma non è questo il punto!”.

“E qual è… il punto?”, domandò scettica.

“Io sono discretamente potente… ma non quanto te o Chrysalis. Eee… diciamo che ho i miei interessi nel toglierla di mezzo”.

“Ti ascolto”.

“Non voglio scendere in tediosi ed inutili dettagli… ma sappi che ho un conto in sospeso con lei. Insomma, ho i miei buoni motivi per volerla morta… ed ora ne hai uno anche tu, mi sembra”.

Luna si avvicinò con fare minaccioso. I suoi occhi riguadagnarono intensità arcana e si avvicinarono a pochi centimetri da quelli dello spirito: “Se scopro che mi hai mentito… su qualsiasi cosa… sei morto”.

“L’ho messo in conto, sì… quindi non ho intenzione di mentirti…”.

“Sarà meglio per te…”, e, con quelle parole, diede un poderoso colpo d’ali, sollevandosi in cielo.

La sagoma della puledra si stagliò contro la superficie butterata della luna e, subito dopo, svanì nel nulla.


    Ogni cosa tornò silenziosa, fatta eccezione per il crepitio delle fiamme.

Tutto era finito.

“Ah!!”, esordì Discord, in direzione di Applejack, estremamente orgoglioso di sé, “Hai visto?? Puledra di poca fede!”.

L’amica estrasse uno stuzzicadenti ed iniziò immediatamente a giochicchiarci con i denti: “Ben fatto, genio. Ora però come ci torniamo a casa?”.

“Eh? Con la macchina, no?”.

“Quale macchina?”.

Lo spirito cercò il veicolo e vide una frittata di lamiere sotto qualche tonnellata di macerie.

Un ruggito straziante si diffuse per tutte le colline.


*** ***** ***


    Dash poggiò il carrello della 1911 sul bancone e prese a pulire la canna smontata, tramite un piccolo scovolino.

Il tavolo da bar della Carousel Boutique era ricoperto da un telo un po’ imbrattato, su cui poggiavano ordinatamente i pezzi di svariate armi da fuoco. Il pegaso le stava scrupolosamente controllando, pulendo ed oliando. Era un’attività che faceva spesso, le piaceva molto.

Lo speakeasy era stato momentaneamente chiuso dalla proprietaria. Non era certo il momento ideale per i bagordi.

La stanza, quindi, era buia e vuota, fatta eccezione per Rainbow, Fluttershy, Octavia e Pinkie. Le prime tre erano al bancone, mentre il pony rosa si trovava dall’altro lato, sorridente, intenta a sistemare bicchieri e bottiglie.

Soltanto due luci della camera erano accese, proiettando coni luminosi sopra ai presenti.

Rarity, invece, era nella propria camera privata, poco lontano. Hound si trovava sul suo elegante letto di seta, ancora privo di sensi. La puledra non lo aveva mollato un solo istante.

Dash fece l’occhiolino attraverso i fori di un tamburo, stringendo un cacciavite tra i denti: “…Credi a me, amica mia, è quasi meglio della Guerra Equestre”.

“Oh… sì”, sussurrò il pegaso paglierino.

“C’è molta più azione e almeno il doppio dei bersagli a cui sparare”.

“Anche il doppio delle possibilità di morire”, commentò Octavia, giocando col coltello a serramanico.

“E questo rende la cosa molto più interessante”.

“Per la prima volta sono d’accordo con te, chioma omosessuale”.

“Cosa??”, berciò, sputando il cacciavite.

“Il tuo temperamento, Rainbow Dash…”, disse l’altra, “Non puoi farti ribollire il sangue ad ogni minimo insulto”.

L’amica sbuffò imbronciata e riprese a controllare le armi.

“Sapete dove andavano Applejack e Twilight?”, chiese Fluttershy.

“Sono andati col boss a… verificare una cosa”, rispose la musicista.

“In poche parole stanno cercando la sorella schizzata di Celestia”, spiegò il pony blu.

“Come se non avessimo abbastanza malati di mente”, aggiunse l’altra, gettando un sorriso ammiccante verso Pinkie. La puledra dagli occhi azzurri, tuttavia, si limitò a sorridere e basta.

Lo sguardo di Octavia si assottigliò leggermente.

“La sorella di Celestia?”, aggiunse il pegaso paglierino, “Ma… perché proprio lei?”.

Rainbow afferrò una carabina e aprì l’otturatore, controllando l’interno: “Ah boh! Applejack e la cervellona si occupano di queste cose. Io mi preoccupo di mirare e sparare”.

Il pony grigio, intanto, sembrava colto da pensieri indecifrabili.

Si girò verso l’amica rosa, poggiando un gomito al bancone: “Ehy, Pinkie. Preparami un Manehattan, hai voglia?”.

“Uuhh… certo arriva subito!”, rispose.

La barista cercò le bottiglie, le aprì, versò i contenuti nello shaker, miscelò e servì.

Il pegaso celeste, intanto, si accese una sigaretta: “Non so cosa stiano cercando… ma finchè ci sarà piombo da sparare… io non mi tiro indietro”.

La puledra dagli occhi viola prese il bicchiere e lo agitò controluce. Lo annusò e poi bevve un sorso, facendo schioccare diverse volte le guance.

Poggiò quindi il contenitore sul tavolo e riprese a giocare col coltello.

“Diamine!”, disse Dash, “Questo percussore è praticamente da cambiare! Non mi stupirei se…”.

In quell’esatto istante, Octavia si voltò di scatto verso Pinkie, lanciandole il coltello, che le si conficcò dritto in fronte.

Il pony cadde a terra.

Fluttershy si portò le zampe al muso, assolutamente spiazzata.

Il pegaso dalla chioma arcobaleno, invece, puntò prontamente un revolver verso il volto della violoncellista.

“Che. Cazzo. Hai. Fatto?”, le domandò, pronta a premere il grilletto.

L’altra non si scompose e si poggiò di schiena sullo spigolo, puntellandosi con entrambi i gomiti: “Quella non è Pinkie”.

La puledra alata buttò un occhio oltre il grosso tavolo in legno, senza smettere di tenere sotto tiro la presunta amica. Il pony rosa era riverso a terra, con la lama nel cranio e decisamente priva di vita.

“A me sembra la schizoide. Ora dammi un buon motivo affinché non ti piazzi una supposta in fronte”.

“Punto primo”, rispose lapidariamente, “Pinkie sa preparare i cocktail alla perfezione. Quel Manehattan era mediocre ed ha usato del Whiskey comune, non quello canadese. Punto secondo: Pinkie può schivare un proiettile ed ora non riesce manco a scansare un coltello?”.

I due pegasi si guardarono tra loro, con aria interrogativa.

Uno strano rumore, simile all’acqua che bolle, iniziò a diffondersi dove si trovava il cadavere. Le tre si sporsero: il manto rosa si era quasi sciolto e, al posto della puledra, si palesò il corpo di un pony nero, privo di criniera e con vitrei occhi azzurri.

“Visto? Quella non era Pinkie”.

“Per Celestia…”, esordì Dash, facendosi scappare la sigaretta dalle labbra, “Che… che cos’è quella roba?...”.

“Oddio che schifo!!”, commentò Fluttershy, coprendosi gli occhi.

“Boh”, rispose Octavia, “Uno scherzo di Chrysalis?”.

“Scherzo? Cazzo, quella era uguale e identica a Pinkie!”.

“Solo per te che sei stupida e inetta”.

“Ehy! Lurida str…”.

“Temperamento, Dash… Temperamento…”.

“Ma… ma dov’è la vera Pinkie?”, chiese il pegaso dalla chioma rosa, preoccupata.

    In quell’istante, la porta d’ingresso si spalancò.

Rainbow puntò istintivamente l’arma.

Pinkie fece il suo ingresso, reggendo una grossa cassa di sidro tra le zampe, senza vedere bene dove andava.

“Cavolini! Questa roba pesa!”, disse.

“Sarà quella vera?”, chiese Dash ad Octavia.

L’altra sorrise maliziosamente: “C’è solo un modo per scoprirlo…”.

L’amica ricambiò il sorriso e prese la mira. Premette il grilletto.

Il pony rosa, tuttavia, si abbassò di colpo per posare la cassa ed il proiettile si piantò nel muro.

Quando tirò su la testa e vide il foro, disse: “Oh! Tò, guarda! Una parete attorno ad un buco!”.

“Sì. E’ Pinkie”, concluse Rainbow, abbassando l’arma.

“Sì! Sono Pinkie!”, le fece eco saltellando... senza capire cosa fosse successo.

Rarity sopraggiunse dalla propria camera, visibilmente agitata e con una piccola monocolpo in uno zoccolo: “Ehy… Che è successo?... Ho… ho sentito uno sparo…”.

“Vieni a dare un’occhiata”, la informò il pony grigio.

Tutte e cinque osservarono il corpo del mutaforma.

“Eeeew! Che è quella schifezza??”, berciò l’unicorno, facendosi scudo con una zampa.

L’amica riprese possesso del coltello: “Una spia di Chrysalis, desumo”.

“Ma è… terribile!”.

“Lo so. Non siamo al sicuro”.

“No, intendo… è orribile da vedere! Dash, cara? Potresti portare via questo mostro ributtante e gettarlo… che so? Nel fiume?”.

L’asso del volo si accese un’altra sigaretta: “Quando c’è da fare il lavoro peggiore chiami sempre me, eh?”.

“Questa faccenda, però, è preoccupante”, aggiunse Octavia, “Se Chrysalis è in grado di creare delle copie perfette di ognuna di noi… Come facciamo a sapere chi è quella vera e chi invece un’imitazione?”.

“Oh, ridicolo, dolcezza”, affermò la puledra dalla chioma viola, “Nessun pony riuscirebbe ad eguagliarmi in quanto a bellezza e leggiadria!”.

“E modestia…”.

“Ehy! Cos’è questo?”, squittì ad un certo punto Pinkie, osservando qualcosa nella cassa che aveva appena riposto a terra.

Le altre si avvicinarono e la puledra rosa afferrò una busta di carta: “Non mi ero accorta che ci fosse una lettera d’amore per me!”.

Rarity la sollevò magicamente e la aprì.

“E’… un messaggio… C’è un indirizzo… E… e la scritta -segugio-”.

“Un indirizzo?”, domandò Fluttershy.

“Sì… e… fammi vedere se c’è dell’altro…”.

La puledra controllò meglio il contenuto.

Fece quindi un balzo all’indietro, con le zampe sulle labbra.

La busta cadde sul pavimento e, dal suo interno, uscì una manciata di scaglie viola macchiate di rosso.

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Capitolo 4
*** Senz'Anima ***


Applejack scrutò l’esterno della tenuta Apple, attraverso la finestra del salotto. Il sole illuminava i suoi meleti, piantati e cresciuti con anni di fatiche.

Gli sgherri di Discord pattugliavano attentamente la zona, pronti ad intervenire al minimo segno di pericolo.

Uno di loro era chino su un piccolo appezzamento di fiori, intento a stendere del filo spinato a mo’ di recinzione. Granny Smith gli rifilò una dolorosa legnata sui quarti posteriore, tramite il bastone da passeggio. L’altro emise un verso tutt’altro che mascolino.

“Attento a dove metti le zampacce! Non mi rovinare i gerani!”, gli intimò la vecchia.

La puledra arancione chiuse le tende, assicurandosi che solo i presenti potessero assistere a quanto stavano per fare.

C’erano tutti, fatta eccezione per Grey Hound, attualmente collocato su una branda nello scantinato. Nonostante fossero passati giorni, lo stallone ancora non aveva recuperato i sensi.

“Allora, signori”, disse il pony col borsalino, voltandosi verso di loro, “Direi che possiamo cominciare”.

I pony, inclusi Discord e Big Macintosh (che possedeva un recupero fisico evidentemente strabiliante), erano seduti attorno ad un grosso tavolo in legno massiccio. Solamente Dash se ne stava leggermente in disparte, comodamente stravaccata su un divano vicino al caminetto spento.

“Sii! Iniziamo!”, esultò Pinkie.

Rarity abbassò lo sguardo, rassegnata: “Prima… prima il mio segugio… e… e poi… il mio ciccino…”.

Twilight, anch’essa dispiaciuta, le passò una zampa sulla groppa.

“Arriveremo anche a quello”, la rassicurò Applejack, “Ma ora c’è una faccenda importante di cui dobbiamo parlare”.

Fluttershy fluttuò leggermente sul tavolo e vi distese una enorme cartina di Ponymood e delle campagne limitrofe. Sul documento erano segnati a penna alcuni luoghi e percorsi stradali.

La puledra arancione cominciò il discorso: “Abbiamo unito le informazioni di Discord con quanto sapevamo già. Questa è una presunta traccia degli spostamenti dei tirapiedi di Chrysalis, nonché la locazione dei suoi presunti QG”.

Rainbow allungò il muso: “Beh. Non male. Praticamente facevi prima a segnare i posti ancora sicuri…”.

“E’ questo il punto”, continuò, “Chrysalis si sta muovendo rapidamente e il fatto che i suoi trasformisti siano a piede libero… non ci aiuta affatto”.

Octavia fece scrocchiare le ossa del collo: “Dobbiamo stare attenti… Non c’è un modo sicuro per distinguere una copia dall’originale. Sembra abbiano accesso a molte informazioni riservate, quindi potrebbero anche comportarsi di conseguenza… Il vantaggio è che non possiedono le nostre precise conoscenze mnemoniche”.

“Eh?”, esordì il pony rosa, alzando un sopracciglio.

Discord si avvicinò alla puledra dagli occhi azzurri, con sguardo languido. La passò un artiglio sotto al musetto e poi affermò: “Mia cara… in sostanza ci sono delle spie tra noi. Spie non facili da smascherare”.

L’altra sorrise: “Oh! Dov’è il problema?? Uccidi la spia e il problema se ne va via!”.

“Ma come fai a capire qual è quella vera e quale la copia, scema?”, l’ammonì Dash.

“Boh! Prima l’accoltello e poi vediamo!”.

“Ahh”, sospirò Discord, unendo le zampe su una guancia, “Dove sia stata fino ad oggi, anima mia?...”.

Macintosh batté una zampa sul tavolo: “Basta scherzi. Questa è una cosa seria”.

“Esatto”, aggiunse la sorella, “I luoghi più sicuri di cui disponiamo sono la tenuta Apple e il rifugio di Discord. Ora come ora dobbiamo preoccuparci di tenere le grinfie di Chrysalis lontane da noi e, contemporaneamente, prepararci ad affrontare una volta per tutte la mutaforma”.

“Dimmi, AJ”, chiese il pegaso blu, con supponenza, “Abbiamo mandato a picco i FlimFlam… Ma l’ultima impresa non è stata proprio un successo. Ed ora Chrysalis è incazzata nera e farà di tutto per farci fuori. Se non siamo riusciti a spuntarla con l’esercito dell’ultima volta… come pensi che potremo fare, adesso?”.

L’amica sciolse il nodo della cravatta: “L’unico vantaggio che abbiamo… è che quasi tutta Equestria ora sa che il Governo Celeste è stato miseramente gabbato. I criminali di cui andava cianciando sono scappati. Le sue guardie sono morte. E il documento su Grey Hound getterà fango a sufficienza da tenere Chrysalis impegnata a non perdere definitivamente la faccia”.

“Oh! Il mio povero pulcino!”, piagnucolò Rarity, “E poi quell’orrido mutaforma nel mio locale… Se ancora ci penso… te ne sei liberata, vero RD?”.

L’altra sorrise beffardamente e puntò il muso in direzione del camino.

Sopra le braci spente era stato affisso un trofeo da muro con la testa della creature nera, immortalata in un’espressione ridicola.

La puledra bianca trattenne un conato di vomito.

“Scusa. Colpa mia”, ammise Octavia, “L’ho convinta a non gettarlo nel fiume e a farne un oggetto d’arredo. Pinkie ha pensato al resto”.

“E’ stato divertente!”, trillò la barista.

Fluttershy già tremava: “E… e quindi cosa facciamo, ora?...”.

Discord fece un grattino sulla criniera di Pinkie e poi prese la parola: “Beh, se conosco bene Chrysalis… non tarderà a colpirci. E colpirci duro. Ma ora, come già detto, sarà impegnata a salvare la faccia, il che ci regala un po’ di tempo prezioso”.

“Ergo?”, domandò Dash.

“Erguindi”, rispose il draconequus, “Dobbiamo agire subito e fare il possibile per prepararci allo scontro finale”.

“S-s-scontro finale?...”, balbettò il pony paglierino.

“Sì”, affermò Applejack con decisione, “La morte di Chrysalis. E la caduta definitiva del Governo Celeste”.

    Sparkle sospirò e mise la lettera sul tavolo, insieme alle scaglie viola.

“E… questo?...”, chiese titubante.

“Il problema”, disse Rainbow Dash (che un po’ di tattica ne capiva), “E’ che non possiamo incentrarci su una questione alla volta. Non ne abbiamo il tempo. Significa che dovremo sistemare tutti i problemi in una botta sola… e contemporaneamente prepararci ad affrontare la mutastronza”.

L’unicorno bianco scosse il capo: “Non so se è una buona idea…”.

“Dividerci è un azzardo”, continuò Applejack, “Ma è l’unica possibilità che abbiamo. Dovremo agire contemporaneamente e tenere un occhio sulle manovre di Chrysalis”.

“Hai un piano?”, chiese Twilight.

“Sì. Ascoltatemi attentamente”.

Tutti si concentrarono (eccetto Discord che rimase ad osservare Pinkie, affascinato).

“Per prima cosa… dobbiamo trovare degli alleati. La sorella di Celestia è stata una scelta apparentemente azzeccata ma è presto per dirlo, viste le condizioni in cui versa la sua mente”.

“Abbiamo sempre i vecchi alleati”, suggerì Dash, “Intendo… i miei aviatori… i fighetti di Rarity e tutta la manica di bifolchi della tua famiglia”.

“Grazie, RD”, rispose infastidita, “Sì, abbiamo i miei… bifolchi… e tutti gli altri. Ma non basteranno di certo”.

“Quindi?”.

“Quindi… Fluttershy ha avuto un’idea…”.

I presenti si voltarono verso di lei.

“Oh… Sì… io… cioè… più che un’idea… è stato… un pensierino… una cosuccia… non è che io… volessi… insomma…”. Il pegaso si ritrasse fino a nascondersi dietro un divano.

“Epparla!!”, ruggì l’amica dalla chioma arcobaleno.

L’altra scattò come una molla: “Oh, sì… ecco, quando stavo nella Neverfree Forest ho potuto sincerarmi di qualcosa di… strano…”.

“Strano?”, domandò Twilight.

“Sì… una… una presenza inspiegabile…”.

“Ah, siamo a posto”, la derise Dash, “Cos’è? Dobbiamo andare alla ricerca di presunti alleati seguendo le sensazioni di un pegaso giallo?”.

La creatura caprina si lisciò la barba: “Ohh… la Neverfree Forest è un posto molto singolare. Racchiude segreti che potrebbero… sorprenderti”.

“Bah!”.

“Tranquilla, RD”, riprese la puledra dalla criniera dorata, “Non voglio che andiamo allo sbaraglio. La verità è che la lettera che ci è arrivata è un chiaro segnale che stanno cercando Hound. Non so perché lo vogliano… ma la verità è questa. Dunque: dobbiamo nasconderlo. E la Neverfree Forest è il luogo perfetto… magari la catapecchia di Fluttershy”.

“Cosa??”, sbottò Rarity, “Vorreste nascondere il mio pucci pucci in una latrina ammuffita nella palude??”.

“Non è poi così ammuffita…”, la corresse Fluttershy, con un filo di voce.

“Sì”, rispose Applejack, “E’ un buco di culo. Sarà difficile che riescano a trovarlo, lì”.

La puledra alata vide il proprio morale cadere sotto il pavimento.

“Lo porteremo lì”, concluse infine, “E intanto ci assicureremo che non sussista realmente qualcosa degno di attenzione”.

“Mah. A me sembra una scemenza”, puntualizzò Rainbow.

“Seconda cosa: Spike…”.

“Mhh… Non so, AJ”, borbottò Discord, “Quella lettera mi sa taaanto di trappola. Sicura che il nano valga tanto?”.

“E sicuro che i tuoi connotati valgono tanto??”, lo minacciò Twilight, facendo tremare il tavolo con la magia.

L’altro alzò le zampe sopra le spalle: “Ehy, ehy!! Ok! Come non detto!”.

Applejack osservò l’amica viola: “Sì. Abbiamo iniziato insieme e… finiremo insieme. Non importa se Spike ha voluto andarsene. E’ uno della famiglia. E… nella famiglia… nessuno viene abbandonato”.

“Ben detto, sorellina”, commentò Mac, orgoglioso.

“Quindi cercheremo di scoprire cosa è successo a Spike… E… l’ultima cosa: qualcuno dovrà rimanere alla tenuta per dirigere i sottoposti e assicurarsi che Chrysalis non tenti incursioni”.

L’asso del volo ci pensò un attimo e poi dichiarò: “Sì… dividerci non è il massimo ma non abbiamo scelta. Secondo me può andare. Rimane solo da capire come ripartirsi i vari compiti”.

Octavia, intanto, si era avvicinata alla custodia del proprio violoncello, poggiata contro il muro, ed eliminò una macchia impercettibile: “Secondo me… tu e Fluttershy potreste andare nella palude. Lei conosce il posto e volate entrambe. Così non dovreste avere grossi problemi”.

Applejack fece scorrere più volte lo stuzzicadenti da un angolo all’altro delle labbra: “Anche io vorrei venire con voi… per vedere se davvero c’è qualcosa. Ma non me la sento di abbandonare la tenuta”.

La violoncellista tornò al tavolo e le mise una zampa sulla spalla: “Stai tranquilla. Rimango io. Dopotutto devo dirigere i miei sgherri”.

L’amica non parve del tutto convinta ma anche Big Mac la rassicurò: “Secondo me è una buona idea. Io e lei rimarremo a controllare la situazione e tu potrai occuparti degli affari importanti”.

“Io e te soli, eh, stallone?”, lo stuzzicò il pony grigio.

“Sì”, le rispose, “Ti ricordo che mi devi un boccale di sidro”.

“Allora io mi recherò all’indirizzo che c’è sulla lettera”, affermò Twilight.

L’unicorno bianco prese parola con foga: “Verrò anch’io!! Voglio sapere che diavolo vogliono dal mio chihuahua dell’amore… nonché sapere che è successo a Spikino…”.

Discord, intanto, si era disteso pancia sul divano, con il mento sorretto dalle zampe e i gomiti puntellati a supporto. Oscillava le gambe come una scolaretta innamorata e fissava intensamente la puledra rosa, la quale vagava con la mente in chissà quali scenari fantasiosi.

“E voi due?...”, buttò lì  Dash, riportandoli alla realtà.

“Io farò i cupcakes!”, rispose l’amica

“Oh!... I-io”, farfugliò Discord, “Io ho alcune faccende da sistemare nel mio antro malefico… e poi devo ancora stabilire alcune cose con Luna. Ci vorrà un po’ di tempo”.

“Pinkie potrebbe venire con noi”, suggerì Rarity, “Lei ha quella sorta di… sesto senso… magari potrebbe tornare utile”.

“E non dimentichiamo il suo modo di fare i cupcakes”, aggiunse la puledra viola.

“Sìì!! Dolcetto o scherzetto??”.

“Ogni minuto senza te sarà come un’eternità senza aria”, farfugliò lo spirito.

“Ok. Quindi siamo a posto?”, chiese infine Applejack, osservando tutti negli occhi. Gli altri annuirono.

“Allora muoviamo le chiappe. Ognuno pensi a come gestire ciò che deve fare e, mi raccomando, mi servite vivi e il piombo nuoce gravemente alla salute”.

Dash si mise sull’attenti. Pinkie la imitò in malo modo e Rarity si controllò allo specchio, dandosi giusto una ritoccatina al rossetto.

Applejack fece rientrare la nonna e strinse i parenti, uno ad uno, inclusa la piccola Applebloom. Prese quindi la Dodge, fece salire i pegasi e imboccò lo sterrato per la foresta.

Twilight avviò la propria Chandler. Rarity  prese posto, schifata come suo solito. Pinkie, invece, si mise sul sedile posteriore canticchiando come una bambinetta.

Lo spirito barbuto cercò di incastrarsi in un furgoncino dei gelati (l’unico mezzo di fortuna che riuscì a reperire, dopo la dipartita della sua bellissima Pierce Arrow) e si allontanò lentamente, accompagnato da uno squillante carillon.

Octavia e la famiglia Apple rimasero quindi nel salotto, osservando i veicoli allontanarsi.

Granny Smith lanciò un’occhiataccia alla musicista: “Shappi che non mi fido di te, occhi viola! I tuoi idioti mi hanno quashi polverizzato i gerani, l’ultima volta!”.

L’anziana le mollò una bastonata e la puledra la schivò senza sforzo: “Stia tranquilla”.

Nella manovra, urtò di schiena il robusto petto di Macintosh.

“Vedi di non fare la furba… altrimenti ti prendo e ti piego in posizioni che nemmeno immagini”, disse lui.

Octavia sorrise e se ne andò sculettando: “Non tentarmi, stallone…”.

Solo in quel momento Mac si rese conto dell’ambiguità delle proprie parole. Arrossì leggermente e cercò di schiarirsi la voce.

“Brutto zozzone!!”, berciò Granny, colpendolo su una zampa, “Vai da un’altra parte a fare le tue maialate!”.


*** ***** ***


    Ora si trattava di aspettare.

Aspettare che qualcuno dei compagni tornasse, possibilmente con buone notizie e non rinchiuso in una bara (o in una ventiquattrore).

Octavia diede le ultime disposizioni ai propri seguaci, salendo poi al piano di sopra con Macintosh.

Lo stallone si assicurò che Applebloom fosse al sicuro nella propria cameretta, sotto lo sguardo vigile della nonna, e poi entrò nello studio con la musicista. Aprì le tende, in modo da avere una chiara visuale della zona circostante: gli agenti di Discord controllavano attentamente i dintorni. Provò una strana sensazione quando vide gli stessi tizi che l’ultima volta avevano messo a ferro e fuoco l’abitazione… ora intenti a proteggerla scrupolosamente. Non era granché convinto ma non aveva altra scelta. Doveva fidarsi.

Sulla scrivania era appoggiato un logoro Tommygun, circondato da alcuni caricatori a tamburo e scatole di proiettili.

La puledra passò una zampa sul metallo dell’arma.

“Questo arnese ha visto molte battaglie…”.

“…Eyup”, rispose l’altro, senza darle particolare attenzione.

“L’otturatore è consumato. La bocca di testa sembra sia stata usata per piantare i chiodi. E mi stupisco che le parti in legno non abbiano le termiti…”.

Mac scrutò i meleti all’esterno e, dopo una breve pausa, disse: “E’ stata la prima”.

“In che senso? La prima arma, intendi?”.

“Sì. La prima arma che ebbi. Ci tengo molto”.

“Capisco”, continuò l’artista, sorridendo, “Anche io ho i miei… monili… a cui sono affezionata. E’ stato un regalo?”.

“Eyup. Un regalo che ho strappato dalle fredde zampe del tizio che cercò di farmi la pelle”.

“Oh. Un regalo guadagnato con i propri sforzi, quindi?”.

Il pony dai crine arancioni annuì.

I due rimasero a lungo in silenzio, con lo stallone alla costante ricerca di possibili minacce esterne.

“Tranquillo”, lo rassicurò la presunta alleata, “Se dovessero vedere qualcosa di strano ci avvertirebbero subito”.

“Scusa se nutro ancora i miei dubbi. I tuoi ultimi leccazoccoli mi hanno quasi incendiato casa, ammazzato le mie sorelle e piantato cinque colpi in corpo”.

Il pony grigio si avvicinò lentamente: “Bene. Questo significa che sanno  il fatto loro”.

Big Macintosh la fulminò con lo sguardo.

“Suvvia. Era per dire. Erano stati inviati da Crhysalis con l’inganno. Sai… la storia dei mutaforma e tutto il resto…”.

L’espressione del padrone di casa rimase seria e l’attenzione tornò al paesaggio oltre il vetro.

Il volto della puledra si fece scaltro. Inclinò leggermente il cappello su un lato e poi sfiorò il petto di Mac con una zampa.

“E così… ti sei beccato cinque pillole in corpo, eh?...”.

L’altro osservò lo zoccolo muoversi languidamente attorno alla cravatta.

“Eyup. Un intero tamburo di .357”.

“Ma pensa…”.


    Nel cortile, intanto, la ronda si assicurava che nulla sfuggisse al proprio sguardo.

Quattro sgherri, con lunghi trenchcoat e l’immancabile borsalino, proteggevano l’uscio dell’abitazione.

Un quinto compagno, in occhiali scuri, si avvicinò lentamente, accendendosi poi una sigaretta.

“Certo che… fare la guardia a questi bifolchi…”, si lamentò uno dei quattro.

“Questi sono gli ordini”, rispose un amico.

“Lo so”.

“Col capo non si discute”.

“Beh… sempre meglio di quello che ci ha ordinato di fare l’ultima volta… ti ricordi?”.

“Già... Sparate a tutti gli spazzini che vedete!...”.

Si levò qualche risata.

Il pony con la sigaretta li ascoltò assorto, poi buttò la cicca a terra e la schiacciò, ruotando leggermente la zampa: “Ogni tanto mi chiedo perché lo facciamo…”.

“Per i soldi, mi pare ovvio”.

“Ah. Davvero?”, chiese, alzando il muso verso l’interlocutore. Il riflesso dell’amico comparve nelle sue lenti scure.

“Oh sì! Per i soldi questo e altro. Spazzini o non spazzini”, rincarò.

L’altro sorrise amaramente: “Secondo me i postini sono più pericolosi”.

“Uh… postini?”.

Si tolse gli occhiali. I bulbi oculari erano blu elettrico, privi di pupilla e assolutamente innaturali.

“Sì”, continuò, “I postini recapitano messaggi pericolosi. Per esempio… un messaggio da parte di Crhysalis”.

Il mutaforma aprì la giacca, rivelando un cinturone farcito di granate militari… e prive di spoletta.


    Il botto dell’esplosione fece trasalire Octavia e Mac, che si buttarono ai lati della finestra, cercando di capire cosa fosse successo, senza esporsi troppo. Per loro fu qualcosa di inaspettato. Per altri… il segnale d’inizio.

“Che cazzo è stato??”, tuonò lo stallone.

“Non lo so…”.

Alcuni spari iniziarono a risuonare da diverse direzioni.

I due non capirono e gettarono un occhio con cautela, per cercare di farsi almeno un’idea.

Poi, qualcosa fece corrugare la fronte alla violoncellista: uno dei suoi uomini aveva appena freddato alle spalle un collega, con un colpo diretto in fronte.

“Merda…”, sussurrò la puledra.

Scene analoghe si ripeterono a più riprese ed il panico iniziò a diffondersi rapidamente tra i sottoposti, che non riuscivano a capire cosa stesse succedendo.

Il pony dagli occhi viola scosse la testa: “Sono stata una stupida… Ho commesso lo stesso errore di Chrysalis… ho sottovalutato il mio avversario…”.

Mac, pur non essendo un genio, non ci mise molto a fare due più due: “L’ingresso… l’esplosione proveniva dall’ingresso!”.

“Stupida… sono stata una stupida e una sprovveduta…”.

Il volto della gangster si fece adirato: non sopportava essere gabbata in quel modo.

“Quella stronza aveva piazzato delle contromisure prima ancora che decidessimo di fregarla… Stupida… Stupida! Stupida!!”, biascicò, colpendosi più volte la fronte con uno zoccolo.

“Piantala!”, intervenne il compagno, afferrando il Thompson e armandolo con un caricatore, “Se ti piacciono gli insulti, dopo te ne darò quanti ne vuoi. Ora prendi un’arma e datti da fare”.

Lo stallone spalancò la porta con una zampata e corse verso la camera della sorella.

“Mac!”, strillò la puledrina preoccupata, non appena lo vide entrare, “Mac! Che sta succedendo?? Stanno di nuovo cercando di entrare in casa??”.

Granny la abbracciò, cercando di tranquillizzarla.

“Tranquilla, piccola”, la rassicurò il fratello, sfondando il vetro con il calcio dell’arma, “Stai con la nonna e tutto andrà bene”.

La vecchia infilò uno zoccolo sotto il dondolo e tirò fuori la fida lupara.

“Shì, tesorino. Shtai con nonnina”, le disse, con un dolcissimo sorriso (e infilando un paio di cartucce nelle canne).

    La rabbia della violoncellista, intanto, crebbe. Aprì delicatamente la finestra dello studio, in completo silenzio, allungando appena una zampa, senza che nessuno la notasse.

Inquadrò una delle spie di Chysalis.

Strinse i denti. Come un fulmine, sfoderò una Luger, bucò il cranio del nemico e tornò in copertura.

Gli assalitori aprirono il fuoco a casaccio, senza capire chi avesse sparato.

“Luridi vigliacchi schifosi”, sibilò, “Vi insegno io ad ingannarmi e far secchi i miei uomini a tradimento…”.

Fece partire un secondo colpo. Un altro infiltrato cadde a terra.

Per le campagne circostanti, intanto, prese a diffondersi una caotica sparatoria. Gli alleati di Discord si trovavano in una precaria situazione, cercando di distinguere gli amici dai nemici. La tattica della mutaforma era semplice... ma terribilmente efficace: lasciare che gli avversari perdessero il controllo ed iniziassero a non fidarsi più di nessuno. Perché sprecare le proprie munizioni quando il fuoco amico poteva risolvere buona parte del problema?

E così alcuni gangster si trovarono ad aprire il fuoco su compagni che imploravano pietà, solo per ritrovarsi morti stecchiti qualora avessero cercato di prestar loro soccorso. Dal lato opposto, furono molti a cadere sotto i colpi di qualcuno che, fino al giorno prima, li aveva semplicemente chiamati “compagni”.

“Chrysalis! Lurida cagna!”, continuò ad inveire Octavia, da una finestra ormai tempestata di proiettili. Vuotò l’ultimo caricatore, senza mancare un solo bersaglio. Poi udì qualcosa infrangersi, al piano di sotto.

La casa era grande e, con i difensori nel caos più totale, fu piuttosto semplice per i trasformisti di Chrysalis riuscire ad approcciarsi alle finestre, quasi indisturbati.

Nella stanza accanto, Mac teneva a bada i nemici per mezzo del proprio mitragliatore di fiducia, riparandosi giusto per evitare il contrattacco avversario.

Applebloom si tappò lo orecchie:” Aahhh!! Ma perché vengono sempre tutti a far casino qui da noi?!”.

La porta della cameretta si spalancò e il pony grigio piombò ansimante: lo stallone e la nonna le puntarono istintivamente le armi addosso.

“Mac!”, urlò l’altra, “Ho sentito una finestra rompersi! Credo che stiano salendo da sotto!”.

“Dannazione…”, farfugliò preoccupato, abbassando la mira.

Una seconda Octavia fece improvvisamente capolino, bloccandosi interdetta quando vide il proprio sosia.

“Eh??”, berciò Granny, aguzzando lo sguardo, “Oh casso… E non ho manco bevuto…”.

Le due puledre si osservarono, come se ci fosse uno specchio in mezzo.

Applebloom spalancò la bocca.

Il pony rosso corrugò le sopracciglia: “Perfetto”.

“Ehy, Mac, vedi di non farti ingannare da una brutta copia”, disse una, con sguardo lapidario.

“Appunto”, riprese l’altra, “Premi quel grilletto e toglila di mezzo”.

L’amico sembrò vagamente confuso. Fece poi spallucce e si preparò a sparare: “Per quel che mi frega faccio prima a raddoppiare la vincita…”.

Una Ocatvia si mise una zampa sul petto: “Mac… Davvero non mi riconosci? Guarda in fondo al tuo cuore…”.

Una raffica di proiettili la gettò a terra in un baleno.

La puledra sopravvissuta non si scompose: “Vedo che ti è rimasto ancora un po’ di sale in zucca. Comunque… stanno davvero arrivando dal piano di sotto”.

Alcuni colpi giunsero dall’esterno, sforacchiarono le tende della stanza e si piantarono nel soffitto.

“Le mie tendine!!”, piagnucolò la piccola.

Lo stallone pensò rapidamente: “Nonna, tu rimani qui e copri questo lato del cortile. Octavia, tu prendi il mio mitra e…”.

“Ho un’idea migliore”, lo interruppe, con sguardo deciso, “Tu vai nello studio a coprire l’altro lato. Io mi reco di sotto”.

“Sicura?”, chiese, cambiando caricatore.

“Sì. Non mi piacciono gli arnesi troppo rumorosi. E poi me la cavo meglio sulla corta distanza”, ammise, iniziando a scrocchiarsi le giunture.

“Va bene, non c’è tempo da perdere. Porca miseria…”, concluse iracondo, “Ci ha dato a malapena il tempo di riorganizzarci…”.

“Dopo oggi faremo capire che…. avrebbe fatto meglio anche lei a concedersi più tempo per riorganizzarsi…”.


*** ***** ***


    La pancia del rospo si gonfiò, accompagnata dal gracidio di altri batraci sparsi per la palude.

Uno zoccolo arancione si posò a pochi centimetri dall’animale, inducendolo a tuffarsi nell’acqua putrida.

Applejack si osservò la zampa, con volto inespressivo, e poi riprese a marciare tra i liquami.

“Seriamente”, disse a Fluttershy, “Ti piaceva vivere in questo ricettacolo di colera?”.

“Oh…”, sussurrò il timido pony, “Non è che… mi piacesse in senso stretto… però… Ecco avevo bisogno di un po’ di pace e isolamento dal mondo”.

“Visto, AJ?”, ridacchiò Dash, “La logica non fa una piega. Vuoi stare alla larga dagli altri? Vatti a nascondere in un buco puzzolente e abitato da rettili schifosi”.

Il pony col borsalino avanzava a fatica, con la melma alle ginocchia. La coppia di pegasi, invece, fluttuava dolcemente a mezzo metro dal liquido. Nonostante le ali tenessero gli zoccoli all’asciutto, la vegetazione creava un’opprimente gabbia di liane, rampicanti e mucillaggini oleose… non meglio identificate. Odori sulfurei e di putrefazione, unitamente ad una nebbiolina sinistra, creavano un ambiente a dir poco inospitale. Le fronde delle piante erano così fitte da lasciar filtrare appena qualche spiraglio di luce.

Ma tutto era comunque scuro, cupo e decisamente adatto per nasconderci qualcuno.

Fluttershy scosse la testa: “No, Rainbow. I rospi sono anfibi, non rettili”.

“Fanno schifo comunque”, tagliò corto. Alcuni rami marci e penzolanti le finirono inavvertitamente in faccia. La puledra reagì d’istinto, dimenandosi e gettando schizzi fetenti un po’ ovunque.

“RD!!”, berciò Applejack, cercando di ripararsi, “Eccheccazzo, contavo di non mandare anche il cappello in lavanderia!”.

“Che posto di m…”.

L’amica dagli occhi azzurri si affrettò a precisare qualcosa, vagamente felice: “Oh! Non siate così negative! Qui c’è il puro contatto con le nostri origini bucoliche! Respirate le esalazioni più naturali che esistano in Equestria!”.

Tirò una snasata a pieni polmoni, nel preciso istante in cui la carogna di un ratto emerse dalle pozze limitrofe, accompagnata da qualche bolla gorgogliante.

Tossì ripetutamente.

“E’ un’idiozia, AJ, te l’avevo detto!”, sbottò Rainbow, “Non sappiamo nemmeno dove stiamo andando… chi stiamo cercando… Troviamo solo… melma… e rettili… e altra melma e…”.

Fluttershy cercò di riprendersi e la interruppe: “Uh… anfibi…”.

Il pony blu provò l’irrefrenabile impulso di torcerle il collo.

Tentò quindi di calmarsi: “AJ, ti prego, torniamo indietro e usciamo di qui…”.

La compagna si fermò e scrutò la zona, con lo stecchino in bocca ormai ridotto ad un pezzetto di legno informe: “Ehy, Flutter… Hai una mezza idea di dove andare?”.

“Oh, sì… La direzione è questa”.

“Cos’è? Hai una bussola installata nel cranio?”, la schernì Dash.

“No, è che… qui la vegetazione cambia, man mano che ci muoviamo. Anche la fauna è diversa. Osservate attentamente…”.

Le due aguzzarono lo sguardo e, nei meandri oscuri della palude, scorsero un gran numero di animali singolari: libellule decisamente più grosse del normale, serpenti acquatici (sì, questa volta dei rettili) e altre bestioline troppo difficili da identificare.

Il pegaso dagli occhi rosa alzò le sopracciglia: “Tutto qui?? Ci stiamo affidando a mostriciattoli di palude per trovare qualcuno con cui sconfiggere una mutaforma con il potere di un alicorno?...”.

“RD, tappati quel cesso per un attimo e seguiamo il canarino giallo ancora per un po’. Vediamo almeno dove ci porterà”.

L’amica sospirò rassegnata.

Proseguirono.


    E la palude si fece sempre più oscura, sinistra e intricata.

Dopo parecchi minuti, anche Applejack si stava decisamente stufando di quella situazione.

Poi, proprio quando fu sul punto di abbandonare la ricerca, notò una debole luce tra la vegetazione.

“Mhh… Una luce nel cuore di un posto simile?...”, bisbigliò.

Dash, come suo solito, rimase scettica.

Fluttershy, invece, buttò giù un bolo di saliva. Non sembrava particolarmente a proprio agio, nonostante i suoi discorsi sulla natura e tutto il resto.

Il trio si avvicinò con circospezione, scorgendo quindi una capanna fatiscente, edificata in una zona apparentemente asciutta del luogo.

La costruzione era minimale e sembrava costruita con rozze assi di legno, fango e sterpaglie.

La zona circostante era piuttosto spoglia ma adornata con oggetti curiosi ed inquietanti: bastoni “abbelliti” con piume luride, strani frutti secchi penzolanti, vasetti di vetro ricolmi di lucciole e, non per ultimo, un teschio equino appoggiato su una piccola roccia, quasi fosse un altare.

“Ma chi diavolo ci vive, qui?...”, farfugliò Rainbow, inarcando una narice.

“In effetti”, rispose la puledra arancione, “Ammetto che sono interdetta pure io… Suggerirei di preparaci per ogni evenienza”. Estrasse un revolver e le altre seguirono l’esempio.

La gangster si avvicinò con cautela alla capanna, cercando di non fare rumore.

Si riparò dietro la parete e constatò come non ci fosse una porta, bensì un fitto groviglio di liane secche attaccato allo stipite superiore.

Mosse una zampa, spostandone di lato una manciata.

L’interno era costellato di puntini luminosi: candele.

“D’accordo”, suggerì infine, “Avrei preferito sfondare l’uscio con una botta secca… ma direi che dovremo usare le buone maniere”.

Prese un lungo respiro ed entrò. Le amiche fecero altrettanto.

    L’interno era ancora più assurdo di quanto si aspettassero. Vi erano strambe chincaglierie d’ogni sorta: ciondoli, zucche dalle forme impossibili, ossa, spaventose maschere in legno e, su una mensola, tre teste di pony rinsecchite.

Le puledre manifestarono un’espressione a metà tra lo stupito e lo schifato.

In fondo alla stanza era visibile una lunga tenda di seta viola, che penzolava dal soffitto a mo’ di separé. Il materiale, tuttavia, era in pessime condizioni: vecchio, sgualcito e pieno di buchi. Creava un effetto di decadenza e abbandono.

Alcuni rivoli di denso fumo grigio si innalzavano lentamente oltre il riparo, diffondendo un odore speziato e nauseabondo.

Le tre si osservarono fra loro, non sapendo bene come reagire.

Passarono diversi secondi e poi il pegaso dalla chioma arcobaleno perse la pazienza: afferrò un lembo del velluto e spostò rapidamente la tenda di lato.

Un’acre esalazione di foschia odorosa la investì in pieno, facendola retrocedere con le zampe al muso, quasi le avessero rifilato una zoccolata.

Applejack puntò l’arma, per sicurezza.

Il fumo era così denso da impedirle di vedere con chiarezza ma, a poco a poco, si diradò.


    In un angolino, seduta in una posizione al limite del contorsionismo, una inquietante zebra misteriosa si infilò tra le labbra la canna di un narghilè dall’aspetto esotico.

L’equino era ricoperto di piercing, tatuaggi incomprensibili e cicatrici. Li osservava con occhi astuti, parzialmente occultata dalla penombra.

Espulse un po’ di combusto dalle narici: l’esalazione si spanse in aria, virando inspiegabilmente più volte di colore, prima di disperdersi e svanire.

La zebra sorrise maliziosamente.

Rainbow Dash iniziò a tossire, come se avesse degli aghi infilati in gola.

“Per Celestia!!”, rantolò, “M-ma… che cos’è?... Copertone affumicato?...”.

Applejack incrociò gli occhi della padrona di casa e… qualcosa la obbligò a sostenerne lo sguardo.

La stanza attorno a lei parve farsi buia… i bulbi oculari dell’altra divennero sottili… quasi luminosi… le pareti si strinsero attorno al suo volto striato… La testa della puledra oscillò, come se un improvviso attacco di sonno l’avesse colta in un istante.

I colpi di tosse dell’amica la riportarono immediatamente alla realtà.

Fluttershy osservò terrorizzata l’arredo e fece qualche passo indietro.

“Allora?...”, domandò l’asso del volo, “Che facciamo?...”.

Applejack si sentiva confusa… e la zebra continuava a scrutarla, quasi divertita.

Decise quindi di parlare.

“Scusi per l’intrusione”.

L’altra rimase in silenzio e si limitò ad aspirare la miscela. Soffiò di nuovo il fumo (questa volta tutte si tennero a debita distanza) e poi, accompagnata da un accento irriconoscibile, dichiarò: “Nessuna intrusione di sorta. Se non ti avessi voluta qui… saresti già morta”.

“Ehy!”, ruggì Dash, “Vedi di abbassare la cresta…”.

La fumatrice sorrise.

La gangster intuiva che qualcosa di strano stava accadendo… in quel preciso istante.

“Mi… mi chiamo Applejack. Tu sei?...”.

Una piccola risata precedette la risposta dell’interlocutrice: “Di nomi ne ho molti, troppi per dirteli ora. Ma tu puoi chiamarmi semplicemente… Zecora”.

L’aggressività del pegaso ebbe la meglio, come sempre: “Ma come parli? Mi sa che quella roba che spipacchi ti ha incenerito i neuroni…”.

“Avverto grande coraggio e spavalderia… ma anche una buona dose di idiozia…”, commentò.

L’altra fu sul punto di freddarla con una pallottola ma poi si ricordò l’ultimo discorsetto che aveva avuto con Octavia e cercò di sbollire i suoi irosi istinti.

Zecora chiuse le palpebre e divenne seria. Alzò una zampa a mezz’aria: “Sento tuttavia una presenza aleggiare. Rubini viola, manto grigio… l’influenza di qualcuno a cui piace suonare…”.

Riaprì gli occhi e lanciò un ghigno. Il pegaso impietrì.

Applejack mise l’arma nella fondina ascellare, molto lentamente: “Ok… questa faccenda sta assumendo dei tratti decisamente insoliti”.

“Come fai a stupirti?”, cantilenò la zebra, “Baffi bruciati, zeppelin in fiamme e serpenti barbuti. Altre prodezze vuoi attribuirti?”.

Dash sudò freddo: “C-come fai a sapere tutte queste cose??”.

Zecora afferrò qualcosa dietro di sé e poi buttò un numero del Daily sul pavimento: “Carta stampata. Sono solo informata”.

Il pony dagli occhi verdi sembrò apprezzare la situazione: “Quindi sai chi siamo… e…”.

“In realtà non vi ho mai visti o conosciuti. Ma il destino vi ha condotti da me, con tempismo che spacca i minuti”.

“Insomma non sei sorpresa di vederci”.

La puledra zebrata tornò silenziosa. Osservò le tre con attenzione, soffermandosi nuovamente su Applejack.

Dash si avvicinò alla chioma dell’amica: “Secondo me non caviamo fuori niente di buono…”, le sussurrò.

“Dimmi, Zecora”, riprese il pony arancione, “Pensi dunque che ci siamo incontrate per un motivo?”.

    La zebra posò il bocchino, lasciando che il braciere consumasse da solo il proprio contenuto.

Sì alzò lentamente, riarticolando le giunture in posizione normale, quasi fosse una marionetta di legno, e si mise in piedi. Fluttershy strinse i denti.

La padrona di casa iniziò quindi a muoversi tra le presenti, analizzandole scrupolosamente da orecchie a zoccolo. Quando fu d’innanzi alla gangster, decise di parlare di nuovo: “Percepisco un grave turbamento. Qualcosa di angosciante ti perseguita… che ti porterà al cambiamento”.

Il pegaso blu riprese la parola: “Ascolta, cosa voodoo, avremmo un po’ di fretta ed ho l’impressione che tu sia sotto l’effetto di qualche sostanza allucinogena. Non abbiamo tempo da perdere con… nenie strampalate, discorsi misteriosi o…”.

“Il tempo è contro di voi, lo riconosco. Eppure siete venute a cercare qualcuno, in questo posto…”.

“Sì”, rispose Applejack, “Stiamo… stiamo cercando dei possibili alleati”.

L’espressione dell’altra si fece curiosa: “Cerchi altre spalle con cui condividere il tuo fardello? Mia cara… dovrai farlo da sola e non sarà bello”.

“Cosa intendi dire?”.

Un sorriso sardonico le si formò sul muso. Afferrò al volo un grosso insetto di palude che gironzolava nei dintorni. Si avvicinò ad una ciotola in legno: schiacciò l’animale, facendone fuoriuscire un liquido giallastro.

Fluttershy cercò di intervenire ma l’aspetto della zebra la inquietava al punto da farla desistere completamente. L’altra aggiunse alcune polveri da un piccolo barattolo, un po’ di liquido di un’ampolla e infine, sfregando le cavigliere anteriori con un colpo secco, innescò una scintilla.

Il contenitore si infiammò, generando una surreale luce bluastra.

“Ti trascini una grande sofferenza nel petto, o puledra dallo stecco tra i denti. I tuoi zoccoli son macchiati di sangue… nonostante i tuoi buoni intenti”.

Il pony la ascoltò, assorta.

“Nulla volevi eppure molto hai ottenuto. Sei giunta fin qui e solo tu l’hai voluto. Ti sei costruita un ponte di morti, per cercare di scrollarti il peso che porti. Potresti fermarti… eppure non vuoi. Prosegui nel cammino e chiedi aiuto a noi”.

Zecora si avvicinò ad Applejack e, per la prima volta senza rima e con un tono spaventosamente minaccioso, le sussurrò: “Puoi proseguire solo aggiungendo altri cadaveri… ma… fino a che punto vuoi spingere questo sacrificio?...”.

“Finchè sarà necessario”, dichiarò solennemente, sputando lo stuzzicadenti.

“Sei brava a parlare! Ma il sacrificio si dimostra col sangue, e non col ciarlare!”.

“Appunto. Voglio fatti. Per questo chiedo aiuto. Devo togliere di mezzo qualcuno di molto potente…”.

La fiamma si intensificò e la voce di Zecora si fece imponente, in modo inspiegabile: “AH! Aiuto desideri e aiuto avrai, se è ciò che richiedi… ma davvero sei pronta sacrificare tutto ciò che possiedi?...”.

La puledra col borsalino divenne nervosa: rovesciò la ciotola a terra, spandendo fiamme blu un po’ ovunque. L’intera stanza di colorò di tonalità celesti e i pegasi ammutolirono.

Si tolse il cappello e fissò la zebra negli occhi: “Non me ne frega niente dei sacrifici. Chrysalis deve morire. Voglio vederla ai miei zoccoli, esanime… senza vita. Non mi importa quanti sgherri ci vorranno, quanti soldi dovrò investire, quanto piombo dovrò dispensare… Posso anche dare la mia vita pur di toglierla di mezzo e salvare la mia tenuta…”.

Le zampe di Zecora la cinsero rapidamente per il collo: “DAVVERO??”, urlò, con un ghigno terribile.

Dash si sentì raggelare il sangue nelle vene e agì d’impulso: puntò il revolver e premette il grilletto… ma non avvenne nulla. Il cane colpì a vuoto. Il pony alato fissò incredula l’arma.

Le parole della zebra uscirono spaventosamente sovrannaturali: “Sacrificherai tutto?... Anche… la tua… ANIMA?...”.

Applejack percepì una morsa chiuderle il petto, qualcosa di assolutamente inspiegabile, e allontanò da sé la puledra striata, con uno spintone.

Le fiamme si affievolirono… e tutto parve tornare alla normalità.

“AJ”, biascicò Fluttershy, sull’orlo di una crisi di nervi, “A-andiamocene, ti prego!”.

L’altra si sistemò la cravatta: “Cos’è? Sei stata tu a portarci da questa strega. E ora vuoi scappare? Dimmi, Zecora… Anche tu sei brava con parole e accattivanti discorsi in rima… ma… alla fine cosa intendi fare? Io ho bisogno di alleati. Non di poeti con gli anelli al naso”.

“Dare per avere”, rispose la zebra, “Tieni questo a mente e tutto potrai ottenere…”.

“Mi pare giusto. Che cosa vuoi?”.

“Oh, non voglio favori immediati. Se avrai bisogno… i miei interventi saranno scontati. Percepisco una grande ambizione… ma dimmi… a cosa è rivolta la tua attenzione?”.

“Te l’ho detto. Chysalis. Una… una mutaforma con i poteri di un alicorno. E… e Counterlot. Tutta la città fortezza”.

Gli occhi di Zecora brillarono di piacere: “Oohhh… Quanti cadaveri per continuare il tuo ponte! Di ancora molto sangue porterai l’onte!”.

L’atmosfera ripiombò nel surreale.

“Un futuro spaventoso ti si para d’innanzi. Dovrai fare una scelta e non potrai lasciare avanzi. Scorgo… una grossa sfera rossa nel cielo… Una Luna bramosa langue. Una Luna… DI SANGUE”.

Quando la frase terminò, le fiamme delle candele parvero sul punto di estinguersi… poi riacquistarono vitalità.

La gangster cercò di non farsi intimorire: “Te l’ho detto. Non mi importa cosa dovrò fare… Mi basterà togliere di mezzo quella stronza. Allora… mi aiuterai o no?”.

Zecora parve pensarci ma sembrava avesse già la risposta pronta: “Avrai ciò che ti serve… ma stai attenta… il sacrificio di cui parlo è insidioso come una serpe”.

“Mi sta bene”, concluse con decisione, rimettendosi il cappello in testa, “Ora andiamo. Abbiamo perso fin troppo tempo”.

Le amiche acconsentirono volentieri e abbandonarono la capanna con grande sollievo.

    Applejack scostò le liane all’ingresso, udendo un’ultima frase di Zecora, poco prima di andarsene definitivamente.

“Ricorda le mie parole, anche se ti trafiggeranno il cuore come una lamina. Per ciò che vuoi fare, in un modo o nell’altro, perderai comunque la tua… anima…”.

Il pony gettò un’occhiata alle proprie spalle: la zebra era tornata a fumare. Un’oscurità opprimente la circondava. Solamente gli occhi risaltavano nel buio… quasi fossero quelli di un gatto.


*** ***** ***


    Octavia scese silenziosamente le scale.

Gli zoccoli volarono letteralmente sugli scalini, senza produrre il benché minimo rumore.

La musicista si appostò ad un lato della porta che conduceva al salotto, ovvero la camera che chiunque avrebbe dovuto attraversare, passando dall’ingresso.

Si sporse appena, riuscendo effettivamente ad identificare quattro mutaforma intenti a controllare i dintorni del salotto. Tornò in copertura, senza che la notassero.

Cercò di formulare un piano. La porta esterna, nonostante l’esplosione, aveva retto. Questo li costringeva a passare dalle finestre. La custodia del suo violoncello era ancora dove l’aveva lasciata, intatta. Se l’avessero rovinata… avrebbe scatenato la sua ira, lo sapeva bene. Si massaggiò delicatamente il mento, guardandosi attorno per farsi venire un’idea.

Notò quindi un oggetto nel corridoio, che non le sarebbe servito a nulla… ma a cui non seppe resistere.

Una grossa radio a valvole.

Si avvicinò all’apparecchio. Lo osservò intensamente.

“No”, disse a se stessa, “Non è questo il momento”. Si girò e fece per allontanarsi.

Le zampe si fermarono. Il volto tornò sull’oggetto.

    Gli invasori, intanto, proseguirono nella ricerca.

“Visto niente di interessante?”, chiese uno dei presenti.

“No. Solo alcune piantine della città, stoviglie e un violino”.

“Quello è un violoncello, idiota”.

“Oh, scusa, non sapevo fossi un compositore!”.

Una raffica di colpi dal piano di sopra attirò la loro attenzione.

“Smettetela”, li riprese un terzo, “Ai piani superiori stanno vomitando fuoco sui nostri. Andiamo a far tacere quella mitragliatrice!”.

Un’improvvisa voce gracchiante fece capolino da una stanza limitrofa. I tizi si buttarono in copertura, puntando le armi.

“…Ecco che la palla passa rapidamente al portiere che…”.

Un brusio precedette il cambio di frequenza.

“…Ed ora le notizie del giorno: pare che gli ufficiali di Counterlot abbiano rilasciato una dichiarazione secondo cui…”.

I mutaforma si guardarono tra loro, perplessi.

Iniziarono quindi ad avvicinarsi al corridoio, si misero in posizione ed aprirono la porta.

Octavia era vicino alla radio e continuava a cercare un qualche tipo di frequenza a lei congeniale.

“Ehy!”, disse un nemico, “Guardate! E’ lei!”.

“La tipa di cui ci ha informato Chrysalis! La traditrice!”.

“Sì… grigia e con una chiave di violino sul culo”.

L’altra si girò, visibilmente seccata: “Fate silenzio…”.

Un mutaforma rise di gusto: “Troppo facile!”.

“Come sarebbe a dire?”, chiese la puledra, continuando a far ruotare le manopole.

“Ricordatevi: il capo la vuole viva!... Ma non ha detto che la vuole in buono stato!”.

Tutti sorrisero maliziosamente.

Poi, finalmente, trovò una stazione apprezzabile.

“…Trasmettiamo ora… Dies Irae… del noto compositore Hoofgang Ponadeus Mozart, 1791…”, annunciò una voce pacata.

Il pony dalla criniera scura unì gli zoccoli tra loro e poi si voltò verso i quattro, con un ‘espressione di assoluta superiorità: “…Viva?... Quindi non volete usare armi da fuoco?... Avevate ragione… troppo facile…”.

“Addosso!!”, berciò il più temerario.

La sinfonia partì.


    Le note infilzarono la mente di Octavia come una lancia divina.

La puledra chiuse gli occhi e la melodia si diffuse rapidamente anche al resto del corpo.

Lei adorava suonare. Era il suo sogno. Lo era stato da sempre.

Quando scoprì di avere talento per gli strumenti, gli archi ed il violoncello in primis, ne fu entusiasta.

Capì fin da subito di essere una suonatrice eccezionale. Forse… era semplicemente predisposta per la cosa.

Lo spartito era solo un pezzo di carta. Ciò che lei riusciva a fare era trasmettere la melodia direttamente all’ascoltatore… lo strumento era solo un mezzo, una parte di lei con cui codificare quell’insieme inspiegabile di note e sinfonie; qualcosa che percepiva nell’anima e che poteva riordinare grazie ad una mente incredibilmente analitica.

La stessa mente che la fece avvicinare al mondo della malavita, quando si rese conto che l’analisi accurata di ogni cosa, unitamente ad una disciplina impeccabile, erano la chiave per avere successo anche nelle situazioni meno artistiche. Che poi… tutto poteva essere trasformato in arte.

E quello ne fu l’esempio lampante: unire l’utile al dilettevole. La musica alla danza. La melodia delle note ai lamenti delle vittime. Era il momento in cui corpo e melodia si fondevano per creare un connubio bellissimo… e letale. Così, solo seguendo le note. Così, finché tutto non tornava silenzioso.

    Il coro proruppe imperioso, immediatamente accompagnato dalle percussioni, l’organo, gli ottoni e… gli archi.

Le palpebre di Octavia si aprirono lentamente. Sorrise appena.


DIES IRAE, DIES ILLA


Il pony scattò come una molla sul primo avversario, colpendolo con le zampe posteriori e gettandolo a terra. Con una rapida capriola frontale si catapultò al centro del salotto. Gli altri caddero preda dello sbigottimento.


SOLVET SAECLUM IN FAVILLA


Chiuse gli occhi. Assaporò ogni nota.

Il tizio si rialzò e i quattro la circondarono, assalendola simultaneamente.


TESTE DAVID CUM SIBYLLA


Due zampe vennero intercettate e usate come supporto per sollevarsi un metro da terra.

La puledra atterrò alle spalle di un mutaforma, con lo zoccolo tra le sue grinfie. Un colpo secco lo fratturò in più punti. Si levò un urlo agghiacciante.


QUANTUS TREMOR EST FUTURUS


Un collega estrasse un coltello e menò un fendente. Octavia si inclinò senza sforzo: la lama le sfiorò quasi il muso.


QUANDO JUDEX EST VENTURUS


Due rinforzi, attirati dal baccano, giunsero dalle finestre, questa volta a pistole spianate.

La mente analitica dell’artista non si fece sfuggire nulla: due avversari disarmati, uno armato di coltello, due con armi da fuoco. Uno incapacitato.


CUNCTA STRICTE DISCUSSURUS


La zampa passò rapidamente sulla schiena del mutaforma con il pugnale: il corpo di lei ruotò attorno all’avversario, facendo volteggiare criniera e coda a mezz’aria.

Partirono dei colpi, che vennero intercettati dal malcapitato, usato a mo’ di scudo.

Quando la manovra terminò, il conteggio totale di bersagli operativi era sceso di nuovo a quattro.

Il coltello del cadavere si trovava ora nelle zampe di Octavia.


DIES IRAE, DIES ILLA


“Fatela fuoriii!!”.

Ed ecco due zampe intente ad afferrarla, immediatamente bloccate e costrette in una morsa di sottomissione.

Il rumore di uno sparo alle spalle.

Angolazione individuata. Si mosse di conseguenza.

Il piombo si incastrò nel parquet.


SOLVET SAECLUM IN FAVILLA


Sferrò un calcio basso, gettando a terra il secondo tizio disarmato.

Risalì come una girandola, imprimendo forza all’oggetto affilato che teneva serrato nello zoccolo e scaraventandolo poi verso un terzo sventurato.

Il metallo si conficcò nella spalla. Un altro urlo.

La pistola cadde a terra.


TESTE DAVID CUM SIBYLLA


La seconda pistola prese a tempestarla una, due, tre volte.

Si gettò dietro una grossa poltrona, quasi danzando.

I colpi fecero esplodere dei cuscini, sollevando una bufera di piume bianche.


QUANTUS TREMOR EST FUTURUS


Octavia si rialzò. Sapeva che c’era ancora un colpo nel tamburo.

Diede un calcio ad una sedia, che scivolò dritta tra le caviglie del tiratore, ribaltandolo dolorosamente sul pavimento.

Qualcuno la agguantò da dietro, cingendole il collo.


QUANDO JUDEX EST VENTURUS


Una gomitata al petto lo piegò in due.

L’avversario armato appena steso premette il grilletto un’ultima volta, con zampa tremante.

Un balzo all’indietro e il proiettile le sibilò accanto alle orecchie. Il cappello volò in aria, confondendosi tra le piume.


CUNCTA STRICTE DISCUSSURUS


Il corpo tornò in posizione eretta, con un lieve sorriso di compiacimento.

Il copricapo le cadde su una zampa e venne quindi risistemato sulla criniera.

I tre la osservarono spaventati.


QUANTUS TREMOR EST FUTURUS


Octavia non fece nulla, apparentemente rapita dalla musica.

I nemici cercarono dolorosamente di ricomporsi, avendo però timore ad avvicinarsi a lei.


DIES IRAE, DIES ALLA


Uno si impanicò e cercò di fuggire.

Una botta alla schiena lo fece crollare al suolo.

La puledra era sopra di lui, assolutamente felicitante.

“Dove credi di andare?”, sibilò.


QUANTUS TREMOR EST FUTURUS


Il poveretto venne trascinato verso di lei, urlante.

I compagni lo osservarono terrorizzati e poi tentarono il tutto per tutto.

Si trasformarono in Octavia.

Il collo del compagno subì una brusca torsione.


DIES IRAE, DIES ILLA


La coppia si avventò su di lei, iniziando a tempestarla di mosse parzialmente simili a quelle del sicario.

L’altra si difese come una macchina, impeccabilmente, senza nemmeno versare una goccia di sudore.

I due la circondarono ai lati, incapaci di penetrare una difesa composta da zampate rapide e fluenti.


QUANTUS TREMOR EST FUTURUS

QUANTUS TREMOR EST FUTURUS


L’originale passò quindi al contrattacco: sferrò una zoccolata al gozzo di una copia, che si limitò a mettersi in ginocchio e sputare bava.

L’altra venne usata come puntello per compiere un’ampia rotazione a mezz’aria.


QUANDO JUDEX EST VENTURUS


La manovra si concluse con la zampa posteriore sulla testa del mutaforma incapacitato, piegandola in malo modo sulla spalla.


CUNCTA STRICTE DISCUSSURUS


Octavia si rimise in posizione rilassata, alzando lentamente lo sguardo da terra e assicurandosi che il cappello fosse in posizione corretta. I suoi occhi si dischiusero lentamente, incrociando quelli del superstite. Il sopravvissuto se la fece letteralmente sotto, riprendendo le sembianze originali.

Digrignò i denti dal terrore e prese a tremare come una foglia.



CUNCTA STRICTE DISCUSSURUS


Le zampe della puledra lo abbracciarono lungo le spalle.

I rispettivi musi si fecero vicini.

Sorrise amabilmente, assaporando la paura in ogni cellula del suo corpo.


CUNCTA STRICTE DISCUSSURUS


“E’ stato divertente, no?”.

Il coro si placò, lasciando spazio agli ultimi secondi di archi, tamburi e l’organo maestoso.

“Ora… vattene”, concluse, “Torna dai tuoi amichetti… da Chrysalis… e fai loro sapere che qui non si scherza”.

Gli diede ancora qualche tenero buffetto.

La melodia finì e l’abbraccio, sul collo dell’invasore, si sciolse.

Cadde a terra, annaspando carponi verso l’uscita, con le lacrime agli occhi.

Octavia lo osservò sorridendo.


    Quando il fuggiasco mise una zampa sulla maniglia… un boato improvviso si diffuse dalla porta, frantumandola in mille pezzi.

Il mutaforma fece un volo di parecchi metri, passando vicino al pony dagli occhi viola e finendo infine contro una parete, da cui si staccò un paio di quadri.

Un enorme martello scuro aveva appena abbattuto lo stesso legno che aveva resistito ad una cintura di granate.

Uno stallone barbuto ed imponente fece la propria comparsa. Indossava un colbacco ed un lungo cappotto scuro.

I suoi azzurri occhi glaciali scrutarono l’ambiente, soffermandosi quindi sulla radio in fondo al corridoio.

“Oh…”, bofonchiò Octavia senza scomporsi troppo, “E te chi ti ha invitato?”.

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Capitolo 5
*** Concorrenza Pericolosa ***


Twilight era alla guida della Chandler, che avanzava lentamente per le strade di Ponymood.

Dovettero sistemare alcune questioni (tra cui l’improvvisa idea di Rarity di cambiarsi d’abito, cosa che portò via quasi mezza giornata) e così si mossero quando il sole stava già calando. Non fu tuttavia una mossa lasciata al caso: con l’imbrunire, la città diventava più pericolosa e questo significava meno gente in giro e meno problemi in caso di azioni illegali.

L’unicorno viola era piuttosto nervoso e la ferita alla spalla le bruciava ancora terribilmente.

Anche l’amica bianca non aveva spiccicato una parola: si limitò a guardarsi nello specchietto retrovisore, controllando che il nuovo completo coloniale le calzasse a pennello.

Pinkie, al contrario, non stava ferma un secondo, sballottandosi sul sedile posteriore.

“Siamo arrivate??”, domandò entusiasta.

“No”, rispose seccamente Sparkle.

“E adesso??”.

“No”.

“Ora?”.

Rarity si girò verso di lei e fece sbattere le lunga ciglia al mascara.

“Dolcezza”, le disse docilmente, “Quando saremo arrivate, te lo diremo, ok?”.

“Uhh… Ok!”.

“Quindi puoi anche stare tranquilla”.

“Ok!”.

“E in silenzio”.

“Ok!”.

“Da subito…”.

“Ok!”.

Il pony rosa sorrise e l’altra la scrutò con rassegnazione. Riportò lo sguardo al paesaggio cittadino.

“Siamo arrivate??”.

Le due puledre davanti ebbero entrambe un tic nervoso all’occhio.

“Twilight, cara, mi ricordi per quale motivo ci stiamo portando appresso la mia… simpatica barista?”.

“Per questo…”, e, con un rapido gesto, gettò un coltello dietro di sé, diretto verso Pinkie.

La passeggera si spostò di lato, improvvisamente attratta da qualcosa che aveva visto in strada, e la lama si conficcò nell’imbottitura del sedile.

“Grazie, cara”, concluse Rarity, risollevata.

Proseguirono ancora qualche minuto, imboccando una strada che conduceva per le campagne dal lato opposto della tenuta Apple.

La puledra dagli occhi azzurri osservò sommessamente gli alberi scorrere lungo il ciglio stradale, unitamente ad un bel tramonto sullo sfondo, proprio dietro alle montagne.

“Cosa… cosa pensi che troveremo?...”, domandò all’autista, visibilmente titubante.

“Non lo so”, rispose Twilight, che sembrava pericolosamente seria, quella sera.

L’amica parve agitarsi leggermente: “Pensi che… pensi che… Spikino?...”.

“Ti ho detto che non lo so. Una volta là, vedremo che fare”.

Pinkie Pie mise la testa tra le due: “Cosa andiamo a fare??”.

“A cercare… a scoprire cos’è successo a Spike”, rispose Rarity, triste.

“Uhh! Capisco! Beh, nella lettera d’amore a me indirizzata c’erano le sue scaglie. Forse lo hanno pelato come si fa con i pesci, prima di sfilettarli!”.

Sparkle digrignò i denti e premette sull’acceleratore: “Se è così, l’ultima cosa che desidereranno è mangiare il pesce di venerdì…”.

“Suvvia, cara”, continuò l’unicorno bianco, “Il pesce è un alimento per chi se lo può permettere, non scendiamo a simili definizioni qualunquiste…”.

“Io preferisco i cupcakes! Ma non ci ho mai messo il pesce dentro…”, disse, passandosi uno zoccolo sotto al mento, “Dovrò sicuramente provare!”.


    Il sole continuò a calare inesorabilmente, finché scomparve all’orizzonte, lasciando appena un tenue bagliore rossastro che sfumava verso il blu della notte.

I fari presero a fendere l’asfalto, che lasciò ben presto posto ad uno sterrato.

“Conosci il luogo?”, chiese Rarity, preoccupata dal terreno polveroso.

“Sì”, rispose l’autista, “Ci stiamo recando in una zona che conosco molto bene”.

“Oh. E come mai, mia cara?”.

“Questo lato della periferia brulica di zoticoni e…”.

“Beh, dolcezza, anche il lato della tenuta Apple è pieno di bifolchi ignoranti, perlopiù tutti imparentati con Applejack”.

“Sì ma qui sono di un’altra pasta. Sono più bifolchi, più ignoranti e almeno due volte più incazzosi rispetto alla famigliola di AJ”.

“Sembri conoscerli bene…”.

Pinkie iniziò a cantilenare una canzoncina per pony dell’asilo.

“Sì, li conosco abbastanza bene”, continuò Sparkle.

“Per quale motivo?”, chiese l’altra, continuando ad osservare annoiata il paesaggio notturno.

“Una volta lavoravo per loro”.

“Ah… Tu… lavoravi per i bifolchi?”.

“Non mi fraintendere. Le loro mansioni da mezzadria e le copulazioni interparentali sono robe che non mi riguardavano. Semplicemente: possedevano un sacco di distillerie illegali. E io ero agli albori e avevo bisogno di soldi”.

“Cosa facevi?”.

“Le solite cose, no?”, commentò con sufficienza, “Preparavo intrugli alcolici, qualche esplosivo per abbattere la concorrenza e soluzioni di acido cloridrico sei molare per far sparire i corpi”.

Rarity non si scompose e fece spallucce: “Ah, capisco. Quello che fai di solito, insomma?”.

“Sì. Poi, vabbè, ogni tanto una vacca partoriva e bisognava occuparsi del travaglio e del vitello”.

Il pony rosa si intromise per un istante: “Io una volta ho messo un barattolo di cavallette in un distillatore per provare a fare il Grasshopper!… Però non è riuscito molto bene…”. Riprese a canticchiare.

La macchina proseguì lungo le colline: visti da lontano, i fari sparivano e ricomparivano sporadicamente lungo i tornanti, parzialmente occultati dalla vegetazione.

“E poi che hai fatto?”, chiese la stilista.

“Rimasi finché non ebbi abbastanza soldi per aprire la mia attività. Me ne andai. Certo… portai con me un po’ delle loro cose. Senza chiedere il permesso”.

“Delle... cose…?”.

“Sì: due pinte di alcol buongusto, qualche sputa piombo e… staccai anche le valvole di controllo di alcuni distillatori. Si udì il botto fino a Manehattan, presumo”.

“Ti è sempre piaciuto far esplodere le cose, eh?”, chiese con sarcasmo.

“Puoi dirlo!”, rispose, con un sorriso maligno, “E da allora è un po’ guerra aperta”.

“C’era da aspettarselo”.

“Infatti non siamo più stati in buoni rapporti”.

“Ed è lì che siamo diretti?”.

“L’indirizzo rimanda ad un campo di mais non molto lontano dal fiume. Forse c’è un caseggiato nei dintorni. Il problema è che qui girano con una doppietta e hanno tutti il grilletto facile: prima ti forano e poi grugniscono”.


    L’auto proseguì, finché i fari illuminarono un fittissimo campo di granturco al ciglio della strada.

Si arrestò.

Le tre scrutarono l’esterno, con la vibrazione del motore a fare da padrone.

“Uhm… non mi piace”, dichiarò l’autista, con un’espressione poco convinta.

“Neanche a me”, le diede corda Rarity.

“Brbrbrbrbrrb!!”, fece Pinkie, imitando i sussulti del motore.

Twilight girò il chiavino e spense mezzo e luminarie.

Calò il silenzio più assoluto.

I loro occhi si abituarono presto all’oscurità, potendo scorgere il cielo, parzialmente nuvoloso e illuminato da una luna spettrale. Alberi ed arbusti neri come la pece si stagliavano verso una volta quasi violacea, mentre una leggera nebbiolina (in realtà il risultato di erba fermentata che spandeva vapori) aleggiava nei dintorni, donando una parvenza sinistra ad ogni angolo e anfratto.

“Qualcosa non va”, disse Sparkle sottovoce.

“Che intendi?”, domandò Rarity, irrequieta.

“Senti qualcosa?”.

“Uh… no”.

“Appunto. Dove sono i grilli? Siamo in aperta campagna. Dovrebbe sentirsi un brusio decisamente udibile”.

“Ma che ne so io di grilli, cavallette e brusii, scusa??”, sbottò stizzita.

“Io! Io lo so!!”, strillò Pinkie, alzando una zampa, “Metti le cavallette nel distillatore e fai un Gr… Oh… Però non viene…”.

“Shhh!”, sibilò l’unicorno viola, “Taci, schizoide! Sento odore di trappola…”.

Rarity si voltò schifata: “Io invece sento altri tipi di odori provenire da quel campo di… di roba coltivata…”.

“Che facciamo??”, chiese Pinkie, trepidante.

Il proprietario della Chandler ci pensò su: “Non possiamo rimanere qui in eterno. O scendiamo ce ne andiamo”.

“Io non me ne vado senza aver prima saputo cos’è successo al mio Spikuccio taralluccio! E poi voglio anche capire che diavolo vogliono dal mio orsetto dell’amore”.

“Di Hound non me ne frega niente ma anche io voglio sapere cos’è successo a Spike”.

“E allora… scendiamo…”.

“Non mi fido…”.

“E… e che si fa, allora?”.

Un’illuminazione mentale le folgorò all’unisono e uno sguardo d’intesa si dipinse sui rispettivi volti.

Le puledre si girarono all’indietro, inquadrando Pinkie, intenta a dondolare la testa sui lati, preda delle proprie canzoncine.

“Ehm… Pinkieee?”, la richiamò Twilight.

“Sììì??”.

“Pinkie, dolcezza”, incalzò Rarity, “Ci faresti un grosso favore?”.

“Ma certo!”, rispose con gioia.

La puledra bianca aprì il finestrino di qualche centimetro e gettò un rossetto dalla borsetta.

“Mi è caduto il rossetto fuori e ne ho teeeeerribilmente bisogno per le mie labbra!”.

“Oh. Capisco!”.

“Saresti così gentile da uscire, cercarlo e riportarmelo, carissima?”.

L’altra sorrise di nuovo e si portò una zampa alla fronte: “Okie dokie!!”.

Aprì la portiera, la richiuse e scomparve nell’oscurità.

Le due scrutarono il buio dall’abitacolo.

“Ho fatto la cosa giusta?”, chiese la passeggera, voltandosi verso l’amica.

Sparkle si mise comoda: “Nel peggiore dei casi non torna e non dovremo più pagare una barista sbrocca”.

“No intendo… quel rossetto era di marca… Se non lo trovasse o non tornasse indietro come potr…”.

Un tonfo sordo si abbatté sul finestrino e la coppia quasi morì d’infarto.

Pinkie era appiccicata al vetro, premendo con tutta la faccia: “Raaaarity!!”, berciò, “Non ci vedo niente!! E’ buio!”.

“PORCA CELESTIA, PINKIE!!”, ruggì Sparkle, con una mano sul petto e il fiatone, “Che cazzo ti salta in mente, sei scema??”.

“Non lo so! Però me lo chiedono in molti!”.

“Al diavolo!”, concluse l’unicorno viola, “Se ci affidiamo a lei siamo fottute a prescindere”.

E scese, con Rarity che la seguì nell’impresa subito dopo.

“Eewww!!”, farfugliò il pony dagli occhi turchesi, quando le zampe toccarono l’erba bagnata, “Che schifooo!”.

“EHY!!”, urlò Sparkle, facendo conchetta attorno al muso, “LURIDI FIGLI DI PUTTANA!! CI SIETE??”.

“Ma che fai, sei diventata più cretina di questa qui, ora??”, l’aggredì l’amica, cercando di contenerla.

“Mi sono rotta! Se vogliono tenderci una trappola, che lo facciano qui ed ora!”.

“Ma che stai dicendo??”.

“Ho mezzo quintale di esplosivo nel bagagliaio, se provano a fare scherzi li mando dov’è finita Celestia!”.

“Cosa??”, sbottò incredula, “Mi hai fatto viaggiare con chili di esplosivo sotto il culo??”.

“Si chiama misura preventiva, mia cara!”.

“No, si chiama demenza precoce e istinto suicida!”.

Gli animi presero a scaldarsi.

“Cosa vuoi saperne, tu”, continuò Sparkle, “Che non fai altro che maneggiare seta, bigiotteria e al massimo ti buchi con una spilla da balia??”.

Rarity corrugò lo sguardo: “Beh, meglio maneggiare sete pregiate che infilare le zampe nella vulva di una vacca in travaglio, caro dottor barbiere!!”.

“Il parto di un vitello richiede abilità e conoscenze che un pomposo stilista di città non avrà nemmeno se lo iscrivono ad un corso accelerato per cerebrolesi!”.

“Lavati le zampe dall’odore di vacca spanata, la prossima volta che entri nel mio locale, allora!”.

Lo zoccolo viola colpì il petto dell’unicorno bianco.

“Mocciosa viziata!”.

Rarity affondò il muso contro quello dell’altra e i corni si incrociarono.

“Levatrice di vacche e porci!”.

“Puttanella da cabaret!!”.

La stilista sgranò gli occhi e proruppe in un verso di assoluto spiazzamento: “Come… come ti permetti??”.

Pinkie, decisamente felice nel vedere le amiche così intime, prese a canticchiare e saltellare attorno alle due… finchè non si udì uno scatto e una luce abbagliante le investì.

La coppia smise di litigare, proteggendosi gli occhi con le zampe (la puledra rosa, invece, continuò a saltellare incurante).


    Erano i fari di un’auto parcheggiata accanto al granturco.

Di fronte ad essi, appena distinguibile per via dell’improvviso accecamento, si poteva scorgere la silhouette scura di un pony. Il tizio era seduto su qualcosa, presumibilmente una cassa o un barile.

“Oh! Signore mie!”, disse, interpretando una scenetta, “Suvvia, non litigate per così poco!”.

Sparkle continuò a proteggersi il muso dai fari e il suo corno si illuminò istintivamente di magia.

Rarity estrasse la pistola dalla borsa firmata.

Pinkie saltellò e canticchiò.

“Ehy!!”, urlò Twilight, “Chi diavolo sei?? Fatti vedere!”.

Gli occhi delle puledre si abituarono rapidamente al contrasto di luce e un unicorno grigio, dalla chioma raccolta in una coda, apparve dinnanzi a loro.

Il suo sguardo era occultato da un paio di occhialini illuminati dal riflesso dei fari e il muso scolpito in un mezzo sorrisetto strafottente.

Heavy Rain spinse con delicatezza la montatura verso il volto.

“Speravo veniste prima dell’imbrunire”, dichiarò con tranquillità.

“Dimmi chi sei o faccio saltare in aria ogni cosa nel raggio di trenta metri!”.

Rarity parve infastidita: “Oh, guarda che lo fa davvero…”.

L’unicorno alzò leggermente le zampe: “Tranquille, mie care, non c’è nessun motivo per agitarsi tanto. Siamo qui solo per parlare”.

“Le chiacchiere stanno a zero”, concluse la puledra dagli occhi viola, intensificando la magia.

La stilista armò il cane.

Pinkie cambiò canzoncina.

Rain sorrise e allungò una zampa verso il cruscotto del mezzo, un’elegante Mercedes Benz SSK, nera come la notte, e le luci calarono di intensità, permettendo a tutti di vedere con minor sforzo.

In quel momento, Rarity riconobbe il marchio celeste sul fianco dello stallone.

“TU!!”, ruggì, “Riconosco quel simbolo! Tu sei un leccazzocoli del Governo!”.

“Un motivo in più per non ascoltarti e toglierti subito di mezzo”, continuò Twilight.

“Oh? Questo?”, domandò Heavy, scrutando perplesso il proprio posteriore, “Questo simbolo è solo una formalità. Un riconoscimento. Come il cartellino di un medico: ha senso solo se chi lo porta è capace ad usare il bisturi”.

Sparkle iniziò ad innervosirsi: “Senti… Non me ne frega nulla di chi tu sia e di cosa tu voglia parlare. Dicci dov’è Spike”.

“E cosa volete dal mio funghetto amoroso!”.

L’altro rafforzò il sorriso: “Mhh… vedo che la tizia arancione non è venuta. Questo rallenterà un po’ le cose. Ma noto con piacere che la stupenda proprietaria della Carousel Maison è tra noi”.

Rarity corrugò leggermente la fronte.

L’interlocutore continuò: “Lasci che le dica che foto e descrizioni non rendono minimamente l’idea della sua bellezza, eleganza e portamento”.

La puledra non sapeva resistere ai complimenti e sfoderò uno sguardo da femme fatale: “Oh, suvvia… Lei è un adulatore…”.

“No, dico sul serio… I suoi occhi turchesi sono splendidamente incorniciati dalle lunga ciglia dai riflessi cobalto. Il manto d’avorio pare liscio e delicato come seta… E la sua chioma ricorda un mazzo di fiori color malva imbrunito, come quelli che nascono presso i torrenti di montagna…”.

Il pony bianco si stava letteralmente sciogliendo di fronte a quella mole di complimenti quando, d’un tratto, una risata femminile riecheggiò nell’ambiente.

Le due trasalirono (Pinkie manco ci fece caso) e osservarono i dintorni dell’aperta campagna.

Si udì un’altra risata, questa volta proveniente da una direzione differente e un rapido fruscio, accompagnato da uno spostamento d’aria, saettò sopra le loro teste.

“Che cazzo è??”, sbottò Twilight, pronta a disintegrare l’unicorno grigio con un incantesimo.

Qualcosa prese a fendere l’aria attorno a loro ma era troppo buio per riconoscerlo… finché un sibilo acuto, identico ad una lama che si sposta nel vento, non si mosse raso terra, proprio tra i presenti.

Pinkie inciampò casualmente, schivandolo.

Vesna apparve davanti a loro, di schiena: aveva appena compiuto un atterraggio a folle velocità, facendo sibilare le ali ad una spanna dalle loro orecchie. Il pegaso ambrato era vestito con i canonici abiti gitani e le ali erano spalancate: su ogni singola piuma era collocata una tagliente lama scintillante.

La puledra ripiegò le ali, producendo centinaia di tintinnii metallici, e si girò verso le tre, ammiccando con arroganti occhi rubino.

Rarity si accorse di come un piccolo ciuffo dei sue crine fosse caduto a terra, reciso dai piccoli coltelli del pony volante.

“L-la mia criniera!!”, strillò terrorizzata, “LA MIA SPLENDIDA CRINIERA!!”.

Vesna si girò verso Rain e si mosse languidamente verso di lui, sculettando in modo provocante. Le ali continuarono a produrre un rumore analogo ad un sacchetto di monete che veniva agitato.

“Caro…”, gli disse, passandogli uno zoccolo sulla guancia, “Se ti vedo di nuovo flirtare con una lurida puledra d’alto borgo… ti taglio le p…”.

“PULEDRA D’ALTRO BORGO??”, riprese l’altra con energia, “VIANI A DIRMELO QUI E VEDI COME TI CACCIO QUELLE PIUME UNA AD UNA SU PER IL…”.

L’unicorno dalla chioma nera strinse i denti, in visibile imbarazzo: “Ehm… Signore, vi prego, state calme…”.

“Avrà le sue -cose-…”, commentò il pegaso, gettandole un’espressione di sfida, con occhi affilati.

Rarity le puntò l’arma contro.

“Vesna! Ti prego! Sto cercando di intrattenere un dialogo civile”.

La puledra cacciò fuori la lingua e gliela passò per tutta la guancia: “Quello io lo chiamo fare il cascamorto”.

“Vesna… lo sai che c’è una sola puledra importante, nel mondo, per me”.

“Farai meglio a ricordartelo, caro. Io non mi faccio troppi problemi a darci un taglio netto. Se capisci a cosa mi riferisco…”.

Lo stallone le diede un bacio veloce sulle labbra: “Sei stata cristallina, mon amour”.

Sparkle divenne schifata: “Se volete ammazzarci a suon di sdolcinerie e stronzate da romanzo rosa, ci state riuscendo in pieno”.

Vesna si sedette sulle cosce dell’amante e si rivolse al dottore: “Non fare la voce grossa, veterinario. Avrei potuto reciderti il collo in un istante, piuttosto che fare l’entrata ad effetto”.

Pinkie sbucò fuori all’improvviso, sbracciandosi gioiosa: “Me però non mi hai colpita!!”.

Quelle parole sembrarono sgradite alle orecchie del pegaso: “Oh. Tu devi essere quella fuori di testa”, disse.

“Mi chiamo Pinkie Pie!!”.

“Mi hanno detto che tu saresti la responsabile del macello avvenuto in caserma a Counterlot. Ora che ti vedo mi sto chiedendo come tu abbia fatto”.

“Come ho fatto?”, si domandò interdetta, “Così!!”, e, con un gesto rapidissimo, scagliò un coltello verso il pony alato. Vesna sgranò gli occhi, contrasse le labbra e si gettò a terra, schivando per un soffio la lama, che si conficcò nel legno di un albero, fino al manico. Rain aveva il capo all’indietro: anche lui si era visto passare un oggetto tagliente ad un centimetro dal muso.

Il pegaso si rialzò, furibondo, con la criniera arruffata e il muso adirato: “Piccola stronzetta rosa! Come ti permetti??”.

“Uuhhh… mi hai chiesto come ho fatto!”, rispose innocentemente.

“Ora ti recido la carotide!!”, e le balzò addosso, spalancando le ali acuminate verso di lei.

“Sìì! Party!!”, e venne investita dall’altra. Rotolarono nell’oscurità, accompagnate dal clangore di lame e coltelli che si colpiscono tra loro.

L’imbarazzo di Heavy crebbe: “Vogliate perdonare questo… increscioso incidente… Vesna è un po’ troppo… passionale, certe volte…”.

Sparkle alzò le spalle: “Non è un problema. Lasciamole divertire”.

“Ti ammazzo, puttana!!”, udirono alle loro spalle. Alcune lame scintillarono contro un coltello.

“Sììì! Un’altra compagna di coltello-che-bello!!”, fece Pinkie, entusiasta.

Il volto dell’agente governativo divenne  improvvisamente serio: “Ok, basta con le pagliacciate. Veniamo a noi”.

“Non aspettavo altro”, rispose Rarity, prendendo la mira, “Dov’è Spike?”.

“Il vostro amico sta bene”.

L’unicorno viola prese minacciosamente la parola: “Da quello che abbiamo trovato nella lettera non sembrerebbe proprio…”.

“Oh, quello? Erano solo un po’ di scaglie morte e del sangue di pesce. Per essere sicuri che qualcuno sarebbe venuto”.

“Visto??”, domandò Pinkie in lontananza, in mezzo ad un combattimento furibondo, “Te l’avevo detto che era pesce!!”.

“Bene”, rispose Sparkle, “Siamo venute. Ora dicci dov’è il drago”.

“Il drago non è qui. Anzi, sinceramente non so dove sia di preciso. Mica lo abbiamo rapito”.

“Stronzate”, berciò Rarity.

“Madame! Questo linguaggio non si addice proprio alle sue labbra carnose e leggiadre!... Anche se le puledre affascinanti e sboccate mi hanno sempre attratto da morire…”.

“RAIN!!”, ruggì Vesna, in parziale difficoltà contro l’avversario, “Quando ho finito con lei, rimpiangerai di essere nato maschio!!”.

“Piantala con questa farsa”, lo minacciò l’unicorno viola.

“Ve lo ripeto: Spike non è qui e sta bene. Anzi, benissimo. Credo sia andato in centro a godersi un po’ la bella vita”.

“Bella vita?”, domandò la puledra bianca.

“Sì. Lo avete sempre tenuto segregato in una cantina fetente, in mezzo ad alambicchi pericolosi e uno stipendio da fame. Penso che ora si stia rifacendo del tempo perso”.

Gli occhi dello stallone puntarono dritti a quelli della stilista: “…E delle puledre che non si è potuto portare a letto”.

L’altra sembrò non capire.

“Ve l’ho detto: Spike era solo la scusa per farvi venire qui. Quello che ci interessa, in realtà, è…”.

“Grey?...”, buttò lì il pony armato.

“Esatto, madame. Grey Hound, il traditore di Counterlot”.

“Traditore?? Casomai siete stati VOI a tradirlo!”.

“Non ha importanza. Ci interessa il segugio, nient’altro”.

“E perché? Cosa volete da lui?”.

Pinkie e Vesna capitombolarono in mezzo agli interlocutori e poi ripresero a combattere lontano.

“Hound ha causato parecchi disagi al Governo Celeste e il documento sulla prassi da forzatura che è stato pubblicato potrà essere smentito solo da Grey stesso”.

“Ehy”, intervenne la puledra viola, “Avete una mutaforma, usatela per mentire alla stampa, no? Che vi costa?”.

Rain sorrise e non disse nulla: evidentemente c’era qualcosa che non voleva rivelare.

“Non scenderemo mai a patti con i governativi!”, ribadì Rarity.

Heavy scese improvvisamente dalla cassa e si mosse verso le due, che si prepararono ad un contrattacco.

Lo stallone, con il volto sempre occultato dagli occhialini luminosi, si portò a meno di mezzo metro dalla coppia.

“Non avete capito”, disse loro con spaventosa tranquillità, “Il mio non è un consiglio da buoni amici. E’ solo questione di tempo prima che Chrysalis e i suoi agenti vi trovino. Prima che prendano le vostre sembianze. Prima che si intrufolino nelle vostre vite, nelle vostre… famiglie… prima che possano farvi perdere TUTTO ciò a cui tenete, prima ancora di togliervi la vita”.

“Che ci provino!!”, ruggì Sparkle.

“Vuoi davvero che ci provino, Twilight Sparkle? Sorella di Shining Armor, capo della sicurezza pubblica, attualmente collocato presso il dipartimento di Manehatt…”.

Il volto dell’interlocutrice si arricchì di rabbia furiosa: “PROVA A TOCCARE MIO FRATELO E TI AMMAZZO!!”, gli sbraitò, con tutto il fiato che aveva, assolutamente fuori di sé.

Heavy rispose con l’ennesimo sorriso strafottente: “Tuo fratello non è nel mirino. Ma potrà diventarlo presto, se vi rifiuterete di collaborare”.

“Anche se ti consegnassimo il mio batuffolo, sono sicura che non manterrete fede ad una sola parola di quello che dite!”.

“Au contraire, ma chère. Chrysalis ha sempre bisogno di pony capaci e in gamba. Come me. Come voi. Prima di lavorare per lei, io combattevo Chrysalis. Lei ha visto in me potenzialità decisamente elevate ed ora… beh, eccomi qui. E voi non siete da meno: avete affondato i FlimFlam Brothers, contrastato centinaia di gangster armati e… siete praticamente riusciti a penetrare nel cuore della Città Fortezza. Qualcosa che nessuno aveva mai fatto”.

“Ricapitolando”, disse la puledra dagli occhi viola, “Volete che vi consegniamo Hound e, in cambio, ci darete un… lavoro presso il vostro amato Governo?”.

Rarity si rivolse all’amica e scosse il capo: “Non ascoltarlo, Twilight!”.

“Quello che vi propongo è uno scambio: il segugio di Counterlot in cambio di un posto assicurato tra i migliori agenti di Chrysalis. Oltre che… insomma, le solite cose: sesso, soldi, droga e… uh… Noccioline? Io adoro le noccioline…”.

Sparkle divenne pensierosa e la luce sul corno si spense: “Mhh… Fammi capire bene… Tu e il tuo Governo di corrotti mi avete rotto le palle da una vita con i vostri decreti del cazzo, mi avete sguinzagliato contro la Guardie, distrutto il locale, avete rovinato la vita ad uno stallone che, lo ammetto, seppur stronzo lo trovo comunque molto sfortunato… Avete cercato di mettervi in affari con la malavita, ucciso un sacco di innocenti in nome di un ideale fasullo, assassinato un alicorno e provato a far ricadere la colpa su chi non centrava. Ed ora che vi accorgete di avere l’acqua al culo provate a salvare la baracca offrendoci un accordo…”.

Rain corrugò le sopracciglia.

“Sai che ti dico, buffone?”, concluse la puledra, “Che se siete scesi così in basso, dal cercare un accordo piuttosto che un confronto… è perché… avete una paura fottuta di noi. Perché, come hai detto, abbiamo abbattuto gangster pericolosi e quasi sovvertito un governo centenario. E ora ve la state facendo sotto”.

    Una debole risata proruppe dalle labbra dell’unicorno grigio, crescendo poi in modo incontenibile, fino a quasi levargli il fiato.

Le due si osservarono perplesse.

“Oh mamma…”, biascicò, asciugandosi una lacrima, “Voi credete davvero a tutto quello che avete detto? Pensate DAVVERO che vogliamo offrirvi questo accordo perché abbiamo paura di voi?”.

“Beh… io…”, balbettò Sparkle.

Il muso di Heavy divenne serissimo e un’onda d’urto colossale partì dal suo corno.

Le puledre, incluse Vesna e Pinkie, vennero sbalzate a terra: i finestrini della Chandler esplosero e le chiome degli alberi vennero spazzate all’indietro, come se un boato li avesse investiti.

La coppia cercò di riprendersi e vide Heavy Rain, assolutamente imperturbabile, nella stessa posizione di prima: le osservava in modo inespressivo, illuminato dai fari dietro di lui e con gli occhiali che parevano gli occhi luminosi di un mostro.

“Io sto solo eseguendo gli ordini”, disse con tono lapidario, “E gli ordini mi impongono di parlarvi e di non uccidervi. Questa è l’unica ragione per cui siete ancora vive e non un liquido rossastro spalmato sulle cortecce degli alberi”.

Twilight, che un po’ di magia ne capiva, deglutì terrorizzata.

“Ve lo chiedo un’ultima volta. Volete gentilmente consegnarci o dirci dove si trova il Segugio di Counterlot?”.

“Mai!!”, urlò Rarity.

Sparkle, tuttavia, fu molto più titubante a rispondere e si limitò a scuotere timidamente il capo, intimorita dall’avversario.

L’aura di potere attorno all’unicorno parve assopirsi all’improvviso, unitamente ad un ritrovato sorriso di Rain: “Capisco! Beh, si chiama libero arbitrio, no? Ero scettico anche io ma ho comunque voluto chiedervelo!”.

Le due ammutolirono.

Heavy si girò verso la propria compagna: “Vesna! Smettila di giocare! Ce ne andiamo!”.

Il pegaso quasi non lo sentì, assolutamente coinvolto nella mischia con la barista.

Le due continuavano a danzare tra loro: la puledra color dell’ambra roteava su se stessa come un derviscio, sfruttando le ali taglienti come se fossero un mantello di lame liquide. Un vero spettacolo.

Ma anche l’altra non era da meno, destreggiandosi in evoluzioni sconclusionate ma assolutamente efficaci.

La gitana prese a ridere di follia finché decise di concludere lo scontro: vide uno spiraglio nella difesa del pony rosa e la attaccò con entrambe le ali, provando ad affettarla in due.

Pinkie, tuttavia, seguì come al solito l’istinto e balzò in aria, poggiando poi le zampe posteriori sulle ali protese. Con uno zoccolo anteriore puntò la lama verso la fronte del pegaso.

Vesna rimase sbalordita: alzò gli occhi verso di lei… e vide qualcosa che le causò una strana sensazione.

Pinkie era eretta su di lei, con la luna spettrale ad incorniciarla: la sua criniera era liscia e gli occhi trasudavano spaventosa follia. Sorrideva a denti stretti.

Un’emozione indescrivibile pervase il petto del pony dagli occhi di fiamma.

Un calore… un’attrazione irresistibile…

“Sei… sei stupenda”, bisbigliò, come ammaliata.

“Vesna!”, ripeté il compagno, riportandola alla realtà.

La puledra abbassò le ali e Pinkie cadde a terra.

“Ahio! Ehy! Che fai? Te ne vai??”, domandò sconsolata.

L’altra le diede le spalle, nascondendo un certo dispiacere. Si fermò per un istante e poi si diresse verso la Mercedes, prendendo posto come passeggero.

L’unicorno si mise alla guida, intensificò i fari e accese il mezzo.

“Scusate per avervi fatto perdere tempo”, disse Heavy con un sorriso accomodante, “Vi assicuro che non accadrà più”.

E sgommò via.


    Le tre si riunirono e stettero ad osservare la macchina, finché le luci dei fari non scomparvero oltre un avvallamento.

“Ah!”, sbottò Rarity, “Guarda te che cafone! Venire qui e dirci cosa dobbiamo fare con il mio barboncino dell’amore!”.

Sparkle rimase in silenzio. Qualcosa la infastidiva dall’interno, come se percepisse di aver commesso un grave errore.

“Uffa!”, disse Pinkie, “Proprio ora che ci stavamo divertendo tanto!”.

La stilista si accorse che qualcosa, nell’amica, non andava affatto.

“Ehm… Twilight? Va… va tutto bene?”.

“Sì…”, rispose mollemente.

“Mhh… A me non sembra. Sei triste perché non abbiamo trovato Spike?”.

“Anche… Però… C’è una cosa…”.

“Cosa?”.

“Quel… quell’unicorno…”.

“Ah! Che cafone!”, mentì, riportando alla mente i complimenti che le aveva rivolto.

“Quel tizio…”, continuò, “Ha… ha un grande potere”.

“Ah! Amica mia! Non è nulla, se confrontato a ciò che abbiamo affrontato e superato tutte assieme, fino ad oggi!”.

“Forse… forse hai ragione…”, ammise, ancora un po’ scettica.

Il pony rosa, intanto, si era avvicinato al campo di granturco, incuriosita, mettendo il muso al di là dei lunghi gambi delle piante.

“Uuhhh! Qui c’è stato un party!!”, disse trepidante.

Le amiche la raggiunsero e superarono anch’esse il muro di mais.

I loro volti si bloccarono in un’espressione indescrivibile.

Il campo di grano era quasi del tutto bruciato. La luna illuminava appena il terreno, su cui erano disseminati decine e decine di corpi privi di vita: contadini e bifolchi armati di forconi e doppiette. Il caseggiato in lontananza era ridotto ad un cumulo di assi bruciati e un vago odore di barbeque si mischiava a quello del letame usato per la concimazione.

Alcuni corpi erano trivellati di proiettili, altri inceneriti e altri ancora ricoperti da profondi tagli.

Rarity sembrò perdere di sicurezza e trattenne un conato di vomito.

Le paure di Twilight vennero rafforzate da tale visione: “Non lo so, Rarity… Spero davvero che sia stata la scelta giusta…”.


    Ormai lontani, intanto, i due agenti governativi si dirigevano verso la Città Fortezza.

Il pegaso era appoggiato tristemente ad un bracciolo, con la chioma mossa all’indietro dal vento.

“Vesna. Di solito non sei così taciturna”, disse Rain.

“Mh? Oh, non è niente”, minimizzò, cercando di non pensare a come si era concluso lo scontro.

“Non me la conti giusta”.

“Sto pensando a come tagliarti quell’affare che hai tra le gambe, per aver flirtato ripetutamente con quella troietta di città”, mentì.

“Dai, cara. Lo sai che per me esisti solo tu”.

La puledra gli lanciò un’occhiata lasciva: “Mhh… ho l’adrenalina a mille… Stasera ho bisogno di sfogarmi…”.

“Ancora? Abbiamo fatto fuori qualche dozzina di contadini armati e tu hai giocato con quella tizia rosa. Non ti è bastato?”.

“No”, ammise, “Non mi hai lasciato finire lo scontro…”.

“Gli ordini sono ordini”.

“Ora voglio sfogarmi in altro modo”, dichiarò sensualmente.

Gli passò una zampa sul fianco.

“Vesna…”.

Con un rapido gesto, gli sfilò il portafogli da una piccola sacca con cintura.

“Ehy!”, sbottò l’altro.

Il pony dagli occhi rossi rise come una scolaretta: “Voglio andare ad ubriacarmi in qualche speakeasy!”.

“Con i miei soldi?”.

“Oh, non fare il taccagno. Guarda piuttosto cos’ho qui…”.

Il pegaso si passò lo zoccolo sotto il vestito e tirò fuori una manciata di crine viola.

Heavy li osservò con la coda dell’occhio, senza schiodare l’attenzione dalla strada.

“Mhh… Ma brava…”.

“Presi quando sono planata a terra. L’ho fatto solo per quello che sai. Se ti becco a fare porcate feticiste, tipo annusarli o costruirci una bambola, questa volta ti giuro che rimarrai evirato sul serio”.

“Tranquilla, cara. Servirà per una cosa soltanto. La fidanzata di quel pagliaccio ci condurrà dritti a lui. La magia non è un’opinione”.


*** ***** ***


    Isaak si mosse lentamente verso la radio a valvole, passando incurante d’innanzi ad Octavia.

La musicista mise le zampe conserte e lo guardò con aria di sufficienza.

“Prego. Fa pure come se fossi a casa tua, bestione…”, gli disse.

L’altro si avvicinò all’apparecchio e prese a smanettare sui controlli, ignorando totalmente la presenza del pony grigio.

La puledra mantenne la calma: “Ehy. La buona educazione non è d’obbligo in mezzo ad un assalto armato ma… se non te ne fossi accorto stavo ascoltando della buona musica e…”.

“Nuò”.

“Cosa?”, domandò irritata.

“Nuò. Niente buona musica. Io ora cerca stazione di trasmissione RPR”.

“RPR?...”.

“Dà. Radio Piazza Rossa”.

Il pony dagli occhi viola rise, cercando di celare la propria frustrazione. Chiuse lepalpebre e gesticolò appena con gli zoccoli: “Ok, senti: ti do dieci secondi per abbassare le tue zampacce dalla radio, girarti ed andartene”.

Lo stallone continuò ad ignorarla, concentrato nel cambiare le varie stazioni.

Fuori, intanto, si udivano altri spari: la battaglia stava andando avanti.

La mente analitica della gangster conteggiò dieci secondi esatti, quindi prese una coppia di coltelli dal bancone della cucina.

“Tempo scaduto”.

Il pony fece una rapida capriola in avanti e, ad evoluzione completata, serrò le lame sul collo del tizio sovietico.

Diede un colpo di reni e si riportò dal punto di partenza.

E qualcosa, in lei, vacillò.

    Si sarebbe aspettata di vederlo accasciarsi a terra.

Perché non poteva aver sbagliato punto: proprio tra la terza e la quarta vertebra cervicale, come sapeva fare ormai alla perfezione. Un colpo del genere avrebbe ammazzato chiunque all’istante.

Ma il pony era ancora lì. Ancora intento a muovere i pomelli. E con due lame conficcate nel collo.

Ci pensò un attimo: in effetti aveva percepito una notevole resistenza al momento dell’affondo, come se stesse cercando di pugnalare un ciocco di legno… e quel collo era spaventosamente massiccio e muscoloso.

Isaak nemmeno si voltò: sollevò uno zoccolo ed estrasse le lame come se fossero stuzzicadenti, senza fare una piega. Le armi tintinnarono sul parquet, spandendo appena qualche goccia di sangue.

Octavia rimase perplessa. Afferrò un altro coltello e si massaggiò il mento, assorta in qualche ragionamento.

“Ehy…”, disse ad un certo punto, “Ehy! Parlo con te! Puoi girarti un attimo, per favore?”.

“Quosa vuoi?”, esclamò il pony fulvo, puntando gli occhi glaciali su di lei.

La puledra lanciò il coltello, che impattò di punta contro la fronte del colosso, rimbalzando via e lasciandogli appena un forellino. La lama, sull’osso, produsse un suono simile a due pietre che si scontrano.

“Amico… di cosa sei fatto?”, domandò pensierosa.

L’altro si girò nuovamente verso la radio: “Ossatura pesante. Ora smettila di dare fastidio, zanzara fatidiuosa”.

“Zanzara?...”.

Non le piaceva granché quel nomignolo e, questa volta, afferrò un attizzatoio dal caminetto.

Lo puntellò lungo il braccio, come se fosse un giavellotto, e lo scagliò contro l’avversario, conficcandoglielo nella schiena.

Isaak sbuffò. Estrasse l’arma con una certa fatica (era così grosso che quasi non riusciva ad arrivare alla schiena) e fece scrocchiare le ossa del collo.

“Ora buasta. Mi hai stanquato”.

Octavia si mise in postura di combattimento: “Finalmente mi degni di un po’ d’attenzione…”.

Ma la spavalderia della musicista vacillò improvvisamente: il pony sovietico infilò le zampe sotto il cappottone ed estrasse due enormi attrezzi da lavoro, incrociandoli davanti a sé.

L’altra capì che quel bestione o era un esperto oppure un matto. O entrambe le cose…

“Teraz môžete rozdrviť, komára!!”, ruggì Isaak, caricando il martello verso di lei.

Octavia vide mezzo quintale di ghisa saettarle contro. Aspettò il momento giusto e si gettò di lato.

L’arma fece tremare il pavimento e formò un buco nel legno.

Compì una rapida giravolta e lo tempestò con due zoccolate alle giunture… senza sortire alcun effetto.

Isaak si voltò verso di lei, con terrificanti occhi di ghiaccio. Incrociò di nuovo gli oggetti, quasi fosse l’usanza di creare un simbolo da lui amato.

La puledra iniziò a dubitare dell’esito del combattimento.

Si gettò all’indietro, caricando un altro balzo, e gli volò addosso, generando una raffica di colpi sul muso. Lo stallone incassò senza nemmeno provare a schivarli.

La musicista tornò sul parquet, lo osservò esterrefatta e si prodigò infine in un attacco tipicamente bandito dalle discipline marziali: gli rifilò un calcio a livello dei genitali.

Il colpo impattò duramente e Octavia si sentì, per la prima volta in vita sua, completamente inefficace.

“Io ha palle di acciaio!!”, ruggì Isaak, preparando un altro colpo di martello.

Questa volta, completamente inebetita da un simile nemico, non riuscì a schivare l’attacco.

L’utensile la investì in pieno, facendola volare per tutto il salotto: il corpo grigio sfondò un armadio e parte dell’arredamento si infranse e cadde a terra.

La gangster si raggomitolò su se stessa, dolorante. Si strinse il petto e sputò bava acida. Tossì per svariati secondi.

Il tizio barbuto scrocchiò qualche altra giuntura e prese a marciare inesorabilmente verso l’avversario, pronto a sbriciolarla sotto i propri colpi.

La sventurata cercò di riprendersi, con enorme fatica. Riuscì appena ad alzare gli occhi e inquadrare il martello sollevato.

“Zomrieť, kapitalistickej umelca!”.

La puledra chiuse gli occhi.

E un treno alla carica arrivò per salvarla.


    Bic Macintosh giunse galoppando e schiantò una zampa dritta contro il volto di Isaak, che a momenti non perse l’equilibrio.

Allo stallone rosso sembrò di aver preso a pugni un blocco di granito.

Fece sventolare lo zoccolo a mezz’aria, dolorante, e gettò uno sguardo verso la violoncellista, apparentemente priva di sensi.

Il pony fulvo, invece, puntò gli occhi glaciali verso il nuovo arrivato, con un rivolo di sangue che sgorgò da una narice.

Bic Mac sorrise amaramente: un colpo del genere avrebbe sfracassato il cranio di chiunque (come succedeva di solito) ma… evidentemente… quello era fatto di un’altra pasta.

“Tu intromesso in mia prevedenia”, gli disse solennemente.

I due bestioni si misero uno d’innanzi all’altro. Macintosh era grosso ma Isaak lo superava di almeno due spanne in altezza e ancor più in corporatura.

Il proprietario della tenuta non aveva mai incontrato qualcuno più grosso di lui, fino a quel giorno.

“Entri in casa mia e pensi di fare tutto quello che ti pare, stronzo sovietico?”, gli intimò.

“In mia Madre Patria, non esiste concetto di proprietà privuata”.

“Ma qui non siamo nella tua Madre Patria. Qui siamo in casa mia. Nella tenuta Apple. E, finché sarà così, dovrai sottostare a quello che ti dico”. Fece scrocchiare la zampe tra loro.

I due si avvicinarono pericolosamente: “Io no accetta ordini da borghese proprietario terrierio”.

“E’ un vero peccato…”, e gli rifilò una testata apocalittica.

Ma l’effetto non fu quello desiderato.

Il pony con le lentiggini sentì come una campana risuonargli nella testa e fece qualche passo all’indietro, rintronato.

Isaak sollevò il martello: “Mio turno!”.

Il corpo di Bic Macintosh sfondò una finestra e volò dritto nel cortine, trascinando e travolgendo tutto l’arredo che trovò lungo il tragitto.

Si alzò dolorosamente da terra, facendo cadere detriti e cocci di vetro che gli erano finiti addosso.

L’avversario ampliò il buco che si era appena formato, spaccando parte della parete residua, manco lavorasse per un’impressa di demolizioni.

Il primogenito della famiglia si rese conto che non avrebbe avuto grosse chances a zampe nude e la sua attenzione venne attirata dal capanno degli attrezzi. Isaak si limitò a camminare verso di lui e così ebbe tutto il tempo per entrare nel ripostiglio esterno e armarsi con ciò che trovò.

Emerse brandeggiando un forcone in una zampa e un’accetta nell’altra.

Quando il nemico lo vide, esclamò: “Bravuo! Usare oggetti di lavoro e fatica ti rende onuore!”.

“Sta zitto. Ho lavorato nei campi da quando ero un puledrino di pochi anni”.

“Ah!”, ammise Isaak, facendo volteggiare falce e martello e avvicinandosi sempre di più, “Si vede che tuo è corpo di chi è cresciuto in campi! Ma non puoi nulla contro kosák a kladivo”.

“Nella mia tenuta…”, ruggì Macintosh, preparando il forcone, “Si parla cristiano!!”.

L’arma si mosse verso il colosso e venne intercettata dalla falce, quindi deviata verso il terreno. Il pony fulvo usò l’altra zampa per aggredirlo a suon di martello. L’incavo dell’ascia colpì il manico del maglio.

I due iniziarono quindi una terrificante prova di resistenza: le armi erano incastrate tra loro e i muscoli fremevano e tremavano. Bic Mac pensò di non farcela ma strinse i denti e il suo muso si appiccicò a quello barbuto dell’invasore.

“Lotti con coruaggio. Ma è tutto inutile”.

“Cosa vuole saperne uno che picchia puledre, di coraggio?”, lo istigò lo stallone rosso, iniziando a sudare per davvero.

“In mia Madre Patria puledre sono grosse come bue e due volte più pelose”.

“Peccato che io non sia una puledra, allora”.

I due ebbero un sussulto e si separarono all’improvviso.

Isaak incrociò nuovamente le armi.

Big Mac decise di non pensare e i due si fronteggiarono in una pericolosa zuffa a suon di utensili da manovalanza.

Attorno alla tenuta erano visibili diversi cadaveri: alcuni erano agenti di Discord, altri mutaforma di Chrysalis. Poco lontano, utilizzando i meleti a mo’ di copertura, i superstiti continuavano a darsi battaglia con le armi da fuoco.

All’interno della casa, dopo parecchi minuti, Octavia riprese finalmente i sensi.

Alzò lo sguardo, vedendo tutto doppio e sfocato.

“C-che… che cazzo è stato?...”, balbettò, senza fiato in corpo, “M… mi ha colpito un anticarro?...”.

Cercò di rimettersi su quattro zampe ma il dolore al petto la costrinse ulteriormente a terra.

“Merda… Mi sa che ho… qualche costola incrinata…”.

La sua attenzione venne quindi attirata da due figure che passarono rapidamente davanti ad un enorme foro nel muro.

“M-Macintosh?”.

La vista era ancora confusa: si concentrò e mise a fuoco le immagini.

E ciò che vide non le piacque per niente.

Di fronte a lei, sul parquet non molto lontano, la custodia del suo violoncello era aperta in due.

La musicista avvertì un tuffo al cuore. Ignorò completamente il dolore e si trascinò gattoni verso il suo strumento, con affanno crescente. Buttò di lato il contenitore, portandosi poi le zampe al muso.

Il violoncello era in mille pezzi. Il volo di Mac attraverso la finestra era bastato a disintegrare anche quello.

La puledra allungò gli zoccoli tremanti verso i resti legnosi.

Il suo volto di dipinse di pura sofferenza e dolore: qualcosa che non rese minimamente l’idea di cosa stesse provando in realtà dentro di sé.

“N-no…”, farfugliò, con voce strozzata.

Scostò alcune schegge, rivelando un grosso pezzo di legno lavorato, proprio quello con l’elegante scritta ‘Octavia’ su di esso.

“No…”.

Le lacrime solcarono le sue guance. Si buttò sui resti, contraendo i muscoli facciali in una smorfia dettata dal pianto.

“No… no…”.

    La falce si incastrò nel tridente del forcone e il martello venne portato indietro, preparandosi all’attacco successivo. Tanto bastò a Big Mac per decidere di giocarsi il tutto per tutto.

Abbatté l’accetta contro il quarto posteriore del nemico, con tutta la forza che aveva. La lama si conficcò nel muscolo, generando alcuni schizzi di sangue.

“Questo dovrà sentirlo per forza!”, pensò.

Ma non sembrò affatto…

Isaak abbassò il maglio sull’asta del forcone, spezzandolo e liberando la zampa con la falce.

Lo stallone rosso rimase sbigottito e il pony barbuto ne approfittò per gettarlo a terra con una poderosa spallata. Estrasse quindi l’accetta e la buttò lontano.

Mac cadde di schiena e cercò subito di rialzarsi… ma la mole del sovietico glielo impedì: mise una zampa posteriore sul petto del mezzadro. L’altro sentì i polmoni schiacciarsi all’inverosimile e, in meno di un istante, si ritrovò in apnea.

Cercò di divincolarsi, colpendolo addirittura sulla ferita alla zampa… ma Isaak non si mosse di un millimetro.

“Complimuenti di nuovo. Ti batti con onuore. Ma devi sapere che, in mia Madre Patria, sono stato allevato nella steppa ghiacciata e messo subito a lavuorare. Di giorno nei campi congelati, di notte nelle fonderie con mio padre. Freddo, caldo. Freddo, caldo. Penso che tutto quello mi abbia davvuero temprato”.

Big Macintosh cercò di inveirgli contro ma non aveva più un filo d’aria in corpo.

Stella Rossa decise che era il momento di concludere: sollevò il martellone e mirò dritto al volto dell’avversario.

“Dasvidania…”, gli disse.

    Un urlo disperato fece capolino e Octavia gli piombo addosso come una furia, saltandogli sulla schiena. Tra le zampe teneva le corde del violoncello, intrecciate tra loro: le fece rapidamente passare attorno al collo del colosso e poi distese completamente i muscoli, puntellandosi sulla sua schiena massiccia tramite le zampe posteriori. Cercò, insomma, di garrottarlo con tutta la forza che aveva. Ed era sufficientemente sconvolta da provare anche la cosa più pericolosa.

Isaak oscillò all’indietro: “S-stupida… femmina!”, berciò, senza riuscire a scollarsela di dosso.

“IL MIO VIOLONCELLO!! IL MIO VIOLONCELLO, FIGLIO DI PUTTANA!!”.

“Spinavý komár! Dole!”.

Lo stallone cominciò a dimenarsi, mentre Octavia strinse corde e denti, piangente e totalmente rabbiosa.

La cavalcatura improvvisata fece alcune giravolte e caricò infine verso parete della casa, schiacciando la puledra tra la sua mole e i mattoni.

L’altra non cedette. Una linea di sangue le uscì dalla gengive.

Strinse al massimo la presa, costringendo Isaak in una cieca marcia all’indietro.

“Tua cordicella è inutile, fena!!”.

“CORDICELLA UN CAZZO!!”.

Il pony dagli occhi viola lo condusse esattamente dove voleva: lo stallone urtò inavvertitamente il bordo in pietra del pozzo. Sgranò gli occhi… e perse l’equilibrio.

Octavia rilasciò la presa e si tuffò di lato, un attimo prima che Isaak precipitasse nel foro, di schiena, lanciando improperi in lingua natia. Un tonfo nell’acqua annunciò la fine della caduta.

“Fena!! Ze ho zastaviť??”, berciò, facendo risuonare la propria voce.

“Ora ti faccio tacere io, schifoso bastardo!!”, replicò la gangster.

Si guardò attorno, notando quindi qualcosa di metallico sotto la giacca di un sicario defunto. Andò rapidamente a recuperare l’oggetto e fece ritorno al pozzo. Sollevò la zampa. Una spoletta volò via… e la granata venne lanciata nell’imboccatura.

L’ordigno atterrò dritto sul capo del pony.

“Gettuarmi sassi addosso non vi salv… Oh… ma questuo…”.

Octavia si affacciò giusto un istante: “Dasvidania, stronzo!!”.

“…Hovno...”, concluse Isaak, con voce atona.

La granata deflagrò, spedendo spruzzi d’acqua fino ad un paio di metri dall’orlo.

I goccioloni ricaddero pesantemente al suolo, come una pioggia.

La musicista si scostò. Aveva il fiatone ed era visibilmente provata.

Si mise le zampe tra i crine, chiuse gli occhi e proruppe in un urlo disperato e straziante verso il cielo.

Un urlo che riecheggiò quasi ovunque.

    Macintosh sopraggiunse poco dopo.

“O-Octavia?? Stai bene?”, domandò preoccupato.

L’amica si strinse nelle spalle e prese a ciondolare avanti e indietro, ricominciando a piangere.

Lo stallone non seppe come reagire.

“Cosa… cos’è successo? Stai bene? Sei… sei ferita?”.

“Il… il mio violoncello…”, farfugliò tra i singhiozzi.

“Il… il tuo violoncello?”, domandò, prima di rendersi conto di cosa fosse realmente successo.

Per un istante, entrambi pensarono che fosse tutto finito.

Ma… certe cose sono dure a morire.

    Dal pozzo provennero dei rumori metallici.

I due si voltarono sconcertati.

Il tintinnare divenne sempre più vicino e udibile, come una piccozza che si abbatteva ritmicamente sulla roccia.

“N… non può essere…”, disse la puledra, scuotendo il capo.

La lama del falcetto comparve dal foro, agganciandosi all’estremità della pietra.

E Isaak parve resuscitare dalla tomba.

Contemporaneamente, la radio lontana, ancora accesa, iniziò a trasmettere il coro di Vdol’ po Piterskoy.

Il pony barbuto emerse al rallentatore, accompagnato dal coro russo. Dapprima comparve il colbacco con la stella rossa, appena bruciacchiato… poi i suoi occhi terrificanti, simili a sfere di ghiaccio. Rivoli di sangue scendevano copiosi dalla fronte. L’acqua gocciolava dal cappello, dalla barba e dal corpo intero.

Octavia si bloccò, provando un terrore eguagliato solo dal primo incontro che ebbe con Pinkie. Anche Macintosh non riuscì a trattenere un’espressione di paura.

“Quello non è un pony”, ammise sottovoce, “Quello è un fottuto carro semovente…”.

Le zampe posteriori del nemico si posarono sul terreno, con un tonfo sordo.

Isaak incrociò le armi, riassumendo quella postura da battaglia che poteva solo significare altri guai. Lo sguardo era imperturbabile: lo sguardo di qualcuno che sapeva davvero il fatto suo.

Ma… forse era stato troppo anche per lui.

Le ginocchia gli tremarono e si trovò piegato in due sull’erba.

Botte, coltelli, un’accetta… e infine una granata… Forse, per quel pomeriggio, potevano bastare.

Il pony rialzò lo sguardo verso i due, trasmettendo rabbia e odio crescenti… ma anche un certo desiderio di evitare lo scontro, almeno per il momento.

Si issò dolorosamente sulle proprie zampe, rinfoderò le armi e poi, aspirando ettolitri d’aria, tuonò: “TOVARISH!! Ritirata strategiqua!!”, e si allontanò al galoppo (strategica… perché annunciare una fuga non era decisamente degno di un sovietico della Madre Patria).

I sottoposti superstiti videro il loro capo darsela a zampe levate e non tardarono ad imitarne l’esempio, sganciandosi dagli sporadici scontri a fuoco ancora in atto.

Ci furono quindi gli ultimi spari di pistola lontani e, dopo ancora qualche minuto… tutto era finito. Questa volta per davvero.


    Mac scosse il capo, cercando di riprendersi da quanto aveva visto: una sorta di macchina della morte sovietica. Roba da far accapponare il pelo.

Octavia, intanto, era seduta a terra, preda dei singulti di un pianto appena superato. Il volto, tuttavia, era ancora bloccato nella propria struggente sofferenza.

Lo stallone controllò che non ci fosse nessuno nei paraggi e si avvicinò quindi all’amica.

“Uh… Lo… lo so che te l’ho già chiesto ma… S-stai bene?”.

L’altra non disse o fece nulla.

Lo stallone si girò verso il buco nel muro: “Uhm… I-io… mi… mi dispiace… credo di averlo travolto quando Maciste mi ha colpito col martello…”.

La musicista chiuse le palpebre e alcuni goccioloni sgorgarono dai bordi. Il mento colava sangue.

I due rimasero in silenzio.

Il pony rosso cercò di spingersi in un universo sociale che aveva sempre tenuto lontano e si sedette accanto a lei.

Buttò il muso verso il cielo, un po’ nervoso.

Si schiarì la voce: “Era… era molto speciale, vero?”.

L’altra si asciugò un po’ di muco e annuì.

Il compagno raccolse altro coraggio: “…Qualcosa di importante… Legato ai ricordi, immagino… Un po’… un po’ come il mio primo Tommygun, vero?”.

La puledra annuì di nuovo.

Macintosh sospirò. Poi, all’improvviso, parve preda di qualche strana idea.

Si alzò, dirigendosi verso l’uscio della casa, prese un oggetto e fece ritorno da Octavia. Tra le zampe teneva un vecchio banjo dalle corde arricciate.

“Uuh…”, farfugliò porgendoglielo, “Io… io non me ne intendo molto di… roba musicale… Non so manco come si chiami ‘sto affare. Però… però era di mio nonno… Lo suonava sempre. Ci… ci era molto affezionato. Non so se sia come il… coso che avevi tu… il… insomma, il limoncello o come si chiama…”.

L’altra drizzò le orecchie e girò la testa verso l’interlocutore, quasi non credesse alle sue parole. Esaminò quindi attentamente l’oggetto e lo prese delicatamente tra le zampe. Lo scrutò, lo accarezzò appena con uno zoccolo: era vecchio, pieno di graffi e decisamente usurato. Uno strumento vissuto. Notò quindi una piccola incisione, quasi cancellata dal tempo: probabilmente l’aveva apportata il proprietario... la firma personale.

“Se… se ti sembra una stronzata…”, continuò Mac, massaggiandosi la criniera, “Puoi… puoi anche spaccarmelo in testa, se vuoi…”.

Il visto dell’amica si dipinse di un incontenibile sorriso. Strinse il banjo al petto, quasi fosse un cimelio e proruppe in un altro lieve pianto, questa volta di commozione.

Si alzò lentamente, avvicinandosi allo stallone e poggiando le labbra contro le sue.

Mac strabuzzò gli occhi, un istante prima che la compositrice si allontanasse sorridente, con lo strumento stretto al fianco, tramite la tracolla.


    Il pony dagli occhi verdi la osservò dirigersi verso la tenuta, entrare e richiudere la porta dietro di sé… non prima di lanciargli un’ultima occhiata… accompagnata da un dolcissimo sorriso.

Emise un fischio e si slacciò la cravatta al collo.

“Però…”, ammise.

Un bastone volante gli arrivò dritto in testa.

“Aò!!”, urlò, portando uno zoccolo verso la zona colpita.

Granny Smith, dalla finestra al secondo piano, agitò una zampa nell’aria. “Ti ho detto che le sosserie devi farle da un’altra parte, maiale!!”.

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Capitolo 6
*** Dolore dal Passato ***


Non ne sono convinto.

Osservo il mazzo di fiori tra le mie zampe.

Tre petunie, dieci calendule e una bellissima orchidea bianca.

Alzo lo sguardo. C’è luce ovunque. Sembra che qualcuno abbia aumentato il contrasto di ciò che mi circonda.

E’ tutto così… vago… indefinito… Eppure questa luce accecante che filtra dalle finestre è così… così…

Bella.


Sono nel negozio di fiori. Oggi non ci sono molti clienti, per cui voglio dedicarmi in santa pace a questa composizione. Disfo il bouquet.

Sbuffo sommessamente.

Sono dietro al bancone con la cassa. La stanza è enorme, molto più di come me la ricordassi ieri. Ed è piena di fiori e altre piante ornamentali.

Normalmente non mi azzarderei ad usare il materiale in esposizione per composizioni personali… ma questi ho intenzione di pagarli, anche se non ho quasi un soldo.

Se lo merita…

Anzi…

Si meriterebbe molto di più.


Dispongo ordinatamente i fiori sul tavolo.

Mi gratto il mento.

Cavolo! Non può essere così difficile!

Dieci calendule, tre orchidee e… no.

Una calendula, dieci orchidee e… Cosa? Dieci orchidee? Stiamo scherzando? Non riuscirò a pagarne manco la metà.

Dannazione.

Sento il campanello dell’ingresso tintinnare.

Alzo lo sguardo e… la vedo.


Lei è lì.

Di fronte a me. Sorridente.

Un sorriso che farebbe sciogliere persino le pietre.

Mi sorride. La luce attorno pare intensificarsi.

Il mio petto… si muove. Sento un fuoco all’altezza del cuore.

E lei… Lei sorride.

“Ciao, Hound”, mi dice soavemente.

Farfuglio qualcosa senza senso.

Coraline resta sull’uscio, aspettando qualcosa.

“Beh? Rimani lì, così? E in questo modo con cui accogli i clienti?”.

“Eh??”, esclamo all’improvviso, “C-cosa? No! No…”.

Bravo scemo. Stattene inebetito davanti a lei. E’ così che le farai capire quanto è speciale…

“Allora?”, mi domanda.

“A-allora? Ah! Sì, io…”.

Racchiudo rapidamente i fiori in un mazzo sconnesso e glielo porgo, decisamente agitato.

Alcuni sono a testa in giù, altri spezzati e altri ancora con qualche petalo in meno.

Bravo scemo: bis.

Lei si mette timidamente una zampa sul muso e cerca di trattenere una risata.

“Oh, dannazione!”, esclamo seccato, “Io… cioè… questo…”.

“Poveri fiori…”, commenta, togliendoli delicatamente dal mio zoccolo e portandoli in un vaso di vetro con un dell’acqua, “Ecco. Mettili qui. Vivranno un po’ di più”.

Porta il suo sguardo verso il mio.

Per la miseria… i suoi occhi… risplendono come due pietre turchesi…

“Hound… preferisco quando vi ordinano dei fiori in vaso, sai? Non… non mi va che vengano strappati dal terreno, per poi marcire dimenticati dopo un regalo…”.

Bravo scemo: ho perso il conto. Hai azzeccato proprio il regalo da farle, allora. Bel modo di festeggiare sei mesi assieme.

“Uuhhh… io…”, biascico imbarazzato, “Io… io non…”.

Lei… sorride. Io mi placo immediatamente. Mi sfiora la zampa con la sua.

“Ehy… Tranquillo, mio fulvo puledro… vieni con me…”.


Sbatto le palpebre. Siamo in un grosso giardino in centro.

Figure vaghe e indistinte passeggiano attorno a noi.

Il cielo è azzurro, con giusto qualche nuvola. La luce è molto intensa, proprio come nel negozio. Tutti i colori sembrano mille volte più brillanti: il verde dell’erba e delle foglie, la vernice delle macchine, gli abiti di Coraline e… l’azzurro dei suoi occhi.

“Vedi?”, mi domanda, “Guarda là”.

Scorgo alcuni puntini bianchi sul manto erboso. Lei mi tiene a braccetto.

“Uuhhh… Quelle sono… margherite?”.

“Esatto!”, afferma con gioia, “Non ti sembrano bellissime??”.

“Ah. Sì. Certo”dichiaro, poco convinto.

Il volto della mia compagna si fa imbronciato: “Ehy, non dire una cosa se non sei sincero! Non mi piace essere presa in giro!”.

“M-ma… io non ti sto prendendo in giro!”.

“Non sei sincero, Grey!”, e mi rifila una gomitata allo stomaco, dannata puledra.

Quanto mi piace.

“Non è che… che non sia sincero… Ma… ecco: tra tutti i fiori che potevo regalarti dal negozio in cui lavoro… insomma… le margherite?”.

“Sì!”, ribatte trepidante, “E’… è una cosa un po’ strana, in effetti! Tutti pensano sempre ai fiori belli e costosi: quei fiori che solo a vederli penseresti ad una bellezza indiscutibile… Ma… invece, le margherite… Loro quasi nessuno le considera... Al massimo strappano loro i petali sospirando frasi d’amore. Eppure sono comunque così belle… Nella loro semplicità… Le vedi? Il cuore giallo dorato… la corona di petali bianco avorio… Sono… perfette”.

Spostai il volto incredulo verso le piante in questione.

Erano davvero così speciali?

Le guardai meglio.

E quindi…

Capii.


Capii che, tra tutti i fiori del mondo, le margherite erano le più belle.

Non perché fossero dotate di trame sgargianti o profumi particolari.

Solo che… a lei piacevano. E tutto ciò che lei descriveva diveniva improvvisamente caldo e stupendo, per me.

Era come se ogni cosa che lei guardasse o toccasse… venisse poi infusa in un’essenza di tiepida seta.

Non saprei come descriverlo altrimenti…


“Dai… ora torna a lavoro”, conclude, cingendomi il collo e strofinando il muso sulla mia guancia.

Coraline… se non fossimo in pubblico ti avrei già ricoperta di baci e carezze.

“D’accordo… Allora… ci… ci…”.

“Sì. Ci vediamo stasera”.


    Sbatto le palpebre ed è notte.

La luce accecante non c’è più. Anzi. E’ tutto cupo e buio. Troppo buio, in effetti.

Apro la porticina condominiale, tenendo il regalo con una zampa.

Sono stanco: è stata una giornata lunga, o almeno così mi è sembrata, ma ora è finita.

Salgo le scale per il quarto piano. Dopo due gradini sono davanti alla porta dell’appartamento.

Prendo le chiavi dal cappotto e le infilo nella serratura.

Qualcosa non va.


La porta si apre cigolando. Non è chiusa.

Strano. L’avrà dimenticata aperta?

Poi noto una forzatura alla serratura.

Percepisco come una coltellata all’imboccatura dello stomaco.

Spalanco la porta.

“CORALINE!?”, urlo.

L’appartamento è buio.

Tutto è buio.

I mobili riversi per terra, vestiti e oggetti vari sparsi ovunque.

Ci sono decine di finestre, da cui vedo oscure nubi nel cielo scorrere a rapidissima velocità.

Mi sento pesante.

Respiro come se avessi appena finito una maratona.

“CORALINE!?”, ripeto.

La cerco. Apro la porta della cucina e sono nel bagno. E’ tutto rotto e spaccato.

Vago di stanza in stanza, ne percorro a decine, forse centinaia…

Finché scorgo il corridoio che conduce alla nostra camera da letto.

Galoppo forsennatamente, percorrendo il centinaio di metri che mi separa dalla stanza.

Entro.


Scorgo due figure scure contro la parete.

Una coppia di pony. Non li distinguo chiaramente… ma vedo benissimo i loro occhi, bianchi come latte.

Sembrano… spaventati, intimoriti… come se avessero appena vissuto… un incubo.

“Coraline?? Dov’è Coraline??”.

Noto una zampa sul pavimento, proprio dietro al letto.

Faccio il giro e…

La vedo.


Il vaso di margherite mi cade a terra, infrangendosi sonoramente.

Il corpo di lei giace esanime.

Gli occhi chiusi.

Le labbra serrate da nastro adesivo.




CROLLA.



TUTTO.



CROLLA.



Porto le zampe verso di lei.

La scuoto.

Non si muove.

E’ fredda.

Rigida.

Non c’è più una stanza.


Siamo soli, io e lei, nel buio.


“CORALINEEE!!!”.




Lei apre gli occhi di scatto, rossi come sangue.


*** ***** ***


    Anche Hound aprì gli occhi di scatto.

Non vide nulla, a parte una chiazza sfocata di fronte a sé.

Era disteso su qualcosa di morbido, presumibilmente un letto.

Per alcuni istanti riuscì semplicemente a non pensare a nulla.

Non ragionò, non si fece domande, non disse alcunché.

Le emozioni dentro di lui furono così travolgenti da lasciarlo in uno stato quasi larvale.

A poco a poco, tuttavia, i neuroni ripresero a funzionare, cercando di riequilibrare il rapporto mente/sentimenti, riportandolo perlomeno in pareggio.

Mosse qualche muscolo e, quando ruotò il capo, un fulmine di dolore lo investi per tutta la colonna vertebrale.

Strizzò gli occhi e digrignò i denti. Fu uno dei dolori più insopportabili che mai avesse percepito (e lui, di dolore, se ne intendeva abbastanza).

Si portò gli zoccoli alle guance e non riuscì più a riempire polmoni d’aria, tanto stava male.

Cercò di urlare.

Non ci riuscì.

Lentamente, molto lentamente, il dolore prese a diminuire, portandolo in uno stato dove riusciva perlomeno a ragionare.

Si guardò attorno: era in una stanza buia, scialba e decadente.

La carta da parati era quasi tutta staccata o ammuffita e le finestre bloccate con alcune assi inchiodate.

L’arredo era completamente distrutto o comunque inutilizzabile.

Contro il muro, appoggiati ad una sedia, riconobbe copricapo e cappotto color cammello.

    Si riportò le zampe agli occhi e sospirò profondamente.

Sentì quindi qualcosa di strano sulla fronte, qualcosa di ruvido.

Una benda?

Sì, con ogni probabilità si trattava di una benda.

Ma che diavolo era successo?

L’ultima cosa di cui avesse ricordo fu… fu…?

Si sforzò di portare ordine nei propri pensieri: lui era il Segugio di Counterlot, il mastino celeste, il terrore di tutti i crim…

Aspetta.

No…

Gli avvenimenti riaffiorarono.

Non era più il Segugio… Non di Counterlot, perlomeno.

Lo avevano tradito.

L’incidente sullo zeppelin, l’ospedale, la fuga… la visita al dottore, la sbronza colossale… e poi.


Due occhi.


Due occhi color turchese, del tutto identici a quelli…


A quelli di…


“Rarity!!”, urlò, avvertendo subito dopo un’altra fitta.

“AH!! MERDA!!”, ruggì.

E si ricordò tutto: Counterlot, l’assalto, la battaglia, quel pagliaccio di Discord, fino a… Celestia.

Quelle parole… quel tono di voce.

Gli occhi brillanti dell’alicorno, simili a due smeraldi, che non smisero per un istante di fissarlo.

Per un momento, gli sembrò di rivivere quell’attimo… quella sensazione opprimente, come se qualcuno cercasse letteralmente di stuprarti e di fotterti il cervello con una trivella da cava arenaria.

Hound!!”, risuonò la voce di Celestia, “Quante anime innocenti sono morte, questa notte? Le hai contate? Pensi che i cadetti ne potessero qualcosa? Credi forse che i pegasi della Guerra Equestre siano morti per un nobile scopo?”.

Si strinse le tempie tra gli zoccoli, avvertendo un’incudine abbattersi dritta sul cranio.

Hai più morti tu sulle spalle che l’intero reparto d’esecuzione! Ovunque tu vada, non fai altro che portare morte e ancora morte! Prima è toccata a tua moglie e due poveri innocenti, poi a coloro che un tempo definivi criminali e feccia… E oggi è toccata a contadini, reclute ed ex-aviatori. Chi saranno i prossimi, Hound??”.

“Zittaaa…”, biascicò, con un filo di voce, a palpebre serrate, “Sta zittaaa…”.

RISPONDI, HOUND!!!”.

L’ultima frase lo investi come una scarica elettrica.

Lo stallone ebbe un sussulto e cadde sul parquet umido.

Le orecchie gli fischiavano e percepì un senso di nausea insopportabile.

    Tutto, attorno a lui, parve girare vorticosamente.

Si trascinò a gattoni per l’intera stanza, emettendo versi sommessi.

Sentì l’odore del pavimento: muffa, forse. Ed escrementi di chissà quale animale.

Raggiunse il cappotto.

Mise una zampa sulla sedia e, con immane sforzo, si tirò su.

Passò l’altra zampa nelle tasche interne, finché non trovò ciò che cercava: una fiaschetta di Whiskey non del tutto vuota.

Svitò il tappo e bevve avidamente il liquido, asciugandosi quindi le labbra col dorso dello zoccolo.

Un’altra fitta. Un altro urlo che non trovò sfogo dalla bocca.

Ripiombò sonoramente sul pavimento, facendo cadere sedia e indumenti.

“Basta… bastaaa…”.

Continuò a trascinarsi.

Spinse di lato una porticina, riuscendo appena ad alzare gli occhi, e si ritrovò in un bagno lurido.

Cercò di arrampicarsi lungo il lavandino. Era tutto incrostato e sporco di liquido nero.

Riuscì a mettersi in posizione quasi eretta.

Alzò lo sguardo e… vide il proprio riflesso in uno specchio danneggiato.

Era ricoperto di polvere, quindi lo ripulì alla bene e meglio con una zampata.


    Ecco cosa rimaneva… del Segugio di Counterlot.

Hound scrutò la propria immagine.

Vide un viso barbuto, occhi iniettati di sangue, profonde occhiaie e… nessun corno.

Una benda intrisa di sangue gli avvolgeva la fronte, facendo sbucare giusto qualche centimetro di garza, a ricoprirne i resti.

Rimase così, per alcuni secondi… finchè le forze lo abbandonarono… E Grey Hound, il traditore di Counterlot, cadde sulle piastrelle, privo di sensi.


*** ***** ***


    Una voce femminile gli rimbombò nelle orecchie.

“Grey!”.

Aprì gli occhi e tutto era confuso.

La sagoma di un pony dagli occhi azzurri era sopra di lui.

“Grey!!”, ripeté, con un riverbero surreale.

Quegli occhi…

“C-Coraline?...”, biascicò Hound, cercando di riprendersi.

L’immagine venne messa a fuoco: Rarity era riversa su di lui, con il volto preoccupato.

“Grey!! Svegliati, ti prego!!”.

“Cosa… dove… Pu-pupa?...”.

Lo stallone era di nuovo sul letto, nella stessa stanza di prima.

Si sentiva come uno straccio ma, perlomeno, la testa gli faceva meno male e il senso di nausea si era trasformato in vago sentore di vomito.

“Hound! Oh, grazie al cielo! Stai bene??”, gli chiese titubante.

L’unicorno bianco era vestito elegantemente, come al solito: qualcosa che contrastava in modo evidente con l’ambiente della camera.

Gli strofinò un panno bagnato sul viso.

“Ti… ti ho ritrovato in bagno, riverso sul pavimento…”, affermò a voce bassa.

Hound non disse nulla e cercò di tirarsi su, senza riuscirci.

“Ehy, campione… Stai fermo, non devi agitarti”, lo ammonì.

Il Segugio si stropicciò le palpebre: “E’ come se mi avessero infilato una granata nel cranio…”.

L’altra cadde preda di un certo dispiacere: “E’… è comprensibile, cucciolo”, lo rassicurò, passandogli una zampa sul capo, “Hai… hai passato un brutto quarto d’ora e…”.

“Che è successo?”, domandò all’improvviso.

“Come?...”.

“Quando abbiamo incontrato Celestia… io… io ricordo solo una cosa, prima che tutto si facesse nero…”.

“Ah… ecco…”.

“Ricordo chiaramente…”, continuò, “Grossi occhi verdi… un dolore lancinante alle tempie… e… e poi…”.

“Poi?...”.

Grey sorrise: “No, dev’essere stato uno dei miei incubi”.

Rarity si sedette accanto a lui: “Cosa… cosa ricordi?...”.

Il compagno si sforzò di riportare gli avvenimenti alla mente: “Io… ricordo… Era… era come se mi muovessi ma… osservavo la scena dall’esterno. Proprio come succede negli incubi. Ricordo… che… che avevo un’arma. Che la usai”.

La puledra non disse nulla, lasciando che lo stallone continuasse a parlare: “Mi ricordo che feci fuoco… Contro… Eh!”, sospirò ridendo, “Contro il dottor barbiere e… e poi puntai la pistola contro di te… Che stronzata, vero?”.

Ma il viso del pony dagli occhi celesti si rattristò leggermente.

Il muso di Hound si bloccò in un’espressione di incomprensione.

Rarity decise di spiegargli tutto, non senza una buona dose di coraggio: “Grey… Celestie è… era…”.


    La puledra gli raccontò ogni cosa, per filo e per segno.

L’inganno di Chrysalis, la loro cattura, la liberazione da parte di Octavia, la fuga, il piano di Discord, Luna, la lettere su Spike e l’intenzione del Governo Celeste di ritrovarlo ad ogni costo.

Grey ascoltò assorto le sue parole, divenendo sempre più serio a mano a mano che i dettagli venivano sviscerati.

“…E poi”, concluse la compagna, “Ti abbiamo portato qui, nell’abitazione abbandonata di Fluttershy… nella Neverfree Forest”.

Hound fece sprofondare il capo nel cuscino, puntando gli occhi dritti al soffitto.

“Qui almeno sarai al sicuro… non credo verranno mai a cercarti in una palude…”.

Lo stallone fece uno scatto in avanti, cercando di scendere dal letto ma la stanza attorno a lui ruotò, costringendolo a fermarsi.

“Anatroccolo!”, intervenne Rarity, ponendogli una zampa sulla groppa, “Non devi sforzarti! Hai… hai subito un duro colpo e…”.

“Dovresti andartene…”.

“Cos…”.

“Pupa, sarò schietto con te. Vattene. Subito”.

“Ah!”, sbottò impettita, “Stai fresco se speri che io ti lasci dopo che…”.

Il pony dal manto fulvo parve innervosirsi: “Se non te ne vai sulle tue zampe, ti caccio fuori io di persona”.

Anche Rarity divenne fumina: gli rifilò una zoccolata su un fianco emaciato, costringendolo a piegarsi in due dal male.

“Ma certo!! Guardati! Ti fai mettere al tappeto da una stilista! Voglio proprio vedere come mi sbatti fuori, scemo di uno scemo!”.

“Ah… dannata… dannata puledra… proprio… proprio come Cor…”.

“Come chi??”.

“Niente… Ascolta, baby”, continuò, cercando di prenderla alla lontana, “Non hai ancora capito?... Il Governo mi sta cercando. E sono dannatamente bravi nel farlo. Se troveranno me, faranno fuori chiunque mi stia attorno. Devi andartene”.

“No no no”, dichiarò decisa, “Non dire fesserie! Se vorranno venire, lo facciano pure! Non ho alcuna intenzione di scappare con la coda tra le zampe solo perché un manipolo di bastardi ti…”.

“Non è solo quello”, la interruppe, con voce spenta.

Rarity si avvicinò a lui: “E… cos’altro c’è, allora?...”.

Lo stallone cercò tutto il coraggio che aveva per pronunciare le parole seguenti: “Io… io sono stanco”.

“Beh, è normale, tigrotto. Sei stato ad un passo dal lasciarci le penne…”.

“No, pupa… io sono… stanco dentro…”.

L’altra cercò di confortarlo con un sorriso: “Ehy, non buttarti giù proprio ora… Le cose stanno andando più o meno bene. Applejack si sta organizzando per vendicarsi di Chrysalis, tu sei vivo, abbiamo dei nuovi alleati e…”.

Le zampe di Hound si serrarono attorno al viso dell’amata. La osservò intensamente.

“Io… io non sono più niente, donna…”.

L’unicorno bianco si intenerì e preoccupò al tempo stesso. Unì gli zoccoli ai suoi: “Ma cosa dici, Grey? Tu non…”.

“No. Tu non capisci. Io… non esisto più. Tutta… tutta la mia vita è stata una menzogna dall’inizio alla fine. Tutta. Mi hanno strappato il mio passato… il mio futuro… Dovevo essere un marito. Un padre. E mi hanno distrutto un sogno. Hanno tolto l’esistenza di chi mi era attorno… solo per trasformarmi in una macchina pronta a riversare la propria frustrazione su chiunque puntassero la zampa…”.

“Hound, ascolta…”.

La voce dello stallone crebbe di intensità, impedendole di intervenire: “E quando pensavo che quello fosse il mio destino… che stessi agendo nel giusto… ho scoperto che, in realtà, fu l’ennesimo inganno. L’ennesima bugia. L’ennesima presa per i fondelli. Anni e anni di convinzioni gettati nel cesso. Sai cosa vuol dire avere decine e decine di morti ingiuste sulle spalle?”.

“Ma… ma tu…”.

“No. Non lo sai. Ogni giorno… OGNI FOTTUTISSIMO GIORNO… io devo convivere con questo pensiero. L’idea che io li ho mandati qualche metro sotto terra, semplicemente premendo un grilletto. Molti erano davvero corrotti, è vero. Ma… tutti? Ormai non ne sono più convinto… E pensavo che, uccidendo Celestia, avrei perlomeno portato un po’ di giustizia in Equestria… Ma… evidentemente mi sbagliavo… Cos’altro poteva essere se non l’ultimo inganno?...”.

“No, Hound, ti sbagli!”, gli rispose con insistenza, “Tu hai commesso degli errori, è vero! Ma tutti lo fanno, prima o poi! E’ l’unico modo per capire ed è nostro compito porvi rimedio! E tu lo stai facendo! Lo hai già fatto! Hai… hai cercato la redenzione, hai investito le tue energie per togliere di mezzo Celestia, hai…”.

Il segugio distolse lo sguardo, amareggiato: “No, pupa. Non ho fatto niente di tutto ciò. Ho solo… seguito la mia rabbia… la mia vendetta… il mio egoismo. Ed ora… ora ci sei tu… i tuoi amici… e il Governo, comandato da un mutaforma, che vuole catturarmi. Vi sto mettendo tutti in pericolo, com’è sempre successo in passato”.

“Non è detto che le cose andranno come in passato! Ciò che è stato, è stato, ora dobbiamo guardare al…”.

Il segugio urlò con foga, facendola sobbalzare dallo spavento: “IO NON VOGLIO UN’ALTRA CORALINE SULLA COSCIENZA!!!”.

“Non… non ce la faccio…”, continuò debolmente, stringendosi le tempie, “Non… non ce la farei… preferirei morire che… che vedere di nuovo…”.

“Ma tu sei Grey Hound! Sei uno stallone eccezionale! Sei…”.

“No, donna… Io non sono più niente”, e sciolse lentamente le bende, rivelando il moncherino sporco di sangue rappreso.

Rarity si coprì il muso.

“Io… non sono… più niente… Non ho un passato. Non ho un futuro. D’innanzi a me ci sono solo gli Agenti pronti a farmi la pelle. Non sono… non sono nemmeno più un unicorno”.

“Hound, ti prego…”, farfugliò l’altra, scuotendo il capo e percependo le lacrime salirle agli occhi.

“No… basta. E’ davvero troppo. E tu sei unicorno come me… anzi… com’ero un tempo. Sai benissimo cosa significhi perdere il proprio corno. Un pony di terra non capirebbe. Ma tu… tu lo sai. E a me non rimane più niente. E l’ultima cosa che voglio… è metterti in pericolo. Per questo devi andartene”.

Alcuni rivoli salini le sciolsero parte del trucco. Strinse i denti e strillò: “IO NON ME NE VADO DA NESSUNA PARTE, HAI CAPITO??”.

“Va bene”, concluse, alzandosi dal letto, ciondolante, “Allora me ne vado io”.

“Cosa? Tu rimani qui!”.

“No”, e si mise dolorosamente il cappotto addosso, coprendo poi il corno (o ciò che ne rimaneva) con il cappello a tesa larga.

“Hound!! Tu non vai da nessuna parte!!”.

“Sai che lo farò”.

“Non se te lo impedisco!”.

Sapeva bene che Rarity avrebbe fatto di tutto, pur di fermarlo. Ma non poteva certo metterla ko solo per uscire di lì.

Così improvvisò: si diresse rapidamente verso l’uscita della camera e aprì la porta.

La puledra scattò per intercettarlo, un attimo prima che la porta si richiudesse.

Il segugio noto un asse sconnesso sul pavimento, lo raccolse e lo puntellò contro la serratura.

Rarity cercò di aprirla, avvertendo qualcosa che glielo impediva.

“Hound!!”, tuonò, “Hound, apri questa cazzo di porta!! Aprila!!”.

“Scusa, pupa”, le disse, dirigendosi verso l’uscio della casa, “Può darsi che io torni… o forse no. Vedremo…”.

“Hound!! Bastardo!! Se ti uccidono, giuro che t’ammazzo!!”.


Aprì la porta e la palude apparve ai suoi occhi, in tutto il suo odoroso splendore.

“Che posto invitante”, ironizzò, accorgendosi che non aveva manco una sigaretta nelle tasche.

Un tuono lontano e l’oscurità gli fecero capire che era notte… e che stava piovendo. La coltre di alberi e rampicanti, tuttavia, era così fitta da bloccare completamente la pioggia, convogliandola invece lungo la corteccia e le foglie. Tanto l’umidità del luogo bagnava più di quanto avrebbe fatto un acquazzone.

Gettò un ultimo sguardo alla catapecchia.

“Perdonami, Rarity…”.


*** ***** ***


    Il tuono, lo stesso che aveva udito Hound, venne appena percepito dalle orecchie di Applejack.

Era nel cortile della tenuta Apple, seduta su un ciocco di legno, con il muso rivolto al paesaggio notturno.

Nonostante fosse buio, le colline lontane erano ben visibili, soprattutto le luci di Ponymood.

Un lampo tra le nubi all’orizzonte le accese di viola per alcuni istanti.

Un boato profondo e appena udibile sopraggiunse dopo pochi secondi.

La puledra aveva il cappello appoggiato a terra: teneva uno zoccolo sotto il muso e stava assaporando una sigaretta. L’attenzione della gangster vagava nel vuoto del paesaggio, assorta in chissà quali pensieri.

Aspirò e la punta della cicca si illuminò di rosso. Sentì i polmoni bruciare leggermente e poi espulse il fumo dalle narici.

Un altro fulmine. Un altro tuono sommesso, a interrompere momentaneamente il brusio degli insetti notturni.

Degli zoccoli calpestarono l’erba dietro di lei. Non sapeva chi fosse ma nemmeno le importava, così aspettò che il pony si avvicinasse.

    Octavia posò il copricapo accanto al borsalino dell’amica e prese posto su un sasso vicino.

Poggiò i gomiti sulle cosce, puntellandosi poi il mento sugli zoccoli anteriori.

La coppia rimase taciturna per lunghi minuti, scanditi solo dai rumori del temporale lontano e alcune folate di vento che sapevano di pioggia.

Le fronde degli alberi oscillarono, producendo il tipico suono di foglie in movimento.

“E’ un bel posto qui”, disse la musicista, rompendo il ghiaccio.

Applejack osservò le lunga fila dei meleti perdersi nell’oscurità: “Sì. Sì, è un bel posto”.

“Ho sempre amato gli ambienti di città, a dire il vero. Però devo dire che questa campagna è molto… rilassante”.

L’amica rise debolmente e gettò la sigaretta a terra, spegnendola poi con la zampa: “Beh, se vieni nel periodo di raccolta delle mele, vedi come lo troverai tutt’altro che rilassante”.

“Immagino. Ma ogni luogo ha i suoi momenti di pace e di subbuglio”.

La padrona della tenuta sorrise con amarezza: “Già. Come oggi. Hanno fatto un bel casino. E per poco non ce l’avrebbero fatta sul serio. Infiltrati… Chi lo avrebbe mai sospettato, in così breve tempo?”.

“Sono stata una stupida”, ammise Octavia, mantenendo un’espressione neutrale.

“No, tu hai fatto la cosa giusta. Sei rimasta a difendere la mia casa e la mia famiglia. E’ una cosa che ripago, anche col sangue se dovessi. Sappilo”.

“Metà dei miei sottoposti era formata dagli agenti di Chysalis. Avrei dovuto accorgermene in tempo”.

“Così come Chrysalis avrebbe dovuto aspettarsi gli agenti discordanti tra le proprie fila. Dai… E’ andata bene…”.

“Sì… Ma ce la siamo vista brutta. Se non fosse stato per Macky, io…”.

“…Macky??”, domandò esterrefatta.

L’altra si ricompose, arrossendo leggermente sulle guance: “Sì… cioè… t-tuo fratello. Big macintosh. Se… se non fosse stato per lui…”.

“La vecchia rompiballe mi aveva accennato qualcosa sulle vostre zozzate! Quindi non aveva bevuto troppo!”, esclamò, senza nascondere un ampio sorriso.

“C-cosa?? Zozzate??”, berciò imbarazzatissima, “Ma!... Quella vecchia spara più vaccate dalla bocca che piombo dalla lupara! Non… non è successo niente…”.

Applejack sorrise maliziosamente: “M-mh…. E… quel banjo? Perché ce lo hai tu? Era di mio nonno…”.

“Il… il banjo è…”, farfugliò.

L’amica arancione le lanciò continui sguardi di supponenza, finché Octavia cedette.

“Oh, eppiantala!!”, sbottò, “Ho solo… io…”.

“Ok, ok, ho capito. Non volevo metterti in imbarazzo”.

“Non ero in imbarazzo”.

“Sì che lo eri”.

“Cambiamo discorso?”.

“Ok… Di che parliamo?”.

La compositrice era disposta a tutto pur di non tornare più sull’argomento.

Si girò ed osservò rapidamente i dintorni, inquadrando infine il capanno dei trattori della tenuta. Il portone era aperto e l’interno illuminato: Rainbow Dash si trovava sotto uno dei veicoli, con una cassetta di attrezzi accanto. Twilight le era seduta accanto e stava dicendo qualcosa, con una foglietto sotto al muso.

“Mh”, bofonchiò il pony grigio, “Parlami un po’ di loro”.

“Loro?”, chiese Applejack, girandosi a sua volta, “Intendi… i miei amici?”.

“Sì. Mi pare vi conosciate abbastanza bene. Quindi… è da molto che state… sì, insomma, che collaborate?”.

“Beh… Dipende”.

L’attenzione si spostò su Dash, che emerse dal trattore con il volto sporco di grasso. Nonostante fosse unta e sudata, sorrideva di compiacimento.

“Rainbow la conosco da un sacco di tempo, molto prima che iniziasse a disinfestarmi i meleti. In verità la conoscono in molti, da queste parti. E’ un asso del volo ed ha combattuto fieramente durante la Guerra Equestre”.

“Sì vede che premiavano le teste calde, in guerra”.

“Può essere”, ammise, “Ma la verità è che, se dovessi aver bisogno di una canna da fuoco in più, vorrei che fosse RD ad usarla. Mi fido totalmente di lei. E’ una testa di cazzo, vero… però… Ha coraggio da vendere”.

“O forse è semplicemente avventata. Beh, che mi dici del dottor barbiere?”.

Le due osservarono Twilight: l’unicorno continuava a parlare incessantemente, fornendo direttive al pegaso su cosa smontare, cosa avvitare e persino l’esatto taglio di chiave da usare.

“Lei la conobbi soltanto quando venne divulgato il Decreto Celeste. Eravamo con l’acqua alla gola: non potevamo più vendere sidro e la distilleria venne confiscata, con tanto di marchio governativo. Provammo a vendere le sole mele ma non ci fu mercato. Stavamo colando a picco. Così papà… cioè”, si corresse, “Così la famiglia decise di trovare soluzioni… alternative… e, dopo un po’, entrammo in affari con Twilight. La cosa era semplice: noi fornivamo l’alcol, lei lo correggeva in modo… particolare, lo girava agli Speakeasy e si prendeva una quota sulle vendite”.

“Un accordo di affari, insomma?”.

“Sì ma poi ci conoscemmo meglio, come puledre intendo. Io la aiutai con alcuni… tizi che le stavano dando fastidio… tra cui Grey Hound…”.

“Ma pensa…”.

“Ci scambiammo alcuni favori, finché non ci trovammo a combattere assieme sopra lo zeppelin dei FlimFlam Brothers”.

    Gli occhi delle due finirono quindi all’ampia finestra a piano terra. Le luci del salotto erano tutte in funzione: Pinkie smanettava al banco degli alcolici e serviva allegramente i tirapiedi di Discord.

“E… e la schizoide?”, chiese, con un malcelato sorriso di felicità.

“Pinkie fu il… diciamo… distributore più redditizio che trovammo. Il suo locale, il Sugarbooze Corner, era un vero ricettacolo di soldi. Aveva una clientela discutibile, è vero, ma quando si tratta di far denaro, non è che controlli quanto puzza il sedere di chi compra”.

“Sì ma… io l’ho vista in azione… E… insomma, non guarda in faccia a nessuno. L’ho vista abbattere avversari multipli, schivare pallottole e il tutto senza schiodarsi quel… quel sorriso…”.

Octavia rabbrividì al solo pensiero. O forse era stato il vento?

“Pinkie è sempre stata un po’… strana. E la cosa è peggiorata da quando ha iniziato a farsi i cocktail personali, in mezzo a quelli dei clienti”.

“Pinkie Pie ha problemi d’alcol?”.

“Pinkie Pie è SEMPRE sotto alcol. Forse non la vedi o non ci fai caso ma ingolla periodicamente qualsiasi cosa tenga nella propria fiaschetta”.

“Eppure non sembra ubriaca…”.

“Credo funzioni al contrario. Fintanto che beve, è solo scema, folle e pericolosa. Quando smette… beh… meglio che tu non lo scopra”.

“Ok…”.

“Vediamo…”, borbottò l’amica con le lentiggini, “Ah, eccola!”.

Fluttershy era appollaiata sul tetto della tenuta, con il fucile di precisione incollato al muso.

“Che sta facendo?”, chiese Octavia, perplessa.

“Credo si stia… allenando”.

“Allenando?”.

“Sì. Senti?”.

Cadde un tuono lontano.

La musicista sgranò gli occhi: “Ehy… vuoi mica dirmi che…”.

“Ogni volta che si manifesta un lampo, lei conta i secondi… e poi spara all’unisono con il tuono. Visto che il temporale è lontano, sta usando un fucile di piccolo calibro. Un 22, credo”.

Lampo.

Fluttershy contò nella mente.

Tuono: il cane si abbatté sull’innesco.

La campana di Ponymood, ad un chilometro di distanza, emise un rintocco e qualcosa la scheggiò leggermente.

“Non… non male”, commentò l’amica grigia, pensando in realtà a quanto diavolo fosse fenomenale… Sparare a quelle distanze e in mezzo al vento di un temporale ormai prossimo… Non da tutti.

Applejack riprese a raccontare: “Lei ha combattuto nella Guerra Equestre assieme a Rainbow Dash. Erano negli Angeli della Morte”.

“Li conosco di fama. Uno degli squadroni più terrificanti che mai si fossero visti. Così almeno dicono…”.

“E dicono il vero”, sogghignò l’altra, “Era la squadra che veniva sempre schierata in prima linea. La prima ad entrare e l’ultima ad andarsene. Conteggiarono il maggior rapporto morti-uccisioni di tutti gli squadroni celesti”.

“Fatico a credere che quel pony mansueto fosse uno degli Angeli…”.

“Un tempo era molto più… come dire? Dinamica. Poi… perse un cadetto in battaglia, un cadetto a cui era molto affezionata”.

“Mh. Penso di capire”.

“La ritenne una propria responsabilità e, da allora, sembrò quasi impazzire dal dolore. Venne congedata un mese prima della fine della guerra e mandata in recupero presso l’Iron Will Medical Center. Quando ne uscì… non era più la stessa. Era scorbutica, scontrosa e beveva giorno e notte, isolata nella vecchia casa nella foresta”.

“Vedo che siete tutti soggetti raccomandabili”.

“Quando affrontammo i FlimFlam Brothers, venne a salvarci il culo e tanto mi basta. Capii che, quando c’erano gli altri di mezzo, la gattina gialla sapeva ancora graffiare”.

“A proposito di catapecchia… Rarity è la dentro con Grey Hound?”.

“Sì. Penso che lì saranno al sicuro”.

“Secondo me le avete fatto il torto più grande del mondo a mandarla in quel buco di culo!”.

Entrambe risero con foga. Applejack cercò di parlare: “Ah! E’ vero! Mi immagino la sua faccia!”.

“E pensa a cosa dirà!”, buttò lì Octavia, cercando di farne l’imitazione in falsetto, portandosi una zampa alla fronte, “Oh! Ma è terribile! Assolutamente indecente! Manderò un esposto per direttissima al sindaco! Devono far bonificare le paludi e spedire le mie scarpette nuove in lavanderia! Hound, caro? Ti spiacerebbe stringermi il corsetto, mentre sono occupata a impomatarmi il muso con la cipria?”.

Le due lanciarono veri e propri schiamazzi, placandosi dopo qualche minuto.

La compositrice si asciugò una lacrima: “Uhh… no dai… seriamente… Che ci fa una stilista in squadra?”.

Applejack si schiarì la voce e cercò di non ridere più: “Lei… lei è sempre stata un unicorno di alta classe, con agganci fin nelle più alte sfere sociali”.

“Tutto lì? Anche io ho conoscenze”.

“Sì”, disse l’altra, con sguardo saccente, “Ma tu non hai il suo fascino. Il suo carisma. Rarity può arrivare personalmente dove tu giungeresti solo con un esercito. In più gestisce traffici illegali di armi sottobanco e conosce alcuni incantesimi niente male”.

“Vi conoscete bene?”.

“In realtà non andiamo sempre d’accordo. Lei insiste col dire che sono una contadina brucafieno e io la ritengo una fighetta da cabaret”.

“Anche Twilight pensa una cosa simile. Però aveva usato parole diverse, l’ultima volta, in effetti…”.

“Lei iniziò con una piccola bottega di abiti ed espanse rapidamente il proprio business, grazie alle proprie doti… come dire… naturali?”.

“Intendi dire…”.

“Non mi fraintendere. Rarity è un pony di principio. Non si infilerebbe nel letto di nessuno, se non fosse per amore”.

“E tu che ne sai?”, domandò scettica.

“So che preferirebbe tagliere le palle di chi ha davanti, piuttosto che farsi anche solo toccare da qualcuno che non gli piace davvero”.

“Tipo… Gery Hound? Cioè… ancora non riesco a capacitarmi. Grey Hound con rarity?? Ma ti rendi conto?”.

“Puledra mia”, la derise l’amica, estraendo un’altra sigaretta, “Tu ti sei presa una sbandata per uno zotico grosso come un armadio a tre ante e che sa a malapena contare”.

“Ma che centra??”, farfugliò seccata, “Macky… Macintosh è carino… taciturno… misterioso. Coraggioso… forte… mhh…”.

“Ehy?... Torna tra noi…”, le disse, passandole una zampa davanti al muso.

L’altra rinsavì.


    Applejack le allungò una cicca.

“Non fumo, grazie”, reclinò con garbo.

AJ si accese la propria con uno zippo, parlando a denti serrati: “Cos’è? Non ti piace la marca?”.

“No. Non mi piacciono in generale”.

“Sarà. E dimmi”, continuò, soffiando una nuvoletta dalle labbra, “Ora parlami un po’ di te”.

“Di… di me?”, chiese interdetta.

“Sì. Insomma… non si incontra tutti i giorni una violoncellista che si diletta in combattimento, criminalità organizzata e per di più alleata con un pezzo da novanta come Discord”.

“Oh beh”, minimizzò, “Ad ognuno il suo… no?”.

“Non vuoi parlarne?”.

“No… no, è che io…”.

“Guarda che se non vuoi parlarne non è un problema”.

Applejack si rimise ad osservare di nuovo il paesaggio, con sguardo intenso e concentrato.

Octavia, tuttavia, sembrava piuttosto irrequieta: rimase in silenzio per alcuni minuti, poi iniziò a picchiettare gli zoccoli tra loro, a dondolare le zampe dal sasso e, infine, cedette.

“Io ero… ero una contabile”.

L’amica bionda sgranò gli occhi e si voltò lentamente verso la puledra: “…Tu… cosa??”.

“Hai capito bene”, farfugliò rapidamente, “Contabilità. Fogli, calcoli e altre scartoffie”.

“Questo spiega il tuo modus operandi…”.

“In realtà ho solo seguito le orme di mio padre… Fosse stato per me… non… non avrei di certo…”. E si ammutolì.

“Beh? Continua! Cosa avresti fatto, sennò?”.

Octavia si strinse le zampe anteriori tra le cosce: “Ecco io…”.

Applejack mosse il muso in avanti e sollevò le sopracciglia, spingendola a vuotare il sacco.

“Io… avrei tanto voluto… avere un mio negozio… di… insomma: una pasticceria”, concluse, estremamente imbarazzata.

Il pony arancione tornò ad osservare il paesaggio, quasi non avesse sentito nulla.

“E’… è un’idiozia, lo so…”.

“No”, rispose, con volto estremamente serio, “Non esistono sogni idioti. Nessun sogno è idiota”.

“Sì ma…”.

“Niente ma. I sogni sono quello che ci portiamo dentro. Quello che desideriamo davvero. Non esistono sogni idioti…”.

Ci fu un altro attimo di silenzio, interrotto da Applejack: “E come mai non hai coltivato questo tuo desiderio?”.

“Non è che non ci abbia provato. Ma… ecco… Io non volevo fare la contabile, che era poi il mestiere di mio padre, e di sicuro aveva visto in me grandi potenzialità. Provai, per un certo tempo, a lavorare in qualche piccola bottega di dolci… ma… semplicemente ero una frana, ai fornelli. Pensa che”, aggiunse ridendo, “Una volta riuscii persino a scambiare la farina con il pan grattato! Quei muffin sembravano carta vetrata!”.

La puledra dagli occhi verdi sorrise: “E la musica?”.

“Continuai per un paio di anni la mia carriera da contabile. E… una sera… mentre tornavo a casa sfinita, vidi che davano uno spettacolo nel teatrino in piazza. Una compagnia itinerante: corde, qualche ottone e, dulcis in fundo, una fisarmonica suonata da un vecchio pony rugoso”.

“Il complesso del secolo…”.

“Non giudicare solo dalla premessa. Ero scettica ma non volevo tornare subito a casa e mi avanzava qualche bit in tasca, così decisi di tentare. E… se non fosse stato per quello… forse non sarei nulla di ciò che sono ora”.

Applejack la prese in giro: “Intendi in senso buono o cattivo?”.

“Piantala. Quei tizi suonarono in un modo indescrivibile… Quando i crine si mossero sulle corde… qualcosa mi entrò nell’anima… Quella… quella melodia… quelle note… Era come… come se mi trovassi su una piccola barca di legno, che seguiva i moti ondosi di un fiume dal tragitto impossibile…”.

“Uao. Musicista e poeta…”.

Octavia non sentì nemmeno la frecciatina, impegnata com’era a descrivere quel ricordo ancora così vivido: “Poi si aggiunsero gli ottoni e, quella fisarmonica triste… struggente… straziante…”.

“Mhh… non sono un’esperta di musica ma… violini, ottoni e… una fisarmonica?”.

“Tu non hai idea di cosa avesse composto quel gruppetto di artisti. Per la prima volta in vita mia… piansi. Piansi a dirotto, come una bambina. Non riuscivo a trattenere le lacrime. Era come se mi avessero fatto esplodere una bomba nel petto. Tutto… tutto era pura emozione”.

L’altra finì la sigaretta, la spense e tornò ad osservare il cielo solcato dai lampi distanti, senza smettere di ascoltare l’amica.

“Poi… sempre quella sera…”, riprese sorridendo, “Un pony un po’ anziano… molto elegante… si avvicinò a me. Aveva il manto viola scuro, una barba grigia ben curata e vestiva con abiti di classe. Mi chiese perché piangessi ed io… tra i singhiozzi… gli spiegai ogni cosa. Temetti una reazione avversa e lui, invece… mi mostrò meglio il suo volto. Solo in quel momento notai che i suoi occhi erano arrossati e le guance un po’ arruffate. Non ero stata l’unica. Fu allora… che conobbi Octav Deep Synphony”.

“Ne parli come se fosse molto importante, per te…”.

“Lo era”, ammise, “Lui si offrì di darmi lezioni di musica serali, quasi ogni sera. In cambio mi chiese soltanto una zampa per sistemare alcuni conti per un piccolo appartamento in cui viveva. Sembrava ricco ma, in realtà, navigava in bruttissime acque. Comunque… fu con lui che scoprii il mio talento per il violoncello. Mi ricordo ancora… le lunghe nottate passate insieme… seduti uno accanto all’altra, con i nostri strumenti… a suonare in fantastici duetti. Il mio strumento, in realtà, era di recupero! Ma andava bene lo stesso. Lui, invece, aveva un bellissimo violoncello cesellato, con tanto di nome inciso sopra. Roba da collezione”.

“E… come per tutte le belle storie, immagino…”, sussurrò Applejack, presagendo il peggio.

“Già… come tutte le belle storie, anche quella era destinata a finire. Una sera mi recai da lui, per le lezioni di routine… e… e lo trovai nel bagno, privo di vita. C’erano alcuni fori nelle piastrelle del muro e… sangue. Quando lo vidi… non saprei dire cosa provai. Non rimasi scossa… non mi disperai come mi sarei aspettata. Sentii solo… un blocco in gola. Come un bolo che non voleva saperne di scendere. Andai nella sua camera. Era tutto sottosopra. Sul letto, aperto e un po’ strappato, vi era un grosso fascicolo pieno di scritte: l’assassino doveva averlo sfogliato di gran fretta. Lessi”.

Un tuono più forte risuonò per la campagne e il vento si intensificò. Il temporale si stava avvicinando.

“Dal documento capii. Deep Symphony era un ladro. Tutto quello che aveva in casa, dai quadri accatastati all’argenteria… tutto era stato trafugato. Tutto… tranne il suo violoncello”.

“Mh. Un duro colpo, immagino…”.

Octavia scosse debolmente la testa ed Applejack notò gli occhi dell’amica farsi umidi. Il suo labbro tremò.

“Poi… nell’ultima… nell’ultima pagina… vidi una scritta… che… che attestava un ordine che avrebbe dovuto fare di lì a poco. Una cifra esorbitante. L’acquisto per… per un violoncello. E… e accanto alla scritta… era…. era stato scarabocchiato rapidamente… -per Octavia-“.

La musicista tirò su con il naso e cercò di ricomporsi: “Spostai il fascicolo… e sotto di esso vi era un bel coltello in argento. Lo afferrai, sentendo un dolore incontenibile salirmi dal ventre. Alzai lo sguardo… e allora lo vidi. La lama mi riportò l’immagine riflessa di un sicario alle mie spalle: evidentemente era rimasto zitto zitto ad aspettare il momento giusto. Non so cosa successe. Non so perché agii in quel modo. Sta di fatto che mi girai di scatto e l’oggetto volò via dalla mia zampa, come se fosse stata una farfalla. Una farfalla che si piantò dritta nel suo braccio. Il tizio emise un urlo e cadde a terra, unitamente ad una pistola. Calciai via l’arma. Lui cercò di divincolarsi. Presi il mio vecchio violoncello e glielo sfracassai sul cranio, come un maglio da carpentiere. Quello non voleva saperne di crepare, così lo garrottai con le corde dello strumento. Fu… la mia primissima vittima”.

Il pony dai crine dorati sorrise con malizia. Conosceva bene quella sensazione: “Il primo non si scorda mai, eh?…”.

“Già. Poi fuggii. Presi il violoncello di Symphony, una modesta quantità di denaro che trovai nel suo portafogli e… semplicemente scappai. Non tornai mai più a casa. Non rividi mai più mio padre”.

“Perché non tornasti?”.

“La verità? Non lo so. Non lo so davvero. Paura? Paura che mi scoprissero? Che cercassero me, per arrivare alla mia famiglia?... Confusione mentale? Follia? Non lo so. Ma scappai. Presi il primo treno della stazione che trovai e partii verso una meta sconosciuta. E così giunsi a Manehattan”.

“La grande città”.

“E anche un grande schifo, per chi, come me, era poco più di uno sbandato. Ero una puledra giovane, senza casa, con giusto un po’ di soldi e un violoncello. Non mi si prospettava un avvenire molto roseo. E infatti… non lo fu affatto. Cercai impiego ma trovai solo proposte assai poco entusiasmanti. E, se permetti, se proprio devo darla via a pagamento, preferisco farlo in posti rispettabili. Così… tirai a campare come potevo. Il denaro finì presto, prosciugato da affitti assurdi per un semplice monolocale. Cercai persino di suonare per strada. Sfoderai l’intero repertorio che avevo imparato con Deep. Ma… ma quello non era il suo salotto, bello e confortevole. I passanti… i passanti non erano Deep… con il suo sguardo gentile e rispettoso… lo spirito caldo e scintillante. A nessuno fregava nulla di arte o musica”.

Si sentì uno sparo appena accennato. Fluttershy aveva sbagliato una cadenza tuono-proiettile.

“Mi rimasero pochissimi soldi e decisi… di fare una cosa. Portai il violoncello da un mastro artigiano, che mi permise di aggiungere due semplici lettere, dopo quelle in firma. Octav divenne Octavia”.

“Quindi i tuoi ultimi soldi finirono in mano ad un artigiano?”.

“Sì. So che non capirai ma…”.

“No… ti ho già detto che queste cose io le capisco…”.

“Ok… anche perché… è vero: con quel gesto mi giocai gli ultimi pasti caldi. Iniziai seriamente a patire la fame. Una notte, mi ricordo, stavo camminando in viottolo schifoso, al buio. Mi trascinavo pesantemente il violoncello, quasi fosse il peso con catena di un carcerato e… e poi… non capii più nulla. Vidi solo il duro asfalto farsi sempre più vicino e impattare dolorosamente contro il mio muso. Ero allo stremo. Svenni. E… quando ripresi i sensi… Lui era lì”.

“Discord?”.

“Sì. Mi ritrovai su una branda di un appartamentino piccolo e disordinato. Discord era seduto ad un tavolo microscopico, in boxer e canottiera, mangiando cereali al latte come un pozzo senza fondo”.

Applejack si grattò la chioma, perplessa.

L’amica continuò a raccontare: “Mi rifocillò, mi fece fare una doccia calda (cosa che manco vedevo da mesi) e mi ridiede il violoncello, senza nemmeno un graffio. Quindi… mi chiese se mi sarebbe interessato diventare una sorta di suo… aiutante. In realtà lui usò il termine -compitore di malefatte debitamente occultate- ma il concetto è chiaro già di suo. Mi disse che si stava recando a Ponymood in cerca di fortuna. Aveva un piano, per la testa, qualcosa che aveva a che fare con il Decreto Celeste da poco emanato. Di nuovo, non so perché accettai. Forse ero solo stufa di essere nessuno. E, dopotutto, l’opzione era andare con lui o tornare in strada. L’esito è quello che sai. Impiegammo quasi un anno prima di partire per la vostra città, anno che passai a perfezionarmi e in cui svolsi impeccabilmente dozzine di compiti per il draconequus. Imparai l’arte del combattimento e divenni ben presto una figura temuta e rispettata… specialmente quando seppi che Grey Hound si stava interessando alle nostre malefatte”.

“E poi sei arrivata da noi”, commentò Applejack.

“Già”.

“E ti sei fatta prendere a calci nel culo da un pony rosa”.

“Ehy!”, puntualizzò con fermezza, “Non mi ha mai sconfitto realmente!”.

“Vero. Sennò saresti morta”.


    “Bene”, esclamò quindi la puledra dagli occhi viola, “Ora posso dire di conoscervi tutti un po’ meglio. Beh. Quasi tutti…”.

Applejack capì dove voleva arrivare e tentò di sviare il discorso: “Non c’è molto da dire su Macintosh. O forse dovrei chiamarlo… Macky?”.

“Macintosh potrò conoscerlo più tardi… magari di persona. Ora mi piacerebbe sapere qualcosa di più su colei che ha organizzato l’affondamento dei FlimFlam, che ha consolidato un quasi-monopolio dell’alcol in Ponymood, assaltato una città fortezza e ne è fuggita indenne”.

L’altra non parve gradire quella parole: “Non sono una tipa molto interessante. Il mio è un passato noioso”.

“No. Prima mi hai fatto quel bel discorso sui sogni. Lo so che in campagna siete tutti un po’… uhm… tardi… Però ti garantisco che chiunque saprebbe fare due più dure. E poi… mi hai accennato di tuo padre, per un istante”.

Applejack si mise il borsalino in testa: “Non ti sfugge niente, eh?”.

“Come hai detto tu, però: se non vuoi parlarne…”.

“Ti annoierei”.

“Ne dubito. Vedi… in realtà non me ne frega molto di sapere chi ti cambiava il pannolino da piccola. E’ che… c’è una cosa, di te, che non capisco…”.

“Cosa?”, domandò incuriosita.

Octavia si sforzò di essere chiara e parlò con una certa lentezza: “E’ che… Tu hai avuto i tuoi problemi con la legge. Hai una tenuta, parenti, un’attività. Quando vi siete accorti che stavate colando a picco, siete ricorsi a misure un po’ drastiche ma forse necessarie. E questo lo capisco. Avete tolto di mezzo i concorrenti scomodi e fatto valere i vostri diritti all’organizzazione corrotta. E anche questo ok. Però…”.

“Dove vuoi arrivare?”.

“Quando… quando Celestia vi ha catturate... O meglio: quando Chrysalis vi ha ingannate… e… dopo essere fuggita da Counterlot, lasciandoci quasi le penne… Perché?... Perché non ti sei fermata?”.

L’amica corrugò leggermente la fronte e non disse nulla.

La compositrice continuò: “Avresti potuto scappare e andartene. Lasciar perdere Chrysalis, riprendere la tua attività o, addirittura, ricominciare da zero. Perché insistere? Non hai nulla da guadagnare. Puoi solo perdere. Perdere la tua vita. La vita dei tuoi cari. La tenuta. Perché continuare questo gioco pericoloso?... A quale beneficio intestardirsi fino all’ultimo nel contrastare la mutaforma?...”.

Il gangster con le lentiggini inarcò leggermente la schiena, puntando il muso verso il terreno.

Lo sguardo era intenso, anche se indecifrabile, e gli occhi si muovevano in punti casuali sull’erba, come se stesse cercando le parole per una risposta molto importante.

Sospirò e abbassò leggermente le palpebre.

L’interlocutrice ne percepì il disagio e si affrettò a puntualizzare: “Vabbè dai, non imp…”.

“Sono una stronza”.

“Eh?”.

“Sono una stronza, va bene?”, ammise, con voce atona, “Sono una lurida egoista. Hai perfettamente ragione. Avrei potuto fermarmi. Avrei potuto smettere quando ancora ne avevo l’occasione. E invece… ho continuato… di mia spontanea volontà”.

Applejack mise le zampe anteriori dietro alla schiena, usandole come supporto sul terreno.

Gettò la testa all’indietro, spandendo i crine e facendo cadere il cappello.

Sorrise ed osservò il cielo nebuloso.

“E’ curioso, sai? Ho fatto proprio come mio padre. Ovvero… quello che mi ero promessa mille volte di non compiere mai. Ho cercato di salvare la tenuta e la mia famiglia spingendomi in un terreno ancor più pericoloso. E… proprio come successe a lui… ora non posso più uscirne”.

“In che senso?...”.

“Arrivi ad un punto…”, continuò melanconicamente, “In cui vieni inghiottita dal meccanismo. In cui tutto ciò che prima ti sembrava illecito, amorale o sbagliato… diventa improvvisamente il tuo mondo, la tua natura, il tuo… modo di pensare. Io… io avrei potuto fermarmi. Ma non l’ho voluto. Per cosa? Per la mia tenuta? Per Applebloom? La nonna? Big Mac? Forse… Certo, non avere Chysalis tra i piedi gioverebbe alla sicurezza di tutti. Ma hai visto la sua sortita di questo pomeriggio, no? Eri lì. Ho di nuovo rischiato di… farli amazzare… e… e tutto perché…”.

La puledra chiuse gli occhi e deglutì: “…Tutto per… per me. Per la mia vendetta. Per… per il piacere di… di…”.

“…Di dimostrare a tutti che sei la regina sulla scacchiera. E non il pedone. Vero?”.

Aplejack si voltò verso l’amica.

“Io so di cosa parli”, continuò il pony grigio, “Lo so benissimo… Io non ho legami. Non ho una tenuta da difendere, parenti a cui voler bene… Ci sono solo io. E basta. Posso mettere a rischio la mia vita tutte le volte che mi pare. Perché… adoro quello che faccio. E, secondo me, noi due siamo molto simili. La differenza è che tu possiedi ancora qualcosa che potresti perdere. La tua strada verso il tuo sogno si può macchiare del sangue di persone a te care. I sacrifici a cui potresti andare incontro potrebbero coinvolgere non soltanto te…”.

In quell’esatto istante, le parole di Zecora le risuonarono nella mente: “Nulla volevi eppure molto hai ottenuto. Sei giunta fin qui e solo tu l’hai voluto. Ti sei costruita un ponte di morti, per cercare di scrollarti il peso che porti. Potresti fermarti… eppure non vuoi. Prosegui nel cammino e chiedi aiuto a noi. Aiuto desideri e aiuto avrai, se è ciò che richiedi… ma davvero sei pronta sacrificare tutto ciò che possiedi?...”.

Una strana sensazione di disagio le schiacciò il ventre.

“AJ?”, chiese Octavia, “Stai… stai bene?”.

“Sì, io… sto bene”, e si alzò.

“Ehy, dove vai?”, domandò l’amica.

Una folata di vento le investì entrambe.

“Sta arrivando il temporale. Meglio tornare dentro”. La padrona di casa si allontanò a zampa spedita.

La musicista raccolse il cappello e la osservò per qualche istante.


Fluttershy esplose l’ultimo colpo della scatola, giusto in tempo per l’arrivo delle prima gocce di pioggia.

Lontano, proprio sotto il campanile, il parroco uscì dalla chiesetta e alzò gli occhi al cielo.

“O Celestia vuole ancora farsi sentire…”, commentò solennemente, “Oppure ho di nuovo esagerato col Vin Santo…”.

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Capitolo 7
*** Kill With Me ***


L’asfalto è fottutamente duro e bagnato. Ho il muso così vicino che se allungassi la lingua potrei assaporare ogni rugoso millimetro di questa pece catramosa.

Apro lentamente gli occhi. E’ notte. E ci vedo doppio. O forse triplo… perché due o tre pony identici e sfocati si avvicinano a me. Anzi, dato che sono schiantato al suolo vedo solo le zampe. Questo significa… dalle quattro alle sedici zampe. No aspetta… dodici zampe? Oppure… Ah. Al diavolo. Non sono mai stato bravo in matematica.

Comunque, il patacca si avvicina e si china verso di me.

“E non osare più tornare nel mio Speakeasy, buffone!”, mi raglia contro.

Adesso vedi.

Incantesimo numero trendadue: implosione forzata delle gonadi. Vedrai come camminerai aggranchiato domani… Mi concentro… Uhm… dimenticavo.

Non sono più un unicorno.

Non sono più niente.


    Mi alzo faticosamente. Il rompiscatole se ne va, schifato dallo spettacolo che sto dando a titolo gratuito.

“Va bene… s… shcappa, codardo!”, gli urlo contro.

Dannazione. Gira tutto.

Le luci della città mi ruotano attorno manco fossi al LunaPark. Una macchina sfreccia sulla strada e mi passa vicino, a meno di mezzo metro.

Gli edifici di Ponymood mi circondano. Sembrano molto più grandi del solito. Sarà per via delle due bottiglie di Whiskey che ho ammazzato? Se quello può chiamarsi Whiskey, s’intende. Secondo me raccattano quello che la gente vomita la sera e lo allungano con un po’ d’alcol.

Una coppietta di fighetti passeggia accanto a me. Lanciano qualche commento di schifo nei miei confronti.

“Ehy, checche!!”, esclamo, dondolando come un emerito idiota, “Tornate in… indietro e ditemelo in… fasha!...”.

Spariti.

Codardi.

Una voce accanto mi spacca improvvisamente i timpani:“E-eshatto!! Checche! Tornate indietro e ditecelo in... uh... sul naso!!”.

E questo chi è? Un pony barbuto dal manto giallo, per di più capellone. Ha un sigaro tra i denti ma puzza il doppio del nano squamoso. Barcolla. Non so chi tra noi due sia il più sbronzo.

Un hippie sporco e fetente. Perfetto.

“Maledetti... checcolosi!!...”, farfuglia, agitando una bottiglia di amaro con uno zoccolo.

Lo invito cortesemente ad andarsene: “Smamma... barbone...”.

“Non puoi... non puoi dirmi cosha... cosha fare... tu...”, mi minaccia, senza nemmeno riuscire ad inquadrarmi correttamente.

“S-shenti, patacca...”, balbetto, appoggiandomi a lui per non cadere, “Non è... non è sherata...”.

Anche lui si puntella su di me.

“A chi... a chi lo disci...”, commenta, iniziando poi a farneticare verso il cielo, “Ieri... ieri ero uno... schrittore di shuccesso... e... ed ora...”.

“Ah!”, lo derido, “Tu non hai la più pallida... i... idea... di cosha sciano i veri problemi...”.

Lo sfigato mi guarda in faccia: “...Pu... puledre?...”.

Abbasso gli occhi, sconsolato, e, dopo un rutto, rispondo: “...Sì”.

“Bah”, sbuffà, dirigendosi poi verso un vicoletto, con zampe traballanti, “Una volta davo... conshigli a tutti... ma non... me ne girava bene una. E poi... tutti... tutti quei kiwi... Al diavolo...”. E scompare nei budelli, canticchiando qualcosa sul volare sulla luna... e giocare tra le stelle. Poveraccio.

Cerco di allontanarmi anche io ma mi sembra di camminare su un ponte di corde.

Mi appoggio con un fianco al muretto e ne seguo lentamente il percorso, trascinandomi.

Cammino. E i ricordi mi fiocinano la mente, uno dopo l’altro.

Sento… sento il riverbero della voce di Coraline. Vedo il suo sguardo gentile…

Il mio primo giorno all’accademia. Black Hammer, il mio… ex… migliore amico. L’incontro con quell’unicorno viola mezzo matto. L’inseguimento. L’incarico sullo zeppelin. E poi… Rarity.

Maledizione.

Rarity. Stupida… stupida puledra. Tra tutti i coglioni che c’erano in Equestria dovevi prenderti una sbandata proprio per il sottoscritto?

Rarity…

Il pomeriggio in cui arrivasti... in cui ti vidi per la prima volta… La voce già l’avevo sentita, sullo zeppelin, ricordi? Una voce fiera, sensuale e tagliente… avrei potuto stamparti le labbra addosso già allora, se prima non mi avessi sforacchiato con quella sparapiselli.

Rarity, dannazione… Quel pomeriggio… tu ti togliesti gli abiti eleganti di dosso e mi invitasti nel letto con te. Una puledra belle e leggiadra come te che si mette in una branda lurida, con uno stallone altrettanto lercio.

Perché? Perché io?

Ne… ne ho avuto abbastanza di Coraline. Non… non posso farmi rapire il cuore da un’altra puledra… non posso portarti con me lungo la mia strada. E’ una strada diretta all’inferno, baby. Non si torna indietro. E tu sei troppo speciale per finire nel posto dove sto andando.

Ma… ma tu mi ami, non è vero?

Non so quale siano le rotelle in testa che non ti girano… ma tu mi ami.

E quando sei innamorato, sei anche fottuto.


    Continuo a camminare fino all’incrocio. Mi fermo per un istante.

Qualcosa mi attorciglia le budella. Percepisco uno stimolo che conosco fin troppo bene…

Mi chino, sento le contrazioni farsi sempre più forti… finché un liquido pungente e acidulo non mi fuoriesce dalle labbra. E anche un po’ dal naso.

Celestia, che schifo. E’ sempre terribile… il sapore dell’alcol misto a quello dei tuoi succhi gastrici. Quando poi ti passa dalle narici… quando senti quell’odore fino in fondo...

Eh. Questo mi rimanda ai vecchi tempi, quando bere, espellere e bere di nuovo era tutto ciò che mi rimaneva. Ed ora ci sono ricascato.

Finisco di marcare il territorio con i miei rigurgiti. Perlomeno ora sto un po’ meglio.

Mi asciugo le labbra.

Rarity, cazzo!! Ma lo vedi che schifo di pony che sono? Ma cosa cavolo ti dice il cervello??

Ah già. Non è il cervello… quella cosa chiamata emozioni…

E, se mi ami… io cosa posso farci?

    Butto la schiena contro il muro e scivolo lentamente col sedere per terra. Nel farlo, il cappello si toglie e mi cade tra le cosce.

Rarity. Non riesco a smettere di pensarti. Sei ovunque.

Persino quel barboncino che mi è appena passato accanto mi ricordava te… aveva il tuo stesso colore del pelo e il musetto carino.

Bravo, uomo. La prossima volta che la vedi, digli che sembra una cagna da salotto e vedi come sarà contenta.

Zitto tu. Tu non…

Ehy… aspetta.

Forse potrebbe funzionare davvero…

Cosa?

Se… se io mi comporto come un emerito stronzo… se la tratto male, se…

Tu sei già stronzo, Hound.

Intendo ancora di più!

Buona fortuna. Ma poi, se ancora ti va dietro pur conoscendoti… la vedo dura.


    Mi guardo attorno e scorgo una battona all’angolo.

Può essere l’occasione buona. Mi alzo e trotto verso di lei, cadendo rovinosamente a terra un paio di volte: mi sembra ancora di essere su una chiatta in mezzo al mare.

Alla fine la raggiungo, un po’ ansimante. Lei mi scruta attentamente, con sguardo analitico. E’ vestita in modo volgare: giarrettiere, tacchi, borsetta e un trucco da far resuscitare una suona stecchita. Scosta la sigaretta dalle labbra rossissime ed espelle un po’ di fumo.

“Mh. Ti interessa la mercanzia?”, mi chiede, con tono di sufficienza.

“Sì…”, le rispondo speranzoso, “Quanto vuoi?”.

“Dipende cosa vuoi che faccia. Trenta bit se vuoi solo un lavoro di zamp…”.

“No, no. Non mi riferivo a quello”.

“Ah. E a cosa ti riferivi?”.

La guardo intensamente: “Baciami”.

“Eh?”.

“Baciami”.

La puledra diventa un po’ nervosa: “Uuhm… Ammetto che non è mai stato nell’elenco questo tipo di servizio… Un… un bacio, eh?”.

“Sì. Quanto vuoi per un bacio? Qui, sul colletto. Deve rimanere impresso lo stampo, però”.

“Senti, bello, io non ho tempo da perdere. Se vuoi anche solo un bacio, ti dovrò fare la tariffa minima per i miei servizi di base. Venticinque bit”.

“Venticinque… Ma mi prendi in giro?... Senti, dammi il tuo rossetto e basta. Provvedo io…”.

“Cosa??”, esclama interdetta.

“Mi devo mettere il tuo rossetto e fare il lavoro sporco da solo”.

Mi mena la borsetta sul muso: “Ehy! Sarò una prostituta ma certe schifezze feticiste non le faccio, maniaco!”. E si allontana.

“Ehy! No! Non hai capito! Oh, dannazione!”.


    Hound, sei un genio. Sei riuscito a farti scaricare da una prostituta. Penso non ce l’abbia fatta mai nessuno, prima d’ora.

Torno a sedermi contro il muro.

Che… che posso fare? Io… io voglio…

Deglutisco.

Io voglio bene a Rarity. Non voglio che, per colpa mia, lei soffra…

E allora non ti rimane che una cosa da fare.

Cosa?

Mollala. Fai come hai detto: renditi detestabile, se è il caso, ma rompi con lei. Non ha bisogno di una calamita di sventure quale sei.

…Per un po’ la mia mente si cheta.

Rarity… tu…

Tu sei…


    Tu sei la mia Coraline.

Tu sei come un angelo, a volte testardo e sboccato.

Ma mi ami incondizionatamente per ciò che sono.

Ed io non voglio che il marcio che ho dentro arrivi anche a te.

Non voglio.

Sono ridotto ad un nonnulla. Non ho uno scopo. Non ho una speranza. E in molti mi vogliono morto. Ma tu mi sei rimasta accanto. Il problema è che io so davvero essere un buco nero.


Mi sporgo leggermente e vedo la mia immagine riflessa in una pozza di acqua lurida.

Ecco cosa rimane del Segugio: un ubriacone dal corno mozzo. Un pagliaccio. Anzi, l’imitazione di un pagliaccio.

Tu meriti di più, piccola.



Tu non hai bisogno di me.


*** ***** ***


    Goccioloni d’acqua cadevano ritmicamente dal soffitto danneggiato, andando ad alimentare alcuni ristagni d’acqua mucillaginosa.

Tutto era buio, fatta eccezione per una piccola lampada ad olio poggiata sul davanzale. Pur essendo minuta, produceva luce sufficiente ad illuminare piuttosto bene il salotto disastrato.

Rarity era seduta al tavolo, con sguardo triste. La porta della camera da letto era stata letteralmente sbriciolata dalla sua furia.

Si portò uno zoccolo sotto al muso e vide alcune schegge piantate dentro. Morse il labbro inferiore.

Ma poi i suoi pensieri tornarono a lei… e ad Hound.

Sulla superficie del ripiano erano accatastati alcuni oggetti arrugginiti. La puledra li osservò.

“Io… non sono… più niente… Non ho un passato. Non ho un futuro. D’innanzi a me ci sono solo gli Agenti pronti a farmi la pelle. Non sono… non sono nemmeno più un unicorno”.

Chiuse le palpebre e il viso divenne triste e afflitto.

“Non… non ti basta il mio amore, Grey?...”, sibilò tristemente.

“Non ti basto, io, per darti la forza di continuare?... E’ vero… ti hanno fatto cose terribili. Hai… hai fatto cose terribili. Ma io ho visto del buono in te. Non è vero che non sei più niente. Per me sei ancora qualcosa di speciale”.

Sospirò e ripiombò nel silenzio.

L’acqua continuò a gocciolare, creando la sensazione di trovarsi in una grotta umida.

“Non sei più un unicorno. E’ vero… questo lo capisco. Lo capisco perfettamente… Se… se dovessero togliere il corno a me… non… non so come reagirei. Forse mi sentirei anche io un… un pony a metà…”.

Si portò entrambi gli zoccoli sugli occhi e pensò.

Poi, lentamente, aprì la borsetta ed estrasse uno specchietto da cipria, che spalancò con uno scatto. Lo poggiò sul tavolo e vide il proprio riflesso.

Stette alcuni secondi ad osservarsi e poi… l’attenzione tornò sugli attrezzi. Allungò una zampa verso di loro, scostandone alcuni, finché non si impadronì saldamente di un seghetto sporco.

Ritornò ad osservare l’immagine riflessa.

La zampa le tremò, mentre avvicinava l’utensile al proprio corno.

La lama si posò sull’osso. Il rumore così provocato la fece sussultare nervosamente: strizzò gli occhi e il fiato le venne meno.

“F-forse…”, balbettò, con le lacrime agli occhi, “Due… due mezzi unicorni… faranno… un solo unicorno…”.

Cercò di calmarsi. Lo zoccolo libero si poggiò dal lato opposto del seghetto, facendo pressione contro il corno.

Chiuse gli occhi.

Si preparò.

La lama venne portata all’indietro, pronta a scavare e tagliare.


    Tre colpi contro il legno la fecero sobbalzare. Qualcuno aveva bussato all’ingresso.

Il pony bianco ripose l’oggetto e poi non fece nulla.

Chi… chi poteva essere? Hound non era certo il tipo da bussare. O forse…

“C-chi è?”, chiese ad alta voce.

Nessuna risposta.

Si alzò lentamente, sollevando il revolver dalla borsetta tramite la levitazione.

Si avvicinò all’uscio, cercando di non far rumore.

Udì nuovamente bussare.

Rarity portò il proprio corpo contro lo stipite e cercò di fare l’occhiolino attraverso le fessure tra le assi sconnesse, sperando di vedere qualcuno. Ma era buio pesto.

“Rarity!”, disse una voce a lei famigliare, “Sono io!”.

L’altra spalancò bocca ed occhi: “Spike??”.

“Sì! Sì, sono io!”.

Un inganno? Una trappola degli agenti? Tutto era possibile…

Ma, in fin dei conti, era una stilista isolata in una catapecchia, non avrebbero avuto motivo per andarci piano. E poi… come avrebbero fatto a sapere che lei era lì?

Abbassò l’arma e fece scattare un chiavistello (non che rendesse la porta molto più sicura ma certe volte si ha solo la necessità di un palliativo mentale). Lo zoccolo bianco abbassò lentamente la maniglia e, dopo un sospiro, la porta si aprì cigolando.

Spike era di fronte a lei.

    Era vestito con un eccentrico completo Dandy, completamente bianco: tutto bianco eccetto una rosa rossa al taschino e una piuma vermiglia… una piuma oscenamente lunga su un cappello a tesa larghissima, altrettanto osceno.

Una cravatta a trame deliranti, screziate di nero, ricadeva lungo la camicia e le calzature erano delle lucidissime Church bicolore, appena un po’ infangate sui lati.

Rarity rimase impietrita.

Il draghetto era a sguardo basso, celato dal copricapo. Si portò un pugno al livello della fronte e, facendo schioccare il pollice, diede un colpetto al cappello, rivelando due occhietti saccenti e sicuri di sé.

“Ehy, dolcezza…”, le disse, sforzandosi di apparire ammaliante.

La mascella dell’amica si spalancò. Seguì un attimo che parve un fermo immagine.

“Sei senza parole, forse?”, domandò con superiorità.

Spike infilò le dita sotto la giacca ed estrasse un luccicante portasigari placcato in oro: lo aprì con uno scatto ed estrasse un sigaro di marca. Rinfoderò il contenitore e si passò diverse volte il tabacco sotto il muso, inalandone l’aroma a più riprese. Strinse quindi i denti e fece uscire un piccolo fiotto di fuoco verdastro, con cui accese la punta.

“Allora?”, continuò, roteando elegantemente la mano nell’aria, “Pensavo fossi contenta di vedermi?”.

Rarity scosse la testa: “Oh! Oh, m-ma… certo!!”. Superato lo sbigottimento iniziale, sfoderò un sorriso sincero e lo abbracciò d’istinto.

Spike strinse il pugno e pensò: “Sììì!! Vaiii!!”.

“Spike!!”, esclamò quindi la puledra, osservandolo negli occhi, “Ma… si può sapere cosa ti era successo? Sei scomparso! Dove… dov’eri finito??”.

“Ehh… è una storia lunga, ragazza mia…”, rispose con noncuranza.

“Sì ma… ci è… arrivata una lettera… una lettera con… le tue scaglie e…”.

L’altro fece vibrare le labbra, alzando le sopracciglia: “Pfff! Acqua passata. Ora le cose sono cambiate. IO… sono cambiato”. E si impettì.

“V-vedo… Non… non ti metti più la coppola e le bretelle …”.

Il draghetto tornò leggermente serio: “Quello era il vecchio Spike. Ora hai di fronte a te un drago nuovo. Rinato”.

“Sì…”.

L’amico sfoderò un sorriso da calendario osè: “Non ti piaccio?”.

“Beh… sì… il bianco ti dona, ma…”.

“Possiamo entrare?”.

“Oh! Ma certo! Vieni! Raccontami tutto!”, e lo fece accomodare.


    La coppia si avvicinò al tavolo. Spike controllò l’ambiente, ricordandosi la prima volta che venne per cercare il pegaso giallo.

“Mh. Uao. Certo che, quando piove, fa ancora più schifo di quanto ricordassi”.

La puledra gli porse una delle (poche) sedie ancora integre.

L’ospite prese posto, temendo che il legno cedesse. Il salotto era davvero lurido e nel caos più totale.

“Tutto questo per colpa di… di quel…”, pensò, ma si trattenne dal dirlo.

L’attenzione gli cadde quindi sul tavolino.

“Questo è il tuo specchietto da cipria. Il seghetto, invece, non me lo spiego…”.

L’unicorno lo afferrò prontamente e lo ributtò nel mucchio: “Niente”, si affrettò a rispondere.

“Che postaccio…”, commentò, osservando le gocce cadere nelle pozze.

“Già…”, ammise Rarity, sedendosi di fronte a lui.

“La stilista nonché padrone della Carousel Maison che dimora in questo pantano per ratti…”.

“E’ un po’… umido, in effetti”, dichiarò, con una lieve dose di imbarazzo.

L’amico si tolse il cappello e lo posò sulla superficie di legno.

“Spike”, intervenne il pony bianco, “Cosa… cosa ti è successo di recente?”.

“Successo?... Niente…”, mentì.

“Ma… eri con noi alla tenuta Apple, l’ultima volta che mi ricordo… E poi sei come svanito. Non ti abbiamo mai più rivisto. Twilight era preoccupata…”.

L’interlocutore sfoderò uno sguardo maligno e spostò l’attenzione altrove: “Bah. Twilight. Per quanto le freghi di me…”.

“Eh?”, domandò perplessa, “Scherzi? E’ preoccupatissima!”.

“Certo. E’ preoccupata che non ci sia più uno sguattero pronto a leccarle gli zoccoli e sporcarsi le zampe per lei…”.

L’altra scosse la testa, facendo oscillare i candidi boccoli viola, un po’ infeltriti dall’umidità: “Cosa dici? Lei… lei è stata malissimo. Non ha fatto che pensare a te, ultimamente. E’ persino andata a cercarti dall’altro lato delle campagne…”.

Qualcosa si mosse nel petto dell’amico e il suo volto divenne rapidamente sorpreso: “Lei… davvero ha fatto questo?... E’ venuta a cercarmi?...”.

“Ma certo!”, continuò con foga, “Io, Twily e Pinkie siamo andate a cercarti secondo l’indirizzo riportato nella lettera! Ma… ma tu non c’eri…”.

Il drago sembrò in evidente agitazione: iniziò a picchiettare le unghie sul bordo e ruotare le pupille in direzioni apparentemente casuali.

“Anzi”, riprese Rarity, “Ci sono molte cose che devi spiegarmi! Cosa ci facevano le tue scaglie in una lettera del Governo Celeste?”.

“G-Governo Celeste?”, balbettò, “Io… io non ne so niente…”, buttò lì.

“Ma… quelle erano le tue scaglie! Le riconoscerei tra mille!”.

Quelle parole gli strinsero il cuore per una seconda volta: “Uh… S-senti, Rarity… non parliamo di me. Ti basti sapere che sono cambiato. Che non sono più lo sguattero che conoscevi un tempo…”.

“Sguattero?...”.

“Sì. Guarda!”, affermò con orgoglio, mettendo in mostra gli abiti, “Arriva da una sartoria di Coltago! Certo… tu avresti fatto un lavoro migliore… Ma… cioè, non è bello??”.

“Sì… si, è bello…”, commentò mollemente.

“Rarity…”, le disse con sincerità, sporgendosi leggermente verso di lei, “Per… per anni non ho potuto darti nulla… E… non avrei mai potuto darti nulla, se avessi continuato in quel modo…”.

“Cos…”.

“Io ho sempre desiderato il meglio, per te…”, la interruppe, cercando di tirare fuori tutto quello che sentiva dentro, “Ma… ma non avrei mai potuto farlo. Non sarei stato nulla più di un assistente… nulla più di un… manovale… di un tirapiedi…”.

Rarity si fece sempre più perplessa.

Spike continuò: “Ma ora le cose sono cambiate, come ti ho detto. Ho del denaro. La possibilità di trovare un lavoro più rinomato. Lo sai che ho ricevuto un interessamento da parte di un ufficio vendite?...”.

“E’… è molto… Sono molto felice di sentirlo…”, rispose, poco convinta.

Il draghetto non capì: perché il pony che tanto amava sembrava a disagio, udendo quelle parole?

“Rarity… Sembra quasi che… che tu ti stia sforzando…”, biascicò con dispiacere.

L’altra prese qualche secondo per riflettere, prima di rispondergli: “No… sono felice per te… E’ solo… Cioè, eravamo preoccupatissimi… Tutti… E tu… torni dopo giorni con un vestito nuovo, dici di avere dei soldi e… Insomma, come se non fosse successo niente…”.

“Te l’ho detto! Ho chiuso col passato. Ormai non esiste più”.

“E… e cosa esiste, adesso?”.

Le zampe viola si serrarono delicatamente attorno allo zoccolo della puledra: “Ora… ora esiste questo Spike… Lo Spike che vuole renderti felice… che vuole darti… quello che meriti…”.

“Quello che… merito?”.

“Sì. E tu non meriti di stare in questa topaia. Non meriti di essere trattata come uno straccio… da… da un buono a nulla”.

“Un buono a nulla?... Ti… ti riferisci…”.

“Rarity… io non voglio avanzare la pretesa di sapere cosa è meglio per te. Ma di sicuro non è Grey Hound”.

Lo sguardo del pony si fece improvvisamente serio: “Come sarebbe a dire…”.

“Hound è una mina vagante! E’ uno stallone spocchioso e arrogante che non ha più un futuro! Guarda! Guarda come ti ha ridotta! Chiusa in una bettola in mezzo alla palude, tra muffe e legno marcio! E’ questa la vita che vuoi? Con un pezzente che non vale nulla? Ubriaco? Volgare?”.

L’amica non credeva alle proprie orecchie.

“Io invece posso tirarti fuori di qui! Posso darti un futuro sereno e lontano da tutto questo! Un futuro con una riserva sicura di denaro, con il Governo Celeste che ci lascerà in pace e…”.

Gli zoccoli bianchi si ritrassero dalla presa: “Governo Celeste?? Che cavolo centra ora il Governo Celeste?”.

Spike non disse nulla e si limitò ad abbassare lo sguardo.

E… Rarity capì: strinse le zampe attorno alle labbra e scosse rapidamente il capo: “No…”, esclamò, con un filo di voce, “…No… dimmi… dimmi che… che non è vero…”.

L’amico cercò di stringerle di nuovo gli zoccoli ma lei non glielo permise: “Rarity”, dichiarò quindi, mettendosi una mano sul cuore, “Ascolta… tutta questa faccenda è pericolosa. Tu non sai quanto. Ma loro… loro vogliono solo Hound. Non gli importa del resto. Non gli importa di te, di me… di noi. Se gli consegniamo il segugio, loro…”.

    La puledra percepì un peso nel torace.

“Spike”, lo interruppe, assolutamente esterrefatta, “Spike… ma cosa… cosa stai dicendo?... Ti ascolti mentre parli?”.

“Io…”.

“Non… non riesco a credere”, ammise, con gli occhi un po’ lucidi, “Che… che sia davvero tu… O forse ti hanno rintronato con qualche loro incantesimo del cazzo??...”.

“Rarity, io…”.

“Sarebbe questo il nuovo Spike??”, sbottò, con voce rotta e tremante, “Questo sarebbe lo Spike migliore, forse?? E dov’è finito lo Spike gentile e sensibile?? Quello che continuava umilmente ad aiutare i suoi amici, anche se non era ricoperto d’oro? Che… che si vestiva con la camicia trasandata e fumava quei terribili sigari di sottomarca??...”.

“Ma… ma come puoi pretendere che io fossi realmente quel…”.

“No, Spike!!”, lo ammonì, battendo debolmente sul tavolo, con una lacrima lungo la guancia, “Io non pretendo nulla! Non ho mai preteso nulla da te! Ed ora sei tu che torni qui, con abiti e soldi dei governativi, a dire come dovrei vivere la mia vita per essere felice! A dirmi cosa dovrei fare per evitare l’ira del Governo! A chi dovrei rinunciare per avere un futuro! Sei tu quello che sta pretendendo tutto questo!!”.

“I-io…”, farfugliò, “Io non… non pretendo nulla! Dico solo che…”.

“Ti sei venduto, Spike!! Ti… ti rendi conto di quello che hai fatto?? Ci hai abbandonati tutti per tornare con il guinzaglio degli Agenti! E ora vuoi che io faccia altrettanto! Che venda Grey a quei bastardi che hanno massacrato la famiglia a lui e a centinaia di altri pony!!”.

“Hound è uno stronzo e se l’è cercata!!”, sbottò, mettendosi in piedi sulla sedia, “Ma tu non hai nulla da spartire con lui!! Tu non sei come lui! Tu meriti di più!! Tu meriti…”.

Il drago ammutolì, senza riuscire a terminare la frase.

Rarity era in lacrime: “Te, Spike?”, gli domandò, “Tu sei ciò che merito?... Tu hai il diritto di dirmi cosa merito e cosa no? Chi posso amare e chi DOVREI amare??”.

Il piccoletto viola si accasciò lentamente.

“E, se anche fosse…”, continuò l’unicorno, “Tu saresti ciò di cui ho bisogno? Un traditore? Un vigliacco che vuole vendere un pony, non importa se stronzo, solo per mettersi il culo al caldo?... Spike… Davvero pensi questo?...”.

L’altro non rispose.

Il volto si fece ancor più dispiaciuto. Gli occhi tristi e le palpebre calanti.


    Hound sbucò da un salice marcescente, spostando di lato alcuni rampicanti e scorgendo la catapecchia lontana.

“Ci siamo…”, disse sottovoce, facendo un lungo respiro.

Si mosse con convinzione verso il caseggiato, preparando mentalmente il discorso che le avrebbe fatto.

“Ciao pupa. Sei brutta. E racchia. Ti mollo”.

Rarity brutta? Non avrebbe retto manco fossi stato orbo.

“Ehy, baby. Ti ho mai detto che detesto il viola? Tra noi non potrà mai funzionare”.

Hound… guarda che così la induci solo a tingersi la criniera.

“Scusa, bambola, ma ho scoperto la verità. Perdere il corno mi ha fatto desiderare altre cose lunghe e dure. Sono gaio”.

Patetico e poco convincente.

“In realtà io mi sono innamorato di Fluttershy. Mi sono sempre piaciute quelle timide. E con la passione per le carabine di grosso calibro”.

    Lo stallone era ormai giunto d’innanzi alla porta.

Sbuffò.

“Bah. Al diavolo”, ammise sconsolato, “Improvviserò…”, e si fece avanti, facendo scattare la maniglia.

I due occupanti si voltarono immediatamente. Grey non si sarebbe mai aspettato di trovare Spike e Spike non si sarebbe aspettato di vedere Hound.

Il segugio notò Rarity in lacrime e il draghetto di fronte a lei.

Corrugò la fronte.

“H-Hound…”, balbettò la puledra, con un debole sorriso, “Sei… sei tornato…”.

Spike cercò di mascherare il proprio avvilimento, senza però riuscirci.

Lo stallone inclinò il capo su un lato: “Che sta succedendo, qui?...”.

Il draghetto, titubante, provò a rispondergli ma Rarity lo bruciò sul tempo: “Uh… Spike… Spike è tornato. Sì, insomma… Twilight lo ha ritrovato e… ed è venuto qui per farmi sapere che era tutto a posto…”.

L’amico la osservò interdetto.

“Ritrovato, eh?”, bofonchiò Grey, “E quel bel vestitino?”.

“Il mio regalo di bentornato”, rispose la stilista.

“Lo hai fatto in fretta”.

“Sai che sono brava in queste cose…”.

“Mh… Ho quindi interrotto qualcosa?”.

La compagna scese dalla sedia e si avvicinò all’ospite: “Oh, no… anzi… Spike se ne stava giusto andando, vero? Ha delle faccende da sistemare con Sparkle”.

Rarity gli lanciò un’occhiata d’intesa.

Spike capì che l’unicorno stava cercando di parargli il sedere. Il suo umore scese ben oltre il pantano su cui era stata edificata l’abitazione, ma decise comunque di stare al gioco, onde evitar problemi.

“Io… sì, me ne stavo andando”, rispose lentamente, scendendo a sua volta.

Prese il cappello e lo cinse a sé, senza indossarlo, con sguardo melanconico.

Passò accanto allo stallone, ad occhi bassi, e guadagnò così l’uscita, lanciando un ultimo sguardo verso Rarity, prima di chiudere la porta.

Il drago piombò nell’oscurità, con giusto la luce che filtrava dalle pareti ad illuminare appena i dintorni.

Non sapeva cosa pensare. Sentiva soltanto di aver fatto qualcosa di sbagliato, unitamente ad una terribile sensazione di tristezza ed opprimenza.

Una figura gli si palesò d’innanzi.

Il piccoletto sgranò gli occhi: “T-tu??... Cosa… cosa ci fai tu qui?!”.

    All’interno, intanto, Hound scrutò l’amata, comprendendo come non gliela stesse contando giusta.

“Mhh. Come mai hai tutto il trucco disfatto?...”, le chiese, socchiudendo un occhio.

“Il… il trucco?? E’… l’umidità…”, buttò lì.

“Non credevo che l’umidità si condensasse solo sul bordo degli occhi”.

Rarity cercò di sviare: “Cosa vuoi saperne tu, di trucchi e cosmesi?? Che è già tanto se ti ricordi di farti una doccia una volta a settimana…”.

Grey si mosse lentamente attorno al tavolo: osservò lo specchietto e gli arnesi, quindi si portò muso a muso con la puledra.

“Perché hai pianto, baby?”.

L’altra ruotò gli occhi di lato e si strinse nelle spalle: sfregò quindi uno zigomo con lo zoccolo e tirò su col naso.

“Niente… ero solo… felice per aver rivisto Spike”.

I due si osservarono a lungo e Hound intuì che non stava dicendo il vero ma non volle continuare l’interrogatorio. E poi c’era una cosa più importante che doveva fare.

“Ascolta, bambola…”, farfugliò, come se avesse una spina nel collo.

“…Che c’è?”.

“C’è… una cosa importante… che ti devo dire…”.

“Anche io ti devo dire una cosa importante, Grey…”, dichiarò.

“Ah. Beh… allora…”.


    La porta d’ingresso si aprì di nuovo.

La coppia si voltò.

Un unicorno grigio e occhialuto si palesò loro, parzialmente occultato dal buio. Gli occhialini brillavano come piccoli fari e, nonostante l’oscurità, era visibile un mezzo sorrisetto sotto al muso.

Hound percepì una strana sensazione: “E tu chi saresti?”, berciò deciso.

Rarity rabbrividì: “Quello… quello è l’unicorno che lavora per il Governo!!”.

“Governo?”, disse il compagno, cercando di identificarlo.

“Sì, Hound”, rispose l’altro, sistemandosi gli occhialini, “Il Governo. Ti ricordi, no? Una volta lavoravi per lui”.

L’ospite inatteso fece qualche passo sul parquet rovinato, in modo che la luce potesse illuminarlo.

Un ricordo improvviso fece capolino nella testa del pony fulvo: “Ma… ma tu sei…”.

“Vedo che perdere il corno non ti ha portato via anche la memoria, Hound”.

Rarity cercò di far chiarezza: “Voi due vi conoscete?...”.

“Ah, mia cara!”, riprese l’Agente, continuando ad avanzare, “E’ un piacere rivederla! Deve sapere che io e il qui presente Traditore di Counterlot abbiamo affrontato l’addestramento avanzato insieme”.

Spike sbucò dietro di lui, estremamente titubante.

“Spike!!”, lo ammonì la puledra, “Lo hai… lo hai portato qui!! Come hai potuto??”.

“No!!”, cercò di discolparsi, “Io… io ero venuto da solo! Non ero nemmeno sicuro di trovarti qui! Mi… mi avrà seguito!”.

“Au contraire, mon ami”, lo corresse Rain, estraendo una ciocca di crine viola, “E’ stata una sorpresa anche per me, trovarti qui”.

La puledra osservò spiazzata la ciocca. Heavy se la portò al muso e inalò estasiato. L’altra reagì con un’espressione di ripudio.

“Ahh! Mia cara… il vostro profumo è inebriante. La morbidezza della vostra chioma… assolutamente…”.

Grey si frappose rapidamente tra lui e la stilista, con sguardo minaccioso.

“Dietro di me, pupa”.

L’Agente ridacchiò divertito: “Oh! Hound! Ora ti atteggi a gentil pony? E da quando?”.

“Ti credevo morto, Rain”.

“Oh… sì”, rispose, massaggiandosi il mento, in una finta posa da pensatore, “In effetti lo credevano in molti. E invece… eccomi qui. Non è splendido??”.

“No. E’ sospetto. Nessuno torna dal regno dei morti senza portarsi dietro il marcio della tomba”.

“Anche tu, Hound, sei tornato dalla tomba, a quanto ne so. Anzi, mi pare sia stata proprio la qui presente ad avvicinarti alla lapide”.

“Che io sono marcio è ormai un fatto assodato. Ma tu… Beh, non me lo aspettavo”.

“La vita è piena di sorprese, eh, vecchio mio?”.

“Piantala con la sceneggiata. Che diavolo vuoi?”.

L’unicorno fece spallucce: “Mah, personalmente avrei proprio evitato di recarmi in un immondezzaio come questo solo per te. Ma gli ordini sono ordini”.

“Capisco. Dunque… vuoi me?”.   

“Già. Vivo o morto”, rispose con nonchalance.

Il segugio non sembrò intimorito da quelle parole. Anzi, si fece pensieroso.

Fissò Heavy dritto negli occhi: “Vuoi… SOLO me?”.

Rarity scosse la testa.

“Sì. Solo te. Non ho voglia di sprecare energie inutilmente”.

“Se… se mi consegno spontaneamente… ce ne andremo e basta?...”.

“Certo”.

La zampa bianca della puledra lo girò verso di sé: “Hound!! Che diavolo stai dicendo??”.

“E’ me che vuole, baby. Tanto vale chiudere la partita una volta per tutte”.

“Cosa?? Ma sei tutto scemo??”.

Heavy estrasse magicamente un cipollotto e controllò l’ora.

“Pupa. E’ meglio così, credimi”, insistette lo stallone, imperturbabile.

“No!!”, ruggì l’altra, scuotendolo, “Non è affatto meglio!! La pianti con questa storia del cazzo?? Smettila una buona volta di fare il pony dannato ed afflitto! Tira fuori i coglioni e rompi il culo a questo stronzo!!”.

Rain ammiccò verso Spike: “Però… mi piace la gattina…”.

Grey strinse gli zoccoli dell’amata tra i suoi: “Bambola… Io non posso più fare niente. Riesco appena a far levitare le bottiglie per riempirmi il bicchiere. Più le cose andranno avanti e più il Governo si avvicinerà a me. E, giungendo a me, colpiranno anche te e i tuoi amici”.

Rarity perse le staffe: “ORA BASTAAA!! SONO STUFA!! Stufa che ci siano solo pony e draghi che mi dicano cosa devo fare, cosa è meglio per me, chi dovrei amare, da cosa dovrei fuggire, quale sarà il mio futuro se compirò o meno una determinata scelta!! PIANTATELA TUTTI!!”.

Il pony fulvo tirò il capo all’indietro, impreparato ad una simile sfuriata.

“La vita è MIA, Hound!! Che tu lo voglia o meno! Non hai il diritto di prendere le scelte al posto mio!! Sei liberissimo di farti ammazzare, se vuoi, ma almeno evita di usare me come alibi per ritrovarti con una pallottola nel cranio!!”.

Il corno di Rarity si illuminò e il revolver di Hound venne sfilato rapidamente dal cappotto, finendo tra le zampe dell’unicorno dagli occhi celesti.

Hound agì repentinamente per fermarla ma non fece in tempo: la puledra rivolse l’arma verso Rain e gli vuotò il tamburo addosso.

Il corno dell’Agente si illuminò appena e i proiettili si bloccarono a mezz’aria, per poi cadere e rimbalzare sul parquet.

Il pony bianco rimase senza parole.

“Pessima mossa…”, commentò Heavy.


    Un boato investì i due.

Hound venne scagliato all’altro capo della stanza e Rarity si ritrovò schiacciata contro il muro, come se una forza di gravità incontenibile volesse spezzarle le ossa contro la parete.

Tutta la mobilia (o ciò che ne restava) venne scagliata in ogni direzione e la casa tremò, quasi sul punto di collassare. La magia alterò misticamente la luce della lampada, che divenne bluastra.

Rain si mosse verso la puledra, con un cono traslucido proiettato dal corno: la forza che la teneva incollata al muro. La stilista strinse i denti dal dolore.

“Sei una puledra stupenda, Rarity”, le disse, “Davvero. Ne ho incontrate ben poche, come te. Hai stile, carattere. E sai graffiare, se vuoi. Ma rimani pur sempre una gattina selvatica. E io so come ammansire le micie selvatiche…”.

Hound scosse il capo e vide un armadio mezzo rotto sopra di sé. Mise in moto i muscoli e se ne liberò.

“RAIN!!”, ruggì furibondo.

“Bastardo!!”, urlò Spike, alle spalle dell’Agente, sfoderando gli artigli, “Avevi detto che non le avresti fatto nulla!!”.

L’energia irradiata dal corno era poderosa. Non solo teneva Rarity costretta al muro… ma un vento impetuoso si dipanava dalla fronte dell’incantatore, creando scompiglio e facendo svolazzare abiti e criniere.

“Mhh”, mugugnò l’unicorno, “Ci sono già troppi seccatori, per i miei gusti…”.

    L’incantesimo venne intensificato all’improvviso… e la casa esplose fragorosamente, spandendo legna e frammenti a trecentosessanta gradi.

L’esplosione fu tale che la vegetazione circostante venne piegata all’indietro e si creò un enorme foro tra le chiome sovrastanti, da cui iniziò improvvisamente a scendere la pioggia scrosciante del temporale.

Senza più una fonte di luce, tutto piombò nell’oscurità, rotta a più riprese dai lampi che illuminavano sporadicamente la scena, in concomitanza al riflesso degli occhiali del pony governativo.

Heavy Rain, sotto una pioggia pesante, sorrise sommessamente. Tuoni assordanti accompagnarono ogni singolo lampo che prese a cadere.

Del caseggiato non rimaneva altro che un cumulo di macerie, con l’unicorno grigio al centro.

Grey si tirò su dal fango, come se una cannonata lo avesse investito. Le orecchie gli fischiavano leggermente. Scosse il capo e alzò lo sguardo.

Rain era là, impassibile… e immortalato in quel ghigno di superiorità.

Lo stallone fulvo controllò i paraggi, alla ricerca dell’amata. La trovò, distesa tra il ciarpame e coperta da alcuni detriti.

Arrancò verso di lei, scivolando: “Rarity!!”.

Heavy li osservò divertito.

Il segugio giunse dalla puledra: gettò via forsennatamente i pezzi di legno e le mise uno zoccolo dietro alla testa.

“Rarity!!”, urlò di nuovo.

L’altra emise un verso di dolore.

“…H-Hound…”, farfugliò, sbattendo ripetutamente le palpebre, per via della pioggia sul volto.

“Rarity!! Stai bene??”.

“Io… io non… Ah!”, proruppe con dolore, “La… mia zampa… Fa… fa male…”.

“Non ti muovere, Rarity…”.

La puledra gli sorrise dolcemente: “…Sai… Hound?... In tutto il tempo che siamo… stati insieme… credo sia la prima volta… che ti sento chiamarmi per nome…”.

E il volto dello stallone… cambiò.

Il suo sguardo da duro… le sue rughe da eterno imbronciato… la sua aria da pony vissuto… svanirono progressivamente… lasciando il posto ad un volto commosso e quasi addolcito.

“R-rarity, io…”.

La voce di Rain fece capolino alle loro spalle. L’Agente decise di avvicinarsi lentamente, creando uno spartifango magico d’innanzi a sé.

“Che carino che sei, Hound”, ironizzò, “Sembra quasi impossibile che tu abbia ucciso a sangue freddo decine e decine di pony…”.

“Rain!!”, tuonò lo stallone, portandosi sulle quattro zampe, “Sei un lurido bastardo!!”.

Un lampo colossale illuminò a giorno l’intera scena, per un unico istante. Un boato altrettanto impressionante lo seguì immediatamente.

“Siamo tutti bastardi, Hound!! La differenza è che tu sei caduto in basso e hai perso tutto. Hai perso il tuo vecchio lavoro, la tua amata, i tuoi sogni… hai persino perso la tua vendetta contro Celestia!”.

“Perché lavori per Chrysalis, eh?? Quando hai iniziato a vendere il culo come una puttana??”.

“Oh, non mi importa per cosa o per chi lavoro. Mi basta ricevere soldi, potere e… beh, serve altro?”.

“Perché, Rain?? Una volta avevi dei principi!!”.

L’altro continuò ad avanzare implacabile, accumulando potere sul corno.

“La verità, Hound, è che i principi non ti danno da mangiare. I principi non sono sufficienti a difendere qualcuno. I principi, senza i giusti mezzi o i giusti strumenti, sono utili tanto quanto un’esca senza pesci da prendere”.

“Lavori per degli assassini doppiogiochisti, Rain!! Te ne rendi conto??”.

“Ero morto, ricordi? In quell’esplosione nella distilleria. Ma la verità… è che venni abbandonato”.

“Come?...”.

Heavy rise come un matto, facendo riecheggiare i propri versi nella palude: “I nostri colleghi, Grey, sono fuggiti via come conigli, lasciando me e altri feriti in mezzo a quella pentola a pressione! Io riuscii a sopravvivere ma gli altri no. E il caso volle che Chrysalis avesse bisogno di incantatori capaci. Non è così difficile, se ci pensi…”.

“Ma ora stai facendo la stessa cosa che i colleghi fecero con te!! Ti comporti come un bastardo!”.

“Non farmi la predica. Tu hai fatto lo stesso per un sacco di tempo”.

“Sì ma io non lo sapevo! Credevo che dei criminali avessero ucciso Coraline!”.

Heavy si fermò e gettò lo sguardo verso il cielo: “Ah… Coraline. Sì. Mi ricordo di lei”.

Il mezzo unicorno ammutolì.

“Mi ricordo quando entrai nel vostro appartamento, con quei due pagliacci trovati per strada…”.

Quelle parole iniziarono a forare lo sterno di Grey come un trapano a percussione.

“Menti semplici… sennò non sarei mai riuscito a cancellarne gli ultimi ricordi… E la tua fidanzata… quando la legai… scalciava come un mulo e urlava come una scrofa al macello”.

    Il segugio perse ogni controllo.

Proruppe in un urlo spaventoso e lo caricò senza pensare.

Rarity trasalì: “No!! Grey!!”.

Heavy sorrise di gusto e lo investì con quello che, all’accademia, definivano “affondo mentale”: una lancia traslucida ed eterea originatasi direttamente dalla fronte dell’incantatore. La magia intercettò il bersaglio proprio sul capo, ribaltandolo all’indietro e facendolo scivolare di alcuni metri.

Per alcuni secondi, allo stallone sembrò di avere mille aghi conficcati nel cervello: si portò le zampe alle tempie e spalancò la bocca, senza emettere neanche un verso, tanto era il dolore.

Rarity, con la zampa posteriore ferita, si trascinò fin da lui: “Hound! Hound!!”.

“Ah!... D… dannazione…”.

Heavy riprese a marciare verso la coppia. Voleva divertirsi ancora un po’.

“Hound!! Smettila! Andiamocene!! Scappiamo!”.

“Non c’è possibilità di fuga, ma chère”, disse l’Agente.

Il pony fulvo scostò la puledra con una gomitata all’indietro: “V… vattene, pupa… stai lontana…”.

“No, Hound! Piantala di fare l’eroe incazzato!”.

“Tu non capisci…”, dichiarò, con il fiatone e la testa quasi nel fango.

“No, sei tu che non capisci, Hound!! Io ho bisogno di te!!”.

“No… tu non hai affatto bisogno di me…”.

“Oh, per Celestia!!”, sbottò, “Ho bisogno di un marito!!”.

“No…”.

“E invece sì!... Non… non voglio che i miei cuccioli crescano senza un padre…”.

Gli occhi dell’interlocutore la osservarono intensamente. Persino Rain si fermò e alzò le sopracciglia, evidentemente sorpreso.

“C…cosa?...”.

Rarity non disse nulla e sorrise appena.

“Se… se è un altro scherzo allora guarda che…”.

La puledra gli afferrò il volto con entrambe le zampe: “Nessuno scherzo. Sono incinta…”.

“M…ma…”.

“E’ successo la prima volta che ci siamo incontrati… nello scantinato di Twilight…”.

“Quindi…”.

“…Lo ero già quando attaccammo Counterlot. Solo che, allora, ancora non lo sapevo… ma ora ne sono sicura…”.

L’Agente proruppe in un’altra risata: “Ma è incredibile!! Stai per morire nel giorno in cui scopri che diventerai padre!”.

La puledra si arrabbiò e non poco: “Schifoso bastardo!! Lasciaci in pace!”.

“Oh, non credo proprio che lo farò”.

“Perché volete Hound?? Cosa vi frega, di lui??”.

“A me non importa un fico di questo buffone. Ma interessa a Chrysalis”.

“Perché? Vuole usarlo come capro espiatorio?? E’ piena di mutaforma, può usare loro, per quello!”.

L’altro scosse il capo: “…No, prendi un granchio. Crysalis non vuole espressamente Hound. Le basta la sua… testa!”, rispose, concludendo la frase come se avesse appena raccontato una barzelletta.

“La sua… la sua testa?...”.

“Sì. Non chiedermi come faccia ma Chrysalis può assimilare i ricordi dei pony. E Hound è pieno di informazioni utili. Ha studiato i criminali, voi nella fattispecie, per un sacco di anni. Conosce le vostre mosse, i vostri spostamenti e ora sa pure dove abitate, cosa mangiate a colazione e, giusto di recente, quali sarebbero disposti ad andare a letto con lui”.

“M-ma…”.

“Lei lo vuole vivo o morto. Diciamo che, da morto, il procedimento sarà un po’ più lungo. Ma, fintanto che gli porto il cranio integro, non penso ci saranno grossi problemi. E credo proprio opterò per quest’ultima opzione. Non voglio correre rischi… senza contare che sarà MOLTO più divertente!”.

Rarity si sentì chiusa in una trappola e non seppe più cosa dire, né cosa fare.

“La cosa curiosa…”, ammise infine Heavy, “E’ che ero venuto qui con l’intento di catturare un pony… ed ora mi ritrovo a volerne amazzare… almeno tre!”, concluse, riferendosi ai presunti cuccioli nel grembo della puledra.

Quella frase fece letteralmente infuriare Hound, che si alzò all’improvviso.

La puledra cercò di fermarlo ma lui la allontanò con una zampata tutt’altro che delicata.

“RAIN!!!”.

“Ahh!”, dichiarò l’Agente, quasi soddisfatto, “Ecco il Segugio che ricordavo! Deciso e incazzato! Ma ora non hai più il tuo corno a pararti il culo. Ora posso fare di te ciò che voglio”.

Ed era la verità. Un corno spezzato poteva richiamare solo una porzione infinitesima di magia. Qualcosa di insignificante, se paragonato alla potenza dell’avversario che aveva di fronte.

    L’Agente si leccò le labbra, quasi in preda all’ansia: non vedeva l’ora di devastarlo e di strappargli la testa dal collo. Lo stallone fulvo aveva goduto di un successo e di una notorietà che Rain non era mai riuscito a guadagnarsi. E, proprio quando stava per surclassarlo, avvenne l’incidente alla distilleria e tutto svanì nel nulla.

Uccidere Hound non lo avrebbe reso più famoso o rinomato… ma la vendetta non è razionale. E Heavy adorava seguire il proprio istinto.

Il corno accumulò potere, fino a divenire accecante.

Rarity dovette coprirsi il volto.

Grey venne inglobato nella sfera di luce.

Un sorriso maniacale prese il sopravvento sul muso dell’incantatore grigio e un’onda traslucida venne scagliata dalla fronte, investendo in pieno il bersaglio.


    “Hai capito, cadetto??”.

“Signore, sissignore!!”, rispose la recluta, con i sudori freddi.

“E allora perché il manichino è ancora integro, eh??”.

“I-io…”.

“Stiamo addestrando Agenti, qui, non puledre pallemosce!!”.

La voce dell’istruttore fece abbassare le orecchie al poveretto, costringendolo inoltre a digrignare i denti.

Lo stallone continuò: “Fuori dai coglioni, subito!! Fatti venti giri di campo e poi torna qui, hai capito??”.

“Signore, sissignore!!”.

La squadra si trovava in aperta campagna, in una zona bandellata e adibita a campo di addestramento.

I presenti (tutti unicorni) indossavano le tipiche divise blu delle burbe: d’innanzi a loro, a diversi metri di distanza, erano stati collocati alcuni manichini dalle forme equine.

Poco lontano, in un campo analogo, dei tiratori si esercitavano con armi d’ordinanza.

L’istruttore degli unicorni iniziò a muoversi tra le fila, con fare autoritario e tono marziale: “Mezze seghe!! Sì, dico a voi! Sapete dove il vostro amichetto ha sbagliato?? A parte nell’iscriversi all’accademia, intendo…”.

Silenzio.

“Chi di voi sa cos’è un catalizzatore??”.

Ci fu un attimo di pausa, interrotto da un pony che fece un passo in avanti: “Signore, un catalizzatore è un oggetto in grado di potenziare la magia di un incantatore, signore!!”. E tornò in riga.

“E tu chi sei?? Chi cazzo ti ha chiesto niente?? Trenta giri di campo, subito!!”.

Il cadetto partì.

“Il saputello ha detto una fesseria! Chi mi sa dire quale?... Nessuno?? Siete proprio così ignoranti? Ve lo spiego io: un catalizzatore non è necessariamente un oggetto. Un catalizzatore può essere qualsiasi cosa: dalle mutande bagnate di vostra sorella all’ultima canzone che avete sentito alla radio! Un catalizzatore può anche derivare da un ricordo, da un’emozione o da un semplice pensiero”.

Lo stallone si fermò, portando in fuori il petto: “Con un opportuno catalizzatore, potrete incrementare notevolmente il vostro potenziale. Anzi! Sarà OBBLIGATORIO che impariate qual è il catalizzatore a voi congeniale! Utilizzare incantesimi catalizzati richiede più energie ma il guadagno vale la spesa! Più unicorni possono anche catalizzarsi a vicenda ma non otterrete mai un risultato paragonabile al vostro catalizzatore più potente!”.

L’istruttore affondò il muso contro una delle reclute, che cercò di mantenere il sangue freddo: “Qual è il tuo catalizzatore, sfigato?? Eh?? Si può sapere? La paura? Te la fai addosso, mezza pippa?? Anche la paura può essere un catalizzatore!”.

Una burba, piuttosto lontana dall’ufficiale, diede un colpetto al commilitone a fianco e gli disse sottovoce: “Sentito, Hound? Basta trovare un catalizzatore. Scommetto che il tuo lo potresti fare lavorando a maglia”.

Grey lo fulminò con lo sguardo: “Zitto, coglione. Non ho voglia di sorbirmi il Tenente Spaccapalle per colpa tua”.

“Cos’è? Hai paura? Forse il tuo catalizzatore è proprio la fifa”, lo schernì.

“Cazzo, Rain, se il tuo fosse essere un cazzone, allora…”.

“Insomma, Hound, come sei maleducato. Sempre con i genitali in bocca!”.

Il collega capì il riferimento e tremò dal nervoso.

L’altro sorrise: “Dai, non prendertela. Scherzo. Io ho già avuto le mie missioni per conto del Governo, lo sai. Credo di aver capito quale sia il mio catalizzatore ormai”.

“Ma non mi dire…”.

“Sì… E’…”.

La voce del tenente esplose di colpo: “…E’ IMPORTANTISSIMO che capiate a quale categoria di catalizzatori attingerete maggior potere. Ai miei tempi era d’usanza trovare dei nomignoli per le varie categorie. Quelli che catalizzavano dagli oggetti artistici o emozioni derivanti dall’arte li chiamavamo Creativum. Chi catalizzava dalle emozioni negative, come il terrore o la disperazione, lo chiamavamo Lamentum…”.

“Però… mi piace”, commentò Rain.

“…E chi catalizzava dal proprio odio e dalla propria rabbia…”, concluse lo stallone, “Lo chiamavamo…

…INVICTUM”.


    L’esplosione magica deflagrò addosso ad Hound, in tutta la sua violenza.

La melma schizzò ovunque, preda di un contraccolpo di decine e decine di metri.

Persino Rarity faticò a rimanere salda, con le zampe sulla testa e il muso basso.

La pioggia, per un istante, parve cessare… per poi riprendere non appena terminato il fenomeno.

Una grosse nube di vapore acqueo iniziò a dipanarsi e lo scrosciare dell’acqua prese il sopravvento, sempre scandita dai fulmini.

Heavy si spinse gli occhialini contro il muso, com’era solito fare, e si pregustò la vittoria.

    Il vapore si tinse di rosso, per via di una fonte al suo interno.

Lo sguardo dell’unicorno grigio passò dall’arroganza alla perplessità.

Uno zoccolo fulvo emerse dal velo di gas e il Segugio di Counterlot si palesò, con un vermiglio pulsare sulla fronte. I suoi vestiti erano leggermente stracciati e il pelo strinato. Il cappello non c’era più e i crine scuri ondeggiavano, sospinti dalla magia del mezzo unicorno.

Il suo muso era farcito di pura rabbia… una rabbia ed un odio che stavano pompando dolorosamente verso la fronte.

Grey non ci capì più nulla: la sua mente non razionalizzava più, ormai. Nei pensieri aveva solo alcune vaghe immagini che gli comparivano sporadicamente d’innanzi: il sorriso di Coraline, lo sguardo di Rarity, un vaso di margherite infranto, il bacio della puledra color latte, il suo profumo e… più insistente tra tutte… la figura di Rarity, nell’oscurità, con una tenue e candida luce che pareva generarsi dal suo grembo.

Un’aura rossa come sangue si spanse in ogni direzione.

Rain deglutì e tutta la sicurezza che aveva esternato fino a quel momento svanì all’improvviso: Grey marciava implacabile verso di lui, con la melma che ribolliva attorno agli zoccoli, manco fosse stata messa sul fuoco.

L’unicorno occhialuto cercò di non perdere la calma e scagliò una devastante saetta nera contro l’avversario: l’incantesimo sfrigolò contro le sue carni, ustionandolo e bruciandogli ulteriormente il cappotto… per venire poi respinto nei dintorni dall’aura dell’ex-Agente.

“No…”, farfugliò Rain, incredulo, scuotendo la testa.

Evocò un altro incantesimo… che fece solo un gran baccano e sollevò litri di melma attorno ad Hound… ma l’altro continuò a marciargli contro.

“No… no… NO, NO!!”, ripeté, accompagnando ogni urlo da una magia differente.

Rarity osservò sbigottita la scena… e si rese conto che le sorti della battaglia stavano per ribaltarsi quando vide Rain eseguire un primo, timido passo all’indietro.

Il funzionario estrasse un’oscena Colt intarsiata e premette più volte il grilletto: “CREPA!!”, strillò.

Le pallottole si fusero in fiotti di piombo incandescente, a pochi centimetri dal bersaglio, cadendo poi nei liquami, con un allegro sfrigolare.

Heavy buttò l’arma, ormai inutile. Non se ne rendeva conto ma il suo era il muso di un pony terrorizzato e continuava ad annaspare all’indietro come un emerito codardo.

“PERCHE’ NON CREPIII???”, gli inveì contro… e poi si accorse di un dettaglio che gli fece raggelare il sangue nelle vene. Un’inezia, tutto sommato: una minuscola scintilla dorata nella zona dove ci sarebbe dovuta essere la punta del corno.

Fu così tanta l’agitazione a coglierlo che, nel dimenarsi, gli occhiali gli caddero nel pantano, rivelando due pupille contratte dalla paura, color nocciola: “HOUND, SEI PAZZO??”.


    “Incantesimo sedici”, dichiarò orgoglioso lo studente, ammirando il cratere fumante, dove prima si ergeva un granitico blocco di pietra.

“Bravo, ma non montarti la testa”, rispose l’insegnante, riconoscendo però in lui un forte potenziale, “Qui siete in una scuola. Non c’è nulla di davvero pericoloso. Si vedrà sul campo chi siete veramente… per questo dovrete sapere a menazampa ogni singola magia e il rispettivo controincantesimo”.

Alcuni presero appunti.

“Vi ricordate il discorso che vi fecero durante l’addestramento di base, sui catalizzatori?”.

I presenti annuirono.

“Sapete qual è il catalizzatore più potente che ci sia in Equestria?”, domandò, in un evidente quesito a trabocchetto.

Ci fu un istante di smarrimento, poi i primi tentativi di risposta: “Le emozioni più intense?”.

Il docente scosse il capo, in segno di dissenso.

“I Cristalli di Ignite?”.

“Le catalisi sinergiche tra più unicorni?”.

“Tua nonna in cariola?...”, sbuffò Hound, annoiato, senza farsi sentire.

“No”, rispose infine l’insegnante, “E se lo conosceste… penserei che c’è davvero qualcosa che non va. Dovete sapere… che non esiste un catalizzatore oggettivamente più forte di altri, in quanto ogni pony ha un’attitudine per determinati catalizzatori che potrebbero essere inutili per altri”.

L’unicorno si mise comodo e divenne serio: “…C’è però una cosa… un UNICO catalizzatore che ripudia questa definizione. Un catalizzatore unico e insostituibile, a cui ognuno di voi potrebbe fare appello in ogni istante…”.

Alcuni corrugarono la fronte.

“Sto parlando”, continuò sorridendo, “…della vostra vita”.

Si levarono dei brusii e l’attenzione di Grey si riaccese all’improvviso, insieme a quella di tutti gli studenti.

“Esiste un incantesimo unico… che può essere lanciato solo tramite questo raro catalizzatore. Non esiste forza, proiettile, stregoneria, contromagia o arma in grado di opporsi ad un unicorno che sta catalizzando il potere tramite la propria… vita. E non esiste muro, carro armato, barriera o appellativi a Celestia in grado di proteggervi dalla devastazione di un incantesimo catalizzato dalla vita di qualcuno…”.

L’insegnante si compiacque dell’efficacia delle proprie parole: “Vi ricordate l’incidente di Reverside?”.

“L’esplosione della tenuta CherryStripe?”, chiese uno.

“Fu uno dei nostri agenti. Catalizzando la propria… essenza”.

Il tizio rimase impietrito.

“Ma non pensiate sia solo una furia devastatrice: può essere usato per diversi scopi, da attacchi chirurgici a sbalorditive manifestazioni di potere. Certo… il prezzo da pagare è molto alto ed è inutile che vi dica che dopo… beh, non c’è alcun dopo”.

“Mi scusi”, chiese un alunno, “Ma… io non ho mai visto nulla in riferimento a questa… tecnica. La lista delle magie va da uno a…”.

L’altro lo interruppe, con tono quasi divertito: “E’ una… tecnica, come la chiama lei, che non si impara dall’oggi al domani. Viene insegnata solo a coloro che divengono Agenti in tutto e per tutto… e che superano anni di onorevole carriera. Non è uno dei trucchetti d’accademia che vi hanno insegnato. E’ roba seria… e proprio per questo non è elencato… e… per lo stesso motivo… viene definito…”.


    “ESATTO, RAIN!!”, ruggì Grey, furibondo, ingrandendo a dismisura la propria aura vermiglia, “INCANTESIMO NUMERO ZERO!!”.

Heavy indietreggiò così tanto dal ritrovarsi con le spalle contro un grosso albero di palude.

L’altro gli era addosso, a meno di un metro, pronto a sacrificare la propria vita pur di annientarlo.

L’alone rosso lo inglobò completamente, provocandogli la sensazione di essere a pochi centimetri da un camino accesso.

Il corno del pony grigio si illuminò istintivamente, ergendo una barriera semisolida di fronte a sé.

“HOUND!! HOUND, FERMATI!!”, lo supplicò.

Grey non disse nulla e affondò gli zoccoli sulla barriera, che rispose con lampi e fiammate… e che iniziarono a bruciare la carne dello stallone fulvo. Ma il segugio, ormai accecato dalla rabbia, contrasse i muscoli facciali e rafforzò la presa: gli zoccoli dello stallone riuscirono a scavare un piccolo varco, in una efferata lotta con l’incantesimo, che cercava invece di richiudersi.

“HOUND, PER CELESTIA!! FERMATI!!”.

Il pony infuriato riuscì ad allargare ulteriormente il varco e l’odore di carne bruciata si diffuse ovunque.

Rarity tremò, cercando di avvicinarsi, ignorando (senza riuscirci) il dolore lancinante alla zampa.

Rain era sul punto di un collasso disperato: “GREY! GREY!! NON FARLO!! PENSA… PENSA A… A RARITY!!”.

“IO NON LA MERITO”, rispose con convinzione, senza desistere dall’abbattimento della difesa avversaria, “E NON POSSO CONTINUARE A METTERLA IN PERICOLO”.

Un terrificante potere di morte iniziò a palesarsi sul moncherino e Heavy capì che si stava realmente giocando la vita, in quell’istante: “ASPETTA! ASPETTA!! I TUOI PICCOLI!! I TUOI CUCCIOLI!! PENSA A LORO!! NON VORRAI MICA LASCIARLI SENZA UN PADRE??”.

“IO NON AVREI MAI VOLUTO UN PADRE COME ME. MEGLIO SE NON MI CONOSCERANNO MAI”.

Il segugio riuscì a stendere le zampe anteriori, con immane sforzo: vi era un foro sufficientemente grande da introdurre la testa… e quel che rimaneva del corno.

L’Agente vide ogni speranza di salvezza svanire.

Grey alzò il volto verso di lui…

L’Invictum ammansì il Lamentum con il semplice sguardo…

“ANDREMO DA CELESTIA ASSIEME, RIUNITI, PROPRIO COME RECITAMMO AL GIURAMENTO, RICORDI? DOVRESTI ESSERNE CONTENTO…”.


    Una sagoma saettò rapidamente all’interno della protezione magica, sfruttando il foro da cui solo lui sarebbe riuscito a passare.

Spike sfoderò gli artigli e, con un colpo secco, lacerò la gola dello stallone dalla nera chioma.

Alcune goccioline rosse si dipinsero sulla giacca bianca, contemporaneamente ad un fiotto color rubino che si allargò all’istante lungo la parete traslucida.

Rain spalancò le palpebre… un attimo prima di portarsi gli zoccoli sotto il mento e cadere all’indietro.

La barriera si dissolse all’istante.


    L’aura di Hound parve placarsi leggermente, quando vide il proprio nemico cadere di schiena nella melma.

Rain iniziò a rantolare e scalciare, provando in ogni modo a contenere il rigurgito arterioso.

Tentò un incantesimo ma Grey fu più rapido: gli mise una zampa sulla fronte e, con un colpo secco dell’altro zoccolo, gli ruppe di netto il corno.

Il funzionario provò ad urlare ma riuscì solo a contorcersi e sputar sangue.

Il drago e il segugio, entrambi col fiato corto, lo osservarono con malcelata soddisfazione, mentre si spegneva… e il sangue veniva lavato via dalla pioggia, mescolandosi all’acqua putrida del luogo.

Ebbe ancora qualche sussulto, prima che la vita lo abbandonasse.

Definitivamente.


E la pioggia cadde.


I lampi giunsero fugaci.


I tuoni diedero sfogo di percussioni celesti.


La luce rossastra di Gery diminuì d’intensità, fino a spegnersi.

Lo stallone continuò a fissare a lungo il cadavere del suo vecchio compagno di accademia.

Tutto quello era successo… per cosa? Solo per causa sua?

Gli antichi pensieri dell’ex-agente tornarono ad assillarlo.

Un rumore alle sue spalle ne attirò l’attenzione.

Si voltò: era Rarity, che si reggeva a fatica.

Il compagno si mosse verso di lei, supportandola un istante prima che crollasse.

“Pupa… stai…”.

Una zoccolata lo investì in piena guancia. E questa volta non si trattava di un manrovescio scherzoso.

Lo stallone tornò con lo sguardo su di lei: la puledra stava piangendo a dirotto.

“BRUTTO STUPIDO!!”, urlò, con tutto il fiato che aveva in corpo, “COME SAREBBE A DIRE CHE NON MI MERITI?? IO PORTO I NOSTRI UCCIOLI IN GREMBO E TU CERCHI DI AMMAZZARTI, LASCIANDOMI SOLA??”.

“I-io…”, balbettò, assolutamente spiazzato.

L’altra lo scosse, con le forze che le erano rimaste: “Hound… per la prima volta in vita tua… non puoi smettere… smettere di pensare che non meriti una vita felice?? La vuoi piantare di distruggere ogni cosa bella che cerca di venirti in contro??...”.

“Ma io…”.

“No, Grey!! So già dove vuoi andare a parare!! Ma non è come pensi! Non sono le circostanze a distruggere le cose che ti sono care! Sei TU, GREY! Sei tu che lo vuoi!”.

Il volto del pony fulvo divenne basito, come se stesse affrontando una dolorosa verità.

“Tu stai distruggendo la tua stessa felicità, attaccandoti come una calamita al passato e agli errori che hai compiuto!”.

Il pianto dell’unicorno bianco si intensificò, rendendole difficile persino parlare: “E’… è come… come se continuassi a guardare i capitoli peggiori della tua vita, senza voler continuare, senza andare avanti nel libro… e ogni volta che trovi una pagina con qualcosa di bello… tu torni indietro e ricominci a leggere solo le cose più brutte!”.

Rarity era al limite e lo allontanò con uno spintone: “Beh, se vuoi continuare a distruggerti e tenere lontano chi ancora ti vuole bene… chi vorrebbe condividere quel libro con te… allora sei libero di farlo!!”.

La puledra gli diede le spalle, stringendosi i fianchi tra le proprie zampe.

“Fai quello che ti pare. Crepa… se ci tieni tanto…”.


    Grey allungò gli arti verso di lei e la abbracciò, petto contro schiena.

La stilista non riuscì a far altro se non strabuzzare gli occhi. Hound la stringeva a sé?

E, senza tanti complimenti, capì subito che, a bagnarle il collo, non era solo la pioggia… perché Grey Hound, l’ex segugio nonché traditore di Counterlot… stava piangendo.

“M…mi… mi dispiace, Rarity…”, le disse, con un tono che mai aveva udito prima, “Mi dispiace di averti fatto… soffrire così tanto”.

Si voltò, aspettandosi un viso contratto dal dolore… ma persino nel pianto Hound riusciva a mantenere quell’aria di inviolabilità emotiva che lo avevano da sempre contraddistinto.

Lo sguardo del compagno era sincero. Semplice e immediato nella propria sofferenza.

Ma l’espressione da eterno iroso… da pony infastidito da tutto e da tutti… per un istante scomparve di nuovo.

“Rarity”, riprese, passandole il dorso di uno zoccolo sulla guancia, evitando il lato ustionato, “Hai ragione. Io sono uno stupido… Sono un buco nero che risucchia tutto e non lascia fuggire nulla…”.

“Grey…”.

“Lasciami finire… Io sono caduto all’inferno. Ho sguazzato nei miei errori per un sacco di tempo… Ma tu mi hai teso la tua zampa, bianca come l’avorio. Ho agito come un bambino, ho pestato le zampe a terra, ho fatto lo stronzo…”.

“…Un grande stronzo…”, rincarò la compagna.

“…E… nonostante tutto… tu hai continuato a credere in me. E… ed ora… anche qui… in mezzo ad una palude, sotto la pioggia… di fronte alla morte… tu mi sei rimasta vicino”.

Il pony la abbracciò a sé con foga: “…Non posso sapere cosa accadrà ma… per quanto ne so… tu sei il mio angelo. E voglio essere il tuo compagno… e… e il padre dei cuccioli che porti dentro di te…”.

A quelle parole, la stilista si sciolse in un secondo pianto, questa volta di commozione.

“Sei… sei uno stupido, Hound…”, farfugliò, con la bocca parzialmente coperta dal cappotto di lui.

“Lo so…”.

La coppia rimase a lungo racchiusa in quell’abbraccio.

Sotto la pioggia.

Nel buio rotto da qualche lampo improvviso.

In un luogo tutt’altro che accogliente.

Nella magia di quegli istanti che sembrano dare e togliere contemporaneamente il senso ad ogni cosa.

Così.

Semplicemente.


    Poi, proprio come si era lasciato andare alle emozioni, Grey parve ritornare se stesso… o almeno in parte.

Iniziò a schiarirsi la voce, con rinnovato sguardo di serietà: gli occhi vagavano un po’ ovunque, incapaci di incrociare quelli della puledra, tanto era l’imbarazzo che provava.

“Uh… ehm…”, blaterò, “…Piove”.

“Ma non mi dire”, rispose l’altra, percependo divertita il disagio del compagno.

“Sì. Meglio se andiamo o ti prenderai un catarro schifoso”.

“Ed ecco che Hound il Romantico è tornato ad essere Hound il Galante…”.

“Senti, pupa…”.

“…Mh… dovremmo di nuovo giungere ad un passo dalla morte affinché tu mi chiami col mio nome?...”.

“Mhh… ok… Senti… uh…”, rispose, quasi dovesse confessare atti osceni ad un prete, “…Rarity… non è solo per noi ma… cioè… sei… insomma… e la tua salute… cioè… i… cuccioli… io…”.

L’altra arrossì e si mise di profilo, sbattendo le lunghe ciglia in modo ammaliante.

“E poi la pioggia ti rovina il viola dei capelli”, concluse, per sfuggire dall’imbarazzo di quella situazione.

Quando Rarity udì quelle parole, venne colta da un ricordo improvviso: “Viola? Spike!!”, eslcamò.

“Uuh… il nano squamoso?”.

“Sì! Dov’è?”.

I due scrutarono i dintorni ma non videro nessuno.

La stilista si agitò leggermente e pose gli zoccoli attorno al muso: “Spiiike!”.

“Aspetta, bambol… Rarity. Vado a cercarlo. Tu rimani qui e non sforzare la zampa ferita”.

“Ok… Ma non fargli del male!”, si affrettò a precisare.

“Tranquilla. Voglio solo parlargli”, ed iniziò a dirigersi verso la vegetazione.

“Non mi fido poi così tanto, eh. Staccagli una scaglia e ti…”.

“Ho detto che voglio solo parlargli”.

Stette per immergersi tra gli alberi ma si voltò un ultimo istante, dichiarando con serietà: “E… uh… se… se ti si rompono le acque… ecco… insomma…”.

L’altra si colpì la fronte con la zampa: “Sì… tranquillo…”.

“E… se senti delle voglie strane… che so?... Uh… una birra? Cioè… dicono che il lievito di birra agevola la produzione di latte, così…”.

“MUOVITI!!”, strillò, stufa di aspettare sotto la pioggia.

“Ok”, e svanì.

“Idiota…”.

    L’ex agente perlustrò un po’ i paraggi.

“Ehy… Drago? Ci sei?”.

Nessuna risposta, se non pioggia e tuoni.

“Voglio solo parlare”.

Goccia. Goccia. Goccia. Lampo. Tuono. Goccia. Goccia.

“Se non esci, completo l’incantesimo di prima e incenerisco il letamaio in cui ci troviamo”.

Un revolver venne lanciato da dietro un albero, subito prima che Spike uscisse fuori, con le zampe rivolte verso l’alto.

Il piccoletto era decisamente triste. I suoi abiti lordati di sangue.

I due si osservarono.

Grey sfoderò quindi un sorriso amareggiato e si sedette su un tronco marcio, emettendo un verso liberatorio. C’era un grosso salice, sopra di lui, che creava una zona tutto sommato al riparo dalla pioggia battente.

Il sicario squamoso non seppe cosa fare.

“Siediti”, disse lo stallone.

“Io… veramente…”.

“Ho detto siediti…”, ripeté, facendo brillare un po’ il moncherino.

Spike si sedette con celerità, accanto a lui.

Fu un momento di silenzio imbarazzato.

Il draghetto rimase con i muscoli tesi, preparandosi a chissà quale reazione da parte del pony.

I secondi passarono e divennero minuti.

Il tirapiedi viola cercò di scrutare l’espressione di Hound ma quest’ultimo rimase chino su se stesso, assolutamente indecifrabile.

La scena continuò finché il più piccolo provò a dire qualcosa: “Uuh...”.

Grey alzò improvvisamente la testa e l’altro ebbe un sussulto di paura.

“Oh, San Pietro! T-ti prego!”, lo implorò, proteggendosi con gli avambracci, “Se devi farmi fuori… fallo in fretta!”.

L’altro mise uno zoccolo sotto al cappotto.

Spike fece il segno della croce.

Hound estrasse un pacchetto di sigarette vuoto. Lo osservò. E lo gettò nel pantano.

Tornò a capo chino.

“Hai… un sigaro?...”.

“Eh?”.

“Mi offriresti un sigaro? Ho bisogno di avvelenarmi un po’ i polmoni…”.

L’interlocutore estrasse il portasigari e gliene offrì uno, titubante.

Il pony lo afferrò e lo accese col mezzo corno. Aspirò alcune boccate.

“…Ci voleva proprio…”, commentò, spandendo una densa nuvoletta grigia.

La pioggia cadde.

“Perché non te ne fumi uno anche te?”, aggiunse.

“Sì…”, rispose, “Buona… buona idea…”.

    Ci fu di nuovo un silenzio prolungato, che continuò fino al consumo di almeno metà sigaro da parte dei due.

“Cos’è? Il sigaro prima della pallottola? L’ultimo desiderio di un condannato?”, gli chiese Spike, rassegnato al proprio destino.

“Non voglio ammazzarti”.

“Tortura preliminare?...”.

“Quindi… lei ti piace?”, gli chiese lo stallone, spiazzandolo.

“Eh??”, sbottò, sudando freddo.

“Rarity… lei ti piace molto, non è vero?”.

“Oh… guarda che… che è solo ammirazione!... Per… Intendo… come artista!”.

“Sai…”, continuò, fissando il putridume in cui erano a mollo gli zoccoli, “Io… io non posso darti torto… E… fosse per me… avrei preferito che Rarity si mettesse con uno come te…”.

Il compagno di sigaro non credette alle proprie draconiche orecchie.

Il segugio cercò di esprimersi al meglio delle proprie (limitate) capacità sociali: “La… la verità è che tu avresti tutto il diritto di stare con lei. Mi sembri un tipo a posto. Per essere un sicario, intendo… Ma, dalle cose che so su di te, non hai mai voluto strafare. Anzi: forse sei il più pulito tra tutta la marmaglia da cui provieni…”.

Spike ascoltò attentamente quelle parole e divenne melanconico.

“No…”, gli rispose debolmente, “Tipo a posto io?... No. E non ho alcun diritto di… di averla con me…”.

“Perché?”.

“Io… io ho fatto una cosa schifosa. Se… se davvero l’avessi amata… se davvero… le avessi voluto bene…”.

Gli occhi umidi del drago si alzarono verso quelli scuri dello stallone: “…Allora non avrei dovuto cercare di separarla da colui che ama…”.

“Eh!”, ridacchiò l’altro, facendosi andare un po’ di fumo di traverso, con qualche colpo di tosse, “Solo belle parole! Nessuno vuole lasciare la propria amata tra le zampe di un altro, non contiamoci balle. Se qualcuno sfiorasse anche solo il culo di Rarity, come minimo gli farei mangiare la sua stessa coda…”.

“Sì ma… io… mi sono venduto…”, dichiarò, quasi sull’orlo del pianto, “Ho… ho portato gli Agenti dritti verso di lei. Non… non ho fatto UNA SOLA COSA che potesse essere per il suo bene… Sono… sono stato solo un bastardo egoista…”.

L’estro emotivo di Hound trovò piena manifestazione, riuscendo addirittura a dargli una tenue pacca sulla schiena: “Ascolta, nano. Tutti sbagliamo. Io ne sono la prova vivente. Ho sbagliato per anni… giorno… dopo giorno… Mi porto dietro una dose di sbagli che farebbe inorridire persino un penitenziario sovraffollato…”.

“Ma tu… insomma… ti hanno portato via la compagna… ciò che eri. Ti hanno mentito ed usato. Avresti tutte le scusanti per aver compiuto ciò che hai fatto…”.

“Come no. Vallo a dire ai famigliare delle vittime che ho spedito tra i Lidi Celesti… Senti, patacca: tu hai commesso un errore. Tutti sbagliamo. Ti sei sempre comportato bene. Non lasciarti traviare da quell’unico errore. Non sarà il primo e non sarà l’ultimo. E non definirà di certo ciò che sei. Sei solo inciampato. Devi semplicemente… rialzarti e proseguire”.

In quell’istante, Hound si chiese se stesse parlando davvero al draghetto… oppure a se stesso.

Spike tirò su col naso, senza trovare una frase con cui controbattere.

“Anzi…”, ammise Hound, osservando il sigaro, tramite la levitazione, “E ora che anche io mi rialzi. Fanculo”, e lo gettò tra i liquami.

Sollevò le natiche dal legno: “Fumo e alcol. Mi mancherete. Inveirò e romperò mobili, in vostra assenza. Ma ora ho qualcuno a cui pensare… e più di una vita da proteggere…”.

Anche Spike si sentì in qualche modo responsabile: scese dal tronco e guadagnò una certa spavalderia.

“Sì… sarà dura… e non so con che faccia potrò di nuovo… guardarla negli occhi… ma…”.

Rarity, appoggiata ad una pianta, colpì ripetutamente gli zoccoli tra loro, con un dolce sorriso: “Ma guarda come vanno d’amore e d’accordo i miei due ometti…”.

La coppia ebbe un viraggio tendente al rosso.

“P-pupa?? Cioè… Rarity… ma…”.

“Da quand’è che sei lì??”, rincarò Spike, “C-cos’hai sentito?...”.

“Abbastanza direi… Su. Basta con le manifestazioni d’affetto, per stanotte, che ne dite?”.

Silenzio imbarazzato.

“E poi…”, concluse, “Abbiamo una faccenda molto importante di cui preoccuparci… Chrisalys non morirà di certo di vecchiaia, da quando Celestia è morta…”.

“Eh??”, sbottò Hound, “Che sei scema? Tu ora hai altro di cui occuparti!”.

“Esatto!”, si intromise il drago, “Devi rimanere in assoluto riposo e…”.

La puledra sorrise amabilmente e infilò il capo tra le teste dei due, poggiando le zampe anteriori sulle rispettive spalle. Avvicinò le labbra alle loro orecchie e sussurrò: “Ascoltate… se uno di voi due prova ancora una volta a dirmi cosa devo fare nella vita… verrò di notte, mentre dormite, cucirò le vostre bocche con filo e rocchetto e vi userò come manichini per le mie composizioni estive. Sono stata abbastanza chiara?”.

“Ferpettamente”, rispose Hound.

“Cristallina”, ammise l’amico viola.

“Su”, li esortò, porgendo loro le zampe, “Ora andiamo a uccidere insieme…”.

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Capitolo 8
*** Chi Sono Io? ***


Ponymood, due settimane dopo.

Stanza di un appartamento qualunque.


    Qualcuno bussò tre volte alla porta.

L’unicorno color nocciola drizzò le orecchie, leggermente intimorito.

Con calma e assoluto silenzio, fece levitare la .357 verso di sè, estraendola dal cassetto del cucinino.

Afferrò quindi l’arma tra le zampe e la rivolse verso l’uscio, con mira incerta.

Deglutì nervosamente.

Seguì un ulteriore colpo sul legno all’ingresso, anticipando una rapida successione di altri due colpetti leggeri.

Il pony parve illuminarsi di speranza: “B-Berry?...”, tentennò, “Berry, sei tu?”.

“Sì, sono io”, rispose una voce di puledra, cercando di non alzare troppo la voce.

L’altro sbuffò dal sollievo e abbassò l’oggetto: “Oh, grazie al cielo… e… sei sola?...”.

“Certo che sono sola”.

L’unicorno si avvicinò alla porta, scettico: “Che garanzie ho che tu sia davvero sola?...”.

“Tail: apri la porta o me ne vado e me lo bevo tutto da sola…”.

“No no no!”, si affrettò a precisare, iniziando a ruotare un’intricata serie di chiavistelli.

Spalancò quindi l’uscio e una puledra rosa, in trenchcoat, si palesò a lui: sembrava piuttosto nervosa e intenta a scrutare i paraggi del corridoio, come se qualcuno potesse seguirla.

“Ok, fammi entrare”.

“Svelta”.

E la porta si chiuse, sigillandoli nell’appartamento.


    L’interno non spiccava certo per complessità d’arredo ma presentava comunque una mobilia superiore all’essenziale. Una madre, forse, lo avrebbe trovato minimale, ma pony con meno pretese si sarebbero trovati in un ambiente tutto sommato accogliente.

Chocolate Tail fece accomodare l’amica in cucina.

Punch aprì il cappotto e, con sguardo malizioso, estrasse una bottiglia priva di etichetta.

“E’… è quello che penso?...”, balbettò Tail, come incantato.

“Sì!”, rispose Berry, con un sorriso eccitato, “E’ la riserva della tenuta Apple più pregiata!”.

“Uao… come… come sei riuscita a recuperarla??”.

“Ho dei… uh… contatti…”.

“Che tipo di contatti?”.

Il pony rosa allontanò la bottiglia dallo sguardo curioso del puledro: “E perché dovrei dirtelo? Sono affari miei”.

“Credevo fossimo amici…”.

“Lo siamo. Ed è per questo che ti tengo all’oscuro di certe cose. Sei così avventato che potresti farti ammazzare, pur di ottenerne un po’…”.

“Oh, puoi giurarci!”.

“Ecco, visto? Comunque ti basti sapere che hanno aperto un altro spaccio in città! Insieme ad altri due speakeasy!”.

“Stai scherzando, vero?”, domandò incredulo.

“Te lo giuro”.

“Ma… ma… Ma come hanno fatto??”.

Il padrone di casa si avvicinò cautamente alla finestra, debitamente coperta da una veneziana serrata. Piegò uno dei lamierini, creando un varco sufficiente a sbirciare in strada.

Si trovava ai piani alti di un grosso edificio in centro: dal vetro poté constatare come le strade notturne fossero totalmente deserte.

Tirava un venticello leggero, che provocava il fluttuare caotico di alcune locandine strappate. Su di essere erano rappresentate le propagande pro-governo emanate da poco più di una settimana.

Una volante governativa passò lentamente di pattuglia, scortata da una coppia di pegasi volanti.

Berry afferrò improvvisamente il pony e lo allontanò dalla finestra.

“Indietro, stupido! Potrebbero vederci!”.

“Uh… sì… scusa…”.

“Certo che…”, aggiunse con tristezza, “E’ davvero… ridicola questa cosa…”.

“Ti riferisci a…”.

“A cosa, secondo te? Alla legge marziale, no?”.

“Già”, rispose, “Non bastava la legge sul proibizionismo. Ora tutta Ponymood e i dintorni di Counterlot sono sotto regime militare”.

La puledra notò il quotidiano poggiato sul tavolo da pranzo: in prima pagina vi era la foto del capo delle guardie (impersonato da Chrysalis) più varie notizie e contro smentite sul cattivo operato celeste.

Punch scosse il capo: “Non ci capisco più niente, Tail… Io, ovviamente, ho sempre visto di cattivo occhio la criminalità organizzata. Quando uscì il Decreto Celeste… beh, non posso dire che ne fui felice. Ma pensavo che avrebbe comunque portato a dei benefici. E invece? I traffici illegali hanno raggiunto livelli inimmaginabili e i malfattori hanno spopolato. Poi Celestia istituisce il corpo d’armata per garantire la sicurezza. E da lì sono iniziati i guai…”.

“Vero. Mi ricordo ancora quando arrivarono quelle volanti dal negozio sotto casa mia. Gli Agenti entrarono e, tempo dieci minuti, il locale saltò in aria. A momenti non si spaccarono i vetri della mia camera. E dei funzionari non trovarono manco le ceneri”.

“Guai su guai. E io me la facevo addosso ogni notte che entravo in uno speakeasy”.

“Ma tu hai un problema con l’alcol, Berry…”.

“Sta zitto”, tagliò corto, “Fosse stato per me, ne avrei fatto a meno. Alcol di secondo… anzi, terz’ordine… a dei prezzi folli. Non aveva senso ma era l’unico modo”.

“Poi arrivarono i fratelli, ricordi? Non lanciarono quel loro… sidro?”.

I due si sedettero al tavolo, continuando più comodamente la discussione: “Sì ma, così come arrivò, la notizia svanì altrettanto rapidamente. Fu allora che iniziò a comparire il sidro firmato Tenuta Apple”.

“Una benedizione…”.

“Puoi dirlo forte. Alcol decisamente buono e ad un prezzo accessibile”.

“Per non parlare degli speakeasy. Mi ricordo ancora quel locale dove andammo un mesetto fa. Com’era il nome?”.

“Carousel Maison”.

“Ah, già! Santa Celestia, non bevevo sidro così buono da una vita! E le puledre… che classe!”.

“Ma se di loro guardavi solo i culi”.

“Culi di classe”.

“Sarà. Comunque il Carousel Maison è stato solo il primo. Da lì hanno preso zoccolo sempre più locali sponsorizzati dalla tenuta di Applejack”.

“Applejack? Chi è? La proprietaria?”.

“Più o meno. Pare che suo padre sia morto anni fa, lasciando la tenuta senza un erede effettivo. Così è rimasta in mano all’intera famiglia. Ma lei è quella che compare, di tanto in tanto, nelle occasioni… come dire? Ufficiali”.

“Curioso come la cosa si sia intensificata subito dopo il casino che è successo a Counterlot”.

“Vero…”.

“Guarda qui!”, annunciò con entusiasmo, sollevando magicamente una pila di giornali da una mensola, “Ho conservato tutti gli articoli! Magari poi ne farò una sorta di album. C’è tutto quello che è successo: il trapasso di Celestia, l’annuncio della cattura dei criminali, la notizia della loro morte, la smentita, le foto degli agenti che aprono il fuoco sui civili, la pubblicazione di quel documento sul Segugio di Counterlot… fino alla legge marziale”.

“Dimentichi gli ultimi sviluppi. Counterlot sta cedendo…”.

Chocolate arricciò il naso: “Ma va. Quelli sono tipi tosti”.

“Davvero?”, domandò retoricamente, “Hai vista cosa stanno facendo? Prima hanno cercato di combattere le notizie con smentite e contro smentite, poi si sono messi a rastrellare mezza Equestria… Intanto gli speakeasy hanno spopolato. Per uno che ne chiudevano, tre riaprivano”.

“Stanno solo cercando di compiere il loro dovere…”.

“Ah, ma davvero? E il loro dovere include instaurare un coprifuoco e manganellare tutti quelli che vengono trovati in strada?”.

“Beh… forse avranno i loro motivi per farlo. E, da quanto annunciano, sono i mali necessari per eliminare i criminali da Ponymood. Inclusa quella tizia… uh… Applejack, hai detto?”.

“Andiamo, Tail!”, sbottò, “Ti bevi ogni stronzata che esce dalle bocche dei governativi?? Credi davvero che un governo genuino ricorrerebbe a simili espedienti solo per acchiappare dei fuorilegge?”.

“Ma quelli hanno ucciso Celestia…”.

“Sai che ti dico? Io credo che le cose siano andate diversamente”.

L’unicorno parve trasalire: “Oh, per favore! Non crederai mica a quella marea di sciocchezze che vengono divulgate negli speakeasy! Ma è ovvio che cercano di far passare questi mafiosi come una sorta di… salvatori. Sono loro che riforniscono i locali si sbobba! Si stanno solo riempiendo le tasche”.

Berry scosse il capo: “Non lo so, Chocolate… Vuoi la verità? Io… io con Applejack ci ho parlato…”.

“Davvero?...”.

“Sì. E… dall’impressione che ho avuto… non mi è sembrata un’assassina priva di cuore”.

“Cosa intendi dire? Perché le hai parlato?...”.

Punch si sfregò il retro del collo, come se trovasse difficoltà nel vuotare il sacco: “Uh… ehm… ti… ti ricordi quel tizio che ci aveva fatto il prestito per la pescheria?...”.

“Chi? Il pony che poi vi ha annullato il debito?”.

“Sì, lui… ecco… in realtà… in realtà non ce l’ha annullato. E’… come dire?... Non è più in circolazione”.

L’amico impiego qualche istante per elaborare la notizia.

Sgranò gli occhi: “A-aspetta… vuoi… vuoi dirmi che…”.

La puledra rosa rispose con un mezzo sorriso.

Tail si spaventò leggermente: “Ma… stai scherzando, spero?”.

“No”, dichiarò con fermezza, “Quel bastardo era uno strozzino. Non gli bastavano più i pochi soldi che avevamo e chiedeva una restituzione sempre maggiore. Lo sai che una sera mio padre tornò con uno zoccolo limato fino alla carne?”.

“No… no io… non lo sapevo…”.

“Quello avrebbe fatto fuori mio padre, per poi passare al resto della famiglia. E tutto per un prestito. Così, quando ho saputo che la padrona delle tenuta Apple stava ingrandendo il giro… quando ho saputo che poteva essere dietro la questione di Celestia e che non la contavano giusta… sono andata là. E le ho parlato”.

“E… poi?”.

“Niente. Lei mi ha fatto questo… favore”.

“Nessuno fa niente per niente”.

“Infatti è stata chiarissima, in questione. Mi ha detto che, in cambio, avrebbe solo voluto che la supportassi nella lotta contro il governo. Abbiamo discusso a lungo. Non credo che una campagnola abbia carisma sufficiente ad abbindolarmi. Così ritengo che quello che mi ha raccontato sul Governo possa avere un fondo di verità”.

“E cosa ti ha detto sul Governo?...”, chiese scetticamente.

“Che la corruzione arriva direttamente da Counterlot. E che, presto, ci sarà un regolamento di conti assolutamente epocale”.

“Insomma… i veri criminali non sarebbero i criminali ma chi cerca di combatterli?...”.

“Chocolate, non sono un’idiota. Applejack e la sua banda operano in modi illeciti. In modi che, forse, se li conoscessi davvero, mi farebbero rabbrividire. Ma sono convinta che, di questi tempi, a mali estremi corrispondano davvero estremi rimedi”.

“…Mi spaventa sentirti parlare così…”.

“Che vuoi che ti dica? Aspetta anche tu di avere uno strozzino che minaccia la tua famiglia e di vederlo sparire grazie all’intervento immediato di qualcuno… e poi vedremo se non gli sarai riconoscente”.

Tail alzò le spalle: “Bah. Sarà. Ora… abbiamo cianciato fin troppo. Apri quella bottiglia!”.

L’amica sorrise e poggiò il contenitore sul tavolo. Aprì il tappo.

    Un piccolo rivolo fumoso, quasi dorato, si spanse nei dintorni.

I due aspirarono a pieni polmoni. Un afrore mistico, assolutamente unico, invase le rispettive narici.

Le loro teste oscillarono per un istante e la stanza attorno a loro parve deformarsi. Poi tornarono alla realtà.

“Uao…”, sussurrò Berry.

“Io… io non so cosa ci mettano dentro…. Ma questa roba è fantastica… sembra sia stata distillata da uno scienziato e arricchita con qualcosa di effimero e spirituale…”.


*** ***** ***


    Applejack afferrò saldamente la zampa del pony e gliela piegò lungo la schiena.

Il poveretto cacciò un urlo e venne usato come scudo equino verso i presenti.

La puledra gli puntò un revolver alla tempia.

“Il primo che fa qualcosa di avventato”, disse minacciosamente, “Lo condanna ad una sola andata per il campo santo. Capito?”.

I banchieri, con le zampe alzate, annuirono immediatamente.

Il pony arancione si trovava di fronte al caveau della banca centrale di Ponymood.

A terra era riversa l’intera clientela pomeridiana: Rainbow Dash e Rarity li tenevano costantemente sotto tiro con mitragliatrici automatiche.

Pinkie e Fluttershy, intanto, svuotavano l’interno del locale dalle banconote.

“Oh mamma…”, sussurrò uno degli ostaggi. Una zampata del pegaso azzurro gli emaciò uno zigomo.

“Zitto. Non ragliare”.

Passarono i secondi, senza che nessuno emettesse un solo verso. Si udiva solamente il frusciare delle banconote che venivano inserite nei sacchi. Quando furono tutti pieni, Pinkie fece un cenno di assenso.

“Ottimo”, concluse Applejack, “Siete stati tutti molto cortesi e disponibili”.

“E… e io?”, domandò lo scudo vivente.

“Tu vieni con noi. Se la fuori ci sono degli Agenti, tu ti beccherai il piombo al posto mio. Muoviamoci!”.

Il poveretto lanciò uno sguardo terrorizzato, subito prima di essere spintonato lontano dalla gangster.

    L’ingresso della banca venne spalancato da Dash e dall’unicorno bianco.

Le loro macchine erano posteggiate di sbieco lungo il ciglio stradale. In lontananza, intanto, si era accumulata una piccola folla di curiosi. Quando videro i pony armati, tuttavia, molti abbassarono la testa dietro ripari improvvisati.

Applejack si portò davanti a tutte, proprio in cima alla scalinata che conduceva alla facciata frontale.

Si tenne l’ostaggio di fronte e, raccolta l’aria nei polmoni, urlò: “Questa è la mia città, ora!! Che questo serva d’esempio per coloro che vorranno mettermi i bastoni tra le ruote!”.

Tutti ascoltarono in silenzio.

L’altra continuò: “Se farete i bravi, non c’è nulla di cui dovrete preoccuparvi. Ora vige una nuova legge, da queste parti. E questa legge dice…”.

L’ostaggio udì un sibilo e qualche goccia umida gli bagnò la guancia.

L’eco di uno sparo lontano accompagnò la caduta di Applejack, con un foro nel cranio.

Il tizio, dapprima, non capì cosa fosse successo ma non esitò a gettarsi a terra, con le zampe dietro al capo.

Quasi tutti i civili seguirono l’esempio, impreparati al rumore del proiettile.

La banda fece altrettanto, mettendosi poi al riparo dietro le colonne di marmo e sotto gli enormi vasi fioriti, posti come decorazione esterna.

“Che cazzo è stato??”, sbottò Rainbow.

“E che ne so??”, rispose Fluttershy, osservando il cadavere dell’amica.

Rarity mise fuori il muso, giusto per dare un’occhiata e capire dove fosse il tiratore.

Pinkie le cacciò una zampa sulla testa, facendola abbassare un istante prima che un secondo proiettile scheggiasse parte della copertura.

“Sta giù, cretino!!”.

Sì udì quindi una macchina sopraggiungere a folle velocità.

Le puledre si affacciarono, stando attente a non esporsi troppo: una massiccia Dodge scura solcò l’asfalto, posizionandosi poi accanto alle altre auto, con una sgommata di parecchi metri.

Si aprirono le portiere, da cui scesero Hound e Rarity, immediatamente seguite da Applejack.

Il segugio indossava un nuovissimo trenchcoat color cammello (roba firmata, non di sottomarca come il precedente) mentre l’unicorno bianco era agghindato con uno splendido abito da gala. Il pony dalla chioma dorata, invece, sfoggiava un nuovissimo completo gessato, abbinato ad una cravatta rosso amarena e un borsalino nero. Tra i denti stringeva il canonico stecchino.

Il finestrino del guidatore calò lentamente e Spike si sporse con un gomito, accompagnato da una nuvola di fumo e un sigaro tra le labbra.

Il trio iniziò a salire le scalinate, con assoluta tranquillità.

“Ehy!”, sbottò Pinkie, “Come fanno ad essere qui??”.

“Non lo so!”, ammise Dash, sconcertata, “Ma c’è una cosa che possiamo fare!”, e fece scattare l’otturatore del Thompson A1. Le altre restituirono un’espressione di assenso e uscirono dalle coperture.

Una tempesta di piombo giunse ai tre: Rarity fece scintillare il corno e gli abiti del gruppetto si illuminarono di magia. Gli spari continuarono per svariati secondi, riducendo la scalinata ad una groviera. Alcuni civili si allontanarono urlando.

I caricatori si svuotarono, unitamente allo smorzarsi dell’entusiasmo dei rapinatori.

I tre erano illesi e perfettamente a loro agio.

Hound sentì l’impulso di accendersi una sigaretta ma resistette. Alzò lo sguardo severo verso di loro.

“Facciamo che ora tocca a me?”, chiese.

In meno di un batter di ciglia, lo stallone aveva sfoderato una coppia di .357. Fu così rapido che il rumore degli spari sembrò anticipare l’estrazione delle pistole.

Le copie di Pinkie Pie e di Fluttershy caddero a terra. Il pegaso giallo finì sui gradini e rotolò rovinosamente fino alla strada. I tre si scansarono per far passare il cadavere.

I due superstiti, invece, tornarono in copertura, assolutamente terrorizzati.

“Oddio! Che cazzo facciamo??”,  blaterò Rarity.

“Non so te ma io mi levo di qui!!”, sentenziò Rainbow, e spiccò il volo, cercando di dileguarsi.

Il pony volante percepì una fitta al torace e precipitò verso l’asfalto, rompendosi anche qualche osso. Un terzo colpo del cecchino lo aveva centrato in pieno.

Non rimaneva che la puledra bianca, tremante, con la schiena contro la colonna marmorea.

Improvvisamente, alle spalle dei tre, si palesarono due Agenti, quasi fossero comparsi dal nulla.

“Fermi!!”, intimarono loro.

Ma non ebbero vita breve: una sventagliata di mitra, assolutamente assordante, proveniente dal tetto della banca, li liquidò in pochi attimi. Dash, con il sole dietro di sè, fluttuò lentamente a terra, portandosi d’innanzi alla falsa Rarity: “Hai due possibilità”, le comunicò, spingendole l’enorme canna del Breda contro una narice, “O ti arrendi… o torni a casa in una zuccheriera”.

La puledra dagli occhi azzurri sorrise e gettò il mitra.


    Ci fu un attimo di spiazzamento tra la folla: i pony si osservarono tra loro, interdetti, sollevando successivamente un brusio vocale sempre più intenso.

Applejack e la sua squadra prese posizione in cima alle scalinate.

La gangster scrutò intensamente i civili e, alla fine, sputò lo stuzzicadenti e prese la parola.

“Questo è l’inganno di cui vi ho sempre parlato nei miei speakeasy”, dichiarò, “Questa è la farsa che il governo sta cercando di infilarvi a forza nel cervello”.

Rainbow Dash si spostò verso un cadavere, lo afferrò per la chioma e lo sollevò, in modo che tutti potessero vederlo: un pony scuro, con bluastri occhi vitrei e sostanzialmente grottesco.

Gli osservatori proruppero in un verso di ripudio, quasi all’unisono.

“Ecco cosa fanno a Counterlot!!”, continuò Dash.

Si alzò un vociare ancora più intenso.

Un pony avanzò timidamente verso di loro: “Ma… quindi…”, farfugliò, un po’ intimorito, “Tutti gli Agenti sono… sono…”.

Intanto, iniziarono ad arrivare i primi reporter, con tanto di macchina fotografica al collo.

Questa volta fu Grey a parlare: “No. C’è ancora una minoranza di funzionari che non sono stati corrotti dal putridume delle sfere più elevate. Ed è a loro che ci rivolgiamo. Se volete che tutto questo inganno e questo abuso di potere finisca… allora sapete a chi dovete unirvi”.

Un inviato (che avrebbe tratto un certo profitto da uno scoop simile) puntò una matita verso di loro: “Cosa rispondete al governo, quando insinua che siate voi gli ingannatori e che questa sia tutta una messinscena criminale??”.

Applejack non si scompose: “Io, a differenza del Governo Celeste, non vengo qui ad imporre la mia versione con la forza. Io non ho attuato un regime marziale, non ho applicato un coprifuoco, non ho mandato in fallimento decine di imprese con un decreto contro il commercio di alcolici, non ho ricorso a continue pubblicazioni di smentite nei confronti della morte di presunti malfattori… Ciò che sono lo potete vedere qui, d’innanzi ai vostri occhi. E non celo chi sono. La mia famiglia distilla da generazioni e io voglio solo che la mia attività non affondi. Questo significa che voglio far soldi. Non lo nascondo. Ma sono stufa che il governo faccia il prepotente, derogandosi da solo i propri diritti e limitando quelli degli altri”.

L’altro si segnò qualcosa sul taccuino e buttò lì un’altra domanda: “Ma voi vi fate strada con le armi e la violenza. Non pensate che, se tutti si facessero giustizia da soli, ne verrebbe fuori un caos assoluto?”.

La puledra coprì gli zoccoli tra loro e, con volto solenne, rispose: “La verità, abitanti di Ponymood, è che il governo è il primo a farsi strada con le armi e la violenza. E la giustizia che applica appartiene a lui soltanto. Non è la NOSTRA giustizia… la giustizia di chi è nato per strada e ha visto la propria attività fallire solo per via di un decreto insensato. La giustizia di chi ha visto la propria casa pignorata per cercare di coprirne i debiti. La giustizia di chi ha visto i delinquenti spopolare attraverso il traffico illegale di acqua di palude spacciata per alcol. La giustizia di chi non ha potuto far udire la propria voce, poiché coperta da quella di un altoparlante governativo…”.

Un unicorno malvestito non riuscì più a trattenersi: “Giusto!! I governativi! Sono loro i veri criminali! Mio padre gestiva una drogheria e rientravamo nei costi solo grazie alla vendita di alcolici. Dopo il decreto abbiamo dovuto chiudere bottega e, se non fosse stato per l’aiuto di Applejack, a quest’ora mi sarei già piantato un colpo in testa!”.

Altri commenti di assenso si levarono un po’ ovunque, mentre una minoranza si allontanò, visibilmente indignata.

Partirono alcuni flash e la puledra arancione decise che non era il caso di menarla per lunghe: “Credete a chi vi pare. Fate la vostra scelta e prendete la vostra posizione. Io sono qui per fare i miei interessi: interessi che includono anche voi, poiché senza gli abitanti di Ponymood non potrei mantenere a galla la mia tenuta. Quindi sto parlando di una collaborazione finalizzata a scrollarci di dosso l’oppressione del governo. Hanno già stabilito la legge marziale. Dopo cosa faranno? Trasformeranno Ponymood in un campo di battaglia? Io non voglio lasciarglielo fare. Sono nata qui, tra i vicoli di questa città. Ne ho lavorato la terra ed ho visto i frutti crescere, com’è successo a molti di voi. Tutto questo per poi vedermelo strappare dalle zampe, grazie ad un manipolo di spocchiosi funzionari senza coscienza. Beh… ora mi sono stufata. Io dico che occorre riprenderci ciò che è nostro, bagnato dal nostro sudore. E questo include anche la nostra… libertà”.

Con quelle parole, il gruppetto scese di nuovo le scale e si incamminò verso la macchina.

Il silenzio dei presenti fu il segnale che qualcosa era scattato… che quel messaggio era stato breve, coinciso e piuttosto efficace.

La puledra col borsalino si avvicinò un ultimo istante a Dash, prima di salire in macchina: “Ci vediamo più tardi, sai dove e quando. Avvisa pure Fluttershy che ha fatto un ottimo lavoro e che può abbandonare la posizione”.

L’amica fece un saluto militare: “Ricevuto. A dopo, AJ”, e spiccò il volo.


    Spike mise in moto il veicolo e si allontanò lentamente.

La copia di Rarity, intanto, era rimasta imbambolata sulle scalinate, ancora con le zampe al cielo.

La folla la osservò con sdegno.

Alcuni dei presenti afferrarono degli oggetti trovati per terra, tra cui assi di legno e pietre, iniziando poi a salire i gradini, con sguardi decisamente poco raccomandabili.

Il mutaforma sudò freddo, notando, all’ultimo, il mitra poggiato a terra. Si fiondò a prenderlo e lo puntò verso gli assalitori, premendo il grilletto. Uno scatto metallico annunciò che il caricatore era vuoto. Il muso bianco del finto unicorno sprizzò terrore da tutti i pori, un istante prima che uno stallone vi abbattesse sopra alcuni chili di legno.

    Sulla macchina, intanto, Applejack osservava il paesaggio cittadino scorrere attraverso il vetro.

Era seduta accanto al guidatore e dava l’impressione di essere assorta in qualche ragionamento.

“Certo che, per ridursi a simile pagliacciate”, dichiarò Hound, “Il Governo deve proprio essere alle strette”.

“Ah!”, esordì Rarity, “Quella copia era oltremodo orrenda!”.

Lo stallone cercò istintivamente il pacchetto di sigarette, ricordandosi poi di non averne più con sé: “Tempo un mesetto e credo che Chrysalis sarà dimenticata”.

“No”, rispose la puledra arancione.

“Ma cara”, continuò l’unicorno, “Ormai il Governo è sul punto del collasso. La sua credibilità è prossima a crollare e i tuoi speakeasy sono ovunque. E’ solo questione di tempo”.

“Ne dubito. Chrysalis se ne sta al sicuro in Counterlot, protetta da una sciame di mutaforma. Se le diamo tempo, e lei ne possiede a iosa, potrà architettare chissà quale piano per toglierci di mezzo. Prima la facciamo fuori e prima ci assicureremo un futuro sereno”.

“Non avremo mai un futuro sereno, cocca”, commentò Grey, “Siamo malavitosi, ormai. Quelli come noi escono dal giro in un modo soltanto: arricchendo il campionario dell’obitorio”.

La compagna si sistemò i boccoli, facendo la preziosa: “Suvvia, ciccino. Non essere così cinico”.

“No, lo scimmione ha ragione. Non avremo mai un futuro di pace completa. Ma uccidere Chrysalis è la priorità per la nostra sopravvivenza”.

Spike gettò dal finestrino l’ultimo frammento di sigaro: “E allora cosa intendi fare?”.

“Il problema è che la mutaforma avrà infiltrati ovunque, quindi è piuttosto probabile che conoscano i nostri piani e le nostre mosse. Per questo suggerisco di porre fine alla questione entro usa settimana”.

Il draghetto drizzò le orecchie: “Una settimana?? Ma… sei sicura?”.

“Sì. Per una questione molto semplice”.

“Sarebbe?”.

“Ne parleremo questa notte alla Carousel Maison”.


*** ***** ***


    Il sole era tramontato da un pezzo quando il pony dal manto blu cercò di infilare le chiavi nella serratura. Il suo sguardo gli mostrò una realtà sfalsata poiché, effettivamente, le zampe sembravano due e anche la porta ondeggiava e si sdoppiava periodicamente.

Si fermò. Prese fiato.

“Mhh… f-forse… ho… esagerato un po’… con il sidro… stasera…”, bofonchiò, massaggiandosi il mento grassoccio.

Strinse la lingua tra i denti e fece qualche altro tentativo, finché non riuscì nell’impresa.

DollarJolt spalancò l’uscio e cercò a tentoni l’interruttore della luce. L’elettricità illuminò l’elegante corridoio della villa, da cui si poteva accedere ad ogni stanza dell’abitazione.

Lo stallone fece qualche passo, ondeggiando pericolosamente e sbattendo da un lato all’altro delle mura.

Era vestito in modo elegante ma i capi di vestiario non erano collocati nei punti suggeriti dal bon ton: la camicia era sbottonata, la giacca poggiata sulle spalle, come un mantello, e la cravatta annodata alla fronte a mo’ di bandana.

Il proprietario di casa cominciò a canticchiare uno swing che aveva sentito da poco e che non riusciva a schiodarsi dalla mente.

Continuò a sbandare finché non giunse nella propria camera da letto. Era così rintronato e stanco che nemmeno accese la luce, lasciando che le luminarie del corridoio generassero una penombra sufficiente per vedere.

Si trascinò fino al letto: si tolse giacca e camicia (che buttò su un comodino), slacciò la cravatta e si grattò la criniera.

Mise quindi l’abbondante didietro sul materasso, che cigolò debolmente. I suoi occhietti si fecero cisposi, unitamente ad un sorriso un po’ inebetito.

Distese le zampe, esordendo in uno sbadiglio epocale, e si infilò sotto le coperte, a pancia in su.

Cantilenò la melodia ancora per qualche istante, lasciando che il sonno lo cogliesse del tutto.

Chiuse gli occhi e, quando sentì di essere sul punto del dormiveglia, si girò di lato, beandosi della morbidezza del cuscino.

Percepì quindi una strana sensazione… quel sesto senso che ti coglie ogni tanto, lasciando presagire potenziali capacità divinatorie a qualunque pony gli fosse già capitato: DollarJont si sentì osservato.

Aprì lentamente le palpebre. I suoi occhi si erano ormai abituati al buio, permettendogli di vedere con una certa chiarezza: accanto al cuscino, proprio rivolto verso di lui, vi era un barbuto volto caprino, con tanto di cuffietta in testa.

    Lo stallone spalancò la bocca e cacciò un urlo effeminato.

Discord si destò di colpo, ricambiando con un urlo altrettanto femminile.

Il duo si urlò in faccia per alcuni secondi, finché Jolt non annaspò all’indietro e cadde sul pavimento. Provò a rimettersi in piedi, cercando successivamente l’interruttore dell’abat-jour e illuminando la camera da letto.

“MACCHEDIAVOLO!!”, sbottò.

Il draconequus si issò sul materasso e tirò il lenzuolo fino al petto: “Maniaco!!”.

“D-Discord??”, berciò esterrefatto.

“Sì!”, rispose l’altro, visibilmente scocciato, “E mi hai quasi fatto prendere un colpo!”.

“Ma… ma… che diavolo ci fai, qui??”.

“Dormivo, no?”.

“Sì ma…”.

Nonostante fosse ancora in preda ai fumi dell’alcol, DollarJolt fu sufficientemente lucido da ricordarsi con chi aveva a che fare: la logica dei fatti era facoltativa, con lui. Anzi: controproducente.

“Ok… Dormivi. Bene”.

“Sì”.

“E…”.

“E...?”.

“E non potevi dormire a casa tua?”.

“No, sennò come avrei fatto a parlare con te?”.

“Dunque vuoi parlarmi?”.

“Mi pare ovvio!”.

Discord lanciò via la cuffietta e mise le zampe sulla moquette: “Mica è un problema, vero?”.

“No…”, mentì l’altro, “E’ solo mezzanotte inoltrata e tu sei venuto a dormire nel mio letto senza che io sapessi nulla. Dov’è il problema?”.

“Ffferpetto!”.

Il pony percepì un forte mal di testa e si massaggiò le tempie con aria di sofferenza: “…Ma non potevi venire domani?...”.

“Oh! Non ti preoccupare! Sarò brevissimo!”.

Dollar si mise in vestaglia da notte e si sistemò su una poltroncina, con gli occhi sul punto di collassare.

La voce gracchiante del collega in affari riuscì però a mantenerlo sveglio: “Ti ricordi del nostro accordo, no??”.

“Sì… sì mi ricordo…”, rispose, lottando per non addormentarsi.

“Il venti percento delle vendite sottobanco”.

“Sì…”.

“Beh, direi che l’affare ha funzionato, vero??”.

“…Sì…”.

“Mi sembra che ti sei rifatto una villa nuova, qualche macchina extra-lusso e ti godi la bella vita!”.

“Mhh…shì…”, bofonchiò, sciogliendosi sulla poltrona e iniziando a ronfare come un ghiro.

Discord batté i palmi tra loro, ridestando l’amico: “Bene. Ora però sono venuto qui a riscattare il favore iniziale”.

“F… favore?”.

“Sì. Ti ricordi? A teatro… la questione del killer che ha tentato di giocare all’allegro chirurgo con te?”.

“Ah… sì…”.

La bestia caprina gli afferrò le guance cicciottose e premette, facendogli sporgere le labbra in un’espressione ridicola: “Beh, è venuto il momento di restituire il favore!”.

“Ma hio no oh nulla di fpehiale”, farfugliò il pony.

“Mhh… parzialmente vero, mio sovrabbondante amico”, rispose l’altro, con un ghigno sardonico, puntando i bulbi oculari dritti negli occhi di Jolt, “Di fatto tu possiedi una cosa che io ho solo in minima parte”.

“Haebbe?”.

“Fama e notorietà”.

“Hama e hohoietà?”.

“Sì, caro collega. Non dovrai far nulla se non aiutarmi in un piiiccolo lavoro di passaparola. Credi di poter fare questo favore al tuo amico Discord?”, concluse, inscenando uno sguardo da cane bastonato.

DollarJont scrutò i dintorni, senza potersi sottrarre dalla stretta del draconequus: “Uhh…”.


*** ***** ***


    Alba e tramonto sono fenomeni quotidiani della vita di tutti i giorni.

C’era addirittura chi, secondo le antiche credenze riportate nei documenti più conservatori, pensasse che il ciclo notte-giorno fosse regolato dalla presenza dell’alicorno bianco. Ma quando la notizia della morte di Celestia venne divulgata, non ci fu più spazio per i dubbi: il sole continuò a tramontare e sorgere, esattamente come prima.

Un fatto comune che, di per sé, non possedeva nulla di speciale.

Ma… per un motivo o per l’altro, capitano quelle volte dove tutto può assumere un significato diverso. Dove gli avvenimenti apparentemente scontati possono subire una improvvisa rivalutazione.

E così, in una sera simile a molte altre, una puledra dagli occhi verdi e i crine dalle tonalità del grano maturo, si trovò ad osservare un sanguigno sole che tramontava.


E il cuore iniziò a piangerle.


Applejack si trovava su un promontorio collinare, proprio dinnanzi al paesaggio di Equestria. Le nubi, ai lati del sole al sole, sembravano roventi, quasi come tizzoni appena estratti dal fuoco.

Attorno a lei si stagliavano le lapidi del Campo Santo, intervallate da alcuni grossi salici, con le fronde mosse da un venticello leggero.

Vi era calma e pace assoluta, fatta eccezione per il frusciare delle piante.

Le tombe erano state costruite in modo diverso fra loro, a seconda dei periodi storici in cui i rispettivi occupanti ne presero posto. Si potevano così distinguere vecchie lastre di pietra scheggiate, con i caratteri incisi malamente e quasi cancellati dal tempo; più lontano, invece, iniziavano a comparire le prime lapidi in marmo pregiato, con tanto di lettere in bronzo e cornici metalliche. Un discorso a parte meritavano i piccoli mausolei di chi poteva permetterseli: alcuni mantenevano un’austerità tutto sommato salubre ma altri davano sfoggio di abbellimenti e composizioni floreali al limite dello sfarzo e del cattivo gusto.

Ce n’era un po’ per tutti, insomma, nel luogo dove ogni equino vi si sarebbe recato per l’ultimo, fatidico viaggio.

    La puledra, con l’immancabile borsalino sul capo, collocata di fronte ad una tomba di scarsa fattura: pietra scura, un po’ mangiata dalle intemperie, scritte che avevano ormai colato l’ossido fino a terra e foto sbiadita, dalle tonalità seppia. Nella cornice era però ancora distinguibile uno stallone vestito elegantemente, con doppiopetto scuro, in posa di fronte ad una piantagione di meleti.

L’osservatrice scrutò intensamente la figura, senza che il viso lasciasse trapelare alcunché.

Dopo qualche minuto, tuttavia, un’espressione di tristezza prese il sopravvento.

Gli occhi scintillarono, riflettendo parzialmente il rossore della stella all’orizzonte. I muscoli della fronte si contrassero verso il basso. Le labbra le tremarono leggermente.

Sfilò il cappello e se lo portò al grembo, stringendolo appena con la pressione degli zoccoli.

Si sedette e alternò più volte l’attenzione tra il paesaggio infuocato e l’immagine sulla lapide.


    Istanti importanti, dove il tempo scorre in modo diverso da come si è abituati.

Istanti unici, struggenti, siano essi felicitanti o sofferenti. Istanti in cui il mondo ti si chiude attorno, in cui non importa più nulla e tutto si ferma, solamente per lasciarti nella solitudine dei tuoi pensieri. Delle tue emozioni. Del battito del tuo cuore e dei respiri che ti sollevano ritmicamente il petto.

    La puledra tirò su col naso e alzò gli occhi di nuovo al cielo.

Una goccia luccicante le solcò una guancia e fece di tutto per trattenere il pianto, con evidente sforzo fisico e interiore.

Dei passi pesanti, alle sue spalle, preannunciarono l’arrivo di uno stallone. Il fratello si avvicinò lentamente e si sedette a fianco di Applejack, senza dire alcunché.

L’altra si passò la zampa sullo zigomo e si ricompose.

“Ciao, Mac”, disse, con voce atona.

“Ciao… sorellina…”.

Il pony rosso si soffermò a guardare le colline lontane.

“Ti disturbo?”.

“No. Fra poco me ne sarei andata”.

“Capisco”.

Il duo rimase immerso nella pace del luogo, lasciando che l’oscillare dei salici scandisse caoticamente il tempo.

Macintosh strofinò delicatamente la superficie della lapide, pulendola appena. Controllò quindi un piccolo vaso vicino e constatò come fosse pieno di fiori ormai rinsecchiti da tempo.

“E’ un peccato”, commentò.

“In effetti”, rispose la sorella, “Dovremmo toglierlo”.

“Sennò possiamo metterci dentro degli altri fiori”.

“No. Sarebbe brutto. Non ho mai sopportato queste cose”.

“Cosa intendi dire?”.

“Un conto è dover estirpare le erbacce dall’orto. Lì lo fai per necessità. Un altro e strappare dei fiori per metterli a morire lentamente in un vaso. E’… brutto”.

“Brutto da vedere?”.

“E’ uno spreco di fiori ed anche brutto da vedere. Sa di abbandono…”.

Big Mac chiuse gli occhi e sorrise: “Sei sempre stata un po’ strana, tu…”.

L’altra ricambiò il sorriso, senza però riuscire ad allontanarsi dalla sofferenza che l’accompagnava ormai da quasi un’ora.

Lo stallone riprese la parola con un vago entusiasmo: “Sai che facciamo? Prendiamo un vaso in fiore e lo portiamo qui. Intendo… un vaso con terra e fiori dentro. Che ne dici?”.

“Sì. Sarebbe una buona idea…”.

La piccola eccitazione per quell’idea si spense però altrettanto rapidamente.

Seppur non lo desse a notare, anche il fratello maggiore non era immune dal potere dei ricordi.

“Proprio oggi…”, sussurrò Applejack.

“Come?”.

“Proprio oggi, a meno di una settimana da ciò che dobbiamo fare… cadono tre anni esatti”.

“Non l’avevo notato… Anzi… credevo che della ricorrenza non ti importasse …”.

Lo stallone fece un lungo respiro e continuò: “Sembrava che volessi dimenticarlo. Che ciò che era successo avesse posto la parola fine… Insomma… che non ti importasse, per l’appunto…”.

Applejack non riuscì a trattenersi: il cappello le cadde a terra ed ebbe un fremito lungo tutto il corpo.

“C-certo che mi importa!”, farfugliò, lasciando sfogare altre lacrime e osservando l’interlocutore con espressione afflitta, “Cazzo… è… era mio padre… Come… come non potrebbe importarmene?”.

“L’ultima volta… non sembrava che…”.

“Papà ha sbagliato. Ma era pur sempre mio padre”.

La puledra alzò il volto umido verso le nuvole in cielo e sorrise: “…Mi ricordo ancora quando mi portava per i boschi, da piccola… al mattino presto… quando l’aria era fredda e la nebbia ancora alta. Ci mettevamo a cercare funghi per mezza vallata. Mi mostrava i luoghi, sapeva dove l’umidità era giusta per trovarli e… io invece non li vedevo mai. Ma a lui bastava spostare qualche foglia con il bastone e ne uscivano fuori a bizzeffe”.

Mac si addolcì leggermente.

“Pensa che”, continuò l’altra, intensificando il sorriso, “Una volta credetti addirittura che fosse il bastone ad essere speciale!”.

“Un bastone… speciale?”, domandò divertito.

“Sì! Pensai che, forse, era l’equivalente della bacchetta da rabdomante o qualcosa di simile! Così iniziai a portarmelo in giro, per vedere se ne avrei trovati anche io… Mi ricordo che mossi un po’ di foglie nel sottobosco, solo che sotto c’era un abbondante regalino di qualche animale selvatico! In quel momento cambiai idea ed ebbi il sospetto che non funzionasse poi così bene! Lo riportai a casa, sporco e puzzolente. Lo rimisi a posto, esattamente come lo avevo trovato. Avresti dovuto esserci per osservare la faccia di papà quando lo vide!”.

I due risero tra loro.

“Papà era tante cose”, riprese la puledra, inquadrando la foto sulla tomba, “E… tra tutte, alla fine, divenne anche… anche un…”.

“Ti ricordi cosa mi dissi quel giorno, AJ?”, la interruppe bruscamente.

“Intendi… quella mattina?”.

“Sì. Mi facesti tutto quel discorso… e alla fine mi dicesti… che non saresti mai diventata… una…”.

Il pony arancione tornò serio, raccolse il cappello e cercò di chiudere il dialogo: “Sì mi ricordo. Ma ora non ha senso parlarne”.

“AJ, non voglio girare il coltello nella piaga, specialmente in un giorno come questo. Ma tu mi hai detto delle cose e pare che, alla fine, si siano verificati ricorsi storici”.

La gangster non se la sentì di smentirlo: “Forse hai ragione. Infatti ti avevo avvertito: quando entri in certi… sistemi… allora non ne esci più”.

“Ok ma ascolta: non voglio mettere in dubbio il tuo operato. Sai che sono disposto quanto te, forse più di te, a salvare la tenuta. E farò ogni cosa in mio potere per riuscirci, anche se dovesse significare assaltare Counterlot e una mutaforma con i poteri di Celestia. Sono abbastanza stupido per farlo. Ma… quello che non mi spiego… è… Sei tu”.

La sorella lo osservò con aria interrogativa.

Big Mac cercò di arrivare al punto: “Tutto ciò che fai… ha delle conseguenze. Tu hai scelto di combattere, fino alla fine, anche quando avresti potuto farne a meno”.

“Cos’è? La tua fidanzatina ti ha fatto qualche discorsetto?”, gli chiese maliziosamente.

Il fratello divenne più rosso di quanto già non fosse: “Co…? Ma… D-di cosa stai parlando?”.

“Questa faccenda mi ricorda tanto una questione che io e la strimpellatrice abbiamo avuto giusto qualche giorno fa…”.

“Uhh”, mugugnò imbarazzato, “Noi… sì, cioè… abbiamo parlato un po’…”.

“A-ah. Solo parlato?”.

Mac si infervorò: “M-ma! Che centra ora?? Mi spieghi che caz…”.

“Ok, ok…”, lo tranquillizzò ridendo, “Era solo che non sei mai stato un tipo di grandi parole. E ora mi vieni a fare tutti questi marasmi mentali su me, papà, le conseguenze delle mie azioni…”.

“Volevo solo… Mi stavo solo… preoccupando per te…”.

Questa volta fu Applejack ad addolcirsi: “Lo so, Mac…”, gli rispose, sfiorandogli una zampa, “Sei sempre stato al mio fianco, nel momento del bisogno. E so che ci sarai sempre”.

“La famiglia prima di tutto”.

“Già…”, commentò, portando lo sguardo di nuovo alla foto, “La famiglia prima di tutto…”.

    Il cielo si scurì leggermente e il vento divenne più freddo.

I salici non smisero di oscillare e diffondere il loro fruscio accennato.

“Forse dovremmo andare”, le disse il fratello, alzando il posteriore dall’erba, “Stasera dobbiamo esporre a tutti la questione. Stiamo per imbarcarci in un’impresa che definirei… titanica. Per non dire assurda…”.

“Sì, hai ragione”, rispose, sistemandosi il borsalino sulla criniera, “Andiamo”.

I due si incamminarono lungo il sentiero che conduceva fuori dal cimitero, diretti verso l’auto con cui sarebbero tornati a casa.

Applejack si girò un ultimo istante verso la tomba del padre.

“Tutto quello che succederà nei prossimi giorni…”, sussurrò a se stessa, “Sarà… orribile. E io sono consapevole della cosa. Credo che questo faccia di me un essere orribile, ben peggiore dello schifo che ho sempre combattuto”.

“Ti sei costruita un ponte di morti, per cercare di scrollarti il peso che porti”.

L’espressione sul muso si rabbuiò: “…Sono… davvero così orribile? Persino tu, papà, hai cercato di tenerti alla larga da certe cose. Non hai mai fatto entrare vendetta e malaffare direttamente nel cuore della tenuta. E, ogni tanto, non ci dormo la notte…”.

Del sole non rimaneva ormai che uno spicchio strozzato tra due colline. Un colpo di vento più forte staccò alcune foglioline dai salici, che si dispersero tutte attorno a lei.


“…Chi sono io?...”.

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Capitolo 9
*** Una Promessa ***


“A che serve che la serva si conservi la conserva se la serva quando serve non si serve di conserva??”, domandò Pinkie, con una squillante cantilena.

Le parole giunsero come un trapano nelle orecchie si Spike: non sarebbe stato un grosso problema se non si fosse trattato del ventesimo scioglilingua nel giro di dieci minuti.

“Al pozzo dei pazzi c'era una pazza che lavava pizzi e pezze. Andò un pazzo, prese la pazza e buttò nel pozzo la pazza, i pizzi e le pezze!”.

“Come si spegne?”, chiese l’autista viola.

Twilight alzò le spalle: “Dopo un po’ ti ci abitui”.

“Balle”, commentò Hound, aprendo un po’ il finestrino (sperando che il refrigerio rendesse il tratto di strada vagamente sopportabile).

“Coccolotto”, le fece Rarity, “Chiudi sennò ti viene la bua al collo…”.

“Ah!”, lo derise Rainbow Dash, puntandogli uno zoccolo, “Chiudi… coccolotto! Che poi ti viene la tosse!”.

“Pupa… Rarity... Non è il caso che ti lanci in simili manifestazioni di…”.

“No!”, ribadì, stringendogli una ridicola sciarpa rosa attorno al collo, “Ci va niente a fare gli spavaldi e poi ti ritrovi a letto con la febbre e il moccolo”.

Rainbow si coprì il muso con le zampe e cercò di trattenere altre risate.

Grey si innervosì ma cercò di non reagire come suo solito: “…Apprezzo molto, dolcezza, ma ti assicuro che se bastasse questo venticello a ridurmi così… beh, con tutto quello che ho visto fino ad oggi… di sicuro non sarei qui a parlare”.

L’unicorno tirò fuori una cuffietta in tinta con l’indumento e gliela sistemò sulla criniera, al posto del canonico cappello: “Ecco! Ora sei al riparo dalle intemperie!”.

Dash lo guardò e lo stallone la fulminò con lo sguardo: “Non t’azzardare…”, la ammonì.

“Come no”, ribatté il pegaso, “… Coccolotto!”, e si spanciò dal ridere.

Quello fu troppo anche per il segugio. Si strappò la cuffia dalla testa e, con vago tono ragionevole, ragliò: “Senti, Rarity! Io capisco che tu sia preoccupata per me ma…”.

“TU NON MI AMI!!”, urlò la puledra, fracassando i timpani a tutti.

“Sai che non è così”.

“NO! TU SEI SOLO UN LURIDO SCHIFOSO PEZZO DI M…”.

“Oh mamma…”, bofonchiò il compagno, strizzandosi gli occhi con uno zoccolo.

“Ma che le prende??”, domandò Spike, con le orecchie che ancora gli fischiavano.

“E’ da giorni che fa così”, rispose l’amico.

“HO FAME! VOGLIO UN ANANAS! VAMMI A COMPRARE UN ANANAS!!”, minacciò.

“Ma… perché?”, chiese l’autista.

“Eccheneso? Sarà perché è incinta. Cambia umore tanto rapidamente quanto cambia i vestiti”.

Il pony dalla chioma viola si accoccolò sul petto dell’amato e, con occhi sensuali, gli disse: “Ti amo tantooo…”.

“Mi attacchi i tacchi tu che attacchi i tacchi? Io attaccarti i tacchi a te? Attaccati te i tuoi tacchi tu che attacchi i tacchi!”.

“Fra un po’ sterzo e mi tiro contro il primo platano che vedo…”, dichiarò il drago, sull’orlo di una crisi di nervi.

“Tranquillo, tappo”, lo tranquillizzò Dash, “Siamo arrivati”.


    La macchina giunse di fronte alla cancellata in ferro che conduceva alla villetta di Discord, la stessa che visitarono il giorno del primo incontro. Quella volta, esattamente come la precedente, era notte fonda. Perché gli affari loschi si fanno esclusivamente quando è notte fonda.

Gli agenti discordanti aprirono e la macchina prese posto accanto ad altri veicoli, tra cui la Dodge Bros di Applejack.

La fontana con il serpente urinante era sempre lì, al centro, proprio come se la ricordavano.

Gli occupanti aprirono le portiere e scesero. Hound notò un camioncino dei gelati che veniva riverniciato, in un angolo. Non capì. E proseguirono.


    I tirapiedi del draconequus li introdussero nell’abitazione, guidandoli poi al piano superiore, proprio d’innanzi ad un grosso portone in legno.

Uno di loro fece scattare la maniglia, unitamente ad un gesto di cortesia: “Prego. Accomodatevi”.

D’innanzi ai visitatori si palesò la sala degli ospiti di Discord: un’enorme camera in cui risaltavano alcuni singolari elementi scenici. Al centro era presente un enorme tavolo in legno scuro, che pareva trafugato da un castello medievale. Lungo i muri erano poggiate delle armature equine su sui erano stati posti vestiti decisamente inadatti allo stile corazzato: cappelli da festa, occhiali, mocassini e, dulcis in fundo, un elmo costituito da un vaso da notte rovesciato.

Parallelamente all’ingresso era possibile ammirare un colossale camino in marmo chiaro, con fiamme così vive da tenere l’intera sala in un clima sub-tropicale. Sopra il focolare, per concludere con “stile”, era invece affisso il quadro più grosso e osceno che anima avesse mai visto: un ritratto delirante del padrone di casa, dipinto nell’istante in cui si faceva il bagno nella vasca, con tanto di paperella e spazzola per la schiena.

Quando valicò il luogo, a Spike venne istintivo fare un segno della croce.

Applejack e Octavia erano sedute ad un angolo e parlavano tra loro.

Discord era in fondo alla sala, nascosto dietro un divano. Fluttershy, coricata sul tavolo, era invece dal lato opposto: imbracciava una carabina ed era impegnata a collimare la mira.

“Ehm… uh… pull…”, farfugliò con la vocina.

La bestia caprina, sempre al riparo dietro al mobile, lanciò in aria un Ponygi XIV. Il pegaso giallo seguì il bersaglio per un paio di secondi, premette il grilletto e l’oggetto si polverizzò con un boato fragoroso.

Il proiettile andò ad arricchire la collezione di buchi alla parete.

“Ah!” esultò Discord, festeggiando come fosse allo stadio, “Dieci su dieci! Complimenti!”.

L’altra arrossì e si nascose dietro al ciuffone rosa: “Ah… sì… ecco… io…”.

“Abbiamo interrotto qualcosa?”, berciò Hound.

“Ovvio che sì!”, rispose Discord, braccia conserte e muso indignato, “Questo è un party riservato alle sole puledre! Eccetto il padrone di casa, ovviamente…”.

“Ho proposto più volte l’evirazione a mister burbero”, dichiarò Octavia, “Ma ha sempre rifiutato l’offerta”.

“Ehy, bella… Se sei così spavalda vieni qui e prova a mettere le zampe sul mio…”.

Rarity lo riprese, senza guardarlo: “Ciccinooo… Cosa ti ho detto riguardo alle parolacce?”.

“Scusa, non ci stavo pensando…”.

“Pensa a chi ti pensa, non pensare a chi non ti pensa, perché se pensi a chi non ti pensa, chi ti pensa smetterà presto di pensarti!”.

Il volto del draconequus si illuminò improvvisamente: “Oh! Ci sei anche tu!”.

“Sìì!”, strillò il pony rosa.

Discord caricò un grammofono e, dopo alcuni istanti, una gracchiante melodia da ballo prese a diffondersi per i quattro angoli della stanza. Lo spirito avanzò verso la puledra, simulando un passo vellutato e occhi da tombeur de puliche. Quando fu d’innanzi a lei, le mise una zampa dietro alla schiena, le sollevò uno zoccolo con l’altra e fece un caschè, inchiodando lo sguardo contro il suo.

“Sai…”, le sussurrò, con voce improvvisamente mascolina e ammaliante, “Devi essere stanca… perché hai camminato nei miei pensieri per tutta la sera”.

L’altra non si scompose minimamente e continuò a sorridere: “Caro conte chi ti canta tanto canta che t'incanta!”.

“Ahh!”, sospirò Discord, iniziando a danzare con lei a ritmo di musica, con ampie giravolte, quasi fosse un valzer, “Ogni istante di vita è sprecato, senza di te, mia cara!”.

“Ho voglia di vomitare”, commentò Spike, seriamente nauseato.

“Non preoccupatevi e sedetevi pure”, disse loro Octavia.

Gli ospiti ubbidirono, non senza qualche perplessità.

Sicura che Discord non la osservasse, Twilight disattivò magicamente il grammofono.

“Ehy!!”, ruggì il ballerino, mettendosi le mani ai fianchi e facendo cadere la sua compagna sul pavimento.

Applejack allontanò lo stecchino dalle labbra: “Dai, buffone. Ti sei divertito abbastanza, per stasera”.

“Mphf! Barbari!”, e tornò con lo sguardo accanto a Pinkie, coricata a terra, “Mi spiace, mia musa… temo che il nostro incontro galante sia rimandato…”.

“Okie dokie!”.


    Equini e draconici presero posto attorno al grosso tavolo in legno. Applejack si sedette in modo da essere più o meno al centro, assicurandosi che tutti l’avrebbero potuta vedere con facilità. Lo sguardo era serio, lasciando presagire la propria intenzione di parlare con il massimo della serietà. Anche l’abbigliamento non era da meno ma, effettivamente, la puledra arancione si vestiva sempre in tiro, nonostante la nuova ondata di soldi le avesse permesso di rifarsi il guardaroba con capi extra-lusso.

Tutti si accomodarono e tacquero, lasciando il crepitio delle fiamme come unico accompagnamento alla situazione.

Applejack si mise in piedi e poggiò le zampe anteriori sul tavolo, quindi parlò solennemente: “Vi ringrazio per essere giunti fin qui”.

Dash osservò nuovamente l’arredamento strampalato: “A proposito, AJ… Come mai proprio nella casa del barbuto?”.

“Questa villa è il dominio del caprone”, gli rispose, suscitando una malcelata ira da parte di Discord, “E qui è molto meno probabile che ci siano orecchie indiscrete. Chrysalis ha sguinzagliato spie in mezza Equestria e non escludo che qualcuno dei tirapiedi alla mia tenuta possa esserlo a sua volta”.

“Uh…”, farfugliò Fluttershy, cercando di nascondersi dietro al ciuffo, “Ma… non hai paura che possano attaccarla?”.

“No. Ci hanno già provato due volte. Nella prima c’eri anche tu, ricordi? Nella seconda furono Octavia e il suo fidanzatino a respingere gli assalitori”.

Tutti si voltarono ad osservare la musicista. Octavia corrugò la fronte e manifestò un certo nervosismo: “…Beh??”.

“Confido che abbiano capito l’antifona”, concluse la puledra col borsalino.

“In ogni caso”, continuò, “Immagino sappiate perché vi ho chiesto a tutti di venire”.

“Per fare un party??”, domandò il pony rosa, al massimo dell’eccitazione.

“Esatto, Pinkie. Un party. Un party come mai se ne vedranno nella storia dei secoli. Io lo ammetto: ho seria intenzione di uccidere Chrysalis. Ho diversi motivi per farlo e uno di questi contempla un mio desiderio del tutto egoistico”.

“Sarebbe?”, chiese Hound.

“Voglio solo vederla morire per ciò che ha fatto a me e alle persone che conosco…”, dichiarò, con gli occhi di chi sapeva il fatto suo.

“Mh. Mi sembri la mia copia al femminile”, commentò lo stallone.

“Grey”, lo riprese Sparkle, “Tu sei più brutto, più fetente e almeno due volte più burino di AJ”.

“Lo prendo come un complimento”.

Applejack scrutò i presenti: “Tuttavia… capisco che questa sia una faccenda che non vi riguarda direttamente. Chrysalis ha fatto un torto ad ognuno di noi, in un modo o nell’altro… ma… a parte me e Hound, non avete un reale motivo per dover andare in fondo a questa faccenda. Non fino alle sue estreme conseguenze, almeno”.

Twilight si massaggiò il mento: “In effetti… questa volta stiamo parlando di fare qualcosa da far impallidire l’impresa a Counterlot. Non abbiamo più un fattore sorpresa e non sarà come salire su uno zeppelin farcito di mezze seghe. Ora Chrysalis ci conosce abbastanza bene ed ha uno stuolo di Agenti e mutaforma al proprio servizio”.

“Infatti, Twi”, continuò la puledra bionda, “Questa volta sarà radicalmente diverso. Non avremo uno stuolo di pony da mandare all’assalto, non ci saranno possibilità di infiltrarsi dietro le mura e tantomeno di affrontare Chrysalis a Counterlot… Quello è il suo dominio, ora…”.

Discord piegò la sedia all’indietro, accavallò le zampe posteriori sul tavolo e si fece dondolare: “Esatto. E andare nel suo dominio equivale a gettare un gattino in un canile. O un topolino tra i piranha. O uno studente sbarbatello tra i bulli. O un munflone tra…”.

“Grazie, abbiamo capito…”, intervenne Spike, stufo di sentire pazzoidi farneticare.

Lo stallone fulvo sentì il bisogno immeditato di versarsi da bere ma cercò di resistere: “Beh, mia cara: come hai detto, io ho i miei validi motivi per togliere di mezzo la stronza. Quindi sai che parteciperò all’impresa, qualunque essa sia”.

Rainbow lo interruppe: “AJ, io e te ci aiutiamo a vicenda da una vita… e sai che volare e sparare sono le cose che mi riescono meglio. Però non mi piace sapere che sto per gettarmi a capofitto in un’impresa suicida”.

L’altra prese un quotidiano che si era portata appresso: “Lo so. E’ per questo che voglio mettervi in guardia, spiegarvi cosa ho intenzione di fare e poi mi direte quali saranno le vostre intenzioni. Tra l’altro… guardate qui”, e gettò il giornale sul tavolo.

Tutti allungarono i musi: sulla carta, in prima pagina, vi era la foto del dottore baffuto che incontrarono a Counterlot, proprio il mattino della loro fuga. La notizia indicava come il pony avesse perso la vita a causa di un tragico incidente.

“Mi ricordo di lui…”, commentò Rarity.

“Chi è questo patacca?”, chiese il compagno.

“E’… un medico che ci ha aiutate a scappare”, rispose la stilista, un po’ triste, “Inoltre ha rimesso in sesto Twilight e si è dimostrato piuttosto… contrario all’operato del Governo”.

La gangster mise in bocca uno stecchino nuovo: “Magari è stato davvero un incidente, anche se ne dubito. Conoscendo come operano quei macellai, secondo me è più probabile che abbiano scoperto quello che è successo e che l’abbiano fatto fuori. Se è così: per me è un motivo in più per far cessare questa storia una volta per tutte”.

“Concordo”, rafforzò Sparkle, massaggiandosi la cicatrice alla spalla, “Però, come hai detto, questa volta sembra davvero un’impresa al limite del possibile”.

“In verità… prima di procedere oltre… ho bisogno di sapere una cosa da voi”.

L’oratrice posò lo sguardo su ognuno degli amici e riprese a parlare: “Ho bisogno di sapere… chi di voi vorrà aiutarmi nell’impresa. Perché questa volta sarò chiara: stiamo per fare qualcosa al limite della follia”.

“Ci sto!! Ci sto!!”, annunciò Discord, sbracciandosi, non appena sentì quella parola.

“Mille cose potranno andare storte… e ne basterà una sola per mandare a monte tutto quanto. Se questo succederà… verrà versato molto sangue e, con molta probabilità, buona parte sarà il nostro”.

Spike deglutì.

“Inutile mentirvi: se mi asseconderete nell’impresa… è possibile che qualcuno di noi, se non tutti, torni a casa in una bara. Inoltre, visto che parliamo di Chrysalis, sono certa che anche il piano più arguto e premeditato potrà rivelarsi completamente sbagliato. Quindi ci toccherà improvvisare, ne sono certa. Per questo presumo che la morte ci farà visita a più riprese”.

Fluttershy si nascose sotto il tavolo, facendo giusto sbucare gli occhioni spaventati. L’amica blu dichiarò debolmente: “Minchia, AJ… certo che se volevi fare un discorso incoraggiante… direi che ci sei riuscita in pieno…”.

“Ve l’ho detto: voglio essere sincera con voi. Da questo punto in avanti ci sono due possibilità: lasciar perdere Chrysalis oppure varcare la linea del buonsenso e mirare dritti alla giugulare. La scelta è vostra. Ognuno di voi ha in qualche modo dimostrato la propria fedeltà nei miei riguardi. Alcuni non lo hanno fatto con costanza”, commentò, riferendosi al draconequus, Spike e Hound, “Ma, alla fine, posso dire come mi abbiate supportato in tutto e per tutto. Per quanto mi riguarda, siete state le migliori canaglie che potessi desiderare al mio fianco. Ma questa battaglia riguarda me e la mia vendetta personale. Voi non centrate nulla, direttamente, e io voglio che decidiate consapevolmente a cosa andrete in contro… se deciderete di aiutarmi”.

    Il discorso si concluse con un silenzio pacato, in cui gli amici si chiusero pensierosi.

Il legno continuò a scoppiettare nel camino.

Dopo alcuni attimi, Hound prese la parola: “Come ho già detto… io ci sto. Chrysalis ha distrutto la vita a me e a centinaia, forse migliaia di altri pony. La sua morte non mi restituirà ciò che ho perso… ma, proprio come te, attualmente mi importa soltanto la vendetta”.

Rarity si avvicinò a lui, stringendolo per una zampa: “Se questo significasse chiudere una volta per tutte con il passato… allora sono con te”.

Grey avrebbe voluto opporsi alla scelta dell’unicorno bianco ma sapeva ormai bene che non sarebbe servito a nulla.

Spike si allontanò dal tavolo e si mise in un angolo della stanza, osservando nervosamente i quadri. Si accese un sigaro.

Discord si rivolse a Pinkie, stringendole uno zoccolo tra gli artigli: “Che dici, mia unica gioia di vita? Verresti con me fino alle porte dell’Inferno?”.

“Se c’è un party, c’è Pinkie!!”, rispose l’altra, sorridendo felice, “E se c’è Pinkie, ci sono i cupcakes!!”.

“Io ho un conto in sospeso con lo stronzo sovietico”, ammise Octavia, a zampe conserte e sguardo severo.

Dash fece un respiro profondo: “Cavolo AJ, non posso proprio farlo…”.

L’amica drizzò le orecchie.

“…Non posso proprio rifiutare una cosa simile!”, urlò con arroganza.

Non rimanevano che il pegaso giallo, Twilight e il suo amico squamoso.

Spike continuò a consumare voracemente il tabacco, lasciando trapelare una buona dose di preoccupazione.

L’unicorno viola di rivolse a lui: “Ehy, Spike… Non sei costretto a…”.

“N-no”, disse immediatamente, “E’ una questione… mia. Voglio… voglio partecipare. Sempre che vi possa essere d’aiuto…”.

Il dottor barbiere gli sorrise, anche se gli sembrò che l’amico nascondesse qualcosa: “Fai come credi. E, se decidi di andare, sappi che sarò con te”.

Il draghetto ricambiò debolmente il sorriso.

L’attenzione di tutti si concentrò quindi su Fluttershy, che esplose di imbarazzo e non riuscì ad emettere manco una parola.

“Ehy, Flutter!”, berciò Rainbow, dandole una violenta pacca sulla schiena, “Allora? Sei con noi oppure no??”.

“I-io… ecco…”.

Octavia si intromise: “Eddai, lascia che scelga liberamente”.

Il pony paglierino scomparve dietro il ciuffone ed emise un verso impercettibile.

Dash si avvicinò: “Eh?”.

L’amica emise un altro verso stridulo.

“Come??”.

“HO DETTO SI’!!!”, sbottò, facendo sobbalzare tutti e rompendo i timpani al pegaso dalla chioma arcobaleno. Dash cadde all’indietro, con gli zoccoli sulle orecchie e i denti stretti.

“D-Dash! Io… scusami scusami scusami!”.

Applejack sorrise maliziosamente e riprese il discorso: “Mh. Va bene. Io vi ho messi in guardia, quindi ho la coscienza a posto”.

Gli altri si ricomposero ai propri posti (inclusa Rainbow, che venne aiutata da Fluttershy, dandole poi una gomitata in modo risentito).

“Però”, affermò Twilight, “Non ci hai ancora detto cosa avresti intenzione di fare…”.

“Ora che so che siete con me… vi spiegherò cosa ho in mente. Innanzitutto: sappiate che il tutto prenderà il via tra una settimana esatta”.

“Una settimana?”, domandò Octavia, “Perché una settimana?”.

Discord sfoggiò un inquietante sorriso sardonico, alzò le braccia al soffitto e, con una strana scintilla negli occhi, spiegò: “Mia cara… perché tra una settimana esatta… c’è il plenilunio!!”.

“Ah”, commentò la violoncellista, per nulla convinta, “E… quindi?”.

“Quindi”, riprese Applejack, “Significa che cercheremo di sfruttare al massimo i nostri nuovi alleati”.

Il pegaso dalla chioma rosa tremò: “T-t-ti riferisci a…”.

“Esatto. La sorella di Celestia. Pare che non le sia andato giù che Chrysalis le abbia fatto fuori la sorellona e sembra piuttosto intenzionata a vendicarsi”.

Sparkle divenne titubante: “Non so, AJ… un alicorno oscuro potrebbe essere un grande alleato, è vero… oppure qualcosa di troppo grande e che non potremo gestire. Una mutaforma con i poteri di Celestia è già qualcosa di immensamente potente”.

L’amica rise: “Te l’avevo detto che questo era un piano al limite della follia! Ma, in ogni caso, ho intenzione di assoldare tutti i sicari che potrò permettermi. Li farò venire anche dagli angoli remoti di Equestria, se sarà il caso”.

“E pensi basteranno?”, domandò Dash.

“No. Neanche un po’. Ma abbiamo il supporto della gente di Ponymood, quindi altri potenziali alleati. Da quando il Governo ha reagito con questa violenza, tutti hanno iniziato a ricredersi. Il casino che abbiamo fatto a Counterlot, la pubblicazione di documenti riservati e l’appoggio che stiamo dando al popolo… tutto fa vacillare il trono sotto il culo di Chrysalis. Abbiamo espanso gli speakeasy a macchia d’olio e so che la maggior parte di Ponymood sarebbe più che lieta di aiutarci contro il governo”.

“Ah!”, la schernì Hound, “Non farmi ridere. Vuoi contrastare la mutaforma con un manipolo di cittadini e mercenari voltagabbana?? Scapperanno o si venderanno al nemico alla prima occasione”.

“Non ho detto che voglio usarli per attaccare Chrysalis. In effetti… tutto questo verterà su un principio nettamente differente dal solito”.

“Sarei curiosa di sentire i dettaglia, mia cara”, la invitò Rarity.

“Per come la vedo io, non possediamo alcun mezzo attualmente per sconfiggere Chrysalis. Discord è potente ma non abbastanza. Anche Luna è sicuramente un pezzo da novanta… ma rimane il fatto che Chrysalis ha il potere di un alicorno unito ai propri. Penso che nemmeno tutti uniti potremo ucciderla... senza contare che, se assaltiamo Counterlot, andremmo dritti nel suo dominio… dove saremmo in una posizione di netto svantaggio”.

“Come un gattino in un canile”, le diede corda il padrone di casa, con aria saccente.

Dash si grattò la chioma: “Allora non ti seguo, AJ. Che diavolo vuoi fare? Vorrai mica puntare la giocata su quella zebra drogata che abbiamo trovato nella palude?”.

Quelle parole lasciarono la puledra arancione un po’ infastidita e cercò di non dare peso al discorso: “Zecora potrebbe essere una cialtrona oppure no. Se vorrà aiutarci, ben venga. Ora ho bisogno di forze concrete alla zampa e questo contempla tutto ciò che potrò compare con i soldi: sgherri, alcol e puttane”.

“Cosa??”, domandò Twilight, perplessa.

Il volto della gangster si arricchì di una vena di cattiveria: “Pensateci bene… cos’è che vuole Chrysalis?”.

Gli altri ci pensarono su.

“P-potere?”, buttò lì Fluttershy.

“Ne ha già quanto ne vuole”, la liquidò l’amica.

“Vendetta?”, chiese Spike.

“Anche, ma non così tanto da costringerla a giocarsi il tutto per tutto”.

“Banane??”, sbottò Pinkie.

Grey parve illuminarsi all’improvviso: “…Lei… vuole essere… la numero uno”.

“Esatto”, ammise Applejack, “Chrysalis vuole una cosa in particolare… Essere imbattuta. Non avere rivali. Non sopporterebbe mai l’idea di essere messa in secondo piano o che qualcuno giunga sul podio al posto suo”.

Rarity cercò di approfondire: “Senza offesa, dolcezza, ma Chrysalis attualmente E’ la numero uno. Ha praticamente tutto”.

“Sì, ha tutto. Ma cos’è che sta rischiando di perdere, ultimamente? La notorietà. Si fa un gran parlare del cattivo operato del governo ma quello che più conta è che si faccia un parlare ancor maggiore della tenuta Apple, del suo sidro irresistibile e dell’opposizione che sta instaurando contro i governativi”.

Octavia socchiuse le palpebre: “Intendi dire…”.

“Io sono convinta che Chrysalis non accetterà MAI che una campagnola le strappi via la notorietà, che tutti ci acclamino alla stregua di salvatori, mentre lei verrà etichettata come inetta e poi dimenticata a marcire. Mai. Ed è per questo che ho intenzione di tirarla fuori da Counterlot con un espediente”.

“Mhh”, mugugnò Discord, lisciandosi la barbetta, “Io un po’ la conosco. Fidati che non verrà fuori con l’inganno tanto facilmente”.

“Inganno?”, domandò divertita l’interlocutrice, “Non ho intenzione di provare ad ingannarla. Sarebbe un campo dove perderei quasi di sicuro. Io voglio proprio indurla a venir fuori, a lasciare che si scavi la fossa da sola”.

“E come pensi di fare?”, chiese Grey, scettico.

“Qui entra in gioco la tua signora”, rispose.

Rarity alzò un sopracciglio, incredula: “Ehm… prego?...”.

L’amica si preparò a spiegare la propria idea, con malcelata arroganza: “Ho intenzione di indire un ritrovo, esattamente tra una settimana, nello speakeasy più grosso che abbiamo, ovvero la Carousel Maison. Inviteremo la società più facoltosa e importante di tutta Equestria. E a questo ha già pensato Discord”.

Il draconequus esultò come se avesse appena vinto una gara olimpionica.

“Non sarà una semplice festa notturna. Voglio che passi come un evento epocale, con il mio nome come garante della buona riuscita. Ci avvarremo del lancio di un nuovo sidro, Octavia suonerà all’orchestra, Pinkie sarà ai banconi e avremo Hound come ospite d’onore”.

“Cosa??”, ruggì lo stallone.

“Sì, Grey. Si è fatto un gran vociare di te e del tuo tradimento… nonché di quello che è emerso dalla pubblicazione di quel documento. Immagina l’alta società che percepisce la notizia. Avremo il pienone e scommetto che Chrysalis sentirà l’impulso irrefrenabile di venire a scoprire cosa abbiamo in mente. Rarity si occuperà di organizzare l’evento, senza contare che molti verranno solo per lei. E, come ho detto, il passaparola farà sì che tutto venga fatto in mio nome. Ad una simile notizia… mi ci gioco il cappello che Chrysalis non saprà resistere e si presenterà per l’evento”.

I presenti iniziarono a parlocchiare tra loro.

Fluttershy cercò timidamente di intervenire: “Ma… uhh… non credi che verrà con altri Agenti?... O che cercherà di… ehm… farci fuori?”.

“Secondo me verrà sotto false spoglie. E non si azzarderà mai a portare Agenti in divisa, altrimenti farebbe saltare una nottata in cui sono presenti centinaia di pony ricchi e facoltosi. Una cosa simile le costerebbe il supporto della fetta di Equestria che DAVVERO conta”.

“E una volta che sarà lì?”, domandò Sparkle.

“Ci sono ancora dettagli da sistemare ma ti assicuro che il grosso del piano… finisce qui”.

“Stai scherzando, spero”, ironizzò l’amica viola.

“No. L’idea è semplicemente di porre Chrysalis nelle condizioni a lei più sfavorevoli. Se verrà… si troverà lontana da Counterlot, tra civili importanti e senza potersi avvalere di una pesante scorta armata, anche se assumo che utilizzerà degli infiltrati. Ed è per questo che ho intenzione di assoldare dei sicari, affinché si occupino di loro e ci lascino liberi di agire”.

“E poi? Cosa pensi di fare?”.

“Poi… sarà tutto da improvvisare. Discord, ma soprattutto Luna, dovranno semplicemente cercare di farla fuori e noi saremo lì ad aiutarli”.

L’entusiasmo della creatura caprina si spense all’improvviso: “Uhh… non mi piace la piega che sta prendendo il piano. Sono ancora in tempo per ritirarmi?”.

“La mutaforma non si azzarderà mai a scatenare un putiferio in mezzo a dei civili come quelli. Forse cercherà di tornare a Counterlot e di sicuro dovremo impedirglielo. Confido che, lontana dal proprio dominio e con tutti noi a darle addosso, assieme alla sorella incazzata di Celestia… allora ci siano delle possibilità di sconfiggerla”.

Il volto di Rainbow era basito, assolutamente sconcertato: “Uuhh…”.

“RD, lo so che è una follia. Se volete ritirarvi, capirei benissimo”.

Discord iniziò a preparare la valigia, pronto a dirigersi su qualche ghiacciaio desolato.

Il pegaso blu si massaggiò il collo: “Non è quello, AJ… E’ che… sembra tutto un azzardo”.

“Perché lo è. Ovviamente ho intenzione di schierare il meglio che potrò permettermi e discuteremo ancora su come prepararci. Ma la verità, te lo concedo, è che… è un azzardo fottutamente pericoloso”.

Spike aveva ormai terminato tutti i sigari di una scatola, in soli pochi minuti. Spense l’ultimo nel posacenere, con dita tremanti.

    “Questo è quanto”, concluse il pony con le lentiggini, “Se avete idee migliori che non contemplino la fuga… sarò lieta di sentirle”.

L’entusiasmo non era di certo alle stelle. Discord indossava camicia floreale, occhiali da sole e reggeva la  ventiquattro ore in una zampa. Allungò l’altra verso Pinkie e la supplicò: “Amor mio! Fuggi con me! Scapperemo e andremo in qualche angolo remoto del mondo, dove i pony parlano solo messicano e dicono ‘mui bueno!’ tutto il tempo! Metteremo su famiglia e avremo tanti piccoli puledrini rosa e barbuti!”.

L’altra strinse le labbra, elaborando quanto aveva appena sentito: “Mhhh… Ok, però prima voglio fare questo mega party prima di partire! Dai sarà divertente!!”.

Lo spirito tornò repentinamente a sedersi, passandole una zampa attorno al collo e osservando gli altri pony con sguardo saccente: “Ah! Se non ci fosse lei a ricordarmi chi sono!”.

“Ridete e scherzate pure”, sentenziò Applejack, molto seria, “Ma alla fine prendete una decisione. Ci stiamo realmente giocando le nostre vite e il nostro futuro, con questa impresa. Prendetevi pure il tempo necessario ma entro domani ho bisogno di sapere chi è dentro e chi no. Nessun problema o risentimento”.


    La puledra scrutò minuziosamente ognuno di loro. Nonostante non peccasse mai di zelo, quella volta si sentì vagamente importante e influente. Si rese quindi conto che, in quella postura, con le zampe anteriori poggiate al tavolo e sguardo indagatore… era quasi uguale identica a suo padre, quando discuteva con gente poco raccomandabile.

Il pensiero, sulle prime, le diede un certo fastidio ma poi, con rinnovata sicurezza di sé, esordi con una frase che mai avrebbe pensato di pronunciare in vita sua.


“Alla fine…”, dichiarò con aria solenne, “…E’ solo una questione d’affari”.


*** ***** ***


    Il discorso sostenuto dalla puledra lasciò gli amici con un sacco di pensieri per la testa.

Ognuno di loro visse quelle parole in modo differente: c’era chi ne ebbe timore, pensando che si sarebbe trattata di un’assurda follia, chi non riuscì a nascondere una vena di entusiasmo mista a eccitazione e chi, senza tante pretese, non seppe semplicemente come reagire. Ma tutti, alla fine, convennero su una cosa: c’era un grave problema a Ponymood. Un problema che non si sarebbe risolto da solo e che li avrebbe a poco a poco inghiottiti in un vortice senza uscita. Chrysalis li conosceva bene e non avrebbe esitato a giocare sporco, magari colpendo amici e parenti per farli uscire allo scoperto e finirli. C’erano soltanto due possibilità: fuggire e far perdere le proprie tracce oppure… affrontare la minaccia a muso duro. E nessuno di loro, incluso il timido pegaso giallo, era un vigliacco.


    Una volta terminata la riunione, il gruppo si disperse. Quella sarebbe potuta essere una delle ultime notti passate con un po’ di tranquillità: il giorno dopo sarebbero cominciati i preparativi per un piano suicida da realizzare tra sette giorni esatti. Applejack non ebbe quindi nulla in contrario nel lasciare che gli amici spendessero la nottata come meglio credevano.


Il dottor barbiere e l’assistente squamoso: Twilight e Spike si diressero a casa, scendendo poi nello scantinato. Osservarono gli alambicchi e i macchinari, colti da una sorta di nostalgia improvvisa. Spike convinse l’amica a condividere uno dei suoi sigari e la puledra rimase piacevolmente sorpresa nel constatare come non fossero poi così terribili. Per ricambiare, decise di consumare con lui una delle proprie “opere sperimentali”: un sidro corretto che nessuno aveva mai assaggiato. Non era poi così buono ma, quella notte, sembrò loro una delle cose più piacevoli che avessero mai assaggiato.


La bella e la bestia: Rarity convinse Grey a portarla a mangiare fuori. A quell’ora i locali erano chiusi ma la stilista aveva conoscenze per permettersi un posto riservato anche a porte sbarrate. Hound si sentì in imbarazzo per tutto il tempo, con l’amata che non perdeva occasione per punzecchiarlo e sfruttare questa sua debolezza.  Lo stallone non andò oltre il mezzo bicchiere di vino, con incontenibile gioia dell’unicorno. Terminato il pasto, la coppia si appartò nella camera di Rarity. Non fecero nulla, se non addormentarsi insieme, abbracciati, sotto le coperte. E Grey, dopo tanto tempo, finalmente… riuscì ad addormentarsi con una parvenza di serenità.


Gli Angeli della Morte: Rainbow, dopo un’insistenza quasi infinita, riuscì a convincere l’amica dai crine rosa a spiccare il volo nell’oscuro cielo su Equestria. Le due solcarono la sommità delle colline, protette dal freddo grazie ai loro cappotti militari, reduci della Guerra Equestre. Lasciandosi prendere un po’ troppo la zampa, misero in pratica le vecchie evoluzioni che avevano imparato durante l’addestramento. Si destreggiarono quindi in ciò che amavano fare tra i commilitoni dell’ex-squadrone: i cosiddetti “giri spezzacollo”. Erano manovre di volo pericolosissime, dove più di un cadetto inesperto si era ritrovato con ossa spezzate (da lì il nome): gli Angeli della Morte scommettevano costantemente tra loro, istigandosi a compiere gesta sempre più avventate e pericolose. E Dash e Fluttershy non erano da meno: volarono, cabrarono e girarono sul proprio asse come trottole, nel tentativo di stabilire chi fosse la più spavalda. Nessun delle due riuscì a prevalere sull’altra. I pegasi, tuttavia, provarono una grande nostalgia per i tempi passati.


Il valzer dei folli: Discord trattenne Pinkie nella propria villa, riprendendo da dove erano stati interrotti, ovvero nel ballo. I due, zampa nello zoccolo, danzarono soavemente attorno al bordo della piscina in cui si erano incontrati la prima volta, immersi nello stesso scenario onirico generato dai riflessi dell’acqua e delle vetrate colorate. Il pony non disse quasi mai una parola e si limitò a sorridere in modo bambinesco per tutto il tempo. Terminata la performance, il draconequus invitò la puledra in un’attività di coppia che, a detto del padrone di casa, avrebbe richiesto biancheria intima e un letto comodo. Rimasero sdraiati sul giaciglio a sfogliare cataloghi di intimo-moda fino all’alba, finchè si appisolarono uno accanto all’altra, sbavando copiosamente sui cuscini.


Violoncello e limoncello: Octavia tornò alla tenuta di Applejack, insieme alla puledra arancione. Non appena ne ebbe l’occasione, prese in disparte Macintosh e si sistemarono in cucina a parlare e bere alcolici di svariato genere. Quando furono entrambi un po’ alticci, si diressero all’esterno per passeggiare tra i meleti. Nessuno sa esattamente cosa successe dopo ma sta di fatto che, poco prima del sorgere del sole, i due rincasarono con profonde occhiaie e criniere arruffate. Passarono l’intera mattinata col mal di testa e in compagnia di Granny Smith che lanciava loro frecciate e ammonimenti a sfondo sessuale. Non smisero di sorridersi tra loro nemmeno per un istante.


La puledra senza identità: Applejack fece ritorno alla propria abitazione, accompagnando la musicista con la propria macchina.

Prese qualche momento per rilassarsi: si fece un bagno nella vasca e poi mise a dormire Applebloom. Da quando la faccenda del sidro sottobanco era diventata una faccenda di routine, non aveva più avuto manco un attimo da dedicare alla propria famiglia. La cosa, ovviamente, non le piaceva: non era quasi mai a casa, vedeva di rado la sorella, provando un profondo dispiacere a riguardo.

Ma come poteva fare altrimenti? Occorreva scegliere tra stare con la famiglia, trascurando gli affari e condannando il futuro della tenuta, oppure investire tempo e risorse per assicurare che l’attività non affondasse. Sapeva bene che la piccola non avrebbe compreso appieno quella scelta… ma che altra scelta aveva?


    Quando fu notte inoltrata, entrò nella cameretta di Applebloom, assicurandosi che dormisse. La puledrina era appisolata tra le coperte. La stanza era sommersa di piccoli giocattoli e pupazzi, molti dei quali erano appartenuti all’infanzia della sorella maggiore. Tutto era buio, fatta eccezione per la luce che filtrava dalla porta dietro di lei, appena socchiusa.

Si soffermò ad osservare l’arredo, posando quindi lo sguardo sulla piccola. Si avvicinò senza far rumore e le carezzò dolcemente la fronte.

Ci fu qualcosa di strano, che avvenne in quell’istante. Un’emozione, forse un ricordo. L’odore di quel luogo… le coperte, forse? Sì, erano le coperte. Avevano lo stesso odore delle coperte di quando era giovanissima. Forse… la nonna continuava ancora ad usare lo stesso detersivo o ammorbidente di allora. Tanto bastò per rituffarla nel passato.

    Si ricordò di quando la cameretta di Applebloom era invece la sua stanza.

Di quando tutto fosse più povero e semplice, ma ugualmente bello. La nonna era vagamente più giovane, con appena qualche ruga in meno. La tenuta era un po’ diversa e il capanno all’esterno non era ancora stato ampliato.

Applejack si portò alla finestra e, in mezzo al buio, intravide un grosso albero morente. Senza nemmeno volerlo, una scena in movimento le apparve d’innanzi, sovrapponendosi a ciò che stava osservando: l’albero era verde e rigoglioso. Da un ramo pendeva un copertone legato ad una corda. La puledrina arancione era avvinghiata ad essa, felice e ridente, mentre il fratello la spingeva con forza, anch’egli divertito.

Schiamazzi e urla d’infanti le risuonarono nella testa.

Il ricordo del padre giunse quindi inaspettato, proprio in una di quelle mattine in cui uscivano assieme per raccogliere i funghi. Forse non fu il miglior padre del mondo… Anche lui… proprio come lei… doveva occuparsi della tenuta. Non aveva tutto il tempo del mondo e quindi ci fu un periodo in cui Applejack pensò che non le volesse più bene. Ma ora, forse come stava succedendo per Applebloom, capì realmente le ragioni dello stallone. Forse, in futuro, anche la sorella minore avrebbe capito.

Ma poi… poi papà iniziò a parlare con quei tizi. Si ricordava ancora di quando li vide per la prima volta, in un primo pomeriggio: il genitore era nel salotto e, assieme a lui, al tavolo, erano seduti altri tre stalloni. Uno era vestito in modo elegante ed impeccabile, mentre gli altri indossavano abiti più modesti e semplici.

La piccola era giunta fin lì poiché aveva appena rotto il suo cavallino in legno e lo reggeva tra i denti, con gli occhi umidi.

Il padre la vide, sbuffò e interruppe momentaneamente il discorso che stava tenendo. Si avvicinò a lei e, con sguardo severo, le intimò: “AJ, ora sono occupato. Non hai niente di meglio da fare che perdere tempo con i tuoi balocchi?”.

“Non si preoccupi, signor Apple”, intervenne uno dei presenti, con uno strano accento, “Anche io ho una figlia, sa? Non c’è problema”.

A quelle parole, il padre parve calmarsi all’improvviso. Si girò verso l’interlocutore e mostrò un enorme sorriso: “Oh, allora è padre anche lei! Eh! Questi puledrini! Ancora non sanno come sarà la vita e già si disperano per un giocattolo rotto!”.

“E’ la loro età innocente…”, concluse l’altro, gesticolando con le zampe.

Il parente annuì e tornò ad osservare Applejack, spingendola poi con impazienza fino all’uscio e facendola uscire.

“Papà ora è impegnato. Gioca fuori”, e le chiuse la porta davanti al muso.

Fu in quel preciso istante che la puledra pensò seriamente che non le volesse più bene. Il rumore di quella porta sbattuta in faccia le giunse come una martellata al petto. Si ricordò di come le uscirono alcune lacrime, osservando tristemente il cavallo di legno in pezzi.

Poi… alle sue spalle… giunse una voce femminile: soave, splendida… bellissima. Una voce che le donò tranquillità al solo udirla… l’eco di un ricordo lontano. Quel genere di cose in grado di catapultarti nel passato in un baleno.

La puledrina arancione si voltò: nei ricordi di Applejack (che forse non corrispondevano pienamente alla realtà), la madre era seduta su un dondolo in legno, con un sole accecante alle sue spalle. Il cielo era azzurro, l’erba verdissima e gli alberi in fiore.

La giumenta mise le zampe a terra e si diresse lentamente verso la figlia: fece attenzione poiché aveva un grosso pancione tra le zampe. Non riusciva a ricordarsi con precisione il volto… e più fra tutto risaltava la bellissima chioma color dell’oro.

“Cosa succede, piccola mia?”, le domandò gentilmente, cercando di consolarla.

Applejack iniziò a singhiozzare e si fece scappare qualche altra lacrima: “Papà… papà non mi vuole bene…”, farfugliò, dopo aver posato il giocattolo a terra.

La mamma la abbracciò a sé: “Ohh… non  vero…”.

“Sì che è vero! Mi ha sbattuta fuori e non gliene importa nulla!”.

“Papà… papà è molto preoccupato per le sorti della tenuta”, le disse, passandole una zampa tra i crine, “Ed è molto nervoso. Cerca di capirlo”.

L’altra tirò su col naso e affondò il volto nel petto della madre: “Il mio giocattolo…”.

Il pony dalla chioma dorata si chinò per prenderlo: “Mhh...”, mugugnò osservandolo, “Senti! Perché non andiamo da Granny e le chiediamo di sistemartelo?”.

“Granny?”, domandò perplessa, “Ma lei è una… cioè… lo sa aggiustare?”.

“Ti stupiresti di quante cose sa fare la vecchia nonna, piccola mia…”.

    Quello… fu uno dei ricordi più belli che Applejack ebbe della madre.

Dopo neanche un anno… non poté mai più vederla. Applebloom era nata da poco: troppo piccola per ricordarsene. Ma la sorella maggiore aveva una discreta memoria. Chiese al padre che fine avesse fatto mamma. Lo stallone non ebbe il coraggio di dirle la verità e buttò lì la più tipica delle scuse in tal senso: “Mamma è partita e non tornerà per un po’”.

Solo dopo venne a conoscenza della verità. Fu davvero un periodo brutto, dove cadde in depressione per mesi. Non poteva credere che non ci fosse più. Che se ne fosse andata da un giorno all’altro. Solo allora capì a cosa fossero dovuti quei giramenti di testa che la colpivano ogni tanto… e quella volta che crollò di peso sul pavimento della cucina. Dopo essersi ripresa, aveva minimizzato, ovviamente. Ma, poi, tutto assunse un tratto diverso e dovette farsene una ragione. Anche il fratello non la prese bene ma Macintosh era in grado di tenersi tutto dentro e non far trapelare nulla. Tuttavia… non glielo disse mai ma… una sera… lo sentì piangere nel letto… e invocare la madre.

    E poi… Poi ci fu quel giorno.

La tenuta era ormai completamente in mano al padre. Gente sempre diversa e sempre più strana continuava ad entrare ed uscire dalla casa. Ogni tanto arrivava un camion per prendere o scaricare casse di cui non vide mai il contenuto. Finchè… quel giorno. Una prima mattina, per l’esattezza.

Qualcuno aveva bussato ed Applejack aprì: d’innanzi si palesò un tizio con cappello e taccuino, accompagnato da un Agente governativo. Le chiese se ci fosse qualcuno in casa e lei chiamò il fratello.

“Uh… nessun altro? Tua madre, forse?”, domandò.

“Nostra madre è morta da tempo, ormai”.

L’altro si rabbuiò: “Oh. Capisco… E… siete soli?”.

“Nonna dorme di sopra con la nostra sorellina. Ora ci siamo solo noi. C’è qualcosa che dovete dirci?”.

Il funzionario si grattò la fronte e lanciò uno sguardo di circostanza al collega, che non seppe come reagire.

“Vostro… vostro padre”, si sforzò, “Per caso… è uscito questa notte?”.

Applejack non capì: “Lui… sì. E’… è uscito questa notte per andare a parlare con degli amici. Lo fa spesso”.

L’altro non rispose… e la puledra intuì dal suo sguardo che era successo qualcosa.

Quello fu il giorno in cui… Applejack smise di essere ciò che era… e non riuscì mai più a trovare una vera identità.


    Quando i ricordi terminarono, il pony arancione, quello odierno, si sorprese a piangere di fronte alla finestra. Vide il proprio riflesso trasparente nel vetro: le sue labbra erano contratte dal dolore e le lacrime già gocciolavano sul parquet. Si affrettò ad asciugarsi gli zigomi, come se qualcuno potesse scoprirla all’improvviso.

“Merda…”, sussurrò a denti stretti, “Ma che diavolo sto facendo?...”.

Poi si voltò di nuovo verso Applebloom… e un pensiero terribile la scosse dall’interno.

Perché mamma se n’era andata… e papà si era spinto troppo oltre, lasciando tre figli molto giovani e un’anziana ad occuparsi dell’intera tenuta. E tutto per… questioni d’affari.

Non seppe se fosse per via di quel tuffo nel passato o semplice coincidenza… ma provò una terribile sensazione che la fece sentire… sbagliata: lei stava compiendo una scelta. Una scelta dalle conseguenze potenzialmente terribili. Cosa sarebbe successo… se fosse morta? Macintosh sarebbe rimasto da solo a badare alla sorellina e alla nonna. E Applebloom sarebbe stata privata di un altro parente. E da lì? Forse la vendetta di Chrysalis sarebbe giunta terribile e avrebbe colpito anche loro.

    Le zampe della puledra tremarono e dovette reggersi alla parete per non crollare a terra.

“Cosa sto facendo?...”, si chiese, “Sto… sto mettendo in pericolo la vita della mia famiglia solo per cercare la mia vendetta. Come… come posso essere così egoista?... Anche papà aveva sbagliato ma lui cercava solo di non farci affondare. Io… io, invece… sto solo cercando di perseguire i miei scopi…”.

I muscoli non ressero oltre.

Applejack scivolò sul pavimento e si strinse in posizione fetale, con le lacrime agli occhi.

“Chi… chi sono io?...”, sussurrò, senza quasi un filo di voce, “Chi sono per decidere cosa far rischiare alla mia famiglia… per gettare la vita degli altri in quest’impresa?... Chi sono?...”.


    Passarono i minuti.

La puledra si calmò.

Sentimenti e pensieri si chetarono.

E gli occhi di Applejack si riaprirono.

Era ancora nella stanza della sorellina, riversa sul pavimento. La piccola dormiva e non si era resa conto di nulla. La gangster si rialzò a fatica e guardò un’ultima volta la puledrina, con uno sguardo stranamente serio.

Sapeva benissimo che tutto sarebbe potuto finire nel peggiore dei modi… Ma… con quelle parole in testa, non avrebbe mai avuto il coraggio di andare fino in fondo di ciò che aveva iniziato.

Così raccolse aria nei polmoni e fece una promessa solenne…


Qualsiasi cosa accada

In qualunque luogo finiremo

Che sia d’innanzi alle porte dell’Inferno

O ai cancelli del Paradiso

Il mio ponte di morti

Mi condurrà alla fine del cammino

E se dovessi perire nel tragitto

Il mio corpo sarà un mattone in più

Che altri potranno sfruttare

Per proseguire lungo la strada


Investirò ogni mia risorsa

Ogni mia energia che possiedo

Affinché tutto ciò che ci minaccia

Venga spazzato via

E se dovessi perire nell’impresa

Mi assicurerò che i nostri nemici

Mi seguano nella tomba


Se proprio dovrò abbandonare la mia famiglia

Mi assicurerò che abbia un futuro promettente d’innanzi


Lo prometto


Te lo prometto




…Papà.

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Capitolo 10
*** Sangue dal Cielo - Primo Atto ***


Quando la macchina svoltò la curva, nel notturno centro cittadino di Ponymood, autista e passeggero non riuscirono a trattenere lo stupore.

Le strade erano intasate di macchine d’ogni sorta, specialmente dei modelli più costosi mai apparsi sul mercato di quel periodo. C’erano luci e fanali in una quantità che non si era mai vista da quelle parti. Sullo sfondo, in lontananza, era visibile l’elegante Carousel Maison, abbellita con potenti luminarie a fascio e completamente rinnovata nel look esterno.

Non c’era solo una sovrabbondanza di mezzi su ruote: file di pony ben vestiti trottavano lentamente lungo i marciapiedi, aggiungendo così al rombo dei motori anche lo scalpiccio degli zoccoli e il brusio delle voci.

Ponymood, in quell’istante, non sembrò più la piccola e semplice cittadina che molti conoscevano: aveva quasi la parvenza di una metropoli, se non fosse stato per le abitazioni folcloristiche e l’assenza dei palazzi.

Chocolate si spalmò sul finestrino del veicolo, appannandolo leggermente col fiato, con occhi luccicanti.

“E’… è pazzesco…”, disse a Berry, che aveva appena premuto il freno, aggiungendosi così alla fila di macchine di fronte a sé.

“Puoi dirlo forte…”, commentò l’altra, lasciando cascare la mascella dallo stupore.

“Mai vista una cosa simile. Ti rendi conto di cosa significa??”.

“Sì… un evento mai visto…”.

“Non è solo quello!”, continuò con foga, “Tutti questi pony si stanno… si stanno pubblicamente recando in uno speakeasy! Qualcosa bandito da Governo!”.

“Cosa ti avevo detto a proposito del Governo?”, gli disse, con fare saccente, “Ormai è agli sgoccioli. Non sa più cosa fare”.

“Fatico ancora a crederlo…”.

“Beh, amico mio, la risposta è d’innanzi ai tuoi occhi. Guarda!”, aggiunse, allungando una zampa e formando un ampio sorriso, “Su, guarda! Vedi forse qualche Agente? Un funzionario?”.

“No…”.

“E se pensi perlopiù che tutti, qui, stanno infrangendo il coprifuoco! Ma è plausibile… cosa potrebbe mai fare, il Governo?? Mettersi a manganellare tutti i pony d’alta classe? Come minimo si stancherebbero prima, tanti sono, e poi subirebbero un durissimo colpo da parte dell’opinione pubblica e dal supporto aristocratico e borghese”.

L’unicorno nocciola continuò ad osservare il paesaggio, soffermandosi poi su una serie di volantini affissi ai muri cittadini.

“Ti rendi conto”, continuò lo stallone, “Che una banda di criminali si è messa a fare propaganda libera per sponsorizzare un evento illegale??”.

“Sì ma… lo vedi quel tizio nell’angolo della locandina?”.

“Chi? Il ciccione blu?”.

“Sì: quello che sorride come se avesse una paresi. Beh, lui è DollarJolt”.

“Jolt? Lo stesso delle coltivazioni JoltCorn?”.

“Esatto. Lui li ha finanziati pubblicamente, mettendo faccia e soldi”.

“Pazzesco”.

La fila avanzò di qualche metro. Qualcuno strombazzò con il clacson a pompetta.

“Non solo”, riprese Berry, “Rarity si è fatta garante per la serata e ci sarà niente popò di meno che Grey Hound, il Traditore di Counterlot”.

“Sì, ho sentito della notizia… E… e il Governo non fa nulla?? Non lo stavano cercando??”.

“Che vuoi che ti dica?”, rispose l’altra, alzando le spalle, “Forse hanno capito l’antifona. Oppure non si vogliono arrischiare a mandare i loro Agenti in un covo di presunti criminali e in presenza dell’alta società di Equestria”.

“Pensi che Applejack abbia fatto tutto questo per un motivo?...”.

“Non ne ho idea”.

“E se… se ci fosse sotto una fregatura?”.

“Fregatura? Tu sei paranoico. Il massimo a cui aspirano, al limite, sarà farsi una pubblicità incredibile, affossando al tempo stesso la già poca credibilità del Governo”.

“Mah”, bofonchiò infine Chocolate, “Non ho mai visto un governo agire in questo modo… Prima instaurano la legge marziale e pestano tutti quelli che sgarrano di una virgola. Poi… la sua influenza pare scomparire proprio nella serata dove invece sarebbe più richiesta. Non ha senso”.

“Sei paranoico, te l’ho detto”.


    La Schutbert Six della puledra rosa dovette rimanere nel traffico per più di mezz’ora, riuscendo infine a trovare uno spiraglio per dirigersi verso la Maison.

Il cortile dell’abitazione era farcito di veicoli e così lo erano i lati delle strade limitrofe. La guidatrice impiegò un’altra decina di minuti buoni per trovare un posto, decisamente lontano, e così si dovettero pure fare il ritorno su zampe. Ma erano così incuriositi ed eccitati dall’evento da poter sopportare quello e anche altro, se fosse stato necessario.

Una volta affrontata la coda di macchine, ci fu la seconda, interminabile coda per l’ingresso nella Maison.

Berry e Chocolate si resero conto di essere tra i meno eleganti, quella sera, ma, alla fine, non si fecero troppi problemi e attesero pazientemente accodati con gli altri.

“Ma com’è che due pezzenti come noi hanno avuto la possibilità di partecipare?...”, domandò l’unicorno all’amica.

“Perchéee…”, farfugliò, “Ma tu devi sempre fare mille domande?? Siamo qui, no? Non ti basta?”.

“Mh… Ho capito”, ammise, con un ghigno di supponenza, “Si tratta dei tuoi rapporti con quella puledra della tenuta Apple, vero?”.

“Qualcosa di simile. Ora sta zitto e vedi di non farci fare brutta figura come riesci invece normalmente”.

“Ehy!”, trasalì, “Io non faccio fare brutta figura!”.

“Infatti. Di solito ci rendi ridicoli e poi ci sbattono fuori dai locali”.

“Questo solo perché sennò continueresti a bere come un’alcolista di professione. Hai idea di quante volte è toccato guidare a me poiché tu eri sbronza??”.

“Uuhhh…”.

“Beh… tutte!!”.

“Stasera sarà diverso”.

“Come no…”.

    La coppia giunse infine d’innanzi al portone d’ingresso. Già da lì si riuscivano ad udire le note dell’orchestra e l’odore di fumo di sigaretta filtrava quasi dalle travi in legno che ricoprivano la facciata esterna. Davanti all’uscio, sistemata dietro un piccolo tavolino, Twilight controllava e registrava tutti gli spostamenti degli ospiti. Era vestita in modo sorprendentemente elegante, con tanto di cravatta e gilet con catena d’oro. Due enormi stalloni vestiti di nero, entrambi con un pizzetto inquietante, la spalleggiavano silenziosamente.

Alcuni pony d’innanzi a Berry e Chocolate superarono il controllo e si accomodarono all’interno: la porta si aprì, giusto per farli entrare, e le note crebbero d’intensità (sembrava un Jazz forsennato), assieme all’emissione di una nebbiolina da fumatori. Si richiuse e la melodia tornò a smorzarsi.

“Uhh!!”, ululò l’unicorno nocciola, eccitatissimo, “Hai sentito?? Mi sa che là dentro si stanno divertendo di brutto!!”.

“Shh!”, lo ammonì. Era il loro turno.

Il corno di Twilight si illuminò, sollevando la penna sopra il registro delle presenze.

“Buonasera, gentil pony”, disse loro, sfoderando la professionalità derivante dal proprio mestiere, “Vogliate cortesemente indicarmi i vostri nomi”.

La puledra rosa cercò di nascondere la propria eccitazione: “Ehm… i-io… cioè… Berry Punch e Chocolate Tail!”.

Il dottor barbiere scrutò minuziosamente l’elenco, finché esordi: “Berry, Berry, Berry… Eccovi qui. Berry Punch e Chocolate Tail. Applejack sarà contenta di sapere che siete venuta, signorina Punch. E anche voi, signor Tail”.

Chiuse quindi gli occhi, fece un inchino accennato e allungò una zampa verso l’ingresso. Uno dei gorilla spalancò l’uscio, invitandoli ad accomodarsi.

E la coppia non ci pensò due volte.

L’evento notturno li investì con tutta la sua energia.


    Il primo ostacolo che dovettero superare fu la coltre fumosa.

Gli occhi bruciarono leggermente, dapprima, ma poi si abituarono: il duo si addentrò nella maison, percorrendo i corridoi che portavano ai piani inferiori. Pony d’ogni sorta erano intenti a parlare, fumare e bere, appoggiati alle pareti o semplicemente in sosta lungo il tragitto. L’arredamento in stile francese li aiutò ad immergersi completamente nello stile che Rarity sapeva gestire alla perfezione.

Le note del Jazz si fecero sempre più vicine finché, finalmente, il duo superò l’ultima porta ed entrò nel salone vero e proprio dello speakeasy.

Puledra e unicorno spalancarono le bocche, assolutamente esterrefatti.

La stanza era enorme e sembrava dovesse esplodere da un momento all’altro, tanti erano gli invitati.

Il grosso dello spazio era occupato da tavolini e poltrone di lusso, queste ultime riservate solo all’alta aristocrazia.

Chocolate scosse l’amica per una spalla e le indicò qualcosa: “Berry! Berry!! Guarda! Quella non è Miss Rarity??”.

La puledra bianca era distesa su un fianco e parlava amabilmente con altri unicorni, vestiti in modo impeccabile. Ma l’attenzione di Punch era rivolta più che altro al tavolo-bar, da cui Pinkie serviva bevande più velocemente di quanto avesse mai fatto.

Al centro di tutto era stata collocata una pista in legno, in cui i più energici si cimentavano in balli improvvisati: ad occupare un intero lato della stanza, infatti, era un palchetto su cui strimpellava una ben fornita orchestra. Octavia era tra i musicisti, seduta accanto ad un violoncello stupendo, su cui un abilissimo (nonché costosissimo) artigiano era riuscito ad inserire l’incisione originale del suo ex strumento.

L’insieme era quindi corroborato da un chiasso assordante: il miscuglio tra parole, risate, boccali che tintinnavano, ballerini e la musica. Sopra le teste dei pony aleggiava costantemente la cappa di fumo, risultato di decine di sigari e sigarette che venivano combusti con apprezzamento.

I due non stavano più nel pelo.

Una puledra, con addosso provocanti giarrettiere sexy, passò accanto all’unicorno color nocciola, ancheggiando in modo provocante: l’unicorno fremette, alla vista di quelle curve e d’innanzi alle lunghe ciglia, che vennero sbattute amabilmente. Ebbe un attimo di titubanza ma poi si accorse di come parte degli invitati stesse pomiciando allegramente con le bellezze offerte dalla maison. Una di esse gli passò sotto il muso, inseguita da uno stallone semivestito, ridacchiando come una ragazzina.

“Ehm… Berry… io…”, farfugliò verso l’amica, incamminandosi in direzione della puledra di prima.

“Senti, Choco”, tagliò corto Punch, mantenendo lo sguardo fisso sui boccali luccicanti che venivano serviti al bar, “Questa notte… divertiamoci e basta. Fai quello che ti pare. Basta che non bevi troppo perché qualcuno dovrà riportarci a casa”.

“Oh, non preoccuparti. Ho intenzione di tenermi occupato in ben altre faccende”.

Con quelle parole, i due si separarono: Tail scomparve tra la folla, proprio nel punto dove gli sembrò fosse finita il pony provocante, e Berry attese uno spiraglio per ordinare da bere.

Si portò al bancone e attese pazientemente.

“Ciao! Io mi chiamo Pinkie Pie!”, cantilenò la barista, “Come posso servirti??”. Il pony dagli occhi azzurri aveva un completo da inserviente nuovo di pacca, con tanto di code da pinguino.

L’altra si sentì come nel paese dei balocchi, assolutamente incapace di scegliere tra quella gamma di nettare divino.

“Oh… ehm… io…”.

“Avanti avanti avanti!”, la esortò.

“Uuhhh…”.

“Che ne dici del nostro nuovo Sidro Proibito??”.

“Sidro Proibito?...”.

“Sì! E’ il nuovo prodotto che è viene lanciato questa sera! E’ assolutissimamente fantasticoso!”.

“Uh… ok”.

Il pony rosa iniziò a riempire un boccale: “Oh! E c’è anche la solita offerta! Ogni due boccali, il terzo è scontato del cinquanta per cento”.

“Dammene tre, allora”, rispose immediatamente.

“Okie dokie!”.

La puledra andò in brodo di giuggiole quando vide tre enormi boccali schiumosi finirle d’innanzi al muso.

Afferrò energicamente un manico, soffiò via giusto un poco di schiuma e poi bagnò le labbra. Il sidro le invase la bocca e poi scese rapidamente lungo la gola. Terminato il sorso… Berry dovette trattenere le lacrime di gioia.


    Dietro il palco, parzialmente occultata dal sipario, Applejack scrutava i movimenti degli invitati. Indossava il miglior completo gessato che Rarity avesse a disposizione e si era addirittura lasciata convincere ad un debole make-up facciale: niente di elaborato, giusto per eliminare qualche piccola imperfezione e rendere gli occhi più… inquietanti. Così, almeno, le suggerì la puledra bianca, quando le passò l’ eyeliner bianco all’interno delle palpebre, in contrasto ad una punta di eyeliner nero all’esterno.

“Mhh”, commentò, sporgendo appena il volto oltre il sipario, “C’è veramente un sacco di andirivieni”.

“Cosa ti aspettavi?”, le chiese Hound, dietro di lei e al riparo da occhi indiscreti, “Hai sostanzialmente lanciato l’evento più epocale mai visto in Equestria”.

“Ma va bene”.

Lo stallone, invece, era riuscito a tenere le grinfie della compagna lontane da lui… solo parzialmente. Indossava il tipico impermeabile color cammello ma il copricapo era rimasto in camera, in modo che tutti potessero notare la fine che aveva fatto il suo corno. Quello faceva parte della sceneggiata, dopotutto. Per compensare la cosa, la stilista aveva passato mezzo pomeriggio a smanettargli la criniera, ottenendo un taglio vagamente elegante (parzialmente rovinato non appena Grey cercò di scompigliarsi la fronte).  

“Pensi davvero che la mutaforma verrà qui, nella Maison?”, le domandò scettico.

“Non ne ho la certezza ma mi gioco il cappello che ora, in sala, ci sono un sacco di infiltrati sotto mentite spoglie. Resta solo da sperare che Chrysalis sia tra di loro”.

“E se anche fosse… come conti di identificarla? Quella ora ha i poteri di un alicorno. Non basterà un semplice incantesimo per smascherarla”.

Il pezzo Jazz ebbe termine e venne presto sostituito da un’opera di origine classica: Octavia si issò sulle zampe posteriori e imbracciò l’archetto. La melodica prese a diffondersi con grande efficacia tra i presenti.

“Sta tranquillo, mezzo unicorno”, concluse Applejack, “Tu attieniti alla parte e vedrai che non sarà un problema”.

“Mh. Ok. Ma chiamami di nuovo così e vedi cosa succede…”.

“Come? Tutto qui?”, esclamò ironicamente la gangster, “Pensavo mi avresti minacciato di stupro, morte o menomazioni irreversibili. Vedo che Rarity ti ha trasformato in un palle mosce”.

“E’ quello che penso anche io”, ammise amaramente, “Dannata puledra. E dannati… cuccioli…”.

“Aww”, lo schernì, “Sei tenerissimo. Grey Hound: Segugio e presto bambinaia di Counterlot”.

L’altro inscenò un falsissimo sorriso: “Fottiti AJ”.

“Ora va meglio”.


    La festa andò avanti per un’ora abbondante, durante la quale il pony col borsalino non perse di vista un solo invitato. Tra tutti coloro che vide, non riuscì ad avanzare una sola ipotesi su chi potesse essere Chrysalis. Per quanto ne sapesse, poteva benissimo essere rimasta a Counterlot.

Ad un certo punto, l’unicorno viola si fece strada tra i presenti, giungendo ad Applejack con il registro sotto zampa.

“Com’è la situazione?”, le chiese l’amica bionda.

L’altra le consegnò il documento: “C’è il pienone, AJ. Ho dato la precedenza agli invitati più importanti. Pensa che fuori c’è ancora una fila interminabile di pony”.

“Non riusciamo a far stare anche loro?”.

“Scherzi?”, sbottò, facendole osservare la sala, “Non vedi quanta gente c’è? Ancora un po’ e dovremo ammassarli come sardine in scatola”.

“Ok. Quindi, da questo punto in avanti, è tutto in zampa nostra”.

“Esatto. Dirò agli scimmioni là fuori di non far entrare più nessuno. C’è solo da sperare che… che Chrysalis sia qui”.

“Nel peggiore dei casi”, aggiunse l’amica, sistemandosi gli abiti e preparandosi ad entrare in scena, “Avremo ottenuto consensi e ulteriore supporto”.

“Mah”, ammise Sparkle dubbiosa, “E’ veramente un terno al lotto”.

“Vero. Ti spiace andare a chiamare Rarity? Tra poco sarà il momento della verità”.

Il dottor barbiere ubbidì e tornò in mezzo al caos dello speakeasy, giungendo infine dall’unicorno bianco. La proprietaria della Maison era intenta a scambiare convenevoli con i propri colleghi ma, quando Twilight le sussurrò qualcosa all’orecchio, si congedò con garbo: “Vogliate scusarmi, signori. La mia presenza e richiesta per mandare avanti la nottata”.

Si recò dietro le quinte, insieme ad Applejack e Hound, tutti pronti a cominciare.

Il pony dagli occhi azzurri si diede un ultimo sguardo allo specchio e poi agghindò il compagno, come avrebbe fatto una mamma prima di mandare a scuola il proprio figlioletto.

La gangster si sporse di nuovo, questa volta per comunicare qualcosa all’orecchio di Octavia, che annuì subito dopo.

Quando il pezzo musicale ebbe termine, la musicista fece cenno all’orchestra di interrompere la performance.

Rarity si palesò dalle quinte, dando sfoggio della propria bellezza e gusto nel vestire. Quando gli invitati la videro, iniziarono ben presto a chetarsi, non solo per cortesia, ma anche affascinati dalla bellezza dell’unicorno color latte.

Grey osservò la scena in disparte, digrignando i denti: “Ma guarda quei morti di seghe… la stanno spogliando con gli occhi…”.

“E’ questo che fa la Miss di una Maison, Grey”, commentò Applejack, “Si fa desiderare. Se intendi stare con Rarity, dovrai farci l’abitudine”.

La stilista, intanto, si prodigò in un inchino e la sala intera smise di fare ciò che stava facendo, accogliendola con un crescendo di zoccoli percossi sul pavimento.

Rarity alzò lo sguardo e ammiccò in modo provocante, chiedendo il silenzio assoluto, che non si fece attendere.

Si schiarì la voce e parlò: “Sono… davvero molto felice di avervi qui, questa notte. Lasciate per prima cosa che ringrazi ognuno di voi per essersi preso la briga di recarsi presso la mia umile Carousel Maison”.

Un pony del pubblico, già mezzo ubriaco, le rivolse un boccale: “Il… il piashere è tutto mio!”.

La presentatrice sorrise (era pony di spettacolo e sapeva benissimo come destreggiarsi in quelle situazioni… anzi, si sentiva proprio come un pesce nello stagno): “Ci vada piano, signor Cotton, altrimenti ci toccherà di nuovo pagare un taxi per rispedirla dalla moglie”.

Si levarono alcune risate.

La puledra riprese: “Come sapete tutti, questo è un evento speciale. Un evento unico, come mai si era visto prima a Ponymood, se non nell’intera Equestria. Un evento che non sarebbe stato possibile senza l’aiuto del nostro amico e collega, il signor DollarJolt!”.

Terminato l’annuncio, rivolse una zampa in una direzione a l’attenzione di tutti si incentrò su uno stallone blu, che sorrise e alzò uno zoccolo. Un altro scrosciare di colpi sul parquet salutò il “benefattore” dell’evento.

“Ovviamente”, riprese Rarity, “Ognuno di voi ha contribuito in qualche modo alla realizzazione di questo ritrovo, supportando la mia attività e non solo. E’ infatti voglio presentarvi il pony che ha reso possibile tutto questo. Senza ulteriori indugi, ecco a voi… Applejack!”.

    L’amica si palesò a capo chino, con la tesa ad occultarne parzialmente lo sguardo. Quando gli altri la videro, venne accolta da un rumore ancor più assordante di quanto avessero fatto per la stilista, con tanto di fischi e alcuni schiamazzi.

La gangster sorrise a alzò lo sguardo, facendo cenno di calmarsi.

Quando venne ristabilito il silenzio, decise di parlare a sua volta: “In effetti… non posso nascondere il mio apprezzamento per tutti coloro che sono venuti qui, stanotte”.

Gli invitati ricambiarono con un altro debole scrosciare di zampe.

“E’ passato tanto tempo da quando misi in attività il primo speakeasy. Molti di voi già mi conoscevano anni or sono, quando ero una piccola puledrina. Sono sicura che alcuni abbiano anche conosciuto i miei genitori. Noi eravamo e siamo tutt’ora distillatori e, quando il Decreto Celeste è stato divulgato, io e molti altri onesti cittadini e lavoratori ci siamo trovati in grosse difficoltà. Molti di voi lo hanno provato sulla propria pelle, lo so. Per questo che, questa notte, so che sto parlando con gente che mi rappresenta e mi capisce. Anche l’alta aristocrazia si è trovata nei guai, dovendo adattarsi alla penuria di alcolici di qualità, pagando e alimentando un mercato incapace di reggere un rapporto sano con il consumatore”.

Rarity sorrise: ecco come si faceva a compiacere tutti.

“Poi… sono successe molte cose”, continuò, iniziando a camminare lentamente sul palco, “Sono arrivati avversari che hanno giocato sporco, molto sporco. Hanno tentato di farci affondare comunque. Non bastava però la concorrenza e, in mezzo, ci hanno messo gli Agenti e le loro stronzate governative. Ci hanno portati alla disperazione e, così, quando ci siamo trovati con le spalle al muro, l’unica opzione plausibile fu… dirigerci a Counterlot”.

Si levò un lieve brusio.

“Molti degli unicorni qui presenti, ne sono sicura, erano con noi, quella notte. Questo significa che i nostri alleati sono rimasti tali e ne vado molto orgogliosa. Quello che successe dopo… beh… so che alcuni sono ancora scettici ma vi assicuro che Celestia era già morta, quando siamo arrivati. Perché altrimenti qualcuno mi dovrebbe spiegare come avremmo fatto a ridurre in groviera un alicorno centenario, semplicemente usando un’arma e un po’ di piombo”.

Il vociare crebbe enormemente ed Applejack fece alcuni cenni, riuscendo a zittirli nuovamente.

“Da quel momento, il Governo si è esibito in una serie di gaffe esilaranti, prima fra tutte l’annuncio della nostra morte, immediatamente smentita. E… per i più scettici… la prova che fosse una balla è qui, di fronte a voi, e vi sta parlando”.

Alcuni risero.

“Avvenne poi la pubblicazione della prassi da forzatura e, subito dopo, l’istituzione del regime marziale: qualcosa che non capitava dai tempi della Guerra Equestre. E per cosa, questa volta? Per contenere un presunto traffico criminale e abbattere qualche mazzata in testa agli innocenti. E sono altresì sicura che alcuni degli invitati fossero presenti anche le volte in cui smascherammo i nostri impostori, i quali cercarono di metterci in cattiva luce, tramite sembianze atte ad ingannarvi. Quelle sono le prove… inclusi gli Agenti, con tanto di marchio del sole, che si sono poi tramutati in esseri schifosi, una volta uccisi. Di quante prove avete bisogno? Il Governo ci ha ingannati tutti e la dimostrazione è l’evento di questa notte, che non è stato minimamente ostacolato dai funzionari… perché sanno bene che avrebbero commesso un grave errore”.

Applejack scese dal palchetto e iniziò a muoversi tra i tavoli: “In mezzo a voi riconosco i volti di coloro che vennero a chiedermi aiuto… stretti nella morsa di Agenti e usurai, incapaci di reagire a chi deteneva in zampa soldi e potere. Chi è che vi ha aiutato? Non il Governo e non qualche ipotetico benefattore. Siamo stati noi, con accordi ben precisi. Favori, debiti che verranno ripagati secondo patti chiari fin da subito. Debiti che alcuni hanno già ripagato ampiamente. Perché questa è la mia filosofia. Siamo gente accomunata da problemi che vengono ignorati da chi dovrebbe invece farsi garante del nostro benessere. E invece ci specula sopra. Quindi ci siamo arrangiati tra noi, come si farebbe in una famiglia. Io vi ho solo chiesto di aiutarmi, in cambio, e così avete fatto. Non vi ho obbligati, non vi ho ingannati e non ho mai nascosto il mio desiderio di ottenere consensi. Insomma… ho fatto tutto ciò che il Governo non è stato in grado di realizzare in anni e anni di autorevole comando”.

Octavia era seduta assieme ai musicisti e continuò a scrutare i pony nella sala, cercando di decifrare un qualsiasi indizio che le permettesse di riconoscere Chrysalis. Non sapeva chi potesse essere ma… se davvero si fosse trovata lì, ne era sicura… la mutaforma si stava sicuramente rodendo il fegato per tutte le palate di merda che Applejack le stava tirando addosso.

“A me, personalmente, non frega nulla dell’inettitudine dei governativi”, riprese l’oratrice, “Ma almeno evitino di far ricadere la loro incompetenza su di noi”.

Voci di consenso si levarono un po’ ovunque.

“E, per farvi capire quale sia l’inganno a cui siete stati sottoposti fino ad ora… vi presenterò un pony che conosce a fondo gli intricati sistemi con cui gli Agenti hanno sempre operato… poiché non solo lo ha vissuto in prima persona… ma ha anche ricoperto la carica ufficiale per un certo periodo, prima che aprisse gli occhi e comprendesse l’amara verità. Puledre e stalloni… vi presento”, annunciò, senza cambiare tono di voce, “Il Traditore di Counterlot”.

Tutti sgranarono gli occhi e Grey si presentò, accompagnato dalla canonica aria da macho, ormai uno dei suoi marchi di fabbrica. Il mezzo unicorno si avvicinò a Rarity e, sottovoce e cercando di mascherare il labiale, le disse: “Pupa… se stasera riesco a non ammazzare tutti, inclusa la tua amichetta arancione… sappi che sarò diventato il pony più morigerato del mondo…”.

“Suvvia”, gli rispose, “Fai quest’ultimo sforzo. Fallo per me, ok?”.

“Mhf”.


    La puledra lasciò la parola al collega, che osservò in silenzio il pubblico per svariati minuti. Alcuni tossirono.

Hound si schiarì la voce: “Uhh… ecco… io…”, e si voltò verso la compagna. Rarity gli fece un cenno di incoraggiamento.

“Mh. Allora… da dove iniziamo? Mhh… ok. Il Governo è costituito da una manica di assassini, stronzi e doppiogiochisti”.

Tornò il silenzio.

Applejack rimase un po’ spiazzata: “Ehm… potresti spiegarci un po’ meglio… intendo… un po’ più nei dettagli, mh?”.

“Uuhhh… va bene. Quindi… volete la versione estesa?”.

“Possibilmente. Immagino che non ti faccia molto piacere parlarne ma sai che è per una causa importante”.

L’altro si arrese all’evidenza: “…Va bene. Facciamoci ancora del male a titolo gratuito…”.

“Allora, patacche!!”, ruggì all’improvviso, “Volete sapere cos’è realmente il Governo?? Ve lo dico io cos’è il Governo… E’ un sistema malato. Un inganno agghindato da festa. Un’associazione a delinquere peggiore di una casata mafiosa. Se non volete credere a me, allora crederete ai fatti”.

Il Segugio buttò il plico originale della prassi da forzatura su uno dei tavolini: “Fatelo girare. E’ tutto scritto lì, nero su bianco e con tanto di stemma reale. Per chi fosse vissuto in un tugurio per maiali fino ad oggi, pulendosi le chiappe coi giornali anziché leggerli…”.

La gangster dagli occhi verdi alzò gli occhi al soffitto: Grey non si era smentito nemmeno per quell’occasione di fondamentale importanza.

“…Allora vi aggiornerò di persona. Il Governo ha ammazzato la mia ex, solo per farmi incazzare come un’Ursa e usarmi come strumento per compiere le proprie porcherie. Poi, non contento, ci ha catturati, per farci passare come gli unici responsabili della morte della troietta alicornuta”.

“Hound!”, lo riprese Rarity, imbarazzata, cercando di non farsi sentire, “Modera quei termini! Siamo d’innanzi a pony di classe!”.

“Me ne sbatto di queste fighelle”, rispose l’altro, con voce squillante, “Voglio che tutti conoscano la verità. Perché non accetto che una mutaforma senza palle si permetta di riversare la propria incompetenza su chi ha attraversato le mie e le nostre difficoltà. Non accetto che noi, che abbiamo quasi rovesciato un governo corrotto con le nostre sole forze, veniamo trattati come coglioni da una cerebrolesa che ora si nasconde codardamente dietro una schiera di patacche dallo sguardo vitreo”.

Applejack sorrise malignamente: la sfuriata di Hound non era in programma ma, forse, sarebbe stato ancor più efficace per ciò che aveva in mente.

Lo stallone si adirò ulteriormente: “Io ho sacrificato tutta la mia vita per inseguire un ideale che mi era stato imposto con l’inganno da quei buffoni del Governo, capeggiati da un’inetta che non sa nemmeno distinguere i propri Agenti quando vengono mascherati da incantesimi illusori. Noi siamo scappati indenni dalla città fortezza, nonostante ogni peggiore previsione. Ed ora siamo qui, vivi, sulle nostre zampe. E Chrysalis dov’è? Dov’è quella troia manipolatrice e assassina? Eh?”.

La foga di Grey crebbe, pensando a come TUTTO quanto, dalla morte di Coraline ai guai che lui e Rarity avevano passato, fossero in realtà dovuti ad un unico responsabile.

“La verità, signori miei, è che io e questa burina lentigginosa abbiamo compiuto più cose in due mesi che non quella mutastronza nell’arco di anni. E non mi risulta che ne io ne lei siamo in possesso di poteri da alicorno”.

Alcuni rimasero impressionati dal linguaggio scurrile dello stallone, mentre altri ne furono infervorati.

Applejack colse la palla al balzò e rafforzò con enfasi le parole del collega, intervenendo a suo favore: “Ora abbiamo persino avuto l’ardire di organizzare questa festa notturna, in mezzo ad un regime pseudo-militare. Chrysalis ha già inviato i suoi agenti migliori a contrastarci, e noi li abbiamo rispediti a Counterlot con la coda tra le zampe o direttamente in una scatoletta di legno. Il Governo sta cadendo, è agli sgoccioli. Entro breve, la ragione sarà dalla parte del popolo e degli oppressi, mentre dell’operato dell’attuale Governo non rimarrà che un mucchietto di dicerie… Anzi! Forse… per una cosa Chrysalis verrà osannata nei libri di storia. Per essere stata la governante più incapace e demente che mai sia esistita, che si è fatta fare il culo addirittura da una brucafieno, assieme ad una barista schizzata e una stilista con gli strass!!”.


    “ORA BASTA!!!”, ruggì una puledra, con tono sovrannaturale, composto da mille altre voci e una parvenza animalesca.

Tutti si voltarono.

Un unicorno malva chiaro aveva appena battuto gli zoccoli sul proprio tavolo, facendo sobbalzare i vicini. Il suo volto era furibondo: gli occhi luccicavano di verde intenso e i denti erano serrati in un ghigno totalmente adirato. Il petto del pony si contraeva caoticamente, quasi avesse il fiatone (quando in realtà si trattava della rabbia appena esplosa). Era vestita elegantemente ma i crine si erano appena scompigliati a causa della sfuriata.

VOI NON SIETE NULLA SE NON STERCO SOTTO I MIEI ZOCCOLI!!!”, aggiunse, “COME VI PERMETTETE ANCHE SOLO DI RESPIRARE L’ARIA ATTORNO A ME?!?”.

Gli ospiti la osservarono perplessi e l’organizzatrice dell’evento non riuscì a nascondere un ghigno compiaciuto. Sapeva benissimo che Chrysalis non era una stupida ma, da quello che aveva visto a Counterlot, era evidente che, quando perdeva le staffe, ogni parvenza di autocontrollo andava a farsi benedire. E così era stato, di nuovo.

Dopo alcuni secondi, la mutaforma parve tornare in sé, osservando i pony sbigottiti che la scrutavano con perplessità.

Degli zoccoli presero debolmente a colpirsi tra loro: era la gangster col borsalino. Applejack continuò a sorridere, con fare strafottente: “Ma bene… parli del Diavolo…”.

Grey puntò ai suoi arcani occhi verdi e riconobbe il “fu” sguardo di Celestia, un istante prima che lo riducesse ad una marionetta senza cervello. Strinse i denti e il suo istinto da “Invictus” iniziò a caricargli l’adrenalina nelle vene.

Chrysalis si rese conto di aver commesso una falcata troppo ampia.

“Mhf”, bofonchiò, apparentemente divertita, “Ottimo lavoro, Applejack. Vedo che ti sei data da fare”. L’altra si limitò ad armarsi di stecchino tra i denti.

“Vedo però che hai trascurato alcuni dettagli fondamentali…”.

“Ne dubito”, rispose il pony arancione, sicuro di sé.

“Dimentichi… di quali poteri sono dotata…”.

“Ma davvero? E, di grazia, cos’avresti intenzione di fare, con i tuoi mirabolanti poteri?”.

L’unicorno malva fu sul punto di risponderle ma si bloccò di colpo, colta da un pensiero che non poteva essere ignorato… Perché, effettivamente… si rese conto di avere ben poche opzioni.

“Vorresti uccidermi?”, domandò la puledra bionda, “Fai pure. Rivela chi sei. Sputtana quel poco di credibilità che ti è ancora rimasta”.

L’infiltrata assunse un’espressione del tutto simile a quella di Hound, a denti serrati, come un cane rabbioso.

“Sei così potente che scommetto potresti farci fuori senza troppi problemi. Ma poi? Li vedi, gli ospiti? I ricchi? Alcuni sovvenzionano le vostre operazioni militari, lo sai questo? E quindi… che si fa?”.

L’ira di Chrysalis la condusse nuovamente sul punto di farla parlare troppo: “Potrei sempre ammazzare te e tutti i sacchi di merda in questa stanza…”, avanzò, sogghignando. Alcuni pony iniziarono a preoccuparsi e a farsi cogliere da un’agitazione crescente.

“Ah sì?”, le diede corda il pony di terra, “Per non lasciare testimoni, intendi? Non credo sia così semplice. L’annuncio di questo evento è riecheggiato quasi in ogni angolo di Equestria. E’ qualcosa che non potrai insabbiare, tantomeno di fronte ad un genocidio. E scommetto che qualche superstite ci sarebbe comunque e spiffererebbe l’accaduto a qualsiasi organo divulgativo”.

L’avversaria percepì di nuovo quella sensazione per lei intollerabile… la sensazione che qualcuno le stesse una spanna davanti al muso. Gli occhi le divennero sempre più verdi e il corno si arricchì di energia. L’agitazione degli invitati raggiunse un apice preoccupante.

“Fermi tutti!!”, intervenne Grey, “State fermi. Non si azzarderà mai a far fuori voi. Siete ciò che fa la differenza tra la notorietà e il nulla più totale, per lei”.

HOUND!!”, tuonò, “LA TUA TESTA SARA’ MIA!!”.

“Vieni a prenderla, stronza”, le rispose, concedendosi uno strappo alla regola e facendosi accendere una sigaretta.

“Qui non puoi fare niente, Crhy”, intervenne Applejack, “Posso chiamarti Chry? Tu puoi chiamarmi AJ. Siamo amiche, ormai”.

Il corpo della creatura iniziò letteralmente a ribollire: stava per assumere la propria forma originale. I versi di stupore e paura crebbero inesorabilmente e Chrysalis iniziò a ridere come una pazza, facendo rimbombare la propria voce in modo inquietante.

APPLEJACK, CREDI FORSE DI AVERMI MESSA CON LE SPALLE AL MURO?? POSSO AMMAZZARVI TUTTI E MI RIMARRA’ SEMPRE COUNTERLOT!!”.

“Fai pure”, continuò con nonchalance, cercando di mantenere il sangue freddo, nonostante percepisse il suo potere di morte pronto ad esplodere, “Ma… senza questi pony… tu non sei niente. Nemmeno Counterlot potrà sopravvivere senza sostenitori e assediata dalle proteste e dal malcontento. E se tu ci ucciderai, Chry”, concluse, lanciandole lo stesso sguardo di sfida di quando scapparono dalla città-fortezza, “Tu ci farai dei martiri. E i martiri vengono ricordati, dove invece tu scomparirai nel nulla”.

La straformazione dell’unicorno si completò rivelando le vere sembianze del mostro: una puledra nera, slanciata e butterata da incavi e fori cutanei. Rarity lanciò un gridolino di schifo, insieme a vere e proprie urla di panico da parte dei presenti. La luce sul corno del nemico divenne accecante e fu rivolto verso Applejack, la quale pensò di aver calcato troppo lo zoccolo.

Ma Chrysalis trovò un ultimo barlume di autocontrollo e scostò la fronte un istante prima di scagliare il colpo, che si diresse invece verso la zona bar. Pinkie si abbassò per raccogliere uno shaker anticipando appena la bolla di energia, prima che deflagrasse contro la parete, spedendola a metri di distanza, assieme a fiamme, frammenti e bottiglie rotte. Il botto fu fortissimo: gli invitati si gettarono a terra all’unisono… per poi lasciarsi prendere dal panico più assoluto e iniziare a sciamare verso l’uscita.

L’attacco magico tirò giù quasi tutto il muro, creando una vera e propria via di fuga per Chrysalis, che non perse altro tempo: spiego le ali membranose e spiccò il volo, rapida come una saetta.

“Sta scappando!!”, urlò Applejack, rialzandosi da terra, con la zampa sopra al borsalino, “Inseguiamola!!”.

Ma le cose si complicarono.


    Circa un quarto degli ospiti venne colto da strani spasmi, rivelando poi la vera identità: infiltrati mutaforma. La maggior parte di loro era disarmata, a causa dei controlli per farli entrare, ma altri, grazie ai poteri di occultamento, erano riusciti ad imboscare alcune armi di piccolo calibro.

I pony, quelli veri, divennero ancor più terrorizzati, mentre i più spavaldi e fedeli non ci pensarono due volte a saltare addosso ai malcapitati. E fu allora che la gangster diede il segnale, con un fischio: un altro quarto degli invitati tirò fuori pistole e tirazoccoli in ottone. Era un miscuglio composto dagli agenti di Discord e i sicari che Applejack aveva assoldato con gli introiti degli speakeasy.

In meno di un minuto si scatenò una furibonda gazzarra, in cui i tirapiedi iniziarono a menar le zampe e rivolgersi sporadici colpi d’arma da fuoco.

“Svelti!!”, riprese la puledra bionda, “Andiamo alle macchine!! Chrysalis starà cercando di tornare a Counterlot, nel suo dominio!! E’ l’ultima cosa che dovrà fare!!”.

Applejack si mosse verso l’uscita, cercando di farsi strada in mezzo al caos della battaglia. D’innanzi a lei si pararono alcuni sgherri dagli occhi blu, pronti a farle la pelle. La puledra non era armata ma non si sarebbe di certo lasciata intimorire.

Grey, tuttavia, la anticipò sul tempo, abbattendo una poderosa zoccolata sul muso di un mutaforma e spedendolo al tappeto. Octavia fece il suo ingresso con un’ampia giravolta e ne liquidò un altro paio con una spettacolare sequenza di colpi marziali. Pinkie, ancora rintronata e leggermente annerita dall’esplosione, si tuffò invece tra i rimanenti: schivò ciondolando alcuni attacchi e poi li affettò sapientemente fendendo un coltello.

“Ottimo”, ammise il pony arancione, “Ora andiamo”.

“Aspetta!”, intervenne Grey, spaesato, “Dov’è Rarity??”.

Poi la vide: la stilista era rimasta isolata al lato opposto della stanza, con un paio di unicorni dalle belle braghe a darle manforte. Un’intera stanza colma di civili e sicari in lotta li separava.

“Oddio!”, intervenne uno di loro, sincerandosi di quanto fossero brutti i loro assalitori.

“Nevvero?”, rispose l’altro, scagliando magicamente una sedia addosso agli avversari.

“Rarityyy!!”, strillò Hound.

“Coccolottooo!”, le fece eco, “Vai!! Andate! Non preoccuparti per me!!”.

“Sto gran ca…!!”.

“Cocorito mio! Non riesco a raggiungervi ora!”, gli urlò, impegnata nella bolgia, infrangendo quindi una bottiglia in testa al nemico, che cadde a terra con la lingua stretta tra i denti, “Andate avanti, io vi raggiungerò dopo!!”.

“No! Io non ti lascio qui!”, e mise al tappeto un altro sgherro, con una gomitata allo zigomo.

“Grey!! Hanno bisogno di te per Chrysalis! Io ho il mio locale a cui badare! Non posso lasciare che lo riducano in macerie!!”.

“Ma!...”.

L’altra gli lanciò uno sguardo rasserenato, mentre la coppia di unicorni prese a lanciare qualsiasi tipo di oggetto verso i tirapiedi: “Non ti preoccupare… ti raggiungerò quanto prima!”.

Applejack gli mise una zampa sulla spalla: “Hound… dobbiamo andare. Ti prometto che Rarity starà bene. La conosco. Tu non l’hai mai vista in azione ma ti assicuro che non sarà lei a lasciarci le penne…”.

Lo stallone deglutì, assolutamente incerto sul da farsi: “O-ok…”, farfugliò infine.

Il gruppetto iniziò ad uscire dal locale, con Grey per ultimo, che si girò un ultimo istante verso l’amata: “T…ti… TI AMO, RARITY!!”, le urlò, prima di fuggire imbarazzato.

L’altra si sciolse e sospirò, subito dopo aver abbattuto sonoramente una padella sulla crapa avversaria.


    Applejack galoppò come una pazza tra gli ospiti impazziti, dirigendosi verso la Dodge Bros. Salì rapidamente e accese il motore. Scrutò quindi il cielo: Chrysalis stava volando verso Counterlot, con la propria sagoma in contrasto con la luce di una luna… pienissima.

“Ora c’è da sperare che quei due riescano a rallentarla quanto basta…”, disse a sé stessa.

Octavia e Pinkie giunsero immediatamente e si accomodarono nei sedili posteriori.

Attorno a loro vi era un caos apocalittico di pony in fuga e macchine che cozzavano tra loro, nel tentativo di divincolarsi. La puledra pigiò lo zoccolo sull’acceleratore: il motore truccato diede sfogo di cavalli e il veicolo partì, schivando per pochi centimetri potenziali pedoni investiti.

“Weee!!”, urlò Pinkie, sbracciandosi, “Se alzi le zampe è ancor più divertente!!”.

Spike, intanto attendeva ansioso su un veicolo limitrofo. A breve giunsero i rispettivi occupanti: Grey e Twilight presero posto dietro e il drago sgommò con assoluta rapidità.

“Dove cavolo eravate finiti??”, chiese nervosamente, “E che cazzo è successo?? Ho sentito un botto e qualcosa è schizzato via dalla parete!”.

“E’ stata Chrysalis!!”, lo informò Twilight, “Dobbiamo correrle dietro! Segui la Dodge di Applejack!”.

“E Rarity dov’è??”.

Hound iniziò ad infilare i colpi nel tamburo del suo fido revolver: “La pupa è rimasta nella Maison”.

“Cosa??”, sbottò l’autista squamoso, girandosi verso di lui, “L’hai lasciata dentro quel casino??”.

“Tieni gli occhi sulla strada, cretino!!”, lo riprese Sparkle, facendogli evitare una vittima, per un soffio.

“Senti, nano, avrei voluto ma…”.

“Io adesso sterzo e torniamo indietro!!”.

Una raffica di colpi si abbatté sulla lamiera e frantumò il lunotto posteriore. Tutti abbassarono la testa: dietro di loro, un gruppo di macchine prese ad inseguirli in modo del tutto spericolato. I mutaforma di Chrysalis si palesarono dalle portiere, premendo i grilletti delle pistole.

“Come non detto”, si corresse Spike, pigiando a fondo il pedale.

“Luridi bastardi”, commentò Hound, “Vi faccio vedere io come si spara”.

Lo stallone spaccò un finestrino e si sporse pericolosamente, tenendo la sigaretta serrata tra le fauci. Sentì il sibilare di alcuni colpi, allungò quindi la zampa, chiuse un occhio e fece partire due proiettili in rapidissima successione: uno dei tiratori si ritrovò con un buco al polmone e rientrò prontamente nell’abitacolo, con una fitta di dolore.

Le macchine dei gangster si divincolarono dalla calca ed iniziarono a guadagnare velocità tra le strade quasi deserte di Ponymood, con gli inseguitori che non li mollavano.

Applejack alzò lo sguardo: Chrysalis era sempre là, nel cielo, diretta verso il proprio dominio.

“Non dobbiamo assolutamente perderla”, e spinse i giri al massimo, muovendosi tra le strade di una città che conosceva a menazampa.

Dietro, intanto, Spike, Hound e Twilight facevano da cuscinetto per tenere distanziati gli inseguitori dalla Bros nera dell’amica. Il piombo arrivava come grandine, finché Sparkle eresse una barriera attorno al mezzo.

Gli inseguitori, in modo del tutto inaspettato, vennero quindi tempestati da supposte di grosso calibro.

Con loro sommo dispiacere, Rainbow Dash saettava come una furia tra i tetti delle case, martellandoli al tempo stesso con un’imponente M1919 tra le zampe.

“MORTE DAL CIELO!!!”, urlò il pegaso, mentre tutto il suo corpo tremava, percosso dal rinculo del’arma. Gli occhialoni scintillavano ad ogni espulsione di proiettili. Non era un fuoco preciso ma tanto bastò a sforacchiare qualche portiera di troppo, liquidando e facendo sbandare inesorabilmente almeno un paio di macchine, che si infransero lungo gli edifici.

Il fuoco di risposta non tardò a farsi sentire: gli sgherri misero fuori dai finestrini i loro brutti musi e le lanciarono contro altrettanti proiettili.

Dash sistemò rapidamente il mitragliatore sulla schiena, allungò le zampe d’innanzi a sé e volò veloce come il vento, zigzagando tra i comignoli e le volte delle case: il piombo impattò ovunque, tranne che su di lei, sollevando una gran quantità di detriti e sbuffi di polvere.

Un gruppetto di mutaforma si lanciò quindi dalle auto e spiccò il volo con le ali d’insetto, pronti ad intercettare la puledra blu, che fece una rapida giravolta, disimpegnandosi dall’attacco.

Giunse quindi un altro proiettile, questa volta molto più lungo e pesante degli altri, che causò un foro d’uscita oscenamente ampio sulla schiena di uno sgherro. Come al solito, il rumore dello sparo giunse con un lieve ritardo. I nemici si dispersero istantaneamente, in modo da confondere un cecchino che non erano riusciti ad individuare. Rainbow ne approfittò per accodarsi ad un avversario isolato, riprendendo l’M1919 tra le zampe e preparandosi ad abbatterlo.

Applejack osservò sporadicamente la scena, cercando al tempo stesso di rimanere al culo di Chrysalis: “…Brave ragazze”, dichiarò, beandosi di come, nonostante i problemi, tutti stessero agendo al meglio delle proprie capacità.


    Alla Carousel Maison, intanto, la bolgia non accennava a chetarsi: alla rissa presero parte altri rinforzi dagli occhi blu e, per contrasto, sempre più cittadini si armarono di oggetti improvvisati (più qualche doppietta, chi ce l’aveva) per sfogare tutta la frustrazione accumulata contro il Governo.

Berry Punch era accucciata sotto un tavolo: le girava la testa e tra gli zoccoli stringeva il quinto boccale di sidro della serata. Da lì non ci stava capendo granché. Aveva solo sentito l’esplosione e poi si era ficcata sotto il tavolo, da cui riusciva a scorgere solo zampe che si muovevano e musi che cadevano violentemente a terra.

Alzò le sopracciglia e buttò giù un altro sorso.

Qualcuno ruzzolò sotto il tavolo, vicino a lei.

La puledra, spaventata, emise un verso istintivo, sollevando spruzzi di sidro dal boccale.

“Berry!!”, urlò Tail. L’amico aveva addosso solo la giacca, messa a mo’ di vestaglia, e quasi ogni angolo del suo corpo era ricoperto di rossetto.

“Choco!!”.

“Che cazzo sta succedendo??”.

“Mh. Boh”, rispose con noncuranza, dopo un’altra sorsata.

“Oh, per Celestia!”.

Qualcun altro cadde a terra e si infilò assieme a loro. Era DollarJolt, decisamente spaventato.

“Oh, Santa Caterina!!”, farfugliò.

“Ehy! Io ti conosco!”, disse l’unicorno, “Tu sei Jolt! Proprietario delle coltivazioni JoltCorn!”.

“Uhh… sì… sì, sono io…”.

Il rumore di rissa era assordante, costringendoli ad alzare la voce, senza che risultassero comunque udibili.

“Che cavolo è successo??”, domandò Chocolate.

“Perché?”, sbottò l’altro, “Tu dov’eri mentre Applejack smascherava quella tizia tutta nera??”.

“Uuhhh… ecco… io…”.

In quel momento il pony blu notò le chiazze di rossetto.

“Ohh… capisco… E… quella la finisci tutta?”, chiese a Punch.

La puledra mise il proprio cimelio lontano dai due, con sguardo minaccioso.


    Al piano di sopra, intanto, Rarity era riuscita a divincolarsi e a raggiungere le proprie stanze. Sapeva che dietro di lei c’erano almeno cinque o sei tirapiedi pronti a farle la pelle. La stilista chiuse la porta a chiave, un attimo prima che qualcuno si abbattesse sul legno, cercando di aprirla, senza poi demordere nell’impresa.

L’unicorno bianco si guardò attorno: in fondo c’era il suo bel letto a baldacchino, lo specchio con i trucchi, gli armadi e i manichini con la collezione estiva. Sapeva che c’erano anche alcuni mitragliatori, nascosti tra le sete, ma lei non si sarebbe mai azzardata ad impiegare armi così rozze e pacchiane. Un asse della porta cedette: “Su! Perché non ci apri??”, sibilò un mutaforma, facendo spuntare appena il muso zannuto.

Sarebbero entrati da un momento all’altro… e lei era sola. Pensò rapidamente.

Insistettero così tanto che, alla fine, la porta venne letteralmente giù, scardinata.

E la videro: la puledra era coricata amabilmente sul proprio letto, su un fianco, con sguardo sicuro di sé.

Una mezza dozzina di creature nere avanzò lentamente nella camera: un paio sfoderò una rivoltella mentre gli altri colpirono gli zoccoli tra loro, pronti a menar le zampe.

L’altra sbatté le lunghe ciglia nere e sorrise.

Uno dei presenti ridacchiò: “Cos’è?? Credi di poter far presa su di noi con il tuo fascino?? Possiamo trasformarci in stangone quando ci pare e piace!! Con noi queste cose non funzionano!”.

“Ohh”, ammise Rarity, dispiaciuta, “Ma io non volevo questo”.

“E allora… preparati a morire…”, e si avvicinarono minacciosi.

“Siete proprio maleducati”, rispose, “Volevo solo farvi vedere la mia collezione per l’estate”.

“La… cosa?”.

Il corno si illuminò di magia azzurra e altrettanto fecero i capi sui manichini attorno a loro. I mutaforma fecero qualche passo indietro, impreparati a ciò che videro: gli abiti, mossi dal potere arcano, volteggiarono alcun volte nell’aria, ricomponendosi poi come se fossero stati indossati da pony invisibili.

In ordine vi erano: una delle vestimenta per Applejack, con tanto di cappello; tre abiti d’alta classe in gonna; il vecchio cappotto di Grey; un completo con borchie in pelle nera (una cosuccia che la puledra avrebbe voluto presentare ad Hound, prima o poi).

I tizi armati puntarono le pistole e svuotarono i caricatori, facendo rimbalzare il piombo sulla stoffa incantata.

Un paio degli abiti si mosse (imitando in tutto e per tutto le movenze di un equino) ed estrasse i mitra nascosti sotto le sete. Infilò i caricatori e fece scattare gli otturatori, puntando poi le bocche di fuoco verso i malcapitati, che si strinsero tra loro e deglutirono.

“Sapete”, aggiunse Rarity, da vera femme fatale, “E’ davvero ironico farsi freddare da qualcosa che era stato preparato per la stagione calda…”.

Spari e urla di dolore arricchirono il campionario già ricco di versi e colpi di pistole, provenienti dallo speakeasy al piano di sotto.

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Capitolo 11
*** Sangue dal Cielo - Secondo Atto ***


Il corpo butterato della mutaforma sibilò nell’aria, nel tentativo di accorciare le distanze per Counterlot.

Chrysalis volava alta nel cielo stellato, quasi invisibile, nell’oscurità, se non fosse stato per la luna parzialmente occultata dalle nubi.

“Schifosa puttanella!!”, berciò, senza un interlocutore, continuando a dar sfogo all’ira, “Chi pensi di essere?? Cosa credi di fare, contro di me?? Avrei potuto scioglierti le ossa, se solo non ci fossero stati quei ricchi e pomposi cagnolini da salotto!!”.

La rabbia della fuggiasca era assoluta: il fatto che Applejack le avesse fatto perdere la pazienza, costringendola ad uscire allo scoperto… proprio non le andava giù. Ma il colpo di grazia lo ebbe quando si accorse di essere finita in una situazione senza uscita.

La stronza ce l’aveva fatta: era riuscita a metterla con la groppa al muro.

Chrysalis buttò un’occhiata alle sue spalle e, tra le strade cittadine, vide un assembramento di fari saettare in modo sconclusionato. A condire il tutto, lampi e botti indicavano come si stesse sollevando una spaventosa sparatoria con inseguimento. Notò anche un pegaso destreggiarsi in mezzo ai traccianti dei suoi sgherri volanti.

La mutaforma tornò quindi con l’attenzione su Counterlot. La città-fortezza era ancora lontana: poteva appena distinguere le guglie scure, in contrasto con la luce lunare, ma era sempre più vicina.

L’assassina di Celestia iniziò a ridere in modo incontrollato: “E’ stato tutto inutile, puttana!! Quando supererò le mura… sarò nel mio dominio!! E non ci saranno viziati sacchi di merda a pararti il culo!! Quello che succede a Counterlot, rimane a Counterlot!”.

    Chrysalis continuò a volare, con la certezza che avrebbe presto ottenuto vendetta.

Il cielo si rischiarò gradualmente, rivelando la luna piena in tutto il proprio splendore.

“Ammira il cielo, Applejack!”, berciò divertita, “Questa sarà l’ultima luna che vedrai!!”.

E la luna… rispose.

    La creatura volante non se ne accorse subito, presa com’era dai fumi della propria rabbia e intenta a scappare.

Il satellite nel cielo divenne sempre più luminoso ma, stranamente… la volta stellata apparve sempre più scura. Il fenomeno continuò gradualmente, finché fu così palese da attirare l’attenzione della mutaforma, che rallentò perplessa, fino a fermarsi.

Applejack, continuando a guidare al massimo della velocità, lanciò un’occhiata tra le stelle.

“Ci siamo…”, dichiarò solennemente”…E’ iniziato…”.

Chrysalis rimase a fluttuare e corrugò gli occhi: “Ma… ma cosa…”.

Un rumore secco e spaventoso fece improvvisamente capolino, come se qualcuno avesse colpito un coccio di terracotta gigante con un martello colossale… e una crepa frastagliata spezzò in due la superficie lunare. Dal solco iniziò a diffondersi una chiazza vermiglia, che si diffuse fino a ricoprirla completamente. Il disco divenne rosso e la luce riflessa assunse le tonalità di un rubino.

Poi avvenne: ciò che sembrava essere il manto stellato attorno al satellite, si rivelò invece la chioma fluente dell’alicorno oscuro. Chrysalis ebbe un tuffo al cuore quando, secondo un inspiegabile gioco di prospettive, che solo una potente magia avrebbe potuto causare, si trovò muso a muso con la sorella di Celestia.

“L-LUNA??”, urlò terrorizzata.

L’altra la fulminò con luminosi occhi vitrei, iniziando a spandere inquietanti lacrime di sangue dai bulbi. Il volto era assolutamente furibondo, quasi incarnasse la quintessenza di un flagello divino.

SORPRESA DI VEDERMI, LURIDA CAGNA?!?”, ruggì, con una voce che fece tremare persino le vetrate degli edifici lontani.

“Ma!... Ma tu eri… eri…”.

ERO COSA, SCHIFOSA MERETRICE??”, tuonò, “PENSAVI DI FARE I TUOI PORCI COMODI IN MIA ASSENZA?? DI POTER AMMAZZARE IMPUNITA MIA SORELLA??”.

Chrysalis scosse la testa e indietreggiò nell’aria: “Sta lontana da me!!”.

La paura, nella fuggiasca, era tanta… ma poi cercò di ragionare e si ricordò che, dopotutto, lei possedeva i poteri di Celestia. Un alicorno oscuro, affrontato lontano dal proprio dominio, sarebbe stata una sfida… ma toglierla di mezzo era l’unico modo per evitare ulteriori problemi.

La puledra zannuta cercò di sfoderare un sorriso strafottente: “…O vorrà dire che aggiungerò un’altra tacca al numero di alicorni che ho spedito nella tomba!!”.

Con quelle parole, caricò rapidamente una smisurata quantità di magia sul corno. Luna non fecce una piega, limitandosi ad osservarla come un cane rabbioso.

ORA MUORI!!!”, strillò Chrysalis, scagliandole un sinuoso raggio simile a smeraldo liquido.

Il colpo deflagrò, generando un anello concentrico che si diffuse in tutto il cielo, accompagnato da rivoli luminosi identici all’aurora boreale. Il rumore riecheggiò con l’intensità di mille tuoni.

La stessa incantatrice si stupì dell’attacco: non aveva mai provato appieno il potenziale distruttivo che aveva ereditato… o meglio… rubato. E l’attacco fu così devastante da costringerla a pararsi il suo stesso muso con le zampe.

I suoi occhi si arricchirono di gioia quando vide il corpo dell’avversaria distrutto per almeno un terzo, preda di deboli convulsioni nervose e con brandelli di carne attaccati.

QUESTO E’ QUELLO CHE CHIAMO POTERE!!”, esultò l’assassina.

I resti dell’alicorno vibrarono, si contorsero, finché un ghignante volto caprino non comparve sul collo devastato della puledra blu: “No!!”, la schernì Discord, “Si chiama magia illusoria! E tu sei due volte cretina!!”.

Lo spirito assunse le proprie sembianze, fluttuando comodamente sulla schiena, con le zampe intrecciate dietro al capo. Osservò la nemica con supponenza, puntando poi gli occhi su qualcosa sopra di lei.

Chrysalis non sapeva se sentirsi sorpresa o ancor più furiosa… ma quando alzò lo sguardo a sua volta… provò semplicemente paura.

Luna, quella vera, la sormontava con la propria terrificante aura di potere e, veloce come un lampo, diede un poderoso colpo d’ali e la investì come un treno in corsa.

L’alicorno si avvinghiò a lei con le proprie forze, intenta a schiantare al suolo la fratricida: volò perpendicolarmente a terra, acquisendo una velocità così elevata da creare una scia bianca dietro di sé.

Chrysalis vide i bulbi luminosi della puledra fissarla implacabile.

TI SFONDO IL CRANIO, MALEDETTAAA!!!”, la minacciò la puledra dal manto stellato. A quell’urlo si uni quello terrorizzato della mutaforma, che capì di non potersi divincolare dalla presa.

La coppia venne giù come una cometa e, quando impattò col terreno, creò un’esplosione così potente da sollevare un vero e proprio tsunami di terra, frammenti di edifici e detriti. Le vetrate delle costruzioni, nel raggio di centinaia di metri, andarono in frantumi e persino la Dodge di Applejack oscillò pericolosamente.

“Per la miseria…”, farfugliò Octavia, osservando l’onda di sabbia che prese a ricadere dal cielo, sullo sfondo lontano, “Quella non scherza…”.

“Che bello!!”, aggiunse Pinkie, “Dite che l’ha fatta fuori??”.

Lo sguardo di Applejack non parve convinto: “Mhh… mi sa che siamo appena all’inizio, gente…”.


    Spike sterzò bruscamente, facendo un rasetto all’edificio sull’angolo.

I proiettili piovvero verso di loro, in parte mancandoli e in parte sforacchiando la carrozzeria. Hound continuò a sputare piombo, cercando di contenere l’insistenza dei nemici, che erano saliti ad almeno mezza dozzina di macchine farcite di cattivoni.

Twilight illuminò il corno, si sporse e proiettò un attacco magico, dilaniando con un frastuono il muso di un’auto. Grey fece scoppiare uno pneumatico, causando un incidente spettacolare: il veicolo si piego su un lato, capottò e venne infine investito dal compare dietro, con scarsa parsimonia di cocci e frammenti metallici sparsi in giro.

Uno degli inseguitori approfittò del caos per accelerare a tavoletta, raggiungendo e poi superando il trio.

Lo stallone sparo gli ultimi colpi verso di loro, senza sortire alcun effetto.

“Maledizione!, ringhiò a denti stretti, “Stanno puntando alla campagnola!”.

Applejack notò i nemici sopraggiungere dallo specchietto retrovisore, e poi alcuni colpi sibilare.

“Non ci voleva…”, esclamò, “Sanno che vogliamo Chrysalis. Vogliono fermarci. Sparategli!”.

“Ehm… AJ?”, le comunicò Octavia, a mezze palpebre, “Il Thompson è nel bagagliaio…”.

“Cosa??”.

“Sei partita sgommando, non ci hai nemmeno dato il tempo di…”.

Un proiettile mandò in frantumi un finestrino laterale, facendo abbassare il muso ad entrambe (perché Pinkie si limitò a ridacchiare divertita).

    I compagni, dietro di loro, intanto, facevano di tutto pur di impedire alle due automobili rimanenti di superarli.

“Ho solo più un tamburo!!”, urlò Hound, finendo di caricarlo e poi facendolo ruotare rapidamente con una zampata.

“Oh! San pietro!!”.

Sparkle aprì la portiera, con volto determinato: “Reggimi!!”, disse allo stallone. L’altro ubbidì e la imbrancò per un fianco.

L’unicorno si sporse oltremisura, riuscendo a caricare la fronte con un potere magico ancor più devastante.

Uno degli inseguitori decise di divincolarsi, superando i tre dal lato scoperto. Era qualcosa che avrebbero voluto evitare ma, in situazioni così critiche, l’improvvisazione (come sapevano tutti) era qualcosa che lasciava ampio spazio alle evenienze…  ed Applejack si trovò così con due macchine alle calcagna.

Ne rimaneva una terza, incollata al culo del veicolo di Sparkle: la puledra viola lanciò l’attacco, che però esplose qualche metro di fronte al bersaglio su ruote, protetto da una barriera invisibile.

“Merda!!”, berciò adirata, tornando nell’abitacolo, “Lì dentro devono esserci degli unicorni!!”.

“Ci stanno tallonando e vogliono starci addosso fino all’ultimo”, commentò il compare.

“E come ce ne liberiamo??”, farfugliò l’autista.

In quell’istante, uno dei presunti unicorni mise la testa fuori e rispose con un raggio incantato, che fece saltare in aria un muretto a pochi metri dal trio. Il draghetto urlò e cercò di non perdere il controllo: “Ci tirano addosso gli incantesimi!! Fate qualcosa!!”.

Twilight contraccambiò con un fulmine, che sfrigolò puntualmente sulla barriera arcana.

“E’ inutile, Spike! Sono almeno due, te l’ho detto! Uno li difende con la barriera e l’altro caga incantesimi!”.

Una saetta schizzò rapidissima accanto a loro, incenerendo un alberello sul ciglio stradale.

“E cosa dovrei fare, io??”.

L’amica divenne pensierosa: si girò ed osservò il mezzo che li inseguiva, quindi si sporse verso il proprio cruscotto e scrutò il contachilometri.

“Ascolta, Spike!”.

“Cosa??”.

“Mantieni esattamente questa velocità. Non un metro al secondo in più, non un metro al secondo in meno”.

“Un… che a cosa??”.

“Spike!!”, ripeté, mettendogli uno zoccolo sulla spalla, “Devi mantenere una velocità assolutamente costante… altrimenti potrei ritrovarmi con una lamiera tra le budella”.

“Eh??”, sbottò interdetto.

“Fai come ti dico!!”.

“Ok! Ok!”.

Il drago si concentrò cercando di non pensare al rischio che stava correndo e si assicurò che i giri del motore si mantenessero costanti.

La puledra chiuse gli occhi e fece un lungo respiro.

“Che vuoi fare, barbiere?”, le domandò Hound.

“Ora c’è da sperare”, annunciò l’altra, facendo di tutto per mantenersi calma, “Che anche loro vadano a velocità più o meno costante”.

Sparkle infilò le zampe sotto la giacca ed estrasse una coppia di granate militari.

Il segugio strabuzzò gli occhi e si fece scappare la sigaretta dalle labbra.

“Cos…”.

L’incantatrice strappò gli anelli coi denti e lasciò saltare le spolette. Strizzò gli occhi e… scomparve in un lampo azzurro.

    Apparve nel sedile posteriore dei propri inseguitori, che si girarono, stupefatti, ad osservarla.

Il dottore aprì timidamente un occhio, poi l’altro. Era ancora viva. E sembrava aver eseguito un teletrasporto perfetto, tra due mezzi in movimento.

“Però”, ammise, un istante prima di mollare le granate, “Scommetto che anche voi non vi aspettavate che ci riuscissi, eh?”, e scomparve di nuovo, traslandosi al sicuro, sul bordo stradale.

Spike notò la macchina negli specchietti: gli occupanti iniziarono ad agitarsi. Il veicolo oscillò e qualcuno iniziò ad abbassare un finestrino. L’innesco delle bombe dilaniò il mezzo dall’interno, in un tripudio di fiamme arancioni, facendo sobbalzare il draghetto.

Anche lo stallone rimase piuttosto impressionato dal gesto ma minimizzò comunque: “Bah”, sbottò, “Avessi avuto il mio corno avrei potuto…”.

“E se mia nonna avesse le piume sarebbe un grifone… muoviamoci!!”, tagliò corto l’altro.


    Dash volteggiò con destrezza, zigzagando tra gli edifici e schivando tutti i colpi in arrivo.

Dopo una piroetta, volò per alcuni metri all’indietro, sforacchiando uno dei tizi che la inseguiva, spandendo una scia di bossoli sul terreno sottostante. Riassestò la traiettoria e cercò di rendersi un bersaglio difficile.

All’improvviso, Fluttershy sbucò da un muretto, volando spaventata: “Dash!! Dash, aiutami!!”.

L’amica imbracciò il mitragliatore e la ridusse ad un groviera.

“Ma chi pensate di prendere per il culo??”, strillò il pegaso blu, riprendendo poi a volare.

Un vetusto Carcano 91, l’arma a cui la puledra giallo paglierino teneva di più, espulse un osceno proiettile di quasi sette millimetri di diametro. L’oggetto seguì l’intera rigatura della canna, acquisendo la rotazione sul proprio asse e finendo poi nell’oscurità della notte. Sul suo cammino di tiro finirono rispettivamente: circa trecento metri d’aria, un muscolo trasverso, un polmone, una scapola, altri dieci metri d’aria, un osso occipitale, svariati strati di neuroni, l’altro osso della scatola cranica, aria e infine il legno di un capannone. Due mutaforma volanti precipitarono a terra. Fluttershy scarrellò l’otturatore, completamente immersa nella sofficità di una nuvola: solo la canna fuoriusciva, occultandola completamente, se non per la fiammata e il rumore dello sparo.

Continuò incessantemente a bersagliare i nemici che, dopo un po’, iniziarono a sfruttare le mura cittadine come riparo… una mossa parzialmente efficace. La tiratrice chiuse un occhio e guardò nell’ottica, mettendo a fuoco un mutaforma volante e seguendolo con perizia. Il bersaglio scomparve dietro il riparo offerto da un muretto e Fluttershy non fece altro che sfruttare l’istinto: continuò a seguire il bersaglio anche se non lo vedeva, ipotizzando che non avesse rallentato. Fece scattare il grilletto e il proiettile trapassò i mattoni. Un cadavere uscì ruzzolando dal lato opposto.

“Yay”, sussurrò il pegaso.

“C’è un cecchino da qualche parte!!”, urlò un avversario al compagno di volo.

“Lo so, maledizione!! Ma non capisco dov’è! Lo sparo sembra rimbombare ovunque… Forse è sulle nuvole!”.

“Dividiamoci!”.

E così fecero: una parte continuò ad ingaggiare Rainbow ed un trio salì improvvisamente di quota.

La puledra dagli occhi azzurri non si fece impressionare e attese pazientemente che si avvicinassero. I mutaforma si fecero sempre più vicini, assumendo una traiettoria casuale per non farsi colpire. Un altro colpo risuonò per il cielo e intercettò due bersagli all’unisono, nell’esatto istante in cui Fluttershy aveva capito che le rispettive parabole si sarebbero in qualche modo incrociate. Il superstite vide i commilitoni precipitare al suolo e perse la calma: imbracciò il mitra ed iniziò a sventagliare verso le nuvole, urlando come un disperato. Continuò a sbattere le ali membranose, finché non si tuffò nella coltre scura.

Si ritrovò immerso nel buio. Si fermò, cambiò caricatore e ricominciò a sparare all’impazzata, illuminando i dintorni e la propria figura con lampi intermittenti.

“DOVE SEI?? DDOVE SEI, PUTTANAAA?!?”.

Continuò a ruotare forsennatamente in ogni direzione, con l’arma che gli vibrava tra le zampe. Fece un ultima giravolta… e Fluttershy gli apparve d’innanzi al muso. Un bruciore improvviso lo colpì all’altezza dello sterno, costringendolo ad arrestarsi e sgranare gli occhi dallo stupore.

Il pegaso giallo sorrideva appena, subito dopo avergli infilato nel petto circa 40 centimetri di baionetta della carabina.

“Eccomi”, gli disse.

Un’ulteriore pressione sul grilletto catapultò lo sventurato a metri di distanza, per poi lasciare che la gravità si occupasse del resto.


*** ***** ***


   

Il fumo si diradò poco per volta.

Luna era con gli zoccoli a terra, al centro di un cratere largo almeno una cinquantina di metri. Sotto di lei, proprio al limitare degli zoccoli, vi era una piccola voragine polverosa: il buco che aveva generato Chrysalis impattando al suolo.

Le due erano finite lungo il limitare della cittadina: alcuni edifici lontani avevano subito l’influenza dell’esplosione ed erano crepati in più punti, con vetrate in frantumi. Dal lato opposto si stagliava la campagna, il cimitero e, sullo sfondo, la luna vermiglia che incorniciava la città fortezza di rossa luce surreale.

L’alicorno era furibondo e aspettava che il fumo svanisse del tutto, per sincerarsi delle condizioni della nemica.

Forse, però, commise un piccolo errore: Chrysalis era per natura una creatura cauta e vigliacca… Ma quando perdeva la pazienza… il suo istinto di autoconservazione lasciava posto ad una furia cieca ed incolmabile.

Un bagliore verde si fece strada attraverso il foro: un raggio spaventoso investì la puledra della notte e la proiettò a centinaia di metri di distanza, intercettando in pieno un edificio. Luna impattò con violenza inaudita, attraversando almeno un paio di mura ed arrestandosi tra un cumulo di macerie: la struttura si riempì di crepe ed oscillò pericolosamente.

La mutaforma emerse lentamente dal buco da cui aveva appena scagliato la magia: il corno pulsava di energia mortale e i suoi occhi brillavano come smeraldi. Il volto trasudava ferocia allo stato grezzo.

CON CHI PENSI DI AVERE A CHE FARE, TROIA VOLANTE??”, sbraitò adirata, verso l’edificio che aveva danneggiato, “IO HO I MIEI POTERI DI MUTAFORMA, UNITI A QUELLI DI CELESTIA!!”.

L’altra si fece strada tra i detriti che le erano finiti addosso, apparendo malconcia ma adirata almeno quanto Chrysalis. Si scrollò i frammenti di dosso e riacquisì l’espressione arrabbiata.

Non si riusciva a capire chi, tra le due, fosse più fuori di sé.

NON HAI ALCUN DIRITTO DI USARE QUEL POTERE CENTENARIO, FEDIFRAGA!!”, le rispose. Spalancò le ali e si precipitò su di lei urlando come una furia.

Chrysalis, questa volta, non si fece cogliere impreparata e sfoderò tutte le capacità che aveva acquisito dalla morte della Governante: un istante prima che Luna la intercettasse, scomparve e riapparve come un lampo dietro di lei, abbattendola al suolo con un’onda d’urto devastante che proruppe dal corno.

La puledra dagli occhi luminosi ruzzolò rovinosamente a terra, scavando un solco lungo parecchi metri, prima di arrestarsi a ridosso del terreno che si era accumulato.

HAI COMMESSO L’ERRORE PIU’ GRANDE DELLA TUA VITA, NELL’USCIRE DA QUELL’ISTITUTO PER CEREBROLESI!! AVRESTI POTUTO RIMANERE LI’ E RISPARMIARTI UNA MORTE SOFFERENTE!! E ORA MI TOCCHERA’ SFILARTI LA SPINA DORSALE CON LE MIE ZAMPE!!”.

Un altro incantesimo prese forma sulla punta del suo corno nero, un potere così spaventoso che la fece tremare nel tentativo di mantenerne il controllo: un enorme globo di vapore verdognolo crebbe a dismisura e venne rivolto verso il corpo della nemica.

Un istante prima di partire, un’altra esplosione pirotecnica si abbatté sulla doppiogiochista, facendola schizzare come un razzo contro il muretto del cimitero, disintegrandone una parte.

Il globo di vapore venne scagliato ma si mosse dritto nel cielo, seguendo una traiettoria errata. Quando fu ad un centinaio di metri da terra, si espanse nell’ennesimo botto magico della nottata, illuminando a giorno le vallate per alcuni secondi.

Il draconequus, nascosto dietro alcune macchine parcheggiate, era inginocchiato a terra e indossava una divisa da soldato inglese, con tanto di elmetto. Sulla spalla reggeva una sorta di tubo fumante: uno dei primi prototipi di quello che diventerà il Panzerfaust della Seconda Guerra Equestre.

Discord gettò l’arma e terra e si alzò, porgendo saluto militare ad un lampione: “Bersaglio colpito, signore!! La sua guida è stata… uh… illuminante!!”.

Ma la spavalderia durò poco: i resti del muretto vennero illuminati dall’interno, prima che Chrysalis, sotto di essi, esplodesse in un urlo di rabbia, scagliandoli in tutte le direzioni.

DIIISCOOORD!!!”, tuonò, “SERPE SCHIFOSA!! NON MI SONO DIMENTICATA DI TE, TRADITORE!!”.

Lo spirito caprino deglutì con nervosismo e si allentò il colletto della camicia con un artiglio: “Se arriverò a vedere l’alba… mi sa che proverò dolore… TANTO dolore!...”.    


*** ***** ***


    A terra l’inseguimento continuava senza sosta,riversando adrenalina a mille nelle vene della puledra arancione. Applejack scrutò lo specchietto, sincerandosi di come avessero due veicoli alle calcagna. L’auto di Twilight, inoltre, non si vedeva, in quanto aveva rallentato per permettere all’unicorno viola il proprio “trucchetto” esplosivo.

La Dodge schizzò tra i vicoli cittadini, peggio che ad una gara automobilistica clandestina, in mezzo ai proiettili.

L’autista alzò gli occhi al cielo, scorgendo i traccianti nella notte: Rainbow e Fluttershy erano impegnati in un combattimento aereo e di sicuro non sarebbero riuscite a coprirne l’avanzata.

Arrivarono altri colpi d’arma da fuoco, generando schioppi metallici sulla carrozzeria, galvanizzando ulteriormente la barista rosa.

“Sìì!! Siamo diventate importanti!! Abbiamo l’attenzione di tutti addosso!!”.

“Maledizione!!”, ruggì Applejack, “Come cavolo facciamo a toglierli di mezzo senza un’arma??”.

Octavia alzò le zampe con supponenza: “Ah, non lo so. Dovevi pensarci prima di…”.

Uno dei due veicoli accelerò bruscamente, sfruttando un improvviso allargamento della carreggiata, e affiancò i fuggiaschi sul lato destro. L’automobile vicina ne approfittò e li raggiunse sul fianco sinistro. I mutaforma non esitarono a sporgersi ad armi spianate, pronti a far fuoco.

“Merda!!”, biascicò la gangster, preparandosi al peggio, “Ci stanno chiudendo!”.

Ma così non fu.


    Octavia si sporse dal finestrino e allungò una zampa verso lo zoccolo di un nemico, proteso nell’atto di sparar loro addosso. Lo afferrò e lo spezzo sapientemente in più punti delle articolazioni, impadronendosi poi della pistola. Il tizio rientrò nell’abitacolo, urlando dal dolore. La musicista puntò l’arma e iniziò a vuotare il caricatore, sicura che qualche colpo sarebbe andato a segno.

La macchina sterzò bruscamente, rallentò, e tornò in coda ai tre, per ripararsi dai proiettili.

Dal lato opposto, Pinkie si mise il coltello tra i denti, spalanco la portiera e sfruttò il bordo del tettuccio come se fosse un’asta  d’aerobica: afferrò lo spigolo e, con un poderoso colpo di reni, fece una giravolta di quasi centottanta gradi, piazzandosi sul tettuccio della Bros dell’amica. Il vento la investi in pieno, scompigliandole la chioma improvvisamente liscia… Perché quando compiva certe imprese, ormai lo sapevano tutti, la sua criniera mutava e gli occhi assumevano delle connotazioni quasi camaleontiche. La puledra dagli occhi azzurri mantenne la presa con una zampa anteriore, mentre l’altra la usò per afferrare il coltello e mantenerlo sollevato a mezz’aria. Un istante prima che gli avversari la bersagliassero di colpi, Pinkie si tuffò nel vuoto e atterrò con precisione sul tettuccio della macchina limitrofa, proprio sopra i loro inseguitori. Il pony atterrò di pancia, piantando sonoramente il coltello nella lamiera, stabilendo così una presa. I passeggeri trasalirono quando videro una spanna di lama scintillante sbucare sopra le loro teste.

Applejack spalancò la bocca, assolutamente esterrefatta.

“In effetti…”, commentò subito dopo, sogghignando, “Chi ha bisogno di un’arma… quando ho te e Pinkie?”.

“Non cantar vittoria, AJ”, la avvertì Octavia, gettando via la pistola, “L’arma è già scarica e non ho centrato l’autista”.

L’amica sterzò, prendendo a tutta velocità una curva strettissima, “Cos’è? Stai perdendo colpi?”.

La violoncellista si sgranchì le giunture: “Ti faccio vedere io chi è che perde colpi…”, e spalancò la portiera a sua volta, iniziando a muoversi lungo la fiancata dell’auto, quasi fosse sul bordo di un cornicione.

“Sparate!!”, urlarono dall’auto assaltata da Pinkie.

Gli sgherri puntarono le rivoltelle verso l’alto e premettero i grilletti. La barista non dovette far nulla, come suo solito: vuoi per le sbandate del mezzo, vuoi per gesti involontari, i proiettili quasi le costruirono una sagoma sforacchiata attorno.

“E’ morta??”, chiese l’autista, preoccupato.

Ma il volto folle della puledra gli apparve d’innanzi, oltre il vetro, a testa in giù: Pinkie si era sporta dal tettuccio direttamente verso il tergicristalli.

“No!!”, dichiarò sorridente, “Sono viva e vegeta! Sono vivegeta!!”.

L’altro ebbe un sussulto di spavento: prese istintivamente una pistola e la puntò in direzione della sua fronte. Premette il grilletto.

Il proiettile formò un foro nel vetro e il capo di Pinkamena ebbe una convulsione all’indietro, come se lo avesse incassato… ma, ovviamente, così non fu.

Pinkie, molto lentamente, riportò il volto nella posizione iniziale, trasudando una follia così spaventosa da terrorizzare tutti gli occupanti. Il piombo le aveva appena attraversato la criniera.

“MACHICCAZZO E’??”, urlò disperato il guidatore, cercando di mantenere un minimo di calma.

Il pony caricò una poderosa testata e sfondò il vetro danneggiato del veicolo, che andò in mille pezzi.

L’aria investì l’abitacolo e il panico si diffuse.

“Mi chiamo Pinkie Pie!! E mi piace tanto giocare a coltello-che-bello!”.

Con quelle parole e senza abbandonare la postura a testa in giù, menò un fendente che tagliò di qualche centimetro il collo dell’autista. I vetri limitrofi e i presenti si dipinsero di spruzzi rossastri. Tutti urlarono, senza riuscire a contrattaccare.

    Applejack continuò a guidare come una stuntman, costringendo Octavia ad oscillare pericolosamente dal mezzo, talvolta avvinghiata con una sola zampa e tempestata di proiettili. Ma la puledra non perse nemmeno per un istante il proprio sguardo freddo e calcolatore: sfruttò ogni sterzata dell’amica per volteggiare elegantemente lungo l’auto, evitando i proiettili.

Dopo un po’, riuscì ad allungarsi a sufficienza per girare la manopola del bagagliaio, che si aprì di scatto, rivelando il prezioso contenuto. Con un altro piccolo sforzo, si impossessò del Thompson Coltago Version. Lo imbracciò saldamente con una zampa, mentre con l’altra manteneva la presa per non cadere.

Puntò il mitra e sorrise appena. Quando iniziò a tremare per i contraccolpi dell’arma, tuttavia, non poté fare a meno di digrignare i denti. Dopo qualche secondo… iniziò a ridere come una matta.

La carena del mezzo avversario si arricchì di buchi in pochissimo tempo: i vetri esplosero, i corpi si agitarono, trafitti dai proiettili, finché non sbandarono e si schiantarono con un botto spettacolare contro il muro di un caseggiato.

La musicista buttò il Thompson scarico sul sedile, tornò dentro e si risistemò cappello e criniera, riconquistando il proprio sguardo di neutralità. Portò quindi l’attenzione verso l’amica rosa, che aveva appena reciso la carotide dell’autista, provocando a sua volta un violento sbandamento di traiettoria. Aprì la portiera e allungò una zampa grigia verso di lei.

“Pinkie!!”, urlò, “Pinkie, salta!!”.

L’altra lanciò il coltello verso la fronte del passeggero, impedendogli così di ristabilire il controllo del mezzo e, con un’altra evoluzione, si portò a quattro zampe sul tettuccio.

“Okie dokie!!”.

La puledra sorrise divertita e si lanciò per lungo verso la violoncellista, accompagnata da un acuto verso di gioia: “Weeee!!”.

Octavia la acchiappò al volo, cadendo di schiena contro i sedili, un istante prima che la Dodge imboccasse uno stretto ponte di pietra che attraversava un fiumiciattolo. L’auto vicina, invece, finì fuori strada, investendo una sponda e volando dritta dritta nell’acqua: si infranse pesantemente verso il letto del fiume, spandendo schizzi a svariati metri d’altezza.

Le tre si girarono per un istante, rapite da quello spettacolo di fluidi.

L’ex-contabile osservò l’amica col borsalino, sfoggiando uno sguardo a dir poco altezzoso: “Perdendo colpi, eh?...”.

Un boato riportò le tre verso ciò che stavano facendo originariamente: alcuni lampi luminosi in lontananza lasciavano presagire che il combattimento tra le due creature era ripreso più ferocemente che mai. Erano ancora lontane e parecchi isolati le separavano dalla periferia di Ponymood.

Ma ora erano liberi di proseguire, senza scocciatori dietro di loro.

Applejack morse lo stecchino, con sguardo convinto, e schiacciò a fondo l’acceleratore.


    Un centinaio di metri più indietro, la vettura di Twilight comparve da una curva. Il draghetto aveva recuperato terreno.

“Eccole!”, disse Spike, osservando la Dodge attraversare il ponte.

“Bene. La strada è sgombra”, commentò Hound.

“Forse non ci conviene aspettare Twily?”, domandò, avvicinandosi sempre di più al fiume.

“Dobbiamo aiutare la campagnola e impedire che Chrysalis torni nel suo tugurio di corruzione. Questo ha la precedenza. E poi potrà raggiungerci dopo…”.

“Va bene”.

L’acqua era sempre più vicina quando, all’improvviso, uno dei lampioni sul ciglio stradale si spense di colpo, accompagnato da qualche scintilla dal bulbo di vetro.

Segugio e draghetto corrugarono lo sguardo.

“Che è stato?”, domandò l’autista.

“Mhh. Non lo so. Tu accelera e togliamoci di qui”.

“Ok…”.

E così fecero… ma qualcosa andò storto.

Un istante prima che superassero il lampione rotto, un’enorme figura scura si palesò nell’ombra e roteò su se stessa, brandeggiando qualcosa tra le zampe, che investi in pieno il fianco dell’automobile.

Grey non capì. Si accorse appena dell’impatto violentissimo e poi tutto divenne caos.

La macchina si sollevò da terra e il corpo dello stallone venne lanciato, per puro effetto della fisica, contro il tettuccio. Si accorse con terrore di come la vettura si stesse avvitando nell’aria, diretta nel fiume.

La ricaduta sulle sponde fu violentissima: i vetri esplosero, la lamiera si accartocciò… e tutto si fece buio.

Perdere i sensi fa sempre uno strano effetto.


*** ***** ***


    Un altro incantesimo spettacolare e terrificante… e un altro cratere a terra, provocato da un alicorno malconcio ma furioso come non mai.

Le due si stavano azzuffando come leoni inferociti, scambiandosi devastanti attacchi arcani e dando fondo ad ogni tecnica che conoscevano. Il loro combattimento era dinamico e si spostava costantemente tra la terra e il cielo, arrivando, ad un certo punto, tra le lapidi e i mausolei del cimitero.

Chrysalis volò in picchiata verso l’avversaria, pronta a trafiggerla col corno corroborato di magia.

L’altra, pesta ed emaciata, scosse il capo, facendo cadere un po’ di terra dai crine fluenti.

AVRAI IL POTERE DI MIA SORELLA, PUTTANA!!”,le urlò, “MA E’ DA MILLENI CHE IO SO PADRONEGGIARE UNA FORZA SIMILE!!”.

Il corpo dell’alicorno divenne fluido come acqua, lasciando però trasparire al suo interno una profondità arcana identica al manto stellato.

La mutaforma cercò di virare ma finì invece inglobata nella trappola della nemica.

La massa informa le vorticò attorno, assumendo successivamente le sembianze originali di Luna, intenta a spezzare il collo dell’assassina, tramite una presa poderosa alle sue spalle.

TI UCCIDERO’ E POI RIDURRO’ IL TUO CORPO INDEGNO IN UNA POZZA DI EMAZIE INSALUBRI!!!”. Strinse le zampe. Gli occhi di Chrysalis saettarono verso l’alto, percependo l’aria venirle meno.

Rinsavì all’improvviso e sfruttò le proprie capacità cangianti per generare una serie di acuminati spuntoni lungo il corpo, che trafissero all’istante la sorella di Celestia.

Luna allentò la presa, provando un dolore insostenibile, e si ritrasse, non appena l’altra ritirò le spine dentro di sé.

NON MI SERVE L’ESPERIENZA!!”, le urlò con foga, “CON TUTTO IL POTERE CHE POSSIEDO, MI BASTERA’ UN COLPO DI ZOCCOLI PER SPEDIRTI DALLA TUA AMATA SORELLINA!!”.

L’alicorno cercò di riprendersi ma Chrysalis era apparentemente un gradino sopra: si teletrasportò all’istante sul capo della puledra e, con entrambe le zampe unite, le mollò un colpo micidiale che, amplificato dalla magia, la sfracassò a terra con violenza. La furia dell’avversaria non si placò: la mutaforma raccolse altro potere e, con una trasformazione terrificante, assunse le sembianze di un orribile dragone ricoperto di oscure placche ossee. Era grosso quanto un edificio a due piani.

DIREI DI SCALDARE UN PO’ L’AMBIENTE, CHE NE DICI??”, ruggì, raccogliendo aria nei polmoni draconici.

Quando spalancò le fauci, un fiotto di fiamme gialle travolse Luna e la spedì in mezzo al cimitero, sollevando vampe di fuoco in ogni direzione.

In quel preciso istante, qualcosa di sinuoso le zampettò sul muso: Discord apparve davanti ai suoi occhi. Prima che potesse reagire, lo spirito allungò un bastoncino con un marshmellow, sopra la sua bocca.

“Non ti dispiace se ne approfitto, vero?”, chiese innocentemente.

L’altra si sentì così presa in giro che perse nuovamente la pazienza: chiuse la mascella, interrompendo il getto fiammeggiante, e cercò di artigliare il draconequus. Lo spirito fu più rapido: tirò fuori un’enorme spada dalla schiena, su cui era incisa la scritta “EXCALIBUR”, e gliela conficcò dritta in fronte.

Il dragone nero si alzò sulle zampe posteriori, urlando come una bestia, per via del dolore lancinante.

“Ora dovrai solo attendere che il giusto regnante venga ad estrarla per…”, ma la strafottenza della creatura caprina venne subito zittita da un violento colpo di coda di Chrysalis, che lo incastonò nella parete di un mausoleo in marmo scuro. Quando ritirò la coda, Discord apparve tra le crepe nel muro, con i denti rotti e il corpo contorto.

“Ow…”, farfugliò, prima di cadere a terra.

Il dragone nero estrasse la spada con una zampa, scuotendo il capo e ripristinando le sembianze originali.

La mutaforma portò con sè un taglio sulla fronte, durante l’ennesima trasformazione.

CAPRA SCHIFOSA!! ORA ARRIVA IL TUO TURNO!!”.

L’altro sputò a raffica una decina di denti, come se fossero semi di un melone, e poi cercò di alzare il capo, con tremanti zampe anteriori: “Gvafie dottove! In effeffi eva da un po’ che non dafo una contvollata ai pvemolavi!...”.

Quanta strafottenza in quelle parole. Gliela avrebbe di sicuro fatta pagare cara…


*** ***** ***


    Applejack, dagli specchietti retrovisori, notò che i fari dell’auto di Spike erano scomparsi.

“Ehy”, chiese alle amiche, “Che fine hanno fatto i due amiconi del cuore?”.

Octavia si girò e cercò di capirci qualcosa: “Non lo so, AJ. Secondo me è successo qualcosa”.

Alcuni pensieri di varia natura le attraversarono la mente, facendole assumere un’espressione davvero molto seria, per alcuni secondi.

“Dannazione…”, disse quindi sottovoce, “Prima ci separiamo da Rarity. Poi Twilight. E, in un colpo solo, Grey e Spike…”.

“Applejack”, intervenne il pony dagli occhi viola, “Sai benissimo a cosa saremmo andate incontro. Secondo me è già tanto essere arrivate fino a qui”.

L’amica divenne un po’ titubante: “Sì… sì, però…”.

Qualcosa nel cielo attirò poi la sua attenzione. Qualcosa di informe e scuro stava parzialmente oscurando la luna rossa come sangue.

La puledra si sporse leggermente dal finestrino rotto e aguzzò lo sguardo, cercando di capire cosa fosse.

“Si sta rannuvolando??”, domandò Pinkie, “Sta per piovere?? Strano! Perché, quando sta per piovere, a me fa sempre male il mignolo del piede!”.

Octavia la osservò interdetta: “Cos’è un mignolo?...”.

“Quelle non sono nubi”, le zittì la gangster, “Quelli sono… stormi di mutaforma”.

La musicista cercò di vedere meglio: “Stai scherzando?”.

“No”, ammise preoccupata, “Sono migliaia, forse decine di migliaia di mutaforma che hanno spiccato il volo da Counterlot… ed ora si stanno dirigendo verso Ponymood”.

“Mh. Tutto, normale, quindi?”, ironizzò.

“Devono essere partiti per proteggere la loro padrona”.

“Sono molto lontani”.

“Ma non tarderanno ad arrivare…”.

La puledra cercò di spingere i giri del motore al massimo, sicura che fra poco sarebbero giunti in periferia: “Non possiamo tornare indietro. Non so cosa stia accadendo, se Luna e Discord stiano tenendo impegnata quella stronza… ma dobbiamo fare in fretta. Non c’è nemmeno un minuto da perdere”.


*** ***** ***


    Hound aprì mollemente le palpebre, emettendo al tempo stesso un verso di rinsavimento.

Tutto era nuovamente sfocato.

Serrò gli occhi, rabbuiando la scena, e poi li dischiuse un istante dopo.

Quando gli organi visivi ripristinarono la visuale, il segugio si accorse che qualcosa non andava.

Si trovava ancora nell’auto ma l’esterno… cielo notturno e terra erano sottosopra.

“C-che… che cavolo ho bevuto?...”.

Poi i ricordi degli ultimi avvenimenti lo fulminarono all’istante.

Si guardò attorno e notò come avesse evitato il fiume di appena qualche metro. Alcuni boati lontani gli ricordarono che c’era una battaglia epocale che si stava svolgendo, da qualche parte.

Cercò di fuoriuscire dalle lamiere, sincerandosi come fosse ferito e tagliato in svariati punti, ma nulla di troppo grave. La sua vista oscillò, mentre ristabiliva la posizione corretta di ciò che doveva stare in basso e ciò che doveva stare in alto. Contemporaneamente, scorse due figure lontane intente a parlare tra loro.

Si trascinò dolorosamente sulla terra umida, abbandonando la trappola di metallo, da cui stava anche fuoriuscendo qualche goccia di benzina. Si mise su quattro zampe, dandosi giusto qualche colpo di zoccolo sul trenchcoat. E fu allora che li vide meglio.

Spike, anch’egli apparentemente scombussolato, stava parlando con un pony barbuto dall’aspetto imponente. Credeva, con Big Macintosh, di aver visto il più colossale tra i pony. Ma persino lui non avrebbe retto il confronto con quell’armadio.

Ma la cosa che lo lasciò con un palmo di muso… fu proprio Spike.

Ad un certo punto, i due si accorsero della sua presenza. Il draghetto intascò rapidamente un borsello tintinnante e assunse un’espressione mista a sorpresa e nonchalance.

Isaak, invece, si limitò a fissarlo con i canonici occhi glaciali.

“Ehy…”, berciò il traditore di Counterlot, massaggiandosi una botta alla fronte, “Che… che diavolo sta succedendo, qui?...”.

Il piccoletto si limitò ad abbassare lo sguardo, mentre il collega prese la parola: “E così tu saresti famigiuerato Segugio di Counterlot, eh?”.

“La mia fama è arrivata anche oltreoceano, a quanto pare…”.

“Nuò. Me ha solo contratto per pruenderti”.

“…Qui c’è qualcosa che non mi torna”, commentò, puntando gli occhi verso il presunto amico, “Spike?... Che stai facendo?”.

L’altro si grattò il retro del collo, in evidente imbarazzo: “Uhhh… ecco, io…”.

“Lui ha fatto quosa giusta”.

“Ah sì?”, rispose lo stallone, iniziando a manifestare i segni dell’ennesimo tradimento, “E sarebbe?... Scendere di nuovo a patti con voi schifosi governativi?”.

“Ora no ha importanza”, concluse, con tono lapidario, estraendo i suoi enormi attrezzi da battaglia.

L’ex-agente osservò con intensità gli occhi del drago: “Spike… Perché?”.

“I-io…”, balbettò, come se non riuscisse a parlare.

“Perché?...”.

Alla fine si decise: “M-mi dispiace, Hound… Io… io non posso lasciare che Rarity continui a starti dietro… Non posso lasciare che tu la metta in pericolo, costantemente braccato da qualche Agente, da qualche cacciatore o che ne so io”.

“Sono stronzate e lo sai!!”, sbottò adirato.

Spike sembrò visibilmente a disagio: “Mi dispiace, Hound… Davvero. Ma… Rarity viene prima di me… e di te”. Il draghetto gli lanciò un’ultima occhiata, prima di allontanarsi a passo spedito e sparire tra i vicoli: “Almeno ora… so che non le faranno più del male”. E svanì nei budelli.

Le pupille di Grey puntarono verso un punto indefinito sul terreno.

“Que succede, Hound?”, gli chiese ironicamente il bestione, “Quosa ti aspettavi? Spuorchi soldi capitalisti possono comprare tutto”.

L’altro sospirò, con il morale a terra: “Già. Alla fine… possono… davvero comprare tutto”.

Isaak si avvicinò lentamente a lui, senza manifestare particolare ostilità.

“Tu ora viene con me. Con buone o con cattive”.

Grey scosse il capo, ancora deluso da quanto era appena successo.

“Avuanti”, lo esortò, “Nuon ha senso farti ammazzare. Vieni con me e poniamo fine a faccenda”.

Lo stallone barbuto gli diede le spalle e fece qualche passo, pensando che lo avrebbe seguito. Ma Hound non si mosse e borbottò qualcosa sottovoce.

“…Sai…”, disse, “E’ proprio vero che in questo mondo… l’unica cosa giusta… è pensare a sé stessi”.

“Quosa?”, domandò, girandosi.

Il segugio lo guardò negli occhi azzurri: “Io non lo biasimo. Gli ho dato la caccia. Gli ho demolito il laboratorio e fregato la puledra che amava. Alla fine… ha fatto l’unica cosa sensata…”.

“Lieto di sentirlo”, commentò spazientito, “Ma ora possiamo anduare?? Ho un prjanik a casa che mi aspuetta”.

“Dimmi, patacca”, lo apostrofò il presunto prigioniero, oscillando il collo e facendo scrocchiare le giunture, “Cosa ti hanno detto su di me, esattamente?”.

Isaak sbuffò: “Uff… Detto me che tu sei tizio che ha lavorato per govuerno. Poi te spara e tu finisce in ospedale con buco in pancia. Quindi tu scappa e allea con lavoratrice di campi”.

“Nient’altro?”.

“Mhh… Tu dice tante parolacce”.

Mentre parlava, il mezzo unicorno si avvicinò ad una lamiera dell’auto, che si era staccata durante il volo, e la prese tra le zampe

“Tutto qui?”, gli chiese infine, tornando da lui.

“Nuo. Loro no detto me altro. Che fuai con quello?”.

“Questo”, e gliela sbatté con violenza sul muso, cercando di metterlo al tappeto.

Isaak, tuttavia, si limitò a muovere il volto su un lato, come se il colpo lo avesse appena sfiorato.

Riportò lo sguardo su Grey, il quale osservò l’arma improvvisata, con volto interdetto.

Il nemico sollevò il martellone, pronto ad abbatterlo sul bersaglio.

“…Dannazione”.

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Capitolo 12
*** Sangue dal Cielo - Terzo Atto ***


Buio.

Caldo.

Tanto caldo.

Le carni bruciano.

La pelle si ritrae, come quando fai friggere un pollo.

E l’odore…

Terribile.

Qualcuno, forse, lo avrebbe trovato invitante.

Poi cessa.

L’aria fredda arriva di colpo sulla superficie ustionata, provocando una sensazione ancor peggiore.

E’ tutto così vago, indistinto…

La consapevolezza di un alicorno getta la mente in uno strano universo, anche quando si perdono i sensi. Non sei più in te. Ma non sei nemmeno del tutto fuori. E’ un po’ come trovarsi in quell’universo onirico tipico del dormiveglia.

Preposto che gli alicorni dormano.


Pensieri.

Rapidi.

Veloci.

Fugaci.

“…S-state fermi…”, rimbomba la voce di Luna, nella propria mente.

Scorrono avvenimenti sfocati, a ritroso.

C’è un lungo periodo di confusione, coincidente con la reclusione al Moon Institute.

Difficile capire cosa accadde.

Dei pony in camice.

Voci che risuonano in una stanza vuota.

Un odore particolare…

Ha un sentore…

Alcolico.

Disinfettante, forse.

Un sussulto.

Un battito.

Tu-tum.

Qualcosa che la accompagnò per un periodo impossibile da definire.


I ricordi retrocedono ancora.

Un palazzo.

Counterlot, presumibilmente.

La stanza del Governo.

Agenti.

Tanti Agenti.

Molti muoiono.

Luna percepisce potere che si sfoga dal suo interno.

Ma sono troppi.

Semplicemente troppi.


Il pavimento.

Una zampa la costringe a terra, spaccandole un labbro sul marmo pregiato.

Sputa sangue.

Alza lo sguardo, adirata.



Lei è lì.


Bianca.


Bella.


Stupenda.


La chioma è un arcobaleno cromatico dalle tonalità del quarzo rosa e delle distese estive.

Gli occhi trasudano regalità e possanza.

Le ali sono spiegate. Enormi. Leggiadre. Bellissime.


Celestia rimane a lungo in silenzio, sorbendosi gli improperi della sorella.


Poi…


Esclama qualcosa.

Qualcuno, alle sue spalle, le aggancia uno strano oggetto sul corno.

La puledra oscura urla. Inveisce. Bestemmia contro il parente.


La trascinano via.


Cerca di divincolarsi. Ma non può. Qualcosa glielo impedisce. E la magia non funziona.


Un istante prima che le porte della sala si chiudano davanti a lei, interrompendo la visuale con Celestia, Luna nota una variazione di espressione nel volto della sorella.


Celestia… Celestia abbassa lo sguardo.

Il dispiacere le si legge in volto.

Le sopracciglia si sporgono verso il pavimento, in una contrazione di pura sofferenza.

Celestia…


Quel…


Volto…



    I sensi le tornarono all’improvviso.

Il cielo stellato fu la prima cosa che vide.

Non si mosse per alcuni secondi, poi tentò di mettere in funzione qualche muscolo.

Una fitta di dolore le fece contrarre le palpebre e urlare sommessamente.

Era distesa, pancia all’aria, con almeno una spanna di detriti lungo il corpo.

Cercò di osservare i dintorni.

Il cimitero.

Prima ancora di chiedersi dove fosse Chrysalis, cercò di riportarsi in posizione eretta. Scostò i detriti, a fatica, e si accorse di come buona parte della pelle fosse bruciacchiata e spaventosamente consumata.

Soltanto una potenza incalcolabile avrebbe potuto causarle simili danni… e, a quanto pare, così era successo.

Si sforzò, cercando di attuare un processo rigenerativo che faticava a manifestarsi.

E poi… la vide.


Il volto della sorella… in un’espressione analoga a quella del sogno appena conclusosi, di fronte a lei…

L’alicorno blu spalancò la bocca… ma poi si rese conto… che quella che aveva d’innanzi era una statua, una perfetta riproduzione in scala naturale di Celestia. E, dietro di lei… una mausoleo enorme, assolutamente mozzafiato. Un’imponente struttura in marmo chiaro, farcita di vasi, fiori, capitelli e svariati emblemi governativi.

Quello era il luogo.

Lì era dove avevano deposto i resti della regnante.


Luna sentì un tuffo al cuore.

Rimase imbambolata d’innanzi alla poderosa opera architettonica, fissando principalmente il muso di pietra.

All’interno della struttura c’era il suo corpo. Il corpo della sorella che non vedeva da decine di anni… e che ora non avrebbe mai più potuto osservare.


Una strana sensazione si fece largo nel petto blu notte.

Un’emozione difficile da decifrare ma sicuramente molto, molto dolorosa.

Un dolore puro. Un dolore allo stato grezzo. Un dolore insostenibile.

Non le importava cosa fosse successo in passato. Sapeva di aver sbagliato. Sapeva che Celestia aveva fatto l’unica cosa possibile, per una Governante. Sapeva che… nonostante le cose fossero andate in un certo modo… lei… rimaneva… sua sorella.


I ricordi arrivarono di nuovo, come una pioggia battente.

Luna rivisse la propria infanzia.

Vide una giovanissima Celestia sorriderle. Fare il bagno assieme a lei. Volare nel cielo per accompagnarla nella Neverfree Forest. Un piccolo litigio. La riappacificazione. Il giorno in cui scoprirono che avrebbero ereditato il posto di governante di una vasta area di Equestria.

Vide… una vita tutto sommato felice.


Il respiro divenne corto. Cortissimo.

La puledra strinse i denti. Chiuse gli occhi, cercando di contenere quel dolore indescrivibile. Ma non servì a nulla. Quasi fosse una bambina, scoppiò in un pianto a dirotto, con le lacrime che le scesero dritte tra le labbra contratte.


Improvvisamente, qualcosa se saettò lungo un fianco, distruggendo successivamente alcune lapidi lì vicino. Era Discord.

La bestia caprina era ridotta ad uno straccio: un corno era rotto, i denti quasi tutti mancanti ed entrambi gli occhi tumefatti, nemmeno fosse stato usato come un punching ball. Il resto del corpo era ricoperto di lividi e alcune macchie di sangue.

“D-Discord?...”, balbettò, come se fosse appena tornata alla realtà.

L’altro sbavò copiosamente, poi sembrò riuscire a metterla a fuoco: “Uhh… chi… chi fei?...”, balbettò.

Un’esplosione poco lontana anticipò l’arrivo della mutaforma: Chrysalis fece il suo ingresso attraverso un muretto di pietra, fluttuando ad un metro da terra e corroborata di luce verde.

DISCORD!! FORSE TI HO COLPITO TROPPO FORTE! NON E’ ANCORA GIUNTA LA TUA ORA!! PRIMA DEVO FARTI SOFFRIRE!!”.

La doppiogiochista notò quindi la propria avversaria, d’innanzi alla statua.

“Chrysalis…”, farfugliò l’alicorno, sentendo la rabbia tornarle in corpo.

AH!”, rise l’altra, “MA GUARDA IL CASO!! SEI FINITA PROPRIO QUI!! TI UCCIDERO’ E NON DOVRANNO NEMMENO FARE TROPPA STRADA PER SEPPELLIRTI!!”.

“Chrysalis…”, ripeté, più furiosa ogni secondo che passava.

NON SEI CONTENTA?? PROMETTO CHE LASCERO’ INTEGRO IL TUO CORPO!! O MEGLIO… UNA BUONA PARTE DI ESSO! COSI’ POTRANNO METTERTI ACCANTO ALLA TUA SORELLINA!! STARETE VICINE, UNA ALL’ALTRA, UNITE PER L’ETERNITA!!”.

TU!!!”, le inveì l’altra.

Discord, con le spalle contro le lapidi frantumate, si limitò a spostare lo sguardo verso chi parlava, assolutamente impossibilitato nel poter reagire.

COSA C’E’, PUTTANA ABRUSTOLITA??”, la schernì, “OH! HAI PIANTO?? LA POVERA LUNA SI E’ COMMOSSA DAVANTI ALLA TOMBA DELLA SORELLA??”.

Chrysalis caricò un piccolo raggio e lo fece partire in direzione della puledra, colpendo invece il volto della statua e mandandolo in mille pezzi.

Luna si girò ad osservare cosa fosse successo e, quando vide i frammenti sul terreno, piombò nell’apprensione più assoluta: “NOOO!!”.

OHH!! NON C’E’ PIU’ LA TESTOLINA! ASPETTA, TI AIUTERO’ A NON DIMENTICARLA!”, e, con un leggero sforzo e alcuni rumori sinistri, assunse le sembianze proprio di… Celestia.

L’altra tornò con lo sguardo su di lei, sbigottita.

La finta governante assunse un’espressione delusa: “Luna! Luna!!”, farfugliò, enfatizzando il tono disperato, “Perché?? Perché non c’eri quando mi hanno uccisa??”.

Rivedere la sorella, praticamente identica all’originale, inclusa nella voce, le fece crollare quei pochi neuroni ancora sani che le erano rimasti.

Perché, Luna??”, ripeté, “Perché??”.

L’altra si tappò le orecchie e chiuse gli occhi. Discord prese il pop-corn.

Perché?? Non mi volevi bene??”.

“Smettila!...”.

Mi hanno uccisa, sorella mia! E, mentre lo facevano, ho implorato il tuo nome ma tu non sei arrivata!!”.

Luna raccolse tutto il fato che aveva, prorompendo in un urlo che fece tremare persino le fronde degli alberi: “SMETTILAAAAAAA!!!!!”.

    Chrysalis si stava divertendo… ma, forse, capì di aver commesso un gravissimo errore.

L’alicorno lanciò un ruggito che riecheggiò per ogni metro delle campagne circostanti.

Gli occhi divennero più luminosi di un faro nella notte e veri e propri fiotti di sangue scuro le colarono lungo le guance. La luna nel cielo divenne rossa, rossissima… nonostante lo stormo di mutaforma in arrivo la occultasse, la luce divenne così intensa da risultare chiaramente visibile e spanse lunghi raggi vermigli attraverso le sagome dei sicari lontani.

La puledra alata puntellò le zampe sul terreno erboso e tutto prese a tremare.

La baldanza dell’avversario lasciò spazio alla preoccupazione, inducendola a riassumere le sembianze originali.

Il muso di Luna, questa volta, non sembrò solo rabbioso… ma iniziò a trasmettere un’inspiegabile aura di terrore sovrannaturale. L’oscurità iniziò ad avvolgerla, come una nube che risucchiava ogni particella luminosa, lasciando trasparire solo gli occhi bianchi. Il tremore, nel cimitero, assunse l’intensità di un vero e proprio terremoto. Chrysalis fece qualche passo indietro e Discord trovò la forza di trascinarsi lontano dalle due pazzoidi.

La nube oscura generò trame tentacolari, simili a pece, in ogni direzione: “TU HAI UCCISO MIA SORELLA!!!! BANCHETTERO’ CON LE TUE CARNI E POI SPEZZERO’ LE OSSA RIMASTE!!!”.

Con quelle parole terribili, emerse dall’oscurità, ricoperta dalla stessa sostanza peciosa appena formatasi, donandole l’apparenza di un mastino d’ombra, con brillanti e spaventosi occhi bianchi.

Enormi fauci zannute, create dalla sovrapposizione ombra-puledra, si serrarono sul collo di Chrysalis, che urlò disperata. Schizzi di sangue verde si sparsero ovunque, prima che la furia di Luna la travolgesse, causando la distruzione di altre lapidi circostanti.


*** ***** ***


    Il rossore abbagliante del satellite attirò l’attenzione della puledra in gessato nero, ancora nell’auto in corsa.

“Sta diventanto… molto più rossa…”, commentò Octavia.

Le parole di Zecora risuonarono nella mente della gangster, svariate volte; poi scosse il capo e decise di concentrarsi sul tragitto.

Qualcosa di scuro piovve dal cielo, sfondando improvvisamente il tergicristalli (già sforacchiato) della Dodge. Le tre urlarono ed Applejack frenò bruscamente: le gomme stridettero e la manovra catapultò sull’asfalto il mutaforma che era appena atterrato su di loro. Rotolò lungo la strada, per poi arrestarsi esanime.

“Cos’è cos’è cos’è??”, chiese Pinkie, sporgendosi eccitata.

“N-non… non lo so…”, balbettò Applejack, con un po’ di fiatone e il volto basito.

Un battito d’ali accanto al finestrino le fece prendere un altro mezzo infarto.

“Ehy, AJ”, disse Rainbow Dash, anche lei col respiro corto e il volto sudato.

“M-ma…”, farfugliò l’amica.

Dietro al pegaso, molto più timidamente (e senza quasi farsi sentire) planò la pallida Fluttershy, con il volto parzialmente nascosto dal ciuffo rosa.

La puledra blu osservò i danni al mezzo: “Uuhhh. Ops. Scusa. Era l’ultimo. Quando l’ho abbattuto, non credevo sarebbe precipitato proprio… proprio su…”.

“Ehy!!”, intervenne il pony rosa, con volto spaventosamente serio, “Come facciamo a sapere che tu non sia un mutaforno??”.

Dash si stizzì: “Pinkie… sono io…”.

“Ah! Voglio le prove! Evidenze! Analisi fisiognomica!”.

La musicista, con estrema naturalezza, prese la parola: “Rainbow… sei una lesbica con il carattere di un dragone emotivamente stitico”.

L’altra alzò gli occhi al cielo: “Senti”, le rispose, “Pensi che bastino due parole per…”.

La barista si rivolse alla compagna grigia, a zampe conserte: “Visto? Non è lei! Dashie avrebbe risposto malissimo! Si sarebbe infuriata come una vecchia zitella acida!”.

“Beh… ma lei E’ una vecchia zitella acida”.

“Questo perché si comporta come un maschiaccio!”, continuò, esprimendo la propria sincera opinione per l’amica che, secondo il cervello, era davvero da un’altra parte.

“Sì, non è molto femminile”.

“Scherzi?? Mio nonno ha meno peli di lei! E si chiama Hairy Pinkameno Fur!”.

La canna dell’M1919 si fece largo attraverso il finestrino in frantumi e le puntò entrambe.

“Avete finito?”, chiese il pegaso, con voce piuttosto spazientita.

Octavia sorrise: “Ciao, Dashie”.

“E Fluttershy??”, riprese Pinkie, più sospettosa di prima, lanciando un’occhiataccia verso il pony seminascosto.

Quando la puledra paglierina udì le parole, ebbe un tremito e cercò di occultarsi dietro un minuscolo idrante.

“Secondo me è lei”, la rassicurò l’amica dalla chioma nera.

“Non puoi dirlo! Fluttershy!! Se sei davvero tu, diccelo!! Ma sinceramente, eh! Se non sei tu, invece, dicci che non sei tu!! Ok??”.

Un timido squittio lontano giunse come unica risposta.

“Ok, sono loro”, tagliò corto Applejack, “Ora basta con le cazzate! La luna è così rossa da sembrare un fanalino gigante. E secondo me non è un buon segno”.

Dash scarrellò l’otturatore, con volto marziale: “Cosa facciamo, AJ??”.

“Vedi quella specie di nube scura all’orizzonte?”.

“Mhh… sì. Un temporale in arrivo? Non è un problema. Posso cavalcare le tempeste come se nulla fosse”.

“Non è una nube. Sono mutaforma in arrivo”.

L’arroganza del pegaso si fece piccola piccola: “Quelli… sarebbero… tutti mutaforma?”.

“Sì”.

“Vorrai mica…? Che io?... Cioè, non che non possa ma…”, balbettò incerta.

“No. Era solo per dire che dobbiamo muoverci. Se arriveranno… saranno semplicemente troppi”.

Fluttershy mise la fronte oltre il metallo rosso dell’idrante: “E… ehm… Luna?...”.

“Lei è impegnata con Discord a tenere a bada Chrysalis. Non possiamo contare su di lei. Anzi… penso che le servirà il nostro, di aiuto”.

“Come procediamo?”, chiese Octavia.

Applejack scrutò i dintorni: erano sostanzialmente arrivati alla periferia e l’asfalto mutava repentinamente in uno sterrato ghiaioso. Più in là, si stagliava l’aperta campagna: arbusti sparsi, piantagioni a perdita d’occhio, fienili e, proprio sulla sommità di una collina, a ridosso della luna e di Counterlot lontana, il cimitero.

Una luce verde lampeggiò per un istante tra le tombe e, qualche secondo dopo, la terra ebbe un sussulto, unitamente ad un rumore arcano, simile ad una cannonata.

“Secondo me”, concluse, “Quelle due si stanno massacrando. E non so chi stia vincendo”.

“Quindi?”, chiese la violoncellista.

L’amica sospirò e formulò un piano, consapevole che ogni minuto perso poteva fare la differenza: “Dobbiamo… dobbiamo avvicinarci. Ma non devono vederci. Chrysalis ha un potere devastante ed ora è libera di sfogarlo. Se dovesse accorgersi di noi, non esiterebbe un istante a disintegrarci, liquefarci o chissà cosa”.

“Spero mi trasformi in un cupcake!”, ammise Pinkie.

“Niente piombo, quindi?”, chiese Rainbow.

“Non per ora. Teniamo un basso profilo. Muoviamoci su zampe, sfruttando le coperture offerte dalle piante e dal terreno”.

“Consiglierei di non volare”, aggiunse il pony grigio.

Anche Fluttershy diede la propria opinione, alzando timidamente la zampa: “Io… ehm.. p-posso dire una cosa?”.

“Spara”.

“Secondo me… conviene che… insomma… che… che Dash stia in testa, a guidare. Pinkie, visto che ha il suo… uh… sesto senso… potrebbe fare da apripista. Noi le seguiremo ed io terrò sotto controllo la… uh… zona… con l’ottica del fucile”.

“L’idea mi piace”, disse Octavia.

“Sìì!! Sarò un’arpista!!!”, esultò la puledra dalla chioma vaporosa, “Ho sempre sognato diventare una musicante!!”.

Applejack mise una zampa sulla spalla di Rainbow: “D’accordo, RD. Siamo nelle tue zampe. Confido nella tua esperienza”.

Quelle parole la galvanizzarono oltremisura e la indussero in un sorriso e saluto militare: “Puoi starne sicura, AJ!”.


    Un istante dopo, un singolare assembramento di pony iniziò a trottare cautamente nell’aperta campagna, in direzione del cimitero.

Pinkie avanzava a balzelli impercettibili. Le era stato detto che quello era un gioco: bisognava muoversi senza farsi sentire o vedere. Al vincitore sarebbe stato donato il cupcake dorato.

Dash si mosse dietro di lei, come una piuma, spostandosi rapidamente dal tronco di un albero ad un barile abbandonato. Mise fuori il muso. Scrutò la zona e, dopo qualche istante, fece un cenno con la zampa.

Seguirono Applejack (guardinga), Fluttershy (che si fermava di tanto in tanto a scansionare il paesaggio con l’ingrandimento) e infine Octavia, con un occhio di riguardo sulla retrovia.

La manovra si ripeté alcune volte, permettendo alle puledre di avvicinarsi sempre di più, copertura dopo copertura, finché non si radunarono tutte quante dietro un capanno colmo di fieno.

“Flutter”, le disse l’amica di guerra, “Dammi la situazione ad ore nove”.

Avere due militari in squadra era un grande aiuto: erano abituate a simili ingaggi.

Il pegaso si tuffò a terra e strisciò come una serpe fino ad un fossato, al punto da sporcarsi di fango quasi per metà corpo. Fece quindi sbucare la canna dell’arma, attraverso un cespuglio che cadeva a fagiolo, e controllò la zona. Si girò su un lato e comunicò gestualmente che tutto era sgombro.

Dash individuò un altro riparo: un grosso ammasso di fieno. Fece cenno a Pinkie di muoversi e questa ubbidì, felicitante.

“Pensi ci siano nemici nascosti?”, le chiese Applejack, sottovoce.

“Non lo so. Ma, nel dubbio, questo è l’unico modo per minimizzare le perdite”.

“Stiamo andando molto lente”.

“Lo so, AJ. Ma meglio muoversi lente e vive che fare uno scatto di pochi metri e crepare”.

“Hai ragione…”.

Fu il turno del pegaso celeste: diede un impercettibile colpo d’ali e planò, raso terra, verso un albero.

Comunico quindi di proseguire.

Applejack uscì e, con la zampa sul borsalino, raggiunse il pagliaio di Pinkie.

Era il turno di Octavia: anche la violoncellista si diresse verso il pagliaio.


Poi… avvenne qualcosa.


La barista stava pensando ai fatti suoi, come al solito, quando avvertì “la sensazione”, l’istinto che ormai conosceva bene e che si risvegliava ogni volta che qualcosa cercava di colpirla o ferirla. Quella volta, tuttavia, fu un po’ diverso. Le sue orecchie fremettero, come accadeva tipicamente, e la sua attenzione si rivolse inspiegabilmente all’origine della minaccia. Capì cosa stava per succedere. Capì che era solo un avvertimento da parte di quel potere inusuale che possedeva, che la stava solo avvertendo: non avrebbe dovuto fare alcunché per evitare il problema… poiché non era rivolto a lei.

E così… in una frazione di secondo… Pinkie improvvisò… assolutamente preoccupata per le sorti di qualcuno.


Octavia vide il pony rosa arrivarle addosso, con un balzo poderoso, un istante prima che un rumore caratteristico, simile ad un sibilo che viene interrotto improvvisamente, le entrasse nei timpani.

La musicista cadde a terra e un boato d’arma da fuoco riecheggiò dalla campagna.

Scosse la testa e, quando rialzò il muso, Pinkie era d’innanzi a lei, con la mascella lentamente cascante. Alcuni rivoli di sangue le colarono lungo il busto. Diede un colpo di tosse. E poi si accasciò a terra, con il volto contratto dal dolore.


Il cuore dell’amica grigia ebbe un battito più forte e profondo di tutti gli altri: “PINKIEEEEE!!!”.


*** ***** ***


    Il mezzo unicorno colpì con violenza il muro alle sue spalle.

Aveva il volto emaciato e un filo di sangue gli sgorgava da una narice. Scosse il capo e si riprese, sfoderando uno sguardo deciso e battagliero. Sputò per terra.

Isaak gli aveva fatto fare un volo di quasi cinque metri, percuotendolo con il proprio maglio, e Grey percepì le proprie ossa quasi sgretolarsi.

Dannazione, uomo! In quale altro casino ti sei cacciato!

Ehy. Io non ho fatto nulla. E’ lui che ha voluto attaccar briga.

No, lui ti ha offerto di seguirlo. E tu hai reclinato sgarbatamente.

Bah.

Stella Rossa diminuì le distanze, senza scomporsi granché.

“Puerchè voi abitanti di Equestria occidentale quosì testardi? In mia Madre Patria si risolve tutto con una grossa botta di martello e via”.

Hound si asciugò il sangue, con il dorso di una zampa: “E allora… perché non te ne sei rimasto a casa tua, nella tua Madre Patria… eh?”.

L’altro si fermò, gesticolando e cercando di esprimersi al meglio: “Mia famiglia puovera. In mia Madre Patria stiamo affrontando periodo difficiuile. Io ha saputo di terra di opportunità e venuto da altro capo di oceano. Così me può sfamare meglio famiglia”.

“Un nobile intento”, commentò, staccando un pezzo di grondaia da un vicolo, “Mi spieghi per quale diavolo di motivo, allora, cappeggi per quei bastardi del Governo?”.

“Ah. Govuerno. Mafiuosi. Qual è differenza? Tu sai? Io no! Entrambi cerca di fare propri interessi e paga con sporchi soldi capitalisti”.

L’avversario scosse la testa e rispose in modo stizzito: “Ma tu non ti stanchi mai di dire sempre le stesse cose?? Capitalista, Madre Patria, consumismo??”.

“Che tu vuoi fare? Me nostalgico”.

Hound caricò il bestione, concludendo con una piroetta e cercando di sfracassargli qualche osso. L’altro bloccò l’oggetto con la falce e rispose con una martellata sullo sterno, che gli fece fare un altro volo, questa volta gettandolo tra un cumulo di rifiuti di un vicoletto.

“Terra di opportunità, dicevano”, rimbombò la voce di Isaak, mentre si avvicinava, “Diciamo che io ha avuto mia opportunità. Dopo che me prende Segugio di Counterlot, torna in Madre Patria e rende famiglia meno puovera”.

Lo stallone in trenchcoat emerse dolorante, con la canonica buccia di banana in testa: “Ngh… E dimmi… Che senso ha arricchirsi di sporchi soldi capitalisti e poi fare la fighella comunista?”.

“Quosa diversa. Me prende soldi sporchi e devolve in causa più nobile. Soldo è mezzo. Qui, invece, soldo è… Dio”.

Hound non poté negare come ci fosse un fondo di verità nelle parole dello scimmione. Ma non era certo il momento per dilungarsi in chiacchiere da salotto. Balzò fuori dalla spazzatura e cercò di farsi venire qualche altra idea. E improvvisò, approfittando della lentezza e noncuranza con cui Isaak si muoveva. Estrasse un pesante tombino stradale e poi si armò con un mattone scheggiato. Era il meglio che sarebbe riuscito a trovare, lì in mezzo.

“Se solo avessi ancora il mio corno”, lo minacciò, “Ti avrei già fatto saltare in aria quel culo gigantesco che ti ritrovi”.

“Peccato che tu non ha”, gli rispose per le rime.

Grey non era uno stupido ma non brillava altresì per raffinatezza: galoppò come un treno verso il nemico, insicuro su come avrebbe potuto spuntarla.

Isaak gli fece piovere il martello dall’alto e l’ex-agente sollevò il tombino: il colpo risuonò come una campana e l’impatto fu fortissimo. Per un istante, Grey credette seriamente di averci rimesso qualche giuntura. Cercò quindi di non perdere la calma e, con una zampa, gli conficcò il coccio su una spalla.

La falce vorticò pericolosa, causando un profondo taglio sulla sua zampa. Hound si ritrasse e il pony sovietico ne approfittò: fece ruotare sapientemente il maglio attorno allo zoccolo e concluse l’impresa sferrando l’ennesima cannonata al segugio, questa volta facendolo volare ancora più lontano.

Il bersaglio, questa volta, sfondò una vetrina, finendo direttamente accanto al bancone di una drogheria.

Tossì, riversando una discreta quantità di sangue e saliva. Non era di certo Big Mac, ma era comunque più di mezza tonnellata di pony nerboruto e, con un certo sforzo, riuscì dolorosamente a rialzarsi.

“Per… per la miseria…”, bofonchiò ansimante, poggiandosi con una zampa al bancone, “Come… come cavolo… lo tolgo di mezzo… un coso così?...”.

L’attenzione cadde quindi su qualcosa che era stato opportunamente nascosto ad occhi indiscreti, proprio sotto alla cassa.


    Isaak continuò a marciare inesorabile, sincerandosi come il proprio avversario fosse effettivamente penetrato in malo modo dentro la drogheria.

“Tu dire me, Hound”, urlò, senza sapere se fosse ancora lì dentro, “Perché tu no arrende? Tu risparmia me fatica e lascia andare a casa, dove c’è vodka”.

Nessuna risposta.

Lo stallone osservò i paraggi: dietro di lui, non molto distante, c’era il fiume e l’auto accidentata. D’innanzi, invece, i vicoli e i negozietti, con le luci che illuminavano debolmente pozze luride, grate fumose e spazzatura sparsa.

“Perché tu no rimasto con Governo? Perché deciso di abbandonare per vivere in questo allevamento di maiali?”.

“Sai, patacca?”, rimbombò la voce di Hound, senza capire da dove arrivasse precisamente, “Anche i maiali hanno una loro dignità. Anzi… spesso sono gli allevatori di porci che li mantengono in condizioni schifose”.

Dimitri fece ruotare gli occhi glaciali, senza scorgere alcuno: “Maiali sono maiali. Mangiano, ingozzano e defecano... proprio come maiali”.

“Infatti sono proprio gli allevatori di porci a specularci sopra!!”, urlò il mezzo unicorno, manifestandosi all’improvviso.

Isaak vide qualcosa arrivargli addosso e, istintivamente, si girò per menare un fendente. Il martellò impatto contro qualcosa, che si frantumò, riversando del liquido addosso allo stallone barbuto. Sulle prime non capì ma poi avvertì un pungente sentore alcolico. A terra vi erano i cocci di un grosso boccione di alcol buongusto illegale.

Grey era poco lontano, sorridente.

Stella Rossa si mise in postura da combattimento, preparandosi ad ogni evenienza.

“Sai, coso?”, commentò l’altro, con aria di strafottenza, “Porci o porcari… la differenza è che i primi sono maiali per natura, gli altri lo diventano per scelta. E… secondo me… tu appartieni alla seconda categoria”.

Infilò quindi una zampa sotto il trenchcoat, alla ricerca di un oggetto che aveva sempre usato spesso.

Controllò bene e poi, non trovando nulla, come se un fulmine gli avesse appena trafitto il cervello, proruppe in un volto a dir poco basito.

“Oh merda…”, farfugliò, con un filo di voce.


“…Dannate le mie promesse…”.


*** ***** ***





    “PINKIEEEE!!!”, tuonò la musicista, annaspando nel tentativo di rialzarsi e raggiungere l’amica a terra.


“Ferma, Octavia!!”, la esortò Dash, senza abbandonare la copertura dell’albero.

Un istante prima che la puledra grigia riuscisse a sfiorarla, una chiazza gialla le volò addosso, anticipando di pochissimo un secondo colpo, che si piantò invece nella nuda terra. Fluttershy e l’amica ruzzolarono tra l’erba, finendo poi in un altro fossato.

“PINKIEEE!!”, riprese, facendo in ogni modo pur di divincolarsi dalla presa del pegaso.

“Ferma! Fermati!!”, biascicò il pony dagli occhi azzurri, nel tentativo di contenerla.

“PINKIE!!”.

L’amica rosa era a terra e si contorceva appena. Aveva le zampe serrate al petto e, sotto di lei, prese lentamente ad allargarsi una chiazza di sangue scuro.

“PINKIEE!!”, continuò ad urlare.

Fluttershy le bloccò il muso con le zampe e la guardò dritta negli occhi, cercando di non sporgersi troppo dal canale in cui erano finite: “Octavia!! Octavia, guardami!!”.

L’altra, dopo qualche istante, incrociò gli occhi del pegaso.

“Octavia! C’è un cecchino, là fuori. Non so dove sia ma c’è”.

“M-ma… Pinkie…”, balbettò.

“Pinkie è viva e non credo la ucciderà. Se ha un minimo di esperienza… la lascerà lì, in attesa che qualcuna di noi vada a salvarla. E, se succederà, non farà altro che unire cadaveri su altri cadaveri”.

“I-io…”. La violoncellista sapeva bene che era così ma, in preda all’affanno, aveva letteralmente perso il controllo.

“Ascolta”, la rassicurò l’altra, con estrema calma, “La cosa migliore che puoi fare è stare nascosta. Io ho affrontato tiratori esperti per mesi, in mezzo alla battaglia. Io e Dash ci siamo abituate. Tu, invece, hai sempre combattuto tra i vicoli cittadini. Qui siamo in campagna e non ci sono occasioni per menar le zampe. Mi capisci?”.

Octavia annuì, con le lacrime agli occhi. Riportò l’attenzione su Pinkie e la sentì, sofferente e dolorante, emettere alcuni versi sommessi.

Un batuffolo di terra si sollevò accanto al suo capo e, poco dopo, giunse un altro boato. La puledra rosa ebbe un sussulto, spaventata.

“FIGLIO DI PUTTANA!!!”, ruggì Octavia. Fluttershy cercò di contenerla.

“Lo fa apposta! Sta cercando di farci uscire allo scoperto! Ma non la ucciderà. Non gli conviene”.

“Fluttershyyy!!”, urlò Applejack, stando debitamente al riparo dietro al pagliaio, da cui non godeva di buona visuale, “Che cazzo sta succedendo??”.

“Pinkie è stata ferita!!”, rispose.

“Cosa??”, sbottò, “…Merda…”.

“Shy!!”, intervenne Rainbow, “Quanto è lontano il cecchino??”.

“Ho contato il tempo, Dash!!”, le rispose, “E, secondo me… è a più di un chilometro”.

La puledra dagli occhi rosa osservò il paesaggio, per un fugace istante, poi si rimise in copertura.

“Dannazione… potrebbe essere ovunque…”, disse.

“Come ne usciamo?”, domandò Applejack, spiazzata.

“Dobbiamo salvare Pinkie!!”, strillò Octavia.

Un quarto colpo spazzò via un ciuffo di crine rosa dal capo della barista, che ebbe un altro sussulto.

Octavia non ce la faceva più, era sul punto di uscire allo scoperto.

“APPLEJAAACK!!”, le urlò disperata, “DOBBIAMO SALVARLA!!”.

    La gangster, in mezzo a quel caos, a quella situazione così critica, non resse oltre e si mise le zampe alle orecchie, chiudendo poi gli occhi e piegandosi su stessa. Non ce la faceva a sentire quelle urla, a sapere che metà della squadra era dispersa o, forse, morta… nella consapevolezza che Pinkie era a terra, ferita da una pallottola di grosso calibro… e che non era a conoscenza di cosa stesse succedendo a Chrysalis. Per quanto ne sapeva, avrebbe anche potuto aver già ucciso Discord e Luna. In fondo… se fosse stata la mutaforma ad aver avuto la peggio, lo stormo di tirapiedi in arrivo si sarebbe probabilmente disperso.

“Applejack!!”, intervenne Dash, di fronte a lei. Il pegaso aveva tentato una sortita verso mucchio di fieno, senza subire rappresaglia di sorta. La puledra col borsalino tornò alla realtà.

“Applejack, ascoltami!! Prendi questa”, e le consegnò la propria mitragliatrice.

“C-cosa…?”, chiese titubante.

“Ho bisogno di viaggiare leggera. E tu ne avrai più bisogno di me”.

“Cosa vuoi fare?”.

“Fluttershyyy!!”, urlò, in direzione dell’ex commilitone, “Manovra del falco sulla lepre!!”.

La risposta dell’amica arrivò dopo un attimo di silenzio: “O-ok”.

“Manovra di… cosa?”, commentò Applejack.

“AJ, sturati le orecchie”, dichiarò l’Angelo della Morte, cingendola per le spalle, “Questa manovra la usavamo io e Flutter per individuare e abbattere i cecchini nemici. E’ una manovra pericolosa ma che non ha mai fallito”.

“Quanto pericolosa?”.

“Molto. Io mi muoverò per prima, attirando l’attenzione del cecchino, e Fluttershy controllerà la zona, per individuarne la posizione da rumore e bocca di fuoco, quando sparerà”.

“Stai scherzando??”, berciò preoccupata.

“Senti: siamo arrivate fin qui per permettere A TE di raggiungere Chrysalis, Luna e quel pagliaccio cornuto. Non ho svuotato tre nastri di proiettili su dei coglioni volanti solo per bloccarmi qui, inchiodata da un cecchino del cazzo. Per cui… io uscirò allo scoperto, attirando la sua attenzione. Quando succederà, dopo che avrai udito il colpo… sbuca fuori di qui e galoppa come il vento”.

“Ma…”.

“Lo vedi quel campo di mais?”, le chiese, indicandole una zona coltivata, “Saranno cinquanta metri. Se corri, dovresti riuscire ad infilarti senza che quel bastardo ricarichi il colpo, ti inquadri e faccia fuoco. Da lì, prosegui per il cimitero e cerca di finire questa storia una volta per tutte. Noi terremo occupato il tiratore e, ben sperando, lo faremo fuori”.

“Non mi piace un cazzo questa tua idea, porca puttana!!”, biascicò innervosita.

L’amica le poggiò la pesante arma tra le zampe: “Non ha alcuna importanza. Ho combattuto in situazioni ben peggiori. E voglio approfittarne un’ultima volta”, concluse sorridendo, “Non credo mi ricapiterà mai di nuovo un’occasione simile”.

Applejack non parve affatto convinta: “Secondo me è una stronzata…”.

“No. Si chiama falco sulla lepre. Ed è una delle cose più eccitanti che mi sia mai capitato di fare. Ora muovi il culo e preparati a correre. SEI PRONTA, FLUTTERSHY??”, concluse, senza tanti complimenti.

La gangster avrebbe voluto obiettare ma, lo sapeva bene, Rainbow non si sarebbe mai lasciata convincere. E, poi, era sul punto di spiccare il volo.

    Alcuni metri più in là, nel fosso, Fluttershy spiegò il piano ad Octavia, che annuì debolmente, consapevole di quanto fosse una mossa azzardata, ma forse l’unica fattibile.

“…Ed è importante”, ribadì con fermezza il pegaso, “Che tu rimanga qua. Non ti muovere. Non uscire dal riparo… altrimenti finirai come Pinkie. E non potrai aiutarla, da morta o ferita”.

“Sì… sì, ho capito…”.

La compositrice si rivolse all’amica ferita: “PINKIEE!! NON TI MUOVERE!! ORA TOGLIAMO DI MEZZO QUEL FIGLIO DI PUTTANA E POI TI VENIAMO A SALVARE!! OK??”.

La puledra rosa mosse lo sguardo verso di lei. Tra le smorfie di dolore, riuscì persino a mostrare un debole, brevissimo sorriso: “O… Okie… okie dokie…”. A vedere quella scena, il cuore di Octavia ebbe un altro sussulto.

Un istante prima che il pony paglierino imbracciasse il fucile, pronto ad intervenire, l’amica grigia le mise una zampa sulla spalla. Con volto afflitto e sincero, le disse: “Fate… fate in fretta…”. Fluttershy annuì con decisione.

“CI SONO, DASHIE!!”.


    Rainbow raccolse l’aria nei polmoni e chiuse gli occhi, per un istante.

Quando li riaprì, era pronta ad affrontare il mondo intero.

“SIETE PRONTI, ANGELI DELLA MORTE???”, urlò con fierezza, “SIETE PRONTI A SOLCARE I CIELI, A DESTREGGIARVI TRA LA MORTE CHE LAMBISCE I FREDDI VENTI DELLA VOLTA CELESTE IN CUI SIAMO NATI?? SIETE PRONTI??”.

La compagna le fece eco con un verso sorprendentemente poderoso: “UAA’!!!”.

“OGGI E’ UN BUON GIORNO PER MORIRE!!!”.


E spiccò il volo.


*** ***** ***


    La morsa d’acciaio del colosso sovietico si serrò attorno al collo del prigioniero indisponente. Grey venne sollevato ad una spanna da terra, dibattendosi come un disperato. Rifilò persino un calcio sul muso di Isaak, provocandogli un lieve prurito.

“Tu arrende o io spezza te collo, mh?”.

L’altro strinse i denti, facendo fuoriuscire schiuma dalle labbra. Cercò di allentare lo zoccolo con i propri, senza successo.

“N… non posso… non posso crepare… Ho fatto… una… promessa…”.

“Promesse fatte per essere infrante. Persino cucciolo sa… In mia Madre Patria…”.

Quando sentì la parola “cucciolo”, un’improvvisa ondata di energia gli attraversò i muscoli. Hound fece leva sulla zampa di Vaskovich, portò indietro i quarti posteriori e, infine, assestò un doppio affondo dritto sulle narici barbute.

Nonostante la tempra d’acciaio, quel colpo lo fece vacillare all’indietro, rilasciando la presa.

Hound cadde sulla schiena, ormai allo stremo delle forze. Fece per rialzarsi, ma la mole indescrivibile di Isaak glielo impedì.

“Povero, piccolo, šteňa. Tu cerca inutilmente di opporti a morsa sovietica su tuo fragile collo. Tu molto combattivo. Me riconosce. Ma a nulla servirà”.

L’altro ringhiò, con una zampa che gli schiacciava il petto.

“Aluora? Quosa vuogliamo fare?”, chiese, avvicinandogli il martello al muso, “Tu arrende? O tu muore? A te scelta. Me cambiare nulla”.

Il segugio osservò l’oggetto e poi, mantenendo una freddezza da rendergli onore, sentenziò: “F-fottiti…”.

“Veľmi dobre. Dasvidania, tovarish“. Alzò l’arma.

Ed Hound sorrise. Il bestione ancora puzzava d’alcol.


    Una fiammata verde lo investì alle spalle, gettando il corpo muscoloso in una vestaglia di fuoco.

Isaak fece cadere le armi, che impattarono a pochi centimetri dal muso del mezzo unicorno, ed iniziò a dimenarsi ed urlare.

“HORUCI!! PRILIS HORUCA!!!”.

Spike, digrignando i denti in modo aggressivo, gli girò attorno, sfiatandogli di tanto in tanto qualche alitata rovente.

Grey raccolse le ultime energie che gli rimanevano. Si issò sulle zampe. Afferrò il martellone del pony col colbacco. Si mise a posto qualche giuntura. E… poi…

Galoppò come un treno. Veloce. Sempre più veloce, pronto a fracassare quella montagna di carne. Un istante prima di intercettarlo, fece una rapida giravolta su se stesso, abbattendo infine la testa del maglio proprio sulla guancia di Isaak.

La botta fu tale da far volare lo stallone di alcuni metri. Vaskovich ricadde vicino alle sponde del fiume, ruzzolando poi verso la macchina semidistrutta. Colpì di schiena le lamiere, proprio nel punto in cui il rivolo di benzina era fuoriuscita dal serbatoio. Le fiamme avvamparono ulteriormente e, un istante dopo, la carena venne divelta da uno scoppio assordante.

L’effetto illuminò a giorno i volti del drago e del segugio, per alcuni istanti.

Un ammasso infuocato e accompagnato da altrettanti detriti fiammeggianti, venne catapultato oltre il ponte, impattando violentemente con l’acqua sottostante.

Fogli di carena ammaccata piovvero dal cielo, assieme ad un po’ di ghiaia e qualche frammento di vetro.

La coppia rimase in silenzio a bearsi dello spettacolo pirotecnico, senza dire nulla.

Poi, così come tutto era iniziato, finì altrettanto rapidamente.

L’ultimo oggetto incendiario cadde nell’acqua, spegnendosi in uno sfrigolio.


    Spike non si mosse. Non parlò.

Il pony, invece, dovette sedersi, senza lesinare su qualche verso di stanchezza.

Cercò di riprendere fiato.

Il piccoletto viola, dopo un po’, guadagnò posto al suo fianco.

Tirò fuori una scatoletta malandata… da cui gli offrì un piccolo insieme di sigari poco raffinati. Gli stessi che fumava un tempo.

Grey, stravolto com’era, manco se ne accorse.

L’altro lo picchiettò leggermente col gomito.

“Ehy”, gli chiese, “Vuoi?”.

“Eh?...”, rinsavì, “Ah. Mh. Sì. Però… però… non ho… da accendere”.

Il collega fulvo prese un sigaro e lo morse tra le labbra.

“Non è un problema”, gli rispose Spike, facendo labbrucce e creando una piccola fiammella davanti al muso. Il tabacco prese debolmente fuoco.

L’ex agente inspirò a pieni polmoni, chiudendo persino gli occhi. Poi espirò soddisfatto.

“…Voglio godermelo. Penso proprio che… che sarà l’ultimo”.

“Una buona occasione, direi”.

Improvvisamente, Hound si girò verso l’amico, un po’ alterato: “Ma si può sapere che diavolo aspettavi?...”.

“Volevo essere sicuro che non sospettasse di nulla”.

“Ancora un po’ e saresti stato sicuro che mi avrebbe spezzato il collo”.

“Chissà”, ammise sorridendo, “Magari volevo solo vederti soffrire un po’. Per Rarity, sai”.

Lo sguardo dello stallone mostrò evidenti segni di rabbia crescente: “…E tu avresti lasciato che quello mi suonasse come una campana… per…”.

“Stavo scherzando”, tagliò corto, con aria strafottente.

“Non ne sono sicuro. In ogni caso… ha funzionato”.

“Già. Però è stato proprio un pezzo di merda”.

“In che senso?”.

“Gli ho detto dove saremmo passati, facendogli credere che ancora lavoravo per loro e che volevo la mia vendetta. E quello… quello si è appostato e ha ficcato una martellata alla macchina su cui c’ero anche io!!”.

“Ti stupisci, patacca?”.

“Mah. Ora non è più un problema. Bella l’idea dell’alcol, comunque”.

“Già. Sennò non saprei come avremmo potuto farlo fuori. Fargli credere che lavoravi ancora per loro era un punto di partenza… ma contavo di avere ancora dei proiettili da cacciargli in fronte, qualora lo avessimo incontrato”.

“Te l’ho detto… meglio così”.

“Già… E… i soldi che ti ha dato?”.

Spike se n’era quasi dimenticato. Estrasse il borsello e lo aprì. Dentro c’era un mucchietto di monete scintillanti e qualche pietra preziosa.

“Potresti tenerli. Penso che te li sia guadagnati”, gli suggerì il pony.

Il volto del drago si fece un po’ malinconico: “Mh…”, bofonchiò.


    Il gangster squamoso si rimise in piedi, dirigendosi poi verso il bordo del fiume, con il piccolo malloppo tra le zampe.

Infilò una mano all’interno e tirò fuori qualche moneta e un grosso smeraldo luccicante, in cui riuscì addirittura a specchiarsi.

Sorrise.

E lanciò tutto nell’acqua.

Vuotò poi il sacchetto, fino all’ultimo soldo.

Scrutò le acque incresparsi debolmente, prima che il movimento ondoso spezzasse il fenomeno fisico, attraverso la corrente.

“Questi puoi riprenderteli, Isaak”, sussurrò, “In fondo… avevi proprio ragione. Sono soltanto sporchi soldi capitalisti…”. E si mise tra le labbra un sigaro di pessima qualità.

Si sarebbe aspettato che il colosso emergesse dalle acque come una furia immortale, pronto a spezzargli le ossa. Ma così non fu.

Si girò.

E raggiunse l’amico dal mezzo corno.


*** ***** ***


    L’Angelo della Morte uscì allo scoperto, affrontando quel terribile (e al tempo stesso eccitante) momento in cui non sai cosa accadrà: la sensazione per cui tutta la tua vita si stia giocando in un istante… che pare quasi durare in eterno.

Il falco sulla lepre era una tecnica che non lasciava spazio agli errori. La usavano in pochissimi, principalmente per due motivi. Primo: ben pochi avevano il fegato di rischiare tanto. Secondo: la maggior parte moriva precocemente nel tentativo. Ma, quando aveva successo, era infallibile. Nessun cecchino avrebbe mai pensato che un bersaglio caricasse una posizione occultata, senza sfruttare i dovuti ripari.

Ed è quello che Dash fece. Si lanciò nel vuoto, cercando di muovere le ali come mai aveva fatto prima.

Fluttershy si mise coricata, senza sporgersi, ma pronta ad intervenire non appena avesse udito lo sparo.

La tecnica prevedeva che il cecchino prendesse di mira il nemico e facesse fuoco. Il pegaso giallo avrebbe individuato la direzione indicativa in base al rumore e si sarebbe sporta. Al secondo colpo, avrebbe “letto” il lampo dello sparo. Al terzo… beh, non sarebbe dovuto esserci un terzo colpo…

Mille cose potevano andare storte: Dash poteva finire con una pallottola in corpo oppure il tiratore avrebbe potuto individuare Fluttershy nell’intento di sporgersi, e liquidarla. Il rischio, in questi casi, era che il fuciliere occultato godesse di un’iniziativa prioritaria, avendo sotto controllo territorio e avversari.

Ed era quello a generare una carica spaventosa di adrenalina nelle vene della puledra blu.

    Diede alcuni colpi d’ali, saettando come un fulmine tra gli arbusti della campagna e mantenendo una rotta casuale. Il piano d’emergenza, per ogni falco sulla lepre non fallimentare, contemplava l’avvicinamento del falco sulla preda: se Fluttershy avesse fallito, allora toccava Rainbow beccare il nemico e ingaggiarlo a corto raggio. Ma entrambe speravano di non giungere a simili livelli.

L’asso del volo continuò a destreggiarsi nell’aria, con il cuore che le batteva all’impazzata.

Ancora non ha aperto il fuoco. Che stia cercando di anticipare i miei movimenti?

Intensificò le evoluzioni, planando, cabrando e cercando di rendersi “appetibile”.

Merda. Se non spara… Fluttershy non potrà individuarla… se non…

Un sibilo improvviso le passò a pochi centimetri delle orecchie, inducendola in una virata improvvisa, che si concluse dietro un grosso masso di pietra scura. Il boato arrivò, poco dopo.

Fluttershy, lontana, drizzò le orecchie… ma un’espressione, nel volto, suggerì che qualcosa non andava.

“Dannazione…”, bisbigliò, “La campagna è così grande… non sono riuscita a capire da dove provenisse esattamente…”.

Rimase in attesa per alcuni secondi. Cosa fare? Aveva senso esporsi, avendo solo una vaga idea della direzione? Rischioso. Quasi un suicidio. Ma Dash… l’amica era là fuori. E contava su di lei. E allora si fece coraggio, pensando che avrebbe fottuto quel cecchino o sarebbe morta facendo la cosa giusta. Salvare un compagno.

    Quando Applejack udì lo sparo, buttò giù un bolo di saliva. Era nervosissima: avrebbe dovuto galoppare in campo aperto, sotto tiro, per raggiungere una distesa di mais. Nonostante fosse spavalda… se la stava quasi facendo addosso. Mise l’arma di Rainbow sulla groppa e si preparò ad uscire, rischiando il tutto per tutto. Quando scorse la canna di Fluttershy, mentre emergeva dai cespugli, si decise a scattare, non prima di aver preso un lungo e profondo respiro.

La puledra si mise in moto, iniziando ad ansimare in modo crescente. Il campo le sembrò dannatamente lontano, molto più di quanto le era parso inizialmente. Ma quella era la sua salvezza. Ormai era in ballo e doveva ballare. Nell’ultima decina di metri, chiuse gli occhi, presagendo un colpo mortale che sarebbe giunto da un momento all’altro.

In quel preciso istante, Dash balzò fuori dal nascondiglio, riprendendo a volare in direzione dello sparo. Fluttershy la inquadrò nell’ottica, attenta ad ogni minimo dettaglio.

Avvenne qualcosa di strano… qualcosa che nessuno avrebbe capito, se non le due veterane di guerra.

Arrivò un altro boato. Il proiettile spiumò leggermente le ali del pegaso celeste. La puledra dal manto rosa individuò un minuscolo lumino lontano, che si spense in una frazione di secondo. Con gesto rapidissimo, collimò e fece fuoco. Un profano, esterno alla vicenda, avrebbe soltanto udito due spari in rapidissima successione.

Rainbow sfrecciò al suolo, atterrando malamente tra gli alberi.

Fluttershy scarrellò l’arma.

Applejack si tuffò nel grano… Almeno quella… era fatta.


    Dash, un po’ malconcia, si alzò da terra, osservandosi poi le ali. Erano state appena sfiorate. Aveva avuto fortuna e lo sapeva benissimo. Sperava soltanto che l’amica fosse riuscita a beccarla.

La tiratrice continuò a sondare il punto dove, presumibilmente, il colpo sarebbe dovuto giungere. Non avvenne nulla, per svariati secondi, dove il silenzio più assoluto fece da padrone.

Notò quindi un secondo lumino, appena poco più a destra del primo. Il pegaso paglierino rabbrividì e, con uno scatto fulmineo, tornò in copertura, un attimo prima che un proiettile le saettasse sulla fronte, impattando nel terriccio retrostante.

Ed ecco il terzo boato. Quello che non sarebbe dovuto arrivare.

“Oh merda!”, berciò Dash.

“Dannazione!”, borbottò l’altra, visibilmente spaventata.

“DAAASH!!”, urlò, sperando che la compagna potesse udirla, “DAASH!! BERSAGLIO MANCATO!!”.

“ME NE SONO ACCORTA, CAZZO!!”.

Le voci delle due riecheggiarono nella notte.

“C’E’ QUALCOSA CHE NON VA DASH!! O SONO IN DUE OPPURE SI TRATTA DI UN PEGASO O DI UN UNICORNO!! PERCHE’, OGNI VOLTA CHE FA FUOCO, SI SPOSTA IN MODO RAPIDISSIMO!! IN QUESTO MODO NON RIUSCIRO’ MAI A COLPIRLO IN TEMPO!!”.

“Ma bene…”, disse a se stessa il pony dagli occhi rosa.

Octavia, intanto, riportò l’attenzione a Pinkie. La notte era ormai calata da un pezzo e le temperature si erano abbassate repentinamente. La barista, distesa nello stesso punto di prima, pancia all’aria, respirava a fatica… respiri rapidi e sconnessi, che generavano fugaci nuvolette di condensa dalle sue labbra.

“Fluttershy!”, implorò l’amica grigia, “Dovete fare qualcosa! Non reggerà a lungo!”.

L’altra non seppe cosa risponderle.

Anche Rainbow sapeva che l’occasione era critica. Cosa fare? Che diavolo poteva fare? E allora… in una situazione così drastica, tanto valeva agire in modo altrettanto drastico.

“SHYYY!!!”, strillò, “IL FALCO SI AVVENTA SULLA LEPRE!!”.

“COSA??”, domandò preoccupata.

“IL FALCO SI AVVENTA SULLA LEPRE!!”.

“SEI MATTA??”.

“IO VADO!! COPRIMI!!”, e preparò un colpo di reni.

Il pony dagli occhi azzurri trasalì e si portò rapidamente in posizione, fucile spianato.

Falco sulla lepre. Il massimo dell’espressione della tecnica. Il momento in cui il bersaglio avrebbe accorciato le distanze, cercando di individuare il cecchino e ingaggiarlo sul corto. Anche il massimo del pericolo, ovviamente.

Un attimo prima di riprendere a volare, Rainbow le chiese un’ultima cosa: “DOV’E’ IL BERSAGLIO??”.

La tiratrice, ancora impreparata a quell’idea pericolosa, rispose titubante: “E’… E’… E’ IN UN CAPANNO!! ORE DUE!! DISTANZA APPROSSIMATA DALLO SPARO… UHH… CIRCA MILLEDUECENTO METRI DALLA POSIZIONE… QUINDI… CIRCA SETTECENTO METRI DALLA TUA!!... E’ UN SUICIDIO, DASH!! SONO TROPPI!!”.

“TU COPRIMI!!”.

“MA DASH!!...”.

“OGGI E’ UN BUON GIORNO PER MORIRE!!”.


    Ed ecco l’ennesimo folle gesto, di quella folle notte.

Un pegaso dalla chioma multicolore prese quota nella gelida aria della campagna, consapevole che, questa volta, il nemico sapeva benissimo cosa aspettarsi. Ma non c’era altra soluzione.

Iniziò a macinare metro dopo metro, spingendo la velocità e le virate improvvise a livelli incredibili.

Fluttershy tenne sott’occhio la situazione, pronta ad intervenire.

Passarono i secondi e non ci furono altri spari.

Tutti erano agitati.

Dash, per la fatica e l’adrenalina.

Fluttershy per i destino dell’amica, completamente nelle sue zampe.

Octavia per Pinkie.

E Pinkie… per il poco sangue che ancora le rimaneva in corpo e che il cuore faceva di tutto per pompare attraverso il corpo.


    “Perché non le spara?”, si chiese Fluttershy, senza schiodare l’occhio dal mirino.

Rainbow era ormai ad un centinaio di metri dalla locazione indicatale dalla collega. Si preparò ed estrasse una 1911 dalla fondina. Nemmeno lei non sapeva come mai non avesse più aperto il fuoco. Poteva aver ripiegato in un’altra posizione, forse. Ma doveva esserne sicura.

Con un ultimo sforzò schizzò verso la struttura: il tipico magazzino del fieno, con tanto di assi pitturate di rosso. Arrivò vicinissima alla finestrella della zona mansardata. E lì noto qualcosa che la lasciò perplessa.

Dentro, accuratamente disteso lungo il pavimento in legno, vi era un Mosin-Nagant con ottica. Accanto alla carabina: alcuni bossoli esplosi e un piccolo mucchietto di proiettili vergini.

…Era fuggito?

Anche Fluttershy rimase immobile, non sapendo cosa aspettarsi.

    Poi… qualcosa attirò l’attenzione della puledra blu. Un sibilo nell’aria. Un altro proiettile? No. Era molto diverso e anche più lento. Una risatina femminile rimbombò da una direzione. L’altra si girò, puntando la pistola, ma non vide nulla. Il verso proruppe alle sue spalle. Dash roteò ma, di nuovo, non trovo alcunché. Un’altra risata. Un’altra piroetta per intercettarla… e poi… due occhi rossi come sangue.


    Rainbow percepì un dolore lancinante pervaderle i fianchi e i muscoli delle ali, proprio dove si congiungevano alla schiena. Un pegaso color ocra, con splendidi crine che si confondevano col blu scuro del cielo, era d’innanzi a lei, sorridendo in un modo terribilmente simile a quello della puledra rosa confetto, quando impazziva di colpo. L’avversaria puntò i bulbi oculari, bramosi di violenza, dritti in quelli della vittima. Le ali, ricoperte da decine di lame acuminate, si erano serrate sulla malcapitata, affondando le estremità taglienti dentro la carne.

Dash rimase paralizzata dal dolore, non riuscendo a reagire nella maniera più assoluta.

“DAAASH!!”, sbottò Fluttershy, con una morsa al petto. Le due erano perfettamente sovrapposte alla sua linea di tiro… per colpirne una… avrebbe dovuto trapassarle entrambe. Un caso, forse? Oppure quella sapeva il fatto suo?...

La puledra azzurra strinse i denti, cercando di togliersi da quella brutta situazione. Sollevò la zampa tremante, cercando di dirigere la 1911 contro di lei.

Vesna rilasciò la presa, con il terribile rumore di dozzine di coltelli che venivano estratti da un materiale fibroso. Il ritorno di dolore fu devastante e la poveretta non poté far altro che abbandonarsi ad esso, precipitando di schiena verso il suolo.

“DAAAAAASH!!!”, urlò di nuovo l’ex- commilitone, che perse la testa: abbandonò il riparo e volò come una scheggia verso l’amica lontana. In quel preciso istante… rivisse un fugace attimo passato… come se il pegaso a cadere non fosse Rainbow… ma un’altra puledra, dal manto grigio e la criniera giallo chiaro. Un ricordo che le tornò con tutta la sua prepotenza.

Quando Octavia vide il cecchino prendere il volo, non riuscì a trattenersi e galoppò verso il pony ferito.

    A poche decine di metri dal suolo, il pegaso blu ebbe ancora forza e volontà per dare un debole colpo d’ali, attutendo a malapena l’impatto, che fu comunque terribile. Nelle sue orecchie risuonò un tonfo sordo e, in modo sovrapposto ad esso, qualcosa simile a legna che si spezza. Un’altra fitta di dolore la gettò ad un passo dallo svenimento.

Aprì gli occhi al cielo, con la vista parzialmente annebbiata.

Vesna fluttuava sopra di lei, ridendo come un’ossessa, parzialmente illuminata dalla luna rossa.

“DAAASH!!”. La voce dell’amica fece capolino. La puledra dagli occhi vermigli notò il suo arrivo, sorrise malignamente e scattò nel vuoto, scomparendo nell’oscurità della notte.


    “DASH!! O SANTO CIELO! DASH!!!”, ripeté Fluttershy, planando rapidamente verso di lei.

“Ah…”, farfugliò l’altra, stravolta da dolore.

“DASH!! DASH!!”.

“V… vattene, Shy…”, biascicò, lottando contro il malessere insopportabile.

“NO, DASH!!”.

“S… stupida… dovevi… dovevi spararle… non… v… venire… qui…”.

“I-io…”, sussurrò, con gli occhi umidi, estremamente preoccupata.

“IO NON TI LASCIO QUI!!”, ruggì improvvisamente, afferrandola per una zampa. La compagna rispose con un vagito di dolore.

“NESSUNO VIENE ABBANDONATO, NEGLI ANGELI DELLA MORTE!!”.

La puledra gialla issò prepotentemente l’amica, incurante delle sue urla, e fece scorrere lo zoccolo attorno al collo, per sostenerla.

“M-merda… F… Fluttershy… Ah… fa… fa malissimo… credo… credo di avere qualche osso rotto…”.

“Ora ce ne andiamo!!”.

Si udì la stessa risata di prima.

Le due alzarono gli occhi al cielo, senza vedere nulla.

“Fluttershy… ascoltami…”, la disse, cercando di sopportare la propria situazione precaria, “Quella… quella gioca sporco. Sa dove siamo… e di sicuro… conosce la zona. Si muove come una lama nell’aria. E’ veloce. Dannatamente veloce…”.

Il pony dagli occhi azzurri iniziò a camminare, trascinando il ferito con sé: “Motivo in più per andarcene in fretta!!”.

Giunse un gridolino di gioia.

“N-no…”, continuò Dash, “Vattene… torna da Pinkie… e… aiutala. Se mi soccorri… ci ammazza entrambe…”.

“STRONZATE!!”.

Qualcosa impattò violentemente sul pegaso paglierino, facendole perdere la presa su Rainbow, che si accasciò a terra.

Vesna era su di lei, con un ghigno a dir poco terrificante.

“Dovresti ascoltare l’affettato blu, signorina”, le disse, visibilmente eccitata, “Ogni secondo che passa ti avvicinerà ad una fine molto, molto spiacevole”, e si lanciò di nuovo nell’aria, svanendo alla vista.

Fluttershy si rimise prontamente sulle zampe, imbracciando il fucile, con il battito a mille.

Iniziò ad osservare nervosamente i dintorni, percependo le lame della puledra fendere l’aria, ad ogni passaggio a bassa quota che eseguiva.

Spostò ossessivamente lo sguardo da una direzione all’altra, provando disperatamente a puntare il fucile nel punto dove credeva sarebbe giunta. Ma non ci riuscì.

Il pegaso ocra iniziò a serrare il ritmo… e le distanze.

Ci fu un altro sibilare, questa volta accompagnato da uno spostamento d’aria, la canonica risata… e un profondo taglio apparve sulla zampa giallo chiaro.

Fluttershy si ritrasse, con un grido.

“AH!”, la derise la nemica lontana, preparando un’altra picchiata, “IL ROSSO TI DONA MOLTO!!”.

La poveretta tentò nuovamente di individuarla… ma ogni volta… puntualmente… Vesna le sibilava accanto, aggiungendo un altro taglio a quelli precedenti.

La tiratrice stava perdendo il controllo. Esplose addirittura due colpi, sperando disperatamente di colpirla. Ma andarono a vuoto.

Rainbow si trascinò fino ad una staccionata, provando a mettersi in posizione eretta, con estrema fatica: “Flutter!!”, le disse, “Vattene! Andiamocene!”.

“NON C’E’ NESSUN POSTO DOVE SCAPPARE, LURIDE PUTTANE!!”, intervenne la gitana volante, questa volta con tono adirato, sempre senza farsi vedere, “QUESTE CAMPAGNE SARANNO LA VOSTRA TOMBA!! DOVRESTE ESSERNE CONTENTE! SARA’ SEMPRE MEGLIO DI QUELLO STAGNO MERDOSO IN CUI AVETE AMMAZZO RAIN!!”. E riprese minacciosamente a volare.

“Vieni via, Shy!!”, la implorò l’amica.

Il respiro del pegaso divenne estremamente corto. Si osservò i numerosi tagli sanguinolenti sul corpo. E, a farcire il tutto, quella risata. Quella continua, odiosa, incessante risata che sembrava provenire da ogni direzione.


    Fu allora che il timido pony col ciuffo prese una decisione. Una decisione che lasciò Rainbow in preda all’incomprensione.

Fluttershy… prese un lungo respiro, cercando di concentrarsi. E poi… chiuse gli occhi.

“Fluttershy?? Che fai??”, le domandò spiazzata.

“PREGARE NON TI SERVIRA’ A NULLA, TROIA!!”, la minacciò Vesna, avvicinando le planate verso di lei.

E il cecchino dal manto paglierino… ascoltò.

Mosse le orecchie, in modo impercettibile, proprio come faceva in guerra.

Un tiratore esperto non doveva avere solo buon occhio… ma anche un udito impeccabile, per percepire qualsiasi fruscio o movimento. E aveva imparato alla perfezione a stimare direzione e distanze degli spari, in base al conteggio del tempo che scorreva e, certe volte, solo grazie all’istinto.

Quella volta non doveva decifrare un’arma che esplodeva il colpo… ma bensì una risata. Una risata perfettamente percepibile e costante. Un rumore diverso. Ma, alla fine, si trattava grossomodo della stessa cosa.

Vesna continuò a volteggiare e ridere, facendosi sempre più vicina, pronta a sferrare l’ultimo attacco… mirando alla gola.

Fece ancora qualche piroetta e poi, quando capì che era il momento, sfrecciò ridacchiando verso il bersaglio, ad ali spiegate.

Fu allora che Fluttershy ebbe chiara la sua posizione. Bastò un piccolo fremito delle orecchie. Un cenno appena… e la puledra riaprì gli occhi nella direzione giusta, impeccabilmente. L’avversaria era a pochi metri da lei, la vide in modo perfetto. Tutto avvenne in modo così rapido che Rainbow a stento ci capì qualcosa.

La tiratrice imbracciò il fucile al contrario e, con gesto deciso, portò il calcio in avanti, mandandolo dritto sul muso del pegaso in arrivo.

Il colpo fu violentissimo. Fluttershy venne sbaragliata all’indietro e l’arma quasi le volò via di zampa. Vesna, invece, ruzzolò rovinosamente sul terreno, con svariate capriole e giravolte.


    Il pony dagli occhi azzurri scosse la testa, cercando di riprendersi, e vide la puledra poco distante: si stava rialzando da terra, tremando come una foglia. Il naso era spezzato su un lato, completamente tumefatto, e riversava lunghi filamenti di denso liquido rosso. Vesna tossì, con un rumore gorgogliante.

Fluttershy imbracciò la carabina e, con passo deciso, accorciò le distanze.

Solo all’ultimo il pony dalla criniera blu si accorse di lei. Senza pensarci due volte, spiegò le ali e cercò di allontanarsi. Ma Fluttershy fu più rapida: fece roteare il fucile e lo piantò a terra, conficcando la baionetta tra le piume ricoperte di metallo e ancorandola tra l’erba.

La gitana proruppe in un urlo spaventoso. Una rapida torsione dell’oggetto da parte del proprietario fece sì che la lama si piegasse e poi spezzasse di netto, evitando così che l’altra potesse estrarla e liberarsi.

Il pegaso si agitò, si contorse e ruggì come una bestia feroce, facendo di tutto per guadagnare la libertà. Senza successo.

Quando capì di non poter far più nulla, si avventò come una furia su Fluttershy, bloccandosi ad appena qualche centimetro da lei: la massima distanza permessa dalla sua ala ferita, saldamente bloccata.

Vesna spalancò le fauci e le urlò dritto sulla faccia, spandendo anche qualche goccia di sangue. I suoi occhi rossi trasudavano rabbia ed odio indescrivibili.

“LURIDA PUTTANAAA!! IO TI AMMAZZO!!”.

Il pony giallo non si scompose. Le puntò il fucile al petto.

La puledra dalle ali tintinnati rispose con un altro, terribile urlo.

Quando il grilletto venne fatto scattare, il corpo di Vesna schizzò all’indietro. Avrebbe percorso anche qualche metro, per effetto dell’impatto, se solo la baionetta non l’avesse trattenuta, facendola ricadere repentinamente sul terriccio.

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Capitolo 13
*** Sangue dal Cielo - Ultimo Atto ***


La puledra si rialzò in tutta fretta, con i polmoni che si contraevano ritmicamente. Era nel buio più assoluto, circondata da una moltitudine di piante di mais. Soltanto la luna surreale donava qualche parvenza di luce alla zona.

Ce l’aveva fatta. Aveva attraversato il tragitto e si era tuffata indenne tra le graminacee. Si girò, scrutando il fienile da cui era appena fuggita. Sembrava fosse tutto calmo. Poi, ne fu sicura: partirono due spari in rapida successione. Uno era sicuramente di Fluttershy.

Un tuono molto pacato giunse invece dalle colline oltre il campo coltivato, proprio dove era stato costruito il cimitero.

Applejack rimase combattuta tra il desiderio di rimanere, per verificare che le amiche se la stessero cavando, e la necessità di raggiungere Luna e Discord… sempre che fossero ancora vivi.

Roteò più volte il capo, indecisa.

“Merda”, commentò nervosamente sottovoce, “Che casino… che razza di casino! Sono sola… ed è solo grazie agli altri se sono arrivata fin qui…”.

Si fece coraggio e, a malincuore, decise di proseguire con la propria missione.

    Trottò attentamente tra le alte spighe. Era ormai inutile muoversi con troppa circospezione: i colpi d’arma da fuoco erano un chiaro segnale d’allarme e, oltretutto, sarebbe stato impossibile muoversi in silenzio attraverso il granturco. Ogni falcata del pony venne infatti accompagnato dal frusciare delle piante. La gangster non sapeva minimamente se avesse imboccato la direzione giusta. Non ci vedeva e l’unico indizio era il rumore della battaglia lontana.

Il cuore continuava a batterle forte: non sapeva se il campo fosse sgombro. Qualche nemico, per quanto ne sapeva, avrebbe anche potuto aggredirla o aspettarla con tutto comodo.

Scosse il capo. Simili pensieri non l’avrebbero di certo aiutata. E poi… ancora non sapeva cosa avrebbe trovato, una volta giunta a destinazione… tantomeno sapeva cosa avrebbe fatto. Discord e Luna erano dei pezzi grossi… ma lei… rimaneva una semplice puledra. Il mitragliatore di Dash avrebbe forse fatto la differenza? Faticava a crederci.


    Finalmente, Applejack raggiunse il limitare del mais. Di fronte a lei, a circa duecento metri, la collina erbosa era circondata da un antico muretto in pietra, con accanto il cancello in ferro nero che permetteva l’ingresso al luogo di riposo dei defunti.

Per raggiungerlo avrebbe dovuto nuovamente uscire allo scoperto. Notò però alcuni ripari occasioni: qualche avvallamento, dei grossi cespugli e barili abbandonati. Poteva rischiare? Anzi… la domanda giusta era… aveva scelta?

Buttò giù la saliva e imbracciò saldamente il pesante oggetto di metallo. Come diavolo faceva Rainbow a volare con quel coso tra gli zoccoli? Si assicurò che fosse armata e, dopo essersi sistemata la tesa del cappello, sbucò al galoppo.

Quando giunse dietro al primo riparo, un colossale boato la fece buttare pancia a terra. Alcuni detriti di pietra si sollevarono dal cimitero, oltre il muretto, senza lasciarle comprendere cosa stesse accadendo. Rumori di una battaglia furiosa riecheggiarono nella notte. Alzò il muso: lo sciame di mutaforma sarebbe giunto entro poche decine di minuti. Forse ancor meno. Non c’era un istante da perdere.

Abbandonò il rifugio momentaneo e zigzagò da una copertura all’altra, sempre più vicina.

I rumori di lotta crebbero, assolutamente terribili: urla, esplosioni arcane, masse terrose che andavano in frantumi… un vero e proprio inferno, con tanto di sporadici lampi di luce (sicuramente incantesimi).

Risalì faticosamente la collina, ormai allo stremo, raggiungendo infine il muro del cimitero, su cui concluse la rampicata, battendo la schiena.

Un raggio arcano fece capolino a pochi metri da lei, sfondando malamente parte del riparo, e disperdendosi poi verso l’orizzonte.

“Per la miseria…”, biascicò preoccupata, trattenendo il cappello con una zampa.

Si avvicinò allo spiraglio e, molto cautamente, fece spuntare il muso dal foro ancora fumante.

Fu allora che vide cosa stava accedendo.


    Luna e Chrysalis erano in preda ad una vera e proprio furia omicida. L’alicorno era ricoperto da una strana sostanza d’ombra, che le donava un aspetto spaventoso. La doppiogiochista, invece, era assolutamente irriconoscibile: mutava costantemente, istante dopo istante, assumendo una forma diversa per ogni cosa che doveva fare. Aveva bisogno di respingere un attacco improvviso del nemico? Si tramutava in un drago di terra e la colpiva con la coda acuminata. Doveva compiere uno scatto improvviso? Assumeva le sembianze di un velocipede delle radure. Necessitava di potere distruttivo?... Beh… per quello le sarebbe bastato invocare il potere di Celestia.

Applejack le osservò basite. La coppia si scambiava colpi terrificanti e più della metà del cimitero era ridotto ad un cumulo di macerie. Imperiosa, dominando su ogni altro mausoleo o sepolcro, la tomba dell’alicorno bianco faceva da testimone alla battaglia furibonda.

Luna si teletrasportò, svanendo in una nube nera, e riapparve addosso a Chrysalis, artigliandola con affilate lame oscure. L’altra urlò e poi, senza perder tempo, si tramutò in un’Ursa Minor e sfracassò la puledra blu al suolo, poi tornò nella propria forma originale.

Una serpe barbuta oscillò fulminea tra le lapidi, balzando quindi addosso al bersaglio: le strinse le spire al collo, cercando di spezzarlo, ma la fratricida, in rapidissima successione, mutò in un insetto, svicolò dalla presa e crebbe a dismisura, cangiando in uno straziatore delle paludi. Discord sorrise ironicamente, con parecchi denti mancanti, prima che la bestia lo stritolasse tra le zampe possenti, scagliandolo poi verso uno dei pochi mausolei intatti (che si sbriciolò di lì a poco).

    Applejack tornò al riparo, totalmente inebetita.

Scivolò lentamente sul posteriore e lasciò ricadere zampe e arma sul grembo.

Cosa diamine poteva fare una puledra come lei, d’innanzi ad un avversario simile. Se almeno avesse avuto la squadra al completo… ma se persino Luna e Dicord non riuscivano a causarle grossi problemi… lei cosa sperava di fare?

In fondo… che cavolo le era saltato in mente? Lanciare un assalto suicida verso una creatura quasi onnipotente… L’alleanza con lo spirito e l’alicorno, sulle prime, le era sembrata un’idea vincente… Ma ora… ora non ne era più convinta. Nel modo più assoluto.

Cercò di farsi forza.


    Uscì dal riparo, tuffandosi rapidamente tra le poche tombe ancora intatte, assicurandosi che nessuno l’avrebbe notata. Chrysalis era infatti troppo presa dalla battaglia, per accorgersi di qualcos’altro.

Ora era lì, dietro un piccolo e antico mausoleo, con l’M1919 tra le zampe… e una paura del diavolo.

Le due ricominciarono a lottare, scandendo altre esplosioni e grida di rabbia.

Si tolse il cappello. Osservò i dintorni, senza sapere nemmeno cosa stesse cercando. Una speranza, forse. Qualcosa. Qualsiasi cosa che le suggerisse cosa fare.

L’attenzione tornò al cielo e allo stormo sempre più vicino… La luna, inoltre, le sembrò perdere di intensità.

Urla. Botti. Macerie che crollavano. E altri suoni insopportabili che non cessarono nemmeno per un istante.

Alcune lacrime le inumidirono i bordi degli occhi.

Imbracciò il mitragliatore.

“Se non… se non faccio qualcosa…”, disse a se stessa, “Morirò… e… e la mia tenuta…”.

Ebbe uno scatto improvviso e si defilò tra due lapidi, su cui poggiò l’arma, come supporto.

Chiuse un occhio e collimò le diottre, inquadrando la coppia furiosa che combatteva.

Le zampe le tremarono. Volontà e coraggio vacillarono in modo preoccupante.

“Se non… se non…”.


    Una strana sensazione la bloccò, un istante prima che premesse il grilletto. Non capì di cosa si trattasse… ma le fu sufficiente da farla desistere e rimettersi al riparo. Quando fu di nuovo dietro alla cripta in pietra… scorse un equino incappucciato accanto a lei, dove prima non vi era nessuno.

L’odore di incenso e l’aura di mistero le permisero di capire facilmente di chi si trattasse.

Zecora abbassò il cappuccio, mostrando un muso vagamente sorridente e due occhi felini.

“Z-Zecora…? Sei… sei tu…”, le disse, sull’orlo di un pianto disperato.

L’altra intensificò il sorriso e, con il canonico accento indecifrabile, dichiarò: “Per me sarebbe stato avvilente. Zecora… non mente”.

Applejack non sapeva se sentirsi risollevata… o se dovesse preoccuparsi ancora di più.

“Come… come sapevi che…”.

“Rimembri il passato? Se avrai bisogno, i miei interventi saranno scontati. Per tua fortuna, così è stato”.

Si levò un ruggito. Era Chrysalis che si avventava su Luna.

La puledra arancione cercò di non farsi distrarre e di mantenere la calma.

“D-dunque… sei qui… sei qui per aiutarmi?”.

Il volto di Zecora si arricchì di una sfumatura maligna: “Ragioni in modo così limitato. Nulla viene regalato”.

L’alicorno urlò, come se qualcosa le avesse straziato le carni.

Applejack strinse palpebre e denti. La sua sanità mentale stava cedendo.

“LO SO! LO SO, MALEDIZIONE!!”, le inveì contro, tappandosi le orecchie, “Tutto ha un prezzo!!”.

“Hai compreso alla perfezione. Un accordo non ha valore senza scambio, è una dura lezione”.

“Ma… ma… cosa posso fare??”, domandò disperata, “Non… non ho le capacità! Non ho la forza di contrastare un potere come quello di Chrysalis!”.

“La creatura cangiante possiede invero un potere spaventoso! Azzarda un po’ troppo e andrai in contro all’eterno riposo!”.

“Zecora!!”, riprese con foga, “Tu… tu puoi contrastare Chrysalis??”.

“Tu mi sopravvaluti, puledra dal manto dorato! Sono solo una zebra e non un Dio di potere ammantato!”.

“E… e allora?? Cosa significa??”.

Lo sciamano serrò le zampe sul collo di Applejack, sfiorandole quasi il muso con il proprio. I suoi anelli tintinnarono.

“Io non sono qui per cambiare il corso degli eventi”, le sussurrò, con voce solenne e sguardo neutrale, “Io sono un tramite, non mi faccio carico di cambiamenti”.

La gangster iniziò ad avere seriamente paura di lei: “S… sarebbe a dire?”.

“Non ho alcun potere, se non quello di testimoniare per accordi importanti. Sono per l’appunto un tramite e non una fautrice degli eventi cangianti”.

Applajack cercò di capire il significato di quelle parole.

Zecora continuò: “Ti ho già avvertita una volta. Non puoi essere così stolta. Ti sei fatta carico di un‘impresa terrificante. Nessuno ti ha obbligata. Solo tu hai preso la decisione importante. Se qualcosa vuoi cambiare… soltanto tu lo potrai fare. Non esiste una via d’uscita priva di nefaste conseguenze. E tutto dipende… dalle tue indulgenze”.

“SMETTILA DI PARLARE IN RIMA, PER LA MISERIA!!”, sbottò adirata, spintonandola lontano.

La zebra ridacchiò divertita: “Vuoi proseguire sul tuo ponte di morti? Allora devi a rinunciare a qualcosa che porti”.

“Cosa vuoi, maledizione?? Cosa diavolo vuoi??”, strillò.

“Io non desidero nulla, se non assecondarti nelle tue volontà. Sii pronta al sacrificio e il tuo desiderio realizzarsi potrà”.

“Io voglio solo veder Chrysalis crepare!!”.

“Ahhh”, sospirò, “Un desiderio imponente! In te la modestia è assente!”.

“Puoi ammazzarla o no??”, domandò stizzita, “Non ho altro tempo da perdere!!”.

“In effetti il tempo avanza”, commentò, osservando i sicari volanti in arrivo, “Ma ciò che chiedi è un’assurdità ad oltranza!”.

“Bene! Allora lasciami in pace!”.

“Colei che odi con tale energia, possiede i poteri di un regnante defunto, ormai andato via. Con un sacrificio all’altezza posso anche strappare la vita ad una creatura ma non ho alcun potere d’innanzi ad un alicorno, ne ho la certezza”.

“Insomma un alicorno è troppo potente, per te?”.

“Sono leggi mistiche su cui non posso agire. L’anima di una creatura così pura è al di là di ogni mio ardire”.

“Se non puoi aiutarmi, allora mi spieghi per quale motivo sei venuta qui?”.

L’oscurità, forse per suggestione, parve raddensarsi attorno alla zebra, proprio com’era successo nella capanna, lasciando ben visibili solo i penetranti occhi azzurri: “Torniamo di nuovo al passato, pony di oro ammantato. Tutto si può ottenere, con il giusto prezzo. Pensavo lo avessi già capito da un pezzo. Non posso estirpare la vita dalle sue ossa… ma esiste sempre un espediente in grado ingannare le leggi, più di quanto non possa. Si tratta però di capire… di accettare… e di donare qualcosa per concludere il tuo ponte, un po’ come scalare a fatica un altissimo monte”.

La puledra voleva chiudere la faccenda una volta per tutte: “Allora dimmi cosa vuoi. Fai tu il prezzo. Ti darò tutto quello che mi chiederai”.

Zecora rise… rise come una matta. Poi trafisse con il proprio sguardo i verdi occhi dell’interlocutrice: “Estirpare una vita è qualcosa di tipicamente proibito. Soltanto uno scambio di pari livello lo lascerà consentito”.

“Uno… scambio di pari livello?”, domandò titubante.

L’altra sfoderò un ghigno a dir poco inquietante: “Sì... una vita per una vita”.


*** ***** ***


    Rainbow zoppicò dolorante fino a Fluttershy.

Il pegaso giallo teneva la carabina tra le zampe, con un rivolo di fumo che ancora fuoriusciva dalla canna.

Vesna era pancia all’aria, con un foro all’altezza delle viscere. I suoi polmoni ebbero un sussulto. Non era morta. Ma lo sarebbe stata presto.

L’asso del volo si appoggiò alla groppa dell’amica.

“Mai… mai vista una cosa simile”, commentò.

“Ora”, rispose Fluttershy, “Non sarà più… un problema…”.

La moribonda lanciò un sorriso, prima che la sofferenza glielo cancellasse, sostituendolo con un ghigno di dolore.

Un frusciò lontano le mise sul “chi va là”. Il pony paglierino puntò l’arma.

Hound sbucò dall’oscurità, seguito dalla stilista dal manto bianco e Twilight.

“R-ragazzi?”, balbettò la tiratrice.

“Saranno loro?”, domandò Dash, indecisa.

Questa volta non ci furono scambi di battute. Bastò che i presenti si guardassero bene negli occhi per capire che erano realmente loro, e non delle copie della mutafurma.

Stavano bene, apparentemente. Lo stallone era un po’ pesto, l’unicorno viola abbrustolito e Rarity aveva la chioma appena scompigliata. Il solito, insomma.

“Che è successo qua?”, chiese il segugio, scrutando le ferite delle due e il pegaso riverso a terra.

Quando sentì la sua voce, Vesna parve agitarsi. Cercò di mettersi sulle zampe ma riuscì malapena a muovere qualche muscolo.

“T-TU!!!...”, ruggì, “TU!! TU SEI… SEI GREY HOUND, VERO??”.

L’altro corrugò lo sguardo: “…Sì. Sì, sono io”.

“M-MALEDETTO!!”, gli inveì, contorcendosi, “LURIDO BASTARDO!! HAI… HAI AMMAZZATO RAIN!! FIGLIO… FIGLIO DI…!!”.

“Chi è?”, domandò, rivolgendosi a Fluttershy, improvvisamente di nuovo timida.

“Uh… io… io non lo so. Ci ha… inchiodate qui. E abbiamo faticato non poco… per…”.

“Ehy!”, intervenne Rainbow, “Ha sparato a Pinkie! Dobbiamo tornare da lei”.

“Dunque… è stata lei a spararle”, commentò Sparkle.

“L’avete vista??”.

“Sì”, rispose, “L’abbiamo incrociata mentre cercavamo di raggiungervi”.

“Sta bene?”, cercò di sincerarsi la puledra dal manto giallo.

“E’… viva…”, dichiarò tristemente, “O almeno così era, quando l’abbiamo lasciata”.

“Avete abbandonato Pinkie??”, sbottò Dash.

“Calma, testa calda”, riprese l’amica, “Le ho somministrato un antidolorifico e spedito Spike dalla tenuta di AJ, per prendere i miei strumenti…”.

“Quindi… quindi sarà salva?”.

Lo sguardo di Twilight si incupì: “Non… non ho detto questo. Ha un foro all’altezza del polmone. E’ troppo… difficile fare una previsione, così. Le ho fatto un bendaggio di fortuna con i vestiti… ma… cioè…”.

La foga dell’Angelo della Morte ebbe il soppravvento, nonostante le ferite: “Intendi dire che Pinkie dovrà crepare???”.

“Senti, RD, datti una calmata. Non sto dicendo nulla. E’ che… ha una ferita brutta… molto brutta. Ora… Octavia ha voluto rimanere con lei, nell’attesa che Spike tornasse con qualcosa di più utile di un po’ di morfina”.

“Merda!”, sbottò il pegaso.

La risata della gitana giunse debolmente alle loro spalle. Vesna si stava sforzando di ridacchiare.

“Cos’hai da ridere, stronza??”, strillò Rarity.

“Rido…”, farfugliò, con il muso ricoperto di sangue, “Rido perché… la vostra amica morirà… Rido… perché…”.

Rainbow Dash ebbe uno scatto furioso e, anche con qualche osso rotto, trottò verso di lei per darle una ripassata. Grey le si parò d’innanzi, fermandola.

“FAMMI PASSARE!! LE STRAPPO QUELLA LINGUA CHE SI RITROVA!!”.

“Ferma, patacca. Non ne vale la pena”.

“Cosa?? Proprio… proprio tu! Quella fa parte di quegli stronzi che ti hanno ammazzato la fidanzata! Che ti hanno rovinato la vita e che ora hanno ridotto Pinkie… a…”.

“Lo so”, ammise, con voce atona, “Ma ora… è lì. Sul terreno. Esanime. E, tra breve… non potrà più nuocere a nessuno…”.

Il pegaso blu le lanciò un’ultima occhiataccia, prima di ritrarsi, spintonando il mezzo unicorno.

“Bastardo…”, sussurrò Vesna, scrutandolo con odio.

Grey si inginocchiò verso di lei, con volto indecifrabile.

“Tu…”, le disse, “Tu conoscevi Heavy Rain, vero?”.

“…Fottiti”.

Il segugio sospirò.

Chiuse gli occhi.

E parlò, lentamente.

“Mi… mi dispiace”.

“Taci, schifoso…”, lo insultò, con le poche energie che le erano rimaste.

“Rain era… era un bravo unicorno. Ed era… era un mio amico. Un mio… caro… amico. Poi… tutto è andato a puttane… quando la corruzione si è fatta strada nel Governo. Tutto è cambiato. Tutto. I governativi hanno… hanno distrutto un’esistenza dopo l’altra. Hanno ingannato. Ci hanno ingannati. Io sono stato ingannato. Rain è stato ingannato. Il male si è diffuso come una chiazza, in ogni direzione… E… e il prezzo lo abbiamo pagati tutti noi. Nessuno si è salvato”.

La puledra moribonda sembrò arricchirsi di una vena di dispiacere, mista a disperazione: “…Taci… sta zitto…”, farfugliò.

“Sono sicuro… che se non fosse stato per Chrysalis e per il suo piano malato… Coraline sarebbe ancora viva. Forse… io sarei ancora nel negozio a vendere fiori. Rain… forse… sarebbe ancora vivo…”.

“…Piantala…”, sussurrò, iniziando a piangere.

Lo stallone infilò la zampa sotto il cappotto ed estrasse qualcosa di appuntito. Era il corno spezzato di Rain. Il segugio lo porse delicatamente alla puledra, che sgranò gli occhi.

“Mi dispiace. Mi dispiace tantissimo”, ammise, mentre l’altra afferrava il corno, con zoccoli tremanti, “E’ stato tutto… tutto un orrore senza fine. Un vortice di violenza e odio senza fine… Durato per anni”.

Il pony color ocra strinse il frammento a sé, come un cimelio, con il volto contratto dal pianto.

“Ma tale orrore… cesserà questa notte. Con la morte di Chrysalis”, concluse, con voce lapidaria.

Si rialzò e le diede le spalle, raggiungendo le amiche.

“Hound…”, disse Vesna, negli ultimi minuti che le restavano.

L’altro si fermò, senza voltarsi.

“…Promettimi… promettimi che… che la ucciderete… che la vedrò all’inferno… con me…”.

Il viso del mezzo unicorno divenne estremamente serio.


“…Tutti finiremo all’inferno, prima o poi”.


*** ***** ***


    Una notte fredda, come molte altre.

Una notte silente, senza il benché minimo rumore ad indicare che fossero in piena campagna, fatta eccezione per la voce di una puledra… e il respiro accennato di un’altra.

Una notte… piena di sangue. Proprio come la luna nel cielo.


    Octavia si trovava seduta sul terreno gelido, poggiata di schiena contro la parete del capanno.

Pinkie era distesa su di lei, con il capo riverso sul ventre della musicista. Entrambe osservavano le stelle.

Una zampa della puledra grigia era serrata attorno al collo dell’amica. Con l’altra, le carezzava delicatamente i capelli vaporosi.

Uno zoccolo di Pinkie, invece, era sollevato e faceva presa su quello dell’amica, proprio sotto al muso.

La barista aveva una fasciatura improvvisata, stretta attorno al busto, parzialmente intrisa di rosso.

Il fiato delle due si condensava nell’aria. Quello del pony rosa era molto più rapido e appena percettibile.

Sarebbero state immerse nell’oscurità se non ci fosse stata la luna piena.

Le guance di Octavia erano leggermente arruffate, sintomo della presenza di lacrime sul suo volto.

“…Rusty… Rusty Nail…”, le sussurrò.

Pinkie, con palpebre calanti e una certa fatica, cercò di rispondere: “Uuhh… Venti… venticinque millilitri… di… di Drambuie… e… dello Scotch…”.

“…Quanto Scotch?...”.

Gli occhi della puledra iniziarono a chiudersi e la compagna la scosse leggermente, facendoli riaprire.

“Quanto Scotch, Pinkie?”.

“…Quarantacinque…”, disse, come se stesse per addormentarsi.

“Sì… Poi… uno facile, dai… Manehattan…”.

Il respiro divenne ancora più irregolare. La testa di Pinkie iniziò ad accasciarsi mollemente sul corpo della compagna.

“Pinkie”, la riprese, riuscendo malapena a tenerla sveglia, “Pinkie, concentrati… Manehattan”.

“…Mane… Mane… hat… n…”.

Octavia la strinse a sé, percependo la carne sempre più fredda. La sfregò con energia, cercando di riscaldarla.

“Pinkie!”, sbottò infine, “Manehattan, Pinkie!”.

L’altra non rispose.

Il fiato era ormai un tenue batuffolo fugace dalla bocca socchiusa.

Gli occhi celesti si fecero sempre più chiari, quasi vitrei.

“Pinkie… Pinkie!!”, ripetè, strattonandola.

Il corpo della puledra sembrava quasi un fantoccio su di lei.


    Fu in quell’istante che la violoncellista ebbe il ritorno di un’emozione lontana… la stessa sensazione che provò quando scoprì cos’era successo a Deep. La stessa… identica… sensazione. L’aveva quasi dimenticata, ormai, tanto ne era passato, di tempo. E quella situazione le rinfrescò dolorosamente la memoria… e le diede anche un affondo terribile al cuore.

Osservò la puledra rosa. Le mise uno zoccolo sul petto. Non sentì nulla. O forse un battito debolissimo? Non lo capiva… e l’agitazione si fece strada dentro di lei.


Si sentì persa. Impotente. Abilissima nello stroncare vite… ma incapace di salvare l’unica vita di cui le fosse importato veramente negli ultimi tempi. Si osservò attorno. Sperò… pregò affinché vedesse sbucare il draghetto viola, con qualche farmaco… un bisturi… o qualsiasi altra cosa.  Ma non arrivò nessuno.


Il pianto le giunse naturale, proprio com’era successo quando le distrussero il violoncello. Stritolò l’amica con tutte le sue forze, poggiando la guancia contro la fronte infreddolita… bagnandola con le lacrime.

“Pin… Pinkie…”, balbettò, con voce straziante, “Ti prego, Pinkie… Io… io ho mentito… mi ero sbagliata… Ho detto ad AJ che non avevo nulla da perdere… se… se non… se non la mia vita… Ma mi sbagliavo…”.

Le incorniciò il volto tra le zampe e continuò a tenerla stretta a sé.

“Ti prego… ti prego, Pinkie… Non so perché… non chidermelo… non saprei… non saprei cosa risponderti… Non chidermi come mai… ma… mi sono… mi sono affezionata a te… Ti ho odiata, quando mi hai preso a calci nella Carousel Maison… ma… ma poi… Non lo so… Le battaglie insieme… il… il coltello…”. Deglutì, come se avesse difficoltà a pronunciare quelle parole.

“Il… coltello-che-bello… tutte le altre tue stronzate da schizoide… che mi hanno… che mi hanno fatto sorridere… dopo tantissimo tempo… Pinkie…”.


“Ti prego… Pinkie…”.


*** ***** ***


    “Allora, mia cara, vuoi compiere il passo?”, dichiarò Zecora, “O sei inamovibile come un masso?”.

L’altra rimase alcuni attimi in silenzio, pensierosa.

E’ quello che le stava realmente offrendo la zebra? Una soluzione concreta? Una vita per una vita?

Un futuro spaventoso ti si para d’innanzi. Dovrai fare una scelta e non potrai lasciare avanzi. Scorgo… una grossa sfera rossa nel cielo… Una Luna bramosa langue. Una Luna… di sangue.

La puledra alzò gli occhi ed osservò il satellite.

Dunque… aveva previsto tutto?

Ricorda le mie parole, anche se ti trafiggeranno il cuore come una lamina. Per ciò che vuoi fare, in un modo o nell’altro, perderai comunque la tua… anima.

Riportò l’attenzione sullo sciamano… che la osservava sorridente, in muto silenzio.

Patti? Incantesimi? Anime?

Tutto era sconfinato nell’onirico più assoluto… ma, dopotutto, dopo aver visto di cos’era capace un alicorno… anche il potere bucolico di una presunta fattucchiera poteva ritenersi verosimile. Effettivamente, però, non aveva mai visto la zebra compiere alcunché, se non dar fuoco a strani intrugli e farsi gioco-forza di un aspetto a dir poco inquietante. E parlare in rima poteva ritenersi una dote, non un potere. Quali garanzie aveva?

“Quali garanzie ho? Cosa vorresti? Dovrei porgerti il mio cuore su un vassoio o robe simili?”.

“Il tuo scetticismo è comprensibile, giovane dubbiosa. Ma attenta a prenderti gioco di forze oscure… o te ne pentirai a iosa”.

Applejack controllò la situazione nel cimitero, proprio nell’istante in cui Luna veniva messa al tappeto dalla potenza di Chrysalis. La coppia era decisamente malconcia, ferita ed emaciata. Ma l’alicorno era messo visibilmente peggio: un’ala era bruciacchiata e probabilmente rotta in più punti; un occhio tumefatto e circondato di sangue (stavolta nessun effetto arcano); il corpo ricoperto di tagli e lividi. La mutaforma le schiacciò le testa contro la fredda terra, con uno zoccolo.

Luna emise un grido.

Discord, invece, era riverso tra alcuni detriti, a malapena cosciente.

La creatura dai mille volti iniziò ad incidere la carne sul volto della puledra, tramite un raggio focalizzato che proruppe dal corno. L’altra continuò a lamentarsi e scalciare, come se stessero sgozzando un maiale.

Applejack si sentì male per lei, dovendo poi distogliere lo sguardo.

BRUCIA, NON E’ VERO??”, le domandò divertita, “LO SENTI, L’ODORE?? SONO LE TUE MEMBRA CHE DIVENGONO CENERE!! RESPIRA A PIENI POLMONI!! E’ LO STESSO ODORE REGALE CHE PROVENNE DALLE VISCERE DI TUA SORELLA, QUANDO LE ESTIRPAI LA VITA DI DOSSO!!”.

L’alicorno cercò di reagire ma le sue energie erano quasi totalmente prosciugate… e dovette sorbire il doloroso trattamento che la nemica le stava serbando.

La gangster era sempre più combattuta… e Zecora non la smise un solo istante di scrutarla con intensità, desiderosa di ricevere una risposta.

Si strinse nelle spalle, sfogando la disperazione che sentiva: “Io… io ho fatto cose terribili”, disse, “Ho messo in gioco la mia vita… e… quella dei miei amici… solo per arrivare fin qui… Ed ora… tutto sta crollando…”.

Notò che i tirapiedi di Chrysalis sarebbero arrivati entro pochi minuti.

“Non so dove siano i miei compagni… se… se siano ancora vivi… Non so cosa accadrà alla mia tenuta… se…”.

La zebra si avventò su di lei: “Con i se e con i ma non risolverai nulla, stolta! Prendi una decisione! E prendila ora! O ne pagherai le conseguenze ancora una volta!!”.


E così… qualcosa si fece strada nella mente di Applejack.

Avrebbe voluto rifletterci ancora un attimo… ma non c’era davvero più tempo… e, lo sapeva: Luna non avrebbe retto oltre.

Così… raccolse il poco coraggio che le rimaneva… e pronunciò alcune parole.

“Io… io… Va… va bene, Zecora”.

L’altra fremeva dalla voglia di sentirsi dire la frase al completo: “Non balbettare! Fai la tua dichiarazione! Non tentennare!!”.

“Io… ti offro… la mia…”.

“Sì??”, le fece eco l’equino a strisce, che non stava più nel pelo.

Un istante prima di assecondarla, il pony arancione volle mettere una cosa in chiaro.

Divenne improvvisamente seria. Raccolse il borsalino e lo sistemò sul capo. Afferrò anche uno stuzzicadenti dalla tasca e, con zoccolo in preda a convulsioni nervose, lo serrò tra i molari.

“A-ascolta, Zecora…”, dichiarò con fermezza, percependo una certa calma tornare in lei.

“Cosa c’è ancora??”, domandò impaziente, “Non impiegarci un’intera ora!”.

“Che garanzie ho… che tu… che tu riesca davvero… a uccidere Chrysalis?”.

La zebra scosse il capo e poi lanciò una risata: “Ancora tiri in ballo la sorte?? Sigla il patto! La tua vita…”, scandì, con voce quasi sovrannaturale, “…Sarà la garanzia… della sua morte”.

“No”, ribadì, “Non mi fido. Non posso… non posso lasciare questo mondo… senza sapere che Chrysalis sarà morta. Non posso siglare questo… patto di cui parli… ammesso che funzioni… senza essere certa che la mia tenuta sarà salva”.

Zecora iniziò a spazientirsi ma Applejack le propose qualcosa.

“E quindi… voglio assecondare la tua proposta. Ma ad una condizione”.

Le orecchie della strega ebbero un sussulto. Adorava la trattativa nelle condizioni ai patti.

“Mh. Preferivo un po’ più d’azione… Ma hai la mia attenzione”.

La gangster ci pensò per un istante: “…Ventiquatro ore…”.

“…Come?”.

“Vuoi la mia vita? Un mio sacrificio? La mia… come la chiami tu… anima? Va bene, Zecora. Ti darò ciò che richiedi. Una vita per una vita… Ma solo ad una condizione. Voglio vedere Chrysalis morire. Voglio essere sicura che spirerà questa notte. E poi… mi accerterò personalmente che la mia tenuta sia al sicuro. Fatte queste cose… sarò tutta tua”.

Gli occhi dell’altra si fecero sottili.

La puledra dal manto dorato continuò: “Per questo ti chiedo ventiquattro ore. Un giorno di vita… un solo giorno in cui potrò ancora tenere la mia… anima… Solo per questo. Solo a quest’unica condizione. Ci stai?”.

“Ti avverto di una cosa, giovane inesperta”, l’avvertì Zecora, con fare ammonitore, “Il patto si può siglare… e sarà valido… solo se la tua parola sarà certa”.

Le tenebre si serrarono nuovamente attorno a lei.

“Non si mente alle forze oscure. Il tuo sacrificio dovrà essere sincero… o niente accadrà, senza mezze misure”.

“Voglio vedere Chrysalis morta… quindi ti assicuro che ti darò la mia anima… o quel che è… pur di vederla priva di alito vitale”.

Dopo un’altra breve pausa… la zebra sorrise malignamente.

“D’accordo!! Ventiquattro ore! Non un minuto di più! Non uno di meno! Sigla ora il tuo patto… scandisci attentamente le parole! Non avrai un’altra occasione, di fatto! Ma bada bene! Quando il tempo sarà giunto a termine… io verrò da te… a reclamare il pegno… Accetta tutto questo… e la tua nemica verrà annientata, senza ritegno!!”.

E, senza ulteriori indugi, sperando che le cose andassero come presagiva, Applejack siglò l’accordo: “Io… io ti dono la mia esistenza. Una vita per una vita. Annienta quella di Chrysalis e… e potrai avere la mia…”.


    Non avvenne nulla di particolare ma, per l’inquietante presenza zebrata, quello fu come un segnale… una dichiarazione incisa a fuoco. Una firma. Un via libera. In un certo senso… fu come una scure che spezzò gli anelli di una catena.

“Così sia…”.


    Zecora iniziò a cantilenare in una lingua apparentemente insensata e la puledra arancione si chiese se quella che aveva d’innanzi fosse davvero uno sciamano… o solo una pazza farneticante.

Poi… gli occhi azzurri divennero bui… neri come la notte più nera.

Sorrise.

Le piante e l’erba circostanti iniziarono lentamente a marcire, con l’epicentro del fenomeno incentrato sulla zabra. Applejack fece, qualche passo indietro, temendo che quell’effetto potesse nuocerle.

La nenia crebbe di intensità. Non ne fu certa ma… forse… delle campane lontane risuonarono. La criniera striata iniziò a fluttuare nell’aria, sospinta da un vento inesistente.

Non aveva la più pallida idea di cosa stesse succedendo… sperava soltanto che Chrysalis morisse.

Si sporse cautamente: la mutaforma era ancora lì, intenta a torturare la vittima, pregustando il momento in cui avrebbe assestato il colpo di grazia. Forse… non stava funzionando? Era tutta scena? E… se anche fosse andata così… non aveva forse detto che non avrebbe mai potuto stroncare direttamente la vita di un essere con i poteri di un alicorno?

“UNA VITA… PER UNA VITA!!!”, ruggì Zecora, facendo tremare l’intera collina.

    Un raggio violaceo si generò dal suo corpo, arrivando fino in cielo… e ricadendo poi accanto a Chrysalis, che ebbe un sussulto, impreparata a quanto stesse per accadere.

La colonna di energia… penetrò all’interno della tomba di Celestia… lanciando poi fugaci raggi di luce dal suo interno.

L’assassina cangiante si girò, perplessa, cercando di capirci qualcosa.

Poi… calò il silenzio e tutto ripiombò nel buio della notte.

La mutaforma non capì… ma… qualcosa le fece tremare le ossa.

Si generò un curioso paradosso, possibile solo nell’assurdità della magia, per cui un potere ereditato si trovasse presente sia nel ladro… che in colei da cui era stato trafugato.

Le pesanti porte in pietra del mausoleo si aprirono lentamente, spandendo un po’ di fumo raso terra e una luce accecante.

Tutte, tranne Zecora, che si limitò a sorridere beffarda, spalancarono le fauci.

Luna, allo stremo, alzò il capo, cercando al tempo stesso di non farsi accecare. Ciò che vide la lasciò senza fiato.


La figura splendente di Celestia avanzò con decisione, varcando la soglia d’ingresso.

L’alicorno bianco splendeva come un faro… i suoi capelli fluttuavano come nell’acqua. Sul corpo… portava ancora la veste cerimoniale di quando era stata sepolta. Gli occhi emanavano l’autorità tipica di una regnante.


Applejack non credeva ai propri occhi…

Era quello, l’artifizio?

Quello l’espediente?

Una vita per una vita.


C-CELESTIA??”, sbottò Chrysalis.

“…Sorella?...”, bisbigliò Luna, incredula.

NON… NON E’ POSSIBILE!!! TU ERI MORTA!! ME NE SONO… OCCUPATA PERSONALM…”.

La puledra spalancò le ali, generando un rumore simile ad un tuono, che la zittì all’istante.

Era proprio Celestia, non v’era alcun dubbio… ma qualcosa lasciava intuire come ci fosse qualcosa di strano… Non era un semplice corpo rianimato… eppure…

La mutaforma iniziò ad impanicarsi, percependo il potere dell’altra risvegliarsi ogni secondo che passava.

NON PUO’ ESSERE!!! NESSUNO TORNA DAL REGNO DEI MORTI!! NEMMENO UN ALICORNO PRIVO DI VITA!!”.

Dietro di lei, intanto, Luna si era rimessa faticosamente in posizione eretta.

Chrysalis si sentì circondata. La situazione si era ribaltata nel giro di un istante.

Stava vincendo. Aveva preso a calci quel buffone di Discord ed era in procinto di fondere il cranio alla puledra cocciuta… ed ora… Celestia era inspiegabilmente risorta dalla tomba e Luna aveva riacquisito determinazione.

NON SO COSA STIA SUCCEDENDO”, ammise quest’ultima, col fiatone, “MA MI ASSICURERO’ DI SFRUTTARE L’OCCASIONE PER SCAVARTI NEL PETTO, PER POI STRAPPARTI IL CUORE!!”.

La sorella bianca, intanto, non fece nulla, se non osservare la propria assassina, con occhi impassibili.

DISCORD!!!”, ruggì Chrysalis, osservando lo spirito, “E’ UN ALTRO DEI TUOI SCHERZI??”. Ma la biscia cornuta a malapena riusciva a respirare, nelle condizioni in cui l’aveva ridotto.

NO!! MI RIFIUTO CATEGORICAMENTE DI…”.

In un lampo… Celestia fu su di lei… costringendola istintivamente a fare un balzo all’indietro.

L’alicorno dagli occhi viola reclamò sul corno tutto il potere di cui disponeva, obbligando l’avversaria a distogliere lo sguardo: “Tu non potrai più far nulla… dopo questa notte…”, la minacciò, spandendo onde di luce.

La pelle butterata divenne incandescente e prese a fumare, unitamente ad urla disperate.

Spalancò le ali membranose ma un paio di zoccoli blu la cinsero da dietro… subito prima che il corno di Luna le trapassasse la schiena, uscendo dal petto. Il rumore generato fu terribile… così come il verso di dolore.

E Chrysalis era potente… ma aveva consumato buona parte del proprio potere, quella notte… E due alicorni… beh… quello, forse, era troppo anche per lei.

Si dimenò, cercò in ogni modo di divincolarsi, ma le sorelle glielo impedirono nel modo più assoluto. La fronte di Celestia si avvicinò al volto della mutaforma, esponendola alla luce bruciante che stava riversando. L’intero cimitero e anche le colline limitrofe sembrarono lambite da un intenso sole estivo. Applejack continuò ad osservare la scena, con difficoltà, dovendo coprirsi gli occhi per evitare un possibile accecamento.

Anche la puledra cangiante cercò di distogliere lo sguardo, ma la luce era così vicina… così intensa…

La pelle si tirò, fino a lacerarsi… fino a lasciare l’occhio privo di palpebre…

Ciò che accadde dopo fu terribile… e Chrysalis… provò su di sé, in pochissimi secondi, un ritorno di sofferenze così intenso da ripagarla in buona parte di tutto il male che aveva causato fino a quel giorno.

Le urla crebbero e risuonarono ovunque, per poi affievolirsi… fino a cessare del tutto.

Anche la luce accecante diminuì quindi di radiosità, permettendo infine alla notte di tornare padrona della scena.


    Luna spinse con forza il corpo dell’avversaria lontano da se, estraendo il corno.

Il cadavere si accasciò al suolo, con un tonfo… a cui seguì quello della puledra blu, ormai del tutto priva di forze. L’alicorno respirava affannosamente... ma ciò non le impedì di cercare lo sguardo della sorella. E lo trovò.

Celestia era accanto a lei. Imperiosa. Leggiadra. Proprio come se la ricordava. La stava osservando con volto neutrale, senza lasciar trasparire la benché minima emozione.

Il cranio disfatto della fratricida, invece, puzzava di bruciato e fumava copiosamente.

In pochi attimi… tutto era giunto alla conclusione.

L’inganno di sempre, perpetrato nel corso degli anni in mezza Equestria… era terminato nel giro di pochi istanti.

Applejack ancora stentava a crederci. Era davvero morta? Era realmente finita? Quel piano disperato, che quasi l’aveva gettata sull’orlo della disperazione… poteva essersi concluso?

Il silenzio e la calma che scesero sul cimitero le parvero quasi irreali, dopo tutto il caos che c’era stato nelle ultime ore.

Osservò la luna nel cielo: sempre rossa, seppur in modo accennato, e lo sciame aveva iniziato a disperdersi rapidamente. Dunque… Chrysalis era davvero morta.

    Luna era riversa sul ventre, stremata. Gli zoccoli di Celestia erano vicino al suo muso. L’alicorno bianco… la osservava dall’alto.

La puledra sfinita provò strane sensazioni. Era davvero Celestia… la stessa Celestia che le aveva regalato attimi stupendi e terribili, nel corso della propria esistenza. La stessa Celestia che l’aveva rinchiusa per anni in un centro di salute mentale. La stessa Celestia che…

Ma aveva importanza, dopotutto?

La sorella defunta, che pensava non avrebbe mai più rivisto, era lì, d’innanzi a lei. Non le fu possibile trattenere quindi una certa commozione. Avrebbe di nuovo potuto parlarle. Avrebbe di nuovo potuto chiarirsi con lei.

Applejack si rivolse a Zecora: “…E’… è pazzesco… Come… come hai fatto?...”.

La zebra dava l’impressione di essere molto soddisfatta: “Hai stretto un accordo potente, tienilo a mente. Tutto ciò che si ottiene con il sacrificio di una vita… può ridurre qualunque cosa in uno stato morente. Ma il prezzo, da parte tua, è stato alto. Non dimenticare le nostre parole… Un singolo giorno di pace... e poi…”.

L’altra la interruppe: “Ma… Celestia è… è viva… Io ho lottato contro il Governo…ed ora… ora lei è…”.

L’interlocutrice scosse il capo: “Parlavo di espediente. Tutto il resto non significa niente. Non potevo reclamare la vita della tua rivale e così ho fatto appello ad una forza primordiale… Ma ora che la condizione è stata assolta… il trucco svanisce… e la regnante torna sepolta…”.

Dopo aver pronunciato quelle parole, l’alicorno oscuro fu testimone dell’ennesimo evento straziante…

L’aria iniziò a sibilare sul corpo della sorella, come se un vuoto improvviso, proveniente dall’interno del mausoleo, la stesse richiamando. Il corpo bianco divenne leggermente traslucido ed iniziò a tramutarsi in candida polvere scintillante, prontamente risucchiata dallo strano vortice arcano

Alcune lacrime solcarono le guance di Luna: “S-sorella… cosa…?”.

Lo strano fenomeno continuò, iniziando a dissolvere sempre di più la figura della puledra dalla chioma fluente.

“Sorella!!”, esordì, non potendo accettare di perderla una seconda volta. Ma era senza forze. Senza poteri. E non riuscì a far nulla, se non osservare sofferente la dissoluzione in atto, per lunghi attimi strazianti.

“S-sorella… Celestia…”, la implorò, “Ti… ti scongiuro… non… non andartene di nuovo… non abbandonarmi…”.

A nulla servirono gli appelli. Celestia scomparve del tutto…non prima che le sue labbra le lanciassero un ultimo sorriso accennato.

E, con quell’ultima magia… il compito della zebra si era effettivamente concluso, pur rimanendo in sospeso la questione che le premeva più di tutte… e che avrebbe portato a termine soltanto il giorno dopo.

Luna infilò il capo tra gli zoccoli a terra, senza riuscire a trattenere il pianto.

“E’… è tutto finito?...”, domandò la puledra arancione a Zecora. Ma l’altra sembrava svanita nel nulla.


    Il pony col borsalino, finalmente, decise di uscire completamente allo scoperto. Si avvicinò lentamente all’alleata in lacrime, ancora scossa da tutto ciò che era successo. Portò con se il mitragliatore… la prudenza non era mai troppa.

Ma ci fu un’altra creatura che, quella notte, decise di mettere in atto le proprie intenzioni.

Qualcuno di discreto potere e anche piuttosto temuto. Certo: non avrebbe mai potuto reggere il confronto con Luna. Ma… in quelle condizioni… le sorti erano decisamente a suo favore.

Discord cercò di riprendersi, recuperando le energie per adempiere a ciò per cui aveva preparato la strada in tutti quegli anni.

Si issò sulla spina dorsale, tentando di ignorare il dolore… e sfoderò gli artigli.

L’alicorno oscuro era poco distante, privo della benché minima difesa arcana.

Si asciugò il mento dal sangue e dalla bava, con il dorso di una zampa.

“Molto bene…”, sussurrò, con una scintilla malevola nei bulbi oculari.

Iniziò a camminare verso di lei, finché non si accorse che Applejack stava giungendo dal lato opposto.

I due si fermarono ad osservarsi. La gangster intuì subito che qualcosa non andava. La creatura caprina sembrava stranamente minacciosa… e non c’era motivo di preoccuparsi ulteriormente: Chrysalis giaceva esanime accanto ai cadaveri delle altre tombe.

Corrugò la fronte, sperando che l’istinto le stesse suggerendo la cosa sbagliata.

“Hai… hai fatto un ottimo lavoro, Discord…”, gli disse, scrutandolo con attenzione.

“Oh”, rispose l’altro, assicurandosi che le unghie fossero sufficientemente affilate, “Ti ringrazio. E’ stato un lavoraccio, sai?”.

“Immagino. Ma… alla fine… le cose si sono concluse per il meglio, no?”.

“In effetti”, confessò, grattandosi la barbetta, “Credevo non ce l’avremmo fatta. Ma poi… beh… Chi avrebbe immaginato che sarebbe giunta Celestia in persona a fonderle la faccia!”.

“Già… non era… non era nei piani”, commentò, ancora dubbiosa sulle reali intenzioni del presunto alleato.

“Sai, Applejack?”, riprese, “Quando sono arrivato qui, a Ponymood, non pensavo che avrei affrontato tutto questo. All’inizio… volevo solo denaro e potere. Per questo ho cercato di accordarmi con i pezzi grossi della città. Denaro e potere. Non vai da nessuna parte, senza queste cose”.

Da un altro lato del cimitero, intanto, sopraggiunsero gli amici del pony dagli occhi verdi. Erano finalmente riusciti ad arrivare da lei, preoccupati per l’inspiegabile spettacolo di luci che videro durante l’avvicinamento.

“Ehy!”, esclamò Dash, zoppicante, “Guardate! E’ AJ!”.

“Dov’è Chrysalis?”, domandò Fluttershy, preoccupata.

“Quella è Luna… e c’è anche Discord!”, intervenne Rarity.

Hound capì che erano successe molte cose… e che, forse, ancora non era finita: “Andiamo. Qui qualcosa non mi torna”. E la raggiunsero, tenendo però una certa distanza dai due.

“Concordo”, affermò la puledra dai crine dorati, continuando il discorso con Discord, “E’ la dura legge di città…”.

“Già… anche se… non posso nasconderlo… miravo a qualcosa di ben più importante…”, e puntò l’attenzione sull’alicorno.

Applejack capì come i propri sospetti fossero fondati. Non era stupida… sapeva che la serpe sarebbe stata capace di ogni cosa, inclusa ingannarla fin dal principio.

“Così… così mi hai usata, eh?”, bisbigliò amaramente.

“Oh! Non direi! Cioè… non in modo assoluto, perlomeno”, le rispose gesticolando.

“Non esistono tradimenti parziali. O tradisci… o non tradisci…”.

“La fai così drastica! Ricordi cosa ti dissi, no?... Uccidi un alicorno… e ne erediti il potere…”, dichiarò, osservando la poveretta emaciata, come fosse una preda.

“Dunque… miravi a questo fin dal principio”.

“In linea di massima… sì… Non sapevo se ce l’avrei fatta. Ma ora… Chrysalis è morta. Luna è ad un passo dal raggiungerla… ed io ho sufficiente potere da respingere il piombo della tua mitragliatrice, così come ridurti male. Molto male”.

“Vuoi uccidermi?”.

Le amiche distanti si prepararono al peggio… ma erano disarmate ed Hound già fremeva per caricare di prepotenza il traditore.

Rainbow lo guardò con ripudio: “Lo sapevo che non dovevamo fidarci di lui…”.

“Ti dirò, AJ”, spiegò l’altro, “Inizialmente… non mi fregava nulla di te e della tua combriccola. Per me eravate solo un mezzo per raggiungere il mio scopo. Un’alleanza da sfruttare e poi rompere quando non mi sarebbe più servita. Però… beh… sono giunto al punto… in cui non voglio vederti morta. Io adoro il caos. La vendetta e la violenza gratuita, per quanto appaganti, non rientrano nelle mie principali priorità…”.

“Come sei gentile…”, ironizzò la puledra.

“Dico davvero. Fatti semplicemente da parte. Evita di farti ammazzare. Io farò ciò che deve essere fatto. E poi… lascerò in pace te e i tuoi amici”, le propose, serio come mai lo avevano visto prima di allora.

Applejack osservò l’alicorno, che ricambiò con uno sguardo stanco e sconsolato.

“E’ questo ciò che vuoi, Discord? I poteri di un alicorno?”.

L’ex alleato iniziò a muoversi verso il bersaglio, preparandosi a reciderle la gola con gli artigli.

“Potere. Sì… che c’è di male?”.

“Ho ammazzato un sacco di pony, negli ultimi mesi…”, lo minacciò, lasciando intendere che non sarebbe stata a guardare, “Ho affrontato sicari senza scrupoli… ho messo a rischio la mia vita e quella dei miei cari… ho persino lanciato un assalto contro una città fortificata… Ed ora… dopo aver rinunciato alla mia… alla mia…”. La puledra non riuscì a pronunciare quella parola. “…Insomma Chrysalis è morta… Il Governo cadrà… e tu vuoi prendere i poteri di una regnante? Ripristinando così tutto quanto, come se non avessi fatto nulla?”.

“Celestia, Luna e Chrysalis saranno morte. Non regneranno mai più”.

“Ma lo farai tu… con il loro stesso potere… Sarà lo stesso gioco di prima, soltanto con partecipanti diversi”.

“Più o meno”, concluse, fermandosi a pochi metri dalle due, “Ma ora… fatti da parte”.

Il pony sputò lo stecchino e alzò la canna del mitra: “Sai che non lo farò…”.

“E sai anche che non servirà a nulla tentare di fermarmi…”.


    “Sai, Mac?”, domandò Applejack al fratello, pochi giorni prima che il padre perdesse la vita, “Quando papà ci passerà la tenuta… voglio devolvere ogni cosa per la comunità”.

Lo stallone, intento a bere da un boccale, nella cucina di casa, ebbe un singulto e il sidro gli andò di traverso. Tossì alcune volte.

“S-stai scherzando, vero?”.

“No”, continuò seria, “Voglio far sì che ciò che possediamo possa rendere felici anche gli altri pony”.

“Tu sei matta! A malapena arriviamo a fine giornata e ti metti a fare il buon samaritano?”.

La puledra poggiò una guancia sullo zoccolo, puntellandosi con il gomito sul tavolo. Osservò il paesaggio fuori dalla finestra, proprio in direzione dell’albero su cui soleva giocare da puledrina. Sorrise appena.

“Da quando mamma se n’è andata…”, continuò, “Papà è diventato molto taciturno. Sta sempre con quei tizi… Celestia solo sa cosa vogliano tramare”.

“Sono colleghi d’affari”.

“Davvero?... Ieri ho sentito per caso i loro discorsi, mentre uscivo dal capanno. Lo sai… lo sai che parlavano di alcol… di… di rapimenti… e di… omicidi?”.

Macintosh cercò di minimizzare: “Avrai capito male. Oppure… oppure stavano scherzando”, e si dissetò.

“So che non sei scemo… anche se talvolta sembra vero il contrario…”.

“Ehy!”.

“…Anche tu… avrai capito… chi sono i brutti ceffi con cui papà sarebbe… entrato in affari…”.

“Io…”.

“Sono una puledra semplice, Mac”, lo interruppe, mostrandogli un dolcissimo sorriso, “Non voglio affari pericolosi. Non voglio arricchirmi. Voglio… voglio una vita tranquilla. Voglio essere un pony qualunque. Voglio creare una mia famiglia, in pace… tranquillità… magari avere dei cuccioli, un giorno… E poi… invecchiare con serenità. Per finire… accanto alla tomba di mamma…”.

“Applejack… tu…”.

Lo zoccolo della sorella sfiorò la zampa dello stallone. Mac rimase spiazzato dal volto sorridente di lei… Candido… Sincero… Tiepido… Un sorriso in cui perdersi, letteralmente.

“Mac… io voglio... la vita semplice di un tempo…”.



    L’arma espulse una breve raffica di proiettili.


Discord si bloccò di colpo, spalancando le palpebre.


Le amiche, e anche Grey, rimasero stupite ad osservare la scena.


Applejack incrociò lo sguardo dello spirito, lanciandogli la stessa espressione che aveva serbato per Chrysalis… Lo sguardo di chi si sentiva una spanna davanti al proprio avversario.


Il cranio di Luna, ormai privato di qualsiasi forma di difesa arcana, era appena stato attraversato da una manciata di piombo. L’alicorno giaceva a terra. Senza più alcun supporto a mantenerla in vita.

Il viso immortalato in una contrazione di sorpresa.

Sangue sparso sul terreno.


Lo spirito cornuto ebbe un tic nervoso ad un occhio.


“E’ come hai detto tu, no?”, gli disse l’assassina, “Chi uccide un alicorno… ne acquisisce i poteri…”.


L’altro non riusciva a crederci. Non poteva crederci.

Gli sforzi di anni e anni di preparativi… andati in fumo. La sua occasione… persa per sempre.

Ma ciò che era peggio…


Il terreno fu vittima dell’ennesimo scossone di terremoto, questa volta molto più intenso e violento degli altri. Tutti cercarono di non perdere l’equilibrio. Dash, ancora malandata, scivolò a terra.

“Che sta succedendo??”, strillò Rarity, preoccupata.

Sparkle osservò atterrita l’amica arancione: “A… AJ ha… ha appena…”.


La luna nel cielo parve svuotarsi completamente, come se il liquido rosso al suo interno si accumulasse sul bordo inferiore, raccogliendosi poi in un unico punto. Una goccia scintillante, simile ad un rubino, sembrò staccarsi da essa e cadere verso la puledra. Un’illusione ottica? Magia?

Ma quando la colpì… Applejack cacciò un urlo indescrivibile.

Il suo petto balzò in fuori, preda di una contrazione muscolare violentissima. Strani rivoli fumosi si generarono dal corpo dell’alicorno blu, penetrando successivamente nella puledra arancione.

Bagliori e altrettanti effetti luminosi le rotearono attorno.

Hound scosse il capo, basito: “No… non può… non può averlo fatto…”.

Ci fu un’esplosione. Discord si coprì il muso, proteggendosi con un braccio: “NOOOOO!!!”, berciò.

Ma il destino della gangster stava per compiersi… e nulla avrebbe più potuto impedirlo ormai.


Si susseguirono altri effetti mirabolanti, che si conclusero infine con la rivelazione di un nuovo alicorno.

Le zampe di Applejack si posarono delicatamente sull’erba.

La puledra era leggermente più slanciata.

Il suo manto arancione possedeva i riflessi del bronzo tirato a lucido.

I crine fluivano nell’aria e sembravano costituiti da oro fuso, splendente e scintillante.

Gli occhi… una profonda e verdeggiante prateria.

A concludere il tutto… un lungo corno affusolato e… un paio di ali possenti, che si spalancarono all’istante, generando una corrente d’aria e lanciando alcune piume nei dintorni. Queste caddero debolmente al suolo, emanando una flebile e tiepida luce.

E il suo volto. Fiero. Deciso. Autorevole. Proprio come si potrebbe addire ad un vero alicorno. L’espressione di sfida che lanciò a Chrysalis… che rivolse anche a Discord… rimase incisa perennemente su di lei.

Gli occhi di chi sapeva il fatto suo. Di chi osserva le cose dall’alto verso il basso.

Di chi si sarebbe spinta fino all’inferno, rinunciando a tutto, pur di proseguire nel suo ponte di morti.

Di chi… avrebbe rinunciato alla propria anima?


Discord si racchiuse il volto tra gli artigli, assolutamente fuori di sé, ed iniziò ad emettere versi di rabbia, in modo del tutto sconnesso.

Applejack sorrise, mentre i compagni rimasero ad osservarla in silenzio, intimoriti non solo da quel gesto così inaspettato… ma anche dalla nuova, temibile forma.


L’alicorno dorato scrutò i dintorni. Non sapeva dove fosse ma… da qualche parte, ne era certa, Zecora stava osservando cos’era successo. E, probabilmente… si stava mangiando il fegato dall’ira… perché… l’aveva detto lei stessa…

Ventiquattro ore. E poi sarebbe venuta a reclamare la sua vita. La sua anima.

Con un sacrificio all’altezza posso anche strappare la vita ad una creatura ma non ho alcun potere d’innanzi ad un alicorno, ne ho la certezza.

La zebra misteriosa era stata ingannata.

Applejack era stata più scaltra.

Aveva giocato col fuoco… e, apparentemente… aveva vinto. Tutto.

Un jackpot in pieno stile.

Chrysalis defunta.

Celestia seppellita per sempre, insieme all’unico alicorno superstite: Luna.

Il patto raggirato.

Discord senza più un’opportunità per acquisire il potere che tanto agognava.


Non c’era più un Governo.

Non c’era più nessuno… a parte… una nuova regnante.

Una puledra che nulla aveva a che vedere con un retaggio nobile o antico.

Una contadina, come molte ce n’erano lungo il fiume che attraversava Ponymood.


Circondata da una moltitudine di cadaveri.

Ognuno impilato per formare un ponte verso la propria meta.

Un obiettivo che aveva sempre rifiutato di accettare ma che, alla fine, si trovò costretta a seguire.

Cadavere dopo cadavere.


Qualsiasi cosa accada

In qualunque luogo finiremo

Che sia d’innanzi alle porte dell’Inferno

O ai cancelli del Paradiso

Il mio ponte di morti

Mi condurrà alla fine del cammino

E se dovessi perire nel tragitto

Il mio corpo sarà un mattone in più

Che altri potranno sfruttare

Per proseguire lungo la strada


Ed ora si ergeva imperiosa sul campo di battaglia: un cimitero devastato e farcito di crateri; ammassi di macerie ovunque; i corpi di un alicorno e di un mutaforma uno accanto all’altro.

Tutto sommato una distesa di morti, proprio come aveva presagito.


I compagni non sapevano cosa fare o cosa pensare.

Hound, più di tutti, sentì l’irrefrenabile impulso di andare da lei… e così fece.

“Grey!!”, lo avvertì la fidanzata.

Lo stallone avanzò lentamente verso la creatura mistica, che si limitò ad attendere paziente, come se avesse tutto sotto controllo.

Con la coda dell’occhio, la puledra notò qualcosa.

Parlò, con voce rinnovata, che risuonò magicamente nell’aria, in un riverbero ultraterreno.

Tu dove credi di andare?”.

Discord si stava defilando con passi leggeri e braccia lievemente sollevate, per non fare rumore. Si bloccò di colpo, iniziando a sudare freddo. Fece quindi una giravolta e, cercando di simulare nonchalance, alzò un indice e farfugliò: “Oh! Ehm… ecco… io…”.

Fai un altro passo e considererai l’esistenza da una prospettiva nuova persino per te”.

Lo spirito deglutì e si mise a sedere, stringendosi le ginocchia al mento.

Ti consiglio di non scappare. Tanto sai che ormai… potrei trovarti ovunque. Io e te non abbiamo ancora finito”.

“O-ok…”.

Hound arrivò d’innanzi a lei, con le amiche al seguito. Il suo sguardo era severo, serio e in parte deluso.

Applejack non si scompose minimamente, mantenendo la propria autorità. Si osservarono, con i crine di lei che oscillavano in silenzio sulle sue spalle.

“E così…”, dichiarò lo stallone, “E’ in questo modo che va a finire?”.

A quanto pare”, rispose, con il riverbero arcano che l’avrebbe ormai accompagnata per sempre.

L’ex-agente sospirò: “Ti rendi conto… di quello… di quello che hai fatto?”.

L’altra ripensò a Zecora: “Ho avuto i miei buoni motivi”.

“Stronzate!!”, sbottò.

Le puledre, soprattutto Rarity, temettero che il segugio potesse attirare l’ira del neo-alicorno. Dopotutto… non sapevano se Applejack avesse mantenuto una coscienza di sé… o fosse mutata in qualcosa di completamente diverso.

Il mezzo unicorno continuò: “Tu… tu hai passato l’ultimo periodo della tua vita ad opporti al Governo! Hai… hai investito ogni risorsa per combattere Celestia e il potere che rappresentava, anche se trasmesso ad un altro ospite! Ed ora… ora sei diventata ciò che ripudiavi. Sei… sei diventata…”.

L’alicorno lo interruppe: “Preferivi che fosse Discord ad acquisire il potere di Luna?”.

“Io… io non…”.

Applejack osservò i presenti negli occhi, uno dopo l’altro.

Ho fatto la mia scelta. E mi sono macchiata del sangue di un essere puro. Questo non ha nulla a che vedere con voi. Desideravate la morte di Chrysalis, come me, è così è stato”.

Rarity scosse il capo: “Sì… ma…”.

Chrysalis è defunta”, riprese, “Il Governo non ha più un regnante. Io, di fatto, non salirò su alcun trono”.

La puledra splendente sorrise appena, acquisendo una voce molto più naturale: “…Sono sempre… la Applejack che conoscevate…”.

“A me non sembra…”, commentò Dash, ancora dolorante per le ferite, sostenuta dalla compagna dalla chioma rosa.

“E… e cosa succederà, ora?”, domandò Twilight preoccupata, che riteneva tutto quello un grossissimo sbaglio.

Ora… ci sono alcune cose da sistemare. Sono successe tante cose stanotte e…”.

Gli occhi di Fluttershy si spalancarono all’improvviso: “PINKIE!!”, strillò, “Pinkie è rimasta indietro! E’ ferita!”.

Applejack corrugò la fronte: “E’ ferita?”.

Il pensiero della compagna morente fece allontanare momentaneamente le preoccupazioni dall’unicorno viola, sostituendole con quelle per la puledra rosa: “…Sì, Pinkie… è… gravemente ferita…”.

Il pegaso giallo spostò Rainbow dalla propria spalla, lasciando che si appoggiasse sulla groppa di Hound. Si tuffò verso l’amica dalla chioma fluente, con occhi imploranti: “Applejack!! Tu… tu forse… forse potresti…”.


    Il corpo di Vesna giaceva sul terreno, privo di vita.

Il corno di Rain era serrato al petto, tramite zampe ormai intirizzite.

A qualche centinaio di metri più in là, Octavia era avvinghiata all’amica dalla chioma vaporosa. Oscillava ripetutamente il corpo avanti e indietro, continuando a carezzarle la fronte e a sobbalzare saltuariamente, per via di alcuni singhiozzi strozzati.

Pinkie non respirava più. I suoi occhi a mezze palpebre erano vitrei e sbarrati. Il sangue si era riversato sul corpo della musicista ed era ormai scuro e rappreso.

La mente della compositrice era sgombra da qualsiasi pensiero. Solo il dolore fluiva in lei, impedendole qualsiasi tipo di ragionamento. Una consapevolezza mascherata dai sentimenti.

Stette così per svariati secondi, prima che alcune piume dorate scendessero dal cielo. Alzò lo sguardo… ed Applejack calò dolcemente al suolo, con un battito di ali appena accennato.

Octavia venne illuminata dalla sua radiosità e dovette aprire la bocca dalla meraviglia. Istintivamente, strinse il corpo dell’amica con maggior energia.

“A… Apple.. jack?...”, balbettò incredula.

L’alicorno si limito a sorridere.

“M… ma… ma cosa…”.

Gli occhi smeraldo scrutarono il pony rosa.

Allontanati, per favore”, disse alla violoncellista.

Octavia non si mosse, ancora sbalordita.

Allontanati”, ripeté Applejack, con maggior energia, facendola sobbalzare.

L’amica grigia rilasciò la presa, si alzò e fece qualche passo indietro.

“Ora speriamo solo…”, riprese l’alicorno, “Che non sia troppo tardi”.

Una luce soffusa, accompagnata da un candido tepore, iniziò ad espandersi dalla fronte sormontata dalla criniera d’oro.

I compagni, che non potevano certo competere con la velocità di un essere arcano, giunsero al galoppo, con il fiato corto. D’innanzi a loro, Applejack stava rilasciando vere e proprie ondate di energia, che inghiottirono progressivamente il corpo della barista.

Passarono i secondi… e la luce si affievolì fino a svanire, lasciando giusto alcune scintille danzanti che si posarono dolcemente a terra.

Octavia, con il cuore che le batteva forte, osservo l’amica dagli occhi azzurri… nulla sembrava cambiato.

Poi, senza preavviso, Pinkie aprì la bocca e tirò un enorme respiro, come se fosse appena emersa da un lago, in procinto di affogare. I polmoni ripresero caoticamente a contrarsi. I muscoli ebbero alcune convulsioni. Gli occhi acquisirono progressivamente vitalità… saettando in ogni direzione, per capire cosa diavolo stesse succedendo. Rinsavire ad un passo dalla morte… era qualcosa che avrebbe scombussolato chiunque.


Nessuno seppe come reagire… nessuno… a parte Octavia.

La puledra grigia si mise istintivamente la zampe sul muso.

Gli occhi divennero lucidi.

Due grossi goccioloni scesero lungo le guance e un sorriso misto a pianto si dipinse su di lei.

Si buttò verso l’amica, stringendola con tutta la forza che aveva. Il cappello le volò via.

“A-ahio!”, farfugliò Pinkie, che non ci stava capendo nulla. Era viva ma non riusciva a muoversi, decisamente sfinita da quelle esperienze travolgenti.

La gangster dagli occhi viola continuò a piangere, alzando poi lo sguardo verso l’alicorno.


Le parti si erano invertite.

La prima volta fu Applejack ad abbracciarla, nelle prigioni… quando la presunta alleata le comunicò di aver messo in sicurezza la sua tenuta.


“Ho… ho dato ordine ai miei sottoposti di presidiare la tua tenuta… C’è… c’è solo stato un piccolo incidente… Pare che uno dei miei si sia beccato un colpo di lupara alla spalla… Ma… ma per il resto è tutto a posto. La tenuta dovr…”. Applejack la cinse con un abbraccio.

“Grazie… grazie… grazie…”.

“Ehm… i-io…”.

“Grazie…”.


“Grazie”, sussurrò Octavia all’amica dai crine fluenti, sforzandosi di parlare, in mezzo a quel pianto a dirotto. Stringeva Pinkie come un cimelio, percependo il calore tornarle in corpo.

“Grazie… grazie…”.


Applejack sorrise.


“E’ un bel posto qui”, disse la musicista, rompendo il ghiaccio.

Applejack osservò le lunghe file dei meleti perdersi nell’oscurità: “Sì. Sì, è un bel posto”.

“Ho sempre amato gli ambienti di città, a dire il vero. Però devo dire che questa campagna è molto… rilassante”.

L’amica rise debolmente e gettò la sigaretta a terra, spegnendola poi con la zampa: “Beh, se vieni nel periodo di raccolta delle mele, vedi come lo troverai tutt’altro che rilassante”.

“Immagino. Ma ogni luogo ha i suoi momenti di pace e di subbuglio”.

La padrona della tenuta sorrise con amarezza: “Già. Come oggi. Hanno fatto un bel casino. E per poco non ce l’avrebbero fatta sul serio. Infiltrati… Chi lo avrebbe mai sospettato, in così breve tempo?”.

“Sono stata una stupida”, ammise Octavia, mantenendo un’espressione neutrale.


“No.

Tu hai fatto la cosa giusta.

Sei rimasta a difendere la mia casa e la mia famiglia.

E’ una cosa che ripago, anche col sangue se dovessi.


Sappilo”.


*** ***** ***


    Alcune ore dopo, con il chiarore dell’alba imminente all’orizzonte, un piccolo puledrino uscì prestissimo dalla tenuta dei genitori. La sua bocca era parzialmente sdentata: stava cambiando i denti da latte. Trotterellò gioiosamente sullo sterrato, dirigendosi verso il fiume poco distante. Le acque giungevano direttamente da Ponymood, spandendo vita per tutte le campagne limitrofe.

Il pony si avvicinò alle sponde ed osservò l’acqua limpida. Gli piaceva un sacco bagnarsi il volto di primissimo mattino. Infilò le zampe e si diede una poderosa lavata al muso, ridendo contento.

Qualcosa attirò quindi la sua attenzione.

Qualche metro più in là, incastrata tra alcune rocce sporgenti, un’enorme massa scura galleggiava e veniva lambita dalla corrente. Alcune lamiere erano state ammassate contro di lei, sospinte dal fiume.

Il piccolo rimase perplesso ad osservare quella strana cosa, che non aveva mai visto.

Dopo essersi assicurato che non ci fosse nessuno nei dintorni, afferrò un lungo ramo tra i denti e si sporse per punzecchiarla, rischiando un paio di volte di cadere nel liquido.

Il legno toccò la massa scura un paio di volte. Non accadde nulla.

Tento di nuovo. Una terza, una quarta e una quinta volta. Alla sesta… l’oggetto si animò improvvisamente.

Un pony immenso, racchiuso in una lunga giacca scura, emerse completamente, tirando un sospiro con le enormi narici.

Il puledrino aprì la bocca, lasciando cadere il bastone nell’acqua.

Isaak sembrò essersi appena destato da un lungo sonno. I suoi occhi glaciali erano guardinghi, poiché non sapeva dove si trovasse. I peli del corpo erano completamente inceneriti. La pelle ricoperta in buona parte da ustioni. Puzzava anche di cherosene in modo preoccupante.

Vide il pony. Lo fissò.

Si mosse quindi verso la terraferma, imperturbabile dall’acqua che gli scorreva addosso, manco fosse una rompighiaccio sovietica. Si issò sulla superficie.

Il giovane rimase impassibile e, con la vocina, gli disse: “…Ciao”.

Lo stallone lo osservò, senza rispondergli.

“…Come ti chiami?”, gli chiese quindi il pony sdentato.

Il vocione di Isaak rimbombò con potenza: “Isaak Petrenko Dimitri Vaskovich”.

“Io mi chiamo Bobby”.

“Mhf. Nuome borghese”, e si incamminò, per andarsene.

“Dove vai?”, gli chiese alle spalle.

L’interlocutore si fermò, senza voltarsi: “Tuorno a casa. In mia Madre Patria”.

“Perché? Non sei di queste parti?”.

“Nuo”.

“Non ti piace stare qui?”.

Isaak decise di voltarsi e, con volto pensieroso, disse: “Ti diruò, piccolo nano senza denti… Pensavo che questa essere terra di ricche opportunità. Pensavo che avrei trovato soldi con cui aiutare mia famiglia. Ma qui… me tocca fare grande fatica e anquora no ha visto soldo, se non quelli che noi ha sprecato per arrivare fino alla fine”.

“E cosa andrai a fare, a casa?”.

“Quello che facciuo sempre. Bere vodka, mangiare prjanik e… ballare il kazachok”.

“Uhh…”, farfugliò, senza capirci granché.

Isaak gli andò accanto. Si tolse il colbacco con la stella rossa e glielo mise in testa. Era così grande che sommerse il volto del piccolo fino al mento.

Riprese per la propria strada.


“Dasvidania, tovarish”.

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Capitolo 14
*** Epilogo ***


Ponymood.

Una settimana dopo.


    Il sole splendeva alto nel cielo.

L’orizzonte era terso. Le nubi appena visibili. Il paesaggio equestre si stagliava meraviglioso in ogni direzione.

Un’inoltrata mattina come molte altre, leggermente fredda. Una mattina molto simile a quella in cui i fratelli Apple vennero chiamati per riconoscere il cadavere del padre.

Ma quella, ormai, era storia passata.


    Un pony fischiettante si mosse per le trafficate strade cittadine. Tra le zampe reggeva un carretto con i corpi privi di vita di due mutaforma. Salutò educatamente alcuni passanti e proseguì.

Un furgone di grossa cilindrata, dal lato opposto della strada, percorse lentamente un tragitto e poi svoltò in una curva a gomito: trasportava con sé un enorme mucchio di cadaveri dalla pelle nera e ali membranose.

Uno di loro, come un fantoccio, venne catapultato fuori da una finestra accanto, sfracellandosi al suolo.

L’autista del furgone scese, lo caricò insieme agli altri e risalì, accendendosi poi una sigaretta.

La vita era ripresa per tutti, più o meno come prima.

Berry Punch era seduta in un bar, con una selva di bottiglie scintillanti davanti al muso. Aveva le pupille dilatate e già oscillava pericolosamente, con volto beato.

Chocolate, invece, si trovava in una Maison, seduto ad un divano con un paio di puledre attorno, completamente in estasi.

Dollar Jolt, per canto suo, era d’innanzi alla piscina al coperto di Discord. Indossava una cuffietta di gomma e un costume attillatissimo, che gli faceva trasbordare alcuni rotoli di ciccia. Preparò un balzò e si tuffò con gioia, battendo una sonora e dolorosissima panciata.


    Ben altra atmosfera si respirava invece presso la tenuta Apple.

Dall’esterno, nulla sembrava cambiato… ma così non era.

All’interno, proprio nello spazioso ufficio appartenuto al padre, Applejack era seduta dietro la scrivania.

Il suo volto non era mutato di una virgola: fiero, serio e deciso. La puledra aveva gli zoccoli congiunti davanti al muso. La chioma oscillava silenziosamente, lasciando che l’aura di riverenza facesse il resto.

Dietro di lei, otre alla mobilia, erano appesi due piccoli quadri, raffiguranti entrambi i genitori.

L’alicorno si trovava nello stesso posto in cui sedeva solitamente il papà. La stessa sedia. La stessa scrivania. Persino la stessa postura.

Twilight, con un grosso registro sollevato magicamente, attendeva silenziosa al suo fianco, pronta a trascrivere eventuali informazioni.

Davanti a loro, facendo scricchiolare la pelle della poltroncina sotto le natiche, Discord stava sudando sette camicie. Si sarebbe allentato il colletto, se solo ne avesse avuto uno. Attendeva con ansia e paura le parole dell’ex-alleata, reggendo a fatica lo sguardo accusatorio che continuava a puntargli dritto nei bulbi gialli e rossi.

Applejack spostò le zampe sul legno. Lo spirito deglutì.

Discord, Discord, Discord…”, cantilenò, “Cosa dovrei farne di te?”.

“Eeehmmmmmm…”, buttò lì, titubante, “Io… io avrei qualche idea… tipo… che so? Farmi uscire per una passeggiata?”.

Il pony sorrise: “Sei sempre stato così… ironico. In un certo senso… mi piace il tuo modus operandi”.

“Oh! Ne sono onorato! Se mi permetti… posso anche fare di meglio!”.

Tirò fuori un mazzo di carte e, con un gesto degno di un croupier, gliele sventolò d’innanzi.

“Scegli una carta!”.

Applejack le incenerì all’istante.

“Brava!!”, improvvisò Discord, battendo le mani, “Il fuoco era proprio la carta a cui stavo pensando!”.

Però…”, riprese, “Non mi è piaciuto granché il tuo ultimo voltafaccia…”.

Lo spirito si diede un ceffone, rigirandosi la testa di centottanta gradi: “Quale voltafaccia??”.

Ho detto che mi piace il tuo modus operandi… non le tue pagliacciate gratuite…”.

L’interlocutore si sistemò rapidamente nella posizione originale: “Ok. Messaggio ricevuto”.

Bene. Perché ora dovrò decidere cosa fare di te”.

“M-m-ma ceeerto!!...”, balbettò preoccupato.

L’alicorno si alzò ed iniziò a passeggiare per la stanza, girandogli attorno.

Mi sei stato di grande aiuto, Discord. Anzi, a dirla tutta, se non fosse stato per te, probabilmente la mia vita sarebbe terminata appesa ad una forca”.

“Ecco! Questo è un punto a mio favore, no??”.

Indubbiamente. In più hai liberato Luna. Anche se miravi ad avere il suo potere… è grazie a te, in un certo senso, se ora sono ciò che sono”.

“Discord segna di nuovo!”.

Però… hai comunque cercato di fregarmi…”.

“Discord supplica perdono!!”, sbottò disperato, mettendosi in ginocchio e unendo le zampe anteriori.

Applejack lo osservò con sufficienza: “E infine… avresti anche potuto uccidermi, prima che facessi lo stesso con Luna. Sei una testa di cazzo. Ma non sei un essere depravato e senza scrupoli”.

“Uuhhh, beh”, ammise, grattandosi il mento, “Qualche depravazione qua e là, forse… ma…”.

Io ho bisogno di un braccio destro”, lo interruppe, osservando il paesaggio dalla finestra.

“Ah… un…?”.

Ho bisogno di qualcuno di potente che mi serva con devozione e costanza. Tu non mi sei devoto e ti manca anche solo un accenno di buonsenso… ma sei potente. E, come ho detto, mi hai salvato la vita, in passato”.

La bestia caprina rimase interdetta.

E’ pur vero che ci hai mandati quasi a morire contro Celestia, senza rivelarci che fosse un inganno”.

“Oh beh…”, commentò, facendo spallucce, improvvisamente calmo, “Sai come si dice, no? Ingannare chi inganna è un piacere doppio…”.

Appunto. Sei stato astuto. E questo mi piace. Però…”.

“Però?...”.

Dopo aver sbattuto le palpebre, Discord si ritrovò il muso della puledra proprio contro il suo: “Però… Un ingannatore è pericoloso. Dovrei sempre guardarmi le spalle… e… forse… questo mi aiuterà a non abbassare la guardia”.


    All’esterno, intanto, le puledre, assieme a Hound e Spike, erano comodamente coricate sull’erba del cortile, accarezzate dai raggi del sole.

Fluttershy e Dash erano ricoperte da alcune bende mediche, ma stavano bene.

Lo stallone, invece, aveva di nuovo voluto fare il duro, rifiutando di farsi medicare. Aveva un occhio gonfio come una palla da baseball.

Il draghetto, intanto, consumava uno dei suoi sigari, comodamente appoggiato ad un albero.

Rarity si era messa addosso un vestito poco impegnativo, pronta a rifarsi il guardaroba con la collezione premaman che aveva in mente.

Octavia attendeva paziente il ritorno del capo e Pinkie saltellava da un cespuglio all’altro, cercando di catturare una fugace cavalletta. La musicista la osservò… e sorrise.

    Le porte del caseggiato si spalancarono e Discors uscì, piroettando sulla punta della zampe.

“Vivrò!!”, dichiarò con gaudio, “Non mi strapperà il cuore!! Oh quale gioia!! Quale superba notizia per allietare la mia giornata!!”. Si diresse quindi verso il furgone-gelati, riverniciato di nero, facendolo quasi sembrare un enorme scarafaggio su ruote. Si infilò dal finestrino, cercando affannosamente qualcosa. Tornò quindi dalle altre, con un enorme magnum di spumante tra gli artigli.

Lo agitò vigorosamente.

“Oggi si festeggia!!”, e fece partire il tappo, che gli finì dritto tra gli occhi.

Il corpo serpentiforme si intirizzì e cadde all’indietro, privo di sensi.

Nessuna fece una piega.

“Il tuo capo è un idiota”, dichiarò Dash, alzando le sopracciglia.

“Lo so”, rispose l’altra, quasi rincuorata dal gesto assurdo del draconequus.

Poco dopo, Twilight si palesò dall’ingresso, raggiungendole.

“Ciao, ragazze…”, le salutò.

“Ehy, dolcezza”, controbatté Rarity.

“AH!”, esultò Rainbow, abbracciandola con forza, ignorando il dolore, “Ecco la mia dottoressa preferita!”.

“Ed ora…”, riprese il drago, “Anche consigliera di un alicorno…”.

“Ah… sì… beh…”, farfugliò, preda della foga del pegaso, “Non… non cambia nulla”.

“Sai che non è vero”, intervenne Hound, “Le cose dovranno cambiare. Cambiano sempre, quando ci sono potenti creature di mezzo, come gli alicorni…”.

“Oh, non ricomincerai con questa storia?”, l’ammonì la puledra viola.

Grey osservò la compagna bianca: “…No… io… ho… altro a cui pensare, ora…”.

Fluttershy cercò di prendere timidamente la parola: “Uh… in… in effetti… ora cosa faremo?”.

Ci fu un breve silenzio, poi Rarity prese la parola.

“Oh… per quanto mi riguarda… devo dare una ristrutturata alla mia Maison. La nostra avventura l’ha maltrattata parecchio… e ci sono ancora alcuni… ehm… schifosi cadaveri mutacosi sparsi in giro…”.

Twilight volle saperne di più: “Quindi… continuerai con il solito mestiere di sempre?”.

“Direi di sì… ma poi… avrò un periodo impegnato… sapete, no?”, disse, massaggiandosi il ventre.

“Vecchio volpone!”, intervenne Rainbow, dando una gomitata al futuro padre.

Sparkle continuò con le domande: “E tu, Hound? Andrai in pensione anche tu?”.

L’altro sembrò visibilmente imbarazzato: “Io… uh…”.

“Sì?...”.

“Io… mhh… Negozio… negozio di… insomma…”, farfugliò.

Rarity lo cinse per una zampa: “Vuole aprire una piccola bottega di fiori!”. Il compagno divenne rosso e il pegaso blu non perse occasione: “Fantastico! Grey Hound, il fioraio di Counterlot!!”.

“Tappati quel buco, uccellaccio”.

“A proposito di Counterlot”, domandò Octavia, “Che ne sarà della città-fortezza?”.

“Applejack non salirà su alcun trono”, rispose Twilight, “E, per ora, si limiterà ad amministrare un nuovo potere attraverso la propria tenuta. Counterlot verrà… abbandonata? Non lo so. E’ ancora da vedere”.

“Certo che”, dichiarò Fluttershy, “Non sono ancora riuscita a capire… se quella… è la stessa Applejack che conoscevamo prima…”.

“E voi due, canarini?”, domandò la musicista curiosa, “Cosa farete, ora? Non credo ci saranno minacce a breve termine da contrastare”.

“Beh, mia cara strimpellatrice”, rispose Dash, “Nella vita non si può mai sapere… e poi… Applejack avrà sicuramente bisogno di una… uhm… protezione armata, no?”.

“Ma… ma, veramente…”, balbettò la puledra giallo paglierino, che ne aveva avuto a sufficienza di sparatorie.

“Eddai, Flutter!”, la incitò, dandole una pacca sulla schiena, “Ogni giorno è un buon giorno per morire!”.

“I-io… ehm… cioè… yay?”, buttò lì, con falso entusiasmo.

“Rimanete solo più tu e Pinkie”, affermò Sparkle.

Le due si osservarono.

“Beh…”, ammise la violoncellista, “Penso che per un po’… mi dedicherò ai miei interessi. Intendo… interessi diversi dalla solita… insomma… dai soliti affari loschi”.

Rarity le fece gli occhioni languidi: “Intendi… approfondire la tue relazione con Big Mac? O forse dovrei chiamarlo… Macky?”.

“Mh. Anche”.

“Cosa ci troverai mai in quello scimmione, poi…”, commentò Rainbow.

“E’ una cosa che una lesbica come te non potrà mai capire”, la istigò.

E Dash mantenne la calma: “E’ una cosa che nemmeno Big Mac potrà mai capire… una come te con un buzzurro come lui. L’amore è proprio cieco”.

“E Pinkie?”, incalzò nuovamente il dottor barbiere.

La stilista diede un colpetto ad un ciuffo di crine viola: “Come ai vecchi tempi, cara… Tu correggerai il sidro. Pinkie servirà nel mio locale. Octavia potrebbe stare tra i musicisti…”.

“Sììì!”, esultò la barista, “Torno a servire il Sidro Poribito!!”.


Tutte sorrisero.

“Proprio come ai vecchi tempi, eh, Twily?”, le disse sorridendo il drago, schiacciando il sigaro consumato sotto una zampa.

Tutte si osservarono negli occhi, provando una strana sensazione.

Una commozione appena accennata. Qualcosa che Dash e Fluttershy conoscevano bene… quel legame… che si instaura solo tra commilitoni che hanno condiviso gioie e dolori assieme.

Una sensazione unica, che le avrebbe accompagnate anche il giorno in cui non si fossero più riviste.

Tutto dovuto ad un unico avvenimento.

Un unico boccale di liquido ambrato.

Il Sidro Proibito.

Un nettare che, per loro, avrebbe per sempre avuto un significato profondo e indissolubile.


*** ***** ***


    Applejack osservò le amiche dalla finestra.

Le vide parlare e ridere tra loro. Percepì un piccolo calore nel petto.

Ancora non sapeva bene cosa volesse dire… cosa potesse significare… ciò che era diventata.

Il mondo, per lei, assunse un significato diverso. Tutto, da quella fatidica notte di luna rossa, subì una svolta decisiva. Non sapeva ancora cosa le avrebbe serbato il futuro.

Ora, in lei, risiedeva il potere primordiale di un essere centenario. Non si trattava più di mandare avanti una semplice attività famigliare. Si trattava di fare una falcata ben più ampia.

Un potere spaventoso… che avrebbe dovuto gestire con oculatezza.


Qualcosa le fece intuire che non sarebbe più stata sola, di lì a poco. I sensi trascendenti di un alicorno le permisero di riconoscere immediatamente l’essere che le giunse alle spalle, senza che nessun altro se ne accorgesse.

Ciao, Zecora”, dichiarò, con un lieve sorriso, senza nemmeno voltarsi.

La zebra si tolse il cappuccio, osservandola con sguardo neutrale.

Sei venuta a farmi visita?”.

L’altra ricambiò il sorriso, scorgendolo nel riflesso della finestra.

“Hai giocato sapientemente le tue carte”, commentò, con tono vagamente saccente, “Hai compiuto un gesto ad opera d’arte”.

Sei adirata. Lo percepisco…”.

Zecora cercò di minimizzare: “Non posso nascondere la mia frustrazione. Avevamo un patto e tu mi hai raggirata con attenzione”.

L’alicorno si voltò per guardarla: “Non prendertela troppo. Non potevo lasciare che le cose andassero in quel modo. Sono passate più di ventiquattro ore… ed io sono ancora qui”.

Lo sciamano sembrò acquisire sicurezza in sé. La luce radiosa della puledra, per un istante, parve dover lottare con un’oscurità opprimente che iniziò a diffondersi attorno all’interlocutrice striata.

“Ascolta bene le mie parole”, la ammonì Zecora, estremamente minacciosa, “Uccidere un alicorno è un atto che si ripercuoterà in eternità, persino sulla tua prole. Un essere puro che viene ucciso attirerà dannazione e pestilenza su chi l’essenza ne ha diviso. E’ un peccato mortale. Attirerà su di te un peso che non potrai ignorare”.

Applejack fece vibrare il proprio potere: Zecora venne scagliata contro la parete, da cui cadde un po’ di mobilia.

VALUTA ATTENTAMENTE CIO’ CHE DICI, STREGA!!”, le urlò, con voce assordante e occhi simili a fiamme verdi, “L’UNICO MOTIVO PER CUI NON TI HO ANCORA ANNIENTATA… E’ PERCHE’ NON VOGLIO DISTRUGGERE CHI MI HA AIUTATO IN PASSATO!!”.

La zebra strinse i denti. I suoi monili oscillarono e tintinnarono, subito prima che la furia di Applejack si placasse, ristabilendo il silenzio.

Se sei venuta qui solo per ravvisarmi con le tue nenie in rima… sprechi il tuo tempo. E’ tutta una vita che mi porto un peso sulle spalle. Alicorno, pony, pegaso… non fa alcuna differenza. Sopporterò anche questo”.

Zecora si massaggiò il muso, un po’ dolorante, e sorrise malignamente: “…Quale arroganza per un essere che dovrebbe invece dimostrare saggezza profonda…”.

Cos’è? Hai perso la tua rima?”.

L’altra si rimise in piedi, coprendosi il volto col cappuccio, e si diresse verso l’uscita. Un attimo prima di andarsene… le disse un’ultima cosa.

“Rimembra le mie parole passate, Applejack. Qualsiasi cosa accadrà… io avrò comunque la tua… anima…”.

Sai dove trovarmi”, concluse con sicurezza.

La figura misteriosa si congedò.


*** ***** ***


    Nel retro della tenuta, proprio ai piedi dell’albero su cui Applejack soleva giocare da piccola, Applebloom calciava annoiata una piccola palla azzurra. La faceva rimbalzare sul legno, lasciando poi che le tornasse indietro, per ricominciare.

Era una bella giornata per giocare all’aperto ma la puledrina era piuttosto triste e sconsolata.

Diede un altro calcio all’oggetto, mancando l’arbusto. La palla ruzzolò fino agli zoccoli di un equino incappucciato.

Applebloom lo osservò, un po’ intimorita, non sapendo chi fosse o cosa stesse facendo lì.

Zecora rivelò il proprio muso adorno di oggetti metallici, rimandandole poi la palla, con un colpetto di zampa tintinnante. Le sorrise.

Il pony col fiocco raccolse la sfera e continuò ad osservare la curiosa figura d’innanzi a lei.

“Ciao…”, le disse infine, un po’ titubante.

“Ciao piccoletta”, le rispose con garbo, “Vedo che sei educata e conosci l’etichetta”.

L’altra arricciò il muso: “Come… come parli strano…”.

Zecora rise appena: “E’ solo una parlata in rima. Basta un po’ di allenamento e potrai farlo quanto prima”.

“Chi sei?”.

“Di nomi ne ho molti, troppi per dirteli ora. Ma tu puoi chiamarmi semplicemente… Zecora”.

“Zecora?... E’ strano anche quello… Insomma… tu sei… strana…”.

“Sono solo diversa da ciò che vedi. Come quando desideri qualcosa che non possiedi”.

Applebloom rimase incuriosita da quella strana creatura dal manto striato.

“E dimmi”, riprese la zebra, “Come mai giochi qui fuori da sola? Non hai qualcuno con cui scambiare qualche parola?”.

La piccola tornò ad essere triste e alzò lo sguardo verso la finestra che dava nello studio di Applejack: “Una… una volta… giocavo con mia sorella. Ma poi… è stata sempre piena di impegni. E così… non ha più avuto tempo. E, da quando… insomma… da quando le sono spuntate le ali… non la vedo quasi più. E’ sempre impegnata a… parlare con altri pony… a scrivere su dei fogli…”.

Una scintilla malevola brillò negli occhi dello sciamano: “Tu… vorresti di nuovo che tua sorella ti desse attenzioni? Che giocasse nuovamente con te, senza tante lezioni?”.

“…Sì…”, ammise, con voce da bambina, abbassando lo sguardo.

Il sorriso di Zecora divenne lampante: “Devi sapere… che molte cose in questo mondo si possono ottenere. Non esiste nulla di troppo assurdo o lontano. Basta un poco di volontà e non lotterai invano”.

Le orecchie della puledrina la ascoltarono con attenzione.

“Ma niente si può ottenere, se prima non rinunci a qualcosa. Sii pronta a donare e di risultati ne riceverai a iosa”.

“Cioè?...”, domandò perplessa.

L’altra le mise una zampa sulla spalla, continuando a sorridere: “I desideri che coviamo nel cuore sono i sogni di chi non muore. Dimmi ciò che la tua anima custodisce. Io posso aiutarti laddove l’irraggiungibile lambisce. Rimembra però che tutto ciò che vorrai richiederà un prezzo… tieni questo a mente e non metterci inganni di mezzo”.

Applebloom ancora non capiva ma per Zecora non era un grosso problema.

Avrebbe dato tempo al tempo.


    Gli occhi affilati delle zebra si spostarono verso il cimitero lontano.

Accanto alla cripta di Celestia era stato edificato il sepolcro di sua sorella, anche se meno appariscente. Le due avrebbero riposato una accanto all’altra. Per l’eternità.

Forse…

Il mausoleo dell’alicorno oscuro era sigillato. Ma un accenno di strana nebbia fumosa si manifestò appena, sotto la fessura del portone in pietra.


Un sussurro nell’aria.

Una voce impercettibile.

Un alito senza un padrone.



Ricorda le mie parole,

anche se ti trafiggeranno il cuore come una lamina.

Per ciò che vuoi fare,

in un modo o nell’altro,

perderai comunque la tua…

                                                                                 anima.

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